Knights of the Rain

di RaidenCold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sunday, Bloody Sunday ***
Capitolo 2: *** Bee Gees ***
Capitolo 3: *** Stand by Me ***
Capitolo 4: *** Blowin' in the Wind ***



Capitolo 1
*** Sunday, Bloody Sunday ***


Nuvole scure coprivano il cielo; quel giorno non pioveva, ma tutti gli invitati si erano comunque portati dietro un ombrello intimoriti dal maltempo.

Marco osservava il vento che di tanto in tanto faceva mulinare delle foglie secche: fuori faceva veramente freddo. Lui era vicino ad uno dei tavoli dove servivano da mangiare, intento a sorseggiare del vino rosso in un bicchiere; non conosceva quasi nessuno, e cercava di evitare quei pochi altri. Dall’altra parte del salone, circondata da torri colorate di pacchi regalo infiocchettati, una carrozzina con un fiocco rosa sopra, e attorno ad essa un continuo via vai di invitati che andavano ad osservare la piccola bimba al suo interno, e a complimentarsi con la madre.

Solo Marco rimaneva in disparte, nonostante fosse il padre della bambina.

Si limitava ad osservare da lontano quella sorridente giovane donna dai capelli dorati, ma non aveva il coraggio di unirsi alla festa, poiché non riusciva a sentirsi accettato dalla prestigiosa famiglia Joestar.

 

“Va tutto bene?”

Marco si voltò e vide un ragazzo biondo, praticamente identico alla sua amata: suo fratello gemello, Budd.

“Sì, è ok.”

Come al solito rispose in maniera brusca, quasi scontrosa, ma senza cattiveria, e inoltre apprezzava sinceramente l’interesse di Budd, che fino a quel momento era stato l’unico a rivolgergli la parola.

“Non vai da tua figlia?”

Marco sbuffò sorridendo:
“Rovinerei la festa a tutti, se portassi il mio brutto muso là… la bambina potrebbe anche piangere.”

“Suvvia, è una festa di battesimo, non un funerale!” - esclamò allontanandosi sorridendo. Budd voleva sdrammatizzare, ma sentiva che l’umore del suo interlocutore era più o meno quello di una cerimonia funebre. Avrebbe voluto stargli più vicino quel giorno, ma era intimorito dalla sofferenza di quell’uomo; in seguito il senso di colpa lo avrebbe profondamente attanagliato, e in lui sarebbe sorta la convinzione di poter essere l’unico che avrebbe potuto fermare i sanguinosi fatti di quella domenica che sarebbero accaduti di lì a poco.

 

Allontanatosi Budd, Marco si avvicinò al tavolo del rinfresco per prendere qualcosa da mangiare; fu allora che, dall’altra parte della tavolata, vide un uomo abbastanza anziano dai capelli ingrigiti che dava pacche sulle spalle ad un altro più giovane e pallido, coi capelli neri pettinati all’indietro. Quello più giovane aveva un aspetto viscido, e si gongolava aggiustandosi la cravatta mentre chiacchierava allegramente con il vecchio, il quale sfoggiava una barba grigia e ben curata che spesso lisciava con le dita durante la conversazione.

In quel momento vicino a sé, Marco aveva le due persone che più odiava sulla faccia della terra, coloro che gli avevano portato via tutto.

“Sono contento di come sia andato l’affare.” -ridacchiò l’uomo dai capelli neri aggiustandosi gli occhiali da vista.

L’affare si chiamava Holly Joestar.

“Anch’io, mio caro Davis.”

Ray Davis, questo il nome di colui che gli aveva portato via Holly.

“Sa, Mr Joestar…”

Paul Joestar, il padre di Holly, colui che lo aveva reso possibile.

“… ho già adocchiato delle scuole che sarebbero perfette per la piccola.”

“Meraviglioso! Lei è preparato come sempre, signor Davis.”

Davis era un uomo efficiente, di buona famiglia, a capo di una grossa industria che stava per fondersi con la società dei Joestar. Marco invece era soltanto un disgraziato a cui la vita aveva continuamente sputato in faccia: orfano di povera gente, aveva sempre fatto i lavori più umili, odiandoli tutti sotto sotto, poiché detestava la sua condizione di bassezza sociale, e questo suo odio mal celato aveva spinto le male lingue a sostenere si fosse approfittato della bella Holly Joestar solo per impadronirsi del suo patrimonio.

Ma Marco la amava, sinceramente.

Qualunque fosse stata la verità a Paul non importava, detestava quel miserabile e ogni mezzo per liberarsene andava bene, calunnia inclusa.

Un giorno poi, con machiavelliche manipolazioni riuscì a far litigare i due, appellandosi all’affetto paterno della figlia e mettendola di fronte a un bivio; l’uomo diede in escandescenze, stuzzicato al limite dalla violenza psicologica di casa Joestar, e Holly, incinta di sei mesi, si spaventò nel vederlo fuori di sé.

Naturalmente il vecchio Joestar colse la palla al balzo, approfittandone per far conoscere alla figlia un giovane abbiente, educato, e rispettabile, e poi riuscire poche settimane dopo a rendere pubblicamente ufficiale il loro fidanzamento.

Ed ora eccoli lì, a programmare la vita della festeggiata, l’uno per volersi levare dai piedi la mocciosa il più presto possibile, l’altro assolutamente entusiasta di poter dare alla sua nipotina la miglior educazione che i soldi potessero comprare.

“Un collegio in Svizzera… ma sarà molto caro immagino.”

“Non si preoccupi signor Joestar, lei non dovrà rimettere un singolo centesimo, penserò a tutto io.”

“Oh signor Davis, lei riesce a capirmi al volo.”

“I bambini entrano in questo istituto all’età di tre anni, ma con le mie risorse ed il suo buon nome sono certo che verrà ammessa con un anno di anticipo.”

“Ottimo! Non è che riuscirebbe anche a far entrare il nipote più grande?”

“Ah signor Joestar, mi creda ci ho provato, ma suo figlio non ne vuole sapere.”

“Suvvia, saranno quisquilie sicuramente, mi basterà parlarci un po’ e vedrà che sistemeremo anche questa faccenda.”

Marco strinse il bicchiere di vetro fino a farlo cigolare – sarebbe bastata solo poca forza in più per mandarlo in frantumi.

“E riguardo al matrimonio?”

“Pensavo di organizzarlo in primavera.”

“La primavera sarebbe perfetta. E sa cos’altro sarebbe perfetto?”
“Un erede?” - rispose Davis ammiccando.

“Esattamente. Se riuscisse a sbrigare questo affare il prima possibile sarebbe l’ideale; il maschio non ha futuro, finché suo padre non si mette in riga e decide di comportarsi com’è consono ad un Joestar, mentre la femmina ahimè, ha dentro di sé il sangue di quel Brando…”

A quel punto i due alzarono lo sguardo nel medesimo momento, verso la direzione di Marco, e quando si accorsero di lui non dissero nulla, limitandosi ad osservarlo: uno sguardo tagliente, pieno di puro disprezzo verso ogni singola cosa facente parte dell’essere di quel turpe omuncolo rispondente al nome di Marco Brando.

 

Non ci vide più.

 

Afferrò uno dei coltelli da cucina sul tavolo e con uno scatto si portò sopra il suo rivale, atterrandolo: senza che questo potesse avere tempo di opporsi, gli conficcò la lama in gola, dandogli una morte rapida ma sanguinolenta.

Alcuni dei presenti lo spostarono via, con ancora il coltello imbevuto di sangue stretto tra le mani, mentre gli altri ospiti realizzato ciò che era appena accaduto iniziarono ad urlare sconvolti; alcuni chiamarono un’ambulanza, altri la polizia, altri ancora la protezione di Dio.

Destatosi dal suo furore omicida, Marco fece cadere a terra il coltello, e alzò lo sguardo fino ad incontrare quello di Holly, la quale lo guardava pietrificata: fu in quel momento che realizzò la gravità della situazione.

 

“Non ci si poteva aspettare altro da un Brando…” - commentò Paul rabbiosamente, chino sul cadavere di Davis.

Marco guardò l’amata negli occhi, tentando di avvicinarsi ma venendo trattenuto con forza da alcuni presenti:
“H-Holly…”

La donna, come primo istinto, aveva afferrato la figlia, e la stringeva al petto in lacrime, mentre il suo pianto squarciava la sala molto più delle urla.

“Mi dispiace Holly…!”

Lei voltò lo sguardo altrove e prese a cullare la piccola per cercare di calmarla – e in verità, di calmare anche sé stessa.

“Guardala bene, animale” - gli si rivolse il vecchio Joestar – perché non la vedrai mai più, hai capito? Vivrai in cella per il resto dei tuoi giorni!”

Proprio quando pensava di aver toccato il fondo, Marco si rese conto che lo stava attendendo un abisso ben peggiore.

 

Dalle finestre inferriate della sua cella, Marco osservava la luna, che non aveva avuto la clemenza di mostrarsi quel malaugurato giorno, a cui non faceva che ripensare costantemente.

Il vecchio aveva mantenuto la sua promessa: l’ergastolo era stata la sentenza definitiva assegnata a Marco Brando, colpevole di omicidio.

Sospirò chinando il capo a terra, pensando alla figlia che non avrebbe mai potuto veder crescere, e ad Holly, il cui sguardo terrorizzato lo tormentava ogni notte. E quello sguardo sarebbe stato per sempre il suo ultimo ricordo di lei, non ce ne sarebbero stati altri; che senso aveva dunque andare avanti?

A un certo punto però, vide i raggi lunari scomparire, ed incuriosito portò lo sguardo alla finestra: sussultò, quando vide due occhi scarlatti brillare nel buio che lo scrutavano.

D’istinto si allontanò voltandosi dall’altra parte, ma quando guardò nuovamente verso la finestra, quei due occhi erano ancora là ad osservarlo impassibili.

“Guardati…”

Una voce di donna, profonda in modo innaturale, come qualcosa non di questo mondo.

“Che pena mi fai, sangue del mio sangue.”

Preso coraggio, Marco si avvicinò di pochi passi alla finestra – in ogni caso, tra lui e quella figura c’erano delle sbarre d’acciaio, si disse per farsi coraggio.

“Sei il diavolo? Sei… venuto a prendermi?”

In risposta quell’essere rise senza allegria, e solo in quel momento chiuse per alcuni istanti gli occhi, dopodiché di nuovo quei fari insanguinati lo investirono:
“Affatto… anzi, io sono il tuo angelo custode, Marco.”
“Il mio angelo custode?”

“Avvicinati, così che io possa parlarti meglio.” - sorrise nell’oscurità.

Con un po’ di esitazione, l’uomo si avvicinò alle inferriate, e poté osservare il volto di quella creatura: un viso armonioso, quasi angelico, in qualche modo a lui familiare.

“Non hai mai sentito parlare di me?”

“Sei un demone?”

“Diciamo di sì… tu invece, sei un patetico umano.”
Marco sbuffò ridacchiando:
“Cos’altro potrei essere?”
“Molto di più.”

A quel punto Marco tornò serio:
“Che intendi?”

“Da umano non hai combinato nulla della tua vita, ed il gesto più significativo che hai compiuto ti ha condotto qui, dove marcirai fino alla tua morte.”

“Cos’altro potrei essere?”

“Qualcosa che va oltre ogni tua immaginazione. Ma per diventarlo, devi accettare una sola condizione: rigetta la tua umanità.”

Marco rimase in silenzio.

La sua umanità.

Cos’era l’umanità? Per quel che aveva potuto vedere, il mondo degli uomini gli aveva portato via i genitori da piccolo, lo aveva costretto in un orfanotrofio, e ad una vita in miseria, e gli aveva sottratto la sua famiglia.

“Di questa umanità… io non me ne faccio nulla.”

La figura sorrise e le sue zanne aguzze scintillarono nell’oscurità:
“Magnifico.”

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Capitolo 2
*** Bee Gees ***


Quanto può essere grande una città?

In realtà la risposta non è per forza data dall’effettiva estensione in chilometri quadrati: un cittadino venuto dalla campagna ad esempio troverà immensa una città che l’abitante di una grande metropoli definirebbe normale. Ma non è detto che quest’ultimo non possa trovare una di queste città normali più grandi della sua: questo è il caso di Caravan Palace.

La grandezza di Caravan Palace non regge certo il confronto con quella di città come Londra o Parigi, ma ha tutto.

Ha il mare, ma anche l’aeroporto, le miniere e persino gli studi televisivi; è un po’ come la Springfield del cartone animato I Simpson.

E naturalmente, al giovane quindicenne Cirano, cresciuto in un piccolo paese della Toscana, Caravan Palace sembrò una città enorme; si aggirava col naso all’insù per la stazione, che non era molto più grande di quella di Firenze, ma c’era qualcosa che lo incuriosiva, ed il suo interesse crebbe quando cominciò a vedere il resto della città, una città moderna, molto diversa dai borghi storici a cui era abituato. Certo esteticamente non poteva competere, ma in ogni dove c’erano negozi di qualsiasi genere, e case, uffici ed edifici pubblici, ma anche ampi parchi pieni di alberi; con questi ultimi in particolare, avrebbe dovuto imparare a prendere confidenza. Amava il verde e avrebbe preferito vivere in un bel paesino di montagna, lontano da tutti, dove avrebbe vagabondato libero e senza meta, ma il destino aveva piani diversi in serbo per lui.

Caravan Palace era la città dei misteri, perché in essa vi accadevano una serie di stranezze: la più strana di tutte era stato un fenomeno meteorologico alquanto insolito, che i media aveva battezzato Stardust Rain.

Cos’era accaduto? Una notte, senza preavviso, strane masse nebulose avevano fatto la loro comparsa tutt’attorno alla città e alle zone limitrofe, e pochi minuti dopo dal cielo era iniziato a piovere una strana polvere di un color verde metallico; ma quella misteriosa pioggia, per quanto fosse apparsa bella, aveva in realtà portato una misteriosa epidemia, che non aveva colpito solo coloro che giravano per la città, ma anche molti curiosi che avevano voluto sperimentare quella pioggia fluorescente sulla propria pelle.

Inoltre, quella sottilissima polvere penetrò anche nelle tubature ed entrò in circolo negli acquedotti, e ciò aumento drasticamente il numero di persone contagiate .

Quella notte migliaia di persone vennero ricoverate negli ospedali della città, alcuni colti da malori improvvisi, altri si ritrovarono coperti da tumefazioni ed escrescenze tanto invasive da deformare i connotati di chi ne veniva colpito; ad alcuni crebbero persino parti del corpo e si ritrovarono con un occhio o un dente in più, o una seconda mano fusa nel palmo, e così via…

La maggior parte dei ricoverati fortunatamente se la cavò con una febbre alta, ma quasi tutti coloro che erano entrati a contatto diretto con la pioggia morirono, e solo un centinaio di loro tornò a casa nei giorni successivi; venne fatto ogni accertamento possibile, ma nell’organismo dei superstiti non vi era alcun cambiamento constatabile, quasi come se quel misterioso virus non fosse mai esistito. E di fatto, nessuno lo aveva mai visto questo virus, nemmeno nei pazienti infetti in punto di morte; qualunque fosse stata la natura della malattia, non era rilevabile con le tecnologie esistenti in quel momento.

Da allora erano passati due anni, e la vita a Caravan Palace aveva apparentemente ripreso a scorrere normalmente, come se nulla fosse successo: l’unica evidente differenza, era l’assenza delle persone perite quella notte.

 

Cirano se ne stava seduto su di una panchina in mezzo ad un grande parco verdeggiante, ed osservava il cielo sereno privo di nubi, senza pensare a niente di particolare; contemplava la vita.

A un certo punto sentì una risata poco lontano; in principio la ignorò.

Poi la risata si ripeté, seguita da altre vocine sghignazzanti sue simili.

A quel punto Cirano si voltò: nella panchina accanto alla sua, vi era una dozzina di ragazzi, probabilmente poco più grandi di lui, intenti a bere e fumare – erano circa le nove del mattino.

Quando si girò i loro sguardi si incrociarono, e Cirano pensò che stessero ridendo tra loro per chissà cosa.

“Bei capelli!” - urlò sarcasticamente uno dei ragazzotti.

Cirano aveva una pittoresca chioma smeraldina, con alcuni ciuffi protesi in avanti legati da lacci dorati; non ebbe dubbi sul fatto che si stessero riferendo a lui.

I tizi continuavano a guardarlo, con quel ghigno da babbei stampato in viso:

“Secondo voi ce l’ha il cazzo?” - domandò uno.

“Naaa…!” - risposero gli altri in coro.

A quel punto, una persona più facile da intimidire se la sarebbe squagliata, a causa di quei ceffi molesti, ma Cirano non era quel tipo di persona: un’offesa di quel genere non poteva essere ignorata, visto soprattutto che si stava soltanto facendo gli affari suoi.

Cirano si alzò in piedi ed iniziò ad avanzare verso di loro:

“C’è qualche problema?”

“No no!” - rispose uno di loro, in tono palesemente derisorio.

“Senti ma…” - si fece avanti un altro: “… dove l’hai presa quella canotta da donna?”

Cirano intuì che si stesse riferendo al suo maglioncino bordeaux ampiamente scollato – tanto da mostrare buona parte del petto – con larghe maniche fino ai gomiti.

Un terzo infine gli comparve davanti:

“Ti fa male?” - domandò ridacchiando mentre gli agitava col dito il piercing che aveva sotto l’occhio; a quest’ultimo Cirano sferrò il primo cazzotto, dritto sul naso.

“Che cazzo fai?!” - gli urlò uno degli altri due.

“Non sopporto che mi tocchino.”

Adirati i due si avventarono su di lui, mentre il resto di loro si mise attorno formando una sorta di ring; non impiegò molto a stenderli con la sola forza dei suoi pugni.

Gli altri tuttavia non persero il sorriso, e decisero di avventarsi sul giovane, alcuni armati di coltello; a quel punto, uno di loro cadde a terra mettendosi le mani davanti agli occhi, gridando di dolore.

Cirano riuscì a stenderne un paio, ma ben presto la superiorità numerica lo sovrastò e mentre due lo tenevano fermo, un terzo si apprestava a sferrargli un pugno all’addome, quando anch’egli cadde a terra urlante:

“Il mio occhio, ho qualcosa nell’occhio!” - gridò in preda al dolore.

Approfittando della confusione Cirano si liberò e con una leva proiettò il suo avversario a terra; i suoi compari però subito si precipitarono a riacciuffarlo. Cercò di sgusciare tra di loro, mentre altri cadevano colpiti da quel misterioso oggetto negli occhi; nel frattempo tuttavia, lo stordimento per alcuni era già passato, e non ci volle molto per immobilizzare Cirano nuovamente.

Questa volta, si fece avanti un ragazzo enorme dal viso squadrato, che fino a quel momento se ne era rimasto in disparte: vestiva abiti neri in pelle, pieni di borchie e strappi, e portava i capelli scuri all’indietro, salvo alcuni ciuffi biondi più lunghi che si alzavano come strane antenne incurvate all’indietro.

“Questo non è pane per i vostri denti.” - si avvicinò lui sorridendo.

All’improvviso con un movimento secco afferrò col pugno qualcosa in aria davanti a sé, e Cirano sussultò:

“Dunque eri tu a darci tutti questi problemi…” - aprì leggermente la mano, rivelando una grosso insetto simile a un’ape, ma con le striature e verdi, e sfavillanti occhi del medesimo colore.

Uno degli altri si fece avanti:
“Ma io non vedo nulla, Lindemann…”

“E’ uno Stand, ovvio che tu non lo veda idiota.”

Stand: così quel tale chiamava quel potere che Cirano manovrava, talvolta involontariamente.

A quel punto, da dove si era levato il primo, si alzarono un altro ragazzo e una ragazza; il primo, decisamente meno imponente del compare ma comunque abbastanza muscoloso, aveva fluenti capelli ricci spettinati ed indossava un pesante cappotto grigio e pantaloni di una tuta del medesimo colore, l’altra aveva i capelli biondi – con una evidente ricrescita – rasati a lato e vestiva una felpa col cappuccio e – nonostante fosse autunno – una minigonna, avendo pertanto le gambe coperte unicamente da un collant bucherellato.

“Così questo stronzetto ha uno Stand? - disse la ragazza.

“Sì, è questo qui.” - rispose quello che avevano chiamato Lindemann, mostrandole l’insetto.

L’altro ragazzo sbuffò:

“Ma come avete fatto a prenderle da uno sgorbio simile…” - a quel punto sfoderò un piccolo coltello a serramanico dal cappotto e si avvicinò a Cirano - “Tu non sei di queste parti, vero?”

Cirano non rispose, e il ragazzo gli portò il coltello vicino al mento:

“Guardami quando ti parlo. Non sei di queste parti, vero?”

“No.”

“Perché non torni da dove sei venuto, bamboccio del cazzo?”

Improvvisamente, la lama del coltello divenne liquefatta e il ceffo per non ustionarsi dovette gettare via l’arma.

In quel momento, poco lontano da loro, apparve un giovane alto e slanciato, vestito con una giacca in pelle nera ed un paio di blue jeans aderenti; aveva folti capelli biondo grano, portati fino alle spalle.

“Che cazzo vuoi tu?” - gli urlò quello che poco prima impugnava il coltello.

Il ragazzo si sfilò lentamente gli occhiali da sole che portava sul volto, rivelando i suoi scuri occhi truci:
“Lasciatelo stare.” - disse con una voce profonda e un po’ graffiata, ma in qualche modo calda.

Il gruppo scoppiò a ridere, eccetto Lindemann, che rimase impassibile.

“Sparisci sfigato!” - lo intimò la ragazza.

Lindemann le si avvicinò all’orecchio:
“E’ Joestar, quel suo Stand è una seccatura.”

La ragazza rise in modo stridulo:
“E quindi? So chi è, e conosco il suo Stand! Noi siamo in tre però.”

“Forse potremmo batterlo” - aggiunse il ragazzo dai capelli ricci ghignando - “Ma farebbe un male cane… e non ho voglia di attirarmi l’ira di Creep poi.”

La ragazza sbuffò: “Questo stronzo secondo me neanche lo conosce davvero Creep!”

“Lo conosce eccome, idiota.” - sentenziò Lindemann.

“Conterò lentamente fino a tre, e se quando avrò finito il ragazzino non sarà libero, giuro che vi romperò le ossa.”

Senza perdere il loro sorrisetto strafottente, i ragazzi si guardarono cercando di mascherare le proprie perplessità.
“Uno.”

A quel punto lo sguardo di tutti andò verso il ragazzo riccio:
“Quello non scherza capo!”

“Due.”

“Non ne vale la pena cazzo!” - lo esortò Lindemann.

“Tre.”

“Va bene, lasciatelo.”

Detto ciò Cirano fu liberato, e si incamminò un po’ tremolante verso il suo salvatore.

“Andiamocene.” - li esortò il ragazzo dai capelli ricci.

“Non finisce qui brutto stronzo!” - grugnì la ragazza minacciosa mostrandogli il dito medio.

Prima di andarsene, Lindemann lanciò uno sguardo indecifrabile al biondo, il quale ricambiò con un’occhiata simile, rimanendo muto ed impassibile.

 

Quando quel gruppetto di balordi si fu allontanato, Cirano si sedette su una panchina e sospirò, pensando di essersela vista brutta.

“Ti ringrazio, se non fossi arrivato tu non so cosa sarebbe successo…” - sospirò stiracchiandosi.
“Ti avrebbero pestato, e forse rotto un braccio, ecco cosa sarebbe successo.” - rispose il ragazzo bruscamente.
“Non ho fatto nulla, hanno cominciato loro.”
“Di questo non ne dubito, ma mi chiedo perché tu li abbia affrontati.”
“Perché quando vengo provocato reagisco, sono fatto così non posso farci nulla.”
“Se vuoi rimanere in questa città devi cambiare atteggiamento: è pieno di gentaglia come Kesh Florìda e la sua combriccola.”
“Kesh Florìda… così si chiamava quel buffone?”

“Sì, e quello grosso si chiama Stelar Lindemann, mentre la ragazza è Bia Giotti. Gli altri sono solo dei signori nessuno, degli zero di cui non vale la pena neppure ricordare il nome.” - sentenziò con una nota di rabbia nel suo tono.
“Loro potevano vedere il mio Bee Gees…”

“Parli dell’Ape?”

“Allora la puoi vedere anche tu!”

“Sì certo, perché possiedo anch’io un’abilità simile.”

“Prima l’hanno chiamata Stand, se non sbaglio…”

“Uno Stand è l’emanazione della forza spirituale di una persona, può avere diverse forme e poteri, ma solo una persona con un alto potenziale combattivo può manovrarlo a modo, altrimenti si rischia di rimanere schiacciati dal peso dello Stand stesso e agonizzare fino alla morte.”

Detto ciò il ragazzo distese il braccio, e dal suo corpo, nella medesima posizione, comparve una figura umanoide, completamente grigia, coperta su buona parte del corpo da una sorta di corazza metallica simile a quella di un robot.

“Il mio nome è Joey Joestar, e questo è il mio Stand.”

Cirano osservò stupito lo Stand di Joey:
“E’ la prima volta che vedo un altro potere simile al mio! Ad ogni modo, io sono Cirano de’Medici, e questo” - fece librare in aria lo Stand - “è Bee Gees.

“Forse penserai che sia proprio un caso bizzarro il fatto che cinque persone con uno Stand si siano incontrate oggi in questo parco: non è così. Ogni portatore di Stand si muove seguendo inconsapevolmente un filo rosso che lo conduce ad incontrarne altri.”

“Capisco; ad ogni modo non mi hai detto come si chiama il tuo Stand.”

“Non ha un nome.”

“Ah…”

“Generalmente tutti gli Stand ne hanno uno, ma il mio no, e non chiedermi il perché.”

A quel punto il biondo si voltò e fece per andarsene.

“Aspetta!” - lo fermò Cirano - “Te ne vai così?”

“Che altro c’è?”

“Io… quei tizi temevano il tuo Stand, e vuol dire che deve essere molto potente; ti prego, aiutami a far diventare il mio Stand più forte, così da non dover più temere quella gentaglia!”

“E dopo?”

Cirano non rispose, limitandosi a guardarlo perplesso.
“Dopo che farai? Ti vendicherai? E poi loro si organizzeranno per fartela pagare?” - sbuffò irritato - “Va a casa, ed evita certi guai, dammi retta.”

“Credevo che…credevo che tu fossi un tipo coraggioso!”

“Ci conosciamo da neanche mezz’ora.”

“Eppure vedendoti affrontare Kesh e i suoi sembravi così sicuro di te; insomma, mi sembri uno degno di rispetto!”

“Essere temuto non è sinonimo di essere rispettato; avevano le loro buone ragioni per non farmi incazzare.”

“Allora fammi diventare temuto come te!”

“Mi stai irritando. Vattene a casa.”

“Non ce l’ho una casa.”

Joey lo guardò di sbieco:

“E ti aspetti che la cosa mi intenerisca?”

“No.”

“Bravo, hai capito bene.”

Infine Joey si voltò nuovamente, e si incamminò verso l’uscita del parco, lasciando il giovane Cirano con l’amaro in bocca, per aver trovato e subito dopo perduto il suo primo amico a Caravan Palace.

 

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Capitolo 3
*** Stand by Me ***


Caravan Palace non era una città dal clima particolarmente avverso, tuttavia poco dopo l’arrivo dell’autunno era giunta una misteriosa calda durata diversi giorni; infine, il caldo poi si tramutò in una pioggia fittissima ed incessante, che impedì per una settimana a tutti di uscire fuori di casa.

 

Joanna odiava rimanere bloccata senza fare niente, e l’attesa che il tempo migliorasse l’aveva innervosita parecchio; così, appena la pioggia divenne meno minacciosa, prese il suo impermeabile giallo e si precipitò fuori di casa tutta imbacuccata con sciarpa e cappuccio.

Giunse davanti all’entrata del parco centrale della città, e là vi trovò ad attenderla una ragazza dall’aspetto imbronciato; era piuttosto alta e robusta, ed aveva sgargianti capelli rosa arruffati, tagliati in modo irregolare, con un lato più lungo rispetto all’altro.

“Ma perché diavolo sei voluta uscire con questo tempo del cacchio…” - sbuffò la ragazza.

“Perdonami Rising” - rispose Joanna ridacchiando in modo un po’ ebete - “è che lo sai, io non riesco a stare chiusa in casa!”

“Ho capito, ma non vedo perché dobbiamo beccarci un malanno per la tua impazienza!”

“Però anche tu, potresti metterti qualcosa di più adatto per la pioggia…”

Era quasi impossibile vedere Rising Sun con un vestiario diverso da tuta e scarpe da ginnastica – che lei amava molto impreziosire con spillette, catenine, e altri ninnoli vari.

“Io mi vesto come mi pare bamboccia!” - borbottò Rising mettendo le braccia conserte e sbattendo il piede a terra.

“Ad ogni modo” - sorrise Joanna, totalmente noncurante delle occhiate funeste dell’amica - “andiamo a fare un giretto nel parco.”

“Nel parco? Ma sarà tutto infangato!”

“Adoro il profumo delle piante bagnate dalla pioggia…”

“C’è il fango.”

“E poi il suono delle gocce che cadono dalle foglie…”

“C’è il fango.”

“E la nebbiolina che si alza poi…”

“C’è il fottutissimo fango!”

“Ho capito, non c’è bisogno che tu mi dia altre motivazioni per andarci!” - rispose Joanna tutta pimpante per poi addentrarsi nel parco.

Si conoscevano da diversi anni, ma Rising non aveva mai capito se in quei momento Joanna scherzasse o se le pensasse davvero certe cose strampalate prima di dirle.

“E dove te ne corri, aspettami…” - sospirò la poveretta rassegnata a vedere le sue belle scarpe sportive nuove completamente insudiciate nella fanghiglia.

 

“Ma dove si sarà cacciata…” - si domandò scrutando attorno in cerca dell’amica, quando finalmente la trovò dinnanzi al capanno del custode del parco, come pietrificata, e per cercare di capire quale fosse la fonte del suo turbamento si avvicinò.

 

“Ehi, è tutto a posto?” - domandò perplessa Joanna a quella figura minuta che se ne stava rannicchiata sotto la tettoia del capanno, avvolto in una coperta fradicia.

Non ottenendo alcuna risposta la giovane si chinò allarmata sopra di lui:
“Mi senti?”

Questa volta il ragazzo si limitò a guardarla con occhi vitrei e spenti, ed aprì la bocca come se stesse tentando di dire qualcosa, ma senza riuscirci.

“Santo cielo…” - commentò Rising appena giunta - “… questo ragazzo trema come una foglia!”

Rising si abbassò a sua volta gli prese la mano:
“E’ gelido, sta andando in ipotermia…” - si sfilò la felpa la diede all’amica - “Togligli quella coperta e la maglia, mettigli questa, tienilo al caldo e cerca di farlo restare cosciente mentre chiamo un’ambulanza!”

Joanna fece quanto ordinatole senza esitare, mentre Rising effettuava la chiamata ai soccorsi.

“Resisti!” - disse Joanna abbracciando il giovane - “Come ti chiami?”

“C-Cirano…” - balbettò tremulo.

Sentendo il calore della ragazza, si ridestò parzialmente, e quando la vide in volto ne rimase folgorato: aveva i capelli dorati, gli occhi dello stesso blu profondo del mare, ed un viso angelico e armonioso, che in qualche modo aveva come la sensazione di aver già veduto.

«Sì, dev’essere senz’altro un angelo…» - pensò Cirano, mentre la vista gli si offuscava, ed i suoni diventavano sempre più confusi e lontani.

 

Aprì lentamente gli occhi: vide un soffitto bianco, sconosciuto.

Ruotò leggermente il capo, e notò accanto a sé quella stessa figura che aveva visto prima di perdere conoscenza, che lo guardava sorridendo estasiata:
“Che bello, ti sei svegliato!”

Cirano la guardò perplesso, ma tentò comunque di essere cortese:
“Io… mi hai salvato, vero?”

“Sì, io e la mia amica Rising.”

Joanna fece un cenno, e Cirano notò all’altro lato della stanza una ragazza che se ne stava a braccia conserte, e lo guardava con un mezzo sorriso:
“Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?” - gli si rivolse Rising - “Ma che ci facevi solo nel parco sotto la pioggia?”

Cirano portò lo sguardo da un’altra parte:
“Io… non sapevo dove altro andare…”

“Ma come” - disse meravigliata Joanna - “non ce l’hai una casa?”

“No, al momento no.”

“Ce l’hai una famiglia?” - gli domandò Rising.

“Non saprei…”

“Certo che sei un tipo davvero bizzarro…”

“Rising, cerca di essere cortese; perdonala, sembra una poco di buono, ma è una brava persona.”

“A chi hai dato della poco di buono?!”

“Ad ogni modo non mi sono ancora presentata: il mio nome è Joanna.”
Un nome davvero armonioso, pensò Cirano tra sé e sé.

“Hai detto di chiamarti Cirano, giusto?”

“S-sì” - rispose come destatosi da quella domanda.

“Non sei di Caravan…?”

“No, vengo dall’Italia.”

“Sei parecchio lontano da casa” - commentò Rising - “cosa ti ha spinto fin quaggiù?”

Cirano rimase in silenzio e con lo sguardo basso.

“Capisco.” - concluse Risng, notando l’evidente disagio che quella domanda aveva portato al ragazzo.

“Però c’è una cosa che non comprendo: come mai voi siete qui?”

Joanna a quel punto si alzò sorridendo impettita:

“Non hai di ché preoccuparti, mio padre è il capo di questo reparto dell’ospedale!”

“Guarda che questa cosa è losca, legalmente parlando…” - la rimproverò Rising.

“Ma cosa avremmo dovuto fare, lasciarlo solo?”

“Io non so come ringraziarvi, mi avete salvato, senza conoscermi, e senza niente da avere in cambio…”

A quel punto Rising gli si portò vicino e gli scompigliò i capelli accarezzandolo energicamente:
“Non potevamo mica lasciarti là a morire di freddo!”

“E’ già la seconda volta nel giro di poco tempo che mi salvano la pelle, devo stare più attento…”

“Da quanto sei qui, Cirano?” - gli domandò cortesemente Joanna.

“Circa due settimane.”

“Come?” - sgranò gli occhi meravigliata - “Hai vissuto nel parco per tutto questo tempo, subendo l’afa prima ed il diluvio poi?”

“Sì, il parco è molto grande e pieno di rifugi, ma a un certo punto credevo sarei annegato da quanto acqua era venuta giù.”

“Spero non ti sia imbattuto in certa brutta gente che gira da quelle parti…” - commentò Rising.

“Mi sono trovato contro dei pessimi elementi, ma sono stato soccorso da…”

In quel momento entrò nella stanza un uomo di mezz’età dai capelli biondi portati corti, con un paio di occhiali da vista scuri, sotto cui si celava un volto piuttosto simile a quello di Joanna – anche se meno aggraziato ed ovviamente molto più mascolino, complice anche una barbetta di due giorni; notando subito il suo camice bianco, Cirano capì che si trattava di un medico.

“Voi due siete ancora qui… volete mettermi nei guai?”

“Scusami papà” - disse Joanna grattandosi la testa con aria inebetita - “ma non riuscivo proprio a starmene in attesa di novità, così ho detto che eravamo parenti!”

Rising la guardò perplessa:
“Ma ti conoscono tutti qua!”

“Che ti devo dire, mi hanno creduto sulla parola!” - rispose sorridendo candidamente.

Joanna aveva un visino cordiale e innocente, ma quando voleva sapeva usarlo per conseguire i suoi fini.

“Ad ogni modo sono felice di vedere che ti sia ripreso; sono il dottor Budd Joestar, immagino tu abbia già conosciuto mia figlia Joanna.”

Udendo quel cognome Cirano sgranò gli occhi colpito:

“Ha detto... Joestar?”

“Dal tuo sguardo intuisco tu ci abbia già sentiti nominare.”

“Sì ecco, quando sono arrivato qui ho incontrato un ragazzo che rispondeva al vostro stesso cognome, e che ora che ci penso vi assomigliava, ma aveva un carattere totalmente diverso rispetto al vostro…”

“Aveva uno sguardo da assassino e sembrava perennemente incavolato?” - gli domandò Joanna.

“Ehm, sì, abbastanza…”

“Allora hai senz’altro incontrato il mio fratellone Joey!” - si illuminò Joanna.

“Già, proprio lui.”

“Quell’idiota, poteva anche dircelo di averti visto da solo nel parco!” - si alterò subito dopo la ragazza arricciando le labbra.

“Sono sicuro non potesse immaginare che la situazione sarebbe degenerata in questo modo” - intervenne il padre - “d’altronde chi penserebbe che un ragazzino come te viva in un parco tutto solo?”

“So badare a me stesso.”

“Vedo… ” - commentò Rising caustica.

“Comunque Joanna mi ha detto che ti chi chiami Cirano, ma a parte questo non si sa nulla di te, eri senza documenti, e avevi con te solo uno zaino con dei vestiti, un po’ di cibo, e qualche spicciolo…” - a quel punto Budd indicò con lo sguardo una sedia ai piedi del letto, su cui era poggiato il suo vecchio zaino pieno di tagli e sgualciture - “Adesso però ho bisogno che tu mi dica chi sei.”

Il giovane scuoté il capo nervosamente:
“No, non posso farlo.”

A quella risposta Budd si fece serio all’improvviso:
“Stai scappando da qualcuno?”

Cirano alzò il capo con gli occhi spalancati: il dottore aveva appena centrato il segno.

“Se non ci dici la tua identità non potremo aiutarti…”

“Se ve la dicessi poi arriverebbero i servizi sociali, e mi riporterebbero a casa!”

“Capisco la delicatezza della cosa dal modo in cui stai reagendo, se vuoi possiamo parlarne solo io e te da soli…”

“Che lo sappia soltanto lei dottore o anche Joanna o Rising, non fa alcuna differenza: se ve lo dicessi finirei nei guai, e forse anche voi sareste in pericolo.”

“Se hai così tanta paura perché non sei andato dalla polizia?”

“Non è una cosa alla loro portata…”

“Allora lo è alla nostra.” - sentenziò Rising sogghignando, e dietro di lei apparve una figura umanoide rosa simile a una specie di armatura robotica dalle fattezze femminili, con una pittoresca cresta sul capo.

“Ma quello è uno Stand…!”

“Ci avrei scommesso che era un portatore!” - schioccò le dita compiaciuta per poi ritirare lo Stand.

“Hai visto anche quello di Joey, immagino.” - gli si rivolse pacatamente Joanna.

“Sì, e lui ha visto il mio.”

“Quell’idiota non ci ha nemmeno detto che ha incontrato un nuovo portatore!” - esclamò la ragazza alterandosi di colpo nuovamente.

“Da dove vengo io praticamente nessuno è a conoscenza di queste abilità, qua invece sembra che sia pieno di Stand…”

“E’ per via della Stardust Rain.” - rispose Budd.

“Ma certo, ricordo quando ne parlarono alla TV; dunque è questo il segreto che si cela dietro agli Stand di questa città!”

“Però tu non hai ottenuto il tuo Stand in quel modo, ho ragione?”
“Già, io l’ho sviluppato mentre scappavo…” - disse prendendo lo zaino, ed estraendoci un piccolo ciondolo con una pietrina incastonata - “Mi sono tagliato con questo, e da allora sono entrato in possesso dell mio Stand.”

Budd lo prese tra le mani e lo osservò:

“Non c’è dubbio, è dello stesso materiale della polvere caduta quella notte: emana la stessa misteriosa essenza.”

A quel punto Joanna prese la mano a Cirano e lo guardò dritto negli occhi:
“Non è un caso che tu sia giunto fin qui, gli Stand si attirano, e non sempre per combattere, a volte gridano aiuto, e gli altri Stand possono sentirlo.”

Colpito da quelle parole gentili e da quello sguardo empatico, Cirano rimase per alcuni istanti in silenzio, dopodiché si decise a parlare:
“Sono perseguitato da una strega.”

Udendo ciò tutti i presenti assunsero un’espressione interrogativa, e Cirano continuò:
“E’ una donna con un potere malvagio, che sta perseguitando la mia famiglia: il suo nome è Greta Van Fleet.”

“Per potere immagino tu intenda Stand…” - disse Budd.

“Sì, ne sono quasi completamente certo. Ad ogni modo, tutto iniziò quando mio padre ebbe un incidente d’auto, ed il caso volle che questa donna, si trovasse là vicino; lui diceva che l’aveva soccorso, ma ho ragione di credere che volesse solo derubare le vittime dell’incidente, pensando di farla franca per via della confusione. Greta Van Fleet era una accattona che viveva elemosinando e ubriacandosi, e mio padre provando pietà e sentendosi in debito le offrì un lavoro nella sua azienda.

I primi tempi andò tutto bene, ma dopo un po’ Greta cominciò a chiedere prima aumenti via via sempre più alti, e poi ingenti somme di denaro in prestito.

Lei non prese bene il rifiuto di mio padre, e diede in escandescenze: si presentò sotto casa nostra, urlando che ci malediva, e che saremmo andati tutti all’inferno.

Da quel momento tutti i miei parenti iniziarono a morire uno dopo l’altro, e senza che i medici riuscissero a trovare una causa razionale a quella catena di decessi: era come se all’improvviso avessero semplicemente smesso di respirare. Al momento solo mia madre è ancora viva, ma respira grazie a una macchina ed è in un coma profondo, pertanto l’unico obiettivo rimasto per quella maledetta sono io e, fortunatamente, ora che posso vedere gli Stand so in che modo ha ucciso la mia famiglia: il suo Stand assume la forma di spore mortali che entrano nelle vie respiratorie, e soffocano la vittima. Prima di ottenere il mio potere non ero in grado di vederle, quindi sono certo si tratti di un’abilità Stand.”

“Spore che soffocano” - commentò Budd - “non ho mai sentito di un’abilità simile.”

“Neanch’io, ma mi mette i brividi…” - aggiunse Rising.

“Mi dispiace così tanto per la tua famiglia Cirano…” - soggiunse Joanna visibilmente toccata da quel tragico racconto.

“Adesso capite perché non posso farmi individuare? Se Greta Van Fleet mi scoprisse potrebbe uccidere non solo me, ma anche tutti coloro che mi aiutano.”

In quel momento Budd si rivolse a Rising:
“Tu hai una miriade di parenti sparsi per il mondo che non vedi mai, giusto?”

“Sì… perché?”

“Potremmo dire che Cirano è un tuo lontano parente, così non dovremmo preoccuparci dei servizi sociali o della polizia.”

“Eh?! E poi me lo devo tenere io in casa? E magari rischiare di morire soffocata da quella pazza?”

“Sta tranquilla, non te lo chiederei se non fossi sicuro della forza del tuo Stand.”

“Mi spiace, non posso accettare” - intervenne Cirano - “lei mi troverà prima o poi, non voglio mettere Rising in pericolo, né arrecarle fastidio occupandole casa.”

“Non permetterò che un mostro simile vada in giro a tormentare un MIO paziente: le normali forze dell’ordine non hanno gli strumenti per combattere né tanto meno giudicare un criminale dotato di Stand.”

“Perciò noi…”

“Esattamente ragazzo mio: le daremo quel che si merita.”

Cirano rimase incantato dalla forza di quelle poche ma efficaci parole: il dottor Joestar non sembrava un esaltato, sembrava possedere un innato senso di giustizia, e in lui riusciva a rivedere la stessa possanza mostrata da Joey quando lo aveva soccorso.

“Perché fate tutto questo per me? Non mi conoscete, potrei anche essermi inventato tutto, ed essere solo un morto di fame che cerca di approfittarsi di voi…”

“Come ha detto Joanna” - rispose il dottore - “gli Stand a volte lanciano un grido di aiuto, e noi non intendiamo ignorare quello del tuo.”

“E se poi viene fuori che cerchi di fare il furbo ti spezzo le gambe!” - ridacchiò Rising, senza far capire a Cirano quanto stesse effettivamente scherzando.

“Noi ti staremo vicino, tesoro.” - concluse Joanna facendogli l’occhiolino.

Vedendo quelle tre persone così sicure ergersi attorno a lui, Cirano sentì dopo tanto tempo un piccolo barlume di speranza nella sua vita che ormai riteneva solo una fuga incessante da una morte incombente.

 

 

Ciondolava a passo zoppo, vestita di abiti consunti e sudici, tra le vie più oscure della città dove nessuno osava mettere piede: un passaggio perfetto per la megera Greta Van Fleet.

D’improvviso, dopo aver svoltato, vide all’ombra di un lampione mal funzionante una figura imponente che si ergeva immobile a braccia conserte.

“Signore buono, hai qualche soldo per una povera…”

Greta si paralizzò di colpo: era andata in contro per domandare un’elemosina, ma non si era accorta dell’aura opprimente emessa dalla figura in penombra.

“Sei un essere così disgustoso che non vale nemmeno la pena spargere il tuo sangue.” - sentenziò l’uomo.

A quel punto Greta si levò tutta la maschera della povera vecchina, e sul suo volto rugoso comparve una smorfia adirata:
“Maledetto stronzo!” - gridò sputacchiando dai fori tra i pochi denti marci che le erano rimasti.

Una nuvola avvolse l’uomo, e Greta emise una risata sadica, dal suono simile al ragliare di un asino:
“Soffoca, muori, stronzo!”

E mentre si gongolava una mano le afferrò la gola e la sollevò da terra:
“No no pietà signore buono!” - tentò di gridare - “aiuto, aiuto!”

“E’ inutile che ti agiti tanto, stupida vecchia, nessuno verrà per della feccia come te, ma è il tuo giorno fortunato: oggi potrai dare un senso alla tua inutile vita.”

La vecchia sentì qualcosa agitarsi sotto la mano dell’uomo, per poi iniziare a strisciare nelle sue carni, e ad assorbire il suo sangue:

“Hai uno Stand interessante, ma vedi, non puoi fermare i polmoni di qualcuno che non respira.”

A quel punto la gettò a terra, completamente dissanguata.

“Ora alzati, Greta Van Fleet.”

Come comandato da tali parole, la vecchia si ridestò in piedi:
“Ai tuoi ordini, padrone.”

L’uomo ghignò compiaciuto:
“So che hai una missione da fare: compila pure, e cerca di non farti ammazzare se puoi; voglio vedere di cosa sei capace…”

“Sì, mio Dio.”

 

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Capitolo 4
*** Blowin' in the Wind ***


Come spesso accade in una fiaba che i genitori raccontano ai loro figli, la notte si era fatta buia e tempestosa.

Cirano se ne stava nella stanza, seduto su una poltroncina a braccia conserte, quando d’un tratto sentì bussare, e subito invitò ad entrare.

“E’ tutto a posto?” - domandò Rising aprendo la porta.

Il giovane si limitò a rispondere con un cenno affermativo.

“Sicuro? Guarda che ti si vede in faccia che sei inquieto.”

“Ecco… è che ho una brutta sensazione.”

“Forse non sei più abituato a dormire in una casa.”

“Non è quello, è che… non so spiegartelo.”

“Va bene, in ogni caso io non posso fare veglie alla Batman: domattina devo andare a lavorare.”

“Ah, tu lavori?”

“Eh già.”

“Pensavo fossi una compagna di classe di Joanna.”

“Negativo, io sono più grande di lei, ho già finito gli studi e lavoro in un’erboristeria; piuttosto tu, hai detto di avere tredici anni, ma immagino che non vada da un po’ a scuola…”

“Già, anche se in fondo la cosa non mi duole poi tanto.”

“Quando tutto questo sarà finito dovresti tornarci.”

Cirano sbuffò ridacchiando:
“Ammettendo che ci sia una fine, chissà se riuscirei a tornare alla normalità…”

“Non si può scappare per sempre; io comunque sono convinta che farai la scelta giusta. Ad ogni modo, se ti serve qualcosa dimmelo, ma non svegliarmi o ti scotenno.” - e a quel punto la ragazza sorrise in modo melenso e guadagnò l’uscita, sotto lo sguardo perturbato di Cirano.

 

 

Dopo un po’ il giovane si era messo l’anima in pace e, spenta la luce, si era coricato; tuttavia non riusciva a prendere sonno, e continuava a girarsi e rigirarsi nel letto.

Di tanto in tanto un lampo illuminava la stanza, mostrando armadi, quadri, e soprammobili vari.

D’un tratto però un baleno rivelò, sulla finestra accanto al letto, la presenza di una figura poggiata sul vetro che osservava Cirano con occhi vitrei, ed il giovane subito scattò in piedi allontanandosi: avrebbe riconosciuto tra mille quel naso adunco e bitorzoluto, e quei piccoli occhietti costellati da verruche purulente.

Fece per accendere la luce, ma l’interruttore non funzionò, e in quel momento si accorse che anche tutti gli altri oggetti della stanza alimentati a corrente erano spenti.

Corse fuori dalla stanza, gridando il nome di Rising, ma senza ottenere risposta, pertanto si recò nella sua stanza: nemmeno lì nessuna risposta o segno da parte della ragazza.

Era rimasto solo e al buio, salvo i brevi momenti in cui lo scintillare della tempesta illuminava la casa; probabilmente Rising aveva una torcia da qualche parte, ma non conoscendo l’abitazione poteva essere ovunque, e Cirano non aveva con sé neppure un cellulare con cui far luce.

D’improvviso udì il parquet del corridoio scricchiolare in lontananza, e si fermò ad ascoltare quel suono: lo scricchiolio andava crescendo, diventando sempre più pesante e vicino, fino a ché Cirano poté udire nettamente un rumore di passi venire verso di lui.

E mentre i passi si avvicinavano, sentì quella risata ragliante e gutturale che lo tormentava ogni notte nei sui incubi: Greta Van Fleet era proprio lì, e stava venendo a prenderlo.

Dietro vi era la stanza di Rising, e davanti il corridoio: Cirano stava seriamente prendendo in considerazione di buttarsi dalla finestra della camera alle sue spalle, nonostante si trovasse al secondo piano di un condominio.

“Scommetto che stai pensando di buttarti di sotto” - lo sfotté la megera - “d’altronde non potevo aspettarmi nient’altro da un moccioso figlio d’un cane ingrato!”

A quel punto, toccato sul vivo, Cirano sfoderò Bee Gees e si preparò a combattere: se doveva morire almeno avrebbe tentato di cavarle gli occhi col pungiglione del suo Stand.

“Vuoi davvero affrontarmi, brutto schifoso? Ho ucciso tutta la tua famiglia per punirla, e ora ti punirò, si ti punirò!”

La cosa che più irritava Cirano era l’idea che Greta stesse agendo nella convinzione di aver subito un torto:

“L’unica che andrebbe punita qua saresti tu semmai!”

“No, siete tutti infami, ingrati, mi avete sfruttato mettendomi a lavorare, e poi mi avete chiuso le porte in faccia!”

“Tu volevi solo i nostri soldi!”

“Quei soldi erano tutti miei, me li sono meritati, tutti quanti, dovete morire tutti per i miei soldi!”

Cirano non era sicuro se la vecchia pensasse davvero tutte quelle cose assurde e vivesse in una realtà distorta, o se stesse solo tentando di stizzirlo per sfregio.

“Ora soffoca maledetto!”

 

Di colpo un raggio di luce violacea fendette l’aria e colpì la spalla di Greta, la quale emise un latrato disumano e si rannicchiò per terra; Cirano poté così vedere, in fondo al corridoio, un grande occhio tondo dall’iride luminosa, che dopo pochi istanti si liquefece.

 

“Dunque avresti sterminato una famiglia soltanto per denaro?”

 

Una voce imperiosa ma graffiata, che Cirano aveva già udito.

 

Da una porta in fondo, uscì una bionda figura con una giacca in pelle, portante in mano una lanterna ad olio che illuminò tutto il corridoio: Cirano scoppiò quasi in lacrime quando vide Joey sbucare dalle tenebre portando la luce con sé.

Greta si rialzò ringhiando:
“Il MIO denaro!”

A quel punto la megera sfoderò una nube tossica interamente indirizzata contro il nuovo arrivato, dopodiché scoppiò a ridere platealmente, e si voltò verso Cirano:
“Io sono la più furba, nessuno può battere il mio Blowin’in the Wind, merito tutto quanto perché sono la più forte e la più furba! Prendi le mie spore e muori anche tu!”

Cirano sentì una figura sgusciargli da dietro, e subito dopo qualcosa gli venne posato attorno al volto: la nube tossica lo investì, ma quella sorta di maschera lo protesse, e gli consentì al contempo di respirare.

“Scusa se ti ho fatto aspettare.”

Cirano si voltò e vide Rising, con indosso la medesima protezione sul volto:
“Queste sono frutto del mio Stand, Material Girl: posso generare cristalli di silicio e manovrarli per creare oggetti. Devo ammettere che non è stato semplice produrre queste maschere antigas, ma ti dirò, il risultato mi soddisfa davvero, credo siano il mio capolavoro!”

Greta, sempre più irritata fece per saltare addosso ai due, ma Rising si portò avanti e la colpì in pieno volto, facendole volare uno dei suoi pochi denti marci.
“Posso anche coprirmi con un’armatura; è molto utile quando devi pestare qualcuno!”

Joey si avvicinò, rivelando di avere indosso anch’egli la maschera, e a quel punto Greta si ritrovò circondata da entrambe le direzioni:
“Maledetti, non mi avrete mai!” - ringhiò, per poi affondare un pugno violento a terra, sfondando il pavimento ed aprendo un buco che dava sul piano di sotto.

 

L’appartamento era buio, ma grazie ai suoi nuovi occhi Greta poteva vedere perfettamente nell’oscurità, e subito cercò una finestra od una porta con cui scappare dal condominio: sarebbe tornata un’altra volta, e avrebbe punito quei miserabili uno ad uno, facendogli patire le pene dell’inferno.

E mentre si gongolava coi suoi pensieri vendicativi, di nuovo quel raggio la colpì, questa volta sulla gamba, e fu costretta ad accovacciarsi nuovamente.

“Dove sei… vieni fuori, non vale” - cominciò a piagnucolare - “ti prego io sarò brava, non fare del male a una brava persona!”

In quel momento udì un ronzio, dopodiché qualcosa le atterrò nell’occhio infilzandolo rapido.

A quel punto numerose iridi si illuminarono nella stanza, rivelando la presenza di Budd e di Joanna:

“E’ finita, arrenditi” - disse l’uomo - “sapevo avresti attaccato questa notte, ho fatto girare io apposta tutte le notizie su Cirano, poiché volevamo attirare la tua attenzione, Greta Van Fleet. Staccarci le luci è stato un colpo basso, ma almeno ho fatto sgomberare l’edificio con la scusa di una disinfestazione, e non potrai fare del male a nessun altro: è davvero una fortuna avere uno Stand come il mio Imagine Dragons che distorce le immagini in questi casi, facendo vedere alle persone documenti falsi di autorità che neppure esistono.”

“E’ una congiura, una congiura ai miei danni, non me lo merito, è quella famiglia che deve pagare, anzi, deve pagarmi!”

Joanna a quel punto si alterò visibilmente, e davanti a lei comparve una figura femminile con una semi-casco da metà faccia in poi, avente un unico occhio sporgente dalla calotta, come una specie di piccolo cannocchiale; aveva un sorta di vestito lungo spaccato, sopra cui vi erano disseminati innumerevoli occhi identici a quelli che avevano lanciato i precedenti raggi di energia.

“Forse sei solo una pazza” - disse Joanna rabbiosamente - “ma in ogni caso hai fatto soffrire le pene dell’inferno a Cirano…”

“Non ho avuto i miei soldi!” - grugnì la vecchia.

“Se per quei soldi eri disposta a sterminare una famiglia allora non meritavi neppure un centesimo!”

“Erano miei!!!”

L’unico grande occhio dello Stand di Joanna iniziò a brillare, e poco dopo un raggio di luce più intenso dei precedenti investì Greta, troncandole di netto un braccio.

“Adesso ti arrenderai, dopodiché chiameremo la polizia, ti costituirai e ammetterai tutti i tuoi crimini.” - tuonò Budd portandosi davanti alla vecchia che latrava tastandosi il braccio.

 

“Pensi di aver vinto?” - ridacchiò improvvisamente Greta.

Dal moncone fuoriuscirono dei filamenti di carne che si allungarono ed afferrarono il braccio mozzato, riportandolo al proprio posto, dopodiché con uno scatto la vecchia affondò la sua grinzosa mano artigliata nel ventre di Budd:
“Rigenerò questa ferita col tuo sangue schifoso, e poi ammazzerò te e tutta la tua famiglia!”

In quel momento Joey, Cirano, e Risng entrarono sfondando la porta, e subito quest’ultima si coprì dell’armatura di Material Girl, e generata un’ascia tranciò il polso della mano conficcata in Budd, mentre i due ragazzi trascinarono via Greta per allontanarla; ma con una forza inumana li sollevò entrambi ed affondò anche in loro le sue lingue di carne, iniziando ad abbeverarsi del sangue dei due ragazzi.

In risposta Rising generò un’altra scure, e con entrambe le lame fece per avventarsi sulla nemica, ma questa portò davanti a sé i due, usandoli come scudi umani.

“Ho vinto io!” - ridacchiò indietreggiando fino alla porta.

“No…” - bisbigliò Joey quando furono sotto l’uscio.

“Come?” - grugnì stizzita Greta.

“Sei…”

“Sono?!”

“Sei… esattamente dove volevo che fossi.”

In quel momento Greta si ritrovò incastonata nella porta che fino ad un istante prima era in pezzi sul pavimento, con soltanto il volto e gli avambracci liberi dal legno:
“Schifoso…! Però vi ho ancora in pugno, e succhierò tutto il vostro sangue, non mollerò mai la presa!!!”

Rising lanciò un’ascia a Budd, dopodiché con uno scatto si portarono vicino alla porta e tagliarono le braccia di Greta, per poi allontanarsi subito dopo coi due ragazzi; prima che la vecchia potesse sfoderare nuovamente le sue lingue carnose, Rising ricoprì i monconi con uno spesso strato di silicio.

Al culmine dell’ira, Greta distrusse nuovamente la porta, liberandosi e furiosa fece per avventarsi sul gruppo, ma un nuovo raggio di luce la travolse, aprendole un buco in mezzo al petto: eppure, la megera ancora stava in piedi, e nonostante lo Stand di Joanna continuasse a colpirla rallentandola, non accennava ad arrestarsi

“One Vision l’ha colpita tre volte questa sera ed ancora non cede, ma che diavolo di mostro è?!” - esclamò Rising.

“E’ una non-morta” - commentò Budd - “e si nutre di sangue.”

“No andiamo, non mi starai mica dicendo che è un…”

“Proprio così Rising: credo che Greta Van Fleet sia un vampiro.”

“Quindi è immortale?” - chiese Joey.

“No credo possa ucciderla la luce del sole, ma manca ancora parecchio all’alba, e con questa pioggia non credo che vedremmo comunque la luce del giorno per un po’…” - rispose Budd.

“E se le venisse disintegrata la testa?”

“Il raggio di Joanna è forte, ma è troppo sottile per farlo.”

“Non parlavo di quello… ho bisogno di una pentola!” - esclamò per poi correre via.

“In una situazione come questa pensa a cucinare?” - commentò Rising perplessa.
“Qualunque cosa abbia in mente” - aggiunse Budd - “deve fare in fretta: One Vision sta consumando rapidamente le forze di Joanna, non le rimane più molto tempo.”

A quel punto Rising si avvolse completamente in un’armatura di Silicio generata dal suo Stand:
“Ci penserò io trattenerla: se riuscissi ad afferrarla potrei creare un catenaccio in cui bloccarla fino a ché non spunta il sole.”

In quel momento Joey spuntò fuori con in mano una casseruola e si portò sulla nemica:

“Joanna, non sparare più!”

Ormai esausta la ragazza accolse con piacere quella richiesta, e col fiato corto si adagiò a terra seduta, mentre Joey pose la pentola in testa alla vecchia, e poi si allontanò di scatto: a quel punto il metallo della pentola si squagliò, riversandosi sul capo di Greta.

“Spero che i tuoi timpani non si siano ancora bruciati” - la incalzò Joey - “perché ora voglio spiegarti come funziona il mio Stand: può riportare le cose ad un precedente stato. Non ti è chiaro? Guarda questa pentola: il metallo da cui è stata ottenuta per essere lavorato è stato fatto fondere, ed ora io l’ho riportato a quel preciso momento!”

Greta Van Fleet, senza braccia e con la testa in fiamme, si dimenava urlando in modo disumano, e dal suo corpo fuoriuscirono diversi tubetti carnosi che tentarono di afferrare chiunque si trovasse sulla loro portata, come un ultimo disperato tentativo di aggrapparsi alla vita, o meglio, alla non-vita;

dopo pochi minuti, la testa della vampira fu completamente sciolta, e di lei rimase solo il corpo mutilato e pieno di buchi.

 

“Dunque è così che si uccide un vampiro…” - commentò Rising per smorzare la tensione; a parte lei però, nessuno aveva molta voglia di parlare.

In particolare, Joey se ne stava sopra il cadavere della vecchia, osservandola impassibile con lo sguardo sbarrato, e solo sentendo un tocco sulla pelle si destò dalla sua macabra contemplazione:
“Joey, è finita…” - gli disse Joanna stringendogli delicatamente la mano.

“Già.” - aggiunse laconico il ragazzo.

A quel punto il silenzio della sala venne squarciato dal grido di Cirano: dopo mesi di fuga, era finalmente libero di poter piangere la morte di tutti i suoi cari.

Si lasciò andare ad un pianto disperato, carico di tutte le emozioni che non aveva potuto provare; Rising lo abbracciò, cercando di consolarlo, ma ci vollero diversi minuti prima che Cirano riuscisse a placare il suo animo.

 

Come coraggiosi cavalieri in una fiaba, i cinque si erano opposti al male e avevano affrontato e sconfitto un mostro; nessuno di loro poteva immaginare che quella era soltanto la prima delle innumerevoli prove che avrebbero dovuto affrontare.

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