The Ex Nerd Princess di EvelynJaneWolfman (/viewuser.php?uid=192506)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Special Part - Kevin ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
5 anni prima...
La
campanella, come ogni sviscerante mattina, suonò
procurandole un lungo brivido freddo che le percorse la schiena fino ad
arrivare alle gambe, che tremarono. Sophie alzò lo sguardo e
lo posò sull'enorme edificio in mattoni che era il suo
liceo, un luogo orribile e tetro che la spaventava più degli
inviti a danzare del baronetto Von Claus, un ragazzo borioso e pieno di
sé con gravi - molesti - problemi gastrici. Da quando si era
trasferita in America ogni mattina viveva un incubo ad occhi aperti,
eppure era stata proprio lei a pretendere di frequentare l'ultimo anno
di liceo lì ed i suoi genitori, seppur contrari, alla fine
avevano ceduto. Quel paese per lei era sempre stato un sogno, ma non
aveva mai lasciato il suo piccolo paesino e non le era mai stato
permesso intrattenere rapporti con persone che non provenissero dal suo
stesso rango sociale; questo era ciò che sua madre le aveva
ripetuto, sin dalla nascita, in continuazione. Quest'impedimento
però non le aveva impedito di studiare culture diverse ed
innamorarsi di paesi e persone che non aveva mai visto, e quella
piccola vittoria ai suoi genitori per lei era stata una svolta nella
sua vita. Era stanca di sottostare a delle regole irragionevoli e del
tutto prive di senso, almeno per una volta voleva vivere nel modo in
cui aveva sempre sognato di fare e ci era riuscita.
Ma
la realtà si era scontrata contro il suo viso con la stessa
intensità di un palo preso a duecento chilometri orari. Il
primo giorno in quel liceo, che a lei era sembrato stupendo, si era
rivelato un vero incubo ed i giorni seguenti anche peggio. Finalmente
mancavano solo due settimane alla fine di quell'incubo, una volta
diplomata sarebbe tornata a casa ed avrebbe studiato economia e scienze
politiche, proprio come volevano i suoi genitori, questo era stato il
patto per permetterle di studiare in America. Aveva patteggiato per
vivere mesi d'inferno e se ne pentiva, odiava l'economia ed ancor di
più le scienze politiche ma quando una persona è
disposta a tutto pur di veder realizzato il proprio sogno non bada a
risvolti negativi né ci pensa. Se avesse potuto tornare
indietro non avrebbe commesso quell'errore... o forse sì?
Perché, nonostante le prese in giro nei corridoi o nei
bagni, una cosa positiva lei l'aveva trovata ed era l'unica
consolazione che le dava la forza di alzarsi ed andare a scuola: Kevin.
Kevin
faceva parte della squadra di football ed all'inizio Sophie lo aveva
guardato con disprezzo esattamente come guardava tutti i suoi compagni
di squadra, un branco di rozzi energumeni privi di grazia o di
qualsiasi forma di buona educazione. Nonostante fosse cresciuta tra
damerini che si fingevano gentiluomini, Sophie sapeva che le persone -
soprattutto i maschi - erano meno "cortesi" e non usavano sempre le
buone maniere, ma quegli individui superavano ogni sua più
cupa immaginazione, anche solo passare accanto ai loro spogliatoi aveva
il potere di mandarti in tilt l'olfatto ed alcune cellule celebrali
tanto era il tanfo. E per lei, che era seduta proprio accanto al loro
capitano, la cosa era anche peggiore perché Connor Smith era
uno dei colpevoli dell'incubo che da più di otto mesi
viveva. In ogni secondo della giornata non faceva altro che
punzecchiarla con parole cattive o lanciarle addosso pezzetti di carta
intrisa di bava di australopiteco tutto muscoli e niente cervello, per
poi riderne con i suoi compagni. Tranne Kevin, lui non aveva mai riso
anzi, l'aveva anche difesa in molte occasioni riprendendo il proprio
capitano - che stranamente sembrava aver timore di lui. Per lei era
come una specie di Zorro, pronto a venire in suo aiuto appena ne aveva
bisogno, ma a parte salvarla dalle grinfie di Connor, non avevano mai
avuto una discussione anzi, non si erano nemmeno mai rivolti la parola.
Lei si limitava ad ammirarlo e ringraziarlo da lontano, sapendo di non
poter mai far altro sia perché era impossibile che uno come
lui si interessasse a lei, sia perché aveva paura di
attirare su di sé altre prese in giro se gente come Connor
avessero scoperto la sua cotta segreta per Kevin.
Prendendo
un lungo respiro, Sophie si fece coraggio ed entrò
nell'edificio, era anche in ritardo di cinque minuti e di sicuro si
sarebbe presa una bella strigliata dal professore, un ottimo inizio di
giornata. Superò i corridoi della scuola a testa bassa,
stringendo le spalline dello zaino tra i pugni per darsi forza ed
entrò in classe a spasso spedito; marciando veloce verso il
suo banco in prima fila.
«Sof!
Cinque minuti di ritardo? Non è da te!» la voce di
Jane, l'unica amica che aveva in quel posto, la fece sobbalzare e le ci
volle qualche secondo per connettere. Era presa di mira così
spesso, che non era riuscita nemmeno a riconoscere la voce della sua
migliore amica a causa dell'ansia e della paura.
«S...
sì, sono rimasta ferma fuori per decidere se entrare o
scappare» le rispose, tentando di placare il battito furioso
del suo cuore ed il respiro affannato.
Jane
fece una risatina che di divertito aveva ben poco. «Io ti
avrei consigliato di dartela a gambe e tornare a casa tua,
lì hai di certo una vita migliore di quella che hai
qui.»
Lei
era l'unica che conosceva le sue vere origini, dove abitava prima di
trasferirsi lì e cosa le aspettava dopo. Ed aveva ragione,
tanto valeva ormai tornarsene a casa ma non poteva, non dopo aver
patito così tanto! Mancava poco al diploma, doveva tener
duro solo un altro po'...
«È
occupato?» chiese una voce familiare accanto a lei, ma persa
com'era nei suoi pensieri non vi dette troppo peso e fece un veloce
gesto affermativo con la mano. Il ragazzo, perché la voce
familiare era quella di un ragazzo, la ringraziò e prese
posto alla sua sinistra.
«Ehi,
Kevin!» urlò Connor dall'ultima fila.
«Goditi il tuo posto in prima fila accanto a
CesSophie!» Rise, venendo presto imitato da quasi tutta la
classe.
Solo
in quel momento Sophie collegò e si voltò verso
il ragazzo che solo poco prima le aveva rivolto la parola e che lei
aveva bellamente ignorato, scoprendo che si trattava proprio di Kevin!
Proprio
il ragazzo per cui aveva una cotta, lo stesso con cui non aveva mai
parlato; e proprio quando lui le rivolgeva la parola lei lo liquidava
con un gesto veloce della mano, proprio come si scaccia una mosca!
Brava, Sophie, davvero molto brava...
Sentendosi
fissare, Kevin si voltò verso di lei e fraintendendo il suo
sguardo le disse; «Non pensare a quegli idioti, credono di
essere fighi prendendo in giro gli altri.»
Abbozzò
un timido sorriso, o almeno ci provò, ringraziandolo muta
per il suo supporto. «Ci sono abituata»
sussurò.
«Comunque
grazie per avermi permesso di sedere accanto a te,»
continuò lui. «Il mio posto è stato
occupato da una piovra.» il ragazzo voltò lo
sguardo verso uno dei banchi in ultima fila e Sophie fece lo stesso. Al
posto in cui di solito sedeva Kevin, si trovava Lara, una ragazza dagli
eccentrici capelli blu che le chiedeva appunti in ogni materia, che
aveva unito il banco con quello del ragazzo accanto e si stavano
scambiando la saliva come due animali in preda agli istinti sessuali.
Si
voltò verso la sua cotta segreta, scoprendolo a fissarla
curiosa e ridacchiò per stemperare l'imbarazzo.
«Tranquillo, qui non ci sono piovre, ma soltanto io. Certo
non ho tentacoli e sicuramente non attenterò a nessuno dei
tuoi arti, ma visto che tutti mi evitano come la peste probabilmente ho
un enorme foruncolo che spaventa gli altri. O potrebbe essere solo la
mia faccia.»
Aspetta... ho appena detto cosa?!
Appena
ebbe collegato tutte le parole che erano uscite come un treno in corsa
dalla sua bocca, Sophie trattenne l'impulso di correre fuori dall'aula
e sbattere con la testa contro il primo muro disponibile. L'unica
fortuna era che nessuno, a parte Kevin, aveva sentito il suo delirio.
In quel preciso istante però, la risata divertita del
ragazzo attirò l'attenzione di tutta la classe, che si
zittì.
«Cosa
c'è di così divertente da ridere in quel
modo?» chiese Connor, procurandole un brivido freddo lungo la
spina dorsale.
«Non
sono affari tuoi, Smith» rispose Kevin. «Invece di
immischiarti in cose altrui perché non continui a ripetere
letteratura inglese? Non vorrai farti bocciare e perdere la tua borsa
di studio, vero?» il sorrisino serafico che
comparì sul volto del ragazzo lo consacrò come
suo eroe personale e se avesse potuto lo avrebbe eletto eroe nazionale
del suo paese.
Lui
si voltò nuovamente verso di lei, ignorando lo sguardo
carico d'odio che gli lanciò Connor. «Posso
assicurarti che non hai nessun foruncolo in faccia. E, ripeto, non
pensare a quello che dicono gli altri, sono solo un branco di
cavernicoli senza cervello.»
«Grazie
mille» gli sorrise grata.
La
campanella che annunciava l'inizio della prima ora suonò e
l'insegnante di aritmetica entrò in classe, zittendo tutti.
*
* *
«Voglio
scappare da questo posto, ora!» brontolò Jane,
mentre lei e Sophie si dirigevano verso l'aula di chimica.
«Non
fare la melodrammatica, chimica non è poi così
male anzi, è una delle materie che preferisco» ed
era così, lei adorava tutte le materie tranne matematica, in
cui riusciva a stento ad avere la sufficienza. Anche se iniziava ad
amare l'aritmetica, se ad ogni lezione avrebbe avuto Kevin accanto,
com'era successo poco prima. Finalmente era riuscita a parlare con lui,
anche se in realtà aveva delirato più che parlato
ma era felice ugualmente! E come sempre l'aveva difesa, era proprio
vero che i ragazzi d'oro esistevano ed era ancora più strano
trovarne uno che fosse un giocatore di football.
«Tu
non conti, visto che sei una secchiona!» esclamò
l'amica, ricatturando la sua attenzione. Entrarono in classe e le due
si separarono, Jane andò a sedersi accanto al compagno che
l'insegnante aveva scelto per lei.
Odiava
quella stupidaggine dei posti assegnati, per fortuna lei era capitata
da sola visto che erano dispari in classe. Meglio sola che accanto ad
uno come Connor...
Represse
un brivido di disgusto e si accomodò sullo scomodo sgabello
in plastica, aprendo il quaderno degli appunti.
«Di
nuovo vicini, mi prenderai per uno stalker.»
Il
suo cuore iniziò a battere furioso, aveva paura di voltarsi
e scoprire che la voce sentita era una sua allucinazione acustica. Ma
la sagoma che scorgeva accanto a lei era di sicuro vera. Si
voltò lentamente e vide, con sua grande gioia, che si
trattava proprio di Kevin. Di nuovo.
«Di
nuovo piovre che ti rubano il posto?» gli chiese, reprimendo
sul nascere un gridolino acuto e leggermente imbarazzante.
Lui
rise, per la seconda volta in meno di due ore, e lei volò
direttamente in paradiso. «No, nessuna piovra questa volta,
ma la professoressa crede che io faccia copiare Steve quindi mi ha
spostato accanto a qualcuno che non ha bisogno di copiare» il
suo sguardo la sondò intensamente e a lungo, tanto da farla
tossichiare nervosa e spostare lo sguardo sul quaderno degli appunti
che aveva davanti. Nessuno l'aveva fissata mai così
intensamente, di sicuro il suo viso era più rosso del
composto chimico a base di ferro che la professoressa aveva lasciato su
ogni banco per la lezione di quel giorno.
«Allora...»
disse per allentare la tensione. «Se la professoressa teme
che tu faccia copiare gli altri, significa che te la cavi in
chimica?» chiese, ma conosceva già la risposta.
Kevin era secondo solo a lei in quelle materie, tranne in matematica in
cui era il migliore dell'intera classe.
«Be',
non per vantarmi, ma posso definirmi il re del laboratorio»
il ragazzo si spostò con fare femminile e vanitoso una
ciocca di capelli immaginaria dalla spalla, facendole scappare una
risatina troppo forte che li fece riprendere dell'insegnante. Per tutto
il resto dell'ora restarono in silenzio, concentrati sull'esperimento
chimico, scambiandosi la parola solo se necessario. I minuti volarono
fin troppo veloci per Sophie, e quando la campanella
annunciò la fine dell'ora, lei avrebbe tanto voluto
possedere una macchina del tempo e ripetere i sessanta minuti daccapo.
Ma da persona realistica qual era, prese le sue cose e
salutò Kevin per raggiungere Jane che l'aspettava fuori
dall'aula.
«Eccomi
Jane, scusami se ti ho fatta aspettare» l'amica se ne stava
appoggiata con la schiena ad uno degli armadietti blu dell'istituto e
stava trafficando con il cellulare.
«Tranquilla,
ho visto che eri piuttosto impegnata con Kevin e non ho voluto
interrompervi» forse era solo sua impressione, ma le
sembrò che la voce di Jane avesse un timbro strano che non
aveva mai sentito prima. La ragazza rispose il cellulare in tasca e le
sorrise dolcemente. Sì, si era sicuramente immaginata tutto,
la lezione di chimica l'aveva davvero stesa.
«La
prossima ora è quella di ginnastica, vero?»
chiese, tremando già al solo pensiero.
«Sì, quindi ti conviene posare quegli orribili
libri di chimica, cambiarti e raggiungere la palestra. Io ti precedo,
se per te va bene.» Sophie annuì e
salutò l'amica. Si avvicinò al suo armadietto e
lo aprì, per posarvi i libri; nello stesso istante un
bigliettino azzurro cadde a terra e lei ripose in fretta e
sgraziatamente i libri prima di raccoglierlo. Lo aprì
alquanto intimorita, chi le aveva infilato quel biglietto
nell'armadietto? Forse Connor o uno dei suoi amici? Ed in quel caso,
cosa c'era scritto? Sicuramente nulla di carino.
Eppure,
Connor non l'avrebbe presa in giro con un semplice biglietto, a lui
piaceva umiliarla pubblicamente. Lo aprì e lesse lentamente;
Cara Sophie,
È scioccante pensare che ci siano
persone come te in questa scuola, e che io non ti abbia mai notata. Le
poche ore passate insieme mi hanno fatto capire che voglio conoscerti
di più, se me lo permetterai. Se anche tu provi lo stesso,
lasciami un biglietto nell'armadietto. Spero in una tua risposta
(affermativa),
Kevin.
Oddio,
era una candid camera? Perché se così fosse
stato, non era per nulla divertente. Lesse il biglietto per altre due
volte e si guardò in giro per vedere se qualcuno stesse
spiando la sua reazione, ma i corridoi erano deserti e tutti gli alunni
avevano già raggiunto le loro classi.
«Mio
Dio, può davvero essere reale?» il cuore
iniziò a battere così forte che temette potesse
esplodere da un secondo all'altro. In fretta, prese il blocchetto degli
appunti e scrisse la sua risposta a Kevin, confessandogli i suoi
sentimenti ed il suo segreto. Errore che avrebbe pagato caro...
Una
volta infilato il biglietto nell'armadietto del ragazzo,
andò nello spogliatoio per cambiarsi prima di raggiungere la
palestra. Pregava solo che l'insegnante non l'avrebbe ripresa per il
suo ritardo, in quel caso avrebbe mentito dicendole che si era sentita
poco bene.
Raggiunse
la palestra e notò l'assenza dell'insegnante.
«Però,
ce ne hai messo di tempo per raggiungerci» la
rimproverò bonariamente Jane, avvicinandosi a lei.
«La
signorina Spencer non è ancora arrivata?» le
sembrava alquanto strano che la donna non fosse già
lì per stenderli con i suoi essercizi al limite
dell'impossibile.
«No,
a quanto pare ha preso una storta alla caviglia cadendo dalle scale
durante la seconda ora e si è fatta accompagnare
all'ospedale. Ora stiamo aspettando che decidano a quale supplente
affidarci» l'amica non sembrava per nulla preoccupata o
dispiaciuta per l'insegnante mentre a lei dispiaceva che la donna si
fosse ferita, per quanto insopportabile.
«Scusate,
posso avere la vostra attenzione?» Carly, la ragazza di
Connor e suo secondo incubo peggiore, era salita sui piccoli spalti che
"abbellivano" la palestra. «Ho un importante cosa da dirvi,
miei compagni ed amici.»
Tutti
i suoi compagni di classe, compresa lei e Jane, si avvicinarono alla
ragazza per ascoltare. Un sorrisino saputo comparì sul suo
volto perfettamente truccato.
«Sapevate
che c'è una persona di sangue reale qui tra noi?»
un coro di risatine divertite si levò dai suoi compagni,
convinti che Carly li stesse prendendo in giro.
Lei
invece si congelò sul posto, le orecchie iniziarono a
fischiare ed il cuore iniziò una maratona infinita.
«Proprio
così» continuò la ragazza.
«Ovviamente non sarei mai riuscita a saperlo nemmeno io, se
non fosse stato per una persona. Il nostro meraviglioso
Kevin.» Carly applaudì e tutti iniziarono a
guardarsi intorno in cerca del ragazzo, ma di lui o dei suoi amici non
c'era traccia.
No. Non è possibile, Kevin non poteva
aver raccontato a Carly del suo segreto!, tentò
di rassicurarsi. Ma il sorriso soddisfatto e cattivo sul viso della
compagna le raccontava altro.
«Ora
vi leggerò una lettera che una sua ammiratrice le ha
scritto, dove confessa sia il suo amore che la sua reale
discendenza» la ragazza estrasse dalla tasca dei pantaloncini
sportivi un foglietto, un foglietto che lei riconobbe: era quello che
aveva lasciato nell'armadietto di Kevin.
Oddio, non può star succedendo davvero...
Presa
dall'ansia, la vista iniziò a sfocarsi e le gambe sembravano
sul punto di cedere.
«Caro
Kevin...» iniziò a leggere Carly, facendole salire
la nausea. «Sono felice di sapere che entrambi proviamo le
stesse cose. Anche per me le poche ore passate assieme sono state
meravigliose, sei una delle poche persone con cui riesco a parlare. In
questa scuola non mi sono fatta grandi amici, ma quei pochi mi bastano.
Inoltre, c'è una cosa che nessuno sa ma vorrei confidare a
te, pregando che tu non mi prenda per pazza. Come quasi tutti sanno, io
non sono di queste parti ma fino a poco tempo fa la mia casa si trovava
in Europa. In un piccolo principato, per essere precisi, ed io ne sono
la futura erede al trono; Sophie Beatrice McIntosh. So che tutto questo
può sembrare assurdo, ma se me ne darai
l'opportunità ti dimostrerò che è la
verità. Pregando che tu non fugga, Sophie» finito
di leggere, ci fu un attimo di silenzio e nessuno aprì
bocca, poi un coro di risate le ferì i timpani e tutti si
voltarono verso di lei.
In
quel momento avrebbe voluto scappare, ma il suo corpo era completamente
incorato al suolo. Non riusciva a credere a ciò che stava
succedendo, Kevin non poteva davvero averla data in pasto ai suoi
compagni di classe.
«Come
ben vedete, abbiamo una reale qui tra noi»
continuò Carly, scatenando altre risate.
«Allora
Sophie, dobbiamo inchinarci?» la prese in giro la voce di una
ragazza che in quel momento non riuscì a distinguere.
Poi
ci furono di nuovo risate. Risate. Risate ed ancora risate.
«Sophie,
quegli abiti orrendi provengono da qualche principesca boutique del tuo
paese?»
Si
ripetevano, le risate. Risate. Crudeli risate.
Finalmente
il suo corpo si riprese e, prima che gli altri potessero vederla
piangere, fuggì via, lasciandosi dietro le risate dei
compagni e la voce di Jane che la chiamava.
Come
aveva potuto Kevin tradirla in quel modo? Perché l'aveva
fatto? L'aveva sempre difesa ed era stato incredibilmente gentile con
lei solo qualche ora prima. Evidentemente era stata tutta una messa in
scena, organizzata con Connor e tutta la squadra di football solo per
prendersi gioco di lei.
Era
stata davvero stupida a cascarci, come aveva potuto credere che Kevin
fosse diverso dai suoi amici? Era bastata qualche parolina carina per
metterla nel sacco.
Con quale coraggio sarebbe andata a scuola il giorno dopo? Non poteva.
Non poteva più guardare in faccia nessuno, soprattutto
Kevin, non dopo quello che le aveva fatto.
Era
giunto il momento di tornare a casa ed affrontare la realtà.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Principato di Bellerosé, cinque anni
dopo...
La
fresca brezza marina le accarezzò il viso e
scompigliò dolcemente i capelli. L'odore della salsedine ed
il suono delle onde che s'infrangevano contro la riva, avevano sempre
avuto il potere di calmarla e farle dimenticare – seppur per
poco – i problemi e le tristezze che
l'affliggevano. Sophie chiuse gli occhi e si godette il momento di
assoluta pace e tranquillità, nessuno sapeva dove si
trovasse – anche se non avrebbero impiegato troppo a trovarla
– quindi tanto valeva apprezzare quegli attimi di dolce
solitudine.
Negli
ultimi cinque anni aveva imparato ad amarla, la solitudine. Era sempre
circondata da guardie del corpo e persone noiose che avevano come unico
interesse il conto da miliardi che avevano portato alle Cayman o
l'ultimo capo firmato, e
completamente orrido, comprato ad una sfilata parigina molto
riservata. Odiava quella vita, con tutta se stessa; continuava a
ripetersi di essere fortunata nel poter vivere in un grande palazzo ed
avere camerieri e cuochi che facevano tutto al posto suo. In
realtà, era normale avere delle cameriere se la tua casa
è talmente grande da poter offrire ospitalità a
tutto il paese, anche se avesse voluto – e ci aveva
provato, scatenando l'ira di sua madre – non sarebbe
stata in grado di pulire tutte le stanze da sola. C'erano giorni in cui
sentiva addirittura la mancanza dei mesi passati in America, e visto
com'era andata lì se preferiva stare là la
situazione era più che chiara.
Ormai
era cambiata, avrebbe saputo tener testa ad una montata come Carly e di
sicuro non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da un manichino
tutto muscoli e senza cervello come Connor. E certamente non si sarebbe
mai innamorata di Kevin...
Pensare
a lui le faceva ancora troppo male, nonostante fosse cresciuta, e
l'avvicinarsi dell'incoronamento la rendeva sempre più
malinconica e... disperata! Non voleva prendere in mano le sorti del
principato, in verità se ne stra fregava alla grande! Voleva
soltanto vivere la vita come una giovane donna qualunque, trovarsi un
lavoro che le piaceva, fare carriera con le sue sole forze e crearsi
una famiglia che di reale non aveva assolutamente nulla.
Molte
volte, dava la colpa di tutto quello proprio a Kevin e ai suoi
amichetti; se non le avessero fatto quello scherzo crudele, lei non
sarebbe mai tornata a casa prima del diploma e di sicuro i suoi
genitori avrebbero capito che poteva cavarsela da sola anche lontano da
casa e crearsi una famiglia lì. Forse avrebbe anche convinto
i suoi ad iscriverla in un college americano, la sua vita sarebbe stata
diversa e lontano da quel posto che ormai le stava troppo stretto.
«Principessa!»
la voce di Leo, la guardia del corpo di suo padre, la fece
rabbrividire.
Erano
stati piuttosto veloci nel trovarla questa volta, o forse era solo lei
che diventava più prevedibile. Quando l'uomo la
chiamò nuovamente, Sophie dovette fare appello a tutto il
suo autocontrollo per non scappare più lontano e rimandare
un incontro che non era possibile evitare: quello con suo padre. Quella
mattina le aveva detto che dovevano parlare urgentemente, lei aveva capito subito di
cosa suo padre dovesse parlarle ed era scappata appena lui si era
chiuso in ufficio. Sin da bambina aveva imparato a svignarsela dal
castello senza farsi notare, cacciandosi sempre in grossi guai, ma
erano quei momenti di libertà e pericolo che la facevano
sentire veramente viva.
La
sola idea di marcire in quella dimora dorata la faceva impazzire,
provava il forte impulso di ribellarsi in ogni modo, anche il
più pericoloso. Aveva addirittura pensato di mettere in atto
il proprio rapimento...
Dei
passi veloci nella sabbia le fecero capire che non poteva
più scappare ormai, Leo l'aveva trovata.
«Sophie...»
l'uomo, vestito completamente di nero nonostante fosse ormai giugno, si
fermò a pochi centimetri da lei. L'aveva chiamata per nome,
questo significava se suo padre era molto arrabbiato e Leo preoccupato
per lei. Stava per succederle qualcosa di grave, dunque, solo quello
avrebbe portato una guardia del corpo come lui ad usare un tono tanto
incerto e confidenziale.
«Ho
capito» si limitò a rispondere. Non c'era bisogno
di dire nulla in effetti, avrebbe dovuto scusarsi per essere scappata?
Certo, avrebbe potuto, ma non ci avrebbe creduto nessuno, lei per prima.
L'uomo
annuì e si allontanò lentamente per lasciarle gli
ultimi attimi di privacy. Sophie ammirò per l'ultima volta,
quel giorno, il tramonto che si specchiava nelle acque del mare e
chiuse gli occhi per godere fino all'ultimo istante rimasto la dolce
brezza marina. Alla fine, dovette costringersi a seguire Leo che
l'aspettava poco distante.
*
* *
«Si
può sapere cosa ti è saltato in
testa?!» la voce di suo padre era talmente alta e furiosa da
poter quasi scuotere quel palazzo centenario. Sophie, se fosse stata
ancora una bambina, avrebbe tremato dinanzi a quella sfuriata, ma aveva
più di ventidue anni ed era stanca di sentirsi dire cosa
poteva o non poteva fare. C'erano reali che si comportavano anche
peggio di lei ed erano molto più famosi, il suo principato
non lo conosceva nessuno quindi avrebbe potuto tranquillamente
passeggiare per il paese con il sedere all'aria, gli unici che si
sarebbero sconvolti erano i cittadini stessi.
«Sparire
proprio il giorno della prova per l'incoronazione!»
continuò suo padre, iniziando a camminare nervoso nella sala
del trono. Sophie smise di seguirlo dopo un po', captò solo
le parole "figlia", "ingrata" e "sconsiderata" quindi nulla che non
avesse già sentito. «Ma ora basta, Sophie, non
andrai più in giro per il paese senza avvisare o senza avere
qualcuno che ti controlli!» Sbraitò l'uomo.
«Spero
tu stia scherzando! Non ho più cinque anni e sono libera di
andarmene in giro dove e quando voglio!» va bene ripeterle
che doveva evitare certi comportamenti o almeno avvertire quando
usciva, ma addirittura proibirle di uscire senza una guardia era
assolutamente esagerato. Avrebbe trovato comunque il modo di andare via
senza farsi notare, anche con mille cloni di Leo alla porta.
«Lo
hai voluto tu, tesoro, manca poco ormai all'incoronazione e non posso
permettere che tu te ne vada in giro sola e senza avvisare, sei un
pericolo per te stessa» lo sguardo risoluto di suo padre le
fece capire che faceva proprio sul serio e questo la gettò
nel panico. Non poteva perdere quel poco di libertà che
aveva!
«Ma...
l'unica guardia del corpo presente al palazzo in questo momento
è Leo, visto che hai mandato le altre con mamma»
gli fece presente. Sua madre era partita la settimana prima per le
Bahamas, una vacanza con le amiche l'aveva definita, e suo padre aveva
mandato tutte le guardie del corpo, eccetto Leo ovviamente, con lei.
Suo
padre si voltò finalmente verso di lei, la fissò
intensamente per qualche secondo ed infine sorrise.
«È per questo motivo che ne ho assunta un'altra,
una assegnata solo a te.»
«Che
cosa?!» quella notizia la sconvolse e vide la propria,
piccola, libertà volare dalla finestra.
«Resterà
accanto a te ogni ora di ogni giorno, dormirà persino nella
tua stessa camera. Sarai costantemente sorvegliata.»
Dormire nella stessa stanza?
Suo
padre era completamente impazzito!
«Nessuno
dormirà in camera mia eccetto me! E se fosse un pazzo e
tentasse di infilarsi nel mio letto?» Sophie provò
il forte impulso di piangere e scalciare come una bambina viziata. Non
riusciva a credere alle proprie orecchie, già non riusciva a
rassegnarsi ai propri dover ed ora doveva invece rassegnarsi a vedersi
portare via i pochi attimi che aveva per lei. La sua privacy ormai non
esisteva più.
«Ho
scelto personalmente l'uomo che dovrà proteggerti.
È un ex marine ed è il miglior poliziotto del
dipartimento di New York. Vedrai che con lui sarai in ottime
mani.»
«New
York? Un ex marine? Ma dico, sei impazzito? Solo perché
è un poliziotto automaticamente lo togli dalla lista dei
possibili psicopatici?» Ormai esausta e con le gambe tremanti
per la rabbia, Sophie dovette cercare sostegno in uno dei pilastri in
marmo che abbellivano la sala.
«L'ho
scelto personalmente, ti dico, vedrai che sarai in mani
sicure» il tono di suo padre divenne freddo come il ghiaccio,
odiava che si mettesse in discussione la sua capacità di
giudizio. L'uomo si voltò verso la porta e lei
considerò l'idea di gettarsi dalla finestra.
«Signor Diaz, entra pure?»
Diaz? Quel nome non le era nuovo...
La
grande porta venne aperta lentamente e l'uomo misterioso fece il suo
ingresso nella sala. Appena i suoi occhi si posarono su di lui, Sophie
perse la capacità di respirare.
Alto
un metro e ottanta, se non di più, pelle color caramello,
capelli neri, una bocca vietata ai minori di tre anni e due occhi di un
azzurro intenso... no,
impossibile, si disse raggelata.
Quello
non poteva essere... «Kevin?!»
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
«Kevin?!»
La gola le si fece improvvisamente secca e le sembrò di
perdere l'uso della voce perché il grido di rabbia che
avrebbe voluto lanciare contro di lui nacque e morì tra le
sue corde vocali.
«Sì,
signorina. Ai vostri ordini» rispose, imitando anche uno
svogliato inchino senza nasconderle una smorfia, come se il solo
pensiero di prostrarsi al suo cospetto lo disgustasse e questo non fece
altro che far aumentare la sua ira. Quel bastardo si ricordava di lei?
Di cosa le aveva fatto? Se così era, non dava segni di
averla riconosciuta o forse era proprio per quello che sembrava tanto
irritato nel doversi inchinare? Ad ogni modo, non avrebbe mai accettato
che quell'essere diventasse la sua guardia del corpo e che dormisse
nella sua stanza, per giunta!
Grazie
alla rabbia e al rancore, la gola intorpidita si risvegliò e
con essa anche la sua voce.
«Mai!»
gridò con tutto il fiato che aveva, facendo sobbalzare gli
uomini presenti. «Non accetterò mai che lui sia la
mia balia! Non ho cinque anni. Vuoi che eviti anche di uscire in
veranda per prendere un po' d'aria? Bene! Ma nessuno mi
starà incollato al culo ventiquattro ore al giorno come un
randagio in cerca di cibo.»
Il
viso di suo padre si tinse di un rosso talmente intenso da far
impallidire le rose scarlatte piantate in giardino e i rubini della
madre. «Sophie Beatrice McIntosh!» tuonò
collerico, facendo sussultare Leo alle sue spalle. «Come osi
parlare in modo così volgare? Che fine ha fatto l'educazione
che ti abbiamo impartito?!»
Stava
per urlargli un "l'ho buttata nel cesso, proprio come hai fatto con i
soldi con cui me l'hai pagata", ma si morse la lingua e tacque.
«Si
farà come dico io» continuò suo padre.
«Il signor Diaz è la tua guardia del corpo e
così sarà fino a quando io lo
vorrò!»
Nella
stanza cadde il silenzio, suo padre e Leo si aspettavano di sicuro
un'ennesima obiezione da parte sua, ma così non fu.
Capì che non avrebbe mai ottenuto nulla scalciando e
strepitando come una bambina viziata, così decise di fare
buon viso a cattivo gioco.
Stirò
lentamente le labbra in un sorrisino apparentemente dolce, serafico e
falsamente pentito, notando compiaciuta l'espressione allibita comparsa
sul volto del padre.
«Come
voi desiderate» disse prima di voltarsi ed uscire lentamente
dalla stanza.
Una
volta chiusasi la porta alle spalle, iniziò a correre come
un cervo inseguito dai cacciatori - ed effettivamente si sentiva
così - verso la propria stanza. Non avrebbe accettato mai
quell'ultima insana trovata di suo padre, era stanca di sottostare e di
sentirsi ostaggio in casa sua; era arrivato il momento di agire. Sul
serio.
Chiuse
a chiave la porta della propria camera da letto e prese un borsone
dall'armadio, riempiendolo di vestiti comodi e gioielli che avrebbe
potuto impegnare in caso il suo piano si sarebbe rivelato un
fallimento. Doveva tornare in America, in fretta! Nel suo paese
vigevano regole particolari e anche se era maggiorenne non poteva
né opporsi ai suoi né essere libera,
poiché il suo ruolo era quello di regnare. Un destino
veramente schifoso, voleva abdicare ma suo fratello aveva solo
diciassette anni ed era un immaturo irresponsabile secondo i suoi. Non
che fosse falso, ma Richard lo sembrava semplicemente perché
aveva più libertà di lei, più amici, e
le sue priorità erano altre e non prevedevano il trono. Era
assurdo che proprio lei dovesse prendere il posto di suo padre.
Sì, era la primogenita, ma di solito la gente non preferiva
gli uomini alle donne per questi ruoli? Il mondo era proprio cambiato,
in meglio ovviamente, però in questo caso una
mentalità misogina le avrebbe fatto scampare tutto quello.
O forse tuo padre ti avrebbe costretto a sposare un
ricco e vecchio bavoso maniaco,
le suggerì la coscienza.
Sì,
forse sarebbe stato così, ma ad ogni modo non era quello il
momento di pensarci visto che un'eventualità del genere non
si sarebbe mai presentata. In quell'attimo era più
importante trovare un modo per lasciare il paese senza essere fermata
da nessuno, Kevin poteva essere un grosso problema in quanto ex marine.
Sospettava fosse un'abile segugio e non doveva sottovalutarlo. Si mise
il borsone in spalla e si avvicinò alla grande libreria che
occupava tutta la parete destra della stanza, prese una vecchia bibbia
e la inclinò di poco verso sé; sentì
il suono di uno scatto ed il pesante mobile in legno di noce si
staccò di qualche centimetro dalla parete.
Sorrise
vittoriosa e si affrettò ad infilarsi nello stretto cunicolo
dietro alla libreria. Si trattava di un vecchio passaggio segreto,
costruito per fuggire durante gli attacchi e le invasioni; quel
castello era così vecchio che nessuno ormai si ricordava di
quei passaggi. Lei stessa li aveva scoperti per puro caso da bambina,
giocando a nascondino con suo fratello. Li aveva usati spesso per
sgattaiolare dal palazzo senza essere notata, anche se preferiva
scappare dall'entrata principale per prendersi gioco delle guardie e
dare una lezione a suo padre. Era certa che in quel modo nessuno
l'avrebbe seguita, aveva il tempo necessario per uscire e prendere un
taxi che la portasse in aeroporto; lì tutto si sarebbe
complicato. Per uscire dal paese avrebbe dovuto mostrare un documento
ed aveva paura che riconoscendola non l'avrebbero fatta partire.
Be', mi inventerò qualcosa.
Doveva
rischiare e provare, non si sarebbe arresa così facilmente!
*
* *
Kevin
non riusciva a credere ai suoi occhi, quel posto era schifosamente
lussuoso ed enorme! Era sicuro che al posto di quel castello avrebbero
potuto costruire almeno dieci palazzi ed un parco, dando una casa ad un
bel po' di gente; invece quell'enorme proprietà apparteneva
solamente a quattro persone.
La
scenetta della principessina viziata a
cui aveva dovuto assistere poco prima gli aveva fatto quasi perdere il
posto per la voglia matta che aveva avuto di ridere, ma si era
controllato come al solito. Odiava già quell'incarico,
tuttavia non aveva potuto rifiutarlo visto che non aveva il becco di un
quattrino e doveva assolutamente ripagare il debito che aveva con sua
sorella e l'affitto arretrato di quattro mesi, se voleva rimettere
piede nel suo appartamento. Era stato felice di ricevere quel lavoro,
ma non gli avevano detto che la persona da proteggere sarebbe stata la
principessina viziata di un paese talmente piccolo da essere stato
rifiutato dal mappamondo.
Solo due settimane, Kevin, poi prenderai i
duecentomila dollari e te ne tornerai a casa.
Sospirò
per darsi forza, ma soprattutto pazienza, e arrivò davanti
alla grande porta della camera di Sophie; poteva chiamarla per nome?
Bussò due volte con leggerezza e delicatezza ma, come aveva
sospettato, non ricevette nessuna risposta, nemmeno un irritato invito
ad andarsene a quel paese.
Odio le donne viziate, pensò
ringhiando e tentò di aprire la porta fregandosene della
privacy, ovviamente la trovò chiusa. Leo però
l'aveva già messo in guardia: «Probabilmente la principessa si
sarà chiusa dietro, quindi ti darò un
passepartout per entrare».
Saggia
decisione, se la conoscevano così bene significava che la
ragazza ne aveva già combinate parecchie. Aprì la
porta ed entrò in camera, tentando di non sorprendersi della
grandezza di quella sola stanza - più grande anche del suo
appartamento - e preparandosi all'uragano rabbioso di
altezzosità che l'avrebbe investito a momenti. Si
fermò al centro della stanza e attese che la biondina si
accorgesse di lui, cosa che non avvenne mai perché della
giovane donna non c'era traccia. Allarmato, corse in bagno senza
nemmeno bussare, ma anche lì non c'era alcuna traccia di
lei. Trattenne un'imprecazione alquanto volgare ed iniziò a
guardarsi in giro per capire cosa fare, non era certo che la donna
fosse scappata in così poco tempo. Come un idiota,
guardò sotto il letto, trovando il nulla. Che fosse andata
in cucina o in giardino?
Fece
per uscire, e proprio in quel momento l'enorme armadio semi aperto
attirò la sua attenzione. Lo aprì di scatto, con
un gesto furioso ed anche lì non vi trovò nulla
anzi, notò che alcuni abiti erano spariti dalle grucce.
«Cazzo!»
esclamò. Quella stronza era scappata per davvero!
*
* *
Era stata fortunata, molto fortunata...
Sophie
uscì dall'aeroporto e si infilò in fretta in uno
dei pochi taxi liberi. In qualche modo era arrivata in America senza
nessun problema né inseguita da guardie del corpo dalla
stessa cupa espressione. Di sicuro suo padre credeva che lei si
nascondesse ancora in paese, quanto ci sarebbe voluto prima che la
trovassero? Sperava tanto che ciò non accadesse tanto
presto, voleva vivere la sua vita in modo normale come ogni altra
donna. Diede al conducente l'indirizzo di casa di Jane, la sua migliore
amica; erano passati cinque mesi dall'ultima volta che l'aveva vista ed
era sempre stata la ragazza ad andare da lei e mai viceversa, ma questo
era ovvio.
Non
riusciva ancora a capire come Jane potesse essere rimasta sua amica
visto che abitava in un altro stato e non aveva il diritto nemmeno di
mettere piede fuori dal giardino privato del castello, non senza scorta
o genitori. Per fortuna aveva trovato un'amica fidata e sincera, che le
voleva bene nonostante la distanza e si ricordava di chiamarla tutte le
sere per chiederle della sua giornata e tirarle su il morale. Se solo i
suoi genitori l'avessero capita come la capiva Jane...
Spostò
lo sguardo fuori dal finestrino, fissando le strade notturne di New
York con nostalgia ed un senso di appartenenza, come se fosse tornata a
casa da un lungo viaggio e questo era davvero strano visto il calvario
passato lì durante l'adolescenza. Eppure era
così, si sentiva a casa, felice e libera di vivere.
*
* *
«La
rivoglio qui entro sera!»
Kevin
respirò a fondo, cercando di controllare i nervi pronti a
saltare da un momento all'altro. Il padre della principessina viziata
stava urlando la stessa frase da almeno mezz'ora, esattamente da quando
aveva avvertito tutti che la donna era sparita con la stessa
velocità ed invisibilità di un agente della C.I.A.
«Sì,
ho capito che la rivuole indietro, ma gridarlo ogni due minuti non la
farà ricomparire per magia né ce la
farà ritrovare per incanto. Signore.» Rispose,
ormai al limite, guadagnandosi un'occhiataccia dal grande sovrano.
«So
benissimo che non comparirà per magia, ma non sto vedendo
nessuno di voi idioti mettersi all'opera per trovarla!»
l'uomo gli si avvicinò con aria di superiorità ed
un'espressione minacciosa, o almeno quella era l'intenzione
perché sembrava solo un pazzoide con gli occhi storti.
Kevin
superava quell'idiota borioso di almeno trenta centimetri ed avrebbe
potuto stenderlo in meno di un secondo solo torcendogli il braccio, ma
fortunatamente la sua pazienza resisteva ancora, a stento ma resisteva.
«Senta, brutto idio...»
«Signore!
Signore!» il grido di Leo bloccò, per
chissà quale miracolo, l'insulto che stava per rivolgere al
proprio datore di lavoro.
Un lavoro che ti serve, stupido, gli
ricordò la sua coscienza più lucida e calma di
lui.
«Soph...
la principessa è stata vista all'aeroporto quasi due ore
fa!» Leo consegnò delle foto all'uomo e Kevin non
ebbe bisogno di vederle per capire di cosa si trattasse. Quindi quella
pazza furiosa è riuscita a scappare non solo dal castello ma
addirittura dal paese?
«Dimmi
che quella pazza non ha preso un aereo, per favore» l'uomo si
coprì il volto con le mani, sospirando stancamente, come se
non ne potesse più.
«Mi
dispiace...» la guardia del corpo abbassò lo
sguardo colpevole, come se tutta la colpa per quella storia fosse sua;
eppure non era stato mica lui a piazzare il sedere della principessa
pazza sull'aereo.
«Dove?»
chiese semplicemente l'uomo.
«In
America» rispose Leo. Il padre di Sophie imprecò
animatamente, abbassandosi al gergo del più cafone degli
scaricatori di porto. Kevin invece trovò quell'informazione
molto gradevole, lui era americano e la nobile viziata si era appena
messa nel sacco da sola; l'avrebbe scovata in meno di due giorni.
«Lasciate
a me il compito di portarla a casa» quella richiesta fece
voltare i due velocemente verso di lui. Leo lo guardava sorpreso mentre
"l'altezza reale" aveva un sopracciglio inarcato, come se dubitasse
delle sue capacità. E dire che solo fino a qualche ora si
era vantato con la figlia delle sue qualità... i ricchi!
«Come
mai questa richiesta» chiese il regnante.
«Io
sono americano, per me sarà molto più facile
trovarla; inoltre ho conoscenze in tutto il paese» la sua
spiegazione sembrò convincerlo, perché lo vide
pensarci attentamente e Kevin sapeva di aver già vinto.
«Va
bene» acconsentì infatti l'uomo. «Ma ti
do solo una settimana di tempo, se entro sette giorni non sarai di
ritorno con mia figlia, manderò tutti gli agenti possibili a
cercarti e sarai licenziato» lo avvertì.
Kevin
annuì annoiato, sette giorni erano più che
sufficienti anzi, avrebbe avuto anche il tempo di farsi una bella
vacanza prima di tornare in quel posto per star dietro ad una ragazzina
viziata e melodrammatica. Anche se, con un padre del genere, non poteva
di certo biasimarla per il suo gesto; sarebbe scappato anche lui.
*
* *
«Spiegami
di nuovo perché sei qua e non col sedere seduto su un
trono!» il tono di rimprovero dell'amica la fece sentire come
una bambina disobbediente beccata a marinare la scuola. Non era di
certo l'accoglienza che si era aspettata da Jane quando aveva bussato
alla sua porta. Si mosse nervosa sulla poltrona, spostando lo sguardo
sulla carta da parati rosa dell'amica come una codarda, non riusciva a
guardarla negli occhi ed ammettere che non aveva nessun'intenzione di
tornare a casa. Sapeva lei non avrebbe gradito, per qualche strano
motivo l'amica vedeva solo la facciata dorata della sua vita e non la
verità putrida che si nascondeva dietro. Credeva che essere
principessa fosse una pacchia fatta di comodità e privilegi,
e di certo era così in parte, ma c'erano anche molte regole
e responsabilità non trascurabili.
«Sono
qui perché intendo rimanere, per sempre» ammise
infine, spostando lo sguardo sulle sue scarpe.
«Tu
sei completamente pazza» affermò Jane prima di
sospirare profondamente. «Hai almeno una vaga idea delle
conseguenze del tuo gesto?»
«Certo
che ce l'ho!» sbottò nervosa. Era stanca di dover
pensare sempre a come le sue azioni avrebbero influito sugli altri.
Sì, era fuggita in un attimo di pazzia, ma in
verità erano mesi che ci pensava e con esso ovviamente aveva
anche pensato alle conseguenze e al putiferio che avrebbe scatenato con
un gesto simile. Ma, dannazione, non le importava proprio un accidente!
«Sono
stanca, Jane» continuò, «stanca di dover
soppesare ogni mio gesto, ogni mia parola solo perché
potrebbe portare vergogna a qualcuno o essere mal interpretato. Vorrei
poter urlare una parolaccia senza che mi fissino sconvolti manco avessi
celebrato un rito isoterico. Quindi per favore evita di farmi la
paternale, se puoi ospitarmi te ne sarei grata altrimenti cerco un
hotel senza nessun rancore.»
«Certo
che puoi restare! Non ti stavo mica cacciando via, voglio solo che tu
sia consapevole che il tuo gesto non avrà conseguenze solo
su di te e devi essere pronta a sopportare ogni scandalo che si
presenterà, per non parlare dei paparazzi che ti
perseguiteranno. Perché prima o poi scopriranno dove ti
nascondi» Jane le strinse una mano tra le sue, e per la prima
volta dal suo arrivo le regalò un sorriso incoraggiante che
la fece sentire meno sola e più forte.
«Allora,
ora che sei qui non puoi di certo chiuderti in casa. Dobbiamo uscire e
divertirci!» esclamò l'amica e lei
annuì trepidante. Nonostante fosse spossata per il lungo
volo e per la discussione che aveva avuto con suo padre, non si sarebbe
persa una serata di divertimento per nulla al mondo. C'erano un sacco
di cose che voleva fare e vedere prima che la ritrovassero e
rinchiudessero nelle segrete per sempre. Tanto vale approfittarne e
fare anche qualche sciocchezza già che c'era.
L'amica
la fece alzare dalla poltrona e la fissò con lo stesso
sguardo che un leone avrebbe rivolto ad una povera gazzella.
«Ho sempre sognato di poterti vestire e truccare come una donnaccia
per portarti nei locali, oggi finalmente quel sogno si
avvera» Jane fece finta di asciugarsi una lacrima immaginaria
e lei iniziò a preoccuparsi.
Vestirsi come una donnaccia? Dove aveva intenzione
di portarla?!
«Forza,
in camera mia!» venne spinta con poca grazia verso le scale
che portavano al piano superiore e Sophie sentì un gelido
brivido di terrore e preoccupazione percorrerle la spina dorsale.
Sentiva già che si sarebbe pentita di lasciare la scelta del
suo vestiario all'amica, ma era anche elettrizzata perché
non aveva mai fatto quel genere di cose e le sembrava quasi di essere
ritornata adolescente. Ma non lo era, era un'adulta e così
avrebbe dovuto comportarsi. Eppure scappare dal proprio paese per
sfuggire alle proprie responsabilità non era di certo un
comportamento molto maturo.
Ma sì, si disse. Al diavolo tutti, sono qui per divertirmi e
riprendermi gli anni che ho perso!
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Appena
Kevin atterrò sul suolo americano tirò un sospiro
di sollievo, finalmente era a casa tra la gente comune, o quasi.
Tirò fuori dalla tasca della giacca il cellulare e compose
il numero di Miles, suo amico ed ex commilitone, lui era l'unico in
grado di aiutarlo nella sua ricerca e di fargli guadagnare tempo.
«Miles
Miller, chi parla?» la voce profonda dell'amico lo
riempì di nostalgia, e si ripromise di fargli una visita
appena l'incarico fosse stato portato a termine.
«Ehi,
sono io»
«Kevin?
Allora sei vivo, che favore ti serve?» la domanda in un primo
momento sarebbe potuta risultare infastidita o arrabbiata, ma il tono
ironico dell'uomo non lasciava spazio a dubbi; non lo odiava, ancora...
di certo non l'avrebbero eletto amico dell'anno vista la sua brutta
abitudine di non chiamare mai nessuno, eccetto sua sorella, anche solo
per assicurarsi che quella persona fosse viva. Miles lo conosceva,
quindi anche se raramente gli faceva una telefonata, e quasi sempre per
un favore, non se la prendeva ed accettava questo lato del suo
carattere. Lui ci sarebbe sempre stato per i suoi amici, ed anche se
non si interessava alla loro vita non significava che non tenesse a
loro.
«Dovresti
per favore rintracciare i movimenti del passaporto di Sophie Beatrice
McIntosh. E' scappata di casa ed io ho il compito di riportarla
indietro entro sette giorni» grugnì infastidito a
quella frase, non si era ancora rassegnato al fatto di dover fare da
tata ad una donna che, legalmente, avrebbe dovuto essere adulta.
«Sei
diventato un detective privato per caso?» lo prese in giro
l'amico, irritandolo ancora di più.
«Preferirei
non parlarne» mugugnò come un cane offeso.
«Come
vuoi» sospirò l'uomo dall'altro lato.
«Dammi un paio d'ore e ti dirò anche quando la tua
fuggiasca è andata in bagno l'ultima volta.»
«Quell'informazione
puoi tenertela per te, comunque grazie. A dopo»
riagganciò e si sistemò la sacca con le sue cose
sulle spalle prima di avviarsi verso la fermata dell'autobus. Avrebbe
preferito chiamare un taxi ma aveva poco denaro con sé e
preferiva spenderlo per mangiare, anche se ciò significava
aspettare più di mezz'ora in piedi come un salame.
Si
massaggiò il ginocchio dolorante, odiava quando il dolore
all'arto si risvegliava - cosa che accadeva spesso -
perché gli ricordava cosa aveva perso per sempre. Al liceo
era una promessa del football e diversi college avevano messo gli occhi
su di lui, ma Connor, il capitano della squadra, geloso
dell'interessamento su di lui gli aveva tirato un brutto tiro e
rovinato la carriera. Al solo pensarci sentiva montare una rabbia
cieca, non era riuscito a rassegnarsi nonostante fossero passati anni.
Era questo uno dei motivi per cui si era arruolato, aveva sperato che
facendo qualcosa di utile per il suo paese avrebbe trovato la pace e la
gratificazione che cercava, ma andare in guerra lo aveva soltanto
stravolto di più e si era congedato una volta tornato in
patria.
Se
solo avesse potuto mettere le mani su quel bastardo di Connor...
L'autobus
si fermò proprio in quell'istante accanto a lui e Kevin si
affrettò a salire velocemente pregando di trovare posto,
cosa che non accadde e per il suo ginocchio si prospettava un viaggio
pieno di buche e scossoni tutt'altro che piacevoli.
Mezz'ora
dopo, con sollievo e dolore, scese da quel mezzo di trasporto atroce e
tentò di placare il pulsare incontrollato al ginocchio con
un leggero e veloce massaggio. La suoneria del suo cellulare
però lo distrasse, tirò fuori il telefono dalla
tasca e se lo portò velocemente all'orecchio.
«Pronto,
Miles. Novità?» pregava proprio di sì
perché era già sfinito e non vedeva l'ora di
coricarsi con una bella notizia.
«Una
specie» gli rispose enigmatico. «La tua bella
è atterrata esattamente dove sei atterrato tu poche ora fa,
il che è veramente una gran botta di culo per te, ma
sfortunatamente non ha usato carte di credito né documenti
con cui poter rintracciare i suoi movimenti dopo
l'atterraggio.»
Kevin
imprecò animatamente a quella notizia, la principessa fessa
aveva deciso di farlo ammattire e ci stava riuscendo!
«Calmati
principe azzurro» lo prese in giro Miles. «Ho fatto
ricerche sulla sua intera vita ed ho scoperto che ha un'amica che vive
proprio lì, e fortunatamente questa tizia ha usato la sua
carta di credito proprio dieci minuti fa in un night club lì
vicino. Ti mando l'indirizzo per messaggio. E ricordati che non puoi
bere, sei in servizio» lo sbeffeggiò nuovamente
l'amico, e prima che potesse rispondergli e chiedergli chiarimenti
l'uomo riagganciò e subito dopo ricevette l'indirizzo del
locale. Non si trovava troppo lontano da dove si trovava lui, ma con il
ginocchio andato si chiese se avesse avuto la forza di caricarsela in
spalla e portarla via.
Maledetta
pazza viziata, era scappata per divertirsi nei locali notturni mentre
lui doveva combattere con la sua condizione di mezzo zoppo, non lo
entusiasmava per niente l'idea di doverla trascinare via tra la calca
di gente sudata e strafatta ma aveva solo sette giorni e nulla le
vietava di cambiare nuovamente stato il giorno dopo, in quel caso
trovarla non sarebbe stato tanto facile. Una cosa era certa, era stato
davvero fortunato ad averla trovata così in fretta e nella
sua stessa città per di più!
Si
passò una mano tra i capelli in un gesto di rabbia repressa
e sbuffò sonoramente. Tanto valeva togliersi il dente a quel
punto.
*
* *
Sophie
tentò, per la milionesima volta quella sera, di abbassare
l'orlo del vestito succinto che indossava. Sapeva che non avrebbe
dovuto mai permettere a Jane di vestirla secondo il proprio gusto ed
ora si malediva per non aver dato ascolto al suo istinto. Si
avvicinò al bancone per lasciarvi il bicchiere colmo dello
strano cocktail azzurro che sempre l'amica le aveva ordinato, non ne
aveva bevuto neanche un sorso e fissando tutte quelle persone ubriache
che si palpavano e molestavano senza neanche accorgersene seppe di aver
fatto la scelta giusta. Almeno quella.
Posò
sul bancone il bicchiere e proprio quando stava per allontanarsi e
raggiungere Jane sulla pista, venne afferrata per il polso da qualcuno
e dopo qualche secondo si ritrovò sbattuta contro un corpo
sudato.
«Ehi
bellezza, perché non balli un po' con me?» l'alito
dello sconosciuto puzzava così tanto di alcol che se lo
avesse annusato ancora una volta si sarebbe ubriacata anche lei.
«No,
grazie» tentò di liberarsi gentilmente, ma lo
sconosciuto non sembrava deciso ad arrendersi e la spinse nuovamente
contro il suo corpo sudato e puzzolente.
«Vedrai
che ti divertirai» insistette.
«Ho
detto di no!» questa volta Sophie mandò al diavolo
le buone maniere e gli piazzò una ginocchiata in mezzo alle
gambe che lo fece piegare in due, poi lo spinse via facendolo cadere a
terra e si allontanò velocemente ignorando l'insulto che lui
le lanciò dietro.
Quella
era la sua prima ed ultima volta in un night club, si ripromise. Quel
posto era assolutamente abominevole, la musica orribile ed il tanfo che
si respirava le provocava solo nausea. Forse non era il tipo di ragazza
a cui piaceva uscire la sera per ballare, ma almeno aveva avuto la
possibilità di sperimentare e scoprirlo. Anche se era stato
spiacevole.
L'indomani
sera, se fosse stata ancora là, avrebbe preferito una
tranquilla serata al bowling; non c'era mai stata! Quell'idea la mise
di buon umore e si fece strada tra la gente che ballava per raggiungere
l'uscita, voleva respirare un po' di aria fresca e non quel puzzo
insopportabile.
Proprio
mentre si avvicinava all'uscita, venne nuovamente afferrata per un
polso e sbattuta contro un muro.
No, non di nuovo!
Tentò
immediatamente di liberarsi, ma questa volta lo sconosciuto le
afferrò entrambi i polsi, la sua presa era diversa da prima,
ora le sembrava più forte e meno sudata.
Anche
l'odore che le arrivò alle narici non era quello orribile di
alcol misto a sudore, ma acqua di colonia, una che le sembrava
familiare.
«Ti
ho trovata, principessa» la voce di Kevin, un sussurro basso
e roco contro il suo orecchio, la fece tremare come una foglia ed
alzò di scatto il volto verso di lui, ritrovandosi
così faccia a faccia con l'uomo.
Tentò
nuovamente di liberarsi in preda al panico, ma lui la
intrappolò contro il muro usando il suo corpo. Poteva
chiaramente percepire il suo petto duro contro il proprio e per,
qualche strano motivo, che la irritò, il suo corpo rispose
immediatamente come un magnete. All'improvviso l'aria in quel locale si
fece incandescente e respirare le era praticamente impossibile.
Lui
avvicinò nuovamente le labbra al suo orecchio e Sophie non
poté trattenere l'ennesimo brivido che la scosse,
fortunatamente Kevin credette fosse un brivido di paura
perché lo sentì sorridere contro la sua pelle.
«Ora,
principessa, noi due ce ne andremo da qui e tu non ti
opporrai» le sussurrò compiaciuto.
Brutto bastardo, pensò
sentendo la collera montare dentro. Non voleva ancora tornare a casa,
c'erano troppe cose che non aveva fatto e Kevin non le avrebbe rovinato
quella fuga.
Tentò
di colpirlo nei gioielli come aveva fatto con lo sconosciuto di prima,
ma lui intercettò la sua mossa e portò una mano
sulla sua gamba per fermarla. Il contatto con la pelle ruvida del suo
palmo le fece girare la testa e si odiò per quella reazione,
ma il suo corpo sembrava ignorarla ed agiva per conto proprio, tremando
ed inarcandosi contro la propria volontà. Chiuse gli occhi e
respirò a fondo per darsi una calmata, ed appena fu certa di
non tradirsi tornò a fissarlo negli occhi. Le sue iridi
azzurre brillavano di un'emozione pericolosa, che la fece sentire una
preda al cospetto del predatore.
«E
se... e se io non volessi?» trovò la forza di
rispondere.
Vide
le sue labbra stirarsi lentamente in un sorrisino bastardo, quasi si
aspettasse quella risposta e sapesse già come zittirla.
«Che
tu lo voglia o no non ha importanza, verrai con me o ti
caricherò in spalla. Scegli tu.»
Sophie
sapeva che non scherzava affatto, ma non era ancora pronta ad
andarsene, non voleva tornare a casa. No! Non così presto!
Non
si rese conto di star piangendo fino a quando l'espressione di Kevin
non mutò da soddisfatta a confusa.
«Davvero?
Vuoi usare la carta delle lacrime? Perché con me non
funziona» la sua espressione si indurì e la
mascella si contrasse.
Non
sapeva se era peggio piangere di fronte a lui o che lui credesse fosse
tutta una recita per impietosirlo. Rimase lì, bloccata tra
il muro ed il suo corpo, senza sapere cose dire o fare; si sentiva in
trappola.
«Va
bene» pronunciò in fine e lo vide alzare un
sopracciglio in un'espressione cauta. «Verrò con
te senza fare proteste, ma ad una condizione.»
Kevin
credette di aver avuto un'allucinazione acustica. Davvero quella pazza
scappava dall'altro lato del mondo, lo costringeva a seguirla fin
lì ed aveva anche il coraggio di chiedergli un accordo?
Certo, come no...
«Cosa
ti fa credere di essere nella posizione di chiedere un
accordo?» le sussurrò freddo. Era stanco dei
giochetti di quella donna, non si fidava per niente di lei ed era
sicuro che se avesse abbassato la guardia lei se la sarebbe data a
gambe e non poteva permetterlo.
«Il
fatto che, se non mi ascolti, mi metterò a gridare e ti
farò arrestare per molestie» gli disse, facendo
comparire sul bel viso un sorrisino serafico che lo mandò in
bestia.
«Ti
ricordi di essere in un locale con la musica ad alto volume e persone
talmente ubriache o fatte da non ricordarsi nemmeno come si chiamano,
vero?» come minaccia non era stata niente male, doveva
ammetterlo, la ragazza aveva un po' di cervello ma lo usava male.
«Sì
che me lo ricordo, infatti il buttafuori ci sta fissando esattamente da
quando mi hai sbattuta contro il muro e se nota anche solo un mio
tentativo di aiuto... be', sai come andrà a
finire.»
Kevin
guardò con la coda dell'occhio l'enorme bestione accanto
all'uscita. Effettivamente l'uomo lo stava fissando con sospetto e
questo non andava bene, se Sophie avesse provato a liberarsi sul serio
o a gridare di sicuro si sarebbe ritrovato con le manette ai polsi e
lei libera di sparire per sempre; quasi quasi l'idea non gli
dispiaceva...
«E
va bene, ti ascolto» disse a denti stretti. Orgoglioso
com'era non gli piaceva perdere in nessun caso, e quella principessa
viziata aveva appena guadagnato un punto.
La
vide sorridere soddisfatta, ma durò poco e divenne
nuovamente seria. «Ti chiedo soltanto un altro paio di giorni
da passare qui. Sono sempre stata chiusa in quel palazzo, le mie
azioni, le mie parole e addirittura i miei vestiti sono sempre stati
decisi e controllati da altre persone e prima di dire addio alla mia
completa libertà vorrei fare le cose che non ho mai fatto
prima. Vorrei vivere per la prima volta, sbagliare, fare stupidaggini o
anche solo ubriacarmi come una deficiente nella stanza di un motel.
Quindi ti prego, dammi solo un altro paio di giorni.»
Kevin
si ammutolì, non sapeva cosa dire, non sapeva nemmeno se
credere al tono disperato della sua voce o no. Certo, immaginare lui
costretto da altri a dire cose che non pensava o a fare cose che non
voleva era un incubo ad occhi aperti, ma poteva anche essere solo una
trovata per impietosirlo. Eppure, non si scappava da un mondo fatto di
titoli altisonanti e gioielli se non si è davvero stufi, o
incinta di un bastardo.
«Non
sei incinta, vero?» si ritrovò a chiederle come un
cretino.
Lei
lo guardo dapprima sorpresa e poi indignata. «No! Certo che
no! Come ti è saltato in mente una cosa del
genere?»
Esatto,
come gli era saltato in mente una cosa del genere? Non lo sapeva
nemmeno lui e in ogni caso non sarebbero stati affari suoi, lui doveva
solo riportarla sana e salva a casa, anche se fosse stata in stato
interessante se il padre non fosse stato lui non avrebbe avuto nulla a
che vedere con quella storia.
«Ti
prego, Kevin, ti chiedo solo qualche giorno» lo
supplicò, e sentirla pronunciare il suo nome ebbe uno strano
effetto su di lui. Aveva come un senso di deja vu, come se avesse
già vissuto quella situazione e sentito quella voce. Il che
era impossibile visto che conosceva quella donna da meno di
ventiquattro ore.
«E
va bene» acconsentì, dandosi dell'idiota subito
dopo. «Ma solo se vieni a stare da me in questi ultimi giorni
di libertà, non mi va l'idea di rincorrerti nuovamente per
tutto il mondo. Quindi prendere o lasciare principessa.»
Vide
comparire sul suo viso una smorfia di disappunto e credette stesse per
rifiutare ma, come sempre ormai, lei lo sorprese.
«Va
bene, accetto.»
«Allora
andiamo, ho sonno» le prese il gomito con poca grazia e la
trascinò fuori sotto gli occhi vigili del buttafuori, che
non si staccarono da lui fino a quando la porta che si chiuse gli
impedì la vista su di loro. Lei tentò di
protestare e gli disse qualcosa sulla sua amica rimasta nel locale, una
cosa che a lui non interessava affatto. La sua amica era in grado di
tornare a casa anche senza di lei.
Sophie
tentava disperatamente di stare al suo passo, notò anche che
zoppicava leggermente e si chiese come potesse ugualmente avere un
passo così veloce. Lei non riusciva più a
sopportare quei trampoli che le aveva prestato Jane... Jane!
«La
mia amica si preoccuperà se non mi vedrà tornare
a casa» gli disse, tentando di fargli avere una qualche
reazione che non fosse la collera o il menefreghismo, ma lui come al
solito non si scompose.
Era
così strano vederlo in quel modo, nei suoi ricordi vedeva un
giovane spensierato e sempre sorridente mentre l'uomo che aveva davanti
sembrava aver vissuto cose orribili.
È stato un soldato, si
ricordò. Probabilmente aveva vissuto esperienze tutt'altro
che piacevoli e quasi si dispiacque per lui. Quasi... perché
il ricordo di ciò che le aveva fatto al liceo
spazzò via tutta la pena provata.
Chi semina vento raccoglie tempesta,
pensò ma non poté fare a meno di sentirsi in
colpa per quei pensieri.
«Potrai
chiamare la tua amica una volta a casa, non credo si
rivolgerà all'FBI o all'unità vittime speciali
comunque» rispose ironico.
Era
davvero odioso, come aveva potuto avere una cotta per lui al liceo?
Doveva essere impazzita a quei tempi, sicuramente gli ormoni impazziti
e la sua fase di ribellione adolescenziale avevano contribuito.
«Santo
cielo, mia nonna cammina più veloce di te ed ha
novant'anni!» sbottò all'improvviso lui,
voltandosi verso di lei con espressione esasperata.
«Be',
scusami tanto ma ho le scarpe più piccole di un numero e
alte quanto dei trampoli da circo che mi rendono difficile restare al
tuo passo da big foot» avrebbe tanto voluto piantargli uno
dei tacchi nella gamba martoriata e vederlo arrancare dolorante.
Grugnendo
come un animale selvaggio, si avvicinò a lei e la prese tra
le braccia, facendole sfuggire un gridolino sorpreso.
«Potevi
avvisare prima!» presa da un moto di collera, gli pianto un
pugno sul petto ma il colpo sembrò far male più a
lei che a lui.
«Se
non stai buona ti carico in spalla e lascerò vedere a tutti
le mutandine che porti sotto questo straccio che osi chiamare
abito» la minaccia le fece scorrere un brivido freddo lungo
la schiena.
«Non
oseresti» sussurrò.
«Mettimi
alla prova, principessa» la minacciò lui con gli
occhi che gli brillavano di divertimento. Be' almeno lui trovava tutto
quello divertente, bastardo uomo delle caverne!
Dovette
mordersi la lingua per evitare di insultarlo, di solito per lei non era
affatto difficile trattenere una parola di troppo ma con quell'uomo
ogni diga del suo autocontrollo cedeva.
Restò
in silenzio tra le sue braccia per un tempo che le parve interminabile,
soprattutto perché il calore del suo corpo le stava dando un
riparo dalla fredda brezza notturna ed essergli grata per averle
risparmiato un raffreddore la faceva imbestialire.
Dopo
aver svoltato in vari quartieri orribili, la sua camminata si
arrestò dinanzi ad una piccola casa bianca con un portico
davanti ed un microscopico giardino, quell'abitazione sfigurava in
confronto alle ville che aveva accanto. Sembrava più adatta
ai quartieri che avevano superato poco prima...
Lui la mise finalmente giù e lei trasse un respiro di
sollievo. Kevin aprì la porta di casa e le fece segno di
entrare per prima.
Un vero gentiluomo...
Il
salotto della casa era semplice, arredato in modo essenziale e senza
nessun tocco personale, come se dovesse traslocare da un giorno
all'altro; una porta scorrevole in vetro separava quella stanza dalla
cucina e alla sua sinistra c'erano altre due porte che sicuramente
portavano in camera da letto e in bagno.
«Benvenuta
nella mia reggia» la prese in giro. «So che non
è lussuosa quanto il tuo sfarzoso palazzo, ma dovrai
abituarti. La prima porta alla tua sinistra dà al bagno
mentre la seconda alla camera da letto, se vuoi farti una doccia prima
di andare a dormire sentiti libera di farlo. Io dormirò qui
sul divano.»
Sophie
annuì guardandosi in giro, effettivamente sentiva di voler
fare una doccia dopo essere stata in quel posto orribile e puzzolente.
«Allora
andrò a fare una doccia...» lui si
lasciò cadere sul divano e con una mano le fece capire che
poteva fare come le pareva. Se non si fosse trattato di lui avrebbe
anche rifiutato il letto, ma di certo un uomo dalla mente contorta come
Kevin avrebbe pensato che fosse tutta scena.
Be'
peggio per lui. Entrò in bagno e controllò se ci
fosse un accappatoio o un asciugamano che avrebbe potuto usare per
coprirsi. Trovò un accappatoio appeso proprio dietro alla
porta, si chiese se fosse suo, ed era ovvio che lo fosse, e si
sentì arrossire immaginando il corpo di lui avvolto dentro
quel telo di spugna che tra poco avrebbe avvolto lei...
Basta! Ma che ti prende stasera?, si
rimproverò. Fai
la doccia, fila in camera e vai a dormire prima di commettere atti
impuri!
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
TENP - Capitolo 5 per EFP
Appena
la donna si chiuse la porta del bagno alle spalle, Kevin si stese con
un sospiro stanco sul divano. Si sentiva provato, come se avesse
combattuto contro un esercito di pazzi ubriachi e ne fosse uscito vivo
per miracolo, invece aveva solo discusso con una bionda viziata dagli
alti natali.
Il
suono dello scrosciare dell'acqua gli ricordò che quella
pazza
era in casa sua, sotto la sua doccia. Si maledì per quella
scelta, avrebbe potuto portarla in un motel o in qualsiasi altro posto
e non nella sua "dimora". Era stata una scelta impulsiva, dettata dal
dolore che provava al ginocchio e dalla voglia di riposarsi in un luogo
a lui familiare, soprattutto da quando era entrato in quell'orribile
locale e l'aveva vista. In un primo momento non l'aveva riconosciuta
fasciata in quell'aderente e più che corto abito rosso, ma
la
sua espressione disgustata ed il viso e i modi aggraziati erano come
un'insegna a neon posta su di lei che non l'avrebbe mai fatta passare
inosservata.
Eppure,
vederla lì in mezzo a quelle persone, vestita come una
spogliarellista, aveva fatto scattare in lui i suoi istinti da uomo e
non aveva gradito. Fosse stata un'altra donna non se ne sarebbe
preoccupato, ma sentirsi attratto fisicamente da lei lo faceva sentire
un emerito imbecille, quella donna era talmente piena di sé
che
di sicuro non lo considerava nemmeno un essere umano. E quello strano
senso di deja vu non voleva abbandonarlo, lei gli sembrava tanto
familiare ma non riusciva a collegarla a nessuna persona conosciuta in
passato. Non poteva averla conosciuta prima del suo arrivo a
Bellrosé né aveva mai letto stupidi giornaletti
di gossip
dove sarebbe potuta apparire, anche se dubitava il mondo fosse a
conoscenza della sua esistenza...
Allora
perché non riusciva a smettere di trovare il suo viso tanto
familiare? Di sicuro era la stanchezza, stava diventando pazzo e non
aveva avuto un attimo di tregua da quando era atterrato in quel
minuscolo e bizzarro principato; era comprensibile che la sua mente gli
giocasse strani tiri.
Sospirò
felice di godersi la morbidezza del suo divano, ancora non riusciva a
credere di ritrovarsi di nuovo lì ma ne era felice,
soprattutto
se pensava che tra qualche giorno avrebbe di nuovo dovuto mettere piede
in quel principato del cavolo e restarci fino a quando la principessina
non avesse preso il posto del padre. Aveva una voglia matta di chiudere
in fretta quella faccenda e prendere i soldi che gli avevano promesso.
Ti sei dimenticato del patto con Miss Sophie?, gli
ricordò bastarda la propria mente.
No,
purtroppo non aveva dimenticato affatto, era proprio per quello che
desiderava porre fine a quella storia il prima possibile. Il solo
pensiero di dover passare altri giorni ed altre notti con lei lo fece
rabbrividire, già poteva immaginare quali assurde richieste
avrebbe avanzato e preteso, credendo di avere dinanzi un altro dei suoi
servitori. Be', si sbagliava di grosso! Quella donna avrebbe dovuto
sottostare ai suoi di voleri, prima l'avrebbe capito meglio sarebbe
stato per lei; non si sarebbe fatto scrupoli nel riportarla a casa
anche domani stesso.
Quando
sentì la porta del bagno aprirsi chiuse gli occhi, facendo
finta
di dormire. La sentì avvicinarsi a lui a piccoli passi
incerti,
era chiaro che lo temesse e quello gli dava una posizione di vantaggio
su di lei, di potere, che lo fece sentire stranamente al sicuro.
«Ehm...
Kevin?» non rispose al suo richiamo, ma continuò a
fingere
di dormire. «Kevin?» tentò nuovamente
prima di
sospirare. Sophie rimase lì per qualche minuto, la
sentì
sbuffare e schioccarsi le dita mentre strusciava un piede, almeno
credeva fosse un piede, per terra. Aprì leggermente un
occhio,
sperando che lei non lo stesse guardando, e la trovò a pochi
passi da lui coperta solo da un asciugamano. Stava fissando un punto
indefinito alla sua sinistra mentre teneva una mano tra gli umidi
capelli biondi e si mordicchiava nervosamente il labbro inferiore,
sembrava non sapere cosa fare e la sua espressione spaesata lo
ammorbidì.
Sembrava
quasi... umana, e non la gelida e capricciosa donna viziata che
sicuramente era. Gli risultava difficile continuare a trattarla con
diffidenza fissando quel labbro imbronciato. Ormai impietositosi, stava
per alzarsi e chiederle cosa volesse ma la bionda si avviò
frettolosamente verso la sua camera e si chiuse rumorosamente la porta
alle sue spalle, lasciandolo di sasso.
Meglio così, si
disse. Eppure qualcosa dentro di lui lo fece sentire in colpa.
Chiuse
gli occhi e scivolò velocemente in un sonno profondo.
*
* *
Pancake.
Omelette. Toast francesi e due tazze ricolme di caffè...
Kevin
si stropicciò gli occhi per la decima volta, incredulo
davanti a
quella che sembrava una colazione degna di un sovrano, ed in effetti
era stata proprio la principessa pazza a prepararla. Alzò lo
sguardo sulla donna dietro al bancone della sua cucina, intenta a
mescolare qualcosa di indefinito con indosso soltanto una sua vecchia
t-shirt usata spesso ai tempi del liceo; una di quelle che non era
riuscito a buttare perché affezionato, con quella infatti
aveva
vinto la sua prima partita. E stranamente invece di sentirsi
infastidito vedendola su di lei, trovava che quella logora maglietta
stesse centomila volte meglio su quel corpo voluttuoso e sensuale.
Voluttuoso e sensuale? Santo cielo, sei
completamente uscito fuori di senno, lo shock di vederla cucinare deve
averti ammattito.
Sophie
si voltò con la scodella tra le mani, ed appena
notò la
sua presenza al centro della stanza si lasciò scappare un
gridolino sorpreso.
«Ti...
ti sei svegliato» balbettò ancora scossa dallo
spavento preso.
«Sì.
Vedo che ti sei data da fare...» puntò con un
gesto del
capo i piatti allineati sullo stretto e poco spazioso bancone della
cucina.
«Be',
mi sono svegliata presto e tu dormivi così...»
sospirò e fissò il contenuto della ciotola che
aveva
ancora tra le mani. «Cucinare mi rilassa e mi sono lasciata
andare.»
«Lo
vedo...» commentò, avvicinando uno sgabello al
bancone per
sedersi. Fissò tutte quelle delizie ancora incredulo ed il
suo
stomaco le pretese con un sonoro gorgoglio.
«Serviti
pure» disse la bionda, prendendo una forchetta dal cassetto
per dargliela.
Aveva
il via libera, dunque. Non se lo fece ripetere due volte e si
buttò con voracità sulle omelette, che
trovò
assolutamente deliziose. Di certo quello della cucina non era un
talento che avrebbe associato a quella donna anzi, aveva creduto che di
talenti non avesse affatto, a parte quello di essere petulante.
«Sono
buone?» gli chiese, nella sua voce poté avvertire
preoccupazione e aspettativa, un'altra cosa che lo spiazzò.
La
persona altezzosa che aveva dipinto nella sua testa non si svegliava di
certo presto per mettersi a preparare la colazione né si
premurava di sapere se ciò che avesse preparato fosse di suo
gradimento.
Possibile
che l'avesse giudicata troppo in fretta? O quello era solo un modo per
irretirlo, per ammorbidirlo e fargli abbassare la guardia. Per quante
sfumature sbalorditive stesse scoprendo di quella donna, non poteva
ancora fidarsi di lei; era scappata dal principato senza farsi vedere
da nessuno, dopotutto! E lui non riusciva ancora a capire come diamine
avesse fatto.
«Sì»
rispose infine. «Davvero ottime.»
La
vide rilassarsi e sorridere soddisfatta, poi coprì la
ciotola
con della pellicola per alimenti e la ripose in frigo prima di prendere
uno sgabello e sedersi di fronte a lui.
Mangiarono
in silenzio senza nemmeno guardarsi, nella stanza gli unici suoni
udibili erano quelli prodotti dalla sua bocca mentre masticava e a
Kevin stava bene così. Più o meno,
perché la
situazione stava diventando imbarazzante.
Avrebbe
dovuto ringraziarla per la colazione? Farle altri complimenti per la
sua evidente bravura nella manipolazione degli alimenti? Una semplice
pacca sulla spalla le sarebbe bastata?
«Sai...»
ruppe il silenzio lei, salvandolo dalla marea di domande in cui stava
annegando. «Ho trovato una cosa che mi piacerebbe tanto fare
ed
ovviamente non ho mai fatto.»
«Davvero?»
si finse interessato, continuando a ripulire i piatti. «E
cosa?»
«Il
campeggio.»
Finalmente
lasciò andare la presa sulla forchetta e la fissò
sbalordito. «Il campeggio? Di tutte le cose che non hai mai
fatto
hai scelto il campeggio?» forse la poverina non aveva
compreso
che passare le notti nel bosco implicava anche dover fare i propri
bisogni alla luce del sole o della luna, camminare
nel
fango, sopportare i morsi degli insetti e tante altre cose che una
ragazza per bene come lei non avrebbe mai sopportato.
«Sì,
perché? Credi non riuscirei a sopportare una notte in
tenda?» indovinò, almeno in parte, ed il suo
sguardo
s'indurì.
«No,
non intendevo questo» invece sì...
«pensavo solo che avresti iniziato da altre cose,
ecco.»
«Quali
cose? Passare giornate intere alla spa? Dare fondo alle mie carte in
negozi di alta moda? Pretendere che tu mi faccia da servetto o
divertirmi svendendola nelle discoteche per disobbedire a mio padre
come una quattordicenne in piena crisi adolescenziale?» la
sua
voce era salita almeno di due ottave, e Kevin poté notare
una
piccola vena pulsante sul suo aggraziato collo. L'aveva fatta infuriare
davvero.
«No,
nulla di tutto questo» mentì disinvolto.
«Se vuoi
vivere l'esperienza del campeggio va bene, domani esaudirò
il
tuo desiderio.»
«Bene»
fu tutto quello che disse, la voce più gelida di un vento
artico. Si alzò dallo sgabello e si diresse in bagno.
«Vado a farmi una doccia, lava tu le stoviglie per
favore»
e senza attendere una sua risposta si chiuse velocemente la porta alle
spalle.
Fantastico,
se erano questi gli sbalzi d'umore a cui doveva assistere ed essere
vittima, i prossimi giorni si sarebbero rivelati un vero inferno. Che
Dio avesse pietà di lui!
«Servono
davvero tutte queste cose per il campeggio?» chiese Sophie,
fissando con aria meravigliata il reparto dedicato al fai da te e alle
attività all'aperto del Mall. A Kevin sembrò
quasi di
vedere una bambina che, in un negozio di giocattoli, punta il naso per
aria e fissa tutto con intensa meraviglia e provò tristezza
perché quella reazione dimostrava che davvero lei non aveva
mai
fatto le cose che lui aveva sempre ritenuto normali. Come andare a
mangiare la pizza con gli amici quando aveva creduto di averne -,
mangiare un gelato in riva al mare o fissare un cielo stellato immersi
nella natura. Fortunatamente a quell'ultima cosa vi avrebbe posto
rimedio lui quella sera stessa. Quella mattina si era sentito molto
irritato dalla sua richiesta, anche se non lo aveva dato a vedere, e
portarla in giro per i boschi gli era sembrata la più
orribile
delle torture. Eppure in quell'istante, guardando quell'espressione
curiosa ed emozionata, non sentiva più quell'incarico come
una
tortura bensì un regalo da fare ad una persona bisognosa. E
quella donna aveva un gran bisogno di divertirsi e godersi alcune delle
cose più belle della vita; e sì, il campeggio era
una di
quelle.
«Sì,
tutte, ma a noi servono solo alcune cose poiché ho
già
tutto quello che mi serve a casa» tranne un fornetto a gas ed
un
sacco a pelo nuovo per lei. Lui ne aveva soltanto uno ed era anche
parecchio rovinato, purtroppo non aveva i soldi per comprarne uno nuovo
anche per sé e doveva arrangiarsi. Ispezionò gli
scaffali
con cura e appena trovò il piccolo fornello che gli serviva
lo
buttò con poca grazia nel carrello.
«Più
avanti ci sono i sacchi a pelo, inizia a cercarne uno che ti
piace» le ordinò, vedendola annuire gioiosa e
correre
verso la fine del reparto successivamente. Vedere tutta quella
felicità lo fece sentire orgoglioso di se stesso, ma non
capì esattamente perché.
Restò
a guardarla fissare i vari sacchi a pelo come un idiota, senza riuscire
a staccare gli occhi di dosso alla sua esile e aggraziata figura, o
alle sue labbra, rosse e carnose, corrucciate in un buffo broncio
mentre decideva quale scegliere. Il suo corpo a quanto sembrava non era
per nulla indifferente a quello della donna, tutt'altro, nemmeno da
adolescente si eccitava con quella velocità. Di certo aveva
l'aspetto di un maniaco sessuale nel stare lì, dietro al
carrello, mentre la fissava famelico.
Avrebbe
dovuto starle lontano e la cosa era ironica visto che stavano andando
in campeggio e avrebbero dormito nella stessa tenda. Quello era proprio
il modo corretto di mantenere le distanze. La raggiunse, non prima di
essersi calmato, e notò quanto ancora fosse indecisa sul
sacco a
pelo da comprare. Kevin sbuffò come uno stallone incatenato,
prese un sacco rosa, e lo gettò nel carrello con la medesima
grazia mostrata poco prima al fornello.
Sophie
si voltò sorpresa e sconvolta verso di lui.
«Perché
hai messo dentro quello?» chiese delusa e lui non comprese
affatto quella reazione.
Era
una donna, per di più una principessa viziata, il rosa le
sarebbe andato bene, no?
«Odio
il rosa» sussurrò lievemente.
No,
a quanto pare non le andava bene...
«Quale
vorresti, allora?» le chiese, già stanco di tutte
quelle moine per un colore del cavolo.
«Quello
rosso» si decise finalmente.
Sospirando,
Kevin ripose il sacco a pelo rosa sullo scaffale e prese quello di
colore rosso. Notò anche che il prezzo di quello era
nettamente
inferiore e gioì dentro, non aveva più tanti
soldi e se
prima era difficile mantenere solo se stesso ora che c'era anche la
biondina lo era anche di più. Era il colmo che lui, uno
squattrinato ex marine, dovesse prendersi cura economicamente di una
reale. Scosse il capo brontolando tra sé, attirando
l'attenzione
di Sophie che lo fissò stranito, fortunatamente
però non
gli chiese nulla.
Si
avviarono verso la cassa e si affrettò a pagare il tutto,
ignorando il colpo al cuore che lo colpì quando la cassiera
gli
lesse il conto, aveva fretta di preparare tutto e immergersi nella
quiete della foresta. In verità temeva soltanto di
ritrovarsi
Leo o addirittura qualche agente dei servizi speciali alle calcagna,
aveva promesso di tenere informato il padre della giovane donna ogni
giorno ma da quando era tornato in America si era completamente
dimenticato di loro anzi; quella mattina aveva addirittura ignorato una
chiamata di Leo. Quindi temeva che quell'idiota di un regnante credesse
se la fosse svignata chissà dove invece di inseguire sua
figlia,
cose che non era assolutamente vera, e se non fosse stato un despota
idiota tutto quello non sarebbe mai successo.
Quale
padre rinchiudeva la figlia in casa? Era per caso una parodia di
raperonzolo uscita male? Ormai avrebbe creduto a tutto, non si stupiva
quasi più di nulla e di certo non dell'egoismo umano.
«Mi
dispiace» esalò all'improvviso Sophie dietro di
lui appena varcarono l'uscita del negozio.
Si
voltò confuso verso di lei, sorpreso di vederla con il capo
chino mentre si torturava le mani. Cosa diamine le prendeva quel
giorno? Per cosa gli stava chiedendo perdono? Doveva ammettere
però che era una delle parole che mai si sarebbe aspettate
uscissero dalla sua bocca.
«Per
cosa ti staresti scusando, di grazia?» chiese.
«Di
essere un peso, emotivamente ed economicamente» rispose.
«Purtroppo ho speso tutti i contanti che avevo per il
biglietto
aereo e se usassi una carta di credito mi ritroverei tutti gli uomini
di mio padre addosso in pochissimo tempo, e non posso
rischiare.»
Almeno
su quello si trovava d'accordissimo con lei, un minimo movimento
bancario ed entrambi si sarebbero trovati nei guai, anche se per motivi
differenti. Il fatto che lei si preoccupasse dei suoi risparmi in parte
gli faceva piacere; perché questo significava che non
avrebbe
preteso chissà quali stramberie da principessa, e da una
parte
lo infastidiva; perché non voleva essere visto come un
fallito
che non è in grado nemmeno di farsi la spesa senza
elemosinare.
«Non
preoccuparti, mi restituirai tutto a tempo debito»
tentò
un leggero sorriso per rassicurarla e questo sembrò
effettivamente funzionare perché la vide sospirare sollevata
e
sorridergli grata.
Entrarono
nel suo sgangherato furgoncino e gettò con poca grazia la
busta
con gli oggetti appena comprati sui sedili posteriori. Mise in moto e
sospirò, fissando con la coda dell'occhio la ragazza accanto
a
lui. Indossava una sua vecchia tuta che le stava almeno di due taglie
più grade, i capelli erano raccolti in uno chignon alto ed
il
viso senza trucco le dava un'aria da ragazzina. In quel momento un
flashback gli attraversò la mente e l'immagine di una
ragazzina
dai timidi occhi verdi e i capelli biondo cenere lo fece sobbalzare.
Perché
gli era venuta in mente la ragazzina per cui aveva una cotta ai tempi
del liceo? Nostalgia? Forse. Si ritrovò a chiedersi dove
fosse
quella ragazza ora, se si fosse sposata oppure no, e perché
scomparve da un giorno all'altro. Si voltò verso Sophie e
trovò i suoi lineamenti incredibilmente simili a quelli
della
ragazzina nei suoi ricordi.
Fin
troppo simile...
No,
non poteva essere lei, provenivano da due mondi completamente diversi.
E poi per quale motivo una ragazza ricca e nobile avrebbe deciso di
frequentare un liceo americano? L'incubo di ogni adolescente terrestre.
Una che scappa dal padre e ti chiede di portarla in
campeggio, ad esempio.
Scosse
la testa, come per allontanare quel pensiero assurdo, e si
schiarì la voce attirando l'attenzione della donna seduta
accanto.
«Prima
di preparare tutto e partire, ti piacerebbe mettere qualcosa sotto i
denti?» chiese senza pensarci, voleva allontanare quello
stupido
sospetto dalla testa e le avrebbe pagato anche il pranzo per riuscirci.
«Mi
piacerebbe, in effetti ho molta fame» rispose entusiasta.
Molta
fame... stava a significare che gli avrebbe fatto sputare anche l'anima
col conto? Pregava di no, anche perché quella mattina era
stata
lei a spazzare via l'abbondante colazione che aveva preparato. Mangiava
più lei che un reggimento di trentacinque soldati.
La
vide ritornare a fissare il paesaggio con occhi colmi di
felicità e vittoria, e lui credeva di sapere bene cosa le
frullasse nella testa. Si stava godendo la sua libertà,
doveva
essere stupendo per lei poter dire e fare quello che voleva senza dover
rendere conto a nessuno, e lui in qualche modo la capiva; quando faceva
parte della marina era suo dovere sottostare ai comandi dei superiori,
anche se questi erano insensati, crudeli o per scopi puramente
personali ed era una cosa che gli era sempre stata stretta. Un tipo
orgoglioso come lui odiava abbassare il capo come un cagnolino ad un
idiota che si credeva al di sopra di tutti solo per qualche stella in
più sulla giacca.
Lui
però era riuscito a liberarsi da tutto quello, congedandosi,
mentre lei non sembrava aver via di fuga dalla sua situazione se non
quella di scappare, in continuazione, e non di certo una bella vita.
Anche per quel motivo non poteva essere lei la ragazza dei suoi
ricordi, i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di studiare
all'estero.
«Sai»
disse lei all'improvviso, strappandolo ai suoi pensieri.
«Quando
ero piccola io e i miei genitori ci recammo in Inghilterra per una cena
a palazzo. Loro erano emozionati ed eccitati e io non ne capivo il
motivo, per me si trattava solo di una stupida e formale cena piena di
persone strane. Ma quando salimmo sulla limousine che doveva portarci a
destinazione, passammo accanto ad un parco pieno di tende e famiglie
che si divertivano giocando all'aperto. C'erano un sacco di bambini che
ridevano e a me sembrò un sogno. Chiesi subito ai miei cosa
stessero facendo e mio padre rispose che stavano campeggiando, mia
madre assunse un'espressione terrorizzata a quella parola»
rise,
ma non di felicità o nostalgia. «E quando proposi
ai miei
di dimenticare la cena e campeggiare come le altre famiglie, loro mi
guardarono come se li avessi appena delusi, così restai
zitta e
da allora non ho più chiesto nulla del genere» la
bionda
si voltò verso di lui, il suo sguardo era perso e confuso.
«Secondo te ho detto veramente qualcosa di sbagliato?
Perché a distanza di anni io non riesco ancora a capire
cos'abbia detto di sbagliato, volevo solo divertirmi come quei
bambini.»
Una
lacrima solitaria le solcò il viso e Kevin
imprecò
silenziosamente, sentiva una strana sensazione al petto, una sensazione
dolorosa e straziante. Riportò lo sguardo fisso sulla
strada,
provando una strana sensazione di tenerezza e protezione verso la
giovane donna. Immaginò lei da piccola che fissava con
sguardo
meravigliato gli altri bambini divertirsi e poi il suo sguardo
offuscarsi di vergogna di tristezza a causa dei suoi genitori. Genitori
orribili.
«Non
hai detto niente di sbagliato, eri una bambina ed ogni bambino
preferisce divertirsi con la propria famiglia che partecipare a noiose
cene per adulti boriosi.» Strinse il volante tra le mani,
provando il forte impulso di ritornare al principato solo per colpire
il padre di lei dritto sul naso. Soltanto un uomo crudele avrebbe
permesso alla figlia piccola di provare vergogna ad una richiesta
normale come il campeggio.
«Grazie»
la sentì dire, mentre si asciugava velocemente la lacrima e
tirava su col naso. «Allora, dove mi porti a mangiare? Ho
molta
fame e spero non ci voglia ancora troppo tempo per arrivare.»
Kevin
si lasciò scappare un sorriso e le permise di portare la
conversazione su un tema più calmo. «Non manca
molto, tra
poco potrai riempire il tuo pozzo senza fondo» la prese in
giro,
guadagnandosi un pizzicotto sulla spalla.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
TENP - Capitolo 6 per EFP
L'unica
volta in cui Sophie aveva messo piede in una tavola calda, era stato in
una calda mattina primaverile di cinque anni prima quando lei e Jane
avevano deciso di marinare la scuola per fare colazione in un posto che
l'amica aveva dipinto come il paradiso delle colazioni super
diabetiche. Così avevano preso l'autobus e fatto un viaggio
lungo quasi un'ora solo per mangiare degli enormi pancake ai mirtilli
stracolmi di sciroppo d'acero, per lei quella mattina fu una delle
più belle di tutta la sua vita e non l'avrebbe mai
dimenticata.
Quando
Kevin aprì la porta della tavola calda in cui si erano
fermati,
i ricordi di quella fantastica giornata le ritornarono alla mente e
sorrise nostalgica; avrebbe voluto passare altri giorni come quello,
con Jane... Jane! Dannazione, aveva completamente dimenticato di
chiamarla la sera prima o quella mattina! L'avrebbe sicuramente
ammazzata appena il suo collo fosse entrato nel suo campo visivo...
rabbrividì al solo pensiero.
«Ehi,
Kevin!» una donna di mezza età si sporse dal
bancone del
negozio, dove alcune persone stavano mangiando, e le lanciarono
occhiate irritate o sconsolate. I capelli grigi erano raccolti sulla
nuca ed una sottile retina ne evitava l'imbarazzante e possibile caduta
in qualche piatto, mentre gli occhi azzurri brillavano come quelli di
una ragazzina nonostante fossero accerchiate da alcune rughe
d'espressione.
Il
volto del giovane uomo s'illuminò appena si fu voltato verso
la
donna, e un'enorme sorriso - di quelli che non aveva mai più
visto dai tempi del liceo - gli curvò le labbra facendolo
sembrare, se possibile, ancora più bello del solito. Il
cuore di
Sophie perse un intero minuto di battiti per poi, paradossalmente,
recuperarli tutti in una tachicardia quasi dolorosa ed allora
capì che forse la cotta per lui non gli era passata poi del
tutto, come aveva creduto.
«Gin!»
esclamò lui, con la voce ridente.
Quella
consapevolezza non le fece affatto piacere, poiché non
riusciva
a perdonarlo né a spiegarsi il brutto tiro che gli aveva
giocato
quella mattina di cinque anni prima. Possibile che l'infatuazione per
lui l'avesse accecata al punto da mascherarle la sua vera natura?
Allora tutti quei sorrisi, quelle parole dolci o gli sguardi fugaci
rubati di nascosto erano state tutte illusioni, parti della sua mente
adolescenziale ormai andata? Come spiegazione non le andava
giù,
pensare di essere stata così ingenua e stupida era una colpa
che
l'attuale Sophie non perdonava alla se stessa ragazzina.
Stupida idiota, ecco cos'eri e
cerca di non esserlo nuovamente, si ammonì.
No,
né lui né nessun altro le avrebbe tirato di nuovo
uno
scherzo simile, aveva sfruttato quegli anni per rinforzare il suo
carattere e la sua volontà. L'ingenuità che
l'aveva
caratterizzata da giovane era sfumata insieme all'ideale di ragazzo
perfetto che aveva sempre associato a Kevin. Il giorno in cui era
salita sull'aereo per ritornare a casa aveva sentito chiaramente il suo
cuore spezzarsi e perdere quella parte candida e gioiosa che le aveva
sempre permesso di essere una ragazza dolce e un po' sciocca, di quelle
che credono veramente nell'esistenza del principe azzurro e non
perché crescono in un castello con la propria madre che le
insegna a distinguere un mero baronetto da un successore reale, ma per
l'ideale di amore eterno e incontrastato che aveva sempre trovato nei
romanzi che rubava a Gerthie, la figlia della cuoca. A ripensarci ora,
li avrebbe volentieri bruciati quegli odiosi libri irrealistici.
La
risata della donna la fece uscire dalla bolla rossa dei suoi furiosi
pensieri, e solo allora si rese conto che aveva abbandonato il bancone
per avvicinarsi a Kevin. I due stavano parlando animatamente e lui
sembrava molto felice e a suo agio, quasi rilassato. Non immusonito
come quando stava con lei...
Irritata,
da cosa non lo sapeva nemmeno lei, sospirò come un bufalo a
cui
avevano appena pizzicato i testicoli e si voltò per prendere
posto ad uno dei tanti tavoli disposti accanto alle grandi finestre. I
due non si accorsero nemmeno di quel gesto, soprattutto Kevin e la cosa
non fece altro che farla indispettire. Non si aspettava certo che la
presentasse come fosse una sua grande amica o peggio, la sua fidanzata
- non poté trattenere un piacevole brivido a quel pensiero -
ma
almeno un po' di considerazione l'avrebbe gradita. Si sedette con poca
grazia ad uno degli ultimi tavoli, dando le spalle ai due
perché
se avesse visto nuovamente il fantastico sorriso di lui ignorarla come
se fosse un minuscolo moscerino, gli avrebbe tirato addosso la boccetta
in vetro del sale.
Rimase
a braccia conserte e con l'espressione di chi ha appena subito
un'esportazione dei genitali non desiderata a fissare le persone che
passeggiavano accanto alla finestra del locale fino a quando, dieci
minuti dopo o forse anche più, Kevin non la raggiunse.
«Scusami,
ma è da un po' che non vengo qui e rivedere Gin dopo tanto
tempo
mi ha fatto perdere la cognizione del tempo» tentò
di
giustificarsi lui, sedendosi di fronte a lei. Aveva ancora un sorriso
da ebete sul viso e lo insultò mentalmente, come avrebbe
desiderato fare anche vocalmente.
«Figurati»
disse con finta indifferenza, aprendo con poca grazia il
menù
lasciato sul tavolo. Se sua madre l'avesse vista fare tutte quelle
scenate per nulla, come avrebbe sicuramente detto lei, le sarebbero
venuti i capelli bianchi per l'orrore. Una bigotta snob come lei, che
nel cassetto invece della Bibbia aveva una copia del Bon Ton, non
ammetteva perdite di controllo e compostezza, riteneva che le persone
di un rango superiore dovessero comportarsi con la giusta
superiorità ed evitare di mostrare sentimenti troppo
espliciti,
come appunto la rabbia. Perché ciò li avrebbe
resi comuni
come tutti gli altri.
Ah,
ma fanculo lei e le sue lezioni del cavolo! Sono incazzata con lui?
Bene, che se ne accorga e marcisca chiedendosi il perché.
«Tutto
bene?» chiese infatti lui, abboccando come un pesce lesso.
Sophie
nascose il sorrisetto compiaciuto dietro il menù e si
ricompose
in fretta. «Certo, perché mai lo chiedi?»
«Perché
stai parlando con un'indifferenza e una superiorità
irritanti» le fece notare lui e la cosa la
infastidì
perché non era sua intenzione essere l'una o l'altra.
«Per
caso le da fastidio questa bettola, milady?» la
schernì
lui, facendo scoppiare il palloncino del suo autocontrollo.
Sbatté
con rabbia il menù sul tavolo, facendolo trasalire.
«Ora
mi hai veramente stancato, se hai qualcosa da dimmi dimmelo in faccia
invece di nasconderti dietro frasi tutt'altro che sarcastiche ed
insulti velati. Forse credi che avere un titolo nobiliare
automaticamente mi renda una cretina? Un ignorante? Incapace di
decifrare le tue prese in giro mascherate da frecciatine? Be',
informazione shock: ho un cervello, strano eh? Uno che funziona, per
giunta! Sicuramente un'eresia per te. Quindi sai cosa ti dico? Fottiti,
Kevin, non passerò un minuto in più accanto ad un
uomo
che mi considera meno acuta di un baco da seta, dimentica il nostro
patto e addio.» Si alzò velocemente dal divanetto
rosso ed
uscì a passo spedito dalla tavola calda. Sentiva le lacrime
salirle agli occhi e tentò di frenarle, senza successo,
nemmeno
l'irritante voce di sua madre che le ricordava quanto fosse
terribilmente sconveniente per una come lei piangere in pubblico
riuscì a ridarle il controllo di se stessa.
Si
sentiva in preda ad una crisi di nervi, era stanca di doversi
controllare sia a palazzo che lì, dove aveva creduto di
essere
finalmente libera. Invece aveva trovato in Kevin una nuova prigione, in
sua presenza doveva sempre soppesare ogni parola per evitare che lui
fraintendesse e le lanciasse una delle sue insopportabili frecciatine,
quante ne aveva sopportate in sole ventiquattro ore? Lui si rifiutava
di vedere oltre la superficie, di conoscere la vera Sophie e ne
ignorava totalmente il motivo. Era sempre più convinta che
il
dolce ragazzo delle superiori fosse stata una sua illusione, che il
vero Kevin fosse sempre stato quello e lei come una cretina gli aveva
permesso di rubarle il cuore e lanciarlo via con la stessa potenza che
usava in campo. Il fatto che piangesse stava solo a significare che le
importava cosa lui pensasse di lei, e tanto, e questo non poteva
accettarlo. No, il suo orgoglio fremeva di rabbia e desiderava soltanto
far sparire l'uomo come un ricordo non desiderato, ma era difficile e
tentava di farlo da più di cinque anni.
Si
rese conto di aver camminato per un bel po' e di non sapere esattamente
dove si trovasse solo quando le gambe iniziarono a farle male, intorno
a lei c'erano soltanto alberi e non riusciva più a scorgere
la
tavola calda.
Fantastico, mi sono anche persa!
Respirò
a fondo e prese un profondo respiro per calmarsi. Quando si era
trasferita lì per studiare, non era mai uscita molto di casa
e
quelle poche volte che lo aveva fatto insieme a Jane, le due erano
sempre andate in locali del centro e mai in periferia quindi non aveva
la più pallida idea di dove si trovasse. Le sarebbe bastato
fare
il percorso a ritroso, se solo avesse saputo in qualche direzione si
uscisse dal bosco in cui si era addentrata.
Chiuse
gli occhi, tentando di ricordare qualche particolare della strada che
aveva percorso, un qualsiasi dettagli che avrebbe potuto aiutarla ma
tutto ciò che riusciva a vedere era il buio assoluto. Il
nulla.
Una
mano le afferrò improvvisamente la spalla e Sophie si
allontanò di scatto, gridando con tutto il fiato che aveva
in
gola.
«Sono
io, calmati!»
Ancora
in preda allo spavento preso, ci mise un po' per capire che aveva
davanti proprio Kevin, la causa di quella disavventura.
«Co...
cosa vuoi?» chiese con la voce ancora scossa dai tremolii
della
paura. «Se sei venuto qui per infierire ancora ti conviene
sparire. E in fretta» lo avvertì.
Lui
la fissò con una strana espressione colpevole e questo la
fece
sentire stranamente bene. Si sentiva in colpa per averla trattata in
modo orribile o per averla spaventata? Ad ogni modo, meritava di
sentirsi colpevole.
«Non
voglio assolutamente infierire, e ti chiedo scusa per averti ferita,
non sono più abituato ad avere persone intorno; soprattutto
donne, e sì, ho dato per scontato tu avessi una
personalità tua e un cervello funzionante.» Si
infilò una mano nei pantaloni e volse lo sguardo al terreno
ai
propri piedi, come se avesse timore di guardarla in volto.
«Dev'essere
parecchio strano per te vedermi come un essere umano senziente,
giusto?» chiese con cupo sarcasmo. Tirò su col
naso e si
asciugò le lacrime che ancora le bagnavano il viso. Per
uscire
da quella situazione aveva bisogno del suo aiuto, eppure avrebbe
preferito cento volte passare tutta la sua vita in quel boschetto
piuttosto che affidarsi nuovamente a lui.
Si
sentiva tradita. Di nuovo. E non avrebbe sopportato un terzo giro,
quindi era meglio per lei chiudere con lui e stavolta per sempre.
«Ad
ogni modo puoi andare, sei libero e non devi più portarmi in
giro né continuare a lavorare per mio padre. Appena
tornerò a casa ti spedirò l'assegno col tuo
compenso e
non sarai costretto a tornare al principato.»
A
questa frase, finalmente lui alzò il capo e la
fissò con
un'espressione che lei non seppe decifrare, ma la mise molto a disagio.
Le si avvicinò lentamente, prendendole la mano tra la sua e
stringendola appena. «Torniamo alla tavola calda, Sophie,
devo
ancora mantenere la mia promessa di portarti in campeggio. Te lo
devo.»
Sophie
negò col capo e tentò di allontanare la mano
dalla sua
presa, ma questa si fece più forte. «Te lo ripeto,
Kevin,
non desidero restare accanto ad una persona che mi disprezza. Quindi se
lo fai solo per pulirti la coscienza, tranquillo e vattene.»
Tentò un'ultima volta di liberarsi dalla sua presa, ma lui
sembrava deciso a non mollare.
«Non
sto affatto tentando di pulirmi la coscienza, desidero davvero poter
fare quello che nessuno ha mai fatto per te. So di essermi comportato
da stronzo e prometto che passerò i prossimi giorni a farmi
perdonare, perché lo voglio Sophie. Perché
guardando il
tuo volto rigato di lacrime mi sento morire dentro, mi sembra di aver
commesso un peccato orribile, di aver sporcato la cosa più
bella
su questo mondo» le sussurrò, ormai ad un palmo
dal suo
viso. La sua voce era roca, le sue pupille dilatate e sembrava vederla
per la prima volta.
«Sophie...
la mia Sophie» pronunciò il suo nome con
così tanta
emozione che le si fermò il respiro in gola.
Le
sue braccia l'avvolsero in un abbraccio forte, possessivo ma allo
stesso tempo delicato, come se temesse di romperla. Avvicinò
le
labbra alla sue lentamente, così lentamente che le
sembrò
di morire nell'attesa di assaporarlo per la prima volta. Tutta la
rabbia e la collera di prima erano svanite, le sembrava di trovarsi in
una bolla luccicante, quasi magica.
Finalmente,
dopo un tempo che le era parso infinito, le labbra di lui si posarono
sulle sue, delicate e gentili, fin troppo e Sophie non voleva essere
trattata come una bambola di porcellana, non da lui, voleva sentirsi
donna almeno una volta nella vita. Si alzò sulle punte e gli
circondò il collo con le braccia, infilò una mano
tra i
suoi capelli e lo spinse di più contro di lei, cercando di
approfondire il bacio. Kevin sembrò recepire il messaggio
perché in un secondo si ritrovò con la schiena
contro un
albero, mentre lui prendeva pieno possesso della sua bocca.
Sospirò estasiata e gemette quando le prese il labbro
inferiore
tra i denti, tremò tra le sue braccia e si sentì
piacevolmente stordita, come se avesse bevuto un bicchiere di champagne
di troppo.
La
mano di lui, grande e bollente, le accarezzava dolcemente la schiena,
spingendola di più contro il suo corpo. Sophie non avrebbe
saputo dire come mai, all'improvviso, avesse scatenato tutta quella
passione per lei e nemmeno le importava più, voleva solo
annegare in quella piacevole sensazione. Le sembrava di non aver mai
baciato nessuno prima di lui, di aver sempre e solo aspettato quel
momento.
Quando
la sua bocca abbandonò la sua per percorrerle il mento fino
al
collo, capì di essere ormai solo una marionetta nelle sue
mani.
Avrebbe potuto farle tutto ciò che voleva, lei sarebbe stata
più che felice di accontentarlo.
Il
corpo morbido, arrendevole e caldo di Sophie era come un'oasi o il
paradiso, difficile allontanarsene. Eppure, con molta forza di
volontà, riuscì a staccarsi da lei e dalla
dolcezza delle
sue labbra, mettendo fine al bacio. La vide sbattere velocemente le
palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la situazione ed uscire da
quella coltre di sensazioni che li aveva avvolti improvvisamente.
Più
che altro era stato lui a fiondarsi su di lei, improvvisamente. Non era
riuscito a frenare se stesso, peggio di un animale in calore, quando
aveva visto il viso della giovane donna rigato di lacrime si era
sovrapposta a lei, come un flashback o un fantasma, l'immagine della
ragazzina che aveva amato al liceo e la somiglianza tra le due era
stata impressionante. Sconcertante. Ed allora aveva capito, ormai era
sicuro che la Sophie che aveva davanti e quella del suo passato fossero
la stessa persona. Come, non sapeva spiegarselo nemmeno lui, ma era
così. Ovviamente doveva esserne sicuro al cento per cento e
in
quel momento lo era all'ottanta, l'assurdità della
situazione lo
lasciava ancora un po' incredulo e diffidente. Se davvero le due erano
la stessa persona, perché lei aveva frequentato il loro
liceo da
ragazzina? Un capriccio adolescenziale? Si trovava lì con la
famiglia per qualche motivo politico? Non lo sapeva, ancora, ma questo
spiegava la sua misteriosa ed improvvisa scomparsa.
«Torniamo
alla tavola calda» le disse, prendendole la mano come si fa
ad
una bambina, nel terrore che lei potesse sparire nuovamente lasciando
dietro sé le milioni di domande che aveva sempre voluto
farle.
Tornarono
indietro nel totale silenzio, senza nemmeno rivolgersi una parola e
Kevin non seppe come interpretare la cosa. Lei era arrabbiata con lui
per il bacio? Si era offesa ancora di più? Dal modo in cui
si
era stretta a lui non gli era sembrato anzi, aveva approfondito lei per
prima il bacio quindi era sicuro non fosse quello la causa del suo
mutismo. Tuttavia, si sentiva a disagio, si era fatto prendere dal
momento, dall'emozione ed aveva baciato una donna che poteva benissimo
non essere la sua compagna di liceo.
Si
schiarì la voce per stemperare l'aria di imbarazzo che
sentiva
scendere su entrambi. «Sarà meglio tornare alla
tavola
calda, ho ordinato qualcosa e sono uscito senza pagare, inoltre ho
ancora fame» disse, sentendosi un idiota subito dopo. Che
cosa
interessava a lei del fatto che avesse fame? Non era nemmeno la
verità visto che gli si era chiuso lo stomaco, tutto quello
che
avrebbe voluto fare in realtà era mettere le mani su uno
degli
annuari della sua scuola e verificare se la donna davanti a lui fosse
la stessa ragazzina dei suoi ricordi.
«Sì...
anche io ho ancora fame, in effetti» gli rispose, guardandosi
intorno per capire dove andare, o per sfuggire al suo sguardo
insistente.
«Andiamo
allora» la superò e con un gesto della mano la
invitò a seguirlo.
Tornarono
alla tavola calda in poco tempo e Sophie rimase di sasso nello scoprire
che non si era allontanata poi così tanto, nonostante le
fosse
sembrato il contrario. Forse si era lasciata prendere dal panico una
volta entrata nel fitto boschetto e non aveva pensato con
lucidità.
Appena varcarono le porte del locale, la donna che Kevin aveva salutato
prima venne loro incontro con un vassoio di bicchieri sporchi fra le
mani.
«Finalmente
siete tornati» esordì con un sorriso, spostando
poi lo
sguardo su di lei. «Vi conviene sedervi e mangiare prima che
i
vostri piatti si raffreddino» puntò il loro tavolo
senza
smettere di fissarla e nonostante fosse abituata alle occhiate anche
insistenti, non poté fare a meno di sentirsi di disagio.
Dopo
qualche secondo, finalmente lo sguardo della donna si spostò
su
Kevin e gli sorrise prima di ritornare dietro al bancone.
Raggiunse
il loro tavolo e rimase sorpresa quando notò che lui aveva
ordinato anche per lei prima di inseguirla.
«Mi
sono permesso di ordinare anche per te, così una volta
tornati
avremmo trovato già tutto pronto. Spero non ti
dispiaccia.» Kevin si accomodò al suo posto e
puntò
il piatto accanto a lei. Restò imbambolata, iniziando di
certo a
sembrare un tantino stupida e strana visto che se ne stava in piedi
accanto al tavolo, iniziando anche ad attirare l'attenzione dei clienti
seduti vicini a loro.
Prese
posto velocemente ed annuì all'uomo. «Tranquillo,
ti
ringrazio per il pensiero.» Lo vide rilassarsi e accennare un
sorriso, una cosa molto strana da parte sua di solito così
composto e privo di qualsivoglia espressione facciale che non fosse
l'ostilità. Per non parlare del bacio e delle cose che le
aveva
detto prima, ancora adesso si sentiva stordita; sin da ragazzina aveva
sempre sognato un bacio da lui, anche se nelle sue fantasie
adolescenziali non c'era stato nessun litigio prima dell'incontro delle
loro labbra. Ma doveva ammettere che era stato mille volte meglio dei
suoi sogni ad occhi aperti, bellissimo e inspiegabile. Cosa lo avesse
spinto a farlo le era ancora sconosciuto, forse per il senso di colpa?
Dio, pregava proprio di no, sarebbe stato umiliante.
Spaesata,
mangiò chiedendosi cosa fosse successo a Kevin nei minuti in
cui
era stata via. Che si fosse ricordato di lei e stesse nuovamente
cercando di prenderla in giro? Quel pensiero le chiuse improvvisamente
la gola e dovette bere in fretta un sorso d'acqua per non soffocare con
il boccone che aveva mandato giù.
Era impossibile che lui si fosse ricordato di lei, avevano passato
insieme più di ventiquattro ore e lui non aveva mai dato
segno
di averla riconosciuta, anche perché sapeva di essere
cambiata
molto dall'insipida ragazzina che era stata un tempo. E poi, anche
ammesso avesse ricordato, non aveva nessun motivo per giocare di nuovo
con i suoi sentimenti; erano entrambi adulti ormai.
Accantonò
quel pensiero e tentò di calmarsi, ma la morsa allo stomaco
non
se ne andò, così come l'orribile sensazione di
essere
stata trasportata indietro nel tempo a quando era la vecchia Sophie;
una Sophie stupida, ingenua e paurosa che preferiva farsi mettere i
piedi in testa da quattro amebe senza cervello piuttosto che reagire e
combattere.
Spinse via il piatto, ormai incapace di mangiare altro visto lo stomaco
stretto in un nodo di apprensione, ed iniziò a torturarsi le
unghie dei pollici, fissando distrattamente fuori dalla finestra.
«Tutto
bene?» le chiese il soggetto delle sue preoccupazioni e
fisime mentali.
«Sì,
mi sono già saziata e non riesco a mangiare
altro.»
Continuò a fissare fuori dalla finestra, preferendo la vista
delle auto in strada al viso dell'uomo. Aveva terrore di scorgere
qualcosa che non le sarebbe piaciuto, qualcosa che le avrebbe fatto
capire di essere stata presa in giro di nuovo e non voleva. Non sapeva
se esattamente ci fossero secondi fini nelle intenzioni di Kevin, ed
effettivamente lui poteva anche volersi vendicare di lei per averlo
costretto a farle da balia, ma nel dubbio preferiva prendere le
distanze da lui ed essere cauta.
Nonostante
sentisse il suo sguardo dubbioso su di lei, l'uomo finì in
poco
tempo di mangiare e si allontanò per pagare il conto mentre
Sophie si diresse verso l'uscita, ansiosa di buttarsi a capofitto nei
preparativi per il campeggio in modo da allontanare le preoccupazioni
che l'affliggevano. Prima però aveva un'altra cosa fare, una
urgente che non poteva più essere rimandata.
Kevin
le venne incontro, riponendo il portafogli e lo scontrino nella tasca
del suo capotto. «Pronta?» le chiese, puntando il
suo
furgoncino con un cenno del capo.
«Certo,
ma prima vorrei chiederti se è possibile accompagnarmi in un
posto.» Lo vide alzare un sopracciglio sorpreso prima di
sospirare ed annuire.
«Nessun
problema.»
*
* *
«Tu!»
Il telefono che Jane le puntò alla gola sembrava una
pericolosa
arma di distruzione di massa, soprattutto perché era nelle
sue
mani e lo sguardo furioso e lucido con cui la fissava le fece capire
che era molto arrabbiata con lei.
«Scusami,
Jane, ti spiegherò tutto ma prima potresti rifoderare la tua
arma?» Sophie sentì chiaramente Kevin trattenere
le risate
e si accigliò, se la sua amica non fosse stata
così fuori
di sé gli avrebbe volentieri lanciato un'occhiataccia.
«Mi
hai fatta morire dalla paura, ho addirittura denunciato la tua
scomparsa a mio fratello perché non sapevo cosa fare!
Credevo ti
avessero rapita o peggio!» Le parole di Jane la raggelarono.
Aveva denunciato la scomparsa a suo fratello? Un agente di polizia? E
se suo padre ne fosse venuto a conoscenza? L'avrebbe trovata in meno di
un secondo. Non poteva di certo rimproverare la sua amica per averlo
fatto, era da quasi un giorno che non le dava sue notizie.
Tirando
su col naso, Jane le allontanò il cellulare dalla gola e se
lo
portò all'orecchio. «Jacob? Falso allarme,
è appena
tornata a casa e sta bene. Scusa se ti ho disturbato.» Una
volta
riagganciato, si buttò su di lei stritolandola fra le
braccia.
«Jane...»
ricambiò l'abbraccio dell'amica e rimasero in quella
posizione
per qualche secondo. Sophie si sentì in colpa per averla
fatta
preoccupare, era un'amica orribile ed avrebbe passato gli anni che le
restavano da vivere a farsi perdonare.
Le
due si separarono e solo in quel momento Jane notò la
presenza
di Kevin. «Ehm... chi è lui?» chiese,
fissandolo con
circospezione.
«Lui
è... Kevin» pronunciò quel nome con fin
troppa
lentezza, mandando all'amica uno sguardo che pregò capisse.
«Kevin»
ripeté l'altra confusa, prima di spalancare gli occhi e
puntarli
su di lei. «Kevin?» Il suo tono nascondeva una
chiara
domanda e Sophie annuì impercettibilmente.
«Sì,
mi chiamo proprio così» esordì
all'improvviso
l'uomo, avvicinandosi alle due. Fissò per qualche secondo
Jane
prima di voltarsi nuovamente verso di lei. «Scusami, Sophie,
devo
andare da una parte, ti dispiace se passo a prenderti più
tardi?»
«No,
vai pure. Prometto di non scappare.»
«Lo
spero» borbottò cupo prima di andarsene.
Appena
il veicolo di Kevin si fu allontanato, Jane la spinse dentro casa e si
chiuse svelta la porta alle spalle.
«Kevin?!»
chiese di nuovo, con un'espressione tale che in altre circostanze
l'avrebbe fatta morire dal ridere. «Che ci fai con
lui?»
Avrebbe
preferito non risponderle, dimenticare che era lì per un
tempo
determinato e molto breve, in parte anche a causa dello stesso Kevin
che doveva riportarla indietro, ma sapeva benissimo che l'amica non
avrebbe tollerato altri silenzi.
«Ti
conviene sederti, è una storia molto lunga.»
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
TENP - Capitolo 7 per EFP
Jane
alzò gli occhi al cielo, esasperata, e si
abbandonò priva
di forze sul divano. Di sicuro aveva un milione di domande da farle, ma
sembrava troppo stanca anche solo per articolare mezza parola. Sophie
notò le occhiaie scure sotto agli occhi, segno che aveva
passato
l'intera notte sveglia nell'attesa di sue notizie, e si
sentì un
mostro per essersi dimenticata di lei. In parte era colpa di Kevin,
l'aveva stressata ad un punto tale da farle dimenticare che c'era una
povera anima che l'aspettava; accanto a lui perdeva ancora la
cognizione di ogni cosa, proprio come quando era ragazzina, e questo
era molto pericoloso. Come se non bastasse, il bacio che le aveva dato
l'aveva mandata in confusione ancora di più, possibile che
quell'uomo all'apparenza freddo e rude le avesse tirato uno scherzo
così orribile da giovane? Se così fosse stato, se
davvero
era stato un ragazzino manipolatore ed insensibile, non sarebbe dovuto
rimanere tale almeno in parte? Forse non le aveva ancora mostrato quel
lato di sé e lei non ci teneva affatto a vederla.
Il
lieve russare dell'amica la scosse e si voltò trovandola
addormentata sul divano. Sorrise intenerita e si affrettò a
coprirla con un plaid. Sul tavolino di fronte al sofà
notò alcuni fogli sparsi o ammucchiati qua e là,
ne prese
uno e notò che si trattava di un volantino di aiuto per una
persona scomparsa, e quella persona era lei!
«Oh,
Jane...» si sedette accanto all'amica addormentata, e
notò
anche una ricompensa di tremila dollari per chiunque l'avesse trovata.
Sophie si commosse per quel gesto, soprattutto perché Jane
non
aveva una situazione finanziaria coi fiocchi, eppure era stata disposta
a spendere tutti i suoi risparmi per lei. Era bello sapere che c'era
qualcuno che teneva davvero a lei.
*
* *
«Wow,
stasera verrà la fine del mondo!»
esclamò sua
sorella, fissandolo con sarcasmo ed una punta di rabbia, che meritava
visto le rarissime volte che si faceva vivo.
«Lo
so, sono un pessimo fratello, eccetera eccetera...» la prese
in
giro, beccandosi come risposta la porta di casa quasi sul naso.
«Ehi, no! Mi dispiace, mi dispiace...» Sonia, sua
sorella,
aprì nuovamente sospirando sconfitta, lo conosceva bene
ormai e
sapeva perfettamente qual era il motivo che lo teneva lontano da lei,
dal marito e da Melanie, la sua nipotina. E il motivo era proprio lo
sguardo preoccupato che la sorella aveva sul viso, che lo fece
rabbuiare in un secondo.
«Non
iniziare.» La ammonì mentre entrava in salotto,
vedendola alzare gli occhi al cielo.
«No,
non inizio. Allora, cosa ti porta qui?» gli chiese, sedendosi
sulla poltrona e facendogli segno di sedersi sul divano accanto.
Rifiutando
l'invito, poiché non intendeva trattenersi a lungo e subirsi
i
soliti discorsi di Sonia, disposta a trovargli lavoretti qua e
là come se fosse un poveraccio incapace di badare a se
stesso,
si avvicinò alla libreria e fissò i vari libri
con
curiosità. «Dimmi, hai ancora l'annuario
dell'ultimo
anno?» le chiese con finta nonchalance.
Lei
aggrottò le sopracciglia, sorpresa? «L'annuario?
Sì, ma a te cosa serve?»
«Voglio
solo trovare il nome di un ex compagno, tutto qui.» Quella
scusa
non avrebbe convinto nessuno, lo sapeva, ma Kevin non aveva nessuna
intenzione di dirle la verità, soprattutto perché
questo
avrebbe comportato doverle dire anche della fuga di Sophie e del loro
patto, che ovviamente contrastava con l'ordine che le aveva dato il
padre della ragazza e lui non aveva voglia di subirsi i suoi rimproveri.
«Raccontamene
un'altra, Kevin. Sono tua sorella gemella, ti conosco e so per certo
che non dimentichi mai il nome di qualcuno, a me che di quella persona
non ti importi assolutamente nulla.» Sua sorella
incrociò
le braccia al petto e si mise a fissarlo con rimprovero, aspettando che
lui le raccontasse la verità. Cosa che non sarebbe mai
avvenuta,
la adorava ma proprio non sopportava che si intromettesse con forza
nella sua vita o che usasse trucchi come lo sguardo adirato per
estorcergli informazioni che, almeno per il momento, non poteva darle.
«Ti
prego, Sonia, se puoi aiutarmi te ne sarei davvero grato, altrimenti
grazie lo stesso e addio.» Questa volta fu il suo turno di
incrociare le braccia e mettere su lo sguardo di rimprovero.
Fortunatamente la sorella non insistette, forse anche per l'urgenza
nella sua voce, e si alzò dalla poltrona per dirigersi al
piano
superiore. Tornò poco dopo con un un grosso libro rosso, che
Kevin riconobbe come l'annuario che aveva chiesto. Glielo
strappò in modo quasi animalesco dalle mani e si
accomodò
sul sofà sfogliandolo con urgenza, quando arrivò
alla sua
classe spostò lo sguardo su tutti i visi dei vecchi compagni
di
scuola fino ad arrivare a lei... quando lesse il nome sotto la piccola
immagine il respiro si fermò in gola.
Sophie Beatrice McIntosh...
Effettivamente,
se si guardava attentamente la somiglianza era palese. Certo, ormai
Sophie era diventata donna e i suoi lineamenti più marcati e
seducenti, ma all'epoca era stata una graziosa ragazza dolce e sempre
presa di mira dai bulli.
Chiuse
l'annuario ed espirò rumorosamente. Sua sorella,in piedi
accanto
a lui, non pronunciò parola. Si diede dell'idiota per non
aver
riconosciuto subito la donna che da giorni aveva accanto, l'aveva pure
trattata con sufficienza credendola solo una stupida ragazza
viziata.
Si
passò una mano fra i capelli, improvvisamente esausto e
senza
forse, ed abbandonò l’annuario sul divano accanto
a
sé. Si alzò in piedi e diede un bacio sulla
guancia alla
sorella.
«Grazie
mille, Sonia. Prometto di ritornare presto per giocare con
Melanie.» La donna annuì e gli diede un abbraccio
prima di
accompagnarlo alla porta, sta volta a differenza delle altre volte non
tentò di farlo restare di più. Kevin
salutò
un’ultima volta la sorella e salì sul suo
furgoncino per
tornare a casa dell’amica di Sophie, pregando di trovarla
ancora
lì.
Non si sarebbe sorpreso però se avesse colto
l’occasione
per scappare di nuovo, lui non solo l’aveva trattata male ma
l’aveva anche lasciata sola libera di fare quello che voleva.
Come guardia del corpo era un vero schifo. Pregava solo di non aver
rovinato tutto con lei, lo consolava il ricordo del bacio che si erano
scambiati quella mattina, lei aveva tremato fra le sue braccia ed aveva
risposto con passione. Questo doveva pur significare qualcosa, no?
Voleva tanto chiederle perché se n'era andata via
all'improvviso, lasciandolo solo in quel posto orribile.
Arrivò davanti alla casa di Jane, l'amica strana di lei, e
parcheggiò nel vialetto, scendendo dall'auto e percorrendo
il
piccolo sentiero bianco e acciottolato fino alla porta con una strana
eccitazione e voglia di vederle, di constatare che fosse ancora
lì. Bussò, attendendo quella che gli
sembrò
un’eternità dolorosa e quando la porta si
aprì fu
proprio il viso di Sophie che si ritrovò davanti.
«Sei
pronta per andare?» le chiese e lei annuì,
sorridendo appena.
«Solo
il tempo di lasciare un biglietto a Jane, che si è
addormentata,
e sono da te; tu non muoverti.» Quando lo vide annuire,
tornò dentro casa, strappò un foglietto da una
bacheca
che la giovane padrona di casa teneva sulla parete e dopo poco
tornò da lui chiudendosi piano la porta di casa alla spalle.
«Fatto.»
Entrarono
nel furgoncino e solo in quel momento Kevin tirò un sospiro
di
sollievo, sapendola accanto a sé. Lei si ricordava di lui?
Probabilmente no, non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarla se non
in classe e con delle scuse banali come l’occupazione
illecita
del suo banco. A parte difenderla da Connor e sedersi accanto a lei con
scuse imbarazzanti, non le aveva mai parlato da solo o confessato i
suoi sentimenti e lo aveva rimpianto molto quando se n'era andata.
Ma
adesso aveva una seconda occasione e non l'avrebbe sprecata.
«Ci
vuole molto per arrivare al campeggio?» gli chiese, battendo
le
mani emozionata come una bambina. Quella reazione lo mise di buon
umore, vederla felice alleviava il suo senso di colpa per come l'aveva
trattata. Inoltre significava anche che in ce l'aveva affatto con lui e
questo era un bene.
«Ci
vorrà più o meno un'ora. Inoltre è una
zona
boschiva poco frequentata dagli altri campeggiatori quindi potrai
goderti la natura senza irritanti compagni... ed io ne so
qualcosa» disse, ricordando il campeggio organizzato con sua
sorella quando lei aveva compiuto diciotto anni, si erano ritrovati
circondati da persone che ruttavano, liberavano aria molesta e facevano
l'amore proprio nella tenda accanto alla loro. Per due ragazzini,
all'epoca era stato terribile, m ripensandoci ora la situazione era
abbastanza comica.
«Bene...
credo» mormorò confusa.
«Certo
che è un bene, credimi, certe persone tendono a lasciarsi un
pochino andare nella natura...» il viso sconvolto di Sophie
per
poco non lo fece ridere ma si trattenne. Era curioso di sapere in che
modo la sua testolina avesse interpretato le sue parole.
Per
il resto del viaggio nessuno dei due parlò. Lei si
lasciò
andare contro il sedile, chiudendo gli occhi e rilassandosi alla musica
che la radio trasmetteva mentre lui tentava di tener fisso lo sguardo
sulla strada e non posarlo su di lei.
Solo
quando arrivarono nei pressi del lago, dove avrebbero campeggiato, la
svegliò con un finto colpo di tosse. Lei sobbalzò
leggermente, lo sguardo ancora un po' vacuo, e si guardò
intorno
fino a posare lo sguardo fuori dal finestrino.
«È
meraviglioso!» disse, riferendosi allo spettacolo del
tramonto
che si rifletteva nelle acque cristalline del lago.
Di
certo non era meraviglioso quanto i suoi occhi accessi dalla
felicità o del suo sorriso meravigliato.
«Ci
accamperemo vicino al lago?» sembrava essere tornata una
bambina,
ed effettivamente forse dentro lo era ancora un po' visto che da
piccola era stata costretta a comportarsi da donna.
«Se
ti fa piacere» le rispose, alzando le spalle in un gesto di
finta noncuranza.
«Sì,
mi piacerebbe molto!» batté le mani lei, iniziando
ad agitarsi emozionata sul sedile.
Per
lui il campeggio non aveva di certo il fascino che vedeva lei, forse
perché non gli era sconosciuto anzi, negli anni aveva avuto
modo
di odiare le punture di insetto quanto odiava Connor... be', forse non
proprio; odiava quel cretino molto di più. Sapeva di star
realizzando un sogno molto importante per lei, forse per gli altri quel
gesto era insignificante ma per Sophie no e questo rendeva quel momento
speciale anche per lui. Era orgoglioso del suo sorriso,
perché
sapeva che ne era per metà l'artefice.
Quando
finalmente arrivarono a destinazione, Sophie si precipitò
fuori
dal furgoncino per ammirare la riga del lago e le piccole onde che vi
si infrangevano. Kevin ne approfittò per scaricare le
provviste
e tutto il necessario prima di montare la tenda.
«Ti
serve aiuto?» Sophie gli si avvicinò proprio
mentre stava
inchiodando i paletti della tenda nel terreno. Apprezzò la
sua
richiesta, ma dubitava sapesse cosa fare in quel frangente ed avrebbe
potuto solo portare più guai che aiuto, ovviamente non aveva
intenzione di dirglielo.
«No,
grazie, però potresti cercare dei rami qui intorno. Se noti
ce
ne sono alcuni là» puntò col braccio un
mucchietto
di rami accanto a degli alberi poco distanti da loro. La bionda
annuì col capo e si avviò a raccogliere i rametti
caduti.
Tornò
a lavoro e in pochi minuti riuscì a montare quella vecchia
tenda, lui e sua sorella si erano divertiti un sacco lì
dentro
da piccoli... sperava potesse divertirsi anche Sophie.
«Allora...
raccontami un po' della tua adolescenza» le chiese qualche
ora
più tardi, entrambi seduti accanto al fuoco mentre fissavano
le
stelle che brillavano nel cielo notturno.
Sophie
puntò lo sguardo su di lui, sorpresa e incuriosita da quella
domanda inaspettata. «Come mai ti interessa la mia
adolescenza?»
«Semplice
curiosità, mi chiedo solo come abbia passato i suoi anni
più belli una principessa» una scusa davvero
patetica, che
però le sembrò bastare perché la vide
annuire
piano fissando il fuoco che scoppiettava davanti a loro.
«Be',
non sono stati esattamente i giorni più belli della mia vita
anzi...» iniziò a raccontare lei, tenendo ancora
fisso lo
sguardo sul fuoco. «Forse ti sembrerà strano, ma
ho
frequentato l'ultimo anno di liceo qui, in America, prima di allora
avevo sempre studiato a casa con un tutor.»
«Ma
davvero?» si finse sorpreso lui.
«Sì.
E sin dal primo giorno, chissà per quale motivo, un
gruppetto di
ragazzi mi prese di mira e per me ogni ora passata in quel liceo
è stata una vera a propria tortura»
raccontò con la
voce intrisa di tristezza e rimpianto.
Connor e si suoi..., pensò.
Quegli orribili bastardi le avevano davvero fatto passare l'inferno, e
non importava se a quel tempo erano degli idioti immaturi, per lui
diciassette anni bastano per distinguere il bene del male e capire
quando si sta facendo qualcosa di sbagliato e terribile.
«Però»
riprese subito dopo lei. «C'era un ragazzo che mi piaceva
davvero
tanto, era sempre pronto a difendermi ogni volta che ne avevo bisogno.
Era diventato una specie di super eroe per me, se ero nei guai lui
c'era e me ne sono infatuata subito.» I suoi occhi ora erano
colmi di malinconia e dolore, di quest'ultimo Kevin ebbe paura, sentiva
che la storia non sarebbe finita bene. Chi era il ragazzo che andava
sempre in suoi aiuto, da quel che ricordava solo lui e la sua amica dai
capelli rosa – che solo in quel
momento
collegò a Jane – intervenivano per difenderla.
Possibile
che fosse proprio lui?
«E
cos'è successo con questo ragazzo» le chiese con
la voce spezzata dalla preoccupazione.
«Nulla.
Gli ho confessato i miei sentimenti e di essere una principessa e lui
ha consegnato il biglietto a Carly, che ha letto davanti a tutta la
classe nell'ora di educazione fisica. Quindi anche lui mi aveva preso
in giro.» Sophie spostò lo sguardo dal fuoco al
suo viso e
sorrise, un sorrise tristi e rassegnato.
Non
poteva di certo essere lui quel ragazzo, non aveva ricevuto nessuna
confessione da lei e di certo non avrebbe consegnato qualcosa di
così importante ad un'arpia come Carly.
«Mi
dispiace...» disse semplicemente, senza saper cosa dire.
«Non
importa, è successo tanto tempo fa»
sospirò lei
prima di alzarsi e sgranchirsi braccia e gambe. «Io sonno, ti
dispiace se vado a dormire per prima?»
«No,
vai pure, io ti raggiungerò tra poco.» La bionda
annuì e sparì nella tenda.
Approfittò
di quei momenti di solitudine per pensare. Chi era il ragazzo che
l'aveva tradita in un modo così subdolo? Voleva trovarlo per
spaccargli la faccia, ma più di tutto voleva spaccarsela da
solo
la faccia, per non essere riuscito a proteggerla da un tipo simile. Lui
non aveva idea che fosse innamorata di qualcuno, se ne andava in giro
sempre sola o con la sua amica e mai con un ragazzo.
Sospirò
e si passò una mano sul viso. Questo spiegava
perché era
scomparsa così improvvisamente, il dolore e l'imbarazzo
erano
stati sicuramente troppo da sopportare. Si alzò dal ceppo
d'albero su cui era seduto e gettò della terra sul fuoco per
spegnerlo prima di entrare nella tenda.
Trovò
Sophie stesa sul sacco a pelo rosso che avevano comprato insieme, lei
gli dava le spalle e sembrava addormentata ma Kevin sapeva benissimo
che era ancora sveglia, lo percepiva dal suo respiro irregolare. Fece
finta di nulla e si stese anche lui, fissando nella semi
oscurità la parte superiore della tenda.
«Grazie
mille» la sentì mormorare all'improvviso,
così
piano che per un secondo temette di essersi immaginato tutto. Si
voltò verso di lei, fissandole la schiena, in quel momento
provava il forte desiderio di abbracciarla e farle dimenticare gli
orribili anni che aveva passato ma se l'avesse fatto lei lo avrebbe di
sicuro frainteso. Inoltre era evidente che non si ricordasse di lui e
questo gli lasciava una sensazione amara in bocca. La sentì
voltarsi e si ritrovò col suo viso a pochi centimetri di
distanza, i suoi occhi verdi scrutarono i suoi e per un secondo gli
sembrò di vedervi nuovamente del rimpianto misto a
delusione,
non per se stessa ma per lui. Questo lo scosse e turbò,
perché avrebbe dovuto essere delusa da lui?
«Grazie»
ripeté lei di nuovo, strappandolo dai suoi pensieri.
«Grazie per avermi portata qui nonostante non ne avessi
voglia,
so che le mie richieste sono assurde e che non eri obbligato ad
assecondarmi, ma proprio per questo ti ringrazio.»
Abbassò
lo sguardo, come se non riuscisse a fissarlo.
Senza
nemmeno rendersene conto, portò una mano sul suo viso e ne
accarezzò la guancia con il pollice. La sentì
tremare,
esattamente come quando l'aveva baciata, ed i suoi occhi tornarono a
fissarlo, stavolta carichi di domande. Non le diede alcuna spiegazione
però, avvicinò soltanto le labbra alle sue e la
baciò piano, quasi con timore. Questa volta non si sarebbe
lasciato scappare l'occasione di averla accanto a sé come
aveva
fatto da ragazzino.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
TENP - Capitolo 8 per EFP
Dev'essere impazzito,
pensò Sophie, altrimenti non si spiegava il suo
comportamento
quel giorno. Era la seconda volta che la baciava, la prima poteva
considerarlo un errore ma la seconda no. Non sapeva cosa gli fosse
preso, fino al giorno prima sembrava gli fosse antipatica mentre adesso
sembrava un'altra persona. Non l'aveva trattata né
freddamente
né da stupida, forse si sentiva male, aveva bevuto o... non
lo
sapeva nemmeno lei.
Portò le mani sul suo petto, con l'intenzione di
allontanarlo,
ma il suo bacio la stava trascinando nell'oblio di sensazioni fino ad
allora sconosciute. Si ritrovò senza nemmeno accorgersene a
stringere la sua maglietta tra le dita per avvicinarlo di
più a
sé.
Lui la sovrastò, coprendola col proprio corpo, Sophie
provò un certo timore ed una punta di panico si
impossessò di lei. Non sapeva cosa fare, come reagire in
quella
situazione, una situazione che da ragazzina aveva sempre sognato. Kevin
abbandonò le sue labbra ed iniziò a baciare
dolcemente
prima le gote, la punta del naso fino a ritornare sulle sue labbra che
non unì nuovamente alle sue. Rimase fermo, la bocca a pochi
millimetri dalla sua, senza far nulla. Lentamente, il cuore si Sophie
riprese a battere ad un ritmo quasi normale ed il timore
svanì
un po'. Alzò lo sguardo verso di lui e lo trovò a
fissarla, era la prima volta che poteva ammirare i suoi occhi blu
così da vicino, in quel momento, nella penombra, sembravano
due
pozze nere e ardenti. Il suo sguardo la penetrava nel profondo, la
scrutava fin nell'anima, stava di certo tentando di capire se fosse
prudente andare oltre o fermarsi. La cosa più razionale e
giusta
in quel momento, per entrambi, era mettere fine a quella follia e fare
finta di nulla. Sì, sarebbe stato meglio.
Eppure, spinta da un'audacia e da un bisogno che non credeva di
possedere, unì nuovamente le sue labbra e diede inizio ad un
bacio quasi famelico. Non sapeva chi dei due cercasse di avere la
meglio sull'altro, di premere il controllo di quel bacio.
Kevin avvicinò il bacino al suo e le fece sentire quanto la
desiderasse, Sophie si lasciò scappare un piccolo gemito
sorpreso e quel gesto le spense definitivamente il cervello.
Abbandonò le labbra di lui per iniziare una scia di baci dal
mento fino al collo, lo sentì ansimare più forte
e
infilare una delle sue calde mani sotto ad una delle enormi t-shirt che
le aveva prestato.
Sophie si sentiva ardere come non mai, ogni suo gesto era completamente
dettato dall'istinto e sentì un bisogno urgente invaderla.
Desiderava le mani di lui su tutto il corpo e non se ne vergognava, al
contrario.
Quando sentì la sua mano su un seno, una scarica elettrica
la
invase e si inarcò verso di lui. Kevin nascose il capo
contro il
suo collo e gli sembrò di sentirlo sussurrare «oh,
Sophie», ma persa com'era in quelle sensazioni non ne
poté
essere sicura.
E all'improvviso, tra la bolla di sensazioni fantastiche che sentiva,
iniziò a provare freddo e la mancanza di qualcosa. Non
sentiva
più il suo tocco né il peso del suo corpo sul
proprio.
Aprì di scatto gli occhi, spaesata, e si guardò
intorno
confusa.
Trovò Kevin steso sul suo sacco a pelo che le dava le
spalle,
come se nulla fosse accaduto. Per un attimo credette di aver sognato
tutto, ma la maglietta alzata fino al busto rivelava la
verità.
Sconcertata, confusa e ferita per quell'abbandono improvviso, diede
anche lei le spalle all'uomo mordendosi le labbra per non piangere.
Mille domande le affollavano la mente. Perché si era
allontanato? Forse non l'aveva trovata abbastanza attraente? Gli aveva
fatto schifo toccare il suo corpo? Piena di vergogna si risistemo la
maglietta, lasciando che calde lacrime le rigassero il volto.
*
* *
Imbarazzo e disagio... ecco cosa avvertiva Sophie dal momento in cui
avevano lasciato il bosco. Non aveva rivolto la parola a Kevin dal
momento stesso in cui si era svegliato e lui aveva fatto lo stesso, non
era riuscita a chiudere occhio per le mille domande che le avevano
affollato la mente stanca e si sentiva a pezzi sia fisicamente che
emotivamente. Quell'uomo doveva avere seri problemi di
personalità, altrimenti non si spiegava come potesse baciare
con
una tale passione da sconnetterti tutti i neuroni solo per allontanarsi
e voltarsi improvvisamente come un estraneo, come se non fosse successo
nulla.
La bionda appoggiò la fronte contro il finestrino,
sforzandosi
per non voltarsi e incontrare lo sguardo dell'uomo accanto a
sé,
desiderava soltanto arrivare da Jane e sfogarsi con lei; l'amica
l'avrebbe sicuramente confortata e tirata su di morale, o almeno ci
sperava...
Le
immagini della sera precedente le tornarono in mente vivide e maligne,
poteva ancora sentire il suo tocco sulla pelle e il sapore dei suoi
baci. Si morse l'interno della guancia per evitare di perdersi
ulteriormente in quelle fantasie e si diede della stupida; in qualche
modo era di nuovo caduta nella sua trappola e gli aveva permesso di
farla soffrire di nuovo, non importava se non si ricordava di lei,
aveva abbassato nuovamente le sue difese davanti a lui permettendogli
di scagliare un altro attacco.
Che stupida! Era peggio di una masochista, tanto valeva aprirsi il
petto e regalargli il suo cuore ancora caldo.
L'immagine la fece rabbrividire e perse quel poco di appetito che
aveva. Nonostante i suoi pensieri chiassosi a farle compagnia, il
tragitto fino alla casa di Jane le sembrò eterno ed una
volta
arrivati salutò Kevin con un frettoloso "ci vediamo
più
tardi" prima di sfrecciare come un fulmine fuori dalla vettura e
dirigersi dinanzi la porta dell'amica.
Lui ci mise un po' prima di ripartire e Sophie giurò di aver
percepito il suo sguardo insistente su di sé, ma gli aveva
dato
le spalle per tutto il tempo e non poteva esserne certa. Sicuramente
aveva percepito la sua freddezza e il suo disagio, ma non ne aveva
alcun accenno nella mezz'ora che avevano passato insieme né
le
aveva chiesto se ci fosse qualcosa che la turbasse. Forse sapeva
perfettamente la causa del suo comportamento e preferiva non affrontare
la questione, oppure era davvero un idiota incurante di nessuno se non
di se stesso.
Non
sapeva decidere quale delle due opzioni fosse la peggiore...
«Ehm...
hai intenzione di restare lì impalata ancora per
molto?»
Alzò
di scatto il capo, sobbalzando alla voce dell'amica; Jane se ne stava
ferma davanti alla porta di casa con un'espressione curiosa e
indagatrice.
«Scusami»
sospirò entrando in casa.
«Suppongo
che il campeggio non sia andato a buon fine»
indagò
l'amica, scrutando con insistenza quasi imbarazzante il suo viso.
«Supponi
bene» sospirò, lasciandosi cadere fiaccamente sul
divano.
«Racconta
tutto» le ordinò Jane, accomodandosi accanto a
lei.
«E con tutto intendo ogni dettaglio, fin dall'inizio, non
come
ieri che hai approfittato della mia stanchezza per svignartela e
lasciarmi solo un biglietto con scritto "vado in campeggio con Kevin,
ti racconto tutto domani".»
«Non
me la sono svignata» si difese. «Eri stanchissima,
si
vedeva, e non volevo svegliarti solo per salutarti. Tutto
qui.»
Jane
alzò gli occhi al cielo, con l'espressione di chi tenta di
comunicare con un caso perso. «Come no, ad ogni modo non
cambiare
argomento e spiega.»
«E
va bene» si arrese, anche se non aveva alcuna voglia di
parlare
di Kevin in quel momento, ma sapeva che l'amica meritava spiegazioni;
soprattutto dopo essere sparita senza dirle nulla.
«Come
ti ho già raccontato, mio padre ha ingaggiato una guardia
del
corpo che avrebbe dovuto seguire ogni mio minimo spostamento, questo
per evitare che io scappassi dal castello quando mi andava. Quella
guardia era, anzi è, Kevin.»
«Cavoli!
Se questo non è destino allora cos'è?»
esclamò eccitata Jane.
«Destino?»
Essere presa in giro due volte dalla stessa persona era destino? Forse
sì, ma un destino di cacca allora.
«Pensaci:
tu avevi una cotta per Kevin alle superiori e poi te lo ritrovi come
tua guardia del corpo, quante possibilità c'erano che una
cosa
del genere potesse accadere?»
«Non
lo so, l'unica cosa che so è che avrei preferito chiunque a
lui.
Ho quasi creduto fosse un uomo buono, ma ieri sera ho avuto la conferma
che è solo un bastardo» sbottò furiosa,
afferrando
a morte uno dei poveri cuscini sul sofà.
L'amica
divenne subito seria, abbandonando l'aria divertita di prima.
«Ti
ha fatto del male? Perché in quel caso ho una pala, possiamo
ammazzarlo e seppellirlo in giardino.»
Si
lasciò scappare una breve risata alle parole di Jane,
ringraziandola silenziosamente. Le raccontò tutto quello che
era
successo la sera prima, anche se con un po' di imbarazzo
perché
era la prima volta che parlava con lei di certe cose. In quel momento
si sentì quasi una normale ragazza col cuore a pezzi.
«Quindi
è rimasto lo stronzo del liceo» sospirò
infine, terminando il suo racconto.
«Mh...»
mugugnò l'amica. «Non credo che si sia fermato
perché stronzo, hai mai pensato che la situazione stesse
degenerando troppo velocemente?» le chiese. «Voglio
dire,
come hai detto tu, lui non sa chi sei, quindi ti considera
pressoché una sconosciuta ed anche il suo incarico di
lavoro,
hai mai pensato che si sia allontanato per non farsi coinvolgere troppo
da te e quindi perdere la sua obiettività come tua guardia
del
corpo?»
No,
non ci aveva minimamente pensato e iniziò a vergognarsene un
po'.
Era vero, Kevin la considerava solo il pacco che doveva consegnare a
suo padre e lasciarsi coinvolgere emotivamente o fisicamente era una
cosa che uno come lui non avrebbe mai fatto. Era stato un marine, uno
abituato a seguire gli ordini e portare a termine le missioni con
successo. La stessa cosa valeva con lei. Questo, dunque, non
significava che fosse rimasto lo stesso ragazzino che l'aveva ferita
anni prima, tuttavia temeva di non riuscire a fidarsi di lui proprio
per ciò che era successo a scuola.
Anche lei doveva tenere a mente il motivo della sua fuga e del
perché dormisse a casa di Kevin e si muovesse solo con la
sua
costante presenza. Avevano fatto un patto e tra non molto lei sarebbe
tornata a casa e non l'avrebbe visto mai più, non c'era
spazio
per risentimenti antichi di cui lui non aveva il minimo ricordo.
«Forse
hai ragione, però sentirsi respinti in quel modo non
è stato bello.»
«Certamente
si è comportato da idiota e avrebbe potuto spiegarti il
perché di quel gesto, ma gli uomini sono rudi e babbei e
difficilmente si rendono conto di cosa può ferire una
donna.» Jane le cinse le spalle con un braccio e la strinse
piano
a sé. «Sono esperienze che prima o poi facciamo
tutti, e
per quanto brutte sono felice che anche tu stia iniziando a vivere la
tua vita. Anche se per poco.»
*
* *
«Santo
cielo, dimmi che non stai per morire!» esclamò sua
sorella, fissandolo con un'espressione terrorizzata sul viso.
«Dico,
ma sei scema?» sbottò irritato, capiva che potesse
stupirsi di ricevere la sua visita per due giorni di file, ma da qui a
pensare una cosa del genere si doveva essere strani sul serio. E sua
sorella lo era, strana.
«Be',
concedimelo, ti vedo sì e no mezza volta all'anno e adesso
ti
presenti qui due volte in meno di quarantotto ore, i miei sospetti sono
giustificati.» Sonia incrociò le braccia, mettendo
su la
sua solita espressione preoccupata di sorella maggiore. Solo di un
minuto.
Kevin
alzò gli occhi al cielo, passandosi stanco una mano sul
volto.
«Santo cielo, sto bene! Non morirò, per ora, sono
qui solo
perché mi andava di vederti.» Bugia. Era
lì
perché voleva chiedere un parere femminile, aveva notato la
freddezza di Sophie quella mattina ed era certo fosse causato da
ciò che era accaduto la sera precedente.
Sua
sorella gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Credi
che io sia
scema? Sai che a raccontar bugie ti si accorcia l'aggeggino che hai in
mezzo alle gambe?» lo prese in giro.
«Non
ti si allungava il naso? E comunque, ti sembrano cose da dire a tuo
fratello?»
«Se
si ha un fratello idiota, sì.» La donna
sospirò e
si diresse in cucina, tornando qualche minuto dopo con due lattine di
birra e porgendogliene una. «Su, dì alla tua
sorellina
ciò che ti turba.»
Kevin
fissò con sospetto la lattina che aveva tra le mani.
«Di
un po', per caso stai cercando di sciogliermi la lingua con
l'alcol?»
«Esattamente»
confermò lei senza vergogna. «È l'unico
modo per
farti parlare, lo sappiamo entrambi, altrimenti te ne saresti seduto
sul divano a mugugnare, sbuffare e maledire Dio solo sa chi prima di
aprire bocca.»
Aveva
ragione, purtroppo. Sua sorella lo conosceva benissimo e negli anni
aveva sviluppato ingegnosi trucchetti per sciogliergli la lingua o per
fargli fare ciò che voleva. Era una scaltra volpe, uno dei
motivi per cui negli ultimi anni l'aveva tenuta lontana, sapeva che con
lei i suoi segreti non sarebbero rimasti tali. E non voleva lei venisse
a conoscenza di fatti spiacevoli, che stesse male per lui, aveva una
famiglia a cui badare e Kevin non voleva essere un altro peso.
Aprì
la lattina di birra e ne bevve un lungo sorso, se voleva l'aiuto di
Sonia doveva parlare e davvero gli sarebbe servito dell'alcol per
raccontarle di Sophie e di ciò che era accaduto nella tenda.
Fissò nuovamente l'oggetto in latta tra le sue mani,
pensando
attentamente alle parole da usare per iniziare a raccontare. Doveva
partire dall'inizio o dirle il meno possibile? Sua sorella non
l'avrebbe aiutato se avesse capito che teneva per sé
qualcosa
che non voleva raccontarle.
«Ti
ricordi di quel lavoro che avevo trovato all'estero?»
iniziò, decise di farlo dall'inizio, anche per guadagnare un
po'
di tempo e mettere chiarezza nei suoi pensieri.
Sonia
annuì. «Sì, quello di guardia del corpo
all'estero,
no? Ieri quando ti ho visto alla mia porta sapevo che era successo
qualcosa, ti hanno licenziato?»
«No,
sono tornato perché la donna che dovevo sorvegliare e
scappata
dopo neanche dieci minuti dall'inizio del mio incarico.»
Ammetterlo non gli faceva piacere, però era la
verità.
Sua
sorella si lasciò scappare un breve risata.
«È
riuscita a sfuggirti senza che te ne accorgessi? Stranamente, mi
è già simpatica, chiunque lei sia.»
«Già.»
le lanciò un'occhiataccia e continuò.
«Ad ogni
modo, si è scoperto che questa donna era una mia compagna di
classe alle superiori, una che mi piaceva molto e che era scomparsa
senza dire nulla.»
«Stai
parlando della ragazzina bionda a cui sbavavi dietro l'ultimo
anno?»
Kevin
sobbalzò dalla sorpresa. «E tu come fai a
saperlo?»
Era certo di non averle mai rivelato la sua cotta per Sophie, non
l'aveva mai raccontato a nessuno.
«Sono
tua sorella, ho passato nove mesi accanto a te, so leggere le tue
espressioni» disse fissandolo seriamente. «Inoltre,
ogni
volta che mi avvicinavo a te per parlare, la tua attenzione veniva
sempre catturata dalla presenza di quella biondina. La cercavi con lo
sguardo anche quando non c'era, era abbastanza facile
intuirlo.»
Deglutì
rumorosamente, anche incredulo alle parole di Sonia. Davvero si era
sempre tradito così facilmente?
«Comunque»
riprese sua sorella. «Cos'è successo con
lei»
Si
schiarì la voce e riprese a raccontare. «L'ho
seguita fin
qui e trovata, ma prima che potessi portarla a casa ho fatto un patto
con lei, promettendole di darle qualche altro giorno di
libertà
prima di riportarla da suo padre.» Sonia annuì,
spingendolo a continuare. «Ieri l'ho portata in campeggio, ho
confermato la sua identità e una volta in
tenda...» si
fermò, imbarazzato da ciò che avrebbe dovuto
raccontare.
Non aveva mai confidato certe cose a nessuno, ed iniziare da sua
sorella era piuttosto strano.
«In
tenda, cosa?» chiese lei, leggermente spazientita da tutta
quella reticenza.
«Be',
ecco io...»
«Hai
allungato le mani!» lo precedette, con la voce più
stridula di una zitella settantenne che assiste a delle effusioni in
pubblico, ci mancava solo il segno della croce e sarebbe stata perfetta.
«No!
Cioè... sì, ma non come pensi!» si
difese, anche se
aveva ben poco da difendere visto che le mani le aveva veramente
allungate.
«Allora
com'è? Illuminami, Kevin Grey» lo prese in giro,
ridendo
sotto i baffi nel vederlo in difficoltà.
«Ecco...
io l'ho baciata, spinto dal momento e dal ricordo, lei ha ricambiato e
poi...» si sbottonò qualche bottone della camicia
e prese
un altro sorso di birra. «Poi ho... sì ho
allungato le
mani!» ammise stizzito. «Però qualche
secondo dopo
ho capito di star correndo, che non era giusto nei suoi confronti
affrettare le cose in quel modo, così mi sono allontanato e
voltato e stamattina lei aveva un'aria gelida ed imbarazzata. Non mi ha
rivolto la parola per tutto il viaggio di ritorno»
terminò
il racconto con un sospiro di sollievo, sentendosi sudato come se
avesse corso per tre chilometri.
«In
che senso ti sei "voltato e allontanato"? Stai dicendo che dopo aver
fatto i comodi tuoi, toccato ciò che non avresti dovuto,
l'hai
lasciata lì come una cretina e le hai dato le
spalle?» gli
chiese, con lo sguardo di chi sta per strozzare qualcuno.
Kevin
annuì e la sentì imprecare contro di lui.
«Perché
proprio a me Dio ha voluto affidare un fratello così
idiota?» si disperò, per chissà cosa
poi visto che
lui non ci capiva più niente. «Ti rendi conto di
cosa hai
fatto? Non puoi allungare i tentacoli e poi far finta di nulla senza
dare spiegazioni, una donna può rimanerne ferita, sentirsi
umiliata e respinta» lo illuminò infine.
Oh. Kevin iniziava a capire.
«Quindi
è per questo che stamattina si comportava in quel modo? Mi
sono comportato da idiota e l'ho ferita.»
«Esattamente,
non ti è passato per la testa che agire in quel modo fosse
sbagliato? Ti sei comportato come un uomo delle caverne o come una
donna al supermercato che palpa la frutta per sentire qual è
la
più buona. Quella poveretta ha delle emozioni, non puoi fare
quello che ti pare come più ti piace.»
Perso
nei suoi pensieri, annuì più a se stesso che alla
sorella, ripensando a come aveva agito la sera precedente.
Effettivamente, baciarla e toccarla solo per allontanarsi muto il
secondo dopo era stato davvero da stronzo.
«Porca
puttana» imprecò a denti stretti, rendendosi conto
di aver fatto un altro passo falso con lei.
Sentì
Sonia sospirare e puntò nuovamente lo sguardo su di lei.
L'espressione di compassione sul volto della sorella fece aumentare il
suo nervosismo, ma sapeva di meritare molto meno della compassione.
«Devi
andare da lei e chiarire la situazione, dirle la verità,
altrimenti non avrai più nessuna speranza con lei e l'avrai
persa per sempre.»
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Capitolo 9 *** Special Part - Kevin ***
TENP - Special Part - Kevin
Smettila di fissarla, sembri un maniaco,
gli disse George, la voce della sua coscienza. Sapeva benissimo di
sembrare uno stalker in quel momento, nascosto nell'ombra a fissare la
ragazza per cui aveva una cotta. Lei se ne stava nascosta sotto gli
spalti del campo da football, completamente assorta dallo schizzo che
stava disegnando sul suo quaderno rosso. Non era la prima volta che lo
faceva, Kevin sapeva che era sua abitudine rifugiarsi lì per
evitare Connor e tutta la sua banda, che le davano il tormento. Odiava
quel bastardo, più di ogni altra cosa, se la prendeva con
persone che non gli avevano fatto nulla ed era un grandissimo codardo.
Quello
che più di tutto non poteva perdonare al capitano della sua
squadra, era il modo in cui si accaniva contro quella povera ragazza,
la umiliava più delle altre sue vittime. Come se ce l'avesse
con
lei per qualcosa di personale, e non se lo spiegava visto che la
poverina si era trasferita lì soltanto da qualche mese.
L'oggetto
dei suoi pensieri si lasciò scappare un sospiro stanco e si
massaggiò la nuca con una smorfia dolorante. Kevin avrebbe
voluto aiutarla, avvicinarsi farle un massaggio, ma sapeva che se ci
avesse provato lei lo avrebbe sicuramente preso per un maniaco. Si
lasciò scappare un sorriso quando la vide arricciare le
labbra
nel suo solito, adorabile, broncio mente fissava critica l'opera appena
terminata. Lui sapeva quanto fosse brava nel disegno, un vero talento,
perché cercava ogni scusa possibile per sedersi anche
soltanto
dietro di lei e spiarla.
Dio,
era davvero uno
stalker!
Purtroppo
era più forte di lui, non riusciva a fare a meno di
fissarla, di
cercarla con lo sguardo o di pensare a lei, gli sembrava di essersi
rimbambito. Le ragazze non lo avevano mai attirato in quel modo,
soprattutto non quelle del suo istituto, mentre quella minuta biondina
lo aveva attirato sin dal primo giorno quando, presentandosi, lo aveva
intenerito con la sua espressione assolutamente terrorizzata e la
vocina dolce e melodiosa. Era rimasto assolutamente affascinato da lei,
rapito, e se avesse avuto un po' più di spina dorsale
avrebbe
fatto la prima mossa e chiesto di uscire, ma tutto il suo coraggio
evaporava dinanzi a lei.
L'invidiata
freddezza sempre mostrata sul campo ed anche nella vita privata
scompariva quando si avvicinava alla ragazza, e se Connor l'avesse
saputo non avrebbe perso tempo per umiliarlo ed umiliare anche lei.
Della sua reputazione gli importava poco, per sfogarsi gli sarebbe
bastato pestare quell'idiota, ma lei... non poteva fare questo anche a
lei.
Se
fosse diventata la sua ragazza le prese in giro sarebbero cessate? Ne
dubitava. Connor aveva smesso di farsi esami di coscienza ed aveva pena
per lui, eppure era stato il suo migliore amico fino all'anno
precedente, prima che cambiasse e di conseguenza allontanasse. Non
aveva idea di cose gli fosse successo ed ormai nemmeno gliene importava.
D'improvviso,
la ragazza si alzò con uno scatto veloce, facendolo
indietreggiare spaventato, e si mise a fissare qualcosa al di sopra
degli spalti. Entrambi videro arrivare Carly, la ragazza di Connor, in
compagnia di Jason, il presidente del consiglio studentesco. I due
ridacchiavano e si baciavano come due polipi impazziti e vide la
biondina portarsi una mano alla bocca sconvolta. Anche lui era
sorpreso, la regina del liceo che tradiva il re, era un
cliché
così frequente che non valeva nemmeno la pena esserne
sorpresi.
Carly
era una serpe viscida ed opportunista, ovviamente stava con Connor solo
per apparenza e l'idiota invece era completamente perso per lei, si
vantava con ogni essere terrestre della sua meravigliosa ragazza.
Meravigliosa e...
La
causa dei suoi batticuori invece sembrava talmente sconvolta che
raccolse tutti i suoi effetti personali e scappò via
silenziosa,
sicuramente terrorizzata all'idea che i due si accorgessero di lei e le
dessero fastidio. Kevin imprecò tra i denti, lanciando
maledizioni ai due schifosi sopra la sua testa e rimase lì a
fissare la biondina sparire.
Sospirò
tristemente, avvilito con se stesso per un'altra occasione persa.
Quando riuscirò a confessarti quello che
provo, Sophie?
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