L'appel du vide di Voglioungufo (/viewuser.php?uid=371823)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di un anno grandioso. ***
Capitolo 2: *** Best friend. ***
Capitolo 3: *** Overthinking ***
Capitolo 1 *** L'inizio di un anno grandioso. ***
Ogni
riferimento a persone
esistenti o fatti
realmente accaduti è puramente casuale.
Proibisco
la riproduzione, parziale o completa, della storia su qualsiasi sito
esterno a
EFP da parte di terzi.
I
L’inizio
di un anno grandioso.
“Una
storia accaduta tanto tempo fa'
altrove
forse
non ci riguarda neanche...”
(Anonimo)
1
15
Settembre 2018.
Venezia,
Ponte degli Scalzi.
L’acqua
scura del Canal Grande riverberava la luce dei ristoranti lungo la sua
riva, i
palazzi si stagliavano scuri ai suoi lati, parzialmente inglobati
dall’oscurità
notturna.
A Simon,
appoggiato con i gomiti al parapetto del Ponte degli Scalzi, sembrava
di
guardare direttamente su una cartolina. Avrebbe dovuto essere abituato
ormai a
quegli scorci, ma ogni volta Venezia aveva il potere di mozzargli il
fiato.
L’aria era tiepida, ancora estiva nonostante fosse settembre
inoltrato, vista
l’ora tarda i turisti che attraversavano il ponte erano
davvero pochi e lui
poteva godersi quel momento di tranquillità in uno dei punti
più trafficati di
Venezia.
“Brutto…
Proprio in cima al ponte più ripido
dovevamo trovarci?!”
La
tranquillità fu spazzata via nella frazione di un secondo.
Un poco riluttante,
Simon distolse lo sguardo dalla curva sinuosa del canale e si
girò a
fronteggiare il suo migliore amico.
Leonardo
era piegato in avanti, una mano appoggiata sul fianco e il volto
chiazzato di
rosso, sudato come se avesse appena corso la maratona; invece aveva
solo
trascinato le due pesanti valigie e il borsone che gli pendeva da una
spalla su
per il ponte.
“Preferivi
il Calatrava?” domandò divertito. Si era
ripromesso di non sorridere, di
mostrarsi distaccato al suo ritorno, ma era impossibile mantenere una
promessa
del genere, erano mesi che non si vedevano.
A quella
domanda Leo sbiancò. “Preferivo nessun
ponte” bofonchiò.
“Richiesta
difficile da accontentare a Venezia” gli fece notare, si
appoggiò al parapetto
con la schiena “Com’è andato il
viaggio?”
“Bene,
bene, il solito” rispose distratto, anche il suo sguardo
venne calamitato dal
luccichio di Canal Grande.
Simon
approfittò di quel secondo per studiarlo e annotare tutti i
cambiamenti di quei
mesi di lontananza. I capelli mossi si erano fatti più
lunghi, ora gli
arrivavano alle spalle e avevano le punte bruciate dal sole;
così anche la sua
pelle era più scura, sembrava portare ancora i segni di una
brutta scottatura.
La maglia sportiva che indossava era sbiadita per i troppi lavaggi e
aveva
degli aloni scuri sotto le ascelle, gli stava leggermente tirata sul
petto, ma
nel complesso non sembrava essere affatto cresciuto. C’erano
dei particolari
differenti, ma non era cambiato poi molto, era sempre lo stesso Leo di
tre mesi
prima.
Leonardo
lo
beccò mentre era ancora assorto in quella minuziosa
osservazione, spostò
semplicemente gli occhi sul suo viso e Simon entrò in
panico, convinto che gli
si leggesse tutto dentro. Invece gli rivolse un semplice sorriso
giocherellone.
“Allora?”
“Allora
cosa?”
“Non
mi
dici qualcosa? Tipo, che so, che ti sono mancato, o bentornato
o…”
“Sembri
una
principessa Disney con quei capelli” lo interruppe soffocando
una risata. “Da
quanto non li tagli?”
Aggrottò
la
fronte. “Be’, da un po’. E comunque,
sarei una principessa più bella di te”.
“Non
lo
metto in dubbio” garantì scuotendo la testa, si
staccò dal parapetto in marmo e
si accucciò a prendere una delle due valigie.
“Dai, andiamo. Ti ho aspettato per
un’ora”.
“Esagerato,
era un ritardo di dieci minuti”.
“Venti”
precisò. “E tu ce ne hai messi altri venti a
uscire dalla stazione e fare
quattro metri”.
Leo
emise
un verso esasperato e alzò gli occhi al cielo, era tornato
da appena cinque
minuti e già aveva voglia di strangolarlo.
“Sei
senza
cuore” gli sbottò contro risentito. “Non
ci vediamo da mesi e le uniche cose
che fai è insultare i miei capelli e arrabbiarti per un
piccolo ritardo”.
“Adesso
non
fare il permaloso” sollevò una valigia.
“Che cosa ti aspettavi?”
Domanda
sbagliata, quasi fece cadere la valigia giù per i gradini.
Leonardo gli si era
gettato addosso come un cucciolo di grizzly in carenza di affetto,
stritolandolo in un abbraccio spaccaossa, il genere di contatto che
Simon meno
gradiva.
“Questo,
scemo, mi aspettavo questo”
precisò
quando lo lasciò andare, gli diede una pacca sulla spalla.
Prese l’altra
valigia e cominciò a scendere i gradini con un sorriso
soddisfatto.
“Ma
dimenticavo che sei uno sociopatico”.
Lo
fulminò
con lo sguardo. “Sono riservato” corresse.
“Sì,
sì, è
uguale. Allora, scendi o resti lì con la mia
valigia?”
Sospirò
rassegnato, ormai la pace delle vacanze estive era ufficialmente finita
e lo
aspettava un nuovo anno pieno di esasperazione, ansia, stress e istinti
omicidi
verso i suoi coinquilini.
Aveva
fatto
il conto alla rovescia in attesa di quel momento per tutta
l’estate.
Simon
Lunardi e Leonardo Triestini erano quelli che noi potremmo definire
senza
problemi amici d’infanzia, dal momento che il loro incontro
era avvenuto il
primo giorno di asilo e aveva coinvolto un pennarello colorato e la
disputa su
chi dovesse usarlo per primo. Nessuno dei due ricordava come fosse
finita,
certo era che da quel momento erano diventati inseparabili,
l’uno l’ombra
dell’altro manco fossero stati attaccati con la colla. In
comune accordo, senza
dire nemmeno una parola, avevano deciso di diventare migliori amici e
lo erano
stati fino al termine delle medie, quando la famiglia di Simon aveva
avuto la
brillante – leggesi con sarcasmo – idea di
trasferirsi a Padova. Da lì la vita
di Simon era stata molto solitaria: non era un tipo socievole;
nonostante il
suo bel faccino attirasse più di qualcuno deciso a legare
con lui, la sua
lingua era talmente tagliente da riuscire a tenere lontano qualunque
scocciatore e le sue occhiate torve gli aveva fatto guadagnare la nomea
di
snob. Così Leonardo era stato il suo primo e ultimo amico, e
i cinque anni del
liceo erano passati tra la noia più totale e
l’insofferenza familiare. Non era
divertente avere fratelli geniali, una futura promessa della medicina
mondiale
e un’avvocatessa in grado di scagionare anche il diavolo, con
i quali
confrontarsi, con i quali venire costantemente paragonato. Forse era
per quello
che, spinto da un desiderio di distinguersi, aveva delineato il suo
percorso
universitario nel campo umanistico-filosofico ed era andato a Venezia.
Più
chilometri stanno tra me e Padova più sono
contento.
Non
aveva
ancora ben chiara la seria di coincidenze che lo aveva portato a
ritrovarsi con
Leonardo. E non doveva avercela chiara nemmeno lui, considerato il modo
spaesato con cui girovagava per la sede centrale di Ca’
Foscari il giorno
dell’Open Day, come se non avesse la più pallida
idea di come ci fosse finito
lì. Si erano incontrati – più
propriamente scontrati
– e fissati in silenzio qualche secondo prima di riconoscersi
e abbracciarsi.
Cioè: Simon aveva formalmente alzato la mano per stringere
la sua, Leonardo
invece gli si era scaraventato addosso come un golden retriever
abbastanza
pesante ed esuberante.
Il loro
incontro aveva schiarito le idee a Leonardo sul proprio futuro, fino a
quel
momento rimasto indeciso tra lo frequentare fisica o filosofia.
Scoprendo che
quest’ultima era l’opzione ventilata da Simon gli
era stato fin troppo semplice
decidere di abbandonare ogni pretesa sulla fisica e gettarsi a
capofitto sulla
filosofia. Si erano scambiati i numeri e per il resto
dell’anno Leonardo lo
aveva importunato con continui messaggi per capire come funzionassero
le
iscrizioni online, per la casa da affittare o anche semplici
stupidaggini.
Entrambi erano felici ed esterrefatti di aver ritrovato
l’altro, quasi non lo
avessero mai ritenuto possibile.
Quel
fatto
non aveva fatto altro che triplicare l’entusiasmo di Simon di
iniziare
l’università, a maggior ragione non vedeva
l’ora di lasciare Padova.
A volte
si
chiedeva se l’Università gli sarebbe apparsa
comunque così piacevole, quasi
divertente, senza Leo; o se al contrario l’avrebbe odiata,
finendo per
chiudersi anche lì una grigia monotonia con il solo pensiero
degli esami.
Ma era
inutile pensarci, si erano ritrovati e contava solo questo.
Santa
Croce, San Giacomo dell’Orio.
Leonardo
parlò per tutta la strada fino al loro appartamento,
cianciando sull’estate
passata. Metà delle cose che gli stava dicendo gliele aveva
già raccontate per
messaggio, ma non si lamentò più concentrato,
piuttosto, a portare la valigia
attraverso i ponti. Nonostante l’ora tarda c’erano
ancora dei ristorantini
aperti con turisti a cenare; il caldo fuori stagione dava
l’idea che fosse
ancora estate. A Simon non andava molto a genio, tendeva a sudare
molto, e in
quel momento la fatica lo aveva reso fradicio sotto la maglietta.
Erano
fortunati di non dover fare troppa strada, visto che
l’appartamento che avevano
affittato si trovava a dieci minuti – e due ponti –
dalla stazione. Era in una
delle corti adiacenti al campo di San Giacomo dell’Orio, nel
sestiere di Santa
Croce, una grane piazza con ristorantini eleganti, panchine, alberi,
una coop e
la vecchia chiesa del nono secolo, una delle più antiche di
tutta Venezia. Di
giorno era abitata da bambini che giocavano a calcio e attentavano alla
vita
dei passanti con le loro pallonate, era un posto abbastanza vivace e
una bella
zona dalla quale era possibile raggiungere i punti più
importanti di Venezia in
poco tempo.
Era
stato
il padre di Leonardo a trovare l’annuncio in un sito
internet: una mansarda
doppia, con bagno privato annesso, a un prezzo abbordabile e spese
incluse. Leo
aveva girato subito la notizia a Simon, che senza perdere tempo aveva
contattato l’affittuaria. La donna, però, gli
aveva dato a sua volta il numero
di un’altra ragazza con la quale accordarsi. Era una delle
coinquiline di
quella casa, colei che si occupava della scelta dei nuovi coinquilini
al posto
della legittima padrona. Simon ricordava di aver parlato con il
ricevitore
staccato dall’orecchio senza il vivavoce, da quanto era
squillante la voce
della ragazza. Erano stati al telefono una mezzoretta, in cui gli aveva
chiesto
chi fosse lui e il suo amico, per quanto tempo avevano intenzione di
affittare,
che facoltà frequentassero e qualche altra nozione in
generale. Aveva poi dato
loro un appuntamento per un incontro di persona.
Quello
era
stato il suo primo approccio con Arianna.
Simon
ringraziava di essere stato lui a contattarla, perché con il
suo tono formale
ed educato le aveva fatto una buona impressione e
all’incontro era partita
molto favorevole nei loro confronti, nonostante di solito tendesse a
depennare
istantaneamente le matricole. La simpatia di Leo e il suo modo affabile
di
comportarsi avevano fatto il resto e alla fine
dell’appuntamento li aveva
portati a vedere la mansarda e il resto della casa. Era molto grande,
anche se
una parte non era accessibile agli affittuari. C’erano altre
due camere, una
doppia e una singola, entrambe occupate; una cucina comune provvista di
lavastoviglie, microonde e lavatrice; un bagno comune e un salotto con
una
grandissima libreria. Dalla cucina partivano delle scale ripidissime
che
portavano alla soffitta e alla mansarda, un ambiente spazioso, con le
pareti
azzurre e un paravento orientale che lo divideva dal bagno adiacente.
L’unico
problema: Simon aveva rischiato di sbattere la testa appena entrato
nella
tolette dall’alto del suo metro e ottanta. Leo, che invece
aveva giusto dieci
centimetri in meno, dalla sua bassezza lo aveva preso in giro ridendo a
crepapelle.
Problemi
di
altezza a parte, la stanza era funzionale, semplice e accogliente:
esattamente
quello che i due neo-studenti cercavano. Il prezzo era più
che equo e nemmeno
una settimana dopo avevano firmato entrambi il contratto e fatto la
conoscenza
con gli altri coinquilini. La mansarda era diventata il posto dove
tornare dopo
le lunghe lezioni, da chiamare ‘casa’ e per Simon
lo era molto di più di quella
a Padova, dove tornava solo quando costretto.
Anche se
all’inizio abituarsi agli altri coinquilini era stato
decisamente traumatico.
“Guardate
quale pecorella smarrita è tornata
all’ovile!”
Furono
le
prime parole che li accolsero quando aprirono la porta fradici di
sudore e
mezzi morti per le valige. Stando a quello che aveva detto Leo, dentro
c’erano
soprattutto cibi congelati che sua madre si era premurata di preparare
perché
l’amato figliolo non morisse di fame.
“Se
invece
di stare fermo lì e basta…” fu la
replica di Leo ancora a metà della scalinata
del pianerottolo.
Giovanni,
studente fuori corso dell’Accademia delle Belle Arti, con il
suo meraviglioso
grembiule sporco di pittura, alzò un sopracciglio e
sospirò melodrammatico.
“Oh,
per
due ponti tutta questa lagna. Simon, ti vedo un po’
sudato”.
Lo
incenerì
con lo sguardo asciugandosi la fronte con il dorso.
Leo
scavalcò Simon senza tante cerimonie per andare ad
abbracciare anche Giovanni,
ma si bloccò appena lo vide.
“I
tuoi
capelli sono… verdi?”
domandò. “O è
la luce?”
Si prese
una ciocca lunga e fece un sorriso compiaciuto. “No, sono
proprio verdi. Li ho
tinti questa estate.”
Leonardo
era inorridito. “Li hai anche rasati! Dove sono i tuoi
lunghissimi capelli da
Rapunzel?”
Giovanni
era un po’ eccentrico del modo di vestire e comportarsi,
l’anno prima i suoi
capelli erano di un castano chiaro naturale e lunghi fino alla vita,
sani e
forti come quelli di una modella, invidiati da qualsiasi ragazza.
Quando Simon
era tornato e lo aveva visto con metà cranio rasato e
l’altro metà verde aveva
quasi infartuato.
“A
un’associazione che fa parrucche per persone malate di
cancro” disse
fieramente. “Comunque, vedo che ora la principessa di casa
sei tu, Merida” lo prese
in giro per gli
arruffati capelli troppo lunghi.
“Eh,
devo
andare a sistemarli” borbottò corrucciato, Simon
lo superò con una smorfia di
fatica trascinando la valigia.
“Restiamo
in entrata per sempre o le portiamo su?” domandò
seccato.
“Arrivo,
arrivo!” assicurò.
Giovanni
li
guardò ridacchiando. “Fra un po’ tornano
anche Ary e Marghe, ceniamo insieme?”
Si era
dimenticato degli orari assurdi in cui cenavano, ma non aveva mangiato
niente a
causa del viaggio quindi annuì prima di seguire Simon verso
la cucina e poi su
per le ripide scale.
Finalmente a casa.
“Marghe…
Giovanni intendeva Margherita, quella nuova dal Giappone?”
domandò Leo mentre
svuotava la valigia.
Simon
annuì, lo guardava seduto sul suo letto a gambe incrociate.
“È
arrivata
una settimana fa”.
“Com’è?
Simpatica? Carina?” sciorinò come la peggior
pettegola al bar.
Alzò
gli
occhi al cielo. “È un po’ timida, ma
Giovanni è convinto sia una copertura.
Secondo lui fa finta per poterci mettere nel sacco e conquistare il
controllo
della casa”.
“E
questo
lo pensa perché…?”
“L’ha
vista
mentre leggeva un hentai”.
Leo si
bloccò. “Serio?”
“Così
dice”
fece spallucce.
Scoppiò
a
ridere di gusto mentre spingeva la valigia vuota sotto il letto per
nasconderla. “Che idiota. Ora sono curioso di
conoscerla”.
“Perché
legge gli hentai? Scemo” si unì piano alla risata.
“Vuoi una mano a sistemare
le tue cose?” gli chiese vedendolo in difficoltà
con i vestiti e le
cianfrusaglie che si era portato dietro.
“Eh,
magari. Quest’anno voglio essere ordinato e tenere le cose al
loro posto, senza
invadere la tua zona”.
Inarcò
un
sopracciglio davanti a quella frase irrealizzabile.
Nonostante
dividessero la stanza, la mansarda era
quasi del tutto occupata dal disordine di Leo. Lui ci provava a fare
ordine,
sul serio, ma aveva così tanti affetti personali che
inevitabilmente finiva per
occupare anche lo spazio di Simon. Non che all’amico
dispiacesse, lo aveva
lasciato fare anche se un poco infastidito, ma la verità era
che tanto quegli
spazi non gli servivano.
Se Leo era un accumulatore
seriale,
che faticava perfino di liberarsi delle borse di plastica della coop,
Simon ne
era il suo esatto opposto: meno teneva con sé,
più si sentiva soddisfatto. Era
come se il suo obiettivo fosse passare del tutto inosservato, sgravarsi
di ogni
peso e non lasciare tracce dietro di sé. Non teneva mai
niente per ricordo, si
sbarazzava dei libri appena li leggeva e vendeva gli appunti
universitari
appena l’esame terminava; usava pochi vestiti e solo per una
stagione, poi li
rivendeva nei siti internet per comprarne di nuovi.
Occupava così poco spazio che a volte si aveva
l’illusione che la
mansarda fosse abitata da un solo ragazzo .
Le uniche cose che aveva sempre tenuto con sé
erano il quaderno da
viaggio con gli appunti di sua madre, gli occhiali e la stilografica.
Quest’ultima, in realtà, era un arrivo recente,
dal momento che prima tendeva a
usare penne che perdeva in continuazione. Era stato Leo con gli altri
coinquilini a regalargliela, l’unico regalo che avrebbe
accettato, e da allora
non aveva più perso la penna.
Per questo motivo a Leo Simon era sempre sembrato una
figura solitaria
in una distesa di neve durante una nevicata: ogni suo passo veniva
all’istante
cancellato dai fiocchi e niente lasciava indovinare il suo passaggio.
“Questo
è
nuovo?”
Leo
tornò a
concentrarsi sul presente, Simon aveva preso la scimmietta che
aveva
comprato
da Tiger.
“Oh,
sì!”
allargò il sorriso e tese una mano per farsela passare
“Me l’ha regalata Teresa
l’ultimo giorno ad Atene. Si chiama Hilary Putnam2”
lo informò.
Lo
guardò
incolore. “Non ti chiederò perché ha il
nome di uno dei più grandi pragmatisti
del Novecento”.
“Guardala,
hanno la stessa faccia!” quasi gliela spiaccicò
sugli occhi.
Cercò
di
scostarsi e nascondere la smorfia divertita.
“Perché tu conosci di persona
Putnam, ovviamente”.
Leo
aveva
questa strana passione per i pupazzi e i peluche in generale, ma ancor
di più
sembrava divertirlo dar loro nomi di imminenti filosofi e scienziati.
Ma Leo
dava un nome a qualsiasi cosa, perfino il loro gabinetto aveva un nome,
era
quasi tenero il modo in cui si affezionava agli oggetti più
disperati. A Simon
piaceva immaginarlo come una fonte inesauribile di affetto e quando non
c’erano
più essere umano da caricare, allora si concentrava anche
sugli oggetti
inanimati.
Lo
aiutò a
disporre i suoi peluche e i libri sui comodini, i vestiti nei cassetti
e
nell’armadietto che avevano in comune, poi lo
aiutò con le lenzuola a fare il
letto. Nel giro di dieci minuti, la mansarda non fu più
vuota come lo era stata
in quella settimana di solitudine, ma finalmente sembrò
essere abitata da
qualche essere umano.
Per
ultimo,
appoggiò il leone Marco sul copriletto. Era il suo pupazzo
preferito e non si
vergognava ad ammettere di dormirci ancora la notte. Ho
bisogno di abbracciare qualcosa, era la sua spiegazione.
L’anno
prima era capitato lo dimenticasse a casa, aveva avuto una mezza crisi
e poi se
lo era fatto portare dalla sua ragazza.
Da sotto
venne un rumore di padelle e piatti seguito da qualche risata.
“Stanno
cucinando?” domandò
Leo.
“Direi
di
sì” aprì la porta e annusò
l’odore di cibo, anche lui doveva ancora cenare.
“Scendiamo?”
“Scendiamo”
confermò.
In
cucina
c’era Arianna, mestolo in mano e caschetto corto alle
orecchie, i capelli erano
ancora più chiari di quanto ricordasse, ormai rasentavano il
platino.
“Bentornato,
Leo!” salutò senza girarsi. “Va bene se
facciamo una semplice pastasciutta? Non
c’è granché in frigo” rise.
La
ignorò
per andare ad abbracciarla di spalle.
“Mi
sei
mancata” ammise. “Non c’era nessuno che
mi riprendeva per la mia dieta squilibrata”.
Arianna
si
girò stando attenta a non far gocciolare il mestolo e
ricambiò l’abbraccio
allacciandogli le braccia al collo.
“Ah,
puzzi”
considerò arricciando il naso. “Vai a farti una
doccia finché l’acqua bolle”
gli consigliò.
“No,
dopo,
dopo” ciarlò. “Prima voglio vedere
questa Margherita”.
“È
di là,
in sala, sta facendo la tavola” gli spiegò.
“C’è anche Gio’ con
lei”.
“No,
lui
l’ho già visto”affondò la
testa sulla sua spalla affranto. “I suoi capelli da
principessa non ci sono più”.
“Già,
una
grande perdita” gli diede una pacca sulla schiena.
“Ma si va avanti”.
Simon li
guardò in silenzio, poi aprì uno stipetto in
cerca del sugo.
“Ti
stanno
facendo fare tutto da sola?” domandò.
“Ti aiuto”.
“Ma
no,
lascia stare, faccio io”.
Non
l’ascoltò
e svuotò il sugo su una padella per scaldarlo. La cucina era
piccola, in tre
era scomodo starci, perciò Leonardo svincolò
subito andando in salotto per
incontrare questa fantomatica nuova coinquilina.
“Va?”
domandò Arianna appena fu andato.
“Ha
già
invaso tutta la stanza” sospirò rassegnato
.“Margherita, invece? Sei riuscita a
farla parlare?”
Sbuffò.
“Dio, se parla! All’inizio no, ma è
bastato fare le giuste domande perché
partisse come un razzo. Se Leo e Gio trovano un modo per sbloccarla
come ho fatto
io… be’, auguri” fece spallucce.
E
così il
numero di logorroici in quella casa si alzava a tre, Simon
valutò se potesse
affogare nel pentolino dell’acqua. A lui piaceva il silenzio,
lo spazio vuoto e
la solitudine. Già era stato difficile abituarsi a dormire
con un’altra persona
in camera, a sentire il suo respiro nel sonno, ma la parte peggiore era
stato
Giovanni che gli parlava alle nove di mattina tutto sveglio e pimpante.
All’inizio con lui era stata guerra aperta, aveva dovuto
passare del tempo perché
imparasse ad apprezzarlo e ad approcciarsi senza volerlo decapitare un
minuto
dopo.
“Se” marcò.
“A me piace così zitta e
silenziosa, non vedo perché cambiare la
situazione”.
Ricevette
uno sguardo intenerito e insieme esasperato. “Facciamola
sentire a casa sua, va
bene? Dobbiamo essere una famiglia”.
Bofonchiò
qualcosa e assaggiò la pasta per assicurarsi della cottura.
“Può
fare
quella silenziosa e timida”.
“Per
quella
parte abbiamo già te” gli ricordò
ridendo. “Non ci serve un altro musone”.
“Non…”
“Hai
ragione, adesso che è tornato Leo lo sei un po’
meno” e gli rivolse un’occhiata
eloquente.
Si finse
troppo concentrato a scolare la pasta per rispondere, gli occhiali che
portava
si appannarono per il calore e imprecò, aveva dimenticato di
non avere le lenti.
Era una talpa, gli mancavano ben sette diottrie e anche fare
l’azione più
semplice gli risultava impossibile senza gli occhiali; per questo
motivo
preferiva portare le lenti a contatto, erano più funzionali
e gli permettevano
una vista perfetta a trecentosessanta gradi.
Divisero
la
pasta sui piatti, poi Arianna chiamò a gran voce qualcuno
dal salotto perché
potesse arrivare ad aiutare. Giovanni fu lì in qualche
minuto, con uno sguardo
perplesso e i capelli raccolti in un codino. Uno degli zigomi affilati
era
sporco di giallo.
“Sto
assistendo alla nascita di una storia d’amore?”
domandò confuso indicando il
corridoio, da cui provenivano le voci di Leo e Margherita.
“Dovremmo avvertire
Teresa, che il suo ragazzo la sta tradendo?”
Simon
entrò
subito in ansia, senza dire niente prese due piatti e andò
veloce in salotto
per assicurarsi che Giovanni fosse esagerato come suo solito.
Trovò
Leo e
la nuova ragazza seduti vicini sulle sedie, ma stavano solo parlando e
Margherita sembrava anche un poco in soggezione davanti alla parlatina
inarrestabile dell’altro. Si sentì piuttosto
stupido per aver irrotto nella
stanza così bruscamente, con in mano i piatti di
pastasciutta fumanti.
“Uhm,
è
pronto” borbottò sotto i loro sguardi perplessi.
“Ah,
che
bello!” Leo prese il proprio con un sorriso enorme.
“Stavo morendo di fame”.
Mentre
passava il piatto a Margherita si accorse che aveva il volto un poco
paonazzo e
anche quando lo ringraziò bisbigliò pianissimo.
Continuava a lanciare piccole
occhiate di sfuggita a Leo, nonostante l’imbarazzo ne
sembrava affascinata.
Simon temette che Giovanni non avesse esagerato prima, del resto era
davvero
facile rimanere ammaliati dai modi di fare di Leo sempre
così spontanei e
amichevoli. L’anno prima molte ragazze si erano prese una
cotta per lui, ma Leo
le aveva sempre rifiutate gentilmente, del resto era già
impegnato con la
stessa ragazza da due anni.
“Stavo
chiedendo a Marghe se poteva tradurci le scan di Attack on Titan in
giapponese,
senza aspettare quelle in inglese” spiegò tutto
contento.
“Attack
on
Titan?” domandò Giovanni presentandosi anche lui
alla tavola. “Mah, sono
abbastanza certo che lei preferisca un
altro genere di manga.
Giusto?”
le sorrise compiaciuto come un gatto che ha mangiato un topo.
La
ragazza
distolse lo sguardo e mescolò la propria pastasciutta con la
forchetta senza
rispondere alla domanda. Giovanni sembrava voler insistere, ma Arianna
gli
pestò un piede prima che potesse aprire nuovamente quella
sua bocca larga.
“Buon
appetito” augurò ignorando lo sguardo risentito
del coinquilino, poi fece un
sorriso dolce. “Ora ci siamo tutti”
considerò fra sé.
Entrambe
le
finestre erano aperte, ma la brezza non era ancora sufficientemente
fredda da
far abbassare la temperatura nella stanza, anche quella notte Simon
decise di
dormire solo con i pantaloncini del pigiama. Era steso sul letto ad
ascoltare
la musica dal telefono, l’orologio segnava pochi minuti
all’una e mezza, aveva
un po’ di sonno ma voleva aspettare che Leo finisse di
lavarsi per andare a
letto. Non riusciva a dormire con la luce accesa e il più
piccolo rumore lo
faceva sempre sobbalzare.
Dopo la
cena Leonardo si era dileguato in soffitta per rispondere alla chiamata
della
sua ragazza, erano rimasti al telefono per un’ora. Simon
aveva fatto in tempo a
sparecchiare, litigare con Giovanni e sistemare la cartella per il
giorno dopo.
Era un poco infastidito da quella lunga chiamata, Leo aveva visto
Teresa prima
di partire, che mai era successo di nuovo da trattenerlo
così tanto a telefono?
Quando
poi
era tornato nella stanza aveva dovuto farsi una doccia ed era rimasto
nella
vasca per un tempo infinito. Gli seccava, perché aveva
sperato di guardare un
film insieme, ma ormai era troppo tardi.
“Ehi,
ci
guardiamo qualcosa?”
Simon
aprì
un occhio, aveva alzato il volume così tanto che non si era
nemmeno reso conto
che l’altro aveva finito ed era uscito dal bagno. Indossava
solo i boxer, aveva
un asciugamano sulle spalle e i capelli gocciolanti. L’ultimo
ricordo che aveva
di lui alle medie era di un ragazzo un poco rotondetto, un orribile
taglio di
capelli alla Justin Bieber e un volto puntellato dall’acne.
Quando lo aveva
rivisto dopo cinque anni tutto quello che aveva pensato era stato: beata pubertà. Ma forse più che
pubertà era stata la palestra
e il cambio di taglio, anche se aveva ancora un po’ di
brufoli sulle guance era
diventato decisamente molto più bello.
“Qualcosa
tipo un film?” domandò togliendosi le cuffie.
“È troppo tardi, potevi metterci
di meno”.
Leo fece
una smorfia e si sedette sul letto accanto alle sue gambe.
“Non
posso
andare a letto con i capelli bagnati, dopo mi viene il
torcicollo”.
“Asciugali
con il phon”.
“Con
questo
caldo? Tu sei fuori” agitò la mano vicino alla
testa. “Dai, tanto domani la
prima lezione è a mezzogiorno”.
“Non
è una
scusa per restare a letto fino alle undici. Anche perché
domani mattina volevo
lavarmi”.
Leo
sbuffò.
“Nemmeno se propongo La strada per
El
Dorado?”
Assottigliò
gli occhi, era il loro cartone preferito quando erano bambini, sapevano
ancora
tutte le battute a memoria e nonostante ciò continuavano ad
agitarsi davanti ai
colpi di scena.
“Ti
odio. E
usiamo il tuo computer”.
Un
sorriso
soddisfatto dipinse le labbra sottili dell’amico. Prese il
computer e andò a
stendersi sul letto accanto a lui, lo bagnò un poco per i
capelli ancora umidi
ma non si lamentò. Leo era l’unico essere umano
che poteva vantarsi di invadere
il suo spazio vitale e sopravvivere.
“Se
domani
non sei giù dal letto entro le nove e mezza ti getto un
secchio d’acqua
addosso” lo minacciò.
“Me
lo dici
ogni volta”, fece partire il film, “ma poi riesco
sempre a restare a letto fino
alle dieci”.
Rimasero
in
silenzio a guardare le scene, Leo teneva uno dei suoi peluche stretti
al petto
e si agitava per ogni piccola cosa.
“Sono
felice di essere qui” disse Simon a metà film.
Leo ne
fu
sorpreso, perché raramente si lasciava andare a confessioni
del genere, era
solito calibrare bene ogni propria parola piuttosto che dire tutto
quello che
gli passava per la testa. Quindi capì che
quell’ammissione era importante.
“Anche
io,
Sy” gli assicurò e spostò lo sguardo
fuori, sullo spicchio di cielo nero che si
vedeva oltre le finestre. “Sarà un anno
grandioso”.
Note:
1
– Frase anonima trovato sotto un
video youtube della canzone Venezia di Guccini, questo per intenderci.
So che
queste note avrei dovuto farle all’inizio del capitolo, ma
temevo che chi non
mi conoscesse scappasse via nello scontrarsi con i miei…
problemi di comunicazione(?).
Fin’ora ho
utilizzato EFP per pubblicare le mie frociate
su Naruto, è la prima
volta che
pubblico qui un’originale. È una storia che ci
tenevo a scrivere, perché
affronta un tema a cui sono molto vicina, ovvero:
l’accettazione della propria
sessualità. Sono bisessuale, ma mi ci sono voluti ben due
anni di dubbi e interrogativi
pieni di pregiudizi per giungere a questa conclusione. Può
sembrare ridicolo,
ora per me lo è decisamente perché è
una cosa così semplice e ovvia,
ma nel mentre è stato un dramma
che mi ha scombussolata non poco. Questa storia nasce quindi per me,
una sorta
di catarsi, e per chi magari ha dovuto affrontare un percorso simile.
Tutto questo
sproloquio solo per spiegare quanto questa storia sia importante per
me, ma
soprattutto per avvertirvi di tutta l’agitazione e
l’ansia da prestazione che
mi mette addosso, chi mi ha tra gli amici su facebook
ne
ha già avuto un assaggio (mi dispiace).
Passiamo ai fatti puramente casuali:
come dire,
quando scrivo pesco molto dal mio vissuto personale e nemmeno questa
storia si
salva. Giusto per fare un esempio: io vivo in una mansarda a San
Giacomo
dell’Orio – ma no, i personaggi principali non
prendono spunto dalle persone
che mi circondano, su questo posso rassicurarvi.
Ho altro da
dire? Sicuramente c’è altro, ma non mi viene in
mente, ops.
Quindi vi
lascio, ho anche parlato troppo. Spero che possiate apprezzare questa
storia,
ci sto mettendo decisamente troppo cuore
e troppa ansia. Le recensioni sono sempre gradite, sono le
migliori
pillole anti-stress che conosca <3
Hatta
|
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Capitolo 2 *** Best friend. ***
II
Best friend.
“And
that’s
because I wanna be your favorite boy
I
wanna be
the one that makes your day”.
(Rex
Orange County, Best friend)1
16
Settembre 2018
Corte
dell’anatomia, Mansarda.
Secondo
Simon non esisteva niente al mondo che fosse più
antiestetico del guardaroba di
Leonardo; sapeva già quanto l’amico fosse
terribile nell’associare colori o
scegliere il vestiario, ma ogni volta riusciva a stupirlo sempre in
peggio.
“Da
dove
viene quella?”
Leo
guardò
la propria camicia hawaiana con la fantasia di tanti piccoli ananas.
“Me
l’ha
presa mamma” disse compiaciuto.
Giustamente
il suo cattivo gusto era ereditario. Non pensò nemmeno di
fargli notare quanto
fosse orribile, era una causa persa in partenza e, per quanto fosse
soddisfacente dimostrare di avere ragione, una discussione dialettica
appena
svegli era fuori discussione. A Simon piaceva argomentare, disporre
razionalmente e dimostrare le proprie tesi, ma raramente lo faceva con
qualcuno; quando si era iscritto a filosofia aveva creduto di poter
partecipare
ogni giorno in dibattiti del genere, ma aveva presto dovuto riconoscere
che per
lui era impossibile: ogni volta veniva tacciato come un arrogante
insensibile.
Ma non era colpa sua se gli altri erano permalosi e incapaci di tenere
una
conversazione sullo stesso piano intellettivo. Fortunatamente questo
non
succedeva con Leo, era l’unico in grado di tenergli testa
– anche se poi perdeva
sempre – e non se la prendeva per essere corretto e confutato
malamente.
Leonardo
era una delle persone più curiose che avesse conosciuto, la
sua mente era
talmente vivace che bastava una farfalla a fare scattare in lui un
qualche
meccanismo che lo portava al formulare un’idea. Per questo
era sempre
disponibile a partecipare una discussione e ascoltare suggerimenti che
potessero portarlo a una soluzione. Peccato che avesse la stessa
capacità di
concentrazione di un bambino.
Nonostante
il caldo persistente, Simon non aveva nessuna intenzione di imitare Leo
e
presentarsi in ateneo con una camicia hawaiana dalla discutibile
fantasia e i
bermuda da spiaggia, perciò sopportò stoicamente
i jeans lunghi e la polo. Non
gli piaceva essere appariscente nel vestire, cercava di evitare le
fantasie e i
colori del suo armadio erano una gradazione di neri, bianchi e grigi.
Ma
andando in giro con quel colorificio ambulante di nome Leonardo era
impossibile
passare inosservato come avrebbe voluto.
Se ai
bermuda aveva semplicemente fatto una smorfia, quando vide che aveva
intenzione
di indossare le infradito non riuscì a trattenersi.
“Non
ci
provare” ringhiò. “Non stiamo andando al
Lido”.
“Ma
fa
caldo”.
“Non
morirai per delle converse” lo liquidò.
In
cucina
c’era Giovanni a fare colazione nonostante fossero passate le
undici. Portava
la sua vestaglia verde scuro lunga fino alle caviglie, sotto la quale
sbucavano
le ridicole pantofole di Tiger a
forma di fenicottero.
“Le
matricole lasciano il nido?” domandò serafico
mentre spalmava la marmellata sul
pane.
“Non
siamo
più matricole” protestò Leo con una
smorfia offesa.
“Illuso.
Si
smette di essere matricole solo quando si va fuori corso”
sentenziò serio.
“Come
te?”
lo beffeggiò Simon.
La
frecciata
andò a segno dalla faccia indisposta che fece e dal guizzo
che aveva avuto la
sua mano pareva anche voler esercitarsi nel lancio del coltello. Fu
salvato
dall’entrata in scena di Margherita, per metà
nascosta dal catino di panni
sporchi che teneva con entrambe le braccia.
“Oh…
scusa”
mormorò nell’accorgersi di aver urtato la spalla
di Simon.
Scosse
la
testa per farle capire che era tutto a posto e afferrò Leo
per il colletto.
“Andiamo, si sta facendo affollato qui”.
“Ciao
Margherita! Ciao Eterno Fuoricorso!” gridò prima
di essere trascinato via ed
evitare così la fetta biscottata che si schiantò
sulla parete.
Dorsoduro,
Università Ca’ Foscari.
Il sole
picchiava tra le calli perpendicolare, percorsero la strada che li
separava
fino all’’università cercando di stare
all’ombra, ma con le masse di turisti
singoli o in gruppo era una missione molto ardua.
“Avevo
dimenticato quanto li odiassi” borbottò Leo quando
una coppia si fermò di colpo
per fotografare una casa.
Simon
era
d’accordo su tutta la linea, ma in cuor suo non poteva non
capire per quale
motivo i turisti si fermassero ogni tre passi a fotografare. Le case si
allungavano sulle case strette in modo incantevole, con i loro colori
pastello
un poco sbiaditi dal tempo, i particolari delle ringhiere i panni
appesi sui
fili da una finestra a all’altra; il riflesso poi
dell’acqua del canale sulle
finestre, le porte che terminavano sull’acqua e i graziosi
ristoranti creati
proprio perché si incastrassero alla perfezione in quelle
piazzette con il
pavimento in pietra levigata. Ogni scorcio, ogni ponte e ogni finestra
aveva la
sua esigenza di essere fotografata. Con il sole e il cielo azzurro
tutto aveva
un colore più vivido.
“In
che
aula è la lezione?” domandò Leo quando
arrivarono nella zona di San Basilio.
Non gli piaceva quella sede dell’università, i
casermoni in mattoni rossicci
erano anonimi, sembravano appartenere a una fabbrica inglese. In
più nella
strada in cemento c’erano anche delle macchine, ogni volta si
chiedeva come
fosse possibile, come facevano a raggiungere quella zona? Volando?
Però
San
Basilio aveva anche i suoi aspetti positivi, come i tramonti. Il cielo
si
colorava sempre di un rosso acceso mentre il sole sembrava venire
inghiottito
dal canale della Giudecca.
“Aula
2B,
dobbiamo trovare l’edificio” riferì
diligente Simon. L’anno prima avevano
frequentato davvero poco quella zona, solitamente usavano la sede
vicina di San
Sebastiano, che al contrario era un ambiente meraviglioso e molto
più particolare. Però
a San Basilio c’erano disegnata a terra delle
sagome di persone fatte con il gessetto, come quelle nelle scene dei
crimini.
Secondo la leggenda erano le sagome degli alunni che per la
disperazione si
gettavano dal secondo piano, quella spiegazione faceva sempre morire
dal ridere
Leo.
Erano in
anticipo, perciò si misero sul corridoio esterno ad
aspettare, appoggiati alle
ringhiere.
“Estetica”
annunciò Leo con lo sguardo al cielo terso. “La
materia teoretica che si occupa
del bello artistico e naturale. Non vedo l’ora di
iniziarla!”
Simon
sembrava meno entusiasta. “Hanno detto che fa lo stesso
programma da anni e che
non è molto…”
“Coinvolgente”.
Si
girarono
verso la persona che aveva sia interrotto che completato la frase, Leo
con
sorriso enorme, Simon più rassegnato.
“Marco,
da
quanto!” lo salutò “Anche tu segui
estetica?”
Il
ragazzo,
un loro coetaneo che aveva conosciuto l’anno prima che
sembrava essere uscito
da una squadra di football americana, annuì.
“Sì, è in programma. Ma penso che
seguirò solo il primo modulo visto il casino
dell’anno sabbatico”.
Simon si
staccò
dal parapetto e si fece più attento. “Quindi
è vero”.
“Che
cosa?
Che anno sabbatico?” domandò Leo.
“Non
hai
visto nel sito?” domandò Marco sistemandosi gli
occhiali da sole sui capelli
castani.
“Ovvio
che
no” lo precedette Simon, poi spiegò: “La
professoressa da Novembre andrà in
anno sabbatico, quindi il secondo modulo è stato rimandato
nel prossimo
semestre. Non so se hanno trovato un supplente”.
“No,
non lo
hanno trovato” garantì Marco.
Nel
frattempo la gente che stava aspettando la lezione aumentava sempre di
più,
fino a diventare una vera e propria folla. Qualcuno era fermo perfino
sulle
scale ad aspettare e il brusio si era fatto più insistente.
“Ma
a
filosofia siamo stati sempre così tanti?”
domandò Leo ridendo, l’ultima volta
che aveva visto così tanta gente fuori da un aula in
anticipo era alla prima
lezione di Storia della Filosofia.
“Ma
no,
sono quasi tutti di Beni Culturali” rise anche Marco.
“È un corso in comune.
Per questo è poco entusiasmante, la professoressa non
può entrare troppo nei dettagli”.
Simon
fece
una faccia esasperata. “Quindi è un corso
mediocre”.
Al suo
contrario Leo contrasse le sopracciglia e si agitò.
“Non
ha
senso partire prevenuti, magari sarà interessante. Nel
programma ho visto
Kant!”
Kant era
l’eroe di Leonardo, era grazie a lui che aveva iniziato ad
appassionarsi anche
alla filosofia oltre che alla fisica e astronomia. Era rimasto
affascinato dal
suo realismo empirico al punto che aveva letto le critiche per conto
proprio,
capendole solo per metà. Purtroppo aveva dovuto riconoscere
che lo stile di
scrittura di Kant era piuttosto pesante e tutt’altro che
piacevole, però sapere
di affrontarne una in un corso lo aveva emozionato.
“Sì,
Kant
spiegato a chi non studia filosofia. Lo
semplificherà” Simon distrusse tutte le
sue aspettative con un solo commento.
“Non
è
detto” borbottò.
Sulle
scale
ci fu un gran scompiglio che attirò la loro attenzione,
qualche studente
protestò per essere stato malamente gettato contro il muro e
un altro disse
qualcosa di offensivo. La risposta acida che ricevette tolse qualsiasi
dubbio
su chi potesse essere la persona che aveva creato quel piccolo caos.
“Oh,
ma
ragazzi! Ci siete anche voi? Mica potevate scriverlo nel gruppo, no
eh?”
Se Marco
fece un sorriso ammiccante e Leo alzò una mano per battere
il cinque alla
ragazzina appena arrivata, Simon si chiese se valesse la pena
aggiungere una
nuova sagoma a quelle già sul cemento.
Nella
sua
vita aveva trovato poche persone prepotenti come Giada, la ragazza che
si era
fatta strada sulla calca con la forza. Forse prepotente non era la
parola
giusta, visto che si limitava a essere una ragazza molto schietta, con
un forte
orgoglio e nessuna intenzione di farsi mettere i piedi in testa dagli
altri, ma
questo suo atteggiamento sfrontato la portava spesso ad attaccare briga
con gli
altri, esattamente come era successo con Simon. Non era bravo con le
persone,
raramente scendeva dal suo piedistallo per cercare di capire le ragioni
errate
degli altri e una cosa del genere caratterizzava anche Giada, che
dall’alto
della sua Torre d’Avorio fronteggiava chiunque senza cedere
terreno. Avevano
litigato così tante volte che ormai avevano rinunciato a
intraprendere una
conversazione civile.
Come
l’anno
scorso era accompagnata da un alto e sottile ragazzo vestito di nero da
capo a
piedi, un’espressione funesta sul volto magro. Aveva
approfittato dello
scompiglio creato dalla ragazza per fare le scale con calma senza
essere
oppresso dalle altre persone. Come al solito, attorno alla sua figura
alleggiava un’aurea gelida a triste, quella caratteristica
gli aveva fatto
guadagnare il doppio nome di Dissennatore e Schopenhauer, di
quest’ultimo
condivideva anche il nome: Arturo.
Se con
Giada era impegnato in una guerra irrisolvibile, al contrario Simon
apprezzava
sinceramente Arturo per il suo silenzio e il suo parlare solo dopo aver
soppesato
attentamente la situazione; le domande che faceva in classe erano
sempre mirate
e precise, spesso lasciando sorpresi e compiaciuti i vecchi professori.
“Sì,
ho
scritto questa mattina per sapere i vostri corsi”
spiegò Giada agitando il
telefono. “Meglio affrontarli insieme, no?”
Leo
prese
il proprio huawei scassato e con la pellicola protettiva distrutta.
“Oh, non
abbiamo visto. Sono quasi le dodici” annunciò
rintascandolo.
“Dopo
questo avete altro?”
Simon e
Marco scossero la testa, mentre Leo annuì.
“Teoretica”.
“Anche
noi”
Giada ricambiò il sorriso. “Credevo lo avessi
frequentato l’anno scorso”.
Leo
sorrise
imbarazzato. “Sì, ma… non ho dato
l’esame. Non mi sono organizzato bene,
preferisco seguirlo di nuovo”.
Con
sorpresa Arturo prese la parola.
“Quest’anno
porta Kant, secondo il sito. I suoi studi vertano soprattutto su di
lui,
potrebbe essere interessante”.
Simon si
chiedeva come fosse possibile che Giada e Arturo girassero insieme,
visto che
erano perfettamente opposti per modi di fare. Erano migliori amici,
secondo
molti loro compagni uno dei due era innamorato dell’altro o
altra, ma Simon era
sicuro che tra quei due non ci fosse nessun interesse romantico,
univoco o
ricambiato che fosse. Erano semplicemente amici, inutile cercare di
vederci
qualcosa di più.
“Com’è
Dal
Farra?” continuò Arturo rivolgendosi direttamente
a Simon. Si rigirava una
sigaretta spenta fra le dita, sicuramente si chiedeva se avesse
abbastanza
tempo per fumarla e se ne valesse la pena.
Dal
Farro
era il professore di Teoretica, oltre a essere molto competente era
affascinante nel modo di esprimersi, c’era solo una pecca nel
suo metodo di
insegnamento.
“È
bravo,
ma ripetitivo. Fatica a terminare il programma e ogni tanto
divaga”.
“Ma
le sue
divagazioni sono interessanti!” protestò Leo.
Arturo
lo
ignorò. “È stato utile il
corso?”
Fece una
smorfia con le labbra. “Molto bello, ma al primo anno
è difficile seguirlo, dà
certe cose per scontato. Non dovreste avere problemi se avete seguito
Pannacci”.
Leo
rabbrividì
a sentire il nome del Terribile Uno, il professore di Storia della
Filosofia
che faceva tremare chiunque sotto i colpi del suo esame.
“Seguito
e
sostenuto” s’intromise Giada con un sorriso
ruffiano.
“Entrambi
i
moduli? Anche su Hegel?” chiese Leo, al loro annuire fece una
smorfia. “Io ho
dato solo la prima parte”.
Giada lo
guardò divertita. “Neanche questo? Non sei un
po’ indietro con i crediti?”
“Non
proprio” s’imbronciò. “Ma
quest’estate sono stato… impegnato”.
Simon
preferiva non ricordare con chi
fosse
stato impegnato e fare cosa.
Arturo
continuò a ignorare Leo, era l’unica persona del
loro gruppo che non provava
un’aperta simpatia per Leonardo, ma del resto oltre che con
Giada sembrava
andar d’accordo solo con Simon.
“Tu
lo hai
dato?”
Annuì.
“Com’è
andato?” s’intromise Giada.
Non
riuscì
a evitare un sorrisetto compiaciuto. “Ventisette”.
Nonostante
fosse sotto la sua media era comunque un traguardo, leggenda narrava
che
nessuno fosse riuscito a prendere trenta con lui, se non Hegel in
persona,
perciò ne era soddisfatto.
Il
ghigno
che fece Giada non gli piacque per niente.
“Vent’otto”.
Fu
davvero
difficile soffocare l’istinto di strozzarla con le sue trecce
bionde, l’idea
che fosse andata meglio di lui in quell’esame era
così difficile da mandar giù
che gli faceva andare il sangue al cervello.
“Arti
invece ha preso ventinove e Pannacci gli ha pure fatto i
complimenti”.
Scrollò
le
spalle come se fosse un fatto poco importante. “Avevo
studiato” liquidò la
faccenda, sembrava essersi finalmente deciso ad accendere la sigaretta,
ma
proprio in quel momento la lezione nell’aula finì
e gli studenti cominciarono a
riversarsi fuori. L’aura depressa che lo circondava
sembrò aumentare.
“Comunque, io ho
preso ventidue con Pannacci e
non sono mai stato così felice in vita mia”
decretò con fierezza Marco, poi entrò
in aula.
Sede di S. Sebastiano,
giardino.
Le loro
previsioni su Estetica si
erano rivelate esatte. Il materiale messo a disposizione era davvero
interessante e meritava il corso, ciononostante a Leo si erano rizzati
i peli
delle gambe quando la professoressa a aveva tentato di riassumere le
prime due
critiche di Kant per chi non lo conosceva bene. Alla fine delle due ore
Arturo
aveva decretato di darlo da non frequentante, Simon lo avrebbe imitato
volentieri ma sapeva che Leo non glielo avrebbe mai permesso.
Si era
già un po’ offeso perché non
lo aveva accompagnato alla lezione di Teoretica, anche se non aveva
senso per
lui seguirlo visto che aveva già dato l’esame al
suo contrario. Per questo
aveva approfittato del caldo per pranzare nel giardino della sede di
San
Sebastiano, mentre Leo se ne stava dentro una delle aule:
l’aula Padovan. Era
seduto vicino la finestra, quindi da sotto l’albero di ulivo
riusciva a intravedere
il suo profilo mentre prendeva appunti e si incantava a guardare il
professore.
San
Sebastiano era la sede principale
di filosofia e aveva un ampio cortile interno erboso, con tanto di
alberelli,
uno di essi era un ciliegio e in primavera avevano il piacere di
vederne la
fioritura. Gli studenti approfittavano del giardino e del caldo per
stendersi
sull’erba a mangiare, leggere o semplicemente chiacchierare.
I più organizzati
si portavano anche delle coperte, così sembrava sempre che
all’interno dell’università
si stesse organizzando un campeggio.
Simon
era rimasto solo, perché Marco
voleva andare alla mensa universitaria, lui invece stava mangiando il
panino
che aveva preparato la mattina e ascoltava musica. Forse dopo si
sarebbe messo
a controllare gli appunti di estetica, anche se ne aveva presi davvero
pochi.
“Ehi,
ciao”.
Non
riconobbe subito la voce, ma
quando spostò il viso dalla finestra verso la ragazza in
piedi accanto a lui e
la vide in viso la riconobbe subito. Lo stomaco gli si chiuse e non
sentì più
il bisogno di continuare a mangiare il suo panino.
Lucia
era una ragazzina graziosa, dal
volto ovale e la pelle liscia, con le labbra sottili e un caschetto di
capelli
color castagno. Era alta come Leo, ma per la sua gracilità
sembrava molto più piccola,
soprattutto perché tendeva sempre a stare con la testa bassa
e in disparte
nelle discussioni.
Le fece
un cenno neutro con la testa
pregando dentro di sé che non volesse sedersi lì,
non tanto perché non la
sopportasse, ma perché la sua presenza gli portava solo
disagio.
Lucia si
tolse la cartella e si
sedette a gambe incrociate sull’erba.
Dovevo entrare a
Teoretica con Leo…
Rimasero
zitti per una manciata di
minuti, nei quali Simon si sforzò di dare un altro morso al
suo panino. Non era
bravo a iniziare le conversazioni e odiava le frasi di circostanza,
quelle
fatte solo per tappare i buchi di silenzio.
“Così…
hai iniziato anche tu oggi?”
domandò Lucia strappando nervosa un filo d’erba,
aveva una voce molto nasale.
Indossava una gonnellina nera con le pieghe e una camicia senza maniche
con una
fantasia floreale, probabilmente doveva essere considerata carina dai
suoi
coetanei, ma per Simon era dimenticabile. Sapeva di essere cattivo a
pensarlo,
ma non trovava nulla di interessante a lei e non poteva farci niente.
Annuì
e basta. Lucia non si lasciò
scoraggiare dal silenzio,si morse le labbra e cercò di
tenere in piedi la
conversazione.
“Io
oggi ho avuto il corso di Storia
Romana, sembra interessante. Dovevo andare a Teoretica, ma ho fatto
tardi.
Spero che nella prima lezione non dica cose troppo
importanti”.
Aveva
tentato di parlare in modo
spontaneo, ma il nervosismo nella sua voce era talmente palese che
perfino lui
si era sentito sulle spine. Rimase in silenzio visto che non sapeva che
cosa si
aspettava che rispondesse.
“Tu
che corsi segui?”
Ah, questo.
“Per
ora Estetica, Morale e Filosofia
della Letteratura” snocciolò neutro.
“Oh,
anche io seguo Morale” accennò
un sorrise. “Chissà
com’è”.
Scrollò
le spalle e la conversazione
– se davvero di poteva considerare tale –
morì ancora. Lucia continuò a
maltrattare i fili d’erba attorno a lei, lanciandogli di
tanto in tanto uno
sguardo.
“Fa
davvero caldo, vero?” tentò un’ultima
volta con un sorriso tirato.
“Abbastanza”.
“Dicono
che la prossima settimana
tornerà il freddo”.
“Speriamo”.
“È
difficile seguire le lezioni con
questo caldo”.
Fece
spallucce e questa volta anche
Lucia rimase in silenzio con espressione abbattuta; tirò
fuori il telefono e lasciò perdere ogni
tentativo di conversazione. Pochi minuti dopo lo salutò e se
ne andò verso le
macchinette del caffè all’entrata, ne fu sollevato.
Non era
cattiveria ma, oltre a
sentire di non avere niente in comune con quella ragazza, da quando
l’anno
prima gli aveva fatto capire in modo esplicito di avere una piccola
cotta per
lui riusciva a provare solo disagio ad averla affianco.
Tanto
per cominciare, non riusciva
proprio a capire per quale motivo si fosse infatuata di lui dal momento
che non
avevano mai scambiato più di due parole. Sapeva anche di non
essere una grande
bellezza, non aveva nulla di speciale con i propri capelli castano
scuro, gli
occhi nocciola e il naso appuntito; i tratti del suo volto erano
regolari, era
vero, ma era uguale a quello di molte altre persone, in una folla non
sarebbe
mai spiccato sugli altri – cosa di cui era molto grato del
resto. Non era
nemmeno particolarmente gentile, stava sempre sulle sue e quando
discuteva
tendeva a imporre le proprie idee con troppa saccenza, quindi il suo
essere
intelligente finiva sempre per essere messo in secondo piano.
Ma al di
là della sua incomprensione
sul perché Lucia si fosse interessato a lui quando per anni
nessuna ragazza lo
aveva fatto, restava il fatto di fondo che non poteva e mai avrebbe
potuto
ricambiarla.
A Simon
non piacevano le donne. Le
apprezzava, ammirava la loro intelligenza quando ne facevano uso e le
rispettava ovviamente, ma per quanto riguardava innamorarsi…
erano fuori dai
suoi interessi.
Aveva
capito di preferire la sua
stessa metà di cielo già durante il suo sviluppo
adolescenziale, quando certe
reazioni le aveva per Chris Hemsworth durante la visione degli Avengers
che per
Natalie Portman – tanto per fare un esempio. Non poteva dire
di avere accettato
serenamente la scoperta fin da subito, prima di ammetterlo a se stesso
aveva
dovuto affrontare un periodo di panico e negazione. All’epoca
temeva ancora il
giudizio del padre, ma dopo un po’ si era chiesto quale fosse
il senso di
nasconderlo: era lampante che fosse attratto dai maschi e non provasse
nessun
interesse per le femmine, fingere il contrario era controproducente e
stressante. Non era un’informazione che tendeva a dare in
giro, comunque, non
aveva mai fatto coming out per
varie
ragioni: non voleva che a scuola potessero additarlo come diverso, che
la sua
famiglia potesse sconvolgersi e qualche professore bigotto gli mettesse
i
bastoni tra le ruote. Lo considerava un affare suo e suo doveva
rimanere.
Nemmeno
all’università, dove si poteva
respirare un ambiante molto più aperto e inclusivo fra i
suoi compagni, non lo
aveva mai detto in modo esplicito. Era certo che qualcuno dei loro
amici ci
fosse arrivato, ma non era mai diventato argomento di conversazione.
Solo due
persone avevano il
privilegio di essere attivamente partecipi del suo segreto: Giovanni,
che era
riuscito a estorcergli l’informazione per sfinimento, e
Arianna, con la quale
invece tendeva a confidarsi con più spontaneità.
Leo no.
Leonardo non lo sapeva e per
quanto gli riguardava non c’era nessun motivo per dirglielo,
quando invece ce
n’erano tantissimi per tenerlo nascosti. Sapeva di poter dire
al migliore amico
qualsiasi cosa, che in qualsiasi caso sarebbe stato dalla sua parte,
anche nel dover
nascondere un cadavere, ma non in quella situazione.
Fu distratto dai suoi
pensieri dall’uscire
scomposto degli studenti dall’aula Padovan, approfittando
delle portefinestre
per arrivare direttamente in giardino senza fare il giro lungo.
Parlavano tutti
in modo animato ed entusiasta, doveva essere stata una bella lezione.
Cercò tra
le teste quella arruffata del suo migliore amico senza alzarsi
dall’erba,
quando lo vide gli fece un cenno di raggiungerlo.
A
Leonardo brillavano gli occhi
azzurri e aveva lo sguardo sfuocato lontano, come se stesse seguendo le
mille
idee che gli affollavano il cervello, teneva il quaderno degli appunti
in mano
e la cartella pendeva da una sola spalla.
“È
stata un’esperienza mistica”
proclamò allargando finalmente le labbra in un sorriso
enorme.
“Lo
dici ogni volta” lo prese in
giro.
Leo si
gettò a sedere davanti a lui
agitato. “No, no, è stata davvero grandiosa. Ho i
brividi, guarda!” gli agitò
davanti un braccio. “Ti mostro gi appunti che ho preso,
dobbiamo assolutamente
parlarne perché mi è venuto in mente che
effettivamente non ho mai guardato le
cose da questo punto di vista. Cioè…”
Il suo
entusiasmo era più contagioso
della peste del Trecento, Simon non aveva nessuna
possibilità di salvarsi da
quell’eccitazione travolgente. Quando Leo parlava di qualcosa
che lo
appassionava si illuminava come un piccolo sole e faceva risplendere
anche chi
gli stava vicino, era inevitabile sentirsi coinvolto da quelle parole e
agitarsi allo stesso modo. Per Simon quella era stata la fregatura,
perché il
motivo principale per cui non poteva dirgli di essere gay era che ormai
si era
inesorabilmente innamorato di lui.
Venezia,
da Campo S. Margherita a S.
Giacomo dell’Orio.
I
compagni di corso avevano chiesto
loro se volevano fermarsi con loro a fare aperitivo per festeggiare
l’inizio
del nuovo anno accademico. Simon si era già rassegnato al
dover passare
l’intera serata in campo a sperare che nessuno vomitasse per
i troppi spritz e
far loro da balia; ma con sorpresa erano rimasti solo un paio di ore
prima che
Leo salutasse tutti dicendo che dovevano andare a casa.
“Abbiamo
un impegno noi due” ghignò
esaltato, Simon lo guardò confuso quindi spiegò
meglio: “Oggi iniziano gli
episodi doppiati di My Hero Academia!
E quelli nuovi di Naruto!”
Non
seppe bene come reagire a quella
spiegazione, perciò non disse niente. Era appena sceso il
buio, il sole era
tramontato da poco e le calli erano illuminate solo dalle vetrine di
alcuni
negozi ancora aperti. L’aria continuava a essere calda
però.
“Quindi
dovremo lottare con Giovanni
per il controllo della televisione” borbottò.
“No,
non credo. Anche lui vorrà
vederli” lo contraddisse più fiducioso,
corrucciò lo sguardo. “Ma poi lui ha la
televisione in camera, non capisco perché debba guardare
quella in cucina”.
“Per
darci fastidio, mi sembra
ovvio”.
“Fastidio
a te, vorrai dire” rise
davanti all’espressione indisposta che fece. Si fermarono
davanti alla vetrina
della Ca’Foscarina per guardare i libri esposti.
“Dici
che dovremmo comprare i libri
di estetica?” domandò Leo.
“No,
non credo. Cercherò dei pdf,
oppure li fotocopio” fu la risposta prevedibile.
“Ma da quello che hanno detto
gli altri bastano anche solo gli appunti”.
Leo
annuì. “Sì, ma la Critica del
Giudizio penso di prenderla lo stesso”.
“Allora
farò le fotocopie da te”.
Rise e
lo colpì con una spallata.
“Approfittatore” ridacchiò.
Andò
avanti a salire l’ampio Ponte
Foscari, Simon rimase volutamente indietro a guardarlo divertito. I
suoi
capelli rossicci e la stravagante camicia hawaiana lo distinguevano dal
resto
dei passanti come se avesse un cartello segnaletico puntato contro.
Lo
scoprirsi innamorato di lui era
stato per Simon un fulmine a ciel sereno dopo che si era imbambolato a
fissarlo
di
spalle mentre era in calzoncini da corsa e piegato in avanti per
allacciarsi le scarpe. Una vista decisamente molto illuminante.
Erano
mentalmente ed emotivamente compatibili, per questo la loro amicizia
funzionava
alla grande nonostante la sua incapacità sociale, ma
l’aggiungersi dell’attrazione
fisica aveva cambiato le carte in tavola.
Simon
aveva
una cotta per Leo che persisteva tenace, ma aveva deciso fin da subito
di non
assecondarla, di non rischiare. Non solo perché Leo era
etero e fidanzato con
una ragazza che adorava, ma soprattutto perché erano amici,
Leonardo lo
considerava solo in quel modo, ed esporsi significava mettere a rischio
quel
legame a cui teneva tantissimo. Era vero, Simon era innamorato di lui,
ma prima
di ogni altra cosa Leo era il suo migliore amico, perciò non
aveva nessuna
intenzione di mancare ai suoi doveri. Quell’infatuazione
prima o poi sarebbe
passata e tutto sarebbe tornato a posto, o almeno ci sperava.
“Sy!
Che ci fai ancora lì?”
Simon si
riscosse, Leo aveva
raggiunto la cima del ponte mentre era perso nelle sue elucubrazioni.
Quella
infatuazione doveva passare, anche se ormai erano mesi che si sentiva
in quel
modo, aveva sperato che la separazione delle vacanze estive potesse
risolvere
tutto. A giudicare il modo in cui si incantava ancora a fissarlo e di
come si
sentisse felice a stare con lui non doveva aver funzionato.
“Mi
deprimo” rispose ironico nel fare
il primo gradino, anche se non era affatto lontano dalla
verità.
“Puoi
farlo anche a casa, muoviti che
rischiamo di perderci il primo episodio” pretese incrociando
le braccia al
petto.
“Non
urlare” socchiuse gli occhi e
sospirò. “Arrivo, piccolo tiranno”.
Note:
1.
Qui
la canzone.
Ehi!
Come
potete
notare sono tornata e penso di tenere – per ora –
questo ritmo di un aggiornamento
a settimana il martedì, ho abbastanza capitoli pronti quindi
dovrei farcela
anche con tutti gli altri impegni^^
Cominciamo
a
entrare un po’ più dentro la vita dei nostri due
fanciulli, conosciamo un po’
di personaggi nuovi e abbiamo qualche confessione del tutto scontata
(Simon, si
vede lontano un miglio che stai sotto un treno)
Sopra
potete vedere un mio disegno di Simon, proverò a lasciare un
disegno dei
personaggi sotto ogni capitolo :)
Ringrazio
chi ha letto capitoli, le belle persone che hanno recensito (srsly, love you guys) e spero che anche
questo non abbia deluso le aspettative^^
Alla
prossima settimana <3
Hatta
|
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Capitolo 3 *** Overthinking ***
Overthinking.
“I
can go and
overthink this
If
you want
to
Nothing
much
is gonna change”.
(We
are scientist – No wait a five levels)1
17
Settembre 2018
Sedi
Università Ca’ Foscari
Il
secondo
giorno di università per Leo fu molto più
frenetico nonostante la prima lezione
fosse restata Estetica a mezzogiorno, ma dopo di essa ne aveva altre
tre con
solo lo stacco di un quarto d’ora dall’una e
all’altra. Se dopo Estetica Simon
aveva avuto la possibilità di andare in Campo a pranzare, a
Leo quella pausa non
era stata concessa: era dovuto correre a Teoretica per non rischiare di
non
trovare posto e sedersi sui gradini. Poi aveva raggiunto Simon e
insieme erano
corsi alla prima lezione di Filosofia Morale; l’amico era
molto scettico in
merito, perché dei loro compagni di corso più
anziani non avevano parlato molto
bene del professore, descrivendolo come un fanfarone bigotto. Il motivo
principale per cui Simon partiva abbastanza prevenuto erano le voci
della sua religiosità
un poco estrema, al suo contrario Leo non lo considerava affatto un
problema,
essendo lui per primo credente.
La
lezione
fu strana, nessuno dei due se la sentì di dare un giudizio
sul professore. Era
evidentemente una persona a cui piaceva parlare di se stesso e nel
corso della
lezione aveva usato spesso esperienze personali per fare esempi che a
malapena
entravano nel discorso. Ciò che fece loro storcere il naso
fu il modo poco
educato con cui spesso si riferiva ai colleghi. Però
l’argomento si prospettava
ricco e interessante, Leo era entusiasta di iniziarlo.
Meno
entusiasta fu di trascinarsi alla quarta lezione della giornata. Erano
ormai le
cinque e mezza, non aveva la volontà di restare concentrato
per altre due ore.
“Mettere
lezione a certi orari dovrebbe essere illegale”
protestò sconfortato.
Simon,
che
aveva avuto la pausa pranzo, non si mostrò altrettanto
provato.
“Se
segui
troppi corsi puoi lasciarne stare uno” gli fece notare.
“Ma
voglio
cercare di stare il più possibile con te”
piagnucolò “E poi non posso scartarne
uno senza nemmeno provarlo prima”.
Ignorò
la
prima risposta e sperò di non essere arrossito nelle
orecchie; era bravissimo a
tenere una faccia da bronzo e raramente l’imbarazzo gli
imporporava le guance,
ma a volte le orecchie gli si infiammavano se accadeva qualcosa di
inaspettato
che lo compiaceva. Per questo le sfiorò con le dita e
cercò di nasconderle con
le ciocche più lunghe dei capelli ribelli.
“Dai,
andiamo” borbottò.
“La lezione è San
Basilio”.
“Secondo
te
che cosa si fa a Filosofia della Letteratura?”
domandò. “Non è che il sito
fosse molto chiaro”.
“Il
sito
non è mai chiaro”.
“Sì,
però…
ci sono così tanti testi che mi chiedo quale sia il filo
conduttore. Forse
faremo un lavoro ermeneutico?”
Simon
rabbrividì a quella parola, memore del corso di ermeneutica
filosofica
frequentato l’anno prima.
“Spero
di
no”.
Arrivarono
che la lezione era cominciata da qualche minuto, perciò si
sedettero in ultima
fila per non fare troppa confusione. L’insegnante sembrava
molto presa da
quello che diceva, ma parlava così velocemente che
faticarono a capire di cosa
stesse parlando.
“Ah,
sta
riassumendo il programma”.
Leo si
ritrovò a pensare che quella professoressa era chiara quanto
il sito, o forse
era lui troppo stanco per riuscire a starle dietro. Saltava da un
argomento
all’altro senza concludere il primo, a volte perfino la frase
rimaneva sospesa
a metà perché lei veniva colta da un altro
pensiero. Faceva movimenti energici
con le mani che lo distraevano, si ritrovò a perdere il filo
del discorso più
di una volta perché si incantava a guardarla gesticolare. Il
suo quaderno degli
appunti era aperto davanti a lui con la pagina immacolata, perfino
Simon aveva
un’espressione un poco corrucciata e confusa. Almeno lui di
tanto in tanto
riusciva a segnare qualcosa con la stilografica, Leo tentò
di spiare, ma la
scrittura dell’amico era talmente stretta e minuta da essere
illeggibile.
Sospirò
e
rinunciò a seguire la lezione, ormai ne aveva persa per
metà e tentare di stare
dietro a quelle continue divagazione era pressappoco impossibile.
Appoggiò
perciò la testa sul banco con gli occhi chiusi, felice di
essere in ultima fila
e quindi di passare inosservato. Pochi secondi dopo sentì
qualcosa picchiettare
sulla superficie vicino a lui, aprendo gli occhi si scontrò
con lo sguardo
confuso di Simon.
Morto,
sillabò con le labbra.
Simon
alzò
gli occhi al cielo e scosse la testa, poi tornò a prestare
attenzione.
Ci
rimase
un poco male, anche se era impossibile che Simon Seguo
Sempre La Lezione Lunardi gli proponesse di giocare a tris
per far passare il tempo. In quel momento sentì la mancanza
del suo compagni di
banco al liceo, Giacomo era sempre disposto a qualsiasi cosa pur di non
seguire
la lezione.
Tirò
fuori
il telefono e decise di mandare un messaggio a Teresa, magari lei lo
avrebbe
distratto. Le lancette dell’orologio appeso sul muro andavano
troppo lente.
L:
“ Quarta lezione
della giornata, il
mio cervello sta chiedendo pietà. Salvami almeno
tu!”
Mentre
aspettava la risposta schiacciò sull’immagine di
profilo di what’s app, quel
giorno l’aveva cambiata. Teresa era una bellezza molto
semplice, con un volto
pulito e ovale, gli occhi rotondi intelligenti e le ciglia lunghe.
Nella foto
sorrideva con una mano a nasconderle un poco la bocca socchiusa, i
capelli
castani erano raccolti
in una mezza coda
spettinata che le scendeva a metà schiena. Gli piacevano i
suoi capelli,
soprattutto adorava passarci le dita mentre si baciavano, erano morbidi
e
lisci.
La
risposta
arrivò quasi subito.
T: “Attento a non uccidere anche
l’ultimo
neurone, saputello”.
Fece un
sorriso al nomignolo.
L:
“No, è troppo tenace per
morire e mi serve
ancora. Com’è andata oggi a scuola?”
T:
“Andata, il solito”.
Teresa
era
ancora al liceo, era all’ultimo anno e si stava preparando ad
affrontare la
maturità; sapeva già che per quel motivo, unito
alla distanza, sarebbero
riusciti a vedersi molto meno.
L:
“Dopo posso chiamarti?”
T: “No, dai, ci siamo sentiti ieri e oggi
viene Sere da me. Magari domani”.
Ci
rimase
male per quella risposta, ma decise di non insistere per non farla
sentire
pressata. Teresa poteva reagire molto male se credeva che qualcuno le
stesse
facendo pressione, si stressava facilmente e per questo cercava di
essere
sempre organizzata.
Si
scrissero un altro poco, ma alla fine lei lo salutò per
andare a farsi la doccia
e si ritrovò a non sapere che altro fare.
Scarabocchiò sul banco con fare
distratto, poi quando vide che mancavano dieci minuti alla fine della
lezione
fece segno a Simon.
“Io
esco”
sussurrò.
“Mancano
dieci minuti” gli fece notare indispettito. “Puoi
resistere?”
“Sto
per
morire, te lo giuro”.
Sbuffò.
“Vai a casa o mi aspetti?”
“Ti
aspetto” assicurò.
Cercò
di
essere il più silenzioso possibile nell’uscire e
fu confortato di non essere
l’unico a darsi alla fuga.
Respirò
l’aria tiepida con sollievo, il cielo si stava colorando di
rosso per il
tramonto ormai vicino. La zona attorno all’aula era
silenziosa e vuota, non
c’era assolutamente nessuno.
Si
stiracchiò e sbadigliò, era distrutto e moriva di
sonno, forse restare svegli
fino a tardi non era una grande idea. Camminò avanti e
indietro per le porte
delle aule nel tentativo di distrarsi, si pentì di essere
uscito perché
aspettare fuori da solo non era tanto diverso che stare dentro.
Da una
delle porte uscì un ragazzo, che quasi gli finì
addosso, e dopo una frettolosa
scusa se ne andò senza chiudere la porta alle sue spalle,
lasciandola per metà
spalancata. Senza un motivo apparente, giusto perché non
aveva nulla da fare,
lanciò uno sguardo all’interno.
Si
congelò
sul posto.
Pareva
essere un aula studio ed era vuota, per eccezione di due ragazzi seduti
vicini.
Due ragazzi che si stavano baciando.
Non
riuscì
a reagire subito e rimase a fissarli, il cuore schizzato in gola; uno
teneva la
mano sulla spalla dell’altro, aveva il volto inclinato e il
naso schiacciato
contro lo zigomo, si baciavano lentamente come se avessero tutto il
tempo del
mondo, come se non temessero che qualcuno potesse entrare e
sorprenderli, per
nulla consci del ragazzo fuori che li spiava ammutolito.
Con un
sussulto si accorse di quello che stava facendo e se ne
vergognò, distolse lo
sguardo e poi si allontanò a passo veloce, ormai perso nella
propria testa per
i troppi pensieri.
Simon
s’indignò quando uscito dall’aula non
trovò nessuno. Eppure gli aveva chiesto
di non andare a casa subito e di aspettarlo.
“Abbandonato?”
Slittò
lo
sguardo verso Arturo, non si era accorto esserci anche lui nella classe.
Scrollò
le
spalle. “Leo ha abbandonato la nave”.
Annuì
mentre tirava fuori la sigaretta, non era accompagnato da Giada e
apprezzò
molto quel dettaglio. Anche lui cominciava a sentirsi provato per le
lezioni e
non aveva la forza necessaria per sopportarla.
“Sì,
ha
fatto bene” accese la sigaretta e se la portò alle
labbra. “Non ho ben capito
dove volesse andare a parare, questa donna”.
“A
me sembra
interessante, da quello che ho capito” si affrettò
ad aggiungere.
Non
capì il
sorriso obliquo che fece Arturo.
“Lo
seguirai, quindi”.
“Ormai
sono
qui” scrollò ancora le spalle.
“Tu?”
“Vedremo”
soffiò il fumo mentre allontana la sigaretta con un gesto
elegante del polso.
“Facciamo un pezzo insieme?” domandò con
un cenno della testa verso la strada.
Rimase
sorpreso da quella richiesta, ma accettò, se ricordava bene
aveva preso casa a
San Polo, il sestiere vicino a quello di Santa Croce.
S’incamminarono
in silenzio, Arturo gli chiese se volesse una sigaretta, ma lui
declinò dal
momento che non fumava. Il sole alle loro spalle era uno spicchio che
si
nascondeva oltre il Canale della Giudecca e lanciava lunghe ombre sulla
strada.
Non c’era ormai più nessuno a quell’ora,
perciò Simon lo notò subito.
Leo non
era
andato a casa, era andato alla panchina di Biagio, il micio
universitario. Era
un gatto magrolino e tigrato che abitava quella zona, su una delle
panchine
c’era la sua cuccia e una ciotola che a volte le vecchiette
del quartiere o gli
stessi universitari riempivano; non era raro trovare qualcuno seduto
alla
panchina per coccolarlo come stava facendo in quel momento Leo.
Si
sentì
stupido per non averci pensato, era ovvio che non fosse andato a casa
ma avesse
raggiunto il gatto per passare il tempo. Eppure c’era
qualcosa che non andava.
“Leo?”
domandò fermandosi. Anche Arturo si fermò.
Quello
alzò
lo sguardo dal gatto che teneva sul grembo, i suoi occhi parevano
leggermente
persi.
“È
finita
la lezione?” chiese distrattamente.
“Sì,
credevo fossi andato a casa”.
“No”
disse
solo.
Arturo
inarcò un sopracciglio abituato com’era a sentirlo
parlare a macchinetta quella
sua poca loquacità doveva essere una sorpresa. Per Simon invece non lo era
affatto, perciò si
scambiò uno sguardo con l’altro ragazzo facendogli
capire che non avrebbero
fatto la strada insieme.
Arturo
colse il messaggio e lo salutò con un cenno del mento, poi
si allontanò. Simon
invece si sedette sulla panchina accanto all’amico e appena
lo fece Biagio si
allungò anche su sul grembo, muovendo una sua zampina contro
la sua mano.
Cominciò a grattargli dietro le orecchie distratto,
più preoccupato a spiare
Leo di soppiatto.
Leonardo
era un grande chiacchierone, di quella tipologia che riusciva a
intavolare una
conversazione anche con un muro; non importava chi aveva davanti,
sicuramente
lo avrebbe stordito di parole. Questa era l’idea che tutti
avevano di Leo, ed
era assolutamente fondata, lui era davvero quel tipo di persona, il suo
continuo parlare non era una maschera sociale, tutt’altro.
Però c’erano quei
momenti in cui sembrava spegnersi, in cui tutta l’energia che
rivolgeva al
mondo esterno restava chiusa dentro di lui. C’erano quei
momenti, che potevano
accadere per la più insignificante cosa, dove Leo cominciava
a pensare e
pensare, rimuginava così tanto da perdersi nel proprio mondo
ignorando quello
che lo circondava. Quegli stati di pensiero continuo potevano durare
giorni
come poche ore e solitamente si risolvevano in due
possibilità: nel caso
positivo raccontava a Simon del viaggio introspettivo che aveva avuto,
con
tutte le idee che aveva vagliato e le soluzioni che lo avevano scosso;
nel caso
negativo faceva semplicemente finta di niente, come se magari non
avesse
passato un’intera giornata nel mutismo totale.
Simon
ovviamente preferiva quando si apriva, perché era sempre
affascinato dalle
conclusioni a cui l’amico arrivava; si chiese come mai fosse
piombato in quello
stato, era qualcosa successo a lezione? Eppure non ne era sembrato
molto
coinvolto. In ogni caso sapeva che cercare di sforzarlo a parlare era
inutile,
si sarebbe sbloccato da solo e in quel caso si sarebbe fatto trovare a
portata
per raccogliere la cascata di parole entusiaste. Però si
stava facendo tardi e
lui voleva andare a mangiare.
“Dovremmo
andare a casa” disse solo quando ormai era quasi passata
un’ora.
Gli
occhi
azzurri si fecero un poco più consapevoli.
“Sì, hai ragione. Sono stanco
morto”.
Diedero
un
colpetto alla pancia del gatto per farlo scendere dalle loro ginocchia,
Biagio
protestò con qualche miagolio, ma poi tornò sulla
panchina con le proprie zampe
e strofinò la testa contro il fianco di Leo.
“Torno
anche domani” lo rassicurò.
“Sai
che
non può capirti, vero?”
“Mah,
se
segue le lezioni di filosofia non capisco perché non debba
capire me”.
“È
solo una
leggenda, non sappiamo se è vero”.
“Questa
università ha troppe leggende, alcune dovranno essere
vere”.
Leo si
alzò
dalla panchina spazzolando i pantaloncini, anche quel giorno si era
presentato
con i bermuda. Sembrava essere tornato sulla terra, non più
perso sulla luna.
“A
cosa
stavi pensando?” domandò Simon non riuscendo a
trattenere oltre la curiosità.
Fu
sorpreso
di vedere un’espressione nervosa. “Ma no, a
niente” minimizzò. “Solo che ero
stanco morto. Non credo che seguirò anche questo corso,
quattro lezioni in un
giorno senza pausa sono troppe anche per me”.
Non si
lasciò sviare, anche se il suo momento era durato poco
rispetto al solito gli
era sembrato troppo concentrato per trattarsi solo
dell’organizzazione del
proprio orario. Forse aveva trovato un impasse che non riusciva a
superare e
aveva preferito lasciar perdere, era raro ma succedeva.
Perciò
gli
disse: “Lo sai che posso aiutarti se hai
difficoltà a trovare una soluzione,
vero?”
“Nah,
seguire tre lezioni nel primo periodo va bene”
cercò di fingere ancora, ma poi
sotto lo sguardo impassibile dell’amico fece un sorriso
rassegnato. “Tu tendi a
sopravvalutarti, Sy”.
“Due
cervelli sono meglio di uno”.
“Vero,
ma…”
lasciò la frase in sospeso e gli batte una mano sulla spalla
in un gesto che
lasciava intendere che preferiva lasciar perdere. “Ci arrivo
da solo, ma non
adesso che sono troppo stanco”.
Non
aveva
nessun motivo per insistere, soprattutto se glielo chiedeva in modo
così
diretto, perciò lo accontentò.
“Senti,
ma
dobbiamo proprio andare a casa?”
La
sorpresa
di Leo a sentire quella richiesta fu perfettamente leggibile e non
poteva
nemmeno biasimarlo, era davvero raro che formulasse quella domanda.
Appena
finivano le lezioni era solito dirigersi subito a casa e sbuffava
quando Leo
gli chiedeva di stare un po’ di più fuori.
“No,
possiamo andare da qualche parte. Perché?”
“Perché
questa sera è il turno di Giovanni di cucinare”.
Cannaregio,
Strada Nova.
Il
piccolo chiosco era abbastanza
affollato come suo solito e le luci appese al soffitto illuminavano la
frutta
esposta e le immagini dei cocktail colorati. Dietro il bancone i
ragazzi si
agitavano da una parte all’altra sorridendo e mixando le
varie bevande, ogni
tanto offrivano un piccolo bicchiere ai passanti per invogliarli a
fermarsi.
Leo
adorava Frulalà, il
locale per cocktail di passaggio. Era sempre uno
scoppio di vita, un dj faceva andare la musica non troppo alta e la
frutta che
usavano era sempre fresca. Avevano deciso di andare lì a
cenare, prendendo
entrambi una bowl, ovvero una
grande
ciotola di yogurt dove potevi aggiungere qualsiasi cosa ti passasse per
la
testa che comprendesse frutta di stagione e frutta secca. Perfino
Simon,
solitamente indisposto verso i posti che richiamavano una grande folla
giovanile, lo apprezzava per la qualità dei prodotti.
Avevano
preso posto sugli sgabelli al
balcone, quelli un po’ più in disparte. Avevano
chiacchierato per tutta la
serata come loro solito, del resto il loro passatempo preferito era
proprio
parlare, ma Leo continuava a restare solo per metà
concentrato nella
conversazione. Sperò che Simon non lo notasse e che, nel
caso, non se la
prendesse.
Sapeva
di essere sciocco a restare
così sconvolto per quello che aveva visto dopo la lezione,
ma non riusciva a
smettere di pensarci. Non tanto perché disapprovasse quello
che stavano facendo
quei ragazzi – dal suo punto di vista, finché non
si costringeva e faceva del
male a qualcuno, gli altri erano liberi di fare quello che volevano
– ma perché
per un momento aveva avuto la strana immagine di se stesso coinvolto in
quel
bacio.
Non era
la prima volta che faceva
pensieri simili.
Già
anni primi, quando aveva circa
diciassette anni, aveva cominciato a fare certi pensieri strani che lo
confondevano. Gli capitava di trovare attraente l’immagine di
un corpo maschile
nudo, di soffermarsi a fissare gli altri uomini in palestra a compiere
movimenti di fatica… Erano piccoli particolari, che tempo
dopo aveva liquidato
con la sua semplice capacità di riconoscere una bellezza
oggettiva – se un
uomo era bello poteva riconoscerlo
tranquillamente, non significava niente.
Però
all’inizio quella situazione
bizzarra lo aveva confuso, al punto che ingenuo si era confrontato con
la
ragazza con cui stava in quel periodo; le aveva detto del suo dubbio di
provare
un interesse fisico per i ragazzi, anche se non ne era del tutto certo
perché
al contrario era sicuro che gli piacessero le donne. Forse era colpa
del modo
in cui aveva formulato la confidenza, ma lei lo aveva lasciato nel giro
di
qualche giorno, perché non era sicura di voler stare con
qualcuno che non
sapeva nemmeno che cosa gli piaceva.
Per il
diciassettenne Leo era stato
un colpo durissimo, l’idea di essere stato lasciato per un
motivo del genere lo
aveva fatto entrare ancora in più in confusione. La sua ex
aveva ragione, come
poteva avere una relazione se non sapeva nemmeno se gli piacevano le
ragazze o
i ragazzi? La seconda opzione non lo rendeva molto entusiasta, non era
contro
gli omosessuali ma era comunque cresciuto in una famiglia molto
credente,
perciò certe idee erano difficili da mandare via. Non
ricordava con piacere
quel periodo, a pensarci si vergognava per il modo in cui aveva cercato
di
recepire ogni minimo segnale sulla sua sessualità.
Però
poi era arrivata Teresa. E ogni
dubbio era sparito a favore di quello che aveva avuto tutto il gusto di
un
colpo di fulmine.
Il loro
primo incontro era stampato
nella memoria di Leonardo come una fotografia dettagliata e vivida
nonostante i
colori notturni.
Era
estate, con Giacomo si era
iscritto a un campo estivo di tre giorni all’osservatorio di
Asiago con un
gruppo di astrofili. La prima volta che l’aveva vista Teresa
era piegata a
guardare con un occhio dentro un telescopio, le labbra piegate in una
smorfia
per tenere l’altro chiuso e le mani sulle rotelline per
regolare l’apparecchio;
aveva una treccia un poco sfilacciata per il vento e nonostante
l’alta quota
dell’altopiano portava un vestitino estivo che le lasciava le
spalle
scoperte. L’aveva
fissata immobile
finché Giacomo non lo aveva spintonato verso di lei e allora
lui,
nell’imbarazzo di non sapere cosa fare, aveva cominciato a
parlare a
macchinetta, vomitando tutte le informazioni che sapeva sulla
costellazione che
la ragazza stava guardando attraverso la lente del telescopio. Quella
sua
brillante uscita gli aveva fatto guadagnare il soprannome di Saputello, che la ragazza ancora
continuava a usare con affetto. Però aveva funzionato, dopo
un’estate di corteggiamento
si erano fidanzati e la loro storia era proseguita perfetta e senza
complicazioni.
Be’,
più o meno.
Il punto
era che dubbi del genere non
avevano più avuto senso di esistere, non era mai stato
così innamorato di
qualcuno e ormai considerava ovvio il suo essere attratto dalle
ragazze. Era
etero, fine della storia.
Ma allora
perché?
Anche
l’anno prima quei dubbi ogni
tanto erano tornati come dei tarli, era un genio maligno degno di
quello
cartesiano e a differenza del vecchio filosofo non riusciva a
scacciarlo in
modo definitivo. La cosa che più lo frustava era non solo
che facesse pensieri
del genere mentre era fidanzato, ma che a volte coinvolgessero anche il
suo
migliore amico. Si sentiva una pessima persona.
A me piacciono
le ragazze.
Come per
voler dare una prova
all’asserzione, lanciò un’occhiata alla
strada e si soffermò su una ragazza in
un vestitino aderente che aveva rallentato il passo per osservare il
locale,
aveva delle lunghe gambe e dei fianchi morbidi invitanti. Quando la
ragazza
passò oltre sparendo alla sua vista, si sentì
aggredire dal senso di colpa.
Lui era
fidanzato, non doveva
guardare le altre ragazze in quel modo, soprattutto non aveva bisogno
di farlo
per assicurarsi di essere etero. Ne aveva già la certezza.
Sospirò
e tornò a guardare ciò che
restava della propria scodella di yogurt.
“Hai
intenzione di dirmi che ti
prende, prima o poi?”
Non
guardò Simon negli occhi, anche
se poteva immaginare bene che espressione avesse. Doveva averlo fatto
preoccupare abbastanza se gli aveva parlato con quel tono secco.
Agitò
il telefono. “Giovanni ha detto
che è offeso con noi perché abbiamo rifiutato la
sua cena”.
“Okay,
che stia pure offeso” Simon si
spostò per evitare che lo colpisse al naso. “Il
vero motivo, invece?”
Ovviamente
non si lasciava ingannare.
Anche se si dicevano sempre tutto, non aveva granché voglia
di confidarsi su
quella cosa. Simon era una persona molto pudica e riservata, si
arrabbiava ogni
volta che Leo entrava nel bagno mentre si faceva la vasca per dire. Per
quanto
poteva essere comprensivo, di sicuro si sarebbe trovato in imbarazzo a
sapere
che il proprio compagno di stanza a volte faceva pensieri strani sui
ragazzi,
anche se etero.
Ma del resto sei
stato tu a riportarli a galla.
Sussultò
per quel pensiero sfuggito
al suo controllo e scese dallo sgabello come se fosse stato punto da
uno spillo,
guadagnandosi così un’occhiata perplessa.
“Andiamo
a prendere una crepes?”
domandò con esagerata vivacità.
“Fino
a Rialto?” si lagnò. “Ti prego,
no”.
“Dai,
sono quattro passi da qui. La
sto aspettando da un’estate”.
Poco
prima di Rialto c’era una
creperia che avevano scoperto l’anno prima, facevano le
crepes più buone che
avessero mangiato; le farcivano di ogni cosa immaginava, la sua
preferita era
quella con la cioccolata e gli spicchi di banana.
“Abbiamo
appena mangiato una ciotola
enorme di yogurt e frutta, non riesco a credere che tu abbia ancora
fame”
protestò incredulo, ma si lasciò trascinare per
la strada senza opporre una
vera resistenza.
“Non
occorre avere fame per volere
una crepes” lo rimbrottò.
“Va
bene, ti ricordo solo che domani
la prima lezione è alle dieci e mezza, quindi non possiamo
stare svegli ancora
fino alle due”.
Lo
ignorò con un ghigno soddisfatto,
del resto era ancora presto. E poteva ancora tenere sotto controllo
quei
pensieri.
Note:
1.
La
canzone qui
Ehi^^
Un poco
più
in ritardo del solito, ma questa settimana è stata
frenetica, senza contare che
si sta avvicinando l’ennesima sessione (la mia vita
è una sessione continua
singh)
Ma
eccomi
qui :D
Il
capitolo
è più centrato su Leo, mi rendo conto che i suoi
pensieri siano un po’ confusionari,
ma il fatto è proprio questo: ha una grande confusione in
testa e non sa come
districarsi.
Volevo
anche informarvi che il gatto Biagio esiste ed è il migliore
antidepressivo
dell’università perché un coccolone
adorabile <3
Spero vi
sia piaciuto, vi ringrazio per seguire questa storia e vi mando un
bacione!
Hatta
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