Dentro l'incubo

di Lodd Fantasy Factory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fra incubo e realtà ***
Capitolo 2: *** Illusioni ***
Capitolo 3: *** La creatura d'ombra ***
Capitolo 4: *** Marjin ***



Capitolo 1
*** Fra incubo e realtà ***


 

11:59:01,

02,

03,

...

 

 

In quella fredda mattina di Gennaio, con le feste ormai chiuse nel cassetto dei ricordi, la città si era immersa già da un pezzo nel caos di vite che la animava. I bar erano gremiti di clienti, e negli uffici si faceva il conto alla rovescia per l'agognata pausa. Ma la giornata di James iniziava solo ora, scandita dal rimbombare noioso e ripetitivo della sveglia tra le sorde pareti della stanza. I freddi colori della pioggia tingevano il mondo fuori dalla finestra, ricreando lo stesso effetto di un dipinto sbavato.

La serata precedente era trascorsa alla stregua di tante altre per il giovane scrittore, tra la faziosa stesura del nuovo capitolo del suo romanzo, “Il sole che non tramonta sui giusti”, presto interrotta dall'arrivo dei soliti amici che, non sapendo dove andare, si erano riversati in massa nel suo studio. E così, tra fumo, risate e qualche buon bicchiere di whisky, la notte era sfumata fra i bagliori dell'alba, ancora una volta.

Era mezzogiorno.

Era lunedì.

Era già in ritardo!

«Jon, dannazione, ancora tu? Ora mi alzo!» esclamò, tirandosi a sedere. Fosse rimasto sdraiato un secondo in più, le coperte lo avrebbero avvolto come una larva, e custodito sino ad un mesto risveglio, a pomeriggio inoltrato.

Rispose alla chiamata sbadigliando, con la sua solita voce profonda, quasi un eco dell'oltretomba. Chop, il meticcio pezzato dalle orecchie a sventola, si rotolò nel suo cesto. Tale padrone, tale cane.

James possedeva una dote più unica che rara, invidiata da pochi ma detestata da molti: il ritardo cronico. Gli riusciva naturale arrivare tardi, pur quando l'appuntamento era proprio a casa sua. Un secondo talento, del tutto inutile a causa del primo, era la capacità di prepararsi in cinque minuti.

 

Jon lo aspettava spazientito, in piedi davanti all'entrata della palestra, col suo solito fare frenetico, da oltre trenta minuti. Ai suoi piedi si estendeva una pozza che pareva un lago, alimentata a mo' di cascata dal rigagnolo che si riversava dal vecchio canale di scolo della struttura alle sue spalle.

«Sempre puntuale, vero? Più sicuro della morte!» scherzò, tirando poi su col naso, infreddolito.

«Bhe... sì! Ma vedi il lato positivo: porto con me l'estate!» rispose James, alludendo ad un tiepido raggio di sole che adesso si affacciava sull'ingresso della palestra. Sul viso aveva stampato un ghigno divertito, oltre alle pieghe lasciate dal cuscino. Malgrado il clima pungente e la pioggia, non avrebbe mai rinunciato al tipico completo d'allenamento estivo.

«Ricordami di venire quaranta minuti più tardi, la prossima volta. Anzi, meglio di no, mi fregheresti sul tempo, e riusciresti ad essere in ritardo sul mio stesso ritardo. Dovresti farti controllare: non è tanto normale, sai?» lamentò Jon con fare scherzoso, dirigendosi poi verso gli spogliatoi, poco prima dell'infuriare dell'ennesimo temporale.

L'ampio seminterrato del palazzo che ospitava la palestra era più freddo del solito. Le luci lampeggiavano di quando in quando, mentre il brusio della sala attrezzi era stranamente quieto. Marjin, il proprietario, li fissò di sottecchi da dietro la scrivania, quasi cercasse di nascondere le profonde occhiaie ed una vaga noia.

Quel giorno, più di tutti gli altri, i due avvertirono una corrente gelida spirare fra i macchinari, benché fosse evidente che nessuna delle finestre era stata lasciata aperta. I soliti volti comuni, a cui da tempo erano abituati, si trascinavano da un attrezzo all'altro, ignari della loro presenza, come fossero solo dei corpi vuoti che vagavano verso l'oblio.

Forti dell'indifferenza che avevano sempre mostrato nei confronti degli altri atleti, timorosi di venir risucchiati in futili discorsi che avrebbero strappato tempo prezioso all'allenamento, presero la situazione in modo positivo.

«Avanti Jon, oggi dobbiamo superare il limite!» affermò James, mentre l'amico completava a fatica l'ultima serie in panca.

«L'ho fatto per Khyren, e per chi mi ha voluto bene!» ribatté Jon, dopo aver concluso.

Era una battuta che aveva perso lo smalto e la carica che era in grado di suscitare un tempo ma, a fatica, riusciva talvolta a strappare loro un sorriso. Alludevano ad un carismatico personaggio inventato dal giovane scrittore in una delle sue storie, ove era supportato dal fido compagno di avventure Phoenix.

Quando James si sdraiò e protese le mani verso il bilanciere, sollevandolo, avvertì una strana sensazione viscida. Saldò la presa sull'impugnatura e spinse con tutta la forza che aveva per portarsi avanti nell'esercizio; ma, quando arrivò in alto, vide la sbarra di ferrò scomporsi in una miriade di piccoli serpenti.

Il terrore lo afferrò.

«Sei pazzo!?» esclamò Jon, che prontamente aveva afferrato il bilanciere prima che potesse schiacciare l'amico con tutto il peso. Lo rimise sui fermi con uno sforzo sovrumano.

«Serpenti! Ma che diamine...?» urlò James, spolverandosi in modo frenetico, come se tentasse di levarsi qualcosa di dosso. Tutti all'interno della palestra lo fissarono con vuota disapprovazione. «Che avete da guardare?» mormorò scuotendo la testa, sedendosi di nuovo sulla panca.

«Serpenti?» lo derise Jon. «Dovresti pensare a dormire la notte. E vedere meno film Horror. Avanti, non battere la fiacca. Qualsiasi cosa dovessi vedere questa volta, non mollare il bilanciere, perché non ti aiuterò!».

James si sentì all'improvviso svuotato delle proprie energie. Il peso che stava provando a sollevare pareva un macigno insostenibile, malgrado fosse ben inferiore rispetto ai suoi standard. Gli tremavano le braccia. Era sul punto di cedere di nuovo.

«Forza, è l'ultima serie!» sì sentì spronare.

Strinse allora i denti, e spinse con tutto se stesso. Il peso divenne tanto leggero che non vi fu più bisogno del supporto di Jon, completò l'esercizio con cinque sollevamenti extra.

«Grazie» sussurrò trafelato, quando si mise a sedere. L'amico, però, pareva impegnato in un altro macchinario, dall'altra parte della sala, troppo distante per aver seguito la sua serie. Si guardò attorno, ma dubitava che qualcun altro si fosse degnato di aiutarlo.

Cercando di non far caso all'accaduto, raggiunse Jon per ultimare il programma d'allenamento; ed in men che non si dica, tra le solite risate, scemenze e battute di dubbio gusto, i due furono già all'ultima ripetizione dell'esercizio finale.

James si era lasciato alle spalle la fiacchezza, mostrando una buona condizione fisica, malgrado le poche ore di sonno e la fame. Gli ultimi colpi si presentarono tuttavia come uno scoglio, ma giunse in suo soccorso ancora una volta quella voce:

«Forza, non mollare: è l'ultima serie!».

Come accaduto sulla panca, riuscì ad ultimare la tabella con facilità, superando la sfida. Si tirò su di fretta, sperando di sorprendere l'amico darsela a gambe levate, e così mettere fine a quello stupido scherzo. Ma lo vide già lontano, con in mano i tappetini per l'addome, ultimo gruppo muscolare della giornata. Fu in quel momento che si accorse di avere ancora gli occhi di tutti gli astanti su di sé.

«Questa devi spiegarmela» brontolò, avviandosi poi verso la stanza dai molti specchi, adibita per gli esercizi addominali. «Ho qualcosa di strano oggi? Perché tutti continuano a fissarmi?».

La zona era immersa della penombra, e due ragazze erano appartate sul fondo, come intente ad eseguire degli esercizi di yoga, una davanti all'altra, in piedi.

James tirò un sospiro di sollievo, fiero del fatto che a breve l'allenamento si sarebbe concluso.

Ciò che non sapeva, però, era che presto niente sarebbe più stato lo stesso ai suoi occhi.

 

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Capitolo 2
*** Illusioni ***


Jon aveva risposto in modo evasivo, spiegando che sarebbe dovuto andare via presto, e si era già buttato a terra per portarsi avanti. James si convinse allora a tacere, ed a rimandare a più tardi i suoi folli quesiti. Di certo avrebbe avuto del materiale strampalato per un futuro racconto: “Il gioco della paura II”. Avesse sortito lo stesso scalpore del primo sul pubblico, ci sarebbe stato da ridere, anche se difficilmente più della prima volta.

Tuttavia, a pochi attimi dall'inizio della fase di workout, l'occhio del giovane cadde sullo specchio, precisamente nella zona dove le ragazze si stavano allenando.

A causa della penombra, gli ci volle qualche istante per comprendere cosa stesse accadendo alle sue spalle. Le due erano avvinghiate, e strusciavano i loro corpi sudati con rovente passione. Lo schiocco dei loro baci era diventato tanto intenso che gli fu impossibile distogliere lo sguardo.

«Jon, questa non puoi perdertela!» sussurrò divertito, calciandolo con un piede per infastidirlo.

«Me ne mancano solo altri cento!» commentò quello a denti stretti.

«Peggio per te!» rispose James, mettendosi a ponte, per fingere di starsi ancora allenando. I suoi occhi erano invece tutti per la scena piccante che stava a poco a poco degenerando, dall'altra parte della stanza. Rimase a fissarle per un lasso di tempo indefinito, sin quando l'addome non gli bruciò tanto da costringendo ad abbandonare la posizione.

Quando si tirò nuovamente su, vide le due ragazze fissarlo. Erano senza il top, mettendo in mostra i loro fisici atletici. Con fare malizioso, portandosi l'indice alle labbra, lo invitarono a raggiungerle.

Il giovane si fece guidare da un recondito istinto al quale tutti gli uomini sono soggetti, specialmente nei momenti nei quali il sangue è mal distribuito nel loro corpo.

James si abbandonò fra le braccia delle due, facendo scivolare le sue mani sui loro corpi sudati. Avevano la pelle fredda ma marmorea come una scultura, e le loro labbra sapevano essere gelide come metallo. Lo morsero, vogliose, tirandolo a sé ed appiattendosi contro gli specchi.

Più si lasciava andare alle carezze delle ragazze, più il giovane avvertiva un'estranea debolezza dominarlo, quasi il peso dell'allenamento gli stesse piombando addosso in quel preciso momento. Fece quindi per staccarsi, per riprendere fiato, ma gli fu del tutto impossibile: le due lo trattennero, mentre i loro occhi mutavano in specchi che riflettevano la sua immagine, sempre più decrepita, sciupata.

Lanciò un urlo di orrore, provando invano a liberarsi dalla loro morsa; più si agitava, però, più si sentiva debole. Le ragazze gli morsero il labbro inferiore ed il collo, questa volta con foga, incidendo la pelle con i canini. Presero a trascinarlo dentro lo specchio, rilasciando un macabro risolino.

La superficie riflettente era tramutata in un liquame rossastro, ribollente, dal quale si levò presto l'eco di raggelanti rantoli. Emersero all'improvviso migliaia di mani avvizzite, che si protendevano alla ricerca del suo corpo, graffiandolo e sporcandolo. Quando un gelido schizzò gli colpì le labbra, il giovane scrittore non ebbe alcun dubbio: era sangue!

«James!» lo chiamò Jon, colpendolo sul viso con un poderoso schiaffo. «Che cazzo stai facendo?».

Il giovane rinvenne.

Si ritrovò appiattito contro il vetro parzialmente frantumato, ansimante e a torso nudo. Il collo ed il labbro inferiore sanguinavano, palesando reali le ferite inferte dalle due ragazze.

«Dove sono finite?!» esclamò dopo esser caduto all'indietro, ed aver preso ad arretrare strisciando con i gomiti. «Allontanati Jon, quelle stronze mi hanno morso! Le mani volevano trascinarmi nel sangue...».

«Di chi stai parlando?» gli chiese ancora Jon, scettico. Lo fissava come se avesse davanti agli occhi un pazzo.

«Quelle due! Il vetro era diventato sangue... mi sentivo debole. Hanno cercato di uccidermi!».

«James... tu non stai bene. Ti ho visto con i miei occhi schiantarti contro gli specchi, mentre ti spogliavi. Forse è meglio se torni a casa...».

«Mi stai dando del pazzo? So cosa ho visto!» sbottò il giovane. «Ma concordo con te: dobbiamo andarcene di qui!».

Solo in quel momento entrambi realizzarono che la stanza era stata sigillata dall'esterno, e come la temperatura all'interno fosse calata drasticamente. L'ombra si era addensata.

«Smettila di fare l'idiota!» sbottò Jon, scansandolo, provando a forzare la porta. Era chiusa, benché non vi fossero lucchetti o serratura – vietate dalle norme di sicurezza. Eppure, era bloccata. Provò a battere i pugni contro le vetrate, certo di poter attirare l'attenzione.

Gli atleti parvero udire il suo richiamo, e si volsero tutti nello stesso momento, come in sincronia l'uno con l'altro. I loro occhi sgranati apparivano vuoti, privi di alcuna vitalità. I loro visi erano invece increspati da ghigni inquietanti, distorti, perversi. Mostrarono i denti.

Abbandonarono gli esercizi per fiondarsi feroci contro la porta. Presero a battere i pugni sui vetri, con foga crescente, accalcandosi e schiacciando chi si trovava sotto di loro. Aumentavano di numero un secondo dopo l'altro, generandosi dal nulla. Il loro aspetto appariva sempre più macilento.

James e Jon fissarono inconsciamente lo squarcio che si era aperto fra gli specchi: si chiesero quale realtà terribile celasse al suo interno. Le tenebre apparivano definite, come drappi consistenti agitati in modo spasmodico da entità ignote, lasciando di quando in quando spazio ad una miriade di volti fra le innaturali pieghe.

Poi, la porta a vetrate s'incrinò.

Erano senza via di fuga.

In trappola.

 

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Capitolo 3
*** La creatura d'ombra ***


«Che ti dicevo? Sta succedendo qualcosa di folle qui sotto!» esclamò James.

«Dove siamo? Da dove arriva tutto questo freddo?» chiese Jon, guardandosi attorno. La stanza alle loro spalle aveva subito un notevole mutamento: le pareti erano svanite, lasciando spazio all'oscurità sconfinata. Eppure, il parquet proseguiva verso il nulla assoluto.

Tutto ciò non aveva il benché minimo senso: una mattinata come tante altre si era tramutata in un incubo profondo, del quale non osavano immaginare l'epilogo, od un'ipotetica via d'uscita. In cuor loro avrebbero forse preferito non saperlo.

S'incamminarono verso l'ignoto.

Era solo l'istinto di sopravvivenza a guidarli, misto ad una strana sensazione di coraggio e ad un'arcana energia di cui si sentirono, senza alcuna ragione plausibile, improvvisamente pervasi.

Proseguirono sin quando non si palesò davanti a loro un'arcata di pietra, illuminata dai bagliori prodotti dalle fiamme di una coppia di fiaccole, una blu sulla destra, ed una rossa sulla sinistra. Entrambe esprimevano luce, ma non erano capaci di bruciare al tatto, pur irradiando un piacevole calore.

James prese quella alla sua destra. Jon lo seguì con l'altra. Era come stare all'interno di una sorta di videogioco, pensarono, con l'unica pecca di avere una sola partita a disposizione, e nessun salvataggio rapido dal quale ripartire. Si giocavano il tutto per tutto, indagando nelle tenebre.

Il freddo si era intensificato, malgrado le fiaccole li aiutassero a sfuggire alla tremenda sensazione di paralisi che sembrava in procinto di afferrarli da un momento all'altro.

Poi, a poco a poco, le tenebre cedettero il passo a pareti rocciose che andavano man mano restringendosi, offrendo spazio a sufficienza per il passaggio di sole due persone.

Ombre distorte si animavano sulla roccia, assumendo le forme più disparate e mostruose, sinché una di queste non assunse un aspetto vagamente corporeo, e sfrecciò contro i due.

James, che aveva scartato di lato, vide ora la sagoma informe arretrare precipitosamente, per scagliarsi subito dopo sull'amico che era stato gettato a terra. Era spacciato!

«Kyren!» chiamò Jon, proteggendosi il volto con le braccia e la fiaccola.

Quel nome suscitò in James una sensazione contrastante, al pari di un déjà vu. Lo sentì parte di sé, ma al contempo distante, estraneo. Agitò in un impeto disperato la fiaccola blu davanti a sé, consapevole del momento esatto nel quale la creatura avrebbe colpito. La fiamma bluastra divampò, distendendosi in una lancia che incrinò il parquet. Una colonna di fuoco blu scuro si generò a protezione dell'amico, respingendo l'ombra.

«Coraggio, supereremo anche questa, Phoenix!» affermò deciso, porgendogli la mano. I suoi occhi avevano assunto una tonalità chiara, mentre i capelli si erano allungati, ed ora erano legati in una coda di cavallo. Al fiero cenno d'intesa dell'amico, concluse: «So che venerdì ci tocca fare gambe, ma questo non è un buon motivo per morire!».

La creatura d'ombra, ritraendosi, aveva proseguito a mutare forme, espandendosi come una macchia d'olio sulle pareti, rendendo impossibile comprendere da dove avrebbe attaccato. Jon, si mise alle spalle di James, e cercò di non essergli troppo d'intralcio.

Poi, un verso stridulo, come il raschiare di unghie su una lavagna, fece comprendere loro che l'essere stesse per attaccarli. Così fu.

Una miriade di artigli spuntarono come lame acuminate dai loro fianchi, sferzando funesti sulla barriera infuocata di James.

Quando l'ennesima estensione del corpo della creatura mirò Jon, però, costringendo l'amico a protendere il bastone in sua difesa – buttandolo a terra – un ultimo tentacolo calò dall'alto, intrappolando il giovane. Le lame sferzarono sulle sue braccia, per fargli perdere la presa sulla lancia.

Jon cadde all'indietro, incolume. Assistette alle grida di dolore dell'amico, che stava venendo stritolato nella morsa della belva d'ombra. Era paralizzato dal terrore, e dalla consapevolezza di non poter fare niente per aiutarlo. In mano aveva solo quella stupida fiaccola, che neanche bruciava.

Il dilaniante verso della creatura anticipò la sua apparizione al centro della strada. Le ombre si distaccarono dalle pareti, unendosi in un distorto globo di tenebra. Era privo di occhi, ma costellato di aculei che lo facevano apparire come le fauci di un calamaro immondo, traboccanti di liquido putrescente.

L'enorme bocca si schiuse, pronta ad inghiottire James.

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Capitolo 4
*** Marjin ***


Jon, nell'ultimo atto disperato, si decise a scagliare la propria fiaccola con tutta la forza che gli era rimasta. Il desiderio di rivalsa gli aveva dato un coraggio che credeva di non aver mai provato prima. La fiamma roteò verso le fauci del mostro d'ombra, divampando in due incandescenti ali, e trasformandosi nel breve tragitto in una rovente fenice.

L'esplosione di fuoco avvolse l'entità, costringendola a lasciar andare James ed a ritirarsi nell'ombra, fra gli angoscianti rantoli, disperdendo dietro di sé una miriade di piccoli focolai che illuminavano il percorso, che evolveva in un lastricato di ghiaccio.

La fiaccola cadde a terra provocando un tonfo sordo. La fiamma era stata sostituita da un martello dotato di venature che ribollivano di lava.

«Tenevi il meglio per ultimo?» scherzò James, rimettendosi in piedi.

«Cerchiamo una via d'uscita. Voglio andarmene da questo incubo!» affermò Jon, incamminandosi.

D'un tratto il gelo prese a farsi meno intenso, e la luce del sole fece irruzione dal fondo del cunicolo. Con loro immenso stupore, dopo pochi passi scorsero una via d'uscita, che in breve si rivelò essere l'ingresso della sala per gli addominali. Poi, un suono perforante costrinse i due a premere le mani contro i timpani, ma fu del tutto inutile.

Stramazzarono al suolo privi dei sensi.

 

James si mise a sedere.

Aveva il fiatone, e sudava freddo.

Davanti a sé aveva lo specchio, e scorse nel riflesso Jon intento a portarsi avanti con gli addominali. Si volse di scatto, per cercare le due ragazze nude, ma si accorse che erano da soli. Si sporse dunque in direzione della sala, affacciandosi con aria preoccupata. Tutto pareva nella norma: nessuno sguardo vuoto, nessun interesse nei suoi confronti.

Tirò un sospiro di sollievo.

«Salti l'addome?» gli chiese Jon.

«Oggi non ho molta voglia. Sono stanco...» rispose James, incamminandosi lungo la sala.

«Rimandiamo a venerdì» aggiunse Jon, affiancandolo. «Hai proprio una brutta cera».

«Ragazzi, mi dareste una mano?» chiese loro Marjin, carico come un mulo di nuove attrezzature.

Lo aiutarono a trasportarle nel magazzino, che si trovava proprio adiacente all'ingresso della palestra. Era un luogo che era da sempre rimasto avvolto nel mistero per i due, e sul quale avevano sempre fantasticato, dando origine a diverse stupide storie dell'orrore.

Dall'esterno era possibile vedere una catasta di legname ed oggetti vari, che ben poco avevano da spartire con la palestra. Il tutto circondato da un odore poco gradevole.

Ora che Marjin stava aprendo la porta, chiusa con ben due lucchetti, James e Jon trattennero il respiro. Il mistero stava per essere svelato.

L'interno era buio, rischiarato a malapena dalla luce che filtrava da una finestrella sul fondo. La catasta si presentava come un inquietante ammasso di detriti.

«Ma sono tutti aggeggi per la palestra? Che te ne fai, Marjin?» chiese James.

«Un diversivo...» mormorò il proprietario.

«Per cosa?» lo incalzò Jon. In quello stesso momento gli balenò in mente la risposta “Che domande... sarà per le ragazzine stupide con cui tenta sempre di appartarsi”.

A giudicare dal sorriso che marcava le labbra di James, Jon intuì che dovesse aver pensato la stessa cosa.

«Per voi... chiaro» affermò volgendosi in loro direzione. I suoi occhi scintillarono come rubini nell'oscurità, nel mentre che le sue fauci si schiudevano come quelle di un grosso scarafaggio, e quattro zampe aggiuntive si generavano dalla sua schiena, con il sonoro schiocco di ossa frantumate.

«E questo spiega perché le ragazzine duravano poco in questa palestra....» mormorò James, sovrappensiero, quasi si rifiutasse di credere a quel che stava vedendo.

«Che cosa sei diventato, Marjin?» esclamò Jon.

La porta alle loro spalle venne chiusa con un tonfo sordo da due donne a torso nudo. La parte bassa del corpo era formata da una lunga coda, sulla quale strisciavano. Le lunghe lingue biforcute percossero l'aria con un sibilo inquietante.

La massa informe alle spalle di Marjin si animò, accesa da una miriade di piccoli occhi giallognoli. Il terreno tremò.

«Siete sempre stati qui, fra noi. A lungo siete passati inosservati, ma non vi siete mai accorti di niente, sino a oggi. Siete riusciti a resisterci per molto tempo... ma» esordì una tetra voce. Poi, aggiunse: «Ora morirete».

L'ammasso si scompose in migliaia di ragni pelosi ed altri raccapriccianti insetti, che si fiondarono sui due ragazzi, voraci.

«Forza: è l'ultima volta» echeggiò ancora quella voce, ma questa volta la udirono entrambi.

James e Jon si misero schiena contro schiena, potendo ora osservare con terrore i volti delle immonde creature che stavano loro davanti, grazie alla luce offerta dalle fiaccole che si erano materializzate nelle loro mani.

«Se proprio dobbiamo morire, lo faremo a modo nostro, Phoenix» disse James.

«Puoi dirlo forte, Kyren» rispose Jon, mettendosi in guardia.

L'ombra li inghiottì.

 

In the cold, lonely streets

When the smoke will rise

The ancient scream of the beast

Will pervade your senses

May wisdom be your guide

With a little touch of insanity

The ancient tale never ends..”

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