Afterlife

di Lila May
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** i. ***
Capitolo 2: *** ii. ***
Capitolo 3: *** iii. ***
Capitolo 4: *** iv. ***
Capitolo 5: *** v. ***
Capitolo 6: *** vi. ***
Capitolo 7: *** vii. ***
Capitolo 8: *** viii. ***
Capitolo 9: *** ix. ***
Capitolo 10: *** x. ***
Capitolo 11: *** xi. ***
Capitolo 12: *** xii. ***



Capitolo 1
*** i. ***


 



i.
 


United Kingdom, 1881
 
 
Un flash di un bianco cangiante esplose all'improvviso tra la folla concitata di presenti, accecandoli col suo bagliore fulmineo.
Lysander Ainsworth chiuse gli occhi.
Attese che passasse.
E poi li riaprì, come due mosche disturbate dalla luce di un lampione.

Il cadavere di suo nipote stava appeso ad una leva di legno, accuratamente nascosta tra mazzi di fiori colorati e regali destinati a rimanere impacchettati in eterno.
Sembrava quasi vivo, diamine, con i grandi occhi gialli spalancati a fissare il nulla, la bocca schiusa e le manine arricciate su dita che un solo una settimana prima erano state morbide, e che ora invece erano diventate fredde e dure. Congelate in un tempo che aveva smesso di scorrere, per sempre.
Ma era morto. Un corpo statico, ingrigito, buio.
Aveva lasciato il mondo sette giorni dopo esserci venuto, quando Rosalya lo aveva dato alla luce ancora privo di nome, senza vista, senza nulla a renderlo umano se non la sola capacità di piangere a comando e insozzare gli abiti di seta inglese con le sue urine gialle. Era stata una perdita atroce per tutta la famiglia Ainsworth, un lutto immenso. Un marchio nero, su uno dei cognomi forse più importanti e vistosi di tutta Liverpool.
Ma Lysander non aveva sentito nulla, nel suo cuore. Non credeva nemmeno di averlo, un cuore.
Ricordava solo che il giorno prima il neonato c'era, e il seguente non c'era più. Ricordava solo la carrozzina piena, poi vuota, il sorriso di Rosa, la festa, e infine grosse lacrime silenziose penderle fragili dal mento tremante di dolore. Scorrere lungo le clavicole spente mentre Leigh, disperato, aveva tentato di convincersi che non poteva essere morto davvero. Non ancora. Non un altro figlio, non per colpa di una stupida malattia. E invece era morto, così come quello prima, e quello prima ancora. Troppo poco forti per sopravvivere.
Lysander non aveva avuto nemmeno il tempo di affezionarcisi, che la malaria se l'era portato via una notte di gennaio, risucchiandolo nel mondo delle tenebre. Ma non era un problema, quello, per il ragazzo dai capelli bianchi.
La morte aveva sempre fatto parte della sua vita. Da quando lui e Leigh avevano perso i genitori non ricordava un giorno senza che dovesse aspirarne il suo odore incerto e astratto, in famiglia, per le strade. La società stessa, era morte. Tutto era morte, lì. Si era insediata come un'amica, prima nella sua casa, poi nella sua mente, e dio se non aveva imparato a conviverci. Aveva capito che succedeva, che era normale e che se mai gli sarebbe capitato, beh, era pronto per affrontarla a testa alta.
L'unica cosa che lo lasciava interdetto di quella vicenda, tuttavia, era come fosse possibile che Rosa fosse ancora viva, in piedi, sana e infilata in un elegante abito viola così grande da urtare contro ogni cosa a causa della scomoda impalcatura sottoveste. La cercò con lo sguardo, e la trovò seduta su una panchina di ciliegio, da sola. Fissava il suo bambino a schiena eretta, petto in fuori, senza vederlo davvero.
Fissava il suo dolore passare, e schiacciare tutto sotto mille ruote affilate.
Lysander fece un passo per raggiungerla. Era legato a Rosa. Le voleva bene, e per un periodo della sua vita aveva creduto di volerla sposare. Di amarla.
Di poterle regalare il mondo, prima che Leigh si accorgesse di poterle regalare l'universo intero, con le sue stelle e i suoi pianeti. Si era fatto da parte, e piano piano era svanito tutto.
Ma le voleva bene.
Troppo, per vederla a pezzi in quel modo. Stava per sussurrarne il nome, chiamarla. Provare ad abbracciarla, quando il fotografo lo afferrò per il braccio stretto in un frak dalle tonalità verde bosco, bloccandolo nel suo intento. Lysander si voltò, e scrutò l'uomo aggrottando le folte sopracciglia bianche.
-Signori Ainsworth
Rosa si riscosse al cognome del marito, e i capelli chiari si mossero appena col suo collo intorpidito dal dolore. Sembrava essere appena caduta dal letto, aver sbattuto la testa. Essersi svegliata, e aver scoperto di aver perso un figlio, e di essere al suo maledetto funerale.
-Mancate solo Voi per la foto.
-Sì, sì.- si alzò barcollando sugli stivali alti, e Lysander la aiutò ad avanzare verso il cadavere di suo figlio, porgendole la mano ampia. Rosa vi si aggrappò con tutte le energie possibili. Poi tentò di ringraziare, ma le uscì solo un rantolo soffocato dalle labbra secche.
All'altare li aspettava Leigh, gli occhi fissi sul bambino e la bocca sigillata di un padre nel pieno del suo silenzioso dolore. Il fratello non aveva bisogno di soffermarsi troppo su quel dettaglio per sapere che stava facendo di tutto per mostrarsi forte.
Perdere una parte di te fa sempre un male atroce.
Si misero in posa intorno al corpicino sbiadito, e i raggi del sole che attraversavano le larghe vetrate a sesto acuto disegnarono spirali colorate sui loro volti statuari. Rosa si asciugò le lacrime con i polsi guantati di bianco, Leigh si sistemò la cravatta.
Solo Lysander rimase immobile. Fisso, a guardare dritto l'obbiettivo.

Il flash si accese con un ticchettio, e i colori accesi delle finestre sparirono dalle loro pelli, risucchiati nel vortice bianco che si diffuse subito intorno a loro.
Poi la foto uscì dal fondo della macchina. Era bella, se non per un unico dettaglio. Lysander era venuto con l'occhio verde chiuso, e l'occhio giallo aperto appena.
Il flash gli aveva dato fastidio. Ma non era un problema.
Tanto, era in bianco e nero.
 
 
 
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nda
avevo detto che sarei tornata presto, e quindi eccomi qui, a torturare di nuovo questo fandom con i miei aborti su Lysandro, aaa. Come andiamo? Vi state godendo l’estate?
Parto subito col dunque, perché devo mettere in chiaro diverse cose e se non lo faccio poi non ci dormo la notte (?). Allora, innanzitutto, l'idea di far vivere Lysandro in epoca vittoriana ce l'ho da quando gioco a dolce flirt, praticamente. Mi sono sempre chiesta, guardandolo, come sarebbe stata/cambiata la sua esistenza nel periodo che tanto dice di amare, e quindi ecco qua l’esperimento su cui sto lavorando da diversi mesi. Spero di non aver copiato l’idea a nessuno, in tal caso chiedo venia, ma non dovrebbe esserci nessuna long simile -almeno spero-. Altre info che vi chiedo di leggere!
Ho scritto fino al capitolo otto, per questo motivo, visto che sono molto ispirata, non dovrei avere problemi o rallentamenti in corso d’opera.
Pubblicherò qui di seguito anche il capitolo due, per permettervi di entrare subito nella trama, perché mi rendo conto da sola che l’uno non fornisce molti dettagli.
Un’altra cosa, è la scelta di utilizzare i nomi in inglese. Si tratta semplicemente di quelle che io chiamo “esigenze di trama”; siccome ci troviamo in Inghilterra, mi sembrava più doveroso appellarmi ai loro nomi inglesi, che poi non differiscono troppo da quelli italiani. Per questo motivo Lysandro > Lysander.
La fotografia esisteva già a quei tempi, anzi, i primi prototipi risalgono proprio agli inizi dell’Ottocento; siccome ci troviamo nel ’96, diciamo pure che l’impianto disponeva già di un sistema piuttosto moderno, munito anche di rullini. L’usanza di fotografare i morti era molto diffusa ai tempi, e serviva per non far sfumare via il ricordo. Se avete coraggio vi sfido a cercare qualche foto nel web, sono bellissime, ma anche molto impressionanti, pay attention to your safety (?). Una cosa importante che volevo dire, mi raccomando perché vi avverto ADESSO, è che io non sono nata in epoca vittoriana (?). Non la conosco bene, e non assicuro nessuna precisione e/o certezza assoluta riguardo alle tematiche che affronterò. Le mie fonti sono una ricerca scolastica con voto alto molto corposa, il mio libro di letteratura inglese, il mio libro di storia e curiosità/avvenimenti/notizie che risalgono da alcuni siti inerenti all’epoca vittoriana -come quella delle foto, per esempio-. Molti avvenimenti saranno il riflesso dell’epoca precedente alla vittoriana, come per esempio il romanticismo, la condizione nelle fabbriche, l’industrializzazione ecc, tutte toccate dal punto di vista di un Lysandro che spero potrà essere di vostro gradimento. Per semplificare, non tratterò di politica, darò solo una spruzzata generale. Lo dico subito. Per cui chiedo scusa in anticipo per eventuali imprecisioni o cose inesatte, ci ho provato a salvare il salvabile.
Apprezzate lo sforzo 
Finito qui! Scusate l’angolo lungo, ma mi sembrava doveroso chiarire tutti questi punti. Lasciate una recensione se vi va, sarei curiosa di sapere cosa ne pensate! Alla prossima!

 
Lila

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Capitolo 2
*** ii. ***





ii.
 

Lysander guardava la pioggia inondare le vie sotto casa sua, una spalla posata contro il vetro della finestra e l'espressione assorta e appena corrucciata di chi ha appena mandato giù una pillola dal sapore disgustoso. L'acquazzone stava andando avanti da ore, e lui da ore era lì, nella sua camera sfatta, col ginocchio sollevato e una tazza di thé stretto tra le mani levigate come quelle di un neonato viziato di oli ammorbidenti. Sembrava essere stata la giornata perfetta per scrivere, quella mattina, quando si era recato di buon'ora sulla cima del cimitero di St James and Gardens, alla ricerca di una qualche fortuita ispirazione in grado di spingerlo avanti con la sua privatissima composizione di poesie.
Si era seduto sull'erba, aveva allargato le gambe e aveva messo su carta ogni suo pensiero, annusando gli odori della natura miscelarsi a quelli lontani delle ciminiere della città britannica. Lasciandosi sedurre e cullare dal verde sgargiante che lo circondava, dalle enormi querce frondose che si ergevano dal suolo come vene gonfie di sangue, dalle tombe gravide di mistero e i suoi prati così immacolati da sembrare di appartenere ad un'altra era. Prati che la città moderna in cui viveva aveva ridotto in misera carta straccia, preferendo le fabbriche di cotone e la costruzione di ferrovie per permettere un baratto molto più rapido ed efficiente. Non che fosse contrario all'industrializzazione; da bravo inglese patriottico qual'era, era orgoglioso dell'immensa potenza che stava acquisendo l'impero della Regina Vittoria. Era felice di leggere i progressi sul the Journal, di sapere che l'Inghilterra stava diventando qualcosa, per l'Europa e per il mondo intero con le sue conquiste in Africa e la sua agricoltura meccanizzata. Un regno da temere, potente e in grado di autogestirsi in maniera prossima al perfetto. Al sublime. Era il tipo di libertà per cui gli inglesi avevano lottato, e che finalmente erano riusciti ad ottenere, dopo il sudore e la sofferenza di un popolo intero.
Ma non era il tipo di libertà a cui aveva ambito Lysander, che era cresciuto in campagna, in mezzo ai conigli e ai campi di grano. Si sentiva come diviso in due, la mente che fluttuava indecisa tra la voglia di vedere il suo paese crescere, e il desiderio nascosto di voler fermare tutto quel caos di leggi e frenesia senza limite. Poter mettere un punto di fine ai gas delle fabbriche, allo smog che circolava in strada, e che rendeva l'aria irrespirabile e grigia. Al commercio di schiavi, alle prostitute, alle malattie e alle ingiustizie della corona inglese. Sapeva che era impossibile, e per quello continuava a vivere schiacciato dal peso di un sogno ingenuo, stupido, e che non sarebbe mai riuscito a diventare realtà.
Per quello, e forse tanto altro ancora, voleva fuggire in America. Era una cosa folle, sì. Inaudita anche solo da concepire. Ma là le cose funzionavano in modo diverso, funzionava che tutti erano uguali, che la vita era più facile.
E dopo tutto quello che aveva passato in soli ventidue anni di vita, forse se la meritava.
Ma poi aveva cominciato a piovere, e tutto si era fermato nella sua testa, mentre le gambe lunghe si erano precipitate giù per la collina sperando – e pregando – di non bagnarsi troppo.
Era tornato a casa più bagnato che asciutto.
E dopo essersi dato una sistemata ai capelli - ed aver chiesto alla balia dei bambini di Rosa di preparargli un thé -, si era messo alla finestra. A fissare una città, la sua città, da un vetro rigato di gocce sbiadite di fumo. Si disse che forse doveva muoversi un po', leggere, ma non fu capace di spostare il culo di un solo centimetro. Gli sembrava di essere caduto in una specie di limbo senza fine. Sentiva le mani intrappolate dietro la schiena, le gambe molli contro le pressioni della fretta, dell'ansia e dei ritardi che ormai erano diventati tipici del tempo in cui viveva. La società si era trasformata nella tela ben costruita di un ragno. Lui, ovviamente, era la preda al centro.
Legata. Immobile. In attesa di, cazzo, nemmeno lui sapeva cosa. Una vita migliore, forse. Una vita da vivere, senza doversi sentire sbagliato ad ogni passo.
Si portò una mano sotto il mento, e si chiese di nuovo se per caso non fosse negli Stati Uniti, ciò a cui bramava con siffatto ardore. Aveva bisogno di un qualcosa che animasse la sua esistenza. Lo rendesse partecipe del mondo, e accettasse i suoi occhi di diverso colore, i suoi capelli bianchi, il suo tatuaggio senza dover per forza etichettarlo come "strano".
Qualcuno bussò alla porta, e Lysander accettò di buon grado quell'interruzione inaspettata, riscuotendosi dal torpore in cui tutto il suo corpo si era abituato a precipitare. Non ne poteva più di arrovellarsi su quanto fosse diverso. Poco ben visto. E su quanto si sentisse insoddisfatto di essere lì, così coinvolto da rappresentare il vuoto, e allo stesso tempo incapace di ostacolare il progresso di una città che lo aveva visto crescere insieme al fratello.
Era Rosa. Domandò il permesso, ma era già entrata quando il giovane le disse di poterlo fare. Il ragazzo si illuminò quando la vide. Erano passati diversi mesi dal funerale, ed era sinceramente contento di trovarla in stato migliore. Era tornata a cucinare, a sorridere, a farsi rispettare dai suoi numerosi figli, scalmanati e selvaggi nonostante la società imponesse alla famiglia di crescere dei veri e propri uomini. -Ciao Lys- lo salutò lei, e si tirò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lysander la trovò molto bella. Si domandò se per caso non provasse ancora qualcosa per lei, o fosse solo la rassegnazione di essersi messo da parte a fargli pensare quelle cose. -Come stai?
Fece spallucce. Era difficile spiegarlo. Non sarebbe bastata una vita. -Bene, suppongo.
Rosalya parve soddisfatta della risposta, e le sue piccole labbra si incresparono in una smorfia felice. Lysander sorrise; non ci teneva a darle altre preoccupazioni. Ne aveva già passate troppe, e l'ultima cosa che voleva era farla stare in pensiero, solamente perché gli andava di fare il disadattato sociale. -E tu?
-Meglio. Ehm...- la donna si portò le mani in grembo, un po' imbarazzata. -Ti cerca Leigh. Lo trovi nel suo studio, dice che deve parlarti di una cosa importante.
-Di cosa si tratta?
-Sinceramente non so dirtelo.. mi sembrava molto serio.
Lysander si levò dal rinfranco sotto la finestra e si diresse verso lo studio, le sopracciglia incurvate sotto la frangia sbarazzina che gli copriva la fronte saggia. Era curioso di sapere di cosa si trattasse. Ultimamente suo fratello non gli rivolgeva spesso la parola. Lo trovò chino sulla scrivania, le mani infilate tra i capelli nero notte e il corpo nascosto dietro muri di libri dall'aspetto piuttosto vetusto. Rosalya si appoggiò alla porta e sorrise dolce. -Amore, ti ho portato Lysander.
Leigh sollevò la testa di scatto, e quando vide il ragazzo i suoi occhi scuri si rilassarono appena. -Grazie cara.
Rosalya mostrò i denti, ma non si scansò dalla porta quando i due giovani si avvicinarono per parlare. Non aveva capito di dover smontare baracca. Che quella era una conversazione privata, tra fratelli Ainsworth, e che lei per la prima volta nella sua vita doveva starne fuori. Leigh sorrise malinconico dinanzi all'ingenuità della moglie. -Amore, ci lasceresti soli un attimo?
-Oh!- Rosalya si portò le mani davanti alle labbra baciate appena da un tenue rossetto rosa. -Certo! Scusate.
Chiuse la porta dietro di sé, canticchiando una ninna nanna per ammazzare il tempo, e Lysander si sentì solo in quella stanza, senza di lei. Si voltò timido verso il fratello, che aveva già mutato espressione, e per prendere confidenza con gli oggetti si mise a sfogliare un libro senza motivo. Le pagine erano così sottili da rischiare di spezzarsi. La luce resa scura dalle tende porpora gli impediva di capire cosa ci fosse scritto. -Non capita spesso di fare reunioni senza Rosa.- esordì, sorridendo appena quando il silenzio si fece pesante come il suo respiro. -E' strano senza di lei, non trovi..? O forse siamo strani noi, a pensare che sia lei il capo indiscusso della casa.- disse, e volle suonare come una battuta, ma Leigh non aveva voglia di umorismo. Non quel giorno. Lo invitò con un cenno del capo a prendere posto su una comoda poltrona imbottita di morbide piume d'oca. Lysander sprofondò nel velluto rosso, un po' interdetto mentre riponeva con cura il libro.
Si sentiva male. Non sapeva perché. Non gli piaceva quel silenzio.
-Rosa non deve sapere quello che sto per dirti.- sbottò Leigh, e la sua mano si posò con bruschezza sul legno liscio della scrivania. -Promettimelo, Lys.
Lysander lo guardò un po' incerto. Nonostante Rosa fosse una donna, e il vero capo della famiglia rimaneva Leigh, veniva sempre coinvolta nei problemi, quasi fosse una di loro. Era raro che dovesse per forza rimanere all'oscuro di una situazione. Con riluttanza annuì, anche se il motivo di quella scelta non sembrava volersi far capire. -Hai la mia parola.
-Mi fido di te.
-Ti conviene.
-Sei l'unica persona che..- il corvino fu sul punto di aggiungere altro, ma le parole gli morirono in gola quando un tuono interruppe la sua frase a metà. Guardò la finestra seminascosta dalle tende, poi tornò a fissare il fratello. Era così giovane. Lo guardava con i suoi occhi diversi, confuso, avvolto nel rosso di quella poltrona che faceva a botte violente col candore della sua pelle perlacea. Non era facile dire quello che voleva dirgli. Nemmeno per lui, il capo della più grande industria tessile di Liverpool. -Oggi sono andato al mercato.
Lysander strinse i bracci della poltrona, la schiena eretta. Non capiva. -Sì, me lo avevi già detto questa mattina. Almeno credo
-Ho anche detto che poi sarei andato a controllare la posta.
-S-sì.
-Beh, ho mentito.
Leigh lo disse con così tanta sfrontatezza, che Lysander ci rimase di merda, e le spalle gli si abbassarono di amarezza. Non era tipico di suo fratello mentirgli. Se lo faceva, di solito era per tenere Rosalya al sicuro, ma lui veniva sempre informato in anticipo di quel tipo di scelte, di modo che potesse stare al gioco e spalleggiarlo qualora la donna avesse deciso di controllare di sua mano. L'unica parola che gli uscì dalla bocca fu "perché".
Poi si preparò al peggio. Un incidente al lavoro. Un tradimento, oddio. Gli si incendiò il petto al pensiero che suo fratello avesse potuto potenzialmente essere il protagonista di una storia clandestina. Non glielo avrebbe mai perdonato.
Gli avrebbe impedito di avvicinarsi ancora a Rosa, o ai loro figli.
Ma, per fortuna, o sfortuna, non ci andò vicino nemmeno un po'.
-Sono andato a fare un salasso, oggi. Da un dottore privato. Niente mercato. Niente posta.
A quelle parole, Lysander si accorse che il fratello era pallido come un morto, e che aveva le braccia ricoperte di piccoli morsi arrossati laddove le sanguisuga erano andate a succhiare. Poi fu lui quello a perdere colore, quando realizzò che i salassi normalmente venivano applicati a persone malate, per espellere il danno. Si agitò a quella notizia.
Un pugno nero lo colpì al cuore, e fece più male del male stesso.
-Sì, sono malato, Lys. Sono malato terminale. Sai che vuol dire?
Scattò dalla poltrona, che finì a terra con un tonfo atroce. -NO!- gridò, e questa volta fu lui a sbattere forte la mano contro la scrivania. I libri saltarono, il piccolo mappamondo celeste si sporse dal bordo incerato d'oro, ma Leigh riuscì a prenderlo prima che potesse finire sulla moquette bordeaux. Lysander schiumava dolore da ogni poro. Respirava appena, spaventato come un cerbiatto in trappola mentre gli occhi si sgranavano di ansia intorno alla sclera arrossata. Si chinò per guardare il corvino in faccia, gli occhi iniettati di lacrime. -Dimmi che non è vero.. ti prego.- ridusse la voce ad un flebile sussurro. -Dimmelo, Leigh.
Leigh non parlò, ma Lysander lo fece parlare eccome, mosso da una paura immensa. Paura di perderlo. Paura di rimanere senza di lui. Paura di non riuscire ad essere pronto per la vita, e di rimanere bloccato lì per sempre. Gli sembrò di ritornare a quando aveva perso i suoi genitori, a quando si era ritrovato solo all'improvviso, devastato, traumatizzato da un mondo che si era andato sbiadendosi fino a diventare uniforme da ogni angolazione lo si volesse guardare. Credeva di essere diventato insensibile.
Di aver finito le lacrime, nel momento esatto in cui i corpi inermi dei suoi genitori erano finiti dentro due bare nere e lucide, sotto terra a marcire indisturbati.
E invece eccolo, così spaventato da tremare alla sola idea di perdere l'ultima persona che gli era rimasta cara.
Leigh.
Merda.
-I dottori non mi sanno dire cosa ho.- Ainsworth cercò di rimanere composto, a differenza del fratello minore. -Ma non è questo il punto. Tanto basta sapere che ho le ore contate.
-Oh, sì che lo è!- urlò Lysander, e Leigh gli accennò di fare più piano, per evitare che Rosalya sentisse anche solo un quarto di quella conversazione. E la situazione finisse in tragedia di teatro. -Lo è eccome, perché sei padre, e se te ne vai, lascerai la tua famiglia da sola! Sola, sola come noi due, quando mamma e papà... mamma.. e...
-Non finché rimani tu, Lys.
Lysander avrebbe voluto ribattere. Ma rimase in concitato silenzio, una lacrima che gli rigava selvaggia il volto divenuto rosso per lo sforzo. Pensare ai suoi genitori faceva un male cane. Credeva di averci fatto gli anticorpi, ma si sbagliava.
-Quando morirò...
-Non dire così... Leigh...
-Quando accadrà, a te spetterà il compito di prenderti cura di questa famiglia.- disse Leigh, e poi si servì un bicchiere d'acqua per scacciare l'angoscia che lo aveva preso alla gola. Lo offrì anche al fratello, che però tese una mano in segno di diniego. Non voleva bere un cazzo. Aveva bisogno di sedersi. Il suo corpo crollò sulla poltrona, così come tutte le sue aspettative riposte nel futuro. Un futuro lontano da lì, in America, a crearsi una vita libertina e ambire a diventare il migliore poeta del mondo contemporaneo.
Ora gli sembrava tutto impossibile.
Tutto un grande dolore, e sentì di voler sprofondare in quel male profondo e intenso. -Non puoi chiedermi questo.- fu l'unica cosa che riuscì a buttar fuori dalla bocca, la voce rauca e gli occhi secchi come un fiore senza vita.
-Lysander, Rosa non può prendere l'attività. Non può farcela da sola. E' una donna. Le impediranno di essere qualcuno, e per lei sarà un trauma dover scendere dagli allori in cui si trova. Dover vivere senza me. O senza te. Se posso risparmiarle qualche sofferenza, lo faccio senza pensarci due volte.-
Lysander non replicò, le iridi fisse ad osservare gli scaffali colmi di libri e ammenicoli antichi. Leigh lo capiva. Capiva che faceva male, che detto così era spaventoso, che sembrava impossibile per un ragazzo di appena ventidue anni. Ma quella era l'unica chance, al fine garantire a tutti una vita decente qualora se ne fosse andato all'altro mondo. E Leigh lo sapeva, sapeva che sarebbe successo. Purtroppo aveva un terribile sesto senso per la morte. -per questo motivo ti chiedo di prendere in eredità la mia attività. Sei un Ainsworth, e i miei figli sono ancora troppo piccoli per farlo. Sei l'unico che può salvare la mia famiglia.
Lysander allargò la bocca sconvolto, le spalle si irrigidirono come tronchi di legno a quella notizia.
-Non ora. A tempo debito.
Era uguale. Non cambiava. Suo fratello sarebbe morto, e lui si sarebbe ritrovato senza ali. Senza più una vita. Solo, e traumatizzato, in un mondo che sembrava voler procedere senza aspettarlo. -Non posso..
-Non è che puoi o non puoi, Lysander. Tu devi. E' un tuo diritto, e un tuo obbligo.- Leigh si scolò il bicchiere d'acqua. -da domani verrai alla fabbrica con me. Ti mostrerò e insegnerò tutto ciò che devi sapere.
Lysander non sapeva se gridare, o direttamente scoppiare a piangere da quanto era sconvolto. Rimase impalato come uno stoccafisso, incapace persino di emettere suono. Non voleva. Non aveva scelto quella vita per lui, per Rosa e i suoi bambini. Non era possibile finire incatenati in quel modo.
Perdere la libertà, e insieme a lei, il fratello. Il migliore amico, il compagno con cui aveva affrontato ogni singola tempesta, anche la più violenta.
Senza che ci fosse mai stato bisogno di una nave. Era la prima volta che provava tutte quelle sensazioni di terrore. Non era un tipo che si spaventava facilmente.
Si odiò per quella sua debolezza, mentre il dolore gli si iniettava nelle vene irte di paura e dubbi. -Non...- capì che non poteva rifiutare quel destino. Faceva male, ma non c'era via d'uscita.
Leigh andò avanti, imperterrito. -e poi, voglio che tu e Rosa diventiate marito e moglie, quando sarà arrivato il mio momento.-
Lysander chiuse gli occhi con dolore, quasi a volersi parare da uno schiaffo. Sposare Rosalya, solamente perché Leigh era morto.
La sola idea di commettere un affronto del genere gli faceva schifo.
Per quanto l'avesse desiderata, sognata, bramata con tutto se stesso, ritrovarsi dinanzi a quell'opzione gli accapponò la pelle di un fastidio mai provato. L'aveva amata. Dio, se lo aveva fatto. Ma aveva sempre rispettato i sentimenti di lei, e in primis quelli di suo fratello, altrettanto ardenti, concedendo loro di diventare la coppia che erano senza ostacolarli. Non ci aveva mai provato, anche se aveva avuto molte possibilità per commettere simile porcheria, primo perché avrebbe distrutto Leigh.
Secondo, avrebbe rovinato la sua amicizia con Rosa.
E teneva da morire ad entrambi per far così tanto male.
Ora che sarebbe dovuto accadere per forza, la cosa lo disturbava.
-E' solo per proteggere Rosa. E' una Ainsworth, ormai. Non accetterei nessun uomo come suo legittimo sposo, a parte te, Lys.
-Lei ti ama- sbottò Lysander. -Ti ama, e non accetterà mai di sposarmi solo perché sei malato!
-Prima o poi le parlerò anche di questo.
-Quando, quando sarai morto..?
-Quando sentirò che non c'è più nulla da fare per me. Lysander. Sai come è fatta, ma resta comunque una donna matura. Con te sarà al sicuro. Sei un Ainsworth, e avrai la mia azienda. Non dovrà temere nulla. E' solo per... per proteggerla. Dalla società.
-Non voglio sposare Rosa. Non... non voglio prendermi la tua vita, Leigh.- Lysander parlò con più calma, questa volta. Era rosso in viso, e sconquassato dal dolore. -Io... ho altri progetti. Voglio viaggiare. Voglio...
-Lo so, Lys.
-Quello che mi chiedi...
-E' troppo. Lo so.- Leigh si spinse in avanti, per poter guardare meglio suo fratello. -non sei abituato al peso delle responsabilità, perché me ne sono sempre fatto carico io. Ma solo tu puoi impedire che Rosa diventi una puttana, e i suoi figli, i NOSTRI figli, diventino servi di vecchi... vecchi...- gli occhi neri furono abbagliati da un lampo di rabbia. Rabbia per essere malato. Rabbia per aver scoperto di possedere i giorni contati. Rabbia, di dover scaricare tutto sulle spalle di suo fratello, senza il minimo preavviso. -Lysander.- parlò con più dolcezza, questa volta. -Non voglio forzarti, ma non mi rimane altra scelta che chiederti di prendere il mio posto. E so che è orribile, so che fa schifo. So che ti ho condannato. Ma non pensavo che sarebbe mai arrivata questa malattia mortale. E ti chiedo scusa, Lys.
Lysander provava talmente tanto dolore da non riuscire più a reagire. Non voleva perdere suo fratello, non voleva togliergli la ragazza che amava, dopo che entrambi avevano lottato tanto per creare la loro famiglia. Non voleva rinunciare alla sua vita, soltanto per non far crollare il suo importante cognome. Avrebbe dato per un paio d'ali.
Per fuggire lontano, su una barca a vela, con un bagaglio pieno di sogni e ottimismo. Il pensiero gli spezzò il cuore. Ma alla fine, dopo qualche minuto di silenzio, decise di accettare. -Sposerò Rosalya. Mi prenderò cura dei tuoi bambini, e dell'azienda.-
Leigh sgranò le iridi, sconvolto da quella reazione. Suo fratello era sempre solito ad assecondarlo. Ma quel tipo di condizione era completamente nuova, e devastante per entrambi. Lo avrebbe capito, se si fosse rifiutato di accettare l'incarico di nuovo patriarca, perché non era affatto facile. Non a quell'età, non con una vita davanti. Ma purtroppo, questa volta non aveva nessun'altra scelta che condannarlo. Ed era una cosa che odiava, dio, ma qualcuno lassù aveva deciso di tagliare la corda troppo presto. -Grazie, Lys. Te lo giuro, grazie.
Lysander si sollevò dalla poltrona con enorme fatica. Bevve dallo stesso bicchiere di suo fratello, cercò di lavare tutta la sporca amarezza che gli si era bloccata nella gola.
Poi lo posò sulla scrivania e uscì.
La porta sbatté con talmente tanta forza che il mappamondo vibrò vistoso, prima di cadere a terra.
Questa volta, Leigh non lo raccolse.

 

 
Era la seconda volta che cenavano in silenzio. La prima era stata dopo il funerale del piccolo, ma Lysander si era avidamente saziato di bacon e riso, mentre gli altri erano rimasti inermi sulla sedia a guardare i bicchieri vuoti, gli occhi gonfi di pianto e i respiri febbrili. Invece quella sera stava avvenendo l'esatto contrario, che ironia del destino. Gli altri mangiavano, affamati, e lui più guardava il curry raffreddarsi, più sentiva la voglia di vomitare. Le forchette rigavano i piatti di porcellana lavorata, i coltelli scintillavano sotto la luce del lampadario, mentre le bocche si muovevano concentrate sul sapore della carne e le patate.
Che schifo. Lasciò cadere le mani sulle cosce, stanco pur non avendo fatto niente. Stanco di pensare a come sarebbe cambiata la sua vita da domani, a tutto il tempo che aveva perso e non poteva più recuperare. Pioveva, ancora. Ma anche se prima o poi avrebbe smesso, Lysander avrebbe continuato a sentirne comunuque il fragore psichedelico nelle orecchie. Un pianto inifinito e pesante.
Rosa si accorse del suo piatto ancora pieno, della sua aria sfuggente, e lo guardò interrogativa mentre i bambini spezzavano il pane e se lo distribuivano con la conta. -Lys?
Lysander si scosse appena. -Rosa.
-Tutto bene?
La guardò, riluttante all'idea di doverla forzare a diventare sua moglie. Sperava che quel giorno non dovesse mai bussare alla loro porta, eppure lo sentiva già troppo vicino per i suoi gusti. Sentiva il suo fiato soffiargli sulla pelle della schiena. Un brivido gli rizzò i peli delle braccia. -non ho molta fame.
A quel punto intervenne Leigh, con i suoi capelli neri e la sua voce che non aveva voglia di scherzare. -Mangia.
-Non ho fame.
-Ringrazia dio che abbiamo tutto questo. Che abbiamo il pane, la carne, le patate e acqua potabile per tenerci tutti in vita. Perché molta gente non se la spassa affatto, là fuori. Devo portarti in strada, per fartelo vedere, Lysander? O preferisci un viaggio di sola andata per l'Irlanda?
Lysander non voleva essere portato in strada, figurarsi in Irlanda. Aveva già visto troppo. Ma non aveva fame, davvero. E avrebbe volentieri donato il suo curry a un poveraccio senza una cazzo di sterlina, pur di sbarazzarsi di quel senso di nausea. Del pensiero atroce che suo fratello presto sarebbe morto, nemmeno si sapeva per cosa, e tutto sarebbe crollato su di lui.
Rosa posò una mano sul braccio del marito, cauta. -Leigh, tesoro, lascialo stare se non ha fame. Evidentemente il mio curry deve essere venuto male.
Leigh ignorò la battutina. -Deve mangiare.
-Andiamo, amore! Non ha fame. Lascialo.
-Mangia, Lysander.
Rosa si piccò, corrucciando le labbra. Detestava non essere ascoltata. -Leigh, santo dio!- poi si rivolse al canuto, sorridendo dolce. -Lys, vuoi andare a dormire? Ti senti bene?
-Sta benissimo.
Ignorò la testardaggine del marito. -Mi sembri molto stanco.
-No, no.- Lysander agguantò la forchetta con un sorriso tirato. Avrebbe mangiato. Anche se lo stomaco era chiuso, anche se si sentiva a pezzi. Non voleva vederli litigare per uno stupido curry. Dovevano godersi ogni istante insieme. -Ora mangio. Ha un profumo delizioso.- avvicinò il primo boccone alla bocca, e giurò di vomitare lì su due piedi. Ma non fu lui a rimettere.
Fu Leigh, che dopo due tremendi colpi di tosse gettò chiazze di sangue sulla tovaglia cucita da Rosalya stessa. Lysander lasciò cadere la forchetta, mentre la donna agguantava suo marito per le spalle gridando il suo nome. -Leigh!-
Il corvino strizzò gli occhi e se la tolse dolcemente di dosso. -Vado un attimo in bagno.- si alzò, diretto alle medicine, ma lei gli sbarrò la strada. -dimmi che hai!
-Devo essermi morso la bocca, non so... Rosa, arrivo. Togliti su. Ho bisogno di vedere dove mi sono fatto male.
Rosa non si tolse, ovviamente. Così Lysander si vide costretto ad intervenire, per riportare la situazione all'apparente calma di prima. La prese per un polso e la tirò con cautela indietro mentre Leigh scappava su per il primo piano, una mano premuta incessante sulle labbra. La ragazza tentò di seguirlo, perché era spaventata, ma poi si arrese all'evidenza che la presa di Lys era davvero portentosa. Si lasciò cadere sulle sue ginocchia, e si mise a fissare le macchie di sangue che suo marito aveva esulso dalla gola. Erano così rosse da fare male. Lysander la strinse e le posò il mento sulla spalla, pensieroso. Sapeva, ma non avrebbe parlato. Avrebbe mantenuto fede alla promessa fatta al fratello, anche se la tentazione lo accarezzava come poche. -Rosa, non ti preoccupare.
Rosa non lo ascoltò, quasi arrabbiata nei confronti di quelle chiazze.
-Si sarà infettato con qualcosa. Tranquilla, coraggio. Non farti vedere agitata dai bambini.
-Parte sempre così.- sbottò lei, irritata, ma sorrise ai suoi figlioletti impressionati. -Un'infezione... che poi diventa morte. Voglio sapere che ha.
-Rosa, Leigh è in formissima. Non dire stronzate. Non ha niente.
-Anche il mio ultimo figlio era in formissima. Non aveva niente. Pisciava, mangiava e piangeva come tutti i bambini. E poi me lo sono ritrovata morto.
Lysander le prese il mento tra due dita e la costrinse a guardarlo dritto negli occhi. -Rilassati, Rosa. Va tutto bene. Leigh non ti ha mai nascosto niente, se c'è un problema te lo avrebbe riferito.
Rosalya parve rassicurata da quelle parole, perché Rosalya si fidava. Di Leigh, e di Lysander, anche se le stavano brutalmente mentendo. E questo faceva male. A Lysander, faceva male, che alle bugie era intollerante, e non sopportava di dover raccontare frottole all'unica amica che aveva mai avuto in tutta la sua vita.
-Sì, ma...
-Ma niente.- le disse, e per farla felice mandò giù un po' di carne. Era buona. Ma fredda. -amo il curry. Amo come lo fai te.
 
 
______________________________
nda
ok, eccomi qui col secondo capitolo, come promesso.

Iniziano i problemi per Lysander, a cui purtroppo spetta prendersi carico di una vita non sua, quando in mente aveva ben altri progetti che quelli di diventare capo di un'azienda, futuro marito/compagno di Rosa -anche se ehi, love is in the air- e possibile padre dei suoi nipoti. Non vi faccio anticipazioni, ma sappiate che sarà sempre peggio per lui, perché oltre ad essere un tipo delicato e sensibile, a questo dramma familiare si aggiungeranno altri brutti avvenimenti che scoprirete solo leggendo, e che lo devasteranno da un punto di vista emotivo e mentale >>. Leigh e Rosa avranno un ruolo fondamentale all'interno della storia; sono la famiglia di Lys e non mancheranno di intervenire, in particolare il fratello di quest'ultimo. Credo di essere la prima persona a dare una personalità a Leigh lol. Amatemi.
La faccio breve, personcine, perché l'editing mi sta facendo impazzire e tra poco vomito gli occhi dal nervoso (?). Spero che il capitolo vi sia piaciuto, shippate pure a gogo perché ci saranno esplosioni anche in questo campo, ehehe.
Vi saluto, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo aggiornamento!

 
Lila

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Capitolo 3
*** iii. ***


 


iii.
 
 
L'atmosfera era elettrica, intorno agli enormi cancelli della "Ainsworth's fabrics". La grande azienda industriale si trovava poco distante dal centro di Liverpool, ed era facilmente accessibile grazie al fatto che una delle arterie più trafficate della città le passasse esattamente ai lati. Taxi e auto vomitavano i loro fumi sull'asfalto rovente, nonostante la pioggia di ieri lo avesse rinfrescato e ripulito, e acqua piovana sporca di lerciume scorreva monotona lungo gli acquedotti aperti che costeggiavano la via, da cui si levava un lieve tanfo di urina.
Insomma, un trafficato via vai di carrozze e auto, con un pizzico di profumo naturale. Un inferno.
Lysander posò lo stivale destro proprio nel cuore più profondo di una pozzanghera, ma non si curò più di tanto del tremendo alone nero che gocce d'acqua gli lasciarono sulla punta di pelle appena lucidata. Pagò il cocchiere, si sistemò il frac aderente e si lisciò i capelli sotto il cilindro nero. Poi si preparò per entrare nella fabbrica di suo fratello.
Nella sua di fabbrica, anzi.
Nella sua nuova vita.
Attraversò senza guardare, correndo veloce per evitare di finire preso sotto come capitava spesso con cani randagi e altri animali più scheletro che pelo. Arrivato alla sponda opposta della strada, guardò l'orologio da tasca che segnava l'ora decima del mattino, aprendolo con uno scatto automatico del polso guantato di bianco. Se l'era presa comoda, quel giorno. Sarebbe dovuto essere lì molto prima, ma Leigh gli aveva concesso l'onore di presentarsi entro l'arco della mattinata, visto che non era ancora l'effettivo capo della grande industria tessile. Sollevò il capo, e un refolo di vento giocherellò col ciuffo che portava spettinato sulla fronte, scoprendo gli occhi eterocromatici abbagliati dal sole terso di ottobre. Era enorme. Non l'aveva mai vista, nonostante portasse il suo cognome, e ritrovarsi faccia faccia con i suoi muri di mattone grigio lo lasciò instabile sulle gambe lunghe. Percorse i quattro grossi camini, la zona recintata, le poche finestre a ghigliottina che facevano passare dentro appena un filo d'aria. Non sapeva se voleva davvero entrare. Se voleva davvero diventare il capo di quella cosa. Ma poi pensò alle condizioni di Leigh, al sorriso di Rosa e ai suoi nipoti.
E si convinse a darsi una sbrigata, il cuore nascosto tra la gola e la ascot tie smeraldina che gli cingeva il collo in un'elegante morsa di buon gusto.
Si aggrappò alla maniglia, la aprì, e una zaffata di calore gli cavò il respiro. Quando glielo restituì, insieme alla capacità di adattare la vista al buio afoso della fabbrica, un'armata di schiene curve su macchine da cucire si allargò ovunque tentasse anche solo di posare lo sguardo.
Erano donne, osservò sbigottito, contro il muro.
Concentrate e frettolose, passavano sotto l'ago tessuti di grandi e piccole dimensioni, attente a non perderci le dita e inondare tutto il ripiano del loro sangue. Un altro reparto si occupava invece della tintura, dedusse, laddove dalla porta semichiusa sbucavano ragazze con tra le braccia chiazzate di colore grandi secchi bianchi; non vi era la minima presenza di uomini, se non per lui e alcune guardie che stavano a sorvegliare l'operato con le braccia incrociate al petto. Chiese ad una di loro dove si trovasse Leigh, e questi lo scrutò come se fosse uscito da una fiaba per bambini. Lysander si lasciò osservare apatico. Era abituato a quel genere di cose. Degli sguardi indiscreti ne aveva fatto la sua arma vincente. Seguì le indicazioni, e dopo una fila di scale di ferro riuscì a trovare l'ufficio del corvino. Si gettò al suo interno, con tanta voglia di vederlo.
Il rumore delle macchine sparì, scemando silenzioso dietro la porta di legno spesso. C'era un ordine maniacale in quella stanza. Tutto molto differente da ciò che si trovava al di fuori.
Leigh sollevò il capo da alcune pratiche illeggibili, lieto di essere appena stato salvato da quello che sembrava essere aramaico antico. -Oh. Sempre con comodo.- disse, e sorrise raggiante.
Lysander si portò le mani al volto, per placare gli improvvisi ansimi che avevano cominciato a sollevargli il petto inamidato in una splendida camicia di lino bianca. Gli pareva di aver appena corso sette chilometri senza mai fermarsi, e invece aveva semplicemente attraversato un corridoio. Un corridoio pieno di donne dalle mani sporche e il volto tirato di stanchezza.
-Allora?- la voce di Leigh lo riportò alla realtà. Non che fosse così bella da volerci ritornare, chiaro. Ma Lysander aveva vissuto troppo tempo nel mondo dei sogni, e sbattere il muso in quel modo era servito a fargli brutalmente capire di aver, ahimé, sprecato solo ventidue anni di vita. -Non si respira qui dentro- si tolse il cilindro e lo rigirò tra le mani quando Leigh scoppiò a ridere. Era imbarazzato. Non sapeva che dire. Non era quello il mondo a cui aveva aspirato, e non pensava di avere le palle così grosse per poter prendere le redini al posto del fratello.
Non sarebbe mai stato alla sua altezza. Nemmeno voleva esserlo. Voleva solo vederlo vivo. Morire al posto suo, se fosse stato possibile.
-Come sta Rosa?
-Bene, l'ho lasciata che raccontava una storia a Emma.
Emma era la loro figlia più grande. Aveva otto anni e lunghi capelli neri, e la cosa più splendida del fatto che fosse donna, era che Leigh era riuscito, sborsando una quantità industriale di sterline, a farle avere persino un'istruzione privata, di modo che potesse imparare a leggere, scrivere e contare proprio come una vera Upper Middle Class woman. Non c'era niente di più bello che saperla già avviata. Era un padre ammirevole.
Lysander avrebbe sofferto da morire la sua mancanza. Non sarebbe mai riuscito a ripristinare l'assenza del suo essere semplicemente Leigh. Mai.
Il corvino si alzò dalla sedia e lo raggiunse a passo lento, incrociando le gambe snelle infilate in comodi pantaloni blu. -Perfetto.
-E tu come stai?
-Non lo so. Non lo so più, non so nemmeno quando accadrà.
-Leigh...
-Lysander, non ti preoccupare adesso. Ricordati quello che ti ho detto ieri. Il tuo compito è un altro, impostati su quello. Non riuscirai mai a crescere, se ti lasci andare ai sentimentalismi in questo modo.
-Leigh, io... io non...
-Portare l'azienda, così come stai facendo, sarà difficilissimo se non impari ad atteggiarti da leader. Inizia da ora, Lys. Non devi perdere tempo a pensare a me. Intesi?
Come se fosse facile, pensò Lysander, distrutto dalle parole bestiali e maledettamente vere del fratello. Sapeva che se non cambiava modo di fare sarebbe saltato tutto in aria. Sapeva, che quando sarebbe arrivato il momento, le sue spalle sarebbero dovute rimanere in piedi per permettere a tutta la famiglia di aggrapparvisi. Ma concentrarsi su altro consapevole di perdere il fratello, era impossibile.
Si guardarono, incerti sul domani, e il minore colse un tenue guizzo di paura negli occhi mandorlati dell'altro. Prima che potesse scoppiare in lacrime, però, questi ritornarono della loro tetra pece, e tutto si bloccò in quel nero destinato a spegnersi per sempre. Si era trattato di un momento solo. Eppure, era stato peggio di una visione spettrale nel pieno della notte.
-Ti mostro la fabbrica.- fece Leigh, e spalancò la porta. Il baccano s'impossessò di nuovo delle orecchie di Lysander, che si portò le mani sulle orecchie e strizzò irritato l'occhio verde, per cercare di ridurre l'atroce cacofonia.
Una lacrima si staccò dalle sue ciglia, ma ne ignorò il tremolante andamento irto di dolore, portandosela via con la manica abbottonata del frac. Non era quello che voleva Leigh.
Sarebbe diventato il leader che voleva, e avrebbe cominciato da oggi.
-Seguimi.

 

La schiena bolliva sotto le pieghe del vestito, le mani erano gonfie, callose, ma niente sembrava volersi arrestare nel suo meccanico modo di fare. Il cuore batteva veloce, la mente fresca rimaneva concentrata sul tessuto, sulla sua morbidezza e la sua elastica estensione. Alice lo tastò attenta, carezzandolo con tocchi decisi, e quando fu sicura che non presentasse nessun tipo di imperfezione lo imbevette per intero all'interno di una grande vasca verde. Lo mescolò con un bastone di legno, per far si che il colore aderisse in ogni fibra, e infine lo ripescò dall'acqua facendo leva con la schiena. Salì su uno sgabello traballante, lo gettò su un filo che attraversava la stanza da una parete all'altra, lo fissò con delle mollette e scese. Poi, la gola secca e le braccia doloranti, si perse ad osservare le gocce colorate pendere dai bordi appena cuciti e imbrattare i cartoni al di sotto. Era la ventesima tela che emergeva.
Ne rimanevano ancora centosette. Aveva una sete atroce, e le tempie bruciavano, ma non si sarebbe fermata solo per un futile mal di testa. Era grata di poter lavorare. Di poterlo fare lì, soprattutto, dove nonostante le ore interminabili e il discutibile salario, non subiva alcun tipo di abuso. Il capo era buono. Si chiamava Leigh Ainsworth, la trattava con rispetto ed era puntuale nei pagamenti mensili. Non avrebbe mai potuto chiedere di meglio, da una società che non conosceva il senso del rispetto, quantomeno del limite. Per quello si impegnava, in tutto, anche in piccolezze da principianti, che fosse pulire i bagni o portare un nuovo gomitolo ad una collega; non voleva rischiare il posto, dopo che aveva subito di tutto per meritarselo. Aveva bisogno di soldi.
Aveva bisogno di soldi, per realizzare un sogno importante. Segreto. Vitale.
L'America. Lì voleva andare, lì voleva fuggire. Dove i diritti erano uguali per tutti, e ogni voce veniva ascoltata, senza distinzione di sesso, di razza. Nessuno poteva toglierle quella piccola fetta di libertà. Il cammino era ancora lungo, ma dentro il barattolo le sterline aumentavano. E con loro, la sua voglia di partire per sempre verso il nuovo occidente.
Si voltò per raggiungere la seconda tela bianca, motivata dal suo incalzante desiderio di avventura e stabilità, ma a catturarle l'attenzione fu la presenza di una compagna proprio a pochi metri di distanza da lei. Alice non si fermò fino a quando questa non le venne talmente vicino da innescarle un moto di irrefrenabile curiosità dentro al petto. Perché era lì? Sembrava piuttosto nervosa, come se avesse incrociato il cammino con qualcosa di altamente disturbante. -ti serve qualcosa, Peggy?- chiese, ma la ragazza la zittì con un sibilio della lingua. La solita stronza. Pretende di essere notata, poi ti manda a cagare. -Non lo sai? Il fratello di Leigh è qui in giro.
Leigh aveva un fratello? La notizia lasciò stupita Alice, che intanto si era spostata per intingere la tela in una vasca di colore rosso. -Oh. E quindi?
-Come sarebbe a dire "e quindi"?! Alice, per dio!
Alice fece spallucce, un po' confusa. Anche lei aveva tre sorelle, e non era mica da farne un caso capitale. Al contrario, era raro essere figli unici; serviva forza lavoro, servivano i soldi, per poter condurre una vita quantomeno decente mentre si riponeva fiducia nel progresso. Non c'era tempo di pensare al dolore di un parto, o a tutti i problemi – e le rotture – che ne susseguivano. -Peggy, non ho tutto il giorno- immerse il bastone e iniziò a girare, paziente. -Arriva al dunque.
-Davvero non sai cosa si dice sul fratello del capo?
-No, non lo so.- fermò il movimento, solo per guardare l'amica con irritato scetticismo. -ti sembro una che lo sa?
-No, ma tu non sai mai un piffero, figurati.
-Ah. Allora informami, visto che ci tieni tanto.
Peggy la raggiunse, prese una tela dalla pila e la immerse di cattiveria in una vasca viola, sollevando schizzi colorati ovunque. Alice batté le ciglia, interdetta. Beh, quando voleva sapeva persino essere altruista. -Si dice che sia un tipo strano.- iniziò l'altra, e si armò di un bastone per affogare il tessuto in fondo alla vasca.
-Chi te lo ha detto?
-Fammi finire col racconto, almeno.
Alice stese la seconda tela e decise che se non le avrebbe prestato attenzione anche subito, Peggy l'avrebbe annegata nel colore di lì a pochi istanti. -Quel tipo, quel... coso, è strano. Ha due occhi di colore diverso. Ha i capelli bianchi, ma non è vecchio. E' giovanissimo. Ed è... inquietante. Alcune mie amiche lo hanno visto passare e sono venute a riferirmi cosa si racconta su di lui. Vuoi saperlo?
-No.
-Lo sapevo che eri interessata. Mettiti pure comoda.- Peggy lanciò – letteralmente – la tela sul filo, quasi spezzandolo, e una scia viola porpora finì sulle lentiggini nasali di Alice, che tuttavia non si mosse di un millimetro quando fu travolta dall'ondata di colore. Non si sforzò nemmeno di pulirsi con la manica, il nasino arricciato e l'espressione in preda ad un'atroce crisi di nervi.
Era sempre così. Peggy arrivava, prendeva e distruggeva tutto. Chi ci finiva in mezzo? Ma lei, ovvio che sì.
-Ha un occhio verde, e uno giallo.-
Si indicò. -anche io ho gli occhi gialli, che vuol dire?
-Senti qua. Quello verde, serve per controllare quello giallo.
-Cioè- chiese, tornando svogliata al suo lavoro.
-Cioè, che quello verde tiene a bada la sua doppia personalità- la voce di Peggy si ridusse ad un flebile sussurro mentre si entrava nel fitto della narrazione. -una personalità violenta, rude, manesca.-
A quelle parole, Alice si voltò lentamente. Mossa dalla paura.
-Spesso mi chiedo cosa ci accadrebbe se la fabbrica finisse sotto le sue mani.
-Non accadrà mai.
-E' quello che circola ora sulle bocche delle compagne.
-Mai.- sbottò, e quando si accorse di avere la gola in preda ai tremiti si promise di non parlare più di quell'argomento. Non sapeva perché, ma la cosa aveva cominciato a metterle una sorta di lieve suggestione. La sola idea di cambiare capo la terrorizzava. Sapeva che il destino di una donna all'interno di un'industria non serviva solo per velocizzare il lavoro. Aveva sentito di ragazze che finivano violentate sia dal capo che dalle guardie, e più di una volta la cosa terminava nel peggiore dei modi. Incinta. E quindi addio lavoro, addio prospettive migliori di vita. Addio ad una dignità sudata e conquistata con fatica, solo per finire arrotolata sotto un ponte. Non era bello, non conosceva la sensazione.
E non ci teneva assolutamente a provarla. Per questo adorava Leigh. Era severo, ma giusto, e rispettoso. Poteva, per colpa delle leggi. Eppure, non faceva. -Intendi dire che questo tipo è...- non volle finire la frase. Si rifiutò di farlo, mentre la sua mente riproduceva l'immagine del misterioso fratello.
-Così dicono. Se ti guarda col suo occhio giallo, meglio che ti uccidi.- Peggy si strinse nelle spalle. -E' maledetto. Tutto il contrario di Leigh. E'... è pazzo. Tipo, ho saputo che da piccolo si divertiva a prendere i conigli della fattoria della madre e sgozzarli.
Alice si portò le mani al collo, trasportata dall'incalzante racconto che pendeva dalle labbra dell'amica come oro colato.
-Ci trovava gusto. Gli piaceva, e non ha perso il vizio. Ha un feticismo estremo per i corpi morti, poi. Pensa, potrebbe ucciderti e violentarti, piuttosto che fare il contrario. Non so cosa sia peggio. Non... non ci voglio nemmeno pensare.
Impallidì dinanzi a tanta schiettezza, e ogni fibra del suo corpo smise di lavorare. Sperava davvero che le voci fossero false. Eppure, secondo il reportage di Peggy, pareva il pensiero comune di molte lavoratrici. Si accorse di avere paura, e si strinse un polso con energia per mantenere il controllo di sé stessa. Non credeva nelle favole.
Ma ai pazzi ci credeva, eccome. Li vedeva tutti i giorni. Per la strada, attaccati alla bottiglia, a barcollare per le taverne gridando frasi di Shakespear mentre la notte calava su di loro quasi a volerne nascondere la vergognosa presenza.
-La cosa che mi spaventa di più, Alice, è che si trova qui.
Decisero che sarebbero rimaste vicine fino a quando il temuto ragazzo dagli occhi diversi non se ne sarebbe tornato da dove era venuto; in quella stanza avevano tutti gli strumenti per difendersi. Bastoni, vasche piene d'acqua. L'avrebbero colpito, poi affogato insieme qual'ora fosse scattato l'allarme di emergenza. Leigh le avrebbe capite. Leigh, le avrebbe difese. Si misero d'accordo sul lavorare a testa bassa, così se il tipo fosse passato, non le avrebbe notate. Né col suo occhio verde, né col suo occhio giallo.
Il caso volle che dopo un quarto d'ora il tipo passò, ma affiancato da Leigh.
-Questo è il reparto di tintoria-
Alla voce del capo, Alice e Peggy si scambiarono un'occhiata impanicata, mentre un senso di angoscia scendeva fin nelle viscere sconquassate d'ansia; erano al sicuro. Forse. Non lo sapevano, e nel dubbio si persero in mezzo al potere ipnotico dei colori.

 

Due ragazze immerse nella tintura di due lunghe tele si presentarono dinanzi agli occhi spenti di Lysander quando Leigh, con una mano abbronzata, gli indicò il reparto e si fermò per permettergli di ricordarsi la strada che avevano percorso l'uno accanto all'altro. -Dall'ufficio è più difficile da raggiungere, ma dall'ingresso è un attimo. Solo che il tuo tempo da capo lo dovrai passare quasi sempre col culo sulla sedia, a firmare scartoffie, e quindi è meglio che ti impari questa strada.
Lysander annuì distratto. Faceva schifo quell'industria. Era noiosa, monotona, torrida e dai muri impegnati di un discutibile lezzo di sudore mischiato a saliva. Più camminava tra i suoi dedali buii, più si rendeva conto di quanto la sua vita fosse finita a rotoli. Il giorno prima era tutto malinconicamente perfetto. Quello dopo, gli sembrava di essere scivolato nella tana di una talpa. Stava per perdere suo fratello, e per diventare l'uomo "schiavo della società" che aveva sempre cercato di evitare. Era allucinante, e si portò una mano tra i capelli, sbuffando di visibile dolore. Senza Leigh, non era affatto pronto ad andare avanti. -D'accordo.- disse tuttavia, mantenendo a freno il profondo senso di dolore. -Lo farò.
Ovvio che lo avrebbe fatto. Era suo fratello, la sua famiglia. Avrebbe dato la vita per loro, pur di rinunciare alla sua.
Solo, faceva male.
Così, all'improvviso. Buttato in una scomoda realtà fatta di conti e catene. Non ci era abituato. Affatto. Non era abituato a niente, senza Leigh.
-So che ti fa schifo. So che non sei il tipo da queste cose, ma...- il corvino abbozzò un sorriso dispiaciuto, e Lysander sentì lo struggente bisogno di abbracciarlo. Un'ultima volta, e tenerlo per sempre con lui. Senza mai farlo andare via. Perché Leigh non poteva andare via. Non dopo che anche mamma e papà lo avevano fatto, costringendoli a trasferirsi in città e cercare fortuna con tutto il poco che avevano. -pensa, potrai scrivere le tue poesie mentre passerai il tuo tempo ad annoiarti. No?
-Lo farò.- sussurrò piano, abbassando le spalle. E poi i suoi occhi si addolcirono come una zolletta di zucchero immersa nel thé nero quando pensò a Rosa, ai bambini. E a quanto sarebbe stato bello poterli coinvolgere nei suoi piccoli testi d'amore, una volta che sarebbe diventato il nuovo "Leigh". Gli venne una fitta al cuore, ma cercò di mostrarsi forte come ieri a tavola. -Le farò leggere a tutti.- represse un moto di lacrime. Non poteva diventare vittima del dolore, non ancora. O non sarebbe mai riuscito a donare a quella famiglia un futuro felice. -Parleranno di te.
-Lysander...
-Mostrami il resto, Leigh. Insegnami tutto.
Gli occhi di Leigh brillarono, e i suoi piedi ripresero a camminare in mezzo a macchine che ormai aveva imparato a conoscere a menadito. Lysander si apprestò a seguirlo, quando il suo occhio dorato si accorse di una piccola figura fissa a guardarlo.
Lo mosse in sua direzione, e la ragazza in questione reagì con uno scatto nevrotico delle spalle, incapace di interrompere il contatto visivo. Era paralizzata, se dal terrore o dallo stupore di vederlo, questo il canuto non seppe dirselo. La osservò, le osservò i lunghi capelli castano cenere raccolti in una crocchia disordinata, per poi soffermarlesi un attimo sul viso. Guardò stranito le buffe lentiggini da bambina, la gigante chiazza viola che si estendeva dal naso alle labbra, passando per gli occhi gialli e colorandole un po' di vestito. Si chiese perchè non si fosse data una sciacquata. Che avesse da guardare, poi si ricordò di essere lui quello strano, tra loro.
Di non essere Leigh.
E allora capì, che doveva davvero fare paura.

 

Alice si era ripromessa di non guardarlo. Di non darci la benché minima, microscopica attenzione, ma poi il fratello del capo si fermò dinanzi a lei e Peggy, e si mise a parlare con lui in fitto inglese britannico. E allora sollevò le iridi gialle, attirata dalla sua figura slanciata e nera di cui tanto si andava sparlando. Era proprio come lo aveva descritto l'amica. Aveva davvero i capelli bianchi, bianchi come quelli di un vecchio, così lunghi da finire nascosti dentro il colletto ordinato della camicia di seta. E aveva davvero gli occhi di colore diverso. Dio, erano veri pure quelli. Solo che, dalla posizione in cui si era messo, riusciva solo ad intravedere quello verde, seminascosto da un lungo ciuffo di capelli che si estendeva sinuoso fino alla mandibola tesa come la corda di un'arpa. Alice era terrorizzata da quella caratteristica. Non la poteva vedere. Ma la poteva sentire.
Il ragazzo si voltò all'improvviso, perfettamente conscio di essere osservato, e il suo giallo diabolico fece breccia negli occhi della giovane, con la precisione di una lama affilata.
Alice rimase immobile, le mani immerse nel colore. Ma non pensò alla maledizione. Non pensò al fatto che, con molta probabilità, quel tipo avrebbe potuto pure violentarla in un vicolo cieco. Anzi, prima uccisa, poi violentata.
Pensò solo che era bellissimo. E che lei stava facendo davvero una pessima figura, con tutto quel colore sul naso.
Sembrava una piccola stella. Aveva un portamento, un eleganza atroci. Era alto, vestiva bene e pareva che niente potesse rovinarne l'aspetto pulito e astratto da dandy ribelle. La pelle morbida brillava sotto le luci a gas dell'industria, la frangia lunga gli carezzava il naso a punta e la fronte pallida. Aveva l'espressione cordiale, gentile. Sembrava distrutto da qualcosa, ma era ammirevole la forza nel continuare lo stesso a camminare a testa alta.
Si guardarono, e poi lui decise che ne aveva a sufficienza di farsi ammirare. Tornò da Leigh, muovendosi svelto sugli stivali alti.
Alice lo fissò fino a quando le sue spalle larghe non sparirono dietro la porta, e tutto il suo mondo tornò ai colori, al lavoro, alla leggenda del necrofilo.
Il suo cuore perse qualche battito quando le mani riemersero dalla vasca. Non sapeva che provare.
Avrebbe voluto osservarlo ancora un po'.
Peggy, d'altro canto, era incazzata nera. -ALICE, sei cretina o cosa?!
-Peggy...
-Ti avevo detto di non guardarlo!
-Ma c'era  il signor Leigh e...
-E cosa?! Ti ho vista, sembravi imbambolata! Di, ragazzina, te le cerchi!
Alice non rispose. Era rimasta all'occhio verde, o forse a quello giallo. Non lo sapeva. Sapeva solo che era la prima volta che vedeva un difetto genetico tanto evidente.
E la cosa buffa, era che le era persino piaciuto.
 


 
Quella sera, Lysander decise di aiutare Rosalya a cucinare. Leigh non aveva fame, e si era chiuso nella camera matrimoniale per dormire, lontano dagli schiamazzi dei quattro figli che giocavano a rincorrersi tra le sedie e i mobili intasati di foto, in attesa della cena. Il suo religioso silenzio aveva lasciato interdetta la moglie, alla cui vista era solito reagire afferrandola per il viso e baciandola in ogni dove. E, ovviamente, Rosa si era incazzata quando Leigh, al posto di riempirla di effusioni, l'aveva scostata di mezzo ed era sparito oltre le gradinate a spirale, mandando a puttane il loro rito amoroso. Non era tipico del suo uomo saltare la cena con la sua famiglia. Non salutarla. Fregarsene dei bambini, ritirarsi a letto e serrare le tende fino all'indomani. La cosa l'aveva freddata e lasciata immobile dinanzi alla porta aperta, a chiedersi se per caso non avesse combinato un qualche strano pasticcio di cui non era al corrente.
Il muso era durato fino a quando Lysander, che aveva assistito in silenzio alla scena, non le aveva posato le mani sulle spalle, invitandola a cucinare insieme a lui. Allora la rabbia muta di Rosa era scivolata via, e con lei la cupa atmosfera che da un paio di giorni si respirava nella villa.
-Com'è andata in fabbrica?- chiese, tirando fuori le pentole mentre la voce petulante della balia strillava i nomi dei bambini uno ad uno, ordinando loro di darsi una calmata. Emma, Leigh Junior, Victor e Henry, come da copione, se ne fregarono di lei, e continuarono con i loro disastrosi inseguimenti. Rosa li guardò con un sorriso disperato, poi tornò a rivolgere le attenzioni a Lys. La risposta non arrivò. Così lo colpì al braccio, cercando di riscuoterlo. -Lysa, non ignorarmi pure tu!
Lysander si strinse il naso tra il pollice e l'indice, gli occhi chiusi e stanchi. -Scusami, ero immerso nei miei pensieri.
-Com'è andata in fabbrica? Non mi racconti niente?
Fece spallucce, e afferrò le posate per apparecchiare. Mise un piatto anche per Leigh, affettuoso quando lo posò con cura sulla tovaglia; sapeva che aveva fame. Cercava semplicemente di assicurarsi la salute, almeno nei momenti con la famiglia. Per farlo, doveva essere solo. Rosalya questo ancora lo ignorava. -E' grande, ha un sacco di reparti. Non mi stupisco che sia la migliore di tutta Liverpool. E le ragazze lavorano bene. Avrebbe solo... solo bisogno di più finestre, per illuminare e arieggiare. Ma mi rendo conto che, per essere una fabbrica, è già molto più all'avanguardia di altre.
Rosalya era molto soddisfatta della risposta, e come contraddirla. Era l'industria tessile del suo uomo. Non poteva che esserne orgogliosa. -Ti piacerà lavorare lì, vedrai. Così potrai mettere da parte dei soldi per andare in America, come mi dicevi tempo fa! Certo, avremmo potuto darteli noi, ma almeno così li guadagni di tuo sudore. E' più gratificante, non trovi, Lysander mio?
Lysander sentì le ginocchia cedere, nell'udire quella frase pronunciata con tanta contentezza. America. Quale America? Il suo destino era lì, con lei e quei quattro scalmanati in sala. Non c'era proprio nessuna America. Non più. C'era che Leigh stava morendo, cazzo, e Lys gli sarebbe stato vicino fino alla fine del mondo. I soldi che avrebbe guadagnato in qualità di capo, li avrebbe spesi unicamente per il bene della famiglia.
Fine. Non voleva sentire di progetti come quelli. Lui aveva giù bruciato tutto.
-Lysander?
-S-sì, davvero gratificante.
Rosalya aggrottò le sopracciglia perplessa. -Vuoi ancora andare in America, vero?
-Certo.
-Ah, ok. Sarà meglio per te caro.- poi i suoi occhi gialli si spostarono allegri dal volto del canuto, al piatto in più che sorgeva a capotavola. Divenne rossa di rabbia, e si aggrappò al ripiano della cucina, indignata. -Leigh non mangia!- lo urlò così forte che i bambini si voltarono, arrestando la loro corsa pazza uno dietro l'altro. -Togli quel piatto!
-Leigh mangia. O meglio, mangerà. Quando gli verrà fame. Lo lascio qui, così nessuno si dovrà scomodare dopo.- replicò Lysander asciutto, e si mise in difesa del piatto come avrebbe potuto difendere un povero indifeso.
Rosa lo guardò male, anzi, malissimo, poi gli diede di spalle e sfogò tutte le sue frustrazioni nel pesce che aveva messo a friggere sulla pentola incrostata di nero. Quando si degnò di nuovo di guardarlo, stava schiumando di rabbia. -Che hai pure tu?!- strillò, sbattendo la pentola contro i fornelli in fiamme. -Vi state tutti comportando in modo strano in questa casa..!
Lysander comprese che Rosa si era accorta di qualcosa. Che non riusciva ancora a definirlo nella sua testolina viziata, e che quel blocco fatto di punti di domanda la stava mandando in bestia completa. La affiancò e le posò una mano sulla spalla, per rincuorarla. Lei la smosse, ma Lysander aumentò la forza della presa. Non voleva vederla così, dio, gli faceva un male cane. -Non ho niente, io. Nessuno si sta comportando in modo strano. Leigh non ha fame, adesso, e sicuramente è stressato per il lavoro. Non farne di tutta l'erba un fascio, Rosa. Sei sempre la solita esagerata.
-Siete voi che mi prendete per cretina.- mugugnò l'altra, guardando la mano del canuto premerle sulla spalla. -Non siete tanto diversi dagli uomini che girano in questo paese.
-Non dire così, non è assolutamente vero.
-E allora perché mi nascondete le cose?!
-Rosa, io non so niente!- mentì Lysander, e gli venne da sbattere la testa contro il muro da quanto si faceva schifo. -La fai finita?
-Ieri Leigh ha sputato sangue sulla tavola. C'eri anche tu. Hai visto.
Lysander avrebbe voluto dirle ogni cosa, pur di non vederla soccombere in quel modo, torturata dai dubbi e dai perché. Che Leigh stava morendo, e che sarebbero dovuti finire insieme per forza. Per mantenere tutto compatto, senza perdere pezzi da nessuna parte. Ma non spettava a lui buttarsi nel vuoto in quel modo. E, ne era convinto, una volta che anche lei sarebbe venuta a conoscenza della verità, tutto sarebbe stato più semplice. -Rosa, tranquilla. Non serve arrabbiarti così.
-Non voglio più perdere nessuno.
-Non accadrà. Hai la mia parola.
Lei lo guardò, e Lysander arrossì di stupore, travolto dall'intensità dei suoi occhi da donna. -Scusami.- mormorò Rosalya, calmandosi all'improvviso. Poi lo accarezzò con affetto tra i capelli, giocando con i ciuffi bianchi e incolti che gli sfioravano con grazia il collo ampio. -non so perché ti metto in mezzo ai miei problemi. Perdonami.
-Rosa, sono sempre qui per aiutarti, lo sai.
-Lo so... ma sono cose da adulti, tra me e Leigh. Ogni volta ti coinvolgo in una qualche mio disastro e...
Lysander le prese il polso e le sorrise, muovendo piano il pollice sull'intricata cortina di vene che sfoggiavano vistose il loro pallido verde.
Non faceva differenza.
Presto sarebbe diventato adulto pure lui.

 
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nda
eccomi qui dolcette
Scusate se ci ho messo un po' con gli aggiornamenti, il fatto è che essendo, la storia, ambientata in un contesto storico, prima di pubblicare preferisco sempre controllare e ricontrollare che ciò che ho scritto abbia almeno un margine di senso. E spesso manca la voglia, ew.
Allora, che ne pensate di questo nuovo capitolo? La scelta di far dirigere a Leigh una tessitoria/tintoria non è casuale, penso ve ne siate accorti anche voi: si ispira semplicemente al lavoro che fa anche nel gioco, ovvero quello di sarto, creatore di abiti e "ancora di salvataggio per tutte noi dolcette quando abbiamo tanti soldi e vogliamo finirli tutti tra scarpe maglie e parrucche fike (ifeelyou :'D)". Insomma, gli si addiceva. Inoltre, tutta la famiglia Ainsworth – Rosalya inclusa – appartiene alla UPPER Middle Class, ovvero quella fetta di società "benestante" (lo metto tra virgolette perché nemmeno i ricchi se la spassavano) che può permettersi una vita un attimo più normale, anche per quanto riguarda la scuola, la cultura, il cibo, le condizioni di salute e tutto ciò che ne consegue. Ma parliamo un attimo di Alice, ovvero il secondo protagonista della long. Allora, il design non l'ho inventato. Per crearla mi sono ispirata a fanart di diverse dolcette con gli occhi giallo dorati e i capelli castani, al punto da modificare persino la mia e riproporla in questa versione un po' "vampiretta gotica" che io sinceramente apprezzo molto. Il resto è tutto inventato da me, sia carattere che nome che tutto il resto. Che ne pensate di lei? Magari vi farete un'idea più ampia nei prossimi capitoli. Quello di cui volevo parlare con voi, è dei concetti che lei stessa tocca a mano a mano che si prosegue con la lettura del capitolo. Prima di tutto,
➤ la condizione delle donne in epoca vittoriana. E' abbastanza risaputo che la società a quei tempi era piuttosto maschilista, quindi la visione della "donna" si limitava strettamente ad una persona chiusa tra le mura di casa, possibilmente maritata, che si occupava dei bambini, puliva, cucinava e sottostava all'autorità del suo compagno, buono o cattivo che fosse. Per quanto riguarda le lavoratrici, iniziavano fin da piccolissime nelle fabbriche, perché le loro mani, più delicate rispetto a quelle di un uomo, riuscivano a compiere lavori che un maschio non sarebbe stato in grado di fare con la stessa minuziosa cura e precisione di una femmina. Alice fa parte di questa categoria, se così possiamo definirla. Inoltre, prima dell'avvento dell'epoca vittoriana, esisteva una legge che permetteva al datore di lavoro di abusare delle lavoratrici, come se fosse una cosa "normale". Credo fermamente che poi la cosa si sia ripetuta anche in epoca vittoriana, ma non so se la legge sia stata abolita in quegli anni, poco prima o dopo. Sta di fatto che lo facevano comunque. E non solo nelle fabbriche. Anyway, questo non è il caso di Alice, perché Leigh, raga, Leigh è un uomo buono, così come Lysander, non posso trasformarli in bruti (?). Hanno entrambi questa caratteristica di distinguersi dalla massa, se ai giorni nostri per i vestiti, nella mia long per la mentalità più aperta rispetto al resto della società.
Un'altro tema che volevo approfondire con voi è quello del
➤ pregiudizio. So che le parole di Peggy possono far quasi ridere, lette così, perché tutte noi sappiamo che Lysander coccola coniglietti e caga arcobaleni stilosi (?), ma capite che, con la testa ottusa del tempo, ritrovarsi davanti ad un eterocromatico con i capelli bianchi era piuttosto sconcertante. Anzi, lo sarebbe anche adesso. Cioé, adesso basta essere diverso per finire vittima di una diceria. 
Figurarsi allora.
Un'altra cosa e poi giuro che chiudo. Non ho assolutamente idea di come diavolo funzionasse una tintoria in epoca vittoriana, ho inventato -apprezzate la fantasia-, perché ve lo giuro, ho cercato ovunque, ma non ho trovato un emerito piffero a riguardo. Se qualcuno lo sa, sarei felice di sapere qualcosa di più.
Grazie per aver letto! Se volete lasciate una recensione, mi farebbe molto piacere!
Al prossimo aggiornamento!

Lila

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Capitolo 4
*** iv. ***


iv.
 


Lysander non aveva dormito, quella notte. Ricordi d'infanzia lo avevano tenuto in una pseudo bolla di dormiveglia, la testa sprofondata tra le pieghe del cuscino sudato mentre con occhi pieni di lacrime aveva vagliato ogni metro quadro di buio, in lenta e perenne attesa di vedersi sbucare i genitori dalle foto che li ritraevano, posate sui mobili della biancheria. Fermi, vecchi e bloccati in un tempo ormai perduto, e che il giovane avrebbe tanto voluto di nuovo poter assaporare tra i capelli e sulle labbra.
Aveva ripercorso i momenti più belli della sua vita, i più brutti, e si era reso conto che era sempre stato circondato da Leigh. Quando si era innamorato per la prima volta, di Rosa, e aveva davvero creduto che il fratello non ne fosse a conoscenza; oppure quando aveva litigato con Castiel, e si era beccato un tremendo pugno in faccia da parte dell'amico, per motivi che ormai avevano dimenticato entrambi. O ancora, come quando un cane gli era venuto addosso, mordendolo al fianco e costringendolo a trascinarsi a casa zoppicante, le lacrime a rigargli il volto paffuto da bambino mentre dall'abrasione colavano rivoli di sangue color rubino. Leigh c'era stato. Sempre. Anche quando lui, piccolo e stupido, aveva creduto di morire. Il fratello si era affacciato all'uscio, lo aveva visto e lo aveva preso in braccio senza emettere suono. Lysander non avrebbe mai dimenticato le sue parole.
La sua mano calda tra i capelli, e la sua voce bassa, ma che aveva sempre avuto il potere di sovrastare persino i canti delle cicale. 'Lys, è solo sangue. E' solo sangue. Non stai morendo.'
E poi, erano arrivate le cure infallibili di mamma Josiane. E il suo ciambellone ai mirtilli dritto in bocca, per farlo smettere di piangere – e farlo un po' ingrassare –. Dio, Lys aveva tanto desiderato sentirne ancora la fragranza sulla lingua, in quel momento. Gli era mancato tutto, di quel tempo fatto di infinite distese di grano e passeggiate insieme al fratello, quando la notte si faceva nera come i suoi capelli, e il vento soffiava un po' più fresco del mattino. A sorreggere una lanterna costruita insieme al papà, mentre si andava a caccia di lucciole.
Aveva sentito il bisogno di dirglielo. E così, quando era arrivata l'alba, era sceso in sala, scalzo e vestito solo di un pantalone bianco.
Lo trovò affacciato al lavabo della cucina, con le mani ad agguantare un panno sporco di sangue e la bocca e il mento percorsi da venature cremisi. Leigh gli fece cenno di non avvicinarsi, ma Lysander non rimase fermo, per il cazzo. Gli venne incontro, perfettamente calmo, e gli passò un braccio intorno alle spalle tremanti. Suo fratello era pallido, l'abbronzatura smorta scavava nelle gote regali profondi solchi sbiaditi. Non era così che voleva ricordarlo, una volta terminato quel supplizio. E anche se non c'era rimedio, anche se nemmeno il "cure all" poteva contro quel morbo stomachevole, Lysander conosceva una medicina infallibile. Pensa, gliel'aveva insegnata proprio lui. Senza che ci fosse stato bisogno di libri e esercizi. E si chiamava amore. Un amore che, per quanto duro fosse ammetterlo, nemmeno Rosa sarebbe mai riuscita a regalargli.. perché il legame che intercorreva tra loro era più potente dello spazio e del tempo. Scontrò la fronte contro la sua guancia chiazzata di sangue, e il corvino si spaventò al contatto improvviso. Ma non si ritrasse. Annusò i capelli del fratello, bianchi come un manto di neve immacolata. -Lys...
Lysander gli passò una mano sulla fronte, per controllargli la temperatura. Era bollente. -E' solo sangue, Leigh.
Leigh sgranò le iridi, e il ricordo lo trafisse da parte a parte. Tornò a tredici anni prima, a quella casa in campagna. Al suo piccolo fratello zoppicante, mentre ora lo zoppicante era lui.
-E' solo sangue. Non stai morendo.

 

 
Leigh era risultato positivo ad un tremendo febbrone, ma aveva lo stesso scelto di recarsi all'industria, da vero mulo testardo. Lysander, naturalmente, era andato con lui, in quanto tirocinante e futuro capo dell'azienda. Ma i motivi primari erano stati ben altri che una semplice eredità che ormai era destinata a finire tra le sue mani. Si sarebbe assicurato la sua felicità, fino alla fine. Se doveva perderlo, voleva lasciarlo soddisfatto e pieno di lui, di Rosa e dei suoi figli. Per quello aveva un po' insistito, marcando il fatto che in quelle condizioni era più prudente rimanere a letto. Rosalya si sarebbe potuta prendere cura di lui, lo aveva sempre fatto. Ma il corvino si era rifiutato con un "no" secco e deciso.
Inutile sprecare tempo.
Così erano montati in macchina, e il traffico li aveva inghiottiti in mezzo ai suoi gas di scarico e la sua puzza di petrolio importato dalle indie. Lysander osservò distratto la città dal finestrino abbassato, annusandone gli odori forti. C'era da perderci la testa. Ma o così, o niente aria nell'abitacolo. -La campagna era meglio.
-Lys- mormorò Leigh, le mani ferme sul volante. Lysander lo guardò con l'occhio verde, soddisfatto. Aveva la febbre, quel testone, ma rimaneva lo stesso il solito uomo composto vittoriano. Nemmeno la morte imminente stava riuscendo a sopprimerne il carattere. Quanto lo invidiava. Pensava di essere diventato come lui, forte, d'acciaio, severo. Pronto. E invece all'improvviso si era ritrovato ad avere paura di tutto. Specialmente della sua migliore amica. La fine. -la campagna non ci avrebbe dato la vita che abbiamo ora.
-Dovremmo ritornarci, Leigh. Solo per fare una visita.
-E cosa vuoi vedere? I campi di grano?
-Proprio quelli.
-Puoi andare anche da solo, allora.
-Non è la stessa cosa, senza di te.
Leigh lo guardò, e sorrise dolce. -Prima o poi bruceranno pure quelli, e ci costruiranno ospedali, negozi di moda. Non lo senti, il fermento della crescita?
Lysander ritornò a fissare la strada con aria vacua, e i suoi occhi si persero a fissare l'immenso copricapo di una donna, su cui un uccello morto mostrava al mondo il suo piumaggio colorato d'arancio e grigio perla. Non era animalista, ma non sopportava chi arrivava ad ammazzare persino un povero volatile, pur di stare al passo col tempo. Odiava quel tipo di cose. La superficialità della gente lo lasciava gelido tutte le volte. -Lo sento talmente tanto da avere il fiatone.- fu il suo unico commento, freddo come una lama infilata in un blocco di ghiaccio.
-Dovrai dirmi come finirà, tutto questo; non vivrò abbastanza per godermi l'epilogo, purtroppo.
-Saremo tutti morti, quando finirà. Se, finirà. L'impero della regina Vittoria non vede tramonti.
Leigh lo guardò. Poi mise su un'espressione alquanto irritata, che mutò la sua faccia fissa come una statua di marmo. -Mettiti la cintura, diamine! Vuoi che ci arrestino?
Lysander lo fece, e come il petto finì trapassato da una lunga corda nera, scoppiò a ridere, contagiando anche il fratello. Era da tanto che non lo facevano. Non si concedevano il lusso di essere felici, solo loro due, insieme. Risero di sciocchezze per tutto il tragitto, e il dolore di quella mattina svanì sotto il suono delle loro voci concitate.
Proprio come tanto tempo fa, quando tutto era perfetto.
E la loro vita consisteva solo nel preoccuparsi di trovare la lucciola più luminosa del gruppo.


 

 
Lysander si disse che forse sarebbe stato meglio iniziare a prendere dimestichezza con la fabbrica. Aveva passato più di quattro ore in ufficio con Leigh, e quando il cocige aveva cominciato ad implorarlo di alzare il didietro dalla sedia lo aveva fatto, senza alcuna esitazione. Lo aveva lasciato alle sue noiose pratiche burocratiche, e si era dato all'esplorazione dell'edificio. Non c'era niente di bello nel girovagare in una galera. Ma almeno, aveva di che ammazzare il tempo. E poi, gli sarebbe tornato utile, visto che la mappa all'ingresso era chiara quanto un labirinto ripetuto su se stesso dieci volte di seguito.
I passi incerti lo portarono di nuovo al reparto tintoria, ed entrò dalla porta semichiusa per controllare che le ragazze stessero facendo il proprio lavoro senza deconcentrarsi. Non gli piaceva spiare, ma era ora di iniziare a farsi rispettare dai dipendenti, in quanto erede prossimo dell'azienda. Molto prossimo. Diede un'occhiata in giro, zigzagando tra i mille tessuti colorati appesi ad asciugare, e fu proprio in mezzo a loro che ebbe il piacere di incontrare di nuovo i due occhi gialli del giorno prima.
Somigliavano a quelli di Rosa. Eppure, allo stesso tempo, non c'entravano nulla. Forse perché erano più grandi, più ingenui, imbevuti di un'ambra appena più scura di quella della moglie di Leigh. Con meno ciglia, senza trucco. Lei si accorse di essere guardata, ma fece finta di nulla, come le aveva ammonito Peggy anche quella mattina. Si portò una mano imbrattata di colore alla guancia, per scostarsi un ciuffo di capelli sfuggito alla tenuta dell'acconciatura. E si sporcò, da brava scema, ma non se ne accorse fino a quando non ebbe modo di osservarsi le dita sporche fin sotto le unghie. Arrossì e lanciò un'imprecazione, poi si voltò verso il ragazzo maledetto, che la stava guardando un po' confuso dall'alto del suo metro e chissà che spaventoso centimetro. Perché era lì? Davvero voleva prendere il posto di Leigh Ainsworth come si andava dicendo? Sperava tanto le voci fossero false. Che quel tipo fosse uno a posto, e non lo sciagurato stupratore che faceva tremare l'intera orda di lavoratrici. Si agguantò il vestito per levarsi il colore di dosso, a disagio, quando una mano bianca le sventolò un fazzoletto ricamato ai bordi proprio sotto il naso. La mano era di lui. Sobbalzò, spaventata, ma non si mosse di un passo mentre sollevava il capo per guardarlo. -Coraggio, prendete.
Non sapeva se accettare. Poteva essere una trappola per adescarla. Scrutò il fazzoletto aperto tra le sue dita, poi lui. Cosa avrebbe comportato prenderlo? -Non preoccupatevi, posso pulirmi con la manica.
-Insisisto.- Lysander allungò il braccio. -E' solo una cortesia.
-No, davvero.
-Su, prendete. Le maniche sono già sporche. Non risolverete nulla, strusciandoci il muso contro.
Aveva ragione. Alice lo scrutò ancora un poco, diffida, ma alla fine accettò di buon grado il fazzoletto. Lo strinse tra le mani, lo annusò senza smettere di fissarlo incerta. Profumava di lavanda, ed era caldo delle sue cosce per essere stato nel taschino dei pantaloni. Si pulì il viso, imbarazzata.
Poi glielo restituì.
Le sembrava di aver affondato il viso nel tepore della sua pelle.
-Tenetelo- fece lui, scuotendo il capo in cenno di diniego. Alice era estasiata. Non aveva mai visto un ragazzo tanto speciale in tutta la sua vita. -serve più a voi che a me.- disse, per poi andarsene e lasciarla al suo fazzoletto macchiato di tinta per tessuti.
La castana se lo portò ancora al naso. E così rimase, gli occhi languidi e la tremenda paura di essersi presa una sbandata enorme, per un maniaco sotto le vesti di uomo di classe.

 
 

 
All'ora diciottesima del pomeriggio, era già buio pesto per le strade di Liverpool City; i lampioni verniciati di nero che costeggiavano il viale principale brillavano ad intermittenza, proiettando bagliori indistinti lungo l'asfalto corroso dalle gomme e il crescente inquinamento che dell'erba decorativa accanto alle striscie di corsia, ormai, ne aveva fatto soltanto un lontano ricordo. Le fabbriche lontane, immerse nella penombra, sembravano mostri pronti ad attaccarti e farti sparire dentro la prima ciminiera aperta. Nessuno girava a quell'ora del crepuscolo, preferendo rimanere a casa a godere del tepore di un thé alla pesca e di biscottini vellutati al sapore di zucchero a velo e pasta frolla lavorata a mano. Tantomeno una signora, che rischiava ad ogni incrocio. Ma non funzionava proprio così, per le lavoratrici della Ainsworth's fabrics. Alice si stava apprestando a tornare a casa, dove la attendevano il padre, la madre e il nonno paterno. Si sciolse i capelli lunghi, che piovvero in tanti fili castani passandole per le spalle fino a giungere imperterriti alle caviglie. Poi si coprì con una mantella pesante, si allacciò il poke bonnet sotto il mento e uscì svelta dalla fabbrica, seguita dalla lunga chioma che non sentiva il ferro di una forbice da decenni. Si era tenuta il fazzoletto del pazzo, alla fine. Non era stata capace di sbarazzarsene, anche se forse avrebbe dovuto, perché le ricordava lui in maniera intensa, il suo gesto cordiale e un po' ambiguo che l'aveva lasciata col fiato bloccato in gola per tutta la giornata. Si guardò intorno quando superò il cancello nero, per essere sicura di non trovarselo ad aspettarla da qualche parte. Non si sarebbe fermata, in tal caso. Ma a poco sarebbe valso camminare a testa bassa, se lui avesse allungato il braccio per acciuffarla dal marasma di donne e portarsela in un vicolo buio e sporco di merda. E dio, lui aveva due braccia lunghissime. Gli sarebbe bastato davvero poco. Svoltò a destra e avanzò per qualche metro, stando ben attenta a dove metteva i piedi per evitare di ritrovarsi con la suola dei tacchi bassi insozzata fino all'ultima cucitura. Superò un gruppo di uomini con le bottiglie in mano, incerta. Di solito sceglieva sempre quella strada, proprio perché era una delle più sicure di Liverpool. Nonostante ciò, era la prima volta che vedeva dei tipi farsi i buffoni in una via pubblica, quando i ghetti scuri erano molto più comodi per fare gli incivili senza essere notati troppo. -Bei capelli, signorina.
Oddio, ci risiamo, pensò Alice, e accelerò il passo. Che schifo. Avrebbe dato per chiudere gli occhi, riaprirli e risvegliarsi in una bella villetta negli Stati Uniti. "Resisti. Si tratta solo di altri due anni."
La vita perfetta in un paesino vicino alla California svanì quando le sue orecchie avvertirono dei passi proprio dietro di lei. Controllò il muretto dove se ne stavano seduti i tizi, e non si stupì nel realizzare che non c'erano più.
Che la stavano seguendo.
-Una signorina non dovrebbe girare tutta sola a quest'ora.
Ripensò alle sue compagne, tutte con un marito, o un uomo ad aspettarle in macchina. In effetti, lei era l'unica sfigata che ancora pretendeva di andare in giro da sola senza rotture di quel tipo. Si voltò, scocciata solo per non mostrarsi impaurita. -E invece touché, si da il caso che io stia girando proprio da sola.
Gli uomini ridacchiarono, nei loro frac firmati e le scarpe a punta. Facevano schifo. Perfetti fuori, mostri dentro. E non era colpa del brandy che tenevano stretto tra le mani, vacillante nella bottiglia di vetro dall'etichetta consunta dal tempo.
Quello era solo la scusa perfetta. L'alibi impeccabile.
Alice si mise sulla difensiva quando questi si avvicinarono lascivi, ma capì di aver perso in partenza. Perché erano tre, perché erano grossi, e perché lei aveva una paura folle di finire male. Il suo cuore perse un battito quando uno di loro allungò una mano e le strinse i capelli tra le dita arrossate dal freddo. -Mi piacerebbe tirarteli, mentre ti monto come una cavalla. Che ne dici?
-Chiamo la polizia.
-Come, gridando?- domandò un altro, e la acciuffò per il gomito. Alice lo fissò dritto negli occhi. Sentiva le gambe molli, le dita congelate dal terrore, ma non avrebbe demorso senza prima lottare.
-Ho voglia di divertirmi, e una bella ragazzina come te fa proprio al caso mio. Perché non ci fai vedere cosa nascondi sotto la sottana?
Ebbe la faccia tosta di affrontarli, puntando la ruota contro il brandy. -Sapete, uomini intelligenti e in gamba, che al giorno d'oggi esistono sciroppi per far scemare la voglia di bere? Dovreste ubriacarvi di quello. Fareste più bella figura, soprattut..
Il pugno arrivò feroce contro il naso, che scricchiolò come una foglia secca capestata da una ruota a tutto gas. Alice si portò le mani alle narici, per tentare di bloccare l'emorragia, e cadde in ginocchio con un gemito disperato, le iridi sgranate di terrore. Un male allucinante le percosse il cervello di frustate, i nervi si aguzzarono strillando di dolore, ma non avrebbe pianto. Digrignò i denti sporchi di rosso, e li guardò in cagnesco, come una coraggiosa sufragette femminista. Ma non dovette fare altro, per proteggere il suo ego.
Perché al resto, ci pensò Leigh Ainsworth. Il suo capo reparto si accorse della scena, e intervenì immediatamente, seguito dal fratello. Dal pazzo, che in quel momento di pazzo le sembrò non avere nulla. -Giù le mani dalla mia dipendente!
Alle parole "mia dipendente" i tre uomini si guardarono impanicati. Oh, sì. Leigh Ainsworth sì che faceva paura. Si schierò dinanzi al corpo della giovane, e puntò il dito contro gli aggressori, incazzato a morte.
-Signor Ainsworth, noi...
-Voi...? Siete solo dei pezzenti!- prese loro la bottiglia dell'alcol, e la spaccò a terra. Giusto per rendere l'idea. -Come diavolo vi permettete di toccare una dipendente di questa industria?! E' sotto la mia tutela e proprietà...! Guardate che vi porto in tribunale!
Intanto che Leigh li ripassava come un poliziotto giustiziere, Lysander si inginocchiò accanto alla ragazza, impressionato da tutto il sangue che quel povero naso continuava a sputare. La riconobbe all'istante, ancora prima di guardarla, ma non disse nulla quando i loro occhi cozzarono nella confusione del momento, consapevoli di essersi già visti più di una volta. Non voleva spaventarla. Anche se sembrava tutto meno che spaventata. -Ti fa male?
Alice lo guardò, gli occhi strizzati di dolore. Provò a rispondere, ma l'aria le venne a mancare. E allora calde lacrime scoppiarono dalle sue ciglia, gridando al suo posto di poter essere atterrata da una potente bastonata nel cranio. Di tutto, pur di non sopportare quell'atroce dolore.
Lysander si tolse il bavaglio verde e glielo premette sul naso, con delicatezza, al fine di bloccare l'emorragia. Quindi l'aiutò ad alzarsi, e le chiese il permesso di poterla prendere in braccio.
Alice non se lo fece ripetere due volte, mezza moribonda. Così il braccio di lui le passò sotto le gambe, poi uno dietro al collo, e in un attimo le parve di poter volare da quell'altezza vertiginosa. Giurò di cadere, per questo si aggrappò alla sua spalla mentre con la mano libera agguantava spasmodicamente il bavaglio smeraldino, premendolo contro il naso.
Lo stava sporcando tutto di sangue.
L'ultima cosa che riuscì a vivere in prima persona fu il ragazzo dagli occhi diversi portarla in una macchina, correndo veloce nonostante la fatica di un corpo tra le braccia. Poi lo scoppiettio di un motore.
La voce del suo capo che imprecava, quella dell'altro sussurrare piano qualche risposta laconica, che sentì vibrare tenue nell'orecchio coperto di sudore e capelli.
Poi svenne, sul petto di un uomo vero che aveva creduto maledetto.

 
 
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nda
eccomi qui, so di essere in ritardo, ma abbiate pietà; con i corsi per la patente e il debito in matematica, faccio un po' fatica a portare le pubblicazioni, anche se sono già pronte e la long è giù bella che finita. Contando l'editing che mi cava tre ore di vita a parola, poi... sorvoliamo. Comunque cercherò di darmi una mossa pure con questa storia, la amo e voglio vederla distesa per intero
Detto ciò, torniamo pure alle nostre care delucidazioni victorianeh, per aiutarvi a capire meglio l'andamento della trama;
➤ uccelli morti agganciati ai cappelli, questa era la moda femminile del tempo, macabra e ambigua così come la scelta un po' sacrale di portare la chioma lunga fino alle caviglie (sorvolando su pidocchi ed infezioni). Più colorati ed esotici erano i poveri animaletti imbalsamati, più le signore potevano vantarsene~ si conta la più alta strage di uccisione di pennuti della storia.
Cure All, avete mai sentito parlare di questa flawless (?) medicina ottocentesca? Eh sì, il nome stesso non può che rivelarvi la sua strabiliante funzione; in grado di curare tutto – davvero tutto, secondo i nostri amici vittoriani –, ne veniva consigliata l'assunzione per fermare qualsiasi tipo di problema, dal meno grave al peggiore. Ovviamente non funzionava. Ceh.
Basta vedere il tasso di mortalità, altissimo. :''
Toccando, invece, un tema più pesante, vi parlo anche dei
➤ problemi di alcolismo, visto che, riprendendo la trama della mia long, gli aggressori di Alice erano più che sbronzi. Allora. Quando si dice "epoca vittoriana" si tende a pensare spesso ad una società perbenista, e ad essere sincere, forse un po' lo era. Insomma, basta leggere Orgoglio e Pregiudizio, della Austen; chi meglio di lei poteva sapere come fosse caratterizzata l'inquietante Inghilterra di inizio ottocento? Balli, parole eleganti, insulti studiati, finezza, educazione estrema. Voi qui, Voi lì. Thé delle cinque. Biscottini. Eppure, oltre l'apparenza si nascondevano due grandi problemi, all'epoca, e anche piuttosto gravi.
Fumo.
E alcool.
Due piaghe esistenti ancora oggi.
Gli uomini avevano seri problemi a gestire il vizio, e spesso e volentieri crepavano per quello, visti i danni ingenti che le due "droghe" lasciavano. Perciò, sopratutto in questo periodo, le farmacie iniziarono a riempirsi di rimedi – quasi sempre inefficaci – volti a placare e/o far sparire la smania del fumo e dell'alcool. Ciò chiaramente vuol dire solo una cosa; che era facile incrociare la strada con qualche ubriaco, soprattutto ad ore un po' tardive e fuori dall'ordinario. Ed era facile anche finirci in guai seri. Come nel caso di Alice, appunto.
Ma poi è arrivato Lys, che nonostante gli occhi diversi ha tranquillamente dimostrato di non corrispondere affatto ai pregiudizi che gli aleggiano intorno. Mioo
Non ho altro da aggiungere, per cui io chiuderei qui. Il prossimo capitolo, in ogni caso, dovrebbe arrivare presto uwu. Visti i prossimi sviluppi della long ho sentito la necessità di modificare il rating da giallo > arancione, e a breve capirete il perché della mia scelta – no niente roba spinta lemon ssh, è solo la vita di Lys che inizia a diventare pesante –.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, sarei felice di riceverne!
Intanto ringrazio tutti coloro che hanno messo la long tra i seguiti e i preferiti <3
Bacii
 
Lila

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Capitolo 5
*** v. ***


 
v.


Leigh e Lysander erano seduti a tavola, sulla quale una tovaglia verdolina ne spezzava l'uniforme pallore dai bordi dorati; entrambi fissavano l' enorme teiera per il thé delle cinque, silenziosi mentre gli occhi si perdevano tra roselline e amabili uccellini colorati. Entrambi stavano pensando, i capelli illuminati dalla lampada a gas che fluttuava lenta sulle loro teste, quasi volesse cullare il flusso delle loro intense riflessioni. Rosa li guardava inerme, appoggiata alla cucina con i palmi protesi. Quando aveva aperto la porta di casa, quella sera, mai si sarebbe aspettata i suoi due uomini sporchi di un sangue non loro, con tra le braccia una ragazza prossima allo svenimento. Si era fatta da parte, in preda al panico, e poi aveva seguito Lysander per le scale mentre Leigh si era armato velocemente di qualche farmaco sparso in giro per la casa. Il canuto aveva adagiato la giovane sul suo letto, facendo spazio tra le coperte pesanti – Rosa gli aveva dato una mano – e portandole un cuscino sotto il capo sudato, per evitare che il sangue rimanesse a raggrumarsi dentro le narici.
Il resto del lavoro era stato affidato al maggiore, che si era occupato di detergere il povero naso e verificare se fosse stato lesionato in qualche modo. Per fortuna la ragazza non aveva riportato danni; solo una lieve distorsione, ma si notava appena grazie al lavoro di copertura delle numerose lentiggini.
-Si può sapere in cosa vi siete infilati voi due?
I due fratelli Ainsworth sobbalzarono come conigli nell'udire la voce petulante di Rosa riportarli su quel grazioso tavolo addobbato a puntino. Ci pensò Leigh a dare le dovute spiegazioni, e prese una tazzina dal set del thé per intrattenersi. A Rosa la cosa diede fastidio. Nessuno poteva toccare le sue porcellane. E Lys lo sapeva. E pure Leigh lo sapeva, ma lo faceva lo stesso, per farla piccare. Erano adorabili. -Tre uomini l'hanno assaltata fuori dalla mia azienda, poche ore fa. Non potevo permettere un simile oltraggio, non nel mio luogo di lavoro.
Lysander sollevò gli occhi a quelle parole. Lo sguardo vacuo tradiva un forte senso di giustizia, che in quel momento gli incendiò la gola di fastidio. -Intendi dire che se le fosse successo da qualche altra parte, avresti permesso la violenza senza dire nulla..?
-Se fossi stato un comune mortale, sì, Lys. Per evitare guai con la legge.
Fece per replicare, ma la mano tesa e color cannella del fratello gli smorzò le parole dalla lingua. -Ma siccome non lo sono, faccio tutto il possibile per intervenire. Non è la prima volta che vedo cose del genere, però Lys, vedi... ringrazia il mio cognome se quei tre si prendono la denuncia e qualche giorno di galera.
-Giorni... dovrebbero starci anni.
-Tranquillo, non avranno libertà facile quando usciranno. Però ricordati che non vanno in galera per violenza su una donna, ma per averlo fatto nel mio territorio.
Rosalya ne approfittò del momento per togliere la tazzina dalle mani di Leigh e stringersela gelosa al petto, quasi fosse il ragazzo stesso. -Non vi mettete nei casini, voi due.
Il marito le indirizzò un'occhiata che meritava tutta la fiducia della terra, e forse qualcosina di più. Lys li guardò col magone mentre si scambiavano un languido bacio di riappacificazione per ieri sera, l'espressione sofferente di chi ha appena addentato un limone. Quel quadretto familiare sarebbe crollato, una volta che Leigh li avrebbe lasciati, e dio, voleva godersi ogni loro singolo sorriso. Ogni loro singolo bacio, e persino ogni loro sacrosanto bisticcio, che fosse per qualche ora di silenzio oppure per una tazzina di porcellana. Perché non ce ne sarebbero stati più.
Scosse il capo, mentre un brivido gli solleticava la spina dorsale. Non voleva pensarci. Faceva male da gridare.
-Puoi fidarti di me, mia cara.
-Certo. E cerca di stare attento anche a Lys-baby. Dico bene, Lysa?- Rosa lasciò andare il suo uomo solo per abbracciare Lysander da dietro, con un affetto smisurato e senza margini. Il ragazzo si irrigidì, ma non disse nulla mentre sprofondava nel rossore e l'imbarazzo. E il disagio, di sapere che presto tutto quell'amore sarebbe capitolato in tomba insieme al corpo del suo fratello. -Lui è mio marito, ma tu sei come mio figlio. Controllatevi a vicenda.
-Certo- le prese una mano con timidezza. Una volta sarebbe impazzito alla sola idea di poterla toccare. Ora si sentiva solo scomodo, a farlo. -Tranquilla.
La ragazza si allontanò dal giovane e incrociò le braccia al petto, tornando la solita tipa tosta della famiglia. -dunque, che avete intenzione di fare con la ragazza?
-Portarla a casa. Anzi. Lys ce la porterà.
-Quando?
-Quando si sveglierà.- Leigh indicò le scale con un cenno della testa. -Lysander, vai a controllare in che stato è.
Lysander sarebbe voluto rimanere con loro, in realtà. A godersi quell'atmosfera da famiglia quasi normale, a guardarli divertito mentre si divoravano di baci al minimo contatto visivo, senza che occorressero un paio di labbra per mettere in atto il processo. Ad ammirarli che si godevano il loro piccolo scettro di felicità insieme, lo stesso che avevano costruito aiutandosi a vicenda, e che ancora continuavano a mantenere saldo tra le mani strette a pugno. Come se Leigh non stesse morendo. Come se Rosa fosse potuta vivere per sempre di sorrisi. Si alzò e si diresse verso le scale, la moquette che spazzolava i suoi stivali neri. Gli sarebbe mancato tutto quello.
 
Sentì freddo dietro la schiena.


 

 
Bussò alla porta con due leggeri colpi di nocche, anche se era camera sua e, sì, in effetti sarebbe potuto tranquillamente entrare. Poi aspettò paziente in una risposta che non si decise di arrivare, da bravo gentiluomo, ma quando capì che non aveva senso attendere inutilmente si appoggiò al pomello dorato ed entrò, piano. Era buio, ma non accese la luce, per timore di svegliarla in caso stesse dormendo. Così si avvicinò cauto al letto in cui era solito passare le ore a leggere romanzi, e in cui adesso si trovava una donna, per la prima volta in ventidue anni di vita. La scrutò attentamente, aiutandosi con la poca luce dei lampioni che filtrava timida attraverso le tende di tessuto pesante. Dormiva, ma sembrava morta a causa del pallore e la rigida compostezza con cui teneva le braccia posate sul grembo. Le controllò il naso, e fu felice di sapere che aveva smesso di sanguinare da tempo. Non la conosceva, ma averla vista in quel modo straziante l'aveva toccato molto. La ricordava col viso sporco di colori, solare e pieno di energia. Non chiazzato di sangue, per colpa di mostri come lui.
L'odio e lo schifo gli rizzarono i peli sulle braccia mentre il viso si esibiva in una tesa smorfia di rabbia. Quella ragazza meritava vendetta. Meritava che i suoi aguzzini rimanessero a marcire a vita dietro sbarre fatte di letame compattato, e che la società prendesse seri provvedimenti per risolvere, o quantomeno attenuare, quel tipo di situazioni spregevoli che per i gusti del giovane si verificavano anche troppo spesso. Ma cristo, la società era così lenta, lì.
Gli venne la nausea al solo pensiero che non se ne sarebbe mai sbarazzato. Si augurò con tutto il cuore di essere abbastanza minaccioso da evitare altre disavventure di quel tipo. Presto sarebbe stato a capo di tutte loro.
Non avrebbe permesso a nessun pazzo di scherzare con le sue lavoratrci, a costo di dover finire in tribunale. E no.
Non si sarebbe fermato a delle semplici denunce.
Non si accorse di essersi perso nei meandri della sua mente fino a quando dal buio della stanza non emersero due pozze dorate contornate da fitte ciglia castane. La ragazza si era svegliata.
I suoi pensieri dovevano aver fatto molto casino.
Subito si rizzò a sedere, presa dal panico, ma Lysander si allontanò dal letto per non allarmarla, e accese la luce con uno scatto del dito. Poi sollevò le mani in segno di pace, e abbozzò al sorriso più onesto che potesse cucirsi in bocca. L'ultima cosa che voleva era provocarle timori assurdi. Ci avevano già pensato quei tre sacchi di merda a rovinarle la vita. E lui sapeva benissimo cosa voleva dire morire dentro. Perdere i genitori era stato orribile. -No, non fraintendete.
Lei lo guardò accigliata, ma senza nessuna intenzione di mettersi a gridare e strepitare come avrebbe fatto una Rosalya alla vista di un topo. Buon segno.
-Leigh mi ha mandato a controllarvi. Sono felice di sapere che state bene.
La ragazza si portò le mani al naso, e le sue dita mollarono un po' la corda nel tastare la pelle asciutta, le ossa ancora intatte. Si scrutò un attimo intorno mentre cercava di riprendere conoscenza dal lungo sonno. Lysander non la disturbò. La lasciò a familiarizzare con i libri ordinati sulla credenza, con le mappe geografiche, le poesie che tappezzavano ogni metro quadrato di camera. -Dove sono...?
-A casa nostra.- rispose, e la vide sgranare gli occhi. -E' solo per adesso, non vi preoccupate.
-I miei genitori lo sanno?
Lysander non sapeva rispondere a quella domanda, e rimase in silenzio a fissarla, indeciso sul da farsi. Spinto dalla curiosità le guardò l'anulare sinistro, e si chiese cosa ci facesse una ragazza della sua età – o forse qualche anno più piccola – senza un uomo, in un'epoca insana che imponeva strettamente a qualsiasi donna di maritarsi il più presto possibile per non finire ad aprire le gambe sotto i ponti. George e Josiane, i suoi genitori, erano subito convolati a nozze, anche se pieni di diffidenza e attraversati da una gigante differenza d'età. Ma nonostante questo, suo padre le aveva sempre dato tutto il tempo del mondo. Così tanto che lui e Leigh erano nati davvero in ritardo, forse troppo per il tempo. Ed era un miracolo il fatto che Josiane fosse sopravvissuta al parto, anzi, a due, con condizioni igeniche pessime e uno staff di dottori davvero rincoglioniti. Ma tanto non cambiava. La morte l'aveva lo stesso portata via. -Tra poco vi riportiamo a casa, tranquilla.
La ragazza lo scrutò attenta, quasi attirata dai suoi occhi diversi. Poi annuì, e le sue iridi si tinsero di una pozza scura e fredda, che il giovane non seppe decifrare da quella distanza. -Sì, ve lo chiedo per favore. Portatemi a casa.


 

 
Alice entrò nella macchina, e quando le sue cosce tremanti toccarono la morbidezza del sedile, sentì di volerci sprofondare fino all'ultimo ciuffo di capelli, per sempre. Era stanca, provata, e più si sforzava di respirare più l'odore metallico del sangue incrostato si mischiava a quello dell'aria, impregnata dell'aroma delle foglie secche intinte nell'acqua che scorreva giù per le strade. Accanto a lei, il ragazzo dai capelli bianchi si stava dando da fare con le chiavi, la frizione e altre cose con cui a quanto pareva aveva interagito poche volte per saperle riconoscere a menadito.
Sospirò e chiuse gli occhi, perché bruciavano.
Voleva solo tornare a casa. Infilarsi in una tunica da notte, spegnere le luci e affondare la testa nel cuscino, come ogni sera dopo cena. Sperava di riuscire a dimenticare la violenza di quel pugno in faccia, di quelle parole intrise di schifo, ma il dolore era stato atroce, e in cuor suo sapeva che non sarebbe stata una passeggiata di salute fare finta di niente. Il suo naso leggermente inclinato era la macchia indelebile di un evento che non sarebbe mai dovuto succedere. Che non sarebbe mai passato, né in lei né fuori da lei.
Guardò il giovane accanto al suo braccio molle fare retromarcia e prendere la corsia giusta, attento alla strada, e subito il rimorso la afferrò alla gola, come una mano pronta a strozzarla al minimo segno di indecisione. Si pentì di averlo criticato male. Di aver creduto alle stronzate di Peggy, di lei e tutte le altre galline che ormai facevano indirettamente parte della sua vita. Perché forse era un necrofilo, forse era bipolare, forse sgozzava conigli. Ma intanto, la stava davvero aiutando a tornare a casa. Poco le importava che avesse i capelli bianchi, o gli occhi diversi. -Ho la vostra...
Lo fece voltare, e il colletto della camicia di lino lo colpì sulla guancia quando un refolo d'aria entrato dal finestrino aperto si riversò sul profilo dell sua mandibola.
-Ho la vostra...- estrasse la cravatta verde dalla tasca del vestito, e la strinse forte tra le mani.
-Oh.- Lysander gettò una rapida occhiata all'ammasso di tessuto aggrovigliato tra le dita di Alice, poi fece spallucce. Detestava prestare i suoi vestiti, specialmente agli sconosciuti, ma in quel momento non gli importava più di tanto. Ciò che più gli premeva era assicurarsi che  nessuno le avrebbe più storto un solo capello. -Non vi preoccupate.
-Non volevo sporcarvelo, signor Ainsworth. Mi dispiace davvero tanto. Sono mortificata.- alle parole della giovane lavoratrice susseguì un placido silenzio, disturbato solo dal rombo di qualche auto in lontananza. Tuttavia, Alice non voleva arrendersi. Non sarebbero bastate mille vite per sdebitarsi con lui. E Leigh, naturalmente. -Anzi, vi ringrazio per essere venuto in mio soccorso insieme a vostro fratello. Sarei stata spacciata senza il vostro pronto intervento.- siccome lui non dava l'intenzione di voler rispondere, continuò, la voce tremante contro le corde vocali tirate di gratitudine. -Posso lavarvelo, e domani se voi sarete in fabbrica... posso restituirvelo.
-Non dovete ringraziare me. E' stato Leigh a intervenire, io mi sono limitato a portarvi in braccio.
Lysander la guardò dolce, e bastò per edulclorare il tono duro con cui aveva parlato. Alice scorse una profonda tristezza in lui. E non solo nell'occhio verde. Anche in quello giallo.  Quello cattivo. Quello che sembrava nascondere più cose di quante ne volesse rivelare.
-E vi devo un favore per questo.- disse, decisa.
Lui distolse lo sguardo, portandolo sulla strada. Alice sognò di essere, quella strada. Solo per essere fissata ancora un po', da quegli occhi che tanto l'avevano fatta dubitare, e di cui invece ora si fidava ciecamente.
-I tre assalitori sono stati denunciati da Leigh e passeranno qualche giorno in cella.
La notizia la illuminò, ma non mostrò nessun tipo di emozione al di fuori del suo cuore titubante. Per la prima volta, qualcuno le aveva fatto giustizia. Rimase senza parole, spianata contro il sedile. -Io...
-Non serve che aggiungete altro, signorina. Cercate solo di... stare più attenta, la prossima volta. Ora, se non vi dispiace, gradirei sapere il vostro indirizzo di casa.
-Oh, certo. Scusatemi. Stavate andando bene, comunque- Alice, il viso nascosto tra i capelli, rivelò dove si trovava la sua abitazione, riportando nome del sestiero, indirizzo e numero civico. Poi si aspettò una qualche espressione schifata riguardo il quartiere in cui era nata, visto che non godeva né di una bella vista, né di una buona reputazione. Tuttavia, niente di tutto ciò accadde. Il giovane seppe rimanere perfettamente immobile. Non aggiunse una virgola. Non gli si sollevò nemmeno un sopracciglio.
Alice era sconvolta. -So che non è un quartiere adatto ad uno come voi, signore, ma... vi ringrazio lo stesso per esservi preso la briga di portarmici.
Lysander annuì distratto mentre svoltava e si immergeva in una strada rinchiusa sotto un soffitto di rami spogli. Non gli interessavano, le chiacchiere della ragazza. Non gli importava, se non proveniva dalle bellissime case a schiera ritagliate in un grazioso giardino pieno di fiori colorati. Non faceva differenza. Impossibile notarle, per uno come lui, che aveva cominciato a vedere tutto in bianco e nero.
In verde e giallo.
Il resto del viaggio lo passarono in silenzio, inermi mentre la notte li inglobava all'interno del suo vortice nero e senza uscite. Alice avrebbe voluto aggiungere qualcosa. Qualunque cosa, pur di rompere il silenzio che era calato tra loro, ma non riuscì a pronunciare una sola parola, perché niente di ciò che aveva detto finora sembrava aver avuto una parvenza di senso. Quando sollevò lo sguardo dal bavaglio verde, erano già davanti a casa sua. Scese, e l'aria gelida le fece bruciare il naso e colare gli occhi di dolore. Si chinò per ringraziarlo. Per poterlo vedere ancora, prima di lasciarlo. -Buona serata, signor Ainsworth.
Lysander sorrise e chinò il capo in cenno di saluto. Poi la seguì con lo sguardo fino a quando il padre non venne ad aprirle, per essere sicuro che sarebbe entrata.
Partì solo quando la vide sparire oltre la porta, lei e i suoi lunghi capelli castani.

 
 
___________________________
nda
scusate per l'aggiornamento lento ma con sto caldo e sta pigrizia non batto proprio la fiacca oh. Questa parte della storia è la più brutta, sia per i sentimenti che prova dentro Lysander, sia per ciò che è successo ad Alice. E infatti non vedo l'ora di togliermela, ahimé. Annuncino per le amanti di Cassidy Cass; presto il rosso farà la sua comparsa. Ma non sarà rosso. (?) Sarà corvino – che è ventimila volte più agnmlml – okee, come andiamo? Non vi lascerò note riguardo il contesto storico perché tanto lo sappiamo tutti che la donna era inferiore ecc ecc e che spesso e volentieri simili angherie non erano punite a dovere, nei ceti bassi, come sottolinea appunto Lysander. Ovviamente la storia è un dramma, quindi tendo a soppesare più i lati negativi che quelli graziosi della società. Altrimenti non vale (?). Bien, non ho niente da dire, a parte che sono indignatissima per il fatto che DF abbia fatto di Lys carta straccia, nell'arco universitario, e ciò per me è intollerabile perché a mio dire era il personaggio migliore di tutti. Sono triste, sob.
Mi consolano solo le fanart di lui con i capelli lunghi vestito alla sua classica maniera vittoriana-- voglio piangere.
Ci sentiamo presto per un nuovo aggiornamento!
Bacii
Lila

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Capitolo 6
*** vi. ***



vi.

 
Lysander estrasse un plico di giornali dal cassetto della scrivania, poi scelse quello dal titolo più accattivante e spostò appena le spalle che bloccavano la luce, permettendo così ai raggi flebili del primo sole di piovere sul titolo in prima pagina e risaltarne la stesura fresca di qualche giorno. Leigh, sporto oltre le imposte, osservava la strada concentrato, senza che una sola parola gli uscisse dalle labbra strette a sigillo. Nonostante i numerosi tentativi di distrazione, nessuno dei due fratelli Ainsworth era riuscito a staccare la mente dall'accaduto di ieri sera. Ma se il corvino si era immerso in riflessioni riguardanti le denunce appena svolte e la contradditoria burocrazia vittoriana, Lysander stava pensando a lei. Voleva sapere come stava, se era venuta al lavoro. Dopo il trauma subito il giorno prima, era rimasto preoccupato. Ed era una sensazione strana, tornare a provare interesse per qualcuno che non fosse un membro della sua famiglia. Aveva persino smesso di badare a Castiel, da quando erano morti George e Josiane, lasciandolo perdere quando si metteva nelle risse e usciva sempre lesionato ovunque, la camicia aperta e i pesti intorno agli occhi grigi.
Quel brusco cambio di vita lo stava facendo emergere dal tenue torpore in cui aveva temuto di essere scivolato. Tuttavia ancora non sapeva definire se si trattasse di una cosa positiva, oppure negativa. Ormai ci aveva fatto l'abitudine; le cose belle non sono eterne.
Scostò le iridi da una notizia riguardante il Labour Party e si mise a fissare la porta, la lingua bloccata tra i molari. La tentazione di andare a controllare se la ragazza c'era superava ogni inibizione. Ma sapeva che non era un atteggiamento da capo, per quello si impose di stare fermo, accoccolato nella sedia, a leggere di una politica che, nonostante i ventidue anni compiuti, ancora faceva fatica a comprendere del tutto. Leigh aveva provato a spiegargliela mille volte, e lui sì che ne sapeva, eppure non era bastato. Due partiti, i Whigs e i Tories, contro ma legati dalle stesse idee, con le quali l'Inghilterra si manteneva stabile nonostante l'avvento del Labour Party. Ancora non gli era chiaro nulla, né gli era mai importato, visto che fino ad una settimana prima se ne voleva scappare in America.
Triste il destino, a volte.
All'improvviso qualcuno bussò alla porta. Leigh si voltò, curioso, ma non aprì bocca, né diede ordine di entrare. Spettava a Lysander di decidere se il diretto interessato poteva avere il permesso o no. Si scambiarono un'occhiata, e poi il canuto accettò di buon grado la visita. Una testa castana emerse dalla fessura della porta, e quando si voltò in direzione dei due fratelli, il sole la colpì al viso ricoperto di lentiggini color caffé, abbagliandole gli occhi gialli. Lysander sentì il cuore scoppiare nella gola a punta lasciata in bella vista, le mani strinsero il giornale. Era lei. La ragazza. Era lì, e stava bene.
Alice fece un inchino frettoloso prima di avanzare sulle scarpe chiazzate di chissà quale sostanza. -Con vostro permesso. Buongiorno signori Ainsworth.- mormorò, e Leigh rispose con un mugugno ostinato, avvicinandosi alla scrivania e posando una mano sulla spalla del fratello minore. -Come state?- chiese.
Lysander arrossì come un cretino al "come state" del corvino. Come sarebbe dovuta stare? Cristo.
-Sto meglio, sì, signor Ainsworth. Grazie..
La guardò, un po' indeciso.
-Mi fa piacere, signorina.
-Sono venuta a portarvi questa- Alice sorrise piegando le labbra scure, e posò sulla scrivania la ascot tie di Lysander, soddisfatta di aver dedicato qualche minuto del suo tempo per lavarla. Il canuto la prese, sconvolto, e la guardò come se non gli appartenesse più.
Alla fine gliel'aveva portata per davvero, pulita e profumata di vaniglia. La annusò incerto, senza smettere di guardarne le pieghe morbide. Non c'era la minima traccia di sangue. Lo smeraldo era tornato quello di sempre, fulgido e fresco. Come se non fosse mai stato il fazzoletto provvisorio di una violenza evitata per un soffio, e dio, si ritrovò a non sapere cosa dire. -Grazie.- azzardò, e se la allacciò sbadatamente al collo.
Alice si soffermò un attimo a guardargli il profilo del mento, contenta di aver compiuto quel piccolo favore di gratitudine. Poi li ringraziò, di nuovo, e tornò al lavoro. Lysander era a bocca aperta. Non si accorse di essere osservato da Leigh fino a quando questo non gli stropicciò affettuosamente i capelli, per riscuoterlo. Fu come emergere da un mare color ambra. Si sentiva strano, confuso e deliziato.
-Credevo l'avessi data a Rosa, perché te la lavasse.
-No, no... io... non ricordavo nemmeno a chi l'avessi lasciata, in realtà.
-Sei stato molto gentile, come lo è stata lei nel non essersela tenuta per sé. Ma cerca di indurirti un po', altrimenti le lavoratrici si approfitteranno della tua bontà.
Lysander annuì, anche se non aveva ascoltato una mezza frase.
Poi affondò la mano nelle pieghe stazzonate della cravatta, e lì la tenne, alla ricerca di un qualcosa che non sapeva definire nemmeno lui.
Alla ricerca di lei, forse.
Di un modo per poterla afferrare un attimo. E ringraziarla, per averlo pensato.

 
 
Era passata una settimana dalla violenza, e da una settimana Lysander non smetteva di pensare ad Alice. Non sapeva perché, o forse sì, e non voleva ammetterlo. Si sentiva come la prima volta in cui gli avevano fatto il tatuaggio delle ali multiple alla schiena; i denti stretti, le tempie tese mentre l'ago incideva un segno indelebile sulla sua pelle, rizzando ogni singolo nervo nascosto sotto lo strato sudato di cellule.
La stessa cosa l'avevano fatta quegli occhi gialli, quelle lentiggini. Solo, sulla superficie del suo cuore. Non sapeva che pensare, e quando non sapeva che pensare fumava. Si preparò una canna con la minuziosa precisione di un sarto, poi guardò Castiel seduto accanto a lui, sul prato del solito cimitero in una sera come tante sere. -Hai l'accendino?- domandò, un po' incerto. L'amico lo fissò stralunato, e una ciocca di capelli neri gli scivolò sul viso squadrato. -Credevo avessi smesso di fumare.
-Dio me ne liberi.
Castiel gli passò l'accendino, e Lysander accese la cenere della canna, attento a non scottarsi. Una spirale di fumo si librò in aria, plumbea come la mente annebbiata che lo affligeva. Il resto finì nella sua gola, tra i suoi denti, prima di essere soffiato via dalle narici. Sospirò contro il cielo terso, e lasciò che un refolo d'aria giocasse con i ciuffi bianchi dei suoi capelli strani. Cass lo inquadrò serio. -Non dovresti fumare quella roba- disse dopo un po', tradendo una certa preoccupazione negli occhi grigio perla. -Ti devasta. Che hai contro le sigarette normali, sono troppo normali?
Lysander lo guardò. -E tu non dovresti andare a puttane. Che hai contro le donne per bene? Sono troppo normali?
-Debrah non è una puttana, se ti riferisci a lei.
Sorrise frivolo. Il fatto che Castiel passasse tutte le sue notti in piacevole compagnia di sconosciute era noto ad entrambi, ormai da troppo tempo. Ma Debrah era una prostituta speciale, così l'aveva definita l'amico quando si era confidato con lui. Debrah aveva una storia, come loro.
Debrah aveva avuto un obbiettivo da perseguire, e si chiamava musica, canto, proprio come Castiel; ma la risposta era stata la strada e qualche pene sudicio da infilarsi in bocca al fine di campare. Lys si chiese se avesse un senso, sognare.
Sperare, senza che la vita dovesse andare a rotoli tutte le sacrosante cazzo di volte. -Sei innamorato di lei?- domandò, e siccome la domanda era stupida e fuori contesto, decise che tirarsi un altro tiro non sarebbe stata una brutta idea. La testa cominciò a vorticare piano, come persa in un vortice stroposcopico. Aveva cominciato a fumare roba da quando aveva perso i genitori. Ovviamente, Leigh e Rosa non ne erano a conoscenza, ma non avrebbero fatto chissà che tipo di scandalo qual'ora si fosse scoperto cosa nascondeva tra i libri di poesia. La droga curava. Non c'era niente di male se cercava di aggiustarsi un po' la vita con qualche canna e un po' di brezza notturna.
Castiel si morse l'interno della bocca. Si prese l'eterno, prima di rispondere. L'argomento amore non rientrava tra i suoi favoriti, nemmeno quando era in piena voglia di conversare. -Credo di sì. Non lo so. Quando sto con lei mi sento bene.
-Definisci bene.
-Come volare.
Lysander annuì, ma la verità era che non conosceva affatto la sensazione. Gli avevano strappato le ali troppo presto. -Non sono sicuro che tu sia ricambiato, però.- disse, e nascose gli occhi diversi dietro un muro di denso fumo idilliaco.
-Oh, Lysander. Il tuo cinismo mi fa orrore.
Fece spallucce. -Non voglio che tu ci rimanga male. Dico solo quello che penso, e ci sono prostitute molto più umane di lei. Con storie molto più tristi della sua.
-Allora smetti di fumare quello schifo, perché nemmeno io voglio che tu ci rimanga morto.
-Sono già morto.- disse, e si stese sull'erba fredda. Ciuffi verdi gli carezzarono il collo mentre la droga cominciava a rendere facile persino quel dialogo assurdo e imbarazzante, che da sobrio non si sarebbe mai permesso di fare.
Castiel lo imitò, e per un po' fu la città a parlare tra loro. -Sei più tornato alla tomba dei tuoi?
Lysander voltò il capo in sua direzione, stupito. I brividi lo percorsero, il dolore lo tranciò in due mentre il fumo gli andava di traverso e lo soffocava nella sua morsa evanescente. Non ci era mai più tornato, alla tomba dei suoi genitori. Non aveva mai trovato il coraggio di farlo, perché sapeva che il solo leggere i loro nomi sulla lastra fredda e sporca una seconda volta avrebbe potuto ucciderlo. Privarlo della vita, proprio come i crisantemi secchi posati accanto alle foto lasciate indegnamente scoperte di quelle che un tempo erano state persone, e che ora invece erano solo polvere e ricordi. Pensò a Leigh, pensò a quando sarebbe finito lui sotto terra, insieme a loro. Quando il suo corpo forte sarebbe diventato polvere, e le sue gesta ricordi. Sarebbe andato a trovarlo? Oppure avrebbe cercato una fuga anche lì? -No.- disse, e la voce si incrinò sotto il peso di quella gelida negazione. -Fa ancora troppo male- si accorse di tremare e si strinse nel doppiopetto verde bottiglia, quasi a volersi proteggere da un mostro nascosto nell'oscurità. E forse c'era davvero, il mostro. E lo stava aspettando. -Castiel
Castiel lo guardò. Poi spalancò la bocca, e sgranò le iridi argentee. -Lysander, tu... stai piangendo?
Lysander scattò a sedere, gli occhi spalancati come un cieco. Poi si portò una mano agli zigomi, e quello che toccò fu acqua, acqua ovunque sul suo volto, sotto gli occhi, sul mento, calda e salata, che non smetteva di scorrere e defluire. Non si era accorto di star piangendo, di nuovo. Si asciugò le iridi umide di dolore nelle maniche del giacchetto. Poi parlò. Fu la droga che gli suggerì di farlo, o forse il cuore, dilaniato da un peso troppo grande perché potesse tenerselo dentro. -Leigh sta morendo.
Castiel sussultò dentro.
-E sai cosa vuol dire, vero?
-Che dovrai prendere tutto in eredità, porca...!
-Che perderò lui, Castiel! Perderò mio fratello, proprio come ho perso i miei genitori!- Lysander si alzò e lanciò la canna lontano, con uno scatto del braccio così potente da causargli una vibrazione lungo tutto il muscolo del deltoide. Poi gridò forte, perché tanto i morti non potevano sentire. Nessuno poteva sentirlo, o aiutarlo. Le dita affondarono tra i capelli bianchi, cercando spasmodicamente di aggrapparsi a ciuffi, a corde che non esistevano, e che non lo avrebbero sorretto mai, semplicemente perché non lo avevano mai fatto. -Che rimarrò solo, senza Leigh, a vivere una vita non mia, in un paese che non sento mio...
Castiel era sconvolto. -Questo significa che...
-Significa che muoio anche io con lui, Castiel. Significa che dovrò sposarmi Rosalya, prendere in mano la sua azienda, badare ai miei nipoti come un padre, e io sono tutto meno che questo Castiel..! Sono tutto, meno che Leigh, e io non voglio prendere il suo posto, io... io non voglio che lui muoia, capisci?!- Lysander lo guardò con occhi iniettati di lacrime, poi cadde nuovamente a terra. Si lasciò precipitare come un corpo morto, senza più capacità di reagire, di pensare al disastro che sarebbe successo una volta che tutta quell'apparente calma si sarebbe trasformata in tempesta. Si portò i palmi sugli occhi, e se li premette verso l'interno, fino a vedersi i capillari riflessi sulle palpebre serrate. -Non c'è giorno in cui io non pensi a Rosalya costretta a stare con me, solo per non finire in strada come la tua amica. Ai suoi musi lunghi, al suo dolore di cui dovrò farmi carico insieme a quello dei miei nipoti e... e al mio, che sarà il peggiore. Non sono sicuro di avere la forza adatta, la tempra per affrontare quel tipo di destino. Per guardarla dormire accanto a me dopo aver fatto l'amore solo per avere ancora più figli, più aiuto, pregando di non perderla e piangere perché non saremo più noi. Mai più. Ci trasformeremo solo in una caricatura forzata, un riflesso condannato ad una vita vuota, senza più... senza Leigh... senza...- si bloccò, perché pronunciare il nome del fratello faceva solo un grande male. Provò a respirare, ma i polmoni bruciavano, le narici odoravano ancora della canna fumata qualche minuto prima. -Io...
Castiel gli posò una mano sulla spalla, e gliela strinse forte.
-Voglio morire. Se potessi... potessi salvare Leigh e... io al posto suo, io...
-Tu non farai proprio niente, Lysander. Prenderai il suo posto, e basta.
-Non voglio.
-Ma devi. Promettimi solo una cosa.- lo girò per guardarlo negli occhi, per la prima volta senza scherzare.

-Che ti farai aiutare, senza che debba spaccarti la faccia contro il muro.
 

Quando Lysander rientrò a casa era già notte. Si tolse il doppiopetto, lo lanciò contro il divano e si sedette a tavola. La testa scoppiava, i vestiti odoravano di fumo e pianto, e lo stomaco implorava di essere riempito di pugni e qualche colpo d'ascia. Voleva dormire, e non svegliarsi più.
Voleva poter tornare indietro, godersi meglio i suoi momenti con Leigh. Quelli passati in silenzio, passati litigando e sprecando tempo dietro a stupide cavolate senza senso solo per il gusto di tenersi il broncio, come due idioti.
Accovacciò il capo sul tavolo, stanco anche se ancora il peggio doveva arrivare. Assonnato nonostante gli occhi corrosi di dolore, e la vita ridotta a carta straccia da dare in pasto al focolare. Sospirò amarezza, gonfiando le spalle, quando la luce della sala investì le pieghe stazzonate della sua giacca. Sollevò la testa, e gli occhi furono feriti da un abbaglio giallastro prima che Rosa facesse la sua inquieta comparsa a pochi metri di distanza da lui. -Lysander Ainsworth, sono le due di notte.
Lysander si leccò le labbra secche, mentre con occhi arrossati di pianto le vagliava la tunica da notte ricoperta di orribili fiocchetti rosa.
-Dove sei stato?
-In giro.
-A fare?
-Rosalya, ho ventidue anni. Come vedi, sono ancora vivo.- rispose con scazzo, perché non aveva voglia di parlare, tantomeno di vederla così ingenua, così pura, così ancora incontaminata dalla tremenda disgrazia che si era abbattuta su di loro. Un moto di rabbia nei confronti di Leigh lo spinse a guardarla male. Perché ancora non glielo aveva detto? Cosa aspettava? Di lasciarla in lacrime senza nessuna spiegazione? -Vattene- le disse, e schiantò nuovamente la testa sul tavolo. -voglio stare da solo.
-Signorino, non rispondermi così. Ne ho abbastanza degli umori instabili tuoi e di tuo fratello, siete peggio di noi donne. Hai fame?
Lysander non rispose, voleva solo stare solo, magari fumarsi un'altra canna. E no, non aveva fame. Si portò le mani alle orecchie, le chiuse e ascoltò il sangue defluirgli sotto la pelle per dieci minuti buoni. Dieci minuti di pace, di silenzio, di perfezione, di nulla mentre il cuore pompava lento senza decidersi a spegnersi. Almeno fino a quando Rosa non posò una tazza di latte fumante accanto a lui, e qualche biscottino a forma di cuore. -Lysbaby- lo chiamò, e si sedette vicino al suo corpo accasciato. Gli passò una mano tra i capelli. -Lys.
Lysander sollevò le iridi dal tavolo. Poi vide la tazza, il latte caldo aspettare solo la sua bocca. E qualcosa in lui si sciolse, dinanzi a quel gesto tanto premuroso. Sarebbe stata ancora così, una volta che Leigh... scosse il capo con furia. Non voleva pensarci. Non doveva. O tutto sarebbe crollato. Rosa sorrise -Eccolo qui.-  poi gli porse la cena con amore. -Non sopporto vederti così. C'è qualcosa che non va?
Lysander strinse la tazza tra i denti, facendoli cigolare mentre il latte gli colava via dalla lingua irta di rabbia e dolore. La voglia di rivelarle tutto era alta. Era deliziosa, come un'amante in attesa di un bacio. -Rosalya- la guardò serio.
"Rosalya, Leigh sta morendo, e tu dovrai sposarti con me."
"Rosalya, Leigh sta per morire, e io prenderò tutto in eredità, te compresa. Ma lo faccio per il tuo bene. Per il nostro bene, e quello dei tuoi bambini. E so che non sarà facile accettarmi come tuo uomo, come per me non sarà facile accettarti come--
Interruppe il flusso dei suoi pensieri, perché lei si era alzata ad abbracciarlo. Di nuovo. Lysander la strinse, affondò le dita in quella vestaglia che profumava di casa e dolcezza. -Che succede Lysander?
Non rispose. Si limitò a cacciare il naso sotto i suoi capelli, ad annusarne l'aroma mentre cercava di dirsi che quando sarebbe arrivato il momento, lui sarebbe stato perfettamente in grado di aiutarla.
Anche se mentiva.
 
 
___________________________
nda
torno ad aggiornare anche questa storia, finalmente, mi era mancata! Vogliate perdonarmi il clamoroso ritardo ma ehi, ho voluto sfruttare il restante dell'estate per concentrarmi sul debito da recuperare, per cui forse sono scusata

come state? io molto bene! adoro settembre.
anyway, anche in questo capitolo devo specificare alcune cose, prima di tutto inerenti all'epoca vittoria
na, come secondo, riguardanti Castiel e la sua storia con Debrah.
➤ droghe. Le droghe nell'800 erano considerate molto utili in campo medico, un po' come adesso, soltanto che rispetto ai giorni nostri se ne faceva un uso fin troppo spropositato. Non vi parlo solo della comune cocaina, ma anche di roba come l'oppio, perché si pensava che alleviasse i mali e rendesse la vita un po' meno cagionevole -il che è un controsenso, la droga fa davvero male-. A drogarsi però non erano solo i malati, ma anche i poeti, i dandy, o comunque coloro che avevano bisogno di evadere un po' dalla società. Per questo motivo ci ho visto bene Lysandro in questo contesto; comunque rimane un personaggio anticonformista, che in questa storia sta cercando di scappare da tutti i problemi e le imposizioni del suo finto mondo perbenista.
➤ CastielxDebrah. Molti di voi mi odieranno per la scelta di questa pair ormai estinta, ma io ho trovato molto adatta al contesto anche Debrah. Naturalmente l'ho punita trasformandola in prostituta(?), ma comunque Cassidy Cass è innamorato di lei e non la vede solo come uno strumento sessuale, anzi. In ogni caso parleremo meglio di questo argomento delicato nel prossimo capitolo, per ora ve la abbozzo qui.
➤ Castiel corvino: allora sì, CASTIEL IL POMODORO IS NOT A POMODORO ma vi spiego subito perché. Ho letto in giro che non erano state ancora inventate delle tinte forti come il rosso di Cass, più che altro degli schiaritori, questo sì, ma comunque stiamo parlando di metodi rudimentali che al giorno d'oggi si sono perfezionati e modernizzati. Non sono sicura di questa informazione, sapete, in ogni caso ho voluto metterlo corvino, anche per ragioni di sobrietà, e per evitare un ipotetico "pregiudizio" del popolo. So enjoy the new Cass che è bono li stess.
Io ho finito qui.
In un capitolo a parte approfondirò anche il tema del tatuaggio, ma sappiate che YES, i vittoriani si tatuavano **
passate a recensire se volete, intanto ci sentiamo al prossimo capitolo!
Baci!

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Capitolo 7
*** vii. ***


vii.

Il salvadanaio ricavato di fortuna da un barattolo di marmellata di pesche contava esattamente duecento sterline. Alice se lo strinse al petto con forza, come a voler proteggere il suo disperato sogno americano da occhi indiscreti. Altre duecento e forse, con un po' di fortuna, sarebbe stata in grado di permettersi un viaggio di sola andata per gli Stati Uniti. Sapeva che i parenti che abitavano là da diversi anni l'avrebbero ospitata e aiutata a trovare un lavoro per permettersi un piccolo cottage sulle colline verdi e spensierate americane, e la sola idea bastò a mandarle il cuore in febbricitazione. Le piaceva avere tutte quelle garanzie assicurate. L'aiutavano a distrarsi dal pugno al naso che aveva ricevuto qualche settimana prima, dalla mancata violenza, da tutto quel trambusto che, ne era sicura, mai avrebbe dimenticato. Posò il barattolo, lo nascose e serrò il cassetto con la chiave arruginita che portava sempre al collo. Dopodiché raggiunse la sala, dove la madre e il nonno la stavano aspettando al fine di recarsi tutti insieme al porto. Oggi non lavorava, giorno festivo; una buona occasione per ripristinare un po' la mente da tutti gli sconcertanti avventimenti che l'avevano bersagliata e affondata di pugni. Si sistemò il corpetto verde erba, carezzando le roselline che sporgevano appena tra striature dorate e ghirigori di foglie d'acanto. Regalo per i quindici anni, da parte del padre. Era costato una fortuna, e le piaceva molto anche se le strizzava le costole in maniera allucinante. -Eccomi.
Sua madre la guardò con un sorrisetto a disagio, e Alice capì subito che c'era qualcosa che non andava. Che voleva parlarle, in privato, alla prima occasione in cui il nonno si fosse girato a raccontare le sue avventure da giovane temerario al mercante impaziente e voglioso di vendere. -Sei molto bella, vestita così.
La castana la raggiunse sui tacchetti tirati a lucido l'ultimo secondo, con una spugnetta rubata di furbizia dall'armadio del padre. -Che succede?- le domandò all'orecchio. La madre allungò una mano impreziosita di fard bianco per coccolarle una guancia con distacco, lasciandole una striscia candida sullo zigomo spruzzato di lentiggini. -Devo parlarti di una cosa importante. Ma dopo.- agganciarono le braccia mentre il nonno apriva la porta e il sole le investiva col suo fulgido bagliore d'ottobre.
Alice temeva già di sapere l'argomento.
Ma l'avrebbe affrontato.

 
 
Il mercato era affollatissimo. Alice sollevò il capo per osservare le immense navi attraccate al molo, da cui sbucavano piccoli omini con in mano scatoloni colmi di merce importata dall'India, dall'Africa, insieme a schiavi negri ammanettati e ammassati l'uno contro l'altro. Si perse a fissare le linee morbide di una donna di colore, la cui pelle color dell'ebano brillava sotto il sole freddo di quel mese. Teneva lo sguardo alto. Dritto su di lei. Alice si chiese che storie avesse da raccontare, da dove venisse. Come sarebbe precipitata la sua vita, una volta che un uomo di Liverpool l'avesse pagata a peso d'oro per farsi fare i servizi in casa, e non solo. Sospirò, e un raggio di sole le filtrò attraverso le iridi giallastre. Era bastato poco, a lei, un gruppo di ubriachi, un pugno nel naso, una dignità quasi perduta, per stordirla e renderla inquieta nei confronti del mondo. Non immaginò che orrore avrebbe potuto comportarle trovarsi al posto della donna, e distolse lo sguardo, angosciata dai suoi stessi pensieri.
Fu la madre a riportarla dinanzi al bancone della frutta, con una gomitata dritta nel corpetto. Sentì un male atroce alle costole, ma la guardò gentile quando venne richiamata anche col nome. Nulla comparato a quel pugno al naso. Per fortuna i suoi aguzzini erano stati sistemati; non le avrebbero più portato problemi. Sarebbe stata più prudente. Più forte.  In America doveva arrivarci intatta.  -Dobbiamo parlare.
-Lo so.
Finsero di girare intorno alla frutta, per allontanarsi dal nonno che stava chiacchierando col venditore, proprio come avevano predetto.
-Niente più soldi. Tuo padre è stato licenziato per colpa di un collega.
Alice sentì le navi caderle addosso, a quella risposta pronunciata con tanta schiettezza. Suo padre licenziato? Come era possibile? -Cosa... come...- chiese, e rimase senza parole, i pugni stretti e le iridi tremanti al solo pensiero del papà sfrattato di fabbrica solo per aver usato un po' di cuore e umanità. Si verognò della società in cui viveva. Dello scempio in cui era stata costretta a nascere, e di cui non vedeva l'ora di liberarsi.
-Si è permesso di difendere un malato che aveva rubato in fabbrica. Un collega ha fatto la spia, e il datore di lavoro lo ha licenziato. Niente più soldi.
-Stai scherzando.
-No- la voce della madre tremò al pensiero del marito. Al pensiero di una rovina non certa, ma veloce. E che sarebbe arrivata, se non avesse applicato immediatamente quella soluzione. -Vorrei, ma non sto affatto scherzando.
-Mi dispiace... si può fare qualcosa... per...
-Tuo padre si è messo a cercare lavoro, ma non lo trova, perché ormai è tarchiato per aver mancato di rispetto ad un capo. E, buon dio, dove finiremo con questa brutta reputazione? Non possiamo campare con la pensione di tuo nonno, siamo in tanti e la materia prima è già poca. Alice...- la madre le acciuffò le mani, e le massaggiò i palmi sudati. Alice era pallida. Le labbra pallide tremavano di angoscia, di dolore per suo padre, gli occhi gialli non sapevano dove posarsi. La testa non sapeva cosa pensare. Voleva solo sparire sott'acqua, farsi trascinare lontano dalla corrente. -Sei la nostra unica figlia. Ho bisogno, abbiamo bisogno che ti sposi, o finiremo tutti sotto un ponte.

 
Sposarsi.
 
Alice si accorse di non respirare più. Che il corpetto era troppo stretto, che il seno faceva male e che nemmeno allentare i fiocchi sarebbe bastato per aiutarla a riemergere dall'assuefazione che l'aveva colta all'improvviso. Si liberò della presa disperata della madre, brividi di disgusto le percorsero la gola. I suoi genitori l'avevano sempre tutelata da quei matrimoni, perché non si era mai sentito il bisogno di metterne in atto il processo, nemmeno nei momenti di crisi. Avevano sempre lottato per i sentimenti, per un amore sincero e basato sul rispetto reciproco, sulle carezze al posto dei soldi, sul rapporto vero, e non le montature fittizie che tanto andavano di voga. A quanto pare si erano svegliati troppo tardi, per rendersi conto che quel metodo funzionava di rado, e che la fortuna non era alla portata di tutti.
O forse, si erano addormentati troppo presto. La castana s'impuntò sui tacchi, mentre grosse lacrime di angoscia correvano a pizzicarle le pareti degli occhi. Non si sarebbe sposata con nessuno. Sarebbe scappata in America, a vivere la vita che ancora si stava sudando. -Mi sposerò in America, e vi manderò soldi da laggiù.
-Ti sposerai qui. Volevamo dirtelo per tempo, ma purtroppo abbiamo aspettato in un miracolo che non è avvenuto. Tuo padre non ha trovato il coraggio per spiegartelo. Così, mi sono presa io l'impegno. Hai già diversi spasimanti. Tutti con soldi. E' quello di cui abbiamo bisogno, e...
Alice le diede di spalle e si recò al banco dei fiori. Sua madre non la seguì. Meglio. Non voleva essere seguita, o l'avrebbe appesa per il collo. -Voglio quello- il mercante si fece pagare otto sterline e le consegnò un fiore blu, bellissimo, più raro che unico in una città in cui gli unici fiori che giravano erano quelli adibiti ad invecchiare sui corpi dei morti, e basta. Raggiunse la riva del mare, che puzzava di pesce e petrolio. Poi affondò le mani nei petali turgidi, fino a raggiungere il pistillo.
Li prese con cattiveria e li strappò a grandi quantità, sfogando una rabbia che in quel momento sembrava impossessarla fino all'ultimo capello, che non le era mai appartenuta e che emerse come una scintilla dal fuoco. Rivoli d'acqua le colavano sulle dita, lacrime calde scendevano dagli occhi imperlati di dolore.
Gettò i petali sulla superficie del mare.
Scomparvero in mezzo a quel blu senza fine.

 
 
-Fidati di me. Ci divertiremo.
-Partiamo già male.- Lysander seguì Castiel in mezzo al dedalo di tavoli in legno su cui uomini stravaccati e dalle asole aperte discutevano con in mano boccali di birra più grandi dei loro corpi. Un lezzo di sudore mischiato a cera bruciata fluttuava tra le mura di mattoni del locale, e Lys non seppe dirsi se era meglio quello o l'aroma fetido della strada buia che si affacciava dalle finestre chiuse, eppure così trasparenti da mostrare persino i lati più nascosti della notte.
Era lì per svagarsi, perché aveva sentito un disperato bisogno di farlo, anche se si sentiva instabile come un funambolo senza più equilibrio.
L'idea di uscire insieme era stata di Castiel, e spinto dal sentimento di libertà misto a disperazione aveva posato il suo libro, si era vestito a casaccio e si era recato insieme a lui in quel buco di fogna che a stento si poteva definire locale. Faceva schifo. Era sporco, chiuso e pieno di quella gente a cui ancora non aveva fatto gli anticorpi. Forse svuotare un po' la mente lo avrebbe aiutato a dimenticare, anche solo per un istante, la tremenda situazione in cui era finito, e in cui presto avrebbe trascinato Rosa e i suoi figli.
Quasi attirate da una presenza importante, le luci soffuse della sala si rifletterono in un paio di immensi occhi blu oceano, che emersero dall' oscurità come emerge dal lago la ninfea di un quadro impressionistico francese. Le candele e gli incensi illuminarono il corpo florido di una ragazza più truccata di una maschera di carnevale, i cui capelli acconciati in treccine e ciocche disordinate fluttuavano fendendo l'aria gravida di lussuria. Il rossetto le rimarcava le labbra sottili, chili di mascara le avevano indurito le ciglia.
Castiel si illuminò quando la vide, e Lysander dedusse che si dovesse trattare di Debrah. La castana si gettò tra le braccia del corvino, mordendogli il collo e l'orecchio, ma non staccò le iridi blu da quelle eterocromatiche dell'altro. Lys si sentì a disagio. Nudo, esposto e ferito da quegli zaffiri giganti. Fu costretto ad abbassare lo sguardo.
Lei non smise di fissarlo nemmeno così.
-Non mi presenti, Castiel?- fece, e poi inarcò sensualmente i fianchi nascosti appena da una gonna succinta che non vedeva un ferro da stiro da anni. I braccialetti brillavano sui suoi polsi lividi da segni di corda, lanciando bagliori sinistri ovunque. Erano molto belli, pensò il canuto, e poi si chiese che avesse tanto da guardare. Era una prostituta, del resto. Doveva aver visto ben peggio di un ragazzo nato con qualche strano difetto genetico.
Castiel le passò un braccio intorno alle spalle. -Lui è Lysander. Il mio migliore amico. E' qui per divertirsi, se sai cosa intendo.
Debrah mostrò i canini a punta e macchiati di rossetto. -Certo.
-Trovami la migliore, offro io.
Non appena Lysander si rese conto in cosa sarebbe consistito il "divertimento" fece qualche passo indietro sugli stivali alti, alché Debrah proruppe ridendo di gusto. Cristo, non aveva intenzione di andare a puttane. Nutriva un profondo rispetto per quelle donne, le trovava affascinanti con i loro trucchi vistosi e il loro coraggio. Ma non avrebbe sprecato una sola notte in loro compagnia, quando Leigh gli aveva chiesto tutt'altro che simili sconcerie. Non avrebbe commesso una cazzata del genere. Non in un momento in cui stava per diventare capo, marito e persino padre, perché non c'era niente di bello, niente di glorioso in un po' di sesso, se dall'altra parte rischiava di perdere la sua famiglia. Strinse la cravatta verde, che profumava ancora di vaniglia. Di lei, e dei suoi occhi gialli di cui sentì una mancanza atroce. -No, Castiel.
-Lys, è solo sesso.
Solo sesso. Per lui il sesso era altro.
Non un po' di svago con una prostituta.
-No, davvero. Andiamocene.
Castiel fu sul punto di rifletterci, ma Debrah sapeva come trattare, e per questo prese in mano le redini della situazione. Lysander la guardò male e si mantenne sulla difensiva, mascherandosi appena con le spalle larghe nascoste sotto una giacca nera rimediata in fretta e furia dall'armadio a cui aveva smesso di fare ordine da troppo tempo. La capiva, sapeva che ogni uomo poteva essere sinonimo di lucro, ma lui non era come quei finti buonisti che vagavano in società. Lui teneva alla sua immagine, al suo pudore, alla sua famiglia. Debrah volle toccarlo sul petto, ma Lysander arricciò il naso e la schivò con eleganza, le mani infilate di peso nelle tasche.
-Micetto, che fai? Sei qui, e rifiuti un simile privilegio?
Guardò Castiel, in cerca di aiuto, ma l'amico non sembrava lucido abbastanza per dargli una mano. A distrarlo furono ancora le mani della castana, che finalmente lo raggiunsero dove si erano prefissate di arrivare. Lysander le prese con delicatezza un gomito e la scacciò dolcemente. -No. Mi dispiace, non sono qui per voi.
-Sei preoccupato per le malattie? C'è il Cure All!
-No, non è quello. Castiel.
Chiamò l'amico, e si accorse con suo rammarico che era andato a pagarsi un bicchiere di birra. Debrah lo prese per mano, gliela strinse forte e lo guardò languida. -Seguimi.
-Ho detto di no.
-Fidati di me, mi ringrazierai. Conosco una ragazza bravissima a far passare tutti i mali del mondo.
Lysander si accorse che con quella era inutile parlare, e che non gli rimaneva altra scelta che confidare nelle capacità intellettive della prostituta a cui intendeva affidarlo, sperando fosse in grado di distinguere il "no" da un "sì". Le avrebbe spiegato che c'era stato un malinteso, che era lì per errore. E poi se ne sarebbe tornato a casa, perché sentiva gli occhi bruciare, la voglia di rifugiarsi nel suo letto e consumarsi ancora altre pagine di Oscar Wilde. Perché aveva accettato l'invito? Si lasciò condurre in una piccola porticina, si fece trascinare su un'infinita girandola di scale, fino a quando un corridoio pieno di porte non gli si aprì dinanzi agli occhi irritati di sonno. Orgasmi e gemiti lo raggiunsero alle orecchie. Debrah si voltò per vedere se la cosa era bastata ad eccitarlo, ma ricevette in risposta solo un'occhiata carica di nervoso. -Non sono qui per svagarmi.
-Dite tutti così, voi uomini. Per salvare l'apparenza. Ma, caro mio, te lo dico col cuore: qui puoi essere chi vuoi. Nulla uscirà da queste mura, ehehe.- lo acciuffò ancora per la mano, e lo spinse ridendo verso una stanza semichiusa e buia. Lysander sospirò. Voleva uscire da lì, tornare a casa. Quel gioco stava durando anche troppo. Debrah lo trascinò all'interno della camera, accese la luce e serrò la porta con una culata talmente forte da farle traballare i seni grandi sorretti a fatica da un bustino blu e rosa. Lysander portò gli occhi sul letto, chiedendosi perché la presunta ragazza di Cass avesse deciso di rimanere lì con lui e la prostituta. Poi si accorse che non c'era nessuna puttana, né sul letto né ovunque avesse voluto controllare.
E capì.
Si voltò per andarsene, quando Debrah gli saltò addosso con un gemito forte, e la porta divenne solo un ricordo lontano. Lysander non fece in tempo ad evitare il peggio che un paio di labbra sporche di rossetto si affossarono nelle sue, rigide e perplesse. Se la tolse di dosso con uno strattone, la bocca chiazzata di rosso cremisi e gli occhi iniettati di rabbia. -Che...!- Debrah lo spinse sul letto, gli cavò la giacca e gli strappò la camicia mugolando, gettandola sul pavimento con una cattiveria folle. Poi cominicò a muoversi su di lui, toccandolo tra i capelli, sul petto bianco, sulla gola che non riusciva a smettere di deglutire saliva e nervoso.
Lysander non voleva spingerla. Farla cadere a terra, rischiare di ferirla fisicamente, perché nutriva un rispetto viscerale nei suoi confronti e non si sarebbe mai permesso di compiere un simile oltraggio. Ma dio, non avrebbe rovinato un'amicizia solo per colpa di una di cui non si era mai fidato nemmeno del nome. Sapeva che sarebbe finita in quel modo, avrebbe dovuto prevederlo. Castiel era il solito illuso. La prese per le spalle, gliele strinse per liberarsi dalla sua morsa possessiva, ma Debrah ricambiò spianandogli il seno sul petto, in preda ad un piacere che percepiva soltanto lei. Lysander reagì disgustato a quella presunzione. Pensò a Leigh, a Cass, a come lo avrebbe dilaniato se solo fosse venuto a sapere cosa sentiva dentro la sua brava prostituta piena di sogni.
-Debrah, lasciami andare. Per favore. Sei una ragazza che ragiona, ti supplico. Nessuno saprà niente di questa storia, nemmeno Castiel.
-Oh, ho sempre amato i ragazzi strani come te... questi capelli bianchi... questi occhi diversi, sono il sesso... madonna, era una vita che sognavo di farti mio... è un piacere averti qui, sono disposta a farti di tutto, gratis... sarà il nostro segreto...- Debrah lo tirò per la cravatta verde, alché Lysander perse ogni barlume di pazienza, di raziocinio nel pensare a quanto stava facendo male a Castiel con quella scenata assurda, a sé stesso e a tutto quello per cui provava rispetto. Esplose contrariato, la afferrò per le natiche e la stese solo per potersi rialzare. Raccolse la camicia da terra, la giacca, ma lei gli si aggrappò al polso, trascinandolo ancora in quel letto che sembrava essere diventato un incubo bianco. -Sei una bastarda...! Non ami Castiel, non lo hai mai amato! Quanto fai...!
Debrah lo baciò ancora, e Lysander si permise di bloccarle il mento tra le dita forti, affondando i polpastrelli nelle giunture tra le due gengive mentre l'altra mano correva a fermarle i polsi dietro la schiena. -Hai una presa di ferro...- bofonchiò lei, le iridi colme di desiderio. - stringi così anche il mio petto...
-Non pensare che starò a questo stupido gioco con te, Debrah. Hai sbagliato uomo. Togliti da sopra di me. Non voglio farti male.
-Provaci, se hai coraggio! FAMMI MALE!- gridò lei, e fu l'errore che la portò al patibolo, perché Castiel riconobbe la sua voce ed entrò dalla porta, e li trovò a lottare sul letto, scompigliati e incazzati. Il bicchiere gli cadde dalla mano, spaccandosi in mille pezzi sul pavimento. Lysander scattò in piedi, e Debrah si coprì con le lenzuola, ansante e sudata. Il corvino li guardò, incapace anche solo di spiccicare parola. Poi, il grigio perla dei suoi occhi assunse le sfumature del nero.
Della consapevolezza di essere stato illuso e deluso, ancora. -Maledetto...
Lysander si vestì in fretta e furia, preso dal panico. Non voleva perdere Castiel. Non per quello scherzo di fraintendimento, non per Debrah. Non adesso che lo desiderava al suo fianco, e che aveva un disperato bisogno di sentirlo vicino sempre. Il corvino lo trucidò con un'occhiata maledetta, e contrariamente alla rissa che tutti si sarebbero aspettati, scappò. Lysander lo seguì senza perdere tempo, terrorizzato. -Castiel!- gridò, e in un attimo fu fuori, in mezzo alla strada deserta. Aveva freddo, l'aria era gelida. Ma l'urgenza di spiegare e mettere le cose in chiaro dominava ogni suo senso. -Castiel!- lo raggiunse e lo acciuffò per il polso, ma Castiel era forte, e si liberò senza problemi. Poi lo spinse gridando, gli occhi grigi colmi di lacrime. -Lysander, mi fidavo di te! MI FIDAVO!-
-Scherzi vero!? Debrah mi ha portato su, non pensavo che tutto questo teatrino in realtà facesse riferimento a lei..!
-Infatti non doveva andare così..!
-Allora ci ha, anzi ti ha bellamente preso per i fondelli, Castiel! E comunque non avrei avuto lo stesso intenzione di fare queste sciocchezze! Ho provato ad uscire ma non me l'ha concesso! Mi è saltata addosso e...- ammutolì quando le lacrime dell' amico di una vita intera si fecero pesanti. Non c'era giustificazione che potesse reggere il confronto con un cuore dilaniato e spento. Lo sapeva. -Castiel, perdonami.- addolcì il tono, lo sguardo. Debrah era acqua passata. Ora sarebbe stata lontana da entrambi, per sempre. -Quello che hai visto tu, ero solo io che cercavo di farla ragionare senza doverla buttare fuori dalla finestra. Non volevo farle male, come non volevo e non voglio fartene a te. Lo sai. Ti prego, non fare lo sciocco.
-Io l'amavo...- mugugnò Castiel, mentre rivoli di lacrime gli colavano giù per gli zigomi. -L'amavo, e tu hai rovinato tutto...
-No, lei ha rovinato tutto. Almeno, ci ha provato, senza riuscirci. Non è così? Castiel, non oserei mai farti una cosa del genere... non l'ho mai fatto a mio fratello, nonostante nutrissi sentimenti per Rosalya, lo sai che questo genere di... di... insomma, sono quello per cui schifo questa società!
Castiel sollevò il capo solo per ammazzarlo con sguardo accusatorio. Lysander sarebbe voluto morire. Cercava di non ferire le persone, e alla fine della fiera era sempre lui quello col coltello girato dalla parte del manico. Tutto il resto veniva trafitto dalla lama. Prima Leigh, ora Castiel.
Per colpa di Debrah. Non poteva crederci. Gli tremò il mento, e quando parlò, la voce gli uscì tremante dalla gola. -Perdonami Castiel, ti prego...- rimase senza fiato. Capì che non sarebbe più riuscito a dire nulla, e allora lo guardò implorante. -Non andare via anche tu...
Castiel sollevò le spalle.
Poi si indicò il labbro, la guancia. -Sei sporco di rossetto.
Lysander tirò fuori il fazzoletto e si pulì, imbarazzato. Provò a cavarlo via sfregandosi con rabbia, ma la scia rossa di cosmetico rimase, indelebile come il burrone che si era appena aperto tra lui e il suo migliore amico.
-A quanto pare, la cosa era seria. E io... io come un ingrato, che pensavo pure di farti un favore- fu l'ultima cosa che disse il corvino, ferito e oltraggiato. Dopodiché girò i tacchi e sparì verso l'auto che lo attendeva nel ciglio della strada.
Lysander lo chiamò ancora, ma alle orecchie gli giunse solo un sordido silenzio.
Rimase lì, da solo, in mezzo alla strada.
Da solo per davvero.
 
__________________________
nda
e torno anche ad aggiornare questa storia, dopo secoli ** a scuola abbiamo iniziato l'epoca vittoriana, ed è bello notare di aver azzeccato con buona parte di ciò che avviene in questa storia, primo tra tutti il sistema sociale! E infatti anche oggi vi darò qualche delucidazione a riguardo uwu
➤ bordelli. Eh sì, i bordelli, questa parolina bruttina bruttina che molto probabilmente i cari vittoriani si vergognavano persino a pronunciare, a fatti era diffusissima, specialmente nelle malandate periferie londinesi, o di qualsiasi altra città inglese vogliate. Per quanto detestassero ammetterlo, facesse loro orrore parlare di sesso – una vera e propria ossessione –, fuori dal quadretto matrimoniale erano moltissimi quelli che avevano una vita parallela, o che, come diremo noi oggi, andavano a puttane per puro divertimento. La gente sapeva, ma non diceva nulla, c'era un'ipocrisia pazzesca e un modo di fare davvero incoerente. Ma per i cari vittoriani soltanto l'apparenza andava protetta, poi, dietro le mura di casa, ognuno faceva un po' quel che gli pareva. E beh, il tanto fintamente temuto sesso diventava molto libertino. Mooolto.
➤ Il matrimonio salva-apparenza/riparatore, anche qui, tema molto conosciuto, e che andava di super voga ai tempi. Non vi sto a spiegare i perché e i percome, tanto lo sappiamo tutti come funzionavano queste situazioni, in ogni caso, state tranquilli, Alice non finirà in mano a nessuno stupratore/killer/psicopatico, siamo realisti. Matrimonio combinato non per forza voleva dire odiarsi. Ho letto un libro molto interessante a riguardo, ambientato in epoca vittoriana, dove una delle protagoniste finiva costretta a diventare moglie di un uomo che contro tutte le mie aspettative alla fine si è rivelato davvero stupendo; i due, pur non amandosi, hanno imparato a farlo con affetto, e poi è partita malissimo la shippp, gli scleri, i gridolini(?)
E nulla, questo per dirvi che non ci saranno problemi con altri uomini, per Alice, all'infuori dell'incognita Lysandro, OH, e a proposito di Lysandro... so che la scena con Castiel, Debrah e il caro Lys è simile a quella tra Cass, Nathaniel e Debrah in DF, ma è stata una scelta fatta apposta, in quanto voglio attenermi alla reale storia di Castiel, e perciò aspettatevi un suo cambiamento – no, non si tingerà i capelli –, come nella trama originale.
Ho finito.
Grazie a tutti quelli che stanno seguendo, a chi recensirà, e a chi leggerà silenziosamente ;*
xo
Lila
 

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Capitolo 8
*** viii. ***



viii.

 

Tutto quel rumore lo stava facendo impazzire.

Lysander si prese la testa pesante tra le mani, affondò le dita tra i capelli, ma nemmeno così riuscì a trovare pace dal grande fracasso della fabbrica. Allora si alzò, e si disse che anche all'aria aperta sarebbe riuscito a leggere un paio di fogli riguardanti la gestione del patrimonio ereditario che Leigh gli aveva intestato. Attraversò il corridoio di lavoratrici che filavano a testa bassa, senza guardarle, e si gettò sulla porta. Uscì e si recò vicino ai bidoni, poi si sedette sul muretto di mattoni sconnessi che circondava l'azienda e si mise a leggere. Si accorse di aver perso il segno. Difficile lo smarrisse. Così lo cercò, senza trovarlo, perché all'improvviso le parole avevano iniziato ad accavallarsi le une sopra le altre, o forse era lui ad essersi scordato come si legge un groviglio di lettere. Abbassò il foglio, che scricchiolò tra le dita arrossate di freddo.
Era inutile pensare che stesse filando tutto liscio. Che fosse davvero in grado di poter sostenere le parole di un contratto timbrato e firmato Ainsworth, quando solo ieri aveva perso il suo migliore amico. Si sentiva male da far schifo, pieno di angoscia e con lo stomaco ridotto a filamenti di intestino squarciati di dolore. Non sapeva più nemmeno cosa pensare di quella situazione, perché se si perdeva a farlo, non era più sicuro di uscirne vivo e illeso. Smosse la gola per la sete, e si maledì di non essersi portato da casa nemmeno un po' d'acqua.
Sospirò nervoso, e quando sollevò lo sguardo distratto dai fogli, quasi erroneamente finì per incontrare gli occhi gialli della ragazza a cui aveva prestato soccorso per il naso; la osservò trascinare un sacco pieno di sporcizia da buttare, curva e sporca ovunque.
Poi il cuore gli sobbalzò nel petto, e la salutò con un cenno del capo nel momento in cui anche lei lo notò in mezzo al marasma di polveri e caos che imperversava da chissà quante ore intorno a loro. Lysander si mostrò forte, ma abbastanza accorto da realizzare con dispiacere che la giovane non era energica come i giorni scorsi. Che quello non era lo stesso giallo di qualche settimana fa. Era spento. Flebile, come una lucciola in punto di morte. Come il suo. -Mmm... fermatevi un attimo.
Lei si voltò con uno scatto, stupita di essere stata interpellata da quello che ormai era diventato il suo capo. -Signor Ainsworth!- esplose, e mollò il sacco pieno di spazzatura, pulendosi le mani sul grembiule ingrigito. -Posso aiutarvi in qualche...
-Come state?
Alice arrossì. Non era abituata alle premure, e qualcosa dentro il petto prese a muoverlesi frenetico quando gli occhi di lui la guardarono oltre la frangia che brillava argentea sotto il sole incerto di quella mattina polverosa. Capì che era preoccupato, e il cuore le si riempì di gioia nel rendersi conto di essere finita ancora al centro delle sue tanto adorate attenzioni. Ma poi il dolore e la rabbia arrivarono, e adombrarono tutto con il loro lenzuolo nero. -Io...- strinse le mani con forza abominevole, sbiancandosi le nocche. Ripensò al matrimonio, alle condizioni di suo padre, al sangue che aveva perso dal naso quella sera ancora viva dentro di lei, e un incendio le esplose al centro del viso, colorandolo di rosso. Scoppiò a piangere in silenzio, scoppiò a piangere perché non si sarebbe arresa. Perché tutto era scappato più lontano, ma prima o poi lo avrebbe raggiunto. Raggiunto e superato.
Eppure, faceva lo stesso un male atroce.
Lysander smontò dal muretto e le venne incontro nei suoi pantaloni eleganti e il suo portamento da uomo. -signorina...- la chiamò. Alice tornò ai sacchi, ma lui la prese con delicatezza per un polso, per distrarla dall'impegno. -oh cielo, perdonatemi, sono una meschina.- si giustificò la castana, e per un istante godette del tepore delle loro pelli vicine, di quelle dita forti che la stavano reggendo in attesa di spiegazioni che forse non era opportuno dare, ma che le sarebbe tanto piaciuto poter rivelare. Solo per sfogarsi. Solo per sentirsi meno sola.
-No, non penso affatto questo.
-Non volevo mettermi a piangere, voi mi avete ricordato...- si arrestò, le narici dilatate e bagnate di lacrime mentre il giovane le lasciava andare la mano. Il suo calore l'abbandonò così come l'aveva colta.
Si sentì un fiore senza acqua. -Perdonatemi...
-Sono...- Lysander si portò una mano al petto e fece un lieve inchino. -qui, se sentite il bisogno di parlare.
-Figuratevi signore, non voglio mica annoiarvi con le mie paranoie da ragazza problematica.
-Non sa quante paranoie mi faccio io, signorina. Credo sia abbastanza normale. Sarebbe strano non farsele, ma Dio ci ha creati uomini, e gli uomini purtroppo sono costretti a pensare e beh. Farsi anche paranoie.
Alice arrossì a quel discorso strano e sensato allo stesso tempo. Era stato un modo del ragazzo per costruire del distacco, oppure per invogliarla a fidarsi ancora? Non sapeva cosa fare. La voglia di gettarsi tra le sue braccia fu talmente forte che si vide costretta a dargli di spalle e fingere di essere concentrata su altro. Aprirsi significava condividere il suo dolore con qualcuno, e forse le avrebbe fatto del bene.
-Insisto. Perché non mi aspettate qui, al termine dell'orario di lavoro? Sarò anche felice di riportarvi a casa, se desiderate.
Lo guardò nervosa, le iridi ancora arrossate di pianto. Lei non ci voleva nemmeno tornare, a casa. Voleva andarsene in America, scegliere con chi sposarsi, essere libera e marciare per la sua strada senza rogne che potessero condizionare in quel modo la sua esistenza già complicata. E perciò capì di avere un disperato bisogno di lui. Del suo conforto, di quegli occhi che la stavano guardando in attesa di una risposta. Annuì, e si sforzò di sorridere. -Ci sarò..
-Ottimo.- Lysander ricambiò il sorriso con un distacco che nascondeva dell'affettuosa intimità, piegando dolcemente i lati delle labbra carnose.
Alice arrossì. Quanto era bello, quando lo faceva. Se avesse potuto sposarsi con lui... fuggire con lui, lontano... ma poi si rese conto che c'era un limite anche ai sogni. Che quel tipo di fantasia era irrealizzabile, e che ne aveva abbastanza di false promesse, perché non c'era niente che la schifava più della morte della speranza. Puntò i tacchi e lo congedò.

 
Quel giorno le parve di intingere più tele che in sette mesi di lavoro.
 
 
Come da accordo, terminato il turno lavorativo Lysander Ainsworth si fece trovare accanto ai bidoni, avvolto nel doppiopetto che, modellatoglisi sul corpo, si stagliava come una falce allungata nel cielo colorato di cobalto. Alice lo guardò un po' prima di raggiungerlo, indecisa sul da farsi. In attesa che il cuore le si calmasse, che la mente le tornasse lucida mentre più lo fissava, e più le sembrava di non poter più fare a meno dei suoi occhi eterocromatici, il suo portamento da salvatore che la attendeva paziente controllando l'orologio da tasca dorato. Si sciolse i capelli, si pulì il viso sporco col fazzoletto che le aveva regalato, anche se compiere miracoli di bellezza in così poco tempo equivaleva all'impossibile. Poi gli corse incontro come avrebbe potuto inseguire un sogno. L'America, una libertà che aveva cominciato a sapere di lui dal primo giorno in cui l'aveva visto, e che tutte le volte le metteva le ali ai piedi. Frenò prima che potesse gettarglisi sul collo e stringerlo con forza a sé. Le era mancato. Non sapeva perché. Essere lì, in sua compagnia, la faceva sentire potente.
Al sicuro da tutto.
Lui le sorrise, mostrando i denti bianchi. -Eccovi. Tutto bene?
-Stanca morta, ma bene, grazie...
La guidò fino all'auto e le aprì la portiera con un'eleganza che aveva dell'erotico, del trattenuto. Alice arrossì vistosamente, prima di entrare attenta a non sbattere la testa – e fare una pessima figura da contadina mediocre –. -Vi ringrazio.
-E' solo una cortesia.- rispose lui, e si mise al posto di guida. La guardò un attimo, nascondendo un sorrisetto dietro una rigida espressione da statua greca. Era molto carina, anche con quei rigoni sporchi, anche con la pelle sudata e i capelli attaccati alle tempie. Osservarla in quello stato così naturale, così intimo, riuscì a dissipare ogni suo tormento. Castiel, Leigh, Rosalya. Tutto svanì in mezzo a quel castano acceso, il giallo dei suoi occhi da gatta, il nasino storto coperto di lentiggini. Durò un attimo, il tempo di tornare a guardare la strada, accendere il motore. Ma lo lasciò allibito a pensare, col cuore in apnea.
A chiedersi se fosse quello l'amore che in ventidue anni di vita aveva visto solo tra Leigh e Rosalya.
-Dovreste smettere di  ringraziarmi per tutto.- disse, e non seppe decidere se si trattasse di un rimprovero affettuoso invece che una battutina volta allo scopo di sentirsi più unito a lei. Più amico. Non ne faceva da troppo tempo. Si sentì fuori luogo, o forse il vero sé stesso. Mise in moto e guidò fino al cimitero.
Sarebbe stata la loro bolla. Nessuno li avrebbe disturbati, lassù.
 
 
-Un cimitero?
Lysander non rispose a quell'ovvia osservazione. Continuò a camminare imperterrito tra le lapidi grigie e scheggiate da chissà quali agenti atmosferici, marciando come un soldato adombrato che rientra in patria senza nessuna buona notizia da dare. Gli faceva uno strano effetto tornare lì, dopo che solo una sera prima ci era stato a fumare insieme a Castiel.
Castiel.
Ripensare a tutto quello accaduto ieri notte bastò a bloccargli la saliva alla gola, ma si disse che non doveva temere. Che dietro le sue spalle c'era lei, i suoi piccoli ansimi di fatica, i suoi occhi che fluttuavano curiosi scrutandosi minuziosamente intorno. Trovò la forza per raggiungere il rifugio in cui era solito recarsi quando qualcosa andava storto, o quando semplicemente aveva voglia di isolarsi. Poi la fece accomodare sull'erba, tenendola saldamente per mano. Le loro dita si strinsero forte, fortissimo.
Non si lasciarono nemmeno quando i corpi ebbero modo di sedersi.
Lysander la guardò intenso, costringendola ad abbassare le iridi per quel contatto che parlò ancora prima dei loro cuori. Avrebbe voluto tenere quella mano per sempre tra le sue. Baciarla sulle nocche da maschio, solo per sentire che colpo d'amore al petto si sarebbe preso in caso fosse realmente attratto da lei. Ma gliela lasciò andare, e le permise di sistemarsi la gonna. -E' rilassante, qui.
La guardò e sorrise. -Sì, molto.
-La mia famiglia non sa che sono qui...
Si accucciò accanto a lei e strappò un filo d'erba, su cui ripose ogni singola cellula adibita alla concentrazione mentale. Starle così vicino lo stava mandando in visibilio. Più di quanto la presenza di Rosa avesse mai fatto in tutta la sua vita. -non ci metteremo molto. Ti riporterò a casa prima del tempo, è una promessa. Non si accorgeranno nemmeno che sei stata con me.
Alice annuì. Poi lo guardò, e la sua curiosità incendiò il petto di Lysander. -Leigh Ainsworth dov'è stato oggi? Non l'ho visto, ho visto solo... voi...
-Abituatevi, perché sarà così d'ora in poi.
La lasciò a pensare, e si disse che forse era meglio donarle qualche spiegazione. -Ha una malattia terminale. Prenderò io l'azienda, non avete di che preoccuparvi.
La notizia la lasciò sconvolta. Lysander la osservò sgranare le iridi, sollevare le spalle, e la trovò bella nel suo modo di reagire agli schiaffi della vita. Era così diversa da lui. Uno si chiudeva, l'altro si apriva. -Che.. che malattia?
-Bella domanda.- rispose, e finalmente si decise a sedersi. Le sfiorò la spalla con la sua, e la pelle gli si ricoprì di brividi di piacere ovunque. Di felicità, nell'essere riuscito a portarla lì. Nel suo luogo intimo e segreto, dove solo Castiel poteva mettervi piede. O forse non più. Non lo sapeva. Sapeva solo che ora c'era lei, che valeva più di mille giorni spesi a scrivervi poesie, a fumare, a lamentarsi di una società che alla fine era riuscita a catturarlo. -Me lo chiedo da quando sta male.
-Mi dispiace davvero tanto... vostro fratello è sempre stato un capo esemplare... non conosco datori di lavoro che si comportano come lui.
-Vi prego, non dispiacetevi... succede, è... è la vita, credo.- distese le braccia e guardò il cielo nero che dominava l'infinito, cercando di non farsi trapassare dal dolore. Lei lo imitò. E per un po' fu silenzio, lo stesso che si crea tra due amici, due teste che la pensano uguale, e che non hanno bisogno di parole per perdere tempo a discutere.
-Come vi chiamate?
Quella domanda lo riscosse. In effetti, i loro nomi erano rimasti un'incognita. -Lysander. E voi?
-Alice.
Sorrise, ricordandosi di una fiaba che gli era stata letta da piccolo. -Come Alice nel Paese delle Meraviglie?
Alice scoppiò a ridere di gusto, e Lysander si scoprì a ridere pure lui, come un bambino, come tanto tempo fa. Fu un'emozione talmente forte che quando tacque gli bruciarono i polmoni di gioia, dolore, tutto insieme.
-Esatto, esattamente! Proprio come lei, anche se non sono né bionda né graziosa.
-Non la penso come voi.
-Stiate pur tranquillo, tutto il resto è uguale.
-Vi prego, non diamoci più del voi. Diamoci del tu. Rende tutto meno... meno lontano.
Si guardarono in un modo che nessuno dei due seppe definire. -Stai tranquillo.- ripeté Alice, e assaporò il tono confidenziale con cui aveva pronunciato quelle parole, pensierosa. -Tutto il resto è uguale.
Lysander portò gli occhi alle loro mani nascoste sotto l'erba, le loro dita che un altro po' e avrebbero potuto toccarsi, se solo ci avessero provato. Ora sì che la sentiva vicino. Vicino al cuore, vicino dove mai nessuno era arrivato. -Cosa intendi con "tutto il resto è uguale"?
-Che la mia vita non ha senso. O almeno, ce l'ha. Un pochino, forse. Ma rischia di perderlo, e... non voglio entrare in quel buco.
Guardò di sbieco una tomba, irritato. Per lui era la stessa identica cosa. La stessa condizione da incubo. Scivolato in un tunnel senza fine, dove dentro stavano accadendo delle cose che avevano dell'allucinante. Per un attimo si chiese se fosse matto. Se tutto quello non fosse solo uno stupido sogno. Era peggio di morire, diamine. -Benvenuta in galera.
-Oh, che gentile da parte tua.- Alice mantenne un tono ironico, ma dentro si sentiva devastata. Frammentata in due dalla situazione che all'improvviso l'aveva presa al collo. Quando parlò, la voce tremò violentemente, catturando l'attenzione del suo... datore di lavoro? Come doveva chiamarlo? La sua unica luce? Il Bianconiglio della situazione? -devo sposarmi... m-ma voglio andare in America. Non voglio stare con un uomo che non amo. Non... non lo so. Ho paura.- lo disse con una fretta che mise ansia persino a lei. Le mani presero a tremarle di rabbia, e non nascose quel sentimento a Lysander. Voleva che vedesse. Che capisse, che la consolasse col suo dolce modo di fare. Il canuto aggrottò i fini sopraccigli bianchi, interdetto. La parola "America" lo scombussolò come un tornado, ma nascose tutto dietro una maschera di ferro irremovibile. -Immaginavo non volessi sposarti. Non mi sembri una signora che perde tempo dietro queste cose arretrate, ma non credere che in America sarà poi tanto diverso.
-Cambia tutto, invece. Cambia che voglio inseguire i miei sentimenti, e qui non posso farlo, perché i miei genitori me lo hanno appena impedito. Sapevo che non avrei vissuto una vita perfetta, senza rischi. Sapevo che presto tutto questo sarebbe arrivato, ma ho un'arma vincente dalla mia parte e non ho davvero intenzione di tirarmi indietro. Se posso evitare i guai, o rallentarli, lo faccio. Si chiama sopravvivenza.
-Sei una ragazza determinata.- fu l'unico commento di Lysander, che invece avrebbe voluto dirle tanto altro. Che l'ammirava per la forza di quelle parole, che la invidiava, perché lui era stato ucciso ancora prima di potersi realizzare, e non aveva avuto nessuna possibilità di scelta. Lei invece ne aveva. Estreme, ma pur sempre chances. E le conveniva usarle, perché Lysander non avrebbe augurato a nessuno di fare la sua stessa fine. In gabbia, per sempre. Condannato ad un destino che aveva cercato di evitare da quando era nato, e che invece lo aveva raggiunto ancora prima che potesse sfuggirgli. Troppo lento.
Ma Alice era diversa.
Alice era veloce, ed era ancora in tempo. Le prese la mano, incastrando le dita tra le sue. Poi la sollevò, e lo fece davvero. Le baciò con dolcezza le nocche, senza smettere di fissarla. Alice reagì arrossendo, sorridendo, un po' confusa. Lysander assaporò il sapore della sua pelle. Come aveva predetto, temuto.
Era pazzo di lei. Il cuore gli saltò sul ventre, cominciò a correre rapido mentre la sua bocca si dilatava appena sulla mano della castana. Era una vita che non provava tutti quei sentimenti. Tutto l'amore che aveva sentito per Rosa era stata un'illusione, una finta. Non poteva minimamente essere comparato al desiderio, alla voglia di lasciarsi andare che sentiva in quel momento magico e tutto per loro. -Ce la farai, Alice.
Alice mosse appena le dita, il respiro fossilizzato. Le gote avvamparono, il cuore si sciolse sotto i raggi caldi di quel bacio casto e proibito allo stesso tempo. Sentì le viscere staccarsi dagli organi. Sentì di morire di gioia, di emozioni strane, di voler scappare con lui mentre si gustava il tepore della sua bocca grande premuta con distacco sulle nocche. Si dimenticò che quello era il suo nuovo datore di lavoro, che quella era una situazione strana, ambigua, proprio come Alice quando precipita nella tana del Bianconiglio, e poi arriva lo stregatto, il bruco strafatto di narguilé, la Regina di Cuori. -I-io... è... tutto così...
Lysander le lasciò andare la mano. Il suo viso statico non rivelò nemmeno una virgola di ciò che stava sentendo dentro. Del terremoto che lo aveva scosso da cima a piedi, come un debole fuscello scosso dal vento. -Strano?
Alice non rispose. Rimase a fissarlo, le dita premute sulle nocche come a voler imprimere il ricordo di quel bacio sulla pelle. Nel cuore.
-Si è fatto tardi.
No, non si era fatto tardi. Non ancora. Voleva rimanere con lui. Navigare in eterno in quel limbo di cose non dette, di sensazioni tutte nuove.
-Ti accompagno a casa, Alice.
-E'...- "è necessario?", avrebbe voluto chiedere, ma Lysander si alzò, senza darle modo di trovare un senso a ciò che aveva avuto l'intenzione di dire. A tutto quello che era appena nato tra loro.
-E'?
-No, nulla... sono stata bene in tua compagnia, Lys... Lysander. Ti ringrazio.
-Grazie a te, per esserti aperta.
Camminarono fino all'auto, in silenzio, ma la ragazza non aveva finito di parlare, ancora. Non voleva entrare in macchina, tornare alla realtà. Non era pronta. Non lo sarebbe mai stata, senza la sicurezza di aver trovato una spalla da cui correre, ora e per sempre. Di aver trovato lui. -Lysander...- lo fece voltare incuriosito. La tentazione di chiedergli perché le avesse fatto il baciamano era forte, ma in fin dei conti aveva davanti un vero signore. Domandarlo l'avrebbe solo categorizzata come stupida. E lei non voleva sembrarlo. Non ai suoi occhi, erano troppo importanti. -ci saranno ancora... altri momenti come oggi?
-Se lo vorrai.
-Mi piacerebbe molto.
Salirono.
-Lysander...
Lui sorrise. -Sei una tipa loquace, eh?
-Ti do fastidio?
-No, assolutamente, figurati- si corresse lui, e la guardò gentile, rilassando la fronte. Aveva bisogno di quella voce. C'era stato fin troppo silenzio, nella sua vita. -Dimmi.
-Nulla. Grazie.
-Ringrazi troppo, te l'ho già detto.
-Grazie, per aver reso la mia vita un attimo più... più vita.
 
 
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nda
ok, questo ritardo è imperdonabile, me ne rendo conto, ma, MA, non potete non giustificarmi se ora vi dico, cari lettori, che sono stati mesi INFUOCATI per il mio povero cuoricino. ho iniziato la quinta superiore e ho da studiare tutti i giorni, ripeto, TUTTI, guido con mio padre ormai ogni notte per sta benedetta patente, sono sempre stanca, non mi fermo mai, ho avuto problemi col pad del pc e mille altre cose che vi risparmio, davvero, o questo angolino diventerà un blog per alcolisti anonim--ehm. Vi prometto che cercherò di essere più veloce ad aggiornare questa storia. ci sono merdosamente legatissima, e nulla, bando alle ciance, ora inizio con le coseh serie.
Sta per finire. la storia, intendo. eh, sì. non ricordo se lo avessi detto o meno, tempo fa, ma a titolo informativo, la fic dura esattamente dodici capitoli, per cui, dal prossimo, aspettatevi davvero un fuoco incrociato. in particolare tra Alice e Lysander, che con questo chappy hanno sbloccato un certo tipo di intesa e, beh, il nostro smemorino si è reso conto di amarla. non è da poco. ma vedrete, vedrete. e mi direte.
Solite delucidazioni vitt-- no, scherzo, questo è un capitolo amoroso, non c'è nulla di particolare da citare. Solo una mia piccola modifica. Se ve ne siete accorti, ho modificato l'anno in cui avviene questa storia, preferendo tornare indietro al 1881, questo per due fattori che ho conosciuto troppo tardi, ma che per fortuna sono riuscita in tempo a correggere.
1882: le donne ottengono il diritto di gestire la famiglia, nello specifico di potersi occupare della casa e della gestione dei pagamenti, mutui, organizzazioni gestite dai mariti ecc ecc, insomma, questioni che fino a poco prima stavano a carico dell'uomo, lui e lui soltanto. Vista la condizione di Rosalya, destinata a perdere Leigh, costretta a sposarsi con Lys per non divenire una fallen woman, la storia non poteva, chiaramente, svolgersi nel 1896, quando ormai un atto del genere si era consolidato e instaurato all'interno della società. Insomma, se non avessi traslato indietro di un anno prima a questa legge, questa fic non avrebbe avuto senso :D
Errore mio. sicuramente che ne sono altri, prima o poi li scoverò tutti.
questo mi pareva il più grave, e urgentemente da modificare.
Mi dispiace, Rosa, sei condannata BUAHAHA.
E nulla, al prossimo capitolo! Invito coloro che mi stanno seguendo a non demordere, e, se sono interessati, a lasciare un commentino, non fa mai male
baci!
Lila

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Capitolo 9
*** ix. ***


 

ix.

 

Quando Lysander tornò a casa quella sera, si stupì di trovarsi le luci della sala spente, i mobili immersi nel buio oltre il vetro lucido del bovindo che emergeva dal muro come una collina verdeggiante. Ieri, quando Leigh aveva deciso di affidargli definitivamente la fabbrica, si erano messi tutti d'accordo per aspettarlo e cenare tutti insieme, anche se ciò equivaleva a spostare l'orario di ben tre ore dalle solite diciotto fiscali. A quanto pareva, doveva essere successo qualcosa. Difficile che Rosa lo lasciasse senza nulla di pronto, visto che non faceva altro che ripetergli quanto fosse magro. Il panico lo assalì alla gola nel pensare che forse Leigh, forse... scosse il capo, si gettò sulla porta bianco latte, come un pazzo inseguito da uno più pazzo di lui. Entrò senza pensare e se la richiuse alle spalle con un tonfo secco, poi arrivarono le grida, che gli aggredirono le orecchie rese iper sensibili dal dolore. Impallidì, le gambe si fecero molli sotto il tessuto fresco di notte dei pantaloni. Era Rosa. Rosa, che strillava peggio del suo ultimo parto.
Gli si dilaniò il cuore. No.
Non poteva essere finita così. Leigh, suo fratello, non poteva certo essersene andato. Non poteva averlo abbandonato senza dire nulla, senza nemmeno un biglietto di addio, una lettera, una chiamata, un qualcosa, e più ci pensava, più il terrore di essere arrivato troppo tardi marciava dentro di lui, attraversandolo da parte a parte. Alice sfumò, tutto sparì nella sua testa, sovrastato da un panico che non seppe più tenere a freno. Si precipitò sulle scale, e quasi non scivolò sul tappeto quando si lasciò alle spalle la rampa infinita di gradini palladiani. Ansimava, le lacrime agli occhi. Scoprì che le urla venivano dallo studio di Leigh, così ne spalancò la porta, che batté violentemente contro il muro tappezzato di carta da parati a fiori. -Leigh!- gridò, ma se ne pentì subito quando lo vide illeso, in piedi accanto alla finestra, con le braccia incrociate al petto e tutta l'aria di essere sul punto cruciale di una discussione molto, molto accesa. Il corvino lo guardò appena, poi tornò a fissare Rosa. E allora anche Lys si mise ad osservarla, e bastò vederne il viso arrossato, gli occhi pieni di lacrime, per capire che Leigh finalmente aveva rivelato la sua malattia. Rimase fisso sulla porta, paralizzato, incapace di boccheggiare e prendere aria. Rosalya era tutta un tremito. Quando si voltò in sua direzione, Lysander si sentì inchiodato al muro, trafitto dai sensi di colpa. -tu... sapevi...!
Tacque, pallido come un morto. Doveva averlo scoperto quando era entrato gridando il nome del fratello, ovvio. Ma tanto ormai non aveva importanza. Faceva già un male atroce così. -Sapevi, e quando ti ho chiesto, mi hai mentito...! Mi hai detto che andava tutto bene... che... che...
Intervenne Leigh, rigido come sempre anche se le lacrime della moglie lo avevano palesemente scosso. -Rosa, gli ho chiesto io di tacere. Non lo mettere in mezzo.
Rosalya gridò così forte che fu un miracolo se i bambini non si affacciarono preoccupati alla porta. Lysander non sopportava di vederla così. Le venne incontro, per stringerla, spiegarsi, proteggerla da tutto quello, ma Rosa lo uccise con lo sguardo. -Non ti avvicinare! Esci da questo studio!
-Rosalya- Lys tese le mani in avanti, cercando di calmarla. -Rosalya, ti prego, cerca di capire. La situazione non è per niente facile, non sei l'unica che..!
Volò un tentato schiaffo, al quale reagì socchiudendo le iridi, ma Leigh bloccò il palmo della moglie a mezz'aria, pochi secondi prima che Lysander potesse ritrovarsi la guancia rossa e gonfia per un odio che non meritava. Rosa tentò di liberarsi, furiosa, ma il corvino strinse ancora di più la presa. Era furioso Furioso come una iena, e la costrinse a guardarlo in viso, ruotandola sulle calze scivolose. -Non toccare mio fratello. Non farlo mai più, Rosalya de Meilhan.
-Sei un bugiardo pure tu...! Leigh, come... come hai potuto nascondermi tutto... tutto questo! LEIGH, COME!
Leigh la ignorò, ma le lasciò andare con delicatezza il polso, per non farle ancora più male di quanto già non le avesse fatto. Fissò gli occhi neri su quelli di Lysander, e indicò la porta con un cenno del capo. Solo in quel momento, il canuto si accorse dell'enorme chiazza viola che era spuntata sul collo del fratello. -Esci da qui.
-Leigh, ti prego...- Lysander puntò i piedi, mentre Rosalya non smetteva di piangere disperata. Non voleva uscire. Non poteva rimanersene al di là della porta ad ascoltarli litigare, quando anche lui era coinvolto in quella storia. Era suo fratello. E stava per perderlo, e compativa Rosa, e la stanza gli stava cadendo addosso da quanto vorticava. -permettimi di...
-Esci. Da. Qui.
-Non me ne starò impotente ad ascoltarvi, mai!
Questa volta fu Leigh ad alzare la mano, e questa volta Lysander lo sentì, lo schiaffo, duro e selvaggio, pieno di angoscia. Arrivò pesante sulla guancia, voltandogli il capo verso la finestra. Fece male. Il bruciore si irradiò fino a raggiungergli l'orecchio, la tempia e la nuca nascosta dai folti capelli bianchi. Non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarlo. Riuscì solo a muovere le dita, a toccarsi lo zigomo pulsante di dolore. Era la prima volta che Leigh perdeva le staffe in quel modo, e l'angoscia che potesse sfogarsi anche su Rosa gli fece correre il cuore lungo tutto il perimetro del corpo. Tuttavia non osò rimanere in quella stanza un minuto di più. Li lasciò ai loro pianti, ai loro drammi su un destino che non si poteva più evitare.
Su
un amore che non poteva più continuare, non come prima, perché presto sarebbe stato tutto diverso.
Tutti sarebbero morti.

Andò a dormire senza togliersi i vestiti.

Quella notte sognò di essere ricoperto di chiazze viola.

Pioveva.

Come quel giorno, il giorno in cui Lysander aveva davvero pensato, come un povero ingenuo, di poter fuggire da tutta quella grande baraonda spacciata per commedia teatrale che era divenuta la sua esistenza. Si era realmente illuso che la vita sarebbe stata comunque facile, forse solo malinconica, un po' sbagliata, indegna di essere vissuta in simili condizioni. Che sarebbe stata per sempre solo poesia, libri, le canne, qualche chiacchiera con Castiel, un lamento continuo.

Pioveva.
Come quel giorno, il giorno in cui Lysander aveva capito di essere appena morto.

Pioveva, e più fissava la pioggia cadere, più il giovane capiva di aver bisogno di morire ancora, senza risorgere più da ceneri ormai troppo vecchie per permettersi di ricreare una nuova fenice. Capiva di essere arrivato al limite, di averlo persino superato, quel dannato limite. Di essere appena scivolato nella tana del Bianconiglio.
Ma voleva una cosa.
Voleva che ci fosse Alice, ad aspettarlo di sotto. A prenderlo, prima che tutto si riversasse su di lui come un cumulo di polvere e macerie.
Andò al lavoro senza fare colazione, permettendosi solo di salutare la badante, perché sapeva che Leigh e Rosa non si trovavano in casa, ma dal medico e forse più di uno, a far ingozzare il fratello di chissà quali strani intrugli erboristici. Il che voleva dire solo una cosa.
Non sarebbero tornati.
Non prima dell'ora quindicesima.
Andò al lavoro, sì, ma senza una reale intenzione di rimanere lì. Andò per lei. Per prenderla, e portarla via. La trovò a cucire degli stupidi merletti insieme ad altre giovani ragazze, sporca in viso e piegata come un mulo. La chiamò con un cenno del dito, ma la castana non se ne accorse, tutta presa a sfogare le sue frustrazioni sul lavoro. Fu l'amica vicina a darle una gomitata. -Ti cerca il capo.- sentì dirle dalla bocca morsicata di nervoso. E allora vide Alice sollevare la testa con uno scatto, così seria da far male. Ma adesso non c'era tempo per i drammi. Solo per le belle cose. Solo per il Paese delle Meraviglie, il loro; avrebbero chiuso tutto dentro un armadio, insieme, ancora una volta. Come ieri. Per provare a vivere di nuovo. -Signor...- Alice non finì la frase. Lysander la acciuffò per il polso e la trascinò via dalla fabbrica a grandi falcate, divorando metri di pavimento sotto gli sguardi sbigottiti delle guardie. Che sapessero. Sapessero pure che era pazzo di lei. Non aveva più paura di nulla. -L-Lysander!
-Fuori da qui. Basta.
-Lysander, che cosa...!
-Ti porto via.- si voltò per rimettere a posto la governante armata di frusta e qualche uomo sotto il suo potere. -continuate a fare il vostro lavoro. E state fuori dalla mia vita.
Disse questo, prima di scappare con la mano di Alice stretta nella sua.
Poi i battenti si chiusero con un tonfo, e fu polvere ad accecare la vista di persone già cieche.

Tornarono a casa di Lysander che la pioggia era cessata da diverso tempo, nonostante Alice si fosse aspettata di fare una seconda visita al cimitero. Sembrava diversa dall'ultima volta che l'aveva vista, e non si riferiva al design neoclassico che tanto andava di voga nei quartieri lustrati della Middle Class. Quello era sempre uguale, con i suoi archi elaborati, le sue finestre a scorrimento da cui dietro si poteva scorgere il tessuto pregiato delle tende.
Era diversa, perché le ricordava tanto il relitto di una nave dimenticata. Qualcosa doveva essere accaduto, qualcosa di terribile. Si rese conto di non sapere ancora nulla su di lui. Di volerlo conoscere, più di qualsiasi altra persona su questo mondo. Il canuto la scortò fino alla porta sul retro, addobbata con adorabili gerani rosa, e si trovò faccia a faccia con quella lardosa della badante. Alice prese uno spavento. Arrossì, ma lui non le diede modo di nascondersi. Non doveva farlo. Era l'unica normale, in quel mondo che scorreva in senso antiorario. Non aveva nulla di cui vergognarsi. -Spostatevi dall'ingresso e tornate a lavorare. Voi dovete badare ai bambini. Non è questo il momento per prendere il sole.
La donna balzò in piedi, cavandosi dai gradini e urtando per sbaglio la caviglia contro le bottiglie del latte accantonate in un angolo tra i vasi. Chissà da quanto tempo erano lì. Lysander non ci voleva nemmeno pensare.
-Signorino!
-Non dite una parola di ciò che avete appena visto.
-Dovrebbe essere al lavoro, signorino...
-Pure voi, o sbaglio? E' ora di far entrare quel latte in casa. Anzi, buttatelo. Non voglio morire intossicato per colpa di una serva incompetente.
-Signor Ainsworth...
-Non permettetevi di parlarmi così, ricordatevi qual è il vostro posto. E qual è il mio.
Alice rimase sconvolta nel sentirlo parlare in quel modo, lui che non si era mai imposto sfoggiando i suoi poteri, la sua supremazia sugli altri. Lui che non era mai stato arrogante col prossimo, che aveva sempre nutrito un profondo rispetto per qualsiasi cosa, persona, essere vivente, proprio come Leigh. Capì che doveva essergli successo qualcosa di grave, e gli strinse forte la mano. Lysander parve calmarsi appena a quel contatto, ma sfidò con lo sguardo la governante a non provarci ancora, se non voleva perdere la poltrona e ritrovarsi nel bel mezzo del caos.
Entrarono in casa, e Alice si fece trascinare su per le scale come una marionetta inanimata. Stavano andando in camera di lui. Il cuore riconobbe la porta ancora prima della memoria. Quando entrarono, Lysander la lasciò andare e bloccò la serratura con uno scatto nervoso del polso.
Poi, per la prima volta in quella giornata, le narici aspirarono un po' d'aria. Non era buona, ma l'aiutò a calmarsi, e a fargli capire che quella dannata finestra doveva essere urgentemente aperta. Non si stava. Al diavolo i batteri, che altro avrebbero potuto fargli di così grave? Avevano già bruciato tutto. -Scusami se ti ho trascinata fin qui senza darti spiegazioni, so di non aver assunto un atteggiamento propriamente, ehm... consono al mio ruolo di capo, diciamo.
-Posso sedermi?- chiese Alice, e toccò il morbido letto a baldacchino illuminato dal grigiore della nebbia.
-Certo, fa come se fossi a casa tua.
-Ti ringrazio, Lysander.
Rimasero per un po' in silenzio, e Lysander la guardò languido, con una voglia di stringerla che superava la concezione stessa dell'universo. Si accorse che stava fissando un libro, e le rivelò il nome dell'autore. -Charles Dickens. Le sue descirizioni sono così vivide da sbatterti in faccia una realtà ancora più reale del mondo stesso. Ti senti soffocare. E' grazie a lui che mi sono reso conto di come funziona realmente questa dannata società.
Quando vide che la castana non sembrava intenzionata a rispondere, aggiunse -te lo presto, se desideri. Ne ho tanti altri da leggere, ancora.
-N-... Lysander, io... non so proprio leggere... ricordo poco delle elementari, e...
-
... non vedo dove sia il problema.
Alice sgranò le iridi a quelle parole, e le tremò il cuore di emozione. Davvero non gli importava del fatto che nella sua orgogliosa camera da uomo di classe ci fosse un'analfabeta buona solo a lavorare? A cui era stata persino privata la libertà? Che si giocava il tutto per tutto con un viaggio di sola andata per l'America, e che aveva perso certezza pure in quel sogno? Rimase sconvolta, senza fiato anche se aveva pronunciato due parole in croce. -Lysander...
-Leggiamo. Insieme. Adesso. Ti insegno.- Lysander si tolse la giacca con enfasi, poi si liberò dalla stretta tenuta della cravatta verde, che cadde a terra come una foglia secca. Quindi sbottonò il panciotto di velluto e lo appoggiò sulla scrivania, il tutto sotto gli occhi pieni di passione di Alice. Lysander era alto, dio. Senza tutti quegli strati di vestito, le sembrava ancora più maestoso di prima. Più bello. Più spontaneo, senza che ci fossero ranghi sociali particolarmente elevati a dettare distanze senza senso. Posò una mano sulla scrivania e sorrise. -Scegli un libro.
-Quello di Charles Dickens.
-No, Alice.- il canuto impallidì con un sorriso. -Scegline un'altro. Evadiamo.
Evadere, sì, Alice fu pienamente d'accordo con quel verbo. Di quello, avevano bisogno. Di sparire, per ritrovarsi di nuovo nella loro bolla rosa e perfetta. -Quello lì. Quello... un po' vecchio.
Lysander si chinò, dandole le spalle larghe che si intravedevano vistosamente sotto l'opalescenza della camicia leggera. -Orgoglio e Pregiudizio. Mi sembra perfetto per iniziare.- poi portò lo sguardo attento su di lei, col libro stretto tra le mani. E le ammiccò dolcemente, in un modo che la fece sciogliere sul letto già morbido e profumato di lui ovunque. -Jane Austen. Di' che "non sai leggere", ma hai fiuto per la perfezione.
-Hai visto? Ti piace il mio potere?
-Sapevo che eri magica, Alice.
Lui le venne vicino, si sedette al suo fianco, e Alice si lasciò inondare dal calore di quel gesto. Di quel corpo tutto preso dal momento, così pieno di sofferenza da desiderare di baciarlo in ogni dove, pur di liberarlo. Come un salasso. Un salasso fatto con i denti, con un amore che non vedeva l'ora di essere spacchettato. Lysander aprì il libro e sfiorò le pagine ingiallite con l'indice, piano. -Milleottocentotredici. Ha già diversi anni, ma è un mito che non muore.- la guardò dolce, poi si stese, e quando allungò il braccio il tessuto fresco della camicia accarezzò la trapunta verde. -stenditi qui. Sopra il mio braccio.
Alice sarebbe voluta morire. Lo fece all'istante, e sospirò quando la testa sprofondò abbracciata dal tepore dei suoi muscoli tesi a reggere il libro. Si fece piccola contro di lui, quel tanto che bastava per sentirsi protetta. Al sicuro, da tutto, tutti, i mostri del passato, il pugno in faccia, l'America sempre più lontana. Il cuore le schizzò frenetico contro il petto mentre per sbaglio il naso filtrava ogni nota, ogni carezza del suo ardente profumo di uomo.
Lysander si accinse a leggere la prima pagina e le fece i suoni di ogni singola parola, ogni rumore, assonanza, senza scordare nemmeno le virgole. Le lesse più volte il primo paragrafo, di modo che lei potesse collegare tutte le pronuncie a tutte le lettere. Poi glielo offrì, carico d'aspettativa. -oh, nono.- fece lei, trattenendo una risata alla carlona. -davvero ti aspetti che io riesca a leggere tutta quella roba? Sei pazzo.

-Certo.
-Hai sbagliato ragazza, Lysander.
-Provaci, non è difficile. Provaci soltanto.
Lysander le avvicinò il libro per fare in modo che potesse vedere le parole senza togliersi dalla posizione comoda in cui si era sistemata – e che tanto sembrava piacerle –. -E'... è...- iniziò così l'avventura intellettuale di Alice, le cui meningi si sforzarono al massimo del suo potenziale. -una... ver... non...- subito si arrese, e sbuffò gonfiando le guance lentigginose. Lysander le trovò adorabili. Tutte da mordere, da baciare, da asciugare se rigate di pianto. -Non mi ricordo...
-Verità. E' una bella parola. Imparala.
-Verità. Ehi, sono solo alle prime armi!
Si sorrisero, e fu luce, fu primavera e fu estate, nonostante avesse ripreso a piovere ancora. -e stai andando benissimo. Non ti preoccupare.
-è faticoso!
-Più di cucire un merletto?
-Sì, diamine!
-Ma no, fidati di me.
Alice riprese, determinata a finire almeno quel piccolo paragrafo. Almeno doveva cavarsi la soddisfazione. Non era mica una che si tirava indietro facilmente, nossignore. E poi, davanti a Lys non poteva certo permettersi di sfigurare. -univ... v, come verità. Ver... versamente?
-Brava.
-L'altra parola è troppo difficile.
Lysander si riappropriò del libro, portandolo dinanzi al naso a punta. E lesse, ancora, per ricordarle i suoni. -"È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un'ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie."
-Oh.- la castana emerse dal torpore in cui era finita, e per la prima volta durante quella lezione diede peso al significato delle prime righe. -E che ne pensi tu a riguardo, Lys?
-Credo che tutti debbano avere bisogno di amore. Non importa che sia "uno scapolo in possesso di un'ampia fortuna", o un "contadino di campagna". Credo... penso... no, Alice. Non penso più.- Lysander all'improvviso mise giù il libro, e l'atmosfera che si era creata andò scivolando via insieme alle gocce di pioggia che si dibattevano furiose contro la vetrata. -sono stanco di pensare...
Si guardarono, occhi negli occhi, come la prima volta che si erano visti. E si erano trovati belli, si erano capiti in mezzo a quel mare di teste ciondolanti e vuote. Lysander le scostò un ciuffo di capelli dal viso, incastrandoglielo dietro l'orecchio. -Sei bellissima.- le disse, un sussurro lieve come un battito d'ali di farfalla.
-Esagerato.- mormorò lei, arrossendo, ma il complimento le fece così piacere da colpirla all'intestino. E si trovò davvero bella, riflessa in quelle iridi diverse. Anche col naso storto, le dita rovinate,  anche con i capelli sporchi e l'incapacità di leggere. Così vicina a lui, tutto spariva. Ogni difetto svaniva, gli schiaffi della vita si annullavano, divenivano coccole affettuose. Coccole che profumavano come lui. -Come mai hai un occhio giallo e uno verde...?
Lysander si avvicinò di più al viso della ragazza. I loro nasi si toccarono timidi, così come i loro cuori. Sentiva di voler gridare. Quel volto era la sua piccola gioia. Il suo sole, il suo diamante prezioso. Voleva coprirlo di baci, assorbire ogni raggio. Ogni riflesso, perché sapeva che solo così avrebbe visto la luce in fondo al tunnel. -difetto genetico. Mia madre mi ha dato alla luce che era già anziana.
-Questo spiega anche i capelli.- e come a voler dar man forte alla sua teoria, Alice si permise di giocherellare con qualche ciocca argentea, meravigliata da quel fatto curioso sul ragazzo.
-Senza colore, sì. Succede. Mi accetto così per come sono.
-Sei forte, ma...- gli sorrise. -io li ho entrambi gialli, gli occhi, ehehe.
Allora Lysander abbassò il collo, le sorrise e, senza preavvisare nessuno, le catturò le labbra ancora schiuse in un bacio irruento che da tanto, troppo tempo, sentiva il bisogno di condividere con lei. Lei, l'unica.
L'unica ragazza che avesse mai osato amare in vita sua. 
Sapeva di Orgoglio e Pregiudizio, pioggia, passione repressa e dolore che parve neutralizzarsi non appena le loro bocche si accomodarono le une dentro alle altre, come uccelli tornati al nido. Alice lo carezzò sul petto, il cuore tutto un tornado, poi si aggrappò al collo della sua camicia e glielo strinse con forza, e il bacio divenne più forte, divenne un groviglio di morsi, di lingue curiose che si scontravano, si cercavano e si trovavano. Proprio come loro due, i loro occhi quel giorno in fabbrica. Lysander non l'avrebbe mai dimenticata. Mai, e il futuro si perse nella linea di un tempo sempre uguale, mentre adagio si gustava ogni più piccola parte di lei. Le prese la testa, le carezzò i lunghi capelli. Poi raggiunse i lacci del corpetto, e iniziò a sbrogliarglieli delicato. Alice arrossì e rise nella sua bocca piena di piacere. -Sei tremendo!

-Posso, miss?
-E me lo chiedi..?
Lysander la liberò dai vestiti sporchi di polvere, quindi le guardò il corpo come si guarda una meravigliosa poesia carica di messaggi. Voleva farla sua. Carpire ogni suo significato, anche quello più nascosto, impararla a memoria per poterla recitare nei momenti più fragili. Sapeva che solo così, forse, sarebbe stato felice. Si impose sopra di lei, ammirandole i seni piccoli coperti anch'essi di lentiggini, gli occhi lucidi, la bocca che voleva ancora. Da lui. La baciò, ascoltandola gemere piano di piacere.
Ancora, ancora, quello era il loro infinito. Il loro momento.

E non avrebbero smesso, ora che lo avevano chiuso in gabbia.

La pioggia scrosciante non era riuscita a farle prendere sonno come aveva sperato.
Invece Lysander era crollato subito dopo averla amata, colto da un torpore, un'urgenza di assopirsi seconda solo alla morte. Dormiva accanto a lei, abbracciato al cuscino, dandole educatamente le spalle nude e graffiate e morsicate ovunque. I capelli bianchi adagiati sulla federa formavano un campo d'erba coperta di brina, il respiro lento procedeva al ritmo della pioggia, ed era lo stesso dei bambini. Ingenuo, casto.
Libero da tutte le angherie che sembravano non dargli tregua da millenni, perseguitarlo persino quando sognava. Alice gli carezzò una spalla e gli stampò un tenero bacio sul profilo del collo caldo, ridendo in silenzio quando i ciuffi dei suoi capelli le solleticarono il naso quasi a volerle fare un simpatico dispetto. Quanto le piaceva Lysander. Quanto era felice di averglielo potuto dimostrare così, con la semplicità di un libro tra le mani, un letto comodo, un amore proibito che era finito per rivelarsi un'arma vincente contro i problemi di entrambi. Avrebbe voluto lui, come marito, e non i due spasimanti che ancora doveva conoscere, o vedere, o anche solo digerire. Lui per sempre.
Poterci fuggire in America tenendolo per mano, e costruirci una nuova vita lì, perché erano forti e nulla sarebbe più riuscito a separarli. Né l'orgoglio, né il pregiudizio, né la tana di un coniglio isterico. Parve svegliarlo con i suoi pensieri ardenti, perché Lysander tirò su la testa e la prima cosa che fece fu correre con gli occhi all'orologio. Si rilassò all'idea che fosse solo mezzogiorno. Tutto regolare. Si voltò, e la seconda cosa che fece fu baciare la donna che amava, che aveva scoperto di amare, e che avrebbe amato ora e per sempre, senza che ci fosse fine.
La terza fu morderle il naso. Solo per togliersi lo sfizio.
-Eww!- gracchiò lei, e finse di guardarlo male, il corpicino nascosto sotto le lenzuola bollenti.
-Volevo assicurarmi che fosse guarito al cento per cento.
-E...? 
-Mi piace tantissimo.

Questa volta si baciarono con più calma, tenendosi forte come per paura di cadere. Quando si staccarono, entrambi si sentirono col cuore più leggero. -Non volevo svegliarti.
-Non mi hai svegliato, tranquilla.
-Come ti senti?-
Lysander sorrise con una lentezza tale che la pelle di Alice reagì ricoprendosi di brividi afrodisiaci. Il ragazzo tormentato della porta sul retro sembrava essere sparito, risucchiato dal bollore della sua stessa bocca, di quegli occhi eterocromatici fissi sui suoi, quieti ed immersi in una pace che entrambi speravano potesse durare in eterno. Anche se non era così. Gli aprì la frangia disordinata, per poterlo osservare meglio. -E' la prima volta che dormo senza pensieri.
La sua voce laconica e calda le fece vorticare la testa.
-Ed è una bella sensazione?
Il canuto le venne sopra, senza perdere quel sorrisetto da ragazzo che gli tirava le guance come fili agganciati alle mani di una marionetta. -Non immagini quanto.
Alice allungò le braccia, solo per acciuffargli il viso e stringerlo tra le dita. -Non voglio più andare in America.
Lysander sgranò le iridi a quella decisione presa con la stessa facilità con cui si coglie una mela da un albero. Credeva fosse una cosa sicura, una scelta rafforzata da chili di determinazione e zero pazienza di aspettare, anche con in mezzo un matrimonio. E invece adesso Alice sembrava lo stesso decisa, ma della cosa contraria. -Non capisco...
-Voglio stare con te.
-E basta questo per farti cambiare idea?
-Mi basti tu per essere felice.- Alice si alzò all'improvviso, e lui si tolse per permetterle di mettersi a sedere. -Ti avrei chiesto di venire con me, ma sei a capo di una fabbrica, e non so quanto ti convenga lasciare la tua vita per me.
-Mi piacerebbe tanto farlo, credimi...- Lysander le prese una mano e la strinse tra le sue. Lui e lei, in America. Magari in campagna, lontani da quel caos, quell'inferno che non si sarebbe placato fino a quando non avrebbe raggiunto la perfezione. Suonava così perfetto quanto impossibile. E sapeva benissimo che non aveva senso illudersi su una cosa che non sarebbe mai potuta accadere. Le ferite bruciavano ancora. -ma non posso scappare. Sono in trappola.
-Possiamo sempre fare i matti...
-Non... non è così semplice, per me. Ma tu potresti. Pensaci bene.
-Ci ho già pensato. E la risposta è, che senza di te non mi muovo.
-Alice... vorrei tanto tu partissi, invece. Sono disposto a pagarti la somma necess...
Alice gli tappò la bocca con la mano, e strinse così forte da fare più male dello schiaffo di Leigh. -tu lo faresti al posto mio?
Lysander si accorse che la risposta, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, era "no". Gli risuonò lungo tutte le pareti del cervello, rimbalzò su ogni singolo neurone con una convinzione che aveva dello spietato.
No, perché l'aveva trovata. No, perché l'amava. O insieme, o nulla. -mi stai dicendo che preferisci sposarti, piuttosto che essere un venti per cento più libera di ora?
-Preferisco sposarmi, e averti come amante, piuttosto che andare in un paese straniero sapendoti dall'altra parte del mondo. Io lo chiamo "suicidio". E no, di suicidarmi ancora non me ne va, grazie.
Si baciarono, e Lysander le sospirò amarezza nell'orecchio. -non posso essere il tuo amante. Devo... devo... sposarmi anche io.
Alice irrigidì le spalle, divenne bianca. Ma prima che potesse pensare chissà cosa, lui le raccontò tutto. Lo fece senza guardarla, col cuore così esposto da sentire male ad ogni soffio d'aria. Ad ogni suo sguardo giallo, che gli fluttuava sulle spalle piegate di sconforto in attesa di una bella notizia. Una sola. Ma non ce n'erano. Così le spiegò di Rosa, del fatto che sarebbe rimasta vedova una volta che Leigh fosse morto, e lui era la persona più adatta per continuare a darle quel tipo di vita "privilegiata". Per continuare a proteggerla, e illuderla che la società fosse solo una graziosa bambolina al profumo di confetti. Le disse che c'erano di mezzo quattro bambini, e che non sarebbe stato affatto facile per lui assicurarsi di non perdere nessun pezzo. La vita gli passò davanti come un treno in corsa. Sotto, non c'era nessuna rotaia. -Rosalya diventerà pazza quando perderà Leigh. Non mi rivolgerà mai più la parola, non mi guarderà mai più. E questo influirà pesantemente sull'umore dei bambini. E, dio, spero di no, ma se muoiono senza arrivare ai venti... servono degli Ainsworth, e ci sarò solo io, a quel punto, e solo lei, e...
-E potrai farli anche con me, gli Ainsworth.
-Ma tu sarai sposata. Sarebbe uno scandalo se...
Alice arricciò le labbra ancora calde dei loro baci, bloccandogli le parole in gola. Aveva gli occhi umidi, e Lys non seppe dire se per la storia drammatica della sua famiglia, o per altro a lui sconosciuto. -saremo amanti lo stesso.- decise, e si tirò su per vestirsi. Lysander la guardò armeggiare con la gonna lunga, con i capelli che le nascondevano tutto il corpo dietro una folta cascata color cioccolata.
-Non posso fare questo a Rosalya...
-Non puoi fare questo a me...!- Alice si voltò, e un'onda di rabbia lo travolse soffocandolo.
-Ferirti è l'ultima cosa che voglio, credimi.
La vide mettere su una faccia orribile.
-Ma illuderti...
-Mi stai dicendo che vuoi finirla qua?!
-Sto solo dicendo, che non sarà facile non farla finire!
-E' appena iniziata, e già te ne lavi le mani?!
-Assolutamente no, ALICE!
Alice afferrò un cuscino e lo colpì in faccia, sollevandogli la frangia bianca. Alché Lysander si alzò, per cercare di calmarla, ma lei non si lasciò toccare, e lui non osò insistere. Rimase in piedi come un fesso, mentre cercava di capire, di spiegare a sé stesso perché le stesse dicendo quelle frasi fatte, stupide, cretine, quando nella realtà dei fatti nemmeno le pensava.
-Sei vittima della società, pure tu, che ti credi tanto diverso con quei capelli indecenti e quegli occhi da killer.
Si accorse di averla ferita, forse troppo, con questioni assurde e che mai avrebbe potuto credere come verità assoluta. La afferrò per un polso e la fece voltare. Lei lo sfidò con lo sguardo, arrabbiata fino all'ultimo capello. -sei il mio capo, e nonostante questo mi hai appena portata a letto. Credevo non ti fregasse nulla, prima, quando mi hai tirata via dalla fabrica... delle etichette della società...
-Ed è così. E non smetterò di farlo per gli altri. Fermami ora.-
-Mai.-

La baciò, la baciò così forte da farla gemere tra le sue mani strette sulle sue guance scarne. Non gli importava di niente, né che la governante avesse sentito, né del fatto che fosse assente dal posto di lavoro da un bel mazzo d'ore, insieme ad una che non si sarebbe dovuto nemmeno filare per sbaglio quando poteva avere di più solo schioccando le dita. Al diavolo, era felice. Così felice che una lacrima scivolò dal suo sguardo di ferro, finendo a terra tra di loro.
Alice aveva ragione. Perché fermare tutto quello? Perché impedirsi di sentirsi vivi? L'esistenza non aveva dato loro nulla per cui sorridere, mai. Nessuno si era mai preoccupato di cosa pensassero realmente, di cosa fosse nascosto sotto le vesti da uomo di alta moda e di lavoratrice vittima della società, così diverse, eppure uguali da fare orrore.
Per una volta si sarebbero comportati da egoisti. Avrebbero preteso di più, insieme, lasciandosi alle spalle qualsiasi tipo di inibizione.

Si chiamava suidicio, non farlo.

 

E nemmeno lui, voleva suicidarsi.


__________________________
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questo è uno dei capitoli più belli della long, a mio parere, e anche uno dei pochi che mi ha convinta di più durante la stesura! Che ne pensate? L'amore e la passione tra Lysandro e Alice è scoppiata subito, lo so, ma non è stata una scelta volta a velocizzare la cosa, al contrario. ho sempre ritenuto che la loro storia dovesse muoversi piano e poi esplodere all'improvviso, fin dagli albori del prologo; questo perché quando ti succedono cose brutte e la tua metà condivide con te il dolore, è più facile far parlare il cuore, lasciarsi andare. secondo me, ho pure perso tempo. L'attrazione tra i due era forte, palese, troppo perché io dovessi tenerli ancora in attesa di una scintilla
in ogni caso, fatemi sapere cosa ne pensate, sia di loro due, sia di ciò che succede in questo capitolo! E Leigh e Rosa.
Ok, quella parte mi ha divertita da morire. Io detesto Rosalya, mi sono vendicata facendola soffrire. AHAHAHAH.
Piccolo appunto su ciò che magari non sapete; perché Lysander dice di voler evadere, e si rifiuta di leggere Charles Dickens? 

Charles Dickens scriveva libri molto realistici. I contenuti erano spesso e volentieri forti, spiacevoli, violenti, pieni di humor - anche black humor -, e mettevano in luce gli aspetti più crudi della società vittoriana; prostitute, povertà, vandalismo, crimini. questo a scopo unicamente informativo/di denuncia; ciò che voleva fare lo scrittore, con i suoi testi, era "svegliare" la Middle Class, la classe sociale dei ricchi, degli uomini in carriera e le donne benestanti, e anche l'unica ad essere alfabetizzata a dovere - e quindi in grado di leggere -. pareva avesse il prosciutto sugli occhi, chi era consapevole di ciò che lo circondava lo accettava, chi non lo era davvero pensava che essere poveri fosse colpa stessa del povero, o che, molto ingenuamente, a tutti poteva essere concessa la possibilità di rialzarsi e rimettersi in gioco. non era così. non lo è ancora oggi, figurarsi ai tempi. 
Lysander dunque si rifiuta di sbattere ancora i denti contro la società, di sentirsi ancora schifato. sceglie qualcosa di più soft, anzi, Alice lo sceglie (?), appunto, si chiudono nella loro bolla.
Altro appunto, poi vado. Alice dice di aver fatto i primi anni di elementari, ma di non ricordare propriamente come si legge. 

➤ questo perché appartiene alla Lower Middle Class/working class, ha cominciato a lavorare presto per inseguire il suo sogno e di conseguenza ha tralasciato gli studi e sacrificato un po' di cultura; in più, la scuola diventa obbligatoria - fino alla terza elementare - solo dopo il 1880. La gente colta, ripeto, si trovava principalmente nella Middle Class, quella di Lysandruzzo puzzoh, in sostanza.

finito! ringrazio tutti per aver letto, chi metterà la storia in una delle tre cartelline e chi recensirà


xoxo
Lila

 

 

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Capitolo 10
*** x. ***



x.



Alice non smetteva di fissare il piattino di biscotti davanti a sé, agitata da febbrili emozioni di sconcerto e paura mischiate insieme. Quattro tazzine fumanti di ceramica lo circondavano, emanando un piacevole odore di pesca, tre quasi finite, una ancora perfettamente piena di liquido ambrato.
La sua.
Ma non avrebbe bevuto quel thé, anche se era maleducazione lasciarlo a raffreddare, e sua madre le aveva insegnato le buone maniere da manuale, visto il suo essere ormai signora. No, no. Davvero non ne avrebbe inghiottito un solo sorso. Fu un piccolo gesto di ribellione che si concesse, insieme alle gambe rigide e le risposte laconiche. Seduto di fronte a lei stava il secondo promesso all'altare, visto che il primo lo aveva bocciato dopo neanche mezz'ora di conversazione. Sapeva che la questione della "scelta" era stato un modo, per i suoi genitori, di farla sentire ancora libera ed indipendente. Ma non c'era nessuna libertà nell'oppressione dei sentimenti. "quindi grazie del pensiero, mamma, e papà.", pensò, intenta a scrutare male il suo thé.
Credere che l'uomo funzionasse così, fosse costretto a stare sottomesso, non faceva parte della sua mentalità.
Né sua, né di Lysander.
Nonostante questo, però, doveva ammettere che l'uomo che l'avrebbe presa in sposa non era male, non come il primo. Sembrava educato, composto, di modo, anche se i trentasei anni parevano un pochino di più a causa delle profonde rughe attorno alle labbra rosee, della camicia sgualcita e la barba lunga fino alla gola. Almeno non stava fumando come un turco in casa sua. Gli fu grata per quel piccolo pensiero, delle sigarette ancora impacchettate nella tasca del frac blu oceano.
-Così lavorate, eh?
Si riscosse quando sentì la sua voce premerle contro le orecchie.
-Quando diverrete mia moglie, non dovrete farlo più.
Andò in panico, e reagì con una smorfia talmente angosciata che il gomito della madre arrivò, deciso contro le sue costole tese d'ansia, a ricordarle che quella era un'opportunità che non poteva lasciarsi sfuggire, e che, in qualità di donna lavoratrice – e ancora zitella –, non poteva certo comparare le condizioni pessime di una fabbrica al taschino benestante di un signore di mondo come quello che avevano dinanzi. -no, sire- annaspò però Alice, un attimo interdetta, e si sforzò di mostrarsi grata e riluttante al contempo, abbandonando l'idea di condire il tutto con un po' di vittimismo. Non poteva lasciare la fabbrica. Non poteva smettere di vedere Lysander, amarlo, bearsi dei suoi occhi, del suo passo da cervo, solo per un matrimonio combinato al fine di portare un po' di soldi in più a casa. Non era così che funzionava l'amore, per lei. -lasciatemi almeno il lavoro...
Sua madre sobbalzò e scoppiò a ridere. Ad Alice stridette il cuore, ma si sforzò di continuare a fissare il thé, per amore di Lysander e di tutto ciò che voleva far crescere insieme a lui. Non avrebbe rinunciato alla fabbrica.
-Alice, suvvia, cosa vai dicendo al signore...!
-No, ve ne prego...- replicò, avvilita, implorante. -mi serve. E' tutto ciò che ho, la mia unic--
-Alice, per carità!
Lui parve stupito da quella decisione, dagli occhi gialli di lei, e sgranò le iridi castane, senza sapere bene come replicare.
Alice continuò imperterrita a sostenere la sua misera tesi. -E' una piccola soddisfazione personale che vorrei continuare a praticare per conto mio. Se permettete, necessito di questa indipendenza... io... so che chiedo troppo, ma-- ho bisogno di questa sicurezza.
Poi sorrise, e le lentiggini le brillarono lungo tutto il profilo del viso. Come avrebbe fatto a farsi rapire da Lysander, altrimenti? Mica sarebbe potuto presentarsi alla porta – sul retro – della sua nuova casa, con la fede al dito pure lui, armato di macchina e tanta voglia di correre ancora su quel letto a baldacchino a cui la giovane, dopo esserci stata per la prima volta, non aveva più smesso di pensare. Sua madre accorse a fornire spiegazioni quando si rese conto che il nuovo membro della famiglia era rimasto piacevolmente senza parole. -è un lavoro che le permetterà di essere a casa per l'ora di cena, o giù di lì. Inizia comunque molto presto! Non vi preoccupate, signor Canon, mia figlia saprà benissimo occuparsi della casa e lavorare allo stess...!
Il signor Canon sollevò la mano guantata di velluto bianco, facendola tacere all'improvviso. -no, apprezzo la determinazione della ragazza. Se tiene tanto a questo lavoro, non posso certo pretendere che lei rinunci per farmi un favore. D'altro canto, mi conviene sottolineare che io viaggio per lavoro. Probabilmente a cena non ci sarò mai, e comunque dispongo di una servitù ben capace di provvedere alla cucina, in caso manchi Alice.
Alice sorrise, questa volta rincuorata dalle parole del suo futuro sposo. Non avrebbe dovuto rinunciare a vedere Lysander, e il brivido d'amore che la percorse nel ripensare a come si erano baciati bastò a renderla allegra, e ad allungarsi verso la tazzina di thé. -mi fa piacere sentir dire queste parole.
-Ottimo. Posso chiedervi dove lavorate, dunque? Sapete bene che le condizioni deplorevoli delle fabbriche lasciano ben poco a desiderare, ai giorni d'oggi. Mi stupisce il fatto che voi, così giovane, così minuta, a differenza delle altre donne, siate tanto legate ad un luogo che viene criticato persino dai più celebri scrittori del nostro contemporaneo. Non è distopico affermare che siano posti disagevoli.- proseguì lui, e poi si sporse interessato, passandosi due dita intorno al mento profumato di pesca.
-Lavoro alla Ainsworth's fabrics.
-Oh, capisco. Spero vi trattino con i guanti, allora, sapete che si dice così, in giro?
-Lo so, e ve lo confermo.- rispose la castana, e rise quando si immaginò, un po' confusa, Lysander darle ordini dopo averla picchiata con un bastone di ferro. Era davvero trattata con i guanti, lì dentro. Troppo, forse, per essere una donna di poco conto, quando altolocate piene di vestiti meravigliosi passavano la peggio vita nei quartieri più chic di Londra. Anche l'uomo rise, seppur per un motivo totalmente differente da quello di lei. Alice si sentiva così felice che si allungò per prendere il piattino, questa volta, e poi glielo mise di fronte al naso, mostrando i denti in un cordiale sorrisetto da bimba. -volete favorire?
-Grazie.- il signor Canon prese un biscottino a forma di cuore e lo portò alla bocca. -li avete fatti voi?
"Ti piacerebbe", pensò la castana, ma finse di sì, sì, che li aveva fatti lei con le sue preziose manine pallide, guadagnandosi un'occhiata vittoriosa – e una angosciata di papà – da parte della madre, impettita in un ridicolo vestito pieno di esagerate decorazioni.
Poi si disse che in fondo, quell'incontro, sarebbe potuto andare molto peggio.
L'importante per lei era rimanere con Lysander. Al resto ci avrebbe semplicemente fatto le ossa.

 


La nebbia era così grigia da dare quasi una parvenza di realismo ai mattoni chiazzati di inquinamento che circondavano le strade, alle vie da poco riasfaltate su cui le marmitte di macchine accese gettavano ogni genere di schifezza. Lysander e Alice procedevano lungo il marciapiede che costeggiava l'infinita fila di negozi e ciminiere attive, volando in mezzo alla gente, e come sempre non avevano paura. Né di mostrarsi sorridenti, né di mostrare a loro stessi quanto bene stessero così vicini. Era il giorno libero dei lavoratori, domenica, ed entrambi avevano pensato di architettarsi per uscire un po' insieme e godersi il tepore del sole. La loro testa era libera da tutto, così come i loro cuori, che adesso battevano leggeri al sicuro sotto un'intricata coperta di vene calde. Morte, mali, costrizioni. Persino l'aria acida di gas e fumo sembrava non turbarli, immersi com'erano nel loro mondo fatto solo di baci e amore devoto. Stavano andando dal tatuatore, perché quando Alice gli aveva visto il tatuaggio dietro la schiena, la prima volta che avevano fatto l'amore, ne aveva desiderato uno uguale, nello stesso suo posto. E lui l'aveva accontentata. Anche se era una cosa poco normale, poco "da femmine".
Lysander la trovò ancora più stupenda. -sei emozionata?
-Ho paura faccia male- fu l'unico commento di lei, infilata in un maestoso abito nero che il canuto si era silenziosamente procurato dai vestiti di cui Rosalya voleva sbarazzarsi, ma che tutte le volte si dimenticava di farlo. Non se ne sarebbe accorta. Neanche se fossero spariti tutti. Ed era felice di vedere che le calzava a pennello, anche se faceva un po' fatica a camminare a causa dell'impalcatura sotto il tessuto pesante. Vestita così, Alice accanto a lui sembrava davvero una dama della Middle Class, e non una semplice operaia camuffata da signora importante.
Ci teneva a farla sentire il meno possibile distante da lui. Era il chiodo fisso di Lysander, la sua missione da quando avevano fatto l'amore insieme, e avevano compreso entrambi, spogliandosi delle loro insicurezze e difficoltà, di essere disposti a rinunciare a tutto, tutto, pur di rimanere insieme.
-E infatti farà male. Un male cane.
-Tu lo hai sentito?
-Mi hanno dato qualcosa da mordere mentre me lo facevano. Lo daranno anche a te.
-Oh, per tutti i santi!- Alice sbiancò e lui rise affettuoso a quella reazione. -E' comunque un'incisione sulla pelle.- spiegò, e mimò il gesto premendosi un dito sul grande palmo aperto. -Ma quando sarà finito, potrai vantarti di avere un bel tatuaggio anche te. Sei contenta?
-Sarò contenta solo se sopravviverò a questa tortura.
-Sei ancora in tempo per tornare indietro.
-Ma no. Pfff, per chi mi hai presa?
Arrivarono dal tatuatore, che stava lustrando gli aghi con un fazzoletto intriso d'acqua e alcool. Alice si scrutò intorno curiosa mentre Lysander si toglieva il doppiopetto per appenderlo all'attaccapanni. Se prima si era sentita a disagio negli abiti di una donna completamente diversa da lei, ora quel sentimento si ingrossò ancora di più quando si trovò in mezzo a mille occhi di uomini mezzi nudi, intenti a farsi incidere inchiostro sulla pelle. Si strinse nelle spalle quando questi la guardarono, un po' attoniti. Non era un luogo per donne, quello. Così raggiunse Lysander, che stava controllando ingenuamente l'ora un po' confuso. -Lys- lo trascinò a sé, distranendolo dal suo capire perché la lancetta stesse procedendo a scatti troppo lenti per il normale trascorrere del tempo. -fa un po' strano essere qui.
-Non ti preoccupare, ci sono io.
E meno male, perché quando lui si chinò di quindici centimetri per baciarla, i gran signori capirono che era accompagnata da un uomo, e tornarono a concentrarsi sul loro dolore. -Andiamo.
Raggiunsero un bancone pieno di album di disegni raffiguranti motivi orientali e giapponesi, dove l'uomo smise improvvisamente di lustrare gli aghi, per poterli guardare. -oh!- riconobbe Lysander e gli diede una bella pacca sulla schiena. -chi si rivede! Quanti anni, amico mio.
-Troppi.
-Sei qui per farti ancora uccidere? Abbiamo nuovi apparecchi, non scherzano. Macdonald può solo inchinarsi.
-No, sono qui per far uccidere lei.
A quel punto, il tatuatore portò lo sguardo su Alice, che si fece piccola contro il braccio di Lysander. -Però!- esclamò, e sorrise mostrando un dente dorato. -Tosta la ragazza. Seguitemi.-
Era bastato pronunciare "tosta" per convincerla a fidarsi di lui con tutta sé stessa. Era amico del suo uomo, era simpatico e non le aveva detto nulla riguardo al fatto che fosse donna, o che fosse insolitamente strano trovarla lì intenzionata a farsi tatuare un groviglio di ali grosso quanto metà schiena. Finirono in uno stanzino piuttosto isolato, con un lettino al centro; accanto, una fila di aghi rifletteva il suo bagliore sotto la lampada bianca che dondolava sopra le loro teste. -hai già pensato al tatuaggio, amica?
Alice annuì e sorrise mentre ripensava a quello di Lys, e a quanto le fosse piaciuto. Non solo per il disegno realizzato con cura, e che donava alla sua schiena una potenza eterea. Anche per il significato; che tu sia grande, grosso, magro, piccolo, nero, bianco, o semplicemente diverso, ricordati che apparteniamo tutti alla stessa specie. Ali di mosca, di pavone, di angelo, farfalla. Sempre ali sono. Giusto? -lo stesso che hai fatto a lui.
-Ohoh, interessante. Lys, posso chiederti di mostrarmelo un attimo?- chiese al tatuatore, poi tornò ad Alice mentre Lysander armeggiava con camicie e giacche al fine di spogliarsi. -sai, non ho la copia di quel disegno. Lo ha inventato lui. E solo lui la possiede, ma sulla sua pelle. Non ti dispiacerà se lo faccio un attimo scoprire.
-Ma si figuri...
Lysander le lanciò un' occhiatina divertita, e poi fece calare la camicia sulle spalle forti, quel tanto che bastava per aiutare l'uomo a ricordare che razza di reperto d'arte gli avesse reso indelebile sulla pelle. E per lasciare Alice con la bava alla bocca, le gote rosse, il cuore sparato come un razzo contro il petto pieno di lui.
Poi si ricoprì, così la ragazza si fece coraggio pensando che più tardi avrebbe potuto rivedere ancora quelle spalle che aspettavano solo i suoi baci. Sorrise. Bellissimo dire alla madre che sarebbe uscita col signor Canon. Non aveva nemmeno osato affacciarsi alla finestra, si era fidata non appena aveva visto l'auto. O meglio, la sua seconda auto.
Si sentiva euforica nell'averle raccontato quell'enorme cazzata.
-Bene, signorina, lo vuoi dove ce l'ha lui o preferisci qualche altra parte?
-Dove ce l'ha lui.
-Va benissimo.- il tatuatore uscì insieme a Lysander, che la guardò col suo occhio giallo mentre sorrideva divertito, la mano premuta sulla maniglia della porta. Alice si chiese perché se ne stessero andando. Soprattutto lui. -devi calarti il vestito e metterti di pancia sul lettino.
-Perché esci?
-Non è da uomini rimanere a guardare una signorina spogliarsi.
-Odio il tuo pudore. Dai, resta.
Lys chiuse la porta ridendo, e le permise di calarsi l'abito senza che ci fossero due occhi a vagliarle ogni centimetro di pelle, perché sapeva che non sarebbe stato in grado di tenere a freno quel piacere. Quando Alice ebbe terminato, il giovane bussò e le chiese se era pronta. Al suo sì entrò col tatuatore, che subito le sollevò un po' il lettino, per avvicinarsi la schiena di lei alle mani.
Lysander invece andò ad accomodarsi su una sedia lì vicino, e si portò le dita alle ginocchia, allegro. Lei lo guardò, un po' in panico, così le fece cenno di fidarsi. -Andrà tutto bene.
-Non potete drogarmi un po' prima di, oh!- l'ago affondò nella sua pelle, e i denti di Alice cigolarono stridendo di un dolore mai provato prima di allora. Le mani corsero ad avvinghiare il nulla, pallide, gli occhi si strinsero fino a divenire due sottili fili dorati. Il tatuatore fece una pausa. -ti faccio male?
-no, ma no, è una passeggiata in mezzo ai fiori.
-quello che mi aspettavo di sentire.- rispose, e le porse un pezzo di morbido tessuto da agguantare tra i denti. Alice lo fece senza esitare, mentre un rivolo di sudore le scivolava giù per la fronte pulsante di dolore.
Poi arrivò Lys a prenderle la mano, a tenergliela forte per darle supporto morale. -sei pazza- le sussurrò, senza smettere di sorridere orgoglioso.
Alice lo guardò adorante, gli occhi gonfi di lacrime. Poi gli stritolò le dita quando l'ago graffiò e scivolò sulle ossa tese delle spalle. -Tu mi hai insegnato ad esserlo.

 


Le spalle di Alice erano tutte un fuoco.
Emozioni miste tra il dolore appena subito e l'eccitazione di aver portato a termine un tentato suicidio continuavano a scorrerle nelle vene piene di elettricità, mentre camminava accanto ad un Lysander tranquillo e felice. Si sentiva un drago. Il tatuaggio bruciava ardente sotto la copertura che gli era stata applicata al fine di non rovinarlo. Era quasi sicura che se avesse toccato un albero con un dito, lo avrebbe ucciso in un vortice di fiamme. Ancora tremava.
-Allora? Sei rimasta muta dopo il tatuaggio.
-Allora, è stato fantastico!- esclamò, e Lys le offrì un pezzo di brioche per placarle l'animo in preda alla tempesta. Alice lo inghiottì senza nemmeno masticare da quanto era contenta. -ma... non lo rifarei.
-Troppo male?
-Troppo.
Lo ascoltò ridere deliziato. -Io invece voglio coprirmi tutto il corpo. Ovunque. Tanto, nessuno deve vedere.
-Tranne me.
-Tranne te.
Si guardarono, e i loro occhi lasciarono scorrere senza pudore le immagini della mattina in cui avevano fatto l'amore. Entrambi compresero di volerne ancora, che non si sarebbero mai saziati, ma erano le cinque di pomeriggio, e i genitori di lei avrebbero finito per preoccuparsi se "Canon" non la riportava a casa ad un orario decente. Lysander non pensò nemmeno ai problemi che ne sarebbero conseguiti quando Alice avrebbe cambiato casa. Era troppo felice per dedicarvi un pensiero più approfondito dei soliti cinque minuti in astinenza di bacio. -buono il cornetto!
Glielo diede, perché potesse finirlo.
-Dalla Francia. Parigi.
-Ogni tanto qualcosa di buono la combinano anche loro.
-Ma sentila.
Fecero per raggiungere l'auto, un po' riluttanti all'idea di doversi dividere, quando Lysander si bloccò all'improvviso, e aguzzò la vista verso un punto non identificato oltre le spalle dell'amata, dove la strada principale si frammentava in tante arterie meno importanti. Alice seguì i suoi occhi, e li riconobbe all'istante.
I suoi assalitori.
Il cuore le balzò alla gola, il naso bruciò più del tatuaggio. Si leccò le labbra, e le parve di catturare il sapore del sangue, la corsa in macchina, il buio che ne era conseguito e che era durato l'eterno.
Ainsworth le fece cenno di entrare in macchina, così lei lo fece. Poi osò attirare la loro attenzione, semplicemente senza smettere di fissarli. Gli uomini si accorsero di essere finiti in un fuoco incrociato, e lo guardarono a loro volta, un po' perplessi. Quando videro che si trattava del fratello di Leigh sparirono lontano, dandogli vittoria. Solo a quel punto Lysander entrò in macchina. Non era nel suo carattere attaccar briga, tantomeno imporsi in quella maniera. Il fatto era che non voleva più vederli in giro. Quei soggetti di classe erano liberi solo per il pene attaccato tra le gambe, ma rimanevano lo stesso individui pericolosi. Il loro posto non era tra le strade di Liverpool. Era dentro la cella, con i nasi rotti e grondanti di sangue.
Un favore potevano farglielo, visto che erano liberi come farfalline in mezzo ad un campo di fiori. Girare al largo. Sia quando era con Alice, sia quando c'era solo lei.
Perché non sarebbe ricorso alle denunce, se l'avessero toccata ancora.
Avrebbe usato le mani.
E la galera sarebbe stato solo un piacevole ricordo lontano.
Alice gli posò due dita sulle nocche, per calmarlo, ma lui rimase fisso ai suoi pensieri di vendetta, gli occhi che bruciavano la strada. -te lo giuro- rispose al tocco, con una violenza che non gli apparteneva. -se li rivedo...
-Lys, credo abbiano capito che non devono avere a che fare con te, sei risultato abbastanza minaccioso anche se c'erano mille metri a separarvi. Non hai visto come sono scappati?
-Che scappino.
-Non si metteranno mai contro di te.
Lysander si rabbuiò all'improvviso.
Premette il piede sull'acceleratore, in direzione di casa di Alice.
Non parlarono più per tutto il resto del tragitto.

 


Nessuna cena posata di fronte al suo posto preferito, quella sera. Non che Lysander se la fosse aspettata; sapeva che Rosalya ce l'aveva a morte con lui. Non gli rivolgeva la parola da quando Leigh si era rintanato in camera, divorato di chiazze violacee che sembravano avergli prosciugato persino il grasso al di sotto della pelle. Rosalya aveva cominciato a fare da ronda, vietando persino ai figli di poter vedere il padre.
Vietando persino a lui, suo fratello, suo erede, di parlarci. Di poter starci del tempo insieme, raccontargli sulla fabbrica, che stava andando a gonfie vele. Almeno per ora.
E Leigh era troppo debole per rimproverarla.
Lysander decise che non avrebbe cenato. Gli dava fastidio quel cambiamento repentino in famiglia, perché all'improvviso tutti sembravano essere diventati fantasmi. Girava per le stanze a vuoto, la sera, si guardava intorno, e gli pareva di non riconoscere più gli spazi che lo circondavano. I visi, che lo fissavano senza vederlo realmente, senza più vita. Era orribile, orribile come la tavola sparecchiata accanto al suo fianco reso pesante dalla cintura, su cui era sparito persino il set tanto amato della de Meihlan. Si chiese se i bambini avessero mangiato.
Avrebbe fatto loro la cena, in caso di risposta negativa, per la prima volta in ventidue anni di vita passata a sprecare tempo. La governante entrò in sala quatta come un gatto, e quando Lysander si voltò di mezzo grado tirò un accidente, sobbalzando sugli stivali. La donna chiese umilmente scusa.
Lui tornò ai fornelli spenti. -Siete una gatta, signora O'Connel. I bambini hanno cenato?
-Sì, ho fatto loro qualcosa. Sono già a letto. Signorino...
Il ragazzo si spostò dal ripiano, in quanto lei sembrava intenzionata a cucinare qualcosa. Accese il fuoco e riempì un fornellino di latte. Poi lo posò sulle piccole fiammelle, e per un po' rimase zitta. Quando lo guardò, nei suoi occhi spenti c'era un mare di dolore. -Vi chiedo perdono per...
-No. Ve lo chiedo io, per essermi comportato in quel modo.
-Questa famiglia sta cambiando, sapete. Sono... molto spaventata.
-Non faccio altro che chiedermi come finiremo.
-Rosalya non mangia da giorni.
Lysander non nascose il moto di preoccupazione che lo colse alle iridi riflesse nella luce fioca del lampadario. Leigh era in condizioni pessime, indecenti. Non voleva che anche lei facesse la sua stessa fine, che si lasciasse trascinare dal dolore. Doveva essere più forte. Era sempre stata forte, Rosa.
Così l'aveva conosciuta.
Così, lei e Leigh si erano amati. Con la stessa forza che ora sembrava essere stata messa a tacere. Si augurò non fosse per sempre.
Si augurò di poter riaggiustare tutto, e il dolore gli pervase le vene del polso come una frusta che si sfracella contro una ferita già aperta. La serva versò il latte in una tazza, poi glielo porse. -bevete qualcosa, signorino. Almeno voi, non fatemi stare in pensiero.- e detto questo si ritirò nella sua piccola stanza, trascinandosi i piedi stanchi sulle scale polverose. Lysander si rifletté nel pallore del liquido vischioso, e lo stomaco desiderò sbroccare quando le narici aspirarono un po' del suo odore denso. Si portò un polso alla bocca, chiuse gli occhi.
Attese che passasse.
Poi fece anche lui la rampa di scale, con una lentezza che aveva del surreale. Aveva quasi paura di arrivare al secondo piano. Non sapere cosa aspettarsi, trovarsi faccia a faccia con l'idea di suo fratello morto.
Gli mancava.
Gli era sempre mancato, e se Rosalya continuava a tenerlo lì dentro, gli si sarebbe spaccato il cuore di agonia. Meritava di vederlo. Di stringerlo di nuovo, forte, e tenerlo tra le braccia per fargli capire che con lo stesso ardore avrebbe sorretto anche tutto ciò che lui aveva creato.
Le belle cose, le brutte cose.
Tutto.
Scacciò le lacrime scuotendo il capo. Ma vennero fuori lo stesso, e allora le asciugò col palmo, pensando che non doveva piangere, non più. Che lui doveva rimanere in piedi, quando il resto sarebbe crollato.
Cominciava già a sentire i mattoni cadergli sulla testa. Strinse la tazza e si posizionò dinanzi a Rosalya. Era seduta sul pavimento, con due borse enormi a solcarle gli occhi giallastri. I lunghi capelli le coprivano le spalle esili.
Non sembrava in vena di voler vivere ancora. Lysander la compatì moltissimo. E in un altro momento si sarebbe accomodato accanto a lei, le avrebbe preso la testa e l'avrebbe stretta. Ma si era creato un distacco enorme tra loro.
Non si permise. Tuttavia le porse la tazza, e la invitò a riempirsi lo stomaco con sguardo incoraggiante. Lui non aveva fame. Si era già saziato di dolore. -mi hanno detto che hai smesso di mangiare. Sbagli.
Lei si limitò a guardarlo male.
-Rosalya, fammi questo piacere. Hai bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Devi essere forte, per i tuoi bambini, per me, per Leigh. Non lo vorrebbe.
-Non lo nominare.
-Lo nomino eccome. E' mio fratello, ed è lì, chiuso in quella stanza. Che vorrebbe tu mangiassi.
-Vattene, Lysander. Non ho più nulla a che spartire con te, tranne l'anello.
Quelle parole ferirono Lysander più di un ferro bollente infilato in bocca. Non era colpa sua se quella situazione spiacevole stava facendo strage di esseri umani. Non era colpa sua se presto lui e Rosa sarebbero diventati marito e moglie, e tutto sarebbe diventato solo un cumulo di ceneri fredde. Eppure lei sembrava quasi volerlo accusare. Nel modo in cui lo scrutava, in cui gli parlava, con un disprezzo e un odio da lacerare il petto. Lys rimase in piedi davanti a lei, in silenzio. Avrebbe voluto dirle di sollevarsi, che il pavimento era freddo. Avrebbe voluto darle quella tazza di latte, stringerla. Avrebbe voluto entrare e gettarsi su suo fratello, ma Rosa non si sarebbe spostata nemmeno ad ucciderla.
E come contraddirla, del resto.
Ma faceva male.
Tanto male, eppure se ne andò, arrendendosi all'idea che lei avesse chiuso ogni porta di dialogo. Si fermò un attimo in bagno, e gettò il latte nel lavandino. Poi si chiuse in camera, e i quadri tremarono sul muro tinto di angoscia.



__________________________
nda

eccomi qui! Dopo un po' di tempo ritorno a postare, e scusate il ritardo, ma questo capitoletto, in particolar modo la prima parte, andava un attimo restaurato. Ho cercato di rendere Alice il meno acida possibile, durante la conversazione col suo futuro sposo, in quanto non ho visto la necessità di farla atteggiare con prepotenza, e ho preferito attenermi al fatto che non sempre i matrimoni combinati/riparatori sono simbolo di infelicità. Ho letto molti libri che parlano di questa tematica, e ho voluto ispirarmi all'idea secondo il quale l'amore a volte si impara, non serve che nasca, e che il rispetto reciproco basta per una convivenza tranquilla. Però Alice ama Lysander. E quindi continueranno a vedersi fino alla fine della storia, a prescindere da tutti i problemi che hanno. <3 non volevo dare la sensazione di un possibile marito taccagno e bastardo, e se in diversi avevate pensato così, spero di avervi un po' stupiti uwu
per quanto riguarda la storia, qua dobbiamo in particolar modo parlare dei
tatuaggi. È proprio vero che la moda per la tattoo art "nasce" durante l'Epoca Vittoriana! Si diffonde a partire da MacDonald, il primo a praticare in maniera ufficiale il mestiere di tatuatore. I disegni erano diversi da quelli di oggi, spesso la gente si faceva tatuare grandi frammenti di opere d'arte, angeli, insomma, robe abnormi – e secondo me alcune anche oscene, meh –; si era anche diffusa su larga scala la moda della japonaiserie, ovvero il desiderio di farsi tatuare simboli che rimandavano alla cultura orientale, e più nel dettaglio al Giappone – ad esempio il Koi, la carpa portafortuna –. i tatuaggi erano aperti sia agli uomini che, udite udite, alle donne, anche se in ristretta minoranza. Ancora una volta, il perbenismo si scontra con ciò che si nasconde al di sotto della superficie. Immaginatevi solo quanta gente sotto il panciotto nascondesse enormi macchie di inchiostro... affascinante. Cercate, se siete curiosi, foto sui tatuaggi dell'epoca vittoriana, sono bellissime.
Altra piccola nota  e poi chiudo. L'interpretazione del tatuaggio di Lysandro è mia XD. Ho sempre trovato carina l'idea di rappresentare delle ali tutte diverse, e ho pensato che potesse essere un rimando al fatto che la diversità è ricchezza, e che va preservata.
BAAAASTA, lo giuro.
Altri due capitoli e la storia si conclude! Sono comparsi gli aggressori di Alice... qualcuno tra voi sta già pensando ad un possibile finale?
Ci sentiamo presto!
xo, Lila

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Capitolo 11
*** xi. ***


xi.

La Ainsworth's fabrics, chiusa, sembrava una docile bocca appena sfamata. Niente gonne sedute su scomode sedie, niente macchine da cucire attive, nessuna schiena piegata, quel giorno. Il giorno più bello della vita di Lysander. Con la schiena appoggiata contro il tronco di una quercia e una stilografica intarsiata d'oro in mano, il giovane capo dell'azienda stava scrivendo una poesia.
Gli faceva strano poter tenere tra le dita cose, pezzi di esistenza che una volta era solito avere sempre tra i piedi, che quasi lo avevano annoiato. Mentre adesso gli capitava di buttarci su l'occhio e ricordarsi a malapena quando era stato l'ultimo giorno, l'ultima ora in cui le aveva utilizzate per davvero.
Quella penna, quei fogli. Quella fetta di torta rimasta sul piatto di una malinconia che quasi gli mancava, a ripensarci.
Riprese a scrivere, con una fretta da lasciare aperte le "o", le "a", le labbra strette contro i denti serrati. Alice era distesa sulle sue ginocchia, avvolta nel suo giacchetto verde, e sonnecchiava col viso protetto dall'ombra della quercia. Faceva piuttosto caldo, quel giorno, ma lei aveva sentito freddo lo stesso, e così lui si era adoperato per proteggerla dalla brezza autunnale che di autunnale possedeva solo il nome. Gli piaceva il fatto che si fosse accoccolata così.
Nei suoi indumenti, con la guancia schiacciata contro la sua coscia.
Si sarebbe portato un po' del suo odore a casa, almeno. Le passò una mano tra i capelli e tracciò la bozza di una poesia, un testo che non lo convinse per niente. Ma lo lasciò lì, perché gli erano passate le manie di perfezione di un tempo.
Aveva imparato che nulla era perfetto.
La sola idea era illusione.
Per cui non corresse nulla, non la rilesse. Tornò indietro con le pagine, con i mesi, con gli anni persino, e proprio mentre stava per accingersi alla lettura di vecchi ricordi Alice aprì un occhio giallo e lo guardò da sotto il taccuino, sorridente. Lysander abbassò il capo. -ben svegliata.
-Che ore sono?
-Non ti preoccupare, è ancora presto. Sono le due.
La mano di lei arrivò sulla sua guancia, per poi toccargli lo zigomo col pollice. Il sorriso le aveva abbandonato la bocca, cedendo il trono ad una smorfia un po' interdetta. -stai bene?
-Sì, ora sì.
Alice continuò a coccolarlo con amore, ripassando le ossa della mandibola, il collo grosso imbevuto nel verde dell'ascot tie che fuoriusciva dal panciotto come una foglia gonfia di pioggia. Prima avevano fatto l'amore tra le tombe. L'erba era stata il loro letto, il cielo la loro coperta. Nessuno li aveva visti, tranne forse uno scoiattolo a caccia di ghiande, perhé nessuno si ricordava dei dimenticati. Tranne loro. Ed era stato semplicemente bellissimo vedere il suo ragazzo così preso da lei, così dipendente, che la giovane si rese conto di volerne ancora. Ma il rischio di ammalarsi era alto, così esposti.
E in quel giaccone, poi, si stava molto bene. Si scambiarono un bacio pigro, da coppia sposata, perché questo si consideravano.
Sposati.
Non c'era bisogno di una fede a dimostrarlo. -Ti amo- disse lui, e le afferrò una ciocca, per farle il solletico sulle labbra.
Lei rise e spinse via la sua mano grande e macchiata di inchiostro.
Poi si voltò in direzione del sole, che si era spostato dal centro del cielo per calare lentamente verso i tetti dei condomini che si intravedevano in lontananza.
E fu così che vide un ragazzo piuttosto tozzo avanzare verso di loro, con i capelli raccolti in una sbadata coda corvina. -Lys? Mi sa che sta cercando te.
Lysander non le rispose, perché se n'era già accorto da solo. Le consegnò il taccuino e le chiese di alzarsi. Poi si sollevò pure lui, e si pulì il retro del pantalone con pacche decise. Alice li guardò con occhio critico, e capì che dovevano essere stati amici, un tempo. Diceva "un tempo", perché si stavano fissando con un certo distacco.
E un certo dolore.
Forse avevano litigato? Si fece da parte, ma Lysander le passò un braccio intorno alle spalle prima che potesse andarsene e lasciarli parlare. -non sei di troppo, Alice. Tranquilla.
-Chi è?
-Si chiama Castiel. Un vecchio amico.
Castiel si avvicinò, e solo in quel momento parve accorgersi di Alice. E del modo in cui la stava tenendo Lysander. -Dobbiamo parlare.- disse, e si cacciò le mani nella tasca del giubbotto bordeaux.
Lys era piuttosto stupito di trovarselo lì a quell'ora del pomeriggio, nel luogo che li aveva visti più volte insieme e che sembrava aver bruciato ogni possibilità di ritorno da parte del corvino. Lo guardò a iridi sgranate, e il senso di colpa gli attraversò la gola all'improvviso. No, non si era dimenticato di lui.
Ricordava Debrah sul suo corpo come se fosse accaduto ieri, maledizione. -Certo.
Castiel posò gli occhi su Alice, scettico. -E' la tua nuova signora? Sei passato da Debrah a...
Lysander lo prese per le spalle con una cattiveria che non era da lui, e lo condusse lontano dalle orecchie e dalla vista di Alice, dicendole di aspettarlo sotto la quercia. Non voleva che lei sentisse simili castronerie, bugie da parte di un idiota, perché questo Cass era diventato.
Un perfetto cretino.
Quella prostituta lo aveva rovinato. Perché sì, era vero, gli era completamente salita addosso, ma Lysander non l'aveva sfiorata, tranne che per cercare di levarsela dolcemente da sopra il corpo. Il fatto che Castiel avesse preferito credere a lei, piuttosto che al suo migliore amico di sempre, significava solo una cosa.
Che era stupido. Stupido e innamorato di un amore a senso unico, che lo avrebbe fatto soffrire. -Osa ancora dire una cosa del genere davanti alla mia donna e non sarò così gentile, la prossima volta.
Castiel si morse il labbro inferiore e aggrottò i sopraccigli su cui la cicatrice di un coltello gli aveva mangiato tre quarti di peluria. Durante una rissa aveva quasi rischiato di rimanere cieco. Sempre per Debrah. Quella ragazza non meritava Castiel, ma questo il corvino ancora non sembrava averlo compreso.
-Tra me e Debrah non c'era niente, non c'è mai stato niente. Non credevo di piacerle, non mi aveva nemmeno visto ancora. Castiel, ti ho già chiesto scusa.
-Lo so.
-E allora che ci fai qui? A parlare di Debrah davanti a lei, vuoi farmi passare per un uomo che non sono? Cosa ti rode, questa volta?
-Scusami Lys, sai che non sono bravo a parole. Mi rode me stesso.
-Che ci fai qui Castiel.
Castiel gli diede di spalle e tossì rumorosamente. Poi chiese scusa, incapace di guardare in faccia l'amico. -Perdonami Lysander. Per averti accusato di tradimento, ed averti calpestato senza pensare che... forse in questo momento hai più difficoltà di me.
Lysander sapeva che il corvino a chiedere scusa era pessimo. Ma apprezzò lo sforzo di sincerità, di onestà. Apprezzò il fatto che fosse venuto a cercarlo proprio in quel posto, sapendo di trovarlo – con una donna, quella era una novità –. Significava che era stato attento ai dettagli, alla loro amicizia.
Che a volte parlava troppo, o troppo poco, ma ci teneva al legame che avevano costruito insieme.
-Scusami.
-Sei perdonato.
Castiel mise su un mezzo broncio di gratitudine. -è... è finita con Debrah, comunque.
Lysander gli posò una mano sulla spalla. -credimi, è la miglior cosa.
-Avrò modo di rifarmi. Spero. Per adesso voglio dedicarmi a fare l'emarginato con te. E- il corvino puntò gli occhi sulla giovane ragazza castana che si era seduta sotto la quercia, a strappare l'erba in attesa che il suo cavaliere tornasse. Quindi sorrise, in un modo che a Lysander era mancato, e sapeva che sarebbe stato difficile tirare di nuovo fuori con la stessa semplicità di prima.
-e con lei, con voi. Se non disturbo.
-Figurati. Devo aggiornarti su un paio di cosette.
-Direi, tu che dici?

 

-Fa la brava.
-Certo, di che hai paura.
Alice e Lysander si stamparono un lungo bacio appassionato, poi la mano della ragazza sgusciò via dalla tasca della gonna ampia per poterlo salutare nella tipica freddezza pre-matrimoniale, al fine di illudere certi occhi di sua conoscenza che stavano spiando dalla finestra.
Lys le sorrise e fece retromarcia per uscire dallo spiazzo dinanzi all'abitazione, e di lui fu ricordo, mentre la mente della giovane già lo smaterializzava per ricomporre le sembianze del signor Canon. Bussò infreddolita dal vento serale, e la madre la accolse con un sorriso poco elegante. -Cara, non ti aspettavo per quest'ora!
Bugiarda.
-Entra!
L'aiutò a levarsi lo scialle e le carezzò i capelli ancora spettinati a causa delle carezze un po' selvagge di un Lysander in preda al piacere più folle. -com'è andata col signor Canon?
-Benissimo, è gentilissimo. Mi ha portato a vedere un po' di monumenti qui in città.- Alice rincarò la dose, tanto per far illudere la madre che la nuova situazione le stesse cominciando a passare per la laringe. -mi ha anche offerto dei canditi. E' davvero un brav'uomo.
-Alice, sono sinceramente contenta di vederti felice! Se te lo lavori, forse c'è il caso che tu riesca a farti la tua vita in America. Solo, con lui.
All'improvviso, l'impellente bisogno di rivelare la sua storia con Lysander premette sulla bocca, come un martello. Non sapeva perché, ma il solo sentir parlare di America le ricordò lui, la conversazione avuta a letto, la rinuncia di quel sogno che iniziava a sembrarle già un po' consunto di banalità.

Prese quella frase come avvertimento.
Se America significava il suo uomo, allora sarebbe rimasta con Canon.

Solo così, sarebbe riuscita a farsi una vita con Lysander.

 

Il caso volle che quella sera la camera della porta di Leigh fosse leggermente socchiusa. Lysander ci pensò bene prima di entrare, perché non aveva dimenticato il dolore di Rosalya, la segretezza con cui si stava trattando quella morte. Ma il fatto era che suo fratello gli mancava, così osò entrare. Si trovò la chioma di Rosalya immersa nel buio più cupo, in procinto di pregare sul corpo smagrito del fratello. Una ciotola di erbe rimaste a seccare sostava sopra il comodino, in attesa di una bocca che non avrebbe mai più visto, o sentito. Lysander sentì la bile scuotergli la lingua. Si avvicinò con cautela, quando Rosa e Leigh voltarono il capo in sua direzione, come due volpi scoperte a rubare.
Il giovane non riuscì a prestare attenzione alla rabbia della donna, che le attraversò gli occhi facendoglieli brillare nella semi oscurità della stanza.
Fu letteralmente catturato dall'espressione di Leigh. Bastò a fargli perdere ogni nota di buonumore. Il viso che un tempo era stato pieno sembrava essersi infossato su se stesso. Gli occhi neri erano circondati da pesanti occhiaie, le mani erano impallidite, facendo emergere da sotto la pelle pesanti vene blu.
Non sapeva cosa dire. Rimase impalato dinanzi alla porta, trafitto da un dolore talmente forte da cavargli il respiro. Non poteva credere che la figura scarna e ossuta coperta appena da un lenzuolo fosse la stessa del Leigh coraggioso di qualche settimana prima. Quello che gli aveva tirato uno schiaffo per farlo andare via, quello che aveva gestito un'azienda intera per anni, sulle leggi del rispetto reciproco e la dedizione al duro lavoro. L'uomo che aveva denunciato gli aggressori di Alice, che aveva tirato su quella famiglia con le sue stesse mani.
Rosalya lo fece emergere dal dolore, gridando il suo nome. Forse era stato un bene tenere nascosto Leigh.
Lysander si rese conto di non saper reggere quella visione.
Voleva uscire. E lo avrebbe volentieri fatto, le lacrime che pulsavano sugli occhi, perché era davvero troppo. Suo fratello, ridotto così per colpa di una malattia ancora incognita, era troppo. Ma fu proprio Leigh a fermarlo. Chiamò il suo nome, sussurrandolo flebile tra le labbra secche. Lysander lo captò benissimo.
Si voltò, e persino Rosa tacque, arrabbiata e terribilmente scossa.
-Leigh?
Leigh sollevò una mano magra e lo invitò ad avvicinarglisi. -Vieni qui Lys...
Rosalya si mise sulla difensiva. -No, Lysander, scordatelo. Vattene via.
-Rosalya, non puoi impedirmi di vedere mio fratello.
-Fa già abbastanza male così, Lysander!
Il corvino si tirò su, come un cadavere rianimato da un'energia improvvisa. -Rosalya, ti prego... per una volta, nella tua vita... fatti... da... parte...
Rosalya parve ferita da quelle parole. Fulminò Leigh con lo sguardo, raccolse la ciotola, accese con rabbia la lampadina e diede una spallata a Lysander, prima di sbattere la porta e levare i tacchi. Leigh si riaccasciò sul cuscino sudato. Per un po' a parlare tra i due fratelli fu solo il morbo che presto li avrebbe divisi. Poi il corvino voltò il capo verso il minore, e un timido sorriso di scuse gli increspò il volto fossilizzato in un'eterna paralisi di sonnolenza. -Lys, perdonala. Sta soffrendo...
-Leigh, non farti questo tipo di problemi, adesso.
-Ti chiedo solo di starle vicino quando... quando...
-Non dirlo, Leigh.- Lysander si avvicinò e gli passò una mano tra i capelli, dolcemente. La fronte del fratello era sporca di viola. Gli fece orrore quella visione, se avesse potuto prendersi la malattia, liberarlo da quel tormento, lo avrebbe fatto all'istante.  -non stai morendo.
-Sì, Lysander, sì.- Leigh tornò a fissare il soffitto buio. Respirava piano, il petto nascosto sotto una camicia dallo scollo a v stiracchiata pigramente sulle costole appuntite che graffiavano il lenzuolo. -Oggi, domani, dopodomani. Devi essere pronto.
Ancora una volta cadde il silenzio, ma Lysander non rimase zitto. Non avrebbe bruciato un solo minuto con Leigh. Voleva lasciarlo andare felice, soddisfatto. Voleva sforzarsi di non piangere, per lui. 
Alice gli aveva insegnato che il tempo ha un prezzo ed un valore incancellabili. Bisogna stare attenti a come lo si usa. La posta in gioco è sempre troppo alta, anche per coloro a cui piace sfidare il limite dell'impossibile.
Bene, ora in gioco c'era la felicità del fratello. E lui non lo vedeva in pace da un tempo immemorabile. -Non preoccuparti per Rosa. La porterò a fare pic nic insieme ai miei nipoti, la costringerò a leggere almeno Jane Austen, che è femmina come lei, così non si sentirà discriminata.
-Sai che odia leggere.
-Non importa. Altrimenti chi le leggerà le storie ai bambini? Non ho mica una voce bella come la tua, Leigh. Rischio di annoiarli.
A Leigh brillarono gli occhi. -Trattali bene, Lys. Sono un po' casinisti, ma sono bravi bambini.
-Lo so, Leigh. Sarò anche più dolce di te.- rispose Lysander, e lo accarezzò ancora, sorridendo soave. Poi gli strinse una mano fredda, con un amore che superava ogni barriera. Si sarebbe preso cura della sua famiglia. Anche Alice avrebbe dato una mano. Si sarebbero adoperati tutti insieme per la felicità. E non ci sarebbero stati più cieli grigi, più morte e disperazione. Non a casa Ainsworth. -Ti faccio una promessa, Leigh.
-Lys... ti prego, hai già fatto tanto per...
-Non ci saranno più lacrime.- si chinò in ginocchio, e si portò la sua mano alle labbra per riscaldarla col fiato caldo e pieno di un'insana gioia. Proveniva dal cuore. Si chiamava forza. E in quel momento, Leigh ne aveva proprio bisogno. Anche per morire serve la forza. -niente più cose tristi. Vivranno benissimo, io starò benissimo. Porteremo il sole sulle strade di Liverpool. Quando mi sposerò con Rosalya, voglio usare le vostre fedi. La voglio vedere con lo stesso vestito con cui è diventata tua, Leigh.- lo baciò sulle nocche, e sentì qualcosa smuoversi nel cuore del fratello, che non smetteva di fissarlo pieno di doloroso orgoglio. -impedirò a chiunque di turbarci ancora. Perché tu possa andartene in pace, sapendo di aver fatto la scelta giusta. ... Leigh. Ti voglio un bene dell'anima. Questo, non dimenticarlo mai.
Leigh scoppiò a piangere come un bambino, anche se non era un comportamento da capo famiglia, anche se non si era mai visto un Ainsworth collassare in modo tanto vistoso e debole. Ma non nascose il suo dolore, la sua paura di morire, la sua disperazione nel lasciare al fratellino tutto il peso di quella vita dolorosa quanto un pugno in faccia. Allungò una mano e lo accarezzò sulla guancia forte. Avrebbe voluto proteggerlo da tutto. Ma era arrivato al punto di fine, e sentirsi dire così gli cavò una gigantesca pietra dal cuore già troppo flebile. -Lysander...- tirò su dal naso, e sorrise storto, deviando la traiettoria delle lacrime sulle lievi fossette che si formarono ai lati delle guance cadaveriche. -ti voglio bene, Lys.



__________________________
nda

vi era mancato Castiel? :D dai, ammettetelo che un po' si sentiva la sua mancanza in questa storia. (?)
Siccome questo è il penultimo capitolo, ho cercato di risolvere un po' di situazioni; prima tra tutte, la litigata tra Cass e Lys per Debrah, o meglio, A CAUSA, di Debrah. Scusate se ho fatto passare di mezzo tante altre questioni, però comprendete bene che Lysander ha altre cose per la testa. CEH, PARLIAMO DI LEIGH-- no scherzo, anche in questo capitolo ho sottolineato abbastanza la situazione di casa Ainsworth.
Qualcuno di voi ha capito perché "Afterlife"?
Piccolo annuncio e poi vado: oggi dovrò dare il pc in manutenzione. Il che vuol dire che l'ultimo capitolo, ovvero il 12, verrà postato quando il mio computer sarà di nuovo sulla mia scrivania. Chiedo scusa per il disguido, ma il pad non funziona più e siccome presto dovrò preparare la tesi per l'esame di quinta, mi fa ansia tenere un computer mezzo bloccato, non sia mai che in futuro perda ancora qualche pezzo D: abbiate pazienza!

Bacii
Lila

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Capitolo 12
*** xii. ***



 
xii.
 

Ti ho vista.
 
Hai il sole, negli occhi.
Raggi di luna
piovono, sui tuoi capelli selvaggi.
Sei la natura
in cui cerco rifugio
quando
il mondo diventa
un indugio.
 
Alice accarezzò la pagina del taccuino di Lysander, gli occhi color dell'ambra attraversati da un delicato bagliore orgoglioso. Quella poesia aveva dello splendido. C'era una nota musicale in ogni dolce parola, in ogni accordo pensato con cura all'ombra dell'immensa quercia che solo qualche giorno prima li aveva protetti dal mondo intero. Sembrava quasi lo specchio della pace. Emanava freschezza, e carezzò con tocco delicato le righe fitte di inchiostro, felice di aver dedicato innumerevoli notti alla lettura solo per poter scoprire il lato più intimo del suo uomo. Le sue poesie. Il suo ego evasivo e libero, che tanto la faceva impazzire. Si voltò per guardarlo. Erano di nuovo su quel prato, sotto la loro amica quercia. Lysander stava fissando l'orizzonte in lontananza, e sorrideva, esalando piccole nuvolette di freddo dalle narici appena dilatate. -a cosa pensi?- gli chiese lei, e chiuse il taccuino senza togliere l'indice dalla poesia appena letta.
-A mio fratello.
Gli tolse la tuba dalla testa e se la rigirò tra le mani, curiosa. Era calda della sua testa, e un capello bianco stava attaccato sul fondo foderato di seta blu. -Come... come sta?
-Male.
-Lys... non poteva affidare il mondo a mani migliori.
-Ieri gli ho promesso che non lo avrei deluso. Che avrei reso tutti felici, così sarebbe stato felice anche lui. Sai...- Lysander si guardò le mani attonito, quasi le sue stesse dita gli avessero rivelato di possedere chissà che magico potere persuasivo. -vedere mio fratello piangere per la prima volta mi ha toccato. Non potrei mai perdonarmi un fallimento. Non adesso.- guardò la sua donna dritta negli occhi, si specchiò all'interno di quelle iridi intrise delle tonalità del tramonto lontano. -mi impegnerò per la mia famiglia.- poi le prese le mani, e gliele baciò chiudendo piano le palpebre pesanti. -mi impegnerò per te. E sarà tutto più bello.
-Non hai mai smesso di farlo, Lys. Hai già reso bella ogni cosa.
-Non voglio smettere.- si baciarono sulle labbra, e lei gli saltò addosso abbracciandolo con forza innata tra le braccia coperte di piccoli brividi. Rimasero stretti così per un tempo che parve infinito ad entrambi, petto contro petto, cuore contro cuore mentre i respiri si allacciavano a formarne uno solo. Unico, indispensabile.
Non avevano bisogno di nient'altro per stare bene.
Poi Alice spinse le labbra sull'orecchio sinistro del ragazzo, e liberò una risatina al sapore di dolcezza mentre lo teneva appoggiato con affetto ai seni. -Ho letto la tua poesia.
Lysander sollevò la testa con uno scatto sorpreso, spalancando la bocca. -Hai imparato a leggere? Quando?
-La notte.
-Ti hanno aiutata?
-Mi ha aiutato ricordarmi la tua voce che mi leggeva il primo paragrafo della Austen.
-Allora sei stata un po' attenta.
-Quel tanto che bastava.
Alice aprì il taccuino sulla pagina dedicata a lei, felicissima. La poesia tornò a brillare sotto il suo sorriso, inondandole il volto d'oro. -E' stupenda.
-Sei tu.
Lo aveva immaginato, ma sentirselo dire con tanta naturalezza le mandò il cuore in febbricitante euforia. -quando mi insegnerai a scrivere ricambierò il favore.
-Non è una cortesia, è un dono che ti faccio. Anzi.- Lysander le prese gentilmente il quaderno dalle mani, poi lo aprì e strappò la pagina su cui aveva scritto la poesia per Alice. Gliela consegnò, e lei lo tirò dalla cravatta per ringraziarlo a furia di baci. Lo fece ridere. -Sono geloso delle mie composizioni, ma questa posso dartela. Così la leggerai quando accanto a te ci sarà l'altro uomo. Lo farà sparire.
-E' una promessa?
-Una specie.
Alice piegò con cura il foglietto, piena d'amore. -Vuoi fare il poeta, per caso?
-Purtroppo non in questa vita. Magari nella prossima- Lysander le prese il viso tra le mani e la guardò come un padre guarda la sua bambina, e il tramonto gli riempì le iridi, facendo risplendere l'occhio dai riflessi mielati. Alice non resistette alla tentazione di toccarlo tra i capelli. Era suo, anche sotto i raggi deboli di quel sole, anche in mezzo a quelle tombe che un giorno li avrebbero separati.
-Dove io sarò un poeta, tu una narratrice, e ci faremo tutta l'America in macchina.
Rise e lo baciò. -Andrò in giro in pantaloni lunghi, e mi farò chiamare da tutti Miss Ainsworth.
-Un onore per me.
Avvicinarono le bocche, ascoltando ognuno il respiro dell'altra. Se quelle erano le prospettive, allora che li uccidessero pure.
Non tutti gli eterni sono eternamente morti.

 


Aveva appena accompagnato Alice a casa, e già gli mancava alla follia.
 
Guardò il taccuino lasciato sul posto del passeggero, pesante di troppe poesie, e gli parve quasi di poter vedere ancora i suoi occhi gialli scrutarlo curiosi, i suoi capelli scossi dal vento freddo. Alice. Appoggiata allo sportello mentre faceva pratica di lettura a voce alta, le labbra strette e tutta l'aria di non volersi arrendere per nessun motivo. Pensò che un giorno le avrebbe dedicato un libro. Forse anche un secondo, gli argomenti delicati, si sa, vanno trattati con cura e qualche pagina in aggiunta. Come partorì l'idea sorrise, e le spalle gli si sciolsero contro il sedile cigolante.
L'avrebbe chiamato "La strada per la felicità ha gli occhi del colore dei limoni". Perché così era stato per lui, e tutti meritavano di trovare la pace. Castiel, Debrah, Rosalya.
Leigh, che sperava di rivedere anche quel giorno, perché ancora non era pronto a dirgli addio. Non c'era più sicurezza su nulla, nemmeno il più infimo dettaglio della sua vita. Ma non importava.
Bisogna essere forti, per andare avanti. Altrimenti, tanto vale rimanere indietro.
E lui era stanco, di rimanere indietro. Aveva la felicità, e non avrebbe sprecato un secondo di più. Né in questa vita, né nella prossima. All'improvviso, la voglia di fumare lo colse alla gola come una tentazione troppo grande. Accostò un attimo, scese e si accese una sigaretta. Avrebbe potuto consumare nicotina dentro l'auto, ma Leigh detestava il puzzo del fumo. E Lys teneva tantissimo, alle cose del fratello, per permettersi di fargli una cosa così stupida alle spalle. La macchina rimaneva sua. In quanto tale, l'avrebbe trattata col massimo rispetto che meritava. Si portò alla bocca la sigaretta, e posò le spalle contro i mattoni di un edificio abbadonato, rilassato.
Una voluta di fumo gli sfuggì dai denti, dal naso. Si immaginò Alice, il tatuaggio che le aveva preso forma sulle spalle, i suoi occhi bellissimi che lo avrebbero riempito per tutta la vita. Ma quando la nube si librò verso il cielo buio, un gruppo di uomini attraversò la strada deserta in sua direzione.
Aggrottò i fini sopraccigli bianchi e si scrutò intorno, aspettandosi qualcuno dietro di sé. Qualche puttana, qualche spacciatore abusivo senza una casa. Ma c'era solo lui, lui e la sua ombra magra che si stagliava allungata verso un vicolo buio circondato da un recinto di ferro. Si chiese che ci facessero dei signori vestiti così per bene in un quartiere dimenticato come quello. Non era da uomini di classe girovagare in frac e scarpe lucide in mezzo al vuoto. Quando si accorse di chi si trattava si mantenne sulla difensiva.
Gli aggressori di Alice. Perfetto, che visita curiosa all'ora ottava di sera. Ridusse la sigaretta al suo filtro, e la gettò con nonchalance sull'asfalto. Poi la schiacciò con la punta della scarpa, calmo da urtare i nervi persino ai gatti. I tizi lo raggiunsero, e il più grosso di loro sfoderò il bastone con cui si era solito appoggiarsi per camminare con più raffinatezza. -Vi ricordate di noi, vero signorotto?
Lysander gli vomitò il fumo in faccia in risposta, facendolo tossire. -Non salutate nemmeno, vossignoria? Partite subito in quarta, non so... sono un po' scombussolato.
Gli uomini si guardarono e trattennero qualche risatina di scherno, senza salutare.
Alché Lysander condivise con loro l'entusiasmo, e li fece subito smettere. Non aveva voglia di scherzare. Tantomeno di perdere tempo. Doveva andare da Leigh. -Che c'è? Volevo ridere anche io. Dai, coinvolgetemi un po'.
-Siamo venuti qui per porvi una questione.
-Delle domande, interessante.- si accese un'altra sigaretta, perché capì che la notte sarebbe stata piuttosto lunga. Per fortuna aveva accompagnato già Alice a casa. Non le sarebbe piaciuto essere lì, in quel momento. -Riguardo a cosa? O a chi, sarebbe più opportuno dire.
-Vorremmo semplicemente scambiare qualche chiacchiera con vostro fratello riguardo le denunce... e i giorni in carcere. Voi immagino lo sappiate, essendo un Ainsworth; non è bello farsi sfigurare dai potenti. La società giudica troppo, di questi tempi.
-Mmm.- Lysander si spostò la sigaretta sull'altro lato della bocca. -capisco. Mio fratello non è disponibile, al momento. Ma potete parlare con me, vossignoria, e io riferirò.
-Ci serve il capo dell'azienda.
-Ce lo avete di fronte, allora.
Gli aggressori di Alice questa volta scoppiarono a ridere in un modo che a Lysander non piaque per nulla. Si tolse la sigaretta dalla bocca e la puntò contro l'uomo che gli stava davanti da già troppo tempo. -sentite, ho da fare. Sbrigatevi a parlare, o sarò ben felice di andarmene, perché, sapete, essendo un Ainsworth, non ho una vita da sprecare bevendo- e annusò sprezzante l'aria che spirava tra i loro visi, che sapeva della stessa roba con cui Castiel si era ubriacato la notte dell'incidente con Debrah. -girovagando a zonzo per strade abbandonate a cercare un bel naso di signorina da spaccare. Prima di stuprarla, ovviamente. Non sia mai che...
Come osò provocarli, l'uomo gli tirò un portentoso calcio nel bassoventre, che gli fece saltare la frangia sulla fronte imperlata di sudore. Lysander gemette e si afferrò in mezzo ai pantaloni, mentre fitte di allucinante dolore gli attraversavano il cervello lanciando messaggi di urgenza ad ogni singolo reattore nervoso. Li guardò in cagnesco, quando si sentì afferrare per il collo e mettere brutalmente in ginocchio. Non si mosse, paralizzato da quelle bestie che ora parvero sfigurare ancora di più nei loro vestiti da gentlemen. -Ecco cosa vorrei da voi, signor Ainsworth. Ritirate le denunce, dateci per innocenti. E né voi né la ragazza si faranno del male.
Alice fu trascinata nel bel mezzo della conversazione, e gli occhi di Lysander divamparono come fuoco. Provò a liberarsi da quegli idioti, che però aumentarono la presa sulle spalle e il collo. Uno lo acciuffò anche per i capelli. Glieli tirò così forte da farlo urlare, ma non abbastanza da distrarlo o metterlo fuori guardia. Parlò, e quando lo fece la voce uscì ruggente dalla gola esposta al freddo. Non voleva arrivare alle mani. Aveva sempre preferito il dialogo alla violenza, ma quella era un'imboscata, un ricatto. Quattro contro uno. Rischiava di finire davvero male, se non si imponeva rimarcando sul cognome che possedeva. -Non toccate la ragazza, o sarete voi, quelli a finire male, qui, e adesso!! Sono stato CHIARO?!
-Chiarissimo, amico. Chiaro come il buio che ti aspetta, se non ci assecondi subito. Alzate sto cane, voi due.
I due uomini lo sollevarono senza dargli modo di liberarsi, e lo spinsero di cattiveria all'interno del recinto di ferro, sorvegliando ovunque.
Poi il più grosso chiuse il cancello, che sbatté su sé stesso prima di riaprirsi piano. Lysander lo guardò pieno di rabbia, il petto gonfio di un odio che non aveva mai provato in vita sua, per nessuno. -Lasciatemi, merda! LASCIATEMI!
Venne lasciato, ma solo perché lo ordinò il capo. Si rassettò la giacca e li trucidò con lo sguardo, ma dentro aveva paura.
Paura, per le minacce fatte ad Alice, di non riuscire a fermarli.
Paura per sé stesso. Perché non era più come in campagna, lui non aveva più sette anni. E soprattutto, non c'era più Leigh a difenderlo armato di bastone.
Gli afferrarono bruscamente il mento, e una zaffata al sapore di alcool e intestino gli arrivò dritta nel naso. Socchiuse gli occhi di schifo. -Te lo ripeto, bellino. Ritira le denunce, solo tu puoi farlo, sei un maledetto fottuto cazzo di Ainsworth. Perché se noi non possiamo campare, non camperai neppure tu. Intesi?
-Non lo farò mai. Quella ragazza merita vendetta, fatelo ancora e finirete in casini ben più grandi di voi.
-Ma quale vendetta si merita, sta così bene attaccata al vostro cazzo, signor Ainsworth, eh? Se si venisse a sapere, sarebbe piuttosto imbarazzante per la vostra famiglia.
-Voi siete imbarazzanti, cazzo!
La testata arrivò, ma andò paurosamente a vuoto, perché Lysander finalmente si decise a reagire. Schivò la craniata con uno scatto del collo e ricambiò con un bel calcio dritto nello stomaco. L'uomo cadde all'indietro, tossendo fuori tutta la merda con cui si era ubriacato. E magari fosse finita lì. Gli altri due gli vennero addosso gridando, ma Lys era sveglio e riuscì a sistemarne uno colpendolo con una gomitata nell'occhio destro. Mancò però di centrare l'iride dell'altro, che gli tirò un doloroso pugno dritto al viso. Riconobbe il gesto non appena sangue caldo prese a scivolargli copioso dalle narici fino alle labbra. Era stato lui. Lui a colpirla. Bastardo. -Ti è piaciuto il ricordino?
Gli si avventò addosso urlando, ma ricevette un altro pugno di ammonimento a non rifarlo. Prima che potesse riprendersi dallo stordimento, il più pesante gli venne dietro e gli infilò le dita in bocca. Cominciò a tirare ridacchiando parole sporche su Alice, quando Lys lo morse con violenza, assicurandosi l'interno della bocca ancora intatto. Ma i due non gli diedero modo di reagire, perchè lo schiantarono di peso contro il muro di mattoni, caricandolo come tori impazziti. La schiena scricchiolò e Lysander si esibì in un urlo muto di dolore. Fu allucinante. Gli occhi ruotarono all'indietro, il corpo scivolò verso il basso, ansante. Faceva così male che si accorse di aver perso la voce, di non riuscire a battere le palpebre. Tentarono di metterlo k.o con un altro pugno, ma lo bloccò sul polso con entrambe le mani, con tutte le forze che ancora aveva. Erano troppi, e lui solo uno. Lo infossarono con un calcio nello stomaco, un'altro, ancora, fino a quando non mollò la presa per cercare di pararsi con le parti più dure del corpo. Ci provò. Però la schiena urlava, e non voleva collaborare, e il tatuaggio bruciava, e tutto vorticava intorno a lui. Continuarono a sfogarsi, strappandogli i vestiti fino a lasciarlo a torso nudo. Si ritrovò vivo per miracolo, con gli occhi pesti e il volto coperto di rosso ovunque. Lo sollevarono per i capelli dalle punte incrostate di sangue, ridendo.
Lysander non pensava più. A malapena respirava.
-Pensa che ci sarebbe dovuto essere tuo fratello, qui a prenderle, non tu. Mah. Sei ancora in tempo per pensarci, Ainsworth. Accetta il patto, e ti pagheremo le cure private. Mi sembra che tu abbia un braccino un po' rotto, eh.
Li guardò con fatica, perché non riusciva a capire né dove fosse, né quale parte di lui fosse ancora vigile o assopita dal dolore. Si stupì di essere ancora in grado di usare la bocca per parlare. Si sentiva a pezzi. Come se gli fossero passati sopra mille cavalli al galoppo, martoriato un po' di qua, di là, mezzo morto. Le gambe non reagirono quando diede loro qualche spinta di nervi. Un braccio era fuori uso. La schiena lacrimava dolore da ogni osso. -No...
Fu spinto per i capelli contro l'orecchio del più grosso di loro, e gli venne da piangere all'idea che forse non sarebbe riuscito a salutare suo fratello. A cambiare un po' quel mondo ostile e pieno di grigio, a salvare Rosalya e i suoi nipoti dalla rovina, uscire con Castiel a parlare della vita che vola. Ad amare ancora Alice, come se fosse l'ultima mattina insieme della loro esistenza.
-Come hai detto? Parla forte, mica ti abbiamo tagliato la gola.
Risate gli accapponarono la pelle. Sentiva freddo, sentiva i lividi e i pesti reagire ad ogni folata di gelo notturno. Ma ebbe il coraggio di buttarsi nel fuoco, di scegliere il giusto, ancora. Perché questo gli avevano insegnato.
Ad essere vero.
Fino alla fine.
-Ho detto... di no... non otterrete un solo maledetto consenso da me... morite come anime dimenticate, questo vi meritate... pazzi...
Il grosso tirò fuori una calibro 8 dal taschino celato sotto la giacca. Poi gliela puntò contro e, nonostante l'esitazione degli altri due, lo sparò vicino al cuore senza dargli nemmeno il tempo di mettere a fuoco il buco della canna.
Lysander vomitò più sangue di tutte le agonie che avevano travagliato Leigh, si mise carponi e cercò di resistere per chiamare aiuto, tremando di convulsioni violente causate dallo sparo. Ci provò, ma il petto reagì con uno scossone, liberando fiotti di sangue che gli percorsero l'addome irto di freddo. La voce gli morì nella gola.
Tutto morì in lui, e si accasciò esanime contro il muro, annaspando mentre il buio gli oscurava le iridi socchiuse.
Sentì i vetri della macchina di Leigh spaccarsi, l'odore della benzina, fiamme che divampano e cancellano tutto, illuminando i dintorni con i loro bagliori dello stesso colore del tramonto.

Non ci fu più bianco, né grigio, nella sua vita.

Chiuse gli occhi, e il nero si prese tutto, per sempre.



___________________
nda
Sì. Sì.
Ho fatto morire Lysandro.
 
 
so che mi vorrete picchiare-- ma ho pensato, dentro di me, durante la stesura della storia... ma perché dovrebbe finire tutto bene, quando un finale felice sarebbe solo banalissimo? E dunque sono arrivata alla conclusione drastica che non potesse proprio esistere punto fermo più perfettamente perfetto della morte di Lysandro, perché lascia un sacco di domande e dubbi aperti. E Rosalya, quando rimarrà vedova, che fine farà?
E Alice? E la sua famiglia verrà a sapere del suo amore fugace con Lysandro? E il suo futuro marito come reagirà?
E Leigh, come prenderà il fatto che sia morto prima suo fratello di lui? E i loro figli?
Tutte domande che spaziano e trovano risposta solo nella vostra immaginazione. Per questo ho voluto gestirmela così. In più, trovo davvero affascinante il fatto che ad averlo ucciso siano stati proprio quelli che hanno tirato un pugno ad Alice, praticamente si sono vendicati di come Leigh, denunciandoli, li abbia messi alle strette in società. Che ne pensate?

E' finita anche questa storia, e per me è un grande traguardo, mi sono voluta mettere alla prova e mettere alla prova anche Lys, e sono abbastanza soddisfatta del risultato; sicuramente ci saranno tanti errori temporali, in mezzo, tante questioni non approfondite, ma l'importante per me è aver utilizzato un personaggio che non muore mai, LYS TI AMOOO (?), nell'epoca che tanto dice di amare.

Afterlife. Afterlife è l'aldilà, ciò che viene dopo la vita: per Alice e Lysandro, una sorta di speranza nel futuro, una fuga dalla monotonia, una vita che li avrebbe potuti vedere insieme e liberi come tanto insieme hanno sognato. Una rinascita dal torpore della società, un voler guardare al dopo con una nota di ottimismo nello sguardo. E' una promessa che permette a Lysandro di farsi carico di Rosa, di Leigh e dei suoi nipoti, e che da forza ad Alice per fronteggiare quello che ha subito, e il marimonio combinato che le ha tappato le ali.

Spero vi sia piaciuta
♥ 
 
come al solito, se volete lasciare una recensione fatelo pure, mi farebbe piacere!
Ringrazio tutti i lettori che hanno seguito la storia, chi l'ha messa nei preferiti e nei ricordati!
xoxo

 
Lila May

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