Il morso del diavolo di G RAFFA uwetta (/viewuser.php?uid=90941)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - L'urlo inghiottì il silenzio ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - Harry Potter è morto ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - Crucio ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 - Una corsa contro il tempo ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - Ti chiedo perdono, Lily ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 - Le mille e una nota di Mastro Merlino ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 - Lily... after all this time? Always ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 - Quando le certezze si sgretolano lasciano il posto ad un autentico sorriso ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 - Accadde tutto in un giorno ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 - Continuò ad accadere in quello stesso giorno ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 - Ti ho donato il mio cuore su un piatto d'argento, non farmene pentire ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 - Ti guardo impotente frantumare la mia anima ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 - Come pittori affreschiamo tele... ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 - ...diventeranno le tessere del mosaico della nostra vita ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 - Distruggo me stesso... ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 - ... per far nascere un nuovo io ***
Capitolo 17: *** Cap. 17 - Ogni filo... ***
Capitolo 18: *** Cap. 18 - ...trova sempre il suo nodo ***
Capitolo 19: *** Cap. 19 - Veleno ***
Capitolo 20: *** Cap. 20 - Ad ognuno... ***
Capitolo 21: *** Cap. 21 - ...le proprie strategie ***
Capitolo 22: *** Cap. 22 - Il duello... ***
Capitolo 23: *** Cap. 23 - ...e le sue conseguenze ***
Capitolo 24: *** Cap. 24 - Una casa in rovina ***
Capitolo 25: *** Cap. 25 - Un duro confronto ***
Capitolo 26: *** Cap. 26 - La fine dei giochi ***
Capitolo 1 *** Cap. 1 - L'urlo inghiottì il silenzio ***
Il
morso del diavolo
Cap.
1 – L’urlo inghiottì il silenzio
Privet
Drive non era mai stata così poco frequentata come quella
sera del
20 giugno. Infuriava una terribile tempesta e i lampi illuminavano il
cielo disegnando guizzanti saette che scuotevano nel profondo gli
animi, i tuoni percuotevano i vetri facendoli tremare così
tanto da
rasentare la rottura. Pesanti scrosci d’acqua si riversavano
sul
suolo che ormai era diventato una palude mentre venti impetuosi
sferzavano e piegavano al loro volere le piante inermi e mulinelli di
foglie danzavano impazziti. Proprio in quel momento, le luci dei
lampioni lampeggiarono debolmente per poi spegnersi del tutto; anche
le finestre, disperati occhi ciechi, rimasero buie, in attesa.
Nell’aria
densa, i tuoni coprirono il cigolio di una porta che si aprì
fagocitando tre losche figure che frettolosamente raggiunsero la
macchina parcheggiata nel vialetto della loro abitazione anonima.
Subito dopo, con circospezione, una quarta ombra raggiunse le
precedenti; venne acceso il motore e, a fari spenti, l’auto
si
allontanò lungo la via, incurante del diluvio che rendeva
impraticabile la guida.
Poco
importa cosa avvenne all’interno dell’abitacolo,
quello che ci
interessa sapere è la destinazione dell’auto.
Intanto, la tempesta
era scemata e languiva lontana, in un turbine di luci e brontolii,
laggiù, verso l’orizzonte. Dopo parecchi
chilometri, guidati con
prudenza, l’auto si fermò ai margini di un parco
trascurato; ne
scese la più piccola delle figure che, con passo
strascicato, si
inoltrò tra la vegetazione. L’auto
partì quasi sgommando,
sicuramente felice di aver lasciato indietro quel pesante fardello.
Il
parco era isolato, relativamente buio e soprattutto abbandonato. Il
giovane arrancò verso un circolo di panche di legno, era
evidente la
conoscenza del luogo, vista la sicurezza con cui si muoveva al buio.
Prese posto sul legno e si rannicchiò sperando di
proteggersi dal
fresco venticello e dalla bruma che si alzava dai campi bagnati.
Passò un po’ di tempo e il giovane, ormai
infreddolito e stanco,
cercò conforto scaldandosi le dita intorpidite con il fiato.
Nel
mentre, un leggero sibilo attirò la sua attenzione facendolo
inevitabilmente rabbrividire dall’ansia. Sebbene spaventato,
cercò
di spostarsi per vedere meglio e, allungando le membra rattrappite,
cadde riverso a terra battendo malamente la faccia; il colpo, unito
al freddo che ormai aveva raggiunto le ossa, intontì il
ragazzo, che
rimase accasciato sul cemento umido.
Ripresosi
un attimo, attraverso le ciglia socchiuse, vide un’ombra
strisciare
verso di sé. Allarmato, cercò di nascondersi
trascinandosi
all’interno delle rigogliose siepi alle sue spalle.
L’ombra,
però, si mosse veloce e, in un attimo, lo raggiunse. La
bestia si
erse in tutta la sua altezza mentre con le spire della sua coda,
sfregandole tra loro, produceva una dolce melodia atta ad ammaliare
la preda. Il giovane si bloccò, terrorizzato, aspettando e
valutando
le mosse di quello che gli sembrava il più grosso serpente
mai
apparso sul suolo britannico. Inconsapevolmente, dalla bocca del
ragazzo con gli occhiali rotti poggiati di sghembo sul naso e le
iridi fisse in quelle verticali dell’animale, uscirono suoni
zufolanti e striduli che bloccarono per un attimo il grosso serpente.
Sembrò tentennare, ma durò solo un battito di
ciglia e, con un
colpo deciso e fulmineo, spalancando l’enorme bocca,
agguantò il
dorso della preda e strinse.
L’urlo
che si propagò nell’aria fu talmente pregno di
dolore e angoscia
che accapponò la pelle di alcuni passanti che, raggiunto in
fretta
il luogo, rimasero inorriditi ad osservare l’enorme bestia
avvolgersi intorno al gracile corpo. Per evitare che il serpente
incominciasse a inglobare la vittima, un uomo, recuperati dei
calcinacci abbandonati lungo il ciglio della strada,
incominciò una
fitta sassaiola; un altro, a debita distanza, schiamazzò
saltando
sul ripiano ferroso dello scivolo nello spazio giochi dei
più
piccoli. Un terzo, attaccato alla cabina rossa in fondo al vicolo,
cercò disperatamente di spiegare l’assurda
situazione per ottenere
dei rinforzi. Altri, scesi in strada richiamati dalla confusione, con
i rami spezzati trovati in terra, cercarono di colpire la coda della
bestia che frustava nervosa nell’aria. Finalmente la zona si
illuminò a giorno mentre un elicottero sorvolava il cielo,
costringendo il rettile a lasciare la preda e ritirarsi
nell’ombra.
Ormai non aveva scampo: uomini armati fino ai denti erano sulle sue
tracce e presto innumerevoli colpi d’arma da fuoco
crivellarono il
suo corpo. Per qualche strana ragione, le forze dell’ordine
si
limitarono a transennare la zona abbandonando la carcassa al suo
destino.
Un’ambulanza
con sirene spiegate arrivò sul posto; gli uomini che ne
scesero,
avvezzi ad ogni tipo di sciagura, indietreggiarono agghiacciati: sul
suolo, in una pozza di sangue, languiva scosso da spasmi involontari
il corpo martoriato di un giovane. Le membra erano scomposte e
piegate in strane angolazioni, le ossa bianche fuoriuscivano dalla
carne in più punti. Sul viso emaciato spiccavano le labbra
bluastre,
segno evidente di una prolungata asfissia, il petto si alzava
debolmente sospinto dalla scarna attività respiratoria. Gli
occhi
spalancati erano due pozzi vuoti, le iridi si intravvedevano appena
sul candore marmorizzato di rosso. Dei rantoli sfuggivano dalle
labbra semichiuse per disperdersi nell’aria umida.
La
cosa più sorprendente, era rappresentata da una impalpabile
luce che
gli avvolgeva il corpo come un sudario, quella forma sconosciuta
sembrava tenere radicato al suolo lo spirito del ragazzo che,
indomito, non voleva soccombere alla morte. La luce, al massimo del
suo fulgore, si divise in minuscole particelle: due di queste si
posarono delicate, una sulla fronte del giovane da cui entrò
rapidamente, svanendo alla vista, l’altra si
depositò sul petto e
lo penetrò fino a quando riuscì ad illuminarne
brevemente il cuore
caparbio. Il resto dell’aura magica si disperse sotto forma
di
pulviscolo sugli esseri viventi che attorniavano il giovane: una pace
ultraterrena invase i loro cuori.
Con
delicatezza, vennero portati i primi soccorsi al corpo martoriato;
lacrime di pena si mescolarono ai medicinali somministrati. Il
battito era così debole che furono costretti a rianimarlo
per ben
due volte prima di raggiungere l’ospedale. Arrivati,
depositarono
il fardello nelle mani esperte dei migliori medici del Paese e, dopo
un fugace bacio sulla fronte del ragazzo, tornarono alle loro
mansioni sicuri che i luminari sarebbero riusciti a mantenerlo in
vita. Tornarono spesso a trovare quel disgraziato per tutto il tempo
che rimase ricoverato.
Il
ragazzo rimase in coma farmacologico per quasi un mese. Essendo stato
trovato senza documenti, la polizia diramò volantini e
appese
manifesti per tutta Londra. Purtroppo, l’immagine stampata
era
quella di un corpo avvolto in un intreccio di tubicini, la faccia
deforme e bluastra, certo non utile al riconoscimento. Solo gli
occhi, illusoriamente aperti, risultavano stranamente vividi e
intensi, smeraldi di un colore e una profondità che
speravano
fossero inconfondibili. Al notiziario locale, durante un servizio
serale, vennero richieste alla popolazione notizie che permettessero
di identificare lo sconosciuto: non si fece avanti nessuno, come se
il ragazzo appartenesse ad un mondo a loro ignoto.
Finalmente,
dopo settimane di attesa, il ragazzo si svegliò dal coma;
spaesato,
osservò il luogo che lo circondava. Un rumore improvviso
alla
sinistra lo spaventò a tal punto da offuscargli la vista e
fargli
cacciare un urlo straziante: sembrava uno sfregamento di ferraglia
arrugginita che si sbriciolava. Gridò fino a cedere
all’incoscienza,
i medici accorsero, allarmati.
Al
suo nuovo risveglio, il giovane trovò al suo capezzale visi
sconosciuti ma che stranamente gli risultavano familiari. Con calma e
con le dovute parole, i medici gli spiegarono la situazione; solo due
lacrime gli rigarono il volto chiuso in un composto dolore. Gli
chiesero anche il nome ma purtroppo il lungo silenzio e il trauma
alla gola gli impedirono di parlare. Con domande accurate e mirate, i
medici capirono che non aveva perso la memoria. Infatti, ricordava
perfettamente chi era e soprattutto non aveva scordato gli attimi
prima dell’aggressione da parte dell’animale.
Provarono a fargli
scrivere il nome su un foglio ma le ossa del braccio non erano del
tutto saldate, impedendone l’utilizzo.
Mentre
si applicavano in un semplice gioco –
a indovina la lettera –
per ottenere almeno il nome, improvvisamente, con
un tonfo
sordo che si propagò per i corridoi asettici, la porta si
spalancò.
Una figura nera si affacciò ammantata di rabbia e
autorità. Il
ragazzo spalancò gli occhi e, per la prima volta, dette
segno di
agitazione cercando di alzarsi e districarsi dai tubi che lo legavano
alla macchina respiratoria. In un balzo l’uomo lo raggiunge
per
tenerlo saldo al materasso e, con un tono di voce mai rivolto a lui,
lo ammansì fino a farlo addormentare. Poi, con calma, si
volse a
guardare i medici per chiedere spiegazioni.
Note
dell’autrice: questa long è
stata scritta di getto quasi
tre anni fa, poi, è finita in un angolo dimenticata.
L’ho ripresa
in mano in un momento della mia vita in cui ho sentito la necessita
di cambiare, di rivalutarne alcuni aspetti. Se andando avanti vi
sembrerà scritta da due persone non è
un’allucinazione ma il ‘me
stessa’ di ieri ha trovato una sorte di
pace interiore.
Buona lettura e sono graditi i commenti.
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Capitolo 2 *** Cap. 2 - Harry Potter è morto ***
Il
morso del diavolo
Cap.
2 – Harry Potter è morto
Severus
Piton si era sempre chiesto il perché delle cose. La sua
mente
analitica ricercava continuamente risposte per soddisfare il suo
bisogno di avere tutto sotto controllo.
In
quel momento, mentre sorseggiava un ottimo tè nero seduto
nel suo
studio a Hogwarts, teneva in mano una pergamena appena consegnata da
un superbo falco albino: la provenienza della missiva era ovvia, la
sua perplessità stava nel mittente. Infatti, oltremodo
stupito, si
chiedeva perché
mai il suo figlioccio spediva volatili
per attraversare infinite
lande
quando bastava
semplicemente
usare
il camino? E ancora, cosa
significava
quel
tono
afflitto
che traspare
nitido dalla
lettera? Troppe poche informazioni su cui avere presa
resero
il Professore di Pozioni maldisposto verso il ragazzo e le sue
assurde richieste; un incipiente mal di testa fece capolino
rendendolo inquieto e poco propenso ad accettare benevolmente
quell’imminente incontro. Comunque non poteva di certo
ignorare la
richiesta di recarsi immediatamente a Malfoy Manor, Draco su questo
punto era stato piuttosto categorico e ridicolmente accorato; quello
che gli sfuggiva, invero, era il perché non potesse in alcun
modo
menzionare il biglietto ricevuto. Sbuffando spazientito, si accinse a
raggiungere i colleghi consapevole che qualcosa di importante fosse
successo se Draco era così turbato da usare dei metodi
infantili per
forzare la sua presenza alla Villa.
— Qualche
problema con Lord Voldemort? —
Chiese
curioso Albus Silente notando il suo sguardo assorto mentre risaliva
gli ultimi scalini della rampa che lo stavano portando nel grande
atrio del Castello.
— Come?
— Rispose
assente Severus, mentre meccanicamente massaggiava il braccio nel
punto in cui stava il marchio. Intanto,
il
Pozionista sorrideva
tra sé: “Ci
casca sempre il
vecchio barbagianni, mi
basta
fare
questo gesto e tutti arrivano
alla stessa conclusione.”
— Ah
sì certo, Albus, il Signore Oscuro ha attivato il marchio
per
richiamarci al suo cospetto, ma… — si
interruppe sfoderando la sua migliore espressione perplessa, —
ero sicuro si fosse recato
fuori dal Paese
per mantenere un basso profilo, visto
che ormai tutti
sanno del suo
ritorno.
— Allora
non perdere tempo, Severus,
lo sai quanto è importante il tempismo in questa battaglia
del Bene
contro il Male.
Ti giustificherò io, qui, e la tua assenza si
noterà appena. —
Lo incitò il suo
mentore mentre gli occhi glauchi venivano attraversati da un lampo di
preoccupazione.
— Ti
farò avere mie
notizie
appena saprò
qualcosa di preciso. —
Asserì
austero il Professore
congedandosi, infine, dal Preside.
Mentre inforcava il
portone pensò con
ironia che essere il Mangiamorte
favorito del Signore Oscuro aveva dei grossi vantaggi, tra
cui le uscite fuori
programma e per di più
non giustificate.
Smaterializzarsi
era da sempre faticoso, soprattutto se si dovevano affrontare lunghe
distanze, ma farlo in preda ad una leggera ansia rendeva lo
spostamento decisamente disturbante. Una strana irrequietezza
brulicava sotto pelle mentre, con il lungo mantello nero che si
sollevava leggero a ogni passo, oltrepassava il cancello finemente
cesellato. Allungò appena il braccio per sfiorare quelle
volute
intrecciate in un inusuale moto d’affetto: ammirava quei
disegni
gotici che evocavano le spire intrecciate di un serpente. Quel
giorno, purtroppo, non apprezzò appieno la
maestosità dell’opera
d’arte: si respirava un’aria di aspettativa che
trasudava dai
muri di un candore gelido e gli scivolava addosso come viscida
melassa; l’elfo domestico che lo accolse, dopo essersi
prostrato in
sgraziati ossequiosi salamelecchi, lo condusse nel grande salone.
Una
magnifica stanza si offriva alla vista subito dopo le massicce porte
in legno pregiato; se ci si soffermava un attimo a chiudere gli
occhi, si poteva carpire il delicato profumo di bosco che le assi
antiche non si stancavano di elargire agli ignari visitatori. Il
pavimento, in prezioso marmo importato dall’Italia,
risplendeva
sotto il gioco di luce di migliaia di candele poste sugli immensi
lampadari di cristallo, esempi di maestria degli abili elfi dei
boschi. Pesanti tendaggi, di finissimo broccato, cadevano morbidi dal
soffitto, impedendo parzialmente la vista dell’immenso
giardino
splendidamente curato che attorniava il Maniero. Divani e
poltroncine, in velluto damascato, si alternavano a deliziosi
tavolini da tè in acero rosso, posti strategicamente davanti
alle
vetrate opportunamente celate, quadri di antica fattura abbellivano
le altrimenti spoglie pareti, vetrinette contenenti costose
chincaglierie completavano l’arredamento. In un monumentale
camino,
sovrastato dal ritratto della famiglia e ornato con statue
raffigurati dei serpenti intrecciati tra loro, scoppiettava un
allegro fuoco che, purtroppo, non riusciva a riscaldare
l’aura
gelida che ristagnava nell’antico Maniero.
Ormai
indifferente allo sfoggio di tanta ricchezza, attraversò la
sala con
passo sicuro. Si accorse subito della presenza del Signore Oscuro:
era seduto sotto lo sguardo arcigno del ritratto di Archibald de
Sournois
e lo accolse con un’espressione esaltata sul volto
serpentesco.
— Bene,
bene, Severus. — Sibilò
mellifluamente, —
Unisciti a noi
in questo giorno di grande gloria: gioisci per la perfetta riuscita
del mio piano. —
la sua risata satanica
rimbombò macabra e fuori luogo tra le preziose opere esposte.
Con
il volto impassibile, seppur l’animo colto da un brutto
presentimento, cercò di intuire cosa volesse sottintendere
il Mago
Oscuro osservando velocemente gli astanti mentre percorreva gli
ultimi metri che lo separavano da lui. Sulla sinistra, defilata tra
le pesanti tende, Narcissa Black, sempre composta e nobile, si
aggrappava al braccio del marito che mostrava con fierezza la
decadenza dei giorni passati rinchiuso in una cella. “Quando
è uscito da Azkaban?”
Pensò
infastidito per un’altra domanda senza risposta. Bellatrix
Lestrange, i capelli indomiti e una folle espressione negli occhi
scuri, si agitava inquieta guardando il Lord con rinnovato ardore,
ridendo sguaiatamente con quella vocetta infantile e fastidiosa.
“Vorrei
tanto poterla
sopprimere,” pensò
irritato. Gli
altri Mangiamorte,
distribuiti sui vari divanetti,
sedevano
spaparanzati
bevendo rumorosamente da calici gemmati
i preziosi vini
recuperati dall’antica
cantina dei Malfoy. “Che
spreco,”
pensò
truce rendendosi conto che nulla traspariva da quei volti se non il
compiacimento di ciò che era avvenuto a sua insaputa.
— Mio
Signore. —
Severus si inchinò a terra
per baciargli la veste e, mentre lanciava con discrezione un ultimo
sguardo intorno, nell’ombra dell’uscio spalancato,
scorse il viso
emaciato di Draco. Il ragazzo, intelligentemente, si teneva fuori
dalla visuale degli uomini presenti: il terrore era ben visibile
negli occhi dilatati tanto che la pupilla era inglobata
dall’iride
spiccando come un faro nella notte, tremava e si rannicchiava
coprendosi le orecchie con le mani diafane.
— Caro
Severus, siedi qui con me ed esulta brindando alla mia vittoria:
Harry Potter è morto!
Note
dell’autrice: grazie a tutti i lettori
che sono passati e
si sono emozionati per questo inizio di storia. Buona lettura e sono
graditi i commenti.
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Capitolo 3 *** Cap. 3 - Crucio ***
Il
morso del diavolo
Cap.
3 – Crucio
“Potter
è
morto. Harry Potter, il ragazzo che per anni ho
vessato, tormentato e tiranneggiato, giace senza vita in qualche
luogo dimenticato da Merlino.”
Un
manto gelido scivolò lungo la schiena del Professore
pietrificandolo
e facendolo annegare in un terrore folle. Il sorriso, in
realtà una
smorfia sghemba, si cristallizzò sul volto cadaverico
sbriciolando
per un attimo la sua maschera; la sua proverbiale compostezza venne
messa a dura prova mentre rivoli di sudore gli appiccicavano le
vesti alla pelle gelida, all’improvviso anche
l’aria era divenuta
soffocante. Gli occhi, antri bui e cavernosi, si offuscarono; una
persona attenta avrebbe saputo scovarvi la paura. Barcollò,
leggermente, mentre accettava la sedia che un solerte elfo gli
porgeva. Rifiutò il calice colmo di vino aromatico
perché
altrimenti la mano tremolante avrebbe rivelato il suo stato
d’animo.
“Non ho
provato un’emozione così
intensa dalla morte della mia adorata Lily.”
Pensò frastornato. “Ed
ora anche suo
figlio è morto,
com’è
possibile?”
Alzò
gli occhi vitrei sull’essere ripugnante che era diventato
Lord
Voldemort, costringendosi a mascherare le emozioni, stampandosi sul
volto allibito una muta domanda; il Lord, ridendo con scherno, non lo
degnò di nota. Solo alle insistenze di un subalterno
sembrò
riscuotersi dalla sua gelida euforia.
— Mi
chiedi di Nagini? —
Per una frazione di
secondo sembrò soppesare quelle parole, —
Ha svolto pienamente il suo dovere non capisco di cosa dovrei
preoccuparmi, —
soggiunse noncurante.
— Ma
non è rientrata... —
balbettò quello
stupido uomo, evidentemente aveva sprezzo della sua miserabile vita
perché continuando su quella linea avrebbe sicuramente
meritato...
— Crucio!
—
Esclamò il Signore Oscuro. —
Osi mettere in dubbio il mio dire? Crucio!
L’uomo
si accasciò a terra urlando dal dolore. Gli altri Mangiamorte
si ritirarono lievemente per non incappare anche loro nella furia
devastatrice che sembrava essersi impossessata del loro leader. I
loro visi, improvvisamente ricolmi di timore, vennero prontamente
abbassati mentre tra i più audaci serpeggiava un sorriso
malvagio e
accondiscendente.
— Ha
servito fedelmente la causa, solo questo importa. Ha disposto del mio
volere molto meglio di voi, stupidi zotici. Ha portato a termine la
missione assegnatale con successo, cosa che invece tu, miseranda
creatura, non sei stato in grado di fare. —
Mentre parlava non
urlava mai, il
Lord, non ne aveva bisogno per incutere terrore, bastava la sua
potente aura
per
sottomettere a sé ogni cosa, girava intorno
alla sua vittima
tenendo il braccio alzato e la bacchetta in una presa molle tra le
dita scheletriche, sul viso emaciato spiccavano gli occhi resi rossi
dalla furia.
— Avada
Kedavra, —
pronunciò secco verso
l’uomo ridotto a una larva terminando così le sue
sofferenze.
— Portatelo
via, —
ordinò agli elfi subito accorsi.
— Qualcun altro
deve pormi inutili
domande? —
aggiunse con malignità
rigirando la bacchetta bianca tra le dita. Si guardò
intorno,
assaporando deliziato quella patina di follia reverenziale, mischiata
alla paura, che serpeggiava negli animi di quei bifolchi dei suoi
proseliti.
— Bene,
— disse con
finto sussiego, —
mio caro Severus, la vittoria finale è prossima. Silente —
sputò il nome con disprezzo, —
nemmeno
sospetta. Mi compiaccio. Non è necessario che sappia di
questa
nostra conversazione, voglio che si crogioli ancora nella sua
illusione di onnipotenza.
Soddisfatto,
si allontanò verso i Lestrange, scambiò con loro
qualche parola e,
girando su se stesso, abbandonò il Manor.
Severus,
come un automa, non dando adito alle chiacchiere che erano esplose
alla dipartita del Signore Oscuro, si alzò e si diresse
verso la
porta.
— Draco,
—
richiamò il giovane con voce piatta
che, pallido, uscì dalle ombre in cui si era rintanato. —
Vieni, devo parlarti del nuovo programma di Pozioni.
Lo
sai, non ammetto tuoi errori soprattutto quest’anno che non
sarò
io a insegnare tale materia. —
Detto
questo, appoggiò la propria mano sulla spalla del ragazzo e,
stringendola un po’ più del dovuto, lo
guidò fuori dalla stanza.
Dietro di loro lasciarono una scia di inutili ciance e suoni ovattati
consistenti in brindisi e gridolini di esultanza.
Severus
era impaziente, voleva delle risposte e le voleva subito. In quel
momento, l’unico in grado di fornirle, era sicuramente quel
ragazzino scosso che lo stava accompagnando nella biblioteca privata:
potenti incantesimi la isolavano e nessuno, anche provandoci, avrebbe
potuto ascoltare la loro conversazione; quindi era il posto ideale
per ottenere ciò che voleva senza ficcanaso ad interromperli.
Una
volta dentro, dopo aver sigillato la porta, obbligò Draco a
sedersi
su un basso sgabello a lato dell’unica e immensa finestra
alta fino
al soffitto.
— Spiega,
— si
limitò a dire e Draco lo fece, parlò
per quelle che
sembrarono ore del piano attuato dal Signore Oscuro.
Seppe
così che l’attacco al Ministero, oltre che una
scusa per
recuperare la profezia, aveva assunto un altro ruolo fondamentale. Il
Lord, informato da Draco dei miglioramenti di Potter in Difesa
contro le Arti Oscure, non
che
costituisse un vero
problema ma la caparbietà del ragazzo gli era ormai nota, e
visto l’impossibilità di incrociare le bacchette, per
via di quello strano fenomeno avvenuto al cimitero la notte del suo
ritorno, aveva ritenuto opportuno volgere la sua
attenzione
verso gli amici Babbanofili
del ragazzo.
Infatti, aveva deciso di servirsi di loro per ottenere informazioni
sull’ubicazione della casa dove abitavano gli zii
dell’odiato
Potter. Sicuro che una volta fatta scattare la trappola al Ministero
il ragazzo si sarebbe presentato con gli inseparabili amici, aveva
istruito personalmente Lucius su come castare un particolare
incantesimo incrociato, che lui stesso aveva ideato, sul giovane dai
capelli rossi: l’incantesimo di localizzazione si intrecciava
a uno
più sofisticato in grado di rilevare qualsiasi conversazione
fatta
dal ricevente. Così, alla fine
dell’anno
scolastico, Draco si ritrovò costretto a vivere in una
casupola
fatiscente, ai confini del territorio dei Weasley, intento a
riportare ogni possibile notizia pervenuta da quell’inutile
Grifondoro. Fortunatamente per lui, il
traditore del suo
stesso sangue, amava chiacchierare e si divertiva, seppur
velato
dal disprezzo, a immaginare la vita di Potty
dai suoi
parenti Babbani. Dopo neanche
tre giorni di
quell’insulsa accozzaglia di parole, finalmente Draco aveva
ottenuto l’indirizzo, ponendo fine a quel supplizio, che
prontamente aveva riportato al Lord, il quale, compiaciuto, aveva
liberato il padre da Azkaban.
Nella
fretta di organizzare il piano, il Signore Oscuro aveva dimenticato
di sciogliere l’incantesimo permettendo così, ad
uno stupefatto
Draco, di venire a conoscenza di alcuni retroscena della vita del
Sopravvissuto; era stato mortificante apprendere
degli abusi
subiti dal ragazzo, che ormai nella sua testa era divenuto Harry,
e quanto
male lo avesse
giudicato.
Per
giorni, Avery si era insediato in una abitazione Babbana
in fondo a
Privet Drive ad
osservare
ogni
spostamento per poter cogliere il momento propizio; il quale si era
presentato, appunto, la sera precedente. Infatti, Potter era stato
abbandonato solo in un parchetto isolato ed Avery, che
l’aveva
seguito appollaiato sulla sua scopa, ne approfittò per
liberare
Nagini, dopo che era tornato a riprenderla dalla teca rimpicciolita
che teneva nella casa. Come da precedenti istruzioni, aveva
prontamente avvisato il Signore Oscuro attraverso il marchio poi si
era accertato che il serpente adempiesse il suo dovere. Aveva
aspettato finché l’urlo di dolore del Mezzosangue
non lo
aveva raggiunto ma, accortosi dell’accorrere di alcuni
passanti,
per non essere scoperto, si era dileguato nella notte per rientrare
furtivo al Manor lasciando Nagini al suo destino. Nel frattempo, Lord
Voldemort, che stava nello studio privato di Lucius, attraverso la
connessione con il ragazzo, aveva percepito tutto il dolore e
l’angoscia di Potter, gioendone e godendone. Successivamente,
il
Signore Oscuro si era accasciato a terra tenendosi la testa tra le
dita scheletriche. Soccorso da Bellatrix, si era ripreso
immediatamente per constatare euforico che finalmente Potter era
morto. All’urlo di vittoria della più spietata Mangiamorte
erano accorsi in molti e, saputa la novità, erano scoppiate
manifestazioni di giubilo e urla selvagge in tutto il Manor.
Era
stato a quel punto che Draco aveva pensato di mandare un gufo al suo
padrino affinché si presentasse a palazzo: era terrorizzato.
Ora che
Potter non c’era più, per l’intero Mondo
Magico si prospettava
l’incubo di dover strisciare ai piedi del Signore Oscuro.
Note
dell’autrice: grazie a tutti i lettori
che sono passati,
soprattutto a quelli che apprezzano la storia.
Inoltre,
approfitto per far sapere che i prossimi aggiornamenti slittano al
meno di una settimana, dovendo tener fede al contest a cui mi sono
iscritta.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
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Capitolo 4 *** Cap. 4 - Una corsa contro il tempo ***
Il
morso del diavolo
Cap.
4 – Una corsa contro
il tempo
Severus
Piton era senza parole: aveva fallito, aveva deluso l’unica
ragione
della sua vita, aveva tradito la promessa fatta anni prima davanti
alla tomba della donna che, nonostante il tempo scorresse impietoso,
continuava ad amare.
Una
strana calma scese su di lui, sebbene avvertisse l’urgenza di
correre e sfidare ogni legge conosciuta per sciogliere le briglie che
intrappolavano il tempo. Deciso a cambiare la situazione, costrinse
Draco a bere una pozione calmante per poi spedirlo in camera, lontano
da quel delirio, cercando di assicurarlo e confortarlo quanto un
cuore arido come il suo era in grado di fare. Lasciò il
Manor senza
salutare nessuno, raggiungendo Hogwarts in uno stato quasi
catatonico; per calmare l’animo in tumulto, decise di
concedersi
una breve passeggiata lungo le rive del Lago Nero e quello che vide
riflesso nelle acque scure lo spaventò. Sembrava un Inferius
con quei solchi neri scavati dalla disperazione sotto gli occhi
spenti; le lacrime, che nemmeno aveva il sospetto di poter evocare,
scivolavano lente sulle guance smunte; le labbra martoriate avevano
assunto un colore violaceo per il troppo rovinio dei denti. Accecato
dalla furia verso la sua stupidità, scagliò
alcune maledizioni
sullo specchio d’acqua illuminandolo come facevano gli
stupidi
giochi di luce dei Weasley. Urlò in preda alla disperazione
disturbando il riposo dei volatili che si alzarono in volo stridendo
alla luna, unica testimone di cotanta sofferenza. Per un attimo si
accasciò su se stesso, chiuso nel suo bozzolo
d’angoscia, cominciò
a dondolarsi e, piano piano, ritrovò il controllo della
propria
mente: era essenziale riuscirci, per non destare sospetti. Per il
momento, decise che avrebbe obbedito all’imposizione del
Lord:
avrebbe taciuto. Seppur con la mente ancora incapace di accettare la
situazione, riuscì lo stesso a pianificare le successive
mosse; in
fondo al cuore albergava una minuscola fiammella alimentata da una
forza a lui del tutto estranea.
“Se
è vero che Potter è morto,”
pensò
determinato da
un obbiettivo da perseguire,
“voglio
ritrovare il corpo per poterlo unire ai resti di sua madre.”
Rientrando
al castello, davanti al portone, incrociò Silente
accompagnato da
Gazza che, allarmati dalle luci che si erano alzate dal Lago Nero,
avevano deciso di indagare. Severus, visibilmente stanco e con un
cipiglio seccato, ragguagliò il Preside sulla riunione
appena
conclusasi rimanendo sul vago e riportando le solite mezze
verità
condite da altrettante bugie. Inoltre, con finto imbarazzo, aggiunse
che, mentre rifletteva su alcune questioni alzate dal Signore Oscuro,
attardatosi più del dovuto sulla riva del lago, era
incappato nella
Piovra Gigante in un suo momento troppo esuberante
finendo,
così, bagnato dalla testa ai piedi.
— Allora
sei stato tu a deliziarci con quei giochi di luce, —
sorrise
bonario il Preside. —
Visto, signor Gazza, non era necessario allarmarsi e
munirsi
di bastone, era solo il nostro vecchio Professore di Pozioni
che si attardava con la nostra amata piovra. —
Divertito prese
sotto braccio Severus ed
entrando nell’atrio
poco illuminato continuò:
— Mio
caro ragazzo, che
combinazione originale di
incantesimi hai utilizzato, dimmi… — la
sua voce si perse lungo le scale che portavano al suo ufficio.
Per
Severus cominciò un periodo di ricerca frenetica. Il primo
luogo a
cui fece visita fu il parco: in terra, tra il cerchio delle panche
dov’era avvenuta l’aggressione, alcuni ragazzi
avevano posto dei
fiori di campo accompagnati da lettere di auguri e candele ormai
consumate: tra i giovani girava una leggenda su un serpente
divoratore di uomini che si aggirava nel sobborgo per divorare
chiunque venisse sorpreso da solo nelle notti più buie. In
effetti,
poco distante, in un angolo transennato e sotto cumuli di immondizia,
giaceva la carcassa di Nagini che, essendo un animale magico,
sembrava non aver subito danni. Assicuratosi che non ci fosse nessun
curioso, con un incanto Severus bruciò i resti del
disgustoso
animale. Rimase in zona e cercò di parlare con
più persone ma
queste non erano a conoscenza di dove potesse essere stato portato il
corpo del ragazzo; molti di loro erano convinti che fosse stato
divorato.
Frustrato,
dopo quasi un mese di inutili ricerche, decise che era giunto il
momento di bussare alla casa dei parenti di Potter con la vana
speranza che fossero d’aiuto. Da loro, in un resoconto
particolarmente ricco e condito da una certa dose di soddisfazione,
venne a sapere tutti i retroscena della misera vita trascorsa da
Potter in quell’abitazione: le violenze psicologiche, quelle
fisiche, le umiliazioni, la privazione di un’adeguata
alimentazione
e la poca istruzione impartitagli, fecero perdere il poco raziocinio
rimasto in quell’uomo distrutto dai rimorsi. Si
accanì sulle loro
carni, li smembrò, li vivisezionò, li ricompose
giocando e
mischiando i pezzi, formando un puzzle raccapricciante. Infine non
pago, ancora grondante del loro fetido e malsano sangue,
bruciò i
resti. Rimase lì in silenzio ad osservare le fiamme
ingrossarsi
ingorde intorno ai corpi deformi; per un solo istante cedette
all’idea di farsi baciare da quel benefico e purificante
calore ma
poi l’immagine felice della sua Lily lo riportò
alla ragione. Con
un incanto si ripulì, cancellò ogni sua traccia,
e si materializzò
a Spinner's End, la via dove era ubicata la sua casa Babbana.
Quella
sera, una leggera brezza sospirava sparpagliando le cartacce
accumulate ai lati del marciapiede. Una folata più forte
sollevò in
alto un volantino che gli finì sulla faccia, già
pronto ad
incendiarlo, osservò distrattamente la fotografia ormai
sbiadita: vi
era rappresenta una figura agonizzante in un letto d’ospedale.
Il
suo cuore si fermò per un lunghissimo istante, rimase
pietrificato
nel mezzo della via, trattenendo tra le dita il foglio sgualcito, ad
osservare gli occhi sperduti di un ragazzo imbottigliato tra strane
apparecchiature: l’immagine gli restituiva un Harry Potter
distrutto ma ancora vivo.
— Finalmente
ti ho trovato! — Sussurrò
incredulo.
Se
fosse stato un uomo dedito ai sentimenti si sarebbe lasciato andare
in balia della felicità come un bambino alla vista dei
regali di
Natale, invece rimase fermo e tremebondo pensando che fosse solo un
abbaglio della sua mente stanca. Sospirò forte per darsi un
contegno
e lesse l’indirizzo del luogo dove era ricoverato il ragazzo;
incurante dei divieti magici vi ci materializzò
immediatamente.
Raggiunto
l’ospedale Babbano, dopo
aver chiesto informazioni a una infermiera agitata, con un
rumore sordo che si propagò per gli asettici corridoi,
spalancò la
porta della stanza di degenza: come una fiera spietata incombette
sugli sventurati presenti carico di rabbia e autorità.
Potter,
riconosciutolo, spalancò gli occhi e prese ad agitarsi
dimenandosi e
cercando di districarsi dai tubi che lo circondavano. In un attimo,
Severus lo raggiunse e, intonando una dolce nenia, lo
incantò
addormentandolo, poi, con la dovuta calma, si voltò, un
cipiglio
serio dipinto in volto, chiedendo spiegazioni agli uomini presenti.
Il
Professore di Pozioni, dopo aver opportunamente obliato
lo
staff, condusse un ancora incosciente Potter nella propria
abitazione: sarebbe ripartito da lì, un gradino alla volta,
per
tentare di guadagnarsi almeno la stima di quel giovane uomo che,
nonostante tutto, lo sorprendeva sempre.
Note
dell’autrice: grazie a tutti i lettori
che sono passati,
soprattutto a quelli che apprezzano la storia e l’hanno
commentata.
Inoltre,
approfitto per far sapere che il prossimo aggiornamento slitta di una
settimana, dovendo tener fede al contest a cui sono iscritta.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
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Capitolo 5 *** Cap. 5 - Ti chiedo perdono, Lily ***
Il
morso del diavolo
Cap
5. – Ti chiedo perdono,
Lily
Dietro
la fornitissima libreria che copriva un’intera parete nella
casa di
Spinner's End, c’era una confortevole stanza un tempo
utilizzata
dalla madre di Severus come zona lavoro nella quale si dilettava a
cucire vestitini su commissione per le donne del quartiere. Sotto la
finestra una grande cassapanca era stata trasfigurata in un letto in
ferro esattamente come quello degli ospedali Babbani,
fornito
di un incantesimo riscaldante permanente. Calde coperte bianche
coprivano il corpo di Harry che vi rimase sedato per le due settimane
successive. Lungo le pareti colorate di un tenue giallo, erano posti
degli scaffali vuoti in legno scuro, un comodino e un paio di sedie
completavano l’arredamento.
Severus
aveva castato dei complicatissimi incantesimi diagnostici che
vorticavano incessantemente intorno al corpo smunto del ragazzo: con
crescente orrore si rese conto delle sue reali condizioni. La
compressione del morso aveva spappolato parte degli organi interni
costringendo i dottori a effettuare il trapianto parziale del fegato,
l’asportazione di un rene e l’inserimento di un
congegno senza il
quale il cuore si sarebbe fermato; la scatola toracica si era quasi
polverizzata. – I dottori gli avevano
detto
che era in lista d’attesa
per
l’intervento di
ricostruzione delle
ossa. Nonostante i segni vitali fossero
stabili, loro lo consideravano
un miracolato:
un altro individuo nelle sue
stesse condizioni non
sarebbe sopravvissuto
più di un minuto,
figuriamoci riprendersi dall’eventuale trauma
psicologico.
Eppure
c’era qualcosa che non quadrava, Severus si scoprì
preoccupato per
la mancata reazione magica agli incantesimi di guarigione lanciati.
“Perché
la magia non
riesce a curarlo?”
Si chiedeva frustrato il Pozionista. Per giorni
spulciò un
antico tomo egizio, sapientemente trafugato dalla biblioteca dei
Malfoy, e in esso trovò una formula che permetteva di
rivivere
determinati momenti di vita di un uomo. – utilizzabile
solo
per scopi scientifici –
Elettrizzato e oltremodo
curioso, si preparò a osservare l’agguato di
Nagini ed avere
finalmente un quadro completo di quello che era successo. Le immagini
presero a scorrere lente propagando nell’aria, fotogramma
dopo
fotogramma, l’odissea vissuta dal ragazzo; per Severus non fu
facile rimanere calmo, l’orrore evidente di quegli attimi
prevaricò
la sua razionalità.
Dopo
il morso del serpente, la magia innata di Harry aveva cercato di
contrastare la bestia rendendosi “visibile”,
assumendo la consistenza di un manto luminoso che aveva avvolto il
corpo in modo da impedire a Nagini di spezzarlo in due, una barriera
luminescente sufficientemente forte da contrastare il primo colpo
mortale. Fortunatamente, gli aiuti dei passanti avevano distratto
l’animale tanto da impedirgli il successivo attacco, un altro
affondo e per Harry non ci sarebbe stato più nulla da fare.
Lentamente, la magia si era consumata per mantenere in vita il corpo
agonizzante, col passare dei minuti l’intensità si
era affievolita
fino a scindersi. Severus riconobbe quella protettiva di Lily, per
via del suo colore candido, mentre si disperdeva nell’aria
investendo i soccorritori come un ultimo ed estremo grido
d’amore
per aver aiutato il suo bimbo. Suppose che quella verde screziata di
rosso appartenesse all’Horcrux del Signore
Oscuro, – il
Preside aveva discusso con lui di questa eventualità proprio
nei
giorni seguenti ai fatti del
Ministero –
la vide sfiorare soffice la fronte del ragazzo per poi morirvi
dentro; l’unico gesto umano di un’anima votata al
male. Infine,
quella più intensa, variegata da tutte le
tonalità del blu, era
sicuramente la magia di Harry, indubbiamente potente ma, essendo lui
giovane e inesperto, non era stato in grado di contrastare per molto
il sopraggiungere della morte. Lo vide arrendersi in un sospiro
esausto, come un eroe che non aveva più nulla da dare,
guardò la
sua energia avvolgere impotente un ultima volta il cuore del ragazzo
per donandogli l’ultimo sprazzo di vita prima di soccombere
al
nulla.
Uscì
distrutto dalla visione. Barcollando, raggiunse la sedia davanti al
camino della biblioteca di casa e si accasciò tenendosi la
testa tra
le mani. Le lunghe dita, rovinate dalle pozioni, afferrarono i
capelli e li strinsero forte fino allo sbiancamento delle nocche. Un
forte senso di impotenza lo investì nel momento esatto in
cui capì
cosa esattamente era avvenuto, sussultò e quasi cadde dalla
sedia
quando avvertì l’ondata di panico che lo colse nel
rendersi conto,
con indubbia certezza, dell’avvenuta Morte di ogni Speranza: Harry
Potter era un Magonò.
Il
realizzarlo rese l’idea ancor più brutale.
— Perdonami,
Lily.
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Capitolo 6 *** Cap. 6 - Le mille e una nota di Mastro Merlino ***
Il
morso del diavolo
Cap.
6 – Le mille e una nota di Mastro Merlino
Una
lacrima solitaria sfuggì agli occhi serrati
dell’uomo, segno
inequivocabile del suo stato d’animo. Non si rese conto del
trascorrere del tempo, rimase lì, seduto su quella sedia,
impotente
e, per la prima volta nella sua vita, senza sapere cosa fare. Fu
così
che lo trovò il suo figlioccio, appena sputato fuori delle
fiamme
verdi del camino in cucina: sconfitto e rassegnato.
Approfittando
del suo stato dimesso, Draco riuscì a farlo parlare di
sé, della
sua orribile infanzia in quella casa, dell’amicizia sbocciata
tra
lui e Lily, la madre di Harry, e il suo successivo amore non
corrisposto. Gli descrisse l’odio istintivo provato da subito
per
James Potter e i suoi stupidi amici e come aveva preso la decisione
di entrare nelle schiere dei Mangiamorte,
affascinato
dalle idee di Tom Riddle. Venne così a sapere della profezia
che
univa le vite di Harry e del Signore Oscuro e che fu proprio a causa
di questa che Severus aveva condannato a morte la sua amata. Pentito,
era ritornato strisciando ai piedi di un compiaciuto Silente che lo
aveva costretto a prendere una decisione radicale per garantire la
sopravvivenza del più piccolo dei Potter. Seppe come non
fosse stato
facile per il suo padrino mantenere una dura facciata davanti agli
occhi espressivi di quel ragazzino, così simili a quelli di
Lily;
della lotta interiore intrapresa per dissimulare il crescente affetto
e orgoglio che si faceva strada a spintoni dentro di lui mentre lo
osservava tenergli testa testardo come nessuno; della soddisfazione
nel vederlo uscire vincente, seppur ammaccato, da ogni scontro con
Lord Voldemort. Raccontò del suo doppio ruolo in quella
guerra che
ormai si protraeva da troppo tempo e del logorio fisico e mentale nel
cercar di tenere in vita quello che da tempo si era accorto di amare
come un figlio, esattamente come amava lui, Draco. Infine, si
lasciò
sfuggire con voce roca dall’usura la più triste
delle verità: il
piano attuato da Lord Voldemort aveva avuto un risvolto imprevisto:
seppur vivo, Harry Potter non aveva più un briciolo di magia
nelle
vene.
Draco,
contrariamente a quello che ci si sarebbe aspettati, seppur scosso da
tutte quelle informazioni, rimase per lunghi minuti stretto al
padrino in religioso silenzio, meditabondo. Infine, con delicatezza
sciolse l’abbraccio e, prendendo tra le mani il viso
abbattuto di
Severus, lo alzò fino ad incrociarne lo sguardo: per un
attimo
rimase spiazzato dal vuoto contenutovi. Poi, con fermezza e
determinazione, provò a scuotere l’animo
amareggiato dell’uomo
narrandogli una vecchia leggenda che suo nonno soleva raccontargli da
piccolo mentre lo teneva sulle proprie ginocchia davanti al camino
nelle buie e fredde sere d'inverno.
Moltissimi
anni fa, tra i Babbani viveva un imbonitore figlio
di maghi,
ripudiato perché nato Magonò.
Dotato di una intelligenza superiore, ingrassato nel risentimento e
nel desiderio di rivalsa verso la sua famiglia d’origine,
studiò
ogni possibile libro che riuscì a trafugare per trovare una
soluzione che l’aiutasse a sviluppare il suo abortito nucleo
magico. Passò tutta la vita a cernere, distillare,
correggere,
affinare ingredienti preziosi e rari finché non
creò quello che i
Babbani chiamarono la panacea di
ogni male: l’Elisir
di lunga vita.
Mastro Merlino, questo il nome che si impose, forse con
l’intento
di eguagliare la leggendaria fama del suo più famoso avo,
dopo una
lunga, soddisfacente e brillante carriera accademica tra i Babbani,
bevve la pozione appena creata. Tornò trionfante tra i suoi
simili
che lo acclamarono il più potente dei maghi mai esistito.
Quanto è
ironica a volte la vita! Visse tra i suoi simili pochi anni ma con
grande scorno dell’antica famiglia che nel frattempo era
caduta in
disgrazia, non rivelando mai a nessuno la formula magica. In
realtà,
alla sua morte fu reso noto che lasciò in eredità
dei manoscritti
assolutamente indecifrabili per i comuni mortali, infatti, con una
calligrafia stentata li aveva vergati in Serpentese,
l’ambigua
lingua
dei serpenti.
Una
certa famiglia Gaunt detiene ancora gli scritti originali e, si dice,
al suo interno sono segnate alcune delle più potenti misture
mortali, nonché una in particolare in grado di ridonare un
corpo
nuovo.
Quando
il ragazzo smise di parlare, Severus strabuzzò gli occhi: “Ora
mi è chiaro come il Signore Oscuro ha ottenuto
il corpo,”
pensò calcolatore. “è
in possesso delle
memorie di questo sedicente Merlino.”
Trasportato da un rinnovato vigore, il Pozionista
baciò su
una guancia un esterrefatto Draco che, suo malgrado, si
lasciò
coinvolgere dall’entusiasmo, perché era lampante
che nella testa
del suo padrino un nuovo piano si stesse pian piano delineando.
Infatti decise che il primo obiettivo consisteva nel riabilitare il
corpo e lo spirito di Harry, cercando anche di conquistare la sua
fiducia provando a fargli da padre; il ragazzo aveva perso da poco
quel cane randagio di Sirius ed ora che era solo al mondo, poteva e
voleva fare qualcosa per lui. Il secondo era trovare il libro e
procurarsi gli eventuali ingredienti della pozione per l’Elisir
di lunga vita che avrebbe ridonato vigore al nucleo magico;
terzo, maledire Silente e il suo Ordine della fenice perché
ai suoi
occhi si erano rivelati uno specchio per le allodole ed infine,
quarto: ristabilire l’ordine delle cose e, se necessario,
uccidere
lui stesso quel bastardo del suo, ancora per poco, “capo”.
In
tutto questo fermento, nemmeno per un secondo si porse la domanda sul
perché Draco gli avesse raccontato quella storia. Da tempo,
era a
conoscenza del suo rancore scaturito della mancata stretta di mano di
Harry, dell’odio che, senza scrupoli, lui stesso aveva
alimentato.
Eppure, memore degli occhi melanconici che il suo figlioccio cercava
di nascondere quando guardava Potter, decise di rischiare e
coinvolgerlo nel suo folle e pericolosissimo piano; in
realtà
l’unico incarico che gli diede fu quello di aiutarlo a
prendersi
cura del bel addormentato quando lui era costretto ad allontanarsi da
casa per altre faccende.
Cominciò
così una nuova vita per entrambi, con una certezza radicata
nel
cuore paurosamente simile alla speranza.
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Capitolo 7 *** Cap. 7 - Lily... after all this time? Always ***
Il
morso del diavolo
Cap.
7 – Lily… after all this time? Always
Riacquistata
la sua naturale compostezza, Severus rispedì Draco al Manor
con la
scusa che doveva cercare notizie su Merlino e scovare dove si fosse
rintanato Peter Minus. “Se
davvero il Signore Oscuro è in possesso del libro di
Merlino,
sicuramente il topo è l’unico che sa dove lo tiene.”
Questo era il pensiero che
tormentava il
Pozionista.
Dopo aver bevuto
un tè e letto le ultime notizie sulla Gazzetta del Profeta,
ritornò
da Harry. La porta della stanza era socchiusa e dallo spiraglio
traspariva una soffusa luce azzurra, sembrava respirare in tutti quei
continui mutamenti. Una volta entrato, l’eterea cerva che
apparteneva a Lily l’accolse girandogli intorno mendicando
una
carezza; trasudava amore quella stanza, un calore così
intenso da
riuscire a mitigare anche il cuore più aspro.
Severus
decise di continuare a tenere Silente all’oscuro di tutta la
faccenda, almeno fino al ritrovamento dei cadaveri dei Dursley, e
quel giorno sarebbe stato a breve, visto che la data del compleanno
di Harry era ormai prossima; data in cui l’Ordine
della Fenice
era solito prelevare il ragazzo per poi condurlo alla Tana, la
fatiscente casa dei Weasley.
— M’immagino
già l'imbarazzo quando renderanno pubblica la notizia della
presunta
morte del loro Prescelto. —
Sogghignò
malefico Severus mentre si preparava a partire per il Surrey con
alcuni Mangiamorte; i suoi compagni si scostarono
intimoriti e
sollevati di non essere la causa della strana euforia del professore,
con quell’espressione feroce in volto suscitava una recondita
paura.
Nel
frattempo, l’attività di Lord Voldemort si
intensificò. Il
Marchio Nero spuntava agli angoli delle strade di
una Londra
sprofondata nel caos e nel terrore. I lunghi mantelli neri dei suoi
seguaci svolazzavano irriverenti per tutto il Paese portando
distruzione che si abbatteva sulla popolazione inerme come la furia
dei venti del Mare del Nord. Le scintillanti maschere
d’argento,
baluardi dei loro sghembi sorrisi stampati sui visi folli, erano
portatrici d’angoscia e dolore nelle case che, sempre
più spesso,
visitavano: nessuno si salvava. Con precise macchinazioni, il Signore
Oscuro raggirò le più alte cariche del Ministero
della Magia
piegandole alla sua volontà e isolando, come in
un’abile mossa di
scacchi, il Ministro in persona, costringendolo alla resa per
divenire così un fantoccio nelle sue mani: Silente,
impotente, stava
a guardare.
In
quella cappa di terrore, Draco muoveva i passi nell’ombra
stando
attento a non attirare troppo l’attenzione su di
sé; girava voce
che il mago oscuro volesse marchiare i figli dei suoi più
fedeli
servitori. Sapeva per certo che Theo Nott e Pansy si erano proposti
ed erano i prossimi candidati per quella mattanza mentre Blaise, con
la scusa del nuovo matrimonio materno, stava passando
l’estate in
Giappone. Sua zia Bellatrix opprimeva la sorella perché lo
cedesse
al suo Signore, facendole notare lo scherno con cui ultimamente i
Malfoy venivano accolti tra le schiere dei Mangiamorte.
Draco
cercava di non dare peso alle idee folli della zia e passava tutto il
tempo libero a sua disposizione a casa del padrino sentendosi fiero
della fiducia che egli gli dimostrava. Non che avesse molto da fare,
infatti, se ne stava seduto a sorvegliare il sonno di Potter
accertandosi che le strane macchine Babbane, a cui
era
collegato, continuassero a fare il loro lavoro di emissione costante
di sibili, sbuffi e strani ticchettii.
Guardando
le nuvole rosse del tramonto rincorrersi nel cielo malato di Londra,
Draco ripensò al momento in cui era entrato per la prima
volta nella
stanza dove riposava il Grifondoro. C’era
odore di chiuso e
la puzza di morte aleggiava intorno al letto rischiarato dalla luce
emessa dalla cerva, il magnifico Patronus di
Severus; alla
vista di quel corpo dimesso, che forse non sarebbe più
tornato a
gareggiare contro di lui per i bui corridoi di Hogwarts, un dolore
sordo gli schiacciò il petto facendolo boccheggiare.
Stordito e
impreparato alla portata dei suoi stessi sentimenti, si
piegò in
terra battendo le ginocchia sul pavimento a lato del letto, urtando
la sedia in ferro che produsse un suono sgradevole. In un lampo,
ripercorse alcuni dei più salienti momenti della loro
rivalità
fatta di piccole cattiverie e drammi, all’epoca,
insormontabili. I
loro bisticci erano diventai la sua quotidianità, un
pretesto per
sentirsi forte e importante agli occhi degli altri, un universo che
girava intorno a uno sguardo sporcato dall’odio. Senza
avvedersene,
prese delicatamente tra le proprie mani quella smunta
dell’altro
portandosela al petto mentre appoggiava il capo stranamente pesante
sulle candide lenzuola. Calde lacrime abbandonarono i suoi occhi
diventati lastre liquide d’alabastro, li strinse forte,
giusto per
darsi un contegno, sebbene Potty non potesse di
certo vederlo.
Poco signorilmente, tirò su col naso stropicciandolo poi con
il
maglione blu pervinca che fece risaltare ancora di più le
gote
arrossate sul suo volto di porcellana. Intuendo il suo dramma, la
cerva, a cui aveva dato il nome di Tournesol
per il suo instancabile girare in tondo, lo sfiorò con il
muso
all’altezza dello sterno in un punto dove lui sapeva esserci
una
piccola cicatrice che gli aveva fatto quello stronzo di un Grifone
in una delle partite a Quidditch che avevano
disputato uno
contro l’altro. Poi, con la stessa delicatezza,
toccò il collo
appena sotto l’orecchio di Potter dove un irregolare solco
increspava la pelle; Draco sorrise, il primo vero sorriso da quando
tutta quella storia era cominciata: erano eterni rivali ma simili in
tutto. Sospirando rumorosamente e per nulla imbarazzato da quella
scoperta, – certo
solo lui poteva
crederci – si sedette
sulla scomoda sedia ad osservare minuziosamente i delicati tratti del
viso del ragazzo, resi fanciulleschi dal pallore. Si ritrovò
così a
venire a patti con un nuovo sentimento che gli bucava lo stomaco
rendendolo inquieto; non sapeva dove tutto ciò lo avrebbe
portato ma
decise comunque di viverlo, per Harry e per se stesso. Turbato, fece
una promessa: — Ti proteggerò a costo
della mia stessa vita.
Dopo
lunghi giorni di attesa, finalmente Harry aprì gli occhi.
Note
dell’autrice: grazie a tutti i lettori
che sono passati,
soprattutto a quelli che apprezzano la storia e l’hanno
commentata.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
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Capitolo 8 *** Cap. 8 - Quando le certezze si sgretolano lasciano il posto ad un autentico sorriso ***
Il
morso del diavolo
Cap.
8 – Quando le certezze si sgretolano lasciano il posto ad un
autentico sorriso
Harry
era sveglio e in quel momento si trovava da solo, immerso nel
rassicurante ronzio dei macchinari. La prima cosa che notò,
oltre al
fatto che ci vedeva benissimo anche senza occhiali, era la cerva che
scivolava leggera intorno al letto, – un ricordo
lontano si fece
strada in lui, quasi sussurrato, lieve, sapeva di fiori e mani
intrecciate, di risate; per qualche strana ragione gli sembrava
assomigliasse al Patronus di sua madre, ma non
poteva esserne
certo. – Ancora stordito, si lasciò
andare a un sorriso stanco
mentre l’animale con il suo muso lattiginoso gli accarezzava
il
viso, un attimo dopo scomparve al di là della porta
socchiusa. Si
udì un disordinato scalpiccio e Severus, accompagnato da un
raggiante Draco, si affacciò all’uscio: il tempo
si congelò
insieme al sorriso che aleggiava ancora sulle labbra diafane di
Harry, gli occhi si colmarono di terrore.
Severus,
rimanendo cautamente a debita distanza per non farlo ulteriormente
agitare, cominciò a parlare con un tono che mai il ragazzo
gli aveva
sentito, per lo meno rivolto a lui. “C’è
forse una sfumatura di affetto mischiata a rimorso?”
Pensò
Harry visibilmente spaventato
e disorientato. Nel mentre, la cerva ritornò e si
strusciò prima
addosso al professore, poi ad un impaziente Draco per poi finire
acciambellata sul corpo disteso di Harry, che se ne stava rigido e
immobile sul letto. Alla fine il ragazzo cedette e le sue esili dita
tornarono ad accarezzare l’animale mentre, forse per la prima
volta, si accinse ad ascoltare l’uomo che gli raccontava gli
ultimi
due mesi della sua non vita.
Non
fu facile aprire il proprio cuore ma Severus aveva promesso, in nome
dell’amore che portava per Lily, di prendersi cura di lui, di
proteggerlo e di stargli accanto, nel bene e nel male. Non voleva che
ci fossero più fraintendimenti tra loro, che fosse ben
chiaro dove
pendeva e su cosa verteva il suo affetto, la sua lealtà. Nel
buio
profondo del proprio cuore, dove solo la cerva era riuscita a
entrare, sperava con tutto se stesso che Harry lo perdonasse. Fu una
lunga e stancante chiacchierata che vide i due Serpeverde
alternarsi nel racconto fino a quando furono costretti a rivelargli
il suo piccolo problema magico. Il Grifone
sbiancò, alzò le
proprie mani all’altezza degli occhi e le rigirò
come a cercarvi
qualche difetto, come se il problema dipendesse dalla lunghezza delle
dita piuttosto che dal colore delle unghie. Le strinse forte per poi
rilassarle in un continuo alternarsi finché caddero pesanti
a lato
delle cosce. Harry non pianse – non ne vedeva il
motivo –
chiuse le palpebre agitandosi piano come a cacciare un pensiero
molesto, – certamente era un incubo, uno di quelli
che Voldemort
era solito propinargli per sfiancarlo, non poteva
di certo
essere un Magonò, no? No?
Calò
il silenzio.
Severus
rimase ad osservarlo, indeciso in fondo al letto, le mani serrate
intorno al ferro gelato. Cautamente, senza abbassare lo sguardo da
quello vacuo del ragazzo, allungò il braccio e gli strinse
leggermente la caviglia: fu come assistere alla rottura di una diga.
Harry scoppiò in un pianto disperato, denso di un muto
dolore che
grondava da quegli occhi un tempo così vividi, diventati lo
specchio
stagnante di una palude satura di sofferenza. Veloce arginò
il letto
e si fiondò al suo capezzale, per un secondo parve esitare,
timoroso
di peggiorare la situazione, ma poi, annegando in quel mare in
tempesta, tremando visibilmente, lo abbracciò inizialmente
cauto e
poi via, via con più vigore. Harry, seppur seppellito
nell’oscurità
che circondava sempre il Pozionista, si
sentì a casa,
protetto, inguainato in una calda coperta che pian piano lo
calmò
fino a farlo addormentare quasi sereno. La cerva, che non aveva
smesso un attimo di aggirarsi inquieta per la stanza, si
placò solo
quando il ragazzo crollò, stremato dalle troppe emozioni,
stretto
nelle braccia del Professore. Draco, che per tutto il tempo si era
morso le labbra dal nervoso, poté tirare un sospiro di
sollievo,
dopodiché si sedette scomposto sulla sedia permettendo a
Severus di
tornare alle proprie faccende mentre lui si apprestava a vegliare il
sonno agitato del Grifone.
— Direi
che è andata bene, —
Disse
all’uomo prima che tornasse nell’altra stanza, —
almeno non ha dato di matto. —
sogghignò
sollevato.
Nei
giorni seguenti, Draco,
approfittando dell’immobilità di Harry e soprattutto
della
sua
temporanea
condizione di
mutismo, passò
intere giornate ad assillarlo parlandogli in continuazione. –
Rassegnato,
Harry alzava gli
occhi al cielo sentendosi molto spesso sfinito da tutto quel
ciarlare.
–
Il
Serpeverde
descrisse minuziosamente
la
vita
di
un
giovane e bel rampollo dell’aristocrazia magica, lo bombardò
con
aneddoti su come sarebbe stata la loro vita se fossero diventati
amici fin da subito, invece che rifiutargli la mano sul treno in
quel dannato giorno del loro primo anno a Hogwarts,
lo
asfissiò ribadendogli
in continuazione quanto era stato stupido nell’aver scelto come
compagni
quegli
straccioni
Babbanofili
dei
Weasley, la Sanguesporcozannutasotuttoio
e, non per ultimo, quel
vecchio bacucco del Preside. Harry,
spesso in difficoltà per la travolgente vitalità
dell’altro
ragazzo, continuava a sorridere nonostante scuotesse il capo quando
parlava male dei suoi amici e Draco non poté fare a meno di
affezionarsi a lui, ammirando la stoica pazienza con cui subiva
rassegnato le sue ciance.
Draco,
la mattina di buon’ora del sedicesimo compleanno del Grifone,
convinto che lui stesse ancora dormendo, intavolò una
discussione a
senso unico con la cerva che stava, come suo solito, acciambellata
sulle gambe del ragazzo. Le parlò di alcuni dubbi riguardo
la strana
amicizia intrapresa con Harry e del ruggito che a volte gli
esplodeva
nel petto quando si perdeva ad ammirare il suo sorriso. Sottovoce
–
le
precauzioni non erano
mai troppe
– rivelò
al Patronus
che lui e Severus avevano
preparato una
sorpresa
per celebrare l’evento, nulla
di che invero, però Draco sperava che in futuro, per Harry,
diventasse un ricordo felice.
Soprappensiero
– e
finalmente silenzioso!
–
il
Serpeverde
si perse
via in
un mondo tutto suo costellato
da sguardi
sinceri
e sorrisi felici,
da
prati verdi in fiore e azzurre distese d’acqua cristallina.
— Mi
piaci —
disse
deciso alzando la
voce, drizzando la schiena e spingendo il mento in fuori, esattamente
come quando provava un discorso davanti allo specchio, —
sì,
così dovrebbe andare, —
annuì
convinto col capo.
Abbassò
gli occhi verso Harry e trovò che il colorito che si era
diffuso
sulle sue guance gli donasse molto rendendolo, ai propri occhi, molto
carino. Trasportato dall’entusiasmo – e
sempre convinto che
l’altro dormisse – allungò il
collo e gli sfiorò la guancia
con un lieve bacio. Imbarazzato per il gesto avventato – non
si
accorse che Harry aveva spalancato gli occhi e lo guardava a bocca
aperta – si mosse a disagio sulla sedia cominciando
a blaterare
frasi sulla sua mancanza di buon senso finché, dal letto,
arrivò
una vocina gracchiante:
— Draco,
per cortesia, vorresti chiudere la bocca per un attimo? Te ne sarei
infinitamente grato. —
balbettò
ansante il Grifone.
Il
mondo smise di girare.
Due
occhi grandi come una Pluffa
guardarono verso il
ragazzo sdraiato trovandolo sveglio e intento a massaggiarsi la gola.
— Per
tutti i numi di settembre! —
esclamò
agitato il Serpeverde
cercando di raggiungere la
campanella posta a fianco del letto che, per la fretta, cadde
miseramente al suolo. Indispettito, si alzò con troppo
slancio e la
sedia su cui era seduto si rovesciò anch’essa
finendo
rumorosamente a terra. Harry in tutto questo sorrideva sornione,
divertito per la grande confusione che aveva scatenato Draco.
— Che
hai da ridere? —
Lo
aggredì cercando di darsi un contegno, ottenendo solo un
luccichio
birichino negli occhi dell’altro.
Nel
frattempo, il trambusto aveva
attirato
l’attenzione di Severus, che era
intento a leggere antichi tomi e,
quando
entrò seccato nella stanza, gli
bastò alzare
un
sopracciglio per rimettere
al suo posto il figlioccio.
— Buona
sera, Professore. —
disse quieto Harry, approfittando del momentaneo silenzio.
Dopo
un attimo di sbigottimento, lentamente e inesorabilmente un sorriso
prese forma sul volto pallido dell’uomo, il viso si
trasfigurò in
una maschera di selvaggia felicità che spaventò i
due ragazzi.
— Il
momento del riscatto è finalmente giunto. —
Disse
il Pozionista
con voce roca,
—
Proprio
ieri sono riuscito a duplicare il libro di Merlino che,
come pensavo, era
custodito
da
quell’inetto
di Minus, —
continuò
rivolgendosi poi
al
Grifone,
—
Il tempo di farti tradurre il libro, Harry,
di
preparare la pozione e tornerai ad essere più potente di
prima.
Tanto potente da poter sconfiggere Lord Voldemort.
Intanto,
nell’aria afosa di quella mattina di fine luglio, due gufi
planarono dolcemente sul davanzale di una delle finestre delle case
fatiscenti di Spinner’s End.
Note
dell’autrice: grazie a tutti i lettori
che sono passati,
soprattutto a quelli che hanno apprezzato la storia e l’hanno
commentata.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
|
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Capitolo 9 *** Cap. 9 - Accadde tutto in un giorno ***
Il
morso del diavolo
Cap.
9 – Accadde tutto in un giorno
Harry
Potter è scomparso! – Urlò il
titolo in prima pagina della
Gazzetta del Profeta quando
Severus l’aprì.
– La casa Babbana
in cui viveva è stata
data alle fiamme, nessun
superstite;
se ne fa portavoce lo stesso Albus Silente,
Preside
della prestigiosa scuola di stregoneria di Hogwarts
frequentata dal Bambino Sopravissuto.
La paura
dilaga e Coluichenondeveesserenominato
rafforza
le sue schiere.
Severus
aggrottò la fronte, mentre scorreva velocemente le parole
vergate
sulla missiva che un gufo postale gli aveva appena recato.
— Hanno
divulgato la notizia, — fece
sapere spiccio ai due ragazzi che parlottavano tra loro
nell’altra
stanza, mentre recuperava il mantello da viaggio, —
mi dispiace ma sarà una giornata ben diversa da
come avevo
programmato, — disse
loro affacciandosi sull’uscio. — Volevo
essere presente al tuo primo passo fuori dal letto, Harry, ma a
quanto sembra questo privilegio spetterà solo a Draco. Starò
fuori fino a pranzo, —
aggiunse,
osservandoli con occhi stretti, —
non combinate disastri.
Severus
guardò perplesso il folletto della Gringott
che, tutto
impettito, gli allungava una pergamena scritta da Lily Evans; nella
lettera, – gli
stava appunto dicendo
con voce nasale, –
datata 31 agosto
1981, era scritto che la madre di Harry lo aveva nominato padrino del
figlio davanti al legale dei Beni della Banca.
Caro
Severus, mi manchi.
Non
sono qui per rivangare il passato ma per affidarti la vita del mio
bambino. James non sa nulla, è fuori con gli altri ed
è inutile che
ti spieghi a fare cosa, lo sai. Non importa come è andata
tra noi:
io mi fido di te.
Non
ho più tempo, la guerra ha preso molte vite e temo che i
prossimi
saremo noi; non posso divulgare i particolari, se questa mia cadesse
nelle mani sbagliate, sarebbe la fine per molti.
Ho
paura, non lo nego. Ultimamente, poi, trovo inadeguate certe
decisioni prese da chi dice di tenere alla vita di mio figlio. Mi
sembra di offrire il fianco alla tempesta che, so per certa, sta per
scoppiare proprio qui, sulle nostre teste.
Abbi
cura di te stesso e, se non dovessimo più incontrarci, sappi
che non
ho mai smesso di volerti bene, sei stato un balsamo che ha lenito
ferite troppo grandi per una sciocca bimba nata Babbana.
Allego
i documenti con cui ti nomino padrino di Harry, so che sarai perfetto
e lo guiderai nella sua crescita fino a che diventerà un
bravo
ometto. Scusa se non mi dilungo, non voglio piangere...
con
infinito affetto,
tua
Lily.
Severus
era sbigottito. Per lunghi istanti fissò con occhi vitrei il
muro di
pietra grezza della camera blindata dei Potter; l’omuncolo al
suo
fianco stava ancora parlando ma a lui sembrava di sprofondare nella
melassa.
— Il
funzionario che aveva sottoscritto i documenti è deceduto
tempo fa,
quindi deve scusarci se solo ora ne siamo entrati in possesso. —
Severus cercò
di scrollarsi di dosso il
rimorso che lo aveva investito
come un Nottetempo
che viaggiava a folle
velocità,
per prestare attenzione
alle parole del
folletto. —
Esiste un antico
incantesimo che lega l’ultimo discendente di una nobile
dinastia al
suo lascito qui depositato: in caso di morte prematura, le porte
della camera blindata si aprono permettendo a noi folletti di
accertarci di
eventuali lasciti.
— Il Pozionista
ipotizzò che alla dipartita
di Sirius Black fosse successa la stessa cosa. —
È così
che, il mese scorso, siamo venuti
a conoscenza di questo documento, Signor Piton, il Signor Harry
James Potter è
deceduto e il
vincolo ha aperto la sua
camera. La cosa ci
è parsa subito anomala in quanto sapevamo
che, — Severus
assottigliò gli occhi attento. — il
Signor Albus Percival Wulfrin Brian Silente era subentrato come
tutore alla scomparsa
del Signor Sirius Black, padrino del ragazzo.
Alla
sorprendente notizia il professore spalancò gli occhi
sorpreso, –
Ma guarda quella
vecchia volpe, ha più
fiuto
di uno Snaso.
– pensò irritato. –
Poco
importa, ora
sarò io a prendermi
cura di Harry e farò in modo che questa notizia non arrivi a
orecchie indiscrete.
–
Deciso a mantenere fede al
volere della sua
Lily, prese accordi con il funzionario della Gringott
per mantenere l’anonimato. –
Se
Harry vorrà riconoscermi qualche merito, lo farà
perché si è
affezionato a me, non come
ultimo
volere di
sua madre. –
Con questo pensiero e
schiacciato dai
sensi di colpa,
si apprestò a tornare a casa dove lo
attendeva un gufo dall’aria malaticcia con un messaggio da
parte di
Silente, con cui
convocava i membri
dell’Ordine
della
Fenice per
un incontro straordinario.
— Gli
dirà di me? — La voce di Harry lo distolse dai
propri pensieri.
— No,
almeno non subito. —
Aggiunse
notando la luce triste nei suoi occhi. Il
Pozionista
sospirò. —
Harry, in questo ultimo periodo nessuno ti ha cercato, —
Alzò una mano
per smorzare
qualsiasi rimostranza.
— Manchi da
casa dei tuoi parenti da quasi due mesi e nessuno si è
preoccupato
di cercarti, o per lo meno di farlo in modo adeguato. Nessun
gufo ti ha
raggiunto, anche solo per chiedere come stavi, dove ti eri cacciato,
perché non ti
facevi più sentire.
— Gli mise una
mano sulla spalla e strinse appena richiamando su di sé
quello
sguardo di un verde intenso. —
Andrò
a quella riunione e li ascolterò attentamente valutando di
chi mi
possa fidare per,
eventualmente, metterlo al corrente della reale situazione.
Più di
così non posso promettere. —
Harry lo osservò in silenzio per alcuni minuti, poi scosse
piano il
capo in segno d’assenso. —
Bene.
Ora fammi vedere i tuoi progressi, —
Gli
disse, — ma
prima dimmi, dove si è cacciato Draco? —
chiese indagatore
guardando in giro
circospetto.
Harry
rise deliziato riferendo che il
ragazzo,
dopo averlo assistito
negli esercizi e
averlo aiutato nei sui primi passi fuori dal letto, si era dileguato
con fare misterioso lasciandolo in compagnia della cerva. Scese
la sera, Harry e Draco per la prima volta si trovarono da soli
–
Severus
aveva raggiunto il
Preside
a Grimmauld
Place
– consapevoli
che sarebbe
bastato
davvero poco per rovinare tutto. Imbarazzati, ma decisi a far
funzionare le cose tra loro, intrapresero una innocua partita a
scacchi magici. Durante una sfida v’erano poche regole da
seguire:
rimanere concentrati, fare la propria mossa, aspettare il turno
successivo; ma chissà perché
ben presto si ritrovarono a battibeccare con
la scacchiera scaraventata contro il muro e i pezzi sopravvissuti che
se le suonavano di santa ragione. Insomma,
perché esserne stupiti? Erano sempre Malfoy e Potter: per
loro,
competere per la supremazia era un dovere cosmico a cui difficilmente
avrebbero rinunciato. Fu così che li trovò
Severus seduti e
imbronciati in
quella baraonda mentre si
davano le spalle:
uno troppo orgoglioso per ammettere la sconfitta, l’altro
troppo
stanco anche solo
per dargliela vinta; il Pozionista
non lesinò sulla ramanzina – una
lavata di capo con i contro fiocchi –
e nemmeno sulla successiva punizione, così come si conveniva
per dei
mocciosi recalcitranti.
Il
giorno del compleanno di Harry ormai era agli sgoccioli e lui,
rivivendolo a occhi aperti, mentre si accoccolava meglio sotto le
coperte calde, credeva, anzi era convinto, che fosse stato il
migliore mai vissuto prima, nonostante non avesse ricevuto regali. –
In fondo che si possono regalare delle
persone
che si sono fatte la guerra da tutta una vita? –
Eppure una
vocina dentro di sé gli
faceva notare che il tenero bacio che il Serpeverde
gli aveva
dato quella stessa mattina e venire a scoprire di piacergli –
poteva chiamare come
testimone la cerva –
potevano tranquillamente considerarsi degli splendidi regali, vista
la gioia con cui il proprio cuore li aveva colti. Strofinando il viso
sul cuscino, sorrise ebete al ricordo dell’imbarazzo di Draco
quando, tutto arruffato e con uno sbuffo di zucchero a velo sulla
punta del naso, si presentò in camera, mentre Severus lo
sorreggeva
perché ancora troppo debole per fare più di
quattro passi lontano
dal letto, con una piccola torta – ad essere onesti
era un
mattoncino bruciato ma era da ammirare
il fatto che l’avesse preparata con le proprie delicatissime
mani
da Purosangue – al cioccolato intonando un augurio
di buon
compleanno. In fondo, cosa sono i beni materiali di fronte alla
concreta possibilità di riuscire finalmente ad aprirsi e
avere un
dialogo civile con le due persone che più lo avevano
osteggiato –
Voldemort a parte – negli ultimi anni?
Finalmente chiuse gli
occhi e, prima di essere vinto dalla stanchezza, un ultimo fotogramma
gli apparve dietro le palpebre serrate: il sorriso sul volto di un
uomo che – forse non ne era mai stato capace
– da tempo
immemore non era più in grado di sorridere. Ormai sconfitto
da
Morfeo, con un sentore gradevole che gli scendeva dolce fino in gola,
il cuore del Grifone si calmò pian piano
perché oramai era
certo di aver ritrovato il suo Futuro.
Note
dell’autrice: grazie a tutti
i lettori che sono
passati, soprattutto a quelli che apprezzano la storia e
l’hanno
commentata.
Inoltre,
approfitto per far sapere che il prossimo aggiornamento slitta di una
settimana.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
|
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Capitolo 10 *** Cap. 10 - Continuò ad accadere in quello stesso giorno ***
Il
morso del diavolo
Cap.
10
– Continuò
ad
accadere in quello stesso giorno
Severus
non aveva voglia di presenziare alla riunione dell’Ordine,
non tanto perché c’era il serio rischio che una
volta tornato a
casa non l’avrebbe più trovata – con
quei due le precauzioni
non erano mai troppe – ma perché gli
dispiaceva non concludere
la giornata con Harry. “Mi
sto
rammollendo,”
pensò stizzito per poi
contraddirsi piegando le labbra in un sorriso lieve. “Riprenditi
Severus, contegno, nessuno deve sospettare nulla, men che meno
Albus.” Si
rimproverò mentalmente
ridisegnandosi sul volto la solita maschera burbera; mentre varcava
l’uscio che lo portava nella fatiscente cucina dei Black,
constatò
soddisfatto che c’erano proprio tutti. Distribuiti un
po’ ovunque
le zazzere rosse dei Weasley donavano un tocco di colore
all’ambiente
tetro, la Signorina Granger, con la sua aria spocchiosa e i capelli
stopposi, era aggrappata al braccio del più piccolo dei Babbanofili
intenta a tirare su col naso rumorosamente. “Sarà
anche la strega più in gamba del secolo, a dire di molti, ma
in
quanto a buone maniere fa desiderare.”
Pensò disgustato. Il licantropo Remus Lupin, nella sua
solita mise
dimessa, abbracciava stretto la Tonks – così
voleva che tutti
la chiamassero la Metamorfomagus
– che sfoggiava per
l’occasione i capelli grigio fumo. Mundungus Fletcher, il
ladro di
carabattole, sedeva annoiato vicino al camino non perdendo di vista
un paio di piatti in peltro appesi sulla cappa in mattoni rossi. Il
gigante afro Kingsley Shacklebolt, con il suo orecchino tribale che
luccicava sinistro alla luce delle candele, parlottava sottovoce con
Alastor Moody, il segugio dall’occhio magico. Sul lungo
tavolo, al
centro della stanza, tra tazze di tè sporche e piattini di
biscotti
allo zenzero fatti in casa, erano sparpagliate alcune copie della
Gazzetta del Profeta dove, a caratteri cubitali,
spiccava la
notizia della scomparsa di Harry Potter. Severus scivolò
inosservato
lungo le ombre delle pareti polverose e si sedette in un angolo buio
ad osservare: c’era chi piangeva ponendo molte domande, chi
esprimeva la propria perplessità preoccupato per il futuro,
chi
soffocato dal timore cominciava a cedere. L’arrivo di Silente
scatenò una cacofonia di suoni per le infinite domande che
gli
rivolgevano in contemporanea. Il Preside, perso in chissà
quali
pensieri, tratteneva al petto la barba candida non prestando
attenzione a nessuno in particolare; infine, dopo lunghi attimi,
alzò
la mano e ottenne il silenzio.
— Vengo
ora dal Ministero, — cominciò
con voce grave, — per
via della
restrizione magica, gli Auror, come
potrà benissimo
confermare anche la nostra Tonks, —
le
rivolse un sorriso di circostanza, —
non
hanno potuto fare molto se non constatare che il corpo di Harry non
si trova da nessuna parte, sebbene abbiano castato numerosi
incantesimi di localizzazione. —
Sospirò
affranto sedendosi stancamente su una sedia vicino all’amico
Alastor.
“Tutto
qui?”
pensò indignato il Pozionista
dal suo angolo buio, “Harry
è
scomparso e l’unica cosa che hanno fatto è stato
lanciare un
banale incantesimo di localizzazione?”
si
chiese stupito.
— Ritengo
che se Harry si è fatto sorprendere nel sonno come un povero
Troll,
tanto bravo non doveva essere, no? —
Prese
improvvisamente la parola Ron Weasley, lasciando tutti di stucco, —
Insomma, uno come lui che, parole sue, aveva sconfitto
più
volte Voisapetechi, capite che avrebbe dovuto saper
difendersi
da solo. Miseriaccia, lui era il grande Harry
Potter, —
sottolineò gesticolando
nervoso con le
lunghe braccia —
il
Prescelto,
quello che doveva
difenderci tutti dal
Male.
A
Severus non era sfuggito il tempo passato con cui parlava di Harry,
come se lo ritenesse un argomento superato
concluso e archiviato.
— Insomma,
è ovvio che si è rivelato un gran buco
nell’acqua, un incapace.
— Parla
quello che le poche cose che sa gliele ha insegnate il Troll
incapace!— Si
intromise Fred ringhiando
offeso.
Ron
arrossì ma non cedette; aveva passato l’ultimo
periodo a
rimuginare sull’avventura al Ministero ed era arrivato alla
conclusione che la morte di Sirius, il padrino di Potter, e la totale
disfatta della missione, fosse da imputare unicamente al
Salvatoredistepuffolepigmee: per colpa
dell’arroganza e
della troppa fiducia in se stesso con cui Potter si era rivestito per
calarsi nella parte dell’unico in grado di sconfiggere Tusaichi,
si
erano
ritrovati a
tornare
a scuola
malridotti.
“Basta,
è giunto il
momento di cambiare le cose,”
pensò
euforico, “con
Potter fuori dai giochi
c’è bisogno di un nuovo leader,
di un nuovo
simbolo di giustizia, e perché
non
proporre me
stesso?”
ragionò;
era stanco di vivere
all’ombra di un incapace che lo faceva finire regolarmente in
infermeria. “Così,
finalmente, farò vedere a
tutti quanto valgo. Sono
io la persona giusta di
cui hanno bisogno.”
Sorrise soddisfatto.
— Credo
di parlare a nome di tutti se dico che ci vuole un nuovo prescelto,
uno vero, uno che non si nasconde dietro una stupida profezia
credendosi un dio... — Un
pugno ben
assestato da George fermò lo sproloquio del fratello
più giovane.
— Piccolo
stupido ingrato millantatore, se non fosse stato per Harry tu ora...
— Ma
che fai! — strillò
la loro madre cercando di dividere i due ragazzi che avevano preso a
darsele di santa ragione.
— George,
— esordì
infuriato Fred, trattenendo il gemello per un braccio, —
abbiamo sentito abbastanza. Se volete scusarci noi ce ne
andiamo, non disturbatevi ad accompagnarci. Conosciamo la strada.
Un’ultima cosa, — aggiunse
rivolgendosi
a Ron, mentre spingeva l’altro gemello fuori dalla stanza, —
non ti azzardare a mettere più piede nel nostro
negozio. —
Con questa ultima minaccia se ne andarono sbattendo forte
la
porta svegliando il quadro all’ingresso che
cominciò a vomitare
ingiurie.
Dal
suo cantuccio Severus, impressionato da quello che era appena
successo, prese in considerazione l’idea di poter avvicinare
i
gemelli e coinvolgerli nella ricerca degli ingredienti per la
pozione. “Sono
certo che un
aiuto anche da parte loro sia
fattibile.”
Pensò meditabondo; in passato aveva notato il loro
attaccamento a
Harry, l’assoluta devozione e la particolare discrezione
dimostrata
in alcuni casi. Nel mentre, Hermione cercava di calmare un
agitatissimo Ron ricordandogli che, se voleva fare il capo, doveva
anche cominciare a comportarsi di conseguenza. Dopo aver ripristinato
l’ordine e cercato, di nuovo e inutilmente, di staccare il
quadro
di Walburga Black dalla parete, tutti guardarono verso Silente in
trepidante attesa.
— Condivido
il pensiero del Signor Weasley, tempi bui ci attendono e abbiamo
bisogno di una nuova figura che ci guidi nel cammino verso la Luce.
Farò tesoro del suo entusiasmo, Signor Weasley, e, se me lo
permetterà, vorrei provvedere io stesso a prepararla in
vista
dell’imminente scontro con Voldemort. —
Concluse immerso in un silenzio sbigottito, ignorando
bellamente i brividi scatenati dal nome appena pronunciato; Ron
esultò. Però, prima che qualcuno potesse
intervenire, continuò: —
È sopraggiunto
un nuovo
problema, se
Harry è davvero
morto, e ci
auguriamo tutti che non lo
sia, — alcuni
scossero mesti la testa, Molly si portò una mano alla bocca
per
trattenere l’ennesimo singhiozzo, —
speriamo che
nessun erede si faccia
avanti per sfrattarci, comunque, essendo io il Custode Segreto,
momentaneamente possiamo ancora usufruire di questa antica magione
come sede per l’Ordine della Fenice. In
ogni caso, ho già
preso accordi per un appuntamento con i folletti della Gringott
domani stesso.
Mentre
gli astanti borbottavano tra loro, Ron, felice per aver avuto
un’altra brillante idea e pregustando l’osso come
un cane
affamato, propose a tutti di dividere i galeoni, –
che
lui stesso sapeva esserci nel caveau dei Potter, –
come
risarcimento per le perdite subite a nome di uno stupido ragazzino
che non era stato in grado di sopravvivere alla sua stessa fama.
–
Severus, dal suo angolo, tremò di disgusto,
“Come
può essere così mercenario? Sta banchettando
sulla tomba di Harry,
non era il suo migliore amico?”
–
Il vecchio Preside trovò l’idea
attuabile e la mise ai
voti, anche se qualcuno provò debolmente a protestare;
Mundungus,
interessato tanto quanto il giovane Weasley, zittì tutti
ricordando
che da morto a Potter dei soldi non sapeva certo che farsene.
– Il
Pozionista era davvero furioso, parlavano del Grifondoro come se
fosse un estraneo, come se negli ultimi anni non avesse condiviso con
loro gioie e dolori. – Il signor Weasley
cercò di protestare
ma sua moglie lo fermò facendogli notare che i soldi
potevano sempre
far comodo in quei tempi così ristretti, soprattutto per le
spese
scolastiche. Infine la decisione fu presa: si sarebbero divisi
l’intero patrimonio dei Potter ma solo, tra chi di loro,
aveva
aderito all’iniziativa. “Che
nobile
gesto.”
Pensò schifato Severus.
— Bene,
— Una voce
fredda scaturì dall’ombra. —
ora
che avete fatto a pezzi anche l’ultimo brandello della vostra
patetica dignità, vi ringrazio per l’ottimo
spettacolo e prendo
congedo.
Tutte
le teste si girano in sincronia e guardarono basite il Pozionista
emergere dall’ombra in cui si era rintanato. Elegantemente,
nel più
totale silenzio, attraversò il locale e raggiunse
l’uscio; nel
momento in cui toccò la maniglia il canuto Preside lo
fermò.
— Vai
via di già, Severus? —
La
voce arrivò alle orecchie del Professore irritante come il
ronzio di
un nugolo di Doxxi
nel loro nido. —
Speravo di sentire il tuo punto di vista sull’intera
faccenda.
— Di
quale faccenda parli, Albus? La spartizione dei beni dei
Potter o l’aver dimostrato che non avete riguardo per
nessuno,
nemmeno del vostro Salvatore. —Sputò
con disprezzo.
— Severus,
Severus, non essere precipitoso.
— Precipitoso,
dici, mi sembra che gli unici a essersi precipitati come sciacalli
siate stati voi.
— Come
si permette! — urlò
infervorato Ron pronto a colpirlo. In men che non si dica il ragazzo
si ritrovò scaraventato addosso al muro con la testa
insanguinata
accerchiata da un aureola fatta dalle bacchette che quegli stolti
avevano osato puntare contro l’oscuro Professore.
— Non
osi mai più mancarmi di rispetto! —
Sillabò
con voce glaciale il Pozionista bloccando ulteriori
interventi. Poi,
rivolgendosi al Preside:
— Vuoi
la mia opinione? —
domandò retorico. —
Nessuno di voi si è preoccupato di accertarsi della
veridicità
della notizia andando sul luogo a controllare. Ancora, nessuno di voi
si è sentito in dovere di indagare abbastanza a fondo per
scoprire
quale fosse la verità. Eppure sbandierate al vento
l’amore che
dite di provare per Potter.
— Cosa
vuole saperne lei, sporco Mangiamorte...
—
Ron
cercò di parlare, nonostante
fosse ancora intontito per il colpo subito, mentre strisciava lungo
il muro nel tentativo di rialzarsi in piedi.
SBAM
— Evidentemente
non mi sono espresso abbastanza bene, prima. —
Severus lo
guardò con ribrezzo schiantarsi
di nuovo contro la parete; Hermione accorse per sorreggerlo.
— Sono
la nuova promessa del...
— Ahah.
— La risata
crudele del Pozionista
fece rabbrividire ogni persona presente in quel momento nella cucina,
— Lei, Signor
Weasley, in che modo pensa
di salvare chiunque se i suoi stessi incantesimi le si ritorcono
sempre contro? — La
derisione era palese sebbene il viso fosse inespressivo.
— Cosa
proponi di fare? —
La voce gutturale di
Moody attirò l’attenzione; il suo occhio magico
era puntato sulla
figura di Piton.
— Caro
Alastor, non sono un esperto Auror, —
ironizzò Severus.—
Eppure,—
continuò, facendo vagare il proprio sguardo glaciale sui
presenti, —
stamani,
appena appresa la notizia
dal giornale, mi sono recato sul posto. Con discrezione, mescolandomi
tra i Babbani, ho controllato le macerie
constatando che tra i
resti non c’era traccia di Potter: niente cadavere, niente
oggetti
personali, niente di niente. Nell’aria era rimasto un residuo
di
magia, presumo un incanto temporale, non ne sono certo, comunque
nulla che facesse presupporre la presenza di magia nera e di
conseguenza quella dei seguaci del Signore Oscuro. —
Severus fece una breve
pausa
contento dell’interesse che aveva suscitato. —
Ho anche fatto visita alla casa della Signora Figg che, come ben
sapete, è il cagnolino fedele di Silente che lui stesso ha
designato
come controllore di Potter. —
Alzò
la mano per frenare
qualsiasi protesta. —
Ho scoperto,
mio malgrado, che era morta da mesi, mangiata dai suoi stessi gatti.
— Un brivido di
ripugnanza serpeggiò sui
loro volti insieme alla consapevolezza che c’era ben altro in
gioco. — La casa era
impregnata di magia oscura, un tale
tanfo
che superava sia quello della cancrena che quello degli escrementi
dei gatti; indubbiamente, per un certo periodo vi ha soggiornato un
Mangiamorte
che, simpaticamente, ha ridecorato gli arredi in modo creativo. Ora,
alla luce di tutto questo, una domanda mi sorge
spontanea: come
è possibile che
Potter, conclamato Prescelto, l’unico che
deve affrontare il
Signore Oscuro, non sia stato sufficientemente sorvegliato da
permettervi di accorgervi della sua sparizione per tempo?
Perché,
dovete sapere, i cadaveri dei Dursley sono vecchi di settimane.
Dal
volto di Silente non traspariva nulla però i suoi occhi
avevano
perso il solito luccichio divertito. Lo sgomento era palese e tra i
membri dell’Ordine cominciarono a
serpeggiare le prime
incertezze, sguardi sospettosi venivano rivolti l’un
l’altro.
— Per
essere un disprezzato Mangiamorte e un uomo a cui
non
accordare nessun tipo di fiducia, ritengo di aver fatto più
del
necessario per sostenere la tua causa, Albus. Con la sparizione di
Potter ogni mio obbligo verso il figlio di Lily, con mio grande
rammarico, decade.
In
un turbinio delle lunghe vesti nere, Severus lasciò la
cucina. Senza
perdere ulteriore tempo, raggiunse la stanza dell’arazzo e
chiamò
l’elfo domestico che si prendeva cura della casa dei Black,
esso
apparve immediatamente obbligato dal vincolo magico.
— D’ora
in poi obbedirai solo a me, fino a nuovo ordine. Osserverai ogni cosa
e ascolterai ogni parola pronunciata in questa dimora. Ti presenterai
a me per riferire tutto quello di cui sarai venuto a conoscenza nel
momento in cui sarai sicuro che sarò completamente solo.
Infine,
nulla di quello che appartiene a me deve abbandonare questa dimora.
Poi,
si smaterializzò a casa in tempo per sgridare i due ragazzi.
Un
mese passò in fretta tra gli esercizi per la riabilitazione
di Harry
e le traduzioni dal Serpentese; gli incubi che
facevano visita
regolarmente al Grifone e il ripasso delle materie
scolastiche
per i due ragazzi; le frequenti incursioni di Kreacher e la stancante
ricerca degli ingredienti per la pozione. Per fortuna esistevano i
gemelli con la loro sadica allegria e la propensione agli scherzi
potenzialmente mortali.
Finalmente
giunse il primo settembre e l’indomani sarebbero tornati
tutti a
scuola.
Note
dell’autrice: sono
terribilmente dispiaciuta per
l’immenso ritardo con cui aggiorno la storia: non
è dipeso da me!
Il mio computer mi ha abbandonato e ho dovuto aspettare finora
perché
venisse ripristinato. Spero di ritrovare i vecchi lettori e di
aggiungerne di nuovi. Buona lettura.
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Capitolo 11 *** Cap. 11 - Ti ho donato il mio cuore su un piatto d'argento, non farmene pentire ***
Il
morso del diavolo
Cap.
11 – Ti ho donato il mio cuore su un piatto
d’argento, non
farmene pentire
Draco
Malfoy, giovane rampollo di una delle famiglie più antiche e
facoltose del Mondo Magico, era un ragazzo dotato
di
un’intelligenza brillante e intuitiva. Buon osservatore, era
in
grado di individuare velocemente i punti deboli
dell’avversario e,
da bravo Serpeverde, ne
approfittava astutamente.
Diabolico e di animo debole, assecondava il volere del padre
ritenendo il suo pensiero la Verità
Assoluta. Vissuto
nell’agiatezza e viziato dall’apprensiva madre,
temeva altresì
il giudizio paterno così, fin dalla tenerà
età, aveva cercato, al
meglio delle proprie possibilità, di renderlo orgoglioso
studiando
tutte le discipline che l’avrebbero fatto diventare un ottimo
mago.
Egocentrico e narcisista, caratteristiche coltivate con il bene
placido dei genitori, indiscusso leader tra i suoi coetanei, poteva
vantarsi di un discreto numero di ammiratrici. Bello, di
un’avvenenza
eterea e sofisticata, aveva i capelli candidi come il riverbero della
luce lunare; il viso appuntito ed efebico era impreziosito da due
gemme alabastrine come le acque cristalline dei ruscelli sorgivi di
montagna. Disinteressato all’amore, i suoi unici obiettivi
erano
ottenere l’approvazione del padre e diventare potente e
temuto
esattamente come lui, schiacciare sotto i piedi gli arroganti
Grifondoro e distruggere lo
spocchioso Potter. Almeno
queste erano le sue intenzioni prima di conoscere
Coluichenondeveesserenominato.
Durante
gli anni scolastici, Draco si era reso conto che la Purezza
del Sangue, tanto decantata dal padre,
nulla aveva a che
fare con l’intelligenza, infatti, la capacità di
risultare un
ottimo mago non risiedeva nella discendenza nobiliare ma
nell’ingenio
con cui si utilizzava la magia. Altrimenti non sarebbe riuscito a
spiegarsi come quei due scimmioni di Tiger e Goyle potessero
considerarsi maghi visto che le loro capacità magiche erano
a un
livello appena superiore ai Magonò.
A
fatica – solo nella sua testa e quando era
particolarmente
ubriaco – si ritrovava costretto ad ammettere la
superiorità
del CastorosotuttoioGranger
in tutte le
discipline, lei che era una Sanguesporco.
Infine, e in
questo suo padre avrebbe dovuto rivedere un attimo i suoi discorsi
razzisti, era stato costretto a prendere in considerazione anche il
proprio padrino: Severus Piton, infatti, era un potentissimo mago
sebbene le sue origini lo abbassassero a Mezzosangue.
Lo stesso SfregiatoPotty,
per quanto tonto Draco lo volesse ritenere, era potente; gli scontri
con Tusaichi lo dimostravano: nessuno era mai
uscito vivo da
un duello a bacchette incrociate con il Signore Oscuro.
Nelle
lunghe serate noiose, quando la nostalgia lo assaliva, invece di
ricordare le cene sontuose e i ricchi regali che i suoi genitori si
prodigavano a fargli avere, rivangava il suo primo incontro con
Potty; ogni volta aggiungeva dei particolari diversi
cambiando, di fatto, lo scenario finale. Da sempre abituato ad essere
al centro dell’attenzione, era rimasto folgorato da quello
spaesato
e arruffato mucchietto d’ossa, con cui si era ritrovato a
condividere lo sgabello da Madama MacClan, che sembrava interessato a
tutto tranne che a lui. Indispettito da tanta insolenza, aveva
gonfiato il petto e lo aveva travolto con la propria parlantina
forbita cercando, nel contempo, di mettersi in mostra.
L’apparente
remissività del ragazzino lo aveva fuorviato portandolo,
– una
volta a casa e nella
tranquillità della propria
camera, – a fare sogni ad occhi aperti in cui lo
costringeva a
diventare un suo subalterno – perché,
come spesso gli
ricordava suo padre: “i
Malfoy non hanno amici ma alleati e si
circondano di
lacchè!”
– Fedele ai
suoi progetti, era salito pieno di speranza sull’Espresso per
Hogwarts senza curarsi dell’insistente
notizia – che
qualche zelante individuo dalla chioma rossa aveva divulgato
–
della possibile presenza sul treno del tanto decantato Harry Potter:
Draco aveva in mente solo due occhi verdi come i prati di Villa
Malfoy. Era stato davvero scioccante scoprire che “l’amico
immaginario che scorrazzava
nei
suoi sogni”
e il famoso Harry
Potter erano lo stesso individuo. Forte della sua faccia di bronzo
–
collaudata per anni davanti allo specchio –
aveva incassato
con apparente freddezza lo schiantarsi al suolo dei propri numerosi
castelli campati in aria davanti al deciso rifiuto di Potter di
accettare la sua amicizia, in quanto gli aveva preferito quel
pezzentediunweasel.
Che
disonorevole vergogna essere surclassato da un
traditoredelpropriosangue,
un’onta
che andava
disciolta nel Distillato della Morte Vivente.
Laggiù nei
freddi sotterranei, dietro le spesse tende del baldacchino, Draco
covò uno smisurato odio per tutto ciò che era
rosso.
Gli
anni erano passati e le radicate convinzioni avevano subito
sostanziali cambiamenti. Il Serpeverde, che non
toglieva mai
gli occhi di dosso a Potter, si era reso conto ben presto che il
Grifone non era poi così retto come
tutti, e lui stesso,
credevano. Seppur spalleggiato apertamente dal Preside, il vecchio
bacucco Babbanofilo, Potter si
districava a meraviglia,
con grande sprezzo della paura, in un labirintico ipogeo dove, suo
malgrado, si trovava costretto, insieme agli inseparabili amici
–
il tanto decantato Triodellemeraviglie – ad
affrontare creature
spaventose e risolvere intricati misteri. Per lungo tempo, nel regno
dei Serpeverde nei sotterranei del castello di Hogwarts,
non si era parlato d’altro che del disappunto nel venir a
conoscenza della morte del Basilisco – la
leggendaria
bestia appartenuta a Salazar Serpeverde – per mano
dell’odioso
Grifondoro.
In
seguito, Draco avrebbe sempre provato uno strano senso di oppressione
nel rivangare l’argomento per via di uno strano episodio che
collegava suo padre a un libro consunto,
Coluichenondeveesserenominato,
una serie
infinita di
Maledizioni Cruciatus e
l’apertura della Camera
dei Segreti,
un luogo che avrebbe dovuto rimanere sepolto nelle viscere del tempo.
Al suo
quarto
anno, mentre stava
seduto insieme
ai
propri compagni sugli
spalti
di un’arena improvvisata, Draco aveva
avvertito
il sudore
freddo accapponargli
la pelle
della schiena alla
vista di
Sanpotter teneramente
intento a gestire un gigantesco e arrabbiatissimo Ungaro
Spinato: nient’altro
che lui,
il drago e la sua
fedele Firebolt. –
da non credere! –
L’anno
scolastico appena
conclusosi,
per un
certo verso,
era stato
davvero divertente
perché
Draco, finalmente, aveva il Potere di far del male impunemente. Era
stata una
lunga e snervante
corsa agli ostacoli per riuscire a beccare Potter e la sua
combriccola in flagrante, e quando ci era
riuscito,
sebbene aiutato da
metodi non troppo ortodossi – sottigliezze
– si
era
convinto di aver definitivamente sconfitto il Grifone.
– beata ingenuità!
– Ma
la realtà aveva ben
altro da offrire; infatti, non
solo Potter e i suoi amici si erano
fatti beffe
della Squadra
d’Inquisizione,
capitanata
da lui stesso,
e
dell’Autorità scolastica, non contenti, avevano
trovato il
tempo di
distruggere un’intera area ministeriale, permettendo la
cattura di
suo padre, e di
svelare
all’intero Mondo Magico che Sanpotter,
non solo
non era
un visionario, ma che Voisapetechi
era tornato in tutta la sua macabra persona.
Draco,
all’inizio di quell’interminabile estate, costretto
a rimanere sdraiato sul
proprio letto
intarsiato
d’oro, per recuperare le forze dopo il doloroso scherzo fatto
dall’Esercito di Silente
alla propria preziosa
persona,
seppur annegando in
un mare d’odio, si era
posto la
giusta
domanda:
“Non
è che mi
trovo dalla parte
sbagliata della bacchetta di Potter?
Si potrebbero scrivere trattati su come è
sempre uscito indenne dopo aver fatto quattro amichevoli chiacchiere
con il mago più potente degli ultimi decenni;
chiedetelo a Cedric Diggory,
se
non vi fidate della mia parola. Forse è un pessimo
suggerimento ma
rende l’idea su chi è riuscito a spuntarla e chi
invece è
diventato concime per il Platano Picchiatore. E la lista sarebbe
davvero lunga.”
Ma per
Draco, la vera svolta,
era avvenuta
durante il traumatico incontro con Coluichenondeveesserenominato,
quando gli era stato assegnato il compito di sorvegliare la Donnola.
Sconvolto, si era ripetuto come un mantra che il futuro era una
scalinata d’oro lastricata di pietre preziose in cima alla
quale i
Malfoy avrebbero detenuto il Potere; eppure questo dogma, di cui si
era cibato fin dal seno materno, si era inacidito a contato con la
cruda realtà. Al Signore Oscuro interessava soltanto
raggiungere il
proprio obiettivo e i propri interessi, se per ottenerli avesse
dovuto calpestare la vita di qualcuno, Mangiamorte,
Babbano
o chicchessia, per lui non avrebbe fatto alcuna differenza.
Soggiogava le persone riducendole a schiave e cibandole con il
terrore verso la propria figura; nessuno era in grado di contrastare
quella pericolosa aura di potere che lo circondava, nessuno tranne
Potter che, come spesso accadeva, si faceva beffe di Lui e del suo
volere. Con l’animo tormentato e sempre più diviso
tra il terrore
di non rivedere più suo padre e la paura di non riuscire ad
accontentare il suo Signore e padrone, nel Serpeverde
si era
insinuata come una biscia tentatrice l’idea che forse Potter
potesse vincere. Per colpa di quel nefasto pensiero, Draco aveva
avuto la tentazione di prendersi a testate contro gli spigoli dei
mobili in una simpatica caricatura degli elfi domestici
di
Villa Malfoy. Ma non ebbe modo di piangersi addosso, – no
di
certo! Era un Malfoy e i Malfoy
non esternavano
le proprie emozioni
– anche
dopo esser
venuto a
conoscenza di tutti i retroscena della vita vissuta dal povero
Grifone, che
lui stesso, in parte, aveva contribuito a rendere
tale,
perché Potter era morto stritolato nelle fauci
dell’innocuo
animaletto da salotto di Voisapetechi.
Delirio.
Puro delirio.
In
tutta quella terrorizzante incertezza che si era venuta a creare,
Draco aveva fatto l’unica cosa che sapeva fare meglio di
chiunque
altro: scappare; era stato così che si era rifugiato a casa
del suo
padrino. E quello che aveva trovato era stato ben altro – tuttora
ringraziava Merlino per aver avuto quella brillante idea
–
perché davanti ai propri occhi increduli il SempiternoHarryPotter
giaceva in un letto, sì malconcio, ma decisamente vivo.
Investito
da un nuovo entusiasmo, di cui non riusciva a capacitarsi, aveva
aiutato Severus nel prendersi cura di quell’esile corpo,
ammirando
ogni sua espressione e la forza di volontà con cui rimaneva
caparbiamente attaccato alla propria vita. Vergognosamente euforico,
aveva imposto la propria presenza in quella casa così tetra
e fredda
– sebbene la cerva cercasse di trasmettere
un po’
di calore – soffocando Harry – perché
per il Serpeverde
ormai era diventato solo Harry – in caldi abbracci
e
punzecchiandolo con battute sagaci; la propria fervida immaginazione
e l’inaspettata disponibilità altruistica, con cui
l’aveva
aiutato nella snervante e molto spesso deludente riabilitazione,
aveva cementato quella che tutti avrebbero definito come
un’improbabile amicizia.
Fu
con questo ritrovato animo sereno, forte di quello speciale legame
che si era creato tra lui e Harry, che affrontò il primo
giorno del
loro nuovo anno scolastico.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque
leggerà. Sono graditi i
commenti.
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Capitolo 12 *** Cap. 12 - Ti guardo impotente frantumare la mia anima ***
Il
morso del diavolo
Cap.
12 – Ti guardo impotente frantumare la mia anima
Sotto
la cupola ingrigita e piangente del cielo scozzese, il castello di
Hogwarts si ergeva come la vetta più alta
del sapere. Le
finestre, intente a spiare l’orizzonte, sembravano piccole
fiammelle tremolanti per ogni sospiro rubato al vento. Al suo
interno, timidi ragazzini, stretti e tremati nei loro mantelli neri
della divisa scolastica – perché era
risaputo che
una gita in barca sul lago di notte non era di certo come crogiolarsi
al tepore dei camini accesi
– si affacciavano,
colmi di aspettativa e timore, per la prima volta sulla maestosa e
imponente Sala Grande descritta dai loro genitori. Impacciati, sotto
l’occhio curioso degli altri studenti, si sedevano sperduti
al
tavolo che un logoro Cappello
Parlante designava per loro.
L’atmosfera, tuttavia, non
sembrava delle più felici: tra i quattro tavoli che
rappresentavano
le quattro Case dei Fondatori serpeggiava il malumore. Alcuni giovani
irrequieti alzavano il tono di voce in cerca di risposte che
purtroppo nessuno sapeva dare. Sui visi dei professori, seduti rigidi
sotto la grande finestra al lato opposto della grande porta
d’entrata, non traspariva nessuna espressione; spiccavano
però gli
insegnanti assenti. Il preside, che si lisciava pensieroso la lunga
barba bianca, infine, alzandosi dal suo scranno, prese la parola
interrompendo il brusio.
— Benvenuti
e bentornati. Come ben sapete da tutti i giornali, quest’anno
Harry
Potter non prenderà parte alla nostra vita scolastica, vi
assicuro
che stiamo facendo il possibile per rintracciarlo, ogni immaginabile
pista è stata vagliata e considerata. —
La
sua voce sembrava stanca e sofferente. —
Comunque non perdiamoci d’animo, il nostro Harry
non lo
avrebbe voluto, uno spirito indomito come il suo si sarebbe
rimboccato le maniche e avrebbe proseguito verso la Luce. —
Sorrise incoraggiante,
mentre i
volti di alcuni ragazzi si fecero più attenti. —
Un nostro talentuoso studente seguirà lezioni
private, che io
stesso gli impartirò, per prepararsi all’imminente
guerra. —
Un brusio interrogativo si snodò tra i tavoli —
Sono più che
certo che rappresenterà
degnamente il giovane Potter. —
Il
Preside sorrise bonario all’indirizzo delle pagliacciate
inscenate
al tavolo dei Grifondoro per via degli schiocchi
delle manate
assestate sulla schiena di un impettito Weasley, che si innalzavano
nel silenzio incredulo della Sala Grande; al tavolo dei Serpeverde
tutto taceva, i loro volti erano maschere indifferenti, impassibili e
per nulla impressionati. — Per
la prima
volta, — Proseguì
l’anziano preside, —
all’apertura
delle lezioni, non è qui con noi il nostro amatissimo
professor
Piton. — una
serie di bassi fischi
dispregiativi misti a giubilo riempirono l’aria. —
Comunque non temete, tornerà tra qualche giorno
e insegnerà
Difesa contro le Arti Oscure. —
Il
sorriso di trionfo, sfoggiato finora dai Grifoni,
si gelò sui
loro visi, soprattutto su quello del loro nuovo idolo. —
A rilevare la Cattedra di Pozioni
è una giovane donna
appena uscita dall’Accademia, fate un bell’applauso
alla nuova
Professoressa Jennifer dalla Lungavista.
— Proprio in
quel momento, da una
porticina secondaria, entrò una corpulenta figura avvolta in
una
veste color vinaccia, il volto, coperto in parte da folti capelli
color melanzana, era rubicondo e gioviale, un sorriso simpatico ne
illuminava i tratti. — Un
ultima
raccomandazione, — riprese
a parlare il Preside, — come
ogni anno è
bene ricordare che è vietato e oltremodo pericoloso
addentrarsi
nella Foresta Proibita. Inoltre, su suggerimento di
Gazza, il
nostro carissimo custode, devo informarvi che chiunque verrà
trovato
in possesso degli straordinari prodotti Weasley verrà
severamente
punito; sappiate che appesa fuori dall’ufficio del custode vi
è
una lista di cose che è meglio non fare, vi invito a
leggerla con
attenzione. Bene ora che ho finito di tediarvi passiamo a cose
più
piacevoli, buon appetito! — Con
uno svolazzo della mano le tavole si trovarono imbandite
dalle
appetitose pietanze abilmente cucinate dagli elfi.
Iniziò
così il nuovo anno, stancamente, tra interminabili lezioni,
noiosi
compiti e passeggiate nel parco approfittando del sorridente sole
autunnale.
— Ma
guarda chi si rivede: il pezzente promosso a supereroe. Evidentemente
la fama non paga visto gli stracci che continui ad indossare. —
Così si rivolse
al
Traditoredelsuostessosangue
un sarcastico Draco qualche mattina dopo mentre si incrociavano fuori
dalla Sala Grande; le serpi che erano con lui scoppiarono
a
ridere crudeli.
— Come
ti permetti lurido figlio di un Mangiamorte! —
Ron, sguainata immediatamente la bacchetta, forte del suo nuovo
status, urlò inferocito: —
Stupeficium!
— Con
un’abile mossa Draco allontanò
il colpo.
— Cento
punti in meno a Grifondoro e la requisizione della
bacchetta
per un mese, signor Weasley. —
Dalla cima
delle scale stava scendendo, in uno svolazzo delle vesti nere,
Severus Piton, al suo fianco la Professoressa McGranitt sfoggiava un
cipiglio duro.
— Signor
Weasley, si vergogni, — Disse
quest’ultima. —
chieda
immediatamente scusa e si consideri in punizione per i prossimi due
sabato.
— Ma
professoressa... — Cercò
di protestare il Grifondoro.
— Preferisce
subire la punizione durante gli allenamenti di Quidditch?
—
Offrì
falsamente conciliate l’inflessibile
donna, le labbra serrate in una linea severa. Non ricevendo risposta
continuò: —
È atteso nell’ufficio del
Preside. — Detto
questo e considerando la questione archiviata, disse:
— Su, vada. —
Incitò
il ragazzo ad avviarsi.
— La
bacchetta, prego. —
Intervenne Severus
con la mano tesa, —
Le verrà
riconsegnata in classe ad ogni lezione in cui ne è previsto
l’uso.
Buona giornata. — Noncurante
dell’espressione rabbiosa del Grifone,
voltò le spalle in segno di concedo e, fatto un
cenno ad un
felicissimo Draco, insieme si avviarono per il corridoio che portava
ai sotterranei.
Qualche
minuto dopo, ad un piano imprecisato del castello, una porta
sbatté
violentemente. Ron Weasley, – pestando i piedi in
terra
decisamente furioso, borbottando
tra sé e sé: “Quel
figlio di una cagna me la
pagherà cara!”
– entrò nello studio del Preside senza guardarsi
in giro, alzò la
testa e si rivolse a lui, credendo di essere stato convocato per il
piccolo diverbio avuto con quello stronzo di Malfoy, dicendo:
— Non
è colpa mia, Signore, Malfoy...
— Ron…?
Una
voce, che apparteneva ad una persona creduta da tutti morta,
squittì
incredula. Proveniva da una delle poltroncine poste davanti alla
scrivania dove stava seduto, con le dita incrociate tra loro
appoggiate sul tavolo, il canuto Preside; una scintilla
dell’antico
fulgore gli illuminavano le iridi, da troppo tempo spente.
— E
lui che ci fa qui? Miseriaccia, non sarà mica tornato dal
mondo dei
morti, vero? — Domandò
balbettante e
incredulo, additando Harry con il dito tremante.
— Non
dica sciocchezze e si accomodi, Signor Weasley. Come vede
il
nostro caro Harry è tornato, —
disse
gioviale, ignorando le espressioni dei due ragazzi.
Ron,
con malagrazia, si accasciò sulla seduta senza
più degnare di uno
sguardo il vecchio amico, disegnandosi in faccia
un’espressione
sprezzante. Harry, dal canto suo, era rimasto pietrificato
nell’atto
di alzarsi per abbracciare finalmente l’amico, ma sconcertato
dal
comportamento di Ron, ricadde mollemente sulla sedia estraniandosi
dai loro discorsi; con il volto rabbuiato continuava a chiedersi
perché il ragazzo al suo fianco si fosse comportato
così. Intanto
il Preside stava aggiornando il Grifone sulle
ultime novità
che il Professor Piton gli aveva snocciolato sull’incredibile
avventura vissuta da Harry.
— Vede,
— stava
raccontando ad un indifferente Ron, —
all’attacco
del serpente Harry è
sopravvissuto, non è meraviglioso? —
chiese
a nessuno in particolare —
e, dopo il suo successivo ricovero in un ospedale Babbano,
è stato riconosciuto come il Prescelto
– allo sguardo
oltraggiato di Ron, il Preside si vide costretto a rassicurarlo
adducendo che erano parole della
strega che
aveva ritrovato Harry,
non sue – da una
strega che lavorava come volontaria in quello stesso nosocomio.
Quest’ultima ha preso l’azzardata decisione di
portarlo a casa
propria e, per proteggere se stessa e Harry, ha Obliato
i dottori. Una volta nella sua dimora, l’ha curato
pazientemente
fino alla totale riabilitazione. Purtroppo lo shock subito da Harry
ha ridotto le sue capacità magiche, problema a cui lei non
è stata
in grado di porre rimedio. Quando finalmente Harry è
riuscito a
parlare, la strega si è fatta spiegare
l’ubicazione della casa dei
suoi zii. La sua intenzione iniziale era di prendere gli oggetti
appartenuti a Harry, ma poiché si sono rifiutati di
collaborare, ha
usato su di loro la Legillimanzia,
violando almeno dieci Leggi Restrittive. Quello che ha visto nelle
loro menti, ha scatenato in lei la furia che ha portato alle
conseguenze che già sappiamo. Una volta tornata calma,
è uscita
dall’abitazione in fiamme sparendo nella notte, portando con
sé i
beni di Harry.
— Mi
scusi se l’interrompo, Signore, ma in tutto questo cosa
c’entra
il professor Piton? — chiese
Ron agitandosi sulla sedia, cercando di arrivare al dunque. Il
Preside sorrise indulgente davanti all’irruenza del giovane
Grifondoro.
— È
una bella età, la vostra, siete sempre impazienti di
arrivare alla
fine per poi perdervi il meglio di ciò che la vita vi offre.
—
arrise
nostalgico; un discreto colpo
di tosse, da parte di uno di soggetti dei quadri appesi alle pareti,
lo fece ridestare e riprendere il filo del discorso. —
Dove eravamo rimasti? Ah
certo, la strega, mi domando
come mai Severus non le abbia mai chiesto il
nome, —
Borbottò
perplesso tra sé e sé. — Comunque,
non potendo più fare molto per il nostro Harry
ed essendo il
primo settembre ormai alle porte, ritenne giusto affidarlo a un suo
vicino, che sapeva essere un mago molto dotato. Così, una
settimana
fa, ha contattato il mio buon caro e vecchio Severus che, con sua
grande meraviglia, una volta giunto nella casa di lei, ha trovato
vivo, seppur provato, Harry Potter. —
Il
Preside si interruppe di nuovo davanti all’evidente
disappunto del
Grifone. —
Non
disperi, Signor Weasley. Caramella
al limone? — Offrì
allungando un piattino colmo di lucenti confetti gialli, Ron scosse
la testa grugnendo
indispettito. —
Io
le adoro, mi aiutano a calmarmi e a pensare meglio. —
Strizzò
l’occhio con fare sornione. —
Tornando a noi,
il Professor
Piton, tenendo
segreta a tutti la succulenta notizia, si è
prodigato per Harry e, dopo
tutta una serie di
accertamenti ha
scoperto che,
per via della sua
brutta avventura, il nucleo magico si era momentaneamente, come dire,
— si fermò un
attimo per trovare il vocabolo giusto e nel frattempo guardò
Harry
con un’espressione compassionevole. —
ecco
ci sono, il nucleo si è
“congelato”, rendendolo a tutti
gli effetti un Magonò.
— È
un Magonò?!
—
lo interruppe Ron con voce scettica ma impregnata di speranza. Harry
sobbalzò sulla sedia, per tutto quel tempo si era rintanato
in se
stesso, deluso dal comportamento dell’amico, “Che
abbia sempre avuto ragione Draco?”
pensò amareggiato.
— Sembrerebbe
proprio di sì. — Scosse
la testa canuta —
Ma il Professor
Piton ritiene che sia solo una condizione temporanea.
— Non
m’importa, —
asserì
spavaldo il Grifone,
—
è un essere inutile e io ora
pretendo di essere nominato ufficialmente come nuovo prescelto.
— Di
questo abbiamo già discusso in altra sede e sappiamo
entrambi cosa è
stato deciso, infatti è per questo che l’ho messa
a conoscenza dei
fatti. Quello che mi preme, ora, Signor Weasley, è la sua
parola che
non rivelerà a nessuno che Harry è vivo e
ciò che ha sentito qui
non uscirà da questa stanza. —
Il
Grifone si vide costretto ad acconsentire.
Con
lo sguardo colmo di risentimento Ron si voltò verso Harry,
nella
propria testa stavano crollando, una dietro l’altra, tutte le
speranze di gloria per via della presenza del giovane al suo fianco.
Una cocente rabbia prese vita intrecciandosi con le spire rosse del
fuoco della gelosia e gli offuscò la mente tanto da fargli
ideare un
piano diabolico.
Harry,
nel proprio angolino, era stupito della fredda furia che percepiva
irradiarsi da Ron e rimase annichilito quando avvertì dentro
di sé
la portata del dolore per la perdita del compagno di tante avventure.
Con occhi vitrei prese a fissare inebetito la parete di fronte e fece
molta fatica a tornare alla realtà. Da lontano sentiva una
voce che
lo chiama con insistenza ma tutto dentro di lui era ovattato e
confuso. Improvvisamente, una mano, che un tempo considerava amica,
si posò con forza sul braccio strattonandolo senza grazia,
ridestandolo. Harry alzò gli occhi di un insolito verde cupo
e si
scontrò con quelli freddi e sprezzanti di Ron; impreparato,
cercò
di trattenere un brivido di sgomento per la cattiveria ivi contenuta.
Nel frattempo il Preside aveva ripreso a parlare.
— ...ti
accompagnerà nei tuoi nuovi alloggi presso gli appartamenti
del
Professore Piton che continuerà a provvedere alla tua
salute. —
Harry lo guardò confuso finché non si
sentì strattonare di nuovo
da Ron. — Andate
ora e mi raccomando non
fatevi vedere da nessuno. — Concluse
sorridendo incoraggiante a entrambi.
In
silenzio uscirono dall’ufficio e con riluttanza si avviarono
lungo
il corridoio sotto lo sguardo imperturbabile dei due Gargoyle posti a
guardia. Harry camminava lento tenendo la testa bassa, scrutando il
pavimento in cerca delle parole giuste da rivolgere a Ron; fu per
quello che non si avvide subito che, girato l’angolo, il
rosso,
adducendo a un impegno precedente, lo abbandonò per
allontanarsi in
tutta fretta.
Trovatosi
improvvisamente solo, per Harry fu come diventare all’istante
cieco. Essendo poco più di un Babbano,
le barriere del
castello si attivarono per respingerlo, rimandandogli la visione di
un luogo desolato; in men che non si dica si ritrovò
inginocchiato
con le unghie che grattavano la pietra a lottare contro “l’obbligo”
di allontanarsi e la “consapevolezza”
di essere
all’interno del tanto amato castello. La sensazione della
perdita
dell’orientamento fu così intensa da lasciarlo
senza fiato, un
dolore acuto pulsava appena dietro l’orecchio mentre stille
lucenti
pungevano gli occhi, la gola bruciava dopo il violento sfogo dello
stomaco. Disperato, provò a chiudere le palpebre in cerca di
sollievo ma fu tutto inutile: luce e nebbia si alternavano in una
macabra giostra.
Fu
così che lo trovò Draco: inginocchiato,
terrorizzato e in lacrime.
Il
Serpeverde era stato avvertito da Severus che Harry
era nel
castello e così, felice di riabbracciarlo, si era appostato
in una
rientranza del corridoio, in attesa. Quando il
pezzentetraditoredelsuostessosangue, palesemente
arrabbiato,
lo superò, impaziente svoltò l’angolo
per andare incontro ad
Harry e invece, il sorriso di benvenuto, che gli era sorto spontaneo,
si congelò sul bellissimo volto e un’ansia
terribile lo investì
mentre si chinava verso quel corpo tremante. Con infinita premura se
lo strinse addosso donandogli un po’ di conforto; in
contemporanea
lanciò un messaggio di carta, che spedì alla
ricerca del padrino, e
disilluse entrambi per sfuggire a eventuali sguardi
indiscreti. Quando Severus li raggiunse rimase sconcertato delle
condizioni in cui versava Harry e per la prima volta in vita sua si
trovò in difficoltà. Sebbene fosse una persona
lungimirante non
aveva preso assolutamente in considerazione le barriere antiBabbani
adottate per il castello. “Come aggirale?”
Si chiese
febbrilmente il Pozionista, mentre aiutava Harry a
mettersi
sotto le coperte dopo avergli dato un leggero sedativo. “Non
posso di certo portarmelo appresso per tutto il giorno sotto il
mantello dell’invisibilità, troppi fattori ci
rendono vulnerabili
e facilmente esposti, in gioco c’è molto di
più.” Proprio
in quell’istante apparve Kreacher per il resoconto sulle
attività
di Grimmauld Place; Severus lo guardò contemplativo per
interminabili istanti tanto che l’elfo, convinto di esser
venuto
meno agli ordini, cominciò a prendersi a testate contro gli
spigoli
dei mobili.
— Fermo!
— intimò con
disgusto il Professore. — Dimmi
quello
che devi dire e vattene. — Una
volta
rimasto solo, nella propria testa prese piede una folle idea. Dopo
essersi accertato che Harry dormisse, si recò nelle cucine
dove gli
elfi, pur essendo indaffarati, interruppero le loro attività
per
accoglierlo festanti. Impaziente, con imperiosa freddezza
zittì
tutti per informarsi su dove potesse essere una particolare elfa; una
volta trovatala, le ordinò di presentarsi al più
presto nei propri
alloggi. Quando vi fece ritorno, trovò il piccolo esserino
rannicchiato in un angolo, le vesti erano sporche e il personale
emaciato e malaticcio.
— Winky,
— disse
perentorio, —
ho un compito speciale e delicato da assegnarle.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
|
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Capitolo 13 *** Cap. 13 - Come pittori affreschiamo tele... ***
Il
morso del diavolo
Cap.
13
– Come pittori
affreschiamo tele...
Severus
stava impettito in piedi al centro di una stanza dalle pareti di un
tenue color azzurro, i pochi mobili essenziali, fatti su misura,
erano stati ricavati dal legno Obeche – Severus
stesso aveva
scelto le assi e disegnato i modelli – e insieme ai
pesanti
tendaggi viola scuro lasciavano all’occhio un piacevole
contrasto;
una intera parete era stata adibita a biblioteca ricca di antichi
volumi.
— Winky
avrà un nuovo padrone? —
Chiese
la piccola elfa con
voce arrochita per il troppo bere; i suoi enormi occhi acquosi
guardavano con malcelata speranza verso quell’uomo alto e scuro.
Il Pozionista
la osservava
senza espressione, in silenzio, cercando le parole adatte; infine,
muovendo impercettibilmente il capo in segno d’assenso si
decise a
parlare:
— Sarai
alle dipendenze del giovane Harry Potter. —
Alzò
una mano per interrompere l’improvviso scoppio di
felicità della
creatura. —
Dovrai prendertene cura nel modo in cui Harry
riterrà più
opportuno. Devo importi solo un’unica, ma imprescindibile
condizione: non dovrai mai lasciare il fianco del ragazzo, a meno che
una causa di forza maggiore non lo imponga; non dovrai mai farti
notare da nessuno, è importante. In caso di
necessità farai
riferimento a me o al giovane Draco Malfoy. Prenderai ordini
unicamente da queste persone. Attieniti strettamente a questo ordine,
se non vuoi che ti punisca in modo molto più severo di
quanto puoi
anche solo immaginare. — l’istruì
con voce inflessibile. —
Ora puoi
andare, ti chiamerò in tempo per il risveglio di Harry per
darti le
ultime disposizioni. Non mi deludere. —
Concluse
rigido Severus.
Quella
sera, quando Harry riaprì gli occhi, la prima cosa che vide
fu il
muso di un elfo chino su di lui. Per un solo terrificante istante
pensò di essere tornato al suo secondo anno, quando Dobby,
nel suo
modo rozzo e irruente, aveva cercato di proteggerlo dal proprio
padrone cattivo. Tutto quel periodo era stato difficile ma aveva
potuto contare sull’aiuto degli amici di sempre; al solo
pensiero
di quanto aveva perso, gli occhi si inumidirono e una tremolante
lacrima solcò la pallida guancia.
— Ma
come siamo malinconici. — Una
voce
sarcastica e leggermente ansante arrivò dal lato opposto
della
stanza. Harry girò di scatto il collo e rimase attonito
davanti alla
scena che si presentò: Draco stava lottando contro un elfo
– dagli
abiti indossati pareva più un esemplare femmina
– per
impedirgli di fracassarsi la buffa testa contro il muro.
Piacevolmente colpito, cominciò a ridere.
Nello
stesso istante, Severus irruppe
nella stanza chiedendo in tono burbero: —
Cos’è
questa confusione? —
Poi,
sorprendentemente, rise; tre
figure pietrificate guardavano meravigliate quel viso, di solito
inespressivo, aprirsi in una risata brillante. Per un attimo rimase
tutto fermo, statico come un filo di ragnatela lucente di brina nelle
fredde mattine invernali. Harry, colto da un irrefrenabile impulso,
il cuore colmo di un nuovo sentimento, si alzò e
abbracciò
quell’uomo austero fossilizzato dentro un bozzolo di
indifferenza,
cercando di trasmettergli, con il calore del proprio corpo, tutto
quello che la voce non era in grado di comunicare. Stupito e
commosso, Severus ricambiò, stringendosi addosso quello
scricciolo
d’uomo. Draco e l’elfa osservarono emozionati la
scena: fu un
evento raro e prezioso che scavò nel cuore di ognuno un
solco da cui
germogliò un amore reciproco e indissolubile. La notte li
colse
intenti a gettare le basi del loro futuro.
Si
susseguirono giorni snervanti in cui Harry e l’elfa
– diventata
nel frattempo l’ombra discreta che lo seguiva ovunque
–
impararono a sincronizzare i movimenti affinché fosse
credibile che
stesse usando la magia. Winky non lo lasciava mai da solo, nemmeno
nei rari momenti in cui Draco, tra una lezione e l’altra,
riusciva
a incontrare Harry, diventando ben presto una presenza costante e
rassicurante, soprattutto nei frequenti spostamenti per il castello,
quando veniva convocato dal Preside.
In
una stanza fatiscente della locanda Piede di Porco,
a
Hogsmeade, Piton e i gemelli Weasley avevano
costituito il
loro quartier generale dove, qualche volta, li raggiungeva anche
Harry. Per quieto vivere, tra di loro non parlavano mai di quello che
era successo quell’estate, si limitavano a scherzare e
condividere
i momenti rubati allo studio e al lavoro. Nel frattempo, gli
ingredienti per la pozione venivano sistematicamente recuperati,
selezionati, preparati e distillati in attesa di unirli in un unico
calderone. A Severus sembrava che il tempo scorresse troppo
lentamente; una strana inquietudine lo teneva sempre
all’erta, come
se ci fosse una minaccia appostata dietro l’angolo pronta a
colpire
al primo passo falso. Avvertiva il pericolo alitare direttamente sul
collo di Harry, un’insidia che rischiava di distrarlo
portandolo a
danneggiare tutto l’operato svolto finora; avrebbe voluto
accelerare le cose, ma un bravo Pozionista
sa che il
lavoro ne sarebbe stato danneggiato.
Anche
le giornate di Draco erano sempre piene, infatti il suo tempo lo
divideva tra gli impegni scolastici, la vita sociale e Harry;
sinceramente avrebbe desiderato trascorrere più ore con il
ragazzo,
ma la propria ingiustificata assenza tra le mura del castello,
avrebbe sicuramente attirato troppe attenzioni. La porta per accedere
alla stanza del Grifone era
posta in una nicchia,
celata magicamente, lungo il muro del corridoio del dormitorio dei
Serpeverde, tra quella della camera del Prefetto
– utilizzata da Draco stesso –
e quella degli appartamenti
privati di Severus. Draco, tra una lezione e l’altra, aiutava
Harry
a tenersi al passo coi compiti scolastici sommergendolo con i propri
appunti scritti su pergamene vergate con una grafia minuta e
ordinata; appena potevano, inscenavano finti duelli atti ad aiutare
Harry a sincronizzarsi con l’elfa. Nonostante tutto, tra loro
due
non filava tutto liscio. Draco, per non rovinare il delicato
equilibrio che si era instaurato tra di loro, ometteva il motivo che
lo teneva lontano per un paio di sere alla settimana; dal canto suo
Harry non insisteva troppo, aveva paura di perderlo. –
a impensierirlo bastava l’odore
dolciastro che impregnava
gli abiti del ragazzo quando stava con lui
– Eppure
il loro rapporto
cresceva: finiti
gli esercizi
si stendevano insieme sul grande letto e parlavano
per ore, instancabili, spesso
fino a notte fonda, scoprendo così di avere parecchi
interessi in
comune, di percepire il mondo similmente e di amare le stesse cose.
Entrambi avvertivano come un flusso sotterraneo aggredire lo stomaco
e attorcigliarlo, proprio lì all’altezza
dell’ombelico. Quella
strana sensazione calda e avvolgente, schiuse i loro cuori portandoli
a vivere emozioni acerbe, per lo più incomprensibili. Di
frequente,
durante le fredde notti nei sotterranei, Harry si svegliava urlando
e, accanto a lui, avvertiva la presenza amica di Draco che, con tocco
gentile della sua mano fresca, gli accarezzava i capelli spedendogli
un brivido lungo la schiena sudata. Sentiva le sua braccia stringerlo
e la sua voce carezzevole – solo per lui
– sussurrargli
dolci parole di conforto che gli facevano sussultare il cuore,
nonostante fosse divorato dall’angoscia. In preda allo
sconforto,
si stringeva al suo corpo caldo, rannicchiandosi con il capo nascosto
nell’incavo del suo collo, per poter piangere tutte le
proprie
lacrime fino a quando non si addormentava stremato.
Era
in quei momenti che Draco, stretto al corpo esausto di Harry, si
riprometteva di proteggerlo, di donargli, una volta che tutto
quell’incubo fosse finito, un futuro felice, un futuro
insieme, un
futuro d’amore.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
Aggiungo
due cose: tanti auguri a me che compio gli anni! – anche se
non
credo vi importi molto ; ) – domani vado alla fiera dedicata
al
mondo di Harry Potter! Buon tutto.
|
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Capitolo 14 *** Cap. 14 - ...diventeranno le tessere del mosaico della nostra vita ***
Il
morso del diavolo
Cap.
14 – ...diventeranno le tessere del mosaico della nostra vita
In
un’aula, tenuta in ombra da pesanti tendaggi e arredata con
quadri
grotteschi raffiguranti la devastazione di chi subisce le tre
Maledizioni Senza Perdono, gli alunni di Serpeverde
e Grifondoro sedevano silenziosi
e composti in attesa
del professore di Difesa contro le Arti Oscure; uno
svolazzo
del lungo mantello nero e la voce profonda del professore
riempì la
stanza ragguagliando i ragazzi su cosa si aspettasse da loro.
— Aprite
il libro e andate alla pagina che parla del Basilisco.
—
Disse imperiosamente girando tra i banchi incutendo timore
con
il solo sguardo severo. All’istante la mano di una
studentessa
scattò verso l’alto e, muovendo le dita
nervosamente, cercò di
attirare l’attenzione. L’uomo, per nulla sorpreso,
deliberatamente si posizionò al centro dell’aula
voltandole con
astuzia le spalle, continuando imperterrito con la presentazione
della lezione. Notando che l’attenzione degli alunni scemava
perché
intenti a guardare la ragazza che si sbracciava quasi sdraiata sul
banco, si decise a rivolgerle la parola.
— Signorina
Granger, non ammetto uscite fuori programma durante le mie lezioni,
se ha bisogno di andare in bagno doveva farlo prima di prendere posto
nella mia aula. — riuscì
a schernirla pur usando un tono piatto, i ragazzi Serpeverde
sorrisero sardonici.
— Ma
professore... — provò
a intervenire uno studente notando l’espressione ferita della
ragazza.
— Cinque
punti in meno per aver disturbato, signor Finnigan. Posso continuare
con la lezione o devo togliere altri punti? —
chiese
retorico. —
In quanto a lei, Signorina Granger, mi
presenterà domani,
oltre ai soliti compiti, una ulteriore pergamena in cui spiega, in
modo creativo, perché non deve disturbare una mia lezione
con i suoi
patetici interventi. Infatti, ritengo che chiunque, leggendo le
pagine del libro in dotazione, sarebbe stato in grado di sciorinare
le stesse informazioni con cui ci stava per annoiare. Ora, —
proseguì
voltandosi verso il rosso. —
visto
che il suo focoso compagno di banco sembra deciso a emulare sul viso
il colore dei propri capelli, nell’inutile speranza di dire
qualcosa di eclatante, proporrei anche a lei lo stesso elaborato.
Inoltre le suggerirei, se proprio deve copiare, lo faccia in modo
intelligente. Ma ahimè dovrò già
rassegnarmi all’idea di tale
mancanza visto la penuria di questa caratteristica. —
concluse
dipingendosi sulle labbra
un ghigno malefico mentre i Serpeverde
scoppiavano a
ridere e i Grifoni a protestare.
— Silenzio!
— tuonò.
— Cinquanta
punti in meno ai Grifondoro ed
ora riprendiamo la lezione, non ammetto
nessun’altra interruzione.
Il
malcontento sul volto di Ron era lampante. Dentro di sé
rimuginava:
“L’atteggiamento negativo del professore
nei confronti di noi
Grifoni è da attribuirsi
unicamente all’odio
profondo che prova verso quell’inetto di Potter, e se
cambiasse
qualcosa?”
Il
giorno della prima partita del campionato di Quidditch
arrivò
senza ulteriori scosse. In una giornata particolarmente fredda e
ventosa scesero in campo, a contendersi il Boccino
d’oro, le
squadre di Corvonero e Grifondoro.
Eletto
all’unanimità dalla sua Casa come capitano, un
orgogliosissimo
Ronald Weasley in quelle settimane aveva allenato duramente i
componenti della propria squadra che, a suo avviso, era la
più
quotata come pretendente al titolo. Aveva mantenuto per sé
il ruolo
di portiere, dando per scontata la propria bravura senza considerare
minimamente la possibilità di essere sostituito, e a sua
sorella il
ruolo che era appartenuto al più giovane cercatore di tutti
i tempi:
Harry Potter. Il restante dei componenti era stato scelto
più per
simpatia che per reale bravura. La conoscenza del Grifone
verso questo straordinario sport era leggendaria e visto la mancanza
di Harry, l’intera Casa rosso–oro
si affidò completamente
a lui; così quella mattina, appena dopo la solita abbondante
colazione, scese in campo tronfio, esibendo come un pavone la fascia
da capitano. Sugli spalti, gli spettatori elettrizzati
schiamazzavano, chi inneggiando slogan, e chi fischiando derisorio;
tutto il castello era presente alla partita curioso di conoscere le
tattiche adottate dal sostituto del famigerato Harry Potter.
Fu
una totale disfatta.
Infatti,
sorprendentemente, i Grifondoro persero contro
quelli che
sulla carta erano considerati i più deboli. A nulla era
servito che
una intraprendente Ginny Weasley avesse preso il boccino
poiché il
fratello si era fatto rifilare ben cinquantuno centri con la pluffa
in poco più di mezz’ora di partita. Poco prima
della fine
dell’incontro, il morale del
capitano era
sprofondato nel baratro quando si rese conto che sugli spalti erano
rimasti solo gli striscioni incantati e qualche Corvonero
che esultava lanciando scintille con la bacchetta.
— Ho
volato in modo impeccabile, riuscendo
con
la scopa in alcune mosse davvero difficili e pericolose ma non
è
stato abbastanza perché il tanto decantato Re
del Quidditch ha
vanificato ogni sforzo
fatto dalla
squadra. — gli
vomitò addosso infuriata la Cercatrice,
una
volta raggiunto lo spogliatoio. Ma
il peggio li attendeva in Sala
Grande
dove, al loro ingresso, i Serpeverde
si alzarono tutti in piedi per applaudirli inneggiando canti beffardi
al loro ritrovato Re.
Scoppiò il
putiferio: da un lato
all’altro del locale volarono gli incantesimi che costrinsero
i
ragazzini più piccoli a nascondersi impauriti sotto i grandi
tavoli;
vennero tolti molti punti alle quattro Case e
alcuni dei
contendenti finirono in infermeria; tra di essi vi era Ron che,
sdraiato sul proprio letto, rimuginava incattivito sulla fama
dell’ex
compagno che continuava a perseguitarlo.
In
un tardo pomeriggio di novembre, nell’aula di Difesa
contro le
Arti Oscure regnava sovrano il silenzio. Fuori, oltre i
secolari
muri del castello, imperversava da giorni una bufera di neve.
— Oggi
non faremo uso dei libri, — Disse
il
professore entrando con passo deciso, —
posizionatevi in due file ordinate, una di fronte
all’altra
lasciando due metri di spazio libero. —
L’aria
fu immediatamente satura di eccitazione: finalmente per ogni studente
era arrivato il momento di mettere in pratica i frutti del loro
intenso studio. Con un gesto della bacchetta, il docente
impilò i
banchi contro la parete e fece apparire dei morbidi cuscini in terra,
alle spalle di ogni studente. —
In
questa prima prova valuterò la vostra
preparazione: quelli
alla mia sinistra lanceranno un incantesimo di disarmo e
l’avversario
di fronte dovrà difendersi con uno protettivo; poi vi
scambierete i
ruoli. Ora osservate attentamente il movimento del polso e ripetetelo
mentre passo tra di voi a correggere la postura. —
Lentamente risalì la fila osservandoli e
criticandoli in ogni
loro più piccolo errore. —
Noto che la
nostra nuova celebrità si sta annoiando, —
disse fermandosi
a un passo da Ron Weasley, —
cinque
punti in meno a Grifondoro per
la scarsa attenzione
dimostrata.
Il
Grifone, per nulla turbato rispose strafottente: —
Sono magie che pure un ragazzino al primo anno
è in grado di
fare.
— Perfetto,
Signor Weasley, ora darà a tutti noi una dimostrazione delle
sue
eccezionali doti. Signor Paciock, —
disse
improvvisamente
facendo sussultare il ragazzo in
questione,
— prego
si posizioni davanti al
suo compagno di Casa mentre la Signorina Granger andrà
davanti al
Signor Zabini. Tutti gli altri si accomodino in fondo
all’aula ad
assistere a questo straordinario evento. —
Aspettò
paziente che gli studenti
eseguissero l’ordine per poi rivolgersi ai ragazzi al centro
dell’aula —
Mettetevi
in posizione, —
cominciò
a elencare il Professore, —
fate
il saluto e
al mio tre il Signor
Weasley e la Signorina Granger attaccheranno rispettivamente il
Signor Paciock e il Signor Zabini che dovranno difendersi. Siete
pronti? Uno… due… tre!
Contemporaneamente
i fasci di luce scaturiti dalle bacchette illuminarono la stanza.
Subito dopo si sentì lo schianto di un corpo che cozzava
contro la
parete e quello ovattato di uno che scivolava sul cuscino. Nel
silenzio più totale, l’esterrefatta classe
osservò il del Re dei
Grifoni, semi svenuto, giacere
scomposto in terra
mentre la sua bacchetta era rimasta esattamente dove prima poggiavano
i piedi del proprietario; più composta e aggraziata la
figura
femminile della Grifondoro si era accasciata sul
cuscino.
Mortificata, la ragazza si rialzò in fretta per raggiungere
Ron e
cercare di alzarlo. Soddisfatto del suo operato, Zabini
ritornò tra
le schiere sorridenti dei Sepeverde
che presero
subito a sbeffeggiare il traditoredelpropriosangue;
in mezzo
all’aula rimase da solo un impietrito Neville con tanto di
occhi
strabuzzati come piattini da caffè.
— Perfetto,
venti punti a Serpeverde
per questa ottima
dimostrazione di padronanza della materia. —
Poi
si rivolse al ragazzo che continuava a stare pietrificato al centro
dell’aula. —
Signor Paciock, chi
l’ha istruita così bene? Non credo siano stati i
miei colleghi
precedenti. Sono oltremodo colpito, con una semplice formula come il
Protego, ma di inaudita potenza, —
aggiunse con voce
sorpresa, — abbia
sbaragliato l’autoproclamatosi salvatore di tutte le genti.
Neville,
intimorito, balbettò: —
Harry Potter.
— Chi
l’avrebbe mai detto. Cinque punti al Signor
Paciock per aver
dimostrato una perfetta sincronia nei movimenti non lasciando scampo
all’avversario.
L’intera
classe rimase sconvolta e a bocca aperta: era la prima volta che il
Professore assegnava punti alla Casa dei rosso–oro!
Quella
stessa notte, una figura furtiva si aggirava nei freddi corridoi del
castello approfittando delle ombre. Poco dopo, dalla Guferia,
uno strampalato ospite si tuffò nella tormenta stringendo
tra le
zampette il suo prezioso carico.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
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Capitolo 15 *** Cap. 15 - Distruggo me stesso... ***
Il
morso del diavolo
Cap.
15
– Distruggo me
stesso...
L’incidente
subito da Harry, oltre a renderlo un Magonò,
lo aveva
privato
quasi del
tutto della
capacità
di percepire
la magia intorno a sé. Camminare per il castello lo faceva
sentire
esposto
e inadeguato
ad affrontare qualsiasi evenienza.
Era come
muoversi in un
tunnel buio mentre
le pareti ti
franavano
addosso
e, allo
stesso tempo,
era come cadere
dalla scopa
dopo aver volato a folle
velocità in
una splendida
giornata
inondata dal sole.
Era come
avvertire ogni
minimo rumore ma, al contempo, non essere in grado di identificarlo.
Era vivere in
totale
silenzio,
all’interno di una bolla immersa in un mare in tempesta; perché
Harry, da allora, non aveva più percepito il brusio, proprio
lì,
in
quell’angolo della testa dove Voldemort era solito parlargli.
Si
sentiva tradito e
abbandonato
da quando non sentiva
più lo
scoppiettio vivace
degli incantesimi nel momento in cui si distaccavano dalle bacchette
ma,
soprattutto, da quando
non coglieva più il
formicolio della magia che dimorava
dentro di lui.
Quella
sera Harry si svegliò urlando in preda al panico, incredulo
e
frastornato, sommerso dalla collera di Lord Voldemort. Nella testa
pulsava dolorosamente la furia di quell’essere che, essendo
particolarmente violenta, aveva polverizzato il velo che
l’aveva
tenuto isolato finora. Accanto a lui, la piccola elfa singhiozzante
combatteva contro il desiderio di farsi del male per non aver
accudito in modo adeguato il padrone. Harry si sedette boccheggiante
sul bordo del letto, incurante dei piedi nudi appoggiati sul gelido
pavimento di pietra, tenendo la testa reclinata sul petto e le mani
serrate nei capelli arruffati. Il respiro affaticato gli scuoteva le
spalle curve mentre tutto il corpo tremava in preda alla paura. Dopo
quelle che gli sembrarono ore, un lamento sfuggito dalle proprie
labbra serrate lo riscosse e lo fece precipitare fuori dalla stanza
senza curarsi delle possibili conseguenze se l’avessero
visto;
l’elfa lo seguì appresso nella speranza di
dissuaderlo.
Concitatamente percosse la porta situata affianco alla propria
finché
Draco, palesemente infastidito, non l’aprì.
Accortosi subito di
chi aveva di fronte, il Serpeverde richiuse
repentinamente la
porta dietro si sé. Draco, impacciato per la situazione e
tenendo il
viso rivolto alla propria stanza, sospinse con urgenza Harry verso la
nicchia che celava l’entrata della sua camera;
l’aspetto
leggermente trasandato non lasciava dubbi su chi avesse appena
lasciato, visto l’alone di profumo floreale che lo seguiva.
Vergognandosi della propria condizione e temendo di leggere il
rimprovero negli occhi di Harry, Draco indugiò un attimo
prima di
alzare lo sguardo, ma quello che vide subito dopo gli fece rilasciare
un verso strozzato: Harry era una maschera terrorizzata – una
lunga scia rossastra scendeva dalla cicatrice sulla fronte
– e
tremava in modo convulso biascicando parole senza senso.
D’impulso
lo abbracciò stretto, nel vano tentativo di rassicurarlo e,
contemporaneamente, cercò di aprire la porta dietro la
schiena di
Harry perché temeva che qualcuno potesse sopraggiungere e li
scoprisse; un occhio era incollato alla propria stanza, da dove
avvertiva il proprio ospite dare segno di irrequietezza. Finalmente,
con voce flebile Harry riuscì a biascicare: —
Lo sa.
— Cosa!?
— Urlò Draco
staccandosi di colpo dal corpo tremante di Harry.
Winky
eseguì con prontezza l’incantesimo di Disillusione
per sé e per il proprio padrone, mentre sospingeva
quest’ultimo al
di là dell’uscio ormai aperto. Nello stesso
istante, la porta
della camera di Draco si spalancò e ne uscì una
infastidita Pansy
richiamata dall’urlo; Draco fece appena in tempo a leggere il
dolore negli occhi di Harry prima che questo svanisse ai propri
occhi. Il Serpeverde ignorò le
fastidiose lamentele della
ragazza e la liquidò in malo modo distratto da un pensiero.
“Chi
ci ha tradito? Eppure siamo stati
molto
attenti.”
Sospirò
“Ho
sacrificato così tanti momenti preziosi
con quella noiosa
ragazza ed è stato tutto inutile. Dove abbiamo
sbagliato?” Perso in queste elucubrazioni
entrò senza bussare
negli alloggi del suo padrino. Severus, preso in contropiede, si
bloccò nell’atto di usare la Metropolvere
e dal suo pugno
chiuso scivolò un po’ di Polvere Volante
sul tappeto bianco.
— È
questo il modo di entrare in una stanza? —
Lo
apostrofò indispettito l’uomo.
— Severus,
dove stavi andando? — Chiese
perplesso
Draco, poi, scuotendo il capo riprese, —
Non
importa, Harry si è svegliato tutto agitato e mi ha detto
che
Tusaichi ha scoperto che è ancora vivo, —
lo
guardò apprensivo. —
Questo vuol
dire che ora sospetta di
te. — Finì
terrorizzato.
— Chi
è stato? — Sibilò
furioso l’adulto,
raggiungendolo in due falcate. —
Senti,
non ho molto tempo: mi ha convocato il Signore Oscuro e ora ne
comprendo il motivo. Devo trovare immediatamente una scusa plausibile
da presentare a mia discolpa o verrò sicuramente ucciso.
Ascolta, —
disse con
tono fermo mettendo le
mani sulle spalle del ragazzo per rassicurarlo, —
prendi la mia bacchetta ed esegui l’incantesimo
che c’è
scritto su quel foglio. — Con
la mano indicò una pila di libri su un basso
tavolino
incastrato tra due colonne. —
È pronto
da giorni ma non sono riuscito a testarlo quindi leggi bene le
istruzioni e vedi di non sbagliare perché abbiamo una sola
possibilità, — spiegò
velocemente, —
poi va’ da
Harry e fagli bere la pozione rossa, quella di Merlino
per
intenderci, e assistilo tutta la notte se necessario, ti avviso che
non sarà una cosa facile. —
Intanto il
giovane Serpeverde scuoteva la testa, gli occhi
erano enormi e
stravolti. — Non ho
ancora finito, —
disse
trattenendolo e fissandolo
con gli occhi
neri come l’ossidiana,
— devi istruire
Winky in modo tale che, se entro due ore non
sarò ancora
tornato, venga a prendermi ovunque io sia: il Signore Oscuro se lo
aspetta. Ricordati, — sospirò,
— prima che
l’elfa si prenda cura della
mia persona tu, — lo
sottolineò con
enfasi, — dovrai
farmi il contro
incantesimo. È importante, devi eseguirlo prima, sono stato
chiaro?
— Scandì lapidario.
Draco
camminò avanti e indietro più volte in cerca
della calma interiore
poi, con mano tremante, prese il foglio e lo lesse attentamente
facendo fare al polso vari movimenti, infine eseguì
perfettamente
l’incantesimo. Dopodiché Severus sparì
nel camino in una nuvola
verde. Rimasto solo, il Serpeverde prese la fiala,
contenente
un liquido rosso rubino, nascosta dietro a tre file di barattoli
colmi di occhi di salamandra e si recò da Harry. Quando
entrò nella
stanza del Grifondoro, lo trovò
appallottolato sul letto,
chiuso in una muta disperazione. Senza perdersi d’animo,
Draco
istruì in modo preciso Winky e la spedì negli
alloggi del padrino,
in attesa. Poi raggiunse il letto e, avvolto tra le proprie braccia
il corpo di Harry, con parole dolci, lo convinse a bere la pozione.
Un
urlo straziante rimbalzò tra le pareti disadorne.
Note
dell’autrice: grazie a
chiunque legge e leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
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Capitolo 16 *** Cap. 16 - ... per far nascere un nuovo io ***
Il
morso del diavolo
Cap.
16 – … per far nascere un nuovo io
La
stanza era pregna di dolore, sembrava che trasudasse dalle pareti
stesse. Le poche candele accese illuminavano fiocamente il letto;
sulle lenzuola sfatte e intrise di sangue, giaceva, contorcendosi
come una biscia, Harry. Draco, inorridito e spaventato, aveva
lanciato un Incaceramus per
bloccargli i polsi alla testata del letto, per evitare che si
grattasse la pelle a sangue; il
Serpeverde lo guadava
impotente inarcare la schiena e agitarsi, mentre tentava di
liberarsi. Entrambi sapevano a cosa sarebbe andato incontro il
Grifone – nel
suo libro Merlino era stato piuttosto
esplicito
– ma quello che non avevano previsto era
l’intensità con cui il
corpo di Harry era
stato
investito dal risveglio del
suo nucleo
magico. Durante
il processo,
il corpo del
ragazzo aveva
raggiunto una
tale elevata temperatura che Draco
– a un certo punto ne fu
assolutamente certo
– arrivò
a
pensare
che il sangue stesse bollendo: con i propri occhi vide scorrere un
fiume nero che si irradiava
dal cuore di Harry fino a raggiungere il più remoto
capillare, sulla
sua pelle era come se ci fosse tatuato
un albero spoglio in attesa dell’arrivo della primavera. Mosso
da un impulso irrefrenabile, il Serpeverde
salì sul letto e si sdraiò sul corpo di Harry,
inchiodandolo al
materasso, abbracciandolo
stretto. Posando
la bocca
sull’orecchio dell’altro, cominciò a
sussurrare parole di
conforto e nel contempo asciugare con lievi baci le lacrime che
scendevano lungo le gote bollenti.
— Sh.
Non durerà ancora per molto. Sh.
Dopo
essersi dimenato e aver urlato per un tempo indefinito, finalmente
Harry crollò esausto in un sonno agitato. In quel momento,
c’era
un silenzio innaturale e Draco, seppur esausto, si perse ad
osservarlo senza accorgersi che egli stesso stava piangendo. Nella
testa gli vorticavano molti pensieri cupi: “In
pochi
sanno che Harry è
vivo e quei pochi sono
tutti suoi amici o,
per lo meno, dovrebbero
esserlo. Dunque, chi
trarrebbe vantaggio da
questa rivelazione?” Non fece in
tempo a formulare
possibili ipotesi che gli apparve dinnanzi Winky, terrorizzata,
incitandolo a seguirla. Disturbato dal rumore secco della
Materializzazione, Harry aprì gli occhi
cerchiati di rosso.
— Devo
andare un attimo da Severus, —
gli
disse premuroso Draco, baciandolo sulla fronte umida, —
torno subito. —
Aspettò
che chiudesse di nuovo
gli occhi e
velocemente si diresse verso la stanza del padrino, ma quello che
trovò gli ghiacciò il sangue nelle vene.
L’uomo
era ridotto ad un ammasso sanguinante di carne – segno
evidente
di un incanto Lamatagliente
– la schiena, un mosaico di lacerazioni che
denudavano le
ossa, sicuramente fatti con la frusta – l’incantesimo
preferito dalla
cara Bellatrix
– si muoveva con scatti spasmodici – certamente
hanno abusato
con le Cruciatus
– ma ciò
che lo sconvolse di più fu l’espressione del viso:
era uno sguardo
alienato, gli occhi annebbiati erano intenti a scrutare il nulla,
dalla bocca schiumava la bava alternata a parole bofonchiate. Seppur
spaventato a morte per la sorte del padrino, celermente
effettuò il
contro incantesimo, appreso qualche ora prima – Memoriam
redeat
ad Maximum
– per poi lasciare campo libero all’elfa
permettendole così di
prendersene cura. Riluttante, lasciò la stanza per tornare
da Harry,
entrò nel letto e se lo strinse addosso.
— È
ridotto male, vero? — sussurrò
con voce spenta il Grifone, in risposta Draco lo
abbracciò
più stretto.
Qualche
ora prima, Severus entrò con passo sicuro nel salone di
Villa
Malfoy, tra le pieghe di un tendaggio a sinistra partì uno
Stupeficium che gli sfiorò il naso
adunco; per nulla
impressionato, proseguì imperterrito fino ad arrestarsi ai
piedi del
Signore Oscuro, inginocchiatosi, gli baciò la veste. Un
poderoso
calcio lo colpì in pieno viso mandandolo disteso a terra tra
le
risate di scherno degli altri Mangiamorte presenti;
nell’aria
divenuta elettrica, Severus, con grazia, riconquistò la
posizione
genuflessa e rimase in attesa.
— Crucio!
— sibilò con
rabbia Lord Voldemort, —
Crucio! —
disse con più foga. Il corpo del professore si contorse per
il
dolore ma, stoicamente, nessun lamento abbandonò le sue
labbra.
— Mi
hai deluso, — lo
apostrofò il Signore Oscuro. — Avevo
grandi progetti su di te, — continuò
dopo aver lanciato di nuovo la Maledizione
Cruciatus —
Parlami di Potter.
— Ma,
mio Signore, — balbettò
Severus lanciando uno
sguardo perplesso,
— non capisco,
chi è questo
Potter?
— Non
mentirmi! —
l’interruppe furioso. —
Crucio!
Cercando
di ritrovare il respiro, Severus gli rivolse uno sguardo
interrogativo:— Mio
Signore, continuo a non
capire, in tutta la
mia vita non ho mai sentito quel nome.
— Ma
davvero? — disse
dubbioso, — Nemmeno
se ti accenno il nome di quella Babbana,
come si chiamava? —
chiese
a nessuno in particolare, da dietro il grande divano uscì
tremante
Peter Minus:
— Lily
Evans, mio
Signore, —
suggerì
mellifluo, mentre sbirciava
di sottecchi il Pozionista.
Severus non si scompose e
continuò
a guardare dritto negli occhi il Lord,
nessun cenno di aver riconosciuto il nome dell’amata. —
Uscite tutti,
—
intimò Lord
Voldemort a tutti i presenti. —
Tranne Lucius
e Bellatrix.
— No...
Lily... no!
Un
uomo, corroso dal dolore, coccolava e accarezzava il corpo esanime di
una giovane donna dalla delicata bellezza: i capelli rosso Tiziano
erano un ventaglio spalancato mentre le iridi, un tempo di un verde
prato inglese, lo guardavano spente e opache. Dondolava,
l’uomo,
accucciato sulle proprie gambe, cullandola dolcemente; in sottofondo,
l’eco di un pianto fanciullesco accompagnava quello
più adulto.
— Severus
consegna la tua bacchetta a Lucius, —
gli
ordinò il Signore Oscuro; una volta fatto, colpì
la bacchetta del
Pozionista
con l’incanto Prior
Incantatio
per scoprire quale incantesimo avesse fatto perdere la memoria al suo
più prezioso
alleato. Nella
pergamena che
l’aveva raggiunto nottetempo,
era scritto a
chiare lettere che Severus era a conoscenza che l’odiato
Potter
fosse ancora
vivo. Incapace di pensare a un reale tradimento, era più
propenso a
ritenerlo vittima di un
sortilegio.
“Forse
l’autore della missiva voleva
tendermi una trappola e allo stesso tempo vendicarsi di Severus,”
pensò Tom
Riddle osservando
ciò che la bacchetta rivelava. “Infatti
il Maximum Memoriam Eius
non solo priva la
memoria di
uno specifico ricordo ma solo chi ha eseguito l’incantesimo
può
ripristinarlo.”
Furioso, scagliò incantesimi ovunque distruggendo tutto
quello che
toccava.
— Legillimens,
— disse
fissando negli occhi Severus, che accolse con mitezza
l’intrusione.
Tom Riddle era talmente furioso che la propria magia lo rese una
presenza quasi corporea all’interno della testa
dell’uomo; cercò
ovunque un qualche accenno della Babbana
nella vita di Severus ma
fu
tutto inutile:
il sortilegio
era insormontabile persino per
un mago potente come lui. Con stizza abbandonò la mente così
repentinamente da costringere il capo dell’uomo a seguirlo
come
mosso da fili invisibili; Severus, come una bambola di pezza, si
accasciò a terra, gemendo.
— Bellatrix,
Lucius, divertitevi. — Concesse
il
privilegio ai due Mangiamorte, — Non
uccidetelo, se conosco Albus manderà un suo servo a
soccorrerlo. —
Poi sparì in un
turbine nero.
Un
ragazzo smilzo camminava rasente i muri concentrato sugli appunti
appoggiati in bilico sui libri, varcò l’uscio del
grande portone
del castello e fu colpito da un incantesimo: il naso gli si
gonfiò
diventando enorme, mentre due studenti poco più in
là ridevano
trattenendosi l’addome.
— Guardatelo!
— rideva il
più alto appoggiato a quello
occhialuto indicandolo con il dito tremante.
— Finite
Incantatem. — proruppe
una ragazza dai fiammanti capelli rossi appena
sopraggiunta
poi, voltatasi infuriata verso gli aggressori, urlò: —
Siete i soliti cretini; tolgo...
— Non
ho bisogno del tuo aiuto, stupida Sanguesporco. —
l’interruppe
rancoroso lo smilzo
raccogliendo i fogli sparsi; la ragazza si allontanò
indignata.
Nessuno
si avvide di quella lacrima abbarbicata sulle lunghe ciglia nere che
ombreggiavano gli occhi tristi, di quella mano tesa ad artigliare
inutilmente l’aria, del sospiro doloroso che
fuoriuscì dalle
labbra socchiuse: —
Lily...
— Povero,
povero, piccolo Severuccio, che gran peccato non ricordarsi di quella
Evans, vero? — La
risata infantile di Bellatrix arrivò a Severus attraverso la
nebbia
del dolore. — Diffindo.
—
Il Pozionista inarcò la
schiena urlando, mentre le
pelle si squarciava in profonde ferite. —
Non
disperare, appena avrò finito con te nemmeno tua madre ti
riconoscerà, Flagellum.
— Una frusta
apparve nelle mani della donna che, invasata, cominciò a
colpire
alla cieca.
Improvvisamente
al centro della stanza, accompagnata da un rumore sordo, apparve
Winky con le vestigia di Hogwarts ricamate sulla camiciola lisa.
Armata del famoso coraggio dei Grifondoro,
si
frappose tra la donna e il proprio padrone in una sorta di sfida;
vedendo che nessuno si muoveva, allungò la scheletrica mano
verso il
corpo esanime di Severus e, con un sonoro schiocco,
smaterializzò
entrambi. Dal lato opposto della stanza, Lucius lanciò
appena in
tempo l’incanto Pessimum
Somnum
Exterreri Solebat
che riuscì ad attraversare la cortina formata dal risucchio
della
materializzazione, centrando in pieno Severus.
Severus
correva veloce lungo un infinito corridoio candido intervallato da
anonime porte spalancate da cui uscivano densi lamenti che
appestavano l’aria come fumi tossici. Finalmente giunse alla
fine
di quel tunnel insolitamente niveo e quasi cadde quando
slittò per
colpa di una patina vischiosa che invadeva il pavimento. Infatti, da
sotto la porta blu cobalto che sbarrava la strada, filtrava un fiume
scarlatto che espandeva tutt’intorno un olezzo ferroso.
Terrorizzato, spalancò l’uscio e fu investito da
un torrente
vermiglio in piena; quando riuscì a riprendersi, vide il
corpo di
Harry adagiato su lenzuola immacolate: da sotto il materasso colavano
rivoli cremisi. Improvvisamente il ventre del ragazzo si
squarciò e
ne uscì Nagini a fauci spalancate.
— No!
— urlò
impazzito, accasciandosi a terra, immergendosi nel fluido ancora
caldo. — No! — Dalla
bocca del serpente fuoriuscì una risata cattiva insieme al
riflesso
di una maledizione: Afflictionem Animi.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
Buona
lettura.
|
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Capitolo 17 *** Cap. 17 - Ogni filo... ***
Il
morso del diavolo
Cap.
17 – Ogni filo...
Harry
si svegliò dolorante, avvolto nel calore confortevole del
corpo
solido di Draco stretto a lui. Con le membra ancora formicolanti,
stando attento a non svegliare il Serpeverde, si
divincolò e,
barcollando dalla stanchezza, raggiunse il bagno. Si sentiva esausto
e al contempo troppo carico, come se avvertisse l’impellente
necessità di scaricare l’eccesso di magia. La
pozione di Merlino,
assunta poche ore prima, nella sua grezza funzionalità,
ricordava
uno stimolatore cardiaco Babbano; una volta preso
possesso del
nucleo magico, la mistura, attraverso i vasi sanguigni, mandava
impulsi alle specifiche cellule per riattivare i canali atrofizzati;
il Grifone, nella propria testa, percepiva
quell’incessante
assordante ronzio che cavalcava in ogni direzione per raggiungere
ogni singolo punto. Sospirando rassegnato, Harry appoggiò la
fronte
alle fredde mattonelle grige del bagno: purtroppo il processo
intrapreso era lungo e doloroso, avrebbe dovuto prendere altre fiale,
dall’intensità decrescente, fino al completo
risveglio della
magia. “Però, se tutto
andrà secondo i
piani, la notte di Santo Stefano non solo
i fuochi del
Dottor Filibuster illumineranno
il cielo di
Hogwarts.” Pensò con una punta di
soddisfazione.
— Scusa
non era mia intenzione svegliarti. —
Rientrato
in camera, Harry vide Draco seduto alla scrivania, era evidente
l’agitazione che cercava di nascondere tenendo le mani
occupate a
riordinare i fogli di pergamena sparsi sul ripiano.
— Noi
dobbiamo parlare, Harry, —
si
decise a parlare, girandosi
verso di lui,
con voce
leggermente insicura. —
di Severus,
del Signore Oscuro, del
pazzo che ti ha tradito, della pozione e... di ieri sera. —
Draco tentennò
un po’ sulle ultime parole sebbene si
fosse imposto di non vacillare e mantenere il proprio sguardo fisso
sul Grifone, anche se opacizzato dal timore.
— Draco,
non mi devi nessuna giustificazione, non è necessario,
davvero, —
cercò di rassicurarlo Harry.
— Invece
sì! —
scattò
con veemenza il Serpeverde facendo sussultare
l’altro
ragazzo. — In
questi mesi, per poter
passare del tempo in tutta tranquillità insieme a te, mi
sono
costruito un alibi così da non destare sospetti su
ciò che facevo
in realtà. — Nervosamente
si passò le mani tra i capelli, stranamente
ancora arruffati
dal sonno. —
Frequentare Pansy mi dava un
ampio raggio di azione, mi permetteva di sparire senza dare troppe
spiegazioni, tutti avrebbero pensato che ero con lei; la mia fama di
stronzo avrebbe coperto le mancanze nei suoi confronti. —
Frustato
intrecciò le mani nei
capelli canditi abbassando il capo.
— Devi
sapere, — riprese
appoggiando i gomiti sulle ginocchia appena divaricate. —
che sono
cresciuto con il nome di
Harry Potter bisbigliato di bocca in bocca nei salotti che la mia
famiglia era solita frequentare. Inoltre, il fatto che avessimo la
stessa età, mi permise di fantasticare su una nostra
possibile
cooperazione. L’estate prima di partire per Hogwarts
l’avevo
trascorsa a preparare discorsi con cui sorprendere e affascinare il
grande eroe, costringendo gli elfi a stare seduti per ore e ore ad
ascoltare. — Una
leggera risatina di
scherno provenne dal muro dove, nel frattempo, Harry si era
appoggiato. Draco sbuffò spazientito. —
Poi
incontrai te: uno scricciolo di bimbo spaesato con i capelli
più
incasinati che avessi mai visto, avvolto in abiti deformi, gli
occhiali dozzinali che nascondevano lo sguardo più verde e
determinato che si fosse mai posato su di me. Ogni cosa perse
importanza, da quel momento sei esistito solo tu e il mio crescente
desiderio di far parte della tua vita. In quegli istanti, cercando di
fare una buona impressione, mi gonfiai il petto e ti assillai
raccontandoti stupidi aneddoti, perfino il mio interesse per Harry
Potter diventò un ricordo lontano. —
Sorrise
malinconico.
— Ero
così elettrizzato all’idea di rincontrarti, che il
primo settembre
costrinsi mio padre, —
Draco rivisse quei
ricordi con l’amaro in bocca. —
ad
arrivare a King’s Cross in anticipo di ore. Salito sul treno,
quasi
mi dimenticai di salutare i miei genitori per la fretta, presi posto
davanti al finestrino che aveva la visuale migliore sul muro
divisorio. Mi piazzai lì in attesa del tuo arrivo, incurante
di
alcuni dei miei compagni che prendevano posto nello scompartimento. —
Voltò
leggermente il capo per non far
scorgere a Harry le proprie guance rosate. —
Mi ricordo ancora tutta quella agitazione provata che mi
faceva tremare le mani perché il treno stava per partire e
di te non
c’era traccia, finché finalmente sbucasti da
dietro una mandria di
capelli rossi. — Vergognandosi
un po’
abbassò la testa fino a quando il mento non gli
sfiorò il petto. —
Scattai immediatamente come una molla sul sedile di pelle
e
Blaise, incuriosito, intercettò subito la direzione del mio
sguardo.
Con il suo sorriso più falso mi disse che aveva
l’onore di farmi
sapere che quel bambino – cioè il
ragazzino a
cui non riuscivo a smettere di pensare – che
guardava
meravigliato intorno, a bocca spalancata come un povero Troll,
era nientemeno che il grande Harry Potter. Immagina lo shoc alla
notizia; nonostante tutto, volli lo stesso mettermi in gioco e
offrirti la mia amicizia. Sappiamo entrambi come andò a
finire. —
Arrabbiato sbatté un pugno sulla scrivania
prima di
raggiungere velocemente Harry e inchiodarlo al muro, trattenendolo
con le proprie mani sulle sue spalle.
— Non
hai idea della frustrazione che ho avuto in questi anni
perché,
sebbene desiderassi far parte della tua vita, ogni giorno seguivo il
volere di mio padre. — Con
una spinta
decisa si allontanò e iniziò a camminare nervoso.
—
Ambivo a
starti vicino per
apprezzare, come meritava, l’Harry che ti ostinavi a
nascondere al
mondo, bramavo di abbracciare quel ragazzino triste che soffocava
dietro i propri sorrisi, volevo sentirmi libero di parlare con quel
bambino ostinato che affrontava i pericoli a testa alta. —
Una lacrima scappò dalle ciglia bionde di
Draco, mentre
voltava in fretta il capo per non far scorgere il proprio turbamento.
— Volevo
condividere l’aria che
respiravi.
Con
delicatezza una mano gli voltò il capo facendogli scorrere
un
brivido lungo la schiena, Draco spalancò gli occhi umidi e
li
immerse nella profondità di un lago montano, nella
sincerità di due
limpidi occhi verdi che lo osservano con affetto.
— Ho
imparato ad apprezzarti, —
esordì Harry,
mentre abbracciava il ragazzo biondo, intensificando la presa al
primo tentativo del Serpeverde di allontanarsi. —
Stavo dicendo che ho imparato ad apprezzare il ragazzo che
si
nasconde dietro i soldi del padre, che, seppur soffocato
dall’ipocrisia di un’educazione rigida e superata,
è riuscito
comunque a mantenere integro il suo vero io dietro quella maschera
che usa come scudo per non soccombere. —
Le
dita del Grifone accarezzavano lievemente il volto
di Draco,
spruzzato di un delicato rosa.
— Sei
speciale, — continuò,
— hai
un cuore generoso che ti
ostini a ignorare, timoroso delle conseguenze nel caso le tue azioni
non dovessero compiacere tuo padre. Sei caparbio perché,
nonostante
gli insuccessi, ti rialzi e trovi nuove strade per andare avanti. Sei
dolce e ti preoccupi per le persone a cui vuoi davvero bene. Sei
bello, di una bellezza eterea perché, nonostante
l’orrore che ti
circonda, sei rimasto puro e candido dentro il tuo cuore. —
Draco sbuffò imbarazzato, sentiva le proprie guance
bollenti, segno
evidente che era arrossito oltre ogni limite. Harry sorrise
intenerito e intensificò la presa avvicinando il proprio
volto fino
allo sfiorarsi dei loro nasi; il fiato dell’altro ragazzo
risultò
un fresco sollievo per le guance accaldate di Draco.
— Potrei
andare avanti ma mi preme dirti che voglio bene a questo Draco, non
importa quanto stronzo e crudele tu sia stato. —
Il Serpeverde piegò le belle labbra in
una smorfia
imbronciata. —
Perché lo sei stato, —
rimarcò serio Harry, —
io
ti voglio al mio fianco in questa guerra. A questo punto non potrei
più concepire la mia vita senza di te: senza le tue continue
lamentele da principino viziato, senza i tuoi logorroici discorsi,
senza la tua vanità, senza i tuoi preziosi sorrisi
perché gemme
uniche e rare, senza il tuo affetto, senza la possibilità di
dimostrarti ogni giorno quanto tengo a te, senza il calore dei tuoi
abbracci. — Il
Grifone tentennò un
attimo prima di raddrizzare la schiena e proclamare con gli occhi
brillanti di determinazione: —
Io vincerò
e lo farò per te, per Severus, per noi due. E mentre
combatterò tu
sarai al mio fianco, dalla parte giusta.
Spinto
da una nuova emozione ancora acerba e inspiegabile, Harry
baciò le
lacrime che avevano preso a scorrere sulle guance diafane di Draco.
Erano baci soffici e delicati che infransero ogni reticenza
dell’altro ragazzo, baci caldi e umidi che finirono per
sfiorare
gli angoli della bocca. Infine, i baci divennero salati e profondi
dati a labbra accoglienti e frementi.
Abbracciati
tanto stretti da fondersi, i due cuori si scambiarono promesse.
— Draco,
— Harry a
malincuore interruppe il bacio,
— è
ora di andare.
— Perché
devi sempre interrompere sul più bello? —
chiese indispettito un arruffato Serpeverde.
— Sempre
questo inutile sarcasmo, —
Sospirò
il moro. — Comunque
è quasi ora di colazione e voglio che tu sia
in Sala
Grande in tempo per assistere all’entrata di ogni
studente,
dovrai osservare e capire chi non è affatto stupito
dell’assenza
di Severus: perché il traditore è più
che convinto che lui ormai
sia morto. — Draco
aggrottò la fronte segno della sua ritrovata
serietà, annuì
e, a malincuore, si staccò da Harry con un ultimo bacio. —
Ora vado da
Severus a vedere come
sta, — proseguì
il Grifone,
— poi, verso
la fine della colazione, verrò in Sala
Grande.
— Sei
sicuro? — chiese
ansioso Draco. — Non
è troppo presto?
— Non
ha più senso nascondersi ora che Voldemort sa che sono vivo.
Scambierò due chiacchiere con il Preside davanti a tutti e
vada come
deve andare. —
rispose deciso Harry. —
Ora vai nella tua stanza e
fatti bello. —
Sorrise sarcastico mentre lo agguantava per il colletto della camicia
per scambiare un ultimo veloce bacio, poi entrambi
uscirono
dalla stanza. Mentre Draco si cambiava e raggiungeva la Sala
Grande, un preoccupato Harry si ritrovò ad
affrontare l’inferno
in cui era sprofondato Severus, nel momento stesso in cui
varcò
l’uscio dei suoi alloggi.
— Padron
Harry, padron Harry. —
L’elfa
spaventata gli corse incontro per aggrapparsi ai pantaloni e tirarlo
verso il divano su cui giaceva irriconoscibile il Pozionista.
— Venga, venga,
—
strillava con
voce piagnucolante. —
Winky non sa
che fare.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
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Capitolo 18 *** Cap. 18 - ...trova sempre il suo nodo ***
Il
morso del diavolo
Cap.
18 – ...trova sempre il suo nodo
Harry
entrò lentamente nella stanza, quasi in punta di piedi,
timoroso che
un rumore improvviso avrebbe ridotto in frantumi quel poco che
restava dell’anima del Pozionista;
intanto, l’elfa lo
tirava per i pantaloni, incitandolo a fare presto, continuando a
borbottare tra sé: “cattiva Winky,
cattiva Winky.” Ogni
ricordo che il Grifondoro riuscì a
evocare su Severus lo
rammentava con la postura orgogliosa e rigida di un uomo costruitosi
da sé. Su quel divano sfatto, invece, vi era raggomitolato
un corpo
consunto e dallo sguardo vacuo, le membra sobbalzavano scosse da
forti tremori e le labbra, piegate in una smorfia atroce,
trattenevano le urla che sarebbero state pungenti come spine di rovo.
— Presto,
Winky, passami il libro degli incantesimi, è quello con la
copertina
blu e gialla su quello scaffale laggiù, — disse
Harry, mentre si accostava al divano per detergere la fronte sudata
di Severus. — Ti
ricordi se qualcuno ha
pronunciato qualche incantesimo mentre lo portavi via? —
chiese con
voce stanca e preoccupata
Harry.
— Winky
ha sentito dire da uomo biondo Pessimum,
pessim...
—
L’elfa prese a battere la lesta
contro il muro. — Spiace
me, spiace me,
non ricordo, non ricordo. — Piagnucolò.
— Basta!
— La
sgridò Harry, —
Non è colpa tua. Calmati e prova a pensare di
nuovo.
— Cattiva
Winky, cattiva Winky, — si
disse il piccolo esserino mentre ritrovava la calma, come le era
stato ordinato; Harry, affranto, scuoteva la testa sempre
più
nervoso e preoccupato.
— Ecco
ora me ricorda, — sorrise
soddisfatta
Winky con i suoi tondi occhi acquosi, —
Pessimum Somnum Este.
— Bravissima,
— la lodò il
Grifone. —
Ora
cerco la formula sul libro, intanto tu riordina la stanza e
procuragli dei vestiti puliti. —
Febbrilmente
prese a leggere le note finali del libro in cerca della pagina
riservata a quell’incantesimo. Per una frazione di secondo,
prima
che l’elfa ricordasse, pensò di usare la Legilimanzia
su Severus – aveva appreso quell’arte in
modo
teorico durante gli studi fatti
insieme a Draco
in quell’interminabile estate appena passata
– ma scartò
subito l’idea perché sarebbe stata invasiva e
troppo intima: “Non
voglio più sbagliare con lui, tengo
troppo
alla sua stima.”
— Finalmente
l’ho trovato! — Balzò
in piedi felice.
—Winky
preparati. —
Harry rilesse più volte il testo per essere sicuro di aver
capito
quali fossero i movimenti giusti da eseguire, la perfetta sincronia
ottenuta con la magia elfica avrebbe fatto il resto. Una volta
pronunciato il contro incantesimo, si inginocchiò a lato del
divano
a scrutare ansioso, sul volto scavato dal dolore del Pozionista,
i primi effetti positivi sulla mente del professore.
Per
anni aveva inteso quell’uomo burbero un essere cattivo e
crudele,
anche per via del suo infantile perseguitare un ragazzino solo
perché
figlio dell’odiato rivale. Aveva creduto ciecamente ai
racconti dei
grandi e di conseguenza lo aveva profondamente odiato; non si era mai
soffermato a comprendere perché Severus si impegnava tanto
dal
toglierlo sempre dai guai – forse perché
spesso era lui stesso
a mettercelo.
Ripensò
– con una certa dose di vergogna
– a quando,
l’anno precedente, aveva rubato i ricordi del Pozionista
e
ne era rimasto profondamente turbato: James, insieme agli amici, si
era rivelato un vero bullo. Ogni figlio dovrebbe ammirare
incondizionatamente il proprio padre ma quella fede in lui stava
vacillando. Ai propri occhi, il gesto eroico del padre,
nell’aver
affrontato più volte Voldemort, veniva offuscato dalle
ingiustizie
perpetrate quando era un annoiato ragazzino a Hogwarts:
il
fatto che appartenesse alla Casa di Grifondoro non
giustificava in nessuna maniera l’intenzione arbitraria di
ledere
qualcun altro solo perché della fazione contraria. Inoltre,
a
proprie spese, aveva imparato che i pregiudizi infierivano ferite ben
più profonde di qualsiasi spada.
Severus
gli era sempre apparso come una figura scura e solitaria, ora sapeva
che la sua era solo una maschera dietro la quale annegava nella
propria disfatta, nella consapevolezza delle scelte sbagliate e
soprattutto nel dolore della perdita. Nonostante tutto, non si era
mai tirato indietro davanti alla prospettiva di proteggere proprio
lui: il figlio di James Potter e della sua adorata Lily; rivestendo
così un doppio ruolo barcamenandosi tra “buoni e
cattivi”
mantenendo comunque intatto il proprio carattere riservato e
scorbutico. Come unico appoggio per non impazzire aveva trovato nel
preside un valido mentore.
Harry,
con gli occhi vacui come se fosse immerso in un Pensatoio,
rammentò il terrore provato, il giorno in ospedale dopo il
risveglio, nel trovarsi davanti la figura arcigna dell’odiato
professore. Eppure Severus riuscì, con la pazienza e la
dedizione
con cui si prese cura della sua persona e l’affetto donatogli
ingenuamente attraverso la cerva, a fare in modo che Harry si fidasse
completamente di lui. Pian piano, scoprì che gli piaceva
quella
presenza discreta, sempre pronta a sorreggerlo – così
diversa
eppure così simile – che trovava un
doveroso onore guadagnarsi
il suo rispetto attraverso i progressi e si ritrovò, sempre
più
spesso, a desiderare di vedere, su quel volto pallido, quei sorrisi
sinceri che gli donava così di rado.
Quando
era rimasto solo, nella stanza buia lievemente rischiarata dalla
cerva, Harry si era spesso domandato se era così che ci si
sentiva
quando si aveva accanto un padre. In fondo il genitore era una guida
devota a cui aggrapparsi nei momenti bui, un’esplosione di
complicità nei giorni grigi e noiosi, un abbraccio amorevole
dato al
momento giusto, magari mentre si condividevano gioie e dolori davanti
a una tazza fumante di tè.
Harry,
dopo l’incidente, con grande rammarico, si era reso conto che
l’allora odiato professore era stato l’unico che si
era davvero
dato da fare per ritrovarlo. Anche dopo la sua ricomparsa,
l’unico
interesse che si era risvegliato nel preside era stato quello
inerente alla sua salute magica. “Perché?”,
pensò
triste, “ Per loro ha così
poco valore la mia
persona?” Quella piccola incertezza lo
destabilizzava. “A
pensarci bene, forse
Draco aveva
visto giusto: mi sono circondato delle persone
sbagliate.”
Convintosi dell’ultimo pensiero appena espresso, Harry prese
una
drastica decisione: “Rivaluterò
le mie
amicizie seguendo canoni diversi, forse un
po’ egoistici,
ma ne va della mia stessa vita. Per
ora posso
sicuramente contare su Draco,
i gemelli e
soprattutto su Severus, benché non abbia
ancora
capito che ruolo abbia assunto nella
mia vita.”
Alzando
gli occhi si accorse di essere osservato in modo bonario da due occhi
d’onice finalmente lucidi, forse un po’ adombrati,
ma
indubbiamente presenti. Una forte sensazione di sollievo misto a
gioia invase il cuore del Grifone che decise
d’impulso di
gettarsi tra le forti braccia dell’uomo che lo accolse
titubante;
Harry soffocò i propri singhiozzi nella veste sgualcita del
Pozionista.
— Bentornato,
professore. Tutti noi abbiamo temuto per lei, —
Harry lo strinse ancora più forte, dando libero sfogo alle
lacrime,
— ho avuto
paura che non tornassi più da
me. — Severus
rimase un po’ sorpreso da
tali parole e mascherò l’imbarazzo con una leggera
risata, Harry
se la gustò con la guancia appoggiata al suo petto. —
Bentornato, Padre. —
Sussurrò
piano assaporando ogni singola lettera – mai frase
detta
fu più sentita.
Frastornato,
Severus allontanò da sé un reticente Harry per
sondargli gli occhi
limpidi e cercarvi della derisione, invece vi trovò traccia
di un
sentimento appena sbocciato e lui, con cautela, decise di custodirlo
nel proprio cuore. “Avremo tutto il
tempo per
chiarirci,” pensò il
professore emozionato, “ora
voglio solo godermi questo momento speciale, rimanendo
abbracciato a Harry.” Nessuno di loro due fece
molto caso
all’elfa che, felice, saltellava per tutta la stanza.
Purtroppo,
a malincuore dovettero staccarsi: avevano una faccenda in sospeso da
sistemare.
— Padre,
— Entrambi
assaporano, con un piacevole
brivido, la parola, — ho
mandato Draco a
scoprire chi, tra gli studenti, perché è certo
che sia stato uno di
loro, mi ha venduto a Voldemort. Tra poco entrerò anche io
in Sala
Grande, te la senti di affrontare la scolaresca subito dopo? —
Un’espressione insondabile si dipinse sul volto
di Severus,
ancora un po’ sofferente, mentre gli accarezzava con il dito
la
cicatrice lievemente arrossata sulla fronte, poi, con un sorriso
ferino, gli occhi incattiviti, fece un impercettibile gesto di
assenso.
Che
la commedia abbia inizio.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
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Capitolo 19 *** Cap. 19 - Veleno ***
Il
morso del diavolo
Cap.
19
– Veleno
Draco
era seduto al tavolo della sua Casa da ben dieci minuti, il broncio
accentuato sul volto affilato tenne lontano i possibili scocciatori,
tutti tranne il suo miglior amico Blaise Zabini, ormai avvezzo ai
suoi modi di fare; lo sguardo chiaro sorvolava i tavoli cercando ogni
possibile indizio sul volto di ogni studente. Non riscontrò
niente
di diverso: c’erano le solite teste che ciondolavano sulle
tazze
fumanti della colazione, mani stanche impiegate a coprire gli enormi
sbadigli e libri sparsi qua e là, giusto per darsi un
contegno.
Draco alzò stupito un sopracciglio: un insolito fermento
arrivava da
un angolo del tavolo dei Grifoni
che, assiepati intorno
al loro giullaredicortepeldicarota,
vociferavano
eccitati indirizzando sguardi famelici verso il tavolo dei
professori. Il posto vuoto di Severus sembrava una voragine
inquietante, un buco nero pronto a fagocitare ogni cosa; lo sconcerto
era evidente anche sui visi dei professori, mentre il volto serafico
del Preside strideva con l’occhio attento che luccicava
inquieto
dietro le lenti tonde. Ormai, quasi tutti gli studenti erano entrati
e, seppur intenti a fare colazione, tra di loro cominciarono a
serpeggiare le prime perplessità: solo i Grifondoro
mantennero quell’aria saputa e ilare.
— Cacciate
i soldi. — La
voce strafottente di Ronald
Weasley, petto in fuori e un grande ghigno soddisfatto in faccia, si
impose sul cicaleccio della Sala Grande mentre
allungava la
mano avida verso i propri compagni di Casa che stavano ammucchiando
un bel gruzzolo d’oro sul tavolo: sorrise ferino. —
Facili guadagni
con voi plebei.
— Come
facevi a saperlo? — La
voce timida di
Neville Paciock si insinuò tra il vociare concitato dei
commensali.
— Sono
il prescelto, — rispose
prontamente Ron, — ti
deve bastare solo
questo. — E, per
affermare il concetto, si batté orgoglioso la grossa mano
sul petto,
mentre con l’altra arraffava lesto le ultime monete.
Nel
frattempo, annichilito, Draco realizzò che era stato il
miglior
amico di Harry a tradirlo: “È stato lui a
vendere Harry
al Signore Oscuro condannando a morte certa
il mio
Padrino”. Pensò furioso stringendo i
pugni lungo le cosce
snelle. Troppo confuso per ragionare, non si accorse di essersi
alzato in piedi in preda a una rabbia accecante che gli incendiava
gli occhi chiari. A riportarlo nei ranghi ci pensò una mano
scura
che lo strattonò in tempo per fermarlo prima che si facesse
scoprire; dal corpo di Draco si sprigionava ad ondate un aura
negativa indirizzata verso il peldicarotaweasel:
tremava per lo sforzo di trattenersi, le belle labbra erano piegate
in una smorfia cattiva e lo sguardo era attento a bersi ogni smorfia
del Grifone. Inviperito, Draco si voltò
pronto a maledire
chiunque lo avesse fermato, invece si perse negli occhi blu come il
mare più profondo di Blaise che, sereni, lo aiutarono a
calmarsi. “È
sempre stato così con Blaise,”
Pensò grato Draco.
“quando la rabbia mi
sopraffaceva,
lui era il porto sicuro su cui spiaggiare.”
Blaise
era amico di Draco fin dall’infanzia, quindi poteva vantarsi
di
riconoscere i turbamenti che il Serpeverde cercava
di celare
dietro le ciglia di quegli occhi tersi come il cielo
d’inverno.
Mentre accarezzava distrattamente la pallida mano dell’amico,
ancora artigliata al bordo del tavolo, Blaise ripensò
all’estate
appena passata quando una strana inquietudine si era impadronito di
lui; un inquietante sibilo nella testa gli suggeriva in continuazione
di cercare di tenere calmo il bel ragazzo al suo fianco.
Da
tempo si era accorto che qualcosa di diverso aveva dato un
po’ di
luce alla tetra vita che Draco conduceva relegato in casa, per colpa
dei numerosi Mangiamorte che
frequentavano il Maniero. Invero, si riscoprì
molto felice
per lui ma anche terribilmente curioso, cosicché aveva
passato i
primi mesi di scuola a tenerlo d’occhio. Rimase quindi molto
sorpreso quando Draco decise di frequentare Pansy. “Non
credo a
un ritorno di fiamma, come
pensano quegli stolti dei
miei compagni,” considerò tra
sé quando apprese la notizia,
“al quarto anno l’aveva invitata solo
perché costretto dal
padre.” Sbuffò spazientito. “Quindi
non è altro
che un diversivo; ma per cosa?”
Se voleva
scoprirlo doveva agire con astuzia e assecondare Draco aiutandolo a
fugare ogni possibile sospetto con i Serpeverde e
magari a
provare a divertirsi insinuando qua e là qualche battutina
sarcastica. “Scommetto il mio intero patrimonio che
il motivo
del turbamento ha a che fare con
la scomparsa di
Potter,” se ne uscì la solita voce nella
testa un pomeriggio
che se ne stavano tutti annoiati in riva al Lago Nero.
“Già, il presunto odiato
Potter.” Sorrise sotto i
baffi pensando alle notti in bianco passate ad ascoltare i progetti
di vendetta di Draco. “Era davvero
esilarante
ascoltare con quanta inventiva
cercava di
raggiungere l’obiettivo.”
Niente destava l’interesse
del suo amico come SanPotter. Blaise aveva il
sospetto –
anzi ne era certo – che Draco provasse un
forte attaccamento
verso quello sparuto ragazzino perennemente disordinato. Al loro
primo anno, era stato presente quando l’amico si
sgretolò in mille
pezzi – era riuscito a percepire
il suo
cuore schiantarsi dal dolore –
davanti al rifiuto dello
Sfregiato e,
successivamente,
gli stette vicino anche quando nel Serpeverde
cresceva sempre di più il bisogno di attirarne
l’attenzione. Amava
Draco di quell’amore puro e incondizionato che si scambiano
due
fratelli abbandonati e obbligati ad affrontare da soli le cattiverie
del mondo e, davanti allo sconforto dell’amico, dopo
l’ennesimo
litigio con Potter, si era ripromesso di proteggerlo da se stesso,
facendo in modo di preservare quell’anima che lui sapeva
nobile e
gentile.
All’improvviso
le ante del pesante portone si schiantarono contro le pareti della
Sala Grande facendo tintinnare le vetrate
dell’alto
soffitto, creando scompiglio tra i presenti. Il preside si
alzò in
piedi con la bacchetta sguainata tenuta nella mano ferma, con un
cipiglio severo e preoccupato disegnato sul volto rugoso, intimando a
tutti di mantenere l’ordine. Dal fondo buio, oltre
l’uscio, una
figura ammantata di nero avanzò con l’andatura
elegante, seppur
leggermente claudicante, di un cavaliere d’altri tempi. Il
cappuccio del mantello scivolò lentamente sulle spalle
scoprendo una
folta capigliatura scura, due occhi verdi e determinati, labbra rosse
strette in una morsa seria, la cicatrice che spiccava sul volto
pallido: tutto in quella persona emanava potere e autorità.
— Harry?
— La voce
sorpresa del Preside si
distinse nettamente nel silenzio attonito.
— Preside.
— Era una voce
matura, roca e profonda
quella che rispose, incutendo timore e determinazione, generando
ondate di ammirazione e paura. Harry avanzò con calma al
centro, tra
i tavoli, e gli occhi verdi puntati sull’uomo canuto, che si
risedette stanco.
Draco
portò immediatamente mano alla bacchetta senza perdere di
vista un
solo momento lapiattola sul cui volto si era
congelato il
sorriso di trionfo, che presto si trasformò in una smorfia
di
disappunto mentre stringeva gli occhi in due fessure colme
d’odio.
Blaise, beffardo, alternò lo sguardo tra Draco, Harry, Ron e
il
Preside pregustandosi le prese in giro a discapito dell’amico.
— L’ha
saputo, dunque. — Esordì
Silente senza
una particolare intonazione.
— Perché
hai permesso che accadesse? —
Lo accusò
il ragazzo contenendo l’indignazione. Con un gesto lento
della mano
il preside fece in modo che la conversazione rimanesse tra loro,
mentre in sala si scatenò il putiferio.
— Cerca
di capire... — Tentò
di giustificarsi il
vecchio canuto. Harry con rabbia picchiò il palmo sul tavolo
facendo
rovesciare i boccali di succo di zucca sulla linda tovaglia di
broccato.
— Grazie
a questa “bravata”, — sottolineò
sarcastico, — ha
condannato a morte
Severus e lei lo discolpa?! —
seguì un
silenzio colpevole. — Capisco.
Per lei il
fine giustifica i mezzi, ogni azione è lecita per la sua
campagna
per il Bene Superiore:
tutti diventano sacrificabili, anche il suo alleato più
prezioso. —
Il preside cercò di giustificarsi ma Harry,
alzando una mano,
lo interruppe irritato. — Bene,
ho ben
presente la situazione e mi tiro fuori dai suoi giochi. Ora ha il suo
nuovo gingillo con cui divertirsi, io ci tengo alla mia vita e a
quella di mio Padre. —
Harry voltò il
capo verso una porta laterale e, attento a non farsi scoprire,
osservò con sguardo amorevole l’entrata nella sala
dell’arcigno
professore di D.A.D.A.
— Ron,
— La voce di
Finnigan sovrastò lo
schiamazzo degli studenti, —
come
prescelto sei davvero scadente: non solo è riapparso Harry
dal nulla
ma pure Piton è resuscitato. Dacci indietro i soldi della
scommessa
e paga pegno. — Concluse
ridendo
sguaiatamente. Ron lanciò con malagrazia le monete
all’Irlandese,
mentre la panca su cui stava seduto si rovesciò in terra con
uno
schianto trascinandosi dietro alcuni malcapitati, poi, con passo
furioso, abbandonò la sala inseguito
dall’ilarità dell’intera
tavolata rosso–oro.
L’odio che provava
affondò le proprie radici nel terreno fertile: “Conosco
il segreto di Potter,” Meditò livido tra
sé e sé il rosso.
“devo inventarmi qualcosa per
togliermelo
dai piedi, magari mentre
lo ridicolizzo
davanti all’intera scolaresca così
tutti riconosceranno
che sono l’unico in
grado di sconfiggere Tu–sai–chi.”
Intanto,
con pochi passi, mentre il lungo mantello nero svolazzava ai lati
delle gambe, il professore si avvicinò a Harry ignorando gli
sguardi
torvi puntati su di lui. Una volta raggiuntolo, dopo aver fatto un
lieve cenno al preside, disse con voce abbastanza alta da farsi
sentire da chiunque:
— Mi
spiace di aver ritardato Albus, ma una sgradevole questione
richiedeva tutta la mia attenzione, —
cominciò
con voce irritata, lanciando uno sguardo al vetriolo al Grifone.
— Mi è stato
fatto presente, Signor Potter, che il letto a lei designatogli nei
precedenti anni, in quella ridicola torre riservata ai Grifondoro,
non esiste più. —
Ignorò le proteste
che si erano alzate prontamente e, con fare seccato si girò
verso la
sua collega. — Per
caso, ne eri a
conoscenza, Minerva? — Senza
attendere
risposta, tornando a guardare in faccia Harry, riprese. —
Pertanto, mi duole informarla che sarò
costretto a ospitarla
temporaneamente nella mia onorevole Casa. —
Lo
disse piegando le labbra in una smorfia schifata per poi allungare il
braccio verso la porta. — Prego,
mi
segua. Le mostro la strada per i sotterranei. —
Un lampo di sollievo passò negli occhi ridenti
di Harry
perché non si sentiva ancora pronto ad affrontare i propri
compagni.
— L’unica
nota positiva di tutta questa inutile faccenda, è che non
sarò
costretto a farmi tutte quelle scale per portarle le pozioni che i
Medimaghi sono stati così solerti a
procurarle.
— Io
non lo voglio nella nostra Sala Comune,
—
proruppe
arrabbiata una ragazza dai
corti capelli neri a caschetto, subito appoggiata da altri
Serpeverde, —
se neanche quelli
della sua casa lo vogliono, che se ne vada pure. Sono certa che la
fuori, — fece
un gesto vago alla propria
sinistra, — più
di un mio conoscente lo
ospiterebbe volentieri. —
Sogghinò
cattiva ammiccando all’indirizzo di Draco.
Quest’ultimo – che
avrebbe tanto voluto avadakedravizzarla
–
si stampò in faccia un’espressione neutra; Blaise
ne fu molto
fiero mentre, intorno a loro, si alzavano molte proteste.
— La
ringrazio per la sua onesta opinione, Signorina Parkinson, davvero
sentita da parte mia e, se fossimo da soli, l’avrei
già messa in
pratica, ma, con mio grande disappunto, non sono io il preside e
quindi si adeguerà anche lei, esattamente come mi sono
adeguato io.
— La minaccia
implicita venne accolta con
un lieve brusio tra le file dei Serpeverde. —
Ora, se non ci sono altre interruzioni, vorrei portare il
Signor Potter ai suoi alloggi così da poter iniziare per
tempo la
lezione del mattino. — Girando
su se
stesso, con uno svolazzo del mantello, prese la via del portone
sicuro che il Grifone l’avrebbe seguito
senza fiatare.
Harry, dal canto suo, camminando a testa bassa dietro Severus, si
arrischiò a sbirciare verso Draco trovandolo intento a
fulminare
Pansy, che, ignara, se la rideva con l’amica vicina.
Portandosi
repentinamente una mano sulla bocca, il cuore che batteva felice nel
petto, nascose l’enorme sorriso che rischiava di tradirlo.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
|
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Capitolo 20 *** Cap. 20 - Ad ognuno... ***
Il
morso del diavolo
Cap.
20 – Ad ognuno...
Riprendere
le attività all’interno del castello non fu
affatto facile per
Harry che veniva continuamente fermato e bombardato da infinite
domande e lui cercava di rispondere come meglio poteva, evitando di
scendere troppo nei particolari. A chiunque lo avvicinasse diceva di
essere caduto in una imboscata vicino all’abitazione dove
viveva
con gli zii e che dei Babbani l’avevano
soccorso. Una volta
in ospedale – un luogo come il San Mungo per i
maghi, spiegò
– venne riconosciuto da una strega di passaggio che si prese
l’onere di accudirlo fino alla sua quasi totale guarigione,
dopodiché lo consegnò al professore Piton
– non prima di aver
incantato entrambi in modo da non rivelare a nessuno la propria
identità – il quale, a sua volta, si
ritrovò vincolato a
tenerlo nei dormitori della propria Casa. Ovunque andasse riceveva
pacche solidali sulla spalla e sorrisini di scherno appena girava
l’angolo; i Serpeverde si tenevano a
debita distanza
nascondendosi dietro una velata stima nel riconoscerlo, ancora una
volta, come il Sopravvissuto.
Ma quello che gli
faceva più male era l’apatica indifferenza che
mostravano i
Grifoni, capeggiati dal loro
nuovo idolo. Spesso girava
da solo per i corridoi bui – le brutte abitudini
erano proprio
dure a morire e Winky, anche se non era
più necessario, non
lo perdeva di vista un solo attimo – a volte
affiancato da
Neville, l’unico Grifone che gli
rivolgesse la parola, e di
rado si accompagnava con Luna che lo intratteneva con i suoi lunghi
monologhi su creature che solo lei poteva vedere. Eppure non era mai
del tutto solo perché, se rallentava appena
l’andatura, con la
coda dell’occhio, poteva scorgere uno svogliato Draco,
insieme
all’inseparabile amico Blaise, che sfoggiava un sorriso
sempre più
divertito, seguirlo come ombre, e non poteva fare a meno di sentirsi
rincuorato. Harry si prese la sua rivincita sui recalcitranti Grifoni
quando, alla sua prima lezione di Pozioni con la
nuova
insegnante, fu l’unico a consegnare in tempo la mistura della
giusta consistenza e colore, persino Hermione non era stata in grado
di raggiungere il suo livello.
— Come
ci sei riuscito? — chiese
incredula la ragazza leggermente arrabbiata, o forse solo un
po’
invidiosa. — Non
hai mai capito niente di
Pozioni!
— Ciao
Hermione, io sto abbastanza bene, grazie dell’interessamento,
—
cominciò
sardonico Harry per poi
interrompere sul nascere qualsiasi scusa avesse da rifilargli la
ragazza, che ora mostrava due guance rosse dall’imbarazzo. —
Mi sembra di essere tornato al quarto anno, quando evitavi
accuratamente di far ragionare Ron nella speranza che ti portasse al
ballo. Comunque, per tua informazione, —
continuò
sorridendo enigmatico,
ignorando l’espressione mortificata della Grifondoro,
—
la persona che mi ha salvato, oltre ad essere
un’ottima
strega, non tollerava l’ignoranza e l’ignavia
così, seppur con
molta difficoltà, nel suo piccolo, ha cercato di prepararmi
per il
mio eventuale rientro a scuola e, —
allargò
le braccia come a constatare l’ovvio, —
visto
l’ottimo risultato credo proprio che ci sia riuscita in
pieno. —
Detto questo se
ne andò, lasciando Hermione in mezzo al corridoio con gli
occhi
lucidi di lacrime e i capelli più crespi del solito, la
borsa in
pelle appoggiata sul fianco e alcuni
libri, dall’aria
di essere pesanti,
stretti sul petto.
Fu
difficile per Harry, dopo l’episodio con Hermione, arginare
il
crescente malumore dei Grifoni. Spesso si era
sentito braccato
dai suoi stessi compagni di Casa che non gli perdonavano la presunta
familiarità con cui si intratteneva con i Serpeverde.
Era
stato del tutto inutile cercare di spiegar loro che non aveva voce in
capitolo sull’ubicazione della propria stanza, senza contare
–
fece notare Harry, parecchio risentito –
che il proprio
letto era stato precedentemente sostituito con un armadio per riporre
le loro cianfrusaglie. Durante i pasti sedeva in disparte insieme a
Neville e Luna che parlavano a ruota libera, con suo grande
divertimento, in modo che non sentisse i continui scherni da parte
del suo ex amico. Solo una volta restarono muti e a bocca spalancata,
per interi minuti, per poi finire sotto le panche a rotolarsi dalle
risate. Infatti, quella particolare mattina, mentre i gufi stridevano
lasciando cadere la posta, accadde…
— Miseriaccia
ragazzi, — Ron
saltò sulla
lunga tavolata
attirando
l’attenzione di tutti i commensali della
Sala
Grande,
il braccio, inguainato in un maglione di bassa fattura, si agitava
sventolando orgoglioso una lettera rosa. —
guardate qui, ho ricevuto la mia prima lettera da parte di una
ammiratrice. —
Rise
forte mentre le guance, rosse
come i capelli, spiccavano
sul volto lentigginoso;
voltava le spalle a Hermione che se ne stava a capo chino su un tomo
alto come due mattoni, per nascondere l’espressione ferita.
—
Mi
scrive una certa Erred
Foe Egg
di AwWeSly.—
Nel
mentre, Seamus
batteva forte le mani sul legno in accompagnamento alla voce del
rosso. —
Ora
l’apro
e
vediamo che scrive.
— Forse
dovresti prendere in considerazione anche Hermione. —
Gli
suggerì sua sorella Ginny piegando la testa verso la ragazza
che,
alquanto stizzita, stava correndo fuori dalla sala.
— Perché?
—
domando
Ron per nulla interessato,
mentre freneticamente cercava di togliere il sigillo alla pergamena;
infilò il dito tra i fogli piegati
e
tirò forte. —
Che
c’è di male, anche lei riceve sempre lettere da Kr…
—
non
finì la frase che un forte boato si espanse tra le mura
mentre il
suo corpo veniva avvolto da una nuvola fucsia. In molti urlarono per
lo spavento e sguainarono le bacchette ma rimasero pietrificati una
volta che il
fumo
si disperse: Ronald Weasley era in piedi tutto cosparso di coriandoli
fucsia, la faccia livida era dipinta come una di quelle bambole russe
che si incastrano le une con le altre, i capelli rossi erano legati a
fontana sopra la testa e, sopra
gli indumenti smessi,
indossava una sgargiante maglietta
arancione con scritto, in un colore psichedelico
dalla sfumatura gialla, I
Visit
Rip.
In
men che non si dica, l’intera scolaresca scoppiò
in una fragorosa
risata mettendo ancora più a disagio il Grifone
che schizzò letteralmente fuori, ma
non prima di aver fulminato i Serpeverdi
che se la ridevano alla grande additandolo.
Nella
sua prima uscita ufficiale a Hogsmeade, durante il
tragitto,
Harry venne raggiunto da Neville. Mentre arrancavano a fatica nella
neve, si imbatterono in Ron e la sua cricca che sembrava proprio lo
stesse aspettando, visto come saltellava sul posto cercando di
scaldarsi soffiando il fiato caldo sulle dita gelate. Per tutto il
restante viaggio, Harry cercò di ignorare la cattiveria con
cui lo
prendeva in giro, sostenuto anche dai sorrisi sinceri che gli
regalava Neville. “Questa guerra sotterranea mi sta
sfiancando,”
pensò frustato Harry, “potrei reagire ma
ogni sforzo fatto
finora verrebbe vanificato.” Una volta giunti nel
caratteristico villaggio, si immersero nella via principale
mescolandosi alla folla di ragazzi intenti nelle loro commissioni.
Dopo un salto a Mielandia e una capatina al Serraglio
Magico,
per rifornire
Neville di insetti da dare al suo rospo Oscar, entrarono al Piede
di Porco dove, seduti a uno sbilenco tavolino in un angolo in
ombra, li aspettava Luna assieme ai gemelli Weasley.
— Non
vi siete fatti seguire, vero? —
chiesero
i gemelli alternandosi.
— Non
credo, — si
intromise Luna con voce pacata. —
Ho
visto dei Gorgosprizzi orbitare vicino
all’orecchio di Ron,
sono sicura che l’hanno distratto a sufficienza da non farlo
accorgere che Harry è entrato; lui e i suoi amici lo stanno
ancora
cercando lì di fuori. —
Con un sorriso
dolce e al contempo birichino, indicò un punto oltre i vetri
sporchi
della locanda. Gli altri componenti del gruppo sorrisero indulgenti
alla stravaganza della loro amica.
— Ordiniamo
una burrobirra che sono infreddolito? —
domandò
Harry ad alta voce, per poi
chinarsi verso gli amici, — Poi
saliamo
di sopra, gli altri dovrebbero essere già arrivati, —
bisbigliò loro, per poi riprendere come se
nulla fosse, —
prima che qualcuno cominci a farsi strane idee. —
Piegò il capo leggermente a sinistra per
indicare tre tizi
incappucciati che confabulavano tra loro mentre li osservavano di
sottecchi. Mise una mano sul ginocchio di un agitato Neville e
strinse leggermente mentre gli parlava sottovoce in un orecchio: —
Non
preoccuparti di loro, il
proprietario del locale sa cosa fare.
Aberfort
Silente, gli spiegò brevemente Harry, era il fratello del
Preside.
La prima volta che Harry era entrato nella bettola, quel vecchio
dall’aria burbera, l’aveva riconosciuto e subito
preso in
disparte nel tentativo di dissuaderlo nell’intraprendere
qualsiasi
cosa stesse per fare. Gli fece notare, inoltre, che non valeva la
pena seguire il fratello perché in ogni caso la vita, per
Albus,
valeva meno di niente davanti al raggiungimento dei propri obiettivi;
mentre parlava non toglieva gli occhi umidi dal viso di una graziosa
fanciulla dipinta su un quadro appeso dietro il lurido bancone: era
Ariana, la sorella morta in circostanze misteriose. Gli unici
testimoni del fatto erano stati il fratello e un ragazzo biondo che,
nel tempo, era diventato un Mago Oscuro.
— Vedi,
Neville, — continuò
Harry, — lui è
convinto che Silente è il solo responsabile della morte
della
sorella e in tutti questi anni ha disperatamente cercato di
dissuaderlo dall’applicare
la politica del Bene
Superiore,
a
cui è tanto affezionato, perché
non porta a nulla. In questa grande scacchiera che è la
vita,
secondo Aberfort, il
fratello
ha sacrificato più pedoni di quanti in realtà ne
avesse a
disposizione.
Lasciarono
la tetra sala e si infilarono su per le anguste scale dove il legno
cedeva ad ogni passo; attraversarono un corto corridoio male
illuminato e storsero il naso quando una capra dal pelo candido
li superò impettita, belando in continuazione; più
in là, si
fermarono davanti a un’anonima
porta dalla maniglia rotta e bussarono nel
modo convenuto: tre tocchi leggeri, uno forte, due leggeri e di nuovo
uno forte. La porta si spalancò e una mano diafana
agguantò il
braccio di Harry con malagrazia. Draco, il proprietario del braccio,
si strinse addosso il ragazzo moro
per
poi baciarlo con foga rilasciando mugolii soddisfatti. Fred, mentre
entrava nella stanza, si
premurò di
chiudere con due dita la
bocca di un Neville pietrificato sull’uscio; all’interno,
in un angolo, seduto su
una sedia
fatiscente, Blaise se la rideva
di gusto facendo
l’occhiolino a un sempre
più disorientato Grifone
mentre Luna, con quella sua solita aria svagata, prendeva posto sul
letto sgangherato assieme ai gemelli.
— Voi
due, finitela di dare
spettacolo, —
proruppe la voce
irritata di Severus
da dietro una porta
scrostata.
— Harry, ti ho
lasciato del tempo ma ora mi devi delle spiegazioni. —
Il professore
rientrò nella stanza mentre
si strofinava le
mani con un asciugamano verde.
Rassegnato,
il Grifondoro
si allontanò da un
recalcitrante Draco
e, sospirando forte, tenendo
gli occhi rivolti a terra,
cominciò
a sciorinare tutto.
— Innanzitutto
scusa, Neville, ma non potevo anticiparti
nulla: nel castello ci sono troppe orecchie indiscrete. —
Si strinse nelle spalle
mentre l’altro
ragazzo gli sorrideva comprensivo, seppur ancora lievemente
scioccato. — Non
so come spiegartelo, padre, —
Da sinistra giunsero un paio di versi strozzati e, giratosi
allarmato, Harry scoprì che, sia Neville che Blaise, si
erano
entrambi strozzati con il succo di zucca: gli altri ridevano forte
mentre davano bonarie pacche sulla schiena ai due malcapitati.
— Finitela
di fare i buffoni, —
disse
alquanto irritato Severus, —
e
tu, — rivolto a
Harry, — vedi
di spicciarti senza interromperti di nuovo.
— Per
farla breve, — riprese
il Grifone alzando
entrambe le braccia in
segno di resa, mentre
Draco, le reni
appoggiate al cassettone, sovrastato da un imponente specchio
scheggiato, se lo attirava addosso per stringerlo in un tenero
abbraccio. — non
vi racconterò cosa mi è successo con Nagini, —
tremò
appena alla
menzione del grosso serpente, —
credo
che ormai lo sappia pure il Platano
Picchiatore,
però vorrei
soffermarmi su un particolare che è sfuggito anche a
Voldemort. —
Fu il turno degli
altri di rabbrividire. —
Colui–che–non–deve–essere–nominato,
— Harry sorrise
di sbieco nel vedere i loro volti rilassarsi, —
leggendo il libro di Merlino, aveva scoperto che il nucleo magico
risiede nell’anima di
ogni mago e non…
— il ragazzo fu
prontamente interrotto dal Pozionista.
— Ora
si spiegano molte cose, —
continuò
meravigliato con gli occhi accesi da una nuova comprensione, —
i Dissenatori
non rubano l’anima dei maghi ma sgretolano il loro nucleo,
ecco
perché impazziscono.
— Non
proprio, padre, —
lo
corresse Harry, agitandosi nell’abbraccio caldo di Draco. —
Il nucleo non
può essere diviso
dall’anima, però l’anima può
essere scissa. —
Calò il
silenzio come un manto gelido.
Harry chiuse gli occhi e
lasciò che gli
altri assimilassero bene quel concetto perché aveva scoperto
che era
il fulcro attorno al quale avrebbe vinto quell’assurda
guerra. —
Voi–sapete–chi,
— riprese a
parlare mantenendo un tono atono, —
aveva trovato il modo di dividere
in più parti la propria anima e trasferire
ogni singolo pezzo creato
in “contenitori”
debitamente preparati,
ma non solo, — aggiunse
in fretta prima che qualcuno lo interrompesse, —
aveva scoperto che ogni
singolo frammento
dell’anima ricostruiva, in
modo autonomo,
l’identico
nucleo magico del donatore.
Quindi, —
risucchiò
l’aria all’interno della
bocca prima di sparare fuori come stilettate roventi le parole
successive:
— il mago che
applica questa antichissima
maledizione,
chiamata ARectoEm,
può contare, in
caso di bisogno, su una inesauribile fonte di potere extra. —
Harry non aveva il
coraggio di guardare in
faccia gli altri; dietro
di sé, sentiva
Draco tremare vistosamente.
— Per
la barba di Merlino,
quella parola la conosco! —
Balbettò
esterrefatto Neville.
— Sono le
lettere che farfugliarono
i miei genitori quel giorno quando... —
Il ragazzo
deglutì a fatica guardandosi attorno spaesato e
con gli occhi
lucidi, —quando
li trovarono... —
si
interruppe di nuovo per
poi voltarsi per non far vedere le lacrime che ora scendevano copiose
lungo le gote accaldate. Luna
si avvicinò
e prese ad accarezzargli la schiena borbottando parole di conforto,
Blaise e i gemelli si osservavano i piedi imbarazzati e
Severus
tossicchiò un paio di volte facendo scorrere gli occhi
d’ossidiana
su tutti i presenti.
— Neville...
— si arrischiò
a dire preoccupato Harry,
sempre stretto tra le braccia del Serpeverde.
— Scusate,
è che, nonostante sia passato così tanto tempo,
fa ancora male. —
Il Grifone
cercò di darsi un contegno mentre, titubante, accettava un
fazzoletto candido passatogli da Blaise. —
Forse è per
quello che sono stati
aggrediti? —Chiese
speranzoso a
Harry,
raddrizzando le spalle in un moto di feroce orgoglio. —
Si erano
avvicinati alla verità?
— Non
credo, —
Harry gli sorrise
mesto, Volde…
Colui–che–non–deve–essere–nominato
mandò dei
Mangiamorte
in cerca dei tuoi genitori per colpa della…
— si interruppe
indeciso mordicchiandosi
le labbra.
— Della
profezia, vero? —
Finì
per lui Severus
con gli occhi adombrati
dalla colpa
inchiodati ai suoi: Harry
scosse piano
la testa. —
“Ecco
giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore,
nato
da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del
settimo
mese,”
—
sussurrò il
Pozionista.
— Anche Neville
è nato verso la fine di luglio e
di certo Voi–sapete–chi
non
lasciava mai nulla al caso.
— Esatto,
— rispose
Harry con voce
triste e gli occhi persi in lontani ricordi. —
Tralasciando tutto quello
che c’è a
monte, in questo momento ha poca importanza.
— Sfidò
suo padre con rabbia a stare zitto, dandogli modo di capire che lui
sapeva, —
Voldemort ha creato almeno
tre ARectoEm.
— Allora
non c’è nessuna speranza, — si
arrischiò a dire Neville, sussurrando inorridito mentre
tirava rumorosamente su con il naso.
Scoppiò un putiferio che Harry lasciò sfogare
fino a quando non
tornò il silenzio. Solo allora riaprì gli occhi
verdi e tutti
poterono vedere il fuoco della determinazione che li divorava.
— È
qui che ti sbagli. —
Il
sorriso feroce che gli distorceva i lineamenti fece preoccupare
più
di una persona, tranne Luna che si alzò con calma, lo
raggiunse e lo
baciò in fronte, proprio sulla cicatrice, esclamando, con
la sua voce perennemente trasognata:
— Sei
un mago potente, Harry, le Rugaj
Steloj
che vivono sotto i sassi bianchi sulla riva del Lago
Nero
mi hanno rivelato che adesso
il tuo nucleo magico è perfettamente
armonico.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque
legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e
soprattutto a
chi commenta.
Buona
lettura.
|
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Capitolo 21 *** Cap. 21 - ...le proprie strategie ***
Il
morso del diavolo
Cap.
21 – … le proprie strategie
Qualche
giorno prima, in una casa vittoriana di una anonima cittadina nella
campagna inglese, dietro le finestre ornate da pesanti tende in
broccato verde, il Signore Oscuro stava seduto su una poltrona
dall’alto schienale posta a lato di un imponente camino
spento:
teneva in mano una pergamena proveniente da Hogwarts.
— Minus,
— sibilò
mentre si alzava e raggiungeva la scrivania in mogano al centro della
stanza, i suoi piedi nudi scivolavano leggeri sull’assito di
legno
scuro. — rintraccia
Bellatrix. —
Dietro di lui un omino dai denti prominenti come quelli di
un
topo, la mano sostituita da un arto artificiale in acciaio,
assentì
col capo quasi calvo, che luccicava alla luce delle candele, per poi
sgusciare fuori dal locale in un continuo prostrarsi. Due ore dopo,
il secco rumore della materializzazione si propagò per la
casa
vuota; fuori i candidi fiocchi di neve, che scendevano lenti dal
cielo plumbeo, avevano già cominciato a imbiancare le
strade, mentre
lungo il marciapiede un passante infreddolito si affrettava a entrare
in un androne poco illuminato.
— Mio
Signore. —
Bellatrix si inginocchiò a
terra fino a sfiorare con la fronte il pavimento e gli
baciò, con
esagerata riverenza, l’orlo della veste; le punte dei suoi
lunghi
capelli indomabili avvolsero i piedi del Lord Oscuro come un sudario.
— Tempo
fa ti consegnai un oggetto, lo conservi ancora? —
chiese il
lord con voce falsamente
dolce. Al segno d’assenso della donna, che nel frattempo si
era
alzata silenziosamente e lo guardava con avida aspettativa,
intimò
secco: — Portamelo!
—
Bellatrix, in risposta all’ordine, mise entrambe le mani
dentro la
tasca della lunga gonna nera, alzandone i bordi e scoprendo delle
basse scarpe in tinta e una scheletrica caviglia bianca.
Rovistò un
po’ e poi, con cautela, estrasse un cofanetto
d’argento
tempestato di pietre preziose: lo porse con deferenza
all’uomo che
le stava davanti tenendolo sospeso con entrambe le mani, il capo
chino tra le braccia tese. —
Sei stata
molto brava. — la lodò
affettato, afferrando rudemente l’oggetto; nemmeno rispose al
sorriso orgoglioso della donna che scoprì i denti marci. —
Minus, sai già
cosa fare. —
ordinò, mentre
allungava la mano rinsecchita verso
il
proprio servo. —
Appena hai finito
chiama Tiger e Goyle, ho una missione per loro.
— Ma,
mio Signore,
perché non manda me? Sarei molto felice di eseguire ogni suo
ordine.
— Si arrischiò
a chiedere un
po’ risentita la
Mangiamorte.
— È
un affare che non
richiede eccessiva intelligenza e
che
possono benissimo portare a termine da
soli, — rispose
indulgente il lord. —
Per
te ho un altro compito,
— continuò
con la sua parlata inframezzata da agghiaccianti
sibili. — Quando
te lo dirò, ti
recherai a
Hogwarts per
osservare da
lontano
il duello che, se
tutto procede come voglio, quello
stupido
ragazzo filoBabbano,
cioè il nuovo
pupillo di Silente, organizzerà per deliziarmi. —
Batté le mani
compiaciuto. — Mi
riferirai
immediatamente l’esito.
— Solo
questo, mio Signore?
Non mi è permesso catturare e torturare qualche nato Babbano?
— Chiese
speranzosa la donna, spalancando
gli
occhi spiritati.
— Nulla
di tutto questo, per ora. Ci sarà tempo. —
Detto ciò la
congedò con un gesto secco della mano. Bellatrix piegò
la testa e la schiena in
un abbozzato
inchino e scomparve in
una nuvola scura. —
Lucius! —
Imperò il
lord; dalle ombre
che trasudavano dalle pareti si staccò una figura
incappucciata
avvolta in un mantello di lana viola. L’elegante
figura esitò impercettibilmente
mentre avanzava
con grazia al centro della stanza; la
fioca
luce proveniente dalle candele, per
un
attimo catturò
i bagliori dei lunghi capelli chiari dell’uomo sotto
il bavero. Il Signore
Oscuro, sicuro di sé,
non esitò
a voltare le spalle e
recuperare, da sotto una pila di antichissimi tomi, un foglio
di pergamena
dall’aria vissuta. —
Consegna questo mio
scritto al giovane
Draco, Lucius, —
sibilò,
— si è
dimostrato degno della mia fiducia e vorrei servirmi ancora di lui,
cosicché possa essere i miei occhi e le mie orecchie tra le
mura del
castello.
— Ma,
mio Signore, non è troppo pericoloso? —
Si azzardò a
chiedere apprensivo l’uomo
dopo aver letto le poche righe vergate sul foglio ingiallito.
— Osi
mettere in dubbio il mio volere? —
Disse
sprezzante, con gli occhi accesi da bagliori rosso sangue. Senza
attendere risposta attraversò la stanza fredda e
spalancò l’uscio
che dava su una camera
circolare stipata
fino al soffitto da
scaffali contenenti libri pregiati
di
varie dimensioni e argomenti.
— Qualcuno
tiene soggiogato a sé Severus e pretendo
di sapere chi è costui
che mi sfida così
apertamente!
— Sospetta
dei traditoridellorosangue?
— No,
— fu
la risposta lapidaria,
— è qualcuno
vicino a me, che mi conosce così
bene da
indurlo a credere di essere più furbo: ti
assicuro che pagherà cara la sua avventatezza. —
Il lord puntò
gli occhi serpentini in quelli cerulei dell’altro, che deglutì
a vuoto, impaurito. —
Ora vai, aspetto tue
notizie. —
Lo liquidò con
un gesto noncurante,
aspettò la solita riverenza per poi afferrare con mano
sicura un
basso libricino nascosto fra mille altri.
********
La
conversazione al
Piede di Porco riprese
vigore e, come al solito,
tutti avevano
qualcosa da dire in contemporanea.
— Basta,
— urlò
Severus sovrastando la
confusione e,
ottenuto il silenzio, si rivolse a Harry: —
spiega.
— Voldemort
ha diviso la sua anima in più parti e le
ha, diciamo, conservate,
— tentennò
sull’ultima parola, —
in
corpi estranei che lui stesso
aveva
precedentemente preparato. Il primo ARectoEm
creato è stato
senza dubbio il diario che
ho distrutto con il dente
avvelenato del
basilisco nella Camera
dei Segreti
alla fine del secondo anno.
— Per
tutte le cornamuse d’oro
di
un onesto Lepricano,
allora è vero! —
esclamarono in
coro i gemelli. —
Pensavamo che Ron
avesse esagerato come suo solito. —
Harry, non togliendo gli
occhi dal
volto impassibile del padre, fece spallucce.
— Racconterai
dopo le tue mirabolanti avventure extrascolastiche, ora procedi,
—
incalzò Severus.
— Un
altro è Nagini, che tutti ben sappiamo è stata
distrutta da te. —
Sorrise all’uomo
serio che gli
stava di fronte. —
Poi
ne ha sicuramente preparato
un terzo, ma purtroppo non
ho ancora
idea di cosa possa essere.
—
Scosse la testa
sconsolato davanti alle espressioni deluse. —
Prima di
proseguire devo fare una premessa:
la profezia, come
tutti la conosciamo,
non è completa,
— fermò con la
mano i possibili interventi, —
Silente,
alla fine dello scorso anno scolastico, una volta rientrati dal
Ministero, ha provveduto a riportarmela
per
intero e, —
soggiunse, —
sono più che
certo che l’abbia male
interpretata. —
Si
guardò intorno sorridendo sghembo alle loro espressioni
sorprese e
perplesse; solo Luna sedeva tranquilla accarezzando piano il
copriletto infeltrito. —
“Ecco
giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore;
nato
da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del
settimo
mese; l’Oscuro
Signore lo
designerà come suo eguale, così che
avrà un potere a lui
superiore; e l’uno non potrà
uccidere
l’altro, finché
l’Unione
non gli
permetterà di sopravvivere; il solo col potere di
sconfiggere
l’Oscuro Signore nascerà all’estinguersi
del settimo mese.”
Sapete l’ironia? Bastava
che Voldemort
la ignorasse,
— continuò
quasi urlando
allontanandosi da Draco che
lasciò ricadere
mollemente le braccia lungo i propri fianchi,
— che andasse
avanti per la sua strada incurante
di tutto
e di tutti come aveva sempre fatto. Invece,
dando retta
a una pazza farneticante, nel
momento
stesso in cui
cercò
di uccidermi, fece
in modo che io potessi diventare
l’unico in grado di fermarlo: ora,
— sottolineò,
— posso
distruggerlo in modo definitivo.
—
Finì sfidando
tutti con aria bellicosa.
— Quindi
tu sei, tu hai...
— balbettò
Draco spaventato,
non riuscendo a finire la
frase.
— Questo
è stato palese
dal
momento stesso in
cui hai iniziato
a parlare, — minimizzò
spazientito il professore. —
Dimmi
solo se c’è ancora, Harry.
— Gli occhi
accesi da una luce calcolatrice. Per
un
solo istante, il Grifone
lo guardò con rabbia che via via scemò nella
tristezza.
— Sono
vivo grazie al pezzetto
di anima che
Voldermort non sa
di aver scisso: in
parole povere sono un ARectoEm.
Quando Nagini
mi attaccò, il
supplementare nucleo magico, non volendo
morire, si rinchiuse
all’interno di una
spessa barriera
inglobando anche il mio, perché
senza di
esso, era consapevole,
sarebbero morti entrambi. In
pratica, padre,
si isolò così
bene che entrambi
abbiamo creduto che fossi diventato un Magonò.
— Cercò di
spiegare confusamente
Harry, mentre nervoso si lisciava i palmi umidi delle mani sui jeans
scoloriti. —
Quando Voldemort
venne a sapere
che ero ancora vivo, divenne
così furioso e incontrollabile che l’eco della sua
rabbia mi
raggiunse e spezzò
la barriera.
— Cosa
è cambiato da
far esclamare agli amici
immaginari di Luna
che tu sei diventato
molto potente,
perché, secondo
quello che hai appena detto,
il Signore Oscuro
dovrebbe avere ancora
accesso al proprio
potere dentro di te.
— Semplice,
si sono fusi.
— Cosa?
— Urlarono tutti insieme sbalorditi. Severus si
irrigidì in piedi
al centro della stanza nell’atto di prendere da bere da una
caraffa
posta su un basso tavolino a tre gambe. Blaise e Neville si alzarono
di scatto finendo quasi addosso a Luna che sorrideva tranquilla,
mentre si arricciava intono a un dito una ciocca di capelli biondi e
teneva gli occhi fissi su un punto macchiato del soffitto. I due
Weasley spalancarono le bocche talmente tanto che c’era il
serio
rischio che i loro visi rimanessero paralizzati in
quell’assurda
espressione. Intanto Harry se la rideva di gusto, ma tornò
subito
serio quando, girato il capo verso Draco, incrociò il suo
sguardo
perso. Preso dal rimorso per essere stato così diretto,
Harry tentò
di allontanarsi ma, prontamente, il Serpeverde lo
agguantò e,
cingendolo di nuovo con le braccia, gli appoggiò la fronte
alla base
del collo per nascondere la propria espressione angosciata.
— Scusate,
non ho resistito al desiderio di vedere le vostre facce, —
bisbigliò mortificato il Grifone,
riprendendo poi la
spiegazione, — la pozione di Mastro Merlino, che sto tuttora
prendendo, oltre a rendermi di nuovo un mago, ha fuso i due nuclei.
In questo modo, non solo ho acquisito parte della conoscenza e
abilità di Voldemort, ma, in qualche maniera, mi rende molto
più
potente di prima. — Harry, distrattamente, aveva preso ad
accarezzare lentamente le braccia snelle che lo cingevano; gli
piaceva la sensazione soffice della seta della camicia sotto le dita,
era come se, invece della stoffa, sfiorasse la pelle serica e senza
difetti di Draco.
— Ho
capito cosa vuoi dire quando affermi che il Preside ha inteso male la
profezia, — Tutti si voltarono a guardare interrogativamente
Neville che se ne stava impalato al centro della stanza con gli occhi
sgranati. — L’ha interpretata in modo letterale. Ha
pensato che
bastasse la vostra reciproca vicinanza perché tu potessi
sconfiggere il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi.
— Severus
assottigliò gli occhi, rimbalzando lo sguardo tra i due Grifoni,
mentre, sempre più sbalordito, cominciava a comprendere
l’enorme
errore commesso da Albus.
— È
l’unica spiegazione a cui sono giunto anche io, —
assentì piano
sospirando affranto, — vedete, anni fa, il Preside aveva
deciso di
sottrarre a mio padre, a suo dire per scopi scientifici, il Mantello
dell’Invisibilità
lasciando...
— Cosa?
Ma si era bevuto la Bevanda della Disperazione
invecchiata in un bacile di cristallo in fondo a una grotta?
—
urlarono contemporaneamente i gemelli, interrompendolo. — Un
mantello dell’invisibilità! —
esclamò perplesso Blaise
allungando prontamente una mano verso Neville per sorreggerlo dopo
che era inciampato in un asse del pavimento. — Ne sei
più che
certo? — si arrischiò a chiedere Draco soffocando
le parole tra i
suoi capelli. — Non può essere! —
Severus sbiancò, — Non
l’avrebbe mai fatto, mi aveva giurato… —
balbettò l’uomo
accettando, con mani tremanti, un grosso bicchiere dal liquido
azzurrognolo che Luna gli porgeva.
— Purtroppo
è ciò che è successo, —
confermò atono. — Non credo si
aspettasse tutto quello che è accaduto; semplicemente, ai
suoi
occhi, l’eventuale mia morte era il Male
Minore.
— Sospirò, allargando le braccia rassegnato.
— Ora che ci penso,
in passato, ogni volta che ho avuto a che fare con Voldemort, lui
è
rimasto sempre sorpreso dall’esito, come se si aspettasse, in
qualche maniera, un finale diverso. — Harry si
grattò la cicatrice
a disagio. — All’epoca, ingenuamente, avevo pensato
che il suo
genuino stupore fosse indirizzato alla mia abilità nel
districarmi
dai guai, invece, a quanto pare, la sua natura era ben diversa,
—
finì deluso.
— Prima
che qualcuno senta il desiderio di aggiungere altro, — la
voce
soffocata di Draco interruppe il pacato silenzio che si era creato,
—
ho questa da farti leggere, Severus, — disse allungando una
pergamena sgualcita, — è da parte di mio padre.
— Il Serpeverde
si ostinava a tenere il volto nascosto contro il collo di Harry
nonostante quest’ultimo cercasse di girare la testa per
guardarlo
curioso negli occhi. L’insegnante lesse attentamente
scuotendo
appena il capo.
— Non
vedo complicanze, Draco, anzi questo tuo nuovo incarico
giustificherà, agli occhi dei tuoi compagni di Casa,
l’eventuale
interessamento nei confronti di Harry che, con il passare del tempo,
sarà sempre più palese, — aggiunse
sarcastico facendo arrossire i
due ragazzi. — Bene, se questo è tutto io torno al
castello; con
te, Harry, avrò modo di approfondire l’argomento
in privato. La
pozione che sta bollendo nel calderone è l’ultimo
tassello per
completare il procedimento inventato da Mastro Merlino
dopodiché,
che i Fondatori ci aiutino. — Severus sbuffò
alzando gli occhi
scuri al cielo. — Ogni cosa sarà compiuta, a quel
punto non sarà
più possibile tornare indietro, —
dichiarò solenne e inforcò la
porta, con la discrezione tipica della sua persona, non prima di
essersi accertato che nessuno si trovasse fuori nel corridoio. Dietro
di sé lasciò i ragazzi alle loro chiacchiere,
mentre risoluto
risaliva la strada verso Hogwarts immerso in
pensieri sempre
più cupi. “Non permetterò che
soffra, Lily,” si ripeteva
nella testa come un mantra, “mai più
soffrirà: è
una promessa.”
********
Natale
si avvicinava velocemente, e Ron, tutto preso dalla personale
battaglia contro il suo ex amico, non riusciva a capire
perché
qualsiasi incantesimo che rivolgeva a quello sporco traditore
–
tutti lanciati coraggiosamente
alle spalle di
Harry – in qualche modo venivano prontamente
deviati. Eppure
sapeva perfettamente che Potter – masticò
di malagrazia il
cognome – non
aveva più un briciolo di magia in
corpo. L’idea di ridicolizzarlo davanti agli amici si era
definitivamente frantumata dopo che era finito in infermeria, svenuto
per colpa di un potente Protego che
l’aveva sbattuto contro un muro.
“Sicuramente
è stato Paciock,” pensò rancoroso,
“a interferire con il mio
Schiantesimo.” Quindi urgeva correre ai
ripari anche perché,
tra i suoi nuovi accoliti, cominciavano a spuntare i primi dubbi:
doveva subito fugarli con un piano geniale. Dentro di sé
fremeva
d’impazienza però non voleva ricorrere
all’aiuto di Hermione,
voleva cavarsela da solo: era o non era il nuovo prescelto? Sempre
più convinto di questa verità assoluta,
finalmente ebbe l’idea
giusta quando assistette in Sala Grande a uno
scontro molto
animato tra due Grifoni del secondo anno
– sapientemente
portatici da
un infido Draco –
finiti presto in Presidenza. Rigirando euforico le mani,
pensò:
“Perché
non sfidare Potter a
duello? La vecchia folaga mi sta
allenando regolarmente
e, durante l’incontro,
solo Harry può
effettuare magie: chiunque
intervenga
in suo favore decreterebbe la mia
vittoria.” Un sorriso cattivo gli piegò
le labbra che, su di
lui, con la faccia da bambinone poco cresciuto che aveva, assunse un
tono decisamente grottesco. Da quel momento, per lui, la
priorità fu
convincere l’odiato professore di D.A.D.A.
a organizzare
l’evento e decidere la data giusta in modo che tutti gli
studenti
potessero assistere al suo trionfo durante le vacanze natalizie.
— La
notte di Santo Stefano il mito di Harry Potter crollerà per
sempre
sotto i miei colpi. Sarò io, Ronald Billius Weasley, il
nuovo idolo
del Mondo Magico, — canticchiava
tra sé e sé il rosso. — Parola
di Grifone!
Note
dell’Autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
Buona
lettura.
|
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Capitolo 22 *** Cap. 22 - Il duello... ***
Il
morso del diavolo
Cap.
22 – Il duello...
La
radura ai piedi del Platano Picchiatore era illuminata a giorno; un
incanto riscaldante smorzava la morsa gelida dell’inverno. La
neve,
caduta abbondante in quei giorni, era stata tolta e usata per creare
sculture di ghiaccio rappresentanti antichi maghi intenti a duellare
tra loro e poste ai lati di un lungo tappeto rosso. Nella notte erano
sorti gli spalti come per una finale del Torneo Tre Maghi;
gremiti all’inverosimile, rumoreggiavano sommessamente sotto
la
volta stellata di quella quieta serata di fine anno. Al centro della
pedana rotonda, richiesta
così da
Harry, la nera figura di Piton, voluto
come arbitro
da Ron per
cercare di
avvantaggiarsi sull’avversario, visto
il suo riconosciuto odio verso Potter, troneggiava
imperturbabile aspettando i due contendenti per dare inizio al
duello.
Severus,
volgendo attorno gli occhi attenti alla minima anomalia, ripercorse
gli ultimi eventi della propria vita. Il primo fra tutti a fargli
visita fu il risentire, sulla propria pelle, la claustrofobica
sensazione generata dalla paura di morire che aveva vissuto quando
era stato chiamato al cospetto del Signore Oscuro, dopo la bravata di
quell’inutile inetto di un Grifone.
A
seguire, arrivarono a fargli compagnia
gli
strazianti momenti in cui aveva subito le torture di
Bellatrix
e Lucius che, in seguito, gli avevano provocato allucinazioni
così
vivide che tuttora insistevano a popolare i suoi sogni. Ma non tutti
i ricordi erano nefasti, infatti, non poté evitare di
provare una
profonda gioia, che riusciva sempre a scalfire un pezzetto in
più
del suo cuore avvizzito, ogni volta che evocava il “bentornato,
padre” dettogli da Harry quando si era ripreso
dalle violenze
subite. Un moto di orgoglio gli gonfiò il petto al pensiero
che, con
la riuscita della pozione di Merlino, di cui proprio
quella
mattina
Harry aveva
preso
l’ultima fiala, aveva contribuito a far
riemergere tutto il
potenziale magico di suo figlio; socchiuse leggermente gli occhi per
assaporare fino in fondo la sconcertante verità: “Harry
Potter
è mio figlio”.
Ora, mentre gli occhi
incrociavano quelli della figura che avanzava con passo sicuro, non
poté esimersi dal sentirsi onorato dell’affetto
che quel ragazzino
caparbio, sempre pronto a fare la cosa giusta, gli dimostrava in ogni
momento. Avrebbe voluto andargli incontro e accarezzare quei soffici
capelli ribelli con indolenza fino alla totale espiazione delle
proprie colpe; stringersi addosso quel corpo troppo magro per
proteggerlo da tutti i mali del mondo e affrontare con lui, e per
lui, i pericoli che il destino gli aveva riservato e osservarlo fiero
mentre combatteva a testa alta. Distrattamente, si chiese se fosse
questo era essere un padre: riempire Harry di attenzioni amorevoli,
così poco conosciute da entrambi, eppure così
bramate.
Intanto,
da destra, salì sulla pedana un irascibile Ron accompagnato
da un
allegro e fin troppo ciarliero Finnigam; a sinistra, invece, Harry,
accompagnato da un guardingo Neville, era tranquillo. I due
contendenti, sotto lo sguardo vigile di Severus, fecero il saluto di
rito e presero posto, uno di fronte all’altro, in due punti
precisi
della pedana; essendo rotonda avevano il vantaggio di potersi muovere
in ogni direzione, invece che essere costretti ad affrontarsi in
linea retta. Severus, con voce dura, spiegò brevemente le
regole
dell’incontro poi, dopo essersi posizionato fuori dal cerchio
e
aver trascinato con sé gli altri due Grifoni,
alzò la
bacchetta in aria facendo scaturire dal nulla un fascio colorato che
diede il via al duello magico; sugli spalti, gremiti
all’inverosimile, scese un attento silenzio.
Il
primo a lanciare l’offensiva fu il rosso che, con un
movimento
grossolano del polso e la vana gloria ad ingrossarne l’ego,
mise
subito in chiaro l’intenzione di far del male. Il suo
avversario,
invece, non emise un fiato; solo gelida collera guidò le
mani di
quel ragazzo moro dallo sguardo maturo nell’erigere uno scudo
in
propria difesa. I colpi sferzati da Ron con brama di sangue e
vendetta si schiantarono contro un muro invisibile, consumandosi in
mille scintille di luce fredda, simili a stelle nella volta celeste.
Ron, col fiato grosso per lo sforzo, gli urlò contro
provocatorio: —
Tutto qui quello che sai fare?
In
risposta un fendente preciso gli graffiò la guancia destra,
appena
sotto l’occhio; una goccia di sangue scarlatto
rigò la pallida
epidermide lentigginosa.
— Soddisfatto?
— Senza battere
ciglio Harry riabbassò
il braccio.
— Come
osi farti beffe di me! — gridò
con rabbia il Grifone. — Sono
io il
prescelto e conosco il tuo segreto, ti distruggerò
dimostrando a
tutti la tua inutilità!
— Se
è questo quello che pensi, vieni a prendermi, —
lo
istigò Harry allargando le
braccia. Ron, come una furia, si avventò
sull’altro ragazzo
bersagliandolo con colpi alla cieca; Harry, come un abile spadaccino,
schivò, parò, volteggiò e
danzò con la magia plagiandola ad ogni
suo desiderio.
— Bombarda
Massima! — abbaiò
Ron con voce ansante.
Un
boato raggiunse ogni anfratto della radura azzittendo immediatamente
ogni creatura presente; una nuvola densa di fumo nero, nel punto in
cui un attimo prima c’era Harry, si innalzò dalla
pedana oscurando
l’aria. Tutto era immobile, sembrava che la natura stessa
fosse in
fremente attesa. Improvvisamente un grido di giubilo spezzò
il
silenzio.
— Ho
vinto! Ho vinto! Ho battuto il grande Harry Potter. —
Ron, gridando a più non posso, saltellava felice come un
grosso
scimmione intento in una strana danza tribale; a fargli da eco, la
casata Grifondoro rispose
cantando inni di giubilo.
— Non
così in fretta. —
la
voce pacata di Harry emerse dal fumo che si stava lentamente
diradando. In quel momento, dalla punta della sua bacchetta
scaturì
un sottile raggio di luce che aprì una seconda ferita sul
viso
attonito di Ron; Silente abbandonò gli spalti nonostante la
professoressa McGranitt lo richiamasse perplessa.
— Non
può essere! — Ron
boccheggiò esterrefatto. —
Come
puoi essere sopravvissuto, ho usato tutto il mio potere, dovresti
essere morto!
— È
questo che vuoi Ron? Che io muoia? —
chiese
Harry senza tradire nessuna emozione.
— Sì,
— rispose
semplicemente Ron.
— Perché?
— sfuggì
al moro.
— Perché?
Hai il coraggio di chiedermi perché!? Tutti pensano che io
sia il
tuo cagnolino fedele, quello che fa il lavoro sporco al posto tuo,
mentre tutto il Mondo Magico si affida a te
soltanto. Ti ho
seguito in ogni tua stronzata e ne sono uscito regolarmente
malconcio. Per tutto questo tempo sei stato come una maledizione
malefica e sono stufo di pagarne le conseguenze. —
Gesticolò come un ossesso sputando invettive.
— Bastava
non seguirmi, se temevi così tanto per la tua vita, —
rispose Harry
imperturbabile, mentre
parava un Diffindo.
— Sei
solo una piaga, — insistette
Ron. — Sirius
non sarebbe morto se solo
tu non fossi stato così presuntuoso da pensare che
raggiungere il
Ministero senza l’aiuto degli adulti potesse salvarlo. Si
è
rivelato un disastro, come era prevedibile, eppure, in
quell’occasione, anche un bambino se la sarebbe cavata
meglio.
Engorgio.
— Davvero?
— Harry
inarcò il sopracciglio con finto
stupore parando con maestria l’incanto. —
Quindi vorresti farmi credere che, siccome non sei stato
colpito da un Mangiamorte, sei
stato migliore di tutti
noi? — ironizzò
Harry, poi, battendosi una mano sulla fronte, continuò. —
Eppure mi sembra di ricordare che tu, durante lo scontro,
giacevi svenuto perché eri caduto accidentalmente in una
strana
vasca piena di cervelli-tentacolari. Pensavi di
acquistarne
l’intelligenza? — domando
derisorio. Le guance di Ron divennero livide dalla rabbia.
— Sta
zitto! — urlò
isterico per poi lanciargli contro un Artis
Tempurus, prontamente respinto.
— Neville,
ferito e senza bacchetta, si è comportato con più
onore di te. —
Fu il turno di Harry di infierire.
— Dissendio.
— Ron non
si diede per vinto e continuò a lanciare
incantesimi sempre
più inviperito. —
Sono io l’uomo
giusto per Silente, mi sta dando lezioni private per prepararmi alla
guerra, cosa che con te non ha fatto, —
sottolineò
derisorio, spedendogli
addosso un Glacius.
— Sono
tutto un fremito, Ron, ma mi sento obbligato a farti notare che,
visto che, qui, tu sei l’unico ferito, credo tu abbia bisogno
di
più lezioni. — Sorrise
beffardo.
— Non
riuscirai a scavalcarmi, io sono destinato ad affiancare Silente.
Inflantus.
— Ma
io non ho nessuna intenzione di prendere il tuo posto, —
rispose serafico
Harry.
— … —
— Ma
come, — soffiò
con finto sgomento Harry, — ti
vanti
tanto di essere in confidenza con il Preside eppure lui ritiene
opportuno tenerti nascosto un particolare così importante?
Non si fa
così, non credi? —
Scosse la testa
incredulo. — Comunque,
a scanso di futuri
equivoci, ti cedo volentieri tutta la fama del prescelto, se
è
questo a cui aspiri. Io, invece, ho deciso che mi è bastato
vedere
la morte in faccia una volta in più per tenermi stretta
questa vita
e le persone che ritengo importanti.
— Guardati
attorno e apri gli occhi, qui nessuno ti vuole, —
gli disse con
cattiveria il Grifone.
— Ad
essere sincero l’unico momento in cui mi sono sentito davvero
abbandonato è stato al mio risveglio in ospedale, —
gli disse in tono
colloquiale e, senza battere ciglio, parò con
un Protego
il Levicorpus che Ron gli
lanciò addosso sempre più
indispettito. — Ma
poi, delle persone
inaspettate si sono prese cura di me. Ed è allora che ho
realizzato
che, — fece una
piroetta per schivare un Orbis, —
tutta la mia vita passata era solo una grande menzogna.
— L’unica
vera bugia sei tu. Ti sei nascosto per tutta l’estate mentre
Tu-sai-chi decimava interi villaggi, —
ansimò
per la stanchezza il rosso,
— non un solo
gufo, niente di niente.
— Non
credi che avessi altro a cui pensare dopo esser stato sputato fuori
dalle fauci di un gigantesco serpente magico? —
gli rispose
sarcastico.
— Perché
non riveli a tutti il tuo segreto? —
chiese
improvvisamente Ron fermandosi in mezzo alla pedana e allargando le
braccia esasperato dai suoi continui insuccessi.
— Segreto?
— gli fece eco
Harry, fintamente sorpreso, —
di quale
segreto parli, Ron?
Note
dell’Autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
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Capitolo 23 *** Cap. 23 - ...e le sue conseguenze ***
Il
morso del diavolo
Cap.
23 – ...e le sue conseguenze
Le
stelle erano ormai sbiadite dietro a cumuli di nuvole, così
addossate le une sulle altre da soffondere la volta celeste con una
luce opaca e lattiginosa. Spirava un leggero vento che faceva
ondeggiare i secolari alberi al limitare della Foresta
Proibita
sussurrando, tra le fronde, antiche canzoni ormai perdute nel tempo.
L’aria fredda era riuscita a intrufolarsi tra le pieghe
dell’incantesimo riscaldante, ormai quasi del tutto privo di
efficacia, insinuandosi dentro i risvolti di pelliccia dei pesanti
mantelli in dotazione agli studenti. Sembrava che a nessuno
importasse che quella notte la temperatura fosse scesa così
tanto da
far cadere grassi fiocchi di neve somiglianti a migliaia di boccini
che vagavano senza meta, orfani del loro Cercatore.
I volti
dei pochi coraggiosi spettatori rimasti erano arrossati e il fiato
caldo, che si ostinavano a far uscire dalle labbra screpolate, non
riusciva a riscaldare le dita intorpidite, seppur agghindate in
guanti multicolori. I piedi, ormai intirizziti, battevano forte sugli
assiti di legno accompagnati da sonori “oh”
ogni qualvolta
un incantesimo, sfuggito ai due contendenti, si abbatteva sulla
ferrea barriera eretta a proteggerli; le urla di incoraggiamento
avevano lasciato da tempo l’arena, sostituiti da curiosi
bisbiglii
passati di bocca in bocca come una marea al calar del sole,
finché,
le persone ancora presenti all’incontro, si zittirono come un
sol
uomo colpito da un Silencio.
— Segreto?
— gli fece eco
Harry.
Draco,
trattenuto per il polso da Blaise, si guardò in giro
preoccupato
mordendosi nervosamente le labbra rese livide dal freddo; in quel
momento, la manona di Greg calò sulla sua spalla per
richiamare la
sua attenzione.
— Non
temere, — gli
disse con un cipiglio serio in volto, —
se
quella sottospecie di piattola lo offende ci pensiamo noi a
sistemarlo. — Dietro
di lui, Vincent
scrocchiava le dita serrate in un ferreo pugno, mentre annuiva
convulsamente con la testa senza perdere di vista i ragazzi sulla
pedana. A quelle parole, un mormorio di approvazione
serpeggiò lungo
tutta la fila dei verde-argento assiepati addosso
alla
balaustra. Draco, preso alla sprovvista, si accorse solo in quel
momento delle bacchette strette nelle mani di alcuni dei propri
compagni che, con discrezione, lanciavano fuggevoli sguardi ai
Grifoni seduti poco distante.
Alzando un sopracciglio
perplesso, guardò interrogativo Theo che, scrollando le
spalle, gli
fece notare come Potter, in quel mese, si fosse guadagnato la loro
stima e fiducia aiutando e difendendo, in varie occasioni, i
più
piccoli dalle spacconate delle altre Case.
Seppur
scosso, sul volto di Draco si aprì un bellissimo sorriso di
gratitudine. Intanto, al centro della pedana, il diverbio continuava.
— Sei
un Magonò!
— urlò
Ron con tutto il fiato che aveva in gola cercando di farsi sentire da
tutti i presenti.
— Ne
sei proprio certo?
Allora, come
potrei fare: Herbifors! — Puntò
la bacchetta sulla testa del rosso e dei fiori sgargianti sbocciarono
tra i suoi capelli. —
Come
stavo dicendo, come potrei fare questo senza magia? —
chiese retorico;
forti risate riempirono la vallata.
— Signor
Weasley, per quanto vederla denigrato e umiliato sia uno spettacolo
decisamente soddisfacente, devo ritenere concluso l’incontro.
—
Una voce dura
si intromise nel
diverbio facendoli sussultare: troppo presi dalla lotta, si erano
dimenticati della vigile presenza di Severus.
— È
un imbroglio! — Indignato,
il Grifone
cercò di protestare roteando le lunghe braccia come fossero
pale di
un mulino a vento.
Piuttosto
seccato, Severus si accinse a chiarire: —
Signor
Weasley, come sempre deve dimostrare la sua ignoranza in qualsiasi
materia. Si faccia spiegare dalla Signorina Grenger perché,
in un
duello magico, il vincolo creato non dia adito a qualsivoglia
imbroglio, e mi porti una relazione dettagliata
sull’argomento:
minimo cinquanta righe, per il rientro delle lezioni. —
Detto questo, senza perdere altro tempo e ignorando ogni
possibile rimostranza, guardando schifato il rosso come se fosse
budella di Troll essiccate, alzò il
braccio di Harry
decretandolo vincitore; sugli spalti le poche persone ancora
presenti, quasi tutti Serpeverde, batterono le mani
e
fischiarono in approvazione.
Harry,
finalmente rilassato e sorridente, cercò Draco tra la folla
rimasta
mentre Neville, euforico, gli si avvicinava per abbracciarlo.
— Chi
speri di trovare tra la folla, nessun Grifone
ti
è più amico. —
Sputò velenoso Ron
sorridendo soddisfatto.
— Seamus,
— cominciò
beffardo Harry che, senza perdere il sorriso, affiancato da Neville,
si incamminava verso le tribune ignorando il rosso e voltandogli
incautamente le spalle; intanto, il Grifondoro
interpellato
stava fermo sul bordo della pedana con le mani in tasca e il capo
chino a scrutare impacciato le proprie scarpe. —
Hai poi detto
a Ron che hai puntato
su di me come unico vincitore? —
chiese
Harry indicando se stesso con sguardo innocente.
— Avada
K… —
Ron
non riuscì a finire di pronunciare
l’incantesimo che un
indignato Harry si girò di scatto lanciandogli contro uno
Stupeficium; nessuno, visto la notevole distanza, si
accorse
che non aveva usato la bacchetta.
Gli
ultimi gruppi isolati di spettatori, che stavano sciamando lentamente
dagli spalti, rimasero impietriti ad osservare il volo e il
successivo schianto del corpo di Ron contro il Platano
Picchiatore
che, oltremodo infastidito, lo rispedì prontamente al
mittente. In
un silenzio tombale, la professoressa McGranitt accorse, insieme
all’infermiera della scuola, verso il corpo esanime che
giaceva
scomposto poco distante da Harry, il quale tentava di riprendere
compostezza sotto l’occhio vigile del padre; il malcapitato
fu
soccorso e, fortunatamente per lui, non era conciato poi
così male.
Ciò nonostante, con un cipiglio inflessibile, mentre il
corpo
svenuto del Grifone veniva
trasportato in infermeria,
la professoressa si avvicinò a Harry pronta a fargli una
ramanzina.
— Era
necessario ridurlo così, Signor Potter? Sono costretta a
fare
rapporto al Preside, togliere cinque punti alla nostra Casa e
metterla in punizione per una settimana, —
gli
disse caustica.
— Ma,
ma... — balbettò
indignato Neville.
— Signor
Paciock, non peggiori la situazione con inutili balbettii. —
Intervenne Severus e, mentre lo osservava spalancare la bocca,
continuò sarcastico. —
E per amor di
Merlino, chiuda la bocca, non ne giova di certo la sua nota
espressione ottusa. —
Harry rifilò un
piccolo schiaffo al braccio del padre, accompagnandolo con
un’espressione infastidita, quando la donna, dopo aver
mostrato il
proprio disappunto per la spiacevole uscita del collega,
serrò le
labbra e, fatta una mezza giravolta, si diresse con passo impettito
verso il castello per raggiungere la barella fluttuante.
Poco
lontano, Draco, che non vedeva l’ora di raggiungere il
proprio
ragazzo, venne trattenuto da un certo Foxcnos, che frequentava il
settimo anno e apparteneva alla sua stessa Casa. Bisbigliando, lo
avvertì di tenere gli occhi aperti su Pansy
perché era certo che
stesse macchinando qualcosa. Infatti, incurante dello spettacolo
offerto dai due Grifoni, non aveva perso di vista
lo strano
via vai di gufi che si libravano nel cielo dal cantuccio dove la
ragazza si era rifugiata durante l’incontro. —
Spero che in futuro tu tenga conto della mia
lealtà. —
concluse, per
poi eclissarsi con un
leggero cenno del capo e risalire il sentiero che conduceva al
casello. Per un istante, Draco lo guardò allibito e poi
sorrise
compiaciuto e sollevato. “Potrebbe essere un ottimo
alleato,”
pensò, “chiederò a Blaise di
prendere informazioni sulla sua
famiglia.”
In
quel momento, un battere d’ali attirò la sua
attenzione e, dal
cielo plumbeo, si staccò un grosso gufo dalle sgargianti
piume
arancioni; ne osservò il volo discendente finché,
dopo qualche
evoluzione, l’animale emise un verso rauco e si
lasciò cadere
esausto sul braccio teso del ragazzo.
Leggermente
allarmato, e conscio di sapere a chi apparteneva l’insolito
volatile, Draco si avvicinò trafelato al gruppetto ancora
fermo
sulla pedana e consegnò al professore una pergamena. In
realtà, il
biondo avrebbe solo voluto congratularsi con Harry e baciarlo fino a
farlo svenire ma si limitò a sorridergli timidamente,
ignorando
l’occhiata sbieca di Paciock, e a fare in modo che le loro
dita si
sfiorassero leggermente.
— Harry.
— La voce
preoccupata di Severus
interruppe quello scambio di sguardi colmi di dolcezza. —
È una pergamena dei gemelli, — disse
soltanto mentre gliela porgeva. Subito, l’espressione del
ragazzo
cambiò facendosi seria e concentrata: una nuvola nera gli
adombrò
il viso, solo un attimo prima così solare. Guardò
il Padre negli
occhi e attese il suo consenso.
— Glielo
devo. — Sospirò,
cercando di
convincerlo.
— Harry?
— chiesero in
contemporanea gli altri due ragazzi, allarmati.
— Devo
assentarmi per qualche ora... —
cominciò
a spiegare Harry ma fu prontamente interrotto dal Serpeverde.
— No!
Se c’entra il Signore Oscuro vengo anche io! —
asserì
categorico Draco. Dietro di
lui Neville annuiva convinto, mentre il Grifone
cominciava a
spazientirsi.
— Harry,
— Severus
attirò l’attenzione su di
sé, — un
aiuto servirebbe comunque, ti
devi presentare anche all’Ordine, ricordi?
— Va
bene, — rispose
rassegnato il moro. — Verrete
anche voi
due. Draco, tu avvisa Blaise perché ti copra coi vostri
compagni
mentre tu, Neville, ti atterrai strettamente alle istruzioni del
professor Piton. Penseremo dopo a cosa dire agli altri per
giustificare la tua assenza. —
Winky! —
chiamò
e l’elfa, che per tutta la
durata del duello aveva tremato di indignazione, palesò la
sua
figura. — Portaci
alla Tana, —
le
ordinò.
Note
dell’Autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
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Capitolo 24 *** Cap. 24 - Una casa in rovina ***
Il
morso del diavolo
Cap.
24 – Una casa in rovina
Precedute
da un sonoro schiocco, cinque figure apparvero all’interno di
una
accogliente cucina che profumava di biscotti allo zenzero appena
sfornati. Nel grande lavello, sotto la finestra, una spazzola
incantata era tutta intenta a insaponare pentole di rame e piatti
sbeccati, dallo sfondo magico floreale, facendoli cozzare tra loro
creando una sorta di sinfonia maldestra; una pezza lisa e sfilacciata
color vinaccia volava leggiadra di mobile in mobile e, lieve come una
farfalla, sfiorava le superfici attirandone la polvere.
L’ingombrante
tavolo al centro della stanza pareva spoglio e abbandonato, con tutti
quei segni lasciati dall’usura, lui, che su di sé,
aveva portato
il peso di ogni pasto servito in quella casa. Cianfrusaglie di ogni
genere riempivano, fino a farli straripare, dozzinali mobili in legno
chiaro e ogni centimetro delle pareti, un tempo di un tenue giallo,
era coperto da quadri e pentole di ogni forma e dimensione. A lato
del divano consunto, i vecchi cuscini in pizzo ormai ingrigiti, a
ridosso della porta che nascondeva la scala che portava ai piani
superiori, una ramazza era concentrata su un’ostinata macchia
viola
che aveva tutta l’intenzione di non demordere tanto
facilmente. A
Harry si strinse il cuore al pensiero dei momenti felici che aveva
condiviso con quella che, fino a quell’estate, aveva ritenuto
fosse
la sua famiglia adottiva; una lacrima, sapida di frustrazione e
malinconia, scese furtiva lungo la guancia.
— Winky,
procura dei bauli magici, — ordinò
nervosamente Harry all’elfa che era rimasta in trepidante
attesa.
Poi, rivolgendosi agli altri: —
Dobbiamo
fare in fretta, abbiamo poco meno di mezz’ora prima che i
Mangiamorte arrivino. Distribuitevi nelle varie
stanze e
raccogliete solo quello che ritenete importante. Dai rumori che
giungono da sopra presumo che Fred e George stiano facendo
altrettanto.
— Come
sai che sono loro? — Chiese
preoccupato
Neville che guardava la stanza girando su se stesso tenendo ben salda
la bacchetta tra le dita.
— Perché
Harry, — cominciò
George sbucando dalla scala con in mano un sacco che tintinnava ad
ogni movimento, — conosce
ogni cosa che
ci riguarda, —
proseguì Fred, arrivando
di soppiatto dietro a Draco e scompigliandogli i capelli chiari. Il
ragazzo, indignato, mentre si ricomponeva, mugugnò di atroci
ritorsioni.
— Vero?
— conclusero
insieme i due ragazzi facendo l’occhiolino e scoppiando a
ridere
davanti alle loro facce sgomente. Harry corse a stringersi addosso ai
due nuovi arrivati, seppellì il viso sul panciotto di George
biascicando parole sconnesse. Al loro sguardo perplesso, alzando un
sopracciglio in memoria dell’affronto subito, a Draco non
rimase
che spiegare, seppur con sarcasmo, che quello era il modo con cui
Harry cercava di scusarsi per aveva spedito il loro ‘preziosissimo’
fratellino in infermeria.
— Harry!
— intervenne
scandalizzato Neville, — Ti
ha lanciato contro la Maledizione senza Perdono.
Fred
scostò leggermente il corpo del moro da quello del gemello
per
cercare di piantare i propri occhi increduli in quelli schivi del
ragazzo più piccolo.
— È
vero? — chiese
George scrutando, al di sopra della testa arruffata di Harry, i visi
seri dei presenti che annuirono piano, quasi timorosi della loro
reazione. — Harry
non ti devi rammaricare
per noi, — cercò
di convincerlo Fred. — Siamo
sempre stati
consapevoli della stupidità di Ron, —
gli
fece eco il fratello. — Perché
credi che
fosse il nostro soggetto preferito per gli scherzi? —
concluse Fred
strizzandogli l’occhio
e facendolo sorridere. La loro capacità di parlare in
sincronia era
uno spettacolo che aveva sempre affascinato Harry e, finalmente
rasserenato, si spostò per guardarli meglio. Prontamente due
braccia
calde lo afferrano per stringerlo con possessività; un
leggero
profumo di sandalo e vaniglia lo avvolse, rassicurandolo.
— Tenete
le vostre manacce lontano dal mio ragazzo, —
chiarì
con fervore Draco.
— Ohi
ohi ohi, attento Fred, che il furetto morde! —
rise George
alzando esageratamente
in alto le mani in segno di resa. Harry arrossì per
l’evidente
premura di Draco nel sottolineare il loro appartenersi e
chinò il
capo imbarazzato, sentendo le guance ribollire, davanti al cipiglio
severo del Padre, lo sguardo sorpreso di Neville e quello
canzonatorio dei gemelli.
— Hai
ucciso un Basilisco e ti imbarazzi davanti agli amici? Abbiamo un
sacco di cose da insegnarti, amico mio, —
si
affrettarono a dire, alternandosi, i due gemelli, mentre
sghignazzavano senza pudore. Draco serrò di più
la presa.
Harry,
colto da una improvvisa morsa malinconica, svicolò dalle
braccia del
proprio ragazzo e corse su per le scale raggiungendo quella che era
stata la stanza che aveva condiviso con Ron in un passato ormai
lontano. Si bloccò al centro della stanza e socchiuse gli
occhi alla
vista del colore accecante dei poster della squadra di Quidditch
preferita da Ron. Si guardò in giro e notò che
quasi nulla era
cambiato. Con dita tremanti sfiorò le figure in movimento
sulle
pareti e gli oggetti sparsi in ogni angolo, si sedette sul letto e
per un secondo saggiò la durezza del materasso sorridendo
triste al
ricordo di quante volte, lui e Ron, si erano presi a cuscinate,
ignorando le urla isteriche di Molly provenienti da sotto,
finché,
stanchi per il gran ridere, crollavano esausti a terra. Con mani
instabili prese la foto, quella che era anche il suo scatto
preferito, in cui lui e il rosso davano la caccia agli gnomi da
giardino dietro la “Tana”; una
lacrima rotolò lungo la
guancia accaldata andando a macchiare la cellulosa. Stizzito si
raddrizzò e, con uno schiocco delle dita,
impacchettò tutto;
insieme, stipò anche i propri ricordi. Finito,
indugiò ancora un
attimo per poi voltare le spalle e uscire a passo spedito; nella
stanza vuota rimase soltanto la foto, quella in cui erano ritratti
insieme e che Ron aveva mutilato della sua immagine. In breve tempo
dei grossi bauli ingombrarono la già stracolma cucina; al
loro
interno vi era pigiata l’intera storia della famiglia
Weasley.
Era
stato davvero per un caso fortuito che i gemelli, in giro per affari
a Nocturne Alley, erano incappati proprio in Tiger
e Goyle
senior. Questi ultimi, orgogliosi per l’incarico assegnato
loro dal
Signore Oscuro, si stavano rifocillando seduti al tavolo di un fumoso
locale di bassa lega. Brindavano con un boccale di Burrobirra
scadente con chiunque prestasse loro attenzione, vantandosi
dell’imminente attacco alla casa di quegli stupidi Babbanofili
amici di Silente; presi dall’euforia, si erano lasciati
sfuggire il
luogo dello scontro, allarmando così i due ragazzi.
In
quell’istante, dall’esterno, si udirono i primi
“pop” delle
materializzazioni.
— Winky,
— si affrettò
ad ordinare Harry, — porta
i bauli a casa
di Severus e, quando torni, farai ciò che lui ti
dirà. —
L’elfa sparì in un soffio. —
Io vado,
mi raccomando state attenti e non fatevi scoprire. —
Poi diede un bacio veloce a Draco, mentre i primi
incantesimi
cercavano di forzare le deboli barriere intorno alla casa,
abbracciò
frettolosamente il Padre e lanciò uno sguardo preoccupato ai
gemelli
e uno di raccomandazione a Neville. Infine, Harry, con il cuore
gonfio d’ansia, sparì in uno sbuffo di fumo.
— Perfetto,
hanno già iniziato. Lanciate solo qualche debole incantesimo
per
tenerli a bada evitando così che entrino. Ai primi segni di
cedimento della struttura ci spostiamo ai confini della
proprietà,
sulla collina che si intravvede da quella finestra e, quando tutto
sarà finito e se ne saranno andati, la ricostruiremo
mettendo delle
nuove e più potenti protezioni, —
li
istruì Severus, mentre teneva d’occhio i fasci di
luce che, in
quel preciso istante, ruppero le barriere. —
Signor Paciock, venga qui e non si stacchi dal mio fianco,
—
disse
sbrigativo. —
Draco vai con Winky dall’altro lato della casa,
sarà lei a
portarti sulla collina. E voi due, —
guardò
rigido i due gemelli, — salite
di sopra.
Mi raccomando, nessun atto di coraggio, —
intimò
a tutti.
Nell’aria
antistante il cortile sibilarono i primi incantesimi diretti alle
mura; le finestre si accesero come alberi agghindati per il giorno di
Natale. La casa, complice la sua strana forma, colpita ripetutamente,
iniziò a ondeggiare e a scricchiolare; sembrava di assistere
al
lamento di una belva ferita. A una certa distanza, trattenuti dal
contrattacco mirato proveniente dalla costruzione, i Mangiamorte
urlavano oscenità come piccoli barbari davanti a un
falò acceso per
propiziare la caccia. L’intensità degli
incantesimi fece tremare
violentemente l’edificio fino alle fondamenta, ormai
lungamente
provate; i vetri s’infransero e le schegge schizzarono in
ogni
direzione mentre le mura, irrimediabilmente danneggiate, si
accartocciarono su se stesse come se volessero essere
l’ultimo
baluardo contro i feroci colpi: tutto fu vano. Con un fragoroso
schianto la “Tana” si arrese,
afflosciandosi inerme al
suolo in un turbinio di polvere nera; in quella bolgia, nessuno si
avvide di alcune ombre apparse sulla cima del colle che dominava la
vallata. Spire di fumo denso, inframezzate da lingue di fuoco,
salirono fino ad oscurare il cielo stellato mentre, al suolo,
ciò
che restava dell’abitazione ardeva nell’abbraccio
folle
dell’Ardemonio. La
furia dei Mangiamorte
si placò e, dopo aver lanciato in aria il simbolo di morte
del loro
signore e padrone, si dileguarono lasciandosi dietro il pietoso
silenzio delle rovine.
Sulla
cima della collina, impotenti, i gemelli osservarono quello scempio
con i visi duri e le mani strette a pugno: era la loro casa, il luogo
dove erano nati e vissuti ed ora era persa per sempre. Nessuno dei
due sentì la stretta ferrea sulle spalle con cui Severus li
tenne
fermi, timoroso di una loro avventata rappresaglia. Nemmeno
avvertirono le timide carezze, sulle loro braccia rigide lungo i
fianchi, che Neville si prodigava a fare per cercar di calmarli.
Erano chiusi in una bolla di rabbia che neanche Draco era riuscito a
perforare con il suo insistente chiacchierare per cercare di
distrarli. Winky, poco distante, quasi si ritenesse l’unica
responsabile, davanti al loro immenso dolore si prendeva a testate
contro un albero, piagnucolando istericamente.
Entrambi
i ragazzi, nel momento stesso in cui avevano realizzato che
là
fuori, da qualche parte, si combatteva una guerra, avevano messo in
conto che avrebbero potuto soffrire per delle perdite, però
quello a
cui stavano assistendo era diverso. Quella casa, seppur bizzarra,
rappresentava la Famiglia, il luogo da cui discendevano, era il loro
personale “arazzo”. Vi erano
angoli sparsi per la casa che
portavano le loro firme come, per esempio, la bruciatura sul soffitto
in salotto, che nessuna magia era riuscita a eliminare, con grande
scorno della madre, causata dal loro primo esperimento di fuochi
d’artificio. Anche i metri magici per misurare
l’altezza, appesi
dietro la porta della camera da letto dei genitori, portavano la loro
firma; ancora adesso ridevano quando la notte di Natale, seduti
davanti al camino, ricordavano quello di Ron che loro, a insaputa di
tutti, avevano incantato affinché il fratello risultasse
sempre alto
50 centimetri. Fred alzò un braccio e si grattò
un punto sulla
spalla dove sapeva esserci una piccola cicatrice; se l’era
procurata quando con George, incuranti del pericolo, aveva voluto
imitare i Babbani scivolando lungo la scala,
prontamente
ghiacciata dalla magia involontaria, con una tavola di legno
recuperata dalla casetta degli attrezzi del padre. George, al suo
fianco, sghignazzò quasi sapesse a cosa stava pensando. Ne
avevano
combinate tante in quella casa: avevano riso e pianto, avevano visto
i loro sogni prendere forma su mille pergamene sparse sotto i loro
letti, si erano presi cura uno dell’altro immersi
nell’atmosfera
calda e accogliente dell’abbraccio dei loro cari, erano
cresciuti
ma non abbastanza per comprendere quella barbarie. Con odio
osservarono una giovane donna allontanarsi soddisfatta, alle sue
spalle il fuoco divampava sinistro, un attimo prima che si
volatilizzasse.
Mentre
sporadiche vampate trovavano ancora gioco tra le macerie, le figure,
ognuna persa in tristi pensieri, discesero guardinghe il colle. Dopo
un cauto sopralluogo, constatato che tutto era andato perduto,
collaborando con la magia elfica, ricostruirono dalle ceneri la
bizzarra casa. Il compito più arduo, affidato al Pozionista,
fu
quello di erigere una barriera che non permettesse agli estranei di
vedere al di là dello scudo: chiunque si fosse avventurato
fin lì
avrebbe scorto soltanto le rovine di un antico casolare. Era ormai
notte inoltrata quando l’ultimo incantesimo protettivo venne
lanciato; si scambiarono degli abbracci solidali per poi separarsi:
ci fu chi rientrò a scuola e chi raggiunse Harry
nell’antica
dimora dei Black.
Note
dell’Autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
|
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Capitolo 25 *** Cap. 25 - Un duro confronto ***
Il
morso del diavolo
Cap.
25 – Un duro confronto
Harry
osservò stralunato la porta d’ingresso di casa
Black, puntiglioso,
cercò possibili cambiamenti nel colore e nella sostanza ma
sapeva
bene che stava solo procrastinando; quindi stava fermo lì,
un po’
chino su se stesso e con l’espressione da beota stampata in
faccia,
poco convinto di entrare. Sapeva che il rimorso lo avrebbe assalito a
tradimento, quindi attese quieto, sull’ultimo gradino, con la
mano
già sulla maniglia, che i ricordi di Sirius lo travolgessero
come
cavalli imbizzarriti, lasciando che la rabbia verso se stesso,
Voldemort e il destino avverso, lo investisse in pieno. Stanco,
appoggiò la fronte contro il legno freddo e attese che il
diluvio di
emozioni si placasse prima di aprire silenziosamente l’uscio,
per
non disturbare il quadro raffigurante la madre di Sirius, e
inoltrarsi nel corridoio buio evitando appena in tempo un
portaombrelli dall’inquietante forma a zampa di Troll.
Poi,
proseguì spedito fino alla porta della cucina,
da sotto la
quale, si allungavano tremolanti delle ombre, segno evidente che
erano presenti molte persone, che macchiavano la striscia di luce. Ad
un passo dall’uscio, distinse chiaramente i loro sommessi
borbottii
e un timore lo colse: “Mi accetteranno di nuovo?”
si
chiese titubante, mentre apriva uno spiraglio per sbirciare dentro.
Tuttavia, per lui non faceva ormai nessuna differenza.
A
capo tavola, Silente sedeva pensieroso davanti a una tazza di
tè
fumante; intorno a lui, persone che non aveva mai visto prima,
parlottavano tra loro cercando di coinvolgere il vecchio preside.
Remus e Tonks, appoggiati entrambi contro il lavello
dall’altra
parte della stanza, intrattenevano una intima conversazione
scambiandosi, di tanto in tanto, un’affettuosa carezza; poco
distanti, in un angolo buio, Mundungus e Moody stavano litigano per
un oggetto lucido dalla forma particolare. Tra tutti loro si aggirava
un’indaffarata Molly che distribuiva biscotti appena
sfornati,
mentre il marito la seguiva reggendo una brocca di succo di zucca. Fu
proprio il padre di Ron a scorgere per primo la figura silenziosa di
Harry che si intravvedeva sull’uscio.
— Harry?
— disse incerto
con un filo di voce. — Sei
proprio tu?
Al
suono di quel nome tutti i presenti si congelarono
all’istante
assumendo ridicole posizioni mentre scrutavano sorpresi la figura
che, guardinga, avanzava all’interno della stanza; uno
scalpitio di
passi e, in men che non si dica, Harry fu travolto da quel fiume in
piena che era la signora Weasley.
— Oh,
Harry caro, quanto siamo stati in pena. Sei davvero tu, fatti
toccare, ma guardati ci hai fatti proprio preoccupare, sai. Dove sei
stato finora? Si sono presi cura di te? Mi sembri troppo magro,
aspetta che riesca a tenerti con me per una settimana e vedrai. Oh
caro, che felicità! Sono sicura che il mio Ron
sarà felice di
sapere che stai bene. Ci sei mancato. Fatti abbracciare, —
disse tutto
d’un fiato, troppo
emozionata per riuscire a controllarsi, mentre se lo stringeva
addosso facendo sprofondare il volto paonazzo di Harry,
nell’abbondante seno.
— Molly
cara, credo che non giovi molto a Harry se lo stritoli così,
e poi
anche altri aspettano con ansia di riabbracciarlo, —
suggerì
il marito, trattenendo a
stento la gioia mentre dava leggeri buffetti sulla spalla del
ragazzo; furtivamente si asciugò una lacrima.
— Sì
certo, scusate, — piagnucolò
Molly scostandosi a fatica da quello che amava come un figlio. —
Ecco, ecco, mi faccio da parte, contenti?
Tutti
nella stanza risero con discrezione davanti all’entusiasmo
della
Signora Weasley; poi fu il turno di Remus, con la sua aria sempre
così dimessa, ad abbracciarlo stretto e sussurrandogli, con
voce
commossa, tutto il proprio affetto mai scemato. Il licantropo,
guardandolo dritto negli occhi, gli confessò felice che
stava per
costruirsi una famiglia con Tonks e, inoltre, con un pizzico di
timore, asserì che, se voleva, poteva considerarsene un
membro
onorario. Harry gli sorrise imbarazzato ma non fece in tempo a
rispondere perché anche gli altri lo vollero salutare chi
con una
battuta, chi con una stretta di mano, chi con una pacca sulla spalla.
Il Grifone, mentre veniva strattonato dai membri
dell’Ordine
della Fenice, mantenne un’espressione serena che
non si estese
mai agli occhi perché troppo occupati ad osservare il
preside.
— Vedo
che non hai avuto difficoltà a trovare l’entrata, —
esclamò
Silente; Harry si chiese se
era una nota sardonica quella che avvertiva nella voce del preside.
— Non
capisco che intendete dire, signore, —
disse
con finta ingenuità Harry. —
È forse
cambiato qualcosa dall’ultima volta che sono stato qui? —
“Bella domanda, vero?”
Sogghignò nella
propria testa battendo un immaginario “cinque” con
se stesso;
imbarazzati, tutti gli adulti sfuggirono lo sguardo, divenuto
improvvisamente penetrante, di quel ragazzo così misterioso.
— No,
Harry, — si
affrettò a intervenire Tonks incespicando sulle proprie
parole. —
Cosa vai a
pensare! Piton ci ha
riferito cosa ti è successo, temevamo per la tua vita e
così...
— Davvero?
— L’interruppe
vagamente perplesso Harry. —
Lusingato di
tanto interesse, infatti fuori dalla casa di Severus c’era la
fila
per entrare a farmi visita. —
Sprezzante,
Harry pensò che c’era una certa soddisfazione nel
veder arrossire
gli adulti.
— Però
anche tu avresti potuto mandare un gufo. —
gli
fece notare uno dei Weasley, forse Charlie. “Curioso,”
pensò distrattamente Harry, “come
è possibile che tra parenti
stretti spesso i pensieri e le parole pronunciate, anche a distanza,
risultassero sempre gli stessi.”
— Quando?
Prima o dopo essere uscito dal coma? —
chiese
irritato, inchiodando lo sguardo negli occhi chiari del giovane uomo.
— Forse ti
è sfuggito che in quel mese
sono rimasto inchiodato nel letto per riprendermi dal morso di
Nagini.
— Suvvia,
lasciamolo respirare! — si
intromise Molly evitando così la lite che si stava
addensando
nell’aria. —
Harry caro, vieni a
sederti qui che sarai stanco. —
Lo esortò
la donna indicandogli la sedia vicino al Preside. —
Bravo, ora raccontaci, —
concluse
mettendosi comoda a propria volta lì accanto. Harry,
ubbidiente, si
sedette mentre guardava interrogativamente Silente: in quel momento,
capì che nessuno sapeva esattamente cosa aveva passato.
“Ma
perché non dirlo? A
che gioco stai
giocando?” Perso in quei pensieri si accorse troppo
tardi che
la donna non aveva smesso di parlare. —
Sono
felice che sei tornato, caro. —
Gli
elargì una carezza che riportò Harry al presente.
—
Così
riprenderai il posto di
Prescelto e Ron non correrà più inutili pericoli.
— Prego?
— chiese
basito, mentre un ingombrante silenzio calò nella stanza.
Note
dell’Autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta. Buona
lettura.
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Capitolo 26 *** Cap. 26 - La fine dei giochi ***
Il
morso del diavolo
Cap.
26 – La fine dei giochi
La
cucina di Grimmauld Place era fiocamente illuminata da un grande
lampadario annerito dal tempo che sovrastava un lungo tavolo
affiancato da alcune sedie spaiate e una vecchia panca malferma.
Sugli otto bracci, le candele economiche avevano incrostato di sego
disciolto i rilievi intarsiati a mano. In più punti,
l’intonaco si
era inscurito per l’umidità e le pregiate
mattonelle, che
graziosamente ornavano una porzione di parete, si stavano
sbriciolando sull’assito del pavimento macchiato. Nel camino
in
mattoni, così incrostati di fuliggine che la magia ormai non
poteva
più far nulla, ardeva un allegro fuoco sopra il quale un
paiolo in
ghisa borbottava, diffondendo nell’aria un buon odore
d’arrosto.
— Sono
felice che sei finalmente tra di noi, Harry caro, così
riprenderai
il posto di prescelto e mio figlio non correrà
più inutili rischi.
Dopo
le parole pronunciate con tanta leggerezza dalla Signora Weasley, una
bolla acida scoppiò al centro del petto di Harry che si
agitò
incerto sulla sedia guardando prima uno, poi l’altro, i
presenti
nella stanza, senza riuscire a focalizzare nessuno. Avvertiva un
senso di inadeguatezza, le orecchie fischiavano e il sangue smise di
scorrergli nelle vene mentre un vischioso torpore lo avvolgeva
facendogli tremare lievemente le mani.
“Non
pensare,” si ripeteva come un mantra, “non
dare credito a
ciò che senti, sei stanco, vedrai che è tutto un
malinteso.”
— Ma
certo caro, — continuò
imperterrita la donna, battendo affettuosamente la propria mano su
quella scossa del Grifone. —
Sono
sicura che Silente ti avrà già informato che Ron
si è offerto
coraggiosamente di sostituirti ma, ora che sei qui, non è
più
necessario che metta a repentaglio la propria vita. Ci sei tu per
questo, vero? — chiese
speranzosa. Non ricevendo risposta, si accorse del
silenzio
sbigottito che aveva inghiottito la cucina e dello sguardo perso di
Harry.
— Harry,
— Remus si
avvicinò guardingo
afferrandogli piano le spalle. —
È il
cuore di una mamma che parla… —
Al
tocco dell’adulto, come se fosse stato punto da migliaia di Doxxi,
il Grifone scattò bruscamente in piedi
rovesciando in terra
la sedia.
— Parole
di una mamma? — lo
interruppe Harry con voce lievemente stridula. —
La mia, di mamma, —
sottolineò, —
non ha supplicato Voldemort di risparmiarmi la vita
offrendogli in cambio quella di Neville, —
Orgoglio e una punta di amarezza trasparirono dalle sue
parole. — Sacrificò
la propria! — quasi
urlò. Addolorato al pensiero, piegò
la testa verso il basso
per poi rialzarla di scatto puntando gli occhi, di un verde divenuto
cupo, dritto davanti a sé. Tutti i presenti scorsero
l’immenso
potere che si agitava all’ombra delle ciglia insieme alla
determinazione maturata in quei mesi di sofferenza. —
Lasciate questa proprietà immediatamente,
raccogliete le
vostre cose e andatevene, — disse
risoluto.
— Non
ci puoi cacciare: è la sede dell’Ordine
e Silente... —
provò
a intervenire Mundungus,
intimorito al pensiero di non poter più attingere alle
risorse della
casa per guadagnare illegalmente qualche Falci.
— Silente
non può nulla. La casa è mia e decido io, —
Harry osservò
le facce stupite dei
presenti e sorrise sardonico all’indirizzo del vecchio
preside. —
Ma come, non gli ha accennato dei suoi infruttuosi viaggi
al
Ministero? Tipico di lei nascondere notizie utili. Comunque,
è stata
una mia gentile concessione lasciarvi in questa casa per tutto questo
tempo, ma ora basta, è tempo di ripulisti. Dovete andarvene,
—
ribadì
serio mentre incrociava le
braccia al petto.
— Harry,
cerca di comprendere, — provò
a farlo ragionare Remus, — fuori
da qui
siamo tutti un bersaglio facile. —
In
molti asserirono alle parole del licantropo, altri guardavano
perplessi il preside che se ne stava quieto mentre si lisciava la
candida barba.
— Non
c’è dubbio! —
esclamò
il Grifone, per nulla propenso a cedere. —
Ma, come gentilmente mi è stato fatto notare,
sono io il
Prescelto e sulle mie spalle grava il peso del Mondo
Magico. Quindi, visto
che ho intenzione di abitare
qui, sareste tutti più sicuri andando altrove e,
soprattutto, stando
ben lontani da me, — ribadì
sarcastico. Intanto il preside osservava senza intervenire.
In
quel momento, dal corridoio giunsero dei rumori concitati e il quadro
della madre di Sirius, posto all’ingresso,
cominciò a vomitare
invettive anticipando l’irruente entrata di Ron nella stanza.
Senza
degnare nessuno di uno sguardo, il rosso, individuato subito Harry,
lo afferrò per la collottola e lo sbatté contro
il muro urlandogli
contro:
— Non
mi ruberai la ribalta, brutto figlio di puttana, avermi battuto a uno
stupido duello non ti rende superiore a me! —
gli sputò
in faccia.
— Ron!
— gridò
scandalizzata la madre. — Lascialo
andare e modera i termini, non è
così che ti ho educato. —
Poi,
ricordandosi all’improvviso
quello che suo figlio aveva detto, con voce incerta chiese: —
Che vuoi dire?
— Signora
Weasley, come vede, non solo il suo adoratissimo Ronnino
è
mesi che sa che frequento Hogwarts, ma è determinato a
ricoprire il
ruolo da cui lei non vede l’ora di sollevarlo, —
fece eco
Harry, piegando le labbra
in un sogghigno.
— Non
mancare di rispetto a me e a mia madre, —
Ron
lo scosse con violenza facendogli cozzare di nuovo la nuca
contro la parete.
— Tu
lo sapevi? — chiese
allibita la madre, allungando le braccia per cercare di fermare il
figlio, ma bloccandosi a mezz’aria.
— RonRon,
evidentemente la botta in testa ti ha procurato più danni
del
previsto. Ti ho già ribadito che non sono più
interessato a quel
ruolo dal giorno in cui Voldemort ha saputo che ero ancora vivo. —
La voce gli uscì frammentata e rauca a causa
della presa
ferrea sul collo. — O
forse mi sono arreso molto tempo prima, —
sibilò
piano, ormai paonazzo per la mancanza d’aria.
Successe
tutto talmente in fretta che nessuno ebbe modo d’intervenire,
anche
perché la maggior parte dei presenti era intenta a discutere
delle
nuove direttive imposte da Harry. In ogni caso, Ron non ebbe modo di
rispondere nulla perché, come evocati, irruppero nella
cucina i
gemelli.
— Togligli
le tue luride mani di dosso, —
ringhiò
Fred, puntando la propria bacchetta alla tempia del fratello che,
preso in contropiede, mollò immediatamente la presa. —
Stai bene? — chiese
apprensivo George controllando che Harry, una volta libero, non
avesse ferite.
— Fred!
George! — esclamò
Molly, portandosi una mano alla bocca, sorpresa
dall’atteggiamento
aggressivo dei propri figli.
— È
andato tutto bene? — Ignorando
i
presenti, Harry si rivolse ai gemelli massaggiandosi la gola
martoriata; sulla pelle candida cominciarono ad apparire dei segni
bluastri. Ricevuta una risposta affermativa chiamò
l’elfa.
Quando
Winky apparve in molti sussultarono per via della tensione
accumulata, quindi le disse, allontanando gentilmente da sé
le mani
del piccolo essere che cercava di sistemarlo: —
Accompagnami a finire il lavoro. —
Poi
continuò, rivolgendosi agli adulti. —
Al
mio ritorno voglio la casa libera, —
intimò
lapidario prima di svanire con un lieve pop.
— Siete
una vera delusione. —
I due gemelli
scossero la testa, gli occhi puntati dove stava Harry un attimo prima
di smaterializzarsi. — Soprattutto
lei,
Silente. — Si
voltarono di scatto
sfidando con lo sguardo l’uomo anziano. —
Harry si è fidato di lei, ha rischiato di morire
più volte solo per
compiacerla e lei lo ha ripagato così? Abbandonandolo!?
Meritate di
andarvene, tutti.
— Io
non lascio ciò che mi appartiene, —
iniziò
Ron, gesticolando come un folle, —
questa
è la casa del prescelto e la sede dell’Ordine
della
Fenice ed essendo io il membro più
rappresentativo, non me ne
vado! — scandì
pomposo puntando un dito su se stesso.
— Ahahahah!
— Risero i
gemelli, mimando il gesto di
asciugarsi le lacrime. — Non
conoscevamo questo tuo lato comico. —
Sogghignarono
all’indirizzo del fratello
che li guardava sempre più furioso. — La
casa appartiene a Harry e ti ha appena cacciato.
— Non
mi interessa, io rimango e se ha qualcosa da obiettare, lo
uccido quel bastardo!
— Ron!
— Molly,
sconvolta, urlò
di nuovo, rimanendo
pietrificata con le mani
piazzate sui
fianchi larghi.
— Quel
bastardo, come dici tu, in questo preciso istante, nonostante sia ben
consapevole del tuo odio, sta usando il suo potere per proteggere,
con un potente incantesimo, casa nostra, —
gli
ringhiarono in faccia i due gemelli.
— Ma
cosa state dicendo! — strepitarono
allarmate più voci, mentre loro padre si avvicinava agitato
chiedendo spiegazioni.
Presi
in contropiede, i due ragazzi sospirarono frustrati: “Harry
ci
ammazzerà quando lo verrà a sapere.”
Deglutendo a vuoto più
volte, si accinsero a spiegare, limando un po’ la storia: —
Ci trovavamo a girare
l’angolo di una
traversa a Diagon
Alley
quando, per mera fortuna, abbiamo assistito allo scambio
di
battute tra alcuni Mangiamorte
che si
vantavano di
aver ricevuto l’incarico di distruggere
la Tana questa
notte.
—
Arthur strinse la moglie
tra le braccia
cercando di calmarla mentre
il figlio più
grande, Charlie, imboccava veloce la porta.
— Abbiamo
subito contattato Harry e, grazie a lui e alcuni suoi
amici,
li abbiamo preceduti di un soffio riuscendo a salvare il salvabile.
Purtroppo per la casa non c’è stato modo di
evitare il peggio. —
Entrambi ignorarono le
battute sarcastiche
sul perché non avessero contattato l’Ordine,
invece che Potter,
sostenendo che magari avrebbero fatto un lavoro migliore.
— Comunque,
una volta che quegli stronzi se ne sono andati, l’abbiamo
ricostruita portando sostanziali migliorie, o meglio, grazie
all’ingenio di Harry, ora la casa è più
stabile e sicura. —
Tutti guardarono George sconvolti, non solo per
ciò che aveva
appena detto, ma anche perché quella era la prima frase
pronunciata
senza la voce intercalante del gemello.
— Sai,
Ron, — ripresero
a parlare
all’unisono
i due gemelli, —
per Harry sarebbe
stato facile ignorare la faccenda, far rimbalzare la pluffa
a
qualcun altro, —
guardarono
di sbieco il preside,
— che
avrebbe sicuramente perso
minuti preziosi
a convincere
tutti delle sue tesi per poi stilare un piano ben congegnato
delegando a
altri
l’esecuzione.
Invece,
guarda un po’, nonostante tu gli abbia lanciato alle spalle
un
Avada Kedavra, un gesto molto
nobile da parte tua,
dobbiamo riconoscerlo, — sorrisero
con scherno al fratello più piccolo mentre la madre si
accasciava a
terra distrutta dall’ultima notizia, —
non
ha indugiato un secondo precipitandosi di persona e ha tanto brigato
che ora hai ancora una casa dignitosa. Sorprendente, vero? —
concluse Fred.
— È
il minimo che potesse fare! —
ribadì
sicuro di sé, Ron. —
Miseriaccia, ma non
lo capite? Siete degli Schiopodi o cosa? Sono certo
che è
colpa sua se hanno attaccato la Tana, tutti sanno
che passa
l’estate da noi. —
Rabbrividì dal
disgusto al solo ricordo. — Il
suo nome è sinonimo di sventura ed essere accompagnati a lui
è
romantico come prendere il tè assieme a un Dissennatore.
Un
poderoso pugno lo fece volare contro la credenza, in un frastuono di
pentole e vasellame che cozzava a terra. Gli adulti, pronti
a intervenire con la bacchetta alla
mano, rimasero
basiti
davanti alla rabbia con cui uno dei gemelli Weasley aveva colpito il
fratello.
— Brutto
deficiente, se tu non avessi avuto l’ingegnosa idea di
denunciare
Harry a Tu-sai-chi, non sarebbe successo tutto
questo. —
Ron impallidì, sul suo volto le efelidi spiccavano in modo
macabro,
mentre, balbettando, chiedeva come lo avessero saputo. —
Hai forse scordato la connessione tra Harry e
Colui-che-non-deve-essere-nominato? Ovvio che
sì! Visto che
eri certo fosse diventato un Magonò, hai ritenuto ormai
superfluo
quel piccolo e significativo particolare. —
I
due ragazzi gesticolavano enfatizzando le parole. —
Avresti dovuto nascere con un enorme pustola in fronte
come il
Clabbert, con una variante, invece di avvisarti del
pericolo,
quando si illumina, avverte tutti noi che stai per combinare una
delle tue solite idiozie! — Indignato,
Ron cercò di alzarsi inciampando e scivolando sul disastro
creato
prima, mentre le sue giustificazioni si perdevano nel fracasso. —
È tardi per chiedere scusa: Tu-sai-chi
ha ottenuto
quello che voleva e la Tana ha pagato il prezzo
della sua
generosità. Mi fai schifo, —
conclusero
entrambi con rabbia mentre la madre, stretta
nell’abbraccio
del marito, singhiozzava forte.
— Fred,
George, — una
voce penetrante bloccò i ragazzi, —
basta
così, grazie. —
Severus avanzò nella
stanza, le sue vesti nere svolazzavano facendolo sembrare un
avvoltoio in cerca della preda. —
Signore, Signori, — disse
rivolgendosi ai presenti, piegando il braccio verso l’elfo
che
attendeva sull’uscio strofinando felice le mani, —
Kreacher vi farà strada accompagnandovi alla porta. Arthur,
pur non
approvando, la tua casa ora è sicura. —
Si
girò verso l’uomo e, senza battere ciglio, porse
un foglietto
verde oliva. — Qui
troverai le istruzioni
per raggiungere la Tana, ogni tuo discendente vi
potrà
accedere così come qualsiasi creatura a loro affiliata.
Invece, per
eventuali ospiti, dovrai semplicemente scandire per esteso il loro
nome al rappresentante del quadro riportato sul foglio. È
inutile
che sbirci, Molly, — l’apostrofò
Severus, infastidito per l’ingerenza. —
Solo
tuo marito è in grado di leggerlo. Non guardarmi con
quell’espressione Arthur, —
sbuffò
spazientito. — Siamo
in guerra e ogni
precauzione è più che giustificata. — Superò
Ron ancora in terra, guardandolo con disgusto, e raggiunse il preside
seduto al tavolo; gli
altri, mestamente e a
testa bassa, si apprestarono a uscire dalla casa, consapevoli che
nulla potevano contro l’arcigno professore.
— Albus,
— piegò
il capo in segno di saluto stiracchiando le labbra in un mezzo
sorriso. — Volevo
farti presente che stamattina ho depositato gli
incartamenti
per l’adozione di Harry, essendo il suo padrino. —
All’espressione perplessa del vecchio mago
aggiunse: —
A mia totale insaputa, Lily Evans mi ha nominato padrino di suo
figlio qualche giorno prima della sua morte e, se te lo stai
chiedendo, esiste un documento depositato alla Gringotts che lo
dimostra. Da questo momento dichiaro la mia dissociazione dalla
fatiscente compagnia dell’Ordine della
Fenice. Non
sarò più la tua spia, Albus, e ogni voto fatto in
precedenza è
decaduto. La mia priorità, d’ora in poi,
è prendermi cura del
ragazzo. — Nell’angolo
dov’era ancora accasciato a terra, Ron sbuffò,
già pregustando di
farsi scappare quella succulenta informazione al momento giusto. —
Signor Weasley, non creda
che non sappia
cosa nasconde la sua espressione e di conseguenza l’invito,
in
futuro, a non fare ulteriori sciocchezze perché io non sono
portato
alla clemenza. —
Lo
incenerì con lo sguardo. —
In
ogni caso, lo dico a suo beneficio, il Signore Oscuro è a
conoscenza
della mia decisione e,
sebbene abbia
vivacemente protestato, temo
che dovrà
farsene una ragione anche lui.
— Come?
— Per la prima
volta, in quella lunga serata, intervenne la voce del preside.
Severus sospirò piano, incerto su cosa potesse rivelare.
— Voldemort
pensa che qualcuno tenga sotto scacco il suo miglior alleato
e si sta prodigando per scoprire
chi è
e, quando crederà di averlo scovato, per costui non ci
sarà scampo.
— Tutti
intenti ad ascoltare il Pozionista,
nessuno si era accorto dell’entrata silenziosa di Harry
nella stanza; Ron
ringhiò e quando cercò
di avventarsi sull’altro ragazzo
ricevette un calcio negli
stinchi da Fred.
Come se non fosse stato interrotto, il Grifone
continuò: —
Noi
— additò se
stesso e il padre —
abbiamo
tutta l’intenzione di fare in modo che le cose non cambino:
Voldemort avrà la sua vendetta e lei, preside, ha
il suo prescelto.
Sono sicuro che non sentirà minimamente la
nostra mancanza.
Buona serata, — concluse
allegro, invitando i presenti rimasti ad affrettarsi verso
l’uscio.
— Forza
ragazzi, —
disse rassegnato il Signor
Weasley aiutando Ron ad alzarsi, —
andiamo
a casa.
— Mi
dispiace, padre, ma noi restiamo con Harry. —
parlarono
all’unisono i gemelli.
Arthur li guardò entrambi negli occhi, ignorando il verso
esasperato
della moglie mentre usciva aggrappata al braccio di Ron, che li
scrutava interdetto, poi, soddisfatto di ciò che vi lesse,
posò
orgoglioso le proprie mani sulle loro spalle.
— Perfetto,
— sorrise,
improvvisamente stanco, — abbiatene
cura.
— Sei
sicuro ragazzo? —
Il preside si
alzò con studiata calma e, abbandonata la sua aria svagata,
forte
della sua autorità, cercò di imporsi scrutando
Harry fin
nell’anima. Il Grifone non si sottrasse a
quell’esame e,
dentro di sé, riconobbe quel fastidio creato
dall’invasione di
un’altra mente. Sorridendo scaltro, si apprestò a
percepire una
voce, quella che un tempo credeva fosse la propria coscienza,
suggerirgli di rivedere la propria decisione. In un batter di ciglia,
la volontà del preside si ritrovò scaraventa
fuori dalla mente del
ragazzo. Sorpreso da tanta forza, il vecchio mago, per non cadere in
terra, fece due passi in dietro; Harry sfoggiò un ghigno
compiaciuto, gemello a quello del padre poco distante. Sperando che
nessuno si fosse accorto dello scambio di occhiate appena avvenuto,
Albus Silente, a malincuore, lasciò Grimmauld Place.
— Io
sto dalla tua parte, — disse
Moody avvicinandosi a Harry. —
Qualunque
essa sia. — Al
suo occhio magico non era
sfuggito lo strano colloquio avvenuto tra il ragazzo e il suo vecchio
amico; aveva cominciato a nutrire forti dubbi sul preside sin dalla
conclusione del Torneo Tre Maghi e, in qualche
misura, quella
sera erano stati confermati: Albus aveva usato la Legillimanzia
per controllare il loro Salvatore.
— È
l’inizio di una nuova era, —
osservò
giocosa Tonks, con i capelli rosa confetto, mentre prendeva da uno
scaffale dei grandi bicchieri opachi. —
Brindiamo! —
esclamò,
passando a tutti i calici ed
evocando una bottiglia di vino rosso; Remus scosse
la testa davanti all’esuberanza della donna.
In
quel momento, il pendolo del salotto, rintoccò dodici colpi.
— Buon
anno, padre. — Harry,
commosso, alzò il bicchiere verso Severus trattenendo a
stento le
lacrime di gioia. —
Buon
anno a tutti! —
gridò sovrastando il
rumore del camino nella sala dell’arazzo che vomitava fuori
Draco,
Blaise, Neville e Luna, che indossava stravaganti orecchini in oro
raffiguranti dei Troll obesi. I gemelli,
trasportati
dall’entusiasmo, fecero scoppiare un paio dei loro fuochi
d’artificio magici riempiendo tutto il piano di fumo.
— Weasley!
— urlò
Severus, — rimediate
subito o farò di voi l’elemento segreto di una
nuova pozione di
mia invenzione. — Tutti
risero e si
rilassarono, ringraziarono in gran segreto Molly per
l’arrosto sul
fuoco, e si sedettero affamati al tavolo in cucina.
Tra
quelle antiche mura, aleggiò una gioia mai assaporata prima;
una
nuova vita e nuove sfide erano in serbo per ogni commensale: una
nuova intesa, un nuovo obiettivo, un nuovo destino tutto da
riscrivere.
Note
dell’Autrice: con questo capitolo si
conclude la storia.
È
stato un viaggio lungo, cominciato più di tre anni fa,
durante il
quale io sono cambiata così come il mio modo di scrivere.
Ringrazio
particolarmente la Beta che mi ha aiutata in questo cammino ma anche
tutti i lettori che sono passati di qua. Siete stati in molti,
più
di quelli che mi sarei aspettata.
Grazie
per tutti i commenti ricevuti e un grazie anche ai lettori che si
sono affezionati alla storia. Grazie di cuore a tutti.
P.s.
è previsto un seguito.
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