The Revenge of Khan

di Spoocky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Disclaimer: i personaggi e le citazioni riconoscibili appartengono agli aventi diritto, io non guadagno nulla.

Buona lettura ^.^ 


Sbuffi di vapore si disperdono nell’aria mentre mi trascino sul ponte. La vista mi si appanna e l’odore acre dei corpi bruciati, insieme alle esalazioni sulfuree che si diffondono dalle falle nella struttura stanno rendendo questa stanza sempre più simile ad una gora infernale. L’ ironia non mi sfugge.
Better to reign in Hell than serve in He’ven.

Meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso.
Così avevo rinfacciato all’integerrimo Capitano James T. Kirk prima che mi scaricasse su quel deserto inospitale che è Ceti Alpha V. Le mie parole si sono rivelate profetiche e quella profezia si è avverata. In un certo senso posso dire di essermelo aspettato ma ora devo ammettere di non avere avuto idea di quanto quelle parole, vergate più di mille anni fa, potessero definire la mia vita. Non penso solo a quella landa desolata e infeconda, infestata da parassiti spietati che mi hanno strappato ad uno ad uno i miei fratelli, le mie sorelle...e la mia adorata moglie.
Marla!
Oh Marla!
Persino il dolore delle mie ferite, il palpito delle ustioni che straziano la mia carne scemano di fronte alla lancia che mi trafigge il cuore ogni volta che ti penso. La tua perdita è il vero dolore, la tua assenza la vera amarezza. Le piaghe sul mio corpo non sono nulla in confronto a quelle che la tua morte ha lasciato nella mia anima. Ma a tormentarmi maggiormente è il senso di impotenza: il sapere di aver avuto le mani legate, di non aver potuto fare nulla mentre ti vegliavo, fragile e bellissima, agonizzante sul tuo letto di morte. Tutta la mia forza e la mia intelligenza superiore non hanno potuto nulla contro il mostro che ti ha fatta sua. Così piccolo, un insetto apparentemente insignificante. Eppure ha avuto la meglio su di te e su di me.
E sul figlio che portavi in grembo. Quella creatura, debole ed indifesa, che non ho mai conosciuto né mai conoscerò ma che avrei potuto amare, forse tanto quanto ho amato te, Marla, unica donna ad aver ispirato in me un sentimento di tenerezza e quella volontà di protezione che credo fosse l’unico modo in cui possa essere stato in grado di esprimere affetto.
Nostro figlio, forse l’unica cosa veramente buona che avrei potuto lasciare a questo Universo immondo. Ma il destino ha voluto privarmi anche di un erede, ora nessuno potrà continuare il mio sogno di un’umanità migliore, nessuno si farà garante del mio retaggio e tutto ciò che sono stato svanirà per sempre, la supernova della mia esistenza ha brillato intensamente per dissolversi completamente nel gelido buio dello spazio.

Ora non è rimasto più nulla.
Non esiste più niente dell’uomo con cui dividevi il letto, che la sera riversava nel tuo orecchio attento tutte le difficoltà di essere un leader in circostanze così avverse e che accoglievi contro il tuo seno caldo, l’unico posto i cui mi sia mai sentito davvero amato e desiderato. Colui che hai accolto nel tuo intimo come nessuno prima, che avevi accettato come compagno per generare una nuova vita, spazzata via in un soffio prima di vedere la luce. Quella parte di me è svanita con il tuo ultimo respiro. Da allora nient’altro che una furia cieca, un odio sconfinato verso chi mi ha portato via tutto, ha riempito il mio petto e nutrito il mio animo. Non il DNA potenziato ma l’ira mi ha tenuto in vita fino a questo momento e ora che sento le fauci della morte avvicinarsi, ora più che mai il mio desiderio di vendetta si fortifica e tutto il mio essere arde di ferocia nello sferrare l’ultimo attacco al mio nemico.

Vorrei ucciderlo, trascinarlo via con me nell’abisso senza fine che mi attende, ma più ancora vorrei ferirlo, mutilarlo, privarlo di qualcosa che lo faccia soffrire tanto quanto ho sofferto io.
Neppure lui è uscito indenne da questa battaglia: la sua amata nave, la sua casa e famiglia, che considera parte di se, è danneggiata quasi quanto la mia. La vedo beccheggiare nello spazio, quasi alla deriva, su ciò che rimane dello schermo visore della plancia. E lui ne sta soffrendo nel profondo.
Lo so.
Lo sento.

Ma non mi basta.

L’Enterprise che fluttua nello spazio come un cetaceo agonizzante ancora non placa la mia sete di vendetta, semmai la inasprisce al punto da desiderare l’annientamento completo del mio avversario. Se ora sta soffrendo la perdita dei camerati e i danni alla sua amata nave, voglio che questo dolore sia solo l’inizio, voglio che il suo mondo sia vaporizzato in un lampo di luce accecante, un bagliore mortifero che lasci di lui, dei suoi compagni e di quella nave maledetta, null’altro che polvere spaziale. Che non resti altro che atomi, frammenti di molecole condannati a fluttuare nella gelida oscurità dello spazio profondo.
Che il nulla assoluto diventi il loro ed il mio mausoleo!

Raccogliendo le poche forze che mi restano, mi trascino ansimando verso la console di comando.
Per quanto breve, il tragitto è atroce: Il braccio sinistro è ormai inservibile e le gambe non mi reggono più, sospetto che siano rotte – se il dolore pulsante che mi trasmettono è un indizio affidabile - e sono costretto a strisciare sul pavimento cosparso di detriti. La quasi totalità del mio corpo è coperto da ustioni, alcune provocate da una sostanza acida che sta lentamente nutrendosi della mia epidermide, corrodendo le carni fino all’osso. Sento i brandelli dei miei vestiti sfregare impietosi contro la carne viva, facendo esplodere le vesciche che si sono formate mentre l’attrito mi strappa brandelli di pelle e anche carne. La sofferenza, pur attenuata dalle connessioni neurali potenziate che mi garantiscono una maggiore resistenza al dolore, è terribile.
Ma tutto questo non fa che aumentare la mia rabbia.

Proprio quest’ultima mi da le energie per issarmi sul pannello di controllo, mentre serro le mascelle così forte da sentire i molari stridere.
Reprimo un grido.
Non per orgoglio – ormai non è rimasto più nessuno a poterlo sentire – ma perché i miei polmoni ustionati si stanno riempiendo di quella mistura venefica che sta saturando la stanza e che li sta logorando. Non ho più il fiato per gridare, anche la trachea dev’essere compromessa. Comunque vada non mi resta molto da vivere. Fin dall’inizio di quest’ultima impresa avevo preventivato di non poterne uscire vivo. Di certo non avrei potuto vivere ancora a lungo con la consapevolezza di aver perso per sempre Marla e il nostro bambino. Né nutro alcuna speranza di poterli rivedere ora: quelle creature innocenti saranno sicuramente in un Paradiso inaccessibile per la mia anima corrotta, che il poco tempo passato insieme non ha potuto redimere. Sapevo di essere destinato alla grandezza ma il mio creatore aveva preventivato che dovessi raggiungerla spargendo sangue, morte e dolore così, alla fine non sarò altro che cenere. E, se esiste un mondo al di là di questo, lo abiterò fra infiniti tormenti per scontare ciò che ho inflitto in vita. Ma non mi potranno attribuire questa vendetta. Non mi potranno imputare il mio riscatto. L’integerrimo Ammiraglio James Tiberius Kirk non è egli stesso esente da colpe, se non altro da quella di aver condannato Marla all’esilio con me col sorriso sulle labbra, senza rimorso
alcuno. Ed io sono il suo punitore, colui che porrà fine alla sua vile ed ipocrita esistenza.
Che tenti pure una delle sue manovre evasive, che tenti di fuggire!
La sfida non è ancora conclusa.

“No, Kirk” riesco a sibilare “La partita non è finita” con uno sforzo terribile riesco ad azionare l’apparecchio per attivare il dispositivo Genesis “fino all’ultimo mi batterò con te!”
Questo è quanto.
Subito dopo le ginocchia mi cedono e crollo di nuovo a terra.

Ma non voglio morire senza vedere il mio peggior nemico fare la stessa fine: voglio che gli ultimi istanti di vita della sua nave rimangano impressi in eterno nelle mie pupille. A fatica, come se dovessi issare una creatura mastodontica, riesco a sollevarmi sul parapetto quel tanto che basta a poter vedere lo schermo in cui l’Enterprise arranca nel tentativo disperato di allontanarsi dall’ormai prossima esplosione di Genesis, il congegno creato per portare la vita che sarà invece latore di una morte spietata per Kirk e tutto il suo equipaggio. Fra i tremolii delle interferenze sullo schermo ed il dolore intollerabile che mi offusca la vista lo intravedo tentare di allontanarsi ma, nel profondo, sono convinto che non possa farcela.

Sento le forze abbandonarmi, scivolando via goccia dopo goccia insieme al mio sangue, ormai manca poco, le gambe hanno ceduto, i miei organi stanno collassando, divorati dal bruciore acido del gas che ho inalato mentre la pelle si sfalda e lascia che quel mostro liquido aggredisca la mia carne.
Non posso più dire di stare respirando: solo un rantolare confuso e doloroso lascia le mie labbra bruciate e il mio cuore è sempre più stremato; pulsa ancora, indomito, ma sempre più flebile, erratico ed instabile. Chiamando a raccolta tutta la mia ira riesco a lanciare un ultimo anatema, maledicendo quella fuga disperata: “No, non riuscirai a sfuggirmi! Anche dal cuore dell’inferno riuscirò ad annientarti! In nome dell’odio io sputo il mio ultimo respiro su di te!”
Poi tutto si dissolve in un grido feroce.
Un boato assordante e poi
The rest is silence.
 
Note:

Le citazioni provengono da Paradise Lost di John Milton e dall' Amleto di Shakespeare
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Disclaimer: stesso di prima, anche per le citazioni.

Buona Lettura ^.^

 

Il resto è silenzio.
Buio.
Vuoto.

Non sento più dolore.
Anche l’odore del gas, della mia carne bruciata e il raspare affannoso dei miei polmoni sono spariti per lasciare il posto a...niente, in realtà.
Di quegli interminabili momenti di agonia non è rimasto nulla se non un fuoco inestinguibile che mi arde dentro.
Una fiamma che divampa e cresce sempre di più fino a esplodere e riconosco il mio odio che, indomabile ed inarrestabile, mi ha seguito fino a qui. Il senso di oblio, rischiarato dall’ardore della mia ira, permane tuttavia finché, in questo limbo dai confini incerti in cui non avverto neppure il mio corpo, percepisco la presenza di un altro. Dapprima indistinta, la sensazione si fa sempre più forte.
Fino al punto in cui non posso fare a meno di domandarmi chi sia questo altro da me.

Non ho corpo e non ho voce ma percepisco chiaramente il suono dell’interrogativo nel momento in cui lo pongo: "Chi sei?"
"Khan."
"Khan?"
"Khan Noonien Singh."
"NON E’ POSSIBILE! Chi sei veramente?"
"Forse sarebbe più corretto chiedere... chi sono!"

E lentamente le tenebre si dissolvono, mentre di fronte a me comincia a prendere forma la silhouette dell’altro.
L’altezza è la stessa ma il suo fisico è diverso, più asciutto.
Man mano che i suoi lineamenti prendono forma mi accorgo che è anche notevolmente più giovane ma la differenza più grande sono gli occhi: mentre le mie iridi sono castano scuro, le sue sono di un penetrante azzurro ghiaccio. Lo sguardo è freddo, distaccato ma animato da un fuoco che non riesco a non riconoscere, perché è lo stesso che infiamma i miei.
Lo stesso ardore che pulsa nel mio petto brucia nel focolare del suo cuore.
In quel momento tutto si fa chiaro:lui è me come io sono lui.
Siamo lo stesso uomo che conduce due esistente separate, plasmate da linee temporali diverse. Ma il fuoco nei suoi occhi non mente: cambino pure le circostanze, la nostra natura è la stessa.

Sento la speranza rinascere dentro di me.
Come un bocciolo che sbocci anticipatamente sfidando i rigori dell’inverno, cresce e si diffonde fino a diventare certezza: quest’ uomo, questa diversa versione di me, sarà la torcia che porterà la fiamma della mia vendetta a compimento.
Pare che possa avere la possibilità di passare il testimone a qualcuno anche dopo la morte di mio figlio. Questo giovane dagli occhi cerulei è venuto a raccogliere la mia eredità, prestando ascolto ad un grido che nessun altro avrebbe potuto comprendere. Conosce la mia mente ma non la mia storia e sento di doverlo mettere a conoscenza di quest’ultima prima di congedarci per sempre. In un certo senso, considerarlo il figlio che non ho mai avuto rende più accettabile per la mia mente questo incredibile faccia a faccia.

Una volta che la sua immagine si è stabilizzata di fronte ai miei occhi tendo il braccio destro verso di lui, so che capirà. Infatti fa un passo avanti e mi afferra il gomito con una presa forte, salda e decisa. Mentre ricambio la stretta, sui nostri volti si forma lo stesso sorriso compiaciuto. Senza separare il vincolo, per così dire, fisico che ci lega sediamo uno di fronte all’altro, incrociando le gambe.
In questo luogo non esiste spazio ne confine ma esiste sicuramente una forma di tempo perché sento di non averne molto a disposizione. Avverto una sorta di urgenza, un richiamo irresistibile verso un luogo ed uno spazio diversi da questo e so di dover sfruttare al meglio quanto mi è concesso di trascorrere qui. Ritraendo il braccio poso le mani sulle mie cosce e lo guardo dritto negli occhi, lui poggia le mani sulle proprie ginocchia e fa lo stesso. Non posso non notare la fierezza contenuta con cui ricambia il mio sguardo e la grande dignità del suo portamento suscita in me una forte ammirazione che so essere ricambiata.

Anche lui deve percepire il mio stesso senso d’urgenza perché non perde tempo in futili osservazioni e chiede subito: “Fratello, cosa ha generato in te un odio talmente profondo da riuscire a valicare il tempo e lo spazio per raggiungermi? Trovo curioso il fatto di averlo potuto percepire così chiaramente, nonostante mi trovi in criostasi. Trovo anche molto intrigante il non luogo in cui siamo venuti a trovarci. Prima che tu risponda alla mia domanda, gradirei sentire la tua opinione in merito.”
“La mia opinione è che siamo venuti a trovarci in circostanze molto simili: tu sei intrappolato in un sonno criogenico ed io sto morendo. Tuttavia, noi siamo diversi dai comuni esseri mortali che popolano i nostri mondi. Fratello, noi siamo stati creati per essere come Prometeo: portatori di una fiamma inestinguibile destinata a condurre l’umanità verso il progresso, pionieri di uno stadio evolutivo superiore, guide di un popolo scelto per porre le basi di una nuova società. Siamo stati creati per essere conquistatori e il fuoco che sentiamo nel petto ne è la prova. Tutto questo deve aver reso i nostri animi tanto forti da rompere le leggi che regolano l’Universo e permettere questo incontro irripetibile.”

Vedo il torace dell’altro gonfiarsi di orgoglio alle mie parole e il nodo di angoscia che ha attanagliato gli ultimi attimi della mia esistenza terrena si dissolve completamente, vorrei abbandonarmi a questo dolce sollievo ma so di non potermi concedere altro che un sospiro di sollievo prima di continuare: “Ho tuttavia motivo di ritenere che il tempo a nostra disposizione sia limitato. Pertanto non mi dilungherò sul mio passato, dando per scontato che – fino all’ibernazione – le nostre storie coincidano quasi completamente. Quello che è accaduto in seguito è semplice: nel 2267 il capitano James Tiberius Kirk, al comando dell’astronave USS Enterprise, punta di diamante della Flotta Astrale, al servizio della Federazione dei Pianeti Uniti” pronunciare questi nomi mi fa ritornare addosso il dolore delle ferite e una fitta atroce mi costringe ad interrompermi, ma non permetto ai ricordi di sopraffarmi e proseguo “hanno trovato la Botany Bay abbandonata a se stessa. Il supporto vitale era rimasto danneggiato e solo alcuni dei miei fratelli hanno potuto essere risvegliati con me. Quando quegli scimmioni hanno finalmente capito con chi avevano a che fare e hanno cominciato ad attuare le loro contromisure ho preso il controllo della nave catturando Kirk ma il tenente Marla McGivers, che aveva guadagnato la mia fiducia, lo ha liberato. Ristabilito l’ordine hanno proceduto a condannarmi all’esilio sull’inospitale Ceti Alpha V e Marla decise di seguirmi, diventando poi mia moglie. In un primo momento riuscimmo a cavarcela piuttosto bene ma, solo sei mesi dopo, una catastrofe interplanetaria trasformò l’ambiente da ostile in un deserto inabitabile per qualunque forma di vita. Solo una specie indigena, un artropode parassita, riuscì a prosperare, infettando ed uccidendo venti dei miei fratelli e sorelle tra cui la mia adorata Marla e...il figlio che portava in grembo.”

La voce mi si spezza e sento gli occhi riempirsi di un liquido caldo, chiudere le palpebre non ferma le lacrime che invadono il mio volto, unico segno tangibile del dolore che mi lacera. In ogni altra occasione mi sarei allontanato per nascondere questo sintomo di debolezza ma so di non dover aver paura che lui mi veda.
Sento il suo sguardo carico di contrita compassione che mi avvolge e, per la prima volta dopo aver perso Marla, sento di poter finalmente esprimere i miei sentimenti più reconditi di fronte a qualcuno che possa comprenderli senza giudicare. La presenza confortante di quest’altro è senza dubbio il miglior balsamo per le ferite del mio animo: non parla e non cerca di toccarmi ma attende pazientemente che finisca di versare le mie lacrime perché sa che lasciarle finalmente uscire mi darà la pace di cui ho bisogno.
Il mio pianto silenzioso lascia il posto ad una sensazione di serenità tanto profonda che quasi non mi rendo conto di aver ricominciato a parlare: “Da quel momento tutte le mie azioni sono state condizionate dalla sete di vendetta contro chi aveva causato tutto questo dolore: James T. Kirk ed il suo equipaggio. Dopo anni di attesa sono quasi riuscito a realizzare il mio progetto ma non prima che anche gli altri sopravvissuti rimanessero uccisi in quella battaglia in cui io stesso ho perso la vita.”

Il mio racconto si conclude e ancora il mio compagno di conversazione non accenna a parlare ma quando riapro gli occhi mi rendo conto che è sopraffatto dalle emozioni.
La sua espressione è rimasta invariata ma sul suo volto apparentemente inespressivo riesco a leggere la miriade di sentimenti che devono riempire la sua mente in questo momento. I suoi occhi sono lucidi e mi implorano silenziosamente di continuare a parlare, di fornirgli un’ancora che gli impedisca di annegare in un dolore che solo io e lui possiamo comprendere.
Nessun altro nelle nostre due dimensioni potrà mai capire cosa significhi essere destinati a portare il peso di una civiltà sulle spalle, essere la guida di un popolo avversato da tutti, odiato per l’eternità insieme ai peggiori dittatori.
Nessuno potrà mai capire il profondo affetto che proviamo per gli unici che ci abbiano mai accettato e capito, i nostri fratelli, con cui abbiamo condiviso l’isolamento che la nostra superiorità ha comportato e che sentivamo il dovere di proteggere e difendere.
Nessun altro potrà mai capire il senso di vuoto che comporta il fallimento in quest’ultimo compito né quanto profondamente la perdita di ciascuno dei nostri ci ferisca.

“Ti ho raccontato tutto questo perché tu sei ancora in tempo per impedire che si ripeta nella tua dimensione. So che è molto ma ti chiedo di riuscire dove io ho fallito, forse nel tuo caso le circostanze saranno più favorevoli. Ti prego di proteggere i nostri fratelli a qualsiasi costo. Il grido del loro sangue brucia nelle mie vene come nelle tue. Da questo momento il mio retaggio passa nelle tue mani, Khan Noonien Singh! Da un senso al nostro sacrificio! Vendicaci elevando il genere umano ad uno stadio superiore!”
Dietro all’azzurro gelido delle sue iridi vedo l’ardore del suo giovane spirito ravvivarsi mentre ci risolleviamo in piedi, fissandoci negli occhi e ho la conferma definitiva che farà tutto quanto in suo potere per rendere onore alla mia eredità.
Il senso di urgenza che mi ha accompagnato nel corso del nostro incontro si ripresenta più potente e so che il mio tempo è finito.
Riusciamo appena a scambiarci un ultimo sguardo d’intesa prima che la convergenza tra i nostri due astri - il mio al tramonto il suo sorgente – cessi in eterno.

L’immagine dell’altro si dissolve mentre la mia anima prosegue il suo viaggio verso la misteriosa destinazione che l’attende sapendo di aver finalmente trovato la pace.

The rest is silence


La USS Reliant si dissolve in un’esplosione spettacolare.
In una frazione di secondo del conquistatore Khan Noonien Singh non restano che frammenti di molecole, destinati a vagare in eterno nello spazio insieme a ciò che resta dei suoi fratelli, sotto forma di polvere spaziale.
Ma l’ombra del suo ricordo attanaglierà per sempre l’ammiraglio James Tiberius Kirk, che nella battaglia della Nebulosa Mutara ha perso il più caro degli amici, il comandante Spock, suo fratello in spirito.

Nello stesso istante, in un'altro Universo, in una stanza sterile nei meandri più reconditi del quartier generale della Sezione 31, un uomo dagli occhi azzurro ghiaccio si risveglia improvvisamente da un sonno artificiale durato decenni.
Medici ed infermieri accorrono al suo capezzale ed iniziano dei test per stabilizzare i suoi segni vitali.
Per quanto scrupolosi, tutti loro sono però ciechi, incapaci di riconoscere la fiamma che arde nel suo cuore, il fuoco che accende il suo sguardo.
Dietro quelle iridi cerulee, lo spirito brucia più forte di mille soli.
Queste persone si illudono ancora erroneamente di poterlo controllare e lui li lascerà fare. Lascerà che proseguano i loro esperimenti, lascerà che gli diano ordini e fingerà di obbedire mentre li manovrerà silenziosamente, pedine inconsapevoli del suo gioco.
Perché non esiste nulla, nulla, in qualsiasi dimensione temporale che Khan Noonien Singh non farebbe pur di proteggere la propria famiglia.

 

- The End -

 

Note:

Q'Plà!

La citazione è sempre la stessa.

Come al solito, fatemi sapere se la storia vi è piaciuta, se non vi è piaciuta mandatemi pure tutti gli insulti che preferite!

Prosperità e lunga vita ^.^ 

 

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