Legami glicosidici

di Claire DeLune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando gentiluomo si nasce, lo si è per sempre ***
Capitolo 2: *** Buon compleanno, Testa di Pomodoro ***
Capitolo 3: *** Il fantasma del seminterrato ***
Capitolo 4: *** Gotta catch 'em all! ***
Capitolo 5: *** Stalker, o quasi... ***
Capitolo 6: *** Blanche e Castiel ***
Capitolo 7: *** Desperate Housesucrette ***
Capitolo 8: *** Lips of Ashes ***
Capitolo 9: *** Cosette ***



Capitolo 1
*** Quando gentiluomo si nasce, lo si è per sempre ***


Dopo aver partecipato al concorso mensile di agosto La notte dei desideri sul forum di DF; ho pensato fosse carino condividerla con voi e creare una raccolta con tutte le tracce pubblicate finora dalle moderatrici.
I testi in cui vi sarà la presenza della Dolcetta saranno sempre ReaderxPersonaggio, dato che questo è un gioco di ruolo, dove ognuna di noi ha una Dolcetta tutta sua.

Spero vi piaccia!
Buona lettura,
Claire DeLune


LEGAMI GLICOSIDICI

1.
Quando gentiluomo si nasce, lo si è per sempre

   Tornare nella città dove avevi trascorso l’ultimo anno di liceo e ritrovare i tuoi due migliori amici ancora lì, pronti a riaccoglierti, fu come tornare indietro nel tempo e per un attimo, rivedendo il parco di fronte a casa, fu come se quei quattro anni non fossero mai passati. Ma bastarono i nuovi negozi e il nuovo taglio di capelli di Rosalya a farti rendere conto del contrario, riportandoti alla realtà.
   Una realtà dove la ______ del liceo non esisteva più.
   Una realtà dove ______ e Nathaniel non esistevano più e incontrare proprio il ragazzo in questione, in quel vicolo buio, totalmente mutato nei modi e nell’aspetto ne fu la prova lampante.
   Il nuovo Nath ti si presentò di fronte con la sua nonchalance da bulletto e una stilettata ti trapassò inesorabilmente il cuore, allargando un po’ di più quella ferita che mai aveva cessato di sanguinare per la vostra dolorosa rottura, e che, in quel frangente, non faceva altro che bruciare in agonia, riconoscendo in quel giovane uomo il tuo mancato amore, sebbene allo stesso tempo sembrasse irriconoscibile.
   I capelli di grano sono gli stessi, seppure più corti, gli occhi sono ancora della medesima tonalità dorata che tanto ti avevano affascinata e cullata nella loro dolcezza in passato, ma che ora appaiono ravvivati da un luccichio completamente diverso: è duro, pungente, malizioso. Proprio come la sua lingua piccata.
   Il dolce Nath dei tuoi ricordi è morto e con lui, speri, un giorno moriranno anche i sentimenti che ti hanno perseguitata per quattro dannati anni.
   Mentiresti a te stessa se dicessi di non aver sognato ogni giorno, in questi ultimi quattro anni, il momento in cui avresti incrociato di nuovo lo sguardo indulgente del tuo primo fidanzato.
   Mentiresti a te stessa se dicessi di non aver mai sperato di rincontrarlo all’università, una volta fatta l’immatricolazione all’Anteros Accademy per il Master.
   Inutile dire che Nathaniel deluse le tue aspettative quella notte nel vicolo, ma che allo stesso tempo un po’ ti piacque ugualmente anche così, con la sua aura da teppista a rimembrarti un po’ il Nathaniel della sua infanzia, quello che si divertiva a rompere le bambole della sorella. L’immagine ti fa sorridere e ti stringe la trachea in una morsa in contemporanea.
   Non puoi fare a meno di chiederti se sia a causa tua che è cambiato così tanto e il groppo che grava in gola s'ingigantisce dal senso di colpa.
   Sospiri sommessamente, immersa nel tuo rimugino, raccogli le ginocchia tra le braccia smilze e le abbracci forte al petto, improvvisamente infreddolita dalla fievole brezza della sera. Punti le iridi [colore] al cielo, proprio nell’attimo in cui una stella si stacca da quella cupola oscura che è l’immenso universo.
   Nath, è l’unica parola che ti sovviene alla mente e nemmeno tu sai che tipo di desiderio tu voglia esprime, pronunciando quel nome che così tanta mestizia ti procura.
   Forse desideri di dimenticarlo definitivamente, gettando l’ultimo frammento di lui che ti rimane al silenzio delle pallide stelle.
   Forse, per quanto detesti ammetterlo, ancora speri che la fiamma del tuo perduto amore si riaccenda, che possa ritornare a fervere di un ardore nuovo, che Nathaniel ti dimostri che, sotto sotto, nascosto dietro la coltre da poco di buono, vive ancora il pacato, permaloso, premuroso delegato del liceo.
   Sospiri di nuovo, serrando le palpebre.
   Visualizzi il suo viso cambiato ed è in quell’attimo fugace che qualcosa di caldo e pesante ti ricade sulle spalle. Spalanchi gli occhi di scatto, ritrovandoti improvvisamente il biondo seduto al tuo fianco in una posa stravaccata.
   Ti lancia un sorriso di scherno, «Le vecchie abitudini non muoiono mai, eh?», domanda, riferendosi al vizio di non portare mai un giubbetto con te.
   Ti stringi nelle spalle, celando il volto arrossato nel pelo della sua giacca a vento. Sorridi tra te, beandoti del profumo muschiato che traspira dal tessuto.
   Anche il vecchio cavaliere non è morto.

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Capitolo 2
*** Buon compleanno, Testa di Pomodoro ***


Tratta dal concorso I write songs not tragedies.

2.
Buon compleanno, Testa di Pomodoro
 
   «Sei sicura che gli farà piacere?», chiedi a Rosalya in un sussurro, nonostante siate sole come un cane, appostate dietro al muretto d’ingresso del parco, che si affaccia proprio davanti al palazzo dove vive il ragazzo più scorbutico e irascibile che tu conosca.
   Beh, come un cane è un’espressione errata: effettivamente un cane c’è e sta uggiolando e sbavando nella vostra direzione da quando il tuo profumo fruttato ha raggiunto le sue nari. Ha decisamente un olfatto sviluppatissimo.
   «Che ha quel bestione?», l’albina indica Demon con un cenno della testa.
   Stai per aprir bocca, pronta a difendere quel dolce cagnolone incompreso, ma le tue spiegazioni ti muoiono sulla punta della lingua, interrotte da quelle emesse da un’altra voce. Una voce che è tutto fuorché femminile.
   «Ha riconosciuto _____. Ecco perché fa così».
   Balzate letteralmente per aria al suono nitido del timbro tenore di Castiel, ritto alle vostre spalle con una mano in tasca e l’altra a reggere il chiodo in pelle, appoggiato alla spala. È evidentemente accaldato, ma ciò non basta a farlo desistere dal vestire come un perfetto punkettone britannico.
   «Castiel!», prorompi allarmata, cercando il più possibile di nascondere il pacchetto regalo dietro alla schiena.
   «Che ci fate qui?», abbozza un mezzo sorriso sghembo. Non gli è sfuggita la carta colorata che racchiude qualcosa di rettangolare.
   Rosalya sbuffa sonoramente: la sorpresa è andata a farsi friggere. «Volevamo attirarti con un pretesto, ma abbiamo fallito miseramente».
   «Attirarmi dove?».
   Arrossisci di colpo, «Alla tua festa a sorpresa».
   Il ragazzo inarca un sopracciglio, «Quanti anni pensi che compia? Dodici?».
   Riservi un’occhiata bieca a Rosalya, «Te l’avevo detto che gli avrebbe dato fastidio».
   Castiel sbuffa una risata, scompigliandoti i capelli, «Quello è per me?».
   Fa per afferrarlo, ma prontamente lo allontani, «Lo aprirai dopo».
   «Ma sono il festeggiato, non dovrei decidere io quando aprire i miei regali?».
   Lo scruti risoluta da sotto le ciglia e rispondi: «No».
   Cominciate ad incamminarvi, inoltrandovi nel parco, in direzione del laghetto con le aree picnic e le postazioni da grigliata, e Castiel non può far altro che seguirvi svogliato.
   «Puoi fingerti sorpreso quando arriveremo?», poni speranzosa, e il chitarrista sbuffa un altro sorriso sornione, annuendo.
   
   Dopo un’abbuffata degna di un re terminata con una torta con la faccia stampata del rosso – gesto non gradito da quest’ultimo –, è giunto il momento tanto atteso dei regali.
   In quanto diciottesimo compleanno del rosso, avete deciso di fargli un regalo in grande stile: due biglietti Vip per il concerto dei Winged Skull, che si terrà da lì a qualche mese a Berlino, compreso di meet n greet con la band, biglietto aereo e prenotazione in hotel.
   Dire che vi siete svenati a fare la colletta è un eufemismo, ma la reazione del ragazzo alla sola vista del nome del gruppo ha ripagato ogni sforzo. Speri vivamente che chieda a te di accompagnarlo, sei la sua ragazza dopotutto.
   «E l’altro regalo?», chiede a un certo punto il festeggiato, posando lo sguardo cinerino su di te.
   Mostri il pacchetto che tieni in mano, «Questo?», asserisce con un cenno della testa e tu glielo porgi, «È solo un pensierino. Ho pensato ti potesse servire», ti accartocci le mani, improvvisamente intimidita, mentre Castiel strappa impaziente la carta regalo.
   Si rigira più e più volte la scatolina tra le dita con un’espressione indecifrabile sul volto, poi ti fissa a metà tra l’incredulo e il confuso.
   Avvampi di colpo sotto il suo sguardo, «È della marca che usi, il colore è lo stesso», gli indichi il capo, «Dovrebbe bastare per coprire la ricrescita».
   L'occhiata che ti lancia l’attimo seguente è di pietra e infatti sudi freddo, ma poi, riportandolo sulla confezione di tintura scoppia a ridere e, rivolgendosi a Lysandre, domanda divertito: «Ma io una ragazza normale, no eh?».

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Capitolo 3
*** Il fantasma del seminterrato ***


Tratta dal concorso Welcome to the haunded school, promp 1.
Ne scriverò una anche per il secondo promp del forum.

3.
Il fantasma del seminterrato
  
   Da quando venisti a conoscenza degli incontri serali tra Castiel e quel suo misterioso amico coi capelli canuti a circondargli lo sguardo innaturale, introdurti nel seminterrato della scuola di nascosto divenne un’abitudine. Lysandre ti incuriosiva e intimoriva al contempo. Era talmente affascinante da metterti i brividi, silenzioso e dal passo felpato proprio come il fantasma per cui lo scambiasti al vostro primo incontro. Ancora ti vergogni ripensandoci, ma entrambi i ragazzi avevano accettato la tua presenza. Addirittura, ti coinvolgevano nei loro dubbi, chiedendo il tuo parere.
   Quella sera, però, eri particolarmente stanca, così tanto da abbioccarti in un angolo dello stanzone. Chiudesti le palpebre solo per un istante, ma fu sufficiente per cambiare tutto: quando le riapristi i due erano spariti. Intimorita, uscisti di corsa dal seminterrato e ti addentrasti nel corridoio sgombro. Tutti i corridoi erano sgombri e davanti a te regnava il nulla più totale.
   Era tutto così diverso, scolorito, persino la luce tiepida e lieve della primavera era sparita, sostituita dal chiarore fioco dei mesi invernali.
   Curioso, pensasti, siamo a maggio. Possibile che il tempo si fosse congelato?
   «______», qualcuno ti chiamò. Lo sentivi lontano, soffocato.
   Un soffio gelido ti risalì lungo la schiena, accompagnato dalla stessa voce, «_____», era più vicina di prima. Rabbrividisti sotto la camicetta troppo leggera del tuo colore preferito di quel giorno: giallo. Più vicino. Respiravi a fatica deboli boccate d’aria trasformate in condensa.
   «______». Più vicino ancora. Troppo vicino. Ti voltasti di scatto ed eccolo. Alto, labbra pallide, colorito spento e grandi occhi perlati, induriti da un eterno broncio. Aveva un aspetto familiare malgrado non l’avessi mai incontrato.
   Lo fissasti, all’inizio con paura, poi con compassione nel vedere i capelli scuriti e incollati sul viso dal sangue raffermo.
   Cercasti di dire qualcosa senza riuscirci, la voce ti morì in gola, così fu lui a parlare.
   «Ho bisogno del tuo aiuto. E non ti piacerà», furono le uniche parole che pronunciò. Ti fissò dritto negli occhi, incatenandoli ai suoi. Non avevi scampo, e forse non volevi nemmeno scappare. Sentisti il tuo corpo muoversi nella sua direzione, nonostante il cervello gridasse silenziosamente di non farlo. Continuavi ad avere timore di quel ragazzo, ma ne eri anche affascinata. Ti piaceva perché ti faceva paura o ti faceva paura perché ti piaceva?
   Ti avvicinasti ancora, allungasti tremante una mano verso di lui, stavi per sfiorarlo, quando lui te l’afferrò, ruotandoti su te stessa e sbattendoti contro il muro, chiusa tra la parete e il suo corpo.
   «Non ti agitare. Non voglio farti del male».
   «Chi sei?», è l’unica domanda che ti venne in mente.
   Lo sentisti sorridere accanto al tuo orecchio, «Il tuo ragazzo».
   Tentasti di voltarti a quell’ultima affermazione, ma le sue mani ghiacciate te lo impedirono, sebbene ci pensarono le sue labbra fredde a paralizzarti seduta stante, baciandoti il collo.
   Riconoscesti subito quel tocco, «C-castiel?», chiedesti con voce tremolante.
   Il capo del ragazzo, scosso dai tremori di una rimbombante risata, si abbandonò sulla tua spalla, concedendoti finalmente la libertà di muoverti. Ti girasti quel tanto per guardarlo in faccia, prendesti il cellulare dalla tasca dei jeans e illuminasti il volto in ombra del fantasma.
   Te lo scrollasti di dosso, spintonandolo con forza, «Mi hai fatto prendere un colpo, Castiel!».
   Se possibile le risa del rosso diventarono ancora più chiassose, «Non ho saputo resistere», dichiarò con le lacrime agl’occhi, «È da quando conosci Lys che ci penso».
   «È da più di un mese che macchini questo scherzo?».
   «Sì», ammise piegato in due dal ridere.
   «Sei proprio un cretino, lo sai?».
   Smise improvvisamente di sghignazzare, «E tu lo sai che sei una pervertita?».
   Sgranasti gl’occhi allibita, «Come scusa?».
   «Non immaginavo avessi un fetish per i morti».

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Capitolo 4
*** Gotta catch 'em all! ***


Tratta dal concorso Fatti amico il tuo nemico.
 Crossover Dolce Flirt – Pokémon.

4.
Gotta Catch ‘em All!
 
   «E con questo è tutto per oggi», Boris si volta verso gli alunni, poi entusiasta esclama: «Che ne dite di mettere in pratica la lezione?».
   Un’ovazione si leva nell’aria. Le lotte pokémon, per regolamento, sono vietate all’interno delle mura scolastiche, eccetto per rare occasioni, e quando queste si presentano, gli studenti non possono far altro che parteciparvi elettrizzati.
   «Ambra, vuoi farci l’onore?». La ragazza solleva annoiata lo sguardo dalla lima per unghie, ma si alza dagli spalti silenziosa, ancheggiando al centro della palestra, accanto al professore. Sguardo che muta in adorazione, non appena ode pronunciare il nome successivo: Castiel.
   «Kentin». Il ragazzo sorride, già pregustando la sua ribalta contro i due bulletti della scuola.
   «______». Sorpresa, ti unisci al trio selezionato, lanciando un’occhiatina d’intesa al chitarrista, consapevole che vorrà fare squadra con te, e infatti egli ti risponde con un occhiolino.
Subito la gatta morta gli si aggrappa all’avambraccio, inglobandolo tra i suoi voluminosi seni – come se servissero a qualcosa… –, «Castiel, fai coppia con me!», ma lui la scansa senza troppe cerimonie, affiancandoti.
   «Decido io le coppie», afferma l’insegnante, «Maschi contro femmine in un’epica battaglia universale», prorompe solenne, scatenando una risata generale.
L’occhiata che vi riservate, tu e la sorella di Nathaniel, è di fuoco, di puro e vivido odio eppure, per la prima volta da quando la conosci, i vostri pensieri si sintonizzano in un’unica frase: «Vedi di non farmi perdere», recitate all’unisono, posizionandovi nella vostra parte di campo.
   «Conoscete le regole», esordisce Boris, dividendo le due coppie con il proprio corpo prestante, «Potete avere un solo pokémon a testa. Scegliete con cura».
   Un sorriso sicuro si cuce sul volto regolare di Castiel, «Non ho bisogno di pensarci su per sapere con chi lotterò. Houndoom, scelgo te!», lancia la pokéball a terra. Un fascio di luce bianca fuoriesce dalla capsula, in mezzo ad esso un’ombra nera dalle lunghe corna prende forma, accompagnata da un ringhio feroce.
   Il pokémon fronteggia il suo padrone.
   Kentin stacca dalla cintura una piccola sfera, l’avvicina alle labbra e, prima di premerla per ingrandirla, sussurra: «Non ti deluderò», in seguito la tira, urlando, «Lucario!».
   Ambra vi osserva beffarda, si porta una mano a scuotere la lunga chioma dorata, mentre l’altra è poggiata al fianco e stringe la pokéball, «Distruggili con la tua bellezza, Roserade!».
   Gli sguardi dei presenti si posano tutti su di te e sulla ball che tieni stretta tra le dita sottili, sorridente perché, proprio come Castiel, non hai bisogno di rifletterci troppo per fare la tua scelta. Sceglierai il pokémon di cui più di tutti ti fidi, il primo che hai avuto, quello che con tanta cura hai allevato, fino alla sorprende evoluzione. Ogni giorno ti sei chiesta cosa sarebbe diventato quel piccolo dolce Eevee, che il professor Oak ti regalò a dieci anni, per essere stata ammessa alla scuola per allenatori Dolce Amoris. Fu grazie all’affetto che ti lega al tuo migliore amico, che Eevee si trasformò in un magnifico Espeon.
   La risata sguaiata di Ambra colma l’aria, «Un pokémon ti tipo unico, che sfigata!».
   «Ti consiglio di non sottovalutare un esemplare come Espeon, signorina», la riprende Boris senza molto successo, «Prendetevi qualche minuto per pianificare una strategia».
   Ti avvicini ad Ambra a sufficienza affinché le tue parole non siano udite da orecchie indiscrete, «Ascoltami bene. Non ho nessuna intenzione di perdere, perciò dobbiamo collaborare. Intesi?».
   Per quanto detesta ammetterlo, c’è una cosa che la ragazza detesta ancora di più di te, ed è perdere, quindi, se per evitarlo, dovrà stare alle tue direttive, lo farà, «Cos’hai in mente?».
   «Houndoom è buio-fuoco, può arrecare molti danni ai nostri pokémon. Dobbiamo impedirgli di attaccare».
   Annuisce, «Posso paralizzarlo e avvelenarlo».
   «Bene, ci penserò io agli attacchi fisici».
   «Okay, passiamo a Lucario. Roserade può fargli davvero male grazie alle mosse di tipo erba, possiamo sfruttarle contro il tipo acciaio».
   «Espeon può fare altrettanto contro il tipo lotta ed è abbastanza resistente anche all’acciaio. Iniziamo con la stessa tattica di prima».
   «In questo modo i nostri pokémon usciranno indenni dallo scontro».
   Vi sorridete, affabili per la prima sconcertante volta.
   «In posizione», afferma il prof., «Cominciate!».
   «Espeon, usa Divinazione!», gli occhi violacei del pokémon si sbiancano e un’aura oscura riempie la palestra, avvolgendo le creature in campo, davanti ai quali compaiono dei luccichii sinistri.
   «Houndoom, non lasciarti distrarre, usa Colpo Infernale su Espeon!».
   «Schiva!», gridi al tuo amico, ma l’animale non fa in tempo ad evitare l’attacco, viene colpito in pieno dalle corna robuste del cane, cadendo rovinosamente a terra, ma, dopo diversi tentennamenti, il pokémon rosa si rimette in piedi barcollante.
   «Stai bene? Resisti…».
   Un sorrisino furbo si disegna sul volto di Castiel, ma ci pensa Ambra a cancellarglielo, «Roserade, usa Tossina!», una nube di gas tossico circonda Houndoom, che comincia a ciondolare.
   Tocca a Kentin, «Lucario, vai di Cannonflash su Roserade». L’interpellato raggruppa dell’energia luminosa argentea tra i palmi, modellandola a mo’ di palla, e la lancia sull’avversario, mossa non molto efficace. Ambra ghigna soddisfatta.
   «Houndoom, Onda calda!». Una vampata di calore colpisce tutti gli avversari, portando ingenti danni sia a Roserade che a Lucario, ustionandoli entrambi.
   «Ma che fai?!», sbraita Kentin, «Hai colpito Lucario!».
   «Era l’unico modo per danneggiare entrambi i pokémon nemici».
   «Espeon, Riposo!», ordini al pokémon di addormentarsi per recuperare energia, sotto gli occhi sconcertati di tutti i presenti.
   Ambra ti fissa in un misto di incredulità e collera, «Sei impazzita?».
   «Fidati di me».
   Stizzita l’altra afferma, «Roserade, Gigassorbimento su Lucario!». Roserade esegue, impadronendosi dell’energia vitale risucchiata dallo sfortunato pokémon colpito.
   «Lucario, tieni duro! Usa Assorbipugno su Espeon!». Un fendente investe il tuo pokémon, che sussulta, nonostante non si risvegli dal suo sonno ristoratore, mentre parte della sua salute viene aspirata dall’attaccante, «Scusa, ______».
   «Di che ti scusi, idiota?!», rimbecca Castiel, mentre il suo pokémon s’indebolisce sempre più a causa del veleno, «Houndoom, Bruciatutto!», una fiammata investe i nemici, portando Roserade ad uno stato critico. Ormai fatica pure a tenere gli occhi aperti.
   Ambra sospira affranta, «Mi dispiace, Castiel, ma non mi lasci altra scelta. Roserade, usa Paralizzante su Houndoom». Del polline dorato si sparge su tutto il corpo massiccio del mastino infernale, infiltrandosi nella sua pelle, che diventa così dura da non potersi più muovere neanche di un millimetro.
   «Espeon, Sonnolalia!». Sebbene stia dormendo, gli occhi di Espeon si splancano e uno sguardo vitreo si fissa su Lucario; dal rubino incastonato sulla fronte fuoriesce un raggio laser, che si scaraventa sul pokémon di Kentin, il quale, privo di forze, casca rovinosamente a terra con gli occhi sbarrati.
   «Lucario non è più in grado di combattere», dichiara Boris.
   Un rumoroso vociare si leva dalla platea, tutti confusi su cosa sia accaduto: Espeon ha appena lanciato Psichico su Lucario, nonostante fosse profondamente addormentato.
   «Sonnolalia è un mossa che permette al pokémon dormiente che la utilizza, di usare randomicamente una delle altre mosse conosciute», spiega Boris, mentre Ambra ti riserva un’occhiata sorpresa.
   «Ti avevo detto che dovevi fidarti di me».
   La ragazza ridacchia altezzosa, «È ora di curarci. Roserade, Aromaterapia!». Una nuvola rosata dal profumo soave, circonda gli alleati, curandoli da tutti i problemi di stato. Espeon si risveglia e Roserade guarisce dalla violenta scottatura.
   «Non è il momento di esitare», prorompe Castiel, «Houndoom, distruggi Espeon, Colpo Infernale!». La paralisi impedisce all'animale di muoversi e il ragazzo non può fare altro che imprecare, conscio che ormai non gli restano molte possibilità di ribaltare la situazione, il veleno ha debilitato gravemente il suo amato pokémon, ancora un colpo e Houndoom potrebbe crollare.
   I giochi sono fatti.
   Infatti questo fantomatico colpo non tarda molto ad arrivare. Divinazione ha effetto su Houndoom, che, sebbene il danno non sia ingente, accompagnato dagli esiti della sostanza letale che sta scorrendo nelle vene del cane, è sufficiente a mandarlo K.O.
   «Houndoom non è più in grado di combattere. I vincitori sono Roserade ed Espeon!», dichiara l'insegnante, alzando il braccio in direzione delle due studentesse, apponendo la parola Fine all'incontro.
   Spinte da una scarica di incontenibile gioia, tu ed Ambra vi abbandonate ad un accorato abbraccio. Abbraccio che interropete, come se avesse ricevuto una violenta scossa, non appena vi rendete conto del gesto, tanto inaspettato da far calare un pedante silenzio in palestra. Imbarazzate, vi scambiate una stretta di mano, ma il sorriso che vi premurate vale più di mille parole.
   Con questo non vuoi dire che diventerete grandi amiche, ma di sicuro avrai una valida alleata per le prossime lotte in doppio.

Note d'Autore
Mi rendo conto che questa shot non rispetta totalmente le regole che mi ero autoimposta, ovvero quelle del forum di Dolce Flirt. Ho sforato bellamente il limite dei 4000 caratteri. Ma sapete una cosa? Chi se ne importa xD
Ero talmente presa dalla trama della storia che mi sono lasciata trascinare. Ci ho provato con tutta me stessa ad essere coincisa, ma più di così non ci sono riuscita e mi dispiaceva troppo tagliarla. Si sarebbe snaturata tutta la storia.
Perciò non posso far altro di sperare che vi sia piaciuta anche questa breve FF e darvi un caloroso abbraccione.

Alla prossima!
Claire DeLune

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Capitolo 5
*** Stalker, o quasi... ***


3° classificato al concorso Tale of Horror – Tanz der Vampire

5.
Stalker, o quasi…
 
   «Armin, non credo sia una buona idea», la tua voce è ridotta a un sibilo intimorito, «Introdursi così a scuola, di notte».
   «Dobbiamo aiutare Iris», afferma sicuro il ragazzo, ma, se normalmente basterebbe il suono della sua voce a tranquillizzarti, stasera sortisce l’effetto opposto. Armin ha un temperamento decisamente troppo avventato, in più, sei certa ti nasconda qualcosa. È strano ultimamente, schivo, sempre con la scusa pronta. Cosa che non è proprio da lui.
   Vorresti chiedergli spiegazioni, lì a bruciapelo, sicuramente lo spiazzeresti al punto da metterlo con le spalle al muro, tuttavia desisti. I corridoi cheti del liceo al calar della sera sono fin troppo spaventosi per anche solo osar respirare, figuriamoci iniziare un interrogatorio.
   «Dividiamoci», propone tutt’a un tratto il giovane.
   «C-cosa?!», domandi ancora più impaurita di prima, se possibile.
   «Ci impiegheremo meno a trovarlo se ci separiamo».
   «È troppo pericoloso».
   «Il ragazzo ti guarda sott’occhio, «Ti fidi di me?».
   «No».
   «Perfetto. Io pattuglio il cortile, tu vai ai laboratori». Non ha minimamente calcolato le tue proteste.
   Sospiri sconfitta, annuendo, «Ci vediamo al cancello d’ingresso tra un’ora esatta».
   «Sincronizziamo gli orologi».
   Rotei gli occhi al cielo e Armin ridacchia. 
   Un ultimo anelito vibra tra le tue labbra, mentre percorri il corridoio nella direzione opposta rispetto alla sua. Sali le scale che portano al primo piano, rasenta al muro, tenendoti più in ombra possibile e aguzzando le orecchie nel tentativo di captare il ben che minimo rumore, il più sottile dei suoni, il più flebile dei respiri. Sobbalzi al cigolio della porta dell’aula di chimica e ti si gela il sangue nelle vene, quando scorgi una sagoma scomparire dietro di essa.
   Lo stalker.
   Raccogli tutto il coraggio che possiedi e varchi la soglia, quatta quatta, accucciata al pavimento. Strisci fin sotto la cattedra, cellulare alla mano con il registratore attivo e pronto a incastrare quel fetente che sta ricattando Iris, già convinta di conoscerne l’identità; è l’orecchino a cerchio che conservi in tasca a confermartelo: Charlotte.
   Passano diversi minuti, ma non vi è nessuna traccia della ragazza, sembra scomparsa. Eppure, non hai sentito i suoi passi allontanarsi. A dirla tutta, non hai sentito proprio alcun passo. Ti affacci oltre i pannelli di legno che racchiudono le gambe metalliche della cattedra. Il laboratorio è deserto.
   «Devo essermelo sognato», bisbigli, spegnendo il registratore sul telefono, ma è proprio in quel momento che il fascio di luce del display illumina una figura matronale, appoggiata alla lavagna. Urli terrorizzata quando la sua mano smilza e dalle lunghe falangi si arcigna sulla tua spalla, grido che diventa di dolore nell’istante in cui le sue unghie, simili ad artigli, ti trapassano la carne. Scivoli a terra quando molla la presa, serrando le palpebre dal bruciore.
   «Magdaleine», è l’unica parola che trapela dalle sue sottili e ceree labbra, in netta contrapposizione con il liquido scarlatto che le macchia.
   Lo senti avvicinarsi con una naturalità disarmante e rimetterti in piedi senza sforzo. Con le dita, che un secondo prima leccava avidamente, ti afferra per il mento, costringendoti a guardarlo, avvolta dall’odore acre del tuo stesso sangue. Ti senti nuda sotto al suo sguardo vermiglio e indagatore, così vivo rispetto alla nuance mandorla del suo incarnato e al castano spento dei suo lunghissimi capelli lisci; ma la cosa che più ti sconcerta è che più le tue iridi si perdono nelle sue, più la paura e l’affanno svaniscono, sostituiti da una travolgente e rassicurante serenità.
   A un certo punto l’uomo ruota il tuo volto, esponendo la gola e la giugulare pulsante, «Finalmente ti ho ritrovata», ti sussurra suadente all'orecchio, prima ti conficcare i canini nel tuo fragile collo.
   Un’immediata e inaspettata scarica di piacere ti pervade ed una coscienza nuova si risveglia, facendoti pronunciare un nome che neanche sapevi di conoscere, ma che è il morso a ricordarti, «Dimitry».

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Capitolo 6
*** Blanche e Castiel ***


3° classificato al concorso In... his shoes?!
6.
Blanche e Castiel

   Se c’è una cosa che più di tutte odi al mondo, sono sicuramente i gatti. Esseri infidi e opportunisti, il cui unico scopo è quello di avere la pancia piena e un letto caldo su cui dormire, e che, nonostante l’amore incondizionato che ricevono, non posseggono minimamente il concetto di affetto.
   Solo un disperato può cercare d’instaurare un legame con un gatto. Ma se normalmente un cat lover ti avrebbe fatto pena, il giovane che sta varcando la soglia in questo momento, ti fa desiderare di riempirlo di graffi. 
   Nathaniel.
   Non è mai scorso buon sangue tra voi ed ora che è diventato un mezzo delinquente, non fa altro che inorridirti ancora di più. Lo compatisci per il suo cambiamento drastico, a parer tuo insensato, ma su cui, in tutta onestà, non hai mai voluto indagare. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Non a caso è solo come un cane – come un gatto.
   È ciò su cui rifletti, osservandolo svuotare la spesa sul bancone della cucina. 
   Il colore acceso di una scatoletta di latta azzurra riattiva tutti i tuoi sensi, ripartiti così all’improvviso da disorientarti. La riconosceresti tra mille: è la tua marca di tonno preferita.
   Stiracchiandoti, balzi giù dal divano, domandandoti se hai sempre avuto una visuale così ampia e acuta, ma soprattutto un udito così fine, dato che senti la voce di Nathaniel rimbombarti nelle orecchie dieci ottave più alta del normale, mentre ti si avvicina stranamente sorridente.
   Che ha da sorridere?
   «Ci siamo svegliate», dice con una vocetta ridicola, «Cos’è quella faccetta corrucciata, ti ho disturbata?».
   Basta la tua sola presenza a disturbarmi.
   «Guarda cosa ti ho comprato: tonnetto e aloe», afferma mostrandoti la scatoletta di poco fa; devi aver fatto un’espressione buffa, perché il ragazzo ridacchia, mentre la apre e ne versa il contenuto in una ciotolina in ceramica schifosamente rosa, «Ti stai già leccando i baffi».
   Corri a tavola e, senza perderti un suo singolo movimento, ti accomodi impaziente.
   Il biondo si volta a guardarti contrariato, «Quante volte ti ho detto di non salire sul tavolo? Scendi!», la sua occhiataccia si scioglie sotto la tua di sufficienza, «E va bene, hai vinto», si arrende, posandoti difronte il piattino, sul quale ti avventi senza troppe cerimonie.
   Mentre mastichi, Nathaniel ti liscia il capo in movimenti cadenzati, ma, all’ennesima carezza, gli mordicchi le dita con abbastanza vigore da trasmettere forte e chiaro il messaggio. 
   «Che antipatica…».
   Usa ancora il femminile con me e ti acceco.
   Si allontana, ma non riesci comunque a gustarti appieno il tuo pasto, a causa dei tuoi sensi stranamente sviluppati. Le orecchie scattano continuamente verso la fonte di un fastidioso rumore: le mani del biondo che frugano nuovamente nella busta della spesa. Però, a distoglierti del tutto dal cibo è il trillo acuto di un campanellino. Ti giri su te stesso, attirato da quel suono e da un movimento sinuoso del pugile, le tue pupille si allargano fino quasi a coprire l’intera ampiezza dell’iride e della sclera. Smosso dall’istinto cacciatore, ti lanci dal tavolo sul pavimento ignorandone l’altezza, e ti fiondi sul ragazzo, che solo adesso ti accorgi essere gigantesco in confronto a te. Considerazione che ti sorvola la mente solo per un breve attimo, troppo preso dal volteggiare ritmato del giochino nell’aria per darvi peso più del dovuto.
   Zampetti qua e là come una molla, finché esausto, ma con la tua preda tra le fauci, non ti accasci sul parquet, leccando soddisfatto le piume colorate.
   Nathaniel ti si siede accanto, grattandoti la testa fra le orecchie e sotto al mento, un tocco così piacevole che non puoi fare a meno di produrre borbottii compiaciuti all’interno della trachea.
   «Brava la mia Blanche».
   Alla pronuncia di quel nome spalanchi gl’occhietti vispi, gli afferri il braccio, bloccandolo con gli artigli, ti stendi sul fianco e cominci a tirargli veementi calci con le zampe posteriori, mentre lo mordi irruento, Io mi chiamo Castiel!
   Sei proprio un gatto...

Note d'Autore
Wow, tralasciando il saluto al primo racconto pubblicato, non avevo ancora lasciato una note in questa raccolta di one-shot! Ma stavolta direi che un commento sia d'obbligo, immagino avrete notato subito il cambio di titolo (Eh lo so... Non sono mai convinta sui titoli, l'ho cambiato alla long Komorebi, allo spin-off Catfish...).
So che può suonare strano e forse un po' pretenzioso, però dovete sapere che una delle mie grandi passioni è proprio la chimica. Chi mi conosce sul fandom di Free! ne era già al corrente: ho scritto una raccolata intitolata Legami a Idrogeno. Che fantasia, eh? Come no LOL
Ammetto di aver cambiato il nome di questa raccolta anche in memoria a LaI, mi sembrava carino inserire un collegamento tra la Claire DeLune del tempo e quella attuale, tra quel fandom e quest'altro, come per dimostrare che, nonostante gli anni passati, i cambiamenti di stile e pensiero, sotto sotto sono ancora la stessa persona, non ho rinnegato quegl'anni, sono solo cresciuta. In più, mi piace moltissimo la definizione scientifica di legame glicolisico, mi è sembrata perfetta per sintetizzare il tema su cui ruota tutto Dolce Flirt.
«Con legame glicolisico si fa riferimento a un legame covalente che unisce il gruppo emiacetalico di uno zucchero con un atomo, di solito nucleofilo, di un'altra molecola. Di solito l'atomo è di ossigeno, azoto o (più raramente) zolfo. La molecola che ne deriva è invece detta 
glicoside. Da un punto di vista chimico il legame è una condensazione in quanto libera una molecola d'acqua.»
Leggendola ho subito pensato a una sorta di composizione chimica dell'amore. L'amore è dolce come lo zucchero, è fondamentale come l'ossigeno e l'azoto, senza non potremmo respirare né nutrirci, e quando sei innamorato ti senti protetto in una bolla di felicità, liscia e avvolgente come l'acqua.
Magari può risultare smielato, ridicolo e forzato, ma è così che sento essere l'amore e volevo condividerlo con voi.

Dopo questa spiegazione confusa, non mi resta che sperare che via sia piaciuta la storia. Grazie a tutte coloro che stanno leggendo.
Un bacio,
Claire DeLune

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Capitolo 7
*** Desperate Housesucrette ***


Salve a tutte!
In questo capitolo ho voluto provare qualcosa di diverso, ovvero scrivere una one-shot seguendo le linee guida di D per Dolcetta piuttosto che dei concorsi sul forum su DF. Per questo primo esperimento ho scelto la loro ultima raccolta che è poi diventato il titolo di questa storia: Desperate Housesucrette.
Ci tengo a precisare che prima di farlo ho chiesto il permesso ad una delle sette autrici del gruppo, Gozaru, altrimenti non mi sarei mai permessa di appropriarmi delle loro trame.
Per chi avesse letto le loro storie stupende, saprete già che all'epoca ancora i personaggi di Campus Life non esistevano, tuttavia io, scrivendolo adesso a distanza di ben quattro anni, ho deciso di parlare di uno dei personaggi per me più affascinanti e controversi del gioco universitario: Mr. Zaidi.
Spero vi piaccia.

Buona lettura!

7.
Desperate Housesucrette
 
   Era difficile.
   Davvero difficile.
   Dannatamente difficile stare con qualcuno di dieci anni abbondanti più grande di te – quasi undici se contiamo che lui era di gennaio e tu di dicembre.
   Ti eri preparata alle controversie, ai contrasti che possono nascere tra due innamorati separati da un’intera generazione, ma, come in tutte le situazioni, nonostante i mille accorgimenti, le mille prese di coscienza, non eri totalmente pronta alla velocità con cui stava scorrendo la tua vita. Come se già la frenesia dei giorni nostri non accorciasse le giornate di suo, scegliendo Rayan Zaidi avevi inserito la N2O, scia chimica che non accennava a volersi esaurire. Peccato che quella che si stesse pian piano esaurendo fosti tu.
   In pochi anni dopo la laurea ti ritrovasti con un diamante giallo – perché eri il suo sole – al dito, un pomposo abito bianco addosso, qualcosa di blu ad addomesticare la tua caratteristica chioma folta e selvaggia, a traballare su tacchi troppo delicati ad uno stravagante ricevimento, tra le braccia di quello che era appena diventato tuo marito.
   Rayan non aveva badato a spese, nulla era stato lasciato al caso, anche se per lui era il secondo matrimonio, voleva farti vivere le nozze da sogno che ogni donna immagina fin dalla più tenera età. Ti aveva anche portata in braccio oltre la soglia di casa come da tradizione, oltrepassando la porta di quello stesso appartamento che aveva racchiuso tutte le vostre prime volte.
   La prima cena al lume di candela.
   Il primo bacio.
   Il primo film abbracciati sul divano.
   La prima notte insieme. Insonni.
   Il primo risveglio. Nudi.
   In men che non si dica eri diventata una donna a tutti gli effetti. Avevi un marito, avevi in gestione una galleria d’arte, avevi un cane e, in questo preciso istante, avevi un test di gravidanza in mano.
   Lo fissavi smarrita, indecisa se gioire al pensiero di essere in dolce attesa o se disperarti.
   Avevi ventotto anni, una carriera, una quotidianità coniugale soddisfacente; eri una donna realizzata, un figlio avrebbe solo coronato una vita appagante come la tua. Eppure, in quel momento, seduta sul bordo in marmo della vasca da bagno, coi capelli raccolti in una coda disordinata e gl’occhi sbarrati, fissavi le due lineette rosa chiedendoti cosa avresti dovuto provare, come ti saresti dovuta sentire.
   Felice, agitata, trepidante?
   Spaventata, preoccupata, devastata?
   Nulla.
   Tu non sentivi nulla, eccetto il mondo che ti crollava addosso insieme a tutte le tue certezze.
   Avevi ventotto anni, l’età perfetta per mettere al mondo un piccolo esserino, sintesi dell’amore tra te e Rayan, ma si poteva dire lo stesso di quest'ultimo? Diventare padre a quasi quarant’anni non era esattamente l’ideale. I tempi erano cambiati, certo, ora tutti studiano e studiando fino a circa venticinque anni si rimanda per forza di cose l’ingresso al mondo del lavoro, che a sua volta posticipa la formazione di una famiglia, sempre se la si desidera, ma diciamo che fare il genitore a quarant'anni non è semplice come a trenta. Per quanto ci si possa sentire ancora giovani e pieni di vita, l'energia, la pazienza, la voglia di mettersi in gioco non sono le stesse di quando si è nel fiore degl'anni. A quarant'anni si ha tanto, troppo da perdere.
   Ecco, era questo il tuo unico interrogativo. Non tanto se tu lo volevi, ma se lui lo voleva.
   A ventitré anni si era sposato d’impulso con la sua ragazza del liceo, a ventisei era già vedovo e prima di incontrarti in un’aula universitaria, non solo non si era più impegnato in una relazione, non ci aveva minimamente provato a trovarsi un'altra, l'idea non gli aveva proprio sorvolato la mente perché ogni donna gli ricordava Chloé. Tutte, tranne te. Forse non era neanche intenzionato ad andare oltre la sua perdita e cercare di essere di nuovo felice prima del tuo arrivo, immaginati riprodursi! Sicuramente era l’ultimo dei suoi pensieri. Fino a prova contraria non ne avevate mai veramente parlato, l’unica volta che era uscito l’argomento è stato poco dopo aver adottato Stitch al canile.
   «È un po’ come crescere un bambino», disse alla guida, mentre sorrideva con quel suo solito sorriso storto intrigante, in cui avevi imparato a riconoscere la dolcezza che vi celava.
   «Un bambino?», ripetesti con un filo di timore.
   Non sarà mica un pretesto per chiedermi un figlio…, riflettesti, stringendo più forte il misto-collie al petto. Il suo pelo sale-pepe emanava un tiepido torpore che ti scaldava il cuore, nonostante tremasse ancora come una foglia in vostra presenza. Se l’era vista brutta quel povero cane in passato, salvato per il rotto della cuffia dalle lotte clandestine. Era un'anima maltrattata ingiustamente e in cerca di redenzione, proprio come Rayan: due vittime del destino. Per questo tra tutti i cani avevi scelto proprio Stitch – o forse è meglio dire che sia stato lui a sceglierti –, perché volevi salvarlo dal suo inferno personale, come speravi di essere riuscita a fare con il tuo professore.
   «Certo, i cani non sono peluche, richiedono molte attenzioni», rispose meccanico, concentrato sul traffico stradale, «Non basta dar loro da mangiare e portarli fuori, bisogna educarli, prendersi cura di loro. È un impegno costante, proprio come avere un figlio», infine sorrise di nuovo, «In più hai scelto il più problematico del canile».
   «Mi sono sempre piaciuti i tipi problematici», replicasti arguta, guadagnandoti una risatina gutturale che ti fece fremere. Adoravi quel suono, quella risata bassa e un po' roca, divertita e intelligente allo stesso tempo. Sapeva alludessi a lui con quella scelta di parole.
   «Non avevo dubbi», i vostri sguardi s’incrociarono soltanto per un millesimo di secondo, ma ciò fu sufficiente a far sfumare tutta l’allegria che gli illuminava le iridi irlandesi, «A che cosa stai pensando?».
   «Mm?».
   «Mi sembri pensierosa». Sei sempre stata un libro aperto per Mr. Zaidi.
    Sospirasti profondamente un paio di volte prima di pronunciare la fatidica domanda, che fuoriuscì a raffica dalle tue labbra, «Lo vuoi un figlio?».
   Rayan rimase senza parole, cosa che non capitava spesso e ciò ti inquietò parecchio, ma dopo un attimo infinito di silenzio si decise a parlare, «Non in questo momento, ma non escludo la possibilità di averne in futuro. Voglio godermi la mia vita con te», altra pausa, «E tu?».
   «B-beh, non ci ho mai pensato sinceramente», balbettasti, «Ma, ecco, con quella frase sui bambini ho pensato c-che…».
   «Che volessi usare la scusa del cane per chiederti di farne uno nostro?».
   Annuisti.
   Pronunciò il tuo nome accondiscendente, accostando nella corsia di servizio della superstrada, tirò il freno a mano e spense il motore; poi, appoggiando una mano sul tuo ginocchio, ti fissò dritto negl’occhi con uno sguardo che sembrò scrutarti nell’anima, solo lui era capace di farti sentire così esposta, «Abbiamo tutto il tempo per pensarci».
   Io sì, ma tu…
   «Hai paura che quando ti sentirai pronta, io sarò troppo vecchio per voler fare il padre».
   Sospirasti affranta, ma non potesti far altro che assentire.
   «È un po’ il prezzo da pagare quando ti innamori di una persona molto più grande di te, ______», affermò dispiaciuto, «In tutte le relazioni ci sono sacrifici, ma forse finirò per richiedertene più del dovuto».
   Gli prendesti il volto tra le mani e lo avvicinasti al tuo, posando la fronte sulla sua, il leggero strato di barba di pizzicava i palmi, «Non dire così. Non ho rinunciato a niente, mi hai dato tutto quello che ho sempre desiderato», lo baciasti, «Ma è una questione importante di cui dobbiamo discutere. Lo vuoi un bambino? Sii onesto».
   Inspirò tutta l’aria che poté, che sbuffò fuori insieme alla sua risposta, «Non è una mia priorità».
   Ti ritrassi sul sedile, accoccolandoti al cucciolo, «Capisco».
   «Non sto dicendo che non ne vorrò mai, ma è una cosa che mi turba. Sono stato con la stessa persona da quando ero poco più che un ragazzino. Pensavo saremmo rimasti insieme per sempre, però mi è stata strappata via all'improvviso e in modo orribile. Per sette anni sono rimasto da solo, a compiangerla; tempo in cui mi sono costruito una mia routine, un mio rifugio dal dolore, finché non sei arrivata tu…», ti prese la mano con la fede e te la baciò, «… e come un tornado mi hai costretto ad aprire gl’occhi, a rendermi conto che stavo sprecando la mia vita, che poteva esserci dell'altro dopo Chloé. Tuttavia, non sono ancora pronto a sconvolgere questa nuova stabilità, a dividerti con un altro essere umano. Non voglio darti per scontata come ho fatto con lei. Se ti perdessi, non so cosa farei... È egoistico da parte mia, lo so, ma è così che la penso».
   Aveva senso. Non ti piaceva come risposta, ma aveva perfettamente senso ed era facilmente condivisibile come ragionamento: perché rischiare di mettere a repentaglio un rapporto a due meraviglioso, se si sta già bene così?
   Eppure, eccoti lì, neanche un anno dopo, con il foglietto illustrativo della pillola anticoncezionale tra le dita, a frugare nel cassetto dei medicinali in bagno per passare in rassegna tutti i farmaci assunti nell’ultimo mese. Pastiglie per il mal di testa, antinfiammatori vari. Nessuno di loro riportava nel bugiardino che potessero alterare gli effetti della pillola. Poi, però, ti capitò sottomano la scatola dell’anti reflusso gastroesofageo, unico medicinale appena introdotto nel tuo sistema e scoprissi una verità schiacciante: se preso in un orario vicino alla somministrazione della pillola, il principio attivo del condroitina solfato può inibirla.
   «Cazzo…», la tua imprecazione sussurrata venne sovrastata dalle lacrime e dal rumore di zampe che grattavano sulla porta.
   «Ma che ti prende?», sentisti domandare dall’altro lato della porta chiusa, «La mamma è ancora in bagno?». La voce di Rayan al suono della parola “mamma” ti fece accelerare il respiro che divenne sempre più affannato e irregolare, così come il cuore che batteva come un tamburo sulle note di una canzone sconosciuta; la testa cominciò a girare e girare in un vortice di emozioni troppo forti, le gambe diventarono molli. Ti aggrappasti al lavandino, aiutandoti a sederti sul tappeto in un tonfo.
   «______?!», l’uomo spalancò la porta udendo quel rumore secco e irruppe con l’apprensione a storpiargli il viso ossuto e dai tratti aspri, mascolini e adulti, «Stai bene? Sei svenuta?!». Si precipitò in ginocchio su di te, circondata da scatolette di tutti i tipi, nel nervosismo avevi rovesciato l'intero contenuto del cassetto per terra.
   Ti aggrappasti alla sua camicia, «Solo un leggero capogiro».
   «Sei fredda come il ghiaccio… Vieni, ti porto a letto». Ti fece passare le braccia allenate sotto le cosce e, facendo leva sulle caviglie, si rimise in piedi con te attaccata alle sue spalle.
   «Aspetta, Rayan, ti devo di–».
   «Non parlare, non ti sforzare, devi riposare adesso».
   «Rayan…».
   I suoi occhi caddero sullo stick in un angolo del lavandino. Divenne pallido, più di te, e ora sembrava lui sul punto di svenire.
   «… Sei…», provò a dire.
   «Forse sì».
   Le sue palpebre si riempirono di lacrime, mentre sorridendo ti stringeva forte a sé, con il volto affondato nel tuo collo.
   «Rayan?», esalasti presa alla sprovvista.
   «È fantastico!».
   «Cosa? Ma pensavo non volessi…», cominciasti a parlare sempre più sorpresa e sopraffatta dalle emozioni, tanto che la tua voce tremava dal pianto, stavolta sollevata.
   «Se è con te, posso riuscire a fare tutto», la sua voce era ovattata dal tessuto della tua t-shirt, «Ti amo».
   Gli afferrasti la nuca rincuorata, «Ti amo anch’io, Ray».
 

 

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Capitolo 8
*** Lips of Ashes ***


1° classificato al concorso Lips of Ashes

Parlare per Castiel è raro e difficile; dar voce ai suoi sentimenti in un ritornello lo è ancora di più, ma, amando particolarmente questo personaggio, mi è sembrato giusto provare ad esprimere ciò che deve aver provato la sera in cui la Dolcetta l'ha lasciato per telefono, dopo che il rocker non le aveva risposto per ore, perché stava suonando a un concerto. Sappiamo che in quell'occasione, Castiel ha sfogato la sua disperazione nel bere e che ha chiamato la sua ex di notte completamente ubriaco. Ho voluto tentare di ricostruire quel momento, i pensieri che lo attanagliavano costringendolo a bere per zittirli, le speranze che però ancora lo inducevano a credere che la Dolcetta sarebbe tornata sui suoi passi, la sofferenza nel venire a sapere che quelle speranze erano state vane.
Spero che la strofa vi piaccia!

8.
Lips of Ashes

 
Una birra, una lacrima, gli occhi appannati
forse dall'alcool,
forse dal pianto,
forse da entrambi.
Fissavo il cellulare sperando mi chiamassi,
sperando mi dicessi che eri stata una stupida,
che era stata la rabbia del momento a parlare,
che mi amavi e che con me volevi stare.
Ma quella chiamata proprio non si decideva ad arrivare.
Più il tempo scorreva,
più l'alcool mi annegava,
allora ti chiamai io. Sperando tornassi a salvarmi,
ti biascicai contro tutto il mio dolore;
ma tu desti fuoco a quel poco che restava del nostro amore,
di cui ancora porto le ceneri sulle labbra.

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Capitolo 9
*** Cosette ***


Tratta dal concorso Te lo dice mamma.
9.
Cosette
 
   Rosalya assomigliava indubbiamente a sua madre, due gocce d’acqua. Aveva ereditato il suo sorrisetto furbo e l’allegria contagiosa, incorniciata dai nivei capelli. Solo gl’occhi li aveva rubati al padre, quell’oro liquido, caldo e felino tipico di una lince.
   Chiuse nello studio della madre, Rosa la osservava disegnare un bozzetto per uno dei costumi della prossima rappresentazione teatrale di cui era la costumista.
   «Mamma», la chiamò quasi sovrappensiero, «Come hai conosciuto papà?».
   La donna sollevò lo sguardo sulla figlia con un debole sorriso a tingerle il viso di dolcezza, «Non ti abbiamo mai raccontato del nostro primo incontro?», Rosalya scosse la testa, «È successo tanto tempo fa, a una mostra…».
 
   Erano gli anni Ottanta, una giovane donna con un’alta coda cotonata, le palpebre colorate dall’ombretto vivace e il fisico sottile avvolto da un body con le spalline rigide e un’ampia gonna di tulle, studiava con insistenza la tela affissa alla parete difronte a lei, sorseggiando del prosecco da un flute.
   «Ti piace?», proruppe una voce baritonale alla sua sinistra. Lei si voltò, puntando lo sguardo algido in quello arguto del ragazzo al suo fianco; aveva una luce sicura negl’occhi, intelligente, che spiccava sull’incarnato mandorla. Era piuttosto alto e dal fisico strutturato, messo in evidenza dal completo grigio che indossava. Il nodo della cravatta azzurra era leggermente allentato e, sopra di esso, il primo bottone della camicia era slacciato, immagine che contrastava coi capelli castani ordinati dal gel. Anch’egli teneva in mano un bicchiere di vino, muovendolo di tanto in tanto mentre parlava.
   «Cosa ci fa una così bella ragazza tutta sola?».
   «Che cosa ti fa credere che sia sola?», lapidò lei, poco prima di lanciargli un mezzo sorriso. Era ovvio dove lui volesse andare a parare.
   Di rimando lui sorrise a mezza bocca, tornando a guardare il quadro con interesse, «Ho sempre ammirato i paesaggi di Monet, hanno un effetto rilassante».
   «A me mettono una leggera inquietudine», rispose Crystal, calamitando l’attenzione del giovane nuovamente su di sé.
   «Sei un’artista?».
   «Costumista teatrale. Ma per me le due arti vanno di pari passo. Vengo spesso qui, quando cerco ispirazione».
   «Su cosa stai lavorando?», domandò lui, poco prima di sorseggiare un goccio di liquido paglierino.
   «Les Misérables».
   «Fammi indovinare: cerchi ispirazione nelle opere di Monet per l’abito bianco di Cosette».
   Fu lei stavolta a girarsi in direzione del giovane uomo, e lo fece di scatto, totalmente catturata da quelle parole. Non solo aveva dimostrato una raffinata conoscenza in ambito teatrale, ma ne era talmente coinvolto, da arrivare a intuire per quale motivo la ragazza fosse così concentrata ad analizzare il candido e morbido vestito che portava la protagonista del dipinto, intenta a passeggiare per la brughiera di Argenteuil, accompagnata da un uomo altrettanto elegante e da un bambino.
   Lui ridacchiò a quell’occhiata ricca di stupore, che si scontrava con l’impenetrabilità del resto della sua espressione. Era riuscito a smuoverla, a far vacillare la corazza che tanto si ostinava ad ostentare.
   Le porse la mano, presentandosi, e lei la strinse ancora un po’ titubante, ma decisamente più sciolta rispetto a prima. Peter non le sembrò più il classico provolone, bensì cominciò a vederlo come un giovane di cultura e dal fascino imperturbabile.
   Chiacchierarono per tutto il resto della serata, fino a quando gli organizzatori della mostra non fecero capire loro che era giunto il momento di levare i battenti.
   Con un gesto della mano, Peter fermò un taxi e le aprì la portiera, aiutandola a entrare nell’abitacolo, «C’è una mostra la settimana prossima. Ti aspetterò lì».
   Non le permise di replicare, perché subito richiuse la portiera e l’autista partì, costringendola a restare col naso incollato al finestrino a fissare la figura di Peter. Lo osservò sparire in mezzo al viavai di parigini che passeggiavano per i marciapiedi anche di notte, finché la notte stessa non lo inghiottì

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