La Maledizione Del Treno

di Paola Malfoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vuoto ***
Capitolo 2: *** Come rendere la vita impossibile a Demi Hale ***
Capitolo 3: *** Il vento Volgare ***
Capitolo 4: *** Nel buio vi cercate... ***
Capitolo 5: *** Non lasciarmi andare ***
Capitolo 6: *** Campo di Grano ***
Capitolo 7: *** Insegnami ***



Capitolo 1
*** Vuoto ***


Cos’è un ricordo? Esso non è nulla, non puoi vederlo, non puoi toccarlo, non puoi udirlo… Ma è così grande che non puoi distruggerlo.

Fabio Volo

 

 

Vuoto.

Era questo ciò che lo circondava; e il vuoto era riempito dal buio, e dal silenzio.

Un silenzio agghiacciante ed opprimente.

Avrebbe voluto uscire, mischiarsi alle persone nelle strade, ma le persone non volevano lui.

Era solo.

Restaban si alzò dal letto nel quale stava praticamente facendo la muffa da settimane, e cercò di scacciare tutte quelle sensazioni che si mischiavano alla paura, camminando per la stanza, rimettendola a posto ed ascoltando musica.

La musica, lei si che era un’amica fidata. Alleggeriva il suo cuore e la sua anima, ed era sempre lì quando lui aveva bisogno, non si rifiutava mai d’aiutarlo.

Suo padre era in prigione, e non era dispiaciuto di ciò, ma nemmeno felice. Sua madre si era ritirata in Cornovaglia, alla ricerca di se stessa ed aria pulita. Non era dispiaciuto nemmeno da questo; lui amava sua madre, e lei amava lui, ma non erano mai stati particolarmente attaccati. Lady Tomkins era pur sempre una sposa ricchissima, e lui nella sua infanzia aveva visto di più le tate e le balie che non la madre.

Si rigettò sul letto, mentre la musica lo avvolgeva, calmandolo.

Viveva così dalla fine dei processi dei Prodigi, da quando sua madre si era trasferita, nella sua camera, con i Maggiordomi che gli portavano i pasti e ogni tanto pulivano silenziosamente.

Non si era più fatto la barba, i capelli erano cresciuti e spettinati.

E lui se ne stava lì, sdraiato sul letto, o girava per la stanza, ascoltava musica… ogni tanto leggeva. Faceva di tutto per non pensare.

Pensare avrebbe significato ricordare, e lui odiava ricordare.

Così rimaneva immobile, bloccando i pensieri e non facendo nulla.

Nessuno diceva nulla, perché non aveva nessuno. Era solo.

La sua vita si era bloccata, e lui non sembrava intenzionato a farla ripartire.

Chiuse gli occhi premendo la faccia sul cuscino e si riaddormentò, nonostante fossero le undici della mattina e si fosse svegliato da meno di un’ora.

 

 

 

James Cohen era nervoso, molto nervoso.

Aveva accettato il tirocinio da Poliziotto. che gli aveva offerto il Direttore subito dopo la fine della guerra, e gli era sembrato di cavarsela bene… ma allora perché lo stesso Direttore aveva richiesto di vederlo nel suo ufficio? Aveva sbagliato qualcosa?  O forse era successo qualcosa di grave…

Bussò alla porta ed entrò subito dopo.

«Dinn » disse entrando. Era troppo in confidenza con lui da dopo la fine della guerra per poterlo chiamare Direttore.

«James, siediti» disse con la sua voce calda.

Lui si sedette, e non gli parve che Dinn fosse particolarmente preoccupato, quindi non era qualcosa di grave.

«Mi cercavi?» chiese James.

«Si» rispose il Direttore «Vorrei affidarti una piccola missione, te la senti?».

«Ma certo, dimmi pure!» esclamò subito James, onorato da tanta fiducia.

«Allora ti prego di ascoltare con attenzione ciò che sto per dirti» disse Dinn, James annuì. «Oggi è il cinque settembre e ieri, Restaban Tomkins era atteso ad Alchoart come tutti gli altri studenti, ma non si è presentato. È dalla fine dei processi che non si sa più nulla di lui. Nessuno che lo abbia contattato, nessuno che lo abbia visto… è come scomparso» spiegò Dinn e James non poté non pensare che, nonostante tutto, Restaban faceva bene a nascondersi. Erano molti quelli che non lo apprezzavano.

«Il punto, James, è che credo fermamente che sia rimasto a Tomkins Manor. Le nostri fonti lo confermano. Ma non sappiamo se vuole solo nascondersi per vergogna, depressione, quello che vuoi… o perché sta organizzando qualcosa, anche se non credo, comunque è sempre meglio controllare. Vorrei che tu andassi a vedere, non voglio mandare una squadre di Poliziotti perché rischiamo di spaventarlo, e a me quel ragazzo sembra già abbastanza spaventato».

«Vuoi che vada a Tomkins Manor?»

«Si, naturalmente una squadra ti seguirà a distanza, pronta per ogni evidenza, ma preferirei se andassi avanti tu. Ne capisci il motivo?»

«Certo, non spaventarlo. Capisco» disse James annuendo, per poi chiarire gli ultimi particolari prima di lasciare l’ufficio di Dinn.

Non era esattamente entusiasta dell’idea d’andare a Tomkins Manor, ma era una cosa che andava fatta. E di certo lui non avrebbe disobbedito al Direttore; inoltre doveva ammettere che era anche curioso di sapere che cosa stava combinando Restaban.

 

Restaban fu svegliato da un forte rumore.

Aprì gli occhi e mise a fuoco la camera.

«Mi scusi Padrone, io non voleva farli cadere!» si giustificò un Maggiordomo tremante, che era evidentemente inciampato in una pila di libri poggiata a terra.

Restaban non disse nulla, si limitò a fissare i libri sparsi a terra.

«Il Padrone doveva partire per Alchoart ieri» iniziò cauto il Maggiordomo. Restaban alzò lo sguardo su di lui.

«A fare cosa ad Alchoart?» borbottò deluso e annoiato.

«I-imparare» disse timidamente il Maggiordomo.

«Ho imparato abbastanza nell’anno passato» disse Restaban dopo qualche minuto. No, decisamente non sarebbe tornato ad Alchoart, non avrebbe fatto da punching-ball vivente per l’intera scuola, e non aveva intenzione di diventare nemmeno un bersaglio da colpire con frecce avvelenate e pungenti.

Sarebbe rimasto lì. Con un po’ di fortuna poteva anche morirci, così.

Il Maggiordomo uscì timidamente dalla stanza.

E Restaban rimase solo, circondato dal vuoto, e il buio riempì il vuoto.

 

Il ragazzo si svegliò verso le due di notte grazie ad un mal di testa che sembrava volerlo uccidere; gli capitava spesso quando dormiva troppo, il suo corpo reagiva così.

Eppure lui amava dormire, se dormiva non pensava, non faceva cose sbagliate, non faceva nulla… dormiva e basta.

Gli sarebbe piaciuto morire così, dormendo.

Infondo a chi importava? Nessuno era venuto a cercarlo, e nessuno sarebbe mai venuto. Avrebbe reso felici più persone morendo che non rimanendo in vita.

Non biasimava nemmeno lui quelli che lo volevano morto, se ne era accorto durante il processo, quando avevano elencato una per una tutte le atrocità fatte dalla Lady Oscura ed i suoi seguaci. Aveva sentito il senso di colpa farsi strada in lui quel giorno, con prepotenza, distruggendo tutto quello che incontrava, dandogli il colpo di grazia.

Era andato a pezzi e nessuno se ne era accorto.

Era andato a pezzi ed era rimasto solo.

Si sentiva come un edificio abbandonato, le cui pareti crollavano pian piano, ma nessuno veniva a restaurarlo, nessuno ricostruiva il muro caduto, l’incuria ed il tempo facevano il resto.

Una volta era sceso in cucina, aveva scacciato i Maggiordomi ed aveva preso un coltello dal cassetto. L’aveva tenuto in mano valutando i pro ed i contro di un possibile suicidio. Naturalmente i pro avevano vinto. Sapeva perfino come farlo in fretta, un taglio netto sul collo, all’altezza della carotide. Pochi secondi e sarebbe morto. Fine.

Ma era troppo codardo perfino per uccidersi, così lasciava fare il tutto a madre natura, che forse in qualche contorto meccanismo di giustizia divina sarebbe venuta a reclamare la sua anima.

Si alzò dal letto e mosse qualche passo per la stanza, aprì la finestra facendo entrare aria fresca. Era una bella notte di settembre, il cielo sgombro dalle nuvole lasciava ammirare le stelle e la luna.

Stava seriamente pensando di vendere tutto ed andarsene, lontano, dove nessuno sapeva chi era e cosa aveva fatto, riiniziare da lì. Sempre ammesso che potesse cambiare.

Non poteva pretendere che gli altri gli dessero fiducia incondizionata a caso, doveva prima cambiare se stesso.

Facile a parole.

Le idee sul sangue le aveva messe da parte. Non ci voleva un genio per capire che l’unica differenza di sangue tra le persone era definita dal gruppo sanguineo.

Provò a tornare a letto, ma con scarso successo. Aveva davvero dormito troppo.

Si lavò, ma non si tagliò né la barba né i capelli. Sembrava un’altra persona, e avrebbe pagato oro per essere un’altra persona.

Decise di fare un azzardo. Erano solo le due e mezza della mattina, chi diavolo poteva esserci in giro per Londra?

Si mise il mantello ed uscì di casa per poi smaterializzarsi in una delle piccole stradine parallele della via.

Si guardò attorno, controllando bene che non ci fosse nessuno, poi iniziò a camminare per la strada principale.

Era strano vedere Londra così, con le botteghe chiuse ed il buio che la avvolgeva. Non era però lo stesso buio che aveva infestato la via ai tempi della Lady Oscura, era un buio naturale e pacifico, che rispecchiava la quiete della notte.

Era bello camminare senza sentirsi giudicato ed osservato, ma non durò a lungo, quando arrivò vicino a un Bar fu costretto a tornare indietro. Non voleva essere visto.

Ritornò lentamente nel vicolo dal quale era venuto, e poi si Smolecolò.

Quando apparve nel giardino del Manor, il sole iniziava a sorgere sul Wiltshire.

Si tolse il mantello e si distese a terra. Rimase lì a guardare la natura risvegliarsi, pian piano, chiedendosi per quanto potesse andare avanti così prima di impazzire.

Forse era già diventato pazzo, o lo stava diventando. Ma un pazzo sa quando sta per impazzire? O sono questi pensieri a renderlo pazzo?

Decise di non darsi una risposta. Rimase lì, immobile. Spettatore silenzioso della vita che lo circondava senza toccarlo, spaventata d’essere appestata dal male che portava nel corpo e sul braccio.

 

 

 

«Vai oggi James, va bene?»

«Certo Dinn».

James salutò con un cenno del capo il Direttore ed uscì dall’ufficio, dove trovò cinque Poliziotti ad attenderlo.

Se tralasciava il fatto che stava andando a Tomkins Manor a vedere che combinava Restaban Tomkins, era alquanto deliziato dalla situazione.  Il Direttore si fidava di lui a tal punto di metterlo al comando di una squadra, anche se… lo faceva perché era veramente dotato e meritevole di fiducia? O lo faceva solo perché era James Cohen, colui che proviene da una famiglia ricca e sopravissuto alla guerra?

James non lo sapeva, sperava fosse la prima risposta però.

«Andiamo, io mi Smolecolo davanti al cancello ed entro, voi nel bosco vicino. Quando entro, se dopo venti minuti non vedete delle scintille verdi vuol dire che è successo qualcosa. Se lancio scintille verdi va tutto bene, e voi rimanete dove siete; se le scintille sono rosse entrate invece. Tutto chiaro?»

«Tutto chiaro» risposero in coro i cinque Poliziotti.

Si avviarono dietro di lui fino alla zona di Smolecazione del Ministero, ricevendo più d’uno sguardo. James non vi fece caso, e una volta arrivato si smolecolò subito.

Apparve di fronte ai cancelli di Tomkins Manor, proprio come quando Elettra… no, non doveva pensarci. La sua morte gli faceva venire ancora i brividi.

Quando sentì nel bosco il suono di altre cinque smolecolazioni, premette la mano sul cancello, pronto a trovarvi una barriera magica invece, con sorpresa, lo trovò aperto.

Magari Restaban se ne era realmente andato.

Percorse il lungo viale che portava all’ingresso, e non la rimise via nemmeno quando dovette bussare al portone d’ingresso.

Attese per due minuti, poi qualcuno aprì il portone.

Un maggiordomo.

«P-posso aiutare signore?»

«Ehm… si» iniziò James sorpreso «cerco Restaban…Tomkins, ovviamente. Ehm, sono un Poliziotto. Puoi dire al tuo padrone di scendere, o farmi entrare?» chiese.

Il maggiordomo lo ascoltò e poi si contorse le mani.

«Io non sa… noi non aspettavamo visite, signore… noi non sappiamo. Lei entri, Poliziotto, io chiede al Padrone. Suo nome?» chiese il Maggiordomo confuso. Sembrava che davvero non sapesse come comportarsi, come se Tomkins non gli ordinasse che fare… e questo si che era strano.

«Sono James Cohen».

Lui annuì e lo fece entrare nell’ingresso, lo invitò a sedersi su una delle poltrone e poi scomparì.

James si sedette ed attese. La casa era in ordine, il giardino anche, e Tomkins era lì.

Doveva aggiungere che nessuno aveva ancora tentato di ucciderlo, e dubitava che Tomkins volesse provarci, non era da lui.

Che diavolo aveva quindi?

 

 

 

Restaban era tornato a letto dopo qualche ora passata sul prato, aveva letto qualche pagina di un libro a caso e ora stava per riaddormentarsi. O almeno ci sperava.

«P-padron Restaban?» chiese timidamente un Maggiordomo.

Restaban si alzò di poco dal letto e vide che il servo stava sulla soglia della porta, guardandosi i piedi e tirando la veste che indossava con le mani ossute.

«Che c’è?»

«Visitatori…»

«Visitatori?» chiese Restaban sorpreso, enormemente sorpreso. Chi mai poteva essere?

«Un Poliziotto» disse.

Ah, ecco, ora tutto tornava. Che avevano mandato un Poliziotto a fare? Volevano assicurarsi che fosse morto? Come minimo.

«Ora scendo. Vai in cucina o.. che ne so’… torna a fare quello che stavi facendo» ordinò al Maggiordomo alzandosi.

Aveva solo le mutande addosso, ma non aveva vogli di vestirsi per un Poliziotto. Si coprì tutto con il lenzuolo, ed iniziò a scendere le scale.

Arrivò in fondo, e un tipo con la divisa da Poliziotto si alzò da una delle poltroncine dell’ingresso guardandolo con la fronte aggrottata.

Capelli disastrati, cicatrice sulla guancia, sciatto.

Cohen.

Fanculo.

«Ah.. ehm… stai male? Bene, potevi… avvertire» disse Cohen guardandolo confuso.

«Di che diavolo parli? Io non sono malato, e da quando assumono Poliziotti così giovani?» disse Restaban scendendo l’ultimo gradino e sedendosi su una poltrona. James si mise difronte a lui.

«Dovresti essere a Alchoart. Quando la Preside non ti ha visto ha mandato un messaggio al Ministro. Mi hanno mandato a controllare che succedeva. E poi frequento il tirocinio per diventare Poliziotto».

«E che c’entra il fatto che sono malato? Io non sono malato» puntualizzò Restaban guardandolo con un sopracciglio alzato.

«Beh hai… il lenzuolo addosso e… non ti sei fatto la barba e i capelli…» disse James, che sembrava a disagio «Pensavo fossi stato male... che l’essere stato male ti abbia impedito di prendere il treno per Alchoart».

«Sbagliato. Non avevo voglia di vestirmi».

«Oh».

«Bene. Sai dove è l’uscita, l’hai appena usata come entrata».

«No, a dire il vero… tu dovresti tornare ad Alchoart» disse Cohen guardando l’orologio.

«Io non ci torno» esclamò Restaban.

«Devi, il Direttore e la Preside..»

«Ho detto no, Cohen».

«Invece…»

«No» esclamò ancora Tomkins. James chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.

«Senti» riiniziò «capisco che tu non ci voglia tornare per motivi legati al fatto che sei stato un sost…»

«Tu invece non ci sei tornato perché ti sei lasciato con la Sirenetta» disse Restaban annoiato.

«Come fai a saperlo?» chiese James sorpreso «Solo Demi e Ryan lo sanno come..»

Restaban alzò annoiato gli occhi al soffitto.

«Hai gli occhiali sporchi, con macchie di gocce all’interno, si vede in controluce, o lacrime o pioggia; ma dato che non ha piovuto nell’ultima settimana devo desumere che sei sempre il solito sentimentale, quindi lacrime. In una tasca hai un fazzoletto, ne esce un bordo, e ci sono ricamate le iniziali della tua ex bella. Niente di raffinato, per carità, sempre un Sirena orrenda è. Inoltre hai un foglio stropicciato in tasca e le mani sporche di inchiostro, segno che hai tentato di scriverle qualcosa prima di venire qui; quindi o avete litigato o vi siete lasciati. Ho optato per la seconda visto che sembri uno che mangia male da due giorni. Ti senti troppo in colpa per presentarti alla loro… casa?» terminò Restaban annoiato. Cohen non era il suo esatto ideale di compagnia. E il suddetto Cohen sembrava anche piuttosto sorpreso mentre rimetteva bene in tasca il fazzoletto della sua ex ragazza.

«Io.. non so come fai a saperlo ma.. senza cambiare discorso, devi tornare ad Alchoart…»

«Noioso. Non ci voglio andare».

«Beh, devi!» esclamò James «E poi che ci stai a fare qui? Eh? Non fai nulla tutto il giorno, sai solo farti crescere la barba e i capelli, magari fare la muffa nel letto e girare in mutande!»

«Consolati, magari tra poco ci muoio tra la muffa del letto, ne saresti contento!»

«Per nulla» rispose James serio. «Hai solo diciannove anni, e so che questi diciannove anni non sono stati il massimo, nemmeno per me, se vuoi saperlo…»

«Non voglio saperlo infatti»

Cohen alzò gli occhi al cielo e continuò: « …ma ce ne sono ancora molti davanti. Puoi cambiare le cose Tomkins» disse serio.

«Perché?» chiese Restaban alzandosi dalla poltrona, stringendosi convulsivamente il lenzuolo «Perché dovrei cambiare? Chi ti dice che io non sia già cambiato? E poi la gente non perdona, Cohen. E ora smettila con i tuoi discorsi sentimentalisti sulla vita. Ad Alchoart tornerò quando nessuno saprà riconoscermi».

«Credimi, vedendoti così è difficile credere che tu sia Tomkins» disse il Poliziotto sarcastico. Restaban strinse gli occhi, le sue manie omicide si erano appena spostate da se stesso a James.

«E poi sarebbe noioso» aggiunse Restaban.

James rimase in silenzio per qualche secondo.

«Va bene. Fammi strada. Vuoi una nuova faccia? Basta che ti rasi, ti cambieremo aspetto e ti metteremo sotto falso nome. Penso che al Direttore la cosa andrà bene».

«Che diavolo importa al Direttore o a quella megera della Preside se torno ad Alchoart o no?» chiese Restaban scocciato. Non ci voleva andare.

«Era una delle condizioni di tua madre, ci ha rivelato molte cose durante il suo interrogatorio. A quanto pare i sostenitori di Lady Oscura non si facevano scrupoli a parlare di fronte a lei, non la consideravano in quanto donna».

«Quella bastarda!» esclamò Restaban voltandosi.

James lo guardò allibito.

Tomkins stava per risalire le scale quando Cohen, per fermarlo, mise un piede sul lenzuolo. Restaban riuscì a bloccarselo addosso all’altezza della vita prima di rimanere in mutande di fronte a Cohen. Non era il suo ideale di giornata quello, decisamente no.

 

Alzò gli occhi al cielo ed espirò profondamente.

«Lascia il mio lenzuolo» disse dando uno strattone.

«No, tu torni ad Alchoart».

«Ho. Detto. Lascia» ripeté Restaban.

«Se no che fai?»

«Vado via senza, sei sicuro di voler assistere allo spettacolo, Cohen?»

«E tu sei sicuro di volere che io ti costringa? Posso passare alle maniere pesanti, sai? Ho cinque Poliziotti qui fuori».

«Naturalmente» rispose Restaban «Dimmi, vi siete già fatti il segnale? Gli hai già avvertiti che il piccolo assassino non ha tentato di ucciderti?»

«Sono… precauzioni standard»

«Come la misura alla quale non arriverà mai il tuo cervello, suppongo».

«Vedo che la depressione non ti ha contagiato la lingua».

«Dimmi Cohen, il tuo sedere è mai geloso di tutte le stronzate che escono dalla tua bocca?».

James chiese gli occhi, resistendo alla tentazione di ucciderlo, o dargli un pugno in faccia. Bello forte.

«Sempre Tomkins, ora mi fai strada?» chiese togliendo il piede dal lenzuolo. Restaban se lo rimise addosso per bene ed iniziò a salire le scale.

«Vai a fanculo Cohen».

«Anche tu Tomkins».

Salirono le scale ed entrarono nella camera di quest’ultimo. James andò alla finestra e la aprì, lanciando scintille verdi. Vide un piccolo luccichio dal bosco e capì che avevano ricevuto.

«Allora Tomkins… tu vai a farti una doccia e ti rasi mentre io ti aspetto qui, tiro giù una lista di nomi che potrai usare e mi preparo per… cambiarti aspetto».

«Come?» chiese Restaban sospettoso.

«Tu intanto fai quello che ti ho detto».

«Non ci vado perché me lo hai ordinato tu, ma perché voglio».

«Naturalmente» disse James mentre Tomkins si chiudeva in bagno.

Prese un pezzo di pergamena dalla scrivania di padrone di casa, e tirò fuori una penna dalla sua tasca. Scrisse una rapida lista di nomi, poi si sedette sul letto.

Restaban doveva tornare ad Hogwarts. Lui e il Direttore, soprattutto lui, lo dovevano a Lady Tomkins, che aveva chiesto a loro solo questo: permettere al figlio di finire la scuola, dargli la possibilità di rifarsi una vita.

Se il prezzo per fare questo era far cambiare aspetto a Restaban, allora lo avrebbe fatto. Demi gli aveva dato una pozione per i capelli, fargli cambiare colore e forma, in modo da non essere riconosciuto ovunque andasse.

Dopo dieci minuti, il braccio di Restaban uscì dalla porta del bagno.

«Vestiti» disse solo indicando l’armadio.

James lo aprì e tirò fuori una camicia ed un paio di pantaloni, per poi passarglieli; dopo altri due minuti il ragazzo uscì dal bagno vestito, sbarbato e con i capelli messi a posto, con il ciuffo che arrivava a metà collo. Biondi, troppo biondi. Erano praticamente una lampadina. Aveva gli occhi gonfi di chi ha dormito troppo, e puzzava di depressione.

«Non hai tentato di affogarti?» chiese sarcastico James.

«Ci ho provato una volta, ma non ha funzionato. Gli Maggiordomi sembrano avere un sesto senso per questo genere di cose» rivelò Restaban con voce neutra, facendo rabbrividire Cohen.

Restaban Tomkins. Un ragazzo della sua età, gli aveva appena detto che aveva provato a suicidarsi, e ci sarebbe quasi riuscito se non fosse intervenuto un Maggiordomo.

Certo, per tutti era stato difficile da dopo la fine della guerra, ma non aveva mai sento di nessuno che avesse tentato di… aveva provato a farlo altre volte?

«Ci hai provato altre volte?» chiese James serio mentre Restaban leggeva con un sopracciglio alzato la sua lista di nomi.

«E questi sono nomi.. interessante, davvero. Fanno schifo».

«Non hai risposto alla mia domanda».

«Si, un’altra volta, con un coltello. Ma lo ho messo giù io quella volta» disse voltandogli le spalle e continuando a leggere la sua lista.

«Questo sembra il più decente» mormorò Tomkins.

«Quindi torni ad Alchoart?» chiese James soddisfatto.

«Non cantare vittoria Cohen. Devi ancora mostrarmi se sei veramente in grado di cambiare il mio aspetto, e poi penso ancora che mi annoierei».

«Ad Alchoart? Annoiarsi? Impossibile!» esclamò James facendo segno a Restaban di sedersi su una sedia che aveva posizionato di fronte allo specchio che c’era in camera.

Il ragazzo guardò la sedia e poi Cohen, poi ancora le sedia e di nuovo Cohen. Poteva fidarsi?

Ma si, infondo anche se lo uccideva, non gliene importava granché.

Restaban si sedette e  prese la pozione, fece un debole respiro e la ingoiò. A poco a poco, i capelli di Tomkins si scurirono, diventarono neri come la pece e ricci, un riccio ordinato però, non devastato come Daphne.

Sembrava perfino avesse i capelli più corti. E mancava il ciuffo. Che pizza.

«Bisogna ammettere che non sembro nemmeno io Cohen. Mi si brucerà la lingua per questo, ma sei stato bravo» disse Restaban toccandosi i capelli.

«Bene Jacob Lewis, fai i bagagli, sei già in ritardo di tre giorni. Io vado di sotto, devo avvertire un paio di persone a proposito di questa cosa.

Uscì dalla stanza e lo lasciò solo.

Restaban si guardò allo specchio. Non sembrava nemmeno lui. Era completamente diverso, un’altra persona. Ma caratterialmente? No, da come litigava con James sembrava sempre lo stesso… anche se si sentiva diverso. Era la sua seconda possibilità, ma aveva comunque paura. Avrebbe mandato a puttane tutto anche questa volta?

No, doveva cambiare. Doveva smettere di essere Restaban, lui era Jacob Lewis, poteva anche spacciarsi per orfano anzi, meglio se si spacciava per orfano.

Si tolse la camicia e i pantaloni di fretta, gli sembravano troppo sfarzosi in quel momento. Prese dall’armadio una delle poche magliette che aveva, insieme ad un paio di pantaloni normali. Vestiti normali insomma, che si mise addosso, poi ne cercò altri e li ficcò nel baule che aveva sotto il letto, riempendolo anche con i libri di scuola, le ampolle e dei quaderni… tutto quello che serviva. In dieci minuti finì.

Poi prima di uscire mise sotto sopra l’armadio, ma alla fine trovò una giacca nera, doppio petto, e una sciarpa per tenerlo caldo. Se li mise addosso.

Ah! La divisa! Ecco che stava dimenticando!

Ne mise tre nel baule e poi scese.

«Sarò sempre a Mormegil, vero?» chiese a Cohen, che lo squadrò a metà tra il soddisfatto e lo sorpreso.

«Si, naturalmente».

«Bene».

«Bene, andiamo?».

«Avviati fuori dal cancello, io do le direttive ai Maggiordomi» disse Restaban, che parlò velocemente a loro e poi uscì raggiungendo James, che lo aspettava fuori i cancelli del Manor, che si richiusero dietro di loro.

Cohen gli porse un aggeggio rettangolare nero.

«Che cos’è?»

«Un telefono Restaban ».

«Ah, me ne ero dimenticato, bene».

« Tieni. Ti mostro come funziona, si sono un po’ evoluti, io posso chiamare te e tu puoi chiamare me».

«E perché mai dovrei desiderare chiamarti e sentire la tua odiosa voce?» chiese Restaban.

«Già… perché nel caso…»

«Ah, lascia perdere, ho capito. Tu chiamerai me per sentire se sto tentando il suicidio, o peggio, la fuga, giusto?» disse Restaban.

Jmaes respirò profondamente. Come faceva a parlare così… spensieratamente della sua morte? Aveva davvero perso tutto?

 Gli mostrò in fretta come funzionava, e Tomkins imparò altrettanto velocemente per essere uno che non vede un telefono da anni.

Poco dopo si trovarono di fronte ai cancelli della scuola, entrarono nel confine ed iniziarono a risalire verso il castello.

«Non pensavo sarei mai tornato, figurati con te a farmi da balia, Cohen».

«Lo stesso vale per me, Tomkins».

«Chi saprà che io sono io?» chiese Restaban.

«La Preside e tutti i professori, e Demi».

«La Hale? Perché?»

«Perché, regola numero uno: mai nascondere nulla a Demi, lo verrà comunque a sapere…»

«Era lì anche lei quando hai parlato con la Preside, vero?»

«Già.. aspetta, ma come…?»

«Sei davvero il massimo della riservatezza, complimenti. Hai della cenere sulla giacca comunque, ti sei smolecolato vicino al suo ufficio, che è tutto polveroso. Spero tu non mi le abbia rovinato il tappeto».

«No, tranquillo, Tomkins».

 

*

 

«Ormai lo sai Hale, tanto vale che mi sorreggi mentre vedrò la… sua trasformazione» disse la Preside Zabini con un piccolo sorriso. Lei ed Demi erano fuori dal portone della scuola, ed aspettavano di veder apparire James Cohen con un’irriconoscibile Restaban Tomkins.

«Conoscendo James, spero non abbia combinato un disastro».

«Dovresti avere più fiducia in lui Hale» la ammonì la Preside, ma poi entrambe alzarono un sopracciglio, pensando che James e i cambi di stile… no, aveva sicuramente sbagliato qualcosa.

«Penso abbia fatto bene però, almeno avrà un anno tranquillo. Non lo avrebbero mai lasciato in pace» aggiunse la Preside.

«Questo è vero. Sono tutti così pieni di rabbia che non riescono nemmeno a vedersi il naso, soprattutto a Gayers. Ne fanno una per colore ai pochi Mormegil rimasti. Provo ad ammonirli ma… disonorano la nostra scuola, e non avrei pensato di dirlo» convenne Demi amaramente.

«Gli sarai amica? Lo ha perdonato dopo anni di…?» chiese la Preside riferendosi a Restaban.

«Vediamo che ha intenzione di fare, mi comporterò di conseguenza. Credo nelle seconde possibilità».

«Saggia decisione».

«Grazie».

Rimasero in silenzio per qualche minuto, godendosi il tiepido sole di mezzogiorno che le scaldava. Erano tutti a pranzo, e nessuno li avrebbe mai visti arrivare.

«Eccoli» disse insieme.

James arrivò di fronte a loro, seguito da un ragazzo che trasportava una valigia. La posò a terra e affiancò Jmaes.

Demi e la Preside rimasero sconvolte.

Un ragazzo alto, pallido, dai capelli neri e ricci, vestito normalmente, con addosso una giacca a doppio petto nera e una sciarpa blu.

Quello che colpì di più Demi furono gli occhi, non erano per nulla cambiati. Erano sempre gli stessi, grigi come il Tamigi d’inverno, intrisi di tristezza. Era quasi doloroso guardarli.

Stava davvero così male Restaban Tomkins? James aveva accennato al fatto che bisognava tenerlo d’occhio, che aveva provato ad uccidersi…  distolse lo sguardo a fatica. Se erano così solo gli occhi, non immaginò come potesse essere dentro l’anima del ragazzo, quale tempesta si scatenasse in lui.

«Buongiorno» disse Restaban educatamente. Aveva una voce più bassa, meno acuta di come se la ricordasse, come se non avesse parlato per molto tempo, e forse era così.

Demi guardò James.

«Ho fatto un buon lavoro?» chiese quest’ultimo.

«Direi proprio di si» esclamò la Preside con un sorriso «Nessuno ti riconoscerà Tom… Jacob Lewis, Mormegil… ultimo anno».

«Bene, devo parlarle di alcune cose, Preside» disse James.

«Ma certo. Signor T.. Lewis, penso conosca la strada per i dormitori. Per evitare domande inopportune, e dato che del suo anno a Mormegil c’è solo lei…»

«Magnifico…» mormorò Restaban con una piccola smorfia.

«Le ho dato la camera 7, vada pure».

Restaban fece un cenno del capo, con un movimento prese la valigia  e sparì dentro il castello.

«Ma… è davvero lui?» chiese Demi, ancora stupita.

«Abbiamo molto di cui discutere. Andiamo nell’ufficio della Preside, sta arrivando anche il Direttore» disse Cohen.

«Meglio muoverci allora» aggiunse la Preside facendo strada ai due ragazzi.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Come rendere la vita impossibile a Demi Hale ***


 

Non permettere alle tue ferite, di trasformarti in qualcuno che non sei.

Paolo Coelho

 

«Va tenuto d’occhio» disse James seriamente «Ha tentato il suicidio più d’una volta».

«E… non è riuscito… nel suo intento?» chiese la Preside Zabini cautamente.

«No, la prima volta è stato frenato dai maggiordomi, la seconda volta non so che cosa gli abbia fatto mettere giù il coltello; fatto sta’ che Restaban Tomkins non sta bene» esclamò James.

«Si, sarà meglio tenerlo d’occhio» concordò il Direttore guardando prima la Preside e poi Demi.

«Non contate su di me» disse quest’ultima «Non ci conosciamo bene… e poi è Tomkins!»

«Beh, cara, non posso certo tenerlo d’occhio io! Sono pur sempre la preside!» esclamò la Preside.

Demi sospirò.

«Beh, se si lasciasse avvicinare, sarebbe un buon esempio per tutta la scuola. Forse inizierebbero a trattare meglio i Mormegil, o quei pochi che sono rimasti» disse Demi.

«Si, questa alleanza contro Mormegil non mi piace» concordò James.

«Vedrò che posso fare, ma state riponendo fin troppa fiducia in me, Tomkins non si farà avvicinare molto facilmente».

 

Restaban era entrato senza problemi nel dormitorio, ed aveva sistemato in fretta il baule con le sue cose, approfittando del fatto che in giro non c’era nessuno. Si era infilato in fretta la divisa, ed altrettanto velocemente era uscito nel parco.

Aria.

Era stato chiuso nella sua stanza per giorni, e non aveva provato nulla. Si era chiuso per dieci minuti nella sua stanza ad Alcoarth e si era sentito soffocare.

L’aveva detto lui che tornare era una pessima idea.

Vide degli studenti uscire nel parco, lui si limitò a rimanere seduto immobile sotto un salice non troppo distante dal Lago Delle Sirene; non lo degnarono d’uno sguardo.

Il travestimento di James funzionava, la divisa Mormegil faceva il resto. Lo aveva dedotto senza sforzo dall’occhiata che quel piccolo gruppo di studenti gli aveva lanciato.

«Ehm, ciao».

Restaban sobbalzò. Demi Hale era in piedi accanto a lui.

«No» esclamò Restaban.

Demi lo guardò confusa.

«No cosa?» chiese.

«Non provare ad essere gentile con me solo per le pietose storie che ti ha raccontato il tuo migliore amico, non è il tuo forte, davvero».

Demi strinse le labbra e gonfiò leggermente le guance, si guardò attorno e poi si sedette accanto a lui.

«Sai, è strano sapere che sei Tomkins con… sai, i capelli neri e… il resto…»

«Fa sempre piacere sapere che parli con me solo perché non sembro me» rispose annoiato Tomkins, guardando il Lago Delle Sirene.

«No! Io non…» iniziò Demi cercando di spiegarsi.

«O perché te lo hanno chiesto James, il Direttore, la Preside o il fantasma di Mrs. GentilWaman, o la tua coscienza, o…»

«Puoi smetterla con questo elenco!» esclamò Demi facendo calare il silenzio. «Ho accettato di.. ehm, parlare con te… no, nel senso, di provare ad esserti amica..»

«Amica?» chiese Restaban guardandola come si guarda un pazzo «Io non ho amici».

«Potresti averli» rispose Demi «Comunque, ho accettato – avrei potuto dire no – perché… credo che tu stia facendo un grande sforzo, il venire qui e riprovarci, intendo. Ho sempre pensato che il coraggio non sia determinato solo dal fare la scelta giusta, perché non si può fare sempre la scelta giusta».

«E da cosa credi sia determinato il coraggio allora, Hale?» chiese Restaban poco interessato a ciò che la Hale pensava sul coraggio.

«Da come ci rialziamo quando cadiamo» disse lei. Restaban rimase leggermente sorpreso. «E tu ora stai andando bene, stai dimostrando molto coraggio» aggiunse.

«Lo sai che non ci volevo venire qui, no?»

«Si, lo so, ma sei qui, e io come la Preside, il Direttore, lo accetto…»

«Quello che tu chiami coraggio, Hale, è un passatempo in attesa…»

«Non dire della morte, per favore. È orribile e patetico» disse Demi bloccandolo e guardandosi in giro. Qualche studente stava uscendo, la guardavano male per il fatto che era seduta vicino ad un ragazzo con la divisa nera.

«Questa è la patetica verità della mia vita, Hale. Suppongo che James ti abbia informato dei miei tentativi di fare felice mezza comunità mondiale».

«Io non ne sarei contenta» rispose subito Demi.

Lui si fece sfuggire una risata.

«Tu e il tuo amico avete detto la stessa cosa, e dovreste esserne i più felici».

«Dimmi Restaban, dove vedi felicità in un ragazzo, di appena diciannove anni che si uccide?»

«Io ci vedo la fine di tutto questo buio» mormorò il ragazzo chiudendo gli occhi.

«Io invece vedo la possibilità persa di vedere la luce».

«Non mi convincerai Hale».

«Ho tutto l’anno per provarci. Nel frattempo, potresti non ucciderti?» chiese lei.

Al ragazzo scappò nuovamente una risata.

«Posso provarci. Ma non ti prometto nulla».

«Bene, dato che sei l’unico Mormegil del nostro anno…»

«Fammi indovinare, ho sempre lezione con voi. Fantastico» disse Restaban strappando dell’erba e rigirandosela tra le mani. Demi si alzò in piedi.

«Domani mattina alle otto in punto, Incantesimi. Non tardare Jacob».

«Non lo farò» esclamò lui mentre Demi gli voltava le spalle e si avviava verso il castello.

 

«Ma chi è?»

«Lo hai mai visto?»

«Io no»

«Dicono che ci sia sempre stato»

«Passava inosservato perché è orfano…»

Erano questi i commenti che la mattina seguente Restaban sentiva a colazione.

Tratteneva a stento le risate.

Doveva essere parecchio noioso, essere così stupidi. Avevano creduto a tutto, che idioti.

Tornò ad occuparsi della sua colazione, non mangiava così tanto da… da quando frequentava il secondo anno?

Improvvisamente fu distratto dalla sua colazione dal volume delle voci che si alzava sempre di più nella Mensa. Era appena entrata la Hale e il suo corteo di sfigati, composto da una ragazza che non conosceva, l’ormai ex-ragazza di James e Blaise. Restaban gli riservò un’occhiata pigra prima di posare lo sguardo sulla caraffa di caffè.

Chissà dove si trovavano Daphne e Adrien…

Alzò un sopracciglio perplesso quando una ragazza di Mormegil, probabilmente di tre anni più piccola, seduta poco lontana da lui, gli sorrise arrossendo.

Restaban rimase perplesso per qualche istante, doveva fingere di sorridere? Infondo era lui, ma non era lui… alla fine le sorrise leggermente, e lei si voltò subito a parlare con l’amica.

Strano a dirsi, ma James aveva fatto davvero un buon lavoro.

Finì di mangiare e si alzò annoiato, non aveva esattamente voglia d’andare a lezione… non aveva voglia di fare nulla, se doveva essere sincero; per questo saliva lentamente le scale che portavano alle aule.

«Ma quello chi è?»

La voce di Alexia fece alzare gli occhi al cielo a Restaban. Ma lo seguivano?

«Ehm… beh, so che si chiama Jacob, come fate a non ricordarvelo? Si è sempre seduto in fondo, un po’ nascosto…» disse la Hale, mentendo relativamente bene.

«Come hai detto che si chiama?» chiese Blaise.

«Jacob Lewis» rispose prontamente.

Restaban salì le scale più velocemente e li distanziò, arrivando in classe e sedendosi in fondo.

Neanche a dirlo, Demi si sedette accanto a lui.

«Ci sono esattamente ventisette posti in questa classe».

«Con questo cosa vorresti dire?»

«Che puoi sederti da un’altra parte, Demi. Per oggi ho avuto sufficiente contatto umano».

«E non sei ancora andato a fuoco?» rispose la ragazza.

«So che questo ti delude. Comunque, non ti senti sottovalutata nell’essere sfruttata come balia?» chiese con un finto sorriso. La Hale gli sorrise di rimando.

«Non lo considero fare la balia, vedo questo più come un esperimento scientifico: l’osservazione dei comportamenti dell’esemplare Tomkins, uno studio approfondito» rispose lei.

Il ragazzo storse il naso.

«Attenta, potrei sempre mostrarti i punti salienti del mio saggio».

«Quale saggio?» chiese Demi corrugando le sopracciglia.

«Come rendere la vita impossibile a miss so-tutto io Hale in cinque semplici passi» rispose lui con un sorriso che non prometteva nulla di buono.

«Da qui non mi muovo Tomk… Lewis» si corresse Demi dato che stavano entrando altri studenti.

«Bene» rispose Restaban tirando fuori i libri. «Ci divertiremo un sacco io e te».

Lei iniziò a pensare che, forse, avrebbe potuto scegliere un altro di quei ventisette posti.

 

«Bene, oggi impareremo…» iniziò il professore.

Demi aprì la borsa per prendere penna, quaderno e fogli, ma non trovò nessuna delle tre, al loro posto c’era un…

«Un teschio rosa… sul serio? Davvero molto carino Restaban, ma non posso prendere appunti con questo» disse Demi. Luisi voltò verso di lei, puntandole quegli occhi azzurri contro e corrugando le sopracciglia.

«Non so di che parli. Stai forse impazzendo, Hale?»

Demi riconobbe un accenno del solito ghigno da Tomkins anche su quel viso terribilmente diverso da quello del vero Tomkins.

Demi tornò a guardare la borsa, e fu lei a corrugare le sopracciglia. Il teschio era sparito e il resto era tornato al loro posto.

«Ma come..?»

«Signorina Hale! Potrebbe stare attenta, sempre che questo non le rechi troppo disturbo!» la richiamò il professore.

Demi divenne rossa immediatamente, imbarazzata. Nessuno l’aveva mai richiamata a lezione, tralasciando qualcuno.

«Mi scusi professore» esclamò subito. Quest’ultimo strinse le labbra e poi continuò la lezione.

«Meno uno» disse Restaban senza guardarla e con un sorriso che andava da una parte all’atra del viso.

Si divertiva, il bastardo.

 

«Ora… chi sa dirmi per quale motivo questo incantesimo è molto difficile?»

Demi alzò subito la mano.

«Si, signor Lewis?»

Demi aprì la bocca per rispondere, ma con orrore realizzò che non avevano chiamato lei, chi poteva sapere…

«Come incantesimo è molto simile al fuoco maledetto, e senza un’adeguata concentrazione si rischia di perdere il controllo e di far divampare un incendio incontrollabile» rispose correttamente Jacob, o Restaban, lasciandola a bocca aperta.

Demi strinse le labbra e si voltò indignata, non l’avrebbe avuta vinta di nuovo.

«E chi sa dirmi come questo incantesimo è utilizzabile?»

Demi fece scattare il braccio così rapidamente che in molti si chiesero come facesse a restarle attaccato al corpo.

«Signor Lewis, prego!»

«Come incantesimo è spesso utilizzato per accendere falò di grandi dimensioni, ma nel 1876 è stato usato da tre maghi in contemporanea, in Cornovaglia, per bloccare con un muro di fuoco un’onda anomala che rischiava di distruggere una cittadina».

«Esattamente» trillò il professore.

Demi ribollì di rabbia, e con lei il suo ego. Restaban sorrise come non faceva da anni. Si stava divertendo come mai in vita sua.

«Meno due».

 

Si stavano esercitando nel controllare un piccolo fuoco. Dovevano ingrandirlo e rimpicciolirlo, fargli prendere varie forme, senza lasciare che bruciasse tutto.

Per Demi era semplice, lo stava controllando senza il minimo problema da quindici minuti, e si stava preparando a ricevere l’elogio del professore, che stava passando tra i banchi.

Nemmeno Restaban se la cavava male, muoveva la testa pigramente e il fuoco, altrettanto pigramente, rispondeva.

Il professore arrivò al loro tavolo e improvvisamente, con una fiammata di pochi secondi, il fuoco bruciò i libri, i fogli e le penne che Demi aveva sul tavolo, riducendoli a cenere e lasciandola con gli occhi sbarrati. Il suo fuoco… ma che cavolo era successo?

«Oh, un vero peccato signorina Hale» disse il professore scuotendo la testa. Scuotendo la testa! Nessun professore scuoteva la testa, non con lei!

«Deve esercitarsi di più e mantenere la concentrazione, perché non prende esempio dal suo compagno di banco?» aggiunse il professore voltandosi.

Demi fulminò Restaban con un’occhiata omicida. Lui sorrise poggiando i gomiti sul tavolo e guardandola mentre si rigirava la penna tra le mani.

«Meno tre»

«Bastardo» sibilò Demi riprese il controllo del fuoco ma, improvvisamente, una nuova fiammata spuntò da essa, facendo prendere fuoco alla sua gonna. Demi scattò in piedi rovesciando la sedia e spegnendo il fuoco per un pelo.

«Signorina Hale!» tuonò il professore «Forse è meglio se per oggi lascia stare la pratica, questo incantesimo non fa per lei.» esclamò il professore facendo partire un coro di mormorii, increduli che Demi Hale avesse sbagliato qualcosa.

«Meno quattro» disse Restaban guardandola.

Demi strinse i denti e raccolse la sedia, per poi tornare a sedersi accanto allo stronzo.

«La lezione è finita» esclamò il professore, e lei sospirò grata.

«Pensi di sederti ancora vicino a me?» le chiese Tomkins con quella dannata voce che non sembrava la sua voce, e quel volto che non era il suo volto, ma con quel tono bastardo e stronzo che lei avrebbe sempre riconosciuto ovunque.

«Si, e lo farò solo per darti fastidio!» esclamò lei orgogliosa alzandosi e fronteggiandolo. Fantastico, lo stronzo era pure più alto di lei.

«Bene» rispose Restaban lasciandola passare.

Demi gli voltò le spalle e si preparò per uscire per prima dalla classe. Fece due passi e poi sbatté contro qualcosa di invisibile e duro, che la face cadere a terra.

«Ma insomma! Signorina Hale! Stia attenta a dove mette i piedi!» tuonò il professore mentre il resto della classe rideva, tranne Blaise, che cercava di far rialzare l’amica.

«Ma in cosa sei inciampata, Demi?» chiese l’amico aiutandola.

«In un bastardo» rispose lei massaggiandosi la fronte mentre l’amico la guardava confuso.

«E con questo fanno cinque» disse Restaban letteralmente scavalcandola con le mani in tasca ed uscendo dalla classe senza, stranamente, incontrare ostacoli.

Che stronzo! Pensò per l’ennesima volta Demi.

 

Demi mantenne la parola, e per il resto del giorno si sedette accanto a lui solo per dargli fastidio.

Anche lo stronzo fu di parola, la mise ripetutamente in imbarazzo e le rese la giornata un inferno mostrandole altri venticinque punti del suo ‘saggio’ che, a dire dello stesso Tomkins, era un vero e proprio capolavoro malefico.

Arrivò a cena irritata, molto irritata.

Si sedette e torturò il cibo che aveva nel piatto per un buon quarto d’ora.

«Non te ne è andata bene una oggi, Demi» disse Alexia guardando l’amica.

«Non è che ti piace quel Tomkins? Sei sempre nervosa quando sei seduta accanto a lui, e sei sempre seduta accanto a lui» esclamò Blaise.

Demi, che nel frattempo stava rimettendo a posto quei pochi fogli che non erano andati bruciati, dato che non riusciva a mangiare, a quelle parole li buttò letteralmente per aria e si alzò di scatto.

«A me non piace proprio nessuno!» esclamò arrivata al limite della sopportazione. Odiava Restaban! Dio come lo odiava.

A passo di marcia uscì dalla Mensa sotto lo sguardo confuso dei suoi amici e di almeno la metà degli studenti.

«Un best seller mondiale, Hale» disse Restaban, che fuori dalla Mensa sembrava attenderla per prendersi tutta la gloria del suo trionfo.

Demi, dato che nessuno poteva vederli, diede uno spintone al bastardo con la B maiuscola.

«Ti diverti?» gli chiese lei.

«Come non mai. Ti siederai ancora vicina a me?»

«Tranquillo, rimani pure nel tuo mondo desolato e privo d’esseri viventi, volevo solo aiutarti!» esclamò lei stufa. Non le era mai capitata giornata peggiore a scuola! Ora tutti i professori la credevano un’idiota, e lei non era idiota!

Voltò le spalle a Restaban e si diresse nella sua camera. Una dormita, una buona dormita, e domani sarebbe stata maglio.

 

Restaban sospirò mentre nella notte che lo circondava si sentiva distruggere dal dolore che provava dentro. Come poteva farlo uscire?

Mosse nuovamente la mano sul so braccio.

Così andava meglio, molto meglio, stava uscendo un po’.

Ripeté il gesto, lo fece ancora, ancora e poi ancora.

Quando si sentì soddisfatto si guardò le braccia piene di tagli, coperte di sangue che usciva da lui con un po’ di quel dolore che lo distruggeva.

Lasciò cadere a terra il pezzo di vetro che aveva in mano, e poi si distese a terra.

Ora stava un po’ meglio, solo un po’, ma stava meglio… o almeno credeva.

 

Il giorno seguente, la prima lezione era Letteratura con Mr. Finn. Nemmeno a dirlo, il vecchio professore accoppiò Demi e Restaban. Suggerimento della Preside Zabini, naturalmente.

Demi era rimasta zitta tutto il tempo, facendo ciò che andava fatto per far venire fuori un buon tema, aiutata da Restaban, inaspettatamente poco maligno quel giorno. Sembrava quasi privo di forze a dire il vero.

Il caldo dei fuochi nei camini aveva scaldato l’aria, e Demi non era l’unica ad essersi alzata le maniche.

«Abbiamo dimenticato di mettere l'antagonista» mormorò leggendo l’ultimo rigo, della consegna. Tomkins glielo passò, si era tolto il golfino, restando solo con la camicia bianca. Sul braccio sinistro si vedeva oltre la stoffa la cicatrice lasciata dal accoltellamento inferto dalla zia, ma non era stata quella a colpirla. Restaban le aveva passato la penna con il braccio destro, la cui manica era leggermente alzata, e lasciava intravedere un taglio.

«Devi stare più attento quando tagli le cose» disse Demi. Restaban fece un piccolo sorriso ed annuì.

Appena la ragazza gli voltò le spalle, il sorriso scomparve dal suo viso.

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Capitolo 3
*** Il vento Volgare ***


La morte fa male una volta sola… la vita fa male tutti i giorni.

Ignoto

 

Demi era calma.

Dopo il giorno in cui Tomkins le aveva reso la vita impossibile, Tomkins stesso aveva smesso di torturarla. Ne era grata da una parte, ma l’altra parte di lei – quella più altruista  per intenderci – le diceva che la cosa non andava bene.

Restaban sembrava aver perso quella scintilla di malignità Mormegil, effettivamente lo vedeva sempre più stanco e pallido.

No, doveva fare qualcosa! Aveva detto ad James ed alla Preside che lo avrebbe tenuto d’occhio, e così avrebbe fatto. Per questo ora si dirigeva a passo spedito verso il suddetto Restaban, che stava camminando nel parco. Lo prese per un braccio con poca grazia, ed ignorando le sue proteste lo trascinò dietro un gruppo di pini, in modo che non si sentisse a disagio per essere osservato.

«… maniaca Gayers con capelli spaghetti…» stava borbottando Restaban.

«Che stai combinando? Perché non sei… malvagio?» gli chiese Demi assottigliando gli occhi. Lui la guardò alzando un sopracciglio e sospirando.

«Già, perché dato che non sono malvagio con te allora o sto progettando come governare il Mondo! Per essere Gayers sei proprio razzista con me!»

«Razzista! Da che pulpito! Mi farebbe più piacere, comunque, sapere che hai piani per conquistare il Mondo al posto di sapere che… che potresti… suicidarti» aggiunse abbassando la voce Demi.

Restaban strinse i pugni e si voltò, sembrò trattenersi.

«Sono stufo di quelli che mi guardano come tu mi guardi ora! Nessuno di voi potrà mai capire come sto, come mi sento! È tutto nero, capisci? Tutto nero! Voi siete a colori e io sono nero, e non riesco a toccare i colori, e nemmeno a vederli!» disse lui seccato con la rabbia negli occhi.

Demi a quelle parole abbassò lo sguardo. Nonostante anche lei non fosse uscita bene dalla guerra non aveva mai vissuto… non era mai arrivata a pensare ciò… Non riusciva a dirlo nemmeno nella sua mente! Era talmente orribile l’idea di un ragazzo che si uccide!

Guardò in basso, e lo sguardo gli cadde di nuovo sul braccio destro di Restaban, il taglio era ancora lì, anzi, ce ne era un altro accanto.

Le venne un terribile sospetto.

Con uno scatto afferrò il braccio di Restaban ed alzò la manica. Era pieno di tagli.

Alzò lo sguardò verso di lui, che stava tentando di andarsene.

«Non va bene Tomkins, non va affatto bene» gli disse.

 

Restaban ancora non riusciva a capire come avesse fatto la Hale a convincerlo, a farlo sedere a terra e farsi curare da lei, che da venti minuti faceva su e giù con delle bende sui suoi bracci.

«Forse non posso capire Tomkins, hai ragione. Ma almeno prova a spiegarmi!»

Ancora! Che impicciona! Non avrebbe mai capito come se sentiva, mai…

«Per favore, Tomkins».

Ah, beh… se la Hale si umiliava chiedendo per favore allora forse poteva parlare.

«Mi sembrava andassero fuori insieme» disse solo.

Con sua grande sorpresa Demi capì che parlava del dolore e del sangue, indissolubilmente legati.

 

Da quel giorno la Hale era tornata a sedersi accanto a lui alle lezioni, e prima dell’inizio della prima lezione della giornata gli controllava sempre le braccia, gli chiedeva se aveva dormito.

Restaban non rispondeva, la odiava ancora di più in versione crocerossina compassionevole. Gli faceva venire il diabete fulminante. E lui non esitava a dirle ciò che pensava.

Lei era lei, e nonostante tutto non demordeva. Aveva iniziato a chiamarlo bastardo, o stronzo, a seconda delle situazioni – non si sarebbe mai aspettato una Demi così volgare – ma alla fine non lo mollava un secondo.

C’era una parte di Restaban, una piccolissima parte, a cui questa cosa infondo piaceva… qualcuno che si preoccupava per lui… poi si ricordò che nessuno lo faceva per lui, Restaban Tomkins: la Hale lo faceva per James e la Preside, la Preside lo faceva per il Direttore ed il Direttore e James  lo facevano per sua madre. Lui non era nulla di più che una nota rossa sul registro dei favori da far sparire al più presto. Questo lo fece arrabbiare, ma lo fece anche cadere in un buio così tetro da toglierli il respiro.

L’aveva detto lui, che tornare a scuola non era una buona idea!

 

Restaban era sempre più depresso, Demi lo vedeva e non sapeva che fare.

Era evidente che lei, come persona e con i suoi comportamenti gli arrecava fastidio; se non fisicamente non sapeva come curarlo e poi aveva ragione lui: lei non avrebbe mai capito come si sentiva.

Ovviamente aveva letto sull’argomento, ma non era riuscita ad immedesimarsi in quello che provava Restaban nemmeno per un secondo. Lui era solo, completamente solo. Era come una montagna solitaria nel mezzo di una devastazione, una montagna che cadeva a pezzi.

Lei aveva sempre avuto qualcuno invece, i suoi genitori, i suoi amici… non sapeva cosa voleva dire essere realmente soli.

In sostanza non sapeva che cosa fare, ma stava iniziando a capire una cosa: forse Restaban non voleva realmente morire, forse voleva solo essere salvato da quella landa desolata i cui si trovava.

Ma la domanda rimaneva una sola: come?

La risposta le balenò in mente all’improvviso, Restaban Tomkins era un ragazzo, e c’era una cosa sola capace di far impazzire i ragazzi!

 

«Football!»

«Football?»

«Football!»

«Hale, tu al primo anno frignavi non entravi nel campo, e dubito che la cosa sia cambiata»

«Beh… può essere…»

«Ah! Ti rode non essere la più brava in qualcosa!»

«Comunque… a te piace. Io guarderò solo, nel caso tu ti faccia male».

«Non riuscirei a farmi male neanche volendo, lo ho nei geni io il football» sottolineò il bastardo con un ghigno, prendendola bellamente per i fondelli.

Demi si consolò, perlomeno aveva accettato! Lo osservò scendere in campo. Sembrava sereno.

Iniziò a correre come un pazzo ed prendere velocità.

Schizzava da una parte all’altra del campo così velocemente che a Demi sembrò di guardare una partita di tennis, le faceva venire male alla testa. Inoltre era noioso.

Tirò fuori un libro dalla borsa ed iniziò a leggere, continuando a lanciare occhiate a Tomkins..

Nonostante le sue precauzioni, Restaban andò da lei, sano e salvo dopo due ore. Sudato fradicio.

Quando se lo vide arrivare di fronte a lei, arricciò il naso.

«Vai a farti una doccia e cerca di non affogarti».

«Cielo, Hale, ti abbraccerei solo per poi vederti fare il bagno nell’alcool per disinfettarti!»

«Ti si è ghiacciato il cervello, correndo così veloce, scommetto».

«Oh no, sto molto meglio ora. Domani potrei anche riprendere a renderti impossibile la vita a scuola».

«Stronzo, non ci provare».

«Se non che fai?»

«Ti affogo io, garantito».

«Che suscettibile! Sei nel tuo periodo?»

«Tomkins! Ma quanto sei deficiente da uno a cento? Duemila e sei?» esclamò voltandogli le spalle ed uscendo dal campo da Football.

Restaban la seguì, correre lo aveva fatto stare meglio e per ringraziare Demi dell’idea… l’avrebbe tormenta fino al castello! Il giorno dopo ci sarebbe andato leggero…

«Hale, quante specie di volatili sconosciuti all’umanità occupano i tuoi capelli?» le chiese affiancandola. Lei sembrò trattenersi dall’estrarre il coltello e ucciderlo.

«Sei un bastardo, e per di più irriconoscente!» esclamò lei.

«Oh, sei così volgare! Sono fiero d’essere io a tirare fuori questa parte di te… o forse parli così anche con il tuo ex…»

Demi si bloccò e lo guardò con un ghigno. L’impavida crocerossina si stava trasformando in stronza. Affascinante.

«Sai Tomkins – anche se non sembri per nulla Tomkins – tu non è che viaggi sull’onda del vaffanculo, no, tu ci sei dentro, completamente. Tu sei la ragione per la quale lo hanno inventato il vaffanculo» gli disse lasciandolo immobile.

Restaban corrugò le sopracciglia.

«E fammi indovinare, sul dizionario accanto alla parola bastardo c’è la mia foto?»

«Se è per questo anche accanto alla parola egocentrico e razzista».

«Tu sei sotto secchiona e falsa crocerossina!»

«Tu sotto idiota!»

«Petulante ed insopportabile!»

«Stronzo, borioso ed arrogante!»

«Basta con tutti questi complimenti Hale, potrei arrossire!» le rispose ghignando.

«Tom… Lewis, ehm…» si corresse Demi dato che Alexia e Blaise si stavano avvicinando sospettosi, avevano sentito l’ultima parte del loro delicato discorso.

«A domani Hale!» esclamò Restaban/Jacob con un sorriso «Signorina Alexia, signor Blaise!» salutò poi con un cenno del capo.

«Sei stata a guardarlo correre?» le chiese Alexia con gli occhi fuori dalle orbite. «Non lo facevi nemmeno con mio fratello… e poi da quando vi siete lasciati hai alzato i tuoi standard. Bisogna ammettere che quel Lewis è un vero pezzo di…»

«Alexia!»

«Mi chiedevo solo… cioè, lo avrei notato! Con quel fondoschiena che..»

«Ma ti piace?» chiese Blaise scrutandola ed interrompendo Alexia.

«Che parla da solo» terminò Alexia.

«No! È… lui è un’idiota, e mi fa infuriare!» esclamò Demi ignorandola.

«Dai voti che prende mi sembra brillante» ribatté Alexia meritandosi un’occhiata omicida dall’amica.

«Allora perché gli dai corda?» gli rispose semplicemente Blaise, ignorando il commento di Alexia nuovamente.

«E che ne so, magari si impicca…» borbottò Demi «No, no.. dimentica quello che ho detto… io… ah! Lo odio! Lo odio!» esclamò dirigendosi verso l’entrata del castello. Restaban era lì sulla soglia.

Il bastardo si divertiva da morire a vederla dare di matto con i suoi amici a causa sua.

«Ti odio, lo sai?» urlò Demi raggiungendolo a grandi passi. «Sei proprio un bastardo!» disse prima di superarlo.

«Oh, basta con questa volgarità Hale, mi ecciti!»

«E sei pure un maiale» gli rispose lei prima di salire le scale.

Restaban sorrise e iniziò a fissarle il fondoschiena, mentre lei saliva, poi scosse la testa e si avviò verso la propria camera.

Scese velocemente le scale che portavano ai sotterranei, doveva farsi una doccia.

Alexia e Blaise li seguirono, ascoltando l’ultima parte della conversazione tra i due e rimanendo alquanto spaesati. Sembravano conoscersi da anni.

«Ma che diavolo succede?» chiese Blaise.

«Non ne ho la più pallida idea, ma per farla essere così volgare… lui deve piacerle molto»

«Si» concordò Blaise prima di salire con l’amica le scale che portavano al dormitorio.

 

Il giorno dopo Restaban stava abbastanza bene. Aveva passato una notte quantomeno decente, ed era riuscito a dormire da quando era tornato dal campo da Football fino a alla mattina dopo, saltando anche la cena. Quasi quattordici ore di sonno, quasi quattordici ore senza pensare a nulla.

Ovviamente non aveva fatto i compiti però, e fu costretto a farli in fretta e furia alla mattina, saltando la colazione.

«Sei in ritardo» esclamò la Hale quando entrò nella classe, già piena.

E chissà quale posto libero era rimasto… mah, magari quello accanto alla Hale?

Tombola!

«Oh! Fatti gli affari tuoi!» esclamò sedendosi accanto a lei nell’ultimo banco.

«Braccia» disse lei, e Restaban, sospirando, si scoprì gli avambracci, puliti escludendo la cicatrice più profonda sul destro.

«Hai proprio rotto, Hale!»

«Taci Tomkins!»

«Signorina Hale! Posso incominciare la lezione o la disturbo?» tuonò il professore, che intanto era entrato in classe.

«Mi scusi!» esclamò lei. «Mamma mia Tomkins! Che stronzo sei?»

«Buongiorno anche a te, Hale».

«Buongiorno un cazzo!»

Restaban rise, e si che quella mattina era stato anche leggero!

«Hai saltato la cena e la colazione, Tomkins. Se non ti presenti a pranzo te la vedrai con me!» esclamò sottovoce Demi.

«Io faccio quel cazzo che voglio!» rispose lui sfacciatamente.

E poi era lei quella volgare.

«No, tu fai quello che dico io dato che devi rimanere in salute, e la salute comporta anche una buona alimentazione e…»

«Hale, devo scrivere al tuo Ryan di venire a Scuola così almeno mentre sei impegnata con lui io posso respirare!»

«Io e Ryan non stiamo più insieme!» ribatté lei. Lui sorrise.

«Lo sapevo».

«E da cosa lo sapevi?»

«L’ho dedotto, diciamo»

«E da cosa, se posso chiedere?»

«Perché stai diventando sempre più volgare ed acida, devi essere per forza in astinenza da sesso».

«Te la do io l’astinenza Tomkins! E poi taci, che è da tutta una vita che sei in astinenza da cervello!»

«Davvero? Allora come mai io ho sentito che la settimane prossima ci sarà un compito su ciò che il professore ha appena detto e tu no?»

«Non è vero!» ribatté Demi.

«E quello che vi ho spiegato prima sarà nel compito della prossima settimana» disse il professore quando Demi tornò a prestargli attenzione.

«La colpa è tua Tomkins! Tu e la tua stronzaggine mi distraete!»

«Astinenza, Hale, astinenza. Ecco il tuo problema!»

Quando il professore si girò verso la lavagna, Demi diede a Restaban un pizzicotto così forte su un fianco che lui saltò sulla sedia.

«Questa me la paghi, stronza!»

«Taci, bastardo!»

«Bambini» commentò Alexia quattro banchi più avanti, voltandosi per guardarli.

«Demi è proprio andata! Nemmeno la Lady Oscura riusciva a distrarla a lezione, e quel Lewis ci riesce alla grande invece!» disse Blaise accanto a lei.

«Oh, penso che sia anche colpa dell'aria se si comportano così» intervenne la ragazza bionda dietro di loro. Che pizza! Doveva sempre parlare a enigmi?

«Almeno le lezioni non sono noiose!» disse ancora Blaise.

«Si, si sono soprannominati a vicenda la stronza ed il bastardo. Sembra la parodia volgare di qualche fiaba per bambine amanti di principesse, principi e robe rosa» commentò Alexia.

«Non lo so» disse disse la ragazza bionda voltandosi indietro verso Demi e Jacob «Non credo che Demi sia una buona principessa… a meno che le principesse le non picchino i principi in testa con i libri».

Blaise e Alexia corrugarono le sopracciglia ed insieme si voltarono indietro.

Demi e Jacob erano impegnati in una lotta nell’ultimo banco, tra parole scurrili sussurrate, librate, pizzichi, penna usate come spade e fogli come scudi.

«Ma siamo sicuri che Demi sia lei… cioè…» disse Alexia che non aveva mai visto la sua migliore amica in quel modo.

«Deve essere l'aria dell’amore!» esclamò la bionda.

«A questo punto penso proprio che tu abbia ragione» concordò Blaise.

«So io cosa ci vuole per farli calmare» esclamò Alexia. Blaise divenne rosso.

«No, non dire quello che stai pensando di dire… per favore non…»

«Un paio di orgasmi e vedrai come andranno d’amore e d’accordo».

Blaise sospirò.

«Stare con James ha fatto male anche te! Prima almeno ti trattenevi!»

«No! Per nulla!»

Blaise appoggiò la fronte sul banco. Erano stati tutti morsi dall’insetto della volgarità? Da quando avevano tutti la lingua così sciolta? Tempesta ormonale adolescenziale? Possibile!

«Signor Blaise! La mia classe non è un dormitorio!»

Blaise sospettò d’essere stato contagiato anche lui, perché aveva una voglia matta di mandare a quel paese il professore!

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Nel buio vi cercate... ***


Io ti aspetto nel secondo che precede il tempo
Nelle bugie che non ti ho detto per sentirmi perso
Nei tuoi capelli che non riesco mai a dimenticare
Ultimo
 
Quella sera Demi era crollata a letto esausta, come se avesse corso una maratona. Duellare tutto il giorno con Restaban, ormai ribattezzato bastardo, era estenuante.
«Allora… questo Lewis… Jacob Lewis… ti fa proprio arrabbiare» esclamò Alexia buttandosi sul letto accanto a lei.
Demi la guardò stanca.
«Ti prego, ne ho abbastanza di lui per oggi».
«Va bene, allora… perché hai lasciato Ryan?»
«Perché hai lasciato James?» ribatté Demi. Alexia strinse le labbra, sapeva come zittirla.
«Perché è un’idiota che nonostante tutto mi tratta come una ragazzina!» sbottò Alexia «Sono una donna ormai! E l’idiota sai che fa? Lo sai?»
«Ti tratta come una bambina?» rispose Demi.
«Si! Insomma, continua con frasi del tipo ‘Alexia forse non dovresti uscire da sola’, ‘Alexia, so che vuoi rimanere a casa, ma devi finire la scuola tu’, 'Alexia, non possiamo farlo qua, ci sono i tuoi genito…»
«Ho capito il punto, Alexia» la fermò Demi abbracciando il cuscino, sapeva che l’amica le avrebbe dato anche descrizioni dettagliate che lei non voleva sapere dato che riguardavano anche il suo migliore amico.
«Insomma, glielo ho detto…»
«Urlato…»
«Ok, magari ho urlato un poco; ma gli ho detto, insomma, capisco ciò che hai passato, ero lì anche io, ma non sei mio padre! Sei il mio ragazzo e abbiamo diciotto anni…»
«Tu ne hai diciassette…»
«Dettagli, Demi. Comunque a questa età si possono fare cose stupide ogni tanto, ci si può lasciare andare… no, per lui no! Tutto preso con quella sua accademia da Poliziotto. Vorrei che il Direttore non glielo avesse mai proposto! Sai quante volte siamo andati a letto insieme?»
«No! Non lo voglio sapere! Non voglio dettagli sconci!» esclamò Demi tappandosi le orecchio.
«Per l’amor del cielo, DemiDemy!» esclamò Alexia, chiamandola con il suo stupido soprannome, staccandole le mani dalle orecchie «Sei una donna ormai! Non dovresti imbarazzarti per certe cose! Soprattutto dopo tutta la volgarità repressa che hai scaricato su quel Lewis!»
«Non mi imbarazza parlarne, mi imbarazza parlare di quelle cose riferite a James, il mio miglior amico!» rispose lei. Alexia alzò gli occhi al cielo.
«Parliamo di cose sconce riferite a Ryan allora?»
«Ehm… beh…»
«Allora?»
«Magari ho urlato anche io» ammise Demi. «Insomma, lui è stato distante per la morte del padre, e ci stava insomma…» disse mentre lo sguardo di Alexia diventava più lucido «poi ha avuto un altro periodo ‘sono geloso perché io devo lavorare con mio fratello per dovere morale e non posso andare con James a fare il Poliziotto Magico’, poi è passato al periodo ‘hey sono un ragazzo uscito dalla pubertà e sono maledettamente fico’, ma non è mai arrivato alla fase ‘ho una ragazza che desidera essere considerata’».
«Che gli hai urlato?»
«Che sono d’essere ‘la ragazza che aspetta’! Tu lo sapevi che tutte le ragazze mi chiamavano così l'anno scorso? Cioè, se ne era accorto il mondo e non lui! Come sempre! Lui ovviamente non sapeva che rispondere… anzi, lo ha fatto ma ha detto una scemenza, come sempre…»
«Che due idioti» disse Alexia scuotendo la testa.
«Pensavo che Ryan con la guerra fosse cambiato, ma è sempre lo stesso».
«Pensavo che con la fine della guerra le cose con James sarebbero cambiate».
«Già».
«Beh, almeno tu puoi consolarti con Jacob, io sono costretta ad un’astinenza da clausura» disse Alexia. Quelle parole ci misero qualche secondo per fare breccia nella mente di Demi.
«Scusa io mi consolo con chi?» sbottò.
«Dai Demi, ti fa arrabbiare come nessuno, e sei così distratta che hai voti più bassi… queste cose succedono quando…»
«Non ti azzardare a dire un’altra parola!» esclamò lei saltando in piedi. «Stai fraintendendo tutto! Te lo garantisco! Sono distratta perché… lui è… una cosa… complicata, ecco…»
«Sono sicura che là sotto è semplice come tutti…»
«O per tutti i Cieli, ALEXIA!» urlò Demi mentre l’amica rideva.
«Sai tesoro, ti crederei se fossi indifferente a lui, ma gli rispondi sempre, non puoi farne a meno».
«Lo odio!»
«Ah, beh, sei proprio finita allora» esclamò Alexia.
«Cosa?»
«Il difetto dell’amore è che per molto tempo è tutto una bugia. Ci mostriamo sempre al nostro meglio, ci nascondiamo per molto tempo dietro le apparenze per piacere all’altro e ci culliamo in questo falso sentimento, ma quando finalmente lo spettacolo finisce e si va nel backstage, si capisce che era tutto un trucco, e molto spesso se ne resta delusi, stupiti, e tutto cade. Voi partite dall’odio, e non c’è nulla di più sincero, siete voi, niente trucchi, ma nemmeno nulla di più forte.
«Vi ho visti, Demi. Quando litigate, siete sempre così vicini, vi toccate continuamente, tu che gli tiri un pugno, lui che ti pizzica… in più ora stai pensando a ciò che ho detto e sei rossa come un peperone. È perché ti importa! L’odio è sincero, ma è anche la cosa più vicina all’amore vero, e voi siete su confine, un equilibrio perfetto.».
«Sai dando di matto, Alexia».
«No, per nulla… e sai, ti invidio. Perché anche oggi pomeriggio ad un certo punto sorridevi quando lui ti ha fatto sparire come sempre penna e foglio, e sorridevi mentre lo sgridavi, e lui sorrideva mentre tu lo rimproveravi come sempre…»
«Alexia, ascolto, lui è un bastardo, e io non…»
«Oh, non negare! Puoi dire che i vostri erano ghigni o smorfie, ma i vostri occhi sorridevano, erano sereni. Sai, in questi giorni ho fatto più caso a lui, è sempre triste e solo, come se avesse una nuvola nera legata al polso come un palloncino, ma quando sta con te è sereno, non ha più quello strano sguardo spento. E tu sei stata così puntigliosa per tutti questi anni, per il timore che una tua mancanza potesse far uccidere quei due idioti di James e Ryan, e con lui ti rilassi, ti impegni, ma sei più calma. Quando sei con lui non sei più la ragazza soffocata dalla pressione dello studio matto e disperatissimo, come se ne andasse della tua stessa vita…»
«Alexia, ascolta..»
«No, zitta. Io ora vado a dormire. Riparleremo di questa storia quando ti accorgerai di quanto sei fortunata».
«Ma Alexia…»
«Alexia un corno» rispose l’amica chiudendosi in bagno. Demi rimase in silenzio.
Lei, Restaban… cosa?
No, decisamente no.
 
 
 
 
Era la terza domenica che passava ad Alchoart, e le uscite per l'isola sarebbero iniziate solo a metà ottobre, per questo si diresse con un libro in mano verso il parco.
Era ancora troppo intontita dal discorso di Alexia della sera prima per poter passare del tempo con l’amica.
Naturalmente nel parco c’era anche Restaban, e lei non gli aveva ancora controllato le braccia. Si avvicinò e si sedette accanto a lui relegando le parole di Alexia in un cassetto della sua mente, un cassetto isolato e lontano.
«Sempre un dispiacere vederti, Hale.
«Anche per me, Tomkins».
Dopo che Demi gli ebbe controllato le braccia, rimasero in silenzio per quasi due ore, lei leggendo il suo libro e lui facendo il compito di matematica.
Ovviamente Demi non sapeva non pensare, avrebbe voluto trovare il pulsante per spegnere la sua mente – soprattutto la parte sentimentale di essa – e non poté non ritirare fuori le parole di Alexia.
«Sei… ti senti meglio quando passi del tempo con me?» chiese Demi a Tomkins, senza smettere di leggere.
Restaban, invece, smise di scrivere.
«Scherzi Hale?»
«No, idiota, nel senso… sei più… più…»
«Depresso Hale, la parola è depresso».
«Si, quando sei per conto tuo o quando sei con me? So che ti do fastidio e non ti sto simpatica ma, quando facciamo questo… stai un po’ meglio?» gli chiese lei guardandolo ora.
Lui alzò le spalle.
«Insomma… suppongo che interagire con un essere umano blocchi in parte la depressione temporaneamente. Poi farti impazzire mi distrae e mi diverte immensamente. Sei un ottimo passatempo Hale» terminò lui con un ghigno che Demi non riuscì a riconoscere come malvagio, ma solo stanco.
«Bene».
«Bene? Ti va bene che io ti maltratti pur di non suicidarmi?».
«Esattamente Tomkins».
«Sei fuori di testa, Hale, ma questa tua gentilezza non fermerà la mia vena bastarda».
«Lo so benissimo. Sai, Alexia crede che io e te… ci piacciamo» disse lei come se stesse esclamando che il sole gira attorno alla terra.
Restaban scoppiò a ridere con lei.
Un momento… aveva appena riso con Hale?
«Ho sempre pensato che alla sirenetta mancasse qualche rotella, è una ragazza infondo».
«Ok, Tomkins, basta insultare i mie amici! Mi hanno affidato un compito, e per farti stare bene applicherò la tattica che ho…»
«Letto in un fottuto libro suppongo».
«Già, si basa sul contatto umano. Rimaniamo pure in tema».
«Oh, Hale, non credevo fossi quel tipo di ragazza!»
«Porco! Si basa sull’idea che il più della volte, chi è depresso non necessita di farmaci o psichiatri o altro, ma della stessa cosa che vogliono i bambini dopo un incubo».
«Cioè?»
«Un abbraccio. Un abbraccio molto lungo, di quelli buoni che ti scaldano l’anima, capisci?» disse Demi facendolo alzare in piedi.
«Hale, tralasciando  che se provi ad abbracciarmi non solo ti mordo, ma ti uccido anche, io non sono nemmeno certo di aver un’anima, e se ce l’ho è congelata e…»
«Zitto Tomkins» disse Demi abbracciandolo. Lui rimase rigido, immobile, come se non sapesse che fare.
Lei posò le mani sulle sue spalle e si tirò indietro dopo qualche minuto, guardandolo negli occhi. 
Siete sempre così vicini, vi toccate sempre.
«Tomkins, hai mai abbracciato qualcuno prima?» chiese Demi sconcertata.
Lui cercò di non palesare troppo il no, lei di non palesare troppo la sorpresa. Ora capiva perché era depresso.
«Fa nulla. Ora riproviamo, io ti abbraccio come ho fatto e tu fai esattamente quello che ho fatto prima» disse Demi, e prima che lui potesse ribattere lo abbracciò di nuovo. Questa volta lui la strinse un poco.
«Va meglio?» gli chiese lei senza staccarsi «Ti senti ancora congelato?»
«Credo di star per vomitare».
«Tomkins, è una terapia riconosciuta in campo medico e psichiatrico, il calore di un altro corpo…»
«Cielo, Hale, stai zitta e fammi sentire se le tue stronzate ultra-zuccherose funzionano!» esclamò lui abbracciandola per bene.
 
*
 
Si erano staccati dopo quasi cinque minuti, imbarazzati, anche se non lo davano a vedere.
«Allora?»
«Senti, se vuoi andare a fare la psichiatra, puoi prendere come cavia per esperimenti quel pazzo del tuo ex e non me?»
«Ho il compito di controllarti e farti stare bene! Proverò qualsiasi cosa fino a che tu non starai bene durante quest’anno!».
«Commovente, davvero! Ma stai sprecando il tuo tempo con me. Prenderti di mira mi fa stare meglio, è vero, e questa cosa, questo… abbraccio… non era… cioè, era caldo, ma non c’è soluzione per me, nemmeno se potessi prenderti di mira ventiquattro ore su ventiquattro con una coperta a tenermi caldo, perché ci ricascherò dentro prima o poi, è solo questione di tempo, un passo falso e cado giù. Deve essere bello, volare giù e poi finirla lì… ci ho pensato la prima volta dopo che hanno buttato tutte quelle persone dalla torre, ma sai quale rimane la prima in classifica per me?» disse lui maligno ad un soffio da lei.
«No» rispose Demi con voce tremante.
«Un taglio qui» disse lui sfiorandole con due dita la carotide «Nemmeno tanto profondo» aggiunse guardandola negli occhi, e lei ci vide il ghiaccio, e il buio «Tre secondi e muori annegato nel tuo sangue, nemmeno in tempo per un ultimo pensiero o parola, indolore» terminò prima di andarsene e lasciarla lì.
Demi si portò le mani al cuore e si sedette a terra.
Non riusciva a respirare.
Non riuscì a frenare le lacrime. Credeva che la guerra fosse finita, che non avrebbe più dovuto vedere persone della sua età o più giovani morte… non poteva lasciare Restaban morire, non se lo sarebbe mai perdonato! Poteva fare qualcosa e non si sarebbe ritirata dietro pregiudizi o idiozie simili lasciandolo morire con scuse patetiche!
No, dannazione! Quel bastardo non si sarebbe suicidato lasciandola con il senso di colpa per tutta la vita! Non gli avrebbe dato vinta quella battaglia!
 
 
 
 
 
Restaban si era chiuso in camera, si era disteso sul letto e continuava a pensare a Demi, a modi per umiliarla e distrarsi… distrarsi… i suoi fottuti abbracci! Nemmeno sua madre lo aveva quasi mai abbracciato e lei…
Era stato… bello, doveva ammetterlo. Una bella sensazione da archiviare, ma come le aveva detto era pieno di buio. Quella bella sensazione sarebbe rimasta per sempre, ma il buio non poteva essere sconfitto con un abbraccio; anzi, più i giorni passavano più credeva che il buio non potesse essere sconfitto proprio per nulla.
Anche se gli sarebbe piaciuto averne di più, anche se era la Hale.
Francamente poteva essere anche un orso di peluche per quanto lo riguardava, gli piaceva solo quella sensazione, quel calore di cui parlava la Hale… la Hale che ora aveva aperto con furia a porta della sua camera, la stessa Hale che con altrettanta furia aveva richiuso la porta ed aveva silenziato la stanza un secondo prima di iniziare ad urlare come una furia.
«Ho chiesto alla Preside di poter venire qui, e Mr.Finn mi ha fatto entrare» precisò facendo alzare gli occhi al cielo a Restaban. Sempre puntigliosa, la stronza.
«Hale, va…» via.
«ZITTO!» urlò lei avvicinandosi infuriata. Restaban indietreggiò sul letto fino a toccare con la schiena la testiera. Faceva paura la Hale così.
«TU BASTARDO! NON OSARE SUICIDARTI! LO FARESTI SOLO PER LASCIARMI CON IL SENSO DI COLPA!» esclamò lei «NON CI PROVARE!» urlò ancora prendendogli il cuscino ed iniziando a picchiarlo con quello.
«HALE!» urlò a sua volta Restaban, sconvolto.
«Ora tu stai qui fermo e lasci che io provi a farti stare meglio, sono stata chiara?» disse Demi non ammettendo repliche. Lo fece distendere, non molto gentilmente, e lei si distese accanto a lui, prendendogli le mani tra le sue in una presa ferrea.
«Ora pensa a qualcosa di bello e fai andare fuori il buio» ordinò Demi
«Senti Hale, se fosse così semplice…»
«Tomkins, se non ci provi giuro che ti lego al letto e rimaniamo qui fino a quando non ti escono arcobaleni ed unicorni rosa dagli occhi azzurri con la criniera di zucchero filato, sono stata chiara?»
«Non mi sembra d’aver scelta» disse Restaban, a cui infondo piaceva il calore di Demi. Chissà se vendevano coperte auto-riscaldate alla città più vicina, avrebbe potuto sostituirla con una di quelle. Almeno loro non parlavano.
«Zitto».
«Ma non ho detto una parola!»
«Stai pensando, è noioso». Disse Demi imitando Sherlock Holmes.
«Senti Hale non..»
«Ti chiudo la bocca con le lenzuola?»
«Potresti provare altri modi» la stuzzicò Restaban maligno, lei per poco non gli ruppe il naso tirandogli un pugno addosso, ma sempre tenendolo per mano, per mano nel buio.
State sempre vicini. Vi toccate sempre. Nel buio vi toccate…
 
 

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Capitolo 5
*** Non lasciarmi andare ***



Quando ti addormenterai questa notte
Ricorda soltanto che siamo stesi sotto le stesse stelle
Shawn Mendes


 
Quando Restaban si svegliò era buio, come sempre.
Ma non c’era freddo. No, non sentiva il freddo entrargli nell’anima come al solito.
Fu allora che si accorse della Hale, nel letto accanto a lui, distesa di fianco e rivolta verso di lui. Teneva una mano sul suo petto, proprio sopra il suo cuore, come per controllare che non smettesse improvvisamente di battere – o respirare – e l’altra mano era ancora stretta alla sua.
E c’era caldo.
Forse lei non lo faceva veramente per lui, ma diamine! Era bello! Era come il suo orsacchiotto, teneva lontano il buio e i mostri combattendo con la sua spada CuorGentile.
Era strano, la odiava, ma nel suo complesso egoismo la voleva, voleva che facesse sempre così, che lo aiutasse in silenzio senza tutte le sua parole – troppe parole – sapeva stare zitta?
Poteva godersi quelle… cosa erano? Sensazioni… piacevoli?
in silenzio senza tutte le sua parole – troppe parole – sapeva stare zitta?
Poteva godersi quelle… cosa erano? Sensazioni… piacevoli?
Una parte di lui gli diceva di non farsi incantare, che era tutta una trappola. Aveva sempre avuto tre regole nella vita: regola numero uno, mai fidarsi delle persone; numero due, le persone mentono, sempre – e questo spiegava la regola uno; numero tre, le persone se ne vanno. Stava andando contro le sue regole, si stava facendo imbambolare dalla Hale e dal suo animo schifosamente Gayers. Poteva appoggiarsi a lei, ma quando lei se ne sarebbe andata – perché sarebbe successo, perché non lo faceva per lui – lui sarebbe rimasto di nuovo solo, più malconcio di prima, e dopo essere stato sorretto per così tanto non sarebbe più stato in grado di reggersi da solo.
Ecco, in quel momento l’idea di buttarsi giù dalla torre più alta della scuola gli sembrava estremamente allettante, era come volare infondo, ma con una destinazione più permanente. Si sarebbe sentito libero per i pochi secondi della caduta, e poi lo sarebbe stato per sempre, libero e senza pensieri, senza dolore, senza più quelle ferite mortali che lo solcavano, senza sangue, dopo una vita piena di sangue, sporco, puro…
Aveva davvero una voglia matta di alzarsi in piedi ed andare sulla torre d’Astronomia, poteva farlo? Voleva farlo, ma era difficile con la dannatissima mano della Hale stretta alla sua, in quello che sembrava un abbraccio in miniatura. Si voltò verso di lei e se la strinse addosso, forte, facendole posare la fronte sulla sua spalla, mentre lui posava la sua guancia sulla sua, affondando una mano tra quei capelli lisci con gesti estremamente delicati per uno come lui. Con gesti spaventosamente delicati, rivolti da lui, Restaban Tomkins , verso Demi Hale. Il diavolo stava stringendo delicatamente l'angelo, senza morderlo o stritolarlo, non perché fosse passato dalla parte del bene, ma perché era troppo impegnato a mordersi da solo, lasciando che il suo stesso veleno lo uccidesse, lentamente, inesorabilmente.
Potevano andare aventi così all’infinito, lo sapeva benissimo Restaban, ma il suo destino era segnato – che novità – una notte la Hale avrebbe lasciato la sua mano, la mattina dopo si sarebbe svegliata, lo avrebbe cercato e lo avrebbe ritrovato sotto la torre, morto, e magari con un sorriso finalmente sincero sul volto privo di vita.
 
*
 
Quando Demi si svegliò, scoprì d’essere praticamente aggrappata a Restaban – o era lui che era aggrappato a lei? – fatto sta che lei aveva il viso affondato nel suo petto, e lo stava praticamente respirando – menta, disperazione, dolore – mentre stavano guancia contro guancia, in una posizione così intima, dolce e quasi innocente che non aveva mai sperimentato nemmeno con Ryan. Questo pensiero la imbarazzò, ma la preoccupò anche, Restaban la stava stringendo davvero, lui, Mister-Odio-Il-Contatto-Umano.
«Tomkins?» mormorò piano contro il suo petto cercando di muoversi, lui la strinse ancora di più, facendole quasi male.
«Stai ferma Hale» le ordinò.
«Tomkins…»
«Hale, ho una voglia matta di andare sulla torre più alta e vedere cosa si prova a volare senza scopa, e se mi lasci vado, se lasci la mia mano vado» le disse con una voce strana, voleva andare, voleva che lei lo lasciasse andare, ma allo stesso tempo voleva che lei lo bloccasse.
Lei, la sua ancora di salvataggio nella tempesta.
«Oddio» mormorò Demi spaventata. Mosse la mano che aveva sul suo petto – per controllare che quel cuore malato continuasse a battere – in una carezza così delicata che fece venire i brividi a Restaban, ma non di freddo. Demi scelse come destinazione finale di quella carezza quei capelli neri come la notte, bloccando gentilmente il volto di Restaban contro la sua guancia.
Lui espirò forte, mentre il suo cuore iniziava a battere all’impazzata, e i polmoni sembravano non aveva mai abbastanza aria.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiese ancora spaventata Demi, togliendo la mano da dietro la testa di Restaban, che invece gliela fece riposare con forza.
«Sto… è… un attacco… d’ansia» disse respirando velocemente «Capita… ogni tanto… perché voglio… ma…»
Perché voglio morire, ma allo stesso tempo voglio vivere, ma vivere fa male ogni giorno, e morire fa male una volta sola. Perché voglio morire, ma l’istinto d’autoconservazione mi blocca; perché voglio morire, ma sono agganciato a te, la mia ancora.
Lui non andò avanti, ma non ce ne era bisogno, Demi capì tutto quello lo stesso, mentre Restaban cercava di soffocare quell’ansia e quel dolore dell’anima contro la sua spalla, scaldandola in quel sotterraneo freddo e umido con il suo fiato, che sapeva di vita, non di morte, come lui voleva credere.
«Non pensarci» disse Demi muovendo la mano tra i suoi capelli.
«Non ci riesco» ammise lui, e questa volta non poteva distrarlo con il Football, sapeva che se lui si fosse alzato, non sarebbe stata in grado di bloccarlo.
Demi prese un respiro e tolse la mano dai capelli di Restaban, andando a prendere quella di lui dispersa tra i suoi capelli – quella mano che gentilmente la stringeva a lui per farla capire, facendoglielo respirare, il dolore – e la prese gentilmente, costringendolo a posarla sul suo collo, premendo – senza paura che lui la mordesse – facendogli sentire il battito del suo cuore, un po’ spaventato, ma calmo e delicato, rimbombare nella sua carotide, mentre il sangue girava nel suo corpo.
«Concentrati su questo» mormorò lei, che con il volto contro la sua spalla non riusciva a vederlo. Non sapeva se sarebbe stato in grado di reggere tutto quel dolore che percepiva dalla sua voce, dal suo corpo contro il suo… ma avrebbe voluto guardarlo.
Lei lasciò la sua mano sul collo e tornò a posarla sul suo petto, per controllare che quel cuore che ora sembrava impazzito, tornasse normale. Restaban aprì la mano vi circondò il collo di Demi. Lei deglutì, avrebbe potuto stringere – come i serpenti – ma sapeva che non l’avrebbe fatto.
Non lo fece. Restaban premette leggermente e si concentrò sul battito di quel cuore puro, senza ragnatele ed angoli bui.
Dopo quelle che parvero ore, il cuore di Restaban tornò a battere regolarmente, con lo stesso ritmo del cuore della Hale.
Insieme al cuore di Demi.
 
*
 
Si erano riaddormentati entrambi, senza curarsi mettere una sveglia e cose simili. Il giorno dopo era sabato, quindi niente lezioni.
Quando quel sabato mattina Demi si svegliò, respirando ancora Tomkins – lui aggrappato a lei, lei che se lo teneva stretto – sentì subito che c’era qualcosa che non andava.
Quando il torpore del sonno se ne andò, capì esattamente cosa. Le si mozzò il fiato.
Andando in giro con il suo ragazzo, il suo migliore amico e la sua migliore amica, per quasi un anno, ed essendo sempre quella che si alzava per prima, sapeva che alla mattina… succedeva. Lo aveva visto più d’una volta, e aveva sempre fatto finta di non notarlo. Quando poi si era messa con Ryan, finalmente, lo aveva anche sentito da vicino, la mattina dopo che avevano fatto l’amore per la prima volta. Le salì la rabbia ripensando a come in quel momento tutto le era sembrato perfetto, e come poi Ryan avesse rovinato tutto. Insomma, era una donna anche lei – cosa che lui sembrava notare sporadicamente – ed avevano fatto l’amore poche volte per essere due innamorati che avevano finalmente il tempo di amarsi. Se lo era anche chiesto una volta, era lei che aveva qualcosa che non andava o… boh… quell’estate aveva trovato il coraggio di parlarne a sua madre, e lei, che aveva visto si e no due volte Ryan ed James, le  aveva chiesto se magari Ryan non avesse tendenze omosessuali, perché lei era, è, una bella ragazza, che voleva fare l’amore con il ragazzo che diceva di amarla, e che invece preferiva gonfiarsi come un palloncino di arie e farsi ammirare da tutti quelli che entravano nel negozio del fratello… ecco, forse quello era il punto del problema, lei non pendeva come una di quelle oche dalle sue labbra. Era un’idiota, Ryan. Lo avrebbe schiaffeggiato, se lo avesse avuto sotto mano.
Ma ora aveva un altro problema, un problema di Tomkins a dire il vero, ma era un problema suo dato che era premuto contro la sua coscia.
Ora era lei ad avere il fiato corto.
Era una donna! Quante diavolo di volte avrebbe dovuto ripeterlo?! E Tomkins era un uomo… doveva dare ragione ad Alexia… l’aspetto non era male, e si stava facendo sentire. Era ovvio che il su corpo reagiva in un certo modo! Certo, se ci fosse stato Ryan al posto di Tomkins, ora avrebbe fatto altro.
Era rossa, come un peperone, ci poteva giurare, era così imbarazzata che si chiedeva come mai non fosse ancora morta per autocombustione. Che faceva ora? Aspettava che il bastardo si svegliasse?
Oh, come minimo lo aveva fatto apposta! Lo stava sicuramente facendo a posta dato che si stava muovendo, e lei lo sentiva…
«Tomkins!» gemette mettendogli una mano attorno al collo, con tutta l’intenzione di strozzarlo «Oddio» espirò ancora mente il bastardo si muoveva addosso a lei.
«Tomkins!» chiamò ancora, più forte mentre il cuore batteva così forte che pensava le sarebbe uscito dal petto.
«Che vuoi Hale?» mugugnò lui nel sonno.
«Tomkins, o togli il tuo coso dalla mia gamba, e ti garantisco che ti renderò permanentemente l’ultimo della tua famiglia» esclamò lei chiudendo gli occhi e respirando.
Lui ci mise qualche secondo per collegare, poi rise, il bastardo, si strinse ancora di più a lei, strusciandosi innocentemente – per quanto innocente sappia essere un Tomkins. Ecco, era tornato il solito Bastardo.
«Che c’è? Ryan non lo aveva come tutti gli uomini… ah, aspetta, Ryan è un uomo?» chiese ridacchiando, Demi gli graffiò il collo, stringendo, lui sembrò non curarsene «O magari ti piace?» le soffiò in orecchio.
«Non giocare col fuoco, Tomkins».
«Se no che succede? Sono tremendamente curioso» esclamò lui. Demi rispose dandogli una ginocchiata direttamente nei gioielli di famiglia.
«Davvero Tomkins, sei un porco!» esclamò lei alzandosi, mentre Restaban era piegato in due sul letto.
«Non è colpa mia!» rispose lui.
«Oh, certo, colpa di madre natura… comunque, devo uscire da di qui, sono stufa di vederti, dato che mi sei stato addosso tutta la notte!»
«Come se ti fosse dispiaciuto…» disse lui alzandosi e camminando lentamente. Demi rise, lui la fulminò con lo sguardo.
«Lo faccio per aiutarti Tomkins…» mise in chiaro le cose lei «Ma non in quella maniera!»
«Quanto sei seccante, Hale! Potremmo passare il tempo più piacevolmente, te lo garantisco! E ti piacerebbe pure!»
«Non essere ridicolo!»
«Perché mi aiuti? Cioè, tralasciando il fatto che te lo ha chiesto James ed il resto, potevi dirmi di no, e invece sei qui, e hai dormito con me…» disse lui avvicinandosi curioso. «Lo fai per non pensare a Ryan? Occuparti di me come una crocerossina ti fa sentire meglio? Perché lo fai, Hale?» le chiese di nuovo ad un passo da lei.
Demi non seppe cosa rispondere. Perché lo stava facendo?
O Gesù! Aveva dormito con Tomkins! TOMKINS! E lui l’aveva toccata, lei lo aveva toccato.
Guancia contro guancia.
Lui si avvicinò ancora, scrutandola.
Vi toccate, vi cercate, sempre.
Che cavolo stava succedendo? Forse Restaban aveva ragione, era solo astinenza… astinenza da cosa? Da qualcosa che aveva a malapena assaggiato con quell’idiota di Ryan? Per cui, talaltro, provava ancora qualcosa che andava oltre la semplice amicizia. Eppure avrebbe potuto passare il suo tempo con chiunque volesse in quella scuola, Restaban non aveva bisogno di una balia ventiquattro ore su ventiquattro… eppure eccola lì, a pochi centimetri da lui che cercava di leggerla, di sfogliarle l’anima, che cercava di capire se poteva fidarsi di lei, appoggiarsi a lei… se lo avrebbe riportato sulla terra o se lo avrebbe gettato all’inferno.
«Non posso appoggiarmi a te, Hale» disse infatti guardandola negli occhi «Capisci che se lo faccio e poi tu… sei come tutti gli altri… io…»
Eppure lei voleva essere quell’appoggio, ma esserlo avrebbe significato dare di più, non fisicamente, non era il fattore fisico che contava tra loro, era il fatto dell’anima. Per aiutarlo, per fare in modo che lui si lasciasse aiutare, doveva permetterli di arrivare alla sua anima, di toccarla sul serio, per farle capire ciò che realmente lo stava distruggendo da dentro.
Avrebbero dovuto toccarsi con l’anima, stringersi… non è una cosa che poteva fare così, a caso, con chiunque, era una cosa seria.
Non potevano andare avanti così, era come bloccare con la mano il sangue che usciva da una ferita, sperando che si fermasse, senza tenere conto dell’emorragia interna, il vero problema, che stava facendo collassare tutti gli organi interni.
Poteva andare avanti così per molto, ma un giorno lei si sarebbe distratta, e lo avrebbe ritrovato a terra, senza vita.
Tutto questo le entrò nella mente in meno di un minuto, facendola tremare mentre Tomkins la guardava, sicuro che sarebbe scappata via, pronto a lasciar espandere l’emorragia, che ormai era pronta a far collassare il cuore.
Che cosa doveva fare? Tirarsi indietro? Se gli avesse permesso di farlo, se si fosse permessa di farlo, di far toccare le loro anime, non solo i loro corpi, con tutto quello che ne sarebbe venuto…
Lo odiava, ma c’era qualcosa che lo spingeva verso di lui, e non era perché glielo aveva chiesto James… lo aveva visto, aveva visto un Tomkins diverso. E Ryan? Doveva aspettarlo, ancora?
«Vattene, ora» disse lui, sempre così vicino. Era tentato anche lui, anche lui voleva toccarla, non solo con il corpo. Aveva ancora un po’ di fede, che l’anima pura della Hale potesse salvarlo… o forse no. Non lo sapeva. La odiava, eppure c’era qualcosa che lo spingeva verso di lei.
La vide fare improvvisamente un passo indietro, e chiuse gli occhi.
Era solo di nuovo, distrutto più di prima.
«Vattene!» urlò passandosi una mano tra i capelli.
Quando riaprì gli occhi lei era ancora lì, lo guardava. Lui sbuffò quando una ciocca di capelli gli cadde sugli occhi. una ciocca bionda. L’incantesimo era svanito. Strinse le labbra.
«Ah, giusto, lo facevi perché non ero io. Beh, eccomi Hale, Restaban Tomkins è tornato. Paura?» chiese.
Demi scosse la testa. Non era rimasta così sconvolta dal suo cambiamento – non come avrebbe dovuto e voluto – perché invece di pensare a Ryan, era quasi felice di rivedere Tomkins, ma allo stesso tempo triste? Perché il vero Tomkins aveva più cicatrici, più dolore sulla pelle, negli occhi e nel sangue, di Jacob Lewis.
«Non te ne sei mai veramente andato» disse Demi.
Ryan, doveva pensare a Ryan. L’idiota che non l’aveva considerata.
E Restaban, che non aveva mai smesso di torturarla, ma che l’aveva sempre, sempre vista.
Loro due che si odiavano, eppure erano sempre così vicini. Merda, che Alexia avesse ragione?
Avrebbe voluto strozzarlo ed abbracciarlo, morderlo e… baciarlo? Che fosse lo stesso per lui? Il suo cuore batteva a mille, anche quello di Restaban?
«Alexia mi ha detto…» iniziò, voleva farlo sapere anche a lui, in modo che potessero capire quello che stava succedendo «che il difetto dell’amore è che per molto tempo è tutto una bugia. Ci mostriamo sempre al nostro meglio, ci nascondiamo per molto tempo dietro le apparenze per piacere all’altro e ci culliamo in questo falso sentimento, ma quando finalmente lo spettacolo finisce e si va nel backstage, si capisce che era tutto un trucco, e molto spesso se ne resta delusi, stupiti, e tutto cade. Lei ha detto che noi partiamo dall’odio, e non c’è nulla di più sincero, siamo noi, niente trucchi, ma nemmeno nulla di più forte. Ha detto che quando litighiamo, siamo sempre vicini, che… ci tocchiamo continuamente…. L’odio è sincero, ma è anche la cosa più vicina all’amore vero, e noi, per lei, siamo sul confine, un equilibrio perfetto. Ha detto che ti ha guardato, che con me sei sereno, non ha più quello strano sguardo spento. E io, che sono sempre stata così puntigliosa per tutti questi anni, per il timore che davvero una mia mancanza potesse far uccidere le persone a me care… con te mi rilasso, mi calmo» ripeté Demi perfettamente, era un discorso che le era rimasto impresso.
«E che succede se superiamo il limite, in un modo o nell’altro?» le chiese Restaban con voce spezzata, spaventato quanto lei.
«Sappiamo che succede se andiamo verso… l’odio» disse Demi.
«Non voglio… che succeda perché sei costretta da chissà quale etica!» esclamò con rabbia Restaban.
«Non faccio nulla se non sono io a volerlo!» precisò Demi orgogliosa. Lui l’avrebbe schiaffeggiata volentieri, ma ora che lei gli aveva messo l’idea in testa, poi l’avrebbe anche baciata, volentieri, tanto per vedere se riusciva a stare zitta mentre impegnava la lingua a fare cose più piacevoli.
«Lo sai che è complicato, se accade… che non è solo una cosa fisica» spiegò Demi «Non si torna indietro, non puoi dimenticare, se ti tocco e tu tocchi me… non è una cosa solo fisica»
«Pensi che riuscirai a capire? No, non ci riuscirai mai» esclamò Restaban scuotendo la testa.
«Non voglio essere la ragazza che aspetta, non sono quel tipo di ragazza! Se pensi che… che diavolo ne so, che c’entri Ryan, non è così… io non so cosa pensare, non so come siamo arrivati a questo punto, non so nulla, e questo mi spaventa; e voglio farlo, ma non voglio allo stesso tempo! Sai cosa ti dico… proviamo e basta, può andare peggio di così?» rivelò lei.
Lui fece un passo verso di lei, posò la sua mano sulla gola di Demi, delicatamente. Strinse un poco, quel poco che bastava per sentire il suo battito, il suo cuore sotto la sua mano.
«Avrei voglia di ucciderti, Hale».
«Sentimenti ricambiato, Tomkins».
«Perché diamine non stai mai zitta? Non hai appena detto che non sai nulla? Chiudi la bocca!» esclamò duro, realmente seccato. Demi gli tirò un pugno sul petto, lui le pizzicò forte un fianco, facendola sussultare per il dolore.
Non capirono chi fu a baciare chi, ma improvvisamente si stavano baciando; Demi con le mani perse in quei capelli che sembravano fatti dal sole in persona e Restaban aggrappato alla sua camicia.
Superarono il confine, oltre l’equilibrio, o forse ci cascarono dentro l’equilibrio.
Era corpo a corpo, mentre le lingue si incontravano e il respiro iniziava a mancare… eppure era anima contro anima. Avevano smesso di cercarsi, ora si stavano toccando.
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Campo di Grano ***



 

E così con un bacio, io muoio

William Shakespeare – Romeo e Giulietta

 

 

Demi non aveva mai creduto che un bacio potesse contenere – trasmettere – così tante emozioni, così tanti sentimenti, così tanto dolore…

Era un bacio diverso da quelli impacciati di Ryan, non era gentile, non era cattivo. Si mordevano, poi si baciavano gentilmente, poi si mordevano ancora mentre sembravano voler usare le lingue come spade, poi come danzatori di un ballo conosciuto ma mai veramente provato; si cercavano, si allontanavano, si ritrovavano, mentre Restaban si aggrappava a lei e lei lo teneva stretto.

Quando il fiato mancò, e le lacrime di Tomkins bagnarono anche le guance di Demi, si staccarono, di poco, quel tanto che bastava per guardarsi negli occhi mentre le loro anime si toccavano.

In quel momento, in quel preciso istante, quando i loro occhi s’incrociarono dopo quel bacio – ma potevano veramente chiamarlo bacio? – Demi la vide con chiarezza, l’anima devastata di Restaban; devastata come se un onda di barbari fosse passata e avesse distrutto tutto, saccheggiando e dando alle fiamme ciò che incontrava, come se un terremoto lo avesse scosso all’improvviso, lasciando crepe profonde e sottili, che si estendevano su tutta la sua anima, su tutto il suo corpo.

Poteva davvero lei aiutarlo? Poteva curare tutta quella devastazione?

Se lo chiese per la prima volta, e una strana sensazione allo stomaco le fece capire che forse non poteva farcela. Ma non si sarebbe arresa.

«Vattene» le disse Restaban con la mascella tremante e le lacrime che scendeva sul suo viso, passando indisturbate tra le crepe che lo solcavano. Non era molto credibile così, aggrappato a lei.

«Ho visto» disse Demi con voce sicura, senza far trasparire dalla sua voce la paura di fallire. Ma non poteva fallire, non poteva.

«Vai via».

«No».

«Sei una stupida!» esclamò, poi prese un respiro profondo «Hai baciato me, me, Hale! Pensa a quel pezzente di Ryan e vattene!».

Demi sbuffò facendo allentare la presa di Restaban, rischiava di romperle la camicia se continuava a tirare così tanto.

«Con Ryan è finita, e tu lo sai bene. Mi hai tormentato un giorno intero sul fatto che secondo te sono in astinenza!».

«E lo sei!»

«Ma taci!»

«Hai baciato me, Hale! Questo è il momento in cui scappi dalla porta per vomitare pentendoti delle tue azioni e facendoti un esame di coscienza…»

«Sappiamo entrambi che non era un bacio, che è stato…» lo interruppe Demi. Ma non sapeva nemmeno lei come definirlo. L’idea di baciare Tomkins, le era venuta per fargli abbassare quei muri di cemento che aveva eretto attorno a sé, per vederlo, toccarlo…

«Per questo dovresti avere ancora più paura, correre ancora più veloce».

«Io non scappo» ribadì lei.

«Che stupida Gayers».

«Va bene, sono una stupida Gayers» Demi capendo che sarebbero potuti andare avanti all’infinito «Ora però puoi smettere di piangere» disse lei posando una mano sulla sua guancia e raccogliendo una lacrima. Abbattere quei muri che lo circondavano, con lei, doveva essere stato tremendamente destabilizzante per lui, più che per lei.

Restaban sbatté le palpebre confuso, evidentemente non se ne era reso conto; non si era accorto di aver perso il suo proverbiale autocontrollo.

«Io non...» disse toccandosi l'altra guancia, anch'essa bagnata. Guardò Demi confuso, poi si staccò da lei e lentamente si avviò verso il letto, sedendosi esausto, come se avesse corso una maratona.

Lei gettò una rapida occhiata a un orologio posato sulla cassettiera di fronte al letto, segnava le quattro e mezza di mattina. Era prestissimo! Eppure la notte le era sembrata così lunga! Si avviò e si sedette accanto a lui.

«Che facciamo ora Tomkins?» chiese

Lui scosse la testa, ne sapeva meno di lei.

Demi decise di prendere in mano la situazione, Restaban era scosso già così, era meglio se per il momento non calcava la mano. Lo fece distendere sotto le coperte, e lei si distese di fianco a lui.

«È presto, dormi».

Lui storse il naso, e lei sospettò che stesse per dire qualcosa del tipo ‘faccio quello che voglio’, invece non lo fece. Si sporse verso di lei e le diede un bacio, a fior di labbra veloce, per poi chiudere altrettanto velocemente gli occhi.

Lei capì che con l'unico gesto che lui conosceva per toccarla, toccarla realmente, le aveva chiesto di non lasciarlo cadere, di non allontanarsi. Aveva voluto essere la sua ancora, e ora non poteva lasciarlo andare, non lo avrebbe fatto. Si avvicinò ancora di più a lui e poggiò la testa sul suo petto, mentre lui, ancora una volta si aggrappava a lei, lei che lo teneva stretto.

 

Quando Demi si svegliò, ancora, erano le sette e mezza di mattina, anche se nei sotterranei sembrava sempre notte. E le sue gambe erano intrecciate a quelle di Restaban. Scosse la testa sconsolata, era più forte di lui anche nel sonno, voleva per forza metterla in imbarazzo, come se quel contatto – come se tutto quello – non fosse già abbastanza!

Dormire le aveva fatto bene, era riposata, e ora poteva pensare. Quel bacio, quel contatto, così disperato... che le era piaciuto, tralasciando il fatto che lo aveva visto, e toccato, le era piaciuto. Era... una bella sensazione quando Tomkins si stringeva a lei, quando la stringeva...ed era Tomkins… tutto quello era destabilizzante! Non sapeva che pensare. Lo odiava, ma voleva aiutarlo; aveva voglia di ucciderlo e baciarlo, schiaffeggiarlo e abbracciarlo... anche ora, che si era persa a pensare, non si era nemmeno accorta che gli stava accarezzando il viso, spostando quelle ciocche di capelli che gli erano ricadute sugli occhi. I capelli erano addirittura più lunghi e biondi di come li ricordava, e li preferiva a quelli di Jacob.

Demi sospirò, basta pensare, era meglio alzarsi. Doveva mantenere le distanza da Restaban, e parlare con James... doveva respirare un attimo.

James l'avrebbe consigliata, e forse – forse – non l'avrebbe creduta pazza per quello che provava per Restaban; lo stesso Restaban che si mosse nel sonno, accarezzandole un fianco e facendola sospirare - era una ragazza, e un bel ragazzo la stava accarezzando! Era ovvio che reagiva in certi modi! - per posarle una mano sul seno.

Demi giurò d'aver visto l'ombra di un ghigno. Il bastardo lo stava facendo apposta, nel sogno che stava facendo sicuramente.

Avrebbe voluto ucciderlo.

Restaban strinse la presa, gentilmente. Demi cercò di pensare inutilmente al compito della settimana prossima di Matematica – perché non gli tirava un calcio e se ne andava? I suoi dannatissimo ormoni!

Baciarlo...

Tomkins mosse di nuovo quella maledetta mano, avvicinandosi a lei.

Ucciderlo...

Lasciò il suo seno e tornò ad accarezzarle il fianco.

Baciarlo...

«Tomkins!!!» esclamò Demi prendendo la sua mano e bloccandola. Doveva mettere un freno prima...

«Tomkins! Svegliati!» esclamò staccandosi da lui ed alzandosi.

«Che hai da urlare Hale?» chiese lui socchiudendo gli occhi.

«Beh, è mattina, dobbiamo andare a fare colazione… e io devo uscire di qui» disse Demi voltandogli le spalle e cercando di sistemarsi i capelli e la divisa. Era un disastro.

Restaban non disse nulla, lo sentì alzarsi e chiudersi in bagno; quando ne uscì era vestito e lei si era rimessa a posto.

Si avvicinò a Tomkins e rifece l’incantesimo, facendo tornare esteriormente Jacob Lewis, poi si preparò mentalmente ad uscire, tutti l’avrebbero vista… ma quando uscì dalla camera di Restaban, rimase sorpresa. Il dormitorio sembrava deserto, non incontrarono nessuno nemmeno nei corridoi che portavano alla Mensa, dove tutti sembravano far colazione.

Si lanciarono un’ultima occhiata, poi si diressero ognuno al proprio tavolo mentre un leggero chiacchericcio li accompagnava.

«Ho sentito che la Hale è entrata nella sua stanza…»

«C’è chi dice che hanno passato tutta la notte insieme in un stanza segreta, che si ritrovano negli sgabuzzini nascosti per…»

«Demi Hale con un Mormegil! Che sia sotto incantesimo?»

«Però lui è orfano… si sarà addolcita»

Demi ignorò le voci con un sospiro e si sedette al tavolo, di fronte a Alexia, che aveva il sorriso in volto di chi aveva frainteso tutto. Credeva che lei e Tomkins avessero fatto…? Oddio no….

«Ciao Demi, dormito bene?» chiese con un sorriso «Hai proprio la faccia di una che ha riposato...»

Demi alzò gli occhi al cielo sospirando

«Io e te dobbiamo parlare, Alexia»

 

Non era facile lasciare senza parole Alexia La Sirena. Demi Hale ci era riuscita.

«Jacob è Tomkins?»

«Si».

«Ah, ora tutto ha un senso!» sospirò Alexia. «C’è sempre stata così tanta tensione sessuale tra di voi…»

«Scusa, cosa?» chiese Demi sbattendo gli occhi più volte. Aveva capito bene?

«Ma si, come quando avevi 14 anni e l'hai picchiato. Eri euforica… perché lo avevi toccato… e lui ti si è strusciato addosso e ti ha…»

«Alexia!»

«Demi!» esclamò a sua volta Alexia col sorriso. «Sei rossa! Quindi ti importa! E lo hai baciato!»

«Ci siamo baciati, e ti ho spiegato che era l’unico modo per…»

«Demi, non devi vergognarti d’ammettere che ti è piaciuto… ti sei eccitata quando lui…?»

«Ale, possiamo focalizzarci sul problema?»

«Io lo sto facendo!»

«Possibile che ti vada così bene che sia…Tomkins?»

«Perché? A te da problemi?»

«Parecchi a dire il vero!»

Alexia sospirò e la guardò quasi con compassione.

«Tesoro…» iniziò prendendola per le spalle e guardandola negli occhi «Escludendo il fatto che sei rossa come un peperone, che il cuore ti batte come un tamburo e un migliaio di altre cose, quando mi hai raccontato come avete passato la notte abbracciati sorridevi. E non lo fai da… da tanto. Sei la mia amica, e ciò che voglio è che tu sia felice. Lui è sempre Tomkins, e se fa qualcosa di stupido lo ammazzo con le mie mani, ma da quello che mi hai racconto non credo farà qualcosa».

«Oddio! Non capisco più niente!» disse Demi nascondendo il viso tra le mani. «Voglio aiutarlo! E poi ucciderlo! E poi baciarlo! E poi prenderlo a pugni! Che mi succede?»

«Avete superato il limite» disse solo Alexia.

«Come posso aiutarlo se… se sono così?» disse lei indicandosi, sul punto di piangere per la frustrazione, con il respiro pesante per la preoccupazione.

«Forse proprio perché sei coinvolta puoi aiutarlo, no?»

«Non lo so, non lo so! Lo ho visto e non cosa posso fare per… non lo so…»

«Ok… ora calmati, prendi un respiro profondo, andrà tutto bene».

«Ale che succede se fallisco e lui… lo fa? Che mi succederà?» chiese Demi iniziando a piangere, confusa, frustrata ed intimorita.

Alexia abbracciò l’amica stretta. Poteva capire solo in parte la sua confusione.

Odio e amore.

Avevano superato il confine.

 

Era in un campo di grano, reso ancora più splendente dal cielo plumbeo, prossimo alla tempesta, che faceva risaltare ogni colore.

Demi si voltò, poi continuò a camminare per un sentiero già battuto tra tutto quel giallo che sembrava oro. Dei corvi, neri come la notte, ogni tanto chiazzavano quel colore puro.

Oro, come i capelli di Restaban.

Lo vide in lontananza, vestito di nero. Si voltò verso di lei con un’espressione neutra sul viso.

Lei gli sorrise e gli tese una mano, così che potesse aggrapparsi, così che lei potesse tenerlo stretto.

Lui scosse la testa. Non disse niente e tirò fuori una pistola così rapidamente che lei fece appena in tempo a vederlo mentre si sparava un colpo alla testa, e cadeva a terra, sporcando di rosso tutto quell’oro. E i corvi si levarono in volo, gracchiando rumorosi, insieme alla Morte, che alla fine aveva vinto, e si era portata via Restaban, nonostante l’urlo che le era uscito dall’anima, le lacrime che uscivano dalle crepe del cuore.

Cadde in ginocchio e lo scosse inutilmente, mentre lui stava immobile, un sorriso sul volto.

Libero.

E la faceva arrabbiare, e lo scuoteva. Perché non poteva lasciarla così!

Perché morire fa male una volta sola, la vita fa male tutti i giorni.

Poi venne il temporale, che con ogni tuono le crepava l’anima; mentre ogni goccia che la bagnava scivolava a terra senza il suo sangue, con il suo sangue… troppo sangue.

 

Quando Demi si risvegliò da quell’incubo, un po’ troppo ispirato agli ultimi istanti di vita di Vincent Van Gogh per i suoi gusti, capì d’esserci caduta dentro con tutte le scarpe.

Qualsiasi cosa provasse per Restaban, odio, amore, compassione… era troppo tardi per tirarsi indietro.

Capì che era lei la risposta per la sua guarigione. Doveva capire che cosa provava, doveva capire che cosa voleva. Una volta capito, analizzato e compreso, avrebbe potuto aiutarlo. Lo avrebbe tirato fuori dalla depressione, fosse stata l’ultima cosa che faceva.

Non seppe perché le venne in mente, ma si ricordò che Kurt Kubain si era suicidato dopo essersi sposato ed aver avuto una figlia, quando tutti credevano che stesse migliorando.

Le vennero i brividi.

 

«Piove».

Restaban alzò gli occhi e trovò Demi, in piedi davanti a lui con la bacchetta alzata ed un incantesimo che proteggeva entrambi dalla pioggia.

«Non mi importa».

«Sono le una di notte».

«Non mi importa».

«Immaginavo…» disse Demi sedendosi accanto a lui.

Restaban si rilassò, di poco. Aveva creduto che lei se ne fosse andata dopo aver visto. Pensava d’essere di nuovo solo. Quel pensiero gli era bastato per rimettere praticamente l’anima nel pomeriggio.

Ecco, lo aveva detto lui che era una pessima idea. Si era appoggiato a lei, e ora non riusciva a farne a meno. Nemmeno delle sue interminabili parole, dei suoi capelli impossibili.

«Ti sei tagliato ancora» disse Demi prendendogli le braccia. Vedeva sotto i vestiti adesso?

«Si…» rispose flebilmente lui.

«Non farlo più» lo pregò lei prendendo delle bende ed iniziando a curarlo.

«Tu non lasciar…» disse Restaban d’impulso, prima di bloccarsi. Strattonò le braccia lontano dalla Hale e si prese il viso tra le mani.

«Ti odio!» esclamò «Non dovrei… dovresti essere così per me!» esclamò lui pieno di rabbia.

«Lo stesso vale per me» ribatté Demi togliendoli le mani dal viso e stringendole tra le sue.

Rimasero per un po’ in silenzio, mentre la pioggia iniziava a scendere più fitta. Loro erano protetti dall’incantesimo di Demi.

«Hai freddo?» chiese lei a lui, che era bagnato da prima.

«No».

«Dio, quando la smetterai d’essere bugiardo! Lasciami… ti posso aiutare. Mi fai esasperare! Davvero! Sei impossibile!» esclamò Demi ad alta voce.

Restaban guardò dall’altra parte e non rispose. Demi sospirò frustrata, in uno sbalzo d’ira prese Restaban per il colletto della camicia facendolo voltare verso di lei, poi gli diede uno schiaffo, si sporse e lo baciò.

C’era rabbia in quel bacio, la frustrazione di Demi, la paura di Restaban, che ancora una volta si aggrappava a lei.

«Sei una stupida Hale» disse lui staccandosi di colpo, alzandosi ed allontanandosi da lei. «Ti sei… hai fatto quello che hai fatto e… continui a farlo! E un giorno tornerai da Ryane e James e io… tu mi avrai solo…» disse Restaban incapace di terminare.

Demi si alzò in piedi a sua volta.

«Lo so, credi che sia stupida? Credi che non sappia che se ti lascio la prossima volta che ti vedo sarà in una bara? Credi che non mi spaventi? Ho viglia di prenderti a pugni e poi… poi… baciarti…» terminò sottovoce.

Restaban la guardò sconcertato e confuso.

«Che abbiamo fatto?»

«Non lo so… abbiamo superato la linea, mi dispiace» ammise Demi.

«Ti detesto, sei insopportabile, ma non voglio che tu… vada via» ammise lui a sua volta.

«Che cosa vuoi fare quindi?» chiese Demi. Restaban le diede le spalle.

«Sai che cosa vorrei fare. Sta tutto a te, Hale» disse turbandola.

Lei rimase immobile a fissare la schiena di Tomkins, le braccia lungo i fianchi, le spalle leggermente curve e la testa che fissava a terra.

Avrebbe voluto pensare razionalmente, ma la sua testa era letteralmente un casino: non voleva che Restaban si suicidasse, sapeva che poteva bloccarlo, ma non sapeva come salvarlo, come farlo uscire da quel buco buio in cui era bloccato, e questo la spaventava, perché se falliva lui poteva morire; poi c’era il fattore Ryan. Provava ancora qualcosa per lui, ma non voleva aspettare, era stufa d’aspettare! E voleva davvero aiutare Restaban, voleva…

Spegnere il cervello, ecco cosa voleva, forse sarebbe stato più semplice.

Si ricordò improvvisamente dell’incubo che aveva fatto, del campo di grano, del sangue, e di Restaban morto

Non fece in tempo a ricordare che già lo teneva per mano.

«Andiamo» disse Demi trascinandolo verso il castello.

«Dove?» chiese lui.

«Andiamo a dormire».

«Io e te?»

«Io e te» ribadì Demi mentre entravano nel castello.

«Nella mia camera?» chiese ancora Restaban.

«Non puoi entrare nella mia Tomkins, lo sai bene».

«Lo so?»

«Non fare il finto tonto, i maschi non entrano».

Quella sera Restaban le aveva imprestato una maglia per dormire, e dei pantaloni che aveva trovato in fondo al baule, abbastanza vecchi affinché Demi potesse indossarli senza che fossero troppo larghi.

Fu abbastanza imbarazzante, la volta prima era stata… involontaria, in un certo senso.

«Ci distendiamo, semplicemente?» chiese Demi.

«Vuoi stare in piedi?» rispose Restaban infilandosi nel letto.

Demi rimase in piedi, titubante, poi si sdraiò accanto a lui, che come sempre si aggrappò a lei.

Lui teneva la testa sul suo petto, poco sopra il suo seno, ascoltando ogni battito del suo cuore.

Lei passò una mano tra quei capelli neri, vedendoli per un secondo biondi.

«Tomkins… sei mai stato in un campo di grano?»

«Per quale diavolo di motivo dovrei andare in un campo di grano, Hale?» mormorò Restaban stretto a lei. Demi scosse la testa.

«Nulla… solo, niente. Dimentica quello che ho detto».

«Come sempre, insomma» rispose lui. Demi gli tirò i capelli, lui le strinse un fianco.

Poi, come sempre, non ci capirono più nulla, fatto sta’ che si stavano baciando, ancora, mentre Restaban le stringeva un fianco, e questa volta fu lei ad aggrapparsi a lui.

«Ok, basta Tomkins» disse Demi staccandosi abbastanza scossa. Lui non la guardò e si strinse di nuovo a lei.

«Mi è… piaciuto, comunque…» aggiunse poi sottovoce.

«Bacio sicuramente meglio di Ryan» disse lui mordendola, dispettoso come sempre.

Demi gemette, e Restaban si bloccò.

«Oh, si, bacio sicuramente meglio di Ryan».

«Tomkins, zitto e dormi per l’amor del cielo!».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Insegnami ***


«Insegnami».
Glielo aveva chiesto alla fine Restaban, glielo aveva chiesto mettendosi completamente nelle sue mani, fidandosi completamente di lei, la sua nemica più grande, la sua ancora di salvataggio nel mare in tempesta.
«Insegnami».
E Demi lo prese tra le sue mani.
 
 
Una settimana prima…
 
Restaban la faceva impazzire, ma non in senso positivo. Le faceva venire voglia di fargli del male, e senza usare la magia. Da quello strano fine settimana in cui tutto era cambiato con quel bacio, la cercava e la allontanava, si avvicinava e se ne andava. La stava esasperando.
Azione e reazione.
Era come andare in giro con un macigno sul petto. Averlo vicino e sapere che presto sarebbe sparito, non sapere dove era e sperare che tornasse, possibilmente non in una bara. E questo le toglieva ogni energia. Per non parlare di come lui la artigliava quando dormivano assieme. Si, dormivano assieme, perché era successo, ancora. Solo tre volte, a dire il vero, ma erano bastate ad entrambi.
Restaban non perdeva mai l’occasione per stuzzicarla – a riprova che il vecchio Tomkins c’era ancora, sotto strati e strati di depressione – facendola impazzire, oltre che esasperare, mentre combatteva contro la voglia di ucciderlo e poi baciarlo, e fargli un altro migliaio di cose che era sicura che in una scuola fossero quantomeno illegali. E lei non poteva fare a meno di pensarci, a quelle cose illegali, che le coloravano il viso contro la sua volontà. E lui sapeva esattamente che cosa toccare, o con cosa toccarla, per metterla in imbarazzo, per poi ridacchiare quando diventava rossa.
Il bastardo.
Continuava a ripetersi che erano reazioni normali, dettate da altre reazioni chimiche che avvenivano all’interno del suo corpo quando veniva a contatto con un individuo di… sesso maschile. Era solo una questione di azione e reazione tra corpi.
«Tu non sei normale, Demi. Hai problemi seri». Questa era stata la risposta di Alexia quando le aveva esposto il tutto.
«Tu non capisci, Alexia. Lo fa di riflesso, lo fa perché sono sbalzi del Tomkins che abbiamo sempre conosciuto e che vengono fuori perché… quello che c’è tra noi è strano! E lo fa perché è… le relazioni fisiche, sono le uniche cose che conosce… credo» esclamò Demi sospirando. Prese un nuovo quaderno dalla borsa e continuò il suo tema di Inglese, mentre Alexia sbuffava girando una pagina del libro di Filosofia.
«Sei intelligente Demi, davvero intelligente. Ma delle volte sei una tale idiota…»
«Scusa?»
«Vuoi davvero farmi credere che anche mio fratello, solo mordendoti per gioco, ti faceva accendere come un accendino?»
«Il punto non è questo, Alexia. Ti ho già spiegato che tra me e Restaban…»
«Siamo arrivate a chiamarlo per nome…»
«…che tra me e Tomkins, è complicato. Non è qualcosa di fisico – l’occhiata di Alexia la fece sospirare – va bene, usiamo il lato fisico, ma per arrivare a qualcos’altro! Gli ho visto l’anima, e l’ho toccato con un bacio ma…»
«Tesoro, per toccarvi davvero forse dovreste pensare ad un contatto più profondo».
«Ale…»
«C’è una differenza tra fare sesso e fare l’amore, tesoro. Solo che tu devi ancora capirlo» esclamò l'amica chiudendo il libro e guardandola.
«Perché, tu lo sai?»
«Ho fatto sesso con Thomas, e ho fatto l’amore con James. È stato l’unica differenza tra di loro, perché per il resto erano entrambi due grandi idioti» disse facendo ridere Demi.
«Si, va bene. Ma tra me e Tomkins è diverso».
«Quello che c’è tra voi è un casino spaventosamente grande e… disastroso!» esclamò Alexia «Siete entrambi confusi. Dammi retta, andate a letto ed usate il letto, vi chiarirà le idee. Tu vuoi aiutarlo, lui vuole più o meno essere aiutato, solo che tu non sai cosa fare, e intanto dormite insieme e vi baciate. Dormite insieme e vi baciate, tesoro. Davvero non riesci a vedere più in là del tuo naso? Posso giustificare Tomkins in questo caso, ma non te».
«Di che stai parlando, Alexia?» chiese Demi. L'amica sbuffò e la lasciò sola in biblioteca.
 
James Cohen era ad Hogwarts.
La voce si era sparsa con una rapidità sorprendente, e quando era arrivata a solleticare l’orecchio di Alexia La Sirena, questa non aveva potuto trattenere una smorfia sotto lo sguardo confuso di Demi Hale, che nell’ultimo periodo sembrava essere la persona che aveva creato la definizione di confusione basandola su se stessa.
«Devo parlare a James di Tomkins».
«Secondo me devi andarci a letto, con Tomkins».
«Alexia…»
«Oh! Alexia, Alexia… Demi! Davvero non riesci a vedere?»
«Vedere che cosa Ale?»
«Vi baciate e dormite assieme!»
«Solo perché sono la sua… ancora…»
«Già, proprio tu, eh?»
«Sono l’unica che ha accettato d’aiutarlo!» ribatté Demi secca.
«Tesoro, torna a parlarmi solo quando riuscirai ad ammettere con te stessa che Restaban un po’ ti piace e che, soprattutto, ti sei eccitata con lui» rispose l’amica alzandosi e facendo diventare rossa Demi, ed aumentando la sua confusione.
 
James Cohen era senza parole. Demi Hale era senza fiato.
Azione e reazione.
Ovviamente Demi aveva confessato al suo migliore amico tutto, nella speranza che potesse aiutarlo più di Alexia, che da quando aveva saputo che il suo ex era al castello, era indisponente e un po’ acida, e non era colpa del ciclo.
«Ti ho chiesto di aiutarlo, non di…» balbettò James.
«Lo sto facendo! Ma l’unico modo per aiutarlo è… immergersi dentro, completamente» tentò di spiegare «Trattenere il respiro e portarlo fuori… solo che devo ancora capire come…»
«Oddio, ti stai innamorando di Tomkins…» esclamò James accelerando il passo e superandola.
«Ok, o siete voi che averte le orecchie tappate, o sono io che parlo aramaico: ho detto che lo sto aiutando, e la cosa è così grave che mi ci devo immergere dentro per tirarlo fuori, chiaro?»
«E una volta fuori credi che sarà tutto lo stesso, che tornerà come prima? Sei davvero così ingenua?»
«Da che pulpito!»
«Ci stai mettendo anima e corpo Demi, e non era necessario, che cosa hai visto in… in lui per comportarti così?» chiese James continuando a camminare.
«Beh, questa depressione ha fatto venire fuori che forse potrebbe essere una persona piacevole, dopotutto» rispose Demi affiancandolo.
«Una volta mi hai detto che ho la mania di salvare le ragazze… ed avevi ragione».
«Come sempre».
«E ora tu hai questa mania di salvare Tomkins…. Secondo me ti piace, insomma, non è lo stesso Tomkins di prima, e noi non siamo gli stessi di prima, e… - aggiunse fermandosi e fronteggiando l’amica – noi non abbiamo mai parlato di queste cose, ma… da come ne parli, dei vostri incontri a letto, lui ti…»
«Dì quello che sto pensando stai pensando e giuro, giuro, che ti uccido!»
«Ok, solo…»
«Non è quel tipo di contatto!» quasi urlò lei.
«Ed è questo a darti fastidio? Per quanto credo che un bacio possa dare moltissimo, io non ho mai… non sono mai stato così vicino a Alexia, non l’ho mai capita, toccata, come quando abbiamo fatto l’amore. E lo sai, che dopo la fine della guerra ero depresso anche io, tutti lo eravamo, ma lei mi ha tirato su, l’amore mi ha…»
«Mi stai dicendo che… no, io non… non sono innamorata di Tomkins!» lo interruppe Demi.
«Ti sto dicendo che… forse lo sei un poco, o stai iniziando ad esserlo, e anche se non ci credo che sto per dirlo, è un bene. Senza l’amore rischierebbe di buttare anche te nel baratro».
«Basta parlare di me e lui, dammi una tregua. Quando pensi di inginocchiarti e chiedere scusa ad Alexia?»
«Cohen che supplica la piccola? Ditemi data e ora, non voglio perdermelo!» esclamò Restaban. Veniva dal Lago Delle Sirene, dove probabilmente aveva passato le ultime ore.
«Non supplico! Beh… forse un poco, ma comunque stavamo cercando proprio te» esclamò James facendo a Restaban una radiografia completa con lo sguardo.
«Sei stato qui tutta la mattina?» esclamò invece Demi, arrabbiata «Hai saltato Storia!»
«Due ore di noia mortale» sbuffò lui.
«Ne abbiamo già parlato, abbi almeno la decenza di presentarti in classe, poi per il resto della lezione puoi pensare a ciò che vuoi!» rispose Demi. A quell’affermazione Restaban ghignò, un ghigno che aveva ripreso a fare da poco, quello furbo del vecchio Tomkins che stava per fare qualcosa. E qualcosa fece: la guardò in un modo decisamente inappropriato, facendola infiammare.
Azione e reazione.
«Ok….» mormorò James spostando lo sguardo dall’uno all’altra, come in una partita di tennis che aveva appena scoperto essere la finale di Wimbledon.
«Smettila di guardarmi così!» esclamò Demi, irritata dal fatto che lui, la facesse sentire in quel modo.
«Così come?» chiese lui continuando a ghignare.
«Come se mi avessi vista nuda!» esclamò Demi. James fece un piccolo balzo indietro, l’amica lo aveva avvertito che il bastardo le tirava fuori il peggio di sé, ma doveva essere rimasto sconvolto da una Demi così… così. Restaban invece ridacchiò, non si era certo aspettato una risposta simile.
«Cosa che non è successa, è solo un modo di dire!» precisò lei ad entrambi.
«E io non voglio… mettermi in mezzo» disse James «Volevo solo vederti di persona Tomkins, per assicurarmi che tu stia bene fisicamente perlomeno. Demi, ora dobbiamo andare, il Direttore e la Preside ci aspettano per parlare di lui». disse James prima di tornare ad avviarsi verso il castello.
Lei tornò a guardare Restaban, e scoprì che qualcosa nel suo sguardo si era rotto. Il ghigno era sparito, così come il tenue sorriso che l’aveva accompagnato. Da fuori non sembrava cambiato quasi nulla, ma ormai lei aveva imparato a conoscerlo, e questo la sconvolse.
«Aspettami» chiese Demi. Tomkins sembrò non ascoltarla, già perso sotto quella spessa coperta oscura che lo ricopriva.
Demi si alzò in punta di piedi e gli prese il viso tra le mani, prima di baciarlo sulle labbra, in una supplica che solo lui avrebbe capito.
«Aspettami» ripeté prima di poggiare i piedi per bene a terra e correre verso Demi.
 
Quando Demi entrò nella camera di Restaban, lui era seduto sul bordo del letto, la schiena dritta e rigida, le mani sulle ginocchia mentre fissava il vuoto.
«La Preside ha detto che posso venire qui quando voglio. James ci ha messo molto per convincerla, alla fine ha accettato» disse lei chiudendo la porta.
Romkins rimase immobile.
«Che ti succede?» chiese ancora Demi «Parlami».
«Non voglio tirarti giù con me» disse «E questo mi fa imbestialire».
La nebbia e la confusione che avevano attanagliato il petto e la mente di lei, sembrarono dissiparsi con quelle parole. Ci teneva a lei, e questo lo faceva imbestialire.
«Non ho paura, posso riportare su entrambi».
«Questa è troppa fiducia, Hale».
«Ho fiducia anche in te…»
«Smettila!» esclamò Tomkins.
«Che cosa è che ti fa urlare? Cos’è che ti fa paura?» chiese Demi avvicinandosi a lui, che nel frattempo era scattato in piedi, come una molla.
Azione e reazione.
«Poi non sarà tutto come prima, e tu non te ne rendi conto!» esclamò lui «E se… se noi due… se tu… io non sono Ryan, non posso darti… non l’ho mai fatto, non so come si fa» disse Restaban, e Demi, in quel disastro di parole capì.
Si allontanava e si avvicinava, la stringeva e la lasciava.
Anche lui provava quello che sentiva lei, quell’accozzaglia di sentimenti che si scatenavano quando gli stava vicina. Solo che se si fossero chiariti, quei sentimenti, lui non avrebbe saputo cosa fare. Non sapeva come si amava, perché non lo aveva mai fatto prima; e se lei lo avesse tirato fuori da sotto quella coperta di oscurità, lui non avrebbe saputo vivere, perché non gli avevano mai dato la possibilità di farlo prima.
«Sono qui io» disse Demi avvicinandosi. Tomkins fece un passo indietro.
«Domani potresti…»
«Pensavo avessimo già chiarito questo punto» esclamò Hale dura. Lui la guardò confuso, combattuto, addolorato, stanco, indeciso se buttare decisamente giù tutti i muri, o continuare così, se buttare via l’ultimo pezzo di Tomkins per far venire fuori Restaban.
«Tu non lo fai per me» disse lui, rivelando come fosse difficile per lui fidarsi di lei. Demi fu colpita da quelle parole come da una pugnalata. Era vero, ma solo all’inizio.
«All’inizio lo facevo perché me lo aveva chiesto James ma… ora lo faccio per te, perché… ho visto e… fidati di me» disse Demi facendo scendere tra di loro un silenzio così pesante che avrebbe potuto schiacciarli.
«Insegnami».
Glielo aveva chiesto alla fine Restaban, glielo aveva chiesto mettendosi completamente nelle sue mani, fidandosi completamente di lei, la sua nemica più grande, la sua ancora di salvataggio nel mare in tempesta.
«Insegnami».
Glielo chiese quasi supplicandola, supplicando lei, miss so-tutto-io, che aveva sempre deriso per quella sua aria da maestrina quando ripeteva qualcosa. E ora lui la supplicava di insegnargli qualcosa.
Insegnami ad amare, insegnami a vivere.
E Demi lo prese tra le sue mani, baciandolo come non aveva mai baciato nessuno, aggrappandosi a lui e lasciando che lui si aggrappasse a lei.
Si staccò da quella lotta fatta di lingue e saliva quando le mancò l’ossigeno, e allora vide il dolore e la speranza combattere negli occhi di Restaban, facendole capire quanto fosse indispensabile toccarlo.
Gli levò la maglia, mentre lui, preso dalla stessa smania, tentava di fare lo stesso con lei, fino a che non rimasero l’uno di fronte all’altra, con il petto scoperto, anima contro anima, cuore contro cuore. Abbracciarlo fu come bere dopo una lunga corsa, sentirlo sulla pelle, caldo, vivo.
Lei gli posò una mano sul petto, sopra il cuore, mentre lui la teneva stretta per i fianchi. Era bello, Restaban, non di quella bellezza che ti colpisce subito, era quella bellezza che notavi solo guardandolo realmente – l’espressione che assumeva quando studiava, il volto rilassato quando dormiva, quella vena sul collo che pulsava quando lei lo faceva arrabbiare, i suoi capelli biondi tra le sue mani…
Non aveva fatto in tempo a pensarlo, che l’incantesimo che nascondeva Restaban sparì, tornò se stesso anche esternamente.
«Penso che l’incantesimo si annulli quando non vuoi nasconderti, quando vuoi essere te stesso» mormorò Demi , non si era nemmeno accorta di respirare affannosamente, come lui. Forse era quella la vera linea di confine, e sotto di loro c’era il baratro. Il bacio era stato solo un’azione, e questa era la reazione.
«E tu vuoi che mi nasconda?» chiese Tomkins.
«No» rispose lei, e lui posò la guancia contro la sua, in quello che sembrava solo un altro modo di fare l’amore, togliendole il respiro e bloccandole il cuore. Stava bruciando.
Vuoi davvero farmi credere che anche mio fratello ti faceva accendere come un accendino?
Tornò a baciare Restaban per fermare i pensieri, che si erano già spinti in zone pericolose e minate. Perché forse aveva ragione Alexia, e per una volta avrebbe dovuto dare retta al suo corpo, alla carne, e non alla mente; perché forse quello era davvero l’unico metodo per capire il ragazzo, che la faceva ridere e preoccupare, arrabbiare ed eccitare, e che le aveva appena tolto il reggiseno mentre le metteva una mano nei capelli. E le piaceva, il suo tocco sulla pelle, il suo petto contro il suo – cuore contro cuore, anima contro anima.
Che cosa la spingeva così verso Restaban? Perché lo faceva? Perché le piaceva? Neppure lui sapeva spiegarselo, il perché reagisse così con lei, glielo leggeva negli occhi, e di comune accordo, senza dire una parola, dopo che tra di loro di parole ne erano scorse a fiumi – stronza, bastardo – decisero di spegnere il cervello e seguire il corpo, guidato da quel cuore che ora sembrava battere nelle orecchie di entrambi così forte da assordarli. Forse, per una volta, avrebbero trovato le risposte che cercavano.
Restaban le accarezzò la schiena nuda, facendola sospirare. Demi poggiò la fronte sulla sua spalla, poi lo morse.
«Touché» mormorò lui prima di baciarla ancora, mentre le sue mani vagavano ovunque sul suo corpo, come se volesse toccarla tutta contemporaneamente, ed era lei ad aggrapparsi a lui, mentre la spingeva sul letto e si occupava dei suoi seni, con le mani e con la bocca, facendola gemere.
Mentre con il respiro affannoso cercava di togliere i pantaloni al bastardo, che gli andavano evidentemente stretti in quel momento, non poté non fare dei paragoni con Ryan. Oh, Ryan era stato dolce, ma Restaban era la passione, sembrava passata un’eternità da quando erano caduti su quel letto, e invece erano solo pochi minuti, e lei era già eccitata come non mai, smaniosa di toccarlo, sentirlo.
Fu lui a chiudere gli occhi e gemere quando finalmente riuscì a cavargli i pantaloni e i boxer, e Demi pensò che non poteva essere più bello: la pelle chiara arrossata, i capelli biondi scompigliati, e le loro anime riflesse l’una negli occhi dell’altro.
C’è una differenza tra fare sesso e fare l’amore.
Oh, non c’era nessuna differenza meccanicamente parlando, era la persona che cambiava tutto, il corpo e i sentimenti che racchiudeva.
Tomkins ci mise poco a toglierle le calze e la gonna, e qualsiasi altro impiccio ci potesse essere tra i loro corpi, e ci mise ancora di meno a metterle una mano tra le gambe mentre la baciava, trovandola già pronta ed eccitata.
«Non pensavo di farti questo effetto, Hale».
«Non sei messo meglio di me, Tomkins» gli rispose a tono Demi, strusciando la gamba casualmente vicino al suo membro, facendogli chiudere gli occhi e stringere il lenzuolo.
«Stronza» mormorò Restaban mentre lei ripeteva l’operazione.
«Bastardo» disse Demi, quando per tutta risposta lui iniziò a muovere la mano che teneva tra le sue gambe, mentre lei gli conficcava le unghie nella schiena, e lui la mordeva su un fianco.
«Non sai mai stare zitta, Hale, nemmeno in momenti come questi, in cui potremmo dilettarci a fare altro».
«Ma taci, Tomkins!» esclamò Demi «Se usassi un minimo di materia grigia, qualche volta…»
«Cosa?» chiese lui scendendo a ricoprirle di baci il ventre.
«Sei così odioso, come quando mi hai fatto sparire la penna durante il compito di Filosofia due giorni fa! Era una cosa importante!» esclamò lei. Restaban si issò su di lei e la guardò a metà tra il perplesso e l’infastidito.
«Stai davvero parlando di questo ora?»
«Tralasciando il fatto che oggi hai saltato quasi tre ore di lezione…»
«Ora ti faccio stare zitta io» disse ignorandola e tornando ad occuparsi del suo corpo.
«Tomkins non…» ma le parole le morirono sulle labbra, perché il bastardo aveva appena praticamente tuffato la testa tra le sue gambe, dimostrandole d’essere abile in altre cose, oltre che con gli insulti, cose sicuramente proibite e inappropriate in una scuola, e loro stavano rompendo così tante regole e… e Alexia aveva ragione, era così idiota da pensare al regolamento? Anche se le risultò difficile anche solo respirare fino a che lui non riemerse, con il ghigno di chi sapeva d’averla lasciata ad un passo dal baratro.
«Allora non urli solo quando ti faccio arrabbiare» le soffiò sulle labbra. Demi era ancora scossa da quello che le aveva appena fatto per rispondere.
«Oh, Ryan non faceva questo, vero?» chiese Restaban sapendo già la risposta, gongolando d’orgoglio maschile, e felice d’averla zittita. L’aveva sempre detto lui, che parlava troppo la Hale; ma aveva sbagliato a credere che lei non si sarebbe vendicata, in quel gioco di azione e reazione. La fermò subito però, perché per quanto la detestasse, la Hale sapeva portarlo sul baratro, sapeva farlo impazzire, e questo lo faceva arrabbiare, ma gli scaldava anche il cuore.
«Ora potrò davvero guardarti come se ti avessi vista nuda» le disse mente le prendeva le gambe, accarezzandole e portandosele dietro alla schiena.
«A me, quello più nudo sembri tu, Tomkins» rispose lei con un filo di voce, mentre le loro intimità si sfioravano, facendo sospirare entrambi, e facendo accelerare ulteriormente i loro cuori, di paura e aspettativa. Era effettivamente lui quello più nudo, dopo aver lasciato cadere tutte le sue barriere, ed essersi messo nelle sue mani, nelle mani di lei, che con ogni bacio, ogni carezza gli insegnava ad amare, e con ogni gemito gli insegnava a vivere.
«Vuoi sempre avere l’ultima parola, vero?»
«Anche tu».
«Zitta».
«Zitto tu».
E poi furono i loro cuori a parlare, e i loro occhi, perché ad entrambi mancò il respiro quando finalmente Restaban entrò in lei, toccandosi, fondendosi. Ansimanti si guardarono, sconvolti, mentre Demi toccava le crepe di Restaban, e lui sfiorava le cicatrici di lei – i segni che la guerra aveva lasciato su di loro.
Quando lui iniziò a muoversi, fu lento, esasperante, la faceva impazzire come sempre. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo e poi baciarlo, e probabilmente lui pensava la stessa cosa, ma non riuscivano a parlare, travolti da una marea di sentimenti che gli toglievano il respiro, e che li costringevano a poggiare la fronte l’uno sull’altra, sfiorandosi le labbra e stingendosi con urgenza, ferendosi e guarendosi nello stesso istante.
«Restaban» mormorò lei tra un gemito e l’altro, e lui finalmente ascoltò la sua supplica, muovendosi più veloce e dissetandosi dei gemiti di Demi direttamente dalle labbra della ragazza, mentre lei si aggrappava a lui, lui si aggrappava a lei, e si tenevano stretti.
Quando il piacere esplose, il cuore di entrambi sembrò perdere un battito, e si guardarono negli occhi, senza respirare. Demi vide l’anima di Restaban, e la vide dentro.
Non sono mai stato così vicino ad Alexia, non l’ho mai capita, toccata, come quando abbiamo fatto l’amore.
E Demi capì Restaban, lo toccò come non aveva mai fatto, rendendosi contro che prima aveva visto solo la superfice. Era come una matrioska, e solo ora lei era arrivata al nucleo. E aveva visto.
Aveva visto il più grande nemico di Restaban, ciò che lo buttava a terra, come lui aveva visto le cicatrici di lei, il dolore che aveva nascosto al mondo dietro libri e conoscenza.
Iniziò a piangere quando capì che non poteva aiutarlo senza ferirsi e ferirlo, forse mortalmente.
«Sei tu» mormorò Demi, e Restaban sbarrò gli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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