Sei la mia città

di harretoms
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il posto più freddo è nel mio letto ***
Capitolo 2: *** Missili ***
Capitolo 3: *** Home ***



Capitolo 1
*** Il posto più freddo è nel mio letto ***


Prologo
Avevo una vita perfetta. Certo, non ho mai avuto tutto dalla vita, ma chissà come mai quando perdi tutto ti sembra che ciò che avevi prima, anche se non era molto, era tutto.
Ormai quando alzo gli occhi e guardo il cielo non vedo più l’arcobaleno, vedo solo le cose come sono, ed è la cosa peggiore che mi potesse capitare.

I lampioni non sono più luce, sono solo dei pali nei quali scorre elettricità.
Il cibo non è più un estasi di gusto, è solo una soddisfazione di un bisogno fisiologico.
Non avevo più voglia di andare avanti, camminavo per le strade di questo nuovo posto come un fantasma, un fantasma che non aveva né meta, né direzione. Non avevo dove andare, non avevo dove tornare. Avevo solo in mente il giorno in cui è cambiato tutto.
Un saluto. Una sensazione brutta. Lui che non ritorna più. Io che devo lasciare tutto.

Mi sentivo come fossi entrata in un tunnel buio e tetro che non aveva più una via d’uscita, o almeno io non la vedevo. Quella luce che ti acceca e ti dice che finalmente è tutto finito, io non riuscivo neanche ad immaginarlo.

La solarità che mi contraddistingueva, era ormai un lontano ricordo, sia per me che per i miei amici; che tanto per specificarlo dopo quel giorno, erano tutti spariti, come se non fossero mai esistiti, come se non avessero mai fatto parte della mia vita.
Non avevo mai avuto un buon rapporto con la famiglia di mia madre, per me non erano mai esistiti e sinceramente a me non cambiava molto la loro presenza o la loro assenza, stavo bene così, non sono mai stata una persona troppo affettuosa e se non mi dai amore io vivo bene lo stesso, non ridandotelo di rimando.

Quando sei costretta ad intraprendere una convivenza con gente che non conosci, che non vuoi conoscere e che ti ha sempre ignorato nonostante tu sia sangue del suo sangue, ti convinci che non puoi far niente per cambiare le cose, così non ci provi neanche a cambiarle.
Sicuramente non avrei mai immaginato che sarei finita a fare la Cenerentola di turno, con una matrigna cattiva e due sorelle acide come il veleno. Ed io avevo paura del veleno.

La mia vita del prima era una vita normale. Avevo una vita sociale non totalmente pazza ed estrema, ma la avevo. Uscivo a qualunque ora del giorno o della notte (per quanto mi era concesso) anche solo per fare un giro in macchina per la mia città. Frequentavo l’ultimo anno di liceo, mai stata bocciata, l’unica mia pecca scolastica era che ogni estate dovevo intraprendere i corsi estivi di matematica, avendo perennemente il debito, ma era tutto risolvibile con dell’impegno e un esame di fine corso.
Ma la cosa più sconcertante non fu il trasferimento, la cattiveria delle persone con cui vivevo o la tristezza perenne che aveva mia mamma negli occhi, che mi distruggeva mandandomi sempre di più alla deriva, no.
La cosa più catastrofica delle mia vita fu lui: Devis.

Lo odiavo, ma di un odio profondo. Se la mia vita era distrutta da ogni punto di vista, lui era capace di farmi provare ancora più nervosismo e rancore. Uno spocchioso, borioso, maleducato e un troglodita come mai visti in vita mia.
A Riverdale erano tutti talmente tanto gentili, si avvicinavano a me anche solo per fare due chiacchiere, mi salutavano con gioia. Il totale opposto del Bronx. Il totale opposto della banda dei pesci lessi, così chiamavo la compagnia di Devis.
Col tempo ho imparato che bisogna stargli lontano, da tutti loro. Così come facevano tutti gli altri, ma chi lo avrebbe mai detto che avrei stuzzicato la persona che non avrei mai dovuto neanche conoscere?
 
 

 
Angolo autrice:
Buonsalve a tutti/e. Io sono Marta e questa è la mia storia. In tutti i sensi.
Ho preso ispirazione da fatti realmente accaduti nella mia vita, ovviamente non sarà tutto perfettamente uguale, ho lavorato molto anche di fantasia. Mi scuso per il prologo molto corto, ma spero che lo apprezzerete e vorrete comunque continuamente, spinte da una qualche curiosità.
Grazie per essere arrivate fino a qui, non mi dilungo troppo, e buona continuazione.
Baci, xx
------ LaBaudel

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Capitolo 2
*** Missili ***


Capitolo 1
“Ti rendi conto che è tutto totalmente assurdo?”
Mia madre forse non si ascoltava quando parlava. Avrei dovuto davvero vivere con i miei parenti, senza mai avuto un rapporto con loro, finché lei non sarebbe tornata?
“Tuo padre è andato via, devi fartene una ragione Mag.” Disse lei poggiandomi il palmo della mano sulla mia guancia destra, con fare terribilmente dolce e materno, come solo lei poteva essere e tranquillizzandomi.
“Non voglio doverti salutare.” Dissi tra le lacrime. Non piangevo mai davanti mia madre, odiavo vedere il suo sguardo disperato mentre lo facevo, è stata sempre troppo emotiva, quasi quanto me. Odiavo questa parte di me, odiavo piangere, odiavo terribilmente mostrare le mie emozioni in un modo talmente debole e fragile.
“Non piangere Mag, ti prego.” Eccolo lì, quello sguardo. Devo ricompormi, devo respirare e smetterla di farla sentire in colpa, perché lo vedo il senso di logoramento che sta provando.
Io e mia madre non ci siamo mai separate, eravamo un'unica anima, la amavo più della mia vita e vederla in quella maniera, mi spezzava il cuore, come quel bicchiere frantumato a terra pochi giorni prima.
“Va bene, posso farcela, ma tu torni presto, vero?” il suo sorriso malinconico si fece spazio sul suo volto facendo sotto intendere la sua risposta. Era un sì voluto, sperato, ma in realtà non sapeva neanche lei quando sarebbe tornata.
“Vai a farti una doccia, preparati così andiamo.”
E così mi dileguai, senza più dire neanche una parola. Entrai nel bagno, nel mio bagno per l’ultima volta e mi spogliai guardandomi allo specchio sopra il lavandino. Avevo una cera cadaverica, occhiaie pronunciate e occhi rossi per aver pianto tutta la notte e poco fa. Misi un asciugamano a terra vicino la doccia, presi l’accappatoio e lo posizionai vicino il box-doccia.
Finalmente sentivo l’acqua bollente cadere sul mio viso, sul mio corpo, sui miei capelli. Mandando via, almeno in parte, tutta la tensione provata negli ultimi giorni, come faccio a fare una doccia tranquilla senza che i ricordi brutti si facciano spazio nella mia mente?
“Ciao papà, ci vediamo dopo.”
“A dopo Mag.”
No, basta. Non voglio e non devo pensarci. Prendo il mio shampoo e inizio a lavarmi i capelli, neri e lunghi fino al fondoschiena.
“Come mai stamattina esci così presto, Mark?”
“Mi aspettano degli operai, ci vediamo stasera Ally.”
Bugie, solo bugie. Tutta la mia vita era ed è sempre stata una menzogna. Ricordo ancora quel terribile presentimento, quella bruttissima sensazione che mi invadeva in ogni piccola parte del mio corpo. Sono sempre stata sempre molto intuitiva, riesco a percepire chissà come, le emozioni delle persone, le loro volontà, piccoli dettagli nascosti dietro piccoli gesti che per me sono talmente evidenti. Quella mattina sapevo che lui non sarebbe tornato.
Esco dalla doccia dopo essermi sciacquata e lavata col mio bagnoschiuma alla vaniglia e al muschio bianco. Un odore piacevole impregna il mio piccolo bagno. Il mio volto ha ritrovato un po’ di colore, probabilmente grazie al calore emanato dall’acqua. Mi chiudo nell’accappatoio cercando di trattene quel calore dentro al mio corpo e sto lì a fissarmi nello specchio per un po’ di tempo. Trascorrono minuti prima che io riesca a compiere un passo, incitata da mia madre. Oramai era un’ora che stavo chiusa nel bagno, era arrivato il momento meno atteso e aspettato. Vado in camera mia, prendo una felpa grigia larga e un pantalone nero a sigaretta, raccolgo i miei lunghi capelli in uno chignon, lasciando svolazzare qualche ciocca di capelli.
“Sei pronta?”
“Sì.” Fu la mia unica risposta prima di entrare in macchina. E così partimmo senza più pronunciare una parola.
 
Arrivammo dopo alcune ore davanti la porta di mia nonna. La mia ansia cresceva sempre di più, la tensione prima scaricata grazie alla doccia, si era ripresentata. Saluto mia madre per l’ultima volta tra alcune lacrime che ho provato a nascondere più che potevo e mi diressi verso casa di mia nonna.
Con lei viveva solo mio zio, una persona abbastanza strana. Proferiva parola solo per disprezzare qualcuno, da quel che sembrava nessuno lo sopportava, gli rispondevano sempre male e lui col tempo si era incattivito.
Appena entrai notai subito una nota di tensione e astio, ma probabilmente mi sbagliavo, erano solo brutte sensazioni dovute al mio stato d’animo. Saluto educatamente tutti i presenti, sembrava che mi stessero tutti aspettando, senza ne sé e né ma, mi fecero sedere sul divano, come se fosse una riunione di famiglia. Mia cugina attaccò a parlare.
“Mettiamo le cose in chiaro, qui non sei a casa tua.” Iniziamo bene. “Non puoi fare quello che ti pare e devi dare una mano, non ci serviva una persona in più a metter casino in giro, quindi fatti un esame di coscienza e metti la tua pigrizia da parte.”
Ero scioccata. Sapevo che Britney, mia cugina, fosse un’emerita stronza, ma non fino a questo punto. Neanche il tempo di varcare la soglia che già mi danno ordini. Il mio umore distrutto non mi fa neanche rispondere come è mio solito fare. Non volevo causare guai a mia madre e non volevo ritrovarmi sotto un ponte perché avevo risposto male, così mi morsi la lingua e annuii.
“Bene. Ora esci, vai a fare un giro, hai bisogno di aria. Si cena alle 19.30.”
Era la voce di mia nonna. Mio zio mi guardava con uno sguardo truce, avrei dovuto dormire in camera con lui e probabilmente la cosa gli dava parecchio fastidio. Mi sentivo sotto accusa, neanche sotto esame. Non hanno provato neanche a comprendere ciò che sto passando, per l’amor di dio non voglio compassione da nessuno, ma mi aspettavo un po’ di comprensione almeno.
Ero stanca, distrutta soprattutto dopo non aver dormito per tutta la notte, ma decisi di non ribattere neanche stavolta e mi alzai, sfoggiando un sorriso fintissimo e salutandoli, uscendo di casa. Era ormai buio, mi piace quando l’orario cambia ed inizia a diventare buio presto. Se stai male, se piangi, non tutti possono vederti. Amo la notte.
Cammino per una mezz’oretta, finché non raggiungo delle panchine. Era un posto molto carino, tre panchine messe una di fronte all’altra, e intorno tantissimi alberi, come fosse un piccolo giardinetto. Prendo il libro nella borsa e inizio a leggere.
Quando rialzo gli occhi erano ormai le 18.00, mi guardo intorno e non c’era nessuno. Che strano, ancora è presto. Scorgo un gruppo di ragazzi poco lontano da me. Mi spavento, vado subito in paranoia, ecco un altro dei miei difetti. Mi stanno guardando quindi mi incammino per tornare a casa. La loro casa.
“Ei, stupenda.”
Dio. No, ti prego. Aumento il passo pensando al fatto che la giornata non possa andare peggio. Ho il telefono scarico ma faccio comunque finta di parlare al telefono mentre quel gruppo si fa sempre più vicino. Tre di loro si fermano poco distanti da me mentre un ragazzo si avvicina.
“Non sai che girare a quest’ora da sola è pericoloso?” il suo tono non è preoccupato, ansioso o arrabbiato, come ci si aspetterebbe da una frase simile, ma io leggo solo cattiveria e divertimento.
Non rispondo, sono bloccata. Non riesco neanche a respirare a momenti. E poi fu tutto velocissimo: lui mi prende per un braccio e mi blocca entrambe le mani sopra la testa, contro un albero molto grosso. I miei occhi sono spalancati e io sono dannatamente impaurita.
“Da vicino sei ancora più bella, tesoruccio.”
Mi sento male, devo scappare. Magari potrei tirargli un calcio e iniziare a correre come non ho mai fatto in vita mia, ma lui coglie questo mio attimo di titubanza per premere il suo corpo contro il mio e iniziare a leccare avidamente il mio collo, non mi piace. Provo solo schifo, mi lecca come fossi una gazzella e lui il leone.
Inizio a piangere. “Ti prego, lasciami andare.” Sono disperata, distrutta e terrorizzata, morirò qui.
Poi non sento più la presa ferrea su di me, non sento le sue mani nei miei pantaloni, non sento la sua lingua sulla mia faccia.
Ho gli occhi serrati, ho paura a guardare. Sento dei lamenti, la mia curiosità supera il terrore e decido di aprirli. Ciò che mi si presenta davanti mi lascia scioccata.
Un ragazzo, illuminato dalla luce del lampione sta prendendo a pugno il mio aggressore. I tre ragazzi che erano con lui sono scappati, non li vedo. Vedo solo due ragazzi che prima non c’erano, e il tipo che mi ha salvata prendere a pugni quello schifoso. I miei occhi si sgranano sempre di più. Se va avanti così lo ammazza.
“Fermati, ti prego” urlo.
Per la prima volta alza gli occhi che si scontrano con i miei. Inutile dire che mi ci perdo dentro. Ha due pezzi di cielo al posto degli occhi, un cielo che si mischia al verde di un campo meraviglioso.
Sta lì, fermo, a fissarmi mentre lo schifoso è a terra senza forze. Lo sconosciuto si avvicina a me, con passo spedito. Oh bene, magari lo ha menato solo perché vuole concludere lui ciò che ha iniziato lo schifoso.
Inizio a tremare visibilmente e lui arresta il suo passo. “Non ti voglio fare niente.” Dice preoccupato che possa iniziare a dare i numeri. Il tremore diminuisce ma resto comunque sull’attenti. “Stai bene? Ti ha fatto qualcosa?”
“No, no. Sto bene.” Faccio una pausa per perdermi ancora nelle sue iridi, così continua ad avvicinarsi, forse per accertarsi che io stia bene. Chissà poi perché, non mi conosce neanche. “Grazie.” Dico, flebilmente mentre lui ormai è arrivato davanti a me. Io sono ancora bloccata contro l’albero. Mi rilasso, mi trasmette tranquillità.
“Sei una stupida.” Fiata sul mio volto, mentre mi tiene il mento tra le mani, senza farmi alcun male. Stupida a me? Io lo disintegro.
“Senti, razza di idiota. Stupida lo dici a qualcun’altra.” Rimane visibilmente scioccato. Forse si aspettava di trovarsi davanti una cretinetta.
“Ah ti è tornata la voce? Non tremi più come una foglia?” il suo sguardo non è cattivo, ed ecco che ghigna leccandosi le labbra subito dopo facendomi rabbrividire, sicuramente sarà il freddo.
“Ok hai fatto il tuo dovere da supereroe di ‘sta ceppa. Ora puoi anche sparire dalla mia vista.” Lo guardo con lo sguardo più omicida che riesco a fare. Ma com’è che non muore?
“Ahia, ha carattere la tipa.” Sento dire da una voce sconosciuta. Non rispondo, contenta di aver dimostrato ciò che sono. Sarò stata anche spaventata, ma non per questo può trattarmi come una stupida e soprattutto darmi della stupida.
Si avvicina ancora di più al mio viso e sussurra sulle mie labbra un “già.” E va via con i suoi amici, senza dire nient’altro.
Ormai sono le 20.00, arrivata a casa, mi uccideranno come minimo.




Angolo Autrice:
Ho deciso di pubblicare anche il primo capitolo sperando che il prologo vi sia piaciuto, anche se corto.
Spero che continuerete a seguirmi e spero di vedere delle recensioni, che siano positive o critiche, perché voglio imparare da voi. Grazie e alla prossima. 
--- LaBaudel
 

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Capitolo 3
*** Home ***


La strada per tornare a casa sembra infinita. È ormai buio pesto e le strade sono illuminate solo da lampioni che emanano luce arancione. La strada isolata mi spaventa, ho sempre odiato camminare per vie che non conosco. Non voglio tornare a casa, non voglio tornare da loro. Mi spaventano, mi fanno paura. Intravedo il cancello della mia nuova dimora, dove ovviamente sono solo un ospite non gradita. Suono il campanello ed ecco che comincia l’inferno.
 
“Iniziamo proprio male.”
Neanche un ciao, un buona sera distaccato, niente di tutto ciò. Il mio ingresso è subito costellato da critiche e lamentele sul mio comportamento. Mio zio è seduto ed è rimasto in silenzio per l’arco dei 20 minuti in cui mi hanno solamente sparato addosso insulti.
Ma ecco che anche la sua opinione viene fuori.
“Non sei a casa tua. Non fai quello che vuoi. Devi solo ringraziare il cielo di avere un tetto sulla testa… per ora.”
Le lacrime mi pregano di sgorgare fuori dai miei occhi ma mi costringo a rimandarle dentro e di soffrire in silenzio senza dar modo a loro di gioire del mio pessimo stato d’animo. Ho passato una serata orrenda, passerò una notte di merda e probabilmente i giorni a seguire saranno anche peggio. Già li odio, sì esatto. Non sono una di quelle moraliste che crede che l’odio sia un sentimento troppo forte che non si adatta ad una ragazza ben educata che deve provare solo compassione e amore. Io li odio, perché non merito tutto questo. Studio, mi comporto bene, ho sempre dato una mano a mia madre che adesso mi manca da morire ed anche questo sentimento che odio provare mi manda in bestia e mi fa venir voglia di piangere per le 24 ore successive.
“Dovete scusarmi, mi ero solo persa. Non ricapiterà”
E come se li avessi appena insultati definendoli persone subdole (quali ovviamente sono) mi sputano addosso di nuovo tutte le loro frustrazioni e la loro cattiveria. Ma ciò che non mi aspetto è che apparecchiando mi ordinano di non mettere il piatto al mio posto poiché andrò a letto senza cena. Ho un magone allo stomaco tremendo. Vorrei solo prendere e scappare ma non saprei proprio dove andare, sarei solo in balia delle tremende persone che abitano in questo posto e che per sfortuna ho già avuto modo di conoscere.
Ripendo a quel ragazzo. Se non ci fosse stato lui non so che fine avrei fatto stasera. Probabilmente non sarei a casa sana e salva. È stata l’unica cosa bella che mi è capitata da un po’ di tempo, mi sono sentita al sicuro per qualche minuto, salva, salvaguardata, come se potessi nuovamente fidarmi.
La notte ovviamente passa tra il borbottare del mio stomaco e le lacrime che bagnano il cuscino, ma se non altro sto piangendo in silenzio così che nessuno possa sentirmi, così che nessuno possa compatirmi o urlarmi addosso per il disturbo che sto arrecando.
La mattina arriva con un ritardo incredibile, sono ancora le cinque del mattino ma sono già pronta per uscire, voglio scappare da qui. Esco di casa quando ancora tutti stanno dormendo, sono sicura che apprezzeranno di non vedermi, inspiro l’aria pulita e mi rigenero automaticamente.
La mattina ora scorre troppo veloce, sono seduta su una panchina a leggere dal mio Kobo l’ennesimo thriller. Leggo thriller perché almeno in questi romanzi c’è qualcuno che se la passa peggio di me. Ed ecco che riappare lui.
“Hai deciso di seguirmi?”
Con la luce del giorno il suo viso è ancora, se possibile, più bello. Quegli occhi ombrosi e scuri che trasmettono un’inquietudine unica e quelle spalle alte e larghe mostrano la sua sicurezza e la sua sfacciataggine. Sono sempre stata brava a leggere le persone ma lui, lui ha qualcosa che non va, c’è qualcosa che nasconde, qualcosa che intrinsecamente mi spaventa.
“Non vedi che ero qui prima che arrivassi tu?”
Sgrana impercettibilmente gli occhi, colto di sorpresa. Non deve essere abituato alle rispostine fredde, ma dovrà abituarsi.
“Arguta la bambina.” Ovviamente vuole infastidirmi, ma non glielo permetterò, sono decisa ad ignorarlo e continuare la mia lettura.
“Cosa leggi?” certo che però ignorarlo diventa difficile. Si siede accanto a me, troppo accanto a me. Mi fissa, sento il suo sguardo entrarmi dentro, sì decisamente mi spaventa, ma non perché potrebbe farmi del male, ho la sensazione che non lo farebbe, ma perché ho paura che anche lui possa leggere me e vedrebbe insicurezza pura, scarsa autonomia e instabilità e non posso permettere che qualcuno veda le mie debolezze, non ora.
“Un libro.”
“Uh maddai. Non lo avrei mica mai detto, credevo stessi leggendo un cappello.”
Anche simpatico, ovviamente si fa per dire. Non lo sopporto, non mi ha fatto niente di male, non sono le risposte sarcastiche a darmi fastidio, anzi, apprezzo parecchio l’ironia e il sarcasmo. In più si può dire che mi ha salvato la vita. Ma c’è qualcosa dentro di me che mi spinge a detestarlo e al contempo non ho voglia di allontanare la sua gamba ormai attaccata alla mia. Sento la pelle sotto il jeans bruciare ma so dissimulare abbastanza bene. Oltre ai mille difetti ho un pregio che ritengo essenziale per la mia sopravvivenza, l’autocontrollo.
“Stamattina non ho nulla da fare, vuoi fare un giro?”
Mi giro a guardarlo, e ho come l’impressione che mi abbia appena letto nel pensiero devo rifiutare e andarmene. Con un cenno indica la sua Harley Davidson e la mia voglia di rifiutare scema immediatamente.
Posso già immaginare i miei occhi: stanno luccicando guardando quella splendida moto nera. E allo stesso modo posso immaginare il ghigno formatosi sul suo volto.
Sono sempre di più immersa nei guai.

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