The Twin Wardens

di MorganaMF
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I fratelli Mahariel ***
Capitolo 2: *** Al tuo fianco, sempre ***
Capitolo 3: *** Ostagar ***
Capitolo 4: *** La strega delle Selve ***
Capitolo 5: *** Il Rituale dell'Unione ***
Capitolo 6: *** Il Tradimento di Ostagar ***
Capitolo 7: *** Gli ultimi Custodi Grigi ***
Capitolo 8: *** L'orlesiana di Lothering ***
Capitolo 9: *** La cattura dell'apostata ***
Capitolo 10: *** Hawke ***
Capitolo 11: *** Cambio di rotta ***
Capitolo 12: *** Segreti svelati ***
Capitolo 13: *** La battaglia di Redcliffe ***
Capitolo 14: *** Connor ***
Capitolo 15: *** Tensioni ***
Capitolo 16: *** Il Circolo spezzato ***
Capitolo 17: *** Prigionieri nel Velo ***
Capitolo 18: *** Illusioni e ricordi ***
Capitolo 19: *** Uldred ***
Capitolo 20: *** La rosa del destino ***
Capitolo 21: *** Zevran ***
Capitolo 22: *** Il rituale ***
Capitolo 23: *** Piccoli segreti ***
Capitolo 24: *** Denerim ***
Capitolo 25: *** Haven ***
Capitolo 26: *** I Discepoli di Andraste ***
Capitolo 27: *** L'Alto Drago ***
Capitolo 28: *** L'urna delle Sacre Ceneri ***
Capitolo 29: *** Ritorno a Redcliffe ***
Capitolo 30: *** Una notte speciale ***
Capitolo 31: *** Cercando i Dalish ***
Capitolo 32: *** La foresta di Brecilian ***
Capitolo 33: *** Rottura di sangue ***
Capitolo 34: *** La fine e l'inizio ***
Capitolo 35: *** Resa dei conti ***
Capitolo 36: *** Verso Orzammar ***
Capitolo 37: *** Tra due fuochi ***
Capitolo 38: *** Colpevoli ***
Capitolo 39: *** Branka ***
Capitolo 40: *** La corona di Orzammar ***
Capitolo 41: *** La canzone di Leliana ***
Capitolo 42: *** Il salvataggio ***
Capitolo 43: *** Anora ***
Capitolo 44: *** Su due fronti ***
Capitolo 45: *** L'Incontro dei Popoli ***
Capitolo 46: *** Nella morte e nel sacrificio ***
Capitolo 47: *** L'assedio di Denerim ***
Capitolo 48: *** L'Eroe del Ferelden ***



Capitolo 1
*** I fratelli Mahariel ***




“La Chiesa ci insegna che è stata l’arroganza degli uomini a portare la Prole Oscura nel nostro mondo. Gli uomini hanno cercato di impossessarsi del Cielo, finendo col distruggerlo. Sono stati cacciati, traviati e maledetti dalla loro stessa corruzione. Sono tornati sotto forma di mostri: i primi Prole Oscura. Sono diventati un Flagello per le nostre terre, inarrestabile e implacabile.
I regni dei nani furono i primi a cadere, e dalle Vie Profonde la Prole Oscura ci attaccò ripetutamente, finché non fummo sul punto di essere annientati.
Poi giunsero i Custodi Grigi: uomini e donne di ogni razza, guerrieri e maghi, barbari e re… i Custodi Grigi sacrificarono ogni cosa per lottare contro le forze dell’oscurità, e alla fine prevalsero.
Sono trascorsi quattro secoli da quella vittoria, e da allora abbiamo tenuta alta la guardia. Abbiamo osservato e atteso il ritorno della Prole Oscura, ma coloro che un tempo ci chiamavano eroi… hanno dimenticato. Ora siamo rimasti in pochi, e i nostri avvertimenti sono stati ignorati per troppo tempo.
Potrebbe essere troppo tardi: ho visto con i miei occhi ciò che si profila all’orizzonte.
Che il Creatore ci aiuti.”

[Duncan, Comandante dei Custodi Grigi del Ferelden.]

 

 

Tamlen teneva la sua freccia incoccata, pronto a lasciarla volare via al primo movimento sospetto dell’umano che teneva sotto tiro.
«Lasciaci passare, Dalish! Non hai il diritto di tenerci bloccati qui!» strillò uno degli altri due umani. Tamlen lo guardò con sufficienza.
«Ah no? Questo è da vedere» disse, alzando leggermente l’arco con un gesto intimidatorio. Gli umani indietreggiarono di qualche passo, spaventati. «Cosa ci fate qui? Siete banditi, ci scommetto.»
«No!» si affrettò a rispondere l’uomo dai capelli rossi che sembrava il leader del gruppo. Agitava le mani, nervoso. «Non siamo banditi, ve lo giuro!»
«Voi shemlen…» sbuffò Tamlen, usando il termine dispregiativo riservato agli umani dall’antica e perduta lingua elfica. «Siete patetici. È assurdo anche solo pensare che siate riusciti a cacciarci dalla nostra terra ancestrale.»
«Noi… noi non abbiamo fatto niente a voi elfi Dalish» balbettò un altro degli uomini, cercando di placare l’elfo. «Lasciateci andare! Noi non sapevamo che questa foresta fosse vostra!»
«Bah. La foresta non è nostra. Noi Dalish non siamo come voi shemlen, non rivendichiamo il possesso di ciò che è molto più grande di noi. Ma voi tre vi siete avvicinati troppo al nostro accampamento, e gli umani come voi non portano mai nulla di buono.»
Tamlen lanciò un’occhiata all’altro elfo, che era rimasto in silenzio qualche passo dietro di lui con il suo arco pronto a scoccare.
«Cosa dici, lethallin¹? Che ne facciamo di questi shemlen?»
L’altro, più giovane di un paio d’anni, non seppe cosa rispondere lì per lì: inclinò la testa da un lato, studiando accuratamente i tre umani tremanti, mentre la sua coda di cavallo bionda pendeva da un lato.
«Direi che dovremmo scoprire perché sono qui, prima di decidere cosa fare con loro» rispose dopo la sua analisi.
«Lo avete sentito, no?» disse Tamlen agli uomini. «Avanti, parlate.»
«Noi… noi cercavamo una caverna» balbettò il rosso in risposta. «Ci sono delle antichissime rovine dentro, e speravamo di trovare…»
«Cosa? Dei tesori, vero? Dunque non siete dei banditi, ma dei viscidi ladri e saccheggiatori di tombe» li disprezzò Tamlen.
«Non ci sono caverne qui attorno» aggiunse l’altro elfo. «Conosciamo la foresta come le nostre tasche, e non abbiamo mai incontrato alcuna rovina.»
«Vi assicuro che c’è, è qui a ovest» insistette l’umano dai capelli rossi, frugando nella sua borsa. I due elfi tesero ancor di più le corde dei loro archi a quel movimento improvviso, ma l’uomo tirò fuori un’innocua tavoletta di pietra. «Ecco, guardate! Ho trovato questa appena oltre l’entrata!»
L’uomo mosse alcuni passi in avanti, e lasciò la tavoletta per terra a qualche metro da Tamlen, tornando subito sui suoi passi. Tamlen raccolse la tavoletta, rigirandola fra le mani.
«Ma queste incisioni… sembra elfico. Elfico scritto!» esclamò, lanciando la tavoletta al fratello per fargliela vedere. Quello l’afferrò al volo e iniziò ad osservarla sbalordito.
«L’antica scrittura elfica… è andata persa millenni fa» mormorò, allibito e affascinato.
«Le rovine sono piene di incisioni come quella» disse l’umano con voce stridula. «Andate a controllare voi stessi!»
Tamlen lo guardò torvo.
«Se avete trovato altri manufatti elfici, dateceli subito. La vostra razza ha già preso abbastanza alla nostra gente!» li minacciò.
«Non abbiamo preso altro, non siamo andati a esplorare la caverna. Ci siamo fermati all’entrata!» esclamò l’altro in risposta.
«Ah davvero? E perché no? Pensavo foste a caccia di tesori» insinuò Tamlen, pressante come un martello sull’incudine.
«Perché, ecco…» disse l’umano, in preda al panico. «C’era un demone! Era enorme, con gli occhi neri… non so nemmeno come siamo riusciti a fuggire!»
Tamlen rise sonoramente.
«Un demone? Questa poi… adesso basta con queste fandonie» disse, tornando a minacciarli con l’arco. «Allora, Merevar… che ne facciamo?»
L’elfo più giovane valutò la situazione prima di rispondere.
«Non vale la pena ucciderli. Attireremmo l’ira di altri umani sul nostro clan. Lasciamoli andare» propose, tirando minacciosamente la corda dell’arco. «Sono certo che non torneranno.»
Gli umani non si fecero pregare: appena gli elfi fecero loro un cenno con la testa, voltarono i tacchi e scapparono via, fra concitate esclamazioni di ringraziamento.

 

Una volta rimasti soli, Tamlen si voltò verso il fratello minore.
«Sei stato magnanimo con loro. Io li avrei ammazzati tutti, quegli shemlen.»
«Lo so» sospirò Merevar, rimettendosi l’arco in spalla. «Per questo mi sono sbrigato a mandarli via. Sei troppo impulsivo, tu» gli disse, mentre l’altro ridacchiava. «Mi hai sorpreso, comunque… come mai hai lasciato decidere me?»
«Sei grande abbastanza per prendere questo tipo di decisioni, ormai» parlò Tamlen dall’alto dei suoi ventuno anni. Il fratello lo guardò con aria di sufficienza, pensando che due anni di differenza non erano poi tanti. Certamente non erano abbastanza da giustificare quell’atteggiamento.
«Se hai finito di atteggiarti a gran veterano, sarebbe ora di tornare all’accampamento» gli disse Merevar, iniziando ad incamminarsi. Ma il fratello lo fermò posandogli una mano sulla spalla.
«Aspetta, Merevar. Prima voglio dare un’occhiata a quella caverna.»
I delicati lineamenti di Merevar si distorsero in un’espressione dubbiosa. «Non mi sembra il caso. Dovremmo prima riferire l’accaduto alla Guardiana.»
«Dai, andiamo solo a controllare» insistette Tamlen, iniziando a dirigersi verso ovest. «Almeno sapremo se questa caverna esiste davvero. Pensa se un gruppo di esploratori partisse per poi non trovare niente. Ce ne direbbero di tutti i colori!»
Merevar sospirò, rassegnato: conosceva bene suo fratello, e quando quello decideva una cosa non c’era modo di dissuaderlo. S’incamminò dietro di lui.
Camminarono per una decina di minuti, finché non videro l’entrata della caverna: era un po’ infossata, nascosta alla vista dalla vegetazione.
«Non c’è da stupirsi che non l’avessimo mai notata» commentò Tamlen. Poi guardò Merevar con un sorrisetto. «Dai, andiamo a dare un’occhiata.»
«Tamlen… avevi detto che volevi solo controllare, e l’abbiamo fatto. La caverna esiste. Ora torniamo indietro» sbuffò l’altro, stanco. Erano stati a cacciare nei boschi tutta la giornata, e voleva solo tornare a casa e sdraiarsi sotto a un albero.
«Non fare storie» borbottò l’altro, sparendo nel buco. Merevar sbuffò di nuovo, roteando gli occhi. Si mise a seguire il fratello controvoglia.
Si ritrovarono in un salone sotterraneo, con un piccolo colonnato in rovina e macerie ovunque. Le incisioni che avevano visto sulla tavoletta erano disseminate in diversi punti sui muri parzialmente crollati.
«Per i Numi» mormorò Tamlen, a occhi sbarrati. «Questo posto dev’essere davvero antico… l’antica scrittura elfica è andata persa da quanto? Millenni?»
«Più o meno. Non ti facevo un esperto di storia» lo guardò sospettoso Merevar. «Come sai queste cose?»
Tamlen fece un sorrisetto beffardo. «Ho sfogliato uno dei libri di Melinor, tempo fa» disse, ridacchiando.
L’altro lo guardò stupito. «Quei libri sono della Guardiana, non sono di nostra sorella» lo rimbeccò. «Solo Melinor li può leggere, perché è la sua Prima! Non avresti dovuto ficcare il naso.»
Tamlen lo interruppe con un gesto seccato. «Bah, Merevar… sei troppo protettivo con nostra sorella» disse, dirigendosi verso la porta davanti a loro.
Finirono in un corridoio che portava a un’altra porta: la aprirono con cautela, e vennero assaliti da un gruppo di ragni giganti. Entrambi si sfilarono le spade e i pugnali dalla cintura, balzando ai lati delle creature e circondandole. Mantenendo il sangue freddo, riuscirono con colpi rapidi e mirati a tagliar loro le zampe e abbatterli in pochi minuti. Il loro addestramento come cacciatori si era fatto valere: i due fratelli erano fra i migliori del clan, nonostante fossero i più giovani.
Merevar si tolse dalla faccia un grumo appiccicoso: uno dei ragni aveva tentato di sparargli addosso una ragnatela, colpendolo solo di striscio.
«Te lo ripeto, Tamlen: dovremmo tornare indietro» bofonchiò, disgustato dal balocco di tela di ragno che non voleva saperne di staccarsi dalle sue dita.
«Perché? Hai paura di un paio di ragni?» disse quello, andando avanti per la sua strada. «Mi dispiace solo che i ragni giganti non siano commestibili, avremmo potuto portarli all’accampamento e farci una bella cena.»
Proseguirono silenziosi e cauti lungo gli antichi corridoi in rovina: una statua catturò la loro attenzione.
«Ehi, ma questa statua… è una raffigurazione dei nostri antichi Dei» sussurrò Merevar, con gli occhi incollati a una rudimentale raffigurazione di una donna alata. Probabilmente la statua aveva visto giorni migliori, e ora era solo un misero avanzo rispetto a ciò che era stata un tempo.
«Non capisco» si grattò il mento glabro Tamlen. «Queste rovine non sono elfiche, sembrano originarie dell’impero Tevinter2… perché ci sono statue dei nostri Numi?»
Merevar si strinse nelle spalle. «Forse umani ed elfi vivevano qui insieme.»
Tamlen si lasciò scappare una sonora risata.
«Certo, felici e in armonia» canzonò il fratello. «Molto probabilmente gli elfi che vivevano qui erano schiavi degli umani del Tevinter³. Anche se questo non giustifica affatto la presenza della statua…»
Un rumore alle loro spalle li fece voltare. Rimasero inorriditi alla vista di ciò che stava andando loro incontro. Istantaneamente misero mano agli archi, iniziando a colpire le creature che emergevano dal fondo del corridoio.
Cadaveri ambulanti? pensò Merevar, spaventato. Mantenere la calma con le bestie e i ragni giganti era una cosa, ma quello… a quello non era preparato.
Riuscirono miracolosamente ad abbattere i morti a distanza, evitando che si avvicinassero troppo. Il più vicino giaceva ora a terra a due metri da loro, la mano ancora allungata in avanti come se volesse afferrarli.
«Che… che cosa sono questi cosi?» esclamò Tamlen.
«Sono il mio “te l’avevo detto”!» imprecò l’altro, spazientito.
Ancora ansimante, Tamlen guardò in fondo al corridoio: un po’ di luce filtrava dal soffitto, e lui riuscì a scorgere una porta.
«Controlliamo quella stanza, e poi andiamo» disse, incapace di resistere alla tentazione. Bloccò sul nascere le proteste del fratello. «Non una parola, da’len⁴. Ormai siamo arrivati fin qui e ce la siamo cavata.»
Merevar voleva dirgli di non sfidare la fortuna, ma ricacciò giù le parole a fatica. Sarebbe stato fiato sprecato.
Si mossero silenziosi come felini lungo il corridoio, giungendo fino alla porta chiusa; non si sentiva alcun suono dall’altra parte. Dopo essersi scambiati un cenno d’assenso, i due si prepararono: aprirono la porta con spade e pugnali già in mano.
Un orso di una specie che non avevano mai visto si scagliò contro di loro: Merevar fece un balzo all’indietro, agile e aggraziato come solo gli elfi sapevano essere, e iniziò a colpire con le frecce l’orrida bestia. Tamlen, nel frattempo, l’affrontava viso a viso: poteva sentire il puzzo putrescente di quella creatura immonda, e vedere il male nei suoi occhi gialli e demoniaci. Non fu uno scontro facile: Tamlen dovette usare tutta la sua destrezza per schivare gli artigli neri dell’orso deforme, e assestare rapidi e precisi colpi nei punti vitali. Merevar lo assisteva da lontano: era una tattica che usavano sempre durante le battute di caccia. Merevar era bravo quanto il fratello con i pugnali e la spada, ma lo superava di gran lunga nel tiro con l’arco; cosa che al maggiore dei due non era mai andata giù.
Dopo parecchi minuti di lotta, la bestia cadde a terra senza vita. Tamlen indietreggiò fino ad appoggiare le spalle al muro più vicino, ansimante. Merevar lo raggiunse, gli occhi verdi come due oceani fissi sul cadavere. Si portò una mano al naso.
«Che fetore» si lamentò, mentre guardava le sue frecce conficcate nel corpo morto. «Credo che le lascerò lì, quelle. Non intendo rimetterci le mani sopra.»
Tamlen non commentò, esausto per lo scontro. Si limitò a camminare oltre il vano della porta. Appena vide cosa c’era nella stanza si fermò.
«Guarda… che cos’è?»
Merevar entrò a sua volta e lo vide: uno specchio, antichissimo e imponente, si ergeva davanti a loro su di una piccola piattaforma in pietra a cui era possibile accedere salendo un paio di gradini. Tamlen si avvicinò ammaliato.
«Chissà da quanto è qui» mormorò, curioso. Rimase  a bocca aperta ad ammirare le scritte incise nella cornice dello specchio. «Mi domando cosa significhino…»
«La Guardiana potrebbe riuscire a tradurle. Magari persino Melinor ne è capace» commentò Merevar, appena dietro il fratello.
«Già, pensa a come si arrabbierà quando scoprirà che siamo stati qui prima di lei» disse Tamlen, ridacchiando. «Forse… ehi, hai visto?» s’interruppe. «Qualcosa nello specchio… si è mosso!»
«Se speri di spaventarmi, non ci casco» ribatté Merevar incrociando le braccia.
«No, dico sul serio! Guarda!» esclamò ancora Tamlen, costringendo Merevar a guardare. Quello si voltò giusto in tempo per vedere la superficie dello specchio muoversi, quasi fosse fatta d’acqua e non di vetro. Sgranò gli occhi.
«Guarda, credo voglia attirare la nostra attenzione» bisbigliò Tamlen eccitato, avvicinandosi. «Mi sta… mostrando delle cose… una città sotterranea? Ma che…»
Merevar rimase a guardare il fratello mentre la sua espressione cambiava: Tamlen sbiancò, e il terrore gli riempì le iridi chiare.
«Allontanati da lì, lethallin» disse Merevar, preoccupato.
«Non riesco… non posso muovermi!» si allarmò l’altro. «Aiuto! Non riesco a smettere di guardarlo!»
Merevar fece per soccorrere il fratello, ma non ci riuscì. Un’esplosione lo fece volare all’indietro, sbalzandolo via con una forza tale da fargli perdere i sensi.

 

Quando riaprì gli occhi, credette di essere ancora davanti allo specchio: un viso dai lineamenti delicati e dagli occhi dello stesso verde acqua dei suoi lo guardava di rimando. Gli stessi lunghi capelli biondi cadevano ai lati del viso in due ciuffi. Due ciuffi un po’ troppo lunghi per essere i suoi.
Riconobbe sua sorella Melinor che lo guardava: la sua gemella. Non appena si accorse che il fratello era cosciente si voltò verso qualcuno.
«Si è svegliato! Vai a chiamare la Guardiana, presto!»
Melinor aiutò il fratello a mettersi seduto, preoccupandosi di chiedergli se ne era in grado; poi gli somministrò una bevanda calda e amara, che fece storcere la bocca a Merevar.
«Bevila tutta, ti farà bene» gli stava appresso la sorella, preoccupata. «Come ti senti? Ce la fai ad alzarti?»
«Sì, credo di sì» disse lui, appoggiandosi a lei mentre si rimettevano in piedi.
«Come ti senti?» chiese ancora la ragazza, scrutandolo con attenzione.
«Meglio, ora. Non preoccuparti» la rassicurò lui.
Lei tirò un sospiro di sollievo, lieta di udire quelle parole. Poi la sua espressione cambiò repentinamente, e diede una pacca in testa al fratello.
«Ahi! È così che trattate gli infortunati, voi Guardiane?» brontolò lui; ma lei non lo sentì nemmeno.
«Cosa vi è saltato in mente, a tutti e due? Addentrarvi da soli in una rovina sconosciuta!» lo rimproverò, attirando gli sguardi degli altri elfi nei paraggi.
«Lo so, hai ragione» si difese lui, alzando le mani. «Ho cercato di convincere Tamlen a tornare indietro, ma sai anche tu com’è… non ha voluto ascoltarmi, e non potevo lasciarlo andare da solo!»
Melinor non replicò: non poteva, d’altronde. Anche lei conosceva Tamlen: faceva sempre di testa sua.
«A proposito, lui dov’è? Sta bene?» chiese Merevar, guardandosi attorno: non vedeva traccia di Tamlen nel piccolo ospedale del campo. Tornò a guardare la sorella in cerca di una risposta, ma la sua espressione era tutt’altro che rassicurante.
«Dov’è, Melinor?» insistette lui.
«Non lo abbiamo trovato» rispose finalmente lei, abbassando lo sguardo. «L’umano che ti ha portato qui ha detto di aver trovato te, solo e malato fuori dalle rovine… di Tamlen non c’era traccia. Abbiamo provato a cercare nel bosco per giorni, per vedere se anche lui era uscito febbricitante da quel posto maledetto… abbiamo pensato potesse essersi perso, ma…» terminò la frase scuotendo il capo.
«Melinor… quanti giorni sono passati?» chiese allora lui, serio.
«Tre giorni, da quando siete usciti a caccia» rispose lei. «Due da quando l’umano ti ha trovato.»
«Cosa? Tre giorni? E in tutto questo tempo nessun segno di nostro fratello?» esclamò lui, preoccupato. Melinor asserì, cupa in viso.
«Sei sveglio, da’len. Siano ringraziati i Numi.»
Si voltarono nell’udire le parole della Guardiana Marethari. L’anziana si avvicinò a Merevar, studiandolo attentamente: sembrò soddisfatta.
«Sei stato davvero fortunato, Merevar. Se Duncan non ti avesse trovato, non so come sarebbe finita.»
«Chi è Duncan? Lo shemlen che mi ha trovato?» chiese il giovane.
«Non un semplice umano, ma un Custode Grigio. Stava indagando nella foresta e ti ha trovato già ammalato fuori dalle rovine. Teme che la Prole Oscura infesti quel luogo; è vero?»
Merevar si fermò a frugare fra i ricordi: era distratto dal fatto che un Custode Grigio fosse apparso così dal nulla. Sapeva soltanto che i Custodi Grigi combattevano la Prole Oscura, e che erano gli unici in grado di fermare i Flagelli; cosa ci faceva uno di loro lì?
«Non so come sia fatto un Prole Oscura, ma c’erano dei cadaveri ambulanti nelle rovine» confessò.
Marethari lo guardò con rinnovato interesse e con crescente preoccupazione.
«I cadaveri ambulanti sono opera della magia oscura, Guardiana» intervenne Melinor. «Non ha nulla a che vedere con la Prole Oscura.»
La Guardiana annuì. «Raccontami tutto, Merevar.»
Il giovane fece come gli era stato ordinato: raccontò delle rovine, delle incisioni elfiche e delle statue, dei cadaveri e dell’orso, e infine dello specchio. La Guardiana e Melinor si scambiarono un’occhiata preoccupata.
«Se Tamlen era ammalato come te, allora la sua condizione sarà terribile a quest’ora. Il Custode Grigio è tornato alle rovine, ci ha suggerito di tenerci alla larga vista la pericolosità del sito… ma non cercherà Tamlen, ha i suoi affari di cui occuparsi. E noi non possiamo abbandonare così un nostro fratello.» Guardò Merevar con intensità. «Te la senti di tornare con tua sorella alle rovine per cercarlo? Sei l’unico a conoscerne l’ubicazione.»
Lui non esitò ad annuire con il capo; a quel punto, Marethari guardò Melinor.
«Molto bene. Allora andrete voi due. Melinor, fai attenzione laggiù. E… porta anche Merril con te.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia dorate in un’espressione contrariata.
«Perchè devo portare Merril? Due maghe non serviranno, sarebbe meglio portare un altro cacciatore…»
«I tuoi fratelli sono due cacciatori, e guarda cosa è capitato» la interruppe la Guardiana. «No, da’len: avrai bisogno di Merril. Qualunque cosa ci sia in quelle rovine… non è un male che può essere affrontato solo con una lama.»
Marethari si congedò, lasciando i due gemelli a fissarsi: lo specchio uno dell’altra, nel corpo e nello spirito. Solo una cosa contava per entrambi, in quel momento: ritrovare il loro fratello perduto.

 

 

 

NOTE:

¹: termine elfico maschile (fem. lethallan) per indicare una persona familiare: amico, parente, ecc.
2: l’impero Tevinter è la nazione più antica dell’intero Thedas (il continente di cui fa parte). Nell’antichità la sua dominazione si estendeva su quasi tutto il continente, ma nel tempo il potere dell’impero è diminuito in seguito a numerose guerre. Ora sia la sua influenza, sia l’estensione del territorio si sono di molto ridimensionate, ma la nazione ha comunque mantenuto il titolo di Impero.
³: nell’antichità, l’impero Tevinter si scontrò con Elvhenan, il regno degli elfi. Gli elfi avevano vissuto in pace nel Thedas per millenni, finché l’impero Tevinter non decise di conquistare il loro territorio. Dopo un’aspra battaglia, la civiltà elfica venne sconfitta e ridotta in schiavitù dagli umani.
⁴: appellativo elfico usato per indicare una persona più giovane.

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Capitolo 2
*** Al tuo fianco, sempre ***




Merevar
 e Melinor attraversarono l’intero accampamento alla ricerca di Merril. Se la situazione non fosse stata tanto grave, Merevar si sarebbe divertito a pungolare la sorella: da sempre lei e l’apprendista più giovane della Guardiana erano in competizione. Il loro clan era l’unico ad avere una Prima e una Seconda: era tradizione per tutti i Guardiani dei clan dalish avere un Primo, ovvero un apprendista che avrebbe ereditato il ruolo di guardiano una volta deceduto il suo predecessore. La magia, così come nel resto del Thedas, era appannaggio di pochi anche fra i dalish: avere più di due maghi per clan era considerato pericoloso, dato che i maghi attiravano gli spiriti maligni e i demoni residenti dall’altra parte del velo. Quando nasceva un mago in un clan che già aveva un Primo, il secondo venuto veniva mandato in un altro clan. Se il mago non trovava un clan disposto ad accoglierlo, era destinato a restare da solo; a quel punto diventava un eremita, o impazziva, o veniva infine catturato dall’ordine dei templari e rinchiuso nel Circolo dei Maghi.
Nonostante
 avesse già Melinor come Prima, la Guardiana Marethari non aveva saputo dire di no alla piccola Merril quando le fu portata da un clan amico: aveva visto qualcosa in lei, e nonostante i consigli degli altri Guardiani aveva insistito per tenerla con loro.
Melinor non aveva mai mandato giù la cosa: nonostante Marethari le avesse assicurato che lei sarebbe stata la sua erede, le seccava dover condividere le lezioni e le attenzioni della Guardiana con una Seconda, figura che esisteva solo nel loro clan.

Trovarono Merril seduta accanto a uno dei loro aravel, i carri coperti a forma di nave tipici del popolo dalish, che fungevano anche da casa. Appena la Seconda vide Melinor arrivare insieme a Merevar si alzò in piedi di scatto, facendo sobbalzare le treccine nere che spiccavano sulla sua capigliatura corta.
«Melinor» salutò la sua compagna di studi, per poi spostare lo sguardo su suo fratello. «Merevar, non sapevo ti fossi svegliato. Come ti senti?»
«Un po’ debole, ma bene» rispose quello, sorridendole. Merril era una ragazza gentile, e a lui dispiaceva che la sorella la mal sopportasse; se solo si fosse azzardato a dire una parola in suo favore, Melinor l’avrebbe incenerito con uno schiocco di dita.
«Prendi il tuo bastone, Merril» non perse tempo Melinor, con espressione seria. Il vallaslin¹ tatuato sul suo volto non faceva che evidenziare il suo stato d’animo. «La Guardiana vuole che andiamo a investigare sulle rovine per trovare tracce di Tamlen.»
Merril sgranò gli occhi, ma si affrettò a obbedire. Sparì per alcuni secondi dietro l’aravel e ricomparve con il suo contorto bastone da maga assicurato alla schiena. Rivolse un’occhiata preoccupata a Merevar.
«Suppongo ci porterai tu fin là; nessun altro conosce la posizione delle rovine…» Fece una pausa, studiando il ragazzo. «Sei sicuro di farcela? Ti sei appena svegliato…»
«Non ho nessuna intenzione di lasciare mio fratello in quel posto. Sono già passati troppi giorni, dobbiamo trovarlo. Non possiamo aspettare che io mi rimetta in forze. E comunque penso di avere abbastanza energia per raggiungere le rovine.»
«Ma non sappiamo cosa potremmo trovare laggiù» obiettò Merril.
«Siamo due maghe e un cacciatore» le fece notare Melinor. «Ce la possiamo fare. Non possiamo tardare ancora, Tamlen…»
Lo sguardo contrito di Merril la fece fermare. «Che c’è?» chiese. Merril iniziò a evitare il suo sguardo, nervosa.
«Beh, ecco… Tamlen è rimasto disperso per tre giorni, e se era malato come Merevar… senza cure… dobbiamo considerare che potrebbe…»
«Non dirlo!» sbottò Melinor, adirata. Merril abbassò lo sguardo mordendosi un labbro; Melinor cercò di ricomporsi velocemente. Il suo addestramento da Guardiana le aveva insegnato a contenere le emozioni negative, perché una Guardiana doveva restare sempre lucida e razionale per poter guidare saggiamente il proprio clan. «Non puoi dirlo con certezza» riprese a parlare con calma. «Dobbiamo controllare.»
Merril non disse altro; i tre si scambiarono un cenno d’assenso e si diressero verso la foresta.

Mentre camminavano nella foresta regnava il silenzio: un silenzio totale. Un silenzio troppo fermo, troppo innaturale. Melinor si fermò, guardandosi attorno con aria circospetta; gli altri due fecero lo stesso.
«Ascoltate» sussurrò loro. I due rimasero sull’attenti: non ci volle molto perché comprendessero cosa stava insinuando la ragazza.
«Silenzio… troppo silenzio» disse Merevar, portando la mano al proprio arco.
In quel momento lo videro: un essere umanoide dall’aspetto mostruoso sbucò fuori dalle selve davanti a loro, grugnendo e brandendo una rozza ascia. Un altro, più basso e tozzo, lo seguiva: la loro pelle era marcescentee i loro visi erano ritratti di morte, rinsecchiti e rincagnati; i loro occhi piccoli e gialli erano iniettati di sangue, e due file di denti aguzzi dividevano a metà le loro espressioni selvagge e bramose di sangue.
I tre giovani elfi non persero tempo: attaccarono quelle immonde creature a vista. Le frecce di Merevar non mancarono alcun bersaglio, mentre gli incantesimi di terra di Melinor e Merril rincaravano la dose. Un pugno di pietra scagliato dall’elfa bionda schiacciò a terra le due creature, già ferite a morte, terminandone rapidamente l’esistenza. Schizzi sangue maleodorante si sparsero tutt’attorno.
I tre si avvicinarono con grande cautela per osservare da vicino. Merevar si tappò il naso: l’odore di morte era insopportabile persino per un cacciatore come lui, abituato all’odore del sangue. Ma quello non era sangue normale.
«Prole oscura» mormorò Melinor con tono greve. Merril la guardò, e i suoi occhi lasciarono trasparire che era d’accordo.
«Allora il Custode Grigio aveva ragione, c’entra davvero la prole oscura con quanto è successo a Merevar e Tamlen» disse la Seconda. Melinor, con gli occhi fissi sui due cadaveri spappolati ai suoi piedi, non rispose: guardandola, Merevar comprese al volo che qualcosa la turbava.
«È un brutto segno?» le chiese allora. Melinor evitò il suo sguardo.
«La prole oscura è sempre un brutto segno» rispose, restando sul vago. Fece loro cenno di proseguire, e gli altri ubbidirono senza ulteriori commenti.

Il tragitto fino alle rovine non venne interrotto da altre mostruosità: incontrarono solamente un piccolo accampamento abbandonato, che sembrava recente. Merevar affermò che quando lui e Tamlen erano passati di là non c’era: ipotizzarono che potesse essere appartenuto al Custode Grigio, che a quanto aveva detto stava investigando nella zona.
Dopo una ventina di minuti raggiunsero le rovine: una volta dentro misero mano alle armi, pronti a qualsiasi evenienza. Ma l’attenzione di Merril era tutta per le scritte incise nella roccia.
«Cielo… guardate… così tante incisioni in antico elfico… come abbiamo potuto non notare un posto simile?»
«Lascia lo studio delle reliquie per un altro momento» la interruppe bruscamente Melinor «e fai silenzio. Potrebbero esserci altri di quei mostri qui.»
Fece segno a Merevar d’indicare loro la strada: dovevano raggiungere la stanza dello specchio, e nel frattempo setacciare ogni corridoio e ogni anfratto per trovare indizi su Tamlen.
Incontrarono qualche altro prole oscura acquattato nell’ombra: nonostante lo spauracchio iniziale, riuscirono a liberarsene con facilità.
«Na melana sahlin²!» imprecò in elfico Melinor mentre abbatteva con un pugno di pietra l’ultimo prole oscura. La magia elementale era la sua favorita, e aveva un’affinità particolare con l’elemento terra.
«Inutile maledirli ora che li abbiamo stesi, ti pare?» commentò sarcastico Merevar, nel tentativo di allentare la tensione. Erano quasi arrivati alla stanza dello specchio, e di Tamlen non avevano trovato alcuna traccia.
«Fate attenzione al sangue» disse loro Merril, notando una pozza di sangue che si allargava accanto ai piedi di Melinor. «Potrebbe essere pericoloso.»
«Infatti lo è» confermò Melinor, scansandosi. «Il sangue della prole oscura è come veleno, stando a quanto sappiamo su di loro.»
Proseguirono senza intoppi fino all’ultima stanza dell’antica rovina: Merevar si sentì stringere la gola. Ricordava ancora gli ultimi momenti passati lì insieme al fratello: com’erano stati sciocchi. Perché, perchéaveva dato retta a Tamlen anziché seguire il suo buonsenso? Se avesse trascinato suo fratello fuori di lì non ci sarebbe stato alcun problema.
«Ecco, è quella la stanza» bisbigliò Merevar alle ragazze, indicando la porta socchiusa davanti a loro. Avanzarono silenziosi come felini nella notte, con lui in testa: sbirciò attraverso la fessura della porta, memore dell’orrendo orso che era uscito da quella stanza mentre era con Tamlen. Ma ciò che vide all’interno lo colse di sorpresa.
Aprì la porta senza timore, trovandosi davanti un uomo moro dalla pelle abbronzata, sulla quarantina. Stava fissando lo specchio.
«Duncan?»
Merevar si voltò al suono della voce di Melinor. Duncan era il nome del Custode Grigio che lo aveva portato all’accampamento. Al sentir pronunciare il proprio nome, l’uomo si voltò.
«Oh, siete voi» disse riconoscendo sia Merevar che le due assistenti della Guardiana. «Mi sembrava di aver sentito dei rumori, là fuori.»
«Ci ha mandati la Guardiana» spiegò subito Melinor, superando il gemello e avvicinandosi al Custode. «Siamo venuti a cercare nostro fratello. Voi avete per caso trovato qualcosa?»
Duncan scosse il capo con aria dispiaciuta ma ferma, come se la cosa non lo sorprendesse. Senza dire nulla, spostò lo sguardo su Merevar: lo studiò per qualche secondo di troppo, e il ragazzo assunse un’aria ostile.
«Eri in pessime condizioni quando ti ho trovato qui fuori» gli disse l’uomo, ignorando l’espressione avversa del ragazzo. «Che tu sia ancora vivo è a dir poco incredibile. Dimmi, tu e tuo fratello siete arrivati fin qui? Avete visto lo specchio?»
Merevar lo guardò con sospetto, ma dopo qualche istante si decise a rispondere.
«Sì, noi… Tamlen l’ha toccato, e poi c’è stata un’esplosione… non ricordo altro.»
Duncan sospirò, chiudendo gli occhi. Melinor si preoccupò al vedere quella reazione.
«Conoscete forse questo manufatto?» chiese, riuscendo a mantenere la calma. Duncan annuì.
«Sì. Questi specchi venivano usati nell’antico impero Tevinter per comunicare. Ce ne sono diversi sparsi per tutto il Thedas. Questo specchio sembra aver assorbito lo stesso male di cui è fatta la prole oscura: quando vostro fratello lo ha toccato deve aver rilasciato la corruzione che vi era contenuta.»
Melinor sbiancò, così come Merril; solo Merevar non era ancora sicuro di aver compreso bene.
«Corruzione?» chiese, aggrottando le sopracciglia. «È da questa corruzione che mi avete guarito?» disse, rivolgendosi alle due ragazze. Ma queste non fecero in tempo a rispondere.
«Guarito?» esclamò Duncan con fare sorpreso. «Non sei affatto guarito, ragazzo.»
Merevar gli lanciò un’occhiataccia.
«E tu che ne sai?» sbottò. Ma Melinor intervenne.
«Potrebbe avere ragione» ammise a malincuore. «Se questo specchio è davvero un veicolo della corruzione della prole oscura, allora deve avere infettato sia te che Tamlen.»
«Ma non può esserne sicuro!» esclamò Merevar, ancora scettico. «Come può affermare con certezza che si tratta proprio di questa… corruzione?»
«Perché noi Custodi Grigi possiamo avvertire la corruzione, nei prole oscura e in chi ne viene infettato» spiegò allora l’umano, senza mostrare alcun risentimento per l’ostilità mostratagli dal ragazzo. «Riesco ad avvertire la malattia in te; e se guardi dentro te stesso, sono certo che ci riuscirai anche tu.»
Merevar non fu in grado di ribattere ancora: dovette ammettere a sé stesso che l’umano aveva ragione. Si sentiva strano, si sentiva diverso: aveva creduto fosse solo debolezza, ma ora sapeva che si era sbagliato.
«Duncan» disse Melinor, preoccupata. Si portò fin sotto al naso del Custode Grigio. «Abbiamo utilizzato ogni risorsa, magica e non, per tentare di guarirlo. Che altro possiamo fare?»
L’uomo la guardò con aria grave.
«Non potete curarlo. È già tanto che siate riuscite a mantenerlo in vita fino a oggi.»
Merevar si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Rimase a fissare il vuoto davanti a sé.
«Quindi… morirò?»
Gli occhi disperati di sua sorella si piantarono nei suoi.
«No!» esclamò, scuotendo il capo. I suoi leggeri capelli biondi ondeggiarono disperatamente mentre si voltava verso Duncan. «Ci dev’essere un modo per salvarlo! Voi Custodi sapete ogni cosa sulla prole oscura… ci dev’essere una soluzione!»
L’umano rimase immobile, alternando lo sguardo fra lei e il suo gemello.
«Sì, un modo ci sarebbe… ma è rischioso. Dovrò parlarne con la vostra Guardiana.» Si voltò a fissare lo specchio. «Prima però dobbiamo distruggere questo specchio, o potrebbe infettare altri.»
Senza aggiungere altro, sfilò la sua spada dal fodero e colpì lo specchio: l’antico manufatto andò in mille pezzisotto agli occhi dispiaciuti di Merril.
«Che peccato» mormorò l’elfa. «Ci è rimasto così poco dei nostri avi e delle nostre tradizioni… e quel poco dev’essere anche distrutto» concluse, scuotendo il capo.
Melinor la guardò con severità.
«La conoscenza delle antiche tradizioni non vale la vita della nostra gente, Merril. Lo specchio era una piaga per questo mondo: andava distrutto.»
Duncan annuì, serio in viso.
«Andiamo ora. Dobbiamo tornare al vostro accampamento se vogliamo curare in tempo questo ragazzo.»
«Ma dobbiamo trovare nostro fratello!» si oppose Merevar.
«Mi dispiace dovervelo dire, ma… vostro fratello non può avercela fatta. Era da solo, qui fuori, con la corruzione che gli scorreva nelle vene e nessuna cura. Se anche fosse ancora vivo, non sarebbe più recuperabile» replicò Duncan con tutto il tatto di cui era capace.
Merevar fece per rispondere in preda alla rabbia e alla disperazione, ma una mano di Melinor sulla spalla lo fermò: incontrò i suoi occhi lucidi mentre scuoteva tristemente il capo. Anche lei sapeva che non c’era nulla da fare, glielo leggeva dentro: non si sarebbe mai arresa se ci fosse stata anche una piccola, remota possibilità di salvare Tamlen. Merevar abbassò lo sguardo a terra.
«Potremmo… potremmo almeno cercare il suo corpo, per dargli una degna sepoltura» suggerì timidamente Merril. Ma Duncan fu costretto a deludere le loro aspettative ancora una volta.
«Non c’era alcun corpo qui, fidatevi. Se lo avessi trovato ve lo avrei consegnato; so quanto tenete alle vostretradizioni. Probabilmente l’ha reclamato la prole oscura.»
Merevar e Melinor si sentirono morire a quelle parole: non solo avevano perduto il loro fratello maggiore, ma dovevano anche affrontare il fatto che il suo corpo era stato profanato da quelle creature immonde.
Melinor sembrava essersi svuotata completamente, proprio come Merevar. «Andiamo allora» disse con sguardo vacuo. «Dobbiamo riferire tutto alla Guardiana.»

Non dissero una parola per tutto il viaggio di ritorno. Una volta raggiunto il campo, andarono subito da Marethari: le dissero che non avevano trovato traccia di Tamlen, e che era sicuramente morto ormai. La Guardiana, con l’amarezza nel cuore, disse loro di andare dall’hahren Paivel: l’anziano del clan doveva iniziarea preparare una cerimonia funebre per commemorare il loro da’len perduto.
Fu una giornata orribile: la notizia si sparse ben presto fra gli elfi, e tutti andarono dai due ultimi Maharielrimasti a far loro le condoglianze. I due, distrutti dal dolore, cercarono d’isolarsi; ma in un piccolo accampamento come il loro era pressoché impossibile.
La Guardiana sparì con Duncan per diverse ore. Quando ricomparve insieme all’uomo, chiamò i due fratelli a sé; quelli, che non avevano fatto parola per tutto il tempo, la raggiunsero.
«Abbiamo trovato una soluzione al tuo problema, Merevar» disse l’anziana con espressione ambigua. «Ma temo non ti piacerà. E nemmeno a te, Melinor.»
I due gemelli si scambiarono un’occhiata preoccupata.
«Esiste un solo modo per impedire alla corruzione di ucciderti, ragazzo» s’inserì Duncan. «Dovrai diventare un Custode Grigio.»
Merevar parve risvegliarsi dal torpore: lo guardò con aria smarrita.
«Cosa?»
«Il rituale d’iniziazione per diventare Custodi Grigi ci rende immuni alla corruzione» spiegò Duncan. «Non è una prova facile, ma è pur sempre un’alternativa migliore della morte.»
«Ma… dovrò lasciare il clan» mormorò lui, indugiando con lo sguardo sulla Guardiana.
«Sì, da’len: purtroppo è così» sospirò lei. «Mi piange il cuore, credimi: non vorrei essere costretta a mandarti via. Ma preferisco saperti vivo e lontano, piuttosto che morto e vicino. Essere parte dei Custodi Grigi è un grande onore: è un ordine di valorosi guerrieri, che da sempre hanno alleati fra noi dalish. In questo momento anche i dalish devono dare il loro contributo: Duncan mi ha riferito che un nuovo Flagello è alle porte. Se i Custodi Grigi non dovessero riuscire a fermarlo, allora periremo tutti. Se possiamo aiutare e allo stesso tempo salvarti la vita, allora devi assolutamente andare.»
Merevar non riuscì a rispondere: prima gli avevano detto che rischiava di morire, poi che doveva unirsi ai Custodi Grigi e abbandonare il loro clan… e, come se tutto questo non fosse già stato abbastanza, doveva anche combattere un Flagello? Si raccontavano storie sui Flagelli, anche fra i dalish: eventi catastrofici, innescati dal risveglio di un arcidemone che conduceva eserciti di prole oscura in superficie, distruggendo e corrompendo ogni cosa. L’idea di prendere parte a una guerra simile non lo allettava affatto.
«Se va lui, vado anch’io.»
Tutti e tre si voltarono verso Melinor, che se n’era stata in silenzio fino a quel momento. Aveva una ferrea determinazione incisa in quelle iridi grandi e verdi.
«Melinor…» mormorò Merevar, allibito.
«Cosa stai dicendo, ragazza?» la interpellò Marethari. «Non puoi andare anche tu, hai degli obblighi verso il clan.»
«Sì, è vero. Ma ho degli obblighi anche verso il mio stesso sangue» non si smosse la ragazza. «Ho appena perso Tamlen, e non ho mai conosciuto i miei genitori… non voglio perdere anche Merevar. Sta andando a combattere un Flagello, e voglio essere lì a guardargli le spalle». Guardò Duncan con grande determinazione. «Io non sono un’abile guerriera come mio fratello, ma sono stata addestrata come Guardiana. Le mie abilità magiche e le mie conoscenze potrebbero tornare utili al vostro ordine.»
Duncan sembrò colpito dalla passione con cui si stava offrendo volontaria. «Non ha tutti i torti» disse, guardando Marethari.
«Melinor» disse quest’ultima, andando a posare entrambe le mani sulle spalle della ragazza. «Ti rendi conto di ciò che stai chiedendo? Se te ne vai non potrai più fare ritorno: i Custodi Grigi restano tali per il resto della loro vita. Non potrai mai diventare la Guardiana del clan. Non è questo che hai sempre voluto?»
Melinor le rivolse un sorriso triste.
«È quello che volevo quando entrambi i miei fratelli erano al mio fianco. E poi c’è sempre Merril» ridacchiò con poca convinzione. «Sembra che il fato abbia portato due apprendiste a questo clan per un motivo benpreciso.»
Marethari lasciò la presa sulle sue spalle, esalando un profondo respiro.
«Se questo è ciò che vuoi davvero, non posso impedirtelo. Va’ allora: andate entrambi. Sono certa che ci renderete fieri con le vostre gesta.»
I due gemelli si guardarono: Merevar chiese alla sorella cosa diamine stava facendo, e quella rispose che non lo avrebbe abbandonato per nessuna ragione al mondo. Un muto scambio di battute che solo il loro speciale legame di gemelli monozigoti consentiva: sapevano sempre cosa stavano pensando e provando, al punto tale che parlare era spesso inutile.
«La tua è una scelta coraggiosa» disse Duncan, chinando il capo in segno di rispetto per Melinor. «Averti fra noi ci onora, Melinor. So che state organizzando una cerimonia funebre per vostro fratello Tamlen: non voglio privarvi di quest’ultimo momento con il vostro clan. Partiremo stasera, quando tutto sarà finito.»

E così fu fatto: insieme al resto del clan, quella sera si riunirono attorno al fuoco per dare l’ultimo saluto a Tamlen Mahariel, una delle prime vittime di quel nuovo Flagello. Ogni elfo disse qualche parola di commiato per il defunto, molte lacrime furono versate e molti tristi canti innalzati.
Fu poi il momento di salutare gli ultimi due Mahariel rimasti: tutti gli elfi si misero in fila per salutarli mentre si accingevano ad abbandonare l’accampamento con i loro fagotti. Li abbracciarono tutti, uno dopo l’altro: il giovane compagno di caccia Fenarel, l’hahren Paivel, mastro Ilen che donò a Merevar uno dei migliori archi da lui mai intagliati… e infine Merril, che abbracciò Melinor con le lacrime agli occhi. In quel momento Melinor seppe che avrebbe perfino sentito la sua mancanza. Si sentì una sciocca per tutto il tempo perso a sentirsi in competizione con lei, mentre Merril l’aveva sempre vista come un esempio da seguire.
«Abbi cura del clan» le sussurrò, riempiendole il cuore.
Duncan li attendeva ai margini del campo: una figura solitaria che si stagliava contro la notte. Lo raggiunsero con le immagini dei loro compagni di una vita impresse nella mente e nel cuore. E nel seguirlo, silenziosi come ombre, seppero che stavano dicendo addio per sempre all’unica famiglia che avevano mai avuto.

 

NOTE:

¹: il vallaslin è uno speciale tipo di tatuaggio tipico dei clan di elfi dalish. Viene applicato dai Guardiani sul viso dei membri del clan al raggiungimento della maggiore età. I disegni sono sinuosi e intricati, e ne esiste uno per ogni divinità elfica. Prima di sottoporsi al rituale del vallaslin, gli elfi devono meditare per giorni sugli antichi Dei e sulle usanze dalish. Il vallaslin è un modo per loro di onorare non solo gli Dei elfici, ma anche le antiche tradizioni; è anche un modo per distinguersi dagli umani e dagli elfi di città.
²: la tua ora è giunta.

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Capitolo 3
*** Ostagar ***




Merevar se ne stava accanto al fuoco, infreddolito: il suo pallore aumentava a vista d’occhio giorno dopo giorno. L’antica magia elfica di Melinor aiutava il suo corpo a resistere alla corruzione che spingeva per devastarlo, ma la sua avanzata era inarrestabile. Duncan si diceva certo che il ragazzo avrebbe resistito altri due o tre giorni, giusto il tempo necessario per arrivare a Ostagar e fare tutti i preparativi necessari per la cerimonia d’iniziazione come Custodi Grigi.
Melinor giunse al fianco del fratello, esaminandolo attentamente: lo tastò in più punti del corpo, studiò la dilatazione delle sue pupille e controllò la sua temperatura. Una volta terminato il suo esame, esalò un sospiro: Merevar evinse da quella reazione che la sua situazione era stabile. Non peggiorava, ma nemmeno migliorava. Sua sorella si sedette accanto a lui; Duncan era lontano, al limitare del piccolo spazio erboso presso cui si erano accampati per la notte. Sorvegliava l’area, per evitare che la prole oscura potesse coglierli di sorpresa.
«Come ti senti?» chiese Melinor al gemello. Lui continuò a fissare il fuoco.
«Mi hai appena esaminato, non lo sai?»
Melinor lo guardò con aria scocciata.
«Per quanto tempo ancora hai intenzione di comportarti da stupido?» gli disse, esasperata.
«Non dovevi venire» mugugnò lui, scontroso.
«Piantala, Merevar! Avresti fatto la stessa cosa al mio posto!»
Merevar si decise a guardare la gemella: i suoi occhi verdi e luccicanti si piantarono in quelli identici che gli restituivano il medesimo sguardo risoluto.
«Stiamo andando a combattere un Flagello, Melinor!» sbottò l’elfo. «Io non avevo scelta, sarei morto altrimenti! Ma tu… tu avresti potuto restare col clan e partire, andare lontano da tutto questo! Io sono un guerriero, so combattere! Tu sei soltanto…»
«Che cosa? Una strega dei boschi?» ribatté l’altra, alzando la voce. «Sai bene che la Guardiana mi ha insegnato cose che tu nemmeno riusciresti a concepire! Non sarò stata addestrata come combattente, ma ti assicuro che potrei stendere qualsiasi soldato solo facendo oscillare il mio bastone!»
Merevar distolse lo sguardo con rabbia, senza più la volontà di continuare a portare pazienza.
«Non è questo il punto.»
«E allora qual è?» esclamò lei, con voce quasi implorante. Ogni traccia d’ira nella sua voce era già sparita. Se solo Merevar l’avesse guardata negli occhi, vi avrebbe letto dentro l’affetto di sua sorella per lui.
«Non mi va di parlarne» mormorò lui, tornando a fissare il fuoco da campo che scoppiettava davanti a loro. Melinor lo scrutò, come se stesse cercando da sé le risposte che voleva. E le trovò.
«Ti senti in colpa, vero? Ti senti in colpa per ciò che è successo aTamlen, e ora temi di condurre alla morte anche me.»
Gli occhi verdi di Merevar si assottigliarono.
«Merevar» continuò lei, con tono accomodante. «Non è stata colpa tua, lo sai. E io sono qui per mia scelta. Non pensare che…»
«Hai idea di come mi sento, Melinor?» la interruppe lui, tornando a guardarla. I suoi occhi ora lasciavano trasparire non solo la rabbia, ma anche il dolore che aveva represso per tutti quei giorni. «Non importa quante volte tu dica il contrario: io avrei potuto salvare nostro fratello! Se solo avessi dato retta al mio istinto…» disse con voce quasi stridula, strizzando le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. Scosse il capo, tornando a guardare la sorella. «E ora avrò sulla coscienza anche te. Stiamo andando in guerra, Melinor: non conta quanto abile tu possa essere, non sei un soldato! Io sarei stato spacciato comunque, ma tu… tu avresti potuto salvarti, invece sei qui a rischiare la vita solo perché io non ho trascinato Tamlen via da quelle rovine!»
Il ragazzo, decidendo per entrambi che la conversazione era conclusa, si alzò e sparì all’interno della sua tenda. Melinor rimase interdetta a fissare il vuoto lasciato dal suo corpo. Non ce l’aveva con suo fratello: lo capiva. Probabilmente lo stesso senso di colpa avrebbe afflitto anche lei, se i ruoli fossero stati invertiti. Anche in questo erano simili. Sospirò, colma di tristezza, restando seduta accanto al fuoco.
«Gli passerà.»
Una voce giunse dall’alto, facendole alzare il nasino perfetto all’insù: Duncan si era avvicinato, e si stava ora accucciando accanto a lei.
«Forse mio fratello ha ragione» disse allora, restando a fissare le fiamme guizzanti che con la loro danza andavano a creare ombre e disegni dinamici sul suo viso appuntito. «Forse ho sopravvalutato le mie abilità, e perirò miseramente in battaglia». Si voltò verso il Custode Grigio, restando a osservare il suo viso segnato dalle rughe e dalle cicatrici, trofei dei molti combattimenti vinti. «Voi cosa ne pensate? Ho commesso un errore?»
Duncan prese a massaggiarsi il pizzetto, i piccoli occhi scuri che indugiavano sul falò.
«Tuo fratello ragiona come un soldato addestrato» proferì. «E come ogni uomo dedito all’arte della spada, sottovaluta il ruolo della magia in uno scontro. È vero che un mago deve prestare molta attenzione durante uno scontro: deve saper anticipare le mosse dell’avversario per tenerlo a debita distanza… ma è pur vero che la sua mente è addestrata a farlo, proprio come la mano di uno spadaccino o di un arciere è preparata a infliggere un colpo». Si voltò verso la ragazza, sorridendole con fare incoraggiante. «I Custodi Grigi hanno sempre avuto maghi fra loro, ma attualmente qui nel Ferelden non ne abbiamo nessuno. Tu sei una maga abile e capace, Marethari mi ha parlato delle tue doti: sono certo che te la caverai meglio di molti soldati.»
Melinor rispose al sorriso, abbassando lo sguardo.
«Merevar ce la farà davvero? Riuscirà a guarire dalla corruzione?»
Duncan sospirò, con aria incerta.
«Non credo si possa parlare di guarigione vera e propria, ma diventerà immune alla corruzione come tutti i Custodi Grigi. Deve solo superare l’iniziazione, e da quel che ho visto ha buone possibilità.»
Melinor lo guardò con curiosità.
«Iniziazione? In cosa consiste?»
Duncan distolse lo sguardo, evitando gli occhi della ragazza come se temesse che potessero carpirgli qualche segreto.
«Non te ne posso parlare, Melinor. Noi Custodi paghiamo un caro prezzo per ottenere i privilegi che ci contraddistinguono. Il rituale dell’Unione è un segreto conosciuto solamente da chi l’ha superato.»
Melinor abbassò lo sguardo sui propri piedi nudi, perdendosi in congetture riguardanti quel misterioso rituale.
«Ora vai a dormire, Melinor. Anche domani ci attende un lungo viaggio: dobbiamo arrivare a Ostagar il prima possibile» le consigliò Duncan nell’atto di rialzarsi in piedi. «Io resterò di guardia.»
Dette quelle parole il Custode Grigio si allontanò, lasciando Melinor sola accanto al fuoco.

 

Due giorni più tardi, i tre erano a Ostagar: i due gemelli rimasero a bocca aperta nel percorrere l’enorme ponte sospeso che portava alle antiche rovine presso cui alloggiava l’esercito. Rovine di un antichissimo avamposto eretto dall’antico Impero Tevinter ben prima del primo Flagello: la sua strategica posizione a cavallo di uno stretto passaggio fra due colline aveva permesso all’impero di fermare le invasioni barbariche delle popolazioni instaurate a sud delle Selve Korcari. I barbari delle tribù Chasind avevano tentato più volte d’invadere le fertili pianure del Ferelden, senza tuttavia riuscirci.
Nonostante la dominazione Tevinter fosse sparita in quelle zone da secoli, l’avamposto era rimasto: aveva resistito a invasioni, guerre, e ben quattro Flagelli. E ora sarebbe stato testimone della battaglia per porre fine al quinto Flagello.
I due gemelli osservavano con ammirazione quelle antiche mura, i ponti sospesi, le torri e i maestosi archi: anche se il popolo elfico era stato sconfitto e schiavizzato proprio dagli umani del Tevinter, non potevano non riconoscere la maestosità di quelle costruzioni.
Stavano camminando lungo il ponte d’accesso quando un manipolo di uomini si fece avanti, andando loro incontro. D’istinto i nervi di Merevar scattarono, ma un’occhiata di Melinor gli ricordò che gli umani da quel momento in poi sarebbero diventati loro alleati.
«Re Cailan» esclamò Duncan, sorpreso. Un uomo sulla trentina, dai lunghi capelli biondi e vestito di un’armatura dorata, si avvicinò sorridente ai nuovi arrivati.
«Finalmente sei di ritorno, Duncan! Temevo non arrivassi in tempo per il vero divertimento» scherzò il re, andando a stringere la mano del Custode.
«Non se posso evitarlo, maestà» replicò questi, stando al gioco ma mantenendo al contempo la sua compostezza.
«Quindi avrò il valoroso Duncan, comandante dei Custodi Grigi, al mio fianco durante la battaglia! Glorioso!» esclamò ancora il re, sotto gli occhi scettici di Merevar e quelli stupiti di Melinor. Non si aspettavano che il re degli umani fosse un burlone. Cailan li guardò, sempre sorridente mentre si rivolgeva a Duncan con gli occhi celesti fissi sui due gemelli. «Gli altri custodi mi hanno informato che avete trovato ben due reclute promettenti. Presumo siano loro.»
«Sì, vostra maestà. Permettetemi di presentarvi…»
«Non c’è bisogno di essere così formali, Duncan. Presto verseremo sangue insieme» lo interruppe il re, portandosi di fronte ai due elfi. «Salve, amici. Posso chiedervi i vostri nomi?»
Prima che suo fratello potesse esordire in una risposta maleducata e ostile, Melinor lo superò con un passo.
«Il mio nome è Melinor, vostra maestà» disse l’elfa, imitando l’appellativo usato da Duncan. «E questo è mio fratello Merevar.»
«Conoscervi è un vero piacere. I Custodi Grigi hanno un disperato bisogno di nuove reclute: sono davvero felice di vedere che Duncan ne ha trovate ben due. Si aspettava di tornare al massimo con una» commentò con tono amichevole. Poi si soffermò a scrutare i visi dei due elfi. «Ma voi… siete gemelli!»
«Sì, vostra maestà» annuì Melinor.
«Capita raramente d’incontrare gemelli identici come voi. E dalish, per di più!» esclamò. «Sono davvero onorato che la vostra gente abbia concesso non uno, ma ben due guerrieri all’ordine dei Custodi Grigi. So che siete abilissimi guerrieri, e arcieri letali.»
«Questa è una sorpresa» intervenne Merevar, sotto gli occhi sgranati di Melinor che già si aspettava qualche commento sprezzante. «Credevo che gli umani ci considerassero dei pericolosi vagabondi erranti.»
Re Cailan si grattò un orecchio, mentre Melinor lanciava un’occhiataccia a suo fratello.
«A essere onesti, la vostra gente è spesso… ostile nei nostri confronti. Non che io li biasimi, naturalmente, visti i trascorsi con la nostra razza» tentò di giustificarsi Cailan, sforzandosi di non sembrare offensivo. «Ma sono certo che sapremo superare l’usuale conflittualità che intercorre fra le nostre genti. Noi siamo onorati di avere due esponenti dalish nel nostro esercito: sappiate che qui siete più che benvenuti.»
Riuscendo a captare Merevar mentre pensava 
vorrei ben vedere, siamo venuti qui a combattere la vostra guerra!, Melinor si affrettò a rispondere per entrambi.
«Grazie, maestà. Speriamo che il nostro contributo possa aiutare.»
Re Cailan sorrise, facendo un cenno d’assenso con il capo.
«Perdonatemi ora, ma devo tornare alla mia tenda. Loghain sarà impaziente di tornare ad assillarmi con le sue strategie di guerra» disse sospirando.
«Prima che andiate, re Cailan, vostro zio vi manda i suoi saluti da Redcliffe e annuncia che le forze da lui inviate saranno qui a giorni» gli disse Duncan.
«Ah!» esclamò Cailan, a metà fra il divertito e il polemico. «Eamon vuole solo la sua parte di gloria in questa guerra. Abbiamo già vinto tre battaglie senza il suo aiuto, e domani non sarà diverso. Non sono nemmeno sicuro che questo sia un vero Flagello, a questo punto: la prole oscura è assai numerosa, ma non è ancora stato avvistato un arcidemone.»
Duncan lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Dispiaciuto, vostra grazia?»
Cailan si mise a vaneggiare, con lo sguardo perso oltre l’orizzonte e occhi sognanti.
«Beh, speravo in una battaglia epica, come quelle delle antiche leggende. Re Cailan che scende in battaglia affiancato dagli eroici Custodi Grigi per sconfiggere un antico Dio corrotto… ma suppongo che dovrò accontentarmi» sbuffò. Merevar non poté trattenere un’occhiataccia di sufficienza: si chiese se tutti i re degli umani fossero così sciocchi.
Dopo quelle ultime parole, il re li salutò e sparì con il suo seguito di guardie reali, lasciando i tre soli. Melinor lo scrutava con aria pensosa mentre si allontanava.
«Sembra prendere la situazione un po’ troppo alle leggera…» commentò.
«Vero» le disse Duncan. «Il re e il suo esercito hanno già vinto tre battaglie, è vero anche questo. Ma nonostante ciò la prole oscura continua ad aumentare, e presto ci supererà numericamente. Sono certo che ci sia un arcidemone dietro a tutto questo, ma non posso costringere il re ad agire solo sulla base delle mie sensazioni.»
«Potreste, se non fosse un tale stolto» borbottò Merevar, ancora contrariato dai vaneggiamenti bambineschi del re uditi poco prima.
«Ricorda che egli resta sempre il re, Merevar» lo rimproverò Duncan. «Ora è per lui che combatti.»
«Pensavo di combattere per i Custodi Grigi» ribatté il ragazzo, sarcastico.
«Certamente; e i Custodi Grigi sono al servizio della monarchia, al momento» ribadì Duncan. «A ogni modo, dobbiamo affrettarci: dovete prepararvi per il rituale dell’Unione previsto per stanotte. Una battaglia ci attende domani alle prime luci dell’alba, e voi dovrete essere diventati Custodi Grigi a tutti gli effetti entro allora. Io ho alcune faccende da sbrigare, ma ci sarà un altro Custode Grigio ad assistervi in mia assenza. Si chiama Alistair, potrete trovarlo presso le rovine del tempio nella zona est dell’accampamento. Cercatelo, lui vi spiegherà tutto ciò che dovete sapere.»
I due elfi annuirono, e Duncan dopo averli salutati si avviò per la sua strada.
Merevar guardò di sbieco la sorella.
«Vostra maestà, grazie maestà…» la prese in giro. «Si può sapere che ti è preso? Cosa sono tutte queste smancerie verso il re degli umani?»
Melinor gli restituì uno sguardo spazientito.
«Visto che uno fra noi ha la testa più dura d’un diamante, l’altro deve cercare di sopperire alla sua mancanza di buon senso» parlò perentoria, come una vera Guardiana dalish. «Devi comprendere una cosa, Merevar: ora siamo qui. Circondati da umani. Non puoi permetterti di essere ostile, o non farai che peggiorare la situazione.»
Melinor si avviò senza attendere risposta; Merevar, scocciato, la seguì malvolentieri.
Furono sorpresi dall’accoglienza ricevuta: gli umani di quel luogo li salutavano, portavano loro rispetto, e ogni volta che li incrociavano li salutavano con un “Custodi” accompagnato da un piccolo inchino della testa. Nonostante la sorpresa iniziale, i due gemelli non si fecero illusioni: sapevano che quel rispetto non dipendeva affatto dalla loro razza, ma dal fatto che erano reclute dei Custodi Grigi.
Seguendo le indicazioni di Duncan, si diressero nella zona est dell’accampamento finché non incontrarono quelle che erano evidentemente le rovine d’un tempio: un ampio spazio delimitato da un colonnato che, un tempo, sorreggeva un tetto. Ora l’unica cosa a sovrastarli era l’azzurro del cielo interrotto qui e là da nuvole bianche e gonfie.
Videro due uomini discutere animatamente fra loro: uno dei due indossava un lungo abito colorato, e portava un bastone assicurato alla schiena; doveva essere un mago. L’altro portava l’armatura: era un ragazzo di poco più grande dei gemelli, un biondino dagli occhi color ambra con uno scudo recante l’effigie di un grifone.
«Dev’essere lui» bisbigliò Melinor, riconoscendo l’emblema dei Custodi Grigi.
Si avvicinarono, e riuscirono a intercettare gli ultimi stralci della conversazione fra i due.
«E io che pensavo andassimo così d’accordo… stavo valutando l’ipotesi di dare il vostro nome a uno dei miei futuri figli: quello brontolone!»
Il mago alzò le mani al cielo, voltandogli le spalle.
«Ne ho abbastanza, andrò a parlare con la Venerata Madre, se proprio devo!» esclamò, allontanandosi a grandi falcate.
I due elfi rimasero a pochi passi di distanza dal giovane Custode, incerti sul da farsi; fu lui ad approcciarli per primo.
«Sapete, la cosa bella del Flagello è che unisce le persone» disse quello con ironia; per tutta risposta, Merevar lo guardò inclinando la testa da un lato.
«Non siete altri maghi, vero? Vi prego, ditemi di no» disse ancora il ragazzo, in un palese scimmiottamento di supplica.
«Lui no, ma io sì» si fece avanti Melinor, puntando il suo bastone magico a terra. «È forse un problema?»
L’umano sussultò a quelle parole, affrettandosi a rispondere.
«Oh no, nessun problema… stavo solo scherzando» le disse, agitando le mani. «Tu non sei una maga del Circolo, sei dalish… vero? Hai i tatuaggi…» si interruppe, iniziando al alternare rapidamente lo sguardo fra i due elfi. Poi si premette un palmo sulla fronte. «Oh, siete voi! Che sciocco, avrei dovuto riconoscervi subito. Siete i gemelli dalish reclutati da Duncan, giusto? Ci ha inviato un corvo per avvisarci del vostro arrivo qualche giorno fa.»
Tese una mano a Melinor, sorridendole in maniera amichevole.
«Io sono Alistair, il Custode più giovane dell’ordine. Piacere di conoscervi.»
Melinor rispose alla stretta di mano, presentandosi a sua volta. Ma quando Alistair porse la mano a Merevar, questi esitò; se non fosse stato per lo sguardo pressante di sua sorella, lo avrebbe lasciato lì con la mano a mezz’aria.
«Merevar» bofonchiò con grande fatica, mentre stringeva debolmente la mano dell’umano.
«Io vi guiderò e vi assisterò nei preparativi per il rituale dell’Unione. Ma prima di dedicarci a questo vi farò fare un rapido giro del campo, così saprete dove trovare tutto ciò che vi potrà servire» disse loro il ragazzo. Merevar roteò gli occhi.
«Fantastico, ci starai alle calcagna tutto il tempo?» brontolò. Alistair rimase a bocca aperta, cercando una risposta che non arrivò. Era evidentemente in imbarazzo di fronte all’atteggiamento scontroso dell’elfo.
«Non dargli retta, lui… è solo un po’ teso» cercò di mediare Melinor. «Sarà un piacere approfittare della tua guida.»
Alistair la guardò come a volerla ringraziare per quel suo salvataggio.
«Bene allora. Seguitemi, vi faccio vedere l’accampamento; se avete domande non fatevi problemi, io vi risponderò al meglio delle mie possibilità.»
Il giovane si avviò, aprendo loro la strada; mentre si accingevano a seguirlo, Melinor guardò per l’ennesima volta suo fratello in malo modo. Lui le rispose con un’alzata di spalle, completamente disinteressato.
Durante quel rapido tour dell’accampamento, appresero che solo i soldati di rango superiore alloggiavano lì: il resto dell’esercito e gli altri Custodi Grigi erano accampati al piano terra delle rovine. In quella zona si potevano trovare la guardia reale, gli uomini di Loghain (che appresero essere il consigliere e stratega di King Cailan, oltre che suo suocero), i Guerrieri della Cenere e i cavalieri templari. Sotto stretta sorveglianza di questi ultimi, lì erano tenuti d’occhio anche i maghi del Circolo. Melinor si tenne istintivamente alla larga dai templari: sapeva che servivano la Chiesa Andrastiana, l’autorità religiosa vigente nel mondo degli umani, e che davano la caccia ai maghi liberi; anche Dalish, se ne avevano l’occasione. Nel mondo degli umani i maghi erano visti come un pericolo: era risaputo che i maghi avevano una particolare connessione con la dimensione dell’Oblio (o Aldilà, come la chiamavano i dalish), dove risiedevano gli spiriti e i demoni. Per questo erano considerati pericolosi, in quanto i demoni potevano possederli per avere accesso al mondo materiale tramite loro: tutti i maghi venivano pertanto rinchiusi in edifici appositi, chiamati Circoli dei Maghi, dove passavano la loro intera vita sotto la sorveglianza dei templari. Qualunque mago non fosse parte di un Circolo era considerato dalla Chiesa un eretico, o apostata.
Melinor ebbe modo di parlare con quello che gli umani chiamavano adepto della Calma: scoprì che questi particolari maghi erano stati privati del loro legame con la magia. Il legame di alcuni maghi (quelli considerati più deboli e quindi facili prede delle lusinghe demoniache) con l’Oblio veniva reciso per evitare possessioni spiritiche; così facendo il mago perdeva ogni potere, diventando al contempo una sorta di macchina priva di personalità ed emozioni, sempre pronta a eseguire ordini. Melinor rimase sconvolta nel vedere una persona ridotta così: era come se fosse stata privata della sua essenza, oltre che dei suoi poteri. L’adepto della Calma che le spiegò tutto questo parlava in tono piatto, monotono, e non sembrava provare nulla: le disse che, grazie al trattamento che gli era stato riservato, ora era in pace e poteva concentrarsi sul suo lavoro d’incantatore di oggetti. Melinor faticava a concepire come una simile situazione potesse essere definita “pace”. Volendo sapere tutto su quella barbarica usanza perpetrata dai templari a discapito dei maghi, chiese all’adepto come era avvenuta la recisione del suo legame con l’oblio.
«Oh, io non lo ricordo; ma puoi chiedere a lui» le disse, indicando Alistair. «Era un templare prima di diventare un Custode Grigio. Ricordo di averlo visto qualche volta alla Torre del Circolo.»
Melinor si voltò a guardare il ragazzo quasi inorridita.
«Tu davi la caccia ai maghi?» esclamò.
«Ecco perché non ti piacciono» commentò Merevar, memore della prima domanda che l’umano aveva posto nell’incontrarli.
«No, io non ho niente contro i maghi» si affrettò a rispondere il biondino. «Ero un templare, è vero, ma non è stata una mia scelta.»
Melinor lo guardò torva.
«Come sarebbe? Eri un templare, ma non per tua volontà?» gli chiese, perplessa. I dalish erano liberi di seguire le loro inclinazioni, all’interno del clan; non concepivano usanze come quelle umane, in cui i giovani venivano costretti dai genitori a imboccare determinate vie.
«Sì, sono stato mandato dai templari quand’ero ancora un bambino dalle persone che si prendevano cura di me» spiegò allora Alistair. «Io credo nel Creatore, ma non al punto di dedicare la mia vita alla Chiesa. Per fortuna è arrivato Duncan e mi ha reclutato nei Custodi.»
Melinor continuò a guardarlo con sospetto; non proferì parola, e senza ulteriori commenti i tre proseguirono oltre l’accampamento dei maghi.
«Quello è il quartiermastro» disse loro Alistair, indicando un angolo allestito con banchetti e merci esposte. «Lì potrete trovare armature, spade, archi… tutto ciò di cui si può aver bisogno in battaglia. Se avete dell’equipaggiamento da cambiare vi consiglio di approfittarne, vi servirà nella preparazione al rituale dell’Unione.»
Merevar lo guardò con aria di sufficienza.
«Dobbiamo pure procurarci l’equipaggiamento nuovo? Bah. Quando i dalish accolgono nuovi membri, è loro cura donare un’armatura forgiata appositamente per loro dal fabbro del clan» polemizzò, dirigendosi verso il quartiermastro.
«Sì, ti verrà data un’armatura da Custode Grigio quando…» esclamò Alistair a gran voce, sperando di raggiungere l’orecchio appuntito di Merevar che si allontanava. «… quando avrai superato l’Unione» terminò in un sospiro, capendo che l’elfo se ne stava infischiando altamente. Guardò Melinor con occhi arrendevoli. «Dimmi, ho fatto qualcosa di sbagliato? È per via di tutte le mie battute? Io lo facevo per essere amichevole» blaterò.
Melinor lo guardò stranita: era proprio uno strano umano.
«Non è per le… battute» gli rispose, senza preoccuparsi di nascondere la sua espressione un po’ basita. «Sai, è che non corre buon sangue fra i dalish e gli umani. Non so se te l’hanno detto» disse, sarcastica.
«Ah, già… quello» ridacchiò lui imbarazzato, grattandosi la testa. «Tu però non mi sembri così ostile.»
Lei distolse lo sguardo, posandolo sul fratello più avanti che discuteva con il quartiermastro.
«Io sono stata addestrata a essere paziente, diplomatica e tollerante. Sarei dovuta diventare la Guardiana del mio clan un giorno, e una Guardiana deve saper mettere da parte gli antichi rancori.»
«Ah, capisco… e io che mi ero illuso che ti piacessero gli umani» scherzò Alistair. Ma quando lei lo guardò a metà fra lo stupito e l’inquietato, si affrettò a correggere il tiro. «Scherzavo, sai… una delle mie solite battute» disse nervosamente, mettendosi a guardare Merevar che aveva preso ad argomentare con l’umano panciuto che aveva di fronte. «Vorrà dire che lo lascerò in pace; non voglio inimicarmi tuo fratello.»
Melinor scosse la testa per la disapprovazione mentre guardava Merevar cedere ancora una volta all’astio della razza elfica verso gli umani.
«Gli passerà» cercò di tranquillizzare il ragazzo. «Devi sono dargli un po’ di tempo per accettare la situazione. Contrariamente a me, non ha scelto lui di diventare un Custode Grigio. È stato costretto dalla necessità a unirsi al vostro ordine.»
Alistair la guardò, facendosi finalmente serio.
«Sì, io… ho avvertito la corruzione in lui» annuì, parlando piano. La sua voce sembrava meno giullaresca in quel momento, e si avvicinava di più a quella di un uomo fatto e finito. «La Prole Oscura ha attaccato il vostro clan?»
Melinor scosse il capo, facendo oscillare i suoi capelli dorati.
«No, per fortuna. Merevar ha esplorato un’antica rovina e lì ha trovato un antico manufatto del Tevinter, stando a ciò che dice Duncan. Uno specchio che aveva assorbito la corruzione della prole oscura; è stato così che mio fratello è stato contagiato» disse, restando sul vago ed evitando ogni accenno a Tamlen. Non voleva condividere troppe informazioni personali con Alistair.
Il ragazzo annuì in risposta, sempre serio in viso.
«Capisco. Sei stata coraggiosa a scegliere di seguirlo fin qui» le disse, tornando a guardarla. «Immagino che Duncan ti abbia parlato dei rischi che comporta il reclutamento nei Custodi Grigi.»
Lei annuì, senza restituirgli lo sguardo.
«Vorrei poter dire che l’ho fatto per una giusta causa, per permettere ai dalish di dare il loro contributo nella sconfitta di questo Flagello… ma la verità è che l’ho fatto per Merevar, e anche per il mio egoismo. Non avrei potuto restarmene tranquilla a vivere la mia vita lontana da tutto questo, sapendolo qui fuori a combattere.»
Alistair guardò a terra, con uno strano sorrisetto stampato in viso.
«Dev’essere bello avere un fratello o una sorella che tiene a te fino a questo punto» disse.
Melinor captò una strana nota nella sua voce; ma la loro conversazione venne interrotta dal ritorno di Merevar.
«Voi umani non ci sapete proprio fare con le armature. Per i Creatori, tutta quella ferraglia pesante… come fate a muovervi con quelle cose addosso?» brontolò.
Alistair guardò Melinor: non si poteva certo dire che fosse stato uno sguardo d’intesa, ma di sicuro erano concordi sul fatto che Merevar necessitava di tempo per acclimatarsi.

Vagarono per il campo ancora per qualche tempo: ebbero così modo d’incontrare le altre due reclute destinate ad affrontare le prove che il rituale dell’Unione richiedeva. Uno di loro si chiamava Daveth ed era un borsaiolo di Denerim, capitale del Ferelden. L’altro era Ser Jory, un guerriero originario di Redcliffe, reclutato dopo aver vinto un torneo indetto in onore dei Custodi Grigi.
«Bene, ora ci siamo tutti» disse Alistair una volta riunite tutte le reclute. «Se non avete altre faccende da sbrigare qui all’accampamento, direi d’iniziare a prepararci per l’Unione di stanotte. Avete domande?»
«A dire il vero, sì» si fece avanti Melinor. «Cosa ci puoi dire di questo rituale?»
Alistair sembrò in difficoltà.
«Non molto, a dire il vero… è un segreto di cui nessuno è al corrente, fatta eccezione per i Custodi ovviamente. Non posso svelarvi i dettagli, ne andrebbe della vostra prova.»
Melinor piantò le sue iridi verdi in quelle del ragazzo: sapeva che gli umani avevano un debole per i brillanti occhi degli elfi, così grandi e lucenti da far invidia alle più preziose gemme.
«Sicuramente ci puoi dare qualche piccolo dettaglio…» insinuò.
Alistair parve disarmato.
«Ascolta…» si mise a sussurrare. «Posso soltanto dirvi che è molto, molto pericoloso. Noi Custodi paghiamo un caro prezzo per ottenere le abilità che ci permettono di fermare i Flagelli» disse, pronunciando le esatte parole che Duncan aveva rivolto alla ragazza la notte precedente.
«Pericoloso? Che ci può essere di tanto pericoloso in un rituale?» esclamò Merevar. «Cosa mai potrà succedere?»
Alistair lo guardò con una punta d’impazienza.
«Succede che si impara perché è un segreto» tagliò corto. «Ora andiamo, forza. Duncan ci aspetta con le istruzioni per iniziare i preparativi. L’Unione non può aspettare oltre stanotte: domani qui si scatenerà il putiferio.»
S’incamminò con tutte le reclute al seguito, ognuno in silenzio perso nei suoi pensieri. Quale sarebbe stato questo caro prezzo da pagare per diventare Custodi Grigi?

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Capitolo 4
*** La strega delle Selve ***




Le quattro reclute, scortate da Alistair, si recarono presso il centro dell’accampamento: Duncan li attendeva davanti a un grande focolare. Non appena si avvide della loro presenza, si voltò. 

«Eccovi, finalmente» li salutò. «Bene. Direi di dare inizio ai preparativi per l’Unione, sempre se Alistair non ha qualche altro mago da importunare» aggiunse, rivolgendo al ragazzo uno sguardo di rimprovero. Lui ridacchiò con aria colpevole, comprendendo che i maghi erano andati a lamentarsi di lui con Duncan. Questi scosse appena il capo con un sospiro rassegnato, e riprese a parlare con il gruppo. «La vostra prima prova consisterà nel recarvi nelle Selve Korcari, appena oltre l’uscita sud dell’accampamento. Dovrete procurarvi quattro fiale di sangue di prole oscura, che verranno utilizzate nel rituale di stasera. Inoltre, c’è un altro compito di cui dovrete farvi carico: nel bel mezzo delle selve troverete le rovine di un antico avamposto dei Custodi Grigi. Una volta lì, dovrete cercare un baule: all’interno sono custoditi dei preziosi documenti. Dovete recuperarli.» 
«Che tipo di documenti?» chiese Alistair. 
«Antichi trattati che obbligano diverse fazioni in tutto il Ferelden a sostenere l’ordine dei Custodi Grigi in caso di Flagello. È molto importante che li recuperiate.» 
«E se non riuscissimo a trovarli?» indagò Melinor, accorta come suo solito. «Se si tratta di antiche rovine, potrebbero non essere più lì. Potrebbero essere stati distrutti dal tempo e dalle intemperie.» 
«La tua è un’ottima osservazione, Melinor; ma sono protetti da sigilli magici, molto difficili da rompere persino per un mago. Solo i Custodi Grigi possono aprire il baule. Per questo non ci siamo mai preoccupati di andare a recuperarli: sono al sicuro.» 
Melinor annuì senza aggiungere altro. 
«Ci sono altre domande?» chiese Duncan; ma nessuno parlò. «Bene, allora andate; e buona fortuna a tutti voi. Fate attenzione là fuori.» 

Le quattro reclute si diressero verso l’uscita sud dell’accampamento, e il soldato di guardia li lasciò uscire facendo loro gli auguri. Una volta usciti i cinque, il cancello venne richiuso alle loro spalle: si trovavano soli al limitare delle Selve. 
«Ora dobbiamo muoverci con cautela e in silenzio» mormorò Alistair, con la mano già pronta sull’elsa della spada. «Molte creature si aggirano in queste paludi.» 
Le Selve Korcari erano un’infinita distesa di paludi frammiste a foreste: ovunque l’occhio potesse vedere, si scorgevano acquitrini intervallati da piccole alture coperte d’erba bagnata. L’aria era fresca e umida e odorava fortemente di terra e acqua stagna. Il silenzio imperava sovrano, interrotto di tanto in tanto dal richiamo di qualche uccello o dal ronzare degli insetti. 
Camminarono per una manciata di minuti senza incontrare alcun pericolo; poi Merevar si bloccò. 
«Fermi» bisbigliò: le sue orecchie da cacciatore avevano captato qualcosa. Si guardò attorno, mettendo mano all’arco. «Lupi.» 
Qualche istante dopo, un gruppo di lupi fu loro addosso: ognuno prese a menar fendenti al meglio delle proprie capacità. Melinor e Merevar si tenevano a distanza, coprendo le spalle agli altri a suon di colpi magici e frecce. Alistair affondava con la sua spada, proteggendosi dai morsi delle bestie con lo scudo; ser Jory mozzava teste canine con il suo spadone a due mani, e Daveth infliggeva colpi rapidi e letali con i suoi lunghi pugnali. In pochi minuti, i lupi vennero sterminati. 
Il gruppo proseguì silenzioso, finché non si trovò davanti una scena raccapricciante: un carro era stato ribaltato, i buoi che lo trainavano giacevano a terra smembrati, e diversi cadaveri erano sparsi nei paraggi. Il gruppo rimase impressionato da quella scena truculenta. 
«Aiuto…» 
Una voce catturò la loro attenzione. Un soldato era ancora vivo, e si affrettarono a soccorrerlo. 
«La prole oscura… è ovunque… ci ha sorpresi e ci ha eliminati tutti…» biascicò con grande fatica, mentre Alistair e Melinor gli fasciavano le ferite. Quando ebbero terminato di medicarlo si offrirono di riportarlo all’accampamento, ma l’uomo disse loro che poteva riuscire a tornare da solo. Lo lasciarono andare per la sua strada. 
«Per il Creatore, avete sentito? Un intero contingente di soldati addestrati… trucidato!» esclamò impaurito ser Jory. 
«Non preoccuparti, ser Jory. Ci sono io con voi, la prole oscura non riuscirà a coglierci di sorpresa. Ora procediamo, avanti» li esortò Alistair, sembrando fin troppo tranquillo. Il gruppo lo seguì senza fiatare. 
Si inoltrarono nelle selve, incontrando una moltitudine di prole oscura: man mano che li abbattevano, riempivano le quattro fiale date loro da Duncan con il sangue corrotto delle creature. Melinor e Merevar non ebbero particolari problemi: come Alistair, avevano già affrontato quei mostri in precedenza. Lo stesso non si poteva dire di ser Jory e Daveth, i quali combattevano con espressioni spaventate e disgustate: non avrebbero mai potuto immaginare quanto orribili e nefande potessero essere quelle creature, mai avrebbero potuto indovinare il fetido puzzo di carne marcia che li accompagnava. Ora lo sapevano, e non l’avrebbero più dimenticato. 
D’un tratto, dall’alto di una collinetta, avvistarono le rovine dell’antico avamposto di cui aveva parlato Duncan. Gli occhi elfici di Melinor e Merevar si aguzzarono. 
«Vedete qualcosa?» chiese loro Alistair. 
«Prole oscura» replicò Melinor, senza togliere gli occhi dalla zona. «Ce ne sono parecchi.» 
«E ci sono trappole sparse ovunque lungo il sentiero» aggiunse Merevar. «Fate attenzione a non finirci dentro.» 
Scesero dall’altura facendo attenzione a non farsi notare: avvistarono il piccolo ponticello in pietra che un tempo doveva fungere da ingresso per l’avamposto. Si avvicinarono con cautela, ma non passarono inosservati. Alcuni assassini genlock, i più veloci e furtivi tra la prole oscura, li attaccarono emergendo improvvisamente dai cespugli: Alistair condusse la carica, spronando Daveth e ser Jory ad attaccare. Mentre sfondavano le difese della prole oscura, questa non faceva che riversarsi come uno sciame di vespe su di loro. Mentre i tre erano intenti a non farsi trafiggere dalle rozze lame di quei mostri, i due elfi lanciavano i loro colpi a raffica. Le frecce di Merevar partivano come dardi letali, conficcandosi nelle giunture dei mostri e impedendo loro i movimenti. Melinor li sbatteva a terra con il suo incantesimo pugno di pietra, permettendo ai guerrieri di dominare i loro nemici dall’alto. 
Si fecero strada così fino alle rovine, che scoprirono esser sorvegliate da un gruppo di hurlock, la fanteria pesante della prole oscura. Il gruppo era capeggiato da un hurlock più grosso di tutti gli altri, protetto da un’armatura molto pesante dotata di elmo con corna. 
«Fate attenzione a quello» ammonì le reclute Alistair. «Quello è un generale: i generali sono prole oscura più intelligenti e abili degli altri. Per questo diventano i loro capi.» 
Il gruppo si lanciò all’attacco: mentre Daveth e ser Jory venivano ingaggiati nel combattimento dagli hurlock, Alistair venne preso di mira proprio dal generale. Merevar cercava di appoggiarlo con le sue frecce, ma non sembrava sufficiente. A un tratto vide Alistair buttato a terra da una mazzata che aveva fortunatamente parato con lo scudo. L’elfo storse la bocca. 
«Maledizione, shemlen» imprecò. Assicurò l’arco alla schiena e sfilò via le sue spade corte dalla cintura. «Melinor, coprilo!» gridò alla sorella. Quella, intenta a coprire le spalle agli altri due umani, spostò l’attenzione su Alistair. Vide il generale torreggiare su di lui mentre Merevar correva rapido: comprese immediatamente, e agì di riflesso. 
Alistair vide un fascio luminoso, a forma di roccia, colpire in pieno petto il suo aggressore: mentre quello veniva sbilanciato dall’incantesimo di Melinor, un’ombra piombò su di lui. Con un paio di rapidi colpi, la testa del generale, già indebolito dalla lotta con Alistair, rotolò a terra. Il giovane Custode la guardò mentre pareva ancora fissarlo con rabbia; poi spostò lo sguardo su Merevar, che si stava rinfilando le spade nei rispettivi foderi.  
«Grazie» gli disse. 
L’elfo, che gli dava le spalle, lo guardò da sopra una spalla. «Non c’è di che» rispose senza particolare entusiasmo. Melinor, che li stava raggiungendo, pensò fra sé che quella risposta era già un grande passo in avanti: non era granché amichevole, ma almeno non era un commento sagace e scorbutico nei confronti di Alistair. 
Anche Daveth e ser Jory li raggiunsero, lasciandosi alle spalle diversi cadaveri. Alistair li guardò con soddisfazione mentre si rialzava in piedi.  
«Ottimo lavoro» disse loro con un sorriso. «Ora andiamo, dobbiamo recuperare i trattati.» 
Le rovine dell’avamposto distavano pochi passi da loro: in passato era stata una struttura circolare, non molto ampia a giudicare da ciò che ancora si poteva vedere. Il tetto era completamente crollato chissà quanti anni addietro, e le macerie erano ovunque. I cinque si misero a rovistare, facendo attenzione a non provocare ulteriori danni e crolli; finalmente, dopo una decina di minuti, Daveth avvistò qualcosa. 
«Ehi, venite» chiamò gli altri. «Qui sotto c’è qualcosa. Aiutatemi a togliere tutti questi massi!» 
Il gruppo lo raggiunse, e tutti insieme si misero a spostare blocchi di marmo e pietra: non ci volle molto a riportare il baule alla luce. 
«Sì, dev’essere questo» disse Alistair, e subito si accinse ad aprirlo. Fece scattare la serratura, la quale non oppose alcuna resistenza alle sue mani. Ma una volta aperto il baule, la sua espressione si fece tutt’altro che felice. 
«Oh no… è vuoto!» esclamò, corrucciato. Alle sue spalle, Melinor mosse qualche passo in avanti. 
«Fammi vedere» disse, accucciandosi accanto a lui. «Duncan aveva parlato di antichi sigilli magici… è possibile che si siano indeboliti nel tempo e che qualcuno al di fuori dell’ordine sia riuscito a spezzarli.» 
Melinor iniziò a passare le mani sul baule, alla ricerca di qualcosa che a tutti gli altri sfuggiva. Rimase concentrata sul baule diversi istanti, sotto lo sguardo vigile di Alistair. 
«Hai scoperto qualcosa?» le chiese lui, non appena la vide ritirare le mani. Lei scosse il capo. 
«Non c’è traccia di magia qui. Se i sigilli erano forti quanto Duncan credeva, devono essere stati spezzati molto tempo fa… se fosse successo di recente riuscirei ancora ad avvertirne i residui.» 
Concentrati com’erano sul baule, non si accorsero della presenza che li osservava dall’alto di un cumulo di macerie. Una misteriosa donna li scrutava con i suoi occhi gialli e penetranti. 
La sua voce cantilenante e suadente li fece scattare. 
«Bene, bene, bene… cos’abbiamo qui?»

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Capitolo 5
*** Il Rituale dell'Unione ***


Una giovane donna, molto attraente, scendeva quella che un tempo era stata la scalinata che portava in cima alla torre dei Custodi Grigi. I cinque custodi si misero subito all'erta: tutti gli umani misero mano alle armi, ma non i due elfi. I gemelli osservavano la straniera con sospetto, ma senza aperta ostilità: viaggiando con il loro clan si erano abituati a incontrare strani personaggi nei boschi. Melinor notò subito il bastone che la ragazza teneva assicurato alla schiena, non molto dissimile dal suo: la sua forma era rustica, non era un bastone levigato e lavorato come quelli dei maghi del circolo; era rimasta fedele alla forma originaria del ramo da cui il bastone era stato ricavato.
«Siete forse avvoltoi, giunti a rosicchiare ossa le cui carni sono state da tempo ripulite? O semplici intrusi, giunti in queste mie Selve piene di prole oscura?»
Notando che Alistair e gli altri avevano già messo mano alle armi, Melinor si fece avanti facendo loro cenno di stare fermi. La ragazza era ora a pochi passi da lei: i suoi abiti erano chiaramente autoprodotti, succinti nella parte superiore, fatta di stoffa drappeggiata color vinaccia che le ricopriva a malapena i seni. Le braccia erano guantate di nero, e una spalla era adornata da uno spallaccio abbellito da piume corvine. Le gambe erano protette da calzoni neri e aderenti, ingentiliti da una sorta di gonna quasi inesistente sul davanti e lunga dietro. Ma ciò che più colpì Melinor furono i suoi occhi: gialli e penetranti come quelli d'un felino, messi in risalto dal trucco violaceo e dalla chioma nera raccolta in una crocchia.
«Allora, cosa rispondete? Avvoltoi o intrusi?» incalzò la misteriosa apparizione.
Fu Merevar, come suo solito indispettito dalla pretesa umana di possedere qualsiasi cosa, a rispondere.
«Le tue Selve, hai detto? E da quando i luoghi selvaggi appartengono a qualcuno?»
La ragazza delle Selve ridacchiò.
«Oh, forse non mi appartengono; ma sono la mia casa, e le conosco meglio di chiunque altro. Se mai appartengono a qualcuno, appartengono proprio a me.»
«Noi siamo Custodi Grigi» intervenne Melinor, accorta come suo solito. «Questo avamposto un tempo apparteneva al nostro ordine. Siamo qui in missione ufficiale.»
La ragazza la fissò con sguardo scrutatore; poi prese a camminare in tondo attorno al gruppo.
«Vi osservo da quando avete lasciato il vostro accampamento, sapete. Dove vanno, mi sono chiesta? Cosa stanno facendo? E poi siete arrivati fin qui, a disturbare ceneri che sono state lasciate a riposare così a lungo...»
Alistair si avvicinò a Melinor, bisbigliandole all'orecchio.
«Non darle retta: sembra una Chasind¹, e significa che ce ne sono altri nelle vicinanze.»
Ma la ragazza sembrava avere un ottimo udito, perché prese a ridacchiare.
«Uuuh, hai paura che i barbari vengano a spazzarti via?» lo sbeffeggiò, agitando le mani. Alistair la guardò indispettito.
«Sì. Venir spazzati via non è un bene» replicò, come a volersi giustificare.
La ragazza fece spallucce, snobbando la sua risposta.
«Vi dico io che cos'è: è una Strega delle Selve!» bisbigliò Daveth, spaventato. La ragazza sbuffò, annoiata.
«Quante sciocche superstizioni... non avete un cervello che sappia pensare in autonomia?» esclamò. Poi puntò gli occhi su Melinor. «Tu, elfa: noi donne non ci lasciamo spaventare come ragazzini. Perciò parlerò con te. Dimmi il tuo nome, e io ti dirò il mio.»
«Io sono Melinor» si affrettò a rispondere l'elfa, senza timore. «Questo è mio fratello Merevar, e loro sono Alistair, Daveth e ser Jory.»
La ragazza parve impressionata.
«Questa sì che una presentazione come si deve. E pensare che gli "umani civilizzati" dicono che voi dalish siete dei selvaggi» ironizzò, dimostrando di aver riconosciuto i vallaslin tatuati sui volti dei gemelli. «Io sono Morrigan. E, tornando a noi... credo di sapere perché siete qui. Cercavate qualcosa in quel baule, vero? Qualcosa... che non è più lì?»
Alistair le puntò contro un indice.
«Qualcosa che non è più lì, eh? Li hai presi tu, ci scommetto! Sei una specie di... ingannevole... strega-ladra!»
La strega delle Selve alzò un sopracciglio con disappunto.
«Ma quanta eloquenza. Ribadisco: i dalish sono molto più cortesi rispetto a voi uomini di città» fece ancora dell'ironia, ma stavolta con tono algido. «Giudichi troppo facilmente, Custode: io non ho preso proprio niente da quel baule, perciò fai attenzione a dove lanci le tue accuse.»
Melinor lanciò un'occhiataccia ad Alistair, supportata da Merevar: persino lui era abituato a trattare con umani come Morrigan. Ne avevano incontrati raramente nei boschi, ma quei pochi si erano sempre dimostrati tolleranti nei confronti del clan: non come i loro simili stipati nelle città e nei villaggi.
«Perdonalo, Morrigan. Non voleva insultarti, è che quei documenti sono davvero molto importanti. Tu vivi qui, conosci bene le Selve e tutto ciò che vi succede, se ho ben capito... sai per caso che fine hanno fatto?» riprese in mano la situazione Melinor.
Morrigan sorrise appena.
«Se non ci fossi tu a fare da mediatrice me ne sarei già andata, lasciando i tuoi amici inermi davanti a quel baule vuoto. Ma dato che tu sei ragionevole, ti aiuterò: mia madre ha preso i vostri documenti.»
Merevar sbarrò gli occhi.
«Tua... madre?»
«Sì, mia madre! Credevi forse che mi fossi generata da un tronco d'albero?» ribatté l'altra, seccata da quella domanda che riteneva palesemente sciocca.
«Beh, Morrigan... credi che tua madre sarebbe disposta a restituirci quei documenti? Ci servono per fermare il Flagello.»
«Risponderei di sì, ma per esserne sicuri... seguitemi, e vi condurrò da lei. Glielo chiederete di persona.»
Melinor cercò l'approvazione di Merevar, che non tardò ad arrivare; poi guardò i tre umani. Alistair sembrava rassegnato all'idea, anche se non ne era entusiasta. Ser Jory non fece alcuna obiezione, mentre Daveth fu l'unico a lamentarsi.
«Ci metteranno in un pentolone, ve lo dico io!»
«Oh, piantala» si spazientì Melinor. «Se avesse voluto farci del male lo avrebbe già fatto.»
«Non puoi saperlo con certezza» ribatté l'altro.
«Sì che posso saperlo, perché è ciò che avrei fatto io quando vivevo nei boschi come lei!» lo zittì Melinor. «E adesso finitela di fare gli sciocchi, o vi trasformerò io in rospi!»
Morrigan ridacchiò in disparte.
«Ben detto, Melinor dei dalish; tu mi piaci. Ora seguitemi.»
Il gruppo si mise a marciare dietro alla strega delle Selve, mentre Alistair borbottava: «Sì, certo... prima è tutto un tu mi piaci, e poi, quando meno te lo aspetti... ecco che sei una rana.»


Dopo diversi minuti di cammino, il gruppo raggiunse una piccola capanna nel cuore delle Selve. Una donna anziana dai lunghi capelli bianchi si stava affaccendando all'esterno.
«Madre» catturò la sua attenzione Morrigan, facendola alzare dal cespuglio erboso su cui era chinata. «Ho qui cinque Custodi Grigi che desiderano parlarti.»
Mentre il gruppo si avvicinava, la donna li squadrò per bene: Melinor rimase impressionata dai suoi occhi gialli, identici a quelli della figlia. Ma c'era qualcos'altro in quella donna a lasciarla interdetta, qualcosa che anche Merevar parve avvertire. Entrambi si sentirono come denudati dal di lei sguardo: era circondata da un'aura particolare, che suggeriva loro potenza, saggezza, conoscenza.
«Li vedo, ragazza mia. Mmm... proprio come mi aspettavo.»
Il suo sguardo si posò su Melinor e Merevar: essi avvertirono una stranissima sensazione, più intensa di quanto non fosse accaduto poco prima. Timore, inquietudine, reverenza: un miscuglio paralizzante di queste tre emozioni.
«Che strano trovare due dalish fra i Custodi» commentò la donna con uno strano sorrisetto impresso sulla faccia rugosa. «Strano, ma non per questo poco gradito. Cosa vi ha portato a unirvi all'ordine, se posso permettermi di chiedere?»
«La necessità» rispose Melinor con molta sincerità. Per qualche strana ragione, trovava difficile trattenersi davanti a quella donna. «La corruzione della prole oscura ha raggiunto il nostro clan e contagiato mio fratello qui presente. Diventare Custode è la sua unica via di salvezza.»
La donna annuì.
«E di te che mi dici, ragazza? Da quel che vedo, non avevi alcuna necessità di seguirlo» disse, lasciando intendere che percepiva la corruzione in Merevar e non in lei; come ci fosse riuscita rimase un mistero.
«Io l'ho seguito per scelta» ammise l'elfa senza dilungarsi troppo; la linea delle labbra di Merevar, al fianco di lei, si spezzò. La cosa ancora non gli andava giù, e l'anziana sembrò notarlo.
«Capisco. Ma bando alle ciance, voi siete venuti qui per i trattati» disse, ignorando deliberatamente il resto del gruppo. «I sigilli che li proteggevano hanno esaurito il loro potere molto tempo fa: per questo li ho prelevati dal baule e li ho protetti.»
«Li avete protetti?» esclamò Alistair, fin troppo sorpreso.
«E perché non avrei dovuto?» replicò la donna, sparendo per qualche minuto nella sua abitazione. Quando riapparve, teneva in mano diverse pergamene arrotolate: le lasciò ad Alistair, che la ringraziò.
«Non ringraziatemi. Pensate piuttosto a fermare questo Flagello, e dite ai vostri capi che la situazione è molto peggio di quanto non sembri.»
Merevar la guardò, colpito.
«Come fate a sapere questo?»
«Una vecchia come me sa molte cose. Ma ora andate, avete del lavoro importante da fare.»
«Addio, dunque» li congedò Morrigan. Sua madre la guardò con finta indignazione.
«Non essere maleducata, Morrigan. Questi sono i tuoi ospiti.»
La ragazza sospirò, arrendevole di fronte al volere della madre.
«E va bene, li porterò fuori dalle Selve. Seguitemi.»


Era tardo pomeriggio quando Morrigan li lasciò ai cancelli dell'accampamento.
«Grazie di tutto, Morrigan» le disse Melinor. L'altra sembrò a disagio.
«Io... non c'è di che» rispose. «Buona fortuna, Custodi.»
Mentre il gruppo rientrava nell'accampamento, Morrigan era già sparita.
Raggiunsero Duncan, gli consegnarono i trattati e le fiale di sangue raccolto dalla prole oscura, e gli raccontarono delle streghe incontrate nelle Selve; lui non diede gran peso alla cosa, e sparì subito per andare a preparare il rituale dell'Unione.
Poco dopo il tramonto, si riunirono tutti presso le rovine del tempio: un nervosismo generale dominava la scena. Alistair, per assurdo, sembrava il più nervoso di tutti: la cosa non rincuorò le reclute che, a quel punto, non sapevano cosa aspettarsi. Ser Jory e Daveth parlottavano concitati in un angolo, mentre i gemelli se ne stavano silenziosi in disparte. Non avevano bisogno di parlarsi per capire cosa provavano: il loro legame consentiva loro di comprendersi al volo. Merevar era tranquillo: quel rituale per lui rappresentava la salvezza, e per quanto difficile potesse rivelarsi era sempre un'alternativa migliore alla morte. Melinor, dal canto suo, manteneva i nervi saldi esercitando il controllo sulle emozioni che la Guardiana Marethari le aveva insegnato tanti anni prima.
«Finalmente è giunto il momento dell'Unione» annunciò Duncan al suo arrivo: tra le mani teneva un calice d'argento. «Ora ripercorreremo i passi dei primi Custodi Grigi che, spinti dalla necessità di contrastare il Flagello, per primi bevvero il sangue della prole oscura... e ne dominarono la corruzione.»
Ser Jory strabuzzò gli occhi.
«Do-dobbiamo bere il sangue di quelle immonde creature?» esclamò, terrorizzato. «Ma quel sangue conduce alla morte!»
«Sì, ser Jory: dovete berlo. Proprio come hanno fatto i primi Custodi prima di noi, e così come abbiamo fatto noi stessi prima di voi. Vi avverto, però: il rituale dell'Unione potrebbe richiedere subito il prezzo che, inevitabilmente, ogni Custode alla fine deve pagare. Non tutti riescono a sopportare la corruzione, nonostante l'incantamento effettuato sul sangue.»
Merevar e Melinor si guardarono negli occhi: ora era tutto chiaro. Ecco perché Duncan aveva alte aspettative per Merevar: aveva resistito alla corruzione anche senza rituale, dunque le sue probabilità di sopravvivere erano alte. Ma che ne sarebbe stato di Melinor?
«Daveth, vieni avanti» iniziò Duncan. Mise il calice tra le mani dell'ex borsaiolo, il quale lo prese senza fiatare.
Dopo aver guardato qualche istante il calice, Daveth si fece coraggio: bevve un paio di sorsi e restituì a Duncan il calice. Quest'ultimo, così come Alistair, rimase a studiarlo: ma se Alistair era palesemente teso come una corda di violino, Duncan sembrava più preparato. Gli spettatori in attesa si domandarono cosa mai stesse attendendo.
La risposta alle loro domande non tardò ad arrivare: Daveth si portò le mani al ventre, piegandosi in avanti. Prese a lamentarsi in preda agli spasmi sotto lo sguardo inorridito dei suoi compagni: durò pochi secondi. Poi Daveth si accasciò a terra, la vita che scorreva via lontana da lui. Duncan chiuse gli occhi, sospirando.
«Mi dispiace, Daveth.»
Evidentemente abituato a quell'orrenda prassi, si voltò verso ser Jory.
«Jory, vieni avanti.»
Ma quello non accennava a muoversi: se mai indietreggiava come un cane spaventato con la coda fra le gambe.
«No, io... non posso! Ho una moglie, e un figlio in arrivo... il vostro prezzo è troppo alto! Non c'è gloria in questo!»
Duncan lo guardò con l'espressione di chi aveva già visto una scena simile in passato.
«Non puoi tirarti indietro.»
Fu allora che, sotto lo sguardo sgomento degli elfi, ser Jory mise mano alla spada: attaccò Duncan in preda al panico, ma questi sfilò la sua daga dal fodero con la mano libera e, rapido come il fulmine, scansò il colpo di ser Jory. Prima che questi potesse accorgersene, la lama di Duncan aveva già trafitto il suo torace.
«Mi dispiace, Jory» gli sussurrò Duncan all'orecchio mentre moriva.
Alle loro spalle, Melinor voltò il capo da un lato: non voleva più guardare quella scena. Capiva le motivazioni di Duncan, che non poteva lasciar andare ser Jory e permettergli di divulgare il segreto del rituale dell'Unione; ma una simile violenza le faceva ribrezzo, anche se era necessaria. Merevar, invece, assisteva impassibile. Codardo pensò fra sé, convinto del fatto che si fosse meritato quella fine.
Duncan si voltò infine verso di loro.
«Melinor, vieni avanti.»
Il cuore di lei perse un battito: mentre si avvicinava a Duncan, Merevar si ritrovò a contrarre la mascella più di quanto avrebbe voluto. Rimase a guardare sua sorella mentre prendeva il calice fra le mani e beveva il sangue incantato.
Furono i venti secondi più lunghi della sua vita: la vide portare le mani alla testa, cadere sulle ginocchia e lanciare un grido lancinante. La vide cadere all'indietro, i lunghi capelli dorati sparpagliati sulla nuda roccia e gli occhi rivoltati all'indietro. Finché ogni suo movimento cessò.
Merevar rimase immobile, col fiato sospeso: impietrito sul posto, osservava Duncan mentre si chinava su Melinor per portarle due dita al collo.
«C'è battito» annunciò Duncan, sollevando poi lo sguardo sui due ragazzi davanti a sé. «Ce l'ha fatta.»
Merevar riprese a respirare: gli sembrava d'aver perso dieci anni di vita in un solo colpo. Anche Alistair tirò un sospiro di sollievo, lieto che almeno una vita fosse stata risparmiata.
«Ma il rituale dell'Unione non è ancora finito» ricordò loro Duncan, rialzandosi in piedi. «Merevar, vieni avanti.»
Preso com'era dalla preoccupazione per sua sorella, aveva scordato che il medesimo destino sarebbe presto toccato a lui. Mal che vada... sarei morto comunque si consolò mentre camminava in avanti. Prese il calice, pronto a qualsiasi cosa l'attendesse: Melinor era viva. Nel peggiore dei casi, lui avrebbe potuto trovare pace nell'aldilà, sapendo che lei non era morta a causa sua.
Bevve ciò che restava del sangue, e rimase in attesa. Attese ciò che aveva fatto contorcere e gridare Daveth e Melinor prima di lui: finché non sopraggiunse. Una pesantezza alla testa e una fitta che gli attraversò tutto il corpo come una scarica elettrica: il suo sangue sembrava bruciare, aveva lava nelle vene. La vista si annebbiò, e una terribile visione prese il posto del tempio in cui si stava svolgendo l'Unione: un enorme drago ruggiva davanti a lui.
Perse i sensi, e tutto scivolò nell'ombra.





NOTE:

¹: i Chasind sono un popolo di barbari che risiedono nelle Selve Korcari, nell'estremo sud del Ferelden.

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Capitolo 6
*** Il Tradimento di Ostagar ***





Quando Merevar riaprì gli occhi, Duncan e Alistair erano in piedi a pochi passi da lui.

«Ecco, si è svegliato» disse il giovane a Duncan. Questi si inginocchiò davanti all’elfo.
«Come ti senti?» gli chiese.
Merevar si mise a sedere, ancora frastornato: sentiva un gran dolore alla testa. «Mai stato meglio» bofonchiò, sarcastico.
Alistair sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorrisetto. «Visto, Melinor? È in formissima» scherzò.
All’udire quelle parole, l’elfo sembrò ridestarsi di colpo e si voltò di scatto. Melinor lo stava guardando, seduta a qualche passo da lui. Era pallida e sconvolta.
«Tua sorella si è svegliata poco fa» gli disse Duncan. «Per lei è stato più traumatico, dato che non aveva il tuo stesso… vantaggio» spiegò, facendo riferimento alla corruzione pregressa di Merevar. «Si riprenderà, non temere.»
«Avete avuto incubi?» si preoccupò Alistair, rivolgendosi ai gemelli; questi lo guardarono senza capire. «Io ho fatto incubi terribili dopo la mia Unione. Se non vi è successo ora, succederà in futuro.»
Duncan si rialzò in piedi. «Nei prossimi giorni vi spiegheremo nel dettaglio i diversi effetti collaterali a cui andrete incontro. Ora pensate a riprendervi.» Si voltò verso Alistair. «Io devo andare al consiglio di guerra; quando si saranno ripresi mandali da me. Il re ha richiesto la loro presenza.»
Duncan si allontanò, lasciando i tre giovani da soli. Merevar si alzò in piedi, un po’ traballante, e si portò di fronte alla sorella.
«Come stai?» le disse, porgendole una mano. Lei lo guardò con i grandi occhi verdi ancora stravolti.
«Non so come tu abbia potuto sopravvivere fino a oggi con questa roba in corpo» replicò. Raramente Melinor si lamentava: detta da lei una frase simile indicava un estremo malessere.
Alistair portò loro qualcosa di caldo da bere per aiutarli a rimettersi in sesto; dopo circa mezz’ora, i due avevano recuperato un po’ di vitalità. Diede loro due nuove armature da Custodi Grigi, forgiate appositamente per loro: due divise argentate e blu, con lo stemma dell’ordine in bella vista sugli spallacci. A corredare il tutto c’era un amuleto: un ciondolo in cui era stato versato il sangue avanzato dal rituale.
«Se ve la sentite vi porto da Duncan» disse loro il giovane, dopo che i gemelli avevano indossato le armature; «vi stanno aspettando al consiglio di guerra.»
«Stanno aspettando noi?» si stupì Merevar. «E perché?»
Alistair si strinse nelle spalle. «Non saprei; ordini del re.»
Fece segno ai due di seguirlo: li condusse dall’altra parte del tempio, dove un lungo tavolo era stato allestito per pianificare la strategia d’attacco dell’esercito fereldiano.
«Ecco, Duncan è laggiù» indicò loro Alistair. Merevar si avviò stancamente, ma Melinor si fermò dopo qualche passo.
«Tu non vieni?» chiese ad Alistair.
«No, io non sono stato convocato» tagliò corto lui, distogliendo lo sguardo. Melinor lo guardò di sottecchi; poi si voltò e proseguì per la sua strada.
«… riponi troppa fiducia in questi Custodi Grigi, Cailan!»
«Ma smettila Loghain, tu vedi cospirazioni da tutte le parti! Sono io il re, vedi di ricordarlo!»
Sembrava che fosse in corso una disputa; non appena Duncan si avvide della presenza dei due gemelli, fermatisi a diversi metri dal tavolo dopo aver udito quegli stralci di conversazione, andò loro incontro.
«Ce l’avete fatta, vedo che vi siete ripresi. Bene. Siete arrivati giusto in tempo» disse loro, bisbigliando. «Il re ha appena stabilito che uno di voi due dovrà farsi carico di un compito molto importante durante la battaglia.»
Come se avesse udito quelle parole, re Cailan si voltò verso i tre. La sua espressione, da tirata e imbronciata, si fece gioiosa e gioviale. «Eccovi, finalmente! Temevo non sareste arrivati entro la fine del consiglio. Congratulazioni a entrambi: mi hanno detto che siete stati gli unici a superare il rituale dell’Unione.»
Melinor annuì, sforzandosi di uscire dal mutismo che l’aveva accompagnata nell’ultima mezz’ora. «Grazie, vostra maestà.»
Cailan le sorrise, per poi tornare a rivolgersi a Duncan. «Allora, hai già detto ai nostri campioni di cosa stavamo parlando?»
«Lo stavo giusto facendo, vostra altezza» annuì Duncan; poi tornò a parlare con i due neo-Custodi. «Uno di voi due dovrà stare di vedetta con Alistair nei pressi della torre di Ishal» indicò una torre alle spalle dei due elfi, oltre il ponte che conduceva all’accampamento. «Quando vedrete il segnale dal campo di battaglia, dovrete comunicare agli uomini di Loghain all’interno della torre di accendere il fuoco di segnalazione.»
«Si tratta di un compito di vitale importanza» intervenne Cailan; «se il segnale non verrà acceso, il plotone d’attacco di Loghain non saprà quando intervenire. Sapete, loro saranno il nostro asso nella manica: usciranno a sorpresa al momento opportuno, attaccando la prole oscura ai fianchi. Non avranno scampo.» Prese a guardare alternatamente i due elfi. «Allora, chi di voi andrà con Alistair?» chiese con fare sin troppo allegro. I suoi occhi si fermarono su Melinor. «Te la senti di andare tu?»
«Con tutto il rispetto, vostra altezza» s’inserì nuovamente Duncan. «Melinor è una maga, e avete lamentato più volte la scarsità di maghi nei nostri ranghi. Merevar sarebbe un aiuto prezioso, ed è un arciere eccezionale come tutti i Dalish; ma abbiamo già numerosi arcieri.»
Cailan sembrò rattristarsi. «Hai ragione, Duncan. Mi dispiace rinunciare alle capacità di un arciere Dalish, ma ora che me lo fai notare abbiamo più bisogno di maghi.»
«Chiedo scusa, signori» intervenne un’altra voce: un uomo magro e pelato, dalla faccia smunta e arcigna e dalla voce cantilenante, si avvicinò. «Noi maghi del Circolo abbiamo una certa preparazione, sappiamo come affrontare una battaglia. Non sappiamo come quest’elfa sia stata educata alle arti magiche» concluse, squadrando Melinor con scetticismo.
L’elfa sembrò dimenticare all'istante la terribile esperienza di poco prima: affilò lo sguardo e lo piantò in quello dell’uomo che, a quanto pareva, era un mago come lei.
«Perdonatemi, signor…»
«Uldred» disse stancamente l’uomo.
«… signor Uldred» riprese Melinor. «Come voi ben saprete, dall’alto dei vostri studi, ogni clan Dalish è seguito da un Guardiano. I Guardiani conoscono tutti i perduti segreti della magia elfica: persino incanti di cui, nei vostri circoli, voi maghi non avete mai sentito parlare.» Lo guardò quasi con aria di sfida. «Io sono stata educata dalla mia Guardiana, e avrei dovuto prenderne il posto. Ho portato a termine quasi del tutto la mia formazione, e posso assicurare a voi tutti che posso essere sia un’avversaria temibile in battaglia, sia un valido supporto in caso ci fosse bisogno di magia curativa.»
Uldred la guardò con un po’ di stizza.
«Quanto dice è vero, vostra altezza» confermò Duncan. «La Guardiana del clan mi ha assicurato personalmente che Melinor è molto abile.»
Cailan annuì. «E sia, allora. Melinor ci seguirà in battaglia, e suo fratello andrà con Alistair.» Sorrise con fare trionfante. «Domani, insieme, i Custodi Grigi e il re del Ferelden porranno fine a questo Flagello.»
«Sì, Cailan» asserì stancamente Loghain. «Sarà un momento glorioso per tutti noi.»

 


«Cosa?Non parteciperò alla battaglia?» esclamò Alistair pochi minuti più tardi, dopo aver appreso il piano.
«Sono ordini del re, Alistair: non discutere» replicò pacatamente Duncan.
«Già» si lamentò Alistair. «E guarda caso ha bisogno proprio di due Custodi che reggano una torcia…»
«Alistair ha ragione.»
Tutti si voltarono a guardare Merevar sbigottiti: sentirlo dare ragione a un umano era qualcosa di talmente surreale che tutti rimasero ammutoliti. Melinor aveva le labbra dischiuse mentre dubitava dell’identità di quell’elfo: non poteva essere davvero suo fratello.
«Dovremmo partecipare alla battaglia, siamo sprecati come vedette!»
«Il re ha dato un ordine, Merevar» rispose pazientemente Duncan. «Si fida dei Custodi Grigi: se il fuoco di segnalazione non verrà acceso, Loghain non saprà quando caricare e la battaglia sarà persa. Il vostro compito, per quanto semplice, è vitale.»
Merevar distolse lo sguardo, seccato; ce l’aveva con Duncan. Ce l’aveva a morte con lui perché aveva proposto sua sorella per la battaglia mettendola in pericolo, quando lui si riteneva molto più adatto e preparato.
«Possiamo almeno unirci a voi dopo aver adempiuto a questo vitale compito?» chiese ancora Alistair, con fare sarcastico. Duncan si lasciò scappare un sorriso bonario.
«Se avremo bisogno di voi vi manderemo a chiamare. Ora fareste meglio a prepararvi: la battaglia inizierà fra qualche ora. Se dovete salutarvi, fatelo ora.»
Melinor e Merevar si guardarono: nessuno dei due poté celare all’altro la propria preoccupazione. Melinor era relativamente contenta: sapeva che suo fratello sarebbe stato al sicuro, almeno per un po’. Merevar invece non poteva concedersi un tale lusso: se ne stava lì, impotente, a fissare la sorella che stava per scendere sul campo di battaglia. I due si abbracciarono senza dire una parola.
«Duncan» disse Alistair nel frattempo; «che possa il Creatore vegliare su di te.»
«Che possa vegliare su tutti noi» rispose Duncan. I due si strinsero la mano, guardandosi negli occhi; nello stesso istante i due gemelli sciolsero il loro abbraccio. Duncan prese Melinor con sé per condurla dai maghi del Circolo; Alistair e Merevar rimasero dov’erano, a guardarli sparire giù per le scale che portavano al campo di battaglia.



Qualche ora più tardi, tutti gli schieramenti erano in posizione: davanti alla fortezza di Ostagar l’esercito era in attesa. Alcune delle sorelle della Chiesa e la Venerata Madre¹ passavano fra le file dei soldati con i loro incensieri, recitando sommessamente il Canto della Luce. Il nervosismo e il mutismo imperavano sovrani: tutti avevano lo sguardo fisso sulla vallata innanzi ai loro occhi, e sugli alberi appena oltre.
Melinor e i maghi del Circolo erano al sicuro sopra uno dei bastioni: potevano vedere tutti gli uomini schierati, immobili e silenti. L’elfa era seduta, silenziosa e assorta; una donna anziana dai capelli d’argento e gli occhi celesti le si avvicinò.
«Melinor, giusto?» le chiese; la ragazza annuì, e la donna sorrise. «Io sono Wynne. Uldred mi ha detto di ragguagliarti su alcune delle tattiche difensive di gruppo utilizzate da noi maghi del Circolo, in modo che al momento giusto tu possa unirti a noi.» La guardò con curiosità. «Uldred dice che sei stata istruita come Guardiana, e che sei molto abile sia con gli attacchi offensivi che nel supporto e nella difesa.»
Melinor alzò le sopracciglia. «Ah, davvero? Non è sembrato molto impressionato quando ci siamo presentati.»
«Non farci caso, lui è sempre un po’ scorbutico» ridacchiò la donna. «Dimmi, Melinor: è la tua prima volta con la prole oscura?»
L’elfa scosse la testa. «Ho affrontato qualcuno di quei mostri prima di venire reclutata nei Custodi Grigi.»
Wynne annuì con il capo. «Bene, allora sai già a cosa andiamo incontro.»
Parlò così per incoraggiarla, ma qualche ora dopo Melinor comprese che l’esiguo numero di prole oscura affrontato in precedenza non era stato affatto sufficiente a prepararla a quella battaglia.
Le prime luci dell’alba erano oscurate da una coltre di nubi dense e scure, accese qua e là da violenti fulmini che squarciavano la volta celeste; la pioggia aveva iniziato a cadere su tutti loro.
Una sentinella emerse dalla vegetazione oltre la vallata agitando le braccia. Era il segnale che tutti attendevano.
«State pronti!» esclamò re Cailan al suo esercito. «Questo Flagello termina qui!»
Attesero una decina di minuti, che pesarono sulle loro spalle quanto un’eternità. E alla fine lo videro: un infinito brulicare di mostri purulenti che emergevano dalla foresta per attraversare la vallata. Ogni tipo di prole oscura era schierato: hurlock, genlock, emissari con i loro temibili poteri magici, e numerosi ogre, i più grossi e letali di tutti.
Melinor era riuscita a dominare l’agitazione fino a quel momento, ma innanzi a quella visione le sue gambe presero a tremare: gli occhi le si riempirono di paura e un fremito l’attraversò. Una mano si posò sulla sua spalla: si voltò e incontrò gli occhi di Wynne, decisi e incoraggianti. Con un cenno del capo e un tiepido sorriso le stava dicendo di farsi coraggio: per lo meno loro erano al sicuro su quel bastione sopraelevato. I soldati della fanteria erano quelli nella peggior posizione.
La prole oscura iniziò la sua carica: un assordante rumore d’infiniti passi riempì l’aria.
«Arcieri!» gridò Cailan: una pioggia di frecce infuocate si abbatté sulle file nemiche, decimando le prime file.
«Segugi!» gridò ancora; un’infinità di cani da guerra, i possenti mabari del Ferelden, corsero incontro alla prole oscura. Attaccarono e fecero a pezzi ogni mostro che riuscirono ad agguantare.
«Per il Ferelden!» urlò infine Cailan, lanciandosi insieme al suo esercito in una carica frontale.
Melinor strinse il suo bastone, pronta a scagliare i suoi incantesimi sui nemici.


Alistair e Merevar osservavano dall’alto: la pioggia batteva sui loro occhi e aveva pressato i loro capelli biondi sulle loro teste. La coda di cavallo di Merevar gocciolava alle sue spalle, e il ciuffo di Alistair era appiccicato alla sua fronte. Erano sul ponte che conduceva alla torre di Ishal.
«Andiamo, Merevar; dobbiamo essere pronti in caso arrivi il segnale» disse Alistair all’elfo. Questi era rimasto pietrificato a fissare la battaglia appena esplosa: i due eserciti si stavano amalgamando fra loro, frecce sibilavano nel cielo ed enormi massi piovevano su Ostagar lanciati dai giganteschi ogre e dalle loro macchine da guerra. Tutto ciò a cui Merevar riusciva a pensare era che sua sorella era laggiù, da qualche parte. Si decise a ricomporsi udendo le parole di Alistair: scrollò le spalle e si mise a correre dietro all’umano lungo il ponte.
Lo attraversarono in fretta e furia, evitando per un soffio un enorme masso infuocato che per poco non distrusse completamente il ponte; stavano per raggiungere la torre quando due uomini andarono loro incontro.
«Sono i Custodi Grigi!» esclamò un mago. Insieme a lui un soldato in armatura correva loro incontro.
«La prole oscura ha preso la torre!» disse quest’ultimo, in preda al panico.
«Cosa? Com’è possibile che siano arrivati fin qui?» esclamò Alistair.
«Sono emersi da sottoterra» spiegò il mago. «Hanno ucciso tutti! Noi siamo riusciti a scappare per miracolo!»
«Maledizione» sbottò Merevar. «E adesso come facciamo? Chi accenderà il fuoco di segnalazione?»
«Lo faremo noi, non abbiamo scelta» decretò Alistair.
«Ma la torre è piena di quei mostri!» obiettò il soldato. «Non ce la farete mai ad arrivare in cima da soli!»
«E chi ha mai parlato di andare da soli? Voi due verrete con noi» disse perentorio Alistair.
«Aspetta» lo interruppe Merevar. «Se noi andiamo lassù, chi resterà qui ad aspettare il segnale?»
«Nessuno, ma non abbiamo scelta» esclamò Alistair. «Se non lo facciamo noi, nessun altro lo farà; e Loghain non saprà quando attaccare. Ci faremo strada attraverso la prole oscura fino alla cima della torre, e sono certo che entro allora il segnale verrà lanciato. Andiamo, presto!»
Merevar rimase stupito nel vedere quell’umano così deciso e risoluto: sin dal primo momento in cui l’aveva visto l’aveva considerato un insopportabile buffone, e non aveva mai capito cosa ci facesse fra i ranghi dei Custodi Grigi. Dovette ricredersi suo malgrado nel seguirlo all’interno della torre di Ishal.



Raggruppati sul bastione che li manteneva alti sopra al putiferio che imperversava al suolo, i maghi assistevano l’esercito: supportavano e curavano i soldati, e all’occorrenza attaccavano i nemici. Melinor si occupava per lo più di attaccare: scagliava pugni di pietra, palle di fuoco e scariche elettriche sulla prole oscura, facendo strage fra i loro ranghi.
«Attenzione! Ogre!» gridò una voce alle sue spalle.
Una figura mostruosa avanzava tra uomini e mostri, alta almeno cinque metri: aveva due enormi corna sulla testa e un muso orrendo quanto quello di tutti i suoi simili, munito di affilati denti. Il suo corpo possente e violaceo procedeva nella bolgia, pestando con noncuranza chiunque si trovasse sulla sua strada.
«Attacchiamolo tutti insieme, forza! Maghi, con me!» gridò Uldred alle spalle di Melinor. Lei non perse nemmeno un istante: insieme agli altri maghi prese a lanciare ogni incanto che aveva a disposizione contro la terribile creatura. Quella emise un gutturale ruggito, rabbiosa: coprendosi la testa con le mani, guardò di sbieco il gruppo di maghi. Poi si voltò, dirigendosi verso un cumulo di macerie lì accanto: sotto gli occhi sgomenti dei maghi, sollevò un enorme blocco di marmo come se fosse una mela. Lo alzò sopra la testa, mirando il bastione.
«Barriera difensiva, presto!» gridò Uldred. I maghi si compattarono: una cupola di luce azzurrina si levò attorno a loro. Nello stesso istante, l’ogre lanciò il masso. Esso volò sopra ai soldati, andando a scontrarsi con la cupola difensiva: i maghi poterono osservare l’enorme masso sopra alle loro teste mentre incrinava il costrutto magico.
«La barriera cederà!» gridò Uldred. «Portatevi ai margini della cupola e tenetevi pronti a scansarvi quando il masso cadrà!»
Tutti fecero come era stato ordinato dal coordinatore del Circolo: restarono a guardare la barriera mentre si lacerava, per finire infine in frantumi. Tutti balzarono ai lati del masso, la cui caduta era stata rallentata notevolmente. Ma una crepa si formò comunque nel bastione: Melinor sentì la pietra franare sotto ai suoi piedi. Cadde nel vuoto, riuscendo miracolosamente ad aggrapparsi con una mano a ciò che restava in piedi del bastione.
Si voltò un solo secondo: e fu allora che lo vide. L’ogre aveva appena afferrato re Cailan nella sua stretta mortale, sollevandolo da terra: schizzi di sangue partirono dal suo pugno mentre le sue rozze dita si stringevano attorno alla vita del giovane re. Melinor rimase a guardare inorridita, dimentica della sua precaria condizione, mentre il corpo esanime del re veniva gettato via come una scomposta bambola di pezza.
Gli uomini tutt’attorno andarono nel panico alla vista del loro re deceduto: solo uno fra loro reagì. Melinor vide Duncan balzare sull’ogre e piantargli due lame nel cuore. La creatura tentò di lottare, riuscendo a conficcare i suoi artigli nel fianco di Duncan; ma alla fine cadde in una pozza di sangue.
Melinor rimase a guardare Duncan trascinarsi verso il corpo del re; poi lo vide cadere in ginocchio, con le mani pressate sul fianco ferito che sanguinava copiosamente. L’uomo alzò lo sguardo verso il cielo, e un barlume di speranza sembrò illuminare i suoi occhi: Melinor seguì il suo sguardo. Le sue iridi si fecero più grandi nel vedere il fuoco di segnalazione acceso in cima alla torre di Ishal.
Merevar pensò, rincuorata.
Si voltò verso Duncan: ma nel punto in cui l’uomo stava in ginocchio poco prima, una moltitudine di prole oscura si accaniva contro il suo corpo.

 

In cima alla Torre di Ishal, Merevar e Alistair giravano attorno al corpo di un ogre, sfiniti: avevano dovuto affrontare un’infinità di prole oscura per giungere fin lì, e solo per trovare il mostro più grosso di tutti ad attenderli. Il mago e il soldato che li avevano accompagnati erano caduti nel combattere quell’orrore: gli stessi Alistair e Merevar ne erano usciti malconci e sanguinanti.
«Questi maledetti mostri non avrebbero dovuto trovarsi qui» disse Alistair con grande affanno. «Come diamine hanno fatto a scavarsi un tunnel fino alla torre?»
«Ti lamentavi del fatto che non avresti partecipato alla battaglia» rispose ansimante Merevar; «hai avuto una battaglia tutta per te, non sei contento?»
«Ehi, hai ragione» ridacchiò Alistair. Poi la sua espressione mutò repentinamente. «Merevar, giù!»
Il suo avvertimento giunse troppo tardi: una freccia trapassò la spalla dell’elfo, e un’altra gli si piantò nel fianco. Una moltitudine di prole oscura stava entrando dalla porta: Merevar cadde a terra con un lamento.
Alistair si parò fra lui e l’ondata di mostri immondi: riuscì a tenerne a bada parecchi, ma uno riuscì a scappargli. Un genlock si avventò su Merevar, disteso a pancia in giù con la testa rivolta all’indietro: vide il mostro sopra di lui con un’ascia alzata.
Sbarrò gli occhi: Alistair entrò repentinamente nel suo campo visivo mettendosi fra loro. Prese il colpo destinato all’elfo dritto nella schiena. È la fine furono gli ultimi pensieri dell’elfo.



«Amell, vieni ad aiutarmi!» gridò Wynne. Una giovane ragazza dai capelli castani accorse: insieme all’anziana maga tirò su Melinor, riportandola con i piedi sul bastione diroccato.
«Il re è morto!» esclamò l’elfa, sotto lo sguardo sbigottito delle due. Wynne si voltò verso la torre di Ishal.
«Qualcosa dev’essere andato storto» disse, con gli occhi fissi sul fuoco di segnalazione. «Loghain sarebbe dovuto intervenire a quest’ora; non…»
S’interruppe: i suoi occhi si posarono su un’enorme ombra che stava sorvolando il cielo. Melinor e la ragazza di nome Amell seguirono il suo sguardo: i loro occhi si colmarono di terrore.
«L’arcidemone» sussurrò Wynne. «Siamo spacciati… la battaglia è persa…»
Rimasero a guardare l’enorme drago dalle scaglie violacee che planava sulla torre di Ishal, iniziando a distruggerne la sommità. Melinor scattò sull’attenti.
«Lassù c’è mio fratello! Devo aiutarlo!» Fece per muoversi, ma la mano di Wynne la prese per un braccio.
«Non puoi fare niente, ragazza; non arriveresti mai in tempo!»
«Non in questa forma, forse!» esclamò Melinor. Impugnò il suo bastone con entrambe le mani: una luce verde l’avvolse. Il suo corpo iniziò a mutare, rimpicciolendo gradualmente sotto gli occhi increduli delle due maghe.
Il bastone di Melinor cadde a terra mentre lei, trasformatasi in un falco, volava rapida verso la torre di Ishal.
Mentre era in volo pensava soltanto a suo fratello: non pensò che non avrebbe potuto fare nulla contro un drago, nessun pensiero razionale riusciva a scalfirla in quell’istante. Doveva raggiungere Merevar a ogni costo.
Mentre era in volo, notò una fila di soldati allontanarsi dalla battaglia: i suoi occhi di falco individuarono immediatamente Loghain in testa al plotone. Ma che sta facendo? pensò, indignata. Ma subito la sua attenzione fu catturata da qualcos’altro.
Ormai era alta nel cielo, a metà strada tra il campo di battaglia e la torre: vide il drago levarsi in volo con due corpi esanimi, ognuno stretto fra le dita delle zampe artigliate. Due giovani ragazzi biondi.
Si sentì mancare nel riconoscere Alistair e Merevar. E poi, proprio quando stava per cadere vittima del panico, una voce s’insinuò nella sua testa.
Vieni con me, figlia del Popolo.
Il drago le rivolse una fugace occhiata; Melinor si chiese come fosse riuscito ad accorgersi di lei nonostante la sua forma d’uccello. E si chiese perché quel drago, che sembrava essere l'arcidemone a capo dell'esercito di prole oscura, la stesse chiamando.

Confusa ma irresistibilmente attratta da quella voce, volò dietro al drago senza battere ciglio.




 

NOTE

¹: le sorelle e i fratelli sono figure facenti parte della Chiesa Andrastiana. Rappresentano il rango più basso nella gerarchia ecclesiastica, e si dividono in affermati, iniziati e chierici. Tutti i ranghi superiori possono essere raggiunti solo dalle donne. Le Madri sono coloro che possono celebrare cerimonie, e se messe a capo di una chiesa vengono chiamate Venerate Madri. Vi sono poi le Somme Sacerdotesse, che supervisionano più chiese. Al vertice si trova la Divina, capo incontrastato dell'intera istituzione della Chiesa Andrastiana.

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Capitolo 7
*** Gli ultimi Custodi Grigi ***


 

Vide un tetto di paglia sorretto da una rudimentale impalcatura di legno; una fitta lo colpì alla testa non appena la luce del fuoco, seppur debole, sfiorò le sue iridi. Tentò di muoversi, e subito avvertì quanto fossero indolenzite e doloranti le sue membra. Emise un lamento.
«Oh, finalmente i tuoi occhi si aprono. Mia madre sarà contenta.»
Merevar tentò di girare la testa; gli ci vollero parecchi secondi, ma alla fine ci riuscì. Una ragazza mora dagli occhi gialli si stava avvicinando.
«Tu... la ragazza delle Selve...» mormorò, scoprendo che la sua voce risuonava come un sussurro arrochito.
«Sì; sono Morrigan, in caso l'avessi dimenticato» puntualizzò l'altra.
Merevar riuscì a muoversi appena, sentendo il suo corpo che iniziava a informicolarsi: il sangue si rimetteva in moto dopo chissà quanti giorni di stasi. Si alzò sui gomiti, guardandosi attorno. «Dove sono?»
«A casa mia, nelle Selve. Io e mia madre abbiamo curato le tue ferite. Ah, e anche tua sorella ci ha aiutate; è rimasta con te tutto il tempo. È buffo che non sia qui proprio ora che ti sei svegliato.»
Mia sorella? pensò l'elfo; fu in quell'istante che i ricordi lo travolsero. La battaglia, la torre invasa dalla prole oscura, Alistair che combatteva sopra di lui...
«Che è successo?» gracchiò.
«La prole oscura ha vinto la vostra battaglia, se è a questo che ti riferisci» spiegò Morrigan. «L'uomo che doveva rispondere al vostro segnale si è ritirato, lasciando il resto dell'esercito a morire. Questo è quanto ci ha detto tua sorella.»
Merevar rimase muto: non sapeva cosa pensare. Rivide nella sua mente quel tale, Loghain: perché mai avrebbe fatto una cosa del genere?
«Sono tutti morti?» chiese.
«La maggior parte sì; i pochi sopravvissuti lo saranno presto. La prole oscura li sta prendendo per trascinarli sotto terra; prendono le donne, per lo più. Non so dirti perché.»
Merevar scosse il capo, incredulo: non aveva alcun amore per gli umani, ma nemmeno un elfo dalish orgoglioso come lui poteva restare indifferente a una tragedia di tale portata. Decine di migliaia di persone erano morte, e la cosa peggiore era che altrettanta prole oscura era sopravvissuta e aveva ora libero accesso al Ferelden.
«Come sono arrivato qui? Ricordo che ero in cima alla torre, avevamo appena acceso il fuoco... e poi è arrivata la prole oscura...»
«Mia madre ha salvato te e il tuo amico, portandovi in salvo.»
Merevar apparve confuso. «Quale amico? Alistair?»
«Sì, quello sciocco sospettoso che era con voi quando ci siamo incontrati la prima volta. Ha continuato a lagnarsi da quando si è risvegliato, piagnucolando che tutti i Custodi sono morti» commentò acida Morrigan. Merevar non si espose: si affacciò alla sua mente il ricordo dell'umano che si frapponeva fra lui e la morte.
«Come ha fatto tua madre a salvarci?» chiese, tornando sull'argomento precedente. «Come è riuscita a raggiungerci in cima a quella torre, se Ostagar era stata presa dalla prole oscura?»
Morrigan si strinse nelle spalle con noncuranza. «Si è trasformata in un enorme... uccello e vi ha portati via, ognuno stretto in una zampa. Non ricordi nulla?»
Lui scosse il capo, incapace di rimembrare alcunché. «Dov'è mia sorella? Lei sta bene?»
«Sì, lei non era ferita; quando ha visto mia madre in cima alla torre con voi due, ha usato la sua magia per trasformarsi in un falco e seguirla.» Morrigan fece un mezzo sorrisetto. «Non sapevo che fosse una mutaforma anche lei; voi dalish avete molte risorse. Se non fosse stata in grado di mettere un paio di ali non sarebbe mai riuscita a sfuggire a quel macello. Se vuoi puoi aspettarla qui fuori, è uscita con mia madre per raccogliere altre erbe curative. Dovrebbero tornare a momenti.»
Merevar si alzò con molta cautela, muovendosi lentamente per evitare capogiri: non si sentiva molto stabile. Quando finalmente fu riuscito a rimettersi in piedi, si diresse verso la porta; prima di aprirla si voltò. Morrigan era intenta a rimestare un pentolone di zuppa che ribolliva sul camino: pensò di ringraziarla, ma poi cambiò idea. Aprì la porta e uscì.
Si trovò davanti la stessa palude che aveva visto il giorno prima della battaglia; si chiese quanti giorni erano passati da allora. Una figura solitaria sedeva davanti al laghetto che circondava quasi per intero la capanna: aveva il torace completamente bendato, e indossava soltanto un paio di pantaloni. Subito il ricordo di lui mentre gli salvava la vita riemerse, e proprio in quel momento il ragazzo si girò.
«Merevar» esclamò, sorpreso. Alistair si alzò per andargli incontro. «Temevamo non ti saresti più svegliato» mormorò incredulo. «Come ti senti?»
«Confuso... e frastornato» ammise Merevar. Lo sguardo gli cadde sulle bende che avvolgevano il torace dell'umano. «Tu?»
«Ho avuto momenti migliori» rispose quello, abbozzando un mezzo sorriso. «Tua sorella si è data un gran da fare per curarmi. Oh, Morrigan ti ha detto di lei? Per fortuna è riuscita a salvarsi...»
«Sì, me l'ha detto» disse l'elfo, guardandosi in giro. Di lei non c'era ancora traccia. «Mi ha detto tutto, anche di come abbiamo perso la battaglia.»
Alistair scosse il capo; i suoi occhi trasudavano tristezza. «Non mi sembra reale... Duncan è morto, così come gli altri Custodi e il re... se non fosse stato per Flemeth, saremmo morti anche noi in cima a quella torre...»
All'udire quel nome, Merevar trasalì. «Hai detto Flemeth?»
L'espressione di Alistair si fece misteriosa mentre iniziava a bisbigliare. «Sì. La madre di Morrigan... dice di chiamarsi Flemeth.»
Gli occhi verdi dell'elfo s'ingrandirono ancora di più. «Aspetta... stiamo parlando della Flemeth delle leggende?»
«Gliel'ho chiesto anch'io» rispose Alistair, stringendosi nelle spalle con fare incerto. «Lei non ha confermato, ma non ha neanche smentito. Ha solo detto che “i nomi sono cose carine, ma inutili”.»
«Bah! Pensavo che due Custodi Grigi appena scampati alla morte avessero di meglio da fare, invece vi trovo qui a fare le pettegole.»
I due sussultarono: Flemeth stava emergendo dalle selve poco più in là. Al suo fianco, Melinor reggeva due sacchi pieni di erbe: era rimasta pietrificata a guardare Merevar. Nel vederla, lui si fece avanti; lei lasciò cadere i sacchi a terra e gli corse incontro. Si abbracciarono senza dire nulla per diversi istanti.
«Sei vivo» sussurrò lei al suo orecchio con le lacrime agli occhi.
Lui annuì senza dire nulla; si staccarono e rimasero a fissarsi in quegli occhi identici, increduli e sollevati nel realizzare che erano sopravvissuti entrambi. Alle loro spalle, Flemeth stava raccogliendo i sacchi che Melinor aveva lasciato cadere a terra. Poi si avvicinò ai tre giovani.
«Bene, ora che siete tutti coscienti dovremmo parlare di ciò che verrà» esordì. Indicò il fuoco che ardeva davanti al capanno. «Accomodatevi e prendetevi un attimo per ragguagliarvi. Morrigan arriverà presto con la cena, così potremo parlare davanti a un pasto caldo.»
I tre si sedettero attorno al fuoco: nessuno aveva molto da dire. Scambiarono qualche parola, ma ogni discorso sembrava frivolo dopo ciò che avevano passato. Mezz'ora dopo Morrigan e Flemeth arrivarono con la zuppa, sollevandoli da quel fastidioso nervosismo.
«Allora, giovanotti» introdusse l'argomento Flemeth. «Merevar si è finalmente svegliato, e la ferita di Alistair si sta lentamente rimarginando. Tra un paio di giorni potrete partire. La mia domanda è: cosa farete, ora che siete gli unici Custodi Grigi rimasti?»
Alistair ridacchiò con sconsolatezza. «Questa è proprio una bella domanda. Noi siamo le tre reclute più giovani dell'ordine... e non ho proprio idea di cosa dovremmo fare.» I suoi occhi si colmarono di rabbia. «Io non capisco! Perché Loghain ci ha traditi? Il re stava per vincere la battaglia!»
Flemeth lo guardò con aria grave. «Il cuore degli uomini nasconde molte cose, giovanotto. La sete di potere alberga in molti più animi di quanto immagini.»
Alistair la guardò accigliato; fu Melinor a parlare.
«Ma non ha senso... cosa potrebbe guadagnare uno come Loghain da tutto questo? È solo un comandante cosa sperava di ottenere?»
«Il trono, magari» sbottò Alistair. «Sua figlia è... era» si corresse «la moglie del re.»
«Siamo proprio sicuri che non si sia trattato di un incidente?» obiettò Merevar. «Qualcosa potrebbe essere andato storto durante la battaglia, costringendolo a ritirarsi...»
«No, Merevar» disse Melinor. «L'ho visto io, con i miei occhi: se ne stava andando tranquillamente per la sua strada. Se fosse intervenuto quando avete acceso il fuoco, la battaglia avrebbe avuto un esito molto diverso.»
Alistair era furente: stringeva i pugni adagiati sulle sue ginocchia al punto da far impallidire le nocche. Nessuno parlò, lasciando il silenzio a farla da padrone; fu ancora una volta Flemeth a prendere in mano la situazione.
«Dovete fare qualcosa, e presto. Il Flagello non si fermerà qui: la prole oscura ha già iniziato a lasciare le Selve per penetrare nell'entroterra. Se non agite in fretta vi distruggerà tutti. Presto potrebbe comparire l'arcidemone, e a quel punto... saremo tutti condannati.»
Melinor si voltò a guardarla. «Cos'è di preciso quest'arcidemone?»
«Un drago» replicò Alistair.
«Un drago, sì; ma non uno qualunque» integrò Flemeth. «La storia narra che nei tempi antichi il Creatore condannò gli antichi Dei dell'impero Tevinter, relegandoli nelle profondità della terra a dormire per l'eternità in forma di draghi. Ma quando la prole oscura, attirata dal loro potere, li trova e li risveglia, le anime di questi antichi Dei vengono corrotte: essi si trasformano in pericolosissime creature in grado di radunare e condurre in battaglia persino esseri stupidi come la prole oscura.»
«Perfetto!» esclamò Merevar, sarcastico. Alzò le braccia al cielo, esasperato. «E noi tre cosa possiamo sperare di fare contro un antico dio corrotto?»
«Potreste usare i trattati che vi ho dato, tanto per cominciare» suggerì Flemeth.
«I trattati, è vero!» esclamò Alistair. «Quei trattati obbligano diverse fazioni ad aiutarci in caso di Flagello! Mi sembra che comprendano il regno dei nani, il Circolo dei maghi e persino gli elfi dalish!»
Merevar lo guardò con tanto d'occhi all'udire la parte relativa ai dalish; un'occhiata d'intesa con Melinor bastò a convincerlo della veridicità di quelle parole. Lei lo sapeva, lo aveva appreso dalla guardiana.
«Peccato che siano rimasti all'accampamento» ricordò poi Alistair, perdendo ogni traccia dell'entusiasmo che l'aveva rianimato poco prima.
«Questo non è un problema» disse Flemeth. «Può andare Morrigan a recuperarli, si trasformerà in un corvo; la prole oscura non farà caso a lei. È troppo intenta a banchettare con i cadaveri dei soldati.»
«Oh, sì; mandiamo pure Morrigan senza chiederle nulla» brontolò la diretta interessata.
«Vado anch'io con lei» si propose Melinor. «Essere in due sarà d'aiuto in caso qualcosa dovesse andare storto.»
«Bene, allora; procederemo così. Vi conviene andare domani all'alba; ora andate tutti a riposare.»


L'indomani mattina le due mutaforma volarono verso Ostagar: con la guida di Melinor, Morrigan trovò facilmente ciò che restava della tenda di Duncan, prese le pergamene e lesta volò via insieme all'elfa. Attesero una giornata intera per verificare le condizioni di Merevar, il quale disse di sentirsi finalmente più stabile; la partenza fu infine arrangiata per il giorno successivo.
«Grazie di tutto» disse Melinor a Flemeth prima di partire.
«Oh, non ringraziarmi» ribatté l'altra. «Grazie a voi per ciò che state per fare. Solo i Custodi Grigi possono fermare questo Flagello e salvarci tutti. E, per assicurarmi che la vostra missione vada a buon fine, voglio farvi un ultimo dono.» Indicò con un cenno della mano Morrigan, in piedi accanto a lei. «Mia figlia verrà con voi: vi sarà di grande aiuto. Vi condurrà al sicuro fuori dalle Selve, e la sua magia vi tornerà utile più avanti.»
Morrigan squadrò sua madre da capo a piedi. «E io non ho alcuna voce in capitolo?»
«Oh, andiamo Morrigan! Da anni desideri uscire dalle Selve per vedere il mondo. Ecco, questa è la tua occasione per assecondare i tuoi desideri giovanili e fare al contempo qualcosa di utile.»
Morrigan la guardò con stizza. «Com'è gentile da parte tua cacciarmi via così, madre! Ricorderò questo momento con grande affetto!» Sospirò, rassegnata. «Vado a prendere le mie cose.»
Attesero che la ragazza facesse ritorno; in quel lasso di tempo, Alistair si avvicinò a Melinor.
«Dobbiamo proprio portarla con noi? Quella Morrigan non mi piace» bisbigliò al suo orecchio.
«Abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile, Alistair» lo redarguì lei. «Cerca di mettere da parte la vostra antipatia reciproca.»
«Sì, hai ragione; ma farà bene a lasciarmi in pace. Da quando siamo qui non ha fatto altro che tormentarmi con le sue frecciatine sulla mia presunta stupidità» brontolò.
Morrigan uscì dalla capanna con la borsa in spalla per unirsi ai suoi nuovi compagni; salutarono Flemeth, e Melinor la ringraziò ancora una volta. Fra le due sembrava esserci una strana intesa, e Merevar lo notò. Voltarono le spalle alla capanna e alla donna, e seguirono Morrigan in mezzo alle Selve.

 

Quella notte si accamparono al limitare nordico delle Selve. Morrigan e Melinor usarono lo stesso incantesimo di protezione utilizzato da Flemeth per proteggere la sua capanna dalla prole oscura, in modo che non avvertissero la loro presenza. Montarono le tende e misero qualcosa sotto ai denti.
Dopo aver cenato, Merevar si avvicinò a sua sorella.
«Posso parlarti?» le chiese; si allontanarono dagli altri due.
«So cosa vuoi chiedermi» disse Melinor, prima ancora che il fratello aprisse bocca. «Sì, era proprio lei.»
Merevar sgranò gli occhi, esterrefatto. «Quindi quella era davvero Asha'bellanar?»
Melinor annuì, seria. Asha'bellanar, in elfico la donna dai molti anni, una figura leggendaria e rispettata persino fra i dalish. I Guardiani dei clan avevano sempre avuto un profondo rispetto per lei, e sembravano sapere qualcosa di lei che nessun altro sapeva. Merevar posò lo sguardo su Morrigan, china davanti al fuoco in lontananza. «E da quando Asha'bellanar ha una figlia? Pensavo fossero solo leggende...» continuò a fissare la giovane strega. «Incredibile... tutta questa storia è assurda» mormorò. «Il Flagello, Asha'bellanar che fra tutti salva proprio noi tre... secondo te perché l'ha fatto?»
«Non ne ho idea; ma c'è sempre una ragione precisa dietro alle sue azioni» replicò Melinor.
Merevar la guardò e, sorprendentemente, sorrise. «Non ti perdonerò mai per esserti cacciata in questo guaio quando avresti potuto evitarlo; ma devo ammetterlo, sono contento che tu sia con me.»
Melinor sorrise di rimando; poi il suo sguardo andò a cadere su Alistair, seduto in disparte. «Devo andare a cambiargli la fasciatura» sospirò.
Merevar la guardò lievemente turbato. «Le sue ferite erano gravi?»
«Sì, una in particolare. Se la sua armatura fosse stata di qualità più scarsa non se la sarebbe cavata. Si è preso un colpo d'ascia in mezzo alla schiena, la ferita era molto profonda. Non si è ancora rimarginata completamente nonostante tutta la magia che ho usato.»
Merevar aggrottò le sopracciglia, e Melinor lo fece a sua volta. «Non mi dire che ti preoccupi per lui...»
L'elfo tornò in sé all'improvviso, andandosene verso il fuoco a passi decisi. «Ma figurati» rispose acido, mentre Melinor ridacchiava alle sue spalle.
Fra le deboli proteste di Alistair, l'elfa iniziò a togliere le bende sporche che fasciavano il suo torace; quando ebbe terminato, chiamò Merevar. «Mi porteresti la borsa con le bende e le medicine?»
L'elfo obbedì, portandosi al fianco della sorella nel porgerle la borsa; s'immobilizzò con un'espressione impressionata. Nel prendere la borsa dalle sue mani Melinor lo notò.
«Che c'è? Ti fa impressione?» gli chiese, perplessa. Sapeva che suo fratello non si lasciava infastidire dalla vista del sangue; era un cacciatore, del resto. Anche Alistair, che era seduto su un masso dando le spalle a Melinor, si voltò a guardarlo. Gli occhi dei due ragazzi s'incontrarono.
«Io... non ti ho mai ringraziato per quella volta» bofonchiò l'elfo. «Perciò... grazie.»
Le sopracciglia dell'umano s'inarcarono verso l'alto per la sorpresa. «Figurati... non c'è di che» replicò un po' titubante.
Merevar si allontanò sotto lo sguardo esterrefatto della gemella. A bocca aperta, l'elfa guardò Alistair. «E quello cos'era?» gli chiese.
«Ehm... era tuo fratello» rispose lui, non sapendo bene cosa replicare.
«Alistair, lui ti ha ringraziato» esclamò lei. «Lui non ringrazia gli umani, è già tanto se ti rivolge la parola... cos'hai fatto per meritarti un grazie da parte sua?»
Alistair avrebbe riso in condizioni differenti, ma non quel giorno. «Hai presente quella ferita che stai trattando da giorni? Me la sono procurata mettendomi fra lui e un genlock.»
Melinor lo fissò con gli occhi verdi colmi di sorpresa. «Tu... gli hai salvato la vita?»
«Così sembra» si limitò a dire il ragazzo; Melinor non aggiunse altro. Si mise a pulirgli la ferita e a sostituire le bende.
«Sei stato molto silenzioso in questi giorni, Alistair» esordì a un tratto, rompendo il silenzio. «Non hai fatto neanche una delle tue battute» cercò di scherzare.
«Sì, beh... non sono dell'umore adatto per fare battute» ammise lui a mezza voce.
Melinor si aspettava quella risposta; continuò a parlare mentre iniziava a fasciare il torace del ragazzo. «Capisco come ti senti.»
«Ne dubito» disse lui; ma subito la sua espressione, da apatica qual era, divenne una maschera di preoccupazione. «Scusami, io... spero di non averti offesa» si premurò di dirle, voltandosi verso di lei. L'elfa gli sorrise appena, comprensiva, dicendogli con un cenno della mano di riallineare la schiena per permetterle di chiudere la fasciatura.
«Non ti preoccupare; come ho detto, capisco come ti senti. Hai appena perso i tuoi amici e Duncan... erano la tua famiglia, proprio come il mio clan era la mia.»
«Almeno tu sai che sono vivi là fuori, da qualche parte...»
«Non Tamlen.»
Alistair si voltò sentendo che le mani dell'elfa avevano smesso di armeggiare; trovò un sorriso triste sul suo volto, i suoi occhi persi a mezz'aria in un vuoto che solo lei vedeva.
«Tamlen era nostro fratello. Era con Merevar quando hanno trovato lo specchio; è stato proprio lui a toccarlo, scatenando la corruzione attorno a sé.»
«Quindi... si è ammalato come Merevar?» chiese il ragazzo in un sussurro.
Melinor strinse con un nodo la fasciatura, terminando il suo lavoro; poi si sedette a terra, accanto al masso su cui sedeva Alistair. «Non l'abbiamo mai trovato. Non era insieme a Merevar quando Duncan l'ha trovato; l'abbiamo cercato ovunque, ma non c'era alcuna traccia di lui. Non abbiamo nemmeno potuto seppellire il suo corpo.»
Alistair la guardò con aria mortificata. «Mi dispiace, io... non ne avevo idea. Non intendevo far riemergere questi ricordi.»
Melinor fece ondeggiare una mano. «A volte aiuta condividere certe cose con qualcuno che capisce ciò che provi.»
Alistair la guardò per alcuni istanti, assorto in chissà quali pensieri.
«Duncan era come un padre per me. E sapere che non ero lì con lui, sapere che avrei potuto aiutarlo... ha fatto così tanto per me, portandomi via da quell'orribile vita da templare; e io non ero lì. Non so nemmeno come è morto» si confidò.
«Saperlo ti farebbe sentire meglio?»
Le iridi ambrate del ragazzo tornarono a posarsi sulla figura rannicchiata a terra dell'elfa. «Tu sai cos'è successo? Sai com'è...» non riuscì a terminare la frase.
Melinor annuì. Gli raccontò ogni cosa, di come l'ogre avesse ucciso re Cailan e di come Duncan avesse reagito per vendicarlo. Gli raccontò com'era finita; alla fine del racconto, Alistair se ne stava con i gomiti poggiati sulle ginocchia, le mani intrecciate e la testa bassa, intento a nascondere le lacrime.
«Io ero appesa al bastione con una mano, non ho potuto fare niente; è successo tutto talmente in fretta... ma voglio dirti una cosa, Alistair. Poco prima di morire, Duncan ha guardato la torre di Ishal e ha visto il fuoco: ti giuro che ho visto brillare nei suoi occhi la speranza. Lui sapeva che tu eri là, credeva in te: ed era felice, anche se è durata solo un attimo. Perché sapeva che c'era ancora speranza.»
Alistair cercava disperatamente di soffocare i singhiozzi; Melinor non poté evitare di provare compassione per lui. Conosceva quel dolore: era ancora vivo in lei. Gli posò una mano sulla gamba, per dargli coraggio.
«Noi siamo sopravvissuti, e abbiamo la possibilità di fermare questo Flagello. Non so ancora come, ma troveremo un modo. Lo dobbiamo a tutti quelli che abbiamo perso. Tutto questo è doloroso, ma dobbiamo farci forza e andare avanti. Dobbiamo farlo per loro.»
Alistair parve ricomporsi; risollevò il capo, dando modo a Melinor di vedere i suoi occhi bagnati. Annuì senza dire nulla.
Melinor abbozzò un sorriso; si rialzò in piedi, stiracchiando la schiena. «Ora è meglio che vada, il primo turno di guardia tocca a me.»
«No, lascia stare; ci penso io» la fermò lui, alzandosi a sua volta. Lei lo guardò incerta, e lui insistette. «Non riuscirei comunque a dormire.»
«Va bene; ma se dovesse venirti sonno, vieni a svegliarmi. Hai bisogno di riposare» si raccomandò l'elfa. Fece per andarsene, ma una nuova domanda del ragazzo la fermò.
«Ehi, Melinor... hai detto che saresti dovuta diventare la Guardiana del tuo clan, giusto?»
«Sì. Perché?»
«I Guardiani dalish fanno spesso queste cose? Sai, intendo girare per il clan e far sentire meglio le persone...»
Melinor si lasciò scappare un sorrisetto. «Direi che passano una buona metà del loro tempo così, sì.»
«Allora saresti stata un'ottima Guardiana» le disse lui, serio. «Grazie.»
Rimase colpita da quel ringraziamento; non se l'aspettava.
«No, Alistair... grazie a te.»
Lui la guardò senza capire.
«Per aver salvato la vita a mio fratello.»
Si voltò, lasciandosi Alistair alle spalle; scivolò silenziosa nella sua tenda, sparendo alla vista.

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Capitolo 8
*** L'orlesiana di Lothering ***


La mattina seguente il gruppo si lasciò alle spalle le Selve Korcari. Su suggerimento di Morrigan, si diressero verso un villaggio di nome Lothering: avevano bisogno di fare rifornimenti, vista la loro fuga dal campo di battaglia. Ad eccezione di Morrigan, i tre sopravvissuti non avevano effetti personali appresso: avevano le loro armature e quelle poche cose che Flemeth era riuscita a racimolare per loro, ovvero qualche veste, bende e qualche elisir curativo. La veste da mago rinforzata di Melinor era ancora in condizioni perfette, e anche l'armatura leggera di Merevar era in buono stato nonostante gli scontri alla Torre di Ishal; solo quella di Alistair era piuttosto malconcia, con una spaccatura sul retro proprio nel punto in cui l'ascia del genlock l'aveva trafitto. 
Avvistarono la Gran Via Imperiale, imboccandola seduta stante; mentre percorrevano la strada in pietra lastricata, affiancata dal suo imponente colonnato, videro il villaggio in lontananza. 
«Ecco Lothering: incantevole come un dipinto» commentò Alistair. 
«Oh, sei finalmente riemerso dal tuo stato pietoso degli ultimi giorni?» commentò Morrigan, del tutto disinteressata ai sentimenti del ragazzo. 
«Insomma, è così difficile per te capire il lutto?» s'indispettì lui. «Cosa faresti se fosse tua madre a morire?» 
Lei gli rivolse un sorrisetto perfido «Prima o dopo aver smesso di ridere?» 
«Fareste meglio a piantarla, voi due» borbottò Merevar, con lo sguardo rivolto davanti a sé. «Abbiamo un comitato di benvenuto.» 
Un gruppo di banditi sbarrava la strada proprio in prossimità della svolta che portava a Lothering. Melinor e Merevar si scambiarono uno sguardo d'intesa: avevano incontrato molti banditi nelle foreste in cui avevano viaggiato, ed era bastato loro un colpo d'occhio a riconoscere la natura degli uomini innanzi a loro. 
Non appena i quattro furono abbastanza vicini, il capo dei banditi si fece avanti con un finto sorriso cordiale. 
«Benvenuti, amici!» li accolse con malcelata ipocrisia. «Siete venuti per rifugiarvi a Lothering, vero? Allora dovreste sapere che c'è un dazio da pagare per entrare nel villaggio.» 
Merevar incrociò le braccia sul petto con fare divertito e accigliato al contempo. «Un dazio, eh?» commentò sarcastico. «Allora vi dispiacerà sapere che siamo sprovvisti di denaro.» 
«Oh, questo sì che è un problema» rispose l'altro, grattandosi l'orecchio con finta preoccupazione. «Temo che questo non cambi nulla. Tutti devono pagare il dazio: se non avete denaro, andranno bene i vostri effetti personali di valore.» 
Morrigan roteò gli occhi alle spalle dei due elfi in ascolto. «Allora, quando ci decidiamo a eliminare questi stolti?» disse a bassa voce. Melinor le fece cenno di aspettare con la mano, e poi si voltò per fronteggiare il malvivente.
«Noi siamo Custodi Grigi sopravvissuti alla battaglia di
Ostagar, e abbiamo affari importanti da sbrigare. Vi conviene lasciarci passare.» 
A quelle parole, tutti i banditi si guardarono fra loro, sorpresi ed euforici. 
«Custodi Grigi, eh?» riprese la parola il loro capo, ghignando. «Teyrn Loghain ha messo una bella taglia sulla testa di voi traditori.» 
Tutti e quattro i ragazzi sbarrarono gli occhi. «Traditori? Cosa dovrebbe significare?» intervenne Alistair, facendosi avanti. 
«Il Teyrn ha informato tutti del vostro tradimento ai danni della corona, non lo sapevate? Ora tutti sanno che siete responsabili della morte del re e del suo intero esercito. Francamente non me ne importa niente, ma se gli porteremo le vostre teste potremo campare tranquilli per un bel po' di tempo.» 
Senza dar loro il tempo di replicare, il malvivente spronò i suoi scagnozzi ad attaccare: nonostante l'inferiorità numerica, i quattro ragazzi si sbarazzarono facilmente di quei rozzi guerrieri senza alcuna disciplina. Alla fine di quel breve scontro, sette cadaveri giacevano inermi al suolo. Alistair era furioso. 
«Non posso crederci!» sbottò. «Loghain ha messo in giro una voce del genere? Dopo quello che ha fatto?» 
Melinor si strinse nelle spalle; quel generale aveva giocato ai Custodi Grigi proprio un brutto tiro. 
«E adesso che si fa?» intervenne Merevar. «Se abbiamo una taglia sulla testa non possiamo aggirarci per il villaggio con queste armature.» 
Tutti abbassarono lo sguardo sulla propria armatura da Custode Grigio; Morrigan piantò le mani sui fianchi con aria indifferente. 
«Dovrete disfarvene, è ovvio» disse con noncuranza. 
«Non possiamo disfarcene!» s'indignò Alistair, guardandola malamente. «Queste armature ci serviranno contro la Prole Oscura, sono state forgiate e incantate appositamente per il nostro ordine!» 
«Oh, certo; il buco che hai sul retro dell'armatura sarà certamente d'aiuto alla Prole Oscura. Infileranno un'altra mazza proprio lì, ringraziandoti per l'aiuto» commentò la ragazza delle Selve, sarcastica.
«Se avete finito di bisticciare» li interruppe Melinor con un cipiglio infastidito «direi che non abbiamo scelta. Non possiamo indossare le armature nei centri abitati. Ma non significa che dobbiamo disfarcene.» Prese a guardarsi attorno, e scorse una pila di casse e scatole ammassate su un lato della strada: la refurtiva accumulata dai banditi. «Voi due potete prendere le armature di quei soldati» disse ai due ragazzi; «io vedrò di trovare qualcosa da mettere in mezzo a questa roba.» 
I due ragazzi presero a togliere l'armatura a due dei cadaveri a terra, dopo aver selezionato quelli con le misure più adatte; Melinor scovò fra le mille cianfrusaglie dei profughi una semplice veste verde, proprio della sua misura. Doveva essere appartenuta a un'elfa come lei, viste le misure contenute; o al massimo a una ragazzina umana. 
Dopo essersi cambiati, infilarono le armature in tre sacche capienti trovate nell'ammasso di refurtiva dei banditi; se le misero in spalla e si avviarono verso Lothering. 

Il villaggio non era molto grande: tutt'attorno a esso erano sparse diverse fattorie isolate, e in centro erano presenti non più d'una ventina di case. Le strade erano sterrate, l'ambiente era verdeggiante nonostante si trattasse del centro del villaggio: un piccolo fiumiciattolo lo divideva a metà, e un ponte permetteva il passaggio da un lato all'altro. Sulla destra videro subito la chiesa: Melinor volle starne alla larga. Morrigan le aveva assicurato che era stata lì altre volte con il suo bastone in spalla e che nessuno aveva mai indagato, dato che molti dei pastori della zona usavano aggirarsi con bastoni simili. Melinor aveva perso il suo bastone a Ostagar, e quello che portava ora le era stato dato da Flemeth prima della loro partenza: era identico a quello di Morrigan, rozzo e semplice, e sembrava un semplice ramo d'albero. Nessuno l'avrebbe scambiato per un bastone da mago, ma la ragazza non se la sentiva di avvicinarsi troppo ai templari. 
«Dobbiamo scoprire di più sulla situazione attuale» bisbigliò l'elfa mentre si aggiravano fra la marmaglia che brulicava in ogni angolo del villaggio: i profughi fuggiti dal sud si erano accampati in ogni angolo disponibile. «Morrigan, c'è un posto qui dove chiedere informazioni senza destare sospetti?» 
«Decisamente sì. La locanda fa al caso nostro, è sempre piena di pettegole e ubriachi. C'è un chiacchiericcio costante e insopportabile là dentro, io ci sono stata solo una volta e poi non mi ci sono più avvicinata» commentò la strega con espressione disgustata. 
Li condusse al locale in questione, un edificio modesto sviluppato su due piani: non appena entrarono, il baccano di cui aveva parlato la ragazza inondò subito le loro orecchie. Morrigan indicò a Melinor il bancone, vedendo che l'elfa era piuttosto spaesata: non aveva mai visto un luogo del genere e non sapeva raccapezzarsi. Mentre si avvicinava al bancone, i suoi occhi volavano da un tavolo all'altro, da un gruppo di sorelle della Chiesa a un gruppo di banditi, dal menestrello che cantava in un angolo ai profughi sconsolati seduti su ogni superficie disponibile. Anche Merevar era teso e nervoso: non gli piaceva trovarsi in un luogo del tutto nuovo e gremito di umani. 
«Salve» li salutò l'oste una volta raggiunto il bancone. «Se volete affittare una stanza non posso aiutarvi: siamo pieni.» 
Melinor lo guardò con aria confusa, non sapendo bene cosa significasse “affittare una stanza”. «A dire il vero siamo qui solo per sentire le ultime novità» si riprese. «Siamo appena arrivati in città e non sappiamo cosa sta succedendo. Sapete, con la prole oscura e tutto il resto...»
L'oste la guardò lievemente sorpreso mentre asciugava un boccale appena lavato.
 
«Beh, sta succedendo il finimondo! Immagino sappiate della battaglia di Ostagar, no?» indagò. 
«Sappiamo che è stata persa» annuì Melinor. «Ma non sappiamo come... dalle ultime notizie che avevamo sembrava che il re avesse quasi sconfitto la prole oscura.» 
«Sì, è vero; ma a quanto pare è stato tradito dai Custodi Grigi.» 
Alistair non poté trattenere un grugnito di disapprovazione; Melinor gli lanciò una breve occhiata d'ammonimento, e riprese la conversazione. «Chi vi ha dato questa notizia?» 
«Teyrn Loghain in persona» replicò l'oste, con fare serio. «Nel tornare da Ostagar si è fermato qui col suo contingente, annunciando che i Custodi hanno tradito la corona mandando incontro alla morte il buon re Cailan e il suo esercito.» Scosse il capo bruno e i suoi baffi sottolinearono la smorfia incerta della sua bocca. «Tutti sono rimasti sorpresi, soprattutto perché sembra che anche i Custodi siano caduti nella loro stessa trappola, morendo con il re... non si sa quali motivazioni li abbiano spinti a un gesto simile, ma se lo dice il Teyrn dev'essere così.» 
«Sono tutte sciocchezze!» non riuscì più a trattenersi Alistair. «I Custodi Grigi non farebbero mai nulla del genere, loro combattono il Flagello! Erano lì per aiutare il re, non per tradirlo!» 
«Stai forse dando del bugiardo a Teyrn Loghain?» lo interpellò una voce alle loro spalle. 
I quattro si voltarono: un uomo in armatura si stava dirigendo con fare minaccioso verso di loro. Sul suo scudo era impresso lo stemma della casata Mac Tir: la casata di Loghain. 
Melinor riconobbe quello stemma, impresso sulla tenda del Teyrn a Ostagar, e guardò Alistair con aria truce; poi si fece avanti con fare pacifico.
«Dovete perdonarlo, messere; il mio amico è cresciuto ascoltando le storie sui Custodi Grigi, e gli riesce difficile credere che i suoi eroi siano in realtà dei traditori. Non intendeva offendere nessuno, credetemi.» 
Il soldato la squadrò. «Tu sei Dalish» comprese vedendo il vallaslin sul viso dell'elfa. «Come può una Dalish avere un amico umano? Questo è...» s'interruppe. I suoi occhi si fecero più grandi mentre intercettavano Merevar alle spalle dell'elfa. «Ma io vi conosco» esclamò. «Voi eravate all'accampamento. A Ostagar! Siete reclute dei Custodi Grigi, i due gemelli Dalish!» Si voltò verso i suoi compagni. «Forza, uccidiamoli!» 
Nel giro di un secondo si scatenò il putiferio: Merevar e Alistair scattarono in avanti, coprendo Melinor e Morrigan. Le due non potevano usare apertamente la magia e rischiare di attirare i templari su di loro, quindi rimasero nervosamente con le mani in mano. Per un po' i due ragazzi si difesero bene, nonostante il netto svantaggio numerico. Erano due contro cinque.  
A un tratto, Merevar inciampò sulla gamba di una sedia vicina: cadde a terra con un tonfo, e uno dei suoi avversari era già pronto a piombare su di lui. Ma una rapida serie di movimenti mirati disarmò il soldato e una figura lesta e silenziosa lo stordì, per poi passare inosservata al secondo e al terzo soldato; quando infine puntò la lama del suo pugnale alla gola del loro capo, tutti s'immobilizzarono. 
«Bene, ora che ci siamo tutti calmati possiamo risolvere questo malinteso, sì?» 
Una giovane donna con le vesti della Chiesa sorrideva amichevolmente al soldato. Era molto bella, con gli occhi azzurri e il viso tondo e candido incorniciato da un caschetto di capelli rossi. 
«Levatevi di torno, sorella» rispose il soldato, ancora sbigottito. «Non vorrei che vi faceste male.» 
La donna rise. «Oh, siete molto gentile messere; ma vi assicuro che non mi farò alcun male. Vi esorto caldamente a lasciare la locanda seduta stante: state dando fastidio alla comunità. Se non lo farete, mi vedrò costretta a informare la Venerata Madre delle vostre deplorevoli azioni.»
«Ma questi sono Custodi Grigi!» 
«Non lo siamo affatto» disse sorprendentemente Merevar, incrociando le braccia sul petto. «Noi siamo Dalish in fuga dal Flagello. Il nostro clan è stato sterminato, e fuggendo verso nord abbiamo incontrato questi due umani.» Fece un sorrisetto sprezzante. «Noi Dalish non ci uniremmo mai a un ordine di umani come quello dei Custodi Grigi, vi pare?» 
La donna dai capelli rossi rivolse la sua attenzione al soldato. «Avete prove del fatto che queste persone siano Custodi Grigi?» gli chiese; ma nel vedere l'espressione astiosa dell'uomo, avvalorata dal suo silenzio, la donna sorrise e abbassò la lama. «Suppongo di no. Quindi è ora per voi di andare, e cercate di lasciare in pace questi quattro profughi.» 
«Aspettate» s'intromise Melinor. Si fece avanti fino al punto di riuscire a bisbigliare all'orecchio del soldato, in modo che solo lui la sentisse. «Portate questo messaggio a Loghain: i Custodi Grigi sanno cos'è accaduto realmente.» 
Si fece da parte sotto lo sguardo del soldato: per qualche strana ragione, l'uomo sembrava intimorito. Morrigan sorrise beffarda: conosceva l'incantesimo che l'elfa aveva usato su di lui senza farsi notare. L'incanto d'orrore, che incuteva paura e provocava visioni orrende nella mente degli avversari. 
Senza una parola il gruppetto di soldati si avviò verso l'uscita; tutto il locale aveva ora lo sguardo incollato sul gruppo. 
«Scusate se mi sono permessa d'intervenire, ma non potevo starmene con le mani in mano» disse a quel punto la donna dai capelli rossi; ora che il peggio era passato, tutti notarono il suo marcato accento orlesiano. 
«Apprezziamo l'aiuto» disse Melinor, guardandola tuttavia con una punta di sospetto. Indugiò con lo sguardo sulle sue vesti clericali. «Siete della Chiesa?» 
La donna annuì. «Sono Leliana, un'asserente in servizio presso il monastero locale.» 
«Ma davvero?» commentò Alistair, sospettoso.
«Ma certo che sì» ridacchiò l'altra con fare un po' frivolo. «Non distribuiscono queste vesti a tutti, sapete?» 
«Vi ringraziamo ancora per il vostro intervento, Leliana, ma ora dobbiamo andare» intervenne Melinor. Avevano troppi occhi puntati addosso, e la cosa non le piaceva. «Arrivederci.» 
Senza attendere risposta, il gruppo andò dietro all'elfa senza una parola; Leliana rimase a guardarli mentre sparivano oltre la porta.

Una volta fuori, il gruppo prese a bisbigliare con animosità: Melinor rimproverava Alistair per essere stato troppo impulsivo, e lui s'indignava per le falsità messe in giro da Loghain. Ma si bloccarono bruscamente quando stavano per lasciarsi la locanda alle spalle. 
«Psss! Custodi!» bisbigliò una voce familiare. Erano già pronti a metter mano alle armi, ma una testa rossa sbucò dal vicolo fra la locanda e l'edificio adiacente. Leliana faceva segno di raggiungerla. 
«Dobbiamo fidarci?» mormorò Alistair. «Quella donna non la racconta giusta...» 
«Già» asserì Merevar. «Non mi sembra affatto una monaca.» 
«Sentiamo cosa vuole» disse Melinor, sospirando. «Siamo quattro contro una, non credo sarebbe così sciocca da tenderci un'imboscata da sola.» 
«Potrebbero esserci altri in quel vicolo» obiettò Alistair. 
«No, non c'è nessuno; altrimenti lo avvertirei.» L'umano la guardò perplesso, e lei sventolò una mano volitivamente. «Cose da guardiani Dalish; non capiresti» si limitò a dirgli. 
Si infilarono nel vicolo, dove la donna li attendeva. «Bentrovati, Custodi» li salutò. 
«Vi abbiamo già detto che noi non siamo Custodi» precisò subito Melinor. 
La donna sorrise. «Non è quello che avete detto a quel soldato, no?» L'elfa la guardò sbigottita, e la donna ridacchiò. «Sì, avete sussurrato al suo orecchio; ma sono riuscita a leggere i vostri movimenti labiali.» 
«Interessante abilità» disse Alistair, mettendo le mani sui fianchi. «Generalmente sono le spie a saper fare certe cose.» 
Leliana non sembrò turbata da quelle accuse. «Non sono sempre stata un'asserente della Chiesa; ho imparato a fare molte cose nella mia vecchia vita. Mi ero lasciata tutto alle spalle anni fa, ritirandomi nel monastero; ma ora sono pronta a mettere le mie capacità al vostro servizio.» 
Gli occhi di tutti s'ingrandirono. 
«Voi...vorreste venire con noi?» chiese Melinor, esitante. 
«Sì, voglio aiutarvi. Non credo che i Custodi Grigi abbiano tradito il re; conosco abbastanza i giochi di potere dei politici da capire che solo Loghain avrebbe da guadagnare qualcosa da una situazione come questa. C'è un Flagello da fermare e voi siete i soli in grado di farlo, dico bene? Per questo avete la mia lealtà. Il Flagello va fermato.» 
Merevar fece qualche passo verso la donna, scrutandola attentamente. «E chi ci dice che voi non siate una spia di Loghain 
Leliana rise portandosi una mano alla bocca. «Innanzitutto, potete chiedere a chiunque qui in città: tutti mi conoscono, sanno che da anni sono al monastero e non ho contatti con nessuno. Inoltre, credete davvero che Loghain assolderebbe un'orlesiana come spia?» scosse il capo, divertita. «Piuttosto si taglierebbe la mano destra.»
I due elfi non capirono quell'ultima affermazione, ma Alistair intervenne per fare chiarezza. 
«Questo è vero» disse loro. «Da giovane Loghain ha combattuto insieme a re Maric per liberare il Ferelden dalla dominazione orlesiana; odia a morte lo stato dell'Orlais e tutto ciò che ha a che fare con esso.» 
I tre Custodi rimasero a guardarsi per qualche istante. 
«Perché vuoi aiutarci al punto di pedinarci e attirarci in un vicolo?» indagò Melinor. 
«Perchè è stato il Creatore a dirmi di farlo.» 
Il silenzio si abbatté su tutti loro; solo Morrigan trovò un commento da fare. 
«Non ci credo... qualcuno mi dia un pizzicotto e mi svegli» mormorò, portandosi una mano alla testa. 
Leliana la sentì e assunse un'espressione mortificata. «Sì, lo so che sembra una cosa da pazzi... ma è la verità! Ho fatto un sogno... una visione! Lasciatemi venire con voi, le mie abilità e le mie conoscenze vi torneranno utili; e vista la vostra situazione avete un gran bisogno d'aiuto. Lasciate che vi assista 
Melinor guardò gli altri; solo negli occhi di Morrigan trovò impresso un grande no, ma lo ignorò. 
«E va bene; abbiamo davvero bisogno di tutto l'aiuto possibile, quindi... potete venire con noi.»
Il sospiro seccato di Morrigan quasi le scompigliò i capelli; per contro, Leliana era raggiante. 
«Grazie, Custodi; non ve ne pentirete. Venite, devo prendere le mie cose al monastero.» 
Si incamminarono dietro a Leliana, un po' straniti da quella bizzarra situazione; quella donna aveva qualcosa d'insolito e misterioso. Solo Morrigan non sembrava per nulla interessata a lei: se ne stava imbronciata in fondo al gruppo, per nulla eccitata dall'idea di avere un membro della Chiesa nella compagnia. 

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Capitolo 9
*** La cattura dell'apostata ***


I tre Custodi e Morrigan attendevano che Leliana facesse i bagagli nel piccolo giardino interno del monastero. Uno spazio quadrato, circondato da portici sorretti da un colonnato immacolato; ai piani superiori si trovavano le stanze delle Sorelle della chiesa e degli asserenti.
«Intendi davvero portare con noi quella zelante orlesiana?» sbuffava Morrigan nell'attesa, rivolgendosi a Melinor. «Non ho nessuna voglia di sentirla blaterare del Creatore. E nemmeno voi due, suppongo» insinuò, includendo Merevar che ascoltava poco più in là con la schiena appoggiata su una delle colonne.
«A me basta che non tenti di convertirmi» disse l'elfo con noncuranza.
«Cerca di essere più tollerante, Morrigan» cercò di mediare Melinor. «Non so cosa nasconda quella donna, ma ha indubbiamente delle capacità che ci torneranno utili. Ricorda che abbiamo l'intero Ferelden contro; anche il più piccolo sostegno è importante per noi, in questo momento
Morrigan sbuffò di nuovo, andando a guardare altrove seccata; Melinor sospirò e spostò lo sguardo su Alistair, che si era allontanato per passeggiare nel giardino. Era chino su un cespuglio rinsecchito.
«Eccomi, sono pronta» la fece voltare la voce di Leliana. La ragazza indossava ora abiti da viaggio, con dei pantaloni blu scuro e stivali di pelle; una casacca a maniche lunghe, con uno sbuffo all'altezza delle spalle dello stesso colore dei pantaloni e abbellita da un grazioso gilet in pelle, le dava l'aspetto di un menestrello. Non appena la vide, Alistair raggiunse il gruppo. «Allora, dove siamo diretti?» chiese Leliana.
«A dire il vero non lo abbiamo ancora stabilito» ammise Melinor. «Siamo venuti fino a Lothering per fare provviste e per sentire le ultime novità.»
«A proposito dei rifornimenti» intervenne Alistair, «finora non ci abbiamo pensato ma... non abbiamo denaro con noi. Non abbiamo nulla di valore, a parte le nostre armature; e quelle non possiamo venderle
Leliana lo guardò con aria stupita. «Non avete nulla? Neanche qualche moneta d'oro?»
«Che strano, vero? È risaputo che chi fugge da una battaglia pensa prima di tutto a portarsi appresso una borsa di monete» la prese in giro Morrigan.
«Oh, già» disse l'altra, con aria lievemente mortificata. «Allora dobbiamo racimolare qualcosa prima di partire. Ho la soluzione perfetta per questo.»
Pochi minuti dopo erano davanti alla chiesa di Lothering, tutti di fronte a un pannello in legno con qualche pergamena appesa.
«No, dico... fai sul serio?» mormorò Morrigan, massaggiandosi la testa con fare disgustato.
«La bacheca del cantore funziona anche in un momento di crisi come questo?» esclamò Alistair, piacevolmente sorpreso.
«Cosa sarebbe quest'affare?» chiese Merevar, avvicinandosi alla bacheca per leggere uno dei messaggi.
«La Chiesa ricompensa chi si prende la briga di svolgere i lavori riportati qui» spiegò Leliana ai due elfi. «In questi giorni di crisi sono molti i banditi che si approfittano della povera gente in fuga, ma nessuno si azzarda a cacciarli. I templari sono tutti impegnati a mantenere l'ordine fra i profughi, e il Bann a capo di questo feudo è partito con i suoi uomini per seguire Loghain a Denerim. I banditi hanno piede libero
«Già, come quei poveri sciocchi che hanno tentato di derubarci quando siamo arrivati» ridacchiò l'elfo, ricordando l'episodio. «Non sono durati molto contro di noi, poveretti.»
«Li avete eliminati?» chiese Leliana, inarcando le sopracciglia rosse verso l'alto. Melinor asserì con un cenno del capo, e la ragazza sorrise. Allungò una mano e staccò una delle pergamene. «Bene, allora uno di questi lavori è già stato fatto. Vediamo...» disse, passando con la mano sopra le restanti due pergamene. Si fermò su quella che recava annotata la ricompensa maggiore. «C'è un gruppo di banditi accampati appena fuori Lothering, dall'altra parte del villaggio; una banda numerosa, sembra.»
«Se sono tanti sarebbe meglio sorprenderli una volta calato il buio» suggerì Merevar.
«Sì, sono d'accordo» annuì Leliana. «Allora dovremo aspettare. Magari fino a notte fonda, quando la maggior parte di loro starà dormendo.»
«Mi sembra un'ottima idea» disse Melinor. «Dunque il piano è questo: stanotte porteremo a termine il lavoro, ci faremo una dormita e domani mattina partiremo dopo aver ottenuto la ricompensa e aver fatto rifornimento. Siamo tutti d'accordo?»
Il gruppo annuì; persino Morrigan sembrava essersi rassegnata all'idea di svolgere il lavoro sporco per la Chiesa.
«Bene, ora dobbiamo solo trovare un po' di spazio per accamparci... la vedo dura» commentò Alistair, guardandosi attorno.
 

Camminarono per tutta la piccola cittadina di Lothering, fino ad attraversarla completamente; quand'erano ormai prossimi alla periferia, trovarono uno spazio verde libero.
«Laggiù» indicò Alistair. «È perfetto! Tranquillo, appartato... mi domando perché nessuno si sia sistemato lì.»
Leliana si fece seria in viso. «È per via del Qunari» bisbigliò. Allo sguardo interrogativo degli altri, indicò una gabbia abbandonata accanto a una staccionata; all'interno un'enorme figura stava in piedi, impassibile come una statua di marmo.
Melinor lo fissò con interesse: aveva sentito parlare della razza Qunari, ma non ne aveva mai visto uno prima d'allora. Erano individui molto più alti e massicci rispetto agli umani, che già erano più alti degli elfi, e avevano pelli dal colore freddo che andava dal grigiastro pallido, al cianotico, sino al bruno marcato. La più grande peculiarità a contraddistinguere quella razza erano le corna: tutti i Qunari ne avevano un imponente paio, e ogni individuo le teneva diversamente. Alcune erano dritte, altre a spirale, altre ancora venivano accorciate.
«Quel Qunari è stato arrestato per aver massacrato una famiglia di contadini; non ha risparmiato nemmeno i bambini. Le guardie sono andate a controllare poiché da due giorni nessuno usciva di casa, e l'hanno trovato in mezzo a quel bagno di sangue; si è consegnato e ha confessato tutto. La Venerata Madre ha deciso di lasciarlo lì a morire... ormai sono venti giorni che non viene nutrito» spiegò Leliana.
Melinor sembrò sconvolta. «Venti giorni? Come può essere ancora in piedi?»
«I Qunari sono una razza molto particolare, sono molto forti e resistenti» si limitò a dire Morrigan. Poi fece una smorfia. «Un bell'esempio della pietà che la Chiesa va millantando da secoli: una creatura fiera, che si è consegnata spontaneamente, lasciata a morire nel peggiore dei modi. Giustiziarlo sarebbe stato più caritatevole.»
Leliana, sorprendentemente, annuì; ma non disse altro.
«Che spreco» mormorò Alistair. «I Qunari sono grandi guerrieri; ci farebbe comodo uno come lui.» Si voltò verso Leliana. «Credi che la Venerata Madre lo rilascerebbe, se glielo chiedessimo?»
La rossa si strinse nelle spalle. «Dovreste darle un buon motivo, e per poterlo fare dovreste dirle che siete Custodi Grigi...» Si fermò a pensare alcuni istanti. «Conoscendola, potrebbe anche acconsentire. Non credo che vi farebbe arrestare, non è una sciocca; conosce il vostro ordine e sa che siete necessari per sconfiggere il Flagello. Inoltre potrei spendere io qualche buona parola per voi, di me si fida.» Mosse lo sguardo in direzione del Qunari. «Ma non so se lui sarà d'accordo; potrebbe anche rifiutarsi di seguirci.»
Melinor rimase a studiare la statuaria figura del Qunari qualche istante; poi s'incamminò verso di lui. «Aspettatemi qui» disse agli altri.
Il gruppo rimase a osservarla da lontano: la videro scambiare qualche parola con il Qunari, il quale era molto serio in viso. Dopo qualche minuto, l'elfa era già di ritorno.
«Ha accettato di venire con noi» annunciò con aria un po' perplessa.
«Mi sembra fantastico» replicò Merevar; «perché quella faccia?»
«Niente, niente... è che quel tipo è davvero molto strano. Monosillabico, direi. Sono riuscita solo a farmi dire che faceva parte dell'Antaam, l'esercito dei Qunari, e che si chiama Sten. Ha ammesso di aver ucciso quella famiglia e di esserne pentito, e dice di voler riconquistare il suo onore lottando contro il Flagello; ma credetemi, ho fatto davvero fatica a farmi dire queste quattro cose... odia le domande, a quanto pare.»
Una volta scambiate quelle parole, il gruppo prese a montare le tende e ad allestire l'accampamento; rimasero in attesa della notte.
 

La sera calò in poche ore; i cinque si ritrovarono a mangiare qualcosa attorno a un fuoco improvvisato. Durante la cena vennero stabilite diverse cose: avrebbero sorpreso i banditi a mezzanotte, e l'indomani dopo aver riscosso il dovuto sarebbero andati a trattare il rilascio del Qunari con la Venerata Madre. Dopodiché sarebbero partiti per la Torre del Circolo dei Maghi, sulla riva nord-orientale del lago Calenhad; i maghi erano la fazione da reclutare più vicina a Lothering. Sarebbero andati a chiedere la loro alleanza usando i trattati, per poi fare la stessa cosa con i nani di Orzammar e infine con i Dalish rimasti nella foresta di Brecilian, a sud della capitale Denerim.
Dopo aver cenato e aver stabilito il loro itinerario, ognuno si mise a farsi gli affari propri: Alistair prese a lucidare il suo scudo, Melinor e Morrigan discutevano fra loro di magia, e Leliana si era ritirata in preghiera. Merevar, annoiato, non sapeva che fare; decise di andare in avanscoperta, e senza che nessuno se ne accorgesse si allontanò per dirigersi verso l'accampamento dei banditi.
Il gruppo di criminali si era stabilito dietro a un'insignificante collinetta appena fuori Lothering, al riparo da occhi indiscreti; l'elfo, silenzioso come solo un cacciatore dalish poteva essere, salì in cima alla montagnola erbosa e rimase in osservazione. Contò i criminali dall'alto, e ne vide una decina; alcuni già dormivano, distesi su improvvisate brande di pelle.
Era in contemplazione quando una strana morsa lo colpì: un gelo improvviso lo pervase da capo a piedi, paralizzandolo completamente.
«Ma guarda... cos'abbiamo qui?»
Una voce femminile lo sorprese alle spalle; due figure si palesarono davanti ai suoi occhi. Un ragazzo più o meno della sua stessa età lo fissava con occhi azzurro ghiaccio da dietro un ciuffo nero; accanto a lui stava una ragazza di poco più grande, con lunghi capelli rosso mogano raccolti alla meno peggio e due vivaci occhi nocciola che guardarono l'elfo con stupore.
«Quei tatuaggi... sei un dalish!» esclamò, stranita. «Cosa ci fa un dalish come te qui?»
Merevar non poteva rispondere, e la guardò con quanta più ostilità gli era possibile. La ragazza aveva in mano un lungo bastone: era una maga, ed era stata lei a paralizzarlo con un incantesimo congelante.
«Anche se volesse risponderti non potrebbe farlo, Berkanna» sospirò il ragazzo di fianco a lei.
«Ops... hai ragione» ridacchiò l'altra. Senza pensarci minimamente, rilasciò la magia che teneva imprigionato Merevar. Lui cadde sulle ginocchia, ancora intirizzito dal freddo.
«Cosa volete?» bofonchiò l'elfo a quattro zampe sull'erba; era scosso da violenti tremiti.
«Da te nulla» ribatté la ragazza. «Pensavamo fossi uno di quei banditi, per questo ti abbiamo attaccato.» Lo scrutò con curiosità. «Cosa ci fai qui? È pericoloso aggirarsi in questa zona da soli. Quei criminali sono dei trogloditi ignoranti, ma sanno come menare per bene un povero elfo solitario come te.»
«Non sono affatto un povero elfo solitario» sbottò Merevar. «Sorvegliavo i banditi, per poi tornare con il mio gruppo ed eliminarli.»
A quella rivelazione i due giovani umani si guardarono fra loro; poi gli restituirono uno sguardo accigliato.
«Non credo proprio che andrà così» gli disse la ragazza. «Saremo noi due ad accaparrarci la ricompensa. Teniamo d'occhio quei banditi da giorni.»
Merevar la guardò con tanto d'occhi. «Ma noi abbiamo bisogno di quei soldi, non abbiamo nulla!»
L'espressione della ragazza si fece beffarda. «Ma non mi dire! Sai, noi invece lo facciamo per collezionare monete!»
Qualcosa nel tono di quell'umana infastidiva molto Merevar: era come se non fosse mai del tutto seria, come se tutto fosse sempre uno scherzo per lei.
«Tu non capisci» esclamò. «Abbiamo delle faccende molto importanti da sbrigare!»
«Già, perché siete Custodi Grigi» intervenne a quel punto il ragazzo. Merevar lo fissò senza dire nulla, e lui fece un sorrisetto. «Ero alla locanda oggi, quando avete dato spettacolo con i soldati di Loghain
«Ah, e così questo sarebbe uno di quei Custodi Grigi di cui tutti parlano?» disse la ragazza fissando il suo compagno. Poi tornò con l'attenzione sull'elfo.
«Non siamo Custodi Grigi, l'abbiamo detto a tutti alla locanda. Siamo...»
«...dalish scappati dalle Selve, giusto?» riprese a schernirlo la ragazza, che a quanto pare era al corrente di tutto. «Certo, come no... senti, Custode dalish: noi non abbiamo niente contro di te e contro il tuo ordine, abbiamo altro di cui preoccuparci. Presto la prole oscura arriverà a Lothering, e noi abbiamo bisogno di denaro per viaggiare fino ai Liberi Confini. Non puoi chiederci di lasciarti prendere quella ricompensa: la nostra famiglia ne ha bisogno, senza resteremo qui a morire tutti.»
Merevar non seppe come replicare; pensò a cosa avrebbe fatto Melinor in una situazione come quella. I due umani non avrebbero mollato: erano determinati, e se erano riusciti a sorprenderlo alle spalle dovevano essere tutt'altro che due sprovveduti. Ma non poteva lasciare che prendessero tutte quelle monete.
«Allora faremo a metà» propose loro. «Noi abbiamo già portato a termine un altro incarico, e potremmo dividere la somma di questa ricompensa con voi; per un po' ci basterà.»
La ragazza lo guardò con interesse; poi si voltò verso il ragazzo moro. «Che dici? Se uniamo metà di quei soldi con i nostri risparmi ce la faremo a pagare la tratta per attraversare lo stretto?»
«Sì, credo di sì» replicò lui.
La ragazza sospirò, e poi tornò a concentrarsi su Merevar. «E va bene, faremo così. Collaboreremo e poi divideremo il bottino a metà.» Senza attendere una risposta, diede un colpetto col bastone e lanciò un incantesimo di guarigione su Merevar; lui senti le sue membra irrorarsi d'energia, e gli effetti dell'incanto precedente sparirono del tutto. La strana ragazza gli diede le spalle e si avviò. «Forza, andiamo.»
Merevar rimase per un attimo a fissarla stralunato. «Aspetta... vuoi andare ora? Aspettiamo gli altri del mio gruppo, in tre siamo pochi!»
«Non dire sciocchezze; potevamo farcela anche io e mio fratello da soli, in tre sarà ancora più facile.»
Merevar non ebbe altra scelta che seguire i due umani mentre si avviavano tranquillamente verso l'accampamento. Procedevano in tutta calma, senza nemmeno tentare di nascondersi, come se stessero andando a trovare un gruppo d'amici. Questi due sono pazzi pensò fra sé, restando leggermente a distanza.
Quando finalmente furono abbastanza vicini da essere avvistati, i banditi lanciarono l'allarme: i due fratelli si lanciarono nella mischia. Il ragazzo sembrava un abile combattente, e aveva ricevuto un addestramento curato: brandiva uno spadone a due mani, facendolo danzare con grazia a destra e a sinistra mentre falciava i nemici. La ragazza, alle spalle del fratello, sembrava una furia: era una maga capace, che invocava fuoco e ghiaccio con estrema facilità scatenandoli sui nemici. Utilizzava anche una forma di magia che Merevar non aveva mai visto: sembrava risucchiasse energia dai suoi avversari per usarla a proprio vantaggio, poiché i poveri malcapitati cadevano sulle loro gambe improvvisamente molli per poi venire abbattuti definitivamente.
L'elfo scagliava le sue frecce da lontano, assistendo i due umani: nessuno dei suoi colpi mancava il bersaglio, andando a colpire nelle parti del corpo più strategiche.
Non ci volle molto: in nemmeno una decina di minuti lo scontro si era risolto. Merevar si avvicinò ai due umani, che si stavano rimettendo le armi in spalla con la leggerezza di chi avesse appena fatto una passeggiata sui monti. Scrutò i corpi tutt'attorno con espressione colpita; la ragazza ghignò per la soddisfazione.
«Siamo micidiali, eh?» ridacchiò.
«Non muovetevi!» gridò una voce poco più indietro. «Alzate le mani e non fate una sola mossa, e non vi verrà fatto alcun male!»
Merevar si voltò, confuso: un gruppo di cinque templari correva verso di loro armato fino ai denti.
«Oh, no» mormorò la ragazza; guardandola Merevar vide che era molto, molto preoccupata.
I templari ormai erano a pochi metri da loro. «Le mani in alto! Subito!»
I due umani obbedirono agli ordini; senza sapere bene che fare, Merevar fece lo stesso. Quello che sembrava il capo dei templari lo scrutò con attenzione.
«Cosa ci fai qui con questi due umani, elfo?» lo interrogò.
«Sono venuto per portare a termine un incarico appeso sulla vostra bacheca» replicò Merevar, facendo attenzione a come parlava.
«E perché sei insieme a loro? Tu non sei di Lothering, e sembri dalish; cos'hai a che vedere con questi due?»
«Volevamo tutti svolgere lo stesso incarico, e abbiamo deciso di collaborare per dividere il compenso a metà.»
Il templare guardò gli altri due ragazzi con severità. «È andata così?»
I due ragazzi annuirono con il viso teso per la preoccupazione.
«Bene, elfo; allora sarai felice di sapere che potrai tenere tutta la ricompensa per te» disse il templare sotto gli occhi sgranati di Merevar. «Costei è un'apostata, una maga eretica: e la sua famiglia è colpevole di averla tenuta nascosta all'ordine dei templari fino a oggi. Pertanto non è dovuta loro alcuna ricompensa, anzi» aggiunse, guardando con rimprovero i due ragazzi; «siate grati al Creatore, poiché non vi sarà riservata alcuna punizione. Vi tenevamo d'occhio da un po', signorina Berkanna: finalmente siamo riusciti a cogliervi in flagrante.»
L'uomo fece un cenno, e gli altri quattro templari si mossero: circondarono la ragazza e la immobilizzarono in un istante.
«Berkanna Hawke, da questo momento sei sotto la custodia della Chiesa e dell'ordine templare. Verrai portata al Circolo dei Maghi, dove avresti dovuto andare molto tempo fa.»

 


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NOTE AUTRICE

Ed ecco che finalmente entra in scena Hawke, che insieme al secondo Custode è uno degli stravolgimenti principali della mia versione di Origins
. Che succederà alla nostra futura campionessa? ;)
A presto con il prossimo capitolo, e fatemi sapere come vi è sembrata l'introduzione di Hawke. ^^

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Capitolo 10
*** Hawke ***


«Cosa? E tu non hai fatto niente per fermarli?» 
Merevar guardava allibito la sorella mentre lo rimproverava: dopo che i templari avevano portato via la ragazza in catene, lui era tornato all’accampamento e aveva spiegato l’accaduto al resto del gruppo. Melinor non l’aveva presa bene, e Merevar si ritrovò costretto ad allargare le braccia con aria innocente. 
«Cos’avrei dovuto fare? Mettermi a fare la guerra ai templari?» esclamò basito. 
Melinor si voltò, dando a tutti le spalle e muovendo qualche frenetico passo mentre il resto del gruppo la fissava. 
«Leliana» esordì, «tu sei a Lothering da tempo. Conosci quella ragazza?» 
L’orlesiana assunse un’aria incerta; si voltò verso Merevar. «Hai detto che si chiama Berkanna Hawke, giusto?» chiese all’elfo, che asserì con un cenno del capo. «Conosco la sua famiglia, sì. Sono brave persone. Sua madre viene sempre in chiesa insieme al figlio, e spesso anche con la figlia minore… ma Berkanna non ha mai frequentato la chiesa. Credevo che il motivo fosse la sua personalità, come dire... esuberante. Ha sempre combinato delle ragazzate, ma mai nulla di grave; diciamo che spesso si occupava di mantenere le cose interessanti qui a Lothering, dando qualcosa di cui parlare agli altri cittadini. Ma ora che è stato scoperto che è una maga, capisco perché stava alla larga dalla chiesa…» 
Melinor rimase in silenzio per diversi istanti, continuando a dare le spalle al gruppo.  
«Dobbiamo portarla con noi e toglierla dalle grinfie dei templari.» 
Le sopracciglia di tutti si levarono verso l’alto. 
«Cosa? E perché?» si stupì Merevar. Melinor si voltò con un cipiglio corrucciato al punto da farlo quasi sobbalzare. 
«Come sarebbe perché? Lei ti ha aiutato, ed è stata catturata dai templari per questo!» 
«Mi ha aiutato solo per interesse personale» alzò gli occhi al cielo l’elfo. «Era lì per se stessa e per il denaro.» 
«Ma avrebbe potuto lasciarti lì, congelato dal suo incantesimo, e sbrigarsela da sola; invece ha scelto di dividere il compenso a metà» obiettò Melinor. «È una persona onesta, e non merita di finire al Circolo dei Maghi.» 
«Non capisco perché t’importa tanto» s’inserì Morrigan. «Può anche essere una persona onesta, e allora? Non significa che dobbiamo salvare tutte le povere persone sfortunate che incontriamo.» 
Melinor la guardò malamente. «E se fosse capitato a te, Morrigan? Non vorresti che qualcuno ti risparmiasse il Circolo?» 
Morrigan incrociò le braccia sul petto e fece un sorrisetto di sfida. «Ma a me non è mai successo, e sono stata a Lothering diverse volte; sono persino stata accusata di stregoneria una volta, da uno di quei barbari Chasind del sud; eppure non sono riusciti a dimostrare nulla. Se questa Berkanna Hawke si è lasciata prendere significa che non è abbastanza astuta.» 
«Non dimenticare che è riuscita a nascondersi per tutta la sua vita, e non veniva a Lothering di rado per poi tornare a rifugiarsi nelle Selve come te» ribatté Melinor, aspra. «A prescindere dalle sue motivazioni, questa ragazza ha aiutato Merevar; e a suo dire è anche molto abile. Noi abbiamo bisogno di persone dalla nostra parte, e io non permetterò alla Chiesa di togliere la libertà a una persona innocente. Domani, quando chiederemo il rilascio del qunari, chiederemo di lasciar venire con noi anche questa Berkanna 
Leliana la guardò con aria grave. «I tuoi intenti sono nobili, ma potrebbe non essere facile ottenere la liberazione della ragazza» disse con quanto più tatto possibile. «La Venerata Madre potrebbe chiudere un occhio per il prigioniero qunari, ma se si tratta di un’apostata…» 
«Sì, è vero» confermò Alistair. «Sono stato nell’ordine dei templari abbastanza a lungo da sapere che non rilascerebbero mai un’eretica così facilmente. Però, forse… potremmo avere un asso nella manica». Melinor lo guardò con rinnovato interesse, e la pressione esercitata dal suo magnetico sguardo smeraldino spinse il ragazzo a proseguire. «Potremmo esercitare il diritto di coscrizione.» 
«Di che si tratta?» chiese l’elfa senza capire. 
«I Custodi Grigi possono costringere chiunque a rilasciare una persona in loro custodia, anche contro la volontà dei suoi detentori. È stato così che Duncan mi ha reclutato: la Venerata Madre della chiesa presso cui servivo non voleva che un membro dell’ordine potesse sfuggirne e rivelare i segreti dei templari, ma non ha avuto scelta. Non poteva opporsi, coscrivere è un diritto dei Custodi riconosciuto dalla legge.» 
«Non dimenticate che ora voi Custodi siete stati marchiati come fuorilegge» fece notare Leliana. «Questo vostro diritto potrebbe benissimo essere considerato decaduto.» 
«Sì, ecco… volevo proprio arrivare a questo» spostò lo sguardo dall’orlesiana a Melinor. «Potremmo tentare, ma non so se avremo successo.» 
«M’inventerò io qualcosa» affermò Melinor, sostenendo lo sguardo dell’umano con risolutezza. «Troverò delle valide argomentazioni per convincere questa Venerata Madre a collaborare.» 
«Se ci riuscirai, avrai tutta la mia stima» cantilenò Morrigan con espressione beffarda; dava per scontato che non fosse possibile ragionare con la Chiesa, ma Melinor l’ignorò. Avrebbe salvato quella ragazza. 
 

La mattina seguente il gruppo si recò alla chiesa di Lothering. Entrando in quell'edificio i due elfi si sentirono un po' a disagio: mentre percorrevano la navata centrale scrutavano attentamente ogni dipinto, ogni affresco, ogni statua. Ai loro occhi, abituati a venerare la natura come manifestazione dei loro Dei, sembrava tutto troppo esagerato e sfarzoso, sfacciatamente ricercato e prezioso. 
Mentre camminavano un templare si fece avanti: Merevar lo riconobbe dalla notte precedente.
 
«Eccovi; aspettavamo una vostra visita. La vostra ricompensa è già stata preparata» disse a Merevar; poi i suoi occhi indugiarono su una figura alle spalle dell’elfo. «Sorella Leliana, che sorpresa trovarvi in compagnia di questi viaggiatori; e non indossate le vostre vesti clericali» osservò stupito. «State forse partendo?» 
«Sì, ser Bryant» rispose la rossa. «Queste persone hanno un importante lavoro da svolgere, voglio dar loro una mano. Hanno fatto molto per Lothering, e sono certa che faranno molto per il Ferelden intero. Oh, a proposito» disse, allungando al templare due pergamene. «Non hanno cacciato solo il gruppo di banditi di stanotte, ma anche quello che estorceva denaro all’ingresso di Lothering 
Il templare sorrise nel prendere le pergamene precedentemente appese alla bacheca del cantore; fece un cenno, e poco dopo un altro templare portò due sacchi di monete. «Ecco a voi, con i nostri più sentiti ringraziamenti» disse il capo dei templari, porgendo il denaro a Merevar. 
«Abbiamo un ultimo favore da chiedervi prima di lasciare Lothering, ser Bryant» disse ancora Leliana. «Vorremmo un’udienza con la Venerata Madre.» 
Il templare restituì alla ragazza uno sguardo incerto. «Prima di acconsentire devo chiedervi di cosa si tratta; la Venerata Madre è molto occupata con i profughi e l’imminente evacuazione del villaggio.» 
«Ecco… si tratta di una faccenda molto delicata» si limitò a dire Leliana, sperando bastasse. «Dobbiamo parlarne con la Venerata Madre e nessun altro.» 
Lo sguardo di ser Bryant si fece sospettoso; le sue sopracciglia scure si aggrottarono. «Temo di dover insistere. Se non mi dite cosa volete, non posso scomodare la Venerata Madre.» 
L’orlesiana guardò Melinor con aria corrucciata: doveva rivelare al templare che loro erano Custodi Grigi, altrimenti non li avrebbe lasciati passare. Nessuno poteva chiedere di rilasciare ben due prigionieri senza una causa abbastanza forte: e solo la verità poteva fornire una giustificazione adeguata. Melinor comprese al volo e annuì in direzione di Leliana. Quella si avvicinò al templare, bisbigliandogli all’orecchio: lui si ritrasse di colpo, stupito, prendendo a squadrare il gruppo. 
«Ora capisco» disse, per poi farsi serio e abbassare la voce. «Va bene, vi lascerò parlare con la Venerata Madre.» 
«Sapere chi siamo non vi crea alcun problema?» domandò Melinor, sorpresa dalla celerità con cui il templare aveva acconsentito a lasciarli passare. 
«Le ciance messe in circolazione da Loghain non ingannano chi, come i templari, è immischiato nei giochi di potere» spiegò l’uomo, fattosi molto serio. «La storia di Loghain è inverosimile, anche la Venerata Madre è d’accordo su questo. Se davvero i Custodi Grigi avessero voluto tendere una trappola al re, non ci sarebbero caduti dentro a loro volta; e soprattutto non avrebbero mai tentato un colpo di Stato proprio durante un Flagello, con tutto il tempo libero che hanno avuto a disposizione in questi secoli. Inoltre il fatto che Loghain si sia autoproclamato reggente della regina Anora parla da sé…» 
«Che cosa ha fatto?» esclamò Alistair. 
«Non ne sapevamo nulla» lo seguì a ruota Leliana. 
«È una notizia fresca, un corvo l’ha portata stamani all’alba» disse, scuotendo la testa. «La regina Anora ha governato al fianco di suo marito Cailan in tutti questi anni, sa benissimo come far funzionare un regno a dovere; non ha bisogno di un reggente. Ma del resto come può opporsi, se il reggente in questione è suo padre?» 
Melinor e Merevar ascoltavano attentamente: a Ostagar avevano appreso che Loghain era il suocero di re Cailan, ma lo avevano dimenticato. Tutta quella faccenda diventava sempre più intricata. 
Dopo aver discusso di tali questioni, ser Bryant portò il gruppo al cospetto della Venerata Madre. Si appartarono negli appartamenti di quest’ultima, adiacenti alla sacrestia. L'anziana donna a capo della Chiesa di Lothering si rivelò ragionevole: era dello stesso parere di ser Bryant, e non credeva al tradimento dei Custodi Grigi. Non si oppose più di tanto al rilascio del prigioniero Qunari, acconsentendo in breve tempo convinta del fatto che il gruppo avrebbe saputo gestire un criminale pentito.  
Le cose cambiarono quando Melinor avanzò la sua seconda pretesa. 
«Mi dispiace, ma questo è fuori discussione» affermò con voce irremovibile la Venerata Madre. «Posso decidere per il qunari in libertà, ma rilasciare un’eretica destinata al Circolo dei Maghi non è possibile. Ci sono leggi precise in merito, senza contare che i maghi lasciati in libertà sono pericolosi.» 
Melinor non si lasciò scoraggiare dalla fermezza dimostrata dalla donna: si raddrizzò tutta, arrivando a sembrare alta quanto lei nonostante la sua minuta statura. 
«Venerata Madre, con tutto il rispetto… io sono una maga. Anche questa ragazza è una maga» disse indicando Morrigan, che sogghignava in disparte come a voler far indispettire l’anziana. «Nessuna di noi due è mai stata a rischio di possessione. Se anche ciò che dite fosse vero, fidatevi: sappiamo bene come destreggiarci in caso di possessione demoniaca. Senza contare che il nostro compagno Alistair era un templare prima di entrare a far parte dei Custodi Grigi. Stando con noi la ragazza non rappresenterà un problema.» 
«Sono davvero spiacente, Custodi, ma non cambierò idea. Berkanna Hawke andrà alla Torre del Circolo.»  
«Allora non mi lasciate scelta» sospirò Melinor. «Invochiamo il diritto di coscrizione.» 
Gli occhi chiari della donna s’ingrandirono a dismisura. «Cosa? E quale valore può mai avere tale affermazione, detta da un manipolo di fuorilegge?» Il suo sguardo s’indurì. «Vi ricordo che sarebbe mio dovere farvi arrestare: se non vi ho ancora denunciati alle autorità è perché tutta questa faccenda di Loghain e del Flagello ancora non è chiara. Non avete alcun diritto di venire qui e costringermi a lasciare in libertà un’eretica!» 
«Non la lascereste in libertà, diventerebbe un Custode Grigio» puntualizzò l’elfa senza vacillare; tutti gli altri la guardavano quasi con ammirazione. Sapeva destreggiarsi davvero impeccabilmente con l’oratoria. Gli occhi azzurri di Leliana brillavano d’una strana luce mentre l’osservavano, mentre le labbra di Morrigan erano costantemente increspate in un sorrisetto di scherno al vedere la Venerata Madre messa con le spalle al muro. «Dite di credere alla nostra innocenza: dimostratelo. Noi Custodi siamo rimasti soltanto in tre, e a causa di Loghain dobbiamo combattere contro il Ferelden intero nella speranza di riuscire a riunire le genti per fronteggiare la prole oscura. Forse come dite voi non abbiamo alcun diritto d’invocare la coscrizione, ma ditemi: se a causa del poco supporto i Custodi dovessero fallire contro il Flagello, la vostra coscienza come ne uscirebbe?» 
«Non sarà certo Berkanna Hawke a fare la differenza» esclamò la donna, ancora decisa a non cambiare posizione. «Quella ragazza è sempre stata lontana dalla grazia del Creatore, mai una volta è venuta in chiesa. Era sempre al centro delle bravate commesse dai ragazzini, non mi affiderei certo a una come lei per salvare il Ferelden dal Flagello.» 
«Mio fratello dice che è un’abile combattente, e a noi serve tutto l’aiuto possibile» non demordette Melinor. «Quella ragazza è sempre stata una maga, e da ciò che dite non sembra che abbia mai fatto qualcosa di grave. Lasciarla sotto il controllo del Circolo o dei Custodi Grigi non farebbe per voi una gran differenza, ma potrebbe farne per il mondo intero.» 
Le due restarono a fronteggiarsi senza dire più una parola. Alla fine, l’anziana cedette. 
«E va bene, la ragazza verrà con voi. Ma sappiate che se qualcuno dovesse chiedermi spiegazioni, dirò che mi avete costretta» borbottò dirigendosi verso la porta della sacrestia. La aprì e bisbigliò qualcosa al templare di guardia fuori. 
Dopo diversi minuti, Ser Bryant arrivò con Berkanna Hawke in manette: la ragazza sembrava confusa. Quando vide Merevar davanti a sé, i suoi grandi occhi nocciola si sgranarono. «Tu?» 
L’elfo distolse lo sguardo senza dire nulla. 
«Sembra che oggi sia il tuo giorno fortunato, ragazza» disse con una punta d’acidità la Venerata Madre. «Questi Custodi Grigi vogliono reclutarti nel loro ordine.» 
Berkanna squadrò tutti i presenti uno per uno. «Io? Un Custode Grigio, io?» 
«Potresti mostrare un po’ più d’entusiasmo verso chi si è preso il disturbo di venire a reclamarti» commentò Morrigan. «Puoi sempre andare con i templari al Circolo, se l'idea non ti va.» 
«Oh, no grazie» si affrettò a rispondere la ragazza, muovendo qualche passo verso i due elfi e Alistair. 
«Naturalmente non sei costretta» le disse Melinor. «A noi servono reclute dopo la disfatta di Ostagar, ma devi sapere che per diventare un Custode Grigio si paga un prezzo molto alto… potresti anche morire.» 
«Beh, preferisco morire da libera piuttosto che vivere come una schiava della Chiesa» rispose l’altra senza esitare. «Senza offesa» ammiccò in direzione della Venerata Madre, che la guardò con disprezzo. 
«Bene, allora è deciso: benvenuta fra noi, Berkanna» disse Melinor. 
«Non chiamarmi Berkanna» sbottò l’umana, facendo sobbalzare tutti. Accortasi d’aver alzato un po’ troppo la voce, si grattò un orecchio. «Odio quel ridicolo nome. È stata una bella trovata di mio padre, che ha voluto ispirarsi al nome di un’antica runa appartenente a non so quale cultura perduta» spiegò, roteando gli occhi e gesticolando in maniera frenetica; tutti la guardavano alquanto straniti. «Chiamatemi solo Hawke, d’accordo?» 
«Va bene… allora… benvenuta, Hawke» rettificò Melinor. 
 

Dopo essersi lasciati la Chiesa alle spalle, i sei si fermarono a fare provviste. 
«Ehi» disse Hawke a Merevar, portandosi al suo fianco; «grazie per il salvataggio.» 
«Devi ringraziare mia sorella per questo, è stata lei a insistere» rispose lui con fare annoiato. La ragazza sorrise fra sé. 
«Siete gemelli» notò. «Anche i miei fratelli minori sono gemelli. Poi li vedrete.» 
Poco più tardi il gruppo accompagnò Hawke a casa per fare i bagagli, e i due gemelli dalish si trovarono a stringere le mani dei due gemelli Hawke: fu ben strano, dato che non avevano mai incontrato un’altra coppia di gemelli come loro. Bethany e Carver Hawke avevano la loro stessa età: anche Bethany era una maga come la sorella, e avevano entrambe ereditato la magia dal padre, deceduto tre anni prima. 
«Mi raccomando, non attardatevi» raccomandò Hawke alla madre Leandra nel salutarla. «Lasciate Lothering il prima possibile, la prole oscura arriverà presto.» 
«Non preoccuparti per noi» rispose la donna, tentando di celare la sua preoccupazione. «Abbi cura di te, Berkanna; noi staremo bene.» Si voltò a guardare Melinor, Alistair e Merevar. «Grazie per averla salvata dal Circolo dei Maghi. Suo padre ne faceva parte, nei Liberi Confini… sarebbe davvero felice di vederla partire con voi, anziché con i templari.» 
«Non potevamo lasciarla nelle loro mani» disse Melinor con fare cordiale. 
 

 Il gruppo partì, lasciandosi la famiglia Hawke alle spalle; Berkanna si voltò a guardare indietro un paio di volte, vedendo le figure della madre e dei suoi fratelli diventare sempre più piccole. 
Si fermarono alla gabbia del Qunari per rimetterlo in libertà; quello non fece una piega e prese a seguire la sua nuova compagnia. 
Abbandonarono Lothering e si rimisero sulla Gran Via Imperiale: Alistair faceva strada affiancato da Melinor, seguiti a distanza da Morrigan e poi da Leliana che parlottava con Hawke; a chiudere la fila c’erano Merevar e il qunari, Sten. Mentre procedevano, l’elfo tentava con fatica d’instaurare una conversazione col taciturno guerriero. 
«Però, andiamo migliorando» esclamò Alistair. «Siamo arrivati a Lothering in quattro e ce ne andiamo in sette. Anche se, a dire la verità… abbiamo acquistato degli elementi davvero… bizzarri.» 
Melinor rise appena. «Dovresti essere contento, ora ci sono due ragazze in più nel gruppo.» 
Lui la guardò con aria interrogativa. «E questo cosa dovrebbe significare?» 
«Sto solo considerando che sono entrambe molto belle» disse l’elfa con noncuranza. 
«Sì, beh… da questo punto di vista siamo al punto di partenza, per quanto mi riguarda. Leliana un po’ m’inquieta, e Hawke si comporta da maschiaccio» osservò lui con la bocca storta. «E poi sono rosse; non mi piacciono le rosse.» 
«Ah no?» si stupì Melinor, voltandosi a guardarlo. «Fra i dalish sono le più corteggiate.» 
«Ma dai, sul serio? E perché?»
«Si dice che una delle nostre divinità, Sylaise, avesse capelli rossi come il fuoco che ha donato a noi elvhen. Ed essendo lei la divinità del focolare e delle arti domestiche, è credenza diffusa fra i dalish che le ragazze dai capelli rossi siano state benedette dal di lei fuoco, e che saranno pertanto ottime mogli.» 
«Oh, è davvero interessante» disse Alistair. «Noi non abbiamo storie del genere, ma è credenza diffusa che i capelli biondi siano indice di purezza dell’animo. Per questo sono molto apprezzati, almeno qui in Ferelden.» 
«Allora io, tu e Merevar faremo grandi conquiste; siamo un gruppo fortunato» scherzò lei. 
«Già, magari potremmo provare a sedurre la prole oscura e convincere l’arcidemone a tornarsene sottoterra a dormire» rise di gusto Alistair. «Beh, scherzi a parte, credo che il colore dei capelli alla fine conti poco. Potrei essere rosso, biondo… ma se brutto sei, brutto rimani.» 
«Non mi sembra che questo problema ti riguardi» disse Melinor con leggerezza. Non si accorse di come Alistair si era voltato per guardarla. 
«Tu dici?» 
Fu a quel punto che se ne accorse; si voltò a guardarlo e lo vide con un sorrisetto insinuante. Si rese subito conto di cosa aveva lasciato intendere, e tornò a guardare la strada restando tutta d’un pezzo. 
«Sei oggettivamente di bell’aspetto, sicuramente te l’avranno già detto in passato.» 
«Non così spesso» ammise lui, allegro; quando lei si voltò a guardarlo di nuovo lo trovò con la medesima espressione tronfia di poco prima. 
«Per quanto ancora intendi restare lì a gongolare?» disse lei cercando di suonare scocciata; ma non vi riuscì molto bene, perché il sorriso di lui non fece che ingrandirsi. 
«Già, hai ragione; che maleducato. Una fanciulla mi fa un complimento e io nemmeno ricambio…» 
«Non devi ricambiare per farmi una cortesia» si scocciò ancor di più lei. 
«Ma non lo faccio solo per cortesia, credimi» continuò a ridacchiare lui. 
«Oh cielo, non ne posso più. Che scenetta disgustosa.» 
Morrigan li superò a grandi falcate, stizzita. Alistair la guardò torvo. «Qualche problema, megera?» 
«Sì, voi due siete il mio problema; uno si aspetterebbe più serietà da due Custodi Grigi» rispose la ragazza, dando loro le spalle. 
«Cosa vorresti dire? E soprattutto, chi ti ha invitata nella conversazione?» ribatté lui. 
«Non ho avuto scelta, credimi; avrei tanto voluto non sentire nulla, ma persino i vostri lascivi battiti di ciglia si sentivano a miglia di distanza» disse la strega delle Selve. «Non credo sia consigliabile per due Custodi Grigi… come posso dire… fraternizzare 
«Non c’è nulla di male nel fraternizzare, e in ogni caso non sono affari tuoi!» 
Melinor rallentò la sua andatura, lasciando che Alistair rincorresse Morrigan mentre bisticciavano. Senza nemmeno rendersene conto si trovò fianco a fianco con Hawke. Le due si guardarono negli occhi qualche secondo; poi l’umana sorrise.  
«Ehi! Melinor, giusto?» 
«Ehi» l'elfa imitò l’umana; «sì, è giusto.»  
«Quei due non vanno proprio d’accordo, eh?» indovinò Hawke, indicando Alistair e Morrigan poco più avanti. 
«Già» sospirò Melinor, continuando a camminare. Avevano molta, molta strada da fare. 

 


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NOTE AUTRICE


E con questo capitolo, Hawke è scampata ai templari ed entra finalmente a pieno titolo nel gruppo come recluta dei Custodi.
Una piccola nota per quanto riguarda la storia dei capelli rossi e della divinità elfica Sylaise: è tutta una mia invenzione, nel gioco non si fa accenno all'aspetto delle divinità elfiche. Mi serviva un pretesto per scatenare quella precisa conversazione, e sono andata di fantasia. ;)
Grazie di essere passati, e alla prossima!

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Capitolo 11
*** Cambio di rotta ***


Camminavano da tutto il giorno quando, sul far della sera, arrestarono la loro avanzata. 
«Ma che sta succedendo?» disse Merevar scrutando in lontananza: diverse figure sembravano intente a lottare. Due di esse erano molto piccole. 
Alistair non esitò e sguainò la sua spada. «Prole oscura!» 
Senza esitare i tre custodi, Morrigan e Sten si lanciarono all'attacco; Leliana e Hawke, che non avevano mai visto la prole oscura, li raggiunsero dopo essere riuscite a respingere lo sgomento iniziale. 
Una decina di prole oscura stava attaccando due nani, che si nascondevano dietro a un uomo in armatura: il cavaliere si destreggiava bene, ma la netta maggioranza del nemico l'avrebbe sopraffatto presto.  
L'arrivo della compagnia fu provvidenziale: mentre Sten faceva ruotare il suo enorme spadone a due mani facendo a pezzi i nemici, Alistair e Merevar si coprivano le spalle a vicenda manifestando un'insospettabile sintonia. Sembravano quasi danzare allo stesso tempo, coordinandosi fra loro e assentando i colpi con un tempismo micidiale: la loro era una danza armoniosa e fatale per il nemico. 
Melinor e Morrigan, allo stesso modo, combinavano i loro incantesimi per sostenere i compagni in mischia, dimostrando una sinergia non da meno; Leliana diede prova della sua abilità con l'arco colpendo da distante, e anche Hawke fece la sua parte dimostrandosi una maga dalle abilità notevoli. 
I nemici furono sconfitti in breve tempo; i nani, impauriti, ancora tremavano accanto al loro carretto ribaltato. Il cavaliere che li stava proteggendo si ripulì il viso dal lurido sangue delle creature. 
«Grazie dell'aiuto, non ce l'avrei mai fatta da solo» disse ancora affannato. 
Alistair stava per rispondere mentre il resto della compagnia raggiungeva il gruppetto circondato da cadaveri. Gli occhi del ragazzo si sgranarono nel riconoscere il cavaliere. «Ser Donall 
Al sentirsi chiamare per nome, anche il cavaliere scrutò Alistair con attenzione. «Alistair? Siete davvero voi?» esclamò sorpreso per poi sorridere. «Per il Creatore, ragazzo... sei vivo! Io credevo che tutti i Custodi Grigi fossero morti a Ostagar... ho sentito le ultime notizie, e sapevo che eri stato arruolato nell'ultimo anno... è incredibile che tu sia riuscito a sopravvivere!» 
Alistair fece una smorfia di disappunto. «Già, incredibile. E prima che me lo chiediate, lasciate che vi dica questo: ciò che Loghain va dicendo in giro sui Custodi è soltanto un mucchio di calunnie. È stato lui a tradire la corona, non noi.» 
L'uomo lo guardò spaesato. «Tradire la corona? Loghain? Ma di che stai parlando? Io ero in missione, le uniche notizie che ho sentito venivano da gruppi di fuggiaschi e profughi... ma di questo non mi hanno parlato!» 
«Bene, allora conoscerete subito la verità» disse senza mezzi termini Alistair, iniziando a raccontare tutta la storia. 
Al termine del racconto ser Donall era allibito. «Non è possibile... Loghain è un eroe, non farebbe mai una cosa simile... al marito di sua figlia, poi!» esclamò basito. «Forse c'è stato un malinteso...» 
«Nessun malinteso, messere» s'inserì Melinor. «Il fuoco di segnalazione era stato accesso, e io ho visto con i miei occhi Loghain che abbandonava l'esercito al suo destino ignorando spudoratamente il segnale.» 
Il cavaliere guardò l'elfa con lieve esitazione. «Perdonatemi, non voglio mettere in dubbio la vostra buona fede... conosco Alistair da anni e so che non mentirebbe mai, ma... chiunque altro potrebbe dire che i vostri occhi hanno visto ciò che volevano vedere, essendo voi parte dell'ordine accusato di tradimento...» 
«Mio fratello era parte dell'esercito di re Cailan, e ha confermato la versione dei Custodi.» 
Tutti si voltarono verso Hawke con grande stupore. 
«Tuo fratello era a Ostagar?» esclamò Merevar. «Perchè non ce l'hai detto?» 
«Non me l'avete chiesto» fece spallucce la ragazza, come se nulla fosse. «Lui e un'altra donna di Lothering sono riusciti a fuggire appena in tempo. Anche lei sostiene la versione dei Custodi, e parliamo della moglie di un templare: una donna per bene, che non mentirebbe mai per rispetto del Creatore» disse agitando le mani nel palese tentativo di prendere in giro gli Andrastiani zelanti. 
«Tutto questo è pazzesco» mormorò ser Donall scutendo il capo. «Se solo Arle Eamon sapesse tutto questo, sono certo che si opporrebbe a Loghain 
«Sicuramente a quest'ora la notizia avrà già raggiunto Redcliffe; Eamon sarà stato informato» replicò Alistair; ma l'altro gli restituì uno sguardo mesto. 
«C'è una cosa che non sapete, Alistair... Arle Eamon è gravemente malato da settimane. Un giorno si è sentito male e ha perso conoscenza; non è nemmeno riuscito a impartire alla sua guarnigione l'ordine di partire per Ostagar. Visto come sono andate le cose è stato un bene, o sarebbero tutti morti» sospirò.  
«Arle Eamon è malato? Spero non sia troppo grave» disse Alistair con fin troppa preoccupazione. 
«Temo invece che lo sia, ed è proprio per questo che mi trovo qui» ribatté il cavaliere. «Sua moglie ha provato di tutto per curarlo: medicina, magia... nulla sembra funzionare. Non si sa nemmeno di quale mattia si tratti. Per la disperazione l'arlessa ha spedito diversi cavalieri alla ricerca dell'Urna delle Sacre Ceneri.» 
Leliana sussultò. «L'Urna delle Sacre Ceneri di Andraste?» 
Il cavaliere annuì. «Si dice che le ceneri della profetessa Andraste avessero poteri miracolosi.» 
Hawke proruppe in una risata. «Ma l'Urna delle Sacre Ceneri è solo una leggenda!» 
«Ricorda che ogni leggenda cela un po' di verità, Hawke» la redarguì Melinor. «Perfino i dalish conoscono Andraste: ha combattuto insieme agli elfi schiavizzati dall'impero Tevinter, ed è stato solo grazie a lei se agli elfi è stato concesso il territorio delle Valli per ricostruire il loro vecchio mondo, sul modello dell'antica civilità elfica di Arlathan 
«Peccato che poi gli umani si siano rimangiati la parola e ci abbiano cacciati anche dalle Valli, vero?» la interruppe Merevar. 
«Quello che cercavo di dire» continuò Melinor, fulminando suo fratello con gli occhi «è che Andraste era una donna giusta. Era una figura molto importante, e non sarebbe strano se le sue ceneri avessero qualche potere.» 
«Allora farei meglio ad affrettarmi» disse ser Donall. «Mi stavo dirigendo a Lothering nella speranza di poter consultare i libri della Venerata Madre, magari troverò qualche indizio.» 
«Allora non vi tratteniamo oltre» disse Alistair, porgendo la mano all'uomo. «Abbiate cura di voi. E non attardatevi troppo a Lothering, la prole oscura potrebbe piombare sul villaggio da un momento all'altro.» 
«Lo terrò a mente, Alistair; grazie. Buona fortuna a tutti voi.» 
Il cavaliere si congedò e andò per la sua strada. Quando fu sufficientemente lontano, Leliana incrociò le braccia sul petto. 
«Sono l'unica qui a pensare che la malattia dell'Arle abbia avuto un tempismo davvero provvidenziale?» 
Alistair non rispose; si limitò a stringere i pugni e a tirare la mascella, ma era chiaramente d'accordo. Hawke si grattò un orecchio, con l'aria di chi era d'accordo ma non voleva esprimersi a riguardo. 
«Cosa intendi dire, Leliana?» chiese Melinor, perplessa. 
«Oh, perdonami; dimentico che voi dalish non conoscete il mondo dei nobili e della politica» si scusò l'orlesiana. «Vedi, Arle Eamon non è solo un nobile molto potente: era anche lo zio di re Cailan da parte di madre. Se proprio la regina Anora dovesse aver bisogno di un reggente, dovrebbe essere lui di diritto: dato che la coppia regnante non ha mai avuto figli, lui sarebbe l'erede più prossimo in linea di sangue. Loghain, se vogliamo dirla tutta... non ha sangue nobile. Il suo rango è un'onorificenza concessagli per merito del suo ruolo di stratega nella liberazione del Ferelden dall'Orlais. Ma la sua in origine era una famiglia di contadini: non avrebbe alcun diritto di proclamarsi reggente. E, guarda un po'... l'unica persona che avrebbe potuto ostacolarlo si è misteriosamente ammalata proprio poche settimane prima della battaglia di Ostagar 
Melinor e Merevar erano un po' confusi da tutte quelle strane nozioni su stirpi nobiliari, linee di sangue e diritti di successione; ma ciò che Leliana sosteneva aveva senso, e anche Alistair e Hawke, abituati alla società umana, sembravano pensarla allo stesso modo. Poteva davvero esserci Loghain dietro a quella storia. 
Alistair si voltò di scatto, furente; si portò a un lato della Gran Via Imperiale e diede un pugno a una delle colonne che l'affiancavano. 
«Maledetto Loghain!» gridò. «Sta mettendo fuori uso tutti quelli che possono mettergli i bastoni fra le ruote! Duncan, Cailan... e ora perfino Eamon!» rincarò la dose con un altro pugno. 
«Ehi, calmati» disse allora Hawke, guardandolo con un misto di timore e preoccupazione. «Smantellare la Gran Via Imperiale a suon di pugni non sistemerà certo le cose.» 
«Arle Eamon è un brav'uomo!» si voltò lui, come se non avesse udito le parole della ragazza. «Non merita questo!» 
«Beh, Arle Eamon è amato da tutti, questo è vero... ma non credi di esagerare un po'? Sì, quel che gli è successo è ingiusto... ma sembra quasi che tu la stia prendendo sul personale» replicò Hawke. 
Alistair la guardò per un attimo con smarrimento; poi si ricompose. «Beh, ecco... in effetti è una cosa personale. Io conosco personalmente Arle Eamon.» 
Hawke sgranò gli occhioni nocciola. «Tu conosci Arle Eamon? Com'è possibile?» 
«Sono cresciuto al castello di Redcliffe» rivelò allora Alistair con riluttanza; l'espressione basita di Hawke, a cui era caduta la mandibola, non migliorò le cose. «Mia madre lavorava per lui al castello, ed è morta dandomi alla luce. Non si sapeva chi fosse mio padre, così... mi ha lasciato crescere lì.» 
La mandibola di Hawke non accennava a rialzarsi; fu Leliana a proseguire la conversazione. 
«Un nobile del rango dell'Arle di Redcliffe che mostra pietà per un orfanello... non è una storia che si sente tutti i giorni» insinuò, fissando il suo sguardo in quello del giovane. «Sei sicuro che non fosse proprio lui tuo padre?» 
«Ecco, è proprio questo genere d'insinuazioni che mi hanno procurato una promozione ad aspirante templare» fece del sarcasmo il biondino. «Se fossi davvero suo figlio, credi che avrebbe assecondato la moglie quando gli ha chiesto di mandarmi via a soli dieci anni perché non sopportava più certi pettegolezzi?» 
Melinor lo guardò con un misto di sorpresa e compassione: non riusciva a pensare a nulla di peggio per un bambino. Costretto a lasciare la propria casa per colpa di una moglie capricciosa e dei pettegolezzi che lo seguivano ovunque come un'ombra. 
Leliana sembrò accontentarsi della risposta di Alistair e non insistette oltre; cambiò argomento. «Pover'uomo. Rischia di morire per la folle ambizione di Loghain. È davvero un peccato, Arle Eamon poteva essere un alleato prezioso... e ha ancora tutti i suoi uomini... che spreco» concluse scuotendo il capo. Melinor l'ascoltò attentamente e rimase a pensare alcuni istanti. 
«Alistair» si voltò verso il ragazzo d'un tratto; «se Arle Eamon guarisse, credi davvero che ci aiuterebbe? Sosterrebbe la nostra causa?» 
Il ragazzo la guardò affranto, con occhi stanchi. «Sì, sicuramente. Oltre al fatto che è un uomo intelligente e in grado di intuire le ambizioni di Loghain meglio di chiunque altro qui, mi conosce: sa che non mentirei mai. Inoltre teneva molto a Cailan, farebbe di tutto per rendergli onore e giustizia» terminò la frase fra i sospiri. «Ma che differenza fa sapere questo? Tanto non può aiutarci.» 
«Potremmo aiutarlo noi a guarire.»  
Tutti guardarono Melinor con stupore, ed ella proseguì. «Quel cavaliere sostiene che hanno provato di tutto, ma dubito che abbiano provato a usare su di lui la magia dalish o quella di Morrigan 
La strega delle Selve alzò le braccia al cielo. «Ed eccola che di nuovo vuole salvare ogni povero sfortunato che incontra!» sbuffò. «Non abbiamo già abbastanza problemi da risolvere? L'arcidemone non ti basta?» 
«Non lo faccio per fare opera di carità, Morrigan. Non hai pensato a cosa succederebbe se riuscissimo a curarlo? Io non ci capisco granché di nobili umani, ma sembra che quest'uomo abbia molte risorse... averlo dalla nostra parte ci gioverebbe, e non poco. Il fatto che guarirlo sia anche la cosa giusta da fare non è altro che un punto a nostro favore.» 
Morrigan guardò Melinor di sottecchi, facendosi seria. Si portò una mano al mento. «Non hai tutti i torti; sì, questo posso capirlo.» 
Tirando un sospiro di sollievo mentalmente, Melinor guardò tutti gli altri. «Siete tutti d'accordo?» 
Tutti annuirono; Sten, che era rimasto ad ascoltare in silenzio per tutto il tempo, restò nel suo consueto mutismo. Gli ultimi occhi che Melinor incontrò furono quelli di Alistair: il ragazzo annuì, e sorrise appena. L'elfa capì che le era riconoscente: non sapeva cosa fosse accaduto fra loro, ma era chiaro che il ragazzo teneva a quell'Arle. 
«Bene; allora passeremo da Redcliffe, vedremo cosa fare per l'Arle, e poi da lì andremo alla Torre del Circolo. Non dovremmo perdere molto tempo, Redcliffe non è proprio di strada ma non è una gran deviazione.» 
«Ehm… chiedo scusa…» 
Tutti si voltarono verso la voce che aveva parlato. I due nani, che dopo essere stati salvati erano rimasti rispettosamente in disparte per lasciar discorrere la compagnia, si erano avvicinati. Melinor si meravigliò di sé stessa: non aveva nemmeno pensato di chieder loro se stavano bene. 
«Vi prego di perdonarci, eravamo così intenti a discutere che non vi abbiamo prestato attenzione» disse loro, mortificata. «State bene?» 
«Sì, stiamo bene» disse quello che sembrava il nano più anziano, cingendo le spalle di quello che poteva essere suo figlio. «Ed è solo grazie voi, quindi volevamo ringraziarvi. Io sono Bodahn, e questo è mio figlio Sandal. È un onore conoscervi.» 
Melinor sorrise, sventolando una mano per minimizzare. «Siamo felici di avervi aiutato. Io sono Melinor. Possiamo fare altro per voi?» 
«Avete già fatto fin troppo, milady» disse il nano, inchinandosi. «Essere salvati da un gruppo di Custodi Grigi non succede tutti i giorni. Abbiamo sistemato il nostro carretto mentre parlavate, e siamo già pronti a ripartire.» 
«Vi auguro buon viaggio allora, e fate attenzione» raccomandò l’elfa. 
«Grazie, e buona fortuna a voi, Custodi!» disse Bodahn, salutando con la mano. I due nani presero il loro carretto e si avviarono. Anche per il gruppo era ora di ripartire. 
S'incamminarono verso ovest; dovevano raggiungere la sponda meridionale del lago Calenhad, le cui rive bagnavano Redcliffe. 
 

La sera era calata: si erano accampati al riparo di una macchia di vegetazione lontana dalla strada, lontani da possibili occhi indiscreti. Le spie di Loghain potevano essere ovunque. Tutti erano raccolti attorno al fuoco da campo in attesa della cena: Morrigan rimestava la zuppa in un pentolone, mentre Hawke aspettava impaziente accucciata lì accanto. Melinor si avvicinò alle due. 
«Se mi chiedi anche tu tra quanto sarà pronto, non risponderò più delle mie azioni» brontolò Morrigan. 
«Non ti chiederò nulla, allora» alzò le mani Melinor, ridacchiando. Guardò nel pentolone. «Vedo che non manca molto, comunque. Ma...» disse, guardandosi attorno «non vedo Alistair. Dov'è?» 
«Ha detto che nell'attesa avrebbe pattugliato qui attorno» rispose Morrigan con noncuranza; Hawke alzò lo sguardo su di lei, un po' perplessa, ma non disse nulla. «Dovresti andare a chiamarlo, o non troverà più nulla da mangiare al suo ritorno.» 
«Va bene, ci penso io» acconsentì l'elfa, e si allontanò sparendo nella boscaglia. 
Hawke alzò nuovamente lo sguardo su Morrigan. «Ma non aveva detto che andava a farsi un bagno?» chiese, riferendosi ad Alistair. 
Morrigan non rispose; ghignò perfidamente, e Hawke non poté esimersi dallo sghignazzare. «Sei davvero crudele!» 
 

Melinor si aggirava nel piccolo boschetto in silenzio: ogni dalish sapeva che non era saggio mettersi a chiamare nomi a gran voce nella boscaglia. 
Udì un suono di acqua rimestata in lontananza: un piccolo stagno si nascondeva fra la vegetazione più avanti. Si diresse verso di esso, ma appena lo vide i suoi occhi si sgranarono e le sue labbra si dischiusero: si sentì avvampare e subito si nascose dietro al tronco di un grosso albero. Mentre la corteccia le pungeva la schiena sottile, non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine che aveva appena visto: Alistair di spalle, completamente svestito, che si lavava nello stagno. 
Una consapevolezza la colpì all'improvviso. Fen'Harel ma halam, Morrigan! maledì la strega in elfico. Adesso cosa faccio? Se me ne vado potrebbe vedermi, potrebbe pensare che lo stavo spiando... aspetto che finisca decise. Attese alcuni istanti e poi, con un solo occhio aperto, provò a sporgere la testa oltre l'albero. Quasi sussultò nel trovare il ragazzo ancora in piedi nello stagno. Per fortuna è ancora di spalle si consolò. Mentre pensava quelle parole aprì anche l'altro occhio: aveva osservato molte volte la schiena di Alistair, ma si era sempre concentrata soltanto sulle ferite da pulire. Non aveva mai notato come la sua fisionomia fosse diversa da quella degli elfi: per quanto atletici gli elfi potessero essere, non potevano avere una schiena così grande e muscolosa, due spalle così larghe... ma che sto facendo? scosse il capo per allontanare quegli apprezzamenti che si era involontariamente ritrovata a fare. Proprio in quell'istante, Alistair voltò appena la testa; subito l'elfa tornò a nascondersi. 
Rimase così diversi istanti, sentendo il frusciare dell'acqua; e all'improvviso, silenzio. Passarono un paio di minuti, che lei passò con le orecchie tese; e tutto d'un tratto alla sua destra apparve Alistair munito solamente di spada e calzoni. 
Melinor gridò per lo spavento, e d'impulso scagliò l'incanto d'esplosione mentale, generando un'onda d'urto che fece volare Alistair due metri più in là. 
«Melinor!» esclamò lui, rialzandosi in piedi. «Cosa ci fai qui? Pensavo fossi un genlock 
«Scusami, io... ero venuta a chiamarti per la cena, ma poi ti ho visto lì e...» rispose in preda alla frenesia.  
«Mi hai visto... lì?» chiese lui con evidente imbarazzo. 
«Non ho visto niente di compromettente» si affrettò a rispondere l'elfa. «Eri di spalle, così...» 
«Ah... bene» tirò un sospiro di sollievo il ragazzo, rincuorato. Sapendo che l'elfa non aveva visto nulla di che, non poté evitare di sorridere divertito. Per tutta risposta l'elfa avvampò nuovamente; ringraziò l'oscurità circostante che impediva ad Alistair di notare il rossore sul suo viso. 
«Ora rivestiti e vieni a cenare. Sbrigati, o Hawke si mangerà anche la tua parte.» 
Si voltò e si diresse a grandi falcate verso l'accampamento.  
 

Quando la vide avvicinarsi furente, Morrigan ridacchiò e riempì una ciotola di brodo fumante. Appena si trovò l'elfa davanti, gliela porse con fare amichevole. «Zuppa?» 
«Non è stato divertente, Morrigan!» esclamò l'altra, il gruppo attorno a loro che iniziava a guardarle con aria stranita; solo Hawke sghignazzava. 
«Oh, io lo trovo molto divertente invece» rispose la strega con voce cantilenante. 
Accortasi degli sguardi curiosi degli altri, Melinor abbassò la voce. «Si può sapere perché hai voluto farmi uno scherzo di così pessimo gusto?» 
«Eravate così carini stamattina, voi due... cinguettavate come due rondini nella stagione degli amori, dunque ho pensato di darvi una mano ad accelerare il corso degli eventi» rispose con fare innocente. Allungò nuovamente la ciotola verso l'elfa. «Vuoi tu questa ciotola o vuoi portarla ad Alistair 
Seguendo lo sguardo dorato della ragazza Melinor vide Alistair emergere dalla vegetazione. Allora prese la ciotola per sé e guardò malamente Morrigan un'ultima volta. «Non c'è un bel niente da accelerare!» sibilò, andandosi a sedere il più lontana da Morrigan possibile. 
«Ah, come vorrei che fosse davvero così» sospirò la strega delle Selve, riempiendo un'altra ciotola di liquido fumante. 





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NOTE AUTRICE

Ciao e bentornati! Sono stata assente ultimamente, ma eccomi qui con un breve capitolo "di mezzo": così chiamo i capitoli in cui non succede nulla di troppo rilevante.
La scenetta dello stagno è ispirata a una mod, e ho voluto includerla perché mi sembrava un modo divertente per caratterizzare maggiormente i personaggi e arricchire le relazioni fra loro. Nella mod si vede solo la custode che scopre Alistair nello stagno, lo spia e poi scappa via: tutto quello che ci ho ricamato attorno è farina del mio sacco (mi sembrava appropriato che Morrigan facesse la fastidiosa dopo aver assisitito al flirt dei due la mattina, eheh).
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, ci rivediamo alla prossima con l'arrivo (finalmente) a Redcliffe!

 

 

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Capitolo 12
*** Segreti svelati ***


La mattina seguente si rimisero in viaggio dopo aver messo qualcosa sotto ai denti. Nessuno sembrava aver molta voglia di parlare, tranne una persona che sprizzava allegria da tutti i pori.
«Allora, gente» esclamò Hawke, guadagnandosi un paio di occhiatacce ancora assonnate. «Visto che dovremo viaggiare insieme per chissà quanto tempo, sarebbe il caso di conoscerci meglio. Non trovate? Non sappiamo niente gli uni degli altri» fece notare.
Melinor la guardò con interesse, considerando attentamente la sua osservazione; ma non fece in tempo a replicare che Hawke era già partita in quarta.
«Ci penso io a rompere il ghiaccio. Come già sapete io sono un’apostata, come mia sorella Bethany. Abbiamo ereditato la magia da nostro padre, che ha passato la sua vita al Circolo dei Maghi di Kirkwall. Finché non ha conosciuto mia madre in occasione di un evento a corte a cui erano stati invitati alcuni maghi come intrattenitori; da quel giorno hanno continuato a scriversi e a vedersi in segreto, e alla fine sono fuggiti insieme da Kirkwall per venire a rifugiarsi nel Ferelden.»
«Kirkwall, hai detto?» le chiese Merevar, sorprendendo tutti; raramente mostrava interesse per qualcosa. «Nei Liberi Confini?»
«Sì; conosci la città?» chiese lei.
«Certo che no» rispose lui, divertito da quella che per lui era un’idea assolutamente ridicola. Aggirarsi o anche solo avvicinarsi a una città di shemlen? Che assurdità.
«Il nostro clan si è accampato nei pressi della città qualche volta» spiegò Melinor alla ragazza. «C’è una montagna lì vicino, chiamata Monte Spezzato. Ci sono alcune rovine elfiche  lì; per questo conosciamo la zona.»
Hawke annuì interessata; avrebbe sempre voluto vedere la terra in cui erano cresciuti i suoi genitori.
«Come ha fatto tuo padre a fuggire dal Circolo? Quando ero nei templari ho sentito dire che il Circolo di Kirkwall ha misure di sicurezza rigorose» s’inserì Alistair. Hawke sorrise con fare beffardo.
«Mio padre era amico di un templare; è stato lui a fare da tramite recapitando le loro lettere e permettendo che si incontrassero in segreto. Alla fine li ha aiutati anche a scappare.»
Alistair alzò un sopracciglio. «E suppongo che avrà anche distrutto il filatterio di tuo padre.»
Hawke annuì con aria trionfante; Melinor alternava lo sguardo fra i due, perplessa. «Cos’è un filatterio?»
«Una semplice fiala con un po’ di sangue» chiarì il ragazzo. «Quando un mago arriva in un Circolo viene prelevato un campione del suo sangue, in modo che sia possibile rintracciarlo in caso di fuga.»
«Che cosa divertente» commentò Morrigan; «la Chiesa si dà un gran da fare per bandire e punire i maghi del sangue, e poi utilizza la loro stessa magia per perseguire i propri scopi. Quale ironia.»
«La magia del sangue è malvagia, manipola le persone contro la loro volontà e attira i demoni» ribattè Alistair, indispettito. «Questa è una misura utilizzata solo in caso di emergenza, è una cosa ben diversa.»
Melinor non se la sentì di commentare; era d’accordo con Morrigan. Anche i dalish non amavano particolarmente la magia del sangue, poiché era da loro considerata una via oscura e pericolosa, tuttavia comprendevano che a volte poteva essere necessaria. La Chiesa invece dimostrava anche in quell’occasione la sua consueta ipocrisia, additando quella magia come proibita pur facendone uso per il proprio interesse. Ma tenne quei pensieri per sé.
«Dimmi di te, Morrigan» tornò a curiosare Hawke. «Sei anche tu un’eretica come me, no?»
«Sì, ed è tutto ciò che devi sapere» la troncò lì la strega.
«Perché invece non parliamo di tua madre?» la punzecchiò Alistair. Si voltò verso Hawke. «Sai chi è sua madre? Flemeth. Quella Flemeth.»
«Cosa? Scherzi, vero? È una delle tue solite burle da quattro soldi?» rise Hawke. Ma vedendo che il ragazzo scuoteva il capo, la ragazza si fece seria. I due gemelli si lanciarono un’occhiata, ripensando ad Ashabellanar e guardandosi bene dal fare commenti a riguardo.
«Ma non può essere… secondo le leggende Flemeth è vissuta secoli fa. Se fosse ancora viva sarebbe una vecchia carampana avvizzita!» esclamò Hawke.
Morrigan prese a ridere di gusto. «Oh, ma lei è davvero una vecchia carampana avvizzita. Non dubitare di questo.»
«Perché non ci parli un po’ di lei, Morrigan? Secondo la storia, Flemeth è stata posseduta da uno spirito maligno… quindi è un abominio» le lanciò una frecciatina Alistair. In quel momento Melinor ricordò che gli umani chiamavano così le persone possedute dai demoni: abomini.
«Perché invece non parliamo della tua, di madre?» replicò Morrigan, con una strana luce negli occhi.
«Vi ho già detto tutto di mia madre, era una serva al castello di Redcliffe ed è morta dandomi alla luce. Non c’è altro da sapere» sbuffò lui; Morrigan sembrò studiarlo attentamente per alcuni istanti, come se sapesse qualcosa che persino il ragazzo non conosceva.
«E va bene, Morrigan non vuole sputare il rospo» sospirò Hawke. Si voltò verso il Qunari, che procedeva silenzioso in fondo al gruppo. «Sten, parlaci un po’ di te!»
«No.»
«Per favore…?»
«No.»
Hawke si mise le mani sui fianchi. «Sei un tipetto ostile, eh?»
«Non capisco perché tutti voi umani dite così» disse lui, spazientito. «Se fossi davvero ostile, non avreste nemmeno il tempo di dire che sono ostile.»
«Oh, capisco. Quindi eri ostile nei confronti della famiglia di Lothering che hai massacrato?» lo accusò lei con rimprovero. «Non conoscevo benissimo quelle persone, ma so che era brava gente. Non meritavano certo una cosa simile.»
«Lo so.»
Hawke allargò le braccia con fare esasperato. «Allora perché li hai uccisi di tutti?»
«Ho ammesso il mio crimine e mi sono consegnato spontaneamente. So che non è stata una cosa onorevole ed ero pronto a espiare le mie colpe con la morte. Ora sono qui per espiarle combattendo il Flagello. Questo ti dovrà bastare; le mie motivazioni mi appartengono.»
Tutti ascoltarono in silenzio, impressionati: non avevano mai sentito Sten pronunciare più di una frase alla volta. Hawke alzò le mani in segno di resa.
«E va bene, abbiamo capito; sono tutti riservati, qui» esclamò con sarcasmo. «Leliana, voi servivate la Chiesa di Lothering. Ricordo ancora che quando siete arrivata, mio fratello Carver era tutto eccitato; era solo un ragazzino, e si era preso una cotta per voi» ridacchiò. Leliana rise a sua volta.
«Sul serio? Oh, sono lusingata. E dammi pure del tu, Hawke.»
«Anch’io sono curioso» parlò Merevar, scrutando la giovane orlesiana. «Come ci è finita una con le tue abilità a servire presso una chiesa?»
«Oh, non è una gran storia» minimizzò la rossa. «Ero un menestrello itinerante, prima. Una donna che viaggia sola per il mondo cantando storie deve pur imparare a difendersi, no?»
«Eri un menestrello, eh? O un bardo?» indagò Alistair, incrociando le braccia sul petto.
Melinor lo guardò con aria interrogativa. «Non sono la stessa cosa?»
«Non nell’Orlais» ammise Leliana. «Un bardo non è solo un intrattenitore. Spesso è al soldo di qualche nobile, e lavora per lui come spia.»
«O come assassino» aggiunse Alistair, con la voce colma di sospetto. Leliana lo guardò e gli rivolse un sorriso benevolo.
«E tu credi che io sia questo, Alistair?» chiese fissando il ragazzo dritto negli occhi; questi non rispose, incerto. Allora Leliana allargò il suo sorriso con dolcezza. «Non avete nulla da temere da me, nessuno di voi. Ho lasciato la mia vecchia vita da menestrello alle spalle per servire il Creatore. Non vi farei mai alcun male.»
Nessuno commentò, ma tutti si fecero la stessa domanda: era o non era stata un bardo? Non aveva negato di esserlo, ma nemmeno l’aveva ammesso.
«Bene, dato che Alistair ci ha già parlato ieri del suo passato, ora resta solo da scoprire quello del nostro capo e del suo scorbutico fratello» cambiò argomento Hawke, guardando Melinor.
«Parli di me? E quando sarei diventata il vostro capo?» rispose l’elfa, ingrandendo gli occhi.
«Mi sembrava una cosa ovvia» la rimirò con altrettanto stupore Hawke. «Sei stata tu a intercedere per me con la Venerata Madre, sei tu che fai sempre da mediatrice, hai deciso tu di andare a Redcliffe… sei tu a tenere le redini di questa combriccola di personaggi strampalati. Non è forse il capo quello si occupa di queste cose?»
«A lei viene naturale perché è stata addestrata come Guardiana dalish» disse Alistair con una punta d’orgoglio; essere a conoscenza di quel dettaglio sembrava rallegrarlo parecchio.
«Già, e meno male che c’è lei. All’inizio ero sorpresa, sapendo che tu sei il Custode più “anziano” mi chiedevo come mai il ruolo di leader non fosse tuo… poi ti ho conosciuto meglio ed è stato tutto chiaro» lo prese in giro Morrigan, mentre lui le scoccava scintille con gli occhi.
«Cos’è una Guardiana?» chiese Hawke all’elfa, ignorando i due litiganti.
«I Guardiani sono le guide dei clan dalish. Sono loro che prendono le decisioni più importanti e che si occupano del benessere del clan. Sono anche guaritori e gli unici maghi del clan insieme ai loro Primi, ossia i loro apprendisti. I Guardiani sono i custodi dell’antica conoscenza elfica: cerchiamo di ricostruire la perduta storia degli Elvhen studiando i resti che riusciamo a trovare. Poi, una volta all’anno, tutti i clan si ritrovano e i Guardiani mettono a disposizione degli altri le conoscenze acquisite.»
«Oh, capisco» esclamò Hawke stupita. «E come sei finita fra i Custodi, se dovevi diventare Guardiana?»
«Ecco… Merevar ha trovato un’antica rovina che nascondeva uno strano specchio» si sforzò di raccontare, le memorie che ancora pungevano nel suo profondo. «Era stato corrotto dalla prole oscura, ed entrandoci in contatto Merevar è stato infettato… fortunatamente Duncan, il comandante dei Custodi, stava indagando nella zona. L’unico modo per salvare Merevar era farlo diventare un Custode. Io ho scelto di seguirlo di mia iniziativa.»
Hawke sorrise, e per un istante perse quell’aria sbarazzina che la contraddistingueva; per un attimo sembrò una donna matura. «Sei davvero una brava sorella. Merevar è fortunato» disse, per poi tornare al suo solito modo di fare puntando lo sguardo sull’elfo. «E tu che facevi nel clan? Il combina guai?» lo prese in giro. Lui la ignorò, seccato; dopo aver ricordato come erano finiti lì, in mezzo agli shemlen, non aveva proprio voglia di scherzare.
Fu Melinor a rispondere per lui. «Lui era un cacciatore; uno dei migliori, a dire la verità.» Insieme a Tamlen…
Il discorso morì poco dopo; Hawke chiese ad Alistair di parlare della sua infanzia a Redcliffe, ma lui s’innervosì e restò sul vago. Proseguirono con il loro viaggio, animati dal gran baccano che Hawke portava con sé.


Dopo tre giorni di viaggio arrivarono a Redcliffe: era un grande villaggio dislocato sul territorio collinare che si affacciava sul lago Calenhad. Il colore rossiccio che caratterizzava la terra di quella zona era predominante, macchiato qua e là dal verde della vegetazione.
Appena raggiunsero il limitare del villaggio notarono parecchi corvi morti a terra.
«Guardate» puntò il dito Leliana. «Quei corvi portavano dei messaggi.» Guardò gli altri. «Forse dovremmo leggerli…»
«Ehi, voi laggiù!» li interruppe un giovane ragazzotto. Teneva in mano un forcone alla stregua di una picca. Li raggiunse correndo. «Siete venuti ad aiutarci? Grazie al Creatore!»
«Sì, siamo qui per questo» si fece avanti Alistair. «Come sta Arle Eamon?»
«Arle Eamon? Noi non…» balbettò l’altro, spaesato; s’interruppe, come se una consapevolezza l’avesse colto all’improvviso. «Voi siete qui per l’Arle! Allora non sapete nulla degli attacchi… avrei dovuto immaginarlo» sospirò sconsolato guardando i corvi morti. «Speravo che almeno uno di quei messaggi fosse riuscito a lasciare il villaggio…»
«Un momento, di cosa state parlando? Quali attacchi?» si allarmò Alistair.
«Va avanti da settimane ormai» spiegò l’altro. «Ogni notte un’orda di mostri esce dal castello e attacca il villaggio. Abbiamo cercato di respingerli, ma ormai siamo rimasti in pochi. E non possiamo scappare: i pochi che ci hanno provato sono stati aggrediti da quei mostri, anche se era pieno giorno.»
«Sapete cosa sono questi mostri? Si tratta di prole oscura?» indagò Melinor.
«Io… non saprei dirvi» scosse il capo il giovanotto. «Forse dovreste parlarne con Bann Teagan.»
Alistair s’illuminò. «Bann Teagan è qui?»
«Sì. Seguitemi, vi conduco da lui.»
«Chi è questo Bann Teagan? Alistair, lo conosci?» chiese Melinor, sospettosa.
«Sì, è il fratello minore di Eamon. Possiamo fidarci di lui, non temere.»
L’elfa annuì e si rivolse al paesano. «Va bene, allora portaci da lui.»
Il ragazzo fece per voltarsi, ma Alistair lo fermò. «Scusa, potresti concederci qualche minuto per parlare? Ti raggiungeremo subito.»
Il ragazzo annuì e si allontanò restando in attesa. Tutto il gruppo ora aveva gli occhi perplessi su Alistair.
«Io… ecco… devo farvi una confessione» iniziò lui, grattandosi nervosamente il capo biondo. «Io… ho mentito su una cosa.»
Mentre Morrigan e Sten guardavano con indifferenza, gli occhi degli altri s’ingrandirono appena.
«Riguarda mio padre. In realtà so benissimo chi era.»
«Sapevo che era strano» disse allora Leliana. «Un nobile come Arle Eamon non terrebbe mai un orfanello sotto al suo tetto senza un buon motivo. Dunque è lui tuo padre?»
Alistair la guardò nervosamente. «No, è… è ancora più complicato di così. Mio padre era Re Maric.»
Nessuno, stavolta, poté restare indifferente: persino Morrigan e Sten lo guardarono con tanto d’occhi.
«Oh, e così saresti un “bastardo reale”?» commentò la strega, acida.
«Sì, esatto» brontolò Alistair, seccato. «Arle Eamon ha accettato di tenermi nascosto al castello per salvaguardare l’onore di sua sorella, la regina. Se si fosse venuto a sapere che la regina Rowan era stata tradita sarebbe stato uno scandalo.»
«Quindi re Cailan era tuo fratello» mormorò Melinor.
«Perché non ci hai detto niente?» lo interrogò Merevar con sguardo duro. Incrociò le braccia sul petto in attesa di una risposta.
«Perché è uno stolto, ecco perché» rispose in sua vece Morrigan, andando poi a fissare le iridi gialle sul giovane umano. «Ti rendi conto di quanto sia vitale una simile informazione? Probabilmente per te non significa nulla essere di fatto un potenziale erede al trono» lo sferzò con le sue affilate parole. «Chissà a quante persone l’hai tenuto nascosto. Forse anche i tuoi amati Custodi Grigi ne erano all’oscuro? Perché se così fosse sarebbero morti senza sapere che questo Loghain li ha voluti eliminare a causa tua. Una cosa davvero triste, no?»
«Morrigan…» tentò d’interromperla Melinor.
«No, Melinor dei dalish» si ribellò l’altra, guardando l’elfa dritta negli occhi. «Alistair deve svegliarsi. Agisce come un bambino, mettendoci tutti in pericolo con i suoi segreti. Persino io arrivo a capire che se questo Loghain vuole il trono per sé deve sbarazzarsi di tutti i possibili eredi. Alistair era protetto dai Custodi, pertanto Loghain ha eliminato l’intero ordine nel tentativo di sbarazzarsi di lui. Ed è ciò che tenterà di fare con noi, ora che siamo noi a scortarlo in giro. Io non ho nessuna intenzione di rimetterci a causa sua…»
«Morrigan!»
Melinor alzò la voce per la prima volta da quando il gruppo si era riunito. Subito si ricompose, sostenendo lo sguardo della strega. «Sono certa che Alistair comprende benissimo tutto questo. Per questo ce lo sta dicendo ora.» Mosse lo sguardo verso il ragazzo, che aveva un’espressione combattuta: era diviso fra il suo disprezzo per Morrigan e la consapevolezza di quanto fossero veritiere le sue accuse. «Alistair» gli chiese, «Loghain sa di te?»
«Era il migliore amico di mio padre, quindi… credo di sì» ammise dolorosamente il ragazzo.
Melinor sospirò, seria in viso mentre lo scrutava. «C’è altro che dobbiamo sapere?»
«No, stavolta è davvero tutto.»
«Bene. Allora andiamo. Abbiamo del lavoro da fare» decretò l’elfa, dirigendosi verso il paesano in attesa poco più avanti. Merevar camminava al suo fianco. Morrigan superò Alistair guardandolo con aria di sfida, affiancata da Sten che restava come sempre impassibile. Leliana e Hawke lo superarono per ultime, lasciandolo solo a chiudere la fila.
«Accidenti, il figlio di re Maric!» bisbigliò Hawke a Leliana. Ma quest’ultima scosse il capo.
«Non mi sembra il caso di spettegolare proprio ora, Berkanna.»
«Hawke, non Berkanna! Hawke!»


Vennero condotti alla chiesa di Redcliffe: delle rozze palizzate difensive erano state erette tutt’attorno alla piazzetta antistante l’edificio, il quale era stipato di donne, bambini e anziani. Il gruppo entrò e prese a camminare lungo la navata centrale attirando su di sé sguardi curiosi.
«Alistair?» disse un uomo di mezza età andando loro incontro, abbastanza magro e con un paio di baffi curati. «Sei davvero tu?»
«Bann Teagan» lo salutò il ragazzo, stringendogli la mano. «Loro sono i miei compagni Custodi, più altri compagni che abbiamo reclutato lungo la strada» disse indicando il gruppo alle sue spalle. «Cosa sta succedendo a Redcliffe? Diteci tutto, siamo qui per aiutare. Cos’è questa storia degli attacchi notturni?»
«Non sapete quanto vi sono riconoscente, la vostra offerta d’aiuto è una benedizione» disse Bann Teagan, guardandoli tutti con occhi preoccupati e al contempo pieni di gratitudine. «Non sappiamo di cosa si tratti, è iniziato tutto poco dopo che mio fratello è caduto vittima di questa misteriosa malattia. Ci sono delle creature orrende che ogni notte si scagliano sul villaggio, uccidendo chiunque.»
«Si tratta di prole oscura?» investigò il ragazzo.
«No, da quanto ne so la prole oscura non ha quell’aspetto, anche se non l’ho mai vista. Io credo che siano… cadaveri ambulanti» cercò di spiegarsi alla meglio. «Credo siano i soldati che erano al castello, morti e riportati in vita da qualcosa… o qualcuno. Dico questo perché abbiamo inviato alcuni uomini al castello per cercare di avere notizie, ma sono tornati di notte… insieme agli altri mostri. Erano ancora riconoscibili, ma chiaramente senz’anima.»
Melinor, Morrigan e Hawke si lanciarono un’occhiata carica di tensione.
«Possessione di cadaveri» mormorò Melinor. «Potrebbero esserci diverse cose dietro a tutto questo…»
«E nessuna di queste è piacevole» aggiunse Morrigan.
«Concordo» asserì Hawke, rabbrividendo per il disgusto ma non certo per la paura.
«Se non riusciremo a respingere l’attacco di stanotte, temo che non resterà più nessuno domani a Redcliffe» tornò a parlare Bann Teagan.
«Com’è la situazione? Quanti uomini abbiamo, quali armi?» chiese Alistair.
«Ormai non ci è rimasto molto» ammise a malincuore il nobile. «Andate a parlare con il sindaco Murdock, qui fuori. Lui ha la situazione sotto controllo, per quanto possibile.»
E così fecero: Murdock diede loro diverse indicazioni, e ognuno si diede da fare per aiutare. Merevar e Alistair diedero qualche lezione di spada e tiro con l’arco ai paesani che avrebbero dovuto combattere quella notte. Leliana si preoccupò di convincere un nano chiamato Dwyn a combattere insieme a loro; pur essendo un veterano di guerra il nano si era sempre rifiutato di aiutare il villaggio e si er barricato in casa, ma chissà come l’orlesiana era riuscito a convincerlo. Hawke si preoccupò di tenere alto il morale, convincendo l’oste della locanda a servire birra gratis per tutti: la ragazza lo convinse dicendo che era più facile essere coraggiosi con un po’ d’alcool in corpo. Morrigan trovò dei barili pieni d’olio nell’emporio ormai abbandonato del paese, e propose di usarli come trappola per dare fuoco ai cadaveri ambulanti. Melinor si occupò di chiedere alla Venerata Madre del paese degli amuleti benedetti per i cavalieri rimasti a Redcliffe, capitanati da un certo Ser Perth, dopo avergli sentito dire che si sarebbero sentiti al sicuro sapendo che il Creatore vegliava su di loro. Inoltre si occupò di ragionare col fabbro, che da giorni si era rinchiuso nella sua fucina affogando nell’alcool e rifiutandosi di riparare le armi ormai sbeccate dei paesani. Scoprì che l’uomo era devastato dalla perdita della figlia Valena, la quale lavorava al castello, e scoprì anche dei dettagli interessanti: l’uomo le rivelò alcune chiacchiere riferitegli dalla figlia riguardanti l’Arlessa Isolde, moglie di Eamon. Sembrava che la donna s’incontrasse spesso in segreto con un mago recentemente reclutato a corte. La cosa diede molto da pensare all’elfa.
Dopo aver parlato con Melinor il fabbro decise di aiutare il villaggio riaprendo la fucina, nella speranza che i Custodi potessero così entrare nel castello e ritrovare sua figlia, viva o morta. Sten s’intendeva di armi e armature e aiutò il fabbro con le riparazioni, velocizzando notevolmente il lavoro con la sua forza sovrumana.
Quando il sole calò, tutti erano pronti ad affrontare l’imminente battaglia.

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Capitolo 13
*** La battaglia di Redcliffe ***


Tutti erano schierati: i cavalieri e gli abitanti di Redcliffe, insieme ai Custodi e al loro gruppo, attendevano. Il sole era ormai calato, e l’attacco era imminente. 
Sentirono un boato echeggiare in distanza: videro il cancello del castello aprirsi. Gli occhi di tutti, anche di coloro che avevano già affrontato quei mostri in precedenza, si sbarrarono: le prese si strinsero sulle armi. Un’orda di non morti, ancora vestiti delle armature possedute in vita, si riversò lungo la discesa della collina. 
«Adesso!» gridò Merevar a Hawke: senza farselo ripetere due volte, la ragazza lanciò una palla di fuoco sulla fila di barili pieni d’olio sistemati alla fine del sentiero che portava dal castello al villaggio. Le prime file di cadaveri vennero arse dalle fiamme sprigionatesi da quell’esplosione, ma gli altri riuscirono a farsi strada prendendo a camminare sui corpi ammucchiati dei loro compagni.  
«Attaccare, ora!» urlò ser Perth brandendo la spada verso l’alto. Rispondendo con un grido di guerra, tutti si lanciarono sui fiotti di mostri in arrivo. 
Gli arcieri rimasero in disparte su una piccola zona sopraelevata, guidati da Merevar; le tre maghe rimasero a distanza, ognuna utilizzando la branca magica che le era più familiare. Hawke attaccava i nemici utilizzando la sua magia elementale e Morrigan li indeboliva con la sua magia entropica, scagliando malocchi e rubando energia vitale al nemico. Melinor invece supportava gli alleati, curandoli e ripristinando le loro forze. 
Ben presto i cadaveri spinsero il gruppo all’interno del paese, circondandoli senza via di scampo: la battaglia si stava facendo dura, e i corpi cadevano da ambo le parti andando a punteggiare la pietra che rivestiva la piazza di Redcliffe. 
Melinor faceva del suo meglio per curare quanti più uomini possibile. 
«Ma cosa vogliono questi schifosi?» esclamò Hawke d’un tratto: un gruppo di cadaveri si stava scagliando sulle tre maghe, accanendosi su di loro e accerchiandole. Le tre si misero schiena contro schiena. 
«Probabilmente sono attratti dalla magia» gridò Morrigan per farsi sentire in quel frastuono: i grugniti dei mostri riecheggiavano in ogni strada, e il fetore emanato dalle loro carni marcescenti inondava le loro narici. 
«Dobbiamo separarci» ribattè Melinor senza perdere la calma. «Dobbiamo metterci ognuna su un lato della piazza, così i cadaveri si sparpaglieranno. Al mio tre lanciamo insieme un’ondata d’energia per atterrarli; poi Hawke, tu vai davanti alla fucina. Morrigan, tu davanti all’emporio; io vado davanti alla chiesa» decretò. Al loro cenno d’assenso, l’elfa diede il segnale. «Uno, due…» 
Al tre una forza invisibile si sprigionò dalle maghe; i mostri rimasero storditi, permettendo alle tre di fuggire. 
La battaglia proseguì, con i mostri tornati a sparpagliarsi ovunque. Melinor tornò a concentrarsi sulla guarigione degli alleati, ma ben presto i nemici ripresero ad accanirsi contro di lei. 
Ma che stanno facendo? pensò, guardando in lontananza. Notò che Hawke e Morrigan non venivano prese di mira quanto lei. 
Stava per essere sommersa dai cadaveri concentratisi attorno a lei, quando qualcuno iniziò a eliminarli dall'esterno della cerchia. Ben presto scorse Alistair coperto di schizzi di sangue, affiancato da Merevar che aveva lasciato l’arco da parte per buttarsi nella mischia. I tre lavorarono insieme per abbattere la piccola folla che aveva assalito Melinor. 
«Perché ce l’hanno con te?» gridò Merevar alla sorella. 
«Credo abbiano capito che sono io a guarire tutti» ribatté l’altra. 
«Cosa? Non possono essere così intelligenti!» osservò Alistair, voltandosi per mozzare la testa a un soldato in putrefazione. 
«Ci dev’essere un’entità che li guida, un’entità potente» spiegò l’elfa. Lo sguardo le cadde su uno dei paesani poco più in là che cadeva a terra senza vita. «Se li curo mi attaccheranno di nuovo; ma se non lo faccio, cadranno tutti come mosche in poco tempo!» 
«Allora ti guardiamo noi le spalle» decise Alistair senza esitare. «Tu concentrati sugli incantesimi di supporto, al resto pensiamo io e Merevar!» 
L’elfo annuì; scambiò uno sguardo d’intesa con Alistair e istantaneamente i due voltarono le spalle a Melinor, pronti a difenderla. L’elfa non perse tempo: si concentrò e tornò a guarire tutti gli alleati mentre i due ragazzi davanti a lei falciavano mostri senza sosta, aiutati anche dagli incantesimi energizzanti della dalish. 
Le cose andarono bene per diverso tempo: mentre i due tenevano impegnati i non morti, dall’altro lato della piccola folla concentrata su di loro Sten e i paesani sfoltivano i cadaveri in arrivo. Leliana era rimasta a guidare gli arcieri, e le due maghe aiutavano il gruppo a distanza. Pioggie di fuoco e fulmini spazzavano via gruppi interi di mostri, e molti di loro esplodevano in mille pezzi mentre Morrigan rideva esaltata. 
A un tratto Melinor si fermò; si aggrappò al suo bastone interrompendo i suoi incantesimi. Di riflesso, i cadaveri iniziarono a riversarsi altrove. Merevar lanciò un’occhiata preoccupata alla sorella. «Sto per esaurire le energie» disse lei, intercettando la sua muta domanda. 
«Tieni, prendi questo!» Alistair estrasse una fiala dall’armatura, contenente un liquido blu brillante, e la lanciò all’elfa. Lei l’afferrò al volo, e scrutandola ne riconobbe subito il contenuto. Guardò Alistair sorpresa, e lui le rivolse un fugace sorriso. «Serve più a te che a me.» 
L’elfa non perse tempo, e tracannò la pozione di lyrium. Subito il suo corpo venne attraversato da una scarica di sferzante energia, e Melinor riprese a supportare ininterrottamente tutti gli alleati.  
Dopo un paio d’ore il flusso di cadaveri proveniente dal castello s’interruppe: i sopravvissuti utilizzarono le loro ultime forze per abbattere gli ultimi nemici rimasti. 
Alla fine esultarono: molti di loro caddero a terra, vivi ma esausti, e i paesani erano in lacrime per la gioia. Poco contavano le pile di corpi appartenuti un tempo a uomini che conoscevano: erano sopravvissuti alla notte. Solo questo contava. 


All’interno della chiesa c’era un gran trambusto: i feriti erano stati sistemati su barelle e letti improvvisati, e tutte le donne si occupavano di medicare e fasciare ferite secondo le indicazioni della Venerata Madre e di Melinor. 
«Ecco qui» disse quest’ultima a un ragazzo, stringendo le bende in un nodo sulla gamba fasciata. «Riesci a camminare?» 
«Sì, credo di farcela. Grazie, Custode» le rispose il giovane, sorridendo riconoscente prima di zoppicare via. 
Melinor rimase seduta sulla sua sedia, incapace di alzarsi: seppur esausta dalla battaglia, non si era risparmiata nel curare i feriti. 
«Eccola qui, Bann Teagan» la sorprese una voce alle spalle: si voltò e vide Alistair al fianco del nobile. Questi le sorrise nel porgerle una tazza fumante. 
«Ci tenevo a ringraziarvi personalmente, lady Melinor» si rivolse a lei come se fosse una persona del suo stesso rango, cosa che lasciò l’elfa alquanto sorpresa. «Tutti mi hanno detto quanto il vostro ruolo sia stato fondamentale nella battaglia di stanotte. Non posso offrirvi molto date le condizioni del villaggio, ma accettate questo modesto pensiero: vi aiuterà a recuperare un po’ d’energia e a ritrovare il buonumore.» 
«Grazie, Bann Teagan» rispose lei, interrogandosi sulla natura del liquido caldo. 
«Ora dovete scusarmi, ma vi devo lasciare. Devo occuparmi di tutto questo disastro» si congedò in maniera gioviale il bann. Melinor lo salutò, e mentre l’uomo si allontanava lei rimase a fissare la sua tazza annusando il contenuto con aria incerta. 
«È sidro di mele caldo» le spiegò Alistair, catturando la sua attenzione. «È leggermente alcolico, ma nulla di esagerato» le disse con un occhiolino. Lei sorrise appena, iniziando a sorseggiare il liquido; storse appena la bocca nel saggiare la nota acidula della bevanda, facendo ridacchiare il ragazzo. 
«Sai, credo che Hawke avesse proprio ragione quando ti ha definita il nostro capo» disse ancora lui con espressione gentile. «Se non fosse stato per te non avremmo concluso niente finora, e tantomeno stanotte.» 
«Non ho fatto tutto da sola» si limitò a dire lei con modestia. «Ah, a proposito… grazie per quel lyrium. Non sarei riuscita a salvare così tanti paesani se non fosse stato per te.» 
Alistair fece un cenno con la mano per dirle figurati. L’elfa rimase in silenzio alcuni istanti pensando al lyrium: l'unico minerale che esisteva sia nel mondo fisico che nell’Aldilà, od Oblio, come lo chiamavano gli umani. Quel minerale che, una volta lavorato e raffinato, poteva venire assunto dai maghi per ricaricare il mana. 
«Perché avevi del lyrium con te?» chiese allora al ragazzo, non riuscendo a comprendere cosa un guerriero potesse farsene. 
«Oh, è solo una vecchia abitudine da templare. Probabilmente non lo sai, ma anche i templari fanno uso di lyrium. Serve per poter utilizzare al meglio i loro talenti.» 
Melinor sbarrò gli occhi. «Ma solo i maghi riescono a riprendersi dai danni fisici che il lyrium provoca. Com’è possibile che i templari ne facciano uso?» 
«Pagano un caro prezzo infatti» sospirò il ragazzo. «Devono assumerlo continuamente, e tu saprai bene che il lyrium crea dipendenza se assunto in dosi massicce. La Chiesa usa questo a proprio vantaggio per far sì che i templari non abbandonino l’ordine. Dato che è proprio la Chiesa a controllare il mercato del lyrium, teoricamente non è possibile trovarne altrove…» 
«Ma è orribile» le sopracciglia bionde dell’elfa s’inclinarono verso il basso. «Drogano i templari per controllarli?». Poi un pensiero la colpì. «Quindi anche tu…?» 
«No, no… io non sono mai diventato templare a tutti gli effetti. Prima di entrare ufficialmente nell’ordine ci viene somministrato solo di rado.» 
Melinor annuì, rimanendo a scrutare il ragazzo; era divisa tra il disprezzo nei confronti della Chiesa e qualcos’altro. Apparentemente a disagio, lui fece per andarsene. 
«Beh, ora vado; potrebbero aver bisogno di una mano là fuori…» 
«Aspetta.» Melinor lo scrutava ancora con espressione ferma. «Se ti faccio una domanda, prometti di rispondere sinceramente?»  
«Dipende dalla domanda» scherzò lui, ma vedendo che l’elfa restava seria annuì. «Certo, chiedi pure.» 
«Perché hai mentito riguardo a tuo padre?» 
Alistair non sembrò troppo sorpreso da quella domanda; distolse lo sguardo stringendosi appena nelle spalle. «Credevo non fosse poi molto importante.» 
«Alistair… a volte sei impulsivo e non pensi prima di parlare o di agire, questo è vero. Ma non sei uno stupido: non puoi aver creduto davvero che non fosse importante.» 
«Ti ringrazio della fiducia» ridacchiò lui, «ma prova a chiedere a Morrigan: sono certo che ti elencherà almeno un milione di ragioni per cui posso essere considerato stupido.» 
A quel punto Melinor assottigliò le fessure degli occhi, incrociando le braccia sul petto: lanciò al ragazzo un’occhiata talmente penetrante che quasi lo fece sussultare. «So cosa stai facendo; ho capito che tipo sei, sai? Cerchi di distogliere l’attenzione dall’argomento facendo dell’umorismo, ma questi trucchetti non funzionano con me.» 
Continuò a fissarlo appositamente per metterlo a disagio: aveva appreso quella tattica dalla Guardiana Marethari, che riusciva sempre a farsi dire la verità. 
«E va bene» si arrese il ragazzo, messo a nudo dallo sguardo smeraldino della dalish. «Ma ti avverto, la tua opinione di me probabilmente non migliorerà.» 
«Mettimi alla prova.»
Alistair esitò alcuni istanti, guardando ovunque tranne che negli occhi di Melinor. «Io non ve l’ho detto perché… perché tutti cambiano atteggiamento nei miei confronti quando vengono a saperlo. All’improvviso vedono in me solo il figlio bastardo di re Maric, e non più… semplicemente Alistair.» 
Melinor rimase a studiarlo, seria in viso; al che lui proseguì. «So che avrei dovuto dirvelo subito, mi secca ammetterlo ma quella Morrigan aveva ragione» borbottò con stizza. «Ora mi rendo conto di quanto possa sembrare infantile la cosa, è solo che… speravo che tu e tuo fratello poteste imparare ad apprezzarmi per chi sono, a prescindere dalla mia storia.» 
«E pensavi di riuscire a impressionarci mentendo?» alzò un sopracciglio lei. 
«Già… ora sembra ancora più stupida come mossa, vero?» rise appena con sconsolatezza. Trovò il coraggio di alzare lo sguardo ambrato sull’elfa, trovandola immobile e con gli occhi fissi su di lui. «Stai selezionando le parole più adatte a rimproverarmi?» 
«No, a quello ci ha già pensato Morrigan» replicò lei, sciogliendo le braccia. Si alzò per portarsi di fronte all’umano, il quale indietreggiò appena, preoccupato. Ma lei lo guardò dritto in faccia senza timore alcuno. «Voglio che tu sappia che sono d’accordo con Morrigan. Hai sbagliato, avresti dovuto dire la verità almeno a me e Merevar. Siamo tutti Custodi, siamo compagni: dobbiamo poterci fidare gli uni degli altri, e non è possibile se ci nascondiamo le cose a vicenda.» Alistair ascoltava mortificato, incapace di divincolarsi dalla salda presa che avevano su di lui gli occhi magnetici dell’elfa. «Però… posso capire perché l’hai fatto» lo colse di sorpresa. «Non ti giustifico assolutamente, ma ti capisco. Non dev’essere piacevole vivere una vita con l’etichetta di “figlio bastardo del re”.» Sotto gli occhi stupefatti di Alistair, lei fece spallucce. «Se ti può consolare, a noi dalish queste cose non importano affatto. Puoi essere figlio di chi ti pare, sono le tue azioni a raccontare chi sei.» 
Alistair rimase allibito, incapace di replicare per diversi secondi. «Quindi… non sei arrabbiata?» 
«No, non lo sono. Ma d’ora in avanti niente più segreti, d’accordo?» 
«Promesso» disse il ragazzo, sollevato. 
«Ehi, tu» lo chiamò una voce familiare. «Vieni fuori a darci una mano, ci sono un sacco di cadaveri da bruciare!» 
Hawke lo apostrofò da lontano mentre si dirigeva verso l’uscita tirandosi dietro Merevar. 
«Lasciami, shemlen» si ribellò lui, liberandosi dalla presa della ragazza con fare aggressivo. «E non toccarmi!» 
Per nulla scoraggiata dall’ostilità dell’elfo, Hawke continuò a spingerlo verso l’uscita.  
«Sarà meglio che vada anch’io» disse Alistair ridacchiando. In un batter d’occhio fu al fianco dei due, e insieme sparirono al di fuori dell’edificio. 
«Sei stata gentile con lui.» 
Melinor si voltò, trovandosi davanti Leliana: la ragazza la guardava con occhi pieni di dolcezza.  
«Lui ha sbagliato a tenere per sé una verità di quella portata, eppure tu sei riuscita a perdonarlo comunque, comprendendo le sue ragioni. Sei davvero un ottimo capo, Melinor 
L’elfa inclinò il capo da un lato, studiando l’espressione della giovane orlesiana. «Hai seguito la nostra conversazione a distanza?» chiese, ricordando che Leliana aveva già dimostrato di saper leggere il labiale. 
«Ecco, io… sì. Mi dispiace, lo faccio ormai senza volere. Vedere due persone che parlano per me equivale ad averle davanti e sentirle» si scusò la rossa. 
«Non importa» la rassicurò l’altra continuando a fissarla. C’era qualcosa nascosto nelle profondità di quei suoi occhioni celesti: qualcosa che l’elfa cercava di intercettare, di scoprire. Ma era come uno spirito spaventato, che un attimo era lì e subito dopo era svanito nel nulla. «Se hai seguito la nostra conversazione, allora sai che mi importa ben poco del passato delle persone… e che non mi piacciono i segreti.» 
Le labbra di Leliana si serrarono appena mentre sosteneva lo sguardo di Melinor; non disse nulla. 
«Leliana… io credo che tu sia una brava persona. Non voglio costringerti a rivelarmi chi eri un tempo, o cosa facevi per vivere. Ma, come ho detto ad Alistair: dobbiamo fidarci gli uni degli altri.» L’elfa addolcì la sua espressione. «Quindi, se mai volessi parlarne… voglio che tu sappia che qui nessuno ti giudicherà.» 
Leliana abbassò appena lo sguardo, sospirando. Prese a parlare in un sussurro. 
«Ascolta, Melinor… non voglio mentirti. Hai dimostrato solo gentilezza nei confronti miei e di tutti, quindi ti dirò la verità: io ero un bardo quando vivevo nell’Orlais. Ma quella vita… ho scelto di lasciarmela per sempre alle spalle. Preferirei non parlarne.» 
Melinor mise una mano sulla spalla della ragazza, la quale alzò lo sguardo sull’elfa, sorpresa. 
«Va bene così, Leliana. Grazie della tua onestà.» 
Le due sorrisero reciprocamente; insieme tornarono a occuparsi dei feriti all’interno della chiesa di Redcliffe. 


«C’è un passaggio segreto che porta dal villaggio al castello? E perché diamine non l’abbiamo usato subito, invece di aspettare che quelle creature venissero a devastare il villaggio?» sbottò Merevar qualche ora più tardi. 
La notte era trascorsa velocemente, così come la mattina successiva: i cadaveri erano stati bruciati e la piazza dove si era consumata la battaglia era stata ripulita. Il gruppo dei Custodi era stato poi convocato da Bann Teagan nei pressi del mulino di Redcliffe per stabilire la mossa successiva. 
«Non potevamo fare irruzione nel castello così alla sprovvista, quelle creature ci avrebbero attaccati. Almeno adesso sappiamo che la maggior parte di esse è stata annientata» rispose il nobile. 
«Bene, ha senso. Ma ora non perdiamo altro tempo. Se l’Arle è ancora vivo dobbiamo entrare subito» disse Merevar con risolutezza. 
«Sono d’accordo. Abbiamo perso fin troppo tempo combattendo le guerre di altri» commentò Sten, visibilmente impaziente. 
«Dobbiamo essere prudenti» intervenne Melinor. «C’era qualcosa a capo di quelle creature, qualcosa di malvagio e potente. Non possiamo…» 
«Per il Creatore… quella è Isolde?» 
Bann Teagan interruppe la conversazione indicando qualcosa alle spalle del gruppo. Una donna bionda, sulla trentina, correva giù per il pendio che conduceva al castello di Redcliffe, scortata da un soldato. 
«È l’Arlessa» sussurrò Alistair ai suoi compagni. «La moglie di Eamon.» 
«State in guardia» bisbigliò Melinor al gruppo, ricordando i pettegolezzi sulla donna di cui le aveva parlato il fabbro. 
Bann Teagan nel frattempo stava andando incontro alla cognata, che lo raggiunse trafelata. Prese a parlargli con un marcato accento orlesiano, tradendo le sue origini straniere. 
«Teagan! Grazie al Creatore, state bene…» 
«Cos’è successo, Isolde? Che ne è di mio fratello?» chiese il Bann, prendendo la donna per le spalle tremanti. Il gruppo dei Custodi li raggiunse con calma. 
«Per ora è ancora vivo» rispose l’Arlessa, guardando l’uomo con occhi pieni di paura. «Ma dovete venire subito con me. Connor ha bisogno di voi!» 
«Credo che ci dobbiate delle spiegazioni, prima» s’intromise Merevar, spazientito. Isolde si voltò verso di lui esterrefatta. 
«Cosa… chi siete voi?» I suoi occhi passarono in rassegna i volti sconosciuti, per fermarsi scioccati sull’unico viso familiare. «Alistair? Che cosa ci fate voi qui?» 
«Sono Custodi Grigi, Isolde» intervenne Teagan. «Hanno salvato il villaggio. Devo a loro la mia vita, sono qui per aiutarci.» 
«So che non siete felice di rivedermi, lady Isolde… ma siamo davvero qui per aiutare Eamon. Tuttavia abbiamo bisogno di sapere cos’è successo al castello prima di poter agire» Alistair si appellò alla donna con parole caute e diplomatiche. Melinor e Merevar, che finora lo avevano sentito parlare più che altro avventatamente, lo guardarono lievemente stupiti. 
«Ecco… io non ho molto tempo, e non so cosa sia sicuro dirvi… ma…» prese a mormorare la donna in preda alla paura. «C’è… qualcosa dietro a tutto questo. Qualcosa di malvagio ha risvegliato i morti e ci ha tenuti prigionieri nel castello. Per ora sta tenendo me, Eamon e nostro figlio Connor in vita... ma non so perché. Abbiamo catturato il mago responsabile di tutto questo, ma ciononostante questa storia continua.» 
Melinor, memore dei pettegolezzi sulla donna e il mago, socchiuse appena gli occhi. «Un mago, avete detto?» disse, restando sul vago per esaminare la reazione della donna. 
«Sì, l’avevamo assunto di recente. Poi abbiamo scoperto che stava avvelenando mio marito; per questo si è ammalato.» 
«Mio fratello è stato avvelenato?» esclamò Teagan, dando voce ai pensieri di tutti. 
«Il mago afferma di aver agito su ordine di Teyrn Loghain» confermò Isolde, scuotendo il capo. «Che assurdità.» 
Tutti si guardarono fra loro: era come avevano sospettato fin dall’inizio. C’era Loghain dietro alla malattia dell’Arle. 
«Potrebbe essere vero, Isolde… ci sono molte cose di cui non siete al corrente» le disse Teagan, mortificato. La donna sembrò sorpresa, ma la paura tornò immediatamente a farla da padrona. «Non so cosa sia questa storia di Loghain, ma non abbiamo tempo per questo. La… cosa che infesta il castello mi ha permesso di uscire per venire a prendervi, Teagan. Se non torniamo subito potrebbe fare del male a Connor! Vi prego, venite con me!» 
«No, è troppo pericoloso» li fermò Melinor, facendosi avanti. «Sospettavo ci fosse un demone dietro ai morti rianimati, e ora che so che un mago è coinvolto in tutto questo non ho più alcun dubbio. Si tratta senz’altro di un demone molto potente, non potete tornare lì da soli.» 
«Un demone? Oh, cielo» si lamentò Isolde, portandosi le mani al viso e premendovele contro. «Connor è in pericolo, Teagan! Dobbiamo andare subito!» 
Il nobile guardò la cognata preoccupato; poi si avvicinò ai tre Custodi davanti a sé. Sfilò un anello dal dito e lo lasciò cadere nelle mani di Alistair, sussurrando per farsi sentire solo da loro. 
«Questo anello è la chiave per aprire una botola nascosta nel mulino. Il passaggio segreto di cui vi ho parlato poco fa parte da lì. Io andrò con Isolde, voi nel frattempo entrate di nascosto; io cercherò di fare qualcosa, di distrarre questa entità.» 
«Bann Teagan, questo demone è pericoloso» bisbigliò Melinor. «Potrebbe uccidervi!» 
«Lo so, ma non ho altra scelta. Si tratta della mia famiglia» ribatté l'uomo con preoccupazione. «Una volta dentro al castello, fate il possibile per salvare mio fratello. Non preoccupatevi di me, salvate lui; e anche Connor, se possibile. È solo un bambino» aggiunse con occhi imploranti. 
«Vi salveremo tutti, Teagan. Ve lo prometto» disse Alistair con grande determinazione. Bann Teagan annuì e si allontanò. 
«Andiamo, Isolde.» 
Sotto gli occhi preoccupati dei Custodi, i due salirono il dolce pendio della collina; infine sparirono oltre il cancello del castello. 

 

 

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Capitolo 14
*** Connor ***


«Un tunnel che passa sotto al lago... chi l'avrebbe mai detto?» commentò Morrigan una volta entrati in quelle che sembravano le segrete del castello di Redcliffe. L'antico costrutto era stato eretto su un isolotto poco distante dalle rive del lago Calenhad, ed era collegato alla terra ferma tramite un ponte sopraelevato. Si pensava che quello fosse l'unico accesso, ma il gruppo scoprì che non era così. 
«Mi ricordo di questo posto» mormorò Alistair. «Una volta, da bambino, sono rimasto chiuso in una delle celle della prigione oltre quella porta. Ci è voluto un giorno intero prima che qualcuno mi ritrovasse.» 
«Non mi sembra proprio il momento di chiacchierare» borbottò Merevar in un sussurro; si era avvicinato alla porta e vi aveva appoggiato un orecchio per ascoltare dall'altro lato. «Abbiamo compagnia.» 
Il gruppo si scambiò una fugace occhiata d'intesa; Merevar aprì di scatto la porta e un corridoio buio, illuminato solo da un paio di fiaccole appese alle pareti, si parò loro davanti. Un gruppetto di non morti si stava accanendo contro una delle celle, ma nel vedere il gruppo fiondarsi contro di loro smisero di dedicarsi a ciò che stavano facendo. Lo scontro non durò che pochi attimi: pezzi di cadaveri cosparsero in breve tempo il pavimento di pietra grezza. 
«Siete... siete persone vive...?» 
Una voce tremante parlò da dentro la cella presa di mira poco prima: Merevar, con la presa ben salda sulle sue spade corte, fece capolino. «Chi sei?» chiese con fare sospettoso: davanti a lui stava un ragazzo dall'aria intimorita, rannicchiato in fondo alla cella. 
«Mi... mi chiamo Jowan. Voi non lavorate al castello... venite da fuori?» balbettò incredulo. 
Gli altri si avvicinarono a Merevar e presero a scrutare il prigioniero: Alistair storse la bocca. 
«Vesti del Circolo dei Maghi» disse con aria diffidente. «Sei tu il mago che ha avvelenato Arle Eamon, vero? Ecco perché sei qui.» 
«Voi... sapete?» disse l'altro, alzandosi in piedi e avvicinandosi alle sbarre.  
«Ce l'ha detto l'Arlessa» continuò Alistair, incrociando le braccia sul petto. «Lavori per Loghain, vero?» 
Il mago annuì con aria mesta. 
«Come sei finito a lavorare per lui?» continuò a indagare l'ex templare. «Il Circolo non cede maghi facilmente, nemmeno a nobili con il rango di Teyrn. I tuoi superiori sapevano cosa stava tramando quel traditore? O vuoi forse dirmi» disse, colto d'improvviso da una possibilità sconvolgente «che il Circolo sta collaborando con lui?» 
«A dire la verità il Circolo non c'entra niente» ammise il mago con aria più che colpevole. «Io sono fuggito dal Circolo. I templari mi hanno seguito, catturato e condannato a morte; poi mi hanno portato a Denerim. È stato lì che il Teyrn è venuto a parlarmi e a offrirmi questo lavoro. Ha detto che Arle Eamon era un pericolo per la corona, e che andava eliminato...» 
Alistair prese a scuotere la testa disgustato. Ma trovò il modo di continuare a interrogare il mago comunque. «Aspetta... sei stato condannato a morte dai templari? Solo per essere fuggito? Non è possibile... non è la prassi comune» considerò, i suoi occhi che si colmavano di sospetto. «Cos'hai fatto per meritare una simile pena?» 
Il mago abbassò lo sguardo a terra, facendosi piccolo piccolo. «Ho usato la magia proibita.» 
Alistair mise subito mano alla spada. 
«Sei un mago del sangue?» sbottò. 
«Ehi, vacci piano» si mise in mezzo Merevar, facendo cenno al ragazzo di mettere giù la spada. «Non vedi com'è ridotto? È già tanto se riesce a stare in piedi, dubito che possa permettersi di tagliarsi e sprecare il poco sangue che gli rimane.» 
Leliana guardava il prigioniero con grande sofferenza, indugiando con lo sguardo sulle ferite e sulle contusioni che deturpavano il suo viso; era stato torturato, e la cosa sembrava impressionarla in particolar modo. 
«Non vado fiero di ciò che ho fatto» riprese la parola il prigioniero. «Non avrei dovuto usare la magia proibita, e non avrei dovuto avvelenare l'Arle... ma è stato Teyrn Loghain a chiedermelo, pensavo che trattandosi di lui doveva essere tutto vero! Ora vorrei solo poter cambiare tutto... non ne ho fatta una giusta!» 
«Hai detto di chiamarti Jowan, giusto?» si fece avanti Melinor, portandosi di fronte alle sbarre di ferro. Guardò l'umano dritto in viso. «Dimmi, che altro ti ha detto Loghain 
«Nient'altro» replicò il mago scuotendo il capo. «Mi ha solamente detto di venire qui a Redcliffe poichè l'Arlessa cercava un tutore per suo figlio Connor. Il bambino aveva mostrato i primi segni di magia, e l'Arlessa voleva qualcuno che gli insegnasse come gestire i propri poteri in modo da tenerli nascosti. Non voleva che venisse spedito al Circolo. L'ha tenuto nascosto a tutti, perfino a suo marito... aveva troppa paura che l'Arle avrebbe fatto la cosa giusta, chiamando i templari perché scortassero il bambino alla torre del Circolo. Una volta qui avrei dovuto trovare il modo di avvelenare l'Arle; questo è tutto ciò che mi è stato ordinato di fare.» 
«Connor è un mago?» esclamò Alistair, basito. Jowan annuì in risposta.  
Leliana guardò il Custode. «Ed è davvero questo a sorprenderti di più, Alistair?» gli chiese. Lui la guardò stranito per un attimo, ancora distratto dalla novità appena appresa su Connor. 
«Già… mi sorprende di più il fatto che Loghain ne fosse a conoscenza, dato che l’Arlessa lo ha tenuto nascosto persino al marito» Merevar indovinò i pensieri di Leliana, la quale lo guardò con intensità; annuì con un singolo movimento del capo. 
«Aveva sicuramente piazzato delle spie qui a Redcliffe. Questa è un’ulteriore conferma del fatto che aveva pianificato tutto da parecchio tempo» affermò l’orlesiana in poco più d’un bisbiglio. 
Alistair serrò i denti per trattenere il fiume d’insulti che spingeva per prorompere fuori dalla sua bocca; Merevar si voltò nuovamente verso il prigioniero. 
«Allora, sei stato tu a scatenare tutto questo disastro dei non morti?» 
«No, io non c’entro niente, ve lo giuro!» esclamò lamentosamente il mago aggrappandosi alle sbarre. «L’Arlessa deve avervi detto che sono stato io, ma si sbaglia! Mi ha torturato per farmi confessare, ma io non avevo alcuna confessione da fare! Dovete credermi! Ho già commesso abbastanza errori, non farei mai nulla del genere!» 
«Allora chi è stato?» lo interrogò Merevar assottigliando gli occhi. 
«Io… temo che possa essere stato proprio Connor» disse Jowan con aria preoccupata. 
«Ma è assurdo, è soltanto un bambino!» esclamò Alistair. «Non può essere in grado di evocare un’entità potente come quella che c’è dietro a tutto questo!» 
«Disse l’ex templare» sospirò Morrigan, scuotendo la testa e pressando le mani contro i fianchi. «La tua Chiesa non ti ha insegnato che i giovani maghi alle prime armi sono i più vulnerabili contro i demoni?» ridacchiò poi, guardando il ragazzo con scherno. «Meno male che sei partito con i Custodi Grigi, perché saresti stato un pessimo templare.» 
Prima che il ragazzo potesse replicare, Melinor prese in mano la situazione. 
«Se il bambino è posseduto allora non c’è tempo da perdere. Dobbiamo intervenire subito.» Guardando il fratello, fece un cenno con la testa in direzione di Jowan; Merevar si mosse subito verso la cella, accucciandovisi davanti. Tirò fuori dallo stivale un piccolo grimaldello e prese ad armeggiare con la serratura. 
«Aspettate un momento» si fece avanti Alistair. «Non vorrete liberarlo!» 
«Verrà con noi e ci darà una mano. Conosce il castello e la situazione corrente, ci sarà d’aiuto» decretò Melinor con un tono che non lasciava spazio a obiezioni. 
«Non puoi dire sul serio, Melinor… è un mago del sangue, è pericoloso!» esclamò Alistair, paonazzo. 
Melinor si voltò per guardarlo dritto negli occhi come se nulla fosse. 
«Io e Morrigan conosciamo la magia del sangue, e sappiamo difenderci da essa. Non farà in tempo a fare nulla senza che ce ne accorgiamo. E poi tu sei stato addestrato come templare, no? Immagino che sappiate come neutralizzare la magia del sangue.» 
«Sì, ma…» 
«Allora siamo a posto, non credi?» lo interruppe Melinor bruscamente. «Se dovesse tentare qualcosa, sei libero di disporre di lui come più ti aggrada.» Nel dire quelle ultime parole l’elfa lanciò un’occhiata significativa al mago, che per contro rabbrividì. 
«Non sono d’accordo, Melinor» scosse ancora il capo Alistair. «Non ci si può fidare dei maghi del sangue, sono dei manipolatori! Ora ti sembra pentito e ragionevole, ma appena avrà l’occasione…» 
«No, non andrà così» esclamò Jowan, gli occhi che brillavano d’una luce nuova. «Voglio davvero rimediare a tutti i miei sbagli, dico davvero! Voglio aiutare!» 
Alistair lo guardò gelidamente; al che una risatina lo fece girare. 
«Andiamo, ragazzino. Non avrai davvero paura di questo povero maghetto» parlò Morrigan. «Lo hai visto bene? Questo Jowan è innocuo. Un vero mago del sangue non si lascerebbe mai catturare così facilmente, né tantomeno torturare. » 
«Già, perché tu sei un’esperta in merito, vero?» rimbrottò il ragazzo. 
«Vuole redimersi, Alistair» s'inserì Leliana a quel punto. «Ha sbagliato in passato, ma ora ha capito e vuole rimediare. Tutti meritano una seconda possibilità, non credi?» 
«Mi chiedo di chi tu stia parlando veramente» le lanciò una frecciatina Morrigan. 
Proprio in quel momento la serratura della cella scattò; Merevar si rialzò in piedi e si fece da parte mentre Jowan usciva timidamente sotto lo sguardo di tutti. 
«Follia» parlò allora Sten. «Lui è un bas saarebas, una creatura pericolosa e fuori controllo. Dovremo ucciderlo subito.» 
«Non so come funzioni per voi qunari, ma qui nel Ferelden non uccidiamo i maghi senza un buon motivo» lo guardò storto Hawke. 
«Se Jowan ci darà una ragione per farlo, allora potrai aiutare Alistair ad ucciderlo. Ma solo in quel caso» disse Melinor a Sten. Egli grugnì qualcosa in qunlat, la lingua dei qunari, e subito il gruppo iniziò ad avventurarsi nel castello.
 

Attraversarono la tenuta senza troppe difficoltà, guidati da Jowan e Alistair che si trovarono costretti a collaborare: incontrarono alcuni gruppi di non morti, i pochi rimasti dopo la battaglia della notte precedente, e barricati in alcune stanze trovarono alcuni inservienti del castello ancora vivi. Tra questi c’era Valena, la figlia del fabbro, che seguendo le indicazioni dei Custodi fece uscire tutti dal castello servendosi del passaggio segreto. 
Quando raggiunsero la sala dei ricevimenti restarono a bocca aperta: Bann Teagan saltellava alla stregua di un giullare sotto lo sguardo atterrito di Isolde; un bambino biondo e mingherlino batteva le mani divertito. Non appena si avvide della presenza degli intrusi, la sua espressione si fece ostile. 
«E così siete voi che avete distrutto la mia armata» li accusò. «E non contenti, ora vi siete infiltrati in casa mia. Ne pagherete le conseguenze!» 
«Connor, ti prego» quasi gridò Isolde, buttandosi in ginocchio davanti a lui. «Non fare più del male a nessuno, ti prego!» 
Melinor assisteva alla scena con grande attenzione: vide l’espressione del bambino mutare repentinamente. Si guardò attorno come se non capisse dove si trovava e perché.  
«Madre?» mormorò vedendo la donna ai suoi piedi. «Cos’è successo?» 
«Oh, Connor! Sei davvero tu!» sorrise fra le lacrime Isolde, protendendosi verso il figlio per abbracciarlo. Ma subito qualcosa tornò ad impossessarsi di lui, stravolgendone e deturpandone i lineamenti. Una forza invisibile scagliò la donna a metri di distanza, facendola atterrare proprio davanti ai Custodi. 
«Stai lontana da me, donna!» sbottò quello che poco prima era Connor, la voce all'improvviso troppo profonda e innaturale per essere quella d’un comune bambino. Melinor nel frattempo si era chinata sull'Arlessa, ora tremante e terrorizzata, e la stava aiutando a rialzarsi. Guardò il bambino con fermezza. 
«Hai stretto un patto con il bambino, demone?» lo interpellò andando dritta alla fonte. 
In risposta, Connor ghignò perfidamente; senza una parola, lanciò un comando ai soldati ancora vivi presenti nella stanza. 
Questi attaccarono il gruppo di intrusi, e insieme a loro c’era anche Bann Teagan. Il gruppo dovette difendersi, anche se i visi spaventati dei soldati indicavano chiaramente che stavano combattendo contro la loro volontà. 
«Non dobbiamo ucciderli, sono controllati dal demone! Non è colpa loro!» gridò Hawke ai suoi compagni. 
«Cerchiamo di tramortirli e fargli perdere conoscenza!» acconsentì Melinor. 
Lo scontro si risolse in breve tempo. Guardandosi attorno, finalmente riappropriatisi della loro volontà, i superstiti videro che Connor era sparito. 
Isolde corse a soccorrere Teagan, che era stato abbattuto da un colpo d’elsa di Sten. 
«Isolde» la riconobbe l’uomo. «Ma che… che cosa è successo?» 
«È tutta colpa mia, Teagan» singhiozzò Isolde. 
Raccontò ogni cosa al cognato e al gruppo dei Custodi: disse loro di come aveva scoperto che Connor era un mago, e svelò che la magia si era già manifestata in passato nella famiglia di suo padre. Disse loro di come l’aveva tenuto nascosto a tutti, e di come Jowan si era presentato al castello proprio al momento giusto: avevano tenuto nascosto a Eamon il fatto che era un mago, spacciando Jowan per un comune tutore. 
«Ma poi ci ha traditi, avvelenando mio marito» ringhiò l’Arlessa guardando Jowan con furia. Poi spostò lo sguardo su Alistair. «Come avete potuto liberarlo, dopo quello che ha fatto?» 
«Voleva rimediare ai suoi errori» rispose alle accuse Melinor. «Anche lui è stato ingannato da Loghain, come tutti noi.» 
Isolde, che non sapeva ancora nulla del complotto di Loghain, la guardò con perplessità. 
«Ve lo spiegheremo più tardi, Isolde. Ora dobbiamo occuparci di Connor… è chiaramente posseduto» disse Bann Teagan con espressione mortificata. C’era un solo modo per liberarsi di un demone: uccidere il veicolo che lo trasportava. 
«Ma è solo un bambino, non possiamo ucciderlo! Lui non ha colpa!» pianse la donna, disperata. 
«Ormai è diventato un abominio, lady Isolde» mormorò Alistair con quanta più delicatezza possibile. «Purtroppo non c’è altro modo…» 
«Un modo c’è.» 
Tutti si voltarono verso Melinor. 
«Noi dalish tentiamo sempre questa via prima di ricorrere al… metodo estremo. Connor è ancora sé stesso a tratti, l’abbiamo visto prima: significa che il demone non l’ha ancora posseduto completamente. In questi casi è possibile, tramite un rituale, mandare lo spirito di un mago nell’Oblio perché affronti il demone lì. Se il mago riesce a sconfiggerlo, la persona posseduta verrà liberata.» 
«Volete dire che il demone non si trova nel corpo di Connor?» chiese Isolde, speranzosa. 
«No, lady Isolde. È nella dimensione dell’Oblio che i demoni s’impossessano delle anime dei mortali. I demoni non possono entrare nel nostro mondo, ma vogliono disperatamente farlo: e l’unico modo per riuscirci è farlo attraverso i corpi di noi mortali. Per questo ci ingannano, stringendo patti con noi in modo da prendere i nostri corpi e poter camminare liberamente nel nostro mondo.» 
«Oh, cielo… è spaventoso» mormorò la donna.  
«Per fare questo rituale serve però una grande fonte di potere» continuò l’elfa. «Ci servirà un bel po’ di lyrium per avere il potere necessario a mandare un mago nell’Oblio.» 
«Questo potrebbe essere un problema» commentò Teagan, preoccupato. «Con il villaggio in questo stato, le nostre riserve sono pressoché esaurite.» 
«Beh… ci sarebbe un altro modo…» 
Tutti si voltarono verso Jowan: Morrigan alzò un sopracciglio con aria interessata. Melinor invece si fece seria e incrociò le braccia. 
«So a cosa alludi; e la risposta è no. Pensavo volessi redimerti…» 
Jowan abbassò lo sguardo con aria colpevole, ma Isolde non si perse d’animo. 
«Se c’è un altro modo voglio saperlo; voglio salvare mio figlio a tutti i costi, Custode!» 
Melinor sostenne lo sguardo della donna per qualche istante; poi si decise a rispondere. «Jowan allude alla magia del sangue. Il lyrium può essere sostituito con il sangue di una persona, ma per avere il potere necessario… serve fino all’ultima goccia.» 
«Allora prendete il mio» fece qualche passo avanti la donna, risoluta. «Tutto questo è successo per colpa mia. Voglio salvare mio figlio, anche con la mia morte se è necessario!» 
«No» si oppose Melinor, scuotendo il capo. «Questo tipo di magia richiede un prezzo troppo alto, non solo per chi si sacrifica… anche per chi vi partecipa. È sempre meglio evitare la magia del sangue: ti corrode l’anima» disse con decisione. Rimase a pensare alcuni istanti. «Ci dev’essere un modo per procurarci del lyrium!» 
«Beh, al Circolo ne hanno in abbondanza… e non è molto distante da qui» fece notare Alistair. 
Melinor si accese. «È vero… e dovremo comunque andarci prima o poi, per chiedere l’aiuto dei maghi contro il Flagello…» 
«Ma ci vorranno almeno quattro giorni» obiettò Hawke. «Sarà sicuro lasciare qui Connor in questo stato per quattro giorni interi?» 
Melinor rimase silente per alcuni istanti. Rifletteva fissando la pietra levigata che ricopriva il pavimento. Poi alzò lo sguardo sull’Arlessa. «Prima di decidere devo andare a controllare Connor. Dov’è ora?» 
«Probabilmente è scappato nella sua stanza, di sopra; è sempre lì che si rifugia» rispose Isolde. 
«Va bene, allora andiamo a controllarlo. Ma non tutti, potremmo peggiorare le cose» disse. «Morrigan, Hawke; venite con me. Alistair, anche tu; se Connor venisse posseduto le tue abilità da templare potrebbero servirci» disse, per poi guardare suo fratello. 
«Io resterò qui a controllare la situazione» disse l’elfo comprendendo al volo. La guardò seriamente. «Fa’ attenzione.» 
Melinor annuì; si voltò e, seguita dalle due maghe e dall’ex templare, si diresse ai piani superiori del castello. 
Alistair, che conosceva la dimora, le condusse in pochi minuti alla stanza di Connor: si ritrovarono in un ampio atrio sul quale si affacciavano tre porte. Una di queste era socchiusa, e un occhio celeste vi sbirciava attraverso spaventato. Melinor fece cenno agli altri di stare indietro; avanzò da sola. 
«Connor? Sei tu?» disse con voce gentile. 
«Co-cosa volete? Andatevene!» esclamò il bambino con voce tremante. «Andate via o la signora cattiva si arrabbierà!» 
«Chi è la signora cattiva?» indagò l’elfa, pur sapendo che si trattava del demone. 
«Lei… lei mi fa… mi fa fare delle cose brutte... mi fa dormire e prende il mio posto. Quando mi risveglio non ricordo più niente.» 
«Come l’hai conosciuta?» chiese l’elfa, ormai a un solo passo dalla porta socchiusa. 
«Io… cercavo un modo per salvare mio padre. Quando Jowan è stato arrestato ho frugato fra le sue cose per cercare una magia in grado di aiutarlo a risvegliarsi. C’era una formula per invocare un’entità in grado di soddisfare tutti i desideri: è così che l’ho conosciuta. Mi ha promesso di tenere in vita mio padre.» 
Tutto fu chiaro a Melinor: il bambino aveva stretto un patto con un demone del desiderio, uno dei più potenti. «Connor… adesso voglio che mi ascolti attentamente. Ma non spaventarti, va bene? Noi siamo qui per aiutarti.» Vide il bambino annuire attraverso lo spiraglio della porta; poi l’aprì un po’ di più, mostrandosi nella sua interezza. «Connor, la signora cattiva è un demone. Ma possiamo mandarla via» si affrettò a dire, vedendo lo spavento negli occhi del ragazzino. «Possiamo liberarti da lei per sempre. Ma per farlo dobbiamo andare al Circolo dei Maghi a prendere il lyrium che ci serve per completare il rituale. Staremo via qualche giorno, e ho bisogno del tuo aiuto» disse al bambino guardandolo intensamente. «Tu sei più forte di lei, Connor. Non è ancora riuscita a impossessarsi del tutto di te perché sei forte. Ho bisogno che tu rimanga forte finché non saremo di ritorno: non lasciarla passare, opponi resistenza.» 
«Ma lei… potrebbe far del male a mio padre» mormorò il bambino, spaventato. 
«Non può farlo, o verrebbe meno al suo patto» lo rassicurò l’elfa. «Deve tenerlo in vita se vuole tenersi la tua anima, perchè èvincolata al patto che avete stretto; e ti assicuro che non rinuncerà alla tua anima. Combatterà per tenersela. Ma tu devi essere forte, d’accordo? È l’unico modo per salvarti.» 
Connor esitò qualche attimo con gli occhi fissi sull’elfa; poi annuì. «Ci proverò. Ma voi fate presto, vi prego!» 
«Faremo il prima possibile» promise l’elfa con fare incoraggiante. 
I due si salutarono, e Melinor raggiunse i tre compagni in attesa. 
«Gli hai detto un mucchio di baggianate» disse Morrigan una volta scesa la prima rampa di scale. «Quel demone è molto più forte di lui.» 
«Ma se lui lo sapesse resisterebbe molto, molto meno» replicò Melinor, seria. «Ha bisogno di credere di avere qualche possibilità, o sarà tutto inutile.» 
 

Al piano inferiore tutti aspettavano. Appena i quattro entrarono nella stanza, Isolde e Bann Teagan andarono loro incontro. 
«Connor sembra a posto, per ora» informò tutti Melinor. «Ma dobbiamo partire subito, e fare in fretta.» 
«Grazie, Custode. Grazie» andò verso di lei lady Isolde, prendendole le mani fra le sue. «Non vi sarò mai abbastanza riconoscente. Vi darei dei cavalli, ma il demone… li ha fatti uccidere tutti…» 
«Non preoccupatevi» disse l'elfa con un sorriso mite. La donna lasciò andare le sue mani. «Vorrei che qualcuno restasse qui a sorvegliare Connor; Jowan, ci penserai tu.» 
Tutti si stupirono. 
«Vi fidate di lui a tal punto, lady Melinor?» obiettò Bann Teagan. «Io non mi sento affatto sicuro a restare qui con quel traditore.» 
«Resterò anch’io.» 
Sten si fece avanti, mettendosi al fianco di Jowan: accanto a lui il mago sembrava un bambino. «Se il mago tenta qualcosa, la sua testa rotolerà in pochi secondi.» 
«Sten, sei sicuro?» chiese Merevar, sorpreso. 
«Sì. So come gestire un mago fuori controllo. Veniamo addestrati anche per questo nell’Antaam 
«D’accordo, come vuoi» si limitò a rispondere Merevar. 
Presi quegli accordi, il gruppo partì immediatamente: non potevano permettersi d’indugiare. 
Il Circolo dei Maghi era la loro unica possibilità. 

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Capitolo 15
*** Tensioni ***


Quella notte stessa il gruppo si era accampato nei pressi della Gran Via Imperiale dopo essersi lasciato Redcliffe alle spalle. Un insolito silenzio regnava sovrano mentre consumavano il loro pasto serale attorno al fuoco.
«Sei stranamente tranquilla, Hawke» ruppe il ghiaccio Leliana, il suo passato da intrattenitrice che riemergeva attraverso quel tentativo di alleggerire l’atmosfera. «Solitamente non sentiamo altro che la tua voce durante la cena.»
Hawke annuì distrattamente, masticando il suo pezzo di pane mentre fissava il falò da campo. Il riflesso delle fiamme danzanti baluginava sulle sue iridi immobili.
«Qualcosa non va?» si preoccupò Leliana.
La fereldiana sospirò. «No, va tutto bene… stavo solo pensando a quel bambino.»
«Connor?»
«Sì. Dopo averlo visto così, quando siamo saliti di sopra… era così fragile, così spaventato…» scosse la testa facendo ondeggiare la sua coda di cavallo scarlatta. «Mio padre ha sempre messo in guardia me e mia sorella contro i demoni. Ci rimproverava spesso perché non lo prendevamo troppo sul serio, non avevamo un'idea concreta dei pericoli contro cui tentava di metterci in guardia. Pensavamo fosse solo un modo per tenerci sull’attenti, credevamo che i demoni fossero solo spauracchi… ma dopo aver visto Connor ho finalmente capito» concluse, incrociando le gambe sotto di sé. Melinor ascoltava comprendendo perfettamente i sentimenti della ragazza: la stessa cosa sarebbe potuta succedere anche a loro, ed era un pensiero davvero spaventoso. «Povero bambino… spero che, alla fine di tutto, non resterà troppo traumatizzato…»
«Già» aggiunse Alistair a mezza voce, tradendo una serietà che gli risultava bizzarra addosso. «Mi domando a cosa stesse pensando lady Isolde quando ha deciso di tenere segreta la magia Connor. È stata davvero irresponsabile.»
Gli occhi di Hawke guizzarono nella sua direzione, oltre le fiamme. «Perché, puoi forse biasimarla? Voleva solo risparmiare a suo figlio una vita orribile, rinchiuso dentro una torre.»
Le sopracciglia chiare del ragazzo s’arcuarono appena. «Certo che posso biasimarla, guarda a cosa ha portato la sua decisione!»
«Beh, non è certo colpa sua!» sbottò Hawke con un’aggressività che mai era emersa prima d’ora. Merevar, poco distante da lei, quasi rimase a bocca aperta nel fissare il suo cipiglio deciso. «La responsabilità è della Chiesa! Se i Circoli fossero luoghi piacevoli le madri non avrebbero alcun problema a mandarci i loro figli, e queste cose non succederebbero!»
«Oh, andiamo Hawke!» ribatté Alistair con decisione. «So che tuo padre era stanziato al Circolo di Kirkwall, ma non tutti i Circoli sono austeri e poco accoglienti come quello.»
«Non cercare di propinarmi baggianate, biondino!» s’arrabbiò ancor di più la ragazza. «Dimmi, mio caro: ci sei mai stato tu, in un Circolo?»
«Sì, a dire il vero» la guardò con aria di sfida l’ex templare.
«Oh, ma davvero? E per quanto, per cinque minuti?» lo sbeffeggiò Hawke. Gli occhi degli altri, attorno a loro, si spostavano dall’una all’altro per seguire la disputa.
«Ci sono stato per assistere a una prova del Tormento» replicò lui con l’aria di chi la sapeva lunga.
«Oh, il Tormento… un’altra bella trovata del Circolo, impiantare un demone nei maghi per testare la loro resistenza. E se per caso cedono alle loro lusinghe, che problema c’è? Li ammazzano e il problema è risolto!» esclamò esasperata Hawke. «Tu non sai proprio niente di come si vive nei Circoli, fidati. Mio padre ci ha vissuto per quasi tutta la vita, e ti posso dire io com’è là dentro. È come vivere in gabbia! I maghi vengono trattati come animali da tenere a bada, sempre con qualcuno che li osserva, sempre con qualcuno che li fa sentire in colpa per le capacità con cui sono nati. Possono uscire solo quando lo decidono i templari, solo quando i loro talenti sono necessari alle stesse persone che li condannano! Oppure vengono convocati a corte per intrattenere i nobili, come se fossero dei giullari! E lo sai che non possono nemmeno sposarsi, eh? Lo sapevi? Sono confinati là dentro per tutta la vita, e se per caso s’innamorano fra loro le loro relazioni vengono osteggiate! Perché potrebbero generare altri maghi; che cosa terribile, vero?» Hawke era rossa in viso, i lineamenti distorti dalla rabbia. «Se fosse per voi templari, io e i miei fratelli non saremmo mai nati! E non venire a dirmi che una cosa del genere è giusta, perché non può esserlo! È ingiustificabile!»
«Hawke» cercò di ammansirla Alistair, mantenendo un tono tranquillo e ragionevole. «Sai benissimo quali sono i rischi che ogni mago corre. Lo hai detto tu stessa poco fa: Connor ne è un esempio. I Circoli esistono per impedire che accadano cose come queste.»
Morrigan, seduta accanto a Merevar, sbuffò per commentare. Ma Hawke riprese subito il comando della conversazione. «Oh, è davvero comodo prendere Connor come esempio, vero? E che ne dici delle tre maghe qui presenti? Noi siamo perfettamente a posto. Questo dimostra che i maghi, se lasciati liberi e sotto la custodia di maghi esperti che possano insegnar loro come gestire i propri doni, non rappresentano un pericolo.»
«Oh, ma certo!» rispose sarcastico Alistair, buttando le braccia al cielo. «Allora lasciamo che tutti i maghi siano liberi! Esiste già un posto così, sai? Il Tevinter¹! Vuoi che ti racconti cosa succede in quella nazione, Hawke?»
«Il Tevinter è fuori controllo da secoli» lo contraddisse Hawke. «Le cose ormai funzionano in un certo modo lì, ma…»
«Non cercare scuse adesso! Il Tevinter è il perfetto esempio di cosa accade ai maghi lasciati in totale libertà: diventano tutti maghi del sangue!» Ora era Alistair ad alzare la voce. «Sai cosa fanno i magister del Tevinter? Alimentano il commercio degli schiavi! Comprano schiavi e li usano come fonte di potere per i loro rituali di magia del sangue! Li comprano per ucciderli e dissanguarli, Hawke! Soprattutto gli elfi! Ne uccidono a centinaia ogni settimana! Questo ti sembra giusto?»
Gli occhi di Merevar saettarono verso il ragazzo, e per un attimo sembrarono trapassarlo. «Non tirare in ballo gli elfi solo perché ti fa comodo!»
Vedendo Alistair sorpreso e un po’ intimorito, Morrigan prese a ridacchiare divertita; Melinor e Leliana seguivano la conversazione con apparente indifferenza. L’ex templare tentò di aprir bocca, ma il giovane elfo non glielo permise.
«Siete tutti uguali, voi shemlen» aggiunse con disprezzo. «Quando vi fa comodo, noi elfi siamo le povere vittime dei rituali sacrificali del Tevinter. E quando vi conviene diversamente diventiamo dei selvaggi che vagano per i boschi rapendo bambini, oppure esseri inferiori da sbattere nelle enclavi!»
«Ma io non intendevo niente di tutto questo!» si giustificò Alistair. «Stavo solo esponendo dei fatti reali! La magia del sangue è malvagia... lo sappiamo tutti, no?»
Istintivamente cercò lo sguardo di Melinor. L’elfa però non disse nulla, e rimase a guardarlo con occhi gelidi.
«Melinor, lo hai detto tu stessa» incalzò allora il giovane. «La magia del sangue ti corrompe l’anima. Sono parole tue, no?»
«Sì, sono parole mie.»
Vedendo che non aggiungeva altro, Alistair le lanciò un’occhiata significativa per esortarla a pronunciarsi in merito. Al che la dalish perse la pazienza.
«Alistair, è inutile che insisti. Io sono d’accordo con Hawke, non con te.»
Messo ormai con le spalle al muro, Alistair rimase a bocca aperta. «Ma…»
«Niente “ma”, Alistair!» alzò allora la voce Melinor, inarcando le sopracciglia verso il basso. «Quello che la vostra Chiesa fa ai maghi è abominevole! Quelle che i maghi vivono non sono vite degne di essere chiamate tali, sono soltanto esistenze tristi e prive di colore! Per non parlare poi del rituale della Calma che viene inflitto ad alcuni maghi per renderli dei vegetali ambulanti… è una pratica fuori da qualsiasi grazia divina!»
Morrigan si mise comoda, allungando le gambe sul terreno umido e poggiando le mani leggermente all’indietro per sorreggersi: sembrava si stesse proprio divertendo a godersi lo spettacolo. Non vedeva più persone, ma un branco di lupi a cui era stato gettato un osso con attaccato qualche brandello di carne: e quell’osso era Alistair, naturalmente. La cosa non poteva che intrattenerla piacevolmente.
«E il paragone col Tevinter è del tutto fuori luogo» proseguì Melinor con le sue parole graffianti. «Nel Tevinter hanno le loro tradizioni; sbagliate, questo è vero. Sono radicate nella loro cultura da secoli, per questo le cose funzionano così. Ma questo non significa che tutti i maghi liberi siano destinati a diventare maghi del sangue, è uno stupido pregiudizio infondato! I maghi hanno diritto alla libertà, come tutti! Vanno guidati alla scoperta della magia, non tenuti al guinzaglio come bestie da soma! Non vanno strappati alle loro famiglie in tenera età! Dimmi, Alistair: come ti sei sentito quando Arle Eamon ha scelto per te la vita da templare e ti ha mandato via dall’unico mondo che conoscevi?»
Fu come se un colpo di frusta avesse sferzato Alistair dritto in faccia. Sobbalzò visibilmente, ingrandendo gli occhi.
«A giudicare dalla tua espressione non è stato piacevole» proseguì l’elfa, inarrestabile. «E quindi dimmi: se fare questo a un comune bambino è sbagliato, perché farlo a un mago dovrebbe essere giusto?»
Alistair non trovò le parole per rispondere a quelle accuse; rimase mogio mogio a fissare il falò, incapace di ribattere.
Anche Leliana sembrava triste e pensierosa; Melinor si avvide di quante accuse aveva lanciato alla Chiesa, e provò il desiderio di mordersi la lingua.
«Non volevo offendere la religione di nessuno. Mi dispiace» disse allora, nel tentativo di rimediare. «Sono certa che la Chiesa faccia anche cose buone per i suoi seguaci, ma per quanto riguarda i maghi sta sbagliando approccio. Questa è la mia sincera opinione; spero di non aver offeso nessuno.»
«Non preoccuparti» colse il velato messaggio l’orlesiana; con un delicato cenno della mano indicò a Melinor che andava tutto bene. «A dire il vero io sono d’accordo con voi. Ho conosciuto dei maghi liberi prima di ritirarmi nel convento di Lothering. Non erano persone pericolose, e nemmeno malvagie. Credo che i maghi potrebbero essere liberi se venisse garantita loro un’istruzione. I Circoli non sono necessari, non nella loro forma attuale; dovrebbero diventare delle accademie, luoghi di studio… in fondo è stato il Creatore a creare i maghi. Di sicuro non approva che vengano trattati così.»
«Oh, già… dimenticavo che abbiamo una profetessa con noi» la prese in giro Morrigan, beffarda come suo solito. «Andraste Seconda, l’unica donna a cui il Creatore parla ancora!» concluse scimmiottando una reverenza.
Hawke, nel frattempo, lasciò che un enorme sorriso soddisfatto le si stampasse in viso. Si alzò e fece il giro del cerchio fino ad arrivare alle spalle di Alistair. Si accovacciò dietro di lui e gli mise una mano sulla spalla.
«Mi dispiace, amico; sei capitato in un gruppo di reietti e di eretici. Ti è andata male» disse con ilarità mentre Alistair assumeva un’espressione infastidita. Dopodiché la ragazza si rialzò e camminò dritta verso la sua tenda.

C’era solo buio attorno. Oscurità, tanfo di morte e caos. Versi gutturali tutt’attorno, grida stridule e mani fredde e viscide che volevano afferrare, trascinare, corrompere. E una canzone insistente nella testa che si faceva sempre più forte.
E infine lui: l’enorme drago che ruggiva levando il muso da rettile verso l’alto. Sembrò posare gli occhi sulla figura esile che lo stava fissando con sgomento.
«Melinor» chiamò. «Melinor…»
«Melinor!»
L’elfa si alzò a sedere di scatto: il grosso tomo che stava leggendo prima di appisolarsi accanto al fuoco scivolò giù dal suo grembo mentre la schiena si raddrizzava. Sulla sua spalla era posata la mano di Alistair, che la stava scuotendo delicatamente. Non appena comprese cos’era accaduto Melinor si ritrasse bruscamente, aumentando la distanza fra i loro volti.
«Scusami, ma ho sentito che ti lamentavi nel sonno… ho pensato fosse meglio svegliarti» spiegò il ragazzo, ancora inginocchiato accanto alla dalish. «Hai sognato l’arcidemone, vero?»
L’elfa sgranò gli occhi; il riflesso degli ultimi tizzoni accesi brillò nelle sue iridi. «Come fai a saperlo?»
«Succede anche a me, e di sicuro anche a Merevar» sospirò allora il ragazzo. «Succede a tutti i Custodi Grigi durante i Flagelli. Duncan avrebbe dovuto spiegarvi tutto dopo quella maledetta battaglia, ma… sai anche tu com’è andata» disse, distogliendo per un attimo lo sguardo prima di riprendere. «Il Rituale dell’Unione, oltre a renderci immuni alla corruzione, ci lega alla prole oscura. Per questo siamo in grado di percepirci a vicenda; in un certo senso siamo simili a loro. Di conseguenza, durante i Flagelli anche noi sentiamo il richiamo dell’Arcidemone. Si manifesta perlopiù nei sogni, ma alcuni dei Custodi più anziani dicono di poterlo sentire anche da svegli.»
Melinor annuì, ancora scossa dalla vivida immagine del drago.
«I sogni continuano anche dopo i Flagelli, comunque» continuò a spiegare il ragazzo. «Succede a tutti, chi più chi meno. Peggiorano con l’andare del tempo, finché…» si fermò. Melinor lo guardò con aria interrogativa: sembrava in difficoltà, come se non riuscisse a trovare le parole. Ma si fece il coraggio e continuò. «Ecco, questa è un’altra delle cose che avrebbe dovuto spiegarvi Duncan… vedi, la corruzione che viene indotta in noi al momento dell’Unione ci conduce lentamente alla morte. Un Custode Grigio vive in media trent’anni. Sappiamo che la nostra ora sta per giungere quando i sogni iniziano a farsi più frequenti. Arrivati a quel punto è tradizione recarsi a Orzammar, nelle Vie Profonde dove brulica la Prole Oscura, e morire combattendo anziché… aspettare.»
Melinor rimase ammutolita a guardarlo per diversi secondi; distolse lo sguardo, restando a fissare il vuoto davanti a sé. Aveva sempre immaginato d’invecchiare, di diventare anziana come la sua mentore Marethari, e morire attorniata dal suo clan. L’avrebbero seppellita e avrebbero piantato sulla sua tomba un bellissimo albero: questo sarebbe dovuto accadere. Ora, invece, la visione che si schiudeva davanti a lei era molto diversa: sarebbe morta da sola nelle Vie Profonde, assalita da quei viscidi mostri che avrebbero poi banchettato sul suo cadavere.
«Immagino che sarai furiosa» azzardò Alistair a mezza voce. «Anch’io ci sono rimasto di sasso quando l’ho saputo. Molti si lamentano, dicono che l’ordine dovrebbe avvisare in anticipo le reclute, dar loro la possibilità di scegliere… ma se fosse così nessuno si arruolerebbe più. Non è giusto, ma i Custodi Grigi devono fare tutto ciò che è necessario.»
Melinor annuì con aria assente. Era stata preparata da Marethari durante il suo addestramento a evenienze del genere: se fosse diventata la Guardiana del clan avrebbe dovuto prendere decisioni scomode e difficili per il bene della sua comunità. Comprendeva la necessità dei Custodi di tenere nascosti certi dettagli.
«Non sono furiosa; capisco le motivazioni dell’ordine. Ma non è comunque facile da digerire.»
Alistair rimase a guardarla con aria dispiaciuta; poi abbozzò un sorriso mite. «L’hai presa bene, tutto sommato. Meglio di molti altri.»
Melinor non rispose; si alzò in piedi e si stiracchiò. «Sarà meglio che lo dica io a Merevar» disse. Alistair le rivolse un’occhiata sollevata di muto ringraziamento. «Non credo che riuscirò più a prendere sonno. Vai pure a dormire, resto io di turno» disse ancora l’elfa.
«Sei sicura? Dovresti riposare…»
«Non ci riuscirei, e resteremmo svegli in due inutilmente.»
«Va bene» acconsentì Alistair nell'alzarsi; seguì con lo sguardo Melinor che, dategli le spalle, si portava al limitare dell’accampamento. «Melinor…»
L’elfa si voltò di profilo.
«Volevo dirti che ho pensato a quello che hai detto a cena» disse timidamente l’umano, muovendo qualche passo verso di lei per raggiungerla; tutti dormivano nelle loro tende lì attorno, e non voleva svegliarli. «Hai ragione. I maghi non dovrebbero subire un trattamento simile.»
Melinor alzò un solo sopracciglio; anziché essere felice di quelle parole sembrava scocciata.
«Alistair, non dobbiamo per forza andare d’accordo su tutto. Siamo un gruppo di persone adulte, ognuno con la propria storia e le proprie esperienze. È naturale avere idee diverse, e va bene così finché c’è rispetto reciproco.»
Alistair non si aspettava quella reazione; rimase di stucco e prese a muovere freneticamente le mani.
«Cosa? No, non fraintendere! Non lo dico per entrare nelle tue grazie, lo penso davvero. Quello che hai detto quando mi hai ricordato il giorno in cui i templari sono venuti a prendermi... mi ha dato modo di vedere la cosa sotto una prospettiva diversa. Non ci avevo mai pensato, ma in effetti per i maghi è la stessa identica cosa… anzi, è anche peggio. I templari servono la Chiesa r sono obbligati a seguirne le regole a vita, ma hanno molte più libertà rispetto ai maghi. Ai maghi viene negata qualsiasi cosa. Non mi ero mai soffermato a considerare la cosa da questo punto di vista.»
Melinor inclinò la testa di lato: la sua grande massa di capelli biondi si spostò mentre studiava il ragazzo. Sembrava sincero; quasi sentì la voce di Morrigan nella sua testa nel considerare che Alistair non aveva una malizia tale da mentire per ingraziarsi qualcuno. Il pensiero di una simile ingenuità la fece ridacchiare.
«Bene, in questo caso sono felice di averti aiutato a darti una svegliata» disse con un sorriso malandrino.
Alistair apparve molto sorpreso, ma subito cambiò espressione tornando al suo consueto e buffonesco modo di fare. «Ehi! Stai passando troppo tempo con Morrigan, ha una cattiva influenza su di te» ridacchiò. «Però devo ammettere che se sei tu a prendermi in giro non è fastidioso come quando lo fa Morrigan. Almeno so che tu scherzi.»
«Non esserne così sicuro…»
«Ecco, vedi?» le puntò il dito contro. «Proprio di questo stavo parlando. Stai lontana da Morrigan!»
Melinor si trovò suo malgrado a ridacchiare. «Vai a dormire, Alistair.»
Lui si strinse nelle spalle. «Se non ti dispiace preferirei restare di guardia anch’io. Non ho nessuna voglia di vedere ancora l’Arcidemone.»
«Oh» esclamò Melinor. «D’accordo.»
Rimasero in silenzio per i primi minuti del loro turno di guardia.
«Mi togli una curiosità?» ruppe il ghiaccio il ragazzo. «Merevar usa spesso quella parola, shemlen… ho capito che è una specie d’insulto, ma cosa significa di preciso?»
Melinor alzò un angolo della bocca, guardando le stelle sopra di sé. «Significa bambini veloci
Alistair aggrottò le sopracciglia, confuso. «E dovrebbe essere un insulto?»
«Lo è per noi elfi. C’è un motivo per cui vi chiamiamo così, ma è una lunga storia della nostra gente… non credo t’interessi.»
«Invece mi piacerebbe saperne di più» si mostrò interessato il ragazzo. «Da quando vi conosco mi sono reso conto che noi umani non sappiamo proprio un bel niente di voi elfi.»
Melinor ingrandì appena gli occhi. «Beh, in questo caso…» si preparò a raccontare. «Sono stati i nostri avi, gli Elvhen, a coniare quel termine. Forse già sai che un tempo gli Elvhen erano immortali. Per questo tutto fluiva molto lentamente per loro: una loro canzone poteva durare mesi, un discorso anni, un concilio decadi…» L’espressione meravigliata di lui le strappò un sorriso. «Puoi immaginare cosa sia successo quando gli elfi e gli umani sono entrati in contatto la prima volta. Gli umani avevano tempi molto brevi, veloci… volevano tutto e subito. Agli occhi degli Elvhen erano come bambini capricciosi.»
«Quindi… bambini veloci.»
«Esatto.»

La notte trascorse in un lampo. La mattina seguente, dopo aver messo qualcosa nello stomaco, il gruppo ripartì.
Alistair e Melinor, per nulla assonnati, aprivano la strada mentre intrattenevano fra loro una fitta conversazione. A quanto pareva avevano parlato tutta la notte dei rispettivi mondi: Melinor aveva raccontato dei dalish, e Alistair della nobiltà e della Chiesa. Melinor si ritrovò a essere molto interessata ai meccanismi che tenevano in piedi il mondo politico e religioso degli umani. Anche Leliana fu coinvolta nella conversazione, lasciando il resto del gruppo tagliato fuori.
Merevar, nelle retrovie,si ritrovò suo malgrado ad ascoltare i due umani mentre spiegavano a Melinor che molti membri della Chiesa erano costretti a vivere una vita di castità. Leliana confessò tranquillamente di non aver mai preso quei voti nonostante avesse praticato l’astinenza durante il suo soggiorno al chiostro di Lothering, mentre Alistair rimase evasivo. Leliana lo punzecchiò per un po', insinuando che non essendo mai stato ufficialmente promosso a templare la castità non era mai stata un vero obbligo per lui; ma lui continuò a sviare il discorso con le sue battutine.
«Sembra che quei due abbiano fatto pace. Ieri sera erano ai ferri corti, e guardali ora…»
Merevar si voltò per guardare Hawke al suo fianco; la ragazza osservava i tre apri fila mentre parlava.
«Melinor non si arrabbia mai davvero con nessuno» fece spallucce Merevar, indifferente. «Perdona sempre chiunque; faceva parte del suo addestramento capire i membri del gruppo.»
«Sarà…» commentò Hawke con fare allusivo; le sue iridi nocciola si spostarono di lato per incollarsi sull’elfo, mentre un angolo della sua bocca si sollevava. «Sai, Morrigan è convinta che fra quei due ci sia qualcosa…»
A quell’insinuazione Merevar lasciò cadere bruscamente il manto d’indifferenza che lo avviluppava costantemente. Si voltò di scatto verso la fereldiana, che allargò ulteriormente il suo ghigno.
«Non dire sciocchezze» sbottò Merevar; suonò più turbato di quanto non volesse. «Melinor non starebbe mai con un umano, è una dalish.»
«Perché, è vietato?» ribatté Hawke con fare sarcastico.
«Noi non ci mischiamo con gli umani» continuò imperterrito Merevar, infastidito all’idea di Alistair e Melinor insieme. Che orrore.
«Quando siete nei boschi fra di voi, forse» continuò a pungolarlo la ragazza con espressione sorniona. «Ma ora che siete qui con noi non avete molta scelta…»
«Non succederà mai, chiaro?» esclamò con decisione l’elfo, fissando le sue iridi verdi in quelle nocciola che lo guardavano di rimando piene di divertimento.
«Sarà…» ripeté con lo stesso tono di poco prima Hawke. «Fatto sta che Alistair, pur con le sue stupidissime battute, è appena riuscito a farla ridere.»
La ragazza diede un colpetto di testa per indicare i due più avanti; seguendo il suo sguardo, Merevar la vide. Sua sorella stava ridendo insieme ad Alistair e Leliana.
«Non significa niente» borbottò. Ma il suo sguardo s’indurì, il suo cuore che iniziava a palpitargli frenetico nel petto; si chiuse in sé stesso e non parlò più.



 

NOTE

¹: L'Impero Tevinter, un tempo una delle più influenti nazioni del Thedas ormai in decadenza, è noto per essere governato dai maghi. I maghi presiedono al governo tramite l'istituzione del Magisterium, parte del senato imperiale. Tutte le famiglie nobili del Tevinter hanno un seggio nel Magisterium, e sono composte di soli maghi (detti magister). Pur avendo una sua Chiesa (seppur distaccata da quella Andrastiana e presieduta da un Divino anziché da una Divina), il Tevinter non condanna i maghi: anzi, la magia è motivo di grande vanto. La libertà dei maghi del Tevinter, tuttavia, ha portato questi ultimi a fare uso abituale e indiscriminato della magia del sangue. Per questa e altre ragioni (tra cui la legalizzazione del commercio degli schiavi, per la maggior parte elfi), il Tevinter viene disprezzato dalle altre nazioni del Thedas.

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Capitolo 16
*** Il Circolo spezzato ***


Marciarono a passo veloce per due giorni; dopo il secondo calar del sole, arrivarono in prossimità del porticciolo del lago Calenhad.
Melinor si fermò non appena la vide in lontananza: l’altissima Torre del Circolo. Rimase a fissarla per alcuni istanti.
«Kinloch Hold… la prigione dei maghi stolti» commentò aspra Morrigan.
«Molti di loro non hanno scelta, Morrigan. Vengono portati lì da bambini» disse Hawke, con gli occhi fissi sulla torre.
«Ma possono fuggire, no? Non è ciò che ha fatto anche tuo padre?»
Hawke si strinse nelle spalle. «Sì, certo… ma non è stato facile.»
«E proprio questo fa di lui un mago degno d’esser chiamato tale» concluse la strega delle Selve. Una simile affermazione, detta da lei, suonava come un vero e proprio complimento.
Melinor, nel frattempo, non aveva smesso un secondo di guardare la torre: era un edificio imponente, che svettava verso l’alto perdendosi nel blu intenso della notte. Emergeva dalle acque del lago come un gigante di pietra, pronto a fagocitare qualsiasi mago passasse nelle sue vicinanze.
Solo l’impercettibile movimento di Leliana riuscì a farla distrarre dalle sua contemplazione. Si voltò, e la vide dirigersi verso un’ombra acquattata nel buio poco più in là.
«Cosa state facendo?»squillò la voce dell’orlesiana.
La figura misteriosa, colta alla sprovvista, si voltò di scatto. Era un uomo di mezza età, di umili natali.
«Chi… chi siete? Cosa volete?» esclamò l’uomo, alternando lo sguardo fra Leliana e il gruppo poco più in là.
«State profanando questi corpi, non è così?» assunse un cipiglio deciso la ragazza, incrociando le braccia sul petto. «Dovreste vergognarvi, depredare così gli averi di chi è appena tornato al Creatore!»
«Ehi, ma chi siete voi? Una sorella della Chiesa?» sbottò l’uomo, risentito. «Non sono affari vostri! E poi c’è ben poco da depredare, qui. Quel Faryn riesce sempre a farmela… si è preso tutto ciò che c’era di valore! A quest’ora sarà già a Orzammar a fare affari con i nani, mentre io sono qui ad ascoltare le vostre ramanzine! Bah» sbuffò, alzando le mani al cielo. «Sapete che vi dico? Non ne vale la pena» decretò, voltandosi e lasciandosi Leliana alle spalle.
Merevar si avvicinò, incuriosito; ma si ritrasse bruscamente alla vista dei cadaveri sparsi davanti alla donna. «Che fetore» disse, portando una mano al naso. «Come riesci a stare qui come se nulla fosse?»
«Ho visto di peggio» disse la donna, tornando a guardare i corpi. Erano enormi, molto più grandi di qualsiasi corpo umano. «Guarda» osservò, puntando il dito su di essi. «Guarda che stazza…»
«Assomigliano molto a Sten» riconobbe Merevar. «Che siano Qunari?»
Leliana annuì. «Forse Sten li conosceva… non si vedono molti Qunari qui nel Ferelden, non può essere una coincidenza» disse, senza sembrare troppo interessata alla cosa. Sospirò. «Purtroppo non possiamo fare più nulla per loro. Faremmo meglio ad andare, è già tardi.»
Detto ciò, raggiunsero il resto del gruppo e proseguirono.
 

Raggiunsero il porticciolo di Kinloch Hold in meno di mezz’ora. Era davvero piccolo, con soltanto una piccola barca attraccata; c’era anche una locanda modesta, recante l’insegna “La Principessa Viziata”. Il gruppo si avviò subito verso il pontile, ma una voce li chiamò.
«Ehi, voi. Avete affari col Circolo?»
Un uomo grassoccio, avanti con gli anni, li guardava da una panchina sistemata accanto all’entrata della locanda. «Se è così, sappiate che la Torre non riceve visite in questi giorni.»
«Cosa?» esclamò Alistair. «E voi chi siete?»
«Il barcaiolo. O, per meglio dire, lo ero. I templari mi hanno sequestrato la barca parecchi giorni fa; ero io a garantire la tratta fino al Circolo, ma mi è stato provvisoriamente impedito. Sembra che ci siano problemi laggiù» indicò la torre con un cenno del capo.
«Che genere di problemi?» chiese ancora Alistair, avvicinandosi all’uomo affiancato dai due elfi.
«Non lo so, non me l’hanno detto.»
«Noi dobbiamo assolutamente recarci alla torre. Non c’è nessuno con cui possiamo parlare?»
Il barcaiolo si massaggiò il mento con fare pensoso. «Sì, potreste parlare col templare che è stato messo di guardia al pontile. Ma adesso starà dormendo qui alla locanda.»
«Bella guardia» commentò Merevar, scuotendo la testa.
«Sì, non è un ragazzo molto sveglio; è pigro, e testardo come un mulo» ammise l’uomo, alzandosi in piedi. «Venite, vi accompagno dal locandiere.»
Alistair e Melinor seguirono l’uomo; Merevar rimase indietro con gli altri. «Andate voi a fare i diplomatici. Noi vi aspettiamo qui.»
Melinor acconsentì in silenzio, e sparì insieme ai due uomini oltre la porta.
Nell’attesa, Hawke si era seduta sulla panca lasciata libera dal barcaiolo; Merevar stava in piedi accanto alla porta, poco distante da lei, mentre Morrigan e Leliana discutevano poco più in là. Leliana sembrava interessata a conoscere la verità su Flemeth, ma Morrigan non aveva molta voglia di chiacchierare con lei.
Merevar si ritrovò a osservare Hawke: la ragazza aveva gli occhi fissi sulla torre, e dire che la sua espressione era ostile era un pallido eufemismo.
«Stai cercando d’incenerirla con il pensiero?» esordì l’elfo.
Senza distogliere lo sguardo, Hawke ghignò appena. «Non sarebbe una cattiva idea.»
«Sembri odiare davvero tanto quel posto, pur non essendoci mai stata.»
«L’ho vissuto attraverso i racconti di mio padre» si protese in avanti, poggiando i gomiti sulle cosce e intrecciando le mani fra loro. «Se ripenso a tutte le ingiustizie che ha dovuto subire, mi ribolle il sangue nelle vene.»
Merevar spostò lo sguardo, iniziando a fissare un punto imprecisato davanti a sé. «Dovevi essere molto legata a lui.»
«È naturale che lo fossi» quasi rise la ragazza, come se fosse qualcosa di scontato.
«No, invece; non tutti vanno d’amore e d’accordo con i propri familiari.»
«Oh… mi dispiace» si fece seria Hawke, temendo d’aver parlato troppo. «Spero di non aver toccato un nervo scoperto…»
«No, nessun nervo scoperto» disse l’altro con indifferenza. «I miei genitori sono morti entrambi prima che nascessi. Non li ho mai conosciuti, e per me è normale così.»
Hawke sgranò gli occhi. «Però… sei un pezzo di ghiaccio» commentò con una vena ironica. «Sembra che non te ne importi davvero nulla… sarai almeno un po’ curioso, no? Non pensi mai a come potevano essere?»
«No; che senso avrebbe? Le cose non possono cambiare, rimuginarci su sarebbe uno spreco di tempo. È Melinor quella a indulgere in questo tipo di riflessioni, non io.»
Hawke rimase a guardare il profilo dell’elfo, impassibile accanto alla porta. «Ti piace fare il duro, ma lo so che in fondo che hai un cuore tenero.»
Merevar si voltò a guardarla con sgomento. «Come, prego?»
«Si vede, sai? Da come ti preoccupi per tua sorella» sghignazzò la ragazza, spostando un ciuffo ribelle che le era sceso sul naso lentigginoso. «Vedo come sei sempre pronto a proteggerla: in battaglia, e non solo… anche da Alistair» lo provocò volontariamente.
«E questo vorrebbe dire che ho il cuore tenero?» s’infastidì l’altro, borbottando. «È mia sorella, è naturale che mi preoccupi per lei. Anche tu fai lo stesso per i tuoi fratelli.»
Stavolta fu Hawke a voltarsi stupita, e fu il turno di Merevar di ghignare. «Che c’è, credevi forse di essere l’unica perspicace qui? Tu non perdi occasione per parlare della tua famiglia, perché ti manca. Eri la sorella maggiore, e ti senti ancora responsabile per loro. E poi ho visto come ti sei voltata a guardarli, quando abbiamo lasciato Lothering.»
Hawke rimase a fissarlo sbalordita. «Non ti facevo un osservatore così attento…»
Lui la squadrò quasi offeso. «Vuoi scherzare? Un cacciatore deve saper osservare ogni minimo dettaglio, se vuole essere considerato tale. La cosa si riflette naturalmente su tutto il resto, diventa un’abitudine.»
In quel momento, la porta della locanda si aprì. Un giovane templare uscì borbottando stizzito. Si diresse verso l’imbarcazione. Merevar si voltò per guardare sua sorella con aria perplessa.
«Non voleva scendere dal letto; abbiamo dovuto convincerlo» spiegò brevemente lei.
Pochi attimi dopo, tutti erano sulla barca mentre guadava il lago.
 

«Aspettate qui, vado a chiamare il Comandante Greagoir» brontolò il giovane templare una volta entrati a Kinloch Hold.
Il gruppo rimase in attesa appena oltre la massiccia e imponente porta, sorvegliata da due templari che li scrutavano con sospetto. La stanza d’entrata era in subbuglio, diversi templari camminavano nervosamente avanti e indietro con aria tormentata; alcuni erano a terra, feriti.
«Oh no» mormorò Alistair.
«Qualcosa non va?» bisbigliò Melinor.
«Decisamente… vedi quella porta laggiù?» Un’altra porta, imponente quanto quella d’entrata, si stagliava dalla parte opposta della stanza. Era chiusa, e non solo: era stata sprangata. «Tutti i Circoli hanno porte così. Servono in caso la situazione all’interno diventi pericolosa.»
«Vuoi dire che hanno rinchiuso tutti i maghi là dentro?» s’inserì Hawke.
«Sì, signorina.»
Le teste di tutti si voltarono verso l’uomo che si trovava ora dirimpetto al gruppo: un uomo in là con gli anni, con barba e capelli argentati ma dall’aspetto ancora fiero.
«Sono il Comandante Greagoir, incaricato di vegliare su questo circolo. Mi è stato riferito che siete Custodi Grigi» disse, squadrando tutti da capo a piedi. «Qualunque affare siate venuti a sbrigare, temo mi sia impossibile accontentarvi. La Torre non è agibile al momento.»
«Cos’è successo là dentro, Comandante? Se la porta è stata sigillata…» parlò Alistair.
«Vedo che avete capito» sospirò Greagoir, con fare affranto. «Stiamo per inviare a Denerim la richiesta per esercitare il Diritto d’Annullamento.»
«Cosa significa?» indagò Melinor, odorando già qualcosa di sospetto e sgradevole. Guardò Alistair.
«Si tratta di un permesso speciale che consente ai templari di uccidere tutti i maghi all’interno del Circolo, se la situazione sfugge di mano» spiegò il ragazzo. L’elfa sgranò gli occhi, spostando poi lo sguardo sul comandante. Ma non fu lei a parlare.
«Non potete farlo!» si fece avanti Hawke.
«Mi creda, signorina: non mi dà alcuna gioia una simile situazione» replicò l’uomo con aria severa. «Ma non abbiamo altra scelta. C’è stata una sorta di rivolta, buona parte dei maghi era coinvolta in una combutta per rovesciare il Circolo. Hanno usato la magia del sangue, rivelandosi dei maleficarum: all’improvviso ci siamo ritrovati pieni di abomini e demoni che hanno fatto strage di maghi e templari.»
«E la vostra soluzione è stata chiuderli tutti là dentro? Alcuni di loro potrebbero essere innocenti!» alzò la voce Hawke, ma Melinor la interruppe. La fece indietreggiare mettendole un braccio davanti.
«Comandante, noi siamo venuti qui per richiedere l’aiuto dei maghi contro il Flagello. Abbiamo questi trattati» disse, porgendogli la pergamena recante il sigillo del Circolo. Il comandante la srotolò, leggendo velocemente il contenuto. Poi rimise il documento nelle mani dell’elfa.
«Comprendo la vostra necessità, ma vedete anche voi che non possiamo aiutarvi, date le circostanze attuali.»
«Da quanto sono rinchiusi là dentro?» indagò l’elfa.
«Ormai da due giorni.»
«Allora forse qualcuno di loro è ancora vivo. Sono maghi, sanno difendersi dai demoni.»
«E quindi cosa suggerite? Non posso inviare i miei uomini là dentro» esclamò Greagoir, spazientito. «Voi non avete visto che razza di… creature mostruose strisciano fra quei corridoi!»
«Allora ce ne occuperemo da soli» ribatté Melinor, altrettanto risoluta. Tutti i suoi compagni la guardarono con tanto d’occhi.
«Melinor, sei sicura?» chiese Alistair, titubante. «Se nemmeno i templari sono riusciti a…»
«La mia gente gestisce queste cose da secoli, senza templari» lo interruppe l’elfa.
«Non capisco perché vuoi imbarcarti in questa crociata» disse la sua Morrigan. «Queste sottospecie di maghi si sono lasciati dominare per tutta la vita, e al primo problema si sono lasciati sopraffare dai demoni. Perché dobbiamo rischiare la pelle per loro? Lasciali al loro destino, non possiamo perdere il nostro tempo per salvare tutti!»
«Questo è troppo crudele perfino per te, Morrigan!» la redarguì Hawke.
«Adesso basta!» scoppiò Melinor. «Possibile che nessuno capisca la gravità della situazione? Ci sono soltanto tre Custodi Grigi in tutto il Ferelden, con un gruppo poco collaborativo che non perde occasione di bisticciare alla stregua di bambini! Abbiamo l’intera nazione contro grazie alle menzogne di Loghain, e il Flagello sta avanzando! Ci serve aiuto! Ci serve l’aiuto di Arle Eamon, e per averlo dobbiamo prima eliminare il demone che lo tiene segregato nel castello! Per farlo ci serve il lyrium, che è là dentro insieme ai pochi maghi rimasti ancora sani di mente che ci servono contro la Prole Oscura! Noi andremo a salvare il salvabile, senza discutere! E se qualcuno è contrario, resti pure fuori ad aspettarci!»
Tutti rimasero allibiti: vedere Melinor, con la sua minuta corporatura da elfa, mentre perdeva le staffe era stato scioccante. Persino Merevar sembrava impressionato, segno che la cosa doveva essere accaduta di rado. O forse mai.
Nessuno ebbe il coraggio di risponderle; prendendo la cosa come un tacito assenso, l’elfa tornò a confrontarsi con il comandante.
«Lasciateci entrare.»
«D’accordo» acconsentì lui, a sua volta un po’ intimorito da quella giovane Dalish così risoluta. «Ma vi avverto: una volta dentro, non riapriremo quelle porte a meno che non sia il Primo Incantatore Irving ad assicurarmi che è tutto a posto.»
«E se fosse morto?»
«Se perfino lui dovesse essere morto, allora… mi dispiace dirvelo, ma nemmeno voi ce la farete contro la malvagità che ha preso il controllo della torre.»
«Allora non ci resta che entrare» decretò Melinor senza mezzi termini.
Vennero accompagnati alla porta, che venne aperta con grande cautela dai templari: la oltrepassarono, e rimasero a guardare mentre veniva nuovamente sigillata alle loro spalle.
«Bene, ora siamo anche noi dei poveri maghi stolti che si sono lasciati intrappolare dai templari»l'elfa lanciò una frecciatina a Morrigan, la quale distolse lo sguardo senza rispondere.
 

Iniziarono ad avventurarsi per il primo corridoio, lungo il quale si affacciavano gli alloggi dei giovani maghi. Su suggerimento di Alistair, iniziarono a frugare in tutti i bauli alla ricerca di lyrium, che veniva conservato in grandi quantità da tutti i maghi. Sarebbe servito loro per il rituale di Connor, e probabilmente anche per affrontare i nemici che li attendevano più avanti.
Ma non incontrarono nessuno per diverso tempo.
«Questo è davvero strano» mormorò Leliana, con tono sospettoso.
La spiegazione giunse poco dopo: aprirono una porta e si trovarono davanti un esiguo gruppetto di maghi. Stavano puntando contro di loro i bastoni ed erano pronti ad attaccare, quando una di loro esclamò:
«Voi?»
Le labbra di Melinor si dischiusero per la sorpresa. «Mi ricordo di voi… eravate a Ostagar!»
Era Wynne, l’anziana maga del Circolo che le era stata accanto durante la battaglia, e che le aveva salvato la vita aiutandola a risalire sul bastione. La maga abbassò il suo bastone, e insieme a lei anche gli altri maghi fecero lo stesso. Alle loro spalle c’erano dei bambini spaventati.
«Siete sopravvissuta, Custode» disse Wynne, sorpresa. «Cosa ci fate voi qui?»
«Siamo venuti per chiedere il vostro aiuto contro il Flagello, ma siamo stati informati dell’accaduto e siamo qui per aiutarvi. Il comandante Greagoir ci ha lasciati entrare, ma… dice che ci lascerà uscire solo se porteremo con noi il Primo Incantatore. Ha detto che se qualcuno poteva sopravvivere, quello era di certo lui» disse Melinor, guardando tutti i presenti.
«Se state cercando Irving, non è qui» indovinò Wynne. «L’ultima volta che l’ho visto è stato due giorni fa, quando è scoppiato questo disastro. Però il comandante ha ragione: Irving dev’essere ancora vivo da qualche parte.»
«Cos’è successo qui, signora?» intervenne Alistair.
«Non lo sappiamo con certezza. Una volta tornati tutti i sopravvissuti da Ostagar, è stata convocata una riunione speciale: io non vi ho preso parte poichè ero stata fra gli ultimi a rientrare, quindi non ho idea di cosa sia accaduto in quella stanza… dal poco che ho potuto apprendere, diversi maghi si sono rivelati dei maleficarum: hanno praticato in segreto la magia del sangue per chissà quanto. E a capo di questa fazione rivoltosa c’era Uldred» spiegò l’anziana con aria furente.
«Uldred?» esclamò Melinor, ricordando il breve tempo trascorso a Ostagar. Era l’uomo calvo, dall’atteggiamento tronfio e borioso, che aveva messo in dubbio le sue capacità al consiglio di guerra prima della battaglia.
«Vedo che vi ricordate di lui» annuì Wynne. «Ma bando alle ciance, abbiamo del lavoro da fare.»
«Abbiamo?» esclamò Morrigan, stizzita.
«Certamente, io verrò con voi» disse con calma la donna. «Voi non conoscete la torre, avrete bisogno d’aiuto.»
«Oh, perfetto» brontolò la strega.
«Morrigan, non ricominciare!» la fulminò con lo sguardo Melinor.
«Non potresti sforzarti di essere collaborativa, una volta tanto?» rincarò la dose Alistair. «Queste persone non ti hanno fatto niente, non si meritano il tuo disprezzo!»
«E tu che ne sai, sbarbatello che non sei altro?» rispose rapida e velenosa come una vipera l’altra. «Non si tratta solo delle mie personali opinioni, qui. Queste persone sono dei ladri!»
Merevar aggrottò le sopracciglia. «Ladri?»
«È un’accusa piuttosto insolente» s’indignò Wynne.
«Non se è vera» ribattè la strega con aria strafottente. «I vostri templari hanno derubato mia madre, tempo fa.»
Wynne la guardò con sospetto. «I templari non derubano nessuno. Sequestrano oggetti ritenuti pericolosi, piuttosto. Ditemi, chi sarebbe vostra madre?»
Le labbra scure di Morrigan s’incresparono in un sorriso di sfida. «Flemeth.»
L’anziana rimase senza parole, ma Melinor non le diede il tempo di dar voce alla sua incredulità.
«Morrigan, cos’è questa storia? Non mi sembra il momento adatto!»
«Oh, lo è invece, Melinor dei Dalish. Perché il grimorio che è stato rubato a mia madre si trova proprio qui, nella torre. E se non ti dispiace vorrei riprendermelo, finché sono qui.»
«Ma non abbiamo il tempo di cercarlo!»
«Non ce ne sarà bisogno, se la vecchia signora qui presente ci dice dove si trova» insinuò la strega con gli occhi gialli fissi su Wynne.
«Io non ho mai visto quel libro, né so dove è stato riposto» replicò l’anziana, con espressione ostile.
«Nemmeno un’idea? Mi sembra impossibile. Vista la tua età, immagino che ormai saprai tutto di questo posto…»
Dato che Morrigan non accennava a voler lasciar perdere, Melinor lanciò un’occhiata implorante a Wynne. Recepito il messaggio, Wynne sospirò. «Se te lo dico, collaborerai?»
«Terrò la bocca chiusa» restò sul vago l’altra.
«Vi prego, vi prego ditele dove si trova quel libro!» implorò Alistair, alla piacevole prospettiva di non sentire più la voce graffiante della ragazza.
«I libri come quello di solito finiscono sotto la custodia del Primo Incantatore» rivelò allora Wynne. «Se è ancora qui  da qualche parte, dev’essere nel suo studio.»
Morrigan sembrò soddisfatta della risposta. Iniziò ad avviarsi verso la porta davanti a sé, protetta da una barriera magica eretta dai maghi per non lasciar passare i demoni. Con un movimento del bastone, la infranse con faciltà. «Allora, vogliamo andare?»

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Capitolo 17
*** Prigionieri nel Velo ***


Il gruppo si affrettò a seguire Morrigan, con Wynne che inveiva contro l'imprudenza della giovane strega. Una volta oltrepassata la porta, i maghi rimasti indietro rialzarono la barriera.       
Il gruppo camminava in totale silenzio, le orecchie tese pronte a captare anche il minimo rumore.
«Dobbiamo stare molto, molto attenti... e cercare in ogni singola stanza. Se c'è anche un solo sopravvissuto, dobbiamo salvarlo» bisbigliò Wynne.    
Svoltarono in un corridoio punteggiato di porte: iniziarono ad aprirle una a una, oltrepassandole di soppiatto. Ma nulla di ciò che trovarono respirava ancora.  
In ogni stanza c'erano resti di maghi e templari: i cadaveri e il sangue erano ovunque, le pareti tinte di crudeli pennellate scarlatte che ancora colavano verso il pavimento alla stregua di lacrime. I morti erano adagiati a terra in posizioni innaturali e i loro volti paralizzati in espressioni d'orrore, inequivocabile segno della fine tremenda che era toccata loro.     
«Per il Creatore» sussurrò Wynne in preda al dolore. La torre era da sempre la sua casa, aveva conosciuto tutte quelle persone: vedere ciò che ne era rimasto la riempì di amarezza.  
Proseguirono finché non si trovarono davanti alla biblioteca. Aprirono con cautela la porta, e subito un suono gutturale e allo stesso tempo acuto li accolse.   
«E quello cos'è?» esclamò Hawke, l'espressione stravolta dal terrore.   
Wynne impugnò saldamente il suo bastone mentre la gemma azzurra postavi in cima s'illuminava. «È un abominio» replicò con calma, pronta ad affrontarlo.            
Fu allora che la consapevolezza colse tutte le maghe presenti: una lusinga di troppo, una minima debolezza... e si sarebbero ridotte così. La figura che si stava scagliando su di loro aveva ormai poco di umano: il suo corpo era pieno di protuberanze color porpora e violacee, le spalle erano abnormi e ricurve, le braccia esageratamente lunghe. Le mani si erano trasformate in artigli affilati protesi in avanti, pronti a ghermire, dilaniare e uccidere. Gli occhi erano iniettati di sangue e la bocca spalancata era talmente grande da dar l'impressione di poter fagocitare lo stesso cranio su cui era posta.  
Altri abomini seguirono il primo, e il gruppo si trovò impegnato in una lunga lotta contro ciò che restava di quei maghi. Alla fine dello scontro, nuove macchie rosse decoravano i volumi riposti sugli scaffali della biblioteca.
«Oh, cielo» ansimò Leliana, stravolta, appoggiandosi al muro. «Quindi è questa la vera forma di un abominio?»
«Sì» replicò Wynne, seria in viso. «Una volta impossessatisi di un umano, i demoni possono mantenere la forma del loro veicolo, ma quando sono fuori controllo... è così che diventano.»  
Hawke continuò a guardare con orrore i corpi distorti che aveva appena eliminato; anche Morrigan li osservava con attenzione, senza tradire però alcun sentimento. Gli altri iniziarono ad aggirarsi per la biblioteca alla ricerca di qualche sopravvissuto, ma non ne era rimasto nessuno.
Tutto d'un tratto Melinor sussultò: i suoi occhi si fissarono sul corpo di una ragazza, seduta a terra con la schiena accasciata contro uno scaffale. Una scia di sangue sul mobile e sui libri tracciava l’ultimo movimento del suo corpo, prima che la vita lo abbandonasse per sempre.
«L'hai riconosciuta, vero?»        
Melinor trasalì nel trovarsi Wynne alle spalle. Si voltò a guardarla e asserì con un cenno del capo. Poi tornò a guardare la ragazza deceduta. «Non si dimentica mai chi ti ha salvato la vita.»      
Era la ragazza che aveva aiutato Wynne a salvare Melinor a Ostagar, mentre penzolava giù dal bastione. Ora se ne stava lì, con i capelli castani scarmigliati e impregnati di sangue, e gli occhi grigi ancora aperti e immobili.
«Era una giovane promessa. Una ragazza piena di talento, nonostante la sua giovane età» sospirò Wynne, colma di tristezza. «Ricordo ancora il giorno in cui è arrivata qui: avrà avuto sì e no otto anni. Era figlia di una nobile famiglia residente nei Liberi Confini, e all'inizio era una piccola peste capricciosa. Ma si è subito distinta per il suo impegno e gli ottimi risultati, tanto che il Primo Incantatore stesso le ha fatto da mentore. Avevamo grandi aspettative per lei, invece ora...» troncò la frase, scuotendo il capo argentato. «Povera Amell.»
«Amell?»
L'elfa e la maga si voltarono, trovando Hawke che si dirigeva verso di loro. «Avete detto Amell? Il suo nome era per caso Solona?»  
«Sì» rispose l'anziana, stupita. «La conoscevi?»
Hawke le raggiunse, gli occhi nocciola spalancati nell’indugiare sul cadavere. «Era mia cugina» mormorò la ragazza mentre il resto del gruppo si radunava attorno a loro. «Mia madre è una Amell, e la madre di Solona era sua cugina. Non ci siamo mai conosciute, ma ricordo quando mia madre mi ha raccontato della mia cuginetta che era finita al Circolo... ha usato quella storia per convincermi di quanto potesse essere pericoloso farmi scoprire dai templari.»         
«Hawke, ma... se gli Amell fanno parte della nobiltà, allora anche tu sei una nobile!» esclamò Leliana con stupore.
«Solo in teoria, dato che mia madre ha rinunciato al suo titolo per scappare con mio padre» ridacchiò la ragazza; ma il sorriso scomparve presto dal suo viso lentigginoso mentre tornava a osservare la cugina. «Aveva la mia età...»
Una mano si posò sulla sua spalla; si trovò a guardare dritta negli occhi di Melinor. «Mi dispiace, Hawke.»
La rossa coda di cavallo della maga prese a scuotersi insieme alla sua testa. Hawke si riappropriò della sua consueta espressione sicura. «Sto bene, non preoccuparti. Ora andiamo, forza.»
 
Subito dopo la biblioteca incontrarono una rampa di scale: il piano superiore era riservato ai maghi che avevano terminato il loro apprendistato. Gli abomini e i demoni erano molti di più in quell'area della torre: il gruppo avanzò con fatica, incontrando anche numerosi templari ammaliati dai demoni e cadaveri rianimati proprio come quelli di Redcliffe. Per Wynne non fu facile abbatterli: quei corpi, ora usati da entità malvagie alla stregua di burattini, un tempo erano stati suoi compagni e amici. Tuttavia la donna dimostrò una gran forza d'animo, oltre a un'ottima preparazione, e non si lasciò sopraffare dai suoi sentimenti.
A un tratto s'imbatterono in un mago ancora vivo.         
«Owain!» esclamò Wynne.        
«State attenta, potrebbe essere posseduto» l'ammonì Alistair. 
«Per chi mi hai preso, ragazzino?» lo guardò con un sopracciglio alzato la donna. «Credi davvero che mi lascerei ingannare? Lui è un adepto della Calma, non può essere stato posseduto perché non ha più alcun legame con la dimensione dell'Oblio.» Si rivolse subito al mago. «Cosa ci fai qui, Owain? Perché non sei scappato?»
«Ci ho provato, ma ho incontrato una barriera. Allora sono tornato qui» replicò l'altro, la voce piatta e priva di qualsiasi emozione. Melinor sentì un brivido lungo la schiena nel vedere quel pover'uomo ridotto ormai a una macchina, privato della sua personalità e della sua scintilla unica. Privato per sempre della sua magia perché qualcuno aveva deciso così.           
«Avresti potuto dire qualcosa, c'eravamo noi dall'altra parte della barriera; ti avremmo lasciato passare» gli disse Wynne.
«Oh, capisco. Allora tornerò indietro, se non vi dispiace. Ma voi dovreste andare a cercare Niall; è da quasi due giorni che non lo vedo, a quest'ora dovrebbe ormai essere tornato.» 
«Tornato da dove?»      
«Dai piani superiori della Torre, dove si sono rifugiati Uldred e i suoi seguaci. Niall ha preso dal magazzino la Litania di Adralla ed è andato ad affrontarli.»       
I grandi occhi color ghiaccio di Wynne parvero illuminarsi. «La Litania di Adralla? Ma certo, è un vecchio incantesimo che serve per impedire a un mago di usare la magia del sangue...» considerò, portando una mano al mento affilato. «Ma se Niall non è ancora tornato dopo due giorni...»  
«... probabilmente è morto» concluse Merevar.              
«O peggio» aggiunse Alistair.    
«Se anche fosse, dobbiamo tentare di recuperare la Litania» affermò Wynne con decisione. «Se vogliamo avere qualche speranza contro Uldred, dopo che ha scatenato questo pandemonio... è la nostra unica possibilità. Dobbiamo cercare Niall, o ciò che rimane di lui, e prendere la pergamena con la Litania.»  
«Allora faremmo meglio a muoverci» disse nervosamente Hawke, guardandosi attorno con inquietudine.
Tutti acconsentirono. Wynne mandò Owain ai piani inferiori, affinché trovasse rifugio oltre la barriera protettiva insieme agli altri maghi sopravvissuti; si rimisero in marcia subito dopo.

Procedere fu un inferno: Alistair e Merevar aprirono la strada a suon di colpi di spada, spalleggiati dalle quattro maghe che scatenavano la furia degli elementi e molto altro con una semplice oscillazione dei loro bastoni. Leliana si ritrovò costretta a lasciare da parte l'arco, poiché i combattimenti erano ravvicinati a causa degli spazi contenuti, ma si confermò molto abile anche con le lame corte. Sapeva sempre come ingannare l'avversario e colpire nei punti giusti.
Creature di ogni tipo si accanivano su di loro, e più salivano nella torre più la situazione degenerava. Quando arrivarono al penultimo piano, adibito agli alloggi dei templari, erano stanchi e feriti; fortunatamente Wynne si rivelò essere un'esperta di magia curativa e di supporto, ma non poteva fare molto per rasserenare le loro menti. Tutti quegli abomini, i demoni, le persone possedute e i maghi del sangue uccisi affollavano le loro menti tormentate. Persino Morrigan, solitamente stoica e impenetrabile, era visibilmente provata.
Dopo aver percorso l'ennesimo corridoio e aver aperto diverse porte, affrontando templari posseduti e ammaliati dai demoni, si trovarono di fronte a una grande porta.
«Sono stata qui solo una volta... prima del mio Tormento. Da questa sala si raggiunge l'ultimo piano, dove i giovani maghi affrontano la prova... e dove viene eseguito il anche il Rituale della Calma» spiegò Wynne. «Facciamo attenzione, Uldred potrebbe essere nei paraggi.»
Aprirono con cautela la porta intarsiata ed entrarono. In mezzo alla sala c'era un demone con il corpo deforme, molto simile a un comune abominio. Era chino su un corpo umano.
«Niall!» lo riconobbe subito Wynne, puntando il bastone contro il demone. «Allontanati da lui, vile creatura!»
Il demone non sembrò minimamente turbato dall'arrivo del gruppo: i suoi occhi s'illuminarono per un attimo, e tutti iniziarono ad avvertire una gran sonnolenza.
«Oh, no...» esclamò Melinor, reggendosi con tutte le sue forze al suo bastone.
«Cosa sta succedendo?» chiese debolmente Merevar.
«Mi sento... così stanca...» cadde sulle ginocchia Hawke.
«Resistete! È un demone della pigrizia, se ci addormentiamo saremo tutti... finiti...» tentò di motivarli Wynne; ma nemmeno lei riuscì a tenere gli occhi aperti.
In pochi secondi tutti finirono a terra, privi di sensi.
 
Quando Melinor riaprì gli occhi, vide un tetto di legno sopra di sé. Si mise a sedere stropicciandosi gli occhi. Riconobbe subito l'ambiente: si trovava nell'aravel che condivideva con Merevar e Tamlen. I suoi occhi accarezzarono le pareti del costrutto di legno, con le sue linee identiche a quelle di una barca ma con in più un tetto e le ruote. Si rimise in piedi, confusa, e uscì.
«Finalmente ti sei svegliata. Non è da te dormire fino a tardi, da'len.»
Fuori dall'aravel incontrò la Guardiana Marethari. La stava aspettando con il suo tiepido sorriso sul viso.
«Perdonami, Guardiana. Non so perché ho dormito tanto. Ho fatto un sogno orribile...»
«Oh, davvero? Allora è un bene che tu ti sia finalmente svegliata. Ora vai a fare colazione, potrai raccontare a me e Merril del tuo sogno più tardi, nella foresta. Dobbiamo andare a raccogliere altre erbe, le nostre scorte sono quasi finite.»
Melinor annuì, portandosi immediatamente verso il centro dell'accampamento dov'era allestito il focolare. Proprio lì vide due figure familiari.
«Ecco la nostra sorellina!»
Tamlen le fece segno di avvicinarsi mentre Merevar la salutava con la mano.
«Dormito bene?» le chiese il gemello.
«No, a dire il vero» disse lei sedendosi accanto a loro. «Ho fatto un sogno terribile. Io e te diventavamo Custodi Grigi, lasciando per sempre il clan per andare a combattere contro il Flagello...»
Merevar la guardò con tanto d'occhi. «Davvero? Anch'io ho fatto lo stesso sogno!»
«Non è così strano che voi due abbiate sognato la stessa cosa. Siete gemelli, avete un legame particolare» considerò Tamlen. «E io non c'ero nel vostro sogno? Che ingrati, lasciarmi da parte così!»
«Beh, ecco... tu c'eri, ma...» disse Melinor, mentre una strana sensazione iniziava a opprimerle il petto. «Tu eri morto, Tamlen.»
Merevar non disse nulla, limitandosi a guardare il terreno umido sotto di sé. Tamlen sgranò gli occhi.
«Però... un sogno terribile davvero» sdrammatizzò. Si mise in mezzo ai gemelli e pose le braccia attorno alle spalle di ognuno. «Per fortuna era solo un sogno. E poi, voi due che vi unite a un ordine di umani, lasciando per sempre il clan?» iniziò a ridere di gusto. «Non potrebbe mai succedere una cosa simile!»
«Già, che cosa assurda» si accodò Merevar. «Unirmi agli shemlen... non lo farei mai.»
Melinor rimase in silenzio; qualcosa non andava. Quel sogno l'aveva turbata più del necessario.
 
Trascorse l'intera mattinata nella foresta con la Guardiana e Merril. Mentre raccoglieva le erbe, le sembrò quasi di vedere dei fili di luce emanare dal rompersi dei loro steli. Dev'essere solo un'impressione, si disse.
Una volta tornate all'accampamento, tutto il clan era riunito attorno al fuoco: il pranzo era appena stato servito. Melinor raggiunse i suoi fratelli, come di consueto, e iniziò subito a mangiare.
«Ehi, sei pallida» le disse Tamlen a un tratto, mettendole una mano sulla guancia. Al suo tocco, la stessa sensazione provata durante la colazione si ripresentò: un dolore che sgorgava dal centro del suo petto, un dolore reale e immotivato. Guardò Tamlen negli occhi, e non riuscì a impedire a un velo di lacrime di ricoprirle le iridi. Tamlen si preoccupò per lei. «Melinor, cos'hai? Ti senti male?»
«Tu eri morto» mormorò appena lei.
«Stai ancora rimuginando su quel sogno? Melinor, era soltanto un incubo» si rasserenò allora il fratello maggiore.
«Non lo so... era così reale...»
«Non c'era niente di reale» cercò di calmarla Tamlen. «Sei qui, a casa. Sei una maga, dovresti conoscere bene la differenza fra il mondo reale e quello dei sogni.»
Maga... 
Una serie d'immagini si riaffacciò violentemente alla sua mente. Gli abomini del Circolo, il piccolo Connor, il cadavere di Solona Amell; e infine Flemeth e l'arcidemone. Si portò le mani alla testa, provando una fitta di dolore.
«Melinor, ma che hai?» la prese per le spalle Merevar.
«Questo non è reale» bisbigliò lei.
«Ma che dici?» aggrottò le sopracciglia il gemello. Melinor lo guardò dritto negli occhi.
«Merevar, quello non era un sogno... questo lo è.»
Una lieve ombra rabbuiò le iridi verdi e brillanti del giovane elfo. «Melinor... tu non ti senti bene. Dovresti andare dalla Guardiana.»
«Non c'è nessuna Guardiana!» esclamò lei con le lacrime agli occhi. «Questo è il regno dei sogni, il dominio degli spiriti. E questa è un'illusione creata da un demone!»
«Quello che dici è assurdo» assunse un'aria ostile Merevar.
«No, invece! È inutile che insisti e che ti opponi» cercò di farlo rinsavire lei. «So che preferiresti che questa fosse la realtà, ma non lo è! Prova a pensarci: pensa al dolore per la perdita di Tamlen, e dimmi se non è reale!»
Lesse negli occhi del gemello che aveva colpito nel segno con quelle parole; lui strinse le labbra e non replicò.
«Melinor, ma cosa dici... io sono qui» disse Tamlen, guardandola con preoccupazione.
Melinor lo guardò di rimando, due rivoli salati iniziarono a percorrere le sue guance. «No, non sei qui. Non sei Tamlen. Tamlen è morto.» Si alzò in piedi, e con mani tremanti afferrò il suo bastone. Fra i singhiozzi, lanciò una scarica elettrica sul fratello: le sue grida di dolore la distrussero dentro mentre restava a guardarlo agonizzare e, infine, cadere a terra senza vita.
«Melinor, sei impazzita?» sbottò Merevar, incredulo. Tutto il clan era accorso e aveva gli occhi puntati su di lei.
«Melinor... che cos'hai fatto?»
L'elfa si voltò per guardare Marethari mentre le andava incontro con espressione esterrefatta.
«Ho fatto quello che dovevo. Tutto questo non è reale, non potete più ingannarmi! Questa è un'illusione!» gridò Melinor fra le lacrime.
«Tu stai male, da'len» la guardò con grande preoccupazione Marethari. «Dovresti sapere che le illusioni, una volta distrutte, si dissolvono. Ma il corpo di tuo fratello è ancora lì, ancora caldo!»
«Questo significa solo una cosa» affermò allora la giovane elfa con voce rotta. «Devo eliminarvi tutti per far sì che l'illusione finisca. E se tu non vuoi aiutarmi» lanciò un'occhiata a Merevar «lo farò da sola!»
Evocò rapidamente una barriera protettiva attorno a Merevar. Lui iniziò a dibattersi, prigioniero all'interno. «Melinor, no! Non farlo!»
Ma lei non gli diede ascolto: levò il bastone sopra di sé, evocando una tempesta di fuoco tutt'attorno. Palle di fuoco iniziarono a piovere sui dalish mentre Melinor li guardava bruciare. Piangeva disperatamente a quella vista, anche se sapeva che era soltanto un'illusione: l'ultima cosa che vide fu il corpo carbonizzato della Guardiana, che protendeva una mano verso di lei. Marethari cadde a terra e, nel momento stesso in cui il suo corpo ormai nero si accasciava, tutto scomparve. Non v'era più traccia del clan, degli aravel, della foresta... erano rimasti solo lei e Merevar, in un luogo ameno e inospitale, fatto di strani sentieri intricati scavati nella pietra, con un cielo giallognolo e a tratti verde scuro.
Melinor si lasciò cadere sulle ginocchia, appoggiando entrambe le mani a terra: le lacrime continuavano a cadere una dopo l'altra sul pavimento. La barriera che aveva tenuto al sicuro Merevar si dissolse; l'elfo, frastornato, camminò verso la sorella.
«Allora era vero... non era reale» mormorò. «Scusami, io... avrei dovuto crederti. Avrei dovuto aiutarti.»
S'inginocchiò accanto a lei e si abbracciarono: avevano appena perso il clan, di nuovo. E come se non bastasse, Melinor aveva dovuto ucciderli con le sue stesse mani mentre Merevar assisteva alle loro morti come un muto testimone. Anche se era stata un'illusione, il dolore nei loro cuori era reale.
 
Quando Melinor si fu finalmente ripresa, iniziarono a camminare.
«E così è questo l'Aldilà» mormorò Merevar.
«Non esattamente; questo è il Velo. Una dimensione intermedia che separa il nostro mondo dall'Aldilà vero e proprio.»
«Ed è qui che finiamo quando sogniamo?»
Melinor annuì, guardandosi attorno con attenzione. «Dobbiamo essere prudenti. Ci sono molti spiriti nel Velo. E dobbiamo anche sbrigarci a trovare il demone che ci ha intrappolati qui, se vogliamo uscirne vivi.»
«Perché ci ha mandati in questa dimensione?» chiese Merevar, anche se non era certo di voler sentire la risposta.
«Perché è così che fanno i demoni della pigrizia come lui. Addormentano le loro vittime, creano per loro dei sogni in modo che non vogliano più svegliarsi... e nel frattempo succhiano via tutta l'essenza vitale dei sognatori.»
Merevar sgranò gli occhi. «Quindi stiamo ancora dormendo? E come facciamo a svegliarci? Hai distrutto la sua illusione, perché siamo ancora qui?»
«Dobbiamo sconfiggerlo in questa dimensione se vogliamo svegliarci. Ma prima dobbiamo trovare gli altri. Finché continuano a sognare, il demone avrà un sacco di cibo di cui nutrirsi e sarà troppo potente per noi; dobbiamo liberarli dai sogni in cui sono intrappolati e successivamente trovare il demone.»
«Oh, quindi dobbiamo solo trovare altre cinque persone e poi il demone... sarà un gioco da ragazzi» disse Merevar guardando l'infinito labirinto dalla forma indistinta che si stagliava davanti a loro a perdita d'occhio. Le strade si diramavano in ogni direzione, in verticale e in orizzontale, sconfiggendo qualsiasi legge fisica vigente nel mondo reale. Trovare gli altri in quel mondo ingannevole non sarebbe stato affatto semplice.

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Capitolo 18
*** Illusioni e ricordi ***


Camminarono per quella che sembrò loro un'eternità, sperduti fra i sentieri identici del Velo. Merevar si sarebbe perso d'animo se non fosse stato per Melinor: lei era già stata in quel luogo, anche se in circostanze molto diverse. Il legame dei maghi con l'Oblio e il Velo era molto forte per via della loro natura magica: solo un mago aveva la capacità, tramite un incanto, di mandare il proprio spirito nel Velo consciamente. Era ciò che avrebbero dovuto fare per salvare Connor, ed era stato parte dell'addestramento di Melinor come Guardiana. Per questo l’elfa sapeva come muoversi attraverso il Velo senza attirare attenzioni indesiderate e senza perdere l'orientamento.
Passò parecchio tempo, ma finalmente intravidero qualcosa in lontananza.
«Guarda» puntò il dito davanti a sé Melinor. Una macchia di vegetazione dall'aria familiare, intervallata da parecchi specchi d'acqua stagnante, apparve innanzi ai loro occhi.
«Sembrano le Selve Korcari» mormorò Merevar.
«Dev'essere il sogno di Morrigan» sorrise Melinor, rincuorata. Senza esitare, i due si inoltrarono fra le Selve.
«Insomma, quante volte te lo devo dire? Lasciami in pace, non cadrò nei tuoi tranelli!»
Una voce conosciuta segnalò ai due elfi che le loro supposizioni erano esatte: videro la capanna di Flemeth, e davanti a essa Morrigan stava discutendo con sua madre. La strega delle Selve si voltò all'udire i passi dei due dalish, e tirò un sospiro di sollievo andando a premere le mani sui fianchi.
«Oh, finalmente siete arrivati! Non ne posso più di questo sciocco demone!»
Merevar strabuzzò gli occhi. «Sai che questa è un'illusione?»
«Ma certo che lo so» brontolò l'altra, strizzando appena gli occhi con aria offesa.
«Allora perché non l'hai distrutta?» chiese Merevar, ancor più interdetto di prima.
«E a che scopo? Sapevo che voi due vi sareste fatti vivi prima o poi, uscire dall'illusione sarebbe stato controproducente. Cos'avrei dovuto fare, mettermi a vagare per il Velo rischiando di non incontrarvi mai più? Hai idea di quanto sia estesa questa dimensione?»
«Sapevi che saremmo arrivati?» non riusciva a raccapezzarsi Merevar. Morrigan gli lanciò l'ennesima occhiata colma di accondiscendenza.
«È naturale. Voi due siete gemelli.»
Stavolta persino Melinor apparve confusa; nel notare la sua espressione, Morrigan dischiuse appena le labbra per la sorpresa. «Oh, quindi nemmeno tu sai» comprese la strega. «I demoni sono intelligenti, ma fino a un certo punto. Non capiscono tutto del nostro mondo, e non capiscono la natura dei gemelli. Voi siete praticamente la stessa persona, dato che siete gemelli identici: siete come un individuo diviso in due. Questo confonde i demoni, perciò siete finiti nello stesso sogno» indovinò, senza che i gemelli le avessero raccontato alcunché. «Quando una persona è intrappolata da sola in un sogno difficilmente riesce ad avvedersene, se non ha ricevuto un'istruzione adeguata; ma in due è più facile. E se una dei due è una maga, ancora meglio.»
«Non ne avevo idea» esclamò Melinor, affascinata. Del resto, Morrigan era la figlia di Flemeth: chissà quale addestramento aveva ricevuto da un'entità del calibro di quella che i dalish conoscevano come Asha'bellanar, la "donna dai molti anni". «Quindi sei rimasta qui ad aspettarci per evitare che ci disperdessimo nel Velo» aggiunse l'elfa, lasciandosi andare a un sorriso compiaciuto. «Ottimo lavoro, Morrigan.»
Stranamente, anche la ragazza delle Selve sorrise. Incrociò le braccia sul petto con aria gongolante. «Visto? Posso essere difficile, ma in fondo vale la pena avermi attorno.»
Le due rimasero a guardarsi sorridendo a vicenda: c'era stato dell'attrito tra loro dopo l’arrivo a Kinloch Hold, ma il rispetto che nutrivano l'una per l'altra bastò a relegare la cosa nel passato.
«Allora, che si fa?» le fece ritornare con i piedi per terra Merevar.
«Prima di tutto... questo» disse Morrigan, attaccando e abbattendo in pochi istanti il demone che aveva assunto la forma di sua madre. Le selve attorno a loro sparirono. «Non vedevo l'ora di farlo.»
«Ora dobbiamo trovare gli altri, e faremmo meglio a sbrigarci» considerò Melinor, con lo sguardo perso sull'orizzonte. «Sarebbe il caso di dividerci.»
Morrigan alzò un sopracciglio. «Ottimo lavoro Morrigan, hai fatto davvero bene ad aspettarci» imitò la voce dell'elfa. «Tutto questo per non rischiare di disperderci, e ora vuoi che ci dividiamo?»
«Dobbiamo ottimizzare i tempi. E c'è un modo per segnalarci a vicenda la nostra posizione anche da molto lontano; siamo due maghe, e conosciamo entrambe il Velo. Ce la caveremo. Ogni volta che troviamo qualcuno, lanceremo questo segnale nel cielo.» Melinor agitò il bastone, e una scia di luce dorata si proiettò nel cielo, fino a scoppiare producendo un gran bagliore. «Questo è il modo con cui io e la Guardiana ci lanciavamo segnali durante il mio addestramento nel Velo. Lo lanceremo ogni volta che troveremo uno degli altri, così al quarto segnale sapremo che tutti sono stati ritrovati; l'ultima di noi a lanciare il segnale attenderà che gli altri la raggiungano. Poi andremo a cercare il demone tutti insieme.»
Morrigan annuì con espressione interessata. «Mi sembra un ottimo piano. Speriamo solo che Hawke e quella vecchia non se ne stiano andando a zonzo per il Velo... anche se ne dubito. Hawke è giovane e, anche se è molto abile, non ha molta conoscenza arcana. E l'altra» aggiunse, con un sorrisetto di scherno «è stata istruita dal Circolo... dubito che vengano insegnate loro conoscenze antiche come quelle dei dalish o di mia madre. Probabilmente sono entrambe ancora intrappolate nei loro sogni.»
«Spero tu abbia ragione» sospirò Melinor, leggermente preoccupata. «Allora procediamo così. Merevar, tu vai con Morrigan.»
Merevar fece per aprir bocca, ma Morrigan lo precedette. «Così mi spezzi il cuore, Melinor dei dalish. Ancora non ti fidi di me?»
Melinor non poté evitare di sfoggiare un sorrisetto. «Mi fido di te, ma ho imparato a conoscerti. Se dovessi trovare Alistair o Wynne potresti anche lasciarli lì finché il demone non se li sarà mangiati del tutto.»
Sorprendentemente, Morrigan prese a ridere di gusto. «Oh, questa sì che sarebbe un'idea magnifica. Mi conosci davvero, Melinor» commentò, ricomponendosi. «E va bene, Merevar. Andiamo da questa parte» decretò, prendendo a camminare giù per un sentiero che scendeva verso il basso.
«Tienila d'occhio» bisbigliò Melinor al fratello, il quale le fece l'occhiolino in risposta.
«Tu fai attenzione.»
Melinor annuì, e si voltò per proseguire nella direzione opposta a quella presa da Morrigan. Merevar restò a guardare la sorella per qualche istante, e poi si affrettò a raggiungere la strega.
«Allora, Merevar» gli parlò la ragazza una volta che le fu accanto. «Non so cosa pensi di quella vecchia maga, ma credo di non sbagliare se dico che lasciare qui Alistair non ti dispiacerebbe affatto» disse, lanciandogli un'occhiata malandrina di sbieco. Merevar si trovò suo malgrado a ridacchiare.
«Sì, ammetto che è un'idea allettante… ma Melinor mi ucciderebbe.»
«Oh, ma non è necessario che sappia la verità... potremmo dirle che è stato un incidente, a te crederà» propose la strega, con un sorriso sempre più divertito.
«Lo scoprirebbe, fidati» sospirò l'elfo. Morrigan rimase a studiarlo per diversi istanti.
«Io credo che in fondo lui ti piaccia» decise la strega. «Affermi di odiare gli umani, e probabilmente è così; ma non lui. Se davvero lo odiassi, gli avresti già tagliato la gola nel sonno visto come si sta appiccicando a tua sorella.»
Merevar mantenne lo sguardo fisso di fronte a sé, ma irrigidì le spalle; Morrigan se ne accorse, e il suo ghigno si allargò mentre l'elfo si accingeva a parlare.
«Lui non mi piace, ma è un tipo a posto. Anche se è un po' scemo. E per quanto riguarda Melinor, non c'è pericolo; lei è troppo intelligente per infatuarsi di uno come lui.»
Morrigan diede un colpetto di sopracciglia verso l'alto. «Melinor vede sempre il lato migliore nelle persone, e cerca di lavorare su quello. Deve aver visto qualcosa di buono persino in me, altrimenti non riuscirebbe a sopportarmi come ha dimostrato di saper fare. Credi davvero che non riuscirebbe a trovare qualcosa di speciale in Alistair?»
Seguì una pausa, in cui la mandibola di Merevar prese a tirarsi in maniera evidente. Morrigan distolse allora lo sguardo da lui, concludendo quella conversazione. «Io dico che faresti meglio a intervenire il prima possibile, se vuoi separarli. Ma per ora abbiamo altro di cui preoccuparci; sembra che abbiamo trovato qualcun altro.»
A quelle parole, Merevar rialzò lo sguardo sulla strega e seguì la direzione suggerita dalle sue iridi gialle: scorse in lontananza un paesaggio già visto in precedenza.
«È Lothering...»
Morrigan annuì alle parole dell'elfo. «A quanto pare abbiamo trovato Hawke.»
 
Nel frattempo, Melinor vagava solitaria. Sentiva su di sé gli occhi incorporei degli spiriti, ma i suoi pensieri erano assorbiti da tutt'altro. Non riusciva a togliersi dalla mente l'illusione che aveva dovuto dissipare con le sue stesse mani. Da quando lei e Merevar erano partiti per Ostagar, non aveva mai fatto davvero i conti con le proprie emozioni: sapeva di non poterselo permettere, non con un Flagello in vista. Aveva scelto di accantonarle momentaneamente, per restare concentrata sui suoi nuovi compiti da Custode Grigio; ma si era ritrovata con quegli stessi sentimenti rubati da un demone, che li aveva trasformati in un'arma di cui servirsi contro di lei.
Schiacciata a terra dal peso di quei pensieri, non si accorse che il paesaggio attorno a lei era cambiato. Quando rialzò gli occhi si ritrovò in un luogo del tutto nuovo per un'elfa dei boschi come lei: gli unici villaggi che aveva visitato prima d'allora erano stati Lothering e Redcliffe, ma non erano nulla in confronto al luogo che stava vedendo ora. Quella doveva essere una città: le case erano ammassate le une accanto alle altre, si sviluppavano in verticale anche per molti piani, e le persone erano ovunque. Non erano persone vere, naturalmente: sapeva d'essere entrata nel sogno di qualcuno. E ben presto scoprì anche di chi.
«Alistair?»
Vide il Custode intento a giocare con due bambini: rimase a guardarlo a bocca aperta. Si aspettava di trovarlo insieme a Duncan, dato che lo considerava come un padre; ma di lui non c'era traccia. L'ex templare alzò lo sguardo e la notò.
«Melinor!» la chiamò, e le corse incontro con un gran sorriso. «Che bello, sapevo che saresti venuta prima o poi!»
«Ehm... sì...» mugugnò lei, perplessa. Rimase ancor più sorpresa quando il ragazzo la prese per mano con una confidenza sin troppo eccessiva, e la tirò verso la porta di una casa.
«Vieni, mia sorella non vede l'ora di conoscerti!»
«Alistair, aspetta» tentò di dissuaderlo l'elfa; ma in un battibaleno si ritrovò dentro la casa. Una donna sulla trentina si fece avanti con fare amichevole.
«Tu devi essere Melinor» le disse con un sorriso.
«E tu devi essere un demone» ribatté l'elfa senza mezzi termini.
«Melinor, ma cosa dici?» esclamò Alistair, diviso fra la stizza e lo stupore. «Questa è mia sorella Goldanna!»
Melinor lo guardò con tristezza. Il ragazzo non s'era accorto di nulla, proprio come Merevar; toccava a lei, ancora una volta, distruggere quell'illusione.
«Alistair... non ricordi nulla? Non ricordi Duncan?» tentò di far leva sul dolore assopito in lui.
«Duncan? Certo che me lo ricordo, ma ora è a Weisshaupt con gli altri Custodi Grigi. È stato promosso dopo aver sconfitto il Flagello.»
Melinor mantenne lo sguardo fisso nei suoi occhi. Detestava doverlo fare, detestava infliggere ad altri lo stesso dolore che aveva appena sperimentato lei; ma non aveva scelta. «Non è vero, Alistair. Duncan è morto a Ostagar... e tu lo sai. Questo è solo un sogno.»
Vedendo che il ragazzo continuava a non capire, non perse tempo: prese il suo bastone e attaccò Goldanna. Il demone s'infuriò e tornò alla sua vera forma. «Maledetta dalish, questo non è il tuo sogno! Vattene e lasciaci in pace!»
Alistair rimase a bocca aperta per l'orrore nel vedere la donna tramutarsi in un mostro orribile, ma non perse tempo: si affrettò a estrarre la spada e ad affiancare Melinor. Anche i bambini con cui aveva giocato poco prima si trasformarono e presero ad attaccarli; ma in pochi attimi vennero sconfitti, e l'illusione svanì lasciando spazio ai sentieri del Velo.
«Cos'è successo?» farfugliò Alistair quando tutto si fu acquietato.
«Era un'illusione creata da un demone della pigrizia.»
«Oh, già... quello che ci ha fatto addormentare alla Torre del Circolo... ora ricordo» mormorò il ragazzo a testa bassa.
Melinor si preoccupò per lui, temendo potesse essere sconvolto quanto lo era stata lei poco prima.
«I demoni della pigrizia creano per noi dei sogni, per tenerci intrappolati e nutrirsi della nostra essenza mentre dormiamo. Creano illusioni basate sui nostri ricordi più felici, o sui nostri desideri, come nel tuo caso» gli spiegò. «Probabilmente il tuo desiderio di avere una famiglia lo ha spinto a creare per te una sorella immaginaria...» rimase a guardarlo con aria compassionevole. «Mi dispiace.»
Alistair alzò lo sguardo su di lei, con aria seria e incerta. «Ecco, a dire la verità... non era una sorella immaginaria.»
Melinor sgranò gli occhi e dischiuse le labbra, fissandolo con aria interrogativa; al che lui si affrettò a spiegarsi. «So che avevamo detto niente più segreti, ma credimi... questo mi era davvero sfuggito di mente con tutto il trambusto in cui siamo stati coinvolti. E non è nulla che possa metterci in pericolo, fidati. Goldanna non sa nemmeno che esisto. Non appena sono entrato nei Custodi Grigi, Duncan mi ha lasciato fare delle ricerche: volevo saperne di più su mia madre, ma su di lei non ho trovato nulla. Ho scoperto però che prima di me aveva avuto un'altra figlia, che ora vive a Denerim. È sposata e ha due figli.»
«E tu vorresti conoscerla» comprese subito l'elfa, abbozzando un sorriso triste; «per questo il demone ha creato quell'illusione.»
«Già... Goldanna è l'unica parte della mia famiglia non collegata alla stirpe reale. Mi sarebbe piaciuto conoscerla, ma con il Flagello e tutto il resto... chissà se accadrà mai.»
Melinor non disse nulla: rimase a guardarlo, partecipe del suo desiderio di ritrovare la sua vera famiglia. Era un sentimento che lei conosceva bene: non solo perché aveva appena perso il suo clan, anche perché non aveva mai conosciuto i suoi genitori.
«Melinor... i tuoi occhi» esclamò Alistair, avvicinandosi per guardarla meglio. «Sono rossi... tu hai pianto» disse con voce preoccupata, posandole le mani sulle spalle. «Cos'è successo?»
Lei s'irrigidì, riportata alla realtà da quello schiaffo indiscreto. Si sfilò via rapidamente dalle mani di lui, dandogli le spalle. «Non è niente, sto bene.»
Proprio in quell'istante, uno scoppio di luce violacea illuminò il cielo in lontananza.
«E quello cos'è?» si allarmò Alistair.
«È Morrigan» sorrise compiaciuta l'elfa. «Lei e Merevar hanno trovato uno degli altri.»
«Anche gli altri sono qui?»
«Sì, e dobbiamo trovarli il più in fretta possibile» replicò lei, lanciando a sua volta il segnale luminoso nel cielo. «Andiamo, ti spiegherò tutto strada facendo.»
 
«Suvvia, Hawke... sei una maga, non puoi davvero essere sconvolta per questo. Era solo un'illusione» disse con noncuranza Morrigan, dando all'elfo e alla ragazza le spalle e iniziando a camminare. «Andiamo; anche Melinor ha trovato qualcuno. Mancano solo due persone da recuperare.»
Mentre Morrigan si rimetteva in marcia, Merevar sbirciò Hawke di sottecchi: la ragazza era visibilmente tesa, le mani le tremavano impercettibilmente. Proprio come lui e Melinor, aveva dovuto eliminare la sua famiglia. Hawke sapeva che non era reale, ciononostante l'aver assistito alla loro morte l'aveva scossa parecchio. Il demonesi dimostrò un maestro nello scegliere le illusioni giuste.
Merevar ripensò alla reazione disperata di Melinor mentre osservava Hawke; pensò che, se fosse stata sola, probabilmente anche l'umana sarebbe scoppiata in lacrime. Ma si stava trattenendo, mantenendo a fatica una facciata forte e indifferente.
«Non dar retta a Morrigan, lei non ha battuto ciglio quando ha eliminato l'illusione di sua madre. Melinor invece ha pianto.»
Hawke lo guardò colma di sorpresa. «Melinor? Sul serio?»
Lui annuì. «La nostra illusione non era poi molto diversa dalla tua» restò sul vago. «Melinor non si lascia mai sopraffare dalle emozioni, ma questo è stato troppo perfino per lei. Quindi non preoccuparti, è normale sentirsi così.»
Hawke rimase a guardarlo con meraviglia; non ne era sicura, ma sembrava che l'elfo stesse cercando di farla sentire meglio. «Grazie» gli disse; ma lui non rispose. Si limitò a un gesto della mano, per poi proseguire in silenzio.

Dopo Hawke fu il turno di Wynne, imprigionata in un'illusione che la vedeva all'interno della Torre del Circolo, circondata dai cadaveri di tutti i suoi ex compagni maghi; la donna era impotente, si sentiva responsabile per la loro morte. Ma le aspre parole di Morrigan servirono a darle una bella svegliata.
Melinor e Alistair, dall'altra parte del Velo, trovarono Leliana: ma il suo sogno non si rivelò un bel ricordo. Era intrappolata in un incubo: la trovarono in una stanza delle torture dell'Orlais, dov'era stata vittima di molteplici abusi. Non appena l'ebbero aiutata a uscire da quell'illusione, Leliana si mostrò fortemente imbarazzata e pregò entrambi di non farne parola con nessuno.
Il gruppo si riunì infine grazie all'ultimo segnale lanciato da Melinor; restava da rintracciare soltanto il demone.
Procedevano a stento, ognuno di loro stremato dalle prove emotive a cui il demone aveva sottoposto le loro anime. Camminarono per ore senza trovare nulla, e stavano per arrendersi; ma poi qualcosa accadde.
«Wynne.»
Una timida e debole voce chiamò la maga da dietro una roccia: una figura ormai quasi trasparente fece capolino.
«Niall, sei davvero tu?» lo riconobbe l'anziana, andandogli incontro. «Oh, Niall...» si portò una mano alla bocca: non restava più molto di lui ormai. Il suo spirito era quasi del tutto scomparso.
«Ormai non mi resta molto da vivere, Wynne… il demone si è nutrito di me per giorni. Ma tu puoi ancora farcela» le disse lo spirito con voce flebile e distante. «Insieme a queste persone puoi riuscire a sconfiggerlo. Poi, quando tornerai, prendi la Litania di Adralla dal mio corpo: è infilata nella mia cintura. Il demone non sa cos'è, e non l'ha presa.»
«Lo farò, Niall; il tuo sacrificio non sarà stato invano, te lo prometto» sussurrò la donna con un triste luccichio negli occhi. «Stiamo cercando il demone da ore ormai; sai dove si trova?»
Lo spettro di Niall puntò il dito su un sentiero che scendeva verso il basso, verso il cuore del Velo; poi svanì in uno sbuffo di fumo.
Il gruppo seguì la direzione indicata da quello che un tempo era stato il mago Niall, e non passò molto tempo prima che trovassero il loro nemico.
«E così siete riusciti a liberarvi» gracchiò il demone con tono annoiato; il suo corpo deforme e ricurvo era immobile al centro di uno spazio tondeggiante, sospeso nel vuoto. «Eppure credevo di aver letto per bene nei vostri cuori... credevo di aver scoperto i vostri punti deboli.»
Una palla di fuoco e un pugnale volarono immediatamente nella sua direzione. Tutti guardarono con stupore i gemelli: più che altro era Melinor ad attirare su di sé gli sguardi più straniti. Chiunque si sarebbe aspettato una reazione violenta da Merevar, ma non da lei.
«Ora pagherai per quello che ci hai fatto» ringhiò l'elfa fuori di sé, le nocche delle dita sbiancate attorno al bastone. «Muori, demone! Bellanaris din'an heem1
Senza attendere nemmeno un istante, Melinor prese ad attaccare con tutto ciò che aveva: l'espressione sul suo viso era distorta da una rabbia accecante, e il viso di suo fratello era identico al suo mentre si lanciava sul demone senza pietà, rapido come un'ombra. Il supporto degli altri non tardò ad arrivare: ognuno di loro aveva un motivo per infierire sul demone.
Il luogo s'impregnò d'ogni cosa: magia, ombra, sangue, sudore. Fu un duro scontro, e il demone della pigrizia non fu un avversario da poco. Dovettero dar fondo a tutte le loro energie, ma alla fine lo videro cadere a terra: non più la terra secca e crepata dei sentieri del Velo, ma la pietra levigata del pavimento del Circolo.
Non fecero nemmeno in tempo a esultare: caddero a terra tutti insieme, sfiniti fisicamente e mentalmente. Poco più in là giaceva il corpo immobile di Niall, con la pergamena arrotolata che sbucava dalla sua cintura.
 


 
NOTE:
1: imprecazione elfica per “muori”.
 

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Capitolo 19
*** Uldred ***


«Melinor! Melinor!»
L’elfa si sentì scuotere per le spalle con vigorosa delicatezza. Riaprì a fatica gli occhi, ritrovandosi davanti il suo riflesso: Merevar la studiava con aria preoccupata, ma sollevata.
«Mythal’enaste» ringraziò il cielo sussurrando all’orecchio della sorella una benedizione elfica, mentre la stringeva a sé. «Sembrava non volessi più svegliarti.»
«È normale. Per un mago un’esperienza simile è molto drenante.»
Le iridi di Melinor volarono oltre la spalla del gemello, alla ricerca della voce che aveva parlato: Wynne le sorrise in modo incoraggiante, ancora seduta a terra. Probabilmente si era svegliata da poco. Hawke era seduta poco più in là, persa in chissà quali pensieri; Morrigan era già in piedi, così come Alistair e Leliana.
I due gemelli si sciolsero finalmente dall’abbraccio: tenendola ancora per le spalle, Merevar guardò la sorella dritta negli occhi. «Come ti senti?»
Lei gli restituì lo sguardo: sapeva bene di non potergli mentire. «Sono solo un po’ stanca» gli disse, certa che avrebbe recepito il messaggio. Difatti lui sospirò appena, in apprensione; ma la lasciò andare, aiutandola a rimettersi in piedi.
«Tieni, Melinor; prendi questo» si avvicinò Leliana, porgendole una fiala di lyrium. «Ti aiuterà a recuperare un po’ d’energia.»
L’elfa accettò di buon grado; mentre tracannava la pozione, Wynne si alzò e si diresse verso il corpo di Niall. Con grande delicatezza si accucciò su di lui e scostò le sue vesti, finché non trovò ciò che cercava: sfilò la pergamena con la Litania di Adralla dalla sua cintura. Restò a fissare quel giovane corpo immobile alcuni istanti: infine, con una mano, gli chiuse delicatamente gli occhi.
«Faremmo meglio ad andare; non sappiamo quanto a lungo siamo rimasti privi di sensi» ruppe il silenzio, rialzandosi. Indicò una porta sul lato est della sala. «Oltre quella soglia c’è una piccola anticamera che porta alla sala del Tormento. Uldred dev’essere per forza lì.»
«Facciamola finita» prese in mano la situazione Melinor, raccogliendo da terra il suo bastone e dirigendosi verso la porta. Si fermò nel passare accanto al cadavere del demone della pigrizia: le sue iridi s’accesero debolmente d’una rabbia bruciante. Ma un braccio andò a cingere le sue spalle.
«Andiamo» la trascinò via Merevar; gli altri li seguirono senza una parola fino alla porta.
L’aprirono con grande prudenza: subito un bagliore colpì le loro pupille, facendole ritirare.
«Ma cosa…» esclamò Merevar, portando una mano davanti agli occhi. Una volta abituatosi a quella luminosità, mise a fuoco la stanza. «Un templare?»
«Cullen?»
Wynne superò i due Dalish, entrando nell’anticamera senza esitare: una barriera magica teneva prigioniero un ragazzo dai capelli chiari, inginocchiato e intento a pregare. Quando si avvide della loro presenza, si alzò di scatto e si allontanò il più possibile.
«Andate via, demoni! Non riuscirete a ingannarmi!»
«Oh, povero Cullen… cosa ti hanno fatto?» aggrottò le sopracciglia Wynne.
«È stato torturato, e privato di cibo e acqua; è evidente, riconosco i segni» disse Leliana, addolorata; Melinor le lanciò uno sguardo indagatore, restando a osservarla mentre sfilava una borraccia dalla cintura per dirigersi poi verso il prigioniero. «Tieni, bevi un po’…»
«Stai lontana da me!» gridò l’altro con gli occhi fuori dalle orbite; si tappò le orecchie con le mani e chiuse gli occhi, iniziando a pregare. Dopo alcuni istanti risollevò le palpebre: sembrava sconsolato. «Siete ancora qui! Non capisco, con tutte le altre illusioni ha funzionato!»
«Noi non siamo illusioni, Cullen; siamo reali» gli disse Wynne. «Greagoir ha inviato questi Custodi Grigi all’interno della Torre per salvare il Primo Incantatore Irving e i maghi sopravvissuti.»
«Salvare?» esclamò con rabbia il giovane templare. «Voi maghi dovete morire tutti! Non possiamo lasciare in vita nessuno, non dopo questo! Siete tutti corrotti, siete… siete creature del male!»
«Ehi, falla finita!» si fece avanti Hawke. «Non tutti i maghi sono malvagi come quelli che hanno scatenato questo pandemonio!»
«Ma siete tutti corruttibili!» non demordeva il ragazzo. «Io ho visto, ho sentito ogni cosa… le urla che provenivano da quella stanza» disse con voce tremante, sbirciando in direzione della porta che conduceva alla sala del Tormento. «Uldred li ha presi e li ha convertiti tutti, uno dopo l’altro! È entrato con le sue viscide pratiche magiche nelle loro menti, e alla fine hanno ceduto tutti! Tutti voi maghi siete fragili, impotenti se messi di fronte alle lusinghe dei demoni! Siete un pericolo per la società, dobbiamo eliminarvi tutti!»
Hawke fece per replicare, ma Wynne le si parò davanti e le parlò a voce bassa. «Non dar retta a ciò che dice, è evidentemente traumatizzato. È sempre stato un ragazzo gentile con tutti i maghi della Torre.»
«Ah, davvero? Perché a sentirlo ora non si direbbe proprio» bisbigliò Hawke in risposta, lanciando un’occhiataccia al templare che la guardava torvo di rimando. Wynne le rivolse un sorriso gentile e malinconico.
«Sì, dico sul serio. Era innamorato di tua cugina, sai?»
L’espressione di Hawke cambiò completamente, perdendo ogni traccia di avversione. «Davvero? Stavano insieme?»
«Avrebbero voluto; ma non potevano, come puoi ben immaginare» disse Wynne, con una punta forse eccessiva d’amarezza. «Non so fino a che punto si fosse spinta la loro relazione, ma era ovvio a tutti che c’era qualcosa fra loro. Gli sguardi che si lanciavano ogni volta che si incrociavano erano molto eloquenti.» Fece una pausa, mentre Hawke fissava il templare che ora dava loro le spalle. «Posso dirti che lui era sinceramente innamorato di Solona. Per dire cose del genere sui maghi, sapendo che la sua amata era una di noi… deve aver patito torture atroci.»
Wynne si voltò verso il templare. «Cullen, ora dobbiamo affrontare Uldred. Poi torneremo qui a liberarti.»
«Non vi conviene» brontolò l’altro, lanciando scintille con gli occhi. «Se vi avvicinate a me giuro che vi ucciderò con le mie mani.»
Wynne sospirò, incapace di fargli una colpa per ciò che andava dicendo. Fece un cenno agli altri, che la seguirono in silenzio. Si fecero coraggio e aprirono la porta.

Ciò che trovarono dall’altro lato li sconvolse: la grande sala circolare era grondante di sangue. I cadaveri di tutti i maghi che si erano rifiutati di collaborare con Uldred erano stati appesi alle pareti, dilaniati e sventrati; un manipolo di abomini si aggirava per la sala, e gruppetti di maghi legati erano sparsi qui e là, lontani gli uni dagli altri. Una figura familiare a Wynne e Melinor stava al centro della stanza, in attesa.
«Oh, ma che sorpresa… Wynne» sogghignò Uldred. Poi spostò l’attenzione sull’elfa accanto a lei. «E la Guardiana Dalish dei Custodi Grigi. Questo sì che è un colpo di scena. Siete venute per unirvi al mio esercito?»
«Esercito? Di che diamine stai parlando, Uldred?» esclamò Wynne, furiosa.
«Di questo capolavoro, ovviamente!» disse il mago allargando le braccia. «Noi maghi dovremmo imparare ad abbracciare il nostro vero potenziale, invece di limitarci a studiare banali incantesimi su tomi polverosi. Siamo esseri superiori ai comuni mortali, potremmo essere invincibili se solo accogliessimo i doni degli spiriti!»
«Dei demoni, vorrai dire» lo corresse Wynne. «Perché hai fatto tutto questo, Uldred? Sei sempre stato molto ambizioso, ma questo è troppo persino per te!»
«Ho visto un’opportunità e l’ho colta. A Ostagar ho conversato a lungo con Loghain: anche lui si è rivelato un uomo ambizioso, disposto a tutto per il potere. Mi ha promesso il suo sostegno se fossi riuscito a rovesciare il Circolo: sapeva che Irving non avrebbe mai approvato le sue azioni, così ha puntato tutto su di me.»
Tutti rimasero scioccati: Loghain era in combutta con Uldred? La cosa aveva dell’incredibile. Si era spinto oltre qualsiasi limite nella sua folle corsa al potere.
«Gli hai detto che sei un mago del sangue, Uldred?» insinuò allora Wynne. «Dubito che avrebbe voluto il tuo appoggio se l’avesse saputo.»
L’uomo rise sguaiatamente. «Ma io non sono più un semplice mago del sangue, Wynne. Sono molto di più. E tu, mia cara, mi seguirai presto: non potrai opporti» disse mentre il suo corpo mutava: s’ingigantì, diventando enorme e mostruoso, con il viso che s’allungava in un paio di mastodontiche fauci sotto gli occhi allibiti di tutti. Le maghe presenti e Alistair seppero immediatamente cos’era: era un demone della superbia, la specie in cima alla gerarchia demoniaca. «Cederete tutti: tu, la Custode, i maghi… e persino il Primo Incantatore Irving.»
Gli occhi di Wynne saettarono dall’altro lato della sala, dove vide Irving legato e imbavagliato. Vedendolo ancora vivo e sano di mente, si sentì rincuorata. «Non hai alcun potere su di noi, Uldred» affermò a gran voce, sfilando la Litania di Adralla dalla tasca della gonna. Si voltò verso il gruppo alle sue spalle. «Io reciterò la Litania: voi dovrete coprirmi e combattere Uldred. Se mi fermo anche solo un istante, potrebbe ammaliarci e spezzare la nostra volontà.»
Gli altri annuirono. Proprio mentre Uldred si accingeva a evocare la magia del sangue, Wynne srotolò la pergamena e iniziò a recitare a gran voce la formula in essa contenuta.
Approfittando dell’attimo di smarrimento del demone Uldred, Melinor lanciò una barriera protettiva attorno a Wynne; non appena il demone si rese conto di cosa stava accadendo, ruggì in preda all’ira.
«Non riuscirete comunque a sconfiggermi, piccoli insignificanti esseri mortali!» gridò con voce disumana. Subito gli abomini si scagliarono sul gruppo, che fu costretto a rispondere prontamente. Eliminare quelli non sarebbe stato difficile, se non fosse stato per l’intralcio che Uldred provocava loro: mentre gli abomini attaccavano, faceva piovere su di loro palle d’energia elettrica, costringendoli a schivare e interrompere i loro attacchi. La cosa andò avanti per un po’, mentre ognuno di loro era intento a combattere contro uno o più abomini.
«Ci prenderà per sfinimento!» gridò Alistair, mentre respingeva a fatica gli artigli di un abominio. «Dobbiamo fare qualcosa!»
Quasi come se fosse stato il caso a guidarla, Hawke incrociò lo sguardo di Wynne: la donna non poteva interrompere la Litania, ma guidò lo sguardo della ragazza con il suo fino a portarlo sul Primo Incantatore Irving. Hawke tornò a cercare gli occhi dell’anziana, in cerca d’una conferma; e la trovò.
Corse fra Alistair e Merevar, che combattevano praticamente schiena contro schiena.
«Pensate voi a lui!» gridò loro, mentre l’abominio con cui stava combattendo le correva dietro.
«Ma che fai?» le gridò di rimando Merevar, adirato. Ma fu lesto ad azzoppare l’inseguitore al suo passaggio, attirando la sua ira su di sé.
Hawke volò dall’altra parte del salone, precipitandosi sul bavaglio e sulle funi che tenevano immobilizzato l’uomo. Non appena ebbe la bocca libera, l’uomo parlò debolmente.
«Dietro di te!»
Uldred era ormai a un passo da Hawke: stava per afferrarla con la sua gigantesca mano artigliata, ma una roccia lo colpì in pieno. Il demone si voltò tranquillamente, come se gli fosse appena stata lanciata un’innocua palla di carta: Wynne, l’unica ad aver mantenuto l’attenzione su Hawke, aveva interrotto la Litania per salvarla. Uldred ghignò in maniera diabolica, scoprendo le aguzze file di denti che emergevano dalle sue gengive. Alzò entrambe le mani con i palmi verso l’alto, finalmente libero di usare la magia del sangue.
«Accettate il dono che vi offro?»
Subito tutti i maghi presenti sentirono una fitta cortina di nebbia cadere sulle loro menti, e crollarono tutti sulle ginocchia provando un unico desiderio: accettare quella proposta. Ogni tentativo di resistere fu vano, bloccato sul nascere: ormai erano tutti sotto lo scacco di Uldred.

Bah, non ci posso credere. Mia figlia, caduta vittima di un demone della superbia qualunque… pensavo d’averti istruita meglio di così.
Una luce squarciò le nebbie che minacciavano di divorare Morrigan: tutto riprese una forma, seppur vaga, nella sua mente. Davanti a lei stava sua madre, Flemeth. Morrigan incrociò le braccia sul petto.
Un’altra illusione, eh? pensò; ma in quel luogo pensare e parlare si equivalevano.
Sì, ma stavolta è tutta opera tua rise Flemeth, divertita. Sembra che inconsciamente tu veda in me la tua unica guida.
Flemeth allungò un dito, indicando un punto imprecisato alle spalle della ragazza. Và, ora. Hai del lavoro importante da fare, non scordarlo mai. Non puoi permetterti di fallire.
Improvvisamente Morrigan riprese il controllo della propria mente e del proprio corpo: si sentiva debole, come se tutta la sua magia venisse prosciugata da qualcosa. Accanto a lei vide Alistair, circondato da uno strano alone di luce bluastro: non appena l’alone scomparve, Morrigan sentì la sua magia tornare a scorrerle dentro.
«Che stai facendo? Tieni i tuoi poteri da templare lontani da me» sbottò la strega, alzandosi in piedi.
«Smettila di fare la bisbetica, e fai qualcosa!» esclamò Alistair. Merevar e Leliana erano rimasti soli a combattere contro i pochi abomini rimasti. «Non sono riuscito a dissolvere gli effetti dei poteri di Uldred sugli altri, non sono abbastanza forte. Prendi la Litania e recitala prima che li trasformi tutti in abomini, sei l’unica maga non soggiogata! Solo tu puoi farlo!»
Morrigan si guardò attorno rapidamente: vide Melinor, Wynne, Hawke, e tutti i maghi del Circolo con gli occhi rivoltati all’indietro. Non perse un istante: corse da Wynne, le strappò di mano la pergamena e prese a recitare la Litania di Adralla.
Uldred sentì i suoi poteri prosciugarsi, come strozzati: i maghi riprendevano pian piano il controllo, scivolandogli via come sabbia fra le mani. Si voltò, alla ricerca del responsabile: individuò subito Morrigan.
«No!» ruggì rabbioso, correndo verso di lei; ma una sfera protettiva di luce azzurra comparve attorno alla strega. Uldred si voltò di nuovo, vedendo Melinor con il bastone ancora illuminato; ansimava per lo sforzo e per lo shock appena subito.
«Non ci sconfiggerai, Uldred.»
L’essere mostruoso guardò Wynne, pronta ad affrontarlo; nel frattempo, Merevar e Leliana si erano disfatti con fatica degli ultimi abomini.
Tutti si lanciarono sul demone della superbia, attaccando con tutte le forze che rimanevano in loro. Lo scontro era feroce, piovevano sangue e sudore tutt’attorno. La voce di Morrigan riecheggiava nella sala come una tetra melodia. In quel caos nessuno udì il clangore di una fiala di lyrium che cadeva vuota poco più in là.
«Al riparo, tutti!»
Il gruppo in combattimento si voltò: il Primo Incantatore se ne stava in piedi, le sue forze ristabilite, con Hawke alle spalle. Il suo bastone riccamente intarsiato era circondato da serpenti di luce, pronti a partire al suo comando. Wynne sorrise, piena di speranza; poi gridò a sua volta.
«Accanto alle pareti, forza!»
Tutti si allontanarono all’istante: Morrigan dissolse le barriera protettiva di Melinor con un movimento del bastone, senza mai smettere di recitare la Litania, e corse via con gli altri.
Ciò che seguì fu rapido e spettacolare: l’incanto di Irving partì come una stella cometa, evocando una gabbia d’energia attorno a Uldred. Immediatamente, all’interno della gabbia, presero a generarsi delle scariche magiche che si abbatterono senza tregua sul demone imprigionato, facendolo gridare di dolore. Irving continuò a invocare il potere per diversi minuti, indebolendo notevolmente Uldred: tutti rimasero a guardare a bocca aperta il Primo Incantatore mentre agitava con grazia il suo bastone, dirigendo la sua magia con sapienza e accortezza.
Ma le torture subite erano state troppe, e nemmeno un’intera fiala di lyrium poteva bastare: esaurì presto le forze, e la gabbia attorno a Uldred si dissolse. Il demone, stremato, cadde a terra.
«Presto,  finitelo!» esclamò debolmente Irving.
Merevar non si fece pregare: schizzò in avanti come una scheggia proprio mentre Uldred, ancora intontito, si accingeva a rimettersi in piedi. «Alistair!»
«Ci sono» replicò l’altro, lasciando cadere lo scudo mentre correva dietro all’elfo brandendo la spada con entrambe le mani.
Merevar, agile come soltanto gli elfi sapevano essere, balzò sulla schiena dell’enorme creatura, fino a sedersi a cavalcioni del suo enorme collo. Con mira sicura, cinse l’enorme testa da dietro con le braccia e conficcò i suoi pugnali negli occhi di Uldred. Mentre quello gridava di dolore, lasciando la testa ciondolare all’indietro con Merevar a penzoloni attaccato saldamente con le gambe alle sue spalle, Alistair gli diede il colpo di grazia: ficcò la spada fino all’elsa dritta nel suo cuore.
Un ultimo grido si levò dalle fauci spalancate di colui che un tempo era stato Uldred : dopodiché il suo corpo esplose in mille pezzi.
Gli schizzi finirono ovunque: anche se tutti i sopravvissuti erano sistemati lungo le pareti, vennero colpiti dall’esplosione. Merevar e Alistair, tuttavia, erano ricoperti dalla testa ai piedi dei resti del demone: un misto di carne e sangue ridotti a una poltiglia gelatinosa li aveva investiti interamente.
Merevar si passò una mano sugli occhi, liberandoli da quella schifezza: scosse poi la mano con fare disgustato per gettare a terra il grumo molliccio, lanciando un’occhiata ad Alistair. Nel vederlo interamente ricoperto di robaccia si sentì male al pensiero che erano entrambi nelle stesse disgustose condizioni: l’ex templare si passò una mano sulla bocca, per essere certo di non ingurgitare nulla parlando. Poi guardò l’elfo.
«Se non altro è finita bene» fece del sarcasmo.
 

I templari sussultarono all’udire tre colpi decisi sulla porta sigillata alle loro spalle. Rimasero a guardarsi in silenzio l’un l’altro, mentre il comandante Greagoir si avvicinava.
«Aprite» parlò una voce maschile alquanto seccata. Non riconoscendola, Greagoir si mise sull’attenti.
«Identificatevi!»
«Chi vuoi che sia, ci hai mandati tu oltre questa dannata porta!» rispose la stessa voce seccata di poco prima.
«Aprici, Greagoir. I Custodi Grigi hanno salvato il Circolo.»
Il comandante sobbalzò nel riconoscere la voce di Irving. «Come faccio a sapere che sei davvero tu, Irving? Potresti essere posseduto…»
«Oh, andiamo Greagoir! Finiscila con queste assurdità e apri questa porta!»
Stavolta la voce a parlare apparteneva a una donna: il comandante dei templari riconobbe l’autentico fervore di Wynne, e fece segno ai suoi uomini di aprire con cautela le porte.
Quando si ritrovarono il gruppo davanti, i templari si lasciarono andare alle più svariate esclamazioni: chi di disgusto, chi di stupore, chi d’ammirazione.
Merevar e Alistair, sudici dalla testa ai piedi, passarono per primi; nel farlo, l’elfo lanciò un’occhiataccia a uno dei due templari posti ai lati della porta. L’uomo stava guardando i due guerrieri con sommo raccapriccio.
«Che c’è? Hai paura di sporcarti?» gli disse, scuotendo un braccio nella sua direzione; un po’ di Uldred finì proprio addosso al templare, che sobbalzò per l’orrore. «E voi sareste dei guerrieri… bah» lo oltrepassò Merevar, indignato; Alistair ridacchiava al suo fianco.
«Irving… non posso crederci, sei davvero tu… e sei vivo» mormorò Greagoir nel vedersi venire incontro il Primo Incantatore.
«Per un soffio; devo la mia vita al coraggio di Wynne e di questi Custodi Grigi» replicò il mago con voce stanca.
«Cos’è successo là dentro?» chiese il comandante a quel punto.
Fu così che apprese ogni cosa su Uldred, su come aveva formato per mesi giovani maghi del sangue, e su come aveva cospirato con Loghain per prendere possesso del Circolo dei Maghi. Alla fine del racconto, Greagoir era esterrefatto.
«Non so come sarebbe finita se voi non foste arrivati» Irving prese a rivolgersi ai Custodi. «Siete arrivati con un tempismo incredibile, una vera benedizione dal cielo. Non so come ringraziarvi.»
«In tutta onestà, signore… non ci siamo lanciati in questa impresa di salvataggio spinti soltanto dal buon cuore» si affrettò a precisare Melinor. «Siamo venuti fin qui per usare i Trattati in nostro possesso: abbiamo bisogno dell’aiuto del Circolo contro il Flagello.»
«Naturalmente» asserì l’uomo, con espressione solenne. «Non solo combatteremo al vostro fianco contro il Flagello, ma anche contro Loghain. Quel che ha fatto è davvero ignobile, e il Circolo dei Maghi testimonierà in vostro favore.»
Melinor annuì, sorridendo debolmente; si strinsero la mano per suggellare l’accordo.
«Aspettate!»
Una figura familiare fece irruzione nel salone d’ingresso.
«Rutherford! Sei vivo!» esclamò Greagoir, riconoscendo Cullen; fece per andargli incontro, ma il templare non gliene diede il tempo e avanzò a passi decisi.
«Non potete lasciarli vivere, comandante! Sono pericolosi, sono stati infettati! Potrebbero essere posseduti!»
«Calmati, Rutherford. Irving sostiene che il pericolo è superato» disse con calma Greagoir.
«Mente, lui mente! È tutto un inganno, una finzione!» continuò a farneticare Cullen in preda alla frenesia.
«Abbassa subito i toni, Rutherford» lo ammonì l’altro, scoccandogli un’occhiata minacciosa. «Capisco la tua situazione, non dev’essere stato facile sopravvivere là dentro per due giorni. Ma se Irving fosse posseduto, non credi che ci avrebbe già soggiogati tutti? E poi me ne sarei accorto, non pensi?»
«Nessuno si è accorto di Uldred!»
«Sì, invece, avevamo dei sospetti! Ma non avevamo prove sufficienti per agire contro di lui!» alzò la voce Greagoir. «Abbiamo pagato un caro prezzo per questa nostra negligenza; la prossima volta agiremo immediatamente, anche in caso di semplici sospetti.»
Cullen rimase immobile a guardare il suo superiore: all’improvviso sembrò come svuotato, privo di qualsiasi vitalità. Si mise in un angolo, silenzioso e innocuo, con lo sguardo fisso a terra.
Seguì uno scambio verbale fra i tre Custodi e Irving: chiesero al Primo Incantatore di poter accedere alle scorte di lyrium del magazzino, dicendogli tutto su Connor e sulla condizione dell’Arle. Irving si offrì di accompagnarli nei sotterranei per prendere tutto il necessario.
Morrigan chiese a Leliana d’accompagnarla negli alloggi del Primo Incantatore: voleva andare a recuperare ciò che era suo di diritto, e le serviva un’abile scassinatrice in caso il grimorio di Flemeth fosse stato messo sottochiave.
Wynne rimase in disparte a parlare con Greagoir, lasciando Hawke da sola.
La rossa aveva gli occhi puntati su Cullen: lui non se ne accorse, perso in chissà quale inferno personale. Si avvide della sua presenza solamente quando l’ebbe sotto al naso.
«Stai lontana!» gridò alla ragazza, attirando gli sguardi di tutti.
«Calmati» disse lei, cercando di non cedere al suo temperamento irruento. «Voglio solo parlare.»
«E perché? Per dominare la mia mente con i tuoi malefici?» l’accusò lui, riducendo gli occhi a due fessure.
«Voglio parlarti di Solona Amell.» L’espressione stravolta di lui fu l’unica risposta. «Wynne mi ha detto di voi due.»
Senza alcun preavviso, Cullen afferrò il braccio della ragazza, strattonandola in un angolo appartato. «Non sono cose che ti riguardano» le disse in un sibilo.
«Lei era mia cugina.»
Ancora una volta l’espressione del giovane mutò: l’ostilità sembrò sparire, lasciando i suoi lineamenti più distesi e il suo viso più simile a quello che, probabilmente, Solona aveva imparato ad amare.
«Io… volevo solo chiederti com’era» proseguì Hawke, prendendo a guardarsi le punte degli stivali ormai logori. «Non l’ho mai conosciuta. L’ho vista là dentro, ma era già…»
«Sì, lo so» tagliò corto Cullen, abbassando a sua volta lo sguardo. «Ero lì quando è successo.»
Hawke rialzò lo sguardo su di lui, ed egli prese a parlare.
«Non c’è molto da dire: Solona era… brillante. Una maga talentuosa e dedita, una fedele seguace di Andraste, e una donna eccezionale. Non c’è stato praticamente nulla fra noi, se non un amore mai consumato» ammise con amarezza. «Parlavamo ogni tanto, ma in un Circolo è impossibile nascondersi; non ci siamo mai dichiarati apertamente, ma non era necessario» sospirò. «Non avrei mai dovuto lasciarmi prendere così da una maga. È proibito, e ora so che è per una buona ragione.»
«Ma lei non ha mai ceduto» gli fece notare Hawke. «Lei non ha mai usato la magia del sangue. Se l’amavi, come puoi adesso odiare tutti quelli che sono come lei? Lei ha dimostrato che è possibile resistere al male, questo dovrà pur contare qualcosa per te!»
«Già, ha resistito… e guarda com’è finita» disse il ragazzo con ardore, gli occhi velati suo malgrado. «Non potrò mai dimenticare come… come è finita contro quella libreria, e poi…» s’interruppe. Hawke sentì salire le lacrime agli occhi, e proprio in quell’istante Cullen piantò lo sguardo nel suo con decisione. «Amare Solona Amell è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, per un po’; anche se era una storia impossibile. Alla fine è diventata la mia maledizione più grande. Se non fosse stato per lei io mi sarei messo al sicuro qui, con gli altri: invece sono tornato indietro per proteggerla, e ho fallito. Ho dovuto vederla morire in un modo atroce, e poi sono stato preso e torturato per giorni. Amare una maga» concluse con amarezza «mi ha portato a odiare tutti i maghi. Anche se il ricordo di lei china sui suoi libri sarà sempre dolce, alcune cose sono troppo terribili per poterle dimenticare in nome d’un amore mai sbocciato.»
Dette quelle parole, Cullen girò i tacchi e se ne andò. Hawke rimase sola, il ricordo della cugina senza vita impresso nella sua mente, mentre cercava d’immaginarla seduta in quella stessa biblioteca in cui Cullen si era innamorato di lei.

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Capitolo 20
*** La rosa del destino ***


Tutti furono ben felici di lasciarsi la torre di Kinloch Hold alle spalle. Mentre guadavano il lago, inspirando l’aria fresca e pulita della sera, si sentivano stanchi, provati, ma soprattutto sollevati. Quella terribile parentesi si era chiusa, e poco importava il fatto che presto se ne sarebbero aperte altre.
Solo Morrigan, nonostante avesse in grembo il fagotto contenente il grimorio di Flemeth, sembrava scontenta; la compagna di viaggio che avevano appena acquisito non le andava per niente a genio. Wynne aveva convinto il Primo Incantatore a lasciarla partire con i Custodi.
«Avete detto che il Circolo sosterrà la causa dei Custodi Grigi contro Loghain, Irving. In passato sono stata a corte per svolgere degli incarichi, i nobili mi conoscono; e sono stata anche a Ostagar. Chi meglio di me può testimoniare in vece del Circolo?» aveva argomentato l’anziana.
«È un’offerta molto generosa, Wynne; ma prima di affrontare Loghain dobbiamo radunare tutte le fazioni alleate dei Custodi Grigi, e dobbiamo anche sistemare le cose a Redcliffe…» le aveva fatto notare Melinor. «Potrebbero volerci mesi, e il Circolo dev’essere ricostruito. Hanno bisogno del vostro aiuto qui.»
«Oh, ti assicuro che se la caveranno benissimo anche senza di me. E poi, anche tu hai bisogno di aiuto» aveva aggiunto la donna, rivolgendo all’elfa un sorriso quasi materno. «Hai guidato saggiamente questo gruppo di teste calde finora, ma avere qualcuno che ti dia una mano non può far danno; anche tu hai bisogno di un po’ di tregua, Melinor.»
L’elfa si era lasciata scappare un sorriso riconoscente; Irving aveva ridacchiato e concesso il suo permesso a Wynne. In seguito, Greagoir aveva detto loro di alloggiare presso la locanda in riva al lago, garantendo che avrebbe pensato lui a pagare tutto. Così, una volta calata la sera, tutti si ritrovarono attorno allo stesso tavolo con la pancia piena; ben presto si ritirarono nelle loro stanze, desiderosi di riposo dopo l’estenuante esperienza alla torre.
 

Era quasi mezzanotte, e Alistair si aggirava per la sua stanza. L’adrenalina accumulata durante il giorno non accennava a scemare, e si ritrovò a guardare fuori dalla finestra. Fu così che si accorse di una figura seduta su un grosso masso in riva al lago. Esitò alcuni istanti, incerto sul da farsi; poi si fece coraggio e lasciò la stanza.
«Melinor» chiamò una volta all’esterno, avvicinandosi alla riva del lago; l’elfa lo sentì, e ancor prima aveva percepito la sua presenza, ma non rispose. «Cosa ci fai qui fuori? Dovresti riposare» aggiunse allora il ragazzo.
«Non mi va di stare rinchiusa là dentro» rispose lei, in poco più d’un mormorio assorto. «E non ho sonno.»
Alistair non ebbe nulla da ridire, dato che lui stesso non riusciva ad addormentarsi. Si portò al fianco di Melinor, che non lo degnò di alcuna attenzione: aveva lo sguardo perso oltre l’orizzonte.
«Posso sedermi?» chiese allora il giovane, indicando la roccia su cui stava seduta l’elfa; lei annuì distrattamente, priva d’espressione.
Rimasero così, in silenzio totale, per diversi minuti: l’unico suono a turbare la quiete della notte era il frusciare delle acque del lago e il canto di una civetta lontana. Alistair si voltò verso Melinor.
«Melinor… che ti succede?» chiese, serio come non era mai stato prima d’allora. All’elfa non servì guardarlo per capire che era sinceramente preoccupato.
«Non è niente, sto bene» rispose con tranquillità.
«No, non è vero» sospirò lui, sconfitto. «È da quando mi hai trovato nel Velo che sei strana. Sono convinto che sia a causa di quel demone della pigrizia.»
Caparbia, l’elfa non replicò: s’irrigidì appena, ma continuò a fissare il lago.
«Melinor, capisco che tu non ti senta a tuo agio a parlarne con me. Ma devi confidarti con qualcuno, non puoi tenerti tutto dentro così. Tu sei sempre la prima a parlare con tutti noi, a prenderti cura di noi quando stiamo male… ma chi si prende cura di te?»
Finalmente l’elfa si decise a guardarlo, e lo fece con rabbia. «Merevar si prende cura di me» ribatté secca.
«Non lo metto in dubbio» si mise subito sulla difensiva il ragazzo, «ma con lui non puoi parlare di certe cose, perché anche lui è coinvolto e ne soffrirebbe… o sbaglio?»
Melinor, colpita nel segno, non seppe che altro dire; si rimise a guardare lo specchio d’acqua con un cipiglio corrucciato. Al che Alistair sospirò di nuovo.
«Confidati con qualcuno, Melinor. Con Leliana, con Hawke… perfino con Morrigan, dato che sei l’unica ad andarci d’accordo. Basta che ti sfoghi». Si alzò in piedi. «Prometti che lo farai?»
Lei alzò lo sguardo su di lui, perplessa. «Perché t’interessa tanto?»
«Beh, tu lo sai… io non ho mai avuto una famiglia» si strinse nelle spalle mentre sfoderava un sorriso disarmante. «L’unica famiglia che ho conosciuto sono stati i Custodi Grigi. Ora tu e Merevar siete gli ultimi rimasti oltre a me, quindi siete la mia famiglia.»
Melinor cambiò espressione: dischiuse appena le labbra, sorpresa e colpita mentre lui riprendeva a fare il buffone come suo solito.
«Certo, Merevar mi detesta e non potrei mai andare da lui e parlargli così», ridacchiò. «Tu sei più tollerante, quindi spero che mi darai ascolto». Rimasero a studiarsi per alcuni istanti; poi lei abbassò lo sguardo sui ciottoli della riva sotto di sé, e lui capì che era tempo di congedarsi. «Io torno dentro. Tu non restare qui fuori ancora a lungo, devi dormire un po’.»
Melinor rimase in ascolto, sentendo i passi di Alistair che si allontanavano.
«Ho dovuto uccidere il mio clan.»
I passi si arrestarono; Alistair si voltò verso l’elfa che gli dava le spalle.
«Mi sono accorta che era un’illusione, e sapevo cosa dovevo fare per uscirne… ma non è stato facile. Merevar non si era accorto di nulla, proprio come te; ho cercato di convincerlo, ma lui non voleva ascoltare. Voleva così tanto che quella fosse la realtà, che ho dovuto imprigionarlo e… e uccidere tutto il clan da sola.»
I passi si avvicinarono nuovamente; ben presto Alistair fu nuovamente seduto sul masso.
«Mi dispiace, Melinor… dev’essere stato terribile.»
«La cosa davvero terribile è il modo in cui questa cosa mi ha destabilizzata» aggiunse Melinor. Ormai il fiume di parole stava per raggiungere la piena, e lei non poteva più fermarlo. Sentiva pungere gli occhi, e il petto bruciava di rabbia. «I Guardiani dalish vengono addestrati nella gestione delle proprie emozioni. Dobbiamo saperle riconoscerle, dobbiamo domarle. Dopo aver lasciato il clan, sapevo di dover essere forte… non solo per me, anche per Merevar. Poi c’è stata Ostagar, è stato tutto un disastro dietro l’altro… mi sono trovata circondata da un gruppo improbabile e poco gestibile, e sapevo di non potermi concedere il lusso di crollare. Dovevo accantonare momentaneamente i miei sentimenti per concentrarmi sul Flagello. Ma poi è arrivato quello stupido demone, e ha rovinato tutto» esclamò con rabbia, stringendo i pugni e pressandoli sulle cosce. «Ha tirato fuori tutto quello che avevo messo da parte e me l’ha schiaffato dritto in faccia. E ora che tutta quella sofferenza è stata tirata fuori non posso più ignorarla». Si pressò le mani sul viso, come se quel gesto potesse farle dimenticare tutto. «E hai ragione, non posso dire niente di tutto questo a Merevar. Si sente già responsabile per avermi trascinata in questa storia, io… io non posso fargli questo. Non voglio dargli altri motivi per cui sentirsi in colpa». Sbuffò, lasciando che le mani tornassero a posarsi sulle sue gambe. «Devo riprendermi subito. Altrimenti chissà cosa combinerete voialtri, se nessuno vi tiene bada.»
«Sei davvero incredibile, sai?»
Colta alla sprovvista da quel commento, Melinor si voltò verso Alistair: lo trovò con un sorriso insolito, che mai gli aveva visto addosso prima d’allora. «Nonostante quello che stai attraversando, non ti preoccupi minimamente della tua sofferenza. Ti preoccupi per gli altri, invece». Ridacchiò, tornando a essere lo stesso di sempre. «Se fossi al tuo posto io starei a piangermi addosso tutto il giorno, incapace di pensare ad altro o di fare qualsiasi cosa. Non so davvero come ci riesci, Melinor.»
«Per me è normale» minimizzò l’elfa, tornando a guardare davanti a sé. «Sono stata cresciuta per fare questo.»
Rimasero in silenzio ancora per qualche istante; poi Alistair si alzò.
«Aspetta qui, torno subito.»
Perplessa, Melinor lo seguì con lo sguardo mentre spariva dentro alla locanda. La sua attenzione indugiò sull’uscio della porta, scivolando subito dopo sulla volta celeste sopra di sé. Dovette riconoscere che aver parlato dei suoi tormenti era stato d’aiuto, e si era levata un po’ di peso dalle spalle.
«Ecco, guarda» la sorprese Alistair, tornando all’improvviso. Le iridi verdi di lei seguirono i movimenti di lui mentre tornava a sedersi porgendole qualcosa. «Sai cos’è questa?»
«Una rosa» rispose lei con ovvietà. Lui annuì.
«L’ho raccolta nel chiostro di Lothering, mentre aspettavamo che Leliana facesse i bagagli. L’ho vista lì, e non ho potuto fare a meno di pensare che presto la Prole Oscura sarebbe arrivata e avrebbe distrutto ogni cosa… così l’ho raccolta, e da allora la tengo con me. Serve a ricordarmi che anche nella situazione peggiore può nascere qualcosa di bello.»
Melinor scrutò la rosa che un tempo era stata bianca: si ritrovò suo malgrado a sorridere. «Non ti facevo così profondo» scherzò; ma subito qualcosa le si affacciò alla mente. «Aspetta, hai detto che l’hai trovata a Lothering? Per caso era l’unica rosa fiorita in un cespuglio rinsecchito?»
«Sì» ammise lui, sbalordito. «Come fai a saperlo?»
«Non ci posso credere» mormorò lei, con gli occhi incollati sul fiore ormai secco. «Questa è la rosa di Leliana!»
Fu il turno di Alistair di esprimere perplessità; allora l’elfa si affrettò a spiegare.
«Una notte, durante un turno di guardia insieme, Leliana mi ha parlato della sua visione… sai, quella di cui ci ha accennato quando ci siamo incontrati, che l’ha spinta a venire con noi.»
«Ah, già… quella che le ha inviato il Creatore» ricordò lui, con aria un po’ inquietata.
«Non è una pazzia come può sembrare, sai? Mi ha detto di aver fatto un sogno in cui veniva inghiottita da una grande oscurità: l’unico modo per salvarsi era saltare nel vuoto, e lei l’ha fatto. Poi si è svegliata, e ha trovato questa rosa in giardino. Quel cespuglio non fioriva da anni, tutti credevano che fosse ormai morto… eppure quella mattina c’era questa rosa. L’ha interpretato come un messaggio del Creatore, e lo stesso giorno noi siamo arrivati a Lothering.»
Alistair la guardò con la mandibola cascante.
«E ora tu mi riveli che hai raccolto proprio quella rosa!» continuò l’elfa, meravigliata e divertita. «Se ci pensi bene, sembra davvero un segno del destino.»
«Già…» mormorò Alistair, a sua volta meravigliato. «Allora avevo visto giusto, questa rosa è davvero speciale». Senza alcun preavviso, allungò la mano verso Melinor porgendole il fiore. «Un’ulteriore ragione per darla a te.»
Melinor prese ad alternare lo sguardo fra lui e la rosa, stranita. «Vuoi darla a me?»
«Sì. Così anche tu potrai ricordarti che perfino in mezzo a questo caos si può trovare qualcosa di bello.»
Melinor prese la rosa, un po’ titubante. «Grazie» disse in poco più di un sussurro. Era visibilmente a disagio.
«Melinor… non devi accettarla per forza, se non ti va» disse a quel punto Alistair, accortosi dell’imbarazzo che aleggiava sul volto di lei.
«No, non è questo… tu sei stato molto gentile. È solo che, ecco» prese a farfugliare nervosamente; «sai, noi dalish abbiamo usanze diverse dalle vostre. Questo tipo di regalo si fa solo a chi si considera… molto, molto vicino.»
«Oh» esclamò Alistair, distogliendo a sua volta lo sguardo. «Beh, in un certo senso siamo molto vicini io e te. Ormai ci salviamo la vita a vicenda ogni giorno, come si può essere più vicini di così?» ridacchiò.
«Sì, è vero» rise nervosamente lei.
«Sì, è vero» ripeté a ruota il ragazzo. Tacque alcuni secondi, e poi prese a grattarsi un orecchio. Sbirciò Melinor: l’elfa si protese con la schiena in avanti e posò entrambi i gomiti sulle ginocchia unite sotto di sé, la rosa stretta delicatamente fra le sue mani. «E poi… a dire la verità non c’è solo questo.»
Melinor stava rimirando la rosa, e sentì un brivido correrle lungo la schiena a quelle parole. Mosse solo le iridi in direzione del ragazzo, senza azzardarsi a voltare la testa per paura d’incrociare il suo sguardo.
«Vedi, Melinor… so che può sembrare strano dato che ci conosciamo da poco, ma…» faticò a trovare le parole. «Mi sono accorto di tenere a te. Molto.»
Una strana sensazione di pesantezza si abbatté sulla testa di lei: pensare diventava sempre più difficile, ed era come paralizzata mentre ascoltava la voce di lui.
«Forse è per via di tutto quello che abbiamo passato insieme, non lo so… tu eri lì per me quando ho perso Duncan, ti sei sempre presa cura di me. Ma del resto è quello che fai con tutti, quindi forse mi sono fatto un’idea completamente sbagliata. Forse mi sono solo lasciato trascinare dalla situazione, ed è tutta una fantasia che esiste solo nella mia testa.»
D’improvviso Melinor si ritrovò faccia a faccia con Alistair: lui si era inginocchiato proprio davanti a lei, non lasciandole alcuna via di fuga. Fu costretta a guardarlo negli occhi, e nel farlo si accorse che il suo cuore batteva in maniera smodata.
«È così, Melinor? È tutto solo nella mia testa oppure è così anche per te?»
Le ci volle uno sforzo immane per riuscire a divincolare il suo sguardo da quello di lui, ma dopo diversi istanti ci riuscì. Si concentrò sulla rosa che teneva fra le mani. «Alistair, io… non saprei…»
La delusione attraversò il volto di lui come un pallido spettro. Abbassò a sua volta lo sguardo. «Già, che sciocco… avrei dovuto saperlo. Tu sei una dalish, e io un umano.»
A quelle parole il capo di Melinor si rialzò di scatto, e si affrettò a replicare con più foga del necessario. «No, no… che dici, hai frainteso!»
Lui risollevò a sua volta la testa, e di nuovo l’elfa si ritrovò a essere totalmente assorbita dal suo sguardo ambrato. «Io intendevo che non ci ho mai pensato» farfugliò, tornando a rigirarsi la rosa fra le mani. «Come ti ho detto prima, non mi sono mai concessa il lusso di soffermarmi sui miei sentimenti… di nessun tipo.»
Lei non poté vederlo, impegnata com’era a evitare il suo sguardo, ma in lui si riaccese una debole speranza.
«E pensandoci ora, come ti senti a riguardo?» le chiese.
Lei trovò il coraggio di guardarlo, come se cercasse la risposta proprio in lui. «Confusa.»
Incoraggiato forse dal non aver ricevuto un rifiuto, Alistair si fece avanti. Racchiuse le mani dell’elfa con la rosa fra le sue, e lei si sentì andare a fuoco.
«Allora forse dovremmo fare qualcosa per chiarirti le idee…»
Melinor udì quelle parole, ma non vi badò minimamente. Restò concentrata sul volto di lui mentre si avvicinava sempre di più al suo, annullando gradualmente la distanza fra loro. Lo vide chiudere gli occhi mentre posava le labbra sulle sue con delicatezza, senza imporsi minimamente: lei avrebbe potuto scansarsi in qualsiasi momento, ma non lo fece. Era come se fosse stata privata della capacità di comandare il proprio corpo: sentiva soltanto la folle corsa del sangue impazzito nelle sue vene e il martellare spietato sulle tempie. Quando lui finalmente si staccò, lei era ancora immobile, priva d’espressione.
«Ehm… Melinor…?»
Finalmente l’elfa si mosse: senza palesare la benché minima emozione sfilò le mani da quelle di lui, si voltò di lato e posò la rosa sulla roccia. Lui si sentì mancare, e si portò entrambe le mani agli occhi.
«Oh, no… scusami, non avrei dovuto» prese a scusarsi. «Non mi sarei dovuto permettere, mi dispiace! Mi sono lasciato prendere dalla situazione, e…»
Stavolta fu lui a venir colto alla sprovvista: si ritrovò le mani di lei attorno al collo e si sentì trascinare delicatamente in avanti. Gli ci volle qualche secondo per comprendere che l’elfa lo stava baciando. Sorpreso ed estasiato, non si lasciò sfuggire l’occasione: l’elfa aveva allargato le ginocchia per lasciarlo avvicinare, e lui la strinse a sé cingendole la vita con le braccia.
Quando si separarono, Melinor non riuscì a sostenere il suo sguardo: al vederla così vulnerabile, lui sorrise.
«Beh, lo prendo come un buon segno» scherzò per farla sentire più a suo agio. Lei rise, appoggiando la fronte sulla spalla di lui.
Restarono così, abbracciati, ignari del fatto che qualcuno li stava osservando dalla finestra della locanda.
 

Il giorno seguente fu chiaro a tutti che qualcosa era cambiato: non ci voleva certo un genio a capire cosa. Alistair e Melinor, nonostante cercassero di essere il più discreti possibile, erano rimasti vicini l’uno all’altra sin dalla colazione. Una volta rimessisi in viaggio per Redcliffe, la situazione non era cambiata.
Mentre i due aprivano la strada, Hawke e Leliana bisbigliavano nelle retrovie; Wynne se ne stava rispettosamente in silenzio, pur avendo capito subito cos’era accaduto.
«Io te l’avevo detto» disse Morrigan a Merevar, il quale se n’era stato muto e arrabbiato tutto il tempo. «Ma non hai voluto darmi retta, e ora guarda» continuò la strega, indicando i due con un palmo della mano. «Bleah, se questa cosa continua potrei iniziare ad avere le nausee mattutine.»
Ignorando completamente la strega, Merevar allungò il passo. Superò tutti fino a portarsi al fianco della sorella, prendendola per un polso. Lei si voltò con un sussulto.
«Dobbiamo parlare.»
Melinor sostenne lo sguardo del gemello senza problemi; Alistair le lanciò una fugace occhiata apprensiva, e lei annuì impercettibilmente con il capo per comunicargli che andava tutto bene.
«Voi andate pure avanti» disse ancora l’elfo, fulminando l’umano con occhi furenti. «Vi raggiungiamo subito.»
Senza farselo ripetere due volte, Alistair annuì; un ultimo sguardo volò verso Melinor, mentre Wynne lo raggiungeva e lo prendeva sottobraccio con delicatezza, suggerendogli in un bisbiglio di proseguire. Una dopo l’altra, anche le altre superarono i due gemelli; quando tutti gli umani si furono allontanati a sufficienza, Merevar puntellò gli occhi in quelli di Melinor.
«Allora, che c’è?» disse lei come se nulla fosse, incrociando le braccia sul petto. Merevar espirò con forza.
«Non fare la gnorri con me. Vi ho visti ieri notte.»
Melinor aveva previsto quella discussione, ma non quell’ultima rivelazione: lasciò cadere le braccia a ciondoloni lungo i fianchi. «Cosa? Come ti permetti, ora mi spii?»
«Avrei preferito non vedere nulla, credimi! Ma non vi siete sforzati poi molto di essere discreti, ti pare?»
Melinor aggrottò le sopracciglia con fare offeso, premendo le mani sui fianchi.
«Melinor, hai lasciato che ti baciasse!» quasi gridò Merevar. «Tu non ti sei mai lasciata baciare da nessuno! E dopo l’hai baciato anche tu!»
«Proprio così, e questo dovrebbe bastare a farti capire come la penso.»
Merevar era atterrito. «No, non può essere. Tu sei solo confusa. Stai ancora male per quello che è successo alla Torre, e lui se n’è approfittato.»
Lei sgranò gli occhi. «È davvero questo che pensi? Che io non sappia discernere fra le mie stesse emozioni?»
«Non c’è altra spiegazione!» sbottò lui. «Non puoi aver scelto lui davvero, Melinor. È un umano!»
«Adesso finiscila con questa storia!» esplose lei, pestando un piede a terra. «Non siamo più nei boschi con il clan, devi fartene una ragione! Il nostro posto è fra gli umani ora, non rivedremo mai più il nostro clan! Pensavo» aggiunse con voce incrinata; «pensavo che dopo l’esperienza nel Velo l’avessi finalmente capito.»
Merevar prese a strofinarsi le mani sul viso, come se volesse raccapezzarsi e ricomporsi.
«Melinor, io sono solo preoccupato per te» mormorò dolcemente, abbandonando ogni traccia di rancore mentre le posava le mani sulle spalle. «Gli umani non vedono l’amore come noi dalish, lo sai. Hanno abitudini disgustose, per loro il matrimonio non significa nulla… si tradiscono, sono promiscui… fanno sesso per denaro! E sai che hanno un debole per gli elfi…»
«Oh, per favore Merevar» quasi rise l’altra. «È questo che ti preoccupa? Hai paura che Alistair si approfitti di me?» faticò a porgli quella domanda senza ridere. «Ma lo hai visto bene? Non farebbe del male a una mosca!»
«Tu non sei un uomo, non puoi capire. Quando ci sono di mezzo certe cose, anche l’uomo più nobile del mondo può smettere di ragionare.»
«Per i Numi, Merevar! Non farmi il discorsetto come se non sapessi come funziona!» esclamò lei, esterrefatta. La sua espressione si addolcì, e prese le mani del fratello fra le sue. «Alistair non mi farebbe mai del male. E anche se volesse, credi davvero che sarebbe in grado di prendere in giro me?» disse scherzosamente, mentre il fratello le restituiva uno sguardo apprensivo. «E poi qual è il problema? Credevo che lui ti piacesse.»
«Cosa?» quasi gli rotolarono gli occhi fuori dalle orbite, tanto li aveva spalancati. «Non mi piace nessun umano!»
Melinor lo squadrò con un sopracciglio alzato. «Ho visto come combattete insieme, e non pensare di potermi raccontare storie. Tu sei un cacciatore dalish, per te la fiducia nel partner è fondamentale. Ho visto come lasci che lui ti guardi le spalle mentre tu fai lo stesso per lui.»
«Questo non significa niente. Un conto è lasciare che lui mi guardi le spalle in battaglia, un altro è lasciare che… che guardi le tue, di “spalle”!»
Melinor non poté trattenersi dal prorompere in una gran risata, mentre l’altro la guardava frustrato.
«Non ci posso credere. Tu, una discendente dell’antica stirpe elfica dei Mahariel, Guardiani dalish da generazioni… hai scelto un umano» borbottò lui, infastidito.
«Senti chi parla! Hai proprio un bel coraggio a parlarmi così, come se davvero a te non piacesse nessun umano!»
Lui la fissò senza capire. «Come, scusa?»
Lei sospirò, sventolando una mano per lasciar cadere l’argomento. «Allora, abbiamo finito?»
«Per forza di cose, tanto so di non poterti fermare» brontolò l’elfo, guardando altrove. «Ma non aspettarti che io approvi.»
«Non mi aspetto nulla, infatti. Ma so che rispetterai la mia decisione.»
Non ho altra scelta, pensò Merevar mentre guardava Melinor trottare svelta svelta verso il gruppo. Allungò il passo, tenendo gli occhi fissi su di lei: l’elfa stava chiaramente puntando verso Alistair, ma al suo passaggio Hawke la tirò per un braccio, trascinandola fra lei e Leliana.
«Ehi, fermati» Merevar sentì dire all’umana. «Dobbiamo fare una chiacchierata fra ragazze.»
L’elfo osservò da lontano l’espressione stranita della gemella mentre Leliana le diceva: «Dai, raccontaci un po’ com’è andata fra te e Alistair…»
Sembrava davvero che lui fosse l’unico a vedere la cosa di cattivo occhio. Lui e Morrigan, naturalmente, anche se le loro motivazioni erano ben diverse. Rimase in fondo alla processione per conto suo, immerso nei suoi pensieri.

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Capitolo 21
*** Zevran ***


Passarono due giornate intere senza che i gemelli si rivolgessero la parola. Merevar restò rinchiuso nel suo ostinato silenzio, mentre Melinor aspettava pazientemente che lui accettasse quella situazione. Nel frattempo, l’elfa si avvicinò a Leliana e Hawke quasi senza rendersene conto: le due umane si erano dimostrate entusiaste della relazione fra lei e Alistair, e non avevano mancato di dimostrare apertamente il loro supporto.
La notte del secondo giorno di viaggio Melinor era di guardia: se ne stava seduta accanto al fuoco mentre gli altri dormivano nelle loro tende, assorta nella lettura di un grosso libro rilegato a mano con grande cura.
«Ehi, Melinor» l’interruppe un bisbiglio poco più in là. Voltandosi, l’elfa vide il volto sorridente di Alistair sbucare fuori dalla sua tenda.
«Non dormi?» chiese l’elfa.
«Non riesco a prendere sonno» disse il ragazzo, uscendo dalla tenda. Melinor alzò un sopracciglio, intimandogli con lo sguardo di non mentirle; al che lui prese a ridacchiare, alzando le mani in segno di resa.
«E va bene, lo ammetto: sono rimasto sveglio apposta perché sapevo che eri di guardia» confessò, avvicinandosi. «In questi giorni Hawke e Leliana ti sono state appiccicate tutto il tempo, non abbiamo mai avuto un attimo per noi…»
Melinor ridacchiò, chiudendo il libro; quel gesto catturò l’attenzione del ragazzo. «Ti ho interrotta?»
«Non preoccuparti» disse lei, facendogli segno di accomodarsi; Alistair non si fece pregare, e si sedette immediatamente accanto a lei.
«Ti ho vista spesso leggere quel libro» osservò, con gli occhi che indugiavano sul tomo in grembo all’elfa. «È un libro dalish?»
«Sì, me l’ha dato la Guardiana prima che partissi» spiegò lei, accarezzando la pelle della copertina con affetto.
«Mi piaceva leggere, quando ero con i templari» ricordò lui. «Di cosa parla il tuo libro?»
«È una specie di grimorio. Qui c’è raccolta tutta la conoscenza sui rituali, gli incantesimi e le tradizioni degli antichi Elvhen raccolta dai Guardiani che hanno guidato il mio clan. Ogni clan ha il proprio Libro della Conoscenza, che viene tramandato di Guardiano in Guardiano.»
«Accipicchia… e la tua Guardiana l’ha lasciato a te, nonostante tu abbia dovuto abbandonare il clan?» s’inarcarono verso l’alto le sopracciglia bionde di lui.
«Sì, sono rimasta sorpresa anch’io quando me l’ha lasciato. Questi libri non lasciano mai il clan, generalmente.»
«E come farà il tuo clan senza?»
«Questa è solo una copia. Ogni Guardiano si occupa di trascriverne diverse copie, per ogni evenienza. L’originale resta sempre al clan, ed è quello che erediterà Merril.»
«Merril?»
«Sì, l’apprendista che ha preso il mio posto» rivelò l’elfa con un sospiro nostalgico. Fu così che gli spiegò di come il suo clan fosse l’unico ad avere una Prima e una Seconda, e di come la cosa si fosse rivelata provvidenziale, dato che lei era stata quasi costretta ad abbandonare il clan. Alistair rimase ad ascoltare affascinato, un po’ da Melinor e un po’ dalle usanze dalish di cui sapeva poco o nulla.
«Mi piacerebbe conoscere meglio le vostre tradizioni» rivelò dunque all’elfa. «Noi umani non sappiamo proprio nulla su voi dalish. Più conosco te e Merevar e più me ne rendo conto». Poi si fece improvvisamente serio. «Ah, Melinor…a proposito di Merevar… avete più parlato dopo quella discussione?»
«No» ammise lei, distogliendo lo sguardo. Alistair assunse un’espressione mortificata: si sentiva responsabile. «Non preoccuparti, prima o poi gli passerà» cercò di rassicurarlo lei, mettendo una mano su quella di lui. «In fondo lui ti rispetta, anche se non lo ammetterà mai.»
Mentre intrecciava le dita con quelle di lei, Alistair dischiuse le labbra per lo stupore. «Merevar mi rispetta? Ma… lui non mi sopporta!»
«È quello che vuole farti credere» ridacchiò lei. «Fidati, è come dico io; si capisce da come combatte al tuo fianco. Si fida di te, e questo per un cacciatore dalish è un segno di grande stima. I giovani cacciatori vengono addestrati insieme a un compagno, che resta il loro partner di caccia per tutta la vita. Diventano uno l’ombra dell’altro, combattono in perfetta simbiosi, e questo li rende pressoché invincibili finché sono insieme. Se incontri un cacciatore dalish da solo nei boschi, puoi stare certo che il suo compagno è nascosto nei paraggi» raccontò. «Il compagno di Merevar era nostro fratello Tamlen. Non mi sarei mai aspettata di vedere Merevar combattere insieme a qualcuno in quel modo, dopo aver perso Tamlen… invece sembra che con te ci sia stata affinità fin da subito. Non siete ancora in simbiosi perfetta, ma riuscite a guardarvi le spalle a vicenda e ad essere perfettamente sincronizzati. Vi capite al volo in combattimento, e credimi: questo vale per un cacciatore dalish più di qualsiasi altra cosa.»
Alistair rimase in silenzio alcuni istanti; considerò che effettivamente si era trovato bene sin da subito con Merevar, almeno per quanto riguardava il combattimento. «Wow» esclamò a mezza voce. «Merevar mi rispetta… non lo avrei mai pensato…»
Melinor annuì, stringendo leggermente la mano di lui. «Dagli un po’ di tempo, vedrai che accetterà la cosa.»
Alistair la guardò, ma era palesemente concentrato su qualcos’altro.
«E se io gli parlassi?»
Melinor fu colta alla sprovvista: gli restituì un’occhiata perplessa, e lui proseguì. «Sai, fra umani si usa fare così quando si intende corteggiare una ragazza… si chiede l’approvazione del padre, o del parente maschio più prossimo. Magari» aggiunse, stringendosi nelle spalle «se lo facessi potrebbe aiutare.»
Melinor prese a guardare la vegetazione lontana innanzi a sé con aria pensosa. «Noi dalish non facciamo nulla del genere» ammise. «Per lo più i giovani si fidanzano con membri del clan, o di clan amici; in genere ci si conosce tutti, quindi non c’è bisogno di alcuna approvazione. Però…» disse, tornando a fissare Alistair. «Forse se gli parlassi potrebbe aiutare, sì. Lo vedrebbe come un segno di rispetto da parte tua nei suoi confronti.»
Alistair sorrise, stringendo più forte la mano di lei. «Allora gli parlerò domattina. Spero solo di non farlo arrabbiare ancora di più» ridacchiò nervosamente.
Melinor lo guardò piena di riconoscenza. «Non sei costretto a farlo, Alistair… gli passerà comunque, prima o poi.»
Lui scosse il capo con decisione. «Non voglio che le cose fra voi s’incrinino a causa mia. So quanto tenete l’una all’altro, e non voglio mettermi in mezzo. Voglio che lui sappia che non ha niente da temere da me.»
Melinor sorrise, e poi gli gettò le braccia al collo. «Grazie» gli sussurrò all’orecchio. Lui rispose con un bacio che bastò a farle capire quanto fosse determinato a far funzionare la cosa.
 

La mattina seguente, come tutte le mattine, Merevar era intento a raccogliere legna per alimentare il fuoco da campo ormai debole. Morrigan aspettava il suo ritorno per poter cucinare una calda colazione: l’ultimo giorno di cammino verso Redcliffe li attendeva, dovevano essere in forze e marciare spediti se volevano raggiungere il paese entro sera.
Alistair guardò l’elfo da lontano, immerso nel sottobosco. Inspirò una gran boccata d’aria per farsi coraggio, e poi parlò a polmoni pieni.
«Ehi, Merevar» salutò con la sua consueta giovialità, iniziando a trottare verso di lui. L’elfo, che aveva probabilmente già percepito la sua presenza prima che parlasse, non smise di raccogliere legna. «Vuoi una mano?» si propose l’umano.
«No.»
La risposta secca dell’elfo non fu una sorpresa per Alistair, il quale si trovò ad arrestare bruscamente la sua avanzata nonostante se l’aspettasse. «Sei sicuro? Ti aiuto volentieri…»
«Ho detto di no.»
Glaciale, commentò mentalmente Alistair, vedendo ogni suo tentativo d’approccio bloccato sul nascere. Si guardò nervosamente attorno, cercando un altro pretesto per avviare una conversazione. «Sembra che il tempo ci sorrida, oggi» esclamò, maledicendosi immediatamente per essersi messo a parlare di una cosa banale come il tempo.
«Cosa vuoi da me?» disse allora l’elfo, lasciando cadere a terra la legna raccolta. Una decina di metri separava i due: Merevar si voltò a fronteggiare Alistair con occhi freddi e impassibili, incrociando le braccia sul petto con aria di sfida. «Se hai qualcosa da dirmi, fallo e basta.»
Alistair si fece finalmente serio: deglutì appena prima di parlare. «Volevo parlarti di Melinor. Di quello che sta succedendo fra me e lei.»
Gli occhi di Merevar si assottigliarono, mentre un sorrisetto sarcastico gl’increspava le labbra sottili. «Sei venuto a chiedermi il permesso?» disse con fare beffardo e iroso al contempo. «Mi sembra un po’ tardi per questo. Avresti dovuto farlo prima di baciarla, non credi?»
Alistair sospirò, grattandosi il capo. «Ascolta, Merevar… so che non ti piacciono gli umani e che non ti fidi di noi, e lo capisco. La tua gente ha tutte le ragioni di pensarla così, ma credimi: io non ho cattive intenzioni con Melinor, te lo posso giurare.»
L’espressione di Merevar si fece ancora più dura e severa. «Ah, davvero? E che intenzioni avresti?»
«Beh, io…»
Merevar non diede al ragazzo il tempo di replicare. Lo interruppe senza alcun preavviso, parlando con voce aspra e spietata. «Credi che non sappia come siete fatti voi umani? Voi non conoscete l’amore. Avete abitudini disgustose, per voi i voti di matrimonio non valgono alcunché… sono solo parole vuote. Non siete in grado di dedicarvi a una sola persona, siete libertini e promiscui. Tu non hai idea di quante elfe sono scappate dalle vostre città per unirsi a noi: ci hanno raccontato di come venivano sfruttate nei vostri bordelli. So che a voi umani piacciono le elfe, non è vero? Le preferite perché sono molto più graziose delle vostre donne, giusto? E vi piace particolarmente praticare le vostre nefandezze con loro!»
Alistair rimase pietrificato ad ascoltare: accolse la pioggia di accuse senza battere ciglio, colto completamente alla sprovvista. Quando finalmente comprese ciò che Merevar stava insinuando, assunse un’espressione indignata. «E tu pensi che io voglia questo da Melinor? Sei completamente fuori strada!» esclamò con decisione. «Io tengo davvero a lei, non le farei mai nulla di simile! Lei è davvero speciale per me, Merevar… credimi.»
«Oh, ci credo. Melinor è speciale, sì; e lo è anche quello che ti sta offrendo, ma tu questo non lo sai.»
Alistair rimase interdetto, incerto sulla natura di quelle parole. Merevar prese a camminare verso di lui a passi decisi: in pochi secondi i due si ritrovarono faccia a faccia.
«Ora voglio che mi ascolti bene, Alistair. Noi dalish non siamo come voi umani: discendiamo dagli antichi Elvhen, e come loro abbiamo una visione pura dell’amore. Noi ci preserviamo nello spirito e nel corpo per quell’unica persona con cui andremo a condividere il resto della nostra vita. Preserviamo persino le nostre labbra per quella persona: non ci trastulliamo con altri nell’attesa che arrivi. Solo quando siamo sicuri di averla trovata ci concediamo.»
Alistair, colpito improvvisamente dalla verità celata dietro quelle parole, sussultò internamente. Merevar se ne accorse, e continuò a fissarlo con severità. Alistair si sentì a disagio nel trovarsi a fissare quegli occhi così identici a quelli di Melinor.
«Hai capito cosa voglio dire, vero? Melinor non ti ha detto nulla perché sa che voi umani vedete le cose diversamente. La conosco bene, e sicuramente non ha voluto farti pressione mettendoti al corrente delle usanze dalish. È disposta a rischiare che, un giorno, tu ti stanchi di lei e l’abbandoni, onorando le vostre abitudini umane». Fece un ulteriore passo avanti: ora i due erano vicini al punto da poter sentire il reciproco respiro sul viso. «Io non sono come Melinor. Non sono disposto a rischiare che il suo cuore vada in mille pezzi, perché non lo merita. Quindi ora ascoltami attentamente.» Fece una pausa, come se faticasse a trovare il coraggio di dire ciò che aveva in mente. «Devo ammettere mio malgrado… che tu sei un uomo onorevole. Lo si capisce da come combatti: un uomo sleale e meschino non combatterebbe come fai tu. Sarebbe disonesto anche sul campo di battaglia, mentre tu ti affidi soltanto alla tua forza e alle tue capacità. Detto questo, ora ti farò una domanda. E mi aspetto una risposta onesta da uomo d’onore quale tu sei.
Ora che sai cosa significa questa relazione per Melinor, sei ancora disposto a portarla avanti? Intendi davvero fare sul serio con lei, oppure vuoi illuderla e stare con lei solo finché la cosa ti andrà?»
Alistair rimase in silenzio alcuni istanti: mentre si fronteggiavano, nessuno dei due sembrava voler demordere. Se ne stavano lì, impassibili entrambi, senza alcuna intenzione di cedere.
«Se davvero è questo il significato che Melinor ha attribuito alla nostra relazione» disse infine Alistair, più serio di quanto non fosse mai stato in vita sua; «se davvero ha scelto me come compagno di vita, allora non posso che esserne onorato. Non posso prometterti che sarà sempre tutto rose e fiori, in fondo io… sono io, mi conosci. A volte mi comporto da stupido, e non ho nessuna esperienza con le donne. Potrei commettere qualche errore» ammise candidamente, per nulla turbato dallo sguardo inquisitore di Merevar. «Ma ti posso giurare una cosa: non farei male del male a Melinor. Non mi approfitterei mai di lei, e non ho nessuna intenzione di illuderla.»
Merevar rimase a studiarlo in silenzio, come se volesse trovare in fondo agli occhi ambrati dell’umano le risposte che cercava. Infine, senza dire nulla, fece un passo indietro; allungò una mano in avanti. Alistair rimase enormemente meravigliato nel vedere che l’elfo aspettava la sua stretta. I due continuarono a guardarsi in un rispettoso silenzio mentre si stringevano con forza le mani: un silenzio carico di significato, di promesse e di aspettative.
«Non farmene pentire» l’ammonì infine Merevar, mentre lasciava la presa sulla mano di Alistair. Questi annuì con un gesto del capo, sorridendogli appena. Senza dire altro sulla questione, l’elfo si voltò e gli diede le spalle, prendendo a camminare in direzione dell’accampamento.
«Raccogli tu la legna» ordinò all’umano, il quale si affrettò ad ubbidire. Merevar, scuotendo la testa di fronte a una simile servilità, emerse dalla vegetazione pensando che Melinor non correva davvero alcun pericolo con uno come lui.
Non appena mise piede nel perimetro dell'accampamento si trovò gli occhi di tutte le donne incollati addosso. Morrigan era in attesa accanto al sostegno del calderone, e insieme a lei stavano Hawke e Leliana; Wynne, poco più in là, distolse rispettosamente lo sguardo onde evitare di sembrare un’impicciona. Melinor, intenta a smontare la sua tenda, si era voltata a guardarlo con apprensione. L’elfo sbuffò, decidendo di dare a tutte loro ciò che volevano.
«Avete la mia benedizione» esclamò con fare scocciato, rivolgendosi a Melinor e al contempo a tutte le altre pettegole del gruppo. «Siete tutte contente, ora?»
«Ah!» batté le mani Hawke, con un sorriso trionfante. Allungò la mano destra verso Morrigan con il palmo rivolto verso l’alto. «Mi devi due sovrane, ho vinto la scommessa!»
«Io non ti devo proprio un bel niente» replicò l’altra, seccata.
«Cosa? Abbiamo fatto una scommessa, Morrigan! Non puoi rimangiarti la parola!» aggrottò le sopracciglia Hawke, contrariata.
«Io stavo solo scherzando, non ho mai preso la cosa sul serio» disse allora l’altra, con un sorrisetto beffardo.
Merevar le lasciò a bisticciare e raggiunse Melinor. Si sedette accanto a lei, che lo guardava con uno strano sorriso, felice ed apprensivo al contempo.
«È stata tua l’idea di mandarlo a parlare con me?»
«No, lo ha fatto di sua iniziativa.»
«Lo immaginavo» sospirò Merevar con rassegnazione. Melinor gli rivolse un’occhiata furbesca.
«Speravi fosse stata una mia idea, così avresti avuto un motivo in meno per rispettarlo?»
L’elfo fece spallucce, evitando di pronunciarsi; ma fu una risposta più che sufficiente per Melinor. D’impulso si gettò sul fratello abbracciandolo, facendolo finire disteso a terra con un’esclamazione.
«Sapevo che avresti capito» gli sussurrò mentre erano distesi.
«È sinceramente innamorato di te» mormorò lui, la schiena a terra e lo sguardo perso nell’azzurro del cielo. «Gli ho dato il mio benestare solo per questo.»
Percepì il leggero movimento della testa di Melinor sul suo petto, che si alzava per guardarlo in viso. Non ebbe bisogno di vederla in faccia per sapere cosa si stava domandando.
«Non me l’ha detto esplicitamente, ma non è stato necessario» rispose alla muta domanda della gemella. Subito dopo vide Alistair con la coda dell’occhio mentre sbucava fuori dalla foresta con la pila di legna fra le braccia. «Il tuo amato è arrivato. Non vai da lui a festeggiare?»
Le braccia di Melinor si strinsero appena attorno a lui. «Per il momento preferisco stare qui con mio fratello.»
Merevar si trovò a sorridere suo malgrado. In quel momento ebbe la certezza che niente e nessuno avrebbe mai potuto indebolire il loro legame.
 

Era da poco passato mezzogiorno. Il gruppo procedeva spedito, e aveva ormai raggiunto da un po’ la costa meridionale del lago Calenhad.
«Aspettate.»
Tutti si fermarono all’udire le parole di Leliana. Se n’era stata in silenzio per tutto il viaggio, costringendo Hawke a disturbare Merevar per tutto il tragitto. Ora tutti l’osservavano con curiosità: era serissima, e studiava i paraggi con aria circospetta.
«Credo che qualcuno stia per tenderci un’imboscata. Appena oltre la curva, dopo quella collinetta laggiù.»
Merevar sollevò entrambe le sopracciglia; Leliana intercettò il suo stupore, e si affrettò a spiegarsi. «Ho avuto il sospetto da quando abbiamo lasciato Kinloch Hold che qualcuno ci stesse osservando, e ora ne ho la conferma. Riconosco i segni. Nemmeno un cacciatore dalish saprebbe accorgersene: ci sono dei professionisti all’opera, probabilmente sono al soldo di qualcuno.»
«Oh, giusto; solo un’altra professionista saprebbe riconoscere il loro lavoro» insinuò Morrigan, sarcastica come suo solito. Wynne, che ancora non sapeva nulla di Leliana, squadrò l’orlesiana con curiosità. Quest’ultima, evitando di rispondere alla frecciatina della strega, le pose una domanda.
«Morrigan, tu sei una mutaforma, no? Potresti trasformarti in un uccello e perlustrare la zona più avanti?»
«Perché proprio io? Anche Melinor è in grado di trasformarsi.»
«Se qualcuno ha assunto questi assassini per ucciderci, probabilmente il loro obiettivo sono i Custodi Grigi. Nessun altro di noi ha nemici che vogliono vederci morti, no?» le fece notare l’altra. «Se qualcuno ci sta osservando adesso, vedere Melinor andare in avanscoperta li metterebbe in allarme. Non mi sembra che ci sia qualcuno nei paraggi» disse, guardandosi rapidamente attorno; «ma è meglio non rischiare.»
«Oh, d’accordo» brontolò la strega. In un battibaleno si trasformò in un corvo e sparì.
Tornò una decina di minuti più tardi, riacquistando la sua forma umana.
«Avevi ragione, c’è un piccolo avvallamento nel terreno oltre la collina. Alcuni uomini hanno bloccato il passaggio lì, altri sono nascosti tutt’attorno fra gli alberi. Saranno una decina in tutto.»
«Una decina? Qualcuno deve aver pagato un’ingente somma per mandare una decina di sicari ad uccidervi» considerò Wynne.
«Già; e sappiamo anche di chi si tratta, non è vero?» affermò con rabbia Alistair. Nessuno replicò, la muta risposta a quella domanda ben impressa nelle loro menti.
«E ora che si fa? Li aggiriamo?» domandò Hawke.
«Impossibile, questo è l’unico passaggio. Questi sicari sanno quel che fanno» disse Alistair.
«Leliana, tu cosa proponi?» chiese allora Melinor. Era ovvio che Leliana sapeva come funzionava quel genere di cose, e probabilmente il suo parere era il migliore di cui potevano approfittare.
La ragazza rimase in silenzio alcuni istanti, massaggiandosi la mandibola mentre pensava. «Siamo in sette contro una decina… come numeri siamo in leggero svantaggio, senza contare che loro sono degli assassini esperti e noi abbiamo soltanto tre guerrieri» disse, guardando i due ragazzi; la terza e ultima persona capace di usare le armi era lei stessa. «Voi maghe siete potenti, ma siete vulnerabili negli attacchi corpo a corpo… ci si fionderanno contro non appena ci vedranno arrivare, puntando dritti su di voi. I cecchini nascosti fra gli alberi attorno non faranno che intralciarci» continuò a congetturare. Rimase in silenzio alcuni istanti. Quando ebbe elaborato una strategia, si rivolse ancora una volta a Morrigan. «Morrigan, tu sai muoverti nella vegetazione senza essere vista. Sai anche come eliminare qualcuno senza fare rumore?»
Morrigan si lasciò andare a un sorriso enigmatico. «Certamente, non è la prima volta per me.»
«Inquietante» bisbigliò Alistair all’orecchio di Melinor.
«Bene, allora faremo così. Tu andrai sul lato destro, io su quello sinistro. Elimineremo i cecchini senza farci notare, e prenderemo il loro posto. Voi» disse l'ex bardo, rivolgendosi al resto del gruppo, «dateci una ventina di minuti e poi partite. Quando arriverete, io e Morrigan saremo i vostri cecchini: li coglieremo di sorpresa.»
«Ma si accorgeranno che mancano due persone» obiettò Hawke.
«Sarà già troppo tardi quando se ne accorgeranno» comprese Merevar, scambiandosi un’occhiata d’intesa con Leliana.
«Esattamente. Allora noi andiamo. Tra venti minuti ripartite, mi raccomando; non aspettate oltre, o potrebbero insospettirsi.»
Morrigan e Leliana partirono nelle direzioni prestabilite.


Il gruppo attese nervosamente che fossero passati venti minuti, e poi ripartì. Non ci volle molto prima che il terreno iniziasse a scendere nell’avvallamento descritto da Morrigan. Erano a metà strada quando quattro uomini emersero dai lati della strada.
L’attenzione dei gemelli cadde istintivamente su quello che sembrava essere il loro capo: un elfo abbronzato dai capelli biondi, abbastanza alto per uno della loro razza, dal fisico atletico e nervino. Sul suo volto spiccava un tatuaggio nero che scendeva dalla tempia alla mandibola: i due Dalish riconobbero subito che non era un vallaslin come il loro, pertanto non si trattava di un elfo dalish.
A un gesto dell’elfo, l’attacco ebbe inizio. Il gruppo dei Custodi, preparato, non si fece cogliere alla sprovvista: le maghe eressero subito delle barriere protettive per proteggersi dagli attacchi rapidi e letali degli assassini, mentre Merevar e Alistair si lanciavano senza pietà sugli avversari.
Questi ultimi, contrariamente a quanto si aspettavano, si videro arrivare contro i colpi provenienti dalla vegetazione.
«Ma che diamine…» esclamò l’assassino elfico mentre combatteva contro Alistair; quell’attimo di distrazione gli fu fatale. Una delle frecce di Leliana gli si conficcò nel fianco, facendolo cadere a terra privo di sensi.
«Ehi, grazie!» esclamò Alistair in direzione degli alberi.
Aiutati dalle due cecchine nascoste e approfittando della confusione degli assassini, i Custodi e le maghe si disfecero degli avversari abbastanza rapidamente. Quando tutti i corpi furono immobili a terra, Leliana e Morrigan li raggiunsero.
«Un gioco da ragazzi» disse con soddisfazione la strega. L’orlesiana, invece, marciò dritta verso l’elfo che aveva colpito. Vedendo che si chinava su di lui, gli altri la raggiunsero.
«Che stai facendo?» chiese Alistair perplesso, vedendo che la ragazza stava spezzando l’estremità della freccia conficcata nel fianco dell’assassino.
«Ho mirato a un punto non vitale di proposito, così possiamo interrogarlo e scoprire chi lo manda.»
«Mi sembra abbastanza ovvio chi lo manda» replicò con sufficienza Alistair.
«Mi sembra abbastanza ovvio», gli fece il verso Leliana, «che non sai come gestire questo genere di cose. Non potete permettervi di fare supposizioni, nella vostra posizione. Queste cose non vanno prese alla leggera: qualcuno sta cercando di uccidervi, e dobbiamo scoprire tutto il possibile se vogliamo tutelarci in futuro.»
Senza perdere altro tempo, la ragazza sfilò via la freccia con un colpo secco. Il dolore fece risvegliare l’elfo, che gridò.
«Hawke, immobilizzalo» esclamò Leliana. Hawke non esitò e congelò completamente il corpo dell’elfo, lasciando fuori solo la testa.
«Ah… freddo…» si lamentò l’assassino con uno strano accento.
«Ringraziala, il ghiaccio rallenterà l’emorragia mentre ti interroghiamo» gli disse Leliana. «Per chi lavori?» chiese, mentre con lo sguardo indugiava sul tatuaggio del prigioniero. «Sei un Corvo di Antiva, non è vero?»
L’elfo ridacchiò a fatica, i suoi denti che battevano per il freddo. «Vedo che la ragazza la sa lunga. Hai riconosciuto i tatuaggi?»
«Cosa sono i Corvi di Antiva?» indagò Melinor.
«Un’organizzazione di assassini situata nel regno di Antiva» spiegò Leliana. «Sono conosciuti e rispettati anche al di fuori di Antiva. Si dice che i Corvi portino sempre a termine i loro incarichi.»
«Non stavolta» ridacchiò Morrigan. «Non è stato affatto difficile sabotarli. Non mi sembrano così eccezionali.»
«Ah, quanta cattiveria… è così che trattate i vostri prigionieri, nel Ferelden? Li ridicolizzate?» disse l’elfo, in un tentativo d’apparire amichevole. Leliana non si fece toccare minimamente dalle sue parole.
«I Corvi si fanno pagare bene. Il tuo gruppo era numeroso… quindi chi ti ha assunto dev’essere una persona benestante. Molto benestante.»
«So bene dove vuoi arrivare, mia dolce fanciulla» disse allora l’elfo, apparentemente tranquillo e rassegnato al suo destino. «Sì, è stato un tipo importante ad assumerci… l’Arle di Denerim, se non sbaglio.»
«Urien Kendells? Ma ha combattuto a Ostagar con re Cailan» obiettò Alistair. «È forse sopravvissuto, o parli di suo figlio?»
«Non ho mai sentito quel nome. Mi pare che questo Arle si chiamasse Howe.»
«Rendon Howe?» chiese conferma Alistair.
«Sì, proprio lui» sembrò ricordare l’elfo.
«Ma non è l’Arle di Denerim… è l’Arle di Amaranthine, un'altra città» disse allora Alistair, rivolgendosi al gruppo con fare confuso.
«Oh, se vi può interessare» l’elfo attirò nuovamente su di sé l’attenzione, «questo Howe mi ha assunto per conto dell’attuale reggente del Ferelden.»
«Che sorpresa!» esclamò ironicamente Hawke.
«Questo significa che i due sono in combutta» s’inserì Wynne. «Teyrn Loghain e Rendon Howe sono amici dai tempi della liberazione del Ferelden dalla dominazione orlesiana, hanno combattuto insieme durante quella guerra. Arle Urien è morto a Ostagar, l’ho visto con i miei occhi: probabilmente Loghain ha ceduto a Howe il titolo di Arle di Denerim.»
«Niente di più facile, questi intrighi di corte sono all’ordine del giorno anche nella mia Antiva» disse con voce tremolante ma sempre spregiudicata l’elfo.
«Mi sembri abbastanza “canterino”» disse allora Merevar, sospettoso. «Perché hai confessato con tanta facilità?»
«Non sono mica stato pagato per stare in silenzio» rise allora l’altro, come se non avesse una sola preoccupazione al mondo. «E poi mi ucciderete comunque, no? Cosa cambia per me, se anche vi dico chi mi ha mandato? Almeno rendo tutta la faccenda più interessante.»
Merevar lo guardò con intensità. «E se invece ti lasciassimo vivere?»
Tutti si voltarono di scatto verso di lui.
«Non puoi fare sul serio!» esclamò Alistair.
«E perché no? Potremmo assumerlo noi per uccidere Loghain» propose Merevar.
«Ehm… scusatemi, ma temo che non sia possibile» s’intromise allora il diretto interessato. «Io non posso accettare incarichi direttamente, sono solo un esecutore; dovreste chiedere ai capi dei Corvi. E non potete, dato che siete ancora un loro obiettivo.»
Merevar assunse un’espressione interdetta.
«Dice la verità» confermò allora Leliana. «I Corvi di Antiva non rinunciano a un incarico in caso di un primo fallimento. Continueranno a tentare finché non porteranno a termine il lavoro». Si voltò verso l’elfo. «Ma prima di mandare qualcun altro ti ucciderebbero, giusto?»
«Sei davvero preparata; devo desumere che tu sia una collega?» ridacchiò l’elfo. «Sì, anche se decideste di risparmiarmi i Corvi verrebbero a sapere che sono ancora vivo, prima o poi. E mi toglierebbero di mezzo per punire il mio fallimento e fare di me un esempio.»
«Visto? Ucciderlo ora sarebbe un atto di clemenza» spinse Alistair, fissando trucemente l’assassino.
«Ehi, ehi… non affrettiamo le cose» disse con voce allarmata il prigioniero. «Potrei ancora esservi utile.»
Merevar alzò un sopracciglio. «In che modo?»
«Sentite, io ci tengo alla pelle… se mi lascerete vivere e andare via per conto mio, un giorno o l’altro i Corvi mi uccideranno. Ma di certo non si aspettano di trovarmi proprio insieme alle persone che avrei dovuto uccidere, vi pare?»
Mentre tutti comprendevano ciò che l’elfo stava proponendo, le loro espressioni si facevano via via incredule.
«Potrei viaggiare con voi e aiutarvi in… beh, qualsiasi cosa stiate facendo» continuò imperterrito l’elfo. «Avere un assassino che lavora con voi può tornare utile, sapete? Inoltre potrei avvisarvi in caso i Corvi tornassero sulle vostre tracce. La mia collega qui sembra saperne molto sulla nostra organizzazione, ma ci sono cose che si conoscono solo stando all’interno. Se dovessero tornare all’attacco, io lo saprei immediatamente.»
«Perché mai dovremmo fidarci di te? Hai appena cercato di ucciderci» disse Melinor, incrociando le braccia sul petto con aria severa.
«Ed è chiaro a tutti che non sono stato in grado di farlo nemmeno con un numeroso seguito di uomini addestrati» ridacchiò a fatica l’elfo, il freddo che ormai minacciava di paralizzare perfino la sua allegra e vivace lingua. «Perché mai dovrei tentare di uccidervi una seconda volta, e per giunta da solo? Non sono così stupido, e soprattutto non mi conviene.»
«Non sarebbe poi tanto difficile uccidere un intero gruppo di persone in silenzio, nella notte» insinuò Leliana assottigliando le fessure degli occhi mentre studiava l’elfo. «Ma probabilmente hai ragione. Non credo faresti mai una cosa così stupida». Leliana si voltò a guardare Melinor e Merevar.
«Leliana, cosa suggerisci? Potrebbe davvero esserci utile?» chiese l'elfa.
Alistair sbarrò gli occhi. «Melinor, non starai considerando…»
Lei alzò la mano per zittirlo; al che, Leliana fu libera di dire la propria.
«Un assassino addestrato fa sicuramente al caso vostro, vista la situazione. L’unico dubbio che resta riguarda la sua lealtà… non sappiamo se manterrà la parola.»
«Se posso permettermi, io sono molto leale» balbettò l’elfo in preda agli spasmi per il freddo. Le sue labbra erano ormai cianotiche. «So che può non sembrare, vista la facilità con cui sto voltando le spalle ai Corvi… ma a mia discolpa posso dire che loro vorranno uccidermi, ed è l’unica ragione per cui li sto tradendo. La mia lealtà va di pari passi con la mia voglia di vivere, non mi sembra così sbagliato.»
«Non ha tutti i torti» ammise Merevar. «Probabilmente al suo posto lo farei anch’io.»
I due dalish e Leliana rimasero in silenzio a guardarsi, come se stessero comunicando telepaticamente. Dopo qualche istante, annuirono.
«Hawke, rilascia l’incantesimo» ordinò Merevar.
«Siete proprio sicuri che sia una buona idea?» esclamò la rossa.
«Sbrigati, o morirà ibernato» le intimò ancora il dalish.
Controvoglia, Hawke fece come le era stato detto: non appena il ghiaccio sparì, Melinor si chinò sull’elfo per guarire la sua ferita.
«Grazie» sospirò l’assassino, rincuorato. «Io sono Zevran, comunque. Zev per gli amici. Spero che diventeremo ottimi amici» disse, guardando Melinor con fare lascivo. Lei indietreggiò appena, guardandolo malamente; tuttavia non smise di trattare la sua ferita. «Ma guarda, siamo difficili; la trovo una cosa adorabile» ridacchiò l’elfo.
«Ehi, falla finita immediatamente» si fece avanti Alistair. «Siamo ancora in tempo per cambiare idea e spedirti al Creatore!»
«D’accordo, d’accordo» esclamò allora Zevran, visibilmente divertito. «Cercavo solo di essere amichevole» aggiunse, facendo l’occhiolino a Melinor. Poi si voltò verso Leliana, e dopo di lei passò in rassegna Hawke e Morrigan. «Spero di stringere molte amicizie qui.»
Alistair borbottò qualcosa, contrariato; Wynne scosse il capo con un sospiro, e Merevar rimase a osservare Zevran con interesse. Quando Melinor ebbe finito di trattare la sua ferita, il dalish tese una mano all’antivano. Questi la prese con un certo stupore, e lasciò che l’aiutasse a rimettersi in piedi.
«Io sono Merevar» si presentò prima di puntare il dito su tutti gli altri. «Loro sono Melinor, Leliana, Alistair, Hawke, Morrigan e Wynne. Comportati lealmente e non ci saranno problemi. Intesi?»
Tutto il gruppo rimase interdetto: Merevar non si era mai dimostrato così gioviale con nessuno di loro.
«Ah, questa sì che è una bella accoglienza» esclamò Zevran, divertito. «Bene, non vi deluderò. Allora, dove siamo diretti? A giudicare dalla rotta che stavate seguendo si direbbe che avete affari a Redcliffe.»
«Sì, ti spiegheremo tutto lungo la strada. Andiamo, abbiamo già perso fin troppo tempo grazie alla tua imboscata» replicò Merevar, iniziando a camminare. Zevran lo seguì, prendendo a camminare al suo fianco. Tutti gli altri li seguirono in un mutismo generale, ancora straniti dall’insolito atteggiamento di Merevar nei confronti di colui che aveva appena attentato alla sua vita.  


 

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Capitolo 22
*** Il rituale ***


Raggiunsero il castello di Redcliffe la sera stessa, dopo il tramonto. Bann Teagan e l’Arlessa li ricevettero immediatamente, seguiti da Sten e Jowan.
«Ci avete messo più del previsto» disse loro Bann Teagan con voce greve e preoccupata. «Spero portiate buone notizie…»
Alistair si fece avanti con fare rassicurante. «Sì, non temete. Le cose al Circolo non sono andate proprio per il meglio, ma ci siamo comunque procurati tutto l’occorrente per il rituale: il lyrium, una maga in più…»
«Tu!»
La voce di Wynne riecheggiò nel salone d’entrata del castello. Tutti si voltarono, trovandola intenta a fissare Jowan con aria truce.
«Oh, già… suppongo che i due galoppini del Circolo si conoscano» dedusse Morrigan con aria divertita.
«Chi sono queste persone?» se ne saltò fuori Sten, alternando lo sguardo fra Wynne e Zevran.
«Sono con noi, puoi stare tranquillo» gli rispose Merevar.
«Cosa ci fa lui qui? Sapete chi è?» esclamò Wynne, il bastone stretto in mano e l’attenzione tutta rivolta al mago fuggito dalla torre.
Melinor replicò con il suo consueto tono pacato. «Sappiamo che è fuggito dal Circolo, e che…»
«E che è un mago del sangue, questo lo sapete? È fuggito dopo aver usato la sua diabolica magia su Irving e sui templari!» esclamò l’anziana, la mandibola bianca tirata e le labbra sottili contratte per la rabbia.
«Ce l’ha confessato lui stesso, Wynne… ora calmati e ascoltami» le disse l’elfa, attirando finalmente su di sé l’attenzione della maga. Le spiegò in prestezza quanto era accaduto a Redcliffe, raccontando la parte che Jowan aveva avuto nell’intera vicenda e non perdendo l’occasione di sottolineare il fatto che era stato collaborativo.
«Può anche avervi detto che è pentito e che vuole aiutare, ma resta il fatto che lui era uno dei maghi in combutta con Uldred. Non è forse vero, Jowan?» l’accusò Wynne, gli occhi di ghiaccio nel colore e nell’espressione.
Il ragazzo abbassò lo sguardo con aria colpevole.
«Ecco la vostra risposta» disse Wynne, abbassando finalmente il bastone. «Avete visto tutti cos’è accaduto al Circolo, siete testimoni di quella tragedia. Se Jowan non fosse riuscito a fuggire, sarebbe stato complice di quei mostri. Volete ancora collaborare con lui, alla luce di questi fatti?»
Nessuno rispose per un breve, lunghissimo istante.
«Non so di cosa stiate parlando, signora» si fece avanti l’Arlessa; «ma mio figlio è in pericolo. Dobbiamo intervenire immediatamente, abbiamo già aspettato fin troppo.»
Wynne guardò la donna con una punta di rammarico: si rese conto di essersi lasciata sopraffare dai suoi sentimenti in un momento di cruciale importanza. Si ricompose immediatamente. «Avete ragione, Arlessa; vi chiedo perdono per il mio comportamento inappropriato» chinò il capo rispettosamente.
«Wynne… avremo bisogno anche di Jowan per il rituale.»
Wynne si voltò di scatto verso Melinor, sgranando gli occhi.
«Servono quattro maghi per sostenere il rituale, e uno dovrà andare nell’Oblio per sconfiggere il demone» continuò l’elfa. «Noi siamo in cinque, quindi… non abbiamo scelta.»
Wynne serrò le labbra, ma non perse le staffe. Parlò invece con grande calma e saggezza. «Va bene, Melinor. Faremo come dici tu. Hai dimostrato di sapere quel che fai, dunque mi fiderò di te. Anche se non mi fido di lui» concluse, lanciando a Jowan l’ennesima occhiata truce.
L’elfa annuì, sollevata. Si rivolse quindi all’Arlessa. «Che ne è stato di Connor, in questa settimana?»
«Le cose sono andate abbastanza bene, tutto sommato… ha lasciato in pace gli abitanti del villaggio e gli inservienti intrappolati nel castello. Ma è stato quasi sempre rinchiuso nella stanza di suo padre.»
Melinor fu subito rincuorata da quella notizia: il ragazzino aveva resistito alle lusinghe del demone. Si voltò verso gli altri maghi. «Sarà meglio procedere subito con il rituale; iniziamo a preparare tutto.»
 

Bann Teagan li portò in una stanza sgombra di modeste dimensioni: lì i maghi predisposero tutto il necessario per il rituale. Con la polvere di lyrium tracciarono un cerchio abbastanza grande da contenere i quattro maghi più quello destinato a viaggiare verso l’Oblio.
«Bene, ora resta solo da decidere chi andrà nell’Oblio» decretò Melinor quando tutto fu pronto. «Morrigan, pensi di poter guidare tu il rituale? Ti lascerò il mio grimorio. In questo modo potrò andare io ad affrontare il demone.»
Merevar e Alistair, che assistevano in disparte insieme agli altri, iniziarono a muoversi nervosamente.
«Melinor, se posso permettermi» si fece avanti Wynne, «non credo sia il caso che vada tu. Sei una degli ultimi Custodi Grigi rimasti, e sei anche la guida di questo gruppo: non possiamo rischiare la tua sicurezza così. Lascia che vada io nell’Oblio.»
L’elfa rimase a bocca aperta a quella proposta. «Ma, Wynne…»
«Non ha tutti i torti, Melinor» si affrettò a esporre la propria idea Alistair.
«Concordo» si accodò Merevar. Melinor guardò entrambi con un cipiglio corrucciato, consapevole del fatto che in larga parte stavano parlando così per ragioni personali.
«Hanno ragione, Melinor» intervenne a sua volta Hawke. «Non possiamo rischiare di perderti così. Sei fondamentale per il gruppo, e lo sai. Non dureremmo cinque minuti senza di te.»
Wynne annuì di fronte al consenso generale; rivolse un sorriso gentile all’elfa, che la guardava dubbiosa. «Non temere per me, Melinor. Sono anziana ed esperta, e ho una forte connessione con l’Oblio. So come muovermi in quella dimensione. Sono venuta con voi per essere d’aiuto: questa è l’occasione perfetta.»
Melinor si morse il labbro inferiore, ma fu costretta ad ammettere che gli altri avevano ragione. Era la soluzione migliore. «E va bene» si arrese. «Se siamo tutti d’accordo, possiamo procedere.»
Cercò conferma negli occhi tutti i maghi, uno dopo l’altro: dopo averli trovati tutti consenzienti, tornò a rivolgersi a Wynne. «Posizionati pure, Wynne.»
Senza una parola, la maga del Circolo andò a distendersi al centro del cerchio. La sua espressione era concentrata e serena. Dopo averla osservata alcuni istanti, Melinor fece un cenno e si posizionò lungo il perimetro del cerchio insieme a Hawke, Morrigan e Jowan: sollevò le mani, i palmi rivolti verso l’alto. Prese a salmodiare nell’antica lingua degli Elvhen, mentre gli altri maghi si concentravano alzando le mani a loro volta. Il cerchio di polvere di lyrium prese a brillare d’uno scintillante azzurro elettrico: l’intensità della luce aumentava sempre di più, al punto da accecare tutti gli spettatori al di fuori del cerchio.
D’improvviso, una sfera di luce saettò verso l’alto: appena la videro, era già sparita. Al centro del cerchio Wynne giaceva immobile, la sua anima volata via verso la sua missione.
 

Passò almeno mezz’ora. Melinor continuò a salmodiare per tutto il tempo: Morrigan, Hawke e Jowan sembravano in uno stato di trance.
All’improvviso, una saetta luminosa piovve al centro del cerchio: Melinor si ridestò dalla sua trance e smise di recitare le parole del rituale. La luce azzurra si affievolì, e l’elfa si precipitò sul corpo immobile di Wynne. Le mise una mano sulla spalla e la scosse delicatamente. Ci volle un po’, ma alla fine la maga aprì gli occhi: mise a fuoco Melinor, ma non ebbe alcuna reazione.
«Wynne… com’è andata?» le chiese con tono apprensivo.
La maga si lasciò andare a un debole sorriso. «Non è stato facile, il demone era potente… ma è fatta. Il bambino è libero» sussurrò.
«Oh, grazie!» si scapicollò per raggiungerle Isolde. Si accucciò accanto a Melinor e s’inchinò profondamente al cospetto dell’anziana, fin quasi a toccare terra con la fronte. «Non potrò mai esservi abbastanza riconoscente per aver salvato il mio bambino!»
Wynne scosse appena il capo, per dirle che non c’era bisogno di tanta veemenza. «Andate ora, Arlessa. Vostro figlio sarà senza dubbio in stato confusionario, ha bisogno di voi.»
Lady Isolde annuì; aiutata da Bann Teagan si alzò in piedi, e insieme i due sparirono al piano superiore.
«Va tutto bene?» chiese allora l’elfa alla maga.
«Sì, Melinor; ho solo bisogno di recuperare le forze.»
Melinor provò non poco sollievo; chiamò Sten, il quale sollevò la maga alla stregua di una bamboletta leggera. La portarono in una stanza a riposare.
 

Connor era finalmente tornato se stesso. Non ricordava nulla dell’accaduto, e sua madre si guardò bene dal dirgli qualsiasi cosa: decise che gli avrebbe raccontato tutto una volta risvegliatosi suo marito.
La nottata passò con incredibile lentezza. Melinor e Morrigan restarono per tutta la notte a vegliare su Arle Eamon: usarono su di lui ogni incantesimo e ogni intruglio erboristico conosciuto nella speranza di ottenere una qualche reazione.
Alle prime luci dell’alba, entrambe uscirono dalla stanza: erano esauste. Bann Teagan, Isolde, Merevar e Alistair avevano aspettato fuori dalla porta tutta la notte.
«Quali nuove?» chiese speranzoso Teagan.
Melinor scosse la testa, sconsolata. «Abbiamo provato di tutto, ma nulla ha funzionato.»
Le spalle di Isolde caddero visibilmente verso il basso; sospirò sconfortata. Si spostò verso una finestra, mentre gli altri l’osservavano in silenzio. Il suo profilo si stagliava come un’ombra scura contro il rosa del cielo.
«Non ci resta che proseguire nella ricerca dell’Urna delle Sacre Ceneri. Solo quelle potranno salvare mio marito.»
Nessuno ebbe il cuore di risponderle; ma qualcuno doveva pur farlo, e ci pensò suo cognato.
«Isolde, i tuoi cavalieri sono là fuori da settimane… e nessuno ha fatto ritorno. L’Urna è solo una leggenda.»
«No, invece» si voltò con decisione la donna. «Eamon ha investito parte del nostro patrimonio per sostenere la ricerca di un fratello della Chiesa, uno studioso di nome Genitivi. Quest’uomo di religione era vicinissimo a trovare l’ubicazione dell’Urna, ci sono prove a sostegno della sua esistenza! E se esiste… noi dobbiamo trovarla, o Eamon morrà» aggiunse infine con voce tremolante.
Morrigan scosse il capo, seccata. I tre Custodi si guardarono fra loro.
«Lady Isolde» si fece avanti timidamente Alistair. «Siete davvero certa della fondatezza di questa ricerca?»
«Mio marito non avrebbe mai finanziato gli studi di un ciarlatano qualsiasi» ribatté con una punta d’indignazione la donna. «Se l’ha fatto, dev’essere per un buon motivo.»
«Allora forse dovremmo parlare con questo Genitivi» propose Melinor. «Se la sua ricerca era a buon punto, forse può dirci lui dove cercare.»
Morrigan squadrò l’elfa con gli occhi gialli sgranati. «Non dirmi che intendi proseguire oltre con questa follia! Quest’uomo è spacciato, lo sai! Abbiamo un Flagello da combattere, non abbiamo tempo di fare la caccia al tesoro!»
«Non capisci proprio niente!» alzò la voce Alistair. «Non potremo mai concentrarci sul Flagello con Loghain alle calcagna! Ci ha persino mandato contro i Corvi di Antiva! Se vogliamo avere speranze contro di lui, abbiamo bisogno dell’appoggio di Arle Eamon!»
«Non nasconderti dietro a scuse intelligenti, non si confanno affatto al tuo personaggio» rispose a tono la strega. «La verità è che tu vuoi salvare quest’uomo per motivi personali!»
«Oh, piantatela una buona volta!» si spazientì Merevar.
«Ragioni personali o no», seguì a ruota Melinor, «quello che ha detto Alistair è la verità. Dobbiamo fare il possibile per Arle Eamon. È la cosa giusta da fare, sia strategicamente che moralmente.»
Morrigan alzò le mani al cielo, esasperata. «Siete irrecuperabili» sbuffò, dileguandosi lungo il corridoio.
Quando fu uscita dal loro campo visivo, gli altri si guardarono fra loro.
«Forse la vostra amica ha ragione… forse è davvero una crociata senza speranza» mormorò Isolde, affranta.
«Non dite così, e soprattutto non date retta a quella megera delle paludi» tentò di rincuorarla Alistair. «Se c’è anche la benché minima speranza, noi l’inseguiremo. Voi non dovete far altro che indicarci dove trovare fratello Genitivi, e noi faremo tutto il possibile.»
Melinor supportò quelle parole annuendo, mentre Merevar ascoltava impassibile. Isolde sembrò riaversi, e l’ombra di una pallida speranza si riaffacciò sul suo viso. «Fratello Genitivi vive a Denerim» rivelò allora. «Non ricordo l’indirizzo preciso, ma sarà sicuramente registrato in qualche libro nello studio di Eamon. Venite con me» disse loro, e prese a fare strada.
 

Alistair, Melinor e Isolde si recarono al piano inferiore, presso lo studio di Arle Eamon; Merevar seguì invece Bann Teagan, il quale si era offerto di mettere a loro disposizione l’armeria privata dell’Arle. I tre passarono quasi mezz’ora a frugare fra i libri e le scartoffie; alla fine fu Isolde a trovare ciò che cercavano.
«Ecco qui» esordì; «fratello Genitivi vive nel distretto del mercato di Denerim, di fronte alla “locanda del nobile addormentato”.»
Alistair distorse la bocca in un’espressione allarmata. «Accidenti, è proprio in pieno centro…» si voltò verso Melinor. «Dovremo muoverci con la massima discrezione per non farci riconoscere.»
«Potremmo fornirvi dei mantelli e delle vesti da viaggio, così potrete passare per dei normali viaggiatori» suggerì l’Arlessa.
«Sarebbe perfetto» annuì Melinor.
«Allora vado subito alla ricerca di qualcosa di adatto. Ma prima… lady Melinor, vi posso parlare in privato per un istante?» disse a sorpresa la donna.
«Certamente» replicò l’elfa, con occhi grandi e rotondi.
«Allora vi lascio sole. Melinor, ti aspetterò in corridoio» disse Alistair prima di congedarsi con un piccolo inchino. «Con permesso.»
Le due seguirono i movimenti del ragazzo finché non si fu richiuso la porta alle spalle. A quel punto, l’Arlessa si spostò verso la scrivania del marito: aprì un cassetto e ne estrasse qualcosa. Senza aver compreso di cosa si trattasse, Melinor aspettò che la donna si riportasse di fronte a lei.
«Ecco, lady Melinor: tenete.»
La donna le stava porgendo una collana: una catenina d’argento da cui pendeva un amuleto tondeggiante, anch’esso d’argento, con diverse crepe. Sembrava che qualcuno l’avesse riaggiustato riassemblandone i pezzi. L’elfa prese l’amuleto, ma riservò all’umana uno sguardo perplesso.
«Datelo ad Alistair. Lui capirà» si limitò a dire Isolde. Poi prese a guardarsi attorno, visibilmente imbarazzata. «Vi chiedo soltanto la cortesia di attendere finché non sarete in viaggio, prima di darglielo.»
Melinor aggrottò le sopracciglia, inclinando la testa da un lato. «Posso chiedervi almeno se si tratta di qualcosa che Alistair apprezzerà? O sarà forse il contrario?»
«Ne sarà felice» replicò senza esitazione la donna.
«Allora perché non glielo date voi stessa?»
«Perché io… ecco…» tornò l’imbarazzo sul suo volto. «Non ne vado fiera, ma devo ammettere mio malgrado di aver sempre trattato Alistair con freddezza quand’era un bambino. Questa collana è speciale per lui, e io credo sia meglio che sia qualcuno a cui è legato a dargliela.»
Melinor rimase colpita da quelle parole. Isolde colse quell’attimo di smarrimento nelle iridi dell’elfa, e ridacchiò.
«Sarò anche stata fredda con lui, ma l’ho pur sempre visto crescere. Ho capito subito che tiene a voi. Anche se, a pensarci meglio… chiunque potrebbe dedurlo facilmente. Basta osservare come vi guarda.»
Melinor abbassò lo sguardo, un lieve rossore che le andava ad accendere le gote. «Farò come mi avete chiesto» disse semplicemente; l’Arlessa annuì.
«Grazie, lady Melinor. Per questo, e per tutto il resto.»
 

Le due si lasciarono così. Melinor raggiunse Alistair nel corridoio; il ragazzo l’aspettava in piedi davanti a una finestra. Prima che la vedesse, l’elfa ebbe cura di nascondere l’amuleto nella sua bisaccia. Stranamente, Alistair sembrò non notare il suo arrivo: era concentrato sul giardino sotto di sé.
«Succede qualcosa d’interessante laggiù?»
Il ragazzo sussultò trovandosi l’elfa proprio sotto al naso. «Oh, non mi ero accorto che fossi già qui…»
L’elfa guardò fuori dalla finestra: il sole era ormai alto nel cielo. In giardino vide Merevar tirare di spada con Zevran.
«Non ti sembra che quei due vadano un po’ troppo d’accordo, per conoscersi solo da un giorno?» le chiese Alistair; lei rimase a guardare i due elfi che si fermavano a ridacchiare. «Insomma, è strano» continuò lui. «Merevar è sempre stato ostile con tutti, poi arriva un assassino che tenta di ucciderci tutti… e lui diventa improvvisamente gentile!»
Melinor non scollò gli occhi dal fratello.
«Melinor, ci sei?» le agitò una mano davanti agli occhi Alistair.
«Che c’è, sei offeso perché Merevar ha legato con Zevran e non con te?» lo prese in giro lei.
«No, io…» guardò altrove lui. Poi le sue sopracciglia s’inarcarono appena verso il basso. «Beh, forse un po’ lo sono! Insomma, io ho dovuto sudare sette camicie per avere un briciolo di stima da parte sua… Zevran attenta alla sua vita, ma ehi! Benvenuto fra noi!» esclamò allargando le braccia.
Melinor rise, tornando a guardare il gemello; il suo sorriso si fece triste. «So perché si comporta così.»
«Beh, illumina anche me, ti prego!»
«Zevran è un elfo.»
Alistair sembrò restare senza parole. Gli ci vollero parecchi secondi prima di riuscire a formulare una risposta. «Sarà anche uno della vostra stessa razza, ma questo non mi sembra un motivo sufficiente per dargli tutta questa fiducia.»
«Hai ragione, ma devi considerare la situazione di Merevar». Melinor fissò i suoi occhi verdi in quelli di lui. «Tu sai quanto mi ha sconvolta l’illusione nell’Oblio. Credi che per Merevar sia stato più facile, solo perché non è toccato a lui uccidere il nostro clan?»
Alistair rimase in ascolto. Iniziava a intuire dove voleva arrivare l’elfa.
«Merevar è di per sé più intollerante di me verso gli umani. Non ha ancora accettato il fatto di essere stato costretto a diventare un Custode Grigio, e l’esperienza nell’Oblio non è stata affatto d’aiuto. Si è reso conto che non rivedremo mai più il nostro clan, che non saremo mai più dei dalish… non davvero». Con grande tristezza spostò le iridi sul cortile. «Aver incontrato un altro elfo gli è di conforto. In uno strano, contorto modo, avere Zevran attorno gli ricorda casa.»
Alistair le cinse la vita da dietro, stringendola a sé mentre studiava Merevar e Zevran.
«Non avevo mai considerato la cosa da questo punto di vista… Merevar sembra sempre così tranquillo, così deciso… è difficile immaginare che stia soffrendo.»
«Quello che hai visto finora non è affatto il vero Merevar» gli rivelò Melinor. «Quando eravamo con il clan, Merevar era sempre allegro e amichevole. Faceva ridere tutti, aveva una personalità brillante e coinvolgente. Era sempre al centro dell’attenzione insieme a nostro fratello Tamlen; quei due erano l’anima della festa.»
Alistair sbarrò gli occhi: quasi non poteva credere alle parole di Melinor. Osservò quell’elfo silenzioso e defilato, sempre sulle sue, sempre serio e imbronciato: non sembrava possibile che fosse lo stesso di cui stava parlando Melinor. Si rese conto solo allora di non averlo mai visto sorridere con autenticità.
«Credi che si riprenderà, prima o poi?» le sussurrò all’orecchio.
Melinor esitò prima di rispondere. «Lo spero davvero.»
Alistair non aggiunse altro. La strinse ancora di più, per farle sentire che c’era. Che era lì per lei, e anche per suo fratello.

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Capitolo 23
*** Piccoli segreti ***


Il gruppo partì verso mezzogiorno. Lady Isolde si preoccupò di far avere loro quante più provviste possibile.
«Vi darei dei cavalli per facilitarvi il viaggio, ma il demone li ha fatti uccidere tutti per assicurarsi che nessuno potesse fuggire da Redcliffe» spiegò con rammarico.
Fu così che si avviarono a piedi: una settimana di cammino li separava da Denerim, la capitale del Ferelden. Una settimana in cui avrebbero dovuto costeggiare la gran via imperiale restando a distanza, nell’ombra: Denerim era la città di Loghain, ora. Più si avvicinavano, più rischiavano di attirare l’attenzione ed essere riconosciuti.

I primi due giorni trascorsero senza che nulla accadesse: i rapporti e i dissapori fra i membri del gruppo, che altro non avevano da fare se non relazionarsi fra loro, si fecero più marcati. Le due rosse erano ormai inseparabili, e cercavano spesso la compagnia di Melinor contendendosela con Alistair; di conseguenza si avvicinarono anche a lui. Morrigan preferiva starsene in disparte, e solo Melinor si preoccupava di trascorrere del tempo con lei: spesso trascorrevano la notte a parlare di conoscenze antiche e magia. Wynne andava d’accordo un po’ con tutti, a eccezione di Morrigan: la ragazza non voleva saperne di ascoltare le sue ciance sull’importanza di un’istituzione quale il Circolo dei Maghi, e l’ostinazione di Wynne unita alle loro divergenze spesso portava le due a litigare. Quando Alistair interveniva a favore di Wynne, l’antipatia che nutriva per Morrigan non faceva che aumentare, così come l’insofferenza della strega nei suoi confronti. Sten restava per lo più taciturno come suo solito, ma sembrò manifestare una certa dose di rispetto per Merevar, il quale non si scollava da Zevran un secondo. Il risultato fu che i tre formarono ben presto un insolito terzetto. Fu questa nuova vicinanza fra loro a dare a Merevar la spinta per porre al qunari una domanda che lo assillava da quando erano arrivati alla torre del Circolo.
«Sten» esordì una sera, mentre erano tutti riuniti intorno al fuoco per cenare. «È successa una cosa quando siamo arrivati al Circolo dei maghi…»
Gli occhi violacei del qunari saettarono verso l’elfo.
«Abbiamo trovato dei resti» continuò allora il dalish; «sembravano dei guerrieri qunari come te.»
«Lo erano.»
Il qunari ammise il tutto con tale prestezza da lasciare tutti stupiti.
«Allora lo sapevi» disse Merevar, vedendo i suoi sospetti confermati. «Sapevi che erano lì… li conoscevi?»
«Sì, erano i miei compagni» confermò Sten, nemmeno l’ombra di un’emozione sul suo viso.
«Ed è per questo che hai preferito restare a Redcliffe?»
Sten non rispose; rimase a fissare le fiamme del falò con espressione dura mentre Merevar lo studiava con una punta di sospetto.
«Scusami se te lo chiedo, Sten… ma devo farlo» insistette l’elfo. «Per caso c’entri qualcosa con la loro morte?»
A quel punto il qunari parve rianimarsi: la sua testa scattò in direzione di Merevar, i suoi occhi assottigliati per la rabbia.
«Stai forse insinuando che ho ucciso i miei compagni, elfo?»
«Non sto insinuando nulla, ti sto solo facendo una domanda» replicò pacatamente l’elfo, facendo segno al qunari con le mani di calmarsi. «Ma devi ammettere che andare lì e trovare quei resti dopo che ti sei offerto senza esitazione di restare al castello… sembrava proprio che volessi evitare di tornare lì, ed è sospetta come cosa.»
«Soprattutto visti i tuoi precedenti» s’inserì Hawke, alludendo alla famiglia di Lothering massacrata dal qunari.
«Non ho ucciso i miei compagni, non sono feccia come i Tal Vashoth!» esclamò Sten alzandosi in piedi di scatto, facendo riferimento ai qunari reietti che si ribellavano alla loro stessa gente. «La prole oscura è piombata su di noi, uccidendoli!»
Tutti tacquero per diversi istanti; Merevar distolse lo sguardo da Sten, mortificato. «Mi dispiace, Sten. Non ne avevo idea.»
Sten parve calmarsi immediatamente: tornò a sedersi, riacquistando la sua espressione impenetrabile. «Stavi solo facendo il tuo lavoro, Custode. Lo capisco.»
Gli altri avevano osservato lo scambio verbale dei due senza fiatare; Melinor stava ora osservando con interesse il qunari, mentre diverse domande prendevano forma nella sua mente.
«Come sei riuscito a salvarti?» diede voce a quelle domande Merevar.
«Sono scappato. Ho corso a perdifiato per giorni interi, finché non sono svenuto in mezzo a un campo. Quando mi sono svegliato, ero in casa di quei contadini.»
Le sopracciglia rosse di Hawke s’inarcarono verso l’alto. «Ti hanno soccorso loro, non è così?»
Sten annuì. «Mi stavano curando.»
Lo stupore della fereldiana crebbe ulteriormente. «E tu li hai uccisi tutti? Perché?!»
«Sono andato nel panico» spiegò con calma il qunari, senza farsi turbare dall’accusa malcelata nel tono di voce della ragazza. Questa, per tutta risposta, rimase senza parole per diversi istanti.
«Cosa?» esclamò infine, basita.
«Avevo perso la mia spada.»
Le criptiche parole del qunari non fecero che esasperare maggiormente la ragazza, che prese a scuotere la testa con espressione indecifrabile.
«Potresti spiegarti meglio, Sten?» disse con gentilezza Melinor, tentando di salvare la situazione prima che precipitasse. Tutti gli altri stavano capendo ben poco di quella faccenda, e ascoltavano con perplessità la bizzarra conversazione.
«Che altro c’è da spiegare? Avevo perso la mia spada, sono andato nel panico e li ho uccisi. Non ne vado fiero, l’ho già ammesso altre volte.»
Persino Melinor faticava a comunicare con quell’enigmatico personaggio; i suoi occhi incrociarono quelli del gemello, che sembrava altrettanto spaesato.
«Tu hai ucciso una famiglia innocente perché hai perso un pezzo di ferro?» tornò a esclamare Hawke, ripresasi dalla sua stessa costernazione.
«Taci, donna! Che ne sa una come te di cosa sia l’onore per un qunari? Quella spada non era un mero pezzo di ferro!»
«Oh, chiedo scusa… era forse d’acciaio?» rispose Hawke con pungente sarcasmo.
«Vashedan saarebas!» L’insultò in qunlat Sten. «Non parlare se sei ignorante! Quella spada era parte di me, era stata forgiata esclusivamente per la mia mano! Senza la sua spada, un guerriero qunari non ha onore! Non è nulla! Non potrò mai più tornare nella mia patria senza la mia spada!»
Hawke stava per ribattere, ma uno sguardo ammonitore di Melinor la fermò.
«Perdonaci, Sten. Non sappiamo molto delle tradizioni della tua gente; dev’essere stata dura per te» mediò l’elfa. Il qunari non disse altro; riprese a mangiare il suo tozzo di pane con gli occhi fissi sul falò.
«Sten, ricordi dove hai perso la tua spada?» intervenne a quel punto Leliana.
«Proprio là, dove avete trovato i resti dei miei compagni.»
Leliana si fece pensierosa. «Allora forse potremmo ritrovarla…»
Gli occhi del qunari si abbatterono con foga sull’orlesiana, interessati ma non troppo speranzosi.
«C’era un uomo lì nei paraggi, un avvoltoio alla ricerca di oggetti di valore» spiegò allora la ragazza. «Ha detto che un altro prima di lui era passato di lì e aveva ripulito la zona; poi si è diretto a Orzammar per commerciare con i nani.»
«E tu credi davvero che, quando ci recheremo a Orzammar, troveremo la spada ancora in vendita presso una bancarella?» la derise Morrigan. «Potrebbero passare dei mesi, visto che qui ci ritroviamo sempre a dover salvare chiunque incroci la nostra strada. Non c’è speranza di trovare quella spada, bambolina. Sveglia» concluse, schioccando le dita. Leliana fece una smorfia di disappunto, ma non ribatté per non darle soddisfazione.
«La strega ha ragione» tornò a parlare Sten. «La mia spada è persa per sempre, così come il mio onore.»
«Non perderei tutte le speranze se fossi in te, mio caro amico qunari» intervenne Zevran. «Certo le possibilità sono esigue, ma da quel che so Orzammar è un mondo chiuso in sé stesso, e non è poi così grande. Di sicuro la tua spada è di grande valore, e solo un nano appartenente alla nobiltà potrebbe permettersela; questo restringe il campo.»
«Zevran potrebbe avere ragione» disse Merevar, tornando con l’attenzione su Sten. «Quando andremo a Orzammar potremmo provare a chiedere in giro; non si sa mai.»
«La tua è una vana promessa, Custode; ma grazie lo stesso» concluse Sten, lasciando intendere che l’argomento si era esaurito.
«Oh, a proposito di nani» esclamò Zevran, attirando su di sé l’attenzione. «Vi siete accorti che ce ne sono due che vi seguono a distanza? Li ho notati quando vi tenevo d’occhio per tendervi l’imboscata. Vi stanno dietro da un po’.»
«Cosa? Due nani?» aggrottò le sopracciglia dorate Melinor.
«E non ti è venuto in mente di dircelo prima?» lo aggredì Alistair.
«No, non mi è venuto in mente» ribatté con totale noncuranza l’antivano. «Sono due nani innocui.»
Alistair guardò Melinor. «Forse faremmo meglio a controllare, tu che dici?»
«Sì» asserì l’elfa, alzandosi in piedi. «Zevran, quanto distano da noi?»
«Mmm… una mezz’ora piena a piedi, direi» considerò l’elfo, massaggiandosi la mandibola.
«Allora andiamo» disse Alistair a Melinor, iniziando a incamminarsi. L’elfa lanciò un’occhiata al gemello, ma lui non accennava a smuoversi. Le fece cenno di andare avanti.
«Serve aiuto?» chiese Wynne ai due Custodi in partenza.
«No, Wynne; grazie per l’offerta, ma non credo servano tre di noi per rintracciare due nani innocui» le sorrise Alistair.
«Sì, certo» esclamò Hawke, sventolando una mano con sufficienza. «Dillo che è solo una scusa per sgattaiolare via dall’accampamento con Melinor…»
Alistair si voltò verso la ragazza con espressione sarcastica, mentre cingeva le spalle dell’elfa attirandola a sé. «Non mi serve nessuna scusa, mia cara» le disse con aria di sfida; Hawke ridacchiò, e ognuno si appartò per conto proprio mentre i due si allontanavano alla ricerca dei nani.
Solo Merevar e Zevran rimasero accanto al fuoco.
«E così tua sorella sta con Alistair» commentò Zevran mentre fissava i due sparire nell’oscurità. «Che spreco…»
«Che vuoi dire?» borbottò con curiosità l’altro.
«Voglio dire che tua sorella è di una bellezza sopraffina» sospirò Zevran. «Peccato che sia già stata presa. Anche se sarebbe un gioco da ragazzi portarla via a un pivello come Alistair» ridacchiò.
«Se vuoi provarci, fai pure» ridacchiò in risposta Merevar. Zevran lo guardò con curiosità.
«Perché, non approvi la loro unione? Alistair sembra proprio il tipo di ragazzo a cui uno lascerebbe volentieri la sorella. Di certo nessuno vorrebbe lasciarla a un ex Corvo di Antiva» ridacchiò ancora l’assassino.
«Preferirei mille volte vederla con un elfo, piuttosto che con un umano» mormorò Merevar.
Zevran rise sonoramente. «Ah, amico mio… dici così solo perché non sai cosa farei a tua sorella se fosse mia.»
Merevar lo guardò con una punta di sospetto, non sapendo se chiedere altro. Zevran intercettò la sua muta domanda e fece un sorrisetto malizioso.
«Vuoi che ti elenchi tutte le posizioni in cui mi piacerebbe metterla? Ce n’è una in particolare che…»
«E va bene, ho capito! Adesso smettila, stai parlando di mia sorella!»
«Visto?» rise ancor più divertito Zevran. «Fidati, è meglio se la lasci stare con Alistair.»
L’antivano estrasse dai foderi i suoi lunghi pugnali, prendendo ad affilarli l’uno contro l’altro. Mentre osservava lo sfregare metallico delle lame, Merevar non poté evitare di pensare a quante vite erano state stroncate da quella coppia di spade corte. Se tutto fosse andato secondo i piani dei Corvi, anche la sua vita sarebbe terminata a causa loro.
«Perché hai scelto di unirti ai Corvi, Zevran?» ruppe allora il silenzio. L’altro s’immobilizzò, restando a fissarlo in silenzio con i suoi grandi occhi castani.
«Nessuno sceglie di unirsi ai Corvi, mio caro e ignaro dalish» sghignazzò. «Sono i Corvi a scegliere te, quando sei ancora un bambino.»
«Sei stato cresciuto dai Corvi?»
«Come ogni altro Corvo» iniziò a spiegare Zevran, rimettendo via le lame. «I Corvi raccolgono bambini dalla strada, oppure comprano quelli rimasti orfani. Prendi me, ad esempio: mi hanno trovato nel bordello in cui lavorava mia madre prima che morisse per darmi alla luce. Dove ci sono prostitute i bambini abbondano, e se qualcuno li compra le matrone sono ben felici di fare due soldi in più e liberare spazio.»
Merevar non poté fare a meno di provare un moto di tristezza. Zevran glielo lesse in faccia, e prese a sventolare una mano come se nulla fosse.
«Cos’è quella faccia? La mia è una delle storie migliori fra i Corvi. Soprattutto perché io sono cresciuto per raccontarla. Ai Corvi piace tirar su i loro assassini, fanno combattere i bambini fra loro; in questo modo si assicurano che solo i migliori sopravvivano.»
«Ti hanno costretto a uccidere i tuoi compagni?» chiese l’altro, sconcertato. Zevran fece spallucce.
«Non ho avuto scelta. O io, o loro.»
Merevar guardò altrove; non c’era da stupirsi del fatto che Zevran prendesse così alla leggera la morte, essendo cresciuto in un ambiente simile. Non si poteva fargliene una colpa: era stato cresciuto per uccidere.
«Come mai tutte queste domande sui Corvi? Stai considerando un cambio di carriera?» domandò Zevran con fare scherzoso.
«No, no… non credo che sarei in grado di fare un lavoro simile.»
«No? È un peccato. Hai di certo tutte le doti richieste a un assassino, e inoltre» aggiunse, incrociando le braccia e inclinando la testa da un lato con aria ammiccante; «con un bel faccino come il tuo faresti faville, fra i Corvi.»
Merevar sbarrò gli occhi, sentendo un brivido freddo corrergli lungo la colonna vertebrale.
«Bel… faccino…?»
A quella reazione, Zevran rise di gusto. «Ma guarda, non ti facevo timido! Suvvia, di sicuro ti è stato detto altre volte…»
Merevar esitò, incerto su come rispondere senza offendere l’altro. «Sì, ma… non da altri uomini.»
Calò un silenzio imbarazzante mentre i due si fissavano a vicenda.
«Ahi ahi, temo di aver frainteso» disse allora Zevran alzando le mani in segno di resa. «Sei stato così amichevole con me nonostante io abbia cercato di uccidervi tutti, così ho pensato che dietro al tuo atteggiamento ci fosse un motivo un po’ più… personale» ridacchiò forzatamente. «Ma mi sono sbagliato, perdonami. Spero che le mie avances non ti abbiano turbato, od offeso…»
«Nessuna offesa» tagliò corto il dalish, distogliendo lo sguardo.
«Però sei turbato.»
«È solo che non ho mai conosciuto nessun uomo a cui piacessero altri uomini» spiegò Merevar, tentando di essere il più gentile possibile; non voleva inimicarsi l’unico elfo del gruppo. Ma Zevran era tutt’altro che offeso: si mise a ridere come suo solito.
«Uomini, donne… qualsiasi cosa respiri per me va bene» ammise senza problemi. Al vedere la reazione sbalordita del dalish prese a ridere ancor più forte, premendosi entrambe le mani sul ventre secco e muscoloso. «Ma guardati! Le tue espressioni sono esilaranti! Dimmi, cosa ti stupisce al punto da farti fare una faccia simile?»
«Come fanno a piacerti entrambi? Uomini e donne sono… sono completamente diversi!» sbottò Merevar, incapace di comprendere una simile inclinazione.
«Ma è proprio questo il bello!» esclamò l’altro come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Così c’è più varietà fra cui scegliere! Inoltre, sai… quando lavori per un’organizzazione come i Corvi, non puoi permetterti di essere troppo schizzinoso quando si parla di certe cose.»
«Perché?» chiese Merevar, sempre più confuso.
«Perché spesso l’unico modo per avvicinarsi alle vittime, che sono quasi sempre altolocate e protette, è infilarsi fra le loro lenzuola. E ti stupiresti di quanti uomini nobili e potenti siano disposti a pagare per fare sesso con un giovane e avvenente elfo; per questo prima dicevo che faresti faville fra i Corvi» concluse Zevran con un occhiolino.
Merevar aveva ancora le sopracciglia aggrottate. «Quindi, in un certo senso… sei stato costretto a farti piacere entrambi i sessi.»
«Mmm… non saprei, sono stato abituato sin da subito ad andare con entrambi» si mise a frugare fra i ricordi l’altro. «Sì, potendo scegliere forse preferisco le donne; ma davvero, non fa una gran differenza per me.» Si voltò a guardare Merevar. «Spero che nonostante questo la nostra amicizia possa continuare. Non ci proverò più con te, promesso. Anche se vedere le tue facce sconvolte è davvero divertente» concluse con un sorrisetto.
«Non c’è problema, Zevran. Per quanto mi riguarda puoi andare a letto con chi ti pare.»
L’antivano tirò un sospiro di sollievo. «Meno male, sei l’unico che mi apprezza qui. Anche Melinor è gentile, ma ogni volta che le parlo quell’Alistair inizia a guardarmi male… che seccatura!»
Merevar rise, e prese distrattamente un pezzo di legno per buttarlo nel fuoco.
«Bene, ora che tu sei fuori dai giochi devo trovare qualcun altro da sedurre» cambiò argomento Zevran. «Se fosse per me punterei a tua sorella, ma…»
«No» lo interruppe Merevar.
«Scherzavo, scherzavo… dunque, vediamo un po’ cosa ci offre la compagnia» bisbigliò allora Zevran, scrutando oltre il fuoco. «Morrigan è molto attraente… ma temo che potrebbe trasformarmi in una statua di pietra solo guardandomi. Anche Hawke è carina… ma dovrebbe imparare ad acconciarsi i capelli, sarebbe molto più bella se mettesse un po’ di cura nel pettinarsi» commentò, scuotendo il capo. «È un maschiaccio, ma quelle come lei riservano sempre delle belle sorprese» aggiunse con voce maliziosa. «E infine abbiamo Leliana, con il suo dolce accento orlesiano…» Rimase in silenzio a osservare la ragazza. «È un bardo, vero?»
«Non lo ha mai ammesso, ma non l’ha nemmeno negato» rispose Merevar, ignaro della confessione fatta dall’umana a Melinor.
«Ne ero sicuro» annuì Zevran. Poi, senza alcun preavviso, cinse il collo di Merevar con fare cameratesco: il dalish si trovò tempia a tempia con lui, guardando le ragazze lontane. «Allora, Merevar? Tu chi mi consigli?»
«Perché non ci provi con Wynne?» borbottò l’altro. Zevran lo lasciò andare, ridendo per l’ennesima volta.
«Tu scherzi, ma potrebbe non essere un’idea malvagia! Sai, le donne mature hanno una certa esperienza… capisci cosa intendo, no?»
Merevar, disgustato all’idea di Zevran e Wynne, distorse la bocca; aveva rispetto per tutti gli anziani, e le insinuazioni dell’elfo gli sembravano del tutto fuori luogo.
«Oh, andiamo! Non guardarmi così, sembri uno che non ha mai…»
Merevar guardò frettolosamente ovunque non ci fossero gli occhi di Zevran; lui, per tutta risposta, sgranò le iridi castane.
«No… non può essere» mormorò incredulo. «Merevar, tu sei vergine?» esclamò.
«Taci» gli diede uno spintone il dalish, guardandosi attorno nervosamente. «Parla piano! Se Hawke ti sentisse non la finirebbe più di prendermi in giro!»
Con espressione sconvolta, Zevran si premette entrambe le mani sulle gote. «Ma è un’eresia! Dobbiamo subito rettificare la situazione!»
«Non ce n’è alcun bisogno» mise il broncio Merevar, incrociando le braccia. «Per noi dalish è normale, noi aspettiamo di trovare la persona giusta per…»
«Ma tu non ti puoi permettere di inseguire certe fesserie romantiche!» esclamò l’altro con fare sinceramente preoccupato, cosa che lasciò Merevar ancor più perplesso. «Insomma, ti rendi conto della situazione in cui ti trovi? Potresti morire anche domani!»
«Grazie tante, Zevran. Tu sì che sei incoraggiante» brontolò il più giovane dei due.
«Io sono realista, amico. Dovresti ringraziare il cielo di avermi incontrato» disse l’antivano, assumendo poi un’espressione solenne. Mise entrambe le mani sulle spalle dell’altro. «Merevar, ora so perché il destino mi ha mandato da te: ti giuro solennemente che ti aiuterò a trovarti una donna. È stato il Creatore a mandarmi da te per aiutarti in questa missione, ora ne sono certo.»
«Tu credi nel Creatore degli umani?» chiese Merevar, incredulo.
«Beh, sì. Non so se si tratti di Creatore o che altro, ma credo ci sia qualcosa di più grande là fuori… ma non è questo il punto, non cercare di cambiare argomento» lo rimproverò. «Dobbiamo subito fare qualcosa per la tua disperata situazione, non esiste che il mio nuovo amichetto non conosca i piaceri della carne. Mi offrirei volontario per aiutarti a scoprirli ma tu non sei dell’idea… sei proprio sicuro di non volermi dare una possibilità? Sarei delicato…»
«Zevran, finiscila!»
«Me lo aspettavo, ma valeva la pena tentare» ridacchiò. Prese la testa di Merevar e la costrinse a voltarsi verso le ragazze sparse per il campo, una dopo l’altra. «Avanti, scegline una.»
«Non mi interessano le umane» alzò gli occhi al cielo Merevar, esasperato.
«Oh santo cielo, non puoi permetterti di fare il difficile» sospirò Zevran, esasperato a sua volta. «Su, guarda bene: guarda Morrigan» insistette, costringendolo a guardare la strega delle Selve. «Io non potrei nemmeno avvicinarmi, ma con te sembra andare d’accordo… nel suo particolare e unico modo, per lo meno. È una bella ragazza, un po’ selvaggia… ma le ragazze così sono le migliori, sono disinibite e ti farebbe…»
«Non mi interessa.»
«Come vuoi. Passiamo oltre» gli voltò la testa in direzione di Leliana, che stava parlottando con Hawke. «Abbiamo le due rosse. Leliana era un bardo, e sai… anche i bardi vanno spesso a letto con le loro prede. Vengono addestrati non solo nell’arte di uccidere, ma anche nelle arti amatorie. Scommetto che Leliana, con quella boccuccia carnosa, saprebbe farti girare la testa…»
«Zevran, perché non la pianti?»
«Oh insomma, sei proprio difficile» lo guardò esasperato l’antivano. «Resta solo Hawke. Come ho detto prima, è carina sotto a quel groviglio di capelli tirati su in qualche maniera… potrei darle qualche consiglio, in modo tale che inizi a curarli di più. Vedrai come cambierà! E poi non so se hai notato come ancheggia mentre cammina… sono certo che persino Alistair l’ha notato, nonostante sia ipnotizzato da tua sorella. È impossibile non notare un posteriore del genere…»
«Adesso basta!» sbottò il dalish, alzandosi in piedi.
«Dove pensi di andare? Io non ti lascerò in questo stato, da oggi in poi potrai considerarmi il tuo mentore!» gli gridò dietro Zevran, alzandosi per stargli alle calcagna.

Dopo un’ora trascorsa a sorbirsi gli sproloqui e i racconti di Zevran mentre gli altri membri del gruppo li sbirciavano di tanto in tanto con curiosità, Merevar vide tornare Melinor e Alistair.
«Sono tornati» esclamò, correndo loro incontro come se fossero la sua ancora di salvezza. Mentre la distanza fra loro diminuiva, l’elfo scorse alle loro spalle i due nani di cui aveva parlato Zevran. Rimase a scrutarli con attenzione.
«Li hai riconosciuti, vero?» disse Melinor, notando la sua espressione. «Sono gli stessi che abbiamo salvato dalla prole oscura appena fuori Lothering.»
«E cosa ci fanno qui? Non dirmi che intendi portarli con noi» s’intromise Morrigan, che si era avvicinata insieme al resto del gruppo.
«Più o meno» precisò Melinor. «Si accamperanno con noi la notte, ma durante il giorno si occuperanno dei loro affari.»
«Perché ci seguivano?» chiese Sten, pratico come suo solito.
«Ecco… loro sono…» temporeggiò Melinor, cercando le parole adatte.
«Degli sciacalli» integrò Alistair.
«Non è molto carino da parte tua, ragazzo» si offese il più vecchio dei due nani, un signorotto di mezza età accompagnato da un giovane nano biondo dagli occhi azzurri e dall’espressione beota.
«Loro… raccolgono i beni lasciati dalla gente in fuga dal Flagello» cercò di mediare Melinor. «Dopo aver scoperto che siamo Custodi Grigi, hanno pensato di seguirci credendo che avremmo visitato parecchi luoghi infestati dalla prole oscura… luoghi che quindi avrebbero potuto…»
«Saccheggiare» terminò la frase Morrigan senza mezzi termini. «Sembra che lo scemo del villaggio per una volta abbia ragione» ridacchiò, alludendo ad Alistair.
«Non siamo dei saccheggiatori, siamo mercanti» disse a sua discolpa il nano. «Sarebbe forse meglio lasciare tutti quei beni alla prole oscura? La gente se li lascia alle spalle nel fuggire, quindi non li vuole; oppure li lascia incustoditi in seguito a una tragica fine. Meglio metterli al sicuro e darli a chi ci può fare qualcosa di utile, no?»
«Darli, o venderli?» alzò un sopracciglio Wynne.
«State lucrando sulle disgrazie della povera gente, messere» scosse il capo Leliana. Poi sospirò con rassegnazione. «Ma sono tempi disperati, del resto… c’è del vero in ciò che dite. Meglio raccogliere ciò che resta e farlo avere a chi può farne buon uso.»
«Vi ringrazio della comprensione, milady» chinò appena il capo il nano. «Ma ora lasciate che mi presenti: sono Bodahn Feddic, e questo è mio figlio Sandal. Come già detto da lady Melinor, viaggeremo con voi senza arrecarvi alcun disturbo. Ci accamperemo con voi di notte, e in cambio della vostra protezione vi forniremo tutta la merce che vi può essere utile fra ciò che troveremo.»
Merevar scambiò un’occhiata d’assenso con Melinor: non era il massimo trattare con degli sciacalli, ma la loro situazione richiedeva misure estreme.
«Uno scambio equo» annuì Morrigan. «Ditemi, avete qualche erba con voi?»
«Naturalmente» annuì Bodhan. «Vuole dare un’occhiata?»
Ognuno riprese a farsi gli affari propri, mentre i tre Custodi restavano in piedi a guardare i due nani e Morrigan mentre trattavano.
«Questo gruppo diventa sempre più strano man mano che proseguiamo» sospirò Alistair, grattandosi un orecchio. 




NOTE AUTRICE

Bentrovati, lettori silenti e non! La settimana scorsa non sono riuscita ad aggiornare, il lavoro non mi ha dato tregua. Ma rieccomi con un nuovo capitolo d'inframezzo: i rapporti fra i nostri eroi vanno stabilizzandosi, e finalmente il focus si è spostato da Melinor a Merevar. Abbiamo chiarito quali siano i gusti del dalish (vi aspettavate tutt'altro, ammettetelo ;P ) e Zevran si è messo il "cuore" in pace... anche se, dopo aver scoperto il piccolo segreto di Merevar, non gli darà più tregua.
Ci rivediamo la prossima settimana, a Denerim. Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Denerim ***


«E così questa sarebbe Denerim...» 
Gli occhi spaesati di Merevar indugiavano sulle possenti e alte mura che circondavano la capitale del Ferelden. Non era la prima volta che vedeva una città umana, ma non si era mai avvicinato così tanto a nessuna di esse. Ora che era giunto il momento di entrarvi, il dalish si sentiva un po' nervoso. 
«Non preoccuparti, amico. Ci penserò io a farti distendere i nervi, ti porterò in un posticino che non dimenticherai» gli mise una mano sulla spalla Zevran per incoraggiarlo. 
«Non siamo qui per sollazzarci, abbiamo un compito importante da svolgere» lo redarguì Alistair, guardando l'antivano con severità. L'altro fece roteare gli occhi con fare scocciato, mentre la sua mano scivolava via dalla spalla di Merevar. 
«Dobbiamo decidere come muoverci prima d'avvicinarci ulteriormente all'entrata della città» suggerì Leliana. «Non dimenticate che voi tre siete ricercati.» 
«Indosseremo i mantelli che ci ha fornito l'Arlessa, così nessuno ci riconoscerà» buttò lì Alistair; Leliana sospirò scuotendo la testa. 
«Tre persone incappucciate che si aggirano insieme per la città non farebbero altro che attirare l'attenzione. No, solo uno di voi Custodi può entrare in città. Accompagnato da alcuni di noi, naturalmente» disse con fare risoluto. Puntò gli occhi su Melinor. «Tu sei minuta, attireresti meno attenzioni.» 
«Stai scherzando? Non esiste, è troppo rischioso!» brontolò Alistair. 
«Ha ragione lui, dovremmo essere almeno in due Custodi» si accodò Merevar. 
Leliana arricciò le labbra per l'esasperazione, alzando nel mentre un sopracciglio. Era chiaro che nessuno dei due avrebbe lasciato andare Melinor da sola. «E va bene, allora verrete in due. Decidete voi chi accompagnerà me e Melinor.» 
«E quando è stato deciso che tu andrai con loro?» incrociò le braccia sul petto Hawke con fare indispettito. 
«Io conosco bene la città, ci sono stata per lavoro anni fa. So come muovermi senza farmi notare e conosco le strade da evitare» replicò Leliana, restando sul vago. «Dovremmo entrare al massimo in quattro, e direi... che Zevran verrà con noi. Sten è troppo appariscente, così come Morrigan, e una maga del Circolo potrebbe attirare le attenzioni dei templari» concluse, guardando Wynne.
«E io?» esclamò Hawke, sempre più indispettita. 
«Tu sei troppo rumorosa» ribatté Leliana, guadagnandosi una linguaccia da parte dell'altra. Si voltò verso Alistair e Merevar. «Allora, chi di voi verrà?» 
«Vai tu» disse Merevar ad Alistair con uno sbuffo. «Non ci tenevo comunque a entrare lì dentro. Ma fai attenzione» aggiunse con una punta di minaccia, alludendo al fatto che lasciava Melinor nelle sue mani. 
«Staremo attenti» lo rassicurò il ragazzo. «Anch'io conosco Denerim, ci sono stato altre volte sia con i templari che con Duncan. È meglio che vada io.» 
Merevar annuì. Melinor e Alistair indossarono i mantelli da viaggio, alzandosi i cappucci; un rapido saluto agli altri e i quattro si avviarono verso le porte della città. 

 Melinor si guardava attorno sbirciando da sotto al suo cappuccio color vinaccia: i suoi occhi, se visibili, avrebbero tradito il suo sommo sgomento. Per un'elfa come lei, abituata da sempre a vivere nei boschi, era strano vedere tanta gente riunita in un singolo posto; e le case! Tutte ammassate una contro l'altra, con i muri in comune... per lei era un mondo del tutto nuovo, e non era certa che le piacesse. Era già stata a Lothering e a Redcliffe, ma non avevano nulla a che vedere con Denerim: nonostante Redcliffe fosse piuttosto grande, aveva l'aspetto di un fiorente villaggio. Una città vera e propria era tutt'altra cosa, e solo in quell'occasione Melinor ebbe modo d'apprenderlo. 
Denerim, con le sue case in mattoni e le sue mura in pietra, con il ricco mercato e la gente che chiacchierava in ogni dove, con le preziose merci esposte e le botteghe con le loro insegne create apposta per attirare l'attenzione. Gli armaioli, gli speziali, i panettieri e i fruttivendoli... tutti erano impegnati nel loro lavoro, e gli avventori studiavano le merci con attenzione. I bambini giocavano nella piazza e le guardie pattugliavano tutte le strade. 
«Siamo quasi arrivati. La casa dev'essere quella laggiù» bisbigliò Leliana, indicando con un cenno del capo una strada di fronte a loro che partiva dalla piazza del mercato per perdersi chissà dove. Camminarono con fare disinvolto: Leliana e Melinor in testa e i due uomini dietro di loro. Alistair era un po' teso, mentre Zevran sembrava completamente rilassato e a suo agio. 
Raggiunsero la casa situata di fronte alla locanda del Nobile Addormentato, come diceva la nota scritta data loro dall'Arlessa: bussarono e restarono in attesa. 
Dopo parecchi minuti, la porta si dischiuse appena: l'occhio scuro di un uomo sulla quarantina sbirciò attraverso la fessura. 
«Chi siete?» li interrogò. 
«Veniamo per conto di Arle Eamon di Redcliffe» rispose Leliana con tono formale ma gentile. «Siete fratello Genitivi?» 
«No, sono il suo assistente.» 
«E fratello Genitivi è in casa?» 
«No, lui è partito per effettuare delle ricerche.» 
«Oh... capisco» disse Leliana. «Potreste dirci dov'era diretto? È una faccenda importante, dobbiamo assolutamente trovarlo. Ne va della vita dell'Arle di Redcliffe.» 
L'uomo dietro la porta studiò Leliana con intensità. «Si tratta dell'urna delle Sacre Ceneri, non è così?» 
Leliana annuì, e l'uomo aprì la porta facendo segno ai quattro d'entrare. 
«Allora entrate, c'è qualcosa che dovreste sapere.» 
I quattro fecero il loro ingresso nella piccola saletta d'entrata. Leliana e Zevran si scambiarono un'occhiata. 
«Incenso» disse Zevran, annusando l'aria. «È lo stesso che viene bruciato in chiesa, signor...» chiese, sospendendo la frase in attesa della risposta dell'assistente. 
«Weylon» integrò l'altro prontamente. «Sì, certo. È proprio quell'incenso.» 
Un'altra occhiata fra Zevran e Leliana, e subito quest'ultima ricominciò a parlare. 
«Cosa dovete dirci, signor Weylon?» 
«Devo invitarvi a lasciar perdere la ricerca dell'urna. È un'impresa folle, che potrebbe essere costata la vita a fratello Genitivi stesso.» 
I quattro si scambiarono occhiate perplesse. 
«Spiegatevi meglio» intervenne Alistair. «Vi abbiamo già detto che trovare quest'urna è di vitale importanza, non desisteremo senza valide motivazioni.» 
«Ecco...» temporeggiò Weylon. «Io credo che la ricerca di fratello Genitivi sia maledetta. È partito un paio di mesi fa e non ha più fatto ritorno, né inviato messaggi. È sparito, così come i cavalieri che sono venuti qui a cercarlo e poi sono partiti seguendo le sue tracce.» 
«Alcuni dei cavalieri di Redcliffe sono passati da qui?» chiese Alistair. 
«Sì, per il vostro stesso motivo. Ora temo di averli mandati incontro alla morte, perciò ve ne prego: lasciate perdere!» 
«Sono partiti seguendo le tracce di Genitivi, avete detto» disse Leliana. «Quindi esiste una pista che possiamo seguire.» 
«Sì, ma vi ho già detto che non è prudente!» 
«Non dovete preoccuparvi di questo, noi siamo in gamba.» 
L'uomo esitò parecchi istanti prima di rispondere; alla fine sospirò rassegnato. «E va bene, ma non dite che non vi avevo avvertito! Le ultime notizie arrivate da fratello Genitivi provengono da una locanda nei pressi di Kinloch Hold, chiamata “La Principessa Viziata”.» 
«Grazie, signor Weylon» disse Leliana, chinando appena il capo. «Ditemi, fratello Genitivi ha portato con sé tutti i suoi scritti?» 
«Alcuni, sì... perché lo chiedete?» 
«Perchè pensavo di dare un'occhiata ai documenti rimasti qui, magari c'è qualcosa di utile che vi è sfuggito» continuò la ragazza con fare allusivo. 
«Non posso lasciarvi vedere i suoi scritti, la ricerca di fratello Genitivi è privata» borbottò l'altro, fattosi improvvisamente scontroso. Gli occhi indagatori di Melinor gli s'incollarono addosso come mosche sul miele. 
«Ma potrebbero esserci informazioni che potrebbero salvare la vita a Genitivi» insistette Leliana, con fare sempre più serio. 
«Non posso lasciarvelo fare! E ora andatevene!»  
«Hai paura che scopriamo il cadavere puzzolente che tieni nascosto di là?» 
L'uomo si accorse solo in quel momento che Zevran era sgattaiolato alle sue spalle e che ora gli stava parlando nelle orecchie. Avvertì una fitta al fianco, e improvvisamente si sentì debole e confuso; cadde sulle ginocchia con la testa che iniziava a girare violentemente. 
«Grazie a questo veleno canterà subito; ma sbrigatevi, potrebbe morire prima di averci detto tutto» disse l'elfo con aria indifferente mentre ripuliva la lama con un fazzoletto. 
Leliana non si fece pregare: s'inginocchiò di fronte all'uomo ormai preda del veleno. 
«Dov'è fratello Genitivi? Voglio la verità» gli intimò, i suoi occhi celesti solitamente così dolci trasformati in due pezzi di ghiaccio. 
«Ha-Haven» biascicò l'uomo. 
«Haven? Non ne ho mai sentito parlare» disse Leliana, prendendolo per il colletto e scuotendolo appena: il veleno stava facendo rapidamente il suo lavoro. «Cos'è questo Haven e dove si trova?» 
«Villaggio... Montagne Gelide...» 
Dette quelle ultime parole, gli occhi dell'uomo si rivoltarono all'indietro; la testa fece lo stesso pochi secondi più tardi. Leliana lasciò la presa sulla sua camicia e lo lasciò cadere a terra senza vita. 
«Un villaggio fra le Montagne Gelide di nome Haven? Non ne ho mai sentito parlare... Alistair, tu ne sai qualcosa?» 
Mentre il ragazzo rispondeva che ne sapeva quanto lei, Melinor alternava lo sguardo fra Leliana e Zevran: era rimasta colpita da come avevano gestito la situazione, e non in modo del tutto positivo. La rapidità di Zevran nel cogliere l'uomo di sorpresa, e soprattutto la freddezza di Leliana nell'interrogarlo pur sapendo che stava morendo... ripensarci le dava i brividi. Sapeva del loro passato, ma vederli in azione era stato impressionante per lei. 
Decisero di cercare maggiori informazioni fra i documenti nascosti nello studio di fratello Genitivi. Dopo ore di ricerche, scoprirono una mappa: una piccola croce segnava la posizione di Haven, nel bel mezzo delle Montagne Gelide a ovest del Ferelden. Un villaggio che non era segnato su nessun'altra mappa esistente. 
Trovarono anche il cadavere di un uomo nascosto in uno sgabuzzino: era chiuso in un sacco, ma il puzzo che ne usciva era nefando. Doveva essere il vero assistente di Genitivi, e probabilmente era lì da un bel po'. 
«Così si spiega l'incenso» si lamentò Alistair, tenendo il naso chiuso con due dita. 
«Allora non sei così scemo come sembri» ridacchiò Zevran. «Quello sciocco d'un impostore credeva di darmi a bere che fosse lo stesso incenso usato in chiesa. Gliel'ho chiesto apposta, così che si tradisse da sé; solo quelli del mestiere utilizzano questo particolare tipo d'incenso. Se hai a che fare spesso con cadaveri da occultare o da trasportare, è una vera benedizione del cielo: pochi grani bastano a coprire il più orrendo fetore» disse, andando a guardare Leliana che metteva nel suo borsello alcuni incartamenti. Si aspettava un commento da parte della ragazza, ma quella fece finta di niente. 
«Faremmo meglio ad andare» disse invece, sistemandosi il borsello in vita. Senza dire altro, Alistair e Melinor si risistemarono i cappucci sul capo e si avviarono dietro all'orlesiana, lasciando Zevran a richiudere la porta dietro di loro.  
 
Decisero di passare per il mercato. Leliana disse che non era saggio passare due volte per la stessa strada, e che era meglio amalgamarsi con la folla. 
Stavano passando davanti a una bancarella che vendeva essenze floreali e profumi, quando Alistair si fermò. 
«Alistair, che succede?» chiese Melinor; seguì lo sguardo del ragazzo, che condusse la sua attenzione su una casa sgangherata dall'altra parte della strada. L'edificio aveva un'aria stranamente familiare, nonostante l'elfa non fosse mai stata lì prima d'allora. 
Sussultò quando finalmente ricordò dove aveva visto quell'edificio. 
«Alistair, è la casa di tua sorella?» bisbigliò. Si stupì di quanta accuratezza il demone della pigrizia avesse messo nel ricreare la casa nell'illusione in cui era stato intrappolato Alistair, alla torre del Circolo. 
Il ragazzo annuì, lo sguardo perso su quelle povere e malandate pareti. 
«Vuoi andare a conoscerla?» 
Le parole della sua amata lo riportarono alla realtà. Si voltò a guardarla. «Ma dovremmo andare...» 
«Sbrigatevi, voi due» bisbigliò Leliana, che nel frattempo li aveva distanziati affiancata da Zevran. 
«Voi andate avanti, noi vi raggiungiamo subito» disse Melinor. 
«Melinor, ti ringrazio, davvero... ma ne sei sicura?» disse Alistair, incerto. «Non è proprio il posto migliore in cui trattenersi, per noi...» 
«Infatti» s'intromise Leliana, che era tornata indietro. «Dobbiamo andarcene da qui.» 
«Leliana, è una cosa importante» le disse Melinor. «Faremo il prima possibile, te lo prometto.» 
La rossa guardò nervosamente la casa di fronte a loro.  
«D'accordo, fate quel che dovete fare. Ma fate in fretta» si arrese. «Io e Zevran vi aspettiamo qui fuori. Io e lui non desteremo sospetti, ci aggireremo fra le bancarelle finché non avrete finito.» 
Melinor annuì, e la ragazza fece un cenno a Zevran affinché la seguisse; i due si mischiarono fra gli avventori del mercato, chiaramente avvezzi a quel tipo d'attività in incognito. 
«Andiamo» disse l'elfa ad Alistair. «Potresti non avere più un'occasione così.» 
Alistair le sorrise, e l'abbracciò forte. «Grazie» le disse, guardandola negli occhi. Insieme si avviarono verso la porta della casa.  
Trovarono la porta aperta: bussarono comunque, e una voce lontana disse loro di entrare. 
Si ritrovarono in un'umile abitazione, di piccole dimensioni e stipata di oggetti d'ogni tipo, ma soprattutto d'indumenti ammassati in numerose pile qua e là. 
«Siete qui per far lavare qualcosa? Dato che siete nuovi clienti, vi farò lo sconto» disse una voce femminile nel comparire all'improvviso. 
Entrambi i Custodi rimasero sbalorditi nel vedere che Goldanna era identica alla versione di lei che era stata ricreata dal demone della pigrizia: stessi capelli color carota, stessi occhi chiari, stessa voce. 
«No, noi... io... ecco» balbettò Alistair. Le dita di Melinor che si stringevano attorno alle sue lo aiutarono a calmarsi. Inspirò una boccata d'aria e si ricompose. «Sono qui per vedere te, Goldanna.» 
La donna, ormai sulla trentina, lo guardò con sospetto. «Come sapete il mio nome?» 
«Non è una storia semplice da raccontare, ma cercherò di essere breve... ricordi che tua madre lavorava al castello di Redcliffe, vero?» 
«Sì» rispose secca l'altra, incrociando le braccia sul petto. 
«Quindi ricordi che ha dato alla luce un bambino, suppongo... ecco, quel bambino sono io. Io sono tuo fratello, Alistair.» 
Goldanna sbarrò gli occhi, come se si fosse resa conto di star guardando un fantasma. Poi, d'improvviso, la sua espressione si fece ostile. 
«Tu!» esclamò, puntandogli il dito contro. «Lo sapevo che non eri morto!» 
«Morto?» ribattè Alistair, stranito. 
«Quelli al castello avevano detto che eri morto subito dopo essere nato, ma sapevo che non era vero! Tu hai ucciso mia madre, e grazie a te mi hanno cacciata dal castello con una moneta d'oro e sono finita per strada!» 
«Io... mi dispiace» mormorò Alistair, mortificato. 
«Non so che farmene delle tue scuse, tu mi hai rovinato la vita!» sbottò Goldanna. «Cosa sei venuto a fare qui?» 
Alistair sembrava non riuscire a trovare le parole per proseguire, dunque fu Melinor a prendere la parola. 
«Alistair è venuto da te per conoscere la sua famiglia» disse con quanta più gentilezza le fosse possibile, nonostante la maleducazione dimostrata dall'umana. La quale, con l'occhiataccia sdegnata che riservò all'elfa, si confermò essere una gran villana. 
«E tu chi sei? Il mio fratellino ha anche una serva?» disse, cadendo nel luogo comune secondo cui tutti gli elfi erano inferiori. Tornò a guardare Alistair. «Cosa sei, un nobile che può anche permettersi dei servi? Sei forse venuto a sbattermi in faccia anche questo, mentre io sono incastrata qui con quattro bocche da sfamare?» 
Melinor dischiuse le labbra in una muta esclamazione d'incredulità. 
«Ehi, non ti permettere di parlarle così!» dimostrò finalmente d'avere un po' di spina dorsale Alistair. «Dimostrale un po' di rispetto, lei è un Custode Grigio proprio come me!» 
Sentì lo sguardo di Melinor su di sé nello stesso istante in cui si rese conto di ciò che aveva appena fatto. Gli occhi di Goldanna si sgranarono. 
«Siete Custodi Grigi? C'è una bella taglia sulla vostra testa...» 
«Non dirai sul serio!» esclamò Melinor, indignata. «Venderesti così tuo fratello?» 
«Lui non è nessuno per me» ribattè la donna con una freddezza disturbante. «I miei figli sono la mia famiglia, non lui. E potrei sfamarli per mesi con l'oro che otterrei denunciandovi alle guardie.» 
La donna fece per muoversi, ma l'elfa fu più rapida: con un movimento del bastone fece finire Goldanna a terra, in preda agli spasmi. 
«Melinor, che cos'hai fatto?» esclamò Alistair, accorrendo in soccorso della sorella. Ci vollero parecchi secondi prima che il suo corpo si fermasse del tutto. Il ragazzo guardò l'elfa, stravolto. 
«Non le ho fatto niente» lo rassicurò l'elfa. «Ho usato un incantesimo che mi ha insegnato Morrigan. Quando si risveglierà ricorderà solo di aver fatto un terribile sogno.» 
«Era proprio necessario?» aggrottò le sopracciglia lui. Melinor spalancò gli occhi. 
«Voleva denunciarci alle guardie!» esclamò, indicando la donna svenuta con il palmo della mano. «Alistair, capisco che è tua sorella, e non vorrei dovertelo dire, credimi...» assunse un'espressione triste. «Ma a quella donna non importa niente di te. Era disposta a venderti come se nulla fosse.» 
Alistair abbassò lo sguardo sul pavimento, e quella fu la sua unica risposta. Melinor sentì una fitta al cuore nel leggergli la delusione negli occhi. Il ragazzo si rialzò in piedi e si diresse verso la porta. 
«Andiamo. Non c'è niente per me, qui.»  

«Non ci posso credere, è ridicolo!» esclamava Morrigan un paio d'ore più tardi, presso l'accampamento allestito nei paraggi della città. «Ci vorranno almeno tre settimane per raggiungere le Montagne Gelide, e chissà quanto altro tempo ci servirà per trovare questo villaggio fantasma!» 
«Morrigan, ti prego» piagnucolò Melinor, esasperata. «Quante volte dovrò spiegarti ancora che Arle Eamon è...» 
«Sì, sì, lo so! Arle Eamon è necessario» sbottò la strega, gesticolando freneticamente con le mani. «Capisco bene che non possiamo muoverci liberamente per andare a radunare le fazioni che si schiereranno con noi usando i trattati. Non finché questo Loghain vive.» 
«E allora perché fai tante storie?» esclamò l'elfa, allibita. 
«Perché quello che volete fare voialtri è seguire la via più complicata! Siamo d'accordo sul fatto che Loghain vada eliminato per poter procedere oltre, ma andare alla ricerca di una reliquia che forse potremmo trovare è stupido e dispendioso! Loghain è proprio lì, a due passi da noi» indicò in direzione di Denerim. «Andiamo lì ora e leviamocelo di mezzo!» 
«Oh, ma certo! Facciamo irruzione in una città piena zeppa di guardie per uccidere l'attuale reggente del Ferelden, sarà un gioco da ragazzi!» la canzonò Alistair. 
«Oh, perché invece rischiare di perderci fra le montagne per inseguire un mito è una mossa davvero astuta» ribatté l'altra, acida. «Facciamo finta che l'urna esista davvero e che riusciamo a trovarla. Facciamo anche finta che saremo talmente fortunati da trovare subito sia Haven che l'urna: calcoliamo, che so... un mese per portare a termine l'incarico. Essendo ottimisti faremo ritorno a Redcliffe non prima di altre due settimane.» Guardò l'elfa. «Tu sai che l'Arle ha un piede nella fossa. Senza il demone che l'ha tenuto in vita finora non durerà a lungo, quindi che senso ha perdere tutto questo tempo a cercare un'urna che potrebbe essere lì come no?»
«La strega ha ragione» intervenne Sten, fra lo stupore generale. «C'è un Flagello da combattere, e da quel che so sui Custodi Grigi è compito loro occuparsene. Non dovreste perdere tempo prezioso per un vecchio dal destino già segnato. Se non è possibile affrontare questo Loghain ora, allora dobbiamo occuparci di radunare un esercito. Non potrà opporsi, a quel punto: dovrà arrendersi o combattere.»
«Non è così semplice» s'inserì Leliana. «Non possiamo lasciare che Loghain agisca indisturbato mentre noi usiamo i trattati per radunare un esercito. C'è una guerra civile in corso.»
Gli occhi di Wynne s'ingrandirono a dismisura. «Oh, per il Creatore... vuoi dire che la nobiltà e Loghain stanno combattendo fra loro?» esclamò, portandosi le mani al viso. 
«Ho origliato le conversazioni di alcune nobili mentre eravamo al mercato, in città. A quanto pare non tutta la nobiltà ha preso bene l'insediamento di Loghain sul trono. Stanno sprecando vite e risorse per combattere una guerra politica, lasciando la prole oscura libera di diffondersi in tutto il Ferelden. Dobbiamo fermarli, prima che si annientino a vicenda. Noi non abbiamo il potere di farlo, ma Arle Eamon sì: la sua voce verrà ascoltata.»
«Non vedo perché questa guerra civile dovrebbe interessarci» commentò Sten. «Se sono così stolti da farsi la guerra a vicenda meglio per noi. Potremo muoverci indisturbati.»
«Mi aspettavo di meglio da un soldato qunari parte del famigerato Antaam» lo rimbeccò Alistair. «Come puoi non arrivarci? Ci servirà fino all'ultimo soldato se vogliamo avere qualche possibilità di vincere contro la prole oscura! Non possiamo lasciare che si scannino lasciandoci a mani vuote, abbiamo bisogno della guardia reale e dei soldati di tutti i Bann!»
«Perché, l'esercito che dobbiamo radunare non sarà sufficiente?»
«Non possiamo saperlo con certezza» riprese la parola Melinor. «Guarda cos'è accaduto al Circolo dei Maghi: loro erano una delle fazioni obbligate ad aiutarci, ma a causa dell'incidente con i maghi del sangue sono rimasti in pochissimi. Restano da contattare gli elfi dalish e i nani di Orzammar: il mio clan è fuggito nei Liberi Confini non appena io e Merevar ci siamo uniti ai Custodi, e non so quanti altri clan risiedano attualmente nel Ferelden. So per certo che ce n'era un altro oltre al nostro, e per quanto riguarda i nani... non ho idea di quanti soldati potranno metterci a disposizione» concluse, scuotendo il capo.
Cadde il silenzio sul gruppo, solo il suono degli uccelli della sera a fare da sottofondo a quel momento.
«Resta il problema dell'Arle» tornò a discutere Morrigan, con voce più calma. «Non resisterà a lungo.»
«Potrei essere d'aiuto in questo» si fece avanti Hawke. «Conosco un incantesimo che potrebbe fare al caso nostro. L'incantesimo del ghiaccio perenne.»
Tutte le maghe presenti aggrottarono le sopracciglia.
«Non ho mai sentito parlare di un incantesimo simile» obiettò Wynne.
«È stato mio padre a inventarlo» sorrise fiera Hawke. «Ha iniziato a lavorarci quand'era ancora al Circolo di Kirkwall, ma l'ha portato a compimento qui nel Ferelden. Si tratta di un ghiaccio speciale che non si scioglie mai, e che conserva al suo interno le creature viventi senza che muoiano assiderate: se lo lanciassi su Eamon il nostro problema sarebbe risolto.»
Morrigan sospirò con rassegnazione. «Sei piena di sorprese, Berkanna Hawke.»
«Non usare quel nome» digrignò i denti l'altra, con la sola conseguenza di far ridacchiare la strega.
«È perfetto, Hawke» sorrise sollevata Melinor. «Ci hai davvero salvati con questo tuo incantesimo. Domani vorrei farti alcune domande a riguardo, sono davvero incuriosita.»
«Lo siamo tutte, credo» annuì Wynne, riferendosi a tutte le maghe presenti.
«Bene, allora è deciso: domani all'alba si parte per Redcliffe» decretò Leliana. «Una volta lì lanceremo l'incanto sull'Arle, faremo rifornimento e poi partiremo verso le Montagne Gelide... e che il Creatore ci assista.»
Dette quelle parole, ognuno si avviò verso la propria tenda; Merevar, invece, si avvicinò a sua sorella e Alistair.
«Siete davvero sicuri che sia la scelta giusta?» chiese, l'espressione sul viso assai dubbiosa.
«Oh, Merevar... per favore, non ti ci mettere anche tu» piagnucolò la sorella, esausta.
«Voglio solo dire che non è un'impresa da poco... Morrigan e Sten non hanno tutti i torti» puntualizzò il gemello. Cercò lo sguardo di Alistair. «Sei sicuro al cento per cento che questo Eamon possa far ragionare tutti gli altri nobili?»
«Sì, è benvoluto sia dalla nobiltà che dal popolo. Ed è fratello della defunta regina Rowan, una leggenda nella storia della liberazione del Ferelden» aggiunse, con aria serissima. «È l'asso nella manica migliore che possiamo usare.»
Merevar inspirò profondamente, trattenendo l'aria nel petto alcuni istanti prima di rilasciarla lentamente.
«E va bene. Facciamo questa cosa, allora. Speriamo che ne valga davvero la pena.»

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Capitolo 25
*** Haven ***


Un mese più tardi, il gruppo era accampato nei boschi delle Montagne Gelide. La catena montuosa che separava il Ferelden dall'Orlais si era ben meritata quel nome: nonostante l'inverno non fosse ancora arrivato, la temperatura era gelida. Ognuno di loro viaggiava imbacuccato nelle pesanti vesti che lady Isolde aveva fornito loro prima della partenza da Redcliffe. Zevran, abituato alle esotiche temperature della terra di Antiva, non faceva che lamentarsi: vi erano giorni in cui, totalmente sopraffatto dal freddo, smetteva addirittura di parlare. Erano giornate buone per Merevar, che apprezzava la sua compagnia ma a volte desiderava poterlo rendere muto a comando.
Raggiungere le montagne non era stato semplice: ormai si erano rassegnati ad andare perennemente a piedi. Trovare dei cavalli nelle terre occidentali, fra gli attacchi notturni di Redcliffe e l'invasione della prole oscura, stava diventando sempre più difficile; ed essere Custodi Grigi ricercati non aiutava di certo.
Durante quelle settimane i rapporti fra i compagni di viaggio si consolidarono ulteriormente. La difficoltà del viaggio rendeva tutti più vicini o più lontani, a seconda delle simpatie già vigenti. L'unico membro intercambiabile del gruppo sembrava essere Hawke, che bazzicava sia con Leliana, Wynne e Alistair, sia con Morrigan, sia con lo strano terzetto Dalish-Antiva-Qunari. Naturalmente anche Melinor andava d'accordo con tutti, seppur con le sue preferenze. E una preferenza in particolare stava catalizzando su di sé tutte le attenzioni dell'elfa.
Come ormai accadeva spesso, Melinor e Alistair erano sgattaiolati nel bosco lontano dall'accampamento per trovare un po' di riservatezza: approfittavano di ogni momento morto per stare da soli e nutrire il loro amore in erba. Melinor aveva sciolto la neve attorno a loro con il suo fuoco magico, e ora stavano distesi sui loro mantelli sistemati a mo' di coperta. Un piccolo fuocherello ardeva poco distante da loro, e nonostante il loro fiato fosse visibile sotto forma di nuvolette bianche a causa del freddo, i due non sembravano accorgersene minimamente. Erano totalmente smarriti l'uno nell'altra, travolti da un fiume di carezze e baci ardenti più del fuoco acceso a pochi passi da loro. In quel momento non esisteva più il Flagello, non esistevano le Sacre Ceneri, non esistevano gli altri: nessuno dei due era in grado di pensare, l'unica cosa che volevano era il contatto con l'altro.
Alistair era perso negli occhi verdi dell'elfa, avvolto dalla matassa aggrovigliata dei suoi capelli dorati. La desiderava più di qualsiasi altra cosa avesse mai voluto, e sentiva che avrebbe potuto averla anche lì, subito: lei lo voleva almeno quanto la voleva lui.
«Melinor... aspetta» riuscì comunque a sussurrare. L'elfa, che stava seduta a cavalcioni su di lui, allontanò appena il viso per guardarlo. «Forse dovremmo rallentare» disse lui, ignorando ogni messaggio che il suo corpo gli stava inviando.
Lei lo guardò come se qualcuno l'avesse appena svegliata dal più meraviglioso dei sogni. «Perché?»
«Perchè se continuiamo così non riuscirò a trattenermi ancora a lungo» ammise in tutta sincerità il ragazzo. Al che, Melinor gli lanciò un'occhiata assai significativa.
«E chi dice che devi trattenerti?» gli sussurrò, timida e audace allo stesso tempo.
Alistair dovette chiudere gli occhi per non vederla più: con uno sforzo abnorme ricacciò indietro tutti gli impulsi che avrebbero portato a un esito molto, molto diverso da quello che stava sforzandosi di rincorrere.
«Melinor... così non mi aiuti» ridacchiò nervosamente. Fece per alzarsi, e lei si scostò per permettergli di sedersi: raggomitolò le ginocchia sotto di sé, restando a guardare Alistair al suo fianco. Il ragazzo prese coraggio. «Melinor, io... io non sono mai stato con nessuna donna.»
L'elfa tradì una lieve sorpresa, ma allo stesso tempo si dimostrò in qualche modo lieta di sentire quelle parole. «Non è affatto un problema... anche per me tu sei il primo.»
Alistair sorrise; in realtà lui lo sapeva benissimo, ma non fece accenno alla cosa. Le sue dita andarono a spostare un ciuffo di capelli che copriva il volto dell'elfa. «A maggior ragione dovremmo rallentare. Quando succederà vorrei che fosse perfetto... non qui, al freddo, nel bosco.»
«Cosa c'è di male a farlo nel bosco? È così che fanno sempre i giovani Dalish» aggrottò le sopracciglia lei, facendo sorridere Alistair.
«Noi umani invece facciamo le cose diversamente in queste occasioni... e fidati, quando succederà mi ringrazierai» le disse, prendendole la mano e portandosela alla bocca. «Tu sei troppo speciale per me, non voglio rovinare tutto per la fretta di... beh, lo sai.»
«Oh... va bene, lo capisco» sorrise allora l'elfa distogliendo lo sguardo. La cosa non sfuggì all'attenzione di Alistair, che prese a scrutarla con attenzione.
«Melinor, te la sei presa?» le chiese preoccupato.
«No, assolutamente» disse lei, continuando a guardare la neve attorno a loro.
Alistair le prese delicatamente il mento e voltò la testa di lei in modo che fosse costretta a guardarlo: lei non resistette per più di cinque secondi prima di spostare di lato le iridi, incapace di sostenere il suo sguardo.
«Lo sapevo» esclamò lui, lasciandole il mento. «Tu sei a disagio. Magari pensi che sia colpa tua» insinuò, socchiudendo un solo occhio.
Lei si strinse nelle spalle, insicura e mortificata. «Cosa dovrei pensare? Sembrava che tu lo volessi, e poi all'improvviso... più niente» si lamentò.
«Più niente, dici?» quasi rise lui. «Melinor... io lo voglio eccome, credimi. Mi sono dovuto sforzare in un modo che nemmeno immagini per comportarmi da gentiluomo». Le prese il volto fra le mani. «Voglio solo fare le cose come si deve, tu sei troppo importante per me. Non vedo l'ora che succeda, credimi.»
Lei abbassò lo sguardo qualche secondo sui suoi calzoni. Poi tornò a guardarlo negli occhi, ogni traccia d'insicurezza sparita mentre un sorrisetto malizioso le increspava le labbra. «Sì, a questo ci credo. Si vede.»
Lanciata la sua frecciatina, l'elfa si alzò ridacchiando al vedere l'espressione sbigottita e al contempo ammaliata e divertita di Alistair.
«Oh, all'improvviso facciamo anche battutine a riguardo» cantilenò lui.
L'elfa girò i tacchi e con un gesto della mano spense il falò mentre si allontanava. «Dai, torniamo dagli altri. Morrigan potrebbe esser già tornata.»
Alistair rimase alcuni istanti a fissarla mentre filava via; si stropicciò il viso come se avesse fra le mani dell'acqua gelida che potesse scacciar via i suoi bollori. Si, alzò, raccolse i mantelli e le corse dietro.
 

Appena Melinor sbucò fuori dai cespugli, gli occhi di Merevar l'individuarono subito. Seguì attentamente i suoi movimenti da lontano, l'espressione un po' tesa.
«Dovresti proprio smetterla, sai.»
La voce di Hawke alla sua destra, intenta a lucidare la gemma rossa incastonata sulla sommità del suo bastone, lo fece trasalire.
«Non è molto carino controllarla così» aggiunse la maga, per poi assumere un'aria maliziosa. «Prima o poi succederà l'inevitabile fra loro. Mettiti il cuore in pace.»
Zevran, a sua volta intento a lucidare le sue lame, ridacchiò. «Ti preoccupa che il tempio della tua sorellina venga profanato, amico? Non ti preoccupare, non è ancora successo niente.»
Merevar fece una faccia ostile. «E tu che ne sai?»
Fu il turno di Hawke di ridere. «Ma dai, non sei mai stato con una vergine?»
Zevran rise ancor più sonoramente, facendo voltare anche il resto del gruppo dall'altra parte dell'accampamento. «A dire il vero lui...» si zittì, mentre gli occhi furiosi del Dalish lo trapassavano. Si schiarì la voce. «Lui non apprezza questo tipo di domande impertinenti, Hawke. Sai, i Dalish sono un po' all'antica riguardo a certe cose.»
«Oh, chiedo venia» alzò le mani la ragazza, roteando gli occhi.
«A ogni modo, amico» continuò Zevran «si capisce quando una ragazza perde la sua purezza, per così dire. Glielo si vede in faccia, il suo sguardo cambia: diventa più sicura, più consapevole della sua femminilità.»
Hawke lo guardò con tanto d'occhi. «Non ti facevo così sensibile.»
«Così mi offendi. Per chi mi hai preso, per un comunissimo sciupafemmine?» esclamò con una punta di risentimento l'antivano. «Ne ho sciupate parecchie, è vero, ma sempre nel massimo rispetto. Ma tornando a noi, vedrai che noterai subito il cambiamento quando succederà» tornò a rivolgersi a Merevar. «Poi lei è la tua gemella, la conosci meglio di chiunque altro. È impossibile che ti sfugga un simile dettaglio.» L'elfo spostò lo sguardo su Alistair e prese a sghignazzare. «Oppure puoi controllare anche adesso i pantaloni di Alistair e capire che hanno lasciato le cose a metà.»
Hawke si voltò di scatto a guardare; lanciò un fischio da vero maschiaccio. «Hai capito, Alistair...»
«Sono un po' invidioso di lei adesso» le diede man forte Zevran.
«Ma finitela» sbottò Merevar alzandosi in piedi. Nello stesso istante uno sbuffo di fumo viola apparve dal nulla al centro dell'accampamento.
«Morrigan» la salutò Melinor. La strega era di ritorno da un giro di perlustrazione attorno alle montagne sotto forma di corvo: ancora non avevano trovato il fantomatico villaggio di Haven, perciò avevano deciso di cercarlo dall'alto. Melinor e la strega si davano il cambio ogni giorno, essendo le uniche due mutaforma del gruppo. «Hai trovato qualcosa?»
«Sì, finalmente» brontolò la strega mentre si stringeva nel suo mantello. «Ho avvistato Haven, si trova sulla montagna qui accanto... e sull'altro versante, naturalmente. La mappa di quella specie di monaco non era molto accurata; spero vivamente che abbia dovuto vagare per settimane anche lui.»
Wynne scosse la testa sospirando di disapprovazione. «Devi imparare a essere più tollerante, ragazza. Comunque sia, quanto ci vorrà a raggiungere il villaggio?»
«Un'altra settimana almeno, direi.»
Ad Alistair sfuggì un gemito. «Non c'è proprio modo per voi due mutaforma di trasferire la vostra magia su di noi? Se potessimo volare saremmo lì per cena...»
«Credimi, se potessi trasformarti in un animale l'avrei già fatto. E non sarebbe certo un uccello» gli disse col consueto tono derisorio Morrigan.
«Faremmo meglio ad avviarci subito» Prese la parola Merevar, iniziando a smontare la sua tenda da viaggio. Senza obiettare, tutti seguirono il suo esempio; in mezz'ora raccolsero ogni loro avere e s'incamminarono.
 

Fu una settimana lunga e faticosa: il gruppo era sempre più stanco e provato dal freddo e dal ghiaccio. Le maghe cercavano di mitigare la temperatura evocando piccoli fuochi fluttuanti nell'aria, ma ciò le indeboliva notevolmente, costringendole a fare a turno.
Quando arrivarono in vista di Haven, nessuno aveva più la forza né la voglia di parlare. Decisero di fermarsi e recuperare le forze per almeno un giorno intero prima di avvicinarsi oltre.
«Dobbiamo stabilire il da farsi» radunò tutti Melinor. «Non sappiamo niente su questo villaggio e sulla gente che lo abita. L'impostore che abbiamo trovato a casa di fratello Genitivi ha cercato di mandarci altrove per tenerci lontani da qui.»
«Potrei sbagliarmi, ma è molto probabile che quel tipo stesse cercando di farci cadere in una trappola. Perché mandarci a Kinloch Hold per depistarci, sapendo che una volta scoperto l'inganno avremmo ripreso a cercare? Quello voleva farci ammazzare, ve lo dico io» osservò Zevran.
«Probabilmente qualcuno qui a Haven sta cercando di nascondere qualcosa, e sicuramente sono organizzati se si sono preoccupati di piazzare un impostore a Denerim» proseguì l'analisi Leliana. «Dobbiamo fare molta attenzione.»
Melinor annuì, restando in silenzio alcuni istanti. «Credo che non dovremmo andare tutti al villaggio. Dobbiamo lasciare indietro qualcuno affinché ci copra le spalle in caso succeda qualcosa.»
Merevar alzò un sopracciglio; l'idea della sorella era strategicamente buona, e sperava di lasciarla indietro insieme ad alcuni degli altri, al sicuro. Ma sapeva che lei non avrebbe acconsentito, perciò evitò di sprecare il fiato. Si guardò attorno, passando in rassegna i volti dei compagni. «Credo che Leliana e Zevran dovrebbero restare indietro. Loro sono i migliori quando si tratta d'infiltrarsi da qualche parte.»
«Puoi dirlo forte» sghignazzò Zevran, mentre il dalish ignorava volutamente il suo sarcasmo.
«Anche Morrigan dovrebbe restare qui» aggiunse Melinor. «Come mutaforma può andare in avanscoperta senza rischiare d'essere scoperta. Sarà gli occhi del gruppo. E... Hawke, un'altra maga sarebbe d'aiuto in caso doveste prendere d'assalto il villaggio.»
«Posso restare io con loro, una guaritrice sarebbe utile in una squadra di salvataggio» si offrì Wynne.
«No, voi dovreste venire con noi, Wynne» le disse Alistair. «Con quell'aria da dolce nonnina ci aiutereste a sembrare meno minacciosi.»
«Dolce nonnina? Bada bene a come parli, ragazzino. Potrei incenerirti con uno schiocco di dita» incrociò le braccia la donna, scoccando un'occhiata offesa al giovane.
«Appunto! Chi mai se lo aspetterebbe da una donna anziana come voi?» disse ancora lui, sorridente; ma la donna continuava a guardarlo malamente. «E va bene, sto zitto.»
«Ha scelto le parole peggiori per rendere l'idea, ma Alistair non ha tutti i torti» ammise Melinor. «Noi tre siamo Custodi Grigi, forse la cosa aiuterà i paesani a tollerare la nostra presenza. E porteremo anche Sten con noi: va bene passare per viandanti inoffensivi, ma dobbiamo comunque far loro capire che non siamo delle pecorelle indifese.»
Il qunari annuì, mentre Merevar gli dava una pacca sul braccio. «Perfetto, allora andiamo. Voi state all'erta.»
Il gruppo dei cinque partì, diretto al il villaggio sopra di loro.
 

Un sentiero diroccato portava al minuscolo villaggio di Haven: un classico paesino montanaro, fatto di piccole case in legno e pietra con tetti spioventi da cui pendevano aguzzi ghiaccioli. Le rurali abitazioni si abbarbicavano fin quasi sulla cima della montagna, al limitare della zona vivibile. Sembrava che Haven si fosse cristallizzato nel tempo: non aveva nulla a che vedere con gli altri villaggi del Ferelden. Persino i più piccoli e modesti sembravano emblemi di modernità a confronto. Man mano che il gruppo si avvicinava, incontrarono i primi paesani: persone schive, macchie scure contro il bianco della neve che schizzavano via alla loro vista, andando a rifugiarsi fra le mura di casa e spiando da dietro le finestre con diffidenza.
Quando arrivarono in prossimità di Haven, un uomo in armatura andò loro incontro.
«E voi chi sareste?» domandò con voce apertamente ostile.
«Siamo Custodi Grigi» prese immediatamente la parola Melinor.
«Che?» brontolò l'uomo. «Mai sentiti.»
«Come sarebbe? Il nostro ordine è leggendario!» esclamò Alistair con il viso sconvolto.
«Per voi abitanti dei bassipiani, forse. A noi di Haven non importa dei vostri affari, né dei vostri ordini leggendari. Cosa volete? Come siete arrivati qui?» li interrogò squadrandoli senza ritegno. «Siete amici di quel fratello della Chiesa, ci scommetto. Sapevo che quel tizio non avrebbe portato niente di buono» commentò scuotendo la testa scocciato.
«Conoscete fratello Genitivi?» indagò Melinor, sospettosa.
«Sì, è passato di qui qualche settimana fa. Si è fermato alla bottega a fare un mucchio di domande e poi non lo abbiamo più visto.»
I Custodi e i loro accompagnatori si scambiarono una serie di sguardi dubbiosi: l'uomo era tutt'altro che amichevole, ma era fin troppo tranquillo nel parlare così apertamente di Genitivi. Probabilmente non aveva nulla a che fare con tutta quella losca faccenda, e forse c'era un gruppo ristretto dietro alla scomparsa dell'uomo.
«Potete indicarci questa bottega? Vorremmo parlare con la persona che ha conversato con il nostro amico» chiese Melinor con fare cordiale.
«Eccola là» puntò il dito su una grande baracca dall'altra parte della strada. «Ma sbrigatevi e andatevene. A noi di Haven piace starcene in pace, non ci piacciono gli abitanti dei bassipiani come voi che fanno un mucchio di domande inutili.»
I cinque annuirono e si diressero verso l'edificio. Gli sguardi curiosi e insofferenti dei pochi paesani che si vedevano in giro li seguivano come presenze inquiete. Un corvo gracchiò attraversando il cielo sopra le loro teste.
Entrarono nell'edificio, spoglio e povero: sembrava una bottega in fase di chiusura definitiva. Poche merci erano esposte nei cesti e sugli scaffali. Il padrone dell'attività li guardava fisso da dietro il bancone.
«Voi non siete di Haven» esclamò sorpreso. «Cosa volete?»
«Buongiorno anche a voi» borbottò Merevar, stufo di quegli umani maleducati.
«La guardia del villaggio ci ha mandati qui» ebbe cura di spiegare Melinor. «Dice che voi avete incontrato un forestiero di nome Genitivi. Speravo poteste rispondere a qualche domanda.»
«Oh sì, quel fratello della Chiesa» annuì con fare pensoso. «Siete suoi amici?»
«Diciamo che siamo colleghi» precisò l'elfa. «Vi ha detto qualcosa quando si è fermato qui?»
«Mi ha fatto un sacco di domande» replicò l'uomo guardando distrattamente fuori da una finestra. «Sembrava convinto di poter trovare l'Urna delle Sacre Ceneri di Andraste.» Si voltò verso il gruppo con un ghigno divertito. «Che sciocchezza, vi pare?»
D'improvviso tutte le finestre si spalancarono con un gran fragore: i cinque non fecero nemmeno in tempo a voltarsi per capire cosa stava succedendo. Ognuno di loro sentì una puntura al collo, e nel giro di pochi secondi crollarono a terra privi di sensi.


 

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Capitolo 26
*** I Discepoli di Andraste ***


Quando Merevar riaprì gli occhi era disteso sulla nuda e fredda roccia. Si mise a sedere, e subito si rese conto di essere in trappola: una gabbia squadrata e bassa al punto tale da costringerlo a stare seduto lo teneva prigioniero alla stregua di un animale. Guardandosi attorno comprese che quella gabbia era probabilmente utilizzata per gli animali: una fila di gabbie identiche alla sua si trovava proprio dall’altro lato dell’ambiente in cui si trovavano. All’interno c’erano polli, capre di montagna, conigli e qualche vacca. Merevar alzò lo sguardo verso il soffitto: sembrava che fossero finiti prigionieri in una grotta, illuminata a malapena da un paio di torce fissate alle pareti irregolari.
«Ehi» bisbigliò una voce alla sua destra. Voltandosi vide Alistair imprigionato in una gabbia identica alla sua. Subito dopo c’era Sten, sacrificato in quell’angusto spazio, e infine Melinor e Wynne. Le due maghe sembravano sofferenti.
«Melinor» esclamò l’elfo, aggrappandosi alle sbarre. «Che succede? Wynne, state bene?»
«Le hanno drogate» spiegò Alistair. «Hanno usato una pozione che stordisce i maghi al punto da impedir loro di concentrare il mana. È un rimedio antichissimo, quasi sconosciuto ormai. I templari lo conoscono perché può tornare utile in caso i loro poteri per inibire i poteri dei maghi non funzionino, ma non viene mai usato.»
Merevar guardò con apprensione la sorella, visibilmente stordita ma perfettamente in grado d’intendere e di volere. Non parlò, ma gli fece cenno di non preoccuparsi.
«Dove siamo finiti?» bisbigliò allora il Dalish, guardandosi attorno con circospezione.
«Non ne ho assolutamente idea. Siamo svenuti tutti nell’imboscata a quanto pare, io mi sono svegliato per primo ma eravamo già qui.» Scosse il capo, diviso fra la rabbia e la rassegnazione. «Ci hanno giocato proprio un bel tiro.»
«Questo è quello che accade quando si perde di vista il vero obiettivo. Il vostro obiettivo doveva essere il Flagello, non questa urna miracolosa» borbottò Sten, seccato. Nessuno se la sentì di obiettare in quel momento.
Tutti si zittirono non appena uno scalpiccio di passi in avvicinamento riecheggiò nella caverna. Gli animali nelle gabbie iniziarono a scalpitare, e lo starnazzare delle loro voci spaventate non rincuorò i prigionieri.
Un uomo in armatura di cuoio fece capolino dal tunnel che conduceva a quell’antro freddo e buio. Dopo aver scrutato in ciascuna gabbia, si voltò all’indietro. «Chiamate il Venerato Padre» gridò a qualcuno più in là.
«Venerato Padre?» si stupì Alistair.
«Non è… del tutto… nuova come cosa» sussurrò Wynne fra gli stenti, la sua lucidità ammorbata dalla pozione che aveva in corpo.
«Sì, lo so. Ho studiato la storia della Chiesa durante l’addestramento da templare, e so che un tempo anche gli uomini potevano aspirare alla carriera clericale. Ma è da centinaia d’anni che non succede più.»
«Mi sembra evidente che questo villaggio è rimasto isolato per secoli. Non sanno nemmeno chi sono i Custodi Grigi» osservò Merevar.
«Vedo che vi siete ripresi benissimo» li fece sussultare una voce. Un uomo anziano, dai lunghi capelli e barba d’argento, si stava avvicinando alle gabbie con un sorriso smagliante. «Sono il Venerato Padre Eirik. E per rispondere alle vostre domande, sì: Haven è rimasto isolato per secoli. Siamo a conoscenza delle usanze di voi abitanti delle pianure, ma restiamo fedeli al nostro culto originario.»
«Perché ci avete catturati? E che ne avete fatto di fratello Genitivi?» chiese con fare minaccioso Alistair.
«Oh, Genitivi… uno spreco, davvero. Abbiamo cercato di convertirlo, di portarlo sulla retta via… ma non ha voluto rinunciare al suo falso credo. Lo abbiamo aiutato tuttavia a redimersi, facendone un sacrificio in onore della venerata Andraste.»
«Che vuol dire che avete cercato di convertirlo?» indagò Alistair.
«Non spetta a me parlarvi di questo. Ci penserà Padre Kolgrim quando verrà il momento. La fortuna vi arride, siete capitati qui proprio al momento della schiusa» concluse con un sorrisetto. Si voltò e tornò sui suoi passi, lasciandosi i prigionieri perplessi alle spalle.
«Al momento della schiusa? Ma di che stava parlando?» borbottò Merevar.
«Non ne ho idea… e non mi piace. Temo che i paesani di Haven siano un manipolo di pazzi» mormorò l’ex templare, lo spettro del dubbio che gli faceva rizzare i peli su tutto il corpo.


Il tempo sembrava non scorrere mai in quella grotta. Presto i cinque iniziarono a sentire gli arti intorpidirsi. Per due volte un paio di uomini vennero a somministrare alle due maghe altra pozione antimagia, per assicurarsi che l’effetto restasse sempre nel pieno del suo spettro d’azione. Le due, indebolite e frastornate com’erano, non riuscirono a opporre alcuna resistenza.
Non sapevano quanto tempo era trascorso: forse quasi una giornata intera. Un gruppo di uomini armati giunse infine per farli uscire tutti dalle gabbie: li legarono con della corda robusta, stretta al punto tale da segnare i loro polsi, e li fecero marciare a passo spedito verso una destinazione a loro ignota.
Mentre camminavano si resero conto di essere all’interno della montagna: una serie di cunicoli si dipanava attraverso il monte, e qualcuno che aveva vissuto molti anni prima dei paesani vi aveva ricavato una moltitudine di spazi. A giudicare dagli elementi architettonici delle stanze che erano state finite e messe a punto in ogni dettaglio, quegli ambienti erano lì da parecchi secoli: passarono davanti ad ambienti abitativi di vario genere, a biblioteche, e a molte altre porte chiuse che restarono un mistero.
A un certo tratto del percorso, si ritrovarono a camminare in salita: Melinor, con la testa che le girava a causa della pozione antimagia, si guardava comunque attorno con sguardo vigile. Lava? comprese guardando la pietra scura e porosa su cui poggiavano i suoi piedi. Stavano procedendo verso l’alto lungo quella che era probabilmente una colata lavica di moltissimi secoli addietro, forse millenni. Questa montagna doveva essere un vulcano dedusse, sperando fosse inattivo.
Dopo quasi mezz’ora passata a camminare, l’ambiente si aprì: davanti ai loro occhi sbalorditi c’era una grande grotta in cui era stato allestito un piccolo tempio con panche, altare, candele e tutto il resto. Ma non furono quelli i dettagli a farli restare di sasso.
Al centro della caverna era stato allestito quello sembrava un cerchio rituale: un cerchio delimitato da enormi uova, alte quanto Melinor stessa. I prigionieri vennero portati proprio al centro del cerchio, li costrinsero a mettersi in ginocchio e furono lasciati lì, sorvegliati a distanza da numerose sentinelle.
«Ecco cosa intendeva quel tipo con “schiusa”» bisbigliò nervosamente Merevar.
«Non so se voglio sapere cosa sta per uscire da lì» deglutì Alistair.
«Ataashi» rispose Sten nella sua lingua madre. Quando gli altri lo guardarono con aria interrogativa, indicò un punto della grotta con un cenno del mento. «Draghi.»
Gli occhi di tutti si posarono su quattro draghi grossi come elefanti acquattati in un angolo. I loro carcerieri, tuttavia, vi passavano davanti  come se nulla fosse e i draghi non sembravano ostili.
«Non ci posso credere! Questi qua allevano draghi?» bisbigliò Alistair con voce più stridula di quanto gli piacesse ammettere. Merevar, per evitare di imitarlo, se ne restò zitto.
Dopo una decina di minuti una piccola processione di uomini fece il suo ingresso nella grotta: uno di loro era il Venerato Padre che avevano già incontrato. In testa al gruppo c’era un uomo vestito in armatura, dalla pelle abbronzata e dai capelli scuri. Una corta barba nera gli incorniciava il viso, facendo risaltare il suo sorriso sprezzante. Tutta la parata si sistemò al di fuori del cerchio, mentre solo quello che sembrava il loro leader entrò.
«Bene bene» disse l’uomo, allargando le braccia come per dare loro il benvenuto. «E così altri abitanti delle pianure sono giunti ad Haven. Altri prima di voi sono arrivati, in queste settimane; ma ahimè, non era il momento giusto e abbiamo dovuto eliminarli dopo che si sono rifiutati d’imboccare il sentiero della vera Andraste. Voi siete stati più fortunati: anche se doveste rifiutare di seguire la via, la vostra fine sarà comunque un tributo alla gloriosa Andraste!» esclamò come se stesse facendo un sermone. Poi si fece serio. «Mi dicono che siete Custodi Grigi. I miei uomini non sanno più chi siete ormai, solo i nostri studiosi conoscono le cose del mondo esterno. Prima che le uova si schiudano, voglio darvi una possibilità e parlare. Chi di voi è il capo?»
Melinor alzò una mano, gli occhi socchiusi nel tentativo di mettere a fuoco con la vista traballante che si ritrovava al momento.
«Oh, l’elfa? Non lo avrei mai pensato.» L’uomo fece un cenno con la mano, e il Venerato Padre lo raggiunse. «Ti prego, Eirik: usa la tua magia curativa su di lei il tanto che basta a lasciarla parlare senza fatica.»
Sotto gli occhi esterrefatti di Wynne e Alistair, il Venerato Padre evocò la magia su Melinor: un Venerato Padre e per giunta un mago? Nella Chiesa odierna una cosa simile non sarebbe mai stata permessa.
«Puoi parlare ora?» chiese allora il capo della strana comunità a Melinor.
«Sì.»
«Bene, allora lascia che mi presenti: io sono Padre Kolgrim, pastore di questo gregge. E tu sei…?»
«Melinor, dei Custodi Grigi.»
«E posso chiederti cosa vogliono i Custodi Grigi da noi di Haven? Mi dicono che cercavate anche voi l’urna delle Sacre Ceneri» si fece sospettoso l’uomo.
«Ci serve per curare un Arle. C’è un Flagello in corso, e ci serve l’aiuto di quest’uomo per vincere» sintetizzò l’elfa.
«Oh, cribbio… un brutto affare davvero. Un Flagello non è un bene nemmeno per noi di Haven» considerò Kolgrim, iniziando ad attorcigliare la barba attorno al suo indice. «Tuttavia dubito che la prole oscura oserebbe avvicinarsi alla nostra montagna, con Andraste che la protegge. In fondo Andraste rassomiglia al loro arcidemone, sono entrambi Dei rinchiusi in un corpo draconico.»
Melinor lo guardò accigliata. «Ma di cosa state parlando?»
«Oh, scusatemi: voi non lo sapete. Voi delle pianure credete ancora nel vecchio mito di Andraste, morta sul rogo per mano dell’impero Tevinter e ascesa al cielo come sposa del Creatore» recitò con fare annoiato e derisorio Kolgrim. «Non sapete la verità. Ma oggi io intendo farvi dono proprio di questo: vi offro la possibilità di diventare Discepoli di Andraste ed entrare a far parte della nostra comunità.»
Melinor era sempre più esterrefatta, proprio come i suoi compagni accanto a lei. «E così voi sareste… i Discepoli di Andraste?» mantenne la calma, tentando di scoprire di più per trovare una scappatoia a quella brutta situazione.
«Proprio così. Noi veneriamo la nuova Andraste, tornata a noi in una forma migliore, non più una debole umana! Nessuno potrebbe tradirla e bruciarla viva ora, sarebbe lei a mettere sul rogo gli infedeli!»
Melinor si guardò rapidamente attorno, sconcertata e inquietata dal farneticare dell’uomo mentre comprendeva ciò a cui stava alludendo. «Intendete dire che Andraste ora è un drago?»
«Esatto!» esclamò Kolgrim in preda all’esaltazione. «E ora offro a voi la possibilità di unirvi a noi.» Chiamò uno dei suoi uomini, che portò un calice; Kolgrim lo prese e si avvicinò all’elfa, abbassandosi per lasciarle vedere il contenuto. L’elfa si ritrasse appena. «Non inorridire, poiché questa è la cosa più sacra su cui tu abbia mai posato gli occhi. Questo è il sangue di Andraste! Lei ci lascia bere il suo sangue, rendendoci più forti e immuni alle malattie. Per questo noi alleviamo la sua stirpe: è un equo scambio per avere il suo favore divino.»
Melinor lo fissò senza proferire parola: ormai era certa che su quella montagna vivesse una femmina di drago, ovvero un alto drago. Le femmine erano dominanti tra i draghi, ed erano assai più grandi dei maschi. Sapeva grazie alla conoscenza trasmessale dalla Guardiana che bere sangue di alto drago apportava notevoli vantaggi fisici ai mortali: probabilmente l’ignoranza di quella gente li aveva spinti a credere che il drago fosse sacro per questo motivo. Il fanatismo aveva determinato tutto il resto, e chissà da quanti secoli andava avanti così. Lanciò una fugace occhiata ai suoi compagni, basiti quanto lei; cercò di dir loro di lasciarla fare, e le parve che avessero afferrato.
«Ma se Andraste è risorta, che ne è stato delle ceneri?» indagò.
«Bah, le ceneri» esclamò Kolgrim con sommo disprezzo. «Le ceneri del suo vecchio corpo non sono altro che un ostacolo alla nuova forma di Andraste, un limite alla sua odierna grandezza!»
La speranza brillò nelle iridi dell’elfa. «Quindi esistono? Sono davvero qui?»
«Sì, sono nel tempio antico qui fuori» accennò con la testa in direzione di un grande portone metallico che dava probabilmente sull’esterno. La guardò con un sorrisetto astuto. «E, a tal proposito… se deciderete di accettare la nostra proposta, potrete vederle di persona.»
Tutti loro sussultarono internamente: stava funzionando.
«Perché vorreste offrire a noi un tale privilegio?» tornò a parlare Melinor, misurando accuratamente le parole; e sembrò aver indovinato, a giudicare dal sorriso soddisfatto che comparve sul viso del suo interlocutore.
«Perché siamo gente di buon cuore. Non crederete che ci piaccia ammazzare i viandanti» spiegò con fare contrito. «Offriamo a tutti la possibilità di redimersi, ma in caso di rifiuto… dobbiamo fare quel che è necessario affinché il nostro segreto non venga divulgato.»
«Capisco. E va bene» disse Melinor con la sua ben nota diplomazia, «se noi accettassimo la vostra offerta, se decidessimo di diventare Discepoli di Andraste… ci lascereste andare?»
Kolgrim si fece pensieroso. «Normalmente no, i Discepoli vivono qui per servire Andraste. Ma voi siete Custodi Grigi, il che potrebbe metterci in una posizione scomoda» considerò. «Altri del vostro ordine verrebbero a cercarvi, e c’è già stato troppo via vai ultimamente. Quindi sì, vi lasceremmo andare in via del tutto eccezionale; per questo ho già pensato a come potreste sdebitarvi anticipatamente, rendendo un servigio ad Andraste in persona e diventando suoi Campioni.»
«Cosa dovremmo fare?»
«C’è un guardiano posto a vegliare alle porte del tempio antico dove riposano le ceneri della prima Andraste. Una sorta di spirito immortale che lascia passare soltanto i pellegrini mossi da nobili intenti. Quel vecchio fantasma ci conosce, e non ci lascia nemmeno avvicinare… ma non conosce voi» spiegò, mentre il suo sorriso si faceva diabolico. «Dovreste fare una cosa semplice» disse, allungando verso di loro il calice colmo di sangue di drago. «Dovrete superare le prove lungo il sentiero del pellegrino, raggiungere le ceneri… e versarci sopra il sangue della nuova Andraste, in modo che possa liberarsi dallo spettro del suo debole passato e risorgere una volta per tutte!»
Melinor non riuscì a nascondere la sua incredulità. Quella gente non poteva davvero credere a una simile accozzaglia di fesserie; lei era una maga, e sapeva che nulla del genere era possibile. Versando il sangue sulle ceneri, l’unico risultato sarebbe stato di contaminarle e veder sparire qualsiasi potere in esse celato.
«Ma… ma le ceneri ci servono per curare l’Arle di Redcliffe» obiettò mantenendosi accorta e cordiale.
«Non vi servirà un mucchietto di polvere se la gloriosa Andraste risorgerà! Ci penserà lei a curare il vostro uomo!» esclamò in preda all’esaltazione Kolgrim.
«Melinor» bisbigliò Alistair nel vano tentativo di non farsi sentire da Kolgrim. «Non possiamo fare una cosa del genere!»
«Oh, è una vostra decisione» disse Kolgrim incrociando le braccia sul petto. «Farete comunque una fine gloriosa: se rifiuterete, diverrete il primo pasto della prole di Andraste. Un sacrificio di sangue alla suprema! Le uova si schiuderanno a breve, quindi fareste meglio a decidervi in fretta.»
Un rantolo riecheggiò nella caverna, seguito dal clangore metallico di armi contro armature; poi un altro, e un altro ancora. Kolgrim si girò, imitato dai suoi prigionieri: tutti rimasero interdetti di fronte allo spettacolo che si stava svolgendo dietro di loro.
Gli uomini di Kolgrim si stavano massacrando l’un l’altro, i volti deturpati dall’orrore: si muovevano come burattini mossi da fili invisibili, uccidendosi a vicenda mentre rivoli di sangue iniziavano a scorrere risvegliando gli istinti dei dragoni acquattati negli angoli della caverna.
E poi le videro, quattro luci rosse sul fondo della grande caverna avanzavano. Due figure femminili avvolte dal sangue, che fluttuava attorno a loro alla stregua di suadenti veli cremisi. I loro occhi brillavano nella penombra, accesi da quella magia contorta:  più uomini cadevano, più loro si facevano potenti, più la danza dei loro veli si faceva terribile.
«No… non ci credo…» mormorò Wynne.
Hawke e Morrigan avanzavano dirigendo lo spettacolo di morte tutt’attorno a loro. Alistair era inorridito, Sten era inquieto; Merevar e Melinor la stavano prendendo un po’ meglio, ma erano altrettanto scioccati. Le due stavano usando la magia del sangue per aizzare i Discepoli di Andraste l’uno contro l’altro.
«No!» gridò padre Kolgrim, lanciandosi nella mischia e mischiandosi a quel girone infernale di uomini senza più una loro volontà.
«Siamo qui» li sorprese una voce alle spalle. Leliana e Zevran accorsero in loro aiuto per liberarli.
Wynne guardava Leliana con espressione smarrita. «Leliana…»
«Non ora, Wynne» la interruppe immediatamente l’altra, pur senza celare un certo grado di nervosismo. «Ne parleremo quando saremo tutti al sicuro. Potete combattere?»
«Non noi» replicò Melinor massaggiandosi i polsi dopo esser stata liberata da Zevran. «Ci hanno drogate, siamo inoffensive.»
«Non importa, chi può combattere non farà che accelerare l’inevitabile» disse Leliana, spostando lo sguardo su Hawke e Morrigan. Era inquietata. «Possono cavarsela benissimo anche da sole.»
Era uno spettacolo atroce, non dissimile da ciò che avevano visto alla torre del Circolo: mancavano i demoni e gli abomini, ma il macello tutt’attorno e la pesantezza nell’aria era la stessa. Hawke e Morrigan avevano un che di surreale, meravigliose e orrende allo stesso tempo, potenti della forza del sangue e dell’intrinseco potere vitale in esso racchiuso. Gli uomini cadevano vittime della volontà delle due con la stessa facilità di falene attirate verso le fiamme: impotenti, incapaci di riappropriarsi della loro volontà, si massacravano a vicenda. Sangue, sempre più sangue: e le due maghe si facevano sempre più forti e inarrestabili.
Dopo un’iniziale riluttanza, gli altri si decisero a combattere incitati da Zevran e Leliana: si disfarono dei dragoni, supportati dai pochi uomini ancora in vita controllati da Morrigan e Hawke. Quando l’ultimo dragone cadde, Morrigan strinse il suo pugno insanguinato: tutti i discepoli di Andraste rimasti in piedi caddero nello stesso istante.
Nessuno si mosse né parlò per diversi istanti; Morrigan se ne stava in piedi tranquilla come se tutto fosse perfettamente normale, ma lo stesso non si poteva dire di Hawke. Era immobile, il bastone puntato a terra, pronta a lasciarsi travolgere dalla tempesta imminente.
Wynne tremava in disparte, Melinor al suo fianco che l’aiutava a rimettersi in piedi. «Non posso crederci… come… come avete potuto» biascicò la donna, incapace d’incollerirsi a causa della droga che aveva in corpo. Ora appariva davvero come una fragile vecchina. «Dopo quello che avete visto al Circolo, come avete potuto fare questo…»
Al suo fianco, Melinor serrò le labbra; uno sguardo volò dritto a Hawke senza nemmeno sfiorare Morrigan. Tutti se l’aspettavano da Morrigan, e lei non aveva mai negato di conoscere e di aver utilizzato sporadicamente la magia del sangue quando necessario. Ma non Hawke. Nell’incontrare gli occhi dell’elfa non resse: dovette guardare da un lato.
«Seriamente, Hawke? Magia del sangue?»
Alistair era furioso: s’incamminò a grandi falcate verso la ragazza, facendo partire schizzi di sangue ovunque. Appena si fermò di fronte a lei, uno schizzo la colpì dritta in faccia; lei chiuse gli occhi di riflesso.
«Non me lo sarei mai aspettato da te» rincarò la dose l’ex templare. «Almeno di Morrigan lo sapevamo, non avrei mai creduto di poter dire una cosa simile ma… almeno lei è stata onesta sin dall’inizio, ma tu… tu ce l’hai nascosto per tutto questo tempo!»
«Ed ecco il ringraziamento per aver salvato a tutti la pelle» sospirò Morrigan, piazzando le mani sui fianchi. «Visto, Hawke? Te l’avevo detto.»
«Scommetto che è stata una tua idea, vero?» si voltò ad accusarla il ragazzo. Quella sorrise con fare sinistro.
«Sono stata io a insistere. Lei ha detto che non voleva causare storie.»
Alistair tornò a fissare Hawke dopo aver udito le sue parole: la ragazza sosteneva il di lui sguardo con determinazione, senza alcun rimorso negli occhi. Lui rimase a bocca aperta, scuotendo impercettibilmente il capo.
«Sei… sei una maga del sangue, e per tutto questo tempo non ci hai detto niente?!»
«Disse il sincerissimo erede di Re Maric!» rimbrottò lei, alzando la voce a sua volta.
«Essere figlio di un re non mi rende pericoloso come un mago del sangue! Non paragonare la mia menzogna alla tua, non ti permettere!» gridò lui alzando le braccia al cielo.
«Io non sono pericolosa, e non sono una maga del sangue!» fece un passo in avanti lei, arrivando a un pelo dal suo naso. Era stanca e provata, ed estremamente arrabbiata.
Alistair rimase ancora una volta senza parole. Si voltò, dirigendosi a grandi passi in mezzo alla moltitudine di corpi morti dalle espressioni ancora stravolte, e Zevran si scansò con disgusto al suo passaggio per evitare gli schizzi di sangue. L’umano tornò a guardare Hawke con le braccia allargate, come a voler mostrare tutto quel raccapricciante agglomerato di morte. «Non sei una maga del sangue, eh? E tutto questo come lo chiami?»
«Lo chiamo “salvare il tuo regale deretano”!» urlò Hawke, ormai del tutto fuori di sé. Morrigan, a pochi passi da lei, la guardava impressionata e con ammirazione. «Tu non hai idea di cosa abbiamo dovuto passare per arrivare fin qui! Abbiamo attraversato tutta la montagna, piena zeppa di questi invasati adoratori di draghi! Queste persone non sono facili da abbattere con mezzi normali, sono più forti, più resistenti! Bevono sangue di drago per merenda, dannazione!»
Tutti ascoltavano in silenzio. Melinor e Merevar, sulla stessa lunghezza d’onda, iniziarono a provare pena per Hawke. Era chiaro che non le era piaciuto dover usare la magia del sangue, ma aveva fatto quel che era stato necessario; e ora voleva soltanto essere capita.
«Sarebbe stato impossibile arrivare fino a voi senza magia del sangue» continuò la ragazza, esausta. «Noi eravamo in quattro contro centinaia di questi pazzi!»
«Tipico di voi maghi eretici senza educazione» disse a fatica Wynne, avanzando di qualche passo. «Usate sempre quella scusa: “non c’era altro modo”. C’è sempre un altro modo, un’altra via! Ma voi scegliete sempre quella del sangue!»
«Non sono una maga del sangue!» ribadì ancora Hawke, la sua voce ormai quasi un ruggito. «Non l’ho mai usata prima d’ora! Mio padre mi ha solo insegnato come funziona, per precauzione!»
Alistair rise. «Per precauzione! La magia del sangue una precauzione!» la schernì fra le risate isteriche.
Hawke non ci vide più: in un attimo gli fu addosso. Spiazzato, lui si lasciò sbilanciare e se la ritrovò di sopra con le mani al collo.
«Smettila di giudicare» sibilò fra i denti, gli occhi come coltelli. «Se la gente non fosse piena di pregiudizi come te, i maghi liberi non sarebbero costretti a dover imparare certe cose per difendersi.»
Alistair alzò solo la testa per avvicinarsi al volto di Hawke e la guardò con strafottente aria di sfida. «In questo momento stai solo dimostrando che i maghi non dovrebbero essere liberi.»
Hawke sembrò sul punto di esplodere.
«Hawke» le arrivò alle spalle Merevar, prendendola delicatamente per un braccio. «Adesso calmati.»
«Lasciami stare» lo strattonò lei, astiosa.
«Andiamo, Hawke!» la prese di peso lui, fulmineo, infilandole le braccia sotto alle ascelle e togliendola da Alistair senza quasi che se ne rendesse conto. La rimise in piedi e subito le parò entrambe le mani in avanti come a volerla calmare. «Io sono dalla tua parte!»
La ragazza parve stupita; si calmò all’istante.
«Cosa?» esclamò Alistair, guardando malamento l’elfo mentre si rimetteva seduto.
«Ci ha salvato la pelle, amico! Ma vuoi aprire un po’ quegli occhi ottusi da templare?»
«C’è modo e modo di fare le cose, Merevar» s’inserì nuovamente Wynne, avvicinatasi al fulcro della discussione.
«Scusatemi se lo dico, ma… sarebbe stato davvero impossibile farcela senza la loro… particolare magia» si fece avanti timidamente Leliana, ben attenta a come parlava.
«Leliana… non anche tu» la squadrò Wynne. «Tu sei una sorella della Chiesa, non puoi davvero approvare… questo!» indicò la pozza di sangue sotto ai loro piedi.
Morrigan rise di gusto. «Ma fammi il piacere. Lei ci sguazzava in questo, prima di mettersi a cantare canzoni in una chiesa!»
«Sì, ci sguazzavo. E allora? Ho compreso i miei peccati e ho cercato di porvi rimedio mettendomi al servizio del Creatore!» le rispose finalmente indietro la rossa, stanca di ingoiare rospi in silenzio. «Ma sono ancora in grado di discernere» tornò a rivolgersi a Wynne, «non lascio che la mia fede diventi ottenebrante. E oggettivamente non avremmo avuto alcuna possibilità di farcela. Zevran ve lo può confermare.»
«E io ci sguazzavo più di lei» ammise senza problemi l’ex Corvo di Antiva. «Saremmo stati spacciati senza queste due… inquietanti incantatrici» ridacchiò, lasciando intendere che per lui la magia del sangue non era poi un grande problema.
«Non approvo la magia del sangue, e nemmeno Hawke. Non ha scelto di usarla a cuor leggero, ve lo posso garantire» tornò a parlare a tutti Leliana; «Ma davvero, abbiamo dovuto scegliere. La magia del sangue o le vite di noi tutti.»
«Adesso basta.»
Melinor si fece avanti, attirando su di sé gli occhi di tutti. «Siamo sani e salvi. Non importa come siamo arrivati a questo risultato.»
«Non puoi davvero crederlo» mormorò Wynne. «Tu sei una maga, un’ottima maga! Conosci il prezzo che…»
«Anche i Dalish studiano la magia del sangue» la zittì Melinor. «Proprio come ha fatto Hawke. La studiamo, ma non la usiamo se non in casi estremi. Non è la magia in sé il problema, è come si sceglie di usarla. Diventa un problema quando se ne fa un uso abusivo o malvagio. E non mi sembra il caso né di Morrigan, né di Hawke. Quindi la faccenda è chiusa, e faremmo meglio a riflettere tutti quanti sulle cattiverie che sono volate qui dentro» passò in rassegna Alistair, Hawke e Wynne. «Adesso siamo tutti stanchi e provati, ma confido che quando vi sarete dati una sistemata capirete quanto stupida sia stata questa lite.»
«Se avete finito con la vostra morale, avremmo un problema urgente da risolvere.»
Tutti si voltarono verso Sten, il quale stava guardando le uova di drago disposte in circolo poco più in là. Iniziavano a formarsi le prime crepe sui gusci.
«La mia magia è ancora inibita» sospirò Melinor, tentando invano di evocarla e sentendola morire sul nascere. Guardò Morrigan e Hawke. «Potete pensarci voi?»
«Faccio io» partì a grandi falcate Hawke, mentre Morrigan la lasciava passare con le mani alzate e un’espressione divertita e ammaliata al contempo. Hawke si piazzò appena fuori dal cerchio e puntò il bastone in avanti: un fiume di fuoco investì le uova, riducendole a un anello luminoso e ardente. Si poteva quasi sentire lo stridio delle creature intrappolate al loro interno, mentre Hawke sfogava visibilmente la sua rabbia proiettandola su quel fiotto continuo di distruzione. Quando ebbe terminato, solo un mucchio di cenere puzzolente e odore di carne bruciata rimasero in memoria dei draghi mai nati.
«Fatto» sbottò secca Hawke, rimettendosi il bastone in spalla.
Stava camminando verso Melinor quando dei colpi fragorosi rimbombarono sonoramente. Tutti si voltarono verso il portone chiuso in fondo alla grande caverna. I colpi continuavano a un ritmo incalzante, finché un ruggito furioso e la porta metallica diventata di colpo incandescente non tradirono l’identità dell’ignoto visitatore.
«Oh-oh» tremò la voce di Morrigan. «Temo che la mamma sia venuta a controllare cos’è successo ai suoi bambini.»

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Capitolo 27
*** L'Alto Drago ***


Tutti sudavano freddo nel fissare il portone incandescente mentre si accartocciava come un foglio sulla brace: in pochi minuti la bestia aveva abbattuto il portone, e la parete che dava sul versante esterno della montagna era collassata su sé stessa. L'alto drago si ergeva innanzi a loro in tutta la sua furia, ruggendo di rabbia mentre le sue narici fumanti odoravano il puzzo di morte dei suoi cuccioli e dei suoi discepoli.
«Oh, fantastico... non ditemi che dobbiamo affrontare questa cosa, ora» deglutì Zevran, le mani esitanti che cercavano le impugnature delle sue spade corte. Accanto a lui, Merevar tese la mascella.
«Abbiamo forse altra scelta?» disse con gli occhi fissi sul drago in avvicinamento.
«Voi mettetevi al riparo» disse Alistair a Melinor e Wynne, facendo segno con lo scudo d'indietreggiare mentre teneva gli occhi fissi sulla bestia.
«Alistair» esclamò Melinor, afferrando il braccio di lui coperto dal metallo dell'armatura; il ragazzo si voltò e i loro occhi impauriti s'incontrarono. Avevano entrambi paura. Tutti loro avevano paura: affrontare un alto drago non era affatto una cosa da poco.
«Vediamola come una prova» cercò di sdrammatizzare Alistair, un lieve tremolio nella sua voce che si sforzava di risultare spiritosa come suo solito. «Se vogliamo avere qualche possibilità contro l'arcidemone dobbiamo riuscire ad ammazzare questa bestia, prima.»
Melinor fece per rispondere, ma la mano di Wynne che afferrava delicatamente il suo gomito l'interruppe.
«Andiamo, Melinor... mettiamoci al riparo. Purtroppo non c'è nulla che possiamo fare senza la nostra magia.»
Suo malgrado, Melinor lasciò il braccio di Alistair e si lasciò trascinare da Wynne verso una piccola rientranza nella grotta. Lo guardò mentre si allontanava per raggiungere gli altri: i suoi occhi verdi incrociarono quelli di Merevar e la sua apprensione non fece che aumentare. Avrebbe voluto poter combattere con loro, detestava essere impotente proprio nel momento in cui c'era più bisogno di lei.
Leliana teneva il suo arco puntato sulla creatura furiosa davanti a sé.
«Cerchiamo di mantenere la calma» disse agli altri, tradendo la sua stessa agitazione. «Dobbiamo essere furbi se vogliamo abbattere questo drago.»
Nessuno rispose: tutti sapevano cosa fare. Gli uomini si fecero avanti, mentre le donne restavano indietro per colpire a distanza. Sten, in testa al loro minuscolo plotone di fanteria, sguainò il suo spadone.
«I Custodi Grigi insegnano che il modo più rapido per uccidere un drago è infilzarlo tra il collo e la testa» disse Alistair. «È il loro unico punto debole, porta dritto al cervello; muoiono all'istante.»
«Oh, facilissimo. Dobbiamo solo riuscire ad arrampicarci fin sopra alla sua testa, che sarà mai?» ironizzò Zevran.
«Dobbiamo prima indebolirlo» osservò Merevar, la sua preparazione come cacciatore dalish che guidava le sue parole.
«Allora sbrighiamoci» esclamò Sten. Senza attendere oltre, con un grido di guerra si lanciò alla carica: gli altri dietro di lui seguirono il suo esempio, mentre le due maghe e Leliana iniziavano a sostenerli da lontano.
Mentre Sten e Alistair tenevano occupato il drago sul davanti, Merevar e Zevran s'insinuavano rapidi come ombre tra le sue enormi zampe, tentando di colpirlo al basso ventre: ma si rivelò tutt'altro che semplice. La creatura era intelligente, e non dava loro modo di restare sotto di lei a lungo. Scalciava e si alzava sulle zampe posteriori per scacciarli a suon di zampate, che i due elfi erano costretti a evitare con agili e provvidenziali balzi.
«Maledizione, non sta ferma un secondo» imprecò Leliana dalla sua posizione. «Morrigan, Hawke! Cercate di colpire gli occhi!»
«Fosse facile» commentò Hawke poco più in là. L'alto drago riusciva incredibilmente a evitare tutti i loro colpi. Le tre cecchine iniziarono a colpire a raffica da lontano, sperando che uno dei loro attacchi andasse a segno mentre gli uomini tenevano la bestia impegnata; ma non riuscirono nel loro intento. Spazientito dalla raffica di frecce e magia scagliatagli contro, il drago ruggì e si levò in volo: sotto gli occhi sconvolti di tutti, spalancò le fauci puntandole verso il soffitto della grotta. Un fiume di fiamme colpì le rocce, che iniziarono a franare.
«Morrigan!» gridò Hawke alla strega, la quale non si fece pregare: insieme alla rossa evocò su ognuno dei presenti una barriera protettiva. Le rocce rimbalzarono contro le invisibili cupole d'energia che circondavano tutti loro: quando il crollo terminò, la luce del giorno filtrava attraverso il soffitto ora completamente sventrato.
Senza farsi attendere, il drago piombò nuovamente su di loro sollevando una nuvola di polvere. Con tutte le macerie che ricoprivano il pavimento, per i combattenti era diventato molto più difficile muoversi con agilità: come se ciò non bastasse, il drago sfruttava a proprio vantaggio le rocce franate, scagliandole a destra e a manca con rapidi colpi di coda. Tutti erano costretti a interrompere i loro attacchi per evitare i proiettili sparati dall'alto drago, intervallati dal suo soffio di fuoco che faceva ribollire il sangue dei guerrieri all'interno delle loro armature surriscaldate.
«Così non risolviamo niente, finirà per esaurirci!» brontolò Hawke; poi ebbe un'idea. «Ora vediamo quanto sono intelligenti questi alti draghi.»
Schizzò via come una scheggia.
«Dove stai andando? Ti farai uccidere!» le gridò dietro Leliana.
«Voi pensate a colpire forte al momento giusto!» gridò a sua volta la ragazza.
Alistair e Sten si sorpresero nel trovarsela accanto.
«Che ci fai qui? Stai lontana, è pericoloso!» gridò Alistair, impegnato a evitare i morsi della bestia.
«So quel che faccio» ribatté la ragazza: senza attendere oltre, evocò il suo fuoco magico e lo scagliò dritto sul muso della creatura sopra di sé. Come previsto, quella la guardò senza battere ciglio: usare il fuoco contro un alto drago era una mossa completamente inutile.
«Oh, che strano» esclamò la ragazza con fare inappropriatamente sarcastico. «Con te non ha funzionato... eppure ho arrostito per bene le tue uova proprio con questo fuoco» disse, evocando una fiammella nella sua mano sinistra. Il drago parve comprendere le sue parole, perché sollevò di scatto la testa e drizzò il collo come se fosse sorpreso; Hawke sorrise. «Sì, sono stata proprio io» disse, e sotto gli sguardi sbalorditi dei suoi compagni evocò su di sé una barriera protettiva e prese a correre verso ciò che restava del portone metallico che dava sull'esterno.
Il drago, infuriato, la seguì lasciandosi alle spalle tutto il resto. Aveva perso ogni interesse negli altri: ciò che voleva ora era solo Hawke. Gli altri sussultarono nel vedere la ragazza sparire nel fiume di fuoco lanciatole contro dalla bestia, ma poi la videro sbucare fuori sana e salva, la sua barriera indebolita ma ancora intatta.
«Sta cercando di attirarlo fuori... così non potrà più lanciarci contro le rocce» dedusse Merevar, impressionato.
«Ha in mente qualcosa» disse Leliana, raggiungendo gli uomini insieme a Morrigan. «Forza, raggiungiamola! Ha detto di tenerci pronti a colpire quando sarà il momento giusto!»
Tutti corsero seguendo la scia di Hawke e dell'alto drago. Queste ultime, nel frattempo, erano ormai arrivate fuori: il drago aveva spiccato il volo parandosi davanti a Hawke, impedendole ogni via di fuga. Ma la ragazza non parve spaventata, anzi: sghignazzò con soddisfazione.
«Sei intelligente, in un certo senso... ma rimani sempre più stupida di un essere umano, cara mamma drago» commentò. Con la coda dell'occhio vide gli altri correre verso di lei. Non ebbe bisogno d'altro: aveva fiducia nei suoi compagni. Dissolse la barriera protettiva, le serviva fino all'ultima goccia di mana per compiere la sua mossa: allargò braccia e gambe, i suoi capelli rossi iniziarono a volare attorno al suo viso mentre una luce azzurrina l'avvolgeva. Fu allora che Morrigan, alle sue spalle, ebbe tutto chiaro.
«Quell'incantesimo... è quello del ghiaccio perenne» comprese. L'aveva vista lanciarlo sull'arle di Redcliffe. «Vuole lanciarlo sul drago... un comune incantesimo di ghiaccio non avrebbe effetto, ma quel ghiaccio non è normale. Contro il fuoco del drago sarà tutt'altro che perenne, ma ci farà guadagnare un po' di tempo.»
«Capisco» disse Leliana al suo fianco, gli occhi fissi su Hawke. «Ma da quel che ho capito quell'incantesimo è complesso, richiede molta energia...»
Morrigan annuì. «Sicuramente Hawke ha un piano ben preciso, ma evocare il ghiaccio le richiederà tempo. È adesso che dobbiamo coprirla.»
Nessuno ebbe bisogno di pensarci su: i quattro uomini scattarono in avanti, tornando ad accerchiare il drago mentre Hawke a pochi passi da loro era concentrata a raccogliere le ultime energie che aveva in corpo.
Leliana e Morrigan scagliavano colpi a profusione.
«Le ali!» gridò Merevar, indirizzando le sue parole a Zevran e alle due cecchine lontane. «Dobbiamo impedire che possa volare di nuovo!»
Nessuno se lo fece ripetere due volte: Alistair e Sten sapevano di dover restare nella loro posizione per coprire Hawke, ma gli altri iniziarono a infierire sulle ali del drago. Zevran riuscì a lacerare l'ala sinistra, facendo ruggire di dolore la creatura; mentre il drago si voltava verso l'antivano, Merevar ne approfittò per colpire l'altra ala. Leliana conficcava frecce nelle articolazioni di entrambe le ali per impedirne il movimento.
«Fatelo voltare verso di me!»
Le parole di Hawke catturarono l'attenzione generale: i due elfi si affrettarono a correre verso di lei, conducendo l'attenzione del drago sulla ragazza. Appena le furono a fianco, Hawke riaprì gli occhi: protese le braccia in avanti e dal suo bastone partì un fiotto di luce che andò a colpire il muso della creatura. Enormi cristalli di ghiaccio iniziarono a crescere, andando a offuscare la vista del drago e fagocitando la sua testa per intero: non poteva più vedere né sputare fuoco. Hawke crollò sulle ginocchia, esausta e svuotata di ogni potere.
«Presto» ansimò, «quel ghiaccio è perenne solo se nessuno lo disturba... e il fuoco di un drago lo disturberà eccome.»
Il drago si dimenava, impazzito di rabbia, mentre il fuoco spingeva per sgorgare dalla sua gola, bloccato all'interno dal ghiaccio di Hawke. Il gruppo si lanciò nuovamente all'attacco, ma anche così non era semplice abbattere quella creatura: si agitava in preda alla sua cieca furia, impedendo loro di raggiungere il punto debole alla base del suo collo.
«Dobbiamo azzopparlo!» gridò Sten. «Tutti con me, dobbiamo attaccare insieme lo stesso punto!»
Seguendo la sua guida, tutti presero ad accanirsi contro la zampa posteriore destra: il drago cieco non riusciva ad afferrarli con le zampe anteriori, scalciava e si dimenava, ma dopo diversi minuti di lotta il gruppo riuscì ad azzopparlo. Fecero lo stesso con l'altra zampa posteriore, costringendo il drago a restare a terra.
«Presto! Il ghiaccio inizia a cedere!» incitò Hawke, rimasta sul davanti a controllare.
«Ci penso io» gridò Sten. Con un'agilità sorprendente per uno della sua stazza, si arrampicò sul dorso del drago e rapido si portò fino alla base del suo collo. Gli risultò assai difficile raggiungere la base della testa, tuttavia: la bestia si dimenava a più non posso nel tentativo di sbalzarlo via.
«Voi due, con me!» urlò Merevar a Zevran e Alistair. I due, imitando ogni movimento del dalish, si portarono su uno dei fianchi del drago. «Ora, insieme: affondare e poi correre!» li istruì rapidamente Merevar. «Adesso!»
Cinque lame infilzarono il drago, e subito dopo sventrarono il suo robusto addome mentre i tre correvano in avanti verso la testa della creatura. Il dolore la distrasse, come previsto da Merevar: mentre il suo ruggito di dolore usciva attutito dal ghiaccio di Hawke, il suo collo si drizzò verso l'alto. Sten, saldamente aggrappatovi con le gambe, non perse l'occasione: risalì rapidamente aiutandosi con le spine sul collo della bestia, e infine il suo spadone affondò nel punto indicatogli da Alistair. Improvvisamente, ogni movimento cessò: la testa del drago cadde verso il basso, sbattendo a terra con fragore mentre il corpo cessava di vivere. Sten rotolò a terra, ammaccato ma ancora integro.
Tutti restarono nei loro posti, chi era ancora in piedi si accasciò al suolo: ansimavano, gli occhi fissi sull'enorme cadavere coperto di scaglie. Non potevano credere di avercela fatta davvero. Gli ci vollero diversi minuti per realizzare che era finita. Erano sfiniti e non riuscivano a capacitarsi del fatto di essere ancora tutti vivi.
«Aiutatemi!»
Una voce li fece voltare: videro Wynne, zoppicante, sbracciarsi sulla soglia di ciò che restava del tempio dei Discepoli di Andraste. «Presto, venite! Melinor è intrappolata!»
Merevar schizzò via immediatamente, seguito a ruota da Alistair; erano contusi e feriti, ma non importava. Gli altri li seguirono pressandosi ognuno diversi punti del corpo, malconci ma desiderosi di aiutare nonostante tutto. Wynne fece loro strada camminando a fatica: quando non ce la fece più, indicò una montagnola di macerie. «Laggiù. Il drago ha scagliato un cumulo di rocce contro la parete alle nostre spalle mentre combattevate, provocando un crollo. Abbiamo cercato di scansarci ma non abbiamo fatto in tempo... io mi sono liberata per miracolo, non so come sono riuscita a sopravvivere.»
Merevar e Alistair, pervasi dal terrore, iniziarono a spostare massi in fretta e furia facendo molta attenzione: Melinor era là sotto, e non volevano rischiare di ferirla ulteriormente spostando i detriti. Gli altri si unirono a loro poco dopo, e tutti insieme si misero a smantellare la montagnola.
A un tratto, Leliana sussultò: un avambraccio di Melinor emerse. «L'ho trovata!» gridò, prendendole delicatamente il polso. «Il battito è debole, ma c'è» disse a Merevar vedendoselo piombare quasi di sopra.
Ripresero a togliere pietre, stavolta facendo ancor più attenzione. Morrigan scoprì una gamba, Hawke l'altra. Sten vide un ciuffo di capelli e rimosse delicatamente il pezzo di soffitto che copriva il capo dell'elfa: la ragazza aveva tentato di ripararsi la testa con l'altro braccio, e ora guardava il qunari con aria dolorante. La parte peggiore toccò a Zevran, Alistair e Merevar: insieme i tre sollevarono il grosso masso che schiacciava il corpo della ragazza. Ciò che trovarono al di sotto li fece sbiancare.
Uno spuntone affilato trapassava l'addome dell'elfa, ancora vigile ma perfettamente immobile. Respirare le faceva un male cane, e la sua espressione lo rendeva più che evidente. Merevar restò lì a guardare sconvolto, l'espressione sospesa fra un respiro e l'altro, come se desiderasse bloccare il tempo per paura di ciò che lo scorrere dei minuti avrebbe portato con sé.
«No» mormorò Alistair, inginocchiandosi accanto alla ragazza riversa sul pavimento.
«Dobbiamo cercare di salvarla» disse Wynne, zoppicando verso di loro. «Se solo avessi la mia magia...»
«Io sono completamente a secco» si accodò Hawke, guardando Morrigan. «Tu come sei messa?»
«Un po' meglio di voi due, ma non credo di avere abbastanza energia da poter curare una ferita simile» ammise suo malgrado la strega, l'espressione preoccupata mentre valutava la gravità della situazione.
«Usa il mio sangue.»
Morrigan squadrò Hawke.
«Dico sul serio, non m'importa» insistette la ragazza.
«Sei sicura di ciò che chiedi?» la guardò intensamente Morrigan. «La sua è una ferita mortale, potrei dover usare tutto il sangue che hai per riuscire a curarla.»
«Lei mi ha salvata dai templari, e non era affatto tenuta a farlo» esclamò Hawke. «Se non fosse per lei sarei finita al Circolo dei maghi, e sarei morta lì con mia cugina e tutti gli altri. Glielo devo» concluse con stoica fermezza.
«Non c'è bisogno che tu muoia. Morrigan può usare anche il mio sangue se il tuo non dovesse bastare.»
Tutti si stupirono nel sentire Wynne pronunciare quelle parole. «Potrei salvare Melinor se avessi la mia magia, ma non ce l'ho... l'unico modo in cui posso aiutare è questo, e salverebbe la vita a entrambe. Quindi lo farò, anche se non approvo e non approverò mai questo tipo di magia.»
«Allora dobbiamo sbrigarci» intervenne Merevar, risollevato da quella rinnovata speranza. «Dobbiamo... dobbiamo toglierle quello spuntone dal ventre.»
«Dovete fare in fretta, e subito dopo dobbiamo tamponare tutto... perderà molto sangue» disse Morrigan, alzandosi in piedi e strappandosi lembi di stoffa dalla veste. Si portò accanto all'elfa in fin di vita, che la guardava con aria rassegnata. «Sten, pensaci tu. Sollevala, un movimento verticale secco, rapido e pulito. Poi adagiala a terra velocemente a pancia in su, ma cerca di non muoverla più del necessario. Voi, fate largo» allontanò tutti Morrigan, per rivolgersi infine alle altre due maghe. «Voi invece statemi vicine. Mi servirà il vostro sangue molto presto.»
Al segnale di Morrigan, Sten fece come gli era stato chiesto: sollevò Melinor rapidamente, e il sangue sgorgò a fiumi. L'elfa lanciò un grido lancinante e quasi svenne per il dolore mentre il qunari l'adagiava a terra e Morrigan le tamponava la ferita, aiutata dalle sapienti mani di Wynne. Alistair e Merevar guardavano a fatica, sconvolti e impotenti: se ne stavano in piedi uno accanto all'altro con volti stravolti e deturpati dalla paura.
«State pronte» disse Morrigan alle altre due maghe. «Hawke, prima tu. Quando senti che non ce la fai più ti sostituirà Wynne.»
Senza esitare, Hawke fece per tagliarsi il braccio.
«Aspettate...»
La debole voce di Melinor le interruppe. Morrigan, con espressione al contempo di rimprovero e preoccupazione, tentò di farla tacere. «Risparmia le energie e stai in silenzio. Sai benissimo anche tu quanto è grave.»
Si guardarono, ed entrambe seppero che era ben chiaro a tutte e due quanto la situazione fosse grave. Con fatica, Melinor cercò gli occhi di suo fratello.
«Dovete andare» disse a tutti in un sussurro, ma sembrava stesse parlando più con Merevar che con gli altri. Lui le restituiva uno sguardo serissimo. «Trovate l'urna.»
«No, Melinor» si fece avanti Alistair. S'inginocchiò accanto a lei e le prese una mano. «Non ti lasciamo, restiamo con te.»
Melinor tentò di abbozzare un sorriso nel guardarlo. «Starò bene. Resteranno loro con me.»
«Esatto, lasciate fare ai maghi il loro lavoro. Qui sareste solo d'impiccio» affermò acida Morrigan, impegnata a bloccare il copioso flusso di sangue che minacciava d'inzupparle gli stivali e i pantaloni.
«Non se ne parla, io resto qui» s'incaponì Alistair.
Gli occhi di Melinor cercarono ancora Merevar: lui non seppe come sentirsi nel recepire la muta preghiera della sorella. Avrebbe voluto restare, ma lei non voleva. E non voleva che lui riuscisse a capire perché, ergendo un invisibile muro fra loro.
Alistair si sentì tirare per un braccio.
«Andiamo.»
Merevar lo costrinse ad alzarsi in piedi contro la sua volontà.
«Non puoi dire sul serio, Merevar! Non possiamo abbandonarla così!» si oppose Alistair, riappropriandosi del suo braccio. Merevar lo guardò talmente male che Leliana sentì di dover intervenire.
«Melinor è in ottime mani, Alistair. E ha ragione, dobbiamo proseguire. Potrebbero esserci altri di quei Discepoli in giro, quindi è meglio se ci diamo una mossa. Prendiamo le ceneri e andiamocene da questo posto infernale.»
Alistair lanciò un'ultima occhiata disperata a Melinor, che cercava di esortarlo ad andare con quello che avrebbe voluto essere un sorriso incoraggiante, ma che risultava una palese forzatura. Leliana gli mise una mano sulla spalla e lo fece proseguire proprio mentre Hawke si tagliava e lasciava che Morrigan usasse il suo sangue come fonte di potere per guarire l'elfa.
Tutti distolsero lo sguardo e ognuno andò per la sua strada. Merevar camminava a grandi falcate verso la parete rocciosa davanti a loro: una porta antichissima indicava l'ingresso al luogo di riposo eterno della defunta Andraste. Sten e Zevran seguivano il dalish, Alistair e Leliana erano un po' più indietro.
«Vuoi smetterla di guardarmi in quel modo? Sento i tuoi occhi solleticarmi da dietro» brontolò Merevar.
Alistair colse la frecciatina a lui indirizzata. «Non posso credere che tu abbia voluto lasciarla indietro così.»
Quasi non fece in tempo a terminare la frase che si ritrovò l'elfo a un palmo di naso.
«Ti ricordo che è mia sorella» sibilò. «Potrai anche essere il suo compagno, ma io sono il suo gemello. So meglio di te ciò che vuole, e voleva che noi andassimo avanti. Non era quello che volevo io, ma l'ho fatto comunque perché io la rispetto. Lei sa sempre ciò che è meglio, e faresti bene a ricordarlo anche tu.»
Senza aspettare una risposta dal ragazzo, girò i tacchi e continuò a camminare. Aveva un terribile presentimento, si sentiva malissimo; ma infilò comunque un passo dopo l'altro senza più voltarsi.

 

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Capitolo 28
*** L'urna delle Sacre Ceneri ***


Non appena aprirono le porte dell'antico santuario dedicato ad Andraste, uno spesso velo di polvere vecchia di chissà quanti secoli piovve su di loro.
«Ai seguaci di Andraste non piace spolverare, vedo» brontolò Zevran, passandosi le mani tra i capelli per ripulirli.
«Non essere irriverente, Zevran. Siamo su suolo sacro, riesco ad avvertirlo» lo rimproverò Leliana, incapace tuttavia di celare la sua emozione.
Merevar avanzava senza tradire alcuna emozione: appena entrato aveva individuato una grande porta riccamente decorata sul fondo della sala d'entrata, e stava avvicinandosi quando qualcosa iniziò a prendere forma, costringendolo ad arrestare la sua avanzata.
«Chi si presenta sul sentiero del pellegrino?» parlò una voce spettrale ma non ostile. Uno spirito, dall'aspetto di un umano in armatura, si era materializzato davanti alla porta.
«Siamo Custodi Grigi» prese la parola Merevar a nome di tutti. «Siamo qui per le ceneri di Andraste.»
«Il dono dell’onestà ti appartiene» dovette ammettere lo spirito. Il suo sguardo, stranamente penetrante, passò in rassegna tutti i presenti. «Ma non siete tutti Custodi Grigi...»
«Come siete riuscito a capirlo?» mormorò Alistair.
«Mi è dato conoscere molte cose» rimase sull’enigmatico lo spirito. «Io sono il guardiano del santuario di Andraste, e sulle di Lei ceneri veglio da sempre; e così farò per l'eternità. Spetta a me il compito di lasciar passare solo i pellegrini mossi da nobili intenti. Voi lo siete?»
«Non mentirò, spirito» rispose Merevar con tutta la sua franchezza. «Io sono un elvhen, non venero il Creatore degli umani. Rispetto Andraste, poiché persino la mia gente conosce la sua storia... ma non sono un pellegrino. Forse i miei compagni si sentono tali, ma non io; io sono qui perché devo salvare la vita a un lord umano, che ci aiuterà a sconfiggere il Flagello.»
Lo spirito rimase in silenzio a scrutare Merevar. Nel frattempo, Zevran gli si avvicinò e gli sussurrò all'orecchio.
«Non potevi dire di essere un pellegrino e basta?»
«Non fare l'idiota, gli spiriti sanno sempre quando menti. E comunque io non mento mai su chi sono.»
«E questo ti rende onore, esponente degli elvhen» uscì dal suo silenzio lo spirito. «Sei stato onesto, il tuo cuore è puro. Puoi passare, e con te i tuoi compagni. Vi avverto, però: ci sono prove da superare lungo il percorso che porta all'urna delle Sacre Ceneri, poiché solo chi è degno può attingere alla purezza della sposa del Creatore.»
Dette quelle ultime parole, lo spirito iniziò a sbiadire fino a scomparire alla vista; una volta andatosene del tutto, la porta alle sue spalle si spalancò. Dopo essersi scambiati tutti un'occhiata, i cinque entrarono.
Si ritrovarono in un ampio salone con altissime colonne che delimitavano la navata centrale. I cinque camminavano con tutti i sensi all'erta, pronti a scattare al minimo segno di pericolo; ma nessuna minaccia sembrava incombere su di loro, anche se qualcosa di straordinario accadde.
Otto spiriti comparvero davanti a loro, disposti orizzontalmente in una fila che occupava l'intera navata. C'erano donne e uomini fra loro, tutti vestiti con abiti antichi.
«Benvenuti, pellegrini. Noi siamo coloro che hanno vissuto con la benedetta Andraste, coloro che ne hanno determinato la storia, coloro che l'hanno assistita... e coloro che l'hanno tradita» parlò una delle donne. «Se volete proseguire, dovete rispondere a tutte le nostre domande. Dimostrate l'amore per la benedetta Andraste tramite la vostra conoscenza e devozione a Lei, e il cammino si aprirà per voi.»
Merevar strinse i denti: lui non sapeva granché sulla profetessa, solo nozioni frammentarie.
«Ci penso io» si fece avanti Leliana con un sorriso. Merevar tirò un sospiro di sollievo e si fece da parte.
«Fammi pure la tua domanda, spirito» disse Leliana con voce gentile una volta piazzatasi di fronte alla donna.
«Echi da un regno d'ombra, sussurri di cose che devono ancora accadere. La strana sorella del pensiero risiede nel reame notturno, e viene spazzata via dal primo raggio di sole. Di cosa sto parlando?»
Leliana inclinò il capo da un lato, intenta a cercare fra i suoi ricordi e le sue conoscenze.
«È... il sogno» disse infine. «La madre di Andraste ebbe un sogno premonitore sulla sua morte... siete voi, non è così?»
Lo spirito le sorrise mestamente.
«Io sono la tristezza e il rimorso. Sono le lacrime di una madre che non ha potuto salvare sua figlia.»
Pronunciate quelle ultime parole, lo spirito svanì nel nulla; Leliana rimase colpita nel realizzare che aveva appena parlato con lo spirito della madre di Andraste. Ma aveva altro lavoro da fare.
I rimanenti sette spiriti le sottoposero i loro indovinelli, a cui la ragazza rispose prontamente, aiutata di tanto in tanto da Alistair quando si presentavano quelli più ostici. Fra gli spiriti che incontrarono c'erano alcuni dei più fedeli seguaci di Andraste; c’era suo marito Maferath, che dopo aver lottato per liberarla dalla schiavitù nel Tevinter si era alleato proprio con l’Impero stesso, tradendola e vendendola ai suoi nemici. Videro l’arconte Hessarian, colui che mise al rogo la profetessa nella piazza della capitale del Tevinter, Minrathous, ma che mosso da pietà nei suoi confronti la uccise ponendo fine alla sofferenza inflittale dalle fiamme. Videro Shartan, il leader degli elfi schiavi nel Tevinter, che incitò la sua gente a combattere con Andraste contro l’Impero.
Leliana rimase assai toccata da quell’esperienza; risolti tutti gli indovinelli l’ultimo spirito svanì, e la ragazza guidò gli altri verso la porta in fondo alla sala che conduceva oltre.
L’aprirono, e immediatamente si trovarono avvolti da una strana nebbia viola.
«Ma che… state tutti bene?» esclamò Merevar, allarmato; ma nessuno gli rispose. «Ehi!» chiamò, ma si rese conto che era rimasto solo. Iniziò a muoversi freneticamente fra le volute di nebbia, finché non vide emergere una testa bionda.
«Zevran, dove sono finiti gli…»
Le parole gli morirono in gola mentre il ragazzo si voltava a guardarlo. Non era affatto Zevran.
«Tamlen?»
La figura gli andò incontro, portandosi a un passo da lui; allungando una mano avrebbe potuto toccarlo.
«Andaran atishan, lethallin» lo salutò in elfico Tamlen. «È bello rivederti.»
Merevar aprì la bocca, ma non riuscì a rispondere. Rimase inebetito a fissare il fratello.
«Tu… tu non sei reale» riuscì a farfugliare infine, il cuore che minacciava di implodergli nel petto. «Sei uno spirito, come gli altri… venuto per mettermi alla prova. Dev’essere così.» Non voleva illudersi, non avrebbe permesso all’immagine del fratello di fargli provare una gioia effimera, destinata a svanire nel giro di pochi minuti. Lo aveva già fatto nell’Oblio, e non era stato semplice tornare indietro.
«Può essere. Ciò che è certo è che sono parte di te, una parte con cui devi fare i conti» replicò lo spirito, il suo sguardo gentile e vivace proprio come quello del vero Tamlen. «C’è qualcosa che vorresti dirmi, lethallin?»
Il groppo alla gola di Merevar si strinse ancora di più. Sapeva dove voleva arrivare lo spirito, era consapevole delle sue debolezze; ci aveva convissuto giorno dopo giorno, guardandole mentre mettevano radici e s’impossessavano del suo essere. E non aveva mai fatto nulla per fermarle.
«Avanti, lethallin» lo esortò lo spirito, incrociando le braccia. «Non posso lasciarti proseguire finché non pronunci quelle parole.»
Gli occhi di Merevar si fecero lucidi: guardò Tamlen, e per un attimo credette che fosse davvero lui.
«Perché questa prova? Perché mi fai questo?»
«Perché è necessario che tu ti liberi da ogni impurità che ottenebra la tua anima.»
Merevar si prese un attimo per raccogliere le energie necessarie. Sembrava uno sforzo titanico, eppure si trattava semplicemente di tirar fuori un paio di parole.
«Mi dispiace, Tamlen» confessò infine, le lacrime che scendevano lentamente lungo le sue guance scarne. «Io avrei dovuto portarti via, avrei dovuto impedirti di toccare quello specchio… è colpa mia. Tutto questo è colpa mia.»
Lo spirito gli rivolse un sorriso triste.
«Sai che non è vero. Melinor te l’ha detto più volte: ciò che è accaduto è stato frutto delle mie scelte, non delle tue. Tu hai cercato di dissuadermi, ma io non ti ho dato retta.»
«Avrei dovuto insistere!» si lasciò pervadere dalla rabbia l’altro, i pugni stretti sollevati a mezz’aria. «Invece non ho fatto nulla!»
Tamlen lo guardò con occhi penetranti.
«Perché ora non mi dici ciò che davvero ti fa provare vergogna, lethallin?» gli disse, mentre l’altro s’irrigidiva sul posto. «Perché non ammetti la verità? Tu avresti preferito morire in quella grotta con me. Avresti preferito lasciare indietro questo mondo sapendo che Melinor e il clan sarebbero andati avanti, piuttosto che vivere e diventare un Custode Grigio insieme a nostra sorella.» Lo spirito attese che le sue parole affondassero nel petto di Merevar. «Cosa dice questo di te, fratello?»
Merevar digrignò i denti e strizzò gli occhi, incapace di ammettere a sé stesso la dura realtà. Quando li riaprì, sussultò: a guardarlo non c’era più Tamlen, ma un altro sé stesso.
«Sei un codardo, Merevar» gli disse il suo riflesso con aria strafottente. «Non sei in grado di sopportare una tale responsabilità. Non sei in grado di proteggere nessuno, e sei troppo debole anche solo per ammetterlo. Non sopporti l’idea di restare solo, hai paura che Melinor muoia lasciandoti solo di nuovo… ma non è l’unico modo in cui potrebbe abbandonarti, non è vero? Lo ha già fatto scegliendo quell’umano. Arriverà il giorno in cui ti lascerà per seguire lui, lo sai… sempre che sopravviva, dato che ora è là fuori in fin di vita per colpa tua.»
Merevar non riuscì più a sopportarlo. Sguainò le sue spade corte e iniziò ad attaccare lo spirito, ma quello era sorprendentemente forte, agile e veloce. Proprio come lui.
«Sei debole Merevar» gli rideva in faccia. «Così debole da non riuscire nemmeno a sconfiggere te stesso!»
Merevar gridò, ricolmo d’ira, e i suoi colpi si fecero ancor più rapidi e feroci. Non poteva sopportare la sua stessa faccia, non poteva sopportare quel ghigno derisorio, e ciò che più lo mandava in bestia era il fatto che era proprio lui stesso a farsi sentire così.
Fu allora che comprese. Abbassò le armi, l’altro sé stesso che lo guardava con scherno.
«Hai deciso finalmente di ammettere che sei un debole?»
«Sì. Hai ragione» annuì Merevar col fiatone. «Lo ammetto, sono un debole. E un vigliacco.»
Il suo riflesso inarcò le sopracciglia per la sorpresa.
«Ma non ha senso continuare a lottare contro me stesso. Non posso eliminarmi, giusto? Da morto non servo a niente» continuò, avvicinandosi a sé stesso. «L’unica cosa utile che posso fare è accettarmi. Non posso andare avanti così, odiandomi costantemente.»
Il suo riflesso sorrise: la forma di Merevar mutò, trasformandosi nuovamente in Tamlen.
«Hai finalmente capito, lethallin: devi perdonarti» gli disse con aria orgogliosa. Poi si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio. «Proteggi Melinor, sempre. A ogni costo.»
La nebbia viola si diradò, e Merevar tornò a vedere le pareti del santuario. Gli altri erano attorno a lui, frastornati e messi a dura prova come lo era stato lui. Guardandosi l’un l’altro compresero che tutti avevano dovuto affrontare la medesima prova, e nessuno volle commentare la cosa. Proseguirono in silenzio lungo il sentiero del pellegrino.
Dovettero risolvere enigmi e superare tranelli, lavorando insieme per evitare di finire nelle pericolose trappole celate lungo la strada, ma alla fine raggiunsero la fine del percorso. Un ampio salone, grande quanto una vera e propria chiesa, si aprì davanti a loro: sul fondo, una scalinata portava a un altare. Dietro a questo si ergeva una grandissima statua raffigurante Andraste nell’atto di reggere una fiaccola accesa, e sull’altare spiccava un vaso d’oro riccamente decorato.
«Non ci posso credere… è davvero lei» sussurrò Leliana. Fecero per proseguire, ma improvvisamente una barriera di fuoco si erse fra loro e la scalinata. Una pietra emerse dal pavimento, e sopra v’erano incise delle parole.
«Lasciate alle spalle le illusioni della vita mondana, e rivestitevi soltanto della purezza dello spirito. Re e schiavi, signori e mendicanti; possiate voi rinascere nella grazia del Creatore» lesse Alistair. «Che significa?»
«La vita di Andraste è terminata con il fuoco» osservò Leliana. Rimase assorta per qualche minuto. «Forse dobbiamo attraversare le fiamme, proprio come ha fatto lei per potersi unire al Creatore.»
«Perdonami se te lo dico, ma io non ho alcun desiderio di unirmi al Creatore» scosse il capo Merevar.
«Non moriremo, fidati. È soltanto una prova di fede» non demorse lei.
«Potrebbe anche essere, dobbiamo per forza attraversare questa barriera se vogliamo arrivare all’urna… ma che mi dite di questa incisione? Non parla di fuoco, ed è l’unico indizio che abbiamo» osservò Alistair.
«Dice di vestirci solo di purezza, forse dobbiamo spogliarci. Questo sì che mi piacerebbe» si mise a ridere Zevran. Ma Leliana lo guardò con interesse.
«Sai che, pur con la tua superficialità… potresti avere ragione? Forse è così che dobbiamo attraversare la barriera. Nudi, spogliati di ogni avere materiale… come il Creatore ci ha fatti.»
«Che mucchio di sciocchezze» mugugnò Sten, guardando altrove.
«Invece ha perfettamente senso!» esclamò Leliana, sempre più convinta. «È un estremo atto di fede, spogliarsi di tutto davanti al Creatore!»
«E va bene, facciamolo» non si fece pregare Zevran, iniziando a togliersi l’armatura in pelle. Leliana iniziò a fare lo stesso, lanciando occhiatacce a Zevran che la squadrava senza ritegno. Prima di calarsi i pantaloni, tuttavia, laragazza notò che loro due erano gli unici a spogliarsi.
«Forza, anche voi. Dobbiamo farlo insieme, non può andare uno solo e poi dire agli altri “Ehi venite, è sicuro”! Altrimenti non sarà una vera prova di fede.» Ma i tre uomini iniziarono a guardare in giro, visibilmente imbarazzati. «Ma per favore» si spazientì l’orlesiana. «Tre uomini fatti e finiti che si vergognano a mostrarsi nudi. Io cosa dovrei dire allora? Sono l’unica donna!» sospirò, scuotendo il capo. «Se può farvi sentire meglio, prometto che non vi guarderò. Ma datevi una mossa!»
«Io non vi prometto niente» disse invece Zevran, guadagnandosi uno scappellotto da parte di Leliana.
Pur riluttanti, i tre si decisero a svestirsi. Una volta terminato, si misero tutti in fila davanti alla linea di fuoco.
«Ci affidiamo a te, Creatore» sussurrò Leliana. «Andiamo.»
Si mossero insieme, spaventati ma decisi a portare a termine quella prova. Oltrepassarono le fiamme, trovandole calde in modo piacevole; in un secondo furono dall’altra parte, e la linea di fuoco si spense.
«Avete superato tutte le prove, pellegrini.» Lo spirito del guardiano del santuario si manifestò davanti a loro. «Avete dimostrato d’essere degni della grazia di Andraste. Potete avvicinarvi alle Sacre Ceneri e prenderne un pizzico. Non di più.»
Merevar spalancò gli occhi. «Solo un pizzico?»
«Basterà per salvare il vostro arle» lo rassicurò il guardiano. «Il potere di Andraste è grande.»
Detto ciò lo spirito svanì, ma potevano ancora sentirne lo sguardo che vegliava su di loro. Si rivestirono fra i sagaci commenti di Zevran che aveva un complimento per tutti, e Leliana si avviò verso l’altare.
«Non avrei mai creduto che un giorno mi sarei trovata davanti a… a…» non riuscì  terminare la frase. Prese una piccola sacca in pelle e con mano tremante rimosse il coperchio dell’urna. «Sembra quasi dissacrante prendere le sue ceneri così» disse, mentre le sue dita affusolate affondavano nei resti mortali della profetessa più venerata di sempre. Ripose le ceneri nella sacca e la richiuse con cura, tenendola fra le braccia come se fosse un delicato infante. «Su, sbrighiamoci a tornare dalle altre» disse con fare esitante; se fosse stata sola si sarebbe trattenuta lì ancora a lungo, ma non poteva. Dovevano andare.
 
 
Si lasciarono il santuario alle spalle. Come per magia, mentre erano all’interno sembravano aver quasi dimenticato ciò che li avrebbe attesi al loro ritorno; ma la memoria gli fu ben presto rinfrescata.
Si trovarono davanti una scena raccapricciante: Melinor giaceva priva di sensi in un lago di sangue. Hawke e Wynne, pallide e deboli, erano inzaccherate dalla testa ai piedi; Morrigan si stava fasciando un braccio con fatica, le sue vesti strappate per diventare bende e lei stessa coperta di sangue. Gli altri corsero loro incontro.
«Come sta?» chiese Merevar; guardò il ventre di Melinor e scoprì con sollievo che era stato richiuso.
Morrigan parve indovinare i suoi pensieri, e assunse l’espressione grave di chi sapeva di dover infrangere le speranze di qualcun altro.
«Ho fatto il possibile. Ho quasi dissanguato Hawke e Wynne, ma non è bastato… la ferita era troppo profonda… non era nemmeno una ferita, le è stato asportato un pezzo intero d’intestino. Ho cercato di ricostruirlo con la magia, ma serviva molto più potere di quanto ne avessimo a disposizione. Ho usato perfino il mio sangue, ma…» scosse il capo. Merevar rimase immobile, le gambe pesanti e la testa in ebollizione.
«No…non può essere vero» singhiozzò Alistair disperato, buttandosi in ginocchio accanto all’elfa esanime. Le prese delicatamente il viso fra le mani, gli occhi privi di qualsiasi luce mentre la guardava rassegnato. «Respira ancora…»
«Non per molto» mormorò Morrigan, persino lei addolorata in un momento come quello.
«Ti prego, Morrigan» l’implorò Alistair prendendole le mani fra le sue, cosa che mai avrebbe fatto in condizioni normali. «Usa tutto il mio sangue se devi, ma salvala!»
Incredibilmente Morrigan sembrò mossa da un moto di pietà. Ritrasse le mani, ma lo guardò con compassione. «Non servirebbe. È passato troppo tempo ormai… è irrecuperabile.»
Merevar si trovava sull’orlo del baratro. A tenerlo in equilibrio un solo pensiero: il ricordo dello spirito di Tamlen incontrato al santuario. Proteggi Melinor, sempre. A ogni costo.
Sapeva cosa fare.
Con un movimento fulmineo piombò su Leliana, rubandole dalle mani il sacchetto con le ceneri.
«Che stai facendo?» esclamò lei, sconvolta per Melinor e colta totalmente alla sprovvista.
«Le salvo la vita» dichiarò lui, inginocchiandosi accanto a sua sorella.
«Vuoi… vuoi darle le ceneri?» balbettò Alistair, in evidente stato di shock. «Ma… ma come faremo poi con Arle Eamon?»
L’espressione di Merevar mentre trafiggeva Alistair con lo sguardo era indicibile. «Sul serio, Alistair? Vuoi sacrificare lei per salvare quel vecchio?!»
L’iraconda accusa dell’elfo sopraggiunse come uno schiaffo, riportando Alistair con i piedi per terra. Scosse il capo con forza, inorridito dalle parole appena staccatesi dalle sue labbra. «No, no… dagliele, presto» farfugliò.
Ma Merevar non stava certo aspettando il suo permesso: aveva già reclinato la testa della gemella, le aveva aperto la bocca e ci stava svuotando dentro le ceneri.
«Acqua, qualcuno mi dia dell’acqua!»
Leliana si affrettò a passargli la sua borraccia, e lui ne svuotò il contenuto in bocca a Melinor. E poi, con il sangue che martellava senza pietà sulle sue tempie, attese.
Di lì a poco Melinor iniziò a contorcersi e a lamentarsi, premendosi il ventre con le mani. Merevar sbiancò.
«Che succede?» esclamò.
«Sta funzionando, lo percepisco» disse Morrigan, passando una mano su Melinor. «La magia delle ceneri le sta ricostruendo l’intestino a una velocità esorbitante… non dev’essere piacevole.»
Merevar si sentì sollevato; stava funzionando. Di lì a breve Melinor smise di dimenarsi e si acquietò, facendosi immobile. Merevar ancora le cingeva le spalle con un braccio e reggeva la testa con l’altra mano.
A poco a poco Melinor riprese conoscenza. I suoi occhi si aprirono, le sue mani istintivamente andarono a cercare il suo addome. «Sono… viva?» mise insieme le parole a fatica.
Merevar la strinse forte a sé, incapace di trattenere le lacrime; tutti gli altri erano visibilmente sollevati, e Alistair la guardava ancora incredulo.
«Sì, lethallan» le sussurrò Merevar all’orecchio. «Io ti proteggerò sempre. A ogni costo.»
Rimasero così parecchi minuti, mentre gli altri non potevano far altro che sorridere, chi più chi meno. Solo Sten era serio ma, a modo suo, aveva assunto un’espressione lieta.
Quando i gemelli si separarono, gli occhi di Melinor incontrarono quelli di Alistair accucciato al suo fianco. Gli sorrise, e lui la strinse senza dire nulla mentre lei ricambiava l’abbraccio. Con l’aiuto del giovane, l’elfa si rimise in piedi; si tasto il ventre ancora una volta, e poi guardò Morrigan. Sbarrò gli occhi alla vista della pozza di sangue e ai pallidi incarnati delle tre maghe.
«Per i numi… che avete fatto?» esclamò preoccupata nel constatare in che condizioni versavano le tre. Evocò la magia su di loro per curarle, e le bastarono pochi attimi. Si sorprese di essere così in forze.
«Grazie» disse Morrigan rialzandosi in piedi. «Vedo che ti senti molto meglio.»
«Sì… è sorprendente» disse Melinor, le mani che continuavano a sfiorare il ventre come se avessero paura di vederlo scomparire di nuovo. «Come sei riuscita a curarmi? Credevo di non potercela fare… grazie, Morrigan. E grazie a voi» si rivolse a Hawke e Wynne.
«Oh, noi abbiamo fatto tutto il possibile, ma non è merito nostro se sei sopravvissuta» ammise la strega. «Le ceneri ti hanno salvata. Incredibile, non ci avrei mai scommesso» commentò meravigliata.
«Avete trovato l’urna?» esclamò Melinor entusiasta, per poi assumere un’aria sbigottita. «E avete usato le ceneri su di me? Che ne sarà ora di arle Eamon?»
Merevar la guardò malissimo. «Giuro che se sento anche solo un’altra volta parlare di quel vecchio, lo ammazzerò con le mie mani» brontolò. Melinor lo rimirò con aria perplessa, ignara del motivo di tanta improvvisa ostilità da parte di suo fratello verso l’arle.
«Vorrei far notare a tutti che c’è un vaso pieno di quella polverina magica, là dentro» puntò il pollice all’indietro Zevran. «Potremmo tornare a prenderne altra.»
Melinor diede un colpetto all’insù con le sopracciglia dorate. «Un vaso pieno? Non le avete usate tutte su di me?»
«Ne basta solo un pizzico» la ragguagliò Merevar. «Se ne può prendere solo una piccolissima quantità, e solo dopo aver superato una lunga serie di prove.»
«Dubito che possiamo tornare lì a prenderne altre, noi abbiamo già attinto all’urna e siamo già stati messi alla prova» disse Leliana. «Ma voi quattro non avete ancora percorso il sentiero del pellegrino. Siamo parte dello stesso gruppo, ma Andraste appartiene a tutti… credo che il guardiano non vi negherà la possibilità di entrare. Noi abbiamo usato le ceneri per salvare Melinor, e lei userà le sue per salvare Eamon.»
«Bah... dobbiamo proprio fare questa cosa? Se non vi dispiace io resterò qui» brontolò Morrigan.
«No Morrigan, servirà anche il tuo aiuto per affrontare le prove. Devi andare» la esortò Leliana.
La strega sbuffò contrariata. «Non c’è mai un attimo di pace qui.»
«Allora sbrighiamoci» disse Melinor andando a recuperare il suo bastone sepolto dalle macerie poco più in là; rabbrividì al ricordo di come ci era finita sotto. Prese lo strumento, un po’ malandato, e fece strada.
Mentre le maghe si allontanavano, Zevran le osservava con interesse.
«Ah, che peccato… ho scelto il gruppo sbagliato. Però non mi è andata tanto male» ridacchiò, facendo riferimento all’ultima prova. «Ho visto cose parecchio interessanti là dentro…»
Un altro scappellotto tra capo e collo da parte di Leliana lo rimise al suo posto.
Attesero all’incirca un’ora davanti alle porte del santuario, e infine videro Melinor e le altre uscire: un sorriso raggiante sul volto dell’elfa indicava che avevano avuto successo.
 
 
Furono ben lieti di lasciarsi Haven alle spalle. Decisero di scendere dal versante opposto della montagna, che era anche quello orientale che portava sulla strada di ritorno. Si accamparono sul far della sera in una radura fra i boschi, ormai abituati a quel clima freddo e inospitale.
I due gemelli erano seduti lontano dagli altri, appartati accanto alla tenda di Merevar.
«L’hai incontrato anche tu?» chiese lui alla sorella.
«Hai visto Tamlen, vero?»
«Naturalmente. Perché, tu no?»
L’elfa scosse il capo, un sorriso triste che si dipingeva sul suo viso. «Ho incontrato nostra madre.»
Merevar dischiuse le labbra, sorpreso.
«Quello che dicevano gli anziani del clan era vero. Tamlen le assomigliava molto, invece noi assomigliamo a nostro padre» continuò lei.
«Non capisco… io ho visto Tamlen perché è il mio rimorso più grande. Perché tu hai visto lei?»
Melinor si rannicchiò su sé stessa, cingendosi le ginocchia. «Perché mi sono sempre chiesta come mai ci abbia abbandonati subito dopo averci dati alla luce. Mi sono sempre chiesta se noi non fossimo abbastanza per lei.»
Merevar distolse lo sguardo. Gli anziani del clan avevano raccontato ai fratelli Mahariel la storia dei loro genitori: membri di clan diversi, lui il guardiano del loro clan e mentore di Marethari, e lei cacciatrice di un clan rivale. Si erano sposati comunque, lei era entrata a far parte del loro clan e aveva dato alla luce Tamlen poco dopo. Ma il suo amato era morto pochi mesi più tardi, per mano di un gruppo di umani che lo avevano accerchiato mentre era solo nella foresta alla ricerca di erbe; lei si era ammalata di depressione mentre aspettava i due gemelli, e aveva tenuto duro fino alla loro nascita. Incapace di sopportare un’esistenza senza il suo sposo, si era tolta la vita quando loro avevano poco più di tre settimane.
«Mi ha detto che ci amava» rivelò con voce tremolante Melinor. «Ci amava tutti e tre. Ma amava sé stessa molto meno. Mi ha detto che non è colpa nostra, che noi… noi saremmo stati più che abbastanza se solo lei fosse stata più forte. Ha detto che è fiera di come siamo cresciuti, e che anche nostro padre lo sarebbe.»
Merevar la guardò: le tolse una lacrima dalla guancia e le diede un buffetto sulla testa.
«Venite, la cena è pronta!» li chiamò Wynne. I due si rimisero in piedi e raggiunsero il gruppo.
Mentre Wynne passava una ciotola fumante a Melinor, lei si fermò portandosi bruscamente le mani all’ombelico. Tutti scattarono in avanti di riflesso, preoccupati, ma l’elfa si era immobilizzata senza dare segno di malessere.
«Che c’è? Mi hai fatto prendere un colpo!» sbottò Merevar prendendola per le spalle.
«Sto bene, è solo che… è strano. Per un attimo è stato come se… come se la parte di me che le ceneri hanno ricostruito non fosse davvero lì.»
«Credo sia normale. Il tuo corpo è stato riformato immediatamente, ma la corrispondente menomazione che hai subito nel tuo corpo energetico ci metterà più tempo a guarire» spiegò Wynne, passandole la ciotola con un sorriso gentile. L’elfa annuì, andando a sedersi insieme agli altri.
«Non so come ringraziarvi. Avete corso un bel rischio usando le ceneri su di me senza sapere se potevate averne altre, ma sono lieta che l’abbiate fatto» disse Melinor a tutti con riconoscenza.
«Oh, Merevar non ha esitato un solo istante quando ha saputo che la tua vita era in pericolo» disse Leliana con aria raggiante.
«Hai un bravo fratello, Melinor» le disse Hawke lanciando un’occhiata d’ammirazione a Merevar, il quale la scansò con fare imbarazzato.
Senza dare alcuna spiegazione, Alistair si alzò e si allontanò dal gruppo. Melinor assunse un'aria triste. «Ma che gli prende? È stato strano per tutto il giorno…»
Guardò gli altri sperando in una spiegazione, ma nessuno gliene fornì una.
«Forse dovresti parlargli» si limitò a dire Wynne.
Melinor posò la sua ciotola ancora piena e rincorse Alistair, che aveva ormai raggiunto il limitare della vegetazione.
«Aspetta!» gli gridò, ma lui proseguì senza voltarsi. Lei lo aggirò, piazzandoglisi di fronte e costringendolo a fermarsi. «Perché te ne sei andato così?»
«Non mi va di parlarne» guardò di lato il ragazzo.
«Alistair… mi hai evitata per tutto il giorno. Posso sapere cosa c’è che non va?»
Lui si voltò a guardarla con decisione, ma con amarezza al contempo. «Merevar aveva ragione. Io non sono degno di te, tu meriti di meglio.»
Gli occhi di lei si sbarrarono. «Ma che stai dicendo?»
«Non sono stato in grado di proteggerti!»
«Ma che… nessuno avrebbe potuto farlo, Alistair! È crollato il soffitto!»
«Non parlo di questo!» esclamò lui con rabbia, aggirandola e iniziando a camminare avanti e indietro. «Sai cosa ho fatto quando Merevar ha deciso di darti le ceneri? Mi sono preoccupato del fatto che arle Eamon sarebbe rimasto senza! Questo è stato il mio primo pensiero!»
Melinor non poté nascondere quel briciolo di delusione che umanamente la colpì.
«Ecco, vedi? Ti ho delusa» le diede le spalle il ragazzo.
«Alistair… eri scioccato, e ti è venuto spontaneo pensare prima di tutto alla cosa giusta da fare. Non è…»
«Non giustificare ogni cosa che faccio, Melinor! Avrei dovuto pensare a te! Che… che razza di uomo è uno che mette il dovere davanti alla vita della propria donna?»
Melinor non seppe come rispondere; era chiaro che non era disposto a sentire ragioni.
«Ti meriti di meglio. Forse faresti meglio a lasciarmi perdere» chiuse la faccenda lui, sparendo fra le fronde innevate degli alberi e lasciandola sola. Lei rimase immobile, attonita, a contemplare il vuoto che vedeva. E soprattutto quello che sentiva dentro.
«Melinor…?»
Si voltò, vedendo sbucare Leliana alle sue spalle. «Non voglio impicciarmi, ma vi abbiamo sentiti gridare… va tutto bene? Che è successo?»
Melinor la guardò, confusa.
«Io… io non ne sono sicura.»
Leliana le cinse le spalle con un braccio, sussurrandole parole di conforto mentre la riconduceva all'accampamento. Ma lei non le sentiva; non sentiva più nulla, solo i battiti del suo cuore spaventato.
 



NOTE AUTRICE

Ebbene sì, doppio aggiornamento questa settimana. Non potevo lasciarvi così sulle spine!
Melinor si è salvata grazie a Merevar e alla sua prontezza di spirito (non avrei mai potuto farla fuori così, vi pare?) e riusciranno anche a portare le ceneri all'arle. Ma non c'è mai una gioia per i nostri Custodi: se la missione va bene, i loro rapporti vanno male. Alistair se n'è uscito con uno dei suoi patemi lasciando la povera Melinor, appena scampata alla morte, sconvolta. Chissà come reagirà il nostro elfo dalish quando lo scoprirà...
Alla prossima!

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Capitolo 29
*** Ritorno a Redcliffe ***


Erano passati dieci giorni da quella sera, e altrettanti separavano il gruppo da Redcliffe. Melinor e Alistair non si erano più rivolti la parola: l'ex templare si era fatto silenzioso, diventando persino  più solitario di Morrigan. Melinor non osava andare da lui: le sue parole l'avevano ferita, e neppure tutta la sua diplomazia poteva spingerla a cercare un dialogo in quel momento. Almeno non era sola: oltre a Merevar aveva Hawke e Leliana costantemente al suo fianco, che si facevano in quattro per darle un po' di conforto.
«Potrei parlargli io» si offrì un giorno Leliana mentre camminavano. Le tre ragazze erano in testa al gruppo, seguite da Morrigan e poco più indietro di lei Merevar e Zevran che, tendendo l'orecchio, riuscivano a seguire la conversazione.
«E a che servirebbe?» borbottò Melinor, stanca di quell'insopportabile situazione. Se ripensava a quanto era stata felice nel percorrere quello stesso viaggio all'andata, si sentiva ancor più male.
«Lui ti adora, Melinor» insistette l'orlesiana. «Mi stupisce il fatto che non sia ancora venuto a chiederti scusa... se non l'ha fatto significa che c'è qualcosa che lo frena. Guardalo» diede un'occhiata al ragazzo lontano dietro di loro, in ultima posizione a chiudere la processione. «Non è mai stato così serio e tenebroso... forse ha solo bisogno di qualcuno con cui parlarne.»
«Ho visto Wynne che parlava con lui una di queste sere» ricordò Hawke. Una risata sarcastica giunse alle spalle delle tre.
«Se ti aspetti che quella vegliarda lo abbia confortato ti illudi, Hawke. Quella donna pensa solo al dovere, solo a ciò che è giusto fare» scimmiottò la strega in un buffo tentativo d'imitare Wynne. «Sono certa che sia una di quelle persone che non ti spinge mai a seguire ciò che vuoi davvero.»
Melinor sospirò sconsolata, tornando a guardare a terra.
«Così non sei d'aiuto, Morrigan» le lanciò un'occhiataccia Leliana.
«Perché, voi due lo siete?» alzò un sopracciglio la strega. «State saltellando attorno a questa poverina da quando quello sciocco ha deciso di rompere con lei, dicendole cose assurde tipo non perdere la speranza, vedrai che tornerà da te...» concluse con un verso disgustato.
«Perchè, tu pensi di poterla aiutare con il tuo pessimismo?» le chiese Hawke mettendosi le mani sui fianchi.
«Io non sono pessimista, sono realista. Se lui è talmente stupido da lasciarla, allora si merita di restare solo. Melinor non deve affatto stare ad aspettarlo come se fosse l'unico uomo al mondo. Ho sempre pensato che lei meritasse di meglio, e questo non fa che dimostrare che avevo ragione... come sempre» terminò ghignando di soddisfazione.
«Adesso smettetela. Discuterne fra noi non risolverà niente» le interruppe l'elfa.
«Io non capisco perché non vai a parlargli» insistette Hawke. «Potreste chiarire tutto se solo ne parlaste a quattr'occhi... non credi?»
Melinor non rispose; non voleva ammettere ad alta voce la verità. Aveva paura che parlando con lui avrebbe avuto la conferma del fatto che era finita per sempre.
«E così sembra proprio che la tua sorellina sia tornata sulla piazza» bisbigliò Zevran poco più indietro. Guardò Merevar di sottecchi. «Contento?»
Merevar non gli rispose subito: rimase fissare sua sorella, che cercava di apparire tutta d'un pezzo come suo solito. Ma lui sapeva la verità: era distrutta. Aveva concesso il suo cuore alla persona che aveva ritenuto giusta per lei ed era stata abbandonata a sé stessa, senza risposte.
«No, Zevran. Non sono affatto contento.»
«Come?» spalancò gli occhioni castani l'altro. «Mi pareva di aver capito che non approvavi la loro unione.»
«Quello che preferirei io non conta. È della felicità di Melinor che m'importa, e ora non è affatto felice.»
Zevran guardò bene in faccia il dalish: trovò una strana risolutezza sul suo viso, e si fece serio. «Ehi, amico... a cosa stai pensando?»
Non ricevette risposta.


Qualche ora più tardi si erano fermati per pranzare velocemente e riposare i loro piedi stanchi. Alistair si era allontanato, sparendo in una piccola macchia di vegetazione lontana dalla strada per liberare la vescica. Si voltò per fare ritorno e saltò subito all'indietro per lo spavento.
«Merevar, sei impazzito? Mi hai fatto prendere un colpo!» esclamò con una mano sul petto, trovandosi di fronte il dalish. Non lo aveva assolutamente sentito arrivare. «Da quanto sei qui?»
«Allora, per quanto hai intenzione di continuare a fare l'idiota?»
Alistair lo guardò con tanto d'occhi. «Come, prego?»
«Non fare lo gnorri con me. Sai benissimo di cosa parlo.»
Alistair si fece serio e distolse lo sguardo dall'elfo.
«Sto solo facendo ciò che è meglio per Melinor. Avevi ragione tu, lei si merita di meglio.»
«Su questo non c'è dubbio» asserì l'elfo con voce tagliente, «ma lei ha scelto te. E mi era sembrato di capire che tu tenessi davvero a lei.»
«Infatti; ed è proprio per questo che...»
«Falla finita!» lo interruppe Merevar stringendo entrambi i pugni. «Tu non puoi decidere cosa è meglio per lei! Piuttosto dì la verità! Dì che non ti interessa più, ma non nasconderti dietro a delle patetiche scuse!»
Ancora una volta l'espressione di Alistair si fece sorpresa. «Non sono scuse. Lo penso dav-»
Un pugno lo colpì dritto in faccia. Si portò entrambe le mani al naso, che già iniziava a sgocciolare sangue.
«Sei patetico, shemlen» sibilò Merevar. «Sei solo un patetico soldatino. Avrei dovuto saperlo che sarebbe finita così. Ti sei divertito con mia sorella, e adesso che non è più una novità le hai dato il benservito.»
Alistair si ricompose, ma non disse nulla. Si limitò a guardare di lato.
«Rispondi!» lo spinse Merevar. Ma il ragazzo, dopo aver mosso qualche passo barcollando all'indietro, lo guardò con espressione da cane bastonato.
«Offendimi e picchiami pure, se la cosa ti fa sentire meglio. Me lo merito.»
Merevar non ci vide più: lo caricò buttandolo a terra. Lo immobilizzò e iniziò a mollargli una serie di cazzotti in faccia.
«Sei un vigliacco! E io che ti avevo scambiato per una persona onorevole!» gridò fra un colpo e l'altro. Schizzi di sangue volavano a destra e a manca mentre Alistair si lasciava colpire senza muovere un muscolo. «Sei talmente codardo che non reagisci nemmeno! Non tenti nemmeno di far valere le tue ragioni! Mi fai schifo, shemlen!»
Per quanto si sforzasse di risultare irritante, nulla sembrava smuovere l'umano.
«Sei una mezza calzetta, avresti lasciato morire la donna di cui sei innamorato per salvare un vecchio che ti ha dato in pasto ai templari non appena sei diventato scomodo! Oh, aspetta: forse non sei mai stato innamorato di Melinor. Già, probabilmente hai finto soltanto nella speranza d'infilarti nelle sue mutande!»
Alistair lo guardò, e parve all'elfo di vedere finalmente una scintilla in quegli occhi ormai gonfi e contusi.
«Sei solo un peso per questo mondo. Un inutile, scomodo fardello! Lo eri per tuo padre, per il tuo fratellastro... per il tuo arle Eamon... guarda, sono tutti morti a causa tua! Compresi i tuoi amati Custodi Grigi! Forse Morrigan aveva ragione, forse è davvero a causa tua che Loghain ha voluto eliminare l'intero ordine... e ora anche io e Melinor rischiamo la vita! Rischiamo la vita per il patetico essere che sei! Sei un pericolo per chiunque ti stia attorno: il re è morto, tua madre è morta nel darti alla luce... Melinor è quasi morta per recuperare l'Urna, noi tutti abbiamo rischiato grosso, e tutto per salvare l'arle su tuo suggerimento! Tutti quelli che ami muoiono per colpa tua... anche Duncan, che dicevi di amare come un padre!»
Si sentì sbalzare via, e subito dopo un colpo alle costole lo fece piegare in due. Alistair si stava gettando su di lui, l'espressione furibonda mentre lo colpiva sul viso. Rimasero ad azzuffarsi per parecchi minuti, rotolando nell'erba e nella polvere come due cani rabbiosi. Quando non ce la fecero più rimasero entrambi sdraiati a terra, i volti contusi e rigati di rosso misto a sudore, e i petti che salivano e scendevano alla rinfusa. Erano entrambi a pancia in su, con lo sguardo perso nel cielo azzurro sopra di loro.
«Allora ce l'hai una spina dorsale» bofonchiò Merevar. Si alzò in piedi con fatica, premendosi le costole doloranti. Sputò un grumo di sangue e saliva e iniziò ad allontanarsi zoppicando. «Vedi di usarla d'ora in avanti, adesso che hai scoperto di averla.»
Alistair rimase a terra ancora qualche minuto, esausto e in balia dei propri pensieri mentre le parole di Merevar lo colpivano come un fulmine a ciel sereno.
Nel frattempo il dalish era tornato sulla strada. Quando il resto del gruppo lo vide arrivare in quello stato, una moltitudine di esclamazioni stupite si susseguirono. Melinor gli corse incontro.
«Che è successo? Elgar'nan, guarda come sei ridotto!» esclamò costringendolo a sedersi e iniziando subito a esercitare la sua magia curativa sulle ferite.
Alistair riapparve poco dopo nelle stesse condizioni, e tutto fu subito chiaro ai membri del gruppo. Melinor guardò prima l'umano con aria sgomenta, e poi con un cipiglio corrucciato fissò il suo gemello. Questi non dimostrò il minimo risentimento. Wynne corse a soccorrere Alistair, troppo impegnato a evitare gli sguardi preoccupati di Melinor per rispondere alle domande dell'anziana.
«Oh, cosa darei per tornare indietro nel tempo e assistere alla scena» schioccò le dita Morrigan con aria divertita. Zevran raggiunse i due gemelli, andando a sedersi accanto al suo amico. Scosse la testa con un sorrisetto accondiscendente sul viso.
«Ah, amico mio... devo iniziare a tenerti d'occhio. Che mi combini? La prole oscura non ti basta, vuoi iniziare a prendere a calci chiunque abbia il sangue corrotto?» disse con fare scherzoso nel dargli una pacca sulla spalla. Merevar gemette di dolore, e Melinor iniziò a fargli una sommessa ramanzina.

 

Due settimane dopo l'intero gruppo era stato comodamente alloggiato presso il castello di Redcliffe. Le ceneri avevano curato arle Eamon, il quale si era pienamente ristabilito e aveva appreso con somma indignazione tutto ciò che era accaduto durante la sua assenza: la sconfitta di Ostagar, il tradimento di Loghain, il suo avvelenamento e la possessione di suo figlio Connor. Fu uno shock per il nobile, ma la sua esperienza ebbe la meglio sul tumulto emotivo che aveva rischiato di farlo andare nel panico.
Nonostante le pressioni di Melinor per rilasciare Jowan in sua custodia, il mago venne messo sotto chiave: lo tennero in vita come testimone dell'attentato di Loghain alla vita dell'arle.
Un paio di giorni dopo il risveglio di Eamon, e dopo aver stabilito che i Custodi avrebbero dovuto proseguire nella ricerca di alleati contro il flagello mentre l'arle avrebbe pensato a radunare la nobiltà contro Loghain, lady Isolde organizzò un piccolo banchetto al castello con il benestare di suo marito.
«Redcliffe ha visto troppa distruzione, e voi avete combattutto senza tregua da Ostagar a oggi. Una serata di festeggiamenti non può che rifocillare gli animi» aveva acconsentito l'arle.
Le porte del castello rimasero aperte per la serata, così che anche i popolani potessero festeggiare all'interno del castello. Le guardie erano ovunque a controllare che nessuno facesse qualcosa di sospetto, ma la loro veglia si rivelò superflua. La gente di Redcliffe sopravvissuta aveva visto troppa malvagità per perpetrarne altra.
Nella stanza assegnata a Melinor, Leliana le stringeva il corsetto: Melinor restò senza fiato per qualche secondo.
«Deve proprio essere così stretto?» disse con voce stridula.
«Oh, e non sai quanto devono stringere le donne umane» rise l'altra. «Noi non abbiamo naturalmente il vitino sottile di voi elfe.»
Melinor rimase a rimirare l'abito di broccato verde che lady Isolde era riuscita a procurarle: il corsetto riusciva a mettere in risalto anche un petto poco prominente come il suo, e la gonna svasata le dava un aspetto slanciato. Tuttavia, Melinor si sentiva ridicola.
«Ora devo acconciarti i capelli, siediti davanti alla specchiera. Oh!» esclamò Leliana dandosi un buffetto sulla fronte. «Hai una spazzola? Ho lasciato la mia in camera.»
«Sì, guarda pure in quella borsa sul letto.»
Leliana seguì le indicazioni di Melinor, finendo col rovistare nella sua sacca di pelle.
«E questo?» esclamò sorpresa nel tirar fuori un oggetto tondeggiante. Nel vedere di cosa si trattava, Melinor si sentì il cuore salire in gola. «Come mai hai un amuleto di Andraste?»
L'elfa si voltò di scatto, tornando a rimirarsi nello specchio. «Me l'ha dato l'arlessa prima che partissimo per Haven.»
«E lo ha dato proprio a te? Un amuleto di Andraste a una dalish?» si sgranarono gli occhi celesti dell'altra.
«Mi aveva detto di darlo ad Alistair. Ma con tutto quello che è successo, Haven e tutto il resto... mi è passato di mente.»
Non era una bugia. Aveva davvero dimenticato di averlo, e in quel momento si chiese come aveva potuto dimenticare una cosa tanto importante. Almeno, questo le aveva lasciato intendere l'arlessa: che fosse un ciondolo di grande valore per Alistair.
Leliana lo rigirò fra le mani. «Sembra che qualcuno si sia dato una gran pena per sistemarlo... è pieno di crepe» osservò per poi tornare a guardare Melinor. «Sarebbe il caso di darlo ad Alistair, non credi?»
Melinor la guardò dal riflesso dello specchio. «Sì, beh... non so se sono la persona più adatta a farlo, al momento. Potresti darglielo tu, vi ho visti parlare molto nell'ultima settimana.»
«Sì, ho cercato di farlo ragionare... ma sembra che non abbia avuto molto successo con nessuno di voi due» sospirò nel dirigersi verso la specchiera davanti alla quale stava seduta Melinor. Posò l'amuleto sulla superficie lignea e intarsiata del prezioso mobile. «Glielo darai tu stessa quando vi riappacificherete. Ora forza, hai una gran matassa di capelli da raccogliere.»

 

Ci volle un'ora intera, ma alla fine Leliana riuscì ad acconciare la lunghissima chioma di Melinor in una raffinata crocchia di trecce che copriva appena la base del suo collo sottile. Aveva lasciato solo qualche ciuffo libero sul davanti, arricciandolo affinché incorniciasse il viso dell'elfa.
«Solo un filo di trucco, i tuoi lineamenti sono bellissimi... sarebbe un peccato coprirli» le disse prima di iniziare a spennellarle la faccia con ciprie profumate e pennelli intinti in strani pigmenti. «Ecco fatto! Sei meravigliosa!»
Nel guardarsi allo specchio Melinor non seppe se essere d'accordo: era talmente diversa da come si era sempre vista da sentirsi disorientata. Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta, e Leliana andò ad aprire lasciandola sconcertata davanti allo specchio.
La voce che sentì provenire dal corridoio le fece gelare il sangue nelle vene.
«Oh, scusami Leliana... mi avevano detto che questa era la stanza assegnata a Melinor.»
«Infatti, io sono qui solo per aiutarla a prepararsi. Eccola» rispose la rossa, aprendo la porta.
Alistair e Melinor incrociarono gli sguardi: lei era sorpresa di ritrovarselo lì, e lui era chiaramente impressionato dalla sua nuova immagine. Rimasero imbambolati come due pesci lessi sotto lo sguardo di Leliana, che non poté esimersi dal ridacchiare.
«Vi lascio soli» disse facendo entrare il ragazzo e richiudendosi la porta alle spalle.
Calò un silenzio imbarazzante: Melinor, ancora seduta sul suo sgabello, era immobile come una statua di cera.
«Stai... stai benissimo» parlò finalmente Alistair, rompendo il ghiaccio. Lei tentò di replicare, ma il “grazie” le si incastrò in gola.
«Io... sono venuto a scusarmi con te» mosse qualche passo in avanti lui. «Mi sono comportato come uno stupido, e tu non lo meritavi.»
No, infatti pensò lei abbassando gli occhi sulle sue scarpette raffinate.
«Non voglio assolutamente giustificarmi, so che non ho scuse per averti allontanata così... ma vorrei almeno spiegarti cos'è successo nella mia testa, così che tu possa almeno capire. Se poi deciderai che non vuoi più saperne di me, lo capirò.»
L'elfa trovò la forza di guardarlo negli occhi. «Ti ascolto.»
Alistair prese una boccata d'aria prima di cominciare.
«Vedi... in cima a quella montagna, quando mi sono reso conto che stavo per perderti per sempre... sono andato nel panico. Non ho mai avuto tanta paura di perdere qualcuno come in quel momento, e io... io non riuscivo a pensare. E poi, quando si è affacciata la possibilità di salvarti io ho pensato ad arle Eamon» scosse il capo. «La persona a cui più tengo al mondo stava per morire e io ho pensato al mio dovere.»
«Alistair...»
«No, fammi finire» la bloccò sul nascere lui portando una mano in avanti. «So già cosa vuoi dirmi: che ho fatto bene, che ho dimostrato di essere un ottimo soldato, che un Custode Grigio deve mettere il dovere davanti a tutto. Ed è vero, me ne rendo conto... ma io non voglio più essere così. Non se c'è in ballo la tua vita. Mi sono reso conto che la Chiesa ha fatto proprio un ottimo lavoro con me» quasi rise in un gesto d'autocompatimento. «Mi ha trasformato in un burattino, sempre pronto a sacrificare sé stesso per il bene comune. E poteva andare bene finché non avevo niente da perdere, ma adesso... adesso non posso più permettermelo. Ed è stato Merevar a farmelo capire.»
Gli occhi di Melinor s'ingrandirono di meraviglia.
«Quando è venuto da me e mi ha preso a pugni mi ha dimostrato una cosa: che lui è disposto a lottare fino all'ultimo per difendere ciò che ama. E Melinor, io voglio essere come lui.»
«Alistair» non riuscì più a trattenersi lei. Si alzò in piedi e si avvicinò a lui. «Merevar sacrificherebbe il mondo intero per salvare me, ma non significa che sia la cosa giusta. Non devi paragonarti a lui, è il mio gemello... il nostro è un legame molto forte e particolare, farebbe anche cose orribili in nome di ciò che prova per me.»
«Ciò che prova per te? Beh, io...» s'interruppe lui. La guardò qualche istante senza dire niente, come se stesse scegliendo le parole da dire. «Io voglio essere degno di stare con te, Melinor. Tu meriti qualcuno che ti protegga senza esitare, proprio come ha fatto Merevar. Come poteva essere giusto sacrificarti? Non lo è, e non lo sarà mai. Non intendo venire meno ai miei doveri, ma ti giuro che da oggi in poi troverò sempre il modo di fare il mio dovere senza metterti in pericolo. Voglio che tu ti senta al sicuro con me, devi sapere che sono sempre lì a guardarti le spalle.» S'intristì appena. «Sempre che tu voglia ancora stare con me, ovviamente.»
Melinor si fece seria. Puntellò lo sguardo in quello di lui in modo tale da fargli temere il peggio.
«Se vuoi davvero aiutarmi, allora non fare mai più una cosa del genere!» sbottò lei. «Non puoi tagliarmi fuori così se vuoi stare con me! Dovevi parlarmene! Mi hai fatta tribolare per settimane, credevo che...» le tremolò la voce mentre gli occhi le si velavano. «Credevo che volessi lasciarmi.»
Vedendola così sofferente lui non resistette: la prese fra le braccia e la strinse forte.
«Non lo farò mai» le sussurrò.
Rimasero così per parecchio tempo senza parlare. Erano stati separati così a lungo che anche solo così si sentivano completi di nuovo.
Quando finalmente si sciolsero dall'abbraccio, lui le sorrise. «Sei davvero stupenda stasera.»
Lei ricordò com'era conciata e assunse un'espressione sospettosa. «Davvero?» gli chiese, girandosi poi verso lo specchio. «Io mi sento ridicola.»
«Non sei l'unica a non sentirsi a suo agio con gli abiti da nobildonna» rise il biondino, tornato finalmente lo stesso di sempre. «Tra poco capirai di cosa parlo.»
Uscirono nel corridoio, diretti al grande salone da ricevimento dov'erano attesi. Lungo il tragitto videro una cameriera disperata discutere animatamente davanti a una delle porte.
«Vi prego, milady! Non potete scendere vestita così!»
«Non ho nessuna intenzione di indossare i vostri abiti pomposi. E ora lasciami stare!»
Melinor riconobbe la voce seccata di Morrigan provenire da dietro la porta. La cameriera la vide e le andò incontro con aria supplichevole. «Vi prego, lady Melinor... fate ragionare la vostra amica! Non vuole cambiarsi!»
La porta della stanza si aprì.
«Ecco, scommetto che nemmeno lei si è...» uscì la strega, e rimase a bocca aperta nel vedere l'elfa vestita di tutto punto. Melinor le fece spallucce e Morrigan, seccata, prese bruscamente i vestiti dalle mani della cameriera sbattendosi dietro la porta.

 

Il salone era gremito di persone, e le tavole erano imbandite. Un gruppetto di musici suonava in un angolo un allegro motivetto. La coppia di Custodi venne acclamata al loro arrivo, ma cercarono subito di defilarsi amalgamandosi con la folla.
«Ed ecco finalmente l'ospite d'onore» li sorprese alle spalle Arle Eamon. «Colei che ha condotto il gruppo alla vittoria, rischiando la vita nel processo. Me la concedi un attimo, Alistair? Le devo almeno un ballo.»
«Oh, ma io... non so ballare» si agitò l'elfa.
«Non preoccupatevi, lady Melinor. Condurrò io» le porse la mano Eamon. Seppur riluttante, lei la prese e si lasciò condurre in mezzo alla folla. Alistair rimase a guardarla inebetito.
«Deduco che è andato tutto bene.»
Una voce alle sue spalle lo fece voltare. Leliana, vestita di tutto punto in uno svolazzante abito di seta blu, gli fece un cenno con un calice di vino rosso; lui si diresse verso una delle sedie libere accanto alla sua.
«Le hai detto tutto?» indagò la rossa.
«Quasi.»
La ragazza sbuffò sonoramente. «Insomma, Alistair! Glielo devi dire!»
«Lo farò, non ti preoccupare» si seccò lui.
«Smettila di procrastinare. Le devi questa piccola confessione, dopo tutto ciò che le hai fatto passare in queste settimane.»
Lui annuì, e a lei sembrò bastare. Insieme restarono a guardare Melinor che rideva spensierata mentre imparava i passi grazie ad arle Eamon.
«È davvero meravigliosa» sussurrò con affetto la ragazza.
«Sì. Hai fatto davvero un ottimo lavoro nel prepararla per la serata. È da togliere il fiato.»
«Diciamo che ho avuto vita facile, lei è bellissima di suo.»
Alistair la guardò di sottecchi mentre ammirava Melinor.
«Leliana, tu... sembri tenere molto a lei.»
«Naturalmente, la considero una cara amica» si voltò a guardarlo lei con grande stupore.
«Davvero? Solo un'amica?» assottigliò le fessure degli occhi lui, come se volesse vederle attraverso. «Non voglio farmi gli affari tuoi, è solo che ho notato che a volte la guardi in un certo modo...»
Leliana sfoderò un sorrisetto malizioso. «Che c'è, hai paura che te la porti via?» ridacchiò. «E così hai scoperto il mio piccolo segreto. Non temere comunque: capisco quando qualcuno condivide i miei gusti, e Melinor propende decisamente dalla tua parte» concluse tornando con lo sguardo sull'oggetto della loro conversazione. «Le voglio bene perché è una persona pura e preziosa. Non ci sono secondi fini.»
Alistair annuì, lieto che la ragazza si fosse aperta con lui. Era bello avere un'amica come lei, che gli faceva un po' da sorella maggiore.
«Non credi che dovresti chiederle di ballare?» cambiò argomento Leliana.
«Ah, meglio di no... sono un po' arrugginito, sai... ho imparato qualcosa quando vivevo qui, ma avevo meno di dieci anni.»
«Per il Creatore, devo proprio insegnarti tutto» alzò gli occhi al cielo lei. Si alzò e lo trascinò con sé. «Andiamo, ti mostro come si fa.»
Ballarono insieme il tempo di un paio di canzoni, e poi andarono da Melinor ed Eamon. Alistair chiese il permesso di ballare con la sua amata, e l'arle accettò di ballare con Leliana.
«E così i due piccioncini hanno fatto pace» commentò Hawke dalla sua posizione in piedi accanto al tavolo, mentre faceva ondeggiare il suo vino rosso all'interno del calice. Anche lei si era vestita per bene: il suo abito era semplice e color ocra, con il corpetto che le strizzava il suo già prosperoso seno mettendolo ancor più in evidenza. Aveva raccolto i capelli in una treccia che le scendeva proprio sulla scollatura. Guardò Merevar accanto a sé.
Lui non rispose, troppo fiero per farlo; così come era troppo fiero per indossare abiti fornitigli dagli umani, pertanto si era presentato in armatura. Hawke giurò di averlo visto sorridere appena mentre guardava Alistair e Melinor ballare insieme, ma era troppo impegnato a sorseggiare il suo vino per accorgersi di essere sotto indagine. Hawke scosse il capo, ridacchiando. «Ti piace proprio, eh?»
«Sì, è fantastico!» esclamò l'elfo, chiaramente alticcio. «Sai, non ne vediamo tanta di questa roba noi dalish.»
«Lo vedo, hai bevuto due bicchieri e già hai le guance colorate» rise Hawke tracannando il suo vino alla stregua del più rozzo soldato. «Qui è una noia mortale...» sbuffò. Poi un ghigno perfido le si dipinse sul volto. «Ehi, ti andrebbe di andarcene da qui e assaggiare altro vino?»
«Non mi dispiacerebbe evitare questa marmaglia di shemlen, mi hanno praticamente costretto a venire» biascicò lui. «Ma tu che ne sai di dove trovare il vino?»
«Mia madre era una nobile. Non viveva in un castello, ma mi ha raccontato parecchie cose sulle usanze dei nobili... e so che non si fanno mai mancare una bella riserva di vini pregiati. Dobbiamo solo riuscire a intrufolarci nelle cantine... ci stai?»
Merevar ghignò divertito e fece segno di sì con la testa. Ridacchiando fra loro i due uscirono dal salone, lasciando Zevran a tormentare Morrigan nel suo vistoso abito color borgogna, Sten a vigilare sul salone insieme alle altre guardie (lui non si poteva concedere di festeggiare, a sua detta), Wynne a conversare amabilmente con l'arlessa e Connor parlando loro del Circolo dei Magi, e Leliana, Alistair e Melinor a volteggiare a suon di flauti e liuti.

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Capitolo 30
*** Una notte speciale ***


«Dunque è così che voi umani festeggiate?»
Melinor e Alistair camminavano lungo il corridoio del piano superiore. La maggior parte degli ospiti era tornata a casa propria, e chi alloggiava al castello stava ritirandosi nelle proprie stanze.
«Non tutti» rise il ragazzo. «Un ballo solitamente è riservato ai nobili, il fatto che anche i paesani siano stati invitati è un'eccezione... eccezionale.» Guardò l'elfa con un sorriso. «Ti sei divertita?»
Lei si strinse nelle spalle. «Non è stato male. Con un vestito più comodo me lo sarei gustato di più.»
Si fermarono davanti a una porta.
«Bene, sembra che siamo arrivati alla tua stanza» disse Alistair.
«Grazie per avermi accompagnata.»
Rimasero a guardarsi con esitazione qualche istante, incerti sul da farsi: dopo essersi riappacificati si erano abbracciati e nient'altro. Certa che Alistair non avrebbe tentato nulla per rispetto nei suoi confronti, fu Melinor a farsi avanti: posò delicatamente le labbra sulle sue in un casto bacio della buonanotte.
«Ci vediamo domani» lo salutò con un sorriso; si voltò per aprire la porta e oltrepassò la soglia, ma quando si voltò per richiuderla Alistair era impalato nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato. Sembrava indeciso. «Tutto bene?»
Il ragazzo la guardò e fece per parlare, ma qualsiasi frase stesse per uscire gli si smorzò in gola. Melinor inclinò il lato da un capo, osservandolo con fare perplesso.
«E va bene, non so proprio come chiedertelo» si grattò un orecchio lui.
«Chiedermi cosa?»
Ancora una volta lui la guardò, ma stavolta sembrava più risoluto.
«Ho capito una cosa sulla cima di quella montagna, Melinor. Noi non possiamo concederci il lusso del tempo. Il solo fatto di essere Custodi Grigi è un conto alla rovescia, e se siamo fortunati la corruzione ci reclamerà quando avremo all'incirca cinquant'anni. Sempre se sopravviviamo a questo Flagello.»
L'espressione di Melinor parlò da sé: la tristezza nei suoi occhi dimostrava che ne era ben consapevole. Rimase ad ascoltare il ragazzo con attenzione.
«Quando ho realizzato che stavo per perderti ho capito anche quanto fossi importante per me. E per questo non voglio avere rimpianti: voglio passare ogni giorno che ci resta insieme come se fosse l'ultimo, senza procrastinare nulla. So che ti avevo detto che volevo aspettare il luogo e il momento perfetto... ci sono voluti un villaggio di pazzi e un alto drago per farmici arrivare, ma ora so che non c'è momento più perfetto del presente... perché è tutto ciò che abbiamo.»
La consapevolezza di ciò che le stava dicendo la colpì come un fulmine: si sentì avvampare mentre i suoi occhioni verdi si colmavano di stupore.
«Io vorrei passare la notte con te, Melinor. Se anche tu vuoi.»
Restarono a fissarsi per parecchi secondi: lui sospeso tra un minuto e l'altro, lei intrappolata fra un respiro e quello successivo.
Infine l'elfa si scansò, lasciando libero il passaggio attraverso la soglia; a malapena riuscì a guardare Alistair mentre entrava nella sua camera. Richiuse la porta e diede un giro di chiave, voltandosi verso Alistair che attendeva in mezzo alla stanza. Rimase interdetta con la schiena appoggiata alla porta. Il ragazzo le sorrise.
«Sei nervosa?»
«Un po'» ammise lei, abbassando lo sguardo.
«Non dobbiamo farlo per forza, se non te la senti...»
Rialzò lo sguardo su di lui: rivide nella sua mente quel giorno nei boschi vicino a Haven, ricordò quanto lo aveva desiderato. Si fece coraggio e andò da lui: non appena gli fu di fronte girò su sé stessa e gli diede le spalle. Lo sguardo di lui cadde sui lacci che stringevano il suo corsetto.
«Se mi aiuti a togliere quest'abito infernale sono certa che mi sentirò molto più a mio agio» la buttò in ridere, pensando che Alistair le aveva attaccato il suo strano senso dell'umorismo a forza di farle battute sceme. Il ragazzo rise, il nervosismo di entrambi che iniziava a scemare mentre il corsetto di lei si allentava pian piano.

 

 

«Chi c'è? Venite fuori!» riecheggiava una voce nelle cantine.
Nascosti dietro a una grossa botte, Hawke e Merevar ridevano sommessamente.
«Sssh» si pressò un dito sulle labbra la ragazza. «Stai a vedere come lo prendo per i fondelli.»
Evocò un piccolo fuoco fatuo, e lo spedì fuori dalla cella sotterranea in cui si trovava: il baluginio della sfera si spinse fino al corridoio, dirigendosi verso l'uscita delle cantine. In pochi istanti, uno scalpiccio risuonò lungo il corridoio fino a sparire. I due ragazzi scoppiarono a ridere.
«Alla faccia di Eamon e di tutti i ricconi!» esclamò Hawke, stendendosi sul pavimento freddo e posizionando la bocca sotto al rubinetto dell'enorme botte: con una mano lo aprì e rimase a tracannare il vino come il peggior filibustiere mai visto nelle più malfamate locande. Quando si fu saziata dell'ebbrezza alcolica, chiuse il rubinetto e lasciò il posto a Merevar: l'elfo ubriaco la imitò ridendo, stendendosi a bocca aperta e attendendo che la ragazza aprisse il rubinetto. Hawke rideva, facendo ridere anche il dalish che per evitare di soffiare vino fuori dal naso rotolò di lato, restando disteso a singhiozzare per le risate.
«Bisogna ammetterlo, Hawke: voi shemlen sapete come spassarvela» biascicò a pancia in su. Hawke si buttò distesa di fianco a lui.
«Anche tu non sei male. Sai, non credevo avresti accettato di venire quaggiù con me; non non ti facevo un tipo da scorribande nelle cantine» lo derise bonariamente.
«Ehi, con chi credi di avere a che fare?» quasi si offese lui. «Guarda che tra i dalish sono considerato uno fra i più divertenti! Io e Tamlen eravamo l'anima della festa! Anche noi dalish sappiamo divertirci...» s'interruppe per qualche istante, gonfiando le guance scarne; esordì in un sonoro rutto. «Non con il vino, però. Hic
Hawke si scompisciò dalle risate per parecchi minuti, trascinando in quel vortice d'ilarità anche Merevar. Quando si fu calmata voltò la testa per guardarlo. «Chi è Tamlen?»
«Nostro fratello, il maggiore.»
«Oh, non sapevo aveste un fratello più grande...»
«Sì, beh... ora è morto.»
Pur nella sua ebbrezza, nettamente inferiore a quella dell'elfo, Hawke riuscì ad assumere un'espressione mortificata. «Mi dispiace, io... non ne avevo idea.»
«Sì, e sai che sono diventato un Custode subito dopo? Abbiamo trovato uno specchio maledetto, corrotto dalla prole oscura; Tamlen l'ha toccato e l'ha fatto esplodere, e bum! Sono stato corrotto e per salvarmi ho dovuto diventare un Custode. Melinor non ha voluto lasciarmi andare da solo e mi ha seguito, e ora eccoci qua.»
Hawke rimase in ascolto, interessata, la cantina attorno a lei che girava lentamente. «Tuo fratello non ce l'ha fatta?»
«Non l'abbiamo mai trovato. Non abbiamo nemmeno potuto fargli un vero funerale. Per fortuna ho avuto modo di dirgli addio a Haven, anche se era solo per finta.»
Hawke comprese subito ciò a cui l'elfo stava alludendo. «È lui che hai incontrato durante la prova?»
«Sì... ehi, Hawke» si girò su un fianco lui per guardarla meglio. «Tu sei una maga, ne capisci di questa roba... credi che quegli spiriti fossero davvero... spiriti? Quello poteva essere davvero Tamlen?»
«Spero di no» scosse il capo lei. «Anch'io ho visto mio fratello, non vorrei che fosse morto.»
«Ah, tuo fratello... quel tipo serio, Ca-qualcosa... perché hai visto proprio lui?»
«Non andavamo molto d'accordo. Nostro padre passava tutto il tempo con me e mia sorella per istruirci come maghe, e lui veniva spesso tagliato fuori. Dopo la morte di mio padre, mia madre faceva riferimento su di me nonostante fosse Carver l'uomo di casa. C'è sempre stata rivalità fra noi, ma non ci siamo mai confrontati apertamente.»
«E così ci ha pensato la prova a risolvere questo tuo problemuccio irrisolto... capisco.» Dal nulla, Merevar afferrò la treccia di Hawke e iniziò a disfarla.
«Ma che fai? Ci ho messo un sacco di tempo a farla» brontolò lei mettendosi seduta, ma il dalish si tirò su a sua volta per terminare il suo lavoro. Passò le dita fra i suoi capelli per pettinarli.
«Zevran aveva ragione, stai molto meglio con i capelli sciolti...»
Le sopracciglia color carota di lei si fecero asimmetriche, una che s'inarcava verso l'alto e l'altra che spingeva in basso. «Tu e Zevran parlate dei miei capelli?»
«Sono così belli» l'ignorò completamente Merevar, lo sguardo inebetito perso fra le ciocche rosse. «Sono rossi, come le fiamme della dea Sylaise...»
«Ehm... Merevar... sei proprio ubriaco...» fece per tirarsi indietro lei, ma lui non glielo permise. Azzerò la distanza fra loro in meno di un secondo: Hawke si trovò senza quasi rendersene le labbra del dalish sulle sue, la sua mano stretta in una delicata presa sulla sua nuca per tenerla stretta a sé. Nonostante la sorpresa iniziale l'avesse tenuta con gli occhi spalancati, Hawke si trovò ben presto a chiuderli: si abbandonò completamente e ricambiò il bacio di Merevar, cingendolo con le braccia e tirandolo giù con lei sul pavimento.

 

 

Le coperte erano cadute giù dal letto, solo le morbide lenzuola di seta erano rimaste a coprire i corpi nudi di Alistair e Melinor, accoccolati una fra le braccia dell'altro.
«Devo ammettere che non ci è andata male, dopotutto... una stanza nel castello di un arle non è qualcosa che tutti si possono permettere» disse il ragazzo, sorridente mentre giocherellava con una ciocca dorata di lei.
«Quindi era questo che avevi in mente, quando pianificavi qualcosa di speciale? È così che voi umani fate i romantici?» chiese lei, sorridendo a sua volta.
«Questo è anche meglio di quel che pianificavo» ridacchiò Alistair. «Magari avrei aggiunto qualche fiore, qualche candela in più... ma abbiamo un camino acceso, lenzuola di seta, un letto a baldacchino... devi ammettere che è molto meglio del bosco.»
Lei fece volutamente la sostenuta. «Sì, non è male... ma la prossima volta che ci accampiamo in un bosco ti faccio vedere come lo facciamo noi dalish.»
«Ti prendo in parola» ridacchiò lui; il suo sorriso si fece più dolce. «Grazie Melinor... è stato meraviglioso.»
Lei arrossì appena, distogliendo lo sguardo. «Non c'è bisogno di ringraziarmi per una cosa simile...»
«Sì, invece. So cosa significa per te... so cosa significa per voi dalish concedervi fisicamente, e sono davvero onorato del fatto che tu ti sia fidata di me.»
Lei lo squadrò col fiato sospeso. «Come fai a saperlo?» gli chiese, ma nello stesso istante in cui le parole si staccavano dalle sue labbra la risposta la colpì. «È stato Merevar a dirtelo!» sbottò indignata. «Quel maledetto impiccione, come si è permesso di dirti una cosa simile?»
«Non c'è niente di male» cercò di tranquillizzarla lui. «Anzi, trovo bello il modo in cui vi preservate per la persona giusta.»
«Ma io non volevo che tu lo sapessi!» esclamò lei. «Non volevo che ti facessi problemi e che ti sentissi vincolato dal rispettare le nostre tradizioni, volevo che le cose procedessero naturalmente...» s'interruppe, i suoi occhi che ancora una volta si colmavano di stupore mentre il ricordo si riaffacciava. «Quella volta, nel bosco... hai voluto fermarti per questo, vero? Tutte quelle cose che hai detto sul voler aspettare erano giustificazioni fittizie!» si tirò il lenzuolo fin sopra la testa, sparendo alla vista. Alistair rimase a guardare la sua sagoma coperta a bocca aperta.
«No, cosa dici? Melinor, vieni fuori da lì» disse, posando una mano sulle quelle di lei che tenevano stretto il lenzuolo; si abbassarono appena, scoprendo solamente i suoi occhi imbarazzati. «Quello che ti ho detto era la verità... sai, anche noi umani teniamo a certe cose. Non tutti, è vero... ma io sì.»
Melinor rimase a studiarlo qualche istante nascosta sotto al lenzuolo. Quando si decise finalmente a scoprirsi il viso, Alistair lo trovò acceso di rosso.
«Bene, allora... dato che sai cosa significa per noi dalish...» mormorò appena lei; «la cosa rappresenta un problema per te?» trovò il coraggio di chiedere, senza riuscire tuttavia a guardarlo in viso.
Lui le prese delicatamente il mento e la guardò dritta negli occhi. «Se fosse un problema non saremmo qui adesso» le sussurrò. «Mi sono reso conto di tante cose, in queste settimane in cui siamo stati separati. Ho avuto modo di rimuginare e realizzare cosa provo realmente per te.» Si fece serio come mai era stato prima in vita sua: nel vederlo così Melinor si sentì vulnerabile come non mai. Si rese conto che quello che aveva davanti non era più solo un ragazzo: era un uomo. «Io ti amo, Melinor. E se quello che abbiamo condiviso stanotte significa che hai scelto di avermi accanto per tutto il tempo che ci resta... non posso che esserne felice.»
Con il cuore che minacciava di saltarle fuori dal petto, lei gli gettò le braccia attorno e lo baciò, fuori di sé dalla gioia. «Ar lath ma, vhenan.»
Alistair si staccò appena da lei, restituendole uno sguardo perplesso e felice. «Non conosco l'elfico, ma suonava come un anch'io
Lei sorrise; non servivano altre parole.

 

 

Il sole iniziò a brillare oltre l'orizzonte. L'alba iniziò a filtrare attraverso le finestre del castello, iniziando a illuminare le stanze e i corridoi; ma non le cantine.
Merevar sentì una fitta alla testa ancor prima di aprire gli occhi: il suo stomaco era sconvolto, e la sua schiena intirizzita giaceva su qualcosa di freddo; per contro, avvertiva un insolito calore sopra di sé. Quando aprì gli occhi e li abbassò sul suo torace, vide una matassa di capelli rossi: Hawke dormiva raggomitolata contro di lui. Confuso e stravolto, fece per mettersi a sedere; nel muoversi svegliò la ragazza, che si levò con uno sbadiglio e stirò le braccia verso l'alto.
«Buongiorno» gli disse.
«Buongiorno un corno» bofonchiò lui; si sentiva uno straccio, il sapore acido del vino che gorgogliava nel suo stomaco e risaliva fino alla sua cavità orale. Si guardò attorno. «Ma dove siamo?»
«Nelle cantine... non ti ricordi?»
Lui scosse il capo; vide la pettiera della sua armatura abbandonata poco più in là sul pavimento, e si alzò per andare a rimetterla. «Chissà che ore sono» brontolò, la testa che picchiava da dentro come un martello sull'incudine. «Faremmo meglio ad andare, prima che qualcuno ci scopra qui.»
Fece per voltarsi, ma Hawke lo fermò.
«Ehi, aspetta!» gli mise una mano sulla spalla. «Non... non ti ricordi proprio niente?»
Spazientito sia da lei che dal penoso stato in cui si trovava, Merevar piazzò le mani sui fianchi. «No, non mi ricordo niente. Che ci sarà mai da ricordare? Ci siamo sbronzati e basta.»
Per la prima volta da quando la conosceva, Merevar la vide imbarazzata.
«Merevar... non abbiamo solo dormito insieme, stanotte.» Lui la guardò senza capire, al che lei indicò i suoi abiti e i capelli spettinati. «Pensi che i vestiti si siano sgualciti così solo perché ci siamo rotolati nel sonno?»
A quelle insinuazioni seguì un lungo silenzio.
«No» scoppiò a ridere lui scuotendo il capo, i capelli biondi lasciati sciolti che frusciavano sulle sue spalle. «Impossibile.»
Hawke parve offesa: incrociò le braccia e gli restituì uno sguardo indispettito. «È un'idea così ridicola?»
«Certo che lo è!» continuò a ridere lui. «Tu sei umana, Hawke.»
«Beh, a quanto pare gli umani non ti fanno poi tanto schifo» lo rimbrottò lei. «Sei stato tu a cominciare!»
«Hawke, se questo è uno dei tuoi soliti scherzi non è divertente» smise di ridere l'elfo.
Lei sbarrò gli occhi per l'esasperazione e allargò le braccia. «Ti sei messo a passarmi le dita fra i capelli e hai iniziato a blaterare qualcosa sulla dea elfica Sylaise, e poi mi sei praticamente saltato addosso!»
Stralci di ricordi confusi investirono Merevar all'improvviso: i capelli morbidi di Hawke, il suo profumo, le sue labbra calde...
«Hawke, cos'abbiamo fatto?»
La ragazza assunse un'espressione strafottente. «Che c'è, all'improvviso ti dispiace non ricordare?»
«Dannazione, Hawke! Dimmelo e basta!» esclamò lui prendendola per le spalle. «Per favore... è importante.»
La ragazza si calmò, iniziando a guardarlo stranamente. «Ci siamo baciati e... abbiamo pomiciato un po', nient'altro.»
Merevar emise un gemito, premendosi entrambe le mani sugli occhi e dandole le spalle.
«Non c'è bisogno di disperarsi così» gli disse lei, inacidita dal suo atteggiamento. «Non è poi successo granché.»
«Invece sì» disse lui, sconsolato. «Per noi dalish anche queste cose sono importanti, non le facciamo occasionalmente!»
Hawke si strinse nelle spalle. «Non deve per forza essere una cosa occasionale.»
Merevar la guardò allibito.
«Tu mi piaci da un bel po', Merevar» si dichiarò lei. «L'ho sempre tenuto per me perché sapevo che gli umani non ti piacciono, ma dopo ieri notte... pensavo che...»
«No» la fermò subito lui. «Ieri notte è stato un errore. Ero ubriaco, non significa nulla.»
«Forse l'alcool ti ha spinto a seguire le tue inclinazioni reali, invece. Non ci hai pensato?»
«Non dire assurdità!» sbottò il dalish, levando le braccia al cielo in un gesto esasperato. «Senti, Hawke: dimenticati quello che è successo. Tu sei umana, e io non sono di ampie vedute come mia sorella. Non potrei mai stare con una come te; non succederà mai, mettitelo bene in testa. Mai.»
Si voltò e uscì, lasciando Hawke sola e avvilita nel freddo della cantina.

 

 

Era mattina inoltrata quando Alistair e Melinor si alzarono e si rivestirono per scendere nella sala da pranzo: arle Eamon aveva convocato tutto il gruppo per discutere il da farsi subito dopo la colazione.
«Aspetta, devo darti una cosa» disse Melinor poco prima che Alistair aprisse la porta; gli andò incontro stringendo l'amuleto di Andraste fra le mani. Quando Alistair lo vide strabuzzò gli occhi.
«Dove l'hai trovato?»
«Me l'ha dato Isolde quando siamo partiti per Haven. Scusami, con tutto quello che è successo ho dimenticato di dartelo.»
Alistair lo prese, rimirandolo come se temesse di vederlo sparire all'improvviso. «Questo amuleto era di mia madre... era l'unica cosa di lei che mi era rimasta» rivelò. «Quando arle Eamon mi ha detto che sarei dovuto entrare a far parte dei templari, l'ho preso e l'ho lanciato contro il muro per la rabbia. Non volevo entrare a far parte della Chiesa e quell'oggetto in un certo senso la rappresentava, quindi...» lasciò in sospeso la frase. «Non posso credere che arle Eamon l'abbia fatto aggiustare e l'abbia conservato.»
Melinor prese l'amuleto e glielo mise al collo. «Evidentemente tiene a te più di quanto credi.»
Alistair sorrise; uscirono insieme e si diressero al salone.
Quando arrivarono, tutti gli altri erano già lì: un grande tavolo era stato imbastito per loro, e i loro compagni erano tutti seduti, chi intento a mangiare e chi lo aveva già fatto.
«Buongiorno» li salutò Leliana, il sorrisetto di chi la sapeva lunga impresso sul viso. «Dormito bene?»
I due ridacchiarono nervosamente; fecero finta di nulla e si andarono a sedere, ma inevitabilmente gli occhi di Melinor incrociarono quelli di Merevar. Non ebbe modo di nascondere al gemello la verità: in una frazione di secondo lui seppe.
«Avevi ragione» mormorò a Zevran, seduto al suo fianco. «Il cambiamento si nota subito.»
L'antivano ammiccò, tronfio. «Visto? Non mi sbaglio mai quando si tratta di sesso». Seguì con lo sguardo i due mentre si riempivano i piatti. «Sembra proprio che voi gemelli ve la siate spassata entrambi, stanotte. Anche se tua sorella ha concluso molto più di te... mi deludi, amico. Ti sei fatto battere da una ragazza.»
Merevar grugnì qualcosa in elfico in risposta.
«Dov'è Hawke?» chiese Alistair.
«In camera. Non si sente molto bene oggi» replicò Leliana, scoccando un'occhiata in direzione di Merevar. Melinor osservò la scena perplessa, ma non chiese delucidazioni.
Arle Eamon arrivò mezz'ora dopo seguito da suo fratello Teagan. Si accomodarono entrambi al tavolo e dopo un rapido scambio di convenevoli iniziarono subito a pianificare.
«Io e mio fratello abbiamo discusso a lungo» aprì la conversazione Eamon, «e siamo d'accordo su una cosa: voi Custodi dovreste focalizzarvi sul reclutamento dei nuovi alleati. Noi ci occuperemo di Loghain e della guerra civile in corso: dobbiamo convincere i bann a porre fine a questo scempio. Ci vorrà tempo, ma nel durante voi avrete parecchio da fare, quindi ci muoveremo contemporaneamente su più fronti. Ho dato un'occhiata ai vostri trattati: avete già reclutato i maghi del Circolo, quindi restano i nani di Orzammar e gli elfi dalish.»
«Ho sentito voci poco rassicuranti su Orzammar» s'inserì Teagan. «A quanto pare il re dei nani è deceduto, ed è in corso una disputa per decidere chi salirà al trono. Questo genere di cose richiedono sempre tempo, quindi sarebbe opportuno andare prima alla ricerca dei dalish. Per voi non dovrebbe essere un grosso problema» disse, alternando lo sguardo fra Melinor e Merevar.
«Lo spero» rispose l'elfa. «Il nostro clan è fuggito al nord subito dopo il nostro reclutamento nei Custodi, a quest'ora saranno già nei Liberi Confini. Da quel che so doveva esserci un altro clan a nord della foresta di Brecilian... ma potrebbero essere fuggiti anche loro dopo aver saputo del Flagello.»
«Il Creatore non voglia che sia così» sospirò Eamon. «Se dovessero essere migrati tutti all'estero rintracciarli sarà un problema.»
«Indubbiamente. È possibile contattarli anche oltre i confini del Ferelden, ma richiederebbe molto tempo... potrebbero non arrivare in tempo per la guerra» disse Melinor con aria grave.
«Allora dovete partire immediatamente, sperando che quest'altro clan sia ancora stanziato presso la foresta di Brecilian» decretò Eamon. «Nel frattempo io e Teagan faremo richiesta per un Incontro dei Popoli. Si tratta di un concilio a cui partecipano tutti i nobili del Ferelden per deliberare in merito a questioni importanti per la nazione» spiegò a Melinor, non avvezza alla politica umana. «In quell'occasione svergogneremo Loghain, rivelando i suoi crimini di fronte all'opinione pubblica. Tuttavia, le prove raccolte contro di lui finora potrebbero non bastare... e qui veniamo al punto saliente di questa conversazione» si fece ancor più serio Eamon. Puntò gli occhi su Alistair. «Loghain resta pur sempre un eroe nazionale, una leggenda nella storia della liberazione del Ferelden dalla dominazione orlesiana. Se vogliamo destituirlo dobbiamo proporre una valida alternativa, altrimenti i nobili non ci seguiranno. Loghain non ha alcun diritto a sedere su quel trono, e la regina Anora è sua figlia... probabilmente è in combutta con lui. Dobbiamo proporre un valido candidato, e si dà il caso che qui abbiamo l'ultimo erede vivente di re Maric Theirin.»
Lo stupore generale si abbatté sulla stanza intera. Alistair avvertì un brivido gelido scendere lungo la spina dorsale. «Volete proporre me come re?» esclamò.
«Sei un Theirin, Alistair. Un discendente del nostro primo re Calenhad: la tradizione deve continuare.»
«Ma... ma io non voglio diventare re! E poi sono un Custode Grigio, ho giurato fedeltà all'ordine!»
«E non è forse compito dei Custodi Grigi fare tutto ciò che è necessario per scongiurare il Flagello?» puntualizzò Eamon. «Al momento il modo migliore per unire il Ferelden contro la prole oscura è avere un re. Accettando la corona faresti il tuo dovere come Theirin e come Custode Grigio.»
«Chiedo scusa» riprese la parola Melinor, l'espressione corrucciata. «Alistair non ha la benché minima idea di come fare il re. Non è in grado nemmeno di gestire un gruppo piccolo come il nostro, difatti ha lasciato che fossi io a farlo. Come potete pensare che sia in grado di dirigere una nazione intera?»
«Non è molto carino da sentire, ma non posso negare che tu abbia ragione» borbottò Alistair al suo fianco.
«Alistair è una persona di buon cuore, ed è un abile guerriero con tutte le capacità per condurre un esercito in guerra. Gli manca la preparazione politica ed è estraneo agli ambienti nobiliari, ma ci sarò io a guidarlo in questo» affermò senza alcuna esitazione l'arle.
«Scusate se mi permetto, ma ho vissuto abbastanza presso la corte di Orlais per potermi permettere di affermare d'aver voce in capitolo» s'intromise Leliana. «So come ragionano i nobili: se voi vi proporrete come consigliere di Alistair, sembrerà che vogliate usarlo come una marionetta per i vostri fini personali. Sareste di fatto voi a governare attraverso lui, dato che Alistair non è in grado di fare scelte ponderate in merito alla gestione del potere. Senza contare che, nonostante suo padre fosse re Maric, è pur sempre il figlio bastardo di una serva... ai nobili questo non piacerà.»
«Ciò che dite è vero» fu costretto ad ammettere Eamon. «Ma cionondimeno, ci serve un pretendente al trono se vogliamo ottenere un Incontro dei Popoli: la nobiltà non si muoverà in un momento di crisi come questo se non per una buona causa. Sapere che esiste ancora un Theirin in vita che ha diritto al trono li smuoverà sicuramente, distraendoli dalla guerra civile in corso. Ciò che succederà all'Incontro dei Popoli resta un mistero, potrebbero anche non accettare Alistair come candidato... ma al momento è l'unica carta che possiamo giocare. Se vogliamo rivelare i crimini di Loghain ci serve l'Incontro dei Popoli.»

Il grosso della conversazione terminò lì. Vennero poi stabilite le mosse da effettuare, pianificarono le partenze e le direzioni da prendere, quantificarono le provviste necessarie.
Quando lasciarono la stanza, Melinor e Alistair erano entrambi d'umore nero.
«Non ci possono credere... vogliono usarti come... come un'esca per attirare i pesci grossi» mormorò Melinor.
Alistair la guardò con un sorriso triste. «La politica funziona così. Se è l'unico modo per poterci confrontare con Loghain, a me va bene.»
Lei si voltò a guardarlo, una debole traccia d'ira riluceva dietro alle sue iridi. «Hai detto che non vuoi diventare re.»
«Infatti. Ma hai sentito Leliana» la prese per le spalle lui con fare rassicurante. «I nobili potrebbero anche non volermi sul trono, e io di sicuro non voglio quella corona.» L'abbracciò forte.
«E se ti costringessero ad accettare?» mormorò Melinor. «Possono farlo?»
«Non credo; e in caso potrei sempre abdicare. Non sono tagliato per fare il re, di sicuro ci saranno candidati più idonei... ma non preoccupiamocene adesso» la strinse ancor più forte a sé. «Si risolverà tutto per il meglio, vedrai.»
Melinor ricacciò giù il grumo di frasi inespresse che minacciava di dirompere fuori dalla sua bocca. Rimase dov'era, in silenzio, assorta fra i suoi pensieri.
 

 

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Capitolo 31
*** Cercando i Dalish ***


I bagagli e le provviste erano pronti: il gruppo era pronto a ripartire ancora una volta. Erano tutti sparsi per il cortile del castello di Redcliffe mentre gli inservienti scarpinavano avanti e indietro, caricando di provviste il carretto dei due nani che viaggiavano con i Custodi, Bodahn e Sandal. Fino a quel momento si erano dimostrati discreti e cordiali, oltre che disponibili: erano sempre rimasti nei paraggi, facendosi trovare ogni sera ovunque il gruppo fosse accampato provvisti di nuovi beni che mettevano a loro disposizione come segno di ringraziamento per l'ospitalità.
Persino i nani erano presenti all'appello nel grande cortile interno, ma non Merevar. L'elfo aveva preferito starsene alla larga ed era andato a fare due passi al villaggio; il fatto che avesse preferito aggirarsi fra gli umani piuttosto che restare al castello la diceva lunga sul suo stato emotivo. Voleva evitare Hawke, gli sguardi curiosi dei suoi compagni, le stupide battutine di Zevran e soprattutto sua sorella.
Una volta decisosi a fare ritorno al castello si disse che aveva fatto bene ad andarsene, anche se aveva soltanto rimandato l'inevitabile.
Trovò Melinor seduta sui gradini che portavano al grande portone d'ingresso del castello: accanto a lei Hawke e Leliana. Erano immerse in una fitta conversazione. L'elfa intercettò immediatamente il fratello non appena fece il suo ingresso nel cortile: bastò uno sguardo a entrambi. Merevar si acquattò in disparte, muto e imbronciato, in attesa di partire.


Si misero in viaggio a metà pomeriggio, e la loro nuova destinazione era la foresta di Brecilian. Avevano deciso di seguire il corso del fiume Drakon, il quale costeggiava la Strada dell'Ovest che collegava Denerim alle regioni occidentali del Ferelden. Era la via più breve: sarebbero rimasti sull'argine a sud, evitando di esporsi mettendosi in bella vista sulla strada principale che fiancheggiava l'argine nord.
Se durante il loro ultimo viaggio l'escluso a chiudere la fila era stato Alistair, stavolta toccava a Merevar; questi era tuttavia sempre sostenuto dalla compagnia di Zevran, che lo volesse o meno.
Ma non s'illudeva di cavarsela a lungo: difatti, dopo un paio d'ore, Melinor abbandonò le prime file della piccola carovana per raggiungerlo.
«Dobbiamo parlare.»
Merevar sospirò, non potendo fare a meno di pensare a quando era stato lui stesso a rivolgerle quelle parole prima di farle la ramanzina sulla sua relazione con Alistair.
«Uh, ma guarda» s'intromise Zevran. «Come siamo sicuri di noi... la nottata col biondino ti ha fatto bene» sghignazzò. Melinor gli rivolse un cipiglio corrucciato, e l'elfo colse al volo il muto invito di lei. «Ho capito, me ne vado» alzò le mani per poi accelerare il passo e lasciare indietro i gemelli.
«Ti ha mandata la tua amichetta umana?» disse con una punta di scherno Merevar, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Veramente lei non voleva neanche dirmi cos'è successo» replicò l'altra con voce tagliente, incrociando le braccia. «Ho dovuto cavarle ogni singola parola di bocca con meticolosa pazienza.»
Merevar non rispose, continuando a infilare un passo dopo l'altro senza guardare in viso la sorella.
«Ti sei comportato in maniera orribile» continuò lei. «Dovevi proprio mortificarla così?»
«Cos'avrei dovuto fare? Essere carino e gentile, darle altre illusioni? Sarò anche stato brusco, ma almeno adesso eviterà di farsi altre strane idee» esplose, decidendosi finalmente ad affrontare gli occhi severi della sorella. «Forse ti è sfuggito, ma nemmeno io me la stavo passando troppo bene in quel momento. Stavo sperimentando i postumi della mia prima sbornia, la mia testa sembrava sul punto di scoppiare e rischiavo di vomitare a ogni respiro... in più ho dovuto scoprire di aver passato la notte con un'umana, una notte di cui non ricordo niente!»
Melinor gli si parò davanti costringendolo a fermarsi: ridusse gli occhi a due fessure mentre si avvicinava talmente tanto a lui da far quasi sfiorare le punte dei loro nasi. «Davvero, Merevar? Non ricordi proprio niente?»
Il ragazzo si ritrasse appena, le sopracciglia dorate che s'inarcavano verso il basso mentre un colorito rosato gli accendeva le gote. Melinor sfoggiò un sorrisetto soddisfatto.
«Come pensavo. Puoi ingannare Hawke, ma non tua sorella. Forse non ricordi perfettamente, ma qualcosa ricordi... solo che è più comodo convincerti di non ricordare, piuttosto che ammettere che ti è piaciuto.»
«Non dire sciocchezze, Melinor. È successo solo perché ero istupidito dall'alcool.»
«L'alcool non istupidisce, Merevar... semmai disinibisce. Quello che è successo probabilmente è quello che vuoi davvero quando il muro dei tuoi pregiudizi crolla. Perché non ammetti che Hawke ti piace? Non siamo più con il clan, non verrai scacciato da nessuno se ti innamori di un'umana... non è la fine del mondo!»
«Lo è per me!» sbottò lui. «L'ho detto a Hawke e lo ripeto anche a te: noi due siamo diversi, Melinor. Non potrei mai fare quello che stai facendo tu con Alistair. Gli umani hanno schiavizzato il nostro popolo, distrutto la nostra cultura e rubato le nostre terre, ci hanno costretti a una vita di continui spostamenti e fughe... hanno ucciso nostro padre! Sinceramente non riesco proprio a capire come riesci a guardare Alistair negli occhi senza che ti ricordi tutto questo!»
L'espressione di Melinor si fece triste come non mai: capiva le ragioni del fratello, ma era dispiaciuta nel vedere che non riusciva a oltrepassare quella barriera.
«Ci riesco perché quando lo guardo non vedo un umano, Merevar... vedo una persona. Lui è una brava persona, e lo è anche Hawke.»
Una punta di tristezza attraversò anche gli occhi di Merevar. «Lo so, ma a me non basta. Mi dispiace, non posso dimenticare tutto ciò che mi è stato insegnato, non posso ignorare i principi con cui sono stato cresciuto. Ti ammiro per quello che riesci a fare con Alistair, davvero; ma io non ne sarei mai capace.»
Melinor sospirò, spostando lo sguardo amareggiato a terra. Senza una parola, i due si rimisero in cammino sulla scia del gruppo che li aveva lasciati indietro.
«Com'è andata?»
Melinor guardò di sottecchi il fratello: aveva lo sguardo fisso davanti a sé, e cercava di nascondere la sua apprensione. Non ebbe bisogno di chiedergli a cosa si riferiva.
«Benissimo» replicò senza scendere nei dettagli sulla sua prima notte con Alistair. Era certa che lui non avrebbe voluto saperli.
«Sembri felice» osservò Merevar.
«Lo sono.»
«Bene» concluse il ragazzo. Continuarono a camminare fianco a fianco, il sole che iniziava a calare alle loro spalle.

 

Melinor rimestava il contenuto del pentolone con aria assente: la sua attenzione era altrove. Osservava il suo amato intento in una conversazione con Wynne, la quale sembrava divertirsi a mettere il poveretto in imbarazzo: gli stava spiegando da dove arrivavano i bambini, come se lui non lo sapesse. Melinor non poté evitare di sorridere nel vederlo offeso e imbarazzato mentre replicava affannatamente all'anziana. Guardò le tende disposte tutt'attorno: ce n'era una in meno, dato che avrebbero condiviso quella di lei per quella notte e per tutte quelle a venire. Si sentì avvampare per la gioia e per l'aspettativa.
«Ti rendi conto che hai sorriso così tutto il giorno?»
Morrigan apparve al suo fianco: gettò una cipolla nel calderone mentre Melinor si voltava a guardarla.
«La cosa ti disturba?» quasi ridacchiò l'elfa.
«Un po'» ammise la strega. Iniziò a scuotere impercettibilmente il capo. «Non ti capisco proprio. Tu sei una donna brillante, una dalish formata come Guardiana... avresti potuto avere chiunque, e ti sei scelta proprio quel buffone?»
Melinor tornò a rimestare la cena con lo stesso sorriso che aveva infastidito Morrigan poco prima. «L'amore ha delle ragioni tutte sue, Morrigan. Se un giorno ti innamorerai lo capirai.»
La ragazza trattenne a stento un'espressione disgustata, facendo ridacchiare la dalish: l'atteggiamento di Morrigan non le dava alcun fastidio, era semplicemente fatta così e lei l'accettava per come era. La strega delle Selve si spostò il ciuffo nero dagli occhi mentre guardava Alistair e Wynne punzecchiarsi a vicenda.
«Dev'essere proprio bravo a letto, altrimenti non mi giustifico come tu riesca a sopportarlo. Questo è l'unico buon motivo che mi viene in mente.»
Melinor non rispose, concentrando la sua attenzione sul pentolone; ma riuscì ad avvertire il sorrisetto malizioso della strega che sapeva di aver colto nel segno, almeno in parte.
«Quando mia madre mi ha costretta a partire non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Vai, aiuta i Custodi Grigi a salvare il mondo, mi ha detto... e ora mi trovo qui con voi due, melensi al punto da darmi la nausea, e questi altri due all'estremo opposto» parlò ancora, riferendosi a Merevar e Hawke.
Non aveva tutti i torti: la situazione era ben strana. Hawke sembrava essersi ripresa subito dalla delusione iniziale, ma non aveva certo dimenticato: era forte della sua indifferenza, condita da una manciata di rabbia che teneva accuratamente sottochiave. Ma Hawke era una persona trasparente, ed era come se la sua rabbia fosse conservata in una teca di vetro, ben visibile a tutti anche se non veniva tirata fuori. Merevar, dal canto suo, si era fatto ancor più solitario e scorbutico di prima, e si teneva a debita distanza.
Fu strano consumare la cena con un'atmosfera così carica di tensione: Leliana riesumò le sue conoscenze da cantastorie, togliendo la polvere dal suo liuto per risollevare l'umore generale con una delle sue ballate. Non servì a risolvere le cose, ma fornì un piacevole diversivo fino all'ora di andare a coricarsi.
Fu una notte tranquilla. Alle prime luci dell'alba il gruppo era già in piedi, fatta eccezione per due di loro.
«Hawke! Zevran!» gridò Alistair in direzione delle loro tende. «Svegliatevi! Dobbiamo metterci in viaggio, altrimenti ci vorrà un mese a raggiungere la foresta di Brecilian!»
Un paio di minuti più tardi, un gelido silenzio si abbatté sul gruppo: Hawke uscì tutta scapigliata dalla tenda di Zevran insieme a quest'ultimo.
«Non è come sembra, giuro» disse l'antivano, ridacchiando con fare colpevole e agitando le mani davanti a sé. Hawke incrociò di sfuggita lo sguardo di Melinor, accoccolata accanto al fratello mentre mangiavano insieme un pezzo di pane: l'umana distolse lo sguardo con grande rapidità non appena colse la delusione negli occhi della dalish.
«Come volevasi dimostrare» borbottò Merevar al suo fianco, l'espressione dura e forzatamente indifferente. «Gli shemlen sono tutti uguali. Ho fatto bene a darle il benservito.»


«Ehi, amico» Zevran raggiunse di corsa Merevar una volta partiti. Il dalish non l'aveva aspettato come di consueto ed era andato dietro agli altri senza battere ciglio. «Posso parlarti?»
«Non vedo perché non dovresti» ribatté l'altro senza guardarlo.
«Ah, bene... temevo che te la fossi presa per via di Hawke, considerato quello che...»
«Non me me ne frega niente di Hawke» si voltò a guardarlo con decisione Merevar. «Potete trastullarvi come vi pare, siete due persone libere.»
«Sì, ma volevo dirti che davvero non è come sembra. Noi...»
«Non ti devi giustificare» lo interruppe l'altro, visibilmente spazientito. «Lasciami fuori da questa storia, d'accordo? Non voglio saperne niente. Hawke ha trovato un altro elfo biondo con cui spassarsela, tu hai finalmente trovato una donna disponibile a venire a letto con te, e io mi sono liberato di una shemlen. Vinciamo tutti, quindi lasciamo perdere questo discorso.»
Zevran si fece serio, gli occhi castani puntati in quelli del dalish. «Dici che non ti interessa, ma lascia che te lo dica... non sembra proprio.»
Merevar sbuffò sonoramente e accelerò il passo, lasciando Zevran tutto solo alle sue spalle per raggiungere Sten. Almeno stando con il qunari non sarebbe stato costretto a sorbirsi un mucchio di inutili ciance.
«Non posso credere che Hawke sia andata a letto con Zevran» bisbigliava nel frattempo Alistair in testa alla processione con Melinor, Wynne e Leliana.
«Perché no? Zevran sarà anche un po' superficiale e promiscuo, ma non si può negare che sia un elfo attraente» commentò Leliana.
Alistair la guardò con aria schifata. «D'accordo, ma... andiamo, è Zevran! Non credevo che Hawke fosse il tipo da accontentarsi di...» lasciò in sospeso la frase.
«Una botta e via?» terminò per lui Wynne, ridacchiando nel vedere i tre giovani che la fissavano sbigottiti. «Che c'è? Potrei essere la nonna di tutti voi, e non ho certo passato una vita di castità. Sono una maga, non una sorella della Chiesa.»
«Oh, ti prego Wynne... ti vediamo davvero come una nonna, non puoi farci questo» scrollò il capo Alistair, incapace d'immaginare la donna in certi contesti.
«A ogni modo» tornò seria la maga dopo essersi divertita a punzecchiare il giovane «non puoi biasimare Hawke. Fa finta di niente, ma è palesemente ferita nell'orgoglio.»
Leliana lanciò una fugace occhiata alle sue spalle: esattamente come Merevar, Hawke aveva scelto di camminare al fianco di qualcuno che non le avrebbe fatto domande, ovvero Morrigan. «Sono d'accordo con te, Wynne... ma un po' di sesso riparatore con Zevran non risolverà proprio niente.»
«Tutti noi commettiamo degli errori, no? Ci servono per imparare. Diamole un po' di tempo» insistette Wynne. «Sono sicura che si chiarirà le idee. È una ragazza intelligente.»


Le due settimane successive non servirono ad appianare la situazione. Hawke passava quasi tutto il suo tempo insieme a Zevran, a cui Merevar non aveva più parlato. Più i due ridacchiavano fra loro e si affiatavano, più il dalish si spingeva verso le prime file del gruppo, lontano da loro. Si trovò quasi costretto a conversare spesso con Leliana, e persino con Alistair.
Fortunatamente per lui, ben presto ebbe qualcosa da fare: erano ormai a metà strada fra Redcliffe e Denerim, e l'accampamento dalish di cui erano a conoscenza doveva essere nei paraggi. Deviarono verso est, abbandonando il corso del fiume per immergersi nel folto della foresta di Brecilian.
«Questo posto è antico... e intriso di magia» mormorò Morrigan. «Molte presenze albergano qui. Spiriti, e forse demoni.»
«E prole oscura» aggiunse Alistair, guardandosi attorno. «Percepisco una debole presenza nella foresta, nulla di cui preoccuparsi... piccoli gruppi, forse. Ma dobbiamo stare attenti.»
«Cercate di essere rispettosi nei confronti della foresta» li ammonì Melinor. «Gli alberi sono vivi qui. Un passo falso e verrete spazzati via da un colpo delle loro radici.»
Merevar utilizzò le sue conoscenze da cacciatore per scovare le tracce dei dalish: s'inoltrarono per ben due giorni nella foresta, e più avanzavano più la sensazione d'essere osservati si acuiva.
Finalmente, al terzo giorno di cammino, l'elfo si bloccò bruscamente. 
«Fermi» ordinò ai compagni che lo seguivano alzando una mano. Avanzò da solo, lo sguardo rivolto verso gli alti rami degli alberi. «Aneth ara, fratelli e sorelle.»
Cinque ombre volarono giù dagli alberi attorno a loro come frecce. I cacciatori dalish tenevano gli archi saldi nelle mani, guardando gli umani con sospetto. Solo una di loro avanzava sicura verso Merevar: una giovane elfa bionda dalla carnagione olivastra e dagli occhi grigi brillanti come due pietre di luna.
«Mahariel» lo riconobbe, rivolgendogli un'occhiata sorpresa. Guardò alle spalle di Merevar. «Entrambi i gemelli» esclamò riconoscendo Melinor, che si fece avanti a sua volta. «Che sorpresa vedervi qui. Da quanto sapevamo, il vostro clan è partito più di un mese fa per i Liberi Confini... cosa ci fate qui con queste persone?» li interrogò squadrando il bizzarro gruppo che si portavano appresso.
«Efficiente come sempre. Vedo che ti hanno promossa cacciatrice, Mithra» ridacchiò Merevar porgendole la mano per salutarla.
«Capo cacciatrice, Mahariel» precisò l'altra, un sorriso soddisfatto sul viso mentre accettava la stretta di mano di Merevar. «Allora, volete spiegarmi chi sono questi shemlen che vi seguono?»
«È una lunga storia, ma per farla breve... siamo stati costretti a unirci ai Custodi Grigi. Non riconosci le armature?» indicò sé stesso.
«Voi due,Custodi Grigi? Strano che due dalish si siano uniti a un ordine di umani» esclamò Mithra. «Perfino tu, Melinor... eri la Prima di Marethari, com'è possibile che ti abbia lasciata andare?»
«Fortunatamente il nostro clan era l'unico ad avere una Seconda» le ricordò Melinor. «La Guardiana sapeva che non avrei lasciato andare Merevar da solo, e ha accettato la cosa senza discutere.»
Mithra annuì, sebbene basita. «Questa è una storia che voglio sentire, e me la racconterete lungo la strada per l'accampamento». Scrutò uno per uno i membri dello strano gruppo alle spalle dei gemelli. «Tamlen non è con voi?»
I due gemelli abbassarono istintivamente lo sguardo: osservandone la reazione, Mithra assunse un'espressione preoccupata.
«Andiamo, gemelli Mahariel. Raccontatemi tutto» disse, e insieme si avviarono verso l'accampamento dalish.


Mithra rimase in silenzio dopo aver appreso l'intera storia; erano ormai in prossimità dell'insediamento dalish, già riuscivano a intravedere gli aravel disposti tutt'attorno alla radura.
«Mi dispiace averti dovuto dare questa brutta notizia» le disse Merevar. «So che tu e mio fratello andavate particolarmente d'accordo... era molto concentrato su di te all'ultimo raduno dei clan» ricordò con un sorriso nostalgico.
Una risata triste giunse in risposta da parte di Mithra. «A me sembrava più concentrato su Gheyna, come tutti quanti» replicò con una punta di stizza. «Lei e quei suoi maledetti capelli rossi.»
I gemelli risero a quelle parole, trascinando anche la cacciatrice nella loro ilarità.
«Eccoci, siamo arrivati. Vi prego, assicuratevi che i vostri compagni si comportino in modo adeguato» raccomandò ai gemelli mentre sbirciava con sospetto il loro gruppo.
Non appena fecero il loro ingresso nell'accampamento, esclamazioni gioiose vennero subito smorzate da occhiatacce ostili mentre gli elfi si avvedevano della presenza dei Mahariel prima, e del loro gruppo poi.
«Melinor?»
Una ragazza dal volto gentile e dai lunghi capelli castani raccolti andò incontro a Melinor.
«Lanaya!» esclamò quest'ultima, mentre entrambe allungavano le braccia per stringersi in un abbraccio.
«Che bello rivederti, Melinor! Cosa ci fai qui? Ti manda Marethari?» investigò l'altra, che come Melinor portava un bastone assicurato alla schiena. Era la Prima di quel clan. La ragazza scrutò con attenzione il gruppo, per poi restituire a Melinor un'occhiata interrogativa. «La tua veste e l'armatura di Merevar... siete forse...?»
«È una storia lunga e complicata, Lanaya... ma sì, ora io e Merevar siamo Custodi Grigi. Siamo venuti qui per richiedere l'aiuto dei dalish contro il Flagello.»
Lanaya rimase a bocca aperta, ma Mithra la riportò immediatamente con i piedi per terra.
«Devono conferire con il Guardiano, Lanaya. È impegnato con i malati?»
«Sì, ma penso possa liberarsi per un po'. Posso sostituirlo io per il tempo necessario.»
«Malati?» s'intromise Melinor con fare preoccupato. «Si tratta forse della corruzione della prole oscura?»
«La prole oscura non c'entra» smentì Lanaya, «ma un altro male altrettanto corrotto sta affliggendo la nostra gente. Venite, Zathrian vi spiegherà ogni cosa.»
Melinor e Merevar si scambiarono un'occhiata carica d'apprensione; seguirono Mithra e Lanaya attraverso l'accampamento chiedendosi quale altro male fosse in agguato, come se il Flagello che li aveva derubati di ogni cosa non fosse già abbastanza.
 

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Capitolo 32
*** La foresta di Brecilian ***


Anche durante il breve tragitto che li separava dall'infermeria del campo, gli sguardi ostili dei dalish li accompagnarono come ombre.
«Ora sono davvero lieto che abbiate deciso d’indossare le armature da Custodi Grigi» bisbigliò Alistair ai gemelli. Le occhiate indirizzate al biondino erano un po' più indulgenti: persino fra i dalish i Custodi Grigi erano rispettati, per questo Melinor aveva suggerito d'indossare le loro divise appena entrati nella foresta.
«Guardano in modo strano perfino me» si stupì Zevran a mezza voce.
«Cercano di capire se sei un “orecchie piatte”» gli rispose Melinor.
«Ah, già... mia madre teneva un diario quand'era in vita, le sue compagne di bordello lo hanno lasciato a me. Ho letto qualche pagina prima che i Corvi mi comprassero, e ho appreso così l'usanza dalish di chiamare gli elfi di città orecchie piatte; mia madre chiamava così i suoi nuovi vicini di casa nell'enclave elfica di Antiva.»
«Tua madre era una dalish?» si voltò di scatto Melinor, sorpresa; suo malgrado perfino Merevar si trovò interessato alla cosa.
«Sì, lasciò il suo clan per un falegname che viveva nell'enclave; poi lui è morto, e lei è rimasta sola. Così, non sapendo come vivere, si è ritrovata a lavorare in un bordello.»
Melinor gli lanciò un'occhiata carica di compassione.
«Oh, non guardarmi così, mia compassionevole amica» ridacchiò l'altro. «Le prostitute guadagnano bene ad Antiva, soprattutto se sono elfe. Non le è andata tanto male» aggiunse, finendo col far roteare gli occhi di Melinor.
«Aspettate qui, vado a chiamare Zathrian» li fermò Lanaya una volta raggiunte le prime tende riservate ai malati.
«Lei è la Prima di questo clan?» bisbigliò Alistair a Melinor.
«Sì. È in gamba, ha dovuto lottare per meritarsi tale carica. Lei non è nata tra i dalish, Zathrian l'ha trovata con una carovana di umani che la usavano come schiava quand'era solo una bambina. Solitamente i Primi vengono scelti anche in base al lignaggio, più il sangue di una famiglia è puro e antico e più probabilità ci sono che la magia scorra potente... Lanaya non è nulla di tutto ciò, eppure Zathrian l'ha scelta comunque come sua erede» raccontò l'elfa. Alistair le rivolse un sorriso mite.
«Sembri conoscerla bene» le disse.
«Siamo sempre andate d'accordo» ammise lei, sorridendo a sua volta. «Ci incontravamo per lo più al raduno annuale dei clan, e in quell'occasione passavamo sempre del tempo assieme... la vita da Primi non è semplice, e solo un'altra persona che la vive può capirti. Stavamo a parlarne per ore.»
Si zittirono quando una figura autorevole apparve: un uomo dall'aspetto vissuto che nonostante ciò non sembrava anziano, alto e privo di capelli, il vallaslin sul suo volto che spiccava in modo particolare. Si avvicinò al gruppo con espressione gentile, nonostante fosse visibilmente stanco e provato.
«Andaran atish'an, Custodi Grigi» salutò il gruppo prima di concentrare le sue attenzione sui due gemelli. «Melinor Mahariel: è una sorpresa trovarti nell'ordine dei Custodi, Marethari ha sempre parlato con grande orgoglio di te. Se ti ha lasciata andare deve aver avuto un buon motivo.»
«Sì, Guardiano Zathrian. Mio fratello Merevar aveva contratto la corruzione della prole oscura, e l'unica cura era il rituale d'Unione dei Custodi Grigi. Io ho voluto seguirlo.»
«Capisco; non dev'essere stato facile per voi» disse guardando Merevar, «ma sono lieto che siate entrambi in buona salute ora.»
«Lo stesso non si può dire del vostro clan, da quanto abbiamo sentito» disse con voce apprensiva Merevar, mentre uno sguardo fugace volava in direzione dell'infermeria. «Che sta succedendo?»
Zathrian sospirò. «La sciagura si è abbattuta sul nostro clan, gemelli Mahariel. Un branco di lupi mannari tormenta e infetta la mia gente con il suo morbo.»
I due gemelli sussultarono.
«Lupi mannari? Credevo fossero solo delle leggende» esclamò Alistair.
«Solo delle leggende» gli fece il verso Morrigan poco più indietro di lui. «Solo gli stolti considerano le leggende alla stregua di storielle.»
«Perché, tu che ne sai di lupi mannari?» rimbrottò Alistair.
«Flemeth mi ha raccontato qualcosa quand'ero bambina, ma non ha mai approfondito l'argomento. Ma so che ogni leggenda nasce da una verità.»
«Flemeth?» esclamò Zathrian, spostando automaticamente gli occhi da Morrigan a Melinor. «Parla di Asha'bellanar?»
«Sì, Guardiano. È stata lei in persona a salvarci a Ostagar.»
«Voi dalish sembrate avere una strana ossessione per mia madre... le avete perfino dato un nome nella vostra lingua» insinuò Morrigan, puntellando le mani sui fianchi.
«Tua madre?» esclamò ancor più forte Zathrian, cercando ancora una volta gli occhi di Melinor: si guardarono per qualche istante in modo significativo. Infine Zathrian si schiarì la gola ritrovando la sua compostezza. «Asha'bellanar significa donna dai molti anni; sono certo che l'età di tua madre non sia un segreto per te» si rivolse a Morrigan. «Lei ha intrattenuto parecchi affari con la nostra gente, è antica e potente; per questo è assai rispettata.»
Morrigan aggrottò impercettibilmente le sopracciglia scure, ma le parole di Zathrian non sembrarono stupirla più di tanto. Annuì rispettosamente.
«Ma tornando a noi, Custodi» riprese il Guardiano «so che siete venuti per richiedere il supporto dei dalish, come stipulato molti anni or sono... ma a causa della malattia diffusa dai lupi mannari non abbiamo i numeri per rispondere alle vostre necessità. Ir abelas» si scusò in elfico abbassando il capo.
«Non esiste una cura per questo morbo?» indagò Merevar.
«Sì, e credetemi: abbiamo profuso ogni impegno nel tentativo di procurarcela, ma quelle bestie sembrano aver sviluppato una certa d'intelligenza» spiegò con rabbia al pensiero dei mannari. «Ogni volta che qualche esploratore usciva in cerca d'aiuto, le bestie lo uccidevano o lo lasciavano sospeso tra la vita e la morte. Abbiamo deciso di arrangiarci con le nostre sole forze, ma tutti i gruppi di cacciatori inviati alla ricerca dell'antidoto venivano attaccati con vere e proprie imboscate.»
Melinor apparve confusa. «Sono davvero così intelligenti? Non so molto sui lupi mannari, ma da quanto conoscevo dovrebbero essere creature guidate dal cieco istinto e dalla furia...»
«Sono perplesso quanto te, credimi. Non ho idea di quando si siano evolute fino a un simile punto.»
Sospirò scuotendo il capo con rassegnazione. «Purtroppo non ho modo di aiutarvi, Custodi. So che il Flagello è alle porte, i lupi mannari hanno probabilmente tenuto alla larga la prole oscura da questa porzione di foresta... ma temo non faremo in tempo a vedere il Flagello giungere fin qui. I nostri numeri sono già assai ridotti.»
«Potremmo cercare noi l'antidoto che vi serve» si fece avanti Merevar senza esitazione.
«Merevar!» esclamò con rimprovero sua sorella.
«Non possiamo lasciarli in queste condizioni!» ribatté l'altro, i suoi occhi risoluti quanto quelli di lei. «Siamo Custodi, ma siamo prima di tutto dalish. E i nostri fratelli sono in difficoltà. Abbiamo aiutato chiunque sul nostro sentiero finora, non puoi tirarti indietro proprio adesso che la nostra gente ha bisogno di noi!»
«Tua sorella ha ragione, Merevar» lo interruppe Zathrian, «anche se la tua devozione al Popolo è assai apprezzata. Marethari ti ha insegnato bene, Melinor: mai offrirsi volontari per missioni di cui non si conosce l'entità. Bisogna prima di tutto mirare al bene più grande per tutti.»
«Non fraintendetemi, Guardiano» si affrettò a specificare l'elfa. «Sarebbe un onore aiutare il vostro clan, ma dobbiamo prima di tutto preoccuparci del Flagello... o morirà l'intero Ferelden» disse con voce grave, mentre Zathrian annuiva con fare comprensivo. «Diteci cosa vi occorre, Guardiano. Se possiamo aiutarvi in tempi brevi, lo faremo molto volentieri.»
«La vostra generosità è grande, ragazzi. Ma se il compito dovesse sembrarvi troppo oneroso, non abbiate timore nel rifiutarlo; non è affatto una missione facile.» Fece una pausa, durante la quale i gemelli annuirono. «I mannari che hanno attaccato il nostro clan discendono tutti da un lupo molto antico e pericoloso: il suo nome è Zannelucenti. Un tempo era un semplice lupo, ma poi uno spirito si è legato a esso: è diventato potente e selvaggio, e il suo morso ha infettato numerosi umani. Questi si sono ammalati, diventando i primi lupi mannari.
Se riuscirete a uccidere Zannelucenti e a portarmi il suo cuore, potrei estrarne un antidoto contro la maledizione.»
«Non sembra un compito troppo difficile… sono sorpreso che i cacciatori non siano riusciti a portarlo a termine» commentò con sincera meraviglia Merevar.
«Come vi ho detto, queste bestie ci hanno colto di sorpresa con più di un’imboscata; non ci aspettavamo di cadere in una trappola, e questa negligenza ci è costata assai cara. Anche voi dovrete stare attenti: se vi morderanno vi ammalerete come il resto dei cacciatori sopravvissuti.»
«Più d’una maledizione per volta?» ridacchiò Alistair. «E io che credevo che la corruzione fosse più che abbastanza.»
Zathrian inclinò il capo di lato con aria interessata. «Il vostro amico umano potrebbe non essere del tutto nel torto… chissà, forse voi Custodi siete davvero immuni alla maledizione. Ma non vi consiglio di sfidare la sorte.»
«Che cosa succederebbe se venissimo morsi?» indagò Merevar.
Zathrian guardò prima Melinor, per capire quanto sapesse; e sapeva. «Vi trasformereste in lupi mannari dopo una lunga e febbricitante agonia» sussurrò al gruppo. Mithra, poco più in là, distolse lo sguardo; lei e Lanaya erano le uniche del clan a conoscere quella terribile verità. Mithra per proteggere meglio i suoi sottoposti,  Lanaya per via della sua posizione.
I gemelli si guardarono: Merevar incalzava con lo sguardo la gemella mentre lei, dal suo canto, sapeva che avrebbero potuto farcela.
«Vi aiuteremo» decretò infine.
«Ma serannas» s’inchinò davanti a loro il Guardiano, ringraziandoli nella loro lingua. «Comunque vada, vi sarò eternamente debitore. Se avrete successo avrete non solo i nostri cacciatori, ma anche quelli di tutti i clan che riusciremo a contattare.»
I due gemelli chinarono il capo in segno di rispetto.


Due ore più tardi erano già in cammino. Zathrian li aveva istruiti a dovere: Zannelucenti si trovava nel cuore della foresta, protetto dai suoi mannari. Dovevano cercare un grosso lupo bianco: il Guardiano aveva assicurato loro che l’avrebbero riconosciuto immediatamente.
«Voi Custodi non fate che stupirmi» borbottò Sten a Merevar. «Continuate a perdere tempo. Dovreste cercare l’Arcidemone e tagliargli la testa, non vagare alla rinfusa per tutto il Ferelden dedicandovi a tutt’altro.»
«Non mi aspetto che tu capisca» si limitò a replicare Merevar. «Se non ti va il nostro modo di gestire le cose puoi sempre andartene.»
Sten emise un rantolo di dubbia natura: non si capì se fosse di disapprovazione o d’ammirazione. «Almeno hai una ferrea convinzione. Questo te lo devo.»
Si muovevano nella foresta da nemmeno una decina di minuti quando Merevar li fece fermare tutti.
«Ho sentito qualcosa» bisbigliò, le sue iridi che saettavano tutt’attorno. La sua mascella si tirò mentre le mani di tutti andavano a stringersi attorno alle rispettive armi. «Fen’Harel ma ghilana» imprecò il dalish; «ci hanno circondati.»
Emersero dai cespugli e da dietro i tronchi degli alberi: enormi bestie dal pelo irsuto e con la bava alla bocca, alte almeno due metri, col muso e le zampe da lupo e la fisionomia umanoide. Avanzavano verso di loro ringhiando minacciosi.
«Fermi, fratelli e sorelle! Questi qui sono diversi.»
A parlare con quella voce roca e gutturale era stato uno di loro: sotto lo sguardo allibito dei presenti, la bestia avanzava verso i due dalish annusando l’aria. «Odorano di morte.»
Entrambe le fazioni restarono a studiarsi in silenzio per diversi istanti: ognuno valutando silenziosamente l’altro, ostili e curiosi al contempo.
«Voi non avete lo stesso odore degli elfi del clan. Chi o cosa siete?» li interrogò con fare poco amichevole lo stesso mannaro di poco prima.
«Siamo Custodi Grigi» parlò Melinor con gli occhi vigili incollati sulla bestia. Questa ridusse gli occhi a due fessure, come se stesse soppesando le sue parole.
«Astuto, quello Zathrian. Manda elfi con odore diverso e degli umani a fare il suo lavoro sporco.»
Melinor non poté evitare di sbarrare appena gli occhi. «Voi… conoscete Zathrian?»
«Sì, noi lo conosciamo; ma lo stesso non si può dire di voi. Non vi ha detto nulla, vero? Eppure voi lavorate per suo conto come pedine inconsapevoli» ringhiò con fare aggressivo.
«Che cosa avrebbe dovuto dirci?» chiese Melinor con fare interdetto.
«E perché dovrei perdere tempo a parlare con voi? È evidente che state cercando Zannelucenti per ucciderlo, come tutti i dalish venuti prima di voi!»
«Se c’è qualcosa che non sappiamo, gradirei conoscerne i dettagli» cercò di ammansirlo Melinor: tutti gli altri la fissavano con i sudori freddi che correvano lungo le loro tempie. «Magari possiamo trovare una soluzione pacifica. Perché avete attaccato il clan?»
«Non ti fidare di loro, Passosvelto» ringhiò un altro mannaro. «Sono dei bugiardi, lavorano per Zathrian; e lui non vuole la pace. L’ha dimostrato più volte.»
Quello che sembrava il capo dei mannari sembrò pensare per pochi secondi; poi scoprì i denti.
«Andatevene, Custodi Grigi. Questa non è la vostra battaglia. Ma se ci seguirete nel folto della foresta vi considereremo nemici quanto gli elfi di Zathrian.»
Non diede tempo alla ragazza di ribattere: ululò e subito tutti gli altri mannari lo seguirono, sparendo fra gli arbusti in un attimo.
Il gruppo rimase fermo nella sua posizione per parecchi istanti, incerto sul da farsi.
«Beh, è stato… interessante» ruppe il ghiaccio Zevran. «Ora ce ne andiamo?»
«Assolutamente no, andiamo a cercare questo lupo e portiamo il cuore a Zathrian!» sbottò Merevar.
Melinor non commentò; annuì e si fece silenziosa mentre il gruppo ripartiva per raggiungere il cuore della foresta.


«Fate attenzione adesso, e state vicini a me» sussurrò al gruppo mezz’ora più tardi. «Quest’area pullula di Silvani.»
«Oh, ho sempre desiderato vederne uno» esclamò sommessamente Morrigan in un raro quanto unico moto di entusiasmo.
«Cosa sono i Silvani?» chiese Hawke.
«Alberi posseduti da spiriti» spiegò Melinor mentre si muoveva con fare guardingo. «Alcuni sono benevoli, ma la maggior parte impazzisce e attacca chiunque gli si avvicini.»
«Questa è nuova! Credevo che solo le persone potessero cadere vittime degli spiriti» si meravigliò Zevran.
«Nei luoghi dove il velo tra i mondi è sottile succede di frequente. Il velo si assottiglia nei posti intrisi di morte: questa foresta è stata teatro di una grande battaglia tra elfi e umani, da quanto sappiamo noi dalish. E nulla attira gli spiriti più del sangue versato in grandi quantità. Se non trovano persone da possedere si accontentano di altre forme di vita, come animali o piante… a volte persino la roccia o gli oggetti.
Voi statemi vicini e non fate movimenti strani, conosco un incantesimo in grado di placare i Silvani.»
Si mossero con grande cautela seguendo la guida di Melinor. Nessuno fece una parola per oltre mezz’ora: la foresta era stranamente immobile e silenziosa. Evidentemente i lupi mannari la proteggevano con dovizia; eppure, nonostante fosse deserta e immobile, si sentivano osservati.
Quella pace non durò a lungo: nonostante la loro prudenza, un gruppo di mannari riuscì a fiutarli e li attaccò.
I guerrieri ebbero modo di assaggiare la forza sovrumana di quelle bestie, i cui artigli affilati avrebbero dilaniato le loro carni con estrema facilità, se non fosse stato per le armature. Attaccavano con rapidità e furia, e fu estremamente difficile evitare le loro mascelle scattanti.
Merevar stava per abbattere l’ultima delle bestie, quando quella lo fermò con un latrato.
«Ma ghilana mir din’an!»
Merevar si fermò immediatamente; sobbalzò nel vedere Alistair e Sten avventarsi sulla creatura.
«Fermi!» disse parandosi fra le due parti. «Questo è un elfo!»
«Cosa?» esclamò Alistair guardando il mannaro.
«Mi ha parlato nella nostra lingua» replicò l’altro.
«Ma ghilana mir din’an» implorò ancora il mannaro con aria sofferente.
«Sembra stia soffrendo… cos’ha detto?» chiese Leliana con espressione triste.
«Di condurla alla morte» si avvicinò Melinor. S’inginocchio accanto al mannaro. «Eri uno di noi, vero?»
La creatura annuì. «Mi chiamo… Danyla. Voi due… siete dalish» parlò con grande fatica.
«Stiamo aiutando Zathrian a trovare un antidoto per la maledizione» le spiegò Melinor con fare gentile.
«Loro… non ve lo permetteranno» sillabò Danyla. «I mannari proteggono… Zannelucenti…» S’interruppe per gridare di dolore. «La maledizione… brucia nelle mie vene!» uggiolò. «Vi prego… uccidetemi!»
«No, Danyla… non arrenderti proprio ora» si accucciò accanto a lei anche Merevar. «Presto tornerai come prima, ti aiuteremo noi.»
«No» scosse il muso peloso l’altra. «Non posso più sopportarlo!»
«Forse io posso aiutare» si fece avanti Hawke. Per un attimo gli occhi suoi e di Merevar s’incrociarono, ma subito Hawke li portò su Melinor. «Posso usare il ghiaccio perenne su di lei. Non soffrirà più finché non spezzeremo la maledizione.»
Melinor si voltò verso la diretta interessata. «Cosa ne dici, Danyla? Conosciamo un incantesimo che può aiutarti. Non vorresti tornare dal tuo clan?»
Danyla sembrò indecisa, ma alla fine decise di annuire. «Ma se fallirete… promettete di tornare qui e uccidermi. Mio marito… lui verrà a cercarmi… non voglio che mi veda così.»
«Lo promettiamo» intervenne Merevar, un’inconsueta gentilezza nella sua voce. «Ora lascia che ti aiutiamo.»
La mannara rimase immobile a terra mentre Hawke evocava su di lei il ghiaccio: l’espressione di Danyla sembrava sempre meno sofferente man mano che il ghiaccio saliva verso la sua testa.
«Gra…zie» emise un flebile suono giusto prima di essere completamente avvolta dal ghiaccio. Una volta terminato il suo lavoro, Hawke si passò un braccio sulla fronte sudata. Melinor le posò una mano sulla spalla per ringraziarla; la ragazza rispose con un cenno della testa e con evidente imbarazzo. Non avevano più parlato dopo l’incidente con Zevran, ma Melinor non sembrava affatto avercela con lei; era Hawke a sentirsi in qualche modo colpevole. Ma non era il momento di riappacificarsi: dovevano proseguire.


Raggiunsero infine il cuore della foresta: una fitta coltre di nebbia impediva loro di vedere oltre.
«Nebbia in questa stagione? È molto strano» alzò un sopracciglio Merevar.
«Non è nebbia normale» dedusse Morrigan. Tutte le maghe presenti annuirono: c’era della magia all’opera.
«Non è nemmeno magia normale» decretò Melinor. «Aspettate qui.»
Senza alcun preavviso svanì oltre il muro di nebbia.
«Accidenti, Melinor! Torna indietro!» esclamò Alistair preoccupato.
«Odio quando fa così» brontolò Merevar, incrociando le braccia con fare scocciato. Ma pochi istanti dopo Melinor ricomparve: sembrava stralunata.
«Che…? Sono tornata indietro?» mormorò.
«Sembra che questo lupacchiotto sappia proteggersi per bene» commentò Hawke.
Melinor tentò di aggirare la nebbia in tutti i modi, magici e non: nemmeno con tutte le maghe presenti riuscirono a superarla, e provando a seguirne il perimetro scoprirono che sigillava una grande area circolare.
Fu durante quel tragitto che incapparono in un personaggio bizzarro.
«Voi! Chi siete voi? No no no, loro vi hanno mandati! Ma non mi troveranno mai, oh no!»
Un vecchietto dall’aria gracile e folle aveva allestito un rudimentale accampamento nel cuore della foresta: blaterava parole apparentemente senza senso, ma non sembrava pericoloso.
«Quest’uomo è un mago… e molto potente, direi. Lo percepisci anche tu?» bisbigliò Morrigan a Melinor. L’elfa annuì e poi si fece avanti.
«Scusatemi, buon uomo… noi stiamo cercando di oltrepassare la nebbia. Sapreste dirmi come riuscirci?»
«Oh oh oh, volete andare di là?» ridacchiò. «I lupi hanno amici fra gli alberi, non vi lasceranno passare. Ma voi potreste ingannarli, sì.»
«E voi sapete come farlo?»
«Sì, sì. Ma no, no! Non ve lo dirò, loro vi hanno mandato!»
«Che sta succedendo qui?»
Tutti si voltarono verso la nuova voce arrivata: un giovane elfo dalish arrivava portando un mucchietto di legna.
«Aneirin?» esclamò Wynne, gli occhi azzurri solitamente così minuti ora grandi come biglie. «Sei davvero tu?»
L’elfo si fermò guardando l’anziana con aria dubbiosa. «La vostra voce è familiare…»
L’anziana deglutì visibilmente prima di parlare. «Sono Wynne. Ti ricordi di me?»
«Wynne… del Circolo» ricordò il giovane. Posò la legna a terra. «Cosa ci fate qui?»
Ma l’anziana era troppo sopraffatta dal momento per rispondere a quella domanda. «Credevo fossi morto» disse con voce tremolante. «Dopo la tua fuga i templari me l’hanno lasciato credere…» scosse il capo argentato abbassando le palpebre. «Mi dispiace Aneirin, è stata solo colpa mia.»
L’elfo assunse un’aria compassionevole; si avvicinò a Wynne e la prese delicatamente per un braccio. «Venite, parliamo un po’.»
«Oh, Aneirin… mi piacerebbe molto, ma siamo qui in missione ufficiale…»
«Và pure, Wynne» la incoraggiò Melinor. «Dobbiamo riuscire a convincere questo signore a dirci come superare la nebbia, e temo ci vorrà un po’» commentò, spostando lo sguardo sul vecchio pazzo.
«Dovete raggiungere il cuore della foresta? È molto pericoloso, i mannari hanno la loro base lì» sì stupì Aneirin.
«Lo sappiamo, ma dobbiamo trovare Zannelucenti per conto del Guardiano» gli spiegò Merevar.
«Oh, capisco… vi manda Zathrian» annuì Aneirin. Poi si rivolse al vecchio. «Puoi fidarti di queste persone, sono amici. Non li hanno mandati loro. Aiutali a superare la barriera.»
Il vecchio iniziò a mugugnare qualcosa d’insensato mentre Aneirin si appartava con Wynne.
«Chi sono loro?» sussurrò la maga.
«Non lo so. Conosco il vecchietto da anni e ancora non sono riuscito a capirlo.»


Mentre i due parlavano, il vecchio allestì un cerchio di pietre e si preparò a eseguire il rituale. Serviva una pelle di lupo mannaro, che recuperarono dalle carcasse lasciate dallo scontro avvenuto poco prima. Il vecchio incantò la pelle e poi la rese a Melinor.
«Ecco qui. Basta che uno di voi la indossi e ingannerete gli alberi: vi scambieranno per lupi mannari e vi lasceranno passare.»
Nel frattempo Wynne e Aneirin si riavvicinarono al resto del gruppo: erano entrambi visibilmente emozionati.
«Grazie dell’aiuto» disse Melinor al vecchio e ad Aneirin.
«Sì, sì… basta che non lo diciate a loro!» gridò il pazzo, iniziando a saltellare e dimenarsi come un forsennato.
Aneirin scosse la testa con un sospiro a metà fra l’esasperato e l’affettuoso. «Mi raccomando, fate attenzione.»
Si congedarono gli uni dagli altri, con Wynne riluttante ad andarsene; ma infine riuscì a distogliere lo sguardo dal giovane elfo e a proseguire per la sua strada.
«Un vecchio amico?» le chiese Alistair.
«Ero la sua mentore al Circolo, molti anni fa… era poco più d’un bambino all’epoca» si confidò Wynne. «Era assai promettente, ma io non ho saputo valorizzarlo. Ero così severa ed esigente, con la sola conseguenza di farlo chiudere in sé stesso. Finché un giorno non è scappato dal Circolo; i templari lo hanno inseguito, e al loro ritorno mi hanno lasciato credere che fosse morto… invece aveva trovato i dalish» sospirò con rammarico. «Se solo fossi stata più comprensiva… non sarebbe mai scappato.»
«Sono certa che non serba alcun rancore nei vostri confronti» le disse Leliana con la sua consueta dolcezza.
«Alla fine tutto si è risolto per il meglio, ha trovato il clan. Anche se avete avuto qualche incomprensione ora Aneirin è adulto, sono certo che comprende ciò che vi spingeva a essere severa» si accodò Melinor.
«È proprio quello che ha detto, in effetti» disse l’anziana con un sorriso sollevato. «Grazie di avermi portata con voi, Custodi. Per anni ho avuto questo rimpianto, e ora finalmente so che Aneirin sta bene.»
Così parlando raggiunsero la barriera di nebbia. Merevar prese la pelliccia e se la mise sulle spalle.
«Lasciate andare avanti me.»
Si mise in testa alla processione e s’immerse nel bianco vapore fluttuante; gli altri lo seguirono. Dopo qualche secondo si ritrovarono tutti dall’altra parte, e ciò che videro li lasciò a bocca aperta.
Un grande edificio in rovina emergeva dal fitto della vegetazione: davanti a esso, Passosvelto e una schiera di lupi mannari ringhiava contro di loro.

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Capitolo 33
*** Rottura di sangue ***



Un branco di lupi mannari era in attesa davanti alle rovine del tempio: ringhiavano con la bava alla bocca e le mascelle scattanti mentre il gruppo avanzava con le armi strette nei pugni. Si fermarono a parecchi metri di distanza.
«Vi avevo detto di andarvene» grugnì Passosvelto ergendosi davanti a tutti gli altri mannari «ma non mi avete ascoltato. Avete scelto di morire!»
«Aspettate» tentò d'iniziare un dialogo Melinor. «Non è necessario uno scontro, possiamo risolverla diversamente!»
Le sue parole si persero nel cacofonico miscuglio di ringhi e ululati mentre i mannari scattavano in avanti. Senza altra scelta, il gruppo si preparò a difendersi.
«Fermi!»
Una voce imperiosa tuonò, il riverbero che si espandeva in tutta la foresta: era una voce profonda e femminile. Un enorme lupo bianco balzò fuori dalla vegetazione per mettersi fra le due fazioni: i mannari si immobilizzarono immediatamente, ipnotizzati dal suo sguardo risoluto.
Una freccia sibilò lesta nell'aria facendo voltare il lupo, ma questi fece appena in tempo a vederla: prese fuoco a mezz'aria, finendo col diventare una nuvoletta di polvere volante.
«Melinor, ma che fai?» esclamò Merevar, la corda dell'arco ancora tesa. «Quello è Zannelucenti!»
«So bene chi è» ribatté lei puntando il bastone a terra. «E so anche che tu lo hai attaccato mentre stava impedendo ai suoi mannari di sbranarci.»
Merevar la squadrò incredulo. «Dobbiamo ucciderlo! È l'unico modo per salvare il clan!»
«Questo è quello che ha detto Zathrian. Non sappiamo se è la verità.»
Con gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia, Merevar incoccò un'altra freccia; ma Melinor gli puntò contro il bastone.
«Provaci, Merevar, e ti giuro che incenerirò il tuo arco!»
Le orecchie del lupo si drizzarono mentre la sua attenzione si concentrava sull'elfa.
«Ti ha dato di volta il cervello?» gridò Merevar. «Da quando siamo arrivati all'accampamento non fai che comportarti in modo strano! Quando Zathrian ci ha esposto il problema hai voluto sentire i dettagli prima decidere se aiutarlo... quella è la nostra gente, Melinor! Non avresti dovuto pensarci due volte! Noi siamo dalish, ci sosteniamo a vicenda da ere... sembra che tu lo abbia dimenticato! Forse hai passato troppo tempo con tutti questi shemlen» disse con disprezzo. Non sputò a terra, ma fu come se l'avesse fatto: tutti gli umani presenti non mancarono di guardarlo con risentimento.
Melinor serrò le labbra nel tentativo di mantenere la calma. Esalò un lungo respiro prima di parlare.
«Forse agisco così perché conosco la nostra gente meglio di te!» sbottò, sorprendendo tutti quanti con un inedito fervore. «Io so cose che tu nemmeno immagini, anche su Zathrian! Quindi evita di trattarmi come se fossi una qualsiasi orecchie piatte!»
«Dubito che tu conosca tutta la verità su Zathrian, ragazza.»
Tutti tornarono con l'attenzione su Zannelucenti. A giudicare dalla voce, sembrava essere una lupa.
«Ne sono consapevole, e sembra che voi invece sappiate molto su di lui» le rispose la dalish. «Ci ha mandati a prendere il tuo cuore, ma non intendo eseguire i suoi ordini finché non saprò come stanno realmente le cose. Non voglio fare il lavoro sporco per qualcuno che mi nasconde la verità.»
Zannelucenti la studiò con i suoi strani occhi neri, profondi come notti senza luna.
«Tu sei dalish. La vostra gente è molto unita e fedele alla propria razza, e tuo fratello ne è un esempio perfetto. Eppure tu sembri non fidarti di Zathrian... cosa ti spinge a voltare le spalle alla tua stessa gente per dare ascolto alla mia?»
«Già, Melinor... cosa ti spinge a comportarti come una stupida?» si accodò Merevar incrociando le braccia sul petto.
Melinor l'ignorò volutamente, restando concentrata su Zannelucenti.
«Zathrian è conosciuto e rispettato da tutti i dalish: nessuno ha mai vissuto tanto quanto lui, e nessuno sa di preciso quanti anni abbia. Per questo è considerato il primo dalish ad aver compiuto un passo verso il ritorno all'immortalità. Tuttavia i Guardiani dalish non vedono la cosa di buon occhio: Zathrian si rifiuta di rivelare la sua età, e questo è di per sé sospetto.
Inoltre c'è la faccenda delle linee di sangue. Si dice che il sangue degli antichi Elvhen scorresse talmente lento da essere quasi immobile, garantendoci così l'immortalità; e si pensa che il suo flusso sia stato velocizzato quando abbiamo iniziato a mischiarci con gli umani, fino a renderci creature mortali come le altre. Se questa teoria è corretta, le linee di sangue più antiche e pure dovrebbero essere le più longeve; Zathrian non discende da una dinastia molto antica, eppure vive più a lungo di tutti. I Guardiani pensano che abbia un segreto che tiene ben celato... e voi mi state confermando che è così.»
Zannelucenti la guardò con interesse.
«Io conosco il segreto di Zathrian, e sono disposta a parlarvene. Ma dimmi, elfa: se dovessi scoprire che Zathrian è nel torto, cosa farai?»
«Non posso decidere senza conoscere i dettagli, ma posso dirvi questo: voglio evitare altri inutili bagni di sangue» disse accoratamente Melinor, apparendo stanca ed esausta mentre parlava. «Abbiamo un Flagello davanti a noi, abbiamo visto morire tante persone... e molte altre moriranno ancora. Se è possibile, vorrei risolverla pacificamente.»
Zannelucenti rimase in silenzio alcuni istanti, studiando la ragazza come se potesse leggerle dentro.
«Allora parleremo. Avete la mia parola che nessuno dei miei compagni vi attaccherà. Vi chiedo la stessa cortesia.»
«Accettiamo. Ma se doveste attaccarci per primi, ci difenderemo.»
Zannelucenti annuì con il muso candido. Poi annusò l'aria.
«Non possiamo parlare qui. Orecchie indiscrete potrebbero origliare. Seguiteci nelle rovine.»
Si voltò, iniziando a dirigersi verso la costruzione polverosa.
«Certo, come no... non ha per niente l'aria di essere una trappola» le gridò dietro Merevar.
«Posso comprendere la tua diffidenza. Ti assicuro che non c'è alcuna trappola, ma non mi aspetto che tu mi creda. Camminate dietro di noi, anche a distanza se preferite: noi apriremo la strada e voi ci potrete tenere d'occhio.»
Con fare un po' titubante, il gruppo si mise in cammino dietro ai lupi. Sparirono all'interno delle rovine.
 

«Questo luogo è... è incredibile» mormorò Morrigan una volta all'interno, gli occhi gialli pieni di entusiasmo e meraviglia come mai il resto del gruppo li aveva visti. Era ovvio che i luoghi antichi e avvolti dal mistero come quello l'affascinavano molto. «Non ho mai visto né sentito parlare di rovine come queste... gli elementi architettonici sono una fusione tra l'antico stile elfico e quello dell'impero Tevinter!»
«Ci sono raffigurazioni degli Dei di entrambe le razze» osservò Zevran. «Forse qui vivevano sia uomini che elfi. Trattandosi del Tevinter, probabilmente gli elfi erano schiavi.»
Merevar avvertì una fitta allo stomaco: aveva avuto quella stessa conversazione con Tamlen durante la loro escursione maledetta fra le rovine. In effetti lo stile e gli ambienti erano i medesimi in entrambi i siti: incisioni in elfico antico si potevano trovare ovunque, perfettamente integrate nello stile imperioso e solenne tipico del Tevinter.
«Non ci sono riferimenti a rovine simili in nessuno dei libri del Circolo» commentò Wynne. «Se qualche autorità ne è a conoscenza, non vuole che si venga a sapere...»
«Probabilmente divulgare un'informazione del genere è considerato sconveniente» ipotizzò Leliana. «Elfi e umani che condividevano lo stesso spazio? Sarebbe una scoperta sconcertante.»
«Questo luogo ha molti secoli sulle spalle, forse millenni» disse Melinor. «Non potremo mai sapere cosa è successo qui.»
«C'è stato un tempo in cui elfi e umani convivevano pacificamente.» La voce di Zannelucenti riecheggiò attraverso i grandi corridoi in rovina fino a raggiungere il gruppo. «Un tempo molto, molto lontano... gli elfi tentarono d'istruire la giovane razza umana con la loro conoscenza, e a questo scopo diversi luoghi come questo furono eretti.»
«E tu come lo sai?» sbottò Merevar infastidito.
«Io c'ero. Ho vissuto per ere intere come spirito prima di diventare Zannelucenti.»
«Quindi hai assistito all'inizio della guerra fra le nostre genti?» chiese Alistair meravigliato. «Cos'è successo?»
«Quello che succede sempre: la brama di potere e la superbia si sono impossessate dei cuori di tutti. Sapete già com'è andata a finire» concluse, restando in silenzio per tutto il resto del tragitto. Nessuno osò fare altre domande.
Le rovine scendevano diversi piani sotto il livello della superficie: man mano che proseguivano iniziavano a passare attraverso ambienti sempre nuovi. La maggior parte delle stanze era stata occupata dai lupi mannari, che uggiolavano o ringhiavano al loro passaggio: li guardavano con diffidenza attraverso le porte aperte, e il gruppo ebbe modo di vedere come quelle creature si erano adattate a vivere là sotto.
«Sembrano... sembrano persone» mormorò Hawke, sorpresa. I lupi avevano creato rudimentali letti, focolari per cucinare, alcuni portavano addosso addirittura qualche straccio a mo' d'abito. C'erano cuccioli che giocavano con sassi e pezzi di legno e madri che li prendevano per nasconderli agli occhi degli estranei.
Alla fine del tragitto si ritrovarono in un ampio ambiente circolare: resti di un colonnato ne delimitavano lo spazio, ed enormi radici avevano preso possesso delle pareti creando un maestoso e pittoresco effetto naturale.
«Sembra un tempio» mormorò Melinor.
«Qui è dove sono stata creata» disse Zannelucenti, portandosi su quella che doveva essere stata l'area adibita ad altare.
«Sei stata... creata? Zathrian ha detto che uno spirito si è unito a un lupo, dando vita così a ciò che sei ora» obiettò Melinor, confusa ma non troppo sorpresa.
«Ed è così; ma ha omesso un dettaglio assai rilevante. È stato lui a vincolarmi al lupo, non è stata una mia scelta.»
Tra lo stupore generale, la grande lupa bianca s'illuminò: la sua sagoma luminosa prese a mutare fino ad assumere una forma umanoide. Gambe, braccia, testa: quando la luce si diradò, una nuova creatura si ergeva innanzi al gruppo. I lupi mannari che li avevano accompagnati fino a lì si disposero tutt'attorno a quello che sembrava uno spirito femminile, dai lunghi capelli e occhi neri e dalle estremità avvolte da radici. Fiori e rampicanti adornavano le sue forme risaltando sulla sua pelle verdastra.
«Questa era la mia forma prima che Zathrian mi trasformasse in Zannelucenti: mi chiamavano la Signora della Foresta. Vivevo nell'Oblio, e da lì vegliavo e proteggevo la foresta tenendo lontani i demoni che volevano passare dall'altra parte.»
«Tu eri lo spirito guardiano di questa foresta?» quasi sbiancò Melinor. «Ho sentito parlare di spiriti come te... dovevi essere molto potente per proteggere una foresta così grande. Come è riuscito Zathrian a vincolarti? Un rituale simile richiede un potere immenso... avrebbe potuto morire!»
«Già, è una follia anche solo provarci» fu d'accordo Morrigan.
«È stato spinto dalla disperazione» rivelò la Signora della Foresta abbassando appena lo sguardo. «Da giovane aveva una famiglia: una moglie e due figli. Un giorno il suo clan passò accanto a un insediamento di umani, i quali non la presero bene: rapirono alcuni di loro nella notte, tra cui la sua famiglia. Uccisero tutti, tranne sua figlia: la violentarono e la picchiarono, lasciandola moribonda nella foresta. Fu ritrovata e curata dal clan, ma non fu mai più la stessa. Come se il dolore di quel trauma non fosse stato sufficiente, qualche mese dopo scoprì d'essere rimasta incinta. Non poteva sopportare l'idea di portare in grembo il frutto di quei soprusi, e un giorno, all'improvviso... si tolse la vita.
Fu allora che Zathrian perse la ragione: reso cieco dal dolore e dal desiderio di vendetta, venne qui e mi evocò. Impietosita dalla sua sofferenza accettai di sottopormi al rituale di vincolamento: credetti di poter continuare a proteggere la foresta in una nuova forma, pensai che così avrei potuto evitare che la storia di Zathrian si ripetesse... ma noi spiriti non abbiamo idea di come sia la vita quaggiù. Non conosciamo la potenza delle emozioni e degli istinti. Non appena m'incarnai gli istinti del lupo presero il sopravvento: diventai lo strumento perfetto per la vendetta di Zathrian, andai al villaggio degli umani e li sbranai tutti. I pochi sopravvissuti vennero infettati dal mio morso, diventando così i primi lupi mannari.
Quando mi riappropriai della mia volontà e mi resi conto di ciò che avevo fatto, mi rifugiai qui. Per anni restai sola tra queste rovine, pentendomi della mia scelta e delle mie azioni... finché i mannari non mi trovarono. Senza che lo volessi mi scelsero come loro capo, e fu allora che vidi la possibilità di rimediare ai miei errori. Pensai che in fondo quelle creature erano esseri umani: doveva pur esserci un modo per ridestare la loro umanità. Impiegai anni e anni, e alla fine riuscii con fatica nel mio intento. Ma più i mannari tornavano consapevoli, più il dolore diventava insopportabile: la maledizione scorre come fuoco nelle loro vene, bruciando come l'ira di Zathrian nei loro confronti.
Non potevo più vederli in quello stato: decisi di affrontare Zathrian per chiedergli di annullare il suo incantesimo e rilasciare la maledizione. Tentai di avvicinarlo più volte nella foresta, ma si è sempre allontanato rifiutando di parlarmi. Smise persino di recarsi nella foresta, delegando i suoi compiti ad altri. Così presi una decisione: l'avrei costretto a ragionare. Se i suoi preziosi elfi si fossero ammalati, sarebbe stato costretto a spezzare la maledizione per salvarli... invece...» sospirò rassegnata. «Ha escogitato un modo più in linea con il suo pensiero per aggirare l'ostacolo.»
«E ha fatto bene!»
Tutti si voltarono verso Merevar.
«Queste bestie si meritano tutto questo! Hanno ucciso la sua famiglia e sono state punite!»
Lo spirito assottigliò appena le fessure dei suoi occhi.
«Tu assomigli molto al giovane Zathrian... hai tanta rabbia dentro di te. Forse perché il tuo destino è stato simile: tuo padre è morto per mano degli umani, non è così? E in un certo senso anche tuo fratello: se quegli umani non fossero andati a caccia di tesori nella foresta, non avreste mai trovato quelle rovine... e tu non avresti mai dovuto abbandonare il tuo clan.»
Merevar tirò la mandibola: lo spirito riusciva a vedere dentro di lui con una facilità assurda.
«Quegli umani hanno arrecato un grande torto a Zathrian, è vero. Ma rifletti, giovane elfo» lo esortò, indicando i mannari tutt'attorno. «Nessuno di loro è qui oggi. Perché queste creature devono pagare per i crimini commessi secoli or sono da altri?»
«Vedo che stai cercando di farti nuovi amici, spirito.»
Tutti si voltarono verso la porta che conduceva al tempio sotterraneo: Zathrian fece il suo ingresso accompagnato dai rantoli e dai grugniti dei mannari nella stanza. Alcuni di loro fecero per scattare verso di lui, ma la Signora della Foresta li trattenne con un semplice gesto della mano.
«Zathrian, cosa ci fate qui? Come siete riuscito ad arrivare quaggiù?» sgranò gli occhi Merevar, correndogli incontro.
«Ho seguito voi, e un po' di magia mi ha protetto una volta nelle rovine.» Posò lo sguardo su Melinor, che lo fissava a distanza con espressione indecifrabile. «Temevo che lo spirito avrebbe tentato di far leva sul buon cuore di tua sorella.»
«Voi mi avete mentito» ribatté lei con espressione austera. «Avete creato voi la maledizione, siete il responsabile di tutto questo.»
«Tutto ciò che ho fatto l'ho fatto per proteggere il mio clan.»
«Davvero? Quanti membri del clan avete perso solo perché non avete voluto parlare con la Signora?»
«Ragiona, ragazza: guarda cos'hanno fatto. Non sono stati ascoltati e hanno deciso di costringermi ad agire con la violenza. Non sono diversi dai loro predecessori!»
«Perché non dici loro la verità, Zathrian?» li interruppe la Signora. «Dì loro che non vuoi spezzare la maledizione perché ciò ti condurrebbe alla morte.»
Tutti gli occhi si puntarono sul Guardiano.
«Zathrian ha usato la magia del sangue per vincolarmi» continuò la Signora, inarrestabile. «Ha dovuto usare tutto il suo sangue: se vive ancora è solo perché la sua essenza vitale è legata alla maledizione e la alimenta. Questo è il segreto della sua lunga vita: finché la maledizione esiste, lui può vivere. Spezzarla significherebbe spedire nell'Oblio la sua stessa anima.»
«Ma certo, ora si spiega tutto» quasi scoppiò a ridere Merevar con fare polemico. «Tu biasimi Zathrian perché vuole vivere, ma tu non sei diversa. Uno dei due deve morire, e chiaramente tu suggerisci che dovrebbe essere lui!»
«Sei in errore, ragazzo» scosse il capo lo spirito. «Io morirò in ogni caso. Non m'importa del mio destino, che è comunque segnato. Ciò che m'importa è che se Zathrian avrà il mio cuore, curerà solo la sua gente; se invece spezza la maledizione, libererà tutti quanti. Anche sé stesso.»
Melinor fissò il suo sguardo in quello di Zathrian.
«Questa storia è andata avanti fin troppo a lungo, Guardiano. È ora di fare la cosa giusta: spezzate la maledizione.»
«Melinor!» esclamò Merevar sbigottito. «Ma che stai dicendo? Morirà!»
«Sì, e morirebbe facendo il suo dovere!» picchiò a terra il suo bastone. «Non capisci? Non ci sarebbe più alcun lupo mannaro a minacciare il clan, tutti tornerebbero a essere le persone che sono destinate a essere!»
«Umani o mannari... non fa differenza. Restano comunque delle bestie» disse con rabbia Zathrian. «Tu sei giovane, Melinor; sei ingenua. Lo posso capire, ti sei perfino innamorata di uno di loro... probabilmente hai visto solo il lato roseo della medaglia, ma io ho visto il lato marcio. Gli umani sono pericolosi, e io non intendo lasciarli liberi di compiere le loro atrocità! Non di nuovo!»
«Questa è un'assurdità! Non sono tutti uguali, non potete condannarli tutti per i crimini che solo alcuni di loro hanno commesso!»
«Adesso basta, Melinor!» gridò Merevar. «Non ti importa niente di ciò che Zathrian ha dovuto passare? La sua è solo una delle tante storie dei dalish, e hanno tutte la stessa morale: non ci possiamo fidare di loro! Il fatto che tu ne abbia incontrati un paio di buoni non li rende una razza affidabile!»
L'espressione di Melinor tradì un certo disgusto. «Hai proprio un bel coraggio a parlare così! Alcuni di loro hanno rischiato la vita per te, o lo hai già dimenticato? Quale bestia farebbe una cosa del genere?»
Gli occhi di Merevar saettarono automaticamente verso Alistair, trovandolo con un misto di emozioni impresse sul volto: era allibito, deluso, indignato. Ma la cosa non toccò minimamente il dalish.
«Mi dispiace, Melinor. Ma io sto e starò sempre dalla parte della nostra gente. È quello che facciamo da ere, ed è quello che dovresti fare anche tu. Se vuoi sacrificare Zathrian per salvare quelle bestie, allora» i suoi occhi si indurirono «non sei più una dalish.»
Gli occhi di Melinor si sbarrarono mentre le sue sopracciglia si inarcavano verso il basso. Il suo visino perfetto venne deturpato da un'espressione traboccante di rancore. Alcune scintille elettriche iniziarono a divampare dalla mano stretta attorno al bastone.
«Rimangiati subito quello che hai detto.»
Merevar incrociò le braccia senza cedere minimamente: mantenne lo sguardo in quello della sorella senza dare il minimo segno di pentimento.
«Un vero dalish protegge la sua gente» parlò ancora l'elfa, trattenendo a stento la rabbia. «Tu, Zathrian, sei solo un ipocrita. Bisogna prima di tutto mirare al bene più grande per tutti... queste sono parole tue, ricordi? Me le hai dette qualche ora fa. Trovo curioso il modo in cui le applichi, perché al momento stai proteggendo solo il tuo orgoglio. La tua gente sta morendo per colpa tua!»
«No, Melinor. Sta morendo per colpa tua» perse la pazienza Merevar, mentre gli occhi e le bocche di tutti si spalancavano. «Se non avessi incenerito la mia freccia ora avremmo il cuore di Zannelucenti, e il clan sarebbe salvo! Invece continui a metterti in mezzo, insisti nel voler salvare la gente sbagliata!»
In pochi secondi, Melinor fu di fronte al gemello: uno schiocco secco riecheggiò nell'antico tempio mentre la sua mano rivoltava il volto di Merevar.
«Come osi» scandì le parole con la voce tremante di rabbia. «Io voglio solo evitare altre morti inutili. Ma tu... tu non vuoi capire, non vuoi accettare la situazione. Sei proprio come Zathrian, legato al tuo rancore!»
Si voltò e raggiunse a grandi passi la Signora della Foresta, piazzandosi al suo fianco.
«Vuoi il suo cuore, Merevar? Dovrai scontrarti con me, perché io intendo fare la cosa giusta.»
L'espressione dell'elfo si fece rabbiosa. «Non costringermi, Melinor. Ti ho già detto da che parte sto, e non cambierò idea.»
Per un breve istante la dalish tradì la sua delusione: l'espressione irosa fu smorzata dall'amarezza del tradimento.
«Non posso crederci» scosse il capo, l'espressione incredula e disgustata. «Quando hai contratto la corruzione della prole oscura ho dovuto scegliere: i dalish o il mio sangue. Ho fatto la mia scelta senza pensarci due volte... ho scelto di seguire te. Invece tu hai scelto i dalish.»
Merevar non rispose, e lei non aggiunse altro. Le scintille che scoppiettavano attorno alle sue mani parlavano per lei.

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Capitolo 34
*** La fine e l'inizio ***





Alistair alternava lo sguardo esterrefatto fra i gemelli, una schierata accanto alla Signora della Foresta e l'altro con Zathrian.
«Andiamo ragazzi, non farete sul serio» rise nervosamente. «Voi due siete... siete voi due! Melinor, tu hai rinunciato alla tua posizione di futura Guardiana per lui... e tu» si volse verso Merevar «tu l'adori almeno quanto lei adora te! Mi hai quasi pestato a sangue per lei!»
L'occhiata che l'elfo gli scoccò fu glaciale e rovente allo stesso tempo.
«Non ti conviene ricordarmelo, shemlen. Prima c'era Melinor a trattenermi, ma ora nemmeno lei potrebbe fermarmi. Ti conviene starmi alla larga, o stavolta farò di peggio che pestarti a sangue.»
Osservandolo, Alistair comprese che faceva sul serio; indietreggiò in direzione di Melinor, serio in viso.
«Non oseresti» sibilò minacciosa la dalish al fratello, sbattendo violentemente il bastone a terra.
«Fatti da parte, Melinor. Non voglio farti del male» replicò l'altro mentre le sue dita si stringevano all'arco come un serpente attorno alla sua preda; ma lei non si mosse.
«Tutto questo è assurdo.»
La baritonale voce di Sten riecheggiò nel tempio in rovina insieme al suono dei suoi pesanti passi metallici mentre avanzava verso la Signora della Foresta.
«L'elfo ha ragione, stiamo perdendo tempo. La soluzione è proprio davanti ai nostri occhi: prendiamo quel cuore e facciamola finita. Il nostro obiettivo è l'arcidemone!»
«Stai al tuo posto, Sten!» Melinor si parò fra il qunari e la Signora della Foresta brandendo il suo bastone.
«Non prendo ordini da te» esordì Sten senza alcuna emozione. «Sarai anche il capo che tutti hanno scelto, ma io scelgo di seguire Merevar. L'unico a non farsi inutili scrupoli. Un condottiero sa che alcuni sacrifici sono necessari in guerra.»
«Ma questo non lo è!» insistette l'elfa. «Ti avverto, Sten: io ti ho fatto uscire da quella gabbia, e io posso rispedirti da dove sei venuto. In una bara, se mi costringerai.»
«Se riuscissi a uccidermi, almeno morirei sapendo di aver seguito una persona degna.»
Quelle furono le ultime parole del qunari prima che il clangore del suo spadone a due mani s'infrangesse contro il rivestimento metallico del bastone di Melinor. L'elfa respinse il qunari con un'esplosione di energia nel tentativo di atterrarlo, ma ottenne solo di farlo barcollare.
Preoccupato, Alistair si appellò a Merevar.
«Digli di fermarsi!»
«Perché? Hanno entrambi fatto la loro scelta.»
Alistair lo fissò indignato, le labbra dischiuse incapaci di lasciar passare anche solo una parola. Si fiondò a soccorrere Melinor, che nonostante la sua magia ben poco poteva in un combattimento corpo a corpo con uno della stazza di Sten.
«Questa ridicola storia deve finire ora, Merevar!» Leliana avanzò a passi decisi verso l'elfo. «Non puoi davvero pensare che noi umani siamo tutti uguali, abbiamo camminato e combattuto fianco a fianco per mesi!»
La ragazza schivò la freccia sibilante con un'agilità impressionante: si voltò a guardare Merevar allibita, l'arco ancora teso fra le mani del dalish e i grandi occhi da elfo pieni di determinazione.
«Amico, che ti prende?» gli sbucò accanto Zevran, l'espressione stranamente serena persino in quella situazione. Puntò un dito in avanti. «È tua sorella quella lassù, te lo sei scordato?»
«Vattene, Zevran. La tua faccia è una delle ultime cose che vorrei vedere in questo momento.»
«Oh, ma come? Le mie orecchie a punta non ti piacciono? Allora non odi solo gli umani, ce l'hai con il mondo intero» replicò l'antivano con fare volutamente canzonatorio. «Non credi che ci sia qualche altro tipo di problema di fondo, qui?»
Merevar gli fu addosso in un paio di secondi: rotolarono a terra, volarono colpi che andarono a scalfire solo l'aria. I lupi mannari attorno a loro presero ad agitarsi, le zanne iniziarono a scoprirsi e le pellicce ad arruffarsi. Erano entrambi elfi giovani e snelli, forti e preparati; ma Zevran lo era quel tanto in più che bastava. Riuscì a immobilizzare Merevar a terra, e proprio quando stava per tramortirlo la sua espressione si fece sorpresa, restando cristallizzata nel tempo: l'elfo, duro come un sasso, cadde di lato. Merevar si rialzò e vide Zathrian con il suo bastone ancora incrostato di ghiaccio.
«Avete visto? Non ci aiuterà mai, piuttosto attaccherebbe la sua stessa gente! Uccidiamolo!» ululò uno dei mannari dopo aver visto Zathrian attaccare Zevran.
«No, fermi!» gridò invano la Signora della Foresta; ma il putiferio si era già scatenato. Melinor e Alistair combattevano contro Sten, Merevar e Zathrian erano passati all'attacco dopo aver reso innocuo Zevran; i mannari non avevano bisogno d'altro per lasciarsi andare alla loro bestialità.
I due ostinati elfi dalish si aprirono la strada fra i lupi a suon di frecce e dardi ghiacciati, alla ricerca della Signora della Foresta; ma non la trovarono, non in quella forma. Dove poco prima stava in piedi lo spirito ora si ergeva su quattro zampe Zannelucenti: digrignò i denti, costretta dalla necessità a difendersi dai due che la volevano morta a ogni costo.
Merevar non perse tempo: scoccò una freccia tanto rapidamente da lasciar confuso persino il più attento fra gli osservatori. Ma un colpo di bastone la deviò, e Melinor ricomparve dopo aver lasciato Alistair a occuparsi di Sten. Erano lei e Zannelucenti contro Merevar e Zathrian: i quattro rimasero a soppesarsi per pochi istanti prima di scattare.
Merevar si lanciò su Zannelucenti con i suoi pugnali rapidi e letali, ma la lupa era tutt'altro che ingenua: era incredibilmente agile e pericolosa, e più volte tentò di morderlo con le sue zanne maledette. Nel frattempo Melinor teneva impegnato Zathrian.
«Non puoi farcela contro di me, ragazza!» urlò l'elfo per farsi sentire in mezzo a quel frastuono. «Io sono molto più forte di te! Lascia perdere, non voglio farti del male!»
«Tu sei più forte» gridò Melinor «ma io non sono sola!»
Zathrian vide a malapena la palla di fuoco che per poco non lo colpì: fu costretto a gettarsi di lato per evitare il colpo di Hawke. Le due ragazze si scambiarono un fugace sorriso d'intesa e iniziarono a colpire Zathrian alla rinfusa: nonostante questi continuasse a deviare con grande facilità i loro attacchi, speravano di poterlo prendere per sfinimento.
Melinor buttò un occhio sugli altri: Zathrian aveva evocato alcuni Silvani sbucati da chissà dove, che ora combattevano contro i suoi compagni assistiti dai lupi.
Era una situazione caotica: alcuni dei mannari attaccavano il giovane dalish intento a combattere contro Zannelucenti, ma era proprio quest'ultima ad allontanarli e a costringerli a starsene in un angolo a guardare.
Nel frattempo Hawke e Melinor stavano mettendo in difficoltà Zathrian: la rossa stava per assestare un colpo decisivo quando qualcosa le si fiondò addosso. Si trovò immobilizzata a terra, il ventre pressato contro il pavimento e il volto girato di lato. Riuscì a vedere a malapena il suo assalitore.
«Non t'immischiare!» la voce di Merevar le giunse all'orecchio. La ragazza tentò di liberarsi, ma l'elfo le teneva le braccia immobili dietro alla schiena.
«Merevar, devi fermarti! Lei è la tua gemella, non puoi farle questo! Se le fai del male ti maledirai per tutta la vita! Non è questo che vuoi!»
L'elfo si abbassò fino a sussurrarle nell'orecchio.
«Tu non sai cosa voglio io.»
Le assestò un colpo in testa facendole perdere i sensi prima che potesse evocare un'altra delle sue magie. Quando si rimise in piedi trovò Melinor e Zannelucenti intente ad attaccare Zathrian. Allora corse senza risparmiarsi, e in un attimo fu di fronte a Melinor.
I due si fronteggiarono senza dire una parola: gli stessi occhi, gli stessi capelli, lo stesso volto. Ma due cuori che mai avrebbero potuto essere più diversi e distanti.
Melinor fece roteare il suo bastone e un colpo partì verso Merevar, che lo schivò facilmente; il cacciatore le fu alle spalle in pochi secondi, e stava per aggredirla da dietro quando lei provocò un'esplosione d'energia che lo fece volare gambe all'aria. Ma Merevar non volle arrendersi: continuò a tentare di saltare addosso a Melinor, ma lei si rivelò astuta e attenta, non dandogliene mai il tempo.
Zathrian e Zannelucenti si stavano affrontando in maniera similare. Ma d'un tratto Zannelucenti si portò con un balzo oltre i due gemelli, lasciando che si frapponessero fra lei e il suo avversario.
«Guardali, Zathrian!» gridò al vecchio Guardiano. «Guardali! Era questo che volevi?»
Zathrian rimase colpito da quelle parole, ma soprattutto dalla scena a cui non aveva prestato attenzione fino a quell'istante: restò come intontito a osservare i due Mahariel che si scontravano, l'espressione di chi era totalmente smarrito nella sua stessa mente. Solo gli occhi decisi di Zannelucenti oltre i due ragazzi riuscirono a riportarlo alla realtà.
Era questo quello che volevi? riecheggiavano nella mente del Guardiano quelle parole.
«No» mormorò l'anziano. Piantò a terra il suo bastone e tutte le radici che adornavano le pareti sembrarono risvegliarsi e obbedire alla sua volontà: in pochi istanti tutti i presenti vennero immobilizzati, fatti prigionieri dalla presa legnosa di quegli strani serpenti nodosi. Solo Zathrian e Zannelucenti vennero risparmiati.
«Lo farò. Spezzerò la maledizione.»
Un silenzio colmo di stupore invase il vecchio tempio mentre tutti si prendevano il tempo di digerire quella dichiarazione; le orecchie di Zannelucenti si drizzarono e i suoi occhi brillarono.
«No!»
L'attenzione si spostò su Merevar, che si divincolava fra le radici a pochi passi dal Guardiano.
«Non potete farlo, non potete dargliela vinta!»
Zathrian sorrise, una linea d'amarezza a increspare le sue labbra sottili; rilasciò l'incantesimo e le radici si ritirarono pian piano, lasciando liberi tutti i presenti.
«Guardati attorno, ragazzo» si portò di fronte a Merevar e gli posò le mani sulle spalle. «Non ne uscirei vincitore in ogni caso.»
Merevar dischiuse le labbra per controbattere, gli occhi sbarrati e imploranti, ma Zathrian strinse la presa sulle sue spalle.
«I miei due figli si azzuffavano spesso. Erano molto simili a voi gemelli. Ma per quanto bisticciassero, si volevano bene... anche voi due ve ne volete, eppure io sono riuscito a mettervi uno contro l'altra.» Guardò intensamente Merevar. «Lei è l'unica famiglia che ti rimane, figliolo. Mithra mi ha raccontato la vostra storia dopo che avete lasciato l'accampamento. Avete perso i genitori prima ancora di nascere, avete perso il vostro fratello maggiore... vale la pena perdere anche tua sorella per difendere il tuo odio verso gli umani?»
Si voltò verso Melinor, in piedi a pochi passi da lui. «Avevi ragione, ragazza mia. Oggi mi hai dimostrato che non sono saggio quanto credevo. Sono troppo vecchio ormai per lasciar andare tutta la mia rabbia verso gli umani... la porterò con me nell'aldilà. Ma voglio comunque fare la cosa giusta: quest'odio mi ha consumato e ha finito per scottare anche il mio clan, ed è ora di porvi fine. Per me è troppo tardi, ma non per tuo fratello. Perdonalo, Melinor... e aiutalo ad aprire gli occhi. Io non avevo nessuno al mio fianco, ma lui ha te.»
Tornò a guardare Merevar, che aveva ora un'espressione rassegnata e addolorata. «Lascia che tua sorella ti sia d'esempio, ragazzo. Non permettere a te stesso di diventare la cosa distorta che sono io.»
Le mani di Zathrian scivolarono via dalle spalle di Merevar; il Guardiano si diresse verso la Signora della Foresta, che nel frattempo aveva riacquistato la sua forma di spirito.
«Davvero lo farai, Zathrian? Spezzerai la maledizione?»
«Sì, spirito. Mi serve solo il materiale necessario per il rituale, lo si può reperire facilmente nella foresta. Tra un'ora saremo pronti per dare inizio... alla fine.»
 

C'era silenzio nell'antico tempio, incrinato solo dai passi di chi si spostava da una parte all'altra e da sussurri svolazzanti qui e là.
«Avanti, muovetevi!»
Un ruggito squarciò l'assenza di rumore e subito Passosvelto si materializzò sul vano della grande arcata d'ingresso. Due figure familiari erano state fatte prigioniere dai mannari inviati nella foresta a raccogliere le erbe e i materiali necessari per il rituale.
«Le abbiamo trovate qui fuori a ficcare il naso» grugnì Passosvelto, mantenendo salda la presa sulle braccia della sua prigioniera che si ribellava. «Che storia è, Zathrian? È una trappola?»
Zathrian rimase a bocca aperta e accorse con gran velocità.
«Lanaya, Mithra! Cosa ci fate qui?»
La Signora della Foresta fece un cenno con la testa e i mannari lasciarono andare le due elfe; Mithra si riprese il suo braccio con uno strattone ostile.
«Abbiamo seguito le vostre tracce fin qui» confessò Lanaya, guardandosi attorno intimorita. «Ve ne siete andato senza dire una parola, ci siamo preoccupate! Voi non lasciate mai l'accampamento!»
Zathrian portò una mano a massaggiarsi la fronte.
«E siete venute voi due da sole? Cosa vi è passato per la testa, da'len?»
«Siamo più che in grado di cavarcela» si fece avanti Mithra, «e in due avremmo dato meno nell'occhio.»
Zathrian scosse il capo, tradendo tuttavia il suo essere in qualche modo orgoglioso delle sue sottoposte.
«Che sta succedendo qui?» chiese Lanaya, lo sguardo che vagava sul luogo e sugli oggetti già disposti sulla zona dell'altare. «Perché siete qui con i mannari? E perché state preparando un rituale?»
Zathrian chiuse gli occhi, pregando fra sé di riuscire a trovare le parole giuste. Si appartò con le due ragazze e raccontò tutta la verità.
Quando ebbe terminato le due erano ammutolite. Mithra incrociò lo sguardo di Merevar, seduto con le spalle al muro dalla parte opposta della grande stanza; lo trovò sconvolto quanto lei.
«Perché non me ne avete parlato?» ritrovò infine la sua voce Lanaya; una voce tremula e fragile, proprio come lei in quel momento.
«Lanaya... tu sei stata fra tutti gli apprendisti che ho avuto negli anni la più promettente, e anche quella che più fra tutti ho considerato alla stregua di una figlia. Ho fallito come padre già una volta, non ho saputo proteggere la mia famiglia... non volevo deludere anche te.»
Un velo bagnato si materializzò sulle iridi chiare della Prima di Zathrian.
«Ci dev'essere un altro modo... lo Spirito deve comunque morire, se usassimo il cuore di Zannelucenti e curassimo tutti con l'antidoto... voi potreste...»
«No, Lanaya» scosse il capo Zathrian, un sorriso dolce e malinconico sul volto stanco. «Il mio tempo è già stato prolungato ben oltre la sua scadenza. È tempo di andare.»
Lanaya abbassò la testa per non mostrare le sue lacrime. Zathrian la strinse forte a sé per qualche minuto, per darle coraggio; quando sciolse il suo abbraccio, Lanaya sembrava essersi ricomposta completamente. Melinor la stava guardando di sottecchi e sentì una fitta nel cuore: sapeva cos'era appena successo. Lanaya aveva fatto ciò che ogni Guardiano doveva saper fare: ergersi al di sopra del proprio dolore, anche quello più grande.
 

Mezz'ora più tardi tutto era pronto: Zathrian e la Signora della Foresta si portarono sull'area rialzata dell'altare mentre mannari, umani ed elfi si radunavano tutt'attorno.
«Prima di porre fine a tutto questo vorrei dire una cosa» parlò Zathrian. «Lanaya, Mithra; e anche voi, gemelli Mahariel. Avvicinatevi.»
I quattro ragazzi obbedirono seduta stante: si misero tutti in fila, le prime due al centro e i gemelli all'esterno, lontani una dall'altro.
«Lanaya» iniziò il Guardiano «sono orgoglioso di ciò che sei diventata. Voglio che tu sappia che ti ritengo più che pronta per guidare il clan: lo lascio nelle tue mani senza alcun timore. Quando me ne sarò andato prendi il mio bastone, e quando verrà il momento donalo al tuo futuro apprendista. Come è sempre stato, come dovrà sempre essere.»
Lanaya trattenne a stento le lacrime, ma riuscì ad annuire senza cedere.
«Mithra, giovane cacciatrice... il tuo talento e la tua forza sono preziosi per il clan. Continua a vegliare su tutti loro, e cerca d'istruire a dovere il giovane Cammen: se non sarà in grado di procurarsi al più presto una pelle d'animale e diventare cacciatore a tutti gli effetti, Gheyna non potrà mai ammettere il suo amore per lui.»
Mithra rise, pur abbassando lo sguardo: la storia fra i giovani Cammen e Gheyna era cosa ben nota da tempo a tutto il clan, e Zathrian l'aveva tirata in ballo perché conosceva bene la cacciatrice. Lei non sopportava gli addii, e questo era il suo modo di dirle addio per sempre senza usare parole tristi.
«E voi, gemelli Mahariel: rammentate ciò che vi ho detto prima. Non c'è cosa più importante della famiglia... nessuno lo sa meglio di chi, come me, non ne ha più una. Voi l'avete ancora, ed è preziosa: non dimenticatelo mai.»
Li guardò tutti e quattro con espressione solenne.
«I nostri avi erano gloriosi; sicuramente con il mio comportamento indegno li ho delusi. Ma alla fine, forse, tutto questo è stato utile: prendete il mio insegnamento e portatelo con voi. Rendete onore ai nostri avi vivendo sempre come la parte più luminosa di voi stessi. Ricordate: noi siamo i Dalish. Custodi delle tradizioni perdute, viandanti sul sentiero solitario...»
«... Noi siamo gli ultimi degli Elvhenan, e mai più ci sottometteremo» conclusero tutti insieme i ragazzi, riconoscendo nelle parole di Zathrian il Giuramento delle Valli: il giuramento che ogni elfo dalish imparava a memoria sin da bambino.
«Anch'io vorrei dire qualcosa.»
La Signora della Foresta scese dall'altare, diretta verso Melinor. Le si piazzò davanti e le rivolse un sorriso riconoscente.
«Ciò che hai fatto per noi oggi vale più di qualsiasi pegno io possa lasciarti come ringraziamento, ma...» fece cenno a uno dei mannari di avvicinarsi. Questi passò qualcosa allo spirito, che a sua volta lo offrì a Melinor. «Questo amuleto è rimasto assopito fra queste rovine per secoli. È un manufatto degli antichi Elvhenan, e arcane conoscenze sono celate al suo interno. L'amuleto si aprirà solo a un vero Elvhen, e io credo che tu sia degna d'essere considerata tale.»
Lasciò cadere la collana fra le mani di Melinor: una semplice catenina d'argento ingrigito dal tempo con un pendente di vetro scuro dal contenuto ignoto. Sembrava ci fosse dentro del liquido. Melinor ringraziò la Signora della Foresta ed ella raggiunse Zathrian sull'altare.
«Dunque ci siamo» disse lo spirito, un'espressione serena incisa sul volto di giada.
«Non temi la morte?» le chiese Zathrian.
«Tu sei il mio creatore, Zathrian: mi hai dato la possibilità di provare cose che sono negate a noi spiriti. Ho conosciuto la gioia e il dolore, ho vissuto in un corpo di carne e ho sfiorato il mondo con queste mani... ho commesso errori imperdonabili e buone azioni. Non rimpiango nulla. Tutto ciò che desidero ora è la fine.»
Zathrian annuì. Respirò profondamente, il cuore che accelerava un'ultima volta i suoi battiti.
«E sia.»
Impugnò il bastone con entrambe le mani e lo piantò a terra: una colonna di luce investì le due figure accecando gli occhi di chi guardava. La luce salì a spirale verso l'alto in una danza di liberazione e meraviglia, e nello stupore generale i corpi pelosi dei mannari iniziarono a ritirarsi, a farsi minuti e glabri, i musi che venivano plasmati in nuovi volti. La colonna di luce si ritrasse: la maledizione era stata spezzata e la gioia degli umani liberati esplose all'unisono. Si abbracciarono ed esultarono, per nulla imbarazzati dalla loro nudità.
Il gruppo dei Custodi si lasciò andare a reazioni differenti: chi era contento per loro, chi era interessato alla loro nudità e chi invece guardava altrove disgustato. Solo Alistair si preoccupò di guardare l'altare, dove i quattro ragazzi dalish sostavano attorno al corpo vuoto di Zathrian: non c'era gioia nei loro volti. Solo rammarico.
 

La notizia della morte di Zathrian sconvolse il clan. Nonostante gli avvenimenti felici quali la guarigione degli elfi e il ritorno di Danyla fra le braccia di suo marito, l'umore di tutti era mesto. La verità sul loro amato e riverito Guardiano aveva lasciato un sapore amaro in bocca all'intero clan.
Lanaya si fece subito carico del peso che incombeva su di lei come nuova Guardiana iniziando a dare direttive per organizzare il funerale di Zathrian. Melinor si offrì di aiutarla: le rimase accanto tutto il tempo supportandola in quel nuovo, difficile inizio.
Il giorno seguente al loro rientro dalle rovine le due stavano badando ai feriti nell'infermeria: la maledizione era stata spezzata, ma le fratture e le ferite purulente rimanevano. Alistair le raggiunse, carico di cesti pieni di erbe.
«Ecco qui, radice elfica a volontà» posò il tutto accanto a Melinor, che lo ringraziò e gli schioccò un bacio sulle labbra. Lanaya li sbirciava di sottecchi, un sorriso incerto che faceva capolino.
«Devo ammettere che è ancora un po' strano vederti con un umano, ma siete davvero belli insieme» disse mentre disinfettava una ferita. «Il sentimento che vi lega è autentico, si vede.»
I due si guardarono, gioiosi come due ragazzini.
«A proposito di legami speciali... hai più parlato con Merevar?»
La domanda di Lanaya rabbuiò il viso di Melinor come una nuvola nera davanti al sole. La Custode rispose di no con la testa.
«Non potete restare così per sempre... dovrete chiarirvi prima o poi.»
«Tu non c'eri, Lanaya» ribatté l'altra tuffando le mani nei cesti di erbe per iniziare a dividere le foglie dagli steli. «Non hai sentito le cose orribili che mi ha detto. Stavolta ha davvero esagerato, e non me la sento di trovare l'ennesima giustificazione al suo atteggiamento. Non voglio nemmeno vedere la sua faccia, almeno per ora. Se vuole scusarsi bene, sa dove trovarmi... ma se non ha nemmeno la decenza di farlo quando è palese che tocca a lui, allora che se ne stia dov'è.»
Lanaya non trovò nulla da dire: si trovò suo malgrado a scambiarsi un'occhiata con Alistair, trovandolo impotente quanto lei. Non potevano immischiarsi in quella faccenda: nessuno poteva.
Ma la figura che aveva origliato nascosta dietro al tronco d'un albero la pensava diversamente. Con passo deciso si allontanò alla ricerca di Merevar.
 

Hawke camminava per l'accampamento con espressione risoluta, tanto da spaventare alcuni dei bambini che giocavano lì vicino. Quando individuò il suo obiettivo sentì lo stomaco contorcersi nei suoi stessi succhi gastrici: lo vide seduto sotto a un albero con Mithra, la giovane capo-cacciatrice.
Le sopracciglia rosse s'inarcarono verso il basso quando si accorse che i due l'avevano vista, e nonostante ciò l'avevano ignorata completamente mettendosi a ridere fra loro. Non ci vide più e partì come una furia. Piombò su di loro come un falco senza lasciar loro il tempo di dire nulla: afferrò il polso di Merevar e lo trascinò con sé con una forza bruta insolita per una maga.
«Ehi, ma che diamine... lasciami!» tentò di strattonarla l'elfo, ma una fitta gelida risalì lungo il suo braccio. Hawke aveva usato un incantesimo di ghiaccio per tenerlo bloccato e legato a lei.
«Tu vieni con me» ordinò perentoria, trascinandolo fra i cespugli lì vicino mentre Mithra li guardava con espressione basita.
Merevar si lasciò trascinare per qualche minuto; era inutile divincolarsi con quel ghiaccio a tenerlo fermo. Quando finalmente Hawke decise di fermarsi e lasciarlo libero fece per prenderla a parole, ma lei fu più veloce.
«Perché ti comporti così da stronzo?»
Lui rimase a bocca aperta sentendola rivolgersi a lui con un linguaggio così scurrile.
«Mi hai scaricata nel peggiore dei modi, e va bene. Non ci rivolgiamo più la parola, e va bene anche questo. Nonostante il discorso di Zathrian continui a stare con i tuoi amichetti elfi e a snobbare gli umani; d'accordo, problemi tuoi se vuoi restare solo come un cane una volta che saremo ripartiti. Ma non ti sei degnato di scusarti nemmeno con tua sorella dopo quello che le hai fatto, la stai facendo soffrire!»
«Non sono affari tuoi, Hawke!»
«Sì invece!» gli si mise a un soffio dal naso con aria di sfida. «Lei è mia amica.»
Gli occhi di lui s'inasprirono. «Davvero? Allora come mai in queste settimane non vi siete rivolte la parola? Avevi la coda di paglia dopo quello che hai fatto con Zevran, vero?»
Hawke serrò le labbra fino a farle impallidire, colpita sul vivo.
«Hai proprio una bella faccia tosta a venire qui a farmi la morale, dopo quello che hai fatto» rise lui con scherno.
«E cos'avrei fatto di sbagliato? Dai, dimmelo» incalzò lei piantandosi le mani sui fianchi.
«Perché devo perdere tempo a spiegartelo? Mi sembra evidente che per te è una cosa normale dichiarare di avere dei sentimenti per qualcuno e andare a letto con un altro ventiquattr'ore dopo!»
«Sei stato tu a dirmi che non ci potrà mai essere nulla fra noi due, o sbaglio? Non vedo perché la cosa dovrebbe interessarti!»
Merevar fece un passo indietro, come a volerla squadrare per capire se fosse reale o solo uno scherzo dell'immaginazione.
«Sai, nonostante tutto ho sempre avuto una buona opinione di te. Mi sembravi una con dei sani principi, legata alla famiglia, con la testa sulle spalle... e poi mi scadi così, comportandoti come una sgualdrina!»
Fu un attimo: il ginocchio di Hawke si alzò con forza colpendolo all'addome e facendolo piegare in due. Non contenta, la ragazza gli diede uno spintone per farlo cadere a terra.
«Tu... razza di ottuso bifolco» sibilò furiosa. «Hai idea di come mi hai fatta sentire? Mi hai trattata come se fossi la più nauseabonda immondizia mai passata sotto il tuo regale naso elfico, e ora ti permetti di darmi della sgualdrina senza sapere un bel niente!»
Merevar rimase a terra, le mani pressate sul ventre mentre la guardava parlare.
«Tu mi hai ferita. E sì, volevo proprio comportarmi come una sgualdrina per punirti e dimostrarti che non sei poi così speciale! Per questo mi sono infilata nella tenda di Zevran, e sarei andata fino in fondo se non ci fossi stato tu nella mia testa tutto il tempo!»
Merevar sgranò gli occhi, colto alla sprovvista.
«Perfino Zevran se n'è accorto, e mi ha costretta a parlare e a dire la verità. Sarà anche un pervertito narcisista, ma si è dimostrato molto più sensibile e uomo di te!»
Merevar rimase muto alcuni istanti, ma poi tornò in sé.
«Non raccontarmi baggianate, ti abbiamo vista tutti uscire dalla sua tenda la mattina dopo! Vuoi farmi credere che avete conversato tutta la notte?»
«Sì, e lo sapresti anche tu se avessi permesso a Zevran di dirtelo!» gridò lei, le guance rosse per la rabbia e l'umiliazione. «Ho passato tutta la notte a piangere sulla sua spalla, mi sono addormentata e lui mi ha lasciata dormire nella sua tenda... è stata la notte più patetica della mia vita, e non so neanche perché te lo sto dicendo!» Si voltò e fece per andarsene. «Ora va' pure, fai quello che vuoi. Rovina il rapporto con tua sorella e divertiti a raccontare alla tua amichetta dalle orecchie a punta della patetica umana che piange per te la notte... fa' come ti pare, non m'interessa più.»
«Aspetta!»
Si voltò e vide Merevar alzarsi in piedi.
«Davvero non sei stata a letto con lui?»
Hawke lo guardò malissimo. «Non mi sono già umiliata abbastanza? Cosa vuoi, la dichiarazione su carta cerata con sigillo imperiale?»
Merevar sospirò e rimase concentrato come se stesse cercando le parole giuste da dire. E sembrava stesse faticando come un mulo.
«Mi dispiace di averti trattata così, e anche di averti insultata. Io... ecco... il fatto è che vederti uscire da quella tenda mi ha dato più fastidio di quanto mi piaccia ammettere» rivelò mentre Hawke strabuzzava gli occhi. «Non è facile per me, Hawke. Io non volevo niente di tutto questo, ma mi ci sono trovato in mezzo e a volte mi sembra d'impazzire! Il mio mondo, tutto quello che pensavo di conoscere e che credevo giusto viene stravolto ogni giorno che passa! E tu sei il cambiamento peggiore di tutti!»
Hawke assunse un'aria a metà fra l'offeso e lo stupito. «Accidenti, stavi andando così bene... non ce la fai proprio, eh?»
Merevar buttò le braccia al cielo in un gesto esasperato e si portò di fronte a lei.
«Ci sono tante cose che non sai, Hawke. Noi dalish teniamo molto a certe cose. Abbiamo un approccio esclusivo quando si tratta di amore: ci preserviamo per la persona giusta nel corpo e nello spirito. Non concediamo nemmeno un bacio a chi non riteniamo essere la persona giusta per noi. E quando mi sono svegliato con te in quella cantina, io... ero sconvolto! Avevo baciato una ragazza, un'umana... e nemmeno me lo ricordavo!»
Hawke gonfiò il petto trattenendo il fiato alcuni istanti. «Quella era la prima volta che baciavi una ragazza?»
Merevar annuì, un lieve rossore a tradire il suo imbarazzo. Senza sapere come rispondere, Hawke prese a guardarsi i piedi.
«Questa faccenda di Zathrian mi ha fatto pensare» continuò lui. «Melinor aveva ragione, tu avevi ragione... mi fa male tradire così la mia cultura, mi fa male andare contro a ogni cosa che mi sia mai stata insegnata dalla mia gente. Ma fa ancora più male continuare a negare l'evidenza. La mia ostinazione ha fatto male a molte persone: a me, a Melinor, a te... e anche agli altri.»
Hawke sentì il sangue martellarle con violenza inaudita nelle tempie mentre realizzava ciò che stava per accadere.
«So che non ho il diritto di chiedertelo dopo tutto quello che ho fatto, ma... io sono disposto a provarci, Hawke. Però non voglio rinunciare alla tradizione della mia gente, non se si tratta di questo. Io sono disposto a impegnarmi con te se anche tu sei disposta a fare la stessa cosa. Sempre se lo vuoi ancora, visto come ti ho trattata.»
Hawke rimase a fissarlo negli occhi, trovandoli decisi e spaventati allo stesso tempo. Erano sinceri, così innocentemente sinceri da intimidire persino una come lei.
«Merevar... non lo so... forse non sono la persona giusta per te» mormorò.
«Perché ora dici questo?»
«Perché io non mi sono "preservata per te"» confessò lei con un certo imbarazzo. «Io sono stata con altri, anche più di uno... e non è questo quello che tu cerchi.»
«Sono disposto a passarci sopra» la sorprese lui senza esitare nemmeno un secondo. «Lo capisco, voi umani siete più... liberi di noi dalish» riuscì a terminare la frase senza risultare offensivo. «Mi sta bene, davvero. Ciò che m'importa è quello che succederà da qui in avanti, perché se decidi d'impegnarti... sappi che non ti libererai più di me. Quindi, se non te la senti... dimmelo subito. Capirò.»
Restarono immobili, uno fisso negli occhi dell'altra.
«Va bene» ruppe il ghiaccio lei.
Lui sobbalzò internamente: era fatta.
«Tu... hai capito bene quello che ti sto chiedendo, vero?»
Lei annuì, e lui fece lo stesso di rimando.
«Bene.»
«Bene...»
Ancora si guardavano, entrambi increduli: una manciata di minuti prima si prendevano a parole e ginocchiate, e ora stavano insieme.
Si buttarono praticamente uno contro l'altra, le labbra pressate in quell'unione tanto agognata, le braccia avviluppate attorno ai rispettivi corpi e le mani frenetiche fra i capelli. Lui la spinse verso il tronco d'un albero lì vicino e lei sentì il corpo di lui che la pressava fino a toglierle quasi il respiro. Quella volta il bacio era consapevole, era intenso e profondo, il risultato di un'attesa infinita; aveva il sapore del desiderio realizzato, scottava al punto da far male, e loro si sentivano come se non potessero mai averne abbastanza.
Non ci volle molto prima che volassero i vestiti sui cespugli, mentre i due corpi che si erano tanto a lungo desiderati finalmente saggiavano il reciproco calore.

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Capitolo 35
*** Resa dei conti ***


Zevran si aggirava per l’accampamento dalish scrutando in ogni angolo. Ma dove si sarà cacciata? pensò.
Lo sguardo gli cadde sulla capo-cacciatrice seduta sotto a un albero al limitare dell’accampamento, intenta a fabbricarsi delle frecce. Un sorriso malizioso gli increspò le labbra mentre si passava una mano fra i capelli; si diresse verso di lei senza indugio.
«Chiedo scusa, mia bellissima fanciulla» si rivolse a lei facendole sollevare il capo color miele. «Hai per caso visto Hawke? Sai, l’umana con i capelli rossi e lunghi, quella che fa sempre un sacco di chiasso… mi sembrava d’averla vista passare di qui.»
«Ah… quella» annuì Mithra con espressione indecifrabile. «Sì, è passata un paio d’ore fa e si è portata via Merevar di peso.»
Gli occhi di lui si sbarrarono mentre si faceva serio. «Dove sono andati?»
«Di là, ma…» gli disse lei, ma l’elfo era già scattato fra i cespugli seguendo la direzione indicata dal suo dito. «Aspetta, non puoi andare!» scattò in avanti veloce e agile come un predatore, parandosi davanti a Zevran.
«No, invece io devo proprio andare! Quei due si staranno scannando!»
«Ti assicuro che non è così» esclamò allora lei con fare esitante. Zevran ingrandì gli occhi esortandola a spiegarsi con un cenno della testa. «Li ho sentiti sbraitare per un po’ dopo che sono andati via, ma poi non ho sentito più niente… so che lei è una maga, quindi mi sono preoccupata e sono andata a controllare…» distolse lo sguardo arrossendo appena. «Non stavano affatto litigando, anzi…» scrollò il capo strizzando gli occhi. «Quanto vorrei non aver visto quella scena…»
Zevran afferrò immediatamente ciò di cui l’elfa stava parlando. Spalancò occhi e bocca in una muta sorpresa. Batté le mani con un sonoro clap. «Non ci credo! Tu vuoi scherzare!»
«Credimi, mi piacerebbe» distolse lo sguardo lei, ancora imbarazzata.
«Ma è fantastico!» si mise le mani fra i capelli Zevran, entusiasta come non mai. Mithra lo guardò come se fosse la persona più strana che avesse mai incontrato.
«Fantastico, dici? Merevar che si mette con una shemlen è fantastico?» scosse il capo con aria pensosa. «Prima Melinor, ora lui… non ci posso credere. La linea di sangue dei Mahariel è pura e antica, e ora verrà contaminata dalla loro unione con due umani… non avrei mai pensato che entrambi sarebbero finiti così.»
«Forse gli umani non sono poi così male come credete voi dalish, una volta che li si conosce» si fece appena più serio Zevran. «Il vostro Guardiano è morto cercando d’insegnarvi a essere più tolleranti verso di loro, o sbaglio?»
Mithra sospirò, annuendo rassegnata.
«A ogni modo» rientrò in modalità seduttore, «se non ti piacciono gli umani c’è un avvenente elfo proprio qui davanti a te…»
Mithra lo fissò per un attimo con occhi penetranti. Poi sollevò un angolo della bocca in modo malizioso.
«Hai ragione… perché non ti avvicini?»

 
Hawke e Merevar giacevano uno accanto all’altra fra i cespugli, ancora spogli di ogni cosa tranne che dei loro sorrisi.
«Siamo stati un po’ avventati… qualcuno avrebbe potuto venire di qua e vederci» ridacchiò Hawke.
«Non c’è questo pericolo. I giovani dalish si appartano spesso al limitare dell’accampamento, quindi chi si avventura fra i cespugli tende sempre l’orecchio per evitare d’incappare in certe situazioni» la rassicurò Merevar mentre giocherellava con una ciocca dei suoi capelli. Hawke annuì.
«Forse abbiamo bruciato le tappe…?» mormorò la ragazza.
«Perché?» si meravigliò l’altro.
«Non lo so, voi dalish avete le vostre tradizioni…»
Merevar rise. «Aspettiamo un sacco di tempo prima di scegliere con chi stare, una volta trovata la persona giusta che senso ha aspettare se siamo sicuri di lei?»
Hawke allargò il suo sorriso. «Certo che siete proprio strani… ma mi piace questo modo di pensare» ridacchiò mentre tirava a sé Merevar per baciarlo.
«Non sarà facile stare con me, lo sai vero?» sussurrò lui.
«Non potrà mai essere peggio di com’è stato finora» scherzò la rossa.
«Dico solo che… insomma, mi conosci. Ho scelto di cambiare il mio modo di vedere le cose, ma non sarà facile come sostituire un paio di vecchie scarpe. Potrei ricadere nelle mie vecchie abitudini, dire o fare qualcosa di offensivamente dalish… se dovesse capitare ti prego di aiutarmi a vedere i miei errori.» La guardò così intensamente da farle quasi venire la pelle d’oca. «Zathrian a chiesto a Melinor d’insegnarmi a percorrere una nuova strada, ma io credo che debba essere tu a farlo.»
Hawke rimase a fissarlo in silenzio alcuni istanti. «Stai chiedendomi di farti da insegnante, Merevar?»
«Non farmene pentire» la minacciò scherzosamente lui picchiettandole l’indice sul naso.
«Sei davvero disposto a prenderti questo impegno con me? Perché sappi che se mi scegli come insegnante non ti libererai mai più di me» lo prese in giro citando le stesse frasi che lui le aveva detto un paio d’ore prima. Lui la zittì baciandola con fervente passione.
«Adesso dovremmo andare» disse una volta staccatosi da lei. Si rimisero in piedi e iniziarono a rivestirsi.
 

«Melinor! Non ci crederai mai!»
Zevran corse zoppicando verso l’infermeria dove la dalish e Alistair stavano assistendo la nuova Guardiana. Melinor aggrottò le ciglia nel vederlo arrivare.
«Perché zoppichi?»
«Diciamo che sono inciampato su una dalish permalosa» minimizzò lui. «Ma senti questa: Hawke e Merevar sono stati insieme! E intendo fisicamente!»
L’espressione di Melinor si fece glaciale. «Non sono in vena di sopportare i tuoi stupidi scherzi, Zevran.»
«Ma è la verità! Me l’ha detto Mithra, chiedi a lei se non ci credi!»
Melinor e Alistair si guardarono, incerti sulla fondatezza di quella notizia.
Lanaya inclinò la testa da un lato con un mezzo sorrisetto. «Mithra, eh? Scommetto che è stata lei a ridurti così.»
«Zevran, cosa le hai fatto?» lo interrogò Melinor. L’antivano allargò le braccia esasperato.
«Ma dai, Melinor! Vengo qui a darti questa incredibile notizia, sono io quello che zoppica, e tu ti preoccupi per Mithra?»
Proprio in quel momento videro Hawke e Merevar in lontananza mentre emergevano dai cespugli mano nella mano. Immediatamente tutti gli occhi si puntarono sui due.
Merevar si sentì sotto pressione, il giudizio dei dalish che si abbatteva impietoso su di lui; la sua presa sulla mano di Hawke si allentò. Ma la stretta della ragazza si fece più forte, e Merevar si voltò per guardarla.
«Lezione uno, Mahariel» gli fece l’occhiolino. Merevar abbozzò un sorriso mentre la seguiva attraverso l’accampamento.
«Visto, Melinor? Che ti dicevo?» bisbigliò Zevran mentre Melinor, Alistair e Lanaya fissavano la nuova coppia camminare senza vergogna per l’accampamento.
Per un attimo gli occhi dei due incrociarono quelli di Melinor; non fu chiaro se fosse rivolto a Merevar o a Hawke, ma la Custode alzò appena gli angoli della bocca prima di rimettersi a pestare le foglie di radice elfica nel mortaio.
«Senti Melinor, ora che sai tutto… che ne dici di guarirmi la caviglia?» Zevran catturò su di sé l’attenzione.
«Non credo proprio» replicò la dalish con noncuranza.
«Andiamo, non farai sul serio! Dobbiamo rimetterci in viaggio, non posso restare zoppo!»
«Vorrà dire che ti guarirò appena prima di partire. Se Mithra ti ha ridotto così devi essertelo meritato.»
Lanaya e Alistair risero mentre Zevran si accasciava a terra sconsolato.
 

Il funerale di Zathrian ebbe luogo quella sera. Il suo corpo venne seppellito e una quercia già abbastanza cresciuta venne piantata sul luogo di sepoltura. La commozione fu grande, le parole pronunciate da Lanaya furono un perfetto elogio alla memoria del vecchio Guardiano. Alla fine del rituale di sepoltura tutti si riunirono attorno al fuoco per ascoltare ciò che la nuova Guardiana aveva da dire.
«Zathrian ci ha lasciati esprimendo un solo desiderio: voleva che apprendessimo la tolleranza e il perdono, cose che egli non aveva saputo incarnare. Le nostre differenze con gli umani sono reali, così come i nostri attriti con loro; ma questi umani ci hanno aiutati» indicò gli umani presenti. «Questi umani hanno salvato il nostro clan guidati da una di noi: hanno scelto spontaneamente di seguire una dalish. Per questo possiamo definirli amici del clan, e in quanto tali vorrebbero omaggiare il nostro amato Guardiano.»
Si fece da parte per lasciare spazio a Leliana, che si avvicinò timidamente stringendo il suo liuto.
«Questa canzone mi è stata insegnata da un’elfa anzianae saggia, e spero di riuscire a rendere omaggio a Zathrian e a tutto il popolo dalish cantandola per voi.»
Iniziò a pizzicare le corde del liuto, la sua voce soave che iniziava a permeare l’aria trasportata dalla leggera brezza che scompigliava le chiome degli alberi. Alistair chiese a Melinor il significato di quella canzone,  e lei iniziò a tradurre bisbigliando al suo orecchio.

«Anziano, il tuo tempo è venuto
Ora sono pieno di tristezza
Gli occhi stanchi devono riposare
Il cuore è diventato grigio e lento
Nell’uthenera troverai la libertà.
Noi cantiamo, gioiamo
Raccontiamo le storie
Ridiamo e piangiamo
Amiamo per un  giorno ancora.


L’uthenera era il sonno senza fine dei nostri antenati» spiegò al suo amato. «Erano immortali, ma quando sentivano d'aver vissuto il loro tempo si ritiravano dal mondo. Si addormentavano in una stanza che fungeva anche da tomba e i loro spiriti vagavano nell’Aldilà per ere intere. Alcuni di loro facevano ritorno dopo secoli, ma la maggior parte lasciava deperire il proprio corpo arrivando alla vera morte.»
Alistair annuì, rattristato dalle melanconiche note di Leliana. Ma ad un tratto qualcuno picchiettò la sua spalla, facendolo voltare: si trovò faccia a faccia con Hawke.
«Alistair, potresti venire con me un momento?»
Lui fece per rispondere, ma qualcosa dietro a Hawke lo fermò sul nascere. Senza una parola si girò e seguì la ragazza.
Melinor non ebbe bisogno di voltarsi per capire: avrebbe riconosciuto quella presenza anche a distanza di miglia.
«Leliana è brava. Ha un’ottima pronuncia elfica.»
Melinor non rispose a Merevar, restando con gli occhi incollati sul fuoco.
«Melinor» la prese allora da parte lui, allontanandosi dagli elfi radunati. Le mise le mani sulle spalle per costringerla a guardarlo: nei suoi occhi galleggiava il cadavere del suo orgoglio, affogato nel mare dei rimpianti, e lui voleva che sua sorella lo vedesse. «Mi dispiace tanto. Quello che ti ho fatto…» scosse la testa, apparentemente incapace di sostenere il ricordo. «Ero fuori di me. E quello che ti ho detto, io non… non lo pensavo davvero.»
«Non c’è bisogno che tu faccia questo» ribattè lei gelida, distogliendo lo sguardo. «Ti capisco.»
«Melinor, ti prego» la fece girare ancora per guardarla in faccia, come se volesse vedere per bene il dolore che le aveva inflitto. «Va bene che sei comprensiva, ma nemmeno tu puoi giustificarmi. Non stavolta.»
Le sopracciglia della dalish finalmente tradirono le sue emozioni, arricciandosi quanto più potevano nonostante il tono calmo della sua voce.
«Non ho mai detto che ti giustifico. Ho detto solo che capisco cosa ti è successo.»
«Posso… posso fare qualcosa per rimediare?»
«No che non puoi!» esclamò lei, e alcune teste si voltarono. «Tu mi hai tradita! Hai tradito la tua famiglia! Hai scelto di lottare e proteggere il tuo stupido orgoglio dalish, e avresti sacrificato perfino me pur di riuscirci!»
«No, Melinor. Non ti avrei mai fatto del male, lo sai.»
«Non mi avrai ferita con le tue frecce o i tuoi pugnali, ma lo hai fatto con le tue azioni!» gli vomitò addosso tutto ciò che sentiva, la voce incrinata dal pianto e dalla delusione. «Io ho sacrificato tutto per te, tutto ciò per cui ho lavorato sodo sin da quando ero una bambina! Non ci ho pensato due volte, io ho scelto te! E quando è venuto il tuo turno tu invece ti sei rivoltato contro di me! Non puoi pensare che venire qui a scusarti basti a risolvere le cose! Ci sono ferite che nemmeno la magia più potente può risanare del tutto, ferite a cui serve del tempo per rimarginarsi. E anche in quel caso, la cicatrice resterà sempre a rievocare il ricordo!»
Merevar abbassò gli occhi, schiacciato dal peso della colpevolezza.
«Non avevo nessuna intenzione di venire a parlarti per chiarire le cose» infierì ancora lei. «Non avevo nemmeno voglia di vederti o di sentire le tue scuse! Stavolta sei andato troppo oltre!
…ma poi ti ho visto con Hawke.»
Merevar risollevò finalmente il capo, trovando il coraggio di affrontare gli occhi della sorella. Vi trovò una rabbia che andava smorzandosi.
«So quello che hai fatto scegliendola come compagna. Hai rinunciato a tutto ciò in cui hai sempre creduto, hai rinunciato a ciò che eri. Hai distrutto quel dalish invasato che mi ha fatto tanto male.»
Gli occhi di entrambi iniziarono a brillare, lo stesso scintillio di triste consapevolezza mandato da una stella che aspetta di spegnersi.
«Quei passi mano nella mano con lei, sotto gli occhi di un intero accampamento dalish che ti giudicava in silenzio… erano le scuse migliori che potessi farmi.»
Ci volle un po’ prima che Merevar riuscisse a liberarsi dal cappio invisibile che minacciava di strozzarlo.
«Pensi che riuscirai a perdonarmi, un giorno?»
«Ti ho già perdonato, razza di stupido. Ma non riuscirò a dimenticare tanto presto quello che hai fatto. Devi darmi tempo.»
La prese delicatamente per attirarla nel suo abbraccio. Rimasero così parecchi minuti, senza dire nulla, le lacrime che scendevano copiose su quei volti identici.
«Mi dispiace tanto, Melinor. Riconquisterò la tua fiducia, te lo prometto.»
«Lo so.»
Un po’ alla volta i dalish iniziarono a diradarsi, alcuni si ritirarono nei loro aravel mentre altri restarono ancora attorno al fuoco a ricordare Zathrian. E i gemelli erano ancora là, immobili come due statue eternamente abbracciate.
«Scusate se vi interrompo… Melinor, Lanaya vuole parlare con te.»
Alistair si era materializzato davanti a loro e nemmeno se n’erano accorti; Merevar fu grato del fatto che le sue lacrime si fossero del tutto asciugate. Melinor si distaccò da lui e partì alla ricerca di Lanaya, lasciando i due da soli; Merevar si accorse d’essere terribilmente in imbarazzo.
«Allora, vi siete chiariti?» ruppe il ghiaccio Alistair.
«Sì» replicò l’altro, i ricordi che gli affollavano la mente. Rivide il ragazzo mentre si prendeva un colpo mortale per lui a Ostagar, rivide la loro scazzottata, lo rivide persino mentre ballava con Melinor, il sorriso di sua sorella così felice… e poi rivide sé stesso nelle rovine, mentre insultava tutti i suoi compagni senza pietà. Si fece coraggio e si voltò. «Alistair, devo farti le mie… cos’è quella faccia?»
S’interruppe nel trovare il ragazzo con le braccia incrociate e un’espressione a metà fra l’ebete e il malizioso. Alistair diede un colpetto all’insù con le sopracciglia.
«E così, tu e Hawke…» iniziò a far oscillare la testa con aria insinuante mentre il dalish arrossiva violentemente. «Nella foresta, alla maniera dei dalish… caspita, ci hai messo un bel po’ a cedere ma una volta arreso non hai aspettato neanche cinque minuti, eh?»
Merevar assunse l’espressione ostile di sempre. «Sai, volevo scusarmi con te; ma adesso ho cambiato idea» bofonchiò con evidente imbarazzo. Girò i tacchi e fece per andarsene.
«Ehi, Merevar» il richiamo di Alistair lo fece fermare. Si voltò e lo vide con un sorriso fiero, che lo faceva sembrare un vero uomo e non il solito buffone. «Io e te siamo a posto.»
L’elfo fu colto alla sprovvista dal modo spassionato con cui l’umano stava passando sopra a tutto. Non aveva nemmeno avuto bisogno di ascoltare delle vere e proprie scuse, era pronto a lasciarsi tutto alle spalle così. Merevar si rese conto che si stava comportando da vero amico, e la cosa lo stravolse non poco. Si trovò suo malgrado a sollevare un angolo della bocca e ad annuire rispettosamente; poi si voltò e andò per la sua strada.
Camminando vide Hawke intenta a parlare con Leliana e Wynne: la sua nuova compagna lo aveva costretto a scusarsi con loro quel pomeriggio. Sorrise guardandola da lontano e passò oltre. C’era un’altra persona a cui doveva delle scuse.
 

Lo trovò seduto fuori dalla sua tenda, nello spazio che il clan aveva riservato al gruppo di forestieri. Era intento a rifilare le sue lame come faceva ogni sera prima di andare a dormire, una vecchia abitudine da Corvo di Antiva. Quando si avvide della sua presenza, Zevran sorrise.
«Chi non muore si rivede.»
«Suona strano detto da un assassino.»
Zevran rise. «Sì, è vero. Allora, che ci fai qui? Siamo di nuovo amici, ora che sai quello che non ho fatto con la tua Hawke?»
Merevar sospirò, portandosi di fronte a lui. «Ti chiedo scusa. Non ti ho nemmeno lasciato il tempo di spiegarti e sono saltato alle conclusioni.»
«A tua discolpa, devo ammettere che era inevitabile saltare a certe conclusioni… insomma, parliamo di me. Nessuno crederebbe mai che ho passato una notte intera con una donna senza toccarla.»
Merevar sbuffò, ma in realtà pensò che gli era mancato quel megalomane.
«A ogni modo, voglio i dettagli!» gli posò le mani sulle spalle dopo aver messo da parte le sue spade corte. «Ora capisci perché volevo che lo facessi, no? La prima volta è inebriante, ricordo ancora la mia... raccontami, com’è andata?»
«Voglio essere chiaro fin da subito, Zevran: non ho nessuna intenzione di vantarmi con te delle mie imprese romantiche.»
«Ma sentitelo, non vuole vantarsi!» gli diede una pacca sulla spalla così forte da fargli fare un passo in avanti. «Ah, sono proprio fiero di te! Ora sì che mi sento un orgoglioso fratello maggiore!»
Merevar s’irrigidì appena, il ricordo di Tamlen ancora vivo in lui. Zevran si rese subito conto di ciò che aveva detto; si fece serio.
«Mi dispiace, non avrei dovuto.»
«No, va bene» annuì l’altro. «In realtà mi sono avvicinato a te proprio per questo. Mi mancava avere un fratello maggiore a cui fare riferimento. Tu non assomigli neanche lontanamente a Tamlen, sotto nessun punto di vista… ma a modo tuo mi hai preso sotto la tua ala, ed è per questo che mi sono arrabbiato quando ho visto uscire Hawke dalla tua tenda. Mi sono sentito tradito da lei e da colui che consideravo un fratello.»
Gli occhi di Zevran si addolcirono, cogliendo il dalish alla sprovvista: non credeva che potesse essere tanto serio e che potesse trasmettere una simile emozione con un semplice sguardo.
«I Corvi di Antiva non hanno amici, sai. L’unica cosa che ci unisce ai nostri compagni è la gilda, e nessuno si fida davvero degli altri: è così che cresciamo, sempre sul chi va là, escludendo sentimenti ed emozioni. Non avevo mai avuto un amico, tantomeno un fratello… ora che ne ho uno sono davvero contento.» Allungò una mano verso di lui. «Amici come prima?»
Merevar rispose affermativamente con una stretta di mano. Poi un sorrisetto prese il sopravvento. «Prima di tornare a essere amici come prima, c’è una cosa che devo fare.»
«Tutto quello che vuoi, fratello!»
Quando vide arrivare il pugno era troppo tardi: si ritrovò accasciato a terra con il naso sanguinante e le mani premute su di esso. «Perché l’hai fatto?»
«Hai comunque tentato di portarti a letto la mia ragazza, anche se alla fine non l’hai fatto; non possiamo avere qualcosa in sospeso se vogliamo condividere un rapporto sano. Ora siamo pari» sghignazzò Merevar. Per tutta risposta Zevran si mise a brontolare.
«Oggi non è proprio la mia giornata. Partirò da questo posto zoppo e con il volto deturpato!»
«Ah, a proposito… ti ho visto zoppicare oggi, che ti è successo?»
«Lasciamo stare. Voglio solo andare a dormire, prima che qualcun altro mi metta le mani addosso. Ma guardami, passo le notti a consolare ragazze e i giorni a farmi picchiare… forse era meglio quando non avevo amici» esclamò, i suoi borbottii che svanivano con lui all’interno della sua tenda.
 

Quella notte Melinor fece il più strano dei sogni. Si ritrovò in uno strano luogo, affatto familiare: non c’era nulla attorno a lei, solo una fitta nebbia scura.
Questo non è l’Oblio… dove sono? si preoccupò.
Avvertì una presenza spettrale alle sue spalle: subito si voltò, le scintille elettriche pronte a sgorgare dalle sue mani protese in avanti.
«Chi sei tu?» gridò alla misteriosa presenza.
«Chi sei tu, piuttosto!» ribatté una voce maschile. «Come sei arrivata qui?»
«Qui dove? Non so nemmeno dove mi trovo» rispose senza abbassare la guardia l’altra mentre studiava il guerriero in armatura pesante davanti a lei. La sua armatura era vagamente familiare: non se ne trovavano più di così, ma ne aveva già vista qualcuna fra le reliquie degli altri clan dalish.
«Sei nella mia prigione» ribatté l’altro, fattosi improvvisamente tranquillo. Si tolse l’elmo rivelando un paio d’orecchie a punta. «Una prigione che mi sono creato da solo.»
Melinor dischiuse le labbra riconoscendo un altro elfo.
«Tu sei come me» continuò lui avvicinandosi fiducioso. «Percepisco la magia degli Elvhen in te. Condividiamo lo stesso retaggio.»
«Ma tu sei un guerriero... come puoi essere in grado di percepire la mia magia?» obiettò la dalish.
«Dunque è davvero così… se parli così significa che le nostre antiche tradizioni sono andate perdute» sospirò con rassegnata amarezza l’elfo. «Io sono l’ultimo dei Guerrieri Arcani: un ordine di maghi elfici in grado d’incanalare la magia per trasformarla in forza e combattere come guerrieri, senza per questo rinunciare ai nostri talenti magici. Tale conoscenza è sempre stata custodita gelosamente dal nostro popolo: i nemici degli Elvhen tremavano quando ci vedevano scendere sul campo di battaglia. Eravamo praticamente invulnerabili. Ma ora tu mi confermi che la nostra segretezza ci si è infine rivoltata contro» scosse il capo con mestizia. «Ci fu una battaglia al tempio. L’alleanza tra elfi e umani non bastò a sconfiggere il nostro nemico comune: quando capii che non c’era speranza usai la magia per spedire la mia anima in un amuleto, nella speranza che un giorno qualcuno lo raccogliesse e scoprisse la verità. Ma sono passati così tanti anni… nessuno è giunto e io mi sono assopito, sepolto fra quelle rovine… finché tu non mi hai risvegliato.»
Melinor comprese finalmente dove si trovava: era finita nell’amuleto donatole dalla Signora della Foresta.
«Gli Elvhen hanno combattuto insieme agli umani? Contro chi?»
«I ricordi mi hanno abbandonato da tempo, figlia del Popolo. Ricordo solo la malvagità e l’oscurità di quel nemico, ricordo i miei compagni cadere uno dopo l’altro… il nostro ordine di Guerrieri Arcani sconfitto per sempre…» puntò il suo sguardo trasparente su di lei. «Ma non tutto è ancora perduto, poiché tu sei qui.»
Melinor assunse un’espressione incerta.
«Solo un Elvhen avrebbe potuto accedere al contenuto dell’amuleto, in virtù del nostro sangue comune» continuò il guerriero. «Tu sei destinata a raccogliere la nostra eredità.»
Il cuore di lei perse un battito per l’emozione. «Volete fare di me un Guerriero Arcano?»
«Solo se tu accetti di diventarlo. In tal caso trasferirò in te la mia conoscenza.»
«E sarà sufficiente? Come potrò usare i talenti del vostro antico ordine senza addestramento?»
Il guerriero sorrise con fare paterno. «Sei una di noi, da’len. Ce l’hai nel sangue.»
Se avesse avuto davanti uno specchio, Melinor avrebbe visto brillare i suoi occhi. «Mi state chiedendo di fondare un nuovo ordine di Guerrieri Arcani?»
«Ti sto solo chiedendo di accettare un dono della tua gente. Potrai usarlo come riterrai più opportuno. Significa dunque che accetti?»
Melinor scese su un ginocchio e s’inchinò al suo cospetto. «Sarebbe un onore.»
«E sia, ordunque. Farò di te una Guerriera Arcana, ma a una condizione: dopo che avrò trasferito in te le mie conoscenze, dovrai liberarmi. Voglio raggiungere l’Oblio, abbandonare questa vita fittizia.»
«Avete la mia parola» giurò solennemente la ragazza, ancora inginocchiata con una mano sul cuore. L’altro annuì, l’espressione sollevata e leggera. Si portò a un soffio da Melinor e le impose le mani sul capo.
 

«Melinor!»
La voce familiare di Alistair la destò: lo trovò chino su di lei con il viso contorto dalla preoccupazione.
«Il tuo amuleto è andato in mille pezzi, e il sangue che era all’interno è finito dappertutto…»
Melinor si guardò il petto spruzzato di rosso: i suoi ultimi ricordi del Guerriero Arcano erano appannati e confusi. Ricordava di aver pronunciato le parole elfiche per liberarlo, ar lasa mala revas; poi nulla. Solo la veglia che giungeva inesorabile.
Si fiondò fuori dalla tenda vestita solo della sua camicia da notte sporca di sangue, Alistair che la seguiva senza capire. Una volta fuori la vide chinarsi sulla sua spada.
«Posso sapere che ti prende?» esclamò indispettito.
«Mi serve la tua spada» disse distrattamente lei mentre stringeva le dita attorno all’elsa.
«È troppo pesante per te, non riuscirai mai a… wow!»
Gli cadde la mascella nel vedere la sua esile compagna brandire la spada verso il cielo come se fosse il più leggero coltellino del mondo. Non contenta, si chinò e prese senza alcuno sforzo anche il suo pesante scudo, rischiando di far schizzare gli occhi di Alistair fuori dalle orbite.
«Ma che sta succedendo?» gli altri si svegliarono e uscirono dalle loro tende. Rimasero tutti sbigottiti nel vedere Melinor con spada, scudo e pigiama sporco.
«Tesoro, cara… mettili giù, ti farai male» la esortò Alistair avvicinandosi. Ma lei era persa in quella nuova sensazione, la magia che si muoveva da sola in lei trasformandosi in forza: avrebbe potuto scagliare qualsiasi incantesimo ed essere forte e possente allo stesso tempo. Puntò la spada contro Alistair senza alcuno stile, ma con espressione sicura di sé: era un po’ ridicola, ma l’esaltazione del momento le impedì di accorgersene.
«Sono una Guerriera Arcana ora!» annunciò a tutti.
Diede loro le dovute spiegazioni, raccontando dell’amuleto e di ciò che era rimasto intrappolato al suo interno per ere.
«Accidenti, che invidia» commentò Hawke, affascinata dal nuovo talento di Melinor.
«È impressionante, davvero» esclamò Alistair, non riuscendo tuttavia a nascondere la sua apprensione. «Ma resta un problema, Melinor: non hai la minima idea di come combatte un guerriero.»
«Ha ragione» gli diede man forte Merevar, preoccupato quanto lui. «Potrai anche avere la forza di un ogre, ma non serve a nulla senza addestramento. Al massimo puoi indossare un’armatura pesante e incassare più colpi del normale.»
«Allora addestratemi!» esclamò Melinor con determinazione. «Non capite? Questo dono ci aiuterà tantissimo contro la prole oscura. Sono un Custode Grigio, una maga e ora anche una guerriera… con tutto questo potere potrei davvero abbattere un ogre da sola!»
I due biondi si scambiarono un’occhiata.
«Hai ragione, sarebbe stupido non approfittarne… non sarebbe male se riuscissi a difenderti anche fisicamente» fu costretto ad ammettere Alistair mentre Merevar annuiva.
«Ma devi scegliere uno stile di combattimento e un’arma» aggiunse quest’ultimo. «In base a ciò che sceglierai, uno di noi ti addestrerà.»
Melinor annuì freneticamente, eccitata all’idea.
«Ragazzi… guardate qui.»
Leliana, che si era allontanata un attimo dal gruppo, si avvicinò con un pezzo di carta arrotolato fra le mani. Lo porse a Merevar, il quale lo srotolò e lo lesse con attenzione. Quando ebbe terminato si voltò di scatto: una delle tende mancava all’appello.
«Sten… se n’è andato.»

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Capitolo 36
*** Verso Orzammar ***


Erano arrivati all’accampamento in una compagnia di nove, ed erano ripartiti con un membro in meno.

I Custodi Grigi non sono ciò che mi aspettavo. Sono stato mandato qui con il compito di osservare il Flagello, ma ho perduto il mio onore di guerriero; ho accettato di seguirvi per redimermi sconfiggendo la prole oscura. Intendo farlo senza perdere altro tempo. Senza la mia spada non posso tornare a Par Vollen, ma intendo recuperare almeno un po’ d’onore. Andrò a Ostagar e abbatterò quanti più prole oscura potrò, finché la morte non mi libererà.

Le parole di Sten erano state scritte nero su bianco, concise e senza fronzoli; proprio come lui. Merevar sentiva in cuor suo d’aver deluso il qunari, ma ormai non poteva fare altro. Lasciarono l’accampamento dalish con la promessa della nuova Guardiana di rintracciare e reclutare nell’esercito quanti più clan possibile.
I primi cinque giorni di viaggio passarono tranquilli: Melinor aveva scelto come sua nuova specialità il combattimento con spada e scudo, e aveva iniziato a farsi addestrare da Alistair.
«C’era da aspettarselo» bofonchiò Merevar un giorno di quelli mentre osservava i due tirar di spada. «Quei due non perdono occasione di stare appiccicati.»
«Non è per via di Alistair che Melinor ha scelto spada e scudo, lo sai» lo rimbeccò Hawke. «Melinor è prudente e predilige la strategia, è naturale che abbia scelto uno stile che le permetta sia di attaccare che di difendersi.»
Merevar sbuffò contrariato; lo sapeva anche lui, ma aveva sperato di poter rendere Melinor una fiera cacciatrice dalish. «Sarei stato un ottimo maestro.»
Hawke lo guardò con interesse. «Allena me.»
Merevar scoppiò a ridere senza cattiveria, ma di genuina meraviglia. «Ma che dici, tu non sei una guerriera arcana. Sei una maga normale.»
«Ecco, questa è una cosa che non ho mai capito… perché un mago deve per forza essere un mingherlino incapace di difendersi? Io sono abbastanza forte per essere una donna, sono certa che riuscirei a cavarmela abbastanza bene.»
Merevar la studiò con il capo inclinato: ricordò la ginocchiata che si era preso da lei, e tutte le volte che la ragazza l’aveva trascinato in giro di peso contro la sua volontà. Aveva sempre trovato sorprendente la forza di Hawke.
«Sai che ti dico? Hai ragione» disse alzandosi in piedi e porgendole una mano. «Cominciamo subito.»
Fu così che anche loro iniziarono ad allenarsi: Hawke aveva scelto di combattere con due spade corte, prediligendo astuzia e attacco. Ricevette anche qualche dritta da Leliana, e anche se i suoi progressi non erano stupefacenti quanto quelli di Melinor, erano pur sempre progressi.


Un pomeriggio si stavano allenando tutti insieme quando i due Custodi istruttori si fermarono d’improvviso: assunsero un’espressione allarmata e si guardarono negli occhi. Melinor e Hawke non fecero in tempo a chiedere quale fosse il problema che Merevar gridò.
«Prole oscura!»
Iniziarono a spuntare fuori come un nugolo di ratti dai cespugli circostanti: hurlock e genlock guidati da quattro shriek, una sorta di ripugnante incrocio tra lupi mannari e prole oscura. Erano una ventina in tutto, e il gruppo fu rapido nel recuperare le armi per difendersi. Iniziò a schizzare sangue a destra e a manca mentre i mostri crollavano a terra: Melinor ebbe l’occasione di mettere in pratica quanto appreso in quei giorni, ma dovette aiutarsi con i suoi soliti incantesimi per sopperire all’inesperienza.
Merevar tranciò di netto la testa a uno degli shriek e si voltò per eliminare il prossimo avversario: le sue spade corte si scontrarono con clangore contro un altro paio di lame quasi identiche alle sue. Si trovò davanti un paio d’iridi azzurre, un colore che trovò stranamente accogliente e familiare, e la cosa più sorprendente fu che quegli occhi tradirono consapevolezza. Non erano i soliti occhi vuoti e famelici della prole oscura. Capì che si trattava di un ghoul, ovvero una persona ammalatasi dopo aver contratto la corruzione della prole oscura: la malattia anneriva la pelle di quei malcapitati, faceva perdere loro i capelli, li riduceva quasi a dei cadaveri ambulanti e allo stadio finale toglieva loro la sanità mentale e la consapevolezza di loro stessi.
Merevar si sentì mancare il fiato osservando quel ghoul.
«Tamlen?»
«Merevar, perché te ne stai lì impalato?» gli gridò Alistair correndo in suo aiuto per abbattere il ghoul. Ma l’elfo voltò le spalle alla creatura ingrigita dalla malattia e allargò le braccia per proteggerla.
«Fermati, Alistair! È mio fratello!»
«Ma che stai dicendo Merevar, quello è un ghoul! Non vedi che…»
Le parole si smorzarono nella gola di Alistair mentre ricordava come il loro fratello maggiore non fosse mai stato ritrovato. Abbassò la lama mentre alle loro spalle gli ultimi morti cadevano, lasciando un silenzio di tomba piombare sul luogo.
«Tamlen?»
Melinor si avvicinò con gli occhi sbarrati: trascinava la sua nuova spada, la cui punta imbrattata di sangue tracciava un solco sul terreno polveroso. Non appena raggiunse il gemello, il ghoul diede a entrambi le spalle e fuggì.
«Aspetta!» gridarono i gemelli all’unisono correndogli dietro, e quello andò ad accovacciarsi di spalle accanto a un gruppetto di cespugli.
«No, non guardatemi» mugolò con somma vergogna di se stesso. Melinor lo aggirò e si accucciò di fronte a lui: prese delicatamente le mani che egli si premeva sul viso e le spostò, costringendolo a guardarla. Di riflesso i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Sei… sei davvero tu» mormorò. Tamlen distolse lo sguardo da lei, incapace di sopportare la visione della sorella mentre provava pietà per lui.
«Tamlen… cos’è successo?» gli chiese allora Merevar, i suoi occhi lucidi quanto quelli di Melinor. «Ti abbiamo cercato per giorni nella foresta…» scosse il capo, ancora incredulo. «Dove… come…» non riuscì a riordinare i pensieri.
«Ti ho portato fuori da quelle maledette rovine» gracchiò Tamlen, la sua voce ormai ridotta a uno scricchiolante rimasuglio di ciò che era stata. «Volevo riportarti all’accampamento, ma ero così debole… così ti ho lasciato lì per andare a cercare aiuto. Ma ho vagato, e vagato, seguendo la voce nella mia testa che si faceva sempre più forte…»
I gemelli sentirono una fitta al cuore: ciò che Tamlen aveva sentito era il richiamo dell’arcidemone. La corruzione si era diffusa molto rapidamente in lui, riducendolo in quello stato.
«Mi sono ritrovato in mezzo a un gruppo di prole oscura. Volevo scappare, ma loro non mi hanno fatto del male. È stato allora che mi sono reso conto che…» faticò a pronunciare quelle terribili parole. «Che ormai ero come loro.
Così sono rimasto con loro nella foresta. Dovevamo costantemente evitare i lupi mannari, perché erano pericolosi. Ma poi siete arrivati voi e li avete sconfitti. Vi abbiamo seguiti perché quelli come voi devono essere eliminati, questo ci ordina la canzone nella testa. Ma poi ho visto che eravate voi due, e sono tornato a ricordare chi ero.» Guardò Merevar. «Avverto la corruzione in te. E anche in te» disse a Melinor, «ma tu… tu sei diversa. C’è anche della luce in te che mi ferisce con la sua bellezza.»
Melinor lasciò cadere una lacrima. «Dev’essere la magia quella che percepisci» riuscì a dire con voce tremante. Tamlen rimase in silenzio a guardare i suoi fratelli.
«Uccidetemi, vi prego. Finché sono ancora padrone di me stesso. Sento che presto la mia lucidità sparirà di nuovo.»
«Cosa? No!» esclamò Merevar con gli occhi fuori dalle orbite. «Noi… noi ti aiuteremo! Ci dev’essere un modo… potremmo sottoporti all’Unione!» si voltò con occhi speranzosi verso Alistair, che osservava in silenzio poco più indietro. «Il rituale dell’Unione ha curato me, può guarire anche lui!»
Alistair non riuscì a sopprimere l’espressione addolorata che spingeva per emergere sul suo viso. «Merevar… è troppo tardi per lui. È un ghoul, e i ghoul non posso essere guariti… mi dispiace…»
«Ci sarà un altro modo!» quasi sembrò non sentirlo Merevar, lo sguardo ormai al limite della follia. «Melinor?»
Incapace di pronunciare anche una sola parola, Melinor scosse il capo e abbassò la testa fra le lacrime. Merevar rimase a fissare il vuoto per qualche istante prima di esplodere.
«Non è giusto!» iniziò a prendere a calci qualsiasi cosa avesse a tiro. «Perché? Perché gli Dei ci hanno fatti incontrare di nuovo, se non possiamo salvarti?» cadde in ginocchio fra le lacrime a pochi passi dal fratello.
«Perché ora possiamo dirci addio.»
Le parole di Tamlen fecero posare su di lui le quattro iridi identiche dei gemelli.
«Perché così potrò morire conservando il mio onore di dalish. E perché così posso dirti che non è stata colpa tua» concluse rivolgendosi a Merevar, il quale lo guardò con immenso dolore. «Ti conosco, lethallin. So che pensi di essere responsabile della mia fine, e lascia che ti dica questo: è stata solo colpa mia. Io ho voluto avventurarmi in quelle rovine. Avrei dovuto darti ascolto.»
Merevar strizzò gli occhi in preda ai singhiozzi. «Non m’interessa avere ragione! Non ho bisogno di una tomba su cui piangere, ho bisogno di mio fratello!»
«Non hai più bisogno di me, lethallin. Nessuno di voi due ne ha. Guardate dove siete arrivati senza di me.» Allungò la sua mano gelida su quella di Merevar, e l’altra andò a sfiorare il mento di Melinor per sollevarle il viso; un brivido attraversò entrambi mentre realizzavano che Tamlen ormai era morto da tempo. «Vi prego, non lasciate che muoia come una creatura folle.»
Merevar stava sprofondando in una valle di lacrime; sfilò un pugnale dal suo fodero e si trascinò sulle ginocchia di fronte al fratello. Gli sembrava di muoversi con il corpo di qualcun altro, nell’inferno di qualcun altro; il tocco di una mano calda che andava a posarsi sulla sua lo fece voltare. Melinor stringeva insieme a lui il pugnale, il volto fradicio e gli occhi rigonfi. «Insieme» singhiozzò.
I tre Mahariel si guardarono: Tamlen allargò le braccia per invitarli in quell’ultimo abbraccio. Si strinsero per quella che parve a loro un’eternità; poi la lama affondò in quel cuore morto, un ultimo sussulto e poi più nulla. I gemelli restarono stretti in quel macabro abbraccio, il puzzo del sangue marcio che macchiava i loro vestiti inesistente per loro. Restarono così a lungo, piangendo sulla salma di Tamlen da cui sembravano non volersi separare mai più.
Il resto del gruppo assisteva a testa bassa in rispettoso silenzio. Solo Alistair e Hawke riuscivano a guardare.
«È un vero schifo, vero?» Hawke apparve al fianco di Alistair. «Vederli così e sapere che non possiamo fare niente per aiutarli.»
Alistair non ebbe bisogno di voltarsi per capire che Hawke stava piangendo. Senza dire nulla allungò il braccio e le cinse le spalle, stringendola a sé. Si scoprirono molto più amici di quanto non avessero mai pensato, uniti probabilmente dallo stesso dolore e dalla stessa sensazione d’impotenza.
«Se volete aiutarli, iniziate a scavare una fossa e risparmiate loro un ulteriore dolore.»
Morrigan apparve alle loro spalle, seria come mai era stata prima d’allora. «Lo avete visto al funerale di Zathrian, no? I dalish non bruciano i loro morti, li seppelliscono. Iniziate a scavare, io vado a cercare un albero abbastanza giovane da piantare sulla tomba.»


Fecero un funerale per Tamlen; i gemelli erano distrutti. Restarono fino a tardi davanti alla tomba insieme, e poi si ritirarono nelle tende con i loro compagni mentre Zevran e Morrigan restavano di guardia.
«Merevar sarà distrutto» piangeva Melinor fra le braccia di Alistair. «Lo conosco, starà pensando che Tamlen si è perso cercando aiuto a causa sua… penserà che…»
Si ritrovò un dito pressato sulle labbra. Alzò lo sguardo su Alistair che la fissava con serietà.
«Se vuoi fare la Guardiana che si preoccupa per gli altri va bene; ma non stanotte. Hai appena seppellito tuo fratello, e stai male quanto Merevar. Almeno per stanotte non preoccuparti di nessun altro… e lascia che qualcuno si preoccupi di te.»
Sembrava che le lacrime non volessero finire mai. Tirò su col naso mentre lo guardava piena di gratitudine. «Posso parlarti di lui?» riuscì a dire con voce strozzata. «Non vi siete mai conosciuti… mi sarebbe piaciuto…»
Alistair soffriva nel vederla così, ma riuscì a sorriderle comunque. «Puoi raccontarmi tutto quello che vuoi, se ti fa stare meglio.»
Qualche tenda più in là le cose stavano andando molto diversamente.
«Lo rifacciamo?» disse Merevar a Hawke, la quale gli rivolse uno sguardo sconcertato.
«Ma lo abbiamo fatto già due volte!»
«Lo so, sono incredibile» ridacchiò l’elfo mentre si protendeva verso la ragazza; ma quella lo fermò tenendolo per le spalle.
«Merevar… tu non stai bene.»
L’elfo si fece serio e sostenne il suo sguardo. «Mi sembra ovvio, come posso stare bene?»
Hawke ostentò un’espressione preoccupata. «Capisco che fare l’amore con me t’impedisca di pensarci, ma non è la soluzione migliore… forse dovresti parlarne.»
«No, non servirebbe. Cosa c’è da dire? Ho finalmente detto addio per sempre a mio fratello, lui mi ha sollevato da ogni responsabilità e io soffro perché lui è morto. Che altro c’è da aggiungere?»
Hawke non seppe come rispondergli; restò a guardarlo con somma compassione.
«Se voglio stare con te non è per non pensarci. È perché sei l’unica cosa che mi rende felice. Ho bisogno di sentirti più vicina possibile, ho bisogno di un po’ di felicità… perché non ne provo da troppo tempo. Non sto cercando di evitare il confronto con la morte di Tamlen, credimi. È una cosa con cui ho fatto i conti tempo fa. E ora, anche se fa male… almeno è finita. Ho pianto, e piangerò ancora nei prossimi giorni. Parlare non mi aiuterà, ma sentirti vicina sì.»
Hawke sfoderò un sorriso triste; lo capiva. Entrambi erano tipi da fatti, più che da parole.
«Allora sfiniscimi pure, Mahariel» scherzò per allentare la tensione.


Raggiunsero Redcliffe dieci giorni dopo. Si fermarono a fare rifornimento e per fare rapporto ad Arle Eamon.
Mentre Alistair e Melinor trattavano con il nobile al castello, Merevar e Hawke s’intrattenevano alla locanda giù in paese. Si trovarono senza volere ad assistere alle smanie di protagonismo di Dwyn, un nano mercenario che aveva combattuto insieme a loro durante l’assedio di Redcliffe da parte dei non morti.
«Visto che razza di bestione?» stava esibendo un enorme spadone chiaramente pregiato, di singolare fattura. «Me l’ha venduto Faryn prima di partire per Orzammar. È uno spadone qunari!»
Quella frase fece voltare l’elfo di scatto: rimase a guardare il nano mentre continuava a fare l’esibizionista. Ricordò quando avevano trovato i resti dei compagni di Sten nei pressi del Circolo dei Maghi: l’avvoltoio che  stava racimolando pezzi da rivendere aveva parlato di un suo collega passato prima di lui che era diretto a Orzammar.
Hawke smise di tracannare la sua birra vedendo la strana scintilla che brillava negli occhi di Merevar. Non fece tempo ad aprir bocca che l’elfo si stava già dirigendo verso il nano.
«Un’ottima lama, davvero!» s’intromise nella conversazione. «Hai detto che è qunari?»
Il nano, forse memore del fatto che Sten era parte del gruppo dei Custodi, parve innervosirsi appena. «Sì, perché?»
«Curioso, le armi qunari non si trovano spesso qui nel Ferelden… mi domando come sia finita qui questa spada, proprio durante un Flagello e con il commercio bloccato…»
«Non so che dirti, amico. Io ho comprato questa spada e basta, non ho chiesto al mercante dove l’ha trovata.»
Merevar si abbassò con l’aria di chi volesse fare un po’ di sano cameratismo. «Andiamo, amico» gli fece il verso col sorrisetto di chi la sapeva lunga. «A me puoi dire la verità. Conosci Bodhan e Sandal, no? I due nani che viaggiano con noi. Anche loro sono dediti allo sciacallaggio, proprio come il tuo mercante di fiducia.»
Il nano perse la pazienza e mise il grugno. Incrociò le braccia con fare minaccioso. «Si può sapere cosa vuoi da me?»
«Voglio la spada. È di un mio amico.»
«Sì, certo… mi ricordo del tuo amico qunari. Ma non è con voi Custodi stavolta, o sbaglio?». Merevar serrò le labbra, disarmato dall’osservazione. «Io temo, amico, che tu voglia accalappiarti un’ottima arma a titolo gratuito.»
Merevar si portò a un soffio dal nano, abbassandosi fino a portare il volto in linea col suo. «Questa spada è stata rubata. Quindi ora dammela, in modo che possa restituirla al suo legittimo proprietario.»
«Io ho pagato regolarmente per questo spadone. Se lo vuoi lo pagherai duecento sovrane.»
«Non pagherò per una spada rubata!» alzò la voce l’elfo, e stava per scatenare una rissa quando Hawke si parò fra i due contendenti.
«Cerchiamo di darci tutti una calmata!» si voltò verso il nano. «Duecento sovrane mi sembrano davvero troppe per un’arma rubata.»
«E tu chi sei? Un’estimatrice esperta d’armi?» brontolò il nano.
«No, ma conosco qualcuno che se ne intende.»

«Ci hai provato, Dwyn; ma non puoi chiedere più di cento sovrane per un’arma il cui proprietario è ancora in vita. Il sciacallaggio di per sé è già malvisto, se consideri che il proprietario non è morto equivale a rubare» disse Bodhan mezz’ora più tardi, recatosi alla locanda su richiesta di Hawke. «Il Custode qui presente potrebbe benissimo denunciarti alle autorità per aver acquistato beni rubati… quindi direi che cinquanta sovrane sono il massimo che puoi chiedere.»
«Ma io ho pagato più di cento sovrane per questa roba!» sbatté il pugno sul tavolo Dwyn.
«Se preferisci puoi sempre tenerti i soldi e passare il tempo a contarli in cella» lo derise Merevar. Il nano imprecò qualcosa d’incomprensibile e se ne andò dopo aver sgraffignato il sacco di monete che penzolava dalla mano di Hawke.
«Siete sicuro di voler rintracciare il qunari, Custode? Vi costerà caro» chiese Bodhan al dalish.
«Solo se mi assicuri che le persone che ingaggerai possono portare a termine un compito così pericoloso.»
«I miei contatti sposterebbero anche le montagne per denaro» ridacchiò Bodhan. «E poi sono nani. I nani non temono la prole oscura quanto gli umani e gli elfi, ci sono abituati. Sanno come aggirarla, se necessario; persino in un posto gremito come Ostagar.»
«Dì la verità, Bodhan: i tuoi contatti fanno parte del Karta, vero?» alzò un sopracciglio Hawke. «Il Karta è una rete criminale di nani, che agisce sia a Orzammar che in superficie» spiegò a un’occhiata interrogativa di Merevar.
Bodhan si strinse nelle spalle con aria innocente. «L’importante è che portino a termine il lavoro, no?»
«Contattali, Bodhan. Hai il mio benestare. E che trattino lo spadone con cura, o niente paga» si raccomandò Merevar.
«Sarà fatto, Custode. Dovrò restare qui a Redcliffe finchè non avranno portato a termine il lavoro, in modo che possano rintracciarmi facilmente… dunque non potrò seguirvi. Mi ritroverete qui al vostro ritorno da Orzammar» disse Bodhan, e poi trottò via con lo spadone tra le mani.
«Perché ti dai tanta pena per Sten? Ci ha piantati in asso» osservò Hawke.
«Perché voglio pensare che un giorno, se sopravvivrà, potrà tornare a casa sua grazie a quella spada.»
Hawke sorrise; tenne per sé l’elogio che avrebbe voluto fargli, sapendo che l’avrebbe soltanto fatto sentire in imbarazzo.


Si trattennero a Redcliffe un paio di giorni, ma non persero tempo: all’alba del terzo giorno erano già per strada, destinazione Orzammar. Era tempo di reclutare l’esercito nanico.
«Melinor… cos’hai? Non hai fatto una parola oggi» chiese Alistair alla sua amata. Lei scosse il capo, come a dire che non c’era niente che non andava. «Andiamo, parlamene! È per quello che ha detto Arle Eamon, vero?»
Melinor non poté evitare di risentire nella sua testa l’Arle che diceva loro di aver trovato parecchi nobili pronti a sostenere Alistair come candidato al trono all’Incontro dei Popoli che stava organizzando.
«Non mi piace come si comporta quell’uomo» ammise allora. «Continua a dirci che la tua candidatura è solo un pretesto per ottenere l’udienza a corte, quando è ovvio che vuole metterti sul trono. Ci dice che è solo una remota possibilità solo per darci il contentino. Pensa che non ce ne accorgiamo? Forse ci crede stupidi» concluse con stizza.
«O forse spera che un giorno comprenderete che è la soluzione migliore.»
Si voltarono all’udire la voce di Wynne. Melinor la guardò esterrefatta.
«Da quando credi che mettere sul trono un ragazzo del tutto impreparato e incapace di stare al comando sia una buona idea?»
«Non sarebbe solo, Melinor. Avrebbe dei consiglieri, lo sai.»
«Naturalmente» quasi rise l’elfa. «E il più fidato sarebbe Arle Eamon, che di fatto sceglierebbe al posto suo. Perché non si candida direttamente, invece di tirare in ballo Alistair?»
Wynne esitò qualche istante prima di parlare di nuovo. «Melinor… non credi che la tua relazione con Alistair stia influenzando il tuo giudizio?»
Sia l’elfa che Alistair si sentirono come se qualcuno li avesse schiaffeggiati.
«No Wynne, io non credo» rispose con voce ferma la dalish. «Credo invece di essere una dei pochi a vedere Alistair per quello che non è, ossia un re. Il sangue dei Theirin non è un requisito sufficiente, a mio avviso. E credo anche di essere l’unica a pensare a cosa accadrebbe una volta debellato questo Flagello» si portò di fronte all’anziana forte delle sue convinzioni. «I dalish non sono totalmente estranei ai giochi dei potere dei nobili. I nostri fratelli che vivono nell’Orlais si sono trovati in mezzo alle loro faide talvolta: sappiamo quanto possono essere velenosi e spietati. Quanto ci metterebbero i nobili fereldiani prima d’iniziare a complottare contro il loro debole re bastardo, nelle cui vene scorre sangue popolano? Quanto ci vorrebbe prima della prossima lotta per il trono?»
Wynne non seppe come replicare, e Melinor non perse tempo.
«Non so come funzioni fra voi umani, ma noi dalish non lasciamo cariche di comando a chi non è pronto ad assumersi certe responsabilità. Le affidiamo a chi le merita, a chi è capace, e soprattutto a chi le vuole ed è motivato. Alistair non è nulla di tutto questo, e se lo fosse sarei la prima a spingerlo a fare la cosa giusta per il Ferelden. Ma questa non è affatto la cosa giusta, né per il regno né per Alistair!» concluse alzando appena la voce. «E ora fermiamoci, è ora di pranzo» cambiò discorso dichiarando chiuso il precedente, per poi voltarsi e lasciarsi Wynne alle spalle.


«Ci sei andata giù pesante con Wynne» le disse Alistair un’ora dopo, mentre riposavano dopo aver mangiato.
«Come si permette di giudicarmi così? È da quando sono una bambina che mi alleno a prendere decisioni scomode» grugnì lei, ancora offesa.
«Sono certo che ha detto quelle cose in buona fede» ridacchiò Alistair; poi prese a guardare l’orizzonte, improvvisamente serio e pensieroso. «E se avesse ragione? Se fossimo davvero influenzati dalla nostra relazione?»
«Parla per te. Io non lo sono di certo» lo guardò torva lei. «L’ho detto e lo ripeto: se ritenessi che potresti essere un buon re sarei la prima a sostenerti.»
«E se ti dicessi che la cosa ci impedirebbe di stare insieme?»
L’elfa lo guardò con aria incerta; al che lui sospirò. «Melinor, se diventassi re non potrei più stare con te. Non sei nobile, né umana.»
«Credevo che i re degli umani potessero fare ciò che vogliono…»
«Non alla luce del sole. Ci sono delle regole: se diventassi re dovrei sposarmi, cercare di dare alla luce un’erede… divertente, considerato che i Custodi Grigi non possono avere figli» rise nervosamente. «Potrei sempre stare con te di nascosto, ma non ti metterei mai in una situazione così sconveniente. E non credo che tu l’accetteresti in ogni caso.»
Melinor confermò i suoi sospetti con il suo silenzio; il ragazzo sospirò, abbassando lo sguardo sull’erba sotto di sé. Una mano andò a posarsi sulla sua: alzando la testa vide il sorriso triste di Melinor.
«Anche sapendo questo, se fosse la cosa giusta da fare non avrei problemi ad ammetterlo» disse con tutta la sincerità di cui era capace. «Ma Alistair, io non credo che lo sia. Per tutte le ragioni che esposto a Wynne, con le quali tu dici di essere d’accordo. O hai forse cambiato idea?»
«No, assolutamente… forse sono solo teso, ora che so di avere dei sostenitori che non voglio. Temo che possano in qualche modo obbligarmi.»
«Lo faranno, se non ti dimostrerai forte delle tue convinzioni.» I suoi occhi verdi erano risoluti e profondi, brillavano d’una maturità che stonava con i suoi lineamenti giovanili. «Ricordi la nostra prima notte insieme? Mi hai detto che eri stanco di essere sempre il soldatino di qualcun altro, che volevi iniziare a combattere per te stesso e per ciò che ritieni giusto. Cos’è che vuoi per te stesso? Fai finta che non esista nessun altro, niente Eamon, niente Melinor, niente gente che dice cosa devi fare… qual è la missione che senti come tua? Chi è Alistair, quando nessuno tenta di influenzarlo?»
Il ragazzo rimase a guardarla in silenzio alcuni istanti, come colpito da un’epifania. «Sono un Custode Grigio.»
Melinor sorrise, apparentemente affatto sorpresa. «Bene, ora cerca di ricordarlo. E non permettere a nessuno di dirti chi devi essere. Nemmeno a me.»
Il ragazzo annuì, rasserenato.
«Vi chiedo scusa, ragazzi. Interrompo qualcosa d’importante?»
Gli occhi dei due si alzarono su Wynne. Scossero insieme il capo.
«Oh bene. Melinor, posso parlarti un attimo?»
L’elfa annuì, e Alistair si allontanò educatamente per lasciarle parlare.
«Volevo chiederti scusa per prima, Melinor. Hai esposto delle ottime ragioni, segno che non sei preda delle tue passioni. Avrei dovuto immaginarlo, ma perdona una povera vecchia che si preoccupa per i suoi giovani compagni di viaggio. Sono stata giovane e innamorata anch’io, ma probabilmente tu sei molto più coscienziosa di quanto non fossi io alla tua età.»
«Scuse accettate» si limitò a dire la ragazza. «Sei gentile a preoccuparti per noi.»
«Non posso evitarlo. Ormai mi state a cuore entrambi. È bello che abbiate trovato l’amore in una situazione disperata come questa, ma se penso alla vita che conducete, ai rischi che correte ogni giorno…» scosse il capo. «Spero solo che non finisca tutto in una tragedia.»
«Siamo ben consapevoli dei rischi, Wynne. Credimi.»
«Lo so… ma penso all’importanza del vostro ruolo, un’enorme responsabilità grava sulle vostre spalle. Non potete permettervi il lusso di cadere preda dello sconforto in caso qualcosa di brutto accadesse. La salvezza del Ferelden è nelle vostre mani, dovete agire responsabilmente.»
«E cosa dovremmo fare, Wynne?» allargò le braccia Melinor, esasperata. «Sopprimere i nostri sentimenti e far finta che non esistano? Soffrire ora per evitare che possa accadere in futuro?»
«Un suggerimento degno di una persona che ha vissuto tutta la vita in una gabbia come il Circolo… e che ne va fiera, per giunta!»
Videro Morrigan avvicinarsi con le braccia incrociate. «Per quanto io possa ritenere melensi e disgustosi questi due, ritengo che abbiano tutto il diritto di spassarsela finché possono. Chi sei tu per dire loro che non possono farlo?»
Wynne sospirò, rifiutandosi di discutere con la strega. «Suppongo non ci sia altro da aggiungere. Melinor, confido nel fatto che tu abbia compreso le mie ragioni.»
L’elfa annuì per rassicurarla, e l’anziana se ne andò lasciandola alla mercé di Morrigan.
«Non c’è di che» sghignazzò la strega. Melinor la guardò con tanto d’occhi, sorridendo divertita.
«Da quando sei una sostenitrice di me e Alistair?»
«Non lo sono affatto, ma colgo ogni occasione per dar contro a quella vecchiaccia bacchettona» fece spallucce l’altra. Melinor rise, scuotendo il capo come se volesse rimproverarla senza riuscirci.
«È da un po’ che non ci facciamo una chiacchierata, io e te.»
«Lo credo bene, sei troppo presa dal tuo biondino scemo.»
«E tu dal grimorio di tua madre… ti vedo spesso assorta nella lettura.»
«Già…»
Melinor notò una certa apprensione far capolino dietro alle iridi gialle dell’umana.
«Lettura poco interessante?» buttò lì; ma Morrigan mostrò una certa riluttanza a rispondere. «Morrigan, cosa c’è?»
La strega, che aveva evitato il suo sguardo come la peste, si decise a confrontarsi apertamente. «Ho scoperto il segreto dell’immortalità di mia madre.»
Melinor fece del suo meglio per non avere alcuna reazione; continuò a parlare con calma. «Ed è una cosa così grave?»
«Beh… sì, lo è per me. Dimmi, cosa sapete voi dalish su mia madre?»
«Quello che raccontano le leggende: che era una bellissima fanciulla contesa da un povero poeta e un ricco nobile, e che quest’ultimo uccise il poeta da lei amato. Fu così che la giovane Flemeth fuggì nelle Selve Korcari, dove evocò uno spirito che le donò poteri inimmaginabili» restò sul vago Melinor.
«Immagino saprai anche delle varie figlie che, secondo le leggende, Flemeth ha avuto. Si parla, d’altronde, di streghe delle selve.» Melinor confermò annuendo, al che Morrigan proseguì. «Mi sono chiesta più volte dove fossero finite queste mie ipotetiche sorelle maggiori, ma mia madre ha sempre rifiutato di parlarne. E ora so il perché: sono tutte Flemeth» aggiunse dimostrando paura per la prima volta da quando Melinor la conosceva. «Lo spirito della leggenda ha reso Flemeth immortale, ma un corpo umano non può reggere per secoli interi. Di tanto in tanto Flemeth deve possederne uno nuovo: è per questo che mette al mondo le sue figlie. A quanto pare la possessione è più veloce e facile se il corpo è di una figlia. Lei ci mette al mondo e ci addestra, ci rende maghe capaci in modo tale che la nostra magia sia forte abbastanza da sostenere la sua anima millenaria. Per questo mi ha mandata via alla prima occasione utile!» aggiunse con rabbia. «Vuole preparare con calma il suo rituale, così quando tornerò prenderà il mio corpo! Ma non intendo permetterglielo!»
Melinor la scrutò con grande serietà. «E cosa pensi di fare?»
«Semplice, c’è una sola soluzione: Flemeth va uccisa.»
Melinor ridacchiò nervosamente. «Morrigan… hai appena detto tu stessa che tua madre è immortale.»
«Ma il suo corpo non lo è. Se dovesse morire senza avere un corpo da possedere le ci vorrebbe tempo per tornare. E in quel tempo io troverò un modo per impedirle di possedermi.»
«Morrigan, non puoi uccidere tua madre! È una follia, lei è troppo potente!»
«Lo so. Da sola non ho speranze.»
Seguì una lunga pausa in cui le due sembrarono avere uno scambio telepatico.
«Tu vuoi che noi uniamo le forze per ucciderla» mormorò la dalish.
«Detesto chiedere favori. E detesto doverti chiedere proprio una cosa così difficile, ma non lo farei se ci fosse una soluzione diversa. Non posso ucciderla io, e non perché da sola non avrei alcuna possibilità… non posso proprio essere presente al momento della sua morte, perché per quel che ne so potrebbe possedermi anche all’istante. Perciò sono costretta a chiederlo a te, non c’è altro modo» si aprì con grande onestà Morrigan. «Non mi fido mai di nessuno, ma credo… credo di potermi fidare di te.»
Melinor era disarmata, la sua mandibola penzolava e le parole faticavano a disporsi in un ordine logico. Morrigan le stava chiedendo di uccidere, seppur in via non definitiva, proprio Ashabellanar.
«Morrigan… io vorrei aiutarti, davvero. Ma tua madre ha salvato la vita a me, Merevar e Alistair…»
«Lo ha fatto solo per interesse personale!» sbottò la strega, affrettandosi ad aggiungere il resto. «Sicuramente ha delle ragioni mosse da tutt’altro che altruismo! Dite sempre che sono cinica e opportunista, da chi pensate che abbia preso? Mi ha cresciuta lei, a sua immagine e somiglianza!» Fece per andarsene, evidentemente turbata. «Se non vuoi aiutarmi, allora ci penserò da sola.»
«Non essere ridicola» le andò dietro Melinor. «Cosa pensi di poter fare da sola contro tua madre?»
«Non lo so, ma qualsiasi cosa è meglio di star qui con voi ad aspettare di diventare il suo prossimo contenitore!» esplose la strega, tornando a fronteggiare Melinor. Questa, ancora forte della sua calma, la prese per le spalle.
«Finché stai con noi sei al sicuro. Da sola saresti solo più vulnerabile.» Lo sguardo di Morrigan che scivolava di lato le suggerì che la ragazza era d’accordo. «Facciamo così: io ti prometto che affronterò tua madre. Ma devi capire che non potrà succedere in tempi brevi. Dobbiamo andare a Orzammar, poi ci sarà l’Incontro dei Popoli… dobbiamo sistemare queste cose prima. Pensi di poter aspettare?»
«Non ho altra scelta. È l’opzione migliore che ho» sospirò Morrigan rassegnata. Poi l’ombra di un sorriso, seppur preoccupato, s’insinuò sul suo volto. «Grazie, Melinor. Il fatto che tu abbia accettato di aiutarmi significa molto per me.»
L’elfa rispose con un sorriso soltanto. Era contenta di vedere Morrigan aprirsi a lei, ma al tempo stesso si sentiva tra due fuochi. Sperò che il momento di affrontare Ashabellanar non sarebbe mai arrivato.





NOTE AUTRICE

Rieccomi dopo molto (troppo) tempo! Perdonate il ritardo, ma in questo mese ho ripreso il lavoro e non ho avuto il tempo nemmeno per respirare. Ho ripreso tra l'altro la stesura del mio terzo romanzo (ebbene sì, notizia shock: ho all'attivo due romanzi autopubblicati :D) e anche questo ha portato via tempo ai nostri gemelli dalish. Ma finalmente rieccoci qui a sciogliere un po' di nodi in questo capitolo di mezzo.
Il ritorno di Tamlen, la spada di Sten, Wynne che s'impiccia e la scoperta di Morrigan... tutte trame secondarie che volevo, prima o poi, affrontare. Questo capitolo sembrava l'occasione perfetta, dato che deve pur accadere qualcosa d'interessante durante i loro infiniti pellegrinaggi attraverso il Ferelden.
Spero che vi sia piaciuto, e spero di riuscire ad aggiornare settimanalmente ora che ho ingranato con la nuova routine. Alla prossima!

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Capitolo 37
*** Tra due fuochi ***


La Gran Via Imperiale permise al gruppo di raggiungere Orzammar in una sola settimana, nonostante fosse un regno nascosto fra le Montagne Gelide a nord-ovest. Nessuno di loro era mai stato lì prima d’allora, e vedere la mastodontica porta scavata nel dorso della montagna li fece esclamare di meraviglia.
Orzammar, insieme a Kal Sharok, era l’ultimo regno dei nani sopravvissuto alla prole oscura. Prima che quest'ultima facesse la sua comparsa, l’impero dei nani si estendeva nel sottosuolo di tutto il Thedas: era diviso in dodici grandi thaig principali, enormi città scavate nella pietra che comunicavano fra loro attraverso una rete di tunnel chiamati Vie Profonde. Con lo scoppio del primo Flagello, tuttavia, le Vie Profonde vennero invase dalla prole oscura: dopo anni di guerre e vani tentativi di respingere il nuovo nemico nelle profondità della terra, tutti i thaig caddero. Solo Orzammar e Kal Sharok rimasero intatte, complice forse anche la vicinanza con la superficie.
Il gruppo dei Custodi dovette mostrare i trattati per avere accesso al regno sotterraneo: Orzammar aveva infatti chiuso le porte a chiunque. La causa di tale chiusura erano l'instabilità politica e le lotte interne per il diritto di successione al trono scatenatesi dopo la morte di re Endrin Aeducan, pochi mesi addietro. Una volta entrati nella città sotterranea, i Custodi furono subito scortati alla sede dell’Assemblea nanica.
«Questo posto mi fa venire i brividi… come fanno a vivere chiusi qua sotto, senza mai vedere la luce del sole?» borbottò Merevar lungo il tragitto, le iridi che saettavano rapide in tutte le direzioni.
«Però è davvero notevole» commentò Leliana, lo sguardo che si muoveva incantato su quell’insolito paesaggio fatto di roccia e fiumi di lava che sobbolliva e illuminava la città a giorno. «Costruire una città sottoterra, e riuscire a mandarla avanti per secoli… impressionante!»
La città si sviluppava in altezza ed era divisa in quartieri: il più basso era il distretto della polvere, in cui erano relegati poveracci e malviventi; a metà si trovava il quartiere popolare abitato dalla gente comune, dai fabbri e dai mercanti. Nella città alta, a dominare l'intera Orzammar, c'era il quartiere dei diamanti: la culla della nobiltà.
Ovunque attorno a loro si poteva udire il suono dei molti martelli che battevano sulle incudini, i fabbri che sferragliavano in ogni dove, i mercanti lungo le strade che gridavano allegri per attirare l’attenzione dei passanti. Una volta saliti al quartiere dei diamanti, dove le case diventavano veri e propri palazzi e dove la gente era meno allegra e più sostenuta, l’atmosfera festosa del quartiere popolare arrivava come un brusio di sottofondo: qui le uniche persone in strada erano evidentemente nani di alto lignaggio, vestiti di ricche armature e indumenti di seta e velluto dai colori sgargianti. C’erano anche gruppi di giovani ragazze che passeggiavano avanti e indietro, i giovani volti vistosamente truccati e le vesti non particolarmente ricche che valorizzavano le loro forme prosperose.
Il palazzo che ospitava l’Assemblea era proprio accanto al palazzo reale della famiglia Aeducan. Dovettero attendere una buona mezzora prima che qualcuno andasse ad accoglierli: le porte della sala dov'erano riuniti i nobili si aprirono e una moltitudine di nani schiamazzanti dall’aria stizzita prese a uscire. Uno di loro andò incontro ai Custodi.
«Vi chiedo scusa, l’Assemblea si trova in una fase… delicata» sospirò il nano una volta di fronte a loro, le porte del salone finalmente chiuse dietro di sé. «Io sono Bandelor, il supervisore dell’Assemblea. Come posso aiutarvi?»
Melinor porse i trattati al nano, che li esaminò con attenzione facendosi via via sempre più serio.
«Per la sacra Pietra… l’Arcidemone non poteva scegliere un momento peggiore per risvegliarsi» mormorò. «Mi dispiace Custodi, ma al momento Orzammar non può scendere in battaglia. Non finché un nuovo re non verrà eletto, e se la situazione non migliora potrebbe volerci ancora un bel po’.»
«Ma il vostro esercito è pur sempre disponibile» osservò Alistair. «Non potete metterlo a disposizione?»
«Soltanto il re di Orzammar può dare l’ordine all’esercito di partire in battaglia, è la nostra legge. Senza contare che, con il caos che vige attualmente in città, i soldati sono necessari qui per sedare dispute e rivolte, e per tenere a bada la criminalità che si sta facendo sempre più sfacciata.»
«Ma c’è un Flagello lassù!» esclamò Merevar indignato. «La gente sta morendo, e voi dovreste mettere da parte le vostre faccende politiche per dare una mano. Lo avete promesso, è scritto nero su bianco sulle pergamene che avete in mano!»
«Con tutto il rispetto, Custode: la gente muore a causa della prole oscura ogni giorno qui a Orzammar, e non mi risulta che i lord umani si preoccupino mai di darci una mano» si accigliò il nano. «Voi Custodi Grigi siete tenuti in grande considerazione da noi nani, e siete anche gli unici che ci aiutano a tenere a bada la prole oscura. Per questo vi siamo riconoscenti, e vorremmo aiutarvi; ma al momento ci è impossibile.»
«Il vostro re è morto da mesi ormai» prese la parola Melinor. «Ed eravate riuniti fino a poco fa… non dovreste aver già eletto un nuovo re a quest’ora?»
«Se solo fosse così semplice come lo fate sembrare…» si sfregò il viso con le mani il nano, visibilmente stanco e provato. «Dovete sapere che ci sono ben due legittimi successori in lizza: uno è il principe Bhelen Aeducan, unico figlio del re ancora in vita. L’altro è lord Pyral Harrowmont, consigliere del defunto re e scelto da questi in punto di morte come suo successore.»
Alistair strabuzzò gli occhi. «Perché il re ha scelto il suo consigliere come successore, se aveva un figlio?»
«Si tratta di una questione complicata» mormorò il nano, guardandosi attorno con aria nervosa. «E non è questo il luogo per discuterne. A ogni modo» concluse, restituendo i trattati a Melinor «a meno che non vogliate restare ad aspettare l’esito delle elezioni, non c’è nulla che Orzammar possa fare per aiutarvi. Mi rincresce, Custodi.»
L’elfa scambiò una rapida e incredula occhiata con i suoi compagni prima di tornare a fissare il nano. «Dunque questo è quanto? Le uniche scelte che abbiamo sono aspettare o andarcene senza il vostro esercito? Ci sarà pure qualcuno in grado di racimolare qualche manciata di guerrieri!»
«Potreste provare a rivolgervi a uno dei due contendenti» suggerì Bandelor. «Sono i nani più abbienti e influenti di Orzammar, e forse accetteranno di aiutarvi. Ma badate, una volta che vi sarete appellati a uno dei due non potrete più rivolgervi all’altro: sono diventati entrambi paranoici, non escono mai dai loro palazzi per timore d’incappare in qualche trappola, e lasciano entrare solo poche persone fidate nelle loro magioni. Se andrete da uno, l’altro lo verrà a sapere e non vorrà più avere a che fare con voi; perciò scegliete saggiamente.»
Detto ciò il nano si congedò e li lasciò soli; rimasero a fissarsi gli uni con gli altri, increduli ed esasperati. Senza una parola uscirono dalla sede dell’Assemblea.
«Aspettate, Custodi!»
Una nobile li seguì all’esterno del palazzo e li raggiunse di corsa. «Dovete perdonarmi, ma senza volere ho sentito la vostra conversazione con il supervisore Bandelor… e sento di dovervi mettere in guardia. Non rivolgetevi al principe Bhelen, quel ragazzo è una serpe!»
«E voi sareste…?» chiese Melinor, stupita dalla veemenza con cui la nana sosteneva le sue ragioni.
«Nerav Helmi, terzogenita della casata Helmi. Non essendo di Orzammar non lo sapete, ma la mia famiglia è fra le più influenti nella nostra società.»
«Capisco» annuì Melinor, scrutando con attenzione la nana. «Non sembrate parteggiare per Bhelen… posso chiedervi perché?»
«Naturalmente, sono qui per questo. Il supervisore non ha poluto dirvi tutta la verità perché il suo ruolo richiede imparzialità, ma la mia famiglia sostiene lord Harrowmont apertamente; non ho problemi a dirvi come stanno le cose» si fece seria in viso. «Il principe è sospettato di aver ucciso suo fratello maggiore Trian, legittimo erede al trono, e di aver fatto ricadere la colpa sulla secondogenita Sereda, che è stata esiliata nelle Vie Profonde. Tutto questo per diventare l'unico erede al trono. I sospetti si sono fatti ancor più forti quando re Endrin si è misteriosamente ammalato poco dopo, e il fatto che il re stesso abbia indicato lord Harrowmont come suo successore parla da sé.»
«E suppongo non ci siano prove sulla colpevolezza del principe, che sicuramente le avrà fatte sparire» s’inserì Zevran, attirando su di sé gli sguardi sorpresi degli altri. «Che c’è? Intrighi del genere sono il pane quotidiano per i Corvi di Antiva, non ci vuole un genio a capire cos’è successo qui.»
«Purtroppo avete ragione, messere» sospirò Nerav. «Il dibattito che va avanti da mesi è dovuto proprio al fatto che non ci sono prove. I sostenitori di Bhelen si appellano al suo diritto di successione come Aeducan, poiché la sua famiglia ha regnato per secoli e la tradizione non deve essere spezzata; inoltre si fanno forti del fatto che le ultime volontà del re siano state trascritte proprio da Harrowmont, in quanto suo consigliere. Sostengono che si sia assicurato il diritto di successione falsificando i documenti a proprio vantaggio, ma questa è una calunnia messa in giro da Bhelen! Conosco lord Harrowmont, è sempre stato fedele agli Aeducan e non farebbe mai nulla del genere. Ve ne prego, se mai doveste rivolgervi a qualcuno in cerca d’aiuto andate da Harrowmont.»
«Lo terremo presente, lady Nerav. Grazie del vostro consiglio» la congedò Melinor. Quando la nobile si fu allontanata si rivolse agli altri. «Dobbiamo decidere cosa fare.»
«Va bene, ma facciamolo in un posto più confortevole… ho adocchiato una locanda giù nel quartiere popolare che fa proprio al caso nostro» propose Zevran.

 

Fu così che si ritrovarono al Tapster, il locale più famoso di tutta Orzammar, dove la birra scorreva a litri e il fracasso regnava incontrastato. Nani ubriachi e festosi brulicavano in ogni angolo, e il suono di bicchieri rotti e pugni volanti era all’ordine del giorno.
«Mi sembra ovvio: dobbiamo dare una svegliata a questi nani» disse Morrigan agli altri, ognuno con un boccale di birra di licheni offerta loro dalla casa. «Dimostriamo che questo principe è colpevole, così non avranno più dubbi! I nani avranno un re, noi avremo il nostro esercito e potremo andarcene da qui!»
Leliana rise. «Si vede che sei cresciuta in una palude. Credi davvero che sia così semplice dimostrare la colpevolezza di un principe che non vuol essere scoperto?»
«Per una persona ordinaria come te forse è difficile, ma non per me» assottigliò gli occhi con aria di sfida la strega.
«Da quando ti preoccupi degli altri, megera?» alzò un sopracciglio Alistair. «Non te n'è mai importato niente finora, hai sempre criticato la nostra linea d'azione proponendo di continuo di lasciare tutti nei loro guai e andare dritti per la nostra strada... e ora ti proponi di scovare il colpevole? Hai preso una botta in testa?»
Morrigan non rispose, limitandosi a bere un paio di sorsi dal suo boccale; Melinor la guardò di sottecchi. Conosceva benissimo le ragioni di Morrigan, sapeva che aveva fretta di concludere tutto il più in fretta possibile per potersi dedicare a sconfiggere sua madre.
«… devi ammettere che il principe Bhelen ha idee che potrebbero giovare alla società!» parlò una voce dal tavolo di fianco.
«Sì, come no! Aboliamo il sistema delle caste, così i criminali e i fannulloni diventeranno nostri pari! Per non parlare poi di quei disonorati dei nani di superficie, che hanno scelto di allontanarsi dalla Pietra e non sono degni d'esser chiamati nani!»
«Ci sono persone brillanti fra loro, e potrebbero essercene anche fra i senza casta. Ma non potranno mai dimostrarlo finché non daremo loro i mezzi per provarci! Solo con Bhelen Orzammar potrà diventare una società nuova e moderna!»
Leliana ammiccò al resto del gruppo, poi si voltò e si rivolse ai due nani. «Chiedo scusa, messeri... perdonate le mie maniere, non volevo interrompervi...»
«Fate pure, signora. Io ho finito con questo rivoluzionario dei miei stivali» borbottò il più anziano dei due nell'allontanarsi. Il giovane rimasto scosse il capo contrariato; poi osservò il gruppo e dischiuse le labbra in una muta esclamazione.
«Voi siete i Custodi Grigi! Vi ho visti parlare con il supervisore Bandelor. È un onore fare la vostra conoscenza» si esibì in un inchino, dimostrando la sua appartenenza alla nobiltà. «Come posso aiutarvi?»
«Vi abbiamo sentito discutere con il vostro amico, e ci siamo incuriositi. Parlavate molto bene del principe, nonostante le voci su di lui siano...» si schiarì la voce la rossa «Controverse, diciamo.»
Il nano tirò la bocca in un'espressione combattuta. «E così ne siete già a conoscenza... sentite, il principe non è mai stato molto amato. È sempre stato messo in ombra dal fratello maggiore e dalla sua forte personalità, e persino dalla sorella Sereda, abilissima combattente che era stata promossa a comandante dell'esercito subito prima del suo esilio. Ma Bhelen ha idee nuove, che a mio avviso porterebbero quaggiù una ventata d'aria fresca... sapete, vuole abolire il sistema delle caste.»
«Come funziona questo sistema?» s'incuriosì Melinor.
«Oh è vero, probabilmente voi gente di superficie non lo sapete. In breve, la società nanica è divisa in rigide caste: al vertice troviamo i nobili, seguiti dai guerrieri; poi ci sono minatori, fabbri e artigiani, e infine i popolani. Un caso a parte sono i senza casta: persone che vivono nel quartiere della polvere. È gente senza averi e senza morale: sono per lo più mendicanti, prostitute e criminali del Karta. Contrariamente a tutti gli altri membri della società, la loro esistenza non viene nemmeno registrata nei Ricordi, ovvero i registri della storia nanica conservati al Modellatorio. Anche i nani che salgono in superficie perdono di diritto la loro casta, se ne hanno una.»
«E il principe vuole abolire questo sistema?» si stupì Leliana.
«Sì, anche se questo non gli fa certo guadagnare il favore dei più tradizionalisti. La nostra società funziona così da sempre, c'è la credenza diffusa che le caste debbano restare come sono perché di fatto le famiglie di ogni casta si sono guadagnate il diritto d'appartenervi, generazione dopo generazione. Si crede che i figli dei criminali non possano essere altro che criminali a loro volta, e a loro volta i figli dei fabbri ereditano il talento dai loro antenati; e così via.»
«Ma è un sistema ingiusto!» s'indignò Melinor. «Non c'è alcun modo di aggirare la cosa?»
«Soltanto uno: dare un figlio a un nano di casta superiore alla propria, e sperare che nasca con lo stesso sesso del genitore più altolocato» continuò a spiegare il giovane nano. «Se siete stati nel quartiere dei diamanti avrete visto delle giovani ragazze lungo le strade: quelle sono adescatrici. Popolane e persino senza casta, che sperano di accalappiare qualche nobile e dar loro un figlio maschio: il nascituro eredita la casta del genitore dello stesso sesso, pertanto dando loro un bambino diventerebbero madri di un nobile e verrebbero accolte nella sua casata. Non diventerebbero nobili, badate bene: manterrebbero il loro status sociale, ma otterrebbero di diventare concubine grazie al figlio. Contrariamente, dando alla luce una femmina... se ne tornerebbero da dove sono venute con una figlia della loro stessa casta.»
«Perdonatemi se ve lo dico, ma questo è un sistema davvero stupido» commentò Merevar con le sopracciglia aggrottate.
«Concordo con voi, Custode. Per questo sostengo Bhelen: non sarà il principe più amato della storia di Orzammar, ma è l'unico che vuole cambiare le cose. E poi è un Aeducan, ha tutto il diritto di sedere su quel trono.» Lanciò un'occhiata verso la porta, dove qualcuno si stava sbracciando per attirare la sua attenzione. «Ora scusatemi, ma la mia presenza è richiesta altrove. Buona permanenza a voi, Custodi» chinò il capo in segno di rispetto prima di trotterellare verso l'uscita.
«Non so voi, ma questo Bhelen non sembra tanto male ora che ho sentito quali sono i suoi progetti» disse Merevar. Una risata alle sue spalle seguita da un sonoro rutto lo fece sobbalzare.
«Non dar retta a quel bamboccione di Denek, è solo un voltagabbana pronto a dare il suo voto al miglior offerente. E in quanto al principino, vuole abolire le caste solo per interessi personali. Lo sanno tutti che si è invaghito di una senza casta che sta per scodellargli un moccioso, e pensate che disonore se alla fine si ritrovasse con una figlia senza casta nei bassifondi della città!» concluse con una grassa risata il nano dalla chioma rossa con la barba sporca di birra. «Credete a me, quello spocchioso di Bhelen non fa mai niente che non gli convenga. Era così anche da piccolo, non gliene è mai fregato niente degli altri.»
«Parlate come se lo conosceste...» insinuò Leliana.
«Infatti è così. Che c'è, non mi credete?» si girò sulla sedia nel vedere meglio le espressioni scettiche dei suoi interlocutori. «Oh già, anche voi siete come tutti gli altri! Sempre pronti a giudicare un nano un po' sbronzo!»
«Scusate, non intendevo...»
«Tutti pronti a dimenticare il grande Oghren, uno dei più stimati guerrieri di Orzammar!» continuò a sproloquiare il nano rabbioso. «La mia ascia faceva comodo a tutti quando c'era bisogno di spaccare crani, ma dopo che mia moglie mi ha lasciato tutti mi hanno voltato le spalle! Mai nessuno che voglia aiutarmi!»
La locandiera passò di lì e consigliò con un labiale di andarsene e lasciare il nano da solo; il gruppo non esitò a farlo.
«Bene, ora noi dovremmo andare» si scusò Leliana, e stavano per alzarsi tutti in piedi quando Oghren li fermò con una domanda.
«E se vi dicessi che ho la soluzione al vostro problema?» disse, iniziando a sghignazzare quando notò le espressioni incuriosite di umani ed elfi. «Se vi dicessi che posso aiutarvi a far eleggere immediatamente un nuovo re?»
«Smettila di fare il misterioso e parla!» lo esortò Merevar, con il risultato di far sganasciare dalle risate Oghren.
«E io che pensavo che gli elfi fossero tutte femminucce! Mi piaci, ragazzo! Comunque» tentò invano di ricomporsi, ottenendo di sembrare soltanto un po' alticcio «io so cosa vi serve: un Campione.»
«Ho sentito parlare dei Campioni» annuì Leliana. «Si tratta di figure storiche importanti per voi nani, giusto? Li venerate quasi come degli Dei. Sono tutti i nani passati alla storia per meriti particolari, come importanti imprese militari o scoperte innovative, e che per questo hanno ottenuto il diritto di fondare una casata a loro nome.»
«Hai detto bene, donna» singhiozzò Oghren. «Dato che noi veneriamo i Campioni, la parola di uno di loro è praticamente legge.»
«Ma non sono tutti morti?» chiese Alistair perplesso.
«È quello che tutti credono, ma ce n'è una ancora in vita: mia moglie, Branka!»
Tutti rimasero interdetti a fissarlo, palesemente convinti che il nano stesse farneticando. «Ancora non mi credete?» sbatté il pugno sul tavolo Oghren. Con dei riflessi incredibili per un nano pieno d'alcool afferrò il braccio di una cameriera che passava di lì. «Tu, dì ai Custodi che Branka è un Campione e che è mia moglie!»
La cameriera roteò gli occhi con fare scocciato, per nulla sorpresa di essere stata agguantata così. Confermò la storia di Oghren e poi se ne andò come se nulla fosse, lasciandolo a gongolare. «Visto?»
«Non ce la racconti giusta, amico» incrociò le braccia sul petto Merevar. «Se avete un Campione ancora in vita, perché questa situazione di stallo va avanti da mesi? Non potevate appellarvi subito a tua moglie?»
«Si, beh... ecco... potrebbe esserci un problemino con Branka» si grattò la testa l'altro con aria colpevole. «Lei è partita due anni fa con l'intera casata in una spedizione nelle Vie Profonde, e non è più tornata.»
Alistair strabuzzò gli occhi. «Due anni fa? Come potete pensare che sia ancora viva dopo due anni passati nel territorio della prole oscura?»
«Voi non la conoscete! Quella donna è micidiale, quando si mette in testa una cosa la ottiene! Cercava un antico tesoro perduto del nostro popolo, ed è partita con una cinquantina di nani! Sono sicuro che è ancora viva!»
«Con tutto il rispetto, nemmeno un Custode Grigio potrebbe resistere tanto a lungo là sotto» obiettò ancora Alistair.
«Ve lo ripeto, Branka è una dei Campioni di Orzammar! È geniale, ha tutte le risorse per potersela cavare! Se organizzassimo una spedizione per cercarla e la riportassimo indietro...»
«Cosa?» stavolta fu Melinor a spalancare la bocca. «Sentite, mi dispiace molto per vostra moglie e per voi, ma non possiamo permetterci di partire per una spedizione di ricerca. C'è un Flagello là fuori, noi tre siamo gli unici Custodi Grigi rimasti in tutto il Ferelden e non possiamo metterci in pericolo così. E se anche ne uscissimo vivi, chissà quanto ci vorrebbe per ritrovarla là sotto!»
«Probabilmente meno di quanto ci metteranno quei dannati deshyr a eleggere un re! Non capite? Queste teste di bronto non arriveranno mai a una conclusione, se li lasciate fare! Serve una voce forte che dica loro cosa fare, e quella voce è di Branka!» non demordette Oghren.
«Mi dispiace, ma non possiamo permetterci di correre un simile rischio. Vi ringraziamo del consiglio, ma troveremo un altro modo» asserì Melinor alzandosi in piedi, imitata da tutti gli altri.
«Beh buona fortuna, Custodi» ribatté il nano con stizza. «Vi avrei offerto da bere, ma siete un manipolo di snob come tutti gli altri.»
Nessuno di loro volle replicare; lo lasciarono da solo a bere e uscirono dal Tapster.

 

Trovarono qualcuno ad accoglierli appena fuori dalla locanda: un nano in armatura lucida e rifinita di tutto punto s'inchinò davanti a loro.
«Custodi» li salutò, «sono Vartag Gavorn, il secondo del principe Bhelen. Sono qui per invitarvi a partecipare alle Prove come ospiti d'onore di sua altezza. In caso non lo sapeste, le Prove sono un importante torneo in cui si scontrano i più valorosi guerrieri di Orzammar; le Prove che avranno inizio fra poco sono state indette per onorare la memoria del nostro defunto re Endrin. Sarebbe un onore avervi fra il pubblico.»
«L'onore sarà nostro. Accettiamo volentieri l'invito» replicò Morrigan lasciando tutti di stucco.
«Bene. Seguitemi, vi conduco subito all'arena» sorrise Vartag iniziando a far strada.
«Morrigan, ma cosa fai?» sibilò Melinor alla strega. «Se ci facciamo vedere con Bhelen, Harrowmont non vorrà più saperne di noi! E io non voglio avere nulla a che fare con fratricida!»
«Non sappiamo ancora se lo è davvero, ma avvicinandoci a lui avremo modo d'indagare» ribatté l'altra, tranquillissima. «Mi sto solo assicurando di far finita questa storia il più in fretta possibile.»
«Ci hai solo messi in pericolo» s'inserì Leliana, un'accesa nota di rimprovero nella voce. «Se il principe ha davvero ucciso la sua famiglia, cosa credi che farebbe a noi se ci cogliesse in flagrante?»
«Oh suvvia, mio bellissimo bardo d'Orlais» cantilenò Zevran. «Non mi dire che non ti sei mai infiltrata nel covo del nemico sotto mentite spoglie... sai benissimo che è la via più rapida per terminare il lavoro.»
«Sì, certo; quando sei da solo, non in un gruppo di otto persone!» brontolò la rossa.

 

Arrivarono alla grande arena ove si svolgevano le Prove: uno stadio gremito di cittadini esultanti, seduti sugli spalti che circondavano l'anello terroso su cui si sarebbero svolti di lì a poco i combattimenti. I posti migliori, proprio al centro degli spalti, erano riservati alla famiglia reale: Bhelen sedeva sul seggio riservato al re, ma si alzò alla visione di Vartag e del suo seguito.
«Custodi» s'inchinò davanti a loro, «vi ringrazio d'essere qui. La vostra presenza ci onora immensamente. Prego, prendete posto» indicò loro alcuni posti dietro al suo.
A vederlo non sarebbe sembrato la serpe di cui tutti sparlavano: sembrava un giovane nano gentile, con l'oro nella barba e nei capelli e due zaffiri al posto degli occhi. Persino la sua voce era calda e morbida come la più soffice lana. Un truffatore perfetto pensò Melinor fra sé.
Per tutta la durata delle Prove il principe si dimostrò un padrone di casa impeccabile: si girava spesso e volentieri per raccontare ai suoi ospiti delle loro tradizioni, per condividere aneddoti sui guerrieri in campo e per chiedere loro cosa pensassero del suo regno.
Alla fine di tutto si dimostrò ancor più cordiale.
«So che siete qui per via del Flagello; mi rincresce non potervi aiutare. Se solo avessi il potere di farlo, darei subito ordine all'esercito di prepararsi a partire... ma siete già al corrente della situazione» si strinse nelle spalle con aria affranta. «Ditemi, intendete restare o volete ripartire?»
«Pensavamo di restare per un po', nella speranza che l'Assemblea possa raggiungere un accordo durante la nostra permanenza... ma non possiamo trattenerci troppo a lungo. Oltre al Flagello abbiamo una guerra civile in corso, in superficie.»
«Una guerra civile? Proprio ora?» si meravigliò Bhelen.
«Sì, anche i lord umani hanno i loro problemi di successione» fece del sarcasmo Alistair, strappando un sorrisetto al principe.
«Un problema comune, vedo... bene, allora se intendete rimanere vi ospiterò nella mia magione. Non posso permettere che degli ospiti del vostro calibro finiscano ad alloggiare in qualche squallida locanda.»
«Non dovete disturbarvi, vostra altezza...» fece la modesta Melinor.
«Insisto.»
Melinor sentì su di sé gli sguardi di Morrigan e Zevran, quasi poteva sentirli mentre le dicevano col pensiero accetta; poi vide apparire Leliana al suo fianco.
«Ci sono pochi principi così affabili e ospitali» disse con la sua maschera da innocente damigella, maschera che Melinor aveva ormai imparato a riconoscere; la rossa guardò Melinor negli occhi, il suo messaggio che arrivava forte e chiaro. L'elfa rivolse un sorriso al principe.
«Vi ringraziamo di cuore, principe Bhelen. Accettiamo l'invito.»
Nemmeno un'ora dopo le porte dorate del palazzo reale si richiudevano alle loro spalle: il gioco era iniziato.

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Capitolo 38
*** Colpevoli ***


«Bene, spero che abbiate un paio visto che siete state voi a cacciarci tutti in questa situazione» disse Melinor incrociando le braccia sul petto. Si trovava nella stanza assegnata a Leliana e Morrigan, nella tenuta reale di Orzammar. La strega delle Selve non sembrava affatto turbata da tutta quella faccenda, e se ne stava tranquillamente accoccolata su una delle poltrone.
«Io ho solo cercato di rimediare ai danni di Morrigan» si giustificò Leliana, scoccando uno sguardo torvo alla ragazza. «Ormai ci aveva incastrate con Bhelen accettando di andare alle Prove su suo invito. Tutti ci hanno visti, di sicuro Harrowmont lo verrà a sapere e non vorrà saperne di collaborare con noi. L’unica cosa che ci resta da fare è trovare le prove per incastrare il principe… è sicuramente colpevole di fratricidio. Ho visto la mia buona dose di nobili cospiratori in Orlais, e so riconoscerne uno quando lo vedo.»
«Non ci vuole un bardo orlesiano per capire che quel nano ha le mani sporche di sangue» la sminuì Morrigan.
«Bene, allora visto che sei tanto abile inizia oggi stesso a cercare materiale per dimostrare che è colpevole» ribatté la rossa con decisione, facendo quasi sobbalzare Melinor dalla sorpresa: non l’aveva mai vista tanto seria e determinata. «Il principe ci ha invitati a stare da lui per tenerci d’occhio, questo è poco ma sicuro. Melinor non può usare i suoi poteri di mutaforma per starsene a investigare in giro, è il capo dei Custodi Grigi e la sua assenza verrebbe notata… la tua invece no, quindi vedi di renderti utile. Trasformati in ragno o qualcos’altro e infilati in ogni angolo del palazzo. E cerca di non farti schiacciare» concluse con un sorrisetto di scherno.
«Ma come sei brava a delegare tutto il lavoro agli altri! E tu cosa farai, grandissima esperta di intrighi nobiliari?» ribeccò Morrigan inacidita.
«Di certo Bhelen non ha ucciso suo fratello con le sue mani. Deve aver delegato al Karta di Orzammar il lavoro sporco in modo tale che nessuno possa risalire a lui. Ma ci sono sempre delle prove scritte in questo tipo di “affari”… io e Zevran cercheremo di infiltrarci nella base del Karta e trovare qualche messaggio o contratto d’ingaggio. Noi sappiamo dove cercare.» Rivolse un’occhiata di sufficienza alla strega. «Ti sembra abbastanza o devo anche accollarmi il compito di cercare qui a palazzo?»
Per tutta risposta, Morrigan fece una smorfia seccata prima di sparire in una nuvola di fumo violaceo; videro un ragnetto zampettare fino alla porta e sparire al di sotto di essa.
«Leliana… va tutto bene?» le chiese Melinor una volta che Morrigan si fu dileguata.
«Non preoccuparti, sono solo un po’ preoccupata… ma io e Zevran ce la caveremo. Non sarà semplice infiltrarci, ma sono fiduciosa: troveremo le prove, vedrai.»
«Non mi riferivo alla missione, Leliana… mi preoccupo per te. So che avevi chiuso con questo genere di cose, e ora ti trovi invischiata in questo guazzabuglio…»
La ragazza la guardò con tanto d’occhi prima di rivolgerle un sorriso riconoscente. «Sei gentile a preoccuparti, ma non devi. Ho fatto di molto peggio, e solo per denaro… stavolta lo faccio per una causa in cui credo.»

 
Passò una settimana. Mentre i Custodi e il resto del gruppo apparivano in luoghi pubblici attirando su di loro l’attenzione, Morrigan, Leliana e Zevran si diedero da fare. Una notte si incontrarono tutti nella stanza di Melinor e Alistair per un rendiconto generale sulle indagini.
«Abbiamo passato l’intera settimana a cercare la base del Karta, trovarlo sembrava un’impresa impossibile!» disse Leliana agli altri. «Giù al distretto della polvere nessuno voleva parlarne. Appena ci sentivano fare domande sul Karta iniziavano a evitarci e a girarci alla larga. Poi è successa una cosa sorprendente: uno schieramento di soldati recanti il vessillo di Harrowmont ha fatto irruzione laggiù e ha sgominato l’intera organizzazione criminale!»
«Una mossa politica senza ombra di dubbio» aggiunse Zevran. «Da quel che siamo riusciti a scoprire, Harrowmont sorvegliava il Karta da un po’. Voleva annientarlo per farsi bello agli occhi dell’intera città, e a quanto pare ci è riuscito. Probabilmente sperava anche di trovare delle prove incriminanti contro Bhelen, proprio come noi.»
«Ma i soldati non sanno dove cercare certe cose» tornò a parlare Leliana, estraendo dalla sacca un paio di pergamene. «Jarvia, la nana a capo del Karta, aveva nascosto bene questi messaggi di Bhelen… ma non bene abbastanza per un’altra professionista.»
Alistair prese le pergamene e le srotolò per leggerne il contenuto.
«Per il Creatore… sono istruzioni su come uccidere il principe Trian» mormorò.
«E non è tutto» si fece avanti Morrigan. «Ho trovato alcuni diari in una cassapanca blindata, nella stanza del principe. Appartenevano a Trian, e il giorno stesso della sua morte ha scritto una testimonianza interessante… diceva di aver saputo da Bhelen che sua sorella Sereda voleva eliminarlo. La cosa buffa è che anche Sereda ha scritto la stessa cosa sul suo diario… Bhelen ha raccontato a entrambi la stessa storiella.»
«E dove sono i diari?» chiese Merevar.
«Li ho lasciati dov’erano, per il momento. Se Bhelen si accorgesse della loro assenza sarebbe un guaio. Li prenderò all’ultimo momento, quando ci serviranno.»
«Anch’io ho scoperto una cosa interessante» si fece avanti Wynne. «Il guaritore di corte mi ha avvicinata l’altro ieri, chiedendomi se potevo dare un’occhiata a una ragazza che vive qui a corte. A suo dire soffre di una malattia sconosciuta, ma… dai sintomi ho capito subito che è stata avvelenata. Si tratta di un veleno di Rivain, che causa un lungo e lento deperimento accompagnato da febbre altissima e allucinazioni… i nani non lo conoscono, quindi scambiano questi sintomi per una strana influenza.»
«Anche re Endrin è morto a causa di una malattia sconosciuta…» comprese al volo Melinor.
«E vi dirò di più» aggiunse ancora Wynne. «La ragazza avvelenata era un’inserviente. Non ho potuto interrogarla perché ormai ha perso il senno, ma ho notato che ha un dito annerito alla base, con la pelle in necrosi. La mia supposizione è che il veleno sia stato messo in un anello destinato al re: la ragazza è addetta alle consegne, e chiedendo un po’ in giro ho saputo che il re aveva ricevuto in dono un anello dalla principessa Sereda poco prima del suo esilio. Forse Bhelen l’ha avvelenato per far ricadere la colpa sulla sorella, e l’inserviente deve aver provato l’anello prima di consegnarlo.»
«Se è così anche il re avrà il dito annerito… sarebbe un’ottima prova. Speriamo solo che ci permettano di controllare la salma» considerò Merevar. Tutti annuirono all’unisono.
«Direi che abbiamo raccolto prove a sufficienza» decretò Melinor. «Non aspettiamo oltre. Morrigan, tu vai a prendere i diari; ci troviamo fuori dal palazzo.»
Morrigan sparì ancora una volta alla vista mentre il gruppo usciva di soppiatto dalla stanza: ma non fecero molta strada.
«Bene bene… stavate dando una festa privata senza il padrone di casa?»
Bhelen li osservava, in piedi nel bel mezzo del corridoio: accanto a lui solo il suo fedele secondo Vartag. I Custodi in testa al gruppo si fermarono bruscamente, colti alla sprovvista.
«Ah, che delusione… mi aspettavo di più da un ordine come quello dei Custodi Grigi. Approfittarsi di chi vi ha così gentilmente ospitati e pugnalarlo alle spalle non è per niente corretto…»
Lo sguardo di Melinor si fece duro. «Potete smetterla con le moine. Sappiamo che siete colpevole.»
«Poveri illusi… credevate davvero di potervi fare gli affari vostri sotto al mio naso senza che me ne accorgessi?» ridacchiò Bhelen. «Questo palazzo è pieno di guardie pronte ad accorrere al mio richiamo. Se uscirete da qui sarà soltanto dopo aver ucciso me e molti altri nobili cittadini di Orzammar… e questo è un crimine grave, sapete? Non verrete perdonati soltanto perché siete Custodi, la nostra legge è valida per tutti. Verrete arrestati e poi condannati all’esilio nelle Vie Profonde. Certo, potreste anche riuscire a trovare una delle tante uscite… ma voi siete poco più che reclute, l’ho capito subito. Siete tutt’altro che esperti e da quel che mi avete detto non siete mai stati nelle Vie Profonde… finireste per perdervi e morire laggiù, lasciando il Flagello libero di fare il suo corso. Non potete certo permetterlo, vi pare?»
Tutti si ritrovarono a tirare la mascella con rabbia: Bhelen aveva ragione.
«Lasciate che vi proponga un’alternativa» continuò il principe con la sua voce melliflua. «Voi mi darete quelle pergamene e terrete la bocca chiusa; in cambio, una volta salito al trono io vi aiuterò a combattere il Flagello. Così vinciamo tutti.»
Il gruppo si scambiò una serie di occhiate; Leliana e Melinor si guardarono l’un l’altra e capirono al volo che non c’era altra soluzione. Non dopo esser stati scoperti.
«D’accordo. Accettiamo» si rassegnò Melinor insieme al resto del gruppo.
«Molto bene. Ora se non vi dispiace, Custode» Bhelen si rivolse ad Alistair «venite avanti. Posate la spada a terra e consegnate le pergamene a Vartag.»
Alistair fece come gli era stato detto; dopo che si fu allontanato, Bhelen andò da Vartag e si appropriò di pergamene e spada.
«Vi ringrazio della collaborazione, Custodi. Ora ci resta un’ultima cosa da fare» disse, voltandosi verso il suo secondo. «Sei stato un ottimo servitore, Vartag.»
Senza che il nano avesse il tempo di capire ciò che stava succedendo, Bhelen lo trafisse con la spada di Alistair; poi si ferì a un braccio. «Guardie!» gridò.
«Che avete fatto?» esclamò Melinor.
«Che avete fatto voi… avete appena ucciso un nobile di Orzammar e attentato alla vita di un Aeducan» sputò il suo veleno Bhelen, l’espressione diabolica che gli deturpava il viso. «Non avreste dovuto mettervi contro di me.»
Uno stuolo di soldati si precipitò nel corridoio: la pozza di sangue sotto al corpo di Vartag si stava allargando sotto agli occhi sgomenti dei nani. Il gruppo stava per mettere mano alle armi, ma un oggetto metallico piombò fra loro esplodendo. Persero i sensi e caddero a terra inermi.
 

«Maledetti durgen’len!» maledisse i nani Melinor due giorni più tardi. Dopo essersi risvegliati tutti nelle prigioni di Orzammar l’elfa aveva provato più volte a forzare la serratura con svariati incantesimi, ma era stata sigillata con una runa antimagia. In un'altra situazione Melinor avrebbe ammirato un simile manufatto: del resto i nani erano tra i migliori produttori di rune e sigilli magici. Ma in quel momento provava solo frustrazione e impotenza.
«Lascia perdere, lethallan» disse Merevar dalla cella di fronte, un’arrendevolezza insolita nella sua voce d’elfo ribelle. «Dobbiamo rassegnarci, ci sbatteranno nelle Vie Profonde. Sarà meglio iniziare subito a cercare un modo per uscirne.» Guardò Alistair, seduto con le spalle al muro proprio davanti a lui. «Tu non sai proprio niente di quei cunicoli?»
«Purtroppo no. Nei miei primi sei mesi da recluta Duncan era già impegnato nell’osservazione dei primi prole oscura emersi in superficie. Non c’è mai stato tempo per una missione laggiù.»
Proprio in quel momento un tintinnio di monete riecheggiò lungo il corridoio dell’angusta prigione: la porta delle segrete cigolò e un suono di passi ruppe il silenzio.
«Qualcuno deve aver pagato la guardia per entrare» bisbigliò Leliana dalla cella accanto a quella di Melinor.
Un nano di mezza età si palesò davanti a tutti loro: li squadrò uno per uno con i suoi attenti occhi scuri.
«Sembra che Bhelen vi abbia incastrati in modo magistrale. Se solo fosse d’animo buono e usasse la sua astuzia a fin di bene…» scosse il capo con mestizia. «Sono Dulin Forender, consigliere e braccio destro di lord Pyral Harrowmont, legittimo erede al trono nominato dal re. Ma questo lo sapete già.»
«A cosa dobbiamo la vostra gentile visita?» parlò Melinor con un velato sarcasmo che non le apparteneva. Iniziava a essere stanca di tutte quelle difficoltà, ed era satura di tutti quei nani e dei loro intrighi. Sembrava che il Flagello non fosse abbastanza di per sé: avevano patito le pene dell’inferno per arrivare fin lì, e solo per finire sbattuti in cella. Persino lei stava iniziando a perdere la pazienza.
«I vostri amici si sono presentati da lord Harrowmont in cerca d’aiuto. Ci hanno raccontato di come siete stati ingannati da Bhelen dopo aver trovato le prove della sua colpevolezza.»
«I nostri amici?» chiese Alistair perplesso.
«Sì, la strega inquietante a cui stanno dando la caccia e Oghren.»
«L’ubriacone del Tapster?» esclamò Merevar.
«Proprio quello» non riuscì a trattenere una risatina Dulin. «Dopo l’annuncio della vostra condanna all’esilio nelle Vie Profonde, la strega è andata da lui. A quanto pare si è resa conto che, con lo stato di allerta delle guardie, sarebbe stato impossibile riuscire a far scappare da Orzammar un gruppo numeroso come il vostro. Così si è ricordata della proposta che Oghren vi aveva fatto quando vi siete incontrati, ed è andata da lui.»
«Intendete la proposta di partire per una spedizione alla ricerca del Campione Branka?» sgranò gli occhi Melinor.
«So che può sembrarvi una follia, ma è davvero l’unica scelta che avete al momento. Verrete comunque portati nelle Vie Profonde, tanto vale cogliere l’occasione e fare un tentativo. Oghren ha le mappe lasciate indietro da Branka, sa dove dirigersi per trovarla… ma non ha le risorse per procurare tutto il necessario per un’impresa simile, quindi è venuto da me e abbiamo stretto un patto.»
«Fatemi indovinare: Harrowmont finanzierà la spedizione e noi facciamo in modo che diventi re» indovinò Melinor con fare seccato.
«Mi sembra un equo scambio. Senza contare che, una volta incoronato re, lord Harrowmont vi garantirà l’appoggio dell’esercito di Orzammar contro il Flagello.»
«Siete consapevole del fatto che, con delle mappe, potremmo anche decidere di scappare dalle Vie Profonde e tornare in superficie?» gli fece notare Merevar.
«Certo, ma restereste senza il nostro esercito. E non sono certo che possiate permettervelo, con un Flagello alle porte.»
«Ha ragione» disse Alistair a Merevar. «La guerra civile scatenata da Loghain sta mietendo vittime, i maghi sopravvissuti al disastro del Circolo sono pochi… e non sappiamo quanti clan dalish verranno in nostro soccorso. Non possiamo permetterci di perdere anche l’esercito di Orzammar.»
Seguì una pausa in cui tutti presero consapevolezza di quanto Alistair avesse ragione.
«Cosa dobbiamo fare?» ruppe allora il ghiaccio Melinor.
«Tra pochi giorni verrete scortati nelle Vie Profonde, e dato che siete Custodi Grigi vi verrà concesso il lusso di portare con voi le vostre armi e armature. Vi lasceranno oltre i cancelli con i vostri averi, e voi non dovrete far altro che camminare. Oghren e la vostra amica vi attenderanno lì con le scorte e tutto ciò che potrà servirvi. Una volta trovata Branka, dovrete convincerla a tornare a Orzammar e a votare Harrowmont come re. Se tornerete accompagnati da un Campione come lei, le guardie saranno costrette a lasciarvi passare: il volere dei Campioni è tenuto in gran conto.»
«E se Branka non volesse farlo?»
«Oghren è suo marito, sa come farla ragionare.»
Melinor sostenne lo sguardo di Dulin per parecchi secondi prima di rispondere. «Lo spero davvero.»

 
Tre giorni più tardi un corteo sfilava per le vie di Orzammar: i nani osservavano ai lati della strada con le espressioni più disparate. Alcune erano di disprezzo, ma la maggior parte erano incredule e dubbiose: pochi nani riuscivano davvero a credere alla storia raccontata loro dalle autorità. I Custodi e i loro compagni camminavano tranquillamente davanti a loro, per nulla turbati dalle catene che li tenevano legati.
Arrivarono fino all’ingresso delle Vie Profonde, sigillato da una massiccia porta di metallo: vennero scortati oltre e liberati dalle loro catene mentre tre nani lasciavano lontano da loro dei sacchi.
«Qui c’è la vostra roba» disse loro uno dei soldati. «E ritenetevi fortunati, di solito gli esiliati vengono lasciati qui coperti solo di stracci.»
Li abbandonarono al loro destino e tornarono al sicuro oltre il cancello; il gruppo rimase a guardare le porte mentre si chiudevano, il buio attorno a loro che si faceva sempre più denso e fitto. Un tonfo finale seguito dal suono di un’infinita e complessa serie d’ingranaggi annunciò loro che era fatta: erano prigionieri nelle Vie Profonde. Melinor, Hawke e Wynne evocarono dei piccoli fuochi fatui per illuminare l’ambiente mentre tutti si riappropriavano di armi e corazze; quando furono tutti pronti partirono lungo il grande tunnel che s’inabissava nell’oscurità.
Camminarono per una ventina di minuti prima di scorgere un focolare in lontananza.
«Bentrovati» li accolse una voce familiare. Morrigan si alzò in piedi e andò loro incontro. «Finalmente, non ne potevo più di questo nano alcolizzato!»
«Ha parlato la bisbetica difficile» replicò un’altra voce familiare, roca e profonda. Oghren li salutò con un cenno della sua inseparabile fiaschetta. «Chi non muore si rivede, eh? Alla fine siete finiti a fare quello che volevo io» esclamò facendosi una grassa risata. Merevar si ritrovò a trovare il nano in un certo qual modo pittoresco, ma Melinor non sembrava dell’umore adatto per quelle battute.
«Non perdiamo tempo. Ne ho già le tasche piene di questo posto. Cosa dobbiamo fare?»
«Wow, quanta fretta» si stupì Oghren. «Dritta al punto, eh? Mi piaci, donna!»
«Sono un’elfa, non una donna. E ora rispondi alla domanda.»
«E va bene, d’accordo» brontolò il nano. «Le mappe di Branka indicano come destinazione il thaig Ortan. Si trova sotto al thaig Aeducan, il primo che incontreremo scendendo, e al Monumento a Caridin, un altro piccolo thaig. Per fortuna Branka aveva scoperto delle vie nascoste per passare accanto a questi thaig senza doverli attraversare… sapete, solitamente sono infestati dalla prole oscura.»
«Solitamente?» chiese delucidazioni Alistair.
«Sembra che la prole oscura non sia molto presente qui attorno» spiegò Morrigan. «Siamo qui da due giorni e non siamo mai stati attaccati.»
«E questo è davvero insolito, fidatevi. Di solito si sentono quei mostri picchiare oltre le porte di Orzammar regolarmente» aggiunse Oghren. «Probabilmente ora sono troppo impegnati a uscire in superficie.»
Quel pensiero mise ancora più fuoco sotto ai piedi di Melinor.
«Bene, faremmo meglio ad approfittarne. Fai strada, Oghren.»

 
Marciarono per sei giorni attraverso tunnel di seconda mano, per lo più indisturbati. Si scontrarono con qualche gruppo sparso di prole oscura e con innumerevoli creature che nessuno di loro aveva mai visto prima d’allora: i cacciatori oscuri. Una sorta di rettili a quattro zampe molto voraci, organizzati in branchi di numerosi esemplari; ma con quattro maghe e i loro attacchi su larga scala fu semplice sbarazzarsene.
Raggiunsero infine il thaig Orthan, nelle profondità della terra: una vecchia città molto simile a Orzammar ormai in disgrazia. Gli edifici erano distrutti, collassati su loro stessi e infestati da ragni giganti e strani spiriti irrequieti: le maghe dovettero dar sfoggio di tutte le loro conoscenze arcane per sbarazzarsi di loro.
«Questi spiriti sono strani… sono diversi» considerò Hawke dopo averne eliminati una considerevole quantità.
«Hai ragione, Hawke. Sembrano più delle memorie, dei ricordi di questo luogo…» disse Wynne guardandosi attorno con grande attenzione.
«È la cosiddetta “memoria della Pietra”» spiegò allora Oghren. «Sapete che per noi nani la Pietra è sacra, no? Si dice che i primi di noi siano nati dalla Pietra stessa. Per questo la consideriamo viva, come una madre ancestrale… e si crede che la Pietra abbia dei ricordi suoi, che rende manifesti attraverso questi spiriti. Un posto come questo, con tutto quello che ha visto in passato, non può che essere pieno zeppo di ricordi sanguinosi.»
«E tu credi a cose del genere? Pensavo che il tuo unico Dio fosse il vino» esclamò incredulo Merevar, dando voce ai pensieri di tutti. Da quel poco che avevano visto Oghren sembrava un perditempo senza alcun riferimento nella vita, e sembrava improbabile che potesse prestare attenzione a cose di un tale spessore.
«Ancora con i pregiudizi, elfo?» si scocciò l’altro. «Sono pur sempre un nano, sento anch’io il richiamo della Pietra come tutti gli altri! Proprio come fate voialtri gambe lunghe con il vostro Creatore o che so io… ehi!» s’interruppe puntando il dito in un angolo buio. Tutti si voltarono giusto in tempo per vedere una sagoma scura sgattaiolare in un buco nella parete. «Era un nano quello!» esclamò Oghren lanciandosi all’inseguimento.
«Fermati, potrebbe essere pericoloso! Potrebbe essere un genlock!» gli corse dietro Merevar, seguito a ruota dagli altri.
«Noi nani ci vediamo benissimo al buio, e quello era un nano! Potrebbe essere una vedetta della spedizione di Branka!»
Tutti seguirono Oghren mentre correva dietro alla figura misteriosa: uno dopo l’altro s’infilarono nello stesso buco per ritrovarsi in un’ampia caverna. Sembrava che un piccolo accampamento fosse stato allestito lì tempo addietro.
«Questo accampamento… è stato allestito da Branka, riconosco i segni del suo passaggio» esclamò Oghren. Alzò lo sguardo sulla figura tremante in piedi accanto al focolare acceso: un nano abbastanza giovane, sulla trentina, brandiva un piccone verso di loro.
«Lontani! State lontani! Questo posto è mio! È di Ruck!»
«Oh, cielo… quel nano ha contratto la corruzione» mormorò Alistair dopo aver notato l’incarnato grigiastro del nano, le sue iridi velate di bianco e le macchie scure di tessuti marcescenti che aveva sparse qui e là sulle parti visibili del corpo.
«Oghren, lo riconosci?» chiese Melinor.
«No, non faceva parte della spedizione di Branka… questo mangiacarcasse dev’essere qua sotto da chissà quanto tempo.»
«Cosa intendi con mangiacarcasse?» chiese Hawke con una punta di disgusto.
«C’è un solo modo per sopravvivere quaggiù: mangiare quello che si trova, e tutto ciò che vive qui è corrotto. Prole oscura, ragni, cacciatori oscuri… i nani sono più resistenti alla corruzione rispetto alla gente di superficie. Possono sopravvivere anni prima di perdere del tutto il senno e diventare dei ghoul.»
«Andate via! Lontani da Ruck!» gridò ancora il nano agitandosi come un forsennato. «Voi siete oscuri, come loro! Li attirerete qui! Andate via!» minacciò i Custodi guardandoli uno per uno.
«Probabilmente avverte la nostra corruzione, proprio come i prole oscura» bisbigliò Alistair agli altri prima di rivolgersi a Ruck. «Non devi aver paura di noi, siamo Custodi Grigi. Non ti accadrà niente finché ci siamo noi qui.»
«Custodi Grigi?»
Una voce femminile riecheggiò nella grotta, rendendo impossibile identificarne la provenienza finché una figura non fece capolino da dietro un mucchio di rocce.
«Per la barba degli antenati… principessa Sereda! Siete davvero voi?»
La giovane nana si fece avanti senza paura: anche lei portava i segni della corruzione. Rivolse a Oghren un sorriso sarcastico. «In persona. Non sono più tanto carina ora, vero?»
«Voi siete la sorella di Bhelen… siete sopravvissuta tutti questi mesi» disse Melinor con sincera ammirazione. Ma la nana assunse un’espressione ostile e sputò a terra.
«Quella feccia di Bhelen non è mio fratello. Non più» ringhiò con astio. «Ha disonorato il nome degli Aeducan, ha tradito la sua famiglia… ma a voi avranno raccontato una storia molto diversa, suppongo. Penserete che sia io ad aver disonorato la mia famiglia.»
«A dire la verità siamo stati esiliati quaggiù proprio perché abbiamo tentato di dimostrare a tutti che Bhelen è colpevole» quasi ridacchiò Merevar. «Ci ha scoperti e ha fatto in modo di farci arrestare. Come vedete abbiamo qualcosa in comune.»
Sereda li squadrò con incredulità. «Stavate indagando su Bhelen? Da quando i Custodi Grigi s’interessano degli intrighi nobiliari?»
«C’è un Flagello in superficie» s’intromise Melinor. «Siamo venuti a richiedere l’aiuto di Orzammar, ma senza un re…»
«Cosa? Come sarebbe “senza un re?”» li interruppe Sereda. «Che ne è di mio padre?»
Il gruppo iniziò a lanciarsi occhiate imbarazzate nel realizzare che la ragazza non poteva sapere nulla di ciò che era accaduto dopo la sua dipartita. Le raccontarono ogni cosa: la sua mascella squadrata si tirò, e tirò, e tirò ancora di più. Alla fine del racconto cacciò un urlo rabbioso e mollò un pugno alla parete più vicina senza battere ciglio.
«Maledetto Bhelen! Se solo potessi mettere le mani attorno a quel suo piccolo, sudicio collo! Invece sono intrappolata qui!» D’un tratto prese a ridere, sembrando folle: una risata isterica, esasperata, rassegnata. «È così assurdo! Sono intrappolata qui con l’unico che potrebbe scagionarmi» rideva a crepapelle. Si ricompose per spiegarsi meglio, dopo aver visto come i Custodi la guardavano. «Ruck ha visto tutto. Non so se lo sapete, ma per festeggiare la mia promozione a comandante dell’esercito era stata organizzata una spedizione nel thaig Aeducan. Dovevo dimostrare il mio valore recuperando una reliquia perduta della mia famiglia, e anche Trian era parte della spedizione. Ma Bhelen ha fatto in modo di separarci, lo ha fatto uccidere dai sicari nel Karta e ha fatto sì che i miei accompagnatori mi portassero lì proprio al momento giusto. Mentre ero china sul cadavere di Trian sono arrivati tutti gli altri membri della spedizione, e i nani che mi accompagnavano hanno accusato me dell’omicidio… naturalmente erano al soldo di Bhelen, e tutti hanno creduto a ciò che sembrava così ovvio. Ruck si era nascosto tra le rovine e ha visto cos’è successo. Se solo potessi tornare a Orzammar e farlo parlare potrebbe scagionarmi.»
«E chi mai crederebbe a un nano ormai folle come lui?» commentò con supponenza Morrigan.
«Voi non avete idea di quanto siano corruttibili i nani di Orzammar» ridacchiò Sereda. «Chiunque può essere comprato, per il giusto prezzo. Ma uno come Ruck? A lui non interessano i soldi, è come un bambino. La sua mente non riesce più a concepire il concetto di bugia. Per questo gli crederebbero a occhi chiusi.»
«Beh, principessa… allora siete a cavallo» esclamò Oghren con inappropriata allegria. «Noi siamo qui per trovare Branka e riportarla a Orzammar, quindi potreste venire con noi e portare lo squinternato per farlo testimoniare.»
«Devo ammettere che quando ero a Orzammar ti credevo un pazzo senza speranza, Oghren» si fece seria la principessa. «Continuavi a farneticare che Branka era ancora viva, e tutti ti credevano solo un miserabile alcolizzato… ma dopo essere stata qui tutti questi mesi credo che possa essere ancora viva.»
«Avete trovato qualche traccia?» gli occhi di Melinor s’illuminarono.
«Sì, ma non ho potuto andare oltre a questo thaig. Le tracce si spingono fino al tunnel che lo collega alle Trincee dei Morti, e l’androne che precede i cancelli è infestato dai ragni… credo ci sia anche qualche prole oscura a sorvegliare l’ingresso.»
«Quella pazza di Branka… si è davvero spinta fino alle Trincee dei Morti» scosse il capo Oghren.
«Non è un nome molto rassicurante…» si preoccupò Hawke.
«Infatti si chiamano così per una buona ragione. Quel thaig fu costruito per essere una gigantesca, impenetrabile fortezza che un tempo si chiamava Bownammar. Era la sede della Legione dei Morti, un corpo armato distaccato dall’esercito che risponde direttamente alla monarchia. Dopo molte guerre contro la prole oscura, l’abbiamo persa definitivamente… da allora quel thaig è conosciuto come Trincee dei Morti, ed è l’ultima linea difensiva dei nani. Nessuno ha mai fatto ritorno dopo essersi avventurato laggiù, ma Branka era sicura di poterci riuscire.»
«Fantastico» rise nervosamente Alistair. «Quindi noi dovremmo spingerci fin là e sperare di sopravvivere?»
«Non abbiamo scelta, Alistair» sospirò Melinor portandosi le mani al viso. Le cose andavano di male in peggio.
«Io verrò con voi.»
Tutti si voltarono verso Sereda: se ne stava in piedi con uno sguardo che non ammetteva proteste. «Quando trroverete Branka voglio esserci, e voglio assicurarmi che la convinciate a votare contro Bhelen.»
«Siete sicura? Volete davvero avventurarvi laggiù nel vostro stato?» chiese Melinor, preoccupata dallo stato di salute della nana: era pur sempre indebolita dalla corruzione. Ma la risata di Oghren al suo fianco la fece voltare di scatto.
«Ah, voi non avete mai visto quella donna brandire uno spadone! Credetemi, il suo aiuto sarà fondamentale.»
Melinor tornò a guardare Sereda, che si stava mettendo in spalla una grossa ascia senza la minima difficoltà. La nana la guardò con aria tutt’altro che modesta.
«Date retta a Oghren, Custodi. Per una volta nella sua vita ha detto una cosa giusta: portando me non avrete due mani in più. Ne avrete sei.»





NOTE AUTRICE
 
Ed eccoci di già nelle Vie Profonde! Sì, mi sono decisamente staccata dallo svolgimento canon degli eventi: un po’ per non tirarla troppo per le lunghe, un po’ per aggiungere un po’ di pepe alla storia e renderla diversa dalla solita storyline di Orzammar.
E non potevo non introdurre una delle possibili Custodi che, a sorpresa, mi ha appassionato più di tutte: Sereda. Ho rigiocato Origins di recente come nana (cosa che non avevo mai fatto) e mi sono affezionata a Sereda al punto da volerle fare un cameo qui, proprio come è stato per Solona Amell. C’è un terzo cameo in programma (la mia seconda Custode preferita dopo la dalish) più avanti… ma per ora concentriamoci su Sereda. Vedrete che non vi deluderà. 😉
Alla prossima!

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Capitolo 39
*** Branka ***


Quando videro Sereda Aeducan all’azione restarono basiti. Era una vera forza della natura, nonostante la corruzione che aveva in corpo: una volta raggiunto l’androne che collegava il thaig Ortan con le Trincee dei Morti, si trovarono a dover combattere contro un’intera colonia di ragni giganti e un paio di prole oscura che sorvegliavano i cancelli. Sereda menava fendenti che non mancavano mai il bersaglio; calava la sua ascia su una creatura dopo l’altra, letale e precisa quanto il tristo mietitore. Impugnava e roteava la pesante arma a due mani come fosse una forchettina, e grazie al suo aiuto si sbarazzarono in fretta di tutte le creature. Merevar e Zevran restarono a fissarla senza ritegno mentre ripuliva la sua ascia circondata da pezzi di ragni.
«Che avete da guardare così? Sembra che non abbiate mai visto qualcuno che sa davvero il fatto suo» disse loro Sereda.
«In effetti sto rivalutando i parametri che uso per classificare l’abilità dei guerrieri» ammise Zevran, Merevar che annuiva al suo fianco con la mascella ancora cadente.
«Come riuscite a combattere così con la corruzione in corpo?» le chiese.
Alla nana sfuggì una risatina. «Se vi stupisce come combatto ora avreste dovuto vedermi quand’ero sana». Fece segno a tutti di seguirla oltre i cancelli; senza esitare iniziarono a percorrere il grande tunnel che collegava i due thaig.
«Sono sorpreso, principessa Sereda» le rivolse la parola Alistair. «Oghren aveva detto che voi nani siete più resistenti alla corruzione, ma siete rimasta ammalata quaggiù per mesi… eppure a un occhio inesperto sembrereste ancora in salute.»
«È una cosa perfettamente normale per la mia gente. Guardate Ruck, ad esempio: ormai non c’è più con la testa, ma non è ancora diventato un vero e proprio ghoul. Da quel che mi ha detto è quaggiù da cinque anni, o giù di lì». Sorrise appena al vedere la faccia esterrefatta di Alistair. «Molti dei Custodi che vengono regolarmente a Orzammar ci chiedono come sia possibile, ma non lo sappiamo con certezza. L’ipotesi più accreditata è che sia a causa della nostra vicinanza forzata con la prole oscura: la combattiamo da secoli ormai, e forse la selezione naturale ha favorito i nani più resistenti.»
 

Camminarono a lungo nelle Vie Profonde senza incontrare anima viva: nemmeno le creature delle caverne vivevano in quella parte del regno sotterraneo. Persero la cognizione del tempo, e più passavano i giorni più il gruppo si faceva quieto e silenzioso. Le Trincee dei Morti erano situate nelle profondità più remote, e ci vollero loro tre giornate abbondanti di estenuante discesa. Quando finalmente videro e varcarono i cancelli desiderarono di non averlo fatto.
I tre Custodi e Sereda iniziarono a sentire nelle loro teste un canto irresistibile e inquietante: si spinsero fino al limitare di un grande crepaccio e guardarono giù. Videro l’arcidemone che ruggiva davanti a un infinito esercito di prole oscura: l’enorme drago sputò un fiume di fuoco come a voler incitare le creature, e poi prese il volo. Il gruppo si mise al riparo dietro a un mucchio di rocce mentre il rettile alato volava sopra di loro; fortunatamente non furono avvistati. Sentirono un boato riecheggiare dal fondo del crepaccio, ove la prole oscura si stava mettendo in marcia.
«Stanno marciando verso la superficie!» si allarmò Melinor. «Non abbiamo più tempo ormai!»
«Non disperare, abbiamo ancora un po’ di vantaggio. L’orda sta uscendo nelle Selve Korcari, ricordi? Devono prima arrivare fin là e poi risalire fino alla superficie. Non so perché l’arcidemone voglia uscire allo scoperto da laggiù, ma questo ci darà un po’ di vantaggio» tentò di rassicurarla Morrigan. Sperò in segreto che l’arcidemone divorasse sua madre, sempre che fosse ancora nella loro capanna.
«Se solo non dovessimo occuparci anche di Loghain… quell’ignobile farabutto ci farà solo perdere tempo prezioso!» imprecò Alistair.
«Loghain? Non è un eroe del vostro popolo?» alzò un sopracciglio Sereda.
«È una lunga storia… ve la raccontiamo strada facendo» rispose Leliana, da bravo menestrello.
 

Con la maggior parte della prole oscura impegnata a marciare verso le Selve Korcari, le Trincee dei morti si rivelarono per lo più libere. Incontrarono qualche sparuto gruppo di prole oscura qui e là, ma non fu un problema.
«Non avrei mai creduto possibile riuscire a vedere con i miei occhi la vecchia Bownammar» mormorò Oghren mentre attraversavano il thaig.
«Quanta maestosità… tutta andata in rovina» sospirò Sereda.
Camminarono fra le rovine della vecchia città-fortezza tutto il giorno, le orecchie tese per cogliere anche il più piccolo rumore; ma tutto ciò che udirono fu l’eco dei loro passi. Arrivarono a percorrere tutto il thaig da cima a fondo, ma Branka non era lì.
«Le tracce sembrano scendere ancor più in profondità» osservò Oghren.
«Oltre Bownammar? Non si sa nemmeno cosa ci sia oltre a questo thaig» ribatté Sereda.
«Esatto. Branka sta cercando l’Incudine del Vuoto, che non a caso è stata considerata perduta per secoli… forse è soltanto seppellita da qualche parte. Branka ha scavato dappertutto, sia nel thaig Ortan che qui a Bownammar… probabilmente quando non ha trovato nulla ha deciso di spingersi ancora più in profondità, anziché darsi per vinta.»
«Cos’è l’Incudine del Vuoto?» chiese Melinor.
«Non gliel’hai detto?» esclamò Sereda guardando Oghren con sorpresa. «Si tratta di uno dei capolavori più grandi di tutta la storia nanica, Custode. Fu inventata dal Campione Caridin, il più grande fabbro mai esistito: era con quella che forgiava i golem.»
«I golem esistevano davvero? Credevo fossero soltanto leggende» esordì Hawke. Sereda le lanciò un’occhiataccia di sufficienza.
«Ecco cosa succede a vivere con troppo ossigeno, lassù in superficie» scosse il capo. «I golem sono ormai una parte antica della nostra storia, è vero, ma sono tutt’altro che leggende. Erano il fiore all’occhiello dell’impero nanico: enormi guerrieri di pietra che valevano venti guerrieri ognuno. Se ne trova ancora qualcuno nelle zone più remote delle Vie Profonde, ma per attivarli serve uno strumento chiamato “verga di controllo”. Ogni golem ha la sua verga, ma trovarle quaggiù è un’impresa impossibile.»
Stavano ancora parlando fra loro quando Zevran li zittì tutti.
«Ehi, ascoltate!»
Una strana cantilena giungeva fino a loro come un suono ovattato. Si guardarono attorno e videro una crepa nella parete: dopo un reciproco sguardo d’intesa vi s’infilarono attraverso. Si ritrovarono in un tunnel illuminato a malapena da qualche torcia accesa qui e là. Strane escrescenze rossastre e viscide erano attaccate alle pareti.
«Oh, che schifo… cosa sono?» disse Hawke. Si avvicinò per osservarle meglio. «Sembrano sacche di uova… come quelle dei ragni.»
«Sì, beh… stai lontana. Non mi piacciono per niente» la tirò indietro per una spalla Merevar. La voce riprese a cantilenare, e loro la seguirono. Man mano che si avvicinavano riuscirono a distinguere le parole.
«Primo giorno, vengono e tutti prendono.
Secondo giorno, ci picchiano e ci mangiano.
Quinto giorno, tocca a una fanciulla sparire nel nulla.
Sesto giorno, lei grida e nei sogni ne sentiamo le strida.
»
«Per la grazia del Creatore… chi è?» mormorò Wynne.
«Settimo giorno, lei crebbe dopo che in bocca il loro vomito ebbe.
Ottavo giorno, violentata l’hanno, e noi tutti insieme li odiammo.
Nono giorno, lei ghignò e quelli della sua stirpe divorò.
La sua fame mai è saziata, ora che una bestia lei è diventata.
»
Entrarono di soppiatto in una piccola caverna e la videro: una nana china su alcuni cadaveri di prole oscura, intenta a farli a pezzi. Si avvicinarono con cautela, ma quella non sembrò fare caso a loro mentre continuava a ripetere la sua oscura filastrocca. Quando furono abbastanza vicini, gli occhi verdi di Oghren si sbarrarono.
«Hespith!»
Al sentir pronunciare il suo nome la nana si voltò. Lo sguardo era assente, la corruzione ormai si era stabilita nel suo corpo da tempo: li fissò uno per uno.
«Impossibile. Nani, elfi e umani. Le ore dei pasti portano solo cadaveri.»
«Era il capitano di Branka» spiegò Oghren ai Custodi, ma quel nome fece imbizzarrire la nana.
«Branka! No, Branka! Non voglio sentire, non voglio pensare!»
«Lady Hespith, mi riconoscete?» si fece avanti Sereda. Le mise entrambe le mani spalle, senza temere il contatto con la sua pelle coperta di pustole: erano entrambe corrotte. «Sono lady Aeducan. Abbiamo combattuto insieme qualche volta, ricordate?»
Con l’esperienza fornitale dalla vita con Ruck degli ultimi mesi riuscì a comunicare con Hespith.
«Aeducan… principessa…» mormorò quella. «Voi siete come me, oscura… impossibile… Branka ha fatto questo anche a voi?» si mise le mani nei capelli e prese a strapparseli. «No, Branka! Perché lo hai fatto?»
«No, lady Hespith! Lei non c’entra, non l’ho incontrata!» alzò la voce per farsi sentire al di sopra delle grida della nana impazzita, e quella parve calmarsi. «Cos’è successo, lady Hespith? Che ne è stato della vostra spedizione?»
La paura s’impadronì di Hespith unitamente a un profondo dolore; erano emozioni talmente forti in lei da penetrare persino il velo di follia che l’accompagnava da lungo tempo.
«Non sono riuscita a fermarla. Lei non ascoltava, l’Incudine era tutto ciò a cui pensava… tutto ciò che voleva. Pensavo volesse anche me, ma ha preferito l’Incudine al mio amore.»
Un gelido imbarazzo cadde sul gruppo: istintivamente alcuni sguardi si mossero su Oghren, che rimase di sasso nel comprendere che Branka aveva avuto una storia con lei.
«Branka mi ha tradito… con te?» farfugliò, più confuso che adirato.
«Ha tradito tutti. Lei ci ha usati, ha lasciato che ci prendessero… che ci mangiassero… che ci trasformassero» tremolò la voce di Hespith, e prese a scuotere freneticamente il capo. «Poi toccherà a me. Ma io non voglio. Non voglio diventarlo! Ma lei, lei lo ha permesso… a lei non importa!»
Nessuno capiva a cosa si stesse riferendo, ma tutti sospettavano che non fosse nulla di buono. Sereda strinse appena le mani attorno alle sue spalle. «Hespith… cos’ha permesso Branka?»
Hespith rimase a guardarla alcuni istanti, come se stesse cercando le parole; poi la prese per mano e iniziò a condurla attraverso un cunicolo vicino. Dopo essersi scambiati un’occhiata titubante con Sereda, tutti si decisero a seguirla.
Hespith li guidò lungo pavimenti scivolosi, ricoperti di un orrendo e maleodorante liquido rossastro. Alcuni di loro dovettero tapparsi il naso per evitare di vomitare, tanto il puzzo era forte. Il cunicolo si aprì infine su una grotta, e lì tutti si fermarono impietriti. Hespith lasciò la mano di Sereda.
«Madre della nidiata» puntò avanti il dito.
Restarono col fiato sospeso di fronte a quello spettacolo immondo: un’enorme figura dall’aspetto vagamente umanoide era assopita al centro della caverna. Al posto delle gambe aveva una moltitudine di tentacoli che le davano per metà un grottesco aspetto di piovra; il torso era seppellito da strati di pallido grasso impilati uno sull’altro, su cui spiccavano quattro paia di mammelle smunte e penzolanti.  Il volto era lo stesso di tutta la prole oscura, la testa era glabra e inclinata di lato mentre il mostro dormiva. Accantonate in un piccolo anfratto laterale c’erano le carcasse di altre creature identiche, morte da chissà quanto.
«Laryn era il suo nome» mormorò Hespith.
«Quella… quella cosa è Laryn?» bisbigliò in risposta Oghren, che conosceva la nana che un tempo si faceva chiamare così.
«Branka ha detto: “per il bene di Orzammar”» continuò Hespith, gli occhi puntati sulla sua vecchia amica. «”Per l’Incudine”. Ha lasciato che ci prendessero, voleva più prole oscura per far scattare le trappole.»
«Hespith… cosa significa? Quali trappole, e perché diamine Branka vorrebbe più prole oscura? Cosa c’entra tutto questo con questo mostro?» incalzò Oghren, sconvolto e confuso dalle rivelazioni sconnesse di Hespith.
«Laryn partorisce la prole oscura ora. È una madre della nidiata.»
Tutti rabbrividirono.
«Quindi è così che nasce la prole oscura?» disse Alistair, gli occhi sconvolti sull’enorme ammasso di carne corrotta in mezzo alla stanza.
«Per questo ci odiano… per questo hanno bisogno di noi. Per questo prendono le donne, per questo le nutrono. Ma ciò che è davvero abominevole non è il fatto che tutto questo accada… ma che sia stato permesso» sussurrò Hespith.
D’un tratto una spada volò nell’aria: si conficcò dritta nella testa della madre della nidiata, che riaprì solo per un attimo i suoi piccoli occhietti iniettati di sangue prima di spegnersi. Tutti si voltarono verso Melinor: il suo braccio era ancora proteso in avanti, gli occhi accesi dalla magia; ansimava pesantemente. Era visibilmente sconvolta, e solo Morrigan comprese perché: quando erano tornate insieme a Ostagar per recuperare i trattati avevano visto alcune donne sopravvissute mentre venivano trascinate via dalla prole oscura, ancora vive. Non avevano compreso il motivo di tali gesta, non avevano potuto aiutarle; ma ora sapevano. Melinor non riusciva a smettere di pensare che sarebbe potuto succedere a lei, non poteva smettere di pensare che forse sarebbe morta così. Se avesse seguito la tradizione dei Custodi Grigi, se si fosse recata nelle Vie Profonde una volta giunta la sua ora, forse l’avrebbero presa e l’avrebbero ridotta così. Comprendendo lo stato d’animo della gemella, Merevar partì senza una parola; si arrampicò sull’enorme cadavere e recuperò la spada per lei.
«Sto morendo di una cosa peggiore della morte: il tradimento.»
Dette quelle parole, Hespith sfilò di mano a Oghren la sua ascia: la sollevò sopra la testa e la fece scendere all’indietro, colpendosi nel bel mezzo della schiena. Schizzi di sangue colpirono Oghren e Sereda mentre la lama della grossa ascia fuoriusciva sul davanti dallo stomaco di Hespith; la nana cadde a terra senza vita in una pozza di sangue.
Nessuno parlò: ciò che avevano appreso era troppo sconvolgente. Avevano appena scoperto come si riproduceva la prole oscura, cosa che Duncan non aveva mai fatto in tempo a dire alle sue reclute; e scoprirono che Branka, per qualche ragione a loro ignota, aveva lasciato le nane della sua spedizione a quell’infausto destino. Oghren si riprese la sua ascia estraendola dal corpo esanime di Hespith.
«Dopo questo, direi che abbiamo tutti bisogno di riprenderci prima di andare avanti.»
 

Imboccarono il tunnel che partiva dal nido della prole oscura e cercarono di mettere fra loro e quell’orrida caverna quanta più distanza possibile. Rimasero accampati quasi una giornata intera, senza proferire parola che non fosse necessaria. Le donne del gruppo, come era naturale che fosse dopo ciò che avevano visto, stavano sempre sul chi va là: al minimo rumore scattavano in piedi e mettevano mano alle armi, ma fortunatamente nulla di vivo sembrava aggirarsi da quelle parti.
Ripartirono il giorno seguente e camminarono a lungo; era passato quasi un giorno intero quando finalmente il tunnel si aprì su una grande caverna. Il baluginare di un fuoco illuminava l’entrata.
Si avvicinarono con grande cautela: scorsero delle tende abbandonate. Era un accampamento.
«Branka dev’essere vicina» mugugnò Oghren senza alcuna gioia. Wynne era accanto a lui e lo guardò con apprensione.
«Oghren, va tutto bene?»
Il nano la squadrò per bene. «Mia moglie mi ha abbandonato a Orzammar ed è partita in missione, mi ha tradito con una donna e poi ha dato in pasto tutte le nane alla prole oscura. Niente va bene!»
Proprio mentre diceva questo, una placca di ferro uscì dal suolo e sbarrò la via del ritorno; una pesante rete metallica cadde sulle loro teste e li imprigionò, schiacciandoli a terra.
«Dannazione, che diavoleria è mai questa? Opera di Branka, sicuramente!»
«Oghren?»
Una figura saltò giù da un gruppo di rocce: una nana in armatura massiccia, con la faccia smunta e segnata dalle difficoltà, i lunghi capelli bruni e unticci raccolti in due trecce intirizzite. Si avvicinò alla comitiva e li scrutò con attenzione.
«Maledizione, Branka! Non startene lì impalata, liberaci!» gridò Oghren.
La nana li guardò tutti con una freddezza sconfortante. «Perché siete qui? Cosa volete? Dovete avere una validissima ragione, se vi siete spinti fin quaggiù.»
«Abbiamo bisogno del vostro aiuto per eleggere il nuovo re» andò dritta al punto Sereda. Non c’era alcun calore nelle sue parole; semmai un velato disprezzo.
«Non mi dire… e così il vecchio Endrin ha tirato le cuoia. Che ne è stato di tuo fratello Trian?»
«Bhelen lo ha fatto uccidere, e ha fatto ricadere la colpa su di me; sono stata esiliata nelle Vie Profonde.»
«Ma senti questa!» si mostrò stupita e anche un po’ divertita Branka. «E io che lo avevo sempre ritenuto un buono a nulla, quel Bhelen; invece è una vecchia volpe… a ogni modo, non posso aiutarvi. Sono troppo vicina a scoprire l’Incudine del Vuoto per tornare in superficie proprio ora. Non butterò all’aria anni di sacrifici!»
«Sacrifici come Laryn?» sbottò Oghren. «Abbiamo incontrato Hespith, e ci ha detto tutto. Che cos’hai fatto, Branka? Come sei potuta cadere così in basso?»
«Voi non capite, nessuno capisce!» tuonò Branka. «Ogni grande impresa ha un prezzo da pagare! Mi servivano hurlock e genlock da usare per capire come far saltare le trappole, ma a quanto pare quei mostri non girano molto da queste parti… però un giorno una delle donne è stata attaccata di notte, abbiamo sorpreso un hurlock che le vomitava in bocca e l’abbiamo ucciso. Ma ormai era troppo tardi per lei. Abbiamo visto la sua trasformazione avvenire lentamente, e quando ho capito che poteva generare prole oscura ho fatto ciò che un vero Campione deve fare: prendere le decisioni che nessuno vorrebbe prendere.»
«Avete ucciso la vostra intera casata, la vostra famiglia… avete lasciato che si trasformassero in prole oscura, le avete profanate… nessun Campione degno di questo nome farebbe mai una cosa del genere» sibilò Sereda tra i denti. Fu chiaro a tutti in quel momento che rivedeva Bhelen in Branka. «Nessuna impresa va pagata con il sangue della propria gente!»
«Come volevasi dimostrare… menti piccole come le vostre non possono arrivarci. Io riporterò i golem al popolo di Orzammar! La nostra grandezza è per la maggior parte perduta e sepolta nelle Vie Profonde, ma io posso riportarne indietro una parte!»
«Ha perso completamente la testa» bisbigliò Hawke ai suoi compagni. «La sua sete di potere ormai l’ha portata oltre ogni limite!»
 «Tu, chiacchierona! Che hai da parlottare?» la richiamò Branka, ma subito la sua espressione s’illuminò quando vide il suo bastone. «Aspetta… tu sei una maga. Ci sono molte maghe qui!» esclamò pazza di gioia, una scintilla d’isteria che si accendeva dietro alle sue iridi. «Voi potreste aiutarmi a superare le ultime trappole!»
«Naturalmente, perché non aiutare la pazza che ci sta parlando attraverso una rete?» rispose Morrigan, seccata. Ma Sereda la zittì con un cenno della mano.
«Se vi aiutiamo, voi dovete giurare solennemente di aiutare noi: tornerete con noi a Orzammar, garantirete per me e per i Custodi e voterete contro Bhelen.»
«Sereda, non vorrete davvero collaborare con questo mostro senza sentimenti!» bisbigliò Leliana poco più indietro. Sereda si voltò verso di lei, e incontrò anche gli occhi stanchi e severi di Melinor. Fidatevi di me disse loro in labiale prima di tornare a incalzare Branka.
«Farò tutto ciò che devo per tornare a Orzammar. Allora, Branka: affare fatto?»
«Per me va bene. Tanto non mi interessa chi si siederà su quel trono.»
Il sorriso di Sereda aveva un che di diabolico mentre si allargava. «Bene. Allora liberateci, e partiamo subito. Andiamo a prendere l’Incudine.»


Si inoltrarono nel labirinto di trappole: lungo il tragitto trovarono resti di prole oscura e di nani che erano stati usati da Branka per capire il funzionamento delle trappole. Erano tutte vecchie conoscenze di Oghren. Il nano era caduto preda dello sconforto: la moglie non lo degnava della minima attenzione, sembrava totalmente ignara del male che aveva perpetrato. Passava accanto ai cadaveri dei suoi stessi amici e parenti come se fossero vecchi mobili che ormai neanche si vedono più, tanto ci si è fatta l’abitudine.
Grazie all’aiuto delle maghe del gruppo, Branka li condusse oltre gli ultimi marchingegni: si ritrovarono su un ampio terrazzo che si affacciava su un fiume di lava. In fondo, su una pedana sopraelevata, brillava un oggetto metallico di color azzurro vivo.
«L’incudine del Vuoto» mormorò Branka, totalmente rapita da quella visione. Era talmente sopraffatta che nemmeno si accorse dei golem che sorvegliavano la sala tutt’attorno.
«Fermi!»
Uno di loro, il più grosso e imponente, si affrettò a pararsi fra il gruppo e l’Incudine. «Avete superato le trappole… notevole. Ora ditemi perché siete qui.»
«E tu chi saresti? Lasciami passare!» strinse i pugni Branka.
«Io sono Caridin, e da secoli veglio sull’Incudine. Non vi permetterò di avvicinarla.»
«Caridin? Il Campione che ha creato l’Incudine?» esclamò Sereda, esterrefatta. «Ma non è possibile… voi dovreste essere morto secoli fa! E poi Caridin non era un golem, li creava soltanto!»
«La storia che è giunta a voi figli di Orzammar è errata. Io non sono mai morto. Mi hanno messo sull’Incudine quando ho iniziato a ribellarmi al volere del re.»
«Cosa vuol dire che vi hanno messo sull’Incudine?» lo interpellò Branka.
«Questo è un segreto che in pochi conoscevano, anche ai miei tempi… ma è giunto il momento di rivelare la verità. I golem non venivano forgiati dalla roccia come tutti credono, poiché non si può creare alcuna vita dal nulla: serviva la vita di un nano per creare un golem. All’inizio i volontari non mancavano, era appena finito il Primo Flagello e la prole oscura invadeva le Vie Profonde e distruggeva i thaig: Orzammar andava protetta, e molti valorosi guerrieri si offrirono all’Incudine. Ma dopo qualche tempo il re iniziò a mandare all’Incudine nani senza casta, criminali e chiunque si opponesse al suo volere. Mi rifiutai di prendere le vite di persone che non si erano offerte, e lui ordinò ai miei assistenti di trasformare anche me. Fortunatamente loro non sapevano creare verghe di controllo fatte a regola d’arte, così mantenni la mia volontà e i miei ricordi: presi l’Incudine e fuggii insieme a pochi fedeli golem nelle Vie Profonde. Decisi che nessuno avrebbe più usato l’Incudine, poiché è uno strumento maledetto che verrebbe usato per scopi malevoli. Succede sempre: il potere acceca persino i re più saggi.»
«Sciocchezze!» ebbe l’ardire di ribattere Branka. «Ho passato anni a cercare l’Incudine, e ora vorreste impedirmi di prenderla? Potrebbe riportare Orzammar alla grandezza!»
«O alla sua rovina!» tuonò Caridin, la sua voce profonda che riecheggiava tutt’attorno. «Voi non avete idea di quante persone innocenti ho dovuto legare su quell’Incudine! Mai più deve accadere! L’Incudine va distrutta!»
«Siete un egoista! Non vi importa del vostro popolo? Dei vostri eredi? Io sono un Campione come voi, e farò tutto ciò che è necessario per riportarla al posto che le spetta!»
«Branka ha ragione» le si avvicinò Sereda. «Dobbiamo fare tutto il necessario per il bene del nostro popolo.» Senza alcun preavviso mollò un pugno in faccia a Branka, che cadde a terra priva di sensi. «Ecco cosa dobbiamo fare per salvare Orzammar: eliminare tutti i pazzi invasati» disse guardando la nana svenuta. Mosse lo sguardo sul golem. «Mastro Caridin, ho una domanda: i golem mantengono la memoria della loro vita come nani, una volta forgiati?»
«No. I ricordi rimangono sopiti dentro di loro. Il mio caso fu diverso perché i miei assistenti non avevano svolto il lavoro a dovere. È possibile ripristinare i ricordi se si vuole, ed è ciò che noi facevamo con i guerrieri volontari… ma non con tutti gli altri, per ovvie ragioni. Si sarebbero ribellati, perciò instillavamo ricordi falsi in loro. Perché me lo chiedete?»
«So che non vi piacerà, ma vi prego di alzare il martello su quell’Incudine per l’ultima volta. Voglio che Branka diventi un golem.»
Tutti sobbalzarono: nessuno se l’aspettava.
«No. Non posso farlo, giovane nana. Ho cercato di espiare le mie colpe proteggendo l’Incudine, giurando che non sarebbe mai più stata usata per forgiare golem. Come potete chiedermi di fare questo, dopo ciò che vi ho detto?»
«So di chiedervi molto, Mastro Caridin; credetemi. Ma ci sono delle ottime ragioni, lasciate che vi spieghi.»
«Ma dico, siete impazzita? Perché volete fare una cosa del genere?» la interruppe Oghren, parandosi fra lei e Caridin rosso in viso.
«Perché è la cosa migliore per tutti! Branka ha commesso dei crimini imperdonabili, persino per un Campione! Dev’essere punita, ma nessuno a Orzammar oserebbe mai condannare a morte un Campione. Dobbiamo essere noi a fare giustizia, noi che abbiamo visto con questi occhi ciò che ha fatto! La ucciderei anche subito, ma è il nostro unico lasciapassare per Orzammar. Se diventasse un golem potremmo controllarla, farle recuperare i ricordi solo in parte, giusto perché sappia chi è e ci dia il suo appoggio.»
«Sarebbe una fine ironica: ha cercato l’Incudine per anni, e ora che l’ha trovata finirà sotto al suo martello. Io dico che è proprio quello che si merita» fu d’accordo Merevar. Nessuno parlò apertamente, ma il silenzio lo fece per loro: dopo tutto ciò che avevano visto, diventare un golem era una fine più che misericordiosa.
«Inoltre avere un golem nell’esercito sarebbe un grande aiuto contro il Flagello» disse Sereda a Oghren, che ancora fissava sua moglie con aria restia. «Oghren… andiamo. Sai anche tu che è la cosa migliore da fare. Branka non se ne andrà mai di qui senza l’Incudine, e non possiamo lasciare che quello strumento torni a Orzammar. Ho imparato bene la lezione che Bhelen mi ha insegnato: le serpi si nascondono ovunque, soprattutto dove non le cercheresti mai. Prima o poi la storia di Caridin si ripeterebbe». La sua espressione si fece compassionevole mentre posava le mani sulle spalle di Oghren. «Non è più la donna che conoscevi. Tutto ciò che conta per lei è l’Incudine, non le importa niente di te. So che fa male, ma non possiamo permetterle di tornare a Orzammar in questo stato. È pericolosa. Trasformarla in golem è la cosa migliore.»
Oghren chiuse gli occhi e abbassò la testa scarlatta. «Lo so.»
«Voi, giovane guerriera» Caridin si rivolse a Sereda. «Chi siete? Qual è il vostro nome?»
«Sono Sereda Aeducan.»
«Aeducan… una casata di nobili guerrieri e condottieri che risale al mio tempo. Mi fiderò del vostro buon nome, lady Aeducan, e ho udito le vostre ragioni… mi sembrate una donna onorevole, dunque vi proporrò uno scambio: esaudirò il vostro desiderio, se promettete di distruggere l’Incudine.»
«Non potevate farlo da solo? Avete avuto secoli di tempo» commentò Hawke.
«I golem non possono nemmeno toccarla. Altrimenti l’avrei fatto.»
Sereda camminò fino a portarsi sotto all’enorme golem. «Accetto. Vi giuro solennemente che distruggerò io stessa l’Incudine quando avrete terminato con Branka.»
Se avesse potuto sorridere con quel suo volto pietroso, Caridin l’avrebbe fatto. Raccolse il corpo di Branka e lo portò sull’Incudine.
I colpi del martello continuarono per quasi due giorni: l’ultimo capolavoro di Mastro Caridin prendeva forma.



 

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Capitolo 40
*** La corona di Orzammar ***


Le porte della sala dell’Assemblea di Orzammar si aprirono di scatto. Tutti i deshyr, i nobili nani che ne facevano parte, fermarono il cicaleccio che inondava l’ambiente, lasciando spazio solo al suono dei passi del capitano della guardia cittadina.
«Chiedo umilmente perdono per l’intrusione, signori… ma abbiamo un problema.»
«Quale istanza è tale da giustificare una sì improvvisa interruzione dell’Assemblea? Stiamo cercando di rimettere in sesto Orzammar!» alzò la voce il supervisore Bandelor.
«I Custodi Grigi sono tornati, signore. E insieme a loro c’è la principessa Sereda Aeducan» disse allora la guardia. I mormorii e le esclamazioni si levarono immediatamente nell’aria. Harrowmont e Bhelen, entrambi presenti, reagirono in maniera opposta: se il primo si lasciò scappare un sospiro di sollievo, il secondo rimase a bocca aperta.
«Sono stati esiliati, la pena prevista in caso di tentato ritorno è la morte! Perché mai li avete lasciati tornare?» si adirò il principe.
«Perché io ho ordinato così.»
Molte si voltarono per guardarsi fra di loro, gli occhi sbarrati e le labbra dischiuse e sussurranti.
«Questa voce…»
«Non può essere!»
Il suono di pesantissimi passi scosse le pareti della sala: l’enorme golem a malapena passò dall’arcata del grande portone. Mentre passava a stento nello stretto corridoio che portava al centro dell’androne, i nani seduti sui seggi disposti tutt’attorno la fissavano sgomenti.
«Che c’è? Non riconoscete il vostro unico Campione ancora in vita?» disse Branka, sprezzante; Sereda e i Custodi la seguivano, per il momento ignorati dalla maggior parte dei nani.
«La voce è indubbiamente quella di Branka…» mormorò Bandelor, incredulo.
«Ma non è possibile! Quello è un golem!» esclamò qualcun altro.
«Se c’è un golem qui, allora Branka ha davvero trovato l’Incudine del Vuoto!» gridò entusiasta qualcun altro.
«O forse è un inganno architettato dai Custodi, ci sono maghi fra loro!»
«Basta!» tuonò Branka pestando un piede a terra; tutti si zittirono immediatamente. «Io sono Branka. E sì, ho trovato l’Incudine del Vuoto» disse con fare trionfante, le esclamazioni che si abbattevano sulla sala scrocianti come pioggia. «Non solo ho trovato l’Incudine: insieme a essa ho trovato il campione Caridin in persona» aggiunse, e sembrò che la meraviglia generale non potesse avere mai fine. Branka sbuffò, seccata dai commenti che le volavano addosso. «Sì, sì, lo so: Caridin sparì secoli fa, dovrebbe essere morto, bla bla bla. State un po’ zitti e ascoltate! Caridin mi ha svelato il segreto dell’Incudine: per dar vita ai golem è necessario prendere la vita dai nani stessi. Non si può creare la vita dal nulla, capite? Egli stesso è stato tramutato in golem, e per tutto questo tempo ha protetto l’Incudine nelle Vie Profonde. Ha voluto ricompensare me per il mio valore, per essermi spinta oltre ogni limite pur di recuperare uno dei tesori più rari di Orzammar: mi ha resa immortale alzando su di me il suo martello, voleva fare di me la sua erede.»
«Quindi avete riportato l’Incudine a Orzammar? Potremo forgiare un nuovo esercito di golem?» esclamò un nobile, entusiasta.
«Purtroppo no. L’Incudine era un manufatto prodigioso, ma delicato: dopo secoli d’inattività si era indebolita, e mastro Caridin ha fatto giusto in tempo a riforgiare me. L’Incudine è andata distrutta, ma non temete: lavorerò alacremente per costruirne una nuova!»
«E Caridin? Che ne è stato di lui?» chiese Bandelor, rapito dal racconto.
«Con l’Incudine distrutta, non aveva motivo di vivere oltrela sua veglia era terminata. Si è gettato nella lava, dopo aver vissuto una lunga vita». Fece una breve pausa prima di riprendere la parola. «Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’aiuto della principessa Sereda e dei Custodi Grigi.»
Sereda e i Custodi tirarono un sospiro di sollievo: i falsi ricordi impiantati in Branka da Caridin avevano fatto il loro dovere. Il bello stava per arrivare: ora tutta l’attenzione, prima catalizzata su Branka, si spostò su di loro.
«Questi individui sono criminali!» sbottò Bhelen, furioso. «Vi siete lasciata raggirare da loro!»
«Oh, voi dite? Perché loro mi hanno raccontato una storia molto diversa. Siete voi il vero criminale!» gli puntò contro il dito pietroso Branka. «Avete architettato tutto voi: avete ucciso Trian e avete fatto ricadere la colpa su vostra sorella. E quando i Custodi hanno raccolto le prove per incriminarvi, avete incastrato anche loro!»
Le esclamazioni indignate si impilarono una sull’altra, molti occhi inquisitori si posarono su Bhelen e sulla sua mascella contratta.
«È naturale che vi abbiano raccontato simili menzogne su di me. Ma non c’è alcuna prova a sostenere tali accuse!»
«Certo, avete preso e distrutto tutte le prove che avevamo raccolto!» non resistette Merevar.
«Non preoccuparti, fratello» disse Sereda con disprezzo. «Ecco qui le prove che volevi». Si fece da parte e una figura che fino ad allora le era rimasta appiccicata come un’ombra scivolò al centro dell’attenzione. Ruck, ingobbito e agitato, si guardava attorno torcendosi nervosamente le mani e borbottando sommessamente.
«Quel… quel nano è stato corrotto dalla prole oscura!» strillò una nobile portandosi le mani al viso.
«Così come la principessa» si ritrasse appena uno dei nani nelle prime file. Sereda gli lanciò un’occhiata accigliata.
«Non temete, signori... la corruzione non si trasmette parlando» li prese in giro con supponenza. «Ho trovato Ruck dopo il mio esilio nelle Vie Profonde. Ha ormai perso il senno, ma sono riuscita a scoprire che era parte di una spedizione andata perduta cinque anni fa. Una spedizione organizzata dalla casta dei minatori.»
«Sì, lo ricordo bene… io stesso ho finanziato quella spedizione!» esclamò uno dei presenti.
«Ruck è riuscito a sopravvivere nonostante la corruzione. E ha visto delle cose davvero interessanti» disse ancora Sereda. «Dimmi, Ruck: riconosci qualcuno di questi nani?»
Gli occhi spaesati del nano vagarono sui numerosi volti presenti: ci volle un po’, ma si fermarono su un giovane nano appartenente alla casta dei guerrieri. Ruck puntò il dito su Frandlin Ivo.
«Lui! Il bugiardo!»
«Ivo? Non era con la principessa quando è stata colta sul fatto?»
«Sì, ed è stato proprio lui a testimoniare che la principessa ha ordinato a lui e agli esploratori di uccidere Trian» bisbigliavano i nani tutt’attorno.
«Perché è bugiardo, Ruck? Raccontaci» continuò Sereda, prendendosi tutto il tempo necessario. Voleva godersi quel momento, gustarselo lentamente.
«Lui ha accusato. Accusato la bella principessa, detto bugie a tutti. Ma Ruck era lì, nascosto: Ruck ha visto. Nani cattivi hanno ucciso l’altro nano, prima che la bella principessa arrivasse. Lei è gentile, lei era triste quando ha visto il nano morto!»
Tutti guardarono Ivo con aria interrogativa. «Ivo, cosa avete da dire in vostra difesa?»
Ivo iniziò a sudare visibilmente. «Non è vero niente! Quel nano è folle!»
«Proprio perché è folle non ha ragione di mentire» incrociò le braccia sul petto Bandelor.
«Ruck ha visto! Ha visto il bugiardo parlare nelle Vie Profonde» gridò Ruck, puntando il dito su Bhelen «con l’altro bugiardo! Prima che il nano morisse!»
Sereda prese a fissare il fratello, le iridi più affilate di qualsiasi lama e gli angoli della bocca sollevati in un sorriso malevolo.
«Alcuni di voi erano presenti quel giorno, signori» parlò Sereda. «Non è forse vero che Bhelen si è presentato in ritardo al momento di partire per la spedizione? Eccovi spiegato il motivo. Stava tramando con Ivo, che era stato mandato in avanscoperta e mi attendeva nel thaig Aeducan, dove la loro trappola mi attendeva.»
I nani che avevano partecipato alla missione nelle Vie Profonde si guardarono senza dire nulla; non osavano esprimersi in sfavore di Bhelen, non ancora.
«Lord Ivo, se confessate ora potrete ancora salvare quel poco d’onore che vi rimane» esordì il supervisore Bandelor. Gli occhi di Ivo iniziarono a schizzare da ogni parte come biglie impazzite; alla fine non resse più. Scoppiò in lacrime.
«Sì, è vero. Ho mentito! Bhelen mi aveva promesso che una volta salito sul trono avrebbe riportato in auge il nome della mia ormai decadente famiglia!»
Lo sdegno divenne un boato che inondò la sala come un fiume in piena.
«Silenzio!» gridò Bandelor. «Bhelen, le accuse contro di voi sono gravi. Come rispondete?»
Bhelen si alzò in piedi con rabbia. «No! Non accetto nulla di tutto questo! Non accetto di essere giudicato sulla base di accuse lanciate da un nano senza senno, per non parlare del nostro cosiddetto Campione» indicò Branka. «Non capite? È tutto un tranello di Sereda! Se Branka è un golem, qualcuno deve controllarla con la verga! Forza Sereda, fai vedere a tutti la verga con cui obblighi Branka a dire ciò che ti fa comodo!»
«Non parlare di me come se fossi un mucchio di pietra inanimata, principino» replicò Branka, offesa. Aprì il palmo della mano rivelando l’oggetto metallico al suo interno. «Ecco qui la tua verga, nanerottolo. Nessuno mi controlla: Caridin ha dato a me la mia verga di controllo.»
Il sorriso di Sereda si ampliò; superò Branka e si mise in mezzo alla sala dell’Assemblea.
«Se mio fratello non ha il coraggio di ammettere le sue colpe anche di fronte all’evidenza, va bene. Per me non c’è problema. Se i fatti esposti non bastano, lasciamo giudicare gli Antenati e la Pietra…» puntò il dito contro Bhelen. «Sfido pubblicamente Bhelen a provare il suo onore di fronte a tutta Orzammar. Richiedo un duello all’Arena delle Prove!»
Per l’ennesima volta i nani esclamarono sguaiatamente; il supervisore Bandelor impiegò parecchi minuti per riuscire a placare gli animi.
«Mi sembra una richiesta ragionevole, e che va tra l’altro a vostro favore, Bhelen… dato che le prove contro di voi sono schiaccianti, vi conviene accettare. Saranno gli Antenati che riposano nella Pietra insieme ai vecchi Campioni a giudicarvi.»
Bhelen non rispose; guardava la sorella con espressione furibonda, ma lei sorrideva soddisfatta come non mai.
«Che c’è? Hai paura di affrontare la tua sorellina? Ormai sono debole e corrotta… potresti avere la meglio, per una volta» lo sbeffeggiò. Bhelen digrignò i denti, rabbioso.
«E sia.»
 

Un’ora più tardi gli spalti dell’arena erano gremiti: l’intera città era stata messa a soqquadro dalla notizia, e i nani avevano abbandonato ogni attività per assistere al duello fra gli ultimi due Aeducan rimasti. Il gruppo dei Custodi occupava i posti d’onore con Branka, l’altra grande attrazione della giornata.
«Questa me la voglio proprio godere» intrecciò le mani dietro la nuca Merevar, adagiando la schiena sullo schienale di pietra. Melinor lo guardò con tanto d’occhi.
«Da quando ti piacciono queste cose? Un tempo avresti definito tornei e duelli come questi delle pagliacciate…»
«Anche ora trovo che sia una pagliacciata. Lasciar decidere gli antenati tramite un duello? Assurdo, sono le armi e le abilità dei guerrieri a decidere, e non c’è niente di giusto in questo. Ma ho visto Sereda combattere, e darà una bella lezione a quel suo viscido fratello… non potrà che essere uno spettacolo bellissimo» ridacchiò l’elfo. Oghren sghignazzò al suo fianco.
«E questo è l’elfo di cui sono innamorata, signore e signori» si accodò alle risate Hawke.
«Signore e signori» le fece eco il presentatore delle Prove «siamo tutti qui riuniti per assistere a un evento straordinario: Sereda e Bhelen Aeducan combattono per provare il proprio onore di fronte ai loro cittadini e agli Antenati!»
La folla urlante eruppe in un assordante boato mentre i due fratelli entravano nell’arena, entrambi vestiti di lucenti armature.
«Hai un bel coraggio a sfoggiare l’armatura della casata Aeducan, Bhelen» disse Sereda, sollevando la visiera del suo elmetto.
«Sta’ zitta, Sereda» ribatté Bhelen. «Pensa alla tua, di armatura, che cade a pezzi.»
«Non sarà all’ultima moda, ma che ci vuoi fare… l’ho recuperata nelle Vie Profonde. Sai, mi hai fatta sbattere laggiù vestita di stracci. Ho dovuto arrangiarmi» ribatté l’altra, gelida. «Ma non preoccuparti, reggerà contro di te.»
Proprio in quell’istante suonò il corno: il duello poteva cominciare.
Sotto lo sguardo sbigottito di tutti, Sereda piantò la sua ascia a terra e si appoggiò comodamente con il gomito sull’impugnatura. Bhelen s’indignò al punto da non riuscire a proferire parola.
«Che c’è? Ti sto aiutando» gli sbatté in faccia il suo disprezzo Sereda.
«I tuoi trucchetti non funzioneranno. Non mi indurrai ad attaccare per primo» sibilò Bhelen.
Sereda prese a rimirarsi le unghie. «Oh, va bene. Fai pure. Mi domando cosa penseranno loro» accennò con la testa al pubblico. «Tutti conoscono il mio valore… penseranno che hai paura.»
Costretto ad ammettere che la sorella aveva ragione, Bhelen sfilò rapidamente un pugnale dalla cinta e lo scagliò verso di lei, che scansò il proiettile con facilità.
«Sempre il solito imbroglione, pronto ad aggirare gli ostacoli» sentì montare la rabbia dentro Sereda; prese l’ascia e la fece roteare in aria prima di caricare, mentre Bhelen faceva lo stesso.
Il clangore dei loro colpi iniziò a risuonare nell’arena, smarrendosi via via fra le voci concitate degli spettatori.
«Come hai potuto fare tutto questo, Bhelen?» gridò lei nell’abbattersi sul fratello. «Io ti volevo bene, nostro padre te ne voleva… hai distrutto la nostra famiglia!»
Bhelen scansò il colpo e rispose prontamente, ma Sereda lo bloccò con l’asta della sua ascia: erano quattr’occhi.
«Sì, la nostra bella famiglia felice» le fece il verso lui. «Nostro padre non aveva occhi che per Trian, e Trian non aveva occhi che per se stesso! Passava le sue giornate a darmi ordini come se fossi stato un servo qualunque! E poi c’eri tu, l’Aeducan più amata di sempre… tutta la città non faceva che leccare la pietra su cui passavi! Nessuno si degnava mai di dare attenzione a me!»
«E questa è stata la tua brillante idea per metterti in mostra?» gridò Sereda, allibita, liberandosi dall’ascia di Bhelen e indietreggiando. «Sbarazzarti di tutti noi era l’unico modo? Potevi darti da fare, muovere quel tuo patetico deretano!»
«Ho passato la vita a farmi in quattro!» le si gettò contro furiosamente Bhelen, livido di rabbia, verde d’invidia. «Ma non era possibile con voi due davanti a me! Io sarei stato sempre il terzo, sempre l’ultimo… il povero, inutile Bhelen! Anche adesso, dopo tutto la fatica fatta, sei tornata a rovinare tutto! Saresti dovuta morire nelle Vie Profonde!»
Qualcosa scattò in Sereda all’udire quelle parole: Bhelen non la vedeva più come una sorella da tempo, ormai. Comprese di essere solo un ostacolo sul percorso di quello che un tempo era stato suo fratello. Proruppe in un grido che fece gelare il sangue nelle vene persino alle persone sugli spalti: Bhelen la guardò spaesato giusto il tempo necessario a Sereda per caricare. Lasciò cadere l’ascia, abbassò la visiera dell’elmo e corse in avanti, investendo il fratello in pieno petto: egli perse l’arma nel cadere, e finirono entrambi in una nuvola di polvere. Scaturì una raffica di pugni, calci, rotolamenti: la gente sugli spalti vedeva a malapena, sentiva i grugniti e le grida iraconde dei due. Quando la polvere iniziò a diradarsi, videro Sereda sfilare un paio di pugnali dallo stivale di Bhelen. Sentirono il nano gridare di dolore mentre Serena lo puntellava al suolo trafiggendogli una mano dopo l’altra; la videro alzarsi in piedi, Bhelen che gemeva di dolore con il volto rotto e sanguinante, le mani fissate al suolo. Sereda andò a recuperare la sua ascia e tornò da Bhelen, torreggiante su di lui nonostante la bassa statura. La sollevò sopra la testa.
«Dì a tutti la verità» intimò al fratello. Ma egli esitò. Gli mollò un calcio nel fianco facendolo urlare di dolore. «Dillo!»
Lo riempì di calci finché, preso per sfinimento, Bhelen non parlò.
«Sì, sì! Sono stato io!» ammise gridando. «Ho incastrato Sereda, e ho fatto uccidere Trian!»
Lo stadio proruppe in un tumulto d’indignazione, e nessuno udì le velenose parole che Bhelen indirizzò a sua sorella.
«Ho ucciso nostro padre, e pensavo d’aver ucciso anche te… e non me ne pento. Lo rifarei» quasi sussurrò quelle ultime parole, gli occhi spiritati fuori dalle orbite. Il viso di Sereda si deformò, un autentico ritratto della rabbia: i Custodi si protesero in avanti, vittime come tutti gli altri della suspence mentre Sereda calava l’ascia sulla testa di Bhelen, lanciando nell’aria un grido disumano. L’arma affondò con un tonfo e il silenzio si fece totale.
Una pozzanghera calda si allargò sotto ai piedi di Sereda, la quale si scostò e scrollò i piedi schifata. Guardò Bhelen.
«Ecco la fine che ti meriti: in una pozza del tuo stesso piscio» gli disse. L’ascia era calata talmente vicina alla testa di Bhelen da avergli graffiato l’orecchio sinistro: i suoi occhi erano immobili, e se non era morto lo sembrava di certo.
L’arbitro delle Prove si avvicinò ed esaminò la situazione.
«Bhelen è stato sconfitto» annunciò; il pubblico era silente, ancora impressionato dalla scena e dal fatto che Sereda non avesse spaccato a metà il cranio del fratello. «Lady Aeducan, non intendete finirlo?»
Negli occhi della nana brillò una luce cupa e tetra. «Oh, ho intenzione di finirlo, sì… ma a modo mio.»
Gli occhi Bhelen parvero riprendere vita dopo quelle parole: rimase inerme a osservare la sorella mentre riprendeva la sua arma. La vide togliersi uno dei bracciali dell’armatura, restando con il braccio scoperto; con la lama dell’ascia si tagliò appena il polso, e il sangue iniziò a sgorgare. Bhelen iniziò a dimenarsi come un animale impotente al macello mentre Sereda si accovacciava su di lui.
«No, no! Ti prego, no!»
«Siamo una famiglia» gli sussurrò lei con falsa dolcezza. «Le famiglie restano unite nella buona e nella cattiva sorte… e questa è la sorte che tu hai scelto per noi. È giusto che tu ne sia parte.»
Con la mano libera spinse a terra la testa di Bhelen e gl’infilò il polso ferito in bocca, costringendolo a bere il suo sangue corrotto. Bhelen scalciava, le lacrime che si mischiavano al sangue sul suo viso.
«Non sei contento? Volevi la gloria, come me e Trian… ora condividerai parte della mia gloriosa fine» gli sussurrò a un orecchio. Si alzò, gelida e pungente come una stalattite, e diede le spalle a Bhelen.
Qualcuno iniziò ad applaudire; poi un altro paio di mani si unì, e un altro ancora. L’intera arena applaudiva a Serena, dandole tutto il supporto che si era ben meritata.
«Beh… questa sì che è stata un’esecuzione coi fiocchi» deglutì Alistair, un po’ intimorito dalla principessa dei nani.
«Oh sì… uno spettacolo degno della corte d’Orlais. Se ne scrivessi una canzone spopolerebbe, laggiù» applaudiva Leliana.
Nel frattempo lord Harrowmont e un corteo di nobili si erano portati giù nell’arena: tra le mani di Harrowmont brillava la corona dei re e delle regine di Orzammar.
«Smascherando i crimini di vostro fratello e sconfiggendolo davanti agli occhi della città e degli Antenati, avete dimostrato il vostro valore, lady Aeducan. Pertanto è un onore per l’intera Assemblea dei deshyr proclamarvi nuova regina di Orzammar.»
La folla acclamò Sereda, felice di avere finalmente una nuova regina; ma quella non si decideva a muoversi, né aveva l’intenzione di farlo.
«Lady Aeducan…» la incalzò lord Harrowmont.
«Andiamo, Harrowmont… non sarò io la prossima regina» disse, scatenando le più disparate reazioni.
«Ma siete l’unica erede!»
«Sì, e sono corrotta!» s’indicò come a volersi mostrare per bene. «Quanto durerò senza perdere del tutto il senno, eh? Uno, due anni? Se siamo fortunati… no, lord Harrowmont» decretò con decisione camminando verso di lui. Gli sfilò la corona dalle mani e gliela mise davanti al naso. «Mio padre voleva che foste voi a succedergli. Io voglio onorare le sue ultime volontà.»
«Lady Aeducan… vostro padre non voleva lasciare Bhelen sul trono, ma se voi foste stata in vita vi avrebbe nominata come sua erede!»
«Bene, e in quanto legittima erede io abdico in vostro favore» annunciò a gran voce. Si guardò attorno. «Se qualcuno ha qualcosa in contrario, lo dica subito.»
Nessuno osò aprire bocca; Sereda sorrise e tornò a guardare lord Harrowmont.
«Inginocchiatevi, lord Harrowmont» gli ordinò, ed egli ubbidì. Sereda posò la corona sulla sua testa argentata e lo fece rialzare. Si voltò verso la platea di spettatori. «Lunga vita a re Pyral Harrowmont!»
La stessa frase rimbombò un paio di volte dagli spalti, per lasciar subito spazio a esclamazioni gioiose e canti.
«Lady Aeducan, io… non so come ringraziarvi. Mi avete reso un grande onore, e spero di essere all’altezza» le disse Harrowmont.
«Era la cosa giusta da fare» ribatté Sereda con grande modestia. Abbassò gli occhi per non mostrare la loro acquosa brillantezza. «Voglio che resti impresso nella storia che almeno uno dei figli di re Endrin Aeducan ha reso onore a suo padre e al suo nome.»
 

«Non so come ringraziarvi, Custodi. Senza di voi le cose sarebbero andate a finire molto, molto diversamente» disse Sereda due giorni più tardi nello stringere le mani di tutti loro. «Grazie infinite, davvero. A tutti voi» disse ammiccando in direzione di Oghren.
«Allora, come avete risolto la faccenda del marmocchio di Bhelen?» chiese quest’ultimo con la sua proverbiale delicatezza. Per Sereda era stato un bel colpo scoprire che a palazzo c’era una senza casta con in grembo il figlio di Bhelen.
«Seguiremo la tradizione. Se nascerà femmina, tornerà nel distretto della polvere con sua madre. Se sarà maschio… ci occuperemo di lui come si deve, in modo che non diventi come suo padre. Forse c’è ancora speranza per la stirpe degli Aeducan.»
Sereda diede ordine alle guardie di aprire i cancelli di Orzammar per lasciar uscire il gruppo. «Buona fortuna con la vostra guerra civile. Orzammar sarà pronta ad accorrere al vostro richiamo.»
«Con voi a comandare le truppe, la vittoria è già nostra» le sorrise Melinor, ricordando che Sereda aveva ripreso la sua posizione di comandante dell’esercito.
«Chi meglio di una principessa mezza ghoul potrebbe guidare i nani contro il Flagello?» ridacchiò lei. «E non dimenticate che arriverò a cavallo di un golem!»
Oghren aggrottò le sopracciglia. «Come… come va con Branka? Si è accorta che la verga che le abbiamo dato non è quella autentica?»
Sereda picchiettò l’oggetto metallico camuffato da pugnale che sporgeva dalla sua cintura. «Ehi, anche se è falsa è pur sempre stata forgiata da Caridin. Branka non se ne accorgerà mai, finché io avrò quella originale. Piuttosto, Oghren… siete sicuro di voler lasciare Orzammar? C’è posto per un veterano come voi nell’esercito.»
«Nah» agitò la mano lui, scacciando via la proposta. «Voglio stare il più lontano possibile dalla mia ex moglie di pietra.»
«Come volete» sospirò Sereda. «Allora… a presto, Custodi.»
Il gruppo salutò i nani e varcò la soglia della città: dopo un mese passato là sotto, la luce diretta sulle loro pupille fece quasi male. Restarono un attimo fermi oltre i cancelli: Oghren non riusciva a riaprire gli occhi. Mai aveva visto una luce simile in vita sua.
Le guardie stavano per richiudere le porte ma Sereda li fermò.
«Aspettate, io… voglio provare una cosa.»
Mosse con cautela i passi verso la soglia.
«Principessa, cosa fate? Non potete uscire in superficie, o perderete il vostro rango!» si preoccupò una delle guardie.
«Oh, ma fatemi il piacere… voglio solo capire com’è qua fuori, dato che dovremo marciare all’aperto fra non molto!»
Nessuno ebbe nulla da ridire: Sereda venne investita dalla luce del sole, e se fosse stata una seguace della Chiesa andrastiana l’avrebbe scambiata per la grazia del Creatore in persona, tanto era accecante. Quando riuscì finalmente a mettere a fuoco, si trovò a fianco di Oghren: entrambi fissavano il cielo imbambolati e pietrificati.
«Sembra… sembra proprio di caderci dentro, come dicono tutti… pensavo fossero solo storielle» farfugliò Oghren. Sereda rimase muta come un pesce per alcuni istanti prima di proferire parola.
«Credo… credo sarà meglio portare le truppe ad addestrarsi qui fuori» deglutì. Con gli occhi fissi sul mostro celeste picchiettò la mano sulla spalla di Oghren. «Beh, Oghren… buona fortuna qua fuori.»
Indietreggiò fino alla soglia di Orzammar come un’ubriaca; i cancelli si richiusero lasciando Oghren fuori.
«Ehi, amico» si abbassò per studiarlo da vicino Zevran. «Tutto a posto?»
Oghren non apprezzò la vicinanza e arretrò bruscamente con il viso. «Sì, sì… mi ci abituerò. Ma tu stammi alla larga, elfo!»
Ridacchiando si allontanarono dalla montagna, culla di Orzammar: fu una gioia respirare l’aria fresca, sentire il calore del sole nel freddo frizzante del clima montano. Fu come un’ondata di beatitudine in grado di spazzare via magicamente tutte le cose orrende che avevano visto sottoterra.
Scesero la lunga scalinata che portava ai piedi della montagna, e alla fine del tragitto si arrestarono bruscamente.
«Non posso crederci» sbarrò gli occhi Melinor, incredula. Merevar la superò con la stessa espressione impressa sul viso.
Sten li attendeva con il suo spadone assicurato alla schiena. Ci fu un lungo momento in cui nessuno parlò.
«Il vostro corriere mi ha trovato» disse allora Sten, criptico come sempre; ma c’era qualcosa di diverso e di nuovo in lui.
«Lo vedo» alzò un sopracciglio Merevar. «Cosa ci fai qui? Pensavo non volessi più stare con noi a “perdere tempo”.»
«Io… mi sbagliavo» ammise il qunari. «Pensavo foste poveri d’onore, ma avete fatto in modo di restituirmi la mia spada nonostante io vi abbia lasciati indietro. Per me significa molto, mi avete ridato una ragione di vita. E intendo ripagarvi servendovi con la spada che mi avete restituito.»
Merevar sorrise soddisfatto; stava per parlare, ma qualcosa alle spalle di Sten lo lasciò senza parole.
«Sten, cosa… cos’è quella cosa alle tue spalle?»
«Oh, quello… è un regalo. L’ho trovato lungo la strada.»
Oghren si mise le mani fra i capelli. «Dannazione, sono partito da Orzammar per lasciarmi un golem alle spalle… e ora me trovo un altro fra i piedi?!”
«Io non sono un regalo, tanto per cominciare; e siete voi nanetti a stare fra i piedi a me» puntualizzò il golem con voce stizzita. «Io sono Shale. E voi, con quei bastoni… siete maghe? Bah. Vedete di starmi alla larga.»
 

 

NOTE AUTRICE
 
E anche a Orzammar è finita! Uno sviluppo diverso rispetto alla storia originale, ma diciamoci la verità: anche in gioco un duello contro Bhelen nell’Arena delle Prove sarebbe stato fantastico, per un Custode Aeducan!
E mentre i nostri eroi combattevano sottoterra, Sten ha riavuto la sua spada e ha rintracciato il gruppo… non potevo lasciarlo a morire da solo nelle Selve, vi pare? Così lungo il tragitto è passato per Honnleath e ha raccattato Shale. Ora i seguaci sono al completo!
Sperando che questo sviluppo alternativo della quest di Orzammar vi sia piaciuto, vi saluto. Ci rivediamo a Denerim!

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Capitolo 41
*** La canzone di Leliana ***


Tre settimane passarono in un baleno. In quindici giorni fecero ritorno a Redcliffe, dove scoprirono che Arle Eamon era già partito per Denerim: la sua presenza era stata richiesta a corte per organizzare l'Incontro dei Popoli da lui indetto. Aveva lasciato istruzioni per i Custodi, che avrebbero dovuto raggiungerlo in città appena possibile; pertanto, dopo essersi riforniti di provviste, ripartirono immediatamente.
Erano ormai a pochi giorni da Denerim, e come di consueto si erano accampati per la notte. Il golem Shale si era rivelato una sorta di Morrigan di pietra: le due avevano lo stesso grado di acidità. Dalla voce, Shale sembrava essere una femmina; naturalmente il golem non poteva conoscere il suo sesso d'origine, non ricordava nulla del suo passato di nana né tantomeno sapeva di essere stata una nana, in passato. Rimase sconcertata quando apprese la verità sull'origine dei golem.
«Quindi essa mi sta dicendo che tutti i golem erano dei nanetti mollicci, prima di rinascere come creature di pietra?» chiese a Melinor quella sera. L'elfa era stata una dei pochi del gruppo ad avere il coraggio di approcciare quel golem così scontroso. «E mastro Caridin in persona ve l'ha rivelato?»
«Sì, Shale. So che è un grosso boccone da mandare giù, ma ti assicuro che è la verità.»
Shale rimase in silenzio, le cavità illuminate che aveva al posto degli occhi davano l'impressione d'essere perse nel vuoto. «Avrei voluto incontrare Caridin. Il suo nome suona familiare... avrebbe potuto dirmi la verità sul mio passato. È un vero peccato che si sia gettato nella lava.»
Melinor annuì. «Mi dispiace, Shale... il tuo precedente padrone non ti ha detto proprio nulla su come ti ha trovata?»
«Quello stupido mago mi ha trovata per caso nelle Vie Profonde, ed è già tanto se ha saputo riconoscere che sono un golem» ribatté aspra Shale. Sten aveva riferito al gruppo la storia di come aveva trovato Shale: sulla via verso Orzammar era passato per un villaggio, Honnleath, infestato dalla prole oscura. Era riuscito a salvare i pochi abitanti sopravvissuti, e dopo aver saputo che il qunari stava andando ad aiutare i Custodi Grigi contro il Flagello, il capo villaggio aveva deciso di donare Shale alla causa. Il golem era appartenuto a suo padre, un mago che usava Shale per fare esperimenti al fine di aumentarne la potenza; un giorno venne trovato morto, con Shale disattivata accanto a lui. Tutti pensarono che fosse stato il golem a ucciderlo, ma una volta riattivata da Sten, Shale negò d'averlo fatto: anche volendo, non avrebbe mai potuto ribellarsi a colui che deteneva la verga di controllo. Verga che, dopo aver riattivato Shale, si era stranamente rivelata inutilizzabile. Shale era dunque libera di fare ciò che le aggradava, e aveva deciso di sua spontanea volontà di seguire il qunari.
«Ti ha almeno detto in che punto delle Vie Profonde ti ha trovata?» le chiese Melinor.
«Sì, il thaig Cadash. È tutto ciò che so.»
L'elfa si fece pensierosa. «Potremmo tornare a Orzammar, una volta finito il Flagello; se vuoi conoscere il tuo passato, forse gli storici potrebbero aiutarti. Potrebbero dirti qualcosa su quel thaig, magari sentirne la storia riaccenderebbe qualche ricordo.»
«Può essere» ammise Shale. Guardò l'elfa. «Essa non è poi così male, per essere una maga.»
Melinor rise appena: in quelle settimane aveva imparato che Shale odiava i maghi a causa del suo vecchio padrone. Aveva ammesso senza problemi che sarebbe stata ben felice di ucciderlo, se avesse potuto; era dispiaciuta di non ricordare come fosse morto. «Grazie Shale. Allora potresti smettere di chiamarmi "essa"» suggerì l'elfa al golem. Un'altra delle sue stranezze era proprio quella: chiamare le persone come se fossero oggetti.
«Ci penserò» disse con forzata indifferenza Shale.
Dalla parte opposta dell'accampamento, due paia d'iridi le osservavano.
«Come sta?» chiese Merevar ad Alistair, che lo guardò con tanto d'occhi in risposta.
«Lo chiedi a me? Sei tu il suo gemello, la conosci meglio di chiunque altro.»
«Sì, lo chiedo a te» ribadì il dalish. Alistair riprese a guardare Melinor.
«Non è più la stessa, dopo le Vie Profonde.»
Merevar annuì, affatto sorpreso. Da quando erano usciti da Orzammar, Melinor si era fatta più silenziosa: aveva cercato di nascondere la cosa, mostrandosi immersa nel suo addestramento come guerriera, ma il cambiamento non era sfuggito a nessuno. Se da un lato Sten lo aveva apprezzato, iniziando a considerarla una vera condottiera, il resto del gruppo non poteva che essere dispiaciuto per lei. Melinor continuava a comportarsi da Guardiana, parlava con tutti e cercava di tirare su di morale chi ne aveva bisogno; ma era come se la scintilla in lei si fosse smorzata. Persino quando Oghren, il nuovo acquisto del gruppo, allietava le loro serate con ridicole scenette da ubriacone qual era, le sue risate erano distanti; come se non riuscisse più a divertirsi fino in fondo.
«L'esperienza con la madre della nidiata l'ha sconvolta» continuò Alistair. «Avevamo già discusso del fatto che, essendo Custodi Grigi, non potremo mai avere figli. Ci siamo entrambi rassegnati all'idea, ma aver visto Laryn così... la sua femminilità deviata e snaturata in quel modo...» scosse la testa. «Melinor è terrorizzata dal fatto che potrebbe fare quella fine. Non riesce ad accettare che l'unico modo in cui potrebbe procreare sia quello.»
Merevar abbassò lo sguardo a terra; sapeva bene quanto la scelta di seguirlo fosse costata alla sorella. Aveva sempre creduto che sarebbe diventata madre, prima o poi; molte volte avevano fantasticato insieme su come l'avrebbe reso zio, su come lui avrebbe istruito i suoi nipotini per renderli cacciatori. Ora quel futuro era stato strappato a entrambi, ma soprattutto a lei.
«Non c'è solo questo a turbarla... lo sai, vero?» alzò gli occhi su Alistair. «Ha paura che possano metterti sul trono contro la tua volontà.»
Alistair non rispose. Naturalmente lo sapeva. Melinor non si fidava di Arle Eamon, era convinta che avrebbe cercato di mettere Alistair sul trono in ogni caso, anche se lui non voleva. Aveva sempre nutrito quei sospetti, ma con l'Incontro dei Popoli alle porte, la paura relegata nelle profondità più remote dei loro cuori si stava facendo sempre più forte e reale.
Voci schiamazzanti provenienti dalla Gran Via Imperiale poco più in là interruppero ogni conversazione e attività in corso: tutti si affrettarono a raggiungere Leliana e Zevran, posti di vedetta proprio ai margini della strada. Li trovarono accerchiati da quattro malviventi, e altri giacevano già a terra morti. Si affrettarono a raggiungerli e ad aiutarli: si resero conto che quelli non erano dei comuni banditi. Erano assassini addestrati, e non fu così semplice disfarsi di loro.
Leliana azzoppò abilmente il suo opponente, facendolo finire disteso a terra. Gli salì sopra a cavalcioni, lo disarmò e gli puntò il pugnale alla gola.
«Tu verrai con noi. Sarai molto utile per testimoniare contro Loghain all'Incontro dei Popoli» gli disse. L'uomo la guardò smarrito.
«Loghain? Non so di cosa stiate parlando» scosse il capo. Leliana sgranò gli occhi: l'accento dell'uomo era orlesiano. Loghain non avrebbe mai assoldato degli orlesiani.
«Tu sei un bardo! Chi ti ha mandato?» pressò la lama contro la gola quel tanto che bastò a far sgorgare una punta di sangue.
«Vi dirò quello che so, se mi lascerete andare!»
Leliana assottigliò gli occhi. «D'accordo. Parla.»
«Era una donna, un'orlesiana. Non l'ho vista in faccia, indossava una maschera. Ma posso dirvi dove risiede al momento, ha una casa a Denerim; si trova proprio sulla via che porta ai cancelli d'ingresso.»
Leliana sussultò. «Sul lato destro della strada? La quinta casa?»
«Sì, esatto!»
«Che istruzioni ti ha dato?»
«Mi ha detto di uccidere voi, in caso vi foste avvicinata a Denerim. Siamo sulle vostre tracce da quando avete lasciato il monastero di Lothering.»
I membri del gruppo si guardarono fra loro, confusi; erano sicuri che si fosse trattato di un attentato alle vite dei Custodi, ma non era così.
Leliana si rialzò in piedi liberando il bardo. «Vattene, e non farti rivedere» gli intimò, e l'uomo non se lo fece ripetere due volte. Si rimise in piedi e schizzò via in un attimo, sparendo nella notte.
«Chi ti vuole morta?» chiese Zevran, avvezzo a quel genere di cose.
«Che sta succedendo, Leliana?» si fece avanti Melinor. Era preoccupata, e guardandola Leliana non ebbe cuore di continuare a tenere nascosta la verità. Decise di parlare con onestà a tutti loro.
«Ormai lo sapete, anche se non l'ho mai ammesso apertamente. L'ho detto solo a Melinor, perché è la nostra guida, ma... sì, ero un bardo prima di venire qui nel Ferelden». Nessuno si sorprese. «Ho iniziato molto giovane, avevo appena quindici anni. La mia mentore era una donna, una fra i bardi migliori e più spietati. Si chiamava Marjolaine. Mi ha insegnato tutto: a combattere, a tirare d'arco, a creare veleni... mi ha insegnato come fingere d'essere una nobile e una sguattera. Divenni molto brava, grazie a lei. Per un periodo riuscimmo a infiltrarci nella corte d'Orlais, una sorte comune ai bardi più abili: lavorammo a lungo per un nobile che divenne nostro patrono, aiutandolo a muoversi nel Gioco.»
«Gioco?» chiese Merevar, perplesso.
«Sì. È così che viene chiamato il sistema di macchinazioni e complotti della nobiltà orlesiana: il Grande Gioco. In Orlais l'apparenza conta più di qualsiasi cosa, pertanto i nobili si mostrano sempre con la loro facciata migliore, fatta di cordialità e frivolezze. Ma dietro le quinte sono sempre impegnati nella corsa al potere: nel Gioco, tutto è concesso per sconfiggere gli avversari. I bardi sono gli strumenti utilizzati dai nobili per giocare la loro partita. Possono arrivare anche all'assassinio per un piccolo torto subito; l'importante è non farsi scoprire, mantenere la faccia.»
«E tu lavoravi per individui del genere?» s'impressionò Hawke; aveva conosciuto Leliana come una sorella della Chiesa, buona e zelante. Faticava a credere che avesse vissuto una vita simile.
«Sì, Hawke. Ed ero anche piuttosto brava» ammise l'altra con fatica. «Ma durante il nostro periodo a corte, Marjolaine iniziò a complottare qualcosa a mia insaputa. Un giorno partimmo per il Ferelden, per svolgere quello che sembrava un comune lavoro. Marjolaine mi mandò nella tenuta dell'Arle di Denerim per collocare dei documenti incriminanti, a suo dire... ma qualcosa mi puzzava. Marjolaine mi aveva sempre detto tutto sui nostri lavori, prima d'allora... ma non quella volta, era stata troppo vaga. Non sapevo nulla: né il contenuto della busta, né chi ci aveva commissionato il lavoro... così aprii la lettera, e scoprii che conteneva informazioni segrete sull'Orlais; informazioni militari di cui la nobiltà fereldiana avrebbe potuto avvalersi per prevaricare l'impero orlesiano.»
«Marjolaine stava vendendo informazioni al Ferelden?» esclamò Alistair.
Leliana annuì. «Una cosa del genere è considerata alto tradimento in Orlais. È punita con la morte. Portai comunque a termine il lavoro, ma poi tornai da Marjolaine e le chiesi spiegazioni. Le dissi che ero preoccupata per lei, per noi! Se l'avessero scoperta sarebbe stata la fine. Lei si lasciò convincere, e decise di tornare a riprendere i documenti nella tenuta dell'Arle qualche giorno dopo. E io, come una stupida, le credetti...» scosse il capo; un misto di rabbia e tristezza affiorò sul suo volto. «Ci infiltrammo e riprendemmo la busta senza problemi. Era stato fin troppo facile. Ma proprio quando pensavamo d'avercela fatta, Marjolaine mi pugnalò alle spalle... letteralmente. Mi risvegliai nei sotterranei della tenuta, dove venni torturata per giorni. Scoprii che Marjolaine era in combutta con il capo del corpo di guardia dell'Arle di Denerim, il mio carceriere: Harwen Raleigh.»
«Harwen Raleigh? Combatté nella guerra per la liberazione del Ferelden, i suoi uomini vinsero molte battaglie» ricordò Alistair.
«Ma dopo la liberazione, re Maric gli tolse tutte le sue terre... aveva commesso troppe atrocità inutili. Stupri, torture, uccisioni gratuite...» aggiunse Wynne.
«Per questo odiava a morte l'Orlais» riprese Leliana. «Imputava a esso la perdita di ogni suo avere, e aveva pagato Marjolaine profumatamente per quelle informazioni. Per uscirne puliti entrambi, falsificarono i documenti: tennero gli originali, e modificarono le copie in modo da far sembrare che fossi io ad aver commesso il tradimento. Raleigh mi arrestò e mi denunciò all'Orlais, ma le guardie non sarebbero arrivate prima di un paio di settimane... e in quel periodo lui tenne fede alla sua reputazione. Mi fece patire le pene dell'inferno per puro piacere personale» disse a fatica, il dolore ancora vivido nei suoi ricordi.
«Come sei riuscita a sfuggirgli?» tentò di cambiare argomento Melinor.
«Sono stata aiutata dalla persona a cui Marjolaine ha rubato i documenti originali. Una Venerata Madre dell'Orlais, Dorothea. Dopo avermi fornito i mezzi per fuggire, mi ha offerto un posto dove nascondermi; ho scoperto così che Marjolaine l'aveva sedotta con lo scopo di rubarle i documenti. Io volevo la mia vendetta, e lei i suoi documenti; così abbiamo collaborato. Lei ha usato i suoi contatti per rintracciare Marjolaine, che era protetta da Raleigh; quando li ho trovati l'ho ucciso.»
«L'hai ucciso? Solo lui?» si stupì Zevran. Leliana assunse un'aria colpevole.
«Sì, Zevran; anche dopo quello che mi ha fatto, non so se sarei riuscita a uccidere Marjolaine. Non ne ho avuto modo, in ogni caso; è scappata dopo avermi detto un paio di cattiverie. Quel tanto che è bastato a farmi capire che non le era mai importato nulla di me». Sospirò. «Dopo quell'esperienza, sono entrata a far parte delle sorelle della Chiesa con l'aiuto di Dorothea. Mi ha consigliato Lothering, un posticino tranquillo dove ricominciare. Il resto lo sapete già.»
Seguirono alcuni istanti di silenzio. Fu Melinor la prima a rompere il ghiaccio. «Perché cercare di colpirti dopo tutti questi anni?»
«Conosco i metodi di Marjolaine. Speravo che mi avesse ormai lasciata perdere, ma evidentemente non è così. Quel bardo ha detto che era sulle mie tracce da quando ho lasciato Lothering con voi, e che Marjolaine voleva tenermi lontana da Denerim; probabilmente mi ha fatta sorvegliare per anni, nel timore che potessi tentare qualcosa contro di lei.»
«Ma noi siamo già stati a Denerim» le fece notare Alistair. «Quella volta, quando siamo andati a cercare fratello Genitivi.»
«Sì, ma con tutti gli spostamenti che abbiamo fatto, forse abbiamo fatto perdere loro le nostre tracce, per un po'. Ad ogni modo, Marjolaine è a Denerim e mi vuole morta» si portò una mano alla fronte Leliana. «Forse è meglio che andiate senza di me.»
«Cosa? Non esiste!» esclamò Hawke con cipiglio risoluto. «Cosa pensi di fare, qui fuori da sola? Il tuo posto è con noi!»
«Non voglio mettervi tutti in pericolo, Hawke.»
«E cosa è cambiato rispetto a prima? Marjolaine ti ha sempre tenuta sotto scacco. Siamo sempre stati in pericolo». Tutti si voltarono verso Merevar. Le sue parole erano foriere di una scomoda verità, una verità difficile da digerire; ma non c'era accusa nella sua voce, né nei suoi occhi. «Io dico che dovresti venire a Denerim e affrontare questa Marjolaine una volta per tutte.»
Leliana si stupì: non si aspettava certo il supporto del dalish. «Mi stai suggerendo di ucciderla?»
«Sì. Lei non si è fatta alcuno scrupolo nei tuoi riguardi, mi sembra; non vedo perché tu dovresti lasciarla libera di attentare alla tua vita. Devi difenderti, e questo è l'unico modo.»
Leliana non rispose; cercò istintivamente lo sguardo di Melinor, e fu sorpresa da ciò che vi trovò. Comprese subito che era d'accordo con Merevar.
«Se non ti ha lasciata andare per tutto questo tempo, non lo farà mai» disse l'elfa, saggiamente. «Ucciderla o meno sarà una tua decisione, ma devi in ogni caso farle capire che non può giocare con te al gatto e al topo. Non puoi continuare a vivere nascondendoti, non è giusto per te.»
Hawke avanzò fino a portarsi di fronte a Leliana; la prese per le spalle e le rivolse un sorriso incoraggiante. «Siamo tutti con te, Leliana. Andremo a Denerim, e ci libereremo di questa Marjolaine una volta per tutte.»
Leliana annuì. Sapeva che avevano ragione: era ora di fare i conti con il passato.


Una settimana più tardi varcarono i cancelli di Denerim. Avevano atteso la notte per entrare in azione, in modo da passare inosservati. Leliana sapeva qual era la casa di Marjolaine; si diresse verso la porta con passi sicuri, ma con il volto segnato dall'agitazione. Non avrebbe mai pensato che avrebbe rivisto Marjolaine, un giorno.
«Noi entriamo con te. Gli altri resteranno di guardia qui fuori» le disse Hawke; dietro di lei, Merevar e Melinor si fecero avanti.
Leliana annuì, riconoscente. «Alistair, vieni anche tu. Marjolaine tiene sempre qualche mago apostata nei suoi ranghi, le tue abilità da templare potrebbero tornare utili.»
Alistair non fece obiezioni; Leliana si chinò sulla serratura e armeggiò finché non la fece scattare. Posò un dito sulle labbra per dire agli altri di fare silenzio; s'infilarono in casa come ombre.
Leliana si stupì, non trovando alcuna guardia. Continuò a muoversi con grande cautela, conducendo i suoi amici fino al salottino della casa. Tutto era sfarzosamente arredato, alla maniera dell'Orlais: l'aria profumava di fiori e oli essenziali, c'erano arazzi, drappeggi, quadri e tende ovunque. Quando Leliana aprì la porta del salottino si sentì salire il cuore in gola.
«Marjolaine.»
La donna era comodamente distesa sul suo divanetto, adagiata sul fianco destro in una posa sensuale, vestita d'una veste rosa con dettagli dorati e i capelli raccolti. Le labbra truccate dello stesso colore della veste si piegarono in un sorriso.
«Sapevo che saresti arrivata, Leliana. Hai portato degli ospiti illustri, vedo» ammiccò in direzione dei Custodi Grigi.
Leliana sentì un fiotto amaro salirle in bocca: si rese conto solo in quel momento che aveva soltanto creduto di aver dimenticato il suo passato. Il dolore era ancora lì, affatto guarito dal tempo: la ferita sanguinava ancora copiosamente.
«Sei una vipera, Marjolaine. Perché non mi hai lasciata perdere? Pensavi davvero che volessi ancora vendicarmi, dopo tutti questi anni?»
La donna rise, passandosi una mano fra i setosi capelli bruni. La guardò con malizia. «Se non vuoi vendicarti, allora perché sei qui?»
«Hai mandato delle persone a uccidermi!» esclamò Leliana, portandosi a pochi passi da lei, adirata.
«Appunto; e sei venuta qui per rendermi pan per focaccia» replicò con tranquillità Marjolaine, scacciando con la mano una mosca che la disturbava. Si alzò in piedi e mosse qualche passo verso la sua allieva. «Sei stata brava, Leliana. Tutti questi anni trascorsi come una ragazza pia, nascosta in quel monastero... avevo quasi pensato che fosse tutto vero. Ma poi un corvo mi ha recapitato un messaggio, tu eri partita all'improvviso... strani spostamenti, strane compagnie... molto astuta, Leliana. Far perdere le tue tracce così è stato un colpo da manuale, ma io sono più brava di te; sono riuscita a rintracciarti. Non sapevo se avresti abboccato, in fondo sai perché ho voluto attirarti qui. Sei scomoda. Ma ti conosco fin troppo bene; sapevo che non avresti potuto resistere alla tentazione di rivedermi.»
Il viso di Leliana venne distorto dalla rabbia. «Non riesco a crederci, Marjolaine... sei davvero megalomane al punto da credere di essere al centro dei miei pensieri e di ogni mio piano? Io sono andata oltre, e dovresti farlo anche tu! Sto aiutando i Custodi Grigi, ora!»
«Ma per favore» rise con gusto la donna. «Io ti ho creata, Leliana. Devi a me tutto ciò che sei. Ti ho creata a mia immagine e somiglianza, e forse ho fatto un lavoro fin troppo accurato... ma me ne sono resa conto troppo tardi, quando hai scoperto i miei piani. Hai tradito la tua slealtà leggendo quei documenti, quando ti avevo espressamente detto di non farlo.»
«Ero preoccupata per te! Stavo cercando di aiutarti!»
«Certo, certo... ecco che ritornano i miei insegnamenti. Quegli occhioni celesti, così tondi e lucidi... quel bel faccino innocente... sembri davvero sincera. Sono fiera di te, Leliana; stai fingendo proprio come farei io.»
Qualcosa si ruppe dentro Leliana: i suoi occhi si spensero in un istante. Le sue labbra si distesero e si dischiusero, e parlò quasi priva di emozione. «Morrigan.»
Marjolaine tradì la sua sorpresa: non fece in tempo ad accorgersi della metamorfosi della mosca sul suo divano. Morrigan apparve alle sue spalle, seduta sul divano con espressione divertita; piantò un piede sulla schiena di Marjolaine e la spinse in avanti, dritta fra le braccia di Leliana. Questa fu lesta a rivoltarla e a immobilizzarla da dietro.
«I miei amici hanno ragione: non sarò mai libera da te, se non ti uccido.»
Marjolaine rise a fatica, il braccio di Leliana stretto attorno al suo collo. «Hai ragione, tesoro mio. Ti capisco. In fondo noi due siamo uguali: io farei la stessa cosa.»
«L'hai già fatto, Marjolaine. E hai fallito.»
Con un colpo secco le tagliò la gola. Una fontana di sangue zampillò copiosa, facendo scattare Morrigan via dal divano con aria contrariata. Era stanca di togliere macchie difficili dai suoi vestiti.
Leliana rimase a guardare la pozzanghera allargarsi sotto al corpo di Marjolaine, immobile: per chi l'osservava era difficile capire cosa le stesse passando per la testa.
«So che siete nascosti. Uscite. Non ho nulla contro di voi» disse improvvisamente la ragazza.
Un mago e due assassini uscirono dall'ombra; Leliana sapeva sin dall'inizio che erano appostati lì, ma non capiva perché non avessero attaccato. Quando vide in faccia il mago, un elfo mingherlino, comprese tutto.
«Sketch! Non posso crederci... lavoravi ancora per Marjolaine?»
Il mago sostenne il suo sguardo, ma con una certa riluttanza. «Non avevo molta scelta come apostata, lo sai.»
«Avresti potuto lavorare per qualche altro capo bardo. Come hai potuto restare con lei, dopo quello che ci ha fatto? Ha fatto rinchiudere anche te insieme a me! Siamo scappati insieme, l'abbiamo messa in fuga insieme!»
«Era più facile così, Leliana. Io non sono forte come te. Marjolaine sapeva di avermi in pugno, non temeva che la tradissi; per questo mi ha riaccolto. Avevo paura di lei, temevo che avrebbe dato la caccia anche a me, se fossi fuggito.»
Leliana non rispose; lo guardò con aria comprensiva. In fondo capiva le sue ragioni: avevano lavorato insieme per Marjolaine per anni, lui era stato sempre un amico. Un amico troppo buono per una vita simile. Guardò lui e gli altri due galoppini di Marjolaine, due nuovi acquisti che non conosceva. «Andate. Ora siete liberi.»
Sketch le rivolse un sorriso riconoscente; s'incamminò con gli altri due verso la porta, ma poco prima che la varcasse Leliana gli parlò.
«Grazie per non avermi attaccata quando avresti dovuto farlo.»
Sketch si voltò. «Sei sempre stata un'amica, Leliana. Te lo dovevo.»
Uscì dalla porta, lasciando solo il gruppo. Leliana tornò a guardare il cadavere ai suoi piedi.
«Ehi», la raggiunse Hawke. «Tutto bene?»
Leliana continuò a fissare il corpo inzuppato di sangue. «No», rispose secca; si voltò e corse fuori dalla porta.


Decisero di alloggiare alla locanda, per quella sera; era tardi, e non volevano presentarsi alla porta di Arle Eamon a quell'ora. Si sarebbero trasferiti nella sua tenuta di Denerim il giorno dopo, come accordato con il nobile.
Leliana restò sulle sue tutto il tempo; gli altri erano già a letto da tempo quando Melinor decise di raggiungerla fuori, a uno dei tavoli sul patio della locanda.
«Come va?»
Leliana nemmeno la guardò nel risponderle. «Non va.»
L'elfa si sedette di fronte a lei. «È per via di quello che ti ha detto prima di morire, vero?»
Leliana abbassò lo sguardo tormentato. Fece cenno di sì.
«Non è così, Leliana. Tu non sei come Marjolaine.»
«Dici questo solo per confortarmi. La verità è che aveva ragione, mi sono comportata esattamente come avrebbe fatto lei. Io l'ho uccisa, Melinor!»
«Hai fatto quello che dovevi» insistette l'elfa. Leliana la guardò con tanto d'occhi.
«Non posso credere che proprio tu mi stia giustificando. Avrei potuto lasciarla andare, avrei potuto minacciarla, usare ciò che avevo contro di lei come un monito... gli agganci non mi mancano, anche dopo anni. Ma ho scelto la via più facile, la via immediata e sicura... come mi ha insegnato lei.»
Melinor poggiò i gomiti sul tavolo, intrecciò le dita e si protese in avanti. «Leliana, tu sei una brava persona. So che ora senti di non esserlo, hai ucciso una persona che avresti potuto risparmiare. Ma non ti avrebbe dato tregua, e lo sai meglio di chiunque altro». Le sorrise. «Le persone cattive si sentono come te, dopo aver ucciso qualcuno?»
Leliana esitò prima di rispondere. «No», fu costretta ad ammettere.
«E questa non è una prova sufficiente per te?»
«Non lo so, Melinor... sono così confusa! Quando ero al monastero, lontana da tutto questo, credevo d'aver trovato la pace. Ma da quando sono partita con voi è tutto diverso: il viaggio, l'avventura, gli intrighi in cui ci siamo ritrovati... mi è sembrato d'essere tornata alla mia vecchia vita, e la cosa che mi spaventa è che mi è piaciuto». Guardò Melinor con occhi pieni di paura. «Mi piace questa vita, Melinor. Forse non sono la persona che credevo, che tu credevi.»
Melinor la guardò con un'intensità tale da farla quasi sprofondare. «Tu sei una persona buona. Ma a volte le persone buone devono fare cose cattive per proteggere il mondo.»
Leliana non rispose; c'era del vero in quelle parole, ma c'era anche dell'altro.
«Non sono certa che tempo fa mi avresti risposto così, Melinor... perché ora non mi parli di come ti senti tu?»
Melinor abbassò lo sguardo sul tavolo. «Mi sento stanca», ammise senza problemi, tornando ad appoggiare la schiena sulla sedia. «Dico sempre che il mio addestramento da Guardiana mi ha preparata a tutto, a gestire gruppi, crisi, difficoltà... la verità è che nessun addestramento è sufficiente, quando ti ritrovi in mezzo a una situazione del genere. Tutto ciò che abbiamo fatto, tutto ciò che abbiamo visto... inizia a pesare.»
Fu il turno di Leliana di rivolgerle un sorriso incoraggiante. Allungò una mano sul tavolo e afferrò quella di Melinor, abbandonata dall'altro lato. «Hai tanti amici che possono aiutarti a portare quel peso. Non dimenticarlo.»
Melinor strinse la mano di rimando, in un muto ringraziamento.
«Perdonate l'interruzione.»
Due figure incappucciate si avvicinarono al tavolo: l'uomo che aveva parlato era alto e corpulento, la figura accanto a sé era più minuta. Le due scattarono in piedi.
«Chi siete?» chiese Leliana.
«Non temete, siamo amici. Siete voi la Custode a capo del gruppo, vero?» chiese quella che si rivelò essere una donna.
«Chi lo chiede?» replicò Melinor.
I due sconosciuti si guardarono attorno prima di abbassare i cappucci: un giovane uomo sui trent'anni e una ragazza sui venti, che si somigliavano molto. Stessi capelli scuri e stessi occhi grigi: dovevano essere fratello e sorella.
«Sappiamo che volete opporvi a Loghain. Noi possiamo testimoniare a vostro favore all'Incontro dei Popoli» disse l'uomo.
«Non ci avete ancora detto chi siete» incalzò Leliana.
I due si guardarono ancora fra loro, e poi controllarono attorno con fare nervoso. Si avvicinarono di qualche passo per farsi udire dalle due. Fu la ragazza a parlare, in poco più d'un bisbiglio.
«Siamo Fergus e Freya Cousland. Vogliamo aiutarvi.»




NOTE AUTRICE


Rieccomi, dopo (troppo) tempo! Gli impegni sono tanti, non riesco più ad aggiornare settimanalmente. Maa non temete, la storia continuerà fino alla fine!
Questo capitolo è dedicato alla storia di Leliana (da qui il titolo, lo stesso del DLC). E c'è una piccola sorpresa alla fine, che spero abbiate gradito! Una delle mie Custodi preferite, la Cousland che avevo chiamato Freya. L'ultimo cameo previsto per questa storia. La conoscerete nei prossimi capitoli. Fatemi sapere che ne pensate, e alla prossima (speriamo presto)!

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Capitolo 42
*** Il salvataggio ***


«Questa non me l’aspettavo davvero» disse Arle Eamon il mattino seguente, accogliendo nella sua dimora il gruppo dei Custodi. Squadrò i due Cousland. «Le notizie ufficiali vi davano per morti...»
«Naturalmente, come davano voi per malato. Ma sappiamo tutti che erano voci fasulle, no?» replicò Freya, a metà fra il divertito e il polemico. «Entrambe le nostre famiglie sono state tradite, Arle Eamon.»
«Loghain ha tradito anche voi?» si meravigliò Eamon.
«Non Loghain… Rendon Howe» precisò Fergus a denti stretti.
«Howe? Ma le vostre famiglie sono legate da un’amicizia che dura da anni!» esclamò Eamon, incredulo.
«Lo pensavamo anche noi; tutti lo pensavano. Nessuno crederebbe mai a ciò che ha fatto… per questo è stato così semplice per lui uscirne pulito» quasi ringhiò Freya, i pugni stretti che tradivano la sua collera. «Quando ho sentito la versione ufficiale, secondo cui io, mio padre e Fergus siamo periti a Ostagar… e secondo cui mia madre sarebbe morta per il dispiacere, affidando l’intero territorio di Altura Perenne a lui, l’amico più vicino alla nostra famiglia…» si morse un labbro al punto da farlo sbiancare. «Se Howe mi capita davanti, è un uomo morto.»
«Com’è andata realmente?» chiese Eamon, facendo segno ai suoi ospiti di sedersi attorno al tavolo preparato per l’occasione. Tutti erano presenti, poiché i Custodi avevano espressamente richiesto che nessuno dei loro fedeli compagni venisse escluso.
«La verità è che, nonostante la mia abilità come guerriera, io non dovevo partire per Ostagar. Dovevo restare a badare ad Altura Perenne in vece di mio padre, mentre lui e Fergus sarebbero dovuti partire insieme a Howe e al suo reggimento; ma nel giorno stabilito per la partenza, Howe si è presentato senza i suoi uomini. “C’è stato un imprevisto, ci raggiungeranno domani” ha detto a mio padre. Poi ha consigliato a Fergus di partire comunque, onde evitare troppi ritardi; e così è stato. Mio padre ha preferito restare e aspettare insieme al suo vecchio amico… non l’avesse mai fatto» sospirò tristemente. «Gli uomini di Howe sono arrivati quella notte, hanno preso d’assedio il castello e hanno ucciso tutti. I miei genitori, mia cognata, il mio nipotino… tutti ammazzati nel sonno. Se la mia stanza non fosse stata l’ultima in quel corridoio, se le loro grida non mi avessero svegliata…» scosse la testa con rabbia. «Sono riuscita a fuggire grazie all’aiuto dei pochi uomini di Altura Perenne rimasti ancora vivi. Fortunatamente conoscevo la direzione presa da Fergus, e ho camminato per giorni. Quando ho iniziato a vedere i primi fuggitivi di ritorno da Ostagar ho temuto il peggio. Ma non avevo più nulla da perdere, ormai: dovevo trovare Fergus, a tutti i costi. Non mi era rimasto altro.»
«Quando l’ho vista non potevo crederci» continuò suo fratello; «io e i pochi uomini di Altura Perenne rimasti eravamo stati accolti e curati da una tribù di Chasind, che si stava spostando verso nord per fuggire dall’orda di prole oscura. Dev’essere stato il Creatore a far sì che Freya c’incrociasse. Mi ha raccontato tutto, di come ho perso senza nemmeno esserne conscio i miei genitori, mia moglie… mio figlio…» trattenne a stento le lacrime, ma si ricompose subito. «Abbiamo viaggiato con i Chasind per un po'. Poi ci siamo nascosti in una piccola tenuta che mio padre aveva nel sud, la usavamo per andare a caccia. Da lì abbiamo stabilito dei contatti sicuri con altri nobili, amici nostri e nemici di Howe; sono stati loro a tenerci aggiornati sugli sviluppi.»
«Abbiamo capito subito che sia voi Custodi, che voi, Arle Eamon, eravate stati traditi da Loghain. Ed è stato un duro colpo apprendere che proprio lui, l’eroe di River Dane, liberatore del Ferelden, era in combutta con quel verme di Howe. È stato facile capirlo, quando si è eletto reggente della regina Anora e ha nominato Howe Arle di Denerim» ridacchiò Freya, disgustata. «Da allora abbiamo seguito le vostre imprese, Custodi; e anche le vostre, Eamon. Ci siamo ripromessi di aiutarvi non appena il momento giusto fosse arrivato.»
«La vostra voce avrà indubbiamente un grande peso all’Incontro dei Popoli; la famiglia Cousland è seconda in potere solo alla stirpe dei Theirin, che ora sarebbe estinta se non fosse per Alistair» disse Eamon, indicando il Custode.
«Siete voi il nostro futuro re, dunque?» si voltò a guardarlo Freya. «In effetti somigliate molto a re Cailan…»
Melinor le lanciò un’occhiataccia; non le piacque il modo in cui la nobile aveva guardato Alistair.
«Sì, io sono il figlio di Maric; ma no, non ho alcuna intenzione di diventare re» la smentì Alistair, stranamente deciso. «Si tratta solo di una proposta di candidatura fittizia, usata come scusa per ottenere l’udienza a corte e smascherare i crimini di Loghain.»
I due Cousland guardarono straniti prima lui e poi Eamon; questi sospirò, massaggiandosi la fronte con una mano. «Alistair non crede di essere tagliato per fare il re.»
«Ma è un Theirin! Deve salire al trono, è la tradizione!» esclamò Fergus, sbigottito.
«Un cognome e una linea di sangue non bastano a fare di un uomo un re, messere» affermò Melinor.
«Non è il tempo né il luogo adatto per disquisire di questo, ora» li interruppe Arle Eamon. «C’è una questione che necessita d’immediata attenzione. I crimini di Howe nei confronti della vostra famiglia non sono gli unici ad aver macchiato il suo onore» disse ai Cousland. Fece cenno a un inserviente di andare; dopo una manciata di minuti trascorsi in silenzio, l’inserviente fece ritorno. Con lui c’era un’elfa riccamente vestita.
«Questa è Erlina, la dama di compagnia della regina Anora» la presentò Eamon.
«Avete lasciato che la dama di compagnia della figlia di Loghain entrasse in casa vostra? È sicuramente una spia!» si adirò Alistair, alzandosi in piedi di scatto.
«Comprendo la vostra diffidenza, Custode; ma sono qui perché anche la mia signora è stata tradita da suo padre. È in pericolo di vita» parlò l’elfa, con uno spiccato accento orlesiano. Leliana diede un colpetto all’insù con il sopracciglio.
«Non posso credere che Loghain si rivolterebbe persino contro Anora!» esclamò Freya.
«Ha lasciato morire mio nipote Cailan, che per lui era come un figlio… ormai nulla mi sorprende più in questa sua folle corsa al potere» le fece notare Eamon.
«Perché Loghain farebbe una cosa del genere a sua figlia?» chiese Fergus.
«Perché si era fatta sospettosa, messere» gli rispose Erlina. «Il Teyrn si comportava in modo strano da un po', troppi strani eventi si sono susseguiti in questi ultimi mesi… la mia signora ha tentato di parlare con suo padre, gli ha chiesto più volte se aveva tradito suo marito Cailan; ma lui non voleva risponderle, l’allontanava continuamente rifiutandosi di darle risposta. Così è andata da Howe. In fondo lei era pur sempre la regina, e lui solo un Arle; le doveva delle risposte. Ma quando si è presentata alla sua porta, lui l’ha fatta prigioniera. L’ho sentito parlare con il Teyrn: diceva che Anora rappresenta un pericolo, che se dicesse la verità la gente le crederebbe, poiché è molto amata da tutti… ha detto che è più utile da morta! Il Teyrn naturalmente non se l’è sentita di ucciderla subito, ma Howe insiste. Ora vuole ucciderla e imputare la colpa ad Arle Eamon!»
Tutti sussultarono. Sembrava troppo persino per un eroe caduto in disgrazia come Loghain.
«Se Loghain acconsentisse, verreste condannato a morte per alto tradimento alla corona… a quel punto sarebbe impossibile indire l’Incontro dei Popoli» osservò Fergus, rivolgendosi a Eamon.
«Allora dobbiamo agire subito!» esclamò Alistair, allarmato. «Non possiamo rischiare di perdere tutto proprio ora, siamo così vicini a smascherarlo!»
«Dov’è tenuta prigioniera Anora?» chiese Melinor a Erlina.
«Nelle prigioni della tenuta di Howe, qui a Denerim.»
«Potrebbe essere una trappola» s’inserì Leliana, iniziando a scrutare attentamente Erlina. «Potrebbe essere tutto un piano di Anora e Loghain per attirare in trappola i Custodi.»
«Immaginavo che l’avreste sospettato, e per questo vi suggerisco di non mandare i Custodi» replicò decisa Erlina. «Il vostro gruppo è ormai famoso per le vostre imprese, avete soggetti molto abili fra voi. E io stessa verrò con voi, conosco la tenuta e so dov’è tenuta prigioniera la mia signora.»
«Conosco anch’io la tenuta, dunque verrò insieme a voi» si alzò in piedi Leliana. Erlina sollevò un angolo della bocca.
«Volete tenermi d’occhio, vero? Non vi fidate… ma posso capirvi.»
Anche Leliana sorrise. «Sono certa che non potete biasimarmi, Erlina. In fondo voi non siete solo una semplice dama di compagnia, giusto?»
«E voi non siete una semplice aiutante dei Custodi» ribatté l’altra. Nessuno lo disse, ma lo scambio fra le due rese chiaro a tutti che Erlina era in realtà un bardo orlesiano. «Bene, allora chi altro verrà? Suggerisco di portare almeno un mago. Howe ne tiene più di qualcuno nelle segrete, e di sicuro avrà sigillato magicamente le celle.»
«Verrò io» si fece avanti Hawke, ma Merevar la prese per un braccio.
«Cosa? Non se ne parla, tu non vai da nessuna parte senza di me!»
«Lasciami andare, Merevar… me la caverò. Non sarò da sola, avrò due bardi orlesiani con me» ridacchiò per sdrammatizzare.
«Può andarci Morrigan! Perché proprio tu?» esclamò l’elfo.
«Tu sì che sai lusingare una ragazza, elfo dei miei stivali. Vorresti dire che io sono sacrificabile, e la tua amata no?» si stizzì la strega delle Selve, incrociando le braccia. «Te lo puoi scordare. Io non vado da nessuna parte.»
Merevar aprì bocca, ma non ne uscì nulla. Melinor lo fissò con sufficienza, come a dirgli che se l’era andata a cercare.
«Posso andare io» si propose Wynne.
«Senza offesa, signora… ma potremmo dover correre» cercò di sottolineare la sua anzianità Erlina, con quanto più tatto possibile. Wynne s’imbronciò appena, ma non ebbe nulla da ribattere.
Hawke guardò Merevar, che aveva messo un broncio molto peggiore. «Non mi succederà nulla, vedrai» tentò di tranquillizzarlo.
Lui non rispose, e si alzò in piedi. «Se vai tu, vengo anch’io.»
«Non è consigliabile, Custode; se vi catturano…»
«Ci sono sempre Alistair e mia sorella, non sono l’unico Custode rimasto!»
«Ma siete riconoscibile! Ci sono vostri ritratti appesi ovunque, e tutti vi hanno visti oggi mentre venivate qui!» esclamò Erlina. «Dobbiamo restare nell’anonimato, dunque dovrà venire qualcun altro» disse, e studiò gli altri compagni dei Custodi.
«Verrò io.»
Tutti gli occhi si puntarono su Freya mentre si alzava in piedi.
«Sei impazzita?» le disse Fergus, alzandosi a sua volta.
«Voglio esserci, in caso incontrassimo Howe.»
«E cosa vorresti fare? Ucciderlo?» esclamò Fergus. Freya non rispose, e questo gli bastò. «Non puoi farlo, Freya! Così passeresti dalla parte del torto!»
«Non c’è alcun modo in cui potrei passare dalla parte del torto, non dopo ciò che Howe ha fatto!» gridò lei, furiosa.
«Ma Howe ci serve vivo, deve confessare!» ribatté Fergus.
«Certo, come no… credi davvero che lo farà?» ribatté Freya, acida. Fergus non trovò nulla con cui replicare. «Se liberiamo Anora, potrà testimoniare anche lei contro Howe. Non ci serve vivo.»
«Vi ricordo che è pur sempre la figlia di Loghain; non abbiamo la certezza che ci aiuterà, anche se noi aiuteremo lei» s’intromise Alistair.
«A dire il vero credo che lo farà» disse Erlina, convogliando su di sé l’attenzione generale. «In questi mesi i suoi rapporti con il padre si sono logorati. È convinta che lui abbia deliberatamente lasciato morire suo marito Cailan, e non può perdonarglielo; ora che il Teyrn si è dimostrato disposto a rinchiuderla e, forse, ucciderla… non credo avrà problemi a schierarsi con voi. E avrà un interesse personale a smascherare Howe, dopo il trattamento da lui ricevuto.»
Freya guardò Fergus con aria di sfida; lui sospirò, rassegnato. «E va bene. Ma se vai tu, verrò anch’io.»
«Non essere ridicolo, Fergus. Tu sei l’erede di Altura Perenne, non puoi rischiare. Almeno uno di noi deve restare qui, e devi essere tu.»
«Ma non…»
«Vostra sorella ha ragione, Fergus» lo interruppe Eamon. «Io non manderei nessuno dei due, onestamente… ma se lady Freya è così determinata ad andare, non possiamo impedirglielo. Sa il fatto suo. Ma non potete andare entrambi, ha ragione lei.»
Fergus strinse forte le mascelle, sua sorella che lo guardava a metà fra il soddisfatto e l’intenerito.
«Andrà tutto bene, Fergus.»
«Cerca solo di non fare mosse avventate» le scoccò un’occhiata d’avvertimento lui; lei non replicò in alcun modo, e ciò lo fece preoccupare.
«Bene, se abbiamo deciso direi di andare stanotte stessa» propose Erlina. «La mia signora corre un grave pericolo, non voglio tardare oltre.»
«Sono d’accordo. Abbiamo tutta la giornata per prepararci e stabilire il piano» ribatté Leliana. Le due si guardarono e annuirono; non sarebbe stata una passeggiata.
 
 
Un rantolo nella notte; un uomo cadde, colpito al collo dalla freccetta avvelenata di Leliana.
«Un veleno soporifero davvero interessante» bisbigliò Erlina con ammirazione.
«Una ricetta della mia mentore» si limitò a dire Leliana con noncuranza. «Potrebbe abbattere all’istante anche un elefante.»
Rubarono all’uomo il chiavistello, e aprirono il cancelletto di servizio usato dai domestici della tenuta; in pochi secondi si ritrovarono in giardino.
«Presto, la sentinella potrebbe passare a momenti» le incitò Erlina; ammantate di nero, corsero attraverso il giardino nella notte. Aprirono la chiave delle cucine con la chiave rubata; come previsto, a quell’ora era tutto deserto. Si mossero leggere e silenziose come ombre: dalla cucina imboccarono una serie di corridoi, passando davanti agli alloggi delle guardie. Qualche risata giunse alle loro orecchie, qualche soldato che ancora non dormiva e parlottava con i suoi compagni.
Si trovarono ben presto davanti alla porta che conduceva ai sotterranei.
«La regina è laggiù» bisbigliò Erlina. «Finora abbiamo avuto fortuna, ma nei sotterranei la sorveglianza sarà molto stretta. Non c’è possibilità di passare inosservate.»
«Cercheremo di fare meno chiasso possibile» disse Leliana, preparando una freccia avvelenata.
«Mi sono fatta insegnare qualche incantesimo da Morrigan per l’occasione; una bella serie di malocchi e maledizioni… la magia elementale non è la più adatta, se si deve essere silenziosi» aggiunse Hawke.
«Bene; ma cerca di usare meno magia possibile. Se ci sono maghi nei paraggi ti percepiranno. Cerca di coprirci le spalle e limitare i tuoi interventi, se possibile» le suggerì Leliana.
«Voi andate da Anora. Io ho altri piani» annunciò Freya, che era rimasta in perfetto silenzio fino a quel momento.
Hawke fece un sorrisetto. «Volevate uccidere Howe fin dall’inizio, non è vero?»
Né Erlina né Leliana parvero sorprese; quando comprese che nessuna di loro l’avrebbe fermata, Freya sorrise maliziosa a sua volta. «Mi dispiace per Fergus, ma è quello che Howe si merita.»
«Conoscete la strada?» chiese soltanto Erlina; Freya annuì. Era stata lì parecchie volte come ospite, quand’era in visita a Denerim con la famiglia.
«Fate attenzione, milady» le raccomandò Leliana.
«Anche voi» ricambiò Freya; dette quelle parole, scivolò nel corridoio che faceva angolo e scomparve.
 
 
Una volta nelle segrete, le tre iniziarono a mietere vittime con più facilità di quanto si sarebbero aspettate: i soldati di guardia non si aspettavano un attacco, e vennero colte totalmente alla sprovvista. Le tre cercarono di colpire a distanza le sentinelle poste all’esterno delle varie stanze, andando dritte per la loro strada senza aprire le porte che non erano di loro interesse.
Solo davanti alla camera delle torture Leliana si fermò.
«Cosa fai? Proseguiamo!» la incitò Erlina in un sussurro.
«Potrebbe esserci qualcuno legato là dentro» mormorò Leliana, lo sguardo incollato sulla porta.
«Non ha importanza, ora!»
«Ne ha, invece» la guardò con decisione Leliana. «Quando c’ero io legata là dentro, avrei tanto voluto che qualcuno entrasse per salvarmi.»
Erlina restò lì per lì sorpresa, quel tanto che bastò a Leliana per entrare nella stanza, individuare i tre torturatori e piantare le sue frecce avvelenate nei loro colli. Caddero a terra senza fiatare.
«Chi… chi c’è?» mormorò una voce. «Aiutatemi, vi prego!»
Entrarono, richiudendosi la porta alle spalle per non destare sospetti; Leliana si avvicinò al tavolo delle torture. Un giovane ragazzo era legato a pancia in su, il corpo ricoperto di tagli e contusioni: era stato picchiato e torturato. Leliana si affrettò a liberarlo.
«Finalmente» quasi pianse di gioia il ragazzo. «Perché mio padre ci ha messo tanto?»
«Vostro padre?» chiese Leliana.
«Sì, Bann Sighard… non è stato lui a mandarvi?»
«Bann Sighard è a capo del territorio di picco del Drago» si avvicinò Erlina. «Voi siete suo figlio? Perché siete qui?»
«Ero a Ostagar. So come sono andate le cose, e Howe mi ha imprigionato qui per evitare che parlassi e dicessi a tutti la verità… ma voi chi siete?»
«Siamo qui per salvare la regina Anora. Anche lei è prigioniera qui.»
«La regina Anora? Ma è… oltraggioso!» esclamò il ragazzo.
«Concordo» annuì Leliana. «Dunque, se noi vi portiamo in salvo… voi riferirete tutto a vostro padre? La sua voce ci sarebbe molto utile in occasione dell’Incontro dei Popoli.»
«Allora avevo sentito bene, c’è davvero un Incontro dei Popoli… Howe ne parlava qui fuori in corridoio, qualche giorno fa» ricordò il ragazzo. «Sì, certo che dirò a mio padre la verità. Il trattamento che ho subito è indegno, e Howe merita una condanna!»
«Bene. Non potete venire con voi, malridotto come siete… ma torneremo a prendervi una volta trovata la regina» gli disse Leliana. Allo sguardo preoccupato di lui, gli sorrise. «Non temete, torneremo. Voi restate nascosto qui, mi raccomando. Uscite solo quando sentirete le nostre voci.»
Il ragazzo annuì; si mise al sicuro in un armadio e sbirciò dalla fessura dell’anta mentre le tre uscivano.
 
 
Ai piani superiori, una figura avanzava furtiva. Freya si era fatta dare un po' del veleno di Leliana e alcune frecce, e abbatteva le poche guardie stanziate lungo i corridoi riservati alla famiglia dell’Arle di Denerim. La ragazza muoveva i suoi passi sicura, senza esitazione, puntando dritta verso la camera dell’arle; quando vi si trovò davanti, esitò alcuni secondi: non poteva credere che fosse stato tanto facile. Si guardò attorno, ma non vide nessuno; allora si fece coraggio, afferrò il pomello dorato ed entrò.
Ciò che provò nel vedere Howe sotto le coperte, nell’udire il rumore del suo russare, nel sapere che erano soli, lui e lei, nella stessa stanza… le diede al tempo stesso una scarica d’adrenalina e le fece provare un gelido vuoto dentro. Si avvicinò silenziosamente al letto, e rimase a guardare l’uomo che dormiva: credette che non potesse esistere un disprezzo più profondo di quello che provava per lui. Il solo posare le iridi su quella sua faccia appuntita e boccheggiante le dava il voltastomaco. Sfilò un fazzoletto dalla tasca e ci vuotò sopra un po' del veleno datole da Leliana: con un gesto fulmineo, spinse Howe contro al materasso con la mano sinistra mentre la destra andava a pressare il fazzoletto contro naso e bocca. L’uomo si svegliò di soprassalto, agitandosi inutilmente sotto la salda presa di lei: i piccoli occhi malvagi di Howe strabuzzarono nel riconoscere Freya, ma subito dopo rotearono all’indietro mentre sveniva, vittima del veleno soporifero. La ragazza fece appena in tempo a sorridere; poi sentì una punta affilata premere contro il corsetto della sua armatura di pelle.
«Non ti muovere, se tieni alla tua vita.»
Freya sobbalzò nel riconoscere la voce della donna alle sue spalle; rimase immobile, girando appena la testa. «Ser Cauthrien?»
La donna sussultò, riconoscendo a sua volta una voce amica. «Lady Freya?»
Sentendo la punta della spada allontanarsi dalla sua schiena, Freya si voltò lentamente; abbassò il cappuccio per farsi vedere meglio. La donna di fronte a lei rimase a bocca aperta: ser Cauthrien, comandante della guardia personale di Loghain. Originaria di Altura Perenne, aveva deciso d’imbracciare le armi dopo un incontro casuale con Teyrn Loghain; lo stesso Bryce Cousland, padre di Freya e Fergus, l’aveva addestrata, e non di rado lei e Fergus avevano tirato di spada insieme sotto gli occhi ammaliati della piccola Freya. Terminato il suo addestramento, Bryce era stato fiero di cederla al corpo di guardia di Loghain come una dei migliori soldati mai addestrati ad Altura Perenne; nel tempo, Cauthrien era riuscita a guadagnarsi la fiducia di loghain al punto da diventare il suo braccio destro.
«Voi… voi dovreste essere morta» mormorò Cauthrien.
«Sì, me lo dicono spesso ultimamente» quasi rise Freya, prima di tornare seria. «Tutto ciò che vi hanno detto sulla mia famiglia è falso, ser Cauthrien. Howe ci ha traditi: ha lasciato che Fergus partisse con la sua guarnigione e poi ha attaccato Altura Perenne. Ha ucciso i miei genitori, mia cognata e mio nipote… e avrebbe ucciso anche me, se non fossi scappata in tempo. Anche Fergus è sopravvissuto.»
«Ma è assurdo… gli Howe e i Cousland…»
«Sono amici da generazioni, sì» l’interruppe Freya. «A quanto pare abbiamo preso una gran cantonata. Howe ci ha traditi, e… » esitò. «E anche Loghain.»
L’espressione di Cauthrien s’indurì. «Sono certa che il mio signore non abbia nulla a che vedere con quanto è successo ad Altura Perenne.»
«Forse non ha dato lui l’ordine, ma credi davvero che non lo sappia?» la pungolò Freya. «Non capisci? Sono complici! Loghain l’ha perfino nominato Arle di Denerim!» esclamò con rabbia. «Perché credi che ti abbia assegnata qui, quando servi lui e non Howe?»
«Howe era preoccupato, la situazione a Denerim è stata caotica ultimamente, e…»
«Ti ha assegnata a questa postazione perché Anora è tenuta prigioniera qui!» troncò sul nascere qualunque storiella Cauthrien le stesse per dire. Cauthrien la guardò spaesata, ma lei non si fermò. «Sapeva che i Custodi Grigi sarebbero arrivati per sventare i suoi piani ancora una volta, e ti voleva qui, pronta a catturarli!»
Lo sguardo di Cauthrien si fece ancora più duro. «Sì, ci aspettavamo un’incursione dei Custodi ai danni dell’Arle. Ma invece dei Custodi ho trovato voi» disse, incrociando le braccia con fare inquisitore. «Siete complice dei Custodi, lady Freya?»
«Sì, perché anche loro sono stati traditi da Loghain. Tutto il Ferelden è stato tradito da Loghain! Tu eri là, Cauthrien, come mio fratello… mi ha detto com’è andata a Ostagar. Se aveste attaccato quando è stato acceso il fuoco di segnalazione…»
«Il mio signore ha fatto la cosa più giusta! Non avremmo mai potuto vincere quella battaglia!»
«Ma avreste potuto salvare molti più soldati! Avreste potuto salvare re Cailan!» sbottò Freya. Camminò in avanti, fino a portarsi a pochi passi da Cauthrien. «So che sei molto leale a Loghain, Cauthrien… e so anche che quella che provi nei suoi confronti non è più solo lealtà e ammirazione, dopo tutti questi anni.»
«Non vi facevo incline ai pettegolezzi da sala da tè» quasi s’offese l’altra.
«Non lo sono, infatti. Ma riconosco una donna innamorata, se ne vedo una» disse con più dolcezza, mentre Cauthrien distoglieva lo sguardo con una punta d’imbarazzo. «Capisco come ti senti, ma so che sei una donna intelligente… sono certa che hai notato il cambiamento dell’uomo che ami, non puoi fingere che non sia così. Menti a me se vuoi, ma non mentire a te stessa per evitare di vedere la verità.»
Ser Cauthrien non rispose, ma Freya vide le sue labbra serrarsi appena una contro l’altra.
«I soldati di Altura Perenne giurano di servire sempre e prima di tutto la giustizia. Se ancora credi negli insegnamenti di mio padre, lo stesso uomo ucciso vilmente nel sonno da questo verme» indicò Howe con un gesto rabbioso, «allora lascia che i Custodi affrontino Loghain civilmente, all’Incontro dei Popoli. Se pensi che io stia mentendo, allora uccidimi subito; ma se in fondo al tuo cuore senti che c’è del vero in ciò che dico, allora lasciami andare. Lasceremo che sia l’Incontro dei Popoli a giudicare.»
Le due rimasero a osservarsi in silenzio: Freya vide la paura nascosta dietro le iridi brune di ser Cauthrien, ma vide anche la stessa donna forte che aveva tanto ammirato da bambina.
«D’accordo, lady Cousland. Siete figlia del vostro onorevole padre, a cui devo molto; pertanto vi lascerò andare». Fece per voltarsi, ma poi si fermò. «Non eravate qui per vendicarvi? Che volete fare con lui?»
Freya si voltò verso Howe. «Volevo ucciderlo, ma ho cambiato idea. Preferisco vederlo strisciare davanti a tutti come il verme che è all’Incontro dei Popoli.»
«Ma vi ha vista…»
«Meglio» sorrise Freya, quasi con malignità. «Sapendo ciò che lo aspetta, avrà tutto il tempo di rodersi il fegato nell’attesa.»
 
 
Ser Cauthrien condusse Freya fino ai sotterranei, dove trovarono la scia di vittime lasciate dalle tre intruse.
«Avevo sentito che il gruppo dei Custodi è variegato e formidabile… sembra che le voci siano vere» commentò Cauthrien, alzando un sopracciglio per il disappunto. «Vi lascio qui, lady Cousland. Da qui in avanti dovrete cavarvela da sola, ma credo non sarà un problema.»
«Non volete vedere la regina Anora con i vostri occhi?»
«No… meno ne so di questa storia, meglio è» sospirò. Nel guardare Freya era amareggiata, probabilmente a causa del sospetto che si faceva sempre più forte in lei; ma mantenne la sua compostezza. «Non posso aiutarvi a uscire da qui, ma posso fare in modo che i miei uomini perlustrino i piani superiori alla ricerca del furfante che ha attaccato Howe.»
Freya le sorrise. «Grazie, ser Cauthrien.»
La donna rispose solo con un piccolo inchino del capo; si voltò e mosse qualche passo, ma poi si fermò. «Se… se ciò che dite è vero…» voltò la testa di profilo, la tristezza che sembrava aver ormai vinto sulla sua forza di volontà; «se è tutto vero, sareste disposta a riaccogliermi ad Altura Perenne, quando sarà tutto finito?»
Freya le rivolse un sorriso triste; ciò che Cauthrien stava facendo le stava costando molto, e Freya lo capiva bene. «Naturalmente. Sarebbe un onore.»
Ser Cauthrien annuì; si voltò per l’ultima volta, e sparì lungo il corridoio mentre Freya entrava nelle segrete.
Non fece molta strada prima d’incontrare un numeroso gruppetto di persone malconce.
«Ma che… chi sono tutte queste persone?» esclamò guardando Leliana.
«Testimoni utili, e prigionieri innocenti. Non potevamo lasciarli qui» sorrise ammiccante Leliana.
C’erano un elfo, un uomo ben piazzato, un ragazzo di sua conoscenza, e un uomo delirante che Freya riconobbe a stento.
«Lady Freya… allora è vero, siete viva!»
La ben nota voce catturò all’istante l’attenzione di Freya: subito s’inchinò. «Regina Anora. Sono lieta di vedervi sana e salva.»
«Avete… concluso con Howe?» le chiese Erlina.
«No… ho cambiato idea.»
«E cos’avete fatto di sopra tutto questo tempo?» si stupì l’elfa.
«Ho procurato per tutti noi una via di fuga sicura» si limitò a dire la nobile. «Andiamo, forza!» incitò tutti quanti.
Impegnate a cercare un’ombra nascosta ai piani superiori, le guardie non si avvidero del gruppetto che scappava dall’uscita di servizio nel giardino posteriore della tenuta, scivolando via fra i vicoli di Denerim.
 
 


NOTE AUTRICE
 
Rieccomi con l’aggiornamento! Ancora una volta mi sono distaccata dalla trama originale e ho fatto di testa mia, spero sia stata cosa gradita. :)
Ho sempre creduto che Erlina avesse una storia che non è mai stata detta, dunque… ecco qua la mia versione! E un’altra cosa che ho sempre ritenuto plausibile era anche la ship Cauthrien-Loghain, inserita in questo capitolo. E per finire, un piccolo background inventato: non sappiamo di dove sia Cauthrien, ma volevo creare una connessione con Freya dunque… eccola, una Cauthrien di Altura Perenne! (E così abbiamo evitato quel tedioso scontro con lei alla fine della missione :P ).
Ne approfitto per augurare a tutti voi Buon Natale, e grazie di essere arrivati fin qui nella storia. La fine si avvicina, ma arriverà ormai nel 2019. Se volete farmi un bel regalo di Natale, lasciatemi il vostro parere! ;)
Buone feste a tutti!

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Capitolo 43
*** Anora ***


I fuggitivi e le loro benefattrici fecero ritorno alla fortezza di Arle Eamon nella notte. Tutti i prigionieri liberati insieme ad Anora tornarono a casa propria. Tutti tranne uno, che venne accolto da Arle Eamon: un uomo di nome Riordan, che rivelò d’essere un Custode Grigio inviato dall’Orlais prima che Loghain prendesse il potere e bandisse tutti i membri dell’Ordine.
Tutti gli ospiti dell’Arle si ritrovarono il giorno seguente presso la sala dei ricevimenti: Alistair e Riordan, che si conoscevano poiché il secondo aveva presenziato al rituale d’Unione del primo, erano seduti uno accanto all’altro e parlottavano fra loro. Come loro, i Cousland e tutti gli altri membri della compagnia erano seduti attorno al grande tavolo rotondo; attendevano che Arle Eamon giungesse insieme ad Anora, la quale aveva richiesto quell’incontro. Quando la porta si aprì, tutti si zittirono.
«Buongiorno a voi, Custodi e alleati. Perdonate il ritardo, ma il sonno della regina si è protratto più del previsto, per ovvie ragioni. Era esausta» si scusò l’uomo, facendosi poi da parte. «Per chi di voi ancora non l’avesse incontrata, vi presento la regina Anora.»
La regale figura di Anora attraversò la soglia della stanza: una donna alta, non ancora arrivata ai trent’anni, dagli occhi blu e dai capelli biondi raccolti in due folte crocchie intrecciate alla base della nuca. Le sue vesti di seta frusciavano impercettibilmente al suo passaggio; alle sue spalle giungeva Erlina, alla stregua di un’ombra.
«Vi ringrazio per l’ospitalità, Arle Eamon. E ringrazio voi tutti per avermi salvata e per aver accettato di parlare con me; avete dimostrato una grande gentilezza nei miei confronti, vista la mia… parentela con il vostro nemico» chinò appena il capo verso i presenti già seduti attorno al tavolo. Stranamente, fatta eccezione per i Cousland, nessuno di loro si alzò in piedi al suo cospetto: alcuni perché dalish, qunari o nani con usanze differenti, altri perché assassini abituati a uccidere persone come lei, altri perché cresciuti nelle Selve Korcari; altri, come Alistair, Riordan e Leliana, semplicemente per diffidenza. Ma la donna non pare farvi caso, anzi; la sua attenzione si focalizzò su una sola persona. Sussultò, portandosi una mano al petto non appena i suoi occhi si posarono su Alistair: rimase a fissarlo stravolta.
«Mia signora», accorse subito al suo fianco Erlina, «state bene?»
Anora ebbe bisogno di qualche istante per ricomporsi. «Sì, vi chiedo scusa. Io… non immaginavo che somigliaste tanto a mio marito Cailan» si rivolse ad Alistair. I suoi occhi si rivestirono immediatamente d’una solida corazza. «Siete indubbiamente figlio di re Maric. Dunque, mi pare di capire che sarete voi il prossimo re del Ferelden.»
«Oh, no, vostra altezza» si affrettò a smentirla Alistair. «La mia candidatura è solo un mezzo per ottenere udienza all’Incontro dei Popoli.»
Mentre Arle Eamon scuoteva la testa al suo fianco, Anora spalancò gli occhi e dischiuse appena le labbra per la sorpresa.
«Vostra maestà, dovete sapere che il qui presente Alistair vuole sfuggire alla sua responsabilità come ultimo erede dei Theirin» gli lanciò un’occhiataccia Fergus. «A nulla sono valse tutte le mie parole, la sera scorsa, pronunciate nel vano tentativo di convincerlo.»
Alistair rispose a tono mentre Arle Eamon faceva accomodare Anora accanto a Freya. «Trovo molto più responsabile ammettere la mia incapacità di governare una nazione, Fergus.»
«Vedete? Umiltà. Una dote che ogni re dovrebbe avere» s’intromise Freya. «Se soltanto impiegaste nel governare la stessa veemenza che avete nel rifiutarvi di salire al trono, sareste un re perfetto.»
«Vi darei ragione, se queste idee fossero tutte frutto della maturità di Alistair» sospirò Arle Eamon nel sedersi. Subito gli occhi verdi di Melinor, incorniciati dalle bionde sopracciglia aggrottate, scattarono in direzione del nobile.
«Se dovete lanciare delle accuse, Arle Eamon, fatelo senza tanti giri di parole. Noi dalish siamo abituati a essere franchi.»
«Non intendo accusare nessuno, lady Melinor. Ma dovete ammettere che la vostra relazione, così come la vostra personale opinione, hanno sicuramente un peso sulla presa di posizione di Alistair.»
Gli occhi esterrefatti dei Cousland e di Anora iniziarono ad alternarsi fra Melinor e Alistair.
«Voi due…?» mormorò Freya, ma nessuno l’ascoltò.
«La mia personale opinione non ha nulla a che vedere con la mia relazione con Alistair, che per inciso non vi riguarda» lo ribeccò l’elfa, con tono pacato ma perentorio. «Si dà il caso che la mia opinione dipenda dalla mia cultura. Noi non abbiamo re o regine, ma ogni clan è guidato dall’autorità del suo Guardiano. E ogni Guardiano deve guadagnarsi tale ruolo di guida. Io stessa ho iniziato il mio addestramento per diventare Guardiana a soli otto anni. Noi non metteremmo mai alla guida una persona impreparata, tantomeno una persona che non ha il desiderio di accettare tale ruolo. Inoltre, in quanto persona addestrata all’arte di saper prendere la decisione migliore per il bene comune, anche quando ciò va contro i miei personali interessi, se ritenessi che Alistair sarebbe un buon re sarei la prima a spingerlo su quel trono; ma ditemi, Arle Eamon… sareste disposto a giurare qui e ora che, senza una guida, Alistair sarebbe in grado di guidare una nazione?»
«Perdonatemi se mi permetto, ma credo che voi dalish, con la vostra società frammentata, sappiate ben poco su come si guida una nazione» ribatté l’uomo, piccato.
«Voi dite? Si dà il caso che pur essendo una “società frammentata”, come dite voi, il mio popolo sia in grado di far fronte comune nel momento del bisogno, nonostante le difficoltà e le incomprensioni che talvolta si generano fra i clan. Ne è la prova il fatto che ora là fuori c’è un Flagello, e mentre noi siamo qui a disquisire su chi debba indossare una corona, la mia gente sta cercando di riunirsi per aiutarci a liberare il Ferelden da questa piaga. Forse, Arle Eamon, la vostra società umana avrebbe solo da imparare dai dalish.»
Merevar strabuzzò gli occhi ed esordì con un sommesso fischio d’ammirazione. «Accidenti, la dalish si è risvegliata» bisbigliò divertito a Hawke, seduta accanto a lui. Morrigan, dall’altra parte del tavolo, sembrava divertita quanto l’elfo.
Una voce nell’atto di schiarirsi catturò l’attenzione generale: tutti spostarono lo sguardo su Anora. «Sembra che stiate dimenticando che il Ferelden ha già una regina competente in grado di guidarlo.»
«Con tutto il rispetto, Anora… dopo ciò che ha fatto vostro padre…» iniziò Eamon.
«Io non sono mio padre» l’interruppe Anora. «Posso comprendere che finora io non sia stata presa in considerazione a causa del suo operato, ma ora sapete che sono stata tradita come tutti voi. La Custode ha individuato con esattezza il problema di Alistair: non ha la competenza per guidare una nazione, soprattutto in una situazione così critica. Io ho governato per tutti questi anni insieme a Cailan, so far fronte a questa e alle future problematiche che attendono il Ferelden dopo la guerra. Inoltre, godo del favore del popolo.»
«Ma Alistair è un Theirin… il primo re del Ferelden, Calenhad, era un Theirin. La tradizione che vuole un suo erede sul trono deve continuare» obiettò Fergus.
«Sì, è un Theirin; ma solo per metà» gli fece notare Anora. «Credete che i nobili non lo tengano in considerazione? Vivevo a corte, prima che Howe mi rinchiudesse; ho sentito le voci, e parlavano di una linea di sangue ormai infangata. Senza contare che la stirpe dei Theirin è condannata in ogni caso… Alistair è un Custode Grigio, e in quanto tale non può mettere al mondo eredi.»
«La successione sarebbe un problema che avreste anche voi, se restaste in carica. In tutti questi anni non siete stata in grado di dare un erede a Cailan» puntualizzò Eamon.
Anora tradì un certo risentimento, unitamente a un forte dolore; ma il suono di due mani che sbattevano sul tavolo la distolse dal tumultuoso mare delle sue emozioni.
«Questo è un commento indelicato e offensivo!» esclamò Melinor, paonazza. «Dovreste vergognarvi a fare dei simili commenti verso una donna!»
Merevar e Alistair, al suo fianco, compresero subito che l’elfa si era sentita chiamata in causa. Non sapeva nulla di Anora, ma sapeva che lei non avrebbe mai potuto avere figli; comprendeva il dolore che aveva intravisto negli di Anora. Alistair abbassò lo sguardo, partecipe; Merevar le posò una mano sulla spalla, e lei subito si calmò.
«Avete ragione, io… vi chiedo scusa, Anora» si scusò l’uomo, messo con le spalle al muro dalla dalish. Anora asserì appena con il capo, ma non rispose.
«So che avete già raccolto molte prove contro mio padre, Custodi» disse invece, «e so che faticate a fidarvi di me; ma per provarvi la mia lealtà ho due piste che, se decideste di seguire, porterebbero a nuove prove incriminanti contro di lui… prove di una rilevanza piuttosto pesante. Potete decidere liberamente di seguirle o meno.
La prima pista riguarda l’enclave elfica qui a Denerim. Non so se ne siate al corrente, ma negli ultimi mesi c’è stato qualche problema laggiù… sembra ci sia stata una sorta di rivolta, dovuta a qualche problema con il figlio del precedente Arle di Denerim, morto in circostanze sconosciute poco prima della disfatta a Ostagar. Alcuni dicono che sia stato proprio un elfo dell’enclave a ucciderlo. Ad aggravare la situazione si è aggiunta un’epidemia, in seguito alla quale l’enclave è stata sigillata e messa in quarantena.»
«Dunque gli elfi sono intrappolati in quel buco?» distorse un sopracciglio Merevar.
«Sì, Custode. Mio padre è stato vago ogni qualvolta ho sollevato la questione, ma mi ha assicurato che d’aver provveduto a inviare dei guaritori. Solitamente ci rivolgiamo ai maghi del Circolo in questi casi, ma…»
«Ma avete saputo dei problemi con i maghi del sangue verificatisi a Kinloch Hold» terminò per lei Wynne. «Teyrn Loghain non può essersi rivolto al Circolo, questo è chiaro. Potrebbe essersi rivolto alla Chiesa, ma i curatori che prestano soccorso ai malati non possono fare molto contro epidemie vere e proprie…»
«Ho pensato la stessa cosa» asserì Anora. «La vaghezza di mio padre sulla questione non è stata rassicurante, e a confermare i miei timori è stato uno stralcio di conversazione che sono riuscita a origliare durante la mia prigionia presso la tenuta di Howe. Qualcuno fuori dalla mia cella parlava di maghi del Tevinter, di elfi e di navi…»
«No… non può essere» esclamò Fergus. «Non voglio cadere nei luoghi comuni, ma queste tre cose insieme fanno pensare a una sola cosa!»
«Schiavisti» quasi sputò la parola Merevar. I dalish conoscevano bene la triste sorte che toccava agli elfi nel Tevinter: costretti a una vita di schiavitù, usati come sacche di sangue per alimentare la magia proibita dei magister.
«Lo schiavismo è vietato, e severamente punito dalla nostra legge!» esclamò Freya. «Perché mai Teyrn Loghain si sarebbe abbassato a una cosa simile?»
«Perché i forzieri della tesoreria del Ferelden si sono svuotati, lady Freya» ammise Anora. «Come ben saprete le guerre sono costose, molti Bann si sono rivoltati contro mio padre e lui non sapeva più come racimolare ricchezze per le nuove armi e armature. L’enclave era un ulteriore problema, e così deve aver pensato di prendere due piccioni con una fava» terminò con un sospiro. «Spero tanto di sbagliarmi, ma se davvero mio padre si è rivolto a degli schiavisti...»
«Non sarebbe male avere una carta simile da sfoderare all’Incontro dei Popoli» considerò Alistair.
«Vale la pena investigare» fu d’accordo Melinor. Anora annuì, e subito dopo abbassò lo sguardo.
«Per quanto riguarda la seconda pista, invece… potrebbe essere pericoloso, ma se c’è qualcuno che può farlo siete voi Custodi Grigi». Le sue dita affusolate sparirono per un istante al di sotto della sua discreta scollatura: riemersero stringendo una piccola chiave dorata appesa a una catenina. La sfilò dalla testa e la posò sul tavolo. «Questa chiave apre un baule che mio marito Cailan aveva portato con sé a Ostagar. Aveva lasciato a me la seconda chiave, in caso…» sospese la frase a metà senza riuscire a terminarla. Deglutì prima di riprendere a parlare. «Teneva al suo interno la corrispondenza con l’imperatrice d’Orlais, Celene Valmont. Nonostante i dissapori e le guerre combattute dai nostri predecessori, noi eravamo concordi sul fatto che le nuove generazioni debbano cercare di collaborare in modo civile. Celene aveva dichiarato d’esser pronta a inviarci le sue truppe in qualsiasi momento per aiutarci, ma appena mio padre l’ha saputo è andato su tutte le furie. Ha iniziato a litigare con Cailan, accusandolo d’essere un ingenuo, dicendo che l’Orlais aspetta solo di vederci abbassare la guardia per riconquistare il nostro territorio… dopo il rientro da Ostagar, ha provveduto immediatamente a mandare un plotone al confine. L’esercito orlesiano era già in marcia, e quando si sono presentati al confine gli uomini di mio padre li hanno ricacciati indietro. Fra loro c’erano anche i Custodi Grigi dell’Orlais, e ser Riordan ve lo può confermare» disse, indicando il Custode.
«È tutto vero» confermò l’uomo. «Io sono riuscito a passare soltanto perché ero stato inviato prima, in avanscoperta. Dovevo raggiungere Duncan a Ostagar, ed ero quasi arrivato quando ho saputo della disfatta. Allora sono venuto a Denerim, ignaro della taglia sulla testa di tutti i Custodi… e sono stato messo in prigione.»
«Se riusciste a ritrovare il baule con i documenti, sarebbe un’ulteriore prova che mio padre ha ostacolato gli sforzi di Cailan di riuscire a vincere la guerra contro la prole oscura» riprese la parola Anora. «Inoltre, con le sue azioni ha danneggiato i nostri rapporti con l’Orlais, vanificando tutti gli sforzi di mio marito d’intrattenere rapporti amichevoli con l’imperatrice. Rimandandole indietro l’esercito le ha arrecato una grave offesa.»
«Quanto dite è vero, Anora. Ma vorreste davvero rimandare a Ostagar i Custodi? È pericoloso, loro sono solo in tre e laggiù pullula di prole oscura. Sembra quasi che vogliate allontanarli» disse Arle Eamon, sospettoso.
«Può sembrare così, ma vi assicuro che non ho intenzione di mettere in pericolo i Custodi. Sono gli unici in grado di porre fine al Flagello, e contrariamente a mio padre io non l’ho dimenticato. Se riterranno che sia troppo pericoloso, sono liberi di non andare.»
«Scusate se mi permetto», s’intromise Morrigan, «ma credo che non sia poi pericoloso come sembra. La prole oscura è apparsa inizialmente nelle Selve Korcari, è vero, ma il grosso dell’orda ormai si sarà spostato verso nord.»
«L’orda non è stata avvistata nemmeno nei pressi di Redcliffe, che è ben più a sud di tutte le altre arlee» obiettò Eamon.
«La ragazza non ha tutti i torti» intervenne Riordan. «La prole oscura si muove per lo più sottoterra. Il fatto che sia comparsa la prima volta nelle Selve potrebbe anche non significare nulla. Vogliono invadere il Ferelden, e poi il resto del mondo… dubito che siano ancora stanziati lì. Avranno senz’altro lasciato una retroguardia, però.»
«Sten, tu sei stato laggiù negli ultimi tempi» ricordò Merevar. «Com’è la situazione?»
«Assolutamente gestibile da tre Custodi Grigi» confermò il qunari. «Ci sono parecchi prole oscura, ma il grosso dell’orda si è spostato altrove.»
«Come volevasi dimostrare» riprese la parola Morrigan. «Inoltre, io e Melinor siamo tornate a Ostagar già una volta, in passato… abbiamo recuperato i trattati subito dopo la battaglia, quando l’orda era ancora lì. Non sarà un problema recuperarne altri, utilizzando le nostre abilità di mutaforma.»
La strega guardò Melinor dritta negli occhi: i suoi occhi gialli erano penetranti, e Melinor comprese subito dove voleva arrivare. Voleva tornare nelle Selve e assicurarsi che Melinor si confrontasse con sua madre. Era l’occasione perfetta.
«Sì, si potrebbe fare» decise dunque. Scambiò una rapida occhiata con Alistair, trovandolo d’accordo.
«Siete certi di volerlo fare? È davvero pericoloso» rimase dubbioso Eamon.
«Forse è più pericoloso per loro restare qui, Arle Eamon. I loro nemici sono tutti a Denerim» gli fece notare Leliana. «Saranno più al sicuro lontani da qui. Se partiranno a cavallo, potranno andare e tornare in due settimane, massimo tre. Torneranno in tempo per l’Incontro dei Popoli. Nel frattempo, una parte del nostro gruppo potrebbe restare qui e indagare nell’enclave elfica.»
«Mi sembra un buon piano» fu d’accordo Melinor. «Potresti occupartene tu?»
«Naturalmente, contate pure su di me. Mi servirà l’aiuto di Zevran per infiltrarmi nell’Enclave, è l’unico elfo che resta a disposizione… io potrei spacciarmi per una sorella della Chiesa, ho ancora le mie vecchie vesti. Mi lasceranno passare, vedrete.»
«Se avete bisogno di altro aiuto, anche Erlina può aiutare. In fondo è un’elfa anche lei» propose Anora, sotto lo sguardo non troppo entusiasta della sua sottoposta.
«Bene… sembra che abbiamo deciso» sospirò Arle Eamon. «Vado subito a dare ordine di preparare tutto per la vostra partenza, Custodi. Siete tutti liberi di andare» li congedò alzandosi in piedi. Tutti iniziarono a dirigersi verso la porta, un po' alla volta.
«Custode Melinor?»
L’elfa si sorprese nel sentirsi rivolgere la parola da Anora. «Sì?»
«Quando avrete un momento, gradirei parlarvi in privato. Noi due sole. Vi prego, raggiungetemi nei miei appartamenti appena vi sarà possibile.»
Melinor rimase basita a guardarla mentre usciva dalla stanza.
«Oh oh, voi due sole… potrebbe passare per un quadretto piccante, se non sapessi che è una donna immersa fino al collo nella politica» sghignazzò Zevran alle sue spalle.
«Credi che voglia parlarmi di politica?» gli chiese l’elfa, perplessa.
«Ma certo, è così che vanno queste cose. Vedrai che vorrà contrattare su qualcosa. Ti consiglio di portare Leliana con te, anche se ti ha detto di andare da sola.»
«Sono d’accordo» si avvicinò la diretta interessata. «Tu sei abile, Melinor, ma non conosci i sotterfugi perpetrati dalla gente come lei. Sarà meglio che io sia lì, in caso tentasse di raggirarti in qualche modo.»
«Forse sarebbe meglio non andare» esitò Melinor.
«Al contrario, amica mia. Potrebbe cercare di raggirarti, è vero; ma non credo sia così stupida. Al momento le conviene stare dalla nostra parte. Potrebbe anche avere in mente qualcosa di buono… è meglio accertarcene.»
Melinor annuì, anche se un po’ incerta. Decise di fidarsi di chi ne sapeva più di lei.
 
 
Un paio d’ore più tardi, Erlina aprì la porta. Assottigliò appena gli occhi.
«Non siete venuta da sola.»
«No, ma del resto nemmeno la regina è sola» ribatté Leliana al fianco di Melinor, gli occhi fissi in quelli dell’elfa nel vano della porta.
«Va bene così, Erlina. Lasciale entrare.»
L’elfa si scansò, permettendo alle due di entrare; Anora le attendeva con un sorriso, seduta sul divanetto di fronte al camino. «Io ho qui con me la mia dama di compagnia, è giusto che anche la Custode possa avere la sua» disse con una vena quasi scherzosa, sapendo bene che tutte le presenti avrebbero capito. A ognuna il suo bardo di fiducia. «Prego, accomodatevi.»
Melinor si sedette su una poltrona accanto al divanetto; Leliana preferì restare in piedi, poco più indietro di lei.
«Vi chiederete perché ho richiesto un incontro con voi da sola, immagino.»
«Me lo sono chiesta, sì» rispose Melinor, gli occhi attenti fissi sulla donna.
«Devo ammettere che sono rimasta colpita nel sentirvi parlare, un paio d’ore fa. I vostri compagni hanno scelto bene nell’eleggervi come capo. Non mi sarei mai aspettata una persona tanto oculata e capace, considerando le vostre origini… questo denota quanto poco noi umani conosciamo la comunità dalish. Le vostre considerazioni sono degne d’una dei migliori diplomatici. Per questo credo che voi siate la persona più adatta ad ascoltare ciò che ho da proporre.»
«Vi ascolto.»
«Ciò che vi propongo è un’alleanza, Custode: io parlerò in vostro favore all’Incontro dei Popoli, e in cambio voi sosterrete me come regina. Avete già espresso il vostro sfavore nei confronti di Alistair, ma potrebbe non bastare: avete sentito Fergus e Freya Cousland. Sono tradizionalisti, e come loro altri nobili insisteranno per vedere Alistair sul trono, in assenza di un candidato migliore. Vi servirà un candidato assai forte da proporre al suo posto: io sono la persona più adatta.»
Melinor la studiò per qualche istante prima di parlare. «Non avrei alcun problema a lasciare il trono a voi, e Alistair sarebbe più che d’accordo… capisco bene che avervi dalla nostra parte ci aiuterebbe molto, ma non vedo quale vantaggio potreste trarre voi dal nostro supporto.»
Anora ridacchiò. «Semplice: una volta che avrete esposto i crimini di mio padre, diverrete voi gli eroi. I nuovi eroi, che hanno smascherato colui che è sempre stato considerato una leggenda… l’eroe della battaglia del fiume Dane, colui che ha portato re Maric a sedere sul suo legittimo trono. Guadagnerete il rispetto che mio padre avrà perso, e allora la vostra opinione conterà più di qualsiasi altra. Inoltre, se lo stesso figlio di re Maric esprimesse il suo consenso nei miei confronti, nessuno avrebbe da obiettare.»
Melinor continuò a scrutarla con attenzione. «Voi siete davvero disposta ad agire così deliberatamente contro vostro padre? Non conosco molto delle vostre leggi, ma con una simile lista di crimini andrà certamente incontro a una sentenza di morte.»
Anora abbassò lo sguardo. «Lo so.»
«E la cosa vi sta bene?»
«Lasciate che metta le cose in chiaro, Custode. Mio padre ha ucciso mio marito, ha preso il mio posto come reggente e mi ha fatta rinchiudere in una cella. E forse ha seriamente considerato l’ipotesi di farmi uccidere. Per quanto io ce l’abbia con lui, però, resta pur sempre mio padre. Questo fa di me molte cose: una figlia tradita, una vedova in lutto, una regina derubata del suo ruolo. Ma gli voglio bene comunque; come potrebbe essere altrimenti? So che non è una giustificazione, ma lui è davvero convinto di aver fatto ciò che era meglio per il Ferelden. Dovete considerare che nella sua giovinezza ha vissuto un’occupazione militare e una guerra, ed è un’esperienza che lascia il segno. La guerra contro la prole oscura deve aver risvegliato in lui quel ricordo, che è poi sfociato nella paranoia; per questo ha agito così. Non vorrei vederlo morire, ma so che le sue azioni non potranno essere perdonate. Solo il Creatore sa quanto desidererei per lui il perdono dell’intero Ferelden, ma sono realista: non m’illudo, e so che non lo riceverà. Se voglio essere una buona regina, devo accettare che giustizia venga fatta; anche se va contro i miei affetti personali.»
Melinor non tradì alcuna emozione; sentiva su di sé lo sguardo di Leliana, quasi poteva udire il frusciare dei suoi pensieri. «Perché restare regina è così importante, per voi?»
«Perché amo il mio paese, proprio come mio padre; perché l’ho aiutato a crescere in questi anni, e perché non voglio vederlo distrutto. E poi è tutto ciò che mi resta di mio marito» aggiunse con un sospiro affranto.
«E non c’entra proprio nulla il fatto che, se vostro padre cadesse in disgrazia e venisse condannato a morte, il vostro titolo nobiliare potrebbe essere revocato?» intervenne Leliana a bruciapelo. Melinor si voltò per guardarla con tanto d’occhi; quando si girò nuovamente verso Anora, la trovò con un’espressione leggermente risentita.
«Erlina mi aveva detto che eravate abile. Dovete aver vissuto alla corte d’Orlais per parecchio tempo» quasi si complimentò la donna. «Ma devo smentirvi: io non ho fatto nulla per meritare la revoca del mio titolo. Sono sempre stata ben voluta dalla nobiltà e dal popolo, non oserebbero togliermi le terre appartenute a mio padre.»
«Ma volete comunque accaparrarvi il supporto dei Custodi, perché se volessero potrebbero distruggervi» continuò Leliana. «Vostro padre era un contadino, innalzato a Teyrn dal suo amico Maric; senza il supporto dei Custodi, dopo la caduta in disgrazia di vostro padre, le vostre terre farebbero gola a molti dei nobili fereldiani, che potrebbero rivalersi sulla vostra nobiltà farlocca.»
Melinor continuava ad assistere a occhi sgranati: fu lieta di aver portato Leliana, che la stava aiutando a comprendere le ragioni nascoste di Anora.
«Forse avete ragione; ma i Custodi non hanno motivo di non supportarmi, vi pare? Non sono stata altro che collaborativa nei loro confronti. E se proprio vogliamo essere puntigliosi, sono loro ad aver bisogno del mio supporto per primi. Cosa pensate accadrebbe se decidessi di parlare contro di loro all’Incontro dei Popoli?»
Melinor scattò sull’attenti, ma fu Leliana a replicare, un angolo della bocca appena sollevato. «È forse una minaccia, la vostra?»
«Perché, la vostra lo era?»
Le due rimasero a confrontarsi in silenzio per qualche istante, lo sguardo dell’una piantato in quello dell’altra. Alla fine, Leliana guardò Melinor e annuì. «Credo che Anora sia la candidata perfetta.»
L’elfa sembrò perplessa, e Anora rise. «Credo che il vostro bardo volesse mettere alla prova la mia abilità, Custode. È brava, tenetela sempre vicina a voi.»
Melinor guardò ancora una volta Leliana, cercando l’ennesima conferma nei suoi occhi. E la trovò.
«E va bene, vostra altezza. Ci aiuteremo a vicenda.»
Anora sorrise e fece un piccolo inchino col capo. «Vi ringrazio, Custode. In questo modo tutti ne usciremo vincitori, il Ferelden in primo luogo». Rimase in silenzio alcuni secondi, incerta. «Siete sicura che Alistair non avrà problemi a rinunciare per sempre ai suoi diritti di successione?»
Fu il turno di Melinor di ridacchiare. «Ne sono assolutamente certa.»
Anora sorrise, ma stavolta in modo più sincero. «Che rimanga fra noi, Custode Melinor… ciò che avete detto su Alistair, sulla vostra convinzione che non sarebbe un buon re… davvero la vostra relazione non vi ha influenzata? Nemmeno in parte?»
«Tutto ciò che ho detto alla riunione corrisponde al vero. Ciò non toglie che il fatto di poterlo tenere al mio fianco mi renda felice» ammise senza problemi.
«Voi sì che sareste un’ottima regina» ridacchiò l’altra. «Perdonatemi se vi sono sembrata indiscreta con quest’ultima domanda. Ma so bene quanto il fascino dei Theirin sia travolgente, e pensavo vi avesse influenzata almeno in piccola parte.»
Il ricordo di Cailan attraversò la mente di Melinor: lo rivide, fiero e sorridente mentre accoglieva le due nuove reclute dalish dei Custodi Grigi, e poi lo rivide stretto nel pugno dell’ogre che gli aveva strappato la vita. «Ho conosciuto vostro marito, a Ostagar. Era un uomo di buon cuore, ha accolto me e mio fratello come se fossimo dei vecchi amici.»
«Sì, Cailan era fatto così» sorrise tristemente Anora.
«Mi dispiace per la vostra perdita. Da come ne parlate, sembra che il vostro legame sia stato davvero molto forte.»
«Era mio marito… è naturale» quasi si stupì Anora.
«Vi chiedo scusa, ora sono stata io a essere indiscreta. È che sono al corrente dell’abitudine dei nobili di sposarsi per questioni politiche, quindi pensavo…»
«Oh, capisco. È vero, non sempre i matrimoni combinati sono felici. Io e Cailan siamo stati fortunati. Siamo cresciuti insieme, vista l’amicizia che legava i nostri genitori; era inevitabile che finisse così, fra noi…» s’interruppe. Si schiarì la voce, ma a Melinor non sfuggì il luccichio nei suoi occhi blu. «Ma ora vi ho trattenuta fin troppo. Sono certa che abbiate molto a cui pensare, data l’imminente partenza per Ostagar. Partirete domani?»
«Sì, in mattinata.»
«Allora fareste meglio a riposare. Vi attende un lungo viaggio» disse Anora alzandosi in piedi. Condusse lei e Leliana fino alla porta, e si congedarono. Mentre camminavano e Leliana le esponeva il suo pensiero, Melinor non poté fare a meno di pensare ad Anora: si era rivelata una donna astuta, che rincorreva il potere come tutti i nobili; ma dietro a quella facciata c’era una donna come tutte le altre, con le sue debolezze e i suoi fardelli, che ne aveva passate tante in quei lunghi mesi. Proprio come lei.

 

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Capitolo 44
*** Su due fronti ***


«Puah. Questo è il motivo per cui sto alla larga dalle enclavi» si lamentò Erlina, guardando con sdegno le povere vesti che le erano state rifilate.
«Siamo un po’ viziatelle, eh?» la prese in giro Zevran, conciato da poveraccio proprio come lei.
«Non direi proprio, mio caro Corvo di Antiva. Io ci sono cresciuta, in un’enclave. E quando ne sono finalmente uscita, ho giurato di non rimetterci mai più piede.»
«Se siete cresciuta in un’enclave, dovreste essere più compassionevole verso le vesti povere e chi è costretto a indossarle» alzò un sopracciglio Wynne, sdegnata.
Erlina le lanciò un’occhiataccia e bisbigliò a Leliana, che camminava accanto a lei. «Era proprio necessario portare la vecchia bacchettona?»
«Riesco a sentirti, sai. Le mie orecchie funzionano ancora benissimo, nonostante l’età.»
«Wynne è una maga molto abile ed esperta, Erlina. Stiamo andando in mezzo a maghi del Tevinter, ci serve una maga» mediò Leliana.
Erlina aggrottò le sopracciglia, infastidita.
Ben presto furono davanti ai cancelli dell’enclave elfica. La guardia posta a sorveglianza dell’ingresso si fece avanti.
«Elfi? Fuori dall’enclave?» esclamò.
«Sono rifugiati appena giunti a Denerim, soldato…» Leliana fece gli occhi dolci alla guardia, attendendo che le dicesse il suo nome.
«… Lorence» rispose il giovane, abbassando la picca.
«Io sono sorella Leliana, soldato Lorence. Servivo presso il chiostro di Lothering, e ora aiuto qui come posso insieme alla mia collega» indicò Wynne, la quale salutò con un cenno del capo. «Questi elfi sono appena arrivati a Denerim nella speranza di ricongiungersi ai loro familiari nell’enclave.»
«Ma l’enclave è in quarantena a causa dell’epidemia. Voi dovreste saperlo. Non avete informato questi due che se entrano potrebbero venire infettati?» obiettò la guardia.
«Vi prego, vi prego! Non possiamo starcene qui fuori mentre i nostri cari sono là dentro, rischiando la vita!» implorò Erlina, dando il meglio di sé e camuffando il suo accento orlesiano. La guardia la guardò con disprezzo, scuotendo la testa.
«Voi siete pazzi, ma se volete entrare…» esitò guardando le due false sorelle della Chiesa. «Bene, li farò entrare. Voi potete andare.»
«A dire la verità, speravamo di poterli accompagnare. La Venerata Madre ha acconsentito a lasciarci entrare come volontarie. Vogliamo dare l’estrema benedizione agli elfi che non ce la faranno» disse con aria triste Leliana.
«Ma potreste subire un contagio!» esclamò la guardia. «Non potrete più uscire, una volta esposte al morbo!»
«Staremo attente. Io sono un’esperta curatrice, giovanotto» s'inserì Wynne, aggrappandosi al suo bastone come una qualsiasi vecchina, facendolo passare per un comune supporto. «Prenderemo le dovute precauzioni per evitare di esporci al virus. Usciremo una volta passata l’epidemia.»
«La prego, soldato Lorence» insistette Leliana, avvicinandosi all’uomo. «Dopo ciò a cui siamo scampate, a Lothering… non possiamo starcene con le mani in mano. Vogliamo aiutare, in nome del Creatore.»
«Io… ah, e va bene» si arrese la guardia, girandosi e aprendo il cancello. «Potete entrare. Che il Creatore vi assista e vi protegga… lo meritate.»
«Grazie, soldato Lorence» gli sorrise Leliana. Insieme, i quattro varcarono la soglia dell’enclave.
«Uomini» rise Erlina, mentre i loro piedi iniziavano a sprofondare nella terra umida.
«Così questa è un’enclave…» disse Zevran, guardandosi attorno atterrito.
«Ora capisci perché non volevo tornarci?» bofonchiò Erlina.
«Per il Creatore» mormorò Wynne. «È davvero così che vivono gli elfi?»
Lo sfacelo imperava in quel miserando quartiere: le strade sterrate erano una poltiglia di fango misto ai liquidi più nefandi, che emanavano un puzzo terribile. Le case erano poco più che baracche di legno malandate, e l’immondizia era impilata agli angoli delle strade. Oltrepassarono ciò che restava d'un orfanotrofio dopo un incendio, avvenuto probabilmente poco tempo prima. Elfi malati erano accasciati ovunque, riconoscibili dagli incarnati pallidi e dai colpi di tosse che emettevano a intervalli regolari.
Arrivati nella piazzetta centrale dell’enclave, trovarono una gran folla. Una moltitudine di elfi era accalcata alle porte di un edificio, la cui porta era sorvegliata da più maghi.
«Magister del Tevinter» mormorò Wynne, riconoscendo lo stile e la fattura delle loro vesti. «Santo cielo, allora Anora aveva ragione…»
«Ehi, guardate quella» Zevran indicò una giovane elfa dai corti capelli rossi che strepitava arrabbiata contro i maghi. «Sembra proprio un peperino…»
«Non siamo qui perché tu faccia il cascamorto, antivano» grugnì Erlina, andando a passi decisi verso la folla. «Che sta succedendo qui?» chiese agli elfi.
«Non sei di qui» gli disse uno di loro.
«Mi hanno appena sbattuta qui dentro, nonostante l’epidemia. Sai come vanno le cose, quando si tratta di noi orecchie a punta» replicò l’elfa, che evidentemente conosceva bene i sentimenti d’ogni elfo di città.
«Già» brontolò quello. «Beh, sappi che l’epidemia qui è davvero brutta. La folla che vedi è in fila per ricevere il trattamento di questi maghi del Circolo.»
«Hanno mentito a tutti loro» bisbigliò Zevran, che origliava da lontano. «Sarà stato facile, dato che questi elfi non sapranno neanche com’è fatto un mago del Circolo fereldiano.»
«Non dargli retta, si è fatto abbindolare da questi maghi come tutti gli altri!» urlò una voce a Erlina. Dalla folla emerse la ragazza ribelle dai capelli rossi, che aveva ascoltato la conversazione fra Erlina e l’elfo. «Questi maghi non ci stanno aiutando, ci stanno facendo sparire!»
«Oh, Shianni… piantala con questa storia! Mia sorella era malata, ed è tornata a casa completamente guarita!» ribatté seccato l’elfo.
«Davvero? E che fine hanno fatto tutti gli altri? Li hai mai visti tornare?» rincarò la dose Shianni.
«Saranno morti, Shianni! C’è bisogno di dirlo? Erano malati!»
«Valendrian non era malato, e lo sai!» squittì l’elfa stringendo i pugni. «E come lui, molti altri!»
«Vuoi dire che i maghi mettono in isolamento anche elfi sani? Senza motivo?» inarcò un sopracciglio Erlina.
«Non darle retta, Shianni è un po’ paranoica quando si tratta di umani. Persino quando cercano di aiutarci» disse l’elfo a Erlina. Ma la mano di Shianni gli rivoltò la testa con un sonoro schiocco; quando Erlina la guardò, aveva gli occhi colmi di lacrime e il volto paonazzo, una rabbia repressa che lottava per esplodere.
«Gli umani non aiutano la nostra gente, mai! Sanno solo farci del male!» singhiozzò, e corse via.
Erlina tornò dagli altri, perplessa. «Quella ragazza deve averne passate di brutte a causa degli umani…» mormorò fra sé, guardando il punto in cui Shianni era sparita oltre l’angolo. Si rivolse ai suoi compagni. «Sembra che i magister stiano prendendo “in cura” anche elfi sani.»
«Decisamente sospetto» mormorò Leliana, serissima. «Dobbiamo riuscire a entrare in quell’edificio.»
«Non sarà facile, con tutti quei magister. Inoltre, dubito che lasceranno vagare per l’enclave due sorelle della Chiesa. O hai dimenticato che il Tevinter ha la sua Chiesa e non vuole avere niente a che fare con la nostra?» le fece notare Zevran. Al che, Leliana s’illuminò.
«Zevran, sei un genio!» esclamò. «So come entrare. Seguitemi.»
«Grazie, tesoro. So di essere geniale, anche se a volte mi sfugge il perché» ridacchiò l’antivano, superbo come suo solito.
Tutti e tre andarono dietro a Leliana senza esitare; non appena i magister videro lei e Wynne, con le loro vesti della Chiesa Andrastiana, ostentarono espressioni ostili.
«Cosa ci fate qui? Ci era stato detto che la Chiesa non avrebbe interferito!» esclamò uno di loro, adirato; ma il suo tono si ridimensionò alle prime occhiate perplesse degli elfi presenti. Si schiarì la voce. «Voglio dire, non dovreste essere qui… potreste ammalarvi.»
«Lo sappiamo, ma ci siamo offerte volontarie per questa missione. Vedete, la mia collega qui è un’esperta curatrice, e ha trovato l’antidoto per il morbo di cui soffre l’enclave. Vorremmo discuterne con il vostro Primo Incantatore, vedere cosa ne pensa e valutare l’eventuale possibilità d’intensificare l’efficacia del preparato curativo con la magia.»
«Primo Incantatore…?» rimase spiazzato il mago.
«Sì, naturalmente. Immagino che il Circolo dei Maghi l’avrà inviato qui a supervisionare tutto, no?» continuò Leliana, fingendo di credere alla loro copertura ufficiale.
«Ah, sì… sì, certo» sfoggiò un falso sorriso il mago. «D’accordo, vi porterò da lui… e questi due? Sono con voi?» spostò lo sguardo su Erlina e Zevran.
«Sì, sono profughi malati che ci hanno fatto da cavia. Vorremmo che il Primo Incantatore li esaminasse.»
«Va bene, sorelle… venite con me. Vi portiamo subito dal Primo Incantatore. Seguitemi» sghignazzò il mago, conducendoli dentro l’edificio. Leliana ed Erlina si scambiarono un fugace sorrisetto: l’uomo credeva di averli in pugno, mentre era vero invece il contrario.
Li condusse attraverso angusti e luridi corridoi; sbirciando attraverso le stanze con le porte aperte, videro parecchi elfi malati distesi nei loro letti. Scesero fino ai sotterranei dell’edificio: una volta arrivati, si trovarono in una grande stanza piena di elfi rinchiusi in varie gabbie, alla stregua di animali. Se lo aspettavano, ma quella vista li sconcertò comunque.
«Avreste dovuto restarne fuori, sorelle. Ora farete la stessa fine di questi schiavi» sghignazzò il mago alle spalle di Leliana, sussurrandole all’orecchio. Quella sorrise in modo inquietante.
«Anche voi.»
Un pugnale scivolò rapido sotto alla sua manica, e rapida lo impugnò: uno zampillante scintillio cremisi iniziò a sgorgare dalla gola del mago, che morì con espressione incredula fra le esclamazioni delle guardie presenti. Gli schiavisti si fiondarono sul gruppo: ormai tutti avevano sfoderato le loro armi nascoste, e si lanciarono nel combattimento. Mentre i tre assassini danzavano la loro mortale danza di lame mietendo vittime fra i soldati, Wynne teneva a bada i maghi da lontano. Gli elfi prigionieri incitavano i nuovi arrivati dalle loro gabbie, vedendo in loro dei salvatori. La carneficina continuò per parecchi minuti: i soldati del Tevinter erano bravi, ma non abbastanza astuti e preparati per fronteggiare due bardi d'Orlais e un Corvo di Antiva.
La porta dello scantinato si aprì e un magister apparve: guardò con orrore tutti i suoi uomini massacrati sul pavimento. Alzò subito le mani in segno di resa. «Fermi! Mi arrendo!» gridò, incitando le guardie armate alle sue spalle ad abbassare le armi. «Chi siete voi? Cosa volete?»
«Chi siamo?» prese l’iniziativa Merevar. «Noi siamo i Custodi Grigi, Merevar e Melinor!»
Le tre donne insieme a lui rimasero interdette, così come il magister. Gli elfi nelle gabbie si misero a mormorare, eccitati: voci delle gesta dei Custodi gemelli erano arrivate persino all'enclave.
«Ho sentito che eravate gemelli…» protestò debolmente il magister.
«Non identici» fece spallucce Zevran, perfettamente a suo agio con la sua identità rubata.
«Signore, ho sentito voci sui due Custodi… sarebbe meglio non…» bisbigliò un soldato al magister, ma egli l’interruppe alzando un dito.
«Non alcun desiderio di scontrarmi con voi. Ditemi, Custodi: perché siete qui?» chiese loro.
«Sappiamo che avete un accordo con Loghain» si fece avanti Erlina. «Vogliamo il contratto che avete stipulato con lui.»
«Capisco; volete avere la meglio su Loghain in occasione del tanto chiacchierato Incontro dei Popoli… in questo caso, forse, possiamo aiutarci a vicenda» propose il magister con la sua voce viscida. «Io vi consegno i documenti, e voi ci lasciate andare con il nostro carico di schiavi. Vi sembra accettabile come scambio?»
«D’accordo» non si fece pregare Erlina. Zevran le lanciò un’occhiata, come a volersi accertare di qualcosa; dopodiché, fra le proteste indignate degli elfi imprigionati, annuì a sua volta.
«Molto bene. Allora aspettate qui, cortesemente. Tornerò subito con i documenti.»
Il magister si assentò una manciata di minuti, e poi riapparve con gli incartamenti. Li consegnò a Erlina. «Bene, ora potete andare. Noi lasceremo l’enclave entro ventiquattr’ore. Tornate pure a controllare, se lo desiderate.»
«Che ne direste, invece, di andarvene ora?» sghignazzò Zevran. «Da morti?» aggiunse, alzando entrambe le sue lame corte.
«Ma… avevamo un accordo!» s’incollerì il magister.
«E voi siete stato così stolto da credere che due elfi vi avrebbero permesso di portare via in catene altri elfi?» disse Erlina, con disprezzo. Alzò i suoi pugnali, pronta ad attaccare l’uomo.
«Pessima decisione…» sospirò questi, tranquillo.
Il terribile suono di ossa rotte giunse agli orecchi dei quattro infiltrati: si voltarono per vedere alcuni degli elfi prigionieri cadere a terra in un bagno di sangue.
«Magia del sangue!» esclamò Wynne, ma ormai era troppo tardi: uno strano incantesimo, a lei sconosciuto, li aveva immobilizzati tutti. Potevano avvertire i loro organi accartocciarsi su loro stessi, pronti a collassare a uno schiocco di dita del magister. I sensi iniziavano a svanire, lontani, insieme alle risate del mago del sangue.
No… non può finire così… pensò Wynne, pervasa dal dolore. Aiuto… aiutami!
Uno scoppio di luce bianca liberò i quattro dalla presa del magister: Leliana e i due elfi caddero a terra, stremati. A malapena riuscirono a risollevare le teste per guardare la scena allibiti: Wynne brillava, una sorta di visione paradisiaca che agitava il bastone con maestria, atterrando ogni nemico nella stanza. Spire di luce emanavano dalla sua figura, e il magister non poté far nulla contro di lei: cadde morto come tutti gli altri, senza nemmeno un grido. Solo allora l’aura di Wynne si spense, facendola regredire al suo solito aspetto; si aggrappò al bastone, esausta, ma non resse a lungo prima di cadere sulle ginocchia. Leliana, ancora dolorante, accorse in suo aiuto.
«Wynne, cosa… cos’è successo? Sembravate… non eravate più voi, sembravate quasi…»
«Posseduta» terminò la frase Erlina, sospettosa.
«Si, io… potrei aver tenuto nascosto a Melinor un piccolo dettaglio» confessò l’anziana. «Prima del vostro arrivo al Circolo, c'è stato un momento in cui ho affrontato uno degli abomini. In quell’occasione, io… credo di essere morta.»
«Morta?» esclamò Leliana. «Ma voi siete viva!»
«Sì, questo è vero grazie a uno spirito… uno spirito benevolo che mi protegge da sempre. Ricordo di averlo sempre sentito vegliare su di me durante i miei viaggi nell’Oblio, sin da quand’ero una bambina. Lui mi ha riportata in vita, o meglio… mi sta tenendo in vita.»
«Wynne… siete sicura che non si tratti di un demone?» insinuò Leliana, con quanto più tatto possibile.
Per tutta risposta, Wynne sorrise. «Quello che hai visto ti è sembrato opera di un demone?»
Leliana non rispose; dovette ammettere che ciò a cui aveva assistito aveva più l’aria di un miracolo.
«Vi prego» aggiunse Wynne, rivolgendosi ai suoi compagni, «non dite nulla a Melinor. Ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi, non aggiungiamone un’altra alla lista.»
«Capisco ciò che dite, Wynne, ma dovremmo davvero tenere nascosto a Melinor il fatto che siete… un poco morta?» obiettò Zevran.
«Va bene così, Zevran» intervenne Leliana. «Wynne sa il fatto suo. Se dice che siamo al sicuro, io le credo. E poi saremmo tutti morti se non fosse per lei, no?»
«E va bene» si tirò su Zevran come se nulla fosse accaduto. «Avanti, liberiamo questi elfi e torniamo da Arle Eamon.»
 
 
Una settimana più tardi, due lupe avanzavano sul ponte che portava all’avamposto di Ostagar. Morrigan aveva insegnato a Melinor uno dei trucchetti di Flemeth, che permetteva di assumere l’aspetto e l’odore di animali corrotti dal sangue della prole oscura; sarebbero così passate inosservate fra gli eventuali nemici stanziati presso il vecchio accampamento dell’esercito reale.
Man mano che avanzavano, un forte odore di morte invase le loro narici rese ancora più sensibili dalla forma di lupo.
Per Fen’harel… cos’è questa puzza? rantolò Melinor.
Oh, che schifo… credo sia lui, alzò il muso verso l’alto Morrigan.
Melinor rimase scioccata dalla visione: un corpo in avanzato stato di decomposizione era stato legato a un rozzo insieme di pali che svettavano sul ponte. Le mosche ronzavano tutt’attorno, si potevano notare le lacerazioni provocate dai becchi degli uccelli che si erano nutriti della carcassa; i capelli biondi erano rinsecchiti, scompigliati e sparpagliati sul viso squadrato.
Re Cailan… lo riconobbe l’elfa, sconvolta. Rimase impalata sulle sue quattro zampe, gli occhi fissi sul cadavere esposto lì dalla prole oscura, probabilmente un monito a chi osasse entrare lì, o un trofeo esposto con orgoglio. O entrambe le cose.
Andiamo, Melinor. Dobbiamo fare in fretta.
L’elfa si costrinse a distogliere lo sguardo e a seguire Morrigan fino all’ex accampamento. Il luogo si rivelò per lo più deserto: qualche genlock si aggirava in lontananza, senza degnarle nemmeno di uno sguardo.
Ti avevo detto che i lupi corrotti sono spesso in zona. Quei mostri non ci calcolano nemmeno di striscio, gongolò Morrigan. Su, fai strada.
Melinor svoltò a sinistra, dove sapeva esserci la tenda di Cailan: ormai era ridotta a un ammasso di pali spezzati, schegge di legno e brandelli di stoffa. Avvistarono il baule immediatamente: era imbrattato e un po’ ammaccato, ma rispondeva alla descrizione fornita da Anora.
Aspetta, ti aiuto. Morrigan si avvicinò a Melinor, che abbassò la testa pelosa: la strega afferrò con i denti la catenina che aveva intorno al collo e gliela sfilò via, lasciandola cadere a terra. Tu apri il baule, io controllo la situazione.
Morrigan si mise ad annusare e scavare lì attorno come un lupo qualunque, mentre l’altra prendeva con qualche difficoltà la chiave fra i denti e tentava d’infilarla nella serratura. Non fu affatto semplice, la chiave le scivolava via di continuo e ringhiò parecchie volte prima di riuscire a far scattare la serratura; si aiutò poi con muso e zampe per sollevare il coperchio. Iniziò a frugare con le zampe fra i piccoli oggetti appartenuti al re, finché non scoprì un plico di lettere sul fondo del baule.
Trovate! uggiolò, e le prese fra le fauci.
Visto? È stato facile. Ora andiamocene di qui prima di attirare troppo l’attenzione. Morrigan si diresse senza esitazione verso il cancello d’uscita, che riportava al ponte; coprì Melinor alla vista, in modo tale che i pochi genlock presenti non vedessero ciò che portava fra le zanne.
Una volta al sicuro sul ponte, Melinor si fermò ancora davanti al cadavere di Cailan.
Sbrigati, non possiamo restare qui a lungo! Soprattutto con questo tanfo! brontolò la strega.
Voglio tirarlo giù da lì, la spiazzò l’altra. Non merita di finire così.
Sei impazzita? Non mi sembra il momento per una delle tue buone azioni! abbaiò Morrigan. Melinor lasciò cadere il plico di lettere e rizzò il pelo sulla schiena, spazientita.
Ti ricordo che siamo venuti qui perché tu hai insistito! Mi hai chiesto di uccidere tua madre, una delle streghe più potenti mai conosciute, e io ho accettato di aiutarti anche sapendo che potrei restarci secca! Potresti anche sforzarti e farmi un piccolo favore!
Morrigan non seppe come ribattere, punta sul vivo. Espirò con forza. E come pensi di tirarlo giù da lì, senza tornare alle nostre forme reali?
Tu fai quello che faccio io, replicò l’elfa, lo sguardo che indugiava sulle fiaccole poste ai piedi del corpo martoriato.
Pochi minuti più tardi, un tonfo attirò l’attenzione di un genlock, che accorse immediatamente: vide due avvoltoi appollaiati sulla struttura di pali, e le corde che tenevano su il corpo del re, ora irrimediabilmente rosicchiate, penzolavano mosse dalla brezza. Il corpo, cadendo, aveva urtato e rovesciato le fiaccole finendo col prendere fuoco; gli sembrò ovvio. Guardò malamente i due avvoltoi che, a parer suo, avevano mangiucchiato anche dove non avrebbero dovuto; si voltò e lasciò la pira improvvisata a bruciare.
 
 
Merevar, Hawke e Alistair attendevano il ritorno delle loro compagne all’accampamento.
«Melinor è strana, ultimamente» esordì Hawke, rompendo il silenzio. «Non so, è come… se avesse esaurito la pazienza.»
Gli altri due non dissero nulla; rimasero con aria pensosa a fissare il falò da campo.
«Sono preoccupata per lei» continuò la fereldiana, imperterrita. «Durante il viaggio fin qui, poi, è stata ancora più strana… si appartava quasi più con Morrigan che con te», pungolò Alistair; «stavano sempre a parlottare in disparte… come se avessero qualche segreto tutto loro» insinuò, nella speranza che uno dei due dicesse finalmente qualcosa. Ma al loro ennesimo silenzio perse la pazienza. «Voi ne sapete niente?»
Alistair scosse tristemente il capo, dando a vedere che anche lui aveva notato l’insolito comportamento della sua compagna. Hawke guardò quindi Merevar.
«Non mi ha detto niente» replicò semplicemente l’elfo.
«Ma sai qualcosa» non demorse lei. «So come siete voi gemelli, Bethany e Carver erano uguali a voi due. Avete una specie di strana telepatia per cui sapete sempre tutto uno dell’altra.»
Proprio in quell’istante, due avvoltoi sorvolarono il loro campo. Hawke strizzò gli occhi e vide che uno dei due stringeva un mucchietto di carta, e l’altro un sacchetto di pelle. Planarono fra loro e ripresero le loro forme abituali.
«Ci avete messo un sacco di tempo» osservò Merevar.
«Ringrazia tua sorella» si stiracchiò Morrigan mentre si riappropriava della sua forma umana. Lanciò il sacchetto ad Alistair, che lo prese al volo. «Quello potete anche tenervelo, non ci tengo a riaverlo visto il contenuto.»
Melinor posò a terra gli incartamenti recuperati e si avvicinò ad Alistair. «Abbiamo un vaso, o una fiala… insomma, un contenitore carino?»
«Solo fiale di vetro per le pozioni» replicò lui, perplesso. «Perché?»
«Vorrà dire che resteranno nel sacchetto, per ora… comprerò un’urna a Denerim» ignorò la domanda l’elfa.
«Un’urna? Cosa c’è qui dentro?» alzò il sacchetto Alistair.
«Tuo fratello» rispose Morrigan col suo proverbiale tatto. Il ragazzo guardò Melinor con aria spaesata.
«Abbiamo trovato il suo corpo. La prole oscura l’aveva profanato, appendendolo come uno stendardo… non potevo lasciarlo lì» Melinor abbassò lo sguardo sul sacchetto. «L’abbiamo bruciato e raccolto le ceneri. Voglio restituirle ad Anora. Per questo abbiamo tardato.»
Nessuno commentò; persino Morrigan decise di starsene in silenzio.
«Forza, andiamo a dormire. Domani… ci aspetta una giornata pesante» disse Melinor con fare distante. «Io vado a rinforzare l’incantesimo della barriera protettiva e vi raggiungo.»
Tutti si andarono a infilare nelle proprie tende, eccetto Alistair; lui seguì Melinor al margine del campo.
«Melinor, cos’hai?»
«Niente, è stata una brutta giornata. Sono solo stanca.»
Prima che potesse alzare le mani per lanciare il suo incantesimo di rinforzo, Alistair la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo. «Non mentirmi. È da un po' ormai che sei strana, l’hanno notato tutti. Ormai non mi parli nemmeno più.»
«Ma che dici, ti parlo tutti i giorni!»
«Non di te, o di come stai! Riesci a mascherarlo bene, ma ho notato come reagisci ultimamente. È come se avessi esaurito la pazienza» rubò le parole di Hawke. «Non liquidarmi dicendomi che sei solo stanca.»
«Ma è vero, Alistair. Io sono davvero stanca. Sono stanca di… di tutto questo, di dover sempre tenere duro. Sono stanca di non potermi fermare mai un momento, sono stanca di quei ridicoli nobili e delle loro macchinazioni! Sono stanca per questa storia dell’Incontro dei Popoli, sono stanca di aver paura che ti costringano a diventare re, e adesso… ci mancava anche questa!» buttò una mano a indicare le ceneri di Cailan.
«Sei tornata sconvolta», mormorò lui. «Perché?»
Melinor sembrò diventare improvvisamente ancora più piccola di quanto non fosse. «Ti ricordi come ha reagito Anora, quando ti ha visto la prima volta? Sembrava avesse visto un fantasma. Io non avevo notato la somiglianza fra te e Cailan, quando vi ho conosciuti; un po’ perché ero troppo impegnata ad ambientarmi, e un po’ perché non provavo ancora niente per te. Ma ora… averlo visto lì appeso… nonostante la decomposizione era ancora riconoscibile, e io… avresti potuto essere tu» si nascose il viso fra le mani. «Ho realizzato che non potrei sopportare di perderti. Potrei perdere Merevar, e gli altri. Non voglio più perdere nessuno, io… non ce la farei.»
Alistair le rivolse un sorriso triste; l’attirò a sé e la cinse nel suo abbraccio. «Non mi succederà nulla. Vedrai, ce la caveremo… tutti quanti. Siamo arrivati fin qui, no?»
«Questo non puoi saperlo! Finora siamo stati fortunati!»
«Fortunati?» Alistair la prese per le spalle per guardarla bene in viso. «Melinor, non ce n’è andata dritta una! Quando ci serviva Arle Eamon, era stato avvelenato e un demone vegliava su di lui. Ci servivano i maghi, e il Circolo era in delirio; i dalish erano in guerra con i mannari, e a Orzammar… non voglio nemmeno pensare a quello che abbiamo passato nelle Vie Profonde». Scosse la testa, quasi ridendo. «Non siamo stati fortunati, siamo stati dannatamente bravi!»
«Ma adesso ci aspetta il Flagello» non si lasciò convincere lei. «Tu eri sulla torre quella volta, ma io ho vissuto la battaglia di Ostagar. L’orda non era ancora al suo massimo, e non c’era l’arcidemone… eppure guarda come ci hanno annientati!»
Alistair si fece serio. «Lo so, non sarà facile. Ma non possiamo permetterci di crollare proprio adesso. Dobbiamo continuare a crederci. Se non ci crediamo noi, gli unici Custodi Grigi rimasti… l’esercito cadrà preda dello sconforto.»
Melinor tirò su col naso e si ricompose. «Hai ragione.»
Si abbracciarono e restarono così, a trarre forza l’uno dall’altra.
 
 
«Hai finito di origliare?»
Nella tenda, Merevar si voltò verso Hawke. Con il suo affilato udito da elfo cacciatore, era riuscito a sentire la conversazione tra la coppia.
«Allora, cos’ha Melinor?»
«Vedere il cadavere del re l’ha sconvolta.»
«Per via della somiglianza con Alistair, vero?»
L’altro annuì. «Ha paura di vederci morire.»
«E come possiamo biasimarla?» sospirò Hawke, distogliendo lo sguardo. Merevar rimase a osservarla: capì che, nonostante la sua forza, anche Hawke temeva di perdere i suoi cari. Temeva di perdere lui. Pensò a quanto fosse prezioso ogni loro minuto, a come tutto poteva finire dall’oggi al domani. D’impulso, andò a sedersi di fronte a lei.
«Dammi il braccio sinistro.»
Lei lo guardò perplessa, ma ubbidì senza fare domande. Rimase a guardarlo mentre armeggiava con le mani dietro al collo: fra le sue mani rimase la sottile funicella di cordino dorato che l’elfo indossava sempre. Iniziò ad arrotolarla attorno al polso della ragazza.
«Mi stai facendo un regalo?» chiese allegramente lei.
«Più o meno». Merevar rimase con le due estremità del cordino fra le mani, ormai troppo corte per girare ancora una volta attorno al polso di lei. «È un’usanza dalish. Rappresenta una promessa.»
«Una promessa?»
«Sì. Ogni ragazzo, quando supera il rito di passaggio a elfo adulto, riceve dal Guardiano una cordicella come questa. Si chiama “nodo degli amanti”: quando due giovani si scelgono, lui dona a lei questo cordino. Se non sbaglio voi umani usate gli anelli nello stesso modo…»
Hawke perse un battito. Alzò gli occhi dal polso al viso di lui, che la guardava fisso.
«Se… se sei d’accordo, io chiuderò il nodo» disse lui, leggermente nervoso.
«Merevar… ma come possiamo, noi… voglio dire, con la guerra e tutto il resto…»
«È una promessa» le ricordò lui. «Possiamo farlo anche dopo che tutto questo sarà finito.»
Rimasero a guardarsi, muti e imbarazzati come due ragazzini. Hawke deglutì, ma lo fece sorridendo.
«Chiudi il nodo.»
 Merevar sorrise, felice; strinse le due estremità una con l’altra, in un nodo che non si sarebbe sciolto mai più.
 
 
«Dovremmo uccidere tua madre?!»
«Protesta finché vuoi, ma Melinor mi ha già dato la sua parola. Puoi restare qui con me se hai paura, ma mia madre è un osso duro; vi conviene andare tutti e quattro se volete avere una possibilità.»
«Quindi dovremmo rischiare la vita in quattro così che tu possa avere il tuo grimorio?!»
«Non è solo per il grimorio, imbecille! Mia madre vuole uccidermi e prendere il mio corpo, e anche se la ucciderete prima o poi tornerà a reclamare ciò che crede suo! Solo nel suo grimorio ci può essere qualcosa che mi aiuti a proteggermi da lei!»
Il nuovo giorno non era iniziato bene. Alistair guardò con tanto d’occhi prima Morrigan, e poi Melinor. Hawke era rimasta stupita quanto lui, dopo che l’elfa aveva detto loro che non sarebbero ripartiti per Denerim; non prima di aver risolto quella faccenda.
«Quindi è di questo che parlavate sempre, nel viaggio d’andata» incrociò le braccia, i capelli rossi che ondeggiavano allo scuotersi della testa.
«Melinor, è una follia! Flemeth è… è un abominio antico di secoli! Ci polverizzerà!» esclamò Alistair, allibito.
«Ho già detto a Melinor quali sono i punti deboli di mia madre. Il suo spirito sarà pure immortale, ma il suo corpo no; per questo vuole prendere il mio.»
«Beh, sono affari tuoi!»
«Alistair» lo redarguì l’elfa. «Fidati di me. Andrà tutto bene.»
Hawke fece per aprire bocca, ma la mano di Merevar sulla sua spalla la fermò; lo vide farle cenno di no con la testa.
«Allora noi… andiamo» disse Melinor a Morrigan. «Se non dovessimo tornare, porta i documenti e le ceneri di Cailan ad Anora.»
Morrigan annuì, e per la prima volta il suo viso ostentò autentica preoccupazione. «Lo farò. Melinor… grazie. E state attenti. Buona fortuna.»
Il gruppo s’incamminò nel silenzio più totale; s’inoltrarono nelle Selve Korcari, muti come pesci, ognuno immerso nei suoi pensieri. In poco meno di mezzora intravidero la capanna di Flemeth.
«Non ci posso credere… sto davvero per incontrare e provare ad uccidere la stessa Flemeth delle leggende? Datemi un pizzicotto e svegliatemi da quest’incubo» si lamentò Hawke con voce stridula.
Una volta in prossimità della capanna, la videro: Flemeth si alzò dalla panca su cui sedeva, per nulla sorpresa. «Bene bene… vedo che la mia piccola Morrigan è riuscita a convincerti a giocare il suo gioco» ridacchiò, mentre il gruppo avanzava; i suoi occhi erano fissi su Melinor.
«Sapevate che avrebbe scoperto la verità su come vi mantenete in vita?» le chiese l’elfa.
«Sapevo che il mio vecchio grimorio era al Circolo, e sapevo che sareste andati lì… e per finire, conosco mia figlia. Sapevo che l’avrebbe cercato. È troppo assetata di conoscenza, non poteva resistere alla tentazione sapendo che era lì. Dimmi, Melinor: ti ha chiesto di uccidermi, vero?»
«Però, che famiglia unita… tutte certissime che l’altra voglia ucciderla» borbottò Hawke.
Gli occhi di Flemeth si soffermarono su di lei, facendole gelare il sangue nelle vene. «Tu non dovresti essere qui» le disse. Portò una mano al mento. «E invece è qui… che sia il fato o la casualità? Non so mai decidermi…» disse fra sé, gli occhi fissi sulla rossa. Poi scrollò appena le spalle, tornando a rivolgersi a Melinor. «Allora, cosa farai? Intendi davvero uccidermi e prendere il mio grimorio per darlo a Morrigan?»
«No, non potrei mai, Asha’bellanar!» esclamò l’elfa agitando le mani.
«Allora perché sei qui?»
«Io… speravo che poteste parlarne con Morrigan, dirle che in realtà non corre alcun rischio…»
Flemeth ghignò divertita. «E tu credi che accetterebbe anche solo di parlarmi? No, ragazza; la conosco bene. Non mi crederebbe. Ma tu sei intelligente, dovresti saperlo» osservò, scrutandola con interesse. «Non mi dire… ti sei affezionata a lei?»
Melinor abbassò lo sguardo con aria colpevole; Flemeth scoppiò a ridere. «Questa poi! Non avrei mai creduto che mia figlia sarebbe riuscita a farsi un’amica!»
«Già, non lo credeva nessuno» commentò Alistair, sarcastico. Flemeth, per tutta risposta, rise ancora più forte; poi si calmò.
«Ascoltami bene, Melinor: se tornerai da Morrigan e le dirai che non mi hai uccisa, lei s’infurierà e scapperà, cercando un luogo per nascondersi da me. Come se fosse possibile» ridacchiò con gusto. «Ma avrete bisogno di lei fino alla fine, credi a me; non potete permettervi di perderla. Quindi ti propongo questo: io ti darò il grimorio, e tu le dirai che mi avete uccisa.»
Melinor la guardò incerta. «Dovrei… dovrei mentirle?»
«Se ti ordino di farlo, lo farai?»
«Naturalmente, Asha’bellanar.»
Flemeth sorrise compiaciuta. «Lo immaginavo. Ma tu sei una cara ragazza, una perla rara; non voglio macchiare il tuo animo puro con una menzogna. Quindi faremo così: lascerò che mi uccidiate. Così non dovrai mentire.»
I gemelli sussultarono sconvolti; Flemeth rise per l’ennesima volta. «Non siate così scioccati, sono morta tante volte! Sarà interessante andarmene a spasso per l’Oblio per un po’. Così potrò spiare Morrigan senza che se ne accorga.»
«Ma noi… non potremmo mai uccidervi!»
«Lo farete, se ve lo ordino.»
I gemelli si scambiarono un’occhiata intimorita, ma finirono per annuire.
«Bene» disse Flemeth, prendendo un grosso tomo dalla panca alle sue spalle. Si portò di fronte a Melinor e glielo porse. «Ecco il grimorio. Dacci pure un’occhiata, se vuoi» le fece l’occhiolino. «Merevar, a te l’onore: tira fuori il tuo pugnale.»
L’elfo sbiancò, ma si affrettò a eseguire gli ordini. Sfoderò l’arma e si portò davanti a Flemeth, che lo guardò con grande tranquillità.
«Ti ringrazio, ragazzo. E ricorda: fai sempre tutto ciò che sarà necessario per proteggere tua sorella. Il mondo ha bisogno di persone come lei.»
Merevar annuì, serio in viso; Flemeth guardò dunque Alistair. «E tu, biondino: la stessa cosa vale per te. Sei stato scelto da un’anima pura come la luce: sorreggila sempre e lei sarà il tuo miracolo, il sogno che mai avresti creduto di poter realizzare. E tu, ragazza mia» guardò l’elfa, «non dimenticare di brillare sempre. Anche quando ti sembrerà che il buio sia troppo pesto per poterlo sconfiggere.»
I suoi occhi gialli indugiarono infine su Hawke.
«Niente discorso d’addio per me?» fece dell’umorismo la rossa.
«Hai una lingua tagliente e una gran faccia tosta… bene, ti serviranno» ridacchiò la strega. «Il destino ci attende entrambe, ragazza. Il mondo teme l’inevitabile caduta nell’abisso; attendi quel momento, e quando arriverà non esitare: salta.»
Hawke aggrottò le sopracciglia, confusa. «Grazie…?»
«Capirai, a tempo debito. Tutti voi capirete. E ora forza, Merevar: affonda la lama. Dritta nel cuore» disse, guidando le mani tremanti del ragazzo con le sue.
«Mi dispiace dovervi fare questo, Asha’bellanar.»
«Non dispiacerti, figliolo.»
La lama affondò, e un’esplosione riecheggiò nella palude: un’onda d’urto li atterrò tutti e quattro, facendoli cadere a terra privi di sensi. Flemeth, liberata dal suo involucro mortale, si librò in cielo; il suo spirito svanì in una scintilla di luce.

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Capitolo 45
*** L'Incontro dei Popoli ***


Al primo fruscio, Morrigan si voltò di scatto. Tirò un sospiro di sollievo e si alzò subito in piedi per andare incontro a Melinor e agli altri, di ritorno dalla capanna di Flemeth.
«Ho sentito l’esplosione più di un’ora fa… ho temuto il peggio, non vedendovi tornare» disse loro.
«Sì, sai com’è… ci vuole un po’ per ritirarsi su dopo aver ucciso un abominio millenario» borbottò Alistair oltrepassandola. Morrigan li guardò uno per uno: Merevar sembrava perso altrove, Hawke evitava d’incrociare il suo sguardo; solo Melinor sembrava intenzionata a rivolgerle la parola, e alla strega andava più che bene così. «Com’è andata? Mia madre è davvero…?»
«Sì, Morrigan. È morta.»
«Ed è stato… molto difficile?»
«Sì. Preferirei non parlarne» disse Melinor, senza mentire. Anche se era stata Flemeth stessa a dir loro di farlo, per due dalish uccidere Asha’bellanar non era cosa di poco conto.
«Va bene, lo capisco» non obiettò Morrigan, stranamente rispettosa. «Immagino che vorrete riposare prima di ripartire… se non vi dispiace, andrò un attimo alla capanna. Ci sono alcune cose che vorrei recuperare, e potrei prendere la scorta di erbe di mia madre.»
«Va bene… ma prima non vuoi prendere questo?» Melinor le offrì il grimorio di Flemeth. Morrigan sembrò riluttante: allungò una mano con estrema lentezza, quasi temesse di toccare il vecchio tomo. Poi ritirò la mano.
«Tienilo tu mentre sarò via. Puoi dargli un’occhiata se vuoi… te lo sei più che meritato.»
Curioso che mi abbia detto le stesse parole di sua madre, considerò l’elfa. «Magari un’altra volta… ora sono stanca.»
Morrigan annuì e si voltò per andarsene, ma subito si fermò. «Melinor…» esitò, cercando le parole. «Ti sarò per sempre riconoscente. Nessuno avrebbe fatto per me una cosa del genere, ma tu sì… e sono davvero contenta che tu sia tornata sana e salva. Mentre eravate via ero davvero preoccupata.»
L’elfa sgranò gli occhi, ben consapevole di quanto fosse insolito e improbabile che Morrigan proferisse simili parole.
«Non so molto sull’amicizia, ma credo di non sbagliare considerandoti un’amica. L’unica che abbia mai avuto, e forse l’unica che avrò mai» abbozzò un sorriso Morrigan, e Melinor non poté che ricambiare.
«Non sbagli, Morrigan.»
Non fu necessario aggiungere altro; Morrigan andò per la sua strada, lasciando Melinor con il senso di colpa. Pur non avendole davvero mentito, le stava tenendo nascosto qualcosa di molto importante; ma doveva farlo, per i dalish. Per la sua gente.
 
 
Una settimana più tardi, i cinque rientrarono a Denerim. Una mano bussò alla porta degli appartamenti di Anora, presso la magione di Arle Eamon.
«Custode» la salutò Erlina, scansandosi. «Prego, entrate.»
L’elfa mosse i suoi passi fino ad Anora; Hawke l’accompagnava stringendo un fagotto fra le braccia.
«Custode Melinor» la salutò Anora, il solito sorriso preconfezionato sul volto. «Felice di vedervi tutta d’un pezzo. Com’è andata la missione a Ostagar?»
«Molto bene, vostra altezza. Abbiamo recuperato i documenti» disse, porgendole il plico di lettere.
«Ottimo lavoro, Custode. Passerò in rassegna tutta la corrispondenza di Cailan e Celene per portare all’Incontro dei Popoli prove consistenti.»
L’elfa annuì. «Prima che me ne vada… ho un’altra cosa da consegnarvi.»
Hawke tolse il drappo di stoffa dal fagotto, rivelando un’urna riccamente decorata; si avvicinò rispettosamente ad Anora, lasciando che la prendesse.
«Cos’è?» chiese la donna, curiosa.
«Abbiamo trovato il corpo di vostro marito» rivelò a mezza voce l’elfa. «Non ci è stato possibile trasportarlo fin qui, visto l’avanzato stato di decomposizione… ma l’abbiamo cremato. Ho pensato che voleste riavere le sue ceneri, per dargli una degna sepoltura.»
Anora sbarrò gli occhi, fissando l’urna con sgomento. Si portò una mano alla bocca per ricacciare indietro un singhiozzo; voltò le spalle alle due ragazze per qualche istante, lasciandole a fissarsi l’un l’altra con aria dispiaciuta. Videro Anora asciugarsi il viso con una mano prima di voltarsi nuovamente verso di loro.
«Vi ringrazio. Avete fatto molto più di quanto richiesto, Custode.»
«Ho fatto solo ciò che era giusto» si limitò a dire Melinor. «Ora vi lasciamo sola, vostra altezza.»
«Aspettate» la fermò l’altra. Melinor trovò sul suo viso un’espressione quasi colpevole. «C’è una cosa che dovreste sapere, Custode… non sono certa che ne siate al corrente.»
L’elfa si mise in ascolto, studiando al contempo l’espressione combattuta di Anora.
«Dovete sapere che, anche se abbiamo prove sufficienti a condannare mio padre per altre cinque vite, potrebbe non essere abbastanza» confessò la donna. «C’è una legge che consente agli eroi di guerra come mio padre di avere una possibilità di riscatto. Anche se verrà giudicato colpevole dall’intero Incontro dei Popoli, gli verrà concesso di duellare per aver salva la vita.»
«Cosa? Ma è assurdo!» esclamò Melinor. «Allora perché raccogliere tutte queste prove, se alla fine potrà cavarsela comunque?»
«Perché così otterrete l’appoggio della corte, Custodi.»
«Ma non otterremo giustizia!» sbottò l’elfa. «Perché non me l’avete detto subito?»
«Perché non sapevo fino a che punto potevo fidarmi di voi» ammise senza problemi la donna, prima di abbassare lo sguardo sull’urna. «Ma dopo tutto quello che avete fatto… avete dimostrato d’essere una persona onorevole, e io non sarò da meno. Vi consiglio di scegliere subito il vostro più abile guerriero, Custode; mio padre è un veterano capace. Non sarà facile da abbattere.»
Melinor sentì la terra aprirsi sotto ai piedi; sapeva come sarebbe andata a finire. «Grazie di avermelo detto, vostra altezza.»
«Ve lo dovevo, Custode.»
Hawke e Melinor uscirono dalla stanza. Una volta nel corridoio, Melinor si portò una mano alla fronte.
«Alistair vorrà combattere a tutti i costi… vero?» indovinò Hawke; rimase a guardare l’elfa annuire atterrita. D’impulso l’abbracciò, lasciandola dapprima sorpresa; poi le sue sottili braccia ricambiarono l’abbraccio. «Alistair è bravo. Ed è arrabbiato. Vedrai che non si lascerà scappare l’occasione di far fuori Loghain.»
«Hai detto bene, Hawke… è arrabbiato. È proprio questo che mi preoccupa. Non vorrei che facesse qualcosa di stupido» sospirò. Si sciolsero dall’abbraccio. «Grazie, lethallan.»
Hawke guardò l’elfa senza capire.
«Lethallan significa “sorella”» spiegò l’elfa, prendendo il polso di Hawke e ammiccando in direzione del cordino dorato. «Siamo sorelle ora, no?»
Hawke sorrise. «Non è ancora ufficiale, ma… sì.»
«Benvenuta in famiglia, Hawke» le disse allora Melinor, cingendole un fianco con il braccio mentre si avviavano lungo il corridoio.
 
 
Arrivò finalmente il giorno dell’Incontro dei Popoli. Tutta la nobiltà del Ferelden era riunita a corte e il dibattito era già iniziato quando i Custodi e il loro seguito fecero il loro ingresso. Il silenzio calò come una gelida cortina di neve: la gente si scansava di lato al passaggio del silenzioso ed eterogeneo corteo guidato dai tre Custodi Grigi. Tra i loro seguaci c’erano diverse figure celate da lunghi mantelli e cappucci.
«Ah! Eccolo qui, il nostro futuro re… o dovremmo forse chiamarlo il vostro burattino, Eamon?» esclamò Loghain, sbeffeggiando l’Arle di Redcliffe.
«Lasciate Arle Eamon fuori da questa storia, Loghain. Ora avrete di che discutere con i Custodi Grigi» affermò con aria minacciosa Alistair; Melinor e Merevar lo tenevano d’occhio in silenzio.
«Sappiamo tutti che Arle Eamon vuole governare tramite voi, un fantoccio incapace di stare anche solo seduto composto su quel trono!» indicò il seggio vacante in fondo alla grande sala.
«Sono d’accordo con voi, per una volta. Infatti non diventerò re.»
Esclamazioni concitate si levarono tutt’attorno, mentre lo stesso Loghain tratteneva a stento la sorpresa.
«La mia candidatura era solo una scusa per ottenere un Incontro dei Popoli» disse ancora Alistair, e la sorpresa generale aumentò ancora.
«Truffatori fino in fondo», quasi sputò fuori le parole Loghain. «Non vi è bastato ingannare una nazione intera? Dovevate arrecare offesa anche qui, a corte? Far perdere tempo a tutti noi, mentre là fuori la prola oscura devasta le nostre terre?»
«Avete un bel coraggio a parlare così, quando siete stato proprio voi a permettere che la prole oscura oltrepassasse Ostagar» intervenne Melinor. «Abbiamo raccolto tutte le prove che ci servono per incriminarvi di fronte a tutti, Loghain. Fareste meglio a tacere.»
«Ah, davvero? E chi pensate che crederà alle vostre cosiddette prove? Potreste averle inventate e prodotte voi stessi! D’altronde, ve ne andate in giro con criminali e reietti d’ogni tipo. Alcuni osano persino presentarsi qui a viso coperto. Chi pensate crederà a un manipolo di manigoldi come voi?»
«Non siamo poi così manigoldi, suvvia» parlò una voce femminile prima di togliere il cappuccio, così come la figura accanto a lei. I Cousland si ersero fieri accanto ai Custodi Grigi. «Noi crediamo ai Custodi, e li sosteniamo contro di voi.»
Un boato corse lungo le pareti alla vista dei due Cousland, vivi e vegeti; Fergus e Freya puntarono gli occhi su Howe, che sudava freddo alle spalle di Loghain.
«Voi? Ma eravate stati dichiarati morti!» tradì una genuina sorpresa quest’ultimo.
«Questo è quello che avete lasciato credere a tutti» ribatté Freya, velenosa. «Perché non dite a tutti la verità, Howe? Dite come avete atteso che Fergus partisse con le nostre truppe, per poi massacrare la nostra famiglia nel sonno! E l’avreste fatta franca, se io non fossi riuscita a scappare in tempo!»
«Non vi avremmo mai creduto capace di un tradimento simile» sibilò Fergus. «E voi, Teyrn Loghain… la mia generazione intera è cresciuta all’ombra della vostra leggenda. Non posso credere che abbiate acconsentito a una cosa così vile!»
«Vi assicuro, Fergus, che io non ne sapevo nulla» quasi ringhiò Loghain, lanciando al contempo un’occhiata truce a Howe, che deglutì visibilmente.
«Forse non siete al corrente di questo tradimento, ve lo concedo. Ma abbiamo una lunga lista di tradimenti in cui siete coinvolto, non è vero?» riprese la parola Freya. «Ci siamo infiltrati nella tenuta di Howe, e abbiamo trovato una serie di illustri ospiti nelle prigioni… Bann Sighard, avete qualcosa da dire a riguardo?» si rivolse a uno dei nobili che assistevano dalla balconata attorno.
«Ci potete giurare, lady Cousland» disse fra i denti l’uomo, paonazzo. «Mio figlio, reduce da Ostagar, è stato imprigionato e torturato per mesi. E tutto questo perché era testimone del tradimento di Loghain! Lui sostiene la causa dei Custodi Grigi, e afferma che se Loghain fosse intervenuto quando è stato lanciato il segnale, il re e le truppe avrebbero avuto almeno la possibilità di ritirarsi e salvarsi!»
Una nuvola d’indignazione si levò dalla folla.
«Sarebbe stato un massacro!» si difese Loghain. «Ho solo cercato di salvare il maggior numero di vite possibile!»
«Quindi sostenete di non aver premeditato nulla?» prese nuovamente la parola Melinor. «E che mi dite allora dell’improvvisa malattia di Arle Eamon? Un tempismo impeccabile… si è ammalato giusto prima di partire per Ostagar. Una fortuita coincidenza?»
«Bann Alfstanna», Freya si rivolse alla governatrice di Mare del Risveglio, «avete portato vostro fratello?»
La donna interpellata si voltò e diede un ordine a qualcuno; due inservienti guidarono un uomo, dall’aspetto stravolto, accanto alla donna. «Questo è mio fratello, parte dell’Ordine dei Cavalieri Templari. È stato rinchiuso per mesi nelle prigioni di Howe, senza lyrium. E sapete tutti cosa succede ai templari, se sospendono l’uso di lyrium!» esclamò con rabbia. «Forse non recupererà mai più la ragione, a causa vostra!» puntò il dito su Loghain.
«Bann Alfstanna, pensate che vostro fratello sia ancora in grado di riconoscere una persona?» le chiese Freya. Alla risposta affermativa della nobile, Freya fece cenno a una delle figure incappucciate di farsi avanti; questi si scoprì il volto, rivelando la presenza di Jowan.
«Apostata! Mago del sangue!» gridò subito il templare in preda alla demenza.
«Mio fratello stava inseguendo questo mago del sangue, stando agli ultimi rapporti dei suoi superiori. Poi è sparito, ma ora sappiamo dov’era finito» Alfstanna guardò Howe con disprezzo.
«Curioso» esclamò Freya, «perché dalle nostre indagini risulta che questo mago abbia avvelenato Arle Eamon… su ordine di Teyrn Loghain. L’ha confessato lui stesso. Vero, Jowan?»
«Sì, milady. Mi aveva promesso la libertà se fossi riuscito a svolgere il compito» annuì Jowan.
«Calunnie!» sbottò Loghain. «Vogliamo parlare del motivo per cui Arle Eamon ospitava un mago del sangue presso la sua corte?»
«A causa mia» si fece avanti Isolde, accanto al marito. «Ho scoperto che nostro figlio era un mago, e speravo che con un insegnante avrebbe imparato a tenere nascosti i suoi poteri. Mio marito ne era all’oscuro, ma ora capisco d’aver sbagliato. La nostra città ha pagato caro questo mio errore.»
«Manderemmo Connor al Circolo anche subito, ma al momento non è possibile… ancora una volta a causa vostra, Loghain» disse Eamon. «Volete spiegare come vi siete messo in combutta con il mago del sangue che ha praticamente distrutto il Circolo dei Maghi?»
«Questo posso spiegarlo io stesso, se non vi dispiace». Un altro cappuccio cadde, rivelando il Primo Incantatore Irving. «Il contingente di maghi da guerra che era partito per Ostagar è miracolosamente scampato alla morte. Strano, vero? Una volta rientrati, Uldred, l’incaricato di guidare i maghi in guerra, ha cercato di convincere l’intero Circolo a sostenere Loghain, che in cambio avrebbe garantito la libertà ai maghi in Ferelden. Quando mi sono rifiutato, Uldred e altri maghi si sono rivoltati: avevano praticato in segreto la magia proibita per mesi, e l’hanno usata per rovesciare il Circolo. Se i Custodi non fossero arrivati ad aiutaci, ora non avremmo nemmeno un mago da mandare in guerra contro il Flagello.»
«Sequestro di templari e corruzione di maghi, per giunta del sangue?» esclamò la Venerata Madre, giudice dell’incontro. «Loghain, questi sono crimini gravi contro la Chiesa e la nazione!»
«E non è tutto.»
L’espressione di Loghain divenne indecifrabile mentre l’ultimo cappuccio si abbassava, rivelando i capelli biondi di Anora. L’intera corte sembrò andare in delirio vedendola schierata insieme ai Custodi.
«Anora, sei salva!» le andò incontro Loghain. «Temevo che i Custodi ti avessero fatto del male!»
«Del male?» s’indispettì lei, arretrando offesa. «Voi mi avete fatto del male! Avete permesso al vostro tirapiedi di imprigionarmi!» gridò, puntando l’indice su Howe. «Non pensate che non sappia cosa stavate tramando. Volevate uccidermi e far ricadere la colpa sui Custodi e Arle Eamon!»
Lo sdegno s’impadronì dell’intera corte.
«Anora, ma che dici? Sai che non ti avrei mai fatto nulla del genere!» cercò d’ingraziarsela suo padre.
«Io non so più nulla, non vi riconosco più! Avete lasciato morire Cailan, padre… per voi era come un figlio. Perché avreste dovuto riservare a me un destino migliore?». Si avvicinò alla Venerata Madre, lasciando fra le sue mani i documenti incriminanti prima di tornare a parlare alla corte. «È con immenso dolore che vi dico quanto segue, signore e i signori del Ferelden. Mio padre non è più l’uomo di un tempo. In quei documenti è attestato che ha venduto gli elfi dell’enclave come schiavi al Tevinter, in un raffazzonato tentativo di riempire i forzieri della tesoreria. Ha inoltre vanificato gli sforzi diplomatici di Cailan, che aveva raggiunto finalmente un rapporto amichevole con l’imperatrice d’Orlais, rispedendo indietro le truppe da lei inviateci in supporto contro il Flagello. Sapete quanto questo sia considerato scortese nello stato d’Orlais: ora non potremo più contare sul supporto dell’Impero, siamo soli contro la prole oscura.»
«Non ci servono gli orlesiani per battere la prole oscura! Ho versato sangue e sudore per scacciare l’Impero dalle nostre terre, non permetterò mai loro di tornare e riprendersi le nostre terre!»
«Potremmo non avere più terre da reclamare a causa vostra! Avete ingannato la nazione, scatenato una guerra civile, sprecato vite e infranto alleanze! E per cosa?» sbottò Alistair, raccogliendo a sorpresa parecchi consensi.
«Bene, Teyrn Loghain. Penso che abbiamo visto abbastanza» decretò la Venerata Madre con severità. «Saremo veloci: chi si schiera a favore di Teyrn Loghain alzi la mano.»
Il vuoto colpì in faccia Loghain come uno schiaffo secco: nemmeno una mano si levò in suo favore.
«La corte si è espressa: Teyrn Loghain, siete dichiarato colpevole di tradimento ai danni della corona, del Ferelden e della Chiesa. In virtù del vostro titolo, vi è concesso un duello a singolar tenzone per riconquistare il vostro onore. Custodi, chi…»
«Combatterò io» non la fece neanche finire Alistair. Melinor, al suo fianco, chiuse gli occhi.
«E sia, dunque. Che i due contendenti si schierino. Fate largo!»
La folla s’aprì attorno ai due che si guardavano in cagnesco. Loghain non sembrava particolarmente teso, cosa che non passò inosservata agli occhi di Melinor. L’elfa cercò di mantenere la calma e non andare nel panico: Alistair se ne sarebbe accorto, e non gli avrebbe certo giovato.
«Bene, vediamo cos’è in grado di fare il bastardo di Maric» cercò di pungolarlo Loghain prima di caricare. Alistair levò lo scudo e non si tirò indietro: parò il colpo e il clangore riecheggiò tutt’attorno. Loghain si abbatteva su di lui come un tornado, colpo dopo colpo, una forza straordinaria per la sua età e una maestria degna del suo titolo. Alistair usava la sua agilità per schivare i colpi, incassando a ripetizione.
Melinor strinse la mano di suo fratello, che la guardò di sottecchi: l’espressione della gemella era seria, ma i suoi occhi non potevano mentire. A ogni colpo incassato da Alistair, lei incassava a sua volta.
«Andrà tutto bene, Melinor.»
«E come? Non ha avuto nemmeno il tempo di contrattaccare una volta!»
«Ed è proprio questo il punto.»
Melinor lo guardò perplessa, ma lui la esortò a guardare. «Stai a vedere. Finché continua a parare i colpi puoi stare tranquilla.»
Il duello proseguì così per una ventina di minuti; Melinor non perse un singolo movimento dei due, in particolare quelli del suo amato. Iniziò a pensare che il suo atteggiamento non era troppo diverso da quando l’allenava per renderla un’abile spadaccina; era solo più attento e serio.
Dal canto suo, Alistair era concentratissimo a non lasciare che Loghain rompesse la sua guardia. Quando finalmente il colpo che s’infranse sul suo scudo gli parve più debole dei precedenti, si decise a respingerlo: spinse di lato lo spadone con un colpo di scudo, cogliendo l’uomo di sorpresa.
«Pensavate di sfiancarmi, non è così? Sarete anche una leggenda, ma non avete considerato che io non sono solo più giovane: sono anche un Custode Grigio, e la mia resistenza è molto superiore a quella di qualunque altro guerriero. Vi costerà molto caro l’aver sottovalutato il mio Ordine!»
Fu allora che si scatenò: una raffica di colpi iniziò a cadere su Loghain, che li parò in maniera eccellente. Ma era ormai stanco, al contrario di Alistair. Quando il giovane lo caricò con lo scudo, non fu in grado di bloccarlo: inciampò e cadde a terra, il giovane che torreggiava su di lui.
«Astuto, oltre che abile… c’è davvero un po' di Maric in te» ridacchiò l’uomo.
«Lasciate perdere mio padre, Loghain. Questo è per Duncan!»
La lama trafisse il petto dell’uomo, passando fra le placche della pesante armatura che lo proteggeva; sussultò un’ultima volta prima che la vita abbandonasse i suoi piccoli occhi chiari. Anora abbassò il capo, un formale tentativo di nascondere il dolore. Alistair rinfoderò l’arma, mentre la folla adorante lo acclamava. Fergus Cousland andò al suo fianco.
«Avete visto tutti quanto valore, quanta astuzia! Chi di voi non lascerebbe il Ferelden nelle mani dell’ultimo Theirin?» esclamò. Un coro di voci entusiaste si levò in suo supporto, e Melinor iniziò a guardarsi attorno allarmata.
«Io stesso non farei affidamento su me stesso, lord Fergus. Pensavo di essere stato chiaro» zittì tutti quanti Alistair. «Io sono un bravo guerriero, ma questo non fa di me un buon re. Non ho la benché minima idea di come governare una nazione, e sarebbe stupido lasciare a me questo compito quando abbiamo qualcuno che sa come farlo. Anzi, che lo ha già fatto in tutti questi anni». Tutti seguirono il suo sguardo mentre si posava su Anora. «Anora ha dimostrato d’essere la candidata migliore per la successione: si è schierata contro il suo stesso padre, per stare dalla parte della giustizia. E se è vero che io sono il legittimo erede, allora rinuncio pubblicamente al mio diritto per abdicare in suo favore.»
I nobili si scambiarono pareri e bisbigliarono in ogni angolo, ma nessuno sembrò contrario.
«Siamo tutti d’accordo?» chiese alla corte la Venerata Madre; la corte accolse la decisione con gioia.
«Sta scappando!» qualcuno gridò, puntando il dito su Howe. Questi, colto in flagrante mentre sgattaiolava via furtivamente, se la diede a gambe. Stava per uscire dal salone, quando il piedino di Erlina, in piedi accanto all’uscita, lo fece inciampare. Freya e Fergus scattarono verso di lui, che si era già rimesso in piedi ed era schizzato nuovamente in avanti.
«Non credo proprio, caro mio» esclamò Freya. Sfilò un pugnale dalla cinta e lo scagliò con precisione fatale: un rantolo scaturì dalla gola di Howe, trapassata dalla lama della Cousland. Cadde a terra, una pozzanghera rossa che si estendeva a macchia d’olio.
«Qualcuno ha qualcosa in contrario?» chiese Freya alla corte, ripulendosi la lama sui vestiti; per tutta risposta, la nobiltà fereldiana proruppe in un applauso.
«Lady Cousland, avete reso un grande favore al Ferelden quest’oggi» la chiamò a sé Anora. «Ora grava su noi tutti l’arduo compito di ricostruire ciò che Howe e mio padre hanno distrutto. La posizione di comandante delle truppe reali, coperta in precedenza da mio padre, è ora libera: lady Cousland, voi siete un’abile stratega e una valorosa guerriera. Mi fareste l’onore di accettare tale carica?»
Freya sgranò gli occhi, incredula; subito s’inginocchiò al cospetto di Anora. «L’onore è mio, vostra maestà. Accetto. Spero solo di essere all’altezza.»
«Sono certa che lo sarete» le sorrise Anora. «Signore e signori, la guerra ci attende… di nuovo. Uniamo le forze, come avremmo dovuto fare sin dall’inizio. Ricostruiamo un esercito degno di tale nome e debelliamo questo Flagello insieme ai Custodi Grigi. Ce la faremo, insieme! Noi siamo il Ferelden!»
Un boato acclamò la regina. In disparte, Melinor e gli altri abbracciavano Alistair, pacche orgogliose volavano sulle sue spalle: Loghain era caduto. Gli eroi, finalmente, erano loro.
 
 
Quella sera si concessero di festeggiare tutti insieme alla locanda, giù in città. Scorrevano litri di birra, risate spensierate, racconti del duello che aveva visto Alistair vincitore. Melinor gli restò appiccicata tutta la sera, quasi temesse di poterlo perdere da un momento all’altro. Leliana suonò e cantò per tutti, trascinandoli in balli scatenati: Hawke e Merevar erano l’anima della festa, Zevran fece ballare Wynne come un vero gentiluomo, e Oghren tentò di far ballare il golem Shale, senza successo. Morrigan e Sten rimasero seduti al bancone, il grosso qunari intento a sgranocchiare biscotti senza sosta. La strega rimase scioccata nel constatare che ne aveva divorati almeno tre vassoi. Gli disse che sembrava non avesse mai visto un biscotto in vita sua, e Sten ammise che non c’erano biscotti nella sua terra, e che erano la cosa più buona che avesse mai assaggiato.
«Spostiamo la festa in privato?» bisbigliò Melinor all’orecchio di Alistair.
«Ma se ne accorgeranno tutti… cosa penseranno?» finse di preoccuparsi lui.
«Ma per favore, sono tutti ubriachi» si alzò lei, tirandolo per un braccio.
«E va bene… me lo sono meritato, d’altronde» ridacchiò lui, seguendola.
Non fecero in tempo a uscire dalla stanza che la porta si spalancò.
«Custodi! Dovete venire subito!» gridarono alcuni soldati.
«Che succede?» si fece avanti Merevar.
«C’è uno schieramento di dalish alle porte della città, portano notizie sulla prole oscura!»
I tre Custodi si fiondarono fuori dalla porta, diretti ai cancelli insieme alle guardie. Trovarono Lanaya ad attenderli; non appena li vide, la dalish andò loro incontro.
«Melinor! Mai avrei sperato di trovarti qui! Ho mandato messaggeri ovunque, non sapendo dove potevate essere!»
«Lanaya, che succede? Perché siete tutti qui?» chiese Melinor, gli occhi che si perdevano sul migliaio di dalish in attesa alle porte della città.
«I clan che hanno risposto alla chiamata si stavano radunando da noi, nella foresta di Brecilian. Ma all’improvviso le sentinelle hanno dato l’allarme: la prole oscura ha iniziato a eruttare come un vulcano da sottoterra!»
«Nella foresta di Brecilian? Ma perché?» chiese Melinor d’impulso, zittendosi subito. Deglutì: conosceva la risposta.
«Vogliono attaccare Denerim» mormorò Alistair, sconvolto. Lanaya annuì.
«Siamo riusciti a seminarli grazie alla cavalcata veloce dei nostri halla, ma l’orda era pronta a partire quando abbiamo lasciato la foresta.»
«Quanto tempo abbiamo?»
«Una settimana, non di più.»
Il silenzio cadde sui tre Custodi, la festa di poco prima già lontana come il sogno che svanisce all’alba.
«Melinor… non è tutto» parlò ancora Lanaya. «L’arcidemone è stato avvistato nella foresta. Presto sarà qui.»

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Capitolo 46
*** Nella morte e nel sacrificio ***


«Com’è potuto accadere?» quasi gridò Anora, camminando nervosamente su e giù per la sala da guerra del palazzo di Denerim. «La prole oscura non è intelligente, come possono aver pianificato un attacco a sorpresa su Denerim?»
«La prole oscura non sarà intelligente, ma l’arcidemone che guida l’orda sì» rispose il Custode Riordan. «Se i Custodi Grigi del Ferelden non fossero stati annientati e quelli dell’Orlais banditi, avremmo potuto monitorare l’attività dell’orda e prevedere l’attacco.»
Anora tirò la mascella, cogliendo l’allusione all’operato di suo padre che tornava a perseguitarla. Posò le mani sul tavolo da guerra, gli occhi che viaggiavano sulla grande mappa del Ferelden spiegata sulla superficie lignea. «Custode Melinor, avete detto che i dalish hanno inviato messaggeri al Circolo, a Redcliffe e a Orzammar. Quanto tempo ci vorrà affinché gli alleati ricevano l’allarme?»
«La Guardiana Lanaya ha detto di averli inviati prima di lasciare la foresta, circa una settimana fa. Il messaggio dovrebbe essere arrivato tre giorni fa al Circolo e a Redcliffe, e dovrebbe essere in arrivo a Orzammar in questi giorni.»
«Così in fretta?» si meravigliò Anora.
«I messaggeri erano maghi mutaforma. Tramutandosi in uccelli veloci possono viaggiare molto più rapidamente di quanto non farebbero a cavallo» spiegò l’elfa.
«Se il messaggio è arrivato al Circolo giorni fa, allora i miei maghi saranno già in marcia. Arriveranno in tempo per l’attacco» intervenne il Primo Incantatore Irving.
«Lo stesso vale per i miei uomini rimasti a Redcliffe. La distanza è pressoché la stessa» si accodò Arle Eamon.
«Il problema è Orzammar. Sono i più lontani, e anche ricevendo il messaggio uno di questi giorni non arriveranno prima di altri dieci giorni» intervenne Freya Cousland, mordendosi un labbro per il nervosismo.
«Non potremo quindi fare affidamento sui nani» sospirò Eamon. «Fortunatamente molti dei Bann sono venuti qui scortati dai loro soldati, e molti possono far arrivare le loro legioni in pochi giorni… ma sarà sufficiente? I nani erano il grosso del nostro esercito.»
«C’è una sola soluzione: stare sulla difensiva» li guardò gravemente Freya. «Dobbiamo cercare di resistere e non far cadere Denerim finché Orzammar non giungerà in nostro aiuto.»
«Siete impazzita? Vorreste mettere a ferro e fuoco l’intera città?» sbottò Anora.
«Faremo evacuare i cittadini, naturalmente» non si perse d’animo Freya. «Li manderemo a nord. L’arlea di Amaranthine non potrà rifiutarsi di accoglierli, visto ciò che ha combinato il loro governatore» rimarcò con disprezzo al ricordo di Howe.
«Anche Altura Perenne potrebbe ospitare i cittadini, se lo spazio ad Amaranthine non bastasse» propose Fergus.
«Comunque sia, volete davvero usare la città come una trincea?» non cambiò idea la regina.
«Le mura di Denerim sono le più massicce in tutto il Ferelden, vostra altezza. Con una buona strategia riusciremo a mantenerla inespugnata per tre o quattro giorni, così i nani avranno il tempo di arrivare e sorprendere il nemico alle spalle» propose Freya, armeggiando con le mani sulla mappa e tracciando ipotetiche traiettorie.
«E abbiamo gli arcieri dalish» ricordò a tutti Merevar. «La nostra fama di migliori cecchini del Thedas è ben meritata. Potremmo istruire i vostri soldati in questi giorni, per quanto possibile. Se dobbiamo difendere la città, gli arcieri saranno la nostra prima linea; dobbiamo puntare tutto su di loro.»
«Vi ricordo che ci sarà un drago sopra alle nostre teste. Un arcidemone! Cosa possono fare le nostre mura e le nostre frecce, contro un mostro del genere?» fece notare Anora.
«Questa è un’ottima osservazione» intervenne Alistair, la preoccupazione che incrinava la sua voce. «Custode Riordan, come uccideremo l’arcidemone?»
Il Custode rimase a fissare i tre Custodi più giovani per qualche istante, come se stesse cercando di capire qualcosa. «Di questo vi parlerò in privato. Ci sono alcune cose che l’Ordine deve mantenere segrete» si scusò con lo sguardo con tutti gli altri nobili presenti. «Comunque sia, abbiamo appreso dai Flagelli precedenti che non tutti gli arcidemoni agiscono allo stesso modo. Alcuni emergono subito da sottoterra e combattono con la prole oscura sin dall’inizio in testa all’orda, altri temporeggiano e compaiono solo alla fine, quando l’orda ha già straziato e devastato le terre. Sembra che questo arcidemone sia del secondo tipo. Potrebbe anche non mostrarsi subito, lasciando il lavoro sporco alla prole oscura per venire a reclamare il suo bottino in un secondo momento… e se fosse così sarebbe un bene.»
«Non possiamo fare affidamento sui forse e sui ma. Rischiamo di far radere al suolo la capitale del Ferelden!» ribadì Anora.
«I miei maghi potrebbero erigere una grande barriera protettiva», propose Irving, «per limitare i danni che l’arcidemone potrebbe arrecarci. Ma non so quanto durerebbe.»
«E i maghi dalish potrebbero aiutare» si unì a lui Melinor. «La nostra magia antica sarà un rinforzo notevole. Non terrà l’arcidemone lontano per molto, ma è pur meglio di niente.»
«Sono d’accordo. Vale la pena tentare» annuì Riordan. Freya guardò Anora.
«Se siete d’accordo, vostra altezza, procederei oggi stesso con l’evacuazione della città. Fergus, ci penserai tu: guiderai i cittadini fino ad Amaranthine e ad Altura Perenne.»
«Cosa? Ma io devo restare qui, a combattere!» protestò Fergus.
«Ci serve qualcuno con abbastanza influenza da obbligare le guardie di Amaranthine a lasciar entrare in città gli sfollati. Dopo la famiglia reale, solo i Cousland hanno il potere di farlo.»
«Perché non inviare la regina? Così sarà al sicuro!» propose Fergus.
«Vi ringrazio del pensiero, ma io resterò qui. Non potrò combattere, ma non lascerò che i miei uomini combattano la mia guerra mentre io fuggo al sicuro. Se mi sapranno qui, avranno un’ulteriore ragione per difendere al meglio la città» non ammise discussioni Anora.
«Allora procederemo così» tirò le somme Freya. «Arle Eamon, noi ci occuperemo di organizzare i Bann e le loro legioni in arrivo. Primo Incantatore Irving, voi occupatevi di istruire i vostri maghi non appena arriveranno; lavorate con i dalish, la Custode potrà fare da mediatrice se sarà necessario. Lo stesso vale per gli arcieri: Custode Merevar, se poteste coordinare gli arcieri dalish e umani ve ne sarei immensamente grata» concluse. Trattenne il respiro per un istante, la preoccupazione che affiorava sul suo viso. «Che il Creatore ci assista.»
 
 
Dopo la riunione, Riordan chiamò in disparte i tre giovani Custodi. S’infilarono nella stanza dell’orlesiano per avere la riservatezza necessaria.
«Dobbiamo parlare di una faccenda molto seria, ragazzi. Voi tre siete poco più che reclute, nonostante le difficoltà che avete affrontato in questi mesi; Duncan, che il Creatore vegli sulla sua anima, non ha fatto in tempo a rivelarvi i segreti dell’Ordine. Ma con l’arcidemone che bussa ai nostri cancelli, è tempo di dirvi come stanno le cose. Ditemi, vi siete mai chiesti perché sia necessario un Custode Grigio per uccidere l’arcidemone?»
«Sì», ammise l’elfa. «Ha forse a che fare con la corruzione che abbiamo nel sangue?»
«Sei davvero arguta, sorella» sorrise appena Riordan, tornando subito serio. «Eviterò i giri di parole e andrò dritto al punto: l’arcidemone, se ucciso da una comune lama, ha la capacità di trasferire la sua anima nella creatura corrotta più vicina. Può così rinascere all’infinito, se pensate a quanti prole oscura ha sempre attorno. Ma se è un Custode Grigio a ucciderlo, la faccenda è diversa: l’anima dell’arcidemone entra nel Custode, che ha il sangue corrotto come la prole oscura; ma contrariamente alla prole oscura, i Custodi hanno un’anima.»
Alistair sussultò. «E quindi il Custode si ritrova ad avere in corpo la propria anima e anche quella dell’arcidemone?»
«Questo… è impossibile» sbiancò Melinor, realizzando ciò che Riordan stava cercando di dir loro. Questi la guardò, e annuì.
«Hai capito bene, Melinor. Nessuno può vivere con due anime, è contro le leggi della natura: entrambe le anime, incapaci di coesistere, vengono distrutte.»
Silenzio. Nessuno ebbe il coraggio di proferire parola dopo aver appreso quella terribile verità: un Custode Grigio doveva morire per porre fine al Flagello. Non c’era altro modo.
«È consuetudine che, fra i membri dell’Ordine, sia il Custode più anziano a prendersi questa responsabilità» continuò Riordan, in un pallido tentativo di risollevare il tetro morale. «Dunque sarò io a sferrare il colpo finale. Ma se dovessi fallire, che il Creatore non voglia… toccherà a uno di voi.»
«No, non ci credo» sbottò finalmente Merevar, iniziando a camminare nervosamente su e giù per la stanza. «I Custodi Grigi, un Ordine di valorosi eroi, dicono tutti… siete un manipolo di bugiardi!» si adirò. «Non ci dite che si rischia di morire unendosi all’Ordine, non ci dite che abbiamo poco più di trent’anni da vivere, non ci dite come si uccide un arcidemone… prendete la gente ignara, ci raggirate facendoci credere chissà che, per poi sputarci in faccia dicendoci che dobbiamo morire!»
«Credimi, capisco bene come ti senti. È successo anche a me, cosa credi? Ma quando ti sarai calmato, capirai che è necessario. Nessuno vorrebbe più unirsi all’Ordine se conoscesse tutto questo, e allora chi salverebbe il mondo dai Flagelli?»
«Non me ne importa niente!» Merevar diede un calcio a una sedia, facendo sobbalzare gli altri; si portò davanti a una finestra, e rimase a guardare fuori in silenzio, le mai conficcate nei fianchi.
«Credo sia meglio lasciarvi il tempo di digerire la cosa» mormorò Riordan, comprensivo. «Restate pure nella mia stanza, se volete. Io non rientrerò prima di sera.»
Si congedò, uscendo dalla porta. Alistair e Melinor si guardarono, la stessa paura riflessa nelle loro iridi.
«Se Riordan fallirà, lo farò io.»
La coppia si voltò verso Merevar, ancora fermo di spalle; Melinor scattò verso di lui. «Cosa? No!»
«Invece sì!» gridò lui, voltandosi. L’elfa si sorprese trovando i suoi occhi lucidi. «Sei in questa situazione a causa mia, e io non ti permetterò di…»
«E pensi che vederti morire mi aiuterebbe a stare meglio?» gridò di rimando lei.
«Io non ti lascerò morire, Melinor! E non lascerò morire nemmeno Alistair, perché tu lo ami!»
«E che mi dici di Hawke?»
«Ragazzi...» attirò la loro attenzione Alistair. «Possiamo discuterne finché vogliamo, ma non ne verremo mai fuori. Qui nessuno è disposto a lasciare che qualcun altro si sacrifichi.»
I due gemelli restarono a guardarlo atterriti. Sapevano che aveva ragione.
«Possiamo solo sperare che Riordan riesca ad abbattere l’arcidemone» sospirò Alistair, cercando l’unico barlume positivo in tutta quella storia.
«Certo, come no. Abbiamo avuto una gran fortuna finora, di sicuro ne avremo ancora» commentò acido Merevar, dirigendosi verso la porta. Alistair e Melinor lo seguirono fuori dalla stanza, incamminandosi con lui per i corridoi del palazzo. «Non una parola con gli altri. Non voglio che Hawke lo sappia» li ammonì.
«Dovresti dirle la verità, invece» lo contraddisse la gemella.
Neanche a farlo apposta, svoltato l’angolo videro Hawke e Morrigan in piedi davanti alla camera di Melinor e Alistair. Merevar lanciò ai due una seconda occhiata di ammonimento, intimando loro di non dire niente.
«Ehi, che ci fate qui?» esordì Merevar come se nulla fosse. Hawke gli restituì un’occhiata severa.
«So come si uccide l’arcidemone. So che un Custode deve morire.»
Rimasero tutti spiazzati dalle parole della rossa. Lì per lì il dalish non seppe cosa rispondere, ma una volta ripresosi corrucciò le sopracciglia. «Avete origliato?!»
«No, me l’ha detto lei» Hawke indicò con un cenno del capo la strega delle Selve.
«Tu lo sapevi?!» esclamò Alistair. «Perché non ce l’hai detto?»
«Ed ecco perché ti avevo chiesto un po’ di discrezione» rimbrottò la strega guardando malamente Hawke.
«Morrigan, cos’è questa storia? Come potevi saperlo?» s’imbronciò Melinor.
«Sarebbe meglio non discuterne qui nel corridoio» suggerì Morrigan, aprendo la porta della camera di Melinor e Alistair. Invitò tutti a entrare, restando a guardarli uno per uno prima di entrare a sua volta e richiudersi la porta alle spalle.
«Allora?» non attese un istante Melinor, le braccia incrociate e un cipiglio degno della più anziana Guardiana dalish.
«Mia madre lo sapeva, e me l’ha riferito.»
«E non hai mai pensato di condividere la tua sapienza, brutta megera?» sbottò Alistair.
«No, biondino dei miei stivali. A che pro? All’inizio non vi fidavate di me, dubito che mi avreste creduto. E poi…» indugiò su Melinor, che ancora la guardava torva. «Poi ho considerato l’idea, ma penso sappiate benissimo che effetto avrebbe fatto. Ce n’è successa una per colore, eravate via via sempre più esausti… credete davvero che una simile notizia vi avrebbe aiutati ad affrontare tutte quelle peripezie? Io dico che vi avrebbe fatto calare il morale sotto ai tacchi, e non avreste risolto nemmeno la metà dei problemi che abbiamo incontrato. E per finire, siamo realisti: sarebbe cambiato qualcosa, se lo aveste saputo?»
«Di sicuro sarebbe stato meglio che venirlo a sapere pochi giorni prima della battaglia» borbottò Merevar.
«No invece, perché ci avreste rimuginato su per mesi. Comunque sono qui per dirvi che c’è una scappatoia… non è necessario che uno di voi muoia». Tutti rimasero a guardare Morrigan con sgomento, fatta eccezione per Hawke che era già stata informata. La strega delle Selve sorrise in maniera sinistra. «Conosco un rituale, insegnatomi da mia madre, grazie al quale potrete restare in vita anche se dovesse toccare a voi uccidere l’arcidemone.»
«Non mi dire… sarà magia del sangue, di sicuro» disse Alistair con disprezzo.
«Si tratta di un rituale molto più antico della Chiesa stessa, e pertanto esente dalle definizioni affibbiate alla magia da voi moralisti ipocriti.»
«In cosa consiste?» andò dritta al sodo Melinor.
«Consiste nel creare un ricettacolo per l’anima dell’arcidemone, in modo che venga attirata a esso anziché al Custode che sferrerà il colpo mortale.»
«E come dovremmo creare un ricettacolo per l’anima di un antico Dio?» s’insospettì Melinor.
«Ecco, questa è la parte che non vi piacerà» sospirò Morrigan. Rivolse la sua attenzione a Merevar e Alistair, mentre Hawke si stringeva nelle spalle, a disagio. «Uno di voi due dovrà giacere con me durante il rituale. Verrà concepito un bambino dal sangue corrotto come il vostro, e sarà dunque compatibile con l’arcidemone. Allo stadio iniziale della sua esistenza avrà in sé un gran potenziale, sarà pura essenza vitale; l’anima dell’arcidemone verrà attratta da questo embrione, che ancora non possederà un’anima, seppur destinato ad averne una. Pertanto il bambino sopravvivrà all’unione.»
I due ragazzi restarono scioccati; persino Melinor rimase a bocca aperta. Mosse qualche passo verso Morrigan, guardandola dritta negli occhi. «Morrigan… vuoi mettere al mondo un bambino con l’anima di un antico Dio? Ti rendi conto di ciò che chiedi?»
«Perfettamente. Tu sei una maga, Melinor; sai come funzionano certe cose. Sei anche una dalish, perciò sai quanto sia importante preservare la magia antica. Il male non nasce, viene creato: l’anima dell’arcidemone non era malvagia prima di venire corrotta dalla prole oscura. Rinascendo in forma umana, questo antico potere avrà la possibilità di riacquistare la sua antica purezza.»
«Ma è una cosa folle!» esclamò Alistair, sopraffatto. «E cosa vorresti fare con il potere di questo bambino? Sentiamo!»
Morrigan non si degnò nemmeno di rispondergli, liquidandolo con un gesto della mano. Rivolse invece la sua attenzione a Melinor, che la scrutava con grande attenzione. «Dimmi la verità, Morrigan: è per questo che tua madre ti ha mandata con noi?»
La strega annuì.
«Quindi era il suo piano fin dall’inizio» riprese la parola Alistair. «Ma tu ci hai fatto uccidere tua madre. Perché vuoi comunque seguire il suo piano?»
«Prima di tutto, perché non voglio che moriate inutilmente. Di te m’importa poco, ma importa a Melinor quindi…» ammise con grande schiettezza, mentre il ragazzo roteava gli occhi. «Secondo, perché mia madre aveva ragione a voler preservare ciò che di buono è rimasto del passato. Vi ripeto che l’anima dell’arcidemone non è malvagia.»
«Lo farò io.»
Tutti gli occhi si puntarono su Merevar. Persino Morrigan parve sorpresa.
«Qualcuno deve farlo, o uno di noi morirà. E io non sono disposto a correre questo rischio, quindi lo farò io.»
Nessuno parlò più. Tutti continuavano a scambiarsi sguardi apprensivi.
«Vi lascio qualche minuto per parlarne fra voi» disse Morrigan, avviandosi verso la porta. «Aspetterò qui fuori.»
Quando fu uscita, Alistair prese Merevar per le spalle. «Merevar… apprezzo il tuo eroismo, ma sei davvero sicuro di quello che fai? Concepirai un… un bambino arcidemone con Morrigan! Non possiamo fidarci di lei, chissà cosa ne farebbe!»
«Sì che possiamo fidarci» sospirò Melinor, apparentemente esausta mentre si lasciava cadere sul letto. Puntò gli occhi in quelli del gemello. «Merevar… sei sicuro di volerlo fare?»
L’elfo annuì. «Asha’bellanar mi ha detto di fare qualunque cosa, pur di proteggerti. Credo parlasse di questo». I suoi occhi andarono a posarsi su Hawke, colmi di tristezza. «Certo, sempre se… se per te non è un problema.»
Hawke scosse la testa, nonostante la sua palese tristezza. «Sapevo cosa vi avrebbe proposto Morrigan, e sapevo che sarebbe toccato a te. Alistair la detesta troppo, non ce la farebbe mai a concepire un bambino con lei. Non credo riuscirebbe nemmeno a iniziare l’atto.»
«Ehi!» si offese Alistair lì per lì, ma subito tornò in sé. «Beh… hai ragione. Che schifo, non ce la farei mai» ammise, tornando subito a guardare Merevar con aria seria. L’elfo continuava a guardare Hawke con aria mortificata.
«Non guardarmi così, mi rendi le cose più difficili» disse lei, andando a prendergli entrambe le mani. «So che non significa niente per te. E non voglio rischiare di perderti, non quando abbiamo un’alternativa. Quindi non preoccuparti per me, e fai ciò che devi.»
«Mi dispiace tanto, io… non vorrei» sospirò Merevar, abbracciandola.
«Sono insistente, lo so… ma siamo davvero sicuri che questo rituale sia una buona idea?» disse ancora Alistair.
«Era un’idea di Asha’bellanar. Perciò mi fido» rispose Melinor senza esitare. Alistair guardò lei e Merevar.
«Siete sempre pronti a seguire ciò che quella vecchia strega vi dice di fare… possibile che abbia tanta influenza su voi dalish? Chi è per voi?»
I gemelli si guardarono fra loro; avrebbero voluto confessarlo alle due persone che amavano, ma non potevano.
«Mi dispiace, ma non possiamo dirlo. Nemmeno a voi due» disse lei, abbassando lo sguardo. Alistair e Hawke si guardarono fra loro.
«Se vi fidate voi, allora lo faremo anche noi» parlò per entrambi la maga. «Chiamiamo Morrigan, forza.»
La strega rientrò nella stanza appena chiamata, e venne informata sulla decisione finale.
«Oh, meno male che non sarà Alistair» si portò una mano al petto per il sollievo. «Bene, allora inizierò a fare i preparativi necessari. Il rituale andrà fatto la notte prima della battaglia: non sappiamo se l’arcidemone si mostrerà subito, ma più “fresco” sarà l’embrione, meglio sarà.»
 
 
La settimana fu a dir poco frenetica: rientrarono i messaggeri dalish, arrivarono le truppe del Circolo dei Maghi e quelle di Redcliffe. I piccoli schieramenti armati dei Bann provenienti dalle terre più vicine risposero subito alla chiamata, e per tutta la settimana il nuovo comandante Freya fu impegnata a elaborare una strategia e a istruire le truppe. Merevar convinse i dalish a lavorare fianco a fianco coi gli arcieri umani, aiutato anche da Leliana; Melinor, Morrigan, Hawke e Wynne lavorarono con i maghi dalish e con quelli del Circolo, non appena gli ultimi fecero il loro ingresso in città. E mentre gli alleati entravano in città, la gente comune ne usciva: guidati da Fergus, i residenti abbandonarono malvolentieri le loro case per trovare rifugio nelle arlee vicine. Una volta partiti tutti, la città rimase deserta: era quasi spettrale, senza lo schiamazzare dei mercanti e il vociare dei passanti. Solo i soldati e il suono metallico delle loro armature animavano le vie deserte.
Finché, al settimo giorno, una sentinella tornò con la notizia che tutti aspettavano e temevano: ancora un giorno, e l’orda sarebbe arrivata ai cancelli di Denerim.
Quella notte, Hawke accompagnò Merevar alla stanza di Morrigan; Alistair e Melinor li seguivano in silenzio.
«Bene… è ora» disse Hawke una volta raggiunta la porta. Merevar non riuscì a dire nulla: le accarezzò una guancia. «Lo so» rispose lei al suo muto messaggio.
Morrigan aprì la porta e fece segno a Merevar di entrare; quando richiuse la porta, Hawke e gli altri due rimasero imbambolati a fissare il legno.
«Andate» disse ai due Hawke. «Dovete riposare. Domani sarà dura.»
«Possiamo restare con te, se vuoi» disse l’elfa timidamente. Poteva capire come dovesse sentirsi Hawke, sapendo ciò che stava per accadere dentro a quella stanza.
«Non preoccuparti. Andate.»
Non insistettero oltre. Girarono i tacchi e tornarono alla loro camera.
 
 
Restarono abbracciati sotto alle lenzuola, gli sguardi persi sul baldacchino del letto.
«Mi sento in colpa. Povero Merevar…» mormorò Alistair.
«Ha scelto da solo di farlo. Vuole proteggerci.»
«Sì, lo so… ma… mi dispiace comunque. Io e te siamo qui, la nostra ultima notte insieme… invece lui e Hawke devono passarla in modo così balordo.»
«Non sarà l’ultima notte di nessuno» subito saltò su l’elfa, fulminandolo con lo sguardo.
«Intendevo l’ultima prima della battaglia» si affrettò a specificare lui.
«Non ti azzardare a morire» lo costrinse a guardarlo lei. Lui vide subito quanto lei fosse spaventata; almeno quanto lo era lui. La zittì con un bacio.
«Non ti azzardare nemmeno tu» le sussurrò.
 
 
Un’ora dopo, Merevar uscì dalla stanza di Morrigan. Si trovò davanti Hawke, seduta a terra con la schiena poggiata contro la parete. Non avrebbe mai potuto immaginare quanto gli sarebbe stato difficile guardarla nuovamente negli occhi, prima di quel momento. Se ne stava lì, impalato con lo sguardo a terra, quando una mano iniziò a tirare la sua. Alzò gli occhi sul viso di Hawke: aveva pianto, ma ciononostante ora gli stava rivolgendo uno dei suoi migliori sorrisi. La cosa, se possibile, lo fece sentire ancora più male.
«Andiamo a dormire» disse la ragazza, come se nulla fosse successo. Filarono via silenziosi come gatti lungo il corridoio.
 
 
Vennero svegliati tutti dal suono dei corni da guerra: la sveglia che tutti attendevano. Maghi, elfi e soldati iniziarono a uscire dai loro alloggi; nessuno parlava. Andarono dritti alle postazioni assegnate, accolti all’esterno dal rosa dell’alba. Attesero.
Un rumore assordante iniziò a raggiungere i loro orecchi un paio d’ore più tardi: il suono di migliaia di piedi sulla terra, il clangore di armature, spade e scudi che sbatacchiavano gli uni contro gli altri. I soldati sulle mura deglutirono vedendo comparire all’orizzonte le prime figurine informi e lontane.
L’orda era pronta a travolgerli.

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Capitolo 47
*** L'assedio di Denerim ***


L’esercito riuscì a mantenere la città inespugnata per tre giorni, che pesarono su tutti loro come tre mesi. Merevar e Melinor restarono sui bastioni per tutto il tempo, incitando e guidando gli attacchi di arcieri e maghi. Era fondamentale che le truppe mantenessero alto il morale, o sarebbe finita; ma non era affatto facile. La prole oscura premeva su di loro, l’orda ormai pressava contro l’intera città, costringendo i cecchini a difendere ogni centimetro della cinta muraria. Avevano usato tutto ciò che avevano per tenerli lontani: un fossato era stato scavato attorno alle mura, ed era stato riempito di acqua intrisa di un forte preparato alchemico altamente infiammabile. Aveva bruciato per due giorni interi prima d’iniziare a indebolirsi gradualmente: aveva impedito alla prole oscura di avvicinarsi, costringendoli a colpirli da lontano con le loro frecce arrugginite mentre i giganteschi ogre fungevano da catapulte viventi; avevano smembrato la terra circostante la città per raccogliere massi da scagliare contro le mura. I maghi erano riusciti a far esplodere tutti i massi prima che impattassero, ma combattendo sia in difesa che in attacco non potevano reggere ancora a lungo. Erano esausti, e presto il fossato avrebbe esaurito anche quel poco di combustibile che ancora bruciava al suo interno. Gli arcieri erano altrettanto sfiniti: non c’erano stati molti morti grazie ai merli delle mura e alle barriere difensive dei maghi, ma le energie iniziavano a scarseggiare dopo tre giorni di costante attacco.
Freya chiamò a raccolta i Custodi Grigi per fare il punto della situazione.
«Quanto possiamo resistere ancora?» chiese loro con aria grave.
«Non molto. I maghi sono stanchi, e il lyrium inizia a scarseggiare» scosse il capo Melinor.
«Senza i maghi ad aiutarli con le barriere, gli arcieri non ce la faranno» aggiunse Merevar, la fronte imperlata di sudore. «Non hanno più energie. Senza i maghi a coprirli, non riuscirebbero ad attaccare e schivare allo stesso tempo.»
Freya si morse un labbro. «Il fuoco sta per spegnersi ormai… senza la barriera magica, quei maledetti mostri sfonderanno il cancello in un attimo». Guardò Melinor, le sopracciglia aggrottate. «Potremmo usare i maghi che abbiamo tenuto da parte…»
«Assolutamente no» intervenne Riordan. «Siamo stati fortunati a non aver ricevuto la visita dell’arcidemone finora, ma arriverà presto. E se non avremo maghi riposati in grado di erigere una barriera, raderà al suolo la città in pochi minuti.»
«Ma se non usiamo quei maghi adesso, sarà l’orda a raderla al suolo!» alzò la voce Freya, disperata.
Proprio in quell’istante, un dalish arrivò correndo da loro. Parlò in elfico ai due gemelli con voce concitata, prima di tornare alla sua postazione sui bastioni. Melinor tornò a rivolgersi a Freya, una riaccesa speranza brillava nei suoi occhi.
«Buone notizie: i mutaforma di ronda hanno avvistato l’esercito di Orzammar.»
«Sia lodata Andraste… finalmente!» esclamò Freya, risollevata. «Quanto ci metteranno ad arrivare?»
«Sono a meno di un giorno di distanza.»
«Un giorno…» sospirò Freya. La difesa non avrebbe retto un altro giorno da sola.
«Non possiamo continuare a stare sulla difensiva. Quando il fuoco si esaurirà, dobbiamo lasciarli entrare» andò dritto al punto Merevar. Freya lo guardò, il conflitto dipinto a caratteri cubitali sul suo volto.
«Ha ragione. La fanteria è ancora fresca, riusciremo a reggere un giorno. L’arrivo di Orzammar coglierà l’orda di sorpresa e giocherà a nostro favore» aggiunse Alistair.
«Non abbiamo altra scelta» si rassegnò Freya. «Date ordine ai soldati di prepararsi. Dobbiamo coprire gli ingressi principali e stare pronti: di sicuro quegli schifosi sfonderanno le mura in più punti.»
 
 
Il fuoco si estinse poco dopo lo scoccare del mezzogiorno. In piedi davanti all’ingresso principale della città, Freya, I Custodi Grigi e il grosso dell’esercito attendevano l’inevitabile a denti stretti; un ogre sfondò il cancello, e fiotti di mostri iniziarono a riversarsi nella città.
«Per il Ferelden!» gridò Freya levando la sua spada al cielo, e i soldati risposero in coro. Insieme si fiondarono sul nemico, dando finalmente inizio al vero scontro. Fiumi di sangue, vivo e morto, iniziarono a dipingere i viottoli della città come fossero la trama di una macabra tela. Ben presto l’orda entrò anche dagli altri ingressi: penetrarono nell’enclave elfica, ormai deserta, dove li attendeva un contingente di soldati. Aprirono numerose brecce nelle mura, e la città fu presto invasa.
In molti caddero da ambo le parti, quel giorno; ma i soldati combatterono coraggiosamente, incitati dai loro comandanti. La regina Anora guardava dalla finestra del suo palazzo, inorridita: la barriera magica elevata attorno alla sua magione non le impedì di assistere a quel macello.
Non ci fu tregua per l’esercito: continuarono a lottare tutta la notte, scivolando sul sangue e inciampando sui cadaveri dei loro compagni, feriti e ansimanti. La morte era tutt’attorno a loro ma, per qualche strano motivo, si sentivano spinti a non mollare: il desiderio di vivere era forte in loro.
I Custodi diedero il buon esempio per primi, instancabili grazie ai loro talenti; i compagni grazie ai quali erano giunti fin lì combattevano al loro fianco. Sten, Oghren, Zevran e il golem Shale menavano fendenti al fianco di Merevar; Leliana e Wynne li assistevano dai bastioni, determinate a dare il loro supporto nonostante avessero aiutato a difendere la città nei giorni precedenti. Morrigan e Hawke combattevano fianco a fianco con Melinor e Alistair, rifiutandosi di restare sui bastioni insieme agli altri maghi. Fra tutti loro, quella a mietere più vittime fu proprio la dalish: con i suoi poteri da guerriera arcana, spiazzò ogni nemico che le si parò davanti. La sua furia guerriera si abbatté sulla prole oscura, la magia così forte in lei da permetterle di combattere a pieno ritmo per giorni interi. Merevar e Alistair si trovarono a doversi preoccupare più per loro stessi che non per lei, e più volte fu proprio l’esile ragazza a intervenire per aiutarli.
 
 
Quando l’alba del quarto giorno iniziò ad accendere il cielo, finalmente l’udirono: il suono lontano di corni da guerra. Gli elfi sui bastioni aguzzarono gli occhi e videro i vessilli di Orzammar sventolare all’orizzonte. Tutti esultarono, lasciando la prole oscura confusa; fu come se le energie dei sopravvissuti si fossero improvvisamente ristabilite del tutto, e i soldati iniziarono a colpire come se avessero appena fatto una bella dormita. Un boato fece tremare la terra mentre i nani giungevano ad asce levate, ognuno in groppa al suo fedele bronto: creature resistenti e fiere simili a rinoceronti, tozze e dalla pellaccia dura, proprio come i nani. L’esercito di Orzammar s’infranse contro l’orda all’esterno della città, e l’attraversò come un coltello che affonda in un panetto di burro morbido.
«Guardate!» esclamarono alcuni arcieri. Una massiccia figura avanzava in testa all’esercito, a cavallo di una creatura ancora più inusuale; appena attraversò i cancelli, il golem Shale abbassò la sua mascella pietrosa.
«Ehi, ma quello lì è come me!»
«Per mille pinte di birra… ma quella è Branka!» esclamò Oghren, sfilando via la sua ascia dal cranio di un genlock.
Branka, nel suo nuovo corpo da golem, passeggiava sulla prole oscura come su un campo fiorito, schiacciando le sue vittime ancor prima che potessero vederla arrivare e spazzandone via altrettante con colpi decisi delle sue braccia massicce. A cavalcioni sul suo collo, una figura familiare.
«Sereda!» la riconobbe Alistair. La principessa nanica, bardata nella sua armatura pesante, sollevò la visiera del suo elmo.
«In persona. Siamo venuti a salvare le vostre chiappe» ridacchiò mentre saltava giù dal suo golem personale.
«Ah! Adesso sì che andremo forte!» gridò Oghren, esaltato dalla presenza della sua gente, iniziando a roteare la sua ascia recidendo teste a destra e a manca.
L’arrivo dei nani fu decisivo: in molti entrarono in città per assistere le truppe alleate, ma una buona parte rimase fuori dalle mura, disperdendo così l’orda e costringendola a combattere su due fronti.
Combatterono tutta la giornata, e all’ora del tramonto sembrava che stessero finalmente per passare in vantaggio; finché qualcosa fece abbassare le armi ai Custodi.
«Cosa… cos’è questa roba?» esclamò Merevar, l’espressione confusa. «C’è una canzone nella mia testa…»
Alistair sbiancò. «Allora è questo ciò di cui aveva parlato Duncan…»
«Sì, ragazzo» annuì Riordan. «È il richiamo dell’arcidemone.»
Melinor, gli occhi sgranati, volse lo sguardo al cielo. «Sta arrivando.»
 
 
Una cupola di luce azzurrina si erse sulla città. I più forti fra i maghi del Circolo e i Guardiani dalish erano posizionati sui bastioni tutt’attorno alla città, dove avevano sistemato antiche rune dalish di protezione su cui riversare la loro magia. Uno stuolo di guerrieri proteggeva ciascuno di loro mentre erano concentrati ad alimentare la barriera d’energia protettiva.
Presto udirono il tanto temuto ruggito echeggiare nel cielo rosso del tramonto. Tutte le teste si levarono mentre l’arcidemone compariva alla vista; la prole oscura, eccitata, sembrò riaccendersi e ricominciò a spingere sulla città. Il drago sorvolò Denerim un paio di volte prima di colpire: una palla di fuoco che avrebbe fatto esplodere centinaia di soldati s’infranse sulla barriera. Infuriato, il drago iniziò a sputare fuoco a ripetizione: i maghi che alimentavano la barriera fecero del loro meglio, ma avvertirono la difesa assottigliarsi rapidamente.
«Non reggeranno a lungo» disse Melinor, rivoli di sudore freddo che scorrevano sulle sue tempie.
«Custodi!» Freya li raggiunse di corsa. «Spero abbiate un piano per abbattere al più presto quella cosa!»
«Dobbiamo attirare la sua attenzione, non c’è altro modo» rispose prontamente il Custode anziano Riordan. «La prole oscura è attratta dai Custodi Grigi perché percepiscono la corruzione in noi, ma sentono che è diversa dalla loro e per questo ci si fiondano addosso per ucciderci. Anche agli arcidemoni succede la stessa cosa. Ragazzi, voi restate qui a combattere» rivolse la sua attenzione ai gemelli e ad Alistair. «Io salirò lassù, in cima alla torre di Forte Drakon. Vedrete che il drago planerà subito su di me. Se non dovesse soccombere entro un’ora, e se io non dovessi farmi vivo… allora dovrete occuparvi voi dell’arcidemone.»
«Non sarebbe meglio andare tutti insieme?» si fece avanti Melinor. «Noi abbiamo già combattuto contro un drago, non riuscirete a sconfiggerlo da solo!»
«Porterò dei soldati con me, ma voi dovete restare qui. Se andassimo tutti attireremmo l’attenzione della prole oscura e ci ostacolerebbero, impedendoci di attirare l’arcidemone. È meglio se restate qui.»
I tre annuirono. Riordan non aspettò nemmeno un istante: partì di corsa verso Forte Drakon, l’inespugnabile prigione della città.
 
 
Videro il drago planare sulla cima della torre neanche mezz’ora dopo. Continuarono a combattere, sperando che qualcosa accadesse: ma passò un’altra mezz’ora, e poi un’altra ancora… la prole oscura continuava a riversarsi sulla città senza fine.
«Temo che Riordan non ce l’abbia fatta» si decise a prendere in mano la situazione Alistair.
I gemelli si guardarono fra loro, la stessa preoccupazione impressa sui visi identici.
«Allora dobbiamo andare» li stupì la voce di Morrigan, avvicinandosi a loro dopo aver fulminato un hurlock. «L’arcidemone deve morire, e presto. L’esercito è già durato fin troppo.»
«Dobbiamo andare?» Alistair rimarcò la prima parola.
«Naturalmente, verrò con voi. Più vicina sarò al momento dell’uccisione e meglio sarà… in teoria il rituale dovrebbe garantire la sua riuscita anche da lontano, ma meglio essere sicuri.»
«Ma è pericoloso» le si avvicinò Merevar. «Nella tua condizione…»
«Non fare il paparino premuroso, non è proprio il momento!» sbuffò la strega. «Non sarò certo più al sicuro qui, senza di voi! Ti pare?»
«Bene, allora andiamo e facciamola finita» esordì Hawke lì vicino, asciugandosi una chiazza di sangue dalla fronte. Al primo sguardo contrariato di Merevar, saltò su. «Non mi lascerai indietro, Mahariel! Scordatelo! Io vengo con voi!»
«E come potrei mai impedirtelo?» sbuffò lui. «Va bene, andiamo.»
 
 
Si aprirono la strada faticosamente fino a forte Drakon, e non riuscirono a impedire a Sereda e Branka di far loro da scorta.
«Vi serviranno una nana di roccia e un golem contro quel bestione» aveva detto loro Sereda. Freya avrebbe voluto seguirli, ma dovette restare a proteggere il palazzo della regina con le sue truppe.
La torre della prigione era invasa dalla prole oscura accorsi a sostenere l’arcidemone: ripulirono una stanza dopo l’altra, piano dopo piano, correndo lungo rampe e rampe di scale. Alcuni soldati di stanza nella torre erano ancora in vita, e li seguirono fino in cima per aiutarli.
Si fermarono davanti alla porta che dava sul tetto, prendendosi un attimo per realizzare ciò che stavano per fare.
«Beh… suvvia… non disperiamo» rise nervosamente Hawke. «Abbiamo già ucciso un drago prima d’ora, no?»
Persino Morrigan non trovò commenti da fare, tradendo la sua preoccupazione. Guardò Melinor, e le due si scambiarono un muto augurio.
Merevar prese Hawke per un braccio e l’attirò a sé, stringendola forte. «Non fare stupidaggini» le disse, una mano premuta sulla sua testa. Si distaccò per guardarla, la mano ancora intricata fra i suoi capelli rossi. «Finalmente ti sei decisa a portare i capelli sciolti» sorrise per sdrammatizzare.
«Sì, che ci vuoi fare… un prole oscura mi ha tranciato il nastro che reggeva la coda, probabilmente pensava anche lui che così sono più carina» ridacchiò lei, stando al gioco; ma subito lo vide farsi serio.
«Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata, Berkanna. Davvero, cerca di non fare l’eroina. Se ti succedesse qualcosa non lo sopporterei.»
Lei cercò di guardarlo male, ma non ci riuscì. Si trovò a sorridere suo malgrado. «È la prima volta che qualcuno mi chiama con quel nome senza mandarmi su tutte le furie.»
Alistair e Melinor si limitarono a stringersi la mano, uno scambio di sguardi che valse più di mille parole. Non morire. Si erano fatti quella promessa notti addietro: una promessa che pulsava insieme ai battiti dei loro cuori, e li mandava avanti in mezzo a quell’inferno. Non morire.
Prima di aprire la porta, i due gemelli si portarono uno di fronte all’altra.
«Ti avevo detto di non seguirmi. Guarda in che pasticcio ti sei cacciata» scosse il capo lui.
«Preferiresti essere qui da solo?» disse lei, seria, senza alcuna voglia di scherzare. Lui si fece finalmente serio a sua volta.
«No.»
Si abbracciarono, un calore familiare, due forze che si alimentavano l’una con l’altra. Senza dire altro, aprirono insieme la porta.
Il rosso del tramonto fece subito risaltare il profilo del drago appollaiato sulla torre: una moltitudine di cadaveri maciullati era sparsa attorno alla bestia. Fra quelli, riconobbero subito i brandelli di Riordan. Gli occhi di tutti erano fissi sul drago.
«Riordan è riuscito a ferirlo… gli ha tagliato la membrana delle ali» notò Alistair. «Non può più volare.»
«Facciamo in modo che non possa più nemmeno respirare» inspirò a fondo Melinor, l’aura del guerriero arcano che ricominciava a brillare attorno a lei. «E cerchiamo di fare in fretta.»
L’arcidemone si voltò subito verso di loro non appena misero piede sul tetto della torre. Scoprì le sue orrende file di zanne, minaccioso; poi alzò il capo verso l’alto, emettendo un tremendo ruggito. I Custodi, contrariamente agli altri, non ebbero bisogno di coprirsi le orecchie con le mani; a turbarli fu qualcos’altro.
«Era un richiamo» esclamò Alistair. «Sta chiamando qui i rinforzi… presto verremo assaliti dalla prole oscura!»
«Ne sei certo?» esclamò Hawke, massaggiandosi le orecchie.
«Sì… noi sentiamo il suo richiamo come quei mostri, ricordi?» le disse Merevar, saldando la presa attorno all’elsa di entrambe le sue spade corte. «Andiamo. Ora o mai più!»
Si fiondarono sull’arcidemone insieme ai pochi soldati che li avevano seguiti lassù. Mentre correva, Melinor sfilò via un corno dalla cinta e vi soffiò dentro: le teste di centinaia di dalish scattarono verso la torre, riconoscendo il richiamo del loro popolo. Ma non c’era tempo di aspettarli: dovevano ingaggiare subito una lotta con l’arcidemone.
La cosa non si rivelò affatto facile: mentre gli altri distraevano la bestia, Hawke tentò di usare il trucchetto che le aveva permesso di sconfiggere il drago di Haven. Evocò il ghiaccio perenne sugli occhi dell’arcidemone, ma sembrava inefficace: i cristalli di ghiaccio si scioglievano ancor prima di formarsi, con il risultato che Hawke si ritrovò ben presto a corto di mana.
«L’arcidemone non è un comune drago, possiede la magia degli antichi Dei» le disse Morrigan, lanciandole una boccetta di lyrium. «Bevilo, altrimenti non ce la farai!»
Hawke non si fece pregare, e tracannò immediatamente il liquido azzurrino; non servì a ripristinare tutta la sua energia, ma le permise di restare in piedi. Merevar, che teneva un occhio sul drago e uno su di lei, si rincuorò un po'.
Nonostante Riordan fosse riuscito a ferire l’arcidemone prima di soccombere, la bestia non sembrava volersi arrendere. I Custodi, aiutati da Sereda e dai soldati, passavano più tempo a evitare colpi che a infliggerne.
«Oh no… maledizione, sono già qui!» imprecò Melinor vedendo i primi Generali hurlock attraversare la porta che dava sul tetto.
«Voi pensate a questo lucertolone… a quelli pensiamo noi» disse Sereda, attirando l’attenzione dei soldati. «Branka, blocca l’ingresso! Ne devono passare il meno possibile!»
«Non c’è problema!» rispose il Golem, andando a piazzarsi davanti alla porta. Sereda e i soldati si lanciarono sugli hurlock che erano già passati, ingaggiando con loro un combattimento furioso. I Custodi, Morrigan e Hawke continuarono a colpire l’arcidemone, per quanto possibile.
Branka, di guardia davanti alla porta, non faceva che schiacciare hurlock e genlock come fossero formiche; qualcuno riusciva di tanto in tanto a sfuggire alla sua attenzione, ma davvero pochi riuscirono a eludere la sua guardia. L’arcidemone parve notarlo, e la cosa non gli piacque granché: smise di prestare attenzione ai Custodi, e corse trascinando le sue enormi zampe artigliate fino a alla porta, schiacciando qualsiasi creatura si trovasse sul suo percorso. Branka si voltò appena in tempo per vedere il drago piombare su di lei e afferrarla con le sue fauci.
«No, Branka!» si distrasse Sereda. Corse verso il drago, ma non poté far nulla: dopo averla immobilizzata fra le zanne, l’arcidemone agitò la testa un paio di volte a destra e a sinistra prima di gettare Branka oltre il parapetto, giù nel cortile di Forte Drakon. Riuscirono a udire la pietra infrangersi persino a quella altezza, nel caos della battaglia.
«Dannazione, non ci voleva» impugnò saldamente spada e scudo Alistair. Senza Branka a bloccare il passaggio, la prole oscura iniziò a riversarsi sul tetto come uno sciame di vespe velenose.
«Dobbiamo concentrarci sull’arcidemone!» gridò Merevar.
«Fosse facile!» replicò Melinor, mentre insieme cercavano di farsi strada fra la prole oscura fino al drago. «Questi maledetti ci ostacoleranno!»
«Dobbiamo provarci lo stesso, altrimenti l’orda ci travolgerà!» gridò Alistair per farsi sentire. Morrigan e Hawke li seguivano come ombre, pronte a coprire le loro spalle.
Ben presto il tetto fu gremito di mostri, ma non mancavano i soldati alleati: alcuni nani, dopo aver visto Sereda Aeducan andare verso la torre e vedendo frotte di prole oscura fare lo stesso, avevano seguito la loro scia. I Custodi riuscirono ad avvicinarsi all’arcidemone, ma erano troppo impegnati a combattere i Generali hurlock per potersi occupare del drago.
Finché non accadde la cosa che nessuno si sarebbe aspettato: una trentina di enormi aquile reali apparvero da dietro i merli della torre, ognuna con i polsi di due elfi dalish stretti fra gli artigli. Gli elfi atterrarono sul tetto, e le aquile rivelarono la loro vera forma di Guardiani dalish. Subito i cacciatori assicurarono delle scalette di corda ai merli e le lasciarono cadere giù, lunghissime, fino al cortile della torre.
Un’aquila lasciò cadere un’elfa bionda alle spalle di Merevar, giusto in tempo perché trafiggesse la gola di un genlock che stava per aggredire l’elfo alle spalle.
«Mithra!» esclamò lui, riconoscendo la sua amica dalish.
«Poche ciance, Mahariel. Hai un lavoro da fare» disse l’altra, bloccando un colpo d’ascia con le sue lame incrociate. Nel frattempo, Lanaya passò dalla forma animale alla sua, proprio accanto a Melinor.
«Abbiamo sentito il tuo richiamo, ma non siamo riusciti ad attraversare la torre, brulica di prole oscura!» riferì alla compagna. «Abbiamo dovuto improvvisare!»
«Con delle scalette di corda?» esclamò Alistair, parando un colpo con lo scudo. «Come diavolo faranno i vostri a salire fin quassù con delle scalette di corda?»
«I dalish possono arrampicarsi velocemente fino alle altezze più impensabili» ribatté Lanaya, il suo bastone che s’illuminava mentre si accingeva a combattere.
Non scherzava: ben presto i dalish iniziarono ad arrivare, rapidi e veloci, e la prole oscura, goffa e pesante, non riuscì a usare le scalette per inseguirli. Si limitarono a colpire con le frecce, riuscendo qualche volta a eludere l’agilità degli elfi e facendone cadere qualcuno prima che potesse raggiungere la cima.
L’arrivo dei dalish diede ai Custodi l’opportunità di avvicinarsi ulteriormente all’arcidemone, ma i Generali hurlock non davano alcuna tregua ai tre. Nonostante tutti attorno a loro cercassero di tenere impegnati i mostri corrotti, quelli continuavano ad accanirsi sui Custodi. Sapevano ciò che volevano fare, e non potevano permetterlo.
A un tratto, Hawke finì a terra. Rimase senza fiato per il colpo della schiena sul pavimento, atterrando a pochi passi dalla zampa posteriore dell’arcidemone.
«Hawke, attenta! Rialzati, presto!» Morrigan colpì i genlock che volevano avventarsi su di lei mentre era a terra. Merevar udì la strega e cercò di liberarsi per andare a soccorrere la sua amata, senza tuttavia riuscirci, braccato com’era. Nonostante il richiamo di Morrigan, Hawke rimase alcuni istanti a terra, gli occhi che per caso individuarono una ferita sul ventre del drago. Una lampadina s’accese nella sua mente: si rimise in piedi e corse, abbassandosi per insinuarsi sotto alla pancia del drago.
«Hawke, no!» le gridò Merevar, combattendo furiosamente contro il Generale hurlock che lo martellava come un ferro sull’incudine.
Ma era troppo tardi: la ragazza, eludendo l’attenzione del drago che era tutta per i Custodi Grigi, si era già portata sotto alla ferita notata per puro caso pochi istanti prima. Rivoltò il bastone, pronta a infilare nella ferita la lama che aveva montato sull’arma magica in occasione della battaglia.
«Il ghiaccio non funziona? Proviamo con le scintille» disse, mentre conficcava il bastone nell’addome ferito del drago. Usò tutto il mana che le restava per lanciare una scarica elettrica nell’arcidemone, quel tanto che bastava a tramortirlo senza ucciderlo; quel compito spettava a uno dei suoi compagni.
Il drago ruggì di dolore, sollevandosi sulle due zampe posteriori: il sangue scorreva copioso dalla sua ferita, ora ancor più ampia, il bastone della fereldiana ancora conficcato lì; la sua attenzione era tutta per Hawke, ora lasciata allo scoperto proprio ai suoi piedi. Fu un attimo: con un colpo di coda la colpì in pieno, scaraventandola come una bambola di pezza contro uno dei merli della torre. Merevar la guardò volare proprio sopra di sé, stravolto, rischiando di lasciarsi trafiggere dal suo nemico mentre era impegnato a guardare la sua amata sbattere contro la pietra e cadere a terra.
«Melinor!» chiamò, fuori di sé. «Vai da Hawke, subito! Guariscila, ti prego!»
La gemella non si fece pregare, e schizzò via falciando la testa di ogni prole oscura che le si parava davanti. Non poteva esitare, doveva fare ciò che suo fratello le aveva chiesto: Hawke era la sua compagna, l’aveva scelta dopo mille peripezie. Era diventata anche una sua cara amica, ed era suo dovere salvarla.
Nel frattempo Merevar, furioso, guardò con la coda dell’occhio l’arcidemone accasciarsi a terra; iniziò a muoversi rapido come mai era stato, portandosi con una capriola alle spalle del Generale hurlock e recidendogli i tendini delle gambe. Quello cadde sulle ginocchia con un latrato furioso mentre l’elfo correva deciso verso l’arcidemone.
«Alistair, tienili lontani da me!» gridò mentre si arrampicava sul corpo dilaniato del drago.
«Ci penso io! Fallo, Merevar! Uccidi quel mostro!» gridò l’altro di rimando, piazzandosi sulla scia lasciata indietro dall’elfo.
Melinor stava curando Hawke, coperta da Morrigan; Alistair copriva Merevar, i nani e i dalish ce la mettevano tutta per respingere quanti più prole oscura possibile, e gli umani difendevano strenuamente la città ai loro piedi. Tutti stavano dando il loro meglio.
Merevar corse lungo il collo del drago, ormai troppo debole per riuscire a sbalzare via l’elfo; quando l’elfo fu proprio sulla testa dell’arcidemone, il generale che aveva azzoppato gridò rabbioso. Lanciò la sua picca in direzione del dalish, ma ormai era troppo tardi: la picca s’infranse contro la colonna di luce innalzatasi dal corpo dell’arcidemone dopo che le lame di Merevar avevano trafitto il suo cranio. Tutti i più vicini, prole oscura e non, vennero sbalzati lontano dall’onda d’urto; tutti coloro che erano impegnati a combattere in cima alla torre dovettero fermarsi, accecati dall’intenso bagliore. Morrigan sussultò al fianco di Melinor e spalancò i suoi occhi gialli, che s’illuminarono della stessa luce che emanava dall’arcidemone morente.
Il tempo sembrò fermarsi in tutta la città: non c’era testa che non fosse rivolta verso la torre. Freya, coperta di sangue dalla testa ai piedi, si chiese se finalmente le sue preghiere fossero state esaudite; insieme a lei, tutti attesero che la colonna di luce si ritirasse.

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Capitolo 48
*** L'Eroe del Ferelden ***


La colonna di luce finalmente si ritirò, lasciando soltanto il corpo senza vita dell’arcidemone e Merevar, ancora a cavalcioni sul suo collo, con i pugni stretti attorno alle due else intarsiate. D’improvviso, la prole oscura iniziò a fuggire da tutte le parti: i soldati esultarono, esausti e pazzi di gioia. Il Flagello era stato fermato.
In piedi accanto a Melinor, ancora intenta a curare Hawke, Morrigan ansimava con il volto distorto da un’espressione stravolta.
«Morrigan… stai bene?» le chiese Melinor. La strega annuì.
«Sì, io… ho sentito il potere dell’arcidemone passare attraverso di me. Ora la sua vita pulsa appena nel mio grembo…» disse, portandosi le mani al ventre.
«Non posso crederci… ce l’abbiamo fatta» mormorò l’elfa, incredula, guardando gli orrendi mostri che battevano in ritirata.
Morrigan si avvicinò all’elfa. «Una brutta ferita» disse inginocchiandosi accanto a Hawke. Il viso della ragazza era stato colpito in pieno, probabilmente da una delle spine sulla coda del drago: era gonfio e tumefatto, coperto di sangue viscido che sgorgava dal grosso taglio che le attraversava orizzontalmente il viso all’altezza degli zigomi. Il naso era stato rotto, e se non aveva perso la vista era stato solo per un vero e proprio miracolo.
«Se non fossi intervenuta subito non ce l’avrebbe fatta» sospirò l’elfa, le mani ancora imposte sulla ragazza per inibire l’emorragia.
«Tuo fratello sarà contento» sollevò un angolo della bocca Morrigan. Entrambe le ragazze si voltarono verso l’elfo giusto in tempo per vederlo saltare giù dalla testa dell’arcidemone. Ma osservando bene capirono che era in realtà caduto giù, e non lo videro rialzarsi. Alistair corse verso di lui, buttandosi sulle ginocchia; in mezzo a tutto quel caos di prole oscura in fuga, Melinor non riusciva a vedere nulla. Sentì le gambe diventare molli come gelatina.
«Morrigan, occupati tu di Hawke» disse alla strega, e senza attendere una risposta corse, facendosi strada fra i mostri in fuga. «Merevar!»
Quando li raggiunse, Alistair si voltò a guardarla. Era pallido come un fantasma. Subito si alzò in piedi, mettendosi fra lei e l’elfo. «Melinor…»
«Fammi passare!» lo aggirò lei, seccata.
Rimase di sasso. Merevar giaceva a terra in una pozza di sangue accanto alla testa dell’arcidemone: una picca attraversava il suo petto da una parte all’altra.
Melinor non riuscì a muoversi né a parlare per qualche minuto. Rimase con gli occhi sbarrati fissi sul corpo immobile del suo gemello, incapace di provare alcunché. Poteva sentire la sua resistenza lottare contro ciò che spingeva da dentro, un disperato tentativo di bandire il dolore nel vuoto.
«Melinor…» Alistair fece per toccarla, ma lei alzò una mano e si allontanò di qualche passo. Un rantolo poco distante la fece voltare: il Generale hurlock che aveva lanciato la picca era ancora lì, zoppo e incapace di fuggire, intento a emettere quella che sembrava una gutturale, crudele risata.
Alistair non poté vedere Melinor in viso, ma vide il fumo che iniziava a salire dalla punta delle sue dita. Presto le dita gentili che tanto spesso s’erano intrecciate con le sue iniziarono a emettere fiamme violente; grazie al suo addestramento da templare, il ragazzo riuscì a percepire il Velo assottigliarsi attorno all’elfa. Ma non fece in tempo a fare nulla.
Con un grido rabbioso, l’intero corpo di Melinor venne avvolto dalle fiamme: sprigionò un potere tale da spaventare tutti gli alleati rimasti in vita, che si allontanarono subito da lei. Le fiamme iniziarono a divampare ovunque: la porta che consentiva alla prole oscura di battere in ritirata venne sigillata da un muro di fuoco, intrappolandoli sul tetto. Melinor evocò una spaventosa tempesta di fuoco, iniziando a colpire tutti gli hurlock e genlock rimasti. Gli alleati dovettero ripararsi come potevano per non essere colpiti.
L’elfa gridava, ormai dimentica di sé stessa, posseduta dall’ira e dal dolore della perdita: era irriconoscibile. Stava ancora scatenando tutta la sua furia quando sentì che i canali della sua energia venivano strozzati. Le fiamme si smorzarono piano piano e il suo corpo riapparve alla vista: furibonda, si voltò verso Alistair.
«Cosa stai facendo? Levati di mezzo!»
«Melinor, non sei in te!»
«Ho detto togliti di mezzo! Smettila di bloccarmi con la tua aura antimagia da templare!»
«No!» si oppose lui, alzando la voce. «Ti manca tanto così per perdere il controllo ed essere posseduta da un demone dell’ira!»
«Non mi interessa!» gli si buttò addosso, iniziando a prendere a pugni la sua armatura. Ma senza la magia del guerriero arcano a sostenerla, non poteva fargli niente. Impotente e frustrata, tornò a guardarsi attorno. Strabuzzò gli occhi vedendo che la prole oscura stava fuggendo dalla porta, giù per la torre. «Stanno scappando! Ridammi la mia magia, io devo fermarli!»
«Ormai è finita, Melinor! Si stanno ritirando, lasciali andare!»
«No!» la sua voce era talmente stridula da far quasi male ai timpani. Si mise a correre dietro agli ultimi genlock, ma Alistair fu più veloce e l’acchiappò alle spalle per la vita, tenendola ferma.
«Lasciami! Lasciami andare!» si dibatté come una forsennata. «Devo ucciderli, devono morire tutti!»
«Melinor, cerca di calmarti!» le disse Alistair, sopprimendo il suo dolore nel vederla così.
«No! Loro devono morire tutti, fino all’ultimo! Sono una piaga, hanno ucciso Merevar!»
Furono le sue stesse parole a riportarla alla realtà. A quella durissima, orrenda realtà. Suo fratello era morto. La rabbia si tramutò in un soverchiante dolore mentre lo realizzava. «Lo hanno ucciso!» gridò, singhiozzando.
Chiunque stesse guardando rimase a testa bassa di fronte a quella scena così straziante. I dalish presenti erano particolarmente partecipi di quel dolore; Lanaya raggiunse Mithra, che piangeva in silenzio per la perdita del suo caro amico. Morrigan abbassò lo sguardo su Hawke, che dormiva ignara dell’accaduto, e si chiese cosa sarebbe successo al suo risveglio.
Alistair si lasciò cadere sulle ginocchia insieme a Melinor quando le gambe non la ressero più. Si lasciò andare in un pianto dilaniante, urlando il nome del fratello, come se quel gesto potesse farlo tornare indietro. Alistair la fece voltare, ormai una marionetta senza alcun desiderio di resistere a nulla, nemmeno al dolore. La tenne fra le braccia e pianse con lei mentre continuava a gridare il suo nome. Merevar.
 
 
Passò una settimana. Leliana raggiunse Alistair davanti alla porta della stanza di Melinor. Una porta che non si apriva da sette giorni.
«Ancora niente?» chiese con voce triste la ragazza. Alistair scosse il capo, distrutto; Leliana sospirò. «Aspetta qui. Forse abbiamo finalmente il modo di farla uscire da lì.»
Seguita dagli occhi segnati di Alistair, sparì lungo il corridoio. Tornò dopo una decina di minuti, in compagnia di un’elfa dai capelli argentati: portava un bastone, indice che era una maga, e il vallaslin tatuato sul suo viso tradiva le sue origini. Una dalish, una Guardiana.
«Alistair, questa è Marethari, la mentore di Melinor. È venuta insieme ad alcuni membri del clan per il funerale di Merevar.»
«Oh, siete voi! Vi ringrazio per essere venuta» Alistair si prostrò davanti a lei, lasciandola alquanto basita. «So quanto Melinor vi rispetta, Guardiana. Mi ha parlato tanto di voi. È rinchiusa lì dentro da una settimana, non so nemmeno se abbia mangiato quello che le è stato portato… non ha lasciato entrare nessuno, nemmeno me. La prego, faccia qualcosa!»
Marethari alzò un sopracciglio, un’espressione curiosa sul viso. «E tu saresti…?»
«Oh, sì… chiedo scusa. Io sono Alistair, un Custode Grigio come Melinor. E… sono il suo compagno.»
L’anziana lo squadrò per bene. «Melinor ha scelto… te?»
«Sì», annuì il giovane, lievemente a disagio. «E io ho scelto lei.»
La Guardiana comprese al volo il significato celato dietro a quelle parole; il ragazzo conosceva e rispettava le tradizioni dalish. Annuì compiaciuta, e si avvicinò alla porta. I due umani restarono speranzosi a guardare mentre bussava.
«Apri la porta, dah’len.»
Dapprima non si udì nulla; poi un leggero tramestio. La maniglia scattò, e il cuore di Alistair perse un battito. Si aprì uno spiraglio, una sottile fessura nera; non riuscì a vedere niente mentre la Guardiana apriva la porta per entrare.
Le narici dell’anziana vennero invase dall’odore acre di cibo lasciato all’aria. Il ronzio delle mosche era l’unico rumore ad animare quella stanza in penombra. Il letto aveva le coperte logore e ammucchiate, le tende erano chiuse; solo un sottile raggio di sole penetrava per illuminare a malapena la stanza.
Udì la porta richiudersi alle sue spalle. Si voltò, trovando il riflesso di due iridi verdi nel buio: individuò la sagoma di Melinor nella penombra.
«Guardiana…»
«Melinor, figliola… come ti sei ridotta» disse, mortificata nel constatare le condizioni di quella che era stata la sua protetta per tanto tempo. Le andò incontro.
«Siete… siete qui…» balbettò Melinor, incredula.
«Abbiamo ricevuto il messaggio di Lanaya, dah’len. Avremmo voluto rispondere alla chiamata alle armi, ma eravamo già nei Liberi Confini, accampati sul Monte Spezzato… i nostri halla si sono ammalati durante il viaggio fin là, ne erano rimasti pochi in grado di cavalcare. Ho lasciato Merril a badare al clan e sono venuta con qualche cacciatore. Volevamo darvi comunque una mano, pur sapendo che probabilmente saremmo arrivati tardi… infatti lungo la strada ci è giunta la notizia di com’è finita» concluse, gli occhi che si colmavano di dolore.
«Guardiana… Merevar è… lui…» iniziò a singhiozzare Melinor, la voce stridula come quella di una bambina.
«Lo so, dah’len. Sono qui per questo.»
La prese fra le braccia, e trovò una creaturina indifesa, distrutta e sottile. La lasciò piangere qualche minuto senza dire niente. Quando ritenne di averle lasciato abbastanza tempo, prese il suo viso fra le mani.
«Credimi, Melinor… nessuno può comprendere il tuo dolore meglio di me. Tu hai perso un fratello, e io un figlio» sussurrò, un velo lucido sulle iridi chiare. «Ma non è da te tutto questo. Non è questo che io ti ho insegnato. Melinor, tu sei più forte di così… stanno tutti aspettando te là fuori. Non vogliono celebrare il funerale senza di te.»
Melinor abbassò lo sguardo, ma Marethari le risollevò delicatamente il viso.
«Rimandare il funerale non cambierà questa triste realtà, figliola. Devi essere forte adesso… lo devi a tuo fratello. Merita una degna sepoltura, e merita che tu sia lì per lui quando avverrà.»
«Forse sono stata troppo forte fino alla fine, e ora ho esaurito la mia forza… io non ce la faccio» mormorò la ragazza. «Non avete idea di quello che abbiamo passato per arrivare alla battaglia finale, abbiamo dato tutto…» ricominciò a piangere, un pianto rassegnato e consapevole. «Non era sufficiente? Perché Merevar ha dovuto dare anche la sua vita?»
Marethari la prese sottobraccio e la condusse al letto. La fece sedere sul materasso e andò a tirare le tende e ad aprire le finestre, per far entrare luce e aria pulita. Poi si accomodò accanto a Melinor.
«Raccontami tutto, dah’len.»
 
 
Quando Melinor ebbe finito di raccontarle tutta la loro storia, Marethari era sopraffatta.
«Avete incontrato Asha’bellanar in persona… e Merevar ha concepito un bambino con sua figlia…» mormorò, incredula. Scosse il capo. «Quale infausto destino… povero Merevar. Ha seguito il volere di Asha’bellanar, ha fatto il suo dovere fino all’ultimo, eppure…»
Melinor rimase in silenzio a fissare il vuoto. Lo stesso vuoto che sentiva dentro.
«Ho incontrato… come si chiama… Alistair, qui fuori» cambiò discorso Marethari. Vide Melinor sobbalzare appena, e seppe d’aver colto nel segno. «Mi ha detto che vi siete scelti.»
«Sì.»
«Quel ragazzo sta impazzendo per la preoccupazione. A giudicare da quant’erano cerchiati i suoi occhi, temo che non abbia dormito per giorni. E non è il solo a preoccuparsi per te: tutti gli amici che hai incontrato in questi mesi sono ansiosi di rivederti.»
Melinor si strinse nelle spalle con aria colpevole. «Lo so.»
Marethari la costrinse ancora una volta a guardarla, prendendole delicatamente il mento e girandole la testa. «Ti conosco, dah’len. So perché hai allontanato quel povero ragazzo. Ma così non fai altro che fare del male a entrambi.»
Melinor sapeva che la Guardiana aveva ragione. Lo sapeva sin dall’inizio. Sospirò, rassegnandosi all’evidenza: non poteva più continuare a nascondersi in quella stanza.
 
 
Marethari uscì un’ora dopo essere entrata. Leliana e Alistair, seduti a terra, scattarono in piedi.
«Vuole parlare con te» disse Marethari ad Alistair.
Il ragazzo s’illuminò, affrettandosi a raggiungere la porta, ma prima s’inchinò rispettosamente davanti all’anziana. «Non so davvero come ringraziarvi».
L’elfa rispose con un cenno del capo e un mite sorriso, restando a guardarlo mentre entrava nella stanza e si richiudeva la porta alle spalle.
«Guardiana Marethari…» La voce di Leliana fece voltare l’anziana. «Se non vi arreca disturbo, ci sarebbe un’altra persona che potrebbe aver bisogno di voi.»
«Di me? Qui a corte?» si sorprese Marethari.
«Sì. Se poteste seguirmi…»
Leliana condusse Marethari fino al giardino interno del palazzo reale. Restarono alcuni istanti sotto al porticato che circondava il chiostro; Leliana puntò il dito su una figura rannicchiata ai piedi di un albero, dall’altra parte del giardinetto.
«Quella ragazza è Hawke. Lei e Merevar stavano insieme.»
«Impossibile» la Guardiana sgranò gli occhi voltandosi verso Leliana. «Posso capire che Melinor abbia accettato un umano, ma Merevar?»
«Sì, è stata una sorpresa per tutti… persino per lui» sorrise, anche se il ricordo faceva male. «Hawke era molto innamorata di lui, e ora è distrutta… sono certa che voi potreste farla sentire meglio. Eravate la Guardiana di Merevar, dopotutto. Dopo Melinor, eravate voi a conoscerlo meglio di chiunque altro.»
Marethari osservò la ragazza da lontano: la sua testa era fasciata, un bel giro di bende le copriva la zona centrale del viso. I rossi capelli scarmigliati uscivano a ciocche spettinate dalla fasciatura.
«Le parlerò» decise la Guardiana. Leliana la ringraziò, e rimase a guardare Marethari mentre raggiungeva Hawke sotto l’albero.
 
 
Nel frattempo, Alistair era finalmente riuscito a farsi ricevere da Melinor. Appena entrò la vide, ancora seduta di spalle sul letto dove Marethari l’aveva lasciata. Sentì stringersi il groppo alla gola mentre aggirava il letto per portarsi di fronte a lei.
Appena le fu davanti, non poté nascondere quanto fosse addolorato nel vederla così: era visibilmente dimagrita, i capelli sporchi e arruffati, il volto scavato e gli occhi gonfi e arrossati. Era persino più pallida di un comune Custode Grigio afflitto dalla corruzione. Dal canto suo, Melinor si aspettava quella reazione; si strinse nelle spalle, a disagio.
«Non volevo che mi vedessi così» bisbigliò appena, evitando il suo sguardo.
Lui si buttò sulle ginocchia davanti a lei, e la cinse forte alla vita, facendole sentire tutta la disperazione del suo amore.
«Ma cosa dici?» le disse, senza riuscire a trattenere il pianto. «Melinor, mi hai fatto preoccupare a morte! So di non poter fare molto, so di non poter nemmeno immaginare quanto male tu stia… ma permettimi di starti vicino, ti prego!»
Melinor strinse le braccia attorno a lui, ricominciando a piangere. «Mi dispiace.»
«Non farlo mai più!» le disse lui, travolto da quell’inarrestabile treno di emozioni. Allentò appena il loro abbraccio per guardarla bene. «Perché? Perché non hai lasciato che ti stessi vicino? Non avevamo deciso di non escluderci più a vicenda?»
«Hai ragione… ma vedi, è proprio questo che temevo» incredibilmente sorrise, seppur fra le lacrime. «Quando ti vedo, quando realizzo che sei ancora vivo, accanto a me… sono così felice, Alistair. Ma appena mi sento felice, mi sento subito in colpa. Perché lui è morto, Alistair… lui è morto e io non ho alcun diritto di provare felicità» le tremolò la voce. Alistair rimase a guardarla impotente, un altro rigo bagnato sulla guancia. «Ma se mi sento triste per Merevar, allo stesso tempo mi sento un’ingrata… perché ho la fortuna di averti ancora con me, e non riesco a esserne felice» si coprì il volto con le mani, le spalle che salivano su e giù. «Mi sento strappare in due ogni volta, mi sembra d’impazzire e io… io non so come fare…»
«Melinor.»
La presa delicata di lui le fece abbassare le mani. Costretta a guardarlo, scoprì un’insolita fermezza in quegli occhi ambrati.
«Melinor… avrai tempo di essere felice per noi. So che sei felice di avermi ancora con te, davvero… non serve che me lo dimostri. Nessuno penserà che sei un’ingrata se piangi per tuo fratello. Credimi, mi costa davvero un’enormità dirtelo, perché odio vederti così e vorrei poter cancellare tutto il tuo dolore… ma adesso è giusto che tu ti prenda del tempo per elaborare il lutto. Quindi piangi, sentiti libera di star male per Merevar, perché è giusto così. Ma non farlo da sola, ti prego… lascia che stia al tuo fianco.»
Melinor non sentiva nemmeno più lo scorrere delle lacrime ormai, tante ne aveva versate in quella settimana. Lasciò cadere la testa sulla spalla di lui, lasciandosi trascinare via dal fiume del dolore.
 
 
Quando la porta della stanza si aprì, non c’era più solo Leliana fuori dalla porta. Era andata a informare i compagni che Alistair era finalmente riuscito a farsi ricevere da Melinor, e ora tutti si erano radunati fuori dalla camera, in attesa. Appena l’elfa uscì, si trovò davanti una serie di facce mortificate; persino Sten, sempre stoico e impenetrabile, e Oghren, goliardico e scanzonato, tradirono la loro tristezza nel vederla così sciupata e smagrita.
«Oh, Melinor… eravamo così preoccupati!» l’abbracciò per prima Leliana, le lacrime agli occhi. Poi fu il turno di Wynne, e di Zevran; Sten e Oghren non l’abbracciarono perché erano troppo fieri e virili per un simile gesto, ma chinarono il capo in segno di profondo rispetto, da veri guerrieri.
«Sono contenta che stiate tutti bene» riuscì a parlare Melinor. Tutti loro erano sopravvissuti.
«Un po’ ammaccati, ma sempre pronti a ronzarti intorno, mia bellissima amica» disse Zevran, un braccio fasciato e il suo bellissimo sorriso incrinato dalla tristezza. Melinor si rese conto che non solo lei aveva perso Merevar: lo avevano perso tutti. Zevran aveva perso l’unico vero amico che avesse mai avuto, a suo dire. Quel pensiero le fece ricordare che qualcuno stava soffrendo anche più di Zevran. L’elfa si guardò attorno alla ricerca dell’unica persona che mancava all’appello.
«Dov’è Hawke?»
Leliana sorrise, malinconica. «Vieni, ti portiamo da lei.»
La condussero al giardino interno, dove Hawke stava ancora parlando con Marethari sotto al grande albero. Si fermarono sotto al porticato a guardarle: Hawke era in lacrime, Marethari che le dava sostegno accarezzandole le spalle. Melinor comprese che, se c’era qualcuno che poteva realmente capire il suo dolore, quella era proprio Hawke: aveva perso l’uomo che amava, l’uomo il cui amore aveva tanto faticato per ottenere.
Come se avesse percepito il fruscio dei suoi pensieri, Hawke si voltò e la vide: ci fu un minuto di sguardi da lontano, e poi le due si corsero incontro. Si abbracciarono, unite in un silenzioso pianto, cuore contro cuore. Non c’era bisogno di parlare; solo loro sapevano quanto facesse male. L’avevano perso insieme.
 
 
I funerali di Merevar, proclamato Eroe del Ferelden, si tennero qualche giorno più tardi. Il rito fu dalish, per onorare la memoria del defunto: parteciparono tutti i dalish sopravvissuti, disposti in prima linea, seguiti dai cittadini che avevano già fatto ritorno a Denerim per aiutare a ricostruire la città. Partecipò anche ciò che era rimasto del grande esercito: elfi, nani e umani riuniti per onorare colui che era caduto per tutti loro. La regina Anora fece un bellissimo discorso, sorprendendo persino i dalish più ostili e facendoli sentire, per una volta, tutti uniti come un unico popolo. Un albero maestoso venne piantato sul luogo di sepoltura, posto in un boschetto riparato lontano dalla città, così che i dalish potessero andare a rendere onore a Merevar durante i loro viaggi senza doversi avvicinare troppo al centro abitato. Dopo che l’albero fu trapiantato, Hawke lo ricoprì con un sottile strato del suo speciale ghiaccio perenne. Mano nella mano con Melinor, rimase a guardare il bellissimo monumento a Merevar brillare nel sole.
«Così sarò sempre con te» mormorò, i rossi capelli lasciati sciolti al vento. Perché a lui piacevano così.
Dopo il funerale, tutti si dileguarono: i nani erano pronti per tornare a Orzammar guidati da Sereda, e i clan dalish salutarono Melinor, pronti a sellare i loro halla e a tornare alla vita di sempre. Solo la compagnia dei Custodi rimase a lungo davanti alla tomba di Merevar, contemplando in silenzio.
Fu allora che Melinor notò una figura incappucciata in lontananza, dietro ai cespugli. «Torno subito», disse ad Alistair.
Raggiunse quella che riconobbe come Morrigan. La strega se n’era rimasta in disparte per chissà quanto tempo.
«Morrigan… che ci fai qui? Avevi detto che saresti partita dopo la battaglia e che non ti avremmo più rivista…»
«Infatti ero partita, ma…» fu strano vedere il suo viso attraversato dalla tristezza. «Dovevo tornare. Mi dispiace, Melinor. Nonostante tutto quello che abbiamo fatto, non è stato sufficiente… pensavo che con il rituale sareste stati al sicuro, invece…»
«Non è stata colpa tua. Tu hai fatto la tua parte, e purtroppo la prole oscura ha fatto la sua» replicò l’elfa a testa bassa. «Grazie di essere venuta.»
«Ma figurati» rispose la strega, a disagio. «Sono venuta anche per dirti una cosa. Avevo detto a Merevar che avrei cresciuto il bambino da sola, che non avreste dovuto cercarmi mai… ma ho cambiato idea. Melinor, se vorrai venire da me e conoscere tuo nipote, potrai farlo.»
«Davvero?» sgranò gli occhi l’altra. Morrigan annuì.
«Mi fido di te. Certo, dovrò stare attenta a mia madre… tornerà a prendermi, prima o poi. Ma tu sai come far perdere le tue tracce, non temo che ti segua.»
Il senso di colpa tornò a pungere Melinor come una zanzara ostinata. «Morrigan, devo dirti una cosa.»
La strega la guardò incuriosita, e l’elfa prese una gran boccata d’aria prima di continuare.
«Quando siamo andati da tua madre, nelle Selve Korcari… lei ha lasciato che la uccidessimo. Era d’accordo.»
Morrigan restò basita. «Come?»
«La mia gente rispetta profondamente tua madre, lo sai. Lei sapeva che tu mi avresti mandata a ucciderla, ci stava aspettando. Mi ha proposto di mentirti, di annunciarti la sua morte anche se non sarebbe stata la verità, e mi avrebbe dato il grimorio come falsa prova… però ha visto che ero a disagio e che non volevo mentirti, così ha accettato di lasciarsi uccidere. La morte non la spaventava affatto.»
«Questo è impossibile! Mia madre che si lascia uccidere? È troppo orgogliosa per farlo!» sbottò Morrigan. Poi assottigliò le fessure degli occhi. «Ma tu l’avresti uccisa comunque… vero?»
Melinor sospirò, in difficoltà. Quella risposta bastò e avanzò per la strega.
«Non posso crederci… io mi fidavo di te, e tu mi hai mentito!»
«Non ti ho mentito! Tua madre è davvero morta, solo che non è successo nel modo che pensavi!»
«Mentire, nascondere… è la stessa cosa! Tu eri in combutta con mia madre!»
«Quindi anche tu hai mentito per tutto il tempo, o sbaglio? Sapevi del sacrificio che devono compiere i Custodi per porre fine ai Flagelli, ma hai aspettato il momento opportuno per dirlo! Eppure io non te ne ho fatta una colpa, perché mi sono sforzata di capire le tue ragioni!»
Morrigan si zittì, punta sul vivo. Restarono ad affrontarsi in silenzio per qualche istante, prima che la strega si decidesse a parlare.
«Scordati quello che ho appena detto. Non so perché voi dalish siate tanto fissati con mia madre, ma adesso che so che le sei fedele non posso permetterti di rintracciarmi. Non venirmi a cercare, la porteresti sicuramente con te, in qualche modo». Si sistemò il cappuccio sulla testa e la tracolla sulla spalla. «Buona vita, Melinor.»
Mosse alcuni passi, decisa ad andarsene.
«Non mi dici addio?»
Le parole dell’elfa fecero arrestare Morrigan. Voltò la testa per guardarla un’ultima volta; ma non disse niente. Riprese ad allontanarsi senza più guardarsi indietro.
«Ehi, ma quella era Morrigan?» Alistair la raggiunse dopo qualche minuto. Melinor annuì. «Che ci fa qui, non era partita?»
«Ha deciso di tornare per il funerale.»
«Ah… strano, da parte sua» si stupì il ragazzo. «Suppongo che non la rivedremo più… che peccato!» ridacchiò allegro. Melinor sorrise enigmatica.
«Non ci giurerei. Non mi ha detto addio.»
 
 
Una settimana più tardi, tutti loro presero parte alla cerimonia d’incoronazione ufficiale di Anora come nuova regina del Ferelden. Un sontuoso banchetto venne indetto in suo onore, e la nuova regina spese alcune parole per onorare i Custodi Grigi. Concesse all’Ordine la vecchia tenuta di Howe, ad Amaranthine, come nuova base operativa per i Custodi Grigi del Ferelden; il comandante Freya, nella sua armatura dorata, sorrise compiaciuta.
Durante il banchetto che seguì, Melinor e Alistair notarono Sten e gli altri accanto alla porta.
«Che succede?» chiesero, raggiungendoli.
«Sten se ne va» la ragguagliò Hawke.
Melinor lo guardò, non troppo stupita. Sorrise triste. «Non resti ad aspettare il dolce? Potrebbero esserci dei biscotti…»
Il qunari ridacchiò, sorprendendo tutti, ma tornò subito serio. «Ho mantenuto la mia promessa, vi ho aiutati a sconfiggere l’arcidemone. È tempo per me di tornare in patria.»
Melinor annuì. «Grazie di tutto, Sten.»
«Grazie a voi, Custodi Grigi. Mi avete insegnato molto. La perdita di Merevar è…» scosse il capo, addolorato. «Lo stimavo molto. E per quanto la cosa mi sorprenda, stimo molto anche te. Una maga che diventa guerriera… mai avrei pensato di vedere una cosa simile.»
Melinor sorrise. «Grazie, Sten.»
Lo salutarono uno alla volta, vigorose strette di mano che valsero come abbracci. Restarono in silenzio a guardarlo mentre spariva per sempre.
«Bene… e così uno di noi è andato» disse Melinor. «Voi cosa farete?»
Gli altri si guardarono fra loro con degli strani sorrisetti. «Noi non andiamo da nessuna parte… per ora. Abbiamo un’ultima cosa da fare, qui» disse Zevran, dando una gomitata ad Alistair. Questi lo guardò malamente, in imbarazzo, mentre Melinor li fissava perplessa.
«Vieni con me» la prese da parte il ragazzo, rosso come un peperone. Si misero in disparte, accanto a una finestra. «Melinor… quello che ci è successo è da pazzi. Non posso credere che ce l’abbiamo fatta, e so che forse non è il momento migliore per te… ma non voglio aspettare». Prese dalla tasca un cordino dorato e prese delicatamente il polso di Melinor, iniziando ad avvolgerglielo attorno. Melinor guardava confusa, come se quello non fosse il suo polso.
«Ma… dove l’hai preso? Come?» balbettò.
«Me l’ha dato Merevar, qualche giorno dopo aver dato il suo a Hawke. Questo era di Tamlen, lo ha preso dal suo corpo prima di seppellirlo… pensava fosse giusto che, un giorno, lo avessi tu.»
Melinor venne sopraffatta dalle lacrime. Una costante, ormai, nelle sue giornate; ma stavolta era per un motivo molto diverso. Alistair attese che si riavesse, comprensivo, tenendo le due estremità del cordino strette fra le dita. Aspettava solo la sua parola.
«Chiudi il nodo.»
 
 
Celebrarono le nozze pochi giorni dopo, con rito dalish. Marethari accettò di sposarli nonostante andasse contro le leggi dei dalish, che non permettevano matrimoni misti con umani. Trovò la scusante che Melinor non viveva più in un clan, e che in ogni caso si meritava quella piccola gioia. Nessuno dei pochi dalish rimasti osò contraddirla. I loro amici festeggiarono insieme a loro, insieme ai pochi cacciatori del clan che avevano accompagnato Marethari, e insieme al clan di Lanaya, l’unico a essersi trattenuto. Hawke si dimostrò forte, sorrise e danzò con loro; ma spesso fu vista in disparte, intenta a rimirare il suo cordino. La sua promessa infranta, il sogno che non avrebbe mai realizzato.
Pochi giorni dopo le nozze, lei e Melinor erano sole nella stanza dell’elfa.
«Sei sicura di volerlo fare, Hawke? Con la magia e gli unguenti dalish potremmo ridurre la cicatrice al minimo, quasi non si noterebbe…»
«No, Melinor. Voglio farlo.»
Il colpo che si era presa sul viso le aveva lasciato una grande cicatrice come ricordo, che andava da zigomo a zigomo. Wynne era riuscita a far riassorbire l’emorragia in un paio di settimane con i suoi trattamenti giornalieri, le aveva riaggiustato il naso, ma per la cicatrice ci sarebbe voluto più tempo. Hawke decise che non voleva farla sparire.
Melinor, guardando il segno sul suo viso lentigginoso, scosse appena il capo. «Che strano… se fossi diventata Guardiana avrei impresso decine di vallaslin, invece l’unico che realizzerò sarà su un’umana… se Marethari venisse a saperlo mi ammazzerebbe.»
«Melinor, non voglio metterti nei guai… se credi non sia il caso, per me va bene lo stesso…»
L’elfa scosse il capo, risoluta. «No. Ormai non vivo più fra i dalish. In ogni caso, non sarà un vallaslin tradizionale, con i simboli che rappresentano i nostri Dei… potrai spacciarlo per un comune tatuaggio. E poi… Merevar lo apprezzerebbe.»
Rimasero in silenzio alcuni istanti, ripensando alla loro perdita.
«Non vorresti lasciarti tutto questo alle spalle, Hawke? Ogni volta che ti guarderai allo specchio ricorderai…»
«È proprio per questo che voglio farlo, Melinor. Le persone tendono a dimenticare, persino i ricordi dolorosi come questo inevitabilmente sbiadiscono con gli anni, perdono d’intensità… io non voglio che accada. Voglio ricordare tutto questo ogni giorno della mia vita. Andrò avanti, ma ricordando. Sempre. Lo devo a lui.»
Melinor annuì e la fece stendere sul letto. Intinse l’ago nell’inchiostro rosso, che sembrava vero e proprio sangue, e iniziò a farlo penetrare sulla delicata pelle nuova e lucida della cicatrice di Hawke. La ragazza, desiderosa di seguire la tradizione dalish, non emise nemmeno un flebile lamento; strinse forte le lenzuola sotto di sé, pensando a Merevar. Le aveva raccontato, in una delle loro felici notti in tenda, di quanto fosse importante la cerimonia del vallaslin presso i dalish: le aveva detto che, per dimostrarsi davvero degni, i giovani dalish dovevano resistere per l’intera cerimonia senza lamentarsi. Lei volle fargli onore resistendo in silenzio a sua volta.
Dopo un’ora, Melinor la fece alzare e le diede uno specchio: una strisciata di sangue era ora impressa per sempre sul viso, un ricordo del sangue versato, un’indelebile memoria di quel dolore.
«Mi mancherai, Hawke.»
L’umana abbassò lo specchio per guardare l’elfa. «Mi mancherai anche tu.»
«Sei proprio sicura di non voler restare con noi? Non è necessario che tu ti unisca ai Custodi, ti faremmo restare come collaboratrice… non dovresti più preoccuparti della Chiesa e dei templari, con la nostra protezione…»
«Ti ringrazio, Melinor… ma devo andare. Voglio andare a Kirkwall a cercare la mia famiglia, devo sapere se ce l’hanno fatta. E poi…», sorrise tristemente, «non potrei farcela a vedere i tuoi occhi tutti i giorni. Sono identici ai suoi.»
Melinor trattenne a stento le lacrime, e l’abbracciò un’ultima volta. Le mise una mano sulla testa, e per un attimo entrambe brillarono d’una luce intensa: Hawke sussultò, staccandosi da lei.
«Cos’hai fatto?»
«Ti ho trasmesso la conoscenza dei guerrieri arcani» le sorrise l’elfa. «Merevar ti ha allenata, ora sai come usare i pugnali. A Kirkwall sono molto severi, da quel che ho sentito… i templari sono particolarmente spietati, ma non conoscono questo tipo di magia. Spacciarti per una guerriera ti tornerà utile.»
«Melinor… io non so come ringraziarti… davvero, non avresti dovuto! Questa era un’eredità del tuo popolo…»
«E tu sei di famiglia. Anche se non hai le orecchie a punta. Consideralo un regalo d’addio, Hawke… sarà il mio modo d’essere sempre con mia sorella.»
 
 
E così tutto finì. La compagnia dei Custodi si disgregò: Hawke fu la prima a partire insieme a Marethari e ai suoi cacciatori di scorta. La Guardiana doveva tornare al più presto dal suo clan, che aveva lasciato alle cure della sua nuova apprendista Merril; la coincidenza volle che fossero stanziati proprio nei paraggi di Kirkwall, dove Hawke era diretta. Leliana fu convocata nientemeno che dalla Divina in persona, capo della Chiesa, per una missione speciale i cui dettagli restavano un mistero. Sten e Morrigan erano già andati per la loro strada, e Wynne si offrì di accompagnare il golem Shale alla ricerca del suo passato: la guerriera di pietra voleva scoprire chi era stata nella sua vita come nana, e magari cercare un modo per ritornare alla sua forma originaria. Oghren e Zevran decisero di restare a Denerim per un po’, incerti su cosa fare da quel punto in poi: passarono le loro serate fra locande e bordelli, facendo la bella vita perennemente ubriachi.
Alistair e Melinor restarono come ospiti a corte ancora per un po’: dovevano attendere l’arrivo dei comandanti dei Custodi Grigi dei paesi vicini, per decidere insieme a loro il da farsi. Era necessario riempire nuovamente i ranghi dell’Ordine in Ferelden.
Quando i Custodi Grigi arrivarono a corte, Alistair venne subito informato; andò a chiamare Melinor nella loro stanza. La trovò alla scrivania con la piuma in mano, china su un libricino di pelle.
«Melinor? I Custodi sono arrivati, e hanno richiesto la tua presenza. Pare che le voci fossero vere: vogliono nominarti Comandante di stanza in Ferelden!»
«E ti pareva» sospirò l’elfa, posando la piuma e alzandosi in piedi.
«È un onore grandissimo!» le corse incontro Alistair, sollevandola per la vita e facendola girare come una trottola.
«Se vuoi puoi prenderti tu quest’onore» ribatté l’elfa, una volta tornata coi piedi per terra.
«Pensavo che ormai sapessi che non sono bravo a comandare…»
L’elfa ridacchiò, avviandosi verso la porta. Alistair prese il suo libricino fra le mani. «Cosa stavi facendo?»
«Ho iniziato a tenere un diario. Leggilo pure, se ti va.»
Sparì oltre la porta, e il ragazzo non si fece pregare: aprì la prima pagina e iniziò a leggere.
 
“Quando Duncan è arrivato al nostro accampamento, non avrei mai potuto immaginare tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Voleva reclutare un solo elfo dalish, e invece se ne è ritrovati due: i gemelli Mahariel, fratello e sorella. Gli ultimi rimasti della nostra famiglia, dopo che nostro fratello Tamlen era sparito nelle rovine.
Il Quinto Flagello mi ha portato via quasi tutto: ho dovuto abbandonare il mio clan, ho perso la mia famiglia... ho perso perfino una parte della mia vita, strappatami via dall'Unione. Ma, per assurdo, questo Flagello mi ha anche portato alcune delle cose più belle: ho trovato l'amore, ho incontrato le persone più strane... ho stretto rapporti profondi con molti umani, cosa che un tempo non avrei creduto possibile. Una di loro, in particolare, mi resterà sempre nel cuore… sarebbe diventata parte della mia famiglia, se le cose fossero andate diversamente. La cara, indimenticabile Hawke. È stata con noi fino alla fine, ci ha aiutati a sconfiggere il Flagello e avrebbe dovuto unirsi a noi come Custode Grigio; ma alla fine è andata per la sua strada, come tutti gli altri.
Non so perché ho iniziato a tenere questo diario. Non credo che interesserà mai a qualcuno leggerlo. In fondo io sono solo la sorella dell’Eroe del Ferelden, e presto il mondo si dimenticherà di me e dei Custodi Grigi… lo ha fatto dopo ogni Flagello. Ma, se stai leggendo queste righe, allora voglio che tu sappia. Voglio trasmetterti le mie memorie, e forse tu le trasmetterai a qualcun altro. Perché troppo spesso si dimentica quanto sia facile, per il mondo, rischiare di cadere nel baratro: a noi è quasi successo. Ci siamo salvati per miracolo, e mio fratello, la metà della mia anima… ha dovuto pagare per tutti noi. Falon’Din enasal enaste, Merevar… una parte di me è morta con te.
Non dimenticherò mai questo Flagello: nel bene e nel male, ha cambiato per sempre la mia vita.»
 
 
 
 
The End
_________________________
 
 
Siamo finalmente giunti alla fine, dopo un anno e quarantotto lunghi capitoli. Lo so, sono una persona orribile: ho fatto morire Merevar. Non è stato facile fare questo al mio dalish preferito, ma era stato deciso fin dall’inizio. Il Custode, alla fine, doveva restare uno… e uno dei due doveva andare. Se avessi fatto morire Melinor, lui mi avrebbe odiata a morte… lo sappiamo com’era fatto, no? ;P 
Vorrei ringraziare prima di tutto le persone che hanno recensito ogni (o quasi) capitolo, in entrambe le piattaforme su cui ho pubblicato (EFP e Wattpad): LysandraBlack e XeniaLunaCrypt, recensori di fiducia. Grazie del supporto dimostrato, leggere le vostre recensioni mi ha fatto molto piacere ed è stato un grande aiuto!
Ma grazie anche a chi ha lasciato recensioni una tantum, a chi ha lasciato stelline, a chi ha seguito in silenzio la storia ma non ha mai fatto mancare il suo numerino nel contatore delle letture.
Prima di salutarvi, volevo avvisare che sì: ci saranno i sequel, quindi la storia non finisce qui. Mi prenderò un po’ di tempo per dedicarmi alla stesura del terzo romanzo della mia trilogia fantasy (sì, scrivo anche storie originali e le vendo su Amazon ;P ), ma avrete presto mie nuove… tutto il corso degli eventi è già stato deciso fino a Inquisition, quindi non temete: il sequel arriverà! Seguitemi per non perdervi gli aggiornamenti, quando arriveranno. ;)
Ancora GRAZIE di essere arrivati fin qui insieme a me. E per citare Gandalf il Grigio…
 
“Arrivederci… al prossimo incontro.”
 
 
Morgana

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