The Ex Nerd Princess

di EvelynJaneWolfman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Special Part - Kevin ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


5 anni prima...

La campanella, come ogni sviscerante mattina, suonò procurandole un lungo brivido freddo che le percorse la schiena fino ad arrivare alle gambe, che tremarono. Sophie alzò lo sguardo e lo posò sull'enorme edificio in mattoni che era il suo liceo, un luogo orribile e tetro che la spaventava più degli inviti a danzare del baronetto Von Claus, un ragazzo borioso e pieno di sé con gravi - molesti - problemi gastrici. Da quando si era trasferita in America ogni mattina viveva un incubo ad occhi aperti, eppure era stata proprio lei a pretendere di frequentare l'ultimo anno di liceo lì ed i suoi genitori, seppur contrari, alla fine avevano ceduto. Quel paese per lei era sempre stato un sogno, ma non aveva mai lasciato il suo piccolo paesino e non le era mai stato permesso intrattenere rapporti con persone che non provenissero dal suo stesso rango sociale; questo era ciò che sua madre le aveva ripetuto, sin dalla nascita, in continuazione. Quest'impedimento però non le aveva impedito di studiare culture diverse ed innamorarsi di paesi e persone che non aveva mai visto, e quella piccola vittoria ai suoi genitori per lei era stata una svolta nella sua vita. Era stanca di sottostare a delle regole irragionevoli e del tutto prive di senso, almeno per una volta voleva vivere nel modo in cui aveva sempre sognato di fare e ci era riuscita.

Ma la realtà si era scontrata contro il suo viso con la stessa intensità di un palo preso a duecento chilometri orari. Il primo giorno in quel liceo, che a lei era sembrato stupendo, si era rivelato un vero incubo ed i giorni seguenti anche peggio. Finalmente mancavano solo due settimane alla fine di quell'incubo, una volta diplomata sarebbe tornata a casa ed avrebbe studiato economia e scienze politiche, proprio come volevano i suoi genitori, questo era stato il patto per permetterle di studiare in America. Aveva patteggiato per vivere mesi d'inferno e se ne pentiva, odiava l'economia ed ancor di più le scienze politiche ma quando una persona è disposta a tutto pur di veder realizzato il proprio sogno non bada a risvolti negativi né ci pensa. Se avesse potuto tornare indietro non avrebbe commesso quell'errore... o forse sì? Perché, nonostante le prese in giro nei corridoi o nei bagni, una cosa positiva lei l'aveva trovata ed era l'unica consolazione che le dava la forza di alzarsi ed andare a scuola: Kevin.

Kevin faceva parte della squadra di football ed all'inizio Sophie lo aveva guardato con disprezzo esattamente come guardava tutti i suoi compagni di squadra, un branco di rozzi energumeni privi di grazia o di qualsiasi forma di buona educazione. Nonostante fosse cresciuta tra damerini che si fingevano gentiluomini, Sophie sapeva che le persone - soprattutto i maschi - erano meno "cortesi" e non usavano sempre le buone maniere, ma quegli individui superavano ogni sua più cupa immaginazione, anche solo passare accanto ai loro spogliatoi aveva il potere di mandarti in tilt l'olfatto ed alcune cellule celebrali tanto era il tanfo. E per lei, che era seduta proprio accanto al loro capitano, la cosa era anche peggiore perché Connor Smith era uno dei colpevoli dell'incubo che da più di otto mesi viveva. In ogni secondo della giornata non faceva altro che punzecchiarla con parole cattive o lanciarle addosso pezzetti di carta intrisa di bava di australopiteco tutto muscoli e niente cervello, per poi riderne con i suoi compagni. Tranne Kevin, lui non aveva mai riso anzi, l'aveva anche difesa in molte occasioni riprendendo il proprio capitano - che stranamente sembrava aver timore di lui. Per lei era come una specie di Zorro, pronto a venire in suo aiuto appena ne aveva bisogno, ma a parte salvarla dalle grinfie di Connor, non avevano mai avuto una discussione anzi, non si erano nemmeno mai rivolti la parola. Lei si limitava ad ammirarlo e ringraziarlo da lontano, sapendo di non poter mai far altro sia perché era impossibile che uno come lui si interessasse a lei, sia perché aveva paura di attirare su di sé altre prese in giro se gente come Connor avessero scoperto la sua cotta segreta per Kevin.

Prendendo un lungo respiro, Sophie si fece coraggio ed entrò nell'edificio, era anche in ritardo di cinque minuti e di sicuro si sarebbe presa una bella strigliata dal professore, un ottimo inizio di giornata. Superò i corridoi della scuola a testa bassa, stringendo le spalline dello zaino tra i pugni per darsi forza ed entrò in classe a spasso spedito; marciando veloce verso il suo banco in prima fila.

«Sof! Cinque minuti di ritardo? Non è da te!» la voce di Jane, l'unica amica che aveva in quel posto, la fece sobbalzare e le ci volle qualche secondo per connettere. Era presa di mira così spesso, che non era riuscita nemmeno a riconoscere la voce della sua migliore amica a causa dell'ansia e della paura.

«S... sì, sono rimasta ferma fuori per decidere se entrare o scappare» le rispose, tentando di placare il battito furioso del suo cuore ed il respiro affannato.

Jane fece una risatina che di divertito aveva ben poco. «Io ti avrei consigliato di dartela a gambe e tornare a casa tua, lì hai di certo una vita migliore di quella che hai qui.»

Lei era l'unica che conosceva le sue vere origini, dove abitava prima di trasferirsi lì e cosa le aspettava dopo. Ed aveva ragione, tanto valeva ormai tornarsene a casa ma non poteva, non dopo aver patito così tanto! Mancava poco al diploma, doveva tener duro solo un altro po'...

«È occupato?» chiese una voce familiare accanto a lei, ma persa com'era nei suoi pensieri non vi dette troppo peso e fece un veloce gesto affermativo con la mano. Il ragazzo, perché la voce familiare era quella di un ragazzo, la ringraziò e prese posto alla sua sinistra.

«Ehi, Kevin!» urlò Connor dall'ultima fila. «Goditi il tuo posto in prima fila accanto a CesSophie!» Rise, venendo presto imitato da quasi tutta la classe.

Solo in quel momento Sophie collegò e si voltò verso il ragazzo che solo poco prima le aveva rivolto la parola e che lei aveva bellamente ignorato, scoprendo che si trattava proprio di Kevin!

Proprio il ragazzo per cui aveva una cotta, lo stesso con cui non aveva mai parlato; e proprio quando lui le rivolgeva la parola lei lo liquidava con un gesto veloce della mano, proprio come si scaccia una mosca!

Brava, Sophie, davvero molto brava...

Sentendosi fissare, Kevin si voltò verso di lei e fraintendendo il suo sguardo le disse; «Non pensare a quegli idioti, credono di essere fighi prendendo in giro gli altri.»

Abbozzò un timido sorriso, o almeno ci provò, ringraziandolo muta per il suo supporto. «Ci sono abituata» sussurò.

«Comunque grazie per avermi permesso di sedere accanto a te,» continuò lui. «Il mio posto è stato occupato da una piovra.» il ragazzo voltò lo sguardo verso uno dei banchi in ultima fila e Sophie fece lo stesso. Al posto in cui di solito sedeva Kevin, si trovava Lara, una ragazza dagli eccentrici capelli blu che le chiedeva appunti in ogni materia, che aveva unito il banco con quello del ragazzo accanto e si stavano scambiando la saliva come due animali in preda agli istinti sessuali.

Si voltò verso la sua cotta segreta, scoprendolo a fissarla curiosa e ridacchiò per stemperare l'imbarazzo. «Tranquillo, qui non ci sono piovre, ma soltanto io. Certo non ho tentacoli e sicuramente non attenterò a nessuno dei tuoi arti, ma visto che tutti mi evitano come la peste probabilmente ho un enorme foruncolo che spaventa gli altri. O potrebbe essere solo la mia faccia.»

Aspetta... ho appena detto cosa?!

Appena ebbe collegato tutte le parole che erano uscite come un treno in corsa dalla sua bocca, Sophie trattenne l'impulso di correre fuori dall'aula e sbattere con la testa contro il primo muro disponibile. L'unica fortuna era che nessuno, a parte Kevin, aveva sentito il suo delirio. In quel preciso istante però, la risata divertita del ragazzo attirò l'attenzione di tutta la classe, che si zittì.

«Cosa c'è di così divertente da ridere in quel modo?» chiese Connor, procurandole un brivido freddo lungo la spina dorsale.

«Non sono affari tuoi, Smith» rispose Kevin. «Invece di immischiarti in cose altrui perché non continui a ripetere letteratura inglese? Non vorrai farti bocciare e perdere la tua borsa di studio, vero?» il sorrisino serafico che comparì sul volto del ragazzo lo consacrò come suo eroe personale e se avesse potuto lo avrebbe eletto eroe nazionale del suo paese.

Lui si voltò nuovamente verso di lei, ignorando lo sguardo carico d'odio che gli lanciò Connor. «Posso assicurarti che non hai nessun foruncolo in faccia. E, ripeto, non pensare a quello che dicono gli altri, sono solo un branco di cavernicoli senza cervello.»

«Grazie mille» gli sorrise grata.

La campanella che annunciava l'inizio della prima ora suonò e l'insegnante di aritmetica entrò in classe, zittendo tutti.

* * *

«Voglio scappare da questo posto, ora!» brontolò Jane, mentre lei e Sophie si dirigevano verso l'aula di chimica.

«Non fare la melodrammatica, chimica non è poi così male anzi, è una delle materie che preferisco» ed era così, lei adorava tutte le materie tranne matematica, in cui riusciva a stento ad avere la sufficienza. Anche se iniziava ad amare l'aritmetica, se ad ogni lezione avrebbe avuto Kevin accanto, com'era successo poco prima. Finalmente era riuscita a parlare con lui, anche se in realtà aveva delirato più che parlato ma era felice ugualmente! E come sempre l'aveva difesa, era proprio vero che i ragazzi d'oro esistevano ed era ancora più strano trovarne uno che fosse un giocatore di football.

«Tu non conti, visto che sei una secchiona!» esclamò l'amica, ricatturando la sua attenzione. Entrarono in classe e le due si separarono, Jane andò a sedersi accanto al compagno che l'insegnante aveva scelto per lei.

Odiava quella stupidaggine dei posti assegnati, per fortuna lei era capitata da sola visto che erano dispari in classe. Meglio sola che accanto ad uno come Connor...

Represse un brivido di disgusto e si accomodò sullo scomodo sgabello in plastica, aprendo il quaderno degli appunti.

«Di nuovo vicini, mi prenderai per uno stalker.»

Il suo cuore iniziò a battere furioso, aveva paura di voltarsi e scoprire che la voce sentita era una sua allucinazione acustica. Ma la sagoma che scorgeva accanto a lei era di sicuro vera. Si voltò lentamente e vide, con sua grande gioia, che si trattava proprio di Kevin. Di nuovo.

«Di nuovo piovre che ti rubano il posto?» gli chiese, reprimendo sul nascere un gridolino acuto e leggermente imbarazzante.

Lui rise, per la seconda volta in meno di due ore, e lei volò direttamente in paradiso. «No, nessuna piovra questa volta, ma la professoressa crede che io faccia copiare Steve quindi mi ha spostato accanto a qualcuno che non ha bisogno di copiare» il suo sguardo la sondò intensamente e a lungo, tanto da farla tossichiare nervosa e spostare lo sguardo sul quaderno degli appunti che aveva davanti. Nessuno l'aveva fissata mai così intensamente, di sicuro il suo viso era più rosso del composto chimico a base di ferro che la professoressa aveva lasciato su ogni banco per la lezione di quel giorno.

«Allora...» disse per allentare la tensione. «Se la professoressa teme che tu faccia copiare gli altri, significa che te la cavi in chimica?» chiese, ma conosceva già la risposta. Kevin era secondo solo a lei in quelle materie, tranne in matematica in cui era il migliore dell'intera classe.

«Be', non per vantarmi, ma posso definirmi il re del laboratorio» il ragazzo si spostò con fare femminile e vanitoso una ciocca di capelli immaginaria dalla spalla, facendole scappare una risatina troppo forte che li fece riprendere dell'insegnante. Per tutto il resto dell'ora restarono in silenzio, concentrati sull'esperimento chimico, scambiandosi la parola solo se necessario. I minuti volarono fin troppo veloci per Sophie, e quando la campanella annunciò la fine dell'ora, lei avrebbe tanto voluto possedere una macchina del tempo e ripetere i sessanta minuti daccapo. Ma da persona realistica qual era, prese le sue cose e salutò Kevin per raggiungere Jane che l'aspettava fuori dall'aula.

«Eccomi Jane, scusami se ti ho fatta aspettare» l'amica se ne stava appoggiata con la schiena ad uno degli armadietti blu dell'istituto e stava trafficando con il cellulare.

«Tranquilla, ho visto che eri piuttosto impegnata con Kevin e non ho voluto interrompervi» forse era solo sua impressione, ma le sembrò che la voce di Jane avesse un timbro strano che non aveva mai sentito prima. La ragazza rispose il cellulare in tasca e le sorrise dolcemente. Sì, si era sicuramente immaginata tutto, la lezione di chimica l'aveva davvero stesa.

«La prossima ora è quella di ginnastica, vero?» chiese, tremando già al solo pensiero. 
«Sì, quindi ti conviene posare quegli orribili libri di chimica, cambiarti e raggiungere la palestra. Io ti precedo, se per te va bene.» Sophie annuì e salutò l'amica. Si avvicinò al suo armadietto e lo aprì, per posarvi i libri; nello stesso istante un bigliettino azzurro cadde a terra e lei ripose in fretta e sgraziatamente i libri prima di raccoglierlo. Lo aprì alquanto intimorita, chi le aveva infilato quel biglietto nell'armadietto? Forse Connor o uno dei suoi amici? Ed in quel caso, cosa c'era scritto? Sicuramente nulla di carino.

Eppure, Connor non l'avrebbe presa in giro con un semplice biglietto, a lui piaceva umiliarla pubblicamente. Lo aprì e lesse lentamente;

Cara Sophie,

È scioccante pensare che ci siano persone come te in questa scuola, e che io non ti abbia mai notata. Le poche ore passate insieme mi hanno fatto capire che voglio conoscerti di più, se me lo permetterai. Se anche tu provi lo stesso, lasciami un biglietto nell'armadietto. Spero in una tua risposta (affermativa),

Kevin.

Oddio, era una candid camera? Perché se così fosse stato, non era per nulla divertente. Lesse il biglietto per altre due volte e si guardò in giro per vedere se qualcuno stesse spiando la sua reazione, ma i corridoi erano deserti e tutti gli alunni avevano già raggiunto le loro classi.

«Mio Dio, può davvero essere reale?» il cuore iniziò a battere così forte che temette potesse esplodere da un secondo all'altro. In fretta, prese il blocchetto degli appunti e scrisse la sua risposta a Kevin, confessandogli i suoi sentimenti ed il suo segreto. Errore che avrebbe pagato caro...

Una volta infilato il biglietto nell'armadietto del ragazzo, andò nello spogliatoio per cambiarsi prima di raggiungere la palestra. Pregava solo che l'insegnante non l'avrebbe ripresa per il suo ritardo, in quel caso avrebbe mentito dicendole che si era sentita poco bene.

Raggiunse la palestra e notò l'assenza dell'insegnante.

«Però, ce ne hai messo di tempo per raggiungerci» la rimproverò bonariamente Jane, avvicinandosi a lei.

«La signorina Spencer non è ancora arrivata?» le sembrava alquanto strano che la donna non fosse già lì per stenderli con i suoi essercizi al limite dell'impossibile.

«No, a quanto pare ha preso una storta alla caviglia cadendo dalle scale durante la seconda ora e si è fatta accompagnare all'ospedale. Ora stiamo aspettando che decidano a quale supplente affidarci» l'amica non sembrava per nulla preoccupata o dispiaciuta per l'insegnante mentre a lei dispiaceva che la donna si fosse ferita, per quanto insopportabile.

«Scusate, posso avere la vostra attenzione?» Carly, la ragazza di Connor e suo secondo incubo peggiore, era salita sui piccoli spalti che "abbellivano" la palestra. «Ho un importante cosa da dirvi, miei compagni ed amici.»

Tutti i suoi compagni di classe, compresa lei e Jane, si avvicinarono alla ragazza per ascoltare. Un sorrisino saputo comparì sul suo volto perfettamente truccato.

«Sapevate che c'è una persona di sangue reale qui tra noi?» un coro di risatine divertite si levò dai suoi compagni, convinti che Carly li stesse prendendo in giro.

Lei invece si congelò sul posto, le orecchie iniziarono a fischiare ed il cuore iniziò una maratona infinita.

«Proprio così» continuò la ragazza. «Ovviamente non sarei mai riuscita a saperlo nemmeno io, se non fosse stato per una persona. Il nostro meraviglioso Kevin.» Carly applaudì e tutti iniziarono a guardarsi intorno in cerca del ragazzo, ma di lui o dei suoi amici non c'era traccia.

No. Non è possibile, Kevin non poteva aver raccontato a Carly del suo segreto!, tentò di rassicurarsi. Ma il sorriso soddisfatto e cattivo sul viso della compagna le raccontava altro.

«Ora vi leggerò una lettera che una sua ammiratrice le ha scritto, dove confessa sia il suo amore che la sua reale discendenza» la ragazza estrasse dalla tasca dei pantaloncini sportivi un foglietto, un foglietto che lei riconobbe: era quello che aveva lasciato nell'armadietto di Kevin.

Oddio, non può star succedendo davvero...

Presa dall'ansia, la vista iniziò a sfocarsi e le gambe sembravano sul punto di cedere.

«Caro Kevin...» iniziò a leggere Carly, facendole salire la nausea. «Sono felice di sapere che entrambi proviamo le stesse cose. Anche per me le poche ore passate assieme sono state meravigliose, sei una delle poche persone con cui riesco a parlare. In questa scuola non mi sono fatta grandi amici, ma quei pochi mi bastano. Inoltre, c'è una cosa che nessuno sa ma vorrei confidare a te, pregando che tu non mi prenda per pazza. Come quasi tutti sanno, io non sono di queste parti ma fino a poco tempo fa la mia casa si trovava in Europa. In un piccolo principato, per essere precisi, ed io ne sono la futura erede al trono; Sophie Beatrice McIntosh. So che tutto questo può sembrare assurdo, ma se me ne darai l'opportunità ti dimostrerò che è la verità. Pregando che tu non fugga, Sophie» finito di leggere, ci fu un attimo di silenzio e nessuno aprì bocca, poi un coro di risate le ferì i timpani e tutti si voltarono verso di lei.

In quel momento avrebbe voluto scappare, ma il suo corpo era completamente incorato al suolo. Non riusciva a credere a ciò che stava succedendo, Kevin non poteva davvero averla data in pasto ai suoi compagni di classe.

«Come ben vedete, abbiamo una reale qui tra noi» continuò Carly, scatenando altre risate.

«Allora Sophie, dobbiamo inchinarci?» la prese in giro la voce di una ragazza che in quel momento non riuscì a distinguere.

Poi ci furono di nuovo risate. Risate. Risate ed ancora risate.

«Sophie, quegli abiti orrendi provengono da qualche principesca boutique del tuo paese?»

Si ripetevano, le risate. Risate. Crudeli risate.

Finalmente il suo corpo si riprese e, prima che gli altri potessero vederla piangere, fuggì via, lasciandosi dietro le risate dei compagni e la voce di Jane che la chiamava.

Come aveva potuto Kevin tradirla in quel modo? Perché l'aveva fatto? L'aveva sempre difesa ed era stato incredibilmente gentile con lei solo qualche ora prima. Evidentemente era stata tutta una messa in scena, organizzata con Connor e tutta la squadra di football solo per prendersi gioco di lei.

Era stata davvero stupida a cascarci, come aveva potuto credere che Kevin fosse diverso dai suoi amici? Era bastata qualche parolina carina per metterla nel sacco.
Con quale coraggio sarebbe andata a scuola il giorno dopo? Non poteva. Non poteva più guardare in faccia nessuno, soprattutto Kevin, non dopo quello che le aveva fatto.

Era giunto il momento di tornare a casa ed affrontare la realtà.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Principato di Bellerosé, cinque anni dopo...

La fresca brezza marina le accarezzò il viso e scompigliò dolcemente i capelli. L'odore della salsedine ed il suono delle onde che s'infrangevano contro la riva, avevano sempre avuto il potere di calmarla e farle dimenticare – seppur per poco –  i problemi e le tristezze che l'affliggevano. Sophie chiuse gli occhi e si godette il momento di assoluta pace e tranquillità, nessuno sapeva dove si trovasse – anche se non avrebbero impiegato troppo a trovarla – quindi tanto valeva apprezzare quegli attimi di dolce solitudine.

Negli ultimi cinque anni aveva imparato ad amarla, la solitudine. Era sempre circondata da guardie del corpo e persone noiose che avevano come unico interesse il conto da miliardi che avevano portato alle Cayman o l'ultimo capo firmato, e completamente orrido, comprato ad una sfilata parigina molto riservata. Odiava quella vita, con tutta se stessa; continuava a ripetersi di essere fortunata nel poter vivere in un grande palazzo ed avere camerieri e cuochi che facevano tutto al posto suo. In realtà, era normale avere delle cameriere se la tua casa è talmente grande da poter offrire ospitalità a tutto il paese, anche se avesse voluto – e ci aveva provato, scatenando l'ira di sua madre – non sarebbe stata in grado di pulire tutte le stanze da sola. C'erano giorni in cui sentiva addirittura la mancanza dei mesi passati in America, e visto com'era andata lì se preferiva stare là la situazione era più che chiara. 

Ormai era cambiata, avrebbe saputo tener testa ad una montata come Carly e di sicuro non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da un manichino tutto muscoli e senza cervello come Connor. E certamente non si sarebbe mai innamorata di Kevin...

Pensare a lui le faceva ancora troppo male, nonostante fosse cresciuta, e l'avvicinarsi dell'incoronamento la rendeva sempre più malinconica e... disperata! Non voleva prendere in mano le sorti del principato, in verità se ne stra fregava alla grande! Voleva soltanto vivere la vita come una giovane donna qualunque, trovarsi un lavoro che le piaceva, fare carriera con le sue sole forze e crearsi una famiglia che di reale non aveva assolutamente nulla.

Molte volte, dava la colpa di tutto quello proprio a Kevin e ai suoi amichetti; se non le avessero fatto quello scherzo crudele, lei non sarebbe mai tornata a casa prima del diploma e di sicuro i suoi genitori avrebbero capito che poteva cavarsela da sola anche lontano da casa e crearsi una famiglia lì. Forse avrebbe anche convinto i suoi ad iscriverla in un college americano, la sua vita sarebbe stata diversa e lontano da quel posto che ormai le stava troppo stretto.

«Principessa!» la voce di Leo, la guardia del corpo di suo padre, la fece rabbrividire. 

Erano stati piuttosto veloci nel trovarla questa volta, o forse era solo lei che diventava più prevedibile. Quando l'uomo la chiamò nuovamente, Sophie dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non scappare più lontano e rimandare un incontro che non era possibile evitare: quello con suo padre. Quella mattina le aveva detto che dovevano parlare urgentemente, lei aveva capito subito di cosa suo padre dovesse parlarle ed era scappata appena lui si era chiuso in ufficio. Sin da bambina aveva imparato a svignarsela dal castello senza farsi notare, cacciandosi sempre in grossi guai, ma erano quei momenti di libertà e pericolo che la facevano sentire veramente viva.

La sola idea di marcire in quella dimora dorata la faceva impazzire, provava il forte impulso di ribellarsi in ogni modo, anche il più pericoloso. Aveva addirittura pensato di mettere in atto il proprio rapimento...

Dei passi veloci nella sabbia le fecero capire che non poteva più scappare ormai, Leo l'aveva trovata.

«Sophie...» l'uomo, vestito completamente di nero nonostante fosse ormai giugno, si fermò a pochi centimetri da lei. L'aveva chiamata per nome, questo significava se suo padre era molto arrabbiato e Leo preoccupato per lei. Stava per succederle qualcosa di grave, dunque, solo quello avrebbe portato una guardia del corpo come lui ad usare un tono tanto incerto e confidenziale.

«Ho capito» si limitò a rispondere. Non c'era bisogno di dire nulla in effetti, avrebbe dovuto scusarsi per essere scappata? Certo, avrebbe potuto, ma non ci avrebbe creduto nessuno, lei per prima.

L'uomo annuì e si allontanò lentamente per lasciarle gli ultimi attimi di privacy. Sophie ammirò per l'ultima volta, quel giorno, il tramonto che si specchiava nelle acque del mare e chiuse gli occhi per godere fino all'ultimo istante rimasto la dolce brezza marina. Alla fine, dovette costringersi a seguire Leo che l'aspettava poco distante.

* * *

«Si può sapere cosa ti è saltato in testa?!» la voce di suo padre era talmente alta e furiosa da poter quasi scuotere quel palazzo centenario. Sophie, se fosse stata ancora una bambina, avrebbe tremato dinanzi a quella sfuriata, ma aveva più di ventidue anni ed era stanca di sentirsi dire cosa poteva o non poteva fare. C'erano reali che si comportavano anche peggio di lei ed erano molto più famosi, il suo principato non lo conosceva nessuno quindi avrebbe potuto tranquillamente passeggiare per il paese con il sedere all'aria, gli unici che si sarebbero sconvolti erano i cittadini stessi.

«Sparire proprio il giorno della prova per l'incoronazione!» continuò suo padre, iniziando a camminare nervoso nella sala del trono. Sophie smise di seguirlo dopo un po', captò solo le parole "figlia", "ingrata" e "sconsiderata" quindi nulla che non avesse già sentito. «Ma ora basta, Sophie, non andrai più in giro per il paese senza avvisare o senza avere qualcuno che ti controlli!» Sbraitò l'uomo.

«Spero tu stia scherzando! Non ho più cinque anni e sono libera di andarmene in giro dove e quando voglio!» va bene ripeterle che doveva evitare certi comportamenti o almeno avvertire quando usciva, ma addirittura proibirle di uscire senza una guardia era assolutamente esagerato. Avrebbe trovato comunque il modo di andare via senza farsi notare, anche con mille cloni di Leo alla porta.

«Lo hai voluto tu, tesoro, manca poco ormai all'incoronazione e non posso permettere che tu te ne vada in giro sola e senza avvisare, sei un pericolo per te stessa» lo sguardo risoluto di suo padre le fece capire che faceva proprio sul serio e questo la gettò nel panico. Non poteva perdere quel poco di libertà che aveva!

«Ma... l'unica guardia del corpo presente al palazzo in questo momento è Leo, visto che hai mandato le altre con mamma» gli fece presente. Sua madre era partita la settimana prima per le Bahamas, una vacanza con le amiche l'aveva definita, e suo padre aveva mandato tutte le guardie del corpo, eccetto Leo ovviamente, con lei.

Suo padre si voltò finalmente verso di lei, la fissò intensamente per qualche secondo ed infine sorrise. «È per questo motivo che ne ho assunta un'altra, una assegnata solo a te.»

«Che cosa?!» quella notizia la sconvolse e vide la propria, piccola, libertà volare dalla finestra.

«Resterà accanto a te ogni ora di ogni giorno, dormirà persino nella tua stessa camera. Sarai costantemente sorvegliata.»

Dormire nella stessa stanza?

Suo padre era completamente impazzito!

«Nessuno dormirà in camera mia eccetto me! E se fosse un pazzo e tentasse di infilarsi nel mio letto?» Sophie provò il forte impulso di piangere e scalciare come una bambina viziata. Non riusciva a credere alle proprie orecchie, già non riusciva a rassegnarsi ai propri dover ed ora doveva invece rassegnarsi a vedersi portare via i pochi attimi che aveva per lei. La sua privacy ormai non esisteva più.

«Ho scelto personalmente l'uomo che dovrà proteggerti. È un ex marine ed è il miglior poliziotto del dipartimento di New York. Vedrai che con lui sarai in ottime mani.»

«New York? Un ex marine? Ma dico, sei impazzito? Solo perché è un poliziotto automaticamente lo togli dalla lista dei possibili psicopatici?» Ormai esausta e con le gambe tremanti per la rabbia, Sophie dovette cercare sostegno in uno dei pilastri in marmo che abbellivano la sala.

«L'ho scelto personalmente, ti dico, vedrai che sarai in mani sicure» il tono di suo padre divenne freddo come il ghiaccio, odiava che si mettesse in discussione la sua capacità di giudizio. L'uomo si voltò verso la porta e lei considerò l'idea di gettarsi dalla finestra. «Signor Diaz, entra pure?»

Diaz? Quel nome non le era nuovo...

La grande porta venne aperta lentamente e l'uomo misterioso fece il suo ingresso nella sala. Appena i suoi occhi si posarono su di lui, Sophie perse la capacità di respirare.

Alto un metro e ottanta, se non di più, pelle color caramello, capelli neri, una bocca vietata ai minori di tre anni e due occhi di un azzurro intenso... no, impossibile, si disse raggelata. 

Quello non poteva essere... «Kevin?!»

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


«Kevin?!» La gola le si fece improvvisamente secca e le sembrò di perdere l'uso della voce perché il grido di rabbia che avrebbe voluto lanciare contro di lui nacque e morì tra le sue corde vocali.

«Sì, signorina. Ai vostri ordini» rispose, imitando anche uno svogliato inchino senza nasconderle una smorfia, come se il solo pensiero di prostrarsi al suo cospetto lo disgustasse e questo non fece altro che far aumentare la sua ira. Quel bastardo si ricordava di lei? Di cosa le aveva fatto? Se così era, non dava segni di averla riconosciuta o forse era proprio per quello che sembrava tanto irritato nel doversi inchinare? Ad ogni modo, non avrebbe mai accettato che quell'essere diventasse la sua guardia del corpo e che dormisse nella sua stanza, per giunta!

Grazie alla rabbia e al rancore, la gola intorpidita si risvegliò e con essa anche la sua voce.

«Mai!» gridò con tutto il fiato che aveva, facendo sobbalzare gli uomini presenti. «Non accetterò mai che lui sia la mia balia! Non ho cinque anni. Vuoi che eviti anche di uscire in veranda per prendere un po' d'aria? Bene! Ma nessuno mi starà incollato al culo ventiquattro ore al giorno come un randagio in cerca di cibo.»

Il viso di suo padre si tinse di un rosso talmente intenso da far impallidire le rose scarlatte piantate in giardino e i rubini della madre. «Sophie Beatrice McIntosh!» tuonò collerico, facendo sussultare Leo alle sue spalle. «Come osi parlare in modo così volgare? Che fine ha fatto l'educazione che ti abbiamo impartito?!»

Stava per urlargli un "l'ho buttata nel cesso, proprio come hai fatto con i soldi con cui me l'hai pagata", ma si morse la lingua e tacque.

«Si farà come dico io» continuò suo padre. «Il signor Diaz è la tua guardia del corpo e così sarà fino a quando io lo vorrò!»

Nella stanza cadde il silenzio, suo padre e Leo si aspettavano di sicuro un'ennesima obiezione da parte sua, ma così non fu. Capì che non avrebbe mai ottenuto nulla scalciando e strepitando come una bambina viziata, così decise di fare buon viso a cattivo gioco.

Stirò lentamente le labbra in un sorrisino apparentemente dolce, serafico e falsamente pentito, notando compiaciuta l'espressione allibita comparsa sul volto del padre.

«Come voi desiderate» disse prima di voltarsi ed uscire lentamente dalla stanza.

Una volta chiusasi la porta alle spalle, iniziò a correre come un cervo inseguito dai cacciatori - ed effettivamente si sentiva così - verso la propria stanza. Non avrebbe accettato mai quell'ultima insana trovata di suo padre, era stanca di sottostare e di sentirsi ostaggio in casa sua; era arrivato il momento di agire. Sul serio.

Chiuse a chiave la porta della propria camera da letto e prese un borsone dall'armadio, riempiendolo di vestiti comodi e gioielli che avrebbe potuto impegnare in caso il suo piano si sarebbe rivelato un fallimento. Doveva tornare in America, in fretta! Nel suo paese vigevano regole particolari e anche se era maggiorenne non poteva né opporsi ai suoi né essere libera, poiché il suo ruolo era quello di regnare. Un destino veramente schifoso, voleva abdicare ma suo fratello aveva solo diciassette anni ed era un immaturo irresponsabile secondo i suoi. Non che fosse falso, ma Richard lo sembrava semplicemente perché aveva più libertà di lei, più amici, e le sue priorità erano altre e non prevedevano il trono. Era assurdo che proprio lei dovesse prendere il posto di suo padre. Sì, era la primogenita, ma di solito la gente non preferiva gli uomini alle donne per questi ruoli? Il mondo era proprio cambiato, in meglio ovviamente, però in questo caso una mentalità misogina le avrebbe fatto scampare tutto quello.

O forse tuo padre ti avrebbe costretto a sposare un ricco e vecchio bavoso maniaco, le suggerì la coscienza.

Sì, forse sarebbe stato così, ma ad ogni modo non era quello il momento di pensarci visto che un'eventualità del genere non si sarebbe mai presentata. In quell'attimo era più importante trovare un modo per lasciare il paese senza essere fermata da nessuno, Kevin poteva essere un grosso problema in quanto ex marine. Sospettava fosse un'abile segugio e non doveva sottovalutarlo. Si mise il borsone in spalla e si avvicinò alla grande libreria che occupava tutta la parete destra della stanza, prese una vecchia bibbia e la inclinò di poco verso sé; sentì il suono di uno scatto ed il pesante mobile in legno di noce si staccò di qualche centimetro dalla parete.

Sorrise vittoriosa e si affrettò ad infilarsi nello stretto cunicolo dietro alla libreria. Si trattava di un vecchio passaggio segreto, costruito per fuggire durante gli attacchi e le invasioni; quel castello era così vecchio che nessuno ormai si ricordava di quei passaggi. Lei stessa li aveva scoperti per puro caso da bambina, giocando a nascondino con suo fratello. Li aveva usati spesso per sgattaiolare dal palazzo senza essere notata, anche se preferiva scappare dall'entrata principale per prendersi gioco delle guardie e dare una lezione a suo padre. Era certa che in quel modo nessuno l'avrebbe seguita, aveva il tempo necessario per uscire e prendere un taxi che la portasse in aeroporto; lì tutto si sarebbe complicato. Per uscire dal paese avrebbe dovuto mostrare un documento ed aveva paura che riconoscendola non l'avrebbero fatta partire.

Be', mi inventerò qualcosa.

Doveva rischiare e provare, non si sarebbe arresa così facilmente!

* * *

Kevin non riusciva a credere ai suoi occhi, quel posto era schifosamente lussuoso ed enorme! Era sicuro che al posto di quel castello avrebbero potuto costruire almeno dieci palazzi ed un parco, dando una casa ad un bel po' di gente; invece quell'enorme proprietà apparteneva solamente a quattro persone.

La scenetta della principessina viziata a cui aveva dovuto assistere poco prima gli aveva fatto quasi perdere il posto per la voglia matta che aveva avuto di ridere, ma si era controllato come al solito. Odiava già quell'incarico, tuttavia non aveva potuto rifiutarlo visto che non aveva il becco di un quattrino e doveva assolutamente ripagare il debito che aveva con sua sorella e l'affitto arretrato di quattro mesi, se voleva rimettere piede nel suo appartamento. Era stato felice di ricevere quel lavoro, ma non gli avevano detto che la persona da proteggere sarebbe stata la principessina viziata di un paese talmente piccolo da essere stato rifiutato dal mappamondo.

Solo due settimane, Kevin, poi prenderai i duecentomila dollari e te ne tornerai a casa.

Sospirò per darsi forza, ma soprattutto pazienza, e arrivò davanti alla grande porta della camera di Sophie; poteva chiamarla per nome? Bussò due volte con leggerezza e delicatezza ma, come aveva sospettato, non ricevette nessuna risposta, nemmeno un irritato invito ad andarsene a quel paese.

Odio le donne viziate, pensò ringhiando e tentò di aprire la porta fregandosene della privacy, ovviamente la trovò chiusa. Leo però l'aveva già messo in guardia: «Probabilmente la principessa si sarà chiusa dietro, quindi ti darò un passepartout per entrare».

Saggia decisione, se la conoscevano così bene significava che la ragazza ne aveva già combinate parecchie. Aprì la porta ed entrò in camera, tentando di non sorprendersi della grandezza di quella sola stanza - più grande anche del suo appartamento - e preparandosi all'uragano rabbioso di altezzosità che l'avrebbe investito a momenti. Si fermò al centro della stanza e attese che la biondina si accorgesse di lui, cosa che non avvenne mai perché della giovane donna non c'era traccia. Allarmato, corse in bagno senza nemmeno bussare, ma anche lì non c'era alcuna traccia di lei. Trattenne un'imprecazione alquanto volgare ed iniziò a guardarsi in giro per capire cosa fare, non era certo che la donna fosse scappata in così poco tempo. Come un idiota, guardò sotto il letto, trovando il nulla. Che fosse andata in cucina o in giardino?

Fece per uscire, e proprio in quel momento l'enorme armadio semi aperto attirò la sua attenzione. Lo aprì di scatto, con un gesto furioso ed anche lì non vi trovò nulla anzi, notò che alcuni abiti erano spariti dalle grucce.

«Cazzo!» esclamò. Quella stronza era scappata per davvero!

* * *

Era stata fortunata, molto fortunata...

Sophie uscì dall'aeroporto e si infilò in fretta in uno dei pochi taxi liberi. In qualche modo era arrivata in America senza nessun problema né inseguita da guardie del corpo dalla stessa cupa espressione. Di sicuro suo padre credeva che lei si nascondesse ancora in paese, quanto ci sarebbe voluto prima che la trovassero? Sperava tanto che ciò non accadesse tanto presto, voleva vivere la sua vita in modo normale come ogni altra donna. Diede al conducente l'indirizzo di casa di Jane, la sua migliore amica; erano passati cinque mesi dall'ultima volta che l'aveva vista ed era sempre stata la ragazza ad andare da lei e mai viceversa, ma questo era ovvio.

Non riusciva ancora a capire come Jane potesse essere rimasta sua amica visto che abitava in un altro stato e non aveva il diritto nemmeno di mettere piede fuori dal giardino privato del castello, non senza scorta o genitori. Per fortuna aveva trovato un'amica fidata e sincera, che le voleva bene nonostante la distanza e si ricordava di chiamarla tutte le sere per chiederle della sua giornata e tirarle su il morale. Se solo i suoi genitori l'avessero capita come la capiva Jane...

Spostò lo sguardo fuori dal finestrino, fissando le strade notturne di New York con nostalgia ed un senso di appartenenza, come se fosse tornata a casa da un lungo viaggio e questo era davvero strano visto il calvario passato lì durante l'adolescenza. Eppure era così, si sentiva a casa, felice e libera di vivere.

* * *

«La rivoglio qui entro sera!»

Kevin respirò a fondo, cercando di controllare i nervi pronti a saltare da un momento all'altro. Il padre della principessina viziata stava urlando la stessa frase da almeno mezz'ora, esattamente da quando aveva avvertito tutti che la donna era sparita con la stessa velocità ed invisibilità di un agente della C.I.A.

«Sì, ho capito che la rivuole indietro, ma gridarlo ogni due minuti non la farà ricomparire per magia né ce la farà ritrovare per incanto. Signore.» Rispose, ormai al limite, guadagnandosi un'occhiataccia dal grande sovrano.

«So benissimo che non comparirà per magia, ma non sto vedendo nessuno di voi idioti mettersi all'opera per trovarla!» l'uomo gli si avvicinò con aria di superiorità ed un'espressione minacciosa, o almeno quella era l'intenzione perché sembrava solo un pazzoide con gli occhi storti.

Kevin superava quell'idiota borioso di almeno trenta centimetri ed avrebbe potuto stenderlo in meno di un secondo solo torcendogli il braccio, ma fortunatamente la sua pazienza resisteva ancora, a stento ma resisteva. «Senta, brutto idio...»

«Signore! Signore!» il grido di Leo bloccò, per chissà quale miracolo, l'insulto che stava per rivolgere al proprio datore di lavoro.

Un lavoro che ti serve, stupido, gli ricordò la sua coscienza più lucida e calma di lui.

«Soph... la principessa è stata vista all'aeroporto quasi due ore fa!» Leo consegnò delle foto all'uomo e Kevin non ebbe bisogno di vederle per capire di cosa si trattasse. Quindi quella pazza furiosa è riuscita a scappare non solo dal castello ma addirittura dal paese?

«Dimmi che quella pazza non ha preso un aereo, per favore» l'uomo si coprì il volto con le mani, sospirando stancamente, come se non ne potesse più.

«Mi dispiace...» la guardia del corpo abbassò lo sguardo colpevole, come se tutta la colpa per quella storia fosse sua; eppure non era stato mica lui a piazzare il sedere della principessa pazza sull'aereo.

«Dove?» chiese semplicemente l'uomo.

«In America» rispose Leo. Il padre di Sophie imprecò animatamente, abbassandosi al gergo del più cafone degli scaricatori di porto. Kevin invece trovò quell'informazione molto gradevole, lui era americano e la nobile viziata si era appena messa nel sacco da sola; l'avrebbe scovata in meno di due giorni.

«Lasciate a me il compito di portarla a casa» quella richiesta fece voltare i due velocemente verso di lui. Leo lo guardava sorpreso mentre "l'altezza reale" aveva un sopracciglio inarcato, come se dubitasse delle sue capacità. E dire che solo fino a qualche ora si era vantato con la figlia delle sue qualità... i ricchi!

«Come mai questa richiesta» chiese il regnante.

«Io sono americano, per me sarà molto più facile trovarla; inoltre ho conoscenze in tutto il paese» la sua spiegazione sembrò convincerlo, perché lo vide pensarci attentamente e Kevin sapeva di aver già vinto.

«Va bene» acconsentì infatti l'uomo. «Ma ti do solo una settimana di tempo, se entro sette giorni non sarai di ritorno con mia figlia, manderò tutti gli agenti possibili a cercarti e sarai licenziato» lo avvertì.

Kevin annuì annoiato, sette giorni erano più che sufficienti anzi, avrebbe avuto anche il tempo di farsi una bella vacanza prima di tornare in quel posto per star dietro ad una ragazzina viziata e melodrammatica. Anche se, con un padre del genere, non poteva di certo biasimarla per il suo gesto; sarebbe scappato anche lui.

* * *

«Spiegami di nuovo perché sei qua e non col sedere seduto su un trono!» il tono di rimprovero dell'amica la fece sentire come una bambina disobbediente beccata a marinare la scuola. Non era di certo l'accoglienza che si era aspettata da Jane quando aveva bussato alla sua porta. Si mosse nervosa sulla poltrona, spostando lo sguardo sulla carta da parati rosa dell'amica come una codarda, non riusciva a guardarla negli occhi ed ammettere che non aveva nessun'intenzione di tornare a casa. Sapeva lei non avrebbe gradito, per qualche strano motivo l'amica vedeva solo la facciata dorata della sua vita e non la verità putrida che si nascondeva dietro. Credeva che essere principessa fosse una pacchia fatta di comodità e privilegi, e di certo era così in parte, ma c'erano anche molte regole e responsabilità non trascurabili.

«Sono qui perché intendo rimanere, per sempre» ammise infine, spostando lo sguardo sulle sue scarpe.

«Tu sei completamente pazza» affermò Jane prima di sospirare profondamente. «Hai almeno una vaga idea delle conseguenze del tuo gesto?»

«Certo che ce l'ho!» sbottò nervosa. Era stanca di dover pensare sempre a come le sue azioni avrebbero influito sugli altri. Sì, era fuggita in un attimo di pazzia, ma in verità erano mesi che ci pensava e con esso ovviamente aveva anche pensato alle conseguenze e al putiferio che avrebbe scatenato con un gesto simile. Ma, dannazione, non le importava proprio un accidente!

«Sono stanca, Jane» continuò, «stanca di dover soppesare ogni mio gesto, ogni mia parola solo perché potrebbe portare vergogna a qualcuno o essere mal interpretato. Vorrei poter urlare una parolaccia senza che mi fissino sconvolti manco avessi celebrato un rito isoterico. Quindi per favore evita di farmi la paternale, se puoi ospitarmi te ne sarei grata altrimenti cerco un hotel senza nessun rancore.»

«Certo che puoi restare! Non ti stavo mica cacciando via, voglio solo che tu sia consapevole che il tuo gesto non avrà conseguenze solo su di te e devi essere pronta a sopportare ogni scandalo che si presenterà, per non parlare dei paparazzi che ti perseguiteranno. Perché prima o poi scopriranno dove ti nascondi» Jane le strinse una mano tra le sue, e per la prima volta dal suo arrivo le regalò un sorriso incoraggiante che la fece sentire meno sola e più forte.

«Allora, ora che sei qui non puoi di certo chiuderti in casa. Dobbiamo uscire e divertirci!» esclamò l'amica e lei annuì trepidante. Nonostante fosse spossata per il lungo volo e per la discussione che aveva avuto con suo padre, non si sarebbe persa una serata di divertimento per nulla al mondo. C'erano un sacco di cose che voleva fare e vedere prima che la ritrovassero e rinchiudessero nelle segrete per sempre. Tanto vale approfittarne e fare anche qualche sciocchezza già che c'era.

L'amica la fece alzare dalla poltrona e la fissò con lo stesso sguardo che un leone avrebbe rivolto ad una povera gazzella. «Ho sempre sognato di poterti vestire e truccare come una donnaccia per portarti nei locali, oggi finalmente quel sogno si avvera» Jane fece finta di asciugarsi una lacrima immaginaria e lei iniziò a preoccuparsi.

Vestirsi come una donnaccia? Dove aveva intenzione di portarla?!

«Forza, in camera mia!» venne spinta con poca grazia verso le scale che portavano al piano superiore e Sophie sentì un gelido brivido di terrore e preoccupazione percorrerle la spina dorsale. Sentiva già che si sarebbe pentita di lasciare la scelta del suo vestiario all'amica, ma era anche elettrizzata perché non aveva mai fatto quel genere di cose e le sembrava quasi di essere ritornata adolescente. Ma non lo era, era un'adulta e così avrebbe dovuto comportarsi. Eppure scappare dal proprio paese per sfuggire alle proprie responsabilità non era di certo un comportamento molto maturo.

Ma sì, si disse. Al diavolo tutti, sono qui per divertirmi e riprendermi gli anni che ho perso!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Appena Kevin atterrò sul suolo americano tirò un sospiro di sollievo, finalmente era a casa tra la gente comune, o quasi. Tirò fuori dalla tasca della giacca il cellulare e compose il numero di Miles, suo amico ed ex commilitone, lui era l'unico in grado di aiutarlo nella sua ricerca e di fargli guadagnare tempo.

«Miles Miller, chi parla?» la voce profonda dell'amico lo riempì di nostalgia, e si ripromise di fargli una visita appena l'incarico fosse stato portato a termine.

«Ehi, sono io»

«Kevin? Allora sei vivo, che favore ti serve?» la domanda in un primo momento sarebbe potuta risultare infastidita o arrabbiata, ma il tono ironico dell'uomo non lasciava spazio a dubbi; non lo odiava, ancora... di certo non l'avrebbero eletto amico dell'anno vista la sua brutta abitudine di non chiamare mai nessuno, eccetto sua sorella, anche solo per assicurarsi che quella persona fosse viva. Miles lo conosceva, quindi anche se raramente gli faceva una telefonata, e quasi sempre per un favore, non se la prendeva ed accettava questo lato del suo carattere. Lui ci sarebbe sempre stato per i suoi amici, ed anche se non si interessava alla loro vita non significava che non tenesse a loro.

«Dovresti per favore rintracciare i movimenti del passaporto di Sophie Beatrice McIntosh. E' scappata di casa ed io ho il compito di riportarla indietro entro sette giorni» grugnì infastidito a quella frase, non si era ancora rassegnato al fatto di dover fare da tata ad una donna che, legalmente, avrebbe dovuto essere adulta.

«Sei diventato un detective privato per caso?» lo prese in giro l'amico, irritandolo ancora di più.

«Preferirei non parlarne» mugugnò come un cane offeso.

«Come vuoi» sospirò l'uomo dall'altro lato. «Dammi un paio d'ore e ti dirò anche quando la tua fuggiasca è andata in bagno l'ultima volta.»

«Quell'informazione puoi tenertela per te, comunque grazie. A dopo» riagganciò e si sistemò la sacca con le sue cose sulle spalle prima di avviarsi verso la fermata dell'autobus. Avrebbe preferito chiamare un taxi ma aveva poco denaro con sé e preferiva spenderlo per mangiare, anche se ciò significava aspettare più di mezz'ora in piedi come un salame.

Si massaggiò il ginocchio dolorante, odiava quando il dolore all'arto si risvegliava ­ - cosa che accadeva spesso ­- perché gli ricordava cosa aveva perso per sempre. Al liceo era una promessa del football e diversi college avevano messo gli occhi su di lui, ma Connor, il capitano della squadra, geloso dell'interessamento su di lui gli aveva tirato un brutto tiro e rovinato la carriera. Al solo pensarci sentiva montare una rabbia cieca, non era riuscito a rassegnarsi nonostante fossero passati anni. Era questo uno dei motivi per cui si era arruolato, aveva sperato che facendo qualcosa di utile per il suo paese avrebbe trovato la pace e la gratificazione che cercava, ma andare in guerra lo aveva soltanto stravolto di più e si era congedato una volta tornato in patria.

Se solo avesse potuto mettere le mani su quel bastardo di Connor...

L'autobus si fermò proprio in quell'istante accanto a lui e Kevin si affrettò a salire velocemente pregando di trovare posto, cosa che non accadde e per il suo ginocchio si prospettava un viaggio pieno di buche e scossoni tutt'altro che piacevoli.

Mezz'ora dopo, con sollievo e dolore, scese da quel mezzo di trasporto atroce e tentò di placare il pulsare incontrollato al ginocchio con un leggero e veloce massaggio. La suoneria del suo cellulare però lo distrasse, tirò fuori il telefono dalla tasca e se lo portò velocemente all'orecchio.

«Pronto, Miles. Novità?» pregava proprio di sì perché era già sfinito e non vedeva l'ora di coricarsi con una bella notizia.

«Una specie» gli rispose enigmatico. «La tua bella è atterrata esattamente dove sei atterrato tu poche ora fa, il che è veramente una gran botta di culo per te, ma sfortunatamente non ha usato carte di credito né documenti con cui poter rintracciare i suoi movimenti dopo l'atterraggio.»

Kevin imprecò animatamente a quella notizia, la principessa fessa aveva deciso di farlo ammattire e ci stava riuscendo!

«Calmati principe azzurro» lo prese in giro Miles. «Ho fatto ricerche sulla sua intera vita ed ho scoperto che ha un'amica che vive proprio lì, e fortunatamente questa tizia ha usato la sua carta di credito proprio dieci minuti fa in un night club lì vicino. Ti mando l'indirizzo per messaggio. E ricordati che non puoi bere, sei in servizio» lo sbeffeggiò nuovamente l'amico, e prima che potesse rispondergli e chiedergli chiarimenti l'uomo riagganciò e subito dopo ricevette l'indirizzo del locale. Non si trovava troppo lontano da dove si trovava lui, ma con il ginocchio andato si chiese se avesse avuto la forza di caricarsela in spalla e portarla via.

Maledetta pazza viziata, era scappata per divertirsi nei locali notturni mentre lui doveva combattere con la sua condizione di mezzo zoppo, non lo entusiasmava per niente l'idea di doverla trascinare via tra la calca di gente sudata e strafatta ma aveva solo sette giorni e nulla le vietava di cambiare nuovamente stato il giorno dopo, in quel caso trovarla non sarebbe stato tanto facile. Una cosa era certa, era stato davvero fortunato ad averla trovata così in fretta e nella sua stessa città per di più!

Si passò una mano tra i capelli in un gesto di rabbia repressa e sbuffò sonoramente. Tanto valeva togliersi il dente a quel punto.

* * *

Sophie tentò, per la milionesima volta quella sera, di abbassare l'orlo del vestito succinto che indossava. Sapeva che non avrebbe dovuto mai permettere a Jane di vestirla secondo il proprio gusto ed ora si malediva per non aver dato ascolto al suo istinto. Si avvicinò al bancone per lasciarvi il bicchiere colmo dello strano cocktail azzurro che sempre l'amica le aveva ordinato, non ne aveva bevuto neanche un sorso e fissando tutte quelle persone ubriache che si palpavano e molestavano senza neanche accorgersene seppe di aver fatto la scelta giusta. Almeno quella.

Posò sul bancone il bicchiere e proprio quando stava per allontanarsi e raggiungere Jane sulla pista, venne afferrata per il polso da qualcuno e dopo qualche secondo si ritrovò sbattuta contro un corpo sudato.

«Ehi bellezza, perché non balli un po' con me?» l'alito dello sconosciuto puzzava così tanto di alcol che se lo avesse annusato ancora una volta si sarebbe ubriacata anche lei.

«No, grazie» tentò di liberarsi gentilmente, ma lo sconosciuto non sembrava deciso ad arrendersi e la spinse nuovamente contro il suo corpo sudato e puzzolente.

«Vedrai che ti divertirai» insistette.

«Ho detto di no!» questa volta Sophie mandò al diavolo le buone maniere e gli piazzò una ginocchiata in mezzo alle gambe che lo fece piegare in due, poi lo spinse via facendolo cadere a terra e si allontanò velocemente ignorando l'insulto che lui le lanciò dietro.

Quella era la sua prima ed ultima volta in un night club, si ripromise. Quel posto era assolutamente abominevole, la musica orribile ed il tanfo che si respirava le provocava solo nausea. Forse non era il tipo di ragazza a cui piaceva uscire la sera per ballare, ma almeno aveva avuto la possibilità di sperimentare e scoprirlo. Anche se era stato spiacevole.

L'indomani sera, se fosse stata ancora là, avrebbe preferito una tranquilla serata al bowling; non c'era mai stata! Quell'idea la mise di buon umore e si fece strada tra la gente che ballava per raggiungere l'uscita, voleva respirare un po' di aria fresca e non quel puzzo insopportabile.

Proprio mentre si avvicinava all'uscita, venne nuovamente afferrata per un polso e sbattuta contro un muro.

No, non di nuovo!

Tentò immediatamente di liberarsi, ma questa volta lo sconosciuto le afferrò entrambi i polsi, la sua presa era diversa da prima, ora le sembrava più forte e meno sudata.

Anche l'odore che le arrivò alle narici non era quello orribile di alcol misto a sudore, ma acqua di colonia, una che le sembrava familiare.

«Ti ho trovata, principessa» la voce di Kevin, un sussurro basso e roco contro il suo orecchio, la fece tremare come una foglia ed alzò di scatto il volto verso di lui, ritrovandosi così faccia a faccia con l'uomo.

Tentò nuovamente di liberarsi in preda al panico, ma lui la intrappolò contro il muro usando il suo corpo. Poteva chiaramente percepire il suo petto duro contro il proprio e per, qualche strano motivo, che la irritò, il suo corpo rispose immediatamente come un magnete. All'improvviso l'aria in quel locale si fece incandescente e respirare le era praticamente impossibile.

Lui avvicinò nuovamente le labbra al suo orecchio e Sophie non poté trattenere l'ennesimo brivido che la scosse, fortunatamente Kevin credette fosse un brivido di paura perché lo sentì sorridere contro la sua pelle.

«Ora, principessa, noi due ce ne andremo da qui e tu non ti opporrai» le sussurrò compiaciuto.

Brutto bastardo, pensò sentendo la collera montare dentro. Non voleva ancora tornare a casa, c'erano troppe cose che non aveva fatto e Kevin non le avrebbe rovinato quella fuga.

Tentò di colpirlo nei gioielli come aveva fatto con lo sconosciuto di prima, ma lui intercettò la sua mossa e portò una mano sulla sua gamba per fermarla. Il contatto con la pelle ruvida del suo palmo le fece girare la testa e si odiò per quella reazione, ma il suo corpo sembrava ignorarla ed agiva per conto proprio, tremando ed inarcandosi contro la propria volontà. Chiuse gli occhi e respirò a fondo per darsi una calmata, ed appena fu certa di non tradirsi tornò a fissarlo negli occhi. Le sue iridi azzurre brillavano di un'emozione pericolosa, che la fece sentire una preda al cospetto del predatore.

«E se... e se io non volessi?» trovò la forza di rispondere.

Vide le sue labbra stirarsi lentamente in un sorrisino bastardo, quasi si aspettasse quella risposta e sapesse già come zittirla.

«Che tu lo voglia o no non ha importanza, verrai con me o ti caricherò in spalla. Scegli tu.»

Sophie sapeva che non scherzava affatto, ma non era ancora pronta ad andarsene, non voleva tornare a casa. No! Non così presto!

Non si rese conto di star piangendo fino a quando l'espressione di Kevin non mutò da soddisfatta a confusa.

«Davvero? Vuoi usare la carta delle lacrime? Perché con me non funziona» la sua espressione si indurì e la mascella si contrasse.

Non sapeva se era peggio piangere di fronte a lui o che lui credesse fosse tutta una recita per impietosirlo. Rimase lì, bloccata tra il muro ed il suo corpo, senza sapere cose dire o fare; si sentiva in trappola.

«Va bene» pronunciò in fine e lo vide alzare un sopracciglio in un'espressione cauta. «Verrò con te senza fare proteste, ma ad una condizione.»

Kevin credette di aver avuto un'allucinazione acustica. Davvero quella pazza scappava dall'altro lato del mondo, lo costringeva a seguirla fin lì ed aveva anche il coraggio di chiedergli un accordo? Certo, come no...

«Cosa ti fa credere di essere nella posizione di chiedere un accordo?» le sussurrò freddo. Era stanco dei giochetti di quella donna, non si fidava per niente di lei ed era sicuro che se avesse abbassato la guardia lei se la sarebbe data a gambe e non poteva permetterlo.

«Il fatto che, se non mi ascolti, mi metterò a gridare e ti farò arrestare per molestie» gli disse, facendo comparire sul bel viso un sorrisino serafico che lo mandò in bestia.

«Ti ricordi di essere in un locale con la musica ad alto volume e persone talmente ubriache o fatte da non ricordarsi nemmeno come si chiamano, vero?» come minaccia non era stata niente male, doveva ammetterlo, la ragazza aveva un po' di cervello ma lo usava male.

«Sì che me lo ricordo, infatti il buttafuori ci sta fissando esattamente da quando mi hai sbattuta contro il muro e se nota anche solo un mio tentativo di aiuto... be', sai come andrà a finire.»

Kevin guardò con la coda dell'occhio l'enorme bestione accanto all'uscita. Effettivamente l'uomo lo stava fissando con sospetto e questo non andava bene, se Sophie avesse provato a liberarsi sul serio o a gridare di sicuro si sarebbe ritrovato con le manette ai polsi e lei libera di sparire per sempre; quasi quasi l'idea non gli dispiaceva...

«E va bene, ti ascolto» disse a denti stretti. Orgoglioso com'era non gli piaceva perdere in nessun caso, e quella principessa viziata aveva appena guadagnato un punto.

La vide sorridere soddisfatta, ma durò poco e divenne nuovamente seria. «Ti chiedo soltanto un altro paio di giorni da passare qui. Sono sempre stata chiusa in quel palazzo, le mie azioni, le mie parole e addirittura i miei vestiti sono sempre stati decisi e controllati da altre persone e prima di dire addio alla mia completa libertà vorrei fare le cose che non ho mai fatto prima. Vorrei vivere per la prima volta, sbagliare, fare stupidaggini o anche solo ubriacarmi come una deficiente nella stanza di un motel. Quindi ti prego, dammi solo un altro paio di giorni.»

Kevin si ammutolì, non sapeva cosa dire, non sapeva nemmeno se credere al tono disperato della sua voce o no. Certo, immaginare lui costretto da altri a dire cose che non pensava o a fare cose che non voleva era un incubo ad occhi aperti, ma poteva anche essere solo una trovata per impietosirlo. Eppure, non si scappava da un mondo fatto di titoli altisonanti e gioielli se non si è davvero stufi, o incinta di un bastardo.

«Non sei incinta, vero?» si ritrovò a chiederle come un cretino.

Lei lo guardo dapprima sorpresa e poi indignata. «No! Certo che no! Come ti è saltato in mente una cosa del genere?»

Esatto, come gli era saltato in mente una cosa del genere? Non lo sapeva nemmeno lui e in ogni caso non sarebbero stati affari suoi, lui doveva solo riportarla sana e salva a casa, anche se fosse stata in stato interessante se il padre non fosse stato lui non avrebbe avuto nulla a che vedere con quella storia.

«Ti prego, Kevin, ti chiedo solo qualche giorno» lo supplicò, e sentirla pronunciare il suo nome ebbe uno strano effetto su di lui. Aveva come un senso di deja vu, come se avesse già vissuto quella situazione e sentito quella voce. Il che era impossibile visto che conosceva quella donna da meno di ventiquattro ore.

«E va bene» acconsentì, dandosi dell'idiota subito dopo. «Ma solo se vieni a stare da me in questi ultimi giorni di libertà, non mi va l'idea di rincorrerti nuovamente per tutto il mondo. Quindi prendere o lasciare principessa.»

Vide comparire sul suo viso una smorfia di disappunto e credette stesse per rifiutare ma, come sempre ormai, lei lo sorprese.

«Va bene, accetto.»

«Allora andiamo, ho sonno» le prese il gomito con poca grazia e la trascinò fuori sotto gli occhi vigili del buttafuori, che non si staccarono da lui fino a quando la porta che si chiuse gli impedì la vista su di loro. Lei tentò di protestare e gli disse qualcosa sulla sua amica rimasta nel locale, una cosa che a lui non interessava affatto. La sua amica era in grado di tornare a casa anche senza di lei.

Sophie tentava disperatamente di stare al suo passo, notò anche che zoppicava leggermente e si chiese come potesse ugualmente avere un passo così veloce. Lei non riusciva più a sopportare quei trampoli che le aveva prestato Jane... Jane!

«La mia amica si preoccuperà se non mi vedrà tornare a casa» gli disse, tentando di fargli avere una qualche reazione che non fosse la collera o il menefreghismo, ma lui come al solito non si scompose.

Era così strano vederlo in quel modo, nei suoi ricordi vedeva un giovane spensierato e sempre sorridente mentre l'uomo che aveva davanti sembrava aver vissuto cose orribili.

È stato un soldato, si ricordò. Probabilmente aveva vissuto esperienze tutt'altro che piacevoli e quasi si dispiacque per lui. Quasi... perché il ricordo di ciò che le aveva fatto al liceo spazzò via tutta la pena provata.

Chi semina vento raccoglie tempesta, pensò ma non poté fare a meno di sentirsi in colpa per quei pensieri.

«Potrai chiamare la tua amica una volta a casa, non credo si rivolgerà all'FBI o all'unità vittime speciali comunque» rispose ironico.

Era davvero odioso, come aveva potuto avere una cotta per lui al liceo? Doveva essere impazzita a quei tempi, sicuramente gli ormoni impazziti e la sua fase di ribellione adolescenziale avevano contribuito.

«Santo cielo, mia nonna cammina più veloce di te ed ha novant'anni!» sbottò all'improvviso lui, voltandosi verso di lei con espressione esasperata.

«Be', scusami tanto ma ho le scarpe più piccole di un numero e alte quanto dei trampoli da circo che mi rendono difficile restare al tuo passo da big foot» avrebbe tanto voluto piantargli uno dei tacchi nella gamba martoriata e vederlo arrancare dolorante.

Grugnendo come un animale selvaggio, si avvicinò a lei e la prese tra le braccia, facendole sfuggire un gridolino sorpreso.

«Potevi avvisare prima!» presa da un moto di collera, gli pianto un pugno sul petto ma il colpo sembrò far male più a lei che a lui.

«Se non stai buona ti carico in spalla e lascerò vedere a tutti le mutandine che porti sotto questo straccio che osi chiamare abito» la minaccia le fece scorrere un brivido freddo lungo la schiena.

«Non oseresti» sussurrò.

«Mettimi alla prova, principessa» la minacciò lui con gli occhi che gli brillavano di divertimento. Be' almeno lui trovava tutto quello divertente, bastardo uomo delle caverne!

Dovette mordersi la lingua per evitare di insultarlo, di solito per lei non era affatto difficile trattenere una parola di troppo ma con quell'uomo ogni diga del suo autocontrollo cedeva.

Restò in silenzio tra le sue braccia per un tempo che le parve interminabile, soprattutto perché il calore del suo corpo le stava dando un riparo dalla fredda brezza notturna ed essergli grata per averle risparmiato un raffreddore la faceva imbestialire.

Dopo aver svoltato in vari quartieri orribili, la sua camminata si arrestò dinanzi ad una piccola casa bianca con un portico davanti ed un microscopico giardino, quell'abitazione sfigurava in confronto alle ville che aveva accanto. Sembrava più adatta ai quartieri che avevano superato poco prima...
Lui la mise finalmente giù e lei trasse un respiro di sollievo. Kevin aprì la porta di casa e le fece segno di entrare per prima.

Un vero gentiluomo...

Il salotto della casa era semplice, arredato in modo essenziale e senza nessun tocco personale, come se dovesse traslocare da un giorno all'altro; una porta scorrevole in vetro separava quella stanza dalla cucina e alla sua sinistra c'erano altre due porte che sicuramente portavano in camera da letto e in bagno.

«Benvenuta nella mia reggia» la prese in giro. «So che non è lussuosa quanto il tuo sfarzoso palazzo, ma dovrai abituarti. La prima porta alla tua sinistra dà al bagno mentre la seconda alla camera da letto, se vuoi farti una doccia prima di andare a dormire sentiti libera di farlo. Io dormirò qui sul divano.»

Sophie annuì guardandosi in giro, effettivamente sentiva di voler fare una doccia dopo essere stata in quel posto orribile e puzzolente.

«Allora andrò a fare una doccia...» lui si lasciò cadere sul divano e con una mano le fece capire che poteva fare come le pareva. Se non si fosse trattato di lui avrebbe anche rifiutato il letto, ma di certo un uomo dalla mente contorta come Kevin avrebbe pensato che fosse tutta scena.

Be' peggio per lui. Entrò in bagno e controllò se ci fosse un accappatoio o un asciugamano che avrebbe potuto usare per coprirsi. Trovò un accappatoio appeso proprio dietro alla porta, si chiese se fosse suo, ed era ovvio che lo fosse, e si sentì arrossire immaginando il corpo di lui avvolto dentro quel telo di spugna che tra poco avrebbe avvolto lei...

Basta! Ma che ti prende stasera?, si rimproverò. Fai la doccia, fila in camera e vai a dormire prima di commettere atti impuri!


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


TENP - Capitolo 5 per EFP

Appena la donna si chiuse la porta del bagno alle spalle, Kevin si stese con un sospiro stanco sul divano. Si sentiva provato, come se avesse combattuto contro un esercito di pazzi ubriachi e ne fosse uscito vivo per miracolo, invece aveva solo discusso con una bionda viziata dagli alti natali.

Il suono dello scrosciare dell'acqua gli ricordò che quella pazza era in casa sua, sotto la sua doccia. Si maledì per quella scelta, avrebbe potuto portarla in un motel o in qualsiasi altro posto e non nella sua "dimora". Era stata una scelta impulsiva, dettata dal dolore che provava al ginocchio e dalla voglia di riposarsi in un luogo a lui familiare, soprattutto da quando era entrato in quell'orribile locale e l'aveva vista. In un primo momento non l'aveva riconosciuta fasciata in quell'aderente e più che corto abito rosso, ma la sua espressione disgustata ed il viso e i modi aggraziati erano come un'insegna a neon posta su di lei che non l'avrebbe mai fatta passare inosservata.

Eppure, vederla lì in mezzo a quelle persone, vestita come una spogliarellista, aveva fatto scattare in lui i suoi istinti da uomo e non aveva gradito. Fosse stata un'altra donna non se ne sarebbe preoccupato, ma sentirsi attratto fisicamente da lei lo faceva sentire un emerito imbecille, quella donna era talmente piena di sé che di sicuro non lo considerava nemmeno un essere umano. E quello strano senso di deja vu non voleva abbandonarlo, lei gli sembrava tanto familiare ma non riusciva a collegarla a nessuna persona conosciuta in passato. Non poteva averla conosciuta prima del suo arrivo a Bellrosé né aveva mai letto stupidi giornaletti di gossip dove sarebbe potuta apparire, anche se dubitava il mondo fosse a conoscenza della sua esistenza...

Allora perché non riusciva a smettere di trovare il suo viso tanto familiare? Di sicuro era la stanchezza, stava diventando pazzo e non aveva avuto un attimo di tregua da quando era atterrato in quel minuscolo e bizzarro principato; era comprensibile che la sua mente gli giocasse strani tiri.

Sospirò felice di godersi la morbidezza del suo divano, ancora non riusciva a credere di ritrovarsi di nuovo lì ma ne era felice, soprattutto se pensava che tra qualche giorno avrebbe di nuovo dovuto mettere piede in quel principato del cavolo e restarci fino a quando la principessina non avesse preso il posto del padre. Aveva una voglia matta di chiudere in fretta quella faccenda e prendere i soldi che gli avevano promesso.

Ti sei dimenticato del patto con Miss Sophie?, gli ricordò bastarda la propria mente.

No, purtroppo non aveva dimenticato affatto, era proprio per quello che desiderava porre fine a quella storia il prima possibile. Il solo pensiero di dover passare altri giorni ed altre notti con lei lo fece rabbrividire, già poteva immaginare quali assurde richieste avrebbe avanzato e preteso, credendo di avere dinanzi un altro dei suoi servitori. Be', si sbagliava di grosso! Quella donna avrebbe dovuto sottostare ai suoi di voleri, prima l'avrebbe capito meglio sarebbe stato per lei; non si sarebbe fatto scrupoli nel riportarla a casa anche domani stesso.

Quando sentì la porta del bagno aprirsi chiuse gli occhi, facendo finta di dormire. La sentì avvicinarsi a lui a piccoli passi incerti, era chiaro che lo temesse e quello gli dava una posizione di vantaggio su di lei, di potere, che lo fece sentire stranamente al sicuro.

«Ehm... Kevin?» non rispose al suo richiamo, ma continuò a fingere di dormire. «Kevin?» tentò nuovamente prima di sospirare. Sophie rimase lì per qualche minuto, la sentì sbuffare e schioccarsi le dita mentre strusciava un piede, almeno credeva fosse un piede, per terra. Aprì leggermente un occhio, sperando che lei non lo stesse guardando, e la trovò a pochi passi da lui coperta solo da un asciugamano. Stava fissando un punto indefinito alla sua sinistra mentre teneva una mano tra gli umidi capelli biondi e si mordicchiava nervosamente il labbro inferiore, sembrava non sapere cosa fare e la sua espressione spaesata lo ammorbidì.

Sembrava quasi... umana, e non la gelida e capricciosa donna viziata che sicuramente era. Gli risultava difficile continuare a trattarla con diffidenza fissando quel labbro imbronciato. Ormai impietositosi, stava per alzarsi e chiederle cosa volesse ma la bionda si avviò frettolosamente verso la sua camera e si chiuse rumorosamente la porta alle sue spalle, lasciandolo di sasso.

Meglio così, si disse. Eppure qualcosa dentro di lui lo fece sentire in colpa.

Chiuse gli occhi e scivolò velocemente in un sonno profondo.

* * *

Pancake. Omelette. Toast francesi e due tazze ricolme di caffè...

Kevin si stropicciò gli occhi per la decima volta, incredulo davanti a quella che sembrava una colazione degna di un sovrano, ed in effetti era stata proprio la principessa pazza a prepararla. Alzò lo sguardo sulla donna dietro al bancone della sua cucina, intenta a mescolare qualcosa di indefinito con indosso soltanto una sua vecchia t-shirt usata spesso ai tempi del liceo; una di quelle che non era riuscito a buttare perché affezionato, con quella infatti aveva vinto la sua prima partita. E stranamente invece di sentirsi infastidito vedendola su di lei, trovava che quella logora maglietta stesse centomila volte meglio su quel corpo voluttuoso e sensuale.

Voluttuoso e sensuale? Santo cielo, sei completamente uscito fuori di senno, lo shock di vederla cucinare deve averti ammattito.

Sophie si voltò con la scodella tra le mani, ed appena notò la sua presenza al centro della stanza si lasciò scappare un gridolino sorpreso.

«Ti... ti sei svegliato» balbettò ancora scossa dallo spavento preso.

«Sì. Vedo che ti sei data da fare...» puntò con un gesto del capo i piatti allineati sullo stretto e poco spazioso bancone della cucina.

«Be', mi sono svegliata presto e tu dormivi così...» sospirò e fissò il contenuto della ciotola che aveva ancora tra le mani. «Cucinare mi rilassa e mi sono lasciata andare.»

«Lo vedo...» commentò, avvicinando uno sgabello al bancone per sedersi. Fissò tutte quelle delizie ancora incredulo ed il suo stomaco le pretese con un sonoro gorgoglio.

«Serviti pure» disse la bionda, prendendo una forchetta dal cassetto per dargliela.

Aveva il via libera, dunque. Non se lo fece ripetere due volte e si buttò con voracità sulle omelette, che trovò assolutamente deliziose. Di certo quello della cucina non era un talento che avrebbe associato a quella donna anzi, aveva creduto che di talenti non avesse affatto, a parte quello di essere petulante.

«Sono buone?» gli chiese, nella sua voce poté avvertire preoccupazione e aspettativa, un'altra cosa che lo spiazzò. La persona altezzosa che aveva dipinto nella sua testa non si svegliava di certo presto per mettersi a preparare la colazione né si premurava di sapere se ciò che avesse preparato fosse di suo gradimento.

Possibile che l'avesse giudicata troppo in fretta? O quello era solo un modo per irretirlo, per ammorbidirlo e fargli abbassare la guardia. Per quante sfumature sbalorditive stesse scoprendo di quella donna, non poteva ancora fidarsi di lei; era scappata dal principato senza farsi vedere da nessuno, dopotutto! E lui non riusciva ancora a capire come diamine avesse fatto.

«Sì» rispose infine. «Davvero ottime.»

La vide rilassarsi e sorridere soddisfatta, poi coprì la ciotola con della pellicola per alimenti e la ripose in frigo prima di prendere uno sgabello e sedersi di fronte a lui.

Mangiarono in silenzio senza nemmeno guardarsi, nella stanza gli unici suoni udibili erano quelli prodotti dalla sua bocca mentre masticava e a Kevin stava bene così. Più o meno, perché la situazione stava diventando imbarazzante.

Avrebbe dovuto ringraziarla per la colazione? Farle altri complimenti per la sua evidente bravura nella manipolazione degli alimenti? Una semplice pacca sulla spalla le sarebbe bastata?

«Sai...» ruppe il silenzio lei, salvandolo dalla marea di domande in cui stava annegando. «Ho trovato una cosa che mi piacerebbe tanto fare ed ovviamente non ho mai fatto.»

«Davvero?» si finse interessato, continuando a ripulire i piatti. «E cosa?»

«Il campeggio.»

Finalmente lasciò andare la presa sulla forchetta e la fissò sbalordito. «Il campeggio? Di tutte le cose che non hai mai fatto hai scelto il campeggio?» forse la poverina non aveva compreso che passare le notti nel bosco implicava anche dover fare i propri bisogni alla luce del sole ­ o della luna­, camminare nel fango, sopportare i morsi degli insetti e tante altre cose che una ragazza per bene come lei non avrebbe mai sopportato.

«Sì, perché? Credi non riuscirei a sopportare una notte in tenda?» indovinò, almeno in parte, ed il suo sguardo s'indurì.

«No, non intendevo questo» invece sì... «pensavo solo che avresti iniziato da altre cose, ecco.»

«Quali cose? Passare giornate intere alla spa? Dare fondo alle mie carte in negozi di alta moda? Pretendere che tu mi faccia da servetto o divertirmi svendendola nelle discoteche per disobbedire a mio padre come una quattordicenne in piena crisi adolescenziale?» la sua voce era salita almeno di due ottave, e Kevin poté notare una piccola vena pulsante sul suo aggraziato collo. L'aveva fatta infuriare davvero.

«No, nulla di tutto questo» mentì disinvolto. «Se vuoi vivere l'esperienza del campeggio va bene, domani esaudirò il tuo desiderio.»

«Bene» fu tutto quello che disse, la voce più gelida di un vento artico. Si alzò dallo sgabello e si diresse in bagno. «Vado a farmi una doccia, lava tu le stoviglie per favore» e senza attendere una sua risposta si chiuse velocemente la porta alle spalle.

Fantastico, se erano questi gli sbalzi d'umore a cui doveva assistere ed essere vittima, i prossimi giorni si sarebbero rivelati un vero inferno. Che Dio avesse pietà di lui!

«Servono davvero tutte queste cose per il campeggio?» chiese Sophie, fissando con aria meravigliata il reparto dedicato al fai da te e alle attività all'aperto del Mall. A Kevin sembrò quasi di vedere una bambina che, in un negozio di giocattoli, punta il naso per aria e fissa tutto con intensa meraviglia e provò tristezza perché quella reazione dimostrava che davvero lei non aveva mai fatto le cose che lui aveva sempre ritenuto normali. Come andare a mangiare la pizza con gli amici quando aveva creduto di averne -, mangiare un gelato in riva al mare o fissare un cielo stellato immersi nella natura. Fortunatamente a quell'ultima cosa vi avrebbe posto rimedio lui quella sera stessa. Quella mattina si era sentito molto irritato dalla sua richiesta, anche se non lo aveva dato a vedere, e portarla in giro per i boschi gli era sembrata la più orribile delle torture. Eppure in quell'istante, guardando quell'espressione curiosa ed emozionata, non sentiva più quell'incarico come una tortura bensì un regalo da fare ad una persona bisognosa. E quella donna aveva un gran bisogno di divertirsi e godersi alcune delle cose più belle della vita; e sì, il campeggio era una di quelle.

«Sì, tutte, ma a noi servono solo alcune cose poiché ho già tutto quello che mi serve a casa» tranne un fornetto a gas ed un sacco a pelo nuovo per lei. Lui ne aveva soltanto uno ed era anche parecchio rovinato, purtroppo non aveva i soldi per comprarne uno nuovo anche per sé e doveva arrangiarsi. Ispezionò gli scaffali con cura e appena trovò il piccolo fornello che gli serviva lo buttò con poca grazia nel carrello.

«Più avanti ci sono i sacchi a pelo, inizia a cercarne uno che ti piace» le ordinò, vedendola annuire gioiosa e correre verso la fine del reparto successivamente. Vedere tutta quella felicità lo fece sentire orgoglioso di se stesso, ma non capì esattamente perché.

Restò a guardarla fissare i vari sacchi a pelo come un idiota, senza riuscire a staccare gli occhi di dosso alla sua esile e aggraziata figura, o alle sue labbra, rosse e carnose, corrucciate in un buffo broncio mentre decideva quale scegliere. Il suo corpo a quanto sembrava non era per nulla indifferente a quello della donna, tutt'altro, nemmeno da adolescente si eccitava con quella velocità. Di certo aveva l'aspetto di un maniaco sessuale nel stare lì, dietro al carrello, mentre la fissava famelico.

Avrebbe dovuto starle lontano e la cosa era ironica visto che stavano andando in campeggio e avrebbero dormito nella stessa tenda. Quello era proprio il modo corretto di mantenere le distanze. La raggiunse, non prima di essersi calmato, e notò quanto ancora fosse indecisa sul sacco a pelo da comprare. Kevin sbuffò come uno stallone incatenato, prese un sacco rosa, e lo gettò nel carrello con la medesima grazia mostrata poco prima al fornello.

Sophie si voltò sorpresa e sconvolta verso di lui. «Perché hai messo dentro quello?» chiese delusa e lui non comprese affatto quella reazione.

Era una donna, per di più una principessa viziata, il rosa le sarebbe andato bene, no?

«Odio il rosa» sussurrò lievemente.

No, a quanto pare non le andava bene...

«Quale vorresti, allora?» le chiese, già stanco di tutte quelle moine per un colore del cavolo.

«Quello rosso» si decise finalmente.

Sospirando, Kevin ripose il sacco a pelo rosa sullo scaffale e prese quello di colore rosso. Notò anche che il prezzo di quello era nettamente inferiore e gioì dentro, non aveva più tanti soldi e se prima era difficile mantenere solo se stesso ora che c'era anche la biondina lo era anche di più. Era il colmo che lui, uno squattrinato ex marine, dovesse prendersi cura economicamente di una reale. Scosse il capo brontolando tra sé, attirando l'attenzione di Sophie che lo fissò stranito, fortunatamente però non gli chiese nulla.

Si avviarono verso la cassa e si affrettò a pagare il tutto, ignorando il colpo al cuore che lo colpì quando la cassiera gli lesse il conto, aveva fretta di preparare tutto e immergersi nella quiete della foresta. In verità temeva soltanto di ritrovarsi Leo o addirittura qualche agente dei servizi speciali alle calcagna, aveva promesso di tenere informato il padre della giovane donna ogni giorno ma da quando era tornato in America si era completamente dimenticato di loro anzi; quella mattina aveva addirittura ignorato una chiamata di Leo. Quindi temeva che quell'idiota di un regnante credesse se la fosse svignata chissà dove invece di inseguire sua figlia, cose che non era assolutamente vera, e se non fosse stato un despota idiota tutto quello non sarebbe mai successo.

Quale padre rinchiudeva la figlia in casa? Era per caso una parodia di raperonzolo uscita male? Ormai avrebbe creduto a tutto, non si stupiva quasi più di nulla e di certo non dell'egoismo umano.

«Mi dispiace» esalò all'improvviso Sophie dietro di lui appena varcarono l'uscita del negozio.

Si voltò confuso verso di lei, sorpreso di vederla con il capo chino mentre si torturava le mani. Cosa diamine le prendeva quel giorno? Per cosa gli stava chiedendo perdono? Doveva ammettere però che era una delle parole che mai si sarebbe aspettate uscissero dalla sua bocca.

«Per cosa ti staresti scusando, di grazia?» chiese.

«Di essere un peso, emotivamente ed economicamente» rispose. «Purtroppo ho speso tutti i contanti che avevo per il biglietto aereo e se usassi una carta di credito mi ritroverei tutti gli uomini di mio padre addosso in pochissimo tempo, e non posso rischiare.»

Almeno su quello si trovava d'accordissimo con lei, un minimo movimento bancario ed entrambi si sarebbero trovati nei guai, anche se per motivi differenti. Il fatto che lei si preoccupasse dei suoi risparmi in parte gli faceva piacere; perché questo significava che non avrebbe preteso chissà quali stramberie da principessa, e da una parte lo infastidiva; perché non voleva essere visto come un fallito che non è in grado nemmeno di farsi la spesa senza elemosinare.

«Non preoccuparti, mi restituirai tutto a tempo debito» tentò un leggero sorriso per rassicurarla e questo sembrò effettivamente funzionare perché la vide sospirare sollevata e sorridergli grata.

Entrarono nel suo sgangherato furgoncino e gettò con poca grazia la busta con gli oggetti appena comprati sui sedili posteriori. Mise in moto e sospirò, fissando con la coda dell'occhio la ragazza accanto a lui. Indossava una sua vecchia tuta che le stava almeno di due taglie più grade, i capelli erano raccolti in uno chignon alto ed il viso senza trucco le dava un'aria da ragazzina. In quel momento un flashback gli attraversò la mente e l'immagine di una ragazzina dai timidi occhi verdi e i capelli biondo cenere lo fece sobbalzare.

Perché gli era venuta in mente la ragazzina per cui aveva una cotta ai tempi del liceo? Nostalgia? Forse. Si ritrovò a chiedersi dove fosse quella ragazza ora, se si fosse sposata oppure no, e perché scomparve da un giorno all'altro. Si voltò verso Sophie e trovò i suoi lineamenti incredibilmente simili a quelli della ragazzina nei suoi ricordi.

Fin troppo simile...

No, non poteva essere lei, provenivano da due mondi completamente diversi. E poi per quale motivo una ragazza ricca e nobile avrebbe deciso di frequentare un liceo americano? L'incubo di ogni adolescente terrestre.

Una che scappa dal padre e ti chiede di portarla in campeggio, ad esempio.

Scosse la testa, come per allontanare quel pensiero assurdo, e si schiarì la voce attirando l'attenzione della donna seduta accanto.

«Prima di preparare tutto e partire, ti piacerebbe mettere qualcosa sotto i denti?» chiese senza pensarci, voleva allontanare quello stupido sospetto dalla testa e le avrebbe pagato anche il pranzo per riuscirci.

«Mi piacerebbe, in effetti ho molta fame» rispose entusiasta.

Molta fame... stava a significare che gli avrebbe fatto sputare anche l'anima col conto? Pregava di no, anche perché quella mattina era stata lei a spazzare via l'abbondante colazione che aveva preparato. Mangiava più lei che un reggimento di trentacinque soldati.

La vide ritornare a fissare il paesaggio con occhi colmi di felicità e vittoria, e lui credeva di sapere bene cosa le frullasse nella testa. Si stava godendo la sua libertà, doveva essere stupendo per lei poter dire e fare quello che voleva senza dover rendere conto a nessuno, e lui in qualche modo la capiva; quando faceva parte della marina era suo dovere sottostare ai comandi dei superiori, anche se questi erano insensati, crudeli o per scopi puramente personali ed era una cosa che gli era sempre stata stretta. Un tipo orgoglioso come lui odiava abbassare il capo come un cagnolino ad un idiota che si credeva al di sopra di tutti solo per qualche stella in più sulla giacca.

Lui però era riuscito a liberarsi da tutto quello, congedandosi, mentre lei non sembrava aver via di fuga dalla sua situazione se non quella di scappare, in continuazione, e non di certo una bella vita. Anche per quel motivo non poteva essere lei la ragazza dei suoi ricordi, i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di studiare all'estero.

«Sai» disse lei all'improvviso, strappandolo ai suoi pensieri. «Quando ero piccola io e i miei genitori ci recammo in Inghilterra per una cena a palazzo. Loro erano emozionati ed eccitati e io non ne capivo il motivo, per me si trattava solo di una stupida e formale cena piena di persone strane. Ma quando salimmo sulla limousine che doveva portarci a destinazione, passammo accanto ad un parco pieno di tende e famiglie che si divertivano giocando all'aperto. C'erano un sacco di bambini che ridevano e a me sembrò un sogno. Chiesi subito ai miei cosa stessero facendo e mio padre rispose che stavano campeggiando, mia madre assunse un'espressione terrorizzata a quella parola» rise, ma non di felicità o nostalgia. «E quando proposi ai miei di dimenticare la cena e campeggiare come le altre famiglie, loro mi guardarono come se li avessi appena delusi, così restai zitta e da allora non ho più chiesto nulla del genere» la bionda si voltò verso di lui, il suo sguardo era perso e confuso. «Secondo te ho detto veramente qualcosa di sbagliato? Perché a distanza di anni io non riesco ancora a capire cos'abbia detto di sbagliato, volevo solo divertirmi come quei bambini.»

Una lacrima solitaria le solcò il viso e Kevin imprecò silenziosamente, sentiva una strana sensazione al petto, una sensazione dolorosa e straziante. Riportò lo sguardo fisso sulla strada, provando una strana sensazione di tenerezza e protezione verso la giovane donna. Immaginò lei da piccola che fissava con sguardo meravigliato gli altri bambini divertirsi e poi il suo sguardo offuscarsi di vergogna di tristezza a causa dei suoi genitori. Genitori orribili.

«Non hai detto niente di sbagliato, eri una bambina ed ogni bambino preferisce divertirsi con la propria famiglia che partecipare a noiose cene per adulti boriosi.» Strinse il volante tra le mani, provando il forte impulso di ritornare al principato solo per colpire il padre di lei dritto sul naso. Soltanto un uomo crudele avrebbe permesso alla figlia piccola di provare vergogna ad una richiesta normale come il campeggio.

«Grazie» la sentì dire, mentre si asciugava velocemente la lacrima e tirava su col naso. «Allora, dove mi porti a mangiare? Ho molta fame e spero non ci voglia ancora troppo tempo per arrivare.»

Kevin si lasciò scappare un sorriso e le permise di portare la conversazione su un tema più calmo. «Non manca molto, tra poco potrai riempire il tuo pozzo senza fondo» la prese in giro, guadagnandosi un pizzicotto sulla spalla.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


TENP - Capitolo 6 per EFP

L'unica volta in cui Sophie aveva messo piede in una tavola calda, era stato in una calda mattina primaverile di cinque anni prima quando lei e Jane avevano deciso di marinare la scuola per fare colazione in un posto che l'amica aveva dipinto come il paradiso delle colazioni super diabetiche. Così avevano preso l'autobus e fatto un viaggio lungo quasi un'ora solo per mangiare degli enormi pancake ai mirtilli stracolmi di sciroppo d'acero, per lei quella mattina fu una delle più belle di tutta la sua vita e non l'avrebbe mai dimenticata.

Quando Kevin aprì la porta della tavola calda in cui si erano fermati, i ricordi di quella fantastica giornata le ritornarono alla mente e sorrise nostalgica; avrebbe voluto passare altri giorni come quello, con Jane... Jane! Dannazione, aveva completamente dimenticato di chiamarla la sera prima o quella mattina! L'avrebbe sicuramente ammazzata appena il suo collo fosse entrato nel suo campo visivo... rabbrividì al solo pensiero.

«Ehi, Kevin!» una donna di mezza età si sporse dal bancone del negozio, dove alcune persone stavano mangiando, e le lanciarono occhiate irritate o sconsolate. I capelli grigi erano raccolti sulla nuca ed una sottile retina ne evitava l'imbarazzante e possibile caduta in qualche piatto, mentre gli occhi azzurri brillavano come quelli di una ragazzina nonostante fossero accerchiate da alcune rughe d'espressione.

Il volto del giovane uomo s'illuminò appena si fu voltato verso la donna, e un'enorme sorriso - di quelli che non aveva mai più visto dai tempi del liceo - gli curvò le labbra facendolo sembrare, se possibile, ancora più bello del solito. Il cuore di Sophie perse un intero minuto di battiti per poi, paradossalmente, recuperarli tutti in una tachicardia quasi dolorosa ed allora capì che forse la cotta per lui non gli era passata poi del tutto, come aveva creduto.

«Gin!» esclamò lui, con la voce ridente.

Quella consapevolezza non le fece affatto piacere, poiché non riusciva a perdonarlo né a spiegarsi il brutto tiro che gli aveva giocato quella mattina di cinque anni prima. Possibile che l'infatuazione per lui l'avesse accecata al punto da mascherarle la sua vera natura? Allora tutti quei sorrisi, quelle parole dolci o gli sguardi fugaci rubati di nascosto erano state tutte illusioni, parti della sua mente adolescenziale ormai andata? Come spiegazione non le andava giù, pensare di essere stata così ingenua e stupida era una colpa che l'attuale Sophie non perdonava alla se stessa ragazzina.

Stupida idiota, ecco cos'eri e cerca di non esserlo nuovamente, si ammonì.

No, né lui né nessun altro le avrebbe tirato di nuovo uno scherzo simile, aveva sfruttato quegli anni per rinforzare il suo carattere e la sua volontà. L'ingenuità che l'aveva caratterizzata da giovane era sfumata insieme all'ideale di ragazzo perfetto che aveva sempre associato a Kevin. Il giorno in cui era salita sull'aereo per ritornare a casa aveva sentito chiaramente il suo cuore spezzarsi e perdere quella parte candida e gioiosa che le aveva sempre permesso di essere una ragazza dolce e un po' sciocca, di quelle che credono veramente nell'esistenza del principe azzurro e non perché crescono in un castello con la propria madre che le insegna a distinguere un mero baronetto da un successore reale, ma per l'ideale di amore eterno e incontrastato che aveva sempre trovato nei romanzi che rubava a Gerthie, la figlia della cuoca. A ripensarci ora, li avrebbe volentieri bruciati quegli odiosi libri irrealistici.

La risata della donna la fece uscire dalla bolla rossa dei suoi furiosi pensieri, e solo allora si rese conto che aveva abbandonato il bancone per avvicinarsi a Kevin. I due stavano parlando animatamente e lui sembrava molto felice e a suo agio, quasi rilassato. Non immusonito come quando stava con lei...

Irritata, da cosa non lo sapeva nemmeno lei, sospirò come un bufalo a cui avevano appena pizzicato i testicoli e si voltò per prendere posto ad uno dei tanti tavoli disposti accanto alle grandi finestre. I due non si accorsero nemmeno di quel gesto, soprattutto Kevin e la cosa non fece altro che farla indispettire. Non si aspettava certo che la presentasse come fosse una sua grande amica o peggio, la sua fidanzata - non poté trattenere un piacevole brivido a quel pensiero - ma almeno un po' di considerazione l'avrebbe gradita. Si sedette con poca grazia ad uno degli ultimi tavoli, dando le spalle ai due perché se avesse visto nuovamente il fantastico sorriso di lui ignorarla come se fosse un minuscolo moscerino, gli avrebbe tirato addosso la boccetta in vetro del sale.

Rimase a braccia conserte e con l'espressione di chi ha appena subito un'esportazione dei genitali non desiderata a fissare le persone che passeggiavano accanto alla finestra del locale fino a quando, dieci minuti dopo o forse anche più, Kevin non la raggiunse.

«Scusami, ma è da un po' che non vengo qui e rivedere Gin dopo tanto tempo mi ha fatto perdere la cognizione del tempo» tentò di giustificarsi lui, sedendosi di fronte a lei. Aveva ancora un sorriso da ebete sul viso e lo insultò mentalmente, come avrebbe desiderato fare anche vocalmente.

«Figurati» disse con finta indifferenza, aprendo con poca grazia il menù lasciato sul tavolo. Se sua madre l'avesse vista fare tutte quelle scenate per nulla, come avrebbe sicuramente detto lei, le sarebbero venuti i capelli bianchi per l'orrore. Una bigotta snob come lei, che nel cassetto invece della Bibbia aveva una copia del Bon Ton, non ammetteva perdite di controllo e compostezza, riteneva che le persone di un rango superiore dovessero comportarsi con la giusta superiorità ed evitare di mostrare sentimenti troppo espliciti, come appunto la rabbia. Perché ciò li avrebbe resi comuni come tutti gli altri.

Ah, ma fanculo lei e le sue lezioni del cavolo! Sono incazzata con lui? Bene, che se ne accorga e marcisca chiedendosi il perché.

«Tutto bene?» chiese infatti lui, abboccando come un pesce lesso.

Sophie nascose il sorrisetto compiaciuto dietro il menù e si ricompose in fretta. «Certo, perché mai lo chiedi?»

«Perché stai parlando con un'indifferenza e una superiorità irritanti» le fece notare lui e la cosa la infastidì perché non era sua intenzione essere l'una o l'altra. «Per caso le da fastidio questa bettola, milady?» la schernì lui, facendo scoppiare il palloncino del suo autocontrollo.

Sbatté con rabbia il menù sul tavolo, facendolo trasalire. «Ora mi hai veramente stancato, se hai qualcosa da dimmi dimmelo in faccia invece di nasconderti dietro frasi tutt'altro che sarcastiche ed insulti velati. Forse credi che avere un titolo nobiliare automaticamente mi renda una cretina? Un ignorante? Incapace di decifrare le tue prese in giro mascherate da frecciatine? Be', informazione shock: ho un cervello, strano eh? Uno che funziona, per giunta! Sicuramente un'eresia per te. Quindi sai cosa ti dico? Fottiti, Kevin, non passerò un minuto in più accanto ad un uomo che mi considera meno acuta di un baco da seta, dimentica il nostro patto e addio.» Si alzò velocemente dal divanetto rosso ed uscì a passo spedito dalla tavola calda. Sentiva le lacrime salirle agli occhi e tentò di frenarle, senza successo, nemmeno l'irritante voce di sua madre che le ricordava quanto fosse terribilmente sconveniente per una come lei piangere in pubblico riuscì a ridarle il controllo di se stessa.

Si sentiva in preda ad una crisi di nervi, era stanca di doversi controllare sia a palazzo che lì, dove aveva creduto di essere finalmente libera. Invece aveva trovato in Kevin una nuova prigione, in sua presenza doveva sempre soppesare ogni parola per evitare che lui fraintendesse e le lanciasse una delle sue insopportabili frecciatine, quante ne aveva sopportate in sole ventiquattro ore? Lui si rifiutava di vedere oltre la superficie, di conoscere la vera Sophie e ne ignorava totalmente il motivo. Era sempre più convinta che il dolce ragazzo delle superiori fosse stata una sua illusione, che il vero Kevin fosse sempre stato quello e lei come una cretina gli aveva permesso di rubarle il cuore e lanciarlo via con la stessa potenza che usava in campo. Il fatto che piangesse stava solo a significare che le importava cosa lui pensasse di lei, e tanto, e questo non poteva accettarlo. No, il suo orgoglio fremeva di rabbia e desiderava soltanto far sparire l'uomo come un ricordo non desiderato, ma era difficile e tentava di farlo da più di cinque anni.

Si rese conto di aver camminato per un bel po' e di non sapere esattamente dove si trovasse solo quando le gambe iniziarono a farle male, intorno a lei c'erano soltanto alberi e non riusciva più a scorgere la tavola calda.

Fantastico, mi sono anche persa!

Respirò a fondo e prese un profondo respiro per calmarsi. Quando si era trasferita lì per studiare, non era mai uscita molto di casa e quelle poche volte che lo aveva fatto insieme a Jane, le due erano sempre andate in locali del centro e mai in periferia quindi non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. Le sarebbe bastato fare il percorso a ritroso, se solo avesse saputo in qualche direzione si uscisse dal bosco in cui si era addentrata.

Chiuse gli occhi, tentando di ricordare qualche particolare della strada che aveva percorso, un qualsiasi dettagli che avrebbe potuto aiutarla ma tutto ciò che riusciva a vedere era il buio assoluto. Il nulla.

Una mano le afferrò improvvisamente la spalla e Sophie si allontanò di scatto, gridando con tutto il fiato che aveva in gola.

«Sono io, calmati!»

Ancora in preda allo spavento preso, ci mise un po' per capire che aveva davanti proprio Kevin, la causa di quella disavventura. «Co... cosa vuoi?» chiese con la voce ancora scossa dai tremolii della paura. «Se sei venuto qui per infierire ancora ti conviene sparire. E in fretta» lo avvertì.

Lui la fissò con una strana espressione colpevole e questo la fece sentire stranamente bene. Si sentiva in colpa per averla trattata in modo orribile o per averla spaventata? Ad ogni modo, meritava di sentirsi colpevole.

«Non voglio assolutamente infierire, e ti chiedo scusa per averti ferita, non sono più abituato ad avere persone intorno; soprattutto donne, e sì, ho dato per scontato tu avessi una personalità tua e un cervello funzionante.» Si infilò una mano nei pantaloni e volse lo sguardo al terreno ai propri piedi, come se avesse timore di guardarla in volto.

«Dev'essere parecchio strano per te vedermi come un essere umano senziente, giusto?» chiese con cupo sarcasmo. Tirò su col naso e si asciugò le lacrime che ancora le bagnavano il viso. Per uscire da quella situazione aveva bisogno del suo aiuto, eppure avrebbe preferito cento volte passare tutta la sua vita in quel boschetto piuttosto che affidarsi nuovamente a lui.

Si sentiva tradita. Di nuovo. E non avrebbe sopportato un terzo giro, quindi era meglio per lei chiudere con lui e stavolta per sempre.

«Ad ogni modo puoi andare, sei libero e non devi più portarmi in giro né continuare a lavorare per mio padre. Appena tornerò a casa ti spedirò l'assegno col tuo compenso e non sarai costretto a tornare al principato.»

A questa frase, finalmente lui alzò il capo e la fissò con un'espressione che lei non seppe decifrare, ma la mise molto a disagio. Le si avvicinò lentamente, prendendole la mano tra la sua e stringendola appena. «Torniamo alla tavola calda, Sophie, devo ancora mantenere la mia promessa di portarti in campeggio. Te lo devo.»

Sophie negò col capo e tentò di allontanare la mano dalla sua presa, ma questa si fece più forte. «Te lo ripeto, Kevin, non desidero restare accanto ad una persona che mi disprezza. Quindi se lo fai solo per pulirti la coscienza, tranquillo e vattene.» Tentò un'ultima volta di liberarsi dalla sua presa, ma lui sembrava deciso a non mollare.

«Non sto affatto tentando di pulirmi la coscienza, desidero davvero poter fare quello che nessuno ha mai fatto per te. So di essermi comportato da stronzo e prometto che passerò i prossimi giorni a farmi perdonare, perché lo voglio Sophie. Perché guardando il tuo volto rigato di lacrime mi sento morire dentro, mi sembra di aver commesso un peccato orribile, di aver sporcato la cosa più bella su questo mondo» le sussurrò, ormai ad un palmo dal suo viso. La sua voce era roca, le sue pupille dilatate e sembrava vederla per la prima volta.

«Sophie... la mia Sophie» pronunciò il suo nome con così tanta emozione che le si fermò il respiro in gola.

Le sue braccia l'avvolsero in un abbraccio forte, possessivo ma allo stesso tempo delicato, come se temesse di romperla. Avvicinò le labbra alla sue lentamente, così lentamente che le sembrò di morire nell'attesa di assaporarlo per la prima volta. Tutta la rabbia e la collera di prima erano svanite, le sembrava di trovarsi in una bolla luccicante, quasi magica.

Finalmente, dopo un tempo che le era parso infinito, le labbra di lui si posarono sulle sue, delicate e gentili, fin troppo e Sophie non voleva essere trattata come una bambola di porcellana, non da lui, voleva sentirsi donna almeno una volta nella vita. Si alzò sulle punte e gli circondò il collo con le braccia, infilò una mano tra i suoi capelli e lo spinse di più contro di lei, cercando di approfondire il bacio. Kevin sembrò recepire il messaggio perché in un secondo si ritrovò con la schiena contro un albero, mentre lui prendeva pieno possesso della sua bocca. Sospirò estasiata e gemette quando le prese il labbro inferiore tra i denti, tremò tra le sue braccia e si sentì piacevolmente stordita, come se avesse bevuto un bicchiere di champagne di troppo.

La mano di lui, grande e bollente, le accarezzava dolcemente la schiena, spingendola di più contro il suo corpo. Sophie non avrebbe saputo dire come mai, all'improvviso, avesse scatenato tutta quella passione per lei e nemmeno le importava più, voleva solo annegare in quella piacevole sensazione. Le sembrava di non aver mai baciato nessuno prima di lui, di aver sempre e solo aspettato quel momento.

Quando la sua bocca abbandonò la sua per percorrerle il mento fino al collo, capì di essere ormai solo una marionetta nelle sue mani. Avrebbe potuto farle tutto ciò che voleva, lei sarebbe stata più che felice di accontentarlo.

Il corpo morbido, arrendevole e caldo di Sophie era come un'oasi o il paradiso, difficile allontanarsene. Eppure, con molta forza di volontà, riuscì a staccarsi da lei e dalla dolcezza delle sue labbra, mettendo fine al bacio. La vide sbattere velocemente le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la situazione ed uscire da quella coltre di sensazioni che li aveva avvolti improvvisamente.

Più che altro era stato lui a fiondarsi su di lei, improvvisamente. Non era riuscito a frenare se stesso, peggio di un animale in calore, quando aveva visto il viso della giovane donna rigato di lacrime si era sovrapposta a lei, come un flashback o un fantasma, l'immagine della ragazzina che aveva amato al liceo e la somiglianza tra le due era stata impressionante. Sconcertante. Ed allora aveva capito, ormai era sicuro che la Sophie che aveva davanti e quella del suo passato fossero la stessa persona. Come, non sapeva spiegarselo nemmeno lui, ma era così. Ovviamente doveva esserne sicuro al cento per cento e in quel momento lo era all'ottanta, l'assurdità della situazione lo lasciava ancora un po' incredulo e diffidente. Se davvero le due erano la stessa persona, perché lei aveva frequentato il loro liceo da ragazzina? Un capriccio adolescenziale? Si trovava lì con la famiglia per qualche motivo politico? Non lo sapeva, ancora, ma questo spiegava la sua misteriosa ed improvvisa scomparsa.

«Torniamo alla tavola calda» le disse, prendendole la mano come si fa ad una bambina, nel terrore che lei potesse sparire nuovamente lasciando dietro sé le milioni di domande che aveva sempre voluto farle.

Tornarono indietro nel totale silenzio, senza nemmeno rivolgersi una parola e Kevin non seppe come interpretare la cosa. Lei era arrabbiata con lui per il bacio? Si era offesa ancora di più? Dal modo in cui si era stretta a lui non gli era sembrato anzi, aveva approfondito lei per prima il bacio quindi era sicuro non fosse quello la causa del suo mutismo. Tuttavia, si sentiva a disagio, si era fatto prendere dal momento, dall'emozione ed aveva baciato una donna che poteva benissimo non essere la sua compagna di liceo.

Si schiarì la voce per stemperare l'aria di imbarazzo che sentiva scendere su entrambi. «Sarà meglio tornare alla tavola calda, ho ordinato qualcosa e sono uscito senza pagare, inoltre ho ancora fame» disse, sentendosi un idiota subito dopo. Che cosa interessava a lei del fatto che avesse fame? Non era nemmeno la verità visto che gli si era chiuso lo stomaco, tutto quello che avrebbe voluto fare in realtà era mettere le mani su uno degli annuari della sua scuola e verificare se la donna davanti a lui fosse la stessa ragazzina dei suoi ricordi.

«Sì... anche io ho ancora fame, in effetti» gli rispose, guardandosi intorno per capire dove andare, o per sfuggire al suo sguardo insistente.

«Andiamo allora» la superò e con un gesto della mano la invitò a seguirlo.

Tornarono alla tavola calda in poco tempo e Sophie rimase di sasso nello scoprire che non si era allontanata poi così tanto, nonostante le fosse sembrato il contrario. Forse si era lasciata prendere dal panico una volta entrata nel fitto boschetto e non aveva pensato con lucidità. 
Appena varcarono le porte del locale, la donna che Kevin aveva salutato prima venne loro incontro con un vassoio di bicchieri sporchi fra le mani.

«Finalmente siete tornati» esordì con un sorriso, spostando poi lo sguardo su di lei. «Vi conviene sedervi e mangiare prima che i vostri piatti si raffreddino» puntò il loro tavolo senza smettere di fissarla e nonostante fosse abituata alle occhiate anche insistenti, non poté fare a meno di sentirsi di disagio. Dopo qualche secondo, finalmente lo sguardo della donna si spostò su Kevin e gli sorrise prima di ritornare dietro al bancone.

Raggiunse il loro tavolo e rimase sorpresa quando notò che lui aveva ordinato anche per lei prima di inseguirla.

«Mi sono permesso di ordinare anche per te, così una volta tornati avremmo trovato già tutto pronto. Spero non ti dispiaccia.» Kevin si accomodò al suo posto e puntò il piatto accanto a lei. Restò imbambolata, iniziando di certo a sembrare un tantino stupida e strana visto che se ne stava in piedi accanto al tavolo, iniziando anche ad attirare l'attenzione dei clienti seduti vicini a loro.

Prese posto velocemente ed annuì all'uomo. «Tranquillo, ti ringrazio per il pensiero.» Lo vide rilassarsi e accennare un sorriso, una cosa molto strana da parte sua di solito così composto e privo di qualsivoglia espressione facciale che non fosse l'ostilità. Per non parlare del bacio e delle cose che le aveva detto prima, ancora adesso si sentiva stordita; sin da ragazzina aveva sempre sognato un bacio da lui, anche se nelle sue fantasie adolescenziali non c'era stato nessun litigio prima dell'incontro delle loro labbra. Ma doveva ammettere che era stato mille volte meglio dei suoi sogni ad occhi aperti, bellissimo e inspiegabile. Cosa lo avesse spinto a farlo le era ancora sconosciuto, forse per il senso di colpa? Dio, pregava proprio di no, sarebbe stato umiliante.

Spaesata, mangiò chiedendosi cosa fosse successo a Kevin nei minuti in cui era stata via. Che si fosse ricordato di lei e stesse nuovamente cercando di prenderla in giro? Quel pensiero le chiuse improvvisamente la gola e dovette bere in fretta un sorso d'acqua per non soffocare con il boccone che aveva mandato giù. 
Era impossibile che lui si fosse ricordato di lei, avevano passato insieme più di ventiquattro ore e lui non aveva mai dato segno di averla riconosciuta, anche perché sapeva di essere cambiata molto dall'insipida ragazzina che era stata un tempo. E poi, anche ammesso avesse ricordato, non aveva nessun motivo per giocare di nuovo con i suoi sentimenti; erano entrambi adulti ormai.

Accantonò quel pensiero e tentò di calmarsi, ma la morsa allo stomaco non se ne andò, così come l'orribile sensazione di essere stata trasportata indietro nel tempo a quando era la vecchia Sophie; una Sophie stupida, ingenua e paurosa che preferiva farsi mettere i piedi in testa da quattro amebe senza cervello piuttosto che reagire e combattere. 
Spinse via il piatto, ormai incapace di mangiare altro visto lo stomaco stretto in un nodo di apprensione, ed iniziò a torturarsi le unghie dei pollici, fissando distrattamente fuori dalla finestra.

«Tutto bene?» le chiese il soggetto delle sue preoccupazioni e fisime mentali.

«Sì, mi sono già saziata e non riesco a mangiare altro.» Continuò a fissare fuori dalla finestra, preferendo la vista delle auto in strada al viso dell'uomo. Aveva terrore di scorgere qualcosa che non le sarebbe piaciuto, qualcosa che le avrebbe fatto capire di essere stata presa in giro di nuovo e non voleva. Non sapeva se esattamente ci fossero secondi fini nelle intenzioni di Kevin, ed effettivamente lui poteva anche volersi vendicare di lei per averlo costretto a farle da balia, ma nel dubbio preferiva prendere le distanze da lui ed essere cauta.

Nonostante sentisse il suo sguardo dubbioso su di lei, l'uomo finì in poco tempo di mangiare e si allontanò per pagare il conto mentre Sophie si diresse verso l'uscita, ansiosa di buttarsi a capofitto nei preparativi per il campeggio in modo da allontanare le preoccupazioni che l'affliggevano. Prima però aveva un'altra cosa fare, una urgente che non poteva più essere rimandata.

Kevin le venne incontro, riponendo il portafogli e lo scontrino nella tasca del suo capotto. «Pronta?» le chiese, puntando il suo furgoncino con un cenno del capo.

«Certo, ma prima vorrei chiederti se è possibile accompagnarmi in un posto.» Lo vide alzare un sopracciglio sorpreso prima di sospirare ed annuire.

«Nessun problema.»

* * *

«Tu!» Il telefono che Jane le puntò alla gola sembrava una pericolosa arma di distruzione di massa, soprattutto perché era nelle sue mani e lo sguardo furioso e lucido con cui la fissava le fece capire che era molto arrabbiata con lei.

«Scusami, Jane, ti spiegherò tutto ma prima potresti rifoderare la tua arma?» Sophie sentì chiaramente Kevin trattenere le risate e si accigliò, se la sua amica non fosse stata così fuori di sé gli avrebbe volentieri lanciato un'occhiataccia.

«Mi hai fatta morire dalla paura, ho addirittura denunciato la tua scomparsa a mio fratello perché non sapevo cosa fare! Credevo ti avessero rapita o peggio!» Le parole di Jane la raggelarono. Aveva denunciato la scomparsa a suo fratello? Un agente di polizia? E se suo padre ne fosse venuto a conoscenza? L'avrebbe trovata in meno di un secondo. Non poteva di certo rimproverare la sua amica per averlo fatto, era da quasi un giorno che non le dava sue notizie.

Tirando su col naso, Jane le allontanò il cellulare dalla gola e se lo portò all'orecchio. «Jacob? Falso allarme, è appena tornata a casa e sta bene. Scusa se ti ho disturbato.» Una volta riagganciato, si buttò su di lei stritolandola fra le braccia.

«Jane...» ricambiò l'abbraccio dell'amica e rimasero in quella posizione per qualche secondo. Sophie si sentì in colpa per averla fatta preoccupare, era un'amica orribile ed avrebbe passato gli anni che le restavano da vivere a farsi perdonare.

Le due si separarono e solo in quel momento Jane notò la presenza di Kevin. «Ehm... chi è lui?» chiese, fissandolo con circospezione.

«Lui è... Kevin» pronunciò quel nome con fin troppa lentezza, mandando all'amica uno sguardo che pregò capisse.

«Kevin» ripeté l'altra confusa, prima di spalancare gli occhi e puntarli su di lei. «Kevin?» Il suo tono nascondeva una chiara domanda e Sophie annuì impercettibilmente.

«Sì, mi chiamo proprio così» esordì all'improvviso l'uomo, avvicinandosi alle due. Fissò per qualche secondo Jane prima di voltarsi nuovamente verso di lei. «Scusami, Sophie, devo andare da una parte, ti dispiace se passo a prenderti più tardi?»

«No, vai pure. Prometto di non scappare.»

«Lo spero» borbottò cupo prima di andarsene.

Appena il veicolo di Kevin si fu allontanato, Jane la spinse dentro casa e si chiuse svelta la porta alle spalle.

«Kevin?!» chiese di nuovo, con un'espressione tale che in altre circostanze l'avrebbe fatta morire dal ridere. «Che ci fai con lui?»

Avrebbe preferito non risponderle, dimenticare che era lì per un tempo determinato e molto breve, in parte anche a causa dello stesso Kevin che doveva riportarla indietro, ma sapeva benissimo che l'amica non avrebbe tollerato altri silenzi.

«Ti conviene sederti, è una storia molto lunga.»

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


TENP - Capitolo 7 per EFP

Jane alzò gli occhi al cielo, esasperata, e si abbandonò priva di forze sul divano. Di sicuro aveva un milione di domande da farle, ma sembrava troppo stanca anche solo per articolare mezza parola. Sophie notò le occhiaie scure sotto agli occhi, segno che aveva passato l'intera notte sveglia nell'attesa di sue notizie, e si sentì un mostro per essersi dimenticata di lei. In parte era colpa di Kevin, l'aveva stressata ad un punto tale da farle dimenticare che c'era una povera anima che l'aspettava; accanto a lui perdeva ancora la cognizione di ogni cosa, proprio come quando era ragazzina, e questo era molto pericoloso. Come se non bastasse, il bacio che le aveva dato l'aveva mandata in confusione ancora di più, possibile che quell'uomo all'apparenza freddo e rude le avesse tirato uno scherzo così orribile da giovane? Se così fosse stato, se davvero era stato un ragazzino manipolatore ed insensibile, non sarebbe dovuto rimanere tale almeno in parte? Forse non le aveva ancora mostrato quel lato di sé e lei non ci teneva affatto a vederla.

Il lieve russare dell'amica la scosse e si voltò trovandola addormentata sul divano. Sorrise intenerita e si affrettò a coprirla con un plaid. Sul tavolino di fronte al sofà notò alcuni fogli sparsi o ammucchiati qua e là, ne prese uno e notò che si trattava di un volantino di aiuto per una persona scomparsa, e quella persona era lei!

«Oh, Jane...» si sedette accanto all'amica addormentata, e notò anche una ricompensa di tremila dollari per chiunque l'avesse trovata. Sophie si commosse per quel gesto, soprattutto perché Jane non aveva una situazione finanziaria coi fiocchi, eppure era stata disposta a spendere tutti i suoi risparmi per lei. Era bello sapere che c'era qualcuno che teneva davvero a lei.

* * *

«Wow, stasera verrà la fine del mondo!» esclamò sua sorella, fissandolo con sarcasmo ed una punta di rabbia, che meritava visto le rarissime volte che si faceva vivo.

«Lo so, sono un pessimo fratello, eccetera eccetera...» la prese in giro, beccandosi come risposta la porta di casa quasi sul naso. «Ehi, no! Mi dispiace, mi dispiace...» Sonia, sua sorella, aprì nuovamente sospirando sconfitta, lo conosceva bene ormai e sapeva perfettamente qual era il motivo che lo teneva lontano da lei, dal marito e da Melanie, la sua nipotina. E il motivo era proprio lo sguardo preoccupato che la sorella aveva sul viso, che lo fece rabbuiare in un secondo.

«Non iniziare.» La ammonì mentre entrava in salotto, vedendola alzare gli occhi al cielo.

«No, non inizio. Allora, cosa ti porta qui?» gli chiese, sedendosi sulla poltrona e facendogli segno di sedersi sul divano accanto.

Rifiutando l'invito, poiché non intendeva trattenersi a lungo e subirsi i soliti discorsi di Sonia, disposta a trovargli lavoretti qua e là come se fosse un poveraccio incapace di badare a se stesso, si avvicinò alla libreria e fissò i vari libri con curiosità. «Dimmi, hai ancora l'annuario dell'ultimo anno?» le chiese con finta nonchalance.

Lei aggrottò le sopracciglia, sorpresa? «L'annuario? Sì, ma a te cosa serve?»

«Voglio solo trovare il nome di un ex compagno, tutto qui.» Quella scusa non avrebbe convinto nessuno, lo sapeva, ma Kevin non aveva nessuna intenzione di dirle la verità, soprattutto perché questo avrebbe comportato doverle dire anche della fuga di Sophie e del loro patto, che ovviamente contrastava con l'ordine che le aveva dato il padre della ragazza e lui non aveva voglia di subirsi i suoi rimproveri.

«Raccontamene un'altra, Kevin. Sono tua sorella gemella, ti conosco e so per certo che non dimentichi mai il nome di qualcuno, a me che di quella persona non ti importi assolutamente nulla.» Sua sorella incrociò le braccia al petto e si mise a fissarlo con rimprovero, aspettando che lui le raccontasse la verità. Cosa che non sarebbe mai avvenuta, la adorava ma proprio non sopportava che si intromettesse con forza nella sua vita o che usasse trucchi come lo sguardo adirato per estorcergli informazioni che, almeno per il momento, non poteva darle.

«Ti prego, Sonia, se puoi aiutarmi te ne sarei davvero grato, altrimenti grazie lo stesso e addio.» Questa volta fu il suo turno di incrociare le braccia e mettere su lo sguardo di rimprovero. Fortunatamente la sorella non insistette, forse anche per l'urgenza nella sua voce, e si alzò dalla poltrona per dirigersi al piano superiore. Tornò poco dopo con un un grosso libro rosso, che Kevin riconobbe come l'annuario che aveva chiesto. Glielo strappò in modo quasi animalesco dalle mani e si accomodò sul sofà sfogliandolo con urgenza, quando arrivò alla sua classe spostò lo sguardo su tutti i visi dei vecchi compagni di scuola fino ad arrivare a lei... quando lesse il nome sotto la piccola immagine il respiro si fermò in gola.

Sophie Beatrice McIntosh...

Effettivamente, se si guardava attentamente la somiglianza era palese. Certo, ormai Sophie era diventata donna e i suoi lineamenti più marcati e seducenti, ma all'epoca era stata una graziosa ragazza dolce e sempre presa di mira dai bulli.

Chiuse l'annuario ed espirò rumorosamente. Sua sorella,in piedi accanto a lui, non pronunciò parola. Si diede dell'idiota per non aver riconosciuto subito la donna che da giorni aveva accanto, l'aveva pure trattata con sufficienza credendola solo una stupida ragazza viziata. 

Si passò una mano fra i capelli, improvvisamente esausto e senza forse, ed abbandonò l’annuario sul divano accanto a sé. Si alzò in piedi e diede un bacio sulla guancia alla sorella.

«Grazie mille, Sonia. Prometto di ritornare presto per giocare con Melanie.» La donna annuì e gli diede un abbraccio prima di accompagnarlo alla porta, sta volta a differenza delle altre volte non tentò di farlo restare di più. Kevin salutò un’ultima volta la sorella e salì sul suo furgoncino per tornare a casa dell’amica di Sophie, pregando di trovarla ancora lì. 
Non si sarebbe sorpreso però se avesse colto l’occasione per scappare di nuovo, lui non solo l’aveva trattata male ma l’aveva anche lasciata sola libera di fare quello che voleva. 
Come guardia del corpo era un vero schifo. Pregava solo di non aver rovinato tutto con lei, lo consolava il ricordo del bacio che si erano scambiati quella mattina, lei aveva tremato fra le sue braccia ed aveva risposto con passione. Questo doveva pur significare qualcosa, no? Voleva tanto chiederle perché se n'era andata via all'improvviso, lasciandolo solo in quel posto orribile. 
Arrivò davanti alla casa di Jane, l'amica strana di lei, e parcheggiò nel vialetto, scendendo dall'auto e percorrendo il piccolo sentiero bianco e acciottolato fino alla porta con una strana eccitazione e voglia di vederle, di constatare che fosse ancora lì. Bussò, attendendo quella che gli sembrò un’eternità dolorosa e quando la porta si aprì fu proprio il viso di Sophie che si ritrovò davanti.

«Sei pronta per andare?» le chiese e lei annuì, sorridendo appena.

«Solo il tempo di lasciare un biglietto a Jane, che si è addormentata, e sono da te; tu non muoverti.» Quando lo vide annuire, tornò dentro casa, strappò un foglietto da una bacheca che la giovane padrona di casa teneva sulla parete e dopo poco tornò da lui chiudendosi piano la porta di casa alla spalle.

«Fatto.»

Entrarono nel furgoncino e solo in quel momento Kevin tirò un sospiro di sollievo, sapendola accanto a sé. Lei si ricordava di lui? Probabilmente no, non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarla se non in classe e con delle scuse banali come l’occupazione illecita del suo banco. A parte difenderla da Connor e sedersi accanto a lei con scuse imbarazzanti, non le aveva mai parlato da solo o confessato i suoi sentimenti e lo aveva rimpianto molto quando se n'era andata.

Ma adesso aveva una seconda occasione e non l'avrebbe sprecata.

«Ci vuole molto per arrivare al campeggio?» gli chiese, battendo le mani emozionata come una bambina. Quella reazione lo mise di buon umore, vederla felice alleviava il suo senso di colpa per come l'aveva trattata. Inoltre significava anche che in ce l'aveva affatto con lui e questo era un bene.

«Ci vorrà più o meno un'ora. Inoltre è una zona boschiva poco frequentata dagli altri campeggiatori quindi potrai goderti la natura senza irritanti compagni... ed io ne so qualcosa» disse, ricordando il campeggio organizzato con sua sorella quando lei aveva compiuto diciotto anni, si erano ritrovati circondati da persone che ruttavano, liberavano aria molesta e facevano l'amore proprio nella tenda accanto alla loro. Per due ragazzini, all'epoca era stato terribile, m ripensandoci ora la situazione era abbastanza comica.

«Bene... credo» mormorò confusa.

«Certo che è un bene, credimi, certe persone tendono a lasciarsi un pochino andare nella natura...» il viso sconvolto di Sophie per poco non lo fece ridere ma si trattenne. Era curioso di sapere in che modo la sua testolina avesse interpretato le sue parole.

Per il resto del viaggio nessuno dei due parlò. Lei si lasciò andare contro il sedile, chiudendo gli occhi e rilassandosi alla musica che la radio trasmetteva mentre lui tentava di tener fisso lo sguardo sulla strada e non posarlo su di lei.

Solo quando arrivarono nei pressi del lago, dove avrebbero campeggiato, la svegliò con un finto colpo di tosse. Lei sobbalzò leggermente, lo sguardo ancora un po' vacuo, e si guardò intorno fino a posare lo sguardo fuori dal finestrino.

«È meraviglioso!» disse, riferendosi allo spettacolo del tramonto che si rifletteva nelle acque cristalline del lago.

Di certo non era meraviglioso quanto i suoi occhi accessi dalla felicità o del suo sorriso meravigliato.

«Ci accamperemo vicino al lago?» sembrava essere tornata una bambina, ed effettivamente forse dentro lo era ancora un po' visto che da piccola era stata costretta a comportarsi da donna.

«Se ti fa piacere» le rispose, alzando le spalle in un gesto di finta noncuranza.

«Sì, mi piacerebbe molto!» batté le mani lei, iniziando ad agitarsi emozionata sul sedile.

Per lui il campeggio non aveva di certo il fascino che vedeva lei, forse perché non gli era sconosciuto anzi, negli anni aveva avuto modo di odiare le punture di insetto quanto odiava Connor... be', forse non proprio; odiava quel cretino molto di più. Sapeva di star realizzando un sogno molto importante per lei, forse per gli altri quel gesto era insignificante ma per Sophie no e questo rendeva quel momento speciale anche per lui. Era orgoglioso del suo sorriso, perché sapeva che ne era per metà l'artefice.

Quando finalmente arrivarono a destinazione, Sophie si precipitò fuori dal furgoncino per ammirare la riga del lago e le piccole onde che vi si infrangevano. Kevin ne approfittò per scaricare le provviste e tutto il necessario prima di montare la tenda.

«Ti serve aiuto?» Sophie gli si avvicinò proprio mentre stava inchiodando i paletti della tenda nel terreno. Apprezzò la sua richiesta, ma dubitava sapesse cosa fare in quel frangente ed avrebbe potuto solo portare più guai che aiuto, ovviamente non aveva intenzione di dirglielo.

«No, grazie, però potresti cercare dei rami qui intorno. Se noti ce ne sono alcuni là» puntò col braccio un mucchietto di rami accanto a degli alberi poco distanti da loro. La bionda annuì col capo e si avviò a raccogliere i rametti caduti.

Tornò a lavoro e in pochi minuti riuscì a montare quella vecchia tenda, lui e sua sorella si erano divertiti un sacco lì dentro da piccoli... sperava potesse divertirsi anche Sophie.

«Allora... raccontami un po' della tua adolescenza» le chiese qualche ora più tardi, entrambi seduti accanto al fuoco mentre fissavano le stelle che brillavano nel cielo notturno.

Sophie puntò lo sguardo su di lui, sorpresa e incuriosita da quella domanda inaspettata. «Come mai ti interessa la mia adolescenza?»

«Semplice curiosità, mi chiedo solo come abbia passato i suoi anni più belli una principessa» una scusa davvero patetica, che però le sembrò bastare perché la vide annuire piano fissando il fuoco che scoppiettava davanti a loro.

«Be', non sono stati esattamente i giorni più belli della mia vita anzi...» iniziò a raccontare lei, tenendo ancora fisso lo sguardo sul fuoco. «Forse ti sembrerà strano, ma ho frequentato l'ultimo anno di liceo qui, in America, prima di allora avevo sempre studiato a casa con un tutor.»

«Ma davvero?» si finse sorpreso lui.

«Sì. E sin dal primo giorno, chissà per quale motivo, un gruppetto di ragazzi mi prese di mira e per me ogni ora passata in quel liceo è stata una vera a propria tortura» raccontò con la voce intrisa di tristezza e rimpianto.

Connor e si suoi..., pensò. Quegli orribili bastardi le avevano davvero fatto passare l'inferno, e non importava se a quel tempo erano degli idioti immaturi, per lui diciassette anni bastano per distinguere il bene del male e capire quando si sta facendo qualcosa di sbagliato e terribile.

«Però» riprese subito dopo lei. «C'era un ragazzo che mi piaceva davvero tanto, era sempre pronto a difendermi ogni volta che ne avevo bisogno. Era diventato una specie di super eroe per me, se ero nei guai lui c'era e me ne sono infatuata subito.» I suoi occhi ora erano colmi di malinconia e dolore, di quest'ultimo Kevin ebbe paura, sentiva che la storia non sarebbe finita bene. Chi era il ragazzo che andava sempre in suoi aiuto, da quel che ricordava solo lui e la sua amica dai capelli rosa – che solo  in quel  momento  collegò a Jane – intervenivano per difenderla. Possibile che fosse proprio lui?

«E cos'è successo con questo ragazzo» le chiese con la voce spezzata dalla preoccupazione.

«Nulla. Gli ho confessato i miei sentimenti e di essere una principessa e lui ha consegnato il biglietto a Carly, che ha letto davanti a tutta la classe nell'ora di educazione fisica. Quindi anche lui mi aveva preso in giro.» Sophie spostò lo sguardo dal fuoco al suo viso e sorrise, un sorrise tristi e rassegnato.

Non poteva di certo essere lui quel ragazzo, non aveva ricevuto nessuna confessione da lei e di certo non avrebbe consegnato qualcosa di così importante ad un'arpia come Carly.

«Mi dispiace...» disse semplicemente, senza saper cosa dire.

«Non importa, è successo tanto tempo fa» sospirò lei prima di alzarsi e sgranchirsi braccia e gambe. «Io sonno, ti dispiace se vado a dormire per prima?»

«No, vai pure, io ti raggiungerò tra poco.» La bionda annuì e sparì nella tenda.

Approfittò di quei momenti di solitudine per pensare. Chi era il ragazzo che l'aveva tradita in un modo così subdolo? Voleva trovarlo per spaccargli la faccia, ma più di tutto voleva spaccarsela da solo la faccia, per non essere riuscito a proteggerla da un tipo simile. Lui non aveva idea che fosse innamorata di qualcuno, se ne andava in giro sempre sola o con la sua amica e mai con un ragazzo.

Sospirò e si passò una mano sul viso. Questo spiegava perché era scomparsa così improvvisamente, il dolore e l'imbarazzo erano stati sicuramente troppo da sopportare. Si alzò dal ceppo d'albero su cui era seduto e gettò della terra sul fuoco per spegnerlo prima di entrare nella tenda.

Trovò Sophie stesa sul sacco a pelo rosso che avevano comprato insieme, lei gli dava le spalle e sembrava addormentata ma Kevin sapeva benissimo che era ancora sveglia, lo percepiva dal suo respiro irregolare. Fece finta di nulla e si stese anche lui, fissando nella semi oscurità la parte superiore della tenda.

«Grazie mille» la sentì mormorare all'improvviso, così piano che per un secondo temette di essersi immaginato tutto. Si voltò verso di lei, fissandole la schiena, in quel momento provava il forte desiderio di abbracciarla e farle dimenticare gli orribili anni che aveva passato ma se l'avesse fatto lei lo avrebbe di sicuro frainteso. Inoltre era evidente che non si ricordasse di lui e questo gli lasciava una sensazione amara in bocca. La sentì voltarsi e si ritrovò col suo viso a pochi centimetri di distanza, i suoi occhi verdi scrutarono i suoi e per un secondo gli sembrò di vedervi nuovamente del rimpianto misto a delusione, non per se stessa ma per lui. Questo lo scosse e turbò, perché avrebbe dovuto essere delusa da lui?

«Grazie» ripeté lei di nuovo, strappandolo dai suoi pensieri. «Grazie per avermi portata qui nonostante non ne avessi voglia, so che le mie richieste sono assurde e che non eri obbligato ad assecondarmi, ma proprio per questo ti ringrazio.» Abbassò lo sguardo, come se non riuscisse a fissarlo.

Senza nemmeno rendersene conto, portò una mano sul suo viso e ne accarezzò la guancia con il pollice. La sentì tremare, esattamente come quando l'aveva baciata, ed i suoi occhi tornarono a fissarlo, stavolta carichi di domande. Non le diede alcuna spiegazione però, avvicinò soltanto le labbra alle sue e la baciò piano, quasi con timore. Questa volta non si sarebbe lasciato scappare l'occasione di averla accanto a sé come aveva fatto da ragazzino.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


TENP - Capitolo 8 per EFP

Dev'essere impazzito, pensò Sophie, altrimenti non si spiegava il suo comportamento quel giorno. Era la seconda volta che la baciava, la prima poteva considerarlo un errore ma la seconda no. Non sapeva cosa gli fosse preso, fino al giorno prima sembrava gli fosse antipatica mentre adesso sembrava un'altra persona. Non l'aveva trattata né freddamente né da stupida, forse si sentiva male, aveva bevuto o... non lo sapeva nemmeno lei. 
Portò le mani sul suo petto, con l'intenzione di allontanarlo, ma il suo bacio la stava trascinando nell'oblio di sensazioni fino ad allora sconosciute. Si ritrovò senza nemmeno accorgersene a stringere la sua maglietta tra le dita per avvicinarlo di più a sé. 
Lui la sovrastò, coprendola col proprio corpo, Sophie provò un certo timore ed una punta di panico si impossessò di lei. Non sapeva cosa fare, come reagire in quella situazione, una situazione che da ragazzina aveva sempre sognato. Kevin abbandonò le sue labbra ed iniziò a baciare dolcemente prima le gote, la punta del naso fino a ritornare sulle sue labbra che non unì nuovamente alle sue. Rimase fermo, la bocca a pochi millimetri dalla sua, senza far nulla. Lentamente, il cuore si Sophie riprese a battere ad un ritmo quasi normale ed il timore svanì un po'. Alzò lo sguardo verso di lui e lo trovò a fissarla, era la prima volta che poteva ammirare i suoi occhi blu così da vicino, in quel momento, nella penombra, sembravano due pozze nere e ardenti. Il suo sguardo la penetrava nel profondo, la scrutava fin nell'anima, stava di certo tentando di capire se fosse prudente andare oltre o fermarsi. La cosa più razionale e giusta in quel momento, per entrambi, era mettere fine a quella follia e fare finta di nulla. Sì, sarebbe stato meglio. 
Eppure, spinta da un'audacia e da un bisogno che non credeva di possedere, unì nuovamente le sue labbra e diede inizio ad un bacio quasi famelico. Non sapeva chi dei due cercasse di avere la meglio sull'altro, di premere il controllo di quel bacio. 
Kevin avvicinò il bacino al suo e le fece sentire quanto la desiderasse, Sophie si lasciò scappare un piccolo gemito sorpreso e quel gesto le spense definitivamente il cervello. Abbandonò le labbra di lui per iniziare una scia di baci dal mento fino al collo, lo sentì ansimare più forte e infilare una delle sue calde mani sotto ad una delle enormi t-shirt che le aveva prestato. 
Sophie si sentiva ardere come non mai, ogni suo gesto era completamente dettato dall'istinto e sentì un bisogno urgente invaderla. Desiderava le mani di lui su tutto il corpo e non se ne vergognava, al contrario. 
Quando sentì la sua mano su un seno, una scarica elettrica la invase e si inarcò verso di lui. Kevin nascose il capo contro il suo collo e gli sembrò di sentirlo sussurrare «oh, Sophie», ma persa com'era in quelle sensazioni non ne poté essere sicura. 
E all'improvviso, tra la bolla di sensazioni fantastiche che sentiva, iniziò a provare freddo e la mancanza di qualcosa. Non sentiva più il suo tocco né il peso del suo corpo sul proprio. Aprì di scatto gli occhi, spaesata, e si guardò intorno confusa. 
Trovò Kevin steso sul suo sacco a pelo che le dava le spalle, come se nulla fosse accaduto. Per un attimo credette di aver sognato tutto, ma la maglietta alzata fino al busto rivelava la verità. Sconcertata, confusa e ferita per quell'abbandono improvviso, diede anche lei le spalle all'uomo mordendosi le labbra per non piangere. 
Mille domande le affollavano la mente. Perché si era allontanato? Forse non l'aveva trovata abbastanza attraente? Gli aveva fatto schifo toccare il suo corpo? Piena di vergogna si risistemo la maglietta, lasciando che calde lacrime le rigassero il volto.

* * * 
Imbarazzo e disagio... ecco cosa avvertiva Sophie dal momento in cui avevano lasciato il bosco. Non aveva rivolto la parola a Kevin dal momento stesso in cui si era svegliato e lui aveva fatto lo stesso, non era riuscita a chiudere occhio per le mille domande che le avevano affollato la mente stanca e si sentiva a pezzi sia fisicamente che emotivamente. Quell'uomo doveva avere seri problemi di personalità, altrimenti non si spiegava come potesse baciare con una tale passione da sconnetterti tutti i neuroni solo per allontanarsi e voltarsi improvvisamente come un estraneo, come se non fosse successo nulla. 
La bionda appoggiò la fronte contro il finestrino, sforzandosi per non voltarsi e incontrare lo sguardo dell'uomo accanto a sé, desiderava soltanto arrivare da Jane e sfogarsi con lei; l'amica l'avrebbe sicuramente confortata e tirata su di morale, o almeno ci sperava...

Le immagini della sera precedente le tornarono in mente vivide e maligne, poteva ancora sentire il suo tocco sulla pelle e il sapore dei suoi baci. Si morse l'interno della guancia per evitare di perdersi ulteriormente in quelle fantasie e si diede della stupida; in qualche modo era di nuovo caduta nella sua trappola e gli aveva permesso di farla soffrire di nuovo, non importava se non si ricordava di lei, aveva abbassato nuovamente le sue difese davanti a lui permettendogli di scagliare un altro attacco. 
Che stupida! Era peggio di una masochista, tanto valeva aprirsi il petto e regalargli il suo cuore ancora caldo. 
L'immagine la fece rabbrividire e perse quel poco di appetito che aveva. Nonostante i suoi pensieri chiassosi a farle compagnia, il tragitto fino alla casa di Jane le sembrò eterno ed una volta arrivati salutò Kevin con un frettoloso "ci vediamo più tardi" prima di sfrecciare come un fulmine fuori dalla vettura e dirigersi dinanzi la porta dell'amica. 
Lui ci mise un po' prima di ripartire e Sophie giurò di aver percepito il suo sguardo insistente su di sé, ma gli aveva dato le spalle per tutto il tempo e non poteva esserne certa. Sicuramente aveva percepito la sua freddezza e il suo disagio, ma non ne aveva alcun accenno nella mezz'ora che avevano passato insieme né le aveva chiesto se ci fosse qualcosa che la turbasse. Forse sapeva perfettamente la causa del suo comportamento e preferiva non affrontare la questione, oppure era davvero un idiota incurante di nessuno se non di se stesso.

Non sapeva decidere quale delle due opzioni fosse la peggiore...

«Ehm... hai intenzione di restare lì impalata ancora per molto?»

Alzò di scatto il capo, sobbalzando alla voce dell'amica; Jane se ne stava ferma davanti alla porta di casa con un'espressione curiosa e indagatrice.

«Scusami» sospirò entrando in casa.

«Suppongo che il campeggio non sia andato a buon fine» indagò l'amica, scrutando con insistenza quasi imbarazzante il suo viso.

«Supponi bene» sospirò, lasciandosi cadere fiaccamente sul divano.

«Racconta tutto» le ordinò Jane, accomodandosi accanto a lei. «E con tutto intendo ogni dettaglio, fin dall'inizio, non come ieri che hai approfittato della mia stanchezza per svignartela e lasciarmi solo un biglietto con scritto "vado in campeggio con Kevin, ti racconto tutto domani".»

«Non me la sono svignata» si difese. «Eri stanchissima, si vedeva, e non volevo svegliarti solo per salutarti. Tutto qui.»

Jane alzò gli occhi al cielo, con l'espressione di chi tenta di comunicare con un caso perso. «Come no, ad ogni modo non cambiare argomento e spiega.»

«E va bene» si arrese, anche se non aveva alcuna voglia di parlare di Kevin in quel momento, ma sapeva che l'amica meritava spiegazioni; soprattutto dopo essere sparita senza dirle nulla.

«Come ti ho già raccontato, mio padre ha ingaggiato una guardia del corpo che avrebbe dovuto seguire ogni mio minimo spostamento, questo per evitare che io scappassi dal castello quando mi andava. Quella guardia era, anzi è, Kevin.»

«Cavoli! Se questo non è destino allora cos'è?» esclamò eccitata Jane.

«Destino?» Essere presa in giro due volte dalla stessa persona era destino? Forse sì, ma un destino di cacca allora.

«Pensaci: tu avevi una cotta per Kevin alle superiori e poi te lo ritrovi come tua guardia del corpo, quante possibilità c'erano che una cosa del genere potesse accadere?»

«Non lo so, l'unica cosa che so è che avrei preferito chiunque a lui. Ho quasi creduto fosse un uomo buono, ma ieri sera ho avuto la conferma che è solo un bastardo» sbottò furiosa, afferrando a morte uno dei poveri cuscini sul sofà.

L'amica divenne subito seria, abbandonando l'aria divertita di prima. «Ti ha fatto del male? Perché in quel caso ho una pala, possiamo ammazzarlo e seppellirlo in giardino.»

Si lasciò scappare una breve risata alle parole di Jane, ringraziandola silenziosamente. Le raccontò tutto quello che era successo la sera prima, anche se con un po' di imbarazzo perché era la prima volta che parlava con lei di certe cose. In quel momento si sentì quasi una normale ragazza col cuore a pezzi.

«Quindi è rimasto lo stronzo del liceo» sospirò infine, terminando il suo racconto.

«Mh...» mugugnò l'amica. «Non credo che si sia fermato perché stronzo, hai mai pensato che la situazione stesse degenerando troppo velocemente?» le chiese. «Voglio dire, come hai detto tu, lui non sa chi sei, quindi ti considera pressoché una sconosciuta ed anche il suo incarico di lavoro, hai mai pensato che si sia allontanato per non farsi coinvolgere troppo da te e quindi perdere la sua obiettività come tua guardia del corpo?»

No, non ci aveva minimamente pensato e iniziò a vergognarsene un po'. 
Era vero, Kevin la considerava solo il pacco che doveva consegnare a suo padre e lasciarsi coinvolgere emotivamente o fisicamente era una cosa che uno come lui non avrebbe mai fatto. Era stato un marine, uno abituato a seguire gli ordini e portare a termine le missioni con successo. La stessa cosa valeva con lei. Questo, dunque, non significava che fosse rimasto lo stesso ragazzino che l'aveva ferita anni prima, tuttavia temeva di non riuscire a fidarsi di lui proprio per ciò che era successo a scuola. 
Anche lei doveva tenere a mente il motivo della sua fuga e del perché dormisse a casa di Kevin e si muovesse solo con la sua costante presenza. Avevano fatto un patto e tra non molto lei sarebbe tornata a casa e non l'avrebbe visto mai più, non c'era spazio per risentimenti antichi di cui lui non aveva il minimo ricordo.

«Forse hai ragione, però sentirsi respinti in quel modo non è stato bello.»

«Certamente si è comportato da idiota e avrebbe potuto spiegarti il perché di quel gesto, ma gli uomini sono rudi e babbei e difficilmente si rendono conto di cosa può ferire una donna.» Jane le cinse le spalle con un braccio e la strinse piano a sé. «Sono esperienze che prima o poi facciamo tutti, e per quanto brutte sono felice che anche tu stia iniziando a vivere la tua vita. Anche se per poco.»

* * *

«Santo cielo, dimmi che non stai per morire!» esclamò sua sorella, fissandolo con un'espressione terrorizzata sul viso.

«Dico, ma sei scema?» sbottò irritato, capiva che potesse stupirsi di ricevere la sua visita per due giorni di file, ma da qui a pensare una cosa del genere si doveva essere strani sul serio. E sua sorella lo era, strana.

«Be', concedimelo, ti vedo sì e no mezza volta all'anno e adesso ti presenti qui due volte in meno di quarantotto ore, i miei sospetti sono giustificati.» Sonia incrociò le braccia, mettendo su la sua solita espressione preoccupata di sorella maggiore. Solo di un minuto.

Kevin alzò gli occhi al cielo, passandosi stanco una mano sul volto. «Santo cielo, sto bene! Non morirò, per ora, sono qui solo perché mi andava di vederti.» Bugia. Era lì perché voleva chiedere un parere femminile, aveva notato la freddezza di Sophie quella mattina ed era certo fosse causato da ciò che era accaduto la sera precedente.

Sua sorella gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Credi che io sia scema? Sai che a raccontar bugie ti si accorcia l'aggeggino che hai in mezzo alle gambe?» lo prese in giro.

«Non ti si allungava il naso? E comunque, ti sembrano cose da dire a tuo fratello?»

«Se si ha un fratello idiota, sì.» La donna sospirò e si diresse in cucina, tornando qualche minuto dopo con due lattine di birra e porgendogliene una. «Su, dì alla tua sorellina ciò che ti turba.»

Kevin fissò con sospetto la lattina che aveva tra le mani. «Di un po', per caso stai cercando di sciogliermi la lingua con l'alcol?»

«Esattamente» confermò lei senza vergogna. «È l'unico modo per farti parlare, lo sappiamo entrambi, altrimenti te ne saresti seduto sul divano a mugugnare, sbuffare e maledire Dio solo sa chi prima di aprire bocca.»

Aveva ragione, purtroppo. Sua sorella lo conosceva benissimo e negli anni aveva sviluppato ingegnosi trucchetti per sciogliergli la lingua o per fargli fare ciò che voleva. Era una scaltra volpe, uno dei motivi per cui negli ultimi anni l'aveva tenuta lontana, sapeva che con lei i suoi segreti non sarebbero rimasti tali. E non voleva lei venisse a conoscenza di fatti spiacevoli, che stesse male per lui, aveva una famiglia a cui badare e Kevin non voleva essere un altro peso.

Aprì la lattina di birra e ne bevve un lungo sorso, se voleva l'aiuto di Sonia doveva parlare e davvero gli sarebbe servito dell'alcol per raccontarle di Sophie e di ciò che era accaduto nella tenda. Fissò nuovamente l'oggetto in latta tra le sue mani, pensando attentamente alle parole da usare per iniziare a raccontare. Doveva partire dall'inizio o dirle il meno possibile? Sua sorella non l'avrebbe aiutato se avesse capito che teneva per sé qualcosa che non voleva raccontarle.

«Ti ricordi di quel lavoro che avevo trovato all'estero?» iniziò, decise di farlo dall'inizio, anche per guadagnare un po' di tempo e mettere chiarezza nei suoi pensieri.

Sonia annuì. «Sì, quello di guardia del corpo all'estero, no? Ieri quando ti ho visto alla mia porta sapevo che era successo qualcosa, ti hanno licenziato?»

«No, sono tornato perché la donna che dovevo sorvegliare e scappata dopo neanche dieci minuti dall'inizio del mio incarico.» Ammetterlo non gli faceva piacere, però era la verità.

Sua sorella si lasciò scappare un breve risata. «È riuscita a sfuggirti senza che te ne accorgessi? Stranamente, mi è già simpatica, chiunque lei sia.»

«Già.» le lanciò un'occhiataccia e continuò. «Ad ogni modo, si è scoperto che questa donna era una mia compagna di classe alle superiori, una che mi piaceva molto e che era scomparsa senza dire nulla.»

«Stai parlando della ragazzina bionda a cui sbavavi dietro l'ultimo anno?»

Kevin sobbalzò dalla sorpresa. «E tu come fai a saperlo?» Era certo di non averle mai rivelato la sua cotta per Sophie, non l'aveva mai raccontato a nessuno.

«Sono tua sorella, ho passato nove mesi accanto a te, so leggere le tue espressioni» disse fissandolo seriamente. «Inoltre, ogni volta che mi avvicinavo a te per parlare, la tua attenzione veniva sempre catturata dalla presenza di quella biondina. La cercavi con lo sguardo anche quando non c'era, era abbastanza facile intuirlo.»

Deglutì rumorosamente, anche incredulo alle parole di Sonia. Davvero si era sempre tradito così facilmente?

«Comunque» riprese sua sorella. «Cos'è successo con lei»

Si schiarì la voce e riprese a raccontare. «L'ho seguita fin qui e trovata, ma prima che potessi portarla a casa ho fatto un patto con lei, promettendole di darle qualche altro giorno di libertà prima di riportarla da suo padre.» Sonia annuì, spingendolo a continuare. «Ieri l'ho portata in campeggio, ho confermato la sua identità e una volta in tenda...» si fermò, imbarazzato da ciò che avrebbe dovuto raccontare. Non aveva mai confidato certe cose a nessuno, ed iniziare da sua sorella era piuttosto strano.

«In tenda, cosa?» chiese lei, leggermente spazientita da tutta quella reticenza.

«Be', ecco io...»

«Hai allungato le mani!» lo precedette, con la voce più stridula di una zitella settantenne che assiste a delle effusioni in pubblico, ci mancava solo il segno della croce e sarebbe stata perfetta. 

«No! Cioè... sì, ma non come pensi!» si difese, anche se aveva ben poco da difendere visto che le mani le aveva veramente allungate.

«Allora com'è? Illuminami, Kevin Grey» lo prese in giro, ridendo sotto i baffi nel vederlo in difficoltà.

«Ecco... io l'ho baciata, spinto dal momento e dal ricordo, lei ha ricambiato e poi...» si sbottonò qualche bottone della camicia e prese un altro sorso di birra. «Poi ho... sì ho allungato le mani!» ammise stizzito. «Però qualche secondo dopo ho capito di star correndo, che non era giusto nei suoi confronti affrettare le cose in quel modo, così mi sono allontanato e voltato e stamattina lei aveva un'aria gelida ed imbarazzata. Non mi ha rivolto la parola per tutto il viaggio di ritorno» terminò il racconto con un sospiro di sollievo, sentendosi sudato come se avesse corso per tre chilometri.

«In che senso ti sei "voltato e allontanato"? Stai dicendo che dopo aver fatto i comodi tuoi, toccato ciò che non avresti dovuto, l'hai lasciata lì come una cretina e le hai dato le spalle?» gli chiese, con lo sguardo di chi sta per strozzare qualcuno.

Kevin annuì e la sentì imprecare contro di lui.

«Perché proprio a me Dio ha voluto affidare un fratello così idiota?» si disperò, per chissà cosa poi visto che lui non ci capiva più niente. «Ti rendi conto di cosa hai fatto? Non puoi allungare i tentacoli e poi far finta di nulla senza dare spiegazioni, una donna può rimanerne ferita, sentirsi umiliata e respinta» lo illuminò infine.

Oh. Kevin iniziava a capire.

«Quindi è per questo che stamattina si comportava in quel modo? Mi sono comportato da idiota e l'ho ferita.»

«Esattamente, non ti è passato per la testa che agire in quel modo fosse sbagliato? Ti sei comportato come un uomo delle caverne o come una donna al supermercato che palpa la frutta per sentire qual è la più buona. Quella poveretta ha delle emozioni, non puoi fare quello che ti pare come più ti piace.»

Perso nei suoi pensieri, annuì più a se stesso che alla sorella, ripensando a come aveva agito la sera precedente. Effettivamente, baciarla e toccarla solo per allontanarsi muto il secondo dopo era stato davvero da stronzo.

«Porca puttana» imprecò a denti stretti, rendendosi conto di aver fatto un altro passo falso con lei.

Sentì Sonia sospirare e puntò nuovamente lo sguardo su di lei. L'espressione di compassione sul volto della sorella fece aumentare il suo nervosismo, ma sapeva di meritare molto meno della compassione.

«Devi andare da lei e chiarire la situazione, dirle la verità, altrimenti non avrai più nessuna speranza con lei e l'avrai persa per sempre.»

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Capitolo 9
*** Special Part - Kevin ***


TENP - Special Part - Kevin

Smettila di fissarla, sembri un maniaco, gli disse George, la voce della sua coscienza. Sapeva benissimo di sembrare uno stalker in quel momento, nascosto nell'ombra a fissare la ragazza per cui aveva una cotta. Lei se ne stava nascosta sotto gli spalti del campo da football, completamente assorta dallo schizzo che stava disegnando sul suo quaderno rosso. Non era la prima volta che lo faceva, Kevin sapeva che era sua abitudine rifugiarsi lì per evitare Connor e tutta la sua banda, che le davano il tormento. Odiava quel bastardo, più di ogni altra cosa, se la prendeva con persone che non gli avevano fatto nulla ed era un grandissimo codardo.

Quello che più di tutto non poteva perdonare al capitano della sua squadra, era il modo in cui si accaniva contro quella povera ragazza, la umiliava più delle altre sue vittime. Come se ce l'avesse con lei per qualcosa di personale, e non se lo spiegava visto che la poverina si era trasferita lì soltanto da qualche mese.

L'oggetto dei suoi pensieri si lasciò scappare un sospiro stanco e si massaggiò la nuca con una smorfia dolorante. Kevin avrebbe voluto aiutarla, avvicinarsi farle un massaggio, ma sapeva che se ci avesse provato lei lo avrebbe sicuramente preso per un maniaco. Si lasciò scappare un sorriso quando la vide arricciare le labbra nel suo solito, adorabile, broncio mente fissava critica l'opera appena terminata. Lui sapeva quanto fosse brava nel disegno, un vero talento, perché cercava ogni scusa possibile per sedersi anche soltanto dietro di lei e spiarla.

Dio, era davvero uno stalker!

Purtroppo era più forte di lui, non riusciva a fare a meno di fissarla, di cercarla con lo sguardo o di pensare a lei, gli sembrava di essersi rimbambito. Le ragazze non lo avevano mai attirato in quel modo, soprattutto non quelle del suo istituto, mentre quella minuta biondina lo aveva attirato sin dal primo giorno quando, presentandosi, lo aveva intenerito con la sua espressione assolutamente terrorizzata e la vocina dolce e melodiosa. Era rimasto assolutamente affascinato da lei, rapito, e se avesse avuto un po' più di spina dorsale avrebbe fatto la prima mossa e chiesto di uscire, ma tutto il suo coraggio evaporava dinanzi a lei.

L'invidiata freddezza sempre mostrata sul campo ed anche nella vita privata scompariva quando si avvicinava alla ragazza, e se Connor l'avesse saputo non avrebbe perso tempo per umiliarlo ed umiliare anche lei. Della sua reputazione gli importava poco, per sfogarsi gli sarebbe bastato pestare quell'idiota, ma lei... non poteva fare questo anche a lei.

Se fosse diventata la sua ragazza le prese in giro sarebbero cessate? Ne dubitava. Connor aveva smesso di farsi esami di coscienza ed aveva pena per lui, eppure era stato il suo migliore amico fino all'anno precedente, prima che cambiasse e di conseguenza allontanasse. Non aveva idea di cose gli fosse successo ed ormai nemmeno gliene importava.

D'improvviso, la ragazza si alzò con uno scatto veloce, facendolo indietreggiare spaventato, e si mise a fissare qualcosa al di sopra degli spalti. Entrambi videro arrivare Carly, la ragazza di Connor, in compagnia di Jason, il presidente del consiglio studentesco. I due ridacchiavano e si baciavano come due polipi impazziti e vide la biondina portarsi una mano alla bocca sconvolta. Anche lui era sorpreso, la regina del liceo che tradiva il re, era un cliché così frequente che non valeva nemmeno la pena esserne sorpresi.

Carly era una serpe viscida ed opportunista, ovviamente stava con Connor solo per apparenza e l'idiota invece era completamente perso per lei, si vantava con ogni essere terrestre della sua meravigliosa ragazza.

Meravigliosa e...

La causa dei suoi batticuori invece sembrava talmente sconvolta che raccolse tutti i suoi effetti personali e scappò via silenziosa, sicuramente terrorizzata all'idea che i due si accorgessero di lei e le dessero fastidio. Kevin imprecò tra i denti, lanciando maledizioni ai due schifosi sopra la sua testa e rimase lì a fissare la biondina sparire.

Sospirò tristemente, avvilito con se stesso per un'altra occasione persa.

Quando riuscirò a confessarti quello che provo, Sophie?

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