E se c'era

di Ness by Moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


***piccola premessa; alcuni elementi saranno differenti dalla serie TV per rendere migliore la trama!***

Alexis non riusciva proprio a prendere sonno quella notte, continuava a girarsi e rigirarsi nel letto nella speranza di assopirsi. La sua mente era piena di pensieri, di dubbi, di domande e soprattutto di paure. Non sapeva cosa sarebbe accaduto l’indomani e nemmeno era sicura di volerlo sapere, quando si era proposta per quel compito non aveva di certo ben chiaro cosa avrebbe dovuto affrontare. Ripensò al termine proporsi, come se avesse avuto scelta tutto sommato. Spettava a lei e lo sapeva, era solo colpa sua, ma non aveva fatto i conti con i suoi demoni. Forse era ancora in tempo per avvertire che non voleva partire da sola, che sarebbe stato meglio farsi accompagnare da qualcuno di più competente, come i suoi genitori. Ma poi chi avrebbe tenuto a bada le cose a casa? Sbuffò mentre si metteva sul fianco, gli occhi verdi si incatenarono a quelli scuri della fotografia che dominava il comodino. Un sorriso malinconico si impossessò della sua labbra, una sola lacrima silenziosa scese sulla sua guancia andando a morire sul tessuto della federa. Non poteva permettersi quella debolezza, non quella notte. Non prima dell’enorme salto nel vuoto che stava per compiere. Le sue paure avevano preso il sopravvento su di lei già troppe altre volte, quella sera aveva bisogno di lucidità. Si costrinse quindi a voltarsi dall’altra parte e a cercare di chiudere gli occhi per dormire. Ci provò sul serio, ma il cervello non voleva saperne di spegnersi, neanche per un solo istante. E se anche lo avesse fatto, avrebbe rivissuto gli stessi incubi di tutte le altre notti. Rinunciò a quell’ormai impossibile missione e abbandonò le coperte saltando giù dal letto. Si avvicinò alla scrivania e ricontrollò di aver preso tutto ciò che le sarebbe potuto servire, fece mente locale alla ricerca di qualcosa che aveva omesso di portare ma convenne poi che era tutto pronto. Si affacciò alla finestra, sperando quasi di trovare nel suo giardino qualcosa di interessante, qualcosa che la distraesse da sé stessa. Ma non c’era nulla al di fuori dell’ordinario. Sbuffò ancora contro la luna maledicendo il suo nervosismo. In un’altra notte come quella, in un’altra notte in cui non riusciva ad addormentarsi, avrebbe saputo cosa fare. In un’altra notte avrebbe preso il cellulare dal suo comodino, quello opposto a dove risiedeva la foto, avrebbe mandato un messaggio e si sarebbe sentita subito meglio perché sapeva che anche se non avesse ricevuto risposta, qualcuno era sempre con lei. Sempre, ma non in quel momento, perché non aveva idea di dove fosse. Lo stomaco prese ad attorcigliarsi, il cuore accelerò i battiti troppo velocemente e quell’ormai comune senso di nausea la investì come un treno lanciato in piena corsa. Aveva bisogno di aria o avrebbe di sicuro vomitato. Ancora.  Aprì la finestra e lasciò che il freddo la prendesse a schiaffi, si insinuasse tra i suoi capelli castano chiaro, le gelasse le ossa. La canotta che era solita usare per dormire, vecchia e decrepita ma insostituibile, sembrava essere sparita sotto il vento. Il tessuto ormai consumato e scolorito, una volta era di un azzurro brillante mentre ora ricordava un grigio smorto, non riusciva a proteggere il suo fisico da nulla ormai. Eppure si sentì meglio, tanto da farle richiude la finestra.  Il freddo e il vento avevano attenuato quell’orribile senso di subbuglio nel suo stomaco. Era rimasto solo il vuoto, il vuoto e tutto lo spazio che occupava. Il vuoto e tutto ciò che comportava averlo dentro, come un piccolo mostro aggrappato alle proprie pareti interne. L’unica cosa che le impediva di aprire ancora la finestra a gettarsi fuori era la speranza di mettere presto un punto a tutta quell’agonia che era diventata la sua vita da circa sei mesi ormai. Poggiò i palmi contro i bordi della finestra e prese un ultimo pieno respiro prima di tornarsene a letto. Dedicò un’ultima fugace occhiata al cielo stellato prima di dargli le spalle e rinfilarsi sotto le coperte. Strinse forte tra le mani la sua collana e si decise a chiudere gli occhi. 
“Sto venendo a riprenderti, Lay. Aspettami.” 
Furono le ultime parole che la sua mente produsse prima di sprofondare, finalmente o purtroppo, in un sonno pieno di incubi. Ma ormai ci era abituata, non la spaventavano più. Non temeva più alcunché provenisse dai meandri della sua mente, non mostri, non ombre, non assenze, non vuoti, non dolore. Tutto quello era all’ordine del giorno in quella nuova vita che si era ritrovata costretta a vivere. Perché era colpa sua. Era consapevole sarebbe durata ancora poco, lei l’avrebbe ritrovata. L’avrebbe ritrovata sempre.
 
Sua madre era salita in camera sua per dirle che era ora di partire troppo presto. Alexis aveva racimolato all’incirca qualche ora di sonno, giusto quanto bastava per vivere uno dei suoi incubi e tornare in quello più grande di tutti, la realtà. Si era fatta trovare già pronta, almeno all’apparenza. Per quanto si sforzasse di mantenere la calma, per non spaventare i suoi genitori e nemmeno sé stessa, non riusciva a nascondere il tremolio che aveva preso pieno possesso delle sue mani. Le infilò nelle tasche della giacca più a fondo che poté, tirandole poi fuori solo quando sua madre si chiuse la porta alle spalle. Preselo zaino e mandò ai suoi piedi il comando di muoversi, di mettersi uno avanti all’altro e portarla in salotto, ma questi non volevano saperne. Parevano incollati al suolo. 
-Avanti Lex, puoi farcela. -
Provò ad incoraggiarsi, a darsi forza e sostegno da sola stringendo forte la collana. Stringendo forte tra le dita il ciondolo raffigurante l’arpa celtica, simbolo di immortalità dell’anima. Prese un profondo respiro e si decise a scendere. Le scale non le erano mai sembrate tanto brevi e con così pochi gradini, il salotto di casa sua mai tanto affollato. A quanto pareva erano arrivati proprio tutti a farle un grosso in bocca al lupo, a supplicarla silenziosamente di aver successo nella sua missione e di tornare a casa sana e salva. Poteva chiaramente vedere sul volto della sua famiglia la preoccupazione, in particolare negli occhi di sua madre. Anche se non voleva dimostrarlo, anche se avrebbe tenuto su la sua corazza di fronte a tutti, Alexis poteva vedere quanto fosse spaventata.  Aveva imparato a leggere al suo interno e a capirla fino in fondo. Dopotutto erano estremamente simili. 
-Sei sicura? Lo siamo tutti?- Le chiese proprio la donna, il panico nella sua voce.
Si limitò ad annuire, se avesse parlato probabilmente avrebbe mostrato tutto il nervosismo che l’aveva presa quella notte. 
I suoi familiari si disposero in cerchio per permettere a sua madre di poter creare il portale, per permetterle di usare la magia in sicurezza. La donna agitò le mani e dal suo movimento si creò un cerchio di fuoco nel quale vi gettò ciò che avrebbe dovuto guidarla. Un forte vento nacque dal cerchio magico che spaventò Alexis più che mai. Fece un solo passo indietro, uno solo, ma quando notò lo sguardo terrorizzato di sua madre riprese la sua posizione. Non avrebbe fatto preoccupare nessuno, non avrebbe mostrato le sue paure, sarebbe stata forte come lo erano i suoi genitori e tutti i membri della sua famiglia. Sua nonna le passò il piccolo flaconcino contenente un liquido color oro invitandola a bere. Sapeva di cosa si trattava, sua madre aveva preparato una pozione di protezione contro qualsiasi cosa si sarebbe ritrovata ad affrontare. Maledizioni, incantesimi, intrugli vari, non avrebbero avuto alcun effetto su di lei. Anche il suo ciondolo era stato incantato, avrebbe risposto alla presenza di Laya qualora si fosse trovata nei paraggi. Non aveva alcuna idea di dove stesse andando o in quale assurdo mondo si sarebbe ritrovata, era sempre meglio essere prudenti. Per quanto ne sapevano e per assurdo, avrebbe potuto ritrovarsi all’Inferno. Quindi buttò giù la pozione che riconobbe avere un saporaccio e che la costrinse a fare una smorfia.
-Adesso devi andare, Lex-
La voce di sua madre tremava, così come gli occhi di tutti i presenti. Anche lei tremava ed era per questo che aveva di nuovo nascosto le mani. Non voleva sciogliersi in abbracci o saluti, non voleva guardare negli occhi di nessuno, diede le spalle a tutti e si preparò a saltare nel cerchio che accennava già a richiudersi. Prese una piccola rincorsa, un ultimo profondo respiro e vi si gettò. L’ultima cosa che sentì fu un “sii prudente” ma non sapeva chi avesse pronunciato quelle parole, era ormai lontana dal suo mondo e dalla sua casa.
Le sembrò di cadere, cadere e cadere per un tempo infinito. Le sembrò di roteare a vuoto e senza una meta fissa in un tunnel buio con uniche finestre sprazzi di altri mondi, nulla che riconoscesse, ma aveva intuito di cosa si trattasse. Iniziò a chiedersi come avrebbe fatto a fermarsi, come avrebbe fatto a sapere come scendere da quella giostra che girava troppo veloce. Dopotutto quello era un portale del tutto anomalo, di sicuro con i fagioli sarebbe stato molto meglio e meno scombussolante per il suo stomaco già messo sotto pressione. Ma quell’incubo era iniziato proprio a causa loro. Si impose calma, almeno mentale. Si era preparata a quello, più o meno. Sapeva come doveva muoversi, più o meno. No, in realtà non sapeva niente, non aveva la più pallida idea di cosa fare o non fare. Si stava lentamente lasciando prendere dal panico quando l’arpa attaccata alla sua collana prese a brillare e a bruciare. Non aveva idea se lo stesse solo sognando o se fosse realtà ma le avvolse i nervi e lo stomaco come un balsamo delicato. Il calore che ne scaturiva era travolgente e bellissimo, di certo non poteva essere nulla di negativo o nocivo. Se aveva imparato qualcosa della magia, sapeva che la magia nera non era balsamica e accogliente, semmai intossicante e prepotente. Decise che in quel momento la cosa migliore che potesse fare era fidarsi del suo istinto e seguire il ciondolo, l’attimo dopo si sentì una perfetta idiota a star a sentire una collana. Fu questione, però, di pochi secondi. Nel preciso istante in cui la sua mente e il suo cuore si fidarono ciecamente di quella nuova magia, il ciondolo la trascinò verso una di quelle finestre facendogliene attraversare una. Si ritrovò sbalzata in aria e la sensazione fu quella di cadere da un albero davvero alto, anche il dolore per la caduta fu lo stesso. Rotolò a pancia in sù mentre cercava di riempire di nuovo i polmoni di ossigeno e acquietasse il dolore per i lividi che le sarebbero sicuramente usciti. Respirare non fu esattamente la cosa più semplice del mondo, il tunnel era stata un’esperienza quasi claustrofobica mentre ora tutto quello spazio le risultava doloroso. Dopo qualche minuto si mise seduta per cercare di analizzare la situazione, o quantomeno capire dove diavolo fosse finita. Si guardò attorno, ma a primo impatto non vedeva altro che alberi. Che fosse caduta da uno di quelli? Erano quasi familiari ma dopo tutto erano alberi. Tronco marrone, foglie verdi, alberi. Si alzò e la sua schiena non fu d’accordo con la sua scelta, avrebbe di gran lunga preferito restare ancora un po’ stesa sul fogliame. Emise qualche lamento sommesso mentre compieva i primi passi verso … dove esattamente? Prese il ciondolo tra le mani sperando che replicasse il miracolo di poco prima, ma questo rimase freddo e senza alcuna luce. Probabilmente lo aveva davvero sognato. Si impose calma, ancora. Il suo stomaco non era esattamente della stessa opinione, minacciava di vuotare tutto il suo contenuto da un momento all’altro, ma non sapeva se per il nervosismo o semplicemente per il giro sulle montagne russe magiche che aveva appena fatto. Entrambe le cose era forse la risposta più logica. Si appoggiò ad uno degli alberi ed aspettò che lo stomaco si riassestasse implorandolo mentalmente di sbrigarsi anche. Guardò in aria, cercando quantomeno di capire che ora del giorno fosse. Il sole era abbastanza alto nel cielo, ipotizzò fosse mattino inoltrato. La temperatura era abbastanza simile a quella di casa quindi non era finita all’Inferno, era già qualcosa di rincuorante. Avanzò qualche passo tra gli alberi identificando quello che sembrava essere un piccolo sentiero, l’idea che fosse sempre frutto della sua immaginazione era forte, ma in qualcosa doveva pur sperare. Seguì la stradina fino ad arrivare ad un piccolo ponte ricoperto di muschio e fogliame. E lì sgranò gli occhi.
Non era possibile, qualcosa doveva essere andato storto. Qualcosa era di sicuro andato storto. Da quel punto in poi conosceva la strada, sapeva perfettamente dove portasse e dove si trovasse. La percorse al ritroso di corsa, ignorando i dolori a gambe e schiena, svoltando agli alberi giusti e saltando i giusti buchi nel terreno. Corse fino a quando non vide la strada asfaltata presentarsi avanti ai suoi occhi. E l’incredulità aumentò sempre di più insieme alla convinzione che il portale non avesse funzionato correttamente. Le toccava anche tornare in città a piedi, mai che potesse usare la magia per futili motivi. Sua madre l’avrebbe appesa a testa in giù . Sbuffò sconsolata e delusa mentre si incamminò, aveva sperato che finalmente quel tentativo sarebbe andato a buon fine. Perché quello non era il primo, ce ne erano stati tanti altri tutti miseramente falliti. Era stato sulla base di quei fallimenti che era nata l’idea del portale, una forma di magia avanzata e complessa che avrebbe dovuto catapultarla dove si trovava Laya e non a casa. Di nuovo e senza risultati positivi. La frustrazione si stava pian piano impossessando di lei e il suo autocontrollo stava affogando al suo interno, se ne accorse da come il terreno restava segnato sotto i suoi passi pesanti. Scrollò le spalle e cercò di ritrovarlo, ci mancava solo che avesse una profonda crisi di nervi.
Arrivò in città circa venti minuti di cammino dopo, non aveva mai fatto caso a quanta strada ci fosse da fare dai confini fino al centro. Era solita percorrere il tragitto in auto. Non era esattamente una persona atletica a differenza di quanto il suo fisico asciutto potesse far pensare, per quello doveva ringraziare sua madre e l’ereditarietà del suo metabolismo. Si accorse che qualcosa di diverso c’era quando arrivò alla piazza centrale, la biblioteca era chiusa. O meglio, la biblioteca era completamente sbarrata da assi di legno inchiodate contro ogni porta e finestra. A quella vista, Alexis corrugò le sopracciglia confusa. Non era possibile, era stata in quella stessa biblioteca solo il giorno prima per accertarsi che non avesse dimenticato nessun passaggio. Aveva letteralmente svuotato ogni singolo scaffale e gettato tutto alla rinfusa sul tavolo principale. Ci si avvicinò, cercando di guardarci all’interno ma era praticamente impossibile.
-Ma che…-
Voltò lo sguardo verso l’alto e sgranò gli occhi quando lesse l’ora che segnava l’orologio del campanile, le 8:20. Controllò il suo di orologio che al contrario segnava le 12:35 e la sua confusione crebbe ancor di più. Non era possibile che l’orologio fosse fermo, aveva ripreso a scorrere dopo che la maledizione era stata spezzata e non si era più fermato. Erano circa venticinque anni ormai che ticchettava. Si guardò confusa intorno, tutto il resto sembrava normale. Tutto il resto sembrava essere al suo posto. Aveva bisogno di risposte, forse l’incantesimo aveva funzionato in modo sbagliato o solo per metà. Vide arrivare nella sua direzione un uomo vestito in abiti sportivi e l’espressione allegra.
-Mi scusi-chiese all’uomo- saprebbe dirmi come mai l’orologio non funziona? -
Il suo interlocutore la guardò stranito per un solo istante, come se stesse tentando di capire se quella ragazza gli avesse davvero posto una domanda tanto sciocca, poi si decise a rispondere.
-Non ha mai funzionato da che ne ho memoria-.
Gli occhi di Alexis si sgranarono ancor di più, se possibile, mettendo in bella mostra il verde delle iridi. Vide l’uomo andar via di spalle incapace di staccargli lo sguardo di dosso sempre più convinta che fosse matto. Come poteva non scorrere da che ne aveva memoria! Fu quella sua stessa affermazione a metterle la pulce nell’orecchio. Si trovava di certo a casa sua, quella piccola cittadina era Storybrooke, su questo non poteva sbagliare. Era cresciuta per quelle strade, aveva passato interi pomeriggi in quella biblioteca ora stranamente sbarrata, caduta con la bici e successivamente con lo skate nella traversa appena lì accanto. Quella era Storybrooke non vi era alcun margine di errore. Corse via dalla biblioteca, aveva bisogno di esplorare ancora quella città e di essere certa che fosse la sua. Ma dopotutto, quante città costruite con la magia esistevano al mondo? Passò per il convento, fuori lo studio di Archie, e perfino avanti la vetrina del negozio di antiquariato del Signor Gold. Era tutto perfettamente come doveva essere, almeno a livello architettonico. Anche la scuola era la stessa, con le casette per gli uccelli fissate sugli alberi e il grande giardino dove i bambini erano soliti giocare. Mancava la parte del liceo, quella costruita circa vent’anni prima. Proprio non riusciva a capire, in nessun modo. Quella era casa sua eppure mancava qualcosa, come se ci fosse un tassello di un puzzle mancante che non riusciva in nessun modo a trovare nonostante lo cercasse disperatamente. Forse avrebbe dovuto cercare la sua famiglia, magari loro avrebbero potuto aiutarla e darle qualche risposta. Strinse l’arpa al suo collo, quel gesto aveva imparato a trasmetterle forza e a tranquillizzarla nei momenti di panico. Non se ne accorgeva ormai nemmeno di quanto spesso lo facesse. Aveva sperato di sentire il ciondolo caldo al tatto e di rivedere la luce brillante . Ma non era accaduto più da quanto era atterrata in quella falsa Storybrooke. Era rimasto un semplice pezzo d’acciaio attaccato ad una catena al suo collo. Aveva bisogno di risposte, restare lì ferma era del tutto inutile. Si voltò di scatto, pronta a correre verso casa sua.
Andare a sbattere contro qualcuno non era previsto nel suo piano.
-Ahi! – Esclamarono due voci allo stesso momento.
Alexis alzò lo sguardo verso la persona contro cui aveva sbattuto e rimase a bocca aperta nel riconoscere la donna di fronte a lei. Corti capelli neri e brillanti occhi verdi, dolci da fare invidia ad una zuccheriera.
-Mi scusi, non l’avevo vista. È tutto okay? –
La ragazza non ebbe la forza di rispondere, aveva appena avuto una risposta che non aveva cercato. La sua famiglia non aveva idea di chi fosse, la sua famiglia non aveva memoria di lei. E in quel momento le balenò in mente un’idea tanto assurda quanto possibile, qualcosa a cui non aveva pensato perché sarebbe stato troppo anche solo prenderla in considerazione.
-Si… tutto… okay, credo-.
La donna la guardava preoccupata e con un viso che esprimeva tutto il suo senso di colpa per quanto appena accaduto.
-Io sono Mary Margaret Blanchard- Si presentò tendendo la mano.
-Lo so- sussurrò la ragazza stringendola, ma poi si rese conto delle parole che aveva appena detto e tentò di risolvere quella situazione. Anche perché la donna la guardava con un misto di confusione e dubbio.
-Cioè, voglio dire, sei l’insegnate di questa scuola. È normale che io ti conosca-.
-Certo, giusto. Tu sei nuova? Non ti ho mai vista qui a Storybrooke-
-Ehm, non esattamente. -
Era il tentativo di salvataggio peggiore della storia, ma non si sarebbe mai aspettata di ritrovarsi in una situazione del genere. Non avrebbe mai pensato che sarebbe finita nel passato, e, a giudicare da quanto giovane Mary Margaret appariva, parecchi anni prima.
-Due arrivi in poche settimane, è al quanto strano per una piccola città come la nostra-. Asserì sistemandosi meglio la borsa sulla spalla destra.
-Due? - Domandò curiosa.
-Già, anche una mia amica è arrivata poco tempo fa. Adesso scusami ma devo proprio andare. È stato un piacere…-
-Alexis- ebbe appena il tempo di dire.
Corse via con quel suo passo principesco e leggero lasciandola con ancor più domande di prima. Aveva cercato nuove informazioni e a quanto pareva qualcosa lo aveva saputo. Le rotelle del suo cervello presero a girare furiose dando un gran da fare a tutti i meccanismi. Rifletté sulle parole di Mary Margaret, sul fatto che lei non fosse l’unica ad essere arrivata in quella città dove era strano vedere visitatori e purtroppo capì. Aveva bisogno solo di un’ultima conferma. Corse dunque verso l’unico posto dove avrebbe trovato qualcuno informato su tutto ciò che accadeva in città, qualcuno che non avrebbe mai potuto dirle un “non lo so”. Corse veloce verso il Granny’s alla ricerca di Ruby.
Non badò al resto della città ai suoi lati, ormai aveva appurato che quella era Storybrooke, aveva solo da capire qualeStorybrooke e se ciò che pensava era vero aveva un enorme problema. Si fiondò nella caffetteria, prese posto al suo solito posto, o quello che era il suo solito posto nella sua città, e attese. Ruby non ci mise molto.
-Ciao, che ti porto? –
Ad Alexis si fermò per un secondo l’aria nei polmoni. Ruby era sempre stata una bellissima donna, ma non aveva idea di quanto bella fosse con tutti quegli anni in meno. Ci mise un attimo di troppo ad ingoiare la saliva e a richiedere un caffè amaro. La ragazza appuntò l’ordinazione e si allontanò ancheggiando, depositò l’ordine nelle mani della vedova Lucas e lo preparò. Alexis perse qualche attimo in più ad osservare la donna. Nel suo mondo, era morta diversi anni prima.
“Santo cielo, lo credo bene che mezza città aveva una cotta per lei!” si ritrovò a pensare.
Sorrise di quel suo stesso pensiero, se Laya avesse seduto al suo fianco le avrebbe sicuramente tirato una sberla e le avrebbe ricordato che quella bellissima ragazza le aveva cambiato i pannolini da bambina. Chiuse gli occhi al suo pensiero, strinse le mascelle. E lo stomaco andò in subbuglio. Era riuscita a resistere fino a quel momento ma forse era stato troppo per lei. Portò una mano avanti la bocca e strinse l’arpa, cercando di controllare quel fastidioso senso di nausea. Prese un profondo respiro e a poco a poco sembrò tornare tutto tranquillo al suo interno. Si concesse un sorso di caffè e quando questo scese senza alcun problema giù per la gola, caldo e amaro come piaceva a lei, rilassò le spalle e si lasciò cadere sul divanetto del locale. Mantenere la calma era la cosa più importante in quel momento. Era sola in una Storybrooke straniera, non potava assolutamente concedersi il lusso di perdere la testa da un momento all’altro.
Il campanello vicino la porta tintinnò per la quarta volta da quando Alexis era entrata nel locale ma fino a quel momento nessuno di rilevante aveva fatto il suo ingresso. Decise di non voltarsi quella volta, sarebbe stato l’ennesimo cittadino arrivato al Dinner per consumare il suo pranzo.
-Smettila con questa storia, ragazzino-.
-Ma tu devi credermi! Sei mia madre, non ti mentirei mai! -.
Il caffè che stava bevendo rischiò di rovesciarsi sul tavolo. Aveva riconosciuto la voce della donna, non avrebbe potuto fare altrimenti. Era tutta la vita che la sentiva. Erano le parole del suo interlocutore che le avevano causato lo shock, ciò che quella voce da bambino aveva detto era del tutto insensato e stupido. Si voltò verso di loro, li vide sedersi al bancone e chiedere a Ruby due cheeseburger con patate e doppio formaggio. Sedevano accanto mentre continuavano a battibeccare circa una storia alla quale la donna non voleva credere. Si perse a guardarla, trovandola bellissima in quel suo giubbotto rosso e con i suoi stivali alti. Sfiorò appena con le dita la sua di giacca e un sorriso le increspò le labbra. Perse decisamente più tempo ad analizzare il bambino. Castano, occhi verde scuro, vestito elegante. Un grosso zaino sulle spalle e un libro di favole sotto il braccio che Alexis riconobbe; rettangolare, in pelle marrone e con vistose scritte dorate che componevano la frase “Once Upon a Time”. Conosceva benissimo quel libro, da bambina lo aveva sfogliato così tante volte che aveva finito con il consumarlo. E tra quelle pagine che raccontavano la storia di ogni persona presente in quella città, non ricordò di aver mai visto il volto di quel bambino. Ipotizzò avesse circa dodici anni o si aggirava intorno a quell’età. Più lo guardava più non aveva idea di chi fosse. Si sporse fin al limite del divanetto per cercare di origliare i loro discorsi e capirci qualcosa di quell’assurda Storybrooke nella quale si trovava. Finse naturalezza mentre beveva il suo caffè ma le mani le tremavano.
-Ascolta Henry, questa storia della maledizione è assurda. Ed io ho già abbastanza problemi con tua madre senza che pensi che ti dia corda con queste fantasie-.
Sua madre? Lo aveva sognato o aveva detto che era lei sua madre.
-Non è vero e lo proverò. Tu sei destinata a salvarci tutti dalla Regina Cattiva-.
-Che sarebbe tua madre-. Concluse lei.
Alexis quasi ci si strozzò con il suo caffè finendo col tossire così forte che molte teste nel locale si voltarono per controllare che non stesse effettivamente morendo soffocata dalla sua bevanda. Aveva decisamente bisogno di fare un riepilogo nella sua testa, che cominciava a farle un gran male, perché stava cominciando a perdersi. Ma non riuscì a staccare il corpo da quel divanetto, voleva continuare ad ascoltare le storie di quel bambino di nome Henry.
-Lo so che ora non mi credi ma vedrai che cambierai idea, io lo so! –
Aveva le lacrime agli occhi mentre guardava speranzoso la donna di fronte a lui, ma quando questa ricambiò in modo scettico il suo sguardo corse fuori dal Dinner con il suo libro sotto braccio. Lei, invece, rimase sul suo sgabello a finire il suo pranzo.
La fissò ancora per qualche secondo, prendendosi il tempo di studiarla e imprimerla nella mente. Una cosa era vedere delle sue foto, un’altra avercela avanti agli occhi in carne, ossa e giacca rossa. Attese fino a quando non andò via, salutando la cameriera con un sorriso e lasciando della banconote sul bancone. La sua esigenza di avere risposte cresceva sempre più.
-Scusami- disse diretta a Ruby- quando è arrivata qui Em… quella donna? –
-Circa un paio di settimane fa-.
-E il ragazzino? –
-E’ il figlio del Sindaco Mills e anche di Emma a quanto pare-.
Non poteva più restare lì, doveva assolutamente capirci qualcosa. Lasciò una banconota sul tavolo, senza nemmeno vedere da che taglio fosse, e lasciò il suo posto. Alle sue spalle riuscì solo a sentire la cameriera chiederle chi fosse, ma non se ne preoccupò, non aveva ancora pensato a cosa rispondere nel caso. In realtà non aveva pensato a nulla che potesse ritornarle utile per la situazione in cui si era trovata. Lasciò la tavola calda limitandosi a passeggiare per le vie della città e cercando un qualsiasi fattore che non avvalorasse la sua tesi. Ma più si guardava intorno più questa diventava pura realtà. Non solo era arrivata in un tempo in cui la maledizione non era ancora stata spezzata, ma a quanto pareva anche in una specie di universo parallelo. La sua missione si complicava, ma quando mai qualcosa era stato semplice. Sembrava che le difficoltà fossero parte integrante della sua famiglia. Prima di partire non si era di certo posta il problema di come convivere con la gente del posto, non sapeva nemmeno se ci sarebbe stata della gente. Figurarsi se avesse mai potuto immaginare che avrebbe dovuto inventare una sorta di identità segreta per le persone che l’avevano vista crescere, per Storybrooke. Poteva sempre dire la verità, e lasciare che la internassero etichettandola come pazza schizofrenica. Perché quella sarebbe stata la sua fine se avesse parlato.
Persa nei suoi pensieri non si rese conto di essere arrivata di fronte quella che nella sua realtà era casa sua, mentre qui era solo una grossa villa. Fece vagare lo sguardo lungo le finestre chiedendosi se all’interno fosse tutto uguale, se c’era ancora la sua stanza, se il salotto avesse ancora tutta la cristalleria al suo posto, se l’armadio della camera padronale fosse in ordine o meno. Le sarebbe piaciuto entrare a controllare, a dare solo una sbirciatina. Magari avrebbe potuto trovare anche la sua controparte in quel mondo assurdo. Per quanto aveva visto, le uniche cose fuori posto erano la biblioteca, l’orologio e quell’Henry. Strinse la collana, se non fosse stato per lei non si sarebbe di certo trovata in una situazione del genere, se ne sarebbe stata a casa sua e soprattutto nella sua realtà.
-Ehi tu, che ci fai fuori casa del sindaco? –
Si voltò verso l’uomo che le aveva parlato. Era alto, capelli e barba castano chiaro, abiti abbastanza eleganti addosso. Ci mise troppo tempo, però, a notare il distintivo attaccato alla cintura dei suoi pantaloni e i suoi occhi sostarono troppo a lungo su quel dettaglio.
-Sto parlando con te- riprese l’uomo.
Staccò lo sguardo dal suo punto di interesse battendo più volte le palpebre, non aveva la più pallida idea di chi fosse quell’individuo. Il distintivo lo inquadrava come sceriffo ma lei la ricordava un po’ diversa la persona che ricopriva quel ruolo.
-Io… l’ammiravo. È una casa molto bella-.
E sperò vivamente che bastasse.
-Non ti ho mai vista in città, chi sei? –
Quella domanda era molto diversa da quella che le aveva posto Mary Margaret, doveva decisamente inventare qualcosa se non voleva passare la sua prima notte nelle celle del distretto di polizia di Storybrooke. Non che poi sarebbe stata un’idea tanto sbagliata, non si era ancora posta il problema di dove accamparsi.
-Si sbaglia di certo sceriffo, sono cresciuta proprio qui. Mi chiamo Alexis-. Si presentò porgendo la mano all’uomo.
Questi la strinse, ma senza mai toglierle gli occhi di dosso, erano carichi di dubbio e di sospetto. Eppure era abbastanza certa di averlo visto da qualche parte, forse era presente anche nella sua città e ora non riusciva ad identificarlo.
-Alexis…? - Chiese lui e la ragazza afferrò che voleva sapere il suo cognome.
-Agnès- rispose.
Avrebbe riso da sola se avesse potuto. La sua mente aveva scelto proprio un ottimo cognome falso, che tanto falso, in fondo, non era. Ma il suo stomaco non le perdonò quella debolezza, non le perdonò aver usato il cognome di Laya. Quello che altre volte, scherzando, aveva avvicinato al suo nome. Strinse ancora una volta l’arpa tra le dita cercando calma.
-Humbert Graham, sceriffo di Storybrooke-.
-Lo avevo intuito-.
Indicò con il capo il distintivo, non aveva ancora abbastanza forza da lasciar andare il ciondolo. Ci furono attimi di silenzio, momenti in cui Alexis avrebbe voluto che l’uomo la lasciasse libera di poter andar via. Ma poi il suo nome andò ad aprire un minuscolo cassettino dei suoi ricordi di bambina. Di quando passava i pomeriggi a sfogliare il libro delle favole e a cercare ogni singolo abitante di Storybrooke, curiosa di conoscere la loro storia nella Foresta Incantata. E lei quel nome, lo aveva già sentito.
-Io… vado, buona giornata sceriffo-.
-La tengo d’occhio Signorina Agnès-.
Alexis si allontanò sentendo alle sua spalle lo sguardo penetrante di Graham, uno sguardo di chi non ha creduto per un solo attimo alle parole appena ascoltate. Stava per voltare l’angolo quando nella sua direzione vide arrivare un Maggiolino giallo e vecchio. Conosceva fin troppo bene quell’auto, era una sorta di cimelio sacro a casa sua. Lo vide fermarsi di fronte casa del Sindaco e spegnere il motore. Un furente Henry ne venne fuori, la donna provò a prendergli un braccio ma Graham glielo impedì parandosi tra lei ed il bambino.
-E’ meglio che lei non si intrometta-. Aggiunse l’uomo.
-Henry! –
Alexis si voltò di scatto verso la porta della casa e rimase immobile mentre il Sindaco Mills raggiungeva il resto del gruppo a passo svelto. Abbracciò il bambino accarezzandogli i capelli e chiedendogli se stesse bene. Lui annuì, per poi correre dentro casa.
-Stia lontana da mio figlio, signorina Swan-.
E quella fu la conferma di tutti i suoi sospetti.
In quel mondo assurdo, la maledizione non era ancora stata spezzata e le sue mamme avevano un figlio.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Regina non chiudeva occhio ormai da diversi giorni, il pensiero di non poter sapere nulla di sua figlia la stava logorando. Era sempre stata convinta che fosse una pessima idea mandare la loro bambina chissà dove, ma aveva perso la battaglia contro la sua famiglia. Lei ed Emma sapevano che Alexis non si sarebbe mai rassegnata all’idea di smettere di cercare Laya, sapevano che non avrebbe trovato pace fino a quando non l’avrebbe saputa al sicuro. Le avevano provate tutte, incantesimi di localizzazione, di evocazione, pozioni traccianti, ma mai nulla era servito. E ogni volta che un tentativo falliva, vedeva un pezzetto del cuore di sua figlia sgretolarsi e lei di cuori se ne intendeva. L’aveva vista arrivare quasi alla follia, consumarsi gli occhi sui libri prestatele da Belle, gettare interi giorni segregata in biblioteca. Non era riuscita a tollerare altro. Era solo per quel motivo che aveva accettato di fare quell’ultimo, disperato, tentativo. Se anche quell’assurdo portale non avesse funzionato, non sapeva davvero più che altro tentare. Aveva messo tutta sé stessa in quell’incantesimo non sapendo nemmeno se avesse effettivamente funzionato. Ne aveva parlato con Emma una sera e ancora si malediceva per averlo fatto. Avevano finito con il discutere a voce troppo alta quando sua moglie aveva proposto di tentare, di dare quell’ultima occasione ad Alexis prima di condannarla ad un dolore che difficilmente avrebbe superato e al senso di colpo che l’avrebbe lacerata. Sapevano quanto Laya fosse importante per la figlia e sapevano che nulla avrebbe potuto fermarla se non il ritrovamento della ragazza. Ma erano solo ipotesi, supposizioni e nulla di più, mentre ne parlavano ignare che la ragazza stesse ascoltando. E da quando era venuta a sapere della possibilità di una simile magia, non avevo voluto più sentire ragioni. Lei avrebbe tentato.
Regina si guardò allo specchio sistemandosi il colletto della camicia, lavorare era forse l’unica cosa che le permetteva di distrarsi. Asciugò col palmo della mano una lacrima sfuggita al suo controllo e prese il cappotto scuro dall’armadio. Ormai non faceva più caso all’infinito numero di canotte e t-shirt che Emma teneva arrotolate sul suo ripiano dell’armadio, aveva smesso di lottare per ottenere il suo ordine. Si richiuse la porta alle spalle e si avviò verso le scale. Per un solo istante gettò uno sguardo rapido alla camera di Alexis. Dalla sua posizione riusciva ad intravedere solo il letto e parte della finestra. Avrebbe voluto quanto meno chiudere la porta ma non ne aveva la forza, non ancora.
-Regina, tutto okay? –
Il volto di sua moglie comparve nel suo campo visivo, i suoi profondi occhi verdi la guardavano dolci e preoccupati. Le tese una mano che la bruna strinse volentieri.
-Che abbiamo fatto, Emma? Come abbiamo potuto accettare una cosa simile? –
Emma sapeva perfettamente a cosa si riferisse, non c’era bisogno che le spiegasse l’origine delle sue parole. Per un’ulteriore conferma le bastò vedere dove il suo sguardo moriva.
-Andrà tutto bene, Lex è forte. Dopotutto è nostra figlia-
-Non sappiamo nemmeno dove sia finita, se sia in pericolo o se abbia bisogno di noi. Non lo sappiamo, Emma-
Regina si lasciò andare nell’abbraccio sicuro dell’altra, ma non c’era nulla che potesse consolarla se non la certezza che sua figlia stesse bene. Avevano faticato così tanto per averla, per diventare una famiglia completa al cento per cento. Quando aveva spezzato la maledizione con Emma non avrebbe mai creduto che avrebbe potuto amare qualcuno più di lei, lei che era il suo Vero Amore. Ma poi era arrivata Alexis e tutto era mutato, avrebbe dato qualunque cosa per Emma, ma per sua figlia avrebbe tirato giù la luna dal cielo.
-Devi avere fiducia in lei, in ciò che le abbiamo insegnato-
Regina annuì ma non perché fosse d’accordo o si fosse lasciata convincere dalle parole di sua moglie, semplicemente non le era rimasto altro da fare se non fingere di avere fede.
 
L’alba era arrivata troppo presto e la sua notte era stata scomoda, fredda ed insonne. Aveva trovato riparo nel capanno degli attrezzi di casa sua, o di quella che, nell’attuale Storybrooke, era del sindaco Mills e di suo figlio Henry. Ci aveva nascosto così tante cose lì dentro che aveva imparato a forzare la serratura all’età di otto anni con immenso orgoglio di Emma che riconobbe le sue doti di ex investigatrice nella figlia. Regina non era dello stesso avviso asserendo che la vita spericolata e poco incline alle regole che aveva precedentemente svolto sua moglie, non dovevano in alcun modo minare la buona educazione della loro bambina. Riuscì quasi a sorridere a quel ricordo, riuscì quasi a mettere a tacere il suo stomaco in subbuglio. Si stiracchiò sonoramente, diede una ripulita ai suoi abiti e si maledisse mentalmente per aver promesso ad entrambe le sue madri di usare la magia solo in caso di vita o di morte. Non le sarebbe di certo dispiaciuto un bagno caldo o un giaciglio meno duro del pavimento. Eppure c’era qualcosa che poteva essere meglio della magia in quel momento, un meraviglioso caffè amaro e una grossa, grossa, grossa fetta di torta al cioccolato da Granny’s. Era a digiuno dal giorno prima e la fame cominciava a farsi sentire prepotente.
Si accertò che non vi fosse nessuno in giro e sgattaiolò fuori con la promessa di trovare un riparo migliore per quella notte. Solo una volta fuori la proprietà adoperò un’andatura normale e non da piccola ladra venuta da un qualche tipo di futuro.
Arrivò da Granny’s con molta calma, nonostante le brontolasse la pancia. Aveva voluto fare un giro approfondito della città alla ricerca di non sapeva esattamente cosa. Era tutto perfettamente identico a casa sua. Perfino gli stessi odori, era tutto al suo posto. Tranne Laya. Strinse tra le dita l’arpa, che non ne aveva più voluto sapere di brillare. Ma era lì da appena un giorno, non poteva pretendere di risolvere tutto in ventiquattro ore. Per il momento, il massimo che poteva risolvere, era la sua incontrollabile voglia di cibo fortemente insano. Si accomodò al suo posto e ordinò il suo caffè e la sua fetta di torta. Mentre mangiava restò molto attenta a chiunque passasse per quella porta, talmente tanto attenta che identificò il maggiolino di Emma da diversi metri di distanza. La vide parcheggiare poco lontano dalla tavola calda, dimenticarsi di chiudere la macchina come suo solito ed entrare per prendere sicuramente cioccolata calda e toast. Aveva vissuto con quelle sue abitudini per diciannove anni, poteva ancora sentire sua madre che le proponeva di prepararla lei la colazione. Ma non c’era mai stato nulla da fare, Emma voleva fare colazione al Granny’s. Fu quasi sorpresa di trovarla lì a quell’ora, il suo orologio segnava solo le sette del mattino.
-Il solito, Emma? – le domandò Ruby.
-Si, grazie-
Attese la sua ordinazione al banco guardandosi intorno e giocherellando con la lampo della zip del suo giubbotto. Quando Ruby le portò la tazza fumante ed il piatto con il toast, ringraziò con un gran sorriso e addentò la sua colazione. Il preciso istante dopo iniziò a fare versi strani e a farsi aria sulla bocca con la mano. Come al solito, lo stomaco era arrivato prima del cervello impedendo a quest’ultimo di avvisarla che era bollente. Alexis la guardò sorridendo e scuotendo il capo. Sua madre le aveva parlato spesso di quanto goffa fosse Emma quando l’aveva conosciuta, non che con gli anni fosse poi tanto migliorata.  
La sua fetta di torta era sparita troppo in fretta e il suo stomaco non era per nulla pieno, quindi si alzò dal suo posto e si avvicinò al bancone per chiederne un’altra prendendo poi posto accanto a Emma.
-Bella giacca- le disse la donna.
Alexis sorrise e si lisciò il fianco destro del capo.
-Un regalo di mia madre-
-Complimenti, tua madre ha un ottimo gusto in fatto di giubbotti di pelle-
“Oh, lo so” pensò la ragazza. Ricordava fin troppo bene lo scintillio negli occhi verdi della madre quando le aveva chiesto una giacca simile alla sua. E ricordava anche come Regina avesse alzato lo sguardo al cielo mentre le sue due bambine sceglievano quella migliore. Un lampo di malinconia colpì Alexis che si sbrigò a cacciarlo via, non capitava a tutti di poter parlare con la propria madre del passato.
-Alexis Agnès- si presentò tendendo la mano.
Lo stomaco protestò ancora per l’utilizzo di quel cognome.
-Emma Swan-
La ragazza le sorrise. Rimasero qualche secondo in silenzio, ognuna persa nel suo pasto. Alexis la guardava di sottecchi, incapace di staccarsi dallo sguardo così giovane di sua madre. La osservò mangiare il suo toast, senza bruciarsi questa volta, e richiedere un’aggiunta di cannella alla sua cioccolata. E lei non poté far a meno di sorridere ancora pensando al suo caffè totalmente amaro, proprio come lo beveva l’altra madre.
-Come mai a Storybrooke? Non è esattamente una meta turistica-
Alexis doveva cogliere l’opportunità che le si stava parando proprio sotto il suo naso, se avesse avvicinato Emma avrebbe avuto di sicuro un supporto. Dopotutto, era un mondo alternativo ma le persone sembravano le stesse. Emma l’avrebbe aiutata.
-Mi sono lasciata fregare da un ragazzino di undici anni-
“Tipico di te, mamma”
-Il figlio del sindaco? –
Emma la guardò aggrottando le sopracciglia e Alexis si ricordò quanto attenta in realtà sua madre fosse. Non poteva parlarle come se la conoscesse da diciannove anni, lì non era la Emma della sua realtà.
-Non si parla di altro in città-
Emma gettò il capo all’indietro sospirando e sentendosi una perfetta idiota ad essere stata così poco discreta. Ci mancava solo che il sindaco le stesse alle caviglie più di quanto già non lo facesse.
-Fantastico- sussurrò più a se stessa- Adesso devo proprio andare, è stato un piacere-
Prese un ultimo sorso dalla sua tazza e sparì a passo veloce nel suo maggiolino partendo. Alexis la seguì con lo sguardo finché poté, poi l’auto sparì dalla sua visuale. Terminò la sua colazione con calma e in silenzio, persa nei suoi pensieri.
Parlare con la Emma di venticinque anni prima era stato strano e al tempo stesso divertente. Aveva sempre creduto che la sua famiglia esagerasse nel raccontare di quanto sbadata e buffa era sempre stata la donna, ma ora che lo aveva toccato con mano non poteva far altro che concordare con tutti loro. Nessuno avrebbe mai scommesso una sola moneta sul fatto che lei sarebbe diventata la Salvatrice.
Pagò la sua consumazione e si preparò per uscire dalla tavola calda, si stava sistemando i capelli fuori dalla giacca quando il campanello della porta trillò. Mary Margaret fece la sua comparsa soffiandosi nelle mani scaldandole e poi prendere posto. Si salutarono con educazione, poi la ragazza lasciò il Dinner. Guardandola dalle vetrate sorrise. Non sapeva ancora se David fosse sveglio, ma sapeva che lo avrebbe atteso tutte le mattine per vederlo anche solo da lontano. Le avevano raccontato quella storia così tante volte che la conosceva a memoria ormai. Quella situazione un po’ le piaceva, poter vedere con i propri occhi ciò che le avevano raccontato da bambina aveva un che di magico e rendeva quella missione un po’ più piacevole di quanto in realtà non fosse.
Passeggiò per la cittadina analizzando i volti di tutti quelli che incontrava nella speranza di inciampare nel paio di occhi scuri giusto. Aveva assistito all’apertura di tutti i negozi, botteghe e chioschi, ma nessuno le aveva dato ciò che cercava. Forse Laya era prigioniera o forse non era lì. Quel pensiero le strinse lo stomaco costringendola a fermarsi un secondo e cercare calore nell’arpa, ma questa rimaneva fredda e spenta. Non poteva sopportare un altro buco nell’acqua, non avrebbe retto un altro fallimento ancora. Deglutì a fatica e a occhi chiusi, cercava disperatamente aria non trovandola da nessuna parte. Fu costretta a poggiarsi al muro di un palazzo.
“Calma Lex, calma.”
Riaprì gli occhi e si costrinse a riprendere a camminare, doveva trovarla. Doveva trovarla assolutamente ed esser certa che non aveva fallito, che non si era buttata in un portale senza destinazione per niente. Aveva bisogno anche di una minuscola speranza che le facesse capire di non star perdendo ancora altro tempo. Perché proprio di quello ne aveva ben poco. Sentiva distintamente il suo cuore scricchiolare ogni giorno di più, ogni giorno che si allontanava dal trovare Laya. Non lo avrebbe permesso, non sarebbe tornata a casa senza di lei. Non avrebbe vissuto senza di lei. Storybrooke era una piccola cittadina se era lì l’avrebbe trovata, anche a costo di bussare alla porta di ogni singolo cittadino.
Continuò a girovagare per l’intera mattinata senza riuscire a trovare uno straccio di nulla. La frustrazione iniziava a logorarla sempre più, la paura di fallire la dilaniava. Avrebbe tanto voluto chiedere aiuto alle sue mamme, avrebbe tanto voluto potersi mettere in contatto con loro in qualche modo. Anche solo per far sapere che stava bene e che non era finita i chissà quale assurdo mondo. Solo in un universo parallelo in cui vigeva ancora la maledizione e loro avevano un nanerottolo di nome Henry. Era sicura che Emma avrebbe riso fino a farsi venire i crampi sotto lo sguardo annoiato di Regina. Sorrise nascondendo il viso nel colletto della sua giacca per un attimo e poi alzò lo sguardo verso l’orologio fermo. Non seppe spiegare precisamente perché ma all’altezza dello stomaco nacque un piacevole tepore, qualcosa che non provava più da diverso tempo. Si rese conto con diversi secondi di ritardo che quel calore non era ciò che credeva. Era l’arpa.
L’arpa brillava ed emanava calore.
La prese tra le mani ammirandola e nascondendola, non voleva che qualcuno potesse vederlo. Se la magia stava agendo attraverso il suo ciondolo come quando era nel tunnel, poteva significare solo una cosa. Laya era vicina.
Si guardò forsennatamente intorno alla ricerca dei suoi capelli neri come la notte e dei suoi occhi scuri e profondi. Scrutò ogni volto senza riuscire a fare un solo passo, temeva che le gambe avrebbero ceduto se solo ci avesse provato. Deglutì a fatica, anche respirare le risultava impossibile. Guardò nei lineamenti di ogni persona le passasse accanto, avanti o solo di sfuggita in un’auto. Cercava in ogni tratto quello di lei, in ogni andatura la sua, in ogni risata la sua.
Ma lei non c’era, lei non compariva da nessuna parte se non nella sua mente e nei suoi ricordi. E lì era più nitida che mai, lì viveva senza mai esser andata via.
E poi l’arpa smise di vivere, smise di fare alcun che.
-No! –
La prese tra le mani implorandola silenziosamente di indicarle la strada, di portarla da Laya.
-Ti prego, ti prego fallo ancora. Ti prego! –
Sentì le lacrime salirle fino agli angoli degli occhi senza che potesse farci niente e forse nemmeno voleva. Sentì lo stomaco minacciare di buttar fuori quella colazione abbondante senza che potesse farci niente e forse nemmeno voleva. Non era abbastanza quello che stava passando da mesi a quella parte, anche la magia, che le era sempre stata accanto in un modo o nell’altro, la stava tradendo ed illudendo. Trattenere ancora fu impossibile, l’unica cosa che riuscì fare fu poggiarsi ad un muro e buttar fuori tutto ciò che si agitava dentro di lei, buttar fuori fino a quando il suo stomaco lo avesse desiderato. Fino a quando gli occhi si sarebbero seccati e avrebbero smesso di produrre lacrime.
-Alexis, stai bene? –
La voce di Mary Margaret la riportò brutalmente alla realtà, avrebbe preferito di gran lunga restare ancora un po’ lì nel suo dolore. Si tirò su cercando di rimettersi in ordine meglio che poteva, cercando per quanto possibile di sembrare meno un disastro rispetto a quanto era.
-Si-
-Non mi sembra che… -
-Ho solo… non ho digerito la colazione, tutto qui. Ti ringrazio per l’interessamento Mary Margaret-
Cercò di allontanarsi dalla donna o di far in modo che fosse lei stessa ad andar via, ma se la conosceva almeno un poco questo non sarebbe stato possibile. Sua nonna era una donna fin troppo pura per lasciare qualcuno in difficoltà, figurarsi una ragazza in quello stato.
-Siedi qualche minuto, ti sentirai meglio-
Ma Alexis si sarebbe sentita meglio solo ad una determinata condizione. Si asciugò gli occhi con la manica della giacca e accettò il fazzoletto che l’altra le stava gentilmente porgendo per pulirsi la bocca. Prese un respiro profondo permettendo ai polmoni di riempirsi di aria pulita, tentò di calmare i battiti del suo cuore. Ciò che, però, non le riuscì fu lasciare che le dita si rilassassero liberando l’arpa dalla loro presa, quello sembrava ancora impossibile. Sentirla tanto fredda le faceva male, era come se nel momento in cui aveva smesso di brillare avesse portato via con se tutta la sua speranza.
-Scusami, io devo andare-
Prese a correre in verso il confine della città, verso un qualcosa che la facesse sentire vicina a Laya per un attimo. Aveva davvero creduto che finalmente l’avrebbe rivista. Chiuse ancora una volta gli occhi e ripensò solo al suo viso.
 
-Lex, dai vieni fuori-
Come al solito era corsa nel bosco lasciandola indietro, ma conscia del suo pessimo orientamento nonostante vagassero per quei boschi da diverso tempo, la cercò. Non c’era da impegnarsi per capire da chi avesse ereditato quel difetto. Quel posto, ai confini di Storybrooke, era diventato il loro punto di ritrovo, dove erano libere di fare ciò che desideravano. Laya avanzò con calma stando ben attenta a non inciampare in qualche radice o finire in una qualche buca scavata da qualche animale o da Ruby, erano entrambe ipotesi più che plausibili.
-Andiamo Lex, sono troppo grande per giocare a nascondino-
“E anche tu” pensò.
Per quanto si lagnasse e la chiamasse a gran voce, l’altra ragazza non voleva saperne di venir fuori. Era certa la stesse guardando da dietro qualche massiccio albero e stesse ridendo di lei e della sua incapacità di ritrovare la bambina che aveva dentro. Si divertiva un mondo a prenderla in giro a quel modo e Laya glielo lasciava fare, non si divertiva particolarmente, ma glielo lasciava fare. Sapeva quanto le piacesse allontanarsi dalla città in favore di luoghi meno in vista.
La chiamò un’ultima volta e non ricevendo alcuna risposta decise autonomamente di mettere un punto a quel gioco infantile. Poggiò la schiena contro un tronco e attesa che l’altra si facesse viva.
Alexis non ci mise molto, con un rapido movimento del polso lasciò che una nuvola di fumo azzurrina l’avvolgesse per poi trasportarla alle spalle dell’altra ragazza. Questa sobbalzò non appena se ne accorse.
-Stai barando, Agnès –
Laya scoppiò a ridere di fronte a quell’adorabile broncio e alzò le mani in segno di resa, ma non poté evitare di continuare a sghignazzare.
-Se fossi venuta la prima volta che ti ho chiamata non lo avrei fatto-
-Non sono un cane, non vengo se mi chiami – borbottò la bionda.
-Sicura? –
Alexis si avvicinò con malizia al suo viso tirando fuori lo sguardo più sfacciato e sicuro di sé che avesse in repertorio. Uno di quelli che sua madre Regina usava per far capitolare Emma quando era certa di ciò che stava asserendo.
-Adesso sei tu a barare, principessina- rispose Laya incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio.
L’altra scoppiò a ridere, sapeva essere così infantile certe volte da far quasi concorrenza ad un bambino. Laya odiava perdere, in qualsiasi campo.
-Ricordami quanti anni hai? E non chiamarmi a quel modo–
-La mia età è irrilevante. Hai voluto fare questo gioco, nonostante fossi contraria, e hai deciso le regole che tu hai infranto. Sai che odio la magia. -
-La tua età, Agnès, è di rilevante importanza se consideri che hai sette anni più di me e sembra che tu ne abbia dieci in meno- rispose Alexis sorridendole.
La sua espressione saccente e il sopracciglio sinistro alzato ricordò a Laya quanto quella ragazza somigliasse a sua madre in quel momento, e non c’era nemmeno bisogno di specificare a quale delle due.
-Sei insopportabile, lo sai? -
Alexis le sorrise dolcemente, glielo diceva in continuazione e ormai non se la prendeva più. Avvolse una ciocca dei suoi capelli scuri intono all’indice tastandone la morbidezza. Si perse in quegli occhi color notte e non le importava di non ricordare come si facesse a tornare in superficie, avrebbe potuto perdersi in quel buio ed essere felice. La loro intensità non era seconda a niente. Amava viaggiare al loro interno alla ricerca di nuovi confini, amava arrivare lì dove trovava sé stessa e tutto ciò che le mancava al di fuori di quel pozzo infinito.
-Lex, torna qui-
 Le parole di Laya furono la sua ancora, il suo salvagente. La riportarono in superficie, nel suo corpo. Aveva dimentico anche dove si trovasse, e cosa stesse facendo prima di perdersi. Quella frase, quelle parole, erano diventate il risveglio dalla sua ipnosi, dal suo incantesimo senza ausilio di magia. Erano l’unica cosa che non le avrebbe permesso di annullarsi completamento all’interno di Laya.
 
Quando le fu concesso di riprendersi, di tornare padrona del suo corpo, si rese conto che ciò che aveva visto nella sua testa era stato un ricordo. Era tutto vero, ricordava perfettamente ogni dettaglio di quel pomeriggio in compagnia di Laya ma lo aveva rivisto in forma onirica. Aveva pianto così tanto che aveva finito con l’addormentarsi sotto le foglie verdi di un albero enorme. Si sorprese di aver riposato meglio in quel frangente che nel capanno degli attrezzi di casa sua, ma forse era solo troppo sfinita per poter pensare di restare lucida. Diede una veloce occhiata al suo orologio e sgranò gli occhi quando si rese conto di aver passato l’intera mattinata a dormire piuttosto che fare ciò per cui era giunta fin lì. Poggiò la testa contro la corteccia sospirando, si sentiva così frustrata e stanca ed era solo un giorno che era arrivata. Fissò l’arpa cominciando a credere di averlo sognato ma quando ricordò il calore che ne era scaturito accantonò quel pensiero. Laya era in quella Storybrooke, da qualche parte. Si domandò se potesse avvertire anche lei la magia della collana nel momento in cui si attivava, magari si stavano cercando senza riuscire a trovarsi. Scosse violentemente il capo e si tirò in piedi, non avrebbe concluso nulla restando lì a piangersi addosso come una ragazzina. Doveva lavorare duro e tornarsene a casa sua quanto prima. Si incamminò nuovamente verso il centro, pensando a come sarebbe stato meglio agire. Aveva compreso che girare a vuoto per le strade era inutile, la ragazza non sarebbe piovuta dal cielo all’improvviso, aveva bisogno di una tabella di marcia. Pensò di andare alla stazione di polizia e farsi dare una mano dallo sceriffo, ma accantonò quell’idea nel preciso istante in cui era nata. Al tempo in cui la maledizione faceva da sovrana non vi era nulla che sfuggisse al controllo del sindaco e dei suoi tirapiedi, e farsi scoprire non era per nulla una buona idea. Se ciò che sua madre le aveva sempre raccontato era vero, Regina l’avrebbe sotterrata viva se avesse avuto il minimo sospetto su di lei.
Niente stazione di polizia.
Avrebbe potuto far affidamento sul fiuto lupesco di Ruby, era sempre stato un lupo, solo che in quel momento non lo ricordava.
“Sei un genio Lex, se non sa di essere un lupo come vuoi che ti aiuti!”
Niente Cappuccetto Rosso.
Avrebbe sempre potuto andare in giro con una foto di Laya a chiedere se qualcuno l’avesse vista, ma questo la riportava immediatamente alla prima idea scartata.
Poteva farsi aiutare da Emma, lei non era ancora nessuno in quella città se non la strana donna alla guida di un maggiolino giallo. Quella sarebbe potuta essere una buona idea, sua madre era brava a trovare le persone era stato per un po’ il suo lavoro. Magari raccontando la giusta storia ed omettendo i punti magici poteva funzionare.
Arrivò in città con una nuova speranza ed una persona più semplice da trovare, Emma era sicuramente al Granny’s per pranzo. Si ritrovò a pensare che sia in quella realtà che nella sua, lei e la sua famiglia passavano più tempo alla tavola calda che a casa propria.
Non si sorprese affatto di trovare il maggiolino parcheggiato lì vicino, era assurdo come quel catorcio fosse vissuto tanto a lungo. Avrebbe dovuto avere all’incirca trenta o quarant’anni. Notò con un certo divertimento che l’auto era più disastrata in quel mondo che a casa sua, di certo Regina ci aveva messo il suo zampino. Aveva ben stampati in testa i loro battibecchi circa la “trappola mortale” con la quale sua madre si ostinava ad andare in giro.
Una volta nel locale il suo entusiasmo scemò quando vide la donna pranzare con Henry. Roteò gli occhi e si chiese se quel ragazzino facesse altro nella sua vita oltre a girare intorno a sua madre. La sua mente la corresse cambiando il pronome in “loro”, almeno in quella realtà Emma era la loro madre.
Odiava fortemente quella cosa.
Si avvicinò ugualmente a loro, non aveva alcuna intenzione di aspettare oltre anche se la sua educazione le impose di controllare prima se quanto meno avesse terminato il suo pranzo. Fu incredibilmente felice di notare il suo piatto vuoto.
-Ciao, posso chiederti una cosa? –
Emma la fissò confusa ed Alexis si rese conto che era apparsa forse un po’ troppo strana di fronte alla donna. Non le sfuggì nemmeno lo sguardo interdetto di Henry e il modo in cui corrugò le sopracciglia le fu fastidiosamente familiare.
-Ehm… certo-
Le prestò tutta la sua attenzione, ma non si alzò dal tavolo e la ragazza non poteva chiederle di lasciare il figlio da solo.
-Mi hanno detto che sei brava a rintracciare le persone, volevo chiederti aiuto per trovare qualcuno-
Restò in attesa stranamente in ansia. Sperò vivamente non le chiedesse chi glielo avesse detto, non avrebbe proprio saputo come rispondere a quella domanda.
-Si, affettivamente sono brava. Ti hanno detto anche quanto è il mio compenso? –
Alexis si trattenne dallo scoppiare a ridere, la solita squattrinata.
-Pago il pranzo a te e al nanerottolo-
-Non sono un nanerottolo! Mi chiamo Henry Mills! –
La ragazza lo guardò annoiata, Emma gli riservò un sorriso divertito. In un certo senso rivide se stessa nel broncio del bambino e nel suo infervorarsi per nomignoli e simili. Le vennero i brividi quando si ricordò che per un lungo periodo della sua infanzia, troppo lungo, la donna che aveva di fronte l'aveva chiamata “spruzzetto di sole”. 
-Andata- asserì Emma battendo una mano sul tavolo per invitarla a sedersi. 
-No Emma, e l'operazione cobra? - 
“Operazione cobra? Sul serio?” Pensò la giovane mentre si sedeva accanto al bambino che non fu proprio felice di farle posto.
-Non ti preoccupare la riprenderemo presto. Nel frattempo perché non vai a prendere un pezzo di torta? -
La verità era che a Emma mancava il suo lavoro, le mancava l'adrenalina che sentiva montarle dentro ad ogni nuovo indizio per poter chiudere un caso. Ed era proprio su questo che Alexis aveva puntato. Henry si allontanò contrariato, guardando minaccioso, per quanto un undicenne potesse esserlo.
-Allora, chi stai cercando la nuova fidanzata del tuo ex ragazzo? -
La ragazza arricciò il naso disgustata da quelle parole e non fece nulla per cercare di nasconderlo. 
-Non esattamente, Signorina Swan-
Frugò all’interno del suo zaino alla ricerca di una foto di Laya. Le tremarono appena le mani quando la prese, fece l'impossibile per cercare di non guardarla. Dare di stomaco in quel momento non era opportuno. La consegnò a Emma che la esaminò con attenzione. Chiese a Ruby carta e penna per poter segnare le informazioni che le interessavano, riconsegnò la foto, e iniziò con le domande.
-Che sappiamo di lei? -
“Tutto”
-Nome ed età- rispose. 
La donna attese ma quando vide che non vi era nessun riscontro dall’altra parte, incitò con un gesto della mano l’altra a continuare. 
-Laya, ventisette anni-
Si maledisse per essersi presentata con il suo cognome, era un'informazione in meno per Emma. Pronunciare il suo nome a voce alta, però, le fece più male di quanto si aspettasse, quei mesi lo aveva appena sussurrato tra i denti e niente di più. Lo aveva urlato quasi ogni notte a detta delle sue mamme ma di quello non ne aveva memoria. Finiva sempre con lo svegliarsi in un bagno di sudore e dimenticare che cosa avesse appena sognato, ma non la protagonista. Nella sua mente invece, lo aveva consumato.
-Data di nascita?-
Se avesse potuto sarebbe scoppiata a ridere. Quale avrebbe dovuto dirle?
-Non lo so- fu la sua risposta.
Se avesse potuto, si sarebbe congratulata con sé stessa. La sua bocca era già pronta a rispondere al posto suo rivelando la data di nascita di Laya, ma la sua mente era rimasta vigile. Sarebbe stato difficile da spiegare come fosse possibile trovare qualcuno che doveva ancora nascere in quella realtà. 
-Hai detto che ha ventisette anni quindi deve essere del...- 
Il suo viso si trasmutò in una smorfia mentre faceva quel conto a mente.
-1984- intervenne Henry.
-Lo sapevo- borbottò Emma poi tornò a dedicare la sua attenzione alla ragazza -Dove l'hai vista l'ultima volta?-
“A casa mia mentre veniva risucchiata da un portale diretto in questo assurdo posto”
Il ricordo di quel giorno fu più veloce di lei, si srotolò nella sua mente aggressivo e prepotente. Lo stomaco le si capovolse quasi alla stessa velocità portandosi dietro lo scricchiolio del suo cuore. Si aggrappò all'arpa tentando di restare calma ma poteva distintamente sentire del sudore scenderle lungo la schiena. 
-È qui, a Storybrooke-
Henry si fece immediatamente attento facendo saettare lo sguardo da sua madre all'altra. Alexis non se ne accorse, occupata com’era a non vomitare, ma il bambino prese a stringere convulsamente il suo libro. 
-E hai bisogno di aiuto per trovarla? -
La domanda della donna era più che sensata considerando quanto piccola fosse la cittadina, ma non poteva immaginare cosa si celava dietro quella disperata richiesta. 
-Si, so che può sembrare assurdo ma...-
-Henry!-
Tutti e tre i presenti al tavolo furono presi di sorpresa da quel tono duro che aveva chiamato il bambino, chi per una ragione chi per un’altra. Alexis alzò gli occhi dal tavolo per incontrare quelli scuri e furenti di sua madre. Era incredibilmente più giovane ma sempre bellissima. Il fisico asciutto era avvolto in un completo grigio chiaro, ai piedi costose scarpe nere lucide.
-Dovresti essere a casa a studiare da più di un'ora! -
Henry si strinse appena nelle spalle per poi asserire che aveva pranzato con Emma e si era distratto.  
-Sindaco Mills è colpa mia, lui...-
-Oh non ne dubitavo, Signorina Swan-
Quella frase suonò incredibilmente familiare alle orecchie di Alexis, poteva stilare una lista lunga pagine e pagine di tutte le volte che aveva sentito quelle parole vagare per casa sua. 
-Lei chi è? Non voglio estranei intorno a mio figlio- chiese poi diretta alla ragazza. 
“Definisci estraneo, mamma”.
-Una cittadina di Storybrooke- le rispose a disagio.
Gli occhi della donna si assottigliarono, le sue labbra si tesero. Un’espressione che Alexis conosceva molto bene, era la stessa che le riservava quando mangiava sul divano o stendeva i piedi sul tavolino assieme ad Emma. Scortò suo figlio fuori tenendogli un braccio intorno alle spalle e non si dispensò dal lanciare un'occhiataccia ad Emma. 
-Che caratterino- 
-Il Sindaco non è un problema tuo, vediamo di trovare questa ragazza. Così poi mi dirai la verità-
Alexis la guardò confusa solo per un attimo, poi capì.
Super potere.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Emma asserì di aver indagato su Laya per una settimana senza aver trovato nulla, ma Alexis fu certa ci avesse perso al massimo qualche ora. I suoi conflitti con Regina per via di Henry erano sempre più all'ordine del giorno, non lasciando alla donna molto tempo per far altro. Inoltre, il bambino premeva affinché la sua Operazione Cobra andasse avanti. Aveva passato del tempo con loro e aveva potuto vedere quanta dedizione ci mettesse in quella sua missione. Non si fidava ancora da rivelarle qualcosa, ma era sicura si trattasse della maledizione, non c'era stata una sola volta in cui lo aveva visto senza il suo libro sotto braccio. Aveva cercato di parlare da sola con Emma, per convincerla ad impegnarsi di più nella sua ricerca, ma era stato quasi impossibile. Perciò decise di proseguire le sue ricerche autonomamente, il tempo scorreva a suo sfavore e non poteva permettersi di perdere un solo secondo dietro un ragazzino petulante. Scavò dunque all'interno dello zaino per recuperare ciò che le sarebbe servito, lo infilò nelle tasche e lasciò la stanza che aveva preso in fitto al Granny's. Non era stato facile convincere Ruby e sua nonna, aveva dovuto inventare che a casa sua erano scoppiate delle tubature e che non aveva un posto dove stare. C'era voluta più convinzione di quanto avesse immaginato ma alla fine era riuscita nel suo intento. Si segnò mentalmente di costruire una statua d'oro a sua madre per averle messo a disposizione una cospicua somma di denaro da usare in casi di emergenza. Uscì dalla stanza accertandosi di aver chiuso a chiave la porta, poi scese di sotto. Evitò di fermarsi a fare colazione, il suo stomaco era sigillato quella mattina e per di più non era semplice mangiare con un paio di occhi costantemente puntati sulla schiena. Ruby non si fidava di lei, era innegabile. Inoltre aveva dormito peggio del solito, per tutta la notte la sua mente non aveva fatto altro che formare immagini di Laya e ricordarle quanto poco tempo le restava per trovarla. E lei, aveva quasi esaurito le scorte di idee buone per avere successo. Di pessime invece, ne aveva anche troppe. 
Provò ancora una volta a girare per tutta la città, a cercare nei pochi punti di interesse. Camminò a lungo, sperando che la collana reagisse, e senza nemmeno accorgersene arrivò ai confini opposti della città. Una serie di fattorie sorgevano in quel punto, in mezzo a campi e serre. Alexis sospirò, si era così persa nei suoi pensieri da non essersi accorta di essere giunta fino a quel punto. Aveva perso ancora altro tempo. Si maledisse per questo. Diede una rapida occhiata al paesaggio attorno a lei constatando che forse non era mai arrivata in quella parte della città, nemmeno a casa sua. Era su una strada costeggiata da piccole case con terreni coltivabili tutto intorno, qualche animale al pascolo. Si chiese come avesse fatto a camminare tanto senza rendersene conto, ma soprattutto come sarebbe tornata indietro. Sbuffò sonoramente prendendosela con sé stessa. Girò i tacchi, pronta per rimettersi in marcia verso il centro quando una luce la inchiodò con i piedi per terra. La sua arpa stava brillando sotto la maglia, la sua arpa le stava bruciando la pelle per quanto era calda. La gola le si seccò di colpo e gli occhi presero a divorare tutto ciò che incontravano, cercando ciò che li avrebbe acquietati. Terra, coltivazioni, mulini, case rosse, staccionate. Non vedeva altro. Teneva così stretto il ciondolo tra le dita che la mano prese a bruciarle, ma non le importava. Non avrebbe perso ancora quell'occasione. 
Eppure non vedeva assolutamente nulla.
Ma i suoi piedi non volevano saperne di darle il permesso per andare in giro a cercare meglio.
Riuscì appena a voltare la testa verso la fattoria alla sua sinistra e vi trovò solo un cane grosso e bianco che correva verso di lei scodinzolando. 
Non poteva essersi sbagliata ancora, l'arpa non poteva farle quello. 
Il cane le fu accanto richiamando la sua attenzione leccandole le dita, ma a lei non importava. 
-Jasper! Torna qui! -
Il sangue le si gelò nelle vene, il cuore smise di battere per un attimo e poi riprese ad una velocità fin troppo elevata. Non avrebbe potuto scambiare quel timbro basso e appena roco con nient'altro. Finalmente si voltò verso la casa dalla quale era arrivato il cane, e la vide. Lei era lì che le correva incontro. Le lacrime le riempirono gli occhi, dopo mesi rivedeva il suo viso da sveglia e non nei sogni. Era realmente davanti a lei e non solo nella sua testa. Le correva incontro, i capelli mossi dal movimento. Era bella da togliere il fiato. Lacrime calde presero a scivolare veloci sulle guance di Alexis, incapace di trattenersi. Un sorriso enorme nacque sul suo viso. Aspettò che la raggiungesse per potersi finalmente perdere nei suoi occhi scuri, per poter immergere le mani nei suoi capelli, stringersi a lei e respirare il profumo buono della sua pelle abbronzata. Persino vedere la sua cicatrice sotto il collo non le faceva male.
-Scusalo, non mi sta mai a sentire-
Boccheggiò diverse volte di fronte al suo viso, incapace di trovare le parole giuste. Ma non ve ne erano, Laya era lì e non c'era nient’altro di importante. Cercò di pronunciare il suo nome ma ne uscì solo un suono strozzate ben lontano dalle sillabe corrette. 
-Ti ha spaventata? - le chiese preoccupata.
-Laya... ti ho trovata-
Finalmente quelle parole vennero fuori seppur annegate tra le lacrime. 
-Come scusa? -
La sua risposta la freddò, gelando qualsiasi cosa al suo interno. Mente, cuore, polmoni, non vi era nulla che funzionasse come doveva. 
-Laya, sono io-
Quelle tre singole parole abbandonarono le sue labbra con una nota tanto dolorosa da farle scricchiolare il cuore provocandole un dolore insopportabile. 
-Mi spiace, credo tu mi stia confondendo con qualcun'altra. Il mio nome è Hannah, Hannah Dolls-
 
Alexis approfittò del fatto che entrambe le sue madri fossero ad una riunione cittadina per poter frugare nello svuota tasche situato all'ingresso. Non ci mise molto ad identificare il portachiavi con la mela rossa lucida al quale erano attaccate le chiavi della macchina. Lo aveva regalato lei a sua madre, una mela per una e un cigno per l'altra. Sgattaiolò fuori casa sua come fosse una ladra per poi infilarsi in auto, consapevole che se sua madre se ne fosse accorta, l'avrebbe come minimo uccisa. Ma lei moriva dalla voglia di mettersi alla guida di quella vettura e dall'alto dei suoi sedici anni, si sentiva completamente in grado di poter guidare. Mise in moto, il motore rispose con un rumore sordo e metallico e il maggiolino giallo uscì in retromarcia dal vialetto di casa Swan-Mills. La ragazza sentiva una gran scarica di adrenalina nel girare per le vie di Storybrooke a bordo di quella macchina tanto storica. Viaggiò con calma fino al negozio del Signor Gold dove Gideon l'aspettava. Poté vedere anche da una certa distanza il suo sguardo sorpreso, gli occhi strabuzzati. Si fermò fuori la vetrina del negozio, aprì la portiera per far salire il ragazzo con un enorme sorriso dipinto sulla faccia.
-Era questa l'idea geniale che avevi avuto, Alexis?-
-Dai salta su, andiamo a fare un giro-
Gideon non era proprio d’accordo, ma acconsentì lo stesso salendo in auto. Poteva vedere sul viso della sua migliore amica quanto fosse eccitata per quella pessima, pessima idea che aveva avuto. E nonostante sarebbe dovuto essere la voce della ragione, chiuse la portiera e si lasciò scorrazzare in giro. Dopotutto, non era mica Kyle Hopper!
-Lo sai che se ci beccano siamo morti? - le chiese.
-Oh smettila, quanto sei pesante! Nonno mi ha insegnato a guidare, so quello faccio! E poi, domani potremmo andare in auto all’inaugurazione del nuovo Rabbit Ho… -
Non ebbe quasi il tempo di finire di pronunciare quella frase che Gideon urlò un “attenta” e fermò l'auto con la magia. Il maggiolino inchiodò bruscamente spegnendosi con un borbottio contrariato. Di fronte ai due amici una ragazza in camicia scozzese e jeans era rimasta impalata accanto al suo pick-up, sul suo volto la paura di veder danneggiata la sua vettura e se stessa. Il suo stesso sguardo si specchiò negli altri due, in particolare in quello di Alexis. Saltò fuori dalla vettura elargendo un numero infinito di scuse lasciandosi prendere dal panico.
-Mi dispiace da morire, ti prego scusami! Giuro che non volevo investirti! -
Gideon guardò l'amica credendo fosse impazzita o quanto meno c'era estremamente vicina. 
-Quindi dovrei ringraziarti? - domandò la sconosciuta. 
-No, certo... cioè, si... cioè, certo che no-
Alexis arrossì violentemente di fronte a quegli occhi tanto scuri quanto belli, Gideon se ne accorse e, riconoscendo l'imbarazzo della sua amica, pensò di intervenire.
-Scusala, ha battuto la testa da bambina. Ciò che sta cercando di dire è che le dispiace, Agnés-
Alexis annuì agitando più volte il capo continuando ad arrossire. Quella ragazza era stata capace di metterla in soggezione con un singolo sguardo. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, ipnotizzata da quel nero tanto profondo da darle l'impressione di perdersi. 
-Tutto okay, Gold. È stato un dispiacere conoscerti Alexis, cerca di star lontano dalle auto. Magari eviti di ammazzare qualcuno-
Andò via strizzandole l'occhio e lasciando nello sguardo di Alexis nient'altro che la sua andatura e il movimento ondulatorio dei suoi lunghi capelli scuri. La guardò camminare fino alla portiera del suo furgone e anche in quel momento non fu capace di distogliere lo sguardo.
-Torna sulla terra, idiota-
-Conosce il mio nome-
Gideon si passò una mano sul volto, sconvolto dall'idiozia della sua amica.
-Sei la figlia del sindaco e dello sceriffo, dovresti esserci abituata. E potresti giocare alla ragazzina innamorata dopo? Adesso dovremmo andare-
Ma Alexis sembrava essere volata su un altro pianeta dove tutto si riduceva ad un paio di profondi occhi neri. L'unica cosa che riuscì a riportarla sulla terra furono le sirene dell'auto della polizia.
-Merda! - esclamarono i due ragazzi in coro. 
L'auto bianca accostò appena dietro il maggiolino. La portiera del passeggero si aprì che ancora non era del tutto ferma. Una rapida e quanto mai furente Emma ne venne fuori avvicinandosi a grandi passi alla figlia e all'amico. David la seguì a ruota subito dietro.
-Va' a casa, Gideon- intimò la donna.
-Emma lei non...-
-Hai diciotto anni, per lo stato del Maine sei legalmente punibile. Vuoi continuare questa conversazione? -
-No, signora-
Bastarono gli occhi verdi ed incandescenti di Emma a far restare al suo posto il giovane. Lanciò una rapida occhiata alla sua amica e nonostante il suo sguardo supplichevole fu costretto a lasciarla in balia della madre. Non se la sarebbe cavata con poco, l'intera Storybrooke sapeva quanto Emma Swan tenesse al suo maggiolino giallo.
-Che ti è saltato in mente? -
Il suo tono fu rude e tagliante, i suoi occhi incredibilmente duri. 
-Mi dispiace mamma, volevo solo...-
-Hai quasi investito una ragazza, te ne rendi conto? -
Alexis non ci provò nemmeno a chiedersi come lo sapesse. Il fatto che la macchina dello sceriffo sfrecciasse per la città con alla guida una persona che non fosse stata lei aveva insospettito molti cittadini. 
-Emma, non qui. Andate a casa- la riprese suo padre.
Un piccolo gruppo di persone si era radunato intorno a loro per vedere cosa stesse accadendo e David sapeva quanto a Regina non piacessero i pettegolezzi circa la sua vita privata. 
La donna stette a sentire e con un solo cenno del capo comandò alla figlia di salire a bordo del maggiolino, mentre lei scambiava ancora qualche parola con l'uomo. 
-Torno io alla riunione, tu portala a casa-
-Si, non dire nulla a Regina. Le parlerò io a stasera, darebbe di matto altrimenti-
David annuì, stava per tornare alla sua vettura quando si voltò e chiamò nuovamente sua figlia. 
-Emma, non essere troppo dura con lei. Hai fatto tante sciocchezze anche tu-
-È proprio per questo che devo esserlo-
La donna tornò in auto e partì senza rivolgere una sola parola alla ragazza. Alexis si sentiva sinceramente in colpa, non voleva causare problemi a nessuno. L'auto di sua madre l'aveva sempre incantata e non vedeva l'ora di poterla guidare, ma col senno di poi era stata un'idea veramente stupida. Sapeva bene quanto Emma tenesse a quel vecchio catorcio e sapeva che era una sorta di cimelio storico proveniente dal suo passato. Infatti la ragazza la venerava e la rispettava ed era proprio per quello che moriva dal desiderio di guidarla. Sua madre glielo aveva sempre negato, dichiarandola non pronta per quel genere di auto nonostante le guide saltuarie che aveva fatto con suo nonno. E forse capiva il perché. Guardò il viso di suo madre da sotto le ciglia, la donna guidava concentrata e con una mano a sorreggere la fronte. Si chiese in quali pensieri fosse persa, la sua espressione non lasciava intendere nient’altro. 
Il vialetto di casa sua arrivò troppo in fretta, ma Alexis sapeva che la vera battaglia sarebbe iniziata quando Regina fosse rientrata. Non aveva detto una sola parola da quando sua madre l'aveva fatta salire in auto. 
-Mamma...-
-Va' in camera tua-
La ragazza non pensò nemmeno per un attimo di replicare, sapeva fin troppo bene che la donna era più infuriata per la lite che avrebbe avuto con sua moglie che per il fatto in sé. Salì in camera sua e si gettò sul grosso letto a braccia aperte senza nemmeno togliersi la giacca. Sospirò contro il soffitto e si preparò psicologicamente al ritorno a casa di sua madre. Pensò quanto meno di limitare i danni per cui prese il cellulare dalla tasca e scrisse a Gideon. 
 
"Non dirlo a Leo, altrimenti giuro che ti appendo all'albero di mele di mia madre!"
 
Inviò il messaggio e attese la risposta che non tardò ad arrivare. 
 
"Sei viva? Pensavo di preparare l'epitaffio."
 
Alexis roteò gli occhi, alle volte avrebbe volentieri preso a sberle il suo migliore amico. La faceva facile lui, non aveva come mamme le donne più in vista della città. 
 
"Imbecille! Piuttosto chi è quella ragazza?"
 
"Si chiama Laya Agnès, ha più o meno la mia età. Perché ti interessa, testa di rapa?"
 
Alexis arrossì, dunque si chiamava Laya. Trovò che fosse un nome bellissimo. Ripensò agli occhi scuri della ragazza e sentì distintamente le guance ardere. 
 
"Così, curiosità..."
 
"Piuttosto, non ti pareva familiare quel pick-up?"
 
"Era di mio nonno, ne sono abbastanza sicura"
 
Il tempo sembrava essersi fermato nella sua stanza, l’attesa di sua madre lo aveva congelato. Sapeva fin troppo bene che Regina conoscesse già cosa fosse accaduto, o almeno parte di ciò che aveva combinato. Per quanto Emma odiasse le riunioni cittadine, aveva imparato a saper presenziare cercando di trattenere anche i suoi sbadigli. Se David aveva dovuto chiamarla, qualcosa di grosso bolliva in pentola. E Alexis era consapevole di essere la pietanza prescelta. Aveva provato a distrarsi meglio che poteva, leggendo un libro, facendo vorticare in aria le penne dalla scrivania, aveva fatto una doccia e indossato una tuta ed una felpa al posto dei jeans. Eppure il tempo non passava e la sua ansia aumentava sempre più. Emma era al piano di sotto, la sentiva parlare al telefono con il padre ma non le era passato per la mente nemmeno per un attimo di andare a cercare la sua compagnia. L’aveva spedita in camera sua e Alexis lo aveva interpretato come un “se non ti vedo non ti ammazzo”. Era pur vero che quello era più il modus operandi di Regina, ma Emma sapeva essere una bambina quando si trattava di alcune cose. Tra queste, il suo maggiolino.
Non fu difficile accorgersi quando sua madre tornò dalla riunione, le finestre tremarono e il nome della figlia riecheggiò per tutta la villa.
-Alexis Swan-Mills, vieni immediatamente giù-
La ragazza non se lo era fatto ripetere due volte, si era letteralmente catapultata al piano di sotto dalla sua stanza.
-Ciao mam…-
-Seduta! - comandò indicando con un dito smaltato di rosso il divano.
Ancora una volta non ci pensò un solo secondo a contraddirla, andandosi ad accomodare, a passo anche sostenuto, dove le era stato indicato. Vide con la coda dell’occhio Emma infilarsi la giacca, pronta per uscire e deglutì pensando che avrebbe dovuto sostenere sua madre da sola.
-Swan! Seduta anche tu- la bloccò l’altra donna.
-Veramente io…-
Le sue parole ebbero il terrore di continuare a venir fuori dalle sue labbra di fronte allo sguardo infuocato della moglie.
-Sì, Regina-
Si accomodò e, tra le due, Alexis non seppe dire chi stava cercando di sprofondare di più nel divano. Regina si piazzò avanti a loro, camminando avanti e indietro per tutta la lunghezza del sofà. Il ticchettio dei suoi tacchi sembrava scandire il battito cardiaco delle due imputate. Agli occhi della donna sembrò di avere di fronte due bambine, una di sedici anni e una di cinquanta. Si fermò avanti alla minore che continuava a fissarla con il capo tra le spalle, come se fosse una tartaruga.
-Come ti è venuto in mente di rubare la macchina di tua madre e andartene a zonzo per la città? –
Il suo tono era incredibilmente calmo ma Alexis sapeva bene quanto in realtà la donna si stesse trattenendo dal non dare di matto.
-Io volevo solo fare un giro, mamma- sussurrò la ragazza.
-E sentiamo come mai, di grazia, pensi di saper guidare se non hai ancora iniziato il corso per la patente? –
Emma si irrigidì al suo fianco, pronta a prendersi la sua parte di colpa. Forse la maggiore. E seppe che era il suo turno di parlare.
-Ecco, vedi amore…- tentennò e quello diede il tempo alla moglie di sovrastarla.
-Come ho fatto a non pensare prima che c’entrassi tu? Ancora non ha imparato a stare fuori dai guai, Signorina Swan? –
Madre imputata e figlia si guardarono di sottecchi per un solo istante consapevoli che l’appellativo che la donna aveva utilizzato era la manifestazione perfetta di quanto fosse adirata. Quello sguardo non sfuggì a Regina.
-Avete un minuto per dirmi cosa avete combinato-
Quell’ultimatum bastò alle due a vuotare il sacco di fronte a Regina che le fissava con le braccia incrociate sotto il seno e lo sguardo duro. Emma ammise che suo padre aveva dato qualche lezione di guida ad Alexis nei fine settimana e che si fossero accertati di non girare in zone trafficate o simili. La ragazza, per dar man forte alla madre, giurò e spergiurò di essere sempre stata attenta mentre era alla guida del maggiolino.
-Tua padre che cosa?!-
Questa volta il tono della voce di Regina era stato elevato e acuto, la calma non le apparteneva più ormai.
-E’ successo solo qualche volta! – si difese Emma.
-Definisci qualche, Swan-
La donna proferì un paio di volte mentre la figlia, per cercare di salvare il salvabile, allungò la tempistica a circa un mese. Si guardarono sgranando gli occhi in simbiosi, mettendo in risalto quel verde che caratterizzava entrambe le iridi.
-Non voglio sentire altro, da tutte e due! – e ci tenne ad indicare con il dito madre e figlia- Siete in punizione! –
Ad Emma colpì particolarmente il plurale usato da sua moglie, e cercò di farle notare che era una donna adulta. Ma Regina replicò asserendo che sarebbe stata “adulta” quando non si sarebbe comportata come una ragazzina.
-Amore, non puoi sul serio mettermi in punizione-
-Oh mia cara, posso eccome-
L’intera famiglia capì a cosa si riferisse la punizione inflitta ad Emma, e sua figlia avrebbe volentieri fatto a meno di saperlo. Nonostante non fosse una stupida, preferiva non venir a conoscenza di ciò che accadeva nella loro camera da letto.
-Quanto a te- rivolse il dito verso la ragazza- spero che questa tua gita in auto sia stata proficua, perché ti assicuro che non metterai il naso fuori da quella porta per parecchio tempo. Questo per aver rubato la trappola mortale di tua madre. Per aver quasi investito una cittadina della mia città, –Regina notò come si sgranavano gli occhi di sua figlia e sapeva cosa significava quello sguardo, era lo stesso che aveva Emma quando mangiava la cioccolata di nascosto e scopriva che Regina lo sapeva- niente magia, niente telefono, niente TV, niente colazioni pranzi e spuntini al Granny’s e soprattutto niente rapporti con il figlio di Gold-
La donna sapeva di aver mirato a ciò che più la figlia amava, in particolare la tavola calda ed il suo migliore amico, ma era indispensabile. Ci teneva affinché crescesse nel giusto e con sani principi, in grado di capire dove e quando avesse sbagliato. Nel suo passato e in quello della moglie c'erano stati così tanti errori di gioventù, che non avrebbe mai voluto Alexis ne commettesse a sua volta. Era anche però abbastanza intelligente da rendersi conto che era impossibile. Al termine della sua sfuriata congedò madre e figlia, permettendo a Emma di tornare in centrale e alla ragazza alla propria camera. Una volta rimasta sola, scalciò via i tacchi, sfilò la giacca e si diresse verso la cucina per preparare la cena. Avrebbe atteso il ritorno di
 Emma a casa per poterle parlare, era loro abitudine avere un confronto di idee quando si trattava della loro bambina. Era consapevole di essere stata dura nei suoi confronti e che molto probabilmente Emma sarebbe stata più indulgente o si sarebbe infuriata per le ragioni sbagliate. Preparò tutto per la cena, imbandì la tavola e stappò una bottiglia di rosso. Aveva pensato di salire in camera di Alexis e parlarle, cercare di spiegarle il perché fosse stata tanto impassibile circa l'accaduto ma preferì lasciar perdere. Sorseggiava quindi il suo vino nell’attesa ripensando ancora a quel pomeriggio. Sapeva che Alexis non aveva cattive intenzioni, avevano cresciuto bene la figlia, ma non poteva transigere. Non avrebbe permesso alla piccola Storybrooke di pronunciare anche una sola parola di rimprovero verso la ragazza. Emma la prendeva in giro dicendole di avere ancora dei rimasugli delle regole della Foresta Incantata, dove atti del genere erano decisamente più gravi.
-Sono a casa –
Fu proprio la sua voce a rompere i pensieri della donna, sorrise per il perfetto tempismo con il quale sua moglie era tornata. Stava appunto pensando a lei. La vide sfilare la sua giacca e appenderla all’appendiabiti, era già un gran risultato considerando che fino a pochi anni prima la gettava dove capitava, e scalciare gli stivali. Passò per il bagno lavandosi le mani e trovò infine la sua meta, le braccia della moglie. Abbracciò Regina lasciandole un tenero bacio sulle labbra e assaporandone il sapere di vino e casa.
-Lex è di sopra? – le chiese.
Regina annuì
-Dobbiamo parlarne, Emma. E per l’amor del cielo smettila di chiamarla a quel modo-
Odiava il diminutivo che l’altra aveva affibbiato alla ragazza, odiava che ormai fosse rimasta l’unica a chiamarla con il suo nome.
-Amore, ha rubato il mio maggiolino ed è stata messa in punizione. Ha capito di aver sbagliato, credimi. Non infierire-
Regina ebbe la conferma dei suoi pensieri di poco prima, sua moglie non aveva afferrato la vera ragione della sua ira verso la figlia.
-Emma non si tratta solo della tua trappola mortale, poteva fare e farsi del male. E poi che insegnamento vogliamo darle, che se desidera qualcosa basta che lo prenda? Non voglio che mia figlia sia così-
La verità era che Regina temeva commettesse i suoi stessi sbagli, così come ogni genitore. Temeva di vederla camminare su una strada di prepotenza e convinzione di essere superiore a chiunque altro essere vivente.
-Regina, nostra figlia vive immersa nell’amore di una solida famiglia. Non dovrà crescere da sola o troppo in fredda come è capitato a noi, lascia che compia gli errori di una qualunque sedicenne-
La donna osservò a lungo gli occhi verdi e intensi della moglie e non vi trovò nulla che potesse farle dubitare delle parole appena pronunciate. Avevano avuto quella stessa conversazione diverse volte da quando Alexis aveva iniziato ad affacciarsi realmente al mondo. Ed Emma, era sempre riuscita a mettere a tacere le sue paure. A farle dimenticare chi era stata.
-Basta che non compia i tuoi di errori, non voglio doverla andare a trovare in carcere- sussurrò poi baciando la moglie.
Il sorriso che nacque sul volto di Emma bastò a farle dimenticare il resto.
 
Aprì la porta di casa mettendo solo il collo fuori, assicurandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi. Gideon l’aspettava poco lontano da casa, pronto a correre via non appena avesse visto l’amica. Recuperò le sue cose cercando di far meno danni possibile, Emma le aveva concesso due ore di libertà a patto che non si fosse fatta beccare da Regina, bloccata in ufficio per tutto la sera, e che fosse tornata in tempo. La ragazza non se lo era fatto ripetere due volte e aveva concordato fuori scuola l’appuntamento con Gideon. Ringraziò ogni forma di divinità per aver dato a sua madre l'idea di far costruire un liceo per Storybrooke, se avesse dovuto studiare in casa, si sarebbe ammazzata. Cercò di fare più attenzione possibile, se fosse stata scoperta avrebbe avuto bisogno davvero dell’epitaffio e anche Emma. Si chiuse la porta alle spalle e prese a correre come se fosse una ladra in casa sua. Vide la figura di Gideon farle cenno con la mano di sbrigarsi.
-Oddio non immagini quanto tu mi sia mancato! –
Asserì la ragazza saltandogli al collo. L’altro l’abbracciò velocemente per poi tirarla per la manica lontano dalla strada principale.
-Sappi che non sono d’accordo, se tua madre ci scopre nemmeno il Signore Oscuro potrà salvarci-
-Non ci scoprirà, andiamo! –
Quella sera c’era l’inaugurazione del nuovo Rabbit Hole, il locale aveva da poco ristrutturato e cambiato gestione adeguandosi alle nuove mode e alla nuova clientela. Alexis non voleva assolutamente mancare, trainandosi dietro anche Gideon. I due amici corsero veloci per le vie secondarie di Storybrooke, il sindaco aveva occhi in ogni angolo. Giunsero al locale circa venti minuti dopo, eccitati e col batticuore. Alla porta c’era Leroy, promosso a buttafuori per il suo caratteraccio. Nessuno si sarebbe sognato di mettersi a litigare con lui, ma per lei era diverso. I sette nani adoravano Alexis e Grumpy non faceva differenza, anzi, aveva sentito diversi racconti circa la commozione che aveva avuto alla sua nascita. Si avvicinarono a lui di corsa incontrando il suo grugno.
-Ciao Leroy! – salutò la ragazza con gli occhi più mielosi che trovò nel repertorio.
-Non puoi entrare, principessina –
Gideon sghignazzò coprendosi la bocca con le mani a quel nomignolo. Sapeva quanto la sua amica lo detestasse ma in città molti , proprio come il nano, la chiamavano a quel modo.
-E dai, solo un paio d’ore. Ti prometto che farò la brava- supplicò Alexis congiungendo le mani avanti al viso in segno di preghiera.
Leroy, borbottò qualcosa circa la sua protezione e il fatto che quello fosse un postaccio ma non durò poi molto. Dopo soli cinque minuti di contrattazione, che comprendeva il non bere altro che acqua e l’essere fuori di lì in meno di un’ora e mezza, i due furono dentro.
L’onnipresente rosso all’interno del locale era stato sostituito con una serie di mattoncini grigi, gli archi sopra la zona del bar con nicchie in pietra e i tavoli antichi con altri più moderni e giovanili. La musica risultava alta e le luci forti, pareva essersi radunata quasi tutta Storybrooke lì dentro. I due ragazzi dovettero fare a gomitate per riuscire a trovare un minuscolo spazio in cui posizionarsi. Trovarono due posti liberi al bancone per puro miracolo, solo perché una coppia li aveva lasciati in favore del bagno. 
-Santo cielo questo posto è fantastico! – urlò Alexis per farsi sentire.
-E’ decisamente cambiato parecchio rispetto a prima-
Ordinarono da bere guardandosi attorno scherzando su chi fosse e lì e su chi non si sarebbero mai aspettati di vedere in un posto simile. Fu allora che Alexis andò a sbattere contro un paio di occhi scuri che la fissavano già da qualche metro di distanza. Rimase immobile a contemplarli, soffermandosi di tanto in tanto sulle labbra distese in un sorriso sfacciato. Se ne stava poggiata ad un muro con le braccia incrociate sul busto fasciato da una t-shirt rossa. Avrebbe voluto fare mille cose in quel momento, come invitare Gideon a parlarle di lei, chiedere ad un cameriere di offrirle da bere e mettere sul suo conto, andare da lei. Ma non riuscì in nessuna tranne perdersi nei suoi pozzi. Poteva distintamente sentire il cuore batterle nelle orecchie, sovrastando anche il rumore della musica. 
-Lex mi ascolti? -
Fu capace di riprendere contatto con la realtà solo perché il suo amico le aveva sventolato una mano avanti la faccia, interrompendo il contatto visivo con Laya Agnès.
-Eh? - domandò confusa. 
Gideon guardò nella direzione dove volgeva il suo sguardo e ne capì immediatamente l'interesse. 
-Va’ a parlarle- le propose col sorriso. 
-Cosa? Sei matto! -
Il viso di Alexis si incendiò diventando lo stesso colore della sua maglia. I suoi occhi si spostarono da un punto all’altro del locale senza fermarsi, il peso del corpo veniva spostato da una gamba all’altra. 
-Muoviti testa di rapa-
Le diede una spinta con una pacca sulla schiena per poi brindare a lei alzando la sua bottiglia di birra. Alexis si fece forza e si avviò verso l'altra che l’aspettava senza scomodarsi e senza levarle un attimo gli occhi di dosso.
-Ciao- salutò educatamente. 
-Sei riuscita a non causare incidenti, oggi? -
-Sono venuta a piedi-
Per quanto cercasse di nascondere al meglio tutto il suo imbarazzo, Laya lo aveva visto in ogni sua sfaccettatura. Le guance rosse, gli occhi bassi e la postura rigida erano sintomi chiarissimi che la facevano apparire, ai suoi occhi, incredibilmente carina. 
-Hai l’età per bere? - le chiese sorridendo.
-Certo! -risposte l’altra prendendo il primo sorso della sua birra.
Non le piaceva minimamente l’alcol, ma non voleva sembrava una bambina andando in giro per il locale con una bibita gassata.
Laya la guardò poco convinta di ciò che le aveva detto. Si staccò dal muro, infilò le mani nelle tasche del jeans e si avvicinò a lei.
-E quanti anni avresti? -
-Ventuno-
La risposta era arrivata in fretta, troppo in fredda, non era nemmeno riuscita a completare la domanda quasi.
-Ah sì? Ventuno eh? -
Alexis arrossì, giocherellò con il liquido all’interno della bottiglia per un po’ prima di riprendere a parlare senza guardarla negli occhi. 
-Diciotto? -
-Me lo stai chiedendo o lo stai affermando? -
La ragazza fece roteare gli occhi alzandoli al cielo, era una bugiarda ridicola!
-Ok, sedici-
Laya scoppiò a ridere di una risata vera a cristallina. Una risata che costrinse l'altra ad alzare lo sguardo dalla sua bottiglia per vederla. La fissò con l’aria di chi aveva capito diverso tempo prima che l’altra stesse mentendo, le ricordò quasi sua madre quando la contemplava con il sopracciglio alzato e le mani sui fianchi. Notò anche usante la piccola gobba sul naso le stesse bene, nonostante fosse un difetto.
-Me lo dovrò ricordare- disse sfilandole la bottiglia dalle dita e prendendone un gran sorso.
Alexis la guardò interrogativa, ma Laya si degnò di risponderle solo diversi secondi dopo informandola che avrebbe lavorato in quel bar. La nuova gestione l’aveva assunta come barista.
-Quindi, principessina, faresti meglio a non mentire più sulla tua età-
-Non chiamarmi in quel modo ridicolo-
Era palese quanto la cosa l’avesse infastidita e si chiese come diavolo facesse quella perfetta sconosciuto a conoscere quel soprannome orribile e decisamente fuori luogo. Laya Agnès era riuscita a farle saltare i nervi in meno di dieci minuti, un record.
-Perché no? A quanto pare ti chiamano così i nani, le fate e anche Snow White se non sbaglio-
Alexis sgranò gli occhi, sconvolta.
-Come fai a saperlo? –
Laya prese un altro sorso profondo dalla sua birra, le rivolse un sorriso compiaciuto e poi rispose.
-Sono una persona con un grande spirito di osservazione, principessina-
-Potresti chiamarmi semplicemente con il mio nome, per favore! –
L’altra alzò i palmi in segno di resa, ma senza levarsi dalla faccia quel suo sorriso irritante e spocchioso.
-Alexis Swan-Mills credo sia un po’ troppo lungo, non trovi? –
-Solo Lex andrà più che bene- la corresse spazientita.
Il fatto che l’intera città sapesse praticamente tutto di lei l’aveva sempre fatta particolarmente irritare, come quell’assurdo soprannome. Aveva pregato chiunque si impuntasse ad utilizzarlo di evitare, quantomeno, di usarlo in pubblico. Era divertente quando aveva cinque anni e sua nonna la mostrava in giro come una bomboniera. Lei, di reale, non aveva un bel niente se non il grado di parentela.
-Lex? Cosa sei, un cane? –
-Per tua informazione mia madre, lo sceriffo di Storybrooke, ha scelto quel diminutivo-
Aveva sperato di risollevare un po’ la sua posizione che il “principessina” aveva fatto cadere a picco e tirare in gioco lo sceriffo le era sembrata una grandissima idea…
-La cosa dovrebbe impaurirmi? –
… fino a quel momento. Guardò l’altra finirsi la birra che lei aveva acquistato e lasciare la bottiglia su un tavolo. Ma non aveva mai staccato gli occhi dai suoi.
-Forse non dovrei flirtare con la figlia dello sceriffo e del sindaco di soli sedici anni. Sei troppo piccola e fiabesca per me-
-Io non sono fiabesca! E tanto meno piccola, quanti anni hai che te la tiri tanto? –
Il suo tono fu talmente irritato da far girare qualche testa verso di lei, curiosa di sapere cosa stesse accadendo. Persino il suo corpo aveva reagito a quelle parole, abbandonando la rigidità e permettendo al piede destro di piantarsi con forza sul pavimento.
-Ventitré, veri però. Pensa, posso andare al banco e offrirmi una tequila, tu vuoi dell’acqua? Naturale ovviamente, le bollicine potrebbero far male al tuo regale pancino-
Alexis serrò così tanto le mascelle e i pugni che quasi temette di sentir i denti sgretolarsi e le dita spezzarsi. Quella ragazza era una vera e propria vipera, nessuno l’aveva mai irritata tanto nella sua vita. Neppure Leo, ed era tutto dire. Sentiva sotto la pelle il bisogno impellente di mettere a tacere quella sua impertinenza. Si avvicinò a Laya con sguardo infuocato, il verde dei suoi occhi tanto carico da apparire come un prato dopo un temporale. Le fu talmente vicina da sentire l’odore della birra nascere dalle sue labbra.
-Io non sono una principessina, e tantomeno una reale o qualsiasi cosa tu pensi io sia. Non mi conosci, non puoi giudicarmi-
Sul viso della bruna, apparve l’ennesimo sorriso. Ridusse ancora di poco la distanza tra sé stessa e l’altra, le prese una ciocca di capelli castano chiaro tra le dita giocherellandoci e posizionandola poi dietro l’orecchio.
-Questo allora cambia tutto-
Soffiò appena quelle parole, un minuscolo spostamento d’aria che atterrò sulle labbra di Alexis facendola rabbrividire. Si soffermò sui suoi occhi scuri, lasciando che i brividi continuassero a solcarle la schiena fino ad arrivare alla nuca. Le luci a intermittenza ci passavano di tanto in tanto attraverso, ma non riuscivano a portar via un po’ di oscurità. Erano bellissimi.
-Magari la prossima volta potrei anche pensare di offrirti un coca cola-
Le parlò muovendo le labbra contro il suo orecchio e poté chiaramente sentire l’altra ragazza trattenere il respiro. Scivolò al suo fianco trascinandosi dietro un paio di occhi verdi.
-Ci vediamo, Lex- sussurrò facendole l’occhiolino.
Alexis riprese a respirare, a vedere altri colori al di fuori del nero. Riprese a pensare, a ragionare e si ricordò che quando era arrivata al Rabbit Hole, era con Gideon.      
 
La punizione di Alexis fu lunga, prolungata e noiosa. Aveva tardato fin troppo di ritorno dal Rabbit Hole e ad aprirle la porta di casa era stata sua madre, mani sui fianchi, sguardo omicida e labbra arricciate. Alle sue spalle Emma non sapeva come aiutarla, non poteva fare assolutamente nulla. Si era fidata di Alexis e ora erano entrambe nei guai.
 I giorni seguenti furono tutti uguali; tornata da scuola si gettava sul suo letto e sperava che il pomeriggio passasse alla svelta per riprendere il giorno seguente. In ognuno dei suoi momenti di vuoto, in cui avrebbe preferito far qualsiasi altra cosa piuttosto che contemplare le mura di casa sua, non aveva fatto altro che pensare a Laya Agnès. Ai suoi occhi scuri. A distrarla in minima parte dai suoi nuovo e personali aguzzini c’era sua nonna che le faceva spesso compagnia, e per quanto avesse praticamente l’età delle sue madri, si comportava proprio da nonna. Le proponeva di fare dolci, o darle una mano con lo studio. Alle volte tendeva quasi a preferire starsene da sola ma la donna sapeva perfettamente come riconquistare la fiducia della nipote. Sin da quando era bambina adorava ascoltare i racconti delle loro vite passate, in particolare quelle che parlavano della bandita Snow White e dei suoi sette amici. Nonostante fosse grande ormai, la ragazza ancora si accomodava sul divano con una tazza di caffè fumante tra le mani ad ascoltare di quella volta in cui era scappata dai troll o aveva affrontato le guardie della regina. Mary Margaret stava ben attenta a non dirle mai qualcosa che potesse infangare il nome di Regina, non che la ragazza non conoscesse i giorni da Evil Queen di sua madre, ma per tutti era ormai una storia vecchia di anni e anni. Quella donna assetata di potere e spietata era morta al primo bacio con Emma Swan, la Salvatrice.
-Nonna, come funziona il colpo di fulmine? –
Avrebbe di gran lunga preferito parlarne con Gideon, ma tutti i mezzi di comunicazione con lui si limitavano ai cinque minuti in cui passava fuori scuola. Rimpianse di non aver voluto imparare a mandare messaggi tramite colomba, come si usava nella Foresta Incantata.
-Beh… ecco… -
La donna si trovò in una scomoda posizione, aveva saputo di cosa David avesse fatto e non voleva rischiare di immischiarsi in qualcosa che non le competeva. Non sapeva nemmeno se Emma e Regina le avessero già fatto il famoso “discorsetto”. Inorridì al pensiero e si scosse per cacciarlo via.
-Guarda che non sono più una bambina, e poi non ti ho chiesto di parlare di sesso-
Le guance di Mary Margaret presero fuoco, i suoi occhi si sgranarono fino a che fu loro possibile. Non aveva avuto bisogno di affrontare l’argomento con Emma, era adulta da un pezzo quando l’aveva incontrata, a suo figli aveva pensato David e non si sentiva pronta tantomeno ad affrontarlo con la nipote. Per cui si limitò a fare una delle cose che le riusciva meglio, parlare a cuore aperto dell’amore.
-Tesoro, ti piace qualcuno? –
Alexis arrossì violentemente e quel profondo paio di occhi scuri tornarono nella sua mente. Si sentiva una perfetta idiota a parlarne, l’aveva vista solo due volte. Eppure era bastato. Annuì alla domanda della nonna e colta da un totale imbarazzo prese a torturarsi le dita.
Forse non c’era nulla di male se ne parlava con lei, non vedeva l’ora di raccontarlo a qualcuno. Gideon l’aveva presa in giro di ritorno dal Rabbit Hole e l’aveva incoraggiata a rivederla. Mary Margaret invece, aveva creato il frutto del Vero Amore, chi meglio di lei poteva consigliarle cosa fare con quella ragazza che l’aveva stregata? Per cui si limitò ad annuire, pregando che le sue guance non fossero diventato troppo rosse. Non avrebbe fatto nomi con lei, Mary Margaret non era famosa per saper tenere la bocca chiusa, ma si limitò a chiacchierare con lei come fosse un’amica.
Dopotutto, aveva bisogno di parlare di Laya, ormai occupava ogni centimetro della sua mente e non poteva farne a meno.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Era corsa in bagno a vomitare così tante volte ormai, che aveva finito col preferire rimanere incollata alla tazza. Non poteva e non voleva crederci, Laya non aveva visto niente di diverso da una straniera di fronte a lei. Gli anni passati da quando si erano incontrate fino a quando era caduta nel portale, sembravano essere spariti assieme a lei quel giorno. Aveva fantasticato così tante volte sul loro ritrovarsi, sul momento in cui si sarebbe persa ancora nel suo buio, che la caduta era avvenuta dal punto più alto. Era stata incredibilmente dolorosa e l’aveva riempita di lividi. Laya Agnès era sparita in favore di Hannah Dolls, e lei non aveva la benché minima idea di chi fosse Alexis. Le sue parole erano penetrate a fondo nella carne, le rimbombavano in testa con prepotenza scavando in tutto ciò che incontravano. “Credo tu mi stia confondendo con qualcun’altra” aveva detto, ma come avrebbe potuto. Non aveva idea di come si facesse a confonderla, a dimenticare un dettaglio di lei o anche un solo minimo frammento della sua essenza. Aveva spesso avuto l’impressione di poter toccare con mano ogni singola parte di Laya, anche la sua anima. Le era sembrato di immergerci le mani dentro e sentirla scorrere tra le dita, sotto la pelle e fin dentro le ossa. Si era persa infinite volte in lei, desiderosa di non ritrovare più la strada di casa, perché quel buio le bastava. Quel buio le piaceva e l'amava. L’aveva tenuto compagnia in molteplici notti, in tutte quelle in cui sognava di naufragare nei suoi occhi dopo il canto di una sirena. Eppure erano lì, sul viso di Hannah Dolls. Una stretta tanto dolorosa quanto gelida le attanagliò lo stomaco costringendola ad aggrapparsi alla porcellana del wc. Non aveva idea di cosa avesse ancora da rimettere ma nonostante ciò non c’era nulla che desiderasse restare al suo posto. Si sentiva così spossata ormai, da non provare ribrezzo nel poggiare la fronte accaldata contro il bordo della tazza. Sul suo viso dominavano le lacrime, se fossero nate per lo sforzo del rigurgito o da quello del suo cuore, aveva preferito non saperlo. Nel petto le batteva delusione e dolore, la mente cercava per quanto possibile di restare lucida. L’idea che fosse atterrata in una dimensione più errata di quanto sembrava in principio, prendeva pian piano forma. Eppure la magia l’aveva portata in quella Storybrooke e non era un incantesimo che poteva aver sbagliato. Aveva bisogno di una prova certa di quanto le sue fibre nervose asserivano, l’unico modo era rivedere quella sconosciuta e ritrovare al suo interno qualcosa di Laya, qualcosa di vero. Con quella nuova speranza si alzò dal pavimento, diede una rapida sciacquata al viso e si precipitò giù per le scale della locanda. Lasciò le chiavi alla vedova Lucas e corse fuori senza che qualcuno potesse farle domande. Ne aveva già abbastanza per se. Sperò di non incontrare nessuno che la conoscesse per le strade, aveva parecchio da camminare e prima arrivava da Laya meglio sarebbe stato. Aveva un piano, si sarebbe avvicinata a lei senza sembrava strana o psicopatica e magari dicendole il suo nome invece di fissarla come un ebete a bocca spalancata. 
Infilò le mani nelle tasche della giacca tenendo stretti i pugni per il nervosismo. Il pensiero di rivederla con la consapevolezza di avere di fronte una perfetta sconosciuta, metteva a dura prova il suo stomaco già terribilmente provato. Si accorse di non ricordare la strada che aveva percorso per arrivare nella zona dove incontrato Laya la prima volta, non era stata abbastanza attenta e nella sua realtà non si era mai preoccupata di come si arrivasse nella zona rurale della città. Cos’è che ci faceva lei laggiù? Che vita le aveva dato la maledizione? Alle sue domande poteva rispondere solo 
Hannah. Tutto il suo corpo si ribellò a quel nome, quello che non era il suo. 
Presa com’era nei suoi pensieri non si rendeva conto di chi le camminava accanto o di chi urtava. Nemmeno del piccolo Henry che la salutò senza ricevere risposta. Il bambino la inseguì cercando di tenere il suo passo frenetico e chiamandola a gran voce. 
-Alexis! -
La ragazza si destò solo alla quarta chiamata di Henry cercando con lo sguardo quella voce straniera che l’aveva chiamata. 
-Ciao, nanerottolo-
Gli dedicò appena un attimo prima di riprendere a camminare. 
-Tu non ci sei nel mio libro-
Quella del bambino non era stata una domanda, bensì un’affermazione. E questa volta, Alexis si fermò del tutto. Sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo, quel suo libro lo aveva sfogliato anche lei milioni e milioni di volte. Aveva insospettito Henry, non lo aveva previsto perché non sapeva nemmeno dell’esistenza di quel problema. 
-Non ho tempo per le tue maledizioni, nanerottolo-
Cercò di andar ancora una volta via, verso Laya, ma Henry le si parò avanti con viso serio.
-Che ne sai tu della maledizione? -
Alexis fu presa in contropiede, non aveva né la voglia né il tempo di stargli dietro.
-Ne hai parlato alla tavola calda con Emma-
-Non ne ho mai fatto parola e tantomeno lo avrei fatto avanti ad una perfetta sconosciuta. Quindi come fai a sapere della maledizione? Chi sei? -
Si sentì incredibilmente stupida per l’essersi fatta incastrata da un moccioso di undici anni, proprio come era successo a sua madre. Avrebbe dovuto azionare il cervello prima di parlare, non poteva rischiare di farsi scoprire. Sarebbe stato strano da spiegare al bambino perché non fosse in quel suo dannato libro. Si morse il labbro inferiore, non sapendo esattamente cosa rispondergli. Tra tutte le difficoltà che avrebbe potuto incontrare in quel suo viaggio, non aveva immaginato un figlio delle sue mamme non previsto e a conoscenza della maledizione. Nella sua realtà Emma era arrivata a Storybrooke per puro caso. Semplicemente aveva forato una ruota del suo maggiolino e nell’attesa delle riparazioni aveva preso una cioccolata calda al Granny’s. Lì aveva incontrato Regina e si era innamorata di lei al primo sguardo finendo poi, col tempo, per rompere il sortilegio oscuro. Certo non poteva raccontare quella storia ad Henry, non aveva ancora ben capito come quel ragazzino fosse figlio di Emma e Regina. Ciò che le era però molto chiaro, era che doveva levarselo dai piedi e attirare meno sospetti possibili su di sé. Si inginocchiò per arrivare alla sua altezza e gli parlò con assoluta calma e serietà. 
-Ascoltami nanerottolo, non ho idea di cosa tu stia farneticando, ma io non ho tempo per le fantasie di un moccioso. Quindi per favore, dacci un taglio e torna a creare le tue favole-
Henry la fissò con un grosso cipiglio disegnato sul volto, aveva sentito quelle stesse parole così tante volte che ormai non lo scalfivano.  In più quel tono autoritario gli aveva ricordato così tanto la sua madre adottiva, che quella frase era un perfetto tassello della sua routine.
-Io scoprirò chi sei. So per certo che non fai parte di Storybrooke, da qui nessuno esce e nessuno entra-
Alexis rinunciò a ragionare con lui e riprese a comminare senza dargli troppo credito. Ma forse lui poteva aiutarla, sembrava sapere molte cose circa la maledizione e le dinamiche di quella città che lei aveva imparato a conoscere solo dai racconti dei suoi abitanti. 
-Ma se è arrivata Emma non molto tempo fa- gli rispose alzando un sopracciglio, ed Henry tra sé e sé giurò di aver visto per un attimo Regina.
-Per Emma è diverso, lei è speciale-
Questo lo sapeva anche da sé, la Salvatrice a quanto pareva era la stessa in ogni universo e realtà. 
-Perché lo sarebbe? - tentò per non insospettirlo. 
Ma il bambino era fin troppo furbo, le rivolse un enorme sorriso scaltro. Si fermò e poi le porse una domanda.
-Perché me lo chiedi? -
Alexis sbuffò, magari lasciarsi un po’ andare con un bambino non avrebbe provocato troppi danni. Dopotutto chi avrebbe creduto ad un undicenne che affermava di vivere in una città maledetta. 
-Ok, hai vinto. So della maledizione ma non posso dirti perché-
Sussurrò appena in modo che fosse sole lui a sentirla. Al ragazzino brillarono gli occhi, e niente avrebbe ormai potuto arginare la sua curiosità.
-Quindi tu mi credi! -
La ragazza annuì cercando di metterlo a tacere e ritrovare la strada percorsa il giorno precedente. Sperava che la collana sotto la sua maglia le scaldasse lo stomaco ma restava gelidamente fredda. 
-Allora mi aiuterai? -
-A far cosa? -
-A spezzarla! Se Emma inizierà a credere tutto cambierà e Snow White potrà baciare il principe con il bacio del Vero Amore! -
Quella frase inchiodò Alexis all’asfalto. Il bacio del vero amore poteva spezzare la maledizione, come aveva potuto non pensarci prima! Certo, doveva essere la Salvatrice a farlo, ma lei aveva i suoi geni e la sua magia, qualcosa doveva pur significare. 
-Chi altri sa della maledizione? - Domandò ad Henry, mossa da una nuova possibilità di risvegliare Laya. 
-Beh sicuramente Regina, lei è la Evil Queen-
La ragazza fece una smorfia a quella descrizione della madre, nonostante fossero passati anni nel suo mondo c’era ancora chi la chiamava a quel modo, qualcuno che non credeva alla sua redenzione e al suo amore per la Salvatrice. Di certo non era semplice metter sulla bilancia tutte le azioni compiute dalla Evil Queen e quelle di Regina Mills, ma per lei erano storie. Qualcuna la toccava più da vicino, qualcuna le strisciava accanto senza far rumore.
-Che se ho ben capito è tua madre-
La curiosità di sapere come facesse quel nanerottolo ad avere le sue stesse madri la stava divorando dal primo giorno che era venuta a conoscenza. 
-Adottiva. Emma è la mia mamma biologica, ma mi ha dovuto abbandonare-
Si sentì sempre più vicina alla storia del bambino, anche per lei Emma era la madre biologica o meglio, era quella che aveva portato avanti la gravidanza. Regina però, non si era limitata ad adottarla e a darle il suo cognome. Avevano fatto ricorso ad un’inseminazione artificiale e con l’aiuto della magia aveva fatto in modo che prendesse anche i geni dell’altra donna. Di certo non poteva dire la stessa cosa per Henry.
-E tuo padre? -
-Non so nulla di lui-
Nel tono della sua voce non vi trovò dolore o rimpianto, ne parlò in modo estremamente tranquillo. Alexis, al contrario, fu pervasa dalla voglia di sapere cosa avesse fatto di diverso la Emma di quella dimensione. Entrambe avevano avuto una gravidanza ma che aveva portato a risultati diametralmente opposti. 
-Ti spiace se facciamo una sosta? - le chiese Henry.
Non si era nemmeno resa conto di star tenendo il passo del ragazzino e di aver dimenticato, anche se per un attimo, ciò che doveva fare. Lo vide entrare in una fumetteria e non riuscì a trattenere il sorriso che le spuntò sul viso. Da bambina andava spesso in quello stesso posto e sua nonna le comprava tutti i fumetti che desiderava. Il suo corpo reagì autonomamente a quel ricordo, spingendola a seguire Henry all’interno del negozio. Lo vide intento a scegliere cosa acquistare soppesando due albi che stringeva tra le mani, e capì il suo cruccio quando gli vide contare le monete che aveva tirato fuori da una tasca. Ancora una volta fu più forte di lei, gli si avvicinò e glieli sfilò dalle mano. 
-Ehi! -
-Te lì regalo io, nanerottolo. Basta che poi ti levi dai piedi, mi hai fatto perdere un mare di tempo-
-Grazie- sussurrò confuso.
Salutò con confidenza il ragazzo che era alla cassa, scambiandoci due chiacchiere e chiedendo informazioni circa nuovi arrivi. Era un giovane abbastanza alto e dai capelli castani che gli cadevano sulla forntre, Henry sembrava conoscerlo bene. Si salutarono e si apprestarono ad uscire dal negozio.
-E quello chi sarebbe? - chiese Alexis.
-Jonas, un mio amico. Vengo sempre qui per i fumetti, ho conosciuto anche la sua fidanzata. È bellissima-
-Non sei troppo nanerottolo per le ragazze? -
Quasi riuscì a sorridere e a trovare un piccolo pezzetto di divertimento in quel tornado di dolore che ormai non la lasciava da troppo tempo. Stavano tirando la maniglia della porta quando Henry le indicò con un dito una ragazza che camminava verso di loro. Alexis non ebbe bisogno di vedere dove stava indicando, la pelle all’altezza dello stomaco le aveva detto chi fosse iniziando a bruciare. Portò di scatto le dita intorno all’arpa e la sentì incandescente, solo allora riuscì ad alzare gli occhi. Il jeans leggermente largo la rendeva stranamente slanciata, la camicia a quadri legata in un nodo sul fianco destro le stava così bene. I capelli scuri e lucidi attorcigliati in una treccia furono una novità per lei, Laya aveva sempre odiato tenere i capelli raccolti se non quando lavorava. Lasciò per ultimi gli occhi, quei crateri oscuri e brillanti di fronte ai quali non era più in grado di respirare. Accanto a lei, il grosso cane bianco che aveva incontrato anche la volta precedente. 
-Eccola, è lei-
Henry le andò incontro salutandola affabile, mostrandole cosa avesse appena acquistato e ritornando nella sua direzione con la ragazza accanto. Sentì ogni parte di sé contorcersi in spasmi nervosi violenti e dolorosi, non riuscì ad evitare di portare una mano avanti alla bocca per cercare di reprimere un conato di vomito. I due le passarono avanti fortunatamente senza soffermarsi sulla sua persona e Alexis si soffermò a guardare la scena dall’esterno della vetrina. Lei si sporse verso di lui baciandolo a fior di labbra e riservandogli un sorriso dolce ed innocente. A quel punto, lo stomaco cedette. Si rifugiò in un viale lì accanto e lasciò che il suo corpo sfogasse nell’unico modo che aveva imparato per gestire tutto il suo dolore. Buttò fuori la rabbia, l’amarezza, la tristezza, il senso di sconfitta e impotenza. Dentro di se lasciò solo il vuoto che conviveva in lei da mesi ormai. 
-Alexis? Dove sei finita? -
La voce di Henry che chiamava il suo nome la costrinse a darsi un contegno. Si pulì la bocca con un fazzoletto, ingoiò un paio di mentine e tornò da lui. Il cuore le si fermò quando vide che lei era al suo fianco.
-Ah, eccoti! Volevo presentarti Hannah Dolls-
-Ci siamo già conosciute- sputò fuori stringendole la mano.
La scarica di energia e elettricità che la percorse bastò a risvegliare il suo buon senso dall’intorpedimento di poco prima. Vide quell’opportunità come qualcosa di buono e non come la tragica notizia che Laya avesse un fidanzato in quella dimensione. Perché quella, non era Laya bensì un fantoccio che aveva preso in prestito la sua bellissima faccia.
-Tu sei la tipa strana che mi ha scambiata per un’altra persona, giusto? -
Avrebbe voluto risponderle in modo giusto, dirle che non era pazza ma aveva tutte le buone ragione per chiamarla con il suo vero nome. Ma ne ricavò un semplice “si”.
-A tale proposito- aggiunse avvertendo il gelo che la sua mano sentiva senza le dita dell’altra tra le sue- vorrei poterti offrire un caffè. Per scusarmi-
Si guardarono per qualche secondo, Hannah stava decidendo se fosse il caso o meno di girare con una pazza. Ma alla fine accettò.
-Grande, andiamo al Granny’s? - Domandò Henry.
-Noi andiamo al Granny’s, nanerottolo. Tu tornatene a casa, non hai dei compiti da fare o roba simile? -
Il bambino avanzò diverse proteste, asserendo di aver giusto voglia di una cioccolata calda con doppia panna e una generosa dose di cannella, ma Alexis non era affatto ben propensa a portarselo dietro. Quella era la prima occasione da quando era atterrata in quel mondo assurdo in cui poteva finalmente riassaporare la vicinanza di Laya, anche se non proprio la sua persona. Da qualche parte doveva iniziare e la cosa migliore era cominciare a capire se lì dentro ci fosse effettivamente la sua Laya. Quell’idea le aveva trapanato la mente per tutta la giornata, che quello fosse un mondo completamente errato. Quella ragazza, Hannah, non aveva niente a che vedere con la persona che stava cercando. Eppure poteva sentire il cuore saltarle nel petto come un matto e sperare di passare più tempo possibile accanto a quella ragazza. 
-Va’ a fare i compiti, Henry. Ti prometto che la prossima volta prenderemo insieme una cioccolata-
Il suo tono di voce scivolò sul corpo e sull'anima si Alexis come olio, lasciandole attaccato addosso una sgradevole sensazione. Quella di vedere allontanarsi sempre più Laya in favore di Hannah. 
Il bambino accettò a malincuore e si diresse mogio verso la strada opposta alla loro. 
-Andiamo? - chiese poi Hannah.
La vicinanza di Laya, anche se in panni così lontani dai suoi, era una velenosa boccata d’aria. La guardava camminarle accanto con quel suo sorriso ingenuo e solare, il passo leggero e lo sguardo allegro. Aveva così poco della persona che aveva visto sparire in quel portale di sei mesi prima. Non poteva far a meno di sovrapporre le due persone ad ogni gesto, sguardo o parola. In quel momento, mentre teneva aperta la porta del Granny’s per far entrare Hannah, Laya le mancò da impazzire. Avrebbe solo voluto tirarla per la manica della sua camicia e baciarla con tutta la disperazione che sentiva crescerle dentro, perché quelle labbra le desiderava come un alcolizzato dopo una settimana di terapia desidera un goccio d’alcool. Starle accanto con la consapevolezza che non avrebbe potuto neppure sfiorarla, la logorava con lentezza e meticolosità. L’arpa ardeva sotto la maglia, scottandole la pelle e costringendola ad allontanarla dalla carne viva. Nonostante quella le sembrasse una certezza più che valida del fatto che quella fosse Laya, non voleva spiccare il volo senza esser certa di saper volare.
Si accomodarono all’ultimo tavolo della tavola calda, lo trovò malinconicamente ironico. Hannah prese posto dando le spalle alle porta d’ingresso, Alexis le si accomodò di fronte. Ruby fu al loro fianco in pochi secondi, nei suoi abiti succinti e l’aria annoiata. Il cane, ai piedi della padrona prese a ringhiarle sommessamente. Guardò con sguardo indagatore la ragazza che riteneva essere una straniera, mentre riservò un caloroso sorriso all’altra ringraziandola per le ottime verdure recapitatole nei giorni passati. Ignorò totalmente le minacce dell’animale. Poi si allontanò prendendo le ordinazioni, un caffè nero e un tè. Alexis fu abbastanza sorpresa da quella scelta ma preferì tenerselo per se.
-Allora, il tuo nome è Alexis giusto? -
Sentirlo pronunciare dalla sua voce ma da un tono che non le apparteneva sembrò pugnalarla per l’ennesima volta. Non riuscì a fidarsi della sua voce quindi si limitò ad annuirle.
-Sono curiosa, per chi mi avevi scambiata? -
-Una persona molto importante- si limitò a dire. 
Hannah rimase a guardarla per qualche secondo, non sapendo esattamente cosa dirle. Preferì lasciar cadere l’argomento.
-Non sei molto loquace, vero Alexis? -
-Non proprio e per favore, Lex andrà più che bene-
Aveva bisogno di sentire la sua voce pronunciare quel soprannome, le mancava troppo. Le mancava come sembrava accarezzare le lettere con la lingua e la malizia che l’accompagnava. 
-Scusami se te lo dico ma sembra proprio un nome da gatto- ridacchiò portando una mano avanti le labbra. 
Il cuore di Alexis parve fermarsi per qualche secondo, paralizzando tutto il resto del corpo. “Lex? Cosa sei, un cane?” Sentì nitidamente il colorito scappare via dalle sue guance.
-Tutto bene? Non volevo offenderti, è molto grazioso-
-Non è niente- 
Cercò all’interno della stanza qualcosa che potesse distrarla, qualcosa che potesse darle la forza di lasciare andare la collana che le ustionava le dita. Qualcosa che non fossero i suoi occhi scuri e magnetici. 
-Come mai Ruby ti ha ringraziata prima? -
Non aveva affatto riflettuto sulla domanda che le aveva appena posto, era stata la prima cosa che le era balzata in mente.
-La mia famiglia fornisce diversi commercianti, abbiamo una fattoria ai confini della città. Tu invece? Non ti ho mai vista a Storybrooke-
Respirare cominciò ad essere doloroso. Lei, che sapeva ogni singolo dettaglio della sua vita, le aveva chiesto una cosa del genere. Lo stomaco non resse quell’ultimo colpo, imponendole di concedergli almeno un minuto per dire la sua. Si scusò con l’altra e corse in bagno, necessitava di lasciar sfogare il suo corpo per l’ennesima volta in quella giornata. Quando si era infilata in quella situazione, decidendo di partire con meta l’ignoto, non aveva pensato a cosa avrebbe dovuto affrontare. Certo le faceva paura, ma si proteggeva con la sicurezza di ritrovare Laya in fondo a quel rovo di spine. Aveva valutato l’ipotesi di dover affrontare chissà chi e cosa, ma non avrebbe mai potuto pensare che il suo effettivo nemico sarebbe stata proprio lei. Sarebbero stati quei suoi occhi sporchi e intossicanti. Più cercava di rimuoverli dal suo cuore, o quanto meno accantonarli, più questi la tormentavamo. Si sciacquò il viso, ripulì la bocca e si impose di apparire normale. Lì dentro c’era Laya. 
Ritornò in sala con un sorriso accennato sul volto e la voglia di riuscire a star con lei senza l’impulso di abbracciare un wc.
-Ti chiedo scusa, Hannah-chiamarla a quel modo mise in seria difficoltà i suoi buoni propositi- devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male a pranzo-
-Oh mi spiace. Vuoi tornare a casa? -
“Non sai quanto, Laya “
-E’ tutto ok. Mi dicevi di tuo padre e della vostra fattoria-
Le due si guardarono per qualche secondo, concentrandosi sulla salute di Alexis. 
-Si, gestiamo tutto noi. Prodotti, consegne, animali. Jaspers ci aiuta con gli ultimi, ogni tanto- spiegò grattando dietro le orecchie del suo cane.
-Deve essere bello, stare a contatto con la natura-
Sorrise, di un sorriso vero e sincero, qualcosa di Laya era venuto fuori riuscendo a darle un margine di tranquillità e spontaneità.
-Lo adoro, specie i miei animali-
-Immagino che pecore e galline siano grandi interlocutori-
L’altra scoppiò a ridere trascinandosi dietro un altro pezzetto di gioia della sua accompagnatrice. 
-Loro no, ma i cavalli ti sorprenderebbero. Sono animali estremamente intelligenti-
-Lo so, mia madre mi insegnò a cavalcare quando ero bambina-
I ricordi di Regina che le insegnava come sistemare la sella, come impugnare le redini e soprattutto essere in grado di comprendere le necessità del suo compagno, le riempirono la mente. Nonostante la severità della donna, erano state giornate meravigliose che ricordava con grande affetto.
-Fantastico! Allora devi passare alla fattoria, Maximus e Achille ti adoreranno-
-Mi piacerebbe molto-
I loro sguardi rimasero incatenati per diversi secondi, e per quanto Alexis ci provò con tutta sé stessa non riuscì a restare a galla. L’oscurità dei suoi occhi la rapì facendola prigioniera di un mondo di ricordi e di sentimenti che avrebbero dovuto restare lontani. La trascinarono in fondo a quel pozzo meraviglioso e protettivo, dove avrebbe voluto restare per sempre. Per la prima volta da sei mesi, si sentì a casa. Si sentì finalmente in pace e libera da ogni forma di dolore.
Ma poi il pozzo la rispedì nell’inferno in cui viveva. Hannah distolse lo sguardo, alla ricerca del suo cellulare che squillava segnalando l’arrivo di un messaggio. Alexis deglutì a fatica, lo sguardo felice e gioioso che era comparso negli occhi dell’altra le impediva di riuscire a tenere ancora un po’ per se la felicità di solo pochi attimi prima. 
-Scusami, devo andare. Jonas mi aspetta-
Non ci fu bisogno di specificare chi fosse, lo aveva già fatto Henry solo qualche minuto prima. In quel mondo, in quella maledizione, Jonas era il suo ragazzo. Avrebbe voluto dirle di non andare, di restare ancora qualche attimo lì con lei e lasciarle respirare quell’ossigeno pulito che le aveva concesso. Ma tutto ciò che le riuscì, fu di bloccarla mentre prendeva il portafogli dicendole che avrebbe offerto lei. Hannah inforcò la borsa, ringraziò e le ricordò di andare a trovarla alla fattoria per conoscere i suoi cavalli.
Alexis non poté fare altro che vederla correre via di schiena, pronta a gettarsi nelle braccia di qualcuno che non fosse lei. Fece appena in tempo a salutarla che negli occhi aveva già il ricordo di quello che era stato il suo primo appuntamento con Laya Agnès 
 
Aveva implorato Gideon di accompagnarla al Rabbit Hole per giorni, ma il ragazzo non aveva mai voluto saperne. Quel locale non gli piaceva e tantomeno fremeva all’idea di tornarci, se si aggiungeva al totale che l’unica volta che ci erano stati erano finiti in punizione, avrebbe fatto carte false per non tornarci. Ma Alexis sapeva essere incredibilmente snervante quando cercava di ottenere qualcosa, al pari di una bambina di pochi anni che smania per il suo gioco preferito. E in quel momento, portava il nome di Laya Agnès.
-E dai Gid, fallo per me. Ti prego-
Lo guardò con i suoi occhi verdi, lucidi e speranzosi, le mani a mo’ di preghiera di fronte il viso. 
-No-
-Ma ti sto pregando! -
Gideon sbuffò, per l’ennesima volta. La sua migliore amica si era presa una bella cotta per una ragazza che aveva visto giusto un paio di volte. Alexis era solo una ragazzina, non aveva idea in cosa si stesse infilando e lui si sentiva in dovere di starle accanto. Erano cresciuti insieme, si erano difesi dalle malelingue a scuola e avevano subito le stesse angherie. Lui, che si era preso una sbandata per l’altra a sedici anni, avrebbe fatto di tutto per difenderla. Conosceva poco Laya Agnès, si erano incrociati appena qualche volta nei corridoi del liceo. Era sempre stata una bellissima ragazza, aveva fatto girare la testa a molti ma non aveva mai sentito nulla sulla sua vita privata. Non aveva idea se fosse una brava persona o meno.
-Non è una buona idea, Lex. E se non ricordo male tu nemmeno ci puoi entrare lì, Leroy ti ha già graziata una volta-
Ma la ragazza non si scoraggiò minimamente, rispondendo a colpo secco ad ogni opposizione dell’amico.
-Se trovo un modo per entrare senza che Grumpy ci riconosca, mi accompagnerai? -
Questa volta la sua sicurezza vacillò, nonostante non provasse più quei sentimenti per la piccola Swan-Mills, non riusciva a dirle di no quando lo guardava a quel modo tanto intenso. Quindi accettò di accompagnarla, scuotendo la testa e sbuffando sonoramente. La ragazza gli saltò al collo, infischiandosene che tutta la tavola calda la guardò. 
-Grazie, grazie, grazie. Sei il migliore amico del mondo! -
Concordarono la loro uscita per quel venerdì sera, poi tornarono ognuno a casa propria.
 
Alexis non stava più nella pelle, nei giorni che precedettero il venerdì sembrava camminare su una nuvola. Più quella fatidica sera di avvicinava, più si sentiva una pila elettrica. Quando giunse finalmente, non riuscì ad evitare di farsi prendere dall’ansia di una qualsiasi sedicenne alla sua prima cotta. Mentre rovistava nell’armadio, alla ricerca di qualcosa di carino da indossare per far colpo, non era la magica figlia dei personaggi delle favole o l’erede di un regno di un mondo fatato, era solo Alexis. Gettò sul letto diverse ipotesi, da qualcosa di più elegante a jeans e scarpe da ginnastiche. Non riusciva a decidere cosa sarebbe stato meglio indossare, non sapeva nemmeno se l’avesse incontrata e se fosse di turno quella sera. Sospirò incrociando le braccia sotto il seno piccolo e maledicendo tutto quel nervosismo che provava. Tentò di calmarsi e cercare una soluzione come una persona matura. Indossò un jeans scuro con un maglione chiaro ma lo definì troppo “vecchio” per il nuovo Rabbit Hole; passò quindi a sostituire il maglione con una felpa ma si rese conto che era esattamente ciò che indossava tutti i giorni per la scuola; optò allora per un vestitino semplice, color corallo, stretto in vita e leggermente a campana. Niente fronzoli o abbellimenti vari. Si guardò allo specchio e decise che forse poteva anche andare, era elegante ma non troppo, quel tanto che bastava per un ipotetico incontro con la persona che le piaceva. 
-Lex, Gideon è di sotto- Annunciò sua madre picchiando alla porta e aprendola successivamente. 
Emma notò subito il disordine che regnava in camera della figlia, tanto diverso dal solito, ma non le sfuggì né che l’intero guardaroba fosse sul letto né cosa avesse indossato la ragazza. 
-Dove andate che ti sei messa tutta in tiro? -
Alexis arrossì di colpo, abbassando lo sguardo e concentrandosi sui suoi piedi ancora nudi.
-Solo... solo in giro-
La donna sorrise, riconoscendo nella figlia tutti i sintomi della sua ormai imminente crescita. Aveva chiaro che fosse una bugia e non aveva dovuto usare nemmeno il suo super potere. Rimase a fissarla mentre ravvivava i capelli avanti lo specchio e decideva se tenerli legati, sciolti o che altro. Si sentì in dovere di alzarsi dall’angolo di letto che era riuscita a procurarsi e prendere un paio di tronchetti neri dalla scarpiera.
-Che ne dici di questi? - domandò porgendoglieli. 
La ragazza lì indossò e si esaminò attentamente allo specchio, soddisfatta del risultato. Un sincero sorriso nacque sul suo viso.
-I capelli lasciali sciolti- suggerì ancora Emma per poi passarle un cappotto in panno scuro che copriva esattamente la lunghezza del vestito.
La osservò lisciarsi i vestiti addosso e guardarsi allo specchio per la milionesima volta.
-Come sto? - 
-Sei uno schianto, amore-
Alexis si voltò per l’ultima volta verso lo specchio chiedendosi se a Laya sarebbe piaciuta.
-Allora io vado-
-Lex? Lo conosco? -
La ragazza si immobilizzò sulla porta, non ci provò nemmeno a chiedersi come sua madre avesse capito che c’era qualcosa. Probabilmente aveva a che fare con il suo super potere. Arrossì violentemente, domandandosi fino a che punto avesse compreso.
-Ma che dici, mamma? -
Ad Emma non sfuggirono le goti arrossate di sua figlia, ma preferì non infierire più di tanto. Le regalò un sorriso sincero.
-Chiunque sia questa persona, ricordale che sei la figlia dello sceriffo-
Alexis non comprese il limite dello scherzare di Emma e preferì non saperlo. Le rivolse un ultimo sorriso, poi raggiunse l’amico al piano di sotto. Lo trovò a chiacchierare con Regina, le mani affondate nella tasca della giacca e il sorriso di chi si sente a suo agio. 
-Ehi, sei pronta finalmente-
Sua madre perse più di qualche secondo ad analizzare l’abbigliamento della figlia, sul suo viso un grosso punto interrogativo. Guardò Emma scendere le scale di casa e le pose silenziosamente la sua domanda, ma la moglie si limitò a scuotere il capo per farle capire che non era il momento.
-Noi andiamo-
-Non fare tardi, mezzanotte a casa. Mi raccomando-
-Si, mamma-
Stava lasciando un bacio sulla guancia della bruna quando vide l’altra madre farle un tre con le dita, e lei capì. Sarebbe potuta rincasare anche a mezzanotte e mezzo. Salutò ancora una volta e si incamminò verso il Rabbit Hole con il cuore che le martellava nel petto.
-Sei nervosa? -
-Non immagini quanto.  Non so nemmeno se ci sarà-
Gideon le diede una spallata amichevole dicendole che non aveva da preoccuparsi, sarebbe stato accanto a lei per tutta la sera. Vedeva chiaramente quanto tenesse ad incontrare quella ragazza.
-Stai molto bene, Lex-
-Grazie-
-Non mi hai ancora detto come conti di entrare senza farti vedere-
-Usando la magia, mi sembra ovvio-
Gideon aveva temuto quella risposta da quando gli aveva detto di aver trovato un modo per superare la sorveglianza di Leroy. Alexis aveva iniziato a sviluppare la magia poco meno di un anno prima, era una novellina in materia. Sapeva che Regina la stava istruendo al riguardo ma anche che non era per nulla pronta. Avanzò qualche protesta ma l’altra era così decisa che sapeva perfettamente non ci sarebbe stato nulla da fare. Alexis era una gran testa dura. Non le importava che sua madre l’avesse pregata di non utilizzare la magia con leggerezza e per futili motivi. Iniziò a sfregarsi le mani non appena le luci e il vociare del locale apparvero nel loro campo visivo e uditivo. Si avvicinarono di soppiatto alla porta, cercando di prendere Leroy di spalle. Il nano non si accorse di niente e Alexis fu libera di utilizzare il suo incantesimo; Grumpy cadde in uno stato di momentanea confusione e non si accorse dei due ragazzi che sgattaiolarono alle sue spalle. Liberi di entrare senza nessun tipo di problema corsero all’interno.
Il locale era pieno di gente, a stento riuscirono a passare tra i corpi e il terribile caldo che dominava l’area. Alexis cercò di allungare il collo verso il bancone, alla ricerca dell’unica ragione per la quale si era messa in tiro quella sera. Non le fu facile, la vista le era costantemente coperta ora da chi ordinava da bere ora da chi semplicemente le passava avanti. Fu quando un uomo andò via con una bottiglia di birra tra le mani che in quello spiraglio trovò la sua meta. Laya era lì, intenta a versare liquidi ambrati in un bicchiere con ghiaccio. Era avvolta in una camicia bianca a doppio petto arrotolata sui gomiti, papillon nero alla gola e capelli legati in una coda di cavallo alta. Quando le diede le spalle per prendere una bottiglia da una mensola più alta, vide il pantalone nero e stretto e il grembiule avvolto in vita dello stesso colore. Rimase a contemplarla per non seppe quantificare quanto tempo, osservò ogni suoi movimento che fosse servire un drink o stappare una bottiglia di birra. La trovò così bella da toglierle il fiato e questo bastò a darle la forza per avvicinarsi e prender posto allo sgabello del bancone più lontano, quello che si trovava all’angolo. Si accomodò senza rendersene conto e senza staccarle mai gli occhi di dosso, come se fosse un animale raro da studiare. Appuntò mentalmente il modo in cui ruotava su se stessa per prendere i giusti ingredienti da mettere nel bicchiere, il modo in cui estraeva i vari tipi di calici da sotto il bancone e li riempisse con attenzione, i sorrisi illegali che regalava a chi la ringraziava per il servizio, il meraviglioso profilo imperfetto. Di tanto in tanto leggeva qualcosa su un foglio alle sue spalle prima di procedere, ma lo faceva sempre con estrema sensualità. Il cuore le si fermò per un istante quando sul suo volto nacque un piccolo cipiglio nel leggere sempre lo stesso foglio, le mani occupate ad eliminare i residui di qualcosa a favore di uno strofinaccio bianco. Poi riprese la sua azione, con un fare ipnotico e magnetico. Cercò a lungo di entrare nelle grazie del suo sguardo per assaporare ancora gli occhi neri che l’avevano stregata entrambe le volte in cui era inciampata sul loro percorso, ma lei sembrava troppo indaffarata per accorgersi di quella ragazzina di sedici anni che la contemplava dalla penombra del bancone.
-Lex? Potresti tornare sulla terra e levarti quella faccia da ebete? –
Le parole di Gideon arrivarono così soffuse alle sue orecchie, che fu convinta di averle immaginate. Offuscate e lontane come un sogno non troppo vivido per esser preso in considerazione.
-Testa di rapa, mi senti? –
Ciò che non poté però ignorare, fu la sua mano che le sventolava avanti la faccia interrompendo quel momento onirico che stava vivendo.
-Che c’è? –chiese con voce impastata dalla confusione dell’attimo prima.
-Ti sei incantata! Stai lì seduta a fissarla da un pezzo, fa qualcosa-
-Qualcosa… si… tipo? –
Gideon si passò una mano sulla faccia, già esasperato da quella situazione in cui non voleva nemmeno entrarci. Cercò di attirare la sua attenzione, che si stava già riperdendo nei movimenti della barista, voltandole il capo con una mano e guardandola negli occhi.
-Ordina da bere, va a parlarle, salutala ma fa’ qualcosa! Non puoi startene qui ferma a contemplarla, non è mica un’opera d’arte-
Vide l’amica arrossire di colpo e si rese conto che dopotutto, era ancora solo una ragazzina. Certo, non che lui fosse chissà quale uomo vissuto ma quei due anni in più iniziarono a farsi sentire.
-Preferisco restare qui-
Il suo tono di voce era stato appena un soffio strozzato dal suo imbarazzo, gli occhi le si piantarono sulle ginocchia. Quando riuscì finalmente a risollevarli, incontrò quelli scuri e carichi di Laya. Le sorrise, spavalda, prima di servire un cliente. Il cuore di Alexis prese a battere più velocemente, in preda al panico per quella semplice occhiata. Ancora una volta si incantò, persa nei suoi movimenti. Gideon le diceva qualcosa ma lei non lo ascoltava, ogni senso, muscolo o fibra, erano attirati da Laya. Adesso che l’aveva notata non perdeva occasione di lanciarle uno sguardo ammiccante ogni volta che poteva, ogni volta che un cliente non richiedesse la sua attenzione. E Alexis l’aspettava, trepidante di vedere il suo capo voltarsi nella sua direzione ma restando ostinatamente fermo dov’era.
-Ok, ti sei umiliata abbastanza. Andiamo a ballare-
Non riuscì ad evitare la stretta che la trascinò al centro del locale, dove era stata adibita una sorta di pista da ballo.
-Gid lasciami, per favore-
-Non puoi startene tutta la serata lì ad elemosinare, se proprio devi farti notare da Agnès almeno fallo per bene-
La posizionò in modo tale che il suo corpo fosse direttamente di fronte il bancone, da quella posizione, a meno che non ci fosse stata una gran folla che richiedesse da bere, l’avrebbe sicuramente vista.
-Adesso non fare la scema, muoviti! –
Alexis si chiese quando esattamente Gideon avesse iniziato a ballare qualcosa che non fossero i valzer che gli aveva insegnato sua madre, ma fu costretta ad ammettere che si muoveva molto meglio di lei. Si sentiva in imbarazzo, come un corpo estraneo in un meccanismo perfetto che non conosceva. Cercò di fare del suo meglio, seguendo il tempo che le dava Gideon. Pian piano iniziò a sciogliersi, a divertirsi anche con il grande aiuto che il suo migliore amico le stava dando. Prese a muoversi con lui, a girare e saltellare ridendo come una bambina. Per qualche minuto, dimenticò persino la ragione per la quale erano finiti a ballare della musica che nemmeno gli piaceva in un locale che non volevano frequentare. Si distrasse al punto tale, che non si rese conto dello sguardo scuro che aveva puntato addosso. Non si accorse che da quando aveva lasciato il suo posto, Laya Agnès non le aveva staccato gli occhi di dosso.
Quando tornò al suo sgabello, era sudata e stanca, ma si era divertita parecchio e aveva scaricato un po’ del nervosismo che le attanagliava lo stomaco.
-Ti odio, Gid- disse all’amico con il fiatone e un enorme sorriso sul volto.
-Ma se ho evitato di farti fare la figura dell’idiota! –
Scoppiarono entrambi a ridere, sostenendosi l’un l’altra. Alexis lanciò un solo sguardo veloce a Laya, lieta di vedersi ricambiare subito. La ragazza le regalò un sorriso divertito che fece vibrare ogni corda del suo cuore. La vide guardarsi attorno e una volta accertatasi che non vi fosse alcun cliente da servire, si mosse verso di lei. Non se ne rese nemmeno conto ma più Laya avanzava, più le sue unghie si conficcavano nell’avambraccio di Gideon.
-Resta calma e non fare la stupida- le sussurrò l’amico.
Quando fu finalmente vicina, Alexis poté tuffarsi in quegli occhi che aveva cercato per tutta la sera.
-Ciao, principessina- salutò.
Non riuscì a nascondere il disappunto per quel nomignolo, nonostante lo avrebbe voluto davvero.
-Gold, posso portarti qualcosa? Offre la casa-
-No grazie, Agnès. Sto bene così-
Il sorriso del ragazzo risultò finto e tirato, quello di Laya fin troppo a suo agio. Tornò a prestare la sua piena attenzione alla ragazza di fronte a sé. 
-A che ora hai il coprifuoco? -
 Non seppe esattamente perché ma arrossì di fronte a quell’attenzione e per un attimo non seppe cosa risponderle. Le risultò spontaneo guardare l’orologio.
-Io... non lo ho- rispose.
Gideon quasi si strozzò con la sua stessa saliva meritandosi un calcio su uno stinco da parte dell’amica. 
-Ottimo! Allora se aspetti che stacco, ti offro qualcosa da bere-
Il sorriso ammiccante che le riservò, abbatté ogni forma di dubbio nell’altra. Non c’era scelta, una sola era la risposta da darle. Non avrebbe negato nulla a quei pozzi neri e brillanti.
-Certo-
Avrebbe aggiunto qualcos’altro ma Sean al bancone richiedeva la sua attenzione. Alexis cercò di non farsi riconoscere nascondendosi dietro la schiena di Gideon. 
-Sei veramente un’idiota! - l’accusò il ragazzo.
La rimproverò per quanto appena accaduto, ricordandole che sarebbe dovuta essere a casa massimo tra un’ora e mezzo e che Laya non si era dilungata a darle un orario preciso.
-Dai Gid, sono arrivata fino a questo punto non posso lasciar perdere ora! -
-L’hai vista solo due volte, Lex! Non rischio grosso per questo-
Alexis mise su un broncio che Gideon non vedeva da almeno cinque anni sul viso dell’amica, quel broncio di chi sa di aver giocato ormai tutte le carte.
-Tienimi compagnia almeno fino a quando non avrà finito di lavorare, ti prego-
Il ragazzo sbuffò sonoramente, affatto felice della piega che quella storia stava prendendo. 
-È follia, Lex-
-Ti giuro che è l’ultima volta che ti metto nei casini-
Erano così intenti a parlare che non si accorsero di un bicchiere che scivolava sul bancone. Attirò la loro attenzione solo quando sfiorò il braccio di Alexis. Lo guardò confusa per un solo istante, poi diresse lo sguardo verso Laya e la trovò a sorriderle. Con un cenno del capo la incitò a berne il contenuto.
-Non dovresti bere-
Ma Alexis non lo stette minimamente a sentire, avvicinò il bicchiere alle labbra e non poté che sorridere quando ne comprese il contenuto.
-È solo acqua, Gid. Solo acqua naturale-
Rivolse all’altra uno sguardo pieno di gioia, la stava decisamente prendendo per i fondelli ma non si era mai sentita tanto felice. Laya ricambiò con un occhiolino, poi tornò a dedicarsi ai suoi clienti. 
-Devo aspettarla, non posso fare altro-
 
Le strade di Storybrooke erano semi deserte, un po’ per l’ora tarda un po’ per il primo freddo che iniziava a gelare la città. L’orologio sulla biblioteca segnava le dieci e quarantacinque. Alexis aveva passato l’intero pomeriggio a passeggiare per il bosco, percorrendo diverse volte il Troll Bridge. Aveva avuto bisogno di schiarirsi le idee e riprendere, anche se solo per un secondo, contatto con se stessa e con le sue emozioni. Era stata una giornata particolarmente dolorosa, aveva toccato con mano quando Laya fosse lontana e quanto difficile sarebbe stato riportarla a casa. Era sepolta da qualche parte in una contadina felicemente fidanzata con un venditore di fumetti. Vederli baciare era stato un colpo fin troppo duro da incassare. Aveva sentito il bisogno di allontanarsi da tutto, di respirare aria che sapesse solo di Laya. Si era fermata sotto un albero, lo stesso vicino al quale era atterrata e aveva lasciato che la sua mente la ferisse e la torturasse ricordandole il primo appuntamento con lei. Ricordandole di quanto fosse bella con la divisa da barista e come le piaceva restare a fissarla, seduta su quello stesso sgabello della prima volta. Alle volte non faceva nulla di diverso; andava al Rabbit Hole, prendeva posto e la guardava lavorare. Quello le bastava. Continuava a pensarci mentre percorreva la via principale per tornare al Granny’s. Aveva solo voglia di una doccia bollente e di cercare di riposare. Era quasi arrivata, le mancavano pochi metri ma la collana prese a bruciare. Non appena avvertì quel forte calore, quasi le venne da vomitare. Era troppo distrutta per poter incontrare ancora Hannah e fingere che fossero due perfette sconosciute. Cercò in se stessa la forza di non guardarsi intorno, di non cercarla e far finta che l’arpa non avesse mai preso a brillare. La sua mente gridava “scappa, il più lontano possibile”, ma il suo cuore moriva dalla voglia di perseverare in quella meravigliosa tortura. Per cui la cercò, in ogni persona nelle vicinanze, in ogni odore portato dal vento, finché non la vide. Abbracciata stretta a Jonas, chiacchierava amabilmente con lui, gli sorrideva e lo guardava con sguardo colmo d’amore. Si fermarono per un secondo, lui le prese il viso tra le mani e la baciò con trasporto. 
Alexis si sentì scaraventata in un tunnel di dolore dal quale credette di non riuscire più a uscire. Non riuscì ad evitare alle lacrime di correre veloci e aggressive, allo stomaco di tornare a sconvolgerla. Corse via, lontana da Hannah e dalla sua stramaledetta falsa vita che aveva rubato a Laya. 
Corse senza voler sapere dove stava andando, infondo qualcosa dentro di certo la stava guidando. 
Corse a perdifiato lasciandosi alle spalle una quantità di lacrime che non pensava avesse ancora conservato, certa di averle ormai usate tutte in quei sei mesi senza di lei. 
Corse finché il suo cuore non riconobbe un posto che avrebbe distrutto gli ultimi barlumi di resistenza, che avrebbe dato libero sfogo all’esercito capitanato dalla sofferenza e dal dolore. 
Senza pensarci andò ad accomodarsi allo sgabello del bancone più lontano, quello che si trovava all’angolo. Lontana da tutti e con una perfetta visuale di tutto il bancone, anche se Laya non c’era. Non le avrebbe offerto da bere la solita acqua naturale, al suo posto un uomo grosso e rozzo le chiese cosa volesse.
-Tequila-
Attese che il bicchierino pieno comparisse nel suo campo visivo poi lo mandò giù ad occhi chiusi. Aveva sempre odiato la tequila, il sapore le dava il voltastomaco ma le ricordava Laya. Gliela ricordava più di ogni altra cosa in quel momento. 
Ne mandò giù un secondo, ma Laya era sempre lì nella sua testa.
Un terzo, e Laya era lì, al bancone a sorriderle ammiccante.
Un quarto, Laya non andava via continuando a torturarla. 
Un quinto, Laya non era lì a chiederle l’età anche se ora avrebbe potuto risponderle che ne avrebbe compiuti venti a breve e non sarebbe stata una bugia.
Un sesto, Laya si era impossessata della sua mente.
Laya pretendeva che lei rivivesse come era finita quella serata.
Laya desiderava torturarla e Alexis glielo avrebbe permesso, finché avesse voluto, avrebbe lasciato che le facesse tutto il male che voleva.
Tutto pur di tornare per un solo istante da lei.
 
Aveva atteso la fine del turno di Laya per circa due ore e mezzo, restando sempre ferma al suo posto senza mai abbandonare la sua figura. Gideon le parlava, le raccontava qualcosa ma non lo sentiva, la sua mente era troppo occupata ad ammirare la barista servire clienti ed ammiccare in loro direzione. Di tanto in tanto gettava uno sguardo anche a lei, facendole l’occhiolino. Ed ogni volta Alexis arrossiva, incapace di evitarlo. Si sentiva una ragazzina, una stupida, ma non fece nulla per evitarlo. Laya le trasmetteva, con un singolo sguardo, emozioni e sensazioni che non aveva mai provato prima di allora. La rendeva insicura e fragile, incerta su ogni singolo passo che compiva. Stringeva ancora tra le mani il bicchiere che aveva fatto scivolare lungo il bancone. L’acqua era divenuta ormai calda, il ghiaccio si era sciolto, ma non voleva lasciarlo. Forse si stava comportando da stupida ma in un certo senso sentiva il desiderio di riconsegnarlo direttamente nelle sue mani. Quelle stesse mani che avevano versato drink e stappato bottiglie per tutta la sera. Ora, erano rimasti solo una manciata di ragazzi a buttar giù gli ultimi cicchetti.
-Ti rendi conto di che ore sono? - le ringhiò Gideon in un orecchio.
Guardò l’orologio e solo in quel momento sembrò rendersi conto di quanto tardi fosse. Le lancette segnavano l’una e quarantacinque, era in ritardo di troppo ma non se ne preoccupò.
-Ormai sono in ritardo, Gid. Tanto vale prendere il meglio da questa situazione-
-Il meglio? Le tue madri ti ammazzano! Ci ammazzano! -
La ragazza alzò gli occhi al cielo, sfinita dalle polemiche di Gideon. 
-Facciamo una cosa, non appena avrà finito di lavorare puoi tornare a casa. Ci stai? -
-Non è una proposta ma un modo carino per farmi levare di torno-
Alexis sbuffò, non capiva perché doveva essere così pesante. Rischiava quasi di battere Leo.
-Abbiamo un accordo? - chiese tendendogli la mano.
Gideon non riuscì ad evitare di sorridere alle parole utilizzate dall’amica, ci sapeva senza alcun dubbio fare.
Quando anche l’ultimo cliente lasciò il locale, Laya si diresse verso di lei. Aveva il viso stanco ma il sorriso spavaldo sempre presente. Si slacciò il papillon mentre camminava, un po’ impacciata nel cercare di capire come farlo.
-Sei stata lì tutta la sera? –le chiese ridendo e con ancora le mani occupate.
-Non avevo niente di meglio da fare-
Mentì spudoratamente, la verità era che non aveva trovato nulla che fosse più interessante delle sue dita avvolte attorno ad una bottiglia. Cercò con tutta se stessa di non arrossire, per dar maggior forza a quella balla ma non vi riuscì. Si sentiva nuda di fronte a lei.
-Ah no, principessina? –
Alexis si trovò in uno stato di imbarazzo estremamente evidente, tanto da tirare un calcio a Gideon per darle una mano. Il ragazzo, che fino a quel momento era rimasto in silenzio al fianco dell’amica, si intromise chiedendo a Laya se si fosse trovata a suo agio in quel lavoro e come lo avesse avuto. Cercò di mantenere una conversazione il più vicina possibile al normale e l’altra glielo permetteva, rispondeva con sicurezza alle sue domande ma non staccava gli occhi dal suo punto di interesse.
-Resti a bere qualcosa, Gold? Pensavo di offrire un drink alla principessina-
-La smetti di chiamarmi a quel modo? Lo detesto! –
Laya la guardò con le sopracciglia alzate e una gran faccia da schiaffi.
-Se proprio ti fa infervorare così tanto, la smetto. Peccato però, a me piace più di Lex-
Forse Alexis non se era accorta ma a Gideon non sfuggì quel modo di fare da rimorchiatrice, la barista non faceva nulla per nasconderlo e a lui dava anche un po’ fastidio. Ma aveva un accordo con l’amica, per cui la guardò ponendole silenziosamente la domanda che sapeva l’altra avrebbe compreso. Lei gli rimandò l’occhiata e poi annuì con un sorriso. Dunque, prese la sua giacca, diede un bacio sulla guancia ad Alexis e salutò Laya nel modo più naturale che trovò.
-Sta attenta- sussurrò all’orecchio dell’amica.
Le due ragazze lo osservarono allontanarsi, non proferendo parola fino a quando non lo videro sparire oltre la porta. Ora che la musica era stata spenta poteva distintamente sentire il battito del suo cuore in quel rinnovato silenzio.
-Che cosa bevi? –
Laya tornò al suo posto, aveva ormai smesso di lottare contro il papillon che ora le cadeva inerme ai lati del collo. Aveva sbottonato i primi bottoni della camicia esternando la pelle abbronzata e sudata. Alexis la seguì facendo il giro del bancone e risedendosi di fronte a lei.
-Non sono una grande esperta, quindi fa tu-
Provò a sembrare in parte adulta, non ammettendo completamente che non aveva mia ingerito niente di diverso dalla birra, rare volte, e qualche sorso di vino durante le feste. Ma Laya sembrava scrutarla e leggere al suo interno ogni cosa le passasse per la mente. La osservò prendere due bicchieri piccoli, da cicchetto, e versare all’interno di entrambi del liquido trasparente. Ne prese uno e lo alzò attendendo che l’altra facesse scontrare il suo. Quando Alexis lo fece, gettò giù tutto d’un fiato il contenuto. La più piccola la imitò facendo lo stesso ma se ne pentì all’istante. Il suo viso si contorse in un’espressione che fece scoppiare a ridere la barista, costringendola ad asciugarsi gli occhi dopo diversi secondi di riso incondizionato.
-Ma che roba è? Fa proprio schifo! -
-Tequila- spiegò in breve, poi le si avvicinò portandole una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio sinistro- E’ un liquore troppo plebeo per te? –
Alexis arrossì fino alla punta delle orecchie, incapace di sostenere quello sguardo profondo e oscuro. Ma a Laya non andava bene metterla solo in imbarazzo, voleva di più da lei. Le prese il mento tra le dita e la costrinse a cadere ancora nei suoi pozzi, ad inghiottire quel verde tanto limpido con la sua ombra. E Alexis lo fece, si perse in quella notte senza stelle a lungo e senza riuscire a ricordarsi come si respirava. La pelle sotto il suo tocco ardeva in un perfetto contrasto con la punta delle sue dita gelide.
-Signorina, siamo chiusi-
Una voce alle loro spalle irruppe nel loro piccolo idillio, spezzando la maledizione degli occhi di Laya. Alexis batté più volte le ciglia, riprendendosi da quel viaggio assurdo e senza meta.
-E’ una mia amica, capo. Va’ pure a casa, chiudo io- rispose la barista non risentendo affatto di quello stacco improvviso.
-So perfettamente chi sia, Agnès- protestò l’uomo.
Alexis non aveva il coraggio di voltarsi, sentiva il viso andare a fuoco ma obbligò se stessa a far qualcosa.
-Potrebbe fingere di non avermi vista, per favore? –
Analizzò il viso dell’uomo, che era certa di aver già visto ma non ricordava dove, rivolgendogli il miglior sguardo da cucciolo che aveva in repertorio.
-Dai Fred, ti dovrò un piacere-
-Me lo dovrai eccome, Agnès. Se succede qualcosa alla principessina Swan-Mills possiamo dimenticarci il posto di lavoro, quindi vedi di non far casini. Intesi? –
Laya annuì mentre prendeva al volo le chiavi lanciatele da Fred, ringraziandolo e ricoprendolo di parole gentili che accompagnarono la sua uscita dal locale. Poi rimasero nuovamente sole.
-Sei proprio un pezzo pregiato. Ti trattano sempre tutti con i guanti bianchi? –
Le riservò l’ennesimo sorriso mozzafiato, di quelli che mandavano il cuore per l’aria senza troppe spiegazioni.
-Non mi trattano con i guanti bianchi, pensano solo che sia una specie di chiave per il paradiso-
In molti la trattavano con riguardo e riverenza solo perché era la figlia del sindaco e dello sceriffo, non curandosi di cosa avesse realmente da offrire. Nonostante le sue madri, Regina in particolare, desiderassero essere trattate come due comunissime cittadine di Storybrooke, questo accadeva molto raramente e lei era la vittima preferita.
-Ed è una cosa negativa? – domandò Laya riempiendo entrambi i bicchieri.
-Non lo so, vorrei solo che mi si vedesse come una qualunque sedicenne e non come la figlia e la nipote di gente importate - ci tenne a virgolettare con le dita l’ultima parola- E’ per questo che odio quel nomignolo, principessina. Non sono principessa di un bel niente-
Laya vide la sbiadita scintilla di tristezza che attraversò i suoi occhi, rapida come una stella cadente. Allungò il bicchierino nella sua direzione, stringendo già il suo in mano.
-Allora flirterò con te come se fossi una semplice ragazzina, offrendoti da bere roba che non ti piace. Che ne dici, Lex? - 
Alexis le sorrise felice, ringraziandola silenziosamente per aver smesso di chiamarla in quel modo orribile. Prese il suo cicchetto e lo fece scontrare con quello dell’altra ragazza, mandò giù il contenuto e ripropose quella faccia disgustata di poco prima.
-Perché continui a berlo se non ti piace? – le domandò Laya ridendo.
Rispose facendo spallucce e versandone ancora in ambedue i bicchieri, ma l’altra la fermò tirandole via la bottiglia dalle mani e bevendo rapida entrambe le dosi.
-Ma che fai? –
-Sarebbe estremamente stupido da parte mia farti bere stasera, quindi direi che per te va bene così. Al massimo ti concedo una coca-cola-
-E cosa te ne importerebbe? –
Laya si avvicinò, così vicina da poter sentire l’odore della tequila provenire dalle sue labbra.
-Se faccio una brutta impressione non potrò invitarti a cena, non trovi? –
 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Regina si svegliò quasi di soprassalto nel suo letto, aveva allungato la mano sinistra alla ricerca del corpo della moglie ma non l’aveva trovato. I suoi nervi erano ormai così tesi da farla scattare all’erta per ogni singolo avvenimento. Le lenzuola erano fredde, segno che l’allontanamento di Emma era avvenuto non nell’immediato. Si alzò, infilò la vestaglia grigio perla di seta e cercò la moglie nella casa silenziosa e fredda, buia in qualche punto in cui la tenue luce del pre alba ancora non era arrivata. Passò velocemente avanti la porta della camera di Alexis, ancora aperta, imponendosi di non soffermarsi. Era più di due settimane che non aveva notizie della figlia, la sua calma apparente era minata ogni secondo che passava in silenzio. Senza alcuna notizia. L’atrio l’accolse come un guscio vuoto e gelido, incapace di trasmetterle alcun tipo di emozione. Lo attraversò a piedi nudi e passo svelto, fermandosi ancora di fronte l’ingresso della cucina. Lì vide Emma, seduta ad uno sgabello della penisola. Tra le mani stringeva una tazza da caffè, accanto a lei il contenitore dello stesso. Si perse a fissarla per qualche minuto, senza che l’altra se ne accorgesse. Sul suo viso vi erano ormai diverse rughe, più o meno superficiali. Le più evidenti erano quelle che le marchiavano la fronte, molto più profonde delle altre, manifestavano tutta la preoccupazione che la stava divorando. Eppure lei era sempre così bella, così magnifica e così tutto il suo mondo. Da quando quella sua dannata trappola mortale aveva forato e l’aveva portata nella sua città, aveva capito da subito che sarebbe stata una persona speciale. Non solo perché aveva superato un confine che non avrebbe dovuto nemmeno vedere, ma per il modo in cui la guardava e la faceva sentire. Era indelebile nella sua mente in quale modo assurdo si erano ritrovate a cenare a casa sua per la prima volta. Semplicemente aveva perso le chiavi della centrale di polizia e aveva bisogno della sua copia. Regina aveva pensato a mille modi per ucciderla, per sbarazzarsi di lei. Così mentre cercava le chiavi immaginava di avvelenarla, strangolarla o che altro. Quando tornò dalla ragazza, la trovò ad addentare con foga uno dei muffin che risiedevano sul bancone e ad arrossire come una bambina per essere stata scoperta. “Scusi sindaco Mills, avevo fame” le aveva detto con quella sua aria da innocentina e Regina si era ritrovata ad offrirle della lasagna avanzata, conscia che se l’avesse uccisa in quel momento sarebbe stato difficile nasconderlo. Sorrise, ancora innamorata di sua moglie come il primo giorno che l’aveva vista. Abbassò lo sguardo, arrossendo come se avesse gli anni di sua figlia. Quando lo rialzò, Emma aveva poggiato la fronte contro la stoviglia e fu allora che Regina si rese conto di cosa stringesse realmente tra le dita. Quella tazza, gialla e con una corona rossa disegnata sopra, era di Alexis. Il cuore le prese a battere violentemente nel petto, Emma non aveva mai esternato nulla mentre ora la vedeva piangere attaccata a quel semplice oggetto di porcellana.
-Emma? –
Il suo tono fu estremamente vellutato nel chiamare la moglie, sia per non spaventarla, sia per non invadere più di quanto non stesse già facendo quel delicato momento della donna.
-Regina, credevo dormissi-
Lo sguardo di Emma, colmo di sorpresa, si perse per diversi attimi in quello della donna di fronte a lei. Cercò di darsi un’aria meno distrutta di quella che in realtà le era stampata in viso, non aveva mai mostrato un solo segno di debolezza di fronte a Regina. Lei stava fin troppo male e non aveva bisogno di vederla distrutta dal dolore. Ricacciò indietro le lacrime che le avevano rigato le guance per diverso tempo, cercando di cancellarne ogni possibile traccia dalla faccia. Depositò la tazza sul marmo della cucina come se fosse una reliquia, un raro pezzo presente in quella casa da ormai quattordici anni. A dimostrazione degli onorati anni di servizio, diverse increspature e diversi punti in cui il giallo aveva lasciato spazio alla ceramica viva. 
-Emma, che fai qui? -
Si avvicinò alla moglie stringendole la spalla. 
-Niente, io... -
Scattò in piedi lasciando strusciar sul pavimento lo sgabello sul quale era accomodata. Si guardò freneticamente in giro alla ricerca di niente se non una via di fuga dallo sguardo indagatore di sua moglie, alla quale di certo non sarebbero sfuggiti i suoi occhi rossi e verdi. 
-Emma, ti è concesso soffrire. Non puoi tenere tutto dentro, questo...-
-Non posso Regina. Devo essere forte per te, per Lex, per mia madre, per tutti. Io non posso assolutamente avere questo tipo di debolezza-
La sua voce risultò spezzata da nuove lacrime che minacciavano di aggredirla ancora. Regina se ne accorse e l’abbracciò forte, come se stesse abbracciando sua figlia ritrovando sulla sue pelle quelle stesse paura di una ragazzina. La strinse come se potesse rimettere insieme i pezzi, ma consapevole di non averne il potere. Emma cercò di divincolarsi, di tornare al suo posto e prendere le redini della sua famiglia, ma Regina glielo impedì soffiando al suo orecchio.
-Concediti qualche minuto. Nessuno lo verrà a sapere-
Come se fosse da sempre in attesa di quel silenzioso assenso, Emma cominciò a piangere con forti singhiozzi, rintanata nel collo di sua moglie. Pianse tanto e a lungo, gettando fuori tutto il dolore e la tensione che quella situazione le imponeva. Regina la lasciò fare, per tutto il tempo che le sarebbe occorso. Sapeva cosa stava provando, conosceva a fondo la sensazione di impotenza e vuoto che attanagliava il suo stomaco. Aveva affrontato quel mostro ogni secondo da quando Alexis era partita per quella spedizione verso l’ignoto. Quel viaggio che lei non aveva mai appoggiato, ma che era stata costretta ad accettare. Non poteva ancora capacitarsi di aver mandato la sua bambina, avuta con infiniti sacrifici, chissà dove e senza alcun tipo di protezione. Erano state delle folli, folli e sconsiderate. Si erano lasciate sopraffare dalla tortura che Alexis propinava loro ogni giorno, dal suo impazzire sui libri e girovagare per casa la notte. Il colpo di grazia, glielo aveva dato quando si era presentata in cucina in un bagno di lacrime ed il suo cuore tra le mani. Lo aveva strappato via, asserendo che facesse meno male vivere senza che sentirlo sgretolarsi nel petto. Regina era inorridita, perché il suo cuore era davvero distrutto. Sembrava essere un raro pezzo di cristalleria caduto dalle mani di un bambino. Crepe e incrinature lo attraversavano, quasi come se un pezzetto potesse staccarsi da un momento all’altro. Quello le era risultato troppo, non avrebbe retto altro. Aveva avuto così tanta paura per sua figlia, che aveva protetto il suo cuore con incantesimo. Nessuno avrebbe potuto strapparglielo, nemmeno Alexis stessa. E per questo, ora si trovava ad asciugare le lacrime della moglie.
Solo quando si fu calmata lasciò andare il suo capo e tornò a guardarla negli occhi. Era stata così egoista nei suoi confronti, aveva dato per scontato che Emma se la sapesse cavare da sola, che non ne soffrisse come invece stava facendo lei. Si sentì un mostro, una perfetta Evil Queen. Sua moglie si era fatta carico del dolore di tutta la famiglia, tralasciando e trascurando sé stessa per il loro bene. In quel verde, che un tempo era stato brillante e fiero, Regina ricercò a lungo lo sguardo della Salvatrice restando delusa di non riuscire a trovarlo.
-Emma, andrà tutto bene. Alexis si metterà in contatto con noi presto-
Non seppe a chi fossero realmente dirette quelle parole, se a sé stessa o all’altra. Ne avevano comunque bisogno entrambe, avevano bisogno di una minima speranza per non affogare in quel senso di colpa che le stava inghiottendo.
Lasciarono la cucina l’una al fianco dell’altra, Emma si diresse verso il bagno desiderosa di una doccia calda, Regina prese a frugare nel suo armadio scegliendo il completo da indossare. Perché nonostante la loro bambina fosse chissà dove, Storybrooke aveva sempre bisogno di un sindaco e di uno sceriffo. Per cui, non potevano concedersi il lusso di poter star a casa, o anche solo insieme, per contrastare il dolore. Storybrooke aveva bisogno di essere difese, ancora una volta.
Regina fu pronta in circa un’ora, preparò la colazione per sé e per Emma, che aveva rinunciato ai pasti al Granny’s da quando Alexis era andata via, e mangiò pancakes appena fatti. Terminarono in silenzio, ognuna persa nei propri pensieri comuni.
-Hai molto da fare oggi? – chiese Emma riponendo nel lavandino il suo piatto e la sua tazza.
-Solite scartoffie. Tu? –
Emma si fermò un secondo, incerta se risponderle con la verità o darle una buona bugia. Lo pensava ogni mattina ormai, per evitarle di preoccuparsi troppo, ma poi finiva sempre con il dirle la verità.
-Passo da Mary Margaret, lavoriamo su… -
-Dovresti distrarti Emma-
-Non posso! – Strillò gettando un piatto contro il pavimento.
Una reazione tanto aggressiva, Regina di certo non se la sarebbe aspettata. Osservò a lungo i cocci depositati in terra, trovandoli estremamente simili agli animi della due donne che li osservavano. Era accaduto tutto troppo in fretta; il loro arrivo, la perdita di Laya, l’annientamento e il successivo viaggio di Alexis. Riuscire a restare a galla in quel mare di dolore, sarebbe stato troppo per chiunque. E questo, Regina lo vedeva perfettamente nitido ora negli occhi di Emma.
-Non possiamo andare avanti così, questa situazione ci sta uccidendo. È via da poco più di due settimane e non sappiamo quando riuscirà a tornare-
Il tono della bruna era risultato piatto e atono, completamente inglobato dal silenzio che aveva regnato da dopo lo schianto del piatto.
-Lo so-
 
Gideon aveva passato l’intera giornata al negozio, incurante che gli altri si fossero riuniti in biblioteca per elaborare un qualche tipo di piano. A lui invece, serviva una pausa da tutto quel ricercare il nulla. Aveva dunque optato per restare tra gli oggetti a lui familiari, spolverandoli e facendo un inventario non necessario. In qualche modo lo rilassava e lo aiutava a non pensare troppo a tutto quello che succedeva intorno a lui. Lo aiutava a non penare ad Alexis. Era stato accanto a lei ogni giorno da quando Laya era finita nel portale, aveva asciugato un numero infinito di lacrime e guardato da spettatore impotente la sua migliore amica logorarsi anima e corpo. I primi mesi erano stati così duri e intensi, che più volte aveva creduto di non farcela, di vederla scivolare via per sempre. Alexis era finita in un tunnel buio e gelido che l’allontanava da qualsiasi forma di aiuto. Erano ancora nitide nella sua memoria, impresse a fuoco, le tante volte in cui si era ritrovato obbligato a restare sdraiato sul letto dell’amica con la camicia fradicia di lacrime. Lasciava che piangesse tutto ciò che le era rimasto da piangere carezzandole i capelli, finché non si concedeva qualche remota ora di sonno costellata da incubi. Nonostante dormisse, lui restava con lei. Restava finché non si svegliava e ricominciava quella tortura, per entrambi. Rivide ogni lineamento ed ogni espressione di dolore presente sul volto dell’amica. Alexis gli mancava, era stata già dura lasciarla a casa quando aveva lasciato Storybrooke per l’università, ma vederla andar via alla ricerca di Laya, l’aveva segnato più di quanto avesse creduto. 
Cercava, per quanto poteva, di evitare di passare del tempo con Emma e Regina. Per quanto tenesse a loro e a tutto il resto della famiglia, vederle distrutte era troppo per lui. Avrebbe voluto fare di più, essere più forte per poter salvare la sua amica e Laya, ma tutto ciò in cui riusciva era qualche pacca sulla spalla. Nonostante fosse circondato da magia, non era in grado di fornire un aiuto concreto. Si dava più volte del fallito per questo, sentendosi inutile mentre si ostinava a lucidare un vecchio calice di chissà quale epoca andata. Avrebbe dovuto difendere le persone che amava da quell’attacco, sarebbe dovuto essere forte come suo padre. Lo riposizionò sul suo scaffale e sospirò, perso nei suoi pensieri. Diede un’occhiata al suo orologio da polso, le lancette erano ferme sulle undici e cinquantacinque. Gettò distrattamente lo straccio, che aveva usato fino a poco prima, sul bancone e si apprestò a chiudere il negozio. Recuperò le sue cose, ma aveva la sensazione di aver dimenticato qualcosa, una sensazione che lo accompagnava da diversi giorni. Non gli aveva dato particolare importanza, era quasi anomalo sentirsi normali in quel periodo, ma quella sera sembrava essere più forte del solito. Si guardò intorno, controllò le tasche, che la cassaforte fosse chiusa e di non aver lasciato nulla in disordine.
Fu allora che lo notò; da uno scaffale basso, quasi ad altezza pavimento, qualcosa brillava insistentemente. Qualcosa lo chiamava. Ci si avvicinò con cautela, prese l’oggetto tra le mani e quello si aprì di colpo rivelando il contenuto.
Gideon spalancò gli occhi, incredulo per ciò che stava vedendo. Lo esaminò ancora per qualche attimo, per accertarsi che non stesse sognando, poi corse fuori dal negozio. Iniziò a correre rendendosi conto dopo qualche minuto che sarebbe stato più rapido con la magia. Ruotò il polso e si ritrovò di fronte la porta bianca di casa Swan-Mills. Le luci erano spente ma la sua scoperta non poteva assolutamente aspettare. Prese a picchiare pugni sulla porta chiamando a gran voce le padrone di casa, incurante che fosse ormai mezzanotte passata.
-Emma! Regina! Apritemi è urgente! –
Delle luci si accesero e dei passi risuonarono all’interno. Regina aprì la porta in vestaglia e pigiama, scombussolata e preoccupata dall’insistenza del ragazzo. Alle sue spalle, Emma era uno specchio della moglie.
-Gideon, che succede? –
-Lo so che è tardi e vi chiedo scusa per questo, ma dovete assolutamente vedere questa cosa! –
Il ragazzo aveva il fiatone e le mani che tremavano mentre porgeva il quaderno alle due donne. Fu Emma a prenderlo e la sua reazione fu la stessa che aveva avuto il ragazzo pochi minuti prima.
-Lex- sussurrò.
 
Aveva ancora gli occhi chiusi ma poteva sentire la testa scoppiarle e lo stomaco in subbuglio. Era abbastanza certa che se li avesse aperti avrebbe vomitato per cui pensò di esaminare la situazione alla cieca. Sotto di sé sentiva qualcosa di scomodo e duro, l’aria era viziata e c’era cattivo odore. Un cigolio continuo le rimbombava nelle orecchie come un martello pneumatico. Doveva scendere a patti con lo stomaco o non avrebbe concluso nulla, quindi si decise ad aprire gli occhi. La luce l’accecò obbligandola a battere le ciglia diverse volte, il senso di nausea la inchiodò dov’era. Quando finalmente mise a fuoco, quasi non riusciva a credere a ciò che la vista rimandava il suo cervello. Era alla centrale di polizia, dietro le sbarre, come una detenuta.
-Ma che…? –
Di fronte a lei, seduta alla scrivania, Emma ruotava sulla sedia giocherellando con una penna a scatto.
-Oh buongiorno. Credevo di doverti svegliare con una secchiata d’acqua sulla faccia-
Alexis si guardò intorno spaesata, cercò di mettersi in piedi, ma dovette tentare diverse volte prima di arrivare alle sbarre senza sbandare. Emma lesse la sua confusione, lasciò il suo posto e si posizionò di fronte a lei fissandola.
-Perché sono in cella? E che diamine è questa puzza? – chiese arricciando il naso per il cattivo odore.
-La puzza sei tu ed è anche la ragione per cui sei in cella-
-Non capisco, che significa? –
Emma la guardò con sguardo bonario, sentendosi molto vicina alle sensazioni che stava provando in quel momento la ragazza. Tornò per un secondo alla sua scrivania, prese il bicchiere contenente il caffè e lo porse all’altra. Sapeva bene che dopo un post sbronza era la cosa ideale.
-Graham ti ha portata qui stanotte ubriaca e priva di sensi. Dice di averti salvata prima che affogassi nel tuo vomito. Bevi questo, ti aiuterà-
Le passò la bevanda e rimase ad aspettare che la sua interlocutrice rimettesse insieme i pezzi, sapeva ci sarebbe voluto un po’ di tempo. Poté vedere nello sguardo dell’altra gli ingranaggi che giravano vorticosamente per cercare di recuperare qualche frammento di quella nottata. Era come guardarsi ad un specchio e non solo per lo stesso colore delle iridi.
Alexis si sforzò al massimo per ricordare cosa avesse fatto per trovarsi in quella situazione, ma l’unica risposta che la mente le concedeva era Laya. L’ultima cosa a cui poteva aggrapparsi era lo sforzo di non ricordare cosa avesse visto prima di dirigersi al Rabbit Hole, aveva un che di ironico. Da quel momento in poi c’era un enorme buco. L’unica minuscola luce era l’incontro di quattro anni prima con Laya e di come fosse finito, aveva ancora estremamente nitida la ramanzina che sua madre le avesse fatto e di come le avesse giurato che non l’avrebbe più coperta con Regina.
-Ricordi qualcosa? – le chiese Emma.
La ragazza scosse la testa e se ne pentì all’istante. Bevve un sorso di caffè trovandolo assurdamente dolce per i suoi standard.
-Potresti farmi un riassunto? –
Emma avvicinò una sedia alla cella e prese a raccontarle quanto riferitole dallo sceriffo. Alla chiusura del locale, il proprietario aveva chiamato le forze dell’ordine per recuperare una ragazza svenuta per il troppo alcool. Al suo arrivo, l’uomo aveva trovata una situazione ben peggiore di quanto riferitogli per telefono. L’imputata era distesa poco fuori la porta del bagno, sporca di vomito e chissà quali altre sostanze, su questo non si era dilungato. Aveva frugato nelle sue tasche alla ricerca di documenti o qualcosa che gli permettesse di riportarla a casa, ma non aveva trovato nulla. Quindi, l’unica cosa da fare era portarla alla centrale scaricando il problema al suo secondo.
Alexis aveva ascoltato con attenzione inorridendo per determinati dettagli. Si sentiva uno schifo e non solo fisicamente. Nascose il viso tra le mani cercando di camuffare il suo imbarazzo per quella assurda situazione.
-Posso uscire adesso? – domandò a voce bassa.
-No. Graham vuole parlarti-
Sbuffò non riuscendo più a restar seduta al suo posto. Non aveva tempo da perdere, aveva già sprecato troppe ore per la sua idiozia.
-E di cosa? –
Emma la indicò palesando la sua risposta, come se fosse la cosa più logica del mondo.
-Per favore, ho delle faccende urgenti da sbrigare. Fammi uscire-
-Non credo sia più importante di questo- rispose l’altra indicandola.
-Questo cosa? –
Il nervosismo stava prendendo il sopravvento, si sentiva in gabbia e non solo fisicamente. Avrebbe dovuto essere fuori a cercare di risvegliare Hannah dalla maledizione.
-Il tuo problema-
-Il mio probl … ? –
Ci impiegò un secondo di troppo per capire a cosa Emma si stesse riferendo, rimanendone scioccata della considerazione che aveva avuto su di lei.
-Io non ho un problema con l’alcool! –
-Nessuno vorrebbe ammetterlo, ma devi guardare in faccia la realtà-
-Di che cavolo parli! Io non sono un’alcolizzata! –
Il suo tono di voce si faceva pian piano sempre più alto, mettendo a repentaglio non solo la sua calma, ma anche il suo mal di testa. Emma continuava a guardarla con fin troppa compassione negli occhi e Alexis non seppe se a darle la nausea fosse quello sguardo o i residui della tequila.
-Ascolta, l’alcool più essere un gran figlio di puttana, ma se lo capisci in tempo puoi migliorarti e venirne fuori-
-Io non sono un’alcolizzata! Come devo dirtelo? –
-Ci sono passata anche io, potrà sembrarti difficile all’inizio ma poi sarai una persona nuova-
Alexis si passò più volte le mani sul viso, in preda alla frustrazione. Vide molto da vicino il confine della sua pazienza e cercò di evitarlo camminando in quei pochi metri quadri che aveva a disposizione.
-Santo cielo è stata solo una serata storta, sono praticamente astemia! –
Ed era vero, non lo diceva solo per salvarsi la pelle. Ricordava perfettamente le serate seduta al bancone mentre Laya lavorava. Le sue coetanee mandavano giù fiumi di drink e simili, ma lei non ci aveva mai trovato particolare gusto. Di tanto in tanto le piaceva gustare una birra quando cenava fuori, ma mai più di quello.
-Ammettere di aver un problema è il primo passo… -
-NON SONO UN’ALCOLIZZATA, MAMMA! –
Aveva urlato talmente forte da sentire la gola bruciare e le tempie pulsare dolorosamente. Si morse la lingua per il termina che aveva rivolto ad Emma, era stato più forte di lei non era riuscita a fermarsi in tempo. Le era stato impossibile non sovrapporre la Emma ventottenne a sua madre. Un silenzio pesante ed imbarazzante cadde tra le due.
-Come mi hai chiamata? –
-Mi dispiace è che … somigli molto a mia madre-
Evitò accuratamente il suo sguardo. Non era mai riuscita a mentirle, nemmeno per le cose più futili e semplici. Le rispose a capo chino, senza avere il coraggio di guardarla in viso, terrorizzata dal suo super potere. Rifletté un secondo, forse proprio quell’aspetto della donna poteva scagionarla.
-Emma, usa il tuo potere. Non ti sto mentendo, non ho mai preso una sbronza in vita mia. Ho solo avuto una pessima giornata e mi sono fatta prendere la mano. Non si ripeterà, lo giuro- stava parlando a sua madre e non alla ragazza.
Si guardarono per diversi secondi, verde contro verde. Le diede il tempo di decidere se stesse mentendo o meno, certa che avrebbe saputo leggere la verità. In quel momento, nell’attesa del giudizio, si rese conto di quanto le mancasse la sua famiglia. La sua Emma, non avrebbe mai pensato che fosse un’alcolizzata.
-Che mi dici dei documenti? Perché non li avevi? -
-Una dimenticanza-
Alexis fu costretta ad abbassare lo sguardo, la menzogna sarebbe stata fin troppo visibile nei suoi occhi, specie per sua madre. Emma la fissò a lungo, utilizzando il suo super potere.
-Ammettiamo che io ti creda, e non sto dicendo che sia così, non posso comunque farti uscire. Non ho le chiavi, sono il vicesceriffo solo da ieri sera-
-Secondo cassetto della scrivania, scatola grigia-
Le parole le uscirono spontanee, ricordando quante volte sua madre telefonava lei o Regina perché aveva perso le chiavi, dimenticando che un doppione era sempre presente in centrale dalla nascita della città. Era stato allora che la bruna aveva deciso di tenere una copia di tutte le chiavi della moglie e rivelarne la posizione solo alla figlia, sia delle nuove sia di tutte quelle sempre esistite. Emma la guardò esterrefatta, quando seguendo le sue istruzioni, trovò il mazzo di chiavi.
-Come facevi a saperlo? –
Alexis fece spallucce, asserendo di averle viste a Graham una volta. Cercò di sembrare il più normale possibile, sperando di evitare che il super potere la scoprisse. Emma rimase a fissare il mazzo di chiavi esterrefatta. Avanzò qualche protesta, chiedendo alla ragazza in quale altro frangente si fosse ritrovata alla centrale. Ma Alexis fu più scaltra, eludendo la domanda e sbrigandosi ad andare via. Recuperò la giacca rossa dal divano accanto alla scrivania della madre, la infilò svelta e fece per andar via. Non riuscì, però, ad impedire allo sguardo di cadere sul tavolo alla sua sinistra. Vederla ordinata e quasi vuota, le fece uno strano effetto. La mancanza della foto sua e di Regina, poi, le sbatté in faccia quando lontana fosse da casa sua. Nonostante sembrasse così simile nei contorni e nelle sfumature, la sostanza di quel mondo era diametralmente opposta alla sua. Obbligò gli occhi a staccarsi da quel posto e i piedi a trascinarla via da quella centrale.
-Ehi, ragazzina? –
-Si? –
-Non ti voglio più vedere lì dentro-disse indicando la cella- sono stata chiara? –
Alexis annuì, rivedendo in quella Emma ventottenne la sua mamma di venticinque anni dopo. Nello sguardo ritrovò quella fierezza che aveva lasciato, sentendosi per un solo attimo a casa.
-Si, signora-
-E per i documenti voglio che li proti qui quanto prima-
Sorrise appena annuendo, incapace di tener a bada le lacrime che minacciavano di sporcarle il viso. Diede le spalle alla donna e mosse qualche passo verso la porta.
-Ancora una cosa- la fermò Emma.
Attese di avere la sua attenzione, che i loro verdi fossero in rotta di collisione.
-La prossima giornata storta, datti alla cioccolata calda-
Alexis non poté fare a meno di scoppiare a ridere, promettendo che avrebbe seguito il suo consiglio. Invitò Emma ad indossare il distintivo da vice e dovette ammettere con sé stessa che vederglielo fare le creò un certo orgoglio. Quando la donna lo fece, una scossa di terremoto investì la città. Le due si guardarono, spaventate per un solo istante.
-Non sapevo fossimo in una zona sismica-constatò Emma.
-Ci sono ancora tantissime cose che non conosce di questa città, vice sceriffo Swan-
Poi lasciò la centrale, senza dar troppo peso a quanto appena accaduto. 
Le strade di Storybrooke erano troppo affollate per riuscire a passare inosservata, sia per la puzza, sia per l’aspetto. Avrebbe voluto poter usare la magia per materializzarsi direttamente in camera, ma si era accorta che nonostante le protezioni che sua madre le aveva fornito, in un mondo privo di magia nemmeno quello era servito. Dalle sue dita erano venute fuori appena delle scintille azzurrine. Per cui le era toccato camminare per arrivare al Granny’s e per quanto si era sforzata di non dare nell’occhio, molti sguardi disgustati si erano voltati nella sua direzione. E dopotutto poteva capirli, per quanto si ostinasse a dichiararsi cittadina di Storybrooke, nessuno l’aveva mai vista. Per tutti, era un’estranea al pari di Emma, ma con meno fiducia sulle spalle. Camminava avvolta nel suo giubbotto, pregando che quantomeno non incontrasse nessuno che conoscesse. Certo le possibilità erano basse, ma non avrebbe saputo cosa spiegare a Mary Margaret o a Henry. Le balzò alla mente anche Laya, o meglio, Hannah. Chiamarla a quel modo le dava il voltastomaco, come vederla vestita da contadinella e con quella ridicola treccia. Adesso che era lì, che poteva vedere qualcosa che le somigliasse, Laya le mancava come mai era successo prima. Era stato quello a distruggerla, la sera precedente. Aveva sperato di trovarla in ogni angolo e in ogni profumo portato dal vento, ma lei non c’era. Lei, era probabilmente tra le braccia di Jonas.
Una nuova fitta le colpì lo stomaco e questa volta non seppe decretare se fosse per il post sbronza o meno. La testa le faceva un gran male e tutto il suo corpo gridava a pieni polmoni “disastro”. Ringraziò mentalmente che le sue madri non potessero vederla, Regina le avrebbe come minimo staccato la gola a morsi per quanto stupida fosse stata. Si ritrovò a sorridere nel pensare a casa sua. Guardò l’orologio, segnava le nove circa e pensò a cosa stesse accadendo alla sua famiglia a quell’ora. Probabilmente Emma era alle prese con la serratura della centrale, difettosa da anni ma mai cambiata, e Regina stava riordinando le sue pratiche mentre consigliava alla moglie di chiamare qualcuno e sistemare quella dannata porta. O magari, nella sua dimensione il tempo girava diversamente e le sue madri erano a letto, pensando magari a lei. Gli occhi le si inumidirono mentre apriva la porta della tavola calda, ma non permise loro di liberarsi delle lacrime. Aveva altro a cui pensare, come la collana che le bruciava la pelle.
Il brusio che regnava nel locale cessò di colpo quando entrò, costringendola ad alzare gli occhi su ogni persona presente lì dentro. Tutte meno una. Si sentì fortemente in imbarazzo, ma solo per un attimo. Alzò gli occhi al cielo e camminò a passo svelto verso le scale della locanda, ignorando i sussurri che la raggiunsero portando pettegolezzi circa la sua persona.
-Alexis? Che ti è successo? –
Quella voce la inchiodò sul secondo scalino, incapace di continuare a salire. La collana ardeva prepotente obbligandola a voltarsi verso di lei. Il suo sguardo preoccupato e colmo di compassione, la colpì come un ceffone talmente forte da farle girare la testa. E questa volta era certa non fosse la sbronza. I suoi occhi, così limpidi e brillanti, per quanto pur sempre scuri, erano così dannatamente lontani dai cieli senza stelle di Laya. In quelle iridi, riusciva a stare a galla senza alcuna fatica, vedendo con fin troppa nitidezza tutto ciò che la circondava. Persino quell’espressione, e l’aveva vista spesso preoccupata, non le apparteneva affatto.
“Dove sei finita, Lay”  
-Niente, sto bene-
-Sei sicura? Hai un aspetto terribile-
Dovette far ricorso ad ogni tipo di forza presente nel suo corpo per non esplodere di fronte a lei, per non vomitarle in faccia ogni cosa sbagliata presente. Respirava a fondo, inspirando col naso sperando di riuscire a calmarsi. Gli occhi di tutto il locale erano puntati su di loro, persino J0nas non osava lasciarla un solo istante.
-Ti va di fare colazione assieme? Ti offro un caffè-
La gentilezza del suo tono, riuscì allo stesso tempo a scavare sempre più nel suo animo e lenire i bordi pulsanti come un balsamo. Laya non era quasi mai tanto gentile, lo era stata solo quando l’aveva presentata a Regina, ma al tempo stesso si preoccupava sempre per lei. C’era sempre stata nei suoi momenti difficili, non perdendo mai quella sua aria sfacciata e arrogante. Le mancava anche quello di lei, persino il suo prenderla in giro e tormentarla di continuo. Persino il suo guardarla con sufficienza quando gioiva delle piccole cose, come la neve o qualche stupido regalo che le aveva fatto. E nonostante avrebbe voluto scappare il più lontano possibile da quella brutta imitazione di Laya, non riuscì a rifiutare, nonostante ci fosse quel suo finto ragazzo con lei, nonostante non fosse la persona che cercava né tantomeno quella che voleva. La proposta di Hannah era stata semplice, ma per lei aveva pesato come un macigno. Continuava a sentire impellente quel bisogno di cercare in tutti i modi qualcosa appartenete a Laya, qualsiasi cosa e per il momento doveva accontentarsi di quello che aveva. Hannah era tutto ciò che poteva permettersi. Per cui si fiondò in camera per darsi una ripulita prima di accomodarsi con lei. Si svestì e si infilò sotto la doccia, lasciando che l’acqua lavasse non solo quell’inferno di nottata che aveva passato e di cui non aveva memoria. Strofinò via dalla pelle il continuo senso di inadeguatezza e di nausea che l’avvolgeva ogni volta che l’arpa prendeva a bruciare. Eppure era tutto così sbagliato, tutto così sotto sopra. Nella sua mente vorticavano come matti tutti i meravigliosi momenti che avevano passato assieme, tutte quelle promesse che sembravano così vere. Le aveva promesso che non sarebbe mai andata via, che qualora avesse sofferto sarebbe stata al suo fianco per supportarla. Invece, accovacciata sotto il getto d’acqua e ad affogare nelle sue stesse lacrime, era da sola. Era da sola a lavar via la puzza di vita diversa e di solitudine; era da sola a cercare di mettere insieme le tessere del mosaico che formavano, una volta, quello che era il suo cuore. A metabolizzare che Laya non c’era.
Laya era con un altro.
Laya era felice senza sapere minimamente chi lei fosse.
Strozzò un urlo nell’avambraccio, fece l’impossibile per non mettersi a vomitare ancora. Non poteva più permetterselo, era stata debole per troppo a lungo. Adesso, doveva riportare solo Laya a casa. 
Uscì dalla doccia, si diede una rapida asciugata e si rivestì. Aveva bisogno di abiti puliti, avrebbe dovuto ricordarsi di fare una lavatrice a breve. Quando era partita non aveva previsto di restare via da casa così a lungo. Aveva ancora un pantalone e qualche felpa pulita. Non badò molto a cosa avesse indossato, né di avere ancora i capelli bagnati, voleva solo tornare da Hannah e sperare di non impazzire. 
-Scusa l’attesa-
Le sue parole erano state sincere, ma aveva avuto bisogno di un attimo in più per ritrovare sè stessa oltre che l’igiene. Lo stomaco le si attorcigliò quando vide il braccio di Jonas a circondare le spalle dell’altra ragazza, ma si impose autocontrollo. Dopotutto da qualche parte doveva pur iniziare. 
-Beh adesso che sei in compagnia, vado a far finta di lavorare. È uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo! -
Sorrise felice alla fidanzata che lo ricambiò con una gran risata. Alexis avrebbe volentieri vomitato. 
Jonas si rivolse poi direttamente a lei, porgendole la mano in segno di saluto e chiedendole il nome. Si sforzò meglio che poté di fingersi lieta di quell’incontro, fregandosene se ci fosse riuscita o meno. Seguì ogni movimento del ragazzo, voltandosi quando si abbassò per baciare Hannah. Solo quando uscì dal locale si accomodò di fronte la ragazza. Perse qualche secondo ad osservarla; aveva la stessa treccia dell’ultima volta e una salopette chiara, sotto di questa una camicia a quadri verde. La cicatrice sotto il collo faceva bella mostra di sé, ricordandole la sua enorme debolezza e il suo fallimento. Ci provò a non inorridire, ma proprio non ci riuscì. 
-Allora, cosa ti offro? -
I modi di Hannah erano sempre così cordiali e gentili, qualcosa che andava in continua rotta di collisione sui lineamenti di Laya. 
-Un caffè nero e offro io-
Fece cenno a Ruby per richiedere la sua ordinazione, attese che la ragazza si avvicinasse prima di parlarle. Non appena giunta al tavolo, la cameriera arricciò il naso. 
-Tu puzzi-
-Che? -
-Hai un odore pessimo-
-Ma se sono appena uscita dalla doccia! -
Alexis fissò a lungo la ragazza lupo, maledicendo il suo naso da tartufo. Si sentì fortemente in imbarazzo, ma cercò di non darlo a vedere ricordando quando era lei a puzzare di pannolino sporco. Hannah, con una mano avanti alla bocca, rideva sommessamente. 
-Puzzi come il Rabbit Hole, ci sei stata di recente? -
La ragazza spalancò la bocca, sorpresa del suo fiuto nonostante non sapesse come sfruttarlo. 
-Sono... solo passata a salutare una vecchia amica-
Non riuscì ad evitare un sorriso malinconico, non riuscì a non ripensare a tutto quello che aveva cercato in quel locale. Per un solo istante le sembrò di vedere Laya seduta accanto ad Hannah, lo sguardo duro e accusatorio nei suoi confronti. La nausea l’assalì con una tale forza da costringerla a portarsi una mano a protezione della bocca. 
-Stai bene? - le chiese Hannah. 
-Si, tutto ok-
Sollevò lo sguardo su di lei, i suoi occhi scuri e piatti la fissavano preoccupati. Provò con tutta sé stessa a trovare al loro interno qualcosa che ricordasse quelle iridi che tanto amava, non le importò di sembrare strana. Ne aveva bisogno, ne aveva bisogno come non mai. Scrutò e cercò ma non trovò nulla al di fuori di un semplice paio di occhi scuri. Fu quasi sollevata quando il braccio di Ruby che depositava il suo caffè interruppe il suo contatto visivo.
-Ecco qua-
Ne prese un sorso ignorando l’alta temperatura della bevanda.
-Quindi Rabbit Hole, ci vai spesso? - domandò Hannah.
-No-mentì non senza una fitta allo stomaco- ero solo di passaggio-
-Io odio quel locale, Jonas ci va di tanto in tanto con degli amici ma io lo evito ogni volta che posso-
La sua espressione era sinceramente inorridita, il naso arricciato fu una cosa nuova per Alexis.
-Quindi niente tequila- 
-No, odio i super alcolici-
Non si era nemmeno resa conto di aver parlato ad alta voce, era certa di aver solo rimuginato tra sé. Ma la risposta la colpì feroce, aggressiva come una bestia selvatica. “Il mio unico dispiacere è il tuo non saper apprezzare la tequila, mi toccherà rinunciarci in questa relazione” Ricordava quella frase come se Laya l’avesse appena pronunciata. Ricordava perfettamente il contesto, dove fossero e cosa era successo di lì a poco, si sentì quasi in colpa a ricordare l’accaduto. Questa volta si obbligò a cancellare quei ricordi dalla mente, perché in quel momento facevano fin troppo male.
-A te piacciono? -
Si era così persa nei suoi pensieri che non aveva fatto caso a quanto tempo il silenzio aveva monopolizzato la conversazione. Doveva disciplinare le sue emozioni se voleva portare a casa qualche risultato.
-No, per nulla. Preferisco un buon caffè-
Cercò di sorriderle e di essere accomodante, di sembrare una normale ragazza che prende un caffè con una... amica. 
-A me non piace nemmeno il caffè, sono più tipa da tè- asserì sollevando di poco la sua tazza. 
Alexis non riuscì ad evitare di ridere malinconica, Laya avrebbe ucciso per del caffè. 
-Una persona a me molto cara diceva che il tè è la peggior imitazione di una bevanda- 
Hannah rise, rise sinceramente. Per Alexis fu buffo che la divertisse qualcosa che in realtà aveva detto proprio lei. Più passata a il tempo con quella ragazza, con quella sconosciuta, più Laya si allontanava sempre più. 
-Deve essere una gran rompiscatole allora, e anche una che ne capisce poco di bevande-
Alexis non riuscì a non sorridere, seriamente divertita da quello scontro che stava avvenendo nella sua testa. Trovava ironico vedere come la maledizione avesse stravolto fino a quel modo la personalità di Laya, come avesse distrutto tutto i suoi punti saldi. 
-Si, si lo è-
Con quella risposta non riuscì a guardare in viso l’altra, persa com’era nella sua versione originale. Sentiva la necessità di cambiare argomento, di allontanare entrambe dal fulcro della sua precedente vita. 
-Da quanto sei fidanzata con Jonas? -
Vedere Hannah arrossire di colpo nel sentir nominare il ragazzo, le strinse lo stomaco tanto da costringerla a tenersi la pancia, ma quanto meno le lasciava la forza di respirare. 
-Oh, noi siamo praticamente cresciuti insieme, giocavamo alla mia fattoria da bambini- 
Alexis fece particolare fatica ad immaginarlo, ricordava come il padre di Laya avesse raccontato, una delle tante sere che era rimasta a cena, di come sua figlia fosse impossibile anche da bambina. Di come somigliasse ad una piccola despota anche in giovane età. 
-Quindi da che ne hai memoria-
Hannah annuì convinta e felice. La sua spensieratezza era devastante, sembrava essere una ragazzina di massimo diciott’anni piuttosto che una donna di ventisette. Le sembrò assurdo che in quella dimensione sua madre e la sua ragazza avessero la stessa età-
-E tu? Hai una persona speciale con cui dividere la tua vita? –
Alexis non riuscì ad evitare di sorridere ed arrossire. Laya le faceva quell’effetto, sempre.
-Si, c’è una persona per la quale farei qualsiasi cosa. Una persona che amo alla follia- parlò guardandola dritta negli occhi.
Hannah non poté evitare il brivido che avvertì lungo la schiena. Fu tanto intenso da metterla in imbarazzo e obbligarla a cambiare argomento.
-Come occupi le tue giornate? -
“Ottima domanda!” Pensò Alexis. Avrebbe potuto dirle che frequentava l’università, o meglio, ci stava penando prima che scoppiasse il pandemonio a casa sua. Oppure poteva dirle che di recente la sua nuova occupazione era cercare l’amore della sua vita rinchiuso in una sorta di contadinella un po’ infantile. Col senno di poi, insultarla non era esattamente la cosa più intelligente da fare.
-Io... cerco cose-
Sul suo viso nascere una smorfia fin troppo evidente, non aveva idea di cosa dovesse stare a significare quella frase. Ma Hannah scoppiò a ridere, che fosse per le sue parole o per la sua faccia non lo sapeva. 
-Allora dovresti andare dal signor Gold, lui ha un numero indecifrabile di cose-
La più piccola alzò di scatto gli occhi dal suo caffè, colta da una rivelazione improvvisa. Non ci aveva riflettuto, non ci aveva minimamente pensato, ma Gold in quel mondo era l’Oscuro. Non che non lo fosse anche a casa sua, ma lì era ancora un essere menefreghista e interessato solo al suo guadagno, se avesse offerto qualcosa di succulento l’avrebbe senza ombra di dubbio aiutata. Balzò in piedi, scolò tutto il caffè e recuperò la giacca.
-Sei un genio! Grazie! -
Fece il giro del tavolo per baciare Hannah su una guancia, la scarica che le arrivò di rimando fu estremamente forte.
-Ti devo un favore enorme, anzi ti offro una cena. Prendi tutto quello che vuoi per la tua colazione e fallo mettere sul mio conto! -
Camminava all’indietro mentre le parlava, preda della foga che sentiva crescerle nel petto. 
-Figurati, per così poco- balbettò. 
Hannah non aveva compreso assolutamente nulla di quello che stava accadendo, ma la sua cortesia le impose di rispondere a quel modo. 
-Ciao! -
Alexis prese a correre come una matta per arrivare al negozio di Gold, le sembrò incredibilmente lontano nonostante fosse solo a pochi isolati di distanza. Conosceva a memoria la strada, aveva percorso quegli stessi passi così tante volto da quando era nata, che non aveva nemmeno bisogno di guardare la strada sotto le suole delle scarpe. Andò a sbattere contro numerose persone, contro auto ma non se ne curò. Corse a perdifiato fino a quando il banco dei pegni non apparve alla sua vista. Riprese fiato, si sistemò la giacca addosso E strinse tra le dita la sua arpa. Aveva bisogno di tutto l’autocontrollo di cui era capace. Ricordava cosa le avevano raccontato i suoi genitori circa ciò che era il signor Gold prima di Belle e Gideon, doveva prestare la massima attenzione a come si muoveva e a come usava le parole. Lui era sempre stato un abile paroliere. Si avvicinò alla porta e la spinse con calma, si sorprese di vedere la sua mano tremare. La campanella tintinnò, richiamando il padrone di casa. Il negozio non era cambiato di una virgola, alcuni oggetti li riconobbe perché presenti anche dopo venticinque anni. Altri invece, ormai avevano cambiato dimora e tra questi la colpì una serie di unicorni tenuti penzoloni da fili invisibili, solo uno di questi era spezzato.  A casa sua ve ne ora uno identico, o forse era lo stesso. Era stato appeso nella sua culla, nel suo passeggino, nel suo box e nella sua stanza. Ed era ancora lì.  Sua madre le aveva raccontato che era destinato a lei, che sua nonna lo avesse fatto fare per celebrare la nascita di Emma. Ma poi le cose erano andate diversamente. Sentì un tepore nel cuore lenire di poco le infinite crepe che lo dardeggiavano. Lo sfiorò con le dita lasciandolo tintinnare appena.
-Interessante scelta- 
La voce del signor Gold alle sue spalle la fece sobbalzare e ritirare la mano velocemente. L’uomo era vestito nel suo solito modo elegante, non era invecchiato di un solo giorno né cambiato se non per il taglio di capelli. Le sorrise in quel suo modo viscido e con quell’aria di superiorità. Aveva sempre odiato quel ghigno sulla sua faccia, anche quando cercava di essere gentile con lei per far felice il figlio. Prese un bel respiro e si avvicinò al bancone.
-Signor Gold, mi serve il suo aiuto-
-Ha un pezzo d’antiquariato da vendere, signorina? -
Alexis si sentiva stranamente in ansia, il cuore le batteva nel petto come un matto.
-No, ho bisogno di qualcosa per comunicare con un altro mondo e di una qualsiasi cosa lei possa fornirmi per risvegliare una sola persona dalla maledizione-
Le importava solo di Laya, il resto di Storybrooke poteva restare in quella sorta di limbo per i prossimi cinquant’anni per quanto la riguardava. Sapeva perfettamente che non fosse conforme agli insegnamenti impartiti dalla sua famiglia, ma non gliene importava nulla. 
-Il piccolo Henry Mills ha contagiato anche lei? -
-Il nanerottolo non c’entra nulla, io so della maledizione e so che lei è sveglio, Rumpelstiltskin-
Il Signor Gold apparve colpito dal modo in cui la giovane lo aveva chiamato, a parte Regina, nessuno sapeva chi lui fosse e che la maledizione non avesse attecchito sulla sua persona. 
-Posso chiedere il suo nome, considerando che conosce il mio? -
La ragazza ci pensò a lungo, quell’uomo era astuto nell’utilizzare i nomi a suo piacimento, ma constatò che se voleva venir a capo di qualcosa doveva offrirgli un minimo di fiducia. 
-Alexis-
-Solo Alexis? -
-Le basterà-
Gold sorrise, riconoscendo la scaltrezza della persona che aveva di fronte. 
-Bene signorina Alexis, cosa può mai offrirmi in cambio di ciò che mi ha richiesto? Ipotizzando che io voglia considerare la sua offerta-
-Belle
 

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Capitolo 6
*** 6 ***


***La storia sta entrando nel vivo e mi piacerebbe sapere se state gradendo l’evoluzione della trama.
Inoltre vorrei ringraziare chiunque sia arrivato qui, grazie davvero.
Ho voluto scrivere queste poche righe proprio su questo capitolo, perché lo ritengo un punto di svolta e spero piaccia anche a voi. Ho tessuto questa storia con davvero tanto tanto impegno e spero questo si percepisca tra le righe.
Grazie ancora e spero che arriviate alla fine di questo racconto!
Un affettuoso saluto,
NbM***
 
 
Regina non poteva non ripensare alla giornata appena trascorsa mentre si avviava verso la camera da letto dal bagno. Aveva dovuto leccare le nuove ferite e controllare che le vecchie non perdessero troppo sangue. Emma, il volto verso la finestra, sembrava dormire già da un pezzo, ma lei sapeva che era sveglia. Semplicemente non aveva voglia di parlare, nessuna delle due ne aveva. Era stata una giornata come tante fino all’ora di pranzo; la sveglia era suonata, aveva preparato la colazione ad Emma, si era vestita e si era recata in municipio dove aveva passato la mattinata a cercare di concentrarsi sulla nuova struttura per l’abbellimento della piazza in vista del Natale. Mancava ancora diverso tempo, ma era suo compito occuparsi tempestivamente della cosa. Eppure la sua mente non riusciva a staccare lo sguardo dai brillanti occhi verdi che le sorridevano dalla cornice. Sua moglie e sua figlia, una vicina all’altra, ridevano tra lo loro ignare dell’obiettivo. Regina ricordava alla perfezione la sorpresa nei loro sguardi gemelli quando aveva richiamato la loro attenzione per scattare la foto. Si era sforzata al massimo delle sue forze per concentrarsi sul lavoro ma le due erano una distrazione troppo forte, quasi al pari della mancanza che avevano lasciato nel suo cuore. L’assenza di Alexis stava diventando sempre più una brutale realtà in cui era difficile vivere, ma l’allontanamento di Emma la distruggeva dall’interno. Era sempre più difficile riuscire a parlare con sua moglie, finivano puntualmente per discutere circa quisquilie e arrivavano a liti per la loro bambina. Era capitato troppo spesso che Emma andasse alla centrale molto prima dell’orario di lavoro e Regina era stanca si svegliarsi in un letto freddo e vuoto. Aveva sempre creduto che niente si sarebbe frapposto tra lei e l’altra, che Emma sarebbe stata davvero colei che l’avrebbe salvata per tutta la vita. Invece si ritrovavano a temere l’ora della cena e ad obbligarsi a perdonare parole sconvenienti e dure. Le loro anime erano ormami ricoperte di lividi che non accennavano a diventare giallognoli e in via di guarigione. Le sembrò quasi di vederli mentre si infilava sotto le coperte, sentiva la pelle dolerle mentre abbracciava le spalle di sua moglie.
-Emma? -
La donna finse di dormire per qualche secondo, ma vi riuscì solo fino a quando la presa di Regina non aumentò. Si voltò tra le braccia dell’altra fermandosi ad un respiro dal suo viso. 
-Emma dobbiamo parlare di quanto accaduto oggi, non possiamo ignorarlo-
La bionda si tirò a sedere sul materasso passandosi diverse volte le mani tra i capelli.
-È stato solo un attacco, Regina. Come tutti quelli che ci sono stati negli ultimi mesi-
L’altra la imitò arrivando al suo livello e accomodandosi sui talloni.
-Non è così e lo sai anche tu! Sapevano dei fagioli magici, del portale che abbiamo aperto e di Alexis. Stanno tentando di aprire un nuovo passaggio per il luogo dove è finita Laya, sarebbe da folli ignorarlo-
Emma scattò in piedi come una molla, esasperata dalle poche parole che aveva appena ascoltato.
-Regina non è successo nulla di diverso! Cercano un portale da quando sono arrivati qui ed è ovvio che siano curiosi di capire come abbiamo mandato Lex chissà dove, che cazzo cerchiamo di essere razionali! -
Aveva urlato e non se ne era nemmeno resa conto, era tornata, per un solo istante, l’orfana arrabbiata con il mondo che attacca per difendersi. 
-Possibile che tu non sia in pensiero per nostra figl... -
-Sono terrorizzata, quante altre volte dovrò dirtelo! -
Anche Regina fu costretta a tirarsi su, non riusciva più a restare ferma sul materasso. Sentiva il fiume di parole prenderle a picconate la gola, pronte a ferire Emma per l’ennesima volta. Pronte ad attaccare come ciechi soldati che non vedono di star sparando dalla stessa parte della trincea. 
-Beh non ne hai il diritto! Io ho provato a difenderla, io volevo che restasse qui e non chissà dove, Emma. IO! -
I muri del 108 di Mifflin Street tremarono pericolosamente, della polvere si depositò sull’immacolato parquet. 
-E allora perché mi hai aiutata ad aprire il portale? -
Emma era scattata in piedi. Sentiva che il suo corpo necessitava di movimento, esattamente come quello di Regina.
-Perché mi ci avete costretta, voi due siete impossibili quando vi mettete qualcosa in testa-
La bionda sgranò gli occhi, incredula a quelle parole. Dunque era questo che Regina pensava, che fosse colpa sua.
-Avresti preferito che Lex impazzisse? Che restasse un corpo vivo e vuoto? Avresti voluto che nostra figlia si strappasse ancora il cuore dal petto?! –
A quelle parola la bruna si gettò nel verde di sua moglie, inorridendo a quel ricordo ancora troppo nitido nella sua memoria. Una ferita profondamente infetta e pulsante.
-Avrei voluto che fosse al sicuro- sussurrò.
-Ebbene non lo era! Si stava lentamente uccidendo Regina e noi le stavamo dando una mano ostinandoci a volerla salvare. Lex aveva bisogno di andar via, perché tu non lo capisci? -
Le due donne si guardarono per diversi attimi, momenti in cui incassarono e perdonarono quelle cattiverie gratuite e reciproche. Regina non pensava davvero ciò che aveva vomitato su Emma, sapeva benissimo che quella ragazza era tutto il loro mondo, eppure non era bastato per farla star zitta. Non era stato abbastanza per concederle una notte semplicemente al fianco di sua moglie. La situazione era oramai a caduta libera, qualsiasi evento era un’ottima scusante per discutere e l’attacco di quel pomeriggio non era da meno. Ciò che Emma non riusciva a comprendere, a suo avviso, era quanto continuassero a mettere costantemente Alexis in pericolo con la consapevolezza di non poterla comunque aiutare. E forse, era proprio quello a logorare ogni fibra di Regina. Non si era mai sentita impotente fino a quel modo, fino a guardarsi allo specchio e non capire il perché non stesse muovendo un dito. Era anche peggio di quando aveva dovuto arrendersi all’amore di Emma ed essere costretta a confessarlo, lo avrebbe fatto per altre mille vite. Avrebbe tenuto per sé quell’enorme sentimento che le faceva vibrare il cuore piuttosto che esser costretta a tenere le mani in tasca di fronte il pericolo in cui era sua figlia. Il suo pensiero la strangolò, obbligandola a cercare negli occhi della donna di fronte a lei quelli della ragazza. Vi trovò lo stesso identico sordo e cieco dolore che viveva nei suoi.
-Non riesco ad accettarlo, Emma. Tutto ciò che vedo è che abbiamo mandato Alexis nessuno sa dove, non puoi chiedermi di essere d’accordo. Abbiamo commesso un errore imperdonabile, nessuna giustificazione sarà mai abbastanza-
Emma si avvicinò alla moglie, allungando una mano verso di lei per consolarla. Ma Regina si tirò indietro, facendo un passo per allontanarsi da lei. La bionda sospirò, sconfitta.
-Vado a dormire sul divano-
Prese il suo cuscino, una coperta e lasciò la camera padronale. Ogni passo che faceva verso il suo nuovo e ormai quasi abituale giaciglio, l’allontanava dai singhiozzi di sua moglie e l’avvicinava a quella rabbia che dominava ormai la sua routine. Si accomodò sul divano, completamente priva di sonno, ma ormai anche a quello era abituata. Si alzò quindi nuovamente per recuperare il cellulare dalla giacca appesa accanto la porta d’ingresso. Scrisse un messaggio a sua madre e poi tornò al suo posto, distendendosi a cercare una qualche crepa inesistente nel soffitto che attirasse la sua attenzione.
 
Mary Margaret non diede all’apparecchio nemmeno il tempo di finire di vibrare che lo stringeva già tra le dita. Un messaggio di Emma.
“Dobbiamo distruggere il maledetto cigno e quel folle. Ne va della salvezza di tutta la famiglia”
 
Lo sguardo del signor Gold brillò solo per qualche istate, quel tanto che bastò ad Alexis a capire che aveva fatto centro. L’uomo la guardò cercando di capire a cosa alludesse la ragazza e quanto realmente sapesse circa Belle. Mantenne comunque la sua compostezza, non lasciando trapelare nulla di quanto sospettasse.
-E’ solo un nome, perché dovrebbe interessarmi? –
La ragazza si aspettava una risposta del genere e aveva previsto quel tipo di resistenza. 
-Io la conosco, Signor Gold, e se lei aiuterà me io aiuterò lei-
Rumplestiltskin serrò le dita sul suo bastone da passeggio, il crocevia di fronte al quale la ragazza lo aveva messo era difficile da superare.
-Ipotizziamo che io possa aiutarla con il suo problema di comunicazione, cosa ne ricavo? -
-So dove Regina la tiene nascosta-
L’uomo tergiversò ancora qualche attimo, Alexis poteva quasi vedere il suo sguardo frugare al suo interno alla ricerca della verità. 
-Faccia strada- propose con il suo sorriso viscido.
-Mi dia ciò che mi occorre e la porterò da Belle-
-Mi porti da Belle e le darò ciò che le accorre, signorina Alexis-
Si guardarono negli occhi in attesa di un segno. Nonostante conoscesse il Signor Gold da tutta la vita, non si era mai trovata a suo agio con lui. Complici innumerevoli racconti della sua famiglia, non aveva mai visto l’uomo come il padre esemplare che decantava Gideon. In quel mondo poi, era l’Oscuro Signore. Si sentì indifesa sotto il suo sguardo sicuro, i muscoli le si irrigidirono e la mente cercava disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi per riuscire ad attenere qualcosa di valido. Sospirò sentendosi sconfitta.
-Abbiamo un accordo? - domandò tendendo la mano.
L’altro la strinse compiaciuto indicandole la porta d’ingresso.
“Se mia madre sapesse che ho stretto un accordo con te...”
Non poté evitare quel pensiero, era certa che Regina le avrebbe fatto una ramanzina infinita su quanto stupida fosse stata quella decisione. Ed era d’accordo, probabilmente tra la molteplicità di stupidaggini che aveva fatto nella sua vita, e ne aveva fatte parecchie, quella era la peggiore. Rubare il maggiolino di sua madre, entrare di nascosto nella cripta, usare la magia per ritrovarsi in camera una quantità sproporzionata di pizza, erano state burle al confronto. 
Uscire dal negozio fu rigenerante, aveva sempre trovato che quel luogo risucchiasse l’aria nei polmoni. Gideon aveva sempre scherzato dicendole che era perché solo un Gold poteva starci a suo agio, cominciava a credere che fosse vero.
-Prego, si accomodi- 
Rumplestiltskin indicò con una mano la portiera della sua auto, ma Alexis non era poi tanto propensa ad entrarci. Il panico l’assaliva anche quando era il suo migliore amico a guidarla, figurarsi con il signore oscuro accanto. Quel veicolo sembra urlare “male” da ogni lamina.
-Non potremmo andare a piedi? -
-Un uomo nelle mie condizioni avrebbe dei problemi, non trova? -
Alexis sbuffò con davvero poca grazia, una perfetta espressione alla Emma Swan. Stava per mettere la mano sulla maniglia quando sentì l’arpa bruciare e il chiamare da lontano dalla sua voce inconfondibile. Si voltò, confusa dall’allarmismo nel tono di Hannah.
-Hannah, che succede? –
-Non lo hai saputo? Il piccolo Henry Mills è caduto nelle miniere! -
Alexis strabuzzò gli occhi, cosa diavolo ci era andato a fare il nanerottolo nelle miniere? La preoccupazione negli occhi di Hannah era palese, il fiatone le fece capire che stava correndo sul posto per fare qualcosa.
-Devi venire, tu e lui siate amici-
La ragazza non aveva idea di cosa avesse fatto credere all’altro che lei e il bambino fossero amici o anche solo confidenti, ma la preoccupazione che vide in quei pozzi neri non riuscì ad evitarla. Pochissime volte aveva potuto ammirare quello sguardo sul volto di Laya e, per quanto irreale, voleva conservarlo nella sua memoria. Darle una risposta negativa le fu impossibile.
-Scusi Signor Gold, riprenderemo domani. È una promessa-
Non diede tempo all’uomo di rispondere e corse dietro Hannah. Non seppe identificare quella sensazione che le stava invadendo il petto, ma era fin troppo simile a quella che provava quando si svegliava nel cuore della notte urlando il nome di Laya. Le parve totalmente assurdo che quel bambino si fosse infilato nelle miniere, non aveva alcun senso. Nemmeno più i nani le frequentavano poi tanto. Corsero con le dita incrociate, Hannah nemmeno se ne rese conto, ma il cuore di Alexis non smetteva un attimo di scoppiare.
Arrivate sul posto vi trovarono tutta la cittadina, ognuno di loro in pensiero per il piccolo Henry. La ragazza perse un secondo di troppo ad osservare il volto terrorizzato di Regina, una mano sulle labbra e una al petto. Il suo stomaco non poté fare a meno di stringersi. Emma discuteva con lo sceriffo circa il da farsi mentre altri addetti ai lavori preparavano ciò che sarebbe potuto servire. Era già stata creata un’entrata, c’era da discutere solo il modo opportuno per sfruttarla.
-Poverino, sarà spaventatissimo- piagnucolò Hannah.
Era stata raggiunta da Jonas che ora la teneva stretta al suo petto. La nausea non tardò molto a farsi sentire. Il giorno in cui Laya si fosse svegliata sarebbe stato sempre troppo tardi, l’immagine di quei due incollati era qualcosa che riusciva a turbarla nel profondo. 
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per mettersi tra i due, per strappare via quell’espressione preoccupata dal volto di sua madre. E nonostante non volesse ammetterlo con sé stessa, avrebbe voluto salvare anche Henry. E fu quel pensiero a rendere tutto incredibilmente chiaro. Seppe esattamente cosa fare senza più esitazione. Sfilò la giacca consegnandola ad Hannah, un gesto che per lei fu completamente normale e abituale. La ragazza la guardò per qualche secondo confusa, ma poi comprese.
-Che vuoi fare? – le chiese fermandola per un braccio.
-Vado a riprendere il nanerottolo-
-Sei impazzita? È pericoloso! –
-Tranquilla, so quello che faccio-
Le riservò il sorriso più gentile ed amorevole che aveva, un sorriso che era sempre stato destinato a Laya.
Si avvicinò dunque ad Emma e Regina, sicura nei suoi passi e nella postura. Ascoltò qualche secondo ciò che i soccorritori dicevano allo sceriffo, stando ben attenta a tutte le informazioni che potevano variare dalla sua realtà.
-Ok, preparate tutto. Scendo a prenderlo- Propose Emma.
Si intromise allora il Dottor Hopper sostenendo che avesse una gran parte di colpa per quella situazione in cui il bambino versava. Alexis non capì a cosa si riferissero e nemmeno le interessava, era qualcosa di troppo distante dalla sua realtà.
-Ci vado io-
Diversi paia di occhi si posarono interrogativi su di lei.
-Lei chi sarebbe? – le domandò Regina.
-Ascoltate, so cosa fare. Sono già stata lì sotto-
Lo sguardo del Sindaco si fece di fuoco, incerta se inorridire al fatto che qualcuno fosse già sceso nelle miniere o che una perfetta sconosciuta si offrisse di salvare suo figlio.  
-Alexis non è il momento di giocare ai supereroi- l’ammonì il vicesceriffo.
-Non è mia intenzione, Emma. So quello che faccio, so cosa troverò lì sotto e so cosa mi aspetta. Qualcuno di voi può dire lo stesso? –
Il silenzio regnò sovrano tra tutti i presenti e per quanto ognuno fosse riluttante a quell’idea, nessuno riuscì ad opporsi. La vita di Henry era cara a tutti.
-Sei sicura? – le chiese ancora Emma.
La ragazza annuì, poi le toccò attendere il responso di Regina. Non sembrava affatto felice di lasciarsi aiutare da qualcuno che non solo non conosceva, ma non aveva idea di quale suddito si trattasse. Poteva vedere nei suoi occhi il fuoco bruciare vivo e la vena al centro della fronte gonfia.
Se solo avesse potuto conoscere la verità…
Emma tornò a prestarle tutta la sua attenzione, illustrandole come muoversi con l’imbracatura e cosa fare una volta scesa. Quindi la preparò cercando di convincerla a vestire abiti adatti, ricevendo solo risposte negative. Alexis sapeva essere una gran testarda e quello non era ancora ben chiaro da quale ramo della famiglia avesse ereditato quella caratteristica. Per cui, accettò di indossare solo l’imbracatura e nulla più, restando in abiti consueti.
Iniziò la sua discesa con sicurezza, certa di dove mettere mani e piedi. Era molto più facile rispetto a quando ci si era avventurata da ragazzina. Aveva solo dodici anni e la voglia di esplorare ed essere un’avventuriera come sua nonna. Adesso, a distanza di quasi otto anni, tornava laggiù per salvare un quasi sconosciuto.
-Nanerottolo mi senti? –
Henry si avvicinò all’apertura della miniera, strizzando appena gli occhi per la luce che entrava.
-Alexis? Che ci fai tu qui? –
La ragazza attese di toccare terra con i piedi prima di rispondergli. Una volta giù, levò l’imbracatura e si posizionò di fronte il bambino. Aveva la faccia e i capelli sporchi di polvere, ma sembrava star bene. Tra le mani stringeva il suo libro di fiabe.
-Cosa ci fai tu qui. Non avevi un parco giochi in giocare? -
Henry mise il broncio, gli occhi gli si riempirono di lacrime ed Alexis si sentì terribilmente in colpa. 
-Perché sei venuta tu? Che cosa vuoi? –
-Senti nanerottolo … -
-Non chiamarmi così! Io mi chiamo Henry, Henry Mills! –
Rivedeva tanto di sé stessa in quel bambino, anche se continuava a considerarlo un curioso scherzo di una realtà diversa. Il modo di infervorarsi per un soprannome che non gli andava a genio, la voglia di dimostrare qualcosa agli altri e l’ostinatezza a voler trovare a tutti i costi una prova per farlo. Dopotutto, erano più simili di quanto volesse accettare.
-Sai, anche a casa mia mi chiamano con un nomignolo che odio. Vedilo come un segno di affetto- gli sorrise sincera. 
Ma il bambino titubò, ostinandosi a tenere lo sguardo verso una parete della miniera. 
-Henry, perché sei venuto quaggiù? È pericoloso- 
Si sorprese nel sentirsi dire quelle parole, erano le stesse che avevano rivolto a lei nella stessa occasione. Il tono però, era molto diverso. Lei era stata calma e composta, sua madre aveva dato di matto asserendo che le miniere erano state progettate dalla maledizioni per non essere utilizzate. Non era affatto consono che lei vi scendesse per giocarci.
-Dovevo trovare delle prove-
Lo sguardo del bambino era sempre basso, quindi Alexis decise che era meglio mettersi al suo livello. Si accomodò di fronte a lui, gambe indiano e gomiti sulle ginocchia. 
-Prove di cosa? -
-Della maledizione! Nessuno mi crede, nemmeno tu! -
Alexis rimase di sasso. Eppure ricordava di avergli detto di credergli, ne era più che certa. Ma poi, di nuovo, vide quella somigliava che intercorreva tra loro. Dichiarare di credere a qualcuno e farlo realmente, erano due concetti diametralmente opposti e questo lo sapeva fin troppo bene. Innumerevoli volte le era capitato quando era bambina e finiva col combinare qualche danno con Leo e Gideon. Diceva di essere innocente, ed era la verità, ma le sue madri fingevano solo di crederle. Vide perfettamente nitido avanti gli occhi ciò che Henry provava. 
-Io ti credo, sul serio-
Ma il bambino non era affatto disposto a prender per buone quelle parole, non dopo tutte le false speranza che aveva avuto. Sospirò, consapevole che avrebbe dovuto offrirgli qualcosa in più di qualche parola di circostanza. 
-Se ti dico un segreto, mi prometti che non lo dirai a nessuno? -
Henry annuì con forza.
-Nanerottolo è una cosa seria, non dovrai proferire parole nemmeno con Emma o chiunque altro ti salti in mente-
Ancora una volta il ragazzino annuì, giurando e spergiurando che non avrebbe detto assolutamente nulla. Per Alexis fu difficile fidarsi, aveva pur sempre i geni di SnowWhite. Lei stessa era incapace di tenere la bocca chiusa.
-Credo alla maledizione perché l’ho già affrontata, o meglio, i miei genitori. Sono nata e cresciuta a Storybrooke, ma la mia realtà è avanti di venticinque anni-
Henry strabuzzò gli occhi, sconvolto ed eccitato al tempo stesso per quelle parole. Stava veramente parlando con una persone che veniva dal futuro? Proprio come i suoi fumetti!
-Dici sul serio? Tu vieni dal futuro? –
Alexis non poté non sorridere di fronte lo sguardo brillante di Henry. Nelle sue iridi, ritrovò tutto l’entusiasmo di un bambino di undici anni che vede le sue fantasie avverarsi.
-Si, nanerottolo. Dico sul serio-
Il bambino aggrottò la fronte, pensieroso.
-E che cosa ci fai qui? –
Alexis sospirò ancora, avvertendo tutto il dolore che quella conversazione stava portando a galla. Strinse le labbra, e implorò il suo stomaco di tentare in tutti i modi possibili di essere forte. Si aggrappò all’arpa come fosse l’unica ancora di salvezza in mezzo all’oceano.
-Devo risvegliare una persona dalla maledizione. Lei è del mio mondo, è finita qui per errore-
-Come è successo? –
Gli occhi le si riempirono di lacrime, le immagini di Laya mentre cadeva nel portale le invasero la mente senza preoccuparsi della sua sofferenza.
 -LAYA!-
I suoi occhi scuri la fissarono terrorizzati mentre il corpo venne risucchiato in quel vortice di luce. Chiamò il suo nome, tese le mani alla ricerca di un appiglio che non trovò.
Poi scomparve.
No!
Non poteva assolutamente permetterlo, non in quel momento. Doveva riportare Henry in superficie ed allontanarsi il prima possibile da quell’imbuto di ricordi e pugnalate.
-Ne riparliamo, ora che ne dici di tornare in superficie? Tua madre è terrorizzata-
Henry annuì, facendo per alzarsi. Alexis lo fece aggrappare alle sue spalle, rinfilò l’imbracatura che avrebbe dovuto sostenere entrambi, e riprese la sua scalata. Fu semplice grazie alla corda che faceva la metà del lavoro e ne fu estremamente grata. La sua mente esigeva di viaggiare nel passato, flagellandosi ancora alla vista di Laya che spariva nel portale. Quello fu un enorme errore, non badò troppo a dove metteva mani e piedi finendo per aggrapparsi ad uno spuntone instabile. Le sfuggì la presa sulla roccia, finendo per scivolare di diversi metri verso terra. Henry e il resto della cittadina urlarono per lo spavento, aiutandola a tornare con la testa nella situazione in cui si trovava.
-Sta tranquillo! Va tutto bene-
Cercò di tranquillizzare il bambino, chiedendogli di non muoversi troppo e restare ben aggrappato alle sue spalle.
-Alexis, state bene? – le urlò Emma dalla superficie.
La ragazza fece il punto della situazione prima di rispondere; il ragazzino stava benone, quanto a lei, aveva riportato solo qualche graffio. Sentiva nitidamente del sangue scorrere tra le dita della mano sinistra e dalla faccia, ma era abbastanza certa non fosse nulla di grave.
-Si, arriviamo! –
Prese un paio di respiri profondi, poi riprese a salire. L’imbracatura, per quanto utile, le impediva movimenti fluidi. Non era il giusto utilizzo, avrebbe dovuto far presa con i piedi e lasciarsi tirare su.
-Mi dispiace, Alexis. Non volevo metterti in pericolo-
-Tranquillo nanerottolo, ho affrontato di peggio-
Henry nascose il viso tra i capelli della ragazza, sentendosi profondamente in colpa per quella situazione difficile. Si impegnò per restare il più immobile possibile e darle meno fastidio. Tirò fuori la faccia solo quando un paio di braccia lo tirarono fuori e l’odore buono di sua madre l’avvolse.
Alexis si arrampicò fuori dalle miniera, solo quando l’aria fresca e pulita la investì si concesse di stendersi in terra e respirare a pieni polmoni. Voltò appena la testa verso Henry e Regina, trovandoli avvolti in un abbraccio sincero. Ne sorrise, immaginando sé stessa al posto del bambino.
-Complimenti-
Tornò a guardare d’avanti a sé, andando a sbattere contro gli occhi verdi di sua madre. La donna le tese una mano, per aiutarla a tirarsi su.
-Va a farti medicare- le disse.
Il sorriso che vide sul volto di Emma lo conosceva bene, lo aveva visto tante volte a casa sua. Era l’espressione da “sono fiera di te”.
-Lex! -   
Ebbe appena il tempo di voltarsi verso la sua interlocutrice, che si trovò investita dal corpo di Hannah. La ragazza l’abbracciò forte, impregnando l’aria del suo odore e della sua asfissiante presenza. Il cuore prese a batterle all’impazzata nel petto levandole il respiro. Erano sei mesi e undici giorni che non abbracciava Laya, sei mesi e undici giorni che non ne sentiva la presenza addosso e le mani sul corpo. Aspettò che lo stomaco si rivoltasse, che urlasse contro tutta quella finzione e che esplodesse. Ma non si mosse nulla.
-Santo cielo, sei ferita-
Quando si staccò, non ci provò nemmeno ad evitare i suoi occhi. Ci si buttò volutamente a capofitto, fregandosene del dolore, della sofferenza, delle pugnalate, del sale sulle ferite e dell’infezione che viveva al di sotto della pelle.
Aveva bisogna di quella dose di masochismo, aveva bisogno di sentire dentro quel vuoto che ormai solo Laya sapeva riempire e svuotare. Aveva bisogno, anche se per un attimo totalmente effimero, di ritrovarsi accanto a Laya.
Hannah le passò appena le dita sulla ferita all’altezza della guancia, esaminandola con sguardo attento.
-Non… non è niente-
Le sue parole furono poco meno di un sospiro, dubitò anche l’avesse sentita. Dubitò anche avesse effettivamente risposto alla sua domanda.
-Ci penso io-
Hannah si allontanò di corsa da lei per prendere qualcosa con cui medicarla. Riuscì a racimolare del disinfettante, delle garze e qualche cerotto. Tornò da lei con tutto l’occorrente, le ordinò di accomodarsi in terra e restare immobile mentre lei passava la garza sulla parte lesa. Le pulì prima la mano, avvolgendola poi in una benda pulita, poi passò al viso.
-Sto bene, non serve-
Ma la ragazza non volle sentire ragioni.
-Sei stata davvero coraggiosa- le disse mentre tamponava il taglio sulla guancia.
Alexis deglutì, sentendosi in imbarazzo come al primo appuntamento e tirandosi in piedi, fosse solo per far qualcosa per ammazzare il disagio.
-Lo avrebbe fatto chiunque-
-Eppure ti ci sei calata solo tu in quella miniera-
I loro sguardi si legarono per qualche secondo, un attimo in cui vissero da sole al di fuori di ogni altro mondo. Alexis ritrovò passate emozioni che credeva fossero morte, che il suo cuore aveva smesso di provare. Hannah invece, si ritrovò smarrita e incapace di spiegarsi perché quella ragazza avesse scatenato un’emozione tanto forte. Si sentiva incredibilmente vicina e legata all’altra, nonostante il loro rapporto fosse nato solo poco tempo prima.
-Alexis! –
Quel gioco di sguardi ed emozioni venne interrotto dalla voce di Henry che correva verso la ragazza. Le si gettò addosso stringendole i fianchi e nascondendo il viso contro la sua pancia. Alexis rimase immobile per diversi secondi, ancora stordita da ciò che c’era stato con Hannah. Poi poggiò le mani sulla schiena del bambino, fino ad abbracciarlo. Fu strano, era come abbracciare uno di famiglia. Ci rifletté, loro avevano le stesse madri. Infondo, erano parenti. Gli accarezzò i capelli affondandoci le dita dentro, non riuscendo a smettere di sorridere e di sentirsi a casa. Anche solo per un attimo.
-Grazie-
Gli occhi di Henry brillavano e Alexis seppe con certezza che quei ringraziamenti non erano solo per averlo tirarlo fuori dalla miniera, ma anche per aver condiviso con lui qualcosa di estremamente grande e delicato.
-Deduco di doverla ringraziare, Signorina… -
Regina si era avvicinata con il suo inconfondibile passo elegante e sicuro, stretta nel suo tailleur scuro. La ragazza fu obbligata ad avvicinarsi, nonostante Henry le fosse ancora addosso.
-Agnès e non serve Signor Sindaco. Lo avrebbe fatto chiunque per suo figlio-
Il sopracciglio alzato della donna avrebbe fatto abbassare lo sguardo di chiunque in quella cittadina, ma non ad Alexis. Era abituata agli sguardi severi di sua madre.
-Vorrei ugualmente invitarla a cena. Questo venerdì? –
Diversi visi rimasero sbigottiti, non era consuetudine che Regina Mills manifestasse gratitudine o gentilezza nei confronti di qualcuno.
-Davvero? – domandò Henry sconvolto.
La donna si abbassò all’altezza del bambino prima di parlargli.
-Ma certo mio piccolo principe- rispose con un sorriso smagliante.
Alexis si ritrovò incapaci di capire come comportarsi, sapeva che sua madre era capace di essere una gran manipolatrice e di cambiare ogni situazione. E lei, non poteva concedersi il lusso di farsi soggiogare. Eppure, rifiutare sarebbe stata una palese dichiarazione di guerra, quello lo sapeva fin troppo bene.
-Mi piacerebbe molto, Signor Sindaco. La ringrazio-
Le tese la mano, attendendo che l’altra la stringesse e quando questo avvenne la cittadina applaudì. Regina aveva ragione, quella gente sapeva essere così plebea.
-Allora a venerdì! –
-Certo, nanerottolo-
I due si salutarono, il bambino era incredibilmente felice mentre andava via stretto dalla madre.
-Quindi hai vinto una cena a casa Mills- la prese in giro Hannah.
Alexis le sorrise, chiedendosi come si potesse vincere una cena a casa propria. 
-Pensavo di offrirla a te una cena, se ti va-
Hannah arrossì violentemente. Provò a nasconderlo portandosi delle ciocche di capelli dietro l’orecchio destro. Quella visione la impresse nella sua mente, non aveva mai visto arrossire Laya in quattro anni. 
-Ecco...-
Stava per rispondere quando il braccio di Jonas le cinse i fianchi e lei sobbalzò. Aveva dimenticato la sua presenza.
-Di che si parla? - chiese il ragazzo.
Alexis gli avrebbe volentieri tirato un pugno sul naso, fosse solo per fargli levare le sue mani dal corpo di Laya. 
-Invitavo Alexis a cena con noi stasera-
-Oh mi sembra una splendida idea, Hannah-
La mora guardò speranzosa l’altra, moriva dalla voglia di conoscerla meglio. 
-Ti va, Lex? -
Alexis inghiottì un groppo di saliva, avrebbe accettato senza nessuna remora se non avesse avuto sotto gli occhi Jonas. Eppure, non era in grado di dir no. Non sarebbe mai riuscita a farlo di fronte a quegli occhi tanto magnetici e belli.
-Mi piacerebbe molto- rispose.
-Fantastico, ci vediamo alle sette al Grenny’s allora. Jonas prenderà entrambe-
Inorridì al pensiero di essere la terza in comodo tra i due, ma aveva bisogno di stare accanto ad Hannah. Quindi annuì.
 
Alexis non avrebbe mai pensato che in un solo giorno si sarebbe ritrovata dietro le sbarre sorvegliata da sua madre, avrebbe fatto un accordo con Rumpelstiltskin, salvato un bambino dalle miniere, avuto due inviti a cena e trovare ugualmente il tempo per cercare di salvare l’amore della sua vita. La vita di una qualsiasi diciannovenne! Quasi ventenne per l’esattezza.
Si alzò il colletto della giacca mentre tornava alla sua stanza per fare una doccia, aveva bisogno di gettarsi sotto l’acqua calda e rilassarsi un po’. Era stata sottoposta a fin troppe emozioni per quella giornata, ma non era ancora finita. Prima del suo meritato riposo, doveva passare al banco dei pegni del Signor Gold. Per cui camminò più svelta che poté, le gambe non avrebbero retto una corsa.
Entrò nel negozio facendo tintinnare la campanellina, i suoi occhi si fermarono un secondo di troppo sugli unicorni appesi. Pareva non esserci nessuno, quindi si concesse qualche attimo per guardarsi attorno di nuovo. I suoi piedi si mossero da soli verso uno scaffale e le mani non chiesero il permesso mentre apriva un piccolo portagioie. Al suo interno, vi trovò un’arpa identica alla sua. Gli occhi le si sgranarono per la sorpresa, incredula che potesse essere lì. La prese tra le mani analizzandola e non appena ci passò i polpastrelli sopra fu certa che era quella di Laya. Gliene diede la certezza la scarica di brividi dietro la schiena. Sarebbe rimasta ancora ad analizzarla, ma sentì il suono del bastone del proprietario, quindi la infilò in tasca. Gold fece la sua comparsa dopo pochi secondi, nel suo abito scuro e con l’eleganza che lo aveva sempre contraddistinto.
-L’eroina di Storybrooke nel mio umile negozio- l’accolse l’uomo.
-Andiamo a prendere Belle-
Alexis voleva passare il minor tempo possibile in compagnia dell’oscuro, la sua presenza le creava disagio nel suo mondo, dove era solo il padre del suo migliore amico, figurarsi in un luogo dove rappresentava tutto ciò che di perfido potesse esistere.
-Faccia strada, Signorina Alexis-
-Io e lei abbiamo un accordo, io le mostrerò dove Reg…-
L’uomo alzò una mano per fermarla, uno sguardo infastidito dalle parole della giovane interlocutrice.
-Non occorre che mi ricordi come gestire i miei accordi. Posso assicurarle di avere una certa esperienza in materia-
-Ne sono certa, tuttavia mi hanno insegnato a non fidarmi del Signore Oscuro-
Gold le rivolse un gelido sorriso. 
-Gliel’hanno mai detto che somiglia particolarmente al nostro nuovo vice Sceriffo? Ritrovo in lei la sua stessa arroganza oltre che una certa affinità fisica-
Alexis evitò di rispondere, si sarebbe tradita anche solo respirando.
Gold si allontanò da bancone e prese da uno scaffate un quaderno color bronzo dalla copertina in pelle. Si limitò a mostrarlo, come dimostrazione che avrebbe onorato la sua parte di piano.
-Tutto qui? Un block-notes? –
-Lei non mi sembra una persona che sottovaluta la magia, la pregherei di non farlo nemmeno adesso. Questo, è un oggetto di grande utilità se ben usato-
La ragazza ingoiò un groppo di saliva con eccessiva difficoltà. La sua mente aveva letto l’inganno da diverso tempo ma era stata ignorata, sopraffatta dalla voglia di contattare casa.
-Che intende dire? –
Poteva sentire il nervosismo strisciare tra i suoi tessuti ed insinuarsi nella sua razionalità.
-Che ha bisogno di un suo eguale. Occorre che la persona la quale cerca di contattare abbia un oggetto speculare a quello che io ho tra le mani. Crede sia possibile? -
-Certo, ne sono sicura-
Alexis non afferrò le intenzioni del Signor Gold, non era stata capace di leggere tra le parole dell’uomo il suo fine ultimo. Si era limitata ad ascoltare ciò che le aveva detto senza prestarvi la dovuta attenzione, rivelandogli molto di più di quanto Rumpelstiltskin avrebbe potuto immaginare. Per lui, quella era stata una palese dimostrazione che la ragazza provenisse da una Storybrooke parallela o qualcosa di simile. Ne era certo perché di quel quaderno ne esisteva un solo pezzo in tutto il mondo. Se la ragazza era certa ve ne fosse una seconda copia, doveva obbligatoriamente essere in suo possesso.
-Ottimo. Allora andiamo- le disse.
-Chiudiamo questa faccenda-
Gold fece strada fino alla sua auto, ma non si scomodò a far da galantuomo per lei. Viaggiarono per lo più in silenzio, interrotto solo dalle indicazioni di Alexis circa il luogo in cui arrivare. Le sembrava fin troppo assurdo che fosse lei la chiave della riconciliazione tra Belle e Gold, era a conoscenza di quanto i due avessero faticato per ritrovare il loro rapporto. Ma in quel momento aveva bisogno di forzare le tempistiche della storia, aveva bisogno di un contatto con casa sua. Non poteva averlo con Laya, ancora oppressa dai panni di Hannah, ma le mancava la sua famiglia. Non si era mia sentita così sola come in quei giorni in quella Storybrooke; aveva compresa fino in fondo quanto fossero preziose le ramanzina e le colazioni con le sue madri, gli abbracci stritolanti dei suoi nonni, le prese in giro di Leo e Gideon. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma non poteva permettere loro di venir giù.
-Siamo arrivati. Secondo piano interrato, stanza 32B-
Gold la guardò per qualche secondo, domandole silenziosamente la motivazione per la quale non andava con lui.
-Non posso farmi vedere lì-
Regina era assidua frequentatrice di quel posto, lo sapeva dai racconti della sua famigli circa i giorni della maledizione.
-L’aspetterò qui, non mi muoverò-
-Le conviene se vuole il quaderno-
La ragazza diede la sua parola e attese fuori, in silenzio. La sua mente spostò i pensieri sulla cena di quella sera. Cosa avrebbe indossato? Come avrebbe dovuto comportarsi? Sarebbe riuscita a non dare di stomaco alla presenza di Jonas? E Hannah, avrebbe retto averla così vicino e non poterla guadare più a lungo di un secondo? 
Sospirò, quasi in preda al panico. Laya viveva, respirava, amava e soffriva nel suo cuore. Qualunque cosa facesse non c’era che lei nella sua mente e in ogni sua parte, in quel mondo congelato che erano i suoi ricordi di Laya. Era lì sempre, ma quella sera avrebbe dovuto fare i conti con la sua controparte. Hannah Dolls era capace di crearle un indicibile tempesta emotiva che dirompeva nel petto. Non poteva non pensare a Laya mentre la guardava, mentre si perdeva nella sua oscurità. Ma poi Hannah si rivelava semplicemente sé stessa e tutto spariva, rigettandola nel pozzo dei ricordi. Cominciò a credere fosse stata un’enorme sciocchezza andare a quella cena, temeva di far qualcosa di sbagliato e rovinare quel poco che era riuscita a recuperare. Eppure, aveva bisogno della vicinanza della ragazza come l’ossigeno. Desiderava risentire quella forza che nasceva quando erano in contatto, o anche solo a pochi centimetri di distanza. Desiderava risentila su di sé, le sue mani e il loro avere un cuore in due. Ricordava ancora nitidamente quel suo modo assurdo di dirle che l’amava, che fosse speciale. Laya non era mai stata brava nell’esprimere i suoi sentimenti, a mostrare una parte nascosta di sé. Ma con lei lo aveva fatto, avevo messo a nudo ogni angolo della sua esistenza e aveva permesso ad Alexis di baciarne ogni linea. Sentì le guance umide e fredde sotto i colpi del vento, aveva tentato in ogni modo di non scoppiare in lacrime. Ma Laya le mancava, non poteva nasconderlo. Avrebbe voluto che fosse stata lei a correre a salvarla invece che il contrario, sarebbe stata più brava in tutto. Almeno lei l’avrebbe riportata a casa, tirandola via da quell’inverno troppo freddo e senza fine. Laya non si sarebbe aggrappata all’arpa pregando qualsiasi cosa che la riportasse magicamente indietro. Laya avrebbe lottato, con forza. Non si sarebbe rintanata in un angolo, piegata sulle ginocchia ed incapace di respirare, incapace di fermare i singhiozzi e di trovare nel suo cuore quella voce che urlava “andrà tutto bene”
“Mi dispiace, Lay. Ho paura, ho paura da morire”
I suoi pensieri furono spezzati dal rumore di qualcosa che cadde a terra ai suoi piedi. Alzò il capo di scatto, spaventata. Il quaderno che le era stato promesso era sull’asfalto ad attenderla, una penna accanto. Sollevò ancora lo sguardo, dall’alto la guardava il Signor Gold. Sorreggeva Belle, in uno stato pietoso e con solo un camice ospedaliero e il giaccone dell’uomo sulle spalle.
-Spero lei trovi della magia da qualche parte, altrimenti non funzionerà-
Annuì, capendo che era stata raggirata perché in quel mondo la magia non esisteva. Ma sperò ugualmente che quel poco che era riuscita a conservare grazie alle protezioni di Regina bastasse. Vide Rumpelstiltskin far strada alla futura moglie verso l’auto, ignorando la ragazza rannicchiata in terra.
-Signor Gold- lo richiamò.
Lui si limitò a rivolgerle uno sguardo innervosito e frettoloso.
-Farebbe meglio a chiamarla Lacey. Almeno fino a quando non si spezzerà la maledizione-
Si scambiarono un’ultima occhiata senza dire una sola parola.
Poi si separarono.
Alexis si concesse qualche secondo per riprendersi e tornare in sé. Afferrò il quaderno e corse verso il Grenny’s, c’erano così tante cose che voleva raccontare alle sue madri. Corse veloce, chiedendo un enorme sforzo al suo corpo. Le prese a far male la testa, ma non ci badò. Sperò solo che quell’oggetto funzionasse.
Una volta alla tavola calda, fu accolta da forti applausi e pacche sulla spalla. La stessa vedova Lucas non la guardò con l’aria da spietata cacciatrice, ma con riconoscenza e rispetto. Molti si congratularono con lei, parlandole di coraggio e forza. Ringraziò in imbarazzo, la metteva a disagio pensare che quelle stesse persona la chiamavano principessina a casa sua e l’avevano praticamente vista crescere. Si congedò con educazione, esternando la necessità di una doccia calda. Scappò in camera sua, si chiuse la porta alle spalle e gettò tutto sul letto. Aprì il quaderno e lo analizzò; non aveva righe all’interno, le pagine tendevano al giallo ed era vuoto. Prese la penna che le aveva lasciato Gold con le dita che le tremavano, si concentrò e canalizzò tutta la sua magia in quell’oggetto. Ma non accadde nulla. Tentò ancora, ricordando gli insegnamenti di sua madre e facendo leva su tutte le giuste motivazioni che aveva. Un lieve luccichio azzurro venne fuori solo dopo svariati tentativi, quando Alexis stava per cedere allo sconforto. Si affrettò a scrivere, temendo che il flusso si spezzasse
“Mamme,
Spero davvero riusciate a leggere queste parole. Non ho idea di come funzioni questo oggetto ma devo comunque tentare. Io sto bene, sono capitata in un’assurda Storybrooke del passato e diversa dalla nostra. Avete un figlio qui, ha undici anni, non ho ben chiaro come, ma a quanto pare Regina ha adottato il figlio di Emma. Ho praticamente un fratello! Si chiama Henry, è uno forte.
Quanto a voi due, beh diciamo che siete un po’ diverse da come vi conoscevo. Emma non crede nella magia e Regina ha davvero un caratteraccio, non che di solito sia particolarmente docile.
Ho trovato Laya, ma è vittima della maledizione. Non ha idea di chi io sia o chi sia lei, si fa chiamare Hannah. È difficile, fa un male cane, ma ce la farò. Torneremo a casa, promesso.
Spero di ricevere una vostra risposta.
Mi mancate da morire!
Vi voglio bene.
Lex”  
Rimase a guardare la sua grafia sul foglio, temendo di vederla sparire da un momento all’altro. Ma non successe, le sue parole restarono lì, immobili. Le accarezzò con le dita, pregando con tutto il cuore di trovare qualcuno dall’altra parte. Sarebbe stata la persona più felice del mondo se sotto il suo messaggio avesse ritrovato la calligrafia ordinata e precisa di Regina. Si sarebbe accontenta anche dei geroglifici di Emma, purché riuscisse a contattare la sua famiglia. Chiuse il quaderno, sospirò sonoramente trattenendo una nuova ondata di lacrime. Si spogliò rapida e si infilò sotto la doccia, certa che ci sarebbe rimasta per almeno mezz’ora.
 

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Capitolo 7
*** 7 ***


*Mi scuso per questo ritardo, ma il mio pc ha pensato bene di morire poco prima delle vacanze lasciandomi con l’ansia del “Oh no ho perso ben 5 capitoli già belli e pronti!”
Alla fine era tutto ok, ho solo perso forse 6 o 7 anni di vita!
Grazie per essere qui, vi aspetto ai prossimi capitoli(spero)!!
Un forte abbraccio!
NbM*
 
 
Regina era rannicchiata sul divano da non sapeva più quanto tempo, una coperta sulle gambe e il quaderno che le aveva consegnato Gideon tra le mani. Si era consumata gli occhi su quella pagina, a leggere e rileggere il messaggio di sua figlia e la sua risposta. Erano passate settantatré ore e ancora tutto taceva. I suoi nervi non erano mai stati più tesi, non riusciva a smettere di pensare a quali pericoli potesse incontrare sua figlia in una città dove lei era ancora la Evil Queen. Dove Emma non l’aveva ancora plasmata in Regina Mills, una madre esemplare e un sindaco giusto per la sua città. E il bambino di cui aveva parlato, poi. Come poteva essere possibile ciò che aveva raccontato, come poteva essere tutto così drasticamente diverso? Avrebbe voluto rivolgerle così tante domande. Ma Alexis non aveva più risposto e nelle mille notti insonni, era riuscita a darsi una spiegazione quantomeno razionale. Se la maledizione era attiva, non vi era magia. La ragazza avrebbe dovuto dar fondo alle sue sole capacità e ciò preoccupava parecchio Regina. Sua figlia aveva imparato da pochi anni ad usare la magia, non era ancora pronta per cavarsela da sola. Gli occhi le si riempirono di lacrime, i singhiozzi presero possesso della sua gola obbligandola a coprire la bocca con una mano. Avrebbe voluto trovare riparo tra le braccia di sua moglie, lasciarsi consolare da lei e trovare coraggio nel profumo della sua pelle. Ma Emma non c’era, non c’era da troppo tempo. Era andata via quella mattina molto presto e nonostante fosse sera tarda, non era ancora a casa. Non era ancora al suo fianco. E Regina era troppo stanca per chiamarla e cominciare un’ennesima lite. Per cui si limitò ad attenderne il ritorno, fosse solo per accertarsi che stesse bene. Attese minuti e ore, attese finché non divenne notte fonda.
Finché finalmente la porta di casa non si aprì con uno scatto.
Regina si alzò dal divano silenziosa, lasciando scivolare sul tappeto del salotto la coperta ma tenendo ben saldo il quaderno nella mano destra. Svoltò l’angolo della cucina osservando per qualche secondo Emma di spalle poggiata al piano cottura. Fece qualche lento passo verso di lei, finché sua moglie si voltò puntandole una pistola contro il viso.
-Emma! –
Le goti di Regina persero colore, gli occhi le si aprirono oltre modo. Emma gettò via la pistola come se fosse diventata di colpo incandescente.
-Santo cielo, che ci fai ancora in piedi? Ho rischiato di farti del male! –
-Aspettavo che tornassi, dove sei stata? –
Emma tentennò, certa che quello sarebbe stato l’inizio di una nuova notte insonne e carica di nervosismo. Dondolò sui talloni, pensando a quale impegno alla centrale avesse potuto tenerla fuori casa per più di diciotto ore.
-Sai cosa, non voglio saperlo. Lascia perdere- disse avviandosi verso la camera da letto.
-Regina, aspetta-
Ma la bruna fermò ogni forma di dialogo alzando una mano. Si voltò verso sua moglie, una maschera impenetrabile aveva preso possesso del suo viso.
-Non ci sono ancora notizie di Alexis-
Emma sembrò accorgersi solo in quel momento di ciò che le dita della donna stringevano. Da quando il quaderno era arrivato in casa loro, aveva avuto il privilegio di averlo tra le mani una sola volta. Poi Regina ne aveva fatto il suo inestimabile tesoro, custodendolo come una sacra reliquia.
-Almeno abbiamo qualcosa a cui aggrapparci, sappiamo che sta bene-
-Bene? –
Il tono di Regina era completamento alterato dalla rabbia, incredula che per Emma quelle semplici parole implicassero che la loro bambina stesse bene.
-Hai letto cosa ha scritto? È in una Storybrooke vittima della maledizione, con la Evil Queen divorata da rabbia e vendetta ed una Salvatrice inesistente! Come pensi che possa star bene? Come pensi che possa essere al sicuro? Maledizione Emma, aziona il cervello per cinque minuti-
La bionda la guardò fisso per pochi attimi, poi rise sarcastica.
-Volevo provare a essere di aiuto, ma tu non vuoi essere aiutata. Preferisci autocommiserarti e rintanarti nel tuo guscio di paura. Bene Regina, fallo pure, ma non trascinerai anche me. Sto facendo l’impossibile per provare ad essere forte e a regalare a nostra figlia un mondo migliore in cui tornare, ma a te non basta. Tu ci stai bene nella tua sofferenza e allontani chiunque ti tenda una mano, persino me! –
Emma si sentì distrutta, come se quelle parole avessero prosciugato ogni energia presente nel suo corpo. Aveva passato l’intera giornata a zonzo per la città, sperando di trovare qualcosa o di cogliere qualunque indizio. Aveva camminato in lungo e in largo, setacciando ogni metro quadro di Storybrooke. Avrebbe desiderato tornare a casa sua, farsi una doccia calda e infilarsi a letto. Magari essere avvolta dalle braccia di Regina. Quella stessa donna che ora la guardava con gli occhi pieni di lacrime e scintillanti di rabbia.
-Vattene Emma. Non voglio vederti, non stasera-
-Mi stai veramente cacciando da casa mia? –
La donna non rispose, limitandosi a dire ogni cosa con un semplice sguardo.
-Hai perso la testa Regina, e stai perdendo anche me-
Recuperò la sua pistola dal pavimento, infilò nuovamente la giacca e andò via con passi pesanti. Solo quando la porta di casa venne sbattuta con forza la donna si concesse di lasciarsi andare a un pianto forte e disperato. Strinse al petto il quaderno, affogandoci dentro un urlo. Sedette sul pavimento gelido, poggiando la schiena contro la parete della penisola. Tornò a prestare attenzione all’unica cosa che la facesse sentire in contatto con sua figlia, rilesse per l’ennesima volta entrambi i messaggi passando le mani sulle lettere scritte da Alexis e bagnando di lacrime nuove ciò che aveva scritto di suo pugno. Avrebbe voluto scriverle mille cose, ma non era riuscita a far meglio di quanto fatto.
“Amore, che bello sentirti. Eravamo così in pensiero per te.
Sei al sicuro? Stai bene? Possiamo aiutarti in qualche modo?
Cos’è questa storia della Storybrooke diversa?
Perdona tutte queste domande, ma siamo state terrorizzate fino ad ora.
Ti prego, contattaci ancora.
Ti vogliamo bene anche noi, non dimenticarlo.
Mamme”
 
Mary Margaret sobbalzò scalciando le coperte quando qualcuno andò a bussare alla porta d’ingresso. Corse di sotto seguita da suo marito, Leo era già in salotto. David fece segno di aspettare prima di aprire e dargli il tempo di prendere la sua spada. Dopo si scambiarono un cenno del capo e Mary Margaret aprì la porta.
-Devo aspettare ancora tanto? Cosa diavolo ci fai con una spada in mano? Credi che se fossi stata un nemico avrei bussato e aspetto che venissi ad aprirmi? –
L’intera famiglia Nolan tirò un sospiro di sollievo nel constatare che fosse solo Emma.
-Tesoro, che ci fai qui? È successo qualcosa? –
Emma entrò in casa lasciando che qualcun altro chiudesse la porta al posto suo. Si passò diverse volte le mani tra i capelli prima di rispondere alla domanda di sua madre.
-No Mary Margaret è mia abitudine piombare nelle case degli altri in piena notte! -
Sua madre non badò troppo a quello sfogo e nemmeno al fatto che l’avesse chiamata per nome. Emma era solita farlo spesso quando era arrabbiata.
-Regina mi ha cacciata di casa- confessò.
-Che cosa è successo? –
La donna si lasciò cadere sul divano, il viso nascosto nei palmi a coprire tutto l’imbarazzo e la frustrazione che provava nell’essere stata obbligata a bussare in piena notte a casa dei suoi genitori.
-Abbiamo litigato, come sempre-
Mary Margaret lesse sul viso di sua figlia quanto fosse distrutta. Proprio non riusciva a capirle, avevano combattuto contro il mondo per stare insieme e in un momento tanto difficile non riuscivano a farlo. Eppure desideravano le stesse identiche cose, lei lo sapeva. Entrambe speravano di ritrovare quella stabilità che avevano prima dell’inizio di tutto quell’incubo, ma nessuna delle due voleva cedere qualcosa. Emma era ossessionata dal concludere al più presto quella battaglia, Regina voleva solo riavere la sua bambina. Ciò che non comprendevano, era che l’una non poteva vincere senza l’altra. Nessuna delle due poteva sopravvivere senza il sostegno della propria compagna.
-Leopold, perché non prepari una cioccolata calda per tua sorella? –
Il ragazzo corse in cucina, avrebbe adempiuto a qualsiasi richiesta per Emma. Tra i due, nonostante i ventinove anni di differenza, c’era un rapporto invidiabile. La donna stravedeva per il fratello, era grazie alla sua nascita e al prendersi cura di lui che era nato il desiderio di avere un figlio con Regina. Le veniva ancora da ridere quando si soffermava sull’espressione di sua madre di fronte al piercing e al tatuaggio del ragazzo.
-Ti va di raccontarmi? –
-È tutto uno schifo, mamma. Non siamo più capaci di stare insieme, di comunicare, di coesistere. Questa cosa mi distrugge perché l’amo da morire, lei e Lex sono tutta la mia vita. Ma ora a lei non basto-
Emma provò a trattenere le lacrime, si sforzò più che poté per non mostrare quella debolezza. Suo fratello le cinse le spalle, infondendole tutta la sua forza.
-Tesoro è un periodaccio per tutti, ma se non ci diamo man forte almeno in famiglia non possiamo vincere-
-Io ci ho provato, ci ho provato con tutta me stessa! Ma lei non fa altro che respingermi ed io sono così stanca-
Emma era scattata in piedi, il nervosismo scorreva veloce nelle sue vene. Mary Margaret lanciò uno sguardo veloce a suo marito, ritrovando nei suoi occhi lo stesso sguardo preoccupato che sapeva di avere anch’essa. Raramente aveva visto sua figlia così sconvolta e demoralizzata e quando era successo, aveva sempre avuto Regina al suo fianco e viceversa. C’erano sempre state l’una per l’altra, quando Emma fu additata dall’intera città per la sua storia con Regina, quando avevano perso il primo bambino, quando avevano dovuto confessare alla famiglia di essersi innamorate. Erano sempre state insieme, eppure ora sembravano essere tornare ad essere la Salvatrice e la Evil Queen. Due entità naturalmente portate a scontrarsi. Vederle in quello stato le faceva male, nonostante non fosse stata una fan sfegatata di Regina Mills.
-Emma, state soffrendo entrambe e non riuscite a dirvelo. Dovete restare insieme e … -
-Noi non siamo te e papà, mamma! Non è scritto in nessun libro che siamo destinate a star insieme o stronzate simili. Non esiste una favola che parla del bene più grande e del male più oscuro, noi siamo diverse! –
La donna rimase a fissare per qualche istante gli occhi di sua madre sperando di vedere da qualche parte, dietro quelle iridi verdi, una qualche scintilla di comprensione. Ma Mary Margaret non poteva capire, lei non sapeva cosa significasse essere ad un passo dal perdere ogni singola cosa buona della propria vita. Neanche la maledizione oscura era riuscita a portarle via il suo amore, lo aveva invece fortificato.
Emma guardò la sua famiglia, tutti e tre avevano lo stesso sguardo pietoso negli occhi. Persino suo fratello, quello che era caratterialmente più distante da loro non era riuscito a far nulla di diverso. 
Non le restò che andar via e contare solo su sé stessa.
 
Alexis era distesa sul letto della sua stanza da diverso tempo oramai. Aveva fatto una lunga doccia per togliersi di dosso polvere e tristezza, e si era poi concessa del meritato riposo. Aveva rimosso le fasciature che le aveva fatto Hannah ritenendole eccessive per appena qualche graffio. Avrebbe voluto dormire, lasciar sparire sotto il materasso tutti i suoi pensieri. Ma non appena aveva anche solo provato a chiudere gli occhi, ecco che Laya tornava a tormentarla e non poteva proprio permetterselo in quel momento. Continuava a non capacitarsi di come le fosse saltato in mente di accettare l’invito a cena di Hannah, non sarebbe mai stata tanto forte da poter sopportare tutto quello senza vomitare. Nemmeno le dita strette intorno all'arpa avrebbero aiutato, ci avrebbe scommesso. Sentiva già nitidamente troppi ricordi invaderle la mente prendendo a calci i suoi sentimenti. Sarebbe dovuta essere incredibilmente forte e avrebbe dovuto fare l’impossibile per non pensare a Laya, nemmeno per un attimo. Si voltò verso il comodino dove aveva depositato il ciondolo gemello del suo, ricordando quanto Laya avesse definito infantile quello scambio di collane. Ricordava perfettamente quante volte era passata avanti quella boutique ed era rimasta incantata a guardare quelle due arpe. Una lacrima sfuggì al suo controllo, correndo veloce verso la federa.
Dei tocchi alla porta la costrinsero a lasciare il letto e i suoi pensieri, ne fu incredibilmente felice. Aprì la porta curiosa, non avendo idea di chi potesse essere.
-Ciao! –
Rimase sorpresa di ritrovarsi avanti Henry Mills.
-Non dovresti essere a casa sotto stretta osservazione di Regina? –
Il bambino fece spallucce prima di rispondere che voleva parlarle.
-Mi fai entrare? –
Alexis aprì di più la porta lasciando che il ragazzino le passasse sotto il braccio sinistro.
-Di cosa, nanerottolo? –
Henry la fissò con le mani infilate nel cappotto, stranito dalla domanda.
-Di quello che mi hai raccontato oggi, mi sembra ovvio-
La ragazza si passò una mano sul viso, rimpiangendo di avergli permesso di entrare nella stanza.
-Non c’è niente da dire-
-Stai scherzando? Mi hai detto di venire da un altro mondo, avrai un milione di cose da dire! –
Alexis sbuffò, camminò fino alla finestra e diede una rapida occhiata di sotto. Quasi sperava di vedercelo Jonas ad aspettarla.
-Nanerottolo non li leggi tutti i fumetti che compri? La prima regola di un viaggio nel tempo è non rilasciare troppe informazioni-
“Ed io ho già detto troppo”.
Henry lasciò cadere il suo zaino ai piedi del letto e gettò la giacca su di esso.
-Ma io ti posso aiutare! Mi sono fidato di te, fa’ lo stesso. Ti giuro che non dirò una sola parola – disse mentre scavava nello zaino alla ricerca del suo famigerato libro.
La ragazza sbuffò ancora, quel ragazzino sapeva essere incredibilmente fastidioso se ci si metteva di impegno. Rifletté sul fatto che era la stessa cosa che Leo diceva di lei.
-Ascolta, ti ringrazio per l’impegno ma… -
-Guarda! –
La pagina che comparve avanti i suoi occhi, ebbe il potere di ammutolirla e di sconvolgerla. Barcollò per l’impatto, fu incapace di tenere le labbra unite.
-E’ comparsa qualche giorno fa, è… -
-Laya- sospirò appena.
Sulla carta era impressa a tutta pagina un disegno di Laya; mezzobusto, appena voltata verso destra. Avrebbe riconosciuto i suoi occhi anche da un semplice disegno, sarebbe stata capace di perdercisi anche su carta, bella com’era.
-Credevo fosse Hannah- asserì il bambino confuso.
Gli occhi di Alexis si riempirono di lacrime, il suo stomaco non avrebbe retto ancora per molto. Si aggrappò all’arpa, la sua ultima ancora di salvezza. Si lasciò cadere seduta sul letto, priva di ulteriori forze. Se Laya era comparsa in quel libro significava che qualcosa stava cambiando, non aveva idea di che cosa, né cosa significasse. Ma di sicuro non era nulla di buono. Si sentì soffocare, come se la stanza si fosse tutt’un tratto riempita d’acqua e la stesse affogando.
-Alexis? – la richiamò il bambino avvicinandosi cauto.
-Quella è Laya, nanerottolo. È la persona che sto cercando di risvegliare-
Henry strabuzzò gli occhi. Ruotò il libro nella sua direzione per osservarlo meglio, poi guardò di nuovo la sua interlocutrice.
-E come ci è finita qui? –
Il vuoto le attanagliò lo stomaco, le gambe presero a tremarle. Nonostante vedesse quel giorno ogni singola notte nei suoi incubi, non riusciva ancora a pensare con lucidità all’accaduto. Non ne aveva voluto parlare con le sue madri, né con i nonni, né con Ruby o con Gideon o Leo, né con chiunque altro fosse stato a provarci. Le sembrava assurdo doverne parlare con quel ragazzino, con un bambino di undici anni che era un perfetto sconosciuto. Ingoiò della saliva con la stessa difficoltà con la quale si manda giù una pietra, era consapevole che ormai era arrivato il momento di affrontare l’argomento. Si rassicurò con estrema veemenza con Henry di non raccontare a nessuno ciò che stava per dirgli, o ci sarebbero state profonde ripercussioni. Il bambino annuì e in fondo sapeva di potersi fidare di lui, dopotutto erano familiari.
 
-Alexis sta attenta! –
L’urlo di sua madre l’aveva salvata all’ultimo secondo da un’onda magica che l’avrebbe fatta volare dall’altra parte della casa, o di quel che ne restava. Quell’ultimo attacco, più cruento di tutti gli altri, era stato a sorpresa e ben programmato. L’epicentro era stato casa Swan-Mills che ora era un cumulo di macerie. Alexis era saltata alle spalle della metà del divano ancora integro, rotolando fino alla base del camino. Sbatté con la schiena contro la pietra ma non aveva il tempo per curarsi del dolore o dei lividi. Scattò nuovamente in piedi per tentare di arrivare il più vicino possibile alla sua famiglia e distrarre il suo nemico per permettere e Leopold di attaccare. Dovevano tener duro fino all’arrivo di Gideon, lei e Leo potevano farcela, era di fondamentale importanza. Ma non era facile, la sua conoscenza della magia era scarsa e limitata rispetto alla strega che aveva di fronte e Leopold iniziava ad essere stanco. Gideon doveva sbrigarsi a trovare il complice. Ne andava della vita di tutta la famiglia.
-State sprecando energie, ragazzini-
La donna lanciò un ulteriore attacco e questa volta Alexis non riuscì a scansarlo, neanche correndo più veloce che le riuscì. Rantolò ai piedi di sua madre, in ginocchio e senza magia. Tossì diverse volte prima di riuscire a rimettersi quanto meno seduta, la magia di Leo aveva attutito il colpo.
-Alexis, scappa! –
-No! –
Regina provò a trattenere sua figlia ma il dolore per la gamba rotta e l’impossibilità ad usare la magia non le permisero di fare molto, anche solo respirare le faceva male. Tentò per l’ennesima volta di togliersi quel maledetto bracciale in pelle nera che le circondava il polso, ma non c’era nulla da fare. Emma era svenuta diversi minuti prima, del sangue le colava da una tempia ma respirava ancora. Laya giaceva stordita sulle scale. Tentava di seguire l’azione e provare a dare una mano, ma gli occhi le si chiudevano di continuo.
-Cosa volete perdere ancora? –
Il sorriso cattivo della donna splendeva sulle sue labbra e nei suoi occhi di ghiaccio, i capelli biondi le incorniciavano il viso come un mantello. La sua mano si alzò lenta verso Alexis, le dita protese verso il suo collo. E tanto bastò per sollevare magicamente la ragazza tenendola per la gola. Di colpo le mancò il fiato, la bocca le si aprì alla disperata ricerca di aria che non riusciva a trovare. Regina urlò il suo nome, provò in ogni modo ad alzarsi ma non vi riusciva per il troppo dolore. La vista di Alexis si appannò, fino a scemare lentamente nel buio.
-Lex! –
Leo tentò un attacco fisico congiunto alla magia, prese la rincorsa pronto a scagliarsi contro la donna. Le sue mani già brillavano di accecante luce bianca. Ma Odette non era una stupida né una sprovveduta. Alzò la mano sinistra verso il ragazzo, riservandogli la stessa sorte. Tentarono entrambi di reagire, di utilizzare la magia, ma non ne avevano la forza. Delle lacrime calde e dolorose presero a scendere sulle guance di Regina, la quale tentava in ogni modo di mettersi in piedi combattendo contro tutto il suo dolore fisico.
Poi di colpo l’aria tornò ed entrambi presero a tossire talmente forte da sentire la gola bruciare. La vista tornò più lentamente, costringendoli ad impiegarci qualche attimo di troppo per capire chi l’avesse salvati. Leopold riuscì a vedere Gideon tenere bloccata al muro Odette, la sua magia era la più forte in quel momento.
-Ragazzi, siete tutti interi? –
Alexis riconobbe la voce del suo amico, la vista ancora offuscata, e le braccia di Leo che l’aiutavano a rimettersi in piedi.
-Vi siete fermati a prendere un caffè per strada? –
-L’ho perso, non so dove sia finito –
La ragazza si rimise in piedi con cautela, attendendo di tornare a vedere tutto con nitidezza. Gideon aveva bloccato la donna contro una parete, bloccandola magicamente, ma il suo sguardo era contrariato e teso. Non era riuscito nel suo compito e ora non aveva idea se gli altri due fagioli rimasti fossero al sicuro. Le squadre di protezione erano divise in base al numero di fagioli; i due Gold e Belle ne proteggevano uno, Snow White, David e Ruby l’altro. Erano stati costretti a distruggere ogni singolo fagiolo magico della città, per la salvaguardia di tutti.
- Aiuta la nostra famiglia, Leo. Io sto bene-
Al ragazzo bastò guardarla in faccia per capire che non stava mentendo, quindi corse dalla sorella per accertarsi che fosse viva. Regina trattenne il fiato mentre il giovane imponeva le sue mani sulla moglie, solo quando Emma aprì con calma gli occhi si concesse di respirare.
Alexis aveva assistito alla scena con un nodo alla gola, ma quando le sue madri la rassicurarono sulla loro salute corse da Laya. Si accovacciò accanto a lei dandole lievi colpi sulle guance per risvegliarla e chiamandola con ansia. Quando la ragazza si risvegliò, le scoppiò il cuore.
-Lex? –
-È tutto ok, Lay. Sta tranquilla-
Si perse nei suoi occhi scuri, anche se non era il momento adatto, anche se stavano rischiando la vita e avrebbero dovuto prestare attenzione a ciò che le circondava.
-Torna qui, Lex-
Non furono le sue parole a riportarle alle realtà, ma il grido d’aiuto di Gideon che non riusciva più a resistere. Alexis si sentì un’idiota nell’essersi concessa quell’enorme distrazione. Si avvicinò all’amico, una rabbia in corpo che non riusciva a domare. Dalle sue mani uscì un fascio di luce che andò a supportare l’incantesimo del ragazzo, nello stesso istante in cui lo fece Leo.
-Dov’è il tuo compagno, Odette? –Chiese il giovane Nolan.
La donna rise malefica, per niente spaventata dalle minacce dei tre ragazzi.
-Io non rispondo al nome di quella miserabile ragazzina. Io sono il Cigno Nero e voi degli idioti-
La donna si mosse come se non fosse mai stata bloccata dalla magia, nonostante fossero in tre. Mosse passi sicuri verso di loro, ignorando i lacci magici.
-Lui è proprio dietro di voi-
I tre si voltarono all’unisono, sgranando gli occhi di fronte a ciò che si parò loro avanti. Claude Frollo stringeva tra le braccia Laya puntandole uno stiletto alla gola. Il suo naso aquilino le sfiorava i capelli scuri annusandone il profumo. Non avevano fatto a altro che prenderli in giro, in attesa di riconciliarsi.
-Lo stesso buon odore di tua madre-
La sua voce austera era una doccia gelata sulla pelle, un viscido veleno che si insinuava tra le ossa.
Alexis non tollerò ancora a lungo quella situazione, tra le sue dita si formò una palla di fuoco pronta ad incenerire. Sapeva che Regina non volesse lei usasse la magia oscura, ma in situazioni di scarso controllo non riusciva a farne a meno. La magia nera era semplice, intuitiva e senza regole.
-Sta calma, Lex- le intimò tra i denti Leo.
Ma la ragazza non lo stette a sentire, lasciando che la sua magia crescesse nel palmo della sua mano.
-Lasciala andare- ringhiò.
La donna la guardò fiera e maligna, infilò una mano nella tasca della tunica di Claude Frollo e ne estrasse un fagiolo magico. Alexis fece un passo in avanti e lo stiletto scivolò di qualche centimetro sulla gola di Laya. La ragazza gemette stringendo gli occhi e cercando di contenere le lacrime che minacciavano di rotolare sulle sue guance. Si impose di non urlare quando un rivolo di sangue le solcò la pelle.
-Laya! –
Odette fece segno al compagno di fermarsi, poi si rivolse verso la giovane Swan-Mills avanzando una silenziosa domanda che era certa comprendesse. La ragazza infatti chiuse la mano dove viveva la sfera infuocata, fino a stringerla in un pugno e farla sparire.
-Brava ragazza, ora fermi tutti lì se non volete che vi macchi il pavimento di sangue gitano-  
Alexis prese a tremare, per la paura di veder morire Laya sotto i suoi occhi e per la rabbia che la consumava. Non aveva mai visto i suoi occhi scuri tanto spaventati e imploranti per un aiuto. Tutto intorno a lei era sparito, c’era solo Laya. E Laya era più importante di ogni altra cosa. Non si sarebbe comportata una supereroina o come i protagonisti dei film, non avrebbe atteso la fine di tutto per evitare di ferire l’ostaggio. Non avrebbe permesso che quel fagiolo toccasse il suolo lasciando scappare le persone che avevano ferito la sua famiglia. Fece appello a tutta la magia nera che viveva dentro di lei, proprio mentre Odette lanciava sul pavimento il fagiolo magico per aprire il varco. Le sembrò che tutto andasse al rallentatore; la stanza che si riempiva di un’onda magica attorno a lei, le urla della sua famiglia che le dicevano di non farlo, la luce del portale che si apriva. Lo stiletto che infieriva sulle carni della sua ragazza. 
Poi l’impatto.
La magia si avventò su Claude Frollo per liberare Laya dalla sua presa ed allontanarla dall’uomo. L’onda d’urto colpì tutti e tre, mettendoli in ginocchio. Alexis si sentì completamente svuotata e stanca, avvertì nitidamente il suo corpo barcollare. Ma un grido terrorizzato invocò il suo nome e lei ebbe appena il tempo di voltarsi per capire cosa fosse accaduto. Ebbe appena il tempo di capire che la sua irruenza aveva causato solo danni. Perché in quel momento, Laya stava precipitando nel portale. Si era gettato così a capofitto in quella situazione, da non badare a dove cadesse la ragazza, ed ora la vedeva sparire all’interno del portale. La chiamò con tutto il fiate che aveva in corpo, tentò di afferrare le sue mani tese in cerca di aiuto senza riuscirci. Il portale si richiuse e lei si ritrovò ad afferrare l’aria.
Ci furono secondi di silenzio, pesanti attimi in cui non solo Alexis aveva perso qualcosa di importante. Odette e Frollo approfittarono che tutti i presenti fossero distratti dal viso sconvolto della ragazza per darsela a gambe, svanendo un una nuvola di fumo grigia.
-Sono scappati, maledizione! – Imprecò Leopold.
Cercò come poté di non innervosirsi più del dovuto, ma non riusciva a restare lucido di fronte a quella plateale sconfitta. Si avvicinò alla nipote con fare aggressivo, sollevandola dal pavimento per il colletto della maglia.
-Che diavolo ti è venuto in mente?!-
La ragazza lo spintonò via con forza, il volto una maschera di dolore e rabbia.
-Laya. Laya è sparita-
Il suo tono risultò piatto e atono, come quello di un cadavere.
-E perché è sparita, idiota? –
Lo sguardo di Alexis si tramutò in pietra, avrebbe incenerito il suo interlocutore se ne avesse avuto la possibilità. Il suo petto si alzò e abbassò ad un ritmo spaventosamente veloce.
-Leopold, non è il momento-
La voce di Emma arrivò affilata come una lama verso il fratello. Strinse a sé la ragazza che non mosse un muscolo.
-Lex tesoro, parlami-
Alexis si limitò ad alzare appena gli occhi in quelli della madre, la donna poté vedere come questi stessero a poco a poco perdendo tutta la loro luce per poi riempirsi di lacrime. Presero a scendere veloci sulle guance della ragazza fino ad inondarle. Un grido terrificante abbandonò la sua gola, poi perse conoscenza. 
 
Henry Mills si passò più volte la manica del maglione sugli occhi e sul naso per cercare di fermare il fiume in piena delle sue lacrime. Aveva ascoltato il racconto di Alexis in un religioso silenzio, bevendone ogni singola parola. Non l’aveva mai interrotta, preferendo tenere per sé le sue considerazioni e le sue domande. Attendeva un qualsiasi gesto da parte dell’altra, seduta in terra con la schiena poggiata al letto. Aveva nascosto il volto tra gli avambracci da diversi minuti ormai e nonostante tentasse di nasconderlo, Henry si accorse che singhiozzava. Avrebbe voluto far qualcosa per aiutarla, per consolarla in qualche modo. Si avvicinò abbracciandola e infilando la faccia nel suo collo.  Stava per dire qualcosa quando la vide alzarsi di scatto e chiudersi in bagno. La sentì vomitare e non ne capì appieno il motivo, d’altronde non poteva. Non avrebbe potuto immaginare il profondo senso di colpa che le scavava lo stomaco ogni qual volta pensava a Laya, o il vuoto che circondava il suo cuore quando vedeva Hannah passeggiare con Jonas. Henry non poteva sapere di quella piccola parte nascosta sotto i lividi e le cicatrici che temeva di aver fatto un viaggio inutile. Quella che non sapeva realmente se Laya c’era o non c’era da qualche lì sotto. E se c’era, quanto avrebbe dovuto scavare per poterla ritrovare e portare a galla. Non avrebbe mai potuto immaginare cosa si provasse a desiderare di strapparsi il cuore dal petto un’altra volta, pur di smettere di sentire tutto quel dolore, e non poterlo fare per via di uno stupido incantesimo fattole da Regina.
Alexis venne fuori dal bagno dopo diversi minuti, il viso segnato dallo sforzo e gli occhi arrossati. Le nocche della mano destra erano bianche per la forza con la quale stringeva l’arpa. Ricordare le aveva fatto incredibilmente male, era stato come ricoprire di sale una ferita fresca ed infilarci dentro le dita.
-Scusami nanero… -
Non riuscì a terminare la frase perché il bambino le si gettò addosso stringendole i fianchi. E proprio come solo qualche ora prima, tutto ciò che riuscì a fare fu accarezzargli i capelli. Ma Henry non aveva intenzione di staccarsi da lei, anzi stringeva più forte.
-Ti aiuterò io, te lo prometto. Sarà la nostra missione segreta, la chiameremo Operazione Famiglia-
La guardò con i suoi occhi verde scuro, diversi dai suoi ma comunque simili. All’interno vi lesse tutta la sincerità di quelle sue parole, dell’innocenza da bambino. Non pensò più alle azione che compì, si chinò alla sua altezza e lo abbracciò forte respirando l’odore di casa.
-Mi piace il nome- gli disse tirando su col naso.
-È quello più giusto, tu sei parte della mia famiglia- rispose Henry facendo spallucce.
Alexis riuscì a sorridere, sorridere sinceramente dopo tanto tempo di fronte alla sua spontaneità. Lo guardò negli occhi, trovando per qualche attimo un rassicurante tepore.
-Mi conosci appena, nanerottolo-   
-È vero ma abbiamo le stesse madri, questo fa di noi fratello e sorella-
La ragazza sgranò gli occhi per poi scoppiare a ridere. Le sarebbe sempre piaciuto non essere figlia unica, ma con tutte le difficoltà che Emma e Regina avevano affrontato per avere lei, la perdita del primo figlio e ciò che ne era conseguito, quella era stata la scelta più saggia.
-Che ho detto di strano? – Domandò Henry mettendo il broncio.
-Niente- rispose sorridendogli.
Alexis lo guardò con amore, quel ragazzino le aveva sollevato la giornata nonostante l’avesse messa nei guai. Quando Hannah le aveva detto di ciò che stava accadendo alle miniere, aveva pensato solo a far colpo su di lei. Ma in quel momento si scoprì incredibilmente felice di aver aiutato Henry Mills.
-Ti senti meglio, adesso? – domandò sinceramente preoccupato.
-Si, grazie a te-
Il bambino sorrise, felice.
-Quindi posso farti qualche domanda? –
Sul suo viso, l’espressione di chi sapeva che avrebbe fatto colpo con il suo broncio e la sfacciataggine di un undicenne. Nei suoi lineamenti, così contratti, Alexis vide le sue madri. Gli sorrise, accettando. Henry volle sapere diversi dettagli tecnici e la ragazza riuscì a rispondergli senza sentirsi male. Spiegò di come lei, Gideon e Leopold fossero riusciti, unendo la loro grande magia, a rompere il bracciale che opprimeva Regina e di come avessero rimesso in piedi la casa.
-Che cosa vogliono quei due? –
-I fagioli magici, credo che nella tua epoca non esistano ancora. Il Cigno Nero desiderava arrivare in mondo dove Odette non avrebbe più potuto minacciare la sua libertà. Per quanto riguarda Frollo, credo ci sia una qualche ragione personale che ancora non abbiamo chiara-
Henry la guardò pensieroso e affascinato da quella realtà diversa dalla sua. Chiese ad Alexis di parlargli delle sue madri e di tutti gli altri, ma la ragazza si rifiutò categoricamente di farlo.
-Andiamo, ti riporto a casa. Ho un appuntamento tra meno di un’ora- disse guardando l’orologio.
-Un appuntamento romantico? –
Lo sguardo del bambino si fece malizioso, il tono divertito.
-Sei troppo piccolo per questo genere di discorsi-
Rispose la ragazza tenendogli aperta la porta della stanza e attendendo che uscisse.
-Mi accompagni alla centrale? Devo parlare anche con Emma-
-Regina sa che sei a zonzo da solo? –
Il viso del ragazzino si rabbuiò, un’espressione grave prese possesso dei suoi lineamenti.
-A lei non importa, vuole solo tenermi lontano da Emma. Lei è cattiva-
Alexis sentì la solita rabbia montare dentro quando si parlava della madre a quel modo.
-Perché parli così di lei? –
La guardò come se avesse posto la domanda più stupida del mondo.
-Perché è la Evil Queen, mi sembra ovvio- rispose facendo spallucce.
La ragazza lo guardò dura stringendo i pugni nelle tasche della sua giacca rossa. Si fermò di colpo, piantando gli occhi verdi in quelli di Henry ed abbassandosi alla sua altezza.
-E immagino tu sappia perché lo è diventata. Di Regina si può dire ogni cosa, ma non che sia una cattiva madre, dubito che questa cosa cambi in base alle dimensioni. Dovresti darle una possibilità, nanerottolo. La merita più di chiunque in questa città. Sono certa si sia fatta in quattro per te, così come lo ha fatto per me e credimi, Henry, non troverai da nessuna parte una madre migliore di lei. Nemmeno Emma lo è-
Henry non ebbe la forza di rispondere. Le parole dell’altra erano state così sicure e penetranti da tappargli la bocca. 
Continuarono a camminare in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri. E Alexis ne aveva di diversi. Sentiva l’ansia crescerle dentro ad ogni minuto che passava e andare a bussare alla porta dei suoi ricordi, crudele e meschina. Sarebbe stata una serata dolorosa da affrontare, di sicuro non sarebbe stato facile come lo era stato cenare a casa di Laya per la prima volta.
Entrarono alla centrale in silenzio, certi di trovare Emma o a lanciar freccette o persa nelle sue scartoffie. Non si sarebbero aspettati di trovarla tra le braccia di Graham, intenti a baciarsi. Alexis sgranò gli occhi, sconvolta, e al tempo stesso coprì con una mano quelli di Henry. Ma il bambino era troppo sveglio per lasciarglielo fare.
-Ma che…? –
-Voi due che ci fate qui? –
Emma era imbarazzata, si coprì le labbra con la manica della propria giacca prima di guardare i due ragazzi.
-Tu non uscivi con la mia mamma? – domandò Henry.
Madre e figlia guardarono l’uomo a bocca aperta, mettendolo in difficoltà.
-Ho decisamente visto troppo, io me ne vado. Accompagni tu il nanerottolo a casa? - chiese poi alla donna.
-Ci penso io- si propose lo sceriffo.
-Di casa in casa, eh? – rispose la ragazza.
-Ragazzina non sono affari che ti riguardano-
-Sono assolutamente d’accordo! –
Fece per andar via, ma Henry le corse dietro chiedendo che fosse lei ad accompagnarlo. Quella notizia aveva turbato anche lui. Alexis diede una scompigliata di capelli ad Henry. L’immagine di sua madre tra le braccia di un uomo che non fosse David, era una scena terribile da digerire. Lo stomaco le si chiuse più di quanto già non lo fosse in precedenza. Era abituata alle smancerie di Emma e Regina, più di una volta le aveva colte durante un bacio più o meno passionale. Ma la scena alla quale aveva appena assistito, sarebbe stata tutta un’altra storia.
-Non mi è mai piaciuto quel Graham- si lamentò il bambino.
-Non sapevo mia madre potesse provare attrazione per gli uomini-
Si rese conto di aver parlato a voce troppo alta e provò imbarazzo per aver detto qualcosa di simile di fronte a lui. Ma Henry scoppiò a ridere di fronte alla sua espressione dicendole che a dispetto di quanto tutti dicessero, lui non era più piccolo e certe cose poteva comprenderle.
-Com’è vivere con Emma e Regina? – le chiese poi.
-Loro sono fantastiche. Dovresti vederle quando battibeccano-
-Oh ti assicuro che qui lo fanno lo stesso-
Alexis provò a spiegargli che era diverso, il modo in cui si guardavano lo era. Raccontò del loro primo appuntamento e un sorriso le increspò le labbra. Emma aveva una versione e Regina una completamente opposta di quella serata. La bionda amava raccontare di quanto avesse fatto colpo sul sindaco e di come, ne era certa, non le avesse mai tolto gli occhi di dosso. L’altra, al contrario, si limitò ad appellarsi all’estrema goffaggine di Emma e sul mostruoso ritardo con il quale si era presentata al locale.
Una volta giunti al 108 di Mufflin Street, Henry le chiese se desiderasse entrare. Alexis alzò gli occhi verso la villa, una stretta al cuore la inchiodò al suolo.
-Dai vieni, ti mostro la mia stanza così mi dici se somiglia alla tua-
La trascinò per la manica fino alla porta d’ingresso, non dandole il tempo di riflettere se fosse ciò che desiderasse. Non appena entrò, Regina corse per accertarsi che fosse il uso bambino.
-Henry! Ero preoccupata, dove eri finito? –
Sembrò accorgersi in un secondo momento della presenza della ragazza. Alzò lo sguardo su di lei ed Alexis poté vedere quanta oscurità viveva al suo interno.
-Signorina Agnès, credevo la nostra cena fosse venerdì-
La ragazza arrossì violentemente e per fortuna Henry intervenne in suo aiuto.
-Volevo ringraziarla ancora per avermi aiutata, così sono andato a trovarla-
La donna li guardò interdetta e Alexis seppe decifrare quell’espressione. Era quella di chi vedeva che c’era qualcosa che non le quadrava, ma che non aveva ancora compreso cosa.
-Henry è venuto al Granny’s per ringraziarmi e non mi sembrava opportuno lasciarlo tornare a casa da solo-
Regina le si avvicinò, facendo nascere in lei il forte desiderio di abbracciarla e stringerla più che poteva. Ma la donna si limitò ad avvicinarsi, con tutta la sua eleganza e superiorità.
-Allora sono di nuovo in debito con lei, Signorina Agnès-
Si allontanò di poco, diretta verso la cucina.
-Posso offrirle qualcosa? Il mio idromele è il migliore del mondo-
Alexis lo conosceva molto bene quell’idromele, a distanza di venticinque anni continuava ad esserlo il più buono del mondo. Ma nella sua testa, un forte campanello d’allarme risuonò, ricordandole che quella non era sua madre, ma la Evil Queen. Quella considerazione le fece male, troppo male. Non riusciva a tollerare che sua madre avrebbe potuto ucciderla con quella semplice bevanda. Fu come un colpo al cuore.
-No, grazie. I-io devo andare-
Henry le si avvicinò confuso, era convinto le avrebbe fatto piacere tornare in un luogo a lei familiare. Ma Alexis salutò svelta entrambi, rivolgendo a Regina una cordiale stretta di mano. Poi corse va.
Camminò rapida verso il Granny’s, sentiva il forte impulso di concedersi una seconda doccia prima della cena con Hannah. Quell’incontro con sua madre, l’aveva ferita più di quanto avrebbe potuto immaginare. Non avrebbe mai creduto potesse esserci tanto gelo nei suoi occhi scuri, non l’aveva mai guardata con un tale astio. Ed Emma, lei era lontana anni luci dall’innamorarsi dell’altra donna e nonostante sapesse che quella non era la sua realtà, la sua dimensione, proprio non riusciva a togliersi quell’immagine dalla testa. Una volta in camera, la prima cosa che fece fu prendere il quaderno del Signor Gold e scrivere alle sue madri.
 
“Anche nella nostra realtà siete state entrambe con l’ex sceriffo Graham?
Vi assicuro che avrò gli incubi per i prossimi dieci anni! E per la cronaca, non avrei mai nemmeno sognato di vedere Emma baciare un uomo, E’ stato raccapricciante!
Ho conosciuto meglio la Evil Queen, Dio mamma metti i brividi. Mi hai offerto dell’idromele, ma sono abbastanza convinta non fosse una gentilezza pacifica.
Oltre quest’incubo, qui è tutto ok.
A presto, vi voglio bene e mi mancate.
Lex”
 
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


La prima cosa che Alexis vide all’uscita di scuola, furono un paio di profondi occhi scuri che la scrutavano dall’altro lato della strada. Riuscì a perdercisi dentro anche da quella distanza, anche non avendoli ad un soffio dai suoi. Si sentì leggera come se stesse volando, troppo alta a giudicare dalla mancanza di ossigeno e dal gran calore che sentiva sulle gote. Salutò i suoi compagni, senza badare a chi stesse sorridendo e a chi stesse promettendo di rivedersi il giorno seguente. Si mosse a passo celere verso quella che da circa tre mesi a quella parte era la sua ragazza. Laya odiava quell’appellativo, dicendo di essere troppo grande ormai per cose simili, ma rilasciando sempre un sorrisetto quando Alexis la definiva a quel modo. 
-Ciao- la salutò non appena fu abbastanza vicina, finalmente a contatto con la sua oscurità.
-Ciao a te-
Rimasero a fissarsi per qualche secondo, contemplando l’una i lineamenti dell’altra e crogiolandosi in quel calore che sapevano trasmettersi. Laya si mosse per prima, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro e invitandola a salire a bordo del pick-up. La più piccola non se lo fece ripetere due volte, arrampicandosi sul sedile del passeggero e gettando lo zaino un po' dove capitava. Il furgone partì poi con un suono tutt’altro che rassicurante, ma che entrambe conoscevano bene ormai.
-Allora, cosa hai fatto oggi? –
-Ciò che si può fare nel prestigioso liceo di Storybrooke, annoiarsi a morte-
Laya rise guardandola con la coda dell’occhio, ogni giorno lo stesso scambio di battute.
-Kyle Hopper mi ha chiesto di uscire- disse Alexis con nonchalance.
Guardò di sottecchi il viso dell’altra fare una smorfia e cercare di camuffarlo subito dopo, scosse il capo e portò la mano destra a reggere il capo facendo peso sul finestrino aperto. Non riuscì ad evitare di sorridere a quella reazione, aveva cominciato a capire diverse cose della ragazza. Una di queste, riguardava il suo apparire quasi sempre impassibile, ma se la si osservava per bene si coglievano tutte quelle piccole sfumature che di solito sfuggivano. E lei, non voleva perderne nessuna.
-E cosa gli avresti risposto? –
-Che sto frequentando una persona- rispose facendo spallucce.
-Frequentando? –
Il suo tono era stato un perfetto miscuglio tra l’ironico e l’offeso, il sopracciglio destro alzato rendeva il tutto ancora più divertente per Alexis. Le si avvicinò portando i piedi piegati sul sedile ed accomodandocisi sopra, non le sfuggì l’occhiataccia di Laya. Aveva comprato quel furgone da suo nonno circa sette anni prima con i suoi risparmi e lo trattava come un cimelio.
-Non vuoi che dica che stiamo insieme, quindi ho dovuto ripiegare in qualche modo-
L’innocenza con la quale quelle parole vennero fuori fecero capire alla bruna quanto si stesse divertendo l’altra a farla ingelosire. Conosceva di vista Kyle Hopper, ci aveva scambiato al massimo qualche parola e lo aveva trovato un perfetto idiota. Decisamente non adatto alla personalità di Alexis Swan-Mills.
-Perché non ho sedici anni, Lex. Non vado in giro a dare simili informazioni-
-Allora vorrà dire che la gente continuerà a chiedermi di uscire-
Laya sbuffò facendo roteare gli occhi, quella ragazza sapeva essere insopportabile quando ci si metteva d’impegno. 
-Ecco cosa succede a uscire con le ragazzine- borbottò mentre fermava il pick-up.
Aveva spento il motore appena a qualche metro dal confine, da lì si sarebbero addentrate nella foresta per stare da sole. Quello era diventato un po' il loro posto, dove potevano fare ciò che più desideravano senza gli occhi della città addosso.
-Fino a prova contraria sei stata tu ad offrirmi da bere, o ricordo male? –
Passeggiarono per un po' vicine, costeggiando alberi e cercando di non spaventare gli animali.
-Eri stata lì tutta la sera, mi dispiaceva risultare scortese. E poi mi hai baciata tu-
Laya ricordava bene come era andata, ricordava perfettamente anche il bacio che c’era stato due mesi dopo quell’incontro. Il sorriso che sfoggiò dopo quelle parole, avrebbe potuto schiavizzare Alexis in un attimo. Rimase incantata ad osservare la perfetta curva delle labbra e il brillare dei suoi occhi, il tutto su quella distesa di pelle abbronzata. Le mancò il fiato per diversi secondi di fronte a quella bellezza e fu quasi un sollievo andarsi a perdere nelle sue iridi. Ritrovò il suo battito al loro interno assieme ai respiri che non riusciva regolarmente a compiere, ritrovò il calore che viveva al suo interno e ne rubò un po' per sé. 
-Torna qui, Lex-
Non riuscì a resistere oltre, le si gettò addosso e la baciò spingendola fino a sbattere contro un albero. Le sue dita percorsero la curva del collo, scoprendo nuove strade e sentieri rimasti nascosti fino a quel momento. Laya la lasciò fare, attirata dalle sue labbra come da una calamita. Rispose al suo bacio con passione e trasporto, mossa dal motore che rombava nel ventre. Poggiò le mani sui fianchi di Alexis tenendola quanto più vicina possibile a sé, assaporandone il sapore fino ad impararlo a memoria. Le loro lingue ruotavano l’una sull’altra, incapaci di decretare il vincitore di quella sfida. Laya le morse poi il labbro, avvertendo il suo centro fremere quando Alexis gemette. Solo una volta sazie, o quanto meno la minore, si staccarono, entrambe col fiatone, i loro sorrisi erano speculari.
-Questo per cos’era? – chiese la bruna. 
Alexis dovette deglutire più volte prima di poter rispondere.
-Per il dispiacere di avermi offerto da bere-
Scoppiarono a ridere entrambe, le fronti poggiate l’una sull’altra. Laya la baciò ancora ma con meno enfasi rispetto a poco prima, quel bacio aveva tutto un altro significato.
-L’unico dispiacere è il tuo non saper apprezzare la tequila, mi toccherà rinunciarci in questa relazione- sussurrò sulle sue labbra.
L’altra alzò appena il capo, quanto bastava per sfregare il naso con il suo e poterla guardare ancora una volta negli occhi.
-Allora ammetti di essere la mia ragazza? – scelse appositamente quelle parole.
Laya ridacchiò, un suono perfetto per le orecchie di Alexis.
-Sei una gran manipolatrice, Lex-
-Ho avuto una buona insegnante-
-Ipotizzo che la Evil Queen sia perfetta in questo-
Alexis si irrigidì, ferita da quelle parole. Andava su tutte le furie quando qualcuno avanzava insinuazioni del genere su sua madre, lo era stata un tempo ma ne era passata di acqua sotto i ponti da quei giorni bui.
-Mia madre non merita più quell’appellativo-
Le sue parole risultarono dure e fredde, così come il suo nuovo atteggiamento. Si staccò dal corpo di Laya frapponendo tra sé e l’altra un paio di passi di distanza.
-Ne sono certa, ma vorrei comunque incontrarla il più tardi possibile-
Gli occhi di Alexis si spalancarono mostrando tutto il loro verde, incredula di fronte a cosa avesse appena sentito.  
-È un bene saperlo adesso, allora-
Si allontanò ancor di più da Laya, affondò le mani nelle tasche del giaccone e prese a camminare con passo stizzito verso il ciglio della strada. 
-Lex, dove vai? –
Laya le fu subito dietro, non capendo fino in fondo cosa fosse accaduto in pochi secondi. Un attimo prima la stava baciando e ora si ritrovava a rincorrerla. 
-A casa-
-Ehi! –
L’afferrò per un polso costringendola a voltarsi nella sua direzione e a fermare la sua andatura furente.
-Che ti è preso? –
-Mi è preso che non puoi azzardarti a parlare di mia madre a quel modo, avrà fatto degli sbagli nella sua vita, ma ora è una persona diversa-
Non le era ancora capitato di vederla tanto furente, di vedere quel fuoco divorarle gli occhi e arrossarle la pelle. 
-Ne ha fatti parecchi di sbagli e dubito tu sia a conoscenza di ognuno di questi-
Anche il suo tono si era indurito, anche il suo cuore aveva preso a battere così forte da tapparle le orecchie.
-Beh nemmeno tu! E per tua informazione ha tentato in ogni modo di redimersi-
-Quindi è perdonata per ogni persona che ha fatto soffrire? Per ogni famiglia che ha spezzato per divertimento? –
Gli occhi di Alexis si riempirono di lacrime che non voleva assolutamente lasciar andare, strinse la mascella più forte che poté cercando di contenerle. In quel momento la vicinanza di Laya era ingombrante e soffocante, per cui si liberò dalla sua presa e la spintonò lontano. Nel petto le batteva una rabbia che non era certa di riuscire a controllare, qualcosa che premeva contro ogni parete per poter essere liberata e venir fuori. Avvertì indistintamente la magia scorrerle veloce nelle vene, ignorando se il forte vento che si era alzato fosse colpa sua o meno.
-Come cazzo ti permetti! – 
Urlò così forte che la gola prese a bruciarle e questa volta fu certa che il terremoto che aveva avvertito sotto i piedi non fosse naturale. Quella turbolenza magica si era diffusa per buona parte della foresta, scuotendo alberi e sassi. Laya si guardò attorno, spaventata per un attimo da ciò che era appena accaduto. Sapeva che l’altra avesse la magia ma non si era mai ritrova di fronte ad una palese dimostrazione. Questo però non la fermò dal continuare a sostenere le sue convinzioni circa Regina Mills.
-Se tua madre non fosse stata una dannata e sadica regina, forse la mia non mi avrebbe abbandonata! –
Diversi attimi di silenzio si insinuarono tra le due, spegnendo quel fuoco interno che bruciava nei petti di entrambe. Laya non avrebbe voluto urlare quell’ultima frase, ma non era riuscita a contenersi oltre. Il viso di Alexis era sconvolto, tutta la furia che fino a poco prima ne faceva da padrona era sparita.
-Di che stai parlando? –
La maggiore distolse lo sguardo, incapace di sostenere ancora quegli occhi verdi. Più volte aprì e chiuse i suoi, distese e ritrasse i pugni per ritrovare quella calma che aveva solo diversi minuti prima. Non era sua intenzione gettare sull’altra quell’enorme verità, ma non era riuscita ad impedirlo. Le parole erano venute fuori da sole, senza che avesse alcun controllo su di loro. 
-Tua madre ha trasformato la mia in una capra e quando è tornata umana, dopo la maledizione, è scappata da questa città senza far più ritorno. Non l’ho mai più rivista- 
Alexis spalancò e richiuse la bocca diverse volte mentre metabolizzava la notizia. Non riusciva a capire né tantomeno a comprendere a pieno le parole dell’altra. Si limitava a fissarla, e cercare la risposta che voleva nel suo profilo chino verso il terreno sotto i loro piedi. 
-Che significa? Mi avevi detto che era morta quando eri bambina-
Si sforzò di ricordare le parole che Laya aveva usato in quel frangente, quando avevano parlato di famiglie. Per lei era stato semplice decantare le lodi della perfetta famiglia, nonostante la sbadataggine di Emma, la severità di Regina e l’invadenza di sua nonna. Le era sorto naturale e spontaneo mettersi a parlare dell’argomento con lei e forse, se ne sarebbe dovuta accorgere di quanto vaga fosse stata l’altra. Avrebbe dovuto notare come aveva solo accennato al fatto che vivesse con suo padre e la compagna di lui, senza specificarne nulla, e che sua madre fosse venuta a mancare tanti anni prima. Non ci aveva badato, presa com’era dalla sua sola compagnia. Non aveva chiesto a Gideon o a nessun altro informazioni al riguardo perché tutto sommato, non ne vedeva l’esigenza in quel momento.
-È più facile pensarla a questo modo piuttosto che impazzire ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se fosse restata-
Altro silenzio cadde tra le due, più pesante del precedente. Entrambe perse nei propri pensieri e nelle proprie convinzioni.
-Chi è? –
Non occorse specificare a chi si stesse riferendo, Laya sapeva perfettamente cosa Alexis desiderasse sapere. Si sorprese con quanta semplicità il nome di suo madre, che aveva gelosamente custodito per tutti quegli anni, arrivasse da solo alle sue labbra se era lei a chiederglielo. 
-Il suo nome era Esmeralda, non so altro di lei. Non ricordo nemmeno il suo viso ed è colpa di tua madre-
Quella nuova verità sconvolse particolarmente Alexis, la quale aveva sentito parlare di quella donna solo dai dvd della Disney che aveva visto con Emma. L’incredulità aveva messo a tacere tutto tranne la rabbia per la nuova accusa rivolta verso sua madre. 
-Non è colpa sua. Se è successo dopo la maledizione, come dici tu, lei non avrebbe fatto del male a nessuno-
C’era tutta la sua convinzione in quelle parole. Sua nonna le aveva raccontato innumerevoli volte di come Regina fosse cambiata da quando Emma era apparsa nella sua vita, di come una volta spezzata la maledizione avesse rinunciato a tutto il male presente in lei.
Laya la guardò sconvolta.
-Come puoi continuare a difenderla? –
-Perché è mia madre e che tu ci creda o no è una brava persona. Lei ha rinunciato a tutto per amore di Emma e se non ne provasse io non sarei qui! –
La bruna la fissò socchiudendo gli occhi e scuotendo il capo, un sorriso ironico nacque sul suo volto.
-Lascia stare, ti riporto a casa. È meglio così-
Camminò svelta, superandola senza degnarla di uno sguardo. Alexis rimase immobile per diverso tempo, cercando di mettere un minimo di ordine nella sua testa. Quando si voltò a cercarla la trovò già accanto al suo furgone. Corse nella sua direzione con una nuova rabbia nel cuore.
-Credo tu mi debba delle spiegazioni, non pensi? –
-No, Lex. Non ti devo nulla. E adesso sali, ho bisogno di un po' di tempo per me- aprì la portiera e fece per mettersi alla guida.
-Tempo per te? Cos’è, mi stai lasciando? Sapevi perfettamente chi fossi quando mi hai chiesto di uscire! –
Laya sbatté violentemente la portiera prima di parlare.
-Certo che lo sapevo e credevo non mi importasse perché mi piaci davvero, imbecille!  Ero certa di poter scindere le due cose ma non ci sono riuscita-
Laya guardò fisso le sue scarpe, trovandole improvvisamente interessanti. Alexis, al contrario, cercava i suoi occhi come l’acqua nel deserto.
-Sali sul pick-up, Lex-
Il suo tono era cambiato di colpo, tutta la rabbia sembrava esser scemata in un attimo. L’altra si avvicinò al furgone, aprì la portiera ma si limitò a prendere lo zaino e a metterlo in spalla.
-Che stai facendo? -
-La mia terribile madre mi ha dato in eredità la magia, posso tornare a casa da sola-
Si fermò a guardarla negli occhi solo per un secondo, lottando contro sé stessa per non affogare nel petrolio. Sperò che Laya dicesse qualcosa, che in qualche modo tentasse di correre ai ripari. Ma lei non fece nulla.
-Sai una cosa? Vaffanculo Laya-
Detto ciò ruotò il polso e si smaterializzò in una nuvola di fumo azzurro. 
Atterrò in modo decisamente scoordinato. La sua magia era ancora instabile e non riusciva a gestirla quando le sue emozioni erano così forti. Aveva dimenticato quanto fosse duro il marmo dell’ufficio del sindaco, ma non ci badò poi troppo.
-Alexis! Che modo di presentarsi è questo? Sai che non voglio che usi la magia in maniera così sconsiderata-
Regina abbandonò la sua scrivania in favore del centro della stanza, lì dove sua figlia era comparsa. Attese che si mettesse in piedi, attendendola con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi. Notò immediatamente lo sguardo duro e umido che viveva sul suo viso.
-Tesoro, cos’è successo? –
Allungò una mano verso di lei, ma la figlia si scansò in malo modo.
-Hai trasformato una persona in una capra? –
La domanda arrivò cruda e prepotente, spiazzando Regina.
-Di che stai parlando? –
-Rispondimi! –
-Non usare questo tono con me, signorina. Con chi credi di star parlando? –
I toni si erano scaldati in pochi attimi, in poche battute. Alexis guardava sua madre con una rabbia negli occhi che raramente la donna aveva visto. Le ricordava incredibilmente Emma nei giorni in cui litigavano come due sedicenni. La loro bambina aveva lo stesso fuoco verde che li divorava. Regina prese un profondo respiro prima di tornare a parlare.
-Che cosa è successo? –
-Hai trasformato una donna di nome Esmeralda in una capra, mamma? –
Regina sembrò rifletterci senza staccare gli occhi dal viso della figlia, poi allargò le braccia.
-Non mi viene in mente nulla-
Alexis sbuffò esasperata, ruotando su se stessa e alzando le braccia al cielo.
-Come puoi non ricordarlo! –
-Se magari mi dessi qualche informazione in più e mi dicessi perché me lo chiedi, saprei risponderti-
-Oh ma per favore! Lascia stare ok? –
Alexis riprese lo zaino che aveva lanciato in terra, lo mise sulla spalla e ruotò il polso per svanire prima che sua madre le facesse un’altra ramanzina. Riuscì solo a sentire qualcosa circa l’utilizzo della magia prima di svanire. Regina rimase immobile a bocca aperta, incapace di darsi una spiegazione circa quanto appena accaduto. Tornò alla sua scrivania particolarmente adirata e a subirne le conseguenze fu il suo cellulare mentre avviava la chiamata.
-Ehi amore, ciao. Come st… -
-Nostra figlia è impazzita quindi cerca di tornare a casa ad un orario decente, signorina Swan-
 
Alexis atterrò fuori la porta di casa di sua nonna con un gran tonfo e in malo modo. Si rialzò massaggiandosi una natica energicamente, una smorfia di dolore sul viso. Bussò alla porta diverse volte prima che Mary Margaret andasse ad aprirle.
-Tesoro, hai intenzione di buttarla giù? –
La donna l’accolse con il suo solito enorme sorriso sul viso, la lasciò entrare notando immediatamente che ci fosse qualcosa che non andasse. La ragazza lasciò cadere lo zaino in terra, si diresse direttamente al frigorifero tirandone fuori del prosciutto e del formaggio. Poi aprì l’anta sopra il piano cottura, prendendo del pane a fette e farcendolo con gli ingredienti già recuperati. Ne tirò un grosso morso mentre si lasciava cadere sul divano.
-Se avevi fame, potevo prepararti qualcosa-
La nipote non le rispose, ma Mary Margaret se lo era aspettato. Da quel punto di vista era un connubio perfetto tra la figlia maggiore e sua nuora. Riusciva ad avere l’ostinatezza al silenzio di Regina e le cattive abitudini di Emma.
-È fame nervosa- rispose con la bocca ancora piena.
Mary Margaret trascinò una sedia dalla cucina e si accomodò di fronte la nipote, porgendole un tovagliolo per rimuovere il formaggio che aveva sotto il naso.
-Cosa ti ha fatto innervosire fino a tal punto? –
Alexis la guardò fisso per diversi secondi, constatando se fosse saggio parlarne con lei o meno. Sua nonna non era proprio famosa per saper tenere i segreti, ma aveva davvero bisogno di un consiglio e non era convinta che Ruby sarebbe stata una valida alternativa. Tirò un altro paio di grossi morsi al suo tramezzino finendolo, Regina non avrebbe affatto approvato quel comportamento tanto rozzo, poi si decise a parlare.
-Quanto dolore ha seminato mia madre prima dell’arrivo di Emma? –
Mary Margaret non rispose subito, cercò di cogliere il perché di quella domanda tanto specifica e particolare.
-Perché me lo chiedi? –
La ragazza sospirò pesantemente, abbandonando il capo tra i palmi delle mani.
-Ho scoperto che ha fatto del male alla famiglia di… -non sapeva come parlare di Laya, non ancora- un’amica. Lei ora la odia perché è convinta che la madre l’abbia abbandonata a causa sua-
La donna ascoltò con attenzione, cercando di capire a chi si stesse riferendo la nipote. Ma era impossibile con quei pochi elementi.
-Potresti essere più chiara? –
Alexis titubò ancora qualche attimo, poi si decise a raccontare ogni cosa. Parlò di come avesse conosciuto Laya, delle sere al Rabbit Hole in cui chiacchieravano o semplicemente si limitava a guardarla lavorare. Delle volte in cui andava a prenderla fuori scuola e passavano del tempo assieme ai confini della città, di quanto fosse presa da lei ed infine ciò che era accaduto. Raccontò di Esmeralda, dell’incantesimo effettuato ai suoi danni da Regina e di quanto l’avesse ferita sentirlo. Confessò che parlava di lei quando aveva chiesto spiegazioni circa il colpo di fulmine. Mary Margaret ascoltò, attenta ad ogni passaggio e leggendo negli occhi verdi della nipote quanto quella ragazza le avesse stregato il cuore. Vide come le sue goti si arrossassero quando toccava un argomento più imbarazzante e come il suo viso si illuminasse quando il suo nome le scivolava sulla lingua. Fu onorata che la ragazza avesse deciso di confidarsi con lei, che fosse stata la prima scelta.
-Tesoro ti sei innamorata. Certo, avrei preferito un qualche principe, ma sono davvero contenta per te-
Alexis roteò gli occhi di fronte a quella frase, se la sarebbe dovuta aspettare.
-Cosa faccio ora, nonna? Non voglio perderla, ma non posso permetterle di insultare la mamma. Per quanti difetti possa avere, lei resta sempre mia madre-
Mary Margaret fu quasi commossa al vedere quanto la nipote tenesse alla famiglia, quanto i loro valori fossero stati trasmessi ai più giovani. Ma Alexis non era lì per quello.
-Principessina mia, l’amore non è affatto una cosa semplice. Anzi è una continua lotta-
-Questo lo so, so perfettamente quanto voi e le mie mamme abbiate combattuto per il vostro futuro- si alzò dal divano, incapace di restare ancora ferma- Ma io non voglio mettermi contro mia madre, nonna. Lei è cambiata, lo sanno tutti in città! Perché per Laya deve essere così difficile accettarlo? –
Mary Margaret raggiunse la ragazza, le poggiò le mani sulle spalle e la guardò dritto negli occhi.
-Tesoro, ti confesserò una cosa. Ci ho messo anni e anni per accettare che Emma fosse innamorata di Regina - la donna prese una pausa, fece cenno all’altra di riaccomodarsi e presero entrambe posto sul sofà.
Alexis la guardava come fosse un mostro terrificante. Non aveva mai sentito quella storia, né nulla che potesse vagamente avvicinarcisi.
-Ma avete un rapporto splendido-
-È vero, ma non è sempre stato così. Anch’io non credevo nella sua redenzione ed ero convinta che stesse solo prendendo in giro Emma. Le ho detto e fatto cattiverie orribili, ma lei ha tenuto duro per amore di tua madre. È stata lei a farmi capire che stavo sbagliando e che Regina era davvero cambiata. Non ti nascondo che ho continuato a far fatica, ma poi ho capito. Ho capito che nonostante l’enorme malvagità nella quale è vissuta per tutti quegli anni, è riuscita a cambiare e a diventare una donna e una madre meravigliosa-
Terminò il suo discorso con una carezza sulla guancia della ragazza. Alexis aveva gli occhi lucidi e un sorriso buono sulle labbra.
-Devo darle tempo, allora? –
-Devi capire che lei ha sofferto e soffre per questa situazione. Non puoi imporle il cambiamento di tua madre, mostraglielo piuttosto. Regina ha compiuto atrocità, principessina, ma tutti meritano una seconda opportunità-
Le parole della donna avevano colpito a fondo nel cuore della ragazza, aprendole gli occhi e facendole capire che Laya covava una grande sofferenza sotto il rancore. E stava a lei aiutarla. Perché si era innamorata di lei.
Si era innamorata di lei da quel giorno al Rabbit Hole, quando si era soffermata ad ascoltarla andando oltre ciò che la città le chiedeva di essere. Si era innamorata di lei per il modo in cui la faceva sentire, viva più che mai e immersa in un bagno di lava che le faceva bruciare il cuore. Si era innamorata dei suoi occhi, così maledetti scuri e sporchi, che la stendevano al tappeto al primo sguardo.
Tutto il suo nervosismo era di colpo scemato per far spazio alla consapevolezza di una realtà diversa da quella che era abituata a vedere.
-Grazie, nonna-
-Figurati-
Le due si abbracciarono, restando strette per diversi attimi.
-Promettimi che non dirai a nessuno di Laya, a nessuno nonna-
-Te lo prometto tesoro-
Alexis passò il resto della giornata in casa Nolan, chiacchierando con sua nonna di quanto Laya fosse fantastica. Mary Margaret era la persona perfetta con cui parlare di amore e cose simili. Fecero un dolce anche, che mangiarono avanti ad una tazza di caffè bollente. Solo intorno ora di cena, ritornò a casa sua. Ringraziò la compagnia della donna, probabilmente avrebbe dovuto delle scuse a sua madre. 
 Mentre camminava verso il 108 di Mifflin Street, rifletté su tutto ciò che era accaduto quel pomeriggio. Oltre ad essere stata la prima volta che litigava con Laya, era anche la prima in cui si era sentita tanto in collera per delle azioni commesse da sua madre. In molti le avevano più volte narrato un qualche avvenimento circa il passato oscuro di Regina, ma mai si era tanto infuriata. Giocava un ruolo fondamentale anche il fatto che la sua famiglia le avesse raccontato molto di quei giorni bui, ma era anche consapevole che altrettante avevano omesso di riferirle. Ed era esattamente quello che più l’aveva ferita, il continuo tentativo di proteggerla. Ma lei non voleva più essere protetta, voleva essere lasciata libera di vivere la sua vita come meglio credeva, senza filtri. Era questo che aveva compreso parlando con Snow White, la sua reale rabbia non nasceva dalle parole di Laya, bensì dal venire a conoscenza di qualcosa che la riguardava da terze parti. 
Doveva assolutamente chiedere scusa a sua madre.
Infilò le chiavi nella toppa con un fastidioso magone in gola.
-Sono a casa-
Emma allungò appena la testa dalla spalliera del divano e senza nemmeno alzarsi, fece segno alla figlia di accomodarsi accanto a lei.
-Che hai fatto questa volta? -
Il suo tono non risultò irato o accusatorio, era più rassegnato. La chiamata di Regina l’aveva messa solo in parte in allerta, certa che se ci fosse stato qualcosa di grave la conversazione sarebbe stata diversa. Lesse immediatamente sul volto della ragazza la colpevolezza di qualcosa, gli anni passati come cacciatrice di taglie si trainavano dietro ancora il loro strascico. 
-Niente? - rispose la figlia stringendosi nelle spalle.
Emma per tutta risposta alzò il sopracciglio destro, chiaro segno che il suo super potere stava operando in quel preciso momento. E Alexis lo sapeva molto bene, l’aveva vista spesso quell’espressione.
-Rispondere ad una domanda con un’altra è sintomo di colpevolezza lo sai, Lex? -
Alexis si guardò intorno, la giacca e la borsa di Regina erano al loro posto.
-Dov’è mamma? -
-Sotto la doccia da soli dieci minuti, abbiamo tempo-
Entrambe sapevano delle lunghissime doccia che Regina amava fare dopo le sue giornate di lavoro. Sarebbe rimasta chiusa in bagno per almeno altri venti minuti buoni. 
-Ecco… potrei aver alzato la voce con lei- confessò concentrandosi sulle cuciture del cuscino che aveva avanti.
-E perché avresti fatto qualcosa del genere? -
-Una persona mi ha raccontato una cosa che … -
-Lex odio i giri di parole, lo sia. Quindi perché non mi dici la tua nuova fidanzata cosa ti ha detto di così assurdo? -
Alexis sgranò gli occhi di fronte a quelle parole. Possibile che sua nonna avesse resistito solo qualche minuto?
-Tu che ne sai? -
-Vedi tesoro, oltre ad essere la tua super mamma sono anche lo sceriffo. Vivo quasi per strada e la gente chiacchiera, ultimamente sulla nuova barista del Rabbit Hole -
La ragazza arrossì fino alla punte delle orecchie, eppure erano state tanto attente a non farsi vedere. Anche quando Laya passava fuori scuola, cercavano di tenere una certa discrezione. 
-E … a te sta … insomma ti sta bene? -
Guardò sua madre di sottecchi, tentando di nascondere il rossore che le invadeva la faccia.
-Non ho nulla in contrario- rispose Emma facendo spallucce- ho fatto qualche ricerca, e mi sembra una brava ragazza-
Sul volto di Alexis si allargò un enorme sorriso accompagnato da uno slancio in direzione della madre per un grosso abbraccio. Emma accolse la figlia a braccia aperte ricambiando poi con estrema energia il suo gesto. La tenne stretta a sé, nella mente le immagini di quando era solo una neonata minuscola. In quel momento si rese conto di quanto fosse cresciuta in fretta; aveva intrapreso una relazione, a breve avrebbe preso la patente e reclamava il suo spazio nel mondo. Da un momento all’altro sarebbe diventata una splendida donna, proprio come Regina. 
-Ricordale sempre chi sono le tue mamme- le disse una volta separate.
Alexis sbuffò causando lo spostamento di alcune ciocche di capelli.
-Come se fosse possibile dimenticarlo- rispose roteando gli occhi.
Emma le sorrise, sarebbe stata una gran donna. 
-Allora, cosa è successo-
La ragazza stava per iniziare il suo racconto, quando…
-Una di voi due poteva apparecchiare dal momento che sono l’unica in grado di non fa esplodere la cucina-
Regina rimase ferma sul terzo gradino, le mani suoi fianchi e gli occhiali da vista sul naso. 
-Ci penso io- 
Emma si alzò dal divano, le diede un bacio tra i capelli castano chiaro per poi farle un occhiolino. Sapeva che lei e Regina dovevano parlare. Alexis la seguì con lo sguardo finché non sparì in cucina, ingoiò a fatica della saliva, poi si decise a guardare negli occhi scuri di sua madre. Sospirò mentre la donna marciava verso di lei con le braccia incrociate al petto. 
-Alexis, il tuo comportamento di oggi è inaccettabile-
-Lo so mamma, mi dispiace davvero. Ero sconvolta-
Regina si accomodò accanto alla figlia, un cipiglio sul viso. Lesse sul suo volto quanto le sue parole fossero veritiere, quanto si fosse pentita del suo comportamento. Conosceva sua figlia, sapeva bene come l’avesse educata.
-Perché non mi spieghi meglio? - 
Il suo tono si era addolcito, persino la maschera di disappunto era sparita. 
Alexis abbassò il capo, incerta su cosa raccontare. Era sicura che se avesse detto a sua madre di Laya, l’avrebbe riempita di domande e non sarebbe stata comprensiva quanto Emma. Non si sentiva ancora pronta.
-Ho sentito questa storia a scuola e mi ha colpita. Questa donna ha lasciato la sua famiglia una volta tornata umana, è impazzita o qualcosa del genere- 
Parlò a capo chino, senza riuscire a guardare la donna in viso. Non le stava mentendo, ma si sentiva lo stesso in colpa. Non era un granché brava con i segreti, immaginò lo dovesse a sua nonna.
-È terribile. Non oso nemmeno immaginare cosa abbiano dovuto passare queste persone, io darei tutto per te ed Emma-
Regina si sentì fortemente in colpa, qualcosa con il quale aveva imparato a convivere diversi anni prima.  Non era raro che qualche abitante di Storybrooke avesse ancora qualcosa da dire circa il suo passato e aveva vagliato anche quell’ipotesi nel momento in cui aveva desiderato di avere figli. Ma vedere sua figlia tanto sconvolta per causa sua, era qualcosa al quale non si sarebbe mai potuta abituare. La sua bambina, che in quel momento si torturava le pellicina del pollice destro e fissava con insistenza i cuscini banchi del divano. Si sporse in avanti abbracciandola stretta, pregando ogni cosa nell’universo affinché nulla l’allontanasse mai da lei.
-Mi dispiace, amore. Mi dispiace tantissimo che tu debba subire cose di questo genere. Se lo vorrai mi scuserò anche con questa famiglia, qualcuno deve essere incolpato per la perdita di questa donna- 
Le parlò guardandola dritta negli occhi, quegli occhi tanto simili a quelli della sua adorata moglie. 
Alexis sgranò le iridi piene di lacrime e scosse con forza la testa. Non avrebbe voluto ferire a quel modo sua madre, lei ed Emma erano le persone più importanti della sua vita e mai avrebbe permesso che si facesse loro del male. Abbracciò forte sua madre, come aveva precedente fatto con Emma.
-E a me che dispiace, mamma. Resterò in punizione quanto vorrai, lascerò il cellulare, Gideon e la magia. Andrò solo a scuola e…-
-Tesoro respira- la fermò Regina sorridendole affettuosamente- È tutto ok, non serve tutto ciò-
-Davvero? -
La donna annuì, con quel suo sorriso buono e materno.
-Sia chiaro, se mi risponderai ancora con quei toni…-
-Non succederà-
Regina le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi si alzò porgendole una mano.
-Andiamo a cenare, tua madre è sola in cucina da troppo tempo-
-Forse non abbiamo più una cucina-
Entrambe scoppiarono a ridere, poi raggiunsero Emma. La trovarono a mangiucchiare fette di pane e prosciutto stesso avanti il frigorifero ancora aperto, ma almeno la tavola era apparecchiata. Certo, non con la classe che contraddistingueva l’opera di Regina. 
La famiglia Swan-Mills cenò tra risate e battute, in un perfetto clima familiare. 
 

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Capitolo 9
*** 9 ***


Alexis aveva parlato a lungo con Snow White in quei giorni, la quale le aveva fatto capire diverse cose che non era riuscita a vedere da sola. Nella testa le rimbombavano le parole di sua nonna, di quanto avesse faticato per accettare sua madre in famiglia e che solo l’amore per Emma l’aveva convinta. Ed era esattamente ciò che avrebbe fatto, superare un qualcosa che non le andava bene per Laya.
Perché si era innamorata di lei.
Eppure, il suo ingresso al Rabbit Hole fu accompagnato da passi pesanti e furiosi. Si diresse verso il bancone dove Laya stava preparando un drink per l’unico uomo seduto avanti a lei. Il locale era aperto da meno di un’ora e già diverse persone sedevano ai tavolini con i loro bicchieri avanti. I loro sguardi si incrociarono ancor prima di esser vicine, e Alexis affogò.
-Che ci fai qui? – le chiese Laya.
Impiegò qualche minuto di troppo a risponderle, era ancora impegnata in una profonda guerra per riemergere dalla sua oscurità. E Laya attese, attese che lei tornasse e che la bile nella bocca scivolasse giù per la gola. Aveva perso un battito quando l’aveva vista entrare, il suo verde aveva brillato per tutta la stanza.
-Dobbiamo parlare – rispose la più piccola sbattendo lo zaino sul bancone.
La mascella serrata e i muscoli tesi erano sintomo non solo di nervosismo, ma anche di una più profonda e radicata paura. Aveva fatto di tutto per mostrarsi matura ai suoi occhi e non una sedicenne che impazziva alla sua prima cotta. Ma temeva che per Laya non fosse abbastanza.
-Sto lavorando- le rispose l’altra senza nemmeno guardarla.
-Laya- si limitò a richiamarla.
La ragazza le diede le spalle per posare una bottiglia, prese un nuovo bicchiere da un’anta sotto il bancone e poi tornò a prestarle attenzione.
-Principessina io ho bisogno di lavorare per vivere, quindi non comportanti come una mocciosa immatura. Ci vediamo un altro giorno-
Alexis fu ferita da quelle parole, ma cercò in ogni modo di non darlo a vedere. Strinse i pugni sulle ginocchia ed ingoiò quel miscuglio di delusione e lacrime.
-Mi devi delle spiegazioni e non chiamarmi in quel modo–
-Sei sparita per giorni, credo tu possa aspettarne qualcun altro. Va’ a giocare con i tuoi unicorni vomita arcobaleni-
La minore si alzò di scatto, battendo i palmi delle mani sul bancone. Il freddo della superficie contrastò con il calore della sua pelle appannandola. Qualche bicchiere tintinnò ma nessuna delle due sembrò farci particolarmente caso.
-Non trattarmi come una bambina, Laya! -
I loro visi si avvicinarono pericolosamente, solo il bancone a dividerle. L’una poteva sentire sul volto il respiro pesante dell’altra, come nel loro primo bacio.
-Allora non comportarti come tale-
Ne seguirono attimi di silenzio, attimi in cui il verde si tuffava nel nero e viceversa. L’unica cosa che riuscì a spezzare quella maledizione fu l’arrivo di un cliente, il quale aveva cercato di attirare l’attenzione della barista diverse volte prima di essere ascoltato. Laya si allontanò per servirlo e Alexis ne approfittò per andarsi a sedersi al suo solito posto, nell’angolo in fondo a destra. Batté con così tanta forza lo zaino per terra, che diversi clienti si voltarono nella sua direzione. Se ne infischiò, restando a fissare Laya servire. Altre due ragazze si avvicinarono, due sue compagne di scuola, ridendo e spintonandosi. Non appena incrociarono i suoi occhi si zittirono di colpo e cambiarono espressione.
-Oh, ciao Alexis- salutarono a disagio.
La ragazza ricambiò con un sorriso tirato ed un gesto della mano, in quel momento non aveva voglia e non le importava di socializzare. Le due parlarono fitto tra loro, cercando di non farsi sentire. Chiesero qualcosa sotto voce a Laya, la quale sospirò vistosamente lanciando uno sguardo irato all’altra. Stappò alle ragazze due bottiglie di acqua tonica, attese che andassero a prendere posto ad un tavolino in penombra, poi si avvicinò ad Alexis.
-Hai deciso di farmi licenziare? – le ringhiò contro.   
La minore la guardò confusa, spalancando la bocca di fronte a quell’accusa infondata.
-Che cosa ho fatto ora? – domandò allargando le braccia.
-Santo cielo, Lex! Ti rendi conto che spaventi la clientela? –
-Cosa cazzo sono, un drago a tre teste? –
-Peggio, la figlia del sindaco e dello sceriffo. Quelle ragazzine hanno diciassette anni! –
Alexis ci mise qualche minuto di troppo a cogliere quale fosse il problema, dandosi poi della stupida. La questione era sempre la stessa, da tutta la vita. La gente si zittiva quando passava accanto a lei per timore che potesse riferire qualcosa, non le si raccontavano segreti, non la si coinvolgeva in feste o party e nessuno partecipava a quei pochi che aveva organizzato. Perché lei era la figlia di chi gestiva quella dannata città. Ancora una volta quella consapevolezza la colpì come schiaffo. Lei adorava la sua famiglia e non si era mai sentita sola un solo istante nella sua vita, aveva sempre avuto al suo fianco Gideon, Leopold, Ruby e tutti gli altri. Ma quell’esclusione forzata dalla società le faceva male, ancor di più il fatto che persino la sua ragazza non riusciva a capirlo. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, più difficili da ingoiare.
Laya se ne accorse e si sentì in colpa per essere stata tanto dura con lei, dopotutto non poteva sapere che le due sue compagne di scuola passavano di tanto in tanto per una birra. Giusto per sentirsi più grandi. Sospirò di fronte le lacrime dell’altra.
-Ci vediamo domani. Passo a prenderti a scuola, va bene? –
Alexis sorrise ironica e delusa. Aveva seriamente sperato di sistemare le cose.
-Lascia perdere-
Recuperò il suo zaino dal pavimento, se lo mise in spalla e si avviò verso l’uscita. Laya sospirò ancora, frustrata. Scavalcò il bancone saltandoci sopra, ignorando le occhiatacce che il suo capo le stava mandando. Avrebbe dovuto fare degli straordinari, di sicuro.
-Lex-
L’afferrò per un polso, il tono più vellutato di prima. Lesse nei suoi occhi quanto quella situazione la faceva soffrire e quanto fosse stata idiota a non capirlo subito. Dopotutto, Alexis aveva solo sedici anni e lei era la sua prima relazione. Per quanto ne sapeva non aveva mai messo piede fuori da Storybrooke o avuto alcun tipo di contatto con il mondo. Lei invece, poteva vantare diversi viaggi, il college e svariati rapporti personali.  Sarebbe dovuta essere più indulgente con lei, o quantomeno provarci.
-Domani parleremo di tutto quello che vuoi. È una promessa-
L’intensità con la quale Laya la guardò, il buio che brillava nei suoi occhi, non le avrebbe mai fatto credere che le stesse mentendo. Quindi annuì, anche se a testa bassa. Le diede le spalle e si avviò verso l’uscita senza guardarsi indietro. Laya la vide allontanarsi sentendo lo stomaco stringersi di più ad ogni passo che Alexis compiva. Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli non ricordandosi della coda di cavallo che li teneva fermi.
-Agnés-
La voce di Fred la obbligò a voltarsi. Il suo dito indicava le due persone che aspettavano di essere servite, lo sguardo duro stampato in viso.
Laya annuì e tornò al suo lavoro. Continuò a preparare drink, stappare bottiglie e miscelare cocktail, ma la sua mente era andata via assieme ad Alexis. Quando avevano litigato, non era certa che l’altra tornasse indietro e dopo i cinque giorni trascorsi nel più totale silenzio se ne era ormai convinta. Era stata una sorpresa non indifferente vederla entrare nel suo locale con un diavolo per capello. Alexis diventava ancor più bella quando era così infervorata, ricordava il modo in cui i suoi occhi si erano incendiati nel bosco e quanto ardore ci fosse stato nelle sue parole. Era stata dura con lei, troppo, ma non aveva potuto fare a meno di gettarle quell’estrema quantità di veleno addosso. Aveva avuto ragione nel dirle che sapeva perfettamente chi fosse quando le aveva offerto da bere, ma la realtà era che durante i due incontri al Rabbit Hole, era riuscita a dimenticare chi fosse sua madre. La sua spontaneità da sedicenne, l’aveva messa in condizione di concentrarsi solo sulla sua persona. E quel suo modo di infervorarsi al soprannome con cui tutti la chiamavano era talmente buffo, che le veniva da sorridere al solo pensiero. La sua mente, così come le mani attorno ad una bottiglia, ebbe un’improvvisa battuta d’arresto. Stava finendo sul serio per provare dei veri sentimenti per Alexis Swan-Mills? Una ragazzina viziata di sedici anni che conosceva l’avanti e il dietro di casa sua? Ridacchiò scuotendo il capo, doveva essere impazzita.
Il resto della sua serata passò tra bottiglie, bicchieri e ghiaccio. Il corpo sapeva esattamente cosa fare, senza preoccuparsi che la mente fosse lontana miglia. Nemmeno si accorse di aver ripulito il bancone, sistemato ogni contenitore e lucidato ogni centimetro della sua postazione. Era ormai notte fonda e non riusciva a sentire la stanchezza, troppo occupata ad arrovellarsi il cervello dietro ad una ragazzina.
-Buonanotte Fred- salutò mentre si infilava il giubbotto direttamente sopra la divisa.
-Buonanotte Agnès-
Seduto ad un tavolo intento a far conti, l’uomo la guardò con uno sguardo di nervosismo misto a ammonimento. Le sollevò una penna contro indicandola.
-Vacci piano con la principessina, stai giocando con il gioiellino della città-
Laya cominciò a capire come dovesse sentirsi Alexis, cosa significasse essere vista sempre come la figlia di qualcuno di importante. Le fu più chiaro cosa significasse essere trattata come una bomboniera di cristallo che nessuno ha il coraggio di maneggiare.
-Non sto giocando- si limitò a rispondere.
Gli rivolse un falso sorriso, poi andò via camminando nell’aria fredda con le mani nelle tasche.
Quella breve conversazione le aveva dato ancor più da pensare, ancor più da riflettere. Lei era un’estranea nella sua città, se così la si poteva definire. C’erano più persone che non avevano idea di chi lei fosse, almeno prima di iniziare a lavorare come barista, che quelle che la conoscevano. E a lei stava bene, non aveva mia sognato una vita diversa, salvo per sua madre. Si limitava a vivere le sue giornate nella sua minuscola porzione di mondo e a condurre un’esistenza anonima. Non poteva neanche immaginare cosa potesse significare essere tenuta d’occhio da un’intera città, sentirsi lo sguardo sulla schiena di ogni passante e il fiato sul collo ad ogni passo sbagliato, ad ogni sbandata. Era convinta che Alexis amasse alla follia la sua famiglia, Emma e Regina erano sicuramente delle madri tanto esemplari quanto ingombranti. Non le aveva mai sentito dire una sola parola contro di loro, come una qualunque ragazzina della sua età arrabbiata col mondo. O forse era semplicemente troppo composta per farlo, aveva letto sul suo viso quanto avrebbe voluto esplodere appena arrivata al locale, ma si era trattenuta.
“Che brava principessina”.
Infilò le chiavi nella toppa della porta di casa nel modo più silenzioso che poté. Sfilò le scarpe scalciandole e riponendole in un secondo momento all’angolo accanto alla porta. Camminò in punta di piedi fino al bagno, aveva bisogno di una doccia, e proprio mentre stava per abbassare la maniglia la voce di sua padre le arrivò ovattata alle orecchie.
-Laya, tutto ok? – la voce dell’uomo era roca di sonno e le parole sbiascicate.
-Si papà, torna a dormire. Faccio una doccia e mi infilo a letto-
-Buonanotte, tesoro-
Sorrise appena mentre si spogliava, tutte le sere la stessa storia.
 
Alexis era tornata a casa sconfortata e irata nei confronti di Laya. Si sentiva come se tutto ciò che avesse fatto fino a quel momento, non fosse servito a nulla. Aveva sperato che la ragazza comprendesse quanto fosse stato difficile non correre al Rabbit Hole la sera dopo aver litigato, ma si era dimostrata invece la solita persona fredda e cinica. La stessa a cui, distesa sul suo letto, non voleva smettere di pensare. Si era rifiutata di parlare con chiunque una volta tornata dal locale, evitando le sue madri al meglio che vi riuscì. Laya le mancava, le mancava quella piccola costante che era diventata nella sua routine, dall’andare a prenderla a scuola ai pomeriggi che passava con lei al locale prima dell’apertura. Le mancava anche il suo sparire durante il suo giorno di riposo per potersi dedicare a sé stessa e alla sua famiglia, e la sua continua irreperibilità al cellulare. Provava un astio immotivato verso quell’oggetto non afferrandone a pieno la necessità e dichiarandolo inutile e sminuente. Laya era tutte quelle cose, e nel complesso dei suoi molteplici difetti, Alexis ne era innamorata.
Sospirò ancora una volta fissando il soffitto della sua stanza, poi il suo cellulare vibrò indicando l’arrivo di una telefonata. Nell’attimo che passò da quando il suo cervello registrò la notizia a quando si sollevò per afferrare il cellulare, sperò fosse Laya. Ringraziò di essere sola e non dover mascherare la delusione nel leggere il nome di Gideon sullo schermo.
-Ehi, Gid-
Il suo tono fu più affranto di quanto avrebbe desiderato mostrare.
-Non essere così felice di sentirmi, ti prego. Potrei emozionarmi-
Alexis sospirò nel microfono prima di rispondere.
-Scusa è che speravo fosse Laya-
-Non avete ancora sistemato la questione? –
La ragazza chinò il capo a favore della coperta sulla quale era seduta. Non aveva voglia di mettersi a raccontare quel pomeriggio denigrante.
-No-
Dall’altro lato del telefono, Gideon aveva capito benissimo che la sua amica era particolarmente affranta da quella situazione. Aveva creduto si fosse trattato solo di una sbandata, di una cotta adolescenziale, ma si era dovuto ricredere. Alexis teneva davvero all’altra, in un modo totalmente puro e disinteressato da renderla un piccolo cristallo. Era anche ben consapevole che se avesse intuito i suoi pensieri, il suo definirla tale, sarebbe andata su tutte le furie. Agnès le piaceva anche per quello, perché la trattava per la ragazza semplice che era.
-Ne vuoi parlare? –
Alexis rimase in silenzio per diversi secondi, immobile a ripensare alle parole che le aveva rivolto Laya. L’aveva trattata come una stupida mocciosa e quello non poteva negare le avesse fatto male.
-Non c’è molto da dire. Si è limitata a sbattermi fuori dal locale e a rimandare a domani-
-Che hai intenzione di fare? –
-Non so-
La loro conversazione fu interrotta dalla voce di Belle la quale richiamava il figlio per la cena. I due ragazzi si salutarono con la promessa di aggiornarsi l’indomani, dopo l’incontro tra Alexis e Laya.
La ragazza rimase ancora per qualche minuto immobile, persa nei suoi pensieri. Poi raggiunse le sue madri in sala da pranzo per la cena.
Regina era intenta a smanettare tra i fornelli ed il forno, Emma, accomodata ad uno degli sgabelli della penisola, mangiucchiava qualche foglia d’insalata dal recipiente dove sarebbe dovuta essere servita.
-Emma, per favore, smettila di infilare le dita nella cena- Borbottò Regina.
-Le ho lavate le mani, giuro! –
La bruna sospirò, per quanto fosse ormai abituata alla morte del bon ton della moglie, continuava a sperare che un giorno o l’altro avrebbe riposto le scarpe al loro posto, apparecchiato come una tavola degna di quel nome richiedeva, e mangiato non come una cannibale. Nonostante i vent’anni anni di conoscenza e i diciassette di matrimonio, Emma ancora non era riuscita a far suo un briciolo dell’eleganza di Regina.
Alexis entrò in cucina sorridendo, adorava che le sue madri si guardassero ancora con occhi brillanti e che si punzecchiassero. Si posizionò accanto ad Emma, allungò una mano verso la ciotola con l’insalata ed imitò sua madre prendendone una foglia. Lo sguardo di Regina fu un perfetto misto di sconforto e rabbia.
-Ammetto che ho più volte desiderato, durante la gravidanza, che tu somigliassi a tua madre, ma almeno speravo ne ereditassi i pregi- scherzò Regina guardando moglie e figlia.
-Mamma ha dei pregi? –
La bocca di Emma si allargò in un’espressione sconvolta, Regina scoppiò a ridere.
-Questa è una considerazione più che valida, tesoro-
-Tranquille, continuate a dire cattiverie su di me come se non fossi qui! –
Regina si avvicinò alla moglie, le carezzò una guancia e le regalò un dolce bacio sulle labbra.
-Per sua fortuna, Signorina Swan, l’amo ugualmente-
 
I numeri che si inseguivano alla lavagna, non erano riusciti in alcun modo a conquistare l’attenzione di Alexis Swan-Mills. La sua mente continuava a cercare un profondo paio di occhi scuri e magnetici, gli stessi che erano riusciti a ferirla così profondamente il giorno prima. Al suo fianco, Marta Booth le aveva dato di gomito già diverse volte.
-E’ tutta la giornata che sei con la testa tra le nuvole, a che stai pensando? –sussurrò la ragazza.
Non erano esattamente amiche, ma tra tutti gli altri idioti che si limitavano al suo cognome, lei riusciva a starle un po’ più simpatica. Era certa che a sua madre avrebbe fatto incredibilmente piacere se tra le due fosse nata una stretta amicizia, fosse solo per ciò che c’era tra lei e August.
-Non sto pensando a niente-
-Certo, ed io non so intagliare il legno- rispose ironica l’altra.
Alexis sbuffò e roteò gli occhi, di certo non poteva raccontare a Marta Booth di Laya. La scelta andava ben oltre il fatto che fosse una bugiarda cronica, difatti l’intera città era al corrente che qualsiasi cosa venisse fuori dalle sue labbra era quasi certamente una bugia.
-Non c’è nulla, smettila! –
Il suo tono fu troppo duro e un po’ se ne dispiacque, ma era certa che l’altra non se la fosse presa.
-Ok ok, non ti scaldare principessina. Piuttosto, è vero che tua madre ha ancora un albero di mele avvelenate e che un solo morso ti può uccidere? –
Lo sguardo di Alexis fu di puro ribrezzo, l’avrebbe volentieri fatta volare dall’altra parte dell’aula se non fosse suonata la campanella e se la sua magia non fosse terribilmente instabile. Saltò dalla sedia, chiuse alla meglio lo zaino e corse fuori. Fu una delle prime a metter piede fuori dall’istituto e i suoi occhi trovarono il pick-up sgangherato di Laya in un attimo, dopotutto era stato di suo nonno quel furgone. Più si avvicinava a lei, più sentiva una stretta allo stomaco attanagliarla. Il cuore le batteva furioso nel petto, in parte per l’ansia di non sapere cosa dirle, in parte per la paura di vederla andar via definitivamente. Ad ogni passo verso di lei, un’emozione diversa le scorreva dentro assieme ai globuli rossi e all’aria. Lei sembrava una statua, poggiata alla portiera con la sua aria austera fissa sul volto.
-Ci vediamo principessina-
Il saluto di Marta Booth riuscì a farle perdere quel minimo barlume di lucidità che aveva trovato con tutte le sue forze. Digrignò i denti, e arrivò dove si trovava Laya a passo pesante e infuriato. Non si soffermò a salutarla, limitandosi ad aprire la portiera imprecando e a sbatterla richiudendola.
-Dannata Booth, lei e la sua maledetta lingua lunga! –
Laya la guardò interrogativa, era abbastanza certa di trovarla adirata ma non avrebbe creduto fino a quel punto. La raggiunse sul pick-up e si soffermò a guardarla. Alexis assumeva un certo fascino quando era irata a quel modo, i suoi occhi verdi brillavano come non mai.
-Tutto ok, princi… -
-Chiamami con quel nomignolo e ti giuro che te lo faccio saltare in aria questo catorcio! –
Laya si bloccò all’istante, giurando di aver sentito il veicolo tremare sotto i piedi alle parole della ragazza. Per cui decise di mettere in moto, allontanarsi dal cortile della scuola poteva essere un inizio per farla calmare.
-Vuoi andare al Granny’s? – Tentò Laya.
Iniziare il discorso nel suo posto preferito poteva essere un inizio più che logico. Le ciambelle di Ruby erano tra i suoi cibi preferiti.
-Non ho fame- Fu la risposta lapidaria.
-Allora andiamo al bosco, che ne pensi? –
Alexis non rispose, si limitò a grugnire qualcosa di incomprensibile particolarmente simile a quelli che pronunciava Emma in gioventù.
-Ok, cosa vuoi fare allora, Lex? -     
Laya non era brava a capire gli stati d’animi delle persone, ancor meno quelli della giovane Swan-Mills. Per di più non aveva più pazienza da dedicare ai ragazzini da diversi anni ormai, ammesso ne avesse mai effettivamente avuta. Ma quell’atteggiamento non faceva altro che innervosire ancor di più l’altra ragazza.
-Io volevo parlare, Laya! Volevo sistemare le cose tra noi, ma tu mi hai mandata via! -
-Stavo lavorando, Lex. Ti prego non ricominciare a fare la bambina viziata-
-Smettila di dirmi che sono una bambina! Ero venuta con l’intenzione di scusarmi con te, di cercare di capirti. Ma sai una cosa, io non ti conosco, Laya. Stiamo insieme da tre mesi ed io non so niente di te-
Gli occhi di Alexis presero a brillare di lacrime nuove che cercò di fermare, non voleva che Laya la reputasse più infantile di quanto già non la facesse sentire. 
-Come puoi dire qualcosa del genere? Ti ho raccontato cose che non ho mai detto a nessuno! - 
Per qualche attimo nel pick-up non si udì altro che il rumore del vecchio motore. Alexis era occupata a eludere lo sguardo oscuro di Laya e quest’ultima a guidare senza un’effettiva meta. Fino a quando non le venne in mente un’idea. Sterzò bruscamente il volante del furgone, facendo sobbalzare l’altra e obbligandola a reggersi al sedile per non sbattere contro il finestrino. 
-Ma che ti salta in mente? -
-Hai detto di volermi conoscere, bene. Ti porto a casa mia-
Lo sguardo di Laya era una coltre buia ed impenetrabile, le braccia tese a tenere il controllo del volante e la mascella serrata. 
-Che cosa? -
Alexis la guardò per un tempo lunghissimo, cercando di leggere al suo interno cosa le stesse passando per la mente e cosa l’avesse realmente spinta ad un cambiamento talmente repentino. Ma Laya non lasciava trasparire nulla, chiusa dietro la sua maschera di forza e controllo. Rimasero in silenzio fin quando non arrivavano di fronte una palazzina che aveva visto giorni migliori.
-Scendi- si limitò a dirle.
L’altra la seguì senza dire una sola parola, troppo occupata ad esaminare ciò che la circondava. I mattoni rossi del palazzo erano rotti in più punti, le scale antincendio accanto alle finestre arrugginite e il portone assurdamente vecchio. Camminò quanto più vicino possibile all’altra, non perché temesse di finire nei guai, la criminalità a Storybrooke era talmente bassa che sua madre si annoiava a morte in centrale, ma la situazione le metteva una gran ansia. Salirono due rampe di scale, fino ad arrivare di fronte una porta con il numero 5 in ottone. Infilò la chiave nella toppa e quando la fece scattare ad Alexis saltò il cuore in gola. Non era pronta per conoscere la sua famiglia, non ancora. 
-Fleur? Sei in casa? -
Laya fece strada lungo il piccolo corridoio, non si curò dell’altra ragazza lasciandole il tempo di guardarsi intorno. La casa si sviluppava principalmente in lunghezza; poco dopo l’ingresso vi era un piccolo cucinotto con un tavolo sulla destra e un salotto contenente appena un divano ed un televisore; sulla sinistra vi erano due camere da letto molto piccole e in fondo il bagno. Era una casa piccola ma molto accogliente e arredata in modo armonioso e delicato, niente a che vedere con la maestosità di Villa Mills.
-Laya? Sei già rientrata? Oh, vedo che abbiamo ospiti, potevi dirmelo avrei preparato qualcosa-
Una donna sui quarantacinque anni venne fuori dalla cucina. Era alta e magra, biondi capelli lisci e due luminosi occhi azzurri. Sul suo viso le rughe sembravano essere un ornamento messo lì appositamente per abbellirne la persona. Persino il suo tono di voce era soave. Alexis ne rimase colpita, ma nonostante ciò non riuscì a venir fuori da dietro le spalle di Laya.
-È stata un’improvvisata, scusami- rispose la ragazza.
-Tu sei la piccola Swan-Mills, vieni accomodati pure. Non essere così in imbarazzo. Io sono Fleur-de-Lys-
La donna prese le mani della ragazza per portarla ad accomodarsi su di una sedia accanto al tavolo. Alexis avrebbe volentieri utilizzato la magia per teletrasportarsi lontano o sarebbe morta di vergogna se non fosse mossa da un’incredibile curiosità verso il mondo di Laya. Aveva sperato di essere stata abbastanza brava da esser riuscita a camuffare lo stupore nel sentir il nome della donna, la sua mente aveva collegato i tasselli del puzzle in un attimo.
-Io ed Alexis dobbiamo discutere di alcune cose, ci serve un momento-
La ragazza ringraziò ogni cosa potesse ringraziare per averla tolta da quel profondissimo imbarazzo. Seguì Laya nella sua stanza e si concesse di respirare solo quando l’altra chiuse la porta alle loro spalle. La camera era minuscola, contava un lettino addossato alla parete sinistra, un armadio accanto la porta e un tavolino con una sedia che fungeva da scrivania.
-Di certo non sarà grande quanto la tua- disse lasciandosi cadere sul letto.
Il tono usato da Laya risultò accusatorio e pungente, ma Alexis non si lasciò scalfire in quell’occasione. Non badò alle sue parole, la sua attenzione era stata attratta da una statuetta in legno, bruciata da un lato, poggiata sul comodino. L’aveva già vista, alla tv sul divano con Emma. Laya seguì il suo sguardo fino ad arrivare alla rotta di collisione. Si rialzò per afferrare la statuetta, il suo sguardo mutò in un attimo quando i suoi occhi si soffermarono sull’oggetto e Alexis capì che doveva essere qualcosa di molto importante per lei.
-E’ l’unica cosa che mi è rimasta di mia madre- spiegò senza alzare lo sguardo.
Accarezzò con le dita i lineamenti del corpo della madre intenta ad agitare in aria un tamburello. Il velo viola intorno i fianchi adornati di bianco creavano un meraviglioso contrasto con i capelli neri e la pelle abbronzata. Non aveva volto, dove sarebbero dovuti esserci i tratti somatici della donna vi era il nulla.
-Perché non ha il viso? – sussurrò appena, per non spezzare la fragilità in cui si trovava Laya.
-Non lo so, mi è stata regalata così. Mio padre mi disse che si trattava di un oggetto di gran valore, perché era stata creata da una persona speciale-
Laya si accomodò di nuovo sul letto, la statuetta ancora stretta tra le mani. Alexis fece lo stesso, ma senza dire una parola.
-Non lo ricordo il suo volto, sai? Non ho foto perché diceva che quegli aggeggi rubano l’anima. Ho solo questo, un pezzo di legno senza viso-
Un sorriso malinconico si allargò alle sue labbra. Ricordare l’assenza di ricordi circa la donna le faceva sempre male, nonostante gli anni e la sua famiglia così unita, la feriva ancora. Aveva desiderato spesso, soprattutto da bambina, che la donna tornasse a casa. Aveva fantasticato di tornare a casa dopo la scuola e trovarla nel salotto di casa a prendere un tè con Fleur-de-Lys e suo padre, ma non era mai successo. Le sue speranze erano morte con l’adolescenza, lasciando spazio alla rabbia. Verso Esmeralda stessa, verso chi era stato causa di tutti i loro mali, verso chi aveva obbligato sua madre a scappare via. Aveva trovato così ironico il provare qualcosa per Alexis anche per quello.
-Tu… non ricorda nulla di… lei? –
Alexis stava tentando in ogni modo di non scoppiare a piangere, travolta di nuovo da quel senso di colpa per gli errori di sua madre. Si passò diverse volta la manica della felpa sugli occhi e contro il naso, il suo tentativo di dimostrare maturità si era sgretolato come un grumo di sale.
-No. Papà mi racconta spesso che cantava, cantava così bene che la persone si fermavano ad ascoltarla. E ballava, a piedi scalzi nel parco. Odiava restarsene chiusa in casa, diceva di non esserci abituata e non di non voler iniziare-
La voce prese a tremarle, ma non avrebbe ceduto. Non si sarebbe fatta sopraffare come ogni volta che pensava a sua madre. Gettò uno sguardo ad Alexis, che era rimasta zitta per tutto il tempo. Si era lasciata andare al punto da dimenticarsi della sua presenza, perciò quando si voltò verso di lei strabuzzò gli occhi nel trovare il suo viso completamente coperto di lacrime. Tentava in ogni modo di evitare di singhiozzare, lasciando affogare il suo stato d’animo nel polsino della sua felpa. Sorrise, il cuore le si scaldò alla vista di quella ragazzina tanto colpita dalla sua storia. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e tanto bastò all’altra per scattare. Si lanciò contro il suo corpo, obbligando entrambe a cadere distese sul letto. Le braccia della minore si strinsero intorno al collo di Laya con energia, il volto umido andò a nascondersi nel suo collo. Non la fermò, rimase sdraiata con la ragazza addosso e tenendola stretta. Non era esattamente il tipo di persona che dispensava manifestazioni d’affetto, ma in quel momento ne avevano bisogno. Affondò il naso tra i suoi capelli chiari respirandone l’odore e trovandolo intossicante per quanto bello.
-Mi dispiace, Lay. Mi dispiace così tanto! – singhiozzò contro la sua pelle.
Laya si sciolse in un sorriso spontaneo, sussurrandole all’orecchio di non pensarci in quel momento. Lasciò che l’altra si calmasse, che riprendesse a respirare normalmente e i singhiozzi smettessero di scuoterle il petto. Solo a quel punto permise al suo viso di lasciare la pelle del collo in favore delle sue labbra. La baciò con una dolcezza che Alexis non aveva mai sperimentato prima, con una passione soffocante che influenzò anche il suo bacio. Infilò le dita abbronzate tra i suoi capelli, lasciando che l’altra si sistemasse sul suo corpo come meglio credesse e cercando di ignorare i brividi che le invadevano la schiena. Frugava alla scoperta della sua lingua e Alexis la lasciava fare, persa in quel turbinio di emozioni. Il bacio di Laya l’aveva completamente rapita ed annientata, facendole dimenticare ogni litigio, ogni turbamento e paura. Sarebbe solo voluta rimanere lì fino allo scoccare della ventiseiesima ora della giornata. Lasciò fare a Laya quello che voleva, non si oppose nemmeno quando capovolse la situazione posizionandosi su di lei e incrociando le loro gambe, il ginocchio contro il suo centro. Si guardarono per un istante, i suoi occhi scuri brillavano come mai prima li aveva visti. Allungò una mano verso il suo volto sfiorandole una guancia. Si sentiva completamente persa nel suo sguardo, si sentiva cadere ed affogare nello stesso istante senza nemmeno accorgersene.
-Lex, torna qui-
Laya aveva il fiatone, le guance arrossate e una bellezza sul viso tanto rara quanto perfetta brillava nel suo sorriso.
-Abbiamo fatto pace? –
Non gliene importava più di sembrare stupida o immatura, aveva solo bisogno di sapere che Laya sarebbe rimasta esattamente dov’era e che tra loro era tornato tutto apposto. La ragazza avvicinò il naso al suo prima di soffiare sulle labbra la sua risposta.
-La prossima volta che Kyle Hopper ti chiede di uscire, digli che la tua ragazza gli spezza le antenne da grillo che si ritrova al posto delle orecchie-
Il cuore di Alexis prese a battere tanto forte da esser certa che anche Laya riuscisse a sentirlo. La sua vicinanza le faceva mancare il fiato, ma quelle parole vennero fuori chiare e sincere.
-O magari potrei dirgli che ti amo-
La notte senza stelle e un prato dopo un acquazzone si scontrarono senza alcuna possibilità di ritorno, perdendosi l’una dentro l’altra senza nessuna voglia di tornare indietro. E l’unica cosa che Laya riuscì a fare, fu baciarla come fosse l’ultima volta, baciarla in ogni modo possibile e con tutto ciò che aveva da darle. Le sue mani abbandonarono il suo viso in favore dei fianchi, le dita si insinuarono sotto la felpa cercando un contatto con la pelle chiara. Una scossa le invase quando il calore raggiunse i polpastrelli. Alexis sobbalzò ed istintivamente portò la sua mano sulla spalla di Laya. Questa capì e ritirò immediatamente la sua.
-Scusami-
Alexis non rispose, si limitò a lasciarle un bacio a fior di labbra e a sorriderle felice. Laya esaminò ogni singolo dettaglio del suo viso, impresse nella sua mente per sempre la carica che avevano i suoi occhi in quel momento, la curva perfetta che disegnavano le labbra e il modo divino in cui i capelli sparsi sul cuscino le incorniciavano i lineamenti. Ogni rancore verso Regina Mills aveva momentaneamente lasciato i suoi pensieri, investiti unicamente dal batticuore che le aveva causato Alexis Swan-Mills.
Si spostò dalla sua posizione originaria, stare a contatto così ravvicinato con il suo corpo ancora in parte acerbo, la metteva in difficoltà. Controllarsi diventava difficile quando la guardava con quei suoi occhi enormi e verdi. Quindi scivolò al fianco della ragazza, mettendo una mano a sostegno del capo. Alexis si voltò nella sua direzione con le braccia piegate sotto la testa.
-Mi piaceva averti addosso- soffiò la minore.
-E a me starci, ma se non vuoi andare oltre è meglio così-
Alexis arrossì fino alla punta delle orecchie. Non aveva mai avuto alcun tipo di contatto con il mondo del sesso, era completamente ignorante in materia. Aveva dato il suo primo bacio quasi per scommessa, anche se in realtà Ferdinand Whale non era stato poi così male. Ma con Laya si era spinta decisamente oltre un semplice bacio a timbro. Si morse le labbra, inconsapevole che quel semplice gesto avesse accesso un fuoco nel ventre dell’altra.
-Non vuoi andare oltre? – chiese tentando di camuffare la timidezza.
Laya ridacchiò, si mise a pancia all’aria, non badando al fatto che lo spazio fosse insufficiente per due persone, e si perse a guardare il soffitto.
-C’è tempo per il sesso, principessina. Hai solo sedici anni e potrei andare in galera considerando che sono molto più grande di te-
-Quindi dai per scontato che io non abbia avuto rapporti con nessuno-
Le piaceva giocare con lei a quel modo, le piaceva starsene semplicemente lì insieme senza alcun tipo di pensiero.
-Ne sono sicura, certe cose si sentono. Sei una cucciola, ancora-
Alexis fece roteare gli occhi sbuffando.
-Sorvolando sul fatto che dovresti seriamente smetterla di trattarmi come una bambina, vorrei farti presente che nonostante i tuoi decantati ventitré anni tu sia qui con me-
Laya sorrise mentre si voltava a guardarla, ma non appena i suoi occhi incontrarono quelli dell’altra, non ebbe la forza di lasciarli andare. Al loro interno viveva una limpidezza ed una purezza che non aveva mai visto in nessuno sguardo, men che meno nel proprio. La baciò d’impeto, con foga quasi. La trascinò nuovamente su di sé, ne aveva disperatamente bisogno. La sua mano premeva contro la schiena per tenerla più vicina, per sentire il suo corpo premuto contro il seno. Le dita quasi sfioravano il bordo dei jeans. Alexis si mosse appena su di lei, non accorgendosi che le sue gambe andavano a collidere con il centro di Laya. Questa provò ad ignorarlo, ma i brividi che sentiva e il maremoto tra le sue gambe non glielo permetteva. Morse le sue labbra e un gemito abbandonò la gola di Alexis. Laya lo catturò per farlo suo, lasciando che alimentasse la propria eccitazione. Fece scivolare la mano dai fianchi alla coscia, solo per sentire ancora quel suono, per avvertire il corpo della minore tremare sul suo. Avvertì distintamente il desiderio divorarla, solo allora si allontanò. Non avrebbe retto un secondo in più senza farla sua, assaporare i suoi umori e avvertire il suo calore.
-Wow- fu il sospiro della minore.
Laya deglutì a fatica, tentando di riuscire a fermare quell’istinto che urlava di continuare.
-Lex, se non usciamo da questa stanza dubito riuscirò a tenere le mani a posto-
Il suo tono fu estremamente serio, la situazione lo richiedeva. Non voleva portare Alexis in un qualcosa che non si sentiva pronta a fare. Ma il suo corpo desiderava sentire che sapore avesse la sua pelle e cosa si provasse ad ammirarla nuda, e questo non poteva ancora permetterglielo.
-Ho fatto qualcosa di sbagliato? – le chiese ad un centimetro dalle sue labbra, sinceramente preoccupata in tutta la sua ingenuità.
-No principessina, non hai fatto niente-
Le diede un ultimo bacio a fior di labbra e si mise in piedi tendendole la mano per fare altrettanto. Si chinò ai piedi del letto per prendere la statuetta e rimetterla al suo posto, poi scortò la ragazza in salotto. Lì Fleur-de-Lys sorseggiava del tè seduta sul divano, un libro in una mano e una tazza nell’altra.
-Ragazze, ho preparato del tè ma non volevo disturbarvi. Ormai tra poco si cena. Si unisce a noi Signorina Swan-Mills? –
Alexis arrossì violentemente, il fatto che la donna le parlasse con una tale riverenza la metteva in imbarazzo, ma la presenza di Laya al suo fianco le dava forza.
-Io non vorrei disturbare e la prego, solo Alexis va più che bene-
La buona educazione insegnatale da sua madre faceva bella mostra in situazione del genere, certa che la donna sarebbe stata orgogliosa.
-Ma quale disturbo, sarà un onore per noi! Non è vero, Laya? –
La ragazza sorrise con un’alzatina di spalle, dando il suo assenso.
-Ehm… grazie. Faccio una telefonata, allora-
-Perfetto! –
Alexis si allontanò verso la porta con il cellulare già in mano, Laya la seguì accompagnandola all’ingresso della palazzina. La ragazza cercò il numero che le serviva tra i preferiti, una volta trovato avviò la chiamata. Attese qualche secondo che sua madre dall’altro capo rispondesse.
-Lex, che hai fatto questa volta? –
-Cos…? Niente! Volevo solo informarti che non torno a cena-
La poca fede nei suoi confronti da parte di Emma la ferì, non era legge che ogni sua chiamata comportasse un qualche problema.
-Cenetta romantica? – domandò la donna con tono malizioso.
-Mamma! Che vai a pensare, no! –
-Sicura? – domandò maliziosa.
Alexis arrossì per l’ennesima volta in quella giornata, perché sua madre aveva ragione.
-Insomma, la smetti? –
Sentì Emma ridere dall’altro capo del telefono ed alzò gli occhi al cielo per l’infantilità della donna.
-Va bene, va bene. Comunque non è me che devi avvertire, lo sai. Non sono io l’addetta alla cucina-
-Puoi avvertire tu la mamma, per favore? – rispose grattandosi la testa nervosamente.
Sapeva che Emma sarebbe stata più malleabile rispetto a Regina, la quale le avrebbe posto mille domande senza lasciarle scampo.
-Si si, ci penso io a Regina. Ma tu mi dovrai un favore, ragazzina-
-Cosa? Sono tua figlia, non puoi ricattarmi! –
-E tu sai com’è fatta tua madre-
Alexis emise un grugnito che solo Emma avrebbe potuto decifrare come un assenso.
-Ok, ti lavo il maggiolino nel fine settimana- borbottò.
-Divertiti, tesoro-
Chiuse la telefonata sbuffando ed imprecando mentalmente contro sua madre. Era certa che non fosse quello il modo corretto di comportarsi con una figlia, ma pur di evitare le domande di Regina per quella sera, andava bene anche sottostare per una volta. Si voltò verso Laya, sulle sue labbra un sorriso sghembo.
-Ti sei divertita? –
-Molto, devo dire che vederti arrossire è un qualcosa che mi rallegra la giornata-
La ragazza sbuffò ancora gettando la testa all’indietro, maledicendosi per aver accettato quella situazione.
-Ti odio-
-Sbaglio o poco fa hai asserito il contrario? –
Alexis diventò paonazza, sgranò gli occhi e pensò che tutto sommato subirsi le ire di Regina per un uso improprio della magia non era poi tanto orribile.
-Come ho fatto a finire a cena con te? – domandò sarcastica incrociando le braccia al petto.
-Se ti riferisci a stasera è per la tua voglia di volermi conoscere. Se invece parliamo della volta in cui ti ho portata a cena fuori, è stato per il mio incredibile sex appeal-
La minore alzò ancora una volta gli occhi al cielo scuotendo la testa, certa che quell’atteggiamento di Laya avrebbe finito con lo sfinirla prima o poi.
Laya era felice di vederla girare per casa sua, anche se non glielo avrebbe mai detto. E di certo non poteva negare le fosse saltato il cuore in gola quando aveva detto di amarla. Non poteva contraccambiarla, non ancora almeno. Era sempre stata una persona restia al lasciarsi andare all’amore, o quanto meno all’amore immaturo dei ragazzi. Non si era mai innamorata né sentiva il bisogno di provarlo, le persone erano solite andar via. Sempre. Sua madre era scappata da Quasimodo e dalla Corte dei Miracoli condannandoli a morte, suo padre era scappato da Fleur-de-Lys per poi tornare da lei, lei stessa era andata via di casa a diciott’anni per frequentare il college e vivere nel mondo reale. Eppure, Alexis era capace, con i suoi soli sedici anni, di toccare delle corde del suo animo che raramente avevano vibrato. In lei non cercava il sesso o qualcuno per un’uscita occasionale, desiderava vedere i suoi occhi brillare di quella luce pulita e innocente.
Laya pensava a tutto questo mentre ritornava al suo appartamento, le dita intrecciate a quelle di Alexis. Non si era nemmeno accorta di aver compiuto quel gesto, ma aveva colto in un attimo il sorriso che viveva sul viso dell’altra.
Il resto della giornata trascorse in tranquillità, le tre parlarono in salotto riempendolo di risate. Alexis si era a poco a poco sciolta e iniziava a sentirsi a suo agio nonostante le mezze parole di Laya e la sua irrefrenabile voglia di metterla in imbarazzo.
-Dunque odi il tuo soprannome, deve essere una seccatura dal momento che tutta Storybrooke ti chiama a quel modo-
Alexis arrossì stringendosi nelle spalle, l’odio per Laya saliva assieme al sangue sulle gote. Sembrava che ormai la sua ragazza non avesse altro divertimento se non quello di scoprire tutti i suoi altarini.
-Diciamo che ci ho fatto l’abitudine- balbettò.
-Oh immagino, povera piccola. E sono anche abbastanza certa che questa scellerata della mia figlioccia ci marci parecchio su-
Laya ridacchiò portandosi le mani dietro la nuca e tirando fuori l’espressione più strafottente che l’altra le avesse mai visto sul viso. Stava per rispondere quando la porta di casa si aprì con un gran fracasso.
-Famiglia sono a casa! –
Alexis sentì l’ansia rapirla nuovamente, aveva appena trovato tranquillità con Fleur-de-Lys, non si sentiva ancora pronta per incontrare suo padre.
Un uomo enorme, sporco di carbone e col viso arrossato fece il suo ingresso nel salotto di casa. Aveva i capelli brizzolati, un po’ biondi un po’ bianchi, che gli cadevano appena sulla fronte. Un pizzetto dello stesso colore gli circondava il mento. Era palese che un tempo aveva avuto un corpo muscoloso, ormai provato dagli anni e dalla mancata attività fisica, ma le sue antiche forme erano ancora ben visibili.
-Caro, abbiamo ospiti- annunciò la donna.
Alexis scattò in piedi, tesa come una corda di violino e già pronta per stringere la mano dell’uomo. Dovette alzare il capo per incontrare i suoi occhi castani.
-Principessina Swan-Mills, quale onore! Phoebus de Châteaupers, al suo servizio. Qual buon vento la porta alla mia umile dimora? –
La sua stretta di mano fu forte, tanto che le dolevano le dita dopo il contatto nonostante le avesse fatto un elegante baciamano. Laya prese a ridere ancora una volta prima di parlare.
-Papà, dovresti farti una doccia prima. E smettila di parlare come se fossimo nel Medioevo-
Ad Alexis non sfuggì il sorriso, così diverso da tutti gli altri, che nacque sul viso della ragazza. Era un’espressione proveniente da un altro tempo, da un qualcosa che lei ancora non aveva conosciuto.
-Sei sempre capace di ammazzare la cavalleria, scoiattolina-
La minore si voltò di scatto verso l’altra, aspettandosi di vederla arrossire o quanto meno in imbarazzo. Ma Laya non emise un fiato al riguardo, anzi, sorrise al padre con affetto.
-Va’ a farti una doccia, Phoebus-
L’uomo fece un inchino degno di nota e un secondo baciamano da far invidia a David Nolan, tanto da far arrossire Alexis. Solo quando si chiuse in bagno, la famiglia riprese a muoversi per organizzare la cena.
-Perdonalo, Alexis. Non è un perfetto esempio di bon ton-
La ragazza sorrise rincuorante. Rivedeva molto dell’aria di casa sua, Emma e Regina erano esattamente come loro.
Fleur-de-Lys rifiutò qualsiasi tipo di aiuto in cucina, obbligando solo Laya a limitarsi ad apparecchiare. Non era una gran cuoca, sicuramente non era paragonabile alla maestria di Regina, ma se la cavava discretamente. Servì uno spezzatino appena secco per i gusti raffinati di Alexis, ma comunque gradevole. 
-Dunque principessina, cosa ti porta alla mia tavola? - domandò Phoebus con il boccone ancora tra i denti.
-L’ho invitata io- intervenne Laya.
Le rivolse un sorriso sghembo e sfacciato, di chi sa di avere il potere di metterla in imbarazzo in pochi secondi. Suo padre le rivolse appena un sorriso, una pacca sulla schiena che quasi la fece strozzare e poi tornò a mangiare.
-Potresti provare a non spezzarmi un osso ogni volta, papà? -
-Forza da soldato, scoiattolina. Una volta ce ne era un gran bisogno di uomini forti, oggi invece a quanto pare sono le donne a salvarci- rispose l’uomo facendo un occhiolino all’ospite di quella sera. 
-Il tuo orgoglio non ne risentirà, caro- gli sorrise Fleur-de-Lys massaggiandogli un braccio.
-Certo che no! Ma la mia armatura sarà sempre pronta per scendere in battaglia- rispose battendosi un pugno in petto.
-Tu non ci entri nemmeno più nell’armatura, papà-
L’intera famiglia rise, riempiendo la stanza di un’atmosfera giocosa ed allegra. Alexis rimase diversi secondi a fissare Laya, era rilassata e felice come l’aveva vista poche volte. I suoi occhi brillavano, come un faro che richiamava la sua attenzione. 
-Beh la mia spada ha ormai una buona erede-
Non le sfuggì lo sguardo colmo d’orgoglio che Phoebus riversò sulla figlia, né come il petto gli si gonfiò rivolgendole quelle parole. 
-Sai usare la spada? -
Alexis non si accorse che quasi urlò, sorpresa com’era da quella notizia. Laya la guardò confusa, un sopracciglio alzato ad esprimere tutto il suo dubbio.
-Certo. Papà mi ha insegnato quando avevo sei anni-
L’altra rimase a bocca spalancata, infischiandosene di fare una brutta figura e che Regina le avrebbe fatto una ramanzina enorme. Non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Aveva pregato sua madre di farle prendere lezioni con suo nonno un numero indefinito di volte, ma Regina non era mai stata d’accordo asserendo che avrebbe potuto farsi male. 
-Mi sarebbe sempre piaciuto, ma mia madre ha preferito l’equitazione-
-Proprio da brava principessina-
Padre e figlia scoppiarono a ridere battendo i propri pugni l’uno contro l’altro, ma Fleur-de-Lys li rimproverò in quanto non era carino prendere in giro una persona a quel modo. 
-Sono mortificata per il loro comportamento, sarai sicuramente abituata ad atteggiamenti più regali di questi-
L’occhiataccia che mandò ai due membri della sua famiglia fu inequivocabile, tanto che padre e figlia tornarono a mangiare in silenzio e a testa bassa. Era così bello vedere Laya in un contesto tanto diverso da tutti gli altri, farla sentire così a suo agio da avere l’impressione avesse cambiato volto. Eppure era sempre lei, la solita rompiscatole che non faceva altro che prenderla in giro. 
A cena terminata, Alexis si sentiva incredibilmente stanca. Quella giornata era stata ricca di emozioni per lei e per quanto le avrebbe fatto piacere continuare a chiacchierare seduta sul divano con il resto della famiglia, già diverse volte il suo capo era scivolato sulla spalla di Laya.
-Scoiattolina riporta a casa la principessina, è stanca morta-
Alexis arrossì, non avrebbe voluto farsi vedere in quelle condizioni, ma proprio non riusciva a tenere gli occhi aperti. Laya si voltò appena verso di lei, ammettendo almeno a sé stessa che la minore fosse incredibilmente bella con quello sguardo assonnato e le gote rosse. 
-Si. Papà ha ragione, andiamo-
Si alzarono entrambe e mentre Laya recuperava le giacche e le chiavi del suo pick-up, Alexis si prodigava in mille ringraziamenti e complimenti. 
-Torna pure quando vuoi, sei la benvenuta- Disse Fleur-de-Lys abbracciandola. 
Phoebus si limitò a sorriderle e stringere i fianchi della sua compagna con un braccio.
-A tra poco-
-Sta attenta- si rassicurò suo padre.
Arrivarono al furgone in silenzio, entrambe perse ancora in quell’atmosfera familiare che si era creata. Alexis aprì la portiera per salire sul pick-up, ma Laya le tirò un polso e la baciò a sorpresa. Ricominciarono a parlare solo dopo che la maggiore mise in moto.
-Mi piace tantissimo la tua famiglia- 
Alexis tirò le gambe sul sedile sedendocisi sopra, ma Laya non la rimproverò. Non quella sera. Sbadigliò ancora e si avvicinò al braccio della conducente per stringersi ad esso è poggiare il capo sulla spalla. Laya sorrise, ma cercò di camuffarlo voltando per un attimo lo sguardo verso il finestrino. Era stata benissimo quella giornata, vedere Alexis a tavola con la sua famiglia le aveva scaldato il cuore più di quanto avesse mai potuto immaginare. Con lei era stato semplice anche raccontare di Esmeralda, delle sue paure e dei suoi turbamenti. Fermarsi durante quel bacio, era stato difficilissimo. Avrebbe voluto spogliarla ed assaggiarla con ogni fibra del suo corpo, ma Alexis non era pronta. Dopotutto, aveva solo sedici anni e per di più vissuti in una fiabesca campana. E infine c’era quel “ti amo”. La spontaneità e la dolcezza con la quale aveva proferito quelle due semplici parole, l’avevano stregata. 
Accostò a pochi passi dall’enorme villa bianca, spense il motore e si voltò verso l’altra. Si era così persa nei suoi pensieri, da non accorgersi che Alexis era profondamente addormentata, avvinghiata al suo braccio. Le sorrise, consapevole che non potesse vederla. Concesse a sé stessa di ammirarla per qualche secondo, bella proprio come una principessa. Osservò il suo petto piccolo alzarsi e abbassarsi in maniera ritmica. Si chinò verso di lei, lasciandole un lieve bacio sulle labbra.
-Principessina, il cocchiere l’ha riportata alla sua reggia-
Là giovane si svegliò lentamente, stropicciandosi gli occhi.
-Scusa, non volevo addormentarmi-
Aveva dormito poco e male in quei giorni, ma l’aver chiarito con Laya e quella giornata così carica l’avevano sfinita.
-Non ti preoccupare, va’ a letto, ragazzina-
Alexis le sorrise. Le lasciò sulle labbra un bacio carico che fece tremare Laya, poi scese dal pick-up e corse verso casa sua. 
Forse, Alexis Swan-Mills non era poi così male.
Forse, avrebbe anche potuto innamorarsi di lei.

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Capitolo 10
*** 10 ***


*Questa storia era nata per essere racchiusa in un massimo di sette o otto capitoli, eppure ecco che mi appresto a pubblicare il decimo. Se tutto va come previsto dovrebbero essercene ancora altri cinque o sei, non so ancora di preciso. So però che voglio ringraziare chi in silenzio continua a seguire le vicende di Lex e Laya, grazie! Avrei piacere di sentire anche le vostre opinioni al riguardo, tanto per sapere se la storia vi ha preso o è solo una delle tante per quanto riguarda questo fandom.
Detto questo, via dalle scatole Ness e lascia leggere chi vuole farlo!
XOXO
NbM*
 
 
Emma non parlava con Regina da quando l’aveva cacciata di casa. Erano giorni, ormai, che erano estranee in casa propria. La bionda rientrava unicamente per dormire e ormai era solita riposare nella camera degli ospiti. Quella sera non aveva nulla di diverso. Aveva setacciato Storybrooke in lungo e in largo alla ricerca dei loro nemici, ma ormai sembravano essere spariti nel nulla a meditare su come attaccarli. Era quasi notte fonda quando rientrò al 108 di Mifflin Street, ma non si sorprese di trovare la luce del salotto accesa. Infilò le chiavi nella toppa, sfilò le scarpe, e si diresse verso il bagno per fare una doccia. Con la coda dell’occhio vide la moglie rannicchiata sul divano, ma non si sarebbe aspettata che le parlasse.
-Alexis non scrive da giorni-
Emma si bloccò sulle scale, un piede sul gradino successivo e la mano poggiata al corrimano.
-Lo so-
-Come fai, allora, a restare tanto calma! Ti rendi conto di cosa sta scoprendo, di cosa sta affrontando! -
Con uno scattò si alzò dal divano, raggiungendo la moglie con poche falcate. Sul suo viso, i segni di chi si stava consumando, di una bellezza che stava sfiorendo. Emma si voltò verso di lei mantenendo la calma, non aveva voglia di litigare ancora. Non ne aveva la forza. Quello stesso pomeriggio, aveva avuto una brutta discussione anche con Phoebus. L’uomo accusava l’intera famiglia di non esser riuscita a riportare a casa sua figlia. Aveva sbraitato contro Emma, urlandole di essere la Salvatrice di un bel niente ed aveva ragione. Lei e sua moglie stavano impazzendo e Alexis era via solo da qualche mese, non poteva nemmeno vagamente immaginare cosa stesse passando l’uomo.
-E cosa dovrei fare, Regina? – nel suo tono una quieta surreale- Dare di matto come stai facendo tu? Inveire contro di te? O, non so, ammazzare le uniche cose belle che sono rimaste? Sono stanca, sono tremendamente stanca di tutta questa situazione. Non ce la faccio più, lo capisci? –
I suoi occhi si erano riempiti di lacrime come non succedeva da troppo tempo, aveva quasi dimenticato cosa significasse provare un’emozione diversa dall’angoscia. Aveva quasi sperato di trovare una sorta di conforto in Regina, ma l’unica reazione della donna fu di tirarle uno schiaffo in piena guancia. Emma non disse una parola. Si limitò a riprendere a salire le scale e chiudersi in bagno. Una volta sotto la doccia, si concesse di scoppiare in lacrime. Si concesse di lasciar sopraffare il dolore per soli cinque minuti, poi si asciugò, si rivestì e fu pronta per lasciare nuovamente l’abitazione. Quella sera, casa sua l’opprimeva come non mai. Tornò in salotto, infilò gli stivali e poggiò una mano sulla maniglia della porta. Si voltò una sola volta verso sua moglie, trovandola rannicchiata con le ginocchia al petto e la fronte sulle braccia.
Uscì senza dire una parola.
Si infilò nel maggiolino e prese a guidare per le strade vuote della città. Non aveva voglia di parlare con nessuno, non aveva voglia di discutere con nessuno. Sua madre, suo padre, suo fratello, la sua migliore amica, loro non potevano comprendere. Loro non potevano sapere quante volte aveva desiderato smettere di lottare e lasciare che la vita le facesse ciò che più desiderava. Era sempre stata una guerriera, fin da bambina, ma in quel momento le sembrava di aver esaurito le scorte. Non si era mai sentita così affranta, non quando aveva perso Lily, non quando l’ennesima famiglia affidataria l’aveva sbattuta fuori dalle proprie vita e nemmeno quando Neal l’aveva lasciata in carcere senza più farsi vedere. Eppure si ritrovava a guidare diretta verso il Rabbit Hole, da sola e con una gran voglia di bere. Sorrise al pensiero del locale. Sua figlia aveva passato così tanto in quel posto, eppure non aveva mai temuto di vederla tornare a casa ubriaca o anche solo alticcia. Alexis non amava l’alcol e in più Laya non le permetteva di prendere nemmeno una birra. Diverse volte aveva accompagnato lei stessa sua figlia lì, nei pomeriggi in cui decideva di studiare in compagnia della sua ragazza piuttosto che a casa. L’aveva vista spesso accomodarsi all’angolo del bancone e concentrarsi sui libri, lanciando di tanto in tanto un’occhiata a Laya. Arrivata al locale, le sembrò quasi di vederla. Seduta su quello sgabello, con una gamba piegata sotto il sedere e gli occhi che saettavano dalla barman ai suoi quaderni. Invece Alexis non c’era e al basto della bella bruna, un uomo abbastanza rozzo serviva da bere. Prese posto ad un tavolo in disparte rispetto alla bolgia che vigeva nel resto del locale, sperando che per almeno qualche ora i suoi problemi le dessero tempo di rifiatare. Ordinò una birra distrattamente, senza neanche badare a chi lo chiedesse.
-Offro io per la signora-
Sollevò lo sguardo e se ne pentì all’istante. Killian Jones le sorrideva con quel suo fare da uomo vissuto, nonostante avesse ormai una certa età, l’uomo si ostinava ad indossare quell’orribile uncino al posto di una mano finta.
-Bevi da sola, Swan? –
-Così pare- borbottò tra sé.
Killian si accomodò sulla sedia di fronte a lei allungandole la bottiglia che la cameriera aveva appena portato.
-Come mai in questo posto? –
Emma era abbastanza restia ad avere una conversazione con lui, ancora rimpiangeva di aver accettato il suo aiuto per quella scalata ventiquattro anni prima. Non era più riuscita a staccarselo di dosso, neanche con il matrimonio e la nascita di sua figlia. Il pirata le continuava a girare intorno come se fossero due ragazzini che si fanno la corte.
-Avevo bisogno di aria-
-Beh, sicuramente non la troverai qui. Vieni, andiamo a fare una passeggiata-
Il suo sorriso era accattivante, non c’era dubbio su questo, ma Emma desiderava che fosse quello di sua moglie a proporle qualcosa del genere. Sorrise amara, poi inghiottì un grosso sorso di birra.
-Andiamo Swan, facciamo due passi. Da amici- disse alzano mano e uncino verso l’alto.
Emma ci rifletté ancora qualche attimo, si guardò attorno e si rese conto in quel momento di quanti ricordi stessero riaffiorando nella sua mente. Fu quello a spingerla ad assecondare la richiesta di Hook, dunque prese la sua giacca e seguì l’uomo fuori il locale. Passeggiarono affiancati per diverso tempo senza dire una parola. Emma non riusciva a smettere di pensare alla sua famiglia. Anche lei era sconvolta dal mutismo della figlia, da tutto ciò che stava scoprendo in quel mondo. Non le aveva mai detto di essere stata in carcere, come Regina non aveva mai approfondito come fosse morto Graham. E quelli, erano solo alcune delle cose che avevano tenuto nascoste alla figlia. Innumerevoli pericoli erano presenti in quella realtà e forse, il più pericoloso non era la Evil Queen o il Signore Oscuro.
-Troppi pensieri, Swan? –intervenne l’uomo per intavolar una conversazione.
-Puoi biasimarmi? –
Non si preoccupò di chiedersi se il capitano fosse a conoscenza o meno della lontananza di sua figlia, era certa lo sapesse. Chiunque in città ne era a conoscenza.
-Certo che no, ma stasera punto a distrarti. E sai qual è il modo migliore per farlo, Swan? –
La donna alzò un sopracciglio, guardandola a metà tra l’annoiato e il dubbioso. Si imbatté nel suo sorriso sicuro e accattivante e pensò che forse, se Regina non avesse occupato ogni angolo del suo cuore, avrebbe anche potuto cedere al suo fascino.
-Un uomo carismatico, una nave suggestiva e dell’ottimo rum-
Emma non si era nemmeno resa conto di essere arrivata al porto e di trovarsi di fronte la Jolly Roger. Riuscì quasi a sorridere avanti alla sfacciataggine di Killian Jones.
-Per stasera hai vinto. Fai strada, capitano-
Gli occhi dell’uomo brillarono e, da vero gentiluomo, fece strada verso l’interno del suo vascello. Emma era già stata lì in altre occasioni, principalmente quando il giovane Liam Jones Jr combinava qualche bravata delle sue. La Jolly Roger era accogliente e decisamente pulita per essere gestita da un pirata, ma Hook la trattava come una figlia, curandola nei minimi dettagli. Si accomodò al tavolo, dove Killian le stava servendo in un bicchierino del rum dall’odore estremamente forte. Buttò giù il contenuto tutto d’un fiato stringendo gli occhi quando il liquido raggiunse la gola. Non ebbe nemmeno il tempo di assaporarlo, che il suo bicchiere era nuovamente pieno.
-Allora, cosa vuoi fare? Dadi, carte, approfittare di un bel capitano? –
Emma lo guardò torva solo per un attimo, poi scoppiò a ridere. La faccia sicura che aveva l’uomo era terribilmente divertente, e lei non rideva da troppo tempo ormai. Trovò ironico il suo modo di ammiccare e di gonfiare il petto quando parlava di sé stesso. Hook si sentì offeso solo per un secondo, poi seguì la donna nella sua risata.
-Sono ancora capace di far ridere una bella donna, il tempo non ha potere su di me-
-Il tempo è un gran bastardo, Killian –
Brindarono e mandarono giù un altro bicchiere. Emma si sentì bene per qualche minuto. Mentre mandava giù il rum, riusciva a non sentirsi sgretolare dall’interno.
-Allora, problemi nel meraviglioso mondo dove gli uccellini fanno le trecce agli unicorni? –
Emma quasi si strozzò con il liquore a quell’immagine tanto fatata.
-Credo tu mi stia confondendo con mia madre-
L’uomo la guardò divertito, poi fece battere i due bicchieri, brindando alle differenze generazionali, ma la donna gli fece notare che lui e la sua progenie non erano poi tanto diversi. Hook invece, si dimostrò molto fiero di suo figlio, ritenendosi orgoglioso del gran donnaiolo che aveva tirato su.
-Beh, fortuna che mia figlia non gradisca gli uomini, allora-
-Ti assicuro che la tua principessina si sta perdendo un gran bell’esemplare di maschio-
Lei rise, ricordando fin troppo bene quale faccia disgustata avesse fatto la figlia quando Liam Jones Jr aveva tentato di rimorchiare Laya. La sua non era stata solo gelosia per la proprio ragazza, Emma lo sapeva troppo bene. Aveva letto nei suoi occhi, quello stesso ribrezzo che aveva visto più volte nei suoi quando ripensava a Neal o a Graham in quelle vesti.
-Mia figlia ha gli stessi gusti raffinati di Regina-
-A tal proposito, come fa a non metterti i brividi quella donna? Insomma, ha tutte le curve al posto giusto, ma … -
-Ehi, ehi- lo stoppò alzando la mano che non conteneva il cicchetto –è sempre di mia moglie che parliamo! –
Killian sollevò l’uncino a mo’ di scuse, poi versò dell’altro rum e brindarono ancora.
Emma non aveva dimenticato i suoi problemi e le sue angosce, ma era riuscita a metterli sul ciglio della strada della sua vita, con il grande aiuto del rum, per circa cinquanta minuti. Tanto era passato da quando era entrata nel locale, a quando Regina si era materializzata nel ventre della Jolly Roger. Il suo volto si contorse in una smorfia di disgusto quando comprese dove l’incantesimo di localizzazione l’avesse portata.
-Vostra Maestà- salutò il pirata alzando verso di lei un bicchierino e poi ingurgitandolo.
Emma guardava la moglie senza riuscire a proferire una sola parola, incapace di alzarsi, o anche solo di imporre al suo viso di assumere un’espressione differente da quella sorpresa e colpevole di quel momento.
-Che diavolo stai facendo? – chiese la bruna.
I suoi occhi sembravano infuocati, raramente li aveva visti tanto furenti e addolorati.
-Solo un goccetto- rispose Killian
Regina mosse appena la mano per gettare l’uomo dal lato opposto della stanza assieme al tavolo e a tutto ciò che c’era sopra.
-Regina, calmati-
-Ti ho chiesto cosa stai facendo, Emma! –
Sulle sue guance presero a scendere lacrime di rabbia, correvano fino alle bocca accarezzando quel meraviglioso taglio sul labbro. Intanto Killian si stava rialzando a fatica alimentando la rabbia di Regina. Emma se ne rese conto in un secondo, conosceva troppo bene ogni pagina di sua moglie. Le afferrò il polso, trasportando entrambe fuori la nave. Il freddo la colpì come una pugnalata, facendola rabbrividire inaspettatamente.
-Che ci facevi qui con quel pirata, Emma?-
-Solo due chiacchiere -
-Nella sua nave scolando rum? –
Le narici della bruna si allargavano e stringevano convulsamente, dando fiato a tutta la sua rabbia. Emma sentì un uragano montarle dentro e abbattere quella parte di sé che era sempre riuscita a non farla sgretolare.
-Cosa cazzo vuoi da me, Regina! Mi hai ridotta ad uno straccio, mi hai allontanata, mi hai sbattuta fuori da casa mia! CHE ALTRO VUOI? –
Aveva urlato così forte da sentire il sangue correrle sulle guance e la vena del collo pulsare nevrotica. Il viso della donna di fronte a lei era sconvolto, non aveva mai visto Emma perdere le staffe a quel modo. Neanche quando aveva tentato di ucciderla, tanti anni prima, erano state tanto distanti.
-Io sto impazzendo, Emma! La nostra bambina…-
-Non si tratta di Lex, ma di noi! Io ho provato in ogni modo a starti vicina, a darti tutto il mio amore e il mio supporto, ma a te non importa-
Fece dei passi verso di lei, arrivò ad un centimetro dal suo viso e ne respirò l’odore misto al suo di rum. Il cuore le batteva ancora forte quando si trovava a pochi passi da lei.
Alzò il capo e un fiocco di neve si posò sulle sue labbra. Ne seguirono altri, una vera e propria nevicata incantò Storybrooke. Gli occhi di Emma si inumidirono, e in quel momento non riuscì a trattenere le sue lacrime. Per quella volta, il suo scudo fu superato da quei fiocchi di neve appena nati.
-Sta nevicando Emma. È la prima nevicata dell’anno, ma lei non c’è e tu non sei corsa a casa-
Nelle sue parole non vi era nostalgia o dolore. Erano piatte e vuote, come quelle giornate che si erano susseguite da quando Alexis era andata via.
Ed Emma avrebbe solo voluto baciare Regina.
Ma Regina non mosse un solo muscolo nella sua direzione.
Regina restò immobile sotto la neve alla quale Emma non aveva fatto caso fino a quel momento.
Emma la superò, affondando le mani nelle tasche della giacca.
Regina rimase di spalle, ascoltando i silenziosi passi di Emma portarla via e lontana da lei.
Emma e Regina alzarono il viso verso il cielo. Dopo vent’anni, non sarebbero state tutte e tre assieme alla prima nevicata dell’anno.
 
Alexis si guardò un’ultima volta allo specchio prima di decidersi ad uscire dalla sua stanza. Lo lesse da sola che nei suoi occhi non c’era quella luce che contraddistingueva i suoi appuntamenti con Laya, ma solo una terribile paura di frantumarsi. Diede un’ultima occhiata al quaderno, una risposta da parte delle sue madri le avrebbe dato una tranquillità che sapeva di famiglia. Sarebbe stato come se l’avessero abbracciata. Ma il quaderno era muto, nessuna nuova scritta. Avrebbe affrontato la cosa da sola.
Si chiuse la porta alle spalle e scese verso il locale, magari avrebbe bevuto qualcosa prima di andare all’appuntamento. Fosse anche solo per dimenticare quel bacio tra Graham ed Emma. La sala era piena, come era immaginabile vista l’ora. Lo sguardo le cadde su Ruby che veloce e sicura come sempre, serviva i tavoli. I loro occhi si scontrarono per un solo istante, poi la ragazza le si avvicinò.
-Puzzo ancora? Perché ho fatto due lunghe docce-
Ruby annusò i suoi vestiti prima di risponderle.
-Sembra di no. Appuntamento galante? –
“Perché continuate tutti a chiederlo?”
-Cena tra … amici-
Quella parola, “amici”, le aveva fatto più male di quanto avesse creduto. Ma era proprio quella la verità, lei ed Hannah erano solo amiche. Le sembrava di essere finita in uno di quei triangoli da liceali nei quali qualcuno ne usciva inevitabilmente distrutto. 
-Divertiti- la salutò con un occhiolino.
Alexis aveva bisogno d’aria in quel momento. Si allontanò di qualche passo dal Granny’s, arrivando ad una panchina lì vicino. Passò una mano sul volto, già sconvolta da quella situazione nella quale aveva spontaneamente deciso di infilarsi.
-Alexis! –
Sbuffò, Jonas era arrivato troppo presto. Non era pronta, le serviva ancora un attimo per rimettere insieme i pensieri. Ma lui era lì ormai e non poteva farci niente. Alzò una mano in segno di saluto, e attese che si avvicinasse alla panchina dove si era rifugiata. Sul suo viso un grosso sorriso buono.
-Hannah è in ritardo, come sempre-
-Fa niente-
Laya non era mai in ritardo, semmai in anticipo. Laya era di una puntualità disarmante, tanto da sbuffare tutte le volte che doveva aspettarla.
Jonas si accomodò accanto a lei, tirò fuori il cellulare dalla tasca asserendo che l’avrebbe chiamata. Alexis non riuscì a non soffermarsi sulla foto che c’era come sfondo del telefonino; lui ed Hannah guardavano l’obiettivo sorridendo. I loro occhi brillavano e i sorrisi erano identici. Lo stomaco si strinse in una morsa incontrollabile, minacciando di tornare a rigirarsi dentro di lei e costringerla a vomitare ancora.
-È bella vero? – le chiese Jonas.
Avrebbe voluto rispondere che lo sapeva perfettamente quanto Laya fosse bella, che conosceva quello sguardo, quel sorriso e che erano sempre stati suoi. Erano sempre stati rivolti solo a lei. Ma si limitò ad annuire.
-Ha insistito tanto per fare questa foto- le spiegò il ragazzo.
 
-Andiamo Lay! Lasciamela attaccare, è già un miracolo avere una foto con te-
-Perché lo sai cosa penso di quegli aggeggi infernali-
Alexis roteò gli occhi, lei e le sue fisse gitane. Non riusciva proprio a capirla quell’assurda convinzione secondo la quale uno scatto potesse rubarle l’anima.
-È solo una foto, Laya-
-Che hai scattato cogliendomi di sorpresa, io non la volevo-
 La minore sbuffò, le saltò addosso costringendola stesa sul letto della sua minuscola camera. Guardò ancora una volta la foto prima di sorriderle furba.
-Cos’è quel sorrisino, principessina? –
Alexis si allungò sopra la sua testa e batté la foto sulla testata del letto. Quando staccò la mano dal muro, l’immagine restò incollata lì.
-Che hai fatto? –
Laya si alzò di scatto dal letto, ignorando il fatto di avere la sua ragazza addosso. Esaminò con attenzione il punto in cui poco prima c’erano le dita dell’altra sconvolta.
-Hai seriamente attaccato una foto, che non volevo fare, magicamente al mio muro, Alexis Swan-Mills? –
La vide ridere, felice come una bambina. Per quanto provasse ad infuriarsi con lei, i suoi occhi verdi erano troppo luminosi per permetterglielo. L’afferrò per i fianchi facendola sdraiare sotto di sé.
-Ti spetta una punizione- soffiò sulle sue labbra.
Per tutta risposta l’altra alzò un sopracciglio, senza smettere di sorridere.
-Vuoi sul serio prendertela con la figlia dello sceriffo e del sindaco? –
-Assolutamente sì. E pensa un po’, non sono nemmeno più a rischio di galera da ben quattro giorni! Per lo stato del Maine ormai sei maggiorenne, ragazzina-
La baciò con passione. Entrambe sapevano che avrebbero lasciato quel letto solo dopo aver fatto l’amore.
 
-Oh eccola-
Alexis si scosse alla voce di Jonas, aveva fatto ciò che si era ripromessa di evitare. Vedere Laya in Hannah avrebbe finito per torturarla quella sera, ma scinderle l’avrebbe uccisa. Alzò lo sguardo sulla ragazza che correva verso di loro e fu costretta ad ingoiare tutto il suo dolore. Hannah era bellissima nel suo vestito blu, una copia meravigliosa di un qualcosa di già perfetto. Non aveva mai avuto il privilegio di ammirare Laya in un qualcosa di diverso dai suoi pantaloni. Per quanto strana e diversa, era incantevole. Era abbastanza certa di essere rimasta immobile a fissarla a bocca aperta, ma era l’unico modo per non impazzire.
-Scusate il ritardo-
Il suo sorriso fu dolce e gentile, lo sguardo dispiaciuto per aver fatto attendere i suoi ospiti.  Alexis cercò la via più dolorosa, cercò i suoi occhi. Erano scuri come sempre, carichi come sempre, belli come sempre, ma così lontani da Laya. Sentiva di star impazzendo, se non riusciva a ritrovarla nemmeno lì, dove era così abituata a perdersi senza farlo davvero, non c’era più niente che avesse realmente un senso. Hannah baciò Jonas sulle labbra sorridendogli, un’ennesima stilettata al cuore. Disse qualcosa anche a lei, ma non riuscì a sentirla. Aveva le orecchie piene del suo battito e del suo dolore. Il fiatone le impediva di avere un respiro regolare, ma nessuno dei due suoi compagni se ne accorse. Avevano l’uno occhi solo per l’altra, incapaci di staccarsi e capaci di ucciderla più di quanto non avesse fatto tutto il resto. Laya non era mai stata una persona così espansiva, piuttosto che permetterle di camminare per Storybrooke attaccata al suo braccio, se lo sarebbe fatto tagliare. Si passò le mani sul viso dopo quell’ultima costatazione, più passavano i minuti più si rendeva conto di quanti lividi avrebbe portato a casa.
-Lex, stai bene? – le chiese la voce dolce di Hannah.
Alzò gli occhi sul suo viso e si scontrò contro uno sguardo preoccupato e crucciato. Cercò di respirare a fondo, di rispedire giù tutto ciò che aveva in gola. Ma quegli occhi restavano su di lei come una scure.
-S-si, Hannah. Sto bene-
-Sicura? Sei pallida-
Alexis deglutì ad occhi chiusi prima di risponderle ancora, le dita attorno all’arpa.
-Non è niente-
Hannah si avvicinò, le scostò delle ciocche dalla fronte e rimase a guardarla ancora qualche secondo dritto nelle iridi. Sul suo viso si allargò poi un sorriso, uno di quelli che era solita rivolgerle sua nonna; buono e amorevole.
-Allora andiamo-
La coppia si avviò verso l’auto di Jonas e Alexis obbligò i suoi piedi a seguirli. Si sentiva incapace di intendere e volere, come se l’unica motivazione che muovesse i suoi arti fosse una calamita incastonata nel petto di Hannah.
Una volta in macchina, i due presero a chiacchierare delle loro giornate e di cosa avessero fatto, di cosa avrebbero cenato e come avrebbero passato quel fine settimana. Lei, si limitò a guardare fuori dal finestrino, ignorando le loro parole. Trovò più interessante, e salutare, osservare un certo angolo nel quale aveva baciato Laya o quel negozio che aveva chiuso in favore di una pizzeria. Il suo sguardo si soffermò sulla biblioteca chiusa e su ciò che sapeva celare, sulla bottega di Marco che ormai era un negozio di giocattoli e sulla scuola ancora troppo piccola. La città antica sfrecciava al suo fianco, gli occhi percepivano ciò che vedeva, ma la mente rimandava a casa sua e alla sua realtà. Casa le mancava, le mancava ogni giorno. Le mancavano le sue mamme e il loro continuare ad amarsi insistentemente nonostante gli anni; sua nonna e il suo continuo ottimismo che le avrebbe fatto un gran bene in quel momento; Gideon con la sua solita comprensione e quel suo modo di capirla sempre e in ogni situazione; persino Leo e il suo stuzzicarla, le mancava. 
Quando l’auto si fermò e la voce di Hannah annunciò il loro arrivo, i suoi pensieri svanirono in un attimo. Per un solo istante, si era proiettata a casa sua e la voce che parlava non era altro che la sua Laya. Ma quegli occhi, per quanto scuri, non avevano nulla di magnetico.
-Lex, scendi. Dove hai la testa stasera? -
Iniziava a pentirsi di averle permesso di chiamarla a quel modo, ogni volta era una pugnalata al cuore. Faceva quasi più male di vedere ogni volta la cicatrice alla base sinistra del collo a ricordarle le sue colpe.
-Eccomi-
Casa Dolls l’aveva immaginata completamente diversa, nella sua mente si sarebbe dovuta presentare come casa di Laya. Ma quella che aveva avanti, era una villa a due pieni, con un grande giardino e un fienile accanto. Nel cortile, l’enorme cane bianco scodinzolava felice attendendo la sua padrona. 
-Ciao, Jasper! -
Gli grattò dietro le orecchie, regalando al cane un enorme sorriso. Poi lo superò dirigendosi verso l’ingresso seguita dagli altri due. Aprì la porta annunciandosi, sfilò il cappotto posizionandolo sull’appendiabiti dell’ingresso e fece segno alla ragazza di seguirla. Jonas andò avanti senza alcun tipo di problema, mettendo in bella mostra quanto fosse ormai di casa in quella famiglia. Sentì un uomo, che ipotizzò fosse suo padre, salutare affettuosamente il ragazzo. Si guardò intorno, l’arredo sembrava molto vicino a quello di casa sua con tutto il bianco che vi regnava. Si era chiesta per anni per quale assurda ragione sua madre avesse optato per quel colore nonostante Emma vivesse con lei. Sorrise ricordando le infinite volte in cui dalla sua camera sentiva Regina inveire contro la moglie circa una nuova macchia sul divano o sul tappeto. 
-Ehi, sicura di star bene? -
Hannah le si era avvicinata sfiorandole una mano, sul viso la sua espressione preoccupata. Rimase immobile a guardarla per diversi secondi prima di ricordarsi come si parlasse. 
-Scusami, mi ero persa ad ammirare la casa- mentì.
-Sono felice ti piaccia- rispose felice- Ma ora vieni, ti presento i miei genitori-
La scortò in sala da pranzo dove l’attendeva il resto della famiglia.
-Mamma, papà, vi presento Alexis Agnès-
Laurel Dolls era una donna sulla cinquantina di bell’aspetto e molto elegante. Aveva qualche chilo di troppo, ma niente che il vestito nero non riuscisse a nascondere. Capelli castano scuri e occhi azzurro spento, le ornavano il viso sottile. 
-Sei in ritardo, Hannah. È un piacere signorina Agnès-
-Scusami, mi sono fermata in farmacia-
La donna le strinse la mano con freddezza, limitandosi a concederle un rapido sguardo di cortesia. 
-La nuova eroina di Storybrooke, in città non si parla d’altro-
Malcom Dolls era un uomo di bell’aspetto, capelli neri e stessi occhi azzurri della moglie, solo più luminosi e vivi. Il fisico temprato, nonostante non fosse altissimo, e uno sguardo duro la misero a disagio. Le tese la mano e si soffermò diversi secondi a stringerla, scrutandola. 
-Ho solo fatto ciò che dovevo-
-La modestia è per i perdenti, signorina Agnès, e di sicuro lei non lo è-
Si guardarono per qualche secondo negli occhi, l’uomo aveva un carisma che avrebbe fatto invidia a chiunque. Ci pensò Jonas a spezzare quell’incontro, dando una pacca sulla spalla al signor Dolls e prendendo a parlare di sport allontanandosi. 
-Gli uomini e lo sport, è proprio vero amore- 
Le parole di Hannah furono un pugno nello stomaco, non aveva mai sentito Laya pronunciare le parole “vero amore”. Si era sempre limitata a pensare che quel genere di destino non esistesse, nonostante uscisse con la figlia della Evil Queen e nipote di Snow White. L’unica, anche per quello, capace di trainarla fuori da quel mondo sempre troppo fiabesco. 
Non le rispose, non aveva idea di cosa dirle. A toglierla dal suo imbarazzo fu la Signora Dolls, annunciando che la cena era a tavola e di prendere posizione. Hannah e Jonas si accomodarono vicini, i padroni di casa si posizionarono a capotavola lasciando a lei tutto il lato destro della tavola. Al centro di essa, del pollo arrosto con patate faceva bella mostra di sé. 
-Allora, Signorina Agnès, ci racconti di lei. Cosa fa a Storybrooke la nuova stella della città? - le chiese la donna. 
Alexis attese di riposizionare il piatto pieno sul tavolo prima di rispondere. Approfittò di quei pochi secondi per cercare una risposta che non sembrasse una bugia così palese. Una volta aveva detto ad Hannah di cercare cose, poteva essere una buona base. 
-Io porto avanti la tradizione di famiglia-
-E quale sarebbe l’attività della sua famiglia? – chiese la donna.
-Troviamo le persone-
Sorrise alla sua stessa risposta, a quella sua mezza verità. In effetti, stava cercando di ritrovare il suo amore e quello era vero, la sua famiglia lo faceva. Persino Emma aveva lavorato come cacciatrice di taglie a Boston, prima che il suo destino si compisse. Il suo sorriso si allargò al pensiero della madre, del loro meraviglioso rapporto. Persino Hannah lo notò specchiandocisi.
-State con la polizia? – chiese Jonas con un boccone tra i denti.
Alexis chiuse per un secondo gli occhi di fronte a quel comportamento tanto poco elegante, l’influenza di Regina ringhiava contro i suoi muscoli. Eppure Hannah ne rise, prendendo poi un tovagliolo e pulendogli l’angolo destro delle labbra.
-Qualcosa del genere- rispose disgustata non seppe bene per quale delle due cose.
-Oh bene, molto bene. Il suo senso civico glielo hanno insegnato i tuoi genitori? – le chiese il Signor Dolls, l’unico a non parlarle con aria di superiorità.
-Si signore, mia madre è il si… - si morse la lingua giusto in tempo, riavvolse i pensieri e diede una risposta più idonea- mia madre ci tiene molto affinché io sia una buona cittadina-
Jonas borbottò qualcosa che non riuscì a cogliere, Hannah sorrise prendendogli una mano tra le sue. Poi prese un pezzetto di arrosto dal suo piatto e lo allungò a Jasper, carezzandogli poi il capo.
-Hannah, sai che non voglio che tu dia da mangiare al cane dal piatto. Santo cielo, abbiamo ospiti-
La ragazza si scusò, abbassando il capo mentre si puliva le dita sul tovagliolo.
-Allora- riprese poi la donna- quando avete intenzione di andare a convivere, voi due? Il tempo stringe–
Il boccone che Alexis stava masticando si infilò in modo subdolo nella gola, costringendola a tossire forte per evitare di strozzarsi. Laya non ne aveva mai nemmeno accennato per scherzo, non era mai rimasta a dormire a casa sua, o quanto meno non ufficialmente, o si erano concesse un weekend fuori oltre al suo diciottesimo compleanno. Laya era un essere talmente abitudinario e fedele ai suoi schemi, da non tollerare le sue improvvisate. Come il pomeriggio in cui Alexis si era presentata al Rabbit Hole con un proiettore, poiché la maggiore non voleva saperne di andare al cinema. Il massimo che le avesse mai concesso, era stato di addormentarsi con lei dopo il sesso per poi sgusciare via dal suo letto nel cuore della notte.
-Mamma, non mi sembra il momento di parlarne ora- rispose la ragazza imbarazzata.
Si avvicinò maggiormente al ragazzo, stringendosi al suo petto e lasciandosi abbracciare. Alexis sentì i polmoni svuotarsi e non riempirsi ancora, una familiare sensazione di soffocamento le invase la gola. Chiuse gli occhi, si tenne lo stomaco con una mano e si aggrappò all’arpa con l’altra. Costrinse ogni sua fibra a resistere, quella poteva essere l’unica occasione di esserle tanto vicina come in quel momento.
-Non metterla in imbarazzo, Laurel. Abbiamo ospiti illustri- l’aiutò suo padre.
Per quanto non avrebbe voluto, Alexis si ritrovò ad arrossire. La gentilezza che aveva avuto l’uomo nei suoi confronti, per un attimo, la face sentire più vicina a casa.
-Ancora non ho capito che ci facesse quel bambino in quel posto- asserì Jonas rivolto verso l’ospite.
-Lui stava … giocando- mentì.
-In un posto del genere? E dove era sua madre? –
Alexis lo incenerì con lo sguardo, sentendosi punta nel vivo.
-Non credo tu possa capire la solitudine che comporti essere il figlio del sindaco della città-
I suoi toni risultarono fin troppo duri, ma non poté evitarlo.
-Perché tu sì? -
Attimi di silenzio regnarono nella sala da pranzo di casa Dolls, Alexis si morse la lingua per la seconda volta. Si, sapeva perfettamente cosa significasse. Lo sapeva fin troppo bene. Aveva un’esperienza di quasi vent’anni per quanto riguardava le mezze parole alle spalle, il silenzio ai suoi passaggi e la solitudine che poteva comportare. Nel suo caso era stata fin troppo fortunata, aveva Gideon, Leo, Laya e tutta la sua enorme famiglia.
-Credo che Henry si senta solo e che abbia l’impressione di non essere compreso da nessuno-
Non sapeva nemmeno lei perché si prodigasse tanto per tentare di spiegare ciò che comportava essere figlio unico di genitori in vista. Dubitava fortemente che Jonas potesse comprenderlo. 
-Secondo me è strano- ribatté il ragazzo.
-Jonas! Non è una cosa carina da dire- lo ammonì Hannah. 
Alexis si sentiva ribollire di rabbia, non gli andava per niente a genio quel ragazzo. Non poteva comprendere come facesse ad avere la fortuna di avere accanto una persona come Hannah. Nonostante la maledizione l’avesse allontanata da Laya, restava una bella persona. 
-E lui ti ritiene suo amico-
Era stata convinta di aver detto quella frase tra i denti, ma gli occhi puntati su di lei le mostravano il perfetto opposto. Ciò che maggiormente la colpì, furono gli occhi di Hannah, così scuri eppure così piatti. La guardava confusa, cercando di comprendere perché avesse detto qualcosa del genere. Quello sguardo, colpevole nei suoi confronti e adoranti verso il ragazzo, la lacerava in ogni punto obbligando il suo cuore a continuare a scricchiolare. 
-Jonas gli è amico, vero? -
-Certo, è solo un bambino-
Hannah gli sorrise, lasciandogli poi un bacio a fior di labbra. Tutto ciò che era riuscita ad ingoiare, tornò alla gola senza lasciarle via di scampo questa volta. Si portò una mano avanti la bocca per tentare di contenersi, ma non vi riusciva. Dedicò un ultimo sguardo ad Hannah, poi si alzò rumorosamente da tavola correndo fuori. Non era quello che le aveva insegnato sua madre, non era quello che avrebbe voluto da lei. Ma non ne poteva più. Aveva sperato che l’aria le avrebbe fatto bene, invece si accorse di non riuscire ad assimilarla. I suoi polmoni non volevano saperne di riempirsi e permetterle di tenere a bada l’affanno. Si aggrappò all’arpa, pregando che funzionasse.
-Lex? Ma che ti ha preso? -
Hannah era alle sua spalle, nel cortile di casa. Il suo sguardo era terribilmente preoccupato, le mani giunte in grembo.
-Non ne posso più- sussurrò cercando di dosare l’aria e tenere a bada le lacrime.
-Ehi, che ti succede? -
Hannah le strinse un braccio per tentare di darle supporto, non poteva sapere che quel semplice contatto peggiorava solo la situazione. Alexis alzò il capo a guardala, cercando disperata gli occhi che tanto amava.
-Come ti sei fatta quella cicatrice? - le chiese.
La ragazza portò istintivamente la mano sul collo, sfiorando la parte che era stata lesa.
-Da bambina, un cavallo si è imbizzarrito e ... -
Non continuò la frase, la bloccò la reazione dell’altra. Si passava nervosamente le mani tra i capelli e le gote piene di lacrime nuove. 
-No! Non è così! -
Le si avvicinò strattonandola per le spalle, leggendo la paura negli occhi dell’altra. Cercò in ogni modo un contatto con le sue iridi, ma più ci provava più queste erano estranee. 
-Ti prego guardami negli occhi, guardami e dimmi che non senti niente! -
-Lex, ma che stai dicendo? Mi stai spaventando. Torniamo dentro, sta anche nevicando. Ti prego-
Alexis alzò lo sguardo verso il cielo, era la prima nevicata dell’anno. Un vuoto enorme prese possesso di tutto il suo corpo, lasciando al suo interno nient’altro che il dolore che aveva tentato in ogni modo di contenere. Guardò ancora Hannah, vedendola offuscata per colpa delle milione di lacrime che le rotolavano giù per le guance. La guardò a lungo, lasciandosi uccidere da quei suoi occhi pietosi. Sentiva di star per scoppiare, di essere sul precipizio pronta per cadere nel baratro. E lo vide, profondo e doloroso.
Le prese il volto tra le mani e la baciò.
Non appena le loro labbra si toccarono, un’onda magica le travolse scagliandole ai poli opposti del cortile ed investendo l’intera città. Ad entrambe mancò il fiato per diversi secondi per via dell’impatto. Alexis si massaggiò un fianco, era caduta ponendo tutto il peso sulla sinistra. Annaspò per mettersi quanto meno seduta.
-Lex-
Non ebbe bisogno di alzare il capo per capire che chi la chiamava non era Hannah. Per comprendere che di fronte a lei, c’erano gli occhi che aveva cercato per tanti mesi. Era lì, in ginocchio e con una mano attorno alla vita.
-La… Laya! –
Corse contro di lei ignorando il dolore, ignorando la vista appannata e il cuore che batteva tanto forte da farle male e soffocarla. Si gettò su di lei abbracciandola e Laya rispose, Laya la tenne stretta. Respirò a fondo l’odore della minore, nella testa i suoi ricordi si mescolavano con quelli di Hannah. Sentì Alexis piangere disperata sulla sua spalla, mentre lei non riusciva a smettere di sorridere. Sorridere per il solo fatto di averla ancora tra le sue braccia.
-Ti ho trovata, finalmente ti ho trovata- singhiozzò guardandola negli occhi.
Naufragò nel suo petrolio, vagando tra onde oscure e maree nere. Si perse tornando a casa dopo tutto il tempo trascorso lontana. Si ritrovò nel calore che apparteneva solo ai suoi occhi, alla bellezza che aveva quella rara forma di magia.
-Lex, torna qui-
Laya le carezzò una guancia, senza riuscire a smettere di sorriderle. Ma quel sorriso durò poco. I suoi occhi mutarono sotto lo sguardo della minore, come se qualcuno li stesse ridisegnando.
La stessa onda magica che solo pochi attimi prima si era estesa per tutto il perimetro di Storybrooke tornò a colpirle ancora sollevando solo vento. Laya, in ginocchio con Alexis tra le braccia, tornò imprigionata nella mente di Hannah. E Hannah, la fissava come se fosse un mostro. Si portò le mani alle labbra, nei suoi occhi un disgusto che non aveva mai visto in nessun altro.
-Tu… tu mi hai baciata! –
Alexis non riuscì a parlare, avrebbe voluto. Si sarebbe messa a urlare se ne avesse avuto la forza, ma perdere ancora Laya le aveva portato via ogni cosa. Perché per la seconda volta, era sparita per colpa sua.
-Mio Dio, sei quel genere di persona? -
I suoi occhi verdi si riempirono di nuove lacrime, tentò di rimettersi in piedi, ma le gambe non la sorreggevano. Hannah si era alzata, abbandonando le sue braccia, e si era allontanata da lei stringendosi le braccio attorno al busto.
-Vattene da casa mia e non tornarci. Non voglio vederti mai più-
Corse in casa, con l’unico desiderio di lasciarsi abbracciare da Jonas e dimenticare ciò che l’era appena accaduto. Alexis, invece, rimase pe terra sotto la neve che cadeva copiosa. Rimase immobile, tentando di non vomitare e di non impazzire.
Non solo aveva fallito, ma le era stata sbattuta in faccia le certezza di non poter risvegliare Laya. Perché lei non era sua madre, non era la Salvatrice. Non rappresentava altro che una pallida imitazione della grande donna che Emma era stata. Una giacca di pelle rossa simile alla sua non bastava a renderla tale, non bastava a spezzare una maledizione. Scoppiò a piangere, le lacrime si fondevano con la neve che si incollava al suo viso. Pianse nascondendo la vergogna del fallimento nei palmi delle mani, ignorando il freddo e i vestiti che iniziavano a bagnarsi.
-Ehi, tu! –
Sollevò appena lo sguardo, giusto il tempo di incontrare la maschera di rabbia di Jonas. Il ragazzo si avvicinò con fare minaccioso, la sollevò di peso per un braccio strattonandola fino al cancello del giardino di casa Dolls. Alexis glielo lasciò fare, non aveva le forze per ribellarsi. Si sentì trasportare finché Jonas lo reputasse opportuno, finché non le lasciò il braccio poco fuori la tenuta.
-Sta lontana da Hannah, hai capito! –
Non protestò.
Non rispose.
Non si mosse.
Rimase immobile ad ascoltare il suo cuore polverizzarsi nel petto, a prepararsi per far suo quel dolore che non era mai riuscita a vincere.
 
-Emma, ferma! Ti prego non te ne andare! –
Henry rincorreva la donna cercando di non inciampare nei propri piedi. Emma aveva caricato i suoi bagagli nel maggiolino e si stava accingendo a partire per lasciare Storybrooke.
-Emma, lascia che ti spieghi! –
-Non c’è niente da spiegare, ragazzino. Questa città è una banda di matti ed io non ci resterò un minuto di troppo e non dovresti nemmeno tu –
Henry non riusciva a capire, d’un tratto c’era stata un’onda magica che aveva investita tutta la città riportando gli abitando di Storybrooke a fare i conti con la maledizione. Lui ed Emma erano da Mary Margaret quando il sortilegio oscuro si era spezzato, e lì, Snow White aveva incontrato per la prima volta sua figlia. Aveva provato a spiegarle che era nata nella Foresta Incantata, che lei e suo marito avevano fatto di tutto per proteggerla sperando che un giorno sarebbe tornata per salvarli e che era stata trasportata in quella dimensione da un albero. Poi era tornato tutto come pochi attimi prima, lasciando Emma con una confusione enorme nella testa e la certezza di essere circondata da folli. Quindi aveva radunato le sue cose ed era scappata via.
-Ti porterò via da qui, ragazzino. Salverò almeno te–
-Non devi salvare me, ma tutti. Ti prego mamma, stammi a sentire-
Emma chiuse con forza il bagagliaio della sua auto e aprì lo sportello dal lato del guidatore. Alzò appena il capo, riflettendo sul fatto che avrebbe dovuto attendere che smettesse di nevicare prima di lasciare i confini della città.
-Mi dispiace, questa cosa è più grande di me-
Salì in macchina e partì, senza voltarsi indietro nemmeno una volta. Henry la chiamò a gran voce, ma fu tutto inutile. Si chiuse il cappotto e si avvolse meglio la sciarpa intorno al collo, ormai nevicava forte. Girò sui tacchi con l’intento di cercare Alexis, lei avrebbe potuto aiutarlo a comprendere cosa stesse accadendo. Quasi si spaventò quando la vide camminare sotto la neve, con lo sguardo perso nel vuoto. Le corse incontro, parlando ad una velocità tale da non comprendere nemmeno egli stesso cosa stesse dicendo. Ma si accorse che la ragazza, bagnata dalla testa ai piedi, non lo stava ascoltando.
-Alexis? Che è successo? –
Lei lo guardò senza vederlo davvero, cadde sulle ginocchia e scoppiò a piangere di nuovo. I suoi singhiozzi riempivano ogni cosa, le sue lacrime si fondevano con la mani bagnate di neve.
-Ho fatto un casino, Henry. Ho rovinato tutto! Ed è anche la prima nevicata dell’anno. Ho rovinato tutto! –
Il bambino non sapeva cosa pensare, ma si limitò ad abbracciarla perché nonostante i suoi undici anni, aveva perfettamente capito quanto l’altra fosse distrutta. E soprattutto, quanto ormai fossero lontani mente e corpo. Per cui l’aiutò, per quanto riuscì, quanto meno a rientrare nella sua stanza e a mettersi qualcosa di asciutto addosso.
 
Alexis passeggiava con Laya quando un fiocco di neve le era caduto sul naso. Gli occhi della ragazza si illuminarono, un enorme sorriso nacque sul suo viso.
-La prima nevicata dell’anno! – esclamò felice.
Prese Laya per la giacca e la trascinò per le strade urlandole di seguirla. Le proteste della maggiore furono unitili e più provava a dirle di star attenta a dove mettesse i piedi, più l’altra correva veloce con lo sguardo verso l’alto. Laya non capiva quel comportamento improvviso, non poteva capirlo, ma per Alexis c’era una tradizione che durava ormai da quasi diciotto anni. Perciò non poteva far altro che correre verso casa, certa che le sue madri stessero facendo lo stesso. Quantomeno Emma.
-Lex, rallenta! –
-Muoviti, lumaca! È la prima nevicata dell’anno! –
Laya aveva visto poche altre volte quel sorriso tanto bello quanto sincero sul volto della ragazza, era quel sorriso che gridava “famiglia”, qualcosa di tanto magico che non poteva essere sprecato per tutti i giorni. Mentre le arrancava dietro, non poteva fare a meno di pensare a quanto amasse Alexis Swan-Mills e quanto fosse grata per essere stata testimone di quel sorriso. La ragazza correva a perdifiato, fregandosene della neve che stava iniziando a scendere copiosa e del rischio di rompersi l’osso del collo scivolando sul ghiaccio. Semplicemente era euforica e non riusciva a smettere di ridere.
-Perché siamo corse a casa tua? –
-Silenzio- le intimò con un dito sul naso e gli occhi brillanti.
Entrò nel cortile di casa a passo moderato, come se non volesse farsi sentire. Laya trovò fosse comunque impossibile dato il manto bianco che attutiva i suoi passi. Sfilò i guanti passandoglieli e raccolse dalla staccionata un po’ di neve appena caduta per farne una palla.
-Ti verranno i geloni- la rimproverò Laya, ma l’altra non stava ascoltando.
Si guardava furtiva attorno, alla ricerca di qualcosa. Si rese conto troppo tardi di cosa stesse per succedere.
Una palla di neve giunta da dietro l’albero di mele colpì Alexis in pieno, questa rispose al fuoco lanciando la palla che aveva precedentemente preparato e sbrigandosi a farne una seconda.
-Sta giù! – le gridò.
E Laya non poté far altro obbedire. Una serie di palle di neve arrivavano e partivano da entrambi i lati, tra le risate delle due Swan. Laya si sporse solo un attimo dalle spalle della sua ragazza, qual tanto che le bastò a vedere dall’altro lato della trincea Emma, pronta a far fuoco sulla figlia.
-Ti sei portata i rinforzi, Lex? Sai di non poter battere la regina della guerra di neve! –
-Laya è praticamente inutile, e la regina sono io! –
Non si sentì offesa da quelle parole, era ben consapevole che il massimo che avrebbe potuto fare in quella situazione era evitare di essere colpita. E poi, aveva imparato bene a non mettersi in mezzo nelle guerre personali tra Emma e Alexis.
Le palle di neve continuarono a volare, madre e figlia ridevano come matte lanciandosi finti insulti circa le proprie abilità strategiche. La ragazza corse dietro ripari di fortuna pur di avvicinarsi all’albero di mele, base operativa di Emma. Laya rimase a guardarle divertita, sembravano due bambine di massimo otto anni.
-Perché non ti arrendi quest’anno, mamma? –
-Perché dovrei farlo, figlia? –
Emma aveva capito che l’intento della ragazza era coglierla alle spalle, dopotutto si definiva la regina di quel gioco! Per cui continuò a lanciare palle di neve bombardando la ragazza e al tempo stesso diede vita ad una vera e propria muraglia di ghiaccio per coprire il fianco scoperto. La protezione prese vita velocemente con l’ausilio della magia.
-Ehi! Stai imbrogliando, non si usa la magia! –
Strillò la ragazza indignata.
-Ha ragione Signorina Swan, non si usa la magia- intervenne Regina.
La donna era appena arrivata ed aveva fatto appena in tempo a scendere dalla sua auto che si era già ritrovata a dover fare da arbitro tra madre e figlia. Emma fu costretta ad abbattere il suo muro, ma non aveva considerato che Alexis avrebbe sfruttato l’arrivo dell’altra madre come distrazione per poter attaccare. Corse in direzione dell’albero e saltò su Emma cogliendola alle spalle e facendola cadere sul manto bianco sotto di loro.
-Ho vinto! – esclamò senza alzarsi dal corpo della madre.
-Non vale! Regina mi ha distratto-
-Non trovare scuse, mamma. Hai perso! –
Regina si avvicinò al resto della sua famiglia seguita da Laya. Tra le due si era creata una tacita accettazione dettata dall’amore per Alexis, riuscendo dunque a trascorrere momenti simbolici come quello senza fingere.
-Tesoro, lascia alzare tua madre. Ormai ha un’età-
Alexis si tirò su scoppiando a ridere, Emma invece tirò fuori l’espressione più offesa che potesse trovare. Asserì di non essere assolutamente vecchia, rialzandosi con un colpo di reni da far invidia a qualsiasi ragazzino.
-Visto? Sono in perfetta forma-
-Ne riparliamo stasera, quando soffrirai con la schiena e mi chiederai di massaggiartela-
Alexis rise ancora più forte, piegandosi in due e tenendosi sulle ginocchia. Anche Laya rise, in modo molto più educato e dignitoso. Erano tutti così concentrati a tenersi lo stomaco che nessuno notò la palla di neve che arrivò dritto sui capelli del Sindaco Mills. L’espressione della donna fu di sorpresa per pochissimi secondi, poi arrivò lo sguardo omicida. Con un solo movimento del polso, una ventina di palle di neve si posizionarono alle sue spalle, pronte a colpire al suo segnale.
-Scappa mamma! –
Alexis ed Emma presero a correre per tutto il cortile, cercando di evitare i colpi di Regina. Laya non riusciva a smettere di ridere. Era una visione colma di armonia vedere la ragazza e la donna correre per evitare palle di neve magiche, la perfetta rappresentazione della famiglia ideale.
-La magia non vale, Regina! Sono sempre state queste le regole! – protestò Emma presa d’assalto.
-Le regole mi esoneravano anche da qualunque tipo di attacco, Signorina Swan- rispose la donna ridendo.
-Ti difendo io mamma! –
Alexis si piazzò di fronte il corpo della donna con in braccio una serie di palle da usare. Le lanciò manualmente una ad una, cercando di colpire sia sua madre che la sua ragazza. Quest’ultima si sentì chiamata in causa e rispose al fuoco a sua volta. Nel frattempo anche Emma si era alzata dando man forte alla figlia.
-Dividiamoci, una per una! –
La donna inseguì sua moglie, che aveva difficoltà oggettive a scappare sulla neve con i tacchi, mentre Alexis prese d’assalto Laya. Tra le due coppie iniziò un duello senza risparmiarsi, a colpi di palle di neve e risate. Emma si limitava a cercare di proteggersi dagli attacchi dell’altra donna e tentare, per quanto vi riuscisse, a lanciare qualche colpo a sua volta. Alexis, invece, prese a rincorrere Laya per tutto il giardino continuando a lanciale palle di neve. La mora non era allenata e nemmeno preparata ad una simile battaglia e ci mise poco a farsi prendere. Alexis l’afferrò per i fianchi facendola rotolare nella neve. Si ritrovarono l’una sull’altra, col fiatone e le gote rosse per il freddo. La più piccola non poté far a meno di pensare, per l’ennesima volta, a quanto meravigliosi fossero quegli occhi scuri. Il sorriso che dominava il volto di Laya, era un insulto definirlo bellissimo. Lo baciò, facendo scontrare le labbra fredde di entrambe.
-Ti ho presa- sussurrò Alexis.
-Mi hai presa- ripeté Laya.
Si scambiarono ancora un altro freddo bacio, lì tra la neve del giardino del 108 di Mifflin Street. Le riportò alla realtà gli schiamazzi delle altre due donne.
Solo quando Regina si dichiarò sconfitta, sostenuta da Laya ancora stesa nella neve ma libera dal corpo di Alexis, le due sfidanti si fermarono. Madre e figlia si guardarono festeggiando la vittoria con un urlo di battaglia e saltando facendo scontrare i propri petti.
-Che eleganza- borbottò Regina.
-Completiamo la tradizione? – propose Emma.
Laya raggiunse la ragazza, cercando di pulirsi gli abiti alla meglio. Il suo sguardo interrogativo non sfuggì a nessun membro della famiglia Swan-Mills.
-Ti spiego in casa- le rispose sorridendole.
Regina scortò tutta la famiglia all’interno, invitando Emma ad accendere il fuoco nel camino e la figlia a recuperare asciugamani puliti per tutti. Lei, nel frattempo avrebbe preparato della cioccolata calda con cannella e panna per Emma, cioccolata semplice per Alexis e del caffè per Laya. Si riunirono poi accanto il camino, sedute sullo spesso tappeto del salotto, avvolte in coperte e con le loro tazze tra le mani.
-Siamo state grandi, mamma- disse Alexis battendo il cinque con Emma.
-Per quest’anno dichiariamo la parità per invasione di campo- sentenziò la donna.
Scoppiarono a ridere. Emma avvolse le spalle di sua figlia stringendola in un abbraccio.
-Lo fate spesso? – chiese Laya prendendo poi un sorso del suo caffè bollente.
 -Ogni prima nevicata dell’anno. Per la prima mia madre fece un pupazzo di neve e lo animò- raccontò la ragazza guardando Emma con amore- Il secondo uscimmo a giocare assieme, il terzo facemmo la prima battaglia a palle di neve. È diventata una tradizione di casa Swan-Mills giocare fuori alla prima nevicata-
Laya ascoltò con estrema attenzione, rapita dalle parole della ragazza e dagli sguardi adoranti di ogni membro della famiglia. A casa sua non esistevano usanze simili, erano sempre stati molto indipendenti nonostante si volessero un gran bene.
-Lo fate tutti gli anni? –
Alexis annuì, un gran sorriso sul volto.
-Non ne abbiamo mai saltato uno. Ovunque siamo lasciamo tutto e corriamo qui-
-I privilegi di essere sposata con il Sindaco- aggiunse Emma strizzando l’occhio a Laya.
Regina l’ammonì con un bonario rimprovero che ebbe il solo risultato di far nascere una nuova risata.
Laya guardò Alexis e non poté che unirsi a quella gioia, infinitamente grata di essere stata ammessa a quel rituale sacro di famiglia.
Alexis guardò Laya, commossa al pensiero che quella straordinaria ragazza non solo fosse innamorata di lei e sedeva nel salotto di casa sua assieme alla sua famiglia, ma sorrideva come glielo aveva visto fare poche volte nella sua vita.
Amava infinitamente la sua famiglia, tutta la sua famiglia.  
 

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Capitolo 11
*** 11 ***


*Inizio con lo scusarmi di questo mostruoso ritardo! Sarò sincera, non so esattamente perché, ma è stato estremamente complicato scrivere questo capitolo. Ci ho messo mesi e mesi per buttarlo giù! Fortuna che ne avevo altri pronti. Detto questo, spero davvero vi piaccia (fosse solo per la faticaccia XD)
Fatemi sapere che ne pensate e grazie per essere qui
NbM*
 
Henry aveva fatto tutto quello che un ragazzino di undici anni avrebbe potuto per aiutare Alexis, ma la ragazza non aveva fatto altro che piangere e vomitare. Non aveva mai visto qualcuno tanto disperato nemmeno nel suo libro. Le aveva carezzato i capelli, cercato di parlarle, ma lei era su un pianeta fin troppo lontano, aggrappata alla sua collana come se fosse l’unica ancora di salvezza nella sua vita.
Ma Henry non poteva capire, non poteva nemmeno lontanamente immaginare il dolore che stava attanagliando il cuore di Alexis in quel momento. Cosa avesse significato vedere Laya per quei pochi attimi e poi perderla ancora nonostante tutti gli sforzi. L’aveva avuta tra le sue braccia, aveva stretto i suoi fianchi e poi l’aveva abbandonata dietro un angolo. Ed era colpa sua ancora una volta. Ovunque sarebbe andata, una parte di sé sarebbe rimasta sempre al fianco di Laya, lì dove l’aveva obbligata a vivere. Lì lontano dall’amore.
Solo dopo diverso tempo, come se l’avesse investita di colpo una scarica elettrica, era scattata in piedi e aveva preso ad infilare le sue cose nello zaino. Il tutto senza dire una sola parola. Aveva preso un pezzo di carta, scarabocchiandoci sopra qualcosa e poi ci aveva avvolto la gemella della sua arpa all’interno. Si era piazzata di fronte ad Henry spaventandolo a morte, con gli occhi rossi sgranati e lo sguardo inesistente. Gli aveva messo il pacchetto tra le mani ed il ragazzino aveva capito, tra i singhiozzi, di doverlo consegnare ad Hannah non appena la maledizione si fosse spezzata.
-Perché, dove vai? –
-Io non posso restare, nanerottolo. Se non vado via prima di Emma, non potrò più tornare a casa-
Henry ci rifletté giusto qualche attimo, poi comprese. Era così elementare; la magia era tornata a Storybrooke grazie a lei e se abbandonava la città anche la magia stessa lo avrebbe fatto. Guardò la ragazza con le lacrime agli occhi, sarebbe rimasto l’unico in grado di portare Emma a salvare la città e di nuovo solo. Aveva trovato un’amica in lei, qualcuno con cui condividere gli stessi interessi e soprattutto il forte desiderio di salvare Storybrooke.
Aveva trovato una sorella.
-Non voglio che tu vada via- singhiozzò.
Alexis fece uno slancio verso di lui abbracciandolo e tenendolo stretto contro la pancia. Provò a ricacciare indietro le sue lacrime, ma il dolore di quel momento era troppo forte. Il bambino si avvinghiò ai suoi fianchi, incapace di lasciarla andare e di controllare le proprie emozioni.
-Non te ne andare anche tu, dopotutto sei mia sorella-
La ragazza fu particolarmente scossa da quelle parole, sentendole fin troppo vicina al suo stato d’animo. Pensava la stessa cosa, infondo era così. Il loro legame andava oltre gli stessi geni, la stessa casa, le stesse prese in giro. In poco tempo si era così affezionata al ragazzino, che le risultava davvero difficile lasciarlo andare.
-Mi dispiace, nanerottolo, mi dispiace davvero. Ma non posso restare, devo tornare a casa mia prima che sia troppo tardi-
Henry alzò lo sguardo verso di lei e vi trovò lo stesso dolore in quegli occhi verdi. Ci vide sé stesso riflesso come se guardasse in uno specchio. Senza dire una sola parola, recuperò la sua sciarpa grigia e rossa dal letto e si alzò sulle punte per mettergliela attorno al collo.
-Non ti dimenticare di me- singhiozzò.
Alexis lo abbracciò ancora una volta tenendogli stretto il capo contro il proprio petto. Fu difficile lasciarlo andare, ma aveva ancora troppe cose da fare e pochissimo tempo. Dedicò al bambino un ultimo sguardo.
-Addio, Henry-
-Addio, Alexis-
Ruotò il polso per teletrasportarsi, non aveva tempo per correre fino al negozio dei pegni del Signor Gold.
L’atterraggio fu brusco, segno che la sua magia iniziava a scarseggiare. Picchiò con i pugni contro la porta, provò ad aprirla con la magia, ma fu tutto inutile.
-Signor Gold! Signor Gold, mi apra ! –
L’uomo si degnò di assecondare alle sue richieste solo dopo diversi minuti, sul suo viso l’espressione maligna che Alexis conosceva bene.
-Cosa posso fare per lei, Signorina? –
La ragazza si precipitò nel negozio, il cuore la batteva così tanto da toglierle il fiato.
-Mi serve il suo aiuto-
Rumpelstiltskin sollevò un sopracciglio, ponendo una silenziosa domanda che non ebbe risposta. Fece segno alla ragazza di avvicinarsi al bancone e con un gesto della mano la invitò a spigare.
-Ho bisogno di qualcosa che imprigioni una strega potente-
-Cosa ha da offrirmi in cambio? –
Alexis sgranò gli occhi, non aveva tempo per simili giochi con lui. E cosa peggiore, non aveva nulla da offrirgli. Sapeva che il Signore Oscuro era un abile stratega e che non sarebbe stato facile raggirarlo. Aveva già puntato ogni cosa su Belle, non c’era altro a cui quell’uomo tenesse.
-La prego, mi aiuti-
-Lei non mi sembra una stolta, sa benissimo che non sono una persona caritatevole. Ma sarò ben lieto di aiutarla se risponderà alle mie domande-
Alexis si morse le labbra, sapeva fin troppo bene che non poteva dire una sola parola del mondo dal quale veniva. Avrebbe rischiato di causare una lista di problemi così lunga da non vederne la fine.
-Non posso- sussurrò.
-Allora mi spiace, ma mi permetta di darle un consiglio: Emma è quasi fuori città, le conviene pensare in fretta-
Sgranò gli occhi, conscia del fatto che Gold sapesse molto più di quanto immaginasse.
-La prego, Signor Gold, la prego! -
Nuove lacrime presero a scendere sulle sue guance, nelle vene il timore di non riuscire a risolvere nemmeno uno degli enormi problemi che aveva causato.
-Le dirò di suo figlio! –
Si morse la lingua, ma vide come il volto dell’uomo cambiò di colpo.
-Cosa sa di mio figlio? –
La ragazza tirò un sospiro di sollievo, forse aveva una possibilità.
-Lui è fantastico. È potente e… le vuole molto bene-
Ripensare a Gideon le fece male, ma almeno lui lo avrebbe di certo rivisto. Laya invece…
Si aggrappò all’arpa, non poteva vomitare in quel momento.
-Sta mentendo- ringhiò l’uomo.
Alexis fu invasa dal panico, non avrebbe avuto modo di dimostrare che ciò che asseriva era il vero. Ulteriori lacrime le solcarono le guance, il cuore batteva sempre più forte.
-NO! Non lo sto facendo, glielo giuro! La imploro Signor Gold, mi aiuti. Se non vuole farlo per me, lo faccia per suo figlio! È in pericolo anche lui e se non trovo un modo per fermare quella strega, ci ucciderà tutti! -
La vista le si appannò, gli occhi parevano sul punto di sciogliersi sotto il colpo delle lacrime. L’uomo rimase impassibile, incapace di decidere se credere alle parole di quella straniera o restare fedele a ciò che lui conosceva; Belfire era sparito in un portale. Ma la ragazza che gli parlava disperata, proveniva da un altro mondo, un'altra dimensione e forse, lì in quel mondo, Bay era vivo. Voltò le spalle alla ragazza, aprì un cassettino al di sotto del bancone e ne estrasse una scatolina tonda argentata.
-La usi con cautela, è molto potente-
Alexis prese la scatola tra le mani come fosse un cimelio di incredibile valore.
-Grazie, Signor Gold-
La infilò nella tasca del giubbotto e corse fuori dal negozio, doveva aprire il portale il prima possibile.
-Saluti mio figlio, Signorina Swan-
La ragazza si voltò verso di lui con gli occhi sgranati, sul viso l’espressione di chi è consapevole di aver fatto un grosso errore. Gold la guardò, lieto di comprendere dall’espressione facciale della giovane, quanto i suoi sospetti fossero reali. Aveva compreso che quella ragazza fosse parente della Salvatrice dalla prima volta che aveva messo piede nel negozio. L’indistinguibile firma non era tanto la somiglianza fisica, quanto la traccia magica che si portava dietro. Non era riuscito ad identificare l’altra metà del suo patrimonio genetico, ma era certo di conoscerlo.
-Come…?  –
-Sbaglio o non aveva tempo? –
Alexis fu costretta a lasciar perdere, i minuti le correvano contro e anche un solo secondo sarebbe stato fatale. Corse fuori, si rifugiò in un viale ignorando la neve ed il freddo e ruppe il fagiolo sperando che la magia bastasse. Il portale si aprì e nello stesso momento la paura e il senso di colpa l’investirono come un’auto a tutta velocità. Non riusciva a spingere i piedi all’interno del cerchio magico, nella sua mente non faceva che vedere un paio di profondi occhi scuri che la fissavano speranzosi. Aveva versato così tante lacrime ormai, che le sembrava assurdo averne ancora di nuove. Impose il comando ai piedi, impose loro di riportarla a casa e di lasciare Laya lì, dove non si sarebbe ricordata di lei e del loro amore.
-Alexis! –
Si voltò di scatto verso la voce che la chiamava e voltò appena il capo verso il bambino che correva nella sua direzione. Henry correva a perdifiato verso di lei, incurante di scivolare e di bagnarsi. Corse fino a quando non andò a sbattere contro lo stomaco della ragazza tenendola stretta.
-Henry devo andare, se il portale si chiude resterò qui-
Quelle parole erano più per se stessa per il piccolo Mills, doveva autoconvincersi e trovare la forza di lasciare andare ogni cosa c’era in quel mondo. Henry strusciò il viso contro la stoffa della maglia della ragazza, stringendo gli occhi e sforzandosi di essere più maturo. Alle loro spalle il portale sprigionava magia, minacciando di chiudersi rimpicciolendosi sempre più.
-Vai, penserò io a Laya. Ti prometto che me ne prenderò cura-
Alexis abbracciò Henry per l’ennesima volta, cadendo in ginocchio e ringraziandolo silenziosamente per la sua promessa. Anche se si trattava solo di un ragazzino, si sentiva rincuorata al pensiero che qualcuno, prima o poi, si sarebbe preso cura di Laya quando Hannah l’avrebbe liberata.
Il portale ebbe un ulteriore sbalzo di magia, minacciando di chiudersi a breve.
-Vai, sbrigati! –
La ragazza lo guardò per un ultimo istante, poi gli diede le spalle e obbligò i propri piedi a passare il portale. Fu un attimo e di colpo l’enorme villa bianca apparve nel suo campo visivo.
 
Regina non aveva notizie di Emma da quando avevano discusso al molo. Era in pensiero per lei, preoccupata e terribilmente infuriata. Quando aveva visto sua moglie nel ventre della Jolly Roger, aveva provato così tanta rabbia da credere di veder spuntare fuori la Evil Queen da un momento all’altro. Non avrebbe saputo dire se fosse gelosia la sua, o semplicemente non sopportava l’idea che avesse preferito Capitan Eyeliner a lei. Quel maledetto pirata erano troppi anni che tentava di mettere la sua lurida mano su Emma, ma la donna lo aveva sempre respinto, fino a quel momento. Voltò il capo verso il proprio comodino, andando a sbattere gli occhi contro lo sguardo felice di sua moglie al proprio matrimonio. Nessuna delle due aveva desiderato una festa in grande stile, ma Snow White non era riuscita a trattenersi. Prese la foto tra le dita sfiorando il viso di Emma e lasciando che un sorriso triste le viaggiasse tra le labbra. Riposò la cornice e scattò via dal letto come se avesse preso la scossa, correndo al piano di sotto alla ricerca del proprio cellulare. Non perse tempo a cercare il suo numero, lo compose a memoria e attese. La voce di sua moglie annunciò che non era disponibile al momento e di riprovare a telefonare in un secondo momento. Lo gettò via con rabbia, passandosi più volte le mani tra i capelli.
-Dove diavolo sei, Emma? –
Non sapeva cosa fare, o chi contattare. Di certo non sarebbe andata a piangere da Snow White e tantomeno avrebbe invocato il suo aiuto, nonostante fossero passati gli anni ancora non sopportava il costante vittimismo che risiedeva nella sua voce. Si avvicinò alla finestra del salotto, sperando quasi che Emma fossi lì in attesa di essere richiamata all’interno. Ma sua moglie non c’era, nel suo campo visivo appariva solo la sua auto e quella della figlia. Sorrise nel guardare la vettura bianca, non era mai stata d’accordo a quell’acquisto, ma Emma aveva così tanto insisto che l’aveva avuta vinta. Uno strano senso di calore l’avvolse lo stomaco, come se una mano invisibile la stesse consolando e sussurrando all’orecchio che sarebbe andato tutto bene. Spostò lo sguardo verso il vialetto di casa e sentì il cuore piantarsi nel petto. Senza riuscire realmente a respirare, si precipitò fuori di casa certa che quella spettacolare visione che aveva avuto fosse già sparita.
Ma non fu così.
Di fronte ai suoi occhi scuri, sua figlia la guardava con sguardo carico di lacrime. Nessuna delle due riuscì a muoversi per un solo secondo, poi si corsero incontro gettandosi l’una nelle braccia dell’altra.
-Mamma! –
Alexis si rifugiò nel suo collo lasciando andare tutte le lacrime che aveva tenuto in serbo per lei. Regina la tenne stretta, tastandola ovunque le proprie mani arrivassero per accertarsi che fosse vera.
-Amore, amore mio! Sei tornata! –
La ragazza si limitò ad annuire, incapace di proferire parola.
-Dov’è Laya? –
Sua figlia fece una smorfia, tentò in ogni modo possibile a trattenere quelle ulteriori lacrime, ma non vi riuscì. Scoppiò in un pianto disperato gettandosi contro il petto della donna. E Regina non riuscì a far nulla se non stringerla più forte che poté e scortarla in casa. Solo una volta all’interno le concesse di camminare con le proprie gambe.
-Alexis che è successo? –
La ragazza tentò di asciugarsi il viso con la sciarpa di Henry, lasciò cadere il proprio zaino al centro dell’ingresso e si coprì il volto con le mani. Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto rivivere ogni singolo giorno passato lontano dalla sua Storybrooke, ogni singolo respiro fatto lontano da casa. Ma sentiva già lo stomaco minacciare di rivoltarsi contro di lei, perché avrebbe dovuto confessare di non essere stata in grado di salvare Laya, di averla lasciata lì ed essere scappata come una codarda alla prima difficoltà. Si aggrappò all’arpa che ormai non avrebbe più brillato di nessun tipo di luce.
-Dov’è mamma? – chiese con voce spezzata.
Se proprio doveva gettarsi a capofitto nel dolore, almeno lo avrebbe fatto una sola volta. Eppure lo sguardo che Regina le rimandò, le fece gelare il sangue nelle vene.
-Io… non ne ho idea-
Alexis granò gli occhi, incredula.
-Che significa? Dov’è mia madre! –
Le mani scossero le spalle della donna che non compresa il perché di tanta paura.
-È stato un periodo difficile, Alexis. Abbiamo avuto una brutta discussione e lei è … - si prese un attimo prima di completare la frase, incapace di accettarlo- andata via-
La ragazza afferrò le proprie ciocche di capelli come fossero l’unica ancora di salvezza in un enorme oceano. La Emma del passato aveva lasciato Storybrooke e sua madre era dispersa. La magia aveva sempre un prezzo.
-Dobbiamo trovarla, mamma! Dobbiamo trovarla subito! –
-Tesoro calmati-
Regina non comprendeva cosa terrorizzasse la figlia fino a quel punto, non riusciva a leggere oltre il suo sguardo. E fu di fronte a quella maschera di preoccupazione che Alexis comprese che avrebbe dovuto fornire delle spiegazioni. Si accomodò sul divano prendendo un profondo respiro e cercando di fermare il tremolio delle mani.
-Siediti, mamma-
Raccontò a Regina tutto ciò che le era accaduto, tutto ciò che aveva visto e che aveva sopportato. Raccontò di Hannah, di Henry, del suo accordo con il Signor Gold e di come Emma fosse scappata da Storybrooke dopo che la maledizione di era spezzata per soli pochi attimi. Impose a se stessa di non piangere, di non versare una lacrime, ma le fu impossibile. Le sue ferite erano ancora troppo fresche per poterle leccare senza sentire dolore. La donna prestò attenzione ad ogni parola, inorridendo di tanto in tanto e portandosi una mano al petto quando sua figlia parlava di Hannah e Jonas. Comprese quanto fosse stato difficile per lei affrontare quel viaggio e quanto male le avesse fatto. Quando la ragazza terminò il suo resoconto, l’abbraccio più forte che poté.
-Riporteremo a casa Emma, amore. Sta tranquilla-
Si alzò dal divano e infilò il cappotto scuro, Alexis la seguì senza comprendere dove stesse andando.
-Andiamo a cercarla-
La ragazza la guardò. Non sapeva ancora cosa fosse accaduto tra le due durante il suo periodo di assenza, ma doveva essere stato qualcosa di profondamente duro.
-Mamma, che diavolo è successo tra di voi? –
Regina la guardò per un solo istante, poi abbassò lo sguardo. Era troppo difficile spiegarglielo.
-Riportiamo tua madre a casa, poi ne discutiamo-
Si infilarono nell’elegante vettura della donna senza più pronunciare una singola parola. Viaggiarono tra le strada della città e se Regina desiderava dialogare con sua figlia, la ragazza non riusciva a staccare gli occhi dalla strada. Solo quella mattina la biblioteca era sbarrata, la scuola ancora troppo piccola, la bottega di Marco ancora aperta. Osservò con attenzione ogni singolo dettaglio di quella città che conosceva dannatamente bene e che al tempo stesso era stata così estranea, in quei giorni precedenti. Si aspettò quasi di vedere Hannah camminare sotto braccio con Jonas ed Henry trottare dietro ad una giovane Emma. Solo in quel momento si rese conto di quanto le fosse realmente mancata casa sua, di quanto fosse grata per essere riuscita a tornarvi. Ma mentre Regina girava in torno per tutta la città sperando di vedere la chioma bionda o il maggiolino giallo della donna, Alexis non vedeva altro che ricordi. L’assalivano come un’onda il bagnasciuga, senza lasciarle via di scampo. Tentò con ogni sua forza di staccare gli occhi dall’ingresso del Rabbit Hole, ma le fu impossibile. Ogni primo ricordo bello con Laya, ogni inizio, ogni nuova sensazione, era partita da quel posto. Da quel bancone. Nella testa era ancora troppo nitido il loro primo bacio, quel momento in cui era riuscita a rispondere agli scherni della bruna solo tappandole la bocca con un bacio. Lo stomaco le saltò in gola, obbligandola a portarsi una mano alle labbra e chiudere gli occhi.
-Tesoro, stai male? –
-Fermati mamma –
Regina ci rifletté un attimo sulla richiesta della figlia, sul perché di colpo avesse avuto quella reazione.
-Mamma, ti ho detto di fermarti! –
La donna stava ancora rallentando quando Alexis saltò giù dalla vettura accasciandosi sull’asfalto e iniziando a vomitare. Regina le fu alle spalle in un secondo, scostandole i capelli dalla fronte e massaggiandole la schiena.
-Alexis che ti succede? –
Si guardò intorno preoccupata, cercando qualcosa che potesse aiutare la figlia. E fu allora che comprese cosa fosse accaduto; la sua auto era ferma di fronte il locale.
-Tesoro, andiamo via. Forza-
Tentò di farla alzare da terra, ma Alexis era scoppiata in un pianto disperato che non vedeva soluzione. E Regina imprecò contro se stessa per non essere abbastanza forte da aiutarla e contro Emma per non essere al suo fianco. Maledisse tutto ciò che aveva ferito la sua bambina a tal punto da costringerla con le ginocchia sull’asfalto in un mare di lacrime e la magia che l’aveva costretta a tutto quel dolore.
-Alexis, per favore sali in macchina-
Riuscì a convincerla ed aiutandola a tornare al suo posto, la guardò davvero per la prima volta da quanto era tornata. Vide nei suoi occhi verdi, un tempo così luminosi da competere con quelli di Emma, e ci vide solo disperazione. Era dimagrita troppo e sul suo viso pesanti occhiaie la facevano da padrone.
-Io devo tornare da lei, mamma. Non posso lasciarla lì, non posso! –
Altre lacrime scesero sul suo viso e Regina fu certa che il proprio cuore stesse scricchiolando, perché lei conosceva una verità che l’avrebbe distrutta. Sua figlia non sarebbe potuta tornare in quella realtà, almeno non avrebbe potuto fino a quando Emma non fosse tornata a Storybrooke. La magia che viveva nella città, tutto ciò che di incantato ci fosse, era collegato alla salvatrice e senza Emma, non si sarebbe mai aperto alcun portale.
-Facciamo un passo per volta, va bene? Troviamo tua madre e poi ci occupiamo di Laya-
Le sorrise nel modo più dolce e rassicurante che trovò, anche se si sentiva un mostro a mentirle a quel modo. Non poteva infierire ancora su di lei, era fin troppo debole per poterlo sopportare in quel momento. In più era abbastanza certa che sconvolta com’era, sua figlia l’avrebbe presa come una questione personale. Laya non le era stata molto simpatica, all’inizio. Non solo era la prima relazione della sua bambina, ma era anche un persona con un certo caratterino. Senza considerare che non la reputava al livello di Alexis. Al contrario invece, sua moglie l’adorava, trovandola spiritosa, bella ed intelligente. Su una cosa concordavano entrambe, amava follemente la loro principessina.
 
Sapeva che Alexis non stava più nella pelle all’idea di presentarle finalmente la sua famiglia, per davvero e non con mezzi incontri. Aveva insistito così a lungo, che alla fine la ragazza aveva ceduto per sfinimento. Laya non era entusiasta come lei, aveva sempre rimandato in quanto terrorizzata all’idea di incontrare Regina Mills. Dopo la lite avuta nel bosco e ciò che ne era conseguito, si era sforzata davvero tanto di assecondare il pensiero della sua ragazza e credere alla redenzione della donna. Ma nonostante tutto, temeva ancora troppo ciò che era stata. Ed era a questo che pensava mentre si preparava nella sua piccola stanza. Si era guardata allo specchio più volte negli ultimi venti minuti che in tutta la sua vita, ma ogni volta che lo faceva trovava un nuovo difetto che l’obbligava a svestirsi e ricominciare tutto da capo. Aveva impiegato un tempo indefinito a scegliere cosa indossare, finché aveva optato per un maglioncino rosso su un paio di jeans scuri. Era stata attenta ad osservare il capo da ogni angolatura, accertandosi che non avesse fili tirati o segni di usura troppo evidenti. Poi, dopo aver controllato l’orologio ed essersi accorta di essere mostruosamente in ritardo, si decise a lasciare la propria stanza. Passò per la cucina per salutare Fleur-de-Lys e Phoebus. I due le fecero i complimenti per l’abbigliamento e per la strana attenzione che aveva utilizzato nel prepararsi.
-Scappo, sono in ritardo! –
-Torna viva, scoiattolina-
La donna tirò una sberla al compagno accompagnata da un’occhiataccia.
-Grazie, papà. Sei veramente d’aiuto-
-Sta tranquilla, Laya. Andrà tutto bene- la rassicurò la bionda.
La ragazza tirò un ultimo respiro profondo, poi si decise ad uscire di casa. Avrebbe preferito di gran lunga camminare, ma era in ritardo e Alexis le aveva già inviato diversi messaggi, ai quali non si era degnata di rispondere, per chiederle dove fosse. Salì nel suo pick-up, mise in moto e guidò distratta fino alla villa Swan-Mills. Non riusciva a levarsi di dosso quell’assurda sensazione di disagio, come se fosse certa che si sarebbe trovata nel posto sbagliato. Ci teneva davvero a far bella figura con la famiglia di Alexis e a mostrare tutti, e solo, i suoi pregi. Impose a se stessa di essere meno acida e di evitare qualsiasi tipo di battuta idiota, sia nei confronti dell’altra ragazza, sia nei confronti della sua famiglia. Stava costruendo qualcosa di vero con Alexis, qualcosa che andava ben oltre l’attrazione fisica o mentale. Aveva imparato a riconoscere i battiti accelerati del suo cuore quando la vedeva entrare al Rabbit Hole, i brividi che le solcavano la schiena quando la baciava e il cuore andare a nascondersi nei calzini ogni qual volta la fissava con quei suoi occhi verdi. La faceva impazzire il modo in cui si perdeva nella sua oscurità, la facilità con la quale si lasciava andare fino a costringerla a riportarla alla superfice. Era solo una ragazzina di appena diciassette anni, eppure le aveva fatto completamente perdere la testa. Non avrebbe ancora saputo dire se l’amasse, o magari semplicemente non se ne rendeva conto, ma di certo era sulla buona strada.
Parcheggiò nel viale dietro il maggiolino giallo di Emma e accanto ad un secondo pick-up nero lucido. Ingoiò un groppo di saliva, Alexis non le aveva detto che ci sarebbe stato qualcun altro a cena con loro. Si fissò un’ultima volta nello specchietto retrovisore e si costrinse a scendere. Camminò lenta verso la porta, tentando di comprendere chi altri fosse presente, ma proprio mentre stava tendendo le orecchie, la porta di casa si spalancò. Alzò appena lo sguardo e non poté evitare di sorridere quando andò a sbattere contro un paio di luminosissimi smeraldi. La raggiunse con una gran voglia di baciarla, ma la sua razionalità le urlò di evitarlo, almeno in quel momento.
-Mi stavi spiando? – le chiese.
-Ho solo sentito il casino che fa il tuo pick-up-
Laya fece roteare gli occhi e l’altra ridacchiò. Alexis le prese i polsi per tirarla a sé, stava per baciarla quando Mary Margaret le richiamò all’interno.
-Non mi avevi detto ci fossero anche i tuoi nonni! – le ringhiò all’orecchio.
-Stanno per andar via, tranquilla. Volevano solo salutarti-
Trascinò la ragazza nel salotto di casa, non mollando le sue dita di un solo millimetro. Laya poté avvertire subito il buonissimo odore che veniva dalla cucina, Alexis aveva sempre elogiato le doti culinarie di sua madre. Ebbe appena il tempo di voltare il capo verso i divani che si ritrovò avvolta da un abbraccio stritolante. Non le servì nemmeno vedere chi fosse, una sola persona la stringeva a quel modo oltre la sua ragazza.
-Che bello vederti, Laya! –
-Buonasera, Signora Nolan-
-Ma quale Signora Nolan! Mary Margaret va benissimo! -
Quando si staccò dalla donna, vide i volti di Alexis ed Emma sgranare gli occhi e guardare Snow White come fosse una sorta di mostro pluritesta, e suo marito scuotere il capo sorridendo. Tentò di capire cosa stesse accadendo, ma proprio non ci riusciva.
-Sempre la solita- ridacchiò David.
Emma le si avvicinò con aria minacciosa, tirandola via dal corpo della ragazza.
-Che ti avevo detto circa la conoscenza di Laya, mamma? –
La donna sembrò ricordarsi solo in quel frangente delle mille raccomandazioni che figlia e nipote le avessero fatto. Regina aveva solo sentito parlare di Laya, ma non era ancora stata pronta a volerla incontrare e non avrebbe tollerato che invece la sua ex nemica avesse già quel tipo di confidenza.
-Scusa- sussurrò come una bambina beccata con le mani nella marmellata.
-Forse è meglio se andiamo, Snow-
David le fu alle spalle circondandogliele con fare protettivo.
-Sicuri di non voler rimanere? - chiese Alexis.
I coniugi annuirono e mentre loro si avviavano verso la porta, Emma chiamava a gran voce Regina. E Laya tremò. Era finalmente arrivato il momento di incontrare la donna che aveva temuto e odiato per così tanto tempo. Eppure, quando arrivò, non riuscì a pensare a nulla che non fosse la sua eleganza e la sua bellezza.
-Oh, lei deve essere la Signorina Agnès-
Laya si mosse come un automa, le strinse la mano e si sforzò di sorridere, ma tremava come una foglia. Alexis non aveva mai visto la ragazza tanto agitata e nervosa, lei che era sempre padrona del mondo e di ogni minima situazione.
-Si mamma, lei è Laya-
Regina notò come il tono della figlia si fosse addolcito mentre sfiorava il nome della ragazza e come i suoi occhi brillassero di una sincera felicità.
-L’adorerai! – esordì Mary Margaret mentre lasciava la casa.
Emma si passò una mano sul viso, rassegnata all’idea che sua madre non fosse proprio in grado di tenere la bocca chiusa. Era già stato un miracolo non avesse detto nulla a Regina di Laya per ben sei mesi e mezzo.
-Vogliamo proseguire le nostre conoscenze a tavola? –
Regina, da perfetta padrona di casa quale sapeva essere, scortò la famiglia verso la tavola perfettamente imbandita. Laya non aveva mai visto così tanta cura e così tanto cibo tutto insieme; sulla tovaglia inamidata c’erano piatti di porcellana e bicchieri di cristallo, le posate disposte nel modo corretto e nel giusto ordine, al centro della tavola la sua meravigliosa lasagna fumava ancora calda nella sua pirofila e vari contenitori di pane. Nel forno invece cuoceva del pollo sommerso di patate, sul piano cottura l’impasto pronto per essere infornato di una torta di mele.
-Prego, si accomodi pure-
Laya seguì ogni singolo movimento di Alexis, occupò la sedia accanto a lei osservando come la scostasse dal tavolo e come ci si sedesse. Stette ben attenta a quale posata prendesse per prima e in quale dei due calici versasse l’acqua. Emma prese posto di fronte alla figlia, lasciando a Regina quello opposto alla ragazza. Laya osservò quanto portamento avesse anche solo nel tagliare la lasagna e disporla nei piatti. Un’eleganza che a casa sua era sempre mancata, suo padre era la persona più goffa che avesse mai conosciuto. Attese che la donna completasse tutte le porzioni, mangiando già con gli occhi la pietanza. Vide Emma infilzare la sua porzione e poi tirare fuori la forchetta di fronte allo sguardo fermo della moglie. Non proferì parola e tanto bastò per farla fermare. Alexis rise sotto i baffi, coprendosi la bocca con la mano, guadagnandosi la stessa occhiataccia.
-Scusa, mamma-
-Allora, ci parli di lei. Cosa ha fatto nella sua vita prima del Rabbit Hole? –
Laya avvertì l’ansia schizzare alle stelle e per di più tutta quella formalità la metteva incredibilmente a disagio. Lanciò una singola occhiata rapida ad Alexis che le rispose con un sorriso rincuorante e un occhiolino, per poi iniziare a mangiare.
-Appena finito il liceo sono partita per New York, lì ho frequentato l’università-
Regina parve piacevolmente sorpresa da quella notizia, non se lo sarebbe mai aspettato. Guardò sua figlia, sul suo volto era presente un enorme e fiero sorriso.
-E cosa ha studiato? –
-Economia. Speravo di riuscire ad aiutare mio padre con il suo lavoro-
Alexis conosceva bene quella parte della vita di Laya, sapeva quanti sacrifici avessero fatto Fleur e Phoebus affinchè avesse ciò che desiderava. E fu proprio quello che la ragazza raccontò; i suoi lavori part time per mantenersi gli studi, gli straordinari di Phoebus e di Fleur, il loro costante sostegno.
-Come ci è finita in un locale come quello? –
-Mamma! –
La ragazza aveva perfettamente compreso cosa intendesse la madre con quella domanda, la conosceva.
-Ho solo posto una domanda, Alexis-
Da sotto il tavolo, Laya poggiò una mano sulla gamba dell’altra per intimarla alla tranquillità. Si era preparata per simili domande e poteva comprenderle, dopotutto usciva con la principessa di Storybrooke.
-Semplicemente mio padre ha preferito mi facessi una vita con le mie mani. Non che non mi abbia aiutata o sostenuta, ma mi ha sempre detto che il suo lavoro non andava bene per me. Non volevo gravare ulteriormente sulle sue spalle e sono finita al Rabbit Hole-
Regina aveva ascoltato con attenzione, provando in minima parte ammirazione. Lei non avrebbe mai permesso ad Alexis di svolgere un simile lavoro.
-Fred ti tratta bene, Laya? – chiese Emma.
-Si certo, è un brav’uomo. Burbero e scorbutico, ma un brav’uomo-
Emma scoppiò a ridere, trovandosi perfettamente d’accordo con la descrizione che aveva fatto la ragazza. Regina si alzò per sparecchiare e Laya scattò in piedi con lei.
-Ci penso io- si intromise Alexis sfilandole il piatto di mano.
La ragazza tornò a sedere osservando madre e figlia allontanarsi verso la cucina.
-Direi che sta andando bene- asserì la bionda.
Laya sospirò, liberando di poco la tensione che le attanagliava i polmoni. Sperava davvero andasse bene, sapeva fin troppo bene quanto fosse importante per Alexis. Si voltò verso di lei e la trovò a parlottare con Regina. Non riuscì a capire cosa si stessero dicendo.
Il resto della cena si svolse con Regina che bombardò di domande Laya su ogni cosa le venisse in mente. Si informò su quali fossero stati i suoi voti durante gli studi, sulle sue origini inorridendo alla scoperta del ramo gitano, su quali fossero i suoi piani per il futuro e se il catorcio sul quale portava in giro sua figlia fosse realmente sicuro.
-Andiamo Regina, era il pick-up di mio padre. È solo vecchio-
-Reputo sia una trappola mor… -
-… mortale peggiore di quel dannato maggiolino che ti ostini a guidare- conclusero per lei moglie e figlia.
Laya rise sommessamente, non le pareva educato farsi vedere da Regina. La donna guardò esterrefatta le due, pensando a fin troppe cose da dire una volta finita quella cena.
-Ti assicuro che nonostante i rumori strani che fa, è perfetto mamma-
Sapeva quanto Laya fosse attaccata al suo furgone, quasi quanto Emma lo fosse al maggiolino. Le aveva raccontato più volte di quanti pomeriggi passava alla concessionaria sognando il vecchio pick-up di David, fino a quando non aveva messo abbastanza soldi da parte per poterlo comprare con le sue sole forze. Alexis le ripeteva sempre che era destino il fatto che avesse acquistato la vecchia vettura di suo nonno.
-Voi e questa passione per il vecchio- controbatté Regina.
-Vintage- risposero in coro, ancora una volta, madre e figlia dandosi poi un cinque.
-Anche a casa sua c’è questa poca eleganza, Signorina Agnès? –
-Diciamo che non siamo proprio dei principi-
Sorrise guardando Alexis e ricordando la prima volta che l’altra era stata sua ospite.
-Desidera una fatta di torta? –
-Io si! –
Regina roteò gli occhi di fronte all’ennesima sovrapposizione di voci delle altre due.
-Se vuoi due non la smettete di parlare come dei pappagalli, non avrete proprio nulla-
Le due si guardarono sghignazzando e Laya comprese quanto fossero legate. Alexis non aveva mai espresso una preferenza per una delle sue madri, ma aveva sempre ammesso di sentire un legame leggermente più forte con Emma. Nonostante amasse alla follia Regina, si giustificava asserendo che la bionda l’aveva portata in grembo. Dovette distogliere lo sguardo dalla ragazza quando il piatto con la torta di mele invase il suo campo visivo. Tentennò diverso tempo di fronte alla porzione.
-Non le piacciono le mele, Signorina Agnès? –
La verità era che temeva di essere avvelenata. Guardò ancora Alexis che le regalò oltre ad uno sguardo assassino, un calcio sul polpaccio da sotto il tavolo.
-No, le adoro! – esclamò con finzione.
Ne prese un pezzo e si rese conto di quanto fosse stata stupida; era la cosa più buona che avesse mai mangiato in vita sua. Era stato tutto perfetto, ogni singolo dettaglio. E quando si voltò ancora una volta verso Alexis, si rese conto che soprattutto lei lo era. Lei e tutto ciò che era capace di emanare e trasmetterle. E comprese in quel momento che si, amava Alexis Swan-Mills
 
-Grazie di tutto Signor Sindaco-
Sul ciglio della porta, Laya si prostrava in mille ringraziamenti e complimento verso la cucina e tutto il resto. Regina sorrideva soddisfatta, affiancata da Emma che le fece l’occhiolino.
-Torna quando vuoi, Laya – disse la bionda.
-Grazie-
Le donne tornarono in casa mentre la figlia accompagnava la ragazza verso la vettura.
-Allora, è stato terribile come pensavi? – le chiese gettandole le braccia al collo.
-Ancora non lo so, almeno non sono morta a causa di una mela –
Alexis la guardò truce e l’altra sollevò le mani in segno di scherzo. Poi si avvicinò a lei lasciandole un leggero bacio sulle labbra, non si sarebbe spinta oltre per quella sera.
-Ci vediamo domani? –
-Lavoro tutto il giorno, principessina. Lo sai-
La minore mostrò un broncio adorabile che non ci mise molto a diventare nuovamente un sorriso.
-Passo al Rabbit Hole-
Le lasciò un bacio a stampo sulle labbra e scappò verso la porta d’ingresso. Laya la osservò fin quando non la vide sparire all’interno, poi salì sul furgone.
Diamine se l’amava.
E Alexis, poggiata alla porta di casa, pensava la stessa cosa.
-Sei felice, vero? – le chiese Emma.
Annuì con vigore, regalando alla madre un sorriso stupendo.
-Mamma che ne pensa? –
-Indagherò. Tu fila a letto che domani hai scuola-
La ragazza le si avvicinò per lasciarle un bacio su una guancia e poi corse per le scale salutando anche Regina. Emma la guardò trottare felice verso la sua stanza e un sorriso nacque anche sulle sue labbra. Tornò in cucina per aiutare sua moglie, si era data davvero da fare per quella cena. Era di fronte il piano cottura, intenta a far sì che ogni centimetro brillasse. La strinse da dietro baciandole il collo e annusando il suo buon odore.
-Siamo state brave, non trovi? Hai visto quanto era felice Lex? –
Regina si voltò tra le braccia della moglie guardandola dritta negli occhi.
-Sai chi è stata davvero brava? Tua madre-
Emma la guardò confusa.
-Non credevo che Snow White potesse imparare a mantenere così bene i segreti-
La bionda fu sorpresa per un solo istante, era impossibile che Regina non avesse compreso la realtà dei fatti. Rise e strinse più forte la donna.
-Beccate-
Regina si liberò dalla sua presa riprendendo il suo operato.
-Ero praticamente l’unica a non conoscere la fidanzata di nostra figlia, è umiliante-
-E ora che l’hai conosciuta, che ne pensi di Laya? –
Alla bruna bastò uno sguardo per comprendere che sua moglie l’adorava già.
-Io non saprei, Emma. È troppo grande per Alexis, lavoro in quel lurido posto ed è figlia di una vagabonda! –
-Gitana- precisò Emma- E vorrei ricordarti che io e te ci portiamo quasi dieci anni. Infine il Rabbit Hole non è più la bettola di una volta-
Regina sospirò, poi rispose.
-Non sono convinta, Emma. Avrei sperato in qualcosa di meglio per lei-
-Secondo i tuoi canoni nessuno sarà mai all’altezza di Lex, Regina. Dalle una seconda possibilità-
La donna annuì ed Emma la baciò infilando le dita sotto la sua camicia.
Dopotutto anche la loro era stata era relazione mal vista da tutti, forse avrebbe dovuto dare a Laya un’altra chance. Fosse anche solo per la felicità di sua figlia.
  
 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Avevano cercato Emma in ogni angolo di Storybrooke, in ogni bar, caffetteria, pub o che altro. La donna sembrava essere sparita, proprio come nella realtà dalla quale veniva Alexis. Il panico aveva iniziato ad invadere anche il corpo di Regina, la quale, in quel momento, iniziava a rendersi conto di quanto stupida fosse stata ad allontanarsi tanto da sua moglie. E come sempre, ci se ne accorge solo quando si perde. Voltò appena lo sguardo verso sua figlia, la ragazza se ne stava con il capo retratto e le mani fisse tra i capelli. Sul viso, un’espressione distrutta e sul punto di versare un numero indefinito di lacrime. Allungò una mano verso di lei per stringere le sue dita, per cercare in qualche modo di confortarla. Erano ferme nel viale di case da diversi minuti ormai, incapaci di lasciare la vettura.

-Che ho fatto, mamma. Che diavolo ho fatto! –

-Tesoro, non è colpa tua-

-Si invece! Ho lasciato Laya, ho lasciato Henry e mamma è sparita! È solo colpa mia, mia e del mio stupido desiderio di sistemare le cose! –

Scoppiò in lacrime, per la seconda volta in un tempo troppo ravvicinato. A Regina non restava che guardarla, flagellandosi l’anima per quell’assurda idea avuta tre mesi prima. Sua figlia era tornata a casa distrutta, fisicamente ed emotivamente, poteva vederlo quanto fosse instabile al momento. Sospirò, accartocciandosi il cervello alla disperata ricerca di una soluzione. Poi lo sguardo le cadde sulla finestra della cucina della villa, ne era certa, qualcuno si era mosso all’interno della casa.

-Alexis, c’è qualcuno in casa-

La ragazza scattò dritta, negli occhi un’onda magica fece vibrare il suo verde. Scese dalla macchina come una furia, correndo verso l’interno. Tra le dita, una sfera di fuoco stava già andando a materializzarsi. Regina le corse dietro, afferrandola per un braccio.

-Tesoro, sta calma-

Ma Alexis era già troppo lontana dalla realtà per poterle dar retta. Entrò in casa carica come una pila, pronta ad incenerire gli intrusi presenti a casa sua. La tensione le circolava nelle vene assieme alla magia e Regina era certe che se fosse scoppiata una battaglia, sua figlia non sarebbe riuscita a controllarsi. Avevano lavorato così tanto sul controllo della magia e sul domare le proprie emozioni, ma per quanto Alexis fosse stata una perfetta alunna, quando la sua emotività bussava la magia ne risentiva. Per cui le stava dietro, pronta ad intervenire qualora ce ne fosse stato bisogno. La sfera di fuoco tra le sue dita la preoccupava, sapeva fin troppo bene cosa significava arrendersi alla magia oscura ed era consapevole che né lei né Emma sarebbero riuscite a fermarla. Un rumore dalla cucina le fece voltare entrambe, la mano della ragazza già alta verso l’intruso. Stava per lanciare quando Regina la fermò urlando e afferrandole il polso.

Emma, occhi sgranati e tazza di caffè in mano, non seppe se prendere la pistola dalla fondina o rispondere con la magia. Ma quando il suo verde si scontrò con quello della figlia, le mani le divennero talmente molli da lasciar cadere ogni ipotesi. Senza dire una sola parola, si avviò a passi troppo lenti verso la figlia. Le prese il viso tra le mani, come a volersi accertare che fosse realmente lei, per poi abbracciarla tanto stretta da farle dolere le costole già provate per i bruschi atterraggi.  Entrambe si sciolsero in un pianto liberatorio, e Regina non fu mai stata così felice di vedere sua moglie piangere. Emma aveva tenuto tutto dentro per così tanto tempo, da esplodere di fronte a quell’enorme sollievo. Si avvicinò alle due, ma non riuscì a stringerle. L’astio tra lei ed Emma, ancora non si era alleviato nonostante il ritorno della ragazza.

-Dio Lex, finalmente. Ci hai fatto morire di paura! –

-Mi siete mancate così tanto, mamme-

Si voltò verso Regina, non comprendendo quella sua freddezza e quel così palese distaccamento dell’altra donna.

-Abbiamo così tante cose di cui parlare, mamme. Potremmo cominciare da cosa diavolo vi è successo-

 

Regina trovò quasi strano vedere Emma in pigiama seduta all’angolo sinistro del loro letto. Era diverso tempo che la donna non frequentava quella stanza della casa. Dopo il racconto di Alexis, si erano sentite entrambe così stupide ad aver litigato per tutto quel tempo mentre la loro bambina sopportava di tutto in silenzio. Eppure, nonostante adesso la ragazza dormisse nella sua stanza, o quantomeno era ciò che credevano facesse, non riuscivano a guardarsi negli occhi. Emma era nella stessa posizione da diversi minuti, ormai, mentre Regina aveva spalmato di crema ogni centimetro del proprio corpo. Non avevano più parlato dal giorno precedente al molo, quando la bionda era andata via senza voltarsi nemmeno una volta.

-Dove sei stata, Emma? –

-Avevo bisogno di staccare la spina-

-Con il pirata? Capitan Eyeliner è sicuramente la scelta più saggia, in un momento delicato come questo-

Emma si alzò dal materasso passandosi le mani tra i capelli, già stufa di quella conversazione.

-Regina per favore, Lex è appena tornata aspettiamo almeno domani per litigare, ok? –

La bruna la fissò sconvolta da dietro i suoi eleganti occhiali da vista. Si alzò anche lei, ma non si avvicinò. Temeva di prenderla ancora a sberle.

-Credi che io mi sia divertita, Emma? O che provi piacere nel discutere con te da più di due mesi, ormai? –

-Io non lo so più, Regina! Ogni volta che ci incontriamo finiamo per litigare, ogni volta che proviamo ad avere una conversazione finiamo per litigare. Anche adesso che nostra figlia, la persona più importante delle nostre vite, è tornata a casa ci riduciamo a litigare. Non credi significhi qualcosa? –

Regina non riuscì a credere a ciò che aveva appena sentito, non riuscì a credere che quelle parole nascessero dalle deliziose labbra di Emma. La sua Emma.

-Che stai cercando di dirmi? –

-Sto cercando di dirti che ormai il problema non è più Lex, ma noi-

-Vuoi lasciarmi, Emma? –

Nel petto di Regina, nacque un senso di terrore e panico che non aveva avvertito nemmeno con la scomparsa di Alexis. Sentì le gambe tremarle e il cuore accelerare così tanto da renderle difficile respirare. Gli occhi le si riempirono di lacrime e in attimo si rese conto di esserci arrivata da sola a quella situazione. Fu come se la semplice tranquillità di avere sua figlia alla porta accanto, avesse sollevato quel velo che le impediva di vedere nitidamente la realtà. Riuscì a vedere quante volte avesse allontanata Emma da sé e quante altrettante volte era stata peggio della Evil Queen, con lei. Rivide avanti agli occhi la sera in cui l’aveva sbattuta fuori di casa, quella in cui l’aveva presa a schiaffi e tutte le volte che l’aveva cacciata via dal proprio letto. Aveva allontanato l’amore della sua vita, quella meravigliosa donna che le aveva fatto riscoprire la felicità e la voglia di essere una persona migliore.

O forse, più semplicemente, era la paura di vederla andar via una volta e per sempre.

-Io ti amo, Regina. Ti amo più della mia stessa vita, tu e Lex siete tutto ciò di cui ho bisogno, ma tutto questo dolore, tutto questo gelo che c’è tra noi non riesco più a sopportarlo. Voglio tornare a casa la sera e vedere di nuovo quel meraviglioso sorriso che rivolgevi solo a me, sentirti battibeccare con Lex per l’uso della magia e poi infilarmi nel letto al tuo fianco. Ma questo non esiste più da troppo tempo ed io non posso tollerarlo ancora! –

Gli occhi della bionda si riempirono di lacrime, ma non aveva idea se fossero di dolore, rabbia o frustrazione. Regina le mancava, le mancava ogni singolo giorno e anche se era fisicamente a due passi da lei, sua moglie non c’era. Non c’era da quando Alexis era partita. Sollevò lo sguardo su di lei e quasi si sorprese quando vide il suo volto sconvolto. Regina sembrava provare un enorme dolore, lo stesso che le aveva visto quando aveva avuto un aborto spontaneo. Il dolore della perdita. Sospirò e le si avvicinò a passo lento, poi le mise le mani sulle spalle.

-Regina, io non voglio tutto questo, ma sono stanca. Quindi, per quanto tutto ciò ferisca entrambe, dobbiamo decidere cosa fare-

Desiderava baciarla, lo desiderava con tutta sé stessa. Desiderava spogliarla e toccare ogni centimetro di pelle, farlo suo. Ma tutto ciò che fece, fu sfiorarle le guance e lasciare la stanza in favore di quella degli ospiti.

Ciò che entrambe ignoravano, era che Alexis aveva ascoltato l’intera conversazione.

Tornò nella propria camera più avvilita di quanto già non fosse, non solo aveva perso ogni cosa, ma per colpa sua le sue madri erano in crisi. Si chiuse la porta della propria camera alle spalle scivolando contro il legno con le spalle fino a cadere seduta sul pavimento. Tirò le gambe al petto e scoppiò a piangere, ancora una volta. Sentiva il petto schiacciarsi sotto una pressione che non riusciva a scacciare, sentiva il cuore scricchiolare e sgretolarsi ulteriormente. Avrebbe voluto urlare, dar sfogo a tutto quel dolore che l’attanagliava e che le impediva di respirare. Le lacrime le inumidirono le labbra, invadendole la bocca e rendendola salata. Si impose la calma, obbligò il proprio stomaco a non infierire ancora su di lei. La sua stanza, per quanto grande fosse, le sembrava talmente piccola da opprimerla. Piccola come la stanza di Laya. Sgranò gli occhi al pensiero del nome della ragazza, i suoi occhi scuri le invasero la mente, il cuore, le iridi. Vide solo nero. Un nero che l’avvolgeva, la strangolava, la lasciava cadere senza via di fuga. Si rannicchiò così tanto contro sé stessa, da sentir male alle ginocchia e alla schiena. Ma per quanto si fosse sforzata, non riuscì a tenere lo stomaco al suo posto. Scattò in piedi come una molla, corse verso il bagno e si piegò sulla tazza vomitando tutto il suo dolore.

Emma e Regina, provenienti da due stanze diverse, accorsero in un secondo in suo aiuto. Ma per quanto ci provassero, non avevano potere di far nulla.

 

 

SEI GIORNI DAL RITORNO

 

Regina si ritrovò a pensare che aveva dormito più mentre sua figlia era lontana, che da quando era tornata. Alexis passava le giornate a piangere chiusa in camera sua e le notti a lottare tra incubi, urla e corse al bagno. Lei ed Emma aveva provato in ogni modo a loro conosciuto ad aiutarla, ma la ragazza non accettava nessuno al suo fianco. Si era segregata nella sua stanza, chiudendo tutto il resto del mondo fuori. Non aveva voluto vedere la sua famiglia, né tantomeno Gideon. Aveva provveduto a consegnare il Cappello del Mago alle sue madri, affinché ci imprigionassero i loro nemici. Non aveva voluto più saperne alcunché, conscia che se avesse incontrato il Cigno Nero e Claude Frollo non sarebbe stata in grado di controllarsi. Avrebbe ricercato la vendetta contro le persone che l’avevano separata da Laya. Regina non aveva insistito, leggendo negli occhi della figlia nient’altro che dolore.

Per Snow White era ormai consuetudine passare i pomeriggi nel salotto di casa Swan-Mills, sperando che sua nipote allentasse un po’ quella forzata reclusione. Quel giorno erano presenti anche Leopold e Gideon.

-Che cosa possiamo fare? – Chiese la donna.

-Non lo so, mamma. Non lascia entrare nessuno-

Regina non proferì parola, lacerata dal dolore della figlia. Poteva comprendere il suo dolore, poteva comprendere la sua reclusione, ma sperava che almeno lasciasse una minuscola fessura ai suoi amici. A Gideon. il ragazzo sembrava essere il più allarmato da quella situazione, già reduce dal primo crollo di Alexis.

-Vado io-

Leopold lasciò il divano per recarsi al piano superiore, ma Emma l’afferrò per un braccio.

-Ti prego, Leo-

Il ragazzo non sapeva per cosa esattamente sua sorella stesse pregando, se affinché non fallisse o per non essere troppo duro con Alexis. Non era mai stato una persona particolarmente empatica, né tanto meno paziente. Ma una cosa era certa, amava Alexis. Quindi si limitò ad annuire una sola volta, per poi dirigersi verso la camera della ragazza.

-Se non sentiremo urlare, sarà già una vittoria- sospirò Emma.

Leopold salì le scale con un vago senso d’ansia, nonostante non fosse stato particolarmente vicino ad Alexis in passato, aveva sofferto per la sua condizione. Ma se per il suo carattere fin troppo forte e spavaldo la reazione era stata quella di gettarsi a capofitto nella lotta, per la ragazza la disperazione era stata l’unica via. C’era stato Gideon con lei, ma questa volta, ne era certo, l’estrema bontà d’animo del ragazzo non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Alexis aveva bisogno di qualcuno che avesse pugno duro e non si lasciasse intimidire dalle sue infinite lacrime. Fu con tutte quelle buone intenzioni che bussò alla sua porta.

-Andatevene! – fu la risposta che ricevette.

Non ci badò più di tanto, abbassando la maniglia non sorprendendosi affatto di trovarla aperta. Nella loro famiglia, non era certo una serratura a fermare un familiare dall’invadere la propria privacy. E lui lo sapeva fin troppo bene.

-Mamma ti ho detto … ! –

Leopold era certo di non trovarla in buono stato, ma ciò che gli si parò di fronte lo fece rabbrividire. Alexis era rannicchiata contro la spalliera del letto, minuscola in confronto a tutto il resto. Il viso segnato da troppe notti insonni e gli occhi rossi aveva ingoiato il verde splendente che era solito marchiarli.

-Sono io- disse a palmi alti.

La ragazza si limitò a guardarlo per un solo istante, senza nemmeno vederlo realmente. La maschera di dolore parlò al posto suo.

-Vattene-

Leopold si avvicinò al letto a passo lento, come se di fronte non avesse quella ragazzina alla quale aveva quasi cambiato i pannolini, ma una bestia feroce.

-Fai schifo, lo sai? –

-Leo, esci dalla mia stanza-

Il ragazzo si accomodò sul letto dandole le spalle. Tutta la sua sicurezza si era sgretolata appena incontrato il suo sguardo, riducendolo ad un ammasso di muscoli stretti in una felpa troppo piccola che governava un cuore in tumulto.

-Voglio solo parlare, Lex-

-Io no, quindi vattene-

Leopold le rivolse un solo sguardo e tanto gli bastò per comprendere quanto la sofferenza scavasse in lei ogni secondo un nuovo solco. Gli sembrò fosse dimagrita, incredibilmente, e che avesse perso la voglia di vivere. Fu a quel pensiero che ritrovò il proprio spirito combattivo. Si alzò dal letto ed andò ad aprire le tende, guadagnandosi diversi insulti ai quali però non badò.

-Che cazzo, Leo! –

Alexis saltò giù dal letto tentando di superarlo e tornare a nascondersi nel proprio buio, ma Leopold non glielo permise bloccandola per i polsi e stringendola a sé.

-Lasciami! –

-No che non ti lascio. Hai deciso di buttare tutta la tua vita all’aria? Di restare rintanata qui dentro fino a data da destinarsi? –

-Non ti riguarda! –

Alexis si dimenava tra le braccia dello zio, anche se non si erano mai definiti a quel modo, scalciando e facendo reclamo a tutto la sua poca forza.

-Sei tornata da una settimana e non ti sei degnata di farti vedere dalla tua famiglia, da persone che ti amano e che tengono a te. Non hai permesso a Phoebus e Fleur-de-Lys di piangerla perché non hai il coraggio di dirglielo! Non è questo che ci hanno insegnato! -

La minore si sentiva una bambina intrappolata in una morsa di pietra, smise di lottare solo quando si rese conto che sarebbe stato del tutto inutile. Non avrebbe potuto vincere ed era troppo spossata per usare la magia. Solo allora Leopold la lasciò, permettendole di guardarla negli occhi.

-Ti rendi conto che hai allarmato tutti? Nessuno sa cosa fare con te, nessuno sa come aiutarti. Come fai a fregartene di tutto questo? –

-Perché non riesco a pensarci! Non riesco a pensare ad altro che sia Laya! –

Pronunciare il suo nome fu doloroso, come se qualcuno le avesse strappato il cuore dal petto e lo stesse stringendo tra le dita.

-Non esiste solo Agnès, vuoi mettetelo in testa? –

-Cosa cazzo vuoi saperne tu? Non sai cosa si prova a perdere qualcuno! –

Leopold rimase in silenzio, respirando profondamente e cercando di ricordare l’ammonimento di sua sorella. Era vero, non era mai stato legato a qualcuno al di fuori della propria famiglia come Alexis era legata a Laya. Eppure si sbagliava, poteva comprenderlo.

-Ho perso te. Da quando Agnès è sparita, io ho perso te-

I toni si erano abbassati, gli animi raffreddati. Alexis guardò il ragazzo, come se sul suo viso cercasse una qualche sorta di rivelazione. Gli occhi le si riempirono di lacrime che non voleva versare. Leopold se ne accorse e mosse qualche passo nella sua direzione a braccia aperte. Alexis fu inizialmente restia ad affrontare di nuovo quel contatto, ma il calore del petto del ragazzo era un porto sicuro al quale al momento non riusciva a rinunciare.  Poggiò la fronte contro i suoi pettorali e solo quando le braccia di Leopold l’avvolsero, si sciolse in nuove lacrime aggrappata alla sua felpa.

-Mi manca, Leo. Non riesco a sopportare l’idea di aver fallito, di aver buttato tutto all’aria. Laya è lì, è lì tra le braccia di un altro ed io sento di impazzire-

Il ragazzo ingoiò un groppo di saliva mentre la teneva stretta e per un attimo gli sembrò impossibile che un corpo tanto piccolo potesse contenere un dolore tanto grande.

 

 

OTTO GIORNI DAL RITORNO

 

Alexis era stata costretta a lasciare la propria stanza per una causa maggiore; Phoebus e Fleur-de-Lys stavano per arrivare alla villa Swan-Mills e sarebbe toccato a lei comunicargli il proprio fallimento. Aveva cercato di rimettersi in sesto, di tentare in ogni modo di apparire più forte di quanto in realtà non fosse. Leopold aveva promesso di starle accanto e di supportarla ad ogni passo, il ragazzo le era stato incredibilmente vicino dopo la discussione avuta in camera sua. Anche in quel momento, mentre faceva ricorso a tutti gli insegnamenti di buona educazione impartitogli da Regina, le dava forza tenendola una mano sulla schiena. Emma e Regina erano estremamente sollevate nel vedere che almeno qualcuno era riuscito a scardinare la corazza che la loro bambina si era incollata addosso.

-Non ce la faccio, Leo. Mi viene da vomitare-

Il ragazzo le mise entrambe le mani sulle spalle e gli impose di guardarlo negli occhi.

-Sii forte, Lex. Glielo devi. E poi ci sono io con te-

-Lo so, lo so, ma… -

I dubbi della ragazza furono scardinato da un pesante bussare alla porta di casa e tanto bastò a farla tremare. Quando li vide entrare, sentì il cuore cercare in ogni modo di scappare dal petto per andare a nascondersi sotto il letto. L’uomo che ricordava enorme, era dimagrito al punto da sembrare incredibilmente più piccolo di Leopold. Fleur-de-Lys sembrava invecchiata di cent’anni. Dopo imbarazzanti saluti, Phoebus puntò lo sguardo sulla ragazza trasmettendole tutto il proprio nervosismo. Lasciò la mano della compagna per permetterle di andare ad abbracciarla e tanto bastò per farla sentire una traditrice, un essere spregevole al pari del Cigno Nero.

-Bentornata, tesoro-

I suoi occhi azzurri, carichi di speranza, saettavano per tutta la stanza alla ricerca della figlia adottiva. Lo stesso facevano quelli dell’uomo.

-Volete accomodarvi? Magari gradite del sidro di mele– Domandò cortese Regina indicando il salotto.

-Dov’è mia figlia? –

Le parole rudi dell’uomo arrivarono come una pugno alle orecchie di Alexis. Provò a rispondere, ma tutto ciò che ne uscì fu un muto sospiro.

-È meglio che vi sediate- rincalzò Emma.

Phoebus comprese in attimo, per quanto fosse un uomo dalla cultura modesta, non era certo stupido.

-Dov’è Laya! –

Fece un passo avanti verso Alexis e lo stesso fece Leopold verso di lui, a protezione della ragazza che si nascose dietro i suoi muscoli. Emma fu costretta ad intromettersi, frapponendosi tra il fratello e i loro ospiti.

-Calmiamoci tutti- disse rivolgendo particolare attenzione al fratello.

Fleur-de-Lys comprese cosa stesse accadendo e cosa avevano da riferire. Strinse un braccio del compagno, gli occhi già lucidi di lacrime dolorose. Fu lei a parlare, rivolgendosi direttamente alla ragazza.

-Alexis, ti prego-

La piccola Swan-Mills sentì il cuore frantumarsi di fronte a quella supplica appena sussurrata. Ingoiò le proprie lacrime e si parò di fronte la coppia con le mani che le tremavano.

-Io… quando sono arrivata lì, lei … -

-Parla maledizione! –

Il viso di Phoebus divenne paonazzo, tanto da terrorizzare la ragazza che fece inconsciamente un passo indietro. La mano di Leopold su una spalla le fece sentire che qualsiasi cosa fosse successa, lui c’era.

-Non sono riuscita a riportarla a casa-

Parlò tutto d’un fiato, ad occhi chiusi e tremando come una foglia. Poi ci fu silenzio. Ci fu un attimo in cui il tempo sembrò fermarsi sul dolore di tre persone, come se volesse scandirlo al meglio. Quando ricominciò a scorrere, mostrò il viso dell’uomo deformato dallo shock. Gli occhi gli si erano sgranati all’inverosimile lasciando cadere silenziose lacrime. Fleur-de-Lys lo abbracciò, ma non ebbe alcun tipo di reazione.

-Tu … tu hai dimenticato … mia figlia? –

-No! Non l’ho dimenticata, non lo farei mai! –

-E allora dov’è! Dov’è mia figlia! –

Phoebus aveva urlato così forte da far tremare tutti i presenti, Alexis più di chiunque altro. Indietreggiò, fino ad andare a sbattere contro Leopold.

-I-Io … -

Ormai le lacrime sembravano essere l’unica via di fuga e queste scesero copiose sulle guance della ragazza.

-Tu cosa? Sei tornata nella tua bella casa e hai lasciato mia figlia indietro! Lei ti ha dato ogni cosa e tu lo hai calpestato! –

Emma e Regina affiancarono la figlia, dandole tutto il supporto che riuscivano ad infondere. Alexis era sconvolta, i suoi occhi guardavano il vuoto perdendocisi.

-I-io… ho prova … -

-Non abbastanza! –

Fleur-de-Lys gli si parò avanti, cercando in qualche modo di placare la sua ira. Non lo aveva mai visto tanto adirato in vita sua, nemmeno nelle peggiori liti con Esmeralda. Il suo viso era rosso e la vena sul collo pulsava pericolosamente.

-Ehi! Lex ha fatto tutto quello che poteva! –

Leopold si frappose tra la nipote e l’uomo, la sua aria era minacciosa e la sua presenza imponente.

-Leo, ti prego non … -

-Rivoglio mia figlia! Rivoglio Laya a casa! –

Di fronte l’irruenza dell’ex capitano, anche Regina si posizionò avanti la figlia mentre Emma si avvicinò all’uomo.

-Phoebus, posso capire il tuo dolore, ma … -

-VOI NON POTETE CAPIRE! –

-Phoebus, per favore calmati- tentò Fleur-de-Lys.

-Calmarmi? Quella strega ha abbandonato Laya! La mia Laya! –

Quelle parole rimbombarono nella mente di Alexis come un tuono. “Abbandonato”, era stata questa la parola usata dall’uomo. Il fiato le si bloccò in gola, il cuore prese a battere troppo forte per essere normale. Aveva abbandonato Laya? Aveva messo sé stessa prima dell’amore della sua vita? Cadde in ginocchio, le mani sul petto e la faccia ferita dalle lacrime.

-Non ti azzardare a parlare così della mia famiglia! – minacciò Leopold puntandogli un dito contro.

-Mi dispiace. Mi dispiace- sussurrò appena.

Solo in quel momento i presenti parvero accorgersi di lei, rannicchiata sul pavimento del proprio ingresso.

-Tesoro! Amore cos’hai? – Regina le fu accanto ma Alexis non se ne accorse.
La sua mente era rimasta imprigionata in quella singola parola pronunciata da Phoebus. Dalle sue labbra, non usciva altro che un fievole “mi dispiace”. Si sentì schiacciare, opprimere da quella tensione tanto da sentir il bisogno di sparire. E così fece. Si teletrasportò via da quella casa e da tutte quelle accuse. Non si preoccupò di dove atterrò, l’unica cosa importante era che ci fosse silenzio. L’unico rumore erano i suoi singhiozzi e il suo cuore che continuava a spaccarsi.

 

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Capitolo 13
*** 13 ***


***Ormai chiedere scusa per i ritardi è diventato abitudine, quindi magari evito. Fate conto che io l'abbia fatto XD Volevo pubblicare prima di Natale, così per farvi gli auguri mi sembrava una cosa carina e sistemata. Ma ehi, io e l'ordine siamo due binari che viaggiano in versi opposti.
Detto ciò, spero vi piaccia anche se è un capitolo un po' di transito!
Auguri di buon anno e tutto il resto, anche se in ritardo!
XOXO
NbM ***


 Alexis si era ritrovata rannicchiata su un freddo pavimento di pietra e finalmente circondata da silenzio. Non riusciva a respirare, a pensare, a far smettere quel dolore che le sfondava il petto. La magia l’aveva trasportata via da quella bolgia, ma non poteva niente contro i tagli presenti sul suo cuore. Desiderava prenderlo e gettarlo via, il più lontano possibile da lei e dalle sue pena. Ma nonostante ciò, sapeva che non sarebbe mai bastato perché solo la vicinanza di Laya avrebbe permesso quel miracolo. Il solo avvicinarsi al suo nome l’artigliò il petto schiacciandoglielo, l’arpa sembrava un peso fin troppo grande da portare e nemmeno stringerla tra le dita le dava sollievo. Aprì gli occhi, nel petto la tacita speranza di vederla brillare e di sentirle ustionare le dita. Ma l’arpa rimase nient’altro che un pezzo di metallo privo di alcuna vitalità. Urlò contro sé stessa e contro il mondo a palpebre calate, incapace di ritrovare lucidità. Aprì appena gli occhi tirandosi in piedi di scatto, come fosse stata colpita da una forte scarica elettrica. Si rese conto di essere nel mausoleo di sua madre, circondata da boccette e tutti gli arnesi che Regina custodiva. Quel posto era cambiato poco da quando la Evil Queen organizzava i suoi malefici contro la Salvatrice e custodiva cuori. Tutto ciò che aveva desiderato far sparire da quel posto, era l’enorme cassettiera dove erano stati riposti questi ultimi lasciando spazio ad una serie di ordinati scaffali. Uno di questi era stato destinato alle foto di famiglia; una lunga serie di immagini che ritraevano la famiglia Swan-Mills in ogni sfaccettatura. C’erano immagini delle tre al lago, nel giardino di casa, a giocare con la neve, durante le festività intorno al tavolo. Avrebbe voluto sorriderne incontrando i loro sguardi, ma più vedeva le sue madri così felici, più il senso di colpa scavava a fondo. Nei suoi vent’anni di vita, non aveva mai assistito ad una crisi tanto profonda tra le due. Certo, avevano spesso discusso e litigato, ma loro erano Emma e Regina, coloro che avevano spezzato la maledizione con la forza del Vero Amore. Nessuna lite era mai stata più forte di questo.
Eppure…
Accarezzò con un dito il sorriso di Regina, poi si voltò di scatto iniziando ad armeggiare con i vari ingredienti presenti sul tavolo. Non sapeva esattamente cosa stesse facendo, non aveva idea se rischiasse di far saltare l’intera Storybrooke in aria o che altro, l’unico intento era quello di aprire un portale per raggiungere Laya. Aveva assistito Regina in diversi incantesimi e si riteneva quasi all’altezza. Fu una fiala che andò in frantumi per la terza con uno scoppio a farle capire quanto si sbagliasse. In un gesto di estrema frustrazione, urlò scaraventando a terra qualsiasi cosa fosse presente su quel tavolo. Non aveva accesso ad altri fagioli magici e sua madre aveva distrutto il Cappello del Cappellaio dopo che lei ed Emma ci erano finite dentro l’anno dopo la maledizione. Si lasciò cadere ancora una volta per terra passando le mani sul viso. Come poteva essere così inutile? Lei, la figlia della Salvatrice e della Evil Queen incapace di aprire un maledetto portale! Si tirò ancora una volta in piedi, correndo fuori dalla cripta. Urlò contro la Luna, maledicendo ogni cosa le venisse in mente. Impose le mani avanti a sé, sprigionando magia allo stato primordiale. Non seppe esattamente cosa sperasse di ottenere, probabilmente niente. Sfogò tutta la propria frustrazione contro il nulla, lasciando che in lei si fondesse magia bianca e magia nera, che fosse questa a prendere il controllo delle proprie emozioni e le dominasse. Tutto ciò che Regina le aveva sempre detto di non fare. Dalle sue mani, vennero fuori fasci di luce bianca e nera che si perdevano nell’aria. Continuò ad usare la magia finché non si sentì tanto spossata da cadere in ginocchio e fu in quel momento che Leopold le apparve avanti.
-Lex! Che diavolo stai combinando? –
Le fu accanto in un attimo, sollevandola per le braccia e sostenendola. La ragazza era pallida e sudata, respirava a fatica. La sua pelle era gelida, come se non avesse fatto altro che starsene inerme sotto un vento boreale. La strinse forte, il suo corpo e i suoi occhi erano un chiaro allarme dell’imminente sgretolamento della sua anima.
-Io non ce la faccio, Leo. Non posso farcela! –
Il ragazzo la tenne stretta assorbendo le sue lacrime e cullandola.
-Passerà- si limitò a dire.
A quella singola parola, Alexis si staccò da lui come se fosse di colpo diventato troppo asfissiante. Il suo sguardo mutò in un muro di pietra.
-Passerà? Non è un raffreddore! E nemmeno un fottuto brutto sogno! Laya non può tornare, non la rivedrò più a meno che l’altra Emma non decida di tornare a Storybrooke, possibile che tu non lo capisca? –
Leopold si passò una mano tra i capelli, già esasperato da quella situazione.
-Cosa dovrei dirti, Lex? Continua pura a flagellarti auspicando per un qualcosa che sai già non accadrà? L’unica soluzione è andare avanti, dimenticarla! –
Qualcosa nel petto di Alexis andò in frantumi, non seppe dire se fosse ciò che restava del suo cuore o una qualunque altra parte di sé stessa. Anche Phoebus aveva usato quella stessa parola, “dimenticare”. Respirò a fondo, le narici larghe come se potesse uscirne del fumo da un momento all’altro. Boccheggiò diverse volte prima di riuscire a trovare la forza di parlare, di esprimersi. E si sorprese della calma con la quale ci riuscì.
-Come posso dimenticare l’amore della mia vita se ogni singola cosa in questa maledetta città mi sputa in faccia la sua presenza? Come posso far finta che lei- non si sentì abbastanza forte da pronunciare il suo nome- non abbia detto di amarmi proprio dove sei tu ora? Che non l’abbia baciata al bancone del Rabbit Hole? Non abbia fatto l’amore con lei la prima volta nel mio letto, non abbia fatto colazione con lei al Granny’s, o passato i pomeriggi in libreria, al parco, al molo e in ogni cazzo di angolo! –
Ancora una volta, Leopold rimase immobile di fronte alla sofferenza dell’altra. Lui non poteva comprendere, non avrebbe mai potuto. Aveva avuto tante ragazze nei suoi ancora pochi anni, tante al collage e un numero particolarmente alto di flirt, ma mai nella sua vita aveva amato così tanto qualcuno. Certo, si sarebbe fatto uccidere per la sua famiglia, ma non era la stessa cosa. Poteva solo vagamente immaginare cosa significasse incontrare una sola persona e amarla fino al limite della pazzia. Perché era a questo che l’amore la stava portando, sua nipote stava lentamente impazzendo nel disperato tentativo di riportare indietro qualcuno che non poteva farlo. La vide scivolare per terra, le mani tra i capelli e le ginocchia contro il petto e si rese conto da solo che quella battaglia sarebbe stata ancor più difficile della precedente e che non sarebbe bastata una spalla su cui piangere. Si accomodò accanto a lei, stringendole le spalle e carezzandole la schiena. Questa volta, ebbe la decenza di tacere e lasciare che Alexis piangesse tutte le lacrime che desiderava.
 
Regina le aveva proibito di andare da sola alla cripta per utilizzare la magia, ma Alexis non era mai stata particolarmente incline a rispettare i divieti. In quello, era tale e quale ad Emma. Perciò, non si sorprese affatto quando Mary Margaret le fece presente che anche Leopold era andato con lei. Il ragazzo le stava dando una mano con tutto ciò che Regina ancora si rifiutava di insegnarle. Il sindaco aveva ormai smesso di lottare contro il desiderio della figlia di conoscere a fondo la magia e dovette ammettere con sé stessa, di sentirsi quantomeno sollevata all’idea che la praticasse con un altro membro della famiglia. Quantomeno, la sua cripta era a prova di giovani maghi inesperti. Perciò fece finta di niente quando non ricevette risposta alla chiamata fatta alla figlia. Sempre meglio dei suoi pomeriggi buttati a sostenere il bancone di quello squallido locale in compagnia della zingara. A differenza di sua moglie, continuava a non vedere di buon occhio quella relazione e poco importasse che Alexis gliel’avesse fatta conoscere e avesse giurato e spergiurato che Laya Agnès fosse perfetta. Sua figlia era troppo piccola e l’altra troppo grande, poco era cambiato nei sette mesi di fidanzamento. Eppure, Alexis non si era fatta certo scoraggiare dal disappunto della madre. La ragazza continuava a viversi la sua storia come una qualunque ragazzina di diciassette anni innamorata per la prima volta. Laya era diventata tutto il suo mondo, ogni singola cosa nella sua vita girava attorno a lei come un atomo attorno al proprio nucleo. La sua giornata si suddivideva ormai tra la scuola, Laya e le lezioni di magia. Solo quando era persa in quest’ultima attività riusciva ad allontanarla un po’ dalla mente. Come in quel momento.
Leopold le mostrava come creare uno scudo protettivo, un qualcosa che richiedeva un elevato tributo magico e una grandissima concentrazione. Aveva le mani tese avanti a sé, nella mente figurava nitidamente una bolla a protezione del corpo. Le parole del ragazzo la guidavano come in un’ipnosi, calme e ben scandite. Le girava attorno infondendole calma, rassicurandola.
-Rilassa le spalle-
Poggiò le mani enormi sulle spalle nude della ragazza premendole verso il basso. La sua pelle era sudata per lo sforzo, ma sempre chiara e diafana.
-E il collo-
Continuò a passare i palmi lungo i muscoli della ragazza massaggiandole la parte interessata lasciata libera grazie alla coda alta.
-Adesso proiettalo al di fuori di te, vedilo nella mente-
Alexis fece come le era stato detto, distese i nervi e visualizzò nella sua mente la bolla allargarsi sempre più. Leopold lo vide venir fuori dalle sue dita, azzurro e trasparente. Vide lo scudo prender pian piano forma e avvolgere la ragazza con lentezza. Poi la vibrazione di un cellulare lo fece sparire di colpo. Alexis spalancò gli occhi, sussultando per quell’elemento disturbante nell’equilibrio trovato. Si piegò in due sulle ginocchia, il fiato corto e la fronte sudata.
-Ti avevo detto di spegnerlo! – Protestò Leopold a braccia spalancate.
Alexis mosse qualche passo verso il tavolo dove aveva lasciato il telefono per controllare chi fosse. Era la seconda volta che venivano interrotti dallo stesso oggetto, la prima volta era Regina.
-Che palle, Leo, sembri mia madre-
La donna la rimproverava più volte quando durante le loro lezioni, si distraeva per scrivere un messaggio o simili.
-Ti rendi conto che se non stai attenta potresti creare un’esplosione magica? –
Per tutta risposta roteò gli occhi, poi si dedicò al messaggio che le era arrivato. Per un attimo aveva quasi creduto potesse essere Laya, ma la sua repulsione era più forte.
-È Gideon-
-Ancora non ha smesso di correrti dietro? –
Leopold sapeva della cotta dell’altro per la sua familiare e non perdeva mai occasione per prenderlo in giro. Gideon era sempre stato un ragazzo timido e dolce, non avrebbe mai avuto il coraggio di dichiararsi.
-Gid non mi corre dietro, smettila di torturarlo con questa storia. Siamo amici da quando siamo nati-
-Anche zia Rubs ci ha visti nascere, ma rimane sempre la donna più bella che io abbia mai visto-
Alexis fece una smorfia di fronte a quell’affermazione, l’idea che Leopold desiderasse andare a letto con Ruby la faceva rabbrividire, ma al tempo stesso la fece ridere.
-Proviamo un’ultima volta? –
-Vai di fretta? Agnès ha il turno corto stasera? –
Alexis lo spintonò bonariamente prima di rispondergli che aveva solo fame, non sapeva nemmeno se Laya li avesse letti i suoi messaggi.
-Quello che faccio con Laya non è affar tuo, Leo- aggiunse ridendo.
-Certo che no, anche perché non avete fatto niente-
Alexis si voltò di scatto verso di lui, le guance rosse e gli occhi sgranati. Leopold cominciò a ridere tenendosi la pancia, troppo divertito dalla sua espressione e dal modo infantile in cui era arrossita.
-Tu che… chi… -   
-Quando hai un po’ di esperienza certe cose si vedono, principessina-
L’altra arrossì ancor di più, ricordando quando anche Laya le aveva detto quelle stesse identiche parole. La verità era che la desiderava come nient’altro nella vita, ma temeva di non essere abbastanza pronta per lei ancora. Laya aveva avuto diverse esperienze, lo sapeva bene, e di certo non si sarebbe accontentata di una ragazzina alle prime armi. Scosse la testa a quel pensiero, se avesse iniziato a pensare a tutto ciò che la preoccupava nella sua relazione non avrebbe più trovato una via d’uscita.
-Torniamo allo scudo, energumeno senza cervello-
Ruotò il collo per sgranchirsi, impose le mani avanti a sé e riprese quella stessa concentrazione di poco prima. Tornò a figurare nella mente la bolla, nella sua forma e colore. Rilassò i muscoli e si concentrò sull’immagine. Lo scudo cresceva sotto i suoi occhi e assieme a lui, la consapevolezza che non sarebbe mai stata pronta per Laya. Lei era bella, intelligente e perfetta anche nei suoi difetti. Di certo lo era anche a letto. L’immagine del corpo di Laya prese il sopravvento sullo scudo e fu quando se ne rese conto che aprì gli occhi di colpo e perse il controllo. La sua magia si proiettò senza una reale forma causando una forte esplosione.
-Lex! –
Leopold fece appena in tempo ad afferrarla e portarla fuori teletrasportandosi, che la cripta implose sollevando un’enorme nuvola di fumo accompagnata da un boato. Fortunatamente le precauzioni prese da Regina avevano impedito che l’esplosione riuscisse a superare la barriera magica creata attorno la cripta. I due ragazzi atterrarono rovinosamente in terra tossendo.
-Ti avevo detto di restare concentrata! Possibile che non si possa nominare la tua stramaledetta gitana che ti si frigge il cervello? –
Alexis stava cercando di riprendersi, ma il massimo che le era stato concesso dal suo corpo fu di mettersi carponi e tentare di riprendere fiato. Aveva tentato di mettersi in piedi, ma le girava la testa.
-Tua madre ci ammazza, questa è la volta buona che risvegli la Evil Queen-
-Non se ne accorgerà, sistemeremo tutto-
-Si, come no-
Si stesero entrambi pancia all’aria, aspettando che i polmoni riprendessero abbastanza ossigeno da permettergli di tenersi in piedi senza sbandare. Non seppe esattamente perché, ma scoppiò a ridere. A ridere di gusto.
-Adesso che hai da ridere, sciroccata? –
-Te la immagini la faccia di mamma e nonna se vedessero cosa abbiamo combinato? –
Rotolò su un fianco per guardare il ragazzo in faccia, si fissarono per qualche secondo per poi scoppiare a ridere entrambi immaginando la medesima scena.
-Quante volte te l’ho detto, Alexis. La magia ha sempre un prezzo- ironizzò la ragazza simulando la voce di Regina.
-Quando imparerai a comportarti da principe, Leopold? – la seguì il ragazzo imitandola.
Risero ancora, risero come se non ci fosse altro al mondo se non loro due.
-Sicura che il tuo donatore non sia Jefferson, vero? Sei completamente pazza, Lex-
-Mamma ha sempre detto che era qualcuno esterno a Storybrooke, per motivi di privacy-
Si alzarono finalmente, sempre senza smettere di ridere. Alexis ebbe appena il tempo di rimettere a posto i pensieri che dalla foresta sentì urlare il proprio nome. Si voltò impaurita e ciò che vide la sconvolse. Laya correva a perdifiato verso di lei, sul viso una maschera di preoccupazione.
-Lay, che… ? –
La maggiore le si fiondò addosso, incurante della presenza dell’altro ragazzo. L’abbracciò impedendole di muoversi, lasciandole come unica possibilità quella di stringerle i fianchi con le mani.
-Stai bene? –
Le prese il volto con le mani, fissando a lungo quelle meravigliose gemme verdi che la guardavano confusa. Il suo sguardo saettò per tutto il corpo della giovane Swan-Mills in cerca di ferite o simili.
-Certo, ma che… -
-Ho sentito l’esplosione. Ho letto il tuo messaggio e stavo venendo qui quando… -
-Hai letto il mio messaggio? –
Era stato come se Alexis avesse ascoltato solo quella parte del discorso, sconvolta all’idea che Laya avesse avuto un qualche tipo di approccio con il cellulare.
-Mi hai fatta spaventare da morire, razza di principessina idiota! –
L’abbracciò ancora e Alexis guardò Leopold completamente sconvolta. Quello non era un atteggiamento da Laya.
-Si può sapere che diavolo le stavi facendo? – imprecò poi verso Leopold.
Il ragazzo sgranò gli occhi, così come aveva precedentemente fatto l’altra.
-Lay, calmati. Che ti prende? –
Leopold alzò le mani in segno di resa verso la bruna, poi salutò la nipote dicendo che le avrebbe lasciate sole. Si teletrasportò senza lasciar traccia, lontano dalle due. Una volta sole, Alexis si concesse di dedicarsi interamente alla ragazza. Le spostò una ciocca di capelli scuri dal viso e tentò di sorriderle.
-Mi dici che ti ha preso? –
Laya si allontanò raggiungendo un albero per poi sedercisi sotto, Alexis la imitò.
-Ho solo avuto paura-
-Questo l’ho compreso, Laya, ma perché? Non è la prima volta che vengo qui per studiare la magia-
La maggiore serrò la mascella, distogliendo lo sguardo dagli verdi dell’altra. Alexis le prese una mano stringendola tra le sue trovandola incredibilmente calda.
-La magia mi ha portato via già troppo, non voglio perdere anche te-
Parlò senza guardarla, senza rivolgerle un solo sguardo fissando sempre e solo il terreno sotto i suoi piedi.
-Lay non mi perderai, non succederà-
L’altra passò più volte le mani sul viso, nervosa per quella conversazione. E Alexis comprese. Non si trattava solo di sé stessa, o della loro relazione. La magia le aveva già sconvolto la vita, l’aveva resa una persona diffidente ed incapace di creare legami. La magia le aveva portato via sua madre, costringendola a vivere senza e nel totale dubbio di come conducesse la propria vita. Doveva essere dura per lei frequentare il frutto della magia più grande mai esistita. Si mosse dal suo posto parandosi di fronte ai suoi occhi scuri.
-Laya, io non andrò da nessuna parte è una promessa. E se anche dovessimo separarci, ci ritroveremo. La mia famiglia si ritrova sempre-
La bruna sollevò lo sguardo andando ad inciampare in un paio d’occhi troppo belli per non contenere magia a loro volta. Si allungò verso il suo viso baciandola e sentendo dentro di sé quella scossa che si attivava ogni qual volta la minore le era vicina. Avvertì distintamente il cuore battere così forte da farle quasi male e suggerirle ciò che ormai stava pensando da troppo tempo.
-Ti amo, Alexis Swan-Mills-
La ragazza la guardò fisso, incredula alle sue parole. Gli occhi si erano fatti enormi e pieni di lacrime. Era abbastanza certa di aver dipinto sul viso un sorriso da perfetta ebete e che l’altra potesse sentire il cuore picchiare a pugni chiusi contro il petto.
-Cosa? –
-Hai perfettamente capito, principessina-
Alexis le saltò addosso, sedendosi sul ventre dell’altra poggiata all’albero. Infilò le dita tra i suoi capelli scuri e la baciò con un bisogno che non aveva mai sentito prima. Seguì la sua lingua in ogni angolo, percorrendone perfettamente la strada. Laya gemette, il corpo di Alexis era troppo vicino e coperto unicamente da una tuta grigia e una canotta bianca. Poteva sentirne il calore, la pelle ardere sotto le dita. Le spostò dai fianchi alla pancia, infilandole sotto il tessuto e beandosi dei brividi che nacquero. Alexis si lasciò sfuggire un gemito più forte degli altri, un suono che mandò Laya in confusione e che la spinse a osare di più. Salì ulteriormente lungo il busto della ragazza, fino a raggiungere i suoi seni piccoli e stringerli tra le dita. La minore sospirò forte, rabbrividendo per quel contatto e sentendo un incendio divampare tra le gambe. Si spinse maggiormente verse quelle mani abbronzate, cercando un contatto sempre maggiore che Laya non le negò. Lasciò che i capezzoli le solleticassero i palmi da sotto il reggiseno, l’impulso di toccarli senza filtri si fece sempre più forte. Alexis avrebbe voluto ricambiare, fare qualcosa di diverso dal semplice stringerle i capelli, ma la paura di sbagliare e di non essere abbastanza la teneva inchiodata a quella strada che conosceva fin troppo bene. Eppure le dita di Laya la stavano facendo impazzire senza fare nulla di complesso, nulla di strano. Comprese che fino a quando non avesse superato il suo limite, non avrebbe mai potuto farle provare quelle stesse meravigliosi sensazioni. Spostò le dita verso il collo, ma proprio in quel momento Laya ritirò le sue staccandosi dalle sue labbra. Aveva il fiatone e gli occhi chiusi, fermarsi era stato così dannatamente difficile.
-Perché? –
Non serviva specificare a cosa si riferisse la domanda.
-Sei incredibile, principessina. Finirai col farmi impazzire-
La guardò con quei suoi occhi neri e magnetici, così belli mentre brillavano di pura malizia.
-Non sono riuscita a fare nulla- rispose arrossendo
-Allora continua a non farlo-
 
DODICI GIORNI DAL RITORNO
 
-Abbiamo solo peggiorato le cose, Emma! Te ne rendi conto? –
-No, no Regina! Nostra figlia stava impazzendo-
Emma non riusciva a star ferma, camminava avanti e dietro per il salotto come un animale in gabbia. Ogni parola era accompagnata da sguardi infuocati e mani che gesticolavano.
-E cosa c’è di diverso adesso? L’ha persa per la seconda volta, credi che si riprenderà mai? L’abbiamo costretta a soffrire per la seconda volta! –
-Le abbiamo dato una possibilità, ha tentato ogni cosa possibile e non avrà rimpianti-
Regina rise nervosamente alzando le braccia al cielo, seriamente sconvolta dalle parole di sua moglie. Come poteva essere ancora così così convinta che quella fosse stata la cosa giusta da fare? La loro bambina era ridotta ad uno straccio e lei sembrava non rendersene conto.
-E’ stata costretta a tornare! Per quanto ne sappiamo ha mutato una realtà-
-Non me ne importa niente di un’altra realtà, mi importa di mia figlia! –
Le pareti del numero 108 di Mifflin Street presero a tremare, impregnate dalla carica magica delle due donne e dei loro animi in subbuglio. Aveva accolto nel suo ventre non solo la famiglia Nolan ma anche Gideon e Ruby. Erano tutti stati convocati per aiutare Emma e Regina a combattere la più grande minaccia che casa loro avesse mai visto, il terribile stato in cui era caduta la loro bambina. Le due donne litigavano incessantemente, ormai, senza riuscire a venirne a capo. Si era rivelato dunque obbligatorio richiedere l’aiuto di tutti quelli che tenevano alla ragazza. Le sue madri, erano riuscire solo a coesistere sotto lo stesso tetto, in parte. 
-Dovete calmarvi. Continuando ad urlarvi contro non risolverete nulla-
Mary Margaret fu costretta ad intervenire, sua figlia e sua nuora ormai non riuscivano più a dialogare senza litigare. La permanenza di Alexis in un’altra dimensione aveva minato profondamente il loro rapporto.
-Quella ragazza ha passato mesi a cercare di riportare a casa una persona che non esiste più. Ha dovuto rinunciare a tutto per ritrovarsi con un pugno di niente, datele tregua-
Per pochi attimi regnò il silenzio nella stanza, Mary Margaret guardava sua figlia cercando di leggere nel suo sguardo. La donna era distrutta, dalle liti, dal dolore di Alexis, dallo stress di dover rimettere le cose apposto.
-Quella ragazza è mia figlia, Snow White- ringhiò Regina- E so perfettamente cosa ha sopportato, io lo so. Conosco cosa si prova nel vedere qualcuno che ami sparire in uno schiocco di dita, senza che tu possa fare assolutamente nulla. Noi avremmo dovuto proteggerla da tutto questo dolore, avremmo dovuto essere i suoi scudi e difenderla. Invece l’abbiamo scaraventata in un portale di sofferenza restandocene qui con le mani in mano! Noi abbiamo distrutto mia figlia! –
Gli occhi di Regina si riempirono di lacrime, il suo volto diventò paonazzo e la vena sulla fronte si gonfiò pericolosamente.
-Abbiamo fatto ciò che abbiamo ritenuto giusto! Siamo state delle brave madri! –
-L’ABBIAMO AMMAZZATA, EMMA! –
Emma e Regina si guardarono per qualche secondo, lo smeraldo si perse nel bronzo. Due fuochi che ardevano alimentandosi negli occhi dell’altra. La tensione era palpabile, vibrava nell’aria dominandola. Nessuno aveva il coraggio di dire una sola parola, ma tutti avrebbero desiderato dare una mano. Fu ancora Mary Margaret a prendere la parola, l’unica che si sentisse abbastanza pronta ad intromettersi.
-Non puoi pensarlo davvero, Regina. Tu ed Emma non fareste mai nulla che potrebbe nuocere a Lex. Voi… -
-Oh ti prego Snow White non venirmi a fare la morale, non credo di riuscire ad avere ancora tutte le mie facoltà mentali se dovessi continuare questa conversazione-
La donna si lasciò cadere sul divano, le mani perse nei capelli scuri e le dita aggrappate alle ciocche.
-Mia madre sta cercando di darci una mano, non merita queste tue parole-
-Ebbene io non voglio. Decidiamo noi cosa sia meglio per nostra figlia, Emma. Io e te-
-Non c’è più un io e te da un pezzo, Regina-
Il tono della bionda era risultato più duro di quanto avesse desiderato. Non avrebbe voluto mettere così tanto veleno in quelle parole, non avrebbe voluto risultare tanto amareggiata. Ma non poteva tenere quei sentimenti ancora per sé, tra lei e sua moglie si era creato un baratro troppo grande per riuscire ad ignorarlo ancora.
-E di chi è la colpa, Emma? Chi ha negato fino alla fine di star sbagliando? Chi ha preferito non dire niente piuttosto che parlare con la propria moglie? – Ringhiò scattando di nuovo in piedi.
-Tu hai perso il senno, Regina. È diventato impossibile parlarti di qualsiasi cosa-
-Io, Emma? Tu non hai fatto altro che… -
-Smettetela! –
Come se un vento gelido avesse invaso la stanza, il cuore di tutti i presenti perse un battito. La voce distrutta di Alexis aveva investito tutto ciò che aveva incontrato, il suo sguardo umido e vuoto si era piantato in ogni paio d’occhi.
-Tesoro, è tutto ok? –
Regina le fu accanto in un attimo, terrorizzata che sua figlia potesse avere un nuovo collasso e che sparisse ancora chissà dove. Le sue dita riuscirono solo a sfiorare le guance della ragazza che quest’ultima si tirò indietro.
-Non mi toccare-
Il volto della donna si trasformò in una maschera di dolore, crepata dalle parole rabbiose di sua figlia.    
-Lex, che succede? – Tentò Emma, ma senza avvicinarsi troppo.
-Succede che non ne posso più! Sono io quella che ha perso tutto, io che sono stata costretta a dire addio all’amore della mia vita, io che devo fingere sia morta! –
Alexis ingoiò a vuoto, la gola era secca e nonostante ci provasse non riusciva ad umidificare le labbra. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, come un riflettore su un palcoscenico.
-Tesoro, noi lo capiamo e siamo qui per… -
-No nonna, voi non potete capire. Non riesco a dormire perché vedo Laya, non riesco a pensare o a immaginare qualcosa di diverso da lei. Non riesco neanche a respirare perché sento il suo profumo! –
Tra le sue labbra morivano lacrime e parole, le gambe erano ormai incapaci di sostenere ancora il suo peso costringendola in ginocchio. Le sue madri non ebbero la forza di affiancarla o di fare qualsiasi cosa. Entrambe erano sconvolte, gli occhi colmi di lacrime.
Fu allora Leopold ad allontanarsi dal sofà e ad avvicinarsi alla ragazza, l’unico ormai capace di starle accanto. L’aiutò a tirarsi su nonostante i suoi rifiuti, sostenendola per i fianchi. Non disse nulla, lo leggeva nei suoi occhi stanchi e gonfi che non aveva ancora finito.
- Io ho dovuto rinunciare a Laya, fa così male che non riesco a respirare e non posso nemmeno strapparmi via il cuore perché avete deciso di proteggerlo con un incantesimo. Perché tu,-rivolse il suo sguardo a Regina- hai decretato che fosse giusto che io convivessi con questo dolore. Non posso sopportare anche questo, vi prego- la voce le si ruppe per le lacrime e i singhiozzi- vi imploro non fatemi patire anche questo. È da quando sono tornata che non fate altro che litigare, discutere e tirarvi veleno. Vi prego, almeno voi, restate quell’ancora di salvezza che siete sempre state. Restate quelle di sempre mamme, vi supplico, ho bisogno della mia famiglia! –
Il suo pianto successivo fu disperato, nascose il viso nella spalla di Leo e buttò fuori tutto il dolore che custodiva gelosamente. Il ragazzo l’abbracciò stringendola più forte che poté, tentando in ogni modo di tenerla più al sicuro possibile. Si era ormai eletto suo personale paladino e non avrebbe lasciato che niente e nessuno la scalfisse ancora.
Emma e Regina si scambiarono una sola occhiata e quella bastò ad intendersi, come non succedeva da troppo tempo e come era sempre stato. Si mossero all’unisono in direzione dei due ragazzi. Leo mollò la presa solo in favore delle salde braccia di Emma e di quelle dolci di Regina. La famiglia Swan-Mills si ritrovò in un abbraccio che era mancato da ormai troppo tempo.
-Scusami amore, siamo state così stupide. Perdonaci Alexis-
-Si sistemerà tutto, Lex. Te lo prometto-
Emma e Regina si fissarono, sorridendosi. Era l’inizio di una lotta contro la distruzione.

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Capitolo 14
*** 14 ***


TRENTACINQUE GIORNI DAL RITORNO
 
Emma non si era mai sentita più inutile e meno salvatrice prima di allora. Il solo restare nella propria casa, le risultava incredibilmente complicato, ma non poteva evitarlo. Per quanto ritenesse Regina la donna più forte che avesse mai incontrato, non poteva lottare da sola contro Alexis. Aveva dunque lasciato perdere il lavoro, aveva evitato di passare le notti alla centrale o a casa di sua madre e si era sforzata di essere presente. La situazione tra sé e Regina non era ancora appianata e men che meno smussata. Si ritrovavano al mattino a far colazione in silenzio, guardandosi di tanto in tanto da sotto le ciglia e scambiandosi frasi d’occorrenza. Nemmeno quando erano finite a letto insieme la prima volta Emma aveva sentito tanta tensione tra loro. Per di più la tensione di Alexis non aiutava.
-Lex dorme? – domandò senza guardarla.
-Credo di si, la notte è stata lunga-
Ed Emma lo sapeva fin troppo bene. Si era svegliata ed alzata così tante volte che vi aveva rinunciato, finendo per appoggiarsi alla parete accanto alla porta della figlia e sonnecchiare lì.
-Credi davvero che l’abbiamo ammazzata? –
Regina sospirò, ricordando una delle tanti liti avute con la moglie. Sfilò gli occhiali da vista posandoli sul tavolo e si massaggiò gli occhi.
-Io ho paura, Emma. Ho paura per lei, per noi, per tutta questa situazione, ma non lo penso davvero. Ero solo arrabbiata con te e … -
Non riuscì a proseguire, perché non avrebbe saputo cosa dire ed Emma se ne accorse. Tese una mano verso la sua carezzandole il dorso e stringendola. Regina le mancava così tanto.
-Anch’io- si limitò a risponderle.
Rimasero per alcuni momenti in silenzio, poi, come fossero una sola entità, si mossero verso il lavabo per depositare le tazze. Si sfiorarono appena e tanto bastò ad Emma per rabbrividire come una ragazzina. Dal momento in cui incontrò i suoi occhi scuri a quando premette le labbra contro quelle della bruna, passò appena qualche attimo. Tornare a baciarla, sentire il suo sapore, incendiò ogni frammento di ciò che restava della propria anima. Avrebbe desiderato restar lì per sempre, in quel vortice che aveva sempre riconosciuto come casa, ma la mano di Regina che premeva contro la spalla la bloccò.
-Emma, no. Non illudermi se poi continuerai ad andar via, ti prego-
La donna deglutì, colpita dalle parole della moglie. Fece un passo indietro ad occhi bassi, mordendosi le labbra.
-Se Lex non rischiasse di rompersi in mille pezzi, ti chiederei di venire a cena con me stasera. Ti porterei nel ristorante che ha il miglior vino rosso del mondo-
Regina sorrise, nonostante gli anni sua moglie sapeva sempre come colpirla. Le sorrise carezzandole una guancia e sorridendole.
-Sarei venuta molto volentieri a cena con lei, Signorina Swan. Magari questa volta riuscirà a presentarsi in orario-
Emma rise, godendosi quella coccola e specchiandosi negli occhi scuri dell’altra.
 
Emma non era mai stata una persona puntuale, ma era sempre riuscita a salvarsi all’ultimo accampando storie assurde. Ma quella sera non avrebbe funzionato, ne era certa. Regina Mills non era di certo una donna da far attendere fuori un ristorante. Aveva provato per mesi a convincerla ad andare a cena con lei e aveva finalmente vinto, ne era certa, solo perché aveva preso l’altra per sfinimento. Glielo aveva chiesto alla fine di una riunione cittadina, quando ogni singola persona non desiderava altro che infilarsi a letto. Regina, seppur con parecchie remore, aveva infine accettato con le clausole che sarebbe state lei a scegliere il posto e che la bionda non avrebbe fatto tardi. Infatti, quando parcheggiò il suo maggiolino, la trovò con le braccia incrociate e lo sguardo più severo che le avesse mai visto. Quasi temette che tirasse fuori dalla sua borsetta un qualche tipo di veleno. Corse verso di lei balbettando qualcosa, ma la donna l’aggredì ancor prima di poter iniziare.
-È in ritardo, signorina Swan. Di ben venti minuti, le sembra un comportamento maturo? –
-Mi dispiace Regina, avevo delle cose da terminare in ufficio e mi sono lasciata sopraffare. Sai, il mio capo è particolarmente pignolo-
Sperò che quella battuta riuscisse a rabbonirla un po’, dopotutto era il solito modo di fare con lei. Ma Regina la fissò con uno sguardo infuocato, il sopracciglio alzato e le labbra stese in una linea rossa e sottile. Emma provò con tutta sé stessa a non fissargliele, ma o quelle o la generosa scollatura del vestito scuro che la donna aveva indossato.
-Queste scuse non si addicono ad una ventottenne, Signorina Swan. Forse dovrebbe comprare un orologio ed una giacca decente- le rispose indicandole il giubbotto di pelle.
Emma non la prese troppo sul personale, sapeva quanto Regina detestasse quell’indumento.
-Entriamo o restiamo qui a punzecchiarci? Perché io avrei fame-
Regina si massaggiò gli occhi, già esasperata dalla persona di Emma Swan. Non aveva ancora deciso se l’odio nei suoi confronti derivava da ciò che la ragazza fosse, ossia la Salvatrice capace di spezzare la sua maledizione, oppure dal fatto che sentisse un piacevole tepore avvolgerle lo stomaco quando era in sua compagnia.
Si accomodarono ad un tavolo lontano dalla calca, così come da indicazioni della bruna, e passarono diverso tempo concentrate sul menù. Vide Emma lanciare rapide occhiate ad ogni pagina e poi ricominciare il ciclo.
-Non troverà alcun tipo di hamburger lì, se è quello che sta cercando-
-In realtà mi soffermavo sui prezzi-
Regina rise sotto i baffi, nascondendosi dietro il bicchiere di rosso che stava sorseggiando.
-Offro io, prenda ciò che desidera-
Emma alzò di colpo lo sguardo verso la donna, nei suoi occhi verdi Regina vi lesse lo stupore di un bambino. La folgorarono, quegli occhi, e al tempo stesso le ricordarono quelli di Snow White.
-Scherzi? –
-Assolutamente no-   
La ragazza tornò seria sul menù, finendo con l’ordinare un filetto di una carne che non conosceva accompagnato da un qualcosa di impronunciabile, ma che aveva compreso contenesse delle patate. Si concesse di parlare, o anche solo di guardare Regina, solo quando il cameriere si allontanò. Bevve qualche sorso di vino e quasi le andò di traverso quando si ritrovò gli occhi dell’altra fissi addosso.
-Ho qualcosa sulla faccia? –
Regina le riservò un mezzo sorriso sfacciato, incrociò le mani sotto il mento e restò a fissarla ben consapevole di provocarle imbarazzo. Eppure non avrebbe mai creduto che Emma Swan, la Salvatrice, potesse provare imbarazzo di fronte la sua persona.
-Poteva indossare qualcosa di più adatto, non crede? –
Emma si fissò la camicetta bianca infilata nei jeans, poi guardò il tubino e i tacchi vertiginosi che indossava l’altra.
-Non sono tipa da vestiti-
-Oh l’ho notato-
Lo aveva fatto eccome, Regina non si era mai risparmiata di lasciar cadere lo sguardo sul perfetto modo in cui i jeans le calzavano o come le varie canotte le risaltassero le spalle.
-Mi piacerebbe vederti in tuta, sai? Così, tanto per vedere come stai-
-Credo non avrà mai questo piacere, Signorina Swan. Per sua sfortuna sono una persona estremamente attenta ai dettagli-
Emma sorrise, non sarebbe di certo stato semplice con lei. La guardò ancora una volta, riflettendo sul fatto che Regina Mills non sarebbe mai cambiata. Sollevò il suo calice, invitando l’altra ad un brindisi.
-Ai dettagli, Signor Sindaco. Sono abbastanza certa lei me ne nasconda parecchi-
-Finalmente qualcosa sul quale siano d’accordo, non credo capiterà ancora troppe volte. Io brinderei a questo, Signorina Swan-
Brindarono, ignare che quello sarebbe stato solo il primo di tanti altri appuntamenti.  
 
 
CINQUANTASETTE GIORNI DAL RITORNO
 
Non aveva mai sentito tanto freddo in vita sua, tanto da spaccarle la pelle. Se ne stava in piedi con solo una t-shirt addosso nel bel mezzo della strada principale di Storybrooke. Non c’era una stella e il cielo minacciava un forte temporale da un momento all’altro. Si guardava intorno spaesata, senza sapere cosa stesse aspettando o cosa fare, incapace di mettere un piede avanti all’altro per tornare a casa.
-Mi hai abbandonata-
Si voltò di colpo verso quella voce fin troppo familiare, una voce che aveva sperato e sognato di sentire troppe volte ormai. Gli occhi di Laya erano tanto scuri quanto adirati, neri come poche altre volte li aveva visti nella vita. Provò a correrle incontro, ma i piedi erano ancora immobili.
-No! No, Lay! Ci sto provando te lo giuro! –
Tese le mani verso di lei come un neonato verso la propria madre, ma rimaneva sempre piantata al suo posto mentre l’altra si allontanava.
-Mi hai dimenticata-
Il timbro di voce di Laya era piatto, morto. Nelle sue parole non c’era la minima emozione, niente che riconducesse a quella vita che avevano precedentemente avuto insieme.
-Non dirlo anche tu, ti prego! –
Sul volto di Alexis scivolarono lacrime calde e pesanti, tanto da bruciarle la faccia. Mentre su quello di Laya, non vi era altro che rabbia. Cieca e incondizionata rabbia.
-Avevi promesso che ci saremmo ritrovare, sempre. Ma mi hai dimenticata in quella città maledetta-
Quelle parole la ferirono profondamente, fecero in modo che il proprio cuore scricchiolasse e si sgretolasse un pezzettino di più. Ma per ogni sillaba al veleno che Laya le rivolgeva, Alexis provava in ogni modo a lei conosciuto di avvicinarsi a lei. E più tentava, più si allontanava, più faceva male.
-Ti prego! Ti prego! Non andare via, ti prego! –
Ma l’altra non faceva che ripete come un mantra “mi hai dimenticata” finendo poi con lo sparire in un portale che la risucchiò. Alexis urlò il suo nome, tanto forte da sentire la gola bruciare. Ma Laya sparì, lasciando al suo posto un enorme vuoto.
Si svegliò urlando scattando seduta, il viso bagnato di sudore e lacrime. Tese istintivamente le mani avanti a sé, ma non c’era nulla al di fuori della propria libreria. Al suo fianco, Regina le carezzava i capelli.
-Tesoro, è stato solo un brutto sogno. Respira-
Alexis tremava, incapace di staccare gli occhi da ciò che aveva di fronte. In lei viveva la speranza di vedere un portale aprirsi da un momento all’altro, ma tutto ciò che apparve fu Emma. La donna non disse una sola parola, limitandosi a restare in piedi alla fine del letto con una mano sulla bocca.
-Era lì, lei era lì. Mi odia, è arrabbiata perché io … io… io non… -
Lei non l’aveva salvata.
Lei era nel suo letto in compagnia della propria famiglia.
Lei era tornata a casa sua.
Ma Laya era ancora incastrata in quell’enorme bugia, incastrata in una relazione fittizia e con una persona che non amava.
-Amore era solo un sogno-
Regina si sedette al suo fianco, abbracciandola e cercando di farla calmare. Le frizionava le braccia, nel vano tentativo di far cessare i brividi che le solcavano la pelle. Guardò sua moglie, immobile di fronte a ciò che accadeva.  
-Emma- la richiamò per attirare la sua attenzione
La donna parve svegliarsi da una lunga ipnosi, muovendosi lentamente per coprire l’altro fianco della ragazza. Alexis si aggrappò al suo braccio, come se fosse l’unica ancora di salvezza in un oceano in tumulto.
-Ti preparo una camomilla-
Regina si mosse per alzarsi, ma la mano della ragazza le artigliò il polso in uno scatto. La guardò con quei suoi enormi occhi verdi sgranati, come quando da bambina temeva di trovare un mostro sotto il letto. Non disse una parola, quello sguardo valeva più di mille frasi. Si inginocchiò di fronte a lei, carezzandole una guancia sudata.
-Sono qui amore, prendo solo un pigiama pulito. Va bene? –
Si mosse lentamente, lasciando che sua figlia seguisse ogni suo minimo movimento mentre restava avvinghiata al braccio di Emma. La seguì con gli occhi mentre apriva la seconda anta dell’armadio e si chinò per prendere gli indumenti dalla cassettiera. Li porse alla ragazza lasciandoglieli in grembo. Vedeva nitidamente quanta paura ci fosse nei suoi occhi e il corpo scosso dai brividi. Si chinò ancora alla sua altezza per poterle parlare senza mai perdere il contatto visivo con lei.
-Resta qui con tua madre, cambiati e infilati sotto le coperte. Torno tra un attimo-
Gettò una rapida occhiata alla moglie, quel tanto che serviva per farle comprendere di aver bisogno che facesse esattamente quanto aveva detto. Diede un bacio tra i capelli ad Alexis e scese in cucina per prepararle qualcosa di caldo. Si voltò solo un’altra volta, sull’uscio della porta, appena in tempo per vedere Emma tirar giù le coperte e chiederle gentilmente di levare quegli abiti sudati. Fece le scale quasi di corsa, muovendosi a memoria tra gli sportelli della cucina alla ricerca della tazza verde e gialla e della bustina di camomilla. Ne aveva fatto una gran scorta in quegli ultimi mesi. Mise il bollitore sul fuoco e attese poggiata al piano cottura. Sfilò gli occhiali da vista poggiandoli sul marmo e massaggiandosi gli occhi. Non si era mai sentita tanto inutile come in quel momento. Lo sguardo di sua figlia, tanto disperato e tanto sconvolto, le aveva scavato un solco nell’anima. Vederla in quello stato pietoso per la seconda volta nell’arco di pochi mesi, l’aveva profondamente segnata. Ciò che le impediva di respirare, però, era anche ciò che non era riuscita ancora a dire ad Alexis. Non ci sarebbe stata alcun tipo di speranza a risollevarla da quel baratro, nessun portale o fagiolo magico avrebbe potuto darle ciò che cercava. Era così intenta a perdersi tra i suoi pensieri, che quasi sobbalzò nel sentire l’acqua che aveva messo a fare per la camomilla bollire. Senza badarci troppo la versò nella tazza e tornò al piano superiore. Una volta nella stanza della ragazza, la trovò stretta tra le braccia della moglie e con il capo contro il suo petto. Quando la vide, Emma le rivolse un sorriso stanco e tirato.
-È crollata? -
-Almeno dorme un po’. Avrà messo insieme dieci ore di sonno, ultimamente-
Regina depositò la tazza sul comodino e si accomodò sulla parte opposta del letto avvolgendo le spalle della figlia. Poggiò il capo contro la sua spalla, sperando che per quella notte avessero smesso di soffrire. Emma allungò una mano verso la sua, intrecciando le proprie dita con quelle della moglie.
-Ti amo, Regina-
La donna la guardò, il suo volto stanco ed invecchiato era sincero come sempre. Si erano lentamente riavvicinate, ma non c’era ancora quell’armonia e quella complicità che le aveva sempre contraddistinte.
-Ti amo anch’io Emma, ti ho sempre amata-
 
SETTANTATRÉ GIORNI DAL RITORNO
 
Emma era rimasta a lungo seduta al bancone del Grenny’s a riflettere su tutto ciò che stava accadendo. La magia aveva sempre un prezzo e sua figlia ne stava pagando quello più alto di tutti. Rifiutava qualsiasi contatto con il mondo esterno, aveva addirittura dato di matto quando avevano provato ad organizzare una festa per i suoi vent’anni. Era sempre più preoccupata per lei, ma almeno aveva aperto una porta al rapporto con sua moglie. A testimonianza di ciò, l’enorme mazzo di rose rosse poggiate accanto al bicchiere di whisky. 
-Lo avevo preso prima io, mamma! -
-Niente capricci, Gale, condividi con tuo fratello e tua sorella. E non farmi tornare qui a dividervi! -
Incrociò lo sguardo della sua migliore amica mentre si allontanava dal tavolo dove aveva sistemato i gemelli, nel suo verde vi leggeva tutta la stanchezza di una madre single. Nonostante gli anni sulle spalle e la gravidanza, Ruby Lucas restava una delle donne più belle che Emma avesse mai conosciuto. 
-Non vedo l’ora che crescano, sono impossibili! - si lamentò Ruby prendendo un sorso dal bicchiere di Emma. 
-Te ne pentirai quando arriverà l’adolescenza-
-A proposito di adolescenza, come sta Lex?-
Emma si strinse nelle spalle, incapace di riferire che ormai non sapeva nulla di cosa succedesse a sua figlia. Tutto ciò che la ragazza le permetteva, era di tenerla la testa mentre di notte, dopo un incubo, correva a vomitare. 
-Sempre uguale, uno schifo-
-Almeno con Regina va meglio- le disse indicando con il capo il mazzo di fuori.
-Ci stiamo riavvicinando-  sorrise involontariamente pensando alla moglie- E per questo devo scappare-
Recuperò la sua roba e fece per dirigersi verso la porta del Diner.
-Ciao piccoli mostri-
-Ciao zia Emma- gridarono in coro i tre bambini. 
Quasi non si accorse di Gideon che entrava e finì con l’andarci a sbattere. 
-Oh ciao Emma, ti cercavo. Volevo chiederti se potessi venir a trovare Lex-
Alla donna era chiaro quanto anche per lui fosse difficile quella situazione. Gideon Gold non aveva mai chiesto il permesso per entrare in casa sua, men che meno per vedere la figlia. 
-Magari riesci a smuoverla-
Gideon si rese conto di quanto forzato e finto fosse quel sorriso, ma promise che avrebbe fatto di tutto per aiutare la ragazza. Dopotutto era la sua migliore amica e le mancava da morire. La prima volta, quando Laya era sparita, era stato capace di sostenerla e di aiutarla diventando il suo pilastro. Ma in quella situazione, si sentiva completamente vuoto. Aveva provato, più e più volte, ma a quanto sembrava solo la rudezza di Leopold aveva riscosso qualche risultato. Sorrise amaro mentre si sedeva al bancone. E pensare che c’era stato un tempo in cui aveva sperato che Laya Agnès sparisse da Storybrooke, mentre in quel momento si ritrovava ad auspicare in un suo ritorno.
 
 
NOVANTUNO GIORNI DAL RITORNO
 
Quella mattina Regina si era rintanata in cucina già di primo mattino, desiderosa di preparare per Emma un pranzo con i fiocchi. Si stavano corteggiando, come fossero due adolescenti alle prime cotte. Sperava anche che magari, preparando per l’ennesima volta la sua lasagna e ogni altra pietanza che sua figlia amava, Alexis avrebbe mangiato finalmente qualcosa. Non era mai stata tanto preoccupata per lei. Era dimagrita incredibilmente, nonostante non fosse mai stata una ragazza in carne, erano ben visibili i chili persi. Il suo viso era scavato, i fianchi appuntiti ed il collo dava l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro. Avevano avuto qualche minuscolo miglioramento un quei mesi; la ragazza era uscita di tanto dalla sua stanza per rannicchiarsi sul divano del salotto, aveva scambiato due parole con Gideon e più volte era sprofondata in un sonno costellato di incubi tra le braccia di Leopold. L’allegria di Ruby e dei gemelli non l’aveva minimamente scalfita, la dolcezza di Mary Margaret non faceva che indispettirla. Eppure avevano compreso che starle addosso, obbligarla a riprendersi, non sarebbe servito a nulla. Avevano lasciato che Alexis si prendesse i suoi tempi e vivesse i suoi spazi, scavando all’interno del proprio dolore. Solo così avevano ottenuto di fare colazione con lei appena qualche volta, e tenerla tra loro, seppur assente, mentre la sera vedevano la TV. Scosse la testa mentre ci pensava, dedicandosi all’impasto e a pelare patate. Era quasi l’una quando tirò fuori la teglia dal forno depositandola sul piano cottura. Si alzò sulle punte per recuperare della carta argentata per coprirla, attendendo che Emma tornasse dalla centrale. Apparecchiò la tavola, tagliò del pane e stappò una bottiglia di rosso. Sorrise nel sentire le chiavi ruotare nella serratura. Non appena Emma varcò la porta di casa, le arrivò alle narici un meraviglioso odore di buono, di sua moglie.
-Regina? –
Trovò la moglie intenta a far risplendere il rubinetto del lavandino e quasi rimase stregata quando si voltò a guardarla da dietro gli occhiali da vista.
-Hai cucinato per un esercito! – le disse baciandole la fronte.
-Avevo voglia di farti una coccola-
Emma si lavò nel mani nel lavandino che Regina stava pulendo, beccandosi un’occhiataccia.
-Allora me la godo! –
Si accomodò a tavola e osservò la moglie metterle ne piatto una generosa fetta di lasagna. Emma guardò verso le scale una sola volta, lo faceva sempre quando mangiava, poi affondò la forchetta nella sua pietanza. Regina la guardava come fosse una bambina, innamorandosi di lei sempre un pochino in più.
-Mamme? –
Regina si voltò di scatto, allargandosi in un enorme sorriso nei confronti della figlia poggiata allo stipite della porta.
-Amore! –
La osservò mentre si contorceva le dita, in imbarazzo. Non comprendeva perché mai lo fosse, erano la sua famiglia.
-Posso… io volevo solo… - si morse le labbra, incapace di proseguire.
Emma posò le posate, scostò la sedia dove la ragazza era solita accomodarsi e ci batté sopra con una mano.
-Vieni, siediti-
La vide fare come le era stato detto, muovendosi silenziosa e leggera.
-Ti prendo un piatto- incalzò Regina.
Alexis provò a dire di non aver fame e che non avesse lasciato la sua camera per gettare qualcosa nello stomaco, anche perché c’erano alte probabilità che lo avesse rigettato. Ma Regina le aveva già porto il piatto stracolmo di cibo.
-Mamme il vostro è vero amore, giusto? –
Le due donne si guardarono per qualche istante, non comprendendo dove la ragazza volesse arrivare, ma annuirono.
-E anche quello dei nonni? –
-Certo amore, ma … - provò a risponderle Regina, ma Alexis la interruppe.
-Nonna mi ha sempre detto che il vero amore trova sempre la strada di casa, che si ritrova sempre. Allora quello mio e di … non è … -deglutì tentando in ogni modo di reprimere le lacrime- Se non riuscita a salvarla vuol dire che… -
Le parole le morirono in gola, surclassate da un pianto che non era riuscita a fermare. 
-Adesso smettila Lex, queste sono solo stronzate- intervenne Emma con tono duro- Anche se siamo personaggi delle favole non significa che ci viviamo all’interno. Questa è la vita vera e non una dannata favola. Insomma guardaci! Io dovrei essere la principessa più fiabesca che il mondo abbia mai visto, tua madre la più perfida delle streghe e zia Ruby una mocciosa di quanto, dieci anni? La vita vera è fatta anche di sofferenza e di dolore perché è reale-
Lo sguardo che riservò alla figlia fu carico e severo, totalmente distante dal suo solito. Regina stessa la guardava confusa.
-Come faccio, mamma? -domandò Alexis ad occhi bassi -Non riesco ad immaginare una vita senza di lei. Era... è tutto-
Non era stata capace di pronunciare il suo nome, faceva troppo male. Così come usare un tempo passato rendeva tutto così lontano ed irraggiungibile. Emma si passò una mano tra i capelli, poi lasciò la sedia per inginocchiarsi di fronte il viso della figlia sollevandole il mento.
-Lex io so perfettamente cosa vuol dire perdere qualcuno che ami, lo sappiamo tutti in questa stanza. Ma la vita non si ferma, non ti aspetta e tu sei troppo giovane per lasciarti distruggere da questa cosa-
Anche Regina affiancò la ragazza, mettendo una mano sulla sua spalla e una su quella della moglie la quale le sorrise con amore, ma Alexis scattò in piedi con occhi pronti a riversare ulteriori lacrime. 
-Che dovrei fare, allora? Far finta che non sia mai esistita? Che non sia stata ciò che di più bello e prezioso abbia avuto? L’amo troppo, mamma! -
Emma boccheggiò di fronte a quelle lacrime e Regina comprese che fosse il suo turno di parlare.
-Il dolore non sparirà mai, tuttalpiù si affievolirà col tempo. Laya -notò come sua figlia rabbrividisse al suono del suo nome- non sparirà mai dal tuo cuore e tu non dovrai permettere che ciò accada. Farà sempre male Alexis, anche se dovessero passare secoli, ma diventerà sopportabile. Farà parte di te e un giorno, forse, riuscirai quasi a pensare a lei con il sorriso sulle labbra-
Conosceva quel dolore, conosceva quel senso d’oppressione, ma anche la quiete che prima o poi sarebbe arrivata. Di tanto intanto pensava ancora a Daniel e per quanto il suo ricordo aprisse una ferita dolorosa, riusciva a vederlo per ciò che era stato; una parte estremamente importante della sua vita alla quale aveva detto addio per sempre. 
-E se non succedesse? Se continuasse a fare sempre così fottutamente male? -
-Dio, Lex, hai solo vent’anni! - sbottò Emma - La tua vita non può finire per questo e non puoi metterla in stand-by. Vai avanti! Forse un giorno Laya tornerà, ma non puoi saperlo! Basta piangere, hai consumato abbastanza gli occhi-
Alexis guardò le due donne come se fossero l’unica ancora di salvezza nel bel mezzo del nulla. Sapeva avessero ragione, sapeva che dimenticarla fosse la cosa più giusta da fare. Ma in quel momento, tutto ciò che desiderava, era rifugiarsi nell’abbraccio della propria famiglia. 

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Capitolo 15
*** 15 ***


DUE ANNI E SETTE MESI DOPO IL RITORNO
 
-Sta attenta amore, ok? –
Alexis sorrise prima di stringersi ancora nell’abbraccio di sua madre. Regina non era mai stata una donna da grandi gesti in pubblico, ma vedere andar via sua figlia era ancora complicato. Per cui la strinse, più forte che poté.
-Mamma, sembri la nonna. Vado solo al college, non in guerra-
Emma alle loro spalle ridacchiò, era così raro vedere Regina così vulnerabile da apparire come la cosa più bella del mondo. Ma poteva comprenderla, erano stati anni complicati, in cui avevano fatto un enorme buco nel fondo. Ci era voluta pazienza e sopportazione, ma il tempo aveva fatto il proprio lavoro trasformando sua figlia in una donna di ormai quasi ventitré anni pronta a lasciare il nido familiare. Erano state proprio loro ad insistere affinché la ragazza la smettesse di starsene segregata in casa, a studiare nella propria stanza, e facesse l’esperienza del college. Così, si ritrovavano a caricare i suoi bagagli nell’auto che le avevano regalato per i suoi diciott’anni e a vederla andar via.
-Tranquilla Regina, ci penso io a lei- intervenne Leopold.
-La cosa dovrebbe tranquillizzarci? – rispose Emma.
Alexis rise, Regina si limitò ad un sorriso bonario. Leopold non era di certo la persona più responsabile che esistesse al mondo, ma sapevano che avrebbe fatto di tutto per l’altra ragazza.
-Mi sembra che io sia l’unico ad avere un minimo di esperienza circa la vita al college, quindi si sorellina, dovrebbe tranquillizzarti- rispose punto nell’orgoglio. Era un anno e mezzo che frequentava assiduamente l’università, storia aveva scelto.
-Lo terrò d’occhio io, mamma. Tranquilla-
Alexis abbracciò anche la bionda, rivolse un veloce saluto ai nonni e si infilò in macchina. Il ragazzo perse diverso tempo a sorbirsi tutte le raccomandazioni della madre circa l’essere un principe e comportarsi con onore.
Leopold aveva insistito per guidare e lei glielo aveva lasciato fare, dopotutto non aveva mai guidato per più di venti minuti di fila e farlo per più di sei ore non era il massimo.
-Pronta a entrare nel mondo dei grandi, principessina? –
La ragazza gli sorrise tirandogli un ceffone su una spalla e annuì. Leopold mise in moto e partirono, direzione la Boston University. Aveva varcato il confine di Storybrooke una sola volta nella propria vita, quando era partita assieme a Laya. Pensare a lei non le toglieva più il fiato ormai, proprio come le aveva detto Emma. Certo faceva male, lo avrebbe sempre fatto, ma almeno riusciva a vivere. L’ultimo anno e mezzo era stato il più complesso della propria esistenza, non avrebbe mai creduto che sarebbe potuta stare così male. Che un singolo essere vivente potesse provare tutto quel dolore. La sua famiglia le era stata accanto, l’aveva sostenuta ogni singolo giorno, chi in un modo chi in altro, ma la vera guerra l’aveva combattuta da sola. Aveva raggiunto apici che non avrebbe creduto potessero esistere, si era completamente annullata riconoscendo come reale unicamente il dolore che batteva a tempo con il proprio cuore. Aveva dato fondo ad ogni singola briciola di magia, di forza e di perseveranza. Ma si era dovuta arrendere perché l’assenza di Laya era arrivata ad un passo dall’ucciderla. Aveva fatto i conti con Phoebus e Fleur-de-Lys; l’uomo non voleva più saperne niente di lei, accusandola ogni singolo giorno di aver ucciso la propria figlia, era arrivato addiritturo a sbatterla fuori di casa quanto la trovava in camera di Laya. La sua compagna, invece, era sempre stata più accomodante invitandola di tanto in tanto a prendere un caffè con lei. Faceva male, faceva male a tutti, ma allo stesso tempo era necessario come l’aria. Così come lo era passare le giornate alla cripta, all’inizio era impossibile allontanarcisi, ma col tempo aveva compreso che la vita andava avanti e che non si sarebbe di certo fermata ad aspettarla. Per cui si era iscritta all’università da non frequentante e aveva iniziato a studiare psicologia con la speranza di poter aiutare, magari un giorno, chi avesse toccato il fondo come lei. La sua vita aveva a poco a poco ripreso a scorrere ad un passo di distanza dal dolore e a due da Laya. Non l’aveva dimenticata, non avrebbe mai potuto, ma aveva scelto di tentare in qualche modo di essere felice.
Una strana sensazione di leggerezza le avvolse lo stomaco quando si lasciò alle spalle il cartello con scritto “Benvenuti a Storybrooke!”, come se in qualche modo lontana da casa potesse tentare di trovare una nuova se stessa.
-Tutto ok? – le chiese Leopold notando il silenzio della ragazza.
Alexis sospirò rilassandosi sul sediolino prima di rispondere.
-Si. È solo strano-
Le dita corsero a giocare con la catena alla quale era appesa l’arpa, ormai lo faceva più per abitudine che per altro.
-Non potevi lasciarla a casa? –
Il ragazzo indicò con un cenno del capo il ciondolo, ma di fronte il sorriso bonario della nipote e lo sguardo dolce non riuscì ad aggiungere nulla. Sapeva che per Alexis era ancora difficile separarsi definitivamente dall’ultimo pezzetto di Laya.
-Allora- esordì poi cambiando argomento- Lascia che ti illustri le regole base. Numero uno, io e te siamo cugini, chiaro? –
Alexis lo guardò confusa e Leopold si sistemò meglio alla guida prima di rispondere.
-Sarebbe complicato spiegare perché mia madre e mia sorella hanno praticamente la stessa età, quindi cambiamo i gradi di parentela-
-Mi sembra giusto- concordò la ragazza.
-Numero due, niente racconti imbarazzanti circa avventure da bambini, feste assurde e follie di mia madre-
Alexis scoppiò a ridere, Leopold sembrava un genitore che istruisce la propria figlia al primo giorno di scuola.
-Ma così mi levi tutto il divertimento-
-Vuoi che l’intero campus ti chiami principessina? –
La ragazza sgranò gli occhi, ci aveva sperato tanto affinché quel ridicolo soprannome restasse segregato a casa.
-Ok, ok. Come non detto! – rispose sollevando i palmi.
-Ultimo punto e più importante, non puoi fregarmi le ragazze-
Alexis non seppe se ridere o pietrificarsi di fronte a quella frase, per un attimo credette che stesse scherzando, ma sul viso del ragazzo viveva una serietà che lasciava poco spazio ad una burla. Deglutì e di colpo ebbe freddo, come se una verità che nessuno le aveva mai fatto notare prima l’avesse presa a sberle. Nella sua vita c’era stata solo Laya. Aveva baciato solo Laya, accarezzato solo Laya, fatto l’amore solo con Laya. E da quanto Laya era andata via, aveva perso ogni interesse nel rapporto con altre persone che non facessero parte della famiglia. Leopold si accorse di quel cambio di atmosfera, come se quel gelo avesse invaso anche il suo corpo e per un attimo si diede dell’idiota. Ma poi un minuscolo sorriso spuntò sul volto della nipote e il proprio senso di colpa migliorò.
-Scherzi a parte, Lex. Prenditi tutte le esperienze che ti sei preclusa fino ad oggi perché te le meriti-
Le strinse una mano, avevano legato tanto negli ultimi due anni. Non che prima non lo fossero, ma Leopold aveva condiviso con lei un dolore troppo intimo per non generare una forma di legame di quella portata. Per lui la ragazza era più di sua nipote, era la sua migliore amica, la sorellina da difendere contro il mondo, il tassello più fragile dell’intera famiglia.
-Tu invece ne avrai fatte di esperienze- rispose cambiando argomento.
Leopold gonfiò il petto massiccio, sorridendo beffardo. Alexis era certa che almeno la metà del campus gli correva dietro, Leopold era bello e intelligente anche se non lo dava a vedere. Sapeva essere gentile e quando qualcosa o qualcuno gli stava a cuore diventava una persona meravigliosa.
-Posso assicurarti che mi sono divertito-
-Le ragazze che ti porti a letto non chiedono come mai vai in giro con un fiabesco castello sul braccio? –
Il ragazzo rise massaggiandosi il tatuaggio. Sua madre continuava ad avere un mancamento ogni qual volta gli occhi inciampavano su quella parte di pelle. Lì dove viveva un enorme castello che prendeva dalla spalla al gomito, in bianco e nero e con arco e frecce disegnati nelle bandiere svolazzanti al vento. Era stato il suo modo di onorare la famiglia.
-Le ragazze lo adorano! Ti farò raccontare un paio esperienze da Kara, tranquilla-
-Chi? –
-Kara! Andiamo, ti ho parlato un milione di volte di lei, la mia amica tutta matta-
Alexis ricordava qualcosa al riguardo, ma, si vergognava ad ammetterlo, spesso non aveva prestato attenzione alle parole del ragazzo quando le raccontava del college. Si era resa conto troppo tardi di aver dimenticato ogni singola cosa, ogni persona che aveva sempre fatto parte del proprio mondo per Laya.
-Non ti preoccupare, avrai modo di conoscerla-
Leopold le sorrise e in attimo tutta l’angoscia di pochi istanti prima si era dissipata. Aveva pensato spesso a come sarebbero andate le cose se non ci fosse stato lui al proprio fianco, se Leopold non fosse stato più testardo di lei e l’avesse spronata a riprendere in mano le redini della propria vita. Era riuscito lì dove anche Gideon aveva fallito, troppo docile per potersi far carico ancora delle sofferenze della ragazza. Poi era andato via, girovago di mondi alla ricerca di antichi artefatti magici e a lei era rimasto solo Leopold. Si voltò a guardarlo, sorridendogli.
Il resto del viaggio procedette senza particolari intoppi, si fermarono un paio di volte e aggiornarono Mary Margaret almeno un centinai assicurandole che avrebbero avvisato non appena sarebbero giunti a destinazione. Per Alexis fu particolarmente strano viaggiare senza l’uso della magia, ma dopotutto anche Laya gliel’aveva vietata durante il loro viaggio assieme. Giunsero a Boston per ora di cena, stanchi ma eccitati. Per Alexis aveva un certo fascino l’idea di ritrovarsi nella stessa città che aveva ospitato anche sua madre. Leopold la scortò verso una tavola calda, padrone della zona, per quella sera avrebbero cenato qualcosa al volo e l’indomani le avrebbe fatto fare un giro attorno al campus. Non appena i ragazzi entrarono, Alexis vide una ragazza sbracciarsi nella loro direzione. Batté la spalla al ragazzo e vide il suo viso allargarsi in un sorriso allegro.
-Kara! –
Si avvicinarono alla ragazza e Leopold l’avvolse in un abbraccio stritolante, tanto che la vide sparire tra le braccia del ragazzo.
-Lasciami, Pompato. Mi fai fare una figuraccia-
Kara si liberò dalla presa e, sistemandosi i grossi occhiali sul viso, tese la mano ad Alexis.
-Kara Bergotti, tanto piacere! –
Alexis l’analizzò trovandola buffa; era bassina e un po’ troppo in carne per la sua altezza. I capelli castani incorniciavano un viso tondo sul quale brillavano un paio di occhi marrone chiaro nascosti dalle lenti, al di sotto di essi un naso appena pronunciato e un bellissimo sorriso. Ciò che colpì maggiormente Alexis furono i suoi occhiali, non avevano montatura limitandosi al vetro dalla forma tonda, ma non perfettamente circolare. Come se qualcuno li avesse ammaccati in fase di costruzione.
-Alexis Swan-Mills-
Le strinse la mano e la trovò bollente.
-Non mi avevi detto che tua cugina fosse così bella! – esclamò verso Leopold sedendosi di fronte a lui.
Alexis sgranò gli occhi mentre prendeva posto accanto al ragazzo.
-Non iniziare, Kara-
-Gli occhi sono fatti per guardare e a tal proposito- guardò poi Alexis- tu hai degli occhi da dichiarare illegali! –
Leopold si passò le mani sul volto, se lui era ormai avvezzo al modo di fare di Kara, di certo non lo era Alexis. Si voltò verso di lei e la vide arrossire appena di fronte a quelle parole.
-Ti prego, puoi sembrare normale per soli cinque minuti? –
La ragazza sollevò i palmi in segno di resa.
-Io ho fame, mangiamo qualcosa? –
-Tu hai sempre fame, Kara-
La ragazza si sistemò gli occhiali con un colpetto e dedicò diversi secondo al menù, ma Leopold sapeva che avrebbe preso sempre la stessa cosa: cheeseburger con doppio cheddar e patatine.
-C’è chi si nutre solo di proteine come te e chi di carboidrati come me. E poi chi come tua cugina vive d’aria, ti rendi conto di quanto è magra? –
Alexis non si era mai sentita tanto in imbarazzo come in quel momento, era abituata alla schiettezza, Laya lo era sempre stata, ma il modo di fare di Kara aveva un che di buffo e talmente spontaneo da essere divertente.
-Veramente mangio più di quanto tu creda-
-Allora sappi che ti odio già-
Kara si voltò a cercare il cameriere, richiamandolo al tavolo in un modo tanto chiassoso da far voltare nella loro direzione mezzo locale. Come aveva previsto Leopold, ordinò lo stesso panino di sempre trainandosi dietro anche la nipote. Ne fu felice, Alexis aveva avuto diversi problemi di peso nei due anni precedenti facendoli preoccupare non poco. Era arrivata a sfiorare l’anoressia, diventando tanto magra da aver paura ad abbracciarla. Per fortuna, il tempo aveva sistemato anche quello. Alexis non era mai stata una ragazza particolarmente in carne, ma i livelli raggiunti erano stati preoccupanti. Mentre in quel momento, sembrava solo una ragazza magra.
-Allora, raccontami qualcosa di imbarazzante su tuo cugino- bofonchiò addentando il proprio panino.
Alexis volse appena uno sguardo verso il diretto interessato che di rimando la guardò truce. La ragazza sorrise, poi si rivolse ancora verso Kara trovandola sporca di formaggio ai lati delle labbra.
-Qualcosa di più imbarazzare del suo tatuaggio? –
-Io adoro il suo tatuaggio! Non dirmi che non ti piacciono in generale! – rispose strabuzzando gli occhi.
Alexis scosse appena il capo, sorridendo alla ragazza. Lei posò il panino nel piatto stando ben attenta a non lasciar uscire alcun ingrediente, si alzò le maniche della felpa e mostrò tatuato nell’avambraccio destro un orologio da taschino fermo alle ore 11:21. La catena girava attorno al braccio circondandolo come un bracciale. Dovette riconoscere che era davvero ben fatto, ma decisamente troppo grosso e ingombrante per i suoi gusti. Infatti prendeva tutto l’avambraccio.
-Ops – rispose facendo spallucce.
-Ora sei obbligata a rimediare! -
-Mi dispiace, ma non posso. Abbiamo un accordo noi due-
Leopold tirò un sospiro di sollievo, loro due erano cresciuti assieme e di aneddoti ne avrebbero potuti raccontare a milioni.
-Allora te ne dico io uno-
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lei, negli occhi il terrore di quanto Kara potesse dire. Provò a fermarla, ma sapeva che fermare la ragazza era come arginare un fiume con un cucchiaino, totalmente impossibile.
-Sai che Pompato mangia sempre cioccolato dopo il sesso? –
Leopold si coprì il viso con le mani, imbarazzato come non mai. Alexis scoppiò a ridere come una bambina, inondando il tavolo di gioia. Specie Leopold.
-Per quale ragione sai le abitudini post sesso di mio cugino? –
-È una storia divertente, ecco lui era già… -
-Kara, non mi sembra il caso! –
Leopold tentò di bloccarla, lanciandole sguardi che sperò l’altra cogliesse. Ma Kara sapeva essere una gran strafottente quando lo desiderava. Gli sorrise, maliziosa.
-Io vorrei proprio saperlo- intervenne Alexis.
Il ragazzo si voltò verso di lei e fu quasi propenso a cambiare idea; gli occhi della ragazza erano luminosi e verdi come non li vedeva da tanto tempo.
-Dunque, lui era già andato a letto con mia sorella ed io volevo provare prima di dire con certezza che non mi piacesse e mi son detta “chi meglio del mio migliore amico” - spiegò Kara con nonchalance.
Alexis sgranò gli occhi sconvolta al riguardo. Si voltò verso Leopold che la guardava da dietro le dita di una mano, sconvolto da quanto Kara impiegasse poco a metterlo in imbarazzo.
-Sei stato a letto con sua sorella? – domandò alzando forse un po’ troppo la voce.
-Ma non è colpa sua, eh. Io volevo capire se fossi proprio omosessuale o meno e Caty me ne aveva parlato un gran bene, ma niente da fare. Preferisco i tuberi agli ortaggi! –
Alexis scoppiò ancora a ridere, tenendosi la pancia e rischiando di strozzarsi con il panino che stava mangiando. Leopold la guardò ammirato. Ormai, si era abituato a non vederla più ridere, ridere davvero. Non un sorriso accennato o una risatina di circostanza, ma scoppiare in una risata genuina e piena come quando avevano quasi distrutto la cripta. Proprio come stava facendo in quel momento. Ringraziò mentalmente Kara per questo.
-E tu? Tuberi? –
-Kara! – la riprese ancora Leopold.
-Cosa? Andiamo Pompato è troppo bella per sprecarsi con un ragazzo, io sono sicuramente un partito migliore-
Alexis arrossì ancora di fronte alla frase della ragazza, ma sul suo viso apparve un adorabile sorriso.
-Ci stai provando con mia cugina, Kara? –
-Mi sembra palese- rispose confusa la ragazza –Tu lo avevi capito, vero? Non scendi dalle nuvole come questo imbecille-
Alexis rise di nuovo, facendole l’occhiolino.
-Lex, ci stai provando con la mia migliore amica! –
-Direi che è fatta, a quando il matrimonio? – scherzò Kara.
-Ok ne ho già abbastanza di voi due-
Leopold si alzò gettando qualche banconota sul tavolo e stiracchiandosi.
-Venite stasera al Blue? –
Alexis guardò confusa Leopold che provvide a spiegarle che si trattava di un locale nel quale erano soli trascorrere le proprie serate, niente di impegnativo.
-Non credo Kara, siamo arrivati solo qualche ora fa-
La ragazza annuì, comprendendo che i due desiderassero solo una buona dormita.
-Però domani non potete darmi buca-
Leopold le fece l’occhiolino facendole comprendere che non sarebbero mancati, aveva intenzione di far vedere ad Alexis cosa si fosse persa fino a quel momento preferendo il proprio dolore. Salutarono Kara e si rinfilarono in macchina, l’altra invece si avviò verso il locale di cui avevano parlato poco prima.
-Forte la tua amica- esordì Alexis
Leopold scosse la testa sorridendo.
-Kara è un uragano-
-Me ne sono accorta- rispose lei ridacchiando.
Il ragazzo le rivolse un’altra occhiata mentre guidava verso il campus. Alexis aveva un sorriso allegro stampato sulle labbra, un sorriso rilassato che faceva star bene.
-È bello vederti ridere finalmente, Lex-
La minore si morse il labbro inferiore, comprendendo perfettamente le parole dell’altro.
-Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto passare, Leo. Non ti ho mai chiesto scusa-
Lui sorrise scuotendo il capo e allungando una mano verso quelle della nipote che le strinse.
-Non serve, lo sai. Sono solo felice che tu ora stia bene, Lex-
Felice le sembrava troppo per lei, capitava ancora di tanto in tanto che la notte avesse gli incubi e che l’assenza di Laya fosse incredibilmente ingombrante. Ma tutto sommato, stava bene. Riusciva a mangiare un cheeseburger senza il rischio di vomitarlo dopo appena qualche secondo, riusciva a ridere alle battute degli altri, a pensare a Laya senza avere un attacco di panico. Meglio, le sembrava più adatto alla propria situazione. Calzava meglio sulle proprie ferite.  
Rientrarono assieme al dormitorio, Leopold le fece da Cicerone guidandola fino alla propria stanza. Le spiegò che per il momento sarebbe stata sola e che forse in primavera avrebbe avuto poi una compagna di stanza. Portò le sue valigie e si accertò, come quando erano piccoli, che non ci fossero mostri sotto il letto.
-Sicura di voler restare sola? Posso restare se vuoi-
Alexis gli si gettò tra le braccia, ringraziandolo.
-Sto bene, Leo. Va pure-
Il ragazzo la studiò per un altro paio di secondi, poi si avviò verso la porta della camera. Indicò alla ragazza che la propria stanza fosse appena al piano di sopra e che alla fine del corridoio c’era quella di Kara, qualora avesse avuto bisogno.
-Tranquillo, so badare a me stessa-
Attese che Leopold la lasciasse da sola e solo allora si concesse di gettarsi a peso morto sul letto e riflettere su come, in meno di ventiquattro ore, la propria vita fosse cambiata. Eppure i giorni in cui non aveva la forza di alzarsi dal letto anche solo per farsi una doccia sembravano così vivi, ancora presenti nella propria mente come un trauma impossibile da superare. Col tempo e a mente lucida, si era resa conto che per colpa sua stava mandando all’aria il matrimonio delle proprie madri, la propria vita e quella delle persona che le volevano bene. Anche quello era stato un ottimo sprono per riprendersi, per comprendere che doveva andare avanti e che Laya non sarebbe tornata forse mai più. Le mancava ancora, era innegabile, ma era sopportabile.
I suoi pensieri furono interrotti dal suono del cellulare, voltò appena il capo per vedere chi fosse e quando vi lesse il nome di Regina ricordò di aver dimenticato di avvertire.
-Mamma, mi spiace ho dimenticato di… -
-Tranquilla tesoro, stai bene? Ti sei sistemata? –
-Si, tutto ok. Ora faccio una doccia e mi infilo a letto, sono stanca morta-
-Va bene amore, buonanotte. Ti saluta anche tua madre e ricorda sempre che ti amiamo, Alexis-
Sorrise e chiuse la conversazione.
“Vi amo anch’io mamme, da morire”  

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Capitolo 16
*** 16 ***


Alexis aveva preparato la serata nel minimo dettaglio, curando ogni particolare in maniera quasi maniacale. Era stata sotto la doccia per così tanto tempo, che non aveva sentito le madri uscire per la riunione cittadina, intenta a lavarsi i capelli e a strofinare con energia qualsiasi parte del corpo. Il secondo passo, più complicato di una semplice doccia, fu decidere cosa indossare. Erano in quei momenti che sentiva la mancanza di un’amica, di qualcuno del suo stesso sesso che potesse consigliarla. Lo avrebbe potuto chiedere a Ruby, ma era abbastanza certa che la donna le avrebbe affibbiata qualche vestito succinto e sicuramente poco incline ai gusti della ragazza. Voleva far colpo su Laya, certo, ma conservare comunque il suo stile. Per cui scavò affondo nell’armadio, provando un numero spropositato di capi e optando alla fine per una gonna a balze di jeans che le arrivava all’altezza delle ginocchia e una camicetta rosso fuoco leggermente più scollata rispetto ai suoi standard. Al di sotto, un completo reggiseno e culottes color carta da zucchero. Fu indecisa per parecchio tempo se indossare i sandali col tacco o se restare a piedi scalzi, Regina le aveva trasmesso la buona abitudine di non portare le scarpe in casa. Per di più, non era proprio avvezza al tacco. Aveva riordinato alla perfezione la sua camera, cambiato le lenzuola e ravvivato i cuscini. Non le restava altro che attendere l’arrivo di Laya. Aveva omesso di riferirle che sarebbero state sole, sapeva perfettamente che non avrebbe mai accettato per rispetto alla sua famiglia. Dopotutto, le era stato permesso di mettere piede in quella casa solo un mese prima e Laya era molto all’antica su quel fronte. Era cerca si sarebbe adirata, che avrebbe premuto per uscire e non infrangere le regola che Regina le aveva imposto. Alexis aveva provato più volte a farla entrare di nascosto nella propria stanza, usando la magia. Le aveva assicurato che le due donne non se ne sarebbero mai accorte, ma la maggiore non aveva mai voluto scendere a compromessi su quell’argomento. Le ripeteva di continuo che non poteva concedersi il lusso di sbagliare con lei.
Quando finalmente sentì il rombare stanco del suo pick-up, corse alla porta per andarle incontro. La vide parcheggiare fuori il viale, scendere e riservarle la prima occhiataccia della serata. Nonostante il cipiglio che esibiva, era di una bellezza sconvolgente stretta nei suoi jeans chiari e la polo nera. Tra le mani un giubbino scuro.
-Ciao- la salutò sorridendole.
Attese che Laya fosse sull’uscio della porta prima di alzarsi sulle punte per baciarla. La maggiore provò a tirarsi indietro, ma l’abbigliamento dell’altra l’aveva stregata. La camicia le metteva in risalto il seno piccolo e la gonna giocava con lei ad uno snervante vedo-non vedo.
-Dove sono Emma e Regina, principessina? –
La ragazza le sorrise furba, già preparata a quella domanda.
-Riunione cittadina-
L’espressione di Laya non presagiva nulla di buono, il suo sguardo era duro mentre si ostinava a non voler mettere piede nell’abitazione.
-Andiamo Lay, è solo una serata. Qualche ora-
I suoi occhi imploranti riuscirono a scavare a fondo in lei, a tal punto che si decise ad entrare.
-Sia chiaro, vedremo un film e ordineremo una pizza. Ed io non metterò il naso al di fuori di questo salotto-
Alexis le saltò al collo, abbracciandola felice come una bambina la mattina di Natale. Cercò le sue labbra, aveva bisogno di baciarla e questa volta Laya non si tirò indietro. Si lasciò cullare dalla sua lingua, dal suo sapore e dal movimento ipnotico delle sue labbra. Una lunga scarica di brividi le solcò la pelle scura quando l’altra le prese i fianchi spingendoli verso il muro più vicino. Il modo in cui infilò le dita sotto la maglia, immaturo e forte al tempo stesso, fecero gemere Laya, ma quando tentò di sfilargliela le bloccò i polsi scivolando via dal suo corpo.
-Lex- soffiò ad occhi chiusi –Pizza e film- ripeté.
Ma la minore aveva piani diversi, si era vestita carina per lei e desiderava solo fare il passo successivo. Ogni volta che Laya la baciava, la sfiorava o anche solo si limitava a guardarla, si sentiva impazzire. Cercò ancora il suo corpo, le sue labbra, ma Laya le scivolò ancora via dalle dita facendola innervosire.
-Pensavo di piacerti- brontolò inseguendola.
-Certo che mi piaci, principessina. Ma non posso-
Laya le lasciò un bacio sulla fronte prima di recarsi in salotto, dopo aver tolto le scarpe, e accomodarsi sul divano. Si voltò una sola volta per chiamarla e invitarla a raggiungerla, ma Alexis non si mosse. Si sentiva ferita e rifiutata, come se la maggiore le avesse detto qualcosa di orribile e in parte era così. Il suo continuare a respingerla le faceva più male di quanto Laya potesse anche solo immaginare. E in un attimo, un pensiero le invase la mente con prepotenza.
-Te ne sei pentita? – sussurrò appena.
Laya si alzò per avvicinarsi, uno sguardo interrogativo sul volto. Piegò appena la testa di lato quando le fu abbastanza vicina. Quando la minore alzò il viso per guardarla, credette di morire in quegli occhi verdi e pieni di lacrime. Deglutì prima di risponderle.
-Di cosa? –
-Di aver detti di amarmi! –
Alexis non avrebbe voluto usare un tono di voce tanto alto, ma il cuore le martellava il petto tappandole le orecchie. Calde lacrime le bagnarono le guance, arrossandole. Laya sgranò gli occhi, incredula.
-Come scusa? –
-Mi ami, Laya? –
La bruna era incredibilmente confusa, incapace di comprendere cosa stesse mai frullando nella mente dell’altra. Era scesa a patti parecchio tempo prima con i suoi anni, ma la diciassettenne riusciva ancora a sorprenderla.
-Hai perso la testa, per caso? Certo che sì! –
-Non lo hai più detto. Da quel giorno alla cripta non te l’ho più sentito dire-
Laya non seppe cosa rispondere di fronte a quell’affermazione, non ci aveva mai realmente riflettuto. Non era mai stata quel genere di persona che esterna i proprio sentimenti con facilità, tantomeno una da grandi manifestazioni d’affetto. Quel giorno, alla cripta, aveva sentito quel sentimento scoppiarle dentro e travolgerla come un uragano fino a tirarle fuori quelle parole. Non ci aveva pensato, non ci aveva ragionato affatto. Aveva detto di amarla come le diceva tante altre cose, con la stessa emozione che Alexis le trasmetteva giorno dopo giorno. Eppure, sembrava che la minore ancora non lo avesse compreso e questo le faceva un’enorme rabbia.
-È questo il problema? Che non dico di amarti ogni cinque minuti? Santo cielo, cresci ragazzina! –
Prese la propria giacca dall’appendiabiti all’ingresso e come una furia si diresse verso l’esterno.
-Dove vai? – le chiese l’altra correndole dietro e con tono allarmato.
-A casa-
-Aspetta-
-Cosa? – domandò dura voltandosi verso di lei –Che i tuoi diciassette anni tornino a farci visita? –
-Ho paura, Laya! –
Quelle parole bastarono a fermarla e la obbligarono a voltarsi completamente verso l’altra. Nei suoi occhi, un maremoto verde minacciava di investirla e tanto bastò a placare la propria ira per almeno un attimo, quel tanto che bastò per richiudere la porta di casa. Passò nervosamente una mano tra i capelli, ma non fu capace di guardare Alexis negli occhi. La sentì avvicinarsi e stringersi a sé circondandole i fianchi con le braccia.
-Sono innamorata persa di te, ma tu continui a trattarmi come una bambina. Temo di vederti sparire-
Le parole della minore furono appena un sussurro tra le lacrime, ma a Laya arrivarono come benzina sul fuoco della propria ira.
-È per questo che vuoi venire a letto con me? Per sentirti un’adulta? – domandò allontanandola da sé.
-No! Io ti amo e non capisco perché tu non mi voglia-
Laya rise nervosa, sorprendendosi di quanto poco sveglia potesse essere l’altra alle volte.
-Pensi questo? Che io non voglia venire a letto con te? Santo cielo, Lex, lo capisci che io non posso sbagliare con te! –
Alexis sbuffò, stanca ormai di sentire quella frase. Era all’ordine del giorno per lei, nella sua vita.
-Certo, perché sono la stramaledetta figlia di… -
-Perché non sei una storia passeggera! –
Gli sguardi che si scambiarono furono forti e pieni, come se in quell’attimo tutto il mondo si fosse fermato per stare ad ascoltare. Laya sospirò coprendosi il volto con le mani per qualche secondo, poi riparlò.
-Non sei una semplice infatuazione per me e non voglio in alcun modo rischiare di ferirti. Non voglio ti senta costretta a far qualcosa per il quale non sei pronta e non credere che io non ti voglia, Lex, perché ti giuro che sto impazzendo. Ti spoglierei in questo preciso istante se potessi avere la certezza assoluta che tu sia pronta-
-Io lo sono, Lay. Voglio te, tutta te ma… -
-Nono può esistere alcun ma, io non me lo posso permettere-
Le mani della maggiore volare sulle spalle dell’altre a stringerle, aveva bisogno di un contatto con lei e di sentire il calore della sua pelle.
-Non sei solo sesso e nemmeno la compagnia di una notte o quella incontrata al bar del campus. Ti amo, Lex, ti amo e tu lo sapevi ancor prima che io te lo dicessi perché con te ho condiviso qualcosa che non avrei mai creduto potesse venir fuori. E maledizione, principessina, come puoi essere così ottusa e non comprendere che io sia innamorata di te-
Alexis rimase a bocca aperta, incapace di proferire parole. Si sentì stupida, incredibilmente stupida per aver fatto quella scenata. Si sentì la bambina viziata che tutti vedevano. Mosse qualche passo verso di lei, rifugiandosi tra le sue braccia.
-Mi dispiace, Lay. Tu sei il mio primo tutto e voglio condividere con te ogni singola cosa, anche il sesso. Sono pronta, credimi, lo voglio più di ogni altra cosa e non per sentirmi più grande o che altro, perché ti amo. Ti prego, sei sempre stata l’unica a trattarmi da persona e non da bomboniera, non cominciare proprio adesso-
Laya la strinse forte a sé, lasciandosi cullare dal profumo buono dei suoi capelli e dal calore che era in grado di emanare. Abbassò appena il viso per incontrare i suoi occhi e sentirsi libera di morirci dentro. Le sollevò il mento con le dita e rapì le sue labbra incastrandole tra i denti. Alexis le gettò le braccia al collo, aumentando in un attimo la velocità e l’intensità di quel bacio. Laya sospirò a fondo, era da quando l’aveva vista con indosso quella camicetta che desiderava baciarla davvero, senza contenersi. La spinse fino al muro più vicino, bloccandola tra sé stessa e la parete. Alexis, da parte sua, non aveva più paura di fare qualcosa di sbagliato. Aveva accettato che non sarebbe stata all’altezza delle storie passeggere di Laya, complice la mancanza di esperienza. Ma la desiderava, la desiderava come mai nulla nella vita. Infilò le mani sotto la polo dell’altra, carezzò il costato rabbrividendo. Sentì Laya sospirare nella propria bocca e tanto le bastò per farlo a sua volta e avvertire un fiotto caldo invaderle il basso ventre con una tale forza da farle male.
-Lex- Nella sua voce un dolore dettato dall’imporsi ancora resistenza.
-Smettila Laya e lascia che io ti ami-
Alexis prese la situazione tra le mani sollevando la polo dell’altra e lasciandola in reggiseno. Quasi le morì il fiato in gola quando si trovò di fronte lo spettacolo del reggiseno della maggiore e quella distesa di pelle abbronzata. Deglutì, cercando di mantenere una sorta di contegno. Laya le infilò una mano tra i capelli scendendo poi verso il collo, quella stessa mano pochi attimi dopò riportò le labbra dalla minore a sé. La baciò con necessità, avvolgendo la sua lingua e lasciando viaggiare la propria assieme ad essa.
-Puoi sempre fermarti- gracchiò Laya con il fiatone.
Alexis scosse il capo sorridendo e guardandola fisso. Senza dirle alcunché, ma senza interrompere il contatto visivo, teletrasportò entrambe nella propria camera da letto. Laya atterrò sul materasso con la minore addosso, avrebbe voluto rimproverarla, ma la risata tanto cristallina e sincera che l’altra fece bloccò ogni singola parola all’interno della propria gola. Rigirò le posizioni stendendosi su di lei e baciandola con un’enfasi che Alexis non aveva mai sentito prima. Incastrò una gamba tra quella della minore, premendo con il ginocchio contro il centro. La vide spalancare bocca e occhi, incapace di trattenere un gemito. Laya continuò a baciarle il collo e con estrema lentezza prese a sbottonarle la camicetta. La sentì retrarre la pancia e tremare sotto le proprie dita. Quando l’indumento fu interamente aperto, Laya si concesse qualche secondo per ammirare il modo divino in cui le ricadeva sui fianchi e quel seno piccolo appena fasciato dal reggiseno.
-Sei bellissima, Lex-
Alexis arrossì, non seppe bene se per le parole della maggiore o per il modo in cui l’altra la fissava. Non aveva mai visto negli occhi di Laya quella luce e quella malizia. Si sporse a cercare le sue labbra e la bruna ne approfittò per sfilarle la camicia e sganciarle il gancetto del reggiseno.  Aveva pensato spesso a come fossero i suoi seni, ma l’immaginazione non poteva reggere il confronto con la realtà. Si abbassò per baciarne uno, tentando con tutta sé stessa di controllarsi e gestire al meglio i tempi. Non voleva rubarle quelle emozioni per la propria foga. Godette di ogni singolo gemito che Alexis le regalò, intensificando la presa dei denti sul capezzolo. Si decise a liberarlo solo quando fu abbastanza soddisfatta e quando i sospiri dell’altra di fecero particolarmente insistenti. Dedicò la propria attenzione al basso ventre, sfilando la gonna con un solo gesto e restando ad osservare le cosce nude e bianche. Le carezzò con le mani e le baciò con riverenza mentre tra le proprie di gambe, esplodeva un incendio.
-Sei sicura, Lex? –
-Piantala di chiedermelo, Laya-
La maggiore sorrise mentre le mani fremevano per farla finalmente sua. Una strana ansia le avvolse lo stomaco, non era certo la prima ragazza vergine con cui andava a letto, ma era la prima di cui era davvero innamorata. Prendersi la sua verginità, era un’enorme responsabilità e onore. La guardò per un altro istante prima di tirarle giù gli slip e ammirarla completamente nuda. Alexis arrossì ancora, la voglia di coprirsi era forte, ma l’amore per Laya lo era di più. La bruna avrebbe desiderato fare così tante cose, ma sapeva che avrebbe dovuto starle vicino come mai prima. Per cui tornò all’altezza delle sue labbra, dei suoi occhi lasciandosi cullare.
-Dimmi se ti faccio male, ok? –
Alexis annuì, nervosa nel rendersi che ormai mancava davvero poco. Laya la baciò, intrecciando le dite con le sue sopra la testa e avvertendo il modo in cui il corpo dell’altra si era irrigidito. Si staccò dalle sue labbra poggiando la fronte contro l’altra.
-Che ne dici di spogliarmi? Sei tesa come una corda di violino, magari ti aiuta-
Le sorrise, tentando in ogni modo a lei conosciuto di tranquillizzarla. E Alexis obbedì, sciogliendosi dalla sua presa e scivolando verso il pantalone dell’altra. Le dita le tremavano così tanto da farle risultare qualcosa di estremamente complicato anche solo far uscire il bottone dall’asola.
-Lex sta calma, ti prego-
Non era mai stata in ansia per il sesso, si era sempre ritrovata a viverlo con estrema scioltezza, ma con Alexis era sempre stato tutto più complicato. Più intenso.
-Scusa-
-Non voglio che ti scusi, principessina, ma che tu viva questo momento con tranquillità-
Alexis annuì guardandola negli occhi mentre tirava giù la lampo e facendo scivolare il pantalone lungo le gambe. Rimase a guardarla per qualche secondo, affogando in quel mare nero che infuriava sul suo volto.
-Baciami- pregò.
Laya l’accontentò senza farselo ripetere ulteriormente, riportando una mano tra quelle della ragazza e l’altra tra le sue cosce. La baciò con dolcezza insinuandosi gentilmente tra le sue pieghe. Sentì Alexis tremare e cercare il suo sguardo. Lo ricambiò vedendo dietro tutta quella convinzione di poco prima tutta la paura di una ragazzina di diciassette anni, tutta l’agitazione della prima volta. Laya fece appena pressione, quel tanto che bastava per accertarsi che fosse pronta. La risposta fu più che positiva, Alexis non solo era abbastanza eccitata da accoglierla senza problemi, ma anche i muscoli delle gambe sembravano rilassarsi. Avvicinò appena un dito e lentamente si insinuò in lei. Vide il suo volto trasformarsi, passare da un viso colmo di estasi ad una smorfia di dolore. Sapeva di non doversi fermare, che doveva andare avanti quindi le strinse più forte le dita e si spinse oltre la barriera. Alexis mugolò ad occhi stretti, cercando le labbra di Laya alla cieca. La maggiore non gliele negò, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farla star bene. Sapeva sarebbe durato ancora poco quel dolore, che a breve sarebbe subentrata una delle sensazioni più belle del mondo. Sentiva intorno il proprio dito tutto ciò che accadeva alla ragazza, avvertendo nitidamente il momento in cui aveva varcato il confine e quello in cui finalmente Alexis aveva smesso di provare dolore. Si staccò dalle sue labbra, guardandola e riconoscendola come ciò che di più bello avesse mai visto nella propria vita.
Vide gli occhi spalancarsi e mettere in bella mostra tutta l’intensità del loro verde, fino a riempire interamente la stanza.
Vide la bocca allargarsi in un sorriso così spontaneo da stregarla.
Ascoltò ogni singolo gemito proveniente dalle sue labbra evolversi in un crescendo e solo quando fu certa che fosse ad un passo dall’apice, inserì un secondo dito e tanto bastò ad Alexis per lanciare un ultimo gridolino e rilassarsi sul materasso. Le gote rosse e il petto scosso dal fiatone, rendevano quella situazione incredibilmente reale.
-Tutto ok? – le chiese ridendo per camuffare l’agitazione.
La minore rise mentre cercava di riprendere fiato. Avvolse le dita tra i capelli scuri dell’altra e tirò il capo verso le proprie labbra, aveva bisogno di sentirla ancora. La baciò, felice come poche altre volte nella propria vita. Spinse Laya verso il materasso, desiderosa di invertire le posizioni e donare anche a lei ciò che aveva appena vissuto. Lasciò scorrere le mani lungo il busto, sui fianchi e sulle cosce, stando ben attenta ai sospiri di Laya. Cercò di arrivare a destinazione fingendo disinvoltura, ma l’altra serrò le cosce e interruppe il loro bacio.
-Ehi, aspetta-
-Ho sbagliato qualcosa? –
La bruna scosse il capo, sorridendole e carezzando una guancia. La guardò dritta negli occhi, scrutando a fondo quelle iridi verdi irradiate in parte dall’oro. Con una mano le prese il polso vicino alla propria intimità riportandolo sul materasso.
-Non serve-
Poté leggere nel suo sguardo la delusione.
-So di non essere capace, ma lasciami imparare-
-Non è per questo, idiota! – rispose scoppiando a ridere.
Alexis la guardò confusa, non comprendendo dove Laya volesse arrivare. Si sedette sul suo ventre, facendo balzare gli occhi dal suo volto ai seni.
-Un passo per volta, ok? –
La minore comprese finalmente che dietro quella richiesta, c’era la stessa paura di poco prima. Eppure pensava di essere stata abbastanza chiara con lei. Sorrise maliziosa, chinandosi lentamente verso il suo corpo e baciandole il collo. Laya non riuscì a contenere un brivido e un mugolio misto al suo nome le sfuggì dalle labbra. Alexis riportò la mano tra le cosce dell’altra, guardandola fisso.
-Guidami, non voglio essere un’idiota incapace-
Laya provò con ogni sua forza a resistere, ad ignorare quella richiesta, ma Alexis era sopra di lei, nuda e bellissima. Lasciò perdere ogni forma di resistenza, andando a cercare le dita dell’altra e accompagnandola al proprio interno. Sapeva di essere più che pronta, la minore l’aveva fatta impazzire. La ragazza si lasciò guidare, scoprendo insieme a Laya quel nuovo piccolo meraviglioso mondo. Sentì le dita affondare senza alcun ostacolo tra i muscoli, arrivare a fondo con una facilità estrema. Vide il volto di Laya mutare in una maschera di godimento. Deglutì di fronte a quello spettacolo e la mente le si annebbiò, il corpo sapeva da solo cosa fosse giusto fare, la mano comprese quando era necessario spingere e quanto in profondità. Le dita di Laya sul proprio palmo le davano forza, coraggio. Quanto bastava per sciogliersi e arrivare a baciarle le labbra mentre godeva delle emozioni del corpo di Laya. La baciò fino a quando l’altra non soffocò un urlo sulla sua bocca, rilassandosi subito dopo restando ad occhi chiusi.
-Lay? Tutto bene? Ho fatto qualcosa di sbagliato? –
Laya la tirò per le spalle abbracciandola e tenendola stretta contro il proprio petto, ricordando quando le aveva posto quella stessa ultima domanda nella propria camera diversi mesi prima.
-Sta zitta, principessina-
E Alexis non se lo fece ripetere, poggiando la testa sul suo petto e ridendo come una bambina alla quale aveva fatto il più bel regalo del mondo.
 
Alexis era sdraiata sul proprio letto da diverse ore, non si era mai sentita così stanca nemmeno dopo le lezioni di magia. Non avrebbe mai creduto che la vita del college potesse essere tanto dura, per sua fortuna c’erano stati Leopold e Kara ad aiutarla. I due frequentavano diversi corsi assieme, lei filosofia e lui storia, ma avevano trovato ugualmente uno spazietto per lei. Avevano pranzato insieme e Kara l’aveva bombardata di domanda, mentre sul suo conto aveva carpito solo che avesse radici italiane e che avesse una sorella più grande. Era incredibilmente confusionaria e i suoi modi di fare non potevano far altro che generare risate e sorrisi. Era addirittura riuscita a convincerla ad andare con lei e Leopold in un locale, quella sera. Guardò l’orologio, Leopold sarebbe andato a prenderla entro circa trenta minuti. Si decise ad alzarsi sbuffando, recuperò un jeans e una camicia dall’armadio, diede una rapida spazzolata ai capelli e si rigettò sul letto con poca grazia. Pochi minuti dopo, qualcuno bussò alla sua porta. Era certa che fosse Leopold, infatti non si sorprese quando se lo ritrovò di fronte strizzato in una magliettina che gli evidenziava muscoli e tatuaggio e un paio di jeans. L’odore del suo profumo quasi le fece girare la testa.
-Che ti sei messa? – domandò sconvolto.  
Alexis lo guardò interrogativa, dando una rapida occhiata alla camicia azzurra che aveva indossato e alle sneakers.
-Santo cielo, devo fare tutto io! –
Entrò di prepotenza nella camera della ragazza e si fiondò nell’armadio alla ricerca di qualcosa che non le fu poi così chiaro.
-Che stai facendo, Leo? –
Ma il ragazzo non rispose, continuando a rovistare tra gli indumenti della nipote senza alcun ritegno. Dopo qualche attimo tirò fuori un vestitino striminzito azzurro e glielo lanciò. Alexis lo afferrò al volo, rimandando uno sguardo sconvolto.
-Non metto questa roba-
-Se lo hai portato vuol dire che avevi intenzione di usarlo-
-Non l’ho messo io in valigia! –
E sapeva perfettamente chi incolpare, appuntandosi mentalmente di proibire ad Emma l’accesso alla propria roba.
-Muoviti, cambiati. Kara sarà qui a momenti- disse sedendosi sul letto.
Alexis sbuffò, rassegnata all’idea che Leopold non le avrebbe permesso di uscire da quella stanza se non con l’outfit scelto da lui indosso.
-Pensi di voler uscire? –
Leopold fece roteare gli occhi prima di alzarsi e darle le spalle a favore della finestra.
-Sul serio? –
-Ti ho cambiato i pannolini, principessina, non rompere-
Quella serata era iniziata particolarmente male. Sbottonò rapida la camicia, tirandola volutamente dietro la testa del ragazzo, e scalciò i jeans per poi infilare il vestito che aveva scelto. Non si preoccupò di indossare il reggiseno, il suo seno era stato sempre piccolo e da quando era incredibilmente dimagrita le era rimasta una seconda scarsa. Si avvicinò a Leopold per farsi tirare su la lampo, poi si diede una rapida occhiata allo specchio non riuscendo a ricordare l’ultima volta che si era vestita bene o che avesse indossato delle scarpe con il tacco. Probabilmente era stato al suo diciottesimo compleanno, ma preferiva non pensare a quel periodo.
-Contento? –
-Molto meglio. Ma… -
Le si avvicinò prendendo tra le dita l’arpa e sollevandola appena con il chiaro intento di levarla.
-Puoi anche lasciarla a casa per una sera, no? –
Alexis si morse le labbra, incerta su da farsi. Poi gli occhi luminosi di Leopold riuscirono a convincerla, se avesse avuto bisogno di attaccarsi a qualcosa poteva contare su di lui. La sfilò passandogliela e l’osservò molto attentamente mentre la depositava sul comodino. Si sentì nuda per un attimo, erano quasi cinque anni che non la levava.
-Ti giuro che la troverai proprio lì, promesso-
La ragazza gli tirò un ceffone bonario, poi si avviò verso la porta della stanza per vedere chi avesse bussato. Si ritrovò di fronte Kara concentrata a guardare qualcosa sul proprio cellulare.
-Allora siete pro… -sollevò lo sguardo verso l’altra e sgranò gli occhi da dietro gli occhiali- Porca troia! –
Alexis scoppiò a ridere mentre Leopold le raggiungeva porgendole una borsa già riempita con il portafogli e il cellulare.
-Perché lei può venire in pantaloni e scarpette ed io ho dovuto mettere i tacchi? –
-Perché se io mettessi un vestito del genere sembrerei un cotechino ripieno- rispose Kara.
-E perché stasera devi rimorchiare- aggiunse Leopold.
-Ah quello lo ha già fatto te lo assicuro-
L’occhiata profonda che Kara lanciò alle gambe di Alexis non sfuggì né alla diretta interessata né a Leopold.
-Diamine, Kara, un minimo di contegno! –
Il ragazzo le superò fuori dalla porta, attendo che lo seguissero in corridoio. Alexis fu l’ultima a lasciare la stanza, prendendosi un secondo per chiuderla a chiave. Fecero appena qualche passo, ma il cellulare di Alexis squillò facendola fermare ancora. Lo prese mostrando il nome di Regina sullo schermo e allontanandosi di qualche passo per la consueta telefonata serale da parte delle proprie madri. Nell’attesa, Leopold gettò una celere occhiata all’amica trovandola intenta a squadrare la nipote da cima a fondo.
-Vacci piano con lei, Kara- le disse serio.
La ragazza sollevò lo sguardo verso di lui, intuendo la serietà dell’amico.
-Ne ha passate tante, è molto più fragile di quanto sembri-
Stava per rispondergli quando Alexis tornò, pronti per poter finalmente andare. La ragazza aveva un sorriso genuino sulle labbra, come non glielo vedeva da fin troppo tempo.
Si incamminarono a piedi verso il locale, distava a soli dieci minuti dal campus e la serata era piacevole. Per tutto il tragitto, Kara non fece altro che parlare e parlare e parlare, ma almeno era capace di far sorridere entrambi i suoi interlocutori. Non aveva alcun tipo di imbarazzo, qualunque fosse l’argomento. Spaziava tranquillamente dal sesso, ai propri esami, alle amicizie. Era davvero di compagnia.
-Te l’ho detto che hanno preso una cameriera carinissima, Pompato? –
Leopold rise scuotendo il capo, trovava assurdo che Kara fosse così incredibilmente simile ad un uomo su tanti aspetti.
Una volta giunti, Alexis si chiese se all’interni di quel locale fossero presenti tutti gli abitanti di Boston. La folla era davvero tanta e non credeva di aver mai visto tanta gente assieme. Kara fece loro da Cicerone, nonostante a Leopold era palese non occorresse.  
-Benvenuta al Blue, Straniera! –
Alexis rise di quel soprannome, ma ancora una volta riuscì a strapparle una risata.
Il locale era gremito di gente, luci blu sparavano da tutte le parti e circondavano il bancone posizionato centralmente al resto della sala. Fu proprio da quest’ultimo che Alexis fu attratta, come una calamita i suoi piedi la portarono verso di esso. Leopold se ne accorse, seguendola con lo sguardo. Si scusò con Kara per averla interrotta mentre parlava e seguì la nipote. Alexis sembrava sonnambula, camminava senza rendersi conto di cosa le accadesse attorno. Tra le bottiglie, un ragazzo e una ragazza saettavano riempiendo bicchieri e servendo clienti. Fu un attimo che nella propria mente le immagini si sovrapposero.
Lei, il bancone, Laya, i suoi libri e lo studio, la bruna e i suoi cocktail inventati al momento, i baci, gli sguardi. I suoi pozzi oscuri.
Cercò l’arpa, ma non la trovò. In compenso, Leopold era al suo fianco che la chiamava e la scuoteva.
-Lex! –
Si voltò verso di lui come se lo vedesse per la prima volta e si sorprese di se stessa. Non c'era stata nausea, non c’erano state lacrime, lo stomaco non si era attorcigliato. C’era stata malinconia, mancanza, ma il dolore era sopportabile.
-Sto bene, Leo-
Il ragazzo la guardò, cercando di comprendere se fosse una semplice frase di ricorrenza o se fosse la verità. La scrutò affondo e quando vide un sorriso spuntare sulle sue labbra, delicato e nascosto come un fiore appena sbocciato, tirò un sospiro di sollievo. Le carezzò i capelli e le sorrise a sua volta abbracciandola tra le braccia forti.
-Divertiti, ok? Goditi questa serata-
Alexis ricambiò l’abbraccio facendosi cullare per qualche istante, poi si staccò rivolgendogli un enorme sorriso.
-Adocchiato qualcuno? – chiese Kara intromettendosi.
Alexis si voltò a guardarla e in uno slancio la prese per mano portandola a ballare. Kara non se lo fece ripetere due volte, assecondandola e divertendosi con lei sotto l’occhio vigile di Leopold. Ballarono assieme attirando non pochi sguardo e il ragazzo fu costretto diverse volte ad avvicinarsi per fermare qualche ubriaco dalle mani lunghe. Ma vedere Alexis ridere e divertirsi, era qualcosa che gli scaldava il cuore. Si buttò anche lui in pista, trovando in pochi minuti una ragazza con cui ballare.
Kara e Alexis avevano creato immediatamente alchimia, danzando assieme e provocandosi a vicenda.
-Dovresti mettere più spesso vestiti del genere, sei uno schianto- le sussurrò all’orecchio.
Alexis rise mettendole le mani sui fianchi e guardandola con sguardo malizioso continuando ad ancheggiare.
-E dovresti anche smetterla di provocarmi, ho promesso a Leopold che ci sarei andata piano con te-
L’altra la guardò torva, rivolgendo poi un’occhiata bonaria al ragazzo intento a strusciarsi su una ragazza. Scosse il capo, era stato il primo a dirle di riprendere in mano la propria vita, ma continuava a preoccuparsi come un fratello maggiore fin troppo oppressivo. Tornò a guardare Kara, era davvero carina ed era riuscita a riportarle il sorriso sulla faccia. Le strinse maggiormente i fianchi, attirandola a sé. Kara non arrossì, ne parve in imbarazzo. Si avvicinò abbassando il capo verso di lei e la baciò. Premette le labbra sulle sue assaporandone il sapore di menta fresca. Kara non si fece pregare troppo, rispondendo al bacio con enfasi e sollevandosi sulle punte.
Fu strano, strano e diverso. Nella sua vita non aveva baciato nessun altro oltre Laya, ma farlo con Kara fu un ottimo inizio. Si staccò da lei, guardandola negli occhi e leggendole dietro le lenti tutta la voglia di approfondire quel rapporto. Si avvicinò all’orecchio per sussurrarle qualcosa e sovrastare la musica.
-Ero certa sarebbe finita così-
Alexis rise, continuando a ballare. Un ragazzo le si avvicinò alle spalle, poggiandole le mani sulla pancia e carezzandogliela. Si voltò appena verso di lui, quel tanto che bastava per vedere che aspetto avesse. Ma durò davvero poco, sia Kara che Leopold si avvicinarono a loro; Kara guardò in cagnesco il ragazzo che le aveva rubato il giocattolo della serata, Leopold come se volesse ucciderlo. Ancora una volta Alexis rise, non si era mai divertita tanto.
-Leo, non sono più una bambina-
-Vacci piano, qui è un attimo che ti ritrovi in un bagno-
-E non credo sia il caso- aggiunse Kara.
Li trovò estremamente buffi ed ebbe per un solo attimo l’impressione di non aver mai lasciato Storybrooke, di continuare ad essere la principessina della città sulla quale tenere fissi i riflettori. Ma la vita al di fuori della sua magica cittadina era incredibilmente diversa, era piena e sregolata. Non si sarebbe mai immaginata di baciare una persona conosciuta solo quarantotto ore prima e sentirsi così libera. Che quel senso di euforia e di libertà che aveva nel proprio corpo potesse esistere. La sua adolescenza non era mai stata realmente tale, Laya non le permetteva di bere o fumare, non aveva mai marinato la scuola perché qualcuno lo avrebbe riferito alle sua madri, non era entrata di nascosto in un luogo privato o anche solo fatto un viaggio fuori Storybrooke senza avere il fiato sul collo. Aveva passato i suoi anni migliori accanto a Laya e nonostante non se ne fosse mai pentita, si rese conto in quel momento di non aver mai realmente vissuto. Guardò per un secondo Leopold, intento a baciare una ragazza nascosto in un angolo e comprese che avevano bisogno entrambi di dimenticarsi chi fossero, quale fosse il proprio posto e quali obblighi avessero verso la famiglia. Si avvicinò a Kara, prendendola per un polso e trascinandosela dietro.
-Vieni con me-
La ragazza non se lo fece ripetere, seguendola fuori dal locale. Si lasciò guidare da Alexis tenendole strette le dita fino ad un vicolo appena poco distante dal locale. Si fermarono lì e Kara si sentì spingere fino a toccare il muro e dopo pochi attimi baciare. Le labbra di Alexis catturarono le proprie senza troppi preamboli mentre con le mani continuava a cingerle i fianchi. Kara affondò le unghie nelle sue cosce chiare, infischiandosene di lasciarle segni evidenti. L’altra gemette, sospirandole sul collo.
-Vuoi davvero fare sesso in uno squallido vicolo? – le chiese sorridendo e sollevando il capo.
-Non mi sembri una che si fa tanti problemi-
Kara rise sistemandosi gli occhiali, quasi orgogliosa di aver lasciato quell’impressione di sé nei suoi occhi verdi.
-Io no, ma tu si. Hai tanto l’aria di una brava ragazza, tutta sistematina-
Alexis si decise a staccarsi dalla sua pelle e guardarla finalmente negli occhi, un sopracciglio alzato.
-Perché scusa, che aria avrei? –
-Ma ti sei vista? Sembra che tu sia appena uscita dal mondo delle favole, principessa-
Quella frase la colpì più di quanto avesse creduto, come se fosse bastata per riportarla alla realtà con uno strattone. Ma non ne aveva alcuna voglia, almeno per quella sera voleva continuare a vivere fuori dal mondo.
-Chiamami di nuovo a quel modo e ti presento la strega cattiva-
Kara alzò le mani in segno di resa, sorridendole.
-Scusa tanto, Straniera. Piuttosto, pensi di voler parlare ancora tanto? Perché la mia stanza è solo a dieci minuti da qui e la mia coinquilina non c’è-
Sul suo volto, lo sguardo più malizioso che Alexis avesse mai visto. La intrigò e l’eccitò, tanto da prenderla ancora per un polso e trascinarla in direzione del campus.
Corsero assieme ridendo e scherzando, Kara inciampò un paio di volte, fino a destinazione. Una volta lì, non impiegarono poi molto a chiudersi la porta alle spalle e lasciare che i vestiti scivolassero per terra. Quando Alexis si trovò a cavalcioni su Kara, per un solo istante fu certa che il dolore l’avvolgesse da un momento all’atro. Che al prossimo bacio che la ragazza le avrebbe rivolto, alla spinta successiva, quell’enorme crepa che viveva sul proprio cuore si sarebbe allargata così tanto da sgretolarlo definitivamente e che ancora una volta il ricordo ingombrante di Laya avesse fatto di lei ciò che desiderava.
Ma Kara la fece sua, le fece scoprire che esisteva altro se avesse girato l’angolo del proprio dolore e che nonostante tutto quello che avesse passato, era ancora una donna. Kara le mostrò il giusto compromesso tra la vita che l’attendeva e quella che aveva lasciato a casa nascosta sotto il letto. Era stata una perfetta medicina, una benda abbastanza grande da coprire ogni ferita almeno per quella notte.
E dopo anni di insonnia, di nausee improvvise e incubi, Alexis crollò sul materasso in lunghe ore di sonno senza ostacoli.
Ore di quiete senza Laya.
 
Leopold tornò al proprio dormitorio a mattino inoltrato con l’aria assonnata e i capelli in disordine. Aveva perso di vista Alexis e Kara, ma era certo se la sarebbero cavata. Kara era fuori di testa, ma sapeva ancora ritornare alla propria camera. Per cui, si era goduto la propria serata senza troppi pensieri, ma voleva quantomeno accertarsi che la nipote stesse bene. Quindi passò per la camera della ragazza prima di infilarsi sotto la doccia e successivamente nel letto. Bussò contro la porta diverse volte, convinto che dormisse, ma dopo alcuni minuti si rese conto che Alexis non fosse lì. Corse verso la camera di Kara e anche lì bussò con estrema enfasi. Dopo tre o quattro colpi, la ragazza gli aprì la porta stropicciandosi gli occhi e con indosso solo una maglia extra large.
-Sei cretino? – gli chiese con voce roca.
-Dov’è Lex? –
Kara sbadigliò con poca grazia, grattandosi la testa. Poi aprì ancora un po’ la porta mostrando all’amico l’altra ragazza profondamente addormentata nel proprio letto. Leopold sgranò gli occhi, tirando fuori Kara per un polso.
-Ti avevo detto di andarci piano! – sussurrò a denti stretti.
-Ha fatto tutto lei, io mi sono adeguata-
Il ragazzo si passò nervosamente una mano tra i capelli, gettando ancora un’occhiata ad Alexis. Si sorprese di vederla in un sonno pesante e con un sorriso appena accennato sulle labbra. Solo in quel momento sembrò tranquillizzarsi e tornare a respirare normalmente.
-Ora sei più tranquillo, Pompato? –
Leopold le tirò un ceffone su un braccio senza farle male.
-Posso tornare a dormire? È stata una lunghissima notte-
-Ehi, è sempre di mia cugina che parli! – minacciò il ragazzo puntandole un dito.
Kara fece roteare gli occhi e senza degnarlo di un ulteriore sguardo rientrò in camera e chiuse la porta lasciando Leopold sull’uscio. Il ragazzo sorrise, felice che finalmente Alexis avesse ripreso in mano la propria vita.
Forse, si sarebbe definitivamente staccato dal suo doloroso passato.

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Capitolo 17
*** 17 ***


Mi dispiace, sul serio. Purtroppo sta cominciando ad essere complicato scrivere e l'ispirazione spesso scarseggia. Comunque, se i miei conti sono esatti, siamo a -4 dalla fine. Spero che questa parentesi Kara non vi abbia annoiato, è stata creata per alleggerire un po' la tensione della condizione di Alexis. Con questo capitolo, torniamo all'ovile per così dire.
Spero vi piaccia, nel caso due parole sono gradite.
A presto, spero.
NbM




TRE ANNI E DUE MESI DOPO IL RITORNO
 Alexis non avrebbe mai creduto che studiare in biblioteca si sarebbe trasformato in un qualcosa di tanto appagante. Ricordava perfettamente i pomeriggi a consumarsi gli occhi tra gli scaffali di Belle, ma mai aveva studiato in quel luogo qualcosa di diverso dalla magia. Eppure, il silenzio di quelle mura traboccanti di libri normali, era un qualcosa che la faceva sentire una semplice universitaria. Di fronte a lei, Leopold giocherellava con una matita mentre leggeva attentamente il testo sotto ai propri occhi. Il ragazzo si accorse di essere osservato e quando alzò lo sguardo andò a sbattere contro gli occhi verdi della nipote.
Dal suo punto di vista, Alexis era rinata. Aveva di nuovo quella luce negli occhi che l’aveva sempre contraddistinta, il suo solito sorriso allegro e soprattutto la voglia di vivere. Certo, l’arpa batteva ancora contro il proprio stomaco ad ogni passo, ma poteva ancora concederglielo. Le sorrise di rimando e proprio mentre stava per tornare a concentrarsi circa la complessa politica atenese, il cellulare della ragazza si illuminò notificando un messaggio. Alexis si sporse appena per leggerlo e sospirò divertita prima di prendere l’apparecchio tra le mani e mostrarlo a Leopold.
-Che faccio, mi preoccupo? – gli bisbigliò.
Lui lesse corrugando le sopracciglia. Si trattava di un messaggio di Kara che la invitava a correre fuori l’edificio per una sorpresa. Si trattenne dallo scoppiare a ridere, Kara e sorpresa nella stessa frase potevano essere un connubio artefice di uno sterminio.
-Non è colpa mia se hai deciso di frequentare una pazza, io ti avevo avvisato-
Alexis lasciò roteare gli occhi ripetendo allo zio per la millesima volta la stessa frase.
-Io e Kara non ci frequentiamo. Siamo solo amiche-
-Amiche molto, molto intime- specificò Leopold.
La ragazza sbuffò per poi mettersi a raggruppare le proprie cose gettandole a casaccio nello zaino e avviarsi verso l’uscita. Con la coda dell’occhio vide Leopold seguirla sghignazzando.
Spiegare il rapporto che aveva con Kara era complesso, ma nessuna delle due aveva mai realmente richiesto un’etichetta o fare un passo successivo. Stavano bene in quella situazione di meravigliosa stasi in cui facevano sesso quando ne avevano voglia e studiavano insieme prima di qualche esame. Kara era stata un disinfettante inaspettato, piazzandosi nella propria vita con prepotenza, ma senza mai bruciare i bordi delle ferite aperte. Con lei era riuscita a parlare di qualsiasi cosa, ad aprirsi come non era mai riuscita a fare con nessuno, nemmeno con Gideon. Persino parlare di Laya era stato più facile, meno doloroso del previsto. Aveva finito per raccontarle ogni singolo dettaglio di lei, del modo in cui l’esasperava, di come l’avesse stregata e di tutto ciò che avevano passato assieme. Aveva per forze di cose mutato diversi episodi, come la sua scomparsa. Si era limitata a dire che Laya era andata via. Non avrebbe immaginato che Kara sarebbe stata una buona ascoltatrice, eppure la ragazza sapeva dosare alla perfezione momenti di serietà a quelli di ilarità. Con lei stava bene, con lei non era Alexis Swan-Mills, principessa di Storybrooke e di qualche reame andato perso, ma solo Alexis, ragazza di ventitré anni proveniente da un piccolo paesino del Maine.
Una volta fuori la biblioteca, trovò Kara seduta su una Vespa la quale aveva di certo visto giorni migliori, di un viola brillante orribile e il sellino marrone. Ma sul viso della ragazza c’era un sorriso tanto grande e luminoso, da fermare tutte le imprecazioni di Alexis.
-Che spettacolo, vero! –
I due ragazzi non seppero cosa rispondere perché le uniche parole che avrebbero potuto utilizzare, sarebbero state non esattamente carine.
-Quale diamine è il mio problema con le ragazze e i catorci? – domandò sarcastica al ragazzo.
Leopold alzò le spalle divertito ridendo di fronte al viso sconsolato della nipote.
-Dai andiamo a fare un giro! –
Kara corse verso i due, ma la sua attenzione era dedicata unicamente ad Alexis. La prese per un polso trascinandosela dietro fino al proprio giocattolo nuovo.
-Sei sicura che possa circolare questo scassone? –
-Non ti azzardare ad offendere la mia Vespa! –
Vedere Kara puntare un dito contro l’enorme petto di Leopold era come una bambina che se la prendeva con una montagna. Si alzò sulle punte per sembrare più minacciosa, ma proprio non le era possibile.
-Posso sapere perché hai comprato un motorino? – le domandò gentilmente Alexis.
-Vespa- precisò Kara -È un regalo di Caty, per celebrare le nostre origini italiane- rispose impettendosi.
-Kara il tuo trisavolo era forse italiano- la prese in giro Leopold.
La ragazza gonfiò le guance così tanto da far sollevare gli occhiali dal naso, al punto che persino Alexis scoppiò a ridere come una matta.
-Ti ci metti anche tu, Straniera? –
-Scusa- borbottò, ma senza smettere di ridere.
-Sali! Ora! – le intimò porgendole un casco.
E questa volta Alexis non se lo fece ripetere due volte, infilando il casco e salendo in sella e quella melenzana con le ruote.
-Attenta che non arrivi con i piedi per terra, squilibrata- continuò a prenderla in giro Leopold.
Ma Kara non lo stette a sentire, partendo con fin troppo sprint e obbligando l’altra a reggersi ai suoi fianchi morbidi. Si strinse a lei ridendo, quello era proprio il genere di pazzie alla Kara, eppure era tanto speciale anche per quello. Non le chiese quale fosse la meta, non le importava. In quel momento, su una Vespa vecchia quanto il mondo stretta a Kara si sentiva bene. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dal vento sulla faccia, dalla perenne sensazione di libertà che la vicinanza di Kara le riservava.
Si fermarono poco fuori città, in una zona di periferia. Kara spense il motore di fronte un parco alla fine di una strada piena di adorabili villette a schiera.
-Dove siamo? –
-In questo parco ci sono cresciuta-spiegò Kara- e avevo piacere di fartelo vedere-
La prese per mano accompagnandola all’interno e raccontandole di quella volta in cui era caduta da un albero, o di quando aveva cercato in ogni modo di trovare una tana di lucertole o ancora della sera in cui aveva fatto impazzire sua sorella Caty perché si era nascosta nella casetta del parco giochi. Tutto quello che Kara le raccontò, non la sorprese minimamente. Lei era energia, energia allo stato primordiale racchiuso in una ragazza troppo bassa. Stava per raccontarle di quando da bambina anche lei si era fatta chiudere nella libreria con Gideon, ma una ragazza richiamò l’attenzione della propria interlocutrice. Si voltarono entrambe e quando Kara riconobbe la persona che si sbracciava per farsi riconoscere, un enorme sorriso si sciolse sul suo volto.
-Ciao, Kara! Che ci fai da queste parti? –
Le due si abbracciarono come vecchie conoscenti, integrando anche Alexis solo dopo qualche attimo.
-Straniera, ti presento Stella. La mia ex ragazza-
All’appellativo usato da Kara, Alexis si fece attenta. Le due parlarono e scherzarono tra di loro e la bionda non riusciva a scacciare quell’assurda sensazione di fastidio allo stomaco. Si prese solo qualche secondo per decifrare i segnali del proprio corpo, perché lei sapeva benissimo di cosa si trattasse. L’aveva già provato, ogni qual volta qualcuno flirtava con Laya durante i suoi turni al Rabbit Hole. Non prestò attenzione a ciò che si dissero, piuttosto studiò Kara come se non l’avesse mai vista prima. Quando finalmente Stella si congedò, Alexis si ritrovò a rilasciare il fiato trattenuto fino a quel momento.
-Tutto ok? –
Kara si accorse di quel cambiamento repentino da parte della ragazza.
-Ti va di uscire con me, Kara? –
L’altra la guardò sorpresa, battendo più volte gli occhi da dietro le lenti.
-Usciamo già tutti i giorni- rispose confusa.
Alexis si passò una mano tra i capelli, esasperata. Era la prima volta che si ritrovava in quel genere di situazione, era stata a Laya a chiederle di uscire e lei si era limitata ad accettare. Ma in quel momento, si rese conto di quanto fosse complicato.
-Uscire davvero. Cioè… un appuntamento-
Kara tentò di non sorridere, ma per la prima volta in presenza di Alexis arrossì.
-Che c’è, la presenza di Stella ti ha spinta a marcare il territorio? –
Alexis sgranò gli occhi e la bocca, pronta per replicare. Ma il suo cellulare prese a squillare facendola sobbalzare. Lesse il nome sullo schermo e si sorprese a leggere quello di Regina. Si scusò con Kara, che la presa in giro definendola una mammona, e rispose.
-Mamma? –
-Alexis, sei da sola? –
La ragazza sentì il cuore schizzarle in petto. La voce di Regina era ferma e tesa, per di più non l’avrebbe mai chiamata a quell’ora del pomeriggio se non fosse qualcosa di importante.
-No. Aspetta-
Alzò un dito per far comprendere a Kara che aveva bisogno di allontanarsi e la ragazza glielo lesse negli occhi che qualcosa non andava.
-Mamma che succede? –
-Tesoro, devi tornare a casa-
-Mamma state bene? Che diavolo succede? –
-Torna a casa, è meglio. Teletrasportati qui quanto prima-
Quell’ultima frase, quella sola singola frase, fece comprendere ad Alexis che qualsiasi cosa ci fosse a casa sua, fosse davvero grave. Regina non le avrebbe mai detto di usare la magia. Tornò verso Kara provando a spiegarle che doveva andar via subito, non seppe se riuscì ad inventare una qualche scusa, ma corse via lasciandola lì in quel parco e trovando un posto isolato in cui usare la magia. Si infilò in un vicolo e solo quando fu certa di esser lontana da occhi indiscreti, ruotò il polso e si teletrasportò a casa.
 
-Mamme! –
La telefonata di Regina l’aveva terrorizzata, sua madre non le avrebbe mai permesso di utilizzare la magia a quel modo se non fosse stato per qualcosa di veramente importante. Si era materializzata all’ingresso di casa chiamando a gran voce la sua famiglia, eppure tutto taceva. Non avvertiva pericoli, grida o rumori che avrebbero ricondotto ad una lotta. 
-Alexis-
Regina le andò incontro dalla cucina, sul suo viso un’espressione preoccupata.
-Mamma che è successo? State bene? Dov’è Emma? –
-Respira, tesoro. Stiamo tutti bene-
La donna le prese il viso tra le mani cercando di regalarle un sorriso rincuorante, poteva vedere nei suoi occhi quanto fosse spaventata per quella chiamata improvvisa. La vide guardarla confusa, non poteva sapere quanto fosse difficile darle quella notizia.
-Voglio che ti calmi e che ti rilassi, ok? –
-Mamma che sta succedendo? –
Il cuore le batteva forte nel petto, tutta la sua concentrazione era incanalata nel palmo della mano destra, pronta a generare una palla di fuoco qualora fosse stato necessario. Poi alzò lo sguardo verso la persona che le stava raggiungendo e provò cosa significasse sentire il cuore smettere di battere senza alcun preavviso. La gola le si strinse, incapace di lasciar passare aria e parole. Gli occhi le si riempirono di lacrime senza darle alcuna possibilità di evitarlo. Regina si accorse in un attimo del suo cambiamento repentino, ma non le servì voltarsi per comprenderlo.
-Laya- balbettò appena la ragazza.
-Ciao, Lex-
Si concesse diverso tempo per esaminarla da lontano, aveva sognato troppe volte quell’incontro e troppe volte le era corsa incontro per poi stringere il nulla. Ma c’erano le sue labbra, le sue mani, la sua pelle abbronzata, il suo naso imperfetto, i suoi occhi. Neri e carichi come lo erano sempre stati da quando si erano conosciute, belli, immensi e capaci di farla affogare nel petrolio. Cadde al loro interno senza nemmeno accennare un vago tentativo di salvataggio, voleva sprofondare anche solo per esser certa che lei fosse lì. Sua madre le mise una mano sulla spalla chiamando il suo nome, ma non riuscì a sentirla. Nella sua mente non c’era altro che quel nero opprimente. Le gambe si mossero da sole, compiendo piccoli passi verso di lei e sperando di non toccare solo aria. Le sembrava così distante, eppure era solo a qualche metro. Tentò in ogni modo di comandare ai propri arti di sbrigarsi a portarla da lei, ma questi non l’ascoltavano allungando la sua tortura. 
Giunta alla meta, Laya non sparì.
Laya era realmente lì e la stringeva. Le braccia erano attorno alla sua schiena, poteva sentirne il calore e l’intensità. Nascose il volto nel suo collo respirando l’odore che le era così tanto mancato, quel profumo che aveva cercato di ritrovare sui suoi capi o nella sua stanza, quando Phoebus non poteva vederla. Lo stesso che ora le violentava le narici e che permetteva al suo corpo di urlare che era vero, Laya era proprio lì avanti a lei. Si concesse di dar libero sfogo alle lacrime, ai singhiozzi e ai brividi che aveva gelosamente custodito aspettando quel momento. Perché per quanto la sua razionalità le imponeva la ormai collaudata assenza di Laya, il suo cuore non aveva mai smesso di credere che prima o poi sarebbe tornata a casa. Sarebbe tornata da lei.
-Lex, smettila di piangere- 
Le aveva parlato all’orecchio, sussurrando appena quelle parole. Non poteva pretendere di più da sé stessa, ogni sua fibra esigeva solo il contatto con l’altra nonostante i suoi sentimenti contrastanti. La prese per le spalle, obbligandola a staccarsi da sé per guardarla negli occhi. Brillavano di lacrime e di felicità.
-Perché non ci sediamo? – 
Era necessario parlare, troppe domande ronzavano nella mente di entrambe e attendevano da troppo tempo di ricevere una risposta. Emma e Regina le avevano lasciate sole, consce che le due avevano bisogno di un po’ di spazio.
Laya era strana, se ne accorgeva solo in quel momento che stava tonando a respirare. Nel suo sguardo era cambiato qualcosa, i suoi occhi non erano più luminosi come solo pochi attimi prima. Si era accomodata distante da lei, le mani poggiate sulle ginocchia e le labbra ridotte ad una linea sottile. I muscoli del corpo tesi, non lasciavano presagire nulla di positivo. Alexis poté notare solo in quel momento l’arpa che pendeva al suo collo. D’istinto strinse la sua e allungò una mano per sfiorare l’altra.
-Hai incontrato Henry- 
Un sorriso malinconico nacque sul suo viso. Il ragazzino le mancava, ci si era affezionata nonostante tutto.
-Si, è venuto a cercarmi poco dopo che la maledizione si è spezzata-
“Bravo, nanerottolo”
Stava per risponderle, ma quando incontrò il suo sguardo non ebbe la forza di fare nulla. Sul suo viso, una maschera di rabbia e delusione aveva preso il posto della gioia di poco prima. Proprio come nei suoi incubi. Allungò ancora le dita verso di lei, ma Laya alzò una mano per fermarla.
-Perché è stato quel bambino a darmela, Lex? –
La minore corrugò le sopracciglia, non comprendendo quel nuovo atteggiamento.
-Io ho dovuto… -
-Andar via? – la interruppe l’altra- Lo so, me ne sono accorta quando ho dovuto sovrapporre Hannah a me stessa-
Alexis continuava a fissarla non riuscendo a seguire cosa le ronzasse in testa.
-Lay, cosa stai dicendo? –
-Sto dicendo che mi sono risvegliata e tu non c’eri! Quando ho avuto bisogno di te, ero sola, Alexis! –
Laya era scattata in piedi, i pugni chiusi lungo i fianchi e le gote rosse per la rabbia. Nella mente ancora nitida quell’orribile sensazione di smarrimento provata non appena la maledizione era stata spezzata. Si era ritrovata a fare i conti con una vita che non le apparteneva e che le era stata imposta, una vita dove Alexis non era stata altro che una comparsa amichevole. Aveva cercato la ragazza per tutta Storybrooke, pregando che il ricordo della sua partenza non fosse veritiero. Poi aveva incontrato Henry, e d’un tratto era stato tutto chiaro. 
-Avevo fatto un casino, non potevo restare. Ho provato a tornare da te innumerevoli volti, ma non ci sono mai più riuscita-
Si alzò anche lei, cercando di afferrare le mani di Laya invano.
-E quanto ci hai provato? Sei rimasta solo tre mesi e non ti sei più fatta vedere. Avevi giurato di ritrovarmi ed io ti ho aspettata per più di un anno prima di riuscire a tornare, ma tu non sei mai venuta-
-Io ti ho aspettata per più di quattro anni, Laya! Quattro anni in cui ti ho riavuta con me solo per qualche minuto! –
Lacrime calde e dolorose scesero sulle guance della minore andando ad imprimersi negli occhi sgranati dell’altra. Emma e Regina erano accorse, pronte a sostenere la figlia qualora avesse avuto bisogno di loro.
-Cosa? Non è possibile-
-Sei sparita quattro anni fa, Laya. Ho tentato in ogni modo possibile di raggiungerti, ma ci sono riuscita solo dopo sei mesi. Quando sono arrivata, ho conosciuto Hannah-
Laya ancora non poteva credere alle sue parole, come poteva essere passato tutto quel tempo senza che lei se ne accorgesse? Come poteva accettarlo sapendo ciò che aveva lasciato nell’altra Storybrooke? Guardò Regina, in attesa di risposte. Era l’unica che poteva fornirgliele, dopotutto era il suo sortilegio.
-Alexis, hai detto che Emma è andata via da Storybrooke. Ed è per questo che sei dovuta tornare, giusto? –
La figlia annuì. La donna guardò l’altra ragazza, in attesa che anche lei confermasse la versione dei fatti. Solo dopo l’assenso di Laya, riprese la sua spiegazione.
-È possibile che lasciando la città… -
-Il tempo abbia smesso di scorrere di nuovo- concluse Emma.
Le quattro si guardarono, ognuna crucciata per un qualche personale motivo. La prima a riprendere la parola, fu Laya.
-Tu… mi hai cercata per tutto questo tempo? –
Il suo sguardo mutò ancora, il cuore prese a batterle furiosamente nel petto. Sarebbe stato più semplice se l’avesse dimenticata, sarebbe stato meno doloroso per entrambe.
-Ho smesso… circa otto mesi fa. Non ce la facevo più, mi stava uccidendo e…- le sue parole furono rotte da nuove lacrime.
-Dio, Lex, non devi giustificarti- 
Laya passò più volte le mani sul volto, sconvolta da quell’informazione. Era sempre stata certa che Alexis non avesse mai smesso di cercarla, ma il non aver mai avuto alcun tipo di segno l’aveva segnata profondamente. In quel momento, si rese conto che l’avrebbe devastata con le parole che sapeva doverle dire.
-Adesso non ha più importanza, sei tornata. Non me ne importa quanto a lungo sei stata via, ora sei qui! –
Quelle gemme verdi, cariche di speranza e felicità, le laceravano l’anima più di qualsiasi altra cosa avesse fatto prima di quel momento. Sapeva che l’avrebbe distrutta, sapeva le avrebbe spezzato il cuore più di quanto non avesse già fatto. Si allontanò di qualche passo da lei, dandole le spalle. Provò a respirare ma i polmoni sembravano punirla per il male che stava per infliggere. 
-Lay, che c’è? –
Tornò a guardarla e per un solo attimo vide la dolce e ingenua sedicenne che le aveva stregato il cuore. Alle spalle le sue madri la fissavano interrogative e accigliate.
-Io non resterò, Lex-
Le sembrò quasi di sentirlo il suo cuore scricchiolare sotto i colpi delle sue parole. Vide nitidamente la speranza scivolare via dai sui occhi, incupendoli. 
-Cosa? –
Fu un sussurro, un suono fioco e debole come un fruscio di vento.
-È meglio se ti siedi-
Allungò le mani verso di lei, tentando di portarla nuovamente verso il divano, ma ricevette in risposta solo un brusco allontanamento.
-Non dirmi cosa fare, Laya! Spiegami! –
Le era impossibile spiegarsi quello scatto, non poteva sapere quante volte in quei quattro anni le era stato detto cosa fare e cosa non fare, come comportarsi, cosa provare. Non poteva sapere quanto a fondo fosse caduta nel baratro e quanto ci avesse impiegato per risalirne anche solo in parte.
Implorò con lo sguardo la collaborazione di Emma e Regina. Quest’ultima comprese, invitando la moglie e la figlia a sedere accanto a lei. Laya prese un profondo respiro prima di cominciare a parlare.
-Quando sei tornata a casa, Hannah ha ripreso la sua vita di tutti i giorni. Non so quanto tempo sia passato dalla tua partenza a questo punto, ma lei… -
Si fermò ancora, le corde vocali si erano aggrovigliate impedendole di completare il discorso. Il viso dell’altra era una maschera di cera, inespressiva e corrosa da nuove lacrime. Laya infilò una mano nella tasca dei pantaloni prendendo qualcosa.
-Ha sposato Jonas- disse tutto d’un fiato mostrando una fede nuziale.
Alexis rimase immobile, incapace di emettere anche un semplice fiato. Il battito si fermò ancora una volta, ma nel petto si allargò un dolore enorme. Quel dolore che aveva imparato a riconoscere e a sopportare, quel dolore che rappresentava un'altra crepa sul cuore. Quel dolore che sapeva di Laya.
-Tu hai…- 
Non riusciva a pronunciarle quelle parole, le sembravano fin troppo inverosimili. Un peso enorme premeva sulle spalle, impedendole di scattare in piedi. Avrebbe voluto urlare, sbraitare e dare di matto, ma il suo corpo si era paralizzato a tal punto da non comprendere se stesse ancora respirando o meno. Leggeva sul volto dell’altra la profonda consapevolezza di sapere quanto quelle parole pesassero su entrambe. Boccheggiava, sperando di sentir venir fuori dalle sua labbra un qualsiasi suono riconducibile a frasi di senso compiuto. Regina le strinse una mano ed Emma le cinse le spalle, ma sembrava non accorgersene.
Laya tremava, non aveva mai visto Alexis tanto sconvolta in tutta la sua vita. Diverse volte, durante la comparsa di Odette e Frollo, la ragazza aveva mostrato le sue debolezze e le sue paure, ma mai quella maschera di dolore si era impossessata del suo viso. Avrebbe voluto restarsene zitta, ma Alexis doveva sapere. Era un suo diritto e per quanto ad ogni parola una lama si conficcava nelle loro carni, si obbligò a continuare. 
-Non è tutto-
-Che altro, Laya- 
Il tono della minore risultò completamente atono, come se provenisse da un corpo privo di vita. Non aveva la forza di guardarla, quell’ultimo brandello di razionalità che le era rimasto, sapeva sarebbe morto se avesse incontrato i suoi occhi. Ma questo Laya non poteva immaginarlo, interpretando il suo sguardo basso come un chiaro segno di distaccamento. 
-Lex...-
-Non chiamarmi così. Non voglio sentirlo dalle tue labbra, adesso- ringhiò a bassa voce.
Laya si passò le mani tra i capelli, stava provando con tutta sé stessa a non scoppiare in lacrime avanti a lei. Quello fu un colpo doloroso, era solo un diminutivo, ma sapeva il valore che aveva per lei. Si obbligò ad ingoiare un groppo di saliva, tentando in ogni modo di ritrovare il coraggio di parlare ancora. 
-Io...-
-Che cosa, Laya! Cosa diavolo c’è ancora? Mi dirai che sei incinta adesso? -
Alexis era scattata in piedi mostrando una rabbia rimasta dormiente fino a quel momento. Le parole le avevano graffiato la gola con forza lasciandola in fiamme. Alzò lo sguardo furente verso l’altra e se ne pentì all’istante. Laya era pallida, la sua espressione sconvolta e terrorizzata. 
-Stai scherzando, vero? -
Dall’altra parte vigeva un assordante silenzio colpevole.
-RISPONDIMI, LAYA! -
Le pareti di casa Swan-Mills tremarono, alcune finestre andarono in frantumi. Regina fu in un attimo al fianco della figlia cingendole le spalle e intimandola al controllo, Emma lanciò uno sguardo affilato all’altra ragazza consigliandole di rispondere prima di incappare in seri guai. Laya abbassò lo sguardo, si morse un labbro prima di mettere in moto le corde vocali. 
-Ho una bambina di un anno- sussurrò.
Il gelo calò nella stanza avvolgendo tutti i presenti. Laya coprì la faccia con le mani, tentando di nascondere la vergogna che provava. Emma rimase immobile, incredula. Si era affezionata a quella ragazza, adorava come rendesse felice sua figlia e la luce che quest’ultima aveva avuto negli occhi quando era in sua compagnia. Eppure era stata capace di ucciderla troppe volte in quegli anni. Si voltò a guardarla, sbiancando di fronte allo sguardo distrutto della sua bambina. La vide provare a respirare senza riuscirci, a parlare tenendosi aggrappata alle braccia di Regina. Poi corse via, diretta vero il bagno e seguita da sua moglie. 
-Lex- sussurrò Laya muovendo qualche passo verso di lei.
La donna le si parò avanti, alzando una mano all’altezza del petto per impedirle di proseguire.
-Ferma. Hai sganciato una bella bomba, ora dalle tempo-
-Io non ho tempo! Ti prego, Emma, devo parlarle-
Era conscia di averla ferita profondamente e che probabilmente ci avrebbe impiegato mesi a riprendersi, ma aveva bisogno di lei e di darle delle spiegazioni. 
-Adesso devi andartene e lasciare che mia figlia metabolizzi-
-Emma per favore...-
-Fuori da casa mia, Agnès! -
Laya strinse i denti, ma non controbatté ulteriormente. Prese la sua giacca e lasciò l’abitazione. 
Solo quando fu certa che la bruna fosse andata via, Emma corse dalla sua famiglia. Sua figlia era piegata in due sulla tazza del water, vomitando dolore e lacrime. Regina, al suo fianco, le teneva i capelli e le massaggiava la schiena. I suoi occhi erano umidi e il viso contratto per sforzarsi a non cedere alle ferite di Alexis. L’arpa batteva contro la ceramica della tazza, scandendo in qualche modo, la sofferenza della ragazza. Quando fu certa che non aveva null’altro da buttar fuori, si lasciò cadere in terra, esausta. Regina le era accanto, cercando di placare le sue lacrime.
-Non è possibile, mamma! Non può avermi fatto questo-
-Tesoro, adesso calmati-
-Io l’ho cercata per tutto questo tempo, mentre lei si è sposata e ha costruito una famiglia, capisci? Io sono rimasta qui a piangere ogni notte per un suo ritorno concedendomi solo un briciolo di tregua-
Alexis non sapeva per cosa essere più incredula, se per il fatto che solo poco prima stava chiedendo a Kara di uscire di lei o tutto quello che Laya le aveva gettato addosso.
Regina strinse forte la sua bambina, lasciando che si sfogasse sulla sua spalla e sulla sua pelle. Anche le sue guance si inumidirono, incapace di controllarsi ancora per molto. Alzò per un solo attimo lo sguardo su sua moglie, lieta di trovarla di fronte a sé e che le loro divergenze si fossero appianate del tutto, ormai. Bastò quello a spingere Emma a chinarsi sulla sua famiglia e stringerla forte tra le sue braccia. Avrebbe fatto di tutto per proteggerle e se questo significava allontanare per sempre il vero amore di sua figlia, lo avrebbe fatto senza remore. 
 
Laya era rimasta diversi minuti fuori il viale del numero 108 di Mufflin Street, sperando di veder correre la sua ragazza verso di lei. 
Sua.
Poteva ancora definirla così? Era sposata, aveva una bambina, eppure non riusciva a non pensare a lei. Quando l’aveva vista, nel portico di casa sua, le si era fermato il cuore. Era cresciuta così tanto, nei suoi occhi aveva visto una maturità tutta nuova mista a troppa sofferenza e lei ne era stata la causa. Alexis era diversa, aveva lasciato una ragazzina di diciannove e si ritrovava di fronte una donna di ventitré. Era sempre bellissima e la nuova maturità che aveva sviluppato le donava alla perfezione. Rivederla le aveva fatto male, più di quanto si sarebbe aspettata. I suoi occhi, tanto verdi quanto pieni di lacrime, le avevano bruciato il cuore conficcandoci all’interno una lama di fuoco. Quando aveva sentito la sua voce chiamare le sue madri, un vuoto allo stomaco aveva preso possesso di tutto il suo corpo, imponendole in un solo attimo, tutta la mancanza che aveva provato in quel periodo lontana da lei. Non poteva nemmeno immaginare cosa avesse passato in quei quattro anni. Ricordava così bene il disgusto che aveva provata Hannah quando l’aveva baciata, quanto l’avesse ferita con le sue parole. E lei avrebbe solo voluto urlarle di tacere, che quella ragazza era il suo vero amore, l’unica cosa che era riuscita ad insinuarsi così tanto in lei da mutarla nel profondo. Ma non poteva fare nulla, non era altro che il ricordo di una persona che non c’era più. Quando la maledizione si era spezzata, Alexis era stata la prima persona che avrebbe voluto stringere e che avrebbe voluto vedere. Invece aveva trovato Jonas, o meglio Albert, e una gravidanza al settimo mese. Si era ritrovata in casa con un perfetto sconosciuto che era il padre di sua figlia, e con il cuore diviso in due. Hannah amava profondamente Jonas, lo amava in un modo così puro e sincero da farla sentire in colpa. Aveva parlato a lungo con lui, lasciando che Laya conoscesse Albert e viceversa e scoprendo di essere persone completamente diverse da quelle che si erano innamorate e sposate. Eppure c’era la bambina a cui pensare e per quanto i suoi genitori fossero due impostori, lei non aveva colpa di nulla. Lei meritava tutto l’amore che avrebbe potuto darle ed era stato questo ad impedire a Laya di rubare il primo fagiolo e tornare da Alexis. Non avrebbe lasciato che sua figlia vivesse in una famiglia a metà, non avrebbe replicato gli errori di sua madre. La piccola non sarebbe cresciuta da sola continuando a chiedersi quale colpa avesse commesso per essere abbandonata senza alcuna spiegazione da uno dei suoi genitori. Per cui aveva atteso che nascesse e fosse abbastanza grande da poter vivere qualche giorno senza di lei. Albert era un padre meraviglioso e i suoi genitori adoravano la loro nipotina, persino Laurel e Malcom si erano affezionati a lei e alla piccola. Non avrebbe sottratto tutto ciò a sua figlia per il proprio egoismo, nemmeno se dall’altra parte c’era Alexis.
Era stata dura resistere alle tentazioni, specie quando il giovane Henry Mills l’aveva trovata. Le aveva dato l’arpa e un biglietto, spiegandole che era tutto ciò che Alexis aveva potuto lasciarle. Il ragazzino le aveva raccontato ogni cosa da quando aveva conosciuto l’altra ragazza a quando era andata via, ogni più piccolo dettaglio. Qualcosa lo ricordava anche lei, momenti che aveva passato nelle vesti di Hannah e che ora risultavano dolorosi. Ricordava come le avesse parlato di quella ragazza che le aveva rubato il cuore, e delle sensazioni futili provate dall’altra sé stessa. Quella che non aveva compreso una sola parola di quanto riferitole da Alexis e tantomeno i suoi gesti e i suoi comportamenti. Henry raccontò di quanto fosse disperata prima di obbligarsi ad infilarsi nel portale per la sua Storybrooke e di quanto anche lui si era sentito triste ed inutile. Dopo il loro incontro, era tornata a casa sua, quella che aveva comprato con Jonas, e aveva pianto tutta la notte. Non aveva mai versato tante lacrime in vita sua. Quando i singhiozzi le lasciavano spazio per altro, tornava a legger quelle poche righe lasciatole da Alexis fino ad impararle a memoria. Anche in quel momento, mentre camminava per le strade della sua città, le ricordava come se le avesse avanti gli occhi in quel preciso momento.
Laya, se stai leggendo queste parole significa che la maledizione si è spezzata. Perdonami, non sono riuscita a fare un bel nulla se non incasinare ancora di più le cose. Mi dispiace amore, sono costretta ad andar via e a lasciarti qui. Ma ti giuro che ti ritroverò, la mia famiglia si ritrova sempre e tu ne fai parte.
Ti amo, Lay, ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Aspettami,
Lex”
Ricordava perfettamente dove fossero cadute la lacrime di Alexis e dove le sue, ogni macchia impressa sul foglio e ogni piega che aveva assunto la carta dopo le innumerevoli volte che l’aveva maneggiata. Ricordava dove l’orribile scrittura di Alexis tremava e il calco fosse più profondo. Aveva sfiorato con le dita mille volte i loro nomi e i due “ti amo” presenti nel biglietto.
Non era a quel modo che aveva immaginato il loro incontro, non con quella rabbia e quel dolore. Nei suoi sogni, avrebbe semplicemente stretto Alexis a sé e l’avrebbe baciata a lungo. Sarebbe andata con lei a prendere le sue ciambelle preferite e poi si sarebbero rifugiate nel bosco, dove erano solite passare i loro pomeriggi. La routine con lei le mancava da morire, anche litigare per sciocchezze come era capitato per Liam Jones Jr, per la sua ossessione di volerla immortalare in una fotografia o la repulsione per il cellulare. Aveva accettato ancor prima di partire l’idea di arrivare a Storybrooke solo per ucciderla, era preparata a cosa sarebbe accaduto e sapeva che sarebbe andata via lasciandola a terra e piena di ferite. Continuava a sperare che Alexis la odiasse, che la smettesse di guardarla con quell’espressione così dannatamente innamorata. Quando le aveva riferito che la sua concezione del tempo passato era errata, una parte di lei aveva pregato affinché la distruggesse dicendole che no, non aveva continuato a pensare a lei e non attendeva ancora invano un suo ritorno. Che Alexis fosse andata avanti nella propria vita e che avesse trovato una persona capace di darle tutto ciò che lei le aveva strappato. Ma la sola immaginazione di lei tra le braccia di qualcuno al di fuori di sé stessa, le dava il voltastomaco. Aveva tentato infinite volte di ripetersi che ciò che aveva fatto era sbagliato, che sarebbe stato un errore ripiombare nella sua vita come un fulmine a ciel sereno e poi lasciarla sotto un temporale. Ma il bisogno di rivederla, di dirle che stava bene e che non aveva smesso di amarla nemmeno quando era stata sconfitta da Hannah, aveva avuto la meglio su ogni altro pensiero razionale. Eppure avrebbero dovuto dimenticarsi, avrebbero dovuto fingere di aver scelto di rinunciare a quella loro meravigliosa vita insieme. Avrebbero dovuto dimenticare la sintonia, l’affinità, i baci, le carezze, le risate, il sesso. Forse ci sarebbero riuscite prima o poi, forse sarebbero arrivate a quel punto in cui pensare l’una all’altra non era impossibile. Avrebbero trovato quella monotonia dove ignorarsi era solo difficile e non una pugnalata al cuore. Ma la realtà era che Alexis per lei sarebbe sempre stata l’unica e l’ultimo vero amore che avrebbe provato. 
Sentì le lacrime rigarle le guance mentre bussava alla porta di casa sua dopo quattro anni di assenza. Quando questa si aprì e Fleur-de-Lys incontrò il suo sguardo, si portò le mani alla bocca riuscendo solo a sussurrare il suo nome prima di gettarle le braccia al collo e stringerla forte. Nonostante non ci fosse alcun legame genetico, Laya era sua figlia.
-Ma come… che… -
-È una lunga storia, Fleur. Dov’è papà? –
La donna corse al telefono componendo il numero di Phoebus e attendo con ansia che questo rispondesse. Non riuscì a parlare molto, si limitò a ripetere più volte il nome della ragazza e che era a casa. Poi nulla più ed entrambe compresero che l’uomo stava corredo da loro. Si riavvicinò a Laya, tenendole il volto tra le mani ed esaminandolo.
-Sei proprio tu? -
-Si, sono io-
Si abbracciarono ancora, incredule.
-Tuo padre impazzirà di felicità-
Provò ad immaginare il suo volto quando gli avrebbe detto che era diventato nonno di una meravigliosa bambina. Non voleva dirlo ancora nemmeno a Fleur, volava che apprendessero insieme la notizia e ammirare le loro reazioni. La donna non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, immensamente felice di rivedere finalmente la ragazza a casa. Le chiese se fosse già passata a salutare Alexis, nei suoi occhi la gioia di chi era all’oscuro del dolore che aveva già causato. Laya si limitò ad abbassare il capo, rivelando che c’era stata una brusca lite tra di loro.
-Mi dispiace, tesoro. Vedrai che si sistemerà tutto, voi due siete fatte per stare insieme-
Quelle parole distrussero l’ultimo pezzetto di resistenza che era riuscita a tenere. Scoppiò a piangere, liberando finalmente tutta la tensione che aveva accumulato.
-Laya, che succede? –
Fleur le strinse una spalla, tentando di consolarla e di comprendere cosa fosse accaduto. Non ebbe il tempo di approfondire l’argomento, la porta di casa si aprì bruscamente.
-Laya! –
Phoebus si precipitò in casa invocando a gran voce il nome della figlia. La ragazza, in risposta, balzò dal divano per corrergli incontro.
-Papà! –
Saltò tra le braccia dell’uomo come quando era bambina e lui la sollevò stringendola senza alcuno sforzo. Notò subito di come fosse dimagrito, quasi riusciva a cingergli tutto il corpo con le braccia.
-La mia bambina. La mia adorata bambina-
Si staccò dalla ragazza per guardarla in viso e leggere tutti i tratti che aveva cercato in ogni persona per i precedenti quattro anni. Passò una mano sulla faccia, per tentare di asciugare le lacrime che scendevano copiose andando a morire nella sua barba.
-Papà, non piangere-
-Sei tu che stai piangendo-
Fleur-de-Lys li guardò piena di felicità, sembravano due ragazzini che facevano una gare per stabilire chi fosse più forte. L’uomo resistette ancora qualche attimo, poi riprese la ragazza tra le forti braccia e la strinse ancora a sé. Laya non pose alcuna resistenza, lasciandosi sollevare e stringere.
-Papà, vi devo parlare-
-Certo scoiattolina, tutto quello che vuoi-
La famiglia si accomodò sul divano, Phoebus non si staccò un solo secondo dalla figlia temendo di vederla sparire da un momento all’altra. Di nuovo. Laya frugò all’interno della sua giacca e ne estrasse una fotografia porgendola alla coppia. I due la guardarono mostrando un’espressione perfettamente speculare l’una dell’altro. La ragazza sorrise nell’ammirarli, preparandosi a rispondere quando i loro sguardi avesse posto quella silenziosa domanda.
Raccontò brevemente loro della maledizione, della Storybrooke diversa, di Jonas e di Hannah.
-Lei è mia figlia- concluse poi.
L’uomo sgranò gli occhi voltandosi verso la compagna e specchiandosi nella sua stessa sorpresa. La foto rappresentava una bambina seduta in un prato, la pelle chiara risaltava sotto il vestitino giallo e bianco. Un paio di luminosi occhi verdi spiccavano sul suo volto sorridente, un verde che Phoebus trovò identico a quello della madre di Laya.
-Oh mio Dio Laya, sono nonno-
-Si papà, sei nonno-
La ragazza non riusciva a non sorridere di fronte l’emozione del padre.
-Come si chiama? – le chiese Fleur-de-Lys.
-Esmeralda-
Phoebus sollevò il capo di colpo, piantando i suoi occhi castani in quelli oscuri della figlia.
-L’hai chiamata come tua madre? –
Nella sua voce non c’era più né felicità né gioia, il suo tono era irato e deluso. Vide Laya annuire e quel gesto lo fece innervosire ancora di più.
-Hai chiamato tua figlia come la donna che ti ha abbandonata? –
-Phoebus- lo redarguì Fleur-de-Lys.
-Scusate-
L’uomo si alzò dirigendosi verso la sua camera da letto senza rivolgere un solo sguardo alle due.
-Papà-
Fleur-de-Lys alzò una mano, invitandola a non continuare quella conversazione. Attese di sentire la porta della camera chiudere prima di tornare a parlare con la ragazza.
-Non le ha mai perdonato di averti lasciata. È una ferita tanto vecchia quanto ancora aperta-
Laya abbassò lo sguardo, delusa da quell’atteggiamento. Aveva sperato che almeno a casa sua sarebbe stata bene e felice.
-Non ti preoccupare, tesoro. Ci parlo io appena si sarà calmato, ok? –
 
Phoebus batté le mani sul comò tentando di sfogare almeno in parte la rabbia che stava provando. Rivedere Laya l’aveva reso l’uomo più felice del mondo e la notizia di essere diventato nonno era riuscita a farlo volare dal divano, ma sua figlia aveva scelto quel nome. Poteva capirla, in cuor suo riusciva a darle una giusta motivazione, ma quella donna non meritava un tale privilegio. Non si era mai più fatta sentire, né aveva chiesto in tutti quegli anni come stesse sua figlia. Aveva abbandonato una bambina di meno di due anni a qualcuno che non era nemmeno la sua famiglia, non curandosi se lui e Fleur-de-Lys se ne fossero presi cura. Aveva giocato con la sua vita e non glielo avrebbe mai perdonato. Si era dato un gran da fare per lei e per sua figlia. Aveva lasciato Parigi per cercarla, aveva dovuto accettare l’esistenza della magia e di viaggiare attraverso portali. Aveva vissuto in un mondo a lui sconosciuto ed era rimasto vittima della maledizione pur di seguirla. L’unica cosa che non gli aveva permesso di impazzire assieme a Esmeralda, era stata la gran fede che Fluer-de-Lys riponeva in lui. Lo aveva accompagnato senza mai chiedere nulla in cambio e lui le aveva donato tutto l’amore che non aveva dato alla bambina. Laya era diventata tutta la sua vita, una bambina talmente bella, buona e sveglia, tanto da conquistarli con un solo sorriso. Aveva cominciato a chiamarlo papà, nonostante non lo fosse e lui non glielo aveva mai negato. Perché si sentiva tale ormai.
Aprì l’ultimo cassetto del suo comodino, frugò sotto le camicie fino a trovare il pacchetto che cercava. Lo tenne per qualche attimo tra le mani, soppesandolo. Poi lo rimise al suo posto senza aprirlo. L’unica eredità che Esmeralda aveva lasciato a Laya e che lui non aveva mai consegnato a sua figlia.
 
-Devi smetterla, Esmeralda. Hai delle responsabilità, quella bambina non ha nessun altro al di fuori di te! –
Phoebus rincorreva la donna fuori il portone di casa, era la terza volta quella settimana. Esmeralda gli camminava avanti, una borsa a tracolla e nient’altro se non il tramonto alle spalle.
-Io non ce la faccio più, Phoeb! Questa città mi opprime, mi sento in trappola qui. Possibile che tu non lo capisca? –
-No, non lo capisco. Tutto ciò che so è che stai abbandonando tua figlia per tornartene a fare la vagabonda-
La donna si fermò, voltandosi con sguardo infuocato negli occhi verdi. Phoebus deglutì con fatica, come tutte le volte che lo guardava a quel modo. Era per quello sguardo che era finito in quella terra e in un numero indefinito di guai, era per quello sguardo che il suo caro amico Quasimodo era morto. Avevano seguito Esmeralda per accertarsi che lei e la bambina stessero bene, ma si erano ritrovati in un mondo che non gli apparteneva.
-Forse se avessi passato la metà di quello che ho passato io, capiresti-
-Io ti ho accolto in casa mia dopo che hai rovinato la vita a me e ad altre persone a me care! Ho accolto te e tua figlia senza alcuna remore perché non avevi nessun posto dove andare e questo è il ringraziamento? –
-Non mi sembra ti sia dispiaciuta così tanto la mia compagnia, capitano-
L’aria spavalda con la quale affrontò l’uomo, avrebbe fermato un intero esercito. Esmeralda sapeva fin troppo bene come raggirare Phoebus de Chateaupers e nonostante gli anni passati a mangiare erba e belare, non aveva perso il suo fascino gitano e ribelle. Era grazie a quello che aveva trovato un posto sicuro dove lasciar crescere la sua bambina. Ma ormai non riusciva più a fingere di star bene con se stessa e con l’unica forma di famiglia che aveva trovato. I ventott’anni passati sotto l’effetto della maledizione, l’avevano segnata nel profondo ampliando il suo desiderio di libertà. Non aveva mai avuto radici, l’unico posto che aveva chiamato casa era la Corte dei Miracoli e le strade di Parigi. Poi Claude Frollo le aveva rovinato la vita, violentandola e lasciandola incinta. Era scappata da Parigi con un fagiolo per ritrovarsi solo in una gabbia più grande. Non aveva chiesto a nessuno di seguirla, tantomeno a Phoebus e alla sua amante. Era stata una scelta dell’uomo seguirla e condividere lo stesso fato, a spingerlo, il vecchio amore che aveva provato per la gitana. Amore ormai completamente scomparso.
-Non fare la stupida, torna in casa e prenditi cura di quella bambina-
Alle loro spalle era arrivata anche Fleur-de-Lys, i due vennero attirati dal pianto della bambina. La donna la stringeva al petto tentando di calmarla, in attesa che la madre la prendesse. Ma lei non si muoveva.
-Laya piange e non hai nemmeno la voglia di prenderla in braccio? È tua figlia, maledizione! –
-Smettila di dirmi cosa devo o non devo fare! Voglio sentirmi libera di agire come meglio credo! –
-Lei non ha colpe, non merita di pagare per ciò che è accaduto a te. È solo una bambina, per l’amor del cielo-
Restarono a guardarsi, due sguardi carichi di rabbia incastonati nella convinzione di aver ragione. Laya continuava a piangere dimenandosi tra le braccia di Fleur-de-Lys, incapace di tranquillizzarla. La prima a muoversi fu Esmeralda, rientrò nel palazzo portando la bambina con sé. Non appena fu tra le sue braccia, ben arrampicata alla sua maglia, la piccola smise all’istante di piangere riconoscendo la madre.
-Phoebus, dovete trovare un punto d’incontro. Non potete continuare con questa storia per sempre-
-Lo so, Fluer. Lo so-
Rientrarono anche loro. L’uomo si assicurò che madre e figlia fossero al sicuro poggiando l’orecchio contro la porta della loro camera. Esmeralda stava cantando per la bambina, probabilmente per farla addormentare. Cenarono in silenzio, solo loro due e allo stesso modo andarono a dormire. L’uomo non riuscì a prender sonno nemmeno provandoci con tutto sé stesso, Esmeralda lo preoccupava. Sapeva di non aver voce in capitolo nella vita di Laya, ma teneva molto a lei e non avrebbe permesso alla donna di trattarla come un incidente. Non era mai stata una persona facile e devota, ma non riusciva ad accettare il suo completo disinteresse verso la figlia. Proprio come in quel momento. Laya piangeva già da un po’, costringendolo ad alzarsi per andare a controllare.
-Ci penso io, torna a dormire-
Fleur-de-Lys gli poggiò una mano sul petto invitandolo a tornare a letto. L’uomo la vide lasciare la loro stanza e sparire in quella dove la bambina piangeva disperata.
-Pheobus! –
Il tono della donna fu allarmante, obbligandolo a lasciare il suo giaciglio per correre dalla compagna. Una volta nella stanza, vide la bambina arrampicarsi sulla culla e nessuna traccia di Esmeralda. Nelle sue mani, una busta col nome della figlia scritto di suo pugno.
-Se ne è andata-
L’uomo sgranò gli occhi, nelle orecchie il pianto incessante della bambina. Si avvicinò a lei prendendola in braccio e tenendola stretta al petto cullandola.
-Tranquilla piccolina, ci sono io qui con te-
Guardò Fleur-de-Lys, alla ricerca di un consenso circa quanto aveva già deciso. La donna si limitò a carezzare il capo di Laya che si era calmata e a sorridergli.
Tornarono nel proprio letto, la bambina incollata al petto di Phoebus si era riaddormentata con le labbra leggermente aperte e i pugni chiusi. Solo allora si concesse di aprire il pacchetto di Esmeralda. All’interno vi trovò una lettera e la mappa della città che aveva regalato a Quasimodo. Il gobbo glielo aveva a sua volta riconsegnato in punto di morte. Sollevò il ciondolo, passò le dita sulla croce che simboleggiava la città e gli venne da sorridere ripensando a quel buffo battibecco avuto con l’amico circa la decifrazione di quell’oggetto. Prese poi la lettera, aprendola per leggerla. Laya si mosse appena e Phoebus si paralizzò sperando che non ricominciasse a piangere, ma la bambina sospirò, fece un adorabile suono facendo schioccare le labbra e riprese il suo sonno tranquillo.
 
“Laya, non so se puoi sentirmi o se ti soffermerai mai suoi miei pensieri. Sai che sono una gitana e non oso chiedere altro dalla vita se non essere libera e me stessa. Qui, con te, non posso farlo. Mi hai rinchiusa in una gabbia fin troppo piccola ed io voglio solo evadere. Tu, Laya, sei una parte della mia vita che voglio dimenticare per sempre, ed è per questo che ho deciso di andar via. Ho bisogno di ritrovare ciò che sono sempre stata e tu sei un peso per me. Quando ti guardo, non vedo altro che il frutto dello stupro di Frollo. Ti lascio a Phoebus e Fleur-de-Lys, ma ricorda che potrai scappare da loro quando vorrai, non sono niente per te. Sii te stessa, così come farò io.
Esmeralda”
Phuebus strinse con rabbia la lettera della donna. Non solo era andata via ma aveva definito Laya uno sbaglio e una prigione.
Non avrebbe mai potuto perdonarla per quello.
Ed era stato in quel momento che aveva deciso che per Laya sarebbe stato più di un padre, più di qualsiasi altra cosa.

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Capitolo 18
*** 18 ***


Alexis aveva passato l’intera notte ad incolparsi di nuovo per quella situazione. Diverse volte si era alzata dal letto solo per correre a vomitare ed ogni volta Regina correva dalla sua stanza per controllarla. La donna era terrorizzata all’idea di replicare ciò che era già successo, se solo ripensava a quanto era stata male sua figlia di ritorno dall’altra Storybrooke, le si accapponava la pelle. Non aveva chiuso occhio, sempre in allerta ad ogni segnale proveniente dalla camera della ragazza. Era mattino molto presto quando era scesa in cucina per preparare del caffè, ne avrebbe portata una tazza anche alla figlia se le avesse permesso di entrare in camera sua. Ma la ragazza si era di nuovo chiusa nel suo dolore, respingendo qualsiasi forma di aiuto.
-Regina? –
Aveva sentito i passi di Emma sulla scale, ma aveva atteso che la raggiungesse per poter parlare. Alexis era finalmente riuscita ad addormentarsi, non avrebbe mai voluto che si svegliasse dopo la nottata passata in bianco. Si voltò a guardarla, incontrando lo stesso sguardo stanco e preoccupato.
-Vuoi del caffè? – le chiese tenendo già tra le mani una tazza piena.
Emma l’afferrò sorridendole cupa.
-Cosa facciamo? Non voglio rivivere l’inferno di quattro anni fa-
-Nemmeno io, Emma-
Restarono in silenzio per diversi minuti, sedute l’una accanto all’altra a sorseggiare caffè e a riflettere su cosa fare con la loro bambina. L’ultima volta era stata tremendamente difficile, aveva temuto di vederla sgretolarsi giorno dopo giorno senza alcuna possibilità di riprendersi. Ma poi, col tempo, era riuscita a riprendere in mano la sua vita e tornare ad essere una semplice ragazza di ventitré anni alle prese con l’università. E lo stesso valeva per loro due. Quando Alexis era partita per quella sua missione, il loro rapporto aveva quasi finito con lo sgretolarsi, finendo per ridurle a due estranee. Era stato difficile rimettere insieme i pezzi, tutti i pezzi, ma Emma amava profondamente Regina e viceversa. Non avrebbero permesso che ancora qualcos’altro si frapponesse tra loro.
-Credi sia stata la scelta giusta permetterle di incontrarla? – chiese Emma giocherellando con il liquido nella sua tazza.
-Non ce lo avrebbe perdonato se non lo avessimo fatto-
Regina strinse la sua mano sorridendole, grata di poter affrontare almeno quello con la forza che solo Emma aveva. Poi lasciò il suo posto, annunciando che avrebbe preparato dei pancakes per sua figlia. Non aveva toccato cibo il giorno precedente, le avrebbero fatto piacere. Prese i contenitori, sistemò gli ingredienti sul banco e in ultimo si arrotolò le maniche pronta per iniziare.
-Ti aiuto- propose Emma stringendole i fianchi da dietro.
Regina poggiò il capo al suo petto, sorridendole e chiedendo silenziosamente un bacio che sua moglie non le negò. Senza tacchi era di poco più bassa della bionda.
-Riesce a non dar fuoco alla cucina, Signorina Swan? -
-Mi impegnerò- 
Lavorarono insieme, giocando tra loro e tentando di imporsi un po’ di quella routine che avevano faticosamente riconquistato. Regina preparò gli impasti, Emma controllò la cottura. Si sorridevano e di tanto in tanto si scambiavano un bacio a fior di labbra. Erano così assorte nella loro armonia, da non accorgersi di una terza persona poggiata allo stipite della porta intenta ad ammirarle. Quando Emma si voltò, per puro caso, quasi sobbalzò alla vista della sua bambina.
-Lex! Mi hai spaventata, tesoro-
La ragazza sorrise e le sue madri videro quanto realmente difficile fosse stata quella nottata per lei. Gli occhi gonfi e le guance chiazzate di rosso, soppesavano quanto avesse pianto quella notte. Sotto le ciglia, profondi cerchi neri marchiavano la pelle. Regina si allontanò dai fornelli per andarle incontro e stringerla forte tra le sue braccia. La ragazza ricambiò, trovando sollievo nel calore delle braccia di sua madre.
-Vieni a fare colazione amore, ti preparo del caffè-
-Grazie, mamma, ma non ho fame-
-Non era un invito, ragazzina. Seduta- Ribatté Emma picchiettando sulla sua sedia.
Alexis sorrise alla madre, riconoscendo quell’espressione a metà tra l’imperativo e il divertito. Si accomodò tra le due donne e si costrinse a prendere un pezzo di pancake, era squisito ma il suo stomaco non accettava alcun tipo di cibo.
-Che ne dici di restare tutte e tre insieme, oggi? Vediamo uno di quei film che piacciono tanto a te e tua madre-
Regina si riferiva alla lunga sfilza di DVD che Emma aveva regalato a sua figlia sui cartoni animati prodotti da Walt Disney. Le due adoravano vederli e rivederli, cercando assonanze e differenze tra i personaggi sullo schermo e quelli della città.
-Che cosa dovrei fare, mamme? –
Alexis non ascoltò minimamente le parole di sua madre, la sua mente non faceva che contorcersi alla ricerca di una soluzione ai suoi problemi. Le era sembrato già un gran passo avanti lasciare la sua camera ed avere un dialogo con le sue genitrici. Ma di fronte a lei, non riusciva a vedere i mobili della cucina, solo i ventidue messaggi che Laya le aveva lasciato. Dopo i primi sette le era quasi venuto da ridere, Laya che utilizzava un cellulare era mera utopia.
-Era lei stanotte a far impazzire il tuo cellulare? –
-Lei e Kara. Mi chiama incessantemente da quando sono andata via, sarà preoccupata-
Sospirò, sentendosi in colpa nei confronti della ragazza. Era certa fosse in pensiero per lei, un attimo prima erano assieme al parco mentre le chiedeva di uscire e quello dopo era sparita con un’espressione sconvolta in viso.
-Potresti iniziare proprio da Kara- suggerì Emma.
-Cosa le dico, mamma? Che la mia raga… -si bloccò al pensarla ancora a quel modo- che Laya è sparita quattro anni fa in un portale magico ed ora è tornata da un’altra dimensione? –
Emma si grattò la testa, non aveva considerato la questione da quel punto di vista. Fortunatamente, Regina era sempre un passo avanti a lei.
-Magari potresti dirle che la tua ex ragazza –notò come sul volto della figlia passasse una scia di dolore a quell’appellativo- è tornata in città con una notizia importante-
La ragazza si passò più volte le mani tra i capelli.
-No. Portare qui Kara significa che… -
Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse cambiata in quell’ultimo anno, di quanto avesse mentito a sè stessa. Aveva provato cosa significasse essere libera, essere lontana da quel groviglio di problema che imponeva casa sua. Eppure, era bastato tornare a casa per tornare in quel labirinto. Era bastato rivedere Laya per dimenticare quanta sofferenza e quanto dolore avesse sopportato. Laya non poteva semplicemente sparire, Laya non poteva essere solo un tassello del puzzle, Laya non poteva coesistere con nessun altro. Laya imponeva la sua unica presenza. Ed era per quello che portare Kara a Storybrooke significava rinunciare definitivamente e Laya, significava che era finita per sempre. Lo stomaco le si annodò come non succedeva da tempo costringendola ad alzarsi da tavola per correre a vomitare.
-Alexis-
Regina provò a correrle dietro, ma la mano di Emma sulla spalla la fermò. Vide sua moglie scuotere il capo e guardare il tavolo affranta.
Sarebbe stata un’altra dura battaglia.
-Contattiamo quella ragazza, Regina-
 
Laya si rese conto solo quella mattina, non appena aprì gli occhi, quanto strana le apparisse quella situazione. Svegliarsi nella sua camera, senza sua figlia che la chiamava dalla culla e senza Jasper che andava dal suo letto a quello della bambina. Ciò che trovò rincuorante, invece, fu non sentire accanto Albert. Da quando la maledizione si era spezzata, cercava di svegliarsi sempre prima del marito per evitare qualsiasi tipo di vicinanza. Esmeralda invece le mancava, le mancava il suo sorriso quando pretendeva di restare nel letto matrimoniale con lei, le sue mani paffute e i gridolini che lanciava quando giocava con Jasper. Le mancava il modo adorabile in cui la chiamava “mamma”. Si girò nel letto, perdendosi nel soffitto bianco della sua camera. Erano, a quanto pareva, quattro anni che non ci metteva piede, eppure non era cambiato nulla. Alzò appena lo sguardo, andando a sbattere contro la fotografia che Alexis aveva magicamente incollato al muro. Si tirò a sedere, posizionandosi di fronte l’immagine. Avevano trascorso una meravigliosa vacanza, i quattro giorni più belli della sua vita in cui aveva visto Alexis spensierata e felice come poche altre volte. E lo era stata anche lei, le era bastato vedere quel meraviglioso sorriso stampato sulle sue labbra per non pensare a nient’altro. Accarezzò con le dita la foto, ricordando perfettamente ogni istante di quella parentesi della sua vita.
 
-Tanti auguri! –
Emma e Regina erano piombate in camera della figlia con una pila enorme di panecakes e su di essa una candelina. Sui visi di entrambe un grosso sorriso. Attesero che la ragazza si mettesse seduta, le si avvicinarono lasciando il piatto su un comodino e l’abbracciarono da entrambi i lati.
-Grazie, mamme-
-So che fai colazione con Laya, ma volevamo comunque prepararti qualcosa- spigò Regina riprendendo tra le mani il piatto.
Alexis sorrise loro con amore, prese un pancakes e vi tirò un grosso morso guadagnandosi un’occhiataccia da Regina e un bacio sulla testa da Emma. Quando le due donne la lasciarono sola, si stiracchiò nel letto e solo dopo qualche minuto si mise in piedi. Diede una rapida occhiata al cellulare, diversi messaggi di auguri erano già arrivati, ma non quelli che interessavano a lei. Laya non si sarebbe mai sognata di usare quell’arnese, Gideon e Leopold sarebbero passati di persona. Si preparò alla svelta, facendo poca attenzione a cosa indossasse.  Corse al piano di sotto piena di energie e con un enorme sorriso sul volto. Recuperò delle sneakers dalla scarpiera vicino la porta di ingresso e salutò a gran voce le madri prima di correre in strada. Emma e Regina ebbero appena il tempo di affacciarsi per ricambiare che la ragazza era già sparita.
-Sembra ieri che ero incinta- sospirò Emma.
-Nostalgia? –
-No, è solo che è cresciuta così in fretta. Può ufficialmente votare, te ne rendi conto? –
Regina rise mentre carezzava i capelli della moglie.
-Si sente vecchia, Miss Swan? –
Emma storse il naso a quell’affermazione, si rifiutava continuamente di ammettere di non essere più l’atletica ragazza di ventott’anni arrivata a Storybrooke. Quella che si era presenta in quel giardino che adesso era anche suo con una motosega, attentando ai rami dell’albero di Regina. Si voltò verso la moglie, negli occhi una scintilla che Regina conosceva fin troppo bene. La baciò con passione, spingendola verso il bancone della cucina e facendo pressione con il suo corpo. Lasciò la sua tazza nel lavabo e sfilò dalle mani dell’altra la propria, poi infilò quelle stesse dita sotto il suo pigiama facendola sospirare.
-Perché non mi mette alla prova, Signor Sindaco? –
La baciò con foga sfilandole la camicia del pigiama e frapponendo una gamba tra le sue. Non sarebbe mai stata troppo vecchia per lei.
 
Alexis corse per le strade di Storybrooke soffermandosi a ringraziare tutti quelli che la salutavano con un sincero “tanti auguri”. Sorrideva a ogni cittadino e ad ogni commerciante, fermandosi a parlare solo con qualcuno tra cui August Booth e Archie Hopper. Non concesse loro particolare attenzione, era troppo impaziente di arrivare al Granny’s e da Laya. Riconobbe da una certa distanza il suo pick-up, era certa di trovarla già lì. Laya non era mai in ritardo. Infatti l’attendeva appena fuori il locale, avvolta nella sua giacca fino alle orecchie. Un sorriso spontaneo nacque sul suo viso quando la vide correre nella sua direzione. Alexis le si sarebbe volentieri gettata tra le braccia se non fosse stata certa che Laya odiasse quel genere di smancerie. Infatti, le si fermò davanti e poggiò le labbra sulle sue in un bacio casto.
-Buongiorno! –
-Sei in ritardo –
Alexis fece roteare gli occhi prima di tirar fuori il sorriso più bello che Laya le avesse mai visto sul viso. Fece per entrare ma la maggiore la tirò per un braccio riportandola a sé. La baciò con passione, lasciando che le loro lingue si dessero un caloroso buongiorno. Sentì Alexis sospirare tra le sue labbra e tremare appena quando si staccò da lei.
-Buon compleanno- le augurò Laya con tono roco e malizioso.
L’altra ebbe bisogno di un attimo per riprendersi e per tornare con i piedi per terra, ma rimase incastrata nei sui occhi. E come sempre solo Laya poteva spezzare l’incantesimo.
-Andiamo a fare colazione, principessina? –
L’altra annuì, prendendole la mano e trascinandola nella tavola calda. Non appena varcò la soglia, i tre piccoli lupacchiotti le si avvinghiarono ai fianchi urlandole i propri auguri. Salutarono anche Laya, ma senza lasciare l’altra.
-Ragazzi! Non dovete correre nella tavola calda, quante volte devo ripetervelo? – intervenne Ruby con le mani sui fianchi.
La clientela del Granny’s era ormai abituata agli schiamazzi dei bambini, anche quello conferiva al locale quella solita e meravigliosa atmosfera di casa. Anita, Gale e Peter abbassarono appena il capo in forma di scuse verso la donna, ma bastarono pochi secondi prima di tornare a concentrarsi su Alexis.
-Guarda Lex, mi è caduto un dente! – Asserì Gale.
-A me è caduto per primo! – ribatté Peter.
-Maschi- Sospirò Anita.
La ragazza scoppiò a ridere, abbassandosi sulle ginocchia per stringere a sé i bambini in un forte abbraccio. Adorava follemente quei tre ragazzini, erano una ventata di aria fresca. Nonostante fossero orfani di padri, o nello specifico non avessero idea di chi fosse, erano tre bambini allegri e solari. Ruby era rimasta incinta durante un anno sabatico passato in giro alla ricerca dei vari branchi nel mondo. Aveva avuto una storia con un uomo-lupo irlandese, ma non era mai diventato nulla di serio, tanto da non riconoscere i tre gemelli. Aveva lasciato loro in eredità solo una marea di riccioli rossi e pelle lentigginosa.
-Possiamo darle il regalo, mamma? – Implorò Anita con i suoi enormi occhi azzurri.
La donna annuì vedendo la figlia correre verso il bancone seguita dai fratelli. Ci volle poco perché presero a discutere su chi dovesse consegnare il regalo. Ma alla fine convennero di tenerne un pezzetto per uno tra le mani chiare. Lo porsero alla ragazza con un gran sorriso moltiplicato per tre. Tra le sue mani, venne depositato un piccolo scatolino blu con sopra scritti i nomi dei tre gemelli di proprio pugno. Alexis si accomodò al suo solito posto prima di aprirlo. All’interno vi trovò della corda attentamente intrecciata da cui pendevano tre pietre di forme e colori diversi. I bambini le spiegarono che l’avevano prodotte con le proprie mani, cercando personalmente nel bosco i pendenti più appropriati e adatti a lei.
-Ragazzi è meravigliosa! Grazie-
Alexis era sinceramente felice di quel regalo, i gemelli si dovevano essere tanto impegnati per confezionarlo.
-Ok, adesso lasciatela fare colazione in pace piccoli mostri-
-Ma mamma, noi vogliamo restare qui! Laya non ci ha ancora fatto scivolare sul bancone- protestò Gale.
Ruby lanciò una sguardo affilato alla ragazza in questione. Sapeva di quel gioco ridicolo che aveva fatto fare ai suoi figli al Rabbit Hole, li faceva sedere sul bancone e lasciava che scivolassero fino all’altra estremità. Col tempo aveva desiderato farlo anche al Granny’s, e qualche volta ci riuscivano quando restavano soli con Alexis e Laya.
Le due ragazze presero posto su uno dei divanetti rossi, di fronte a loro i bambini. I tre mezzi lupi presero a raccontare di come fosse divertente iniziare a trasformarsi e quanto piacesse loro giocare a chi aveva i canini più affilati o i baffi più lunghi.
-Adesso basta, sparite lontano da qui, piccole canaglie- intimò seria Ruby.
Depositò i piatti di fronte alle due, senza nemmeno che ordinassero, per poi prendere i bambini per i polsi e trascinarli via. Alexis rise promettendo ai bambini che avrebbe concesso loro tutto il tempo che desideravano alla festa a casa sua. Solo quando i gemelli si acquietarono, la donna riuscì finalmente a dare i suoi auguri alla festeggiata. Le lasciò un grande bacio tra i capelli chiari, poi lasciò al tavolo ulteriori portate elencandole. Aveva preparato per lei: torta al cioccolato, biscotti, muffin, cupcakes e pasticcini vari.
-Non ti sembra un po’ troppo, zia Rubs? –
-Sciocchezze, quella povera ragazza dovrà pur stringere qualcosa tra le mani! Sei già nata senza tette, almeno dalle qualche gioia–
Alexis arrossì, ma Laya scoppiò a ridere battendo il cinque con la donna. La sua ragazza la prendeva spesso in giro per la sua totale mancanza di forme, ma al tempo stesso non si era mai lamentata a letto. E la minore glielo fece notare tirandole una gomitata tra le costole.
-Lo trovi divertente, Agnès? –
Laya la guardò sorridendo in quel suo modo strafottente. Stava per risponderle, ma un ragazzo alto e castano si accomodò di fronte a loro afferrando un muffin dal piatto.
-Ciao- salutò indirizzando lo sguardo solo verso Laya.
Il suo sorriso da piacione e la postura sbragata avrebbero dovuto far alzare la temperatura di ogni ragazza, ma non a quelle al tavolo. Alexis però, fumava già di rabbia per quell’intrusione. Guardò di sottecchi la reazione dell’altra, la sua espressione confusa non la rassicurò.
-Perché mi rivolgi la parola, Jones? –
Liam Jones Jr si grattò la barba all’altezza del mento, sempre senza smettere di sorridere e di mangiarsi Laya con gli occhi.
-E per la cronaca ci sono anch’io, tra pirati l’educazione non esiste? O Capitan Eyeliner ha dimenticato di insegnartela? –
In situazioni simili, Alexis era una Mills a tutti gli effetti. Proprio non riusciva a tenere a bada la lingua, dando libero sfogo a frecciatine e insulti.
-Si, ciao principessina-
Non si degnò nemmeno di voltarsi nella sua direzione, per di più l’aveva chiamata a quel modo orribile. Il viso della ragazza divenne paonazzo per la rabbia e Laya se ne accorse. Era sempre riuscita a decifrare le espressione di Alexis e dopo i quasi due anni di relazione per lei era come un libro aperto.
-Che cosa vuoi, Jones? –
-Non mi hai chiamato ieri sera, quindi sono venuto di persona-
Alexis si voltò verso Laya come una furia, ma questa continuava ad avere quell’espressione confusa sul viso. A quel punto Liam Jones Jr si sentì quasi in dovere di dover fornire una spiegazione. Senza perdere il suo sorriso tirò fuori il cellulare mostrando ad entrambe le ragazze un numero telefonico. Laya guardò l’altra, in attesa di conferma.
-Non lo hai ancora imparato? –
Alexis non sapeva per cosa essere più infuriata, sulla bilancia aveva che quel perfetto idiota del figlio di Hook ci stava spudoratamente provando con la sua ragazza e che lei non avesse ancora imparato il proprio numero di cellulare dopo anni. Allungò il collo verso l’apparecchio che il ragazzo le porgeva e le salì il sangue al cervello quando constatò che quello era proprio il numero di Laya. La fulminò con lo sguardo e l’altra si limitò ad alzare le mani verso l’alto asserendo di non saperne assolutamente nulla.
-E come fa ad avercelo, allora? – ringhiò tra i denti.
Laya aveva visto poche volte la sua ragazza tanto arrabbiata, tanto da poterle vedere la magia correre negli occhi verdi. Ringraziò mentalmente Regina per averle insegnato l’autocontrollo.
-Non lo so, Lex. Sai che io lo odio quel coso- disse indicando il telefono del ragazzo.
-Dai, non fare la timida-si intromise proprio lui- Avevi promesso che ci saremmo visti presto, mi hai anche salvato come “Megafusto” –
A quell’affermazione Laya scoppiò a ridere senza alcun ritegno. Rise tanto da tenersi la pancia e lasciare sul viso degli altri interlocutori un grosso punto interrogativo.
-Ascolta, Jones. Posso assicurarti che un simile appellativo, per di più riferito ad un uomo, non potrebbe mai uscire dalle mie labbra. Inoltre, non ho idea di come tu abbia fatto ad avere il mio numero di cellulare. Quindi se non ti spiace, stai rovinando il compleanno della mia ragazza-
Sul suo viso spuntò un gran sorriso soddisfatto, lo stesso che c’era sul volto dell’altra. Alexis si sentì forte spalleggiata da Laya.
-Vai via da solo o preferisci che ti ci faccia arrivare io a bordo della tua bagnarola? –
Il ragazzo non disse una sola parola. Si alzò e andò via ferito nell’orgoglio. Nonostante ciò al tavolo vigeva ancora un silenzio pesante.
-Lex? Tutto ok? –
Alexis si limitò a guardarla con un sopracciglio alzato e Laya capì senza bisogno di parole. Perché la conosceva. Sapeva perfettamente quanto fosse gelosa e quanto le sue paure di non essere abbastanza tornassero spesso a farle visita. E ogni volta, Laya si innamorava un po’ più di lei. I suoi occhi avevano smesso di fiammeggiare, ora erano solo in attesa di ascoltare la verità.
-Non so come sia successo, principessina. Lo sai che non mi interessa-
Un tempo, avrebbe dato di matto di fronte ad una simile reazione della minore, ma col tempo aveva imparato a gestirsi e a gestirla. Alexis era fatta così, capace di andare da uno a cento in pochi secondi. E di stregarla quando la guardava con quello sguardo tanto intenso.
-Questo succede perché lo lasci sempre in giro, quel dannato telefono. Cosa ti costa tenertelo in tasca? –
Le mise su il miglior broncio che avesse mai potuto avere in repertorio. Era abbastanza certa di come fossero andate le cose; Laya aveva lasciato il suo cellulare incustodito al Rabbit Hole e quel gran farabutto di Jones aveva fatto il resto. Si perse nel suo buio, in quel meraviglioso paio di buchi neri. La tirò per la maglia baciandola con foga, imponendo alla sua lingua di giocare con la propria senza esclusione di colpi.
-Tu sei mia- soffiò poi su sulle sue labbra.
-Sono una tua proprietà, adesso? –
Laya tentò di simulare arroganza, ma quel bacio l’aveva lasciata in bilico tra l’estasi e l’overdose. Alexis si avvicinò con sguardo malizioso, le pupille dilatate e il labbro inferiore incastrato tra i denti. Laya deglutì, da quando avevano sperimentato assieme il sesso, la minore era riuscita a farla impazzire anche con un semplice sguardo come quello. Tanto da farle avvertire i crampi sotto la pancia.
-Richiedimelo stanotte-
Laya provò a baciarla, ma l’altra si tirò indietro addentando un gran pezzo di torta al cioccolato. Dunque si limitò a guardarla, attendendo che i brividi dietro la schiena si placassero e che il calore tra le cosce scemasse. La guardò mangiare, felice di aver rivendicato il suo possesso.
Non vedeva l’ora di consegnarle il suo regalo, quella sera, e di farle dimenticare quella piccola parentesi di quella mattina. Desiderava renderla felice con tutta sé stessa, desiderava che quell’espressione allegra da bambina non sparisse mai dal suo viso. Un sorriso le increspò le labbra, come sempre quando si ritrovava a pensare a quale potente incantesimo avesse fatto Alexis Swan-Mills al suo cuore. Non aveva mai provato qualcosa di simile nella sua vita, non riusciva a credere che a venticinque anni ormai, si ritrovava a guardare una ragazzina di diciotto e sorridere come una stupida. L’amava, l’amava come non credeva essere capace di fare ed era ricambiata allo stesso modo.
-Perché mi fissi? – le domandò Alexis prendendola alla sprovvista.
-Ti amo- le rispose senza nemmeno rendersene conto.
La minore la guardò, battendo più volte le ciglia.
-Ti senti bene, Lay? –
L’altra scoppiò a ridere, riprendendo a bere il suo caffè, incurante di avere un paio d’occhi verdi puntati addosso. Non era mai stato nella sua indole essere tanto sdolcinata, ma Alexis sorrise quando ebbe la certezza che non potesse vederla.
 
Laya era palesemente agitata per quella sera, temeva di dire o fare qualcosa di sbagliato di fronte tutti gli invitati o che il suo regalo non avrebbe soddisfatto Alexis. Era una sensazione nuova per lei, non era solita sentirsi a disagio in una qualche occasione, ma casa Swan-Mills era un’anomalia più che comprensibile. Aveva passato più di un’ora al negozio per scegliere il suo abbigliamento per quella sera. Era così nervosa, che aveva chiesto a Fleur-de-Lys di accompagnarla. Alla fine, dopo doversi tentativi di abbinamento, aveva optato per un pantalone classico beige ed una camicia blu scuro che avrebbe portato all’interno di quest’ultimi.
Si preparò con calma, stando ben attenta ad ogni singolo dettaglio. Spazzolò a lungo i capelli, mise più profumo del solito e si concesse anche un lieve velo di trucco. Indossò gli abiti con cura, stando ben attenta a non far creare grinze e stropicciature sui tessuti. Arrotolò le maniche della camicia fino all’altezza dei gomiti, badando che fossero alla stessa altezza e che le pieghe fossero perfette. Si guardò ancora una volta allo specchio presente nell’anta del suo armadio respirando a fondo. Si lisciò per l’ennesima volta il tessuto all’altezza del ventre e solo dopo essersi accertata che non ci fossero macchie o imperfezioni lasciò la sua stanza. Suo padre e Fleur-de-Lys erano accomodati entrambi sul divano, stretti in un abbraccio che sapeva di famiglia. Avrebbero raggiunto la festa più tardi.
-Come sto? – chiese piazzandosi avanti ai due.
Phoebus rimase a fissarla senza dire una parola, ma nel suo sguardo ci si poteva leggere quanto fosse orgoglioso di sua figlia. La donna, invece, le si avvicinò per sistemarle meglio il colletto e farle dei complimenti.
-Sei molto elegante, tesoro-
Laya cercò di sorridere ma era così in ansia che ne uscì solo una smorfia seguita da un profondo respiro.
-E anche molto nervosa- proseguì Fleur-de-Lys.
-Sciocchezze! – incalzò l’uomo dandole una forte pacca sulla schiena –Un soldato non teme una battaglia-
-Io vado ad un compleanno, papà-
-Non vedo dunque cosa ti preoccupi, scoiattolina-
Fleur-de-Lys ridacchiò, carezzando la spalla al compagno. Non poteva proprio capire cosa stesse turbando sua figlia.
-Andrà bene, Laya. Quella ragazza ti ama con tutto il cuore-
-Non mi fa paura Lex, ma l’intera famiglia al completo-
La donna rise, lieta di vedere di tanto in tanto le paure di una giovane donna in Laya. Le diede un abbraccio di incoraggiamento, sussurrandole all’orecchio di non pensarci troppo. Era ormai diverso tempo che frequentava quella casa, instaurando un buon rapporto con ogni membro della famiglia. Ma li aveva sempre vissuti singolarmente.
-Adesso vai o farai tardi, noi ci vediamo dopo-
Laya sospirò, giocherellò ancora una volta con la sua camicia e poi si decise ad imboccare la strada verso la porta. Recuperò il regalo per Alexis, che poteva tranquillamente stare in una tasca, la giacca e si avviò verso casa sua. Preferì percorrere il percorso a piedi, almeno avrebbe bruciato un po’ di nervosismo camminando. Ma la villa bianca arrivò ugualmente troppo presto.
Perse ancora qualche secondo fuori la porta d’ingresso prima di bussare, dall’interno si sentivano già diverse voci felici. Tirò un ultimo profondo respiro, suonò. Ad aprirle la porta fu Emma e Laya ne su immensamente grata. Con lei si sentiva molto più a suo agio rispetto a tutti gli altri.
-Laya, ben arrivata! Accidenti ragazza, sei uno schianto-
-Grazie, Emma-
Il salotto di casa Swan-Mills si era trasformato in un perfetto ritrovo familiare. Laya poté riconoscere il tocco di Regina in ogni piccolo adorno presente. Il tavolo era imbandito con un numero spropositato di tipologie di pietanze, dal cibo spazzatura che tanto Emma e sua figlia amavano, alla meravigliosa lasagna della padrona di casa. Laya aveva avuto spesso modo di gustare quella prelibatezza, facendone spesso e volentieri il bis quando Emma e Alexis gliene lasciavano ancora un pezzetto. Scambiò saluti e complimenti con Leopold e Gideon, andò a stringere la mano di David Nolan e si lasciò stritolare da uno degli abbracci di Mary Margaret. Più distaccati furono i saluti con Belle e suo marito, con i quali aveva un rapporto poco confidenziale. Con i gemelli invece, fu una storia completamente diversa. Le saltarono addosso aggrappandosi alle gambe e pretendendo di essere presi in braccio tutti e tre insieme, per fortuna arrivò Ruby a salvarla e a farle l’occhiolino. Mancavano all’appello ancora la festeggiata e l’altra madre. Fece correre gli occhi veloci lungo tutto il salotto, ma incontrò quelli verdi della ragazza solo all’ingresso della cucina. Accanto a lei Regina portava tra le mani una grossa teglia di patate al forno, ma Laya non riuscì a staccare gli occhi da Alexis. Indossava un vestito rosso fasciato sul seno piccolo e senza spalline, la gonna arrivava appena sopra il ginocchio creando un effetto pieghe meraviglioso. Ai piedi calzava saldali neri a fasce con un tacco vertiginoso. I capelli chiari li aveva lasciati sciolti sulle spalle sistemati in morbidi boccoli che ricadevano sul seno. Il mascara le rendeva gli occhi ancora più grandi, tanto da potercisi perdere nell’immensità di quel verde. Le si avvicinò ancheggiando e sorridendo, il labbro inferiore incastrato tra i denti.
-Buonasera, Laya- la salutò Regina.
La ragazzo provò con tutta sé stessa a rispondere, anche solo per educazione, ma tutto ciò che il suo cervello partorì fu un balbettio confuso che fece ridere buona parte dei presenti.
-La camera da letto è di sopra, Agnès. E magari chiudi la bocca che ci entrano le mosche- la prese in giro Leopold.
-Sei un deficiente, Leo – rispose Alexis ridendo.
Poi l’attenzione della ragazza venne rapita dal buio di Laya e da quello sguardo perso che aveva. L’ultima volta che l’aveva vista tanto sconvolta, era stato quando avevano fatto l’amore la prima volta.
-Ciao- la salutò e per una volta, stava a lei riportarla sulla terra.
-Sei bellissima, Lex-
-Grazie, anche tu- sussurrò arrossendo.
Le si avvicinò per spostarle un boccolo dietro l’orecchio e si rese conto che la mano le tremava, così come ogni singola cosa al suo interno. Se ci fossero state solo loro due in quella stanza, non avrebbe esitato un solo istante a baciarla affondando le mani tra i capelli. Alexis mosse un ultimo passo verso di lei, poggiando appena le labbra sulle sue scatenando nel basso ventre di Laya una serie di crampi e brividi. Con i tacchi era appena più alta di lei e la cosa le fece uno strano effetto, ma adorò guardarla negli occhi mentre le stringeva i fianchi.
-Lex, che ne dici di cominciare ad aprire qualche regalo? – la richiamò Ruby.
Sembrava essere più impaziente lei che la ragazza stessa. I bambini iniziarono a saltare per tutta casa, entusiasti all’idea. Alexis prese Laya per mano, trascinandola al centro della stanza dove erano stati depositati i regali. L’intera famiglia si strinse intorno a lei.
-Da dove inizio? – domandò cercando consiglio nella sua famiglia.
Laya poté vedere quanto fosse eccitata e felice quella sera, sembrava quasi avesse compiuto sei anni e non diciotto. Eppure, era cresciuta tanto da quella sera al Rabbit Hole diventando una splendida donna.
-Iniziamo noi- asserì Gideon prendendo dal tavolo il suo pacchetto- Lo ha scelto mia madre, a detta sua non può mancare qualcosa di simile nella vita di una donna- spiegò facendo spallucce.
-Glielo lasci aprire o vuoi anche dirle cosa c’è dentro, Gideon? – scherzò Leopold.
Il ragazzo arrossì, poi tornò a posizionarsi accano a Belle che gli strinse i fianchi con un braccio. Rimase a guardare la sua migliore amica scartare il pacchetto quadrato. Quando Alexis lo aprì alzò immediatamente lo sguardo verso la famiglia Gold, andando ad abbracciare forte Belle e ringraziandola. All’interno vi era un meraviglioso filo di perle semplici ed eleganti. Mostrò a tutti il suo nuovo gioiello incontrando lo sguardo colmo di apprezzamento di Regina, una vera amante di simili accessori. Porse lo scatolo all’amico, si voltò alzando i capelli e chiedendogli silenziosamente di mettergliela. La sfiorò con le dita diverse volte una volta che fu al suo collo, cercando poi con lo sguardo l’approvazione di Laya che le regalò un sorriso.
-Oh tesoro, sei stupenda. Sembri davvero una principessa- aggiunse Mary Margaret abbracciandola e con già gli occhi umidi.
E per quella volta, Laya dovette darle ragione. Era bella da togliere il fiato.
-Quindi deduco tocchi a noi-
Leopold si alzò dal divano andando a prendere l’unico scatolo tondo e tenuto separati dagli altri. Sua madre lo guardò tenendosi stretta al marito, già con qualche lacrime di commozione ai lati degli occhi. Il ragazzo porse il proprio regalo alla festeggiata, porgendole un sorriso allegro e facendole un occhiolino.
-Ti avverto, mia madre scoppierà a piangere non appena lo aprirai. È una scena già vista- le sussurrò poi all’orecchio.
Alexis lo guardò confusa e curiosa. Aprì con cautela il nuovo pacco, ma non appena sollevò il coperchio vennero a lei le lacrime. Tirò fuori una tiara intagliata a formare quello che sembravano essere rami, ornata da pietre preziose e diamanti. Guardò sua nonna esterrefatta mentre le si avvicinava tenendo il dono tra le dita tremanti.
-Nonna, io non posso … -
-Sciocchezze, principessina. Non ho potuto consegnarla a tua madre, quindi è giusto che l’abbia tu-
Le prese l’oggetto prezioso dalle mani ponendoglielo con leggiadria sul capo, le calzava a pennello. Sembrava brillasse ancor di più addosso alla ragazza.
-Sono così felice di poterlo fare-piagnucolò
La strinse fronte, richiamando in quell’abbraccio anche suo marito e suo figlio. Il ragazzo non ne fu propriamente felice, ma si era abituato alla lacrima facile di sua madre. Quando la lasciò libera, Alexis corse dalle sue madri e lesse all’interno dei loro sguardo un grosso senso di orgoglio. Regina gliela sistemò meglio sul capo e le alzò il mento sorridendole.
-Schiena dritta e testa alta, da vera sovrana-  
L’abbracciò anch’essa, concedendosi qualche secondo in più con sua figlia.
-Scusate, quella era mia? – chiese Emma rivolta alla madre.
Tutti i presenti scoppiarono a ridere di fronte la faccia sconvolta della donna, un dito ancora alzato ad indicare la corona.
-Non saresti nemmeno capace di portarla, Em- la prese in giro il fratello.
-Devo concordare con lui, Emma, non hai un minimo di portamento- incalzò Regina.
La donna strabuzzò gli occhi verdi asserendo di non averci mai tenuto poi tanto ad essere una principessa, ma nel suo sguardo brillava la menzogna.
-Se ci stai attenta te la faccio provare, mamma – scherzò Alexis
-Mia sorella che sta attenta a qualcosa? Sarebbe un miracolo meraviglioso-
Alla battuta di Leopold altre risate risuonarono al numero 108 di Mufflin Street. Alexis ripose con cura la corona nello scatolo, avvertì i presenti che sarebbe salita in camera sua per sistemarla nell’armadio per evitare che potesse rovinarsi. Regina le indicò il punto specifico dove metterla e di non lasciarla a vista. Nella stanza riprese una normale conversazione che coinvolse quasi tutti, Laya era troppo occupare ad ammirare lo svolazzare del vestito di Alexis su per le scale. Incrociò per un secondo gli occhi azzurri di Leopold che con un sorrisetto le fece cenno con la testa di seguirla. Si mosse poi per poterle permettere di salire al piano superiore senza essere vista dagli altri e Laya non se lo fece ripetere due volte. Posò il calice con il vino sul tavolo e sgattaiolò alle spalle degli invitati ringraziando il ragazzo con un occhiolino. Fu silenziosa, voleva coglierla di sorpresa. Spiò appena da fuori la sua stanza mentre si alzava sulle punte, nonostante i tacchi, per deporre lo scatolo su una mensola più alta del suo armadio. Fece viaggiare gli occhi lungo le cosce nude e chiare della sua ragazza mentre si avvicinava a lei, lasciandosi sedurre dal vestito che accarezzava la pelle. Le strinse i fianchi da dietro, lasciando aderire perfettamente i loro corpi. Alexis sussultò un solo istante, ma poi riconobbe il profumo buono di Laya. Reclinò la testa verso il petto dell’altra e posizionò le mani sulle sue.
-Non sai quanto vorrei sfilarti questo vestito, principessina- soffiò sul suo collo.
Alexis rabbrividì, scostando il capo dal lato opposto per lasciarle più pelle libera. Laya accettò di buon grado quell’invito, baciandole la giugulare e accarezzandole il ventre.
-Puoi sempre farlo a festa conclusa-
La sua voce tremava, già vittima dell’eccitazione che sentiva tra le gambe. E Laya sembrò accorgersene. La fece girare tra le sue braccia e la spinse contro l’armadio, così che la schiena della minore collidesse con l’anta in legno. La baciò con passione, tenendole una mano sul collo e una alla base della schiena. Le loro lingue giocarono a rincorrersi e a far nascere brividi quasi dolorosi. La mano che prima aveva lasciato sulla schiena, adesso le graffiava una coscia da sotto il vestito, costringendo Alexis ad aggrapparsi alla sua camicia e morderle le labbra per tentare in ogni modo di non gemere. Le dita della minore corsero lungo le asole, liberando il primo bottone.
-Non ora- soffiò Laya sulle sue labbra, sorridendo per l’effetto ottenuto.
Alexis provò a ribaciarla, ma Laya si tirò indietro sorridendole maliziosa. Adorava specchiarsi nei suoi occhi quando erano tanto lucidi di lussuria.
-Ci staranno aspettando-
Le prese una mano e la trascinò fuori dalla sua stanza in favore del salotto. Non avevano idea di quanto tempo fosse passato dal loro allontanamento, ma di certo non pochi minuti. Tornarono di sotto giusto in tempo per veder entrare in casa Phoubus e Fleur-de-Lys. I due salutarono tutti i presenti con un abbraccio o con una stretta di mano. Alexis corse loro incontro con ancora il fiatone e le labbra gonfie e rosse. Quel dettaglio non sfuggì a Regina, che lanciò un’occhiataccia a Laya.
-Non è un comportamento educato- si lamentò con Emma.
-Lasciale stare, Regina. Sono giovani e innamorate, non star loro troppo addosso. Guarda Lex com’è felice-
E la ragazza lo era davvero mentre si lasciava sollevare da Phoubus e rideva per la ramanzina che gli stava facendo Fleur-de-Lys per la poca eleganza.
-E poi, ricordi cosa facevamo noi quando … -
-Basta così Emma- la fermò Regina alzando una mano e sorridendo- Che ne dici di dare il regalo a nostra figlia? –
Sorrise buona alla moglie, vedendo i suoi occhi verdi brillare. Si avviarono insieme verso il tavolo dei regalo, ma Ruby le anticipò prendendo il suo e richiamando l’attenzione di tutti i presenti. Tra le sue mani un grosso scatolo rosso.
-È il momento di un vero regalo, signorina-
Fece accomodare la ragazza sul divano con il suo regalo sulle gambe, eccitata come una bambina. Alexis sollevò appena il coperchio e tanto bastò al suo viso per diventare lo stesso colore della scatola e del suo vestito.
-Avanti, non essere timida! Siamo tutti grandi qui e i bambini troppo piccoli per capire-
Si accomodò al suo fianco e tirò fuori il contenuto per mostrarlo a tutti i presenti.
Un completo rosso fuoco reggiseno e culottes, tenuti insieme da due fasce centrali che formavano una X, pendeva dalle sue mani. Sul viso della donna un sorriso soddisfatto e fiero. Alexis, invece, era arrossita fino alla punta delle orecchie abbassando lo sguardo verso il pavimento.
Le reazioni dei presenti furono varie e miste; Leopold tirò un grosso fischio e diede di gomito a Laya, che non riusciva a battere le ciglia per quanto i suoi occhi erano sgranati; Gideon si coprì la faccia con le mani, più imbarazzato dell’amica se possibile; Emma e Regina per una volta furono d’accordo e lanciarono a Ruby un’occhiata assassina; Mary Margaret era sbiancata ed era poi corsa a cercare i bambini per allontanarli dalla stanza; tutti gli altri, avevano distolto lo sguardo per non imbarazzare ancor di più la festeggiata.
-Ha un ottimo push-up, non ringraziarmi- disse rivolta a Laya.
La ragazza la guardò sconvolta, desiderando di scomparire in quel preciso istante. Ma nella sua mente non poteva evitare di figurarsi la sua ragazza con quel completino addosso, scatenando tra le sue gambe un fiotto caldo.
-Ehm, grazie zia. Magari adesso lo sistemo eh-
Si sbrigò a rimettere il tutto nuovamente nello scatolo e sperare che quell’imbarazzo sparisse quanto prima. Mentre la ragazza si apprestava a nascondere al meglio il regalo di Ruby, quest’ultima venne bloccata sul divano da Emma e Regina.
-Sei impazzita, Ruby? – iniziò Emma.
-Poteva essere un po’ più delicata, Signorina Lucas. Ha messo in imbarazzo Alexis e tutti gli altri-
-Sciocchezze! Quello è un vero regalo per una ragazza di diciott’anni, non fili di perle e corone! Insomma, ho anche pensato alle sue minuscole tettine-
Regina si massaggiò la fronte, conscia che non avrebbe potuto spuntarla con Ruby. Quindi, preferì lasciar perdere e consegnare a sua figlia il proprio regalo. Avrebbe preferito che fosse qualcos’altro, ma Emma era certa che la loro bambina sarebbe impazzita. Dunque prese il suo pacchetto, il più piccolo tra tutti gli altri. Richiamò a sé Alexis, attese che Emma l’affiancasse e glielo consegnò. La ragazza aprì il pacchetto con molta più tranquillità e non appena identificò cosa vi fosse contenuto, alzò gli occhi verso le proprie madri mettendo in bella mostra tutto il loro verde.
-Te lo avevo detto- disse Emma a Regina dandole una spallata.
-Fate sul serio? –
Le due donne le sorrisero affettuose, dando risposta affermativa alla ragazza.
-Mi avete regalato una macchina? Mi avete davvero regalato una macchina?! –
Aveva urlato con le chiavi contenute nel pacchetto tra le mani e facendo piccoli salti sul posto. Il suo viso si era allargato in un sorriso enorme che nemmeno Laya le aveva mai visto sulla faccia.
-Perché non vai a controllare in giardino? –
Alexis non se lo fece ripetere due volte, corse fuori, non comprendendo come avesse fatto a non notare una terza vettura nel parcheggio di casa sua per tutta la giornata. La risposta gliela diede Regina, ruotando il polso e sollevando l’incantesimo di invisibilità che aveva posto sulla vettura. Una nebbiolina si sollevò, scoprendo una maggiolino d’epoca molto simile a quello di Emma bianco latte e perfettamente rimesso a nuovo.
-Non ci posso credere! È proprio come il tuo, mamma! È incredibile! –
La ragazza sfiorò appena con le dita la vernice della sua nuova macchina, ruotando attorno ad essa e ammirandola in ogni minimo particolare.
-Così la smetterai di far soffrire il povero pick-up di Laya- disse Emma battendo una mano sulla spalla della bruna che tirò un sospiro di sollievo.
Aveva ancora i brividi quando pensava a tutte le volte che aveva provato a farglielo guidare, finiva sempre o col farlo spegnere di botto o con l’inchiodare.
-A Laya non dispiaceva, vero? –
Nei suoi occhi urlava una tacita minaccia che Laya comprese fin troppo bene. Per sua fortuna, ci pensò suo padre a rispondere al posto suo.
-Certo che non le dispiaceva, principessina- asserì dandole una pacca in mezzo alla schiena.
Scoppiarono tutti a ridere, poi Alexis si gettò tra le braccia delle sue madri prendendo e donando un lunghissimo abbraccio.
-Grazie, mamme. Grazie davvero-
-Cerca solo di non investire nessun’altro- scherzò Emma facendo l’occhiolino a Laya.
Le due donne sentirono distintamente la voce della figlia tremare per l’emozione e si sentirono fiere di aver cresciuto quella ragazza.
-Quindi manchiamo solo noi, giusto? – domandò dolcemente Fleu-de-Lys.
Il gruppo si spostò all’interno ma Laya prese Alexis per mano fermandola. Attese che tutti gli altri rincasassero per poter restare da sola con lei un momento.
-Tutto ok, Lay? –
-Si, avevo solo bisogno di un momento con te. È che sono un po’ nervosa per il mio regalo-
-Laya Agnès può farsi innervosire da qualcosa? –
Alexis provò a prenderla in giro ma si rese conto che la ragazza era terribilmente seria. I suoi occhi, erano diventati più scuri del solito.
-Laya? –
Le carezzò una guancia, preoccupandosi per lei. Attese pazientemente che riprendesse a parlare, senza forzarla. Aveva imparato che sarebbe stato inutile obbligarla a dirle cosa le frullasse per la testa.
-Hai ricevuto tutti questi regali meravigliosi, auto d’epoca, fili di perle, una corona! Tu stessa sei meravigliosa e … -
Distolse lo sguardo da lei, preferendo il prato. Alexis comprese perfettamente e ne sorrise.
-Laya a me non importa, lo sai-
-Importa a me-
La minore le prese il volto tra le mani, poi le fece scivolare dietro la schiena cingendole il collo con le braccia.
-Ed io ti amo da morire anche per questo, Lay. Ma non volevo nemmeno che me lo facessi un regalo, quindi sarà già perfetto anche solo per questo-
Attese che Laya rispondesse, ma l’altra restò zitta. Per cui Alexis si avvicinò e la baciò dolce. Massaggiò appena le sue labbra, quel tanto che bastò a far sciogliere la bruna e rispondere al bacio.
-Ehi piccioncine, vi date una mossa? –
A rompere quel loro attimo di paradiso arrivò Leopold, comunicando che erano tutti in loro attesa.
-Arriviamo rompipalle! –
Si voltò ancora una volta verso la sua ragazza, accertandosi che fosse tutto ok. Laya le sorrise e le restituì il bacio di pochi secondi prima. Poi rientrarono insieme.
-Ragazze, aspettavamo voi- le accolse Fleur-de-Lys.
Laya lasciò la mano di Alexis per infilarla nella propria tasca dei pantaloni ed estrarne una busta azzurra. Si voltò richiamando suo padre e la compagna e non appena l’affiancarono, porse la busta ad Alexis. Notò come sul volto di Emma e Regina era spuntato un sorriso bonario che non riuscì a comprendere. Non sapeva che le due donne erano già a conoscenza di ciò che conteneva la busta.
-Questo è da parte nostra-
Attese speranzosa di vedere la sua espressione, perché per lei era davvero importante. Prestò un’eccessiva attenzione alle dita di Alexis che staccavano la linguetta della busta. Al suo interno un foglio bianco piegato in quattro. La ragazza guardò interrogativa la famiglia Agnès, ma tutto ciò che ottenne fu sguardi che le chiedevano di continuare ad aprire. Lo tirò fuori e lo aprì per leggerlo, le bastarono poche righe per avvertire le lacrime pungerle gli angoli degli occhi. Su quel semplice fogli bianco, c’era una prenotazione da lì a due giorni per un volo con direzione Parigi e rispettivo hotel. Per sé e per Laya. Alzò gli occhi nel suo buio e la bruna fu certa di poterci morire in quel verde tanto brillante. Vide quel prato dopo un acquazzone avvicinarsi e gettarsi tra le sue braccia per prendere a umidirle il collo. Laya l’abbracciò forte baciandole i capelli e respirandole il suo odore.
-Sei un’idiota, Laya Agnès. Un’idiota enorme-
-Deduco ti sia piaciuto sul serio-
In tutta risposta Alexis si strinse maggiormente a lei e solo quando fu la maggiore ad allontanarla si asciugò gli occhi e ringraziò calorosamente anche gli altri due.
-Vi ringrazio davvero tanto, è un regalo stupendo-
-È stata un’idea di Laya- spiegò l’uomo- le abbiamo solo dato una piccola mano-
Phoebus poggiò una mano enorme sulla spalla della figlia, estremamente orgoglioso di lei. Aveva fatto tutto da sola, per regalare alla sua ragazza il miglior dono di compleanno possibile. Era stato lui ad insistere affinché Laya accettasse il suo aiuto, anche se in minima parte. Poteva comprendere la scelta di Parigi, dopotutto era nata lì.
-Mamma, ho sonno-
Il piccolo Gale si avvicinò alla madre reclamando la sua attenzione tirandola per la maglietta e stropicciandosi gli occhi azzurri. La donna gli mise una mano sul capo e gli massaggiò i capelli con affetto. Alexis si avvicinò al bambino prendendolo in braccio, con qualche difficoltà per via dei tacchi, e lasciò che si accoccolasse sul suo petto cullandolo.
-Ti va di prendere una fetta di torta e poi correre a letto, Gale? –
Lui annuì e si avvinghiò al collo della ragazza nascondendo il viso nella pelle. La ragazza sorrise a quel gesto e strinse il bambino ancor di più, aveva visto crescere lui ed i fratelli e ormai avevano già sei anni.
Procedettero con la torta e con qualche foto, che Laya si rifiutò categoricamente di fare nonostante le suppliche di Alexis. Mangiarono il dolce, fatto rigorosamente in casa da Mary Margaret e pian piano iniziarono a lasciare tutti casa Swan-Mills. Leopold accompagnò Ruby a casa, i bambini erano crollati sul divano tutti e tre ed era dunque impossibile per la donna tornare da sola. Snow White e David furono tra le ultime a lasciare la casa assieme al padre di Laya, abbracciò ancora una volta la nipote senza impedirsi di versare ancora qualche lacrima. Quando anche Phoubus e Fleur-de-Lys salutarono la festeggiata e si raccomandarono con Laya di star attenta durante il ritorno a casa, Alexis tirò un sospiro di sollievo. Poggiò la testa sulla spalla di Laya e questa le regalò un bacio tra i capelli.
-Sei stanca? –
-Ho bisogno di levare queste dannate scarpe-
-Sei bellissima stasera, Lex-
Le prese il viso tra le mani e la baciò sfiorandole appena le labbra.
-Resti? – chiese la minore.
-Solo per dare una mano alle tue madri- l’ammonì l’altra.
Alexis alzò gli occhi al cielo facendoli roteare. Laya si allontanò da lei per rientrare in case e lei la seguì con le braccia incrociate sotto il seno.
-Come posso aiutarvi, Emma? –
La donna sollevò lo sguardo dall’enorme busta della spazzatura che stava riempiendo. Alexis strabuzzò gli occhi e allargò le braccia.
-Oh ma per favore! –
Schiccò le dita e l’intera casa tornò linda e pinta in un solo secondo.
-Alexis Swan-Mills! Cosa ti ho sempre detto circa l’utilizzo della magia! – la rimproverò Regina con le mani sui fianchi.
-Andiamo mamma, è tardi e siamo tutti stanchi. Credo che nessun effetto farfalla demolirà il mondo per questo-
-Sei la mia figlia preferita- sospirò Emma che ne aveva già abbastanza delle pulizie.
-Emma! –
-Dai Regina, Lex ha ragione. Nessuno morirà per una pizzetta magicamente alzata dal pavimento-
-E poi, ora posso andarmene in camera mia e riposarmi- incalzò la ragazza.
Si strinse al braccio di Laya e tutti in quella casa avevano capito che non era esattamente il riposo che desiderava. Infatti, la bruna si coprì il viso con la mano, imbarazzata e terrorizzata dallo sguardo scuro di Regina.
-Alexis! –
-Ed è esattamente ciò che farò anch’io- proseguì la bionda battendo il cinque con la figlia.
-Emma! Insomma, in questa casa non c’è più alcun tipo di pudore o regole? -
Alexis si avvicinò sorridendo alla madre, le diede un bacio sulla guancia, da gran ruffiana, e si trascinò Laya al piano di sopra. Scalciò le scarpe stesso sulle scale, liberando i piedi e perdendo diversi centimetri di altezza.
La trascinò in camera sua di corsa, una mano tra le sue e l’altra a reggere le scarpe. Chiuse la porta della camera alle spalle e ci spinse Laya contro. Baciarla con passione, in quel modo quasi rabbioso, era ciò che aveva desiderato per tutta la sera. Non vedeva l’ora di poterle sfilare quella camicia che le stava così bene e assaggiare la sua pelle. Cercò con foga la sua lingua, obbligandola a seguire i suoi movimenti. Tirò fuori la camicia dai pantaloni, pronta per sbottonarla.
-Lex, non possiamo con le tue madri alla porta accanto- sussurrò con il fiatone.
-Sta zitta, Laya-
Riacciuffò le sue labbra mordendole e spingendola verso il letto, premendole le mani contro i fianchi. Fece forza contro il suo corpo fino a quando non collisero contro il letto e caddero sul materasso. Alexis fu subito a cavalcioni su Laya, che pian piano, iniziava a perdere il controllo sotto l’eccitazione dell’altra. Il modo in cui le infilava le dita sotto la camicia e le massaggiava la pelle, generava brividi potenti che le solcavano la schiena. Ma il colpo di grazia, furono i denti della minore sulla giugulare e la lingua sul collo. Un gemito lasciò le sua labbra, andando a morire nella spalla scoperta della ragazza. Le mani della maggiore viaggiarono sui fianchi e sulla schiena, alla ricerca della zip per sfilarle, finalmente, il vestito. Quando la trovò tirò giù con furia, desiderosa di ammirare il suo corpo nudo. Alexis si sedette a cavalcioni su di lei e con lentezza fece scivolare l’abito lungo il tronco mostrando a Laya che non aveva indossato il reggiseno quella sera. Si ritrovò dunque ad ammirare quel piccolo seno perfetto. Allungò le dita per raggiungerlo e giocare con i capezzoli. Lì passò sotto la pelle e li massaggiò con i polpastrelli, sentendo Alexis tremare sotto di sé. La vide spingersi verso di lei, poggiare le mani ai lati della testa e schiudere la bocca per lasciar uscire un gemito sommesso. Le dita le tremavano mentre faceva uscire i bottoni dalle asole e scopriva a poco a poco la sua pelle abbronzata. Un reggiseno blu di pizzo faceva capolino da sotto il tessuto dello stesso colore, facendole perdere il respiro ed inghiottire un grosso groppo di saliva. Le sfilò la camicia facendola scivolare lungo le spalle con lentezza. Laya l’aiutò mettendosi a sedere, ma senza permetterle di andar via dal suo grembo. Incastrò le dita tra i suoi boccoli chiari e la baciò con necessità, come se fosse la prima e ultima volta. Di risposta Alexis affondò le dita nel suo seno, facendola gemere tra le sue labbra.
-Levati questo vestito, Lex-
Le sue parole uscirono come un ringhio, distorte dall’eccitazione.
-Credevo volessi farlo tu-
Laya non se lo fece ripetere due volte. Scivolò via dal peso del suo corpo e si posizionò in piedi di fronte a lei, afferrò i bordi rossi dell’abito e lo fece scivolare sulle gambe lasciandola con solo gli slip addosso. Si leccò le labbra di fronte a quelle forme che amava follemente. Alexis le sorrise divertita, senza alcun tipo di imbarazzo, le si avvicinò gattonando sul letto fino a quando le labbra non arrivarono sulla sua pancia. Una lunga scia di baci che andava dall’ombelico ai seni, generava dei brividi incontrollabili che Laya faticava a non esternare in gemiti. Sapeva perfettamente che avrebbero dovuto fare meno rumore possibile per non insospettire le due donne. Ma Alexis non le rendeva di certo la vita facile, inginocchiata di fronte a lei e con le dite che giocavano con i gancetti del reggiseno. Lo fece scivolare per terra con un gesto, senza troppa grazia. C’era dell’altro che richiedeva la sua attenzione, c’erano i seni gonfi di Laya che la chiamavano a gran voce. Fu la lingua a donar loro ciò di cui avevano bisogno, girandoci attorno e passandoci sopra. Laya infilò le dita tra i boccoli e nascose il volto tra i suoi capelli, il respiro che diventava sempre più affannoso mentre premeva le labbra verso di sé. Non resistette oltre, spinse Alexis di nuovo sul letto e si stese su di lei. Le baciò e le morse le labbra, in preda ormai ad un’eccitazione incontrollabile. La minore le sbottonò i pantaloni, Laya li scalciò via insieme alle scarpe per poi infilare una gambe tra le sue e avvertire contro il ginocchio l’umidità presente sugli slip di Alexis. La baciò ancora mentre la sua mano destra andava a percorrere il tronco, fino ad insinuarsi poi nel suo intimo sfiorandolo appena. La ragazza liberò un urletto strozzato che Laya mise a tacere chiudendole la bocca con quella stessa mano. I suoi occhi verdi brillavano nel buio della stanza, desiderosi di sentire un tocco più deciso. Laya le sorrise maliziosa, intuendo che poteva giocare un po’ con lei. Le liberò la bocca giusto il tempo di rimuovere l’ultimo ostacolo di stoffa tra le loro pelli, poi tornò a tappargliela. Mentre la mano sinistra viaggiava verso il punto critico dell’altra, la destra restava ben salda sulle sue labbra. Si bagnò appena le dite nei suoi umori e tanto bastò per sentirla fremere sotto di lei ed avvertire contro la pelle della mano il respiro aumentare. Si avviò lentamente verso il suo ingresso, leggendo in quegli occhi verdi una tacita richiesta di attenzioni.
-Fa’ la brava, Lex- sussurrò appena al suo orecchio.
Le liberò la bocca e in quello stesso memento entrò in lei senza alcun tipo di preavviso. Alexis sgranò gli occhi e poi li richiuse per tentare in ogni modo a lei conosciuto di non emettere un solo fiato, ma tutto ciò che le riuscì fu di mordersi le labbra. Laya si tenne in equilibrio con l’altra mano poggiata accanto all’orecchio e questo le permise di potersi abbassare su di lei per baciarla. Si muoveva piano dentro di lei, con movimenti lenti e circolari. Le lasciò andare le labbra solo per poterla guardare negli occhi ed assistere ad ogni cambio di espressione che avveniva sul suo volto. Alexis prese ad assecondare i suoi movimenti, tentando di imporre a Laya un ritmo più incalzante.
-Impaziente, principessina? –
La minore deglutì lottando contro l’impulso di mettersi ad urlare. Affondò le dita nei capelli dell’altra e rimase incastrata nella profondità dei sui occhi scuri. Laya le sorrise maliziosa, ma non cambiò o aumentò la velocità. Desiderava portarla al limite e poi premiarla.
-Lay, ti prego- implorò con l’affanno.
L’altra si abbassò ancora a sfiorarle le labbra, ma senza regalarle un vero bacio nonostante Alexis lo cercasse disperatamente.
-Cosa? Per cosa mi preghi, Lex? -
Adorava averla sotto di sé, così vulnerabile e totalmente in balia di ogni sua decisione. Perché dipendeva solo da lei decidere se di lì a qualche secondo, avesse sgranato gli occhi o meno. Ma Laya aveva intenzione di torturarla, così come aveva fatto lei per tutta la sera mettendo in bella mostra quelle gambe da urlo sotto il vestito.
-L-Laya, non ce la faccio più- piagnucolò.
E Laya non ne dubitava, era certa che il suo lento movimento non facesse altro che eccitarla sempre di più, ma senza portarla all’apice.
-Sai che dovrai restare in assoluto silenzio, vero? -
Alexis si limitò ad annuire velocemente, promettendo ed implorando con gli occhi.
-E lo farai, Lex? –
L’altra rispose ancora con un cenno della testa che a Laya non andò affatto bene. Colpì la sua stessa mano con il ginocchio per affondare ancor di più dentro di lei ed avvertì un fiotto caldo tra le proprie gambe quando Alexis si morse le labbra per mantenere il silenzio.
-Rispondimi -
-Si! Si lo farò! – sussurrò sconvolta.
-Che brava principessina-
Poggiò la fronte contro la sua e aumentò il ritmo delle spinte ammirando il verde riempire tutto il suo campo visivo. Vide sul suo viso quanto fosse eccitata e stremata per quel suo gioco. Ma Alexis non voleva fare quel viaggio da sola, desiderava trascinare l’altra con sé fino all’apice. Infilò una mano tra il proprio ventre ed il centro di Laya, affondando al suo interno senza alcuna difficoltà. La ragazza era pronta ad accoglierla da fin troppo tempo. E a quel punto non seppe più se a portarla ad un passo dall’orgasmo fossero le dita di Laya, l’eccitazione che sentiva sulla pelle o quegli occhi scuri e lucidi di malizia. Afferrò il collo dell’altra per avvicinarlo alle labbra e baciarla, mordendole ogni centimetro di pelle. Affogarono le proprie urla l’una nella bocca dell’altra, fino a raggiungere insieme l’orgasmo. Laya si lasciò cadere sul petto dell’altra, ascoltando il suo respiro affannato e trovandolo identico al proprio. Scivolò al suo fianco ammirandola mentre si muoveva per lasciarsi stringere dalle sue braccia. La tenne stretta, baciandole i capelli chiari che sapevano di buono.
-Ti amo, Laya-
L’altra sorrise, sapendo perfettamente quanto Alexis tenesse a sentirselo dire in momenti come quelli.
-Ti amo, Lex-
Poi, finirono con l’addormentarsi felici ed appagate.

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Capitolo 19
*** 19 ***


Il dolore era scemato in poco tempo, lasciando spazio unicamente alla rabbia. Si era rifiutata di restare a casa, sotto lo sguardo pietoso di Emma e Regina e aveva tassativamente proibito a Leopold di tornare dal college nonostante il ragazzo avesse fortemente insistito. Gideon invece, non era stato messo al corrente. Non avrebbe permesso a Laya di stravolgerle ancora la vita, non quando aveva lottato con le unghie e con i denti per riprendersela. Perciò, se ne stava seduta al Granny’s con la terza tazza di caffè tra le mani a cercare in ogni modo di tenersi a bada. Ruby aveva provato a parlarle, ma la ragazza era di un gelo impenetrabile. Persino i gemelli non erano stati capaci di contagiare il suo malumore. Rivedere Laya era stato un colpo bello forte, ma sapere che aveva costruito una vita nella quale non era stata inclusa, la feriva più di ogni altra cosa. E tutto a un tratto, ogni singola pena autoinflitta, ogni singola lacrime, parve priva di qualsiasi fondamento. Batté un pugno sul tavolo, incapace di contenere ancora la rabbia. Era tornata da appena trentadue ore e già l’aveva sconvolta più di quanto avesse voluto ammettere.
-Che ti ha fatto di male il tavolo, Straniera? –
Si voltò di colpo a quell’appellativo, restando sconvolta di fronte al volto allegro di Kara. Bastò guardarla per sentir lenire le proprie ferite, bastò la sua allegria. Si alzò di scatto gettandole le braccia al collo e dandosi della stupida per aver pensato di potercela fare da sola. Kara ricambiò, carezzandole i capelli e respirando il suo buon profumo. Avevano legato così tanto, al di fuori del sesso, e si erano rese conto presto di aver bisogno l’una dell’altra. Alexis si era completamente appoggiata a lei, lasciando che Kara disinfettasse ogni singola ferita a modo suo.
-Sono felice anch’io di vederti-
Alexis non aveva la forza di staccarsi da lei, spaventata dall’idea. Fu Kara a farlo, tenendole le spalle e regalandole uno dei suoi sorrisi buoni.
-Quando sei arrivata? Come… ? –
-Non mi avevi detto che le tue madri fossero delle fighe da paura! –
L’altra scoppiò a ridere, tenendosi la pancia e attirando gli sguardi di qualche cliente. Eccola la sua medicina, quella pillola estremamente dolce che le aveva allietato l’anima per tutti quei mesi. Le prese una mano, facendola accomodare di fronte a lei al tavolo. Kara afferrò la sua tazza, prendendone un grosso sorso e sgranando gli occhi quando il liquido andò a contatto con le papille gustative.
-È il caffè più buono che abbia mai bevuto! –
-Oh grazie-
Quando Kara sollevò lo sguardo verso la persona che aveva appena parlato, ingoiò a vuoto di fronte alla bellezza della donna. Ruby, sempre stata conscia del proprio fascino, ammiccò in direzione della ragazza facendole un occhiolino.
-Porca troia! –
Alexis rise di fronte a quell’esclamazione, ormai conosceva Kara e sapeva che nulla avrebbe impedito alla sua mascella di cadere sul tavolo. E poi, era Ruby.
-Zia Rubs, ti presento Kara Borlotti-
La donna tese la mano verso la ragazza sorridendole maliziosa, come era solita fare con chiunque. Terminate le presentazioni, Kara si voltò verso Alexis con viso sconvolto.
-Quella è tua zia? –
-È la migliore amica di mia madre da tanto tempo-
-Cazzo Straniera, siete tutti strafighi in questa città! Che diavolo vi danno da mangiare? –
Alexis rise ancora, rendendosi conto di come il proprio umore fosse cambiato radicalmente con il solo ingresso di Kara al Dinner. Tutta quella rabbia, era come evaporata a contatto con l’allegria e la spensieratezza che solo lei riusciva a sprigionare. Kara era una rara forma di magia.
-Hai incontrato qualcun altro? –
Kara prese un altro grosso sorso di caffè, tanto che Alexis fu costretta a prenderne un altro per sé.
-Mentre tua madre, inquietante ma bellissima, mi portava qui siamo passate di fronte ad una libreria. Ho intravisto la donna che ci lavora ed era incantevole. Poi ho conosciuto l’altra tua madre, e adesso ho compreso da chi hai ereditato quei fare verdi che ti ritrovi. Adesso tua zia, santo cielo Straniera, datevi una calmata! –
Alexis scoppiò a ridere facendosi venire le lacrime agli occhi, pensando che Kara non aveva ancora visto nulla. Non aveva incontrato Ashley e le sue due bellissime figlie, Alexandra e Victoria, o scambiato due chiacchiere con Ariel. Le parve di vedere la propria città per la prima volta da straniera, appunto, e dovette ammettere con se stessa che passeggiando per le vie di Storybrooke non era insolito incappare in lineamenti principeschi.
-Che ti è successo, Alexis? Ero preoccupata per te–
Il cambio repentino nel tono di Kara, lasciava intendere la serietà del discorso e lei difficilmente lo era. Non era difficile da credere che si fosse preoccupata, dopotutto era sparita senza uno straccio di spiegazione. Sospirò, glielo doveva, ma faceva ancora male.
-È tornata Laya-
Aveva appena sussurrato quelle parole, ma erano bastate per ammutolire Kara.
-Oh –
Alexis si passò le mani tra i capelli, non voleva ferirla, non avrebbe mai voluto. Gli occhi di Kara, seppur nascosti dietro gli occhiali, erano palesemente stracolmi di delusione.
-Kara io non … - le prese le mani, ma non riuscì a parlare ancora.
E cosa avrebbe dovuto dirle? Che non appena Laya era tornata a casa si era dimenticata di tutto il mondo? Che avrebbe abbandonato Kara all’istante se Laya le avesse detto che sarebbe restata? Un nodo alla gola le rese difficile anche il solo respirare. La ragazza ritrasse le mani e quel geto ferì ancora più profondamente Alexis.
-Kara … -
La campanella della porta del Dinner tintinnò annunciando l’ingresso di un nuovo cliente e Alexis si lasciò distrarre da quel suono solo per scappare dallo sguardo di Kara. Ma si maledisse non appena poggiò gli occhi sulla persona appena entrata. Il cuore di fermò quando incontrò quegli occhi tanto scuri quanto belli. Persino Kara sembrò avvertire il cessare dei battiti, voltandosi verso l’altra ragazza.
-Ora capisco-  sussurrò.
Alexis tornò a guardarla confusa e rabbrividendo nel vederla recuperare la propria giacca e gettare delle banconote sul tavolo.
-Kara, aspetta. Ti prego-
Era scattata in piedi tentando di afferrare le mani della ragazza e fermarla, ma Kara sembrava un’anguilla.
-È bellissima, Alexis e ti guarda in un modo da mettere i brividi-
Non ci voleva certo un genio per decifrare il modo in cui lo sguardo di Laya aveva divorato il corpo di Alexis. Anche un cieco avrebbe compreso quanta passione era scorsa tra le due.
-Lex? -
La sfumatura protettiva del suo carattere bussò alle porta della mente, inquadrando immediatamente l’occhialuta come una potenziale minaccia. Non aveva mai visto quella ragazza a Storybrooke, men che meno ronzare attorno ad Alexis. Per cui, si ritrovarono tutte e tre in un quadrato di spazio dove l’aria era diventata incredibilmente pesante.
-E tu chi saresti? – domandò la maggiore.
Alexis trattenne il fiato, non avrebbe saputo come catalogare l’altra. Kara non era certo tipa da farsi mettere i piedi in testa, figurarsi da qualcuno che non conosceva. Ma stranamente, la ragazza non proferì parola limitandosi a guardarla. Alexis ingoiò a vuoto, incapace di dare una risposta alla domanda che le era stata porta. Respirò a fondo, se lo era ripromesso. Non avrebbe più rovinato la sua vita.
-Va’ via, Laya-
La bruna restò a guardarla confusa. Quella che si ritrovava avanti non era la sua Alexis, non era quell’adorabile principessina che amava alla follia. Volse uno sguardo furioso a Kara, certa che fosse colpa sua per quel cambiamento così radicala. Ignara del tutto della realtà dei fatti.
-Ti devo parlare, andiamo-
Voltò le spalle ad entrambe, certa che Alexis la seguisse, ma quando si rese conto di star camminando da sola verso l’uscita non poté impedire ad una cieca rabbia di graffiarle l’anima. Quelle gemme verdi che l’avevano sempre guardata con un amore incondizionato, sembravano volerla distruggere. E non poteva sopportarlo, non con tutto quello che stava passando.
-Lex, vieni fuori-
La pazienza non era mai stata una delle sue doti, men che meno nei momenti di rabbia.
-Non sono il tuo cane, Laya, non azzardarti a parlarmi a questo modo-
Avevano già avuto discussioni del genere, avevano già litigato anche in modo più deciso, ma Laya ci avrebbe giurato, quel tono non lo aveva mai sentito prima. Strinse la mascella e i pugni, diversi occhi si erano puntati su di loro.
-Credo sia meglio che tu vada via- intervenne Kara.
E quella, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non aveva mai permesso a nessuno di intromettersi tra sé e Alexis, non a Gideon e tanto meno a Leopold. Permetteva ad Emma e Regina di dire qualcosa solo per la profonda educazione che le era stata insegnata, ma una completa estranea non lo avrebbe accettato.
-Io invece credo che tu sia di troppo in questa città e nella vita della mia ragazza! –
Gli occhi di Alexis si sgranarono più che era loro concesso, nel loro verde una scintilla di magia corse veloce e intensa. Stava per rispondere quando Ruby si intromise. Erano diventate l’attrazione principale del locale e non era consono ai loro ruoli.
-Ragazze, adesso basta. State esagerando-
La bionda fece un passo avanti verso quello che era stato l’amore della sua vita, si avvicinò così tanto da poter sentire l’odore dell’altra.
-Si, Laya. Hai decisamente esagerato-
Uscì dal locale come una furia seguita da entrambe, aveva bisogno di aria o non avrebbe controllato la propria magia.
-Me lo devi, Alexis! Dedicarmi qualche minuto del tuo tempo mi sembra il minimo dopo quello che mia hai fatto-
Quelle parole arrivarono come una pugnalata alle spalle della ragazza.
-Ti ho dedicato otto anni della mia vita, Laya! –
Alle spalle di Laya, vide il volto confuso di Kara. Lei non capiva, non poteva capire. Non avrebbe mai potuto dirle che ciò che le aveva raccontato era una bugia. Che Laya non era stata la stronza che se ne era andata di punto in bianco, ma una vittima. La bruna si accorse di dove lo sguardo di Alexis era caduto e lo usò a suo vantaggio. Si voltò verso Kara, il viso contorto dalla rabbia.
-Le hai raccontato perché ci siamo allontanate, Lex? –
Alexis deglutì, Laya era completamente fuori controllo e ne era certa, avrebbe detto qualcosa di cui pentirsi.
-Smettila-
-Forse dovrei farle con la tua amichetta due chiacchiere-
Alexis si avvicinò strattonandola e guardandola con aria truce. Non credeva potesse rivelarsi tanto meschina.
-Dammi due minuti-
Aveva vinto, aveva dovuto concederle il tempo che chiedeva. Si voltò verso Kara e ciò che lesse sul suo volto la distrusse. Era ferita e confusa ed era solo colpa sua.
-Non devi farlo-
-Invece si-
Poggiò la fronte contro quella della ragazza e chiuse gli occhi pentendosi di averla coinvolta in quel vortice di follia che era la propria vita. Kara le accarezzò una guancia, preoccupata.
-Ti aspetto qui, ok? Ho preso una stanza al Granny’s-
Alexis sorrise cupa. Le sue madri l’avevano infilata in un guaio dal quale qualcuno ne sarebbe uscito dilaniato. La vide lanciare uno sguardo minatorio a Laya e poi rientrare alla tavola calda. Sospirò prima di dedicarsi interamente a Laya. Le si avvicinò con un diavolo per capello afferrandola per la giacca e trascinandola in un viale lontano dagli occhi di Kara, una volta lì trasportò entrambe nella foresta. Nel loro posto lontano dal mondo dove tante volte avevano litigato e tante volte si erano amate.
-Come puoi essere tanto stronza, eh? –
Laya ebbe bisogno di qualche attimo, non si era mai abituata agli spostamenti magici. Una volta che lo stomaco fu tornato al proprio posto, lasciò che tutta la rabbia contenuta fino a quel momento si riversasse.
-Che diamine era quella scenetta? –
-Quello che faccio con Kara non sono affari tuoi-
-Tu sei affar mio! –
I toni si erano alzati in un attimo e Alexis fece ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non esplodere. Incrociò le braccia sotto il seno, non poteva permettere alle mani di gesticolare o avrebbe dato fuoco a qualcosa.
-Non te lo chiederò ancora, Laya. Che cosa vuoi? –
-E me lo chiedi? Hai davvero il coraggio di chiedermelo? Tu mi hai tradita! –
Alexis spalancò la bocca di fronte a quell’accusa e tutti i buoni propositi circa l’autocontrollo iniziarono a vacillare come lampadari nel bel mezzo di un terremoto.
-Io cosa? –
-Non sono stupida, Alexis, è palese che c’è qualcosa tra te e quella lì-
-Non sei nella posizione di farmi scenate di gelosia, Laya-
-Ah no? Allora dimmi che mi sbaglio. Dimmi che non è come credo che sia-
Alexis si morse la lingua solo per un attimo, ma in quel momento il desiderio di ferirla era più forte di ogni singola altra emozione.
-Vuoi sapere se sono stata a letto con Kara, Laya? Si, siamo state a letto insieme innumerevoli volte, ma questo è ben lontano dallo sposarsi-
La bruna tentò di mandare giù quell’enorme rospo, aveva creduto di poterlo sopportare, ma si sbagliava. Si sbagliava di grosso. Sentì il cuore sgretolarsi nel petto e lo stomaco minacciare di stritolarla. Non aveva mai provato quella sensazione, non si era mai sentita tanto ferita e vulnerabile come in quel momento. Niente e nessuno le aveva mai fatto così male.
-Non posso credere che tu lo abbia fatto davvero-
Si passò una mano tra i capelli e sul suo viso apparve un sorriso incredulo.
-Non puoi crederci? Ti ricordo che nemmeno ventiquattro ore fa mi hai detto di esserti sposata e aver avuto una bambina. Non ho tre anni, so come si fanno i figli! -
Avrebbe voluto aggiungere tante altre cose, ma il pensiero di lei a letto con qualcun altro faceva ancora male.
-Ancora con questa storia? Non sono stata io, ma Hannah. E se proprio la vuoi mettere su questo piano, dovresti ricordarti chi mi ci ha mandato lì-
-Mi sono già scusata per questo e ci sono stata dannatamente male, solo che tu non c’eri per vederlo-
-Mi hai spedita in un altro mondo, Alexis! Un altro mondo, non in un’altra città! Come pensi avrei potuto fare a tornare? –
Alexis si passò ripetutamente le mani sul viso. Aveva impiegato anni per essere capace di non vomitare ogni volta che quel senso di colpa le sbatteva in faccio il proprio fallimento.
-Allora dimmi perché non sei tornata appena la maledizione si è spezzata. Dimmi per quale dannata ragione vuoi tornare in un mondo finto-
Laya rise sconvolta, non le sembrava vero che l’altra potesse essere tanto ottusa.
-Mi sembra di averti già risposto, lì c’è mia figlia ed io non posso abbandonarla. Non posso far finta di niente e dimenticare le mie responsabilità. Non posso abbandonare Esmeralda! –
-Ma puoi abbandonare me-
Per un secondo, la rabbia sembrò sparire da entrambe per lasciare unicamente spazio a quel sordo dolore che nessuna delle due voleva ascoltare. E fu in quel momento che Laya riconobbe la ragazza della quale si era innamorata. Ritrovò quello sguardo dolce e il modo innocente in cui Alexis si mordeva le labbra quando era in difficoltà. Rivide quell’adorabile sedicenne che le aveva fatto perdere la testa. Sospirò prima di risponderle, ben conscia che alla prima parola sarebbero tornate a gettarsi addosso solo cattiverie.
-Io ti amo, Lex. Ti ho amata e ti amerò ogni singolo giorno della mia vita, ma… -
Non riuscì a completare la frase perché dopo quel “ma” non ci sarebbe stato nulla di buono.
-Ma preferisci tornare da qualcosa che non hai voluto-
-Torno da mia figlia, Alexis! Faccio ciò che mi hai insegnato, antepongo la famiglia ad ogni altra cosa-
-Io ti ho sempre messa al primo posto! Sopra la mia famiglia, sopra la mia casa, i miei amici, la mia vita. Persino sopra me stessa! –
Un forte vento si alzò di colpo e Alexis riconobbe i segni della perdita di controllo. Respirò a fondo, cercando di fermare il flusso di magia e quello delle lacrime.
-Non puoi chiedermi di scegliere tra te ed Esmeralda, sai perfettamente che non l’abbandonerei. Lo sai meglio di chiunque altro. Non importa come sia venuta al mondo, lei è mia figlia-
Alexis si lasciò cadere su una radice, aveva bisogno di sedersi. La consapevolezza di vederla sparire si faceva largo in lei ogni secondo in più.
- Quindi io dovrei accettare il fatto che tu abbia fatto sesso con qualcun altro, ma tu no? Perché tu hai avuto una figlia? –
-È completamente diverso, io non ero in me ma sotto la maledizione di tua madre! –
Alexis scattò in piedi come una molla e Laya dovette riconoscere che almeno in quello non era cambiata.
-Non ti azzardare, Laya-
La bruna le si avvicinò con aria minacciosa, quel momento di tregua era morto.
-A fare cosa, Alexis? Non dovrei farti presente che sei esattamente come lei? Che proprio come tua madre lanciò la maledizione infischiandosene della vita degli altri, tu mi hai spedita in quel portale? –
-NONO L’HO FATTO DI PROPOSITO, CERCAVO DI SALVARTI! –
Aveva urlato così forte da sentire le corde vocale bruciare e il viso prendere fuoco. Laya non rispose, aveva detto quelle parole solo perché sapeva l’avrebbero ferita proprio come aveva fatto lei. Rimasero a fissarsi per qualche attimo, momenti in cui il verde e il nero si scontrarono come non avevano mai fatto prima. Era chiaro ad entrambe che qualcosa di importante si era rotto.
-Sai una cosa, Laya? Io non ne posso più, sono stanca di soffrire. Mi ero quasi abituata a vivere senza di te, avevo quasi accetta l’idea di averti persa per sempre e di non averti salvata. Avevo imparato a sopportare il dolore che mi sfondava il petto ogni giorno, lasciandolo vincere solo poche volte. Ho provato con tutte le mie forze a dimenticarti, ma mi rendo conto che non posso farcela e che non potrò mai lasciarti andare davvero. Quindi ti prego, Laya, vattene e non tornare più-
Laya sgranò gli occhi, non si sarebbe mai aspetta qualcosa del genere e solo in quel momento vide tutto il dolore che viveva dentro Alexis. Vide tutti quegli anni passati a distruggersi. Allungò una mano, desiderosa di abbracciarla, ma l’altra si tirò indietro.
-Lex… - sussurrò appena.
La bionda sollevò i palmi e ingoiò un groppo di saliva troppo amaro.
-Se credi che sia la cosa giusta, vattene. Va’ via ed io tornerò a fingere che tu sia morta e magari proverò ad essere felice con Kara. Che a te stia bene o no, tiene a me ed io a lei. Quindi ti chiedo quest’ultimo favore, Laya: sparisci dalla mia vita per sempre. Tra noi sarebbe dovuta finire quando sei caduta in quel portale-
Fece appena qualche passo indietro, poi ruotò il polso e sparì prima che Laya potesse far nulla per fermarla, lasciandola con un vuoto enorme nello stomaco.
 
Alexis si ritrovò fuori la porta di casa con un enorme peso sul cuore. Sapeva che era la cosa migliore per tutti rompere definitivamente con Laya, ma non poteva nascondere quanto male facesse. Ebbe appena il tempo di varcare l’ingresso che Regina le apparve avanti gli occhi in abiti da casa e grembiule da cucina.
-Tesoro, che è successo? –
Alexis aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Non sapeva nemmeno se avrebbe voluto parlare con le proprie madri o se rinchiudersi nella propria fortezza. Sollevò lo sguardo sulla donna, leggendo sul suo viso tutta la preoccupazione che era ormai solita ostentare. Mi morse le labbra e trattenne le lacrime stringendo forte gli occhi. Mosse qualche passo verso Regina fino a poggiare la fronte contro la sua spalla.
-Amore, che… -
-Mamma puoi solo abbracciarmi? Per favore-
Regina non se lo fece ripetere due volte stringendo la figlia con tutta la forza di cui era capace. Chiamò a gran voce Emma, occupata a sbrigare dei documenti nello studio al piano di sopra. La donna scese di corsa, cogliendo il tono di voce preoccupato della moglie.
-Regina cosa… -
Non appena incontrò lo sguardo della bruna, questa le fece segno di tacere portando un dito contro il naso. Emma comprese al volo, limitandosi a raggiungerle e a completare quell’abbraccio.
-Non metterò piede fuori di casa fino a quando non sarà andata via, lo giuro. Starò lontana da Laya-
Le due donne si guardarono solo per un attimo e tanto bastò per comprendere che tra le due fosse accaduto qualcosa.
-Qui sei al sicuro, Lex-
 
Laya fu costretta a tornare a piedi, ma passeggiare l’aiutò a riflettere e a sbollire tutta la rabbia che ancora la logorava. Non avevano mai litigato a quel modo, non erano mai arrivate a tirarsi addosso tutto quel veleno. Non avrebbe mai creduto che Alexis avesse potuto covare un simile rancore, che dentro di sé avesse così tanto dolore. Avrebbe voluto parlare con lei civilmente, chiederle cosa avesse fatto in tutti quegli anni e magari mangiare assieme le ciambelle del Granny’s che tanto le piacevano, ma la situazione era collassata e lei tornava a casa con più ferite di quante ne potesse sopportare. Quando l’aveva vista ridere assieme a quella ragazza, non ci aveva visto più dalla rabbia. Quei sorrisi, quegli occhi, erano sempre stati suoi. Ogni cosa era sempre stata sua, da quando l’aveva conosciuta. Erano cresciute assieme, maturate assieme. Alexis aveva percorso la strada della propria adolescenza e Laya aveva imparato a fidarsi della magia. Poi, tutto era finito alla malora.
Entrò in casa con l’unico desiderio di poter abbracciare Esmeralda, ma per quello avrebbe dovuto attendere ancora qualche giorno.
-Scoiattolina, dove sei stata? –
Sollevò lo sguardo verso il padre, ma non lo vide realmente. La sua vista si fece appannata e per la seconda volta da quando era tornata in quella Storybrooke, scoppiò a piangere come una bambina.
-Laya! –
Phoebus le cinse le spalle con le braccia, stringendola.
-È andato tutto storto, papà. Non abbiamo fatto altro che litigare da quando sono tornata, che senso ha avuto venire qui? –
Phoebus non aveva bisogno di sapere a chi si stesse rivolgendo, aveva visto sua figlia sconvolta a quel modo per una sola persona nella sua vita.
-Mi dispiace, Laya-
La ragazza si staccò dal suo petto forte e lo guardò fisso negli occhi.
-Papà, verreste con me? -   

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Capitolo 20
*** 20 ***


***Eccoci qui, alla fine sono arrivata alla fine. È stato un viaggio più complesso di quanto avrei mai potuto immaginare. Ci sono stati momenti in cui è stato particolarmente complicato portare avanti i capitoli, ma ecco l’ultimo. Il nostro percorso, mio, di Lex, Laya e vostro, si conclude in queste righe.
Spero che vi sia piaciuto e che lo ricordiate con affetto, magari anche con un filo di malinconia.
Grazie a chi è arrivato fino a qui, a chi ha letto in silenzio e a chi mi ha dedicato il proprio tempo. Grazie a chi mi ha lasciato due righe e grazie a chi ha sopportato i miei mostruosi ritardi.
Detto questo, ci vedremo forse in una prossima avventura.
Un bacio,
S.***
 
 
 
 
 
Il campanello di casa aveva suonato già due volte, ma non vi era stato nulla in grado di convincere Alexis ad alzarsi dal divano per andare ad aprire. Aveva promesso che non avrebbe messo il naso fuori di casa per i prossimi due giorni. Convincere Emma e Regina che fosse sincera era stato complesso, le due aveva costruito una gabbia d’orato nel quale tenerla al sicuro e aveva dovuto litigarci per mandarle a lavoro. Chiunque fosse stato, si sarebbe convinto che non era in casa o avrebbe lasciato perdere. Invece c’erano stati altri due trilli e al quinto fu costretta a lasciare telecomando e sofà, anche solo per mandare a quel paese chi la stava disturbando. Non si preoccupò di presentarsi in tuta e t-shirt, che avrebbe potuto avere la sua stessa età, l’importante era disfarsi di quel problema. Ciò che non sapeva ancora, era quanto fosse effettivamente grande. Aprì la porta e si ritrovò di fronte un sacchetto del Grenny’s e un paio di fatali occhi scuri a porgerlo.
-Le tue preferite- 
Si concesse appena qualche secondo di puro masochismo, si concesse di tornare ad affogare ancora una volta ben consapevole di non avere alcun tipo di ancora. 
-Non ho fame-
Provò a richiudere la porta, ma la mano di Laya fu più veloce e la bloccò in tempo. 
-Alexis, ho bisogno di parlarti-
-Credo ci siamo già dette abbastanza-
Laya aveva calcolato quel tipo di accoglienza, era certa che si sarebbe trovata di fronte una bomba ad orologeria pronta per esplodere. Era pronta al veleno che l’altra avrebbe buttato fuori e al gelo che aveva intorno. Dopotutto si erano tirate addosso di tutto solo il giorno prima. Ma non riuscì a programmare la sua reazione di fronte a quello sguardo duro e crepato. Ci aveva provato con ogni sua forza a prepararsi e a resistere, ma era impossibile. Aveva passato la notte a pensare a lei, a lei e a Kara e il dolore la divorava fino a farla impazzire.
-Per favore- il sono tono fu poco più di una supplica.
Alexis ridacchiò, un suono così distante dal suo normale modo di farlo. Allargò le braccia e spalancò la porta, un sorriso finto sul viso.
-Accomodati, tanto si fa sempre quello che vuoi tu. O magari mi minaccerai di nuovo? -
Non attese l’ingresso dell’altra, le diede le spalle e si recò nuovamente verso il divano gettandocisi sopra. Laya la seguì a passo lento, aveva bisogno di stare con lei anche solo per un attimo. Per questo aveva portato le ciambelle del Granny’s, sapeva quanto le piacessero e ricordava le scorpacciate che faceva ad ogni colazione lì. Poggiò il sacchetto sul tavolino di fronte il divano e si perse a guardarla; pesanti occhiaie le circondavano gli occhi, i capelli erano in disordine ed era abbastanza certa non avesse chiuso occhio da almeno tre giorni. Ma ciò che più la pugnalava al cuore, era quel suo essere tanto glaciale. Lei non era così, Alexis era un’eterna bambina allegra, anche quando litigavano o aveva paura. Alexis emanava gioia. 
-Come stai? -
Sapeva bene essere la domanda più idiota che potesse porgerle, ma non le era venuto in mente nulla di più sensato da dire per iniziare una conversazione.
-Benissimo- rispose lapidaria.
Provò ad allungare una mano verso di lei, ma saltò indietro come un gatto rivolgendole un‘occhiataccia.
-Lex- il suo tono fu una preghiera.
-Chiamami di nuovo così e ti faccio volare fuori dalla finestra, Agnés-
Era scattata in piedi, frapponendo tra loro il divano e ulteriori metri di precauzione. Respirò a fondo, cercando in qualche modo di raggruppare i pensieri. Si alzò e mosse un solo passo verso di lei, solo uno prima che l’altra si irrigidisse. Si guardò attorno, si sarebbe aspettata di vedersi piombare addosso un qualsiasi membro della sua famiglia pronto a dirle di star lontana.
-Sei sola? - domandò stupida.
-Strano, vero? Ormai vivo in una gabbia ancor più stretta di quanto non lo sia tutti i giorni. Ironico che l’unico momento nel quale riesco ad avere un po’ d’aria arrivi tu-
A quella conferma, Laya decise di tentare il tutto per tutto. Non aveva più tempo, il giorno dopo sarebbe andata via e non l’avrebbe mai più rivista. Mosse ancora qualche passo nella sua direzione.
-Non ti avvicinare, Laya- le intimò allungando le dita verso di lei.
-Voglio solo parlare con te- rispose l’altra a palmi alti.
-Puoi anche farlo restando seduta sul divano. O magari anche da fuori la porta- 
I toni di Alexis erano aghi che penetravano nella pelle. La maggiore non ci pensò nemmeno a contraddirla, tornò a sedersi. Avrebbe voluto dirle tante cose, ma non erano poi così lontane da quanto si erano già dette il giorno precedente. Non c’era ferita che ancora non si fossero inferte a vicenda. E le sue bruciavamo, bruciavano da morire. Lo sguardo della ragazza era come sale e limone assieme sui bordi infetti. 
-Ho raccontato di te a Esmeralda-
Non seppe dire perché tirò fuori proprio quell’argomento. Le parlò a capo chino, senza il coraggio di guardarla in faccia. Alexis restò in piedi, senza una singola emozione ad attraversarle il viso.
-Dovrei sentirmi onorata per questo? E cosa le avresti detto, poi? Che in un’altra dimensione c’è una povera idiota che è stata innamorata persa di te, che ti ha aspettata e cercata per anni? Che è quasi impazzita nel vano tentativo di riportarti a casa? Che la sua nascita è stata frutto di una maledizione? -
Laya scattò in piedi e con pochi movimenti si ritrovò a pochi passi dall’altra. Nel tono dell’altra c’era stato un gelo ed una cattiveria che non le aveva mai sentito. Mai.
-Non ti azzardare a parlare così di mia figlia-
-Ho detto la verità. Il tuo matrimonio, la sua nascita, non l’hai voluta tu e nemmeno quel poveretto di tuo marito-
Alexis sentì il cuore sgretolarsi nel petto. Matrimonio, figlia, separazione, erano argomenti che ancora non poteva mandar giù, ma che sapeva avrebbero ferito Laya. E ormai, erano riuscite a comunicare solo ferendosi. Era una consapevolezza che avevano entrambe.
-Moderati, ragazzina-
-Altrimenti? -
Laya non avrebbe voluto discutere ancora, non avrebbe voluto litigare. Era suo desiderio trascorrere quell’ultimo giorno in sua compagnia. Ma entrambe avevano fatto passi in avanti, verso l’altra. Si ritrovarono a pochi centimetri di distanza. Avvertirono distintamente l’elettricità tra loro e i battiti accelerati l’una dell’altra. Laya aveva il fiatone, gli occhi di Alexis la stavano uccidendo, verdi e colmi di magia, e le sue labbra erano così vicine. Le mancavano da morire quelle labbra, il loro sapore, il modo di sospirare quando la baciava. Quella luce che le illuminava il volto ogni volta si staccava da lei e la guardava sognante. Non resistette oltre, le prese il volto tra le dita e raggiunse finalmente la sua meta. Riuscì appena a toccarle che un sonoro schiaffo le arrivò dritto su una guancia. Fu costretta a fare diversi passi indietro tenendosi la parte lesa. Alexis la guardava con una maschera indecifrabile sul volto, gli occhi brillavano di rabbia e lacrime.
-Vaffanculo, Laya! - strillò con le mani tra i capelli.
Ma lei non si mosse, non fece nulla. Attese che Alexis tornasse più vicina per poter risentire il suo odore e ridonare alle mani quel calore che solo la sua pelle sapeva infondere. 
-Vattene! Vattene immediatamente da casa mia! -
Le lacrime presero a bagnarle le guance rosse. Le labbra, incastrate nella morsa dei denti, la chiamavano a gran voce. Si avvicinò ancora una volta ma un muro invisibile le impedì di andare oltre così da far crescere anche la sua rabbia.
-Non usare la magia, Alexis-
-Tu non puoi più dirmi cosa devo o non devo fare, hai capito! E non puoi venire qui e fare come cazzo ti pare, non sono la tua puttanella! - i suoi singhiozzi si fecero più prepotenti, la mano tesa a supporto del muro.
-Liberami immediatamente-
Alexis non abbassò la mano, né il suo sguardo si addolcì.
-Lex, smettila di usare la magia. ORA! -
Di fronte quella tenacia, quello sguardo oscuro e profondo, al suo nome pronunciato con rabbia, non fu capace di sorreggere alcun tipo di muro. Il suono perfetto che avvolgeva il suo nome quando era lei a pronunciarlo, era eroina pura. Abbassò la mano, lasciandosi cadere sulle ginocchia trattenendo le lacrime. O quanto meno provandoci. Per qualche attimo tutto tacque, nessuna delle due ebbe il coraggio di muovere un solo muscolo. Poi Laya le si avvicinò tendendole la mano.
-Alzati, il pavimento non fa per te-
Nelle sue parole non vi era stata gentilezza o premura, i suoi toni furono rigidi e gelidi. Le dita tese in suo aiuto la tirarono ancora in piedi, il loro contatto non poté evitarle dei brividi lungo le schiena. Si guardarono e ancora Laya non riuscì a trattenersi di fronte a quegli smeraldi tanto carichi. Le prese nuovamente il viso tra le mani e la baciò. La baciò con furia e con rabbia, con bisogno e dovere, come se in quel bacio vi fosse racchiusa tutta la propria vita. Ed era così, aveva desiderato baciarla da quando l’aveva rivista la prima volta al suo ritorno. Aveva desiderato baciarla da quando erano riaffiorati i suoi ricordi mischiandosi con quelli di Hannah, da quanto lei l’aveva respinta.
Alexis provò ad opporre resistenza ma era troppo debole, quella passione non poteva fermarla. Poteva solo lasciarsi travolgere, come una conchiglia persa nella marea. Ritrovare la lingua di Laya fu tornare a respirare dopo anni di reclusione in una stanza senza finestre. Fu doloroso e stupendo al tempo stesso, sprigionando una forza tale da sgretolarle il cuore e farlo battere tanto forte da metterlo a rischio.  La maggiore la spinse contro il muro del salotto accanto al camino tenendole saldi i fianchi. Alexis gemette quando le spalle collisero con la parete, un suono perfetto per le orecchie di Laya. Un suono che arrivò diretto al suo centro scuotendolo. Dal suo risveglio aveva sognato così tante volte di fare ancora l’amore con lei e nella sua dimensione onirica i gemiti della minore non erano nulla rispetto alla realtà. Continuava a baciarla, a tenerla ben salda tra il suo corpo e la parete temendo di vederla scappare da un momento all’altro. Le mani viaggiavano lungo quel corpo che aveva scoperto per prima e che conosceva come le sue tasche, ogni centimetro era stato suo. E lo voleva di nuovo. Le dita della mano destra sfregarono sotto la maglia lungo i fianchi, trovandoli ancora più sottili di quanto non fossero mai stati, fino ad arrivare al lato del seno nudo. La sinistra la teneva salda alla base della schiena facendo combaciare i loro centri. Alexis era aggrappata alle sue spalle, i palmi bruciavano e fremevano al desiderio di tornare a scorrere su quella pelle abbronzata. Abbandonò le sue labbra solo per riprendere aria, dedicando la sua attenzione al collo. Passò più volte la lingua sulla giugulare, avvertendo un brivido quando toccò la cicatrice sulla parte sinistra. Laya gemette e i suoi slip si inumidirono. Le allontanò il capo tirando con forza verso il muro, la guardò dritta negli occhi e fu certa che il mondo sarebbe anche potuto finire in quel momento. Le labbra semiaperte e gonfie, le gote rosse, il petto che si alzava e abbassava frenetico, non le lasciavano scampo. Si concesse ancora qualche secondo per guardarla mentre le tirava su la t-shirt e la gettava sul pavimento, mostrando il seno già nudo. Si inginocchiò avanti a lei baciandole la pancia e delineando con la lingua il confine della tuta. La sentì fremere sotto di sé e gemere per i suoi tocchi. Le mani della minore si persero tra i capelli scuri mentre cercava in ogni modo possibile di avvicinarsi di più a lei. Laya risalì tutto il percorso del tronco con la punta della lingua, soffermandosi qualche attimo di più tra i seni e beandosi dei sospiri pesanti dell’altra. Dedicò particolare attenzione al collo, lasciandovi morsi e segni rossi. Stava per tornare a baciarla ma Alexis l’afferrò per la maglia e mosse appena il polso. In un attimo si ritrovarono nella sua camera, stese sul letto. Proprio come durante la loro prima volta.
-Lo sai che odio la magia- sospirò Laya.
In risposta la minore fece schioccare le dita facendo sparire gli indumenti di entrambe, lasciandole nude l’una sull’altra. Inghiottì un groppo di saliva quando si ritrovò di fronte il corpo nudo di Laya e tutta la mancanza di quegli anni la investì. Sui fianchi e sulla pancia i segni della gravidanza erano appena visibili, ma le fecero comunque male. Tornò a guardarla, il suo sopracciglio alzato lasciava presagire che attendeva ancora una risposta alla sua frase di poco prima. 
-Non puoi più dirmi cosa fare-
La sua risposta fu veloce, il suo unico desidero era tornare ad occuparsi di lei. Laya stava per replicare ma i denti dell’altra intorno ad uno dei suoi capezzoli la misero a tacere. Gettò la testa all’indietro, le mani accarezzarono la schiena di Alexis. La lasciò fare, senza nemmeno pensare a cosa le stesse effettivamente facendo. L’unica cosa importante era sentirla a cavalcioni su di sé e ascoltare i brividi che le solcavano ogni centimetro di pelle. Chiuse gli occhi, concentrandosi solo sulla lingua dell’altra appena sotto l’ombelico e sul calore che si propagava tra le sue gambe. Continuava a scendere e solo quando l’avvertì al suo interno si concesse di sgranare gli occhi e lasciarsi andare a gemiti liberatori. Strinse tra le mani le lenzuola sotto di sé beandosi di quella sensazione che solo Alexis era mai stata in grado di farle provare e che le era mancate come l’aria. Non esisteva termine di paragone con i ricordi che Hannah aveva di Jonas, nulla in confronto al modo in cui continuava a galleggiare dentro di lei e a farla impazzire. I sui movimenti circolari, il modo in cui le teneva le cosce e i capelli che le solleticavano la pelle, erano un perfetto connubio. Abbassò per un solo istante lo sguardo verso la ragazza e la trovò intenta a guardarla con quelle sue grandi gemme verdi. E tanto le bastò per urlare forte e lasciar risuonare la sua liberazione in tutta la casa. L’altra le fu di nuovo addosso baciandola con foga e mischiando i loro sapori. Avrebbe desiderato un attimo per riprendere fiato, ma la necessità che Alexis le stava richiedendo era più impellente. Cercò di capovolgere la situazione portandosi su di lei, ma non glielo permise bloccandole i polsi sulla testa e annullando ancora una volta le distanze tra loro. Voleva farla sua, voleva tornare a viaggiare in lei e ad ascoltare i suoi gemiti di piacere. Tentò di liberarsi ma la presa dell’altra era solida e stretta.
-Lex, lasciami- supplicò.
Alexis poggiò la fronte contro la sua chiudendo gli occhi, ma Laya capì che stava solo evitando di non far vedere le proprie lacrime. 
-Non posso credere che tu abbia fatto tutto questo con un’altra persona. Non posso credere tu l’abbia fatto mentre io mi dannavo per ritrovarti-
Le sue parole vennero fuori in un bisbiglio doloroso, roche e pesanti. Laya attese che riaprisse gli occhi prima di parlare a sua volta, aveva bisogno di morire nel suo verde. 
-Conosco la sensazione, credimi-
Nella sua mente era ancora nitida la confessione di esser andata a letto con quella ragazza. Aveva sentito una stretta allo stomaco che l’aveva fatta quasi correre a vomitare.
-Non è minimamente paragonabile, Laya-
Ma la bruna non aveva alcuna voglia di parlare, quel corpo le era mancato per troppo tempo. Strattonò ancora la sua presa e questa volta riuscì a liberarsi mettendosi seduta, ma sempre tenendo l’altra ben salda su di sé. Alexis intrecciò le dita tra i suoi capelli e le gambe alla schiena andando a perdersi nei suoi occhi scuri. Laya la baciò, ma senza rancore. Un bacio colmo d’amore e di scuse. Fece scivolare le dita lungo il ventre candido dell’altra fino ad arrivare alla sua meta, intrappolando ogni ansito. La sentì tremare sotto i polpastrelli e chiederle di andare oltre spingendo tutto il corpo verso di essi. Non ebbe alcun problema a proseguire oltre, lasciò scivolare nel corpo di Alexis due dita e si crogiolò nel suo calore e in tutto ciò che ne susseguì. Ammirò le iridi allargarsi all’inverosimile e la bocca spalancarsi per lasciar uscire i suoi gemiti. La minore si era aggrappata alle sue spalle con salda presa, ma Laya le cingeva comunque la schiena con una mano mentre con l’altra affondava in lei. I gemiti diventarono ben presto urla, suoni perfetti per le sue orecchie. Non le staccò per un solo istante gli occhi di dosso, imprimendo nella mente il meraviglioso modo in cui assecondava i suoi movimenti e i suoi occhi carichi cercavano i suoi per perdercisi. Non le chiese come era solita fare di tornare sulla Terra, di tornare da lei, voleva che restasse nella sua oscurità il più a lungo possibile. Voleva continuare ad ammirarla su di sé, contemplare i suoi movimenti alla ricerca del piacere. Le dita si intrecciarono tra i capelli della maggiore, trascinando il capo sul suo petto implorando attenzioni. Intorno alle dita il suo corpo prese a tremare preannunciando il quasi imminente orgasmo.
-Ti odio, Laya. Ti odio con tutta me stessa- ansimò.
-Ti amo anch’io, Lex-
Alexis si lasciò andare ad un grido liberatorio, poi distese i muscoli lasciandosi cadere sul corpo dell’altra con respiro affannoso e sfinita. Laya tornò a stendersi tenendola stretta e lasciando che restasse su di sé, facendo suo ogni minimo fiato. La strinse forte, come aveva fatto troppe poche volte durante la loro relazione. Non aveva mai temuto di vederla sparire da un giorno all’altro, non si era mai preoccupata di godere di ogni secondo in sua compagnia. Da quando era entrata nella sua vita c’era sempre stata e anche nei momenti più complicati, aveva sempre avuto in lei la certezza di ritrovarla il giorno dopo. In quel momento si rese conto di cosa significasse realmente quella ragazza nella sua vita. Lei era stata ogni cosa, poi era dovuta scendere a compromessi con Hannah. E Hannah, non aveva lasciato nulla. Hannah aveva distrutto la sua vita e tutto ciò che aveva faticosamente costruito con Alexis. Respirò forte l’odore dei suoi capelli, l’odore del sesso e di casa. Il peso della ragazza addosso, era ciò che aveva sognato infinite volte durante la sua permanenza nell’altra dimensione. Ascoltò i suoi respiri regolarizzarsi, fino a quando il fiatone non sparì del tutto. La minore tentò di lasciarsi cadere sul letto accanto all’altra, ma Laya la pregò di restare ancora sul suo petto stringendole ancora più forte le braccia attorno al suo corpo, sentendola rabbrividire.
-Hai freddo? – le sussurrò all’orecchio.
Alexis annuì e Laya si mosse per poterla coprire fino al mento e stringendola ancora. Dopo poco tempo la sentì rilassarsi e strofinare il naso sul suo collo. Nuovi brividi nacquero sul suo corpo. Lo faceva spesso dopo aver fatto l’amore, una ricerca incondizionata di essere amata. Le baciò i capelli e prese ad accarezzarle la schiena sfiorando appena la pelle con i polpastrelli. La sentì muoversi appena su di sé in risposta al suo tocco. Lasciò viaggiare le dita sulle sue cosce, sorridendo quando un mugolio venne fuori dalle labbra dell’altra. Le cercò ancora, pronta per trovare nuovamente piacere in lei, ma Alexis la fermò tirandosi indietro. Laya si sentì ferita da quel rifiuto, non era mai accaduto, di solito era lei a doverla fermare. La minore scivolò via dal suo corpo, lasciando un enorme gelo al suo posto. Si posizionò su un lato, rannicchiandosi accanto a lei. Laya conosceva quell’atteggiamento, si comportava a quel modo ogni volta che c’era qualcosa che non andava; aveva bisogno di sentirla accanto ma al tempo stesso si prendeva un po’ del suo spazio. Ruotò sul fianco anche lei, cercando di imprimere negli occhi quanto più poteva.
-Che c’è? – le chiese.
Alexis non alzò lo sguardo verso di lei, preferendo restare nel conforto della sua coperta.
-Cosa succederà adesso? – attese qualche secondo una risposta da Laya che non arrivò. Dunque continuò –Te ne andrai via come se questo non fosse mai accaduto? Come se non fossi importante per te? -
Sussurrò solo l’ultima frase, il dolore era troppo forte. L’aver riavuto Laya solo per qualche frammento di vita, non bastava e non serviva.
-Io ti amo, Lex, ma … -
Laya tentò di avvicinarsi a lei, ma la minore saltò fuori dal letto e iniziò a rivestirsi velocemente. Restò a guardarla sentendo il cuore lacerarsi poco a poco sempre più. La imitò, limitandosi ad indossare la maglia e gli slip.
-Ehi, fermati un secondo. Guardami, Lex-
Le prese il viso tra le mani, ma le sfuggì troppo velocemente.
-No, Lay! Diciamo di amarci, ma tu domani andrai via per sempre ed io dovrò fare i conti con tutto questo. Di nuovo-
-Sto male anch’io, cosa credi! Vorrei poter restare qui e riprendermi la mia vita, ma ho delle responsabilità. Non posso sparire come se nulla fosse, non posso abbandonare mia figlia per seguire il cuore. Io non sono mia madre, Alexis-
Ne seguirono attimi di silenzio. Istanti in cui entrambe tentavano di restare salde ai propri posti piuttosto che riprendere a darsi contro senza alcun tipo di freno.
-Abbiamo sbagliato, Laya. Non dovevamo permettere che accadesse –indicò con una mano il proprio letto-Ci siamo lasciate trasportare come due adolescenti-
Laya la guardò sconvolta. Non avrebbe mai creduto che Alexis potesse pensare qualcosa del genere, che definisse uno sbaglio fare l’amore. Ricordava così nitidamente quanto avessero discusso prima di farlo la prima volta. Non riusciva a comprendere, nel suo sguardo affranto non ritrovava la ragazza che amava profondamente da anni. Lì, dove una volta c’era quell’adorabile ragazzina esuberante, viveva una donna di ventiquattro anni segnata dalla vita.
Poi comprese.
Il problema non era solo la sua imminente partenza, ma quella Kara di cui le aveva parlato. Sentì lo stomaco contorcersi, avvinghiarsi su sé stesso e stringersi in un nodo. Per un attimo, capì cosa avesse dovuto provare Alexis nel vederla con Jonas.
-Non è solo per me, vero? –
Sul suo viso apparve un sorriso triste, nel petto batteva la consapevolezza di averla persa. Fu un dolore tremendo, ma ciò che lo rendeva ancor più forte fu che anche Alexis lo avesse provato. Per così tanto tempo.
-No, Laya, non è solo per te. Kara non merita questo-
Tentò con ogni sua forza di restare calma e lucida, di non perdere il controllo come la prima volta che le aveva parlato di lei. Tentò di prenderla con maturità e restare razionale, ma non poteva accettarlo. Alexis, la sua Alexis, non poteva provare qualcosa per un’altra persona. Lei era sua.
-Ne sei innamorata? – chiese con voce tremante.
La minore deglutì a fatica, non era riuscita a rispondere a quella domanda nemmeno con sé stessa. Più e più volte se lo era domandato, ma era sempre stata incapace di darsi un’effettiva risposta. Kara la faceva star bene, era riuscita a farla tornare alla luce dopo troppi anni di ombre e lei non poteva dimenticarlo. Non poteva semplicemente cancellare tutto ciò che aveva fatto per lei e come fosse stata in grado di ricordarle che c’era un mondo oltre Laya, un mondo in cui valeva la pena vivere con Kara accanto. Un sorriso le increspò le labbra pensando a quella sua risata infantile e al modo in cui si sistemava gli occhiali sulla faccia. E quel sorriso non sfuggì a Laya.
-Penso di sì -
Non si era nemmeno resa conto di averle risposto. Le parole erano arrivate alle sue orecchie come se pronunciate da una terza persona nella stanza. Alzò lo sguardo su Laya, sgranando gli occhi nel vedere delle lacrime scorrere sulle sue guance. Nei quattro anni in cui erano state insieme, non l’aveva mai vista piangere. Non aveva mai visto quell’espressione tanto addolorata e triste sul suo volto. Le si avvicinò, prendendole le mani. Si mosse con estrema calma, temendo che Laya potesse scattare da un momento all’altro.
-Mi dispiace, io… -
-Ti sei innamorata di un’altra, Lex! Non posso crederci, non ci riesco. Ne abbiamo passate così tante tu ed io e adesso stai mandando tutto a puttane! –
Si districò dalla presa dell’altra, allontanandosi per poter essere libera di muoversi. Si coprì il volto con le mani, tentando di nascondere la vergogna ed il dolore che provava.
-Mi dispiace, Laya! Te l’ho già detto, non riuscivo più a vivere. La mia vita era diventata un continuo infliggermi dolore nel vano tentativo di trovarti-
Le andò incontro, provando ancora ad avere un contatto con lei. Le circondò il volto con le mani, impedendole di poter scappare via.
-Tu sarai sempre il mio vero amore, Laya. Nessuno potrà mai prendere il tuo posto, e tu lo sai, ma non puoi chiedermi di restare imprigionata in un ricordo. L’ho fatto per troppo tempo e mi ha quasi uccisa. Ti prego, cerca di capire-
Ma Laya non era più lucida, tutto ciò che riusciva ad elaborare era che l’amore della sua vita avesse scelto di rinunciare a lei. Non riusciva a rendersi conto di quanto fosse ipocrita ed opportunista, non riusciva a vedere quanto dolore stesse provando l’altra nel dover ammettere che le cose tra loro fossero mutate. Sentiva le lacrime morire sulle dita di Alexis, e tutto ciò che riusciva a desiderare era baciarle.
-Provi per lei ciò che hai provato per me? –
 Le sue parole vennero fuori come se fosse stata sua figlia a pronunciarle, cariche di ingenuità e infantilità. Rotte da lacrime pesanti.
-Dio, Lay, ti ho appena detto che è impossibile! Tu sei stata la mia prima volta in tutto e questo non potrò mai dimenticarlo. Ma non puoi chiedermi di restare legata al tuo fantasma-
-Allora vieni con me-
I suoi occhi brillarono come gemme, le pupille sgranate rendevano nera ogni cosa collidesse con loro. Si avvicinò quasi di corsa ad Alexis, prendendola per le spalle.
-Vieni con me, Lex. Potremmo stare insieme e … -
-Mi stai seriamente chiedendo di lasciare tutto il mio mondo per te, Laya? Di essere la tua amante? –
Una forte rabbia crebbe nella minore. Non riusciva a credere che la ragazza che aveva amato per così tanto tempo e con un’intensità indescrivibile, potesse arrivare a tanto. Non avrebbe mai creduto potesse essere così egoista.
-C’è la mia famiglia, qui! –
-E lì c’è la mia, Lex! Lì c’è mia figlia! – pose molta più enfasi sull’ultima parola.
-ERVAMO IO E TE LA NOSTRA FAMIGLIA! –
Alexis aveva urlato così forte da sentire la gola andare in fiamme. Aveva preso a piangere, in preda alla rabbia. Alcune finestre vibrarono, ma i suoi esercizi di autocontrollo avevano dato i propri risultati.
Rimasero a guardarsi per un tempo infinito, rimasero l’una nell’altra finché una delle due non ebbe il coraggio di rompete quell’utopia.
-Entrambe abbiamo degli obblighi, entrambe abbiamo una vita oltre noi-
Alexis sospirò, non riusciva a credere che dopo tanto tempo, dopo tanto dolore, stava ammettendo che separarsi da Laya era la cosa giusta. Si lasciò cadere sul letto, le mani tra i capelli. Laya la guardava, incapace di fare nulla se non lasciar scorrere le sue lacrime.
-Tu non immagini cosa ho passato in questi anni, Laya-
-Ne abbiamo già parl… -
-No, Lay. Non puoi saperlo perché non c’eri. Per quattro anni della mia vita, in cui ho fatto un buco nel fondo, tu non c’eri. So che è colpa mia, che non è dipeso da te e che non hai potuto farci nulla, ma non eri qui, Laya. Ho dovuto cavarmela da sola, nessuno poteva capire cosa stessi passando, cosa significasse dover fingere che tu fossi morta. Non voglio ripeterlo, non voglio farlo. Non voglio più provare quell’orribile sensazione di sentire il cuore spaccarsi e tentare in ogni modo di strapparlo via, perché credimi Laya, se mia madre non lo avesse protetto lo avrei fatto ancora e ancora-
La bruna la fissò come se la stesse vedendo per la prima volta, come se solo in quel momento le fosse chiaro quanto avesse patito. Ma non riusciva ad essere comprensiva, non quando si trattava di lei.
-Mi stai lasciando, Alexis? –
La minore sospirò, metterlo nero su bianco faceva incredibilmente più male.
-Non abbiamo scelta, Laya. Ed io merito di ritrovare un po’ di felicità-
-Con quella ragazza? Con una persona alla quale dovrai sempre nascondere una parte di te? –
Laya era scattata in piedi, tentando ormai di aggrapparsi ad ogni singola cosa pur di restare avvinghiata ad Alexis.
-Santo cielo, è così assurdo per te comprendere che Kara mi abbia resa felice? Che se non ci fosse stata lei, probabilmente non staremmo nemmeno qui a parlare, perché te lo giuro, Laya, ho visto la fine molto da vicino-
Di fronte allo sguardo vuoto della bruna, Alexis comprese che ormai non c’era più nulla da fare. Laya non avrebbe mai potuto comprendere cosa avesse vissuto in quegli anni, perché per lei non erano mai passati. Si voltò verso l’armadio aprendolo, tirò fuori un jeans ed una felpa a caso e li indossò alla svelta. Aveva bisogno di aria e di allontanarsi da Laya perché vederla ridotta in quello stato la distruggeva e avrebbe minato tutta la forza di volontà che si era imposta.
-Spero tu capisca, Laya-
Si avvicinò per baciarle una guancia, ma la ragazza si scansò in malo modo alzandosi e vestendosi. Le voltò le spalle con enorme sofferenza e uscì dalla propria camera lasciandola lì.
Non poteva sopportare ancora, si malediceva già abbastanza per aver ceduto alla tentazione del suo corpo. Aveva bisogno di stare il più lontana possibile da Laya, dal dolore che era capace di concederle. Camminò a passo spedito verso una meta non identificata, lasciò ai piedi la facoltà di scegliere dove l’avrebbero portata. La realtà era che non voleva vedere nessuno, non voleva parlare con nessuno di quella maledette città e non avrebbe tollerato l’ennesimo sguardo pietoso. Era anche per quello che aveva lasciato Storybrooke a favore del college, chiunque la incontrasse non faceva che vedere e rivedere la piccola principessina struggersi per il proprio amore perso. E lei ne aveva abbastanza, di tutto. Ne aveva abbastanza degli sguardi compassionevoli, delle pacche sulla spalle e delle mezze parole professate alle proprie spalle. Nei mesi in cui era stata lontana era rinata, aveva scoperto cosa significasse sentirsi liberi di poter esprimere ogni minima emozione. Aveva urlato nei momenti di rabbia, corso nel cortile del college quando era felice e fatto sesso con Kara senza preoccuparsi di cosa avrebbe potuto dire la sua stramaledettissima minuscola città. E fu così che si rese conto che ancora una volta la propria via di fuga convergeva nella persona di Kara. Quelle ragazza che era volata fin lì solo per starle accanto e che lei stava trattando come l’ultima ruota del carro.
Senza nemmeno rendersi conto di dove fosse, prese a correre verso il Granny’s per poter almeno parlare con lei. Tentare in qualche modo di ritrovare quella stabilità che aveva ritrovato con lei. Lo trovò così ironico, aveva pregato per anni che Laya tornasse a casa anche solo per un attimo e ora che lo aveva fatto stava scappando da Kara.
Entrò alla tavola calda accennando un rapido saluto a Ruby e chiedendole quale fosse la stanza presa da Kara. Ricevuta la notizia, corse su per le scale e bussò con forza alla porta.
-Ehi, Straniera-
-Posso entrare? –
Kara aprì maggiormente la porta lasciandola entrare e le fu chiaro in un attimo che qualcosa fosse accaduto. Alexis era così nervosa da emanare vibrazioni in tutta la stanza. Ingoiò un groppo di saliva, dentro di sé quella minuscola speranza di poter dar torto a ciò che la ragione le stava urlando.
-Kara io… -
Si morse le labbra mentre camminava avanti e indietro per tutta la camera.
-Siete tornate insieme? – domandò con un filo di voce.
-N-No. Noi… -
Ci furono attimi di silenzio in cui Alexis non riusciva ad articolare le parole e Kara non voleva ascoltarle.  
-Siete andate a letto insieme-
La sue non era una domanda, la propria razionalità glielo stava urlando dal momento stesso con l’aveva visto uscire dalla tavola calda. La vide sgranare gli occhi e mettere in risalto tutto il verde che tanto le piaceva e non ci fu prova più palese di quella.
-Kara mi dispiace-
Provò a prenderle le mani, ma l’altra si ritrasse allontanandosi. Avrebbe voluto guardarla, studiare il suo viso come quando sbirciava i suoi lineamenti mentre studiavano assieme, ma proprio non ci riusciva. Tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi era il pavimento.
-Ti prego, non fare così- Riprovò Alexis tentando ancora di sfiorarla.
-Va bene, Straniera- rispose allontanandosi e tenendo i palmi alti- Io e te non stiamo insieme, sei libera di fare quello che ti pare, ma almeno non prendermi in giro-
Aveva bisogno di allontanarsi da lei, di non respirare il suo profumo. Mosse qualche passo per la camera senza sapere bene cosa fare, poi, come se non avesse più alcun tipo di controllo su sé stessa, presa la propria valigia e iniziò a riempirla.
Alexis non riuscì a dire una sola parola né a muoversi, semplicemente vedeva sfumare sotto gli occhi l’ultima possibilità di essere felice. Si aggrappò all’arpa più per abitudine che per altro, dandosi poi della stupida per tenere ancora addosso quel ciondolo. Guardava Kara infilare cose in valigia e non riusciva a trovare una singola parola che potesse in qualche modo fermarla, a dirle quello che sentiva. Avrebbe solo voluto abbracciarla e tornare a quando al college le bastava uno sguardo furtivo per ritrovare serenità.
-Kara, non… -
-Senti, Alexis- non la chiamava quasi mai per nome -Tra me e te c’è qualcosa, questo è innegabile. Non so che noma tu voglia dargli, ma io provo dei sentimenti per te e anche se era solo sesso potevo starci, andava bene ad entrambe. Questo però è troppo per me, mi dispiace. Quindi, risolvi i tuoi problemi e quando sarai certa di ciò che vuoi fammi uno squillo-
Chiuse la borsa e se la mise sulla spalla, pronta a lasciare Storybrooke.
-Kara, ti prego. Non andare via-
Non avrebbe mai creduto di ritrovarsela in lacrime nella propria camera d’albergo, non avrebbe mai creduta che sarebbe finita a provare dei reali sentimenti per lei. Ed era proprio questo che le faceva più rabbia di ogni altra cosa, Alexis non era stupida e sapeva perfettamente cosa provasse.
-Sei stata a letto con la tua ex ragazza e vuoi che io resti qui? Ti rendi conto che sono due concetti lontani anni luce? –
E Alexis lo sapeva perfettamente, solo che non riusciva a fare a meno di nessuna delle due. Amava Laya, quello non sarebbe mai cambiato, ma Kara le aveva dato così tanto che non poteva e non voleva perderla.
-Io non so cosa fare. Lo capisci? Ci ho messo anni ad abituarmi al fatto che lei fosse sparita e ora… -
Kara avrebbe voluto avvicinarsi, asciugarle le lacrime e dirle che sarebbe andato tutto bene. Che, qualora ne avesse avuto bisogno, avrebbe continuato ad avere la propria spalla su cui piangere. Ma non poteva permetterle di avere tutto questo potere.
-In questo non posso aiutarti, Straniera. Devi fare chiarezza con te stessa o rischi di farti male e farne a chi ti sta intorno. Prima di iniziare un altro qualsiasi tipo di relazione, devi chiudere con lei. Chiudere davvero-
Le voltò le spalle e mise una mano sulla maniglia chiudendo gli occhi e combattendo contro l’impulso di restare con lei, a chi importava con chi diavolo era stata a letto! Ma la ragione prevalse e le diede la forza di aprire quella porta e andar via senza voltarsi.
Alexis la vide sparire dal proprio campo visivo.
Aveva fatto esattamente ciò che si era ripromessa di evitare, aveva dato a Laya tutti i mezzi per stravolgerle ancora la vita.
 
Laya era tornata a casa con il cuore spezzato e gli occhi gonfi e rossi. Non aveva mai pianto tanto nella propria vita, tanto dal credere che potesse affogarci nelle proprie lacrime. Quando Alexis aveva lasciato la propria camera, aveva portato con sé ogni singola cosa le appartenesse, lasciandola da sola nella sua stanza a rimettere insieme i pezzi. Non c’era mai stato nulla che le avesse fatto tanto male, nulla che l’avesse ridotta in quello stato. Si era rintanata nella propria camera, senza la minima voglia di voler parlare con anima viva. Aveva lasciato che il cuscino assorbisse ancora altre lacrime e che i ricordi la tormentassero come demoni interiori. Si era impegnata con tutta sé stessa per impedir loro di avere la meglio, ma ogni volta che riapriva gli occhi qualcosa le parlava di Alexis: quella foto attaccata magicamente, i libri che le aveva regalato, i regali che si ostinava a comprarle, l’arpa che le batteva contro lo stomaco. La strinse tra le dita chiudendo gli occhi, ancora lo ricordava il sorriso immenso che le aveva rivolto quando le aveva comprate in quella boutique a Parigi. Alexis aveva insisto per tutta la loro permanenza a comprarle, affinché avessero qualcosa che le accomunasse. Solo poche ore prima di recarsi in aeroporto, Laya era tornata in quel negozio per acquistarle. Quando, tornata in hotel, le aveva consegnate ad Alexis, la ragazza era esplosa di gioia saltandole al collo e baciandola con enfasi.
Eppure…
Obbligò la propria mente a cercare riparo da quella pioggia di ricordi, di star lontana da Alexis in ogni sua forma. Ma sapeva che non poteva farlo finché sarebbe rimasta lì, non poteva. Si alzò dal letto di scatto, come improvvisamente bruciasse, e raggiunse suo padre e Fleur-de-Lys.
-Andiamo via stasera. Preparate tutto ciò che vi serve-
I due si guardarono preoccupati, potevano comprendere quella decisione affrettata e infatti si erano già portati avanti con i preparativi.
-Sei sicura, Scoiattolina? Non si torna indietro da questa decisione-
-Lo sono. Non ha alcun senso continuare a stare qui-
Tornò in camera e prese a gettare alla rinfusa le proprie cose in una borsa, presa dalla foga di volersi allontanare il prima possibile da lei.
 
Alexis era ferma sul divano da diverse ore, con il televisore spento e lo sguardo perso nel vuoto.
-Dovremmo fare qualcosa, secondo te? – sussurrò Emma alla moglie osservando la figlia.
-Non ne ho idea, Emma. Vorrei poterla aiutare, ma non c’è nulla che possiamo fare-
Le donne si guardarono per un istante, incerte sul da farsi. Emma stava per rispondere qualcosa quando il campanello di casa suonò. Alexis sembrò non averlo sentito e Regina si avviò per aprire.
-Laya? –
Di fronte a lei, la ragazza e i suoi genitori con bagagli alla mano.
-È possibile aprire il portale adesso? Voglio tornare a cas… all’altra Storybrooke-
La bruna li fece accomodare, lanciando uno sguardo al punto dove poco prima sedeva sua figlia. La ragazza era poggiata allo stipite della porta del salotto, le mani affossate nelle tasche della felpa aperta e lo sguardo fisso a terra.
-C-certo. Ne sei sicura? –
Laya annuì con enfasi, senza degnare di un’occhiata l’altra ragazza.
-Come vuoi-
Regina si allontanò di qualche passo dai tre, tese le mani avanti a sé pronta per esercitare la propria magia.
-Aspetta, forse dovremmo lasciare qualche minuto alle ragazze- propose Fleur-de-Lys.
Guardò Laya, Regina guardò sua figlia preoccupata. Emma e Phoebus si scrutarono in cagnesco prima di essere invitati dalle rispettive mogli a cambiare stanza e lasciare sole Alexis e Laya.
Per diversi minuti, regnò unicamente silenzio tra le due. Un silenzio carico di non detti e rabbia.
-Quindi stai andando via- sussurrò Alexis senza guardarla.
Laya non rispose, troppo occupata a inseguire la rabbia che le scorreva nelle vene.
-Ti auguro di essere felice, Laya-
Alexis la guardò triste, non avrebbe mai voluto finisse a quel modo. Avrebbe voluto parlarle, dirle così tante cose, ma avrebbero finito per riprendere a litigare.
-Io no- sollevò lo sguardo solo in quel momento –Io spero che tu conviva con il dolore che sto provando io. Spero che tu non abbia mai più lieto un lieto fine, così come io non avrò il mio-
Alexis non aveva mai visto tanto dolore e tanta rabbia negli occhi di Laya, nemmeno quando aveva parlato di sua madre. Quella scintilla che le scuriva ancora di più le iridi, l’avrebbe perseguitata per il resto della propria vita.
-Lay, ti prego non far… -
La bruna sollevò una mano per zittirla.
-Tu mi hai rovinato la vita, Alexis, mi hai fatta prigioniera di un qualcosa che non ho mai voluto. Certo, amo Esmeralda più di qualsiasi altra cosa, ma non è la vita che avrei scelto per me. Quindi, ti auguro di non essere mai più felice-
Prese la borsa dal pavimento e fece per avviarsi, poi si voltò ancora e Alexis sperò con ogni fibra del proprio corpo che le rivolgesse uno dei suoi sorrisi da togliere il fiato. Ma Laya continuava a guardarla come fosse ciò che più odiava al mondo. Prese l’arpa tra le dita lasciando che la catena scivolasse lungo il collo fino a sfilarla. Degnò all’oggetto un ultimo sguardo prima di tirarlo verso Alexis con ira. Di fronte a quel gesto, la minore non riuscì a trattenere le lacrime. Non l’aveva solo persa, aveva mandato a puttane ogni singola cosa fosse mai esistita tra loro. Tenere tra le dita l’arpa di Laya, assistere al modo iracondo con cui l’aveva tolta, aveva riaperto ferite che aveva stupidamente creduto sanate. Provò a parlare, ad allungare una mano verso di lei, ma non le riuscì nessuna delle due cose.
Poté solo assistere in silenzio alla partenza definitiva della persona che aveva amato più di ogni altra cosa. Riuscì unicamente a stare a guardare Laya e la sua famiglia oltrepassare il portale e rifugiarsi tra le braccia di Emma. Cercò con tutta sé stessa di non piange, ma vederla andar via continuava a far male. Il suo corpo che spariva nel portale, era stato uno degli incubi ricorrenti di quegli ultimi anni.
Quando si richiuse, con un bagliore e una folata di vento, regnò silenzio per diversi minuti. Emma teneva stretta la figlia, Regina le carezzava una guancia mentre Alexis stringeva occhi e mascella tentando di essere abbastanza forte da poterlo sopportare.
-Tesoro, era la cosa giusta-
Alexis tirò su con il naso e si passò la manica della felpa sugli occhi, da lì sotto ne uscì un minuscolo e triste sorrise.
-Lo so, spero solo trovi la felicità. Dopotutto, sarà sempre in un angolo del Maine-
 
DUE ANNI DOPO
 
Laya attendeva fuori l’ospedale da diversi minuti, ormai. Albert non era un tipo ritardatario, quindi era abbastanza certa che Esmeralda avesse fatto dei capricci. Guardò l’orologio per la centesima volta e sbuffò, aveva freddo e voleva solo tornarsene a casa per fare un bagno caldo. Non aveva nessuna voglia di cucinare quella sera e per sua fortuna poteva sempre contare su Fleur-de-Lys. Guardò ancora alla sua sinistra e finalmente vide l’auto di Albert arrivare. Poteva già vedere al suo interno Esmeralda e Jasper che fremevano per uscire a salutarla. Non appena il marito accostò, la bambina corse fuori per saltarle in braccio accompagnata dal cane.
-Mamma! -
-Ciao amore mio-
Strinse la bambina a sé inalando il suo profumo buono e specchiandosi successivamente in quegli occhi meravigliosi. Alle spalle della bambina, Albert le si avvicinò con calma. Tra loro i rapporti non erano mai stati buoni, restavano assieme solo per l’amore che entrambi provavano per Esmeralda. Laya era ben decisa a regalare a quella bambina la miglior vita possibile.
-Come è andata? – chiese l’uomo.
-Bene- rispose lei lapidaria.
Il suo sguardo mutava in un secondo quando saltava dal marito alla figlia, amore e odio che viaggiavano nelle sue iridi scure.
-Come sta il mio fratellino, mamma? –
Laya le sorrise tenendosi la pancia.
-Alex sta benissimo, amore-
Sul volto della bambina comparve un enorme sorrise, gli occhi verdi presero a brillarle come se avesse ricevuto il miglior regalo di tutti i tempi. All’inizio era stato difficile guardarci dentro, troppi ricordi, ma poi Esmeralda la fissava in quel modo tanto dolce e a Laya non restava altro che ricambiare.
-Evviva! Evviva! –
Prese a saltare e a correrle attorno mentre Jasper abbaiava scodinzolando e tenendola d’occhio. Laya concesse al cane una carezza sul capo, poi tornò a dedicarsi alla figlia prendendola in braccio e avviandosi verso la macchina. Passò accanto ad Albert senza degnarlo di uno sguardo, facendolo sentire, come ogni giorno della propria vita, indesiderato spettatore della propria famiglia. Per di più, da quando era tornata da quel viaggio, Laya non gli aveva più concesso niente al di fuori di qualche notte di sesso. Sesso che serviva a lei per tentare di dimenticare Alexis e nient’altro.
La vide giocare con la loro bambina e per il momento poteva anche stargli bene.
Dopotutto, convenivano entrambi che l’unica cosa importante era la famiglia.
 
Alexis sbuffò quando il cellulare squillò per la quinta volta in quel pomeriggio. Non si affannò a rispondere, sapeva già chi fosse e non aveva alcuna voglia di sorbirsi l’ennesima ramanzina di sua madre per la mancata risposta. Entrò in camera lasciando cadere lo zaino accanto al letto e tirando fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans. Stava per cancellare le cinque chiamate perse quando ne arrivò una sesta.
-Mamma! – rispose innervosita.
-Non si rivolga a me in quel modo, Signorina Swan-Mills! -
Alexis fece roteare gli occhi e salutò con un cenno del capo la ragazza che era appena entrata in camera.
-Posso sapere per quale ragione non hai risposto per tutto il pomeriggio? –
-Sono stata incasinata, mamma, sai che sono indietrissimo con gli esami-
Si alzò dal letto svogliatamente per recuperare uno dei libri sul quale avrebbe dovuto lavorare per tutto il pomeriggio.
-Non mi sembra una buona ragione per non rispondere a tua madre. Comunque, tralasciando questo. Posso contarvi per Natale? –
Alexis si grattò la testa agitata.
-In realtà non ne ho ancora parlato con Kara, mamma-
La ragazza, sentendosi nominare, si voltò per comprendere di cosa parlassero. Chiese sottovoce con quale madre stesse parlando e in tutta risposta Alexis inserì il vivavoce.
-Tesoro, te l’ho chiesto giorni fa! Qualcosa non va tra voi? –
Gli occhi di Kara brillarono nel sentire la voce di Regina, si catapultò addosso all’altra strappandole il telefono di mano e sedendosi poi accanto a lei.
-Regina! Che bello sentirti! –
-Oh ciao Kara, come stai? –
Parlarono amabilmente del più e del meno per diversi minuti, sua madre si interessò degli ultimi esami che la ragazza aveva da dare e l’altra circa il lavoro d’ufficio della donna. Tra Regina e Kara era nato un rapporto quasi idilliaco, la donna apprezzava tantissimo la giovane aiutata in gran parte dal grosso lavoro che aveva fatto con sua figlia.
-Allora? Ci serate? –
-Certo che ci saremo! Sono giorni che dico ad Alexis di confermare-
La bionda sgranò gli occhi, non ne avevano nemmeno parlato, ma sapeva fin troppo bene che Kara avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di compiacere Regina.
-Oh non ne dubito. Mia figlia più cresce e più assomiglia ad Emma-
Alexis si alzò dal letto spalancando le braccia, sconvolta dalla complicità che manifestavano le due.
-Non mancherei mai ad una cena preparata da te, Regina-
Kara ammiccò nella direzione di Alexis, sorridendole beffarda. Se non facessero coppia fissa da quasi un anno ormai, avrebbe potuto dire che Kara ci stesse spudoratamente provando con sua madre.
-Allora vi aspetto! –
-Certo, abbiamo anche un pensiero per te ed Emma-
Alexis la guardò con un sopracciglio alzato, ma Kara le fece segno di tacere agitando una mano.
-Ci vediamo settimana prossima, Kara. Salutami Alexis-
-Consideralo fatto, Regina-
Quando chiuse la telefonata, si trovò un paio di occhi verdi puntati addosso tutt’altro che felici.
-Che c’è? – le chiese.
-Esattamente quando abbiamo comprato un regalo per le mie madri? –
Kara agitò ancora la mano in segno di superficialità.
-Lo facciamo oggi- rispose alzando le spalle.
Alexis si massaggiò gli occhi, Kara poteva essere più impegnativa di tutti e tre i gemelli di Ruby messi insieme.
-Punto primo, devo studiare. Punto secondo, non avevi finito tutti i tuoi risparmi per sistemare il tuo catorcio per la millesima volta? –
Kara sapeva esattamente che Alexis avesse ragione, ma sapeva anche come ottenere ciò che voleva. Era sempre stato così tra loro, anche quando avevano ricominciato tutto da capo. Era lei a gestire i tempi, lei a decidere cosa e quando farlo. Avevano ricominciato ad uscire insieme poco meno di un anno prima e questa volta erano state abbastanza caute da rispettare l’una i tempi dell’altra. Si alzò dunque dal letto per andarle incontro.
-Puoi farmi un prestito- sussurrò a pochi centimetri dall’orecchio dell’altra.
-Questa volta non riuscirai a comprarmi, Kara-
-Ne sei proprio sicura, Straniera? –
La baciò con dolcezza, ma inserendo in quel bacio tutta la passionalità di cui era dotata. Non lasciò le labbra di Alexis fino a quando non la sentì fremere sotto le mani. Solo in quel momento si staccò da lei.
-Sei la peggior fidanzata del mondo, lo sai? – le sussurrò la bionda.
Kara sorrise allegra, poi annuì. Si allontanò da lei recuperando la propria giacca e fece per uscire dalla camera.
-Allora, ti muovi? Questo regalo non si comprerà da solo e io devo assolutamente fare bella figura con tua madre! –
Alexis scoppiò a ridere mentre infilava il cappotto e recuperava il portafogli dallo zaino. Scosse il capo di fronte al volto felice di Kara e rise per il modo in cui si sistemò gli occhiali sul naso.
-Andiamo, psicopatica-
Si incamminarono verso il centro ridendo e Alexis si prese un secondo per analizzarla e per ricordare quanto Kara si fosse impegnata per ricucire ogni sua ferita. Per poterle finalmente concedere quella felicità che aveva a lungo ricercato e che le aveva dato la forza di chiudere per sempre con il proprio passato. Le strinse la mano intrecciando le dita le une alle altre e sentì tutta la forza che solo lei era in grado di darle. La stessa che le aveva permesso di sfilare finalmente l’arpa dal collo e lasciarla in un cassetto della propria camera.
Kara l’aveva salvata ed era diventata parte integrante della sua vita.
Parte integrande della sua assurda, stramba, pazzesca famiglia.
 
 
Fine.

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