About love

di MonicaX1974
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Everlasting love (Perfect - Ed Sheeran) ***
Capitolo 2: *** Over Again ***
Capitolo 3: *** Candice (prima parte) ***
Capitolo 4: *** Jake (seconda parte) ***
Capitolo 6: *** A right way ***
Capitolo 6: *** Stay with me ||H.S.|| ***
Capitolo 7: *** Before ***
Capitolo 8: *** Jason ***
Capitolo 9: *** Details ||H.S.|| ***
Capitolo 10: *** Her ***
Capitolo 11: *** Damon ***
Capitolo 12: *** From Afar || Z.M. || ***
Capitolo 13: *** Happy Engagement ***
Capitolo 14: *** Il diario ***
Capitolo 15: *** L'amore basta ***
Capitolo 16: *** Chance || H.S. || ***
Capitolo 17: *** Chemistry ***
Capitolo 18: *** Nella foresta ***
Capitolo 19: *** Mai dire mai... ***
Capitolo 20: *** Colpo di fulmine ***
Capitolo 21: *** Il punto di svolta ***
Capitolo 22: *** Primavera in Inverno ***
Capitolo 23: *** Bitterness || H.S. || ***
Capitolo 24: *** Promesse e pioggia ***
Capitolo 25: *** Rinascita ***
Capitolo 26: *** Diga e palla da bowling ***



Capitolo 1
*** Everlasting love (Perfect - Ed Sheeran) ***


Un'altra volta su questo treno. Stesso punto di partenza, stesso percorso, stessa destinazione, Boston, con lo stesso pensiero che mi accompagna per tutto il viaggio. Chris.

È come se questo viaggio rappresentasse la mia vita. Io e Chris abbiamo iniziato praticamente insieme la nostra vita, abbiamo vissuto fianco a fianco molte delle nostre esperienze, il pensiero di lui è sempre stato presente nella mia testa, e so che probabilmente la mia destinazione sarà sempre e comunque lui, che io lo voglia o meno.

Ci conosciamo sin dalla prima elementare, esattamente da quando i suoi genitori si sono trasferiti nella casa a fianco alla nostra, l'ultima in fondo alla via. Suo padre aveva ottenuto un lavoro al giornale dove lavorava il mio, sono entrambi giornalisti, e proprio perché i nostri padri lavoravano insieme, le nostre famiglie si sono frequentate spesso. Sorrido al primo ricordo che ho di lui.

Sono arrabbiata, davvero arrabbiata. La settimana prossima sarà il mio compleanno, compirò sei anni, ho chiesto a mamma e papà un cucciolo per la mia festa, ma non hanno intenzione di accontentarmi. Continuano a dire che non sono abbastanza grande per essere in grado di prendermene cura, ma si sbagliano, io compirò sei anni ed è ovvio che ce la posso fare.

Esco sul portico di casa con le braccia conserte, e il broncio. Forse mamma crederà che me ne voglio andare, e cederà alla mia richiesta, ma sto aspettando da almeno dieci minuti, e di lei nemmeno l'ombra. Poi ad un tratto sento abbaiare. Il rumore arriva dalla mia sinistra, mi giro e vedo nel giardino della casa dei nostri nuovi vicini, un bambino che gioca con un cucciolo meraviglioso di colore chiaro. Si rincorrono e il bambino ride e si diverte.

Poi, come se si sentisse osservato, quel bambino dai capelli castani e gli occhi azzurri, si ferma e mi guarda a sua volta con un gran sorriso.

"Vuoi giocare con noi?" Non so perché mi stia rivolgendo la parola, non ci conosciamo nemmeno. Abitano qui solamente da due giorni.

Non rispondo, sono sempre stata poco socievole, e in questo momento sono ancora arrabbiata, forse anche un po' invidiosa, ma a lui sembra non fare nessun effetto la mia espressione da se-mi-tocchi-ti-mordo e, seguito dal suo cagnolino, si avvicina al portico di casa mia.

"Ciao, io mi chiamo Chris, e lui è Will." Mi sta presentando il suo cane?

"Hai dato al tuo cane, un nome di persona?" Se io avessi avuto un cucciolo, sono sicura che gli avrei dato un nome molto più originale come Hoshi, forse questo Chris è piuttosto banale.

"Lui non è un cane, è mio amico, anzi è l'unico amico che ho in questa città." Forse non è così banale come credevo. "Vuoi essere nostra amica? È davvero divertente giocare con Will." Quel piccolo batuffolo si avvicina a me, non posso trattenermi dal toccarlo, e senza rendermene conto, sorrido.

"Stai pensando a lui?" La voce di Lexy interrompe il mio ricordo.

"Perché me lo chiedi?" È seduta al mio fianco, facciamo quasi sempre questo viaggio insieme, ogni volta che torniamo a casa dalla Columbia per le vacanze, dove entrambe ci siamo iscritte al corso di giornalismo. Lei è come una sorella per me. Abbiamo legato subito dopo esserci conosciute in prima media, la nostra amicizia è stata come un colpo di fulmine. Si trasferì con sua madre nel nostro quartiere, subito dopo la morte di suo padre

"Stai sorridendo Allyson, e stai sorridendo come fai solamente quando si tratta lui." Mi guarda con quei suoi grandi occhi blu come il cielo, mentre raccoglie i suoi lunghi capelli biondi in una crocchia disordinata, ma che su di lei ha un effetto incredibile.

"Beh... forse..." Continua ad osservarmi, e capisco che non ha intenzione di accontentarsi di questa risposta. "Ok, sì, stavo pensando a lui. Mi sono ricordata di quando ci siamo conosciuti. Mi presentò Will come se fosse una persona, mi disse che i suoi genitori gli comprarono un cucciolo per farlo sentire meno solo. Lui non voleva assolutamente cambiare città, perché a Chicago lasciò il suo amichetto del cuore." Ricordo come soffrì quando quattro anni dopo Will fu investito.

"Non verrà più con me fino a scuola." Chris è seduto sulle scale del portico di casa sua, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, e la testa piegata in avanti.

Sono seduta alla sua destra, e non so davvero cosa dirgli. Qualunque cosa io dica non sarebbe sufficiente ad attenuare il suo dolore, quindi gli metto una mano sulla schiena facendola scorrere dall'alto verso il basso nel tentativo di consolarlo. Lui si appoggia a me, e restiamo così, abbracciati, senza alcun bisogno di dire niente.

Will era davvero un suo amico, non lo lasciava mai, andava con lui in ogni luogo, oserei dire che erano uniti come due fratelli, e nel quartiere lo conoscevano tutti. Non si sa come sia successo, perché chiunque sia stato ad investirlo, è scappato. Il papà di Chris l'ha trovato vicino a casa un pomeriggio che stava rientrando prima del solito dal lavoro. È stato straziante assistere alla scena dei suoi genitori che gli comunicavano la notizia. Credo sia stata l'unica volta in cui il suo sorriso è sparito dal suo volto.

"Vedrai che andrà tutto bene." Lexy posa la sua mano sulla mia. Forse ha notato la mia espressione, che da sorridente, è diventata triste, e non solo per il ricordo di Will. La mia amica mi sorride, e torno a perdermi nel mio riflesso sul vetro del finestrino.

Non mi è mai piaciuto il colore dei miei capelli, li avrei voluti più normali, come quelli biondi di Lexy, o come quelli castani di Chris, ma la natura mi ha dotato di un colore che non passa inosservato.

"Credi che dovrei tingerli?" Dovrei studiare per il compito di domani, ma il mio sguardo è finito sullo specchio sopra al cassettone della mia stanza. Chris è seduto con me sul mio letto a gambe incrociate con in mano il libro di matematica, e alle mie parole alza subito lo sguardo nella mia direzione.

"Tingere cosa?" Sta facendo il finto tonto, sa benissimo che non sopporto il colore dei miei capelli, ne abbiamo parlato un sacco di volte.

"Brian dice che sembro una carota." Continuo ad osservarmi allo specchio, e continuo a non piacermi.

"Brian è un cretino, non devi dargli retta." Non riesco a distogliere lo sguardo dalla mia figura allo specchio. Forse invece Brian ha ragione, se avessi i capelli di un altro colore non sarei sempre la diversa. E sono talmente concentrata sulla mia immagine, che non mi sono accorta che Chris ha allungato una mano nella mia direzione. Prende una ciocca dei miei capelli e la porta dietro all'orecchio, e adesso non riesco a togliere i miei occhi dai suoi. "Non sembri una carota Allyson..." Chris ha ancora il suo sorriso, ma il suo sguardo è diverso dal solito, e anche il suo tono di voce è cambiato, non so dire in che modo, ma sento come se ci fosse dell'elettricità in questa stanza.

Ci sono state un altro paio di occasioni in cui mi ha guardata come sta facendo ora. La prima volta è stata un paio di mesi fa, al pranzo per il ringraziamento che abbiamo fatto a casa loro. Chris non mi ha persa d'occhio per tutto il tempo. Quel giorno ho dato la colpa al fatto che era la prima volta che mettevo un vestito. Mia mamma aveva insistito così tanto che non ho potuto dirle di no, ma quando avevo notato lo sguardo insistente di Chris su di me, ero stata felice di indossare quell'abito verde smeraldo, se non fosse poi che quando siamo tornati a scuola, lui è tornato il solito, vecchio, amicone Chris. Era tornato a guardarmi come sempre, senza più quella luce negli occhi che gli avevo visto quel giorno.

La seconda volta è stato un paio di settimane fa. Quando sono tornata a casa dal matrimonio di mia cugina, lui era sul portico ad aspettarmi con in mano il libro di matematica, la studiamo sempre insieme. Mi aveva scritto un messaggio durante il pomeriggio, dicendo che voleva che gli rispiegassi un paio di cose, io gli ho risposto che l'avremmo fatto al mio ritorno, ma quando mi ha vista, era come se mi vedesse per la prima volta, ma avevo dato la colpa al fatto che ero truccata, probabilmente era la prima volta che mi vedeva così.

E adesso non interrompe mai il contatto visivo, è come se volesse dirmi qualcos'altro, e io riesco solo a guardarlo, restando in attesa di qualcosa, qualunque cosa sia. Ma poi fa la sua irruzione nella stanza, l'altra nostra compagna di studi, Lexy.

"Mi sono persa qualcosa?" La mia amica resta ferma sulla porta, Chris torna con lo sguardo sul suo libro, e io rimango imbambolata incapace di rispondere.

Stava cambiando qualcosa tra di noi. Non eravamo più due semplici ragazzini che giocavano insieme. Stavamo crescendo, e io stavo iniziando a trovarlo carino. Quando le nostre famiglie si trovavano insieme per un pranzo o una cena, mi trovavo spesso a cercare il suo sguardo, speravo di sorprenderlo ad osservarmi, come facevo io con lui, ma non succedeva mai, e mi convinsi di non piacergli.

L'estate successiva però, quella che precedeva l'inizio del liceo, l'ho beccato a guardarmi, come tanto avevo sperato che succedesse. Brooke, una nostra compagna di scuola, dava una festa in piscina a casa sua, e Lexy volle andarci a tutti i costi, diceva che era ora che Chris si svegliasse, e se mi avesse vista in costume, sarebbe per forza caduto ai miei piedi, o almeno queste sono state le parole di Lexy. Diceva di essersi accorta di diversi sguardi da parte di Chris nei miei confronti, ma dato che li vedeva solo lei, ero convinta che lo dicesse perché voleva avvalorare la sua tesi che secondo lei eravamo fatti l'uno per l'altra.

È vero che eravamo sempre insieme, ma questo non vuol dire che fossimo fatti l'uno per l'altra, o almeno questo è quello che mi raccontavo per paura di non essere corrisposta. L'autobus della scuola, ci lasciava all'inizio della nostra via, e percorrevamo insieme il tragitto fino alle nostre case. La mia era appena prima della sua, e ricordo che lui rimaneva a guardarmi fino a che io non entravo in casa, diceva che voleva assicurarsi che io fossi al sicuro.

Quando eravamo piccoli, avevamo un gioco particolare iniziato nei giorni in cui andavamo in vacanza al mare. Fingevamo di essere il principe William e Kate Middleton, governando sudditi immaginari.

"Principessa Kate, è l'ora del tè." Chris si avvicina una formina per la sabbia, fingendo che sia una tazza.

"Principe William, questo tè è buonissimo." Poso la formina che raffigura una tartaruga, vicino al secchiello che ha appena usato come teiera, poi mi volto verso mia madre sentendo che sta tentando di trattenere una risata e la fulmino con lo sguardo. Lei tenta di tornare seria, ma poi mi volto verso la mamma di Chris, e noto che anche lei sta facendo la stessa cosa, quindi mi alzo e prendo Chris per mano.

"Vieni principe William, ti porto in un regno migliore." E così dicendo ci siamo allontanati per andare a giocare sulle piccole altalene in fondo alla spiaggia.

Non ricordo dove fossimo andati quell'anno, ma ricordo perfettamente che chiamarci William e Kate ci era piaciuto così tanto, che l'abbiamo rifatto ad ogni occasione in cui le nostre famiglie si ritrovavano insieme, anche durante la cena della vigilia di Natale di qualche anno fa.

"William, credi che ai nostri sudditi dispiacerà se li lasciamo soli?" Chris si gira dalla mia parte con il suo solito sorriso furbetto.

"Mia carissima Kate, credo proprio che saranno in grado di farcela da soli." A quanto pare, anche lui era stanco di sentire chiacchiere su chiacchiere, così ci siamo allontanati e siamo andati a giocare in camera sua ai videogames.

Amavo i videogiochi, tanto quanto un ragazzo, forse anche di più. Abbiamo passato pomeriggi interi chiusi in camera sua a giocare, e forse anche per questo, il suo sguardo quel giorno in piscina, era così strano. Forse non capiva in quale strano essere mi stessi trasformando.

"Ally, dovresti toglierti questi pantaloncini, siamo ad una festa in piscina, e sono tutti in costume lo vedi?" Non sono convinta di quello che stiamo facendo, Lexy mi ha fatto mettere questo bikini giallo, e sono certa sia stata una pessima idea.

"Lexy, ho tolto la maglietta, credo che basti, non ho comunque intenzione di farmi il bagno." Devo prendere tempo, forse la mia amica si stancherà di insistere e mi lascerà in pace.

"Chris ha bisogno di una spinta, e vederti in bikini lo farà ragionare, o gli farà perdere la testa, vanno bene entrambe le alternative." Se ne sta in piedi di fronte a me, con le mani appoggiate sui fianchi con l'aria di una che sa esattamente quello che sta facendo.

"Io e Chris siamo solo amici Lexy, perché non lo vuoi capire?" Chris è la mia roccia, non c'è stato mai un vero motivo di discussione con lui fino ad oggi, cosa che invece succede spesso con Lexy, e anche se mi capita sempre più spesso di pensare a lui in modo diverso da un semplice amico, non sono sicura che per lui sia lo stesso, e non voglio nemmeno scoprirlo. Non posso rischiare di rovinare la nostra meravigliosa amicizia.

"Sì, certo, come dici tu, ora togliti questi pantaloncini, se non vuoi farlo per Chris, fallo almeno per Danny." Mi fa l'occhiolino, poi si mette in costume, posando nella borsa i suoi shorts. "Adesso tocca a te." Mi sorride e si allontana. "Pensa a Danny..." Mi dice poi quando mi dà già le spalle.

Danny è uno dei ragazzi più carini della scuola. Alto con i capelli scuri, gli occhi verdi, e quando ride, gli spunta una fossetta sulla guancia sinistra, e sì, devo ammettere che è molto carino.

"Perché devi pensare a Danny?" La voce di Chris mi fa sobbalzare. Non l'ho sentito arrivare e mi ha colto alla sprovvista. Non riesco a decifrare la sua espressione in questo momento.

"Lascia stare, sai com'è fatta Lexy." Gli sorrido cercando di apparire normale. Non posso certo raccontargli quello che mi ha appena detto la mia amica.

Mi guardo poi un po' intorno, Chris è sempre al mio fianco, poi, non so con quale faccia tosta riesco a farlo, ma lo faccio. Porto le mie mani sul primo bottone dei pantaloncini, e lo slaccio con straziante lentezza. Con la stessa velocità, abbasso la cerniera. Riesco a vedere con la coda dell'occhio che lui non perde di vista nessun mio movimento. Allargo gli short e li faccio scivolare a terra. Non so perché sto tentando di provocarlo, forse sono sotto l'effetto dell'uragano Lexy, non è da me fare queste cose, ma lui resta lì, impietrito da ogni mio movimento, ed è incredibile la sensazione che provocano i suoi occhi su di me, che salgono da dove sono caduti i pantaloncini, lungo le gambe. Mi sta guardando come se volesse mangiarmi, e io non mi sono mai sentita meglio di così. Forse Lexy ha ragione. Improvvisamente però, la magia svanisce.

"Chris, vieni a fare una partita con noi?" Danny è qui, e sta parlando con Chris.

"Sì andiamo." Lo prende per un braccio, e lo allontana in maniera talmente veloce che per poco non finivano in acqua.

"Potresti essere un po' meno trasparente? Voglio dire sono qui con te, e non fai altro che pensare a lui." Non è veramente offesa, ma so che comunque ha ragione.

In quest'ultimo periodo, dopo gli ultimi avvenimenti, nella mia testa c'è solamente lui. Ho avuto anche serie difficoltà a concentrarmi nello studio, ma ora sto per laurearmi, e ho più tempo da dedicare alla mia vita.

"Stavo sorridendo di nuovo?" Sono sicura che lo stessi facendo.

"Come un ebete." La mia amica si sta divertendo a prendermi in giro. "A cosa stavi pensando stavolta?"

"Ti ricordi la festa in piscina?" A quelle parole, lo sguardo di Lexy si illumina.

"Me la ricordo eccome."

È tutto il pomeriggio che non lo vedo. Mettermi questo bikini non ha dato il risultato che sperava la mia amica, perché Chris è scomparso subito dopo avermi vista. Non ho più voglia di stare qui, Lexy ha trovato compagnia, quindi la saluto e vado a cercare Chris, mi ha detto che mi avrebbe riportata a casa. Lo trovo seduto a parlare con Brooke, sono uno a fianco all'altro, lei ha il suo braccio sul fianco del mio amico. Non sento quello che si stanno dicendo, e nemmeno mi interessa saperlo. Sento come una stretta allo stomaco alla visione di loro due così vicini, quindi infilo di nuovo i miei pantaloncini, e mi allontano di lì decisa ad andarmene a casa prima di scoppiare a piangere davanti a tutti.

Non so perché ci sono rimasta così male, dopotutto lui è libero di fare quello che vuole, ma lo sguardo che mi aveva regalato solo qualche ora prima, mi aveva illuso che avrei potuto piacergli, ma alla fine mi sono detta che forse è meglio così. Noi siamo amici, ottimi amici, qualsiasi altro tipo di rapporto tra di noi potrebbe rovinare tutto.

Con una camminata insolitamente molto veloce per me, sono quasi arrivata a casa ormai, quando sento la sua voce.

"Ally!" Mi giro e vedo che sta correndo verso di me.

"Ehi che succede?" Mi sono preoccupata avendolo visto correre in quel modo.

"Perché sei andata via senza chiamarmi? Sai che non mi piace quando vieni a casa da sola." Mi dice una volta che mi ha raggiunta. Non so se mi stia sgridando e se si sia preoccupato.

"Ho visto che eri in compagnia e non volevo disturbarti." Le parole mi sono uscite troppo velocemente, non sono riuscita a trattenerle, con un tono di voce che non mi appartiene.

"Mi hai visto con Brooke?" Sì, la biondona ossigenata super sexy, ma è meglio se sto zitta prima di peggiorare la situazione. "Sei gelosa Ally?" Perché Chris ha quell'espressione così divertita?

"Non sono gelosa, sei libero di parlare con chi vuoi." È davvero la mia voce quella che sta uscendo dalla mia bocca? Perché non riesco a controllarla?

"Ally, non hai niente di cui essere gelosa." Continua ad avere quel sorriso, come se mi stesse prendendo in giro. "E se ti consola... sono stato anch'io geloso oggi sai?" Lo guardo senza capire di cosa stia parlando. Probabilmente si rende conto della mia espressione confusa, perché subito dopo mi spiega il perché. "Ero geloso di Danny..." Chris è troppo vicino a me adesso, e la sua voce sembra diversa. Alza le mani fino all'altezza del mio viso, le poggia sul collo, e accarezza con i pollici le mie guance. Sono pietrificata dal suo sguardo, da quell'azzurro così luminoso, e dalla sensazione delle sue mani sul mio volto.

Non so cosa stia aspettando, non so nemmeno io cosa sto aspettando. Dovrei allontanarmi subito, prima che succeda un disastro, prima di non poter tornare più indietro, ma non riesco a farlo. È come se i suoi occhi mi tenessero incollata alla strada, rendendomi incapace di muovermi. Non so per quanto tempo rimaniamo così, so solo che lui, lentamente, avvicina il suo viso al mio, poi non vedo più niente e sento soltanto le sue labbra sulle mie.

Dovrei respingerlo, ma non riesco a fare altro che assecondare ogni suo movimento, e mi dimentico ogni paura, ogni incertezza, ogni timore, perché riesco solo a sentire la sensazione che mi sta regalando questo bacio. Il mio primo bacio.

Quella sera sono scappata.

Sono scappata da lui lasciandolo in mezzo alla strada senza dargli nessuna spiegazione.

Sono scappata di casa dicendo a mia mamma che avrei dormito da Lexy. So che mia madre mi avrebbe letto in faccia ogni cosa, e non volevo parlarne con lei.

E sono scappata da me stessa, e dai sentimenti che provavo per Chris.

Ho chiamato la mia amica, la quale mi ha ospitato più che volentieri. Inizialmente mi ha lasciato stare, ma poi ha voluto sapere ogni cosa, e non ho potuto evitare di raccontarle tutto. Lexy ha sempre insistito sul fatto di lasciarmi andare con lui, mentre io sono sempre stata completamente terrorizzata di perdere il mio meraviglioso amico.

Dopo quella sera ho iniziato ad evitare Chris. Ero troppo imbarazzata per affrontarlo e non sapevo come dirgli che non dovevamo incasinare le cose, avremmo dovuto rimanere solo amici.

Non voglio sentire niente. Sono sul mio letto sdraiata con le cuffiette nelle orecchie e gli occhi chiusi. Non dovrei ascoltare i Lifehouse, dato che ogni loro canzone mi parla di lui, ma non riesco a smettere. È passata una settimana ormai da quando sono corsa via da Chris. Lui non ha smesso di cercarmi, ed io non ho smesso di evitarlo.

Ad un tratto sento il materasso abbassarsi, segno che qualcuno si è seduto accanto a me. Chiunque sia non l'ho sentito entrare a causa del volume della musica troppo alto. Sono sicura che sia mamma, ultimamente sono stata molto sfuggente anche nei suoi confronti. Farò finta di dormire, magari se ne andrà. Sento che mi sfila una cuffietta, ma non mi muovo. Mamma va via ti prego, non ho voglia di parlare.

Poi sento una mano sul mio viso, ma non è quella di mamma.

"So che non stai dormendo Ally." Il solo sentire la sua voce mi fa rendere conto di quanto mi sia mancato. "Quindi apri gli occhi e smettila di evitarmi." Sospiro profondamente poi apro gli occhi e lo guardo. Lui sorride sempre, anche adesso che dovrebbe essere arrabbiato con me. "Mi sei mancata Ally." Mi alzo e mi metto a sedere sul letto a gambe incrociate.

Ogni volta che pronuncia il mio nome sembra renderlo più bello, e mi scalda il cuore.

"Mi sei mancato anche tu Chris." Più di quanto sia disposta ad ammettere anche con me stessa.

"Allora smettila. Questa cosa di scappare non funziona, né per te, né per me." Prende la mia mano nella sua e con l'altra si allunga verso il mio comodino. "Ti ho portato una cosa." Mi porge due bastoncini di liquirizia alla fragola, e sorrido senza nemmeno accorgermene.

Metto subito in bocca la caramella, lui sa sempre come conquistarmi.

"Adesso possiamo parlare?" Ed ecco le uniche parole che non volevo sentire. Lo guardo portarsi la caramella alla bocca, e il ricordo di quel bacio si impossessa di me. Ho voglia di baciarlo ancora.

"Di cosa vuoi parlare Chris?" Allyson lui è tuo amico, Allyson lui è tuo amico, Allyson lui è tuo amico, se lo ripeto tante volte forse funzionerà.

"Voglio sapere perché sei scappata quando ti ho baciata. Sono stato così terribile?" Chris riesce a far sembrare semplice qualunque cosa, in realtà quella terribile sono stata io.

"Non è colpa tua Chris, è che forse dovremmo lasciare le cose come stanno." Non riesco a guardarlo negli occhi mentre gli dico queste cose, e cerco di concentrarmi sulla caramella che ho in mano.

"Le cose come stanno non mi piacciono, perché al momento tu non mi parli. Non riesci nemmeno a guardarmi. A me quel bacio è piaciuto, non ho fatto altro che pensarci in questi giorni. Io non riesco più a pensare a te come un'amica, ma questo succedeva già prima che ti baciassi." La sua sincerità è disarmante e faccio fatica anche solo a pensare a frasi di senso compiuto. "Allyson, vorrei che fossi la mia principessa Kate." Devo dirgli di no, devo farlo per la nostra amicizia.

"Siamo stati bene fino ad ora, perché rischiare un disastro?" Non voglio perderlo.

"Perché saremmo un meraviglioso disastro." A quel punto non riesco a dirgli di no, non voglio. Si avvicina e mi bacia per la seconda volta. Stavolta però non lo respingo, non scappo, mi lascio baciare e mi rendo conto di quanto io abbia bisogno di lui.

Quella è stata la nostra estate, la più bella di tutta la mia vita fino a quel momento.

Chris mi faceva sentire speciale, e non avevamo bisogno di niente per stare bene, l'unica cosa che ci serviva era la presenza dell'altro. Abbiamo evitato tutti, lui non andava più alle partite di baseball con gli amici, ed io ho praticamente cancellato Lexy dalla mia vita. Non la ringrazierò mai abbastanza per essere sempre stata così comprensiva con me.

Ma abbiamo vissuto dentro ad una bolla di sapone, che il rientro a scuola ha fatto scoppiare. Il liceo ha portato molte insicurezze in me, e anche se Chris ha tentato in ogni modo di rassicurarmi, ormai le mie paranoie avevano preso il sopravvento.

Lui diventava ogni giorno più carino, e aveva molte ragazze che gli ronzavano intorno. Man mano che il tempo passava mi sentivo sempre più inadeguata nei suoi confronti, e quando a scuola arrivò Kim, per me fu l'inizio della fine.

"Allyson, cosa ti sta facendo preoccupare?" Lexy deve aver notato la mia espressione contrariata. La mia amica c'è sempre per me.

"So che non dovrei, ma stavo ripensando a Kim." Anche lei adesso ha la mia stessa espressione. Sento che sta per rimproverarmi.

"Ally, manca poco più di un'ora al nostro arrivo, togliti quel broncio dalla faccia." Ha ragione, so che ha ragione, ma il pensiero di Kim è sempre riuscito a mettermi di cattivo umore.

È entrata nelle nostre vite, proprio nel momento in cui ero più vulnerabile. Il confronto con le altre ragazze mi aveva messo in una crisi tale da rendermi incapace di reagire. Ho iniziato ad allontanare Chris, ero convinta che lui sarebbe stato meglio senza di me, e inizialmente lui ha cercato di starmi vicino il più possibile, poi si è probabilmente rassegnato alla mia follia, e ha iniziato a frequentare altre persone, Kim compresa.

Gli anni del liceo sono stati un continuo di alti e bassi fra me e Chris. Quando non ero in crisi profonda, riuscivamo ad essere amici, a volte anche più che amici, ma poi tornava il senso di inadeguatezza e di conseguenza la mia voglia di allontanare tutti, ed era in quel momento che Kim tornava all'attacco con Chris.

Lui è sempre stato fin troppo tollerante e paziente nei miei confronti, anche se la maggior parte delle volte non lo meritavo, ma lui c'era sempre per me, persino il giorno del ballo di fine anno.

"Sei bellissima." La voce di mia mamma mi distoglie dai pensieri che continuano a vorticare nella mia testa.

"Grazie." Tento di sorridere, ma mi esce solo una specie di smorfia.

"Vedrai che le cose con Chris si sistemeranno." Le sorrido, ma non le rispondo. Ormai non sono più sicura che il rapporto tra me e Chris possa tornare quello di una volta.

Stasera ci sarà il ballo di fine anno, il mio accompagnatore è Danny. Usciamo insieme da un po'. La mia intenzione era quella di distrarmi dal pensiero di Chris insieme a Kim, ed inizialmente ha funzionato. Poi, anche la distrazione temporanea non bastava più.

So che sono stata io a spingerlo tra le braccia della biondona, ma questo non vuol dire che la cosa mi faccia soffrire meno. E so anche che non avrei diritto di avere certi pensieri su di lui, ma vorrei che ci fosse Chris stasera con me.

"È arrivato!" Mio papà ci richiama da sotto.

"Non sei obbligata ad andare se non ti va." Il sorriso amorevole di mia madre mi fa quasi commuovere. Forse è meglio se mi sbrigo prima di far finire in disastro la serata che non è ancora cominciata.

"Va tutto bene mamma." Provo a rassicurarla, ma ho il presentimento che farei meglio a rimanere a casa.

Danny è all'ingresso, accanto a mio padre, ed entrambi mi sorridono. È davvero bellissimo nella sua giacca scura. Per un attimo sorrido anch'io mentre scendo le scale con il mio vestito azzurro, poi la mia mente torna a lui, e faccio davvero fatica a mantenere il mio sorriso.

Stare con Danny è facile. Nessuno dei due ha pretese sul nostro rapporto, non voglio niente da lui se non la sua compagnia, e sono sicura sia la stessa cosa per lui. Non mi ha mai dato l'impressione che provasse qualcosa per me, ma va bene così. Alla fine sto con lui per non pensare a Chris, anche se la maggior parte delle volte questa idea non funziona come dovrebbe. Ad esempio come stasera. Danny è al volante della sua auto, ma nessuno dei due parla, e una volta arrivati a destinazione, dopo aver passato con me poco meno di un'ora sparisce per un tempo che non so quantificare.

Tutto sommato, la serata è andata abbastanza bene, se non contiamo che ho visto lui baciare la bionda un paio di volte, ma mi ripetevo che è quello che lui vuole e devo farmene una ragione. Manca ormai poco più di mezz'ora per tornare a casa, e non riesco a trovare il mio accompagnatore da nessuna parte. Ha detto che andava a prendere da bere, ma è praticamente sparito. Mentre giro fra i ragazzi che ancora stanno ballando, mi ritrovo verso l'uscita, ed è in quel momento che lo vedo.

Danny è con una ragazza bionda, sono entrambi in piedi in penombra, lui le sta addosso, la schiena di lei è contro il muro e la sta baciando come non ha mai fatto con me. La scena di per sé non mi provoca dolore, non m'importa niente di Danny, ma quello che vedo, fa tornare prepotente in me, lo stesso senso di inadeguatezza che ancora non mi abbandona. Lui la desidera, è evidente da come la stringe a sé, e quando poi si staccano, e la riconosco, mi rendo conto che avrei dovuto dare ascolto al mio istinto, e stare a casa. È Kim, sempre Kim, la bellissima Kim.

A quel punto non ha più senso stare qui. Attraverso la palestra della scuola a passo veloce per andare a recuperare la mia giacca, poi esco per chiamare mio padre che mi venga a prendere. Gli ho detto che non mi sono sentita bene, volevo andare a casa prima del previsto, e non ho chiesto a Danny di accompagnarmi per non rovinargli la serata.

Sono seduta sul muretto quando lo sento arrivare.

"Che succede Ally?" Non mi rivolgeva la parola da più di un mese, ed è come se sentissi la sua voce per la prima volta.

"Niente, sto aspettando mio padre per tornare a casa." Non riesco a guardarlo in faccia, il mio sguardo rimane rivolto verso il basso.

"Ti accompagno io." Ho provato ad insistere che forse non era il caso, ma non ha voluto sentire ragioni, quindi ho chiamato mio padre e gli ho detto che stavo tornando con Chris.

Il tragitto fino a casa è stato breve e silenzioso, è talmente tanto tempo che non ci parliamo che ogni cosa da dire mi sembra banale e stupida. Non voglio ridurmi a parlare del tempo con lui. Una volta arrivati davanti casa, si ferma e parcheggia, e nel momento in cui faccio per scendere dalla macchina, lui afferra il mio polso "Aspetta..." è poco più di un sussurro, ma l'ho sentito.

"Cos'è successo stasera? Perché stavi scappando?" Richiudo lo sportello della macchina e mi giro verso di lui.

"Non stavo scappando, volevo solo tornare a casa." Sto per essere attirata un'altra volta dall'azzurro dei suoi occhi, e stavolta non ho scampo.

"Allyson non fingere, non con me. Cosa ti ha fatto Danny?" Sono un libro aperto, soprattutto per lui, ma non voglio raccontargli quello che ho visto, non adesso almeno.

"Non voglio parlare di Danny..." Sono nella sua macchina, con lui, e stiamo parlando di nuovo, non voglio che nessun altro sia presente in questo momento.

"E di cosa vuoi parlare?" Ecco il sorriso che mi è mancato da morire, quel sorriso che aggiusta sempre il mio cuore spezzato.

"In realtà non voglio parlare." Voglio solo rimanere a guardarlo, ma lui sembra non essere della stessa idea.

Mette un cd nell'autoradio, e parte "You and me" dei Lifehouse. (L'ho già detto che lui sa sempre come conquistarmi?) Poi scende dall'auto, fa il giro fino ad arrivare al mio sportello, lo apre mi porge la mano, io l'afferro e mi aiuta a scendere, si abbassa e mi sfila le scarpe. Mi tira a sé, ed iniziamo a ballare nel giardino di casa mia. "Voglio che tu sia la mia principessa Kate." Le sue parole arrivano dalle sue labbra in un sussurro direttamente al mio orecchio, ed io mi sento stordita, e riesco a rispondere in un solo modo.

"E io voglio che tu sia il mio principe William."

Siamo stati di nuovo inseparabili per tutta l'estate. Niente più Danny, o Kim, o chiunque altro, e sembrava che andasse tutto per il meglio. Ma probabilmente non era ancora il momento giusto per noi, o forse io non ero abbastanza matura, perché una volta partita per New York per il mio corso di giornalismo, le cose sono precipitare ancora tra me e Chris.

Sono seguiti altri anni di tira e molla, non riuscivamo a stare lontani per troppo tempo, e nemmeno troppo vicini. Ricordo perfettamente luglio dell'anno scorso, ero tornata a casa per le vacanze estive. Non lo vedevo da almeno sei mesi, e un giorno sono entrata in un bar dove Lexy mi aveva dato appuntamento. Non sapevo che lui lavorasse lì per il periodo estivo, ma col senno di poi credo che la mia amica ne fosse a conoscenza. Ricordo ancora la sua espressione nel momento in cui mi ha vista entrare.

"Bentornata." Il sorriso di Chris, la cura di tutti i miei problemi.

"Ciao." Sono a disagio, non mi aspettavo assolutamente di trovarmelo così vicino. Vedo che si allontana un attimo, parla con un tizio che sta dietro il bancone, poi si toglie il grembiule e si viene a sedere al mio tavolo.

"Ho chiesto dieci minuti di pausa." Mi sembra che tutte le parole siano sparite dalla mia testa. "Come stai?" Dovrei rispondergli che ora che l'ho visto sto bene, ma mi limiterò alla seconda parte del mio pensiero.

"Tutto bene, e tu?" Ti prego, dammi la forza per non cadere nel banale!

"Ora meglio." C'è molto più di questo nel suo sorriso.

"Lavori qui adesso?" Mi rendo conto che è troppo tempo che non ho notizie di lui. Credevo che non pensare a lui fosse la cosa giusta da fare, ma ora che è qui davanti a me, so che non potrò mai fare a meno di lui. Mai.

"Sì, per tutta l'estate, cerco di aiutare i miei genitori a pagarmi gli studi." Il suo sguardo sembra voglia scavarmi dentro. Ho bisogno di parlare ancora, non posso soffermarmi ai suoi occhi.

"Come ti vanno le cose?" Le domande escono fuori da sole, è come se avessi bisogno di sapere ogni cosa che lo riguarda.

"Te l'ho già detto... ora meglio." Se possibile, il suo sorriso è sempre più ampio, ed io devo trovare qualcosa di più intelligente da dire.

"E il tuo corso di psicologia?" Ho sempre pensato che sarebbe stato un ottimo psicologo.

"Alla grande." Non riesco a fermarmi dal continuare a fargli domande, soprattutto perché ho paura che lui possa dire cose che non sono ancora pronta a sentire.

"I tuoi genitori? È tanto che non li vedo." Che domanda scontata! Ma non importa, è pur sempre una domanda.

"Stanno bene." Chris non smette mai di sorridere, e alla fine contagia anche me. "Posso farti io una domanda adesso?" Lo guardo, incapace di rispondere a quella semplice richiesta. "Hai da fare stasera?"

In quel momento il nostro rapporto ha preso una nuova piega. Per una volta ho seguito l'istinto e mi sono lasciata andare. Forse avevo raggiunto la maturità necessaria per affrontare me stessa, e ammettere che io amavo Chris, l'ho sempre amato, e sono certa che questo sentimento non cambierà mai.

Da quel giorno le cose tra noi sono cambiate totalmente, ed è tutto merito suo. Prima cosa, avevo iniziato a pensare che ci fosse finalmente un noi, non un io non adatta a lui. Ho smesso di farmi problemi, ho smesso di essere confusa, ho smesso di perdermi nei meandri della mia mente. Avevo semplicemente iniziato a vivere il mio rapporto con lui fino in fondo, assaporando ogni attimo, ogni parola, ogni gesto, cercando di dargli tutto quello che merita, perché lui non mi ha mai abbandonata, nemmeno quando non ci parlavamo.

È sempre corso da me, ogni volta in cui ne ho avuto bisogno, come due settimane fa. Ero particolarmente in crisi perché la sua mancanza era troppo forte da sopportare. Non gliel'ho detto, ma lui l'ha capito comunque, e il giorno dopo era davanti alla porta dell'appartamento che io e Lexy abbiamo preso in affitto a New York.

"Vado io!" Qualcuno ha bussato alla porta mentre sono sdraiata sul divano leggendo il libro che mi ha regalato Chris. Lexy sta preparando la cena, è il suo turno. Ma quando apro la porta resto immobile, senza riuscire nemmeno a respirare.

Jeans scuri e maglioncino blu, con la coda dell'occhio vedo che ha qualcosa in mano, ma non riesco a distogliere lo sguardo dai meravigliosi e brillanti occhi azzurri del mio Chris.

"Ciao." La sua voce, e il suo sorriso, mi fanno innamorare di lui ogni volta. Poi riesco a guardare quello che tiene nella mano sinistra. È un'orchidea bianca, il mio fiore preferito, lui ovviamente se ne ricorda. A dire la verità, si ricorda sempre tutto quello che mi riguarda. "Posso entrare?" Rido come una stupida, perché sono rimasta imbambolata a guardarlo lasciandolo sul pianerottolo.

"Lexy, abbiamo ospiti!" Lo faccio entrare, chiudo la porta alle mie spalle e prendo l'orchidea dalla sua mano. A quel punto noto che c'è un biglietto. Poso il fiore sul mobiletto all'ingresso e leggo quello che mi ha scritto.

"Grazie per i ricordi che ho di te, grazie per i ricordi che avrò di te.

Grazie per essere nella mia vita.

Grazie per essere la mia principessa Kate.

Chris"

Alzo lo sguardo su di lui che è rimasto fermo a guardarmi. Credo di avere gli occhi lucidi per la felicità, poi si avvicina di più a me e sempre guardandomi dritta negli occhi, fa esplodere il mio cuore. "Ti amo Allyson."

E quando sento la sua mano sul mio viso, non riesco più a trattenere le lacrime, lo abbraccio, affondando il viso nel suo collo. È la prima volta che me lo dice, e io credo di non aver mai provato gioia più grande di questa.

Quel giorno ero talmente scossa che non mi sono resa conto di averlo lasciato tornare a casa senza avergli detto che anche io lo amavo, ed è quello che ho intenzione di fare oggi. Non potevo dirglielo per telefono, perché volevo guardarlo negli occhi mentre avrei pronunciato quelle parole. Non posso più aspettare.

"Siamo arrivate." Lexy si alza per recuperare il suo bagaglio, ed io faccio lo stesso.

Mi sono convinta che quello che proviamo l'uno per l'altra vale la pena di essere vissuto. Una volta scesa dal treno, so che lui è qui, che mi sta aspettando. E, una volta dispersa la folla, lo vedo al fondo del binario e non riesco ad aspettare un secondo di più. Lascio cadere a terra la mia valigia e gli corro incontro, stringendolo poi in un abbraccio stritola ossa. Ho bisogno di lui nella mia vita, e voglio che lo sappia.

"Ti amo principe William." E lo bacio trasmettendogli tutta la passione e tutto l'amore che provo per lui.

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Capitolo 2
*** Over Again ***


Sorrido mentre mi avvicino al parapetto del tetto di questo edificio. L'ultima volta che ci sono stata non ero di certo dell'umore che ho oggi.

Quattro anni fa ero qui sopra, distrutta moralmente e fisicamente. Nella mia testa regnava la disperazione e la paura. Ero terrorizzata dal tornare a casa. Ero terrorizzata da lui, da Jimmy.

Quando l'ho conosciuto me ne sono innamorata all'istante. Era bello, con un fisico atletico, simpatico, premuroso. Nessuno, prima di allora, mi aveva mai fatta sentire come solo lui riusciva a fare e, quando mi confessò che provava le stesse cose per me, mi sentii al settimo cielo.

Ci siamo fidanzati quasi subito ed eravamo inseparabili, facevamo insieme ogni cosa, sentendo la necessità di avere l'altro sempre accanto. Quando era lontano non smetteva mai di scrivere o di chiamarmi, e trovavo romantico da morire che lui non riuscisse a stare senza di me. A poco a poco ho iniziato a trascurare gli amici perché per me c'era solo lui, non mi serviva nient'altro per essere felice, fino a che, anche la mia migliore amica, ha dovuto arrendersi al fatto che io non volessi nessun altro che non fosse lui.

Credevo che tutto questo fosse positivo, perché ero convinta che lui fosse la mia anima gemella, nient'altro contava al mondo, e man mano che passava il tempo, ho iniziato a trascurare anche i miei genitori, mia sorella, tutte le persone che mi volevano bene. Jimmy stava diventando l'unica persona della mia vita, e nemmeno me ne rendevo conto, perché mi sembrava giusto che dovesse essere così.

Ma i problemi sono iniziati dopo la convivenza. Aveva iniziato a mostrare una insensata e non giustificabile gelosia. Jimmy ha iniziato a diventare opprimente. Se ricevevo un messaggio, mi prendeva il telefono per leggerlo prima di me, e se inizialmente mi stava bene perché non avevo niente da nascondere, in seguito ho iniziato a rendermi conto che non era giusto che lui lo facesse, perché non gli ho mai dato motivo di essere geloso, ma non mi oppone i, perché le poche volte che ho tentato di dirgli qualcosa, lui alzava la voce e odiavo litigare con lui, non sopportavo farlo arrabbiare, e allora gli chiedevo scusa anche se non avevo fatto niente di male.

Poi ha iniziato a pretendere che lo avvisassi di ogni mio spostamento, anche solo se uscivo sul pianerottolo per andare dalla vicina, e poco alla volta, ho smesso anche di uscire solo perché non si arrabbiasse con me. L'ho sempre amato, anche quando mi urlava contro che ero una poco di buono pur non avendo mai fatto nulla di male, anche quando mi impediva di uscire, anche quando mi impediva di parlare con i miei colleghi al telefono, anche quando mi seguiva di nascosto, o quando controllava la mia posta.

L'ho amato anche la prima volta che mi ha schiaffeggiata.

Si è scusato, ha pianto, ha detto che non sapeva cosa gli fosse preso, che non si sarebbe ripetuto mai più, e io gli ho creduto. 
Gli ho creduto ogni volta, ma ogni volta tornava tutto come prima, e poi le cose sono anche peggiorate. I lividi, e i segni che avevo sul corpo erano gli stessi che avevo nell'anima, anzi, quelli erano anche peggio. Ho iniziato a credere che tutto quello che stava accadendo fosse colpa mia e, se mi fossi comportata meglio, non avrei attirato più le sue ire, ma per quanto facessi, per quanto mi sforzassi, niente sembrava renderlo felice.

Non parlavo ormai più con nessuno perché avevo allontanato tutti, e avevo paura delle conseguenze se avessi ripreso i contatti con qualcuno. Ero completamente plagiata, ed ero convinta di dover fare tutto quello che lui voleva o diceva. Fino a quando, un giorno, lui è tornato a casa più ubriaco del solito, perché era quello che faceva tutti i fine settimana, e a forza di calci e pugni, sono finita distesa sul pavimento. Ho perso conoscenza, e mi sono risvegliata in ospedale, con una flebo attaccata al braccio e dolore ovunque. Mi aveva portata Jimmy, dicendo che avevo avuto un incidente. Ero sola nella stanza in quel momento, e in quel preciso istante ho deciso che tutto quello doveva finire, non ero più in grado di sopportarlo, né il dolore fisico, né quello psicologico.

Mi sono alzata dal letto, ho staccato la flebo, e senza badare se ci fosse qualcuno nei dintorni, mi sono infilata in corridoio fino ad arrivare alla porta delle scale. Avevo addosso solo un camice, ma non mi importava in quel momento, perché da lì a breve sarei stata meglio.

Ho iniziato a salire i gradini, lentamente, cercando di cancellare ogni pensiero dalla mia testa. Non volevo pensare alle cose brutte, e non avevo niente di bello a cui aggrapparmi, perché era come se Jimmy avesse resettato i miei pensieri e la mia vita. Restavo concentrata, con lo sguardo solo sui miei piedi nudi che continuavo a guardare, scalino dopo scalino.

Non so quanti piani ho salito, ma quando sono arrivata davanti alla porta che dava sul tetto, ho sorriso. Un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso. Niente avrebbe potuto fermarmi dallo smettere di sentire dolore.

Ho afferrato la maniglia, l'ho abbassata senza fretta. In quel momento pensavo solo a smettere di soffrire, e da lì a poco, sarebbe successo. Mi aspettavo di vedere una luce abbagliante arrivando dalle scale poco illuminate, e invece il cielo era nuvoloso, pioveva a dirotto, ma andava bene così, era giusto così, come se la pioggia stesse lavando via il mio dolore.

Ricordo che feci un passo all'esterno, ed ebbi un attimo di esitazione per il freddo della pioggia che iniziava a scendere su di me, ma mi ripresi quasi subito. Non avevo niente per cui lottare, volevo solo scappare da tutto. Poi, un altro passo seguì il secondo, poi un terzo, un quarto, e ancora... fino a raggiungere il parapetto. Ero, ormai, completamente fradicia, ma mi sentivo bene, era come se la pioggia stesse purificando il mio corpo. Chiusi gli occhi, e inspirai profondamente. Mi parve di sentire una voce urlare, ma il rumore della pioggia battente, era troppo forte per distinguere se fosse la realtà o meno, e alla fine non mi interessava se ci fosse qualcun altro sul tetto. Io volevo solo andarmene, e volevo farlo in fretta.

Salii sul basso muretto che dava sul vuoto, venti piani, forse di più, non ne avevo nessuna idea, ero solo sicura che fosse l'altezza giusta per sparire in un attimo, ma non appena il mio piede si staccò dal suolo per andare verso quella che credevo la salvezza, qualcuno mi afferrò con forza per le braccia e mi tirò indietro.

Oggi il cielo è sereno, come mi sento io da quando William è entrato nella mia vita. Ero proprio qui davanti, sul cornicione, pronta a cancellare la mia vita, quando per la prima volta le sue mani mi hanno salvato. Ha continuato a salvarmi nei giorni che sono seguiti a quel momento, e negli anni che sono seguiti a quel giorno.

Controllo la borsa frigo che ho portato con me, e vedo che è tutto a posto, poi verifico l'orario, non manca molto e io non sto più nella pelle.

Sento un rumore alle mie spalle, mi giro, ma è solo il vento. Noto però la tettoia dove lui quel giorno mi portò dopo avermi presa in braccio quando ero ormai sull'orlo del precipizio. Rivedo la stessa scena di allora, con lui che mi tiene fra le sue braccia, che mi accarezza il viso per togliermi i capelli che si erano appiccicati a causa della pioggia, e senza alcuna evidente ragione mi strinse tra le sue braccia, tenendomi stretta, come a non farmi scappare. Poi iniziò a piangere, ed io con lui.

Singhiozzi mi scuotevano il petto, lacrime, ed ero completamente abbandonata fra le sue braccia, senza alcuna forza di reagire, senza nessuna voglia di sapere chi lui fosse, o perché mi avesse salvata, mentre quell'uomo mi cullava accarezzandomi la testa. Non disse una parola, non mi chiese il motivo del mio gesto, non mi disse perché si trovava lì, niente di niente, e a me stava bene così, perché stavo bene fra quelle braccia, e non volevo pensare ad altro.

Non ricordo per quanto tempo restammo lì sopra in quella posizione, so che ad un certo punto, lui mi prese di nuovo in braccio, e io mi strinsi al suo collo, mi portò giù per le scale, si fermò ad ogni piano per chiedere se quello fosse il mio reparto, e ad ogni piano continuava a promettermi che sarebbe andato tutto bene.

Ci ho creduto, e non ho sbagliato a fidarmi di lui, anche se non è stato così semplice all'inizio.

Mi riportò fino al letto della mia stanza, chiamò un'infermiera e si assicurò che si sarebbero presi cura di me. Tornò il giorno successivo a trovarmi, ma trovò Jimmy al mio fianco, e capì subito quello che stava succedendo tra di noi quando si avvicinò per salutarmi e Jimmy lo aggredì. William uscì dalla mia stanza, mentre con gli occhi lo imploravo di restare. Mi guardò, e non so come, capii che non mi stava abbandonando, sarebbe tornato. Mi spiegò, poi, che se ne andò solo per non crearmi ulteriori problemi.

Ed è esattamente quello che fece. Tornò quando fui sola e, senza essere invadente, mi convinse a parlare. Piano piano iniziai a sentirmi meglio, iniziavo a fidarmi di nuovo di qualcuno, ma il terrore si impossessò di me quando si avvicinò il giorno delle dimissioni. Sarei dovuta tornare a casa con il mostro, ed ero sicura che tutto sarebbe ricominciato da capo. William si accorse del mio stato d'animo, e un'altra volta mi persuase a confidarmi con lui, fino a che mi fece ragionare seriamente.

Non tornai mai a casa mia. William parlò con sua sorella e, dopo molte insistenze, convinse entrambe che per me, la soluzione migliore, era trasferirmi a casa di lei, e così feci. L'appartamento che condividevo con Jimmy apparteneva solo a lui, non ho avuto nessun problema a non farci più ritorno, tranne per quella volta in cui tornai per prendere la mia roba, ma William non mi lasciò sola neanche in quel momento. Mi accompagnò lui, diceva che voleva assicurarsi che non mi capitasse niente, perché se era su quel tetto per impedirmi di commettere una stupidaggine, significava che il destino l'aveva messo sulla mia strada per prendersi cura di me. Non gli chiesi mai niente in quel periodo, perché ero troppo spaventata per voler capire il motivo per cui continuasse a starmi vicino. Ero completamente annientata, nello spirito e nella volontà, l'unica cosa che mi importava, era non rivedere mai più Jimmy.

Io e Annie, la sorella di William, siamo andate d'accordo fin da subito. Sembrava fossimo amiche da tutta la vita, e non la ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che ha sempre fatto per me. In lei ho trovato un'amica, una sorella, un'alleata fidata con cui poter condividere i miei pensieri, e non smetterò mai di essere in debito con lei. Non potrei ripagarla nemmeno fra un milione di anni.

Annie mi ha aiutata a rivolgermi ad un'associazione che si è occupata di me e della mia situazione. Mi hanno aiutato a trovare un nuovo lavoro, a cambiare numero di telefono, e a modificare ogni cosa che potesse farmi rintracciare un'altra volta da quel mostro con cui vivevo. Perché solo un mostro può arrivare a distruggere fisicamente e psicologicamente la persona che dice di amare.

Il nuovo lavoro è stata una scoperta per me, il contatto ravvicinato con le persone mi spaventava e mi elettrizzava allo stesso tempo. In realtà ogni piccola cosa era una scoperta, come se ogni minima cosa che facessi durante la giornata, non l'avessi mai fatta in vita mia. All'inizio ero spaventata da tutto, uscire da sola mi terrorizzava, la suoneria del telefono mi faceva sobbalzare, sentire qualcuno che alzava la voce mi metteva ansia, ero preoccupata di sbagliare qualcosa sul lavoro e di subire conseguenze catastrofiche, ma con l'aiuto della mia psicologa, e quello di Annie e Will, ho iniziato a sentirmi bene sul serio, anche se tutto questo processo è stato lungo e faticoso.

Iniziai a frequentare anche un corso di pugilato. Ero arrabbiata con Jimmy per quello che mi aveva fatto, ed ero arrabbiata con me stessa per averglielo permesso per troppo tempo. Credevo che fare a pugni riuscisse a far sfogare la mia rabbia, ma mi sbagliavo. Più i miei guantoni colpivano l'avversario, più volevo farlo, e il mio rancore sembrava non placarsi mai. Dopo una lunga e dettagliata discussione con il mio allenatore, mi indirizzò ad un corso di autodifesa, e fu la scelta migliore che feci in quel periodo, perché mi aiutò a rafforzare la sicurezza e la fiducia in me stessa.

Ad un tratto i miei pensieri vengono interrotti dal suono del mio cellulare che mi avvisa dell'arrivo di un messaggio. È Will.

Sei già arrivata?

Sorrido nel leggere le sue parole, perché è stato lui a dirmi di venire qui, senza dirmi né il motivo, né quando sarebbe arrivato, sono sicura però che il suo orario d'ufficio sia quasi finito, ma ad ogni modo mi fido di lui, ciecamente, nello stesso modo in cui mi sono fidata di lui il giorno che mi ha salvato la vita, e nello stesso modo in cui continuo a fidarmi di lui ogni giorno, perché ogni giorno mi salva la vita.

Sono proprio qui, e ti sto aspettando.

Mi dirigo verso la tettoia, il sole mi sta bruciando la testa, e mi siedo sul piccolo muretto, cerco un po' d'ombra, aspettando la sua risposta, che non tarda ad arrivare.

Bene, l'hai portata?

Sicuramente si sta riferendo alla bottiglia che mi ha lasciato vicino alla macchina parcheggiata nel garage, stamattina prima di andare al lavoro, e che ho messo nella borsa frigo dopo aver letto il suo biglietto.

Tu, questa bottiglia, e il posto dove ti ho vista per la prima volta. Oggi. Aspettami. –W

Ho preso in mano la bottiglia e ho sorriso. Non sono un'intenditrice, ma sembra un vino molto costoso.

Certo che sì.

La tolgo dalla borsa per un attimo e la osservo, non sono una bevitrice, anzi detesto particolarmente l'alcool, ma per lui posso fare un'eccezione. Probabilmente se qualcuno mi vedesse in questo momento, potrebbe pensare che le mie intenzioni non siano molto chiare, e invece non sono mai stata così decisa e sicura come oggi. Negli anni ho riacquistato fiducia e stima di me stessa, ed è principalmente grazie a Will che tutto questo è potuto succedere. Se lui non fosse stato su questo tetto nello stesso momento in cui c'ero io, oggi non sarei qui a chiedermi cosa stia per succedere di così misterioso, ma così eccitante allo stesso tempo.

Non manca molto. Non andare da nessuna parte senza di me.

Metto a posto la bottiglia, il mio sorriso è ancora più ampio, gli rispondo e poso di nuovo il telefono in borsa. Non so cosa stia per succedere, ma qualunque cosa sia, succederà con lui, e sono sicura che sarà meravigliosa. Lo immagino sorridere intento a digitare i messaggi che mi ha appena scritto, quel sorriso che ho adorato dal primo momento in cui gliel'ho visto sul volto. E l'ho adorato perché, per più di un anno dopo averlo conosciuto, il broncio sul suo viso sembrava non volersene andare, ma quel giorno, quando sorrise per la prima volta, capii che qualcosa stava cambiando.

Avevo iniziato a fare da baby sitter a suo figlio nelle serate in cui lui doveva fermarsi più del solito in ufficio. Aaron è un bambino meraviglioso, molto intelligente, molto attivo e creativo, ed ha imparato a parlare molto presto. Ricordo che una sera, eravamo impegnatissimi in una delle sue mille opere d'arte che pretendeva di appendere alle pareti della sua cameretta. C'erano pennarelli ad acqua sparsi per tutto il pavimento della stanzetta, perché il piccolo artista era instancabile. Avevo cercato di metterlo a dormire, ma non ne voleva sapere. All'età di tre anni era già pronto a decidere per conto suo. Comunque, quella sera avevo deciso di accontentarlo, ma i suoi disegni sembravano inesauribili. Tra fogli e pennarelli si distingueva a fatica il pavimento, e quando Will è rincasato, non appena l'ho sentito salire le scale, mi sono alzata in piedi per andargli incontro, ma quando sono arrivata vicino alla porta della cameretta che dava sul corridoio, ho messo il piede su un pennarello e sono scivolata per terra sul pavimento lunga distesa proprio davanti ai suoi occhi.

Lì per lì, sembrò preoccupato, ma poi lo vidi sorridere, sorrisi anch'io, e quando il suo sorriso diventò una risata, mi resi conto che anche in lui qualcosa stava cambiando, stava tornando lentamente alla vita, perché se io avevo cercato di togliermi la vita, quel giorno, lui era quasi morto dentro. Cercava di farsi forza solo per il figlio, perché il giorno in cui io stavo per compiere la più grande cazzata di sempre, lui aveva appena perso sua moglie.

Infilo la mano nella borsa, alla ricerca della lettera che mi scrisse più o meno un anno e mezzo fa, e che da allora porto sempre con me, non me ne separo mai.

Mai.

La apro lentamente, e la sua calligrafia leggermente tremolante, mi riporta alla mente lo stato d'animo con cui la scrisse. Parole cariche di sentimenti di ogni tipo, occupano ogni spazio di questo foglio, ed è incredibile come ogni volta in cui le leggo, riescano a farmi emozionare.

Rosie,

mi trovo qui seduto a scriverti, quando in realtà ho del lavoro da portare a termine, ma oggi mi è quasi impossibile riuscire a lavorare. Sono combattuto, confuso e turbato.

La prima cosa a cui ho pensato stamattina sei stata tu, e questo mi capita già da diverso tempo. Mi sento in colpa nei confronti di Nicole, perché quando l'ho sposata, le ho promesso che le sarei stato fedele sempre, ed è quello che ho fatto ogni giorno della mia vita che ho vissuto insieme a lei, ma tu sei riuscita ad aprirti un varco nel mio cuore senza che io facessi niente perché accadesse e, adesso, sono felice che tu ci sia riuscita.

Quel giorno, quando ero sul tetto dell'ospedale a piangere, disperato, perché Nicole se n'era appena andata, portata via troppo presto da una malattia che non le ha lasciato l'opportunità di crescere suo figlio insieme a me, e ti ho vista, non ho potuto fare altro che cercare di proteggerti. È stato come se salvando te, stessi salvando me stesso.

La vita di Nicole era appena scivolata via tra le mie dita, non avrei permesso che un'altra vita andasse sprecata.

Non so neanche dirti quante volte sono stato sul punto di crollare, di mollare tutto, ma poi, come per un segno del destino, ogni volta arrivavi tu, e con il tuo sorriso mi ricordavi che c'era ancora speranza. Ogni volta in cui credevo che non sarei riuscito a sopportare oltre, mi davi un motivo per reggere ancora il dolore. Sei stata come una piccola fiammella di una candela che lottava per stare accesa, contro un vento impetuoso che cercava di spegnerla, e sei stata come una guida per me. Ho continuato a seguire quella fiammella che è riuscita a soffocare il vento ed è diventata una fiamma viva e potente, per sé stessa e per quelli che le stanno accanto.

In tutto questo tempo ho avuto costantemente la sensazione di annegare, mi sentivo sopraffare dal mio dolore, dalle difficoltà che incontravo con Aaron, dalla vita senza Nicole, ma tu eri sempre lì, ad offrirmi un ramo per salvarmi. L'ho afferrato ogni volta che ne ho avuto bisogno, e oggi sono qui grazie a te.

Il posto che occupi nel mio cuore, te lo sei conquistato poco alla volta, giorno per giorno, come un fiume che scava il suo letto, lentamente, ma inesorabilmente, e ora non cambierei una virgola di quello che abbiamo.

Quel giorno sul tetto, credevo che tutto fosse finito, che non avrei più vissuto un amore travolgente, e invece il destino, ci ha messo l'uno sul cammino dell'altra, e ho intenzione di non lasciarmi scappare questa opportunità di essere felice. Ora l'ho capito.

Rosie, mi hai dato una ragione per amare ancora, perché quando sono accanto a te mi fai sentire migliore, perché quando guardo i tuoi occhi e vedo la speranza che hai nel futuro, so che per noi il sole splenderà ancora.

Insieme abbiamo sofferto, abbiamo pianto, abbiamo condiviso i momenti peggiori della nostra vita, ora, insieme, sono sicuro che possiamo farcela, possiamo affrontare di nuovo il mondo con il sorriso. A me basta avere il tuo.

Voglio viverti Rosie

Tuo Will

Non avevo mai ricevuto una lettera così bella e intensa, così ricca di sentimenti, così piena d'amore, e fino a quel momento, non avevo immaginato che nel suo cuore e nella sua mente ci fosse un tale conflitto interiore. Ricordo quella sera in cui cenammo a casa sua insieme al figlio Aaron e alla sorella Annie per festeggiare il compleanno di William. Gli regalai un diario affinché riuscisse a liberarsi dei sentimenti negativi che si portava dentro e di cui faticava a parlare. Ogni volta che gli chiedevo come si sentiva, lui rispondeva sempre che era tutto ok, che stava bene, ma era ovvio che non fosse così, e passavo tutto il tempo a cercare di ricambiare ogni singola cosa che lui ha fatto per me, a cercare di salvarlo, perché Will è un uomo meraviglioso, che merita tutto l'amore del mondo.

Ci fu una sera in cui lo trovai a casa sua, seduto per terra in cucina, con la schiena appoggiata al frigo, il viso rigato di lacrime, gli occhi gonfi e rossi. Mi sedetti accanto a lui, misi un braccio sulle sue spalle, lui si lasciò andare, appoggiò la testa sulle mie gambe, e pianse ancora mentre gli accarezzavo la testa.

Era la prima volta che lasciava uscire tutto il dolore per la morte della moglie dopo due mesi dalla sua scomparsa. Fino ad allora aveva tenuto tutto dentro, ma quella sera si era trovato in difficoltà a preparare la cena per Aaron che aveva appena un anno, e fu la goccia che fece traboccare il vaso. Le lacrime e i singhiozzi gli scuotevano il petto, e lo strinsi a me come fece lui quella volta sul tetto, senza dire niente.

Mi raccontò poi che sua moglie scoprì di avere un cancro due mesi dopo aver saputo di essere incinta. Non volle affrontare nessuna cura, perché voleva portare a termine la gravidanza senza alcuna conseguenza per il bambino che portava in grembo. Ma la malattia la portò via dopo appena un anno di vita del figlio.

Guardo l'orario sul display del cellulare, è passata quasi un'ora da quando sono su questo tetto, e l'immagine di me, Will e Aaron che illumina lo schermo mi fa sorridere. Eravamo andati alle giostre, e non avevo mai visto padre e figlio così spensierati e sorridenti come quel giorno. Il piccolo Aaron sulle spalle del padre, entrambi con le braccia alzate verso l'alto, sono una delle immagini più belle che conservo di quella giornata.

Un'altra delle immagini che ho più a cuore di quel giorno, non si trova nella galleria fotografica del mio telefono, ma è ben impressa nella mia mente, sempre davanti ai miei occhi.

La sera stessa, quando insieme mettemmo a dormire il piccolo, ma già grande Aaron, dopo averlo salutato, lasciai Will dare la buonanotte a suo figlio, ma mi bloccai appena fuori dalla porta non appena sentii la voce del piccolo. Non volevo origliare, ma è stato più forte di me, come se non potessi più muovermi.

«Papà, io voglio bene a Rosie, e tu?»

«Anch'io voglio bene a Rosie.»

«Papà... posso chiamare Rosie mamma?» Per un attimo c'è solo silenzio, un attimo nel quale credo di aver smesso di respirare.

«Aaron, tu ce l'hai già una mamma, anche se non può essere qui con te, anche se non puoi vederla, ma ti assicuro che lei lo avrebbe voluto tanto, tantissimo. Non se ne sarebbe mai andata se avesse potuto scegliere.» Mi si stringe il cuore a sentire quelle parole, forse la mia presenza non è un bene per Aaron. «Ma sono sicuro che se continuerai a chiamarla Rosie, lei continuerà a comportarsi come se fosse la tua mamma.»

«Davvero?» L'entusiasmo nella voce di Aaron mi fa commuovere.

«Certamente, devi sapere che la mamma, prima di andarsene, mi ha fatto conoscere Rosie, così che avrebbe potuto prendersi cura di noi, e non saremmo mai rimasti soli.»

Quella sera ero fuori dalla porta di quella cameretta, con le lacrime agli occhi, poi mi allontanai per lasciarli soli, e prendere una boccata d'aria. Scesi al piano di sotto, e mi accomodai sul dondolo della veranda. L'aria fresca della sera mi stava aiutando a riprendermi, non volevo far vedere a Will che stavo piangendo, non avrei saputo giustificarlo.

Credo fossero passati meno di dieci minuti, quando lui mi raggiunse sedendosi al mio fianco. Non ricordo per quanto tempo restammo in silenzio, poi ad un tratto Will allungò una mano sulla mia, e la strinse, facendo intrecciare le nostre dita. Quella fu la più bella sensazione che provai dopo tanto tempo. Non disse niente, nemmeno io lo feci, perché ero troppo presa dalla sensazione della mia mano nella sua, e volevo solo godermi ogni secondo con lui. Ad un tratto si alzò, e mi fece alzare con lui, pronunciò soltanto il mio nome, prima di fare unire le nostre labbra, nel nostro primo e romanticissimo bacio.

Quel bacio ha cancellato ogni ferita, ogni dubbio, e tutto il dolore che avevo provato fino a quel giorno, portando nella mia vita una nuova speranza, quella voglia di amare che mi sembrava persa per sempre.

Con lui ho vissuto le mie prime volte più belle. Il primo appuntamento romantico al cinema, il primo bacio sotto la pioggia, la prima lezione di ballo, la mia prima corsa in moto attaccata stretta al suo corpo, la prima recita scolastica di Aaron, la prima notte in cui mi sono sentita amata davvero.

È ancora il telefono a riportarmi alla realtà. Questo posto è un pozzo di ricordi, e stanno venendo a galla tutti insieme.

Posso chiamarti?

Il messaggio è di Annie, e mi chiedo perché mi abbia fatto una tale richiesta. Non perdo tempo a risponderle, faccio partire immediatamente la chiamata.

«Annie tutto a posto? Aaron?» Oggi passava lei a scuola a prenderlo perché io avevo appuntamento qui con William.

«Tranquilla tutto a posto, solo che Aaron voleva salutarti.» Sorrido al pensiero del piccolo ometto di casa.

«Passamelo» le dico sorridendo, anche se non possono vedermi. «Ehi piccolino, tutto bene?» Ormai l'ho detto, spero che non si arrabbi.

«Rosie ho cinque anni, non sono piccolino, sono fra i più grandi a scuola.» Me lo dice continuamente che il prossimo anno andrà alle elementari, che adesso è grande, e sorrido ancora di più al pensiero della sua espressione mentre afferma le sue verità.

«Scusa, hai ragione. Tutto bene?» È strano non essere con lui per cena.

«Sì, volevo darti la buonanotte, zia Annie mi ha detto che dormirò qui, perché non me l'hai detto?» Dormirà lì? Questa mi è nuova.

«Aaron, tesoro, non lo sapevo, forse papà voleva farti una sorpresa.» O voleva farla a me? «Sei arrabbiato?»

«No Rosie, io ti voglio bene.» Ogni volta che me lo dice, il mio cuore si gonfia di gioia.

«Ti voglio bene anch'io tesoro. Fai tanti sogni belli. Ci vediamo domani mattina, d'accordo?» Mi manca non potergli dare il bacio della buona notte.

«Sogni belli anche a te Rosie.» La sua vocina mi fa sorridere ancora.

«Mi passi la zia Annie adesso?» Devo scoprire cosa sta succedendo. Sento un fruscio, e poi la sua voce. «Annie che significa che Aaron dorme lì?» Soprattutto perché io non lo sapevo?

«Will mi ha chiesto di tenerlo per stanotte, pensavo che tu lo sapessi.» È ovvio che ne fossi all'oscuro.

«Non ne sapevo niente.» La sento ridere dall'altra parte del telefono. «Che c'è? Perché ridi Annie?» Mi stanno nascondendo qualcosa entrambi, ormai è palese.

«No, niente... goditi la serata Rosie. A domani.» Non mi dà modo di chiedere spiegazioni perché chiude immediatamente la comunicazione e resto confusa a guardare il display del mio telefono ormai spento.

Sta iniziando a fare buio, e io comincio ad essere preoccupata. Vorrei solo che Will fosse qui.

Appena finisco di pensare questa frase, come se l'avessi chiamato, vedo aprirsi la porta che dà sulle scale, e scorgo la sua figura farsi avanti. Mi sta cercando con lo sguardo, e io mi prendo qualche secondo ad osservarlo. È ancora in giacca e cravatta, nel suo completo scuro, segno che sta arrivando direttamente dall'ufficio. In mano ha due sacchetti, uno di carta marrone, e uno più piccolo e scuro.

«Will!» Lo chiamo perché lo voglio vicino a me, adesso. Lui si gira e il sorriso che gli si apre in volto, riempie il mio cuore e la mia testa.

Gli vado incontro, mentre lui lascia andare la porta e si avvicina a me. Porta le braccia dietro la mia schiena, poggio le mie mani sul suo petto e lui mi bacia. Mi bacia come se ne andasse della sua vita, come se non potesse fare altro in vita sua, e spero di riuscire a fargli capire che per me è lo stesso.

«Mi dispiace averti fatta aspettare.» Mi sta tenendo stretta, con ancora quei sacchetti nelle sue mani.

«Sei qui adesso.» Mi sento al sicuro con lui, mi sento protetta. Mi libera dalla sua presa e apre il sacchetto di carta marrone, dal quale ne tira fuori due calici che sembrano di plastica.

«Non ho potuto procurarmeli di vetro, spero vadano bene lo stesso.» Sorride, mentre si siede sul muretto e appoggia per terra i due bicchieri. Mi siedo accanto a lui, e lo osservo iniziare ad infilare il cavatappi nella bottiglia. Cavatappi che non mi ero accorta che avesse tirato fuori dalla tasca.

«Andranno benissimo... Cosa festeggiamo?» Finalmente sono sul punto di scoprire il motivo per cui mi ha fatta venire qui stasera.

«Ancora non lo so se festeggeremo.» Mi guarda appena, con un sorriso oserei dire nervoso, come se fosse agitato o preoccupato per qualcosa, ed io lo guardo con aria interrogativa.

«Che vuoi dire?» Posa la bottiglia con il cavatappi ancora infilato. Non l'ha stappata.

«Fra poco lo sapremo...» Prende l'altro sacchetto, quello più scuro, e appena prima che ne estragga il contenuto, ho bisogno di fargli un'altra domanda.

«Perché non mi hai detto che Aaron dorme da Annie?» Non è un rimprovero, è che la curiosità mi sta divorando, ma lui mi sorride solamente, e senza rispondere alla mia domanda, toglie dal sacchetto una piccola scatolina rotonda, di legno, mi sembra che sopra ci sia inciso qualcosa, ma non riesco a vederla bene perché è ancora nelle sue mani.

Senza pronunciare una sola parola, allunga la sua mano verso la mia, la tira dolcemente a sé, la volta verso l'alto, e dopo aver aperto il mio palmo, vi posa la scatolina.

Tutt'intorno è incisa e decorata con rametti e fiori, al centro c'è una scritta Take me home.

È la frase che gli ho detto il giorno in cui sono stata dimessa dall'ospedale, il giorno in cui lui mi ha salvata, e non so per quanto riuscirò a trattenere le lacrime.

Lo guardo. Lui mi sta guardando, e dai suoi occhi riesco a vedere quanto sia emozionato anche lui come me.

Apro la scatolina e vedo un solitario, in oro bianco, con un meraviglioso brillante. Istintivamente porto una mano davanti alla bocca per la sorpresa. Non posso crederci, eppure è tutto vero, lui è qui, e mi ha appena regalato un anello, ma la cosa che è ancora più straordinaria, è l'altra scritta incisa all'interno della scatolina.

Will you marry me?

«Will...» È l'unica cosa che sono riuscita a pronunciare, prima che una lacrima di gioia scendesse sul mio viso.

«Allora Rosie, vuoi sposarmi? Perché io lo desidero più di ogni altra cosa al mondo.» Resta immobile a guardarmi, e io non voglio farlo aspettare un secondo di più.

«Sì, sì, sì Will.» Mi alzo, anche lui lo fa, poi lo abbraccio e lo bacio, lo bacio ancora, fino a che mi fermo a guardarlo negli occhi, con ancora quella scatolina in mano. Lui prende l'anello e lo infila al mio anulare, poi mi guarda.

«Adesso abbiamo qualcosa da festeggiare, ed ecco spiegato perché Annie terrà Aaron per stanotte.» I suoi occhi, quanto amo i suoi occhi, quanto amo tutto di lui.

«Era tutto calcolato allora, sapevi che ti avrei detto sì.» Porto una mano intorno al suo collo, ho ancora bisogno di lui più vicino.

«Diciamo che ci speravo, ma avevo le mie ragioni per credere che lo avresti fatto.» Sa quanto lo amo, e sa quanto amo suo figlio.

Brindiamo a noi, alla nostra nuova famiglia, al nostro futuro. Abbiamo attraversato il momento più buio della nostra vita insieme, ma ora siamo tornati a galla, insieme, e l'amore che respiriamo ci terrà ancora insieme, per tutta la vita.

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Capitolo 3
*** Candice (prima parte) ***


Cammino lentamente lungo la strada che collega casa mia al nostro posto, avvolto nel mio cappotto e stringendomi nella sciarpa che fortunatamente ho messo prima di uscire di casa. Fa sempre più freddo, l’inverno è arrivato e, nonostante stia per nevicare, non posso mancare all’appuntamento con il nostro anniversario.
Ti ho conosciuta poco più di dodici anni fa, e non avrei mai pensato che quel giorno la mia vita sarebbe cambiata per sempre; che quella che credevo essere l'avventura di una sera si sarebbe invece trasformata nell'amore più grande della mia vita.
Avevo ventiquattro anni e tanta, tantissima voglia di divertirmi, soprattutto quella sera.
John, il mio migliore amico, si era appena laureato ed eravamo usciti a festeggiare. Eravamo andati al pub senza auto perché ci eravamo ripromessi che non avremmo avuto limiti quella sera d’estate.
Eravamo alla quarta birra quando sei entrata nel locale insieme ad un’altra ragazza, e appena i miei occhi si sono posati su di te, non sono riuscito a pensare ad altro per tutto il tempo. Volevo baciarti, volevo provare cosa volesse dire poter toccare le tue splendide labbra. Lo volevo con ogni fibra del mio corpo, ed era la prima cosa di cui fossi veramente sicuro in tutta la mia vita.
Eri così bella nel tuo vestito rosa e nero. Lo ricordo come se fosse oggi. Quella sera il mio cervello ti ha scattato una foto indelebile che è sempre rimasta nitida nei miei ricordi per tutti questi anni. Avevi una lunga collana e i capelli castani mossi, lasciati sciolti sulle spalle. I tuoi occhi guardavano tutti, ma non vedevano nessuno, me compreso. Non smettevi di ridere, ma sentivo che la tua risata non era spontanea, la trovavo forzata.
Ti sei seduta con la tua amica nell’angolo più in disparte del locale e avete ordinato da bere. Il ragazzo che serviva ai tavoli era mio amico e gli chiesi di farmi un favore enorme. Una volta che le vostre birre furono pronte, presi il vassoio in mano e mi finsi il cameriere solo per cercare di attirare la tua attenzione. Il risultato è stato pessimo. Sono tornato al mio tavolo mentre il mio migliore amico non smetteva di ridere per il fatto che tu mi avessi palesemente ignorato, come se le birre si fossero portate da sole al vostro angolo di tranquillità.
Ma non ero disposto ad arrendermi tanto facilmente. Volevo baciarti più di ogni altra cosa al mondo, e mi ero ripromesso che ci sarei riuscito. Non era una sfida per riuscire ad ottenere qualcosa di difficile, io volevo veramente baciarti, volevo averti per me. Non avevo nessuna intenzione di perderti di vista, perché se tu fossi uscita dal pub senza che io fossi riuscito a parlarti, ero assolutamente sicuro che non ti avrei più rivista. New York non è proprio una piccola città in cui è possibile incontrare due volte la stessa persona, e con molte probabilità saresti scomparsa con la stessa velocità con cui sei apparsa.

Non potevo permetterlo.

Ho ordinato un cocktail e l’ho portato al tuo tavolo, ma continuavi ad ignorarmi. Allora ho posato il bicchiere davanti a te e, senza togliere la mano, continuavo a tenerlo stretto mentre mi sedevo proprio al tuo fianco. Il tuo sguardo è caduto sulla mia mano, per poi risalire lungo il braccio, fino a fermarsi nei miei occhi. In quel momento tutto si è fermato. I tuoi occhi azzurri come il ghiaccio mi avevano inchiodato alla sedia e all’improvviso ho sentito caldo, molto caldo. Quel bacio che desideravo darti si era trasformato in qualcos’altro. Ti volevo, ti volevo tutta, corpo, mente e anima. Quella sera ho visto qualcosa nei tuoi occhi che doveva essere mio ad ogni costo.
Il mondo ha ripreso a girare quando mi hai parlato e sentire il tuo nome, pronunciato dalla tua voce, mi fece provare una sensazione indescrivibile, come se tu riuscissi a parlare direttamente al mio intero corpo.
«Candice… mi chiamo Candice.» So che dovuto rispondere, avrei dovuto dirti il mio nome, ma riuscivo solo a guardare le tue labbra, come si muovevano e mi chiedevo che sapore avrebbero avuto. Poi hai preso il bicchiere che avevo posato di fronte a te, toccando le mie dita con le tue, ed è stato come se fossi stato attraversato da una scarica elettrica. Istintivamente ti ho guardato di nuovo negli occhi, e quando ti ho trovata a guardarmi nello stesso modo in cui lo stavo facendo io, ho capito che anche tu avevi provato la stessa cosa.
Ho osservato il tuo modo di portare il bicchiere alla bocca, e quando le tue labbra si sono posate sul bordo per bere, la mia salivazione è aumentata notevolmente, a quel punto sono riuscito a parlare.
«Jake.» Tu mi hai guardato con aria interrogativa, ed io mi sono sentito un idiota. «È il mio nome.» A quel punto hai sorriso, ed io non ho capito più niente. Tutto è sparito intorno a noi. È stato come se in quel momento tu avessi acceso una luce in me, o meglio ancora… in quel preciso istante tu sei diventata la mia luce.
Anche John si è unito a quel tavolo insieme a noi, e dopo aver passato il resto della serata tra birre, risate e sguardi incandescenti, mi hai portato a casa tua. Ricordo di averti chiesto un paio di volte se fossi realmente sicura di quello che stavi facendo, e tu continuavi a rispondere che non eri mai stata più sicura di altro in vita tua. Nonostante le tue parole, però, non ho potuto non notare dell’incertezza nei tuoi gesti e nell’atteggiamento, ma non sono comunque riuscito a resisterti ed è stata la notte più incredibile di tutta la mia vita.
Se non che, il mattino dopo sembrava non vedessi l’ora di sbarazzarti di me. Non potevo credere a quello che stava succedendo, mi stavi letteralmente sbattendo fuori di casa. In realtà l’hai fatto sul serio, ed io sono rimasto sul pianerottolo per almeno dieci minuti a cercare di capire cosa fosse successo. Poi mi sono ripreso e ho cominciato a bussare, non avevo nessuna intenzione di sparire dalla tua vita.

«Candice!» Sto bussando da due minuti, ho controllato l’orologio. E mi ritrovo a chiedermi perché diavolo stia continuando a bussare e, soprattutto, perché mai sto controllando il tempo! «Candice!» Il mio tono di voce si alza, come se urlando avessi più possibilità di farmi aprire. «Candice apri per favore.» Devo calmarmi ed essere gentile, non voglio spaventarla, ma il tempo sta continuando a passare, sono trascorsi altri cinque minuti, e la sua porta è ancora chiusa. Credo che tra poco qualche suo vicino verrà a buttarmi fuori dal condominio a calci. C’è solo una stupida porta a dividermi da lei, e per quanto sia insensato e stupido dato che l’ho conosciuta solo poche ora fa, io voglio vederla, voglio parlare con lei.
In un’altra occasione mi avrebbe fatto davvero comodo una situazione come questa, e non mi sarei nemmeno fatto pregare per andarmene, ma stavolta è diverso, non so in cosa, ma so che lo è. Candice lo è, e non voglio che sia solo il ricordo di una notte.
Altri cinque minuti, non posso aspettare oltre. «Candice!» Stavolta sto urlando a gran voce. «Se non apri questa porta, la butto giù a calci!» Resto in silenzio, per ascoltare se provengano o meno rumori dall’interno dell’appartamento, appoggio l’orecchio alla porta, ma non sento assolutamente niente. «Ok Candice, ti avevo avvisata…» Ovviamente sto bluffando, non potrei mai farle una cosa del genere, ma non so più come fare per farmi aprire. «… al tre il tuo appartamento non avrà più una porta.» Silenzio, soltanto silenzio. «Ricorda che l’hai voluto tu… uno…» Faccio passare qualche secondo, ma non succede niente. «Due.» A quanto pare non ho alcuna speranza con lei, la sua porta è ancora chiusa. «Tre.» Come mi aspettavo, non è successo niente. Ma ancora non sa con chi ha a che fare. «Quattro.» Mi è sembrato di sentire un rumore, resto in silenzio per un po’, ma non succede nulla. «Cinque.» Conterò ancora. «Sei.» Non ho intenzione di arrendermi. «Sette.» Un altro rumore, sembrava quasi una risata. «Otto.» Non cederò Candice. «Nove.» Mi siedo per terra con la schiena appoggiata alla porta, e non smetto. Prima o poi dovrà uscire da qui, non ha alternative, a meno che non abbia un passaggio segreto, ma lo trovo alquanto improbabile dato che siamo al quinto piano. «Dieci.» Conto lasciando passare qualche secondo tra un numero e l’altro, ma senza fermarmi, fino al momento in cui, la porta alla quale sono appoggiato con la schiena da quasi mezz’ora ormai, viene aperta di colpo, e cado all’indietro sbattendo leggermente la testa per terra.
Sono praticamente sdraiato sul suo pavimento all’ingresso, lei è in piedi, e mi guarda dall’alto con un gran sorriso in volto. «Ho fatto il caffè.» Il suo tono di voce è divertito, ed io cerco di mettermi in piedi in fretta mentre la guardo andare verso la cucina.

La mia tenacia quel giorno, è stata premiata. Sei rimasta colpita dalla mia insistenza e mi hai anche preparato la colazione. Mi hai chiesto perché tutta quell’insistenza, e non ho avuto nessuna esitazione nel risponderti.

«Perché sono sicuro che tu sia la donna della mia vita.»

Sei scoppiata a ridere alle mie parole, eri realmente convinta che io stessi scherzando, ma quando hai realizzato che nessun sorriso era comparso sulle mie labbra, hai capito che stavo dicendo sul serio. Ero dannatamente serio, come non lo ero mai stato. Non so spiegartelo, ma lo sentivo nel mio cuore. Eri tu, sei sempre stata tu, te l’ho letto negli occhi appena ti ho vista.
Anche con questa risposta ti avevo colpita, tanto da confidarmi il perché del tuo comportamento della sera precedente. Avevi appena avuto l’ennesima delusione, dall’ennesimo stupido ragazzo che avevi frequentato. Mi hai detto che nessuno di loro è mai stato pronto ad impegnarsi, e che l’ultimo l’hai addirittura scoperto a letto con un’altra. La sera in cui ci siamo conosciuti, per la prima volta in vita tua, avevi detto a te stessa che avresti potuto fare la stessa cosa ad un uomo senza sensi di colpa. Ti sei messa d’accordo con la tua amica, siete entrate in un locale a caso, e il primo che ci avrebbe provato con te, l’avresti portato a casa, te lo saresti scopato, e subito dopo, l’avresti buttato fuori di casa come si fa con le cose che non servono più.
Da quel giorno ho sempre ringraziato John di essersi laureato quel giorno, ed aver scelto quel pub per festeggiare o non so se avrei mai avuto la possibilità di incontrarti. Non avrei mai immaginato quanto mi avrebbe reso felice essere stato il primo che capita.

«Papà?» Sono talmente travolto da questi ricordi, che quasi mi dimenticavo che c’è anche la mia bellissima creatura con me.
«Dimmi tesoro.» Abbasso lo sguardo nella sua direzione, mentre camminiamo mano nella mano.
«Manca molto?» Sorrido alla sua richiesta, è sempre stata una pigrona.
«Sei impaziente di arrivare, o sei già stanca?» Mi guarda con i suoi occhi furbetti, uguali a quelli di sua madre, azzurri come il mare d’estate.
«Lo sai che sono impaziente.» Ha solo dieci anni, ma mi tiene in riga come Candice; mamma e figlia sono uguali in tutto e per tutto.
«Ascolta Julie, facciamo una cosa…» Mi fermo un attimo, e mi abbasso leggermente alla sua altezza accarezzando i suoi lunghi capelli castani uguali a quelli di sua madre. Sono due gocce d’acqua. «…quando arriviamo, vuoi darli tu questi fiori alla mamma?» Le porgo il piccolo mazzo di rose rosse che ho comprato poco fa. Un mazzo di rose rosse può sembrare banale, ma sono sempre stati i suoi fiori preferiti e non aveva importanza quale fosse l’occasione, quando volevo comprarle dei fiori, voleva sempre e solo rose rosse.
I suoi occhietti si illuminano e il suo sorriso rende questa giornata invernale, un po’ meno fredda.
«Ci sto, ma puoi tenerli ancora tu?» Le sorrido, dandole poi un bacio sulla fronte. È piccola ma sa esattamente come manipolarmi, e io glielo lascio fare, perché Julie è tutta la mia vita.
«Sei un’ottima affarista.» Le faccio l’occhiolino, poi riprendiamo a camminare.
Il piccolo laghetto dove abbiamo celebrato il “nostro” matrimonio, quello in cui eravamo presenti solo io e lei, è qui vicino e, camminare lungo questo sentiero, mi porta alla mente altri ricordi.
«Possiamo sederci solo cinque minuti, queste scarpe mi fanno male.» Non sono sicuro che stia dicendo la verità, ma non importa, se vuole sedersi lo faremo. Oggi le è concesso tutto.
«Certo, attenta a non sporcare il cappotto mentre ti siedi.» Si avvicina alla panchina e controlla che sia pulita, poi mi guarda come se aspettasse il mio permesso, che in realtà non aspetta per niente perché con un piccolo salto si siede, e mi fa cenno di raggiungerla. Mi accomodo accanto alla mia piccola signorina. Le è sempre piaciuto venire qui, soprattutto da quando in casa si è aggiunto un nuovo componente. Mikado, il suo labrador che adora, ma l’adorazione è ricambiata, e spesso di coalizzano contro di me, soprattutto la domenica mattina quando vorrei dormire, ma riescono comunque a farmi alzare con il sorriso.
Mi squilla il telefono. È un messaggio e Julie alza gli occhi al cielo. Non sopporta il mio telefono, soprattutto quello dell’ufficio, ma stavolta non è lavoro.
 
Potevi lasciarla con me, non era un problema.
Sei sempre il solito testone.
 
«Chi è?» La vocina squillante di Julie mi fa voltare subito dalla sua parte.
«È nonna Isabel.» Si era offerta di tenere lei Julie oggi, ma io l’ho voluta con me. La mamma di Candice è sempre stata molto attaccata a nostra figlia, e si preoccupa sempre troppo.
«Ti ha sgridato?» Rido perché ha ragione, mi sgrida sempre, proprio come Candice, e nello stesso modo di Julie. Il DNA non mente.
«Certo che sì.» Guardo il suo visino serio, e sento che sto per essere rimproverato anche da lei.
«Te l’avevo detto di avvisarla ieri sera che non mi avresti portato da lei.» Sul cartello di casa, invece di attenti al cane, dovevo far scrivere, attenti alle donne della famiglia Miller.
«Ok sergente Julie, è ora di andare adesso.» Sorrido mentre mi alzo in piedi e allungo la mano nella sua direzione. Si alza anche lei, anche se il suo sguardo non sembra troppo convinto, afferra poi la mia, e riprendiamo il cammino in totale silenzio.
I ricordi tornano prepotenti in mezzo a questi sentieri, soprattutto quando arriviamo vicino al piccolo dehor, in riva ad un altrettanto piccolo corso d’acqua, costituito da due panche di legno coperte da una tettoia.
È qui che ti ho chiesto di sposarmi e, dodici anni fa come oggi, il mio amore per te è ovunque. Non sono mai riuscito a contenerlo. Nel primo anno della nostra frequentazione mi hai messo in difficoltà in ogni modo. Hai cercato di sabotare i nostri appuntamenti, alcune volte non ti presentavi neanche, dicendo che ti eri dimenticata, mi hai messo i bastoni tra le ruote in ogni occasione possibile facendomi anche fare la figura dell’idiota con i tuoi genitori raccontando un sacco di balle che non riuscivo a smentire per non metterti in ridicolo davanti a loro.
Ti ho stupita anche in quel caso. Eri convinta che non sarei riuscito a sopportare tutto, che sarei scappato a gambe levate, e invece ero sempre accanto a te, sempre, perché non avrei potuto fare altrimenti. L’amore che provo ancora oggi per te, non conosce difficoltà, problemi, insicurezze o paure. Non mi hai mai spaventato, e quando mi hai confessato che tutto quello che hai fatto il primo anno era stato mettere alla prova la nostra relazione, avrei dovuto arrabbiarmi, ma non l’ho fatto perché sapevo quello che avevi dovuto sopportare in passato, ed ero più che felice di averti dimostrato che potevi fidarti di me, che io e te avevamo un futuro insieme. Avevo guadagnato la tua stima e il diritto di far parte della tua vita.

Non potevo desiderare di meglio.

«Papà, mi racconti di quando hai chiesto a mamma di sposarti?» Le ho raccontato di questo posto qualche giorno fa, e mi ha detto che non vedeva l’ora di vederlo. Per questo siamo passati da qui prima della nostra destinazione.
«Era una giornata speciale per me, proprio come oggi, ed ero sicuro che fosse arrivato il momento giusto. Volevo avere la tua mamma tutta per me, per tutta la vita…» Lo ricordo come se fosse oggi.

«Jake, dove stiamo andando?» Non le piacciono le sorprese, vuole avere sempre tutto sotto controllo, ma oggi voglio fare a modo mio.
«Candice stavolta non potrai fare niente, tutto è già stato previsto.» La tengo per mano lungo il sentiero che arriva al dehor che ho trovato il mese scorso durante una delle mie corse al Central Park. Appena l’ho visto, ho capito che era il luogo perfetto. In disparte dai sentieri frequentati dalla maggior parte delle persone, in quel minuscolo angolo, ci saremmo stati solo io e lei.
Ho fatto in modo che Steven, il mio fioraio di fiducia, lo decorasse interamente di rose rosse. Ho speso una fortuna, ma il risultato ne valeva assolutamente la pena. Rose arrotolate sui due pali laterali che sostengono la tettoia, rose che pendono dal centro, rose sulla panchina, e petali di rose lungo l’ultimo tratto del sentiero. Il mio amico fioraio è rimasto di guardia al piccolo dehor durante l’ultima mezz’ora, perché non potevo rischiare che qualcuno rovinasse ogni cosa.
«Tutto cosa Jake?» Adoro quando sento di avere il potere su di lei, di solito non è così, ma le rare volte che succede mi godo l’attimo.
«Adesso fermati.» Mi posiziono davanti a lei, tolgo la benda dalla tasca dei miei jeans, e la sua espressione mi fa ridere.
«Non lo farai!» Fa un passo indietro non appena capisce che sto per bendarla, ma mi avvicino subito e la raggiungo.
«E invece lo farò, e tu smetterai di protestare.» Alla fine resta ferma. I miei movimenti sono lenti, perché ogni volta che mi è così vicino, non riesco a non perdermi mentre la guardo. Poi devo farlo, devo baciarla. Mi dimentico per un attimo della benda, di quello che sto per fare, di dove siamo, di tutto e prendo il suo viso per attirarla a me e la bacio con dolcezza, con passione, con amore, con tutto quello che provo per lei.

«La mamma si è lasciata bendare?» La voce di Julie mi riporta alla realtà e le sorrido.
«So che sembra impossibile, ma quella volta ho vinto io. La mamma si è lasciata bendare, l’ho presa per mano, e l’ho condotta fino a qui, proprio dove sei seduta tu in questo momento. Quando le ho tolto la benda e ha visto tutte le rose rosse che avevo fatto mettere qui, solo per lei, i suoi occhi sono diventati lucidi, e potevo leggere la felicità nel suo sguardo. Ho preso l’anello che avevo comprato per lei qualche settimana prima, poi mi sono inginocchiato e le ho detto “Candice Elizabeth Collins dimmi solo lo voglio, e sarò tuo per tutta la vita.» La piccola Julie batte le sue manine entusiasta.
«Ti ha detto subito sì?» L’emozione nella sua voce è contagiosa, mi sento anch’io come un bambino in questo momento.
«Mi ha detto…» Mi schiarisco appena la gola e simulo una voce femminile che fa ridere la mia bambina. “…Jake William Miller, cocciuto e testardo come sei me lo chiederesti fino a che non ti risponderei di sì, ti evito la fatica… lo voglio… in realtà l’ho voluto dal primo momento in cui ti ho visto.” La mamma era rimasta molto sorpresa ed ero al settimo cielo per quello che mi aveva appena detto.» La mia piccola bambina mi guarda con adorazione, come se fossi il suo eroe, e vorrei poterlo essere davvero. «Adesso dobbiamo andare.» Le porgo la mano che lei afferra subito dopo essersi alzata in piedi, e ci incamminiamo lungo il sentiero che porta fuori da Central Park.
Il mio telefono squilla di nuovo. Un altro messaggio.
«Papà, quel telefono deve proprio rimanere acceso?» Proprio non lo sopporta, è più forte di lei, forse è una cosa che le ha trasmesso sua madre.
«È un messaggio di zio Josh, dice che loro sono quasi arrivati.» Mio fratello, il mio pilastro, la mia forza.
«Ok, lo zio Josh ha tutti i permessi che vuole.» Ed è anche l’amore della vita di Julie. Lei è convinta che potrà sposarlo una volta diventata grande. È stata proprio Julie a volere che ci raggiungesse oggi, anche se ha storto il naso quando le ho detto che verrà con sua moglie. Si sono sposati due anni fa. Io e Candice siamo stati i loro testimoni di nozze, e la piccola Julie ha continuato a sussurrare alle nostre orecchie, per tutta la giornata, che tanto lo zio Josh sarebbe stato suo marito da grande. Io e sua mamma ci guardavamo, e sorridevamo alle sue parole.
Rispondo a mio fratello, dicendogli che stiamo per arrivare alla macchina, e che saremo lì nel più breve tempo possibile. Usciamo dal sentiero, raggiungo la macchina, faccio salire Julie dietro, anche se continua a lamentarsi che è abbastanza grande per sedersi davanti, ma io non voglio correre rischi inutili, e la faccio sedere dietro, agganciandole per bene la cintura di sicurezza, poggiando vicino a lei il mazzo di rose.
«Posso avere il tuo telefono finché arriviamo?» Non ho obiezioni in merito. Gli porgo il mio cellulare, le chiudo lo sportello e, dopo aver fatto il giro della macchina, mi metto alla guida dirigendomi verso la nostra destinazione.
Sento provenire da dietro quei piccoli rumorini del gioco che le piace tanto fare quando vuole passare il tempo. Di solito non li sopporto, ma stavolta non mi danno alcun fastidio, preferisco che si distragga, o quando arriveremo sarà così nervosa che nessuno riuscirà a tenerla.
Il caratterino l’ha preso da te Candice. È forte, sa quello che vuole, e sa come ottenerlo senza farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
«Questa foto quando l’avete fatta?» Sta guardando di nuovo le foto, come se non le avesse mai viste.
«Julie sto guidando, aspetta che arrivo ad un semaforo e la guardo ok?» In effetti mi sembrava di non sentire da un po’ i rumorini fastidiosi del gioco. Arrivo al semaforo rosso, mi fermo, e mi volto all’indietro.
«Fa’ vedere.» Gira lo schermo dalla mia parte, e guardare quella foto è stato come rivivere quel giorno.
«L’hai già vista quella foto, e sai anche quando l’abbiamo fatta.» Ride perché sa che ho ragione. Me l’aveva chiesto un paio di settimane fa mentre la stavo accompagnando a scuola.
«Raccontamelo di nuovo.» Le sorrido, poi devo ripartire perché qualcuno sta suonando il clacson, segno che il semaforo è diventato verde.
«È stato l’anno scorso, la prima volta che io e la mamma siamo andati via da soli per un week-end dopo che sei nata tu.» A nessuno dei due è mai piaciuto il fatto di lasciare Julie a casa e andare via per conto nostro. Non l’abbiamo mai fatto, ma l’anno scorso era un periodo particolare per me. Avevo realmente bisogno di passare qualche giorno da solo con te e, pur non essendone del tutto convinta, hai voluto accontentarmi, regalandomi il week-end più intenso di tutta la nostra vita insieme.
«Sai che ero molto arrabbiata con voi per non avermi portato?» Sorrido quando lo dice perché so che è vero.
«Si che lo so, quando siamo tornati a casa hai detto che avresti chiamato lo zio Josh, ti saresti fatta portare a DisneyWorld, e a me e alla mamma, ci avreste lasciati a casa.» La osservo dallo specchietto retrovisore e la vedo sorridere. Le voglio bene più della mia stessa vita e vorrei non dovesse soffrire mai.

I restanti quindici minuti li trascorriamo in silenzio, nel traffico di New York. Ogni tanto l’ho osservata dallo specchietto e, per tutto il tempo, non ha fatto altro che tenere gli occhi fissi sul display del mio cellulare, probabilmente a guardare le foto presenti nella galleria. Ogni tanto ha sorriso, a volte era seria, ma in ogni istante ha sempre avuto la stessa espressione di Candice.
«Siamo arrivati piccola.» Alza gli occhi verso di me, le sorrido, scendo per aprirle lo sportello. Lei si è già sganciata la cintura, e poi scende dall’auto, con in mano il mazzo di rose rosse per la mamma.
«Questa è la chiesa dove vi siete sposati?» mi domanda mentre le prendo la mano per attraversare la strada.
«Sì, è proprio questa. Ti piace?» Si fa più seria in volto, e adesso più che mai vorrei essere il super eroe che lei crede che io sia.
«Non lo so.» Mi abbasso alla sua altezza per prenderla in braccio e, una volta che l’ho tirata, su mi guarda dritto negli occhi ed io non so proprio come fare.
«Avresti preferito rimanere con nonna Isabel?» Forse dovevo darle retta e lasciarla con lei.
«No, va bene. Entriamo.» Come ho già detto, la mia piccole Julie è forte, sa che ho bisogno di lei e non mi avrebbe lasciato da solo per niente al mondo.
Attraverso la strada, poi varco la soglia della chiesa con mia figlia in braccio che tiene in mano il mazzo di rose per la sua mamma. Il primo a venirmi incontro è Josh, abbraccia me e Julie, poi si prende la piccola in braccio. Lei non fa alcuna storia, ed io mi dirigo verso l’altare sedendomi al primo banco.
Il brusio cessa improvvisamente quando il prete fa il suo ingresso. Il mio cuore batte troppo velocemente, lo sento forte nelle tempie, nelle orecchie, stringo le mani tra di loro cercando di calmarmi, ma lo faccio solo quando la mia bambina si siede accanto a me, posando la sua mano sulla mia.
Ha gli occhi lucidi, sta per piangere. Io non posso farlo, non con lei che mi guarda, altrimenti non potrei più essere il suo super eroe, e questo non posso permetterlo.
Il prete continua a parlare, ma non riesco a sentire nemmeno una parola, sono troppo concentrato su Julie per ascoltarlo, e solo quando mi fa cenno di avvicinarmi all’altare cerco di chiamare a raccolta ogni grammo di forza che riesco a trovare dentro di me.
Salgo sul piccolo podio, sistemo il microfono, e i miei occhi sono di nuovo su di lei. Lei che è così piccola, ma allo stesso tempo così grande. Lei che è così uguale a sua mamma. Lei che è tutto quello che mi è rimasto di Candice.
«Mi hai insegnato ad essere coraggioso, ma è difficile farlo senza di te al mio fianco. Ho provato a scrivere questo discorso tante di quelle volte, ma ogni volta mi sembravano solo parole. Mi hai insegnato quanto sia bella la vita, perché, anche quando finisce, c’è sempre un motivo per cui vale la pena continuare a viverla per chi resta.» I miei occhi sono ancora fissi su Julie che ha iniziato a piangere, e non posso lasciarla sola, ma ho bisogno di finire questo discorso. Le faccio cenno di avvicinarsi. Lei scatta in piedi come una molla, poi, mi raggiunge correndo. L’abbraccio posando la mia mano sulla sua schiena, tenendola stretta, lei si aggrappa con le sue manine ai miei pantaloni. Ora mi sento più forte, e posso continuare a parlare. «Eravamo in questa chiesa dodici anni fa per dichiararci amore eterno. Ti hanno portata via troppo presto, non so cosa darei per poterti avere qui con noi ancora, ma sei stata, sei, e sarai sempre la mia luce. Non era certo questo il modo in cui pensavo di celebrare il nostro anniversario di matrimonio, ma ci tenevo a far sapere a tutti quanto ti amo, oggi, come quello stesso giorno, anzi, se possibile, ti amo anche di più. Ti amiamo tutti Candice, ovunque tu sia.»

So che non tornerai amore mio, ma so che continuerai ad illuminare la nostra strada. Julie è con me, vivo per lei, come l’avresti fatto tu. La vita è preziosa, lo so, amo te, amo Julie, e credo di essere pronto a diventare il suo supereroe.
Ti amo Candice.

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Capitolo 4
*** Jake (seconda parte) ***


La luce filtra appena dalle tende lasciate leggermente accostate. Alzo un po’ la testa, e noto Jake accanto a me che dorme serenamente. Mi sollevo su un gomito per guardarlo meglio, e sono certa di non aver mai avuto risveglio migliore di questo. Lui è qui, accanto a me, coperto per metà solo da un leggero lenzuolo da cui riesco a vedere il suo corpo completamente rilassato.
Il suo viso è coperto da un leggero strato di barba, e sono certa che non abbia mai avuto i capelli così lunghi, credo sia arrivata l’ora di convincerlo ad andare a tagliarli anche se so che non sarà facile perché ha troppe cose per la testa in questo periodo, e forse prendersi cura di sé la ritiene una cosa superflua.
Mi avvicino quel poco che basta per poter inspirare a pieni polmoni il suo profumo, per poi continuare a guardarlo e vedere il movimento regolare del suo torace, dato dal respiro calmo e tranquillo. La sua sola presenza mi fa sentire al sicuro, protetta, e vederlo in questo stato di quiete mi riempie il cuore di gioia in un modo che non è assolutamente possibile descrivere.
Vorrei che ogni mattina fosse così, come questa domenica in cui possiamo goderci la nostra famiglia per cui abbiamo lottato tanto, soprattutto Jake. So di avergli reso la vita impossibile, ma so anche che niente potrebbe mai separarci, e vedere quel piccolo sorriso sulle sue labbra anche se sta dormendo, mi fa capire che lui sta bene, sta bene per davvero.
Mi muovo lentamente, portando il mio corpo vicino al suo, per poi sfiorare appena il suo braccio. Sentire la sua pelle sotto le mie dita è una cosa che mi ha sempre fatto perdere la testa. È stato così fin dalla prima sera in cui ci siamo conosciuti, ed è così anche oggi; a distanza di anni mi fa sempre lo stesso strabiliante effetto.
«Jake…» Bisbiglio al suo orecchio, facendo aderire il mio corpo al suo fianco. «Jake…» Un altro sussurro al suo orecchio, e lui si muove appena, mugugnando qualcosa di incomprensibile. «Jake, tesoro…» Gli bacio la spalla, poi la clavicola, poi mi avvicino ancora un po’, fino a baciargli il collo e, a quel punto, lui si gira e mi stringe tra le sue braccia, facendo incrociare le nostre gambe, portandomi ancora più vicina a lui.
«Candice…» La voce che esce dalle sue labbra quando è appena sveglio, è la più sexy del pianeta. «…perché mi hai svegliato?» Appoggio la testa al suo petto, e ascolto il battito regolare del suo cuore, chiudendo gli occhi e assaporando questo momento.
«Perché mi mancavi Jake.» La sua guancia appoggiata alla mia testa che si muove appena, mi fa capire che sta sorridendo, e anche io non posso trattenermi dal farlo.
Poi, sento bussare alla porta della nostra camera da letto, e il mio sorriso diventa ancora più ampio. «Entra» dico, alzando leggermente il viso dal petto di mio marito.
«Ciao mamma» bisbiglia la piccola Julie mentre si avvicina lentamente al nostro letto, con i piedini scalzi, vestita del suo pigiama completamente rosa.
«Ciao piccola, vieni qui.» Le faccio cenno con la mano di avvicinarsi, ma lei sembra esitare.
«Papà dorme?» La sua voce è ancora un sussurro, e la guardo con tenerezza mentre si strofina l’occhio destro. Le è sempre dispiaciuto svegliare suo padre la domenica mattina, soprattutto perché vuole essere lei a portargli la colazione a letto.
«Papà è sveglio perché la mamma non può fare a meno di lui.» La voce roca e assonnata dell’uomo che mi sta accanto fa ridere nostra figlia, che sembra svegliarsi di colpo saltando sul nostro letto con un sorriso che le incornicia il volto.
Mi stringo ancora un po’ a lui concentrandomi sul contatto delle sue braccia sul mio corpo, e puntando gli occhi su Julie che sta per saltare addosso a suo padre. E alla fine lo fa, salta vicino al suo papà che allarga l’altro braccio per stringere anche lei, che adesso appoggia la sua piccola guancia sul petto di suo padre, guardandomi dritta negli occhi e sorridendo felice.
«Hai fame tesoro?» chiedo alla mia bambina, che sta crescendo troppo in fretta. Ha già undici anni, ma sembra ieri che la tenevo tra le braccia mentre Jake tagliava il cordone ombelicale con le lacrime agli occhi, quelle lacrime di gioia che mi hanno riempito il cuore e l’anima.
«Tantissima, andiamo a preparare la colazione a papà?» mi domanda felice. Le sorrido in risposta e, dopo aver lasciato un bacio sulla guancia del mio bellissimo marito, mi alzo scivolando via dalla presa delle sue braccia, poi, Julie fa lo stesso raggiungendomi in cucina.
Preparare i pancake insieme è un momento speciale per me. Julie sorride, e mi racconta dei suoi programmi per la settimana mentre mescola con energia gli ingredienti per la sua colazione preferita, ed io la osservo in ogni dettaglio, in ogni movimento, ascoltando attentamente ogni parola che esce dalla sua bocca, e so che non avrei potuto fare di meglio. Lei è la dimostrazione che anch’io ho fatto qualcosa di buono nella vita.
Poi, un movimento attira la mia attenzione. Guardare Jake entrare in cucina con i capelli arruffati e la faccia assonnata, vestito con una maglietta bianca e i pantaloncini grigi che adoro su di lui, che cammina in quella maniera così…. così… È terribilmente affascinate anche il suo modo di versarsi il caffè, ed io non riesco più a concludere le frasi quando penso a lui in modi che non dovrei immaginare in presenza di mia figlia.
«Papà… dovevo portarti la colazione a letto!» Si lamenta Julie quando si accorge della presenza di suo padre in cucina.
Lui le sorride, poi si piega sulle ginocchia per portarsi alla sua altezza. Nostra figlia ha una assoluta venerazione per suo padre. Lui non è da meno nei suoi confronti e, guardarli in questo momento, mi fa commuovere, tanto che faccio persino fatica a trattenermi. «In realtà toccava a me prepararti la colazione oggi. Te l’avevo promesso dato che hai preso quel gran bel voto in matematica.» Sorride anche lei, con quel suo modo dolce che ha quando suo padre le parla.
«È vero!» Sembra ricordarsene improvvisamente sbattendo la manina sulla sua fronte, e saltella sul posto come se non riuscisse a stare ferma. «Allora vado a guardare i cartoni finché aspetto.» Dà un bacio a suo padre, poi, fugge via in salotto con un gran sorriso sulle labbra.
Mi volto verso il piano della cucina per non mostrargli i miei occhi lucidi, e la distanza da lui non dura per molto tempo, perché subito dopo lo sento dietro di me, che porta le sue mani sui miei fianchi fino a posarle sul mio ventre, incrociandole e stringendosi a me. «Cosa vuoi fare oggi?» La sua voce arriva dritta al mio orecchio, poi, appoggia le sue labbra sul mio collo, sfiorandolo appena.
«Niente, vorrei stare a casa per passare la giornata con la mia famiglia.» La mia voce esce più incerta di quanto avrei voluto, ma non perché io non sia sicura di quello che voglio, perché passare la mia giornata con loro è l’unica cosa di cui m’importa. Il fatto è che vorrei poter essere più forte ed affrontare in maniera diversa questa domenica, ma l’amore che provo per mio marito e per mia figlia mi fa perdere il controllo della situazione.
L’amore che provo per loro due va ogni oltre ogni logica e ogni razionalità.
«Cosa c’è che non va.» Non me lo sta domandando, perché mi conosce troppo bene, e sa con certezza che qualcosa non va in me, anche se non può minimamente immaginare cosa sia. Mi fa voltare verso di lui, e sono contenta di essere riuscita a trattenere le lacrime che minacciavano di uscire dai miei occhi. Lo sto guardando con tutto l’amore che provo per lui, per l’uomo che mi è sempre stato accanto in ogni momento e in ogni situazione.
«Non c’è niente che non va, ho solo voglia di passare la giornata a casa.» Ho bisogno di passare ogni secondo possibile con loro senza nessun’altra persona intorno.
«Sei sicura? Non ti andrebbe di andare al mare? Saremmo comunque noi tre e nessun altro…» Mi sorride facendomi quella sua espressione furbetta che usa sempre quando vuole convincermi. Sa quanto io adori andare al mare, ma non oggi. Il desiderio di passare ogni minuto di questa giornata con le due persone più importanti della mia vita, prevale su ogni cosa.
«Davvero Jake, voglio stare a casa.» Le mie braccia scivolano sui suoi fianchi per stringerlo in un abbraccio di cui sento profondamente bisogno. Appoggio la testa al suo petto che vibra appena per la leggera risata che è appena uscita dalle sue labbra.
«Non ti credo Candice, ma faremo come vuoi tu.» Mi lascia un dolcissimo bacio sulla testa, poi mi allontana leggermente per guardarmi negli occhi. «Adesso, però, è il caso che io mi sbrighi prima che Julie si metta a strillare.» Un altro piccolo bacio sulle labbra, e mi perdo ad osservare ogni suo movimento mentre si appresta a preparare i pancake alla nostra bambina e il sorriso che mi mostra, allontana ogni tristezza, ogni pensiero doloroso che fatico a tenere lontano dalla mia mente.
Lo guardo, e cerco di imprimere ogni dettaglio nella mia mente. Il modo in cui tiene in mano il cucchiaio, come volta il pancake sulla padella, come muove le spalle per compiere i movimenti, il modo con il quale si concentra per fare un buon lavoro, o anche solo i suoi capelli scompigliati, i pantaloncini stropicciati, e quel braccialetto che non si è mai tolto, lo stesso braccialetto che gli ho regalato quando è nata Julie, sul quale sono incisi i nostri tre nomi.
Jake non ha mai avuto molto tempo da passare in cucina, ma preparare la colazione per me e Julie è una cosa a cui tiene in modo particolare. Ha sempre detto che era un modo per prendersi cura delle sue donne, e io l’ho amato ancora di più.
«Vado a portare la colazione a Julie, tu non muoverti da qui.» Gli sorrido silenziosa e vorrei dirgli che non mi muoverei da qui per niente al mondo perché questo è l’unico posto dove vorrei stare, accanto a lui e a nostra figlia che cresce ogni giorno di più, ma non riesco a parlare perché quando è così vicino a me, tutto il resto sparisce, perfino la mia materia grigia sembra annullarsi quando i miei occhi si perdono sul suo viso.
La mia vita insieme a Jake è stata bellissima, senza di lui non so proprio cosa avrei fatto. Mi ha sempre fatta sentire amata e al sicuro e, nonostante io abbia tentato di allontanarlo tante volte, l’idea di abbandonarmi non l’ha mai nemmeno sfiorato. Non avrei mai potuto immaginare nessun altro al mio fianco al di fuori di lui, e non potrei mai potuto immaginare una vita senza di lui. Jake per me è stato tutto: amico, complice, amante e compagno.
Quando torna in cucina senza più il piatto di pancake tra le mani, lo guardo negli occhi mentre lui fa lo stesso con me e, una volta di più, mi rendo conto di quando sia grande il mio amore per lui. L’amore vero, quello con la A maiuscola, quello che incontri una volta sola nella vita, e non riesco a trattenere un sorriso mentre penso a tutto questo.
«Stai pensando a me?» Si avvicina, e mi cinge con le sue braccia attirandomi a sé. Ora i suoi occhi sono così vicini e luminosi da potermi specchiare dentro.
«E tu come lo sai?» In realtà non sono sorpresa che lui l’abbia capito, mi conosce più di quanto io conosca me stessa, e mi ha sempre capita più di chiunque altro.
«Perché hai quel sorriso… quello che hai solo per me…» Sono incantata a guardarlo, così come spesso mi capita quando lui mi tiene stretta. Non so cosa io abbia fatto di buono per meritare di averlo al mio fianco, ma qualsiasi cosa sia, sono contenta di averla fatta.
Poi mi bacia. Un bacio delicato, fatto solo delle sue labbra sulle mie, che mi fa chiudere gli occhi per potermi concentrare su questo contatto prolungato, e sulle sue mani che mi stringono ancora un po’ di più.
«Jake Miller, tu sai sempre cosa dire ad una donna, sei un uomo da sposare.» Mi sorride mentre si avvicina con la bocca al mio orecchio per sussurrarmi qualcosa.
«Sono già sposato con una donna che mi ha fatto impazzire, in ogni senso letterale ed immaginario del termine.» Le sue parole mi provocano un fremito e, se non fosse che nell’altra stanza c’è Julie, probabilmente non lascerei che si allontanasse da me con quello sguardo che gli ho appena visto sul viso senza fare niente per trascinarlo con me in camera da letto. «Ora siediti. Oggi voglio viziarti.» Mi fa un altro bellissimo sorriso, poi, si volta verso il ripiano della cucina. Credo stia preparando la colazione per noi due e faccio come mi dice. Mi siedo, e rimango ancora rapita dai suoi movimenti, credo che oggi non potrò smettere di guardarlo nemmeno per un secondo.
Quando la colazione è pronta raggiungiamo Julie in salotto, e mangiamo insieme a lei che non ha ancora smesso di guardare la televisione, e a quel punto mi viene un’idea.
«Che stai facendo mamma?» Julie mi osserva mentre armeggio con il lettore dvd posto al di sotto dell’enorme nuovo televisore appeso al muro.
«Ora vedrai.» Padre e figlia mi guardano con occhi straniti, ma so che sono curiosi di sapere. Infilo il dvd nel lettore, e vado a sedermi accanto a Julie che ha voluto sedersi in mezzo a mamma e papà.
Sullo schermo appare l’immagine di nostra figlia all’età di quattro anni, seduta sotto l’albero di Natale che decoriamo insieme ogni anno, intenta a cercare di aprire i regali che le ha portato Babbo Natale.
«Ma sono io!» Gli urletti che escono dalla bocca di Julie sono quasi spacca timpani, ma non importa perché il sorriso che fa spuntare sulle mie labbra, e sul viso di suo padre, ripaga di tutto.
Guardare i filmini di famiglia insieme a loro seduti accanto a me sul divano, osservare le loro espressioni divertite, e passare queste ore in assoluta intimità all’interno della casa in cui ho passato gli anni più belli della mia vita, per me è qualcosa di davvero prezioso.
E tutta la giornata passa in questo modo, facendo ogni cosa tutti e tre insieme mentre io cerco di memorizzare ogni loro espressione, ogni loro frase, ogni cosa che li riguardi per poterla ben tenere a mente quando ne avrò più bisogno, quando la loro mancanza sarà così forte che non mi permetterà di accettare la loro lontananza.
Ad un tratto Julie si alza dal tappeto sul quale siamo seduti mentre siamo nel bel mezzo di una partita a scarabeo, e corre via urlando ‘aspettate’ come se si fosse ricordata improvvisamente di una cosa di vitale importanza. Io e Jake ci guardiamo con aria interrogativa, chiedendoci cosa le sia successo, ma la risposta arriva come un fulmine quando la vediamo tornare da noi sempre con la stessa velocità con la quale si è allontanata pochi secondi fa.
“«Devo farvi sentire la canzone che canteremo alla recita di fine anno a scuola!» Il tono della sua voce è completamente su di giri. Ha sempre amato cantare, fin da quando ha iniziato a parlare usava qualsiasi cosa le capitasse a tiro come un microfono e allietava le nostre serata con canzoni che spesso inventava da sola.
Manca poco più di un mese alla fine della scuola ed avere la possibilità di ascoltare la canzone che mia figlia canterà davanti a tutti i genitori in anteprima, mi riempie il cuore di gioia, soprattutto perché io non potrò fisicamente ascoltarla, ma sapere che lo farà per noi due, ora, è qualcosa di incredibilmente fantastico.
Jake si avvicina a me posando il suo braccio sulle mie spalle per attirarmi a lui, ed io mi accoccolo a lui godendo di questo contatto del quale la mia anima si nutre, ed insieme osserviamo la piccola Julie che si prepara a farci ascoltare il suo brano proprio come fosse una vera cantante professionista, e non posso evitare di sorridere quando la sento schiarirsi la voce e guardarci dritta negli occhi con una sicurezza di cui non credevo fosse capace.
Ascoltiamo Julie cantare, la stringiamo a noi quando termina di atteggiarsi a cantante, giochiamo ancora con lei, mangiamo il gelato per merenda, e riprendiamo a divertirci per tutto il pomeriggio e, quando è sera, mentre Julie è intenta a guardare la puntata inedita della sua serie tv preferita, io e Jake andiamo in cucina per preparare la cena in un’atmosfera che è ormai diventata magica.
Lui mi guarda, io lo guardo. Lui mi sorride, io gli sorrido. Lui mi sfiora, io lo sfioro. Lui mi abbraccia e io mi lascio stringere.
«Sei strana stasera, a dire il vero lo sei stata tutto il giorno.» Mi guarda con quel sorriso di cui mi sono innamorata, lo stesso che aveva quando ho aperto la porta del mio appartamento dopo che l’ho fatto aspettare fuori sul pianerottolo per un tempo incredibilmente lungo, lo stesso sorriso cauto con cui mi conquista ogni volta.
«Ed è una cosa positiva o negativa?» Prendo la padella con le verdure e la metto sul fornello, per poi accendere la fiamma.
«È solo strano. Sei sicura di stare bene?» È sempre stato attento ad ogni mio cambio di umore, ad ogni mio bisogno, ad ogni mia necessità. È sempre stato attento a prendersi cura di me, e l’ha fatto egregiamente.
«A meraviglia. Oggi è stata la giornata più bella di sempre.» Gli sorrido mentre mi avvicino a lui per farmi abbracciare ancora.
E Jake lo fa, mi abbraccia sempre, riuscendo a farmi sentire davvero speciale e importante per lui.

*************************

Controllo l’orario sull’orologio appoggiato alla parete. Sono quasi le dieci ed è arrivato il momento di mandare a letto Julie. Controvoglia, la mini cantante si alza e, quando sta per raggiungere la sua stanza, chiede a me e a suo padre, di andare a rimboccarle le coperte. Nessuno dei due protesta. Ci alziamo per raggiungerla nella sua cameretta, poi, dopo averla salutata e averle dato il bacio della buonanotte, prendo per mano Jake per condurlo nella nostra camera. Infine, quando il sorriso che gli spunta sulle labbra mi fa intendere che ha perfettamente capito le mie intenzioni, non posso evitare di sorridere con lui mentre lo guardo negli occhi camminando all’indietro fino a raggiungere il bordo del nostro letto matrimoniale.
«Lo sai che ti amo, vero Jake?» Sento di doverglielo ribadire, sento il bisogno di essere assolutamente sicura che lui lo sappia.
«Lo so Candice, e tu lo sai che io ti amo di più?» Mi sorride, poi mi bacia senza aspettare una risposta da parte mia. Mi bacia trattenendo il mio viso contro il suo, mi bacia facendomi sentire indispensabile, mi bacia riuscendo ogni volta a farmi perdere la cognizione del tempo e dello spazio, perché quando le sue labbra prendono possesso delle mie, non c’è nient’altro di cui io abbia più bisogno.
I vestiti da qualche parte nella stanza, e i nostri corpi uniti a formarne uno solo. Attimi fatti di abbracci, baci, carezze, e parole sussurrate che durano sempre troppo poco.
Sta per scoccare la mezzanotte, guardo Jake dormire nella sua solita posizione a pancia in giù, con il viso quasi sprofondato sul cuscino, l’espressione totalmente rilassata, e il mezzo sorriso che ha sulle labbra che sembra non volerlo abbandonare. Gli lascio un bacio leggero sulla fronte, uno sulla guancia e uno su quel sorriso.
Poi è mezzanotte, ed io gli sussurro ancora all’orecchio “Ti amo Jake”.

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Mi sveglio di soprassalto, sono agitato, con il cuore che mi martella nel petto, e una strana sensazione di vuoto. Mi guardo intorno: la stanza è semibuia a causa delle tende quasi completamente chiuse, mi volto subito verso la parte del letto occupata da Candice, ma lei non c’è e non faccio in tempo a chiedermi cosa stia succedendo perché Julie entra in camera urlando con gioia, parole che fatico a capire.
«Papà, papà, papà, papà…. Ho sognato la mamma!» Salta sul letto, e non smette di agitarsi. «Era bellissima papà, ed era contenta. Nel mio sogno abbiamo passato un’intera giornata insieme. Abbiamo cantato, giocato, guardato i filmini di Natale, e… oh papà è stato così, bello…» Mi perdo le ultime frasi che Julie sta continuando ad urlare senza quasi prendere fiato, perché inizio a rendermi conto che non posso trovare Candice al mio fianco come mi ero aspettato, e subito mi sento confuso, perché ho fatto anch’io lo stesso sogno di Julie, un sogno che sembrava del tutto reale. Ricordo di averla baciata, abbracciata, e tenuta stretta, abbiamo riso, parlato, e la sensazione della sua mano nella mia è ancora troppo viva per essere stato semplicemente un sogno. «Sono così contenta!» Mi salta in braccio, mettendo le sue braccia sulle mie spalle, ma io sono così confuso che non riesco a mettere insieme qualche parola di senso compiuto. «Ho fame papà, andiamo a fare colazione?» Riesco solo ad annuire senza riuscire a proferire parola.
Guardo Julie saltare giù dal letto, e correre fuori dalla mia stanza con una velocità impressionante. Mi lascio cadere all’indietro fissando il soffitto mentre cerco di ragionare sulle sensazioni che provo combinate alle parole di mia figlia, ma non riesco a venirne a capo. Allungo una mano sul comodino e prendo il mio telefono per controllare che ore siano, ma sotto le mie dita sento un foglio che sono sicuro non ci fosse ieri sera. Mi alzo poggiando un gomito al materasso, prendo il foglio che noto essere proprio sotto al mio cellulare. sfilandolo con cautela. e resto quasi senza fiato quando leggo il mio nome sopra quel pezzo di carta scritto con la sua calligrafia. Tutto mi torna in mente con una forza impressionante, e il dolore mi travolge nello stesso modo di un anno fa quando lei ci ha lasciato.
Come può esserci questo foglio scritto da lei? Come posso avere questa intensa sensazione di essere stato con lei fino a poche ore fa? E se è stato un sogno, com’è possibile che io abbia fatto lo stesso sogno di Julie?
Cautamente, apro il foglio che è stato ripiegato in due. La calligrafia è quella di Candice, non posso sbagliarmi, ne sono assolutamente sicuro ed i miei occhi prendono a vagare velocemente su quelle parole scritte senza ombra di dubbio dalla sua mano che credo fosse leggermente tremante in quel momento, e leggo la lettera più incredibile che potessi anche solo immaginare.
Riconosco le parole della canzone preferita di Candice, intervallate dai suoi pensieri e, ad ogni riga, ho come l’impressione che il mio cuore esploda, e si riaggiusti nello stesso momento. Dolore e gioia sono i sentimenti contrastanti che mi accompagnano durante tutta la lettura. Amore e disperazione, sollievo e tristezza, provo tutto e il contrario di tutto, la verità è che Candice mi manca ancora in un modo che non posso descrivere e che non so se potrò mai superare.

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Jake, mi è stato concesso un giorno, uno solo.
 
And I’d give up forever to touch you  – E ho rinunciato per sempre a toccarti
 
Finora, non mi è mai stato concesso toccarti, anche se ho comunque il desiderio continuo di farlo. Vorrei poter sfiorare il tuo viso come quando la mattina mi svegliavo accanto a te, o poter tenere stretta la tua mano mentre corriamo sulla spiaggia, o posare le mie labbra sulle tue e abbracciarti la sera mentre siamo seduti sul divano a guardare la televisione riscaldati dal fuoco del camino in una fredda serata invernale.
 
‘Cause I know that you feel me somehow  – perché so che tu percepisci comunque la mia presenza in qualche modo
 
Ma so che tu mi senti comunque. Quando sei sdraiato sul letto e mi sdraio accanto a te, quando sei impegnato a cucinare ed io ti abbraccio da dietro, e ancora quando sei in giardino che guardi la piccola Julie giocare con Mikado, ed io non posso fare a meno di starti vicino, così vicino che tu ti accorgi della mia presenza perché ti spunta sulle labbra quel sorriso che hai solo per me.
 
You’re the closest to heaven that I’ll ever be  – sei più vicino tu al paradiso di quanto lo sia mai stata io
 
Sei una persona meravigliosa, un marito esemplare, un padre affettuoso e premuroso. Sei stato mio amico e confidente. Sei stato il mio amante passionale. Sei stato il mio sostegno, e anche quello di Julie. Non ti sei mai arreso con me, e con la vita in generale. Sei forte, leale e sai amare più di chiunque altro io abbia mai conosciuto.
 
And I don’t want to go home right now  – e non voglio tornare a casa proprio adesso
 
Il mio tempo è limitato e sta per scadere. Vorrei con tutte le mie forze che non fosse così, ma sto per andarmene di nuovo, ma stavolta posso farlo con la consapevolezza di essere stata io a rendere speciale la vostra giornata, almeno per una volta.
 
And all I can taste is this moment  – e tutto quello che posso assaporare è questo momento
 
Posso solo godermi ogni singolo secondo di questa giornata, ogni attimo, ogni istante, ogni sguardo e ogni parola che potrò condividere con te e la nostra meravigliosa bambina.
 
And all I can breathe is your life  – e tutto ciò che posso respirare è la tua vita
 
Voglio prendere ogni cosa di te per poterla tenere con me per sempre perché tu hai reso la mia vita speciale grazie alla tua.
 
‘Cause sooner or later it’s over  – perché presto o tardi sarà finita
 
Niente è per sempre, l’ho sempre saputo. Quando ti ho conosciuto mi ero illusa che tu avresti potuto essere il mio per sempre, ed io il tuo, ma così non è stato e ne soffro ogni giorno che passo lontano da te.
 
I just don’t want to miss you tonight  – Solo che non voglio perderti questa notte
 
Guardo Julie dormire con ancora il sorriso sulle labbra, al sicuro, nel suo lettino, poi guardo te, che tieni stretto il mio cuscino credendo che io sia ancora lì, al tuo fianco, e vorrei non doverti perdere ancora, vorrei davvero non dover perdere un’altra volta la nostra famiglia, lo vorrei con tutte le mie forze, ma non posso oppormi.
 
And I don’t want the world to see me  – e io non voglio che il mondo mi veda
‘Cause I don’t think that they’d understand  – perché non penso che la gente potrebbe capire
 
Mi dispiace averti fatto rinunciare alla gita che volevi facessimo tutti e tre insieme oggi, ma non avrei potuto fare altrimenti. Mi è stato concesso di passare queste ore con voi, e solamente con voi. E, a dire la verità, non avrei voluto stare con nessun altro.
 
When everything’s made to be broken  – quando tutto è stato fatto per essere distrutto
I just want you to know who I am  – io voglio solo che tu sappia chi sono
 
La nostra storia è iniziata in un modo strano e, se fosse stato per me, non saremmo arrivati dove siamo oggi, ma adesso, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, voglio dirti che sono cambiata e che ti amerò più di ogni altro, più di quanto potresti mai immaginare perché tu mi conosci come mai nessuno ha provato a fare.
 
And you can’t fight the tears that ain’t coming  – e tu non puoi combattere le lacrime che non stanno per arrivare
 
Vorrei vederti piangere a volte, ma non perché io ti voglia triste. Vorrei che potessi sfogarti in qualche modo, che riuscissi a tirare fuori il tuo dolore quindi, quando sei da solo, ti prego di lasciarle andare, lascia andare le tue lacrime, non combatterle, ma assecondale e lasciale andare lontano da te.
 
Or the moment of truth in your lies  – o il momento della verità nelle tue bugie
When everything feels like the movies  – quando tutto sembra come nei film
Yeah you bleed just to know you’re alive sì tu sanguini solo per capire che ancora sei vivo
 
E so che fa male, perché devi essere forte per te stesso e per Julie, ma tu sei vivo, la nostra piccola bambina lo è, e sono sicura che te la caverai egregiamente
 
I just want you to know who I am – io voglio solo che tu sappia chi sono
 
Guardarti parlare di me in quel modo, è stato straziante. Guardare Julie aggrappata ai tuoi pantaloni come se ne andasse della sua stessa vita, è stato anche peggio. Ed è a causa di questi pensieri, che ho deciso, che non posso andarmene così. Voglio lasciarti qualcosa di questa giornata.
Mi è stato concesso un altro giorno con voi, e non ho esitato nemmeno per un secondo ad accettare, perché siete la parte migliore della mia vita, quella che augurerei ad ogni persona, e vi amerò per sempre.
Ama Julie anche per me.
Ti amo Jake.
Tua per sempre Candice.

 

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Capitolo 6
*** A right way ***


Quando ero piccola, mio padre diceva sempre che ci sono due modi di fare le cose. Uno onorevole ed uno disonorevole. Uno degli esempi che mi vengono in mente è il parcheggio. Meglio fare qualche passo in più e lasciare l'auto in un luogo adatto, e lasciare libero il parcheggio dei diversamente abili a chi ne ha veramente bisogno. Papà dice che un uomo sulla sedia a rotelle, sarebbe ben felice di parcheggiare lontano se potesse camminare sulle sue gambe.

Il fatto è che noi non apprezziamo quello che abbiamo, lo diamo per scontato e tutto diventa dovuto. Ma non è così, e questa è un'altra cosa che mi ha insegnato mio padre. Diamo per scontato anche le persone, anche se io non l'ho mai fatto. Mamma è morta il giorno in cui io sono venuta alla luce, e nonostante io non l'abbia mai conosciuta, papà ha sempre fatto in modo che lei fosse costantemente presente nella mia vita.

Amo la vita, amo le persone, amo anche gli animali, amo la pioggia, amo il sole, la natura, la città, e il mondo.

Io amo.

Amo le diversità, amo le culture, amo viaggiare, leggere, scoprire, conoscere, aiutare, soprattutto aiutare, e amo farlo ancora di più in questo periodo dell'anno, quando le persone sole, si sentono ancora più sole.

Fra qualche giorno è Natale.

Il Natale che è diventato ormai, una festa commerciale. Se chiedi ad un bambino cosa succede il venticinque di dicembre, ti dirà che è il giorno in cui verrà Babbo Natale a portargli i regali che ha richiesto nella sua letterina. Quel bambino, come la maggioranza dei bambini, non sa niente del vero significato del Natale, non sa niente di cosa stia succedendo al di fuori delle mura della propria casa.

Non sono particolarmente religiosa, non vado in chiesa ogni domenica, e anzi, a dirla tutta, non credo molto nella Chiesa, ma a prescindere dalle mie credenze religiose o meno, il significato del Natale è la festa della nascita di Gesù e non c'entra assolutamente niente con un Santa Klaus qualunque.

Il significato del Natale per me è donare, e non mi riferisco al regalare il cellulare appena uscito, o un gioiello, o qualsia altra cosa. Per me vuol dire donare noi stessi, aiutare gli altri, coloro che non hanno le nostre stesse possibilità, senza avere niente in cambio, solo per il piacere di averlo fatto. Quindi, anche quest'anno, come gli ultimi quattro anni della mia vita, sono qui al centro di raccolta dove ogni anno raccogliamo una gran quantità di oggetti e prodotti utili ad organizzare un pranzo in grande stile, per poter far sentire un po' di calore umano a chi ne ha bisogno.

Troppo spesso ci dimentichiamo di loro, gli ultimi, coloro che vivono ai margini, gli invisibili di cui nessuno sente la mancanza, e che a volte fanno anche un po' paura. Ma basta conoscerli per rendersi conto che non c'è niente di cui avere paura, perché sono semplicemente persone. Persone sole.

"Sara posso lasciarlo a te?" Massimo, mio fratello maggiore, mi sta porgendo uno scatolone che gli è stato appena consegnato da un gentilissimo signore che viene a portare qualcosa ogni anno.

"Ci penso io." Prendo lo scatolone dalle sue mani e lo poso a terra, gli faccio un sorriso e inizio a controllare cosa ci sia dentro.

Ci sono un paio di giochi di società, un mazzo di carte da gioco, penne, quaderni, matite colorate, un paio di coperte nuove ancora imballate, e in un'altra scatola un po' più piccola, proprio sotto le coperte, ci sono alcuni generi alimentari a lunga scadenza come succhi di frutta, riso e caffè. Ogni donazione è fondamentale per noi, e ringraziamo sempre tutti con un sorriso.

"Il Signor Fabrizi non manca mai all'appuntamento." Massimo si è avvicinato, per darmi una mano a smistare le cose che ho tolto dallo scatolone.

"Già, ce ne vorrebbero di più come lui." Le donazioni non bastano mai, come non bastano mai i volontari. Ogni anno sempre più persone si ritrovano in mezzo ad una strada, senza sapere come poter tirare avanti.

Al pranzo che la nostra comunità organizza per i più bisognosi, si presentano sempre più persone. Adulti soli, profughi con bambini, italiani che hanno perso il lavoro, famiglie intere che possono trovare un po' di serenità in quest'unico giorno, anziani abbandonati dai figli, donne ridotte in schiavitù, e pur accogliendo tutti con un sorriso, non riesco a non piangere quando se ne vanno. Vorrei poter fare molto di più, vorrei trovare un modo migliore per aiutare, soprattutto quando, inevitabilmente, ti affezioni ad alcuni di loro.

Penso ad Hasani, un giovane ragazzo africano, scappato dal suo paese a causa della guerra. Mi ha raccontato delle terribili condizioni dei prigionieri tenuti in gabbia peggio che fossero animali. La sua famiglia viveva in baracche, totalmente prive di acqua, luce, e rete fognaria, con condizioni igieniche inimmaginabili, in un paese in cui delinquenza e malattie, hanno preso il sopravvento.

Penso alla Signora Giulia, abbandonata dai figli per i suoi problemi di alcoolismo. Nonostante cercasse di uscirne, i suoi due figli hanno cercato di sbarazzarsi di lei lasciandola spesso in qualche clinica che nessuno voleva mai pagare, fino al giorno in cui entrambi i suoi figli smisero di prendersene cura. Giulia, non avendo lavoro e non riuscendo a mantenersi da sola, finì in mezzo ad una strada, e adesso è la persona più attaccata alla vita che io conosca, sempre allegra, sempre sorridente, con una frase gentile per tutti. Non parla molto di sé, e non conosco altri dettagli della sua vita, ma anche lei è riuscita a crearsi un piccolo angolino nel mio cuore.

C'è Nicolò, un dolcissimo bambino di sette anni, quasi otto a dire la verità, li compirà proprio il giorno di Natale, e ogni anno è qui con la sua famiglia. Suo padre ha la sclerosi multipla, sua madre riesce a trovare solo lavori precari che non permettono loro di affrontare molte spese, ed io ogni anno porto un regalo molto speciale solo per lui. Ha la passione per le moto, e ad ogni Natale gli compro un modellino nuovo e il sorriso che gli vedo nascere sul volto è una gioia indescrivibile per me.

"Ciao Sara scusa il ritardo, ma eccomi." La voce di Arianna mi fa voltare verso di lei. È sempre sorridente. L'ho conosciuta all'università proprio mentre attaccavo alla bacheca un volantino in cui si diceva che servivano dei volontari per organizzare questo pranzo, e lei si è offerta immediatamente.

"Ciao, ben arrivata." Mi alzo per avvicinarmi a lei che ha un paio di sacchetti stracolmi di tovaglie di carta, tovaglioli, bicchieri e altre cose che non riesco ad identificare.

"Dove metto queste cose?" Le faccio segno di seguirmi, prendo una busta dalle sue mani, e ci rechiamo nel reparto dei piatti e tovaglioli per svuotare il contenuto dei suoi sacchetti.

Arianna mi ha raccontato che si era stancata del solito Natale, della solita corsa ai regali, dei soliti finti sorrisi di circostanza e di passare di pranzo in cena, di parente in parente, e mi ha detto che l'occasione di fare qualcosa per gli altri le è sembrata un'alternativa migliore alla solita festa. Mi ha spiegato che impiegare il suo tempo libero per il prossimo, le era sembrato un'ottima occasione per celebrare il vero significato del Natale.

Sorrido nel vedere l'espressione di Arianna mentre osserva la grande quantità di tovaglioli che abbiamo raccolto in questi giorni, ma con grande dispiacere, devo smorzare il suo entusiasmo. "So che sembra ci sia tanta roba qui dentro, e a dire la verità è così, ma la realtà è che tutte queste cose non sono mai abbastanza, ogni anno sempre più persone si ritrovano in condizioni precarie con un grande bisogno di aiuto." Il suo sorriso si spegne, ma non la sua voglia di fare, e subito si mette a darmi una mano.

L'anno scorso ci sono state circa un centinaio di persone in più rispetto all'anno precedente. Ma è bellissimo vedere riuniti allo stesso tavolo persone di ogni nazionalità e religione condividere un pasto all'insegna della solidarietà e della misericordia. Viviamo in modo superficiale e in maniera troppo veloce. Difficilmente ci fermiamo a pensare a come poter stare meglio noi e gli altri, a cosa fare per poter migliorare la vita per le generazioni future.

"Quindi tu sei volontaria da quattro anni?" Arianna fa sempre un sacco di domande, ma non mi dispiace la sua curiosità.

"Sì, tu ha mai fatto niente del genere?" Lei scuote la testa in senso di negazione e nel frattempo si guarda intorno con un'aria frastornata.

"Mi racconti un po' come funziona?" Cerco di raccontarle a grandi linee come si svolge la raccolta nei giorni che precedono il Natale, come smistiamo le cose che le persone ci portano e come procederemo il giorno in cui avverrà il pranzo vero e proprio. Lei mi ascolta con attenzione, realmente interessata a quello che sto dicendo. Mi chiede poi se in tutti questi anni, le persone sono rimaste le stesse e se ho conosciuto qualcuno in particolare, e subito mi torna alla mente il signor Antonio. Non conosco il suo cognome, lui ha sempre voluto farsi chiamare semplicemente con il suo nome di battesimo. È stato il primo che sono riuscita ad aiutare concretamente fornendogli delle coperte. Antonio vive per la strada, dormendo dove gli capita cercando ripari occasionali. Non è più giovanissimo e le temperature durante l'inverno, diventano troppo difficili da sopportare. Quel giorno, quando gli diedi le coperte nuove, lo vidi commosso. Ricordo che fece fatica a trattenere le lacrime e l'unica parola che riusciva a pronunciare era grazie.

Antonio è stato il primo di cui mi sia realmente interessata come persona, e non come un senzatetto da aiutare. Con lui, sono uscita quasi subito dal ruolo di volontaria, per entrare nel ruolo di persona che sostiene un'altra persona. Mi ha permesso di entrare nella sua vita, nei suoi pensieri, nella sua quotidianità, ma senza prendere da me, mai più del dovuto. Quando cercavo di favorirlo in qualche modo e lui se ne accorgeva, rifiutava categoricamente, dicendo che non era il solo ad aver bisogno d'aiuto, e dovevo rivolgere le mie attenzioni anche agli altri.

Ha perso il lavoro quando l'azienda per cui lavorava è andata in fallimento. Da lì in poi è stato un susseguirsi di coincidenze sfortunate che l'hanno portato a vivere per strada. Non è più riuscito a rientrare nel mondo del lavoro perché, nonostante non si sia mai macchiato di alcun tipo di reato, il solo fatto di essere un senzatetto, ha sempre instillato pregiudizi agli occhi degli altri e, la mancanza di fiducia da parte delle aziende, l'ha portato al punto in cui è oggi. Ha sempre ringraziato di non aver mai avuto una famiglia, o non avrebbe retto al dispiacere di dover far vivere i suoi cari su dei cartoni.

Antonio è stato il primo a cui mi sono affezionata davvero, è come uno zio acquisito per me, e quando pochi mesi fa siamo riusciti a scoprire la sua data di nascita, io e mio fratello gli abbiamo fatto una sorpresa, e gli abbiamo organizzato una piccola festa di compleanno all'oratorio della nostra parrocchia. La gioia sul suo viso era evidente, e ha contagiato tutti con le sue lacrime di commozione. Non ha smesso un attimo di dire grazie a chiunque gli si avvicinasse e l'abbraccio che mi ha dato quel giorno, è stato l'abbraccio più bello e sincero che abbia mai ricevuto in vita mia.

"Quindi questo Antonio ci sarà il giorno di Natale?" Arianna è instancabile e non si è ancora fermata un momento, rimanendo comunque concentrata sul racconto che le ho appena fatto. "Sono proprio curiosa di conoscerlo."

"Antonio? Parli di quel signore che di solito sta vicino al Gianicolo?" La signora Anna, la nostra responsabile, si è avvicinata, ed entrambe ci voltiamo a guardarla.

"Sì esatto." Tutti lo conoscono qui, e tutti gli vogliono bene, anche se è da un po' di giorni che non si fa vedere.

"Beh... allora mi pare di capire che tu non l'abbia saputo..." Il suo tono di voce non lascia molti dubbi, ma mi rifiuto di pensarci.

"Saputo cosa?" Le mie mani sono strette a pugno, e le lacrime minacciano di uscire da un momento all'altro.

"Purtroppo non potrà essere con noi quel giorno... Si è spento un paio di giorni fa..." La gola secca, gli occhi spalancati e le lacrime che ormai scorrono libere sul mio viso. Non sento più il resto che mi sta dicendo e corro fuori come se lui fosse qui e stesse per entrare.

Non riesco a realizzare quello che Anna mi ha appena detto, eppure so di aver sentito quelle parole uscire dalla sua bocca e continuo a piangere senza riuscire a fermarmi. D'improvviso mi sento toccare le spalle, mi giro e mi lascio stringere da mio fratello che cerca di consolarmi.

Antonio non tornerà, mi mancherà terribilmente ed io non posso fare a meno di chiedermi se ci fosse stato un modo migliore di aiutarlo, e se avessi potuto fare di più per lui. 


ISPIRATA DA Think about the way

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Capitolo 6
*** Stay with me ||H.S.|| ***


Stringo ancora la sua lettera tra le mani. Ho letto e riletto le sue parole, e comprendo il significato di tutte quelle frasi scritte con tanta precisione. Sono grammaticalmente corrette, accenti, virgole, apostrofi, lettere con o senza h, eppure non voglio rendermi conto del vero significato che hanno tutte queste parole insieme.

L'ha lasciata sul nostro letto ancora disfatto, che ancora profuma di lei.

L'ha messa sul suo cuscino mentre io dormivo, e mi maledico ancora per aver bevuto così tanto ieri sera da avere il sonno talmente pesante stamattina che non mi sono accorto che lei mi stava lasciando.

Pensavo di essere riuscito a convincerla, di averle fatto capire che l'amo più della mia stessa vita, ma devo aver sbagliato qualcosa, devo aver finito per dire qualche cazzata di cui non mi sono reso conto.

Eppure ieri sera, dopo la nostra discussione, lei mi ha baciato con così tanta intensità che avevo creduto di essere riuscito a sistemare le cose, l'ho amata con tutto me stesso e lei mi ha donato ogni parte di sé con così tanta passione che ho creduto di possedere ancora il suo cuore.

Che coglione sono stato, ero talmente preso da me stesso che non mi sono neanche reso conto che quello di ieri sera era un addio. Mi ha baciato per l'ultima volta, ha fatto l'amore con me per l'ultima volta, e mi ha detto ti amo per l'ultima volta, mentre io mi ero illuso che con qualche parola fossi riuscito ad aggiustare gli errori di questi due anni con lei.

Mi alzo di scatto per prendere il telefono, forse se la chiamo mi vorrà ascoltare. Sblocco il display con le mani che tremano, il suo numero è nella lista dei preferiti, al primo posto, e faccio partire la chiamata trattenendo quasi il respiro.

"Ti prego Lucy, rispondi..." Sono patetico e disperato, e quasi non scaglio il cellulare contro il muro quando sento partire la segreteria. "Cazzo!" Poso il foglio scritto a mano da lei, di nuovo sul letto, e mi metto a camminare per la stanza come se fossi un animale in gabbia che cerca una via d'uscita.

Ogni ricordo mi torna chiaro alla mente, ognuno si sovrappone all'altro. Ogni sorriso, ogni bacio, ogni carezza, ogni abbraccio, rappresenta un'immagine che è rimasta impressa in me in maniera indelebile.

La sua voce risuona ancora nella mia testa in ogni sua sfumatura, come quando alzava la voce se era arrabbiata, quando sussurrava al telefono per non farsi sentire dalle sue coinquiline per dirmi quanto mi amasse, o quando la sua voce usciva leggera dalle sue labbra mentre era completamente nuda sotto di me ed era solo mia.

Ma io ho rovinato tutto, e lei non è più riuscita a stare dietro a tutto questo, alla mia vita, al mio lavoro, perché ho pensato troppo a me e troppo poco a noi.

Mi avvicino un po' al letto e lo sguardo mi cade nuovamente sulle prime frasi.

Harry, mi sento orribile a scriverti questa lettera, e ancora più orribile al pensiero che tra poco uscirò da quella porta senza dirti addio, come se fossi una ladra, ma se aspettassi il tuo risveglio, so che non sarei più capace di farlo, e questa sofferenza non avrebbe fine.

Io ti amo Harry, ti amo più di quanto abbia mai amato in vita mia, ma non posso più andare avanti in questo modo, non se non posso averti veramente.

Io voglio te Harry, ho sempre voluto te e non l'Harry Styles che il mondo conosce...

Tolgo lo sguardo da quelle righe, incapace di rileggerlo per l'ennesima volta, perché ogni volta, il dolore che mi provocano le sue parole è infinitamente più forte.

Ha rinunciato alla sua vita per me, ha rinunciato a fare la giornalista nella sua città, a New York, per seguirmi nei miei concerti. Ha rinunciato a vivere vicino alla sua famiglia per fare la vagabonda con me in giro per il mondo. Ha rinunciato alla sua privacy solo perché io volevo che il mondo sapesse che stavo con lei.

Mentre io non ho fatto altro che lavorare, cantare, farmi vedere in pubblico, lasciarla sola sempre più spesso, farmi fotografare con donne diverse solo per avere più pubblicità e, man mano che il tempo passava, ero sempre più assorbito dal mio lavoro e ho cominciato ad allontanarmi da lei. Le facevo promesse che poi non mantenevo perché c'era sempre qualche impegno che aveva la priorità su tutto, ma dopo l'ultima discussione che abbiamo avuto ho capito che non potevo andare avanti così.

Lucy è tutta la mia vita ed ero assolutamente certo che lei mi avesse creduto ieri sera quando le ho promesso che le cose sarebbero cambiate, ma a quanto pare, non sono stato molto convincente.

I miei pensieri vengono interrotti dal mio telefono che suona, mi precipito a raccoglierlo da dietro al divano e sbuffo quando vedo che non è Lucy a chiamarmi.

"Pronto..." Il mio tono di voce è palesemente infastidito.

"Harry, tra mezz'ora ti mando l'autista." È James, il mio nuovo manager.

"Dobbiamo rimandare James." Sono nervoso, troppo nervoso per poter partecipare a qualsiasi cosa ci fosse in programma per oggi.

"E perché mai?" Lavora per me da un paio di mesi, e in tutto questo tempo non si è mai arrabbiato con il sottoscritto né mi ha mai costretto a fare qualcosa. Non avevo ancora parlato di lui a Lucy perché non sapevo se sarei riuscito a gestire al meglio ogni cosa, ma ci stavo finalmente riuscendo. Ho trovato un manager che riesce a far coincidere la mia vita pubblica con la mia vita privata, finalmente potevo affidarmi a qualcuno che non sfruttasse la mia immagine a proprio favore, ma non ho fatto in tempo a dirlo a Lucy.

"Perché Lucy se n'è andata..." Silenzio.

Il mio silenzio dopo aver pronunciato quelle parole, il silenzio di James dopo averle sentite, e il silenzio che regna in questa stanza, un silenzio decisamente troppo assordante.

"Che significa che se n'è andata?" Questo mi aspetto dal mio manager. Che si interessi a me come Harry e non come Harry Styles.

"Mi ha lasciato James, ecco che significa!" Dirlo ad alta voce mi provoca ancora più dolore di quando mi sono svegliato e ho trovato solo un foglio del cazzo nel letto con me.

"Merda! Arrivo." La comunicazione si interrompe, e per un motivo che non conosco, mi trovo di nuovo davanti a quel dannato foglio, e non posso evitare di leggere ancora.

Sei stato quello che di più bello mi potesse capitare nella vita, perché fino a che non ti ho incontrato il mio non era vivere. Era sopravvivere. Mi sono sempre accontentata di ciò che mi circondava, del mio lavoro che mi permetteva di pagarmi l'affitto, delle mie piccole cose, tu invece mi hai insegnato a vivere, mi hai insegnato a sognare e ad inseguire i sogni per raggiungerli e viverli fino in fondo. Ho avuto la fortuna di viverti davvero, e di questo ti ringrazierò sempre.

Distolgo un'altra volta lo sguardo e mi dirigo poi in bagno per sciacquarmi la faccia con l'acqua fredda e un sorriso amaro spunta sulle mie labbra quando mi accorgo che la sua biancheria di ieri sera è rimasta qui sul lavandino.

Se avessi una vita normale forse lei sarebbe ancora qui, ma se avessi fatto un altro lavoro forse non l'avrei mai conosciuta.

Ricordo bene quel giorno.

Avevamo una conferenza stampa prima di ritirare un premio, durante la quale avremmo dovuto parlare della pausa che si sarebbe presa la band, e non sarebbero mancate le domande su Zayn che ha lasciato il gruppo proprio nel bel mezzo del tour.

Io e i ragazzi ci siamo divertiti a rispondere alle domande dei giornalisti, facendo gli idioti come al solito, ma il mio sguardo era per una ragazza in particolare. Una che sembrava volesse essere da tutt'altra parte e che non ci ha posto nemmeno una domanda, al contrario degli altri che facevano a gara per farsi notare da noi.

Ho chiesto alla sicurezza di accompagnarla al nostro piano dell'hotel in cui alloggiavamo per poterle parlare e lei sembrava persino infastidita che io l'avessi voluta lì.

Indossava un paio di jeans neri e una maglietta bianca che le lasciava scoperte le spalle e sulle quali riuscivo a vedere la bretellina del reggiseno rosa. Tentare di immaginare quel reggiseno rosa è stato un pensiero che mi ha perseguitato per i tre mesi successivi.

"Ciao io sono Harry." Le mostro il mio sorriso migliore, assicurandomi che siano spuntate le fossette che tanto piacciono alle ragazze, e allungo la mano nella sua direzione aspettando che lei faccia lo stesso.

"Ciao Harry, posso sapere perché mi hai fatto venire qui?" Con la mano destra tiene stretta la tracolla a fiori che ha sulla spalla, mentre nella mano sinistra ha il cellulare che sta vibrando proprio in questo momento.

"Non rispondi." Le indico con un cenno della testa il telefono che vibra nella sua mano.

"No, è la mia caporedattrice e vorrà sicuramente sapere com'è andata l'intervista... la chiamerò dopo." La sua voce ha un tono strano. Probabilmente non vuole parlarle perché ha fatto scena muta durante la conferenza stampa, o forse vuole riordinare le idee prima di dirle qualcosa di preciso, ma a me è venuta un'idea che potrebbe avere risvolti positivi per entrambi. Soprattutto per me.

"Posso rispondere io?" Lei mi guarda con un mezzo sorriso e con l'aria decisamente confusa, ma non sembra voler rifiutare. "Lascia fare a me." Mi porge il suo telefono scrutandomi con curiosità. "Come si chiama il tuo capo?"

"Amber" risponde con un meraviglioso sorriso.

"E tu?" mi complimento mentalmente da solo per aver trovato un modo geniale per conoscerla.

"Lucy" le sorrido per poi portare il cellulare all'orecchio.

"Salve Amber, sono Harry Styles. Lucy è qui con me... È riuscita ad ottenere un'intervista individuale con ognuno dei componenti della band... Ma certamente, avrà anche delle foto in esclusiva... D'accordo. È stato un piacere sentirla, arrivederci." Le restituisco il telefono sotto il suo sguardo indagatore. "Allora Lucy, abbiamo un'intervista da portare a termine."

"Ottieni sempre quello che vuoi?" mi chiede mettendo il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans.

"Non sempre, ma stavolta spero proprio di sì." Allungo di nuovo la mano nella sua direzione e stavolta lei sorride mentre afferra la mia guardandomi dritto negli occhi.

"Lucy Anderson, piacere di conoscerti Harry Styles."

È stato il nostro inizio. L'ho trattenuta con me per tutto il resto del giorno con la scusa di quell'intervista di cui lei aveva poi pubblicato nemmeno la decima parte di quello che era successo nelle ore che avevamo trascorso insieme.

Quel giorno l'ho baciata per la prima volta, non sono riuscito a trattenermi e l'ho fatto anche con il timore di ricevere un schiaffo, che però non è arrivato. Lei si è lasciata andare, rimanendo convinta del fatto che non l'avrei mai più richiamata, e invece ho fatto anche quello. L'ho fatto il giorno dopo, quello dopo ancora e ancora e ancora, fino a che l'ho convinta a vederci un'altra volta.

Non c'è mai stato niente di facile tra noi, ogni cosa, anche la più piccola, era complicata, ma non per questo mi sono arreso. La distanza, la popolarità, volare da un continente all'altro, il mio lavoro, tutto sembrava remarci contro, ma io la volevo e ho fatto di tutto per averla al mio fianco.

"Harry!?" Sento il mio nome urlato dal piano di sotto. La voce è quella di James.

È autorizzato ad entrare dall'ingresso riservato in caso di emergenza, e questa decisamente lo è.

"Sono di sopra!" Urlo a mia volta per farmi sentire.

Il rumore dei suoi passi veloci su per le scale, arriva chiaro all'interno del mio bagno personale. Tutte le porte sono spalancate. Le ho lasciate aperte quando, dopo essermi svegliato e aver trovato quella maledetta lettera sul suo cuscino, sono sceso a cercarla per tutta la dannata, enorme casa.

Il rumore diventa più debole, ma sempre più vicino mentre cammina più lentamente fino ad affacciarsi alla porta del bagno.

"Cos'è successo?" mi chiede con quasi un filo di voce.

"Ricordi quelle foto che eri riuscito a far sparire?" mi volto a guardarlo e lui mi osserva con aria preoccupata.

"Sì" afferma senza distogliere lo sguardo dal mio.

"Qualcuno le ha trovate." Torno a guardarmi allo specchio e riesco a vedere quanto io sia indegno di lei.

"Cazzo!" Già... nella mia testa non riesco a pronunciare altro che quella parola.

Le foto in questione riguardano me, ovviamente, e una modella bionda, di cui in questo momento mi sfugge il nome. Non hanno niente di compromettente a prima vista perché stiamo semplicemente camminando l'uno a fianco all'altra. Il problema sta nel fatto che stiamo uscendo da un albergo, l'albergo nel quale io e Lucy ci siamo conosciuti, ed è palese quale siano le conclusioni che abbiano tratto le persone vedendo quelle immagini.

Non c'era niente di vero. Non ho mai tradito Lucy e nemmeno mi è mai passato per la testa, ma il manager che avevo in quel periodo, mi aveva praticamente costretto a farmi scattare quelle foto dicendomi che ne avrei tratto dei vantaggi a livello di immagine e a livello economico.

L'unico che ne ha tratto dei vantaggi, è stato quello stronzo che ha preso dei soldi dalla ragazza che l'ha pagato al fine di garantirsi lei stessa della pubblicità.

Per alcuni problemi, quelle foto non erano uscite subito, erano state poi programmate per uscire proprio nel periodo della sua sfilata più importante, ma quando ho assunto James al posto di quel cretino, per occuparsi di me, lui era stato in grado di far insabbiare quella storia ed ero praticamente sicuro che nessuno ne sarebbe venuto a conoscenza.

E invece, ieri, è stata proprio lei a vederle, prima ancora di me. La sua migliore amica l'ha chiamata e gliel'ha detto. Non ce l'ho con lei, quelle foto le avrebbe viste comunque. Ce l'ho con me stesso, per non averle detto dell'esistenza di quelle foto, avvalorando così l'ipotesi che tra me e quella bionda ci fosse stato qualcosa.

Abbiamo inevitabilmente discusso, ho cercato in ogni modo di farle capire che era tutta finzione, e probabilmente alla fine mi ha creduto, ma forse non è stato abbastanza, e subito mi tornano in mente le parole che Lucy ha scritto nella sua lettera.

Pensavo di averlo superato, pensavo che il periodo delle foto rubate fosse finito, ma mi sbagliavo, e forse non finirà mai.

Non credo di farcela Harry. Non credo di voler più condividere la tua vita con il resto del mondo, e ti amo così tanto che non posso più chiederti di rinunciare a quello che è meglio per la tua carriera per poter stare con me. Non voglio che tu rinunci più a niente a causa mia. Continua ad inseguire i tuoi sogni, è questo che mi ha fatto innamorare di te, ed è questo che continuo ad amare di te.

"Mi dispiace Harry, speravo che non le avesse ancora viste, quello stronzo mi aveva garantito che sarebbero sparite..." La voce dispiaciuta di James mi riporta alla realtà da cui mi ero assentato per l'ennesima volta in questa mattinata.

"Non fa niente James, non è colpa tua." Mi sento svuotato e senza uno scopo nella vita.

"Ho provato a chiamarti per avvisarti di quelle foto, ma il tuo cellulare era sempre spento."

"Non ha più importanza James... niente ha più importanza..." Avevo spento il telefono nel momento in cui abbiamo smesso di litigare ed è rimasta ad ascoltarmi. Poi mi ha baciato con così tanta passione che avevo persino dimenticato dell'esistenza dei telefoni cellulari.

"Che stai dicendo Harry?" La voce alterata di James mi spinge a guardarlo. Mi sta fissando con gli occhi spalancati in attesa di una mia risposta.

"Che è finita, Lucy mi ha lasciato... è finita..." mi sento stanco e privo di forze.

"Scusa... ragazzo senza coglioni... hai mica visto da qualche parte Harry Styles?" Lo osservo con aria interrogativa, corrucciando con forza le sopracciglia e stringendo con troppa energia le mani intorno al bordo del lavandino.

"Come mi hai chiamato?" Per un attimo sono confuso, ma lui torna subito a parlare.

"Hai sentito benissimo, vuoi davvero che lo ripeta?" Le sue parole si ripetono comunque nella mia testa e diventano come una scossa che mi fa riprendere dal mio torpore.

"No!" Mi fiondo a grandi passi verso la cabina armadio e prendo le prime cose che mi capitano per vestirmi sotto lo sguardo soddisfatto del mio manager.

James si è occupato della mia vita, non solo della mia carriera lavorativa, e non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che fa per me.

"Bentornato Harry." Mi sta prendendo per il culo, ma va bene, glielo lascio fare perché lo merito. Io non sono un rammollito, lotto per quello che voglio, e adesso voglio Lucy. Non la lascerò andare via senza fare niente per impedirlo.

"Hai la macchina sul retro?" gli chiedo mentre infilo gli stivaletti.

"Sì." Mi dice tornando a sorridere.

"Prendo un paio di cose e andiamo, credo di sapere dove sia." Lo seguo poi fino alla sua auto, mi sdraio sui sedili posteriori perché non voglio assolutamente essere visto e anche se sono coperto alla vista esterna dai vetri oscurati, non voglio correre alcun rischio.

Ho portato con me la sua lettera, voglio che tutto quello che ha scritto qui sopra, me lo dica in faccia, e se avrà la forza di farlo, allora capirò che devo lasciarla andare, ma se guardandomi negli occhi, io capirò che lei mi ama tanto quanto la amo io, non la lascerò andare.

Mi piace la sua calligrafia, mi piace pensare che le sue dita, le sue mani, sono state su questo foglio, che queste parole le ha scritte pensando a me. Cerco di guardare il lato positivo, cerco di trovare qualcosa di bello in questa orribile giornata.

Ci siamo promessi di affrontare i problemi insieme, ed io sto scappando senza darti la possibilità di salutarci, ma non posso guardarti negli occhi, i tuoi unici e meravigliosi occhi, e dirti addio perché non sarà mai un addio. Il mio cuore è tuo, e lo sarà per sempre.

Ti guardo dormire mentre scrivo come meglio riesco queste righe.

Ti guardo e so che nient'altro sarà mai così bello come il tuo viso appoggiato sul cuscino.

Ti guardo e so che non amerò nessun altro come amo te.

Voglio che tu sia libero di vivere la tua vita, la tua carriera, i tuoi fan, ogni cosa. Voglio che tu viva ogni cosa fino in fondo, intensamente, come tu sai fare.

L'ho resa insicura, ho distrutto le sue certezze una ad una, giorno dopo giorno, ma sono sicuro che abbia solo paura, ed io voglio allontanare da lei quella paura che in questo momento la tiene lontana da me, e dalla nostra casa.

Ieri sera ero troppo poco lucido per dirle tutto quello che mi ero ripromesso. Mi ero fatto tanti discorsi davanti allo specchio, ho fatto tante prove insieme a Louis che mi ha preso per il culo la maggior parte del tempo, ma non sono riuscito a dirle quello che volevo.

Ero arrabbiato con lei stamattina. Arrabbiato per avermi fatto svegliare da solo e con quella stupida lettera sul suo cuscino. Arrabbiato perché ha deciso lei per entrambi. Arrabbiato con me stesso per aver permesso che questo accadesse.

James guida sicuro nel traffico di Los Angeles, conosce bene la nostra destinazione, ed io provo a richiamarla anche se è la quarta, o quinta, o decima o centesima volta che ci provo, ma continuo a trovare la segreteria. Non importa, la sua macchina non era in garage, sono quasi sicuro di sapere dove sia.

È passata poco più di mezz'ora da quando mi sono svegliato, e lei non c'era, non so a che ora sia uscita di casa, ma spero solo di essere ancora in tempo.

L'osservatorio è il nostro posto speciale, così l'ha chiamato dopo che l'ho portata lì la prima volta, e da allora è stato testimone di alcuni momenti importanti della nostra vita insieme. Lì le ho detto ti amo per la prima volta, è lì che le ho chiesto di venire a vivere con me, ed è sempre lì che avrei dovuto portarla stasera.

Le piace guardare il cielo, dice che la rilassa. A me piace guardare lei e osservare le sue espressioni che cambiano con il cambiare dei suoi pensieri. Ho imparato a conoscere ogni più piccola variazione del colore dei suoi occhi, a cogliere ogni sfumatura del suo sguardo e in questo momento mi manca da morire.

"Dieci minuti e ci siamo" mi avvisa James mentre il mio sguardo torna su quelle righe piene di parole che ormai hanno perso ogni significato se non è lei a spiegarmelo di persona.

Non sto riflettendo, me ne rendo conto. Se lo facessi, probabilmente strapperei questa pagina in mille pezzi e tornerei a sdraiarmi nel letto accanto a te, ma voglio renderti libero di poter lavorare senza altri pensieri.

Le sue parole sono una contraddizione unica e sono certo che la colpa sia mia. Ho sempre messo al primo posto il mio lavoro, lei mi ha permesso di farlo ed abbiamo sbagliato entrambi perché al primo posto avremmo dovuto esserci noi, il resto deve essere una cornice che ci permette di restarne all'interno, solo io e lei.

La macchina rallenta e vedo che accosta in un punto abbastanza nascosto.

"Ok Harry siamo arrivati, adesso scendo e vado a cercarla" mi dice James girando all'indietro per potermi guardare.

"Trovala James!" Non posso scendere da questa macchina a meno che non sia sicuro al cento per cento che lei sia qui. Se le persone mi riconoscessero perderei tempo prezioso per cercarla da qualche altra parte anche se sono quasi sicuro che sia sulla terrazza panoramica. È lì che ho detto a James di cercarla. Se la trova, correrò il rischio di scendere da quest'auto per andare da lei.

Lo guardo scendere, chiudere lo sportello e allontanarsi. Inspiro una grande quantità d'aria per poi emettere un pesante sospiro. Sono terribilmente agitato perché non posso perderla.

Alzo il cappuccio della felpa e indosso gli occhiali scuri, poi torno a fissare il display del cellulare nella speranza di vederlo illuminarsi con il nome di James, o meglio ancora di Lucy, ma i minuti passano e sembra che non accada niente.

Sento l'ansia salire e il pensiero che lei non sia qui, sta opprimendo ogni altro pensiero, poi sobbalzo quando mi accorgo di una chiamata in arrivo, ma non è né James e nemmeno Lucy.

"Pronto." Sono sicuro che dal mio tono di voce il mio amico riesca a capire chiaramente il mio stato d'animo.

"Dimmi che non le ha viste." Deve essersi alzato da poco, la sua voce è tremendamente assonnata.

"Louis, se vuoi non te lo dico, ma le ha viste comunque e mi ha lasciato." So che alla fine non sono state queste foto a farla andare via, avevamo già dei problemi che però stavamo riuscendo a risolvere. L'uscita di quelle foto, non ha fatto altro che far traboccare un vaso ormai colmo.

"Merda! ... tu come stai?"

"In realtà non lo so... ascolta Lou, ho bisogno tenere libero il telefono, ti chiamo più tardi ok?" Mi dispiace dover chiudere così la comunicazione con lui, ma ora non ho davvero tempo per piangermi addosso in una chiacchierata con il mio migliore amico.

"Hai ragione, ma fammi sapere capito?" Lo rassicuro prima di salutarlo e subito mi torna in mente, un paio di giorni fa a casa sua, mentre cercavo di trovare il modo giusto per parlare con Lucy di una cosa a cui tengo davvero molto.

Louis è stato fin troppo paziente, anche se, alla fine, un paio di ceffoni sulla testa li ho ricevuti. Non è stato un granché come consigliere, ma è eccezionale come ascoltatore.

Il telefono squilla di nuovo.

Stavolta è James.

"L'hai trovata?" La mia voce è carica di speranza. Il mio cuore mi dice che lei è qui, non posso sbagliarmi.

"È esattamente dove mi hai detto tu." Sorrido ampiamente alle sue parole perché sapere che non mi sbagliavo mi fa sperare ancora in quel forte legame che ci tiene uniti.

"Non lasciarla andare via, arrivo subito." Chiudo la comunicazione prima che lui abbia il tempo di rispondere. Infilo il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, abbasso per bene le maniche della felpa per coprire i miei tatuaggi. Per fortuna questa giornata di fine ottobre è decisamente grigia, altrimenti così incappucciato non passerei di certo inosservato.

Scendo dall'auto recuperando le chiavi, premo sul pulsante del telecomando della chiusura centralizzata e mi allontano a grandi passi verso la terrazza panoramica.

Qualcuno mi osserva stranito mentre cammino veloce attraverso le sale dell'osservatorio per arrivare all'esterno. Non ho mai sperato tanto come oggi di non essere riconosciuto. Devo arrivare da lei.

Quando sto per scendere le scale, la vedo. È nella parte più lontana ed isolata della terrazza, dove si mette sempre. James è vicino a lei e stanno parlando, ma lo sguardo di Lucy è rivolto costantemente al panorama. Mi affretto a scendere e quando sono quasi alle sue spalle, James si accorge della mia presenza e si allontana mostrandomi un sorriso.

Sono a due, forse tre metri da lei. Il mio cuore batte velocemente e ho le mani sudate. Per nessun concerto ho mai raggiunto questo livello di agitazione, nemmeno davanti a migliaia di persone mi sono mai sentito insicuro di qualcosa come adesso.

Lei è di spalle, indossa il suo golfino bianco, quello che abbiamo comprato insieme a Madrid, e si stringe nelle spalle, ma non so se sia per l'aria fresca che tira quassù o per il suo stato d'animo. Non riesco più a guardarla senza fare niente e, alla fine, pronuncio il suo nome, senza quasi rendermene conto.

"Lucy..." si immobilizza al sentire la mia voce, ma non si volta restando con lo sguardo fisso davanti a sé.

"Farmi sequestrare dal tuo staff è diventata un'abitudine ormai." La sua voce è calma e mi avvicino a lei lentamente.

"L'uomo che era qui con te poco fa, si chiama James... è il mio nuovo manager..." Lei si volta di scatto a guardarmi con l'aria sorpresa e sento di doverle altre spiegazioni. "L'ho assunto un paio di mesi fa." Le linee del suo viso si distendono e sono certo di vedere nei suoi occhi uno sguardo di speranza.

Molte delle nostre liti riguardavano il mio ex manager proprio per il suo modo di svolgere il suo lavoro. Lei non era mai stata d'accordo sui suoi metodi, io mi sono sempre affidato troppo a lui, ma adesso ho capito che sbagliavo, che posso ottenere gli stessi risultati con metodi diversi.

"È simpatico..." mi dice con quasi un filo di voce e un piccolissimo sorriso.

"Si prende cura di me... e di noi..." Si volta completamente dalla mia parte e cerco di mantenere il controllo perché l'unica cosa che vorrei fare è prenderla tra le braccia e stringerla per tenerla con me.

"Di noi?" mi chiede incerta.

"Sì, di noi. Da quando c'è James ad occuparsi di tutto le cose sono diverse, non puoi non averlo notato." Istintivamente faccio un passo verso di lei, ma lei ne fa uno indietro.

"Perché non mi hai mai parlato di James?" Il suo sguardo è diventato impenetrabile e i suoi pugni stringono forte il golfino bianco.

"Perché volevo essere sicuro di aver fatto la scelta giusta stavolta. Ne ho fatte troppe di sbagliate in passato, e non voglio più farne. Per questo sono qui Lucy... perché non posso scegliere di lasciarti andare, non posso scegliere di vivere la mia vita senza di te... non posso scegliere di non lottare per te... per noi..." Sono sicuro di aver appena incrinato tutta la sicurezza che si sta ostinando a mostrarmi.

"Quella lettera che ti ho scritto..."

"Perché non me le dici tu tutte quelle cose che hai scritto?" Lei non parla, sembra non abbia intenzione di farlo. "Lucy ho bisogno di sentirle direttamente dalla tua voce, o non crederò affatto che tu voglia andartene." Non voglio perderla e non succederà.

"Harry, mi dispiace di essere andata via così, ma non possiamo più andare avanti in questo modo e tu lo sai." Le sue parole dicono una cosa, mentre il suo viso e i suoi occhi dicono il contrario, ed io ho tutta l'intenzione di approfittarne.

"Hai ragione Lucy, non possiamo più andare avanti in questo modo..." Lei si immobilizza alle mie parole e sembra quasi che abbia smesso di respirare. È assolutamente vulnerabile in questo momento ed è adesso il momento giusto per farlo. "...ed è proprio per questo che..." sfilo l'anello che ho all'indice della mano sinistra, il suo preferito, e mi inginocchio di fronte a lei "...voglio che tu passi con me il resto della nostra vita insieme, per sempre." Prendo la sua mano sinistra con molta cautela. Lei non protesta, mi lascia fare ed io le infilo l'anello anche se le sta decisamente grande.

La mia proposta è strana, l'anello anche, il luogo e la situazione pure, ma spero di averla stupita in qualche modo.

"Harry... io non so cosa dire..." La sua mano è ancora stretta nella mia, e il suo sguardo va dai miei occhi alle sue dita senza riuscire a fermarsi.

"Dì sì." Probabilmente gli sguardi di tutte le persone su questa terrazza sono su di noi, ma io non vedo altro che i suoi occhi lucidi.

"Harry... questo non aggiusterà le cose tra noi..." So che vorrebbe accettare, ma ha paura, glielo leggo negli occhi, e la colpa è solo mia.

"Di sicuro aggiusterà il mio cuore però, il resto possiamo aggiustarlo insieme Lucy. Non puoi negare i cambiamenti che ci sono stati in questi ultimi due mesi. Quelle foto erano vecchie e ho sbagliato a non parlartene, non succederà più." Adesso i suoi occhi si sono fermati nei miei e una piccola lacrima le sta scivolando giù lungo il viso.

"Alzati per favore... ci stanno guardando tutti..." Tenta di aiutarmi ad alzarmi, ma non voglio ancora farlo.

"Solo se mi dici di sì." Stringo un po' di più la sua mano nella speranza di una sua risposta positiva.

"Non vorrai finire di nuovo su tutti i social mentre sei in ginocchio ai miei piedi."

"In ginocchio ai tuoi piedi è esattamente il posto in cui devo stare. Ti amo Lucy Anderson, e non importa se il mondo lo sa o meno, l'importante è che lo sappia tu. Io ti amo, questo non cambierà mai, e voglio solo avere la possibilità di vivere al tuo fianco." Le sue labbra si aprono in un meraviglioso sorriso e, dentro di me, sento rinascere la speranza.

"Davvero James si prende cura di te?" Ha bisogno di essere rassicurata ed è quello che ho intenzione di fare.

"Si prende cura di noi, di me e te, insieme. L'ho assunto per il pacchetto completo. Io non ci sono senza di te. Dimmi che non te ne andrai Lucy, dimmi che resterai con me..." Spero di riuscire a trasmetterle quanto io abbia bisogno di lei nella mia vita.

"E avrò anche un anello vero?" Questa risposta me la sta facendo sudare, ma so che me lo merito.

Infilo la mano destra in tasca e prendo l'anello che ho comprato un paio di giorni fa insieme a Louis e che ho preso poco prima di uscire di casa. È d'oro bianco con un piccolo brillante al centro, e la guardo portarsi una mano davanti alla bocca mentre le infilo questo, all'anulare sinistro proprio dietro al mio che le ho infilato prima.

"Harry, ma..." L'ho colta del tutto di sorpresa perché non sa più cosa dire.

"Era da qualche giorno che volevo farlo, Louis mi ha sopportato mentre lo costringevo ad aiutarmi a trovare un modo originale per chiedertelo. Non ti sto chiedendo di vivere il resto della tua vita con me per non farti andare via. Ti sto chiedendo di non andare via per poterti sposare Lucy... tu sei la scelta migliore che io abbia mai fatto." Non so più cosa dire per convincerla e resto a guardarla in attesa.

A quel punto si inginocchia anche lei, le mie mani finiscono sul suo viso ad asciugarle le lacrime, le sue a stringere le mie, mentre mi guarda piena di speranza.

"Entro poche ore lo saprà tutto il mondo Harry..." mi dice con un tono di voce incredibilmente basso.

"Saprà che cosa?" le chiedo senza smettere di accarezzarla.

"Che io ti ho detto sì." E a quel punto la bacio incurante di chi ci sta guardando e del posto in cui siamo. Lei mi ha detto sì, il resto del mondo può solo esserci spettatore.

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SPAZIO ME

Questa one shot è ispirata alla canzone degli Oasis "Don't go away"
Eeeee niente, buona lettura.

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Capitolo 7
*** Before ***


Questa riunione è stata un inferno. Non credo di essere mai uscito da questa sala conferenze così nervoso come lo sono oggi. Avrei voluto prendere tutti i fogli che la segretaria dell'amministratore delegato aveva messo davanti ad ognuno di noi, e strapparli in faccia a quell'idiota di Jeff dell'ufficio marketing, ma probabilmente avrei trovato più soddisfazione se glieli avessi infilati in qualche posto nascosto. Oggi era più indisponente del solito.

Cammino dritto verso la mia meta, ignorando Jeff, almeno credo si chiami così, che mi sta chiamando con insistenza da quando ci siamo alzati da quelle scomodissime sedie, e sono talmente veloce che quasi non vado a sbattere contro qualcuno che sta uscendo proprio dal mio ufficio nel quale non vedo l'ora di rifugiarmi.

"Oddio, scusami!" Ogni sentimento di rabbia e di odio scivola via quando riconosco la sua voce e la vedo proprio a pochi centimetri da me. Succede sempre.

"Non fa niente Kate, mi stavi cercando?" Quando lei mi è vicina, riesce a farmi stare bene, basta la sua sola presenza. 

E anche questo succede sempre.

"In realtà ero qui perché ti ho preso quelle." Si volta e indica la mia scrivania sulla quale troneggia un vassoio con due croissant dall'aspetto squisito. Sono sicuro che siano le mie preferite, mi conosce troppo bene.

"Sei per caso passata dalla sala riunioni?" Le sorrido per farle capire la mia gratitudine, perché so che se mi ha comprato quei croissant lei era a conoscenza del fatto che io ne avessi assoluto bisogno.

"Già, e ho notato che tirava una brutta aria. Ho pensato che un paio di croissant ti avrebbero tirato su di morale." Mi sorride quando sta ormai per lasciare il mio ufficio senza nemmeno aspettare una risposta da parte mia. Non è un gesto insolito da parte sua, ma ogni volta che fa qualcosa per me come questa che ha fatto oggi, resto sempre sbalordito e mi lascia senza parole, perché lei sa sempre.

"Grazie Kate." Le dico anche se lei non può più sentirmi ormai.

Credo di non aver mai trovato un'amica migliore di lei. C'è sempre per me, in ogni momento. Sa sempre quando sono giù di morale, mi capisce al volo, le basta anche solo il tono di voce leggermente diverso, che ha già capito se c'è qualcosa che non va o se è tutto a posto. Non mi nega mai il suo aiuto o la sua presenza. Sa ascoltare se ho bisogno di parlare, e sa restare in silenzio quando non ne ho voglia. Sa ridere, ed insieme ridiamo davvero tanto. Kate è straordinaria.

"Brant, ma mi senti quando ti parlo?" Jeff, sempre se si chiama Jeff, entra con la sua solita strafottenza senza aver nemmeno bussato.

"Non ti avevo sentito Jeff." Lo vedo con la coda dell'occhio alzare gli occhi al cielo, ma non m'importa. La mia attenzione adesso è tutta per quei due croissant spolverati di zucchero a velo che mi stanno aspettando in mezzo a scartoffie e contratti.

"Quando imparerai che mi chiamo Joseph!" Possibile che non ha ancora capito che non ho problemi ad imparare i nomi, è che proprio non m'importa di imparare il suo.

"Beh, volevi qualcosa?" Mi siedo, iniziando a pregustare quel croissant. Quando se ne va Jeff?

"Sì, hai dimenticato questi in sala riunioni." Mi porge dei fogli ai quali presto la minima attenzione, quella poca che riesco a dedicargli in questo momento perché sono completamente concentrato sui croissant, gli sorrido più falsamente che posso e lo guardo uscire dal mio ufficio con un'aria decisamente contrariata, ma ancora non m'importa perché quando affondo i denti in quella bontà tutto scompare e resta solo Kate nei miei pensieri.

Nell'ultimo periodo abbiamo avuto molte più occasioni per stare insieme, o forse sono io che l'ho cercata più del solito. Il fatto è che l'ho vista un po' triste ultimamente, e anche se non me ne ha parlato, sono sicuro che ci sia qualcosa che non va, forse è a causa di Jason, ma non posso esserne sicuro dato che lei non me ne parla. Sto cercando di farla distrarre, mi sto impegnando in tutti i modi per riuscire a ricambiare la sua amicizia, ma mi sembra di non fare abbastanza perché ogni volta che il sorriso scompare dal suo viso mi sento decisamente in difetto nei suoi confronti.

"Dio, che stupido!" Dico a voce alta. Improvvisamente penso che mi ha portato due croissant, non uno, ma due, avrei dovuto dirle di stare qui con me e mangiarlo insieme mentre avremmo criticato quell'idiota di Jeff.

Poso a malincuore la mia brioches sul piccolo vassoio, mi pulisco con il tovagliolino che Kate non ha dimenticato di lasciarmi, ed esco dal mio ufficio, avviandomi verso la sua scrivania dove la trovo concentrata a lavorare davanti al monitor del suo computer.

"Ciao Brant." La voce di Megan attira come sempre l'attenzione di tutti i presenti nel piccolo open space, anche quella di Kate che alza subito il viso verso di me.

"Ciao Megan." Mi posiziono davanti alla scrivania di Kate e saluto anche lei. "Ciao Kate, potresti venire un attimo nel mio ufficio?" Sono uscito con Megan un paio di giorni fa, ma le voci di una storia tra me e Kate non si sono mai placate. Non riesco e non voglio stare lontano da lei, e i nostri colleghi si sono fatti le loro teorie su di noi. Teorie sbagliate, ovviamente, io e Kate siamo ottimi amici niente di più anche se le persone continuano a credere il contrario, ma non m'importa nemmeno di questo.

"Ok." E, mentre lei si alza per seguirmi, non posso evitare di guardare ancora una volta Megan. Le ho messo gli occhi addosso da quando ho iniziato a lavorare qui, e riuscire ad uscire con lei è stata un'impresa. Sono sicuro che non ci sarei mai riuscito senza l'aiuto di Kate.

Kate e Megan sono in buoni rapporti, e ha dovuto darmi più di una dritta perché riuscissi a convincere Megan ad uscire con me. Devo dire che fisicamente sono simili, occhi scuri e capelli scuri e lunghi, ma il loro stile è completamente diverso. Kate è semplice, ma non per questo poco curata o banale, mentre Megan è decisamente appariscente e non puoi non notarla quando entri in una stanza.

Arrivati nel mio ufficio, mi sposto per farla entrare, le indico la sedia, poi chiudo la porta alle nostre spalle. Le chiacchiere su di noi aumenteranno ora. Ma, come sempre, non m'importa. Non m'importa nemmeno se queste voci arriveranno a Jason, quello che è il suo fidanzato da troppo tempo.

Gliel'ha regalato lui l'anello che lei porta al suo anulare sinistro, lo stesso anello che indossava già quando l'ho conosciuta. Kate ha sempre avuto solo splendide parole per quello che sembra essere il fidanzato perfetto, almeno sulla carta. Anche la maglia che indossa oggi gliel'ha regalata lui, una maglia che non mi piace per niente, ma lei la indossa spesso.

"Che succede? Problemi con Megan?" Mi osserva con attenzione ed io sorrido mentre scuoto la testa. Probabilmente crede che io l'abbia chiamata per avere qualche altro consiglio.

"No, nessun problema, ma non potevo mangiare da solo." Allungo il vassoio verso di lei che adesso sorride mentre prende un croissant con un tovagliolo.

"Potevi chiamare Megan." Ma già sta addentando anche lei quella meravigliosa brioche.

Le compra al bar dall'altro lato della strada rispetto a dove lavoriamo noi. Un paio di mesi fa abbiamo fatto colazione lì per la prima volta e quando le ho detto che non avevo mai mangiato croissant più buoni di quelli, mi ha promesso che ad ogni momento negativo avrebbe sempre corrisposto l'acquisto di una di quelle brioche. Dev'essere scesa a comprarli ripensando a quella promessa.

"Sai che non avrebbe accettato. La linea, e bla bla bla, e poi è con te che volevo condividerla." A volte ho sentimenti contrastanti per Kate, ma durano non più di un attimo. Lei è la mia migliore amica, la migliore di sempre, e non farò niente per rovinare quest'amicizia. Niente. "Ma, a proposito di Megan. Ti ha raccontato niente dell'altra sera?" Ho portato Megan a ballare proprio dove Kate mi aveva suggerito. Mi è sembrato che le cose siano andate bene, dopotutto la serata è finita nel suo appartamento, ma sentirne la conferma da Kate è sempre bene per me.

"Sto odiando questo lunedì mattina perché non ha parlato d'altro da quando ha preso posto alla sua scrivania. Devi aver fatto decisamente colpo." Sembra contenta per me, e non so perché la cosa mi provoca un certo fastidio.

"E tu? Che hai fatto sabato sera?" Non sono tornato a casa sabato sera, sono rimasto da Megan e non sono sicuro di volere che Kate lo sappia, ma probabilmente lo saprà. Non l'ho chiamata come faccio quasi ogni domenica, e non le ho nemmeno scritto dato che sono stato preso da Megan tutto il giorno.

"Sono uscita con Jason." Il suo tono di voce non mi piace per niente.

"Va tutto bene tra te e Jason?" Mi fa cenno di sì con la testa mentre mastica l'ultimo boccone del croissant, ma la sua espressione dice decisamente il contrario e, inspiegabilmente, mi sento in colpa per come ho passato il mio week end, e per non averla chiamata. "Perché mi stai mentendo Kate?" Il mio croissant è finito in due bocconi e ora osservo lei che si sta passando il tovagliolo sulle labbra per pulirsi dallo zucchero a velo. Ma perché diamine sto osservando le sue labbra?

"Non ti sto mentendo, va tutto bene, sono solo stanca. Stanotte non ho dormito un granché, sono andata a dormire con il mal di testa, ero convinta che mi passasse e invece ho dovuto alzarmi per prendere un analgesico, ma poi non sono più riuscita ad addormentarmi." So che sono bugie, ma non posso insistere adesso.

"Ok... Senti, stasera devo passare a ritirare gli occhiali da sole, sai quelli a cui si era rotta la stanghetta?" Sta ridendo perché sono sicuro che si sta ricordando perfettamente la scena. "Kate stai forse ridendo?"

"No. Perché?" Non posso trattenermi e rido anch'io. Adoro vederla ridere.

"Forse perché hai una vaga idea del come mai si siano rotti gli occhiali?" Le chiedo, ma lei continua a sorridere.

"Sì, ma solo vaga." Si alza, mette il tovagliolo sul vassoio poi si volta e fa per andarsene, ma la fermo quando è ormai sulla porta.

"Esco alle sei e passo a ritirarli, vieni con me?" Perché gliel'ho chiesto? Perché sono un egoista, la voglio con me, so che mi dirà di sì qualunque impegno abbia, e non m'importa se lei ha da fare qualcosa.

"Sì." Mi sorride ancora ed esce chiudendo poi la porta.

Resto per un attimo fermo, seduto su questa sedia a ricordarmi di quando quegli occhiali si sono rotti.

Un pomeriggio di due settimane fa ero da solo a casa, avevo voglia di vederla, e le ho scritto chiedendole se poteva accompagnarmi a comprare il lampadario nuovo per il bagno. Che scusa del cazzo, ma ha funzionato. Kate mi ha detto sì. A dire la verità me lo dice sempre. Jason-fidanzato-perfetto mi odierà, ma chi se ne importa.

Passo a prenderla, e andiamo a fare un pallosissimo giro all'Ikea, Kate ha voluto andare lì e oltre al mio indispensabile lampadario per il bagno, lei ha pensato di comprare un migliaio di utilissime cose per casa sua riempiendo la macchina di sacchetti. Alla fine, il giro che credevo si rivelasse pallosissimo solo perché eravamo all'Ikea, è stato una gran bel pomeriggio, soprattutto quando ho iniziato a prenderla in giro per le sue assurde compere e vederla ridere con me era tutto quello di cui avevo bisogno per sapere che per lei ero un buon amico. Quell'amico che ti fa stare bene quando sa che ne hai bisogno, e lei ne ha indubbiamente bisogno anche se non vuole ammetterlo.

Ad ogni modo, per aiutarla a caricare i sacchetti in macchina, invece di indossarli, ho posato gli occhiali sul sedile del guidatore e, una volta che abbiamo finito, mentre lei andava a riporre il carrello, io mi sono seduto dimenticando di aver posato gli occhiali sul sedile. Quando ho sentito il crack, ho chiuso gli occhi trattenendo il respiro, ma sapendo benissimo cosa fosse appena successo. Nel momento in cui Kate si è avvicinata all'auto, si era persino preoccupata nel vedermi quell'espressione sul viso, ma quando ho tirato fuori gli occhiali da sotto il mio sedere, e gliel'ho mostrati, non ha smesso di ridere per tutto il tragitto del ritorno.

È stato uno dei pomeriggi più belli che abbiamo passato insieme. Jason come al solito aveva del lavoro da finire e lei era sola. È una cosa che succede troppo spesso nell'ultimo periodo ed io non ho intenzione di lasciarla a deprimersi nel suo appartamento. Lei c'è sempre per me ed io voglio esserci per lei.

Devo rimettermi al lavoro se voglio finire per l'ora di pranzo, ma la vibrazione nella tasca della mia giacca mi distrae dalle mie buone intenzioni. Prendo il cellulare e sorrido. Il telefono è quello di Kate, l'ho preso poco fa quando sono andato alla sua scrivania, così, quando non lo troverà, verrà di nuovo da me per riaverlo. Probabilmente dovrei smettere di alimentare tutte le chiacchiere su me e Kate, ma non m'importa dello stupido gossip che si fa alle macchinette del caffè di questa società.

Non dovrei leggere il messaggio che è appena arrivato sul suo cellulare, ma quando ho letto che il mittente era Jason, non ho potuto evitare di dare una sbirciatina.

Torno presto stasera. Ti ...

È tutto quello che riesco a leggere senza sbloccare il display. Non voglio conoscere il seguito di quello che ha scritto. Poso il telefono sulla scrivania, accanto alla tastiera del computer, e mi metto a lavorare con una strana sensazione allo stomaco, ma non faccio in tempo a capire di cosa di tratta, perché Megan entra nel mio ufficio.

"Disturbo?" Sorride mentre si affaccia dalla porta che dà sul corridoio.

"Entra." Le sorrido a mia volta mentre cammina verso di me su quei tacchi alti che fanno ondeggiare il suo corpo in maniera sinuosa e provocante.

"Stavo andando a prendermi un caffè, ti va di farmi compagnia?" Non dovrei fare questa pausa, sto perdendo troppo tempo stamattina, ma il suo invito sottintende altro, lo capisco dalla sua espressione, e non mi va di dirle di no. In questo momento Megan è la distrazione perfetta.

"Certo che mi va." Mi alzo per raggiungerla e mi ferma quando sono ad un passo da lei posandomi una mano al centro del petto senza mai smettere di guardarmi negli occhi.

"E ti va anche se ci vediamo stasera dopo cena?" Anche in questo caso è assolutamente chiaro quello che vuole, perché è la stessa cosa che voglio io.

"Mi va anche questo." Poi mi bacia facendo risvegliare parti del mio corpo che dovrebbero rimanere innocue e dormienti finché resto in ufficio.

Ci avviamo poi alle macchinette del caffè, e cerco di concentrare i miei pensieri sulla signora Wesley, la segreteria attempata dell'amministratore delegato, per far addormentare di nuovo quella parte di me che dovrebbe dormire. Passiamo davanti a Kate che sta ancora lavorando, e mi sorride quando mi vede insieme a Megan. Credo sia felice per me, mentre io provo uno strano senso di colpa nei suoi confronti. Forse perché io ho tutto quello che voglio e lei invece sembra che stia attraversando un periodo non felice, ma non me ne preoccupo adesso perché sono impegnato a leggere il suo labiale.

Il mio telefono.

Si è accorta che gliel'ho preso prima, e mi sta chiedendo di restituirglielo. Non le ho mai reso facile niente, e non inizierò certo adesso.

Dopo.

Le rispondo allo stesso modo in cui lei mi ha parlato, così che nessuno possa sentire. Non che ci sia qualcosa di male sotto, è solo che il sequestro del suo telefono è una cosa nostra, mia e sua e non voglio che nessuno ne sappia qualcosa.

Kate mi sorride scuotendo la testa, rassegnata ormai al fatto che non la spunterà mai con me. Il suo sorriso è una delle cose più belle della mia giornata, perché quando la vedo sorridere so di aver svolto bene il mio ruolo di amico.

Infilo le monetine nella macchinetta e porgo il primo caffè a Megan, poi ne faccio un altro per me, e non so cos'abbia stamattina, ma mi sta mangiando con gli occhi. Fino a poche settimane fa, ho fatto fare i salti mortali a Kate per riuscire a fare colpo su Megan, ora sembra che non abbia occhi che per me, non che mi dispiaccia, sia chiaro, in realtà la cosa mi piace parecchio, era quello che volevo da quando l'ho conosciuta, è solo che mi devo ancora abituare all'idea che piaccio a lei tanto quanto lei piace a me.

"Possiamo vederci da me? Non ho voglia di uscire e poi..." E poi non riesco più a sentire nient'altro di quello che dice perché l'unica cosa che riesco a fare è ricordare l'altra sera a casa sua e le immagini di noi due nel suo letto annebbiano la mia mente. "Brant?" Megan mi richiama, sventolandomi una mano davanti alla faccia.

"Scusa ero sovrappensiero..." Devo tornare a lavorare o questa giornata non finirà mai. "Ora devo andare, ma ci vediamo dopo." Il vestito che indossa, mi obbliga a mantenere gli occhi su di lei e sul suo corpo. È davvero bella e non sono l'unico a pensarla così qui dentro.

"Grazie per il caffè, ricambierò il favore più tardi." Sorride maliziosa, e si allontana mentre io resto un attimo davanti alla macchinetta del caffè cercando di riprendere padronanza del mio corpo. Quella ragazza accende troppo le mie fantasie.

Lancio poi un'occhiata a Kate quando passo di nuovo davanti alla sua scrivania, ma sembra non notarmi perché è ancora intenta a lavorare, mi dirigo quindi nel mio ufficio e resto sorpreso quando la vedo entrare subito dopo di me, proprio mentre sto per sedermi alla scrivania.

"Il mio telefono." Kate allunga la mano nella mia direzione aspettando che le riconsegni l'oggetto che le ho sequestrato prima. Il suo sorriso mi fa capire una volta di più che questo gioco la diverte, quindi non c'è motivo perché io smetta di farlo.

"Ecco, ti è arrivato un messaggio." Le dico mentre prendo il cellulare dalla scrivania per metterlo nella sua mano ancora tesa verso di me.

Kate sblocca il telefono e legge con attenzione le parole di quell'idiota troppo fortunato.

La logica mi suggerisce che dovrebbe sorridere per aver letto le belle parole del suo impeccabile fidanzato, e il fatto che non lo faccia è un'ulteriore conferma che le cose tra loro non stanno andando affatto bene.

"Leen, è tutto a posto?" Alza lo sguardo su di me, e forza un sorriso che ovviamente fa solo per farmi stare tranquillo.

"Sì, è tutto ok. Ora devo andare." Si gira per tornare alla sua scrivania, ma non voglio lasciarla andare così, non senza rivedere ancora il suo sorriso.

"Kate..." Sta per uscire dal mio ufficio, ma si ferma voltandosi a guardarmi. "...ti aspetto alle sei nel garage." Voglio ricordarle il nostro appuntamento, voglio che sappia che quando le prometto qualcosa la mantengo, voglio rassicurarla che non è sola e che può contare su di me. Sempre.

"D'accordo." Stavolta il suo sorriso è sincero ed io mi sento un po' meglio.

Riprendo a lavorare, riuscendo finalmente a tenere lontane le distrazioni. Non ho potuto nemmeno scendere per fare la pausa pranzo perché dovevo recuperare il tempo perso, ma ovviamente non mi sono preoccupato perché sapevo che Kate non mi avrebbe mai lasciato senza mangiare. Non ho nemmeno bisogno di chiederglielo, lei sa già quando ho bisogno di qualcosa, ed è tornata dalla sua pausa con un sacchetto per me. Tramezzini, una bottiglietta d'acqua e una porzione di macedonia. Il perfetto-idiota-Jason dovrebbe sapere chi sta trascurando.

La mia coscienza è pulita almeno su questo perché quando ho detto a Kate che non c'era bisogno che si disturbasse così tanto per me, la sua risposta è stata a cosa servono gli amici se non ad aiutarsi nel momento del bisogno?

A quel punto ho potuto solo dirle grazie, e continuo a dirglielo ogni volta che lei fa un gesto simile per me.

Guardo l'orologio dopo essermi immerso nel lavoro per troppe ore di seguito, e vedo che sono quasi le tre del pomeriggio. Ho decisamente bisogno di una pausa, mi serve del caffè, ma se passo davanti alla scrivania che Kate e Megan condividono dovrò chiedere ad entrambe di unirsi a me, ed io in questo momento voglio solo lei, quindi le scrivo.

Mi serve della caffeina.

Finché aspetto che mi risponda, prendo la chiamata in entrata sul telefono aziendale, ma i miei occhi restano fissi sul display, in attesa che si illumini.

Due minuti.

Non mi ha detto di no. Mai. Nemmeno una volta. A volte mi chiedo cos'ho fatto di buono per meritare di averla sempre con me, ogni volta che la voglio con me.

Passo di nuovo davanti alla loro scrivania, ma nessuna delle due è al proprio posto, spero solamente che Megan non sia con Kate perché ho voglia di avere cinque minuti solo con lei. E, quando entro nella sala caffè, sorrido perché mi sta già porgendo il mio caffè.

"Potrei sposarti Kate." Le dico scherzando, ma sembra che le mie parole le abbiano creato del disagio. La sua espressione è cambiata in un attimo. "Leen, mi stai facendo preoccupare oggi. Cosa c'è che non va?" Un attimo sorride felice e l'attimo dopo sembra sull'orlo del pianto.

"Niente Brant, davvero, sono solo stanca. Allora... i tuoi occhiali sono finalmente pronti?" Sta cambiando discorso, a quanto pare non vuole confidarsi. Non posso insistere, non qui almeno, ma quando più tardi usciremo di qui, non avrà più scuse e dovrà dirmelo.

"Sì, sono pronti per essere rotti di nuovo." Ride e so che è la risata più bella che abbia mai sentito. "Allora... programmi per stasera?" Improvvisamente la curiosità di sapere cosa le abbia scritto l'irreprensibile fidanzato, prende il sopravvento.

"Esco con Jason. E tu?" Sorseggia il caffè aspettando la mia risposta. Più guardo la maglia che indossa e più la detesto, potrei comprargliene io una nuova, magari per il suo compleanno, o magari senza un reale motivo, solo per il piacere di vederla sorridere e sapere di essere stato io a renderla felice.

"Esco con Megan." Kate mi sorride poi si volta per buttare il bicchierino vuoto nel cestino, e mi si avvicina.

"Portale dei fiori, i suoi preferiti sono le rose, rosse per la precisione." Per un attimo, per un solo e brevissimo attimo, mi è sembrato strano e sbagliato parlare di Megan con Kate, ma poi mi sono detto che lei è la mia migliore amica, non mi giudicherà mai e sarà sempre al mio fianco, ed ogni cosa è tornata al suo posto.

"Come farei senza di te." Mi avvicino e le lascio un bacio sulla guancia, butto poi anch'io il mio bicchierino del caffè, e torno al lavoro dopo averla riaccompagnata alla sua scrivania e averla salutata.

Kate mi capisce, mi sostiene, mi aiuta, mi incoraggia. Abbiamo legato sin dal primo momento. Parlare con lei mi fa stare sempre bene, talmente bene che non ho mai voluto rinunciare a vederla ogni volta in cui ne ho sentito il bisogno o, se non potevo vederla, almeno scriverle, nemmeno quando sapevo che era con Jason.

Il pomeriggio scorre lento, ma il pensiero dei miei due appuntamenti dopo il lavoro, mi ha dato l'energia necessaria ad affrontare anche la telefonata di quel cliente incontentabile che chiama almeno una volta a settimana per lamentarsi anche del tempo.

Quando finalmente arrivano le sei, spengo velocemente il computer, sistemo i fogli sparsi sulla scrivania, spengo anche le luci, ed una volta chiusa la porta dell'ufficio mi reco all'ascensore per arrivare al garage. Né Kate, né Megan sono più alla loro scrivania, a dire la verità non c'è quasi più nessuno negli uffici, a parte Roger che credo viva lì ormai.

Le porte dell'ascensore si aprono e quando mi dirigo verso la mia auto, vedo Kate appoggiata alla portiera intenta a digitare qualcosa sul suo cellulare.

"Ciao Kate." Lei alza lo sguardo e mi sorride senza dire niente. "Ci sono problemi?" Indico il telefono che ha ancora in mano.

"No, nessun problema. Possiamo andare." Posa il telefono in borsa, poi si volta e appoggia la mano sulla maniglia dello sportello, aspettando che io prema il tasto del telecomando per aprire l'auto, e quando lo faccio lei sale immediatamente.

Faccio il giro e salgo anch'io, ma prima di mettermi la cintura mi giro verso di lei. "Kathleen Cooper?" Si volta lentamente a guardarmi e vorrei riuscire a vedere di nuovo il suo sorriso. "Adesso puoi dirmelo, non siamo più in ufficio. Cosa c'è che non va?" Lei mi guarda stranita, come se non sapesse ciò di cui sto parlando, e allora insisto. "Ci sono problemi con Jason?" Lei scuote subito la testa in senso di negazione. "Sai che posso parlargli io se vuoi." E subito immagino la scena di me e il perfettino a discutere su quanto sia meravigliosa Kate, e su quanto lei meriti molte più attenzione di quante gliene stia dando lui. A sentire Kate, Jason è un fidanzato eccezionale, non si è mai lamentata di lui nemmeno una volta, eppure io non vedo sul suo viso della mia migliore amica tutta questa perfezione.

"No Brant, non c'è nessun problema, ti ho già detto che sono solo stanca. Davvero, devi credermi." Stavolta sembra più convincente e penso che forse sono io che voglio vedere problemi dove non ce ne sono. Forse la mia mente li immagina perché così posso provare ad esserle d'aiuto come lei lo è per me.

Forse è così.

Forse.

"D'accordo, non te lo chiederò più." Le sorrido anch'io adesso, e mi sembra di vederla più serena.

Usciamo dal garage sotterraneo e mi immetto in strada diretto al negozio dove dovrò ritirare gli occhiali da sole mentre continuo a raccontarle di stamattina e della riunione infernale che mi aveva reso di cattivo umore. Parlare con lei è così liberatorio perché mi sento libero e riesco ad essere veramente me stesso.

"Sapevo che quei croissant al cioccolato erano quello che ti serviva. Sono passata davanti alla sala riunioni e quando ti ho visto discutere così animatamente ho capito che il cioccolato era l'unica soluzione possibile." Rido alle sue parole ripensando a me stesso e alla mia voce alterata durante quella discussione.

"Jeff quando ci si mette, è davvero esasperante e, quando il mio responsabile ha iniziato a dargli retta, non ho più capito niente." Ero in preda alla rabbia e non so cosa mi abbia trattenuto dal rompergli il naso.

"Immagino che ti abbia ricordato che non si chiama Jeff." Kate ride sempre quando sbaglio i nomi, e devo ammettere che alcune volte l'ho fatto di proposito, solo per vederla ridere, solo per il piacere di essere stato io a farla ridere.

"Certo che me l'ha ricordato, ma tu credi che lo chiamerò con il suo nome?" Non posso guardarla ancora perché sono alla guida, ma sono certo che stia sorridendo. L'hai fatta sorridere ancora, ben fatto Brant.

A quel punto, le nostre chiacchiere sono diventate più leggere e abbiamo cominciato a ridere senza tregua. Ascoltare il suono della sua risata mi ha fatto sentire realizzato perché so che anch'io sono un buon amico per lei come lei lo è per me.

Abbiamo ritirato gli occhiali e passato circa un'ora senza pensieri, ora che la sto riportando a casa e la vedo sorridente, mi sento meno in colpa ad uscire con Megan più tardi.

"Ci vediamo domani, ora scappo che Jason sarà sicuramente già arrivato. Ciao Brant." Non mi dà nemmeno il tempo di rispondere che è già scesa dall'auto non appena ho parcheggiato sotto casa sua.

"Ciao Leen." La saluto comunque anche se non può più sentirmi mentre la guardo entrare nel portone del suo condominio.

Riparto in direzione di casa mia dove ceno velocemente con qualche avanzo del giorno precedente, e mi fiondo subito sotto la doccia per prepararmi alla mia serata con Megan.

Quando raggiungo nel suo appartamento la ragazza mora dagli occhi verdi che ho tanto desiderato nell'ultimo periodo, sorrido pensando che se sono qui lo devo anche a Kate perché è lei che mi ha aiutato a farmi notare da Megan che prima di uscire con me sembrava avesse occhi solo per quel tale dell'ufficio acquisti, di cui ovviamente non ricordo mai il nome.

"Ciao Brant." Megan mi accoglie con un bicchiere di vino in mano, ed il suo tono di voce è solo il preludio di quello che succederà fra queste pareti, che credo non sia troppo diverso da quello che è successo l'altra sera dopo che siamo stati a ballare.

"Ciao Megan." Tolgo il cappotto e lo poso sul divano mentre lei sta chiudendo la porta.

Quando la osservo mentre si porta quel bicchiere di vino alle labbra, mentre indossa un vestito troppo striminzito per essere chiamato tale, e il suo gesto unito alla sua espressione risvegliano quella parte di me che può essere risvegliata al di fuori dell'ufficio e, anche se durante il resto della serata, flash delle immagini di Kate apparivano improvvisamente nei miei pensieri, ho affondato in Megan ogni preoccupazione, ogni dubbio, annebbiando il mio cervello e il mio cuore.

Quando mi sono svegliato stamattina, mi sono sentito come una barca alla deriva. Forse per l'alcool di ieri sera o forse perché semplicemente sento che mi manca qualcosa.

Sono nudo in questo letto, e al mio fianco c'è la donna con cui ho desiderato uscire negli ultimi mesi, ed anche lei è completamente svestita. Non desideravo altro, credevo che dopo essere riuscito a conquistarla, avrei raggiunto un adeguato stato di soddisfazione, ed invece non è stato così.

Mi alzo raggiungendo il mio telefono che ho lasciato ieri sera in cucina e lo accendo. Nessuna notifica, nessun messaggio, nessuna chiamata persa, chissà cosa credevo di trovare. Infilo i boxer che ho lasciato sul divano, poi mi siedo restando a fissare il display.

Dovrei chiamarla? Dovrei scriverle? Ho un dannato bisogno di parlare con lei, ma forse non è il caso di telefonarle alle sette di mattina, sicuramente Jason avrebbe da ridire e non voglio crearle problemi. Decido quindi di scriverle un messaggio.

Sei sveglia?

Non so cosa aspettarmi, ma le mie labbra si piegano decisamente all'insù quando la vedo online dopo pochi secondi aver inviato il messaggio.

Sto prendendo il caffè.

Stai bene Brant?

La immagino nel suo pigiamone grigio, quello che si è comprata nella nostra ultima sessione di shopping, con i capelli tirati su con la prima pinza che le è capitata tra le mani, e senza un filo di trucco.

Passo a prenderti tra mezz'ora.

I nostri colleghi sono abituati a vederci arrivare insieme al lavoro. Probabilmente Megan non apprezzerà, ma io ho bisogno di Kate in questo momento.

Ti aspetto.

Mi aspetta. Kate mi aspetta.

Ed io non rinuncerò mai a lei, perché io sono un disastro e Kate è la mia cura.




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SPAZIO ME

Sorpresaaaaa!

Il capitolo nasce perché avevo voglia di scrivere ancora di loro due,
e l'occasione è arrivata tramite la raccolta di Decibel che trovate qui 
https://www.wattpad.com/story/101754521-decibel

L'idea è di Moonlight92, in base alla canzone del mese,
scriviamo storie brevi facendoci ispirare dalle parole della canzone scelta.
Questo mese, per la mia infinita gioia, è toccato a Therapy degli All Time Low, che io adoroooooo

Questo capitolo racconta un po' di Kate e Brant prima dell'inizio di questa storia, prima che si perdessero di vista.
Racconta della loro amicizia, anche se stavolta ho privilegiato il punto di vista di Brant.

Eeeee niente, buona lettura.

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Capitolo 8
*** Jason ***


SPAZIO ME

E rieccoci qua... Missing moment della mia storia Best Friend Boyfriend.

Chi l'ha letta, forse ricorda di quando Jason, l'ex ragazzo di Kate, ha litigato con Lucy,
a causa del fatto che proprio Lucy avesse trovato un plico di lettere che Jason aveva scritto a Kate nel periodo in cui si erano lasciati.

Jason ha sfogato il suo malessere scrivendo lettere che Kate non avrebbe mai letto,
ma è stato un modo per lui di superare quello che ha vissuto come un periodo doloroso.

Ed ecco qui le famose lettere cariche di sentimenti ed emozioni.

Eeeee niente, buona lettura.

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Jason

26 agosto

Le persone vanno e vengono nella vita di ognuno di noi. Possono rappresentare un'amicizia, un amore... Alcune restano più a lungo, altre meno. Alcune lasciano un segno, altre sono come meteore di passaggio. Certe persone spariscono per sempre, altre non se ne andranno mai anche se non le vedrai più fisicamente. Alcune ti stanno accanto per comodità, con altre sei proprio tu ad aggrappartici con ogni forza che hai.

Tu fai parte di ogni categoria e di nessuna.

Sei stata un'amica, ma anche l'amore della mia vita.

Siamo stati insieme per anni, eppure a me è sembrato un giorno.

Hai lasciato un segno profondo, proprio come un meteorite che si è schiantato sul mio cuore.

Sei andata via per sempre dalla mia vita, eppure sei sempre qui, da qualche parte.

Ed io mi sono aggrappato a te con tutte le mie forze, ma quando queste sono finite, sono caduto giù, in basso e non riesco a risalire, perché la mancanza che sento è fuori da ogni controllo.

Ognuno può essere sostituito, mi hanno detto, ma io non sono d'accordo, perché pare che non riesca a farlo con te. Per quanto ci abbia provato, per quanto abbia cercato, non ho trovato nessuna donna che riesca a riempire la mia vita come facevi tu, come fai ancora tu, nonostante possa solo guardarti da lontano senza poterti più baciare, o toccare come facevo la sera quando ci sdraiavamo insieme nel nostro letto o la mattina quando mi svegliavo accanto a te.

La mattina è il momento più difficile della giornata, perché è quello in cui realizzo che tu non ci sei, e non tornerai ad occupare il posto del letto che avrei voluto fosse tuo per sempre.

Non è così che avevo immaginato di passare questa settimana al mare.

Volevo provare ad allontanare il tuo viso che continua ad affacciarsi costantemente nella mia mente, volevo provare a pensare a me stesso e lasciare a casa ogni cosa che ti riguardasse, ma ti rivedo costantemente in ogni volto femminile sul quale si posano i miei occhi.

Forse è passato ancora troppo poco tempo da quando la nostra vita insieme è finita, forse con il tempo passerà, ma ora no. Ora sei ancora qui...

14 settembre

Anche questo mese sta passando.

Altro tempo senza di te. Ore, minuti, secondi che non so come riempire oltre che lavorando, oltre che cercando di rimpiazzare ogni pensiero di te, con qualsiasi cosa mi capiti per tenerti fuori dalla mia testa.

Ma poi succede che tu mi chiami, solo per sapere come sto, ed io m'invento la solita scusa del cavolo, per chiederti di mangiare insieme, giusto per tenerti ancora un po' con me illudendomi che le cose non siano mai cambiate tra noi, perché questa è l'unica cosa che rende sopportabile la tua lontananza.

So bene che ho accettato questa situazione, ho accettato che rimanessimo amici, ma era solo per non perderti del tutto, perché nel momento in cui passiamo insieme qualche ora a cena, come abbiamo fatto stasera, io torno ad essere felice, torno ad essere completo e, anche se poi fa male accompagnarti a casa ed andarmene dopo averti guardato salire da sola, lo rifarei di nuovo anche domani stesso per poterti avere vicino un'altra volta.

Ho messo la mia giacca sul letto, quella che ti dato stasera da metterti sulle spalle dicendo che non volevo prendessi freddo. Era una scusa per fare in modo di avere ancora il tuo profumo vicino a me, perché non voglio dimenticare niente di te.

Sono stato tuo, completamente, e tu sei stata mia, almeno fino a che non è arrivato lui nella tua vita, perché so che è a causa sua se la mattina mi sveglio in un letto che non è il nostro, senza te al mio fianco. Non l'hai mai confessato apertamente, non l'hai mai nemmeno accennato, ma da quando è arrivato nella tua vita, ogni tuo gesto, ogni tuo atteggiamento, è cambiato lentamente, ma inesorabilmente.

L'hai allontanato dalla nostra vita, ma credo tu non abbia potuto allontanarlo dal tuo cuore.

È troppo difficile stasera Kate...

22 ottobre

Non abbiamo mai trascorso così tanto tempo al telefono come ieri. Mi mancava da morire parlare così con te, mi mancava da morire il suono della tua voce e della tua risata e, fare l'intero tragitto dall'aeroporto fino a casa, in vivavoce mentre guidavo, è stato un toccasana per il mio cuore ferito.

Abbiamo persino cantato un paio di canzoni che passavano alla radio, divertendoci come non abbiamo mai fatto, e ad ogni minuto felice, sapevo che ne sarebbero corrisposti almeno dieci di tristezza, ma in quel momento non m'importava perché ero di nuovo con te.

Avevamo tutto Kate, tutto quanto. Avevamo costruito qualcosa che stava crescendo sempre di più, avevamo già tutta la strada tracciata davanti a noi, una strada che avevamo progettato insieme, ma tu ad un certo punto hai trovato una deviazione che ti portato sempre più lontano da me, fino a che ti ho persa del tutto.

Ho tentato più volte di ritrovare la strada che mi avrebbe riportato da te, ma c'era sempre qualche ostacolo a dividerci, c'era sempre qualcuno tra noi, e so che, non avrei potuto comunque fare niente per controllare il tuo cuore, ma fa comunque male sapere che ora, anche se non hai lasciato la nostra strada per seguirne un'altra insieme a lui, non sei qui. Non sei con me.

So che sei sola da stasera nel tuo letto, che non l'hai più visto né sentito, e credo che il tuo cuore sia a pezzi come il mio nonostante tu ti tenga tutto dentro, ma io lo so che stai soffrendo, anche se non vuoi confessarlo, anche se continui a fare finta che vada tutto bene mentendo persino a te stessa.

Mi dispiace di aver ceduto alla tentazione, ma la telefonata di ieri è stata devastante per il mio precario equilibrio mentale. Per tutta la felicità che mi ha procurato la tua voce, c'è stato il rovescio della medaglia che mi ha portato in un pub per tentare di annebbiare ogni sensazione legata a te illudendomi di poterlo fare con la ragazza che sta dormendo nel mio letto, di cui non ricordo nemmeno il nome, ma non è affatto servito, perché ho pensato a te per tutto il tempo.

Era lì, seduta da sola, i suoi capelli lunghi così simili ai tuoi, dello stesso colore, e nella mia testa è tornato prepotente a galla il ricordo di quando ci siamo conosciuti, come un déjà-vu, ed io ho visto te seduta su quello sgabello, eri tu. Ti vedo ovunque Kate, in ogni donna come se fosse ancora accanto a me, come se non avessimo mai preso quella stramaledetta decisione di prendere ognuno la propria strada, ma di restare comunque amici.

So che mi vuoi bene, ma non è quello il tipo di sentimento che vorrei da te, e non so nemmeno perché continuo a scrivere tutte queste dannate lettere, perché so che rimarranno per sempre in quel cassetto e che tu non le leggerai mai.

Non ho ancora capito se continuo a scrivere perché non riesco a dormire, o se non dormo perché ho bisogno di scrivere, quello che so, è che manchi come l'aria, e mi sento soffocare ogni notte, e che mi sento un po' meno peggio, quando sul foglio restano le parole che parlano di te.

Ci provo Kate, ma sono ancora bloccato qui, fra il tuo ricordo dei tuoi baci, e il pensiero che non li avrò più.

Tra poco sarebbe stato il nostro anniversario. Saremmo stati a cena fuori, probabilmente sarei stato in qualche libreria a cercare un libro che non hai ancora letto che ti avrei dato a casa, dopo aver fatto l'amore nel nostro letto, e invece sei a casa tua, come io a casa mia, cercando di reprimere il doloro che provo, nel modo peggiore che avessi potuto fare.

Ti amo ancora Kate, ti amo così tanto che il dolore mi sta stringendo un'altra volta la gola. Mi manca l'aria e mentre alzo la testa per respirare più a fondo, lo sguardo mi cade sul corpo nudo di quella ragazza, ma quello che vedo è il tuo corpo, quello che ho potuto tenere stretto tra le mie braccia, che è stato a contatto con il mio, quello che ho potuto avere e che non avrò più e so benissimo che devo accettarlo, che devo accettare il fatto che non potrò mai più averti, che ti persa, ma non è ancora questo il momento perché il dolore è così forte da farmi perdere la lucidità.

Che strada sto seguendo adesso Kate?

12 novembre

I ricordi stasera sono incontrollabili.

Hanno preso il sopravvento e non riesco a fermarli. Ce n'è uno in particolare che non mi lascia in pace, e che sta polverizzando ogni mio tentativo di riconquistare un po' di serenità.

La sera in cui mi hai detto che dovevamo parlare, quando ho davvero realizzato che tra noi era finita, e ho voluto prolungare la mia agonia chiedendoti di rimandare quella chiacchierata al giorno dopo perché non volevo sentire quello che avevi da dire.

Quando siamo andati a letto, ero perfettamente consapevole che quella fosse la nostra ultima notte insieme, l'ho letto chiaramente nei tuoi occhi quando ti ho baciata, quando ti sei lasciata baciare prima di farti stendere accanto a me per poterti tenere stretta, consapevole del fatto che quella sarebbe stata l'ultima in cui avrei potuto farlo in quel modo.

Non ho chiuso occhio quella notte mentre ti abbracciavo, mentre ti guardavo dormire, perché non volevo sprecare quel poco tempo che ancora mi avevi concesso e non avrei mai immaginato che quel momento sarebbe arrivato anche per noi, quel momento in cui è arrivata la parola fine a porre termine alla nostra storia.

Sapevo che, quando sarebbe arrivato il giorno seguente, quando la luce avrebbe iniziato a filtrare dalle tende, il noi che avevo sperato durasse tutta la vita, sarebbe inevitabilmente svanito insieme al buio della notte, ingoiato dalla luce del giorno. Un nuovo giorno sarebbe sorto, ma sarebbe stato un giorno che non ci avrebbe più visti insieme.

Quella notte mi sono goduto ogni attimo, ogni tuo minimo movimento continuando a guardarti dormire tra le mie braccia, a guardare quanto fossi incredibilmente bella e perfetta illuminata dalla tenue luce che avevo acceso sul comodino.

Non ho mai pianto per averti perso, ma lo sto facendo ora. Ho sempre avuto una piccolissima speranza di un tuo ripensamento anche se, razionalmente, ho sempre saputo che non saresti tornata indietro, perché quando ami, lo fai per davvero, senza riserve, come hai fatto con me, o come hai fatto poi con lui.

Ed è per questo che continuo a scrivere queste lettere che non leggerai mai, solo per poter avere l'illusione di averti con me per qualche minuto. Ti amo ancora Kate...

3 dicembre

Stasera siamo usciti per festeggiare il tuo compleanno.

In realtà non eravamo soli.

C'erano anche Yuri, James, e tua sorella con il fidanzato, ma io riuscivo a vedere solo te con addosso quel vestito blu che non ti avevo mai visto prima.

Eri bellissima, più bella del solito, e non solo per il tuo aspetto fisico. Stasera eri radiosa, i tuoi occhi brillavano di gioia per il fatto di avere intorno a te tutte le persone a cui tenevi di più. Ti ho guardata sorridere a tutti, e anche a me, ti ho ascoltata mentre provavi a cantare una canzone del karaoke sul quel piccolo palco insieme a James e riuscivo a vedere quanto ti stessi divertendo.

Non riesco a guardarti senza sentire il rumore del mio cuore che si spezza, eppure non riesco a smettere di farlo, non riesco a starti lontano e mi costringo a fare finta che tutto questo mi stia bene perché proprio non riesco a sopportare l'idea di non vederti più, di non sentire più la tua voce o la tua risata.

Sono decisamente patetico e forse anche ridicolo, ma non m'importa. Ho ancora bisogno di te nella mia vita e fino a che me lo permetterai, starò al tuo fianco, come stasera quando ti ho accompagnata a casa, quella che una volta era la nostra casa.

Il dolore che ho provato nel vederti scendere dalla macchina ed entrare senza di me che restavo a guardarti da dietro al finestrino, è stato come se tu avessi infilato la mano nel mio petto e mi avessi strappato via il cuore un'altra volta, ma non ti incolpo di questo, perché so perfettamente che sono io a cercarmi tutto questo, sono io che ho insistito per accompagnarti, e la nostra piccola e intima chiacchierata durante il tragitto dal pub a casa, è valsa decisamente la pena per aver provato quel dolore nel vederti andare via.

Ti ho avuta per me, anche se è stato solo per poco più di venti minuti, ma in quei dannatissimi venti minuti eri di nuovo con me, senza nessun altro tra noi. Non c'era lui a rubare ogni tuo pensiero, c'eravamo solo io e te. Sorridevi con me e a causa mia, e so che stasera mi sono fatto male più del solito, ma adesso riesco ad aggrapparmi con ogni forza che ho a quei sorrisi, e so che posso continuare ad amarti, perché non saprei come fare per reprimere quello che ancora provo per te.

Buon compleanno Kate.

26 dicembre

Questo è stato il primo Natale senza.

Senza di te.

Senza sorrisi, senza gioia, senza regali, senza pranzi con i genitori, senza potermi svegliare e baciarti sotto le coperte per farti gli auguri come facevamo quando c'era troppo freddo per uscire dal letto.

Avrei volentieri passato la giornata a casa, sarei andato a dormire presto, probabilmente non avrei nemmeno aperto le tende alla finestra, e avrei finito con il piangermi addosso guardando continuamente le nostre foto insieme, ma evidentemente Jake, l'unico amico che mi è rimasto, l'unico che ancora mi sopporta, non era della stessa idea e mi ha costretto ad andare da lui. Alla fine sono stato contento di essere andato a casa sua, altrimenti il mio cervello sarebbe collassato irreparabilmente.

È grazie a lui che sono qui a scrivere di te senza litri di alcool in corpo, e non lo ringrazio mai abbastanza per quello che fa per me.

Manchi Kate.

18 febbraio

Il pensiero di te va e viene nella mia mente dove ti aggiri libera prendendoti tutto lo spazio che trovi disponibile. Non riesco ancora a fermarti, ma ci sono stati un paio di giorni in questa settimana, in cui sono riuscito a non pensare affatto.

Non stavo bene comunque perché non potevo esprimere alcun pensiero di nessun tipo, e ho dovuto confinare tutto in un angolo della mia mente, ma almeno sono riuscito a respirare senza sentire quella fitta che sempre accompagna ogni mio movimento a causa di quella ferita al cuore che ancora non vuole rimarginarsi.

Ma forse sono riuscito a farlo perché ho passato l'intera settimana a Bristol e Jake mi ha tenuto sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro e non ho potuto mai cedere alla tentazione di chiamarti, cosa che sarebbe successa spesso se il mio migliore amico non mi avesse sequestrato il cellulare.

Sono tornato da due ore nel mio appartamento e, nonostante tutte le raccomandazioni di Jake, so che non resisterò ancora a lungo senza avere tue notizie, senza sapere cos'hai fatto in questi giorni. Credo che ti chiamerò esattamente appena smetterò di scrivere queste poche righe perché ho bisogno di sentire la tua voce.

Quando smetterà tutto questo? Quando smetterò di amarti così tanto? Probabilmente non smetterà niente, forse devo solo imparare a conviverci e forse lo farò domani.

Adesso però ti chiamo.

18 febbraio (ancora per pochi minuti)

È quasi mezzanotte, dovrei andare a dormire, ma proprio non ci riesco.

Ti ho chiamata, mi hai risposto con una gioia nella voce che non ti sentivo da tanto, e a dire la verità ho avuto paura.

Paura che lui avesse preso il mio posto, ma non era così. Eri solo felice di sentirmi dopo una settimana di silenzio e non ho resistito dall'invitarti a cena. È più forte di me, quando ti sento, quando la tua voce arriva dritta al mio cervello, ogni parte del mio corpo riprende vita, ed io non riesco a controllare più niente.

Stasera è stato tutto perfetto. Parlare, ridere, scherzare, è stato tutto più bello. Ho assaporato ogni cosa, ogni gesto, ogni parola, e cazzo se ci ho provato ad esserti amico. Ci provo da mesi, ma il mio corpo non recepisce quella parola quando si tratta di te, e anche se m'impongo di non pensare a te in un certo modo, non mi è proprio possibile farlo.

Quando mi hai preso sotto braccio mentre camminavamo verso casa tua, il mio corpo si è accesso improvvisamente, per non parlare di quando mi hai abbracciato poco prima di entrare nel portone. È per questo che non ho potuto salire da te come mi avevi chiesto, perché a parte il fatto di tutti quei ricordi racchiusi in quell'appartamento, non ero assolutamente in grado di continuare a parlare e ridere con te in maniera così leggera come abbiamo fatto per tutta la durata della cena.

Ma sono certo di aver fatto un passo avanti con te.

Sono riuscito a mantenere il controllo per tutta la serata, almeno fino a quando mi hai toccato, ma ce la posso fare. Posso riuscire a starti accanto senza crollare come un castello di carte al primo soffio di vento.

Ti chiamo domani Kate, e anche dopo domani.

Buonanotte.

18 maggio

Possiamo andare oltre Kate.

Sei sempre lì, sempre fortemente presente in ogni meandro del mio cervello, ma sto riuscendo a costruire una sorta di ammortizzatore da tenere stretto intorno al mio cuore spezzato, che tenta di trattenere i balzi che fa quando ancora ti vede sorridere come ieri sera quando sono passato da te in agenzia.

Quando al telefono mi hai detto che saresti stata da sola a chiudere il negozio perché la tua nuova collega aveva dovuto andare via prima del previsto, non ce l'ho fatta a restare a casa, ho infilato un paio di jeans e sono venuto a prenderti a tua insaputa e vedere il tuo sorriso mentre entravo, ha ripagato ogni momento negativo dei giorni precedenti.

Mi manchi ancora da morire Kate, ma il tuo sorriso inizia ad aggiustare le ferite.

7 luglio

Abbiamo davvero parlato stasera.

Non che non l'avessimo più fatto, ma stasera non abbiamo solo chiacchierato, come due semplici conoscenti, che era un po' quello che avevo paura diventassimo noi due.

Hai parlato con me, ed io non mi sono rotto un'altra volta in mille pezzi. Poi sono riuscito a parlare con te, e tu mi hai sorriso, mi hai tenuto stretta la mano come se potessi scappare da un momento all'altro, ma non avrei mai potuto farlo.

Abbiamo affrontato un'altra volta l'argomento della nostra separazione, ma con una maggiore serenità nel cuore. Quella per cui ci saremo sempre l'uno per l'altra, ed è stato in quel momento che ho davvero realizzato che mi hai sempre amato, lo fai anche adesso, in modo diverso, ma lo fai, e ho capito anche quanto tu sia stata fedele a me e alla nostra relazione.

Non avevo realmente dei dubbi in proposito, ma sentirtelo dire mentre il tuo sguardo era nel mio, mentre potevo leggere tutta la sincerità di cui sei capace nei tuoi occhi, ascoltarti con uno stato d'animo un po' meno tormentato, mi ha fatto incredibilmente bene.

Avevo creduto che il mio compleanno, quest'anno, sarebbe stato distruttivo, e invece mi hai regalato una serata indimenticabile. Ti sto ritrovando Kate, sto tornando da te.

2 settembre

Un anno fa oggi, credevo che non sarei più riuscito a risalire dal baratro in cui stavo velocemente scivolando. Credevo di non farcela senza di te, ho vissuto il tuo allontanamento da me come un abbandono. Negli ultimi periodi che stavamo insieme, ti sentivo sempre più fredda e sempre più distante ad ogni giorno che passava, sapevo che stava per finire, ma non riuscivo ad accettarlo e chiudevo gli occhi davanti a tutto per far finta che tutto andasse bene.

Fingevo di non notare il tuo sguardo quando leggevi un suo messaggio, eppure la luce che ti illuminava gli occhi in quel momento, era così brillante da illuminare tutta la stanza.

Fingevo anche quando uscivi con lui. Fingevo che non m'importasse, fingevo di aver avuto degli imprevisti per non dovermi unire a voi. Vedervi insieme era straziante per me. Avete sempre avuto un feeling particolare nel quale nessuno riusciva ad entrare, ed io non lo sopportavo.

Fingevo che mi stesse bene la vostra amicizia, sapendo che almeno da parte tua, non fosse solo amicizia, ma ci fosse molto di più dietro, e lo facevo perché avevo paura che se ti avessi parlato dei miei timori e tu li avessi confermati, sarebbe stato decretare la nostra fine, e non avevo alcuna intenzione di farmi del male da solo.

Mi sono illuso che se non avessi fatto niente, non sarebbe successo niente, ed è stato un grave errore da parte mia. Mi sono chiesto per mesi se avessi potuto fare qualcosa per salvare il nostro rapporto, mi sono torturato mentalmente dandomi colpe che mi sono poi reso conto di non avere, perché sono certo che, qualunque cosa avessi fatto per tentare di salvare il nostro rapporto, non sarebbe servita a niente, perché tu ti sei innamorata di lui, e so che hai fatto di tutto per impedirlo, ma non ci sei riuscita.

Ti ho vista tentare di non pensare, di non vederlo, ma il cuore è il cuore, ed io per primo so benissimo che non puoi comandarlo, perché per quanto abbia provato ad odiarti per tutto quello che è successo, non ci sono mai riuscito. Sei sempre stata corretta, ed è per questo che sapevo di potermi fidare sempre, e so che posso farlo ancora.

Sono quasi le otto, sto per uscire e tra poco meno di mezz'ora saremo di nuovo seduti insieme allo stesso tavolo per cenare nel nostro ristorante, ma stavolta da amici, insieme a Yuri, James, Lizzy e il suo ragazzo.

Ti ho promesso che ci avrei provato, che ti sarei stato amico, e voglio mantenere la mia promessa per restarti accanto in ogni momento nel quale avrai bisogno di me, per poter contare su di te quando ne avrò bisogno.

Sei sempre con me, lo sei sempre stata, e lo sarai sempre. Probabilmente, se me ne dessi l'occasione, tornerei indietro immediatamente, ma so che non succederà, e ti amo anche per questo, perché il tuo cuore ama davvero, senza riserve.

Ti amo Kate, ti amo ancora, probabilmente ti amerò sempre, ma provare ad essere amici è la soluzione migliore per non perderti, per tenerti ancora vicina.

Dieci minuti e sono te.

Arrivo Kate... 

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Capitolo 9
*** Details ||H.S.|| ***


Dedicata a te @mononokehime_
(la mia ispirazione per questa one-shot
e il mio capo revisore.
Grazie di esserci)
***
I legami che ci vincolano a volte sono impossibili da spiegare
ci uniscono anche quando sembra che i legami si debbano spezzare
certi legami sfidano le distanze e il tempo e la logica
perché ci sono legami che sono semplicemente destinati ad esistere!
Grey's Anatomy
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Mi sento un pesce fuor d’acqua tra tutti queste luci, gente che corre a destra e sinistra, la ragazza che mi ha ritoccato il trucco un paio di volte; non sono affatto abituata a tutte queste attenzioni su di me. La cosa che più mi spaventa è quella telecamera che punta dritto verso di me, impietosa e senza un briciolo di umanità.
Stamattina, quando la sveglia ha suonato, ero già in piedi da un paio d’ore, alle prese con il mio terzo o forse quarto caffè, e non mi sono mai sentita così nervosa come oggi ‒ nemmeno quando sono stata dal mio editore per la prima volta per firmare il contratto che avrebbe visto pubblicato il mio libro, o durante i numerosi firma copie che mi hanno visto protagonista in giro per l’Inghilterra durante gli ultimi mesi, nei quali ho incontrato tantissime persone.
Non mi sarei mai aspettata tutto questo quando ho iniziato a buttare giù le prime righe sul blocco note del cellulare, come pensieri sparsi per tenere a mente ogni dettaglio vissuto nel periodo più felice della mia vita, perché sono stati proprio i dettagli ad avermi fregato in pieno. Come quando metti lo zucchero a velo su un dolce finito, o quando metti dei fiori freschi al centro del tavolo, oppure un piccolo ciondolo al braccialetto, come quello che non ho mai smesso di indossare. Ecco… lui è sempre stato come quei dettagli che migliorano, quelli che rendono tutto più bello.
Quel braccialetto, quello che lui mi ha regalato per il primo Natale che abbiamo trascorso insieme, l’ho agganciato al polso anche stamattina, come faccio ogni giorno. È proprio quel piccolo ciondolo che continuo a torturare per confortarmi, quello a forma di hamburger a ricordare il nostro primo bacio quella sera in quel fast food.
 
«Tu credi che vada bene così?» Mi giro verso Maddie, la mia migliore amica dai tempi dell’asilo.
«Nicole… stai andando al Burger King, credo proprio che jeans e maglietta siano decisamente adatti» sbuffa alla mia ennesima richiesta da quando è entrata nella mia camera.
«Voglio essere perfetta, Mad… finalmente mi ha chiesto di uscire e non voglio che qualcosa vada storto.» La guardo mentre lei alza leggermente gli occhi al cielo scuotendo la testa e mostrandomi quel sorriso che usa quando vuole prendersi scherzosamente gioco di me.
«Adesso calmati, ok? Tu gli piaci, e non gli importerà di cosa indossi… tanto sono sicura che ti toglierà tutto.»
Ridiamo insieme alla sua battuta mentre mi tira giù con lei sul letto straripante di indumenti tirati fuori a caso dall’armadio e abbandonati sopra le coperte.
«Credi che andrà bene, Mad?» le chiedo quando abbiamo smesso di ridere, voltandomi appena dalla sua parte.
«Credo che sarà perfetto» mi risponde sorridendomi sinceramente.
Ed io le credo, voglio crederle, perché ho una cotta per lui da quando ho memoria; ieri, a scuola, quando si è fermato vicino al mio armadietto come fa tutte le mattine e mi ha chiesto di uscire credo di aver perso l’uso della ragione. Gli ho risposto quasi balbettando mentre lui non la smetteva di sorridere, forse anche per le mie guance che stavano andando a fuoco; poi quando si è allontanato avrei solo voluto prendere a testate lo sportello d’acciaio dell’armadietto per la vergogna.
Lo conosco da sempre, abbiamo frequentato gli stessi posti, ma ognuno ha condotto la propria vita, le nostre strade non si sono quasi mai incrociate, anche se sono state quasi sempre parallele. Quest’anno, però, sembra che tutto sia cambiato. Io non lo vedo più come un compagno di scuola; sembra diverso, o forse è diverso solo ai miei occhi.
«È arrivato!» urla Mad dopo essersi affacciata alla finestra della mia camera da letto.
Chiudo gli occhi, quindi inspiro una gran quantità d’aria. Poi espiro, cercando di calmare l’agitazione che sto provando in questo momento, ma non ottengo l’effetto sperato. Le mani sudano, il cuore batte forte e ho una gran paura di fare una figuraccia.
«Augurami in bocca al lupo» dico alla mia amica in piedi di fronte a me.
«Non ne hai bisogno, Nicole.»
Mi abbraccia, poi mi accompagna alla porta di casa. Saluto mamma ed esco andando verso la sua macchina sulla quale salgo con una paresi sul volto a forma di sorriso.
«Ciao…» mi dice guardandomi dritto negli occhi.
«Ciao…» gli rispondo. Stasera è più bello del solito, o forse è il filtro rosa a forma di cuore dei miei occhi che lo vede più bello; so solo che non vorrei essere in nessun altro posto che non sia qui con lui.
 
Per tutta la sera non aveva fatto altro che guardarmi negli occhi come se volesse comunicarmi quello che stava provando, ed io ero stata talmente ipnotizzata da quel verde così brillante e acceso che, quando si era alzato in piedi allungandosi sul tavolino nella mia direzione, ero rimasta immobile con il mio hamburger ancora in mano fino a quando avevo sentito la sua mano sul mio viso. A quel punto era stato come se avessi risposto ad una tacita richiesta, e mi ero protesa leggermente verso di lui che aveva posato le sue labbra sulle mie.
Credevo che sarei svenuta da lì a breve per quel bacio così improvviso e così dolce, ma atteso da tempo. Ricordo ancora cosa mi disse immediatamente dopo.
 
«Scusa… non ne potevo più di continuare a guardare le tue labbra senza sapere che sapore avessero…»
 
«Cinque minuti!»
I miei pensieri vengono interrotti dal vocione di un tizio che urla al centro dello studio di registrazione attirando l’attenzione di tutti i presenti. Smetto di torturare quel piccolo ciondolo e, non appena la ragazza del make-up mi dà un’ultima controllata, mi siedo sulla poltroncina rossa a me destinata in attesa della conduttrice.
Quest’intervista non era in programma; niente in realtà lo è da quando il mio editore ha deciso di pubblicare il libro che ho spedito alla casa editrice solo per una sfida a Mad ‒ che continuava a dire che sarebbe stato un successo, mentre io cercavo sempre di smorzare il suo entusiasmo. Alla fine ha vinto lei.
Da allora tutto è cambiato nella mia vita. Non avrei mai creduto che quelle pagine, scritte per gioco, per esorcizzare la mancanza che sentivo ‒ e che sento ancora ‒ di lui, potesse portare tutta questa popolarità.
E invece eccomi qui, nel vestito elegante di scena che ha scelto per me la costumista, ben truccata, ben pettinata, seduta in attesa di parlare di me, perché è di questo che si tratta. Il libro che ho scritto parla di me, di lui, di noi, e non c’è più modo di nasconderlo.
«Ciao Nicole, scusa il ritardo…»
Mi volto nel sentire la voce di Kimberly, la biondissima conduttrice di questo programma, che arriva trafelata ma con un gran sorriso.
«Figurati…» non mi dispiace essere rimasta un po’ da sola, ho avuto modo di raccogliere un po’ le idee.
«Hai dato un’occhiata alle domande?» mi chiede, sedendosi proprio di fronte a me.
«Sì, me le ha fatte leggere il mio editore stamattina»
È davvero bella nel suo tailleur bianco.
«Perfetto… Julie puoi portarmi un po’ d’acqua?» Si rivolge a qualcuno del suo staff mentre io riprendo a stringere tra le dita il piccolo hamburger appeso al mio braccialetto. «Sono arrivata di corsa e ho la gola secca, ne vuoi un po’ anche tu?» mi domanda tra una pennellata di fard e l’altra, mentre la ragazza del make-up porta a termine il suo lavoro.
«No, sto bene così, grazie.»
In realtà non sto propriamente bene, ma è una cosa che per contratto devo fare, quindi me la farò andare bene comunque. Non amo particolarmente stare davanti alle telecamere, non quanto lui.
 
«Nicole! È iniziato!» Mad mi chiama a gran voce mentre sono in cucina a preparare un po’ di tè caldo e mi metto praticamente a correre non appena la sento.
Mi fiondo sul divano insieme a lei, inchiodando lo sguardo allo schermo della televisione dove stanno trasmettendo l’intervista che stavamo aspettando di guardare.
«Dio, quanto è bello…» mi lascio sfuggire ad alta voce, mentre Mad non fa altro che alzare gli occhi al cielo ogni volta che lo dico.
«Che palle che sei, Nicole…» si lascia andare all’indietro contro lo schienale.
«Stai zitta adesso, Mad!»
Sono concentrata su ogni sua parola, su ogni sua espressione, su ogni suo piccolo movimento e su ogni suo tatuaggio, soprattutto quello che ha sulla mano ‒ perché, quando l’ha fatto, ero con lui. Quella piccola croce che ha sulla mano sinistra l’ha fatta per ricordare questo periodo dell’anno, perché Natale è il “nostro” periodo dell’anno.
Le domande che gli fanno sono sempre le stesse, ma lui risponde ogni volta con il suo meraviglioso sorriso e con gentilezza mentre parla delle sue canzoni e del suo ultimo album. Sta annunciando le date del tour, ed io sono assolutamente ipnotizzata da ogni cosa che lo riguarda.
 
«Nicole?» Kimberly sta sventolando una mano davanti al mio viso.
«Scusami, ero sovrappensiero…» cerco di darmi un contegno per sembrare professionale.
«Dicevo… possiamo iniziare?»
Faccio cenno di sì con la testa, nella speranza che i ricordi mi diano tregua, per riuscire ad arrivare alla fine di questa intervista. «Siamo pronte!» dice a qualcuno dietro le telecamere.
Kimberly parte con un piccolo monologo, presentandomi agli spettatori che guarderanno il suo programma con qualche notizia base; so che in questo momento devo solo sorridere e annuire fino a quando non iniziano le domande vere.
«Allora, Nicole, cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?»
Sento dei rumori provenienti dal fondo dello studio, ma so che non mi devo far distrarre da niente. Mi hanno avvisato che, qualunque cosa succeda, devo restare concentrata su Kimberly; saranno poi loro ad aggiustare l’audio prima della messa in onda.
«È stata la voglia di mettere nero su bianco le emozioni che mi hanno portata ad essere quella che sono oggi.» La mia voce trema appena, non credevo sarebbe stato così difficile.
«Cosa ti ispirato in particolare?» Kimberly accavalla le gambe con eleganza mentre mi sorride.
«È stato il mio vissuto ad ispirarmi…»
«Possiamo definirlo un libro autobiografico?» incalza lei.
«Sì, possiamo definirlo così. Parla di me e di una persona che è stata molto importante nella mia vita. Parla di un amore vero, sincero, che ha incontrato delle difficoltà… come credo succeda a tutti.»
Non l’ho mai dimenticato e mai riuscirò a farlo.
 «E il tuo amore si è concluso come nel libro?» Kimberly sorride ancora portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio, dimostrando con le sue parole di conoscere il finale della storia di cui ho raccontato nelle pagine che stringe tra le mani.
«Non ho avuto il mio ‘e vissero felici e contenti’, ma lui rimarrà comunque una persona speciale per me.»
Non so se mai vedrà questa intervista, non credo gli interessino i libri d’amore e non credo abbia tempo per leggerli, dati i suoi numerosi impegni in giro per il mondo.
Da quando ha vinto XFactor la sua vita è cambiata. Da un giorno all’altro è praticamente stato risucchiato dal mondo della musica e, per quanto ci abbiamo provato, per quanto abbiamo tentato di far funzionare le cose, ci siamo inevitabilmente persi, anche se non ho mai perso la voglia di stare con lui.
Ho frequentato altre persone, come d’altra parte ha fatto lui, solo che tutte le sue relazioni erano sempre sotto ai riflettori a differenza delle mie; inoltre, per ognuna di quelle relazioni, ho sofferto come non avrei dovuto fare ‒ ma il mio cuore è suo, lo è sempre stato e sempre lo sarà –.
Il resto dell’intervista prosegue a ritmo serrato, domande e risposte in continua successione, domande che mi sono studiata prima di questa registrazione, domande a cui sono preparata; tuttavia Kimberly d’un tratto mi lascia di stucco con l’ultima domanda non prevista.
«Bene, Nicole, adesso che sappiamo tutto su questo libro nessuno potrà esimersi dal comprarne una copia; magari come regalo di Natale, visto che manca così poco, ma quello che vorrei davvero sapere…» si avvicina un po’ ed inizia a parlarmi sottovoce, come se fossimo sole e stessimo spettegolando sul vicino di casa «…è il nome di quest’uomo così meraviglioso di cui racconti nel libro» mi sorride maliziosa mentre io resto quasi senza fiato per questa domanda fuori programma che mi manda letteralmente in confusione.
Mi volto verso la mia agente rimasta in piedi vicino alla telecamera per tutta la durata dell’intervista. Abbiamo ideato dei segni con cui possiamo parlare in codice di fronte alle persone senza che gli altri capiscano. La sto guardando, implorandola con gli occhi di aiutarmi, perché io non voglio assolutamente rivelare il suo nome. Lei punta il suo dito indice verso di me, segno evidente che mi sta dicendo che la scelta è solo mia e, a quel punto, riprendo possesso di quella poca sicurezza che ancora mi resta e pronuncio le uniche parole che mi sento di dire.
«Non è importante chi, quello che conta davvero è il messaggio che voglio dare alle persone che leggono questo libro. Bisogna lottare per quello in cui si crede, che sia un amore, un’amicizia o il sogno di una vita, non bisogna mai smettere di crederci.»
Kimberly si allontana un po’ osservandomi con attenzione.
«E tu ci credi ancora?» Insiste, ma lo capisco, è il suo programma televisivo; è giusto così.
«Sempre.» Sorrido ampiamente alle mie parole, perché è davvero così. Nel mio cuore, la speranza di poterlo avere di nuovo per me non svanirà mai.
Nonostante non lo abbia più sentito da talmente tanto tempo che non ricordo nemmeno quanto ne sia passato, io ci credo ancora in quel noi, perché è l’unico modo che conosco di amare.
L’intervista è finalmente finita, la registrazione anche; dopo aver salutato la conduttrice e lo staff dietro le telecamere, io e la mia agente Mavis ci rechiamo nel camerino dove potrò indossare nuovamente i miei abiti e tornare nel mio anonimato.
«Questa era l’ultimo impegno per quest’anno, adesso potrai goderti un po’ di meritato riposo» mi dice Mavis con un gran sorriso ad illuminarle il volto. Lei sa quanto non sopporti stare sotto i riflettori.
«Grazie Mavis, non ne potevo più…»
Mi aiuta con la cerniera del vestito, poi lo tolgo e lo appendo sulla gruccia iniziando ad indossare i miei jeans mentre sento il suo telefono squillare.
«Torno subito, devo rispondere» mi dice uscendo dal camerino chiudendosi la porta alle sue spalle, ed io finisco di vestirmi per poi sedermi di fronte allo specchio; torno a prendere in mano una copia del mio libro lasciata sul ripiano di fronte a me e lo apro ad una pagina a caso per mettermi a leggere.
 
Oggi fa freddo, il solito freddo pungente di Londra, e sono davvero stanca di girare alla ricerca del regalo perfetto per Maddie. Ho appena deciso di rimandare a domani, quando il telefono si mette a suonare avvisandomi di una chiamata in arrivo.
«Ehi…» rispondo sorridendo dopo aver letto il nome sul display. Non lo vedo da due giorni e sono impaziente che arrivi stasera, perché mi ha detto che starà da me.
«Dove sei?»
La sua voce è stata una delle cose che mi ha fatto innamorare di lui. Così lenta e graffiata da entrarti sotto la pelle.
«Sono in centro, tu dove sei?»
Mi fermo al semaforo rosso in attesa di attraversare. Probabilmente è appena uscito dalla sala prove dove si è rinchiuso un paio di giorni fa per prepararsi al provino.
«Dove vorresti che fossi?»
Riesco a sentirlo poco a causa del traffico che popola le strade della città nei giorni prima del Natale.
«Vorrei che fossi già a casa mia ad aspettarmi.»
Non vedo l’ora di vederlo, mi manca incredibilmente tanto.
Quello che è nato come un bel sentimento tra due ragazzi del liceo è diventato un amore profondo, immenso e credo eterno.
«Casa tua è parecchio lontana dal centro… non vorresti che fossi più vicino?»
Mi stringo un po’ di più nel mio cappotto a causa di una folata di vento improvvisa mentre la folla di gente si accalca intorno a me, pronta per attraversare.
«E me lo chiedi anche? Certo che vorrei che fossi più vicino.»
Il rosso del semaforo sta per diventare verde.
«E allora girati…»
Il tempo si congela… io mi congelo, restando immobile e totalmente confusa a quelle parole. Le persone intorno a me iniziano a camminare verso l’altro lato della strada, come stavo per fare anche io, ma le sue parole, che sembra stiano ancora rimbombando nella mia testa, mi hanno bloccata sul posto facendomi muovere come al rallentatore.
Mi volto, lentamente, tenendo ancora ben saldo il cellulare a contatto con l’orecchio. Le persone camminano svelte alla mia destra e alla mia sinistra, non riesco a vedere oltre la piccola calca fino a quando ogni passante si disperde, lasciandomi vedere la persona appoggiata alla cabina telefonica rossa con il telefono in mano e quel sorriso che mi ha fatto perdere la testa.
«Credo tu non sia abbastanza vicino…» gli dico senza riuscire a fare un passo, restando a fissarlo come se lo vedessi per la prima volta con addosso il suo cappotto nero.
«Credo tu abbia ragione…»
Fa qualche passo nella mia direzione, sempre lentamente e senza smettere di tenere i suoi occhi verdi nei miei, fino ad arrivare esattamente di fronte a me che non mi sono mossa di un millimetro.
«…Adesso credi possa andare bene?»
Abbiamo ancora entrambi il telefono in mano, appoggiato all’orecchio, occhi negli occhi. Non so come abbia fatto a trovarmi e adesso nemmeno mi importa, perché lui è qui ed io posso tornare a respirare.
«Credo che tu possa fare di meglio» lo sfido scherzosamente. Non ha ancora riagganciato, nemmeno io l’ho fatto, ed averlo a pochi centimetri da me mi manda fuori di testa per non aver potuto stare con lui per più di quarantotto ore.
«Tu dici?» Sorride, le sue fossette diventano evidenti, e non c’è più niente che possa tenermi lontana da lui.
«Dico…»
Metto il telefono in tasca, senza nemmeno chiudere la conversazione; lui imita il mio gesto senza smettere di tenere i suoi occhi fissi su di me come se non ci fosse niente e nessuno intorno a noi e, nel momento in cui le sue mani sono libere, prende il mio viso posandovi sopra delicatamente i palmi per guardarmi ancora per poi baciarmi subito dopo senza aspettare un secondo di più, con forza, passione e delicatezza al tempo stesso per un tempo che mi sembra infinito. Lui ha questo potere, mi fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio quando è con me.
«Questa distanza è accettabile» replica lui, restando a pochi millimetri dalle mie labbra.
 
Sorrido al ricordo di quella giornata, chiudendo la pagina per posare nuovamente il libro sul ripiano insieme al resto delle mie cose. Questo è il periodo dell’anno in cui mi manca di più, perché è proprio in questi giorni che ‒ qualche anno fa ormai ‒ la nostra storia è cominciata, ed è sempre in questi giorni che è finita.
Lui è in grado di rendere speciale tutto ciò che tocca e ciò che guarda; ogni cosa che fa è straordinaria, grazie a tutte le piccole cose come quella che ha fatto quel giorno. È grazie alle piccole cose, ai dettagli ai quali ha sempre prestato grande attenzione, che è riuscito a rendere eccezionale tutto quello che ha fatto e che continua a fare nella vita.
Si è sempre ricordato della mia mania di volere un cucchiaino di cannella nel cappuccino quando andavamo a fare colazione fuori, di mettere la pallina rossa che lui aveva fatto all’età di sette anni sull’albero di Natale, di quanto io adori mettere i pantaloni del pigiama dentro i calzettoni di lana ‒ ricordo che una volta l’ha fatto anche lui, durante una serata che abbiamo passato a casa sua –.
Si ricordava di come ho sempre detestato vedere i quadri storti alle pareti, e quando succedeva che ne vedessi uno nelle case dei nostri amici si alzava a raddrizzarlo per me perché sapeva quanto la cosa mi infastidisse.
Mi sono chiesta spesso in questi anni cosa sarebbe successo se avessi agito diversamente, se l’avessi seguito in giro per il mondo come avrebbe voluto che facessi; non so nemmeno se pensa ancora a me durante le sue giornate, o mentre scrive le sue canzoni che parlano chiaramente di sé stesso, canzoni nelle quali io riesco a cogliere alcuni particolari che non tutti possono capire, perché lui è stato mio una volta e mi ha permesso di entrare nel suo cuore, nella sua anima, concedendomi il privilegio di conoscerlo meglio di quanto possano fare tutte le sue fan sparse sul pianeta.
Forse non lo saprò mai cosa sia cambiato in lui e magari lo sto solo idealizzando, ma ho amato la parte di lui che non ha mai mostrato al pubblico, ed è ancora la parte che amo di più a dispetto del tempo e della distanza.
Improvvisamente vengo scossa da tutti i miei pensieri, da qualcuno che bussa alla porta.
«Entra, Mavis, è aperto.»
Finalmente la mia agente ha finito la sua chiamata e possiamo andarcene. Tutti questi ricordi su di lui, ritornati con forza tutti insieme, mi hanno reso particolarmente fragile ‒ questa cosa non è da me. È solo che, quando si tratta di lui, che è sempre stato il mio punto debole, ogni dinamica prende una piega diversa destabilizzandomi completamente.
Mi alzo andando verso i cappotti appesi nell’angolo del camerino, mentre la porta si apre.
«Possiamo andare adesso?» le chiedo senza guardarla, mentre sento la porta chiudersi nuovamente. Indosso il mio cappotto nero sorridendo al ricordo che mi torna alla mente pensando a quando l’ho comprato. Lui era con me quel giorno.
«Possiamo andare dove vuoi…»
Mi blocco all’istante nel sentire quelle parole, ma soprattutto quella voce che da troppo tempo ascolto solo tramite le sue canzoni e le sue interviste.
Sono incredula e allo stesso tempo non vedo l’ora di voltarmi, anche se ho paura di essermi immaginata tutto, ma non resisto, devo saperlo adesso, però, ho bisogno di farlo con calma per riuscire ad assorbire il colpo, quindi, molto lentamente, mi volto nella direzione in cui ho sentito quella voce e resto senza fiato.
È bello, bellissimo. Il suo sorriso è sempre lo stesso, le sue fossette anche, e il verde dei suoi occhi è così luminoso che resto affascinata una volta di più dal suo sguardo.
Dopo mesi di capelli lunghi ora li ha di nuovo corti, le sue mani sono infilate in tasca al cappotto nero. Non indossa niente di appariscente com’è solito fare, forse per passare più inosservato, ma sono contenta che non abbia qualche orribile camicia con la quale l’ho visto spesso in tv, anche se devo sinceramente ammettere che ogni cosa che indossa se la può permettere.
«Ciao Nicole…» dice ancora, perché io sono nel più completo silenzio, nella più totale confusione, e sentire di nuovo il mio nome pronunciato da lui ad una distanza così irrisoria è un colpo davvero duro da sopportare per il mio povero cuore.
«Come… cosa ci fai tu qui?»
Mi do mentalmente della stupida da sola. Avrei dovuto quantomeno salutarlo, ma la fretta di sapere mi ha fatto parlare a vanvera.
«Volevo vederti.»
Fa un passo nella mia direzione mantenendo le mani in tasca.
Cosa dovrei fare? Corrergli incontro? Saltargli in braccio? Non mi aspettavo di vederlo, tantomeno oggi, qui nel camerino dal quale stavo per andarmene, e non so assolutamente cosa fare o cosa dire.
«Come…»
«Come sapevo che eri qui?» finisce per me la frase ed io annuisco in silenzio. Mi sento una completa idiota. «Sei una scrittrice famosa ormai» sorride, ed io mi perdo sul movimento delle sue labbra. «Il mio agente ha chiamato la tua casa editrice ed eccomi qui.»
Fa un altro passo senza mai togliere le mani dalle tasche, e di nuovo le domande si accavallano così in fretta nella mia testa che non so da quale cominciare.
«Ho seguito l’intervista dalla cabina del tecnico del suono» prosegue lui, perché io riesco solamente a guardarlo. «Come stai?» mi chiede senza smettere mai di sorridere.
«A dire la verità, non lo so…»
Non sono mai riuscita ad azionare il filtro bocca-cervello quando lui mi guarda con questa insistenza.  Mi sento come se mi stessi svegliando da un lunghissimo sonno, come ritornare alla vita dopo un lungo letargo durante il quale ogni sentimento ed ogni sensazione venivano espressi al minimo, mentre ora dentro di me sta esplodendo tutto alla massima potenza.
«E tu? Come stai?» gli chiedo, tentando di mettere in moto i miei neuroni che sembra vogliano entrare in sciopero.
Non sono mai riuscita ad immaginare come sarebbe stato il nostro incontro, se mai ci sarebbe stato dopo il suo successo planetario, ma per quanto la mia fantasia abbia corso in questi anni senza di lui di certo questa situazione non è mai stata elaborata dal mio cervellino.
«Sto bene Nicole… ora sto meglio.»
Sto per chiedergli cosa significano le parole che ha appena pronunciato, ma fa un altro passo nella mia direzione, ed è come se i suoi movimenti riuscissero a mettere in crisi la mia capacità di articolare frasi e pensieri.
«Ho… ho sentito il tuo ultimo album.»
Non è che io l’abbia proprio sentito. L’ho memorizzato in ogni nota e parola per la quantità di volte in cui la riproduzione di quell’album è stata avviata sul mio cellulare.
«Ti piace?» domanda speranzoso.
«Sì…» è tutto quello che esce dalla mia bocca, anche se avrei voluto dire che adoro quell’album, le sue canzoni, la sua voce, la sua musica, tutto… adoro tutto… adoro lui.
Fa un altro passo in avanti. La distanza tra noi si sta riducendo sempre di più, ed anche le mie facoltà intellettive sembrano essersi ridotte notevolmente.
«Speravo in qualcosa di più che un sì…»
Alle sue parole, nel mio cervello si accende qualcosa che non riesco ad identificare, e dalla mia bocca escono parole che non sono stata in grado di controllare.
«Perché sei qui?»
Stupida, stupida, stupida!
Non sono per niente amichevole, eppure lui continua a sorridere come se fosse felice di essere qui.
«Ho letto il libro, Nicole. Ho letto di te e di me… ho letto di noi…»
Un altro passo ancora, stavolta ne faccio uno indietro perché la sua presenza mi sta facendo impazzire.
«Cosa ti fa credere che abbia scritto di te?» gli chiedo tentando di depistarlo e mostrando una sicurezza che non pensavo di riuscire a tirar fuori in questo momento nonostante lui faccia ancora un altro passo mentre io non posso più indietreggiare trovandomi ormai contro il muro.
«Perché ho riconosciuto molti particolari che riguardano solo noi, e perché credo che tu sia stata lontana per troppo tempo.»
Abbiamo deciso insieme che sarebbe stato meglio per entrambi pensare ognuno alla propria vita, anche se ero io quella più convinta di questa decisione dato che non ero in grado di sopportare quella distanza che inevitabilmente il lavoro che stava per intraprendere avrebbe portato tra noi. Lui aveva accettato a malincuore la cosa, ma ero convinta che era per lui che lo facevo.
«Forse dovrei venire un po’ più vicino…»
Un ultimo passo ed è ad una distanza tale che riesco a sentire il suo profumo e da qui i suoi occhi sono ancora più intensi. Così intensi che mi sento completamente rapita.
In un attimo, l’atmosfera cambia e mi sento vulnerabile. Improvvisamente, il mio corpo ricorda cosa vuol dire averlo vicino. Solo lui ha sempre avuto questa capacità di riuscire ad accendere ogni interruttore del mio corpo senza nemmeno toccarmi.
«Sì… forse dovresti…»
Le parole escono da sole senza che io possa fermarle o controllarle in alcun modo.
Sono di nuovo i dettagli a riportarci vicini. Mi sembra di rivivere lo stesso momento di qualche anno fa, lo stesso di cui ho letto qualche attimo prima che lui entrasse qui dentro, lo stesso che abbiamo vissuto insieme.
«Credi che così possa andare bene?» mi chiede, facendo un ulteriore mezzo passo che lo porta a pochi centimetri da me.
È come se il tempo non fosse mai passato, come se ci trovassimo catapultati indietro nel tempo. Ogni sentimento, ogni emozione torna a galla prepotente. Mi gira la testa, mi manca l’aria e questa distanza così ravvicinata inizia a farmi sragionare.
Sono quasi due anni che non ci vediamo, dovremmo forse riprendere i rapporti lentamente, come due persone che tornano a conoscersi, e invece vorrei soltanto baciarlo e tornare ad appropriarmi delle sue labbra mentre gli stringo con forza i capelli.
«Forse potresti fare di meglio…»
Poi, il buio.
I miei occhi si chiudono e tutti i miei sensi si concentrano sul contatto delle sue labbra sulle mie, delle sue mani sul mio viso, sul sapore della sua bocca che si impossessa avidamente della mia spingendomi contro il muro ed io che mi aggrappo con forza al suo cappotto per riuscire a sorreggermi dall’ondata intensa di emozioni che mi hanno appena travolto.
«Questa è l’unica distanza accettabile, Nicole, è ora che anche tu te ne renda conto…» sussurra respirando ancora sulle mie labbra, mentre io mi perdo per l’ennesima volta nel verde dei suoi occhi.
«Harry…» riesco a pronunciare solo il suo nome, perché il bacio che mi ha appena dato ha annullato ogni capacità psicofisica che possiedo.
«Abbiamo un tavolo prenotato al Burger King.»
Sorridiamo entrambi alle sue parole.
È il suo modo per dirmi che vuole ricominciare, ed è il modo che amo perché è il suo modo, quello che dà importanza ai dettagli che fanno l’enorme differenza.
Si allontana appena un po’; tuttavia adesso che l’ho ritrovato, adesso che la mia mente e il mio corpo hanno provato di nuovo la sensazione di averlo così vicino, forse non voglio più rinunciarci. Lo afferro per il cappotto, portandolo di nuovo a pochi centimetri dal mio viso e sorridendogli come sta facendo anche lui.
«Mi sei mancato, Harry…»
«Mi sei mancata da morire, Nicole.»
Non so cosa succederà adesso; so solo che lui è qui, il resto lo costruiremo insieme.  


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SPAZIO ME

Breve storia nata da una piccola sfida con mononokehime_ e scritta per "Decibel", la raccolta nata da un'idea di Moonlight92 (vi consiglio di leggerla, ci sono un sacco di belle storie scritte da bravissime autrici)

mononokehime_ la storia è per te, e anche la piccola dedica in alto lo è 😍❤

Grazie 😍

Eeeeee niente, buona lettura.

(-77❤)

 
 

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Capitolo 10
*** Her ***


Vieni, abbattimi,
Seppelliscimi, seppelliscimi
Ho finito con te, con te, con te
Guardami negli occhi
Mi stai uccidendo, mi stai uccidendo
Tutto ciò che volevo eri tu.

The Kill

Thirty seconds to Mars

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Mi guardo allo specchio.
Fatico ancora a riconoscermi.
L’immagine che lo specchio riflette, è solo una brutta copia di ciò che sono stato fino a poco tempo fa.
Il ragazzo dai capelli scuri e gli occhi chiari che vedo, è solo un estraneo, qualcuno che mi somiglia, che indossa i miei abiti e che ha preso il mio posto nella mia vita.
È così, da ormai troppo tempo, tanto che ho perso di vista ogni cosa che non riguardi lei.
Ho trascurato i miei amici, la mia famiglia, il mio lavoro, persino la mia corsa al parco, per ritrovarmi con un pugno di mosche in mano, e delle occhiaie che sembrano ormai far parte di quel viso stanco che stasera non riesco a smettere di fissare. Quello che dovrebbe essere il mio viso, che però sembra quello di uno che non ha più voglia di lottare, di uno che si è arreso, e serro di più la presa delle mani sul bordo del lavandino mentre guardo quegli occhi spenti dicendomi che è arrivato il momento di dire basta a tutto questo.
La telefonata di oggi pomeriggio di Nate, il mio migliore amico, è stata l’ultima di una lunga serie di telefonate che hanno avuto come unico scopo, quello di farmi tornare alla normalità, alla vita che ho dimenticato di vivere a causa della mia infondata convinzione che sarebbe stata lei, e lei soltanto il mio futuro.
Forza Danny… è arrivato il momento” dico mentalmente al mio riflesso.
Stacco le mani dal lavandino, vado in camera e infilo la prima camicia che mi capita in mano sopra la t-shirt nera che sto già indossando. Recupero un paio di jeans puliti, appuntandomi mentalmente che è ora di fare un paio di lavatrici se voglio continuare ad indossare abiti con cui posso stare in mezzo alle persone.
Afferro le chiavi della macchina, quelle di casa, cellulare e portafoglio, poi spengo tutte le luci ed esco. Scendo i pochi gradini che mi portano fino alla macchina parcheggiata in strada, infine salgo sistemandomi alla guida per poi mandare un messaggio a Nate, dicendogli che sto arrivando. Mi ha scritto poco fa, dicendo che lui e gli altri mi aspettano al nostro solito pub per ‘farmi uscire dal guscio’. Sorrido appena, alle parole che ha utilizzato, ma so che non sono del tutto sbagliate.
Questa serata di fine estate è strana.
È strano uscire di casa da solo. È strano non dover spostare dal lavandino tutti i suoi trucchi per cercare la spazzola. È strano ritrovare il sedile del passeggero vuoto. È strano sentire questo silenzio, e non la sua risata a riempire l’abitacolo. È strano prendermi del tempo per me, fare qualcosa solo per me, perché negli ultimi mesi ho vissuto solo per lei.
Arrivo al locale, parcheggio vicino all’entrata principale, ed entro, guardandomi intorno alla ricerca dei miei amici che però non vedo. Prendo il cellulare dalla tasca dei jeans e invio un messaggio.
 
Dove cazzo siete?
 
Sono sicuro di aver capito bene il luogo dell’appuntamento e anche l’orario, ed è decisamente strano che nessuno di loro sia passato a prendermi come hanno fatto ultimamente, e che non siano nemmeno già arrivati.
 
La vedi quella ragazza con i capelli lunghi e scuri
Occhi scuri
Dovrebbe indossare una camicia rossa
 
Alzo gli occhi con aria confusa dopo aver letto il suo messaggio, ed effettivamente c’è una ragazza che corrisponde perfettamente alla descrizione, seduta da sola ad un tavolo, mentre sorseggia birra.
 
Mi avete organizzato
Un cazzo di appuntamento al buio?
 
Sono arrabbiato, furioso. Nate e gli altri sanno perfettamente a che livello sia arrivata la mia avversione per il genere femminile in questo periodo, e loro che fanno? Me ne fanno trovare un esemplare con un’espressione che è il ritratto della felicità, senza neanche parlarne con me!
E, improvvisamente, flash del nostro primo incontro, scorrono veloci nella mia mente.
 
 «Dai Danny, ti vuoi muovere?» La voce di Nate arriva forte, nonostante sia dietro la porta del bagno che sto tenendo ben chiusa perché non ho assolutamente voglia di uscire stasera.
«Nate, lasciami in pace, sono ancora sfatto da ieri sera.» La festa di laurea di Tom è stata solo alcool e, nonostante siano passate più di ventiquattro ore, la nausea mi sta ancora distruggendo.
«Non ci penso nemmeno, vieni fuori di lì o vengo a prenderti personalmente.» Potrebbe essere capace di farlo, quindi mi decido ad aprire la porta e lui è lì, ad osservarmi con il suo sorriso compiaciuto. «Ora vestiti che andiamo… a meno che tu non voglia uscire con quell’asciugamano.» Gli mostro il dito medio con la peggiore espressione di disgusto che riesco a fare. «Ti aspetto di là. Hai tre minuti, dopodiché uscirai così come ti trovi.»
Mi vesto di malavoglia, lasciando l’asciugamano a caso sul letto. Esco dalla mia stanza con la faccia più scoglionata che riesco a fare, ma sembra che il mio metodo di dissuasione non abbia effetto.
Sono costretto ad uscire.
Arriviamo al pub dove troviamo le solite facce. Sarà la solita serata ed io avrei fatto meglio a restare a dormire. Ci facciamo strada tra le persone, ed arriviamo al tavolo dove ci sono già gli altri ad aspettarci e, quando sto per sedermi, tutto assume una luce diversa.
Tutto sembra molto più interessante, non appena i miei occhi si posano su di lei. Credo di non aver mai visto niente di più bello in vita mia. Non riesco a toglierle gli occhi di dosso, nemmeno quando Nate mi chiede qualcosa a cui non presto la minima attenzione, e nemmeno quando lei si accorge che la sto fissando.
Non ho fatto altro in quest’ultima mezz’ora che consumarla con lo sguardo. Se fossi capace di disegnare, sarei in grado di riprodurre ogni dettaglio del suo viso. Dal colore dei suoi capelli, alla forma degli occhi, passando per il modo in cui muove le sue labbra, con cui sorride, proprio come sta facendo adesso, e lo sta facendo nella mia direzione, ed io non posso più restare qui a guardare.
Istintivamente, mi alzo per andare da lei, ignorando i miei amici che continuano a chiedermi dove stia andando. Arrivo al suo tavolo, e ignoro ogni persona seduta con lei, guardandola dritto negli occhi facendole capire che per me c’è solo lei qui dentro.
«Ciao, io sono Daniel» le dico allungando una mano nella sua direzione. Lei sorride di più, poi afferra la mia mano, ed è in quel momento che sento come se una scarica elettrica mi avesse attraversato il corpo.
«April.»
Pronuncia solo il suo nome, ed io non riesco a lasciare la sua mano che continuo a stringere nella mia.
«Vieni con me» le dico senza nemmeno rendermene conto. Stringo un po’ di più la sua mano e, dopo un attimo di incertezza da parte sua, si alza e mi segue fino al bancone dove ci sediamo ordinando da bere.
In un attimo la nausea e la malavoglia di uscire sono scomparse, per lasciare spazio alla serata che mi ha cambiato la vita.
 
La vibrazione del mio cellulare che ho ancora in mano, mi riporta alla realtà.
 
Non te la devi mica sposare
Devi solo rilassarti e pensare a te stesso.
E divertiti una buona volta cazzo!
 
Un altro messaggio di Nate che osservo per qualche secondo per poi riportare lo sguardo su quella ragazza che sembra non voler smettere di sorridere, anche se è da sola.
 
Fottiti
Anzi no, fottetevi tutti quanti
 
So che ha ragione. Ho smesso di sorridere sinceramente da quando lei se n’è andata chiudendo la nostra storia come se avesse chiuso l’ultima pagina di un libro che ha finito di leggere, per riporlo da qualche parte in una libreria e dimenticarselo, lasciandolo lì a ricoprirsi di polvere. La stessa polvere che i miei amici continuano a dire che dovrei togliermi di dosso.
«Fanculo!» Mormoro a denti stretti per poi avvicinarmi al tavolo dove la ragazza con la camicia rossa è seduta.
«Ciao» le dico quando le sono praticamente davanti.
«Oh, ciao. Tu devi essere Danny!» Il suo sorriso si fa ancora più ampio e il tono gioioso della sua voce, mi porta spontaneamente a sorriderle.
Spontaneamente… ho sorriso spontaneamente.
«Sono io.»
 Prendo posto sulla sedia accanto a lei che sembra presa da un entusiasmo che non ho mai visto.
«Ciao io sono Josephine, ma preferisco Josie e dalla tua espressione deduco che non sapessi niente di questo appuntamento.» Mi guarda con aria divertita e di nuovo non posso evitare di sorridere.
«Già…» Romperò la faccia uno ad uno a quei pezzi di bravi ragazzi.
«Ascolta, non è un problema per me. Se vorresti essere da qualsiasi altra parte sulla faccia della terra, piuttosto che qui, tranquillo, possiamo anche salutarci.» Non lo dice con cattiveria, in qualche modo lo percepisco anche non conoscendola.
«Non importa…» Se me ne andassi ora, quegli stronzi dei miei amici me ne organizzerebbero un altro.
Cerco di sorridere, cerco di farlo sul serio, ma non è facile quando i ricordi prendono il sopravvento come stasera.
 
Non ho la minima idea di che ore siano. Fuori è ancora buio, anche se intravedo le prime luci dall’alba. È una delle rare mattine in cui mi sveglio presto, e ne conosco anche il motivo.
Lei sta dormendo qui, accanto a me, per la prima volta da quando ci siamo conosciuti e la sensazione di svegliarmi al suo fianco, supera di gran lunga le mie aspettative.
È distesa su un fianco, mi dà le spalle, ed io posso ammirare la sua schiena magnificamente nuda, ma non resisto alla tentazione, devo toccarla. Allungo una mano, sfioro la sua pelle candida, facendo scorrere le dita sulla linea delle spalle, avanti e indietro. Le prime luci del mattino entrano dalla finestra e la illuminano appena, rendendola ancora più bella.
Ho voglia di guardarla, di vedere il suo viso, i suoi occhi, di vedere di nuovo il suo sorriso, di sentire la sua voce, ed è per questo che la mia carezza leggera, diventa un po’ più insistente. Uso l’intera mano, facendola scorrere sul suo braccio. Inizia a muoversi, la sto svegliando, e non m’importa se è troppo presto, ho bisogno di guardarla negli occhi per avere la conferma che non sto sognando, che ieri sera abbiamo fatto l’amore per la prima volta e che lei ne è felice quanto lo sono io.
«Buongiorno» le sussurro piano all’orecchio.
Lei si volta lentamente verso di me. Sorride, ma tiene ancora gli occhi chiusi. «Ciao… che ore sono?» mi chiede stringendosi a me. Non riesco più a vedere il suo viso, che ora è sul mio petto, ma non importa, perché il contatto del suo corpo sul mio, è decisamente piacevole.
«Non lo so.» La sua mano scivola sul mio fianco, e la sensazione che provo è la stessa di ieri sera. Un piacere intenso, che non ho mai provato con nessun’altra.
«Possiamo restare così tutto il giorno?» Parla direttamente sulla mia pelle, e trovo incredibilmente sexy la sua voce assonnata.
«Possiamo restare così anche tutta la vita.»
 
Lo pensavo davvero. Ero certo che sarebbe durata per sempre. Ho combattuto per lei, come non ho mai fatto per nessun’altra.
«Danny mi stai ascoltando?» Stavolta è la voce di Josie a riportarmi alla realtà.
«A dire la verità no… scusa…» Mi succede spesso di estraniarmi dal mondo e affogare nei miei ricordi.
Non esco con una ragazza da tre mesi.
A dire la verità, non esco e basta. Da quando lei mi ha lasciato, ho messo la mia vita in stand by. L’ho fermata a quel giorno, in quella stanza d’albergo dove credevo avrebbe avuto luogo un nuovo inizio, quando in realtà, stava per arrivare la fine.
«Nate mi aveva detto che saresti stato piuttosto distratto.» Il sorriso di questa ragazza non si ferma solo alle sue labbra. Sorridono anche gli occhi, l’intero viso è illuminato dall’allegria che sembra fuoriuscire da ogni poro della sua pelle.
«Nate è un coglione… Com’è che lo conosci?» Josie sorride scuotendo la testa. Non risponde subito perché la ragazza che prende le ordinazioni è arrivata al nostro tavolo. Lo fa solo dopo che entrambi abbiamo posato i menù e la cameriera se n’è andata.
«Ci siamo conosciuti la settimana scorsa. Avresti dovuto esserci anche tu, ma Nate ha detto che hai dato buca all’ultimo momento.» Me lo ricordo. Il mio migliore amico aveva insistito per andare in un nuovo locale che avevano appena aperto, ma io ero troppo concentrato a crogiolarmi nel mio dolore e, dieci minuti prima di uscire, gli ho mandato un messaggio dicendogli che non sarei andato. «Quella sera abbiamo riso un sacco e, quando è stata ora di salutarci, Nate mi ha detto che conosceva un ragazzo talmente depresso che nemmeno un miracolo sarebbe riuscito a tirarlo fuori dalla sua tana. Così l’ho sfidato ed eccoci qui.» Sorride ed è irritante nella sua sincerità, ma chiara e trasparente nelle sue intenzioni.
«Così sarei oggetto di scommessa tra te e Nate?» Alzo un sopracciglio dimostrando incredulità per la sua affermazione, anche se sono quasi certo che il mio migliore amico sarebbe capace di qualsiasi stronzata pur di tirarmi fuori da casa mia, quella che lui ormai chiama tana.
«Sì, e anche un bell’oggetto aggiungerei. Il tuo amico mi aveva detto, cito testuali parole “non che sia più bello di me, ma non è male”, e per il mio modesto parere, sei decisamente meglio tu.» Questa ragazza mi spiazza, non so come comportarmi con lei, ma forse è solo perché sono diventato una sorta di eremita da qualche mese a questa parte e mi trovo in difficoltà per un semplice complimento.
E comunque ero più abituato a farli io i complimenti piuttosto che a riceverli.
 
Mi sento un idiota con questo completo, in giacca e cravatta. L’abbiamo comprato insieme un paio di giorni fa quando mi ha chiesto di andare a casa sua a conoscere i suoi. Sono sei mesi che stiamo insieme, le cose stanno andando in fretta, molto in fretta – non ho mai fatto niente del genere in vita mia – ma va bene perché io voglio lei e solo lei, e se andare a casa dei suoi genitori per presentarmi ufficialmente la rende felice, allora lo farò.
Esco di casa cercando di tenere più ferme possibili le mani quando mi metto al volante per raggiungere la mia destinazione. Una volta arrivato, scendo dall’auto che ora sfigura davanti a questa villa da almeno un milione di dollari, asciugo le mani sui pantaloni, porto le dita sul pulsante del campanello e suono, aspettando che si apra l’enorme porta in ferro battuto.
«Desidera?» mi chiede un uomo ingessato nel suo completo da pinguino che viene ad accogliermi.
«Buonasera sono Daniel Ross…» L’uomo non mi lascia terminare la frase.
«Prego signor Ross, si accomodi…» Si sposta lateralmente per farmi entrare ed io resto fermo a guardarmi intorno per un attimo. Ho quasi timore a calpestare l’enorme tappeto al centro dell’ingresso. Alla mia destra c’è una scala che porta al piano superiore, e ogni dettaglio di questo ingresso – grande quanto la metà di casa mia – è decisamente al di sopra delle mie possibilità. «…mi segua.» La voce del pinguino ingessato mi fa voltare verso di lui, e mi accompagna in quello che credo sia il salotto dove c’è lei, con i suoi genitori che mi stanno aspettando.
 
Ho fatto questo ed altre cose per lei, come passare serate con amici di cui non m’importava nulla, solo per farla contenta, ho provato con tutto me stesso ad essere qualcun altro, qualcuno con cui lei voleva stare, o forse, ad essere qualcuno di sua creazione, ma per quanto mi sia impegnato, non è bastato a mantenere in piedi quel rapporto che ormai era a senso unico.
«Sei un gran pezzo di ragazzo, ma sei una compagnia terribile!» Non credo sia veramente offesa. Il suo sorriso trasmette spensieratezza e, anche se il mio animo non è molto predisposto a sorridere, riesce a contagiarmi.
Sorrido.
Inaspettatamente.
«Gran pezzo di ragazzo non me l’aveva mai detto nessuno» le dico prendendo il bicchiere pieno di birra e alzandolo nella sua direzione. Lei prende il suo, lo avvicina al mio e aspetta che io continui a parlare. «A te.» Il tintinnio dei bicchieri è solo accennato, ma il sorriso non lo è affatto.
«E che sia l’ultima» mi ammonisce portandosi il bicchiere alle labbra per bere un gran sorso di birra.
«L’ultima cosa?» le chiedo non capendo a cosa si riferisca.
«L’ultima volta che vedo quell’espressione da zombie sulla tua faccia. Hai un bel sorriso… quando sorridi.» Bevo anch’io dal mio bicchiere perché non so cosa rispondere.
Non sorrido da tanto tempo, ha ragione.
 
Credevo che questo week end fuori città sarebbe stato diverso, credevo che le cose si sarebbero sistemate, ma mi sbagliavo. Lei è di là, sta facendo la doccia, da sola, cosa che succede ormai da tempo. Ormai fa quasi tutto da sola, ed è proprio per questo che avevo organizzato questo fine settimana, per riavvicinarci.
Sono quasi due mesi che non si lascia toccare, riesco a baciarla a malapena. Nate continua a dire che secondo lui ha un altro, ma io non posso crederci.
Non voglio crederci.
Speravo che in questi due giorni, l’amore che ci ha avvicinato in quest’ultimo anno di frequentazione, potesse essere sufficiente a farci ritrovare, che non mi sono sbagliato sul fatto di convivere, e nemmeno sul fatto di accontentarla ogni volta in cui mi chiedeva qualcosa, perché l’ho sempre fatto con il solo scopo di renderla felice, anche a costo di andare contro me stesso.
Mi sono seduto sul bordo del letto, aspettando che lei finisca, per tornare alla nostra routine fatta di falsi sorrisi, di falsi baci, di tutto falso, ed è proprio in questo preciso momento che ho deciso di mettere un freno a tutto questo, che voglio parlare chiaramente perché non posso più continuare a fingere.
Il rumore dell’acqua cessa, e comincia a salire l’agitazione in maniera vertiginosa. So che corro il rischio di perderla, e per me non è una soluzione possibile, ma davvero non posso più far credere ad entrambi che tutto mi stia bene.
La porta del bagno si apre, si è già rivestita. Sono mesi che non la vedo senza un vestito addosso, ma il mio cervello rifiuta categoricamente l’ipotesi che mi ha suggerito Nate.
«Dobbiamo parlare» le dico facendola voltare verso di me.
«Di cosa dobbiamo parlare Danny?» Sono talmente agitato che non riesco nemmeno ad interpretare il suo tono di voce.
«Del fatto che sono mesi che non facciamo l’amore, non mi guardi quasi in faccia. Pensavo fossi stressata, o stanca, o qualsiasi altra cazzata, ma è evidente che ci sia dell’altro. Perché non parli con me?» Ho anche creduto di aver fatto qualcosa di sbagliato, qualcosa che l’avesse offesa, o qualche altra stronzata, ma potrei sempre sistemare tutto se solo lei si confidasse con me. Lei, che resta in silenzio anche ora, con quell’aria inespressiva che ha da troppo tempo a questa parte. Mi alzo per andarle vicino, però, fa un passo indietro. Continua ad allontanarsi, metaforicamente e fisicamente. «Ti prego…» La supplico, ormai non so cos’altro fare.
«Sono andata a letto con Joe.»
 
Se mi avessero sparato in faccia, avrei sentito meno dolore.
Joe è sempre stato uno dei miei amici più cari. Siamo cresciuti insieme, abbiamo frequentato le stesse scuole, siamo stati molto legati, ma in quel momento avrei solo voluto che sparisse dalla faccia della terra, ingoiato, insieme a lei da un enorme buco nero.
Quando me l’ha confessato – così, come se fosse niente – non sapevo se stavo per scoppiare a riderle in faccia, o se stavo per svenire lungo disteso sul pavimento. È stato uno di quei momenti in cui non capisci se stai vivendo in un incubo o se è la peggiore delle realtà, ma mi sono ben presto reso conto che mi aveva appena confessato la verità. Ha iniziato a sistemare le sue cose nella valigia, senza aggiungere altro, ed io non ho avuto la forza di fermarla. È uscita da quella stanza d’albergo, e non l’ho più vista.
So che il mio rapporto con lei non era sano, ma era tutto ciò che avevo. Ho lottato per lei, ho pianto, ho riso con lei, mi sono umiliato e sono andato contro me stesso. Tutto per lei, e ora, anche se non so come farò, so che devo rialzarmi dalle ceneri in cui sono sprofondato mesi fa.
«La prossima volta decido io dove andare.» Il sorriso furbo di Josie è come un balsamo per la mia anima indurita.
«Prossima volta?» le chiedo con aria interrogativa.
Ha ragione quando dice che sono una pessima compagnia, non capisco quindi il motivo per cui stia parlando di una prossima volta.
«Certo, ho tutta l’intenzione di vincere la scommessa con il tuo amico.» Sorrido scuotendo la testa mentre mi porto di nuovo alla bocca il bicchiere.
Non lo so se ci sarà davvero una prossima volta, non so nemmeno cosa farò domani mattina, ma una cosa la so. Non ho più alcuna intenzione di lasciarmi abbattere. Ora so che è davvero finita, ho finito con lei e, anche se era tutto ciò che volevo, non avrà più alcun potere su di me. Non sono mai scappato da niente, e non lo farò nemmeno ora. Non scapperò davanti alla mia vita e alla possibilità di essere di nuovo felice.
Non so se sarà Josie o qualcun’altra, ma sono certo che ho voglia di sorridere di nuovo.


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SPAZIO ME

Storia nata da "The Kill" dei Thirty seconds to Mars.

Inizialmente avevo in mente altro, ma quando ho iniziato a scrivere è stato come se
Danny si fosse raccontato da solo, come se lui stesso mi avesse detto cosa fare.

Eeeee niente, grazie per essere qui, e buona lettura.


 

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Capitolo 11
*** Damon ***


Non avrei dovuto essere qui oggi, non avrei dovuto trovarmi a passare per questo parco, camminando su questo sentiero laterale dal quale non passo mai. È stato solo un caso. Avrei dovuto essere a casa, o a farmi una birra, o partire per la Luna, ma sono qui, e non sono più tanto sicuro che sia solo un caso.

La sto guardando da qualche minuto ormai, mentre è seduta sulla panchina di fronte alla quale mi sono seduto io, ma è talmente presa dalla lettura del libro che tiene saldamente tra le mani, che non si è minimamente accorta della mia presenza.

Non posso più restare solamente a guardarla, perché è talmente bella che non posso nemmeno immaginare di non rivederla più. Afferro la reflex che ho appesa al collo, la stessa con la quale ho appena portato a termine un servizio fotografico, la inquadro senza fretta e, anche attraverso l'obiettivo, riesco ad ammirarne ogni dettaglio.

I lineamenti del suo viso sono morbidi, i capelli corti e scuri, e mi dispiace non riuscire ancora a vedere i suoi occhi. Indossa un paio di pantaloncini e non posso non deliziarmi la vista osservando le sue gambe accavallate, assolutamente perfette.

Il mio dito indice preme sul pulsante dello scatto e, nonostante il rumore del click provocato dalla fotocamera, la sua attenzione è ancora tutta per le pagine del libro che ha davanti. Sposto la macchina fotografica, torno a guardarla e il mio sorriso diventa ancora più ampio. Riporto la reflex in posizione, e scatto ancora. Lei non si scompone, quindi ne scatto un'altra per poi tornare a guardarla senza più alcun filtro.

I suoi occhi scorrono veloci, avanti e indietro, divorando parola dopo parola ed è incredibile come io riesca a capire cosa le provoca ciò che legge. Il suo viso esprime ogni emozione che quelle pagine le trasmettono. Talvolta è seria, talvolta sorride soddisfatta, a volte ancora la sua espressione è decisamente arrabbiata, ma non in questo momento in cui il suo sorriso è incredibilmente raggiante.

Voglio guardarla negli occhi, decido quindi di attirare la sua attenzione. "Spero che in quel libro ci siano altre frasi come quella che hai appena letto...", le dico non riuscendo più a trattenermi.

Finalmente, lei alza lo sguardo e mi studia con attenzione, come se volesse imprimere ogni dettaglio nella sua mente. "Stai dicendo a me?", mi domanda guardandomi dritto negli occhi.

Non posso evitare di comportarmi da solito idiota quale sono, e quindi mi volto prima alla mia destra, guardando un punto indefinito, e la stessa cosa la faccio alla mia sinistra per poi tornare con i miei occhi nei suoi e sorriderle. "Mi sembra che solo tu stia leggendo da queste parti", le dico con il mio migliore tono da sbruffone.

La ragazza non si scompone, resta ad osservarmi con aria divertita. "Allora puoi ripetere quello che hai detto? Sai... nemmeno mi ero accorta che fossi qui..." Mi sta palesemente prendendo in giro, ma ben mi sta. Non sono abituato a questo atteggiamento da parte di una ragazza nei miei confronti. Solitamente mi basta molto meno per farle cadere ai miei piedi, ma a quanto pare con lei non funziona, e la cosa mi porta a volerne sapere di più di lei.

Sorrido alle sue parole, non riesco a farne a meno, come non riesco a fare a meno di restarle ancora così lontano, quindi mi alzo e mi avvicino alla panchina dove è seduta. "Posso sedermi qui?", le chiedo, ma non aspetto la sua risposta e mi siedo esattamente accanto a lei. "Stavo dicendo che spero che in quel libro ci siano altre frase come quella che hai appena letto."

"E per quale motivo hai questa speranza?", mi chiede guardandomi sempre negli occhi.

"Perché ti ho vista sorridere." Sono sicuro che le mie parole l'abbiano colpita.

"Non è poi una cosa così straordinaria sorridere", mi dice come a voler smorzare l'atmosfera che indiscutibilmente sta cambiando tra di noi.

"Beh, io un sorriso come il tuo non l'avevo mai visto, e mi piacerebbe poterlo rivedere." Sta pensando a qualcosa, glielo leggo negli occhi. Non so come, ma sono sicuro che sia così.

"Bene, allora dovresti tornare sulla panchina dove eri seduto poco fa e lasciarmi continuare a leggere." Le sue parole hanno un chiaro tono di sfida.

"Ok", le dico alzandomi e tornando sui miei passi, senza mai perdere il contatto visivo con i suoi occhi intensi.

"Fai seriamente? Voglio dire, resterai a guardarmi leggere finché non sorriderò di nuovo?", mi domanda con un tono di voce sorpreso.

"No... in realtà resterò a guardarti finché smetterai di leggere." La ragazza aggrotta le sopracciglia in una chiara espressione confusa.

"Sei una specie di stalker o qualcosa del genere?" Non è affatto intimorita da me e dal mio comportamento, quindi decido di essere ancora me stesso.

"Sono un fotografo. Il mio lavoro è osservare e immortalare il momento perfetto. E in questo momento mi piace osservare te." Non riesco a smettere di guardarla e sembra che anche per lei sia lo stesso.

Continuiamo poi a parlare con continui scambi di battute, ma sarei rimasto con lei per molto più tempo e non questi miseri dieci minuti, ma forse questo incontro ha scatenato qualcosa anche in lei perché se n'è andata decisamente troppo in fretta.

Questa ragazza ha davvero il sorriso più bello che io abbia mai visto, ed ogni cosa di lei, dal suo aspetto al suo modo di parlarmi, o di guardarmi, mi porta a credere che sia la ragazza che aspettavo da sempre.

L'unica relazione fissa che ho avuto in tutta la mia vita è stata con la mia macchina fotografica, dalla quale non mi separo quasi mai, ma ora che ho visto quel meraviglioso sorriso sulle sue labbra, sento che qualcosa di diverso è scattato in me, qualcosa di incredibilmente potente capace di riuscire a spazzare via ogni mia convinzione.

Mi sono innamorato? Probabilmente sì.

Certamente sì.

Ed è assolutamente sconvolgente.

 

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Capitolo 12
*** From Afar || Z.M. || ***


Il turno è quasi finito finalmente. Oggi sono decisamente distrutta. Cindy, la mia collega, non si è presentata perché ieri sera ha bevuto troppo e non ha avuto la forza di venire a lavorare oggi, così ho dovuto fare il doppio turno per sostituirla. Gliel'avevo detto di andarci piano, ma lei voleva festeggiare il fatto di essersi finalmente liberata dell'idiota, come ha chiamato quello che è diventato il suo ex, nelle ultime due settimane.

Controllo l'orario sul display del mio cellulare e vedo che mancano meno di dieci minuti, poi potrò andare a godermi il resto del pomeriggio in spiaggia. Non è ancora la stagione giusta per fare il bagno, ma in primavera c'è la temperatura adatta per starmene sdraiata a leggere un libro in assoluta tranquillità senza il viavai degli amici di mio fratello che hanno monopolizzato casa.

«Se vuoi puoi andare, non c'è molta gente oggi, ce la posso fare da solo. Qualche minuto non farà la differenza.» La voce di Mark, il mio capo, attira la mia attenzione.

È un uomo sulla quarantina, capelli brizzolati e occhi chiari, single per scelta e decisamente simpatico. Io e Cindy ci siamo sempre trovate bene a lavorare per lui.

«D'accordo, finisco qui e vado, grazie.» Gli sorrido e continuo ad asciugare gli ultimi bicchieri che ho appena tolto dalla lavastoviglie posizionata sotto al bancone.

Nel momento in cui poso l'ultimo bicchiere sulla mensola dietro al bancone, poso lo straccio sull'apposito ripiano e mi dirigo verso gli spogliatoi mentre sento il campanello della porta che segnala l'ingresso di un cliente che ignoro per non dover prolungare ulteriormente il mio turno. Arrivata vicino al mio armadietto tolgo il grembiule e la maglietta con il logo del bar per cambiarmi con i miei vestiti, poi vado a sciacquarmi la faccia e le mani prima di uscire.

Quando mi guardo allo specchio mi rendo conto che i miei capelli hanno davvero bisogno di essere spuntati. Forse dovrei anche cambiare colore, mi sono stancata di questo nero. In realtà mi sono stancata di tante cose e vorrei fare qualcosa per dare un po' di brio a questa monotonia. Forse potrei farmi un tatuaggio, o mettermi delle lenti colorate per schiarire questo marrone, magari potrei cambiare look e smettere di indossare jeans e Converse. Potrei farmi prestare qualche pantalone di pelle da Cindy... Ma che sto dicendo, meglio andare prima di delirare sul serio.

Recupero la mia borsa dall'armadietto e torno nel locale per salutare Mark, ma non appena apro la porta dello spogliatoio resto quasi senza fiato nel vedere il ragazzo seduto al tavolo vicino alla grande vetrata che dà sull'esterno. Non ho alcun dubbio sul fatto che sia lui. Lo riconoscerei ovunque. Lo riconoscerei tra un miliardo di persone, forse anche ad occhi chiusi perché ricordo ancora perfettamente il suo profumo.

Per tutti gli anni del liceo abbiamo fatto la stessa strada, tutti i giorni per quattro anni, al ritorno da scuola l'ho guardato camminare dall'altra parte del marciapiede fino a casa sua che era quasi di fronte alla mia. Non ho mai avuto il coraggio di parlargli, eravamo in classi diverse, ma sono sempre stata innamorata di lui in gran segreto. L'unica a saperlo in quel periodo era la mia migliore amica di allora, ed è rimasto uno di quegli amori che reputavo impossibile.

Lui non guardava mai nessuna, nessuno l'ha mai visto con una ragazza, tanto che si vociferava che fosse gay. A me non importava, il mio amore per lui non ha fatto altro che aumentare, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno e anche ora che sono passati cinque anni dall'ultima volta in cui l'ho visto, quello stesso sentimento è tornato a galla con tutta la forza di allora.

È sparito dall'oggi al domani, senza che nessuno sapesse più niente di lui. La sua famiglia si è trasferita poco dopo la sua partenza, ed ero ormai convinta che non l'avrei mai più rivisto, ed invece lui è qui, seduto al tavolo che ho servito poco più di mezz'ora fa, mentre legge il menù con l'aria decisamente più sicura di sé.

«Crystal si può sapere cosa stai facendo?» Mi volto di scatto verso la voce del mio capo che mi guarda con aria stranita.

«Scusa... mi ero distratta...» Mi guarda ancora, non molto convinto di ciò che ho appena detto.

Sono ferma sulla soglia della porta che divide gli spogliatoi dal resto del locale dall'esatto momento in cui i miei occhi si sono posati sul ragazzo che amo da che ho memoria, perché, anche se è stato solamente un amore virtuale, a senso unico, io provo qualcosa per lui, ne sono assolutamente certa.

«Ti senti bene?» mi chiede ancora, vedendo che non mi sono ancora mossa da quella posizione.

«Sì... Ora vado...» rispondo con voce incerta, perché in realtà non ho intenzione di uscire da questo posto senza avergli rivolto la parola. Potrei non avere una seconda occasione.

Mark annuisce in silenzio, poi torna al suo lavoro che consiste nell'andare a prendere l'ordinazione del ragazzo che non ho ancora smesso di fissare.

Zayn, è questo il suo nome, parla con Mark. Non riesco a sentire chiaramente quello che sta dicendo da questa distanza, ma sono incantata dai movimenti delle sue labbra, e poi da quelli delle sue braccia mentre si toglie la giacca di pelle nera per posarla accanto a lui.

È lo stesso ragazzo di cinque anni fa, eppure è completamente diverso. Al liceo vestiva sempre con pantaloni e camicie, a volte indossava dei maglioncini, e portava sempre gli occhiali. I capelli erano sempre ordinati, tirati di lato con il gel. Adesso i capelli sono più lunghi e meravigliosamente disordinati, ha un leggero e piuttosto sexy strato di barba. Le sue braccia sono ricoperte di tatuaggi, ne vedo ovunque nella parte in cui la sua pelle resta scoperta dalle maniche della t-shirt grigia che indossa. Alle dita ha degli anelli vistosi, e resto incantata anche dal movimento delle sue dita intente a digitare qualcosa sul suo cellulare.

Devo fare qualcosa prima che finisca la sua consumazione e se ne vada, ma proprio non so cosa fare. Prendo quindi il cellulare dalla tasca e scrivo un messaggio al mio migliore amico.

Zayn è qui

Fortunatamente il suo stato diventa subito online e mi risponde.

Quel Zayn?

Riesco a percepire il suo tono sorpreso semplicemente leggendo le sue parole.

Lui è l'unico Zayn!

Lo immagino alzare gli occhi al cielo, lo fa sempre quando gli parlo di lui e dei miei ricordi del liceo.

E che cazzo stai aspettando?

Molto diretto, dritto al punto. Mi ha sempre detto che se mai avessi avuto l'opportunità di incontrarlo di nuovo avrei dovuto fare qualcosa perché è stanco di sentirmi parlare di Zayn meraviglioso Zayn.

E se faccio una figura di merda?

Chissenefrega!

Meglio una figura di merda che nessuna figura.

Muovi il culo Crys!

Grazie Harry per essere sempre così comprensivo!

Chiudo la chat sapendo che non avrò ulteriori aiuti da parte sua. Harry è molto diretto, non va tanto per il sottile e mi dice sempre che quando voglio una cosa devo alzarmi e prendermela perché altrimenti se la prenderà qualcun altro. Ed è esattamente quello che devo fare, o Zayn se lo prenderà qualcuno che non sono io.

Inspiro una grande quantità d'aria, ripongo il telefono nella tasca posteriore dei jeans e mi avvicino a passo sicuro al suo tavolo. Espiro l'aria che ho trattenuto per questi diciassette passi e sento l'agitazione salire alle stelle non appena sono di fronte a lui. È la prima volta in assoluto che gli rivolgo la parola e non credevo sarebbe stato così difficile.

Lui alza lo sguardo non appena si accorge della mia presenza di fronte a lui e mi sorride. «Posso?» gli chiedo indicando la sedia accanto a me, facendogli capire che voglio sedermi.

«Prego» risponde lui con un sorriso a metà tra il curioso e l'imbarazzato. La sua voce è calda, avvolgente, come una carezza sulla pelle, la sento ovunque e sono costretta a strofinare più volte le mani sul tessuto dei miei pantaloni lungo le gambe, per asciugarne il sudore dovuto al mio stato d'animo decisamente nervoso e alla sensazione che la sua voce ha provocato al mio corpo.

«Come stai? Sembra una vita che non ci vediamo.» Lui annuisce, ma sembra guardarmi con aria stranita, come se non sapesse di cosa sto parlando. «Proprio l'altro giorno ho visto Jake con Eve, stanno ancora insieme dal liceo, incredibile no?» Jake e Eve erano due suoi compagni di classe, e ho approfittato di questo particolare per trovare un argomento da cui poter partire per avviare una conversazione con lui.

«Già... credo che lo sia...» risponde, poi si appoggia all'indietro, allo schienale della sua sedia incrociando le braccia osservandomi con attenzione.

Anche io l'ho osservato attentamente a dire la verità. Ha tatuaggi anche sul collo, alcuni sono sulle clavicole, li vedo spuntare dal colletto slabbrato della sua maglietta, ha un piercing al naso e anche ad entrambe le orecchie. Ed è incredibilmente affascinante.

I suoi occhi mi scrutano attenti, mi studiano e non vedo più traccia di timidezza o insicurezza in lui, anzi mi sembra un tipo che sappia esattamente quello che fa e quello che vuole.

«Oh... e ti ricordi di Jamie?» Non aspetto davvero una sua risposta, ed inizio a parlare a raffica, come una macchinetta. «Sta formando una band, hanno intenzione di fare musica sul serio.» Zayn annuisce divertito dalle mie parole mentre resta fermo a guardarmi e a sorridere.

Dalla mia bocca continuano ad uscire ricordi sotto forma di parole pronunciate velocemente, come se avessi poco tempo e tanto da dire, fino a che mi sciolgo un po' e pronuncio il suo nome. «Zayn ti ricordi quella volta che abbiamo trovato la scuola allagata?» È la prima volta che succede, la prima volta che lo chiamo per nome mentre lui mi sta rivolgendo le sue attenzioni e lo sguardo che mi regala, mi porta a zittirmi per potermi concentrare su tutti i dettagli del suo bellissimo viso.

Non ho mai visto nessuno più bello di lui e in questi anni lo è diventato ancora di più. Sono persa...

«Perdonami...» dice, e credo stia chiedendo implicitamente il mio nome che mi affretto a dirgli.

«Crys... cioè Crystal» gli dico, mentre impreco mentalmente contro me stessa per essere così impacciata. Sapevo che avrei fatto una figuraccia! Venire a conoscenza del fatto che non conosca il mio nome mi porta a essere ben poco ottimista.

«Perdonami Crystal, io mi ricordo quasi di tutto ciò che mi hai appena raccontato...» Si avvicina al tavolino, posando i gomiti sul bordo per poi guardarmi dritto negli occhi. «...ma... io non ti ho mai vista prima...» Lo dice con un sorriso tale da farmi dimenticare per un attimo quello che mi ha appena detto, ma poi, i miei neuroni scioccati, tornano ad elaborare le sue parole e so solamente che vorrei essere risucchiata da un gigantesco buco nero per non fare mai più ritorno su questo pianeta, né in nessun'altra dimensione conosciuta e sconosciuta.

«Noi... noi facevamo sempre la strada insieme per venire a casa da scuola... io abitavo quasi di fronte a casa tua...» Lui non si ricorda affatto di me, nemmeno sapeva che esistevo fino ad oggi.

Non capisco perché allora mi abbia fatto parlare finora senza darmi questa bella notizia, perché abbia continuato ad annuire lasciandomi fare questa orribile figura.

«Vedi Crys... posso chiamarti Crys?» mi chiede inclinando leggermente la testa di lato.

Annuisco in silenzio, come se non fossi più in grado di parlare, e forse è così, perché dopo aver preso il coraggio necessario per parlare con lui dopo tanti anni, devo ammettere che la sua affermazione ha fatto tabula rasa nel mio cervello.

«Crys... devi sapere che i miei anni del liceo sono stati piuttosto complicati, come anche tutti gli altri anni di scuola a dire la verità... e mi dispiace molto non ricordarmi di te.» Non so se lo stia dicendo per essere gentile, ma le sue parole riaccendono una piccolissima speranza in fondo al mio cuore.

«Com'è possibile che non ti ricordi di me? Abbiamo percorso lo stesso tratto di strada dall'autobus a casa per quattro anni di seguito...» Non sono arrabbiata, sono solo incredula.

«Non mi ricordo di te perché non ti ho mai guardata.» Aggrotto le sopracciglia quando pronuncia questa frase perché non capisco il senso delle sue parole. "Non ho mai guardato te e nemmeno nessun'altra ragazza..."

«Sei gay?» gli chiedo di getto, per poi pentirmi subito dopo della mia domanda, ma lui sembra non offendersi e mi regala ancora un altro sorriso da rimanerci secca.

«Ti rivelo una cosa...» Si avvicina ancora un po', come se davvero volesse dirmi un segreto, ed io faccio la stessa cosa, poggiano i gomiti sul bordo del tavolo per trovarmelo più vicino che mai. «Quando ero piccolo giocavo sempre con le pentoline di mia sorella. Per me non esisteva altro gioco. Mio padre insisteva a portarmi alle partite di calcio, insisteva perché praticassi il football o qualsiasi altra cosa riguardante strettamente il mondo maschile continuando a ripetermi che se non avessi smesso di giocare con le pentoline di Sammy sarei diventato gay. Non usava proprio quella parola, ma non voglio più pensarci...» Mi ritrovo improvvisamente catapultata nel suo mondo, mi sta confidando qualcosa della sua vita, ed io mi ritrovo incredula ed emozionata ad immagazzinare tutte le sue parole. «Ad ogni modo, sono cresciuto con l'idea di essere gay, mio padre me l'ha inculcata così in profondità nella testa che ci credevo anche io. È per questo che non guardavo te e nessun'altra ragazza... il mio cervello mi diceva che non mi interessavano le ragazze... Ti sembrerà una cosa stupida, ma le cose sono andate esattamente così...» Smette di parlare, ma sono certa che volesse dire altro. Forse si aspetta che io dica qualcosa, o anche solo una mia reazione a quanto mi ha appena raccontato ed è in quel momento che la mia curiosità torna a galla.

«Quindi sei gay?» gli chiedo di nuovo, come se non fossi capace di fargli altre domande oltre a quella.

Ride e credo di non aver mai sentito un suono più bello di questo. «Ti rivelo un'altra cosa.» Mi fa cenno con il suo dito indice di avvicinarmi di più a lui, e maledico il tavolino che ci divide. Mi allungo nella sua direzione, lui fa altrettanto e, quando è ormai a pochi centimetri dal mio viso, non posso che sciogliermi per averlo a questa misera distanza. «Sono schifosamente etero...» Le sue parole appena sussurrate infiammano ogni cellula del mio corpo, e mi ritrovo a stringere a pugno le mani per non posarle sul suo viso e baciarlo. «...hai da fare oggi?» mi chiede ancora da quella ridicola distanza.

E, a quel punto, credo che la mia lettura solitaria sulla spiaggia dovrà aspettare.

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Un ringraziamento speciale a mononokehime per aver dato il titolo a questa storia.
Grazie socia! E ora sto pubblicando una long per questa one shot, se volete dare un'occhiata la potete trovare sul mio profilo. Grazie a tutti

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Capitolo 13
*** Happy Engagement ***


"La miglior date planner della città, con la vita sentimentale peggiore di sempre."

La percentuale di successo degli appuntamenti che ho organizzato è del cento per cento, ma quando si tratta di me sono un disastro. L'ennesimo fallimento è di ieri sera. Josh mi ha scaricata con il peggiore dei cliché: non sei tu, ma io.

«Merda!» impreco ad alta voce quando mi rendo conto che il telefono non ha intenzione di smettere di suonare. Sto per rispondere quando nel mio ufficio entra come una furia Linda, una mia cliente, che poggia i palmi delle mani, con poca delicatezza, sul ripiano in legno della mia scrivania.

«Maddie! Hai presente James, il tizio con cui sto uscendo?» vorrei poterle rispondere, ma lei parla a raffica e non mi dà modo di ribattere. «Beh, puoi cancellare l'appuntamento che ho con lui per domani. Ieri passeggiavo per le vie del centro, e l'ho visto con un altro. Capisci Maddie? Con un altro! Mi ha preso in giro finora, forse pensava di potermi usare come copertura!? Ma con chi si crede di avere a che fare?! Cancella tutto Maddie, tutto quanto!»

E, nello stesso modo in cui si è catapultata nel mio ufficio, sparisce senza lasciarmi la possibilità di replicare. Resto per un attimo a fissare il vuoto, tentando di fare mente locale su quanto sia appena successo proprio davanti ai miei occhi e, quando penso che la giornata non potrebbe andare peggio, quel maledetto telefono riprende a suonare. Chiudo gli occhi, inspirando una grande quantità d'aria, quando leggo il nome di chi mi sta chiamando.

«James...»

«Maddie, ho deciso. Chiederò a Linda di sposarmi domani. Ti ho chiamata per ringraziarti, perché, per merito tuo, ho trovato l'amore della mia vita.» 'Zeus colpiscimi con una saetta, adesso!'

La comunicazione si chiude mentre una lampadina si accende nella mia testa. Non riuscirei mai a convincere Linda a tornare sui suoi passi, ma potrei fingere di averle procurato un nuovo appuntamento. Così la chiamo e le propongo, non senza difficoltà, la mia idea. Lei accetta dubbiosa, ma riesco ad organizzare l'appuntamento per filo e per segno come richiesto da James.

La sera seguente, dopo aver allestito la location in ogni minimo dettaglio, proprio come voleva James, resto in disparte, nascosta da una vetrata scura, "rubando" un po' della loro privacy.

Stavolta non voglio perdermi l'incontro.

Linda arriva e resta sorpresa quando vede l'unico tavolo al centro del salone, al quale è seduto James, e sta per andarsene, ma lui la trattiene. Le spiega che quello che ha visto con lui il giorno prima è suo fratello che si stava congratulando con lui, Linda gli chiede per quale motivo si stesse congratulando, al che lui si inginocchia, apre la scatolina blu che teneva in tasca mostrandole l'anello. Il sorriso sulle labbra di Linda è indescrivibile. Si inginocchia anche lei, lo bacia, lui le infila l'anello all'anulare sinistro.

È un sì.

A quel punto mi allontano, pensando che l'amore esiste e stasera l'ho visto con i miei occhi. 

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Capitolo 14
*** Il diario ***


Non avrei dovuto prendere questo treno, il viaggio è lungo e noioso, avrei dovuto dare retta al mio istinto, fare da solo i biglietti, e prendere l'aereo per arrivare a Philadelphia, ma la mia sbadata segretaria ha voluto fare lei, ed ora eccomi qui a cercare una posizione comoda su questi sedili non propriamente comodi e, mentre poggio una mano per fare forza per tirarmi su, le dita finiscono esattamente al centro dei sedili e tocco qualcosa di strano.

Mi incuriosisco, allargo lo spazio e noto un libricino. Affondo le dita e lo estraggo. Sembra un piccolo diario, in pelle, consumato dal tempo. 'Chissà da quanto tempo è qui e a chi appartiene' penso tra me rigirandolo tra le mani, e so bene che in alcun modo dovrei farlo, ma sono così frustrato e annoiato per questo viaggio così monotono, che mi ritrovo a slegare i due lacci che lo tengono chiuso, e a sfogliarlo con l'enorme tentazione di leggerlo: dopotutto chi mai verrebbe a saperlo?

È una bella calligrafia, piacevole da vedere, credo sia di una donna, poi, la mia attenzione viene attirata, inspiegabilmente, da un paragrafo.

"Hai sempre avuto gli occhi di un angelo, quei tuoi occhi azzurri che mi hanno fatta innamorare di te non appena ti ho vista. Non è mai stato facile per noi. Ci siamo amate in segreto, con una passione che non avevo mai provato prima di incontrare te. Sono stata sul punto di andarmene così tante volte che ne ho perso il conto, ma tu sei sempre stata pronta a riprendermi ogni volta che tornavo da te per arrendermi all'amore che non potevo più arginare, ma le persone intorno a noi non l'hanno mai pensata così. Per prime le nostre famiglie, che ci hanno sempre ostacolato."

Non riesco a smettere di leggere tutto ciò che ne segue, sono come stregato da queste parole e dall'amore che riescono a trasmettere, tanto che inizio a sentirmi parte di questa storia pur non conoscendo nessuna delle persone coinvolte. È un amore intenso, travagliato, tormentato, ma pienamente vissuto. Non ho idea di cosa si prova, ma vorrei sinceramente scoprirlo ed è per questo che non riesco ad impedirmi di leggere il resto.

"Mi hai detto che saresti tornata a Princeton, che avremmo lottato insieme, ed io ti ho promesso che ti avrei aspettata, quindi resto lì, ai piedi della torre dell'orologio, alle dodici in punto, oggi, domani, per il resto dei miei giorni. Io ti aspetto Jen."

Le pagine seguenti sono bianche. Tutte. Il racconto si interrompe così.

Il treno rallenta, la prossima fermata è Princeton Junction. Non è la mia, ma se fosse un segno del destino?

Mi alzo come un automa, cammino, e alla fine scendo dal treno con ancora quel diario tra le mani. Se trovassi quella donna potrei restituirle il diario, potrei restituirle un pezzo della sua vita e potrei stare al suo fianco se fosse ancora lì ad aspettare quello che, indiscutibilmente, è il grande amore della sua vita. 

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Capitolo 15
*** L'amore basta ***


ATTENZIONE! QUESTO è UN PICCOLO MISSING MOMENT 
DI UNA STORIA CHE STO SCRIVENDO E CONTIENE SPOILER
LA STORIA SI INTITOLA "THE BEGINNING" SE AVETE INTENZIONE
DI LEGGERLA VI CONSIGLIO DI INTERROMPERE LA LETTURA
TROVERETE Lì LO STESSO CAPITOLO

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Ci credevo.

Credevo davvero che cambiare città, allontanarmi dal luogo nel quale tutto è finito, sarebbe bastato ad alleviare l'immenso dolore che continua a restare bloccato nel petto, all'altezza del cuore, ma il solo spostarmi da Montreal a Boston non era servito.

Lui era sempre lì, al centro dei miei pensieri, qualunque cosa facessi, con qualunque persona parlassi, in ogni attività in cui mi cimentassi, lui c'era... in un modo o nell'altro c'era.

E c'è ancora quando osservo la catenina al collo, quando la stringo tra le dita, quella con il piccolo cigno che mi ha regalato la sera del mio compleanno, l'ultima in cui l'ho visto sorridere, l'ultima in cui mi ha baciata, l'ultima in cui abbiamo parlato.

Ma la sola aria di Boston non mi ha dato modo di tornare a respirare come avevo sperato. Il nuovo lavoro da traduttrice alla casa editrice è stato decisamente stimolante, ma è stato in grado di tenere a bada i problemi solo temporaneamente. A volte non riuscivo nemmeno a portare a termine una pagina perché ero troppo concentrata sui miei sensi di colpa per pensare a lavorare, o a mangiare, e persino a vivere.

La notte del mio ventitreesimo compleanno è stata la più bella e la più terrificante della mia vita fino a quel giorno, nel quale ho passato delle ore meravigliose in compagnia dei miei due migliori amici e dell'amore della mia vita. Abbiamo festeggiato al nostro bar preferito, lui mi ha dedicato "Wherever You Will Go" al Karaoke - cosa che ho poi interpretato come un saluto d'addio - ed è un ricordo che conservo nella mia mente con grande affetto.

Mi ha dato il suo regalo sopra al tetto della mia camera da letto, mentre eravamo avvolti dal cavo di lucine che io ho sempre adorato, e lui lo sapeva. Dylan sapeva sempre cosa mi piaceva e cosa no, cosa mi rendeva felice e cosa mi infastidiva, ed è riuscito a rendere speciale anche quella sera.

Non avrei mai potuto immaginare che quando l'ho salutato prima che tornasse a casa sua sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrei sentito pronunciare il suo 'ti amo', non potevo nemmeno lontanamente ipotizzare che da lì a poche ore, tutta la mia vita sarebbe stata stravolta, distrutta, polverizzata con una banale telefonata in piena notte.

È ancora perfettamente chiaro in me il ricordo della corsa in ospedale, delle lacrime dei suoi genitori, della disperazione nella voce di sua madre, e dell'immenso dolore che ho provato nel vederlo attaccato a tutti quei tubi. L'angoscia che ho provato mentre gli tenevo la mano e il bip intermittente di quel macchinario che accompagnava il suo respiro, la sofferenza, l'incertezza, e la preoccupazione che occupavano ogni parte di me... è questo che continuo a provare ogni volta che l'incubo di quella notte torna a tormentare il mio sonno.

C'è un suono che ancora ricordo distintamente, quello continuo e prolungato del bip del macchinario, che persiste nel devastare il mio cuore ogni qualvolta in cui fa capolino nei miei ricordi, quello che ha segnalato con totale freddezza che il suo, di cuore, aveva smesso di battere e, con il suo, anche il mio aveva cessato di esistere.

Da lì la disperazione è stata completa e distruttiva, talmente incontrollabile da portarmi a fare gesti estremi dai quali sono stata salvata – senza realmente meritarlo – dal mio migliore amico, arrivato in mio soccorso come un cavaliere sul cavallo bianco.

Mi sono fatta del male, emotivamente e fisicamente, ho ferito le persone che mi stavano vicine, non ho mai apprezzato niente di ciò che facevano per me perché non ho mai voluto essere davvero salvata. Non ha potuto niente la mia famiglia, i miei amici e nemmeno lo psicologo con il quale non ho mai voluto instaurare alcun tipo di rapporto.

I sensi di colpa mi hanno sempre portato a pensare che se non fosse stato per il mio compleanno, Dylan, forse, non sarebbe venuto a casa mia quella sera, non avrebbe percorso quel tratto di strada e non avrebbe avuto quell'incidente che gli ha portato via tutto il suo futuro. Gli stessi sensi di colpa che mi hanno divorato l'anima e la mente per mesi.

Volevo solo sparire dalla faccia della terra per raggiungerlo, per stare ancora con lui, ma non ci sono riuscita la prima volta, così ho iniziato a mentire, a dire che stavo bene, a sorridere quando volevo solamente piangere, solo per poter approfittare della fiducia delle persone che mi stavano intorno e tentare di raggiungere il mio Dylan, al di là del cielo, non appena possibile, ma fortunatamente il mio migliore amico ha sempre vegliato su di me proprio come un angelo custode.

Ho capito troppo tardi quanto anche le altre persone avessero sofferto e sto provando a rimediare ai miei errori nei confronti delle persone a cui voglio davvero bene e a cui devo molto.

Ce n'è una in particolare che merita solo cose belle, una persona che si è fatta spazio nella mia mente e nel mio cuore poco alla volta, come un fiume che scava il proprio letto, lento, ma costante ed inarrestabile. Una persona che ha afferrato la mia mano contro la mia volontà, contro la quale ho lottato a lungo, ma alla quale, alla fine, non ho potuto oppormi. Una persona che mi ha riportato alla vita contro ogni previsione senza bisogno di farmaci o sedute, semplicemente essendo sé stesso.

Mi ha provocato, mi ha consolato, mi ha dimostrato che non sono sola, non si è arreso quando lo rifiutavo ed è stato in grado di accettare ogni lato di me, anche quelli più oscuri, quelli che normalmente fanno paura a chi conosce il mio passato, ma lui non è come gli altri.

Lui non ha paura di trattarmi come una persona ‘normale’, non ha paura che io possa rompermi in mille pezzi come una bambola di porcellana. Lo faceva quando non conosceva il mio passato, ed ha continuato a farlo anche dopo essere venuto a conoscenza di quello che mi tormenta. E mi accetta. Accetta che il mio cuore avrà sempre e comunque un posto per Dylan, per quel ragazzo che ho amato incredibilmente tanto e che non vedrà mai più la luce del giorno, accetta di condividere con me ciò che più l'ha fatto soffrire nella vita come tutti gli abbandoni che l'hanno segnato in questi anni, da quello volontario di sua madre, a quello per la morte del nonno.

Ci credevo al fatto che Boston sarebbe stata la mia salvezza, la mia via d'uscita, e così è stato, perché è stata la sera stessa in cui ho messo piede in questa città che l'ho incontrato e, da lì, una lunga serie di coincidenze hanno portato le nostre strade ad incrociarsi più e più volte, fino al punto in cui siamo arrivati oggi.

Io e Harry ci siamo incontrati e scontrati varie volte e su più fronti, ma nessuno è mai stato capace di stare realmente lontano dall'altro. Per quanto io ci abbia provato a scappare da lui e da quello che stavo iniziando a provare, Harry mi ha sempre riacciuffato con determinazione. C'è sempre stato qualcosa che ci riportava al punto di partenza, al nostro punto di partenza, dal quale abbiamo iniziato questo cammino che sembra essere destinato a restare unico portandoci ad andare in un'unica direzione, insieme, per mano.

Harry è in grado di tirare fuori il meglio di me, ma anche il peggio, riesce a calmare i miei attacchi di panico con un semplice abbraccio e di farmi sorridere usando solamente il suo di sorriso. È riuscito a tirare fuori tutti i sentimenti che ho tenuto nascosti, quelli che mi divoravano l'anima, facendo in modo che potessi liberarmi di ogni cosa negativa che albergava in me, nello stesso modo in cui ha fatto per le cose positive, portandomi a sorridere sinceramente sempre più spesso.

Harry mi ha riportato alla vita, e l'ha fatto senza che io me ne rendessi conto.

Lui è fatto di provocazioni e battute pungenti, ma anche di carezze tra i miei capelli e parole sussurrate. Con lui sono tornata a ridere spontaneamente, a sentirmi libera di tornare a provare dei sentimenti positivi senza per questo sentirmi colpevole. Non che i miei sensi di colpa siano scomparsi, ma ora riesco a gestire meglio quello che è successo, riesco a razionalizzarli e a non esserne schiacciata.

«Chloe, stai facendo un casino infernale» la voce assonnata di Harry mi distoglie dai miei pensieri.

Il suo braccio rinsalda un po' la presa sul mio fianco per tirarmi verso di sé.

«Ma se non mi sono nemmeno mossa» gli rispondo mentre mi rilasso contro il suo torace per poi intrecciare la mia gamba con le sue.

«Il tuo cervello è iperattivo, placalo prima che mi tolga il sonno» con un braccio tiro su la coperta e sorrido al pensiero che lui si accorge sempre del mio stato d'animo senza nemmeno aver bisogno di guardarmi in faccia.

L'ha sempre fatto, non so come ci riesce, ma ci riesce... ci riesce sempre.

«Il mio cervello lavora normalmente, è il tuo che è in letargo» gli rispondo senza trattenere un sorriso.

Il nostro rapporto fatto di battute sarcastiche è qualcosa che mi piace fin troppo. Con lui rido come non facevo da tempo e mi sento a posto con il resto del mondo, ma soprattutto con lui.

«Chloe non so che ore siano, ma sono sicuro che sia il momento di spegnerlo per oggi...» Senza ombra di dubbio si riferisce ai miei pensieri che ultimamente viaggiano ad un ritmo sostenuto.

Le cose stanno succedendo in fretta, ma non mi dispiace, perché sento che il momento sta arrivando.

Il momento in cui posso tornare ad essere felice, perché Harry è tutto ciò che voglio. Harry è la mia felicità.

«D'accordo... buonanotte Harry...» mi spingo ancora un po' all'indietro per un ulteriore contatto con il suo corpo.

«Buonanotte Chloe.» La sua voce mi rassicura, ed è una promessa per il futuro.

E non vedo più un futuro che non comprenda la sua presenza.

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Capitolo 16
*** Chance || H.S. || ***


Metti una vacanza estiva tra amiche, una di quelle che organizzi in cinque minuti - del tipo infili in valigia le prime cose che ti capitano sotto mano e parti.

Metti una tranquilla serata d'estate, l'ultima della settimana che hai a disposizione, una serata che vorresti rendere speciale perché la tua migliore amica compie venticinque anni proprio domani, quando saremo di ritorno verso casa.

Metti che sei riuscita a trovare un locale che organizza un evento particolare per trascorrere quella serata in maniera diversa perché non vuoi la solita discoteca, dove il volume della musica è talmente alto da non riuscire a parlare con qualcuno, e nemmeno andarti ad ubriacare per poi stare male il giorno dopo e magari non ricordarti neanche ciò che è successo. No, è accaduto qualcosa che ti ha guidato in quel luogo, perché non può essere un caso che tu abbia trovato il volantino pubblicitario di quel locale esattamente quando...

«... esattamente quando stavo pensando a cosa organizzare per stasera. Capisci che non può essere un caso!?» Credo sia la terza volta che spiego a Amy, la mia migliore amica dai tempi della scuola elementare, il motivo per cui ci troviamo sedute a questo bancone.

«Ruby, se non fosse per il fatto che ci conosciamo da tutta la vita, ti avrei già mandato a stendere.» Non ha lo stesso entusiasmo con cui sto vivendo io questo momento, ma forse non sono riuscita a farle capire quanto sono convinta che stasera succederà qualcosa di eccezionale. Riesco a sentirlo nell'aria.

«Che cos'hai da perdere?» Lei mi guarda rassegnata: sa che non mi arrenderò. «Domani sarai in questo mondo da un quarto di secolo, dovresti iniziare a lasciarti andare.» Le dico dandole una piccola pacca sulla spalla, poi le sorrido cercando di infonderle il mio ottimismo.

Alla fine sembra convincersi, un sorriso accennato compare sulle sue labbra, i suoi occhi tornano ad essere più sereni, poi si alza in piedi, piazzandosi esattamente di fronte a me. «Sappi che se questa serata andrà male mi lamenterò per tutto il viaggio di ritorno» dice puntandomi un dito al centro del petto.

«D'accordo, ma ora non perdere tempo: l'uomo della tua vita ti sta aspettando.» Le faccio l'occhiolino, poi poso le mani sulle sue spalle e la invito a voltarsi per andare da uno dei ragazzi seduti ai tavoli in fondo alla sala, cioè gli addetti all'inserimento dei suoi dati in un computer che, grazie ad un sofisticato algoritmo - così c'era scritto sul volantino pubblicitario - incroceranno altri dati grazie ai quali potrebbe trovare la sua anima gemella.

Amy non è stata molto fortunata con il sesso opposto, e la sua fiducia verso il mondo maschile è arrivata al minimo storico, ma ho una sensazione positiva per questa sera e non voglio farle perdere l'occasione.

La guardo camminare verso una di quelle postazioni con l'aria poco convinta mentre io le sorrido per incitarla ad essere più positiva. Amy ha specificato chiaramente di non essere alla ricerca forzata di qualcuno con cui stare, e nemmeno di essere tanto disperata da dover avere bisogno di un computer per trovare l'uomo della sua vita, ma io sono certa che non sia casuale l'aver trovato questo volantino. Sono certa che sia un segno e non posso farle perdere questa opportunità.

Amy si accomoda davanti al ragazzo che inizia a digitare qualcosa sulla tastiera di fronte a lui, poi volto lo sguardo verso il resto dei tavoli del pub ai quali sono già sedute alcune coppie abbinate dal computer: l'espressione che prevale è quella dell'imbarazzo, ma vedo anche dei sorrisi divertiti e un paio di persone la cui faccia dice chiaramente "perché diavolo sono venuto in questo posto?".

Mi appoggio all'indietro con i gomiti al bordo del bancone, mentre seduta sul mio sgabello mi concentro sulla mia migliore amica che si sta alzando dirigendosi ad un tavolo vuoto, al quale si siede dedicandomi uno sguardo minaccioso, ma il momento dura poco perché pochi minuti dopo, si siede di fronte a lei un ragazzo che sembra molto carino, anche se non sono riuscita a vederlo bene in viso.

È alto, indossa una normalissima t-shirt bianca, ha i capelli scuri e le braccia ricoperte da macchie d'incontro, poi rivolgo lo sguardo verso la mia amica, sul cui volto compare un sorriso che illumina l'intero locale quando lui le stringe la mano in quella che suppongo sia una presentazione.

So che non dovrei restare a fissarla in questo modo, ma ho bisogno di osservare le sue reazioni per essere sicura di aver fatto la cosa giusta ad averla convinta a partecipare a questa serata, e credo che la conferma arrivi dall'enorme sorriso che continua a restare lì, sulle sue labbra, mentre non fa che guardare negli occhi quel ragazzo appena conosciuto. Riesco a vederlo solo di spalle, ma sono certa che lui abbia la stessa espressione di lei.

È arrivato il momento di lasciare loro un po' di privacy, devo smettere di guardarla, quindi mi volto e mi rivolgo al barista. «Puoi farmi qualcosa di analcolico alla frutta?» gli chiedo quando si avvicina dalla mia parte.

«Hai qualche preferenza?»

«Se ci mettessi del kiwi sarebbe perfetto.» Gli sorrido, lui annuisce e si volta per preparare quanto gli ho appena chiesto.

Resto ad osservarlo mentre lavora, poi una voce bassa e roca mi fa voltare lentamente alla mia destra. «Anche tu alla ricerca dell'anima gemella?»

Credo di aver appena messo gli occhi sul sorriso più bello che abbia mai visto. È dolce e sfrontato al tempo stesso, le fossette sulle guance gli donano un aspetto gentile, ma i suoi occhi intensamente verdi hanno il fuoco dentro e stanno scrutando con attenzione ogni centimetro del mio viso.

«No» rispondo incerta senza aggiungere altro.

«Ecco a te!» La voce carica di entusiasmo del barista attira la mia attenzione mentre posa davanti a me il mio drink.

«Grazie» dico al ragazzo che torna a servire gli altri clienti, poi mi volto di nuovo verso destra, perché sento quello sguardo ancora su di me.

«Stai scappando da un abbinamento mancato?» mi chiede appoggiandosi con un gomito al bancone senza mai togliermi gli occhi di dosso.

«No» rispondo sintetica per poi sorseggiare dalla cannuccia con la quale continuo a giocherellare.

«Chi hai accompagnato?» Sembra rilassarsi contro la superficie di legno alla quale è appoggiato e mi concedo di osservare il resto di lui con più attenzione.

Indossa una camicia piuttosto bizzarra, sbottonata fin sotto lo sterno, dalla quale spuntano diversi disegni a decorazioni del suo torace. Altri tatuaggi sono visibili sulle sue braccia, soprattutto il sinistro. I jeans sono neri, stretti e i suoi capelli danno l'impressione di essere decisamente morbidi, tanto che ho una voglia pazzesca di infilarci le dita.

«La mia migliore amica. E tu?» gli chiedo cercando di concentrarmi sulla mia cannuccia e sul contenuto del mio bicchiere, mentre tento di ignorare la sua mano che afferra un bicchiere appoggiato sul bancone.

Perché mi attira tanto la sua mano?

«Ho accompagnato il mio migliore amico.» Indica un ragazzo biondo - che in realtà sembra tinto - seduto con una ragazza dai capelli rossi, ma dall'espressione del suo amico si direbbe che non si stia affatto divertendo.

«Non ti interessa trovare l'anima gemella?» gli domando improvvisamente ed inspiegabilmente curiosa di conoscere i suoi pensieri.

«Non crederai a questa stronzata vero?» dice indicando l'ambiente circostante, riferendosi agli abbinamenti decisi da una macchina.

Lui parla ed io resto affascinata, ad ogni suo movimento riesco a percepire il profumo della sua acqua di colonia, e ad ogni parola, ad ogni movimento delle sue labbra rosse ho sempre più voglia di sentirne il gusto.

«Non si sa mai cosa può riservarti la vita no?» Il mio bicchiere è ormai vuoto, il suo anche.

Allunga una mano nella mia direzione e mi guarda dritto negli occhi. «Mi chiamo Harry.»

Resto per un attimo a guardare le sue dita, adornate da due o tre anelli, poi la mia mano agisce come se fosse dotata di vita propria e stringe la sua con forza. Una piccola scarica elettrica passa dalle sue dita alle mie, attraversa tutto il braccio arrivando fino alla spina dorsale, per poi irradiarsi a tutto il resto del mio corpo.

«Ruby» rispondo con un filo di voce, quello che mi è rimasto, senza distogliere lo sguardo dal suo.

«Quind tu credi nell'esistenza dell'anima gemella Ruby?» La mia mano è ancora stretta nella sua e il suo modo di pronunciare il mio nome mi provoca sensazioni che non ho mai provato in vita mia.

È qualcosa di simile al rimescolamento del sangue, o pari all'attorcigliarsi delle viscere. Mi fa sentire completamente scombussolata, accaldata ed eccitata, e gli è bastato stringermi la mano e pronunciare il mio nome.

«Tu non ci credi Harry?» Pronuncio anch'io il suo nome, per sentire come suona quando esce dalle mie labbra e che sapore ha nella mia bocca.

«Potrei ricredermi Ruby» Ancora il mio nome, poi lascia andare lentamente la mia mano ed io sento improvvisamente freddo. «Puoi farne altri due?» domanda al barista riferendosi ai nostri drink.

Il ragazzo dietro al bancone prepara i nostri bicchieri e li posa davanti a noi. Harry non smette di guardarmi come se ci fossi solo io qui dentro, ed io non posso che fare la stessa cosa, perché i suoi occhi sono l'unica cosa che voglio guardare.

Da quel momento non facciamo altro che parlare e guardarci. Mi racconta di sé stesso dandomi l'impressione di essere sincero ed io gli parlo di me come se lo conoscessi da sempre. Harry è un istruttore di nuoto, si occupa di bambini che vanno dai quattro ai sei anni, ha un fratello di due anni più giovane di lui e si diletta a cantare. Sembra che non abbiamo nulla in comune: io detesto i bambini, lui li adora, sono figlia unica e sono stonata come una campana rotta, ma la cosa sorprendente arriva quando mi chiede da dove vengo.

«Sono di Jackson, un piccolo paese della Georgia. Lo conosci?» gli chiedo quando vedo un'espressione divertita sul volto come a dire "cosa?".

«Vivo ad Atlanta» dichiara compiaciuto mentre quelle adorabili fossette fanno di nuovo capolino sulle sue guance.

«È a meno di un'ora di macchina da Jackson» dico piacevolmente sorpresa. Non so per quale motivo, ma il fatto di vivere così vicini ha acceso una piccola e insensata speranza in me.

«Già, il che rende tutto più facile» afferma per poi bere d'un fiato tutto il contenuto del suo bicchiere. «Ti va di uscire a prendere una boccata d'aria?» dice ancora sorridendo ed io sento aumentare sempre di più la voglia di conoscerlo.

Nel frattempo io sono rimasta imbambolata a guardarlo, ad osservare ogni suo movimento, affascinata da tutto ciò che mi ha detto e da tutto ciò che fa, da tutto quello che lo riguarda e la cosa risulta essere parecchio destabilizzante perché è la prima volta che mi succede qualcosa del genere.

«Sì» rispondo decisa dopo qualche secondo, solo quando il mio cervello si è rimesso in moto e sono riuscita a realizzare quello che mi aveva chiesto, ed ottengo un altro meraviglioso sorriso.

Mi volto verso la mia amica, mi alzo in piedi e mi sbraccio per farmi notare. Quando Amy si accorge dei miei gesti, le faccio capire che sto uscendo dal locale, lei sorride e annuisce per poi tornare a rivolgere le sue attenzioni al ragazzo seduto di fronte a lei.

Cammino accanto a Harry fino all'esterno del pub, mi siedo su una panca libera, al di sotto della tettoia che dà sulla strada, e lui si posiziona di fianco a me. La sua gamba aderisce alla mia, il suo braccio sinistro si posa sullo schienale dietro di me e i suoi occhi mi incatenano a lui.

Non vorrei essere in nessun altro luogo.

«Allora... Cosa fai a Jackson?» Il suo profumo si fa più intenso, il suo sguardo anche e sembra diventare sempre più difficile resistere alla tentazione di avventarmi sulle sue labbra.

«Lavoro nel negozio di mio padre. Vendo articoli sportivi.» Solo quando lo pronuncio ad alta voce mi rendo conto di ciò che ho detto e il suo ampio sorriso mi spinge a fissare le sue labbra così rosse.

«Ma tu guarda... Articoli sportivi... Quando si dice il caso...» La sua voce si abbassa di qualche decibel, ma non per questo arriva con meno forza in ogni parte di me.

«Già... Hai ragione...» rispondo senza distogliere gli occhi dai suoi mentre ho l'impressione che il suo volto sia un po' più vicino.

«E hai un fidanzato a Jackson?» Sento la sua presenza sempre più vicina e ruoto il busto fino a voltarmi completamente verso di lui.

«Nessun fidanzato» dico con voce sempre più bassa come se lui avesse la capacità di rubarmela.

La sua mano destra arriva sul mio viso, leggera, poi le sue dita portano dietro l'orecchio una ciocca dei miei capelli, nei quali si infilano fino a stabilire un contatto con la mia nuca, sulla quale ferma la sua lenta corsa.

So cosa sta per succedere, cosa sta cercando di fare, e la mia parte razionale sta lottando con ogni mezzo per emergere ed evitarmi un possibile disastro, ma diventa sempre più difficile se anche l'altra sua mano si posa con estrema delicatezza sulla mia spalla lasciata leggermente scoperta dall'ampio scollo della maglietta che indosso.

«Ho voglia di baciarti dal primo momento in cui ti ho messo gli occhi addosso.» Le sue parole ed il suo tono di voce mi rendono uno strumento nelle sue mani, qualcosa che solo lui è in grado di maneggiare.

Provo in ogni modo a mandare dei segnali al mio corpo, ma vengono ignorati lasciando via libera all'istinto, che mi porta a posare la mia mano sul suo ginocchio. Sono certa di aver avuto su di lui lo stesso effetto che ha avuto su di me la sua stretta di mano: ho visto chiaramente una scintilla nei suoi splendidi occhi verdi.

«Harry non credo sia una buona idea.» Non sono sicuramente io che sto parlando perché l'unica cosa che vorrei davvero fare in questo momento è assecondarlo.

«Non sei obbligata se non vuoi. Non c'è niente che devi fare per forza.» Il suo volto è sempre più vicino, l'intensità con la quale mi guarda inizia a farmi girare la testa. «Guardami e basta.» E lo faccio, guardo i suoi occhi, solo che ora non vedo altro che quelli perché è davvero troppo vicino adesso. Sento il suo fiato sulle mie labbra e sono sicura che sappia di avermi in pugno nonostante la mia limitata resistenza.

Poi, i suoi occhi mi concedono una tregua, si sposta lentamente di lato accarezzandomi il viso con le labbra. Chiudo gli occhi, trattengo il fiato e sento che sto per impazzire. Non ho desiderato tanto una cosa come adesso desidero sentire il sapore del suo drink direttamente dalla sua bocca.

«Harry...» Il suo nome scivola fuori dalle mie labbra senza quasi rendermene conto.

«Guardami Ruby.» I miei occhi si aprono lentamente, come se fosse stato lui ad averne il controllo, adesso è di nuovo a pochi millimetri dalla mia bocca che brama di sentire la sua come non mi era mai successo.

Il suo corpo è più vicino, la sua presa si rafforza leggermente e il suo sguardo non mi lascia scampo. Il mio corpo è in fiamme, la mia mente completamente annebbiata, e quando le sue labbra sfiorano le mie senza toccarle davvero, divento puro istinto avvicinandomi a lui quel tanto che basta per azzerare ogni distanza.

Le sue labbra sono morbide, la sua bocca preme con forza sulla mia, con insistenza, come se volesse conoscere ogni curva delle mie labbra.

Improvvisamente scopro un intero nuovo mondo di sensazioni, qualcosa di troppo potente per essere trattenuto o combattuto, qualcosa di simile ad un uragano che ti travolge senza lasciarti nessuna via di fuga. Un contatto così intenso da farmi sentire il cuore esplodere nella cassa toracica fino a sentirlo battere dentro le orecchie. Il bacio più sconvolgente di tutta la mia vita.

Nell'istante in cui lui si allontana per potermi guardare negli occhi e vedo il suo sorriso, riesco a comprendere il significato della parola perfezione, perché è come se per tutta la vita non avessi aspettato altro che questo momento.

«Ti ripeto la domanda Ruby...» dice con un'espressione furba in volto, ma io non sono in grado di rispondere, quindi resto a guardarlo in silenzio. «Tu credi nell'anima gemella?»

Vorrei davvero dire qualcosa, ma al momento non so nemmeno se ce l'ho più un'anima. Credo che Harry se ne sia appena impossessato.



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SPAZIO ME

Ciao belle persone, eccomi con una novità.

Questa storia fa parte del contest "Summer love" di Romance_IT.

Al momento resterà così, ma non escludo in futuro di continuare a svolgere di Harry e Ruby.

Spero vi sia piaciuta e grazie per essere passati di qua.

Eeeeee niente, buona lettura 😍

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Capitolo 17
*** Chemistry ***


Avevo immaginato questa giornata uguale a tante altre che abbiamo passato. Non è la prima volta che decidiamo di trascorrere insieme il fine settimana, ma è la prima volta che nessuno dei nostri amici si unisce a noi. Pare che ognuno di loro abbia avuto un imprevisto dal quale non ha potuto liberarsi, e alla fine ci siamo ritrovati noi due ad affrontare questo sentiero di montagna. Siamo accompagnati da una guida perché è la prima volta che decidiamo di salire così in alto, ma in certi momenti è stato come se fossimo stati soli. Ad un certo punto gli ho dovuto persino chiedere di passare avanti perché avevo l'impressione di sentire il suo sguardo bruciare su di me, e adesso sono io che mi ritrovo a fissare il suo corpo, a partire dalle sue spalle per arrivare al suo fondo schiena.

È particolarmente bello nel suo abbigliamento da escursione, anzi no, lui è particolarmente bello e basta.

«Tutto bene lì dietro?» mi chiede con aria divertita quando si volta a guardarmi.

Non so se mi abbia beccata a fissarlo, ma farò finta di niente, come ho sempre fatto finora.

«Benissimo!» rispondo con tono deciso.

«Hai bisogno di una pausa?» mi domanda ancora fermandosi, lasciando che lo raggiunga.

«Forse sei tu ad averne bisogno.» Il sentiero è impegnativo, ma sono abbastanza allenata da resistere fino al rifugio.

«Diciamo che sono io ad averne bisogno...» Mi sorride, e come ogni volta sono costretta a trattenermi, perché guardare le sue labbra da così vicino, riesce a smuovere in me qualcosa che fatico sempre di più a controllare. «Steve?» Si volta verso la guida che è rimasta a guardarci a qualche passo da noi. «Possiamo fermarci qualche minuto?» gli domanda dandomi di nuovo le spalle, e io poso lo sguardo su quel tatuaggio che abbiamo fatto insieme qualche mese fa, quello che abbiamo entrambi dietro l'orecchio sinistro con l'iniziale del nostro nome: lui il mio, io il suo.

«Dai, sediamoci qui.» Mi fa cenno di raggiungerlo su un masso dal quale si ammira uno spettacolo straordinario, e oltre ad un paesaggio incontaminato, natura e fauna selvatica, il mio sguardo cade spesso sul profilo del suo viso, sul quale ricade qualche ciuffo sfuggito allo chignon improvvisato che ha fatto prima di intraprendere questa camminata.

Devo smetterla di guardarlo in questo modo o si accorgerà di quanto poco mi manchi per sbavare. Rivolgo quindi lo sguardo in avanti, mi lascio accarezzare il viso dal fresco venticello che ha iniziato a soffiare, e penso che devo darmi una calmata, devo smettere di pensare con gli ormoni, perché questa non è altro che attrazione giusto? E non voglio rovinare il mio rapporto con Jamie perché non potrei sopportare di perderlo se qualcosa non andasse per il verso giusto. 

«Non ho mai visto niente di più bello in vita mia.» Mi volto verso di lui quando lo sento parlare, e mi rendo conto che i suoi occhi sono fissi su di me. Il mio cuore accelera improvvisamente, ma subito faccio un respiro profondo per calmarmi, perché è ovvio che stesse parlando del panorama e non di me.

«Hai ragione» rispondo alzandomi in piedi per poi darmi una ripulita al fondo schiena. «Dovremmo andare adesso» gli dico volendo allontanarmi da lui perché le palpitazioni sono arrivate al livello di guardia.

«Sì è meglio» aggiunge Steve. «Sembra che il tempo stia peggiorando. Dobbiamo raggiungere il rifugio.»

Ci rimettiamo in marcia di nuovo immersi nel nostro silenzio, nei nostri pensieri, mentre seguiamo la nostra guida per il sentiero che si fa sempre più impervio. I quadricipiti delle mie game sembrano diventati di marmo, e il fiato si fa sempre più corto, per non parlare della temperatura che è più bassa ad ogni passo in avanti che facciamo lungo questo sentiero. Ho iniziato a vedere anche alcune chiazze bianche sugli alberi.

«Dobbiamo sbrigarci ragazzi, sta per arrivare una tormenta!» La voce di Steve interrompe il rumore ritmico dei nostri passi sul selciato.

Aumentiamo il passo fino al rifugio dove entriamo esausti e infreddoliti. Sto tremando, non mi sono vestita abbastanza pesante, ma non credevo che in pieno agosto avremmo potuto imbatterci in una tempesta di neve.

«Vado ad informarmi sulle condizioni meteo. Torno subito.» Steve si allontana lasciandoci all'ingresso.

Mi stringo nelle spalle e mi volto verso Jamie che sta sorridendo. «Ne hai sangue nelle vene Ellery?» Si diverte a prendermi in giro per la mia scarsa resistenza al freddo.

Non rispondo e alzo gli occhi al cielo per poi cercare una qualsiasi fonte di calore. Individuo un camino nella sala comune e mi avvicino per scaldarmi. Con la coda dell'occhio seguo i movimenti di Jamie che si reca al bancone del bar, poi mi raggiunge porgendomi una tazza fumante.

«È un po' di tè caldo aromatizzato alla cannella.» Sorrido al pensiero che se lo ricorda sempre, poi allungo una mano per afferrare quella tazza, e il breve e veloce contatto tra le nostre dita mi provoca la solita scarica elettrica lungo la spina dorsale.

«Grazie» dico per poi portarmi il liquido caldo alle labbra e sorseggiarlo mentre tento di nascondermi dai suoi occhi indagatori.

È sempre più difficile stargli vicino senza cedere alla tentazione di saltargli addosso. Ci conosciamo dai tempi delle scuole medie ed è sempre stato un ottimo amico, ma nell'ultimo anno, da quando si è lasciato con Karen, tutto sembra essere cambiato. Ci siamo avvicinati molto per consolarci a vicenda delle rispettive rotture, ma ho evitato con cura di restare sola con lui. Inizialmente perché cercavo solo amicizia e non volevo essere fraintesa, poi, le cose sono peggiorate quando mi sono resa conto che il mio corpo sembra essere attratto dal suo come se fosse una potente calamita.

Mi trovo bene con lui, ma non voglio rischiare di rovinare tutto perché il mio corpo impazzisce quando il suo è nei paraggi.

«Ragazzi l'unica strada che permette di tornare indietro è già inagibile a causa della tempesta.» Steve attira di nuovo la nostra attenzione. «Il maltempo non si calmerà per almeno quarantotto ore, dovremo restare qui. Vi conviene andare a vedere se hanno ancora stanze libere.»

Io e Jamie ci guardiamo nel sentire quelle parole. «Stai scherzando?» gli chiedo scioccamente, ma è ovvio che non stia scherzando. Steve conferma quanto appena detto e ci indica il bancone dove andare ad informarci. Ci avviciniamo e restiamo entrambi di stucco quando l'uomo alla reception ci dice che, date le poche disponibilità di stanze libere, è costretto a darci una sola camera, e la nostra sorpresa aumenta ancora quando entrati nella stanza, ci accorgiamo che c'è un unico letto matrimoniale.

Il pensiero di noi due nello stesso letto mi provoca pensieri inappropriati, per questo motivo gli chiedo di tornare nel salone comune e lui accetta senza nemmeno guardarmi negli occhi.

Una volta al piano di sotto prendiamo posto sul divano di fronte al camino. La serata passa in fretta tra chiacchiere e risate con alcuni ragazzi con cui abbiamo fatto amicizia, ma presto anche loro ci lasciano soli dicendo che sono stanchi. Il salone si svuota a poco, a poco, non c'è più neanche Steve nei paraggi, e io sento aumentare la temperatura corporea.

Il braccio di Jamie è dietro le mie spalle, appoggiato al divano, la mia gamba è contro la sua, e con la coda dell'occhio riesco a vedere il suo torace muoversi al ritmo del mio respiro. Vorrei allungare una mano per poterlo toccare, vorrei sentire il battito del suo cuore sotto le mie dita, vorrei...

«A quanto pare doveva proprio andare così.» La voce di Jamie interrompe i miei pensieri. Mi volto a guardarlo e da così vicino i suoi occhi scuri sembrano ancora più profondi.

«Cosa?» gli chiedo con quasi un filo di voce.

«Forse è un segno.» Anche la sua voce si affievolisce, e i suoi occhi si abbassano sulle mie labbra.

«Un segno?» chiedo ancora più confusa.

«Io ho provato a starti lontano Ellery, ci ho provato davvero, ma oggi sembra che tutto mi stia urlando di farlo.» La sua mano arriva leggera sul mio viso, e le sue dita scorrono lente lungo la mia mandibola fino a sfiorare con il pollice le mie labbra.

«Di fare che cosa?» Non riesco a ragionare, non sono lucida. Questo contatto mi sta facendo andare il sangue al cervello, e sento che il mio corpo sta per prendere il sopravvento, e gli ormoni invadermi il cervello.

«Di baciarti Ellery.» Poi buio. Le sue labbra sulle mie, dapprima con bacio dolce, che si fa subito più intenso, più passionale e adesso, che grazie a lui ho trovato il coraggio di posare la mia mano sul suo cuore, sento che batte veloce, allo stesso ritmo del mio.

«Volevo farlo da troppo tempo El...» dice con il fiato corto.

A quanto pare non ero la sola a sentire quella chimica che ci ha fatto avvicinare, e forse abbiamo una possibilità, o forse no, ma voglio vivermi questo momento fino in fondo, perché non voglio più respingere quello che sento per Jamie.
 

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Capitolo 18
*** Nella foresta ***


Quella trasformazione era così dolorosa quando avveniva e, il pensiero che quella tortura mi avrebbe trovato ad ogni plenilunio, mi fece trovare il coraggio di farmi avanti, di parlarle per chiederle aiuto.

Io e Katy ci conosciamo da qualche anno, studiamo insieme medicina, ed è l'unica ad essere a conoscenza di ciò che sono, perché è l'unica di cui mi sono sempre fidato. Abbiamo studiato da poco la modificazione genetica, abbiamo approfondito la terapia del dolore, e lei, usando tutte le sue conoscenze, sembra essere arrivata ad una soluzione, che spero di poter sperimentare positivamente stanotte.

Le ho dato appuntamento nel bosco, vicino all'albero in cui le ho rivelato la mia vera natura di lupo mannaro. Lancio uno sguardo alla luna per poi rendermi conto che manca davvero poco.

Sento un fruscio lontano, Katy è quasi qui, giusto in tempo.

Mi ha spiegato che, per essere efficace, il farmaco che ha realizzato deve essere iniettato poco prima della trasformazione. Nessuno mi ha mai visto in questo momento, ma so che lei sarebbe in grado di sopportarne la vista. Non so nemmeno più quanto tempo abbiamo passato a parlarne in questi anni.

Tengo lo sguardo puntato nella direzione del rumore che ho sentito, poi, la vedo spuntare dal cespuglio e, inevitabilmente rido alla sua vista.

«L'hai indossata davvero?» le domando con un sorriso sulle labbra.

La visione di lei con quella felpa rossa con cappuccio, riporta l'adrenalina del mio organismo a livelli accettabili, perché ricordo ciò che mi ha detto questa mattina.

«Jake, quando mi ricapita di fingere di essere cappuccetto rosso nel bosco con un lupo vero?» Non posso fare altro che ringraziarla mentalmente per provare a ridimensionare ciò che sta per avvenire. «Mi dispiace solo di non essere riuscita a trovare un mantello... ho dovuto accontentarmi...» Sorride, ed è bellissima.

«Mi dispiace di averti fatto venire fin qui da sola» le dico mortificato, ma non potevo correre il rischio che la metamorfosi avvenisse in anticipo.

«Tranquillo, non pensarci, ora dimmi cosa devo fare...» Sto per spiegarle cosa sta per accadere, ma una fitta lancinante al petto mi blocca il respiro.

Katy si avvicina velocemente, mi pianta la siringa nel bicipite e inietta tutto il contenuto, poi si allontana restando a guardare.

La mutazione avviene sotto i suoi occhi curiosi, ma per niente spaventati.

I peli sul corpo, il cambiamento della mia forma da umana ad animale, la mia voce che scompare per diventare un ululato e lei è ancora lì, in attesa.

Mi avvicino camminando sulle quattro zampe, continuo a non percepire alcuna paura da parte sua, poi passa la mano lenta tra le mie orecchie e mi rendo conto che il dolore scompare, che quasi non l'ho neanche provato.

Alla fine penso che, forse, non è stato solo merito del farmaco.

Katy era qui, ho potuto condividerlo con lei. È stata la sua presenza ad aiutarmi a sopportare il dolore, e ora non c'è più niente che mi impedisca di chiederle di essere mia per tutta la vita. 

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Capitolo 19
*** Mai dire mai... ***


Osservo il mio riflesso nella vetrata per la terza volta, alla ricerca di un po’ della donna che sono stata fino ad un mese fa, ma sto perdendo pezzi di lei ogni giorno. 

Sono sempre stata una donna forte, indipendente, e il mio ruolo da presidente nella società che mi ha lasciato mio padre mi ha sempre conferito un certo potere di cui, a volte, so di aver abusato per piegare gli altri al mio volere. Non ho mai incontrato uomo o donna che non cadesse ai miei piedi, che non subisse il mio fascino. Sono consapevole di essere una bella donna e nel corso degli anni non ho mai ricevuto un no come risposta, né in campo professionale, né in quello sentimentale. 

Ma è cambiato tutto quando Jack, il nuovo direttore del personale, è entrato nel mio ufficio.  

Quel giorno mi ha degnata a malapena di uno sguardo, cosa che ha fatto anche nei giorni a venire, così mi sono intestardita e ho cercato di farmi notare in ogni modo da lui, ma non è servito a niente.  

Ho scoperto in lui un uomo dolce, capace di grandi sorrisi e amante delle piccole cose, ma niente di tutto ciò l’ha vissuto con me, e il mio cuore si è sciolto a poco, a poco nel vedere quanto dei veri sentimenti potessero far felice qualcuno. 

La sera in cui mi sono presentata a casa sua vestita dei miei abiti più sexy convinta che l’avrei fatto capitolare, mi ha detto che non vede nessun piedistallo sotto ai miei piedi, che fino a quando il mio cuore sarà colmo solo di me stessa non ci sarà modo che lui abbia voglia di conoscermi, e che avrei fatto meglio a diventare una donna migliore se non avessi voluto restare sola. 

Per questo motivo stasera, dopo aver grattato via dal mio ego tutto il superfluo, ho indossato un paio di jeans e una maglietta, e sono di nuovo sotto casa sua per dimostrargli che il sentimento che ho iniziato a provare per lui è reale, e non solo un capriccio come mi ha detto qualche giorno fa nel suo ufficio quando ho deciso di confessargli ciò che provo. 

Premo il pulsante del citofono con le dita che tremano, poi emetto un gran sospiro prima di sentire la sua voce. 

«Chi è?» Il suo tono è tranquillo, spero che sia solo in casa. 

Raccolgo tutto il coraggio che possiedo e parlo con un filo di voce. «Sono la nuova Constance, ti andrebbe di conoscerla?»  

Non posso vedere il suo viso, e vorrei tanto sapere cosa gli stia passando per la testa in questo lungo momento di silenzio. Non mi è mai successo di dipendere così tanto dalla risposta di qualcuno, eppure adesso lo sto facendo. 

«Entra» La sua voce interrompe i miei pensieri, poi il portone si apre con un piccolo scatto. Appoggio una mano sulla superficie d’acciaio ed entro nell’atrio. 

Jack mi sta dando una possibilità, e io ho intenzione di sfruttarla. 

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Capitolo 20
*** Colpo di fulmine ***


La sala d'attesa della stazione è semi deserta. Mi guardo intorno e mi sento perso, svuotato. Mi aveva detto che se avesse accettato la mia proposta di vivere insieme l'avrei vista scendere dal treno proveniente da Manchester, e avremmo iniziato una nuova vita, ma sono due ore che quel treno è passato e di lei non c'è traccia.

Non ho mai trovato così scomoda questa poltroncina come oggi, e forse è il caso che io mi alzi da qui. Non ho più alcun motivo per restare, perciò, con il cuore a pezzi, mi alzo e mi reco verso l'uscita, continuando a cercarla con lo sguardo nella speranza di vederla arrivare.

D'un tratto vado a sbattere contro qualcuno.

«Oddio, scusami!» Volto lo sguardo in direzione di quella voce e resto letteralmente folgorato da un paio di occhi azzurri come il cielo. «Mi dispiace, ero distratta...» Il suo sorriso illumina in un attimo tutta la mia vita.

Non ho mai provato niente del genere. È come se con uno sguardo potessi sapere tutto di lei, come se la conoscessi da sempre e sapessi già di cosa ha bisogno. Ed è assurdo perché non le ho nemmeno rivolto la parola.

«Stai bene?» mi domanda notando il mio sguardo perso nei suoi occhi. «Ti ho fatto male?» La sua voce mi arriva in fondo all'anima, come se fosse l'unico suono in grado di calmarmi.

La frustrazione e la tristezza che provavo fino a pochi secondi fa sembrano ricordi lontani. A questa ragazza è bastato un sorriso, uno sguardo, e la sua voce per mettere in moto la guarigione del mio cuore spezzato. Sento che, lentamente, uno ad uno, i piccoli frantumi in cui è stato ridotto il mio cuore stanno tornando insieme.

«Scusami tu, ero sovrappensiero» le dico sentendo nascere un sorriso spontaneo sulle mie labbra. «Sei appena arrivata?» le domando osservando il bagaglio che tiene con la mano destra.

«Sì, qualcuno avrebbe dovuto venire a prendermi, ma credo di aver perso le speranze.» Il suo sorriso è triste, e io sento un'irrefrenabile voglia di fare qualcosa per lei. «Tu invece? Stavi aspettando qualcuno?»

«Non più...» rispondo senza esitazioni. «Sei diretta in città?»

«A dire la verità non ne sono più sicura...» Qualcosa la turba, glielo leggo negli occhi che continua a tenere fissi nei miei come ipnotizzata.

«Posso darti un passaggio se vuoi.» So che è un azzardo, ma dovevo chiederglielo, perché per qualche motivo che sfugge alla mia comprensione non voglio separarmi da lei.

Mi rendo conto che è assurdo: ero pronto alla convivenza con una ragazza che mi ha piantato in asso come un idiota, eppure adesso, mentre i suoi occhi scavano nei miei alla ricerca di non so bene cosa, mi sembra che niente abbia più importanza di avere la possibilità di conoscerla.

«Normalmente non lo farei, ma posso fare un'eccezione.» Sorride ed io mi incanto a guardarla.

Non ho mai creduto al colpo di fulmine, ma se questo non lo è allora non so proprio cosa sia.

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Capitolo 21
*** Il punto di svolta ***


Ho vissuto per strada dall'età di sedici anni, me ne sono andato per sfuggire a quel Mostro del mio patrigno, e ho finito per rovinare del tutto ciò che restava della mia esistenza.

Mi sono fatto trascinare in un mondo fatto di ombre, mi sono trovato immischiato in affari illegali, credendo di non avere altra scelta. Ho vissuto di espedienti, ma l'ho fatto accanto a quello che è diventato il mio migliore amico, l'unico punto di riferimento che mi restasse.

Ci siamo sempre coperti le spalle a vicenda come fratelli, eravamo io e lui contro il mondo, credevo non mi servisse altro. Almeno finché non è arrivata Lei.

Mi ha accolto nella sua vita anche dopo aver scoperto come mi guadagnavo da vivere, mi ha amato per quello che sono, ed è stata al mio fianco anche quando non lo meritavo.

Ho rischiato di trascinarla a fondo con me e di far diventare il mio inferno, il suo.

Ora, quella vita appartiene al passato. Non avrei mai permesso che vivesse una vita in fuga, passando il giorno a nascondersi per sfuggire alla giustizia o alle bande rivali.

È per questo che sono dentro.

Quel giorno sono rimasto in silenzio ad ascoltare la sentenza di condanna. Non ho battuto ciglio, non ho mosso un solo muscolo e nessuna espressione è comparsa sul mio viso. Ho accettato la pena impedendo all'avvocato di ricorrere in appello. È giusto così, devo pagare per tutte le scelte sbagliate che ho compiuto nella vita.

Non importa se non ho commesso quel preciso reato di cui sono stato accusato quel giorno nell'aula del tribunale, ho comunque spacciato in tempi addietro, ho rapinato persone indifese, e questa è la giusta conseguenza per le mie azioni. Lo devo a Lei, che mi è stata accanto durante il periodo di accettazione delle mie colpe, lo devo al mio migliore amico che ha pagato con la sua vita per salvare la mia. Adesso è il mio turno di sdebitarmi con lui. Devo scontare questa pena per entrambi.

Il tempo qui è passato lentamente, ho dimenticato il significato dell'espressione 'mettere il naso fuori', ho quasi dimenticato anche il suo volto perché l'ho chiusa fuori da queste sbarre quasi lo stesso giorno in cui mi hanno rinchiuso tra queste mura di cemento, e non le ho permesso di venire a trovarmi.

Forse, con il mio comportamento, l'ho spinta tra le braccia di un altro. Ero convinto che la sua vita dovesse andare avanti, che non doveva fermarsi insieme alla mia, ma ora, che sto mettendo piede fuori da questo posto in cui ho visto solo grigio per quattro anni, ora che l'aria aperta mi sta riempiendo i polmoni, so cosa voglio davvero dalla vita.

Voglio che Lei sia felice, e se avrà trovato un altro in grado di farlo come merita mi farò da parte, ma se vedrò nei suoi occhi anche una sola di quelle scintille che aveva quando era con me, allora, cascasse il mondo, farò qualsiasi cosa per riprendermela.

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Capitolo 22
*** Primavera in Inverno ***


La pessima giornata per eccellenza.

È questo che pensava Joe mentre stava rientrando a casa nel suo appartamento di Brooklyn.

Sua madre l'aveva chiamato quella stessa mattina per dirgli che non avrebbe accettato un no come risposta dopo averlo invitato per il pranzo di Natale a Detroit. Joe non voleva tornare nel Michigan a casa dei suoi genitori quell'anno perché non era dell'umore adatto per ritrovarsi a confronto con suo fratello maggiore.

Nate aveva una vita pressoché perfetta: era un medico - faceva il lavoro dei suoi sogni -, stimato dai colleghi, una bella casa, tre figli e una bellissima moglie. Questo è spesso stato motivo di piccoli battibecchi durante le cene di famiglia. Il padre dei due ragazzi esaltava i risultati ottenuti da Nate e spingeva spesso Joe ad imitare il fratello più grande.

Al piccolo - si fa per dire, dato che compirà ventotto anni a gennaio - di famiglia non interessavano tutti quei successi lavorativi. Lui era contento del suo lavoro d'ufficio perché, al contrario del lavoro impegnativo del fratello, il suo gli lasciava molto tempo da poter dedicare alla sfera personale della sua vita.

C'era un solo problema: la sua sfera personale era completamente piatta da tempo. Negli ultimi mesi le sue relazioni sono diventate sempre più brevi e sempre più insignificanti. È come se non fosse più capace di instaurare un rapporto che sia degno di tale nome. Ha conosciuto ragazze bionde, more, rosse, alcune erano alte altre meno, certe erano più formose mentre altre non proprio. Ha incontrato ragazze americane e straniere, è stato con donne appariscenti e donne più semplici... Insomma, Joe ha provato davvero a far funzionare le cose nella sua vita sentimentale, ma niente è andato come si aspettava. È per questo che non ha voglia di ritrovarsi faccia a faccia con suo fratello, perché anche quest'anno dovrà presentarsi da solo e suo padre non perderà occasione di domandargli - come fa sempre - quando ha intenzione di farsi una famiglia perché ormai ha una certa età e vorrebbe avere altri nipoti.

«Merda!» impreca Joe ad alta voce quando un'auto passa a gran velocità su una grossa pozzanghera che lo investe in pieno proprio mentre sta aprendo il portone d'ingresso dell'edificio nel quale si trova il suo appartamento.

Il suo giaccone gocciola mentre cammina nell'atrio in direzione della buca delle lettere. Lascia tracce ovunque sul pavimento, ma non se ne cura, recupera il suo plico di posta ricevuta e sale per le scale fino al terzo piano. Ha bisogno di una doccia calda, ed è con questo pensiero che entra nel suo appartamento, lancia malamente la posta sul mobile all'ingresso - un paio di buste cadono per terra, ma Joe le ignora - chiude la porta e va dritto in bagno dove si spoglia per infilarsi sotto il getto dell'acqua calda.

«Sì!» esclama soddisfatto quando sente i muscoli rilassarsi.

Era teso a causa di alcuni problemi sorti oggi sul lavoro. Joe si occupa della contabilità di uno studio assicurativo e sembrava che, nella giornata odierna, tutto fosse contro di lui: la stampante che finisce il toner, il telefono guasto, il computer con un virus - e il tecnico informatico assente perché malato - poi l'ascensore che si blocca per una ventina di minuti mentre stava uscendo.

L'unica nota positiva è stata Melody, ma non è una novità perché Melody è ciò che di più bello potesse capitargli nella vita, lo è stato in passato e lo è stato anche oggi. Melody l'ha chiamato proprio nel momento in cui lui era rimasto bloccato in ascensore e lo ha confortato per tutti i ventidue minuti - Joe li ha contati.

Il ragazzo soffre di claustrofobia e Melody, la sua migliore amica, gli ha insegnato alcuni metodi per riuscire ad affrontare la breve salita di quattro piani che lui deve affrontare per poter accedere al piano al quale si trova il suo ufficio. Insieme a lei sta imparando, seppur lentamente, a superare questa sua fobia.

Joe e Melody si sono conosciuti un paio d'anni fa tramite amici comuni, hanno legato in fretta ed hanno instaurato subito un bel rapporto di amicizia. Si sono sostenuti a vicenda nei momenti difficili e hanno gioito insieme in quelli buoni. Il loro legame è diventato sempre più stretto. È stata una questione di chimica. È scattato qualcosa nei loro occhi e nei loro cuori, qualcosa di così importante da renderli inseparabili.

Hanno vissuto vite parallele, ma allo stesso tempo sulla stessa lunghezza d'onda, ognuno con le proprie relazioni, ma spesso si ritrovavano a casa di uno o dell'altra per trascorrere insieme la serata.

Poi, è successo qualcosa, qualcosa che ha portato Joe a provare dei sentimenti diversi per Melody, sentimenti sempre più profondi e intensi. E, senza quasi rendersene conto, Joe ha iniziato a vedere Melody sotto una luce diversa: non era più l'amica con la quale condividere appuntamenti e pettegolezzi perché lui ha iniziato a provare dei sentimenti molto più intensi e molto più profondi, tanto che ha pensato fosse una buona idea allontanarsi da lei.

Voleva essere sicuro che quello che stava accadendo al suo cuore non fosse una sbandata qualunque, e ora l'ha capito: Joe è innamorato di Melody.

E lei?

Lei si è resa conto che, nell'ultimo periodo, il suo migliore amico si stava allontanando. Non riusciva più a vedere nello sguardo di lui la stessa complicità di sempre e ha pensato che avesse bisogno di qualche giorno per stare da solo, forse stava attraversando un periodo negativo, pensava Melody, e gli ha lasciato quel tempo, ma oggi proprio non ce la faceva più a sentire il suo Joe così lontano da lei, ed è per questo che l'ha chiamato.

Negli ultimi mesi Melody ha iniziato a sentirsi sempre più vuota. Ha tentato di colmare quei vuoti con relazioni occasionali, però non è servito a niente: quel vuoto che sentiva intorno al cuore si stava facendo sempre più profondo e più incolmabile. E più Joe si allontanava da lei, più si sentiva persa, tanto che, ieri sera, era così in crisi che mentre si trovava a casa di sua sorella minore Kaylee a rivangare le loro piccole avventure che hanno vissuto da bambine ha pensato che sognare un po' non le avrebbe fatto male.

Kaylee ha ricordato insieme a lei com'era bello trascorrere le feste in famiglia e ha sentito la nostalgia di quel calore, del calore delle persone a cui tieni - e lei tiene decisamente tanto a Joe. Le due sorelle hanno sorriso insieme al pensiero delle serate antecedenti al Natale che trascorrevano insieme - nella cameretta di una o dell'altra - a scrivere la letterina per Santa Claus, a quanto piaceva loro trovare sotto l'albero ciò che avevano scritto su quel foglio. Vedere con i propri occhi che le parole scritte - ovvero i suoi desideri - si avveravano diventando realtà il giorno della mattina del venticinque la faceva sentire felice come non mai.

Così, in un attimo di quasi follia, ha chiesto a Kaylee di rifarlo, di prendere carta e penna e scrivere una lettera a Babbo Natale per chiedere un solo regalo. A ventisei anni sa bene che è una cosa sciocca, ma ha bisogno di sentire ancora quel calore perché il suo cuore sta diventando fin troppo freddo.

Caro Babbo Natale,

Sono Melody, una sciocca ventiseienne che si è ridotta a scriverti perché non è in grado di afferrare da sola la felicità.
Odio l'inverno.
L'inverno è la stagione che mi ha portato via il calore di una persona davvero importante, una persona che ho conosciuto in primavera. Era così bello quel giorno sdraiato sull'erba in mezzo a quelle aiuole fiorite al Central Park, tanto bello che mi ero convinta che non avrei mai avuto alcuna chance con lui.
Ma ora lo sto perdendo e non potrei sopportarlo, quindi la mia richiesta è questa: per favore Babbo Natale, fai tornare la primavera, fammi tornare indietro, o fallo tornare da me.

Melody ha appeso quella lettera, chiusa in una busta rigorosamente rossa - come era loro abitudine fare - e l'ha appesa, insieme a quella della sorella, all'abete decorato di Kaylee. Le ha fatto promettere che non l'avrebbe letta, ma la sorella più piccola voleva vedere tornare a vedere il sorriso sulle labbra della maggiore. Per questo motivo, quando la sorella ha lasciato il suo appartamento, lei ha letto quella letterina, ha sorriso quando ha capito a chi si riferisse con quelle poche parole, e ha deciso di darle un piccolo, piccolissimo aiuto.

Kaylee è stata testimone dell'amicizia tra Melody e Joe, e ha sempre immaginato che tra loro due ci fosse molto più di quanto i due abbiano ammesso finora. Quindi ha indossato un cappotto, è andata dritta alla sua meta e ha effettuato la sua consegna speciale.

La letterina di Melody giace ora sul pavimento dell'appartamento di Joe insieme ad un paio di altre buste che gli sono scivolate quando è entrato in casa e ha buttato in malo modo la corrispondenza sul mobiletto all'ingresso.

Adesso che è uscito dalla doccia, dopo essersi scaldato e rilassato sotto l'acqua calda e aver indossato un tuta comoda, ha appena deciso di sprofondare a faccia in giù sul divano per la sua piccola dose di autocommiserazione quotidiana. Il Natale è alle porte e qualche giorno di vacanza dal lavoro è una buona cosa, quello che lo preoccupa è tornare dai suoi, le bollette da pagare e... e Melody.

Gli manca da morire e la telefonata di oggi ha riportato in superficie tutti i sentimenti che stava tentando di reprimere. Lei è quanto di più bello gli sia mai capitato nella vita e forse è arrivato il momento di prendere qualche decisione.

Torna a mettersi seduto e allunga una mano per recuperare quelle buste e dargli un'occhiata.

«Pagare, banca, pagare, affitto, pubblicità...» Joe elenca tutte le incombenze delle quali dovrà occuparsi a breve, ma al momento pensa che la priorità sia il suo stomaco che ha iniziato a brontolare.

Si alza in piedi e fa per camminare verso la cucina, ma la sua attenzione viene attirata da alcune buste sul pavimento, una in particolare, di un bel colore rosso brillante. Si piega sulle ginocchia e prende in mano quella busta. La osserva con attenzione, aggrottando le sopracciglia, perché il destinatario di quella lettera non è lui.

«Come diavolo è finita una lettera per Babbo Natale tra la mia posta?» lo dice a bassa voce, come se stesse parlando con sé stesso.

Continua a guardarla e, per quanto assurdo possa sembrare, il suo istinto gli suggerisce di aprire quella busta per leggere quella lettera. Sa bene che è una cosa insensata, ma la curiosità lo spinge a strappare i lembi della carta e ad estrarre quel foglio.

"Caro Babbo Natale..."

Joe legge le prime parole e pensa che sia una pubblicità per qualche raccolta fondi e fa per ripiegarla e metterla nella carta straccia, ma la sua attenzione viene catturata dalla calligrafia. Avvicina di nuovo quella lettera al viso e la riconosce senza ombra di dubbio: quella è la scrittura della sua Melody, né è assolutamente certo, così, curioso come non mai, prosegue nella lettura, divorando in un attimo quelle poche frasi in cui pensa di vedere sé stesso.

Davvero Melody ha scritto una lettera a Babbo Natale pensando a lui? Joe non ha risposta per questo. Si lascia andare all'indietro, sedendosi sul pavimento per poi appoggiare la schiena al divano. Tiene le gambe piegate, appoggia le braccia sulle ginocchia mentre tiene ancora stretto tra le dita quel foglio che l'ha turbato non poco.

Perché la sua migliore amica ha scritto quella lettera? E perché è finita in mezzo alla sua corrispondenza? Ce l'ha messa lei per fargli avere un messaggio? Le domande iniziano a vorticare freneticamente nella testa confusa di Joe, domande alle quali non è in grado di dare una risposta - non da solo - perciò decide che l'unica cosa da fare è parlare con la diretta interessata, l'unica in grado di potergli fornire una spiegazione.

Si alza velocemente e recupera il suo cellulare dal mobile all'ingresso, sul quale l'aveva appoggiato appena entrato in casa, sblocca lo schermo e fa partire la chiamata mentre torna a sedersi - con molta poca grazia - sul divano.

Joe sorride perché Melody risponde al secondo squillo.

«Ehi Joe, stai bene?» C'è un velo di preoccupazione nella voce della sua migliore amica.

«Sì Elly, sto bene...» Joe è l'unico a chiamarla così.

La prima volta che si è presentata lui ha capito male il suo nome - credeva fosse Elodie - così ha iniziato a chiamarla El. Inizialmente lei non si è osata a chiedere spiegazioni, ma l'ha fatto quando sono entrati più in confidenza, specialmente quando Joe ha cominciato a chiamarla Elly. Hanno riso insieme su questo piccolo, ma alla fine simpatico, malinteso. Melody ha comunque sempre adorato quel soprannome che era solamente loro, e lui si è sentito speciale per lei.

«E tu stai bene?» le domanda lui tenendo gli occhi fissi sulle parole che lei ha scritto.

«Certo che sto bene, perché me lo chiedi?» Joe non sa se ha davvero colto una piccola incertezza nella voce di lei o se è solo suggestionato da ciò che ha appena letto.

«Non lo so... È che ci siamo sentiti così poco ultimamente...» C'è silenzio dall'altro capo del telefono. «Sicura di stare bene?» le domanda di nuovo.

«Sto bene Joe.» Lui adora sentire il proprio nome pronunciato da lei. «Tu, piuttosto, sicuro di esserti ripreso dal tuo attacco di panico?» Adesso il tono di voce di Melody si fa più scanzonato. Lei sa sempre quando è il momento per alleggerire l'atmosfera.

«Sicuro...» Sta pensando a come chiederle della lettera per non metterla in imbarazzo, così decide di prendere l'argomento alla lontana. «Ti ho chiamato per chiederti un consiglio...» Non sa bene come cominciare, ma spera che la spontaneità che ha sempre avuto nei confronti della ragazza continui a supportarlo e a fargli fare la mossa giusta. «Mio fratello mi ha fatto sapere che i suoi figli hanno scritto la letterina a Babbo Natale e mi chiedevo...»

«Davvero? Una letterina per Babbo Natale?» domanda lei con un evidente tono sorpreso.

«Già, l'ho trovato, come dire... particolare no? Chi mai scriverebbe la letterina a Babbo Natale dopo i sei anni?» Joe pone quella domanda con un obiettivo preciso, e resta in attesa della reazione di lei, che però tarda ad arrivare. «Elly? Ci sei ancora?» chiede cauto lui.

«Sì... sì ci sono... Scusa ero sovrappensiero...» Il ragazzo prova a sondare il terreno per scoprire qualcosa in più - il comportamento di Melody gli sembra quantomeno sospetto.

«A cosa pensavi?» gli domanda lui con un tono dolce e rassicurante per metterla a suo agio.

«A quanto sia carino che abbiano scritto la letterina... vuol dire che hanno ancora voglia di provare un po' di magia del Natale no?» Anche la voce della ragazza è un po' più dolce.

«E tu Elly?»

«Io cosa?» Joe si rende subito conto che c'è qualcosa che la turba, ma non riesce a capire bene cosa sia, anche se vorrebbe tanto scoprirlo.

«Anche a te manca la magia del Natale?» Vorrebbe farle domande molto più esplicite e dirette, ma sta ancora tentando di capire come, quella lettera, sia finita tra le sue mani.

«Beh... quando sei bambino è tutto più facile, anche credere a Babbo Natale, ma a ventisei anni direi che ho superato quella fase da un pezzo...» Melody pensa che Joe le sta parlando come se fosse a conoscenza della sua lettera, ma poi si dice che è impossibile, che è solo una stupida coincidenza. Si sente comunque ridicola per ciò che ha fatto e non ammetterebbe mai di aver davvero scritto la lettera.

«Beh, è un peccato...» afferma Joe, quasi per provocare una sua reazione, che però, di nuovo, non arriva. «Quindi cosa mi consigli di fare con la letterina dei miei nipoti?» domanda lui curioso di conoscere la sua opinione.

«Credo che se hanno chiesto cose realizzabili dovresti accontentarli. Hanno fatto un gesto carino, secondo me meritano di essere ascoltati...» Joe continua a fissare le parole di Melody scritte con un inchiostro blu e pensa che forse la sua migliore amica ha ragione.

«Hai ragione Elly, proverò a realizzare i loro desideri» dice, pensando che non sta parlando realmente dei suoi nipoti, ma questo, Melody, non lo sa.

«Joe?» Lo richiama lei dopo un attimo di silenzio da parte di entrambi.

«Sono qui» risponde lui sorridendo anche se lei non può vederlo.

«Noi... noi siamo ancora amici, giusto?» Per Joe è una piccola stilettata al cuore la sua domanda. Forse la scelta di allontanarsi da lei è stata sbagliata, forse l'ha fatta soffrire, ma forse è ancora in tempo per rimediare.

«Sempre Elly.» Pronuncia quelle parole pensando a tutto quello che prova per lei, e sa che non è davvero amicizia ciò che vive nel suo cuore, ma non rinuncerebbe a Melody per nessun motivo. «Adesso devo andare, ti chiamo domani...» Una folle idea sta prendendo forma velocemente nel suo cervello e non vede l'ora di poterla realizzare. «Promesso...» Lo specifica, perché spesso nell'ultimo periodo le ha detto che l'avrebbe chiamata l'indomani, ma poi spariva per giorni.

«Ok» risponde lei con una punta di delusione nella voce, un po' perché non ha voglia di salutarlo così presto, un po' perché non è sicura che lui mantenga la parola, ma non vuole costringerlo a stare in sua compagnia, non l'ha mai fatto, così decide di salutarlo. «Allora a domani...» gli dice non credendoci fino in fondo.

«A domani Elly» promette lui con sincerità, poi chiude la comunicazione senza smettere di sorridere.

Pare proprio che Melody non sappia che Joe sia in possesso della lettera che ha scritto, e lui ha tutte le intenzioni di realizzare il suo desiderio. Dà un ultimo sguardo al foglio che tiene nella mano sinistra, poi si alza dal pavimento, lascia quella lettera sul tavolino e si reca in cucina per prepararsi la cena, ma senza smettere di pensare a quella pazza - ma spera realizzabile - idea che gli è passata per la testa mentre parlava con Melody.

Non pensa più ad altro ormai, nemmeno quando finisce di mangiare, o quando riordina la cucina. Fa persino fatica a dormire per l'eccitazione di mettere in pratica ciò a cui ha pensato, e il giorno dopo la situazione non è cambiata, anzi, se possibile è addirittura peggiorata.

Joe non riesce a pensare ad altro che a quella lettera e alle parole della sua Melody per tutto il giorno, fino a quando non finisce l'orario d'ufficio e può recarsi al negozio del suo amico per parlargli della sua idea e per farsi aiutare nella realizzazione della stessa.

Quella sera, dopo essere rientrato dal lavoro e dalla visita al suo amico, proprio come aveva promesso, chiama Melody. Lei ne è piacevolmente sorpresa, ma non si fa troppe domande perché troppo felice al pensiero di riuscire a riavvicinarsi nuovamente al suo migliore amico. E così, passano quasi l'intera serata, chiacchierando al telefono per aggiornarsi sugli ultimi avvenimenti della propria vita, che non sono un granché, a dire la verità, ma entrambi sono felici di tornare a parlarsi come qualche mese fa.

Forse c'è una possibilità che il loro rapporto torni ad essere quello di un tempo, pensa Melody dopo aver terminato la conversazione ed essere andata a dormire. Joe le ha promesso che l'avrebbe chiamata ancora il giorno dopo e a lei non serve altro al momento per essere felice, ma non sa quello che il suo migliore amico ha in serbo per lei.

L'indomani è finalmente sabato, il giorno perfetto per realizzare il suo piano. Per questo motivo Joe si è alzato presto e si è recato al luogo dell'appuntamento con il suo amico con il quale sta organizzando la sorpresa per Melody. I due lavorano senza sosta per tutto il giorno, mangiano un panino a pranzo per perdere meno tempo possibile, e continuano fino a quando Joe sembra essere soddisfatto del risultato finale. Si mette in piedi sulla soglia e osserva il loro operato, poi sospira e sorride sperando di riuscire a farla felice.

È già sera quando torna a casa per farsi una doccia e cambiarsi. Sorride nel dare l'ennesimo sguardo alla lettera che è ancora sopra al tavolino in salotto - non ha fatto altro che guardarla nelle ultime ore - poi esce di nuovo per andare a prendere Melody, anche se lei ancora non lo sa.

La ragazza è seduta sul divano di casa sua con il cellulare accanto a lei. Ogni tanto lo sblocca per controllare che sia ancora funzionante perché è in attesa della chiamata di Joe. Lui le ha promesso che l'avrebbe chiamata di nuovo, ma stasera sembra essere in ritardo e l'umore di Melody precipita velocemente ad ogni minuto che passa.

Che Joe abbia di nuovo cambiato idea?

È la domanda che si sta ponendo mentre guarda distrattamente la tv, ma il suono del campanello la distoglie per un attimo dai suoi pensieri.

"Scommetto che è Kaylee" pensa lei camminando verso il citofono. «Che c'è Kaylee?» dice alzando gli occhi al cielo con un mezzo sorriso sulle labbra pensando all'espressione di sua sorella, ma resta quasi paralizzata quando sente la sua voce.

«Sono Joe...» Il fiato sembra morirle in gola. Non lo vede da... da così tanto che ha persino dimenticato quanto tempo sia passato. «Posso salire?» Le domanda non sentendo più nulla.

Melody non risponde, anche le sue corde vocali sono come paralizzate, ma riesce a premere il pulsante che permette l'apertura del portone d'ingresso, poi si reca alla porta che apre restando in attesa di vedere il suo Joe spuntare dalla rampa delle scale da un momento all'altro. Sente i suoi passi avvicinarsi e il suo cuore inizia a martellare forte nel suo petto. Il sorriso che compare sul volto di entrambi non appena gli occhi di lei sono in quelli di lui, sarebbe sufficiente ad illuminare l'intero isolato.

«Ciao Elly» le dice lui quando è ad un passo da lei per poi lasciarle un bacio sulla guancia ed entrare nel suo appartamento sotto lo sguardo ipnotizzato di Melody, che solo in quel momento si rende conto di indossare un orribile tuta che usa per stare in casa, di essere spettinata e in disordine.

Joe si guarda intorno, alla ricerca di qualche novità o di qualche cambiamento, e tutto ciò che vede è praticamente uguale a quando è stato lì l'ultima volta, eccezion fatta per il piccolo albero di Natale sistemato in un angolo in fondo alla stanza.

«Cosa... cosa ci fai qui?» domanda lei quando riesce a riacquistare l'uso della parola dopo aver chiuso la porta di casa.

«Avevo voglia di vederti...» risponde lui voltandosi a guardarla. «Ti ho per caso disturbata?» le domanda sorridendole.

«No, figurati... solo... non mi aspettavo di vederti...» A Melody sudano le mani, e ha l'impressione che Joe possa rendersi conto di quanto batta forte il suo cuore. Le sembra che possa uscirle dalla cassa toracica da un momento all'altro.

«Ti dispiace che sia qui?» domanda ancora lui facendo un passo nella direzione di Melody.

«Niente affatto...» La ragazza non aggiunge altro perché adesso Joe è così vicino da riuscire a sentire il suo profumo.

«Mi sei mancata Elly...» Lei vorrebbe rispondergli, vorrebbe dirgli che anche a lei è mancato lui, ma l'unica cosa che riesce a fare è guardarlo e, a malapena, respirare. «Mi sei mancata da morire...» Joe fatica a tenere per sé tutto quello che gli passa per la testa, ma si sforza di farlo per non rovinare la sorpresa che ha preparato per lei.

«Mi sei mancato anche tu Joe...» riesce a dire quando lui fa un ultimo passo che lo porta esattamente di fronte a lei.

Per un paio di minuti non fanno altro che guardarsi. L'elettricità che regna nella stanza è quasi palpabile, ma entrambi sono ancora frenati da qualcosa.

«Hai già cenato?» le domanda lui quando recupera un minimo di lucidità.

«A dire la verità no.» Joe sorride perché il programma della serata sembra iniziare per il meglio.

«Ti va se usciamo?» Chiede ancora Joe, che non la sta nemmeno sfiorando, eppure lei ha come l'impressione che ogni parte di lui la stia accarezzando.

«Sì... vado a cambiarmi...» Risponde quasi come un automa, poi si allontana da lui prima di sospirare davanti ai suoi occhi come un'adolescente in piena crisi ormonale.

Si infila velocemente in camera sua, svuota mezzo armadio prima di poter trovare qualcosa di almeno decente da indossare, poi va in bagno per darsi una sistemata ai capelli e mettere appena un filo di trucco. Alla fine torna da lui che l'aspetta senza smettere di sorridere.

Trascorrono una delle serate più belle da diverse settimane a questa parte: non c'è più l'imbarazzo di qualche ora prima, quando si sono visti dopo tanto tempo, e nemmeno li sfiora più alcun pensiero. Sono tornati ad essere Melody e Joe, il resto del mondo può solo restare a guardare.

«Dove stiamo andando?» domanda Melody una volta usciti dal ristorante.

Stanno camminando da una decina di minuti infagottati nei loro cappotti pesanti. Joe le ha detto di volerla portare in un posto e lei lo sta seguendo, ma non senza fare domande come il ragazzo aveva chiesto.

«Ti ho detto che non te l'avrei detto nemmeno se l'avessi chiesto...» si volta a guardarla di sfuggita e non può non restare un'altra volta folgorato dagli occhi di lei.

È innamorato, ne è assolutamente certo, e ha capito che è il caso di dirlo anche a lei. Se è davvero lui quello che Melody nomina nella lettera, sa di avere una nuova chance con lei e non ha certo intenzione di sprecarla come stava per succedere fino a che non ha letto quella lettera.

«Puoi almeno dirmi se manca molto?» Melody è curiosa, tanto curiosa, e anche impaziente.

«Poco... siamo quasi arrivati... Ecco, è lì, al fondo della strada.» Joe ha scelto di proposito quel ristorante per questa serata perché era vicino al luogo dove davvero voleva portarla.

«Ma non c'è niente lì?» Melody osserva con attenzione, ma le sembra di vedere solo una lunga fila di magazzini.

«Aspetta a dirlo» le dice lui sentendo aumentare il livello di adrenalina nel sangue.

Finora gli sembrava che fosse tutto perfetto, adesso ha paura di aver sbagliato tutto.

Con mani quasi tremanti prende dalla tasca interna della giacca la chiave del magazzino che ha affittato per realizzare il desiderio di Melody, la infila nella serratura, poi fa scorrere il portellone verso l'alto fino ad aprirlo del tutto e si volta verso di lei.

Se dovesse usare una sola parola per esprimere ciò che vede in questo momento negli occhi di lei, non potrebbe essere che meraviglia.

La ragazza non sa dove guardare prima. L'aria si è completamente volatilizzata dai suoi polmoni e quasi non chiude nemmeno le palpebre per la paura che tutto scompaia. Invece di vedere tre pareti grigie e spoglie come aveva immaginato, i suoi occhi corrono a catturare ogni dettaglio che riescono a vedere. L'ambiente è traboccante di fiori di ogni tipo e ogni colore, sono in ogni angolo, riesce a sentirne il profumo che inspira a pieni polmoni tornando a riprendere il contatto con la realtà.

«È incredibile Joe!» esclama lei con entusiasmo.

«Ti piace?» le domanda lui bisognoso di rassicurazioni.

«È assolutamente meraviglioso... io... sono senza parole...» Melody non sa davvero cosa dire perché è frastornata da quello che vede. Vorrebbe fargli delle domande, ma non riesce a smettere di guardare tutti quei fiori.

«E tu non dire niente...» risponde lui attirando la sua attenzione. Lo guarda per la prima volta dopo essersi persa ad ammirare tutto quello spettacolo floreale e vede qualcosa di diverso negli occhi di lui, è come se fosse spaventato.

«Joe...»

«Aspetta...» la interrompe lui prima di perdere quel poco di coraggio che è riuscito a racimolare negli ultimi due minuti. «... fammi parlare Elly...» Lei richiude la bocca e lo guarda con occhi sognanti. «Ho fatto un grandissimo errore con te...» Le parole di lui le provocano una piccola stretta allo stomaco, e adesso è lei ad essere spaventata da quello che potrebbe sentire. «Ho sempre creduto che avremmo potuto essere amici, ma mi sbagliavo...» Tutto il castello di carte che Melody si era fatta nella testa stava crollando.

«Joe...» non vuole sentire il resto quindi prova ad interromperlo, ma lui la ferma ancora.

«Ti prego Elly, fammi finire...» Non vorrebbe farlo, ma il tono di Joe le fa capire che lui ha davvero bisogno di parlare. «Non voglio essere tuo amico e ho fatto tutto questo per poter tornare indietro, a quando ci siamo conosciuti, e ricominciare tutto daccapo...»

D'un tratto un flash le fa ricordare la sua sciocca lettera a Babbo Natale: la primavera, i fiori di Central Park, il giorno che si sono conosciuti, possibile che...

«Come...?» Non sa bene cosa chiedergli, per questo si ferma e lo guarda con aria confusa. Lui non può certo sapere di quella lettera, giusto?

Giusto?

Joe si porta esattamente di fronte a lei, le prende il viso tra le mani e la guarda come non ha mai fatto prima d'ora. Melody non si è mai sentita così su di giri come in questo momento. È confusa, disorientata, e non è la prima volta che sente le mani di Joe sulla sua pelle, ma ora sembra essere tutto diverso, tutto più bello, più emozionante, tanto che non riesce nemmeno a pensare. 

«Forse è tardi per dirtelo, o forse no, ma non posso aspettare un giorno di più, ne abbiamo già persi troppi...» Melody ha bisogno di un piccolo appiglio, così afferra i due lembi del cappotto di Joe e li tiene stretti tra le dita. «Sono innamorato di te Melody e non so se...» Il resto delle parole gli resta bloccato in gola nel momento in cui le labbra di lei premono con forza su quelle di Joe che subito resta immobile per la sorpresa, ma non ci mette molto a ricambiare quel bacio con la passione che ha tentato di reprimere e che ora si sta riversando in questo bacio che entrambi stavano aspettando da tempo.

*

Non seppero mai come quella lettera finì nella buca delle lettere di Joe - Kaylee si guardò bene dal confessare il suo piccolo complotto. I due ragazzi si limitarono ad accettare il fatto che a volte i desideri si avverano. Forse è stato Babbo Natale, o forse no, ma non ha davvero importanza perché adesso sono insieme a vivere un amore che cresce ogni giorno di più.

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Capitolo 23
*** Bitterness || H.S. || ***


"C'è sempre della pazzia nell'amore. Ma c'è anche della ragione nella pazzia."

(Friedrich Nietzsche)




Il vestito l'ho ritirato soltanto un paio di giorni fa e ora è ben disteso sul letto: è un abito scuro, semplice, ma adatto per l'occasione e degno della donna che amo.

Non sono al corrente di come Isabel abbia organizzato la cerimonia nei dettagli, ma sono certo che abbia fatto in modo che tutto fosse perfetto, dal luogo in cui si svolgerà la celebrazione a quello in cui si terrà il ricevimento, dal discorso che vuole che tenga suo nonno ai fiori. Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare ogni parete, e ogni sedia, decorata con magnolie bianche - i suoi fiori preferiti - come bianco sarà anche il suo vestito.

Non ha voluto mettermi al corrente di tutti i dettagli, perché voleva fosse una sorpresa, che ogni persona presente scoprisse come lei stessa aveva organizzato la giornata solo una volta arrivati lì, e io non ho fatto eccezione. È questo il motivo per cui non ha voluto nessun wedding planner, perché sentiva che la giornata doveva essere soltanto sua e voleva riuscire a realizzarla da sola.

È come se fossi in grado di vedere ogni cosa: la immagino con il suo sorriso più felice avanzare verso l'altare, con la piccola chiesa gremita dalle poche persone che ha voluto invitare per non far spendere troppi soldi al padre, il quale farebbe di tutto per la figlia dopo la scomparsa della mamma.

Isabel ha sofferto terribilmente per la perdita della madre e non sopportava l'idea di non averla al suo fianco nel giorno più importante della sua vita; le ho detto che sua madre sarà accanto a lei, non solo in questa giornata, ma in ogni giorno della sua vita.

Prendo una foto di noi due insieme, chiusa nella cornice che proprio lei mi ha regalato un paio di mesi fa, e mi rendo conto che non è cambiata affatto in questi anni: io e Isabel siamo amici da sempre, la conosco da quando eravamo bambini e il mio sentimento per lei non ha fatto che crescere insieme a noi. Ora sorrido al ricordo di una sera d'estate, in vacanza dal college, quando avevamo entrambi alzato un po' il gomito e l'ho quasi baciata: è stata la prima volta in cui mi sono reso davvero conto di ciò che provavo per lei, che ho capito che la mia amicizia si era tramutata in qualcosa di più profondo. Nei giorni successivi ho iniziato a chiedermi se anche lei provasse le stesse cose per me, se anche la sua amicizia nei miei confronti avesse subìto la stessa trasformazione e sono letteralmente impazzito fino a quando non ho ottenuto le mie risposte.

Sospiro pesantemente, poi indosso il vestito con cautela, lisciando le pieghe e annodando con cura la cravatta, per fare in modo di essere perfetto, alla fine infilo le scarpe, poi mi guardo allo specchio e non sono ancora contento del risultato, non mi sono mai sentito abbastanza per lei, ma arrivati a questo punto, non conta più.

Esco di casa sentendo l'agitazione iniziare a crescere e, quando salgo in macchina, mi manca già quasi l'aria; ed è questa la sensazione che mi accompagna per tutto il tragitto, fino a raggiungere la mia destinazione.

Gli invitati sono già tutti presenti e io guadagno il mio posto con il cuore che batte veloce e il pensiero di lei che forse si sta ancora vestendo, o che forse sta abbracciando suo padre. Riesco a sentire l'emozione del papà di Isabel come se fosse la mia, riesco a percepire il suo dispiacere di perdere - in un certo senso - la figlia e, allo stesso tempo, la sua gioia nel vederla felice.

Il respiro diventa sempre più affaticato durante questa attesa e la salivazione è quasi inesistente: vorrei avere tra le mani un piccolo shot di whiskey, o rhum, o vodka, non ha alcuna importanza, ma credo mi aiuterebbe a distendere i nervi. Lo sguardo di mio padre seduto in prima fila non mi aiuta a sentirmi meglio, men che meno quello di mia madre, quindi evito di guardare nella loro direzione, e continuo ad immaginare Isabel con i capelli raccolti e il sottile velo bianco a nasconderle il viso, le guance leggermente arrossate e gli occhi lucidi per l'emozione.

Dovrei smetterla di pensarci e darmi una calmata, ma non ci riesco perché il pensiero della giornata che sta per svolgersi, mi ha tenuto sveglio notti intere ad immaginare ogni istante di ciò che sarebbe successo, come sarebbe stato il suo abito, se avesse pianto allo scambio delle promesse o se, semplicemente, avesse continuato a mantenere sulle labbra il suo straordinario sorriso.

Il pensiero che possa cambiare idea all'ultimo momento mi ha sfiorato un paio di volte nell'ultima settimana e confesso di essermi sentito una brutta persona ad averlo pensato, quindi l'ho allontanato subito dalla mia mente e ho ripreso a pensare a quanto questo giorno la renda felice.

Il mio sguardo continua a perdersi su tutti i dettagli e sorrido compiaciuto rendendomi conto che non ho sbagliato alcuna previsione dei suoi preparativi: le magnolie bianche sono ovunque, ha realmente invitato poche persone e questa piccola chiesa la rappresenta totalmente, perché a lei piace circondarsi di poche persone, ma sulle quali sa che può contare davvero.

Ha sognato questo giorno da quando era bambina, per questo sapevo con esattezza cosa aspettarmi oggi; ricordo che, a dieci anni, indossava il vestito da principessa, ricopriva gran parte del pavimento della sua cameretta con i peluche - fingendo che fossero invitati al matrimonio - e fantasticava sul suo principe azzurro, su come sarebbe stato, se avesse avuto gli occhi chiari o scuri, ed io ero troppo piccolo per rendermi conto che sentivo di voler essere io quel principe, così restavo in silenzio ad ascoltare i suoi sogni, sogni che avrei custodito per sempre.

Strofino lentamente una mano sulla fronte, poi sugli occhi, nel tentativo di trattenere le emozioni e forse qualche lacrima che potrebbe sfuggirmi da un momento all'altro; di guardare verso l'altare non se ne parla nemmeno o potrei scappare da qui in meno di un secondo e invece voglio restare perché voglio vederla entrare, stretta al braccio di suo padre.

Isabel è una donna fuori dal comune con una grande forza e una positività che pochi hanno; è molto combattiva e non si arrende mai, di grande sostegno e molto leale. È questo che mi ha sempre affascinato, ed è per questo che me ne sono innamorato senza neanche rendermene conto. Quando ho realizzato di aver perso la testa per lei era già troppo tardi e non avrei potuto tornare indietro nemmeno se l'avessi voluto: il mio cuore è suo e credo lo sarà per sempre.

È sempre stata al mio fianco; uno dei ricordi più belli che ho di lei, della nostra adolescenza, riguarda il suo costante sostegno durante le partite di football a scuola, riuscivo a sentirla gridare il mio nome tra tutte le urla del pubblico presente, ed era proprio la sua voce a spingermi a dare il massimo.

In un attimo ogni momento che abbiamo vissuto insieme torna con forza nella mia mente, dalle uscite con gli amici alle feste in famiglia, dalle serate cinema alle chiamate in piena notte, ogni parola, ogni sorriso, ogni momento difficile; sembra che questo istante stia riportando tutto a galla.

Il leggero brusio si fa un po' più alto, gli invitati iniziano gradualmente a voltarsi indietro e le prime note della sua canzone preferita - di cui ora mi sfugge il titolo - si liberano nell'aria. Sono ancora più agitato, mi sudano le mani e sento il battito accelerato del cuore direttamente nella vena del collo: io non so se ce la faccio.

Lentamente si apre il portone di legno che dà sull'esterno, la luce del sole invade l'interno, trattengo il fiato nel vedere la sua figura, affiancata da quella di suo padre e mi costringo ad ignorare la vocina nella mia testa che mi urla di scappare via il più velocemente possibile.

Cammina lentamente, visibilmente commossa, non indossa il velo, ma ha dei fiori bianchi tra i capelli. Mi tremano le gambe e non riesco a deglutire: è bella da star male e io sto per impazzire.

Isabel continua ad avanzare, lenta, senza sosta, non guarda nessuno e va dritta all'altare.

Isabel sta per sposarsi, ma non con me.

E io ci provo a restare qui, ad essere felice per lei, ma l'amore che provo mi sta stringendo la gola, al punto tale che sto per soffocare.

Isabel tende la mano a James, io faccio un passo indietro, loro due si guardano e io mi volto iniziando a camminare sempre più velocemente fino ad uscire all'esterno e appoggiarmi con le mani ad una panchina. Il respiro è quasi un rantolo, sento gli occhi gonfiarsi e il mio corpo tremare.

Sono stato un pazzo a venire qui, forse volevo solo accertarmi con i miei occhi che la stavo perdendo per sempre, e ora che l'ho vista, vorrei non aver mai aperto quell'invito, vorrei non aver mai saputo che gli aveva detto sì, e vorrei non dover provare questo dolore al centro del petto che sembra risucchiare ogni mia energia.

«Cazzo!» Impreco ad alta voce contro il cielo, poi faccio respiri profondi cercando di far cessare questa crisi di panico, o qualunque cosa sia. «Fanculo!» Non ho avuto il coraggio di fermarla, di dirle ciò che provavo e ora l'ho persa.

Resto a fissare la superficie di legno della panchina per un minuto, o forse dieci, o venti, non lo so, mi sento come catapultato fuori dal mio corpo, come se non riuscissi più a riprenderne il possesso, almeno fino a quando non sento una voce alle mie spalle.

«Harry...» Mi volto lentamente nel sentirla, come se stessi cercando di realizzare che non è un sogno, ma la realtà.

Isabel è da sola, in piedi davanti a me, in lacrime, ed è una visione che mi toglie ancora di più il fiato.

«Isy... cosa...?» La lingua non vuole collaborare con il mio cervello e non riesco ad articolare nemmeno una parola.

«Io... io mi sono girata, Harry, e tu te ne stavi andando... e l'ho capito...» La sua voce è rotta, mentre parla e piange. «Non ho potuto, Harry, non senza di te...» Anche le mie corde vocali non collaborano e non riesco a dire nulla. «Non se non eri tu all'altare con me...»

Finalmente il mio corpo riprende vita, mi muovo in fretta per arrivare a lei, per stringerla tra le braccia, per baciarla, finalmente, come avrei voluto fare in tutti questi anni. Isabel risponde al mio bacio come se ne andasse della sua vita e io, adesso, credo di essere impazzito sul serio; sono pazzo d'amore per Isabel e adesso posso dirglielo.

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Capitolo 24
*** Promesse e pioggia ***


 

Voglio restare a guardare le gocce di pioggia che scivolano sul vetro. Dovrebbero correre giù verso il basso, dritte, senza ostacoli, invece corrono da una parte all'altra, proprio come i miei pensieri.

Una. Due. Tre. Quattro. No, ancora tre, perché la terza e quarta si sono unite. Non devo pensare, solo contare. Cinque, no, quattro, cinque. 

Aveva una maglietta bianca, l'ho intravista sotto la giacca di pelle. 

Sei. Sette. 

Non mi ha degnata di uno sguardo. Non so se non mi abbia vista o era preso da altro. È corso sotto al portico, poi è sparito all'interno del locale. 

Insieme a lei.

Aspetta, no. Lei era già lì, ma sono comunque entrati insieme. Lui le ha messo una mano in fondo alla schiena e l'ha fatta entrare per prima.

A che numero ero arrivata? Cavolo, ho perso il conto e devo ricominciare da capo. Ed è colpa sua. 

Ancora. 

Una. Due. Tre. 

Le gocce scivolano verso il basso, sparendo una nell'altra. 

Forse dovrei farlo anche io, forse dovrei uniformarmi alle persone che frequenta, forse le cose sarebbero andate diversamente. 

Quattro. Cinque. Sette, no sei. 

Mi sono distratta di nuovo. 

È ancora colpa sua, dei suoi occhi azzurri e del sorriso che gli illumina il volto. 

Non avrei dovuto andare al locale, stasera. Mi aveva detto di aspettarlo qui, ma io non ho voluto dargli retta. Il temporale mi ha sorpreso mentre tornavo a casa. Mentre tornavo da sola. 

Devo concentrarmi, devo ricominciare. 

Una. Due. Tre. E se le unissi io? Se le accompagnassi lungo il percorso verso il basso? No, non hanno bisogno di essere accompagnate, non loro. 

Io sì. Avevo bisogno di lui, di averlo qui.

Quattro. Cinque. Sei.

Sembrano lacrime, quelle che non riesco a piangere, e forse è per questo che piove così intensamente, perché non riesco a farlo e, in fondo, non ne vale nemmeno la pena. Lui, non ne vale la pena. O forse eravamo noi a non valerne la pena, per questo non è qui.

Ma in fondo non è mai cominciata. Io, invece, devo riprendere il conto da capo.

Una. Due.

Che poi ci credevo. Ho creduto a ogni parola, a ogni bacio, a ogni sguardo, e Dio... mi ci perdevo sempre nel suo sguardo. Un azzurro così intenso da restarne abbagliata. 

Tre. Quattro. Cinque.

Mi sono stancata di contare.

Apro la portiera dell'auto. Riesco a vedere casa mia dall'altra parte della strada, dove avrei dovuto essere con lui. Allungo una mano verso l'esterno. La pioggia fredda scivola veloce lungo le dita, arriva fin dentro le maniche del maglioncino che indosso, poi scendo, richiudo lo sportello e appoggio il palmo contro il finestrino, cercando di cancellare ogni percorso seguito da quelle stupide gocce. 

Mi volto e cammino verso casa. Mi fermo in mezzo alla strada. La pioggia cade ancora copiosa. Guardo verso l'alto. L'acqua mi bagna il viso, scorre lungo il collo, si infila sotto la maglia. Sento freddo, ma non è a causa della pioggia. Il freddo è nel mio cuore.

È tornato da lei e non ha avuto il coraggio di dirmelo. Perché? Non era quello che mi ha detto ieri sera. 

Sono stata travolta da un fiume di belle parole, a tratti ripetute come un disco rotto, parole su cui ho basato gli ultimi mesi. Parole che mi hanno portato a credere che fosse sincero. Il mio mondo ha iniziato a girare intorno a lui. Ero carica di speranza, disposta ad aspettare tutto il tempo di cui mi ha detto di aver bisogno, ma quell'attesa è diventata così ingombrante da rischiare di schiacciarmi. 

È come se ci fosse un vetro tra noi, un vetro che lui stesso ha tirato su, a cui sembra non volersi  nemmeno avvicinare, un vetro spesso che mi permette di guardarlo, ma di non toccarlo. 

Ho avuto solo briciole, avanzi, ritagli del suo tempo, tempo che non ha mai tolto a lei per dare a me, a noi. Sono stata la seconda scelta, un'opzione che si può omettere quando non fa comodo. Tempo che mi ha dedicato solo quando non aveva il fiato di lei sul collo, solo che ero accecata da ciò che provo per lui, e quelle briciole mi sembravano passi avanti, invece è rimasto fermo.

D'un tratto smetto di pensare, quando sento il rumore di un'auto. Porto lo sguardo al centro della strada, per vedere un paio di fari venire nella mia direzione. Resto al centro delle corsie, non mi sposto, perché ho riconosciuto la sua macchina. Rallenta e si ferma a un paio di metri da me. Scende senza spegnere il motore e mi raggiunge.

«Che stai facendo?» mi osserva preoccupato, ma resta a distanza.

«Io...» Dio, quando lo guardo non capisco più niente e ogni mia certezza viene rimessa in discussione. Continua a farmi lo stesso effetto, sempre.

«Dai, ti accompagno dentro» fa un passo verso casa mia, ma resta a distanza, solo che non ne posso più di questa maledetta distanza.

«Hai paura di lei?» le parole mi escono di getto, senza che possa controllarle.

«Cosa?» si volta a guardarmi, con un'espressione confusa.

«O hai paura di me?» più volte mi sono posta queste domande.

«Possiamo parlarne dentro?»

«Oppure hai paura della solitudine?» Ho trattenuto troppo a lungo queste riflessioni. Adesso sento esplodere ogni pensiero, sento scivolare fuori dalla bocca ogni ipotesi, e non posso fermarmi. «O magari sei un narcisista che professa grandi sentimenti, sentimenti che non sei in grado di provare?»

«Si può sapere cosa diavolo ti è preso?» La sua voce si alza, sovrasta appena il rumore della pioggia incessante.

Ha indossato una felpa sotto la giacca e il cappuccio che gli copre la testa è completamente bagnato, come anche il resto dei suoi indumenti. Resta fermo, lo fa sempre.

«Chi sei tu? Cosa vuoi davvero?» ignoro la sua domanda e lascio che vengano fuori i dubbi che mi stanno tormentando.

«Che razza di domanda è?»

Continuo a esternare ogni cosa che mi sono tenuta dentro da quando abbiamo iniziato a frequentarci, incurante della sua espressione spaesata.

«Ho messo le cose in chiaro da subito, ti ho aperto il mio cuore senza riserve, ti ho sostenuto in ogni momento. Ci sono sempre stata per te, anche a discapito di me stessa, e non importava se prima veniva lei. Ti ho dato tutto il tempo di cui dicevi di aver bisogno per mettere ordine nella tua vita, ma adesso basta». La gola mi brucia, non sento più freddo, nonostante sia certa di non aver più alcun indumento asciutto.

«Non so di cosa stai parlando, ma non voglio più restare qui fuori». Allunga una mano verso di me. Guardo le sue dita protese in avanti e vorrei riuscire ad afferrarle, ma non posso.

«Che cosa vuoi fare?» continuo.

«Voglio entrare in casa e togliermi questa roba bagnata di dosso» ribatte serio, evitando di rispondere alla mia domanda.

«Perché sei qui?»

«Dio, perché continui a fare queste domande del cazzo? Non possiamo entrare, prima di prenderci una polmonite?»

«Perché voglio delle risposte e le voglio adesso». Non posso aspettare e non m'importa della pioggia, del freddo, della sua fretta di entrare in casa. Mi osserva confuso, come se davvero non capisse a cosa mi stia riferendo. «Ti ho visto con lei» spiego. Chiude gli occhi e inspira a fondo. Resta in silenzio. «Se vuoi restare con lei, dillo, ma se vuoi me, dimostralo».

Non voglio più accontentarmi di rientrare nei suoi ritagli di tempo, non voglio restare ad aspettare un suo messaggio, una chiamata, e non posso più continuare a chiedermi se sia con lei. Il nostro rapporto si è basato su promesse rimaste parole, baci rubati, sogni che non si avverano, e speranze che hanno bisogno di continuare a essere alimentate. Non voglio più l'incertezza, non mi bastano i suoi sguardi furtivi. Voglio lui, ma lo voglio senza condizioni, alla luce del sole, perché non sono la seconda scelta di nessuno.

«Ti avevo detto di aspettarmi a casa».

«Sono stanca di aspettarti».

È doloroso dirlo, ma preferisco perderlo per sempre, che accontentarmi delle briciole.

«Beh, dovrai abituarti. Lo sai che faccio spesso tardi al lavoro, che devo passare ad aiutare mia madre con la casa un paio di volte a settimana. Dovrai imparare a far combaciare i tuoi impegni con i miei e accettare che lasci un po' di roba a casa tua, perché non ho voglia di perdere tempo e passare da casa prima di venire da te». Parla in fretta, senza darmi modo di replicare. Tante informazioni, tutte insieme, e fatico a metabolizzare le sue parole.

«Cosa... cosa stai dicendo?» mormoro con un filo di voce, non so nemmeno se mi ha sentito, ma poi lo vedo avvicinarsi.

«Ho una borsa, in macchina. Ho portato qualcosa da cambiarmi e uno spazzolino» spiega, portando entrambe le mani sul mio viso. «L'ho lasciata, sono qui, se c'è qualche altro modo di dimostrarti che ti amo devi solo dirmelo».

Tutti i pezzi del mio cuore tornano a posto, riprendendo a battere forte. Sento le sue mani sulle mie guance, i suoi occhi mi fanno perdere la ragione, mentre la sua voce arriva in ogni parte del mio corpo.

«Ho fatto così tanti errori, ho fatto del male a entrambi, ma non succederà più. Mi dispiace averci messo tanto, ma ora sono qui e ho intenzione di restare. Se ancora mi vuoi...»

Sento le emozioni risalire lungo la gola, ma lì si fermano. Non riesco più a parlare, non riesco nemmeno a pensare. Ha detto che mi ama. Diceva che non l'avrebbe mai detto finché non fosse stato libero di amarmi e io credevo fosse solo una scusa.

«Non... io... non...» balbetto parole senza senso, perché non riesco ad articolare le frasi e nemmeno i pensieri.

Sorride più tranquillo, mentre io sono un turbine di emozioni che mi sconquassano il petto. 

«Adesso pensi di poter entrare in casa?»

«Solo se lo dici un'altra volta» sussurro guardandolo negli occhi.

«Cosa? Che voglio entrare in casa o che ti amo?»

All'improvviso il turbine nel mio petto implode, non sento più nulla, né la pioggia, né le sue mani sul mio viso, come se ogni cosa si fosse fermata, per poi tornare con più forza di prima: il cuore impazza, i brividi corrono veloci lungo il mio corpo, sto tremando, ma non sono sicura sia a causa del freddo. Lo guardo, forse in attesa di qualcosa, anche se non lo so con esattezza. Non so più niente. Con due parole ha cancellato ogni dubbio.

«Ti amo» ripeto con un filo di voce.

Sorride, o credo lo stia facendo, non ne sono certa, perché le sue labbra si sono appena posate sulle mie, sotto la pioggia battente. Provo un leggero senso di vertigine, come se fossi salita a una notevole altezza, mi sento leggera, poi lanciata con forza verso il vuoto e riportata in alto, con il cuore che batte a mille.

Ha scelto me. I sacrifici sembrano lontani, la sofferenza meno dolorosa, e l'attesa è terminata. Adesso c'è lui. Ci siamo noi.

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Capitolo 25
*** Rinascita ***


 

Chiedere scusa è sempre stata una costante per me: "scusa se disturbo, scusa se ho detto, scusa se ho fatto".

Scusa.

Non che ci fosse motivo per scusarsi davvero di qualcosa, ma la mia necessità di sentirmi accettato prevaleva sulla ragione e mi sentivo costretto a dovermi scusare prima ancora che ce ne fosse bisogno.

Sono stato un ragazzino gentile, educato, mai sopra le righe, rispettoso delle regole a livello maniacale. Mi sono sempre conformato alla società a ciò che gli altri si aspettavano da me; mai una nota a scuola, o una scazzottata tra coetanei, o disubbidire agli adulti.

Non ho mai sgarrato di una virgola. Almeno fino a quando sono riuscito a reprimere la parte di me che ha tentato di venir fuori per tutti questi anni.

Lo sapevo che c'era un altro me più forte, più combattivo. Una versione di me che desiderava qualcosa di più dalla vita, che non voleva accontentarsi delle imposizioni. C'era una parte di me che voleva sperimentare, sbagliare, capire; era una parte curiosa, assetata d'affetto e di attenzioni.

Gli anni della mia adolescenza sono trascorsi tutti uguali, piatti e ripetitivi. Ero piuttosto sicuro di aver intrapreso la giusta strada per arrivare all'età adulta perfettamente inquadrato.

E forse sarebbe successo, o forse no, ma l'incontro della settimana scorsa ha messo in discussione ogni certezza.

La mia vacanza con gli amici era iniziata col botto, come ogni anno. A ventisei anni credevo si sarebbero dati una calmata; invece, la sera del nostro arrivo siamo stati in discoteca e, per un po', ho fatto da spettatore al loro modo colorito di abbordare le ragazze.

Io sono sempre stato più tranquillo: credo di non aver mai fatto il primo passo. Le ragazze che ho avuto hanno preso l'iniziativa; io mi limitavo a godere della loro presenza.

Anche nei rapporti di coppia sono sempre stato controllato. Non mi sono mai lasciato andare.

E solo oggi mi accorgo di non aver mai vissuto. Di non averlo mai fatto fino in fondo.

Finora ho subito gli eventi, non ho mai davvero preso in mano la mia vita per condurla dove volevo. Mi comportavo bene perché le persone si aspettavano che lo facessi e mi sono laureato in ingegneria perché i miei genitori ne parlavano da quando ero bambino. Non mi sono mai posto il problema se ciò che stavo facendo era ciò che volevo.

E le cose funzionavano allo stesso modo con i rapporti personali: frequentavo certe persone perché era normale farlo. Il migliore amico, la compagnia per uscire - per frequentare luoghi dove tutti si trovavano - e una ragazza.

Inquadrato, preciso, senza uscire dal seminato nemmeno una volta.

Almeno fino a una settimana fa, quando la mia vita è stata buttata all'aria, stravolta, rivoluzionata, grazie a un semplice "ciao".

Ero seduto al bancone del bar a guardare i miei due amici fare i cazzoni con un paio di ragazze: era la prassi e loro erano abituati al mio restare in disparte, tanto che si erano rassegnati e avevano smesso di insistere nel trascinarmi nelle loro conquiste.

Ed era la normalità - quando succedeva - di venire avvicinato mentre sorseggiavo un drink, osservando i tentativi di fare colpo dei miei amici.

Tuttavia, quella sera, la normalità era stata rimessa in gioco da uno sguardo diverso dal solito. Era la prima volta in assoluto che un gesto banale come quello, era stato in grado di farmi provare qualcosa di diverso.

Avevo ricambiato il saluto: la mia educazione mi imponeva di farlo e la mia neonata curiosità mi spingeva a volerlo fare. Ecco cos'era cambiato in quel momento: non era più dovere, ma piacere, ed erano bastati un saluto e uno sguardo.

Mi aveva offerto da bere e avevamo iniziato a parlare come se ci conoscessimo da sempre. Si è instaurato da subito un feeling pazzesco ed è stato un momento così coinvolgente che non mi sono reso conto del tempo che passava in fretta. Abbiamo trascorso l'intera serata appollaiati sugli sgabelli del bar, parlando di un'infinità di cose, dalle più comuni a quelle più personali. Mai ero riuscito ad aprirmi in quel modo; nemmeno con me stesso ero riuscito ad ammettere certe cose, come quella di non aver mai avuto una preferenza sull'indirizzo di studi.

Non mi ero mai sentito così interessato a qualcosa, o a qualcuno. I miei amici sono andati via con le due ragazze e io sono rimasto fino alla chiusura del locale. Abbiamo poi camminato senza meta, fino a ritrovarci e vedere l'alba di un nuovo giorno in riva al mare. Un mare agitato dal vento, che si increspava violento sul bagnasciuga.

Un po' come mi sentivo io.

A distanza di una settimana mi sento ancora così, agitato dal turbine dei miei pensieri in tempesta. Ogni convinzione di cui ero certo non esiste più. Ogni consapevolezza che avevo acquisito è svanita insieme a ogni mia sicurezza.

Eppure non mi sono mai sentito così bene.

Ho capito che sorridere mi fa sentire più leggero e farlo insieme a un'altra persona è anche più bello. Per non parlare del fatto che sorridere con qualcuno con cui stai davvero bene è il massimo.

In questa settimana di vacanza ho trascurato i miei amici - sempre in cerca di facili conquiste, amici con cui mi sono accorto di non aver mai legato fino in fondo - e mi sono dedicato a me stesso, alla nuova conoscenza e a come mi sento con lui.

Ancora non riesco a realizzare di stare così bene con un ragazzo, ma non voglio pensarci adesso, perché voglio solo concentrarmi sulle sensazioni che provo quando mi guarda, quando mi sorride, o quando mi sfiora.

Mi ha destabilizzato e dopo la prima serata trascorsa insieme ero così confuso che mi sentivo come se fossi reduce da una sbronza colossale. Non riuscivo a smettere di pensare al suo sorriso, alla sua vitalità. Così affamato di vita da mettere anche a me lo stesso appetito, contagiandomi con il suo buonumore.

Mi ha chiesto di poterci incontrare la sera successiva per una birra e ho seguito l'istinto, accettando senza pensarci. È stata un'altra serata speciale, fatta di spensieratezza, risate e chiacchiere. Non mi sono sentito giudicato nemmeno una volta e mi sono aperto con sorprendente facilità.

La sera successiva si è ripetuta come la precedente, e così tutte le altre.

Fino a oggi.

Tra poche ore rientrerò in città. Ho trascorso l'intera notte con Richard e di nuovo ci siamo ritrovati seduti in riva al mare. Stavolta lo sciabordio delle onde è calmo, come se il mare rispecchiasse il mio stato d'animo. Sono sereno, aperto a ciò che avviene. Ho imparato a farlo insieme a lui. Ho imparato che non precludermi la possibilità di lasciare entrare l'ignoto nella mia vita potrebbe non essere così negativo come ho sempre immaginato.

Siamo in silenzio da diversi minuti ed è strano, perché finora Richard si è dimostrato un gran chiacchierone. Mi volto verso di lui e sto per chiedergli se qualcosa non va, quando mi sorprende.

«Sono gay» dichiara tranquillo, guardando dritto avanti a sé, lasciandomi stranito. Non capisco cosa si aspetti da me, non so neanche se si aspetta davvero qualcosa, ma deve essersi accorto della mia perplessità, perché si volta e approfondisce l'argomento. «E ho una gran voglia di baciarti, Sam».

Dire che sono confuso è un eufemismo. Boccheggio alla ricerca d'aria: il suo sguardo è così intenso che ho sentito un brivido percorrermi ovunque.

«Puoi anche mandarmi a quel paese, se vuoi» afferma con un piccola risata.

«Scusa, è che...» tento di giustificarmi, ma non so cosa dire.

«Non c'è bisogno che ti scusi, Sam. Volevo condividere con te il mio pensiero. Lo capisco se per te non è lo stesso» continua con una tranquillità a cui non sono abituato.

Lui è sempre così sereno e rilassato mentre io sono rigido e impostato, anche se sto imparando ad allentare la presa su me stesso

«Non è questo... Io...» balbettò incerto parole sconclusionate, alla ricerca di quelle più giuste per esprimere ciò che sento.

«Tu cosa?» domanda con lo stesso sorriso di sempre, continuando a guardarmi.

E vorrei dirgli tutto quello che mi passa per la testa, spiegargli cosa provo, esternare ogni sensazione, ma ho ancora difficoltà a separare convinzioni e desideri, ma se c'è una cosa che ho imparato da lui è "lasciare andare".

Ed è quello che faccio.

«Hai ragione, non devo scusarmi» ribatto, per la prima volta davvero convinto di ciò che faccio, di ciò che voglio.

Mi allungo vero di lui seduto al mio fianco, poso le labbra sulle sue e quando ricambia il mio bacio mi rendo conto di non aver mai vissuto. All'improvviso sento un calore diffuso in tutto il corpo, come se il sangue si fosse messo a scorrere impazzito, irrorando il mio corpo assetato di vita. Sento pulsare le vene sul collo, le labbra bruciare, e tutto il mio corpo andare a fuoco.

Mi lascio andare, seguo l'istinto e porto una mano sul suo viso. Mi lascio andare e permetto alla sua lingua di invadere la mia bocca. Mi lascio andare e sento il cuore battere così forte da poterlo quasi udire al di sopra del rumore della risacca.

Quando riapro gli occhi mi accorgo dei primi bagliori del sole che sorge, portando con sé un nuovo giorno. Lo guardo negli occhi, mi sorride divertito, con l'espressione compiaciuta. Io sto andando ancora a fuoco anche se si è allontanato.

«Sono il primo, non è vero?»

Sospiro alla sua domanda. «È così evidente?»

«Diciamo che qualcosa di te l'ho capito, in questi giorni, per non parlare del fatto che ho vissuto più o meno le stesse cose, anche se poi le ho affrontate in modo diverso». Parla deciso, come se sapesse perfettamente ciò di cui parla.

E forse è così, forse lo sa davvero.

«Io... Adesso non so cosa fare...» ammetto con un filo di voce.

«Ricominciare da te: è questo che devi fare. Non sarà facile e non sarà a breve termine, ma arriverai a conoscerti, ad apprezzarti e ad amarti. E, se vorrai, io sarò pronto a sostenerti».

La sua tranquillità mi infonde sicurezza.

Mi volto a guardare l'orizzonte e osservo il sole che sale lento verso l'alto, mentre diventa sempre più luminoso. Forse potrei fare la stessa cosa: rinascere e brillare di una luce nuova, della luce che sento splendere in un angolo remoto del mio cuore.

«Sto per tornare a casa» mormoro con un filo di voce.

«Siamo solo a un'ora di treno. Ti basta chiamarmi e sarò lì, ovunque tu abbia bisogno di me».

Mi volto a guardarlo: il suo tono è serio, ma sorride e sono certo di poter contare su di lui.

«Forse non ti basteranno un paio di biglietti. Forse dovrai fare l'abbonamento» ribatto scherzando.

E forse è arrivato il momento di prendere davvero in mano la mia vita e rimettere tutto in discussione. Devo e voglio capire chi sono e cosa voglio, perché non sono certo di aver seguito la mia strada, tutt'altro. Ho camminato lungo un percorso che credevo fosse quello segnato per me, ma non era così che dovevano andare le cose.

E adesso che ho provato queste nuove sensazioni, voglio portarle a casa con me, non voglio perderle.

«L'abbonamento è anche più economico» scherza ancora, sorride e rivolge lo sguardo al sole, adesso completamente visibile.

Fisso anch'io lo sguardo in quella direzione, e quando sento le sue dita intrecciarsi alle mie so che non sono solo, che posso affrontare ciò che mi aspetta a casa.

Perché il nuovo me è appena rinato.

 

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Capitolo 26
*** Diga e palla da bowling ***


Sono in ritardo.

Ma è la storia della mia vita.

Ho fatto tardi in così tante occasioni che mi è difficile ricordarle tutte: all'esame di maturità, agli appuntamenti, agli eventi importanti, al compleanno di mamma, persino al funerale di papà, ma credo sia un segno distintivo del mio codice genetico, dato che sono nato in ritardo di quasi due settimane.

E oggi non fa differenza: devo dare l'ultimo esame prima di discutere la tesi e temo di non riuscire ad arrivare in tempo.

Quando ho aperto gli occhi al suono della sveglia ho avuto subito l'impressione che ci fosse qualcosa che non andava. C'era troppa luce che entrava dalla finestra e mi sono alzato di scatto dal letto per controllare l'orario, che non era quello che avevo impostato la sera precedente.

Ero convinto di aver puntato la sveglia alle sei, ma per qualche motivo di cui non sono a conoscenza il trillo fastidioso mi ha svegliato mezz'ora dopo.

Che sia stata la nebbia causata dalla terza birra che Tommaso mi ha convinto a bere ieri sera?

Forse. O forse è lo stato confusionale nel quale sguazzo come un girino che si è perso, da quando lei mi ha lasciato.

È questo il motivo per cui il mio migliore amico si ostina a farmi uscire nonostante le mie calde proteste. Gliel'avevo detto che oggi avevo l'ultimo esame e lui mi aveva promesso che non avremmo fatto tardi, ma "tardi" è ciò che mi caratterizza, il fardello che mi porto addosso da prima che nascessi.

E le coincidenze che mi hanno portato a correre su per le scale che portano all'ingresso dell'ateneo, sembrano essere una convergenza di eventi che puntano a una determinata circostanza. O almeno così direbbe Tommaso.

In sequenza cronologica c'è stata la sveglia puntata mezz'ora dopo l'orario previsto, le batterie del rasoio elettrico scariche – per cui ho dovuto cercare una lametta usa e getta – la mia camicia fortunata ancora da stirare e la metropolitana che è rimasta ferma per una decina di minuti.

Spero solo di non inciampare su questi gradini, ho davvero pochissimo tempo per arrivare in aula in orario. Stamattina c'è un gran viavai, ho già preso una spallata da un ragazzo che forse aveva fretta come me.

Tengo stretti tra le mani il libro e il cellulare, che vibra per l'arrivo di un messaggio. Abbasso d'istinto lo sguardo sul display e leggo il nome di mia madre: un gesto che mi porta via troppo tempo per accorgermi di dove sto andando e la distrazione mi fa bloccare all'improvviso, quando vado a sbattere contro qualcuno.

Il contraccolpo non è così forte da farmi cadere, ma il libro e il telefono mi sfuggono dalle mani.

«Oddio, scusa, mi dispiace».

Sollevo lo sguardo ed è come se venissi attraversato da una scarica elettrica da migliaia di volt. Un paio di occhi azzurri come il cielo, incorniciati da un caschetto nero e un nasino a punta.

«Scusami, ero distratta» continua, e raccoglie le mie cose cadute, mentre io resto a fissarla con la bocca socchiusa e gli occhi sbarrati. «Spero di non aver fatto nessun danno» prosegue, porgendomi il telefono e il libro.

Afferro con calma gli oggetti, mentre penso che ha fatto un danno enorme, perché mi ha appena sorriso, un sorriso che ha avuto la capacità di rompere la diga che avevo eretto intorno al mio cuore. Sento riversarsi nel mio petto tutti i sentimenti che ho tenuto repressi negli ultimi due mesi, li sento mescolarsi, li sento impregnarsi ognuno dell'essenza dell'altro. Sono confuso. È come se mi avesse lanciato una palla da bowling nel petto ed è così bella che non sembra nemmeno reale.

Ha un sorriso così bello e contagioso che mette voglia di sorridere anche me, come se il mio sorriso potesse fare rima con il suo. Un sorriso che mi è piombato addosso come una pioggia di stelle cadenti. Sento quel sorriso riscaldarmi il volto, sento il calore espandersi dalle guance al collo.

«Stai bene?» mi domanda, osservandomi con aria stranita.

«Sì. No. Cioè sì. Insomma sono in ritardo e tu hai devastato ogni cosa, ma sì. Sì, sto bene».

Lei sorride di nuovo come se avessi detto qualcosa di divertente e allunga una mano verso il mio telefono.

«Hai ragione, guarda qui» afferma, mostrandomi un angolo del vetro del cellulare andato in frantumi. «Ti lascio il mio numero, per ripagarti i danni».

«Non so se voglio aggiustare tutto. Sai, la diga, la palla da bowling, insomma era quello che mi serviva».

La ragazza mi guarda come se mi fossero spuntate le branchie e mi rendo conto che sto farneticando, ma la sua presenza mi ha mandato in confusione.

«Sicuro di stare bene?»

«Sì. Sicurissimo».

Annuisce e mi affretto a sbloccare il telefono per memorizzare il suo numero. Sono in ritardo, lo so, ma forse sono in perfetto orario per la pioggia di sorrisi che questa ragazza mi sta regalando.

«Chiamami. Adesso devo andare. Ciao».

Non mi dà modo di replicare che corre via verso il fondo della scalinata.

«Stefano?» Di nuovo seguo l'istinto e mi volto all'indietro quando sento la voce di Tommaso. «Che stai facendo? L'esame sta per iniziare» mi ricorda serio.

«Sì, arrivo. Stavo solo...» le parole mi muoiono in gola quando mi volto per cercare la ragazza mora dagli occhi azzurri, ma non la vedo da nessuna parte.

«Cosa?» mi domanda Tommy, dopo avermi affiancato.

Il mio sguardo si perde a perlustrare il grande piazzale antistante l'ingresso dell'università, ma la moretta sembra sparita nel nulla.

«Ho parlato con una ragazza, era qui fino a un attimo fa, ma non la vedo più».

«Possiamo cercarla un'altra volta? Non c'è bisogno che ti ricordi cosa succederà se non ti presenti all'esame, giusto?»

«Sì, hai ragione».

Lancio un ultimo sguardo nella direzione in cui l'ho vista dirigersi, poi seguo il mio amico. Mentre camminiamo controllo di avere ancora quel numero memorizzato: Gaia, è questo il suo nome. Non posso evitare di pensare alla catena di eventi che mi hanno portato a essere in quel preciso punto, in un determinato momento; non può essere un caso. Tuttavia, dopo averla vista sparire ho avuto, per un attimo, la sensazione che non fosse stata reale.

«Andiamo, sbrigati!» Tommaso mi richiama all'ordine e accelero il passo.

Devo concentrarmi, adesso, ma quando uscirò di qui devo trovarla. Dopotutto ho il suo numero: quanto può essere difficile rintracciarla?

 

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