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Prima di lasciarvi alla lettura di questo primo
capitolo vorrei fare solo una precisazione.
Il racconto che state per iniziare è quello che a me
piace definire una “storia con colonna sonora”. Ogni capitolo, infatti, ruota
attorno a una canzone che, se vi va, potete anche ascoltare durante la lettura.
Spero l'idea possa piacervi – così come il capitolo,
ovvio xD
Intanto vi ringrazio.
Buona lettura.
“You’re the song I singagain and again|All the
time, all the time|I think of youall the time”
Bastille. The Anchor.
The
SSE Hydro, Glasgow, 7 febbraio
Ore
11:07 PM
Gli sembrava di sentire ancora
distintamente nelle orecchie le urla del pubblico, le voci che si accavallavano
una sull’altra cantando le parole delle canzoni in un coro grandioso e in grado
di far venire la pelle d’oca per la sua bellezza. Alla fine di un concerto gli
rimaneva sempre una riserva di adrenalina sufficiente per farlo sentire felice
e appagato per ore e, quando questa spariva completamente, la prospettiva di
esibirsi su un nuovo palcoscenico nel giro di alcune ore – o pochi giorni al
massimo – gli consentiva di rimanere di ottimo umore.
Camminando lungo il corridoio che lo
avrebbe ricondotto al camerino, i compagni – Chase, Chris e Trent – alle
spalle, Ewan si stava asciugando il sudore dal collo, tamponandolo con un
morbido asciugamano. Sentiva gli altri ridere, chiacchierando del concerto
appena concluso, commentando le esultanze del pubblico, la loro energia. Di
tanto in tanto il cantante si voltava verso di loro e annuiva, aggiungendo
dettagli sfuggiti agli atri.
Raggiunto il camerino si diresse subito
verso il suo borsone, da cui estrasse una t-shirt pulita, l’orecchio sempre
teso alla conversazione dei suoi amici e un sorriso inestinguibile dipinto in
volto. Si sfilò la maglietta che aveva portato al concerto e si sistemò meglio
gli stretti jeans a sigaretta. Compiendo quel gesto, però, si accorse di avere
qualcosa in una delle tasche, qualcosa che era sicuro non avrebbe dovuto
esserci. Fattosi improvvisamente serio, Ewan estrasse dalla tasca l’oggetto
incriminato, che riconobbe subito come un foglietto di carta ripiegato su se
stesso tante volte, così da risultare uno stretto e compatto cubetto. Cercò di
fare mente locale, pensando se si potesse trattare di qualcosa – forse uno
scontrino o un appunto – che lui stesso si era infilato in tasca per poi
dimenticare di averlo fatto, tuttavia l’unico modo per averne la conferma era
quello di aprirlo e osservarne il contenuto.
Districò i vari lembi ripiegati su se
stessi con calma, nonostante la curiosità che gli urlava di fare in fretta. Più
apriva il foglietto di carta, però, più si rendeva conto che quello che aveva
fra le mani non ere nulla di suo; non si trattava di uno scontrino, non di un
appunto, né di un banale pezzo di carta bianca.
Era un disegno. Un piccolo disegno a
tratto-pen meravigliosamente eseguito. Il soggetto di
quella piccola opera erano due ragazzi, un maschio e una femmina, raffigurati
nell’atto di scattarsi un selfie insieme. Ewan lo
analizzò meglio, avvicinando il foglietto al viso. La qualità del tratto, per
quanto rapido e sintetico, era tale da fornire alle due figure tratti somatici
ben definiti, evidenziati maggiormente dal sapiente uso di pochi e calcolati
tratti di colore. Si rese conto che il ragazzo del disegno era lui. Era
evidente; aveva gli stessi capelli scuri, lo stesso sguardo, il modo di
vestire, perfino lo stesso sorriso.
La cosa lo lasciò di stucco ma, superata
la sorpresa iniziale, gli fece anche molto piacere. Quel piccolo disegno era
stato fatto certamente da una fan della band e lei altri non poteva essere se
non la ragazza raffigurata lì accanto a lui, dal viso dolce e dal caschetto di
capelli ramati, come i colori e il tratto evidenziavano sulla carta. Non poteva
essere altrimenti.
Si chiese quando la ragazza fosse
riuscita a infilargli quel foglietto in tasca e capì che l’unico momento
possibile era stato durante Chalk quando, come faceva spesso, era sceso dal palco per
camminare cantando in mezzo al suo pubblico. Non poteva essere avvenuto
diversamente, il che voleva dire che chiunque gli avesse fatto quel piccolo
ritratto era stato al concerto quella sera e che lui gli era passato accanto,
forse l’aveva addirittura guardato.
Continuò a far scorrere a lungo gli
occhi sulla sua versione cartacea, portandoli sulla giovane che era raffigurata
al suo fianco, sentendo dentro una sensazione curiosa, calda. Quel disegno gli stava
trasmettendo delle piacevoli sensazioni, gli comunicava qualcosa; gli faceva
venire voglia di vivere il momento che lì, su carta, era così sapientemente
registrato.
«Che stai guardando?»
La voce di Trent lo riportò alla realtà.
Sollevò la testa, voltandosi verso il suo amico e lo guardò un momento. Si rese
conto che si era estraniato, che si era allontanato dal resto degli Shards, dal
camerino e dal luogo in cui avevano appena suonato. La sua mente aveva vagato,
immaginato, catturata da quel piccolo disegno.
«Ho trovato questo in tasca» rispose il
cantante, tendendo a Trent il disegno.
A sentire quelle parole anche gli altri
due lo raggiunsero, incuriositi. Guardarono il disegno, i due soggetti posti
uno accanto all’altra.
«Ehi, questo sei tu» esclamò Chase,
divertito.
«È fatto bene» commentò Chris.
«Non ho idea di chi lo abbia fatto»
disse poi Ewan, passandosi una mano fra i capelli scuri che avevano ormai perso
la piega. «Non è firmato, non c’è scritto nulla.»
«Beh, l’ha fatto senz’altro una fan»
osservò Chris, ricevendo consenso unanime.
Il cantante riprese in mano il piccolo
disegno, tornando a osservarlo. Dentro provava uno strano senso di malinconia.
Quel lavoro gli piaceva, gli piaceva tantissimo e l’idea di non sapere chi lo
avesse realizzato gli procurava dispiacere. Era sicuro che fosse opera di una
ragazza e che probabilmente doveva esseri autoritratta al suo fianco. Da quel
piccolo insieme di linee e colori era nato quel volto femminile in grado di
trasmettergli qualcosa; gli sembrava quasi di conoscerla, di saperla simpatica,
di trovarla bellissima. Aveva visto un’infinità di disegni ma nessuno gli aveva
fatto provare così in fretta simili sensazioni.
«Forse,» esordì Trent, vagamente
perplesso dall’atteggiamento del suo cantante, «può essere che chiunque ha
fatto questo disegno sia là fuori insieme a tutti quei fan che di solito
aspettano il nostro rientro nel tourbus.»
Ewan lo guardò, sorridendo leggermente.
Diede ragione all’amico, sentendo animare in sé la speranza. Desiderò come non
gli capitava da tanto di riuscire a incontrare quella ragazza che si era
ritratta insieme a lui, di parlarle, di vedere se l’idea che si era fatto di
lei – così immediata e impossibile da ignorare – era esatta.
Posò il piccolo foglietto in carta, ciò
che era appena e con estrema rapidità diventata la sua prima preoccupazione e
ultimò di cambiarsi i vestiti; si ritrovò presto pronto per tornare insieme
alla band e ai roadie verso il tourbus che li avrebbe condotti alla prossima
destinazione, consapevole che prima di varcarne la soglia avrebbe incontrato un
gruppo dei propri fan – come capitava sempre a fine concerto – e che forse, in
mezzo a loro, poteva anche esserci quella ragazza.
WhitehallRd., Leeds,
10 febbraio
Ore
2:33 AM
Stare seduto al bancone del bar di un
hotel a notte fonda era una di quelle cose che aveva visto fare spesso nei
film, ma che non aveva mai sperimentato prima. Eppure in quel momento stava
facendo esattamente quello. Ewan era seduto proprio al bancone dell’hotel in
cui avrebbe dovuto dormire, un bicchiere vuoto davanti – che aveva contenuto
acqua tonica al limone, a differenza di quanto succedeva nelle pellicole – con
cui giocava distrattamente, i gomiti appoggiati al piano, la testa bassa e
sporadiche parole di The Anchor dei
Bastille in testa.
Leeds era stata la loro ultima meta; ora
per gli Shards si prospettava un periodo di riposo di circa due mesi, prima di
ripartire per la seconda metà del tour europeo. L’adrenalina che lo aveva
inondato durante il concerto era scesa completamente e non c’era alcuna
prospettiva di un nuovo live ad alimentare il suo buonumore. Si sentiva stanco,
ma non aveva sonno. Era soddisfatto, ma anche dispiaciuto.
Con la mente stava vagando da tutt’altra
parte mentre gli occhi blu scorrevano assenti sulle iridescenze vitree delbicchiere. Da ormai due giorni non faceva
altro che tormentarsi continuamente domandandosi chi fosse – e dove fosse – la
ragazza che gli aveva fatto il disegno che si era trovato in tasca dopo il
concerto di Glasgow. Quella sera lei non era in mezzo ai fan che avevano atteso
il ritorno degli Shards al tourbus; in mezzo a quel gruppetto che li aveva
tanto calorosamente accolti nessuna aveva fatto allusioni a un disegno, nessuna
aveva un caschetto di capelli color rame. Lei non era fra loro. Quando Ewan si
era allontanato dai fan e li aveva salutati un’ultima volta si era reso conto,
con sua enorme sorpresa, di essere profondamente amareggiato per non aver
potuto incontrare quella ragazza, anche solo per ringraziarla di quel piccolo e
inaspettato regalo.
Non riusciva a capire perché il pensiero
di lei continuava a tornargli alla mente, perché di tanto in tanto cedeva al
desiderio di andare a guardare quel disegno ancora una volta. Lo aveva
conservato insieme a molti altri regali che i fan gli avevano fatto, ma per
quel piccolo lavoro aveva riservato un posto speciale, unendolo con una
graffetta a quelle carte che lui teneva sempre con sé, su cui abbozzava
pensieri, parole e note e da cui spesso nascevano canzoni. Quel disegno, per
quanto banale in apparenza, non gli dava pace; tutto quello che lo riguardava
non gli dava pace.
Abbandonò il bicchiere, portandosi le
mani al volto e respirando profondamente alcune volte. Si sforzò di farsi una
ragione del modo in cui le cose era andate, si disse che le possibilità di
incontrare quella ragazza erano – e sarebbero rimaste – talmente basse che non
avrebbe dovuto né sorprendersi né rimanere deluso dal modo in cui si erano
svolte le cose.
Si tolse le mani da davanti al viso e
prese irrequieto a ticchettare con le dita sul piano del bancone.
Improvvisamente si concentrò sul ritmo che stava battendo. Qualcosa in lui si
animò. Insieme a quel ritmo nuovo, che non aveva ancora sperimentato in nessuno
dei suoi pezzi, si fecero largo nella sua testa tutta una serie di parole. Si
affacciarono confuse, per poi prendere ordine spontaneamente, seguendo il ritmo
che lui stava componendo, in parte in quel bar, in parte nella sua testa, dove
si proponeva ben più articolato e complesso.
Si alzò dallo sgabello su cui era
seduto, avviandosi in gran fretta verso la sua stanza, canticchiando fra sé
quello che continuava a nascergli in mente con semplicità sorprendente,
sforzandosi di non dimenticare nulla prima di poter afferrare carta e penna.
Sala
prove degli Shards, Shaftesbury Ave., Londra, 18
febbraio
Ore
11:15 AM
Quando Ewan raggiunse la sala prove
sapeva perfettamente di essere in ritardo, sebbene di poco, ma aveva avuto una
serie continua di contrattempi che lo avevano rallentato, primo fra tutti il
fatto che la sua sveglia aveva deciso di ammutinarsi. Quando si era reso conto
dell’orario era sceso in tutta fretta dal letto, si era lavato, vestito ed era
uscito di casa prendendo con sé la bicicletta, decidendo di fermarsi a metà strada
per prendere qualcosa da mangiare. Un nuovo contrattempo gli si era presentato
lì, quando il locale scelto si era dimostrato pieno e lui era ormai troppo
incastrato fra la folla per decidere di andarsene.
Era una mattina particolarmente
piacevole, nonostante fosse febbraio. Il cielo era terso, limpido e la brezza
saliva solo delicatamente fino al cuore della città. Quest’ultima appariva viva
come sempre, piena del suo caratteristico via e vai di persone, ricca di
cittadini, lavoratori e turisti.
Ewan lasciò la bicicletta dove la
metteva abitualmente, chiudendola con un catenaccio. Corse letteralmente dentro
l’edificio, proseguendo lungo i corridoi e salutando chi incontrava nel
tragitto con un rapido saluto e un gesto della mano. Mentalmente si fece forza,
ripetendo fra sé quello che avrebbe dovuto dire ai suoi compagni. Non sapeva se
lo avrebbero capito, ma sapeva per certo che avrebbe comunque potuto contare su
di loro e tanto gli bastò per motivarsi.
Varcò l’ingresso della sala prove che
avevano affittato, controllò l’orario e prese effettivamente nota del suo
ritardo. Più di venti minuti. Imprecò mentalmente contro la sveglia, il caos e
perfino contro il caffè, mentre Chris, Trent e Chase si voltavano a guardarlo
sentendolo entrare.
«Alla buon’ora» gli diede il benvenuto Trent.
«Scusatemi» disse Ewan recuperando
fiato.
Entrò nella sala prove già perfettamente
organizzata e si sfilò lo zaino e la giacca, dopodiché si voltò verso gli
amici. Erano lì, tutti e tre, fermi a guardarlo in attesa, curiosi di sapere
per quale motivo Ewan avesse chiesto loro di trovarsi in sala prove quella
mattina nonostante avessero concordato di provare il giorno successivo.
Il cantante li guardò uno a uno, infine
respirò a fondo e si fece forza; quello che voleva dire loro lo imbarazzava, in
un certo senso, e non sapeva se i suoi amici avrebbero assecondato o meno la
bizzarra idea che si era impossessata di lui il pomeriggio precedente, quando
aveva chiamato gli altri per pregarli di trovarsi in sala prove.
Non partì dal principio per cercare di
ottenere la loro collaborazione, partì dal risultato. «Ho scritto una canzone»
disse, estraendo dalla tasca dei jeans il telefono cellulare.
Gli altri tre commentarono entusiasti la
notizia, sistemandosi sul divano della sala, in attesa di ascoltare il nuovo
lavoro composto dal loro cantante.
Come faceva sempre ogni volta che
sottoponeva agli amici una canzone nuova a cui stava lavorando, Ewan collegò il
cellulare al computer, copiò la canzone sul desktop e premette play,
lasciandola libera di riempire tutta l’aria della stanza. In quel momento,
però, si sentiva più agitato del solito. La canzone che stava scorrendo,
registrata con il telefono e composta solo dalla sua voce, dal piano e da una
base ripetitiva trovata fra gli effetti della tastiera, era la stessa che gli
era comparsa in mente a Leeds, mentre, a sedere al bancone del bar dell’hotel,
aveva continuato a pensare alla ragazza che gli aveva fatto il disegno. Sebbene
l’avesse arricchita, decorata e articolata sapeva che quella canzone parlava di
lei, di una ragazza che non aveva mai realmente incontrato. L’aveva intitolata Penelope e racchiudeva dentro di sé una
metafora della storia di Penelope e Ulisse. Per quanto sottili, le allusioni a
quello che gli era accaduto dopo Glasgow vi erano tutte. Poiché Ewan era
convinto che ai suoi amici non sarebbero sfuggite, pensò fin da subito a cosa
poter dire per giustificarsi, sebbene continuasse ad ascoltare la sua
composizione, scoprendosi piuttosto soddisfatto di quanto aveva scritto.
Quando la canzone finì calò un breve
silenzio, che venne subito interrotto da Chase: «Mi piace, Ewan, davvero.»
Il cantante gli sorrise, sollevato.
«Come mai una canzone su Penelope e
Ulisse? » domandò Chris, interessato.
Ewan si strinse nelle spalle, rendendosi
conto che il momento era arrivato. Inspirò a fondo cercando di non farsi notare
dagli amici e si decise a dire loro come stavano le cose.
Non tralasciò nulla, raccontando tutto
quello che c’era da sapere. Disse loro della delusione provata dopo che si
erano allontanati da Glasgow, quando quella ragazza che aveva tanto sperato di
incontrare non era fra i fan rimasti ad attenderli. Spiegò quanto quel piccolo
disegno continuasse a essere un chiodo fisso nella sua testa. Raccontò agli
amici di quella notte a Leeds e di come la canzone era nata in fretta. Infine,
leggermente imbarazzato nel raccontare una storia che poteva avere dell’assurdo,
disse loro quanto la speranza di riuscire a conoscere la ragazza fosse tale da
averlo portato a scrivere Penelope e
di come fosse inestinguibile anche in quel momento per ragioni che, davvero,
sfuggivano completamente alla sua comprensione.
Si zittì di colpo quando non seppe che
altro dire, sentendosi sotto esame, squadrato da tre sguardi diversi.
«Certo» esordì infine Trent, rendendo
ulteriormente nervoso Ewan, «che questo genere di cose possono capitare solo a
uno come te.»
A quelle parole il cantante scoppiò a
ridere, seguito a ruota dal resto della band. «Lo so» disse poi, quando si
ricompose.
«E come speri di incontrare questa
fantomatica ragazza? Aver scritto una canzone non basta, soprattutto perché non
è così palese che tu stai parlando di lei e di quello che è successo a Glasgow»
gli fece notare Chris, ricevendo consensi in risposta.
Ewan sapeva che l’amico aveva ragione,
ma aveva pensato anche alla soluzione a quel problema nel suo continuo
pellegrinaggio mentale. Prima che potesse proporre agli altri il suo progetto –
che era la cosa che lo preoccupava maggiormente in quel momento – Chase lo
precedette: «Basta solo tornare a suonare a Glasgow» disse, con un’innocua
alzata di spalle.
Ewan lo guardò, sentendo un sorriso
formarsi sul suo viso. «Era quello che volevo proporre io» ammise poi.
Trent e Chris lo guardarono.
«Vorresti tornare a suonare a Glasgow? E
quando?» domandò Chris.
«Il prima possibile» rispose Ewan.
Guardò gli amici e sospirò. «Sentite, lo so che vi sto chiedendo molto e
capisco se non volete assecondarmi. È solo che... Non lo so, c’è qualcosa in
tutta questa faccenda che non mi dà pace. Sono addirittura arrivato a scriverci
una canzone. Ho pensato che, in fin dei conti, provare a fare qualcosa non mi
costasse nulla. Chi può dire che alla fine non otterrò niente?»
Di nuovo calò il silenzio e Ewan non ebbe
il coraggio di interromperlo. Sapeva che stava chiedendo ai suoi compagni di
seguirlo in quello che aveva tutte le sembianze di essere un banale capriccio,
ma il suo buonsenso e la sua ragione erano stati completamente sopraffatti dal
desiderio; il desiderio di incontrare quella ragazza, di vedere se era come
continuava a immaginarla, di capire come fosse possibile che quella situazione
potesse ossessionarlo a tal punto. Se Chris, Trent e Chase gli avessero detto
di lasciar perdere se ne sarebbe fatto una ragione, ma finché non avesse
sentito quelle parole lui avrebbe continuato a provarci.
Vide gli altri scambiarsi un’occhiata d’intesa,
e trattenne il respiro sapendo che di lì a poco avrebbero dato il loro
personale giudizio. Come spesso accadeva uscì dalla bocca di Trent: «Ok,
facciamolo.»
Il cantante si convinse di aver capito
male e li guardò incredulo. «Dite sul serio?»
«Sì, diciamo sul serio. Ci hai
addirittura scritto una canzone sopra, Ewan, lo hai detto anche tu.
Probabilmente questa cosa ti sta davvero molto a cuore» rispose Chris.
«Grazie ragazzi» sorrise radioso Ewan,
passandosi una mano fra i capelli.
«Se vuoi tornare a Glasgow però dobbiamo
discuterne con Eddie e fare in modo che ci inseriscano la data nella seconda
parte della tournée» gli fece notare Chase, alludendo al loro manager.
«Mi occupo io di Eddie» replicò il
cantante.
Trent continuò a guardare l’amico in
silenzio, un leggere sorriso in volto. «Così torniamo a Glasgow per amore, eh?»
chiese.
«Per amore? Di che parli?» si intromise Chase.
«Oh, andiamo, non hai sentito le parole?
È chiaramente una canzone d’amore.»
Chris diede ragione a Trent quando quest’ultimo
pronunciò quelle parole, dopodiché tornò a guardare il suo cantante. Ewan rispose
allo sguardo di entrambi, senza dire nulla per alcuni secondi.
«Io… forse. Questa storia è assurda e
non so che mi sta succedendo. So solo che ci voglio provare, che solo così
potrò finalmente capire che diavolo mi prende.»
I suoi occhi avevano vagato per la
stanza mentre parlava, tormentandosi i capelli con la mano destra e la cerniera
della felpa con la sinistra. Quando tornò a posare lo sguardo sui suoi compagni
li trovò lì, fedeli.
Forse non c’era niente di sensato in
quello che voleva fare. Forse stava facendo perdere tempo a tutti – ai suoi
amici, al suo staff, al suo manager. Forse non avrebbe ottenuto niente da tutta
quella storia, ma non riusciva a desiderare altro se non fare un tentativo, quel tentativo. Voleva portare la sua
canzone per la prima volta a Glasgow nella speranza che potesse servire a
qualcosa, desiderando con tutto se stesso che le sue parole e la musica che
avrebbe perfettamente arricchito il testo potessero comunicare con la diretta
interessata. La musica era la sua arma più forte e l’unica che sapeva avrebbe
potuto funzionare in una simile circostanza. Niente poteva essere meglio di
quel tipo di messaggio per trovare qualcuno che lo aveva cercato proprio a un
suo concerto.
Non sapeva se avrebbe ottenuto o meno
dei risultati, ma in quel momento capì che Chris, Trent e Chase erano pronti ad
aiutarlo anche in quel assurdo tentativo.
Innanzitutto vorrei ringraziare quanti di voi sono
arrivati a leggere fin qui. Spero che il capitolo possa essere stato di vostro
gradimento e che, magari, vi abbia anche incuriosito al punto di portarvi ad
avere voglia di continuare nella lettura.
Vorrei dire solo un'altra cosa – in aggiunta a quanto
ho scritto all’inizio. La storia in questione nasce come fan fiction sui
Bastille, ma dal momento che non mi piace molto pubblicare long su artisti
musicali – preferisco le oneshot,
infatti – ho deciso di renderla un’originale e approfittarne per “manipolare”
un po’ i personaggi. Nonostante tutto, però, vi lascio immaginare chi sono i presta
volto dei quattro Shards.
Ok, chiudo. Come già detto vi ringrazio per aver letto
fin qui, spero davvero che questo capitolo vi abbia fatto venire voglia di
proseguire anche con i prossimi.
Nel caso vogliate lasciare un commento sentitevi
liberi, a me fa piacere :)
“Twosips of whiskey in the flaskbutI’mnot gonna drink them|I swearI’llmakeit last|
Tilwe’redrinking out of the sameglassagain”
Passenger.
Patient Love.
The
SSE Hydro, Glasgow, 2 luglio
Ore
9:54 PM
Esibirsi a un concerto liberava Ewan da
qualsiasi tipo di pensiero, portandogli esclusivamente sensazioni positive.
Quella sera, però, qualcosa continuava
ad affacciarglisi in mente, ricordandogli ogni minuto il perché della presenza
degli Shards a Glasgow. A ogni canzone, quando la musica stava per iniziare e
prima ancora che il cantante potesse aver modo di ricordare le parole del
testo, nella sua mente si ripresentava il disegno che qualcuno, in quella
città, gli aveva messo in tasca cinque mesi prima. Sapeva che il reale motivo
di quel nuovo concerto a Glasgow era quello di riuscire in qualche modo a
rintracciare la ragazza del disegno – perché non aveva mai dubitato si
trattasse di una ragazza – ma voleva anche che quello fosse un nuovo concerto
della propria band e, per tale motivo, stava dando il meglio di sé.
L’energia e la carica che il pubblico
gli trasmetteva lo stavano facendo sentire più vivo che mai, al punto di
caricarlo dell’euforica convinzione di sapere che tutto sarebbe andato secondo
i propri piani. Avevano aggiunto Penelope
alla scaletta della serata e il momento di suonarla era finalmente giunto.
Quando concluse Sin, mentre il pubblico urlava e applaudiva per far sentire tutto
il suo sostegno, Ewan guardò in direzione dei compagni, ricevendo da loro i
cenni di incoraggiamento di cui aveva bisogno. Avvicinò il microfono alle
labbra e respirò a fondo, sentendo davanti a sé il silenzio formarsi.
«Ehi» esordì, ricevendo in risposta un
boato che lo fece sorridere. «Vi ringrazio tantissimo per esserci stasera,
anche se abbiamo suonato qui solo cinque mesi fa.»
Un nuovo boato, qualcuno urlò frasi di
apprezzamento da lontano.
«Ora abbiamo in scaletta un pezzo nuovo,
che non abbiamo mai fatto prima. Si intitola Penelope.
«Questa canzone è fortemente legata alla
vostra città, sapete? Quando abbiamo suonato qui, a febbraio, qualcuno mi ha
fatto un bellissimo disegno che ho trovato a fine concerto. Non so chi lo abbia
fatto, purtroppo, ma è davvero bello.» Si passò una mano fra i capelli scuri,
lievemente in imbarazzo all’idea di raccontare quella storia davanti a
centinaia di persone. «A ogni modo, quel piccolo disegno mi ha ispirato questa
nuova canzone e ci tengo a far sapere alla persona che lo ha eseguito, sperando
sia qui stasera, che questa canzone è per lei.»
Chiuse gli occhi, ascoltando l’emozionante
risposta del pubblico. Ispirò a fondo appena sentì Chris eseguire alla tastiera
le prime note del brano. Sapeva che era arrivato il momento che aveva atteso e
rincorso negli ultimi cinque mesi e sentì tutte le tensioni e le ansie
scivolargli di dosso.
CongressRd, Glasgow,
3 luglio
Ore
12:18 AM
Gli ultimi due ragazzi si allontanarono
dagli Shards commentando entusiasti le foto che avevano appena fatto con i
membri della band, sebbene a dividerli vi fosse un alto cancello con sbarre in
metallo, quello che delimitava l’area backstage del concerto. Ewan li guardò
allontanarsi, la fiducia ancora forte in sé, attendendo l’arrivo di altre
persone.
Il concerto si era concluso nel migliore
dei modi. Penelope aveva riscosso
successo, il cantante lo aveva capito dalla reazione estasiata del pubblico,
così come gli era stato direttamente rivelato dal gruppetto di fan che aveva
atteso la loro uscita a fine concerto, fermandoli prima che potessero salire
sul tourbus per rientrare in albergo. Fra di loro, però, nessuno aveva parlato
del disegno, se non per dire che quella storia aveva del fascino incredibile.
Tuttavia, guardando gli ultimi ragazzi
allontanarsi e non vedendo nessun altro sopraggiungere nella loro direzione, Ewan
dovette arrendersi all’evidenza che il suo tentativo era fallito. Avrebbe dovuto
accettare il fatto che non avrebbe mai incontrato la ragazza a cui aveva
pensato continuamente negli ultimi cinque mesi, pur non avendo alcuna idea di
chi fosse.
Sentì gli occhi degli amici su di sé;
era certo che stavano tutti pensando la stessa cosa. Si voltò verso di loro,
abbozzando un sorriso e stringendosi nelle spalle. I quattro si guardarono in
silenzio.
«Mi spiace, Ewan » disse Chase, parlando
a nome di tutti.
Nei mesi precedenti, mentre provavano e
componevano le musiche per Penelope,
i tre amici avevano avuto modo di capire quanto, inspiegabilmente, Ewan fosse ossessionato
dal disegno che una sconosciuta gli aveva fatto. Il cantante non era mai
riuscito a spiegare il perché di quella sua fissazione, ma diventava evidente
ogni giorno più del precedente e non gli dava pace. Aveva insistito con Eddie
per poter ottenere una nuova data a Glasgow, attendendo quella sera con
desiderio sempre crescente. Aveva riposto in quel solo concerto tutte le sue
speranze, sentendosi catapultato in qualcosa al limite del surreale.
Tuttavia dovette accettare l’esito di
quella sera, così palese da non poter venire ignorato. Le possibilità erano
due: lei non era venuta al concerto, oppure non voleva far sapere al cantante
chi fosse. Quale delle due fosse la motivazione esatta, però, a Ewan non
importava. Dentro provava una gran delusione che solo un nuovo concerto avrebbe
potuto aiutare a superare.
Si incamminò seguendo i suoi amici,
costringendo la sua mente a pensare a tutt’altro, proiettandola sullo show appena
concluso e sentendosi un po’ più sollevato nel ripercorrere quei ricordi.
A un tratto sentì uno scoppio provenire
alle sue spalle. Sì voltò di scatto, lievemente preoccupato, così come fecero Trent,
Chris e Chase. Ilbotto non era stato
molto forte, forse per quel motivo ciò che era più forte nel cantante – insieme
alla preoccupazione – era la curiosità.
Voltandosi, contro ogni possibile
previsione, i quattro Shards videro arrivare verso di loro una pioggia di
coriandoli. Ewan fu quello che ne rimase più colpito; molteplici rettangoli di
carta colorata volteggiavano nell’aria, arrivando fino al punto in cui si
trovava lui, posandosi ai suoi piedi. Seguì a ritroso il tragitto dei
coriandoli, trovando quella che era stata la loro fonte e dello scoppio che li
aveva preceduti. Lì, oltre le sbarre del cancello, il tubo dei coriandoli
ancora in mano, stava ferma una ragazza. Guardava in direzione degli Shards,
sorridendo, gli occhi fissi in quelli di Ewan.
Colpito e incuriosito, il ragazzo si
avvicinò d’istinto verso di lei – che aveva forse venticinque anni o pochi in
più – osservandone il viso, i capelli scuri raccolti in una lunga treccia che
le ricadeva sulla spalla e un abbigliamento a metà fra l’indie
e il grunge. La raggiunse al cancello e si fermò; alle sue spalle Trent, Chris
e Chase assistevano immobili alla scena.
Ewan e la ragazza si guardarono,
sorridendosi reciprocamente, dopodiché lei tese al cantante, oltre la
cancellata, un biglietto. Era il biglietto del concerto degli Shards appena
concluso su cui lei – e Ewan la riconobbe subito – aveva disegnato con un
pennarello la stessa figura femminile che aveva raffigurato accanto al cantante
nel disegno che lui si era trovato in tasca cinque mesi prima. Sebbene non vi
fossero colori a confermare la cosa, Ewan aveva guardato quel piccolo disegno
così tanto che non ebbe il minimo dubbio si trattasse della stessa figura, così
come si trattava dello stesso disegnatore.
«Hai scritto di Claire» gli disse d’improvviso
la ragazza, con dolcezza.
Il cantante alzò gli occhi su di lei,
incredulo. L’aveva trovata. Aveva trovato la ragazza a cui aveva pensato
continuamente negli ultimi cinque mesi. Non la riconobbe solo dal lavoro che
lei gli aveva appena porto, ma anche dagli occhi, gli stessi della ragazza
disegnata. Per un lunghissimo momento quella situazione lo fece sentire strano,
come se fosse alle prese con qualcosa di molto simile a un sogno. Aveva tutte
le sembianze di qualcosa di irreale, eppure non lo era affatto. In quel momento
lui era lì a Glasgow e di fronte vi era la persona che aveva tanto cercato;
avrebbe potuto toccarla se solo avesse voluto e un primo contatto era già
avvenuto nel momento esatto in cui le loro mani si erano sfiorate nel passaggio
del biglietto.
«Sei tu» mormorò infine.
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Dipende dai punti di vista. Non ci assomigliamo molto» disse con un sorriso,
indicando in direzione del disegno che Ewan ancora teneva in mano.
Lui controllò il biglietto, confrontando
la persona che aveva davanti con quei rapidi e precisi tratti schizzati sulla
carta. Trovò che la giovane sotto i suoi occhi fosse ancora più bella di quella
disegnata nei lavori che aveva avuto modo di vedere, mentre una parte dentro di
sé gli disse ostinata che era esattamente come l’aveva immaginata fin da
subito, quando si era disegnata nella sua mente con le parole e le note di Penelope.
«Speravo di incontrarti, sai? Quel
disegno che mi hai fatto a Glasgow, la volta scorsa, mi è davvero piaciuto» le
rivelò il cantante, restituendole il biglietto e passandosi una mano fra i
capelli, sopraffatto dalla situazione e incapace di resistere all’impulso di
continuare a sorridere.
Lei tormentò per un breve istante la
treccia con la mano libera, guardando imbarazzata da un’altra parte. «Io…»
attaccò, ma dovette respirare a fondo prima di riuscire effettivamente a
proseguire. «Non era mia intenzione metterti in tasca quel disegno. Lo avevo
fatto perché speravo di riuscire a farmelo autografare a fine serata. Solo che,
durante Chalk,
mi sei passato così vicino che mi è bastato allungare appena la mano.»
Se non ci fosse stato buio Ewan avrebbe
potuto vederla mentre arrossiva.
«Sono contento che siano andate così le
cose» rispose lui, sovrappensiero.
I due tornarono a guardarsi, in
silenzio. Il cantante si voltò un attimo in direzione degli amici, accanto al
tourbus, fermi a osservare la coppia che si era appena formata. Tutti e tre
temevano di rovinare quel momento e per tale motivo nessuno aveva il coraggio
di intromettersi.
Ewan tornò a rivolgere la sua attenzione
alla ragazza. «Ti chiami Claire?» domandò, alludendo al nome che lei aveva
pronunciato prima.
Di tutta risposta quest’ultima scosse la
testa. «No. Questa è Claire» disse, sollevando il biglietto e mostrando
nuovamente il personaggio da lei raffigurato. «Io mi chiamo Amelia.»
Poter dare un’identità alla figura che
aveva immaginato per mesi fece sentire sorprendentemente appagato Ewan. Rimase
a guardare la ragazza – Amelia – con attenzione, registrando meglio che poté il
suo viso, il sorriso, gli occhi. Averla trovata era una sensazione unica,
qualcosa che sentiva di non aver mai provato prima. Proprio per quel motivo,
però, non voleva che finisse tutto in fretta come, al contrario, sembrava
essere predestinato ad accadere. Protrarre ancora quell’attimo, renderlo
qualcosa di molto vicino all’eternità, era appena diventato il suo nuovo
desiderio. Aveva aspettato troppo per consentire a quel momento di allontanarsi
e avrebbe fatto del suo meglio per impedire che ciò accadesse.
Tuttavia la realtà dei fatti era pronta
a strapparlo alle sue illusioni ancora una volta.
«Ewan.»
Sentì Chris chiamarlo alle sue spalle.
Si voltò verso i suoi compagni, distanti abbastanza da non capire cosa stava
accadendo.
«Dobbiamo rientrare in hotel» gli ricordò
Chase.
Il cantante rimase in silenzio,
dopodiché si voltò nuovamente verso Amelia. Non era affatto stanco e,
soprattutto, non aveva alcuna voglia di separarsi da lei, non ora che l’aveva
finalmente trovata. Fece scorrere gli occhi sull’alta cancellata che lo
separava dalla ragazza e sorrise. Erano un paio di metri, niente che non avesse
già affrontato.
«Hai da fare?» chiese ad Amelia,
divertito dall’idea che gli era appena venuta in mente.
«Cosa? Ora?» domandò lei in risposta, perplessa.
«Sì, ora.»
«No. Non ho niente da fare, è l’una di
notte» rispose infine, soffocando una risata.
Quelle parole bastarono al cantante. Si
voltò nuovamente verso i tre amici e sorrise loro. «Prendo un taxi» disse.
Trent, Chris e Chase capirono subito le
sue intenzioni. Si misero a ridere o sorrisero, ma salutarono tutti l’amico con
un cenno. Se Ewan avesse prestato attenzione, inoltre, avrebbe potute sentire
Chris che intonava appena le parole di Patient Love di Passenger.
Subito dopo il cantante tornò a
concentrarsi sul cancello, prese meglio le misure e vi si arrampicò sopra. Si
aggrappò con agilità nei punti giusti, sotto lo sguardo incredulo di Amelia,
infine atterrò con precisione al fianco della ragazza, dal lato opposto della
cancellata.
«Ti va di andare a bere qualcosa?»
propose poi il cantante, con una naturalezza disarmante.
Lei lo guardò sorpresa, senza riuscire a
proferire parola per diversi secondi. Fu evidente per Ewan che non riusciva a
credere a quello che stava succedendo, lo capì dai suoi occhi e la cosa gli
fece tenerezza. Quella era un’ottima occasione per farle capire che, dopotutto,
lui era un ragazzo normalissimo.
Amelia spostò lo sguardo in direzione
degli altri componenti della band e li vide salire sul tourbus, chiacchierando
fra loro. Era come se fossero avvezzi a situazioni del genere, come se il loro
cantante abitualmente scavalcasse cancelli per chiedere a una sconosciuta di
bere qualcosa insieme. Quello che, però, lei non poteva capire era il fatto che
per Ewan lei non era affatto una sconosciuta. Dentro di lui qualcosa continuava
a ripetergli che Amelia era esattamente come l’aveva immaginata, che l’aveva
aspettata e pensata per cinque mesi per poi trovarsi davanti ciò che sapeva
avrebbe trovato. Sentiva di conoscerla.
«Perché vorresti farlo?» domandò di
punto in bianco la ragazza, riferendosi all’offerta che il cantante le aveva
appena fatto.
Ewan, di tutta risposta, si strinse
tranquillo nelle spalle. «Perché voglio conoscerti» rispose.
Per lei tutto quello che stava accadendo
non poteva essere reale, soprattutto perché non avrebbe neanche potuto immaginare una simile situazione. Quando
a febbraio aveva messo il suo disegno in tasca a Ewan, mentre lui le sfilava
accanto cantando, aveva agito di impulso, senza alcun intento preciso e, certo,
mai avrebbe creduto di ritrovarsi lì, davanti a un uomo che ammirava, cantante
della sua band preferita e sua unica infatuazione da anni.
Dopo un lungo, chiaro, momento di
indecisione e smarrimento, Amelia si decise a cogliere al volo quell’occasione,
consapevole di quanto fosse unica nel suo genere. Sorrise. «Mi viene difficile
credere che stia succedendo tutto davvero» ammise.
«Eppure è così.» Ewan rimase in attesa.
Non voleva mettere alcun tipo di fretta ad Amelia, gli bastava anche solo
averla davanti e saperla lì per lui.
«Bere qualcosa insieme ti basterebbe per
conoscermi?» chiese infine la ragazza, con lo stesso tono incredulo che non la
voleva abbandonare.
«No, naturalmente» rispose lui
consapevole. «Ma può comunque aiutare. In fin dei conti abbiamo tutta la
notte.»
Amelia sollevò le sopracciglia,
sorpresa. Sul suo viso affiorò un sorriso, che si rifiutò di nascondere. «D’accordo»
esclamò. «Sarei pazza a rifiutare un simile invito.»
Ewan le sorrise, radioso. «Conosci
qualche posto aperto fino a tardi?» le chiese.
Lei annuì, indicando in un punto alla
sua sinistra. «Ne conosco uno proprio bello. E anche molto tranquillo.»
«Direi che è perfetto» concluse il
cantante.
I due si avviarono, uno al fianco dell’altra,
mentre la luce elettrica dei lampioni proiettava lontano le loro ombre. Si
poteva quasi respirare l’atmosfera che vi era fra loro, carica di incredulità,
appagamento e felicità, una combinazione tanto rara da essere addirittura
magica.
“To
save the night|the
night wasallwesaw|That’swhat the darknessis for”
Jack Savoretti.
WhenWeWere Lovers.
Sauchiehall St., Glasgow, 3 luglio
Ore
12:58 AM
Quello che colpì maggiormente Ewan della
Glasgow notturna fu il suo profumo. Era fresco e riposante al tempo stesso, un
mix di acqua, terra e vita. Mentre camminava al fianco di Amelia verso posti
che non conosceva non riuscì a fare a meno di notare il profumo di quella
città. Ci avrebbe potuto scrivere una canzone e forse lo avrebbe fatto.
Accanto a lui la ragazza passeggiava con
calma, tenendo le braccia incrociate davanti al petto e facendo scorrere con
dolcezza gli occhi sui palazzi della sua città. Il leggero giacchino di pelle riverberava
dei bagliori ambrati dei lampioni mentre seguiva il lento ondeggiare del suo
corpo. Di tanto in tanto si voltava verso Ewan, scoprendolo quasi sempre
intento a osservarla. Gli sorrideva e riprendeva a guardare davanti a sé.
Al ragazzo quell’atmosfera stava
piacendo particolarmente. Prima di diventare famoso con i suoi amici e di
fondare gli Shards era sempre stato un’anima notturna. Aveva visto Londra molto
più spesso con il buio che con la luce e una parte di sé continuava a vivere
bene sotto la luna. Per tale ragione in quel momento si sentiva a proprio agio,
soprattutto perché sapeva che fra lui e Ameliasi era formata un’atmosfera unica, una bolla sospesa che avrebbero fatto
scoppiare solo quando fosse stato il momento giusto.
«Siamo quasi arrivati» volle informarlo
Amelia a un certo punto.
«Dove stiamo andando?» domandò Ewan,
voltandosi verso la ragazza.
«Dietro l’angolo c’è un piccolo pub, un
posto tranquillo dove vengo spesso con una mia amica.»
«Sembra carino» sorrise lui.
«Lo è» esclamò Amelia, sorridendo a sua volta.
«Inoltre passano ottima musica alla radio e la tengono sufficientemente bassa
per riuscire a conversare senza dover urlare» precisò.
Ewan la guardò con attenzione quando lei
finì di parlare. Fece scorrere lo sguardo sui suoi lineamenti, il naso
leggermente all’insù, le labbra piene e rosee, gli occhi allungati dall’eyeliner
nero; notò le lentiggini sul naso e sugli zigomi, che le donavano molto e il
piercing al setto nasale, una sottile anella argentata. Aveva un viso
particolare; non convenzionale ma indubbiamente affascinante.
Ripensò al modo in cui gli eventi si
erano evoluti per permettere a loro due di trovarsi lì in quel momento e di
come entrambi avevano giocato un ruolo decisivo per far ruotare quegli eventi a
favore. Ewan credeva nel destino; in modo ingenuo, forse, ma ci credeva e per
lui l’incontro con Amelia aveva esattamente le sembianze di qualcosa voluto dal
destino.
La ragazza si fermò d’improvviso davanti
all’ingresso di un locale. Il posto faceva angolo e aveva un’alta vetrata che
consentiva di vedere dentro, sulla sala costellata di tavolini in legno. Le
luci erano calde e studiate per dare un’atmosfera rilassante. Alla sinistra del
lungo bancone c’era un piccolo palco, per le band.
«Eccoci. Se pensi possa andare bene,
entriamo» disse Amelia, rivolgendosi al cantante.
Ewan analizzò il locale una seconda
volta, soffermandosi sulle poche persone presenti all’interno. Acconsentì e
seguì la ragazza all’interno.
Dentro regnava un delicato mormorio di
voci, generato dal limitato numero di persone presenti. La radio si sentiva
poco nonostante tutto, ma Ewan fu ugualmente in grado di percepire le note di WhenWeWere Lovers di Jack Savoretti.
I due salutarono il barista e il giovane cameriere che passò loro accanto.
Quest’ultimo indicò un tavolo dicendo che sarebbe arrivato subito. Amelia e
Ewan vi ci sistemarono e per un breve, iniziale, momento nessuno dei due seppe
cosa dire. Amelia si sentiva come a un primo appuntamento, come se davanti a
lei ci fosse un ragazzo che le piaceva ma da cui non era certa di sapere cosa
aspettarsi. Se avesse ripensato al modo, a ciò che era accaduto per permetterle
di stare nello stesso metro quadro di Ewan Hill, si sarebbe sentita talmente
strana da non avere idea di come comportarsi, perciò decise di non farlo. Era
come un film; un film in cui le veniva concessa una sola notte in compagnia di
un ragazzo che ammirava tremendamente e la consapevolezza che non ci sarebbe
stata alcuna replica.
Di fronte a lei il ragazzo non sembrava
dello stesso avviso. Il sentimento che lo stava riempiendo totalmente era la
curiosità, nient’altro. Nei cinque mesi in cui aveva aspettato quel momento si
era fatto molte idee diverse riguardo alla persona che aveva eseguito il
disegno da cui era partito tutto. Per tale ragione tutto quello che gli premeva
sapere in quel preciso momento era se le migliori supposizioni che aveva
formulato si avvicinassero un minimo alla realtà.
Il cameriere portò loro due menù, dando
così anche una scusa per avviare un dialogo.
«Cosa prendi?» chiese Ewan, cominciando
a spulciare l’elenco delle birre di cui il locale ne offriva un’ampia varietà.
«Penso che prenderò un tè, ne hanno di
ottimi qui» rispose Amelia, sollevando lo sguardo dalle pagine.
Per un momento si sentì mancare il
fiato. L’emozione prese il sopravvento quando incrociò gli occhi blu del
cantante, che la stava osservando con la stessa attenzione che si può dedicare
a qualcosa di appassionante. Il sincero interesse trapelava anche dal suo mezzo
sorriso e dalle sopracciglia leggermente sollevate.
Era una situazione in cui Amelia si era
già trovata, ma non in compagnia di un ragazzo simile. Si sentì fortunata come
non mai. Tuttavia si sentì anche improvvisamente insicura. Poteva benissimo
essere la sua unica possibilità in tutta la vita di stare così a stretto
contatto con Ewan – per lei molto più che il cantante della sua band preferita –
e si scoprì incapace di sapere cosa dire.
«Non ti hanno riconosciuto» osservò dopo
un momento di indecisione, guardando le persone intorno a loro.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Non
mi riconoscono molto spesso. Sono abbastanza normale, passo inosservato.» Sorrise,
passandosi una mano nei capelli. Amelia ammirò affascinata quel gesto; le mani
da pianista – lo strumento di Ewan oltre alla voce – scivolarono con
delicatezza fra le ciocche spettinate color dell’ebano.
«Perciò, spiegami. Perché siamo qui?»
domandò poi la ragazza, facendosi forza.
Ewan non si scompose, né parve sorpreso
dalla domanda. «Te l’ho detto,» le sorrise, «perché voglio conoscerti.»
Amelia rimase spiazzata per la seconda
volta nel giro di un’ora nel sentire quell’affermazione. «Solo perché ti ho
fatto un disegno?» chiese, stupita.
Dovette portare pazienza per sentire la
risposta. Il cameriere li raggiunse e prese le ordinazioni, lasciandoli
nuovamente soli in meno di due minuti. Il cantante allora tornò a guardare la
ragazza. «No» rispose infine. «Non solo perché mi hai fatto un disegno. Solo
perché mi hai fatto quel disegno»
specificò, calcando con cura la parola “quel”. «Mi ha ispirato una canzone, un’intera
canzone.»
«Molto bella» volle precisare Amelia.
Ewan le sorrise in segno di ringraziamento.
«Allora dovresti aver capito perché siamo qui» concluse.
Non raccontò l’esattezza dei fatti. Non
disse alla ragazza che il desiderio di darle un’identità era stato un chiodo
fisso per lui nei mesi precedenti. Immaginava fosse emozionata, dopotutto era
pur sempre un cantante famoso – nonostante lui si sentisse tutto fuorché
quello. Stare in mezzo alle persone gli piaceva davvero, ma sapeva che per molti
stare vicino a lui era un avvenimento. Valeva anche per Amelia, lo aveva
intuito, sebbene lei fosse molto più spigliata e si sentisse meno in soggezione
rispetto a tante altre fan che aveva avuto modo di incontrare.
«Beh non...non so cosa dire» rispose la
ragazza. Si tormentò leggermente la punta della treccia con le dita, guardando
da un’altra parte.
«Senti,» prese poi parola lui, «non
pensare a me come al cantante degli Shards. Non adesso, d’accordo? Sono Ewan,
Ewan e basta.»
Amelia lo guardò con attenzione,
permettendo al ragazzo di percepire le sfumature mogano nei suoi occhi castani.
«Va bene» disse infine. «Ma non puoi
darmi torto se sono emozionata» aggiunse prima che lui potesse ricominciare a
parlare.
Il cantante rise, passandosi nuovamente
la mano fra i capelli. Si ricompose giusto in tempo per permettere al cameriere
di posare sul tavolino la sua birra e il tè ai frutti rossi di Amelia.
Quest’ultima inspirò una lunga boccata
dell’aroma della bevanda, sollevando lo sguardo su Ewan quando lo sentì
domandare: «Perciò sei un’illustratrice?»
«Una specie di grafica. Ho un sito
internet e lavoro su richiesta, ma per pagare l’affitto sono costretta a fare
la commessa in negozio. Come grafica non ho ancora avuto la mia grande
occasione» ammise, nascondendo a stento l’amarezza.
«Hai studiato qui a Glasgow?»
La ragazza annuì con il capo, senza
aggiungere altro. Tanto bastò al cantante per capire che avrebbe dovuto fare la
sua parte per evitare la formazione di silenzi imbarazzati o altre cose in
grado di rovinare un’uscita. Per sua fortuna ci era già passato e sapeva come
fare per consentire a quella situazione di procedere. Domandò ad Amelia cosa l’aveva
portata a scegliere la carriera di grafica, sottolineando quanto la cosa fosse
affascinante e anche quanto – almeno nel suo parere da “profano” – il suo
talento fosse evidente. Dopo un lieve arrossamento delle gote la ragazza
rispose, prendendo via via sempre più confidenza con la situazione e con il
ragazzo che aveva davanti.
Da quel momento la conversazione fra i
due si avviò con estrema naturalezza. Amelia e Ewan si raccontarono a vicenda
le proprie esperienze universitarie, lei alla Glasgow School of Art, lui alla City
University di Londra, dove aveva studiato letteratura
inglese. Le rispettive vite da studenti diedero modo ai due di parlare a lungo,
permettendo ad Amelia di rilassarsi completamente e a Ewan di mostrare tutta la
sua naturalezza. Non si confrontarono solo sulle rispettive esperienze, ma
anche sulle scelte che li avevano portati a percorrere quella strada. Quel
discorso portò via loro molto tempo. Quando vennero raggiunti dal cameriere, il
quale li informò che stavano per chiudere, nessuno dei due si era accorto che
il locale si era svuotato, che le sedie erano state riposte sulla maggior parte
dei tavoli e che la musica era stata spenta. Si scusarono con il gestore per
essersi fermati tanto a lungo, pagarono il conto e uscirono dal locale.
Amelia controllò l’ora: erano quasi le
tre. Ne rimase sorpresa. Non si era resa conto che fossero trascorsi tutti quei
minuti da quando Ewan aveva scavalcato il cancello per unirsi a lei. Si sentiva
felice al pensiero del tempo trascorso con il cantante degli Shards, del modo
in cui era riuscita a sciogliersi e a conversare con lui. Era particolarmente
contenta di come stava procedendo quella notte.
«Ora dove andiamo? Non penso che ci
siano molti locali aperti in giro, vero?» chiese il ragazzo, facendo un breve
movimento per far intuire ad Amelia che non voleva stare fermo.
Lei ci pensò un momento, dopodiché ebbe
la giusta illuminazione. «Da questa parte. È un po’ distante ma penso che ne
valga la pena.»
Ewan si avviò al suo fianco,
immergendosi nuovamente nella Glasgow notturna. Stavano ripercorrendo a ritroso
il tragitto che li aveva portati verso il centro della città.
«Ti piace Glasgow?» domandò poi Amelia,
con l’intenzione di avviare nuovamente la conversazione.
«È una bella città. Anche se ammetto di
non averla mai vista bene come avrei voluto.»
«Non ci hai mai fatto un giro prima di
un concerto?»
Il cantante si strinse nelle spalle.
«Più o meno. Il tempo che abbiamo a disposizione per riuscire a vedere una
città e sempre strettamente legato all’orario di arrivo e al luogo in cui
suoniamo.»
«Mi sono sempre chiesta come dev’essere
la vita di una band in tour» osservò la ragazza, come se stesse pensando a voce
alta. Il suo amore per la musica l’aveva portata spesso a immaginare la vita in
continuo movimento di certi artisti, in particolare ogni volta che si fermava
su Facebook a guardare i diari video di certe band.
La curiositàdi Amelia diede modo a Ewan di trovare altro
di cui parlare. Raccontò alla ragazza della vita su strada, delle prove
pomeridiane, di cosa i fan avevano fatto per loro. Non lo disse con nessuna
arroganza, non volle vantarsi con lei di quella fortuna che aveva arricchito la
sua vita. Volle mostrarle solo il suo punto di vista, la sua quotidianità.
Era in procinto di porre una simile
domanda ad Amelia, chiederle della sua vita, del suo lavoro e dei suoi disegni,
quando lei si fermò. Ewan sollevò lo sguardo, accarezzato dalla brezza notturna
che si era fatta più intensa. Avevano raggiunto il ClydeArc, uno dei ponti più recenti e suggestivi di tutta
la città. Il cantante ne ammirò i colori per un lungo momento, le luci che
sotto la volta dell’arco cambiavano lentamente riproponendo tutto lo spettro
cromatico, e ne osservò i riflessi saturi sull’acqua nera del fiume Clyde, che attraversava Glasgow giungendo da Uddingston.
«Nessuno oggi può dire di avere visto
Glasgow se non è passato almeno una volta da qui alla sera» lo informò Amelia,
guardando verso il ponte. «Anche se non so bene perché» aggiunse,
sovrappensiero.
Raggiunse il muretto che delimitava la
sponda del fiume e vi si appoggiò con i gomiti, il viso rivolto verso il ClydeArc. Ewan la imitò.
«Non è il Tower Bridge, lo so» disse poi
la ragazza.
Lui le sorrise. «Non importa, merita lo
stesso. L’ho sempre visto solo di sfuggita, anche questo pomeriggio.»
I due rimasero in silenzio, osservando
ciascuno a proprio modo la notte che continuava a espandersi sopra le loro
teste.
«Chi è Claire?» domandò di punto in
bianco Ewan, incuriosito. Aveva ripensato ai disegni di Amelia, a quella
piccola figura con il caschetto di capelli ramati raffigurata accanto alla sua
versione animata. Lo chiese perché pensava che potesse esserci una storia
dietro a quel disegno all’apparenza senza nulla di speciale, proprio come una
storia si celava dietro a ogni sua canzone.
La ragazza lo guardò, quasi non si
spiegasse la domanda, infine si strinse nelle spalle. «Nessuno di particolare.
È nata da uno scarabocchio che ho fatto i primi anni di università,
sovrappensiero. Poi però mi ci sono affezionata ed è diventata una specie di
mascotte. Un po’come Mickey Mouse per Walt Disney.»
«Un paragone esaustivo» disse
semplicemente Ewan, strappando l’ennesimo sorriso ad Amelia.
I due ripresero a parlare. Il cantante
ebbe finalmente modo di sapere qualcosa in più sul lavoro della ragazza, su
cosa significasse fare la grafica e sul tipo di lavori che le venivano
richiesti. Chiacchierando ripresero a camminare, si allontanarono dal Clyde,
addentrandosi verso il cuore della città, non così deserta nonostante l’ora
tarda.
Fra i due fu Amelia la prima a rendersi
effettivamente conto del fatto che la notte era ormai giunta agli sgoccioli. Le
bastò dare una fugace occhiata al cielo sopra la città, in parte coperto di
nuvole ma sufficientemente pulito per consentirle di notare la sfumatura di blu
più delicata, presagio dell’alba. Tornò a rivolgere l’attenzione a Ewan, al suo
fianco, concentrato a parlare di altro. Quando ultimò la frase e si zittì in
attesa di un possibile riscontro da parte della ragazza, lei controllò rapidamente
l’orario.
«Sono le cinque» disse.
Ewan spalancò gli occhi, sorpreso. Aveva
intuito che era in compagnia di Amelia da diverso tempo, era semplice da capire
anche solo vista la quantità di argomenti differenti che avevano trattato, ma
non aveva idea del fatto che fosse praticamente arrivato il mattino. Sollevò lo
sguardo verso il cielo e ne ebbe conferma.
Una parte di sé si sentì dispiaciuta
dalla notizia. Nonostante fosse contento di com’erano andate le cose e di come
era trascorsa la notte in compagnia di quella ragazza che aveva tanto sperato
di incontrare, il pensiero che dovesse finire gli lasciava ugualmente una
sensazione amara dentro. Tuttavia doveva rientrare in albergo, lo sapeva
perfettamente. Quella stessa mattina gli Shards dovevano partire alla volta di
Belfast e il programma prevedeva la sveglia alle sette, di modo da mettersi in
viaggio il più presto possibile. Anche se aveva ormai perso ogni interesse per
dormire non gli sarebbe affatto dispiaciuto concedersi almeno una doccia. Non
poteva più restare; per quanto quella consapevolezza lo rattristasse, non avrebbe
più potuto ignorarla.
«É meglio che vada» disse infine. «Sai
dove posso trovare un taxi?»
Amelia si ridestò dopo che un lieve
dispiacere le ebbe attraversato lo sguardo. «Te lo chiamo» si offrì.
Fece partire la telefonata e dopo alcuni
secondi ricevette risposta. Indicò l’indirizzo in cui si trovavano, ringraziò e
chiuse la chiamata.
«Arriva in un paio di minuti.»
L’atmosfera fra loro si fece
improvvisamente strana. Amelia non sapeva cosa dire, mentre Ewan era intento a
pensare in che modo avrebbe potuto avere nuovamente a che fare con lei.
«Beh, grazie» disse poi Amelia,
sentendosi in imbarazzo.
Il cantante le sorrise. «E di cosa?
Anzi, grazie a te per il disegno, dico davvero. È stato un’ispirazione.» Si
passò una mano fra i capelli. «E questa notte è stata davvero piacevole. Sono
contento di averti conosciuta.»
Per Amelia fu inevitabile arrossire. Non
credeva quasi a quello che aveva appena sentito; una parte di sé era totalmente
incredula. «Vale anche per me. Trovo pazzesco il fatto di essere rimasta tanto
a lungo con il cantante della mia band preferita» disse tutto d’un fiato, come
fosse l’ammissione più importante della sua vita.
Il ragazzo sorrise. «Ricordati, solo
Ewan.»
In lontananza i fari di un’auto
illuminarono la strada. Entrambi si voltarono in quella direzione, notando il
taxi.
«Ha fatto presto» osservò il cantante.
«Non c’è molto traffico, dopotutto.»
«Tu come torni a casa?» domandò il
ragazzo, improvvisamente preoccupato.
Amelia si strinse nelle spalle. «Abito
qui vicino. L’ho fatto apposta a fare questa strada.»
Ewan si rilassò; dietro di lui il taxi
accostò al marciapiede. «Senti,» esordì poi, una leggera incertezza nella voce,
«se volessi sentirti di nuovo?»
Amelia sollevò le sopracciglia,
incredula e sorpresa. Aprì bocca per parlare ma non le riuscì di dire nulla. Il
cantante, però, non si scompose. «Non voglio costringerti, né metterti a disagio»
precisò. «Facciamo così. Ti lascio il mio indirizzo e-mail, quello personale.
Se ti va puoi scrivermi.»
Lo disse con una tale semplicità da
lasciare la ragazza spaesata. In uno stato di assoluta incredulità Amelia
annuì, porgendo il telefono a Ewan affinché potesse scrivere sopra il suo
contatto. Una volta terminato, lui aprì la portiera del taxi e si voltò verso
la ragazza un’ultima volta. «É stato un piacere. Ci risentiamo, se vuoi.» Le
sorrise. «Buona giornata.»
Salì sul mezzo dopo aver atteso il saluto
di Amelia. Quest’ultima rimase ancora immobile a guardare il taxi partire e
allontanarsi, senza sapere con esattezza cosa pensare. Dentro aveva una
quantità tale di emozioni che chiunque ne sarebbe rimasto stordito. Lei invece
sorrise, ripensò a quella notte, si immaginò di colorarla su carta e si avviò
verso il proprio appartamento canticchiando fra sé.
“Oh will I everseethat girl again? |The girl from way back when”
Kodaline. Way
Back When.
A77, 3 luglio
Ore 8:47 AM
Il multivan
stava percorrendo la A77 in perfetto orario con la tabella di marcia. Lungo la
strada non vi era traffico e ciò contribuì a non rallentare il tragitto. Nei
nove posti disponibili sul van i membri degli Shards ne avevano occupati
solamente quattro, sparpagliandosi fra i vari sedili in modo tale da non stare
l’uno appiccicato all’altro. Chase si era seduto davanti, alla sinistra dell’autista,
sebbene fosse voltato indietro verso i suoi amici. Stava infatti parlando con
Trent e Chris, gli occhi di tutti e tre fissi sul loro cantante e il tono di
voce di chi sta confabulando per compiere qualcosa.
Ewan, invece,
era completamente addormentato, il volto schiacciato contro al finestrino. Era
precipitato in un sonno profondo appena si era seduto sul van e non aveva quasi
rivolto parola ai suoi amici. La notte prima – o, meglio, quella stessa mattina
– il cantante era rientrato in albergo, si era fatto una doccia e aveva
sistemato le cose nella valigia. Ultimata questa operazione, quando l’idea di
coricarsi si era fatta più intensa e aveva pensato di assecondarla, il telefono
della sua stanza aveva squillato per ricordargli che era arrivato il momento di
alzarsi e scendere per poter partire alla volta di Belfast. L’arrivo nel
capoluogo era previsto entro l’ora di pranzo e dal momento che sul traghetto
Ewan era consapevole che non sarebbe riuscito a chiudere occhio, aveva deciso
di dormire durante l’ora e mezza del viaggio in auto. Tuttavia i suoi compagni
non sembravano disposti a lasciarglielo fare.
«Tiragli una
gomitata, vedi che si sveglia» suggerì Chase in direzione del chitarrista,
Trent, seduto accanto al cantante.
Lui eseguì.
Sollevò il gomito e lo piantò con sufficiente energia nel costato di Ewan.
Quest’ultimo si svegliò di soprassalto, strappato a un profondo sonno
ristoratore. Guardò confuso gli amici, le loro espressioni e per un momento si
chiese dove fosse. Fuori vide il paesaggio scozzese scorrere veloce e un senso
di soddisfazione lo pervase d’improvviso a quella vista. Dopo il primo momento
di smarrimento, immediatamente dopo il risveglio, ogni cosa gli era tornata
alla mente.
«Che vi prende?»
chiese. Aveva lo voce bassa, impastata e sentiva di avere bisogno di un caffè –
e, magari, anche un muffin.
«Che ci
prende?» esclamò Chris, i baffi seguirono precisi i movimenti delle sue labbra.
«Non sappiamo a che ora sei rientrato e questa mattina ci hai a malapena
salutato e ti sei messo a dormire.»
Ewan si sistemò
meglio a sedere, massaggiandosi la guancia che aveva tenuto appiccicata al
vetro. «Erano le cinque e mezza, credo» borbottò sovrappensiero.
«Ci stai
dicendo che sei rimasto con quella ragazza tutta notte?» chiese Trent.
Il cantante
guardò i tre amici, sentendosi sotto processo. Avrebbe raccontato tutto ciò che
era avvenuto, non aveva motivo per non farlo, tuttavia non voleva farlo in quel
momento. Era ancora intontito per colpa del poco sonno e si era svegliato di
soprassalto impiegando più tempo del previsto per capire dove fosse.
«Sì, ero con
lei. Ragazzi possiamo parlarne dopo? C’è tutto il viaggio in traghetto per
discuterne.»
«No, Ewan, non
ne parliamo dopo. Ormai sei sveglio, che ti frega? Avanti, racconta» disse Chase,
sistemandosi sul sedile in modo tale da riuscire a guardare meglio il suo
cantante. Scostò la cintura di sicurezza quel tanto che bastava per impedirle
di infastidirlo, dopodiché posò un gomito sullo schienale.
Il cantante
sospirò. «Va bene, d’accordo. Si chiama Amelia» esordì.
«Amelia come?»
intervenne subito Chris.
Ewan guardò
perplesso il suo tastierista. «Amelia e basta» rispose.
«Deve avere un
cognome, no? Dubito che “e basta” sia il suo cognome» proseguì ostinato Chris.
Un nuovo,
lungo, sospiro sfuggì alle labbra del cantante. Si passò le mani sul viso, poi
nei capelli spettinati, infine lasciò libere le proprie dita di esibirsi in un
gesto di esasperazione. «Sentite, non le ho chiesto il cognome. Ero molto più
interessato a chiederle altre cose.»
«Del tipo?»
scattò Chase, un sorriso sornione in volto.
Ewan non
collegò l’espressione dell’amico all’ambiguità della sua affermazione e
proseguì: «Qualsiasi cosa mi passasse per la mente.»
«E cosa avresti
scoperto?» domandò Chris.
Il cantante
inspirò, preparandosi a fare l’elenco. «Ha ventisette anni. Ha studiato alla
Glasgow School of Art. Convive con la sua migliore amica, da quello che ho
capito. Vorrebbe diventare una grafica, ha un sito internet e lavora su
commissione, anche se le capita di rado e per mantenersi deve lavorare in un
negozio. Segue il rugby – inutile dire che tifa Scozia e i Glasgow Warriors – e
ha incontrato più volte alcuni dei giocatori. Ama il fish
and chips e la pizza e non si sente in colpa quando li mangia. È stata in
Spagna, Francia e Italia. Siamo il suo gruppo preferito, ci ha visti dal vivo sei
volte. La-»
«Ok, ok,» lo
interruppe Trent, «abbiamo capito. Ci manca solo che reciti a memoria il suo
codice fiscale.»
La sua
affermazione strappò un sorriso a tutti i componenti del gruppo.
«Perciò avete
praticamente parlato tutta notte» osservò Chris.
Ewan annuì.
«Già. Abbiamo parlato un po’ di tutto: università, lavoro, musica, cose del
genere. E poi era già l’alba.»
«La rivedrai?»
chiese Trent incuriosito.
Il cantante si
bloccò a quella domanda. Gli fu inevitabile domandarsi se ci sarebbe stata una
nuova occasione di incontrare Amelia. Lo sperava davvero. Quella ragazza gli
aveva fatto una splendida prima impressione e aveva lasciato dentro di lui il
desiderio di poterla vedere ancora. Tuttavia sapeva bene che la cosa non
dipendeva da lui. Aveva lasciato completamente in mano ad Amelia il loro
futuro. Dal momento che lui le aveva scritto solo il suo contatto mail e che
non aveva neanche chiesto il cognome di lei, c’era poco che poteva fare. Se lei
non lo avesse cercato le probabilità di potersi incontrare di nuovo si
riducevano drasticamente, forse annullandosi. Nonostante tutto, però, si
sentiva fiducioso. Non riusciva a pensare a un motivo per cui Amelia non
avrebbe dovuto scrivergli.
«Beh, spero di
sì. Non ho il suo numero» ammise infine, preparandosi all’affondo degli amici.
I tre si
guardarono, infine puntarono gli occhi su Ewan.
«Non ti ha dato
il suo numero?» Trent parlò per primo.
Il cantante lo
guardò, limitandosi a scuotere il capo in un gesto negativo. «Lei ha il mio»
rispose poi, omettendo volutamente il fatto che non era esattamente il numero
di cellulare quello che aveva dato alla ragazza; quello rimaneva ancora troppo
personale.
Dal sedile
anteriore Chase fece un curioso verso con le labbra. «Allora è fatta. Siamo la
sua band preferita, no? Io al posto suo non mi lascerei sfuggire questa
opportunità.»
Ewan gli
sorrise, rincuorato dall’affermazione dell’amico. Chase aveva la capacità di
dire spesso la cosa che lui sperava di sentirsi dire e ciò contribuiva ogni
volta a farlo stare meglio.
«Lo penso anche
io» si accodò Chris.
Trent si limitò
a un semplice cenno di approvazione e tanto bastò al cantante per capire che i
tre amici erano soddisfatti della cosa. Dopotutto lo avevano seguito in quell’assurdo
desiderio e rendersi conto che alla fine ne era valsa la pena permise loro di
capire che non avevano sprecato tempo e che avevano aiutato il loro compagno.
«Ora posso
tornare a dormire?» domandò Ewan, sopprimendo a stento uno sbadiglio.
Chase lanciò un’occhiata
alla strada, infine si voltò verso il cantante, un’espressione divertita in
volto. «Temo di no, amico mio. Siamo arrivati al traghetto» disse, iniziando
poi a canticchiare Way Back When dei Kodaline
senza apparente motivo.
Casa di Amelia, Little
St., Glasgow, 3 luglio
Ore 10:12 AM
L’aroma di
caffè stava riempiendo la sala con angolo cottura. Da una delle stanze
sopraggiunse la ragazza, la pelle dorata dei popoli del Pacifico, i capelli
scuri e ondulati stretti in una lunga coda di cavallo. Con passo scattante com’era
la sua figura raggiunse i fornelli, spense il fuoco e versò una generosa tazza
di bevanda scura in una tazza a pois, zuccherandola come nel gusto della sua
migliore amica. Con il caffè in mano raggiunse la camera della coinquilina,
bussò appena e aprì la porta.
«Svegliati Ami.
È giorno» esclamò.
La grigia luce
di una nuvolosa mattinata scozzese entrava dalle finestre, le tende spalancate.
Amelia era distesa nel proprio letto, le lenzuola a coprirla malamente, la
testa sotto il cuscino da cui spuntavano alcune lunghe ciocche di capelli
castani.
«Ami» la chiamò
nuovamente l’amica, sedendosi sul bordo del letto.
La ragazza si
svegliò. Si tolse il cuscino da sopra la testa e guardò in modo confuso Pani. Aveva
dormito pochissimo. Era rincasata subito dopo aver salutato Ewan, si era fatta
una doccia e aveva preso un infuso alla menta. Nulla di tutto ciò le aveva
permesso di calmarsi. Aveva osservato a lungo l’indirizzo mail del cantante
degli Shards, incapace di credere che tutto fosse accaduto veramente. Prima di
prendere sonno aveva ripercorso con la mente ogni minuto della notte trascorsa
con il ragazzo, rendendosi conto che era troppo emozionata per riuscire a
chiudere occhio. Aveva preso sonno solo quando la luce che entrava dalla
finestra le aveva confermato che il mattino era arrivato, quando tutta l’euforia
custodita dentro di sé aveva lasciato posto alla stanchezza, scivolandole
delicata di dosso.
«A che ora sei
rientrata ieri? Non ti ho proprio sentita» domandò Pani porgendo all’amica la
tazza di caffè che aveva preparato per lei come faceva spesso.
Amelia l’afferrò
ringraziando; si passò una mano sul volto nel vano tentativo di riprendersi,
consapevole dell’inutilità del suo gesto. «Alle cinque più o meno» mormorò.
«Le cinque? Che
diavolo hai combinato?» esclamò l’altra, illuminandosi. I pettegolezzi erano
uno dei suoi argomenti preferiti.
«Ho...» iniziò
Amelia, intervallando quell’esordio con un sorso di caffè.
Improvvisamente,
come se si fosse ricordata solo in quel momento di ciò che era avvenuto poche
ore prima, si drizzò sul letto, spalancò gli occhi e posò con energia la mano
sulla spalla dell’amica. «Pani non lo sai. Sono stata con Ewan!» esclamò,
euforica ed eccitata, contenta di poter finalmente dire cos’era avvenuto alla
sua coinquilina.
«Ewan chi?»
domandò l’altra non sapendo se essere perplessa o stuzzicata dalla notizia.
«Ewan Cassian
Hill. Il cantante degli Shards, maledizione» aggiunse di fronte all’occhiata
basita di Pani, dandole anche un colpo sul ginocchio, come se il gesto potesse
aiutarla a ragionare più in fretta.
L’amica
spalancò gli occhi. «Mi prendi in giro?»
«No, te lo
giuro. È stato assurdo, ancora non ci credo.»
Pani scosse Amelia,
eccitata. Il contenuto della tazza della ragazza oscillò pericolosamente, al
punto che lei decise di posare il caffè sul comodino per non correre il rischio
che l’eccitazione della coinquilina potesse diventare pericolosa per il pigiama
e le lenzuola.
«Devi
raccontarmi tutto, non perdere tempo. Com’è successo?» incalzò Pani. Si mise
più comoda sul letto, incrociando le gambe e fissando impaziente Amelia.
Lei si sistemò
frettolosamente i capelli, un sorriso fisso sulle labbra e una tale euforia
dentro che si stupì di riuscire a rimanere ferma al suo posto. «Hai presente il
disegnino che avevo fatto e che volevo farmi autografare da Ewan?» esordì.
Pani ci pensò
un po’ su, infine scosse la testa.
«Quello che
avevo fatto a febbraio.»
«Oh, sì»
scattò, battendo le mani in un unico colpo. «Quello che gli avevi messo in
tasca quando ti è passato accanto.»
«Esatto. Beh,
so che può sembrare assurdo, ma gli era piaciuto. Ci ha addirittura scritto una
canzone» proseguì Amelia, stringendosi incredula nelle spalle.
«No!» esclamò l’amica,
visibilmente esaltata.
«Sì!» affermò l’altra,
con lo stesso tono.
Amelia raccontò
tutto a Pani, senza omettere il più minimo particolare. Mano a mano che sentiva
la sua voce procedere nel raccontare quello che era avvenuto con il cantante
degli Shards si ritrovò a chiedersi se non si fosse immaginata tutto. Aveva
dell’incredibile quello che era avvenuto, al punto che per un momento si chiese
come fosse stato possibile. Davanti a lei Pani ascoltava in silenzio, gli occhi
scuri quanto i capelli rilucevano di sorpresa, incredulità e gioia. C’era un
forte legame a unire le due ragazze, che avevano coltivato con il tempo dopo
essersi conosciute a una festa di amici comuni. Fra le due era scattato
immediatamente un feeling notevole che le aveva portate a diventare
inseparabili in brevissimo tempo.
Quando Amelia
terminò di raccontare tutto si zittì, in attesa della reazione della
coinquilina. Pani non si fece attendere: «Tutto ciò ha del pazzesco» disse.
«Sono così contenta per te.»
Amelia si
limitò a sorriderle, recuperando finalmente il suo caffè dal comodino.
«Gli scriverai,
vero?» domandò Pani.
L’altra si
strinse brevemente nelle spalle, distogliendo lo sguardo. Non aveva ancora
pensato a quell’eventualità. Prima di prendere sonno, per un breve momento, si
era chiesta se avrebbe mai trovato la forza di inviare una mail a Ewan. Il
pensiero che la bloccava – e che si era appena ripresentato da lei – era legato
principalmente al fatto che dopotutto lui era il cantante degli Shards. Cosa le
garantiva che lui volesse davvero sentirla di nuovo? Quel piccolo dubbio si era
istillato con prepotenza nella sua testa e sembrava non avere alcuna intenzione
di abbandonarla.
«Beh, penso di
sì» rispose infine, decidendo silenziosamente di prendersi tempo sufficiente
per pensare se farlo veramente e, in tal caso, cosa poter scrivere.
Pani le diede
un’affettuosa pacca sul ginocchio, dopodiché si alzò. «Sono così felice per te»
esclamò. «Avrei voluto esserci solo per vederti sparare quei coriandoli davanti
alla band» rise.
«Se ti
piacessero...» la punzecchiò Amelia, lasciando volutamente cadere la frase.
L’amica fece
una smorfia. «Sai che non è il mio genere» disse. «Però lui è davvero carino»
osservò subito dopo, riferendosi a Ewan.
Amelia
acconsentì con un leggero cenno del campo, ripensando al cantante degli Shards.
Le tornarono alla mente i suoi occhi blu, il modo in cui l’aveva guardata.
Ripensò alla sua risata, al suono della sua voce, al modo con cui si era rivolto
a lei per tutta la notte. Quelle ore si erano già trasformate in un ricordo, un
ricordo che la ragazza non avrebbe mai pensato di poter custodire.
Si alzò anche
lei dal letto decidendo di iniziare la sua giornata. Aveva dormito poco ma
nonostante ciò si sentiva più viva del solito. Dentro di sé c’era sufficiente
euforia per tenerla reattiva e animata per tutto il giorno, nonostante il turno
al negozio che l’attendeva alle due di quel pomeriggio.
“And everybodyischasing the beauty the don’thave|and I,
oh I, I’mchasingyou.”
George Ezra. Song 6.
Sala
prove degli Shards, Shaftesbury Ave., Londra, 7 agosto
Ore 11:19 AM
Un
sole splendente illuminava la città di Londra. Il vento aveva spazzato dal
cielo le nubi, permettendo al suo azzurro cristallino di brillare sopra la
città. In quella mattina soleggiata e calda, nella sala prove affittata dagli
Shards, si trovava Ewan. Il suo umore non rispecchiava affatto la bella
giornata, al contrario. Il ragazzo era malamente seduto sul divanetto in
ecopelle nera, fra le mani la sua mini tastiera Casio su cui suonava
distrattamente poche note. Teneva gli occhi fissi in un punto imprecisato della
stanza, la mente che vagava lontana.
Era passato poco più di un mese dal
concerto di Glasgow, dal suo incontro con Amelia. Gli Shards avevano ultimato
anche la seconda parte del tour europeo ed erano rientrati a Londra, la loro
città, per concedersi alcuni mesi di riposo prima della tournée che li avrebbe
condotti a promuovere l’album nuovo negli Stati Uniti e in Canada.
Nei giorni di stop Ewan era solito
concedersi sempre del tempo per mettersi in pari con la serie tv che amava
seguire e che gli risultava difficile guardare con continuità negli spostamenti
fra una città e l’altra. In quel periodo, però, anche le migliori serie tv
sembravano aver perso interesse per lui. Si ritrovava sempre più spesso a
pensare ad Amelia. Nei giorni successivi al loro primo incontro aveva
controllato la mail più volte nell’assoluta speranza di scoprire che lei gli
aveva scritto. Tuttavia non era mai accaduto. Mano a mano che i giorni
trascorrevano Ewan si rendeva sempre più conto che forse quello che per lui era
stato un bellissimo incontro poteva non essere stato tale per la ragazza.
Sebbene in un primo momento si fosse convinto che anche per Amelia la loro
uscita nella Glasgow notturna fosse stata un piacevole momento, il fatto che in
un mese lei non gli avesse scritto neanche un semplice saluto lo aveva portato
a dubitare drasticamente della cosa.
In compagnia di Trent, Chase e Chris non
ci pensava mai, ma quando i suoi compagni non erano con lui il pensiero di
quella ragazza si ripresentava ogni volta, unitamente al ricordo del profumo
della città. Tentava di farsene una ragione, si ripeteva che le cose erano
andate in quel modo e che lui aveva comunque fatto la sua parte per poter
riuscire a rivederla ancora. Era probabile che non fosse destino; in fin dei
conti lui credeva nel destino e di conseguenza non poteva che credere che le
cose erano andate come avrebbero dovuto.
Si sforzò di pensare ad altro ancora una
volta, decidendo di concentrarsi nella ricerca di una musica in grado di
accompagnare le nuove parole che aveva scarabocchiato su un block
notes nei giorni precedenti. Tuttavia le
note ancora non volevano saperne di venirgli in testa, anche se continuava a
suonarne a caso sulla tastiera. Quando non riusciva a smettere di pensare a
qualcosa era sempre così. Arrivavano solo le parole, proprio come in quel
momento. La situazione lo faceva sentire abbastanza demotivato. Vista la marea
di frasi che gli si stavano accavallandosi in mente, però, pensò che non avesse
senso lasciarle scappare così; forse, in un momento migliore per la sua
creatività, sarebbe riuscito a tirarci fuori qualcosa di buono.
Si sporse verso
il basso tavolino alla destra del divano, afferrando il block
notes e la matita. Mise quest’ultima fra i denti – come aveva il vizio di fare –
ordinando il caos di lettere che gli si presentava in testa. Cominciò a buttare
giù le prime parole alle quali – grazie alla capacità che aveva più l’aspetto
di un dono nel suo caso – ne seguirono altre, unendosi in frasi più articolate,
che già avevano un suono.
Tutto ciò
cominciò a farlo sentire meglio, ma non gli sfuggì il fatto che c’era una sola
parola che continuava a tornargli costantemente in testa e che lui si ostinava
a ignorare: Glasgow. C’entrava ancora Amelia, inutile fingere il
contrario.
Ewan
scarabocchiò le ultime righe scritte, un chiaro riferimento a lei, e posò block notes e tastiera accanto a sé. Non sapeva che fare.
Sebbene si fosse ripromesso di smettere di rimuginare sul modo in cui erano
andate le cose, era evidente che non ci sarebbe riuscito. Voleva fare qualcosa,
un ultimo tentativo. Era vero, credeva nel destino, ma forse, per quella volta,
avrebbe potuto provare a dargli una leggera spinta in quella che lui
considerava la giusta direzione. Voleva rintracciare Amelia, sentirla un’ultima
volta; se anche dopo quel nuovo tentativo lei non si fosse più fatta viva o se
gli avesse detto che non voleva avere a che fare con lui, si sarebbe messo l’anima
in pace.
Il problema,
però, sorgeva su come avrebbe fatto a ritrovarla. Lui non aveva alcun contatto
riconducibile a lei e Glasgow contava più di cinquecentomila abitanti.
Nonostante ciò,
pensò di non essere totalmente a corto d’informazioni. Aveva trascorso
una notte con lei. Conosceva il suo principale interesse – la grafica – il suo
percorso di studi, la sua band preferita – dato inutile, però – quindi forse
sarebbe riuscito a trovarla. Una parte di sé gli fece notare che se lei ancora
non si era fatta viva forse c’erano dei validi motivi; un’altra, però, gli disse
che non era così certo che la ricerca avrebbe dato dei risultati, quindi tanto
valeva provare ugualmente, anche solo per curiosità.
Ewan assecondò
quell’ultimo istinto. Afferrò lo smartphone e iniziò la sua ricerca. I
primi risultati furono un buco nell’acqua; digitando Amelia, Glasgow e grafica uscivano decine e decine di
risultati, nessuno dei quali utile. Le prove successive andarono anche peggio. Ewan
scorse un’infinità di siti internet, blog, profili Twitter, ma nessuno era
quello che cercava.
Era ormai certo
che non avrebbe più trovato la ragazza; ci aveva provato, ma non era riuscito a
trovare un granché. Quando stava per rinunciare definitivamente, un’idea gli
balenò in mente e decise di provare con quell’ultimo tentativo. Andò sul sito
della Glasgow School of Art, nella sezione dedicata agli archivi. Lì, con sua
grande sorpresa, trovò qualcosa. C’erano tre ragazze laureate in grafica di
nome Amelia negli anni in cui avrebbe dovuto finire gli studi lei. Ewan segnò i
nomi delle tre su un foglio. D’un tratto si sentì uno stalker.
Avrebbe fatto bene a fermarsi, ma la curiosità lo stava divorando; il voler
continuare quella ricerca era più forte di lui. Una volta trovata Amelia,
forse, si sarebbe detto soddisfatto, ma fino a quel momento non lo avrebbe
potuto sapere.
Cercò sul web la
prima delle ragazze che aveva individuato, ma già dai primi risultati capì che
non si trattava di quella giusta. Tentò allora con la seconda. I risultati
furono più scarsi dei precedenti, ma lui scorse comunque gli occhi sui link
apparsi. Il quarto di questi attrasse la sua attenzione, collegato a un sito
internet chiamato Amelia’sScribble.
Lo aprì e appena
la pagina finì di caricarsi spalancò gli occhi. Sul lato destro del sito,
vicino alle varie voci delle aree virtuali, c’era Claire. Non aveva alcun
dubbio: era lei. Era finalmente riuscito a trovare il sito di Amelia. Cliccò
sulla biografia della ragazza. Lì non c’era la sua foto, ma un autoritratto
eseguito con quello che aveva tutta l’aria di essere il suo stile. Era molto
realistico, con poche e sapienti linee nette, senza sbavature, eseguite
probabilmente a computer e, dietro il volto, un semplice cerchio verde donava
la sua nota di colore. Ewan lo trovò sorprendentemente bello. Lesse la
bibliografia di Amelia, trovando gli Shards annoverati fra i gruppi musicali
preferiti, dopodiché controllò tutti i disegni presenti nella gallery.
A mano a mano
che li scorreva rimaneva sempre più colpito. Lo stile della ragazza gli piaceva
moltissimo. Quelle linee nette, così sicure, che con pochi tratti davano vita
alle figure; gli sfondi appena abbozzati, le frasi tratte dai testi delle
canzoni, le bande di colore a fare da riempimento. Amelia univa tutti questi
elementi nei suoi lavori e dava vita a uno stile personale, che colpì molto il
cantante. Lo trovò poetico, ma al tempo stesso malinconico, come se i disegni
della ragazza fossero intrisi di un velo di tristezza.
Quando ebbe
finito di vederli tutti posò la testa contro lo schienale del divano, pensando.
L’aveva trovata, ora? Scriverle sarebbe stato troppo, poi a che scopo?
Lei non si era fatta sentire, quindi significava che non le interessava più di
tanto rimanere in contatto con lui. Tuttavia gli sarebbe piaciuto davvero parlare
con lei dei suoi disegni, chiederle a cosa si ispirava, farle i complimenti per
il suo stile, che era uno di quelli che a lui piaceva di più.
Il suo telefono
cominciò a squillare. Dal momento che lo aveva già in mano gli risultò
piuttosto semplice sollevare il braccio, premere il tasto verde di chiamata e
rispondere.
«Che fine hai
fatto?» Era Trent.
«Perché?»
domandò Ewan in risposta.
«L’appuntamento
con Jacob, te ne sei dimenticato?»
Al cantante
scappò un’imprecazione. Si alzò di scatto dal divano, chiudendo la chiamata – a
Trent, in fondo, non serviva altro per capire che l’amico si era completamente
dimenticato della cosa. Inforcò gli occhiali da sole, infilando quelli normali –
che gli servivano per i problemi di astigmatismo – nella tasca superiore dello
zainetto, poi si avviò di corsa verso la sua bicicletta.
L’appuntamento
di cui si era completamente dimenticato era allo studio di Jacob; non troppo
lontano da lì, ma avrebbe comunque dovuto pedalare in gran fretta per arrivare
senza incrementare ancora il suo ritardo. Ora capiva perché gli altri non lo
avevano ancora raggiunto in sala prove.
Quando ebbe
parcheggiato la bicicletta nell’apposito spazio e averla chiusa con il
catenaccio, il suo ritardo era di circa trentotto minuti. Stava sudando, aveva
il fiato corto per la corsa e i suoi capelli scuri dovevano aver perso la piega
dal momento che diversi ciuffi continuavano a ricadergli sugli occhi. Entrò con
foga nell’edificio dell’appuntamento, salutando in fretta l’addetta alla
reception ma riuscendo ugualmente a decifrare Song 6 di George Ezra alla radio. Quando varcò l’ingresso dello
studio di Jacob, i presenti si bloccarono. Erano intenti a conversare fra di
loro, ma si zittirono e guardarono tutti in direzione di Ewan. Insieme al resto
dei componenti della band e a Jacob c’era anche Eddie, il loro manager.
«Perdonatemi»
disse Ewan, che ancora non aveva ripreso fiato. Congiunse le mani in segno di
scuse davanti al volto, esibendosi in un’espressione colpevole.
«D’accordo,
Ewan, non ti preoccupare. Siediti, stavamo giusto parlando di qualche possibile
nuova grafica per la vostra prossima tournée» disse Jacob, indicandogli la
sedia vuota che aveva alla sua destra.
Il cantante andò
subito a sedersi e si mise in ascolto di quanto Jacob stava dicendo. Quest’ultimo
era uno scenografo, con notevoli doti anche nella grafica e, nello specifico,
si occupava di curare la parte prettamente scenica degli Shards. Pensava alle
luci, alle immagini da far scorrere sullo schermo, alle locandine. Dopo che gli
era stato detto quale volevano che fosse l’argomento intorno a cui far ruotare
la tour e tutti i concerti, Jacob iniziava a far lavorare il cervello, a
contattare le persone ea mettere insieme le migliori idee per delle scenografie
perfette. Agli Shards piaceva molto il suo modo di lavorare, specie perché si
confrontava spesso con la band, che ci teneva a fare comunque parte del
processo creativo dei loro stessi concerti.
Oltre al suo
cervello vulcanico Ewan amava molto anche lo stile di Jacob. Era di poco più
alto del cantante – il che valeva dire che era più alto di un metro e ottanta –
e aveva una lucente pelle scura. I suoi genitori erano originari del Ghana e
lui, nato e cresciuto a Londra, dato che non voleva perdere le sue origini,
aveva mescolato alcuni elementi della sua traduzione al suo stile indie, in un
genere unico, tutto suo, che a Ewan piaceva davvero molto.
«Allora» esordì
lo scenografo appena il cantante si fu sistemato e cambiato gli occhiali. «Stavamo
discutendo sulla questione delle grafiche per la vostra tournée in America.
Trent e Eddie mi dicevano che pensavate di cambiare tutto.»
Il cantante
annuì.
«Avevate già
qualche idea?»
Per la parte di
grafica era sempre a Ewan che si rivolgevano tutti. Trent, Chris e Chase non
avevano mai fatto mistero di apprezzare le sue idee e, soprattutto, del fatto
che considerassero gli Shards come una creatura del cantante. Ewan spendeva
tutte le sue energie nella band, scriveva ogni testo – sebbene la versione
finale era sempre legata a un confronto con gli amici – e si impegnava come un
matto anche sui dettagli più semplici, come le grafiche per le t-shirt o
gestire il profilo Instagram del gruppo. Loro erano
diventati la sua famiglia, ma non si poteva negare che se quella famiglia
restava così unita buona parte del merito fosse proprio sua. Anche l’idea di
cambiare la grafica per la tour in America era stata una decisione del
cantante, ben accolta dal resto dei membri.
«Sì,
qualcosa in mente l’avremmo» rispose infine il cantante, lanciando uno sguardo
al resto dei suoi compagni. Jacob si mise in ascolto e il ragazzo proseguì: «L’idea
sarebbe di usare esclusivamente lavori di grafica, un po’ alla Sin
City. Disegni “piatti”,» disse facendo segno di virgolette in aria,
riferendosi a lavori privi di un eccessivo chiaroscuro o con troppi dettagli,
«uso totale del bianco e nero e qualche simbolico tocco di colore» concluse.
Gli
altri tre membri degli Shards annuirono a quelle parole, a conferma del fatto
che Ewan stava semplicemente elencando quello che avevano deciso insieme. Jacob
soppesò quelle parole e congiunse le mani davanti alle labbra, pensando. Nella
sua testa si stavano di certo già delineando le prime idee. Sorrise, chiaro
segno che apprezzava l’idea. «Decisamente un cambio di rotta rispetto al tour
europeo che avete appena concluso» disse. Si riferiva all’ultima grafica che
aveva accompagnato i quattro negli ultimi live, la quale era a base di elementi
geometrici e tantissimo colore.
«Sì,
decisamente» confermò Ewan.
«Beh, ragazzi, l’idea
mi piace molto. Dobbiamo solo trovare un buon grafico capace di darvi le
immagini che cercate.»
«Hai qualche
nome?» si intromise Eddie, a cui piaceva molto mettere sempre e subito i
puntini sulle i.
Jacob stava già
snocciolando qualche nome a lui noto quando Ewan ebbe un’illuminazione.
Sembrava quasi che il suo cervello gli avesse tirato una violenta gomitata. «Io
conosco qualcuno» disse, senza rivolgersi a nessuno di preciso. Gli occhi di
tutti si puntarono su di lui. «Sì, insomma» prese a dire, stringendosi nelle
spalle. «Ho visto i suoi lavori e sono quello che cerchiamo» concluse.
«Come si chiama?
Così posso dirti se lo conosco anche io» osservò Jacob.
«Amelia
Campbell.»
«Quella del
disegno?» intervenne Chris. Per gli amici di Ewan la ragazza era diventata
proprio “quella del disegno”. Il cantante annuì. «Ho visto i suoi lavori, sono
bellissimi.»
Estrasse di
tasca lo smartphone, scoprendo che la pagina del sito della ragazza era
ancora aperta. Mostrò la galleria a Jacob e quest’ultimo parve piuttosto
colpito dai suoi lavori. Fece intuire con uno sguardo che anche lui aveva in
mente all’incirca lo stesso stile. I disegni di Amelia vennero visionati da
tutti i presenti e non mancarono i complimenti. Ewan fu piuttosto soddisfatto
della cosa e anche molto speranzoso. Poteva avere la possibilità di sentire
ancora la ragazza, magari di collaborare con lei; gli sarebbe piaciuto molto
darle la possibilità di preparare le grafiche per la nuova tournée che erano in
procinto di avviare. Pensò che, dopotutto, anche per lei potesse trattarsi di
una buona occasione.
«Se sono i suoi
lavori che volete, posso provare a contattarla» disse Jacob.
«Può farlo Ewan»
sorrise sornione Chase, lasciando intendere che sotto doveva esserci qualcosa.
Jacob e Eddie, infatti, si lanciarono un’occhiata, mentre il cantante fulminò l’amico
con lo sguardo.
«C’è qualcosa
che devo sapere?» domandò il manager.
«L-la conosco.
Più o meno» rispose Ewan, cercando di non far trapelare troppo della situazione.
Al resto della sua band, inoltre, non aveva ancora detto nulla riguardo al
fatto che la ragazza non gli avesse più scritto.
«Vuoi
contattarla tu?» chiese Jacob.
«No, penso sia
meglio che a chiamarla sia qualcuno di voi» disse il cantante, riferendosi al
manager e allo scenografo. «Io forse farei solo della gran confusione. È di
Glasgow» aggiunse prima di zittirsi. Aveva lasciato per ultima la parte più
problematica, esattamente come intuì dal mutamento di espressione sul volto del
manager.
Fra i presenti
calò il silenzio. L’ultima parola spettava a Eddie, doveva essere lui a dire se
era d’accordo o meno con il fatto di assumere una grafica scozzese. Era lui a
curare i bilanci della band, lui a sapere se la spesa potesse valere oppure no.
Ewan quasi contò
quei secondi di silenzio, secondi che avevano tutta l’aria di un muto
rimprovero.
«Organizza un
incontro, Jacob. Sentiamo quanto ci costerebbe questa scozzese e poi valutiamo
se prendere lei o cercare un altro.»
Il cantante
sorrise a quelle parole, sentendosi alleggerito di un peso. Era riuscito a
trovare un modo per avere ancora a che fare con Amelia e aveva trovato, al
tempo stesso, il perfetto stile per le grafiche della tour americana. Si
sentiva felice. Non gli restava altro da fare se non sperare che lei accettasse
almeno l’incontro, così da poterla rivedere e chiarire, almeno a se stesso,
coma mai lei non si era più fatta sentire. Avrebbe accettato qualsiasi
motivazione, ma gli serviva sapere cos’era successo. Solo allora se ne sarebbe
fatto una ragione.
Luogo di lavoro di Amelia, Buchanan Street, Glasgow, 8
agosto
Ore 1:02 PM
Amelia si stava
mordendo il labbro inferiore. Era così concentrata sulla linea che stava eseguendo
con il tratto nero da non accorgersi che qualcuno si stava avvicinando alla
cassa in cui lei era in servizio; inoltre non si trattava di una persona
qualunque, ma del suo superiore, Susan McFarland.
La ragazza
lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento piuttosto famoso a
Glasgow e non era affatto contenta della cosa. Non era ciò per cui aveva
studiato e se non avesse avuto delle spese nella sua vita, avrebbe abbandonato
quel posto già da mesi. Non era neanche molto portata per i rapporti umani e
lavorare a contatto con il pubblico la faceva spesso rientrare a casa con un
senso di frustrazione e irritazione per niente irrilevante. Inoltre Susan era
una donna maniacale, fissata con l’ordine e la puntualità, il tipo che quando
aveva accettato di prendere Amelia come commessa aveva dato l’idea di star
compiendo una grande opera di bene. La ragazza aveva imparato in gran fretta a
destreggiarsi fra ordini e vendite, ma dopo mesi aveva capito di non
poterne più di stare rinchiusa fra quelle quattro mura e sperava
disperatamente, ogni giorno più del precedente, di riuscire a farcela e
diventare una grafica come aveva sempre sognato di fare, così avrebbe potuto
dire addio a quel lavoro e a molti altri simili.
«Amelia non ti
pago per disegnare» la bacchettò Susan da sopra la sua spalla, facendola
sussultare. La ragazza tentò invano di nascondere in gran fretta il disegno,
una figura femminile intera con il volto nascosto da una maschera Kabuki.
«Mi scusi»
rispose, piegando il disegno.
«Mi serve che ti
occupi di queste. Fatti sostituire da Gwyneth» disse la donna, senza dare
segno di aver accettato – o anche solo udito – le scuse di Amelia. Lasciò
cadere accanto alla cassa un grosso plico di carta stampata, senza aggiungere
nulla più del minimo indispensabile. «Entro un’ora» concluse, tornando a
chiudersi nel suo ufficio.
La giovane
sospirò, analizzando di cosa avrebbe dovuto occuparsi. Erano ordini d’acquisto
e sembravano una montagna per quanti ce n’erano. Sapeva che avrebbe dovuto
verificare che coincidessero con i precedenti e imprecò mentalmente: quel
lavoro detestavano tutti doverlo fare. Afferrò il plico di carte, chiese alla
collega di sostituirla e andò a chiudersi nel piccolo stanzino che avevano a
disposizione i commessi, proprio dietro le casse.
Un’ora, soltanto
un’ora per un lavoro del genere. La ragazza sarebbe stata proprio curiosa di
sapere quanto tempo si sarebbe concessa Mrs. McFarland
se avesse dovuto farlo lei. Fece un lungo respiro, dicendosi di calmarsi. Avrebbe
preferito di gran lunga andare avanti con il suo disegno – ora appallottolato
nella tasca della divisa – ma non poteva. Le rimanevano due ore prima di
concludere il turno – che per sua fortuna, quel giorno, durava solo fino alle
tre – quindi tanto valeva stringere i denti e concentrarsi sul lavoro. Iniziò a
canticchiare mentalmente qualcosa e subito le venne alla mente una canzone
degli Shards.
Si ritrovò a
pensare a Ewan ancora una volta. Le sembrava passata un’eternità dalla
notte che aveva trascorso insieme a lui, ma non era ancora riuscita a
dimenticare la sfumatura scura dei suoi occhi, il suono della sua risata, né
tantomeno il gesto naturale e fluido con cui si passava la mano fra i capelli.
In quel mese aveva ripensato a tutto ciò di continuo, ma non era mai riuscita a
trovare la forza di scrivergli. Aveva avviato decine di mail, ora per lo più
bozze virtuali, senza però trovare il coraggio di premere il tasto invio a
nessuna di esse. Quando le rileggeva le sembravano sempre prive di senso,
superficiali, come scritte da una fan in cerca di attenzioni. Era vero, aveva
trascorso una notte insieme a Ewan Cassian Hill in persona, ma chi le garantiva
che lui avesse voglia di risentirla davvero, di avere una fan degli Shards fra
i piedi, che gli scriveva mail a cui lui doveva rispondere? Probabilmente si
era già dimenticato di lei, oppure si era pentito di averle lasciato il
contatto mail cinque minuti dopo averla salutata. Il suo cervello le poneva
sempre gli stessi dubbi ogni volta che tentava di scrivere al ragazzo e, alla
fine, ci aveva rinunciato. Aveva archiviato quella serata come qualcosa di
unico, bellissimo e indimenticabile, ma si era arresa alla consapevolezza che
la cosa non avrebbe mai avuto un seguito. Non avrebbe più visto Ewan se non
dall’alto di un palcoscenico e non avrebbe più sentito la sua voce se non negli
auricolari, a cantare le sue canzoni preferite. Allontanò tutti quei pensieri,
concentrandosi sul lavoro.
Quando più di
due ore dopo arrivò a casa, canticchiando Chocolate
dei The 1975 con la speranza di alleviare un po’ il morale, un bicchiere di
carta con un mocaccino d’asporto in mano, era stanca, molto più del solito. Si
svestì subito, infilandosi nei suoi vestiti da casa – un paio di pantaloncini
neri e una larga maglia dei The Vaccines, a cui aveva
arrotolato le maniche per farla diventare una canotta. Si legò i capelli in una
alta e buffa pallina sopra la testa, infine si accoccolò sul divano con l’intento
di finire la bevanda senza maledire la sua vita.
Il mocaccino
stava sortendo il consueto effetto benefico sulla ragazza, al punto che quando
il telefonò iniziò a squillare non ebbe l’idea di evitare di rispondere. Premette
il tasto verde per abitudine, senza badare a chi la stava chiamando; se avesse
prestato attenzione, però, si sarebbe resa conto che la chiamata proveniva da
Londra.
Dopo che ebbe
risposto, una calda e sicura voce maschile chiese: «Parlo con Amelia Campbell?»
Lei scattò sull’attenti,
sedendosi sul divano come se l’uomo che le stava telefonando fosse presente lì
davanti. Forse si trattava di un cliente, di un colpo di fortuna inaspettato;
forse, dopo più di due anni, poteva dire addio al suo tremendo lavoro da
commessa.
«Sono io»
rispose, con un tono che mascherava a stento la speranza.
«Ah, bene. Prima
di tutto: buon pomeriggio. Mi chiamo Jacob Okoye, la
chiamo per conto degli Shards.»
Quelle parole
quasi gelarono Amelia. Era uno scherzo? Gli Shards? Quegli Shards? Gli stessi del cantante a cui non aveva mai
scritto?
«Sta scherzando?»
chiese istintivamente all’altro, mordendosi la lingua con un attimo di ritardo.
Il suo interlocutore, però, scoppiò a ridere. Cosa che lasciò la ragazza terribilmente
perplessa.
«No, nessuno
scherzo» la tranquillizzò. «Il gruppo ha espressamente chiesto di lei.»
Se non fosse già
stata a sedere, la ragazza avrebbe avuto bisogno di farlo. Stentava a credere a
quello che aveva appena sentito. Nel caso l’uomo, Jacob, l’avesse chiamata per
chiederle qualche lavoro di grafica da parte degli Shards, come aveva fatto la
band a trovare i suoi disegni? Che si fosse dimenticata di aver detto a Ewan
del suo sito? Eppure era piuttosto sicura di non averlo fatto.
«Sarò breve»
proseguì Jacob dall’altra parte del telefono, riportandola alla realtà. «Stiamo
iniziando a lavorare alle nuove grafiche della band in vista della tournée che
li terrà impegnati in America e che partirà a gennaio. I ragazzi hanno espresso
interesse per i suoi lavori e per il suo stile e volevamo chiederle se fosse
disposta a collaborare con noi. In poche parole: le sto offrendo un lavoro.»
Amelia spalancò
la bocca, senza sapere cosa rispondere. Quella era un’occasione più unica che
rara, qualcosa di irripetibile, che solo un folle non avrebbe accettato.
Tuttavia era tutto talmente sorprendente da sembrare impossibile.
La porta di casa
si aprì e apparve Pani, appena rientrata dal lavoro. Fece per salutare Amelia
ma si zittì in tempo quando si rese conto che lei era al telefono.
«Aspetti, mi sta
dicendo che hanno chiesto di me?» iniziò Amelia, più per confermarlo a se
stessa.
Notò che Pani si
era bloccata, mettendosi in ascolto nella speranza di scoprire qualcosa, da
tremenda curiosa che era.
«Esatto. Il suo
stile coincide con quello che stanno ricercando per le nuove grafiche. Se fosse
interessata a questa collaborazione potremmo organizzare un appuntamento»
propose Jacob, vicino alla parte conclusiva della sua chiamata.
«Ah, ehm, sì,
certo. È una grande occasione, infondo. Cosa dovrei fare?» domandò lei, che
quasi non si stava capacitando di quanto accadeva in quei frangenti.
«Le spiego come
facciamo di solito. Organizziamo un appuntamento con la band, il manager e me e
discutiamo della cosa. Lei ci dice se è disposta a collaborare e quanto costerebbero
in suoi lavori, dopodiché vediamo come vanno le cose. »
Amelia trovò che
tutta quella conversazione fosse tremendamente professionale.
«D’accordo. Si
tratterebbe di un incontro di tipo informativo, prima, immagino.»
«Sì, esatto. Non
è costretta ad accettare.»
La ragazza
guardò Pani, la quale stava sospettando qualcosa – ma comunque qualcosa di
sbagliato. Pensò in fretta a cosa fare, sebbene fosse consapevole che rifiutare
quell’incontro sarebbe stato il suo errore più grande. Anche se quest’offerta
di lavoro non fosse andata a buon fine avrebbe comunque avuto modo di
incontrate di nuovo la sua band preferita.
«Quando sarebbe?»
domandò, poi pensò di formulare la domanda in maniera un po’ più elegante. «Avete
già pensato a una data?»
«Lei è di
Glasgow, giusto?» fu la risposta, che non era affatto tale.
«Sì» disse lei,
confusa.
«Se mi dice che
è interessata alla collaborazione posso organizzare tutto, incluso il viaggio
in treno Glasgow-Londra e il suo pernottamento nella capitale, se necessario.
Se è d’accordo potrei individuare alcune date e poi starà a lei dirci quale le
è più congeniale. Cosa ne pensa?»
Amelia pensò che
quell’organizzazione avesse dell’incredibile. Se in quegli ambienti
organizzazione e lavoro raggiungevano tali livelli era il posto giusto per lei, che non sopportava
molto le cose improvvisate e fatte all’ultimo.
«Sì, certo che
sono interessata» rispose in un fiato, quasi avesse paura di sentite Jacob
chiudere la telefonata.
Quest’ultimo,
invece, le rispose con il garbo che sembrava ben radicato in lui – ma che
poteva essere benissimo una semplice facciata. «Molto bene, allora. Mi informo
per alcune date disponibili e gliele riferisco. Posso telefonarle domani?»
Si accordarono
per sentirsi nella tarda mattinata del giorno successivo e quando la chiamata
terminò, Amelia non poteva credere a quanto era appena accaduto. Lanciò un’occhiata
a Pani – che nel frattempo aveva posato le sue cose – e appena l’amica la guardò
capì subito che doveva essere avvenuto qualcosa di incredibile.
«Chi diavolo
era?» chiese Pani, non resistendo più alla curiosità. Amelia era incredula,
come se fosse precipitata in un mondo surreale, nella tana del Bianconiglio.
«Era una
proposta di lavoro, vero?» la incalzò l’altra, davanti all’improvviso silenzio
dell’amica.
Amelia prese
fiato, si imposte di stare calma e annuì con la testa. «Gli Shards» disse
infine, mormorando il nome del gruppo musicale.
Pani sentì alla
perfezione. «Che cosa?» urlò, esibendosi nel sorriso più contagioso che
conosceva. Amelia infatti non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Cercò
di stare calma, di farsi una ragione di ciò che era appena accaduto ma le
risultò impossibile. «Mi hanno chiesto un incontro per discutere delle nuove
grafiche della loro tournée americana» riuscì a dire infine, quando fu in grado
di mettere in fila più parole di senso compiuto. Ripercorse a grandi linee la
conversazione che aveva appena concluso con Jacob Okoye,
l’amica che si limitava ad ascoltare, lasciandosi sfuggire qualche sporadico
gridolino di gioia. Ad Amelia non servì molto tempo per aggiornarla su tutto e
quando si zittì, in attesa di una reazione qualsiasi da parte dell’altra, si
chiese se davvero tutto ciò stesse avvenendo proprio a lei.
«Mio Dio, Ami»
riuscì a dire Pani dopo un po’. «Ma ti rendi conto? Una proposta di lavoro a
quei livelli. Se la cosa dovesse andare a buon fine potresti vedere la tua
carriera decollare. Potresti finalmente lasciare quel lavoro che odi e fare la
grafica com’è giusto che sia.»
«Non accelerare
troppo i tempi» la frenò Amelia, anche se non poteva negare di aver formulato
lei stessa quei pensieri e di averlo fatto in tempi record.
Pani fece un
gesto con la mano, lasciando intuire all’amica che doveva smettere di avere i
piedi così ancorati a terra. «Ewan non ti aveva accennato della cosa?»
Amelia si
bloccò, resistendo a stento alla tentazione di mordersi il labbro inferiore
come faceva solo in precise occasioni: quando si concentrava, quando era
imbarazzata o nervosa e, soprattutto, quando era nel torto. Non aveva ancora
avuto il coraggio di dire alla coinquilina di non avere mai scritto al
cantante; ogni volta che l’argomento veniva tirato in ballo lei rispondeva in
modo approssimativo, con frasi che non erano delle vere e proprie
risposte.
«No, niente del
genere» disse, sempre rimanendo sul vago.
«Curioso, però.
Insomma, una notizia del genere avrebbe dovut–» Pani si
bloccò all’improvviso, notando l’espressione dell’altra. Le bastò la sua
faccia per capire tutto. Spalancò gli occhi con fare sconvolto, «Mi hai
mentito» esclamò. «Mi avevi detto di avergli scritto.»
Amelia si alzò
dal divano. «Non ho mai detto di avergli scritto» precisò. «Semplicemente non
ho mai ammesso di non averlo fatto» bofonchiò.
Pani si esibì in
un gesto che lasciava intendere che avrebbe strangolato molto volentieri la
coinquilina. «Perché diavolo non gli hai mai scritto?» sbottò.
«Davvero me lo
chiedi? Parliamo di Ewan Cassian Hill, Pani. Il cantante di una band due volte
disco di platino.»
«Va bene,
avranno pure vinto due dischi di platino, ma sta di fatto che lui ha scavalcato
un cancello solo per rimanere con te una notte intera. Per, e cito, conoscerti.»
Amelia incassò
il colpo, pentendosi al tempo stesso di aver raccontato tutto all’amica di
sempre. Non fu in grado di replicare prontamente e questo diede modo all’altra
di proseguire. «Penso che avessi tutto il diritto di scrivergli. Dopotutto lui
ti ha lasciato il suo contatto.»
«Ho avuto paura,
d’accordo?» si lasciò sfuggire infine la ragazza, affranta da quella sua stessa
ammissione. «Ho iniziato decine di mail, dico davvero, ma non ne ho invitata
neanche una. Insomma, chi mi garantiva che davvero lui volesse risentirmi? Che
non mi avesse lasciato la sua mail e poi non se ne fosse pentito? Se non mi
avesse mai risposto, o se lo avesse fatto lasciando trapelare che di me non gli
interessava poi molto, mi sarei sentita distruggere.»
Tornò a sedersi
sul divano, abbandonando sul tavolino lì davanti il bicchiere di mocaccino, che
aveva tenuto in mano per tutto quel lasso di tempo. «Forse è meglio che sia
andata così. Apparteniamo a due mondi diversi. Ho un bellissimo ricordo e non
ho voluto rischiare di rovinarlo.»
Pani le si
sedette accanto. «Certo che potevi dirmelo» le fece notare.
Amelia si limitò
a stringersi nelle spalle.
«Giuro che a
volte non ti capisco» borbottò l’amica, strappando un sorriso alla coinquilina.
«Beh, per lo meno adesso hai la tua grande occasione. Non te la lascerai
sfuggire, spero» la ammonì.
Amelia la guardò
come se avesse appena detto la più grande assurdità del mondo. «Vorrai
scherzare?» esclamò. «Per nessuna ragione al mondo. Tralasciamo il committente,
non sprecherei mai l’occasione di fare ciò per cui ho studiato. Oltretutto
questa potrebbe essere davvero la volta buona. Con un po’ di fortuna potrei
riuscire a vedermi spianata la strada. Devo fare del mio meglio e sperare che
davvero i miei lavori siano ciò che cercano» disse, con la sua migliore
motivazione.
«Su questo non
dovresti dubitare» le fece notare Pani. «Altrimenti perché ti avrebbero
chiamata?»
L’altra ragazza
avrebbe voluto dirle di non cantare vittoria tanto presto ma
evitò di farlo. Pani credeva in lei, era una delle poche a farlo realmente;
magari per quella volta aveva ragione. Pensò che forse si preoccupava troppo,
che costruiva castelli in aria già malfermi in partenza. Dove stava scritto
che, almeno quella volta, le cose non sarebbero andate per il verso giusto?
Tuttavia non riusciva a farsi illusioni, a immaginare che tutto si sarebbe
risolto come, sotto sotto, desiderava. La sua fantasia, la sua fervida
immaginazione, funzionavano alla perfezione per l’arte, ma lo scetticismo che
era profondamente radicato in lei, ogni volta, le impediva di immaginare per sé
ciò che, molto spesso, riservava agli altri. Quella sua incapacità la faceva
spesso sentire sbagliata, come incapace di desiderare per sé qualcosa di bello,
quasi non se lo meritasse.
«Hai già pensato a che disegni gli farai
vedere?»
Amelia scosse la testa, più per
allontanare i pensieri che per rispondere all’amica. «Non ancora» aggiunse.
«Penso che andrò a cercare i migliori e poi metterò insieme qualcosa.»
«Speriamo bene» esclamò Pani, esaltata
da tutta quella situazione. «Chissà come sarai emozionata. Ultimamente le cose
ti stanno andando piuttosto bene, eh?» Si alzò dal divano, avviandosi verso la
sua stanza.
«Sarebbe anche ora» mormorò a se stessa
Amelia, che iniziava già a sentire una certa pressione addosso.
“Your
eyes, they tie me down so hard|I’llneverlearn to put up a guard”
Mumford
& Sons. Not With Haste.
Euston Station, Londra, 14 agosto
Ore
12:05 PM
Quando
il treno cominciò a rallentare la corsa, Amelia si sentì risvegliata dalla sensazione
di torpore che l’aveva avvolta almeno un paio di ore prima. Chiuse il libro che
teneva in grembo, di cui non aveva più letto una sola parola da un po’, e lo
mise nel piccolo trolley che si era portata con sé. Si stiracchiò, sistemandosi
la camicia e lanciò uno sguardo fuori dal finestrino.
Glasgow e Londra erano divise da quattro
ore e mezza di viaggio. La ragazza era rimasta tutto quel tempo in treno a
vedere la campagna scozzese trasformarsi in quella inglese, ad abbozzare
qualche schizzo sul suo quadernino, a cercare di dormire – tentativi in cui
aveva miseramente fallito ogni volta – e a leggere il romanzo che aveva
iniziato da pochi giorni. Nonostante si fosse tenuta impegnata in tutti quei
modi, le ore del viaggio le erano sembrate eterne e più si avvicinava a Londra
più la sua ansia cresceva. Forse era per colpa di ciò che non era riuscita a
dormire durante il viaggio, o che non ricordava a che pagina fosse arrivata a
leggere.
Dopo aver sentito Jacob Okoye per la seconda volta, a distanza di un solo giorno, e
aver accordato con lui la prima data disponibile per poter incontrare gli
Shards e parlare delle grafiche della nuova tournée, Amelia non era riuscita a
rilassarsi un solo istante. Aveva subito chiesto i giorni di permesso necessari
– due – per assentarsi dal lavoro e aveva controllato la mail continuamente in
attesa dell’arrivo dei biglietti del treno che la casa discografica della band
le aveva pagato perché raggiungesse la capitale inglese – insieme a una stanza
d’albergo in cui passare la notte prima di rientrare in Scozia. L’incontro che
avrebbe potuto cambiarle la vita sarebbe avvenuto quel pomeriggio alla sede
londinese della Virgin, l’etichetta che aveva sotto contratto gli Shards.
Era la terza volta che raggiungeva la capitale,
ma mai per un motivo tanto importante. Cominciava a sentirsi davvero in
agitazione e, con sua sorpresa, impotente. Veniva da una grande città, ma
Glasgow non poteva competere con Londra. Lì vi erano più di otto milioni di persone
ed era sconfinata, al punto da far sembrare la metropoli scozzese molto più
simile a un paesello di periferia. Amelia non vi era mai stata da sola ed era
la cosa che la preoccupava maggiormente di tutta quella situazione dover
affrontare un incontro di tale portata senza qualcuno che le facesse forza, che
la motivasse a dovere. Non che avesse sempre bisogno di qualcuno del genere
alle sue spalle, ma quella volta un po’ di compagnia, almeno prima di fare il
grande passo, le avrebbe fatto comodo. Soprattutto perché avrebbe dovuto
raggiungere la sede di una major discografica per incontrare il suo gruppo
preferito e rivedere, dopo oltre un mese, Ewan.
Afferrò la valigia e si apprestò a
scendere dal treno, che stava rallentando sempre più ed era in procinto di
fermarsi nella stazione di Euston. Appena posò il
primo piede sulla banchina si rese subito conto del traffico umano che
affollava quel luogo ed era solo arrivata in stazione. Decise di fermarsi da un
lato della banchina e controllare il percorso che avrebbe dovuto compiere per
raggiungere l’albergo. Si era segnata sulle note dello smartphone tutto il
tragitto, con appuntate fermate e corse metropolitane, e, dopo averle rilette e
annotate nella mente, sia avviò con passo sicuro in quella soleggiata e – fin
troppo – calda giornata di metà agosto. Lungo il tragitto cercò di far caso a
quanti più particolari possibili, tentando di trovare un po’ d’ispirazione per
qualche disegno, ma sapeva già che non ci sarebbe riuscita. Sentiva qualcosa di
molto simile a un peso sul petto, qualcosa che la stava lentamente corrodendo
dentro. Sapeva che quella era ansia, che era agitata per l’appuntamento che si
stava avvicinava e a cui mancavano poco più di tre ore.
Fece tutto il percorso fino in hotel con
fare assente, quasi in uno stato di trans, la mente che costantemente vagava
senza soffermarsi su un pensiero preciso. Per un istante le si formarono in
testa le prime parole di Not With Haste
dei Mumford & Sons ma,
come per tutto il resto, sparirono con la stessa rapidità con cui erano
arrivate. Una volta arrivata in albergo – che grazie ai suoi meticolosi appunti
non era stato complicato da trovare – Amelia decise di farsi una doccia e di
rimanere lì ad aspettare l’ora dell’appuntamento, consapevole che uscire nella
città non le sarebbe servito a molto visto lo stato in cui era. Prima di
infilarsi sotto l’acqua fresca, la ragazza aveva tolto tutti i suoi lavori di
piccolo e medio formato dal trolley e li aveva disposti sul letto accanto agli
abiti puliti che si era portata appositamente per l’incontro. Il peso che
sentiva al petto parve ingigantirsi e lei fece del suo meglio per non pensarci.
L’ansia era da tutta la vita la sua migliore compagna, quella sempre presente,
che non l’abbandonava mai. Era una tortura, nient’altro, capace molto spesso di
rovinare le cose. Sapeva che quella sensazione terribile e spiacevole si
sarebbe ingigantita alla vista degli Shards, ancora di più a quella di Ewan e
si fece forza per fare in modo che, fin da subito, tutto ciò non le rovinasse
la più grande occasione di sempre.
Kensington
High St., Londra,
14 agosto
Ore
2:48 PM
Era puntuale come suo solito. L’edificio
della Virgin Records non le parve niente di che a una prima occhiata: un comune
palazzo, con vetrate e pareti in mattoni. Se non fosse stato per la scritta che
capeggiava sopra all’ingresso ad Amelia sarebbe parso di raggiungere un normale
ufficio, mentre invece, in quel momento, sentiva il cuore battere a ritmi
frenetici. Strinse la cartella contenente i disegni e si diede una sistemata ai
vestiti – una camicia bianca infilata in un paio di stretti pantaloni neri, uno
degli accostamenti che reputava più sobri ed eleganti. Inspirò una generosa
dose di aria, spronandosi mentalmente per farsi forza, dopodiché entrò.
Trovò scontato
che, proprio davanti all’ingresso, vi fosse la reception. La donna seduta
dietro la scrivania non la degnò di uno sguardo e dal momento che, appena la
porta le si era chiusa alle spalle, questa era stata aperta da due nuovi
venuti, alla ragazza bastò poco per capire il perché del comportamento della
receptionist. Quel posto doveva essere in continuo movimento, sotto assedio da
persone che entravano e uscivano e che, cosa ancora più evidente, sapevano
perfettamente dove andare; a differenza di lei.
Si avvicinò alla
donna e questa, capendo prima ancora che le venisse rivolta la parola, che
aveva a che fare con una povera smarrita, sollevò lo sguardo. «Buongiorno»
salutò gentilmente.
«Salve. Ho
appuntamento con Jacob Okoye. Mi ha detto che ci
saremmo trovati qui e di chiedere di Edward Jones» disse Amelia, cercando di
apparire il più disinvolta possibile, come se cose del genere le capitassero di
continuo, pur non avendo la più pallida idea di chi fosse questo Edward Jones.
«Il suo nome?»
«Amelia
Campbell.»
La donna sollevò
la cornetta del telefono e digitò diversi numeri. Dall’altra parte risposero
subito e lei ripeté il nome della ragazza, dicendo che era appena arrivata. La
telefonata durò meno di trenta secondi; la receptionist posò il ricevitore e
indicò ad Amelia le poltrone vuote che si trovavano alla destra del suo banco. «Si accomodi, intanto. Il signor Jones scende subito.»
La ragazza
ringraziò e si spostò verso le poltrone, senza sedersi. Rimase in piedi a
guardare le foto appese alla parete e a osservare la città oltre le vetrate
dell’edificio, finché qualcuno non la chiamò.
«Miss Campbell.»
La voce era profonda e ben calibrata. Amelia si voltò per vedere il suo
interlocutore in volto, l’uomo che, dedusse, doveva essere Edward Jones.
«Molto piacere
di conoscerti. Puntualissima, qualità che adoro, credimi» proseguì lui,
tendendole le mano. Aveva una stretta forte, che lasciava intuire sicurezza in
se stesso. «Edward Jones, manager degli Shards. Mi permetto di lasciare da
parte le formalità, se la cosa non ti crea del disturbo.»
«No, affatto» lo
rassicurò lei, sorpresa di scoprire di chi si trattava.
«Sentiti libera
di fare lo stesso. Vieni, ti porto dal resto dei ragazzi.»
Amelia notò che
tutto nella figura di Edward Jones lasciava intendere che l’uomo avesse una
certa fiducia in se stesso e soprattutto, cura per la propria persona. Doveva
avere all’incirca una quarantina d’anni ed era un uomo molto affascinante. Gli
occhi nocciola risaltavano grazie alla barba scura e perfettamente tenuta e i
capelli brizzolati donavano molto al suo viso maturo. Era vestito con una
camicia di cotone leggero, celeste e con una piega impeccabile. Anche il resto
della sua figura era curata, dalle mani fino ai più minimi dettagli, come i
lacci delle scarpe della sfumatura giusta. Amelia cercò di immaginarsi quell’uomo
alle prese con l’imprevisto, con una sbavatura nei suoi piani perfetti e per
poco non si lasciò scappare una risata mentre seguiva Edward verso l’ascensore.
«Com’è andato il
viaggio?» le chiese lui appena si furono sistemati in cabina. Premette il tasto
del terzo piano e si concentrò sul viso della giovane ospite.
«Molto bene,
grazie» rispose lei, senza sapere che altro aggiungere.
«La camera è di
tuo gradimento?»
«Sì.»
Decisamente
Edward era uno meticoloso. Amelia se lo immaginò alle prese con gli Shards, che
le avevano sempre dato l’impressione di essere tutto fuorché puntuali.
Immaginava quell’uomo così ben curato telefonare ininterrottamente ai ragazzi
per ore, imprecando – ma sempre con eleganza – per il loro non essersi ancora
presentati a una data intervista.
«Hai mai fatto
qualcosa del genere?» proseguì lui con il suo interrogatorio. La domanda, però,
colse impreparata la ragazza, che intuì che quelle di prima erano solo banali
formalità. A lui interessava il lavoro, in fondo per quello erano lì.
«Di tale portata
no, lo ammetto. Ma ho già avuto commissioni importanti alcune volte» rispose,
sperando fossero le parole giuste.
«Lo so. Ho
guardato il tuo sito. I miei ragazzi hanno espressamente chiesto di te. Ewan ha
detto di conoscerti.»
Il tono della
sua voce si stava facendo neutrale, quasi non volesse far trapelare le emozioni.
Amelia pensò potesse trattarsi di una tattica, fatto sta che le bastarono
quelle poche parole per capire che con Edward Jones era bene non scherzare e
che, soprattutto, il solo fatto che gli Shards avessero chiesto di lei non le
garantiva che sarebbe riuscita a ottenere quel lavoro. Tuttavia lei lo voleva,
quel lavoro, e avrebbe fatto del suo meglio per ottenerlo.
L’ascensore si
fermò e aprì le porte al terzo piano con uno scampanellio. La giovane seguì il
manager lungo il corridoio, la cartellina con i lavori ancora sotto braccio e
quando lui varcò una delle porte lei, prima di seguirlo ostentando sicurezza,
prese una lunga boccata d’aria e si sistemò lo chignon che aveva in testa.
La stanza era
una piccola sala da conferenze, con un tavolo rettangolare stretto e lungo e
svariate sedie imbottite. Le vetrate garantivano luce naturale, intensa in quel
momento per via della bella giornata.
Gli occhi di
tutti i presenti si posarono su di lei e, quasi lo avesse fatto apposta, i
primi che incrociò furono quelli di Ewan. Il ragazzo le sorrise e lei rispose
al suo gesto, per quanto le fosse possibile. Sentì il cuore balzarle in gola e
il vuoto invaderle lo stomaco. Lui era semplice e splendido come al solito,
come sul palcoscenico durante un concerto, o quella notte vicino alle volte
multicolore del ClydeArc,
quando la brezza che saliva dal fiume gli smuoveva i capelli scuri. La figura
del cantante aveva un effetto ipnotico su di lei, ammaliante e Amelia rimase
lì, a osservare i suoi occhi blu come se in quel luogo non ci fosse nessun
altro.
La voce di
Edward, però, la riportò alla realtà subito. «Ecco a te la ciurma» le disse,
indicando con un cenno le cinque persone presenti.
Questi le
andarono incontro per le presentazioni e il primo che strinse la mano alla
ragazza fu Jacob Okoye, che disse il suo nome con
quella voce sicura che Amelia aveva sentito la prima volta al telefono. Rimase
colpita dallo stile di quel giovane uomo, che non aveva voluto rinunciare al
legame che lo univa alla sua terra d’origine. La ragazza scambiò una stretta di
mano anche con Trent, Chase e Chris – che non aveva mai incontrato prima da
vicino. L’ultimo fu Ewan, che diede anche lui la mano alla ragazza, ma aggiunse
anche: «Sono contento di rivederti.»
Quelle poche
parole bastarono per far sentire Amelia pervasa da un fremito, una nuova
scossa. Fu ancora la voce di Edward a interrompere ogni cosa. «Bene, ora che
abbiano sistemato i convenevoli, siediti pure, Amelia, parliamo di lavoro.»
La ragazza si
sedette nel posto che le venne indicato e non poté fare a meno di sentirsi
sotto esame. Gli altri, infatti, si disposero praticamente di fronte a lei, come
avveniva ogni volta per un colloquio di lavoro. Jacob fu il primo a prendere
parola, cosa che lasciò intuire ad Amelia che era lui l’uomo da prendere a riferimento.
Le spiegò di cosa si occupava e del fatto che, se lei avesse accettato il
lavoro, avrebbe dovuto collaborare con lui. In poche parole, Jacob era la mente
e lei sarebbe stata il braccio, a cui spettava il compito di trasformare in
realtà le fantasie sue e degli Shards. Aveva l’aria di essere un lavoro
impegnativo, ma lei si sentiva motivata ed emozionata e aveva davvero tanta
voglia di provarci e afferrare quell’occasione rendendola la sua occasione.
La parte
peggiore fu rimanere seduta mentre il resto dei presenti si passavano una alla
volta le tavole che lei aveva portato con sé, come prova delle sue capacità. I
suoi occhi seguivano inevitabilmente la figura di Ewan. Lui sembrava apprezzare
i disegni e la cosa la tranquillizzò abbastanza, ma rimaneva il fatto che era
ancora preoccupata e lo divenne ancora di più quando fu il momento di scendere
in trattative, di parlare davvero di ciò che avrebbe dovuto fare.
Quella parte non
fu affatto semplice. Amelia non voleva affatto perdere quell’opportunità,
pertanto fece del suo meglio per dare la migliore immagine di sé. Parlarono di
disegni, di bozze e di idee; lei dimostrò di avere già capito cosa volevano gli
Shards e propose qualche piccola aggiunta qua e là, ottenendo pareri favorevoli
da parte di tutti. Discussero di soldi e di tempistiche e quando gli argomenti
terminarono, la ragazza si sentiva ottimista. Tuttavia si rifiutò di cantare
vittoria, perché l’ultima parola non spettava a lei.
Infatti fu
Edward a sancire chiuso il loro incontro. «Dunque» esordì e il silenzio si
diffuse fra tutti i presenti. «Se tu sei d’accordo, direi che ci sentiamo nei
prossimi giorni, per farti sapere se ci avvarremo o meno dei tuoi lavori.»
Amelia pensò che
suonasse quasi come una minaccia. Tuttavia, al tempo stesso, sapeva che era
quello il giusto percorso da seguire, pertanto annuì. Il manager si alzò,
lasciando intendere che era ora, per la ragazza, di andarsene. Si alzò anche
lei, raccolse la cartella di disegni e strinse la mano a Edward e Jacob, che
nel frattempo l’avevano raggiunta. Ringraziò tutti i presenti, li salutò un’ultima
volta e si avviò verso l’uscita.
«Aspetta, ti
accompagno.»
Non le servì
voltarsi per sapere a chi apparteneva quella voce. Ewan si era alzato dal suo
posto e si stava avvicinando a lei. La maglietta che indossava – quella bianca
con il simbolo della NASA che lei già più volte gli aveva visto indosso – si mosse
più del dovuto dato che gli cadeva larga.
«Sì, bravo,
accompagnala» disse Edward al cantante, compiaciuto dai modi cortesi del
ragazzo. Quest’ultimo si avviò, seguito da un’Amelia che, nuovamente, si sentì
sprofondare in qualcosa al limite del surreale alla consapevolezza di essere in
compagnia del cantante. Ewan si incamminò in direzione dell’ascensore.
«Preferirei
usare le scale» lo fermò la ragazza. «Non sono una grande amante degli
ascensori» gli rivelò.
Lui le sorrise. «Posso
capirlo. Sono scatole di metallo sospese nel vuoto, dopotutto.»
«Hai reso l’idea.»
Quel rapidissimo
scambio di parole piacque molto ad Amelia. Era come ritrovare un ricordo, il
ragazzo che era stato con lei a Glasgow, con cui aveva parlato e riso di un
sacco di cose diverse. Come riusciva Ewan a essere così? Alla mano e semplice,
pur essendo osannato da migliaia di persone?
Il ragazzo le
fece strada verso le scale e, almeno per la prima rampa, nessuno dei due parlò.
La ragazza non sapeva come esordire, consapevole di non aver fatto nulla per
poter avere un secondo contatto con il cantante prima di quel giorno e perfino
lui sembrava nervoso. Non certo quanto lei, ma era chiaro che qualcosa lo
agitava.
«Davvero
splendidi i tuoi lavori» prese parola lui d’un tratto, lanciando un’occhiata ad
Amelia. Il modo in cui sollevava le sopracciglia quando parlava con qualcuno,
la luce che brillava nei suoi occhi, erano chiaro simbolo di interesse, evidente
e sincera curiosità. Lei aveva già avuto a che fare con quel ragazzo, ma si
sentì impreparata proprio come al loro primo incontro.
«Ti ringrazio.
Ammetto di aver portato con me i migliori.»
«Ho visto il tuo
sito. È stato così che ho capito che era il tuo stile quello che cercavamo»
proseguì lui, sempre con quel suo modo di fare calmo.
Amelia si fermò.
Ewan se ne accorse solo un gradino dopo e si arrestò a sua volta, voltandosi.
Erano quasi alti uguali, ora e più vicini di quanto lei avesse creduto.
«Dici sul serio?»
chiese al ragazzo, lasciando trasparire tutta la sua emozione.
Lui annuì con il
capo. «Chiamalo caso, o destino se preferisci, ma avevano ipotizzato lo stile
delle nuove grafiche prima che vedessi i tuoi lavori. E quando li ho visti ho capito
che erano quello che ci servivano.»
Amelia si sentì
scaldare da quelle parole, sorpresa dalla disinvoltura con cui erano uscite
dalle sue labbra. Lo ringraziò ancora e riprese a scendere lungo le scale. «Però
non voglio cantare vittoria troppo presto. Prima ascolto il verdetto del vostro
manager» disse, dando dimostrazione del suo radicato scetticismo.
Ewan si strinse
nelle spalle. «Beh, al massimo insisto un po’ io con Eddie. Lo esaspero spesso
ma mi vuole bene.»
Lei dedusse che
Eddie doveva essere Edward e non dubitò del fatto che il manager gli volesse
bene, visto i modi amichevoli e l’umiltà che pareva caratterizzare il cantante.
Tuttavia neanche a quelle parole cantò vittoria. Il ragazzo continuò a lodare
il suo lavoro fino a che non giunsero al piano terra e Amelia non riuscì più a
capire il disordine emotivo che provava dentro. Era emozionata, lusingata e
imbarazzata, inoltre desiderava davvero di vedersi accettata per il progetto
con gli Shards così da avere ancora la possibilità di stare insieme a Ewan. La
sua compagnia le piaceva e non solo perché era il cantante del gruppo che più
amava; aveva un’aura unica, capace di farla sentire a suo agio, di farle
desiderare di non vederlo mai allontanarsi.
Poco dopo la
fine delle scale, però, lei già sapeva che avrebbe dovuto salutarlo di nuovo e
fu proprio in quel momento che sperò, come non aveva ancora fatto prima, di
rivederlo; non da sotto un palco però, ma di persona, così, o com’era successo
a Glasgow.
Ewan si sistemò
gli occhiali con lo stesso modo disinvolto in cui si passava la mano fra i
capelli. Non li portava molto spesso – non aveva gravi problemi di vista,
dopotutto – ma la ragazza trovava che gli donassero particolarmente per via
della montatura spessa e non troppo scura, che non nascondeva la sfumatura blu
dei suoi occhi.
«Beh, grazie per
avermi accompagnata» gli disse infine, decidendo di sbrigare in fretta la
noiosa parte del doversi separare da lui.
«Che ne dici di
uscire, stasera?»
Non suonava come
un saluto, quello, al contrario. Amelia spalancò gli occhi, nello stesso,
esatto, modo in cui aveva fatto a Glasgow, quando lui aveva scavalcato la
cancellata per unirsi a lei sulla strada. Sembrava il solo capace di simili
gesti. La ragazza cercò una ciocca di capelli, come faceva sempre quando si
sentiva agitata per qualcosa, ma con i capelli legati non riuscì a trovarne
nessuna e finì con lo sfiorare la linea del collo, lo sguardo basso. Sarebbe
stata folle a rinunciare a quella nuova possibilità di trascorrere del tempo
con Ewan.
«D’accordo,
volentieri» rispose infine.
«Bene. Sono
ancora in debito per Glasgow» sorrise lui.
«In debito per
cosa?» domandò sorpresa l’altra.
«Un tour della
città. Anche se penso che per Londra saranno necessari un minimo di tre
incontri.»
Le sue parole lasciarono
Amelia perplessa, la quale, però, evitò accuratamente di iniziare qualsivoglia
supposizione a riguardo.
«Va bene alle
sette e mezza?» continuò Ewan.
«Direi che è
perfetto.»
Dopo quella
conferma, salutarsi fu più semplice. Amelia disse al ragazzo in che hotel
albergava e si diedero appuntamento lì davanti, dopodiché lui pensò bene di
ritornare dagli altri per discutere dell’incontro che avevano appena avuto
proprio con lei.
La ragazza si
avviò fuori dall’edificio, immergendosi nella soleggiata metropoli londinese.
Sentiva di avere voglia di un mocaccino, qualcosa di buono e molto zuccherato
da bere a passeggio per la città, mentre camminava verso l’albergo. Si sentiva
bene, avvolta da una sensazione frizzante come non le accadeva da diverso
tempo. Non era solo per il fatto che il colloquio sembrava essere andato bene,
ma anche perché poco meno di tre ore dopo avrebbe rivisto Ewan, quel
ragazzo che nell’ultimo mese era stato uno dei suoi pensieri più ricorrenti.
“Whenyou’re happy from a dream|Isit hard to work out what’sreal|Is the real over there|
More
vividthanhereeverfeels”
Franz Ferdinand. Love Illumination
Camera
d’albergo di Amelia, ScarsdalePl.,
Londra, 14 agosto
Ore 7:23 PM
Davanti allo
specchio Amelia si sentiva come a un primo appuntamento, benché non stesse per
affrontare né il primo, né un vero e proprio appuntamento con Ewan. Tuttavia si
sentiva così, emozionata e al tempo stesso nervosa, quasi fosse tornata a
essere una liceale alle prese con quello che sarebbe stato il suo primo ragazzo
e, poi, il primo disastro sentimentale.
Non aveva portato con sé molti vestiti, perciò decise
di optare per la t-shirt che avrebbe indossato per dormire, che altro non era
se non una maglietta dei Franz Ferdinand, che infilò nei pantaloni che portava
quel giorno. La stampa della t-shirt le faceva sempre venire in mente Love Illumination
e anche in quel momento iniziò a canticchiarla fra sé, mentre si pettinava i
capelli. Lisci e lunghi fino a metà della schiena, quella cascata di ciocche
scure aveva bisogno di un sacco di cure per non arruffarsi continuamente a
causa del clima britannico sempre umido. Si truccò – eyeliner e rossetto, nulla
di più – e si diede un’ultima occhiata quando mancavano giusto cinque minuti
alle sette e trenta.
Afferrò la borsa e scese in fretta le scale, l’ansia
che le montava a ogni gradino. Convivere con quello stato emotivo di continuo
era una tortura. Anche le cose più semplici, che aveva fatto mille volte, come
prendere un treno o andare a un appuntamento l’agitavano e tutto peggiorava
quando le cose prevedevano l’incontro con persone importanti, come in quel
momento. Era già stata sola con Ewan e sapeva che quel ragazzo era in grado di
farla sentire a proprio agio, di toglierle di dosso ogni tensione, ma ciò non
era sufficiente per tranquillizzarla in quel momento. Arrivò alla reception e
si disse di calmarsi, ma dentro sapeva che quella poteva essere l’ultima volta
a stretto contatto con il cantante degli Shards. Avrebbe voluto essere
consapevole che ci sarebbero state altre occasioni, ma non poteva dirlo. Prese
un lungo respiro, come faceva sempre in occasioni importanti e si avviò fuori
dall’hotel, lo sguardo già in cerca della figura di Ewan.
Quando uscì in strada, tuttavia, a stazionare sul
marciapiede non c’era lui, o meglio, non solo. Tutti e quattro i membri degli
Shards erano lì, chi addossato ai paletti in metallo che delimitavano la
strada, chi in piedi a parlare con gli altri presenti. C’erano tutti: Trent,
calmo e austero, Chase, che da chiacchierone qual era – come lei aveva dedotto
dalle interviste – stava parlando con Chris, intento a sfiorarsi la barba e
Ewan, che si stava guardando le scarpe, un sorriso in volto per via della
conversazione.
Le fu inevitabile fermarsi subito dopo la porta,
sperando di non essere vista, ma si sbagliava. Ewan la notò, quasi avesse un
radar quando si trattava di lei. Le sorrise e allargò le mani, includendo nel
gesto tutti gli altri presenti. «Ciao» disse. «Te li ho portati tutti. Volevano
conoscerti meglio anche loro.»
Se fosse stata la verità, questo lei non poteva
saperlo, fatto sta che si sentì catapultata nell’ennesima situazione surreale,
che sembrava uscita proprio da una delle canzoni degli Shards.
«Ho per caso vinto qualche gioco a premi?» domandò,
facendo riferimento a quei giochi delle compagnie radiofoniche che danno la
possibilità di incontrare i propri idoli.
«Hai superato splendidamente il tuo primo incontro con
Eddie, meriteresti tutti i premi di questo mondo» rispose Chase, avvicinandosi
a lei e abbracciandola, fra i sorrisi generali. Amelia rimase spiazzata da quel
gesto, al punto di non sapere se doveva ricambiare o restare immobile. Decise
di ricambiare, era pur sempre Chase Mitchell, non sapeva
se avrebbe avuto di nuovo una simile occasione. Chase era quello più espansivo,
le aveva sempre dato quell’impressione e in quel momento nulla le avrebbe fatto
pensare il contrario. Aveva un viso simpatico, occhi vispi color ambra e un
sorriso contagioso.
«Dove ti piacerebbe andare?» chiese Chris, alzandosi
dal posto in cui si era sistemato. «Sei nostra ospite.»
«Ehm, non saprei» rispose lei, sempre più spiazzata.
Quella situazione era davvero surreale. Solo la settimana prima era a Glasgow,
totalmente ignara del fatto che a Londra si stava facendo il suo nome, e ora
era lì, circondata dagli unici quattro artisti che per lei equivalevano a un’ossessione.
«Ok, allora ci pensiamo noi» esclamò Chase,
prendendola sotto braccio e incamminandosi con Amelia a destra e Chris a
sinistra. La ragazza lanciò un’occhiata alle sue spalle, dove incrociò lo
sguardo di Ewan. Quest’ultimo sollevò le sopracciglia, abbozzando un sorriso,
intendendo che i suoi amici erano così, ma se Chase era già partito a quel modo
significava che lei gli piaceva. La ragazza, però, non capì nulla di quel non
detto e spostò lo sguardo su Trent, silenzioso come lei lo aveva sempre visto.
Alla fine decise di smetterla di preoccuparsi e preferì lasciarsi coinvolgere,
pensando che di certo stava per immergersi in un’altra serata unica nel suo
genere.
Camminarono per
un po’, immergendosi nella città. Amelia li seguì senza sapere dove la stessero
portando, ma capì che non le interessava. La stavano guidando in una zona di
Londra che aveva visto una sola volta, per di più di sfuggita, e che non le
dispiaceva affatto. Si perse in chiacchiere con i ragazzi e, mentre rispondeva
alle loro domande o replicava a qualche loro commento, ebbe modo di analizzarli
tutti. Trent era un po’ come la voce della ragione lì in mezzo, quello che
parlava meno di tutti ma ogni volta che lo faceva era sempre in grado di dire
qualcosa di azzeccato e colto. Le ricordava un cavaliere inglese, fiero, e il
suo cognome – Linton – accresceva in lei questa immagine. Chris, invece, aveva
sempre la battuta pronta e non si prendeva affatto sul serio. Scherzava su di
sé e sugli altri senza alcun problema ed era palese che il sarcasmo fosse la
sua arma più forte. Chase era parecchio alla mano, contagioso nei modi di fare
e parlava di tutto con un trasporto tale che sembrava che qualsiasi cosa fosse
il suo argomento di conversazione preferito. Infine c’era Ewan, che se ne
rimaneva calmo in mezzo al gruppetto, a ridere e fare qualche osservazione di
tanto in tanto, ma sempre con un’espressione rilassata in volto. Era chiaro che
non amava stare al centro dell’attenzione, anche se il suo ruolo nella band era
quello del cantante. Non dava nell’occhio e non focalizzava le attenzioni su di
sé, anzi, era quasi il contrario, proprio come un ragazzo in uscita con gli
amici che preferisce stare in ascolto, magari alla ricerca di qualcosa di
interessante. Ad Amelia piaceva questa particolarità di Ewan, questo suo modo
di fare così semplice e alla mano che, probabilmente, era una delle ultime cose
che ci si poteva aspettare dal cantante di una band. Tuttavia, nel caso degli
Shards, ogni possibile stereotipo scompariva quasi del tutto.
Continuarono a
passeggiare, addentrandosi sempre più un vie e strade che la ragazza non aveva
ancora visto, ma che riconobbe come la zona di Nottingh
Hill. Pub e negozi di fast food riempivano le vie
principali, alternandosi a negozi di vario genere ormai quasi tutti chiusi; il
traffico del pomeriggio si era ormai affievolito. Mentre proseguivano nella
loro conversazione, parlando di festival musicali – argomento tirato in ballo
da Amelia, curiosa di sapere la visione di una band a riguardo – Chris si fermò
accanto all’ingresso di un pub. «Ehi» chiamò. «Chi di voi ha fame?»
Amici da pub,
dunque, ecco che tipo di ragazzi erano. Non che lei ne rimase sorpresa, ma la
cosa le consentì di dare a tutti loro, definitivamente, sembianze umane.
Intervistatori, giornali, televisioni e fan elevavano sempre gli artisti
a personaggi simili a divinità, figure irraggiungibili, eppure gli Shards erano
la dimostrazione che non era così per tutti. Stavano trascorrendo del tempo con
lei, fra le strade di Londra, a parlare di un sacco di cose diverse e a
trattarla come fosse loro ospite. Era evidente che prima di essere gli Shards,
loro erano quattro amici, ragazzi alla mano che amavano passare il loro tempo
in compagnia, magari con una birra davanti. Erano umani, tutto qui.
L’invito di
Chris venne accolto volentieri da tutti i presenti, i quali si riversarono nel
pub, non troppo affollato dato il lunedì sera. Riuscirono ad avere un tavolo
per pura fortuna, però, e vi si accomodarono. Amelia continuava a rimanere
sorpresa dal fatto che nessuno sembrasse riconoscere i quattro. Forse perché
lei era una fan, forse perché non le voleva entrare in mente il fatto che a
Londra c’erano più di otto milioni di persone, ma trovava assurdo che nessuno,
da quando erano usciti, non avesse ancora fermato i quattro per una foto o due
chiacchiere veloci.
«Vi capita
mai di essere riconosciuti?» domandò
alla fine Amelia, pervasa dalla curiosità.
«Di tanto in
tanto» rispose Chase. «Non è una delle cose più frequenti» rivelò.
«Ma non è
che la cosa ci crei molti problemi» intervenne Trent, in uno dei suoi sporadici discorsi. «Per lo meno così possiamo continuare ad avere una vita
normale.»
«Giusto» rispose lei. «L’ho chiesto solo per curiosità visto che...insomma, nessuno…» si zittì prima di proseguire, dicendosi che avrebbe
fatto meglio a stare zitta – e a non tirare più in ballo quella faccenda.
I quattro però
non diedero l’impressione di non aver gradito la domanda e la presero come un
buon pretesto per trovare qualcosa di nuovo di cui parlare. Conversarono per
tutto il tempo della cena e anche dopo. Toccarono ogni argomento: i disegni di
Amelia, le copertine degli album che la band aveva pubblicato, lo sport, le
birre preferite. Per la ragazza era come stare in compagnia di vecchi amici con
cui si poteva parlare di qualsiasi cosa senza paura di venire giudicati.
Avrebbe voluto che quella serata non finisse mai.
Tuttavia, aveva
appena formulato quel pensiero che vide Trent alzarsi. Controllò l’orario,
erano quasi le dieci. Mancava ancora un po’ alla chiusura del locale, perciò
Amelia pensò che il gruppetto fosse in procinto di portarla da qualche altra
parte, ma il chitarrista le lasciò intendere di rimanere dove si trovava.
«Ok, allora» esordì, sistemandosi i
vestiti «è stato un piacere, Amelia. Non credere sia colpa tua, ma noi abbiamo
una vita sentimentale. A differenza di Ewan» disse, lanciando quella
frecciatina in pieno petto al suo cantante con la calma che pareva
contraddistinguerlo. Ewan non si scompose, si limitò a fare l’espressione
di chi aveva già sentito quelle parole rivolte a sé un numero indicibile di
volte. Chase e Chris si alzarono a loro volta dal tavolo, affiancandosi a
Trent.
«Spero davvero di rivederti» disse Chase
in direzione di Amelia, l’ennesimo sorriso contagioso in volto. Anche Chris
lasciò intendere che avrebbe collaborato volentieri con lei e dopo un ultimo
saluto da parte di tutti, i tre si allontanarono, lasciando soli la ragazza e
il cantante. Per un istante nella mente di Amelia balenò l’idea che li avessero
lasciati volutamente da soli, ma accantonò subito quel pensiero. Era molto più
semplice che il ragazzo avesse chiesto agli amici di andare con lui quella
sera, trovando il giusto compromesso nell’orario in cui i tre sarebbero potuti
andare via senza alcun senso di colpa. Senza Trent, Chase e Chris le parve di
essere tornata alla notte di Glasgow, quando erano solo lei e Ewan. Solo che il
posto in cui si trovavano non era quasi vuoto e non sarebbe stato compito suo
accompagnare per le vie della città il ragazzo.
«Com’è andata?» chiese Ewan, alludendo
al resto dei componenti della band di cui faceva parte.
«Direi bene. Per te non è andata bene?»
domandò in risposta lei, improvvisamente pervasa da un dubbio.
La sua reazione strappò un sorriso al
cantante. «Devi dirmelo tu. So che il primo incontro con loro può essere
complicato, alle volte. Sono un po’ particolari.» Nonostante le sue parole,
però, era evidente l’affetto che provava nei confronti dei tre amici.
«Voi siete sempre così?» volle sapere
Amelia.
«Così come?» chiese perplesso lui.
«Così espansivi, alla mano.»
«Perché non dovremmo?» Non attese una
replica prima di riprendere a parlare: «Avevamo già parlato della cosa a
Glasgow, se non sbaglio. Non devi pensare a noi come agli Shards. Ok, lo siamo,
ma prima di tutto siamo ragazzi normali e facciamo le cose che fanno tutti.»
«Lo so» si scusò lei. «È solo che mi
riesce difficile. Non biasimarmi, per favore.»
Lui le sorrise di nuovo. Se nel loro
rimanere soli le cose iniziavano già a quel modo, la ragazza capì che quel
resto di serata non sarebbe stato affatto semplice per lei. Era facile invaghirsi
del proprio cantante preferito, specie quando si ascoltava tanta musica quanta
ne ascoltava lei ogni giorno. Le parole, il suono della voce di Ewan le
entravano nella mente e lì si fermavano, ricomparendo in più occasioni
nell’arco della giornata. Lui non poteva saperlo, ma spesso proprio quelle
parole, proprio la sua voce, erano state l’ancora di salvezza per Amelia, aiutandola
a superare alcuni dei momenti più difficili in cui si era imbattuta. Come
poteva stare tranquilla davanti a quel ragazzo che tanto l’affascinava, che l’aveva
aiutata senza saperlo, facendola stare meglio anche quando sembrava che nulla
avrebbe potuto spazzare via il dolore? Sapeva di non essere innamorata di lui –
ma solo dell’idea che aveva di Ewan – eppure, nella sua semplicità, il ragazzo
le stava dando l’idea di essere esattamente come nel suo immaginario. E anche
questo non semplificava affatto la situazione.
Tuttavia quella poteva essere l’ultima
volta in cui si trovava faccia a faccia con Ewan e decise di approfittarne,
costringendo la parte di sé più insicura, incerta e dubbiosa a farsi da parte.
«Prometto che da ora in poi vi vedrò
come cittadini di Londra con età compresa fra i ventotto e i trentun
anni» disse infine, sorridendo in direzione del cantante.
Lui parve gradire la cosa, quasi
non aspettasse di sentire altro. Amelia pensò a qualcosa da dire, ma non le
venne in mente molto. Per sua fortuna, però, anche se in compagnia Ewan non
voleva stare al centro dell’attenzione, ciò non significava che non fosse pieno
di argomenti di cui aveva voglia di parlare. Iniziò chiedendo ad Amelia cosa ne
pensava della loro idea per le grafiche della tour americana, di cui avevano
parlato quel pomeriggio. La domanda avviò una versa e propria conversazione,
con scambi di idee e opinioni, che contribuì anche a immaginare nuovi possibili
soggetti da usare per quel progetto. Stavano praticamente facendo ciò che
avrebbero dovuto fare se la ragazza avesse ottenuto il lavoro e a Ewan piacque
molto vedere la sintonia che avevano a riguardo. Lavorare con lei sarebbe stato
stimolante e sperò che Eddie non complicasse tutto decidendo di non avvalersi
della collaborazione di Amelia ma di cercare qualcun altro. Non che fosse preoccupato
a riguardo, ma capitava che alle volte il manager rendesse le cose più
difficili.
Erano ancora nel pieno di quella conversazione – che li
aveva catturati in modo particolare – quando la campana del pub trillò.
«Quindici minuti e chiudiamo, gente» urlò il
responsabile. I due lanciarono d’istinto un’occhiata ai loro bicchieri, vuoti,
e ripresero a parlare in attesa della chiusura. Alle undici spaccate le persone
si alzarono e si avviarono fuori dal locale senza fare storie, come da buona
prassi inglese. Amelia e Ewan uscirono insieme agli altri.
«Ti riaccompagno in albergo» si offrì il cantante.
La ragazza non aveva molta voglia di vedere quella
serata finire, ma iniziava a essere piuttosto stanca per via della sveglia che
aveva puntato all’alba quella mattina, del lungo viaggio in treno e delle
troppe emozioni provate in una sola giornata. Oltretutto anche il giorno dopo
si sarebbe dovuta svegliare presto per rientrare a Glasgow perciò, anche se con
dispiacere, accettò l’offerta del ragazzo.
La conversazione ricominciò da dove era stata
interrotta, ma non riuscì più ad avere lo stesso trasporto che aveva prima, nel
pub. Forse complice l’orario, o il fatto che i due stavano passeggiando piano
nella Londra della sera, fatto sta che dopo poco più di cinque minuti
smisero entrambi di avere idee su cui confrontarsi. Si zittirono, rimanendo a
guardare le luci della città intorno a loro.
«Possono farti una domanda?» Fu Ewan ha
interrompere quel silenzio. Amelia lo guardò e annuì, senza sapere cosa il
ragazzo era in procinto di chiederle.
«Perché non mi hai mai scritto?» La domanda uscì
semplice dalle labbra dal ragazzo, chiaro segnale che la sua era solo
curiosità. Tuttavia ci teneva a sapere com’erano andate le cose, perché dalla risposta
di Amelia avrebbe capito come tutto poteva evolversi.
La ragazza si sentì presa in contropiede; non poteva
dire a lui – il diretto interessato – le reali motivazioni che l’avevano
bloccata ogni volta nell’inviare la mail come aveva fatto con Pani.
Avrebbe voluto non rispondere, ma sapeva che doveva delle spiegazioni al
cantante; dopotutto le aveva lasciato la sua mail, cosa che lasciava intendere
un invito a fare ciò per cui esiste la e-mail: scriversi.
«Non sei costretta a rispondere» intervenne lui
davanti al suo silenzio protratto.
La ragazza cercò le parole migliori per dire a Ewan
com’erano andate le cose, di come avesse sprecato quella che poteva essere la
migliore occasione della sua vita per paure che si era autoindotta. «Sai, la
verità è che...sono un po’ bipolare, diciamo così» esordì, facendo una smorfia
indecifrabile. «Delle volte agisco di puro impulso, come quella volta in cui ti
ho messo in tasca il disegno o quell’altra in cui vi ho aspettato sul retro
dell’arena con i coriandoli» proseguì, sentendosi arrossire. Ormai aveva
iniziato a parlare e fermarsi, per sua fortuna, le riuscì impossibile. «Altre,
invece, mi faccio così tanti problemi anche sulle cose più insignificanti da
riuscire a distruggermi da sola. Come per la mail» concluse.
Ewan sorrise, intuendo cosa intendesse. Stava per dire
qualcosa, ma Amelia lo anticipò. Ormai aveva trovato in che direzione portare
il discorso e fermarla sembrava impossibile. «Insomma, ok che mi hai detto di
non pensare a te come al cantante degli Shards, ma devi anche capire che per me
è pressoché impossibile. Tu sei il
cantante degli Shards e siete la mia band preferita, ogni volta che mi decidevoa scriverti pensavo a questo e mi bloccavo»
esclamò, tutto d’un fiato.
Ewan la guardò, il sorriso ancora in volto. Quando
Amelia alzò lo sguardo lui disse: «Questa era la tua parte più impulsiva?»
riferendosi allo sfogo che la ragazza aveva appena avuto. Quest’ultima arrossì
di colpo, coprendosi il volto con le mani. «Cielo, scusami.»
«Perché? Mi piace» replicò lui ridendo.
Era proprio quello ciò che metteva in crisi Amelia
quando si trattava di Ewan. Lo aveva notato già al loro primo incontro e anche
in quel momento non le stava lasciando scampo. Aveva una naturalezza unica, una
semplicità che non ci si aspetta da qualcuno che riempie gli stadi e si trova
orde di persone in fila ore prima solo per assistere al proprio concerto.
«Mi dispiace di non averti scritto» ammise infine,
tormentandosi un lembo di stoffa della t-shirt. «Solo che non ero così certa
che avessi voglia di risentirmi.»
«Beh, non ti avrei lasciato la mia mail privata in
quel caso» le fece notare il ragazzo, tranquillo. Non poteva negare che il
fatto che non gli avesse mai scritto gli era dispiaciuto in modo particolare,
ma ora lei era ugualmente lì e stavano trascorrendo del tempo insieme. Non era
tipo da pensare a “come sarebbero andate le cose se”, spesso, infatti, quell’esercizio
portava solo dolore. Aveva forzato un po’ il destino cercando Amelia sul web,
ma era comunque riuscito ad avere ancora a che fare con lei. Soprattutto, aveva
capito che se lei avesse avuto la forza di non lasciarsi condizionare dalla sua
figura, gli avrebbe scritto.
«Beh, sì»
riprese parola lei. «Ma non potevo sapere con certezza se tu eri davvero sicuro
di volere che io ti scrivessi o meno. Insomma, non ti è mai capitato di
lasciare il tuo numero a qualcuno e poi pentirti della cosa?» gli chiese. A lei
era capitato e sapeva cosa si provava a ritrovarsi fra capo e collo
qualcuno per cui non si provava molta simpatia.
«Oh, sì. Più di
una volta, in verità» le disse in cantante.
Quella
situazione diede modo a entrambi di trovare qualcos’altro di cui parlare,
qualcosa in grado di farli conoscere meglio, parlando del proprio passato e di
alcune vicende che li avevano coinvolti. Visti da fuori potevano apparire come
una normale coppia di amici e il clima che si stava instillando fra loro
permise ad Amelia di capire per quale motivo a Ewan premesse tanto che lei lo
trattasse come un ragazzo qualunque. Se lei non si sentiva in soggezione per
ciò che lui rappresentava, se non aveva paura del fatto che non gli interessassero
i suoi aneddoti, tutto diventava più semplice per entrambi.
Quando
raggiunsero l’albergo di Amelia, la ragazza non si era accorta di essere
arrivata. Guardò Ewan nello stesso modo in cui avrebbe guardato un amico che
non avrebbe rivisto presto e si strinse nelle spalle.
«Ok, allora.
Spero vivamente che Eddie acconsenta a prenderti per le grafiche» esordì
il ragazzo, che pensava tutto ciò per davvero.
«Beh, lo spero
anche io» si lasciò sfuggire Amelia, sovrappensiero. Notò il sorriso di Ewan e
si calmò di colpo, finendo con l’imitarlo.
«A ogni modo, se
le cose non dovessero andare in porto, beh, hai sempre la mia mail. Scrivimi
ogni tanto.»
Era la
naturalezza con cui quelle parole gli uscivano la cosa che destabilizzava
maggiormente Amelia. Aveva ormai capito che era un ragazzo semplice e alla
mano, ma quella maledetta parte di sé che continuava a ricordarle che lui
era pur sempre il cantante degli Shards non la voleva lasciare in pace.
«Lo farò»
rispose infine, cercando di scacciare la sensazione di vuoto che le aveva
appena invaso le membra.
«Però fallo
veramente questa volta» la rimbeccò simpaticamente lui.
La ragazza gli
sorrise, consapevole che la loro serata insieme era giunta al termine. Non
sapeva quando e se avrebbe rivisto Ewan, né se avesse mai più avuto occasione
di parlare di nuovo con lui, ma decise che non si sarebbe più fatta sfuggire
una possibilità di tale portata. In un modo o nell’altro avrebbe fatto il
possibile per avere ancora a che fare con quel ragazzo, che l’aveva conquistata
con le sue canzoni e le sue parole e i cui modi di fare, così semplici e alla
mano, non stavano facendo altro che rinforzare ciò che, dentro di sé, sentiva
di provare.
«D’accordo» disse infine in risposta alle parole del
cantante.
«Bene» concluse lui. Ebbe una lieve incertezza, ma
alla fine si avvicinò ad Amelia e l’abbracciò. Lei era convinta che ci sarebbe
morta in quell’abbraccio quando sentì il contatto del corpo del ragazzo e il
suo profumo invaderla, più o meno nell’istante esatto in cui il suo cuore saltò
un battito. Prima Chase, poi Ewan; decisamente gli Shards erano ragazzi
espansivi. Quando si separarono Amelia fece del suo meglio per non
lasciare trapelare le sue emozioni, ma non era così sicura di esserne in grado.
«Perciò ci sentiamo» disse lui con fare tranquillo. «Oppure
ci rivediamo qui» concluse, alludendo alla possibilità di lavorare insieme.
La ragazza annuì, incrociando mentalmente le dita
perché il ragazzo avesse ragione. Dopodiché si salutarono, augurandosi
buonanotte. Amelia rientrò in hotel, un agglomerato di emozioni ad
agitarla dall’interno. Non sapeva se era successo tutto veramente. Si sentiva
spiazzata, come se fosse in un ambiente surreale, fiabesco. Eppure era successo
tutto quanto, lo sapeva; sentiva ancora il profumo di Ewan, il suono della sua
voce. Rivedeva il suo sorriso e le sembrava di percepire ancora sotto le dita
il suo corpo al momento del loro abbraccio. Solo un’altra volta si era sentita
così, per tale ragione le fu inevitabile venire catapultata indietro dalla
propria mente a quella notte a Glasgow, dove sentiva che tutto aveva avuto
inizio.
“Butall the thingsthatyou’veseen| Will slowlyfadeaway| So
I start a revolution from my
bed | ‘Cause yousaid the brains I hadwent to my head”
Oasis. Don’t Look Back in Anger
Casa
di Amelia, Little St., Glasgow, 18
agosto.
Ore 04:33 PM
Amelia era distesa sul letto a pancia in su, le
braccia spalancate, lo stereo accesso che passava Don’t
Look Back in Anger degli Oasis. Fissava il soffitto quasi fosse la volta
della Cappella Sistina, cercando di non pensare, cosa pressoché impossibile per
una come lei. La sua mente era un vortice continuo in ogni momento e per
qualsiasi cosa. Faceva sempre supposizioni su supposizioni, ipotizzava scenari –
molto spesso pessimistici – ed era il miglior generatore d’ansia esistente al
mondo, a detta della ragazza. Lei, infatti, era così. Diceva a sé stessa di non
farsi aspettative, salvo poi farsele ugualmente e soffrire quando queste
venivano disattese. Cercava di affrontare le cose con calma e ragione, ma anche
gli incontri più semplici le mettevano addosso pressioni inutili. Infine
rimaneva il fatto che non sapeva se con i rapporti umani se la cavava bene
oppure no; lei era se stessa in ogni occasione, ma alle volte sembrava che la
cosa non fosse sufficiente. Altre, invece, non riusciva a capire se quel suo
essere sé piacesse o meno.
Tutto quel caos mentale le fece di
nuovo pensare agli Shards e al loro incontro londinese. Chissà cosa pensavano
di lei, se la trovavano simpatica, se fosse piaciuta. Tutto sommato sentiva di
aver fatto una buona impressione. Ewan gli aveva detto di scrivergli e lei era
intenzionata a farlo se la sua possibilità di lavorare alle grafiche della band
fosse andata in fumo, ma rimaneva il fatto che non riusciva a smettere di
rimuginarci sopra. Avrebbe tanto voluto spegnere il cervello.
Proprio a quel pensiero entrò nella
stanza Pani, dopo una rapida bussata. «Ami sto entrando» si annunciò, ricevendo
in risposta un verso privo di senso.
Pani trovò l’amica
distesa sul letto con i piedi che toccavano terra; era chiaro che prima si
era seduta e poi accasciata a quel modo, ed era possibile che si trovasse in
quella posizione da tempo. Il disco degli Oasis passò alla traccia successiva e
Pani, che non amava quel genere – i reciproci gusti musicali erano spesso
motivo di confronto in quella casa – spense lo stereo senza chiedere il
permesso di farlo.
«Mi serve una
lobotomia» borbottò Amelia con fare lamentoso.
«Sono venuta qui giusto
per dirti che volevo affittare la tua stanza a un’ameba. Organismi simpatici,
dicono» replicò prontamente l’amica. Quei botta e risposta erano qualcosa di
molto frequente fra le due ragazze, che si conoscevano così bene da
intuire su cosa e quando si potesse scherzare.
Amelia, però, non
rispose, limitandosi a far uscire un altro mugugno insensato.
«Che ti prende?» chiese
Pani, davanti all’assenza di reattività dell’altra.
«Sto
pensando» disse lei, come se quelle parole valessero a giustificare tutto.
«Beh, è quello che le
persone fanno» le fece notare l’altra, con tono ovvio, sedendosi sul bordo
del letto, accanto ad Amelia. Quest’ultima si passò le mani sul
viso. «No» esclamò. «Sono ossessionata, è questo il problema. Sai
come funziona il mio cervello, no?» chiese retorica, picchiettandosi
la tempia con l’indice destro. «Sto rimuginando di continuo su
Londra. Non riesco a non pensarci.»
Amelia aveva già raccontato all’amica
dell’esito dell’incontro con il manager degli Shards e della riunione a cui
aveva preso parte. Aveva anche fatto un riassunto dettagliato della sua uscita
con la band e della conclusione di serata con Ewan.
«E quindi? Che c’è di male?»
«Ogni cosa» esclamò Amelia
esasperata, sollevando le braccia al soffitto. «Non riesco a pensare ad altro,
è da quando sono tornata che ci penso, ti sembra sensato?»
«Considerando che stiamo parlando di
te direi di sì.»
«Sto vivendo in simbiosi con il
cellulare. A momenti lo porto con me perfino in bagno» continuò a lamentarsi l’altra,
senza aver dato l’impressione di ascoltare i tentativi consolatori da parte
dell’amica.
«Ma quando dovrebbero farti sapere
se ti prendono o no?»
«Jacob ha detto che mi avrebbe
chiamata entro pochi giorni, indipendentemente dall’esito. Ne sono già passati
quattro e ancora niente.»
Si girò sulla pancia, puntellandosi
con i gomiti. «Se non ottengo quel lavoro mi ammazzo» sbottò. Ci teneva
davvero. Non tanto per il fatto che, grazie a quell’incarico, avrebbe potuto
lavorare con gli Shards, ma anche perché in cuor suo sentiva che quella era una
grande occasione, forse quella che le avrebbe cambiato per sempre la vita. Le
sue grafiche sarebbero andate dall’altra parte del mondo, accompagnate dal nome
di una band di fama internazionale. Poteva essere la giusta svolta, ciò che le
avrebbe consentito di dire addio a lavori frustranti per potersi finalmente
dedicare alla sua più profonda passione. L’attesa, però, la stava
uccidendo. Se solo quel telefono si fosse deciso a squillare avrebbe accettato
qualsiasi esito, anche il più negativo.
«Sì, ma se l’ottieni dovrai lavorare
a stretto contatto con Ewan» la voce di Pani si levò dopo qualche secondo di
silenzio, il tono di chi sta punzecchiando il destinatario delle proprie
parole.
Amelia recepì l’affermazione dell’amica
e l’assimilò quel tanto che bastava per farle sbuffare di nuovo una generosa
dose d’aria. Si accasciò sul letto, schiacciando la testa contro le coperte. «Grazie»
borbottò, ma la parola uscì per lo più come un suono indistinto. «Hai ragione»
proseguì, rialzando la testa. «Se non ottengo il lavoro non so che fare, ma se
l’ottengo non so come fare a lavorare così a stretto contatto con Ewan. È la
fine, avrò paranoie mentali per i prossimi mesi» concluse, tornando a posare il
capo sul letto.
Pani scoppiò a ridere. Quell’aspetto
della sua coinquilina lo trovava sempre esilarante. Amelia non era persona da
piangersi addosso, infatti quegli eccessi di frustrazione apparivano più come
qualcosa di comico che altro. Inoltre lei la conosceva bene e sapeva che,
qualunque fosse stato l’esito di quel possibile lavoro, nessuna paranoia
eccessiva le avrebbe invaso la mente; solo molta frustrazione in caso negativo
e una buona dose di eccitazione mista ad ansia in caso positivo.
«Beh, se fossi al tuo posto non mi
dispiacerebbe affatto lavorare a stretto contatto con Ewan» disse Pani, citando
l’amica. «Ha l’aria di essere un bravo ragazzo da come me ne hai parlato.»
«Oh, Pani non puoi capire» esclamò
lei, tornando a girarsi sulla schiena e alzando le braccia al soffitto. «È
perfetto.»
«Nessuno è perfetto, Ami. Avrà
sicuramente dei difetti.»
«Forse sì, ma in quel caso sono ben
nascosti e riescono a far risaltare ancora di più i pregi.»
L’amica sbuffò, sogghignando. Quando
Amelia parlava degli Shards sembrava sempre tornare ai tempi del liceo – anche se
allora le due non si conoscevano.
«E se non gli piacesse la pizza?»
azzardò Pani. «Non potresti mai stare con qualcuno a cui non piace la pizza.»
«Gli piace la pizza» tagliò corto
Amelia in tono piatto, dopodiché si alzò di scatto, mettendosi a sedere e
voltandosi verso la coinquilina. «È un ragazzo splendido, dico davvero.»
«Non ti pare di star esagerando con
i superlativi?»
«Vorrei, ma lui è davvero così. È
simpatico e alla mano, non vuole essere sempre al centro dell’attenzione e ti
ascolta veramente quando parli. Non è come me lo immaginavo dalle interviste, è
perfino meglio. Il tipo di ragazzo di cui potrei benissimo innamorarmi»
sospirò. Abbassò il capo e i lunghi capelli castani le ricaddero sulle spalle;
ne afferrò alcune ciocche, iniziando a tormentarle con le dita, chiaro segnale
che qualcosa dentro di sé la stava turbando. Pani la conosceva a sufficienza, così
come conosceva cosa, con tutta probabilità, stava affollando la sua mente;
pensieri che non erano affatto piacevoli e che non c’entravano con il cantante
degli Shards.
«Va bene, va bene»
disse infine, decisa ad aiutare l’amica in qualche modo. «Tralasciamo per un
momento questa cosa, hai intenzione di uscire dalla tua camera o no? È da
questa mattina che sei chiusa qui dentro.»
Amelia lanciò d’istinto
un’occhiata al telefono cellulare. «Vorrei andare a farmi una doccia» borbottò.
«Ma ho paura che appena mi infili sotto l’acqua il telefono squilli.»
«Beh, ci sono io. Posso
farti da segretaria se dovessero cercarti proprio mentre ti stai lavando.»
La ragazza guardò Pani,
pensando. Forse una doccia fresca le avrebbe fatto bene, magari le sarebbe
servita per schiarirsi un po’ le idee. Non ci avrebbe messo molto e il suo
smartphone non trillava per via di una telefonata da giorni, cosa che la faceva
sentire sempre più frustrata. Perché ancora non l’aveva chiamata Jacob, cosa
stava aspettando? Quelle giornate di attesa, quelle lunghe ore che separavano
un giorno da un altro erano una tortura snervante per lei. Voleva solo sapere
com’erano andate le cose, non le sembrava di chiedere molto.
«Ti preparo anche un
infuso alla menta, nel frattempo» provò a convincerla Pani, alla quale non
piaceva molto vedere Amelia in quello stato di ansia perenne. L’amica conviveva
con l’ansia, questo lo sapeva, ma alle volte la rendeva davvero
passiva, esattamente come in quel momento. Sembrava quasi che si
spegnesse, che perdesse la sua abituale effervescenza e ironia, proprio
come se dentro di sé avesse qualcosa intento a divorarla. Quando le capitava
tutto ciò Amelia pensava di continuo e non c’era cosa peggiore che potesse fare,
Pani lo sapeva; perchénon si limitava a
ripercorrere infinite volte lo scenario che la turbava, ma rimuginava sul
proprio passato, sulle scelte sbagliate, sulle cose andate. E lì c’era anche
molto dolore, che puntualmente riaffiorava come una goccia d’olio in mezzo all’acqua.
Perciò, in quelle occasioni, Pani faceva del suo meglio per aiutare la
coinquilina, spesso servendosi di armi come il cibo, la musica e il cinema –
oltre alle chiacchiere.
Dopo diversi secondi di
silenzio, in cui aveva pensato a cosa fare, Amelia alzò gli occhi bruni sull’amica. «Ok,» disse, «vada
per la doccia e l’infuso. Però promettimi che se mi telefonano tu
rispondi» concluse, indicando con fare accusatorio l’amica.
Amelia allora si alzò
dal letto e si avviò verso il bagno dopo aver preso dei vestiti puliti.
Staccarsi dal telefono forse le avrebbe fatto bene, anche solo non averlo
davanti per dieci minuti. Quel suo continuo rimuginare sul perché non l’avevano
ancora chiamata non le dava pace e le faceva provare una fastidiosa sensazione
alla bocca dello stomaco. Avrebbe voluto sapere se c’era la possibilità di
incontrare nuovamente Ewan e gli Shards, se poteva avere un lavoro degno di
essere definito tale, oppure se doveva mettersi l’anima in pace e lasciare
perdere tutto. L’assenza di un responso – positivo o negativo che fosse –
invece la faceva stare male e basta. Pensava di continuo alla riunione a cui
aveva preso parte a Londra, a quello che aveva detto, al modo in cui erano
stati giudicati i suoi lavori. Insieme a tutto ciò, inoltre, le tornava alla
mente Ewan e lo scambio di parole che avevano avuto mentre lui la stava
riaccompagnando in albergo. Perché quel ragazzo era così? Perché distruggeva i
cliché su molti artisti famosi con i suoi modi di fare e il suo sincero
interesse nel fare amicizia con le persone? Forse sarebbe stato tutto più
semplice se lui si fosse dimostrato uno stronzo; avrebbe fatto male le prime
volte, ma poi sarebbe stato facile dimenticarlo. Invece con quella sua
innata vitalità, il sorriso gentile e la spigliatezza era pressoché impossibile
per Amelia non desiderare di trascorrere ancora un po’ di tempo con lui, almeno
un’altra volta. Ed era così che i suoi pensieri tornavano al punto di partenza,
alla speranza di ricevere la famosa telefonata e di sapere in cosa poteva
ancora auspicare. Era come un cane che si mordeva la coda, un cerchio infinito
di tormenti.
L’acqua fresca,
tuttavia, parve alleviare un po’ la mente della giovane. Mentre lei era lì,
sotto il getto fresco, riuscì a deviare i pensieri verso un’altra direzione. Cominciò a
sentirsi meglio, ma fu proprio in quel momento che accadde. Pani bussò
alla porta con forza per farsi sentire da sopra lo scroscio dell’acqua sotto
cui si trovava la coinquilina. «Ami» chiamò.
«Che c’è?» chiese lei, capendo con
un secondo di ritardo cosa significasse la bussata delle sua amica.
«Il telefono.»
Amelia non riuscì a fermare un’imprecazione.
Se la lasciò sfuggire mentre chiudeva l’acqua, afferrando in gran fretta l’accappatoio
e infilandoselo alla meglio. Uscì dalla doccia con i capelli grondanti, in
parte appiccicati al viso e spalancò la porta senza preoccuparsi di bagnare
ovunque, sperando di essere ancora in tempo.
Pani era al telefono. «Quindi mi
faccia capire,» stava dicendo, «lei sarebb–oh,
eccola, gliela passo» disse appena incrociò lo sguardo sgomento di Amelia. Le
allungò il cellulare, mimando con le labbra il nome di Jacob.
Lei sbottò mentalmente; c’era da
scommetterci che dopo giorni il telefono squillava in uno dei pochi momenti in
cui si concedeva un po’ di relax.
«Sì, pronto» rispose, portandosi lo
smartphone all’orecchio.
«Buonasera Amelia. Spero di non
averti chiamata in un brutto momento» rispose Jacob, con quel suo modo
professionale e affabile.
«Non preoccuparti, niente di grave»
volle tranquillizzarlo, con la speranza che giungesse subito al punto della
chiamata, ovvero l’esito del loro incontro.
«Ho buone notizie» riprese l’uomo.
Quelle poche parole bastarono per far avere ad Amelia un tuffo al cuore. Si
disse di ascoltare tutta la frase prima di esultare, poiché le buone notizie
potevano essere tali solo per loro. Trattenne il respiro quando sentì Jacob
riprendere parola: «Abbiamo deciso di avvalerci della tua collaborazione.
Benvenuta in squadra.»
La ragazza alzò gli occhi sull’amica,
la quale capì subito cosa significasse quel cambio di espressione. Pani
trattenne a stento un’esultanza, coprendosi la bocca con le mani.
«C’è un biglietto per Londra
prenotato a tuo nome per lunedì. Se accetti il lavoro, naturalmente.»
«Certo che accetto» si sbrigò a
rispondere Amelia, forse con un po’ troppa enfasi. «Scusami, è solo che sono
emozionata» si scusò poi. «È un’occasione incredibile e quasi non posso credere
stia succedendo davvero a me.»
«Beh, è tutto vero» rise l’uomo dall’altra
parte del telefono. Amelia non poteva saperlo, ma anche a lui era successo
qualcosa di molto simile quando aveva iniziato a lavorare nell’ambiente musicale;
quando si riceveva il primo incarico da un artista di fama internazionale c’era
sempre una parte di sé restia a credere che stesse avvenendo tutto per davvero.
Jacob passò i restanti cinque minuti
di conversazione ad aggiornare Amelia su ciò che sarebbe avvenuto a distanza di
tre giorni. Sarebbe stato compito suo seguirla, come faceva ogni volta con chi
veniva assunto per lavorare alle grafiche. Per qualsiasi dubbio, avrebbe potuto
chiedere a lui. Si sarebbero incontrati alla stazione di Euston,
dopodiché l’avrebbe accompagnata nel suo temporaneo alloggio, un piccolo
appartamento di proprietà della casa discografica nella zona di Bayswater. Al momento si parlava di un mese di lavoro, ma
non era escluso che le cose si sarebbero potute protrarre.
Amelia segnò ogni cosa detta da
Jacob sul suo taccuino, che Pani, da buona amica, era andata a prenderle prima
ancora che lei glielo chiedesse. I capelli avevano smesso di gocciolare, ma la
ragazza aveva comunque bagnato ogni superficie che aveva toccato.
Si segnò l’orario del treno per
Londra, sottolineandolo un paio di volte mentre Jacob le diceva: «Ti mando
tutto per mail, se dovessi avere dei dubbi o ti mancasse qualcosa non esitare a
contattarmi, d’accordo? Chiama pure a questo numero.»
Amelia acconsentì, dopodiché si
scambiarono i convenevoli finali e la telefonata forse più importante della sua
vita si concluse lì. Quando lo schermo dello smartphone diventò nero, la ragazza
prese una lunga boccata d’aria, incredula. Le tremavano le mani per l’emozione
ed era senza parole – circostanza abbastanza rara.
«Vado a Londra» disse, quasi più per
confermarlo a se stessa che a Pani, la quale aveva capito tutto dalla
telefonata. «Oddio. Ho bisogno di sedermi» proseguì, dirigendosi verso la
cucina e ignorando il fatto di stare bagnando ogni cosa al suo passaggio. Si
mise a sedere, portandosi le mani al volto. Non poteva crederci. Una delle più
grandi occasioni della sua vita era lì, finalmente fra le sue mani, afferrata
come in un sogno. Respirò a fondo diverse volte prima di decidersi a far
ragionare il cervello, ancora attonito per la notizia. Gli vennero subito in
mente due cose che avrebbe dovuto assolutamente fare ora. La prima era
accettare l’esito della telefonata: avrebbe lavorato con gli Shards. Avrebbe
fatto meglio ad assimilare la cosa in tempi brevi, dato che avrebbe rivisto
Ewan la settimana successiva. Era tutto così bello ed esaltante che si
aspettava di risvegliarsi da un momento all’altro e andare a cozzare contro la
realtà delle cose. Si piantò le unghie nel braccio fino a farsi male.
«Non stai sognando» le disse Pani,
che l’aveva notata compiere il gesto.
Le due si guardarono per un lungo
momento, dopodiché scoppiarono entrambe a ridere. Amelia sentì gran parte dell’ansia
scivolarle di dosso, ma parte di essa rimase comunque aggrappata alla ragazza,
come sempre.
«Stasera dobbiamo festeggiare»
esclamò Pani. «Altro che infuso alla menta. Finisci di lavarti e vestiti per
bene che ti porto a vivere una delle serate più belle della tua vita.»
«Suona molto strana questa tua
frase» osservò Amelia.
«Oh, piantanala tu. E torna nella
doccia, stai bagnando dappertutto.»
La ragazza eseguì. Tornò dentro la
doccia, pensando a dove l’amica avrebbe potuto portarla; Pani conosceva sempre
dei locali nuovi a Glasgow, sembrava quasi che li aprissero solo per lei. Non
riusciva a smettere di sorridere all’idea di com’erano appena andate le cose.
Sarebbe andata a Londra per un mese, avrebbe frequentato gli Shards per tutto
quel lasso di tempo e, cosa più importante, avrebbe avuto la grande occasione
di lavorare come grafica, ciò che avrebbe voluto fare per la vita. In quel
momento le tornò in mente la seconda cosa che avrebbe dovuto fare: lasciare il
suo attuale lavoro. La faceva sentire frustrata, non avrebbe avuto senso
continuare. Il lavoro con gli Shards le avrebbe dato un compenso sufficiente
per tirare avanti anche senza un posto fisso per alcuni mesi, giusto il tempo
di diventare una grafica professionista – cosa che sperava proprio grazie all’occupazione
che aveva appena ottenuto – o di trovare un lavoro che non la rendesse tanto
infelice. Era decisa a chiudere i ponti con Susan McFarland
e lo avrebbe fatto il mattino successivo.
“I
trymy best to unwind| Nothing on mymindbutyou|Oblivious to allthatI’llowe|I'mhanging on to what I don'tknow”
The Vaccines. I Always Know
Ufficio di Jacob, Conduit
St., Londra, 21 agosto.
Ore 2:56 PM
I quattro membri degli Shards erano seduti su divano e
poltrone dello studio di Jacob, posto che sembrava uscito da alcune delle
migliori riviste di design. Il loro scenografo e amico sarebbe arrivato a breve
e non da solo. Amelia, infatti, aveva raggiunto Londra quella mattina e si
sarebbe incontrata con gli Shards proprio lì, dove loro stavano aspettando. Era
un’altra bella giornata su Londra; mite e soleggiata. I quattro ragazzi si
stavano perdendo in chiacchiere, parlando del più e del meno, ma Ewan era meno
partecipe del solito. Pensava ad Amelia e al fatto che l’avrebbe rivista a
breve. Ne era contento. C’era qualcosa, in quella ragazza, che lo attraeva in
modo particolare. Forse era la sua bellezza insolita, con quel viso dai tratti
particolari delineati dal buon uso del trucco; o forse erano i suoi modi di
fare, timidi in un momento e spigliati in quello successivo. Magari era il suo abbigliamento,
le magliette delle band che ascoltava infilate nei pantaloni a vita alta. Non
sapeva cosa fosse, ma era chiaro che qualcosa in quella ragazza lo attirava a
sé. Era molto più probabile che fosse tutto dovuto al modo in cui ai erano
conosciuti, al fatto che lei – prima ancora di incontrarla dal vivo – era stata
un suo pensiero fisso per cinque mesi, e che il loro primo scambio di sguardi
era avvenuto alla fine di un concerto fatto apposta per trovarla e dopo una
pioggia di coriandoli colorati. Amelia sembrava uscita da una delle sue canzoni
e lui era sempre stato certo di scrivere di persone inesistenti,
fiabesche.
«Allora, che ti
ha detto a riguardo? È contenta?»
La voce di Chris
arrivò con un po’ di ritardo a Ewan. Il cantante alzò gli occhi sul suo
tastierista, comprendendo solo in quel momento che questi stava parlando con
lui. «Cosa?»
«Sempre fra le
nuvole, eh?» lo punzecchiò in modo amichevole Chris.
«Chissà a chi
pensava» intervenne sornione Chase, che per una volta alludeva esattamente alla
persona a cui stava pensando Ewan.
«Dai, smettetela
di fare i deficienti» rise il cantante. «Cos’è che hai chiesto?»
«Ti ho chiesto
se è contenta di lavorare con noi.»
Sebbene il
soggetto non fosse stato nominato era piuttosto semplice per Ewan capire a chi
stava alludendo. «Non ci siamo sentiti da quando è tornata a Glasgow» tagliò
corto, senza scendere in ulteriori dettagli, come il fatto che non si erano mai
sentiti in generale. Di solito raccontava tutto ai suoi amici, ma per amor
proprio, almeno quella volta, decise di sorvolare sulla faccenda.
«Chissà, sarà
emozionata» pensò Chase a voce alta. «Siamo il suo gruppo preferito, no? Dev’essere
una bella emozione lavorare con la propria band preferita.»
«A me era parsa
molto professionale la volta scorsa» intervenne Trent, alludendo alla prima
riunione che avevano svolto tutti insieme.
«Certo che è una
bella coincidenza. La stessa ragazza che ti fa recapitare quel fantomatico
disegno ha lo stile che stiamo cercando per le grafiche nuove. Suona come la
trama di un film» osservò Chris.
«Ci ho pensato
anche io» rispose Ewan. «Infatti se non avessi visto i suoi lavori con i miei occhi
non ci avrei mai creduto.»
Non aggiunse altro.
Non disse loro che era stato lui a cercarla, che aveva considerato il suo stile
di disegno un colpo di fortuna sorprendente, che era felice, davvero felice, di
sapere che stava raggiungendo Londra per lavorare insieme a loro. La cosa che
lo preoccupava più di tutta quella situazione, però, erano proprio i suoi
amici. Alludevano con troppa frequenza alla possibile situazione che si sarebbe
andata a creare con l’arrivo di Amelia ed era inutile soffermarsi a contare le
frecciatine che lanciava Chris, o i sorrisetti di Chase. Perfino Trent, quando
si parlava della ragazza, si lasciava sfuggire qualche commento di troppo.
Nonostante tutto ciò, però, Ewan cercava di non fare caso a nessuna delle
allusioni degli amici o anche solo al fatto che sembravano non vedere l’ora di
saperlo impegnato con qualcuna – neanche fossero i suoi genitori. Amelia gli
piaceva; la trovava simpatica e attraente, ma ancora non sapeva molto di lei,
come i suoi gusti in fatto di cibo o cinema, se le piacesse o meno ballare, che
tipo di libri leggeva. Certo, volerla incontrare era stato per lui un chiodo
fisso per circa cinque mesi, ma due sole serate insieme non erano sufficienti
per capire quanto potesse interessargli quella ragazza. Non sapeva neanche se
fosse fidanzata o meno.
Dirlo ai suoi amici, però, non sarebbe servito a
nulla. Da mesi Ewan non aveva una storia, semplicemente perché non la stava
cercando. La maggior parte delle ragazze che aveva conosciuto nell’ultimo
periodo, tutte legate al mondo musicale per lo più, lo avevano relegato allo
stadio di amico perché “affabile”, “alla mano” e “gentile” – tutti aggettivi
che gli erano stati rivolti – e lui aveva smesso di cercare. Con la sua ultima
ragazza le cose non erano andate tanto male; si erano lasciati di pari accordo
e alle volte si sentivano anche, sebbene lei avesse già trovato un altro e la
loro storia fosse finita circa sette mesi prima. Probabilmente, però, era stata
proprio la buona separazione fra i due a non abbattere Ewan e a lasciargli la
voglia di continuare a provarci quando aveva a che fare con qualcuno che lo
interessava, nonostante spesso venisse “friendzonato”
ben prima di capirlo.
Prima che qualcuno potesse aprire bocca di nuovo, la
porta dell’ufficio si spalancò, introducendo Jacob. Stava chiacchierando con
qualcuno e ai presenti non servì vedere il suo interlocutore per indovinare di
chi si trattava. Amelia fece il suo ingresso alle spalle dello scenografo,
apparendo piuttosto a suo agio in compagnia dell’uomo. Jacob era bravo a far
sentire le persone benvenute, specie quando si trattava di lavoro.
I nuovi arrivati salutarono i presenti.
«Siediti
pure, Amelia. Inizieremo con una chiacchierata informale» le disse Jacob, indicando una delle poltrone lasciate
vuote dagli Shards. La ragazza si accomodò, posando in grembo il piccolo zaino
che aveva con sé. Ricominciava a sentirsi sotto pressione, come le accadeva
sempre davanti alla band. In quel momento, però, sentì di avere addosso meno
ansia rispetto all’incontro precedente.
«Come stai?» le chiese Ewan appena si fu sistemata.
«Molto bene,
grazie. Voi?»
«Una favola» rispose subito Chase, energico come suo solito.
«Siamo
passati dalla sua temporanea residenza» intervenne
Jacob, andando a sedersi nell’altro posto rimasto libero vicino al gruppetto
che si era appena formato. «È alloggiata
a Bayswater.»
La ragazza ripensò alla casa in cui avrebbe vissuto
per il prossimo mese – e forse anche più a lungo. Era un piccolo appartamento
di proprietà della casa discografica, perciò non avrebbe dovuto preoccuparsi di
alcuna spesa. Era grazioso e molto luminoso e sembrava costruito su misura per
lei. Sotto le ampie vetrate del soggiorno era stato montato un tavolo
servendosi di due cavalletti e un piano di legno verniciato grande a
sufficienza per lavorare senza problemi su un foglio di dimensioni 50x70. Vi
aveva trascorso dentro solo una ventina di minuti e già lo adorava.
Prima di partire si era detta di approfittare appieno
di quella possibilità, di vivere Londra al massimo che le era consentito in
quel mese di permanenza e, soprattutto, di non sprecare le occasioni che le
erano concesse in compagnia degli Shards, ora a tutti gli effetti i suoi datori
di lavoro.
«Allora,
chiacchierata conoscitiva» esordì poi
Jacob, battendo una sola volta le mani, come se fosse in procinto di fare
qualcosa che amava molto – cosa che, in effetti, era vera. «Ho già introdotto diverse cose ad Amelia. Le ho detto
a grandi linee quali sono le vostre idee e il tipo di lavoro di cui abbiamo
bisogno, ma ovviamente dovrete essere voi a dirle con esattezza cosa volete. È
il vostro progetto, come sempre, quando si tratta di voi» disse ridacchiando.
Amelia lanciò un’occhiata in direzione di Ewan, che
subito se ne accorse e ricambiò.
«Di’ un po’,
Amelia, vuoi anticipare qualcosa?» le chiese
Jacob.
Lei annuì. Si era ripetuta fra sé che avrebbe
mantenuto la calma qualunque cosa fosse avvenuta come un mantra e sembrava
finalmente essere riuscita ad assimilare la cosa. Era emozionata quando iniziò
a parlare, ma non c’era traccia dell’abituale ansia che sembrava non volerla
abbondare per il resto del tempo. «Beh,
innanzitutto, anche se può suonare scontata come frase, vorrei ringraziarvi per
questa occasione. Per me, e per la mia professione di grafica, significa molto.» Attese una possibile replica, che si manifestò
principalmente con diversi sorrisi, prima di andare avanti. «Riguardo al lavoro, Jacob mi ha già detto qualcosa e
sono curiosa di sapere quali altre idee avete in mente. Mi piace che abbiate
scelto di non avvalersi dei colori, se non per i dettagli importanti. Sono
certa che il risultato sarà molto interessante. »
Si zittì, non sapendo che altro aggiungere. Jacob, a
sua insaputa, le venne incontro. «Amelia ha un
mucchio di idee ed essendo vostra fan sarà molto più semplice, per lei, dare
forma alle vostre canzoni.»
La ragazza si sentì lusingata da quel rapido elogio.
«Bene, ne
sono contento» prese
parola Ewan. Dato che per le grafiche era lui che se ne occupava sempre, era
anche compito suo instaurare un buon rapporto con il grafico di turno
designato. «Lo stile dei
tuoi disegni è perfetto per quello che abbiamo in mente, ma questo te l’ho già
detto. Penso che,» proseguì,
lanciando un’occhiata allo scenografo in cerca di sostegno, «se per te va bene potremmo iniziare già a confrontarci
a riguardo, così avresti qualcosa su cui poter lavorare fin da oggi.»
Amelia lo guardò, cercando di mascherare la sua
espressione perplessa. Avrebbe lavorato con gli Shards, quello ormai lo aveva
assimilato, ma perché tutto d’un tratto sembrava che avrebbe dovuto lavorare solo
con Ewan?
Come se le avesse letto nella mente, Jacob
intervenne: «È Ewan che
si occupa delle grafiche. È lui la mente artistica dietro agli Shards. Con un
po’ del mio aiuto, naturalmente» sorrise.
«Sì, è tutto
vero. Noi siamo solo gli esecutori materiali» confermò
Chris, strappando una risata ad Amelia.
«Per me non c’è
alcun problema » rispose
infine la ragazza, dicendosi di non fare la parte di quella che fa storie. Si
era ripromessa di sfruttare ogni istante nel suo soggiorno a Londra, a partire
da subito. «Così, come
ha detto Ewan, avrei già qualcosa su cui lavorare.»
«Ottimo» esclamò Jacob, soddisfatto di vedere la piega
positiva che aveva preso in poco tempo quell’incontro. «Allora voi due comincerete a confrontarvi subito sulle
grafiche, così avremo presto le prime bozze. Amelia, ricordati, per ogni cosa
chiedi pure a me.»
La ragazza annuì, ringraziandolo. Parlarono per un
altro po’ di tempo, una mezz’ora, all’incirca. Gli Shards, insieme al loro
scenografo, spiegarono nel dettaglio l’aspetto più generico delle grafiche e
delle scenografie che avevano in mente per la tournée americana, così da dare
ad Amelia un quadro del progetto. Per lei fu bellissimo sentirsi coinvolta in
qualcosa del genere; finalmente stava facendo ciò per cui aveva studiato, ciò
per cui voleva dedicare anima e corpo. Come se non bastasse, poi, la sua prima,
importante, commissione coinvolgeva la sua band preferita e un tour estero.
Decisamente tutto ciò aveva la parvenza di un sogno, al punto che se si fosse
svegliata all’improvviso non ne sarebbe rimasta affatto sorpresa.
Le idee del gruppo le piacquero molto. Erano surreali
e d’impatto, proprio come ogni altra cosa riguardasse la band – alcuni testi
delle loro canzoni, le copertine degli album, il merchandising e così via.
Dentro di sé Amelia iniziò già a vedere tutta una serie di immagini, prima
semplici, poi sempre più articolate, pensando a qualche dettaglio da
aggiungere.
«Ci sono» disse poi, quando Ewan e gli altri smisero di
elencare particolari e idee. «Ho capito
cosa volete. Magari possiamo già entrare nel dettaglio di ogni singola canzone.»
«Questa
ragazza mi piace» esclamò
Jacob. «Meno male che l’hai trovata, Ewan.»
Amelia lanciò un’occhiata al cantante, ma questa volta
lui non vi rispose.
«Io purtroppo
ho mille altre faccende da sbrigare, ma se voi volete iniziare a lavorare, ben
venga» proseguì Jacob, alludendo a Ewan e alla ragazza. «Amelia, non mi stancherò mai di dirtelo, per qualsiasi
cosa chiamami pure.»
Di nuovo lei lo ringraziò, annuendo. Tuttavia rimase
ferma al suo posto, non capendo bene che fare. I quattro Shards, invece, si
alzarono.
«Andiamo?» domandò Ewan.
La ragazza si alzò e prese i suoi effetti – fra cui vi
era anche il portatile con la tavoletta grafica – e seguì il gruppetto fuori dall’ufficio,
salutando lo scenografo che si era sistemato alla scrivania. I cinque
arrivarono al piano terra e uscirono sulla strada, prima di fermarsi
nuovamente.
«Ok, allora ci
vediamo» salutò Chris.
«Tu non vieni?»
gli chiese Amelia.
«Noi, non
veniamo» specificò Trent, indicando sé, Chris e Chase. «Te l’ha detto Jacob, è
Ewan che si occupa delle grafiche. Noi siamo buoni solo a distrarlo e ad
approvare le cose a cui pensa.»
«Suona in modo
orribile detta così. E non è neanche vero, tra l’altro» intervenne il cantante,
ma l’occhiata che gli lanciò il chitarrista era qualcosa di non detto che lui
recepì subito, smettendo di insistere.
«Comunque non
preoccuparti, Amelia. Una sera di queste usciremo tutti insieme, promesso. Ti
portiamo in giro per Londra» le disse Chase, facendole l’occhiolino.
La ragazza
sorrise. «Ci conto allora.»
Si salutarono
tutti e rimasero solo Amelia e Ewan. Si guardarono e fu evidente che se uno dei
due non avesse trovato subito qualcosa di cui parlare la ragazza sarebbe sprofondata
nell’imbarazzo totale. Era come se le servisse sempre del tempo per sentirsi a
proprio agio con il cantante, solo che quel breve periodo era sempre
caratterizzato da una forte sensazione di disagio. Fece del suo meglio per
ignorare la cosa e, per sua fortuna, Ewan trovò presto qualcosa da dire.
«Che ne dici se
andiamo a prendere un caffè mentre iniziamo a lavorare?»
Lei acconsentì
ben volentieri all’offerta e si incamminò insieme a lui, seguendolo in quelle
vie di Londra che lui conosceva alla perfezione. Sicuramente Ewan andava spesso
in quel quartiere della città per via dello studio di Jacob, ma aveva del
sorprendente il modo disinvolto con cui si muoveva per quelle strade.
«Conosci bene
Londra, immagino» disse Amelia, cercando spunto per una conversazione.
«Come il palmo
della mia mano. Più o meno» ridacchiò lui. «Prima di riuscire a diventare il
“cantante degli Shards” mi pagavo da vivere facendo il ragazzo delle consegne.
Presente quello che porta le pizze? Ho imparato a conoscere così la città.»
La ragazza non
conosceva quel particolare sulla vita di Ewan, sebbene dai giornali avesse
imparato diverse altre cose sul passato del giovane, come i suoi studi al
college o i suoi gruppi musicali preferiti. Il fatto che anche lui avesse fatto
un lavoro che non era ciò che desiderava solo per riuscire a sopravvivere in
una grande città la fece sentire più vicina a lui.
«Non era certo
il lavoro dei miei sogni,» proseguì Ewan, «ma aiutava a pagare le bollette. E
poi, quando per qualche misterioso motivo il cliente non si trovava a casa,
oppure faceva tornare indietro la pizza, potevo sedermi da qualche parte e
mangiarla io.»
«Potevi farlo?»
chiese la ragazza, sorpresa.
«No» rispose
prontamente lui, ridendo. «Semplicemente evitavo di dirlo. Quando rientravo la
pizza non c’era più e nessuno faceva domande» si strinse nelle spalle,
infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Come Fry di Futurama» pensò a
voce alta Amelia.
Ewan rise di
nuovo. «Come Fry di Futurama»
ripeté, confermando di aver apprezzato il paragone. «Ecco qui il caffè.» Il
ragazzo si fermò davanti alla caffetteria, dove diversi tavoli erano disposti
sul marciapiede, corredati da fiori e menù colorati, con il risultato di
fornire un piacevole dehors. «Preferisci stare dentro
o fuori?»
«Ti dispiace se
stiamo dentro? Fa un po’ troppo caldo per me.»
Ewan acconsentì
alla richiesta della ragazza, consapevole che una scozzese era abituata ad
altre temperature in agosto. Si accomodarono in un tavolino sufficientemente
appartato, così da evitare possibili interruzioni dovute a fan degli Shards.
Amelia aveva notato che un gruppo di ragazze aveva analizzato il cantante a
lungo, ma non avrebbe saputo dire se fosse dovuto al fatto che lo avessero
riconosciuto o, più semplicemente, perché fosse davvero un giovane di bell’aspetto.
Il ragazzo andò
a prendere da bere per entrambi – un mocaccino per Amelia e un caffè freddo per
sé – dopodiché si sistemò al tavolo. Ebbero una rapida diatriba sulla questione
soldi poiché Ewan si rifiutò di far pagare alla ragazza la sua bevanda e alla
fine lei dovette cedere, ringraziandolo.
«Ok, allora,
possiamo parlare di lavoro» disse lei dopo aver preso il primo sorso della sua
bevanda. Iniziò ad estrarre dalla propria borsa il taccuino su cui avrebbe
preso appunti, ma, come le accadeva spesso, la penna si era sfilata dal punto
in cui era stata fissata ed era finita sul fondo. La ragazza provò a cercarla,
ma senza risultati, così decise di svuotare la borsa da parte del suo
contenuto, per semplificare l’operazione. Si scusò con Ewan, dopodiché iniziò
con la sua ricerca. Per prima cosa estrasse il portatile, seguito nell’ordine
dal portafoglio, dal libro, dalle chiavi della sua stanza e dalla macchina
fotografica, prima di riuscire a individuare la penna.
Appena il
cantante vide posarsi sul tavolo la piccola e celeste macchina fotografica, l’afferrò.
«Ehi, bellissima questa. Che macchina è?»
Amelia ripose le
sue cose, osservando il ragazzo rigirarsi la sua compagna di viaggio fra le
mani. «È la mia lomo» lo informò.Lui la guardò perplesso.
«Mai sentito
parlare di lomografia?» gli chiese, divertita.
«Vagamente»
ammise Ewan, restituendole macchina.
«È una sorta
di...corrente artistica, chiamiamola così» proseguì lei, stringendosi nelle
spalle. «Si usano macchine come questa, a pellicola, compatte e leggerissime –
perché sono in plastica.»
«Infatti sembra
finta.»
«Invece è vera.
Questa è una Diana Mini, la porto sempre con me. Ci ho scattato un numero
incalcolabile di foto.»
«Quindi sei
anche una fotografa, oltre che una grafica» ipotizzò lui, sorridendo. Amelia
cominciava a mostrare il suo lato più artistico e aperto, cosa che gli piaceva,
come ebbe modo di capire.
«Sono una lomographer. Fotografo per me stessa.»
«È interessante
tutto ciò, devo ammetterlo. E hai già fatto qualche foto da quando sei
arrivata?» proseguì lui. Sapeva che avrebbero dovuto parlare delle grafiche per
la tour americana, ma non ne aveva voglia. Trovava molto più interessante stare
lì a chiacchierare con Amelia, a scoprirla piano piano, una passione alla
volta.
Lei annuì alla
sua domanda. «Qualcuna, sì» rispose, senza aggiungere altro. Era bello che Ewan
le facesse simili domande, le sembrava di essere alle prese con qualcuno che
sarebbe potuto diventare un buon amico, con il tempo. Tuttavia sapeva che,
almeno in quel momento, il fatto di approfondire la loro conoscenza avrebbe
dovuto aspettare. Amelia, infatti, ripose la sua Diana Mini nella borsa e tolse
il tappo alla penna. «Dovremmo parlare di lavoro, però» fece notare al ragazzo.
Lui fece una
smorfia, cosa che lasciò intendere che non ne avesse molta voglia. Davanti a
quel gesto il cuore della ragazza accelerò; preferiva parlare con lei, quindi?
Era una sensazione strana e sorprendente, sebbene in quel momento non le avesse
provocato lo stesso scuotimento interiore come al loro primo incontro a Glasgow
o quando, a Londra, lui l’aveva accompagnata dopo la prima riunione che avevano
avuto tutti insieme. In quel momento tutto era soltanto una calda e piacevole
sensazione, la consapevolezza di aver ormai assimilato che quello sotto i suoi
occhi era il cantante degli Shards in persona e che stava parlando con lei e
non a qualcun altro. Con il passare dei giorni anche il leggero stordimento che
la sua espressione di poco prima le aveva provocato sarebbe sparito e, Amelia
ne era certa, avrebbe finito con il vedere Ewan un ragazzo come tutti gli altri
– anche se con una predisposizione al canto ben superiore.
Quest’ultimo
aveva appena aperto bocca per dire alcune cose riguardo alle sue idee per le
grafiche che subito furono interrotti. Tre ragazze, con un’età compresa fra i
diciassette e i diciannove anni, si erano appena palesate al loro tavolo.
Sembravano nervose ed emozionate – e piuttosto rosse in volto.
«Ehm, scusa,
Ewan» esordì una delle tre, forse la più coraggiosa del gruppetto. «Potremmo
farci una foto insieme a te?»
Allora veniva
riconosciuto, di tanto in tanto. Lui non parve affatto sorpreso dalla cosa, né
infastidito. Si alzò in piedi mentre rispondeva: «Ma certo» regalando alle tre
uno dei suoi sorrisi più dolci. Le ragazze trattennero a stento dei gridolini
al suo gesto e, sotto gli occhi di Amelia – che assisteva da spettatrice a
tutto ciò – si scattarono alcuni selfie. La giovane
grafica non poté fare a meno di pensare, davanti a quella scena. Stava ancora
finendo di assimilare per bene il fatto che avrebbe lavorato a stretto contatto
con gli Shards, si era appena detta che, a breve, non avrebbe più visto Ewan come
il suo cantante preferito ed era prossima a eliminare tutte le ansie che queste
due cose comportavano, quando avveniva quello che era appena successo. Sospirò lievemente,
distogliendo lo sguardo dai quattro davanti a lei. Forse sarebbe riuscita a
imparare a convivere con tutto ciò, con gli Shards, con il loro ruolo, ma ci
sarebbe sempre stato qualcosa in grado di ricordarle per chi lavorava,
alimentando ansie e preoccupazione di non essere all’altezza. Perché il ragazzo
con cui aveva appena avuto una piacevole chiacchierata, per quanto semplice e
alla mano, era pur sempre quel Ewan
Cassian Hill.
“I’mtrying to connect
with you| To see the world the way you do | Try ‘n’ understandwhat’s in your head | I’mhearingwhatyousaid”
Kodaline. Autopilot
Ufficio di Jacob, Conduit
St., Londra, 6
settembre
Ore
4:26 PM
Amelia
stava facendo scorrere le immagini sotto lo sguardo attento e soddisfatto di
Jacob. Erano soli nell’ufficio e sul portatile della ragazza alcuni dei suoi
ultimi lavori si alternavano uno dopo l’altro. Di tanto in tanto lei diceva a
quali titoli delle canzoni corrispondevano, aggiungeva qualche appunto a voce e
segnava i pareri dell’uomo insieme a lei, il quale sembrava piuttosto
soddisfatto di ciò che gli stava venendo mostrato.
Nelle ultime due settimane Amelia aveva
lavorato assiduamente alle grafiche per gli Shards e vedere che Jacob le stava
apprezzando la riempì d’orgoglio. Si sentiva in ritardo rispetto alla sua
tabella di marcia. Era circa a metà del suo mese di permanenza a Londra e
ancora le mancavano da fare una decina di progetti. Tuttavia, insieme a Ewan,
non era così semplice lavorare in fretta. Il cantante era un vulcano di idee.
Loro due trascorrevano insieme molte delle loro giornate, a parlare dei disegni,
a confrontarsi sui possibili risultati finali, a discutere su cosa fare. Alla
ragazza piaceva molto quel clima, perché la stimolava. Ormai lei e Ewan non
erano più il cantante degli Shards e la ragazza che si occupava delle grafiche
e la cosa la faceva sentire su di giri. Amelia non era più agitata quando stava
per incontrare il ragazzo, al contrario non vedeva l’ora di passare un po’ di
tempo con lui a parlare di disegni, canzoni e di tante altre cose diverse. Era
proprio questa una delle cause che portava ai rallentamenti nel lavoro, il
fatto che alle volte loro due perdessero il filo del discorso, arrivando a una
digressione che poteva anche richiedere parecchio tempo per essere corretta. Erano
ormai diventati amici.
Anche il rapporto fra la ragazza e i
restanti tre membri degli Shards era migliorato. Era uscita spesso con la band
al completo e aveva avuto modo di approfondire la conoscenza con tutti loro.
Aveva capito che ciascuno di quei ragazzi le piaceva per i propri modi di fare,
sebbene continuasse ad avere una predilezione particolare per Ewan. Chase e Chris
scherzavano di continuo insieme a lei e Trent si era arreso al fatto che
sarebbe stato chiamato da Amelia solo per cognome, Linton, perché lei gli aveva
detto che le ricordava un eroico cavaliere medievale.
Per la prima volta da diverso tempo
Amelia si sentiva felice. Stava facendo ciò che amava e aveva introdotto nella
sua vita quattro persone che non avrebbe mai sperato di incontrare – se non
nella sua fantasia. Tutto sembrava stare andando per il verso giusto. C’era
solo una cosa che le provocava dispiacere, ovvero la consapevolezza che quello
stato di gioia non sarebbe durato. Il suo soggiorno a Londra aveva una scadenza
impressa sopra e anche se fosse rimasta in contatto con Ewan e gli Shards, quel
periodo unico sarebbe finito.
Tuttavia stava facendo del suo meglio
per non pensarci troppo, incluso in quel momento, insieme a Jacob, mentre l’ultima
delle grafiche che aveva preparato era ferma sullo schermo. Trattenne il fiato
davanti al silenzio dello scenografo, consapevole che l’approvazione definitiva
avrebbe dovuto essere la sua.
Jacob prese fiato. «Splendidi»
sentenziò.
«Davvero?» si lasciò sfuggire lei. La
risata dell’uomo le fece capire che non aveva parlato a sproposito.
«Sì, sono davvero dei lavori ben fatti.
Immaginavo proprio delle cose del genere quando ne parlavo con Ewan. Di’ un po’,»
aggiunse, dopo una leggera incertezza, «come ti stai trovando con lui?»
La domanda colse Amelia impreparata.
«Bene. Abbiamo diverse cose in comune e lavorare con lui è parecchio semplice»
rispose infine. «Perché?» chiese, non riuscendo a trattenersi. Se mai ci fosse
stato qualcosa di “non detto” nella domanda di Jacob avrebbe voluto saperlo.
Lui scosse le spalle con fare disinvolto. «Oh, non c’è un motivo, semplice
curiosità. Adoro Ewan, ma ciò non significa che possa piacere a tutti.»
«No, beh, lavoro bene con lui, sul
serio. Poi è il cantante del mio gruppo preferito, perciò...» lasciò cadere la
frase, preferendo zittirsi. Quelle ultime parole se la poteva proprio
risparmiare; delle volte avrebbe fatto meglio a mordersi la lingua.
«Sì mi avevano accennato alla cosa»
rispose tranquillamente l’uomo, lanciando un sorriso rassicurante alla ragazza.
Dopodiché il suo fare professionale tornò a galla. «Possiamo rivedere i lavori?
Ho qualche appunto da farti, poi lo riferirò anche a Ewan.»
Passarono circa un’ora a discutere di
diverse migliorie nei disegni. Amelia si sentiva sempre più estasiata vedendo
come il confronto con qualcuno di così esperto di grafica, scenografia e
ambientazioni potesse aiutarla a migliorare la sua arte. Anche lavorare con
Jacob le piaceva molto; era professionale e competente e non imponeva la sua
idea, ma la illustrava consentendo all’interlocutore di assimilarla e renderla
propria, una dote che non possedevano in molti. La ragazza si stava segnando
ogni suggerimento, anche quello all’apparenza più insignificante, riempiendo di
appunti il proprio taccuino. D’un tratto, mentre Jacob era in procinto di dire
un’altra delle sue ottime migliorie, il cellulare di Amelia squillò. Lei si
scusò, cercando in fretta lo smartphone, pronta a chiudere la telefonata senza
neanche rispondere, ma come lesse il nome in sovrimpressione si bloccò.
«È Ewan» informò Jacob.
«Ah. Rispondi pure, magari c’entra con
questo lavoro.»
Dopo il via libera dell’uomo la ragazza
accettò la chiamata. «Ciao» disse.
«Ciao. Ti disturbo?»
Trovò bellissimo sentire la voce del
cantante anche se lui non era lì. Ewan le aveva dato il suo numero di telefono
solo pochi giorni dopo che avevano iniziato a lavorare insieme, così da potersi
sentire per qualsiasi idea improvvisa che avesse loro invaso la mente. Anche se
la ragazza continuava a ripetersi di vedere Ewan come un ragazzo normale, come
ce n’era tanti, trovava la consapevolezza di avere il numero del suo cantante
preferito era piuttosto eccitante.
«Sono con Jacob. Stiamo parlando dei
lavori che abbiamo preparato.»
«Ottimo. Gli piacciono?» volle sapere il
ragazzo.
«Li ha definiti splendidi» rispose lei,
dando un’occhiata d’intesa al diretto interessato, che replicò con un sorriso.
«Beh, questo è un complimento a te»
disse Ewan ridacchiando. «Ne sono contento, comunque» proseguì prima che Amelia
potesse intervenire. «Allora sarò breve, visto che questa chiamata non c’entra
niente con il lavoro. Stasera ti va di uscire?»
Formulò l’invito con la semplicità con
cui aveva formulato tutti quelli precedenti. La ragazza era già uscita più e
più volte di sera con gli Shards, era così che aveva imparato a conoscerli e ad
apprezzarli ancora di più e ogni volta l’invito era arrivato con la voce di
Ewan. Non avrebbe neanche dovuto chiederle se aveva voglia di uscire quella
sera, era ovvio che le andava.
«Volentieri» rispose semplicemente.
«Bene allora. Alle otto sotto casa tua?»
Amelia acconsentì e i due si salutarono
in fretta. Quando lei chiuse la chiamata lanciò d’istinto un’occhiata a Jacob,
ma l’espressione dell’uomo le lasciò intendere che aveva già capito quanto
bastava sulla telefonata appena conclusa. La ragazza si scusò per l’interruzione
– seppur breve – e tornò a concentrarsi su quanto lo scenografo stava iniziando
a dire. Cercò di fare del suo meglio per non perdere il filo del discorso, ma
in più punti le risultò complicato. Quella sera sarebbe uscita con gli Shards
di nuovo. Non era certo la prima volta che andava in giro con loro per Londra,
tuttavia, com’era già avvenuto prima di quel giorno, il pensiero di trascorrere
altro tempo con quei ragazzi la riempiva di gioia.
St.
PetersburghPl Londra, 6 settembre
Ore
8:00 PM
Amelia
posò piede fuori dall’appartamento in cui risiedeva alle otto spaccate. La
puntualità era sempre stata un tratto distintivo della sua persona e, forse,
una delle prime cause della sua eccessiva ansia. La serata era mite, anche se
faceva ancora troppo caldo per lei, abituata al clima di Glasgow. Nella borsa
aveva con sé anche la piccola Diana Mini, che, da brava lomographer, portava sempre con
sé. Aveva appena inserito un nuovo rullino; quello precedente era stato
terminato in diverse delle precedenti uscite con gli Shards. Le facce dei
quattro ragazzi erano impresse nella pellicola che avrebbe fatto sviluppare al
suo ritorno in Scozia. Trovava divertente come loro si fossero impossessati
della sua piccola lomo per fotografare quello che
incontravano nelle loro uscite nella Londra notturna. Avrebbe intitolato la
seconda metà di quel rullino Il mondo
visto dagli Shards. Rise da sola a quell’idea e si rimise in attesa,
sistemandosi un momento i collant che portava sotto gli shorts di jeans neri a
vita alta.
Dopo altri minuti d’attesa vide
sopraggiungere Ewan sulla sua bicicletta, che usava quasi sempre per muoversi in
città. Arrivò in fretta, scese agile dalla sella e salutò la ragazza, la quale
rispose allo stesso modo.
«Sai quando arrivano gli altri?» volle
informarsi Amelia.
«Non ci sono gli altri» le rispose il
cantante. Si avvicinò al palo di un segnale stradale e legò lì la bicicletta
con la catena. «Quando ti riaccompagno la recupero, così evito di portarmela in
giro tutta sera» continuò, sebbene lei non lo stesse ascoltando.
Sarebbero stati solo loro due e nessun
altro. D’improvviso la ragazza si sentì strana. Era già stata un sacco di volte
sola con il cantante, ma qualcosa, in quel momento, le diceva che era diverso.
Forse perché si era preparata a una serata per cinque e ora si ritrovava
catapultata in un appuntamento per due. E non si trattava di uno qualsiasi, ma
di Ewan, quel ragazzo con cui si sentiva sempre a proprio agio e con cui
parlare le risultava incredibilmente semplice. Non era pronta, ma una grande
parte di sé le disse che, pronta o meno che fosse, quella serata le avrebbe
riservato qualcosa di bello.
Approfittare di ogni occasione, questo
si era detta prima di partire da Glasgow ed era più che intenzionata a
mantenere fede al proprio proposito. Cacciò via l’ansia prima che questa
potesse palesarsi, ma lo stomaco le giocò comunque un brutto scherzo quando
incrociò lo sguardo di Ewan. Non aveva fatto caso al leggero rossore che gli
colorava le gote, di certo dovuto alla corsa in bicicletta, né al modo in cui i
suoi capelli avevano perso un po’ della loro piega caratteristica, ricadendo
appena sul viso del ragazzo. Lo trovò
naturale e bellissimo, un miscuglio perfetto di alcune delle qualità migliori
che potesse desiderare. Fu anche per quello che si sentì avvampare. Per sua
fortuna aveva il fondotinta.
«Dove si va?»
domandò poi, pensando bene di fare un po’ di conversazione, almeno per cercare
di scacciare la sensazione che l’aveva morsa alla bocca dello stomaco. Ewan si
infilò in tasca le chiavi della bicicletta e cercò di sistemarsi alla bell’e
meglio i capelli – gesto che non aiutò per niente Amelia.
«Vediamo un po’»
esordì, facendo mente locale. Guardò da una parte e poi dall’altra, ritrovando
nella sua cartina mentale la loro esatta collocazione. «Avviamoci di qua. Tu
devi cenare?»
La ragazza gli
si affiancò mentre rispondeva che, sì, doveva cenare e cominciava anche ad
avere un po’ di fame.
«Allora per di
qua, sì. Andiamo a caccia di cibo. »
Una delle cose
belle di Ewan era che, nonostante i soldi di cui certamente disponeva e il
ruolo che ricopriva, rimaneva un ragazzo alla buona, un po’ come
Amelia. Cenarono da KFC, una soluzione che soddisfò entrambi. Preferirono
mangiare pollo fritto da un cestello piuttosto che farselo servire su un piatto
da portata. Ewan trovava bello il fatto che Amelia fosse una ragazza di
così poche pretese. Non era una che si accontentava, semplicemente sapeva
apprezzare quello che aveva senza dover per forza cercare chissà che. Era anche
per quello che lui si trovava tanto bene in sua compagnia, perché sapeva che
non avrebbe dovuto inventare la serata del secolo per passare del tempo con lei
e godere della sua compagnia. Inoltre non si vergognava di mangiare pollo
fritto con le mani davanti al cantante della sua band preferita, cosa che le
conferì punti extra. Lo stesso valeva per Amelia, sempre felicemente sorpresa
di constatare, giorno dopo giorno, quando Ewan fosse spontaneo e lontano dai
cliché. Trascorsero più di un’ora in quel fast food e
gli argomenti di conversazione che toccarono furono i più svariati. Parlarono
di Glasgow, di Londra, di sport e di musica. Su quest’ultima, poi ci passarono
sopra la maggior parte del tempo, snocciolando nomi di band e concerti a cui
avevano preso parte. Il nome degli Shards comparve più volte, ma era chiaro,
per Ewan che la cosa non lo facesse sentire fuori posto.
Uscirono da KFC e
ripresero a camminare, diretti verso la zona di Kensington, con Amelia che
seguiva il ragazzo lungo strade che non conosceva ancora. Incontrarono diversi
pub e, sopraggiunti al terzo, Ewan pensò fosse un’ottima idea bere una birra,
proposta subito assecondata dalla ragazza. Il pub era affollato, ma i due
riuscirono comunque a trovare un paio di sgabelli vuoti vicini a un tavolo
alto. Si sistemarono lì e ordinarono una birra ciascuno. Amelia si guardò
intorno, notando che nessuno sembrava aver riconosciuto Ewan. Era già successo
più volte, quando lei era in compagnia dei ragazzi, che qualcuno li
riconoscesse e li avvicinasse per chiedere una foto, un autografo o anche solo
per fare un complimento e due chiacchiere. Le prime volte aveva provato
una sensazione straniante – sebbene avesse sempre compreso le motivazioni dei
fan – ma con il passare dei giorni aveva imparato a non fare caso alla cosa.
Quando quel genere di situazioni si verificavano, una parte di lei – quella più
nascosta e arrogante, che cercava di non mostrare mai – quasi gongolava nel
chiedersi cosa potessero pensare quei fan degli Shards di quell’unica ragazza
seduta al tavolo con loro. Non andava affatto fiera di quel pensiero, per tale
ragione cercava di non formularlo mai e, negli ultimi giorni, c’era anche
riuscita.
In quel pub
gremito, però, non dovette preoccuparsi di tenere a freno la propria mente. Il
tavolo a cui erano seduti era piuttosto riparato e non troppo vicino al
bancone, cosa che consentiva di non avere a che fare con i nuovi venuti.
Rimasero nel pub fino alla sua chiusura – all’incirca per un’ora e mezza. In
quel lasso di tempo, mentre Amelia beveva quasi centellinando la sua IPA, Ewan
bevve due birre, sentendosi sempre più di ottimo umore.
Quando uscirono
dal locale, che chiuse le porte dietro di loro, era chiaro che nessuno dei due
avesse voglia di rientrare.
«Che si fa ora,
guida?» domandò Amelia con fare scherzoso.
Il ragazzo ci
pensò un momento; dapprima si grattò il collo, poi infilò le mani in tasca e,
notando il contenuto di una di esse, gli venne l’illuminazione. «Hai mai girato
facendoti trasportare totalmente dalla musica?» chiese alla ragazza, senza
apparente motivo.
Lei, infatti,
sbatté perplessa gli occhi un paio di volte prima di rispondere: «Sì. Ascolto
sempre la musica quando vado in giro.»
«No,
intendo...lasciarti trasportare. Anche se quando giri per Glasgow ascolti la
musica comunque sia continui a pensare ai fatti tuoi. La musica ti fa da
contorno, da colonna sonora. Quello che dico io è: hai mai girato per la città
staccando la mente e lasciandoti trasportare solo dalle note?»
Lei ci pensò un
momento, arricciando le labbra. Fu chiaro, per Ewan, che se aveva bisogno di
rifletterci sopra era perché non l’aveva mai fatto.
«Il mondo cambia
del tutto» le disse poi, estraendo dalla tasca l’oggetto che gli aveva dato l’ispirazione
e mostrandolo ad Amelia.
«Un jack?»
domandò quest’ultima, senza capire bene dove volesse andare a parare lui.
«Un cavo splitter, per essere esatti» replicò subito Ewan, con fare
eccitato.
La ragazza capì
di cosa si stava parlando. Quell’oggettino all’apparenza insignificante dava la
possibilità di ascoltare la musica dallo stesso dispositivo con due paia di
cuffie, cosa che permetteva a due persone di utilizzare entrambi gli
auricolari, anziché uno solo con tutte le noie che ne derivavano di
conseguenza. Ewan lo portava spesso con sé; se fosse stato una donna, quello,
sarebbe stato uno degli oggetti immancabili nella sua borsetta.
«Perciò cosa
vorresti fare?» chiese la ragazza, che cominciava a sospettare qualcosa.
«Facciamo un
giro per la città ascoltando la musica. Ci lasciamo trasportare, vediamo cosa
succede. Credimi se ti dico che cambia tutto.»
Non che Amelia
fosse scettica riguardo alla sua idea, si chiese solo se avrebbe funzionato.
Tuttavia l’energia del ragazzo le fece venire voglia di assecondarlo come poche
altre cose.
«D’accordo.»
Lui sorrise. «Ottimo.
Da che playlist iniziamo? La tua o la mia?»
Lei si strinse
nelle spalle. «Beh, nella mia praticamente ci siete quasi solo voi Shards»
ammise, il che era vero dato che i tre album del gruppo vi erano tutti.
Ewan non fece
una piega. «Ok, usiamo il mio telefono» concluse, facendo ridere Amelia.
Estrasse di tasca il proprio smartphone e un paio di cuffie tutte
aggrovigliate. Guardò la ragazza e lei intuì che avrebbe dovuto estrarre anche
i suoi auricolari. Per sua fortuna li trovò quasi subito, mentre ancora Ewan
era intento a districare i suoi. «Ci sono quasi» le disse.
Quando entrambi
ebbero in mano il necessario, il ragazzo si guardò un momento intorno, facendo
mente locale rispetto al posto in cui si trovavano. «Manca solo una cosa»
disse.
Con “cosa”,
intendeva una birra. Si diresse verso un piccolo negozio di alimentari, aperto
fino a notte fonda. Era sovraccarico di prodotti e sembrava uscito da una serie
tv americana. Anche a Glasgow ce n’erano, ma decisamente meno caotici di quelli
londinesi. Mentre Amelia seguiva Ewan per gli strettissimi corridoi, facendo
attenzione a non far cadere alcuna delle confezioni colorate, quasi si sentì
soffocare da quel silenzio, interrotto solo dal ronzio dei frigoriferi e dei
neon. Il cantante si fermò davanti a uno di quei frigo, carico di bottiglie di
birra.
«Vuoi qualcosa?»
domandò prima di prendere da bere.
«No grazie, ho
già bevuto» rispose la ragazza.
«Cosa? Una sola
birra» ridacchiò lui, alludendo a quella che aveva preso Amelia nel pub. «Non
sei una vera scozzese allora» scherzò.
Lei si finse
offesa, ma non riuscì a trattenersi dal sorridere.
«Vorrà dire che
divideremo questa» concluse Ewan. Afferrò una bottiglia da 0,66 lt. e si avviò
per andare a pagarla. La birra venne infilata dal negoziante nell’immancabile
sacchetto di carta marrone e, con il nuovo acquisto, i due ragazzi uscirono.
In strada il
cantante aprì la bottiglia con le chiavi, offrendo il primo sorso ad Amelia. In
quel momento le fu chiaro, come mai prima di allora, che il successo non aveva
affatto gonfiato l’ego di quel ragazzo se ancora si concedeva di condividere
una birra per strada a quel modo. Dopo che anche lui ebbe bevuto, allungò il
proprio smartphone alla ragazza.
«Cosa dovrei
farci?» chiese lei, dubbiosa.
«Scegli le
canzoni. Funziona così: tu scegli dalla mia playlist
e io dalla tua.»
Amelia accettò l’invito
e iniziò a scorrere le canzoni del ragazzo. Inutile dire che non vi era traccia
degli Shards – lei stessa lo avrebbe trovato un po’ strano – ma c’erano diversi
brani che conosceva e amava. Musicalmente avevano gusti abbastanza simili,
sebbene fosse chiaro che la conoscenza musicale del cantante fosse più vasta.
Scorse titoli e artisti, finché lesse il nome di una delle sue band preferite.
«Mio Dio, hai i The Vaccines» esclamò e premette play
su I can’tquit
prima che Ewan potesse replicare.
Quando la
traccia partì entrambi inforcarono i rispettivi auricolari e si avviarono,
Amelia al seguito del cantante. Per un primo momento la ragazza si sentì
strana; perché era straniante l’effetto che faceva camminare accanto al suo
cantante preferito e ascoltare canzoni di altri nella Londra della sera.
Tuttavia si lasciò andare in fretta. Appena si concentrò solo sulla musica capì
che Ewan aveva ragione. Farsi trascinare dalle note portava a guardare le cose
di tutti i giorni con occhio diverso. Seguì Ewan una via dopo l’altra, notando
che anche lui si stava divertendo. Rideva, ballava e guardava Amelia con fare
complice e di lode a ogni canzone nuova che la ragazza sceglieva. Anche lei si
stava divertendo molto, l’unica differenza era che rispetto a Ewan non ballava
affatto; Amelia non era una di quelle che ballavano. Amava la musica più di
ogni altra cosa e spesso sentiva che le note le stavano salvando la vita, ma
non ballava, se non in rare occasioni: ai concerti e quando ascoltava gli
Shards – ,a solo quando era a casa da sola. Tuttavia a Ewan sembrava non
importare il fatto che lei non si stesse facendo trascinare allo stesso modo in
cui faceva lui, perché era chiaro che, nonostante tutto, anche la ragazza si
stava divertendo. Camminarono a lungo, ormai assorbiti dall’atmosfera che loro
stessi si stavano creando e che mutava a ogni canzone. Incontrarono persone che
li guardavano perplessi alle volte, non capendo cosa stava avvenendo, finirono
la birra – Ewan ne bevve più di Amelia – e continuarono a camminare mentre la
ragazza scattava qualche fotografia con la piccola Diana Mini, ispirata dalle
note che le riempivano la testa.
La ragazza aveva
da poco scelto Autopilotdei Kodaline,
vedendo un parco che faceva capolino fra due case e
sentendo l’ispirazione per quella traccia, quando la musica si fermò di colpo
e, con essa, i due ragazzi. Dapprima si guardarono fra loro, dopodiché Amelia
controllò lo smartphone e capì subito cos’era successo.
Ewan le si
avvicinò. «Ah. È morto» sentenziò.
“Morto” non era proprio
il termine più consono, si era solo scaricato. La ragazza pensò di proporre al
cantante di usare la sua playlist; giunta a quel
punto non aveva senso non farlo, oltretutto si stava divertendo molto. Tuttavia
pensò prima di chiedere al cantante la sua opinione.
«È l’una
passata» disse quest’ultimo dopo aver controllato l’orologio.
«Cosa?» esclamò
lei, sbigottita. Avevano camminato ascoltando musica, scattando foto e ballando
– almeno, Ewan aveva ballato – per quasi due ore: tutto ciò aveva dell’incredibile.
Amelia non si era per niente resa conto del trascorrere delle ore e rimase
sorpresa nel constatare come, anche solo ascoltare musica e camminare accanto a
quel ragazzo, facesse scivolare via il tempo senza quasi sentirlo scorrere.
Controllò l’orario
anche lei, quasi non credesse a quanto le era appena stato detto e si sorprese
nel constatare che lui non la stava prendendo in giro. Si guardarono e, nessuno
dei due seppe dire perché, scoppiarono a ridere. Fu quasi una
risata liberatoria, disinibita, forse il giusto coronamento di una serata
davvero piacevole e divertente. Amelia restituì lo smartphone al legittimo
proprietario e si legò i capelli in un’alta coda di cavallo.
Rimasero in
silenzio per un lungo momento, infine il cantante le disse: «Ti riaccompagno.
Siamo un po’ lontani da St. PetersburghPl., credo ci vorrà almeno un quarto d’ora.»
Si
incamminarono, tornando indietro per la strada che avevano imboccato solo pochi
minuti prima che il cellulare di Ewan si ammutinasse. Pur essendo stati insieme
tutta sera avevano ancora argomenti di cui parlare. Il cantante sembrava
felicissimo e certo l’alcol che aveva in corpo lo stava aiutando a mantenere il
suo umore elevato. Anche Amelia, a ogni modo, era contenta, soprattutto di aver
passato una così bella serata in compagnia di quel ragazzo di cui, ormai,
apprezzava la vera personalità e non tanto quella che lei aveva idealizzato
attraverso interviste o concerti – nonostante non fosse poi tanto distante da
quello reale.
«Domani mattina
proviamo» le disse il ragazzo appena svoltarono in St. PetersburghPl. «Vuoi venire? Ci sono anche i ragazzi questa
volta.»
«Sicuro che vi
convenga avere una fan alle prove? Vedrei tutti i vostri errori» scherzò lei.
Il cantante si
strinse nelle spalle. «Come se il nostro profilo Instagram
non fosse pieno di figuracce» disse, schioccando la lingua. «Possiamo andare
avanti con le grafiche. Magari riusciamo a coinvolgere anche gli altri, questa
volta.»
«Come mai non
vogliono partecipare?»
«Oh, non c’è un
vero motivo. Mi considerano quello creativo e lasciano a me tutta quella fase.
Nel processo di scrittura di una canzone invece sono molto partecipi. Ammetto
che mi va bene così. Adoro lavorare alle grafiche di merchandising, album e
tournée.»
«Ho capito. Beh,
comunque vengo volentieri domani. A che ora?» rispose infine la ragazza, che
pensò che quella potesse essere un’altra occasione imperdibile. Si segnò
mentalmente di portare la sua Diana Mini, già convinta che avrebbe potuto avere
a disposizione alcuni scatti incredibili.
«Direi alle
dieci. Non siamo molto mattutini. La sala prove è in Shaftesbury
Ave. Di fronte a Starbucks. Possiamo trovarci lì davanti.»
Per un breve
istante ad Amelia parve che il cantante fosse quasi in imbarazzo, ma era
piuttosto certa di aver intuito male perché riprese a parlare con il suo solito
piglio disinvolto. Tuttavia la nuova, possibile, conversazione fra i due non
durò a lungo. Il palazzo in cui alloggiava la ragazza comparve lungo la via,
così come la bicicletta di Ewan, ancora al suo posto, legata al palo. Si
zittirono entrambi a quella vista, come se nessuno avesse voglia di separarsi
dall’altro. In effetti ad Amelia l’idea non andava molto a genio, così come al
ragazzo, così abituato a fare le ore piccole da non avere alcuna voglia di rientrare
a casa per andare a dormire.
Mentre si
avvicinavano all’ingresso del condominio, Amelia estrasse le chiavi della sua
temporanea casa londinese, pensando a qualcosa da dire. Avrebbe rivisto Ewan –
e il resto degli Shards – solo poche ore dopo, eppure le sembrava di doverlo
salutare per l’ultima volta, tanto era intenzionata a trovare le parole
migliori da pronunciare. Si fermarono davanti alla porta e lei si voltò verso
di lui, trovandoselo di fronte. Ogni volta che doveva guardarlo negli occhi si
sorprendeva del fatto che fosse tanto alto, sebbene lei non superasse di molto
il metro e sessanta.
«Grazie per la
serata. Ammetto che non pensavo fosse così divertente girare per la città
lasciandosi avvolgere dalla musica.»
«Che ti dicevo?»
sorrise lui, apparendo estasiato dalla notizia. «Ha un altro aspetto. Vedrai
che anche le foto che hai fatto non ti sembreranno le stesse.»
«Cercherò di
ricordarmi quali erano, allora» disse Amelia, provando a fare mente locale. Era
così presa dalla musica che non si ricordava neanche cosa e dove avesse fotografato.
Era stata totalmente avvolta dall’atmosfera che lei e Ewan si erano creati.
Dentro di sé sapeva che se avesse fatto quell’esperimento con qualcun altro che
non fosse stato il cantante, il risultato non avrebbe mai potuto essere lo
stesso. Forse tendeva ancora a idealizzarlo, ma trovava che lui fosse unico.
«Da dove ti è
uscita l’idea?» volle sapere poi, sistemandosi meglio la
borsa in spalla. Cominciava a sentire la stanchezza avanzare, ma voleva ancora
trascorrere qualche minuto con il ragazzo, al punto di non volerne sapere di
salutarlo e basta.
«Ammetto che non
è stata una mia idea» rispose lui dopo una leggera smorfia. «L’ho copiata da un
film con Mark Ruffalo. Giuro che non ricordo il
titolo.»
«Beh, però mi hai
detto l’attore, è già qualcosa. Tanto Mark Ruffalo ha
fatto solo tre film» replicò pronta lei, dando fondo a una buona dose del suo
sarcasmo.
Ewan scoppiò a
ridere e lei sentì di essere riuscita nel suo intento. Adorava la risata del
ragazzo, era così fresca e piena di vita; perfetta, come lui. Scacciò quel
pensiero in fretta appena si rese conto che stava arrossendo.
«Sono una frana
con i titoli» disse Ewan appena ebbe smesso di ridere. «Se mi viene in mente te
lo dico. È un film molto carino, dopotutto.»
Amelia annuì,
senza sapere cos’altro dire. Sperò che qualcosa le venisse in mente in fretta,
ma non fu così.
«Ti lascio
andare a dormire adesso. Direi di averti rubato anche troppo tempo per questa
sera.»
«Rubat–no» esclamò lei, sorpresa da quella frase. «Mi sono
divertita, dico davvero.»
Ewan sorrise,
annuendo con il capo ma senza aggiungere altro. Si guardarono e Amelia si
chiese se lui le fosse stato tanto vicino anche prima; le sarebbe bastato
alzare una mano per posarla sul petto del cantante. Cominciò a sentire il cuore
che accelerava i battiti e si sentì in imbarazzo. Stava succedendo qualcosa,
qualcosa che non riusciva ad afferrare ma che li stava coinvolgendo lì, in quel
momento, davanti alla porta di casa. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo ma
non ci riusciva; gli occhi di Ewan erano magnetici per lei, ci si sentiva
incatenata, senza via di scampo e anche lui sembrava intenzionato a non voler
perdere il contatto visivo con la ragazza. Quest’ultima si morse appena il
labbro inferiore, un gesto che compiva involontariamente quando era agitata,
nervosa o imbarazzata, e qualcosa nel cantante scattò.
Baciò Amelia. Lo
fece senza pensarci, senza chiedersi se fosse la cosa giusta o meno; sentiva
solo di volerlo fare e di volerlo fare da un po’. Lei spalancò gli occhi,
sentendo le gambe cedere sotto il suo stesso peso. Il battito del cuore era
quasi assordante per quanto forte e una sensazione di calore la riempì. Venne
invasa dal profumo del ragazzo, sentì il suo respiro, il suo sapore.
Stava accadendo
realmente? Ewan la stava davvero baciando? Lui, un ragazzo a cui non avrebbe
mai pensato di poter aspirare le aveva appena fatto trascorrere una splendida
serata e ora la stava salutando a quel modo. Pensò che l’alcol fosse stato il
miglior complice per quel gesto, ma decise che avrebbe riflettuto in un altro
momento sulla faccenda. Con tutta probabilità ora avrebbe potuto morire felice.
Quel bacio non durò a lungo; fu semplice, leggero, ma per Amelia sembrava che
fosse stato strappato via da un sogno per esserle regalato.
Quando Ewan si
separò da lei le sorrise. Per la prima volta in quella sera non sapeva bene
cosa dire. «Ok, ehm...buonanotte allora» balbettò infine, mettendo in mostra
quella parte di sé che continuava ancora a farlo sentire impreparato sul
palcoscenico.
Anche la ragazza
faticò a trovare le parole, ma pensò che la sua temporanea incapacità nel
formulare frasi di senso compiuto fosse più che perdonabile. «A domani»
disse infine, augurando buonanotte a sua volta.
Cercò la chiave
per aprire la porta, facendo il possibile per nascondere il lieve tremore che
aveva alle mani, dovuto all’emozione. Quando tornò a sollevare lo sguardo sul
ragazzo si sentì più imbarazzata che mai, ma anche tremendamente felice; perché
era felicità quella che aveva dentro di sé, pura, semplice e calda. Si
sussurrarono un ultimo “ciao” dopodiché Amelia entrò, mentre Ewan si girava per
tornare alla sua bicicletta. A metà della rampa di scale la ragazza non riuscì
più ad andare avanti. Si bloccò, una mano sul petto, un sorriso sconfinato in
volto. Scivolo con la schiena lungo la parete fino a sedersi a terra, facendo
del suo meglio per non gridare. Strinse le ginocchia al petto, vi posò sopra la
fronte e si mise a ridere. Era al settimo cielo, come non si sentiva da molto,
troppo, tempo.
“Butonedayyouasked
for a differentsong|Onethat I just couldn’tsing|I got the melodysharp and the wordsallwrong”
Passenger. Beautiful Birds
Starbucks coffee, Shaftesbury
Ave., Londra, 7 settembre
Ore 9:45 AM
Mancavano ancora quindici minuti all’appuntamento con
gli Shards. Amelia aveva pensato di arrivare prima – molto prima – per evitare
di fare brutte figure. Non conoscendo Londra non era così sicura di riuscire a
trovare subito quel posto, dovendo destreggiarsi fra fermate metropolitane, vie
e laterali, invece era riuscita ad arrivare senza incontrare troppi problemi e
con parecchio anticipo sull’orario previsto. Per sua fortuna, però,
proprio di fronte all’edificio in cui di trovava la sala prove degli Shards c’era
un caffè Starbucks, uno delle decine di locali della catena che tempestavano la
città. Ci si era chiusa dentro, ordinando un mocaccino, e aveva individuato un
tavolino perfetto, proprio di fronte alla vetrata, che le consentiva di tenere
sott’occhio la situazione in strada. Se Ewan – o qualcuno degli altri ragazzi –
fosse arrivato, lei lo avrebbe visto di sicuro. In quel lasso di tempo aveva
deciso di mettersi a lavorare, così aveva estratto il portatile dalla borsa –
poiché lo portava quasi sempre con sé in quel periodo – e approfittando della
confessione Wi-Fi del locale aveva iniziato a lavorare a qualche nuova tavola, sistemando
le grafiche di cui aveva discusso solo due giorni prima con Ewan.
Il pensiero del
ragazzo era ormai qualcosa di fisso nella sua mente. Quella notte si era
addormentata con una felicità addosso che non provava più da tempo al pensiero
della serata che aveva trascorso con il ragazzo e al bacio conclusivo che si
erano scambiati. Ancora stentava a credere che fosse avvenuto tutto davvero, al
punto che quella mattina il suo umore era cambiato. Non era più incredula ed
emozionata, ma si sentiva insicura. C’era una parte di sé, quella che emergeva
sempre con forza in simili momenti, che sembrava intenzionata a non voler
lasciare che si creasse aspettative. Quella metà della sua personalità le
considerava solo illusioni e voleva evitarle più di ogni altra cosa, perché
spezzavano solo il cuore. Così facendo la ragazza
era di nuovo alle prese con le sue insicurezze più grandi, i dubbi, le domande.
Non le piaceva stare in quello stato, perché spesso si ripercuoteva anche su
tutto il resto. Spesso trovava complicato essere sé.
Si ripeté nella testa di
smetterla di riesaminare sotto tutti i punti di vista possibili quanto era
successo con Ewan. Da quando si era svegliata quella mattina aveva pensato a
ogni tipo di scenario possibile sul loro primo incontro quel giorno. Si era
detta che se lui l’aveva baciata era perché comunque le piaceva – anche se non
aveva osato indagare quanto e come – e subito dopo si era anche detta che lui,
dopotutto, la sera prima aveva bevuto. L’alcol forse lo aveva spinto a compiere
quel gesto; forse se non avesse toccato nemmeno una birra tutto ciò non sarebbe
successo. Era quell’ultimo il pensiero che più le rimbalzava in testa,
scatenando tutte le sue insicurezze più caratteristiche.
Cominciava a sentirsi in
ansia per il momento in cui avrebbe incrociato lo sguardo di Ewan, quei suoi
occhi blu che sembravano sempre in grado di farle provare sensazioni infinite.
In un modo o nell’altro qualcosa avrebbe capito e avrebbe fatto almeno un po’
di chiarezza dentro di sé, scacciando quel caos che ormai l’attanagliava. Era
solo questione di tempo.
Tornò a concentrarsi sul
lavoro, tendendo l’orecchio quando si accorse che alla radio stava passando Beautiful
Birds di Passenger.
Riprese a disegnare linee sulla tavoletta grafica, il programma di elaborazione
digitale aperto sul portatile. Si stava esternando dal locale, si stava per
dimenticare di Ewan e di quanto era avvenuto solo poche ore prima, quando fu
riportata alla realtà.
«Vedo che
hai trovato il mio Starbucks preferito.»
Amelia alzò gli
occhi sul nuovo arrivato: Chase. Pensò a quanto appena detto dal ragazzo,
dopodiché spostò lo sguardo sulla vetrata del locale – e su quello che vi stava
oltre – infine tornò a guardare il batterista. «Perché è di
fronte alla vostra sala prove, vero?»
Lui incassò il
colpo e si sedette. «Sì» borbottò. «Ma anche perché hanno un ottimo caffè» proseguì,
posando la bevanda calda sul tavolino, vicino al bicchiere di Amelia.
Nella mente
della ragazza balenò d’improvviso un dubbio e si chiese se Ewan avesse detto ai
suoi amici del fatto che la sera prima si erano baciati. Si sarebbe sentita
davvero a disagio alle prese con tutti e quattro in una stanza sola, in tal
caso. Per sua fortuna quel pensiero scomparve con la stessa rapidità con cui si
era presentato e la ragazza poté concentrarsi su Chase, il quale riprese a
parlare. «Sei con noi questa mattina?»
Lei annuì. «Mi ha
inviata Ewan.» Non le serviva una giustificazione, in realtà, ma
sentiva di doverla agli altri tre membri degli Shards; dopotutto sarebbe stata
presente proprio alle prove, non era tanto sicura del fatto che a loro la cosa
non creasse disturbo. Tuttavia Chase, come sembrava sempre capace di fare,
spazzò via quel dubbio. «Bene. Ci sarà da divertirsi» esclamò,
per poi bere un sorso del suo caffè. «Come procede il lavoro?»
Il repentino
cambio di argomento colse Amelia impreparata, ma non più del dovuto. Aveva la
bozza di una nuova grafica proprio sotto gli occhi. Ruotò il portatile in
direzione di Chase. «Questa è la bozza per SmokeApart.»
Il ragazzo
osservò lo schermo, ma gli risultò piuttosto difficoltoso riuscire a
interpretare qualcosa di sensato in quel miscuglio di linee digitali. Gli
sembrava solo di vedere una figura femminile cadere nel vuoto, il vestito
gonfio. «Non è che
si capisca poi così tanto» sentenziò.
Amelia si scusò.
Dimenticava sempre che le sue prime bozze erano solo un ammasso caotico per gli
altri, mentre per lei erano la base di qualcosa impresso a fuoco nella sua
testa. Aprì la cartella con alcuni dei file più completi e diede il tempo a
Chase di guardarli. Dall’espressione che si disegnò sul suo volto la ragazza
poté intuire che i lavori gli piacevano. Il batterista, infatti, stava pensando
che Ewan ci avesse proprio visto giusto a scegliere Amelia. Quella ragazza le
piaceva ed era anche un’ottima artista. «Complimenti» le disse, regalandole uno dei suoi sorrisi migliori.
Lei lo ringraziò e riprese il portatile.
«Tu e Ewan siete un’ottima coppia. Mi sembra che lavoriate
bene insieme.»
Amelia alzò di
scatto gli occhi su di lui. Nella voce di Chase non c’era alcuna nota sospetta;
non stava ammiccando, non stava facendo allusioni, niente del genere. La sua era
stata una semplice osservazione. Eppure la ragazza non aveva potuto fare a meno
di ripetere fra se quel “siete un’ottima coppia” come se volesse dire ben altra
cosa. Le venne inevitabile chiedersi se Ewan avesse detto ai propri amici della
sera precedente, se avesse detto loro qualcosa su di lei, qualcosa che avrebbe
voluto sapere, che bramava di conoscere.
Dall’ingresso
della caffetteria fece la sua comparsa Trent. Il chitarrista puntò dritto verso
il tavolo a cui sedevano Amelia e Chase.
«Oh, ehi bello» lo salutò quest’ultimo appena lo vide.
L’altro rispose
al saluto, dopodiché spostò la sua attenzione su Amelia.
«Linton» disse lei.
«Camp–» esordì lui, ma ci rinunciò subito. Gli sembrava
stupido chiamarla per cognome. Sbuffò un po’ d’aria prima di afferrare lo
schienale della sedia e sistemarcisi. «Amelia» la salutò infine.
Chase gli
allungò il suo caffè e lui ne bevve un po’.
«Ho visto le grafiche» annunciò il
batterista, lanciando uno sguardo d’intesa ad Amelia, alla quale lei non capì
di dover rispondere.
«Ewan mi ha detto che sono eccellenti. È molto contento» rispose
Trent.
La ragazza si
morse appena il labbro inferiore, ma riuscì a nascondere il gesto grazie alla
penna della tavoletta grafica, che stava tenendo posata sulla bocca. Iniziava a
sentirsi nervosa. Mancava sempre meno alle prove degli Shards, al momento in
cui avrebbe rivisto il cantante. Solo quello bastava a innervosirla, se poi si
considerava il fatto che lei – e i suoi lavori – erano stati più volte
argomento di conversazione fra i membri della band, era chiaro che si agitasse ancora
di più. Fece del suo meglio per non pensarci, per rimanere concentrata sui
due ragazzi che aveva davanti. Bevve un po’ del suo mocaccino e ringraziò
mentalmente Chase quando questi iniziò a parlare. Il tempo, però, scorreva. Amelia
spense il portatile quando capì che non sarebbe più riuscita a produrre
nemmeno un nuovo puntino vista la presenza dei due ragazzi e si concentrò su di
loro.
Chris fu il terzo ad
arrivare. Comparve dall’ingresso del locale, ordinò un cappuccino al volo e
raggiunse gli altri, rimanendo fermo in piedi accanto al tavolo. Erano le
dieci spaccate.
«L’ometto non è ancora
arrivato?» chiese.
Amelia dedusse che “l’ometto”
non poteva che essere Ewan.
«Indovina» disse piatto
Trent.
Il cantante degli Shards non
spiccava per puntualità. In sole due settimane la ragazza aveva potuto capirlo
alla perfezione. Per sua fortuna – o sfortuna, in base al punto di vista – lei
era abituata ai ritardatari, soprattutto perché anche Pani faceva parte di quel
club esclusivo.
«Cos’avete combinato ieri
sera, Ami?» le chiese Chris. Aveva iniziato a chiamarla così da
qualche giorno, più o meno da quando aveva capito che i suoi modi di fare
irriverenti non rappresentavano un problema per la giovane.
A quella domanda Amelia si
bloccò, sentendosi osservata da tutti i presenti. Cosa aveva detto a loro Ewan?
Si morse di nuovo il labbro inferiore, sapeva che questa volta il gesto non
sarebbe passato inosservato, ma non riuscì a trattenersi. Si disse di stare
calma e riuscì a esibirsi in una smorfia convincente, con tanto di alzata di
spalle. «Siamo usciti» si limitò a dire. «Voi perché non siete
venuti?» aggiunse sollevando un sopracciglio con fare ammiccante, cercando
di deviare un po’ il dialogo.
I tre si scambiarono un’occhiata,
in cui Amelia pensò di notare qualcosa di non detto.
«Mi sembrava di avertelo già
detto» rispose Trent, alzandosi dalla sedia. «Noi abbiamo una vita
sentimentale.»
«È proprio a questo che
alludevo» replicò prontamente la ragazza, arricciando le labbra.
Chase scoppiò subito a
ridere, seguito da Chris. Trent, invece, si limitò a un’espressione di lieve
ammirazione, un sorriso accennato a illuminargli il viso. «Forza,
andiamo» disse poi, avviandosi verso l’uscita.
Amelia seguì i tre, lanciando
fra sé un invisibile sospiro di sollievo per essere riuscita a ritardare
un altro po’ l’argomento relativo alla sua uscita con Ewan. Era convinta che i
tre Shards sapessero qualcosa e ciò la innervosiva. Cominciò a pensare che
avrebbe fatto meglio a rimanere a casa, oppure a chiudersi in una caffetteria e
a continuare i suoi lavori anziché accettare l’invito del cantante, ma ormai
era troppo tardi per tirarsi indietro. Seguì i ragazzi all’interno dell’edificio
in cui si trovava la loro sala prove e scoprì con sua grande sorpresa che si
trattava di un locale interrato, dalle cui finestrelle si potevano intravedere
solo i piedi delle persone che passeggiavano sul marciapiede. Era una sala
prove non tanto grande, dal pavimento di parquet e dalle pareti tappezzate di
pannelli insonorizzanti – a loro volta ricoperti di poster o bandiere. Gli
strumenti musicali erano disposti in cerchio e si affacciavano tutti verso un’asta
da microfono, ferma al centro della stanza. Un divano in ecopelle nera era
addossato alla parete di fondo, vicino a un tavolino con sedie, mixer, computer
e un frigo.
«Benvenuta nella
tana» disse Chase quando superò Amelia, la quale si era fermata sulla
soglia della porta per studiare a modo il luogo in cui la sua band preferita
trascorreva le ore più creative. Era semplice e accogliente, rispecchiava
benissimo i quattro ragazzi che lì erano soliti provare.
Chris invitò la ragazza a
sedersi sul divano e lei eseguì, accoccolandocisi sopra dopo essersi sfilata le
Vans nere. Era eccitata all’idea che, a breve,
avrebbe assistito a una specie di concerto privato degli Shards.
«Vi dispiace se mentre
suonate io lavoro?» domandò ai ragazzi appena si fu sistemata con accanto la
propria borsa.
I tre non capirono subito,
ma se avessero conosciuto un po’ meglio Amelia avrebbero capito il perché della
sua domanda. Lei, molto spesso, disegnava seguendo il filo dei suoi pensieri;
altre volte, invece, si lasciava trasportare dalla musica. Prendeva una matita
e abbozzava ciò che le note le suggerivano sul suo taccuino e quando trovava un
lavoro che la soddisfaceva, ricopiava tutto su tavoletta grafica e pc.
«Magari trovo l’ispirazione
per qualche nuova tavola» aggiunse, davanti all’assenza di risposte da
parte degli altri. Loro si esibirono in una serie di “oh” e “ah”, infine
diedero il via libera alla ragazza, dicendole che se riusciva a trovare un’idea
in mezzo al caos che, di solito, erano le loro prove era più che gradito il suo
voler seguire l’ispirazione. Lei li ringraziò, estrasse il pc e lo accese di
nuovo, mentre Chris prese a suonare qualcosa sulla sua tastiera per riempire un
po’ l’aria. Nessuno di loro sembrava infastidito dal ritardo del cantante,
chiaro segnale del fatto che fosse una cosa frequente – e anche del fatto che
gli volessero davvero bene.
Trent diede un’occhiata ai
lavori di Amelia, almeno a quelli conclusi e si complimentò con lei per le
sue capacità, dicendole anche che era quello ciò che si aspettava dalle idee
che Ewan aveva avuto riguardo le grafiche nuove. Quasi lo avesse chiamato, il
cantante entrò dalla porta trafelato, sollevando gli occhiali da sole.
«Scusate» disse e si
tolse lo zaino di spalla.
Amelia pensò che l’essere
sempre in ritardo gli donasse. Sembrava il solo a cui il rossore delle
gote conferisse un fascino irresistibile, il solo a cui i capelli dalla
piega rovinata stessero bene. Proprio come la sera precedente, al momento del
suo arrivo, trovò che la semplicità e la bellezza di Ewan erano disarmanti. Il
suo cuore accelerò di colpo quando fece vagare lo sguardo sul suo viso,
soffermandosi sulle labbra; la stessa bocca che ricamava i testi delle sue
canzoni preferite, la stessa che la sera prima si era posata sulla
sua. Stava arrossendo, se lo sentiva e nella stanza c’era un tale e
inaspettato silenzio che si sorprese che nessuno sentisse il cuore che
continuava a batterle contro lo sterno.
Incrociò lo sguardo di Ewan
e lui le sorrise. «Ehi» la salutò.
Anche lei salutò, ma dopo
non avvenne altro. Il cantante venne rimproverato in modo amichevole
dagli amici un paio di volte – cosa che sembrava essere normale routine –
dopodiché chiese se erano pronti o meno per iniziare a provare. Suonarono
diversi pezzi e per Amelia fu incredibile poter assistere a tutto ciò. Sentire
Ewan cantare dal vivo era sempre una sensazione unica per lei, come se ogni
volta fosse la prima. Passò all’incirca un’ora e lei ebbe modo di vedere come i
quattro si rapportavano in sala prove. Alle volte si interrompevano nel bel
mezzo di un pezzo, altre sbagliavano, scoppiando a ridere e riprendendo.
Fra una canzone e l’altra si perdevano in chiacchiere di qualsiasi genere,
dalle scalette per un live o da un avvenimento che li aveva visti coinvolti in
una qualche tournée e a cui avevano legato una determinata canzone.
Amelia riuscì ad abbozzare
qualcosa, ma niente di eccezionale. Veniva coinvolta dai quattro, che
scherzavano con lei e le chiedevano quali canzoni avrebbe voluto ascoltare, o
quali consigliava loro di mettere nelle prossime scalette. Nonostante
tutto, però, la ragazza non riusciva a reprimere il pensiero della sera
precedente. Si chiese cosa avesse intenzione di fare Ewan, per quale motivo,
anche durante le pause che si prendevano di tanto in tanto, non sembrasse
interessato a dedicarle più attenzioni del solito. Le sorrideva e la coinvolgeva,
ma allo stesso modo in cui aveva sempre fatto. Cominciò a sentirsi a disagio e
dispiaciuta. Non sapeva cosa si sarebbe dovuta aspettare da quel loro incontro,
ma era innegabile che quello che stava succedendo non era ciò in cui aveva
sperato. Si era convinta del fatto che avrebbero affrontato la questione ed era
proprio quel pensiero ciò che l’aveva terrorizzata più di qualunque altra cosa.
Invece sembrava quasi che per lui non fosse accaduto niente, che il bacio
che le aveva dato fosse stato quasi un saluto come un altro. Quel pensiero si
fece strada nella mente di Amelia seguito da un altro. Ewan, dopotutto, la sera
prima aveva bevuto. Forse a lui risultava semplice compiere e dimenticare quei
gesti sotto l’influsso dell’alcol; forse era stato solo mosso da uno stimolo e
non da qualcosa di più. La ragazza venne pervasa da una spiacevole sensazione e
quella si intensificò all’improvviso quando gli Shards decisero di
provare Penelope, la canzone che il cantante aveva scritto anche
grazie al disegnino che lei gli aveva fatto trovare in tasca; la stessa canzone
che, a Glasgow, le era stata dedicata. Come fantasmi Amelia sentì riaffiorarle
alla mente situazioni del passato molto simili a quella. Situazioni in cui
si era creata aspettative e illusioni e che erano, tutte, crollate. Abbassò lo
sguardo, un nodo in gola per l’andamento che aveva preso la mattinata.
Aveva sperato in un chiarimento con Ewan e invece non era avvenuto nulla del
genere. Sembrava quasi che per lui non fosse successo niente, che quella che
aveva davanti fosse solo Amelia, la ragazza che aveva imparato a conoscere e
con la quale passava il tempo per lavorare alle grafiche nuove e parlare di
musica, cinema e viaggi quando staccavano un po’. Lei, invece, si era aspettata
qualcosa di diverso; aveva sperato di sentirlo chiederle di parlare di cosa era
successo fra loro, cosa avrebbe voluto fare lei a riguardo. Non era successo
niente del genere e la ragazza si sentì d’improvviso una stupida per aver
creduto che Ewan Cassian Hill, cantante degli Shards, potesse provare un simile
interesse per lei.
Chiuse lo schermo del
portatile senza neanche darsi la pena di spegnerlo prima, le parole della
canzone, unite alla voce di Ewan a riempirle la testa. Si costrinse ad
apparire impassibile o, perlomeno, non turbata da quanto aveva preso ad
affollarle la mente. Quando la canzone finì, Amelia aveva già riposto le sue
cose nella borsa. Era da poco passato mezzogiorno e lei si alzò in piedi.
«Ragazzi» chiamò. Tutti
si voltarono verso di lei, già pronta per andare. «Scusate ma io
andrei» disse.
«Già? Sei sicura? Potremmo
pranzare tutti insieme.» Chase diede voce al pensiero di tutti i presenti,
specie quello di Ewan, che si era bloccato, microfono alla mano, a guardare la
ragazza.
Quest’ultima, come faceva
spesso quando era nervosa, cominciò a tormentare una ciocca di capelli, facendo
il possibile per far apparire quel gesto fluido e naturale. «Mi spiace. È che
ho prenotato una visita guidata al Science Museum e
visto che devo ancora capire come ci si arriva mi conviene muovermi.» Si
inventò di sana pianta quell’appuntamento, ringraziando di aver letto solo il
mattino precedente il fatto che il museo organizzasse quelle visite.
«Beh, ti possiamo
accompagnare noi» propose Chris.
Lei scosse la
testa. «No, non voglio disturbarvi. Siete già fin troppo gentili con me.
Sorridete» aggiunse, estraendo la sua lomo. I
quattro non capirono subito e furono le loro espressioni perplesse quelle che
andarono a imprimersi sulla pellicola della piccola macchina fotografica.
Amelia scoppiò a ridere vedendo le loro facce e pensò che quello potesse essere
un ottimo modo per uscire di scena. Aveva bisogno di stare un po’ da
sola, cercare di schiarirsi le idee e fare mente locale sulla sua
situazione. Al tempo stesso, però, non voleva far capire ai ragazzi che si era
rattristata a stare insieme a loro – anche se era meglio dire insieme al
cantante.
«Sei davvero
sicura?» la incalzò Trent.
Lei annuì con convinzione,
chiedendosi perché stessero cercando tutti di trattenerla tranne Ewan, l’unico
a cui avrebbe risposto di sì se le avesse chiesto di restare. Il ragazzo,
invece, sembrava aver perso la parola e si limitava a osservare Amelia con
quei suoi magnetici occhi blu. Alla fine la ragazza salutò e, con le sue
cose ben incastrate nella borsa si avviò verso l’uscita, diretta alla
stazione della metropolitana più vicina.
Nella sala prove degli
Shards l’atmosfera cambiò di colpo. Il cantante si passò una mano fra i
capelli, sospirando. Avrebbe dovuto dire qualcosa riguardo alla sera
precedente ad Amelia, dirle quanto era stato bene, che avrebbe voluto si
ripetesse, che lei gli piaceva e che, forse, le era sempre piaciuta, da prima ancora di conoscerla, quando l’aveva
immaginata da quel semplice disegnino che si era trovato in tasca. Tuttavia lei,
in quelle ore, non lo aveva quasi mai guardato negli occhi, cosa che gli aveva
fatto pensare che forse aveva sbagliato a baciarla – per quanto, per lui, il
lieve contatto di labbra che c’era stato fra loro non potesse considerarsi un
bacio vero e proprio.
Si tolse gli occhiali da
vista, pulendoli con un lembo della t-shirt. Il mondo parve acquisire colore
quando li inforcò di nuovo.
«Che le hai fatto?» la
domanda di Chase sembrò più un’accusa che un quesito.
Ewan si voltò verso l’amico. «Cos-io?
Niente» si giustificò.
«Forse è proprio questo il
punto» osservò Chris con fare grave. Ewan gli lanciò un’occhiataccia.
«Ieri sera vi abbiamo
lasciati soli apposta, pensavo lo avessi capito.» Come al solito fu
proprio Trent a spiegare cosa intendessero gli amici con quelle mezze frasi. Il
cantante era sempre più convinto che se non fosse stato per il chitarrista il
più delle volte non si sarebbero capiti fra loro.
«Sì lo so» confermò il ragazzo.
«E quindi che è successo?» insisté Chris.
Sembrava un interrogatorio.
Non era facile essere quello sotto processo quando gli altri tre si
coalizzavano.
«Niente di grave. Siamo usciti insieme e a fine serata
ci siamo baciati.»
Ewan individuò
subito il mutamento di espressione di Chase. Decise di zittirlo prima ancora
che potesse parlare e spegnergli quel sorriso sornione dal volto. Lo guardò di
sbieco. «Senza
lingua» disse
piatto. Come aveva previsto, l’amico si lasciò sfuggire uno sbuffo e
incrociò le braccia al petto.
«Vi siete baciati? Perché da come ti sei comportato non
l’avrei mai detto» intervenne Chris, guardando Ewan con sufficienza.
Quest’ultimo corrucciò la fronte. «Sì, ok, è solo che...beh, non è che mi abbia degnato
di molte attenzioni. Ho pensato che forse ho sbagliato a baciarla.» Si sedette
sul divano, lanciando un lungo sospiro e passandosi entrambe le mani fra i
capelli. I tre amici sollevarono un sopracciglio all’unisono, gesto che
lasciava intendere che il cantante non aveva poi tutti i torti.
«Insomma, sono il suo cantante preferito ma questo non
vuol dire che le piaccio in tutti i sensi» proseguì. Portò le mani al viso. «Che palle.
Sono di nuovo stato friendzonato senza avere la
possibilità di provarci sul serio» borbottò.
Chase, Chris e
Trent si scambiarono un’occhiata e fu chiaro a tutti che, anche quella volta,
sarebbe stato compito del chitarrista dire qualcosa di confortevole. Alle volte
essere la voce della ragione in un gruppo era estenuante. «Penso» esordì, ma
Chris si schiarì la voce, sovrastandolo. Trent alzò gli occhi al cielo prima di
riprendere a parlare. «Pensiamo che
tu debba comunque parlare con lei.»
Ewan lo guardò,
in attesa. Sapeva che c’era dell’altro, doveva esserci dell’altro, e il
chitarrista non lo deluse. «È probabile che si sentisse in imbarazzo per via
della nostra presenza. Non è così semplice affrontare simili argomenti davanti
agli amici di un ragazzo. Specie quando uno di loro è Chase» disse, indicandolo
con il pollice.
«Ehi» sbottò il
batterista.
Il cantante
pensò a quanto gli era appena stato detto. Aveva fatto tutto quello che era in
suo potere per avere ancora la possibilità di incontrare Amelia e ora lei era
lì, a Londra. Sapeva che non era solo per le grafiche che aveva tanto sperato
che lei raggiungesse la capitale. Tutta la faccenda che la riguardava era così
surreale da affascinarlo ancora di più. In quelle settimane lui aveva avuto
modo di capire che era il tipo di ragazza con cui non si sarebbe stancato di
avere a che fare, di cui ne aveva diverse annoverate fra le file dei suoi
amici, con l’unica differenza che non voleva fossero semplici amici, almeno
finché poteva provare a costruire qualcosa di più complesso. Aveva forzato il
destino una volta, forse provarci una seconda e ignorare il loro distacco di
quella mattina per fare un nuovo tentativo poteva essere un’idea degna di
venire seguita. Qualcosa si sarebbe inventato e se lei gli avesse dato il
ben servito, beh, avrebbe imparato a conviverci.
«Forse avete
ragione» rispose infine, pensando. «Potrei provare a chiederle di nuovo di
uscire.»
«Sì ma magari
questa volta diglielo subito che sarete soli» intervenne Chris. «Oppure che si
tratta di un’uscita in quel senso.»
Il cantante
annuì. «Mi inventerò qualcosa.»
«Possibilmente
qualcosa che funzioni» gli fece presente Trent.
«Domani
pomeriggio abbiamo appuntamento con Jacob per le grafiche» riprese Ewan. «Magari
posso cercare di capire già lì se ho incasinato tutto o no.»
Gli altri tre
fecero cenni affermativi con il capo, sottintendendo che erano d’accordo con il
suo progetto e sancendo anche come chiusa, almeno per quel momento, la
questione.
“‘Cause I’vestartedfallingapartI’mnotsavoring
life|I’veforgottenhowgooditcould be to feelalive”
BiffyClyro. Machines
Appartamento
di Amelia, St. PetersburghPl,
Londra, 8 settembre
Ore
8:23 AM
La luce del mattino entrava intesa anche con le tende
tirate. Amelia era distesa a pancia in su nel letto, coperta dalle
lenzuola nonostante il caldo. Era sveglia da più di due ore, più di due
ore in cui era rimasta lì, ferma, a cercare di riordinare lo sconfinato caos
che aveva dentro. Andare a letto presto le era sembrava l’idea migliore il
giorno prima, ma quando il sonno l’aveva abbandonata, intorno alle sei di
quella mattina, tutto ciò a cui non aveva fatto in tempo a pensare si era
ripresentato da lei.
Ewan era quel
pensiero, inutile anche solo ipotizzare il contrario. Amelia non riusciva a
ignorare quanto accaduto nella sala prove della band. Aveva il fastidioso,
fisso, pensiero che le cose fra di loro avessero preso una piega sbagliata all’improvviso.
Aveva sperato che il ragazzo avrebbe affrontato l’argomento, dicendole perché l’aveva
baciata, dicendole anche solo che era stata colpa dell’alcol; invece non aveva
fatto nulla del genere ed era proprio questo che la faceva sentire peggio. Cominciava
a provare dei sentimenti seri per lui. L’idea che si era fatta di Ewan, quella
che aveva costruito giorno dopo giorno prima di conoscerlo, non era molto
distante dalla realtà. Ed era proprio quello il problema maggiore, perché
temeva ciò che sarebbe potuto accadere dopo.
Non si era
neanche preoccupata di vestirsi. Quando scivolò fuori dal letto aveva indosso
solo l’intimo, spaiato come sempre. Comprava bellissimi completi e
irrimediabilmente li indossava separati, per ragioni istintive a cui non
avrebbe saputo dare una valida motivazione. In bagno si mise davanti allo
specchio, posando entrambe le mani sul bordo del lavandino. Si guardò, pensando
a cosa fare, a come affrontare quella situazione, consapevole che avrebbe
dovuto fare qualcosa. Mosse la punta del naso a destra e a sinistra, osservando
il suo riflesso rimandarle quello stesso gesto, guardando il sottile anello
argentato che portava al setto. Si era fatta quel piercing a diciotto anni,
dopo la rottura con il suo ragazzo di allora. La prima volta che si era
innamorata, davvero innamorata, di qualcuno che le aveva detto di amarla a sua
volta. Quando si erano conosciuti a un concerto lei frequentava ancora il
liceo, aveva diciassette anni. Lui, invece, ventuno e faceva il college. Per
lei era stata un’infatuazione immediata, irresistibile, di quel tipo che le
diciassettenni possono arrivare a provare anche per colpa di libri e telefilm.
Contro ogni previsione, il ragazzo – Eric – si era fatto avanti. Per sei mesi
lui l’aveva trattata come una principessa, dedicandole attenzioni e facendola
sentire protetta e coccolata, e Amelia si era innamorata. La sera del suo
diciottesimo compleanno, cedendo alla richiesta di Eric, lei si era lasciata
andare e le aveva concesso tutta se stessa. Dopo essersi donata a lui, però,
tutto era esploso. Il loro rapporto era crollato. Eric aveva iniziato a
diventare sempre più freddo, distaccato e voleva una cosa soltanto. Quella
condizione non durò a lungo. Lui si stancò in fretta e la lasciò, causandole un
dolore intenso come non ne aveva mai provati prima. Lo ricordava ancora; si era
sentita schiacciare, svuotata di ogni emozione, un guscio senza anima. Si era
sentita tradita e usata da qualcuno cui si era aperta, lasciando trapelare
passioni e incertezze più profonde. Le era servito molto tempo prima di tornare
a fidarsi di qualcuno, aveva avuto bisogno di anni.
I suoi occhi
scesero lungo il proprio riflesso fino al costato. Ruotò appena il busto per
vedere il tatuaggio nero che vi era impresso, il triangolo simbolo dell’acqua e
della donna. Se lo era fatta fare a venticinque anni, dopo la sua seconda
rottura, forse più dolorosa della precedente, quella con Richard. Era uno
sportivo, amico di sua cugina ed era proprio grazie a lei che si erano
conosciuti. Richard aveva molti hobby e una visione unica della vita, quasi poetica.
Lui e Amelia avevano approfondito la loro conoscenza, finché un giorno il
giovane le aveva chiesto di uscire e lei aveva capito di non desiderare
altro. Erano stati insieme tre anni, avevano detto di amarsi e per lei era
vero. Finché non aveva scoperto che lui la tradiva. Il mondo che si ribaltava,
era quella la sensazione che aveva provato quando lo aveva saputo, quando una
loro amica aveva deciso di dirglielo. Appena ne avevano parlato, Amelia si
era sentita ancora più umiliata. Lui non aveva neanche provato a negare la
cosa. Aveva ammesso che, sì, quella era la verità, che si vedeva con un’altra,
che aveva rapporti con un’altra, ma non voleva che le cose con Amelia
finissero perché con lei ci stava bene. Solo non ne era più attratto
fisicamente come all’inizio della loro storia. La ragazza si era sentita presa
in giro e aveva eliminato ogni possibile ricordo legato a Richard, colui che
era riuscito a farla sentire una nullità, una stupida e un’illusa per aver
deciso di provare a innamorarsi di nuovo.
Come la
volta prima, con la rottura con Eric e con la decisione di farsi il septum, anche
dopo aver sentito il suo cuore spezzato per colpa di Richard, Amelia aveva
deciso di fare qualcosa per riprendere il controllo di sé. Aveva usato il
dolore come mezzo purificatore, un’incisione per ricordare a sé stessa che quel
corpo apparteneva solo a lei, che esisteva sempre una via di uscita, che c’era
altro oltre le delusioni.
Tuttavia era
difficile trovare ancora la voglia di tentare, di provare a costruire qualcosa
con qualcuno. Negli ultimi anni aveva conosciuto diversi ragazzi, perlopiù
interessati al suo corpo anziché alla sua mente e ogni volta, anche quando
sembrava esserci la possibilità di trovare qualcuno di buono, onesto, forse
davvero interessato a lei, aveva mandato a monte tutto, per paura. Non era
semplice aprirsi, provare a donarsi a una persona quando le ombre del passato
continuavano a perseguitarla, ricordandole che il suo cuore si era spezzato per
due volte, che per due volte si era sentita precipitare in un baratro dopo aver
camminato a un palmo da terra accanto alla persona che amava. Innamorarsi le
era diventato complicato, quasi minaccioso, per tale ragione la situazione con
Ewan la preoccupava e rattristava al tempo stesso.
Tornò a scrutare
il suo riflesso, seria. Si sentiva una donna fiera di ciò che era, non più
disposta a lasciarsi andare con persone che non la meritavano. Al tempo stesso,
però, cominciava a sentire una lieve angoscia invaderle lo stomaco. Qualcosa si
smuoveva in lei, l’inizio di un sentimento forte, incontrollabile, che la
portava a pensare con più frequenza e intensità del solito al cantante degli
Shards. Cercò di scacciare quel pensiero, ma le fu chiaro che non ci sarebbe
riuscita. Ewan le era sempre piaciuto, al punto che quando si erano baciati una
parte di lei avrebbe ceduto subito ai sentimenti più impellenti, quel bisogno
quasi viscerale di passare tutto il tempo del mondo insieme a lui. Tuttavia era
la sua metà più spaventata quella che aveva preso il sopravvento dal giorno
prima, quando il cantante l’aveva trattata come sempre, come se fra loro non fosse
accaduto niente.
Non crearsi
illusioni. Questo si disse allo specchio Amelia prima di imporre alla sua mente
di smettere di rimuginare su tutta la faccenda. Era a Londra per lavoro e
sarebbe stata il più professionale possibile fino alla fine. Poi, terminato il
lavoro, sarebbe rientrata a Glasgow e tutto ciò si sarebbe tramutato in un
bellissimo ricordo e una nota sul curriculum degna di lode. Se Ewan la voleva solo
come amica, anche lei avrebbe visto il ragazzo allo stesso modo, per quanto la
cosa potesse dispiacerle. Tuttavia, se l’alternativa era illudersi di avere
delle possibilità o, peggio, innamorarsi di nuovo di un uomo che prima o poi le
avrebbe spezzato il cuore, rimanere solo amica di Ewan sembrava senza dubbio l’opzione
migliore.
Tornò in camera
da letto, decidendo di vestirsi. Avviò una delle sue compilation di Spotify, che partì da Machines dei BiffyClyro e tirò fuori dall’armadio dei vestiti puliti per
affrontare quel nuovo giorno. La canzone si interruppe di colpo quando il
telefono di Amelia cominciò a squillare. Guardò chi la stava chiamando,
accorgendosi che era Pani. Si morse la lingua: la sera prima aveva dimenticato
di chiamare l’amica. Rispose alla chiamata, già pronta a fare le sue scuse, ma
il tono dell’altra sembrava piuttosto allegro e nient’affatto accusatorio.
«Ho pensato di
chiamarti mentre vado verso il lavoro» esordì Pani. Amelia la immaginò lungo le
vie di Glasgow, un sole alto in cielo e un vento frizzante a rendere mite la
città.
«Trovo tu abbia
avuto un’ottima idea.»
«Mi sono detta
“lo faccio, visto che a quanto pare lei non è intenzionata a tenermi
aggiornata”.»
Eccola, l’accusa.
Amelia incassò, infossando la testa nelle spalle in modo pentito – gesto che,
chiaramente, l’altra non avrebbe potuto vedere. «Scusami tantissimo. È che,
beh...sono, successe un paio di cose, ecco» borbottò poi.
«Stai diventando
una di quelle dive di città, per caso?»
L’altra spalancò
gli occhi. «Cielo, no» esclamò.
«Allora cosa
sarebbe successo?»
Amelia si
immaginava benissimo l’espressione di Pani: scettica; un sopracciglio inarcato
alla perfezione, le labbra tirate. Immaginava anche il mutamento che avrebbe
subito il suo volto appena lei avesse smesso di pronunciare le prossime parole:
«Io e Ewan ci siamo baciati» disse in un sol fiato.
Piombò il
silenzio, al punto che la ragazza si convinse che la linea fosse caduta. «Pani,
ci sei?» tentò dopo qualche istante di nulla.
La voce dell’amica
sembrava distante. «Voi vi...Si può sapere perché non me l’hai detto? Questa
cosa richiedeva una telefonata immediata»
esclamò, scandendo con cura l’ultima parola.
Amelia sospirò.
«Sì, hai ragione, ti chiedo scusa. Ma erano le due di notte passate quando è
successo» esagerò, «e non volevo svegliarti.»
«Potevi
chiamarmi lo stesso» replicò con fare ovvio l’amica.
L’altra si morse
il labbro, facendosi forza per dire alla coinquilina ciò che era successo il
mattino precedente, nella sala prove degli Shards. Sapeva che Pani l’avrebbe
capita, che non le sarebbe servito rivangare sulla storia di Eric o su quella
di Richard o di tutti quegli altri che avevano provato ad avere solo il suo
corpo, perché sapesse cosa la spaventava di quella storia. Quando
terminò di raccontare l’accaduto ci fu un momento di silenzio. Pani stava di
certo cercando le parole migliori e Amelia rimase in attesa.
«Beh,» esordì
poi Pani, con fare titubante, «forse non voleva parlarne quando c’erano anche i
suoi amici. Magari era imbarazzato.»
«Ci avevo pensato
anche io» ammise la coinquilina. «Solo che non mi ha neanche scritto o qualcosa
del genere.»
«Potresti
provare tu a tirare in ballo la questione, allora.»
«Già, così mi
gioco qualsiasi possibilità, incluso il lavoro.»
«Non esagerare»
esclamò Pani. «In fondo la tua sarebbe una curiosità più che legittima.»
Amelia sospirò,
consapevole che l’amica avesse ragione. Restava il fatto che l’idea di
affrontare l’argomento con il diretto interessato la rendeva nervosa; e
spaventata. Si morse il labbro, sfiorando con l’indice il punto sulle
costole in cui aveva il tatuaggio. «D’accordo. Forse hai ragione» rispose
infine. «Questo pomeriggio dobbiamo vederci con Jacob. Magari dopo posso
provare a parlargli.»
Sentì Pani
lasciarsi sfuggire un leggero sbuffo d’aria. «Però fallo, eh. Mi raccomando.»
«Va bene, va
bene» tagliò corto Amelia, che cominciava a sentirsi un po’sotto
pressione.
Pani aveva la
sorprendente capacità di convincerla a fare cose che altrimenti avrebbe evitato
di fare – per tutta una serie di motivi. L’amica si scusò con Amelia,
dicendo che era arrivata al lavoro. Si raccomandò un’ultima volta di fare come
le aveva detto, per poi farle i suoi migliori auguri.
Quando la
telefonata finì la ragazza, di nuovo sola nel temporaneo appartamento
londinese, si passò una mano fra i capelli. Sentì le ciocche lunghe
solleticarle la schiena, mentre rifletteva su quanto le aveva appena detto l’amica.
Pani aveva ragione, meritava delle risposte da parte di Ewan, almeno per non
dover passare il resto della sua permanenza nella capitale divorata da dubbi e
incertezze al solo sentire il nome del cantante – o al suo solo pensiero. L’ansia
cominciò lentamente e inondarle lo stomaco, in quel caos emotivo che, purtroppo
per lei, conosceva fin troppo bene. Chiuse i pugni e si colpì sulla gamba,
costringendosi a riprendere il pieno controllo di sé. Non aveva senso il
comportamento che stava avendo, specie perché non era motivato da una
situazione reale, ma solo da una serie di sue supposizioni. Si alzò in piedi,
mettendosi in cerca dei vestiti giusti per affrontare quella mattina. Avrebbe
fatto qualcosa, indipendentemente da quello che le sensazioni le avrebbero
provocato per il resto di quel giorno.
Ufficio di Jacob, Conduit St,
Londra, 8 settembre
Ore
5:04 PM
Le grafiche andavano
bene. Amelia cominciava ad avere fra le mani i primi definitivi e la cosa dava
a quei lavori un alone d’importanza. Jacob aveva fatto una serie di
osservazioni accorte sulle nuove bozze che la ragazza gli aveva mostrato e lei
si era già premurata di segnarsi ogni commento, anche quello all’apparenza più
insignificante. Anche Ewan di tanto in tanto faceva qualche piccola annotazione;
perlopiù dava voce a sporadiche idee che gli comparivano lì, sul momento, a cui
prima di allora non aveva ancora avuto modo di pensare. Per Amelia era
stimolante lavorare insieme a loro due e quel pomeriggio il lavoro le stava
dando la giusta carica ad andare avanti e a farsi forza per quanto avrebbe
fatto a breve. Non sarebbe tornata al suo appartamento senza aver prima chiesto
a Ewan di poter parlare con lui, senza aver prima cercato di fare chiarezza su
quel loro bacio. Solo così avrebbe potuto tornare a dedicarsi al lavoro. A
prescindere da quello che avrebbe scoperto, avrebbe trovato un po’ di pace,
cosa che sembrava mancarle in quel momento a causa dell’ansia che l’accompagnava
da quella mattina, come una vecchia amica. Proprio come il giorno precedente
per Ewan sembrava quasi non fosse accaduto nulla fra lui e Amelia – nulla più
del solito, almeno – ma lei continuò a farsi forza per tutto il tempo, motivata
da una carica che sentiva provenire in buona parte da Pani.
Jacob controllò
l’ora, dopodiché si rivolse ai due ragazzi: «Allora, io devo fare una chiamata piuttosto
importante. E so che anche tu, Ewan, hai un impegno con Eddie.»
Il cantante
annuì, mentre Amelia si voltava d’istinto a guardarlo.
«Se siete d’accordo magari
per oggi possiamo chiudere qui.»
Gli altri due risposero in modo
affermativo e il gruppo si diede appuntamento a tre giorni dopo, lunedì.
Mancava ormai solo una settimana alla fine del mese di permanenza a Londra di
Amelia e lei non poteva credere che fosse già passato tanto. Aveva sentito i
giorni scorrere con una fretta innaturale, regalandole ricordi ed
emozioni, ma quasi scappando da lei. Mentre riordinava le sue cose capì che le
dispiaceva di dover tornare a Glasgow per diversi motivi – sebbene la sua città
le mancasse moltissimo. Per prima cosa, il suo periodo da grafica si sarebbe
concluso. Tornata in Scozia non ci sarebbe stato il lavoro dei suoi sogni ad
attenderla, anzi, non ci sarebbe stato alcun lavoro dal momento che aveva
mollato anche l’unica occupazione che aveva. Qualche lavoretto di ripiego lo
avrebbe trovato – le catene commerciali, poi, erano sempre in cerca di
personale – ma aveva ormai capito che il clima e l’atmosfera che si respiravano
a lavorare come grafica erano impareggiabili. Era quello ciò che voleva
fare della sua vita, ormai lo sapeva con assoluta certezza e avrebbe davvero
voluto rimanere insieme agli Shards per lavorare a tutte le loro grafiche,
anche quelle future.
Proprio la band, infatti,
era il secondo motivo per cui le dispiaceva andarsene. Quando avrebbe potuto
incontrarli di nuovo e trascorrere con loro il tempo allo stesso modo in cui
stava facendo ora? Forse mai più. Conservava ricordi stupendi di quella sua
esperienza e l’ammirazione che provava per gli Shards non aveva fatto altro che
aumentare in quelle settimane. Per questo era tanto difficile tornare a
essere solo una loro fan, senza avere più la possibilità di prendere un caffè
insieme o di uscire in loro compagnia. E poi c’era Ewan. Come poteva separarsi
da lui senza sapere se il gesto che il cantante aveva compiuto avesse un
significato profondo o meno? Si accorse che per lei, al momento, era quella la
parte peggiore. Puntò lo sguardo verso di lui, finendo di riempire la borsa con
i suoi effetti e il ragazzo la notò. Le sorrise e attese che si fu
sistemata prima di alzarsi in piedi, imitato proprio da Amelia.
I due salutarono Jacob,
rinnovando l’incontro di lunedì, dopodiché si avviarono verso l’uscita.
Appena furono fuori Ewan infilò subito gli occhiali da sole, celando gli occhi
blu dietro le lenti scure. Mise gli occhiali da vista nella tasca superiore
dello zaino e si mise in spalla quest’ultimo. La ragazza rimase a guardarlo
compiere quei gesti con il cuore che le martellava per colpa dell’agitazione.
Ewan slegò la bici, fissata
a un palo proprio davanti alla porta del palazzo, infine si voltò verso Amelia.
Alla ragazza parve quasi imbarazzato, come se non sapesse bene da che parte
iniziare ad affrontare un argomento. Decise di prendere lei in mano la
situazione, almeno per evitare di vederlo andare via senza aver provato a fare
qualcosa. Dalla risposta che avrebbe ricevuto, inoltre, avrebbe anche capito in
che direzione sarebbe potuto finire il loro rapporto. «Pensavo, se hai
tempo, potremmo andare a prendere un caffè adesso. Prima che tu vada da Edward,
intendo» tentò.
Lui sollevò le sopracciglia,
come sorpreso da quell’invito. Amelia detestò di non potergli vedere gli occhi
in quel preciso momento. Ewan abbozzò un sorriso prima di dire: «Sono già
in ritardo, purtroppo.»
Lei capì che non avrebbe
avuto il chiarimento che stava cercando e non poté negare a se stessa che la cosa
le fece male. Era spaventata da ciò che avrebbe potuto scoprire, ma voleva
sapere più di ogni altra cosa. Annuì
appena con la testa, non riuscendo a mascherare la delusione.
Ewan pensò in
fretta a cosa fare e alla mente gli tornarono anche le parole degli amici. «Se
ti va» iniziò. Amelia lo guardò e lui ebbe un attimo di esitazione, che per sua
fortuna riuscì a ignorare. «Potremmo uscire questa sera. Ti devo ancora un giro
per Londra.»
Amelia sorrise. «E
l’altra sera, allora? Quello non valeva, forse?» chiese. Sperò che l’allusione
facesse aggiungere qualcosa al cantante, ma lui parve non farci caso più del
dovuto. Si strinse nelle spalle con fare divertito. «Mi sembrava di averti
detto che una sola uscita a Londra non sarebbe stata sufficiente per ripagarti
del tour di Glasgow.»
È vero, glielo
aveva detto. Per la ragazza era bello vedere come lui si ricordasse tutto ciò,
come sembrasse non ignorare nulla che la riguardasse. Allora perché continuava
a girare intorno al loro bacio senza affrontare la questione? Davvero aveva
bevuto così tanto da non ricordarsi più? Era impossibile.
Amelia decise di
arrendersi all’andamento dei fatti. Forse non avrebbe fatto chiarezza con il
cantante in quel momento, ma aveva comunque un appuntamento con lui ed era
qualcosa di molto vicino a una vittoria – anzi, lo era. Finì con il lasciarsi
sfuggire un sorriso al pensiero di poter trascorrere un’altra serata un
compagnia di Ewan; tuttavia le venne spontaneo chiedersi se sarebbero stati
soli. Anche quello avrebbe significato qualcosa.
«Va bene.
Usciamo» rispose infine la ragazza, cercando di rimanere il più calma
possibile.
Il sorriso di
Ewan si allargò. «Non ci saranno gli altri» le disse, quasi ad avvertirla.
Il cuore di
Amelia ebbe un leggero mancamento: sarebbero stati solo loro due.
«Va bene alle
otto da te?» continuò il ragazzo, risvegliando Amelia dal suo improvviso
torpore. Lei acconsentì con un leggero ritardo. «Va benissimo.»
«Ottimo. Allora
a più tardi.»
Il cantante si
avviò dopo aver atteso un cenno da parte della ragazza. Amelia avrebbe voluto
salutarlo in un modo migliore che con un semplice gesto, tuttavia non ci
riuscì. Il suo “a più tardi” le era morto sulle labbra senza che riuscisse a
formularne anche solo l’inizio. Adesso sì che si sentiva nervosa.
“I
am leaving, this is starting to feel like|It’s right beforemyeyes|And
I can taste it, it’smysweetbeginning”
Two
Door Cinema Club. WhatYou Know
St.
PetersburghPl, Londra, 8 settembre
Ore
8:03 PM
Ewan fu puntualissimo quella sera. Quando Amelia
arrivò sul marciapiede davanti a casa, il ragazzo era già lì, fermo in piedi
con lo zaino su una spalla, una borsa di carta in una mano e la
bicicletta nell’alta. Non sembrava essere arrivato in tutta fretta per recuperare
il tempo. Era Amelia a essere in ritardo.
Raggiunse il
cantante e lo salutò. Dopo i convenevoli il ragazzo andò a legare il mezzo allo
stesso palo del cartello stradale in cui l’aveva lasciato la volta precedente,
chiaro segnale che anche quella sera sarebbero rientrati insieme. Mentre
Ewan chiudeva il lucchetto intorno al telaio della bicicletta, la ragazza ne
approfittò per accennare un’occhiata in direzione della borsa di carta,
provando a intuirne il contenuto. «Che c’è lì?» chiese poi.
«La nostra cena»
rispose subito lui. «O, meglio, la mia se tu vuoi qualcosa di più sostanzioso.
O salutare» concluse, stringendosi nelle spalle.
Amelia aprì la
borsa, ormai troppo incuriosita. C’erano patatine, birra e dell’acqua. Ne
osservò il contenuto per un po’ chiedendosi cosa avesse in mente di fare il
cantante. «Beh, in effetti» disse dopo un po’ di silenzio, «temo ci sia troppa
acqua per me. Dovremo fermarci a prendere della birra per strada.»
La sua
affermazione strappò una risata sincera a Ewan. Gli piaceva il senso dell’umorismo
di Amelia, ogni giorno più del precedente.
«Che cosa
vorresti fare, Hill?» continuò lei, con fare circospetto.
«È una sorpresa»
replicò lui con tono ovvio. «Se te la senti di provare.»
Aveva quasi la
parvenza di una provocazione, ma molto più velata, uno stuzzicarla per la
precisione, e Amelia si lasciò coinvolgere del tutto nella cosa. «Va bene,
allora. E da dove si comincia?»
«Dalla Tube.»
Ewan afferrò
zaino e borsa e si incamminò insieme alla ragazza, la quale non era affatto
sicura di ciò che si sarebbe dovuta aspettare, sebbene ne fosse parecchio incuriosita.
Amelia lo seguì fino alla metropolitana, poi sul mezzo, fuori dalla Tube una
volta arrivati, e continuò a seguirlo lungo le vie, fino a che raggiunsero il
Tamigi. Per tutto quel tempo i due avevano continuato a parlare, di musica per
lo più, dalle band che ispiravano il lavoro del cantante a quelle che Amelia
ascoltava quando nei suoi auricolari non c’erano gli Shards.
«Siamo quasi
arrivati» annunciò Ewan a un certo punto. Camminarono per qualche altro metro,
finché lui, d’improvviso, non si fermò. La ragazza se ne accorse diversi passi
dopo, per via del fatto che aveva smesso di sentire il piacevole suono della sua
voce. Si voltò, trovandolo fermo davanti a una pizzeria al taglio.
«Credo di aver
trovato qualcosa di meglio delle patatine» annunciò lui, un sorriso contagioso
in volto.
Anche lei
sorrise. «Stai davvero aspettando che io sia favorevole alla tua idea?» domandò
retorica, sollevando un sopracciglio.
Il cantante
rise. Entrarono nella piccola pizzeria, dove WhatYou Know dei Two
Door Cinema Club suonava a volumi abbastanza alti alla radio, e ordinarono una
margherita da portare via. Mentre aspettavano che fosse pronta la loro
conversazione finì inevitabilmente sul cibo, nello specifico proprio sulla
pizza.
«Penso che sia l’unica
cosa che mangerei a qualsiasi ora del giorno» esordì Ewan, tenendo gli occhi
fissi sul pizzaiolo.
Amelia
acconsentì con un cenno del capo, per poi chiedere: «L’hai provata in Italia?»
Il cantante la
guardò con fare ovvio. «Che domande. Mai mangiato niente di tanto buono.»
«Oh, Dio,
grazie. Qualcuno che sa cosa significa» esclamò lei. «I miei amici non ci
credono.»
«Beh, c’è solo
un modo, allora: Italia e pizza italiana» concluse con ovvietà il ragazzo,
divertito da quella strana e improvvisata conversazione. Il discorso andò
avanti ancora, almeno finché il pizzaiolo non avvisò i due che la margherita
era pronta. Più di dieci minuti a parlare della pizza italiana, ad Amelia venne
spontaneo chiedersi se sarebbe riuscita a fare una cosa del genere anche con
altre persone. Le riusciva così semplice parlare con Ewan. Non giudicava i
pareri altrui e ascoltava veramente, dimostrando di prestare attenzione. E
quando parlava lui, poi, Amelia lo avrebbe ascoltato per ore. La sua voce gli
piaceva moltissimo, calda, piena, eppure leggera e vitale al tempo stesso.
Perfetta per un cantante, ma anche per un ragazzo con cui si voleva trascorrere
del tempo insieme.
Ad Amelia spettò
il compito di condurre la pizza fino al punto in cui Ewan si stava dirigendo –
ancora sconosciuto per lei.
«Ti dispiace se
me ne prendo una fetta? Quando è ancora bollente mi fa impazzire.» Il cantante
alludeva alla pizza, chiaro, ma la ragazza impiegò qualche istante di
smarrimento per capire con esattezza a cosa si riferiva.
«Oh, certo. L’hai
pagata tu» rispose, aprendo il cartone perché lui potesse servirsi.
Il ragazzo ne
afferrò una fetta, osservando la mozzarella filare. «Ne vuoi?»
«Con il
formaggio a temperatura lavica? No grazie» rise lei.
Ewan, invece,
diede un morso alla punta della fetta, divertito.
«Si può sapere
dove stiamo andando?» chiese poi Amelia, ormai troppo incuriosita per riuscire
a trattenersi.
Il cantante finì
di masticare prima di rispondere. «Ci siamo quasi, credimi.»
Ed era vero.
Prima che lui potesse finire la sua fetta di pizza annunciò che erano arrivati.
Scese un paio di gradini in muratura, per poi posare i piedi su una larga
distesa di sabbia. Erano arrivati su uno degli argini del Tamigi, uno di quelli
su cui le persone potevano scendere per osservare da vicino il fiume che fendeva
in due Londra. L’acqua scorreva nera per via della sera, impetuosa e, oltre
essa, si stagliava uno dei molti profili della città. Da lì si poteva
vedere un pezzo del London Eye, le mille luci della
metropoli a brillare come lucciole nella notte. Era una prospettiva diversa,
insolita, e toglieva il fiato. Amelia si sentì piccola davanti a quello
spettacolo, con i piedi sulla sabbia e la brezza che le sfiorava le spalle
scoperte, scoprendosi più affascinata che mai da quella città. Trovò che Ewan
avesse la capacità di scovare sempre qualcosa di nuovo, di offrire una
prospettiva diversa anche su cose abituali, come ascoltare la musica o
osservare la città.
Mentre lei era
impegnata a sciogliere lo sguardo nella città colorata e maestosa, non si accorse
che il ragazzo aveva tirato fuori dallo zaino un grosso telo e lo stava posando
in terra, in un punto in cui la sabbia non era troppo umida. «Ehi, qui» la
chiamò.
Amelia si
ridestò; osservò il cantante, poi il telo, infine sorrise, capendo la sua idea.
Lo raggiunse, si sistemò accanto a lui e mise la pizza da condividere al
centro. Le sembrava tutto perfetto, al punto da desiderare che quel momento non
finisse mai; lei, che era sempre stata spaventata dall’eternità per via del
bagaglio che costringeva a portarsi appresso.
«Tu non ci vai
mai nei ristoranti?» domandò poi Amelia, afferrando una fetta di pizza, che
aveva raggiunto la temperatura giusta.
Ewan stava
stappando una birra quando gli venne posto il quesito. Bloccò per un momento la
sua azione, ma poi riprese a fare leva sul tappo di alluminio. «Non è andando
nei ristoranti che si conosce bene una città» sentenziò con un’alzata di
spalle. Allungò la birra alla ragazza. «Anche a Glasgow, dopotutto, eravamo
andati in quel pub perché te lo avevo chiesto io, ma poi mi hai portato in giro»
proseguì. Prese anche lui una fetta di margherita. «Però se vuoi la prossima
volta ti porto in un bel ristorante» concluse, con fare amichevole.
Di tutto quel
discorso le parole che rimasero più impresse ad Amelia furono le ultime: ci
sarebbe stata una “prossima volta”. Cercò di non farsi distrarre da quel pensiero, perché era abbastanza
sicura che altrimenti si sarebbe tradita in qualche modo. Rigirò la bottiglia
di birra in mano, pensando che nessuna cena in un ristorante, anche in
compagnia di Ewan, avrebbe mai potuto eguagliare quella sera. I posti inusuali,
i tagli più insoliti e intimi, era quello il modo in cui lei amava trascorrere
il suo tempo, parlando davanti a una birra e una pizza, senza dover per forza
dimostrare qualcosa a qualcuno. Su quello il cantante degli Shards sembrava
essere sulla sua stessa lunghezza d’onda e la cosa avrebbe potuto arrivare a rappresentare un problema. Amelia provava già qualcosa
per il cantante, da prima ancora di conoscerlo, ma quelli non erano reali
sentimenti, solo sensazioni. Ora che aveva avuto modo di scoprire la sua
personalità, invece, sentiva dentro di sé che qualcosa stava nascendo e
cominciava a esserne preoccupata. Cercò di ignorare quel pensiero.
«Non
sono una da ristoranti» disse infine, in risposta alla precedente osservazione
di Ewan.
Lui
le sorrise. «Lo avevo immaginato. In questo ci assomigliamo.»
Per
poco lo stomaco di Amelia non si chiuse con un tonfo secco. Anche il
cantante pensava che sotto certi punti di vista si assomigliassero e questo l’agitava
dall’interno. Avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse con quelle parole,
chiedergli chiarimenti su ciò che era successo fra loro ormai due sere
prima, ma le mancavano le forze. Temeva di sapere la verità, perché aveva
paura di rimanerne ferita. Valeva la pena passare quei minuti in compagnia di
Ewan parlando d’altro, sulla riva del Tamigi, davanti a una Londra notturna che
sembrava uscita da una scenografia. Forse quella conversazione sarebbe
arrivata da sé, prima o poi, in qualche modo sarebbe stata tirata in ballo. Si
concesse un nuovo morso di pizza, ritrovando l’appetito, decidendo di fare il
possibile per ignorare la sua mente e ogni possibile pensiero in grado di
distrarla da quel momento. Alzò gli occhi sulla città, senza accorgersi del
ragazzo, intento a osservare il suo profilo. Lui trovava che la notte donasse
ad Amelia, come se, insieme al rossetto e all’eyeliner, facesse risaltare
i tratti del suo viso. Ewan ne aveva conosciute molte di ragazze con la
mente artistica e aperta, ma dovette ammettere a se stesso che verso Amelia
provava un’attrazione unica. Pensò che fosse in gran parte dovuto al modo in
cui si erano conosciuti, a come lei gli fosse entrata nella testa solo
lasciando che trovasse un piccolo disegno che avrebbe voluto farsi
autografare. Dopo aver fatto amicizia con lei lì, nella sua Londra, il
cantante si era convinto che qualcosa lo legasse ad Amelia.
«Vengo
spesso qui. Dopo che ho scovato questo posto non sono più riuscito ad
abbandonarlo» esordì poi, così da avviare una conversazione.
Amelia
si voltò a guardarlo e per un momento, nella sua testa, balenò il pensiero di
quanto fosse bello trovarsi davanti gli occhi blu del ragazzo, ora così scuri
per colpa della sera. «Ah sì?» chiese, capendo che la frase di
Ewan doveva essere più un pretesto che altro.
Lui
annuì con la testa.
«E
come lo avresti trovato?» proseguì lei.
«Ragazzo
della pizza» disse semplicemente il cantante, afferrando la terza fetta di
margherita. Lì per lì Amelia non capì cosa intendesse dire con quelle parole,
ma proprio quando si convinse di esserci arrivata, lui riprese a
parlare: «C’era un tipo che ordinava sempre la stessa pizza; con i
carciofi, non lo dimenticherò mai.» Fece una smorfia nel nominare il
condimento – i carciofi non erano di suo gradimento. «Lui era un tipo abbastanza
simpatico e dava anche delle buone mance. Una sera, però, non era in casa
e, beh, ti ho detto cosa facevo quando il destinatario della pizza non si
faceva trovare» ammiccò, ricevendo un cenno affermativo da parte della
ragazza. «E sono venuto qui. Ho tolto tutti i carciofi dalla pizza, mi
sono seduto e poi è venuto a piovere e addio cena tranquilla» concluse,
con un’alzata di spalle.
Amelia
si mise a ridere. Gli aneddoti di Ewan erano un’altra delle cose che gli
piaceva di lui. Era un ragazzo che sperimentava, domandava, viveva. Sapeva che
non avrebbe mai potuto stancarsi della sua compagnia perché aveva sempre
qualcosa di nuovo di sé da svelare. Trovava davvero triste il fatto che a
giorni sarebbe dovuta rientrare a Glasgow, ma, come si era imposta poco prima,
scacciò quel pensiero dicendosi di concentrarsi solo su quello che stava
avvenendo. Iniziarono a parlare. Amelia chiese a Ewan di raccontarle di più di
Londra, di com’era viverci e di cosa potesse offrire al resto dell’umanità. Da
quando era arrivata la capitale l’aveva conquistata, al punto che, un paio di
volte, l’idea di trasferircisi l’aveva sfiorata. Tuttavia sentiva anche la
mancanza di Glasgow e sapeva che se non fosse stato per gli Shards, lei sarebbe
di certo tornata nella sua Scozia. Dopotutto era scozzese da generazioni e
sentiva un legame viscerale con la sua terra natia. Dopo Londra parlarono
di viaggi, dei posti che avevano visto e di quelli che avrebbero voluto
visitare – e qui la lista di Amelia era drasticamente più lunga di quella di
Ewan, che per via della musica viaggiava di continuo. La ragazza non poté
fare a meno di invidiare le possibilità che la sua professione di cantante gli
offriva a riguardo, ma trovava bellissimo poterlo ascoltare mentre parlava di
quei luoghi, descrivendo le persone, gli ambienti e i colori con un tale
trasporto da permettere ad Amelia di vederli alla perfezione davanti a sé. Ewan
aveva il dono della parola, che, unita alla sua fantasia e alla sua visione del
mondo, gli consentivano di scrivere alcune delle canzoni più belle che lei
avesse sentito.
Erano
già passate almeno un paio di ore quando la brezza che saliva dal Tamigi,
divenne più fresca e intensa. L’odore dell’acqua si mescolava a quello
della città, che continuava a brillare nella notte come una fiamma. Amelia
strinse le braccia al petto e iniziò a sfregarsi le mani sulle spalle, nella
speranza di scaldarsi un po’. Cominciava ad avere freddo; abituata al clima
scozzese, quella sera non aveva pensato a portarsi un golfino o la sua giacca di
pelle leggera e se ne stava pentendo, soprattutto perché era in
canottiera.
Ewan
si accorse del suo gesto. Afferrò lo zaino e lo svuotò dal resto del suo
contenuto: una delle sue felpe. Era una delle sue preferite, oltretutto, la letterman nera e bianca. La tese ad Amelia. «Se hai
freddo metti questa.»
Lei
guardò prima la felpa, poi il ragazzo. «No, beh, non preoccuparti. L’hai
portata per te.»
«Sì
ma io sto bene. Se la vuoi mettere, tieni.»
Di
nuovo la ragazza fece scorrere lo sguardo dall’indumento al viso del
cantante. La metteva un po’ in imbarazzo quella situazione, ma non poteva
negare che coprirsi le spalle con qualcosa di caldo le avrebbe procurato non
poco sollievo. Accettò l’offerta del cantante, aprì la morbida felpa, fece
scorrere la cerniera fino in fondo e la infilò, divertita dal fatto che le stesse
larga come aveva immaginato. Sembrava di essere avvolti in un caldo abbraccio. La stoffa aveva lo stesso
profumo di Ewan, fresco, che le ricordò vagamente quello dell’erba appena
tagliata in primavera.
Il ragazzo si
puntellò sul braccio sinistro, avvicinandosi di conseguenza ad Amelia. «Ti sta
bene» le disse.
Lei sorrise.
Sollevò il colletto con un gesto in perfetto stile Arthur Fonzarelli,
per poi arricciare le labbra, fingendosi sovrappensiero. Al ragazzo piaceva
quando compiva quel gesto. Trovava avesse labbra troppo belle per non scatenare
in lui qualcosa.
«Potrei
tenermela, sai?» chiese retorica Amelia, alludendo alla felpa che indossava.
Ewan sorrise, senza aggiungere altro. Nessuno dei due parlò e, mentre si
guardavano, il silenzio scese tutto intorno a loro. La ragazza avrebbe voluto
distogliere lo sguardo per impedire all’imbarazzo di prendere il sopravvento,
ma non riusciva a staccarsi dalle iridi del cantante. E, piano, il suo viso si
fece sempre più vicino.
Ewan la baciò
per la seconda volta proprio lì, sulla sponda del Tamigi e Amelia non poté fare
a meno di sentirsi alle prese con un sogno. Quel bacio fu più intenso del primo
ed era chiaro fosse desiderato da entrambi. Amelia avrebbe voluto stringersi a
Ewan, ma per via della loro posizione le fu impossibile. Rimase ferma come si
trovava, intenzionata a vivere fino in fondo quel momento. Il cantante fece lo
stesso; si concentrò sulle sue labbra, morbide come le ricordava, il cui sapore
era lievemente alterato da quello della birra. I capelli della ragazza
continuavano e venire smossi dal vento e lui glieli scostò con la mano libera,
sfiorandole la guancia e provocando in lei un fremito interiore che la percosse
da capo a piedi.
Quando si
separarono nessuno dei due seppe cosa dire. La ragazza abbassò lo sguardo sulle
sue mani, pensando. Si morse appena il labbro inferiore, il sapore di Ewan
ancora presente. Si fece forza, decidendo di chiedergli ciò che la perseguitava
da giorni. «Sai volevo...volevo giusto chiederti se l’altra volta mi avessi
baciata con intenzione o se lo avessi fatto solo...»
Prese fiato,
gesto che diede tempo a Ewan di completare la frase al suo posto: «Solo perché
avevo bevuto?»
Amelia sussultò
al suono di quelle parole; non si aspettava di sentirle pronunciare proprio da
lui. «Non lo avrei detto in modo così diretto» disse, quasi a giustificarsi.
«Oh, non lo
metto in dubbio. Avresti usato un elegante giro di parole, ne sono certo»
replicò lui con fare amichevole. Non era turbato dalla cosa, né sorpreso. Era
solo questione di tempo prima che quell’argomento venisse tirato in ballo. E
dopo quello che aveva appena fatto si sarebbe sorpreso se il loro primo bacio
non fosse stato nominato. «La tua è una curiosità più che legittima»
proseguì. Prese fiato. «Non...non pensare che lo abbia fatto perché avevo
bevuto. L’ho fatto perché volevo farlo.
«C’è qualcosa in
te, Amelia...che mi piace. Che mi è sempre piaciuto, ancora prima di
conoscerti.»
Al suono di
quelle parole alla ragazza morì il respiro in gola. Si voltò di scatto per
vedere il cantante in volto e lo trovò lì, tranquillo, quasi avesse detto una
cosa da tutti i giorni. Aveva il cuore che le batteva a ritmi sfrenati e cercò
nella testa qualcosa di sensato da pronunciare per non rimanere ferma
imbambolata davanti a lui. Distolse di nuovo lo sguardo, le era difficile
mantenere il contatto visivo con tutte quelle emozioni che l’assalivano.
«Non so che
dire» mormorò infine.
«Beh, non devi
per forza dire qualcosa» la rassicurò lui, con dolcezza. «Ci tenevo solo a
fartelo sapere, perché l’altra volta non ho avuto modo di dirtelo.»
«Se penso che è
iniziato tutto con quello scarabocchio di Claire» si lasciò sfuggire Amelia,
insieme a una risata sommessa.
«Non si può mai sapere,
vedi?» Ewan ridacchiò al pensiero di come tutto era cominciato. Avrebbe voluto
raccontate ad Amelia il fatto che, in un certo senso, aveva forzato un po’ il
destino cercandola sul web, perché era per quel suo volere se lei ora era lì.
Tuttavia, sì, tutto era iniziato da quel piccolo disegno, quello “scarabocchio”
come la ragazza lo aveva definito, che si era trasformato quasi in un’ossessione
per lui, qualcosa di cui voleva assolutamente scoprire l’origine. Ora sentiva
di avere fatto bene. Amelia era come l’aveva immaginata prima ancora di
incontrarla, anzi, era perfino meglio. Era la sua Penelope, proprio come
recitavano i versi della canzone che aveva scritto ispirato dal piccolo disegno
di Claire e da quanto successo quella prima volta a Glasgow. Avrebbe voluto dire
tutto ciò alla ragazza, ma non lo fece. Quando si voltò verso di lei, Amelia
teneva gli occhi fissi su Londra, lo sguardo che rifletteva il baluginare delle
luci degli edifici.
«È bellissima,
no?» le chiese, accorgendosi con un fremito che non si riferiva solo alla
città. Lei annuì, sorridendogli.
Parlarono
ancora, mentre i minuti scivolavano via. Quando passarono le due di notte,
però, capirono entrambi che era ora di rientrare. Raccolsero le cose, buttarono
via le bottiglie vuote e il cartone di pizza, dopodiché chiamarono un taxi
perché li riaccompagnasse a casa. Una volta arrivati all’appartamento di
Amelia, Ewan l’accompagnò fino all’ingresso, come la volta precedente. Lì
davanti la ragazza fece per togliersi la felpa del cantante, ma quest’ultimo la
fermò. «No, tienila. Me la ridai un’altra volta. Non è la mia unica felpa.»
«Non lo metto in
dubbio, ma–» Si interruppe al gesto del ragazzo. «Ok, allora. Beh, grazie» balbettò.
«Domani
pomeriggio, se ti va, potremmo trovarci allo Starbucks davanti alla sala prove
con i ragazzi. Ti portiamo in un posto, se può incuriosirti la cosa» propose.
Amelia sollevò
un sopracciglio. «Immagino che non riceverò più informazioni di così» disse.
Aveva ormai capito che con gli Shards si sarebbe dovuta aspettare di tutto e,
soprattutto, che ogni uscita sarebbe stata una sorpresa. Ewan, infatti, non la
deluse. «Lo scoprirai domani» sorrise, eccitato.
Sorrise anche
lei davanti a quel gesto e accettò la misteriosa uscita. «Allora a domani»
disse poi, augurando la buonanotte al cantante. Lui fece lo stesso, dopodiché
si avvicinò, lasciandole un bacio sulla fronte. Amelia si sentì scaldata da
quel gesto delicato, che riuscì a chiuderle del tutto lo stomaco. Si salutarono
un’ultima volta e quando la ragazza rientrò e si chiuse la porta alle spalle si
portò una mano sul cuore, sconvolta da quanto si sentisse leggera. Accarezzò la
stoffa della felpa di Ewan; non voleva sfilarsi quell’indumento, le sembrava di
avere il cantante ancora lì, accanto a sé.
“The whole
night through, feelslike the truth|I
wasmeant to be with you|I can’tgetyou off mymind, I thinkaboutyouall the time|I don’tevenhave to try, I just think of you”
Jack Savoretti. Jackie Blue
Starbucks coffee, Shaftesbury
Ave, Londra, 9 settembre
Ore 3:19 PM
Quando Ewan
entrò al caffè era il primo, situazione che sarebbe stata celebrata dagli
amici come un avvenimento, se solo fossero stati presenti. Aveva appuntamento
lì per le tre e mezza con Chase, Chris e Trent e, dopo la sera precedente,
anche con Amelia. Era stato il pensiero di lei a spingerlo a uscire di casa. La
sera prima si era trovato benissimo in sua compagnia; avrebbe voluto dirglielo
ma la cosa lo faceva sentire come un tredicenne alle prese con la prima
infatuazione amorosa. Non si sentiva così da tempo, perché era da un po’ che
non approfondiva a tal punto la conoscenza con una ragazza. Di solito veniva
incluso nella “lista amici” ben prima di avere la possibilità di sfiorare le
labbra della persona in questione una sola volta. Con Amelia era diverso. Non
sapeva se fosse dovuto al fatto che lui era il cantante della sua band
preferita, ma era abbastanza sicuro non fosse per quello. Si era aperto
totalmente a lei, le aveva fatto conoscere se stesso, quello che per molti
rimaneva nascosto sotto il ruolo di cantante che ricopriva. Sentiva che alla
ragazza lui piaceva per quello che era.
Per quanto lo riguardava, invece, Amelia iniziava a piacerle davvero molto.
Quella ragazza era stata una sorta di bellissima maledizione, per lui. Si era
insinuata nella sua testa prima ancora di saperne le fattezze e il suo pensiero
non l’aveva mai abbandonato. Dopo averla vista per la prima volta, dopo quella
pioggia di coriandoli che lei aveva pensato bene di provocare, qualcosa nel
ragazzo gli aveva urlato che fra loro c’era un legame, quasi fossero
predestinati, e lui, che confidava in modo ostinato al destino, vi aveva
creduto. Per questo si era sentito rattristato quando Amelia non gli aveva più
scritto, al punto da spingerlo a cercare sue notizie in qualche modo. Ora che lei
si trovava a Londra, che stava donando una parte di sé per realizzare le
grafiche nuove e che stava trascorrendo insieme a lui del tempo, sentiva di
aver compiuto tutte le scelte esatte.
Si passò una mano fra i capelli, sorridendo a quel pensiero. Aveva altro
tempo da trascorrere con lei, tempo per farle scoprire ancora più della sua
persona e per approfondire ulteriormente la figura della ragazza. Tempo per
innamorarsene; perché forse era proprio quello che voleva quando pensava ad
Amelia: innamorarsi di lei. Così, almeno, le sue canzoni non sarebbero stati
più testi di storie che altri vivevano, ma avrebbero potuto essere rapportati
anche alla sua vita, elemento che teneva sempre escluso da gran parte del suo
processo di scrittura. Voleva raccontare storie, non parlare di sé, ma se per
una volta una di quelle storie si fosse riuscita a ricondurre alla sua vita gli
avrebbe fatto piacere.
La figura di Trent entrò nel suo campo visivo. «Domani nevica» disse
sarcastico il chitarrista, alludendo al fatto che Ewan fosse arrivato in
anticipo sull’orario di ritrovo.
«Ho dormito qui» replicò il cantante con un sorriso.
«Vedo che sei di buon umore. Che avete fatto ieri sera?»
«Penso di piacerle.» Ewan non rispose alla domanda dell’amico, andando
dritto al punto, il motivo per cui si sentiva così effervescente.
«Ovvio» replicò piatto l’altro.
Fu chiaro per Ewan che Trent si stava riferendo al fatto di essere il
cantante della sua band preferita, ma non diede segno di essere infastidito o
perplesso dalla cosa. «No, intendo, di piacerle veramente.»
«È per questo che sei tutto felice e, soprattutto, puntuale?» chiese il
chitarrista, alzando un sopracciglio, dopodiché capì tutto. «Viene anche lei,
vero?»
Non servì che Ewan dicesse qualcosa perché tutto fu chiaro e, ad ogni modo,
Chris e Chase comparirono come tornado prima ancora che gli altri due membri
degli Shards potessero prendere fiato.
«Ciao ragazzi.» La voce di Amelia interruppe ogni cosa. Si voltarono tutti
e dal modo in cui lei e Ewan si guardarono fu chiaro che ci fosse del non detto
di tutto rispetto fra loro. L’espressione sorniona tipica di Chase gli si impresse
all’istante sul volto e il cantante cercò di ignorarla, così come di ignorare
il suo battito cardiaco irregolare. Il rossetto di Amelia faceva risaltare la
carnosità delle sue labbra e lui dovette tenere a freno la tentazione di
alzarsi e andare a baciarla davanti a tutti, in mezzo a quel caffè.
«Ti ho riportato questa» disse poi la ragazza, mostrando a Ewan la sua
felpa. Le dispiaceva separarsi da quell’indumento, ci avrebbe addirittura
dormito insieme se la cosa non fosse stata strana. Il cantante afferrò la sua
felpa e la ringraziò, mentre i tre amici osservavano la scena come spettatori
al cinema. Amelia iniziava a sentirsi sotto pressione. Chase, Chris e Trent
avevano sicuramente capito tutto e lei cominciava a essere nervosa a quell’idea.
Tuttavia, quando Ewan le sfiorò la mano nel riprendere la letterman,
parve riacquistare sicurezza. «Potreste smetterla di fissarci così? È
inquietante» disse.
Il cantante scoppiò a ridere, guardando gli amici divertito.
Chris si arricciò i baffi con fare altolocato. «Solo quando ci avrete
raccontato tutto, voi due» li bacchettò.
«Prima vorrei sapere dove andiamo. Come al solito non so nulla» proseguì
ostinata Amelia.
«Come “non sai nulla”?» esclamò Chase. Mise un braccio intorno alle sue
spalle, stringendola a sé. «Non sei una nostra fan?»
Lei stava per replicare che non capiva il senso del suo discorso, essere
una fan di un gruppo non significava conoscere ogni abitudine a riguardo, ma
venne attraversata da un pensiero. «L’intervista alla BBC Radio 1» disse tutto
d’un fiato.
«Ding! Indovinato. Vinci un caffè» esultò il
batterista e andò a prendere da bere per entrambi.
«V-volete davvero portarmi con voi? Ma potete farlo?» domandò Amelia.
Sembrava sconvolta e Ewan sperò che fosse un bene.
«Tecnicamente no» rispose Chris. «Ma lo abbiamo già fatto.»
«Più di una volta» aggiunse Ewan. «Se non ti va non sei costretta a venire»
volle rassicurarla.
«No mi va, eccome» esclamò. Cercò di darsi un contegno. Entrare in una
radio era una delle cose che avrebbe voluto fare prima di morire, ma che già
sapeva non avrebbe mai fatto, almeno prima di conoscere gli Shards. Troppe cose
impensabili le stavano succedendo; aspettava solo il momento del
risveglio.
«Così ti immergi un po’ nel nostro stile di vita» riprese Chris. «Ah,
giusto, come vanno le grafiche?»
«Vanno bene» rispose lei, che non riuscì a capire il senso della domanda
piazzata durante quella conversazione. «Forse non riuscirò a finire entro il 14
ma le ultime cose posso sistemarle anche a Glasgow.»
Notò Trent lanciare uno sguardo al proprio cantante e dedusse che doveva
esserci qualcosa sotto.
«C’è un’altra cosa» prese parola Ewan.
«Cosa? Insieme a voi ci saranno i Kodaline?» chiese la ragazza, cominciando
a sentirsi piuttosto in ansia. Si appoggiò allo schienale della sedia, pensando
che così avrebbe avuto tempo sufficiente per mettersi a sedere prima di
crollare a terra in caso di una notizia shock.
Il cantante si dipinse in volto un sorriso perfetto, che per un attimo fu
in grado di scacciare ogni sensazione opprimente dal corpo di Amelia. «Eddie ti
ha prorogato la permanenza di un altro mese. Vorremmo che lavorassi anche alle
grafiche del merchandising.»
Eccola la notizia shock. La ragazza si mise a sedere, gli occhi spalancati.
Non poteva credere a quello che le aveva appena detto. Un altro mese a Londra.
Altri trenta giorni in compagnia della sua band preferita, in compagnia di Ewan
e la possibilità di mettere la firma nei lavori grafici del merchandising
degli Shards, qualcosa che veniva venduta online in tutto il mondo, portata con
orgoglio dai fan, sfoggiato nei negozi.
«Non mi state prendendo in giro, vero?» domandò con un filo di voce,
incredula. I ragazzi scossero la testa. Era stato Ewan a insistere con il
manager. Il giorno prima, quando aveva dovuto salutare Amelia sotto all’ufficio
di Jacob per quell’appuntamento a cui era “già in ritardo”. Sapeva di
averlo fatto per trascorrere più tempo con lei, ma era innegabile che fosse più
che felice di avere anche la nuova merce degli Shards con la firma di quella
giovane artista scritta sopra. La trovava estremamente brava e il suo stile era
proprio ciò che cercava in quel periodo. Attraverso un detto si sarebbe potuto
sostenere che l’utile si univa al dilettevole.
«Di solito non scherziamo quando si parla di lavoro» disse Trent, austero.
«Jacob ti telefonerà domani mattina, fingiti sorpresa dalla notizia» le
suggerì il cantante, facendole l’occhiolino.
«Non so cosa dire» mormorò la ragazza, un ammasso di emozioni dentro in
grado di annichilirla. Era felice, tremendamente felice, ma sconvolta e
sorpresa al tempo stesso.
«Beh, dicci solo se accetti oppure no. E di’ la stessa cosa a Jacob domani
quando ti chiama» le rispose Ewan.
«Certo che accetto» replicò subito lei, ritrovando il controllo delle sue
sensazioni. Cercò di classificarle: gioia, stupore, incredulità, ansia,
gratitudine. Le mise tutte in fila e cercò di assimilarle, sebbene fossero
tutte emozioni difficili da controllare, soprattutto davanti a Ewan.
«Ecco il tuo mocaccino Ami» disse Chase appena ricomparve fra i quattro,
posando un bicchiere di carta sotto al naso della ragazza e canticchiando
parole a caso di quella che lui sapeva essere Jackie Blue di Jack Savoretti. Avevano bevuto caffè insieme più
volte e lui ormai sapeva cosa ordinava la ragazza. «Che mi sono perso?»
«Amelia ha deciso di accettare la proroga sul lavoro» lo informò Trent,
alzandosi poi dal suo posto a sedere. «Ora però è meglio se andiamo» concluse,
senza dare tempo al batterista di festeggiare la ragazza come avrebbe voluto.
Chase le regalò uno dei suoi sorrisi più contagiosi quando lei lo ringraziò per
il mocaccino. Mentre gli Shards si avviavano verso l’uscita Amelia disse loro
che li avrebbe raggiunti subito, giusto il tempo di zuccherare la bevanda.
Ewan rimase indietro con lei. «È tutto a posto?» le chiese, osservandola
versare una generosa dose di zucchero sulla schiuma.
Lei alzò lo sguardo sul cantante. Le era vicino, molto, al punto che le
sarebbe bastato allungare appena il collo per baciarlo; e aveva voglia di
farlo. Resisté alla tentazione – erano insieme al resto dei ragazzi ed era
anche sicura che nel caffè qualcuno li avesse riconosciuti – rispondendo alla
domanda che le aveva fatto. «Sì, è tutto a posto. Solo, beh, troppe belle
notizie tutte insieme. Mi hanno un po’ destabilizzata. In senso buono, intendo»
volle precisare. Il cantante le sorrise, dopodiché i due si ricongiunsero al
resto del gruppo, in attesa sulla strada. Si avviarono verso la sede della BBC
Radio utilizzando la metropolitana. Gli Shards si sentivano a loro agio a
muoversi per la città sui mezzi pubblici, il fatto di non essere riconosciuti
di frequente giocava in loro favore. Amelia passò il tempo a chiacchierare con
Chris e Chase, di cui le piaceva molto la compagnia, ma scambiava di continuo
sguardi con Ewan. Si sentiva al settimo cielo, per quello che era avvenuto con
il cantante, per la notizia che le aveva dato quella mattina sulla possibilità
di rimanere a Londra, per il fatto che la stessero accompagnando in una delle
radio britanniche più famose. Tutto ciò quasi la disorientava per quanto
la facesse stare bene. Sentiva un senso di leggerezza al petto e, quando
scambiò una nuova occhiata con Ewan, capì che stava succedendo: si stava
innamorando di lui; del vero lui, non del cantante degli Shards, ma del ragazzo
sempre in ritardo che amava la pizza, il canto e la musica. Quello che andava
ovunque in sella alla sua bicicletta, che comprava la birra nei negozi di
alimentari aperti ventiquattr’ore, a cui Londra piaceva molto più di notte che
di giorno. Quella consapevolezza la spaventò, perché ciò che portava con sé era
un’incognita. Sarebbe finita come con Eric? O, peggio, con Richard? Oppure ci
sarebbe stato un lieto fine, almeno per una volta? Il suo passato si ostinava a
non volerla lasciare in pace ed era come se qualcuno le premesse con forza un
pugno all’altezza dello stomaco. Tuttavia, alla vista di Ewan, quella
sensazione opprimente si affievoliva.
Amelia continuò a seguire i quattro fuori dalla Tube, lungo alcune strade
di Londra, finché l’edificio della BBC, sede delle radio, non comparì in
lontananza. Davanti agli ingressi c’erano alcune transenne e personale della
sicurezza e, lì vicino, un numero abbastanza nutrito di persone. Erano fan
degli Shards, in attesa della band. I quattro ragazzi non parvero affatto
turbati dalla cosa. Proseguirono con passo tranquillo, diretti proprio verso
quella schiera di persone e quando qualcuno li riconobbe e la voce si sparse
fra il resto dei presenti, li salutarono come fossero tutti loro amici.
Chiacchierarono con loro, si fecero foto insieme, ed erano socievoli e alla
mano. Si stavano comportando allo stesso modo in cui avevano fatto con Amelia
da quando l’avevano incontrata la prima volta. Erano quattro ragazzi
sorprendenti ed era chiaro che amassero stare insieme ai loro fan, gli stessi
per cui componevano le loro canzoni.
Si fermarono il tempo sufficiente per fare in modo di accontentare quante
più persone possibili, ma alla fine si avviarono oltre l’ingresso della sede
della radio, salutando tutti e seguiti da Amelia, che si sentiva più fortunata
che mai per l’occasione che stava avendo la possibilità di vivere. Come
varcarono la soglia dell’edificio furono subito accolti da una donna, la quale
si avvicinò sorridendo ai quattro. «Shards, benvenuti» disse. Scambiò una
stretta di mano con ciascun componente della band e arrivata ad Amelia si
bloccò, interdetta.
«Ehm, lei sarebbe con noi, se la cosa non crea disturbo» intervenne Chris,
con il suo tono più innocente, a cui risultava impossibile dire di no. La donna
– Elizabeth Woods – infatti, cedette subito. «Oh, no, nessun disturbo. Provvedo
a farti arrivare un pass da visitatore» le disse, scambiando una stretta di
mano anche con Amelia. Lei la ringraziò e se ne tornò in silenzio, ad assistere
da spettatrice a quell’aspetto della vita degli Shards.
Il pass che le diedero, con la scritta visitor a caratteri cubitali, le
dava la possibilità di girare liberamente per la sede, fatta eccezione
per alcuni luoghi – un po’ come l’ala ovest de La bella e la bestia. Tuttavia lei non aveva dubbi su ciò che
avrebbe voluto fare e seguì la band, guidata da Elizabeth, fino alle sale in
cui avrebbero avuto la diretta audio.
Prima che la trasmissione iniziasse fu tutto uno stringersi di mani,
scambiarsi convenevoli e sorridersi, al punto che tutto ciò quasi arrivò a
stancare Amelia. Per sua fortuna, però, quando gli Shards e il dj infilarono le
cuffie cambiò tutto. Lei rimase nella cabina di regia, oltre quel vetro che
separava il punto in cui il gruppo stava svolgendo l’intervista. In un angolo
della sala c’erano una chitarra acustica e una tastiera elettrica, cosa che le
permise di capire che, presto, ci sarebbe stata anche della musica. Rimase
ad ascoltare i ragazzi parlare del più e del meno, mentre l’intervistatore
sottoponeva loro tutta una serie di domande. Ridevano, rispondevano con
leggerezza e tirarono in ballo una serie di argomenti diversi. Parlarono della
tour che avevano concluso in luglio, di quella che avrebbero iniziato in
gennaio, negli Stati Uniti. Quando Ewan parlava di tutto ciò i suoi occhi erano
inondati di una luce vivace, eccitata. Era chiaro che amasse profondamente
girare per il mondo insieme alla sua musica, suonare dal vivo in quanti più posti
possibili, davanti ai propri fan. Quella era la sua vita, ormai e lui amava
viverla. Dopotutto, un’anima vitale e artistica come la sua non avrebbe potuto
fare altro se non scegliere una strada del genere, insieme a tre amici fidati e
tantissima voglia di non fermarsi mai. Amelia si chiese come sarebbe stato
passare i propri giorni accanto a Ewan, se fosse il tipo che portava con sé la
propria ragazza durante le lunghe tournée o se invece si facesse aspettare a
casa, telefonando ogni giorno per sentire se era tutto a posto. La sua mente
stava cominciando a correre troppo e lei pensò bene di fermarla prima che fosse
troppo tardi. Tornò a concentrarsi sull’intervista che si stava svolgendo sotto
i suoi occhi. Vi aveva appena teso l’orecchio quando l’intervistatore
disse: «Adesso in scaletta abbiamo una canzone.» Lasciò cadere la
frase, chiaramente volendo che fossero gli Shards a proseguire.
Ewan non si fece
attendere, segnale che ormai era avvezzo alle interviste e ai trucchi dei vari
giornalisti. «Sì, esatto. È il nostro ultimo pezzo. Lo abbiamo suonato una
sola volta dal vivo, a Glasgow. Si chiama Penelope.» D’istintosollevò lo sguardo verso la cabina di regia,
dove avrebbe dovuto esserci Amelia, ma il vetro era oscurato e lui riuscì solo
a vedere il suo stesso riflesso. La ragazza, invece, lo vedeva alla perfezione
e si sentì arrossire.
I ragazzi si disposero
nei rispettivi posti mentre la regia mandava un po’ di pubblicità e quando
tornarono in onda il dj presentò il brano e lasciò alla band il giusto
spazio. Penelope iniziò in una versione acustica che tolse il
respiro ad Amelia. La voce calda e piena di Ewan ricamava le parole con
trasporto e lei riusciva a sentirlo prendere fiato a ogni nuova strofa. La
ragazza non poté fare a meno di pensare a tutto ciò che ruotava attorno a
quella canzone. A detta del cantante, Penelope era nata dopo
il disegno che lei gli aveva infilato in tasca durante il loro penultimo
concerto di Glasgow, per tale ragione sentiva di avere un legame speciale con
quel pezzo. Si ricordava ancora come si era sentita la prima volta che l’aveva
ascoltata, quando Ewan, dal palco, aveva detto che quella canzone era dedicata
alla persona che le aveva fatto quel disegno, chiunque fosse. Le era
sembrato che in tutta la The SSE Hydro ci fossero
stati solo loro due, la fan e il cantante. Il brano l’aveva toccata come nulla
prima di quel momento. Aveva sentito di esservi legata, come se parlasse di
lei, come se fosse la sua canzone, quella che racchiudeva nei propri versi la
sua intera vita. Per tale ragione quando il concerto era finito era corsa
a casa, a prendere il tubo di coriandoli che aveva lasciato nella sua stanza
per mesi, decidendo di fare la follia che, alla fine, l’aveva condotta fin
lì. Anche con tutta la spietata onestà di cui era in possesso, non avrebbe
mai potuto dire che sarebbe andata a finire così, né tanto meno che avrebbe
avuto il coraggio di attirare l’attenzione degli Shards a quel modo. Mentre la
voce di Ewan continuava a riempirle la testa con le meravigliose parole di
quella canzone, Amelia capì che se non avesse agito in modo impulsivo quella
notte a Glasgow, lei ora non sarebbe stata lì, ad ascoltare cantare dalla cabina
di regia della BBC radio il ragazzo che, un giorno alla volta, riportava dentro
di lei quei fremiti che sembravano averla ormai abbandonata.
Il suo cellulare prese
a vibrare nella borsa e la sua concentrazione venne meno. Imprecò mentalmente
contro chiunque la stesse chiamando, decidendo di non rispondere. Non voleva
perdersi una sola nota di Penelope, specie in quella versione
acustica in grado di lasciare senza fiato. Controllò per scrupolo chi la
stesse chiamando, ma appena lesse il nome in sovrimpressione capì che non
poteva rinunciare: era Edward Jones.
“And
I could live, I could die|Hanging on the wordsyousay|And
I’vebeenknown to givemyall|Sitting back, looking at|EverymessthatI’ve made”
Ed Sheeran.
Dive
Appartamento
di Amelia, St. PetersburghPl,
Londra, 10 settembre
Ore
8:23 AM
Amelia allungò la mano ad afferrare la tazza, bevendo
un sorso dell’infuso alla menta contenuto al suo interno. Infusi alla mente e
mocaccino, erano quelle le due cose che beveva ogni volta che si metteva a
lavorare. In verità la sua bevanda preferita rimaneva quella alla menta, ma da quando
lavorava fuori casa, nei caffè soprattutto, aveva anche iniziato a fare ampio
uso di sostanze a base di caffeina. Si passò una mano fra i capelli, dopodiché
guardò il lavoro che stazionava sullo schermo del portatile nel suo insieme.
Era la grafica di Penelope. A
differenza di tutte le altre, Ewan le aveva dato completa libertà per quel
lavoro, come fosse stato certo che qualsiasi risultato ottenuto dalla ragazza
sarebbe stato perfetto. La cosa aveva messo addosso ad Amelia una pressione
ineguagliabile, soprattutto dopo la telefonata che aveva ricevuto il giorno
prima da Edward, proprio mentre gli Shards suonavano una versione acustica di
quella canzone. Il manager della band l’aveva chiamata solo per darle notizia
ufficiale di quanto Ewan le aveva anticipato poche ore prima. Tuttavia, nella
conversazione che ne era seguita, alla ragazza era parso di leggere un lieve
insoddisfazione per il dilatarsi delle tempistiche di consegna. In verità
Amelia si sentiva a un ottimo punto, così come Ewan e Jacob, ma forse Edward
voleva un lavoro che fosse più veloce. Lei non ne aveva parlato con il
cantante. Aveva deciso di dedicare ogni ritaglio del proprio tempo al disegno,
rinunciando anche a qualche ora di sonno, come aveva fatto per alcune delle
poche commissioni che le avevano dato speranza negli anni precedenti. Nonostante
un inizio titubante, il cosiddetto “panico da foglio bianco”, la ragazza era
riuscita a dare vita a un disegno di tutto rispetto per la canzone di Penelope e lo aveva fatto cercando di
rappresentare ogni emozione, perfino quella più insignificante, che provava
quando ascoltava quella canzone.
Il cellulare che
aveva accanto al pc trillò, l’icona di un nuovo messaggio WhatsApp apparve
sullo schermo. Era Pani.
Ricordati di chi è stato a rispondere alla telefonata
di Jacob mentre tu eri sotto la doccia.
Amelia rise. Aveva
raccontato tutto quello che era successo negli ultimi due giorni alla migliore
amica e questa sembrava non avere voglia di smettere di parlare della questione.
Anche quella mattina Pani aveva tirato di nuovo in ballo l’argomento, senza
apparente motivo, e avevano iniziato a discutere della cosa nonostante Amelia
tentasse in ogni modo di zittire la coinquilina. Pani era la cosa che più le
mancava di Glasgow; stare lontana da lei un altro mese le dispiaceva, tuttavia
l’amica le aveva garantito che ne valeva la pena. “Parliamo degli Shards” le
aveva detto, consapevole di quanto Amelia amasse la band – ora anche più di
prima.
Amelia non rispose
al messaggio, posò il telefono con lo schermo rivolto al tavolo e diede una
nuova occhiata al disegno che ancora dominava lo schermo del portatile. Eseguì
solo un altro paio di righe sulla tavoletta grafica prima che il suo smartphone
suonasse di nuovo. Diede una rapida occhiata alla notifica della chat, convinta
fosse Pani che non ne voleva sapere di venire ignorata, ma si sbagliava, il
messaggio era di Ewan. Fu semplice e diretto, rispecchiando alla perfezione il
suo stile.
Che ne dici se stasera ti porto in un posto?
Un messaggio
vago. Dopotutto cos’altro si poteva aspettare? Dopo aver conosciuto gli Shards
aveva imparato che, quando si parlava di loro, le cose diventavano chiare solo
quando ci si trovava in mezzo a esse. Eppure la cosa non la infastidiva, al
contrario. Ormai si fidava di loro e sapeva che, ovunque l’avessero
accompagnata, si sarebbe trovata alle prese con qualcosa di inatteso e
sorprendente. La loro era un’abilità. Tuttavia cercò ugualmente di provare ad
avere qualche informazione in più, come ogni altra volta.
Immagino non possa avere un’anteprima di questo
ipotetico posto...
Scrisse. Tornò a
concentrarsi sul disegno, ma attese la risposta del cantante con impazienza.
Tutte le volte che si scrivevano per lei era così; aspettava la risposta del
ragazzo, quasi la bramava, salvo poi lasciar passare qualche minuto prima di
scrivergli per non dare l’impressione di essere sempre attaccata al telefono.
Sapeva che anche quel suo comportamento era un segnale, ma si ostinava a
ripetere a sé stessa che non volesse dire tutto, sebbene ormai le fosse chiaro
che i sentimenti che provava per Ewan diventavano ogni istante più intensi.
Arrivò il messaggio di risposta, che lei si costrinse a leggere solo dopo
qualche minuto.
Se te lo dicessi non sarebbe una sorpresa.
Sorrise. Si
chiese come fosse stare insieme a Ewan. Avrebbe continuato a esserne sempre
affascinata come lo era in quel momento o prima o poi anche lui avrebbe smesso
di intrigarla? Scacciò subito quel pensiero. Lei e Ewan non stavano insieme,
non erano una coppia e il solo fatto che si fossero baciati due volte non
significava nulla. L’esperienza le aveva insegnato alcune cose, dopotutto.
Ah, allora non mi lasci altra scelta.
A che ora?
La risposta del
cantante non si fece attendere, cosa che provocò in Amelia un moto di gioia a
suo parere irrazionale.
Alle 8.30 PM sono da te.
Lei si disse d’accordo
con una emoticon, ma poi le fu impossibile chiudere subito la chat. Iniziò a
scorrere a ritroso le conversazioni avute con Ewan, sorprendendosi di quando si
fossero scritti dal momento in cui si erano scambiati il numero. Il cantante tornò
online e lei subito chiuse la chat, improvvisamente imbarazzata, spingendo
lontano lo smartphone. Si diede della stupida, dicendosi che quell’atteggiamento
andava bene per una ragazzina di quindici anni, non per una che ne avesse
almeno dodici in più. Tuttavia Ewan le faceva quell’effetto e per quanto lei si
sforzasse di ignorare il fatto che si trattava del cantante degli Shards, quel
dettaglio non era per niente insignificante.
Tornò a
concentrarsi sulla grafica di Penelope,
guardando d’improvviso il lavoro con occhi diversi. Qualcuno che ne capiva di
psicologia avrebbe sicuramente visto di più, in quel disegno, di una coppia si
ragazzi – il cui volto era in ombra, quindi impossibile da interpretare – che cercano
di afferrarsi mentre una lingua di fuoco, l’unico elemento a colori, riempiva
lo sfondo alle loro spalle. Amelia si chiese come sarebbe apparso quel suo
lavoro su un grande schermo, mentre luci e programmi di computer ne muovevano
linee e forme per dargli vita. Avrebbe avuto la pelle d’oca per l’emozione, lo
sapeva. Quel pensiero, pur collegato agli Shards e a Ewan, le consentì di
distrarsi dalla prospettiva dell’appuntamento con il cantante, in cui sarebbero
andati in quel luogo “misterioso” che non aveva avuto modo di conoscere
ancora.
Terminò il suo
infuso e riprese a disegnare, in attesa delle otto e trenta di quella sera.
St.
PetersburghPl, Londra, 10
settembre
Ore 8:28 PM
Data la puntualità di Ewan l’ultima volta, Amelia
decise di scendere di casa così da essere in perfetto orario. Tuttavia il cantante
sembrava essere tornato alle vecchie abitudini. La ragazza aspettò per più di
cinque minuti, canticchiando fra sé le parole di una canzone degli
Shards. Si sistemò la gonna e la giacca di pelle – di cui quella sera si
era munita – quando sentì un clacson suonare. Sollevò lo sguardo, incuriosita,
cercando di capire se stesse succedendo qualcosa in strada, ma non vide nulla
di eclatante. Il clacson suonò ancora e lei si accorse della Golf nera
parcheggiata al lato del marciapiede. Il finestrino dell’auto si abbassò e
Amelia poté riconoscere Ewan.
«Ciao» la salutò lui, facendole cenno di raggiungerla.
La ragazza
rimase interdetta; non si aspettava di vederlo in auto, era convinta che il
ragazzo sarebbe arrivato in bici, come suo solito, scendendo agile dalla sella,
il viso arrossato per la corsa. Tuttavia ignorò la cosa
e si avvicinò alla macchina, abbassandosi all’altezza del finestrino. «Dove hai
lasciato il tuo destriero?» domandò con fare scherzoso, alludendo alla
bicicletta.
Ewan lo capì subito. Sorrise, sollevando
le sopracciglia. «Sono venuto in carrozza, questa sera. È decisamente più
comoda visto dove dobbiamo andare.»
Invitò Amelia a salire e lei si
sistemò sul sedile del passeggero. Diede d’istinto un’occhiata all’auto,
notando diversi fogli sparsi sul cruscotto, il cellulare in carica, lo stereo
acceso. C’era una bottiglietta d’acqua incastrata nel piccolo portaoggetti
vicino alla leva del cambio e alcuni indumenti sui sedili posteriori, insieme
allo zaino e a una delle innumerevoli giacche letterman
di Ewan.
«Sì, c’è un po’ di caos» disse lui,
a motivare la situazione della propria auto. Non aveva la fissazione della
macchina, faceva abbastanza fatica a tenerla in ordine e tirata a lucido.
«Dovresti sapere che non sono il tipo
che bada a queste cose» rispose Amelia.
Il cantante ingranò la marcia e si avviò
lungo la via. Abbassò appena il volume della radio, così che non disturbasse la
conversazione con la ragazza.
«Ora posso sapere dove stiamo
andando?» insisté lei. Le piaceva l’alone di mistero che aleggiava intorno
agli Shards, ma il fatto che Ewan fosse passata a prenderla in macchina voleva
di certo dire che non sarebbero stati nel centro di Londra e la cosa le
provocava una strana sensazione.
Il ragazzo fece schioccare la
lingua. «Te l’ho detto, è una sorpresa. Piuttosto, hai cenato?» le
chiese, sovrappensiero.
Lei annuì e si arrese all’idea di dover
aspettare che l’auto venisse fermata per scoprire in che posto erano diretti.
Cominciarono a parlare. Amelia osservava fuori dal finestrino la città che
scorreva, luminosa come ogni altra sera. Non si accorgeva delle occhiate
sfuggenti che ogni tanto Ewan le lanciava. Lo speaker radiofonico annunciò il
prossimo pezzo e subito iniziò Dive di Ed Sheeran.
Dopo le prime strofe, però, il ragazzo allungò il proprio telefono ad Amelia,
invitandola a scegliere della musica da ascoltare. Lei impiegò un po’ di tempo;
quella canzone di Ed Sheeran le piaceva e temporeggiò
apposta per poterne sentire il più possibile. Poi, proprio come la prima
volta in cui erano usciti insieme per le strade di Londra, la ragazza fece
partire come prima canzone un pezzo dei The Vaccines. Si decise anche a
farsi forza e a chiedere a Ewan che tipi fossero, dato che avevano suonato
insieme già un paio di volte in qualche festival. Prima d’allora non aveva mai
avuto il coraggio di fare una domanda del genere a nessuno dei membri degli
Shards, incluso Chase che, quasi sicuramente, le avrebbe risposto più che
volentieri. Temeva che la considerassero fuori luogo, il classico quesito
che può venire formulato da una fan alla ricerca di gossip. Tuttavia in quel
momento decise di tagliare la testa al toro e soddisfare la sua curiosità. Ewan
non parve affatto infastidito dalla domanda, al contrario. Rispose alle
curiosità della ragazza e da lì il discorso si spostò anche su altri gruppi
musicali che Amelia seguiva e che lui aveva la fortuna di conoscere – primi fra
tutti i Kodaline.
Viaggiarono a lungo, allontanandosi da
Londra, diretti verso la M11. Il cantante aveva voglia di guidare quella sera
e, soprattutto, di portare Amelia in un posto che le sarebbe rimasto bene
impresso, dove lui era finito una volta, prima di diventare famoso, in seguito
a un viaggio con alcuni amici e un serbatoio non pieno a sufficienza.
Quando le strade cominciarono a essere
meno fitte, sinonimo del fatto che stavano abbandonando la metropoli, la
ragazza iniziò a sentirsi nervosa. Un alone di mistero andava bene, ma quella
situazione cominciava davvero a preoccuparla. Ewan sembrava non avere
intenzione di fermare l’auto e le case si facevano via via più rade, lasciando
spazio alla campagna e alla notte. Si chiese che intenzioni avesse il
ragazzo e le venne spontaneo temere di aver lasciato intendere cose del tutto
sbagliate. Si ritrovò a sperare che anche lui non appartenesse a quel gruppo di
ragazzi più interessati al suo corpo che alla sua persona e temette di essere
stata fraintesa in qualcosa, anche se non sapeva cosa. Era davvero a disagio,
ora, e Ewan avrebbe dovuto accorgersi del suo improvviso silenzio, se non fosse
stato troppo occupato a parlare.
Il cartello della Contea dell’Essex sfrecciò accanto all’auto e i due proseguirono ancora
lungo la strada finché, più di un’ora dopo la loro partenza, il cantante
accostò su un lato della strada, vicino a un campo, nel nulla più assoluto. Amelia
si guardò intorno, terribilmente nervosa. Che intenzioni aveva quel
ragazzo? Il cuore le batteva all’impazzata per la preoccupazione, ma fece del
suo meglio per mantenere la calma, maledicendosi mentalmente per aver messo la
gonna e non un paio di jeans, magari di quelli stretti e lunghi.
«Ci siamo» annunciò Ewan con un
sorriso. Spense il motore e guardò Amelia, sorridendole. Lei, per quanto
agitata e rossa in volto al timore di quello che sarebbe potuto avvenire da lì
a poco, non riuscì a non pensare a quanto fosse bello quel sorriso.
Il cantante scese dall’auto e si
stiracchiò un po’, prendendo una lunga boccata di quell’aria notturna fresca e
piacevole che aleggiava tutt’intorno. Si chinò per vedere Amelia, ancora seduta
in macchina nel vano tentativo di rendersi piccola e
invisibile. «Scendi» la invitò.
Lei eseguì, titubante. Ewan si infilò la
sua letterman e afferrò dal sedile posteriore gli
indumenti incomprensibili che vi erano appallottolati e che la ragazza identificò
come delle coperte. I due si guardarono per un lungo momento e Amelia si
sentì avvampare. Avrebbe voluto dire qualcosa ma non le uscivano le parole. Il
ragazzo intuì che qualcosa non andava – sebbene non capisse cosa –
e pensò bene di spiegare alla ragazza perché l’aveva sottoposta a più di un’ora
d’auto. «Che te ne pare?» le chiese. Spalancò le braccia verso il cielo,
alzando lo sguardo sulla notte.
Lei inarcò un sopracciglio, perplessa.
Per la prima volta da quando aveva conosciuto Ewan non capiva cosa cercasse di
farle intendere. Alla fine seguì il suo sguardo, sollevandolo verso il
cielo. E capì tutto. C’erano un’infinità di stelle sopra di loro, quante lei
era sicura di non averne mai viste. Ewan non aveva intenzione di farle chissà
che in quel posto, voleva solo mostrarle una prospettiva che in una città
come Londra, o anche solo Glasgow, era impossibile da trovare. Il turbamento le
scivolò di dosso quando capì tutto. Guardò il cantante e si lasciò sfuggire un
sorriso. «Tu sì che sei capace di sorprendere» gli disse e lo pensava
davvero.
Lui rise, illuminandosi. La invitò a
sistemarsi sul cofano dell’auto, accanto a lui, la testa posata sul parabrezza,
gli occhi al cielo.
«Non è molto comodo» ammise Amelia
quando si fu sistemata. Tirò giù la gonna, che le si era alzata mentre cercava
di sedersi e si sistemò nel modo che le fosse più confortevole
possibile, sentendo il corpo di Ewan accanto al suo. «Però ne vale la
pena» ammise, davanti a quell’oceano nero e argentato che ora si trovava
davanti. Il ragazzo le diede ragione e lei proseguì: «Di’ un po’, questo
posto come lo hai trovato?» gli chiese, sperando che dietro vi fosse un
altro di quegli aneddoti unici che solo lui sembrava in grado di raccontare.
Lui, infatti, non la deluse. La storia fu piuttosto semplice e coinvolgeva un Ewan
di ventiquattro anni appena compiuti, un viaggio in auto con alcuni compagni di
college ed errati calcoli su dove e quando effettuare le soste per i
rifornimenti. «Eravamo
convinti di arrivare giusto in tempo a Londra» raccontò il cantante ad Amelia, che stava già ridendo
a immaginare la dinamica del viaggio. «Siamo rimasti a secco in questa zona, chilometro più,
chilometro meno. Era luglio ed erano le dieci di sera passate. Abbiamo iniziato
a spingere l’auto con l’illusione di riuscire a rientrare.» Si mise a ridere al ricordo. «Poi ci abbiamo rinunciato. Abbiamo chiamato un carro
attrezzi e ci siamo sdraiati sul prato nell’attesa. Era una sera limpida quanto
questa, puoi immaginare a che spettacolo assistemmo.»
«Direi di sì.»
«Quando vivi in una città come Londra quasi ti dimentichi di quante stelle
ci sono.»
Amelia lo guardò
di sottecchi. L’anima da sognatore di Ewan stava facendo capolino ed era in
grado di dimostrare come potesse quel semplice ragazzo scrivere canzoni tanto
belle. Venne attraversata da un brivido; si disse che doveva essere colpa del
fresco della sera e si coprì con la coperta che il cantante le aveva porto in
precedenza. Ne offrì un lembo anche a lui, ma quest’ultimo declinò l’offerta,
dicendo che stava bene.
«Ti ha chiamata Jacob questa mattina?» volle sapere poi Ewan. Doveva capire se poteva
parlare del mese di permanenza aggiuntivo di Amelia senza che venisse a galla
il fatto che lui le aveva anticipato tutto prima dell’effettivo consenso del
manager.
«Mi ha chiamato
Edward. Ieri.»
Il ragazzo si
voltò di colpo a guardarla. «Eddie? Perché?»
«Per la cosa
della proroga.»
«Sì, certo. È
solo che, beh, ero convinto ti avrebbe chiamata Jacob.»
Sembrava
sorpreso. Amelia pensò che forse il manager fosse abbastanza nuovo a questo
genere di mosse, all’apparenza immotivate. Tuttavia era convinta che la
chiamata dell’uomo avesse anche un altro scopo di fondo, una specie di
messaggio subliminale per farle capire che una proroga di un mese poteva anche
andargli bene, ma oltre era fuori discussione. Tentò di sondare un po’ il
terreno, magari lui era a conoscenza di qualche informazione in più.
«Senti ma»
esordì, in cerca delle parole più appropriate, «pensi che per Edward sia troppo
lenta nel lavorare?»
Ewan sbuffò
appena. «Cosa ti ha detto?» chiese, con la voce di chi stava pensando di fare “un
bel discorsetto” al proprio manager.
«Niente di che,
in realtà. Solo che lo ha detto in un modo che mi ha fatto pensare che, forse,
avrebbe voluto le grafiche finite in questo mese, invece che vederne solo una
parte.»
«Se non ti ha
detto niente di preciso allora puoi stare tranquilla» la rassicurò. «Eddie è,
beh, un po’ pignolo. E un vero e proprio rompiscatole delle volte. Ma non ha
problemi sul tuo modo di lavorare, ne abbiamo parlato. Solo che, come ogni uomo
che deve stare dietro a numeri e scadenze, ha un po’ la fissazione affinché
tutto venga fatto in fretta.»
La ragazza
ripensò a quelle parole e si sentì meglio. Non aveva motivo di dubitare di Ewan
e inoltre sapeva che non avrebbe impiegato più tempo del nuovo mese che aveva a
disposizione per ultimare le grafiche che le restavano per la tournée e quelle
quattro o cinque che avrebbero composto il merchandising – oltre al fatto che
in gran parte sarebbero state tratte proprio dalla grafica della tour.
«Quanti disegni
ti mancano?» le chiese Ewan prima che lei potesse ringraziarlo per il conforto.
«Quattro. Più
uno che ho quasi finito» rispose dopo averci pensato su. «E i lavori per il
merchandising, naturalmente.»
«Beh allora sei
a buon punto. Devono solo essere finite entro il primo novembre, per avere il
tempo di fare tutto.»
«Oh, allora ce
la faccio. Solo che, te l’ho detto, temevo fosse scontento.»
«No, tranquilla.
Non prendere troppo sul serio Eddie. Gli piace fare la parte del cattivo.
«Come
sta andando?» domandò dopo alcuni istanti di silenzio.
«Cosa?»
chiese in risposta lei, che non capì ciò a cui stava alludendo.
«La
tua esperienza a Londra. Come sta andando?» Era davvero curioso di
saperlo perché, in fin dei conti, da quando Amelia era arrivata non
avevano mai realmente parlato di ciò e voleva sapere se la permanenza della
ragazza stesse procedendo bene o meno. Amelia rispose che, sì, stava andando
tutto bene, anzi. Le stavano succedendo cose che non avrebbe mai pensato e non
aveva dubbi su chi fosse il responsabile della cosa.
Ewan
voleva che continuasse a parlare. Era piacevole ascoltarla, il suo accento scozzese
gli piaceva in modo particolare, specie per le erre belle
arrotolate che aveva e che donavano un suono unico a diverse
parole. La incalzò con qualche domanda di tanto in tanto, finché lei non
proseguì da sola a raccontare di quanto le stava succedendo da quando lavorava
alle grafiche degli Shards. Spiegò com’era andata avanti con i lavori, di
come quello fosse l’ambiente che più le si addiceva, suddivisa fra bozze e
definitivi con Illustrator o Photoshop. Gli rivelò anche di quanto era
rimasta soddisfatta dalla serietà che aveva incontrato in Jacob e, in fondo,
anche in tutti i componenti della band – specie in Linton.
Come
capitava spesso quando erano insieme, persero il conto del passare del tempo.
Amelia continuò a chiacchierare, sempre spinta da Ewan a farlo ed era felice,
per quella volta, di raccontare qualcosa di sé. Sollevava le mani per
gesticolare, davanti a lei solo il cielo e, ogni tanto, le brevi osservazioni e
le risate del cantante le consentivano di capire che lui la stava ascoltando. Era
intenta a parlare di Jacob, di quanto apprezzasse il costante confronto che c’era
fra di loro, quando lasciò cadere la mano sinistra che stava tenendo sollevata.
Quando le ricadde sulla coperta, la sentì sfiorare la mano di Ewan, che teneva
distesa lungo il fianco. Le fu impossibile non sentire un brivido, per quanto
il loro contatto fu leggero e lasciò la mano lì, accanto a quella del cantante.
La
notte li stava ospitando come una sapiente padrona di casa. I due passarono il
loro tempo distesi sul cofano della macchina a parlare, con il ragazzo che, di
tanto in tanto, canticchiava le parole di alcune delle sue canzoni, provocando
in Amelia – che lui cercava invano di coinvolgere – delle momentanee variazioni
al battito cardiaco. Cercava di rimanere calma, ma più tempo trascorreva
insieme a lui in quel posto, più sentiva una morsa chiuderle lo stomaco. Le fu
inevitabile chiedersi come sarebbe potuta andare a finire quella serata, quella
notte insieme a Ewan e si rese conto che nelle ultime tre uscite che aveva
avuto con il ragazzo, la conclusione era sempre stata più intensa della
precedente. Cercò di non pensare alla cosa – perché pensarci, poi? - e tornò a
concentrarsi sul cantante che aveva preso a dire qualcosa riguardo Chris .
Tuttavia
la notte si stava facendo sempre più largo fra loro e Amelia cominciò a sentire
di essere piuttosto stanca. Aveva delle ore di sonno arretrare, dovute al fatto
che la notte prima aveva dormito poco, presa dall’ansia di rendere Edward
insoddisfatto del suo modo di lavorare. Per sua fortuna, però, al suo terzo
sbadiglio Ewan capì che, forse, era ora di andare.
«Io
faccio l’una e quarantacinque» disse.
La
ragazza si stropicciò gli occhi. «Ah sì?» Una parte di lei, in
verità, non aveva voglia di rientrare, dopotutto lì ci stava bene; tuttavia le
conveniva andare a dormire, soprattutto perché prima di arrivare a Londra ci
sarebbe voluta un’altra ora d’auto. Cercò di scendere dal cofano della Golf nel
modo più elegante possibile, ma il risultato fu mediocre. Incespicò appena
nella coperta e perse l’equilibrio in fase di atterraggio, rischiando di cadere
a terra, cosa che per sua fortuna non avvenne.
Ewan
la guardò divertito. «Quasi. Di solito ci vuole un po’ per imparare a scendere
discretamente da qui» le disse. «Poi secondo me la gonna non aiuta.»
«Non
dare la colpa alla gonna. Sono incapace io» sentenziò lei, sistemandosi i
vestiti e strappando una risata al ragazzo.
Sistemarono
quanto avevano utilizzato nei sedili posteriori dell’auto, dopodiché partirono
per tornare a Londra. Durante il viaggio Amelia fece il possibile per rimanere
sveglia, ma il dondolio della macchina non faceva altro che farle venire più
sonno. Avrebbe voluto fare conversazione con Ewan ma lui, al contrario,
sembrava intenzionato a lasciarla riposare. Cantava ogni canzone passava
la radio – collegata al suo smartphone – e la ragazza si sentiva terribilmente
fortunata ad avere quell’occasione. Erano come una coppia, il ragazzo che guida
e la fidanzata che cerca invano di rimanere sveglia per fargli compagnia.
Nonostante tutto, però, lei riuscì a non addormentarsi fino all’arrivo. Aveva
deciso di improvvisarsi dj, scegliendo lei le canzoni da ascoltare e, in quel
caso, da far cantare a Ewan, e il ragazzo parve molto divertito dalla
cosa.
Londra
appariva abbagliante in confronto al cielo stellato che i due avevano fissato
nelle ore precedenti ma, di notte, era anch’essa uno spettacolo in grado di
togliere il fiato, come lo era quella sera sulla riva scura del Tamigi. Ad
Amelia sarebbe mancata quella città, se lo sentiva, e si chiese se mai avrebbe
avuto modo di tornarvi, lanciando d’istinto un’occhiata a Ewan. S’immersero sempre
più nelle vie della capitale, finché non svoltarono in St. PetersburghPl, via che ormai Amelia aveva imparato a conoscere
bene. Erano quasi le tre e in giro non vi era nessuno. Il cantante accostò l’auto
al bordo del marciapiede e spense il motore, segno, almeno per la ragazza, che
non aveva fretta di andarsene. Come lei, del resto; pur di stare ancora insieme
a lui avrebbe passato la notte in bianco; inoltre, d’improvviso, sentiva di non
avere più tanto sonno. Non diede segno di voler cercare le chiavi nella
borsa; in verità, non diede segno neanche di volersene andare.
«Beh,
è stato bello. Sul serio. Grazie per avermi portato fin là. Ammetto che subito
ero parecchio confusa dalla cosa» disse ridacchiando.
«Sì,
immagino. Volevo farti una sorpresa, ma un’ora di macchina in effetti sarebbe
stata inquietante anche per me. Magari la prossima volta ti dico che dobbiamo
andare fuori Londra, così ti prepari.»
Ancora
quelle parole, di nuovo una “prossima volta”. Amelia avrebbe voluto che fosse
ora quella “prossima volta”, anche se erano in una macchina e parcheggiati
sotto la sua temporanea casa. Le era così difficile separarsi da lui, già
temeva il momento in cui sarebbe dovuta tornare a Glasgow, senza nessuna
proroga lavorativa a consentirle di avere altro tempo da spartire con il
cantante. Quel pensiero le fece venire in mente il motivo che l’aveva portata a
raggiungere Londra la prima volta: le grafiche per gli Shards. Non aveva ancora
mostrato a Ewan nulla relativo ai disegni di Penelope, nemmeno una bozza,
neanche l’idea. Per sua fortuna teneva sempre una copia dei propri lavori sul cloud e le bastò prendere il telefono. «Visto che ci
sono, vorrei farti vedere questo» disse, cercando nei suoi file il disegno
in questione. «Non l’ho ancora finito, ma l’idea è questa. Per Penelope.»
Il
pensiero di quella canzone le portava sempre alla testa una moltitudine di
aneddoti, inevitabilmente connessi a lei e agli Shards e non perché quel brano
fosse loro. Mise il disegno a schermo intero e allungò il cellulare al ragazzo.
«Non so se può andare bene. L’ho
disegnata di getto, pensando alla canzone, ma forse ci sono troppi elementi.
Temo di essermi persa in fronzoli inutili»
ammise. Il disegno, in realtà, le piaceva molto, ma era consapevole che non
fosse esattamente in linea con gli altri. Forse parlarne con Ewan sarebbe stato
d’aiuto per perfezionare quel lavoro.
Quest’ultimo osservò ancora il disegno
sullo smartphone, dopodiché alzò gli occhi sulla ragazza. «È perfetto» rispose, con una semplicità e un
tono disarmanti. «È davvero, davvero bello. Meglio di qualunque altra idea mi
sarebbe potuta venire in mente» continuò lui, restituendo alla ragazza il
suo telefono. «Forse avrei dovuto lasciarti libertà anche per gli altri
lavori» concluse, ridendo e passandosi una mano fra i capelli.
«Ok,
non esagerare. Ci ho messo venti minuti prima di fare una riga per questo
disegno, quindi non è che mi hai fatto proprio un favore» replicò
lei scherzando, anche se il complimento l’aveva lusingata. «Se avessi
dovuto fare tutto io partendo da zero allora sì che Edward si sarebbe potuto
definire insoddisfatto.»
Ewan
si lasciò sfuggire uno sbuffo. «Andiamo, smettila di preoccuparti di lui.
Non è insoddisfatto, te l’ho detto. È solo pignolo e gli piace marcare per bene
il territorio.»
«Che
strana immagine mi è appena apparsa in mente» borbottò lei, frugando nella
borsa in cerca di qualcosa – anche se non sapeva cosa.
«Però
è così, credimi. O non ti fidi di me?»
Alzò
la testa. «Certo che mi fid–» si bloccò.
Lui le era vicino, molto più di prima. Il cuore prese a batterle in modo
frenetico e lo stomaco le si svuotò del tutto, chiudendosi. Si sentiva
ribaltata, schiacciata dallo sguardo del ragazzo. Ewan le faceva un effetto
unico e, quando abbassò lo sguardo sulle sue labbra, capì di volerlo. Lo voleva.
Voleva stare con lui sempre, non solo in quel periodo di lavoro, voleva che
serate come quella fossero all’ordine del giorno, che le desse appuntamento e
la salutasse con un bacio sulla testa. Voleva qualcosa che temeva di non poter
avere, ma che in quel momento era davvero a pochi centimetri da lei. Il
suo passato cercò di riaffiorarle alla mente come ogni altra volta, ma lei lo
scacciò baciando Ewan per la terza volta.
Lui
non aspettava altro e sentì che c’era un’intensità, in quel bacio, ben maggiore
rispetto ai precedenti. C’era del desiderio, una sorta di fame che li avvinghiò
totalmente, portandoli a desiderare di più. Amelia fece scorrere una mano fino
alla sua nuca, affondando le dita nei capelli del ragazzo, lasciandosi
trasportare dall’ammasso di sensazioni che le attanagliava lo stomaco. Sentì le
mani di Ewan scivolarle sotto la giacca, poi sotto la camicia, sfiorarle la
pelle nuda con insistenza maggiore, risalendo lungo il costato dove aveva il
tatuaggio, facendo partire scariche e fremiti a ogni contatto. Un senso di
piacere la pervase in ogni sua parte scuotendola nel profondo.
Il telefono
squillò nel momento sbagliato. Ewan cercò di ignorarlo, concentrandosi sulle
labbra di Amelia, sulla pelle fresca che gli scorreva sotto le dita, ma gli
risultò impossibile. Aveva scelto una suoneria troppo insistente per venire
facilmente ignorata, infatti nemmeno la ragazza riuscì a farlo. Si separarono e
lui si scusò. Lo smartphone continuava a trillare ostinato.
«Non rispondi?»
domandò Amelia.
Il cantante
estrasse il cellulare e controllò chi – diavolo – lo avesse interrotto proprio
in un simile momento. Fece una smorfia, decidendo di ignorare la chiamata. «È
Chase.»
«Beh potrebbe
avere bisogno» tentò la ragazza. Si chiedeva perché lui continuasse a lasciare
squillare quel telefono sapendo che dall’altra parte c’era il batterista della
sua band.
«Non conosci
ancora abbastanza bene Chase» rispose lui, ma alla fine – forse davanti all’espressione
di Amelia – decise di rispondere. «Ehi» disse solo. Dall’altra parte Chase
prese a parlare di qualcosa, ma la ragazza non riusciva a capire una sola
sillaba. Si limitava a guardare Ewan, il quale le lanciò un’occhiata e sollevò
le sopracciglia. Lei sospettò che la domanda che gli era stata rivolta fosse
qualcosa di molto simile a un “Ti disturbo?”.
«Dai, che c’è?»
chiese il cantante. Non sembrava affatto arrabbiato o infastidito, non era
nuovo a queste uscite da parte dell’amico, né alle sue chiamate agli orari più
impensabili. «Eh...Ok, fin qui ci sono» proseguì, annuendo un paio di altre
volte. Fece schioccare la lingua. «Ah, sì, d’accordo....Solo, perché sono
sempre l’ultimo a saperlo?»
La risposta del
batterista lo fece ridere. Ewan lo mandò al diavolo con fare amichevole,
dopodiché si scambiarono qualche altra veloce parola per poi salutarsi.
Il cantante
infilò in tasca il telefono e guardò Amelia. «Hanno organizzato un secret show
per domani» annunciò.
«E te lo dicono
sempre la notte precedente? Se avessi altro da fare?» chiese lei, un
sopracciglio sollevato.
«Rimando»
rispose lui ridendo. «Hanno già pubblicato i primi indizi sui social.»
La ragazza si
limitò ad annuire, capendo subito la modalità di quel secret show. Avrebbero
postato indizi di tanto in tanto, lasciando che fossero i fan a indovinare
tutto e spargere la voce – cosa che avveniva sempre con tempistiche
inverosimili per rapidità.
«Verrai, vero?»
le chiese Ewan.
Amelia tornò a
dedicargli la sua attenzione. C’erano leggere tracce del suo rossetto borgogna
sulle labbra del cantante. Erano stati interrotti nel momento di impeto
maggiore; sentiva perfettamente che non avrebbero più ripreso quanto avevano
concluso, sebbene non per loro scelta, e la cosa le dispiaceva. Tuttavia cercò
di superare quel pensiero. Prese una boccata d’aria prima di tornare a puntare
di nuovo gli occhi in quelli di lui. «Certo che ci vengo.»
Come aveva
sospettato, l’interruzione fu in grado di cambiare tutto. Rimasero in silenzio
per un momento, una sorta di imbarazzo a riempire lo spazio fra loro, finché la
ragazza non pensò bene di scendere dall’auto, ringraziando Ewan per la bella
serata e dandogli appuntamento al giorno dopo.
“But
oh, my heart was flawed| I knew my weakness| So hold my hand| Consign me not to darkness”
Mumford & Sons. Broken Crown
Piccadilly
Circus, Londra, 11 settembre
Ore 4:45 PM
Piccadilly
Circus era il luogo in cui Trent, Chase e Chris avevano organizzato il secret
show mentre Ewan era insieme ad Amelia. L’avevano scelto perché era un posto centrale,
sufficiente ad accogliere un vasto numero di persone e ben servito dai mezzi
pubblici – oltre a essere iconico e suggestivo.
Amelia aveva raggiunto i ragazzi da una decina di
minuti, aveva spento la musica su Broken Crown
dei Mumford & Sons e si era ritagliata un piccolo angolo all’ombra da cui
poterli osservare predisporre la strumentazione per suonare. Stava scorrendo la
sua home di Instagram e aveva già individuato alcuni degli indizi che la band
aveva disseminato per consentire ai fans di individuarli. Avevano postato un orario,
un pezzo del nome della fermata metropolitana – una foto tagliata non semplice
da riconoscere per chi non era di Londra o non conoscesse a memoria il
complicato reticolo della Tube – e una serie di cavi che lasciavano intendere
di essere collegati a una chitarra e un microfono. Dai commenti che Amelia
stava leggendo fu in grado di capire che molte persone avevano già indovinato
cosa stavano organizzando gli Shards. Forse in molti si stavano già muovendo
per cercare di individuare il luogo esatto.
Bloccò lo schermo dello smartphone, sollevando gli
occhi sui quattro ragazzi, ancora intenti a sistemare i propri strumenti mentre
intorno a loro le persone continuavano a passare. Ewan aveva un cappellino
calcato sulla testa e occhiali da sole che gli donavano in modo particolare.
Era anonimo con quel look semplice e la cosa contribuiva a farlo passare ancora
più inosservato del solito.
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno lei sarebbe
stata lì, a osservarli montare i propri strumenti per uno show segreto alle
masse? Amelia non riusciva a togliersi dalla mente quanto tutto ciò che le
stava succedendo fosse inverosimile. Negli ultimi giorni era riuscita, almeno
un minimo, a ignorare quel costante pensiero, ma dalla sera precedente quello
si era ripresentato da lei con forza, portando con sé altre sensazioni. La
ragazza non riusciva a fare a meno di pensare a come sarebbero andate le cose
se la telefonata di Chase non avesse interrotto lei e Ewan. Nel modo in cui si
stavano baciando c’era un tale trasporto che non dubitava del fatto che le cose
si sarebbero potute evolvere in un solo modo. Lei voleva Ewan ed era certa che
se Chase non avesse chiamato il ragazzo loro avrebbero passato la notte
insieme. Tuttavia quell’idea – più simile a una consapevolezza che altro –
aveva generato qualcosa in Amelia. Una sensazione frustrante le si era annidata
dentro il petto, appena sotto al cuore. Una morsa opprimente, come un piccolo
buco nero pronto a inghiottire ogni altra sensazione. Ed era il suo passato l’autore
di quell’orrendo stato emotivo, un passato che per quanto lei si ostinasse a
ignorare ricompariva sempre, con insistenza maggiore a mano a mano che i suoi
sentimenti per qualcuno si intensificavano. Non sapeva perché, ma la paura di
soffrire di nuovo aveva la spaventosa capacità di annichilire tutto il resto,
inclusa quel senso di caldo e piacere che Ewan era in grado di trasmetterle
ogni volta che sorrideva nella sua direzione.
«Quinto indizio.»
L’esclamazione di Chris la riportò alla realtà, sul
marciapiede di Londra. Seguì con lo sguardo il giovane fare una foto alla
facciata di uno dei palazzi presenti per poi postarla sui social, dopodiché la raggiunse.
«Una decina di minuti al massimo e iniziamo» la informò. «Perciò prima devo
chiederti un favore.» Si grattò il mento in attesa della risposta, la barba che
cominciava a diventare piuttosto lunga. La ragazza acconsentì a fargli il
favore e lui le passò il telefono. «Quando iniziamo vorrei che ci facessi una
foto in cui si vede bene il posto e noi. Dovresti pubblicarla su Instagram e
Twitter, sono già connesso con gli account degli Shards. Scrivi qualcosa tipo “Adesso”
e metti hastag come “Secret show”, o
roba del genere, sentiti libera. Il codice per sbloccare il telefono è 2588.»
Amelia lo guardò perplessa. «Vuoi davvero che lo
faccia io?»
Di tutta risposta Chris si strinse nelle spalle. «Perché
no? Sei una dei nostri adesso.»
Si incamminò per ricongiungersi agli altri, lasciando
la ragazza incredula su quanto le era appena stato detto. Si chiese se ci fosse
altro sotto e, soprattutto, di quanto i membri degli Shards sapessero di lei e
Ewan. Quelle domande avevano appena iniziato a ronzarle in testa quando il
tastierista tornò a richiamare la sua attenzione. «Ricordati eh, 2588» disse,
scandendo il codice con lentezza.
Amelia corrugò la fronte, guardando torva il ragazzo. «Guarda
che me lo ricordo. Hai scelto una sequenza a prova di idiota.»
«E secondo te perché l’ha scelta lui?» si intromise
Chase. La ragazza scoppiò a ridere, incrociando poi lo sguardo di Ewan, che
stava sorridendo nella sua direzione. Quel suo semplice gesto le provocò una
fitta nel petto, la stessa che si può provare nel guardare qualcosa di estremamente
bello. Insieme ad essa, però, fu in grado di intensificare anche quel senso
soffocante che da ore non voleva saperne di scomparire. Si
concentrò su Trent, l’unico che le donava un’immotivata sicurezza. L’aura
austera del chitarrista le piaceva in modo particolare, forse perché a
differenza di Chase e Chris – che comunque adorava – lui non aveva mai fatto
allusioni in qualche modo riconducibili a quanto stava avvenendo fra lei e il
cantante.
Ewan le si avvicinò, facendola
sussultare quando, una volta averla raggiunta, disse: «Che te ne pare?»
Amelia si voltò a guardarlo, spostando
poi gli occhi sul piccolo angolo di strada che i quattro si erano
ritagliati. La piazza era trafficatissima fra turisti e persone di
passaggio, ma qualche sospetto fan degli Shards cominciava già a comparire.
Piccadilly Circus in fin dei conti era uno dei luoghi simbolo di Londra, facile
per chi conosceva la città individuare il luogo anche attraverso sporadici e
criptati indizi.
«Trovo che sia un bellissimo lunedì per
un concerto» rispose la ragazza, dopo aver pensato un momento a cosa dire.
«Hai qualche richiesta particolare? Non
abbiamo pensato a nessuna scaletta, credo improvviseremo ogni
pezzo» proseguì lui, dopo aver sorriso all’affermazione di Amelia.
Quest’ultima soppesò la domanda del
ragazzo, in cerca di una canzone che avrebbe voluto ascoltare quel pomeriggio,
in quell’atmosfera unica. Avrebbe voluto sentire ogni singolo brano degli
Shards, proprio come ai loro concerti; non c’era canzone che non le
dispiacesse non venisse suonata, ma era inevitabile che molte fossero
sacrificate quando un gruppo aveva tre album all’attivo. Tuttavia, da quel 2
luglio che sembrava ormai appartenere a un universo parallelo, c’era solo una
canzone a cui sentiva di non voler rinunciare.
«Penelope» disse
piano, quasi imbarazzata. Voleva sentirla di nuovo cantata da Ewan,
sentirlo mormorare le prime strofe di quel brano con il lento accompagnamento
della tastiera, per poi salire di tono fino a esplodere nel ritornello, il
momento della canzone in cui musica e parole scatenavano in Amelia brividi per
l’emozione.
Ewan sorrise nel sentire la sua
richiesta. Era contento del fatto che alla ragazza piacesse quella canzone,
dopotutto lui sapeva di averla scritta per lei, per quella persona a cui sentiva
di essere legato prima ancora di incontrarla. Penelope era la loro canzone, quella era una consapevolezza di
entrambi, innegabile, ma che nessuno dei due aveva ancora avuto il coraggio di
ammettere.
«Sarà fatto» promise il cantante
con un cenno.
«Ewan sono le cinque» urlò Chase,
che si era già sistemato sul suo cajón, pronto per suonare.
Il cantante si ridestò, borbottando un
“accidenti”. Il ritardo: perenne tratto distintivo di Ewan Cassian Hill; ad
Amelia sfuggì un sorriso. Il ragazzo si tolse il cappello e glielo allungò. «Ti
dispiace tenermelo?» le chiese.
Amelia acconsentì, mettendosi il
cappello in testa. Le andava largo, ma sentiva che le donava. Ewan si sistemò
malamente i capelli con un rapido gesto della mano, scuotendo qualcosa dentro
la ragazza, dopodiché le diede un veloce bacio sulla guancia e raggiunse i
suoi compagni, tutti sistemati con i relativi strumenti. Amelia si sfiorò il
viso, sentendo ancora il tocco leggero delle labbra del ragazzo. La sua mente
stava per iniziare a fantasticare ma non ne ebbe il tempo, la voce di Chris,
infatti, la tenne ancorata alla realtà: «Ami ricorda: 2–»
«588. Lo so Chris, lo so» sbottò
lei, ma non riuscì comunque a fingersi infastidita dalla cosa e finì con il
mettersi a ridere.
Il gruppo iniziò poi a suonare, portando
la prima delle loro canzoni in versione acustica. L’impianto improvvisato
contribuiva a incrementare il volume della voce di Ewan, che iniziò a
mescolarsi al traffico di mezzi e persone in Piccadilly Circus. Qualche
passante iniziò a voltare la testa in direzione del gruppo e Amelia pensò bene
di eseguire gli ordini che Chris le aveva dato poco prima. Scattò un paio di
fotografie in modo che si vedesse bene la band e la piazza che li stava
ospitando, riprendendo dall’angolazione migliore per inquadrare anche i
display luminosi, banale e palese indizio del punto della città in cui si
trovavano. Ora che il secret show era iniziato il luogo del concerto
andava sbandierato per bene. Attraverso i profili degli Shards la ragazza
pubblicò le foto sui vari social, inserendo una descrizione semplice e alcuni
hastag, incluso quello che le aveva suggerito prima Chris. Aveva appena
pubblicato le foto che subito cominciarono a piovere le prime notifiche. Cuori,
commenti e retweet comparvero sotto le immagini, diffondendo la notizia
del concerto improvvisato con una velocità sconvolgente. I social network erano
un ottimo mezzo, Amelia l’aveva sempre saputo, ma in quel momento si rese conto
della potenza che possedevano. Alcune persone già si fermavano davanti agli
Shards ad ascoltarli suonare e lei, temendo che in meno di venti minuti la
piazza di Piccadilly si sarebbe riempita all’inverosimile, decise di godersi un
po’ di quella musica con cui la sua band preferita stava riempiendo l’aria.
Gli Shards erano una eccellente band da
stadio. Le loro canzoni erano energiche ed erano le uniche che Amelia ballasse,
lei che non era mai stata amante del ballo. Tuttavia le versioni acustiche
delle loro canzoni la lasciavano senza fiato e le piacevano allo stesso modo di
quelle originali. La voce di Ewan era portata per cantare a quel modo,
sapeva essere delicata e avvolgente, perfetta per essere accompagnata dalle
tastiere, da una chitarra acustica e un semplice cajón come
percussione. Il modo in cui riusciva a far vibrare le parole scatenava
nella ragazza un’infinità di emozioni diverse. La musica era sempre stata un
rifugio sicuro per lei, in cui nascondersi e riprendersi dai dolori della vita,
in particolare le canzoni degli Shards; quelle, ormai da anni, erano l’incarnazione
della salvezza. Per tale ragione poter essere lì insieme ai creatori di quelle melodie
continuava a essere qualcosa di surreale e bellissimo. Non avrebbe saputo
spiegare a parole quello che tutto ciò le faceva provare, non avrebbe mai
trovato termini o aggettivi con una tale forza. Tuttavia le sarebbe
piaciuto far capire a qualcuno cosa sentiva, almeno per non passare da persona
ossessionata o, peggio, fanatica.
Le canzoni suonate dagli Shards si
susseguirono in una sequenza perfetta, ciascuna mostrando il suo lato più
leggero e sensibile nella versione acustica. Con il passare del tempo, però,
sempre più persone si fermarono intorno ai quattro, creando un capannello fitto
e impenetrabile. Amelia sapeva che erano tutti loro fan. Il numero di notifiche
sui vari social aveva ormai superato le quattro cifre e dal modo in cui
ragazzi e ragazze raggiungevano di corsa il luogo del concerto – uscendo in
fretta dalla Tube, scendendo dai bus o giungendo dalle strade laterali – era
chiaro che quel secret show non era più tale. La visuale di Amelia fu
totalmente oscurata, non superare il metro e sessantacinque non le era affatto
d’aiuto. Si accontentò di sentire la voce di Ewan, sebbene il traffico e
il chiacchiericcio – a tratti isterico – di tutti i nuovi arrivati non le
consentivano di assaporare quei momenti con il desiderato trasporto. Si
spostò in cerca di un punto migliore, ma la calca di gente che continuava ad
aumentare rese la sua idea del tutto inutile.
La prima ora scorse così, con persone su
persone che continuavano a intasare Piccadilly Circus e gli Shards che
cantavano e intrattenevano i fans, ringraziandoli di essere venuti a quel loro
show segreto. Sebbene non riuscisse a vederlo, Amelia poteva capire dal suo
tono che Ewan si stava divertendo per il fatto che l’idea partorita dai suoi
amici avesse portato una così vasta quantità di persone nel cuore pulsante di
Londra.
«Vi facciamo un regalo» disse
dopo l’ennesimo pezzo il cantante. Alla ragazza parve quasi di vederlo
mentre lo sentiva inspirare, le labbra a sfiorare la superficie ruvida della
testa del microfono. «Questo è un brano nuovo, che abbiamo suonato davvero
poche volte. Sono molto legato a questa canzone e spero davvero che vi
piaccia.» Gli venne spontaneo cercare con gli occhi Amelia, ma non fu in
grado di trovarla. Davanti e tutt’intorno a lui c’erano solo volti sorridenti
ed eccitati. Sapeva che la ragazza era lì da qualche parte, che lo stava
ascoltando, ma in quel momento avrebbe solo voluto incontrare i suoi
occhi castani. Anche lei avrebbe voluto udire Penelope in condizioni ben diverse rispetto a quelle in cui si
trovava in quel momento. Le prime parole di quella canzone la stavano già
facendo fremere quando si rese conto che qualcuno dei presenti conosceva quel
brano. Lo canticchiavano con fare insicuro, mugugnando più che altro, ma era
evidente che dovevano aver premuto play più volte sui pochi video di YouTube
che esistevano di quella canzone.
D’improvviso si sentì strana, violata.
Le sembrava quasi che quelle persone le stessero portando via qualcosa di
personale, di suo. Come se si fossero intromessi a centinaia nel rapporto fra
lei e il cantante e facessero di tutto per allontanarli. Non avevano senso
quelle emozioni, lo sapeva, eppure non riusciva a ignorarle. Lo aveva
sempre saputo che quando si trattava di Ewan non si sarebbe mai potuto avere l’esclusiva,
non riguardo la sua musica e le sue canzoni. Lui le scriveva apposta per
condividerle, per far sì che tutti potessero provare emozioni a ogni ascolto.
Non avrebbe dovuto sorprendersi della cosa, né esserne infastidita o addolorata;
dopotutto anche lei faceva parte di quella sfilza di persone che poteva
usufruire dell’arte degli Shards. Tuttavia per Penelope provava emozioni uniche, inclusa una sorta di
gelosia. La prima volta che era stata suonata dal vivo Ewan l’aveva
espressamente dedicata a lei e anche la notte stessa, in giro per Glasgow, le
aveva rivelato che era stato il suo disegno – per lei così banale – ad
ispirarlo. Penelope era il brano
che la faceva sentire legata al cantante, che rendeva concreto e tangibile
quanto le stava accadendo ormai da più di un mese. Quando sentiva quella
canzone, anche quando ripensava solo alle parole, alla mente le affioravano la
moltitudine di ricordi che aveva immagazzinato di Ewan dal momento del suo
arrivo a Londra. Ripensava ai caffè presi insieme, le ore di lavoro per le
grafiche, le chiacchiere su cinema, musica e tutte le altre cose su cui avevano
speso il loro tempo. Rivedeva con una nitidezza sorprendente le uscite con il
ragazzo, quasi le sembrava di sentire ancora i suoi baci. Era
sconvolgente ciò che quella canzone scatenava in lei, il modo in cui le
ribaltava lo stomaco e le scaldava l’anima.
Continuò a guardarsi intorno, a guardare
quelle centinaia di giovani e meno giovani che affollavano Piccadilly Circus
per ascoltare gli Shards e si rese conto che la sensazione opprimente che
provava al petto si stava intensificando, divenendo quasi claustrofobica. Si
chiese cosa ci facesse lei in quel posto, con il cappellino di Ewan calcato
sulla testa e il cellulare di Chris in mano, che continuamente si illuminava
per via di nuove notifiche dai vari social della band. Pensò a come sarebbero
potute evolversi le cose, a come avrebbe potuto sentirsi nel dover sopportare
ogni volta di doversi fare da parte affinché sconosciuti potessero avere la
possibilità di incontrare i propri idoli, incluso il ragazzo di cui lei sapeva
di starsi innamorando. Come avrebbe potuto reggere a tutto quello se nemmeno
quando la riservatezza, la quiete e l’intimità erano garantiti, le sue storie
erano andate a buon fine? Cercò di scacciare quei pensieri concentrandosi sulla
voce di Ewan ma le fu impossibile. Il caos del traffico e delle persone
sembravano dare nuova forza a ciò che di negativo le aveva invaso il petto e
allagato la mente. Le sembrava tutto così complicato, impossibile, al
punto che si chiese se davvero stava facendo le scelte giuste per sé. La
sofferenza era sempre lì, pronta a ripresentarsi al primo segno di instabilità.
Forse lei non era fatta per quell’ambiente, non era all’altezza dei quattro
ragazzi che continuamente le donavano sostegno e sollievo con le proprie
canzoni.
Forse lei non era abbastanza per Ewan.
Sentì il respiro morirle in gola appena
formulò quel pensiero. Eric e Richard l’avevano abbandonata e tradita perché
lei non era stata sufficiente per entrambi e anche i pochi ragazzi che erano
venuti dopo di loro non la consideravano adeguata se non per il suo corpo. Una
delusione dietro l’altra le avevano distrutto ogni sicurezza, ferendola nel
profondo, e tutto ciò era sempre avvenuto proprio quando lei si era aperta
con quelle persone, alle volte anche donando tutta se stessa. A causa di
ciò le risultava impossibile ignorare quella voce che, come un monito, le
chiedeva perché con Ewan avrebbe dovuto essere diverso se, fino a quel momento,
i ragazzi che le avevano detto di provare dei sentimenti per lei non avevano
fatto altro che ferirla.
Fece del suo meglio per concentrarsi sulla musica
degli Shards, sulla voce rassicurante di Ewan che sembrava quasi volerla
accarezzare in mezzo a quel caos di persone. Tuttavia il pensiero del ragazzo
fu solo in grado di incrementare quel tormento che ormai l’aveva presa.
I minuti
successivi parvero durare un’eternità. Le persone intorno a lei urlavano e si
divertivano, cantando le canzoni e battendo le mani. Amelia, invece, si sentì
d’un tratto senza difese come se qualcuno, da un momento all’altro, potesse
arrivare per strapparle il cuore dal petto. Era già passata almeno una volta da
quello stato e anche allora riuscire a stare meglio aveva richiesto molto
tempo.
Il secret show degli
Shards terminò. La ragazza sentì Ewan annunciarlo al microfono e ringraziare di
cuore tutti i presenti. Lei ebbe un moto di rabbia verso di sé per non aver
saputo godere appieno di quelle ore in cui la sua band preferita aveva offerto
intrattenimento senza chiedere nulla in cambio, ma anche la sua stessa rabbia
fu di scarso aiuto nel recupero di un adeguato autocontrollo. Aveva bisogno di
stare un po’ sola, almeno per cercare di riordinare le idee, di capire cosa,
davvero, avrebbe dovuto fare.
Tuttavia non
poteva andarsene in quel momento, perciò rimase lì, ad aspettare che i ragazzi
si liberassero dai nugoli di persone che si erano loro radunati intorno. Come
le avevano già dimostrato più volte, i quattro erano cortesi e alla mano con i
propri fan. Si scattavano foto, firmavano autografi e chiacchieravano con
tutti, dando a ciascuno il proprio tempo da trascorrere insieme. Amelia rimase
lì, immobile a osservare la scena, il petto schiacciato dalle emozioni e
domande su domande che le accalcavano la mente. Non riusciva a spiegarsi perché
si fosse sentita così dal momento in cui Penelope
era iniziata, sebbene capisse che c’entrava quella canzone e tutto ciò che la
legava a Ewan. La paura era un’emozione brutale, più forte e intensa di molte
altre e, purtroppo per lei, ormai ben radicata nel suo cuore.
Ci volle quasi
un’ora perché gli Shards si liberassero dai propri fan. Amelia raggiunse i
quattro mentre questi cominciavano a smontate e scollegare i propri strumenti,
riponendoli con cura nelle rispettive custodie. La ragazza restituì il
cellulare a Chris, il quale controllò le varie notifiche. «Certo che potevi
anche farle sparire ogni tanto» le disse, riferendosi alle piccole note rosse
che in ogni social brillavano in un punto preciso.
«È il tuo
telefono, non mi sembrava garbato» si scusò lei arricciando le labbra con fare
indispettito. Il ragazzo sollevò un sopracciglio. «Beh, la prossima volta
non farti tutti questi problemi. Avresti potuto pubblicare anche una foto delle
tutte scarpe, per farti capire quanto teniamo in considerazione i nostri
social.»
«È un modo
bizzarro per spiegare che non siamo dei fissati riguardo ai contenuti dei
nostri post sui social network. Ma direi che dovresti averlo capito anche da
sola.» Ewan comparve con quelle parole al fianco di Amelia. Era
visibilmente soddisfatto del piccolo e improvvisato show che avevano
tenuto, la ragazza lo capì dal sorriso che gli illuminava il volto. Trovava che
quando il cantante era così felice diventasse ancora più bello. Si tolse di
testa il cappello, pronta per restituirlo al suo proprietario, ma Ewan fece un
cenno con la mano. «Tienilo pure. Ti dona.»
Amelia si sentì
arrossire a quelle poche parole e non ne capì con esattezza il motivo. Era un
marasma di emozioni quello che le stava invadendo la cassa toracica e pensò che
rincasare, cercare di riordinare il tutto e capire come muoversi potesse essere
la soluzione migliore alla sua situazione.
«Si va a
mangiare qualcosa?» propose Chase, che nel mentre aveva raggiunto i tre.
Chris e Ewan
acconsentirono subito, Amelia, invece, non ne fu in grado. Non poteva stare
insieme a loro, non nello stato in cui si sentiva in quel momento. Non avrebbe
potuto fingere di stare bene, che tutto andasse a meraviglia; i ragazzi erano
svegli, avrebbero capito che qualcosa la stava turbando. Le servivano tempo e
spazio per sé e, in quel preciso momento, una valida scusa.
«Io...scusate,
ma io devo passare» disse.
Chase, Chris e
Ewan la guardarono delusi. Nonostante il disagio che si ritrovò a provare fu in
grado di proseguire: «Ho detto a Pani che ci saremmo sentite verso le otto e,
beh, gliel’ho promesso.»
Non riuscì a
evitare di sentirsi in colpa a udire la sua stessa voce, ma la scusa parve
funzionare. Anche se dispiaciuti, i ragazzi la lasciarono andare verso casa.
Ewan si offrì di accompagnarla, ma lei declinò dicendo che non gli andava di
sapere che rinunciava alla sua uscita con gli Shards per lei.
Il ragazzo
allora le sorrise. «Vorrà dire che ci sentiamo» le disse.
«Ci sentiamo»
rispose lei. Tentò di nuovo di restituirgli il cappello e lui di nuovo non lo
volle. Amelia quindi salutò i presenti – incluso Trent che nel frattempo li
aveva raggiunti – e si avviò in direzione della Tube. Quando fu certa di non
essere vista da nessuno dei ragazzi si portò una mano sullo stomaco. Il cuore
le batteva a ritmi forsennati e cominciava a sudare freddo. Si sentiva invasa
da un’angoscia irrazionale e violenta. Quello stato emotivo aveva tutta la
parvenza di un attacco di panico, per lei inspiegabile. Perché doveva andare a
finire così? Perché ora che sapeva di essere in procinto di innamorarsi di
nuovo, e di qualcuno che sembrava davvero interessato a lei, il suo passato e
le sue paure sembravano essere più capaci che mai di afferrarla e trascinarla a
fondo, nella parte più buia e fredda della sua anima?
“So youfindyourself at thissubway| Whenyour world in a bag
by your side”
KeiraKnightley. A
Step YouCan’t Take Back
Sala prove
degli Shards, Shaftesbury Ave, Londra, 14 settembre
Ore 11:17 AM
Trent posò
la chitarra in terra, così da avere le mani libere per allacciarsi la sneaker
sinistra. I capelli gli si erano ormai asciugati dopo quel veloce acquazzone
che si era battuto sulla città un paio d’ore prima, sorprendendolo quando stava
raggiungendo la sala prove. Mentre il resto degli Shards attendeva che lui
finisse di sistemarsi, i ragazzi si tennero impegnati strimpellando tastiere,
batteria e cantando un po’. A breve avrebbero avuto un’altra apparizione in
radio e non volevano farsi trovare impreparati, soprattutto perché avrebbero
suonato diversi brani. Quel tipo di comparsate – alle radio, in qualche show
televisivo – erano il modo migliore per tenersi impegnati e far parlare di sé fra
una tournée e l’altra, o durante la lavorazione del disco nuovo, e in alcuni
casi erano più efficaci dei sociale network. Servivano ai fan per non
dimenticarsi dal fatto che loro ancora c’erano ed erano operativi. A forza di
venire chiamati ospiti in alcune stazioni radio, inoltre, era diventati amici
dei dj.
Trent riprese in mano la chitarra e si accodò all’improvvisazione
che i tre compagni stavano svolgendo. Durò solo qualche minuto. Ewan si
interruppe dicendo che aveva bisogno di bere e andò a recuperare una
bottiglietta d’acqua dal frigorifero della sala. Durante quel lasso di tempo
nessuno degli altri disse una parola. Si scambiarono solo diverse e rapide
occhiate cariche di un significato comprensibile esclusivamente a loro. Quando
Ewan tornò a guardarli gli fu chiaro che qualcosa non andava. Osservò prima
Chase, poi Chris e infine Trent e, nonostante quest’ultimo fosse all’apparenza
quello più imperscrutabile, fu proprio grazie a lui che il cantante capì che
stava succedendo qualcosa.
«Cosa?» domandò, sollevando le
sopracciglia in modo confuso.
Batterista e tastierista spostarono in
fretta lo sguardo sul chitarrista, quasi a dirgli che, visto che Ewan aveva
capito tutto guardandolo, doveva essere suo compito rimediare alla situazione.
Trent replicò con uno sbuffo, ben conscio del fatto che sarebbe toccato a lui
mettere in chiaro la faccenda – come la maggior parte delle volte, oltretutto.
«Ci stavamo chiedendo dove fosse Amelia»
disse infine. «E per quale motivo da due giorni non la vediamo più in giro.»
Lasciò la frase sospesa, nella speranza che Ewan spiegasse il resto in tempi
celeri. Chris e Chase avevano fatto una serie di supposizioni a riguardo, ma
Trent non si era detto d’accordo con nessuna di esse. L’unica cosa su cui
concordava era che fra il cantante e la ragazza doveva essere successo qualcosa
di grosso, forse proprio l’ultima sera in cui erano usciti insieme – anche se
il giorno successivo lui era di ottimo umore.
Tuttavia, in quel momento, a sentire la
domanda dell’amico, Ewan si irrigidì. Fu un gesto appena percepibile, ma venne
notato da tutti . La verità era che nemmeno lui sapeva dove fosse Amelia o,
meglio, non sapeva perché non fosse lì con loro. L’aveva invitata a prendere
parte a quelle prove, dopotutto, ma lei aveva rifiutato con i suoi modi
gentili, dicendo che era presa da una delle tavole di grafica a cui stava
lavorando. Erano due giorni che si sentivano e basta, due giorni fatti di
sporadici messaggi e telefonate a cui il più delle volte lei diceva di non aver
fatto in tempo a rispondere.
Il cantante non sapeva cosa fosse preso
d’improvviso alla ragazza. Aveva pensato di andare a trovarla, ma non aveva mai
assecondato quell’idea, preoccupato di dimostrarsi troppo indiscreto. Amelia si
era allontanata da lui con una rapidità inspiegabile ed era piuttosto certo che
c’entrasse quello che era successo – o non successo – nella sua auto la sera in
cui Chase li aveva interrotti per annunciare del secret show. Già la
mattina successiva, infatti, aveva notato che in lei c’era qualcosa di strano;
era più silenziosa, meno partecipe ed era letteralmente scappata
via quando si era presentata la possibilità di trascorrere del tempo sola
con gli Shards, e forse proprio perché c’era lui. Aveva pensato a cosa tutto
ciò potesse significare, ma nessuna conclusione degna di essere definita tale
gli era venuta in mente. Sentiva solo di aver detto o fatto qualcosa di
sbagliato. La sua prima frequentazione seria da mesi rischiava di andare
in pezzi e sapeva di dover fare il possibile per risolvere lui stesso la
situazione. Non voleva perdere Amelia, ormai aveva capito quanto quella ragazza
significasse. Solo che lei sembrava non essere dello stesso avviso ed era
questo ciò che complicava le cose. Non poteva costringerla a provare
sentimenti di tale portata verso i suoi confronti.
Il suo silenzio stava durando da un po’
troppi secondi, al punto che Chris si sentì in dovere di incalzarlo per avere
una risposta. «Beh?»
Ewan si riscosse. Prese una boccata d’aria,
si passò un mano fra i capelli, infine si strinse nelle spalle, tutti gesti che
evidenziavano il suo nervosismo e che i tre compagni sapevano
identificare. «Mi ha detto che lavorava alle grafiche. È molto concentrata
su queste, al momento» rispose infine, ma era chiaro, dal tono della sua
voce, che non credesse alle sue stesse parole. E nemmeno gli amici.
«Ma è successo qualcosa?» lo
incalzò Chase.
Il cantante si lasciò cadere sul divano,
scavando nella mente alla ricerca di possibili motivazioni per l’improvviso
comportamento di Amelia. Tuttavia, se c’erano, lui non riusciva a trovarle. La
mente delle donne sapeva essere davvero un intricato mistero. «Non credo.
No» rispose alla domanda. «Voglio dire, l’ultima volta che siamo
usciti, quando l’ho riaccompagnata a casa in macchina...beh, per farla breve,
ci stavamo baciando quando tu mi hai telefonato» disse in direzione di
Chase.
Quest’ultimo si sentì sotto
accusa. «Ehi, mi avevi detto che non ti stavo disturbando» cercò di
scusarsi, sebbene non ve ne fosse bisogno. Ewan non era arrabbiato con lui.
«A ogni modo,» riprese parola il
cantante, sollevando le mani per far intendere all’amico che era tutto a
posto, «era chiaro che se non fossimo stati interrotti le cose sarebbero
potute andare in un modo solo. Era evidente per me e penso proprio lo fosse
anche per lei.»
Si aspettò di vedere dei sorrisetti
eloquenti da parte dei tre – da Chris e Chase soprattutto – ma nessuno mutò
espressione. Forse anche loro sospettavano che qualcosa fra lui e Amelia si
fosse incrinato proprio in quel momento. Forse la ragazza si sentiva in
imbarazzo per quanto avvenuto con il cantante, ma Ewan non riusciva a
spiegarsene la ragione.
«Perciò non è successo niente?» volle
sapere Trent.
Ewan scosse la testa. «È cambiato qualcosa
dopo. L’atmosfera, qualcosa, non lo so. Non mi sembra di aver fatto nulla di
male dopotutto. Non l’ho di certo costretta ad avere un rapporto» sbuffò,
davvero incapace di capire quale fosse
il problema, dove tutto si fosse complicato.
Chase stava per esordire con una delle
sue abituali battute, ma l’occhiata incrociata di Chris e Trent gli fece capire
che quello non era né il momento, né il luogo. Il cantante era visibilmente
turbato per ciò che era accaduto con Amelia, alla fine lo capì anche il batterista.
«Io le donne davvero non le capisco»
sentenziò Chris, sovrappensiero.
«E se fosse il contrario? Se lei ora ti
stesse evitando perché non ti sei dato da fare?» azzardò Chase nel silenzio
generale. Tutti lo guardarono perplessi e lui si sentì in dovere di continuare:
«Magari era quello che voleva. Forse il fatto che, dopo che vi ho interrotti,
tutto sia finito in un nulla di fatto l’ha convinta di non piacerti e ora preferisce
stare lontana, forse per la vergogna.»
Per quanto paradossale, il ragionamento
del batterista pareva avere un senso.
«Ma è palese che mi piace» esclamò Ewan
dopo aver ripensato alle parole dell’amico.
Chase allargò le braccia, come a dire
che la sua era solo un’ipotesi, ma Trent intervenne: «Non darlo così per
scontato, Ewan. Non dimenticare che siamo il suo gruppo preferito e tu il suo
cantante preferito. Forse Chase ha davvero ragione, forse il fatto che tutto si
sia interrotto a causa di una telefonata l’ha mandata in crisi. C’è il caso che
Amelia non si senta alla tua altezza.»
«È ridicolo» mormorò il cantante.
«Non così tanto, dopotutto. Magari ora
potete considerarvi amici, ma rimane il fatto che tu continui a ricoprire un
ruolo ben più alto per lei e forse non riesce a ignorare la cosa.»
L’altro ripensò a quelle parole. Sapeva
che quanto detto da Trent – e anche da Chase, alla fine – aveva un senso, ma a
lui sembrava tutto così inspiegabile. Aveva sempre fatto del suo meglio nel
mostrarsi per ciò che era: il fatto che amasse strinarsi la lingua mangiando la
pizza quando questa era ancora bollente non era certo una cosa che raccontava
ai giornalisti. Tuttavia quanto detto dai suoi amici era vero; per Amelia lui
sarebbe sempre rimasto il cantante degli Shards, indipendentemente da quanto di
sé avesse mostrato. Il problema, però, rimaneva lo stesso: se lei non si
sentiva alla sua altezza, anche volendo, lui cosa avrebbe potuto fare? Non era
tipo da imporsi, né da andare contro le scelte di qualcuno solo per avere un
tornaconto personale. Si passò le mani sul volto, sbuffando.
«Sai cosa? C’è da dire che sei proprio
sfigato» Chris spezzò l’aria tesa che si stava respirando da diversi minuti e
lo fece con il suo personale stile irriverente. Lo disse perché sapeva di
poterlo fare e anche perché sapeva che il suo cantante aveva bisogno di
sentirsi dire qualcosa del genere.
Quest’ultimo, infatti, sollevò lo
sguardo sul tastierista, lo osservò per un breve momento, infine si mise a
ridere. «Quella ragazza è una maledizione» mugugnò poi. «Insomma, tutta questa
storia, avete presente? Prima il disegno che mi sono trovato in tasca,
poi Penelope, il concerto a
Glasgow. È tutto assurdo.»
«Considerando che stiamo parlando di te
non penso proprio» gli fece notare Chris, strappando un nuovo sorriso a Ewan. «Le
cose semplici non ti sono mai piaciute. In fin dei conti il motivo principale
per cui sei ancora single è il fatto che aspetti di innamorarti, prima. Non mi
dirai che questa è una cosa semplice?» proseguì, un sopracciglio severamente
inarcato.
«Tutta questa storia con Amelia sembra fatta
su misura per te. Bisogna solo capire se lo stesso vale per lei» aggiunse
Trent.
«Sorvola sul fatto che sia “palese che
ti piace”, per citare te e diglielo» disse Chase.
Il cantante guardò i tre, sentendosi
sotto un fuoco incrociato. Per quanto potesse sembrare strano si sentiva
rincuorato dalle loro parole perché sapeva che, dopotutto, potevano benissimo
avere ragione.
«D’accordo, d’accordo» si arrese infine.
«Vedrò di fare qualcosa.»
«Sì ma qualcosa di concreto» scattò
Chase, apparendo rinvigorito dall’evolversi dei fatti. «Se necessario prendila
e sba–»
«Ok. Ho capito» lo interruppe Ewan, balzando
in piedi. Sapeva già come si sarebbe conclusa quella frase. «Le parlerò, d’accordo.»
Trent si lasciò sfuggire uno dei suoi
sporadici sospiri. «Bene, ora che abbiamo chiarito questa cosa possiamo
riprendere con le prove?»
Gli altri tre acconsentirono e Chris e
Chase ne approfittarono per dare la colpa di quella momentanea interruzione al
loro cantante, il quale abbozzò un sorriso stringendosi nelle spalle. Si
sentiva meglio rispetto a prima e gli faceva sempre particolare piacere
constatare come i suoi amici fossero in grado di aiutarlo ogni volta. Gli era
stato insegnato di circondarsi delle persone giuste e non aveva dubbi riguardo
al fatto di essere riuscito in quell’intento.
Ricominciarono a suonare e anche la
musica fu d’aiuto a Ewan. Cantare lo liberava sempre dai pensieri più negativi,
sia che si trovasse sotto la doccia, nella sala prove o in qualunque altro
posto. Stavano provando da circa una quindicina di minuti quando Amelia
entrò nella sala prove. Si era fermata sulla soglia, preoccupata di disturbare
e Chase fu il primo a notarla. Smise di suonare e di conseguenza anche gli
altri, finché non capirono per quale ragione il loro batterista si fosse
interrotto.
Quando il cantante vide la ragazza non
poté trattenere un sorriso, ma si rese conto subito che c’era qualcosa che non
andava. Lei teneva il cappellino di Ewan con entrambe le mani e sembrava
nervosa. Nonostante il trucco accurato che si era stesa sul volto – il consueto
eyeliner e rossetto – il ragazzo fu in grado di notare che aveva gli occhi
gonfi, quasi non avesse chiuso occhio per tutta la notte. Tuttavia la cosa che
più attrasse la sua attenzione, scatenando in lui un moto di preoccupazione,
era il fatto che lei, accanto a sé, avesse la propria valigia. Quest’ultimo
elemento era stato notato da tutti i presenti e, quando gli Shards salutarono
la nuova arrivata, l’atmosfera nella sala prove si fece più tesa.
«Ciao ragazzi» rispose lei al saluto.
Iniziò subito a sentirsi più agitata e nervosa di quanto già non lo fosse stata
prima, sulla Tube, mentre raggiungeva quel luogo. Si rigirò una lunga ciocca di
capelli bruni fra le dita in cerca di sicurezza, ma le fu impossibile. Si
sentiva irrequieta e, in un certo senso, anche spaventata. Da due giorni non
riusciva più a dormire bene, né a concentrarsi adeguatamente sul lavoro e
sapeva a cosa era dovuto tutto ciò.
Il pensiero di Ewan non le dava tregua,
in particolare tutto quello che aveva compreso ormai tre giorni prima a Piccadilly Circus. Da quella mattina non era riuscita a
sentirsi meglio un solo giorno e aveva capito che l’unica cosa che avrebbe
potuto aiutarla era allontanarsi da tutto ciò che le provocava quell’angoscia,
anche se quello significava allontanarsi dagli Shards e da Ewan. Aveva cercato
invano di trovare la forza per rimanere a Londra, insieme a lui, ma non c’era
riuscita. Continuamente si chiedeva a che scopo restare, perché sperare che le
cose con lui sarebbero andate in modo differente da tutte le altre volte. Non
era riuscita a trovare nulla in grado di farla sentire adeguata a quel posto e,
soprattutto, a quel ragazzo e sentiva che la cosa giusta da fare era proprio
andare via e conservare quanto le era accaduto fino a quel momento come lo
splendido ricordo che, a breve, sarebbe diventato.
«Perché la
valigia?» Chase per primo diede voce al quesito che si stavano ponendo i membri
della band.
Lei sussultò,
nonostante avesse saputo che quella domanda le sarebbe stata rivolta. «Torno a
Glasgow» disse in un sussurro.
Ci fu un “Cosa?”
generale che provenne da tutti, Trent incluso.
«Come sarebbe
torni a Glasgow?» chiese Chris, improvvisamente infervorato. Non gli piaceva
quell’idea, neanche un po’ e non solo per quello che si erano appena detti con
Ewan: la compagnia di Amelia gli piaceva e non voleva saperne di vederla andare
via prima del tempo.
Il tastierista
la colse impreparata, soprattutto perché non pensava di sentirlo formulare una
domanda del genere. Si strinse nelle spalle con fare colpevole, incapace di
nascondere il gesto di mordersi le labbra prima di rispondere: «Mi dispiace
davvero, ragazzi. È solo che ho accettato la proroga prima di sapere come
stavano le cose. Ho un altro lavoro a Glasgow e ho dato fondo a tutte le mie
ferie per venire qui, solo che, beh, mi ha chiamata il mio capo ieri e...ha
detto che se non rientro mi licenzia. Non so se può farlo ma non voglio
rischiare.»
Mentiva. Mentiva
sapendo di farlo. Non c’era più alcun lavoro ad aspettarla in Scozia, non dopo
che aveva mandato al diavolo Susan McFarland e il suo
infernale negozio in Buchanan Street. Tuttavia non era riuscita a trovare altro
modo o, meglio, altra scusa, per allontanarsi da Londra senza che il reale
motivo si venisse a sapere. Il senso di colpa la stava già divorando, ma non
sapeva che altro fare. Rimanere a contatto con i ragazzi aveva d’improvviso
iniziato a provocarle dolore, al punto da non avere la forza di guardare negli
occhi Ewan.
«Non può farlo»
esclamò Chase. «E poi, anche se fosse, tu ormai sei una grafica, no? Qualunque
sia l’altro lavoro di cui parli, a meno che non sia per altre grafiche
importanti, può aspettare» tentò Chase, formulando quella frase senza neanche
pensare a quanto stava dicendo.
«No, non c’entra
con nessuna grafica» si sentì in dovere di precisare lei. «Solo che, una volta
terminato quanto sto facendo per voi, non avrei più un’entrata garantita. Ho
anch’io delle spese da sostenere, come tutti.»
«Vorrà dire che
ti troveremo noi una nuova commissione. I Seafret
stanno lavorando al disco nuovo, magari hanno bisogno di grafiche» proseguì
ostinato il batterista. Sembrava l’unico, in quel momento, capace di formulare
qualche proposta per convincere Amelia a rimanere, per quanto potessero
apparire campate in aria. Da un lato la ragazza era sollevata dal fatto che
Ewan non stesse aprendo bocca per cercare di dissuaderla dalla sua decisione,
separarsi da lui sarebbe stato meno doloroso; dall’altro lato, però, non poteva
fare a meno di essere delusa dalla cosa, dal suo silenzio. Se solo l’avesse
guardato in faccia, però, si sarebbe resa conto di quanto fosse sconvolto. Lui
sentiva che c’era dell’altro, che quella del lavoro non poteva essere la reale
motivazione che la stava spingendo ad andarsene. Avrebbe voluto chiederglielo
ma non sapeva come.
«Allora vuoi che
chiediamo ai Seafret di ingaggiarti?» insisté Chase,
che non aveva alcuna intenzione di arrendersi.
Amelia gli
sorrise. «Sei molto dolce, Chase. Ma credo che il problema rimarrebbe. Almeno
finché non sarò una grafica di professione nel vero senso del termine» disse,
stringendosi nelle spalle.
Il batterista
stava per tornare alla carica, ma fu preceduto dal tono austero di Trent: «E
per i nostri lavori?»
La sua domanda
suonava più come un’accusa di tradimento. Tuttavia la ragazza si era preparata
anche a questo. «Ho già parlato con Jacob» replicò calma. «Non mi mancano molti
lavori e gli invierò aggiornamenti costanti. In fin dei conti Edward voleva che
lavorassimo così fin da subito. Quella di farmi venire a Londra è stato uno
strappo alla regola.»
Lanciò un’occhiata
fugace in direzione del cantante. Durò per pochissimi istanti, ma sentì una
violenta morsa chiuderle lo stomaco. Doveva andarsene in fretta da lì. Prese
una lunga boccata d’aria e proseguì: «Sono passata per salutarvi. E per
ringraziarvi di cuore per l’opportunità che mi avete dato. È una specie di
sogno che si avvera» rise.
«Non sei
costretta ad andare via, troveremo un modo» intervenne Chris. «Magari non con i
Seafret però–» Amelia lo interruppe: «Sapete che vi
adoro?» chiese retorica con un sorriso. «Mi dispiace davvero andarmene, ma
devo. Prometto che appena avrò le ultime bozze pronte sarete i primi a cui le
farò vedere.»
«Quindi vai?»
domandò Chase.
Lei annuì con un
gesto del capo e batterista e tastierista le si avvicinarono, stringendola in
un abbraccio. Quando si separarono Amelia raggiunse Trent. Non sapeva con
esattezza come salutare il chitarrista e per sua fortuna fu lui a prendere l’iniziativa.
Le tese la mano e si scambiarono una semplice stretta, perfetta per un
cavaliere come Linton, pensò la ragazza.
Infine si voltò
verso Ewan. I due si guardarono e Amelia si sentì mancare. Lui era bellissimo e
ferito, così come lei, che si sentiva schiacciata dal dolore e dal senso di
colpa per la decisione che aveva preso. Tuttavia non aveva trovato un’alternativa.
Sentiva che non avrebbe mai potuto funzionare con Ewan, ci sarebbe sempre stato
qualcosa in grado di farla sentire inadatta, qualcosa che costantemente le avrebbe
ripetuto di tenersi pronta per il prossimo cuore spezzato, per l’ennesima
ferita pressoché impossibile da ricucire.
Gli tese il suo
cappellino e il ragazzo lo afferrò. A Ewan non venne niente di sensato da dire,
non una parola uscì dalla sua bocca. Era sconvolto per quanto la ragazza stava
facendo, al punto di non sapere come comportarsi. Non poteva costringerla a
rimanere, ma cosa dirle?
«Ci vediamo al
prossimo concerto allora» gli disse. Lui non replicò e in quel silenzio
surreale Amelia si avvicinò, lasciandogli un leggero bacio sulla guancia.
Dopodiché guardò i quattro un’ultima volta e sorrise loro: «Grazie ancora di
tutto, davvero» fece un cenno di saluto con la mano e si avviò con la sua
valigia.
Ewan non fu in
grado di fare nulla. Si trovava in uno strano stato emotivo, come se fosse
dentro una bolla, circondato da ovatta, sordo al resto del mondo. Poi, quando
anche il profumo di Amelia sparì dalla stanza, si ridestò nello stesso modo in
cui ci si può svegliare da un brutto sogno. Spalancò gli occhi, il cuore
accelerò il battito e il cappellino gli sfuggì di mano. Perché se ne andava?
Perché glielo aveva detto così? Perché?
Chase, Chris e
Trent lo stavano fissando, incapaci di dire parole che potessero in qualche
modo aiutare l’amico, ma il cantante sapeva che toccava a lui fare qualcosa,
che se avesse permesso ad Amelia di andarsene senza prima averle detto cosa
sentiva per lei avrebbe fatto il più grosso errore della sua vita.
Senza dire
niente scattò in direzione della porta, correndo lungo il corridoio che dava
sull’esterno. Individuò la ragazza, con la valigia al seguito, a pochi metri di
distanza, sul marciapiede della soleggiata Shaftesbury
Ave.
«Amelia. Aspetta.»
Sentendo il suo
nome pronunciato con la perfetta voce di Ewan, lei si bloccò, voltandosi verso
di lui. Il ragazzo la guardò per un momento; appariva sorpreso, sconvolto, gli
occhi blu sgranati e il fiato corto – e non certo a causa della corsa.
«Che ti prende?»
Amelia si sentì
pugnalata da quella domanda, così come dal tono con cui era stata formulata.
Fece del suo meglio per riuscire a guardare il cantante negli occhi mentre
rispondeva, tentando di fare il possibile per non cedere davanti al suo sguardo
che sembrava implorarla. «Ve l’ho detto. Insomma, il lavoro e tutta questa
storia...» lasciò cadere la frase, incapace di aggiungere altro. Un nodo le si
stava formando in gola e una fitta di paura e tristezza le serrò lo stomaco. Sarebbe
potuta crollare da un momento all’altro, sentiva di doversene andare al più
presto.
«Ok, d’accordo»
rispose Ewan a denti stretti. «E riguardo a noi, allora?»
La ragazza
spalancò gli occhi, il cuore variò il proprio ritmo. Che bel suono aveva quel “noi”,
così bello eppure così doloroso; perché Amelia sentiva che nessun “noi” sarebbe
potuto durare fra loro, non finché ci fosse stata lei. Prese ad agitare
nervosamente le dita intorno al manico della valigia, sperando con tutta se
stessa che lui non la notasse. Cercò qualcosa da dire ma non fu in grado di
aprire bocca e, davanti a quel silenzio, Ewan prese l’iniziativa. «Andiamo, lo
sai che mi piaci. Davvero c’è bisogno che te lo dica?»
Fu al suono di
quelle parole che Amelia distolse lo sguardo, incapace di continuare a guardare
Ewan. Dio, stava così male, ma non sapeva come comportarsi altrimenti. Non
riusciva più a rimanere lì, a Londra insieme a lui, sentiva che avrebbe solo
reso tutto più complicato per entrambi. Non poteva ignorare quella paura
viscerale che ormai da giorni l’aveva presa, che le impediva di immaginare un
futuro sereno insieme a quel ragazzo. Lo avrebbe solo ferito, ben più di quanto
stava già facendo. Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma non le uscì nulla.
Si sentiva orribile, avrebbe voluto scomparire, scivolare fra le persone che
scorrevano accanto a lei e andare via, lasciando al ragazzo il tempo e il
silenzio per comprendere che era meglio che le cose fra loro fossero andate a
quel modo, perché sentiva che lui avrebbe potuto capirlo.
Davanti al
silenzio protratto di Amelia, Ewan non fu più in grado di resistere. Non ce la
faceva a sopportare quella situazione, voleva solo che finisse,
indipendentemente da quanto avrebbe scoperto. Era chiaro che quello che la
ragazza gli aveva raccontato aveva più l’aspetto di una scusa che altro e anche
Amelia aveva ormai compreso che il cantante sapeva la verità.
Lui prese fiato,
pronto all’affondo finale. Voleva delle risposte, sebbene sapesse già che lo
avrebbero ferito. «Sii sincera con me: c’entra davvero il lavoro? O sono io?»
Amelia si sentì
cedere. Stava sempre peggio e la morsa allo stomaco si era stretta, violenta
come mai. Avrebbe voluto dirgli la verità, tutta, racchiudendola in quella
frase all’apparenza priva di significato che aveva portato alla fine di
centinaia di storie diverse: “non sei tu, sono io”. Tuttavia non le riuscì
neanche di dire quelle poche e insulse parole.
Tentò di farsi
forza, sperando di non sentire la voce morirle in gola. «Mi dispiace»
disse solo, dopodiché lanciò un’ultima, incerta, occhiata al cantante e si
allontanò.
Non lo sentì
avviarsi per raggiungerla, né chiamare il suo nome per fermarla e una parte di
sé quasi morì per quello. Avrebbe voluto fermarsi, guardarlo ancora una volta,
trovare una soluzione, ma non fece nulla. Si affrettò per raggiungere la Tube,
diretta verso Euston Station, dove avrebbe preso un
treno per Glasgow un paio d’ore più tardi con il biglietto che aveva prenotato
la notte precedente, quando ancora l’insonnia era stata la sua più intima
amica.
Mentre aspettava
la linea blu, in mezzo a una folla costante di persone in arrivo e in partenza,
Amelia non poté fare altro che pensare a quanto appena accaduto con Ewan, al
modo in cui lei se n’era andata, a come lui l’aveva guardata, supplicandola con
gli occhi di restare. Cercò di canticchiarsi in testa qualcosa, nella
vana speranza di alleggerire il proprio stato d’animo. L’unica canzone che le
venne in mente fu A Step YouCan’t Take Back, di KeiraKnightley, ma quella
canzone era nella colonna sonora di BeginAgain, lo stesso film da cui Ewan aveva preso spunto
per la passeggiata notturna per Londra ascoltando la musica, la notte in cui si
erano baciati la prima volta. Quel ricordo fu come una lama nella carne viva
della ragazza.
Sembrava una
statua, immobile, lo sguardo basso, un nodo in gola soffocante. Si sentiva
atterrata, nient’altro, e consapevole di esserlo per sua stessa scelta. In casi
simili solo la musica sapeva come aiutarla e, in particolare, note e parole
degli Shards. Tuttavia, in quel momento, come avrebbe potuto il quartetto
londinese esserle d’aiuto quando solo il pensiero di loro era in grado di
acuire il suo dolore?
“You feel the knife in your gut|But you’re so scared of what
you want|You bite you lip, and hold your tongue|What
are you hiding?”
Kodaline. Ready To Change
Casa di Amelia, Little St, Glasgow, 14
settembre
Ore 6:18 PM
Davanti all’appartamento in cui viveva, Amelia non
riuscì a evitare il paragone con quello che si era lasciata a Londra e in cui
era stata nell’ultimo mese. La luce, forse, era l’elemento che l’aveva portata
a fare quel confronto mentale.
Glasgow le era
mancata, molto, così come Pani e la casa che condivideva con lei, con le porte
cigolanti e un paio di tapparelle difettose. Rientrare lì le aveva fatto
piacere, sebbene avesse desiderato di tornarvi in uno stato d’animo ben diverso.
Aveva sperato di rincasare a Glasgow felice, realizzata, con la mente piena di
idee e il cuore carico di ricordi. Invece, ora, si sentiva svuotata di ogni
emozione, un guscio su cui anche le cose più belle sarebbero potute scivolare;
così vuota e così delusa da se stessa da non aver neanche versato una
lacrima.
Nel viaggio di
quattro ore che separava Londra da Glasgow, l’Inghilterra dalla Scozia, la sua
mente aveva cercato invano di trovare qualcosa su cui focalizzarsi che non
fosse Ewan. Aveva tentato di ascoltare canzoni che non fossero quelle degli
Shards, di fare il possibile per non aggiungere ferite a quelle che si era
fatta e a quante già possedeva. Alla fine si era assopita ma, forse,
risvegliarsi in viaggio su un treno e ricordare per quale ragione vi fosse
aveva solo peggiorato la situazione.
Pani non era
ancora rientrata. Amelia, che conosceva a menadito gli orari dell’amica, sapeva
che sarebbe tornata a breve. Si trascinò la valigia fin nella sua camera e
rimase sulla soglia per almeno un minuto a osservare quello che era da anni il
suo rifugio sicuro, il posto in cui poteva disegnare senza interruzioni, in cui
poteva dimenticarsi di ogni delusione; la sua tana piccola, accogliente e
tappezzata di fotografie.
Cominciò a
togliere i vestiti dal trolley, facendo piccoli mucchietti sul letto, in un
silenzio disturbato solo dai rumori che provenivano dall’esterno. Aveva
appena ultimato quel lavoro quando sentì la porta di casa aprirsi. Si affacciò
sulla soglia di camera sua e incrociò lo sguardo di Pani, che sembrò impiegare
un po’ per riconoscerla.
«Ami» esclamò. «Sei
tornata?» La domanda aveva un suono strano, come se non si spiegasse la
presenza dell’amica lì; dopotutto Pani era stata informata della questione
della proroga che avrebbe dovuto tenere Amelia a Londra fino alla metà di
ottobre.
Dopo quel primo
momento di confusione, però, l’amica si avvicinò e strinse la coinquilina in
uno dei suoi abbracci più affettuosi. «Mi sei mancata» disse, la testa
affondata nei suoi capelli. L’altra le rispose che quel sentimento era
reciproco e per la prima volta da ore si lasciò andare a un sorriso, stretta in
quell’abbraccio.
Quando Pani si
separò da lei, le posò entrambe le mani sulle spalle e la guardò negli occhi. «Ma
che è successo? Non dovevi rimanere fino a ottobre?»
Amelia sapeva
che avrebbe potuto dirle tutto e ricevere in cambio l’aiuto di cui aveva
bisogno, ma non ne fu in grado. Si strinse nelle spalle, cercando una
mezza verità da usare in sostituzione, qualcosa da dire affinché non fosse così
palese il modo in cui era fuggita. «Beh, visto che alla fine mi mancano davvero
poche grafiche non era necessario che rimanessi ancora là. Sai com’è, il mio
alloggio era comunque una spesa che hanno preferito tagliare.» Fece del suo
meglio per sembrare convincente e forse ci riuscì davvero, perché l’amica
assunse un’aria dispiaciuta.
«Cavolo» disse
questa, «ci sarai rimasta male.»
Amelia non
avrebbe usato quelle esatte parole, ma in fin dei conti non aveva neanche
rivelato la realtà dei fatti. Aveva mentito prima agli Shards e ora alla sua
migliore amica. Fuggire dalla realtà non era mai una soluzione e sapeva le si
sarebbe ritorto tutto contro. Tuttavia in quel momento non riusciva a fare
altrimenti.
Alla fine cercò
di non apparire triste quanto si sentiva. Si strinse appena nelle spalle,
abbozzando un sorriso. «Beh, il mio nome sulle grafiche c’è comunque. Mi
dispiace aver lasciato gli Shards, d’accordo, ma non posso dire di essere triste
per quello che è successo.»
Pani arricciò le
labbra. «Sì, direi che hai perfettamente ragione.» Dopodiché parve esaltarsi
molto più di prima. «Devi raccontarmi tutto, anche le cose all’apparenza più
insignificanti» esclamò, calcando con cura la parola “tutto”.
«Ti dispiace se
prima mi faccio una doccia? Ne ho un bisogno folle.» Amelia pensò che quello
potesse essere un buon modo per guadagnare un po’ di tempo. Aveva bisogno di
riordinare le idee e pensare con cura a cosa – e quanto – poter dire.
«Oh, sì, giusto,
scusa» rispose in fretta Pani. «Hai ragione, sarai stanca. Ne parliamo a cena,
magari. Potremmo uscire, che ne dici?»
La coinquilina
si disse d’accordo con la proposta. Forse uscire le avrebbe fatto bene. Si
avviò per andare nella sua stanza, ma la voce dell’amica la fermò: «Solo una curiosità.»
Amelia sapeva già dove sarebbe andata a parare. Si preparò a ricevere la
fatidica domanda, l’equivalente dell’ennesima pugnalata.
«Che mi dici di
Ewan?»
La ragazza
avrebbe voluto dire che era una stupida – e che quello era solo un eufemismo – che
aveva rovinato ogni possibilità avesse mai avuto con Ewan, che lei non era all’altezza
di quel ragazzo e certo non lo sarebbe stata ora, dopo il modo in cui era
scappata. Non una di queste parole uscì dalle sue labbra. Si
strinse nelle spalle, facendo una fugace smorfia. «Non...non ha funzionato.»
L’amica si lasciò sfuggire un lungo
sospiro. «Accidenti» borbottò. «E pensare che avevo già iniziato a
pensare a come chiamare la vostra coppia.»
Sporse il labbro inferiore, dispiaciuta e Amelia rise a quel gesto. Insieme a
Pani avrebbe potuto riprendere controllo della sua vita, lo sentiva. Gli amici
erano sempre stati la cosa migliore della sua esistenza e, per sua fortuna,
viveva sotto lo stesso tetto di qualcuna in grado di farle trovare una ragione
per sorridere anche quando ogni cosa sembrava andare in frantumi.
«Dai,
non fare così»
cercò di rassicurarla Amelia. «Appena
esco dalla doccia ti racconto tutto.»
Si avviò in camera per prendere dei vestiti
puliti e lì si chiese cosa avrebbe potuto raccontare alla coinquilina riguardo
a Ewan. “Tutto” voleva dire ogni cosa, ovvero il fatto che se fosse rimasta a
Londra si sarebbe certo innamorata di quel ragazzo, di cui apprezzava i pregi e
perfino i difetti – come il suo perenne essere in ritardo, eccetto che ai
concerti. Non poteva dire tutto;
nemmeno alla sua migliore amica, non finché la consapevolezza delle sue azioni
continuava a scavarle dentro gallerie profonde, quasi toccando punti che Amelia
a malapena sapeva potessero provare dolore e rimorso.
St.
Vincent St, Glasgow, 10 ottobre
Ore
3:35 PM
In
tre settimane la vita era capace di prendere una svolta drastica, imboccare un
sentiero nuovo con una sterzata. Al contempo, però, era anche capace di
resettarsi completamente, in quel lasso di tempo breve per alcuni ed eterno per
altri.
In quel frangente della propria
esistenza, Amelia apparteneva alla serie di persone per cui tre settimane
equivalevano a un’eternità. Aveva ultimato le grafiche per gli Shards,
lavorando come non aveva fatto a Londra, dedicando ogni minuto della sue
giornate a quei disegni. Si era tenuta in costante contatto con Jacob –
soddisfattissimo di quei lavori – econ
Chris e Chase, che le avevano inviato spesso messaggi per chiederle come stava.
Ma non con Ewan. Il cantante non l’aveva più cercata dopo che se n’era andata
da Londra e lei non sapeva come dargli torto di ciò. D’altro canto nemmeno Amelia
aveva tentato qualcosa per riallacciare i rapporti. Proprio come aveva fatto
con le e-mail, di cui ne aveva iniziate a decine senza mai inviargliene una,
aveva più e più volte aperto la chat WhatsApp con il nome del ragazzo scritto
sopra, pensando a qualcosa da dirgli, a un modo per scusarsi, ma ogni volta
finiva con il rileggere alcuni passaggi delle conversazioni, sentire un nodo
formarsi in gola e chiudere tutto con l’ennesimo nulla di fatto.
Ewan le mancava tantissimo. Era in
assoluto la cosa che più le mancava di Londra. Non ascoltava più gli Shards
ormai; anche in quel momento dagli auricolari che teneva inforcati uscivano
note e parole di Ready To Change dei
Kodaline. Forse un giorno sarebbe riuscita a tornare ad ascoltare le canzoni di
quello che rimaneva, senza alcun dubbio, il suo gruppo musicale preferito, ma
trovava che in quel momento fosse ancora troppo presto.
Era in una caffetteria-libreria, la sua
preferita in tutta Glasgow, chiamata Molière. Stava sorseggiando un infuso
alla mente e leggendo il libro che aveva appena acquistato. Con sé aveva anche
il portatile e le sarebbe piaciuto lavorare un po’ a qualche grafica, ma non
aveva voglia di estrarre il pc. Inutile dire che non aveva alcuna commissione,
al momento. In fin dei conti le nuove grafiche degli Shards non erano ancora
state rese pubbliche, perciò era impossibile che qualcuno al di fuori della
band, del manager e di Jacob avesse visto uno dei suoi lavori. Tuttavia sapeva
anche che quel lavoro non poteva darle la certezza di ottenere le attenzioni
che lei tanto sperava, consentendole finalmente di entrare a pieno regime nel
mondo della grafica. Stava anche
pensando di cercarsi un lavoro nuovo, almeno per tornare ad avere quell’entrata
mensile assicurata con cui coprire le spese della casa e concedersi un concerto
ogni tanto.
Alzò gli occhi
dal libro, fissandoli in un punto qualsiasi della piccola libreria. Continuava
a rimuginare su Londra, sulla sua carriera da grafica, su Ewan. Così non si
aiutava. Come poteva riprendere il controllo di sé e della sua vita se
costantemente andava a rivangare su quanto gliel’aveva stravolta? Perché, in
fin dei conti, questo aveva fatto Ewan: le aveva stravolto quell’equilibrio che
aveva trovato, sebbene fosse stato fatto di giornate pressoché identiche, di
convinzione sulla mediocrità dei propri lavori e di consapevolezza che, forse,
qualcuno di cui valesse la pena innamorarsi non lo avrebbe mai trovato. Certo,
quello non si poteva definire il miglior equilibrio del mondo, ma
ridimensionare le proprie aspettative le aveva consentito di superare indenne anni
di giornate all'incirca uguali, in cui bastava una birra in compagnia e un
selfie di gruppo per migliorare le cose.
Poi era arrivato
Ewan e, come un uragano, aveva cambiato le cose in Amelia con una velocità
sorprendente. Le aveva fatto capire che c’era sempre qualcosa, in un giorno,
che valeva la pena di essere approfondito e reso speciale, che le sue doti di
grafica potevano essere apprezzate, che c’era del talento in lei e,
soprattutto, che qualcuno di cui valesse ancora la pena di innamorarsi
esisteva, sebbene meritasse una persona in grado di ricambiare senza alcuna
esitazione quel sentimento, cosa che a lei risultava complicata, se non
impossibile.
Chiuse il libro,
capendo che non sarebbe riuscita a proseguire oltre e si concentrò sul suo
infuso alla menta, ormai freddo. Fuori dalle vetrate poteva vedere la pioggia
scrosciare sulla città, rendono il pomeriggio buio. Spense anche la musica,
così da udire il suono dell’acqua, qualcosa che le aveva portato serenità fin
da quando era piccola. Cercò di non pensare a niente, ma le risultò impossibile
come ogni altra volta in cui si cimentava invano in quell’assurdo tentativo.
Non esisteva modo per fermare una mente pensante, alcuno, e lo sapeva.
Per sua fortuna
il cellulare interruppe il flusso del suo cervello. Puntò gli occhi sullo
schermo illuminato, scoprendosi a desiderare di vedere un solo nome in
sovrimpressione. Tuttavia, quel nome non era comparso. Amelia afferrò il
telefono. Lo portò all’orecchio, inumidendosi le
labbra prima di rispondere.
«Ciao Amelia, sono Philip.»
Il “buon Phil” salutò la
ragazza con tono raggiante. Era il fotografo di fiducia di Amelia, l’uomo che
le aveva ormai sviluppato tutti i cinquantaquattro rullini che avevano iniziato
ad affollare la stanza della giovane da quando aveva acquistato la sua piccola
Diana anni prima. Fra lei e il fotografo si era instaurato un buon rapporto di
amicizia, soprattutto perché ormai più nessuno, a detta di Phil, si presentava
con un rullino a colori da far stampare – quelli che loro due chiamavano in
simpatia i “C-41”. Per lui, fotografo nato negli anni della pellicola, il
ritorno al mondo analogico di Amelia era stato qualcosa di molto positivo,
quasi sentisse di non aver trascorso gli anni migliori della sua vita a
lavorare su qualcosa che sarebbe presto finito nel dimenticatoio.
Il contagioso ottimismo di
Philip fu in grado di far sorridere la ragazza anche nello stato in cui si
trovava. «Ciao Phil» gli disse. Avrebbe voluto aggiungere che ormai il suo
numero lo aveva salvato in rubrica da parecchio, che non serviva si presentasse
ogni volta, ma preferì non farlo. Si immaginò l’uomo nel suo studio di
fotografia, alto più di una montagna, la pelata lucida, due baffoni a manubrio
degni di una competizione e una delle innumerevoli polo della nazionale di
rugby scozzese indosso.
«Spero di non disturbarti»
proseguì lui, «ma ti ho chiamata perché le tue foto sono pronte da giorni e non
sei ancora passata a ritirarle. Pensavo te ne fossi dimenticata e ho preferito
avvisarti.»
Amelia si passò una mano
sulla fronte, buttando indietro la testa. Philip aveva ragione, se ne era
dimenticata eccome e, forse, non aveva neanche tanta voglia di andarle a
riprendere. Aveva portato due rullini a far sviluppare il giorno dopo il suo
rientro a Glasgow, settimane fa, ormai. Era entrata nello studio del fotografo
quasi in uno stato di trance, salutando il proprietario – ormai un amico – e
lasciandogli i rullini sul bancone, contrassegnati dal numero 55 e 56. “Per
quando hai tempo”, gli aveva detto prima di uscire. Chiaramente Philaveva stampato le foto con la stessa
tempistica di sempre, ovvero in un paio di giorni – alle volte Amelia
sospettava che lui le “mettesse avanti” i lavori perché si trattava di fotografie
su pellicola.
«Come stanno i miei C-41?»
chiese lei, cercando di mascherare la situazione.
«Oh, benone. Ci sono molti
scatti belli. Sei stata a Londra, eh?» Scoppiò nella sua potente risata, a cui
di solito Amelia andava dietro, ma non in quel momento. Aveva nominato Londra,
la capitale, il contenuto non unico di quei rullini. Forse avrebbe fatto meglio
a lasciare quelle foto dov’erano, a non recuperarle; tuttavia non poteva fare
una cosa del genere a Phil, era suo amico e un fotografo di tutto rispetto, che
meritava di essere retribuito per il suo lavoro. Con che faccia gli avrebbe
portato il rullino 57 senza prima prendere i due che ora erano là ad
aspettarla?
Prese una boccata d’aria e
chiuse gli occhi. «Passo a prenderli ora, che ne dici?»
«Va benissimo, tanto sai
dove trovarmi.»
Una nuova risata e, questa
volta, rise anche la ragazza. «Allora a fra poco. E grazie, me ne ero
dimenticata, infatti.»
Si salutarono e Amelia
chiuse la chiamata. Mise il libro nella borsa, tirò su fino al limite la
cerniera della felpa e si avviò fuori dalla piccola libreria-caffetteria, l’ombrello
tenuto di traverso per proteggerla dalla pioggia che scendeva di taglio.
Il negozio di Philip era
sovrastato da una storica insegna in ferro battuto – o, almeno, Amelia era
convinta fosse in ferro battuto – da cui era sempre stata affascinata. La
pioggia era calata di molto quando entrò nello studio fotografico. Il
proprietario era impegnato con un cliente, ma salutò la giovane con un cenno
della mano appena la vide varcare la soglia. Mentre aspettava che si liberasse,
Amelia si guardò un po’ intorno, sulla moltitudine di fotografie che decoravano
il locale a testimonianza delle capacità del fotografo. Ormai conosceva a
menadito quelle immagini, ma non poté fare a meno di guardarle anche quel
giorno per quanto erano belle.
Quando il cliente se ne fu
andato, Phil si voltò per afferrare qualcosa nello scaffale che aveva alle sue
spalle. Fece scorrere sul piano, fino alla ragazza, due piccole buste in carta
e altrettanti cilindretti in plastica opaca, contenenti i negativi sviluppati.
«Ti ho già detto che mi
piacciono molto?» le chiese lui, sorridente.
«Hai accennato alla cosa per
telefono» rispose Amelia. Aveva gli occhi posati sulle buste in carta con i
positivi stampati. Avrebbe voluto vedere quelle foto, ma sapeva che cosa vi
avrebbe trovato. Il rullino 55 conteneva per più di metà foto di Londra, molte
scattate dagli stessi Shards. E il 56 era stato iniziato e finito nella
capitale, inutile anche solo sospettare avesse un contenuto differente dal
precedente.
«Quanto sei stata là?»
Lei sollevò gli occhi sul
fotografo al suono di quella domanda. Per un primo istante non capì di cosa
stesse parlando, dopodiché collegò fra loro le cose. «Un mese.»
«Ah, una bella vacanza»
scherzò l’uomo.
Amelia sorrise. «No, per
lavoro. Sono stata chiamata a realizzare le grafiche per la nuova tournée di un
gruppo musicale.»
«Pensa un po’. I miei
complimenti. E questo gruppo si chiama?»
«Shards.» Le sembrò strano
il suono che le uscì dalle labbra, come se il nome della sua band preferita le
fosse d’un tratto diventato estraneo.
«Mai sentiti» borbottò
Philip, battendo il conto sulla cassa che aveva accanto.
Amelia estrasse il
portafoglio, contenta di sapere che, a breve, si sarebbe cambiato argomento.
«Allora, il solito per due»
disse lui, senza aggiungere altro. Mise sopra le fotografie stampate anche un
paio di album, un omaggio che continuava a fare alla ragazza nonostante casa
sua già strabordasse di album fotografici – per lo più perché lei preferiva sistemare
in altro modo le fotografie stampate.
Amelia gli allungò il
bancomat e appena ebbe finito di pagare afferrò le sue cose e le infilò in
borsa, con la cura che sempre riservava al suo materiale fotografico. Ringraziò
il fotografo e gli augurò buona serata, dopodiché si avviò diretta verso casa. Fece
il tratto di strada senza ascoltare musica, concentrandosi solo sul ticchettio
delle gocce di pioggia sull’ombrello, le quali riacquistavano forza di tanto in
tanto, per poi calare di nuovo di intensità.
Quando arrivò a casa, come
ben sapeva, Pani non era ancora rientrata. Si cambiò i vestiti, tamponandosi
con un asciugamano le punte dei capelli che non era riuscita a proteggere dall’acqua.
Con indosso una delle sue felpe più larghe e comode, Amelia svuotò la borsa del
suo contenuto, spargendolo sul letto come faceva ogni volta. Afferrò i
cilindretti contenenti i negativi e li andò a sistemare nella vecchia
ventiquattrore che le aveva regalato sua madre, insieme a tutti i
cinquantaquattro rullini sviluppati in precedenza. Dopodiché si voltò verso il
letto, dedicando la sua attenzione alle buste in carta con i positivi stampati.
Non se la sentiva di aprire quelle buste, svuotarle dal contenuto, guardare le
foto. Sapeva già cosa vi avrebbe visto e, al tempo stesso, come si sarebbe
sentita. Forse a distanza di qualche giorno o settimana, le sarebbe risultato
più semplice.
Sospirò, pensando di
prepararsi un altro infuso alla menta. Ne aveva bevuto uno da poco ma aveva
bisogno di qualcosa che l’aiutasse a calmarsi. Raggiunse la cucina e fu lì che
capì che non era una bevanda calda ciò che le serviva. Aprì il frigorifero e afferrò
una birra. La stappò e ne bevve il primo sorso come se non bevesse da secoli.
Dopo il secondo goccio tornò nella sua stanza, fermandosi però sulla soglia
della porta. Fissò il punto del letto su cui stavano le buste con le foto a
lungo, finché, d’impulso, non decise di guardarle. Si allungò sul letto ad
afferrarle, poi si sedette in terra, posando la birra accanto a sé.
Per prima forzò la busta con
impresso a pennarello il numero 55. Nella stanza regnava un silenzio assoluto,
sospeso. Estrasse le prime foto e il cuore iniziò a batterle con forza
maggiore. Una decina di immagini, quelle che tirò fuori subito, le aveva
scattate prima di raggiungere Londra e le riconobbe tutte. Forse avrebbe fatto
meglio a fermarsi, guardare quelle fotografie e richiudere nella busta le
altre, ma non lo fece. Prese un nuovo sorso di birra e continuò ad afferrare un
positivo dietro l’altro, riconoscendo la capitale inglese, i posti e, poi, le
persone. I volti degli Shards le scorsero sotto gli occhi uno a uno. Li aveva
immortalati chiedendo loro una foto, oppure quando non se l’aspettavano o
mentre erano intenti a fare altro, risultando naturali.
I colori dei positivi
analogici sembravano sbiaditi, consumati, una particolarità che lei amava.
Vedere Ewan con quei colori era come metterlo sotto una luce diversa, effimera
e impalpabile. Quelle fotografie avevano la consistenza dei ricordi; anzi, quelle
fotografie erano ricordi, e Amelia sapeva che se quelli si fossero
potuti afferrare sarebbero stati le immagini che ora teneva fra le mani.
Ormai non riusciva più a staccarsene.
Ne scorreva una e subito voleva vederne un’altra, nonostante il nodo che le si
stava formando in gola e la sensazione opprimente che si faceva largo nel
petto. Si era lasciata alle spalle qualcosa di sconvolgente in quanto a
emozioni e bellezza, qualcosa che la stava rendendo felice. Forse aveva
sbagliato ad andarsene nel modo in cui aveva fatto, ma non aveva trovato una
soluzione differente e ora le sembrava troppo tardi per rimediare in qualche
modo ai suoi sbagli. Inoltre continuava a rimanere il fatto che aveva paura; di
cosa cominciava a non saperlo più nemmeno lei, ma non si era dimenticata quella
sensazione di non essere abbastanza per Ewan che era stata una delle cause
principali del suo improvviso allontanamento.
Però, ora, lui
le mancava allo stesso modo in cui poteva mancarle qualcosa di vitale e
prezioso, qualcosa di irrinunciabile. Il nodo in gola le si chiuse con forza e,
per la prima volta da quando aveva lasciato Londra, le venne da piangere. Prima
di quel momento era riuscita a non versare una sola lacrima ma lì, con le foto
sparpagliate come petali di fiori intorno a sé, non riuscì a trattenere il
pianto. Debole e stupida, questo si ripeté nella mente, in cerca del coraggio
necessario per prendere un’iniziativa.
Sentì l’ingresso
di casa aprirsi e, per non farsi vedere da Pani, spinse la porta della camera
con il piede, così da socchiuderla. Cercò di asciugarsi gli occhi ma altre
lacrime arrivarono a bagnarli. Si maledisse; maledisse le sue scelte la sua
codardia, quella incapacità di provare a concedersi qualcosa di bello a causa
di un passato ingombrante.
Sentì i passi
della coinquilina avvicinarsi e la sua voce levarsi nella sua direzione. Pani spalancò
la prota. «Pensavo che magari stasera potrem–» Si bloccò subito alla vista dell’amica,
seduta in terra, circondata da fotografie e inutilmente intenta ad asciugarsi
gli occhi.
«Ami che è
successo?» le chiese, preoccupata. Si fece strada con garbo fra i positivi di
stampa, sedendosi sul pavimento accanto ad Amelia. Quest’ultima non riuscì a
rispondere prima di essere scossa da nuovi singhiozzi, ricominciando a
piangere.
Le ci vollero
diversi minuti e tutta la calma che Pani riuscì a trasmetterle perché si
placasse, sentendosi pronta a raccontare quella verità che aveva tenuto
nascosta anche alla migliore amica. Le disse perché era rientrata prima, la
vera ragione per cui aveva lasciato Londra. Il senso di impotenza che aveva
provato a Piccadilly Circus, di come, da quel momento, anche il solo pensiero
di Ewan le provocasse fitte di angoscia dovute a quel suo passato che sembrava
intenzionato a ostacolarla ogni volta e dal quale lei si faceva sottomettere.
Infine le disse quello che aveva capito quel pomeriggio, ovvero che Ewan le
mancava allo stesso modo in cui può mancare qualcuno di cui si è innamorati, ma
continuava a essere paralizzata dalla paura di vedere le cose andare come con Eric,
o con Richard, e provocarle dentro un’altra ferita incurabile.
Quando si fu
calmata, vomitando addosso all’amica paure e consapevolezze, si zittì e allungò
a Pani la bottiglia di birra – forse le avrebbe fatto comodo un goccio per
riprendersi dalla confessione appena ricevuta. La ragazza ne bevve un generoso
sorso, poi un altro, svuotando la bottiglia e lasciando che questa rotolasse
sul pavimento. Si girò verso Amelia e la guardò nei suoi occhi arrossati.
«Oh, tesoro.» Era sempre così che esordiva
Pani per prendersi cura dell’amica, con un “Oh, tesoro”, l’equivalente a parole
di un abbraccio. «Perché non me lo hai detto?»
Amelia smise per
un momento di asciugarsi il volto con il fazzoletto che Pani le aveva
recuperato dal marasma di oggetti sparsi sul letto e la guardò con fare ovvio.
«Oh, giusto, me lo hai appena spiegato» si corresse Pani. Iniziò a tamburellare con le dita
sul ginocchio, pensando. «Perché non gli scrivi?» propose, illuminandosi. «Digli quello che hai detto a me, sono certa che capirà.»
L’altra impiegò
un po’ prima di parlare; si sentiva la bocca impastata e già sapeva che la sua
voce avrebbe avuto un suono diverso. «Non posso, non sarebbe giusto.» Il tono era roco proprio come si aspettava. «Me ne sono andata senza dargli una spiegazione, non
posso scusarmi e tentare di motivare la cosa attraverso un messaggio. È così
che Eric mi ha scaricata, se ti ricordi, e abbiamo sempre sostenuto che avesse
fatto schifo.»
«Una verità imprescindibile» sostenne Pani, facendo un “pop” con le labbra. «Beh, allora hai solo due possibilità: chiamarlo o
lasciare le cose come stanno.»
«Non posso chiamarlo, non riuscirei a dirgli una sola parola» ammise affranta Amelia.
«Allora vai da lui.»
La mancanza di
reazione dalla coinquilina le valse come una risposta. Pani capiva la paura, l’ansia
della migliore amica, tuttavia aveva anche capito che, quella volta, se avesse
ponderato correttamente le parole sarebbe riuscita a imprimere in Amelia la
spinta necessaria per aiutarla ad agire e andare a prendersi quanto le spettava
– o, almeno, provarci.
Prese una
boccata d’aria, pensando alle parole migliori da usare, dopodiché disse: «Ami, io ti conosco alla perfezione, ormai lo sai, e so
che c’è una cosa che ti caratterizza: tu non balli. Ma,» calcò con cura quell’ultima parola, «con gli Shards lo fai, balli eccome. Io penso che
questo significhi molto. C’è un legame speciale che ti unisce a quella band e a
Ewan in particolare e intendo da prima che vi conoscente. Il fatto che tu abbia
capito di essere innamorata, o quasi, di lui non fa altro che rafforzare quel
legame.
«Perciò, vuoi farti scappare l’unico uomo che ti abbia mai fatta ballare?
Non puoi sapere come andrà a finire fra voi, chi ti dice che tutto si romperà?
Nessuno può saperlo. Ma se rimani qui, se non lo chiami o non gli scrivi,
allora sì che tutto si rompe e finisce. Anzi, è già finito.»
Le spostò i
capelli su una spalla, così da riuscire a vederla bene in viso. «Non voglio costringerti a fare nulla, sai che non sono
il tipo e capisco che tu sia spaventata da come potrebbero andare le cose,
specie vista la sfilza di stronzi che non hanno fatto altro che ferirti. Quello
che voglio dirti è che non dovresti precluderti la possibilità di essere felice
solo perché, forse, qualcosa potrebbe andare storto.»
Pani smise di
parlare, regalando all’amica uno dei suoi sorrisi migliori. Quella ragazza
aveva una capacità unica di usare le parole, era chiaro che la laurea in
giornalismo se la fosse meritata tutta. Nelle parole che aveva appena finito di
pronunciare c’era tutto ciò che Amelia sperava di sentirsi dire, l’incitamento
di cui aveva bisogno. Ripensò a quanto appena detto da Pani, riflettendo sul da
farsi. Non aveva paura, peggio: era terrorizzata. Sapeva il significato di
una delusione amorosa importante fin troppo bene. Il suo cuore si era già
strappato due volte e lei lo aveva ricucito a fatica, con punti deboli che
facevano ancora male e che cedevano ogni volta che il forte sentimento che le
aveva provocato tali ferite era in procinto di affiorare dentro di lei.
Tuttavia non poteva sapere se le cose con Ewan sarebbero andate come con Eric,
o con Richard. Non poteva sapere se fra loro avrebbe funzionato davvero, se lui
l’avrebbe amata per sempre, insieme a quell’ingombrante bagaglio che l’eternità
costringe a portare con sé. E se Ewan fosse stato quel ragazzo, quello con cui
avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni e lei se lo fosse lasciato scappare,
allora non si sarebbe mai perdonata la cosa. Alle delusioni provocate dagli
altri sapeva sopravvivere, ormai l’aveva capito, anche se facevano male; alle
sue, invece, non avrebbe mai saputo come reagire. Doveva provarci e decise di
farlo.
“So
Eleanor, put thoseboots
back on|Put the boots back
on and run|Run, come on over here,
come on over here, come on over here”
Franz Ferdinand. Eleanor Put Your Boots
On
Starbucks coffee, Shaftesbury
Ave, Londra, 14 ottobre
Ore 9:37 AM
“Per fare pace con un ragazzo bisogna prima fare pace
con i suoi amici”. Così le aveva detto Pani prima di salutarla alla stazione di
Glasgow, per poi stringere l’amica in un lungo, incoraggiante, abbraccio.
Amelia sapeva che aveva ragione, per questo nelle quattro ore di viaggio che la
separavano dalla capitale aveva deciso di studiare attentamente le sue prossime
mosse.
Era arrivata
nella capitale la sera precedente e aveva raggiunto l’ostello in cui aveva
affittato un letto per le tre notti successive, incontrando i suoi temporanei
compagni di stanza. Quelle erano tutte spese che avrebbe potuto benissimo
risparmiarsi se solo non fosse scappata da Ewan, ma si disse che così, almeno,
avrebbe imparato la lezione, soprattutto perché non era affatto certa che lui l’avrebbe
perdonata per il suo comportamento – e, in tal caso, lei non lo avrebbe certo
biasimato.
Seguendo il
consiglio della migliore amica, Amelia aveva deciso di scusarsi con ciascun
membro degli Shards, lasciando Ewan per ultimo. Sperava che raccontando le
reali motivazioni che l’avevano portata ad allontanarsi da Londra, Chase, Chris
e Trent l’avrebbero aiutata a riappacificarsi con Ewan. Voleva incontrare i tre
separatamente, chiedere loro scusa, sperando che le cose andassero per il
meglio. Per quello si trovava lì, nello Starbucks di fronte alla sala
prove degli Shards, il luogo in chi sapeva avrebbe potuto incontrarli tutti. In
quel momento, però, ne stava aspettando uno in particolare.
Si era seduta in
uno dei tavolini più appartati, il cappuccio della felpa in testa e il libro
fra le mani per far scorrere il tempo. Si era appostata come nei film,
sentendosi quasi un’agente segreto. Era lì da più di mezz’ora, ormai, e, dopo
il mocaccino che stava finendo di bere, aveva pensato di concedersi la colazione
che, anche complice l’ansia, non era riuscita a mandare giù quella mattina.
Non sapeva se
sarebbe riuscita a mandare giù un boccone, si sentiva agitata all’idea di
rivedere i quattro Shards. Ancora non sapeva bene cosa avrebbe detto loro, da
che parte avrebbe iniziato a raccontare la sua verità, se i ragazzi l’avrebbero
capita o, al contrario, si sarebbero accaniti contro di lei, spezzandole
definitivamente il cuore. Impossibile stare calmi con tutte quelle incognite
addosso, impossibile anche solo pensare di mangiare qualcosa.
Tornò a
concentrarsi sulla lettura, tenendo però l’orecchio ben teso verso la porta,
così da monitorare ogni movimento, anche se si fosse trattato di persone in
cerca di un riparo dalla pioggia che stava scendendo su Londra. Qualcuno di
tanto in tanto entrava, ordinava un caffè e usciva, ma di lui nessuna traccia.
Passò all’incirca
un’altra mezz’ora, altre persone, altra pioggia.
Amelia sospirò.
Forse quella di parcheggiarsi da Starbucks non era stata una gran idea, ma
ormai aveva preparato il necessario e il barista aveva consentito ad aiutarla.
Quando aveva ipotizzato la cosa le era sembrato un buon piano. Proseguì
nella lettura, diventando sempre più impaziente. Si disse che se entro le 11:30
il ragazzo non fosse arrivato avrebbe trovato un altro metodo per incontrarlo,
anche se quello che aveva ipotizzato lì nel caffè era perfetto per lui.
Alla fine,
quando era ormai prossima a perdere del tutto le speranze, pronta per
recuperare le sue cose e andarsene da lì per studiare un piano di ripiego, il
ragazzo entrò.
Chase superò la
soglia del locale, salutò il barista e ordinò un caffè americano come suo
solito. Il ragazzo di Starbucks gli disse che glielo avrebbe preparato a breve,
il tempo di ultimare quelli che stava facendo, e il batterista prese posto a
uno dei tavoli. Quasi lo avesse fatto apposta, si sedette poco lontano dal
punto in cui si trovava Amelia e le diede le spalle, senza neanche vederla.
Lei, infatti, si era calcata per bene il cappuccio in testa e si era nascosta
dietro le pagine del libro, facendosi il più piccola possibile, osservando
circospetta la scena sotto i suoi occhi. Il cuore cominciò a batterle forte per
l’agitazione. Cosa avrebbe detto Chase trovandola lì, a Londra?
Osservò il
barista avvicinarsi al tavolo del ragazzo, lanciare a lei uno sguardo d’intesa,
infine posare il bicchiere sotto al naso di Chase con un “Il suo caffè, prego”
di tutto rispetto. Il batterista lo ringraziò, un po’ sorpreso per quel
servizio extra e afferrò il bicchiere.
Amelia, alle sue
spalle, trasse un profondo respiro, chiuse il libro e si abbassò il cappuccio,
mettendosi in attesa. Il suo piano era appena, ufficialmente, scattato.
In un primo
momento Chase non si accorse di nulla, troppo preso a rispondere al messaggio
della sua ragazza, ma quando bevve il primo sorso della bevanda notò che sul
bicchiere c’era qualcosa. Un segno a pennarello e non erano le lettere del suo
nome. Ruotò il bicchiere per vedere bene di cosa si trattava e ne fu
incredulo. C’era un disegno, un piccolo e ben eseguito schizzo a pennarello di
un ragazzo con indosso un costume intero da dinosauro – tyrannosaurusrex, per essere esatti. Osservandolo meglio si rese
conto che il soggetto rappresentato era lui, una sua versione a cartoni.
Riconobbe il ciuffo che sbucava da sotto il cappuccio a bocca del dinosauro.
Anche lo sguardo; quello era il suo sguardo, non aveva dubbi. Quel bicchiere
era stato indirizzato appositamente a lui e si mise subito a pensare a chi
potesse averglielo mandato. Una volta aveva fatto una chiacchierata con Amelia
a riguardo. Più che una conversazione era stato un fantasticare. Le aveva
rivelato che stava pensando di comprarsi uno di quei costumi da dinosauro, per
adulti, perché gli erano sempre piaciuti, pensando che sarebbe stato buffo
indossarlo durante un concerto. Amelia, come faceva ogni volta, lo aveva
ascoltato e aveva fantasticato insieme a lui su un concerto in costume degli
Shards, magari per una data di halloween, o carnevale, o in un festival come lo
Sziget. Per questo, guardando quel bozzetto sul bicchiere, Chase capì che c’entrava
la ragazza e alzò subito la testa per trovarla. Si guardò intorno, senza
vederla, arrivando addirittura a pensare di aver preso un granchio, almeno
finché non si voltò per vedersi alle spalle. Lei era lì, proprio alle sue
spalle, seduta al tavolino, un lieve sorriso in volto. I capelli le ricadevano
sulla spalla destra e tra le mani teneva il bicchiere di carta, ormai vuoto.
Chase spalancò
gli occhi, un sorriso si fece largo sulle sue labbra. «Amelia» esclamò, felice
di trovarsela lì davanti. Era anche sorpreso di saperla lì, ma fu la gioia ad
avere la meglio. Si alzò e la raggiunse al suo tavolo, portando con sé il suo
bicchiere.
«Sapevo fosse un
tuo lavoro» le disse, riferendosi al disegno sul bicchiere. La ragazza sorrise,
annuendo. A breve sapeva che avrebbe dovuto iniziare a raccontare la realtà dei
fatti a Chase, che presto lui le avrebbe chiesto perché era lì senza aver
avvertito nessuno. Amelia, allora, avrebbe dovuto dire tutto, spiegare perché
era tornata, scusarsi con lui e pregarlo di aiutarla.
«Sono contento
di vederti» proseguì Chase. «Ma, che ci fai qui?»
Nonostante la
ragazza si fosse aspettata e avesse temuto quella domanda, sentirla formulata
dal batterista a quel modo fu meno preoccupante del previsto. Certo, lui ancora
non sapeva le reali motivazioni che l’avevano allontanata dagli Shards, ma c’era
dell’ingenua curiosità nella sua domanda.
«Ewan ha detto
che non ti sente da un po’» proseguì lui.
Quelle parole,
al contrario delle precedenti, scatenarono nella ragazza una valanga. I sensi
di colpa la invasero, quasi fossero una pioggia di mattoni. Era giunto il
momento di raccontare la verità. Dopotutto cos’altro poteva fare, scappare?
Aveva già visto cosa significava fuggire e si era ripromessa di non farlo più, soprattutto
con Ewan. Parlare con Pani di quella storia le aveva fatto bene, non c’era
motivo di dubitare del fatto che fare lo stesso anche con Chase – e poi con
tutti gli altri – le avrebbe giovato.
Trasse un lungo
respiro, chiaro segnale che quanto era in procinto di uscire dalle sua labbra
non era nulla di semplice. «C’è...c’è una cosa che devi sapere» esordì.
L’espressione di
Chase si fece confusa. Inarcò un sopracciglio, inclinando appena la testa di
lato. «Cioè cosa?»
«Non c’è nessun
lavoro a Glasgow» disse in un sol fiato lei. Si strinse nelle spalle con
espressione colpevole. «Non c’è mai stato, a dire il vero. Almeno non da quando
sono arrivata qui la prima volta.»
Diede a Chase il
tempo di ragionare su quanto aveva appena detto. Sapeva gli sarebbe servito un
momento per capire con esattezza a cosa stava alludendo, dopotutto non aveva
per niente contestualizzato la sua ammissione.
Il batterista,
però, arrivò alla corretta conclusione in brevissimo tempo. «Se non c’è nessun
lavoro, allora perché sei andata via?»
Non sembrava
arrabbiato; confuso, quello sì. Amelia pensò da dove iniziare per raccontargli
tutto affinché le cose gli fossero chiare. Alla fine decise di partire dalla
principale causa di tutto.
«Ho avuto paura»
gli rivelò, distogliendo lo sguardo.
Chase si sporse
appena sul tavolo, improvvisamente preoccupato. «Paura di cosa?» le chiese, con
il tono di chi sottintende di voler fare qualcosa, se necessario, per poter
essere d’aiuto. La ragazza non poté fare a meno di pensare a quanto fosse
sensibile e premuroso quel ragazzo. Si morse appena il labbro inferiore per via
dell’agitazione, iniziando anche a tormentarsi le mani in grembo. Alla fine,
però, si fece forza e disse: «È che…ho cominciato a provare…qualcosa, verso
Ewan. E, beh…la cosa mi ha spaventata.»
Era una
motivazione debole, lo sapeva bene anche lei, ma lì per lì non le era uscito
nulla di più efficace di quello.
Chase sollevò le
sopracciglia, sorpreso, per poi esibirsi in un sorriso. «Non so se sono
autorizzato a dirtelo, ma visto che siamo in argomento ne approfitto: tu piaci
a Ewan. E molto, aggiungerei.»
Una fitta di
calore si irradiò nel petto di Amelia a quelle parole. Il cantante le aveva
detto che lei gli piaceva anche il giorno in cui si erano separati, ma le
parole del batterista le avevano appena dato speranza; forse poteva ancora
risollevare la situazione, recuperare quanto aveva rovinato con Ewan. Sentì una
nuova ondata di motivazione riempirla e si decise a proseguire.
«Sì, lui me lo
ha detto. È solo che…tutto ciò mi spaventa» mormorò. Faticava ancora a mettere
in fila parole sufficienti per dare un senso alle sue emozioni. Avrebbe dovuto
inventarsi qualcosa di efficace. Si costrinse a pensare in modo razionale, a
mettere uno dietro l’altro i concetti giusti, quelli sensati e quelli utili.
«Non ci sto
capendo niente, lo ammetto» disse Chase, prima di bere un sorso del suo caffè.
Amelia lo
guardò, quasi sentendosi in colpa. Non lo stava di certo aiutando a capirla con
quel casino di mezze frasi che continuava a borbottare. Doveva partire dal
principio affinché lui comprendesse tutto, ovvero da quel passato opprimente e
ingombrante che era la principale causa della sua paura di amare.
«È una storia
lunga» gli rivelò. «Ma forse è l’unica che posso raccontarti perché tutto ti
sia chiaro.»
Quasi contò i
secondi successivi, preoccupata di sentire il batterista dire che avrebbe fatto
meglio a smettere di prenderlo in giro, che doveva sbrigarsi a spiegarle per
quale motivo aveva lasciato Londra ormai un mese prima servendosi di una scusa.
Tuttavia Chase non fece nessuna di
queste cose. Sollevò le spalle e sorrise alla ragazza. «Beh, il tempo non mi
manca.»
Amelia si sentì
così sollevata da quella risposta che avrebbe voluto abbracciare e ringraziare
il ragazzo finché non si fosse stancata. Alla fine si fece forza, almeno quel
tanto che bastava per iniziare a parlare, dopodiché chiuse un momento gli occhi
e cominciò a raccontare, decisa a non tralasciare alcun dettaglio.
Con lui fu più
complicato che con Pani. L’amica sapeva già tutto del trascorso sentimentale di
Amelia, Chase invece no. Pertanto la ragazza si vide costretta a dirgli davvero tutto, partendo dal principio.
Gli raccontò prima di Eric, poi di Richard, senza tralasciare nulla del modo in
cui si era sentita dopo ciascuna rottura. Gli disse anche degli altri, di
quelli che la volevano quasi esclusivamente per il corpo. Il batterista non
diede mai segno di non comprendere cosa tutto ciò potesse c’entrare con uno dei
suoi migliori amici e lasciò che Amelia finisse di raccontare. Fu così che la
sentì ammettere piano che i suoi trascorsi l’avevano portata ad avere una sorta
di diffidenza, di paura verso quello che sarebbe dovuto essere il sentimento
più importante e puro: l’amore.
Di persone che
avevano paura di amare Chase ne aveva già sentite, spesso raccontate in film,
canzoni, romanzi, ma non aveva ancora incontrato qualcuno che lo ammettesse
davanti a lui. Il fatto che quella prima reale ammissione provenisse proprio da
quella ragazza, che aveva conosciuto così spensierata e felice, gli fece
provare una gran empatia verso di lei.
Amelia gli
rivelò che era quella la causa reale del suo allontanamento, del perché non avesse
motivato la cosa ma si fosse servita di una banale scusa. Sentiva di essere
prossima a innamorarsi di Ewan, forse lo era già, e la cosa l’aveva spaventata
al punto di farla scappare.
«Ridicolo, eh?»
chiese a Chase dopo averglielo confessato. Era una domanda retorica, di certo
non si sarebbe aspettata di sentire il ragazzo risponderle: «Non per me. E di
certo non per Ewan.»
Amelia non disse
niente, si limitò a schiudere le labbra in cerca di qualche parola.
«Sei venuta fin
qui per dirglielo?» proseguì lui.
La ragazza
annuì. «Già. Non volevo spiegargli tutto e chiedergli di perdonarmi con un
messaggio. Patetico. E una telefonata, beh, non credo avrei avuto la forza di
farla. Volevo vederlo, chiedergli scusa guardandolo in faccia. Ma...mi serve il
vostro aiuto» concluse, alludendo anche a Chris e Trent. Era nervosa, ma molto
meno rispetto a quando aveva iniziato a rivelare tutto al batterista. Il modo
in cui lui l’aveva ascoltata, dimostrando di capirla, le aveva dato sicurezza.
Tuttavia c’era un’altra cosa che ci teneva a dire. «Non ho scuse per il mio
comportamento, lo so e, credimi, capirò se doveste mandarmi tutti al diavolo, soprattutto
Ewan.»
Le sembrò di
essersi tolta un macigno dal petto, ma i secondi di silenzio che anticiparono
la risposta di Chase le parvero eterni.
«Non so cosa
vorranno fare i ragazzi,» disse poi lui, con una delle sue alzate di spalle più
innocenti, «ma io voglio aiutarti. So che è la cosa giusta da fare, anche per
Ewan.»
Amelia provò un
forte moto di gratitudine dopo quelle parole. Lui sembrava aver capito alla
perfezione il tormento che aveva afferrato la ragazza, che l’avesse compreso
senza pregiudizi senza “se”. Lei non voleva essere compatita, sapeva di aver
sbagliato, di essersi comportata nel modo peggiore, infantile, tuttavia sentire
che il batterista era disposta ad aiutarla significava che lui l’aveva capita e
che non aveva intenzione di sbarrarle la strada nel suo percorso verso
Ewan.
«Grazie Chase»
gli disse infine. Posò le mani sul tavolo, ogni sorta di tremore o agitazione
era scomparsa.
Lui le sorrise. «Mi
dispiace per quello che ti è capitato» ammise poi. «Credo che nessuna ragazza
si meriti di incontrare degli stronzi del genere. Specialmente tu.» Le parole
gli uscirono un po’ impacciate dalle labbra, ma con tutta la sincerità di cui
era capace. Rigirò un paio di volte il bicchiere fra le mani, poi tornò a
concentrarsi su Amelia. «Sono contento che tu sia tornata qui. Ewan non sarebbe
capace di fare una cosa del genere» disse, alludendo a quanti avevano solo
usato e basta la ragazza.
Lei sorrise. «Lo
penso anche io, sebbene non lo conosca ancora quanto te. Ewan
è...diverso.»
Il termine “diverso”
era qualcosa che non sapeva mai bene in che modo contestualizzare, ma alle
volte sembrava l’unica parola in grado di esplicare un pensiero.
Chase annuì a
quell’affermazione. «Oh sì» disse solo, strappando una risata ad Amelia.
Nel silenzio che
seguì lui prese un lungo sorso del suo caffè, dopodiché posò il contenitore
della bevanda sul tavolo allo stesso modo in cui si potrebbe veder fare nei
film western. «Chi è il prossimo sulla tua lista?»
Lei pensò che,
vista la scena e la domanda, ci sarebbe stato bene anche pulirsi la bocca con
la manica della felpa. Per fortuna lui era un ragazzo ben educato.
«Direi Chris»
rispose dopo essersi stretta nelle spalle.
Al batterista
quelle parole parvero bastare. Estrasse il cellulare e scorse in fretta sull’elenco
dei numeri preferiti. «Puntiamo all’effetto sorpresa?» le chiese con un
sorriso. Lei replicò con lo stesso gesto, annuendo.
La chiamata fra
batterista e tastierista non durò a lungo. I due si diedero appuntamento per l’ora
successiva, in un piccolo locale di Camden Market che, Amelia ebbe modo di
scoprire, piaceva molto a Chris. Quest’ultimo non fece alcuna domanda riguardo
al perché dovevano trovarsi, la ragazza lo dedusse dalle frasi che sentì dire a
Chase.
Il ragazzo
chiuse la chiamata, con un soddisfatto “ok”. Alzò lo sguardo su Amelia e lei
gli sorrise per ringraziarlo. Tuttavia non le riuscì di trattenersi dal dire: «Hai
dimenticato di dirgli una cosa importante, però.»
«Ovvero?»
domandò preoccupato lui.
«Vieni da solo»
recitò con tono teatrale la ragazza.
Chase scoppiò a
ridere, annuendo
un paio di volte per far intendere che il riferimento gli era piaciuto. Quando
si fu ricomposto osservò la piccola riproduzione da dinosauro che Amelia gli
aveva fatto. «Penso che conserverò il bicchiere» le disse.
Lei scattò subito. «Oh, no, non sei
obbligato.» Frugò nella propria borsa in cerca di qualcosa. Aveva riposto il
piccolo rettangolo di carta in un angolo sicuro, per tale ragione non ebbe
bisogno di molto tempo per individuarlo. Lo allungò a Chase, senza però farlo
scorrere sul tavolo.
Il batterista lo prese in mano e lo
guardò, riconoscendo lo stesso disegno che c’era sul bicchiere. A differenza di
quest’ultimo, però, quello che aveva fra le mani era fatto molto meglio e con un
delicato e sapiente uso del colore.
«Lo adoro, Ami» esclamò, sorridendo.
Lei ne fu contenta e non riuscì a
nascondere la cosa. Era chiaro che Chase non sembrava aver alcuna intenzione di condannare o rinfacciare le decisioni
prese da Amelia in merito a tutta quella storia con Ewan. Anzi, aveva appena
deciso di aiutarla e aveva mosso la pedina di un ulteriore passo verso il
cantante.
Il ragazzo si
alzò in piedi. «Vogliamo andare? Così magari riusciamo a fare anche un giretto
per Camden prima che Chris arrivi.»
Amelia si disse
d’accordo. Guardò Chase infilare nel portafoglio il disegno che gli aveva
appena regalato e prendere il caffè, così da finire quanto rimasto lungo il
tragitto.
Camden Market, Londra, 14 ottobre
Ore 11:54 AM
Ferma davanti al luogo in cui si erano dati
appuntamento con Chris, Amelia non riusciva a fare a meno di continuare a
leggere la vetrata e quanto vi stava evidenziato sopra. Davvero quello era uno
dei posti preferiti di Chris? Era un localino piccolo, di recente comparsa –
senza alcun dubbio – e specializzato in centrifugati e frullati di frutta,
oltre alla più comune caffetteria.
La ragazza
ricamò con le labbra la parola “Bio” mentre questa le
si parava davanti, sempre più incredula. Non avrebbe mai detto che il
tastierista degli Shards fosse uno da centrifugato di frutta vitaminico e bio, non dopo tutta la quantità di patatine fritte che lei
gli aveva visto ingurgitare da quando lo aveva conosciuto. Era proprio vero che
non si smetteva mai di scoprire cose nuove sulle persone.
«Chris mi ha
appena scritto che è sceso dalla Tube. A breve sarà qui.»
Amelia si voltò
verso Chase quando lo sentì parlare. Il batterista mise via lo smartphone e
lanciò un’occhiata alla ragazza, un sorriso – all’apparenza incoraggiante – in
volto. Lei annuì con il capo, dopodiché disse: «Non pensavo che fosse uno da
centrifugati bio.»
«Perché no? Sono
ottimi» rispose lui. «Dovresti provarne uno.» Si bloccò a quelle parole, con un’idea
che gli era appena balzata alla mente. Estrasse il portafoglio e allungò dieci
sterline ad Amelia. Lei le afferrò, confusa.
«Giochiamo sull’effetto
sorpresa, sarà divertente» esordì lui. «Io lo aspetto, tu nel mentre prendi qualcosa
da bere, anche per lui.» Si voltò in direzione del locale e lesse in fretta la
lista delle bevande. «Il suo centrifugato preferito è quello arancione, con il
frutto della passione.»
«Interessante»
disse con tono scherzoso Amelia, dopo aver fatto schioccare la lingua. Aveva
capito cosa voleva fare Chase e trovò che sarebbe stato divertente comparire
alle spalle di Chris a quel modo. «Tu vuoi qualcosa?» gli chiese. Il batterista
scosse la testa e lei fece per avviarsi, ma la sua voce la fermò prima: «E
prendine uno anche tu. Ne vale la pena, davvero.»
Lei promise che
lo avrebbe fatto ed entrò nel locale, rigirandosi la banconota in mano mentre
leggeva le varie bevande.
Fuori, Chase
notò Chris arrivare facendosi strada fra un gruppetto di turisti. Quando il
tastierista lo ebbe raggiunto si salutarono e il batterista fece in modo di
concentrare l’attenzione dell’amico su di sé. Non che ce ne fosse poi tanto bisogno,
Amelia, infatti, era ben nascosta dietro la moltitudine di scritte e disegnini
che decoravano la vetrata del locale.
«Ti andava un
giro per Camden?» chiese Chris.
Chase alzò le
spalle. «Qualcosa del genere.»
L’altro lo
guardò perplesso, ma il messaggio che ricevette sul cellulare consentì a Chase
di prendere altro tempo. Il tastierista rispose, canticchiando qualcosa
che l’amico non riconobbe, ma che lui sapeva essere Eleanor Put Your Boots On dei Franz
Ferdinand – e che gli era venuta in mente perché l’aveva sentita come suoneria
del telefono a una ragazza sulla metro.
«Dove si va?»
chiese poi, dopo aver risposto al messaggio, sollevando la testa verso il
compagno di band.
A Chase serviva
altro tempo. Si guardò intorno, pensando in fretta, ma per sua fortuna non ce
ne fu bisogno.
«Arancione?»
La mano di
Amelia comparve fra i due ragazzi, un bicchiere colmo di liquido arancio dal
profumo fresco e invitante. Chris guardò il centrifugato corrucciando la
fronte, confuso, poi seguì mano e braccio fino a voltarsi, trovandosi davanti
la ragazza.
Piombò un
silenzio da far rabbrividire. Il tastierista rimase immobile a fissare Amelia
con gli occhi sbarrati, quasi davanti a sé avesse un fantasma. Chase pensò che
le cose si stessero mettendo male; di solito il suo amico aveva tempi di
reazione celeri, non si bloccava così. Forse puntare sull’effetto sorpresa era
stato un po’ eccessivo. Proprio quando era in procinto di fare qualcosa, però,
Chris reagì. Si voltò verso la ragazza e l’abbracciò senza dire nulla,
stringendola forte.
Il suo gesto
colse gli altri due così impreparati da non sapere bene come comportarsi. Amelia
allargò le braccia con l’intento di proteggere la t-shirt bianca del ragazzo da
possibili schizzi di bevanda arancione o verde – quest’ultima era il
centrifugato che si era presa per sé, così da onorare il volere di Chase.
«Grazie al cielo
sei tornata» le disse il tastierista prima di lasciarla andare.
«Mi hai fatto
paura» ammise Chase. «Dio, credevo le avresti tirato un pugno.»
«Anche io» si
accodò la ragazza.
Chris li guardò
perplessi. «State scherzando? Non sono uno da scazzottata. Tranne forse con
qualche deficiente» aggiunse sovrappensiero. Dopodiché indicò il centrifugato
arancione. «È mio quello?»
Amelia annuì,
tendendoglielo. Lui la ringraziò, ignorando il fatto che era stato Chase a
offrirglielo quando lei glielo disse. Il batterista non parve sorpreso dalla
cosa e mise via il proprio resto, tendendo l’orecchio ai due, in attesa di
sentirli iniziare la conversazione.
«Allora? Non
pensi di doverci una spiegazione?» chiese Chris dopo il primo sorso della
bevanda.
La ragazza
annuì, abbozzando un sorriso. «Chase sa già tutto.»
Il tastierista
si voltò verso di lui. L’altro si limitò ad annuire grave, cosa che lasciò
intendere che, di qualsiasi cosa fossero in procinto di parlare, andava presa
seriamente.
«Ok,
lui sa tutto, ma io no.»
«Forse
conviene andare a sederci da qualche parte» propose il batterista, avviandosi.
Gli
altri due lo seguirono lungo vie e viottoli di Camden, finché raggiunsero una
panchina poco distante dalle stradine principali, abbastanza tranquilla per
poter parlare senza essere interrotti. Si misero a sedere. Si vedeva benissimo
che Chris moriva dalla curiosità di sapere per quale motivo Amelia fosse
tornata senza dire nulla a nessuno, così come di sapere per quale ragione Chase
fosse stato a conoscenza della sua presenza a Londra prima degli altri.
Come
prevedibile, alla ragazza servì un lungo respiro prima di iniziare a parlare,
lo stesso che si era reso necessario quando aveva deciso di aprirsi con il
batterista. Non che avesse paura di dire la verità a Chris, ma non era facile
mettere a nudo il lato più sensibile e fragile di sé. Il ragazzo, però, le
diede il tempo di cui aveva bisogno.
«Ok,
beh» iniziò lei, cercando le parole migliori. Come spesso le capitava quando
doveva raccontare qualcosa che la toccava nel profondo, l’esordio non fu dei
migliori. «Il vero motivo per cui ho lasciato Londra prima del tempo è perché
ho avuto paura.»
Di
nuovo le sembrava di essersi liberata da un masso di quintali posto sullo
stomaco. La verità era liberatoria.
«Paura
di cosa? Di noi?» chiese basito Chris. La questione della paura non l’aveva
calcolata, specie perché non capiva di cosa si potesse avere paura riguardo a
loro.
Amelia
scosse la testa. «Tu sai cosa stava succedendo fra me e Ewan» disse, lasciando
cadere la frase.
Non
era una domanda, ma il ragazzo capì che lei aveva bisogno di una risposta o,
meglio, una conferma. «Certo, l’avevo capito. Tutti lo avevamo capito, per
questo non siamo riusciti a spiegarci per quale motivo te ne fossi andata così
su due piedi.»
La
ragazza rigirò il proprio bicchiere fra le mani. Lo tese a Chase, che le
sorrise e bevve un sorso del contenuto verdino. Per un attimo pensò che fosse
bello essere lì, insieme a quei due ragazzi a sputare fuori la propria realtà, le
insicurezze, consapevole che almeno uno dei due era pronto e disposto a
sostenerla.
«Ewan
ci è rimasto malissimo» proseguì Chris, riportando Amelia alla realtà con una
stretta al cuore. «Per questo sono stato così felice di rivederti, prima. Se
sei tornata vuol dire che le cose si sistemeranno, vero? In un modo o nell’altro.»
Lei
si morse il labbro inferiore a quelle ultime parole. Era lì per sistemare le
cose, su questo il tastierista aveva ragione. Il punto era: Ewan voleva? Lei
non aveva raggiunto Londra con la certezza assoluta del fatto che lui le
avrebbe perdonato il suo comportamento, pronto a riprenderla e, soprattutto,
lei non poteva neanche pretendere che le cose andassero a quel modo. Si era
comportata in modo deplorevole, lo sapeva, ed esisteva il rischio che lui
avesse deciso di chiudere ogni possibile relazione o contatto con lei. Tuttavia
Amelia stava inseguendo uno a uno i membri degli Shards per poter spiegare cosa
l’aveva spinta a comportarsi a quel modo, per chiedere loro di scusarla e
pregare il cantante di avere quella seconda chance che non sentiva di meritare.
«In qualche modo
sì, si risolverà» rispose infine.
«Dobbiamo
aiutarla a fare pace con Ewan» intervenne Chase con fare risoluto, facendo
sorridere la ragazza.
«Fare pace»
bofonchiò Chris prima di bere un altro po’. «Tecnicamente non hanno litigato,
si sono solo allontanati.»
«Io mi sono
allontanata» precisò Amelia, ben decisa a prendersi le proprie responsabilità.
«Ma perché poi?»
domandò il tastierista, approfittando del fatto di essere tornati sull’argomento.
Anche la ragazza
colse al volo l’occasione. Come aveva fatto con Chase, specificò al ragazzo che
si trattava di una storia abbastanza lunga, che per necessità richiedeva di
andare un po’ indietro nel tempo. Anche a Chris non parve importare quella
digressione all’apparenza senza scopo e ascoltò la storia di Amelia e di quelle
delusioni che le avevano scavato tali voragini nel profondo da portarla a
temere di vederne comparire altre.
«Per farla breve
– anche se direi che ormai è tardi – avevo capito che stavo iniziando a provare
qualcosa di serio per Ewan e la cosa mi ha...resa insicura» disse, preferendo
quel termine a “spaventata” che le era venuto in mente subito. «Ho iniziato a
pensare agli uomini che avevo incontrato nel mio passato, al modo in cui erano
andate le cose con tutti loro. Stavo male all’idea che sarebbe potuto succedere
anche con Ewan, davvero male. Sono sensazioni che non sono in grado di
controllare.
«Non so»
proseguì, giocherellando con la cannuccia del bicchiere che Chase le aveva
restituito. «Ho pensato che allontanarmi da tutto fosse la scelta migliore,
anche per Ewan. So di aver sbagliato, in tutti i sensi. Per questo sono qui.
Vorrei rimediare, per quanto possibile.»
Abbassò lo
sguardo sulle proprie mani, non sapendo che altro dire. Aspettò una qualche
reazione da parte del tastierista e, per sua fortuna, quella avvenne in tempi
celeri. Il ragazzo, infatti, si sfregò un paio di volte le mani sulle cosce,
sentendo la stoffa ruvida del jeans contro i palmi, dopodiché attorcigliò la
punta del baffo destro fra indice e pollice e prese fiato. «Ho capito. Beh,
ansia e paura alle volte giocano davvero dei brutti scherzi» disse poi,
sorridendo in direzione della ragazza. «Quello che conta per me, è che ora tu
sia qui, intenzionata a spiegare tutto a Ewan.»
Amelia
acconsentì a quelle parole. Sospettava già che anche Chris acconsentisse ad
aiutarla, se non per lei almeno per il suo cantante e amico. La cosa le avrebbe
dato una spinta ulteriore nel proseguire la sua “caccia”, a cui ora mancavano
solo due membri su quattro.
«Ewan è mio
amico e anche tu ormai sei mia amica» proseguì lui, facendo sorridere di
dolcezza la ragazza con quelle ultime parole. «E io voglio poter essere d’aiuto
ai miei amici. Hai fatto male ad andartene senza prima confrontarti con Ewan»
continuò, assumendo un tono grave. «Ma visto le persone di merda che hai
incontrato non riuscirei a biasimarti neanche volendo. Quello che conta è che
ora sei qui per rimediare e, se possibile, vorrei fare la mia parte.»
La ragazza
rimase a guardarlo, rincuorata e grata per quelle parole. Si piegò verso il
ragazzo e lo abbracciò alla bell’e meglio. «Grazie Chris.»
«Qual è il
piano?» domandò poi il tastierista, dopo aver avuto il tempo di godersi il
gesto di Amelia. «Si va da Ewan e gli si dice tutto?»
Amelia scosse la
testa. «Pani mi ha dato un consiglio che intendo seguire fino in fondo. Prima
devo farmi perdonare dagli amici di Ewan, ovvero voi. Quando avrò spiegato a
tutti voi cosa ho fatto e avervi chiesto scusa, allora potrò andare da lui
consapevole di non aver lasciato indietro niente» disse, snocciolando i
passaggi come un piano d’attacco studiato nei minimi dettagli.
Chris si lasciò
sfuggire un lungo fischio. «Questa mi mancava. Però se è il tuo piano, va
bene.»
«Anche io sono
dentro» intervenne Chase, che cominciava a divertirsi molto con tutta quella
storia. «Perciò, se Ewan è l’ultimo, ne manca uno solo» osservò.
I tre fissarono
davanti a sé, consapevoli della cosa. Era semplice indovinare chi sarebbe stato
il prossimo. Il suo nome, infatti, uscì nello stesso istante dalle loro labbra.
“All
of yourflaws and all of myflaws|Are
laid out one by one|Look at the wonderfulmessthatwe made”
Bastille. Flaws
Appartamento di Chris, UpperWimpole St, Londra, 14 ottobre
Ore 2:23 PM
Trent era forse quello che più preoccupava Amelia, quasi
più di Ewan. La ragazza non aveva dimenticato come l’aveva guardata il giorno
in cui li aveva salutati per andarsene, ormai il mese scorso. Anche allora
aveva sospettato che il chitarrista avesse compreso tutto, che avesse capito
che quella di Amelia era una scusa bella e buona. Lei lo aveva intuito dal tono
della sua voce, dal modo brusco, austero, con cui le si era rivolto, così
diverso e severo rispetto al solito. Per tale ragione si sentiva piuttosto
nervosa, neanche dovesse prepararsi ad andare in scena per uno spettacolo
teatrale.
Chris e Chase
erano insieme a lei e il fatto che avessero acconsentito ad aiutarla le dava la
motivazione necessaria per non arrendersi. Non che volesse mollare tutto, al
contrario. Subito il consiglio di Pani le era sembrato strano, privo di senso.
Ora, invece, cominciava a capire cosa l’amica l’avesse spinta a fare. Per gli
uomini amicizia e cameratismo erano due aspetti molto importanti, quasi
irrinunciabili, in un certo senso. Se Amelia voleva fare adeguatamente pace con
Ewan era necessario che prima regolasse le cose con i suoi migliori amici, così
da avere la certezza che loro non potessero intromettersi nel suo tentativo di
recuperare i rapporti con il cantante. Non che lei temesse che Chase, Chris e
Trent potessero rovinare tutto, ma era chiaro che sapere che loro comprendevano
la sua situazione l’aiutava a calmarsi. Pani era davvero furba; era molto più
semplice affrontare il diretto interessato consapevoli di avere i suoi amici,
almeno un po’, dalla propria parte. Appena finito di parlare con Trent si
ripromise di inviarle un messaggio per farle sapere come stava procedendo
quella sua “missione” e ringraziarla per tutto.
Mentre lei era
intenta a pensare a tutto quello, fissando fuori dalla finestra, Chase era impegnato
a cambiare stazione radio in cerca di qualcosa di bello da ascoltare in attesta
del chitarrista, il quale, stando al suo messaggio, sarebbe arrivato a breve.
Sulle frequenze radio della BBC il batterista trovò Flaws dei Bastille e,
soddisfatto, alzò il volume. Amelia gli sorrise per fargli capire che
apprezzava quel gesto; quel pezzo le piaceva molto, specie per le parole del
testo. In quel momento sentì che era azzeccata per lei, che sembrava quasi
stesse parlando di sé. E di Ewan.
Ascoltò quella
canzone fino all’ultima parola, cercando di non pensare a quello che sarebbe
avvenuto a breve, né al fatto che mancava sempre meno all’incontro con il
cantante.
«Mi ha scritto Ewan.»
La frase di
Chris si sollevò nel silenzio generale, nemmeno la radio parlava più. Amelia guardò in direzione del ragazzo, che rispose al suo
sguardo.
«Cosa dice?» volle sapere
Chase.
«Chiede dove sono.»
«Possibile che Trent gli
abbia chiesto qualcosa?» intervenne la ragazza. Il fatto che il cantante
potesse arrivare quando lei ancora non si sentiva pronta per incontrarlo l’agitava.
Chris scosse la testa. «No,
altrimenti avrebbe scritto sulla chat di gruppo. È che questa mattina gli avevo
detto che stavo pensando di andare a chiedere informazioni per una tastiera e
gli avevo chiesto se voleva venire con me. Dubito sospetti qualcosa su quanto
sta succedendo.»
Amelia si sentì rincuorata
da quelle parole e si calmò, ma rimaneva comunque il fatto che Ewan era in giro
da qualche parte a chiedere di Chris.
Chase fu il primo che pensò
di cogliere quell’occasione al volo. «Ho un’idea. Digli che vi trovate in sala
prove per le cinque. Gli facciamo una bella sorpresa.» Sorrise radioso al suono
del proprio piano. Era quel genere di idea che una volta che gli veniva in
mente doveva assecondare a ogni costo.
Chris acconsentì, iniziando
a digitare sulla tastiera virtuale la risposta per Ewan. Amelia lo fermò.
«Aspetta. E Trent?» chiese, alludendo al fatto che ora erano in attesa del
chitarrista.
I due ragazzi la guardarono
perplessi per un istante. «Ce la facciamo in due ore e mezza a parlare con
Trent» le fece notare Chris.
«Sì ma, se lui non volesse
aiutarmi?»
Le sembrò strano formulare
quel pensiero, ma il suo progetto era chiaro: prima gli amici, poi il cantante.
A Chase sfuggì una risata
all’ingenuità di Amelia. «Davvero ti preoccupi così tanto?» chiese, retorico.
«Ami, Trent non ha motivo di essere arrabbiato con te, esattamente come non ne
avevamo noi. Potrebbe essere infastidito per il tuo gesto, ok, ma arrabbiato
non penso proprio.»
«E poi Ewan è il suo
migliore amico in assoluto. Ha un occhio di riguardo per lui e tu sei venuta
fin qui per sistemare le cose, perciò stai tranquilla. Si risolverà tutto»
cercò di rassicurarla Chris, il quale finì poi di rispondere a Ewan.
La ragazza ripensò alle loro
parole e capì che avevano ragione. Voleva mettere le cose in chiaro con il
chitarrista, ma se questi non avesse voluto sentire ragioni di sorta ciò non
significava che lei avrebbe dovuto rinunciare a tutto. Il pensiero che meno di
tre ore dopo avrebbe rivisto Ewan cominciò a bruciarle dentro come una fiamma.
Quella consapevolezza la innervosiva molto di più di quella di vedere Trent a
minuti.
Chris parve
accorgersi del mutamento di espressione della ragazza. «Andrà bene, vedrai» la rassicurò.
Lui e Chase le
si avvicinarono, forse entrambi con l’intento di essere d’aiuto in qualche
modo, quando sentirono la voce di Trent chiamarli. Il chitarrista apparve sulla
soglia, dopo aver usato la sua copia delle chiavi come Chris gli aveva detto di
fare. Quando entrò, però, gli altri membri degli Shards stavano involontariamente
comprendo Amelia alla sua vista. L’ultimo arrivato li salutò e i due, dopo
esservi voltati, si spostarono dalla ragazza, aprendosi come le acque davanti a
Mosè, uno da una parte, uno dall’altra.
All’apparenza
Trent non mutò espressione alla vista di Amelia, ma era chiaro che la sua
presenza lì l’avesse colto impreparato. Non disse nulla, rimase immobile con
gli occhi fissi in quelli di lei, rigido. Per la ragazza fu evidente che
lui non l’avrebbe abbracciata come Chris, né le avrebbe detto di essere
contento di vederla come Chase – almeno così pensò davanti alla sua faccia.
Tuttavia non si
fece intimidire da quel silenzio protratto. «Linton» lo salutò, sorridendo, pronunciando il suo cognome
anche in onore di quell’abitudine che aveva preso dopo averlo conosciuto.
«Campbell» replicò asciutto l’altro.
Chase e Chris si
scambiarono un’occhiata. Il primo stava per dire qualcosa, ma fu preceduto dal
chitarrista. «Cosa ci fai qui?»
«Volevo risolvere le cose con Ewan. E con voi» rispose la ragazza. Si
strinse nelle spalle, assumendo un’aria colpevole, dopodiché cominciò subito a
pensare a quanto dire.
«D’accordo. Allora perché non sei da lui?»
«La mia migliore amica mi ha detto che per fare pace
con un ragazzo bisogna prima fare pace con i suoi amici» sorrise alle sue stesse
parole e non poté fare a meno di notare che anche Trent, sebbene cercasse di
non darlo a vedere, stava sorridendo lievemente. Forse, dopo il momento
iniziale, la tensione fra i due cominciava a sciogliersi.
«Beh, ognuno ha la sua scuola di pensiero» proseguì il chitarrista. Si
sfilò la giacca e la mise sullo schienale di una sedia. Fuori iniziò a piovere
piano, quasi in silenzio.
«Allora dimmi: che cosa è successo?» domandò lui, ormai stanco
di quel continuo rimpallarsi di mezze frasi. Non erano in un telefilm, non
serviva a niente perdere tempo con inezie del genere.
Amelia si
preparò a raccontare tutto per l’ennesima volta e come nelle precedenti decise
di partire dalla motivazione per cui era scappata, per poi andare a ritroso
fino a dare al tutto un senso – per quanto personale e introspettivo. «Ho avuto paura» esordì, con lo stesso tono
di pacata ammissione che aveva usato con Chase e Chris. Si aspettò di vedere
Trent sollevare le sopracciglia, guardarla perplesso come se non capisse cosa c’entrasse
quell’affermazione, invece lui la sorprese. Corrugò appena la fronte, assumendo,
seppur lieve, l’espressione di qualcuno che sapeva cosa significasse tutto ciò.
Lui non la
invitò ad andare avanti e fu Amelia a continuare di sua spontanea volontà.
Proseguì a raccontare, spiegando tutto ciò che le era successo per arrivare a
portarla a compiere il gesto – che ora lei sapeva benissimo sbagliato – che l’aveva
allontanata da ciò che di più bello aveva incontrato a Londra. Le sembrava
quasi di aver premuto play su un disco registrato, su una litania che ormai
conosceva a menadito. Le era diventato quasi noioso
stare a sentirsi, al punto che arrivò a chiedersi come fosse possibile che
Trent rimanesse ad ascoltarla. Ripercorse come già aveva fatto i nomi e gli
eventi che più l’avevano segnata dal punto di vista sentimentale.
Quando
arrivò alla fine trasse un lungo respiro. «Non è che voglia giustificarmi con
questa storia, tipo dire “non è stata colpa mia”. È colpa mia ciò che è
successo con Ewan, speravo solo che sapendo ciò che mi è accaduto, almeno un po’,
voi poteste capire perché mi sono comportata a quel modo.»
Attese
una reazione da parte del chitarrista, che non avvenne – almeno non in modo
evidente. Trent continuò a guardarla senza proferire parola; tuttavia l’ansia e
l’agitazione di Amelia erano sparite dal suo corpo, lasciando spazio alla
motivazione. In un modo o nell’altro qualcosa lo avrebbe presto ottenuto.
«Capisco
benissimo che tu possa essere arrabbiato e–» proseguì, ma venne interrotta dal
ragazzo.
«Arrabbiato?»
esclamò. «Non sono arrabbiato, sono incazzato.
Ewan è uno dei miei più cari amici e ha sofferto molto per quello che è
successo fra di voi» proseguì. Sembrava davvero infuriato per quella storia.
Amelia si sentì piccola davanti a lui, ma rimase comunque ferma sulle sue gambe
a guardarlo negli occhi. Era chiaro prendesse le difese del cantante, chiaro
che, dovendo scegliere, non sarebbe mai stato dalla parte della ragazza. Lei
già sapeva, prima ancora di tornare nella capitale, che una di quelle sfuriate
se la sarebbe presa e, anzi, era rimasta quasi sorpresa di scoprire che Chase e
Chris si erano resi subito disponibili ad aiutarla. Pensò a qualcosa da dire,
al modo migliore per formulare le sue prossime scuse. Il chitarrista, davanti a
lei, si mosse, improvvisamente nervoso. Sbuffò un po’ d’aria, stropicciandosi
la fronte con la mano sinistra. Tornò a rivolgere la sua attenzione ad Amelia
e, nei suoi occhi, la ragazza poté notare un cambiamento di luce. Non sembrava
più adirato, quasi rassegnato, piuttosto.
«Perché
non ne hai parlato con lui prima di andare via?»
La ragazza si
strinse nelle spalle, mordendosi il labbro inferiore con aria colpevole.
Perché; non lo sapeva nemmeno lei il perché. Forse perché risultava molto più
semplice scappare dai problemi anziché affrontarli e questo anche quando
risolvere il problema avrebbe potuto significare stare insieme a Ewan. Non
disse nulla, sperando che il suo silenzio fosse abbastanza esaustivo e per
Trent lo fu eccome. Lui fece una smorfia, la stessa che si poteva fare quando
si capiva qualcosa ma si era ugualmente restii ad accettarla. Tuttavia quell’espressione
gli sparì in fretta dal viso, sostituita da uno sguardo di
comprensione. Dopotutto Amelia era tornata; aveva sbagliato e ferito Ewan,
certo, ma era lì per rimediare alla cosa e l’ultima parola spettava proprio al
cantante, non certo a lui, per quanto fosse suo amico. Sbuffò di nuovo,
sentendosi alle strette. Chase e Chris, che conoscevano eccome il loro
chitarrista, compresero che era sul punto di cedere. Quest’ultimo guardò Amelia
e capì che non riusciva a essere arrabbiato con lei e non solo per quello che gli
aveva appena detto. Amelia gli piaceva e ormai era sua amica, era chiaro che
avesse voglia di aiutarla.
Si grattò il
collo, facendo una smorfia. «Beh, non posso tenerti il broncio» disse infine. «Sei
venuta fin qua, no? Chi sono io per impedirti di vedere Ewan proprio ora?»
Amelia si
illuminò a quelle parole. Un sorriso si fece strada sul suo volto. Pensò in
fretta al modo migliore per ringraziare il chitarrista, ma Chase fu più veloce.
Si avvicinò a Trent e lo abbracciò, sentenziando un “Ora ti riconosco”.
Chris si
affiancò alla ragazza. «Bizzarro» osservò, facendo ridere Amelia.
Appena Trent si
fu liberato dalla stretta del batterista – che non era nuovo a gesti simili –
fissò i due davanti a sé. «E ora?»
«Abbiamo
appuntamento con Ewan alle cinque, in sala prove.»
L’altro annuì. «C’è
tempo per un caffè allora» disse.
Sala prove degli Shards, Shaftesbury
Ave, Londra, 14 ottobre
Ore 5:11 PM
Ewan posteggiò la bicicletta al consueto paletto di
metallo, fra il marciapiede e la strada, e la chiuse con la spessa catena,
facendo scattare la serratura del lucchetto.
Dopo quel 14
settembre tornare in sala prove gli metteva addosso sensazioni strane,
contrastanti. Non poteva fare a meno di ripensare a quanto accaduto con Amelia
quel giorno quando varcava la soglia della stanza, ma al tempo stesso sapeva
che la musica era la cura migliore per uno come lui e desiderava guarire in
fretta da quel vuoto che la partenza della ragazza gli aveva lasciato.
Mai avrebbe
pensato di arrivare a provare sentimenti di tale portata in così breve tempo,
ma quando si parlava di lei non c’era nulla di “normale”. Il modo in cui si
erano incontrati la prima volta, quello in cui lui aveva sentito di esserle
legato, il modo in cui, prima ancora di conoscerla, la sua mente tornava in
modo costante al suo pensiero; tutto era stato inspiegabile, unico e bellissimo
al tempo stesso e Ewan sentiva di aver perso qualcosa che, a quel modo, non si
sarebbe più ripresentato.
Al momento la
musica si stava rivelando la cura migliore. Delicata ed efficace come solo lei
riusciva a essere. Provare con gli Shards riusciva a non fargli pensare a niente,
a concentrarsi solo sulle note, sulle parole e sulle sensazioni che riuscivano
a scatenargli.
C’era solo una
canzone che non avevano più provato da settembre: Penelope. Il significato nascosto in quel brano lo portava in modo
spietato a ripensare ad Amelia. Sapeva che un giorno quella canzone avrebbe
acquistato un senso diverso, forse si sarebbe trasformata in una cicatrice,
qualcosa capace di farlo tornare con la mente a un preciso punto del proprio
passato, a ripensare a quanto accaduto, forse con un po’ di malinconia ma con
la consapevolezza di essere cambiato, cresciuto. Con il tempo avrebbe imparato
a convivere con il ricordo di Amelia. Tuttavia, in quel momento, sentiva solo
un asfissiante vuoto dentro di sé.
Fece il
possibile per scacciare il pensiero della ragazza ma quello, ormai, si era
trasformato in un chiodo fisso, proprio come il disegnino che lei gli aveva
fatto trovare nella tasca dei jeans dopo il concerto, quello “scarabocchio” che
per mesi non gli aveva dato pace. Amelia era unica e forse aveva fatto male a
lasciarsela scappare così. In quel momento, però, pensò anche che correre
dietro a una persona per pregarla di rimanere con qualcuno di cui non le
importava più di tanto fosse pressoché inutile, oltre al fatto che presto si
sarebbe trasformato tutto in una specie di tortura, un cappio al collo che si
sarebbe via via stretto nel tempo. E lui, quello, non lo avrebbe mai potuto
sopportare. Pensò fosse meglio soffrire subito, ma ricordare Amelia nel modo in
cui la ricordava, per il suo essere pungente, sarcastica, curiosa e bellissima.
Per il modo in cui lo guardava, per come si mordeva il labbro in preda all’agitazione
o all’imbarazzo; per i disegni che sapeva fare – ora le ufficiali grafiche
della nuova tournée – per i suoi gusti in fatto di musica. Quello era il modo
in cui voleva ricordarla, con le vesti della sua Penelope, perché quella
canzone continuava imperterrita a parlare di lei ed era quello il motivo per
cui cantarla gli risultava ancora tanto difficile.
Il vuoto dentro
di sé era ancora lì, ma sapeva che a breve lo avrebbe colmato con gli amici e
la musica – e anche un po’ di birra – e la cosa gli diede una ragione per
sorridere.
Prese una lunga
boccata d’aria su quel pensiero, riempiendo a fondo i polmoni. Non doveva
abbattersi così, non gli era d’aiuto. Infilò le chiavi del lucchetto in tasca e
si voltò, rimanendo confuso da ciò che vide.
Sulla soglia del
palazzo in cui avevano la sala prove c’erano fermi gli altri tre membri degli
Shards. Lo stavano aspettando, dedusse.
«Ce la farai mai
ad essere puntuale?» domandò retorico Chris.
«Perchè tutti
qui?» chiese il cantante, ignorando del tutto le parole del tastierista. «Trasferta
di gruppo al negozio di strumenti?»
Gli
altri si scambiarono un’occhiata. Fu inevitabile che, con quello sguardo, Chris
e Chase intendessero dire a Trent che volevano fosse lui a prendere in mano la
situazione. Sembrava quasi che in presenza del chitarrista le cose più
importanti diventassero subito di sua competenza. Quest’ultimo sollevò gli
occhi al cielo, consapevole di essersi appena visto passare il testimone. Non
che quella in cui si era appena cacciato fosse una situazione piacevole, ma
avrebbe significato aiutare Ewan e Amelia a riunirsi, perciò alla fine decise
di sorvolare sul fatto che quel genere di beghe finivano sempre sulle sue
spalle.
«Certo,
il negozio di strumenti» borbottò.
Il
cantante inarcò perplesso un sopracciglio a quelle parole.
«In
verità avevamo pensato di provare un po’, se per te va bene. Io e Chase ci
siamo aggregati quando Chris mi ha detto che vi sareste visti qui» proseguì il chitarrista.
«Oh.»
Ewan rifletté su quanto gli era appena stato detto. Aveva parecchia voglia di
andare al negozio di strumenti, provarne il più possibile e lasciare che la
musica lo inondasse fino a prevaricarlo. Al tempo stesso, però, nulla avrebbe
potuto farlo sentire meglio che cantare le proprie canzoni con i suoi migliori
amici, in ciò che per loro era diventato naturale come il respiro e che
continuava a essere una delle cose più belle e vitali che insieme potessero
fare. Nessun negozio di strumenti, addirittura nessun concerto di ogni altra
band, poteva donargli la stessa energia di una sessione di prove con gli
Shards, anche se questa fosse avvenuta nello scantinato più sgangherato e
malconcio pensabile.
«Abbiamo
fissato le prove per domani» osservò poi, senza sapere perché stesse dicendo
tutto ciò.
«Sì,
vero, ma che c’entra? Manca poco alla tour in America, no?» improvvisò Trent.
«E
poi io avevo voglia di suonare» si intromise Chase, pensando di poter essere in
qualche modo d’aiuto.
Ewan
annuì con il capo. «Beh, sì, proviamo. Non so neanche perché sto qui a
rimuginarci sopra» esclamò, avviandosi verso l’ingresso della sala prove.
Gli
altri tre si fecero da parte, lasciando che lui entrasse per primo nel
corridoio che, pochi metri dopo, avrebbe loro fatto raggiungere la piccola e
accogliente sala. Ewan non si chiese perché non fossero entrati prima loro, né
perché lo stessero aspettando sulla soglia anziché dentro la stanza, ma quando
ebbe raggiunto l’ingresso della sala prove quelle domande gli affiorarono in testa. Aveva appena posato la mano sul pomello della
porta, la chiave infilata nella serratura quando si fermò. Si voltò verso gli
amici e li squadrò. «È tutto a posto?»
«Perché?»
chiesero all’unisono i tre. Avevano spalancato gli occhi, eccetto Trent, che si
era fatto ben più serio di prima.
«Non so, siete
strani» replicò il cantante, così da motivare la sua domanda di poco prima.
Altro silenzio
da parte degli amici. Alla fine fu Chris a reagire. Sbuffò, allargando le
braccia, quasi arrendendosi all’inevitabilità dei fatti. «Ok, d’accordo»
scattò. «Doveva essere una sorpresa ma ho già capito che non riusciamo più a
fartela.»
Chase e Trent si
voltarono di colpo verso il tastierista, fulminandolo con lo sguardo. Prima che
uno dei due potesse intervenire, però, Chris riprese in fretta parola: «Abbiamo
comprato un divano nuovo.»
Il batterista
per poco non si fece scoprire a tirare un sospiro di sollievo. Trent, invece,
aveva una capacità tale di rimanere impassibile da essere invidiabile.
L’espressione
perplessa sul viso di Ewan si accentuò. «Un div– Che aveva l’altro che non
andava?»
«Niente in
realtà» sentenziò Chase. Si sentì in dovere di dire qualcosa a riguardo, lui
adorava il loro divano, non si sa mai che Chris avesse voluto cambiarlo sul
serio.
«Ma se invece di
fare domande tu dessi un’occhiata?» Chris aveva ormai preso in mano la
situazione. Ruotò la chiave nella serratura e aprì la porta, sospingendo il
cantante per fargli capire che doveva entrare.
Quando questi fu
dentro guardò la sala prove, trovandola identica al solito, senza nessun divano
nuovo. Si voltò per chiedere delucidazioni agli amici – che davvero si stavano
comportando in modo assurdo, perfino Trent – ma Chris gli chiuse la porta in
faccia, girando di nuovo la chiave nella serratura e chiudendo nella stanza
Ewan. Il ragazzo sollevò gli occhi al cielo e sbuffò. Chiuso a chiave nella
sala prove, quello era uno scherzo da ragazzini della prima liceo. I suoi amici
si stavano comportando così perché erano regrediti, per caso? Prese a battere i
pugni contro la porta, avvicinando le labbra alla superficie dei pannelli
isolanti, consapevole che, dall’altra parte, la sua voce sarebbe arrivata
flebile e ovattata.
«Andiamo
ragazzi, aprite» sbottò. Posò la fronte contro la superficie ruvida del
materiale che rivestiva la porta. «Non mi va di scherzare» concluse. Lo disse
piano, quasi mormorando, pur sapendo che era impossibile che gli altri lo
sentissero.
«Mi è sempre
piaciuta quella maglietta.»
La voce lo fece
sussultare. Non tanto perché non si aspettava che ci fosse qualcun altro nella
sala, ma per via di chi era quella persone. Non ebbe bisogno di vedere in
faccia il suo interlocutore per capire di chi si trattava. Conosceva troppo
bene quella voce ormai, quell’accento dalle belle erre arrotolate.
Ewan si voltò,
trovandosi davanti Amelia, distante qualche metro da lui. Fu un momento strano
quello che si formò fra di loro, così strano che nessuno dei due avrebbe detto
di arrivare a vivere un giorno.
Quando lei
incrociò il suo sguardo si rese conto di quanto lui le fosse mancato. Lo trovò
splendido come ogni altra volta e si sentì trafitta e incatenata da quegli
occhi blu, spalancati per la sorpresa. Il cuore le batteva a ritmi forsennati
ora, divenendo quasi assordante. Si inumidì le labbra, pronta per parlare, ma
il cantante la precedette: «Che ci fai qui?» chiese piano. Lanciò d’istinto un’occhiata
alla porta chiusa alle sue spalle. «Cos’è, avevate organizzato tutto?»
Ad Amelia parve
che la sorpresa non fosse stata di suo gradimento. Le sembrava nervoso, teso,
sul punto di arrabbiarsi sul serio.
La verità, però,
era che lui non sapeva come sentirsi. Alla vista della ragazza nel suo petto
era esplosa una bomba, il caos. Non sapeva cosa fare, come comportarsi. Capì
solo che era lei il motivo per cui i suoi amici si era comportati a quel modo
assurdo solo pochi attimi prima. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso
come se, facendolo, lei potesse sparire. Non un solo dettaglio del suo viso si
era cancellato dalla sua memoria, non si era nemmeno smussato; la sfumatura
bruna degli occhi, la sottigliezza dell’anello che aveva al setto, il modo in
cui si dava l’eyeliner. Quando fece scivolare gli occhi sulle sue labbra venne
scosso da un fremito, ma non lo assecondò.
Amelia notò che lui
rimaneva immobile, nello stesso modo in cui era rimasto quando aveva annunciato
che se ne sarebbe andata, in quella stessa sala prove. A differenza di allora,
però, nello sguardo di Ewan non c’era tristezza, ma una luce indecifrabile, un
misto di rabbia e speranza. Il suo corpo era rigido e teso.
La ragazza prese
a guardarsi intorno, non riuscendo a reggere oltre la vista del cantante. Il
pensiero che, forse, non sarebbe più riuscita a ricostruire le cose fra loro
cominciò a farsi strada nella sua mente. Iniziava ad avere paura, di nuovo, ma
questa volta si decise a proseguire. Non voleva più sentirsi allo stesso modo
in cui si era sentita giorni prima, nella sua camera da letto alla vista delle
foto, e per farlo doveva andare avanti, parlare con Ewan, dirgli quello che
provava e prepararsi alle conseguenze. Forse avrebbe sofferto – anzi, vedendolo
era piuttosto sicura che nulla sarebbe tornato lo stesso fra loro – ma in quel
caso avrebbe saputo di aver fatto tutto ciò che era in suo potere. Con il
tempo, poi, avrebbe anche imparato a ricucire quella nuova ferita.
«Ho chiesto io
ai ragazzi di aiutarmi» esordì, facendo il possibile fin da subito per mettere
in chiaro il fatto che loro non c’entravano.
Ewan non disse
nulla e lei si decise ad andare avanti: «Volevo parlare con te. Al tempo stesso
però volevo che anche loro capissero perché me ne sono andata, a settembre.» Si
morse il labbro, inspirando a fondo. «Non c’era nessun lavoro a Glasgow. La
verità e che me ne sono andata perché ho avuto paura.»
Il cantante
schiuse le labbra, ma non per parlare. Quello che Amelia gli aveva appena detto
lo aveva sorpreso. Era incredulo, ora, stupito da quell’ammissione. Avrebbe
voluto chiederle di cosa aveva paura, perché non ne avevano parlato se in quella
storia c’entrava anche lui, perché andarsene a quel modo, ma non fece in
tempo.
Amelia era
nervosa, molto, si capiva dal modo in cui si tormentava le mani, ricacciava
indietro le ciocche di capelli che, ostinate, continuavano a scivolarle sulle
spalle a ogni movimento, così come dal modo in cui guardava ovunque nella sala
prove senza però puntare lo sguardo su di lui.
«Stavo...sto» si
corresse, «iniziando a provare qualcosa di serio, per te. E la cosa mi ha
mandata nel panico perché non riesco a ignorare il mio passato, a fare in modo
che non influisca sulla mia vita.
«Sono
arrivata a convincermi di non avere nessuna qualità particolare per il disegno.
Che il mio lavoro fosse mediocre, che non avrei mai fatto nulla di cui sentirmi
veramente fiera. E poi sei arrivato tu. Ho sofferto per amore al punto da
persuadermi che non sarei mai riuscita a trovare qualcuno con cui vivere una
storia come se ne vedono al cinema. Credevo che intorno a me ci fossero solo
uomini intenzionati a prendere, usare e gettare. E poi sei arrivato tu. Mi ero
convinta che avrei avuto un’esistenza scontata, forse addirittura monotona. Mi
immaginavo la solita routine, sai? Alzarmi alla mattina, lavorare, uscire ogni
tanto, dormire. E poi sei arrivato tu. Mi hai completamente stravolto la vita e
io sono felice che tu lo abbia fatto al punto che vorrei continuassi a
stravolgermela ancora. Ma…quel cambiamento cominciava a spaventarmi
a...rendermi insicura. Così ho scelto la via più semplice e sono scappata. Mi
pento di averlo fatto, Ewan, mi pento tantissimo perché sono consapevole di
aver rovinato tutto…Mi dispiace così tanto… Volevo che lo sapessi.»
Quando finì
aveva quasi il fiatone per la foga con cui aveva parlato, per il modo in cui
aveva buttato tutto fuori, quasi avesse aspettato per tutta una vita di
liberarsi da quelle parole. Ewan l’aveva ascoltata in silenzio per tutto quel
tempo, cercando il suo sguardo che continuava a sfuggirgli. Ripensò a quanto
gli era appena stato detto, la disperata ricerca di una valida replica, ma
sembrava aver perso d’improvviso l’uso della parola.
Come poteva
trovare il modo di esprimere la confusione che provava dentro in quel preciso
momento? Nessun insieme di parole sarebbe mai stato in grado di far sì che lui
riuscisse a esprimere quanto ciò che Amelia gli aveva appena detto lo avesse
fatto sentire improvvisamente rinato. Non era mai stato arrabbiato con lei;
dispiaciuto, ferito dall’andamento degli eventi, quello sì, e molto anche. Ma
arrabbiato no e l’avrebbe inseguita lui stesso se avesse saputo che il motivo
per cui lei era andata via era quella paura di non essere ricambiata che gli
aveva appena rivelato e non quel disinteresse sentimentale come lui aveva
sospettato.
Amelia era
tornata a puntare lo sguardo sul ragazzo, ancora fermo davanti alla porta. Quel
suo silenzio protratto, però, la stava facendo impazzire. Avrebbe voluto
scuotere Ewan, pregarlo di dirle qualcosa, qualsiasi cosa, purché smettesse di
stare lì, immobile a guardarla senza proferire parola. Cominciava a sentirsi male
in quella situazione, le lacrime le punsero gli occhi, minacciando di scendere.
Proprio quando
Amelia era in procinto di parlare di nuovo, spronare il cantante, quest’ultimo
si mosse. Raggiunse la ragazza con pochi passi sicuri, senza mai staccarle gli
occhi di dosso. Poi, appena l’ebbe raggiunta, le prese il viso fra le mani e la
baciò.
In quel bacio vi
era racchiuso ciò che a parole non si sarebbe mai potuto spiegare. In quel mese
di separazione da Ewan, Amelia non aveva dimenticato i suoi baci e capì che non
aveva desiderato altro. Voleva sentire il calore della sua bocca, il suo corpo
vicino, il tocco leggero delle sue mani. Ogni cosa di quel ragazzo le era
mancata come ossigeno e in quel momento quasi le sembrava di tornare a vivere.
Ewan, allo stesso modo, non avrebbe più voluto lasciarla andare. Si era pentito
di non aver trovato un modo per fermarla quando lei si era allontanata da
Londra e aveva passato il resto dei giorni a maledirsi per quello. Solo pochi
minuti prima, quando lei si era aperta, raccontando la sua verità, lui aveva
capito che a parole non sarebbe riuscito a farle comprendere quanto le fosse
mancata, quanto bisogno avesse di rivederla. Quel bacio, al contrario, sembrava
in grado di esprimere alla perfezione quel sentimento.
Nessuno dei due
avrebbe voluto separarsi dall’altro, ma, dopo un po’, il bisogno d’aria lo rese
necessario.
«Quanto ti
fermi?» chiese Ewan fra una boccata d’aria e l’altra, sfiorando le labbra di
Amelia mentre parlava.
«Un altro paio
di giorni» rispose la ragazza, prima di avvicinarsi e baciarlo ancora.
«Potremmo uscire
stasera» propose lui appena si furono separati nuovamente.
Lei acconsentì,
facendo segno con la testa più volte. Non riusciva più a smettere di sorridere
e si sentiva leggerissima, neanche fosse stata piena d’elio.
«Mi inventerò
qualcosa» proseguì il cantante.
«E io immagino
di non poterlo sapere in anteprima» lo ammonì lei.
L’espressione di
Ewan fu piuttosto esaustiva. Sollevò le sopracciglia e le sorrise come a dirle
che conosceva la risposta e non aveva senso che chiedesse. La ragazza arricciò
le labbra. Quell’aspetto del suo rapporto con il ragazzo non era affatto
cambiato e lei si rese conto che le piaceva così. Anzi, forse si sarebbe
dispiaciuta se lui le avesse detto ciò che aveva intenzione di fare.
In quel momento
la porta della sala prove venne aperta piano e la voce di Chris introdusse i
tre membri degli Shards rimasti fuori fino a quel momento. «State ancora
litigando?»
Amelia e Ewan si
voltarono verso la porta, guardando i ragazzi con facce perplesse.
«Non vi
sentivamo più» spiegò Trent, usando come d’abitudine poche, calibrate ed
efficaci parole.
«Stavate
origliando?» esclamò sconvolta la ragazza. L’idea che loro tre avessero sentito
parola per parola quanto aveva detto al cantante la mise d’improvviso in
imbarazzo, sebbene non avesse detto nulla che loro già non sapessero.
«Origliando è
una parola grossa» borbottò Chris, che sembrava quasi deluso della cosa. «Diciamo
che abbiamo percepito un mormorio indistinto.»
«Allora?» li
incalzò poi Chase, che voleva conferme, non sorrisi di sorta.
I due
interpellati si scambiarono un’occhiata, poi un sorriso, due gesti più che
esaustivi.
Il batterista
rise. «Il nostro super piano ha funzionato.»
Trent gli lanciò
un’occhiataccia, sbuffando appena.
«Quale super
piano?» chiese Ewan.
«Ehm, stasera ti
spiego. E ti racconto per bene cos’è successo» gli rispose Amelia, decisa a
raccontare tutto ciò che era successo al ragazzo, pronta a ripetere per l’ennesima
volta di quel passato ingombrante che si portava dietro.
«Ah, grande.
Quindi stasera si esce?» continuò Chase.
Ewan e Amelia si
scambiarono una nuova occhiata, dopodiché il cantante fissò gli amici. Non gli
sarebbe dispiaciuto avere un po’ di privacy con la ragazza, specie ora che si
erano ritrovati. Tuttavia il ragazzo non poteva precludere loro la possibilità
di trascorrere del tempo con lei ora che si trovava a Londra. Poi li conosceva
bene e sapeva che dopo un paio d’ore tutti insieme li avrebbero lasciati soli.
“I
knowyoulike to do me wrong|Butyour love ismyfavouritesong|I knewyouwouldn’tunderstand|Butyour love ismyfavourite
band”
The Vaccines. Your Love Is My Favorite Band
Manchester Arena, Manchester, 21 novembre
Ore 8:58 PM
Quattro anni dopo
Nel camerino che condivideva con i compagni di sempre,
Ewan stava mettendo tutto sottosopra. Aveva sfilato dal suo borsone ogni indumento,
inclusi quelli puliti e stirati che avrebbe infilato una volta sceso dal palco.
Vittima principale
di quella sua agitazione fu Chris, troppo vicino a lui per impedire che gli
abiti gli volassero addosso. Il tastierista bloccò lo smartphone e lanciò
un’occhiataccia in direzione del cantante. «Quanta roba hai infilato lì dentro?»
sbottò, temendo di essere, a sua insaputa, alle prese con l’equivalente
maschile della borsa di Mary Poppins. Asciugamani,
maglie, pantaloni, c’era perfino una bandiera; di tutto stava uscendo da quel
dannato borsone.
Ewan,
inginocchiato sul pavimento, si arrestò e sollevò lo sguardo sull’amico. «Non c’è»
disse, quasi a motivare il caos che, era consapevole, stava facendo.
«Non c’è cosa?»
«La mia t-shirt
della NASA» rispose il cantante, ricominciando a frugare nonostante il borsone
fosse ormai del tutto svuotato del suo contenuto.
«Tutto ‘sto
casino per quella maglia?» esclamò Chris. Si appoggiò di peso allo schienale
del divano su cui stava e sollevò le braccia al cielo. «Ne hai tipo sei di
t-shirt della NASA» gli ricordò.
«Sì ma non
stasera e non qui.»
«Beh, Ewan,
qualcosa dovrai pur metterti addosso. Non ti faremo salire sul palco a torso
nudo» intervenne Trent, con il suo abituale tono austero.
«Alle fan
piacerebbe» si intromise dal fondo della stanza Chase, finendo di masticare un
pezzetto di cioccolato che si era da poco messo in bocca. Gli altri tre lo
guardarono di sbieco, ma il ragazzo si limitò a una lieve smorfia seguita da un’alzata
di spalle.
«D’accordo» sospirò
il cantante. «Vorrà dire che terrò questa» concluse, tirando appena la stoffa
dell’indumento che indossava. Si alzò in piedi, rimettendo alla rinfusa i
vestiti nel borsone. Tuttavia continuava a ripensare alla cosa. Quella
maglietta della NASA, lo sapeva, l’aveva portata con sé.
La porta del
camerino si aprì e Ronan, il tour manager degli
Shards, infilò la testa oltre la porta. «Stanno iniziando» li informò, per poi
scomparire di nuovo. Sintetico e di poche parole, non si poteva negare fosse un
uomo efficace quando si trattava di dare informazioni. Ciò che voleva lasciare intendere con quella sua sbrigativa
apparizione era il fatto che la band supporto che avrebbe aperto il concerto
degli Shards era appena salita sul palco.
I quattro ragazzi si
alzarono, pronti per avviarsi in quel punto del backstage dove il loro fonico
di palco li avrebbe agghindati con tutto il necessario per amplificare i loro strumenti.
Lungo il corridoio che portava al palcoscenico, Ewan cominciò a sentirsi
eccitato e nervoso. Le, ormai, centinaia di volte in cui si era esibito in un
live show non gli erano bastate per non sentire l’ansia montare quando si
avvicinava allo stage, consapevole del numero di persone alle quali erano stati
staccati i biglietti per la serata. Quando iniziava a cantare tutta quell’agitazione
gli scivolava di dosso, l’adrenalina lo inondava e lui si divertiva per tutto
il tempo. Tuttavia, prima che quelle sensazioni potessero avvolgerlo doveva
sempre fare i conti con quella salubre agitazione pre-concerto.
Il gruppo che apriva la loro
esibizione era formato da cinque componenti, di cui due ragazze, tutti
giovanissimi e piuttosto simpatici, originari di Llanelli.
Gli Shards li avevano scovati un po’ per caso, ma l’idea di proporli come band
supporto per la tour Europea era balzata subito alla loro mente.
Raggiunto il backstage,
davanti alle scale che avrebbero portato sul palco, il cantante si fermò, osservando
i cinque ragazzi suonare. Le luci colorate erano accecanti e oscuravano del
tutto il pubblico che, dall’altra parte, sembrava gradire la performance dei
giovani gallesi. Ewan li ascoltò, assaporando la voce delicata della cantante e
cercando di sbirciare meglio per tentare – inutilmente – di vedere il pubblico,
o anche solo una parte di esso. Il cuore prese a battergli per l’emozione e lui
non poté fare a meno di sorridere. Erano mesi che gli Shards non facevano un
concerto. Avevano da poco pubblicato il loro quinto disco, talmente nuovo che
molti dei fan non avevano ancora avuto modo di ascoltarlo. Dopo mesi di stop
per rifinire quell’album, finalmente, tornavano a esibirsi dal vivo, a fare una
delle cose che a ciascuno dei quattro componenti della band piaceva di più.
Il cantante fremeva dalla
voglia di salire sul palco, anche se in quel momento era teso e agitato. Non
vedeva l’ora di cantare per quel pubblico, di sentirlo restituirgli l’energia e
la carica, di udirli recitare come un’unica, possente, voce le parole dei loro
testi. Non stava più nella pelle, nient’altro.
I due rodie
aiutarono i ragazzi a sistemare quanto di elettronico era necessario per il
concerto, dopodiché li lasciarono liberi di rimanere lì, in attesa della loro
esibizione. Il cantante rimase in un angolino, ben nascosto da possibili
sguardi del pubblico, a godersi il resto del concerto di apertura, gli
auricolari abbandonati sulle spalle. Si passò una mano in testa, sentendo i
capelli corti al suo passaggio, freschi di rasatura. Era da diversi mesi che
aveva cambiato taglio. Ai suoi capelli sempre in piega aveva iniziato a
preferire una corta rasatura – con sorprendente dispiacere generale da parte
dei fan – piuttosto divertente anche da toccare – a detta della sua ragazza.
Alle volte, però, i capelli di un tempo gli mancavano, perciò aveva deciso che
se li sarebbe fatti crescere di nuovo. Per il resto il suo look non era affatto
cambiato, al punto che molte t-shirt che continuava a indossare erano le stesse
da anni, inclusa quella della NASA che avrebbe voluto portare quella sera per
il suo ritorno alla vita dei concerti live. Era sicuro di averla portata con
sé, per questo ancora non si dava pace al pensiero di non averla trovata,
prima. D’un tratto, però, gli venne l’illuminazione e la cosa lo fece ridere.
Aveva capito dov’era quella t-shirt e anche perché non l’avesse trovata.
Manchester Arena, Manchester, 21 novembre
Ore 9:17 PM
Anche dopo tutti quegli anni gli Shards continuavano a
essere la band preferita di Amelia. Ne erano successe di cose da quando li
aveva incontrati per la prima volta, da quando aveva incrociato gli occhi blu
di Ewan in quel post concerto a Glasgow. Eppure vederli suonare dal vivo
continuava a essere una gioia per lei, una festa dei sensi e della mente.
Continuavano a essere l’unico gruppo musicale di cui ballava ogni singola
canzone, senza che si sentisse nervosa o a disagio nel farlo – e lei si sentiva
sempre nervosa e agitata quando si trattava di ballare, al punto che preferiva
non farlo. Amava cantare ogni parola di ogni canzone come se non sapesse fare
altro nella sua vita. Aveva ascoltato il loro ultimo album e lo trovava un vero
capolavoro, un gioiello, degno successore del precedente e non vedeva l’ora di
sentirlo suonare dal vivo per la prima volta.
La ragazza si
era ritagliata un angolino vicino alla postazione del fonico. La band supporto
stava riempiendo l’aria con la propria musica, mettendo il massimo dell’impegno
nella loro esibizione. Amelia batteva il piede al ritmo della batteria,
ascoltando la loro performance. Era sola. Dopotutto a Manchester non conosceva
nessuno e quella di andare ad assistere al concerto in mezzo al pubblico era
stata una sua idea, una di quelle che non avrebbe mai ignorato, perciò essere
sola non le dispiaceva molto. In mano teneva una birra, che avrebbe voluto
conservare almeno per metà del live degli Shards – nonostante fosse già
consapevole del fatto che non ci sarebbe riuscita.
Nello stadio
cominciava a fare caldo, perciò si sfilò il giacchino di pelle e lo appoggiò
alla ringhiera alle sue spalle, quella che delimitava l’area dei fonici.
Scambiò un’occhiata con il tecnico luci e si sorrisero, dopodiché lei tornò a
dedicare la sua attenzione davanti a sé. Arrotolò le maniche della t-shirt fin
sopra le spalle, soddisfatta del suo abbigliamento. Il logo della NASA
capeggiava sulla maglietta bianca che indossava, di qualche taglia più grande
di lei, al punto che l’aveva infilata dentro i jeans skinny
neri per evitare che sembrasse un pigiama. I lunghi capelli scuri erano stati
tagliati il mese precedente, lasciando che ricadessero appena sopra alle
spalle, con un taglio netto.
Fatta eccezione
per i capelli, Amelia non si sentiva affatto cambiata. La sua vita, però,
quella sì che aveva preso una piega del tutto nuova. Era finalmente diventata
una grafica; una libera professionista contattata da persone che chiedevano i
suoi lavori. Inutile anche solo sospettare che il merito di tutto ciò non fosse
degli Shards. Una volta rese pubbliche le grafiche per la tournée in America a
cui lei aveva lavorato, le prime chiamate avevano già iniziato ad arrivare. All’inizio
nell’ambiente musicale, poi le richieste dei suoi lavori si erano estese
anche alle case editrici e pubblicitarie.
Il silenzio che
si era formato al termine dell’esibizione della band supporto, quel silenzio
interrotto solo da qualche grida di un fan o uno sporadico fischio, in cui le
luci blu illuminavano lo stage deserto e pronto ad accogliere i protagonisti
della serata, stava rendendo Amelia fremente, sempre più eccitata al pensiero
che, a breve, il quartetto londinese si sarebbe presentato sul palco per un
paio di ore di musica.
Come aveva
sospettato la birra non le era bastata. Andò a buttare il bicchiere vuoto,
pensando se valesse la pena prendere altro da bere, ma l’improvviso fervore del
pubblico le fece capire che il concerto stava iniziando.
L’esibizione
degli Shards fu bellissima. Amelia non vide molto, l’altezza non era dalla sua
parte quando andava ai concerti, soprattutto perché sembrava sempre che le
persone alte lo facessero apposta a fermarsi davanti a lei. Tuttavia la cosa le
importò poco. Conosceva bene i volti del quartetto londinese ed era lì, fra
quelle centinaia di persone, per la loro musica, le loro canzoni e le loro
parole. Era lì per godersi un po’ di sana musica dal vivo ed era ciò che aveva
fatto, al punto che quando gli Shards salutarono ringraziando il pubblico e
sparirono dietro le quinte per la seconda e ultima volta, lei si sentiva
rinata. Come quei ragazzi riuscissero a farla sentire così ogni volta non
avrebbe mai saputo spiegarselo, fatto sta che sembravano essere in grado di
aiutarla come nessun altro al mondo.
Quando gli
spettatori iniziarono a scemare, procedendo verso le uscite, la ragazza riprese
la propria giacca di pelle e la infilò dopo essersi sistemata la t-shirt. «Grazie»
disse in direzione del tecnico luci quando incrociò il suo sguardo, a
ringraziarlo di aver dato un’occhiata di tanto in tanto al suo indumento mentre
lei era troppo presa dalla musica. Questi le fece l’occhiolino e riprese a
smontare la sua strumentazione.
Stretta nell’abbraccio
della prioria giacca anche Amelia si avviò verso l’uscita, seguendo la massa di
gente come fossero animali migratori. Frugò nella borsa in cerca del suo
cartellino e appena lo trovò se lo legò a un passante dei pantaloni, svoltando
subito a sinistra appena fuori dalla porta antipanico. Affiancò buona parte del
perimetro dell’arena, fino a un cancello, sorvegliato da un paio di buttafuori
dall’aria seria. Qualche fan titubante gravitava intorno a quel punto, oltre il
quale si potevano vedere i tourbus delle band.
Amelia sollevò
il proprio cartellino, un pass, mostrandolo alle due guardie. La scritta “All Areas” risaltava al centro di esso, poco sopra il nome
della ragazza; le lettere iridescenti vibravano alle luci dei lampioni e delle
torce dei due. La lasciarono passare senza proferire parola, senza neanche un
borbottio di qualche genere al ringraziamento di Amelia. A lei non importò e si
infilò oltre l’ingresso, lungo i corridoi. Proseguì per un breve tratto di
strada, canticchiando appena Your Love Is My Favorite Band dei The Vaccines, perdendosi un paio di volte
ma ritrovando subito il percorso, finché non raggiunse la zona dei camerini. Arrivata
alla porta con affisso il foglio “Shards”, la ragazza bussò un colpo e abbassò
la maniglia. «Ragazzi si può?» domando prima di entrare, socchiudendo la porta.
«Ewan è nudo»
esclamò subito Chase dall’altra parte.
Il cantante,
ancora del tutto vestito, lo guardò di sbieco.
«Come se non l’avessi
mai visto» replicò lei, entrando nella stanza e facendo sogghignare il
batterista. Sentì subito l’odore di sudore che vi era lì dentro. Come a ogni
concerto i quattro non si erano risparmiati e anche le luci non erano d’aiuto
nel mantenere mite la temperatura corporea. D’altro canto neanche lei sembrava
appena uscita da un bagno all’acqua di rose. «Abbiamo tutti bisogno di una
doccia» disse, lasciando intendere che, venendo da fuori, l’aria lì dentro non
era esattamente respirabile.
Consapevoli
dello stato in cui versavano, gli altri ignorarono la questione.
«Ehi, Amelia ha
trovato la tua maglietta» disse Chris con fare ironico, mentre la ragazza gli
sfilava davanti per raggiungere Ewan. Lei sorrise.
«Avevo capito
che c’entravi tu» le disse il cantante appena lei l’ebbe raggiunto, dandole un
veloce bacio sulle labbra.
«Beh era facile
indovinare. Ti ho anche lasciato la mia camicia.»
Il ragazzo
lanciò un’occhiata vicino alla sua borsa, notando solo in quel momento l’indumento
di Amelia abbandonato sullo schienale di una sedia. Si lasciò sfuggire un verso
privo di significato mentre Chris interveniva: «Ha fatto un caos che non ti
immagini per cercare la maglia, dubito l’abbia vista.»
La ragazza
trattenne una risata. «Recupero la mia camicia e vado a cambiarmi» disse poi. «Così
lascio a voi maschietti tutta la privacy di cui avete bisogno.»
Aveva appena
posato la mano sulla porta per poter uscire quando Chase disse: «Guarda che
mica ci vergogniamo.»
Amelia lo
guardò, inarcando un sopracciglio. «No, lo so, come quella volta a Barcellona»
sghignazzò.
A quelle parole
batterista e tastierista sbuffarono.
«Continuerà a
ricordarvelo in eterno» ci tenne a precisare Trent, l’unico a non essersi
ancora espresso su nulla.
«Io la odio la
tua ragazza» disse Chris in direzione del cantante, ma era palese scherzasse e
regalò un sorriso ad Amelia prima che questa potesse chiudersi la porta alle
spalle.
Una volta fuori lei
si avviò verso i bagni, così da cambiarsi la maglia e sistemarsi un po’. Si
sentiva in disordine per via del concerto, in cui non si era risparmiata in
quanto a canto e ballo. Anche dopo tutti quegli anni trascorsi dalla prima
volta che aveva sentito uno dei loro pezzi, gli Shards continuavano ad avere su
di lei l’effetto di una bomba. La stravolgevano, riempiendola di sensazioni
positive.
Dopo quattro
anni si era abituata alla relazione fra lei e Ewan, ma per i primi mesi era
stato davvero difficile convivere con quel pensiero. Aveva faticato a
capacitarsi del fatto che Ewan volesse proprio lei, che quel ragazzo di cui
amava voce e testi, che aveva visto ai concerti, nei video su YouTube, sentito
alla radio in interviste di ogni genere, fosse lo stesso che aveva raggiunto
Glasgow a poche settimane dall’inizio della propria tournée americana per
chiederle di – magari – rendere ufficiali le cose fra loro. C’era la tour,
certo, ma esisteva Skype e in America il WiFi era ovunque e poi si trattava solo di un paio di mesi.
Da quel giorno – in cui Amelia aveva capito che se non fosse morta lì per un attacco
di cuore allora non sarebbe stata quella la causa del suo decesso – erano trascorsi
quattro anni.
In quel lasso di
tempo avevano imparato a stare lontani, a concentrarsi ciascuno sul proprio
lavoro, a superare i lunghi mesi di separazione per via delle tour della band.
Capitava che a volte Amelia si unisse ai ragazzi; grazie a ciò aveva la
possibilità di vedere frammenti di mondo che non aveva ancora esplorato.
Ewan l’avrebbe
voluta sempre con sé ma, forse, per loro quella era la soluzione migliore.
Amelia poteva portarsi ovunque il lavoro, ma aveva sempre bisogno del costante
confronto con il cliente e, inoltre, durante le tournée lui non poteva
dedicarle tutto il tempo che avrebbe voluto.
Amelia si univa agli Shards
quando questi facevano concerti nel Regni Unito. Per quelle serate lei era
sempre insieme a loro, assistendo ai live show da sotto il palco, in mezzo ai
fans. Quella vita, divisa fra Glasgow e Londra, ormai era la sua vita e le
piaceva moltissimo. E stare con Ewan, inoltre, continuava ad avere per lei le
sembianze di un sogno. Dopotutto, quando mai si sarebbe stancata dell’idea di
poter indossare liberamente le t-shirt del cantante della sua band preferita?
Sorrise a quel pensiero,
sistemandosi la camicia che si era appena infilata. Prese fra le mani la
maglietta di Ewan, osservando il logo della NASA stampato su di essa. C’erano
ancora altre tre serate in programma in Gran Bretagna, prima che il nuovo tour
si spostasse nel resto dell’Europa, partendo dal Belgio. Amelia era nel pieno
di una consegna e non poteva permettersi di seguire i ragazzi per il continente
anche nelle date successive. In verità anche quelle poche serate britanniche
che si stava concedendo non facevano bene al suo lavoro. La consegna che aveva
in programma era piuttosto impegnativa e con numerose tavole, ma rimaneva il
fatto che lei preferiva lavorare di notte piuttosto che stare lontana da Ewan
quando questi si trovava in Gran Bretagna.
Anche quella notte sapeva già
che avrebbe fatto le ore piccole. Si sarebbe preparata un caffè nel cucinino
del tourbus e si sarebbe seduta al tavolo, il portatile davanti, la musica
nelle orecchie, e mentre fuori le città scorrevano una dietro l’altra, luminose
come fiamme contro il cielo notturno, sarebbe andata avanti con i lavori,
avvinandosi alla consegna finale. Forse, a un certo punto, Linton l’avrebbe
raggiunta e si sarebbe messo a chiacchierare con lei, sorseggiando una birra.
Molto spesso lui faticava a dormire – a differenza di Ewan, che una volta
addormentato, a qualsiasi ora del giorno, non si svegliava neanche con le
cannonate – ed era già capitato più volte che si ritrovassero soli sul tourbus
in movimento, nel cuore della notte. Bevevano qualcosa insieme e parlavano
piano, era così che Amelia aveva scoperto che persona fosse Trent Linton,
capendo che le piaceva davvero molto, come Chase e Chris del resto.
Nonostante tutto si rese
conto che il pensiero di fare le ore piccole anche quella notte non le
dispiaceva più di tanto. Disegnare fino a tardi dopo essere stata a un concerto
degli Shards aveva il suo fascino. Forse si sarebbe pentita di quel pensiero il
giorno successivo ma, a differenza di Ewan che avrebbe dovuto prendere parte al
soundcheck per il concerto della sera, lei avrebbe potuto appallottolarsi nelle
coperte del letto fino a che lui non fosse rientrato. Era un’ottima
prospettiva.
Si incamminò per tornare nel
camerino dei ragazzi, dove trovò Ewan fermo davanti alla porta intento a
guardare il proprio smartphone.
«Si stanno cambiando?» gli
chiese appena l’ebbe raggiunto, alludendo al resto dei componenti della band.
Il cantante si mise in tasca
il telefono e si strinse nelle spalle. «Non l’ho capito nemmeno io» rispose.
«Per sicurezza sono uscito.»
La ragazza annuì, dopodiché
gli tese la t-shirt.
«Sai cosa pensavo? Che forse
farei prima a regalartela» disse Ewan, sollevando la maglietta che aveva appena
afferrato per farle capire che si stava riferendo a quella. «Sono, cosa? Due
anni che me la rubi di continuo? Se te la regalo risolvo tutto. Ti sta anche
bene.»
«Ma io non la voglio.»
«Ma...» esordì lui, senza
sapere che altro aggiungere. La secca affermazione di Amelia l’aveva colto di
sorpresa.
La ragazza arricciò le
labbra, divertita. «Pensaci. Se tu me la regali, dove sta il
divertimento nel rubartela di continuo, per citare te?»
Ewan si mise a ridere. Aveva
capito tutto e quello, in effetti, era proprio un comportamento da Amelia
Campbell. Si diede un colpo in fronte con il palmo della mano, come se avesse
appena scoperto l’acqua calda. «Oh, giusto. Come ho fatto a non pensarci?»
Fu Amelia a mettersi a
ridere ora. Al suono della sua risata Ewan si sentì scaldare. Si avvicinò
per poterla baciare, con calma questa volta, ma come era successo molte –
troppe – volte nel corso di quei quattro anni, le sue intenzioni vennero
rovinate. Alle sue spalle la porta del camerino si aprì di scatto, quasi
stessero tenendo sotto controllo la situazione nel corridoio. Chase uscì con la
vitalità che lo contraddistingueva.
«Vogliamo provare a fare una
cosa» esclamò, sembrava su di giri. Portò fuori, in corridoio, una sedia
da ufficio su ruote.
«Specifica che vuoi provarlo
tu. Non mi assumo alcuna responsabilità» si intromise Chris, incrociando
le braccia al petto.
Trent, come prevedibile, non
si espresse riguardo al progetto del batterista. Amelia e Ewan, invece, si
scambiarono un’occhiata, per poi posare lo sguardo sulla sedia.
«Ovvero?» chiese la
ragazza perplessa.
«Presente le gare di sedie
da ufficio?» continuò Chase.
Il batterista lo
ignorò. «Voglio vedere quanto riesco a spingerti lontano su questo
corridoio» concluse poi, guardando Amelia e lasciando intendere che era
lei la diretta interessata del suo piano.
Quest’ultima sollevò le
sopracciglia. «No, tu vuoi uccidermi» esclamò.
«Oh, dai. Che ti costa. Fra
di noi sei la più leggera» tentò ancora il ragazzo.
Lei, però, sembrava
inamovibile. Ci vollero parecchie suppliche e altrettante lusinghe per
convincerla ad assecondare l’assurda idea di Chase. In verità una parte della
ragazza avrebbe voluto prendere parte a quell’insensato gioco fin da subito, ma
farsi desiderare un po’ era una leziosità che, di tanto in tanto, le piaceva
concedersi.
Ewan rimase guardare da
spettatore a quella scena, divertito. Un po’ era anche preoccupato all’idea di
lasciare la propria ragazza nelle mani del batterista, ma era certo che non
sarebbe accaduto nulla di male. Però, sì, era preoccupato, dovette
ammetterlo. Ok, forse molto preoccupato.
Stava per intervenire quando
Amelia lo fermò. «Lasciami fare» gli disse, dal momento che aveva già
capito le intenzioni del cantante. Puntò un dito in direzione di
Chase. «Nel caso, sai chi è il colpevole.»
Per il ragazzo fu strano
assistere a quella gara contro nessuno in cui il batterista aveva coinvolto
Amelia. Tuttavia lo trovò divertente, soprattutto perché anche lei dava
l’impressione di divertirsi. Rideva e imprecava scherzosamente verso il
batterista, ormai un caro amico, che l’aveva coinvolta in tutto ciò.
A Ewan piaceva molto vederla
così, allegra e spensierata. Dopo quattro anni Amelia continuava a piacergli come
il primo giorno, come in quello stesso momento in cui aveva compreso che lo
stomaco rivoltato e il cuore in tumulto potevano significare solamente una
cosa. Si era sempre chiesto se mai sarebbe arrivato a provare un sentimento di
tale portata nei confronti di qualcuna e non avrebbe potuto essere più felice
di così nel constatare che la persona in questione era proprio Amelia.
Non avrebbe mai voluto
doversi separare da lei. Anche se sapevano stare distanti per lunghi periodi di
tempo ogni volta che si salutavano prima di una qualche partenza era sempre
piuttosto difficile per lui. Tuttavia aveva imparato a vivere quei giorni di
distanza come un buon modo per assimilare quante più storie possibili da
raccontare ad Amelia al suo ritorno, consapevole che anche lei avrebbe avuto
tante cose di cui parlare. Funzionava così fra loro e lui trovava fosse
perfetto, al punto che ogni tanto faticava ancora a credere che la ragazza che
gli aveva arricchito a tal punto la vita fosse comparsa con un disegno,
quel piccolo scarabocchio – a detta di Amelia – che si era ritrovato in tasca.
________________
Hello
there!
Ho
un annuncio. Non so quanti possano essere interessati, ma lo faccio ugualmente.
La
storia di Amelia e Ewan finisce qui. Spero davvero possa esservi piaciuta,
almeno un po’. Spero vi abbia fatto sorridere e, perché no, arrabbiare ogni
tanto.
Come
avevo anticipato nasce come fan fiction, quindi sono consapevole che non brilli
di originalità, ma ci tenevo comunque a scriverla e portala avanti. È nata in “due
tempi”. Ho scritto i primi cinque capitoli quasi due anni fa, dopodiché l’ho “abbandonata”.
Solo che continuava a tornarmi alla mente, ad articolarsi e alla fine ho deciso
di non chiuderla così, ma darle una seconda opportunità ed eccola qui.
MA,
c’è un ma. Non è del tutto finita.
Sì,
perché per questa storia ho pensato e scritto anche un finale alternativo. Finale
che, in realtà, doveva essere quello originale, a cui poi ho preferito questo.
Ho
intenzione di pubblicarlo, quel finale, giusto il tempo di rivederlo. Mi piacerebbe
leggeste anche quello, quindi vi invito a non considerare chiusa del tutto
questa storia.
“Loving can hurt, loving can hurtsometimes|Butit’s the
onlythingthat I know|Whenitgets hard, youknowit can|get hard sometimes|It’s the onlythingthatmakesusfeelalive”
Ed Sheeran. Photograph
Blue Jam, Glasgow, 21 novembre
Ore 10:13 PM
Quattro anni dopo
Il locale, non tanto grande, era pieno di persone,
molte delle quali in piedi a riempire ogni angolo pensabile. Il basso mormorio
era un suono costante, un sottofondo fisso sul quale si stagliava chiara la
voce di Ewan.
Un uomo solo sul
palco insieme alla sua tastiera elettrica: quello era Cassian o, meglio, il “progetto
Cassian”, come lui lo aveva nominato. Il ragazzo non si era messo a fare
il solista o, meglio, quello che stava portando avanti non ne aveva le
intenzioni. Come Cassian non aveva pubblicato alcun album, tutte le canzoni che
aveva inciso in quell’anno dalla nascita del progetto erano scaricabili in
download gratuito dal sito internet degli Shards. Anche i concerti, le “tour”,
si limitavano a qualche sporadica serata in piccoli locali sparsi per la Gran
Bretagna.
Di certo non
avrebbe lasciato gli Shards, mai. Sarebbero partiti a breve per la nuova
tournée europea, con lo scopo di pubblicizzare il loro ultimo album, finalmente
nato dopo alcuni ritardi.
Con la band era
in grado di provare emozioni uniche e vivere con un’intensità ineguagliabile i
concerti in giro per il mondo. Inoltre, Trent, Chase e Chris gli erano sempre
stati vicino e Ewan era da sempre convinto che gli amici salvano la vita.
Perciò non avrebbe mai chiuso con gli Shards. Il progetto Cassian era solo un
passatempo, nato più per distrazione e bisogno che altro. Da quasi un anno
aveva iniziato a comporre canzoni che con gli Shards non avevano nulla a che
vedere, perché parlavano di sé, a differenza delle storie che raccontava come
cantante del quartetto.
Gli amici si
erano detti d’accordo, così Ewan aveva cominciato a comporre, solo voce e
tastiera e un fiume di emozioni a sgorgare dalla sua voce. Aveva capito cosa
significava parlare di sé, condividere con altri pensieri personali e non gli
dispiaceva. Solo che, ogni volta, farlo gli scatenava dentro un uragano, ondate
continue di sensazioni contrastanti, che per quanto piacevoli a volte e
dolorose altre, erano capaci di animarlo.
Tuttavia era dell’energia
e della vita degli Shards che Ewan sembrava nutrirsi, per questo, come Cassian,
aveva preso la scelta di non ingrandire il suo progetto. Quello del solista non
era la sua natura, era solo una valvola di sfogo. Per sua fortuna i suoi
migliori amici questo lo avevano capito e continuavano a sostenerlo nel suo
voler portare avanti il progetto a quel modo. Forse avevano capito quanto gli facesse
bene avere la possibilità di parlare di qualcosa che voleva mantenere distante
dalla sfera degli Shards.
L’esibizione del
cantante era prossima a finire. Non aveva lunghe scalette e non le voleva
nemmeno. Quella che aveva scelto di portare avanti come solista era una
dimensione più piccola e ristretta in tutti i sensi; esibizioni brevi e poche
parole, così che la musica potesse essere la sola protagonista.
Fra i presenti
all’esibizione vi era anche Amelia. La ragazza apprezzava molto quella versione
acustica di Ewan, sebbene anche lei sapesse che non avrebbe mai potuto avere lo
stesso significato degli Shards. Conosceva le canzoni di Cassian e le piacevano
molto ma, esattamente come il cantante, era ben consapevole che quel progetto
sarebbe sempre rimasto ben nascosto dall’ombra della band, un’ombra che negli
anni aveva accresciuto la sua intensità con un nuovo disco di platino e alcune
delle canzoni più belle che la ragazza avesse mai udito. Anche per quei motivi
sapeva che gli Shards avrebbero continuato ininterrotti sul loro cammino e che,
se mai si fossero separati, la causa non sarebbe certo stata la calibrata
attività da solista di Ewan.
Era in piedi
vicino al bancone, accanto a lei George, gli occhi fissi sulla figura del
cantante. Ne osservava le mani scorrere precise sui tasti dello strumento
musicale, gli occhi blu tenuti bassi sui propri gesti, le labbra che sfioravano
il microfono a ogni nuova parola, i capelli di pochi centimetri spettinati
sulla testa. In quella versione acustica, in Cassian, Amelia trovava vi fosse
una bellezza struggente, tale da incantarla. Le era innegabile ammettere che Ewan
continuasse a esercitare su di lei un magnetismo unico, ma dopo quattro anni
quell’attrazione, quei sentimenti che sentiva per lui, erano diventati una
parte di sé che aveva imparato a comprendere e a cui, ora, si sentiva legata.
Quando il
concerto finì ci volle quasi un’ora prima che Ewan riuscisse a salutare tutti i
fan accorsi lì per lui. Era pur sempre il cantante degli Shards e molte delle
persone che a fine concerto interagirono con lui lo fecero più per quel suo
ruolo di cantante che per il progetto Cassian in sé – anche se tutti gli
dissero di apprezzarlo.
Anche nei suoi
rapporti con i fan non era cambiato affatto in quegli anni. Continuava a essere
uno a cui piaceva scambiare quattro chiacchiere con i propri sostenitori,
ringraziandoli con sincerità per il supporto che sempre dimostravano. Si fece
foto, firmò qualche autografo e intavolò conversazioni con alcuni fans con cui
parlò di musica e cinema.
Quando nessuno
sembrò più interessato alla presenza di Ewan, il ragazzo tornò sul piccolo
palco nell’angolo destro del locale e smontò la sua strumentazione, riponendo
cavi, microfono e tastiera al sicuro, così da recuperarli prima di
andarsene.
Era da poco
passata la mezzanotte quando ultimò il tutto. Nel locale le persone erano
calate di molto, ora sembrava più un pub come un altro, con amici che si
ritrovano a trascorrere del tempo insieme davanti a una birra, senza alcuna
voglia apparente di andarsene da lì. La radio stava trasmettendo Photograph di Ed Sheeran, appena percepibile sopra il vocio delle persone.
In quel clima di calma, Ewan andò a sedersi al bancone del locale, ordinando
una lager che gli venne servita subito. Il ragazzo dietro alle spine si
complimentò con lui per il piccolo show, ma non aggiunse altro, venendo subito
richiamato al suo lavoro da un cliente. Il cantante bevve un goccio di birra e
iniziò a scorrere messaggi e notifiche sui social, finché non venne raggiunto.
«Ciao.»
Riconobbe quella
voce prima ancora di vedere il viso della persona che l’aveva salutato.
Dopotutto aveva avuto modo di memorizzarne fin troppo bene ogni sfumatura.
Si voltò per
sorridere ad Amelia e salutarla a sua volta. La ragazza si sistemò nello
sgabello libero accanto a lui e per un lungo, sospeso, attimo di silenzio, i
due si guardarono. A Ewan piaceva molto come le stava il nuovo taglio di
capelli; la ragazza aveva iniziato da pochi mesi a portarli poco sopra le
spalle, con un taglio netto. Lui trovava le donasse in modo particolare,
sebbene non avesse ancora avuto modo di dirglielo. Aveva visto il suo nuovo
look solo sui social network, il principale mezzo che era loro rimasto per essere
costantemente aggiornati sull’altro.
Fra Ewan e
Amelia, ormai da quasi un anno, era tutto cessato. Avevano portato avanti la
loro relazione per tre anni, una storia che aveva donato moltissimo a entrambi
e che i due ricordavano con dolcezza ogni volta che, per qualche ragione, quel
rapporto veniva tirato in ballo. In quei tre anni Ewan era rimasto accanto alla
ragazza, l’aveva vista diventare una grafica di professione, coronando così il
suo sogno e l’aveva amata come non aveva mai fatto con nessun’altra
prima.
Lo stesso valeva
per Amelia. Le era servito un po’ di tempo per assimilare appieno il fatto che
il cantante degli Shards si fosse trasformato in qualcosa di più di un idolo
prima e un amico poi, ma una volta resa quella consapevolezza una parte di sé,
per lei era stato semplice lasciarsi andare alla più bella storia della sua
vita. Con lui si sentiva completa, arricchita e non c’era stato un solo giorno,
vicino o lontano dal ragazzo che fosse, in cui non si fosse sentita felice. Così
come Ewan. Non erano sempre insieme, Amelia non seguiva gli Shards in ogni
tournée, ma quella era parsa sempre la soluzione migliore; così facendo, quando
si rivedevano, entrambi avevano mille cose di cui parlare. La loro relazione
era diventata con gli anni qualcosa di unico, di profondo ma, in un certo
senso, di diverso.
Tuttavia, un
giorno, era successo qualcosa che nessuno avrebbe potuto sospettare,
soprattutto se avesse visto la coppia trascorrere del tempo insieme: sottile e
silenzioso com’era arrivato, quel sentimento di amore che li univa era
lentamente scivolato via.
Se ne accorsero
quasi per caso, quando divenne chiaro che, più che amanti, erano diventati
amici. Amici profondamente legati da qualcosa che andava oltre tutto, talmente
inspiegabile che nessuno sembrava in grado di comprenderlo. Ne avevano
discusso insieme un pomeriggio. Amelia ricordava ancora che fuori il sole stava
tramontando, virando di rosso e blu il cielo. Lui e il ragazzo si erano
guardati, si erano scambiati un sorriso e avevano affrontato l’argomento, senza
nascondersi. Avevano capito che ognuno rappresentava qualcuno di importante per
l’altro, ma non quel qualcuno, la
persona con cui trascorrere ogni attimo della propria vita. Ne avevano parlato
a lungo, con calma e si erano scambiati un ultimo, leggero, bacio, sancendo
così la loro decisione di porre fine – ma non con tristezza – alla loro
relazione. Era una consapevolezza arrivata da entrambe le parti e avevano
capito ciò che andava fatto.
Solo che Ewan,
quel giorno, non aveva raccontato tutta la verità ad Amelia. La ragazza
continuava a ricoprire un ruolo troppo importante per lui, lo stesso che aveva
avuto nei loro tre anni di relazione. L’amava ancora, così come l’aveva amata
quando stavano insieme e anche quel giorno in cui avevano deciso di smettere di
essere una coppia. Tuttavia lui non aveva trovato il coraggio, né il modo, di
fermare la ragazza, di far sì che le cose fra loro non finissero, che non si
trasformassero in quella bella amicizia che condividevano ora. Aveva pensato a
frasi da dire, parole da usare, ma non era servito a nulla, perché non aveva
fatto niente. Mentre discutevano della cosa lui aveva capito che non ci sarebbe
stato niente da fare. Se l’avesse pregata di non andarsene, di rimanere insieme
a lui, le cose sarebbero sicuramente andate per il verso sbagliato. Non poteva
costringerla a rimanere la sua ragazza, perché era ormai chiaro che, in quelle
vesti, lei non ci si specchiava più e lui non voleva perderla, non Amelia. L’unica
soluzione che aveva trovato era stata quella di assecondare il suo volere,
fingere che anche per lui vigesse la stessa condizione sentimentale e lasciarla
andare. Così facendo avrebbe ancora potuto rivederla; l’aveva persa, ma non per
sempre.
Infatti ora Amelia era
lì, seduta davanti a lui al bancone di quel piccolo locale nel cuore di Glasgow
e sembrava che il tempo avesse perfezionato ancora la sua figura.
Ewan richiamò a sé il
barista per consentirle di ordinare qualcosa da bere, ma la ragazza declinò l’offerta;
le dispiaceva, ma non si sarebbe potuta fermare a lungo.
«Dove hai lasciato
Joe?» le chiese il cantante così da avviare la conversazione. L’aveva visto,
quel ragazzo, accanto ad Amelia quando era riuscito a scorgere la sua figura
fra i presenti durante l’esibizione. Quando aveva alzato gli occhi sul pubblico
l’aveva trovata subito, quasi avesse saputo in che punto esatto guardare. E
accanto a lei aveva individuato quel ragazzo che non aveva ancora avuto modo di
incontrare di persona, ma di cui aveva letto sui social e sentito parlare
direttamente dalla voce di Amelia.
«Si chiama George» lo
corresse lei, sorridendo. «E ha detto che meritavamo un po’ di privacy visto
che è un po’ che non ci vediamo di persona.»
Ewan sorrise. «Ti ha
lasciata andare a parlare da sola con il tuo ex?» domandò con una punta di
ironia.
La ragazza sorrise.
«Tecnicamente io e lui non stiamo ancora insieme.»
«A maggior ragione,
allora.»
Nuovamente lei sorrise.
«Sa di noi, Ewan. E sa di potersi fidare.»
Era chiaro alludesse al
modo in cui si erano lasciati, a quanto era rimasto a unirli, solo che Amelia
non sapeva che per il ragazzo c’era tanto di non detto da parte sua, settimane
di silenzio che per lui avevano il peso di un segreto importante, un macigno di
cui non voleva sbarazzarsi.
La vedeva, sapeva che
se le avesse detto quanto ancora provava per lei, la ragazza si sarebbe
allontanata, non sapendo come comportarsi, che altro fare. Un giorno i
sentimenti che provava per Amelia se ne sarebbero andati, affievoliti fino a
scomparire, lo sapeva e, allora, lui avrebbe avuto accanto un’amica
insostituibile come sapeva lei sarebbe diventata. Era solo questione di avere
pazienza, di resistere a tutto ciò. Era anche per quello che era nato Cassian.
I testi di quelle canzoni erano in molti casi velati riferimenti a lei, a
quello che c’era stato fra loro e al vuoto che Ewan provava non avendola più
vicina. Comporre quelle canzoni era come una cura, una medicina fatta di note e
parole che gli donava emozioni e vita, consentendogli di
esprimere quello che non poteva – o, meglio, non voleva – affrontare con gli
Shards.
«Blueberries mi piace davvero moltissimo» proseguì la ragazza, alludendo all’ultimo
pezzo suonato da Ewan.
Il ragazzo la
guardò con attenzione, per cercare di capire se lei avesse inteso il messaggio
più profondo di quella canzone. Blueberries parlava di lei, anche se in modo indiretto, velato, e
aveva intitolato così quella canzone perché Amelia, quando loro facevano
colazione insieme nei bar di Londra, ordinava sempre un muffin ai mirtilli,
tanto amava quei dolci. Il cantante sospettò che il motivo per cui quel brano
le piacesse tanto fosse dovuto proprio al fatto che parlasse di lei.
«Ti ringrazio» disse
infine, senza aggiungere altro. Gli sarebbe piaciuto dirle la verità su quella
canzone, ma preferì non farlo. Gran parte di sé, a ogni modo, sperò
intensamente che lei capisse tutto.
«I ragazzicome stanno?» proseguì Amelia.
«Oh, benone» rispose
subito Ewan, felice del fatto che si stesse cambiando argomento. Gli risultava
piuttosto complicato resistere alla tentazione di dichiarare tutta la verità
riguardo al vero significato delle sue canzoni e a quello che ancora provava
per lei quando insieme parlavano del progetto Cassian. Anche quando ne discutevano
per messaggio o telefonicamente – in quelle sporadiche chiamate che ancora si
consentivano – per Ewan era sempre piuttosto difficile mantenere il proprio
segreto. Parlando degli Shards, però, quel desiderio veniva annichilito, come
se i suoi amici fossero lì pronti a fermarlo dal compiere qualche gesto
sbagliato. «Tra l’altro gli sarebbe anche piaciuto venire qui, ma per una serie
di motivi non ce l’hanno fatta. Ti mandano i loro saluti.»
Amelia rise al pensiero
dei saluti dei tre ragazzi. Negli anni in cui era stata partner di Ewan aveva
imparato a conoscerli bene, incluso Trent, e con ognuno di loro aveva
instaurato un rapporto unico, personale e bellissimo che, proprio come per
quello che aveva con il cantante, era piuttosto felice di non essersene dovuta
separare. «Salutameli allora. È di’ loro che la prossima volta che qualcuno di
voi è in zona Glasgow voglio assolutamente vederlo.»
«Sarà fatto» acconsentì
il cantante, fingendo un saluto militare. «Come va con il lavoro?»
Non gli dispiaceva l’idea
di sentirla parlare di sé. Era indubbio che gli mancassero i suoi aneddoti e i
suoi resoconti delle proprie giornate, così come tutto quel parlare delle idee
che le erano venute in mente, delle proposte di lavoro, dei disegni e delle
grafiche nuove. Amelia, infatti, era finalmente riuscita a diventare una
grafica di professione, coronando il suo sogno. Lei aveva sempre sostenuto che
il merito fosse solo degli Shards e delle grafiche per la tournée americana che
le avevano consentito di realizzare, ma Ewan sapeva che era solo questione di
tempo prima che si accorgessero del suo talento; in fin dei conti la quantità
di incarichi e commissioni che aveva di continuo non potevano che essere
conferma delle sue capacità.
Amelia parve
illuminarsi al suono di quella domanda. Aveva da poco iniziato a lavorare a
qualcosa di molto stimolante con cui aveva la possibilità di liberare al
massimo la propria fantasia. Uno di quei lavori che, appena le era stato
proposto, aveva accettato senza neanche indagare più del dovuto su tempi di
consegna e quant’altro, desiderando solo di poterlo fare.
Ne parlarono e da lì la
loro conversazione si snodò con una naturalezza invidiabile perché totalmente
loro. Ewan era contento di avere la possibilità di sentire Amelia parlare con tutto
quel trasporto di ciò che aveva la possibilità di fare. Le mancava, gli era
impossibile negarlo. Gli sarebbe piaciuto poter rivivere ancora quei giorni in
cui stavano insieme, solo loro due, a parlare di cose di cui avevano già
discusso più volte ma facendolo come se quella fosse la prima volta. Lui non si
stancava mai di sentirla parlare, perché sembrava quasi che Amelia avesse la
capacità di rendere interessanti anche le cose che lui già sapeva, le parole
che aveva già sentito. Probabilmente erano i sentimenti che provava per lei a
rendere unici a quel modo i minuti trascorsi insieme, fatto sta che al cantante
sarebbe piaciuto molto poterli rivivere ancora.
Tuttavia continuava a
tacere. Amelia non era più legata a lui come prima e, quando si erano lasciati,
Ewan non era stato sincero. Dire ora alla ragazza quello che lui provava per
lei l’avrebbe messa in crisi, allontanata, forse addirittura ferita. Ormai
aveva preso la sua decisione e avrebbe continuato per la sua strada.
Parlarono per svariati
minuti – quindici, forse venti – ma alla fine la ragazza si ricordò di non
essere sola in quel locale. Lanciava continue occhiate in direzione del punto
in cui George le aveva detto che l’avrebbe aspettata e, dopo un po’, Ewan non
poté più fingere di non vedere.
«Vai pure» le disse.
«Non sei da sola dopotutto.»
Amelia abbozzò un
sorriso. Le dispiaceva sempre dover salutare Ewan. La compagnia del cantante
continuava a piacerle molto, soprattutto perché con nessuno era riuscita a
instaurare un’amicizia come quella che si era creata fra loro. Tuttavia lui
aveva ragione: lei non era sola e per quanto le sarebbe piaciuto rimanere
ancora a conversare, non poteva. «Hai
ragione» rispose. «È meglio che vada» si alzò dallo sgabello, sistemandosi i
vestiti. «Mi ha fatto davvero piacere rivederti, Cassian» gli disse,
arricciando le labbra.
Ewan sorrise. «Felice di sapere che queste canzoni
ti piacciano»
rispose, sebbene lo sapesse da tempo. Lei, infatti, già dai primo ascolti aveva
subito riferito al cantante che quel lato di lui era davvero bello e
interessante. Al tempo stesso, però, non aveva mai fatto mistero di preferire
gli Shards e Ewan era molto felice della cosa. Gli Shards, infatti,
continuavano a essere tutto il suo mondo e sarebbe rimasto molto deluso nel
sapere che Amelia aveva trovato qualcosa che le piacesse più di quella band.
«È difficile che tu
faccia qualcosa che non sia di mio gradimento» ammise, riferendosi per lo più
alla musica.
Il cantante cercò di
non scavare a fondo il senso di quelle parole; non gli serviva e probabilmente
gli avrebbe solo fatto male. Sorrise alla ragazza per ringraziarla del
complimento, preparandosi a separarsi da lei un’altra volta. Sempre, quando la
vedeva andare via, parte di sé gli diceva che avrebbe potuto non rivederla mai
più. In quel momento quella voce, quel monito, si stava facendo largo nella sua
mente.
«Mi ha fatto piacere
rivederti. Grazie per essere venuta» le disse poi, cercando di ultimare in
fretta quella parte. Non gli erano mai piaciuti molto i saluti, specie se si
trattava di qualcuno da cui non avrebbe voluto separarsi.
«Anche a me, ma sono
sicura che non serva a niente dirtelo» rispose Amelia, regalandogli uno dei
suoi sorrisi più sinceri. «In bocca al lupo per la prossima tour. Ho già i
biglietti per Edimburgo» gli rivelò, intensificando il suo sorriso.
«Beh allora
ricordamelo. Così troviamo il modo di farti entrare nel backstage e puoi
salutare anche gli altri.»
Usare gli amici come
scusa era un trucco vecchio come il mondo, ma funzionava sempre.
«Volentieri» esclamò
Amelia, radiosa.
Ewan si alzò per
poterla salutare. Si strinsero in un abbraccio, spontaneo e delicato, dopodiché
si augurarono una buona serata e Amelia si allontanò, inoltrandosi fra le
persone che ancora erano presenti nel locale.
Il ragazzo
rimase a guardarla finché non scomparve, già pregustando il momento in cui l’avrebbe
rivista. Non era semplice per lui vivere con quel peso, con la consapevolezze
di essersi allontanato da qualcosa che amava per paura di perderla per sempre.
Era da lì che
nascevano le canzoni del suo progetto Cassian, da quella sensazione di perdita
che gli inondava il petto ogni volta che pensava ad Amelia. Cantando le
canzoni degli Shards, sul palco insieme a loro, era in grado di non pensare a
nulla di tutto ciò, tuttavia lui non era intenzionato a dimenticarsene, non
ancora. Quella ragazza continuava ad avere un significato troppo importante e
prezioso per lui, nonostante il modo in cui erano andate le cose. Quando faceva
i suoi piccoli e intimi concerti come Cassian, suonando quelle canzoni che i
giorni in cui Amelia c’era, e quelli in cui non c’era, gli avevano ispirato,
quasi gli sembrava di averla ancora lì, saperla sotto il palco per lui. Agli
occhi di molti sarebbe di certo apparsa la cosa più deprimente e patetica
immaginabile, ma per Ewan era un modo come un altro per sentirsi
vivo.
____________________
Eccomi di nuovo!
Come vi avevo anticipato nel capitolo precedente,
questo è il finale alternativo che ho pensato e scritto per la storia. Finale alternativo
che, per la cronaca, avrebbe invece dovuto essere quello originale. Tuttavia non
c’è l’ho fatta. Chiamatemi inguaribile romanticona, ma non sono proprio
riuscita a far separare Ewan e Amelia, meritavano il lieto fine, per me.
Non so dirvi se ho scritto questo finale perché volevo
cimentarmi nel angst, davvero non lo so, ma si
delineava nella mia testa di continuo, bramando di essere scritto, così ho
deciso di farlo, ed eccolo qui.
Non so se è piaciuto, lo avete odiato, non so niente.
Spero che un minimo possiate aver gradito questa “alternativa triste” per la
coppia.
Vi ringrazio ancora di cuore per essere arrivati a
leggere fin qui.
Spero di risentirvi qualora dovessi pubblicare
qualcosa di nuovo.
Alla prossima!
MadAka
p.s.
Ho pensato addirittura a un terzo finale xD Ma questo
non lo scriverò mai.