Nella corsia accanto, sempre. di rainbowdasharp (/viewuser.php?uid=261168)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: acqua, per conoscere ***
Capitolo 2: *** II: acqua, per comprendere ***
Capitolo 3: *** III: acqua, per cambiare ***
Capitolo 4: *** IV: acqua, per raggiungersi ***
Capitolo 1 *** I: acqua, per conoscere ***
Nella
corsia
accanto, sempre
atto I:
acqua, per conoscere
Era solo un bambino, allora, Haruka Nanase. Nuotava con la
naturalezza con cui respirava, guardava estasiato il mondo che
cambiava forma e colore; non finiva mai di stupirsi dell'aspetto che
le cose assumevano lì, sotto la superficie.
Non si stupì neanche quando, per la prima volta,
trovò al suo
fianco una sagoma. La colse di sfuggita, un insieme
di
riflessi che non subito catturò la sua attenzione, almeno
fin quando
la presenza silenziosa non lo superò.
Era una figura concreta e sfuggente, eppure viva.
Era solo e
soltanto acqua, eppure aveva la forma e le movenze di un essere
umano - un essere umano che nuotava,
come lui.
In stile libero.
{parole:
110}
note: Questo
è un letterale tuffo (ah-ah) nel passato, per me, che nel
mio periodo di "silenzio" scrittura ho scritto tantissimo sulla RinHaru
che rimane, ad oggi, una delle mie OTPilastro, approfittando un po'
delle parole. Quando ho deciso di uscire un po' da quella che
è la mia comfort zone ed iscrivermi a questo contest, avevo
inizialmente puntato ad altro ma, in effetti, visto che questa
è una soulmate!AU, non poteva che ricadere su di loro la mia
scelta.
La composizione di questa raccolta sarà un po' peculiare; a
questo primo brevissimo capitolo seguiranno una flashfic e due
one-shot, che andranno un po' a ripercorrere non solo la soulmate!AU,
ma anche i punti "salienti" della relazione di Rin e Haruka (o, almeno,
questo è il mio obiettivo... speriamo di riuscire!)
Il prompt da cui ho preso spunto è il seguente: "I
soulmate possono comunicare l’un l’altro con un
linguaggio che
solo loro capiscono".
Non posso che, a questo punto, sperare che vi sia piaciuto questo breve
incipit!
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Capitolo 2 *** II: acqua, per comprendere ***
rinharu model
Nella
corsia
accanto, sempre
atto II:
acqua, per comprendere
Haruka non amava i cambiamenti.
Persino lo scorrere delle stagioni era fonte di irritazione per lui,
molte volte. Le sue abitudini dovevano adeguarsi alle nuove
temperature, a nuovi orari, nuovo alternarsi di luce e buio.
Per questo, quando quella primavera Rin Matsuoka aveva invaso la sua
vita, aveva subito provato una strana agitazione all'altezza dello
stomaco, come se il suo corpo lo stesse avvertendo del pericolo
imminente.
Questa sensazione andava moltiplicandosi quando si trovavano, fianco
a fianco, nelle corsie della piscina. Più che sulle pedane,
dove
Haruka non poteva fare a meno di vedere il sorriso sicuro di
sé del
rosso, quel pizzicore diventava quasi insopportabile in acqua:
chissà
come, lo obbligava ad abbandonare il suo solito modo di nuotare e
quando accelerava, Rin tornava ad affiancarlo un attimo dopo, quasi
fosse consapevole di quel prurito che gli causava.
La cosa peggiore, però, era che non aveva più
danzato con l'Acqua.
Non da quando era arrivato ad Iwami.
L'ormai familiare, suo malgrado, schiocco dell'elastico degli
occhialini di Rin lo costrinse a prepararsi al tuffo. Il fischio
dell'allenatore divenne il suo lasciapassare per tornare nel suo
ambiente naturale, dove il suo corpo era libero; un salto, l'impatto
con l'acqua e, inconsciamente, un'occhiata irritata alla sua destra.
Ma non trovò Rin.
L'Acqua nuotava veloce, il vivissimo gioco di luci percorreva
interamente il corpo minuto. Haruka fu percorso da un brivido, mentre
la voglia di poterla sfiorare, prima che scomparisse di nuovo, lo
spingeva ad inseguirla, a raggiungerla. La piscina gli apparve vuota:
nessuna corsia, nessun compagno – solo lui e l'Acqua.
Mosso da quell'irrazionale ma irrefrenabile desiderio, Haruka
deviò
il suo percorso fino quando non raggiunse la figura; tese la mano,
nel disperato tentativo di afferrarla e, incredibilmente, vi
riuscì.
Era inaspettatamente calda, al tatto. Un tepore nuovo, mai provato,
invase le sue membra – una sensazione che non avrebbe mai
dimenticato. Aveva il sapore della familiarità e della
libertà al
tempo stesso, una contraddittoria compresenza di sicurezza e ignoto
che aveva il volto di...
«Nanase, stai... bene?»
Rin Matsuoka era di fronte a lui, i vivaci occhi rossi lievemente
sgranati. Avvertì chiaramente la mano che aveva afferrato
l'Acqua
essere ora intrecciata in quella di Rin, il quale cercava in qualche
modo di sostenerlo, seppur un po' goffamente.
Quando era riemerso?
«Haru!» La voce preoccupata di Makoto
risuonò in tutto l'ambiente.
Eppure, Haruka guardava ancora Rin.
«Tu sei l'Acqua» affermò, seguendo la
propria linea di pensieri.
Gli occhi del coetaneo sembrarono dilatarsi ancora un poco come se,
dietro al suo stupore, vi fosse altro.
Come se avesse capito di cosa stava parlando.
Quando la primavera portò via con sé i petali di
ciliegio e Rin
Matsuoka, Haruka sapeva dove trovarlo. Forse non comprendeva ancora
il significato della sua presenza lì, ma non gli
interessava.
Tornare in acqua significava poterlo seguire di nuovo. Poteva cercare
di afferrarlo, sfidarlo, percepire di nuovo quella sensazione.
Quel prurito che, in realtà, col passare del tempo
sembrò sempre di
più un battito d'ali, piacevolmente fastidioso.
{parole:
498}
note: Ecco la
seconda parte di questa piccola raccolta! Sembra davvero
assurdo da pensare, ma la brevità non è il mio
forte; ho sempre moltissimi problemi a racchiudere piccoli universi in
poche parole e spero vivamente di essere riuscita a trasmettere quel
che volevo passasse da questo secondo "atto". La RinHaru vive e respira
in acqua. Rin ha visto Haruka nuotare, Haruka lo ha visto "volare"
sopra di sé, sempre in piscina. L'unica cosa che potrebbe
guidarli incontro al loro destino è, inequivocabilmente,
l'acqua.
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Capitolo 3 *** III: acqua, per cambiare ***
rinharu model
Nella
corsia
accanto, sempre
atto III:
acqua, per cambiare
«Ehi, Haru. Non hai provato anche tu qualcosa, durante quella
gara... ?»
Quanti cambiamenti avrebbe ancora dovuto affrontare, pur di non
lasciare andare quella sensazione?
C'era voluto del tempo, affinché capisse. Rin Matsuoka aveva
invaso
la sua vita con la furia di un maremoto, lasciandolo
irrimediabilmente diverso; il suo ricordo, le sue parole avevano
eroso granello dopo granello tutto ciò che Haruka credeva di
volere
– anzi, addirittura di essere. E quel
viaggio in Australia,
improvvisato, ne era solo l'ennesima conferma. Quel letto che
entrambi avevano accettato di condividere, per quella notte, una
firma su un patto già stipulato anni prima.
Rin sapeva parlare con il tono calmo dello scorrere dei ruscelli di
montagna; era un mormorio continuo, pieno della nuova vita che Haruka
aveva cominciato inconsapevolmente a desiderare. Ma non era successo
durante quell'episodio in particolare a cui Rin si riferiva,
risalente a pochi mesi prima, no; da anni, Haruka non faceva altro
che nuotare, sempre più veloce, sempre più
spesso, per raggiungere
l'unico traguardo che davvero contava. E quel traguardo era...
«Rin» lo interruppe, ad un certo punto, voltandosi
lentamente sul
fianco, verso di lui; quella distanza ormai quasi nulla, tra loro,
venne definitivamente spazzata via quando la mano di Haruka
sfiorò
quella del rosso con cautela, ma con lo stesso disperato bisogno che
aveva avvertito quella volta da bambini, in piscina, chissà
quanti
anni prima. Se per Rin rompere le barriere era facile, quasi
naturale, per Haruka quel gesto era il risultato di mesi di pensieri,
di ricordi, di speranze. «Hai mai visto l'Acqua?»
La domanda poteva sembrare illogica ed incomprensibile, persino a chi
conosceva Haruka e il suo modo diretto (persino troppo, quasi da
risultare stralunato) di esprimersi. Eppure, non era quello il caso
–
non stavolta: perché era certo che solo Rin potesse
comprendere
quello di cui stavano parlando e ne ebbe la conferma quando l'altro
quasi sussultò per poi girarsi verso di lui ed incontrare il
suo
sguardo, evidentemente colto alla sprovvista.
Scintillarono negli occhi di entrambi le espressioni di quegli anni
passati ad inseguire, disperatamente, quella che a tutti gli effetti
si sarebbe potuta considerare una musa del nuoto:
una figura
sfuggente ma costantemente presente per guidarli, per spingerli ad
andare più veloce, per costringerli a
non mollare.
«... Che razza di—domanda è?»
riuscì infine a soffiare Rin,
sempre sulla difensiva quando si trattava di sentimenti; eppure,
Haruka sentiva solo l'agitarsi lieve delle onde. «Vedo
l'acqua tutti
i giorni». Distolse lo sguardo, lo indirizzò verso
le ventole sul
soffitto, che a fatica davano un po' di refrigerio alla stanza e poi
rimase in silenzio, quasi colpevole.
«Sai a cosa mi riferisco» insistette dunque il
moro, testardo
abbastanza da proseguire e stringere ancora la mano di Rin che,
consapevole quanto poco convincenti suonassero i tentativi di fuggire
dalla domanda, non riusciva a sottrarsi da quel contatto.
Il silenzio che ne seguì parve essere a malapena scalfito
dagli
sporadici suoni della notte di Sidney, i quali si potevano udire
dalle strade attorno all'albergo dove soggiornavano: rumori di
clacson, risate allegre, voci che parlavano in inglese.
All'improvviso, Rin si sollevò a sedere, la canottiera nera
stropicciata a causa dello stare disteso; Haruka lo vide portarsi la
mano libera sul volto, di fronte agli occhi e, persino nel semi-buio
della stanza, ebbe la sensazione che fosse rosso in volto.
«Non so se è la stessa cosa» ammise,
infine, ancora incapace di
guardarlo. «Mi è capitato di... vedere qualcosa
mentre
nuotavo. Qualche volta».
«Qualcosa» gli fece eco Haruka, così da
costringerlo a continuare,
sollecitandolo a lasciarsi andare. Rin, che da bambino non riusciva
mai a tenere la bocca chiusa, adesso sembrava avere
difficoltà
nell'aprirsi, nel confessare un segreto che, in realtà,
Haruka
conosceva già.
«Quando abbiamo gareggiato la prima volta»
mormorò il rosso, a
voce bassa e con fretta, quasi volesse evitare che l'altro capisse.
«Sapevo che c'era un altro bambino come me nella corsia
accanto,
eppure... ho avuto la sensazione che fosse diverso. Che tu fossi
diverso».
Stavolta fu il turno di Haruka mettersi seduto, la mano ancora
stretta in quella dell'altro come se tutto ad un tratto potesse
scivolare via; si limitò in un primo momento a seguire con
occhi
curiosi e avidi le linee sinuose delle sue spalle, del suo collo,
della mascella parzialmente nascosta dai capelli in disordine.
«Perché?» sussurrò poi, senza
rendersene conto.
«Perché sembravi appartenere all'acqua. Come se
tu—fossi
l'Acqua».
Nonostante si pensasse preparato a simili affermazioni, Haruka
avvertì un brivido attraversargli la schiena ed ebbe bisogno
di
qualche attimo per realizzare che, alla fine, quell'infinito nuotare
in circolo lo aveva finalmente condotto alla sua meta: ciò
che per
anni aveva inseguito sotto la superficie dell'acqua adesso era
lì, a
pochi centimetri da lui, asciutto e caldo, reale e corporeo.
«Non me lo avevi mai detto» si limitò a
replicare il moro,
mascherando quanto in realtà il suo animo si stesse
dibattendo
dentro lui, come se volesse finalmente abbandonare il mare per
provare a spiccare il volo – lontano, più
lontano,come se
avesse appena scoperto la superficie dopo che Rin gliel'aveva
mostrata.
Capì solo in quel momento la natura di quello che, anni
prima, aveva
banalmente etichettato come “prurito” nello stomaco.
«Pensavo di essere pazzo» brontolò
immediatamente l'altro.
«Io ho pensato che fosse la mia guida». Il corpo
del moro scivolò
in avanti, più vicino a quello di Rin, fin quando non si
vide
costretto a lasciare andare la mano del ragazzo per costringerlo a
voltarsi verso di lui, così da poterlo guardare negli occhi:
come
aveva immaginato, persino nel bel mezzo della notte, il suo volto
pareva di un bel colore rosso e, a giudicare da come la pelle
scottava sotto le sue dita, non doveva essere solo un'impressione.
«L'Acqua ci ha trovati».
Lo sentì trattenere il respiro, anche se non ne comprese
subito la
ragione; lo sguardo del rivale di sempre brillava quanto le luci
della notte australiana, scintillava più della superficie di
qualunque specchio d'acqua.
Era strano sentire così vicino il respiro di qualcuno, il
calore del
corpo di un altro; si chiese, anzi, se fosse possibile essere
più
vicini ancora, se fosse possibile cacciare quell'ultima sciocca
distanza che li divideva dal traguardo.
Fu Rin a trovare per primo il coraggio di dare quell'ultima
bracciata; un movimento minimo fu sufficiente a far sì che
le loro
labbra si raggiungessero dopo essersi inseguite tanto a lungo. Fu un
bacio breve, impacciato, eppure in grado di mandare entrambi in
apnea, di far battere i loro cuori con la stessa forza con cui
tuonavano nei loro petti grazie all'adrenalina delle gare.
Quando recuperarono i propri spazi, però, quella distanza
non aveva
più il sapore di una sfida; era un traguardo ottenuto, che
faceva
ancora fremere i loro corpi ma che al tempo stesso sapevano di poter
ottenere di nuovo, insieme, ancora e ancora.
«Mio padre» sussurrò Rin e a Haruka
ricordò il rumore delle onde
che si poteva ascoltare riecheggiare nelle conchiglie, anche quando
il mare era lontano. «Lui... mi diceva sempre che ci sono
persone
destinate ad incontrarsi».
«A cambiarsi» lo corresse Haruka, ricordando ancora
quella
sensazione di buffo solletico nello stomaco, quella voglia di
superare i propri limiti che gli incontri con Rin, anche quando brevi
o disastrosi, avevano sempre accresciuto in lui.
«E a ritrovarsi. Sempre».
A quelle poche parole, seguì una carezza leggera e delicata,
nonostante Rin avesse le mani grandi. Haruka si ritrovò
quasi a
socchiudere gli occhi, lasciando che l'immagine del ragazzo andasse
lentamente a sovrapporsi a quella silhouette indefinita, compagna di
sempre, che aveva sempre visto nuotare al suo fianco.
Era abituato a sentire la presenza di Rin in acqua, nella corsia
accanto. Anche quando non c'era, da quando le loro strade si erano
divise, a Haruka bastava chiudere per un attimo gli occhi per
ricordare lo spettacolo a cui, grazie a lui, aveva assistito. Era
abituato a lasciarsi trascinare dai ricordi di tutte le volte in cui
Rin aveva invaso la sua vita; ogni volta l'aveva presa, ribaltata
–
una tempesta, che al suo passaggio spesso aveva lasciato distruzione
ma anche nuove speranze, portando il sereno con sé.
Forse Rin era davvero lo spirito dell'Acqua.
Ma adesso poteva percepire la sua presenza anche lì, su quel
letto.
Sentiva lo stesso irrefrenabile bisogno di congiungere le loro mani,
di stare al suo fianco, di continuare a correre ed era certo, ormai,
che sarebbe stato in grado di avvertirlo anche quando sarebbero fuori
dalla piscina oppure troppo lontani per incrociare i propri sguardi.
A quel lungo, pensieroso ma non scomodo silenzio, seguirono due
sorrisi complici, che presto si tramutarono in risate sommesse e
stupide – la sua più accennata, quella di Rin
più brillante,
fragorosa.
«Forse gli altri hanno ragione» mormorò
Rin ad un certo punto e,
quasi fosse incapace di stargli distante troppo a lungo,
poggiò la
propria fronte contro quella di Haruka.
«Su cosa?»
«Siamo davvero due maniaci dell'Acqua».
{parole:
1475}
note: Terza parte,
conclusiva del punto di vista di Haruka! La scena su cui mi
sono basata è, secondo me, il luogo di arrivo di un rapporto
che è sempre stato burrascoso, nel bene e nel male (motivo
per cui la Rinharu secondo me possiede così tanta potenza):
è finalmente un porto sicuro dove riposare, per entrambi,
come se l'Australia fosse stato designato come luogo di rinascita per
entrambi. Ecco, ho voluto riprendere questa scena per
ricucire al canon la questione "soulmate"; proprio
perché è un traguardo per loro, perché
questa è la prima scena in cui Rin riesce a parlare
letteralmente con il cuore in mano a Haruka e lui ascolta, colpito,
commosso, scosso. La dinamica ha preso pieghe differenti,
qui, ma il concetto è sempre quello: sono uniti,
un legame più forte che mai, indissolubile. E finalmente
(spero?) si rivela il prompt da cui si è avviata la
raccolta, quel linguaggio
che appartiene solo a loro: una figura indefinita che rappresenta
l'altro, in acqua, pronta a motivare, a spingerli a continuare a
nuotare. Non è un linguaggio molto ortodosso, me
ne rendo conto, ma (anche parzialmente nel canon, considerando che si
percepiscono a miglia e miglia di distanze) è il loro
linguaggio.
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Capitolo 4 *** IV: acqua, per raggiungersi ***
rinharu model
Nella
corsia
accanto, sempre
atto IV:
acqua, per raggiungersi
Da quando Rin era tornato in Australia, il ritmo della sua vita aveva
preso una piega stranamente regolare: sveglia al mattino presto,
colazione nutriente, allenamenti, università e di nuovo, da
capo.
Questo pensiero lo colpì all'improvviso, di fronte
all'armadietto
che gli era stato assegnato il primo giorno di corsi; con le chiavi
in mano, lo sportello aperto di fronte a sé, la divisa
dell'università australiana diligentemente piegata e pochi
altri
effetti personali, Rin si rese conto che era cambiato, di nuovo.
Aveva delle abitudini.
Era quasi impensabile, per lui: non aveva ricordi di aver mai vissuto
troppo a lungo nello stesso luogo, sin da bambino, né di
essersi mai
trovato a suo agio in azioni ripetute sempre nel solito modo:
piuttosto, aveva sempre sentito il bisogno di sperimentare, vedere
luoghi e persone nuove, trovare vette da scalare poste sempre
più in
alto – se si escludeva il brutto periodo che aveva passato
qualche
anno prima, Rin era piuttosto sicuro di non aver mai trovato pace
nel vero senso della parola. A volte aveva la sensazione che
la
casa della sua famiglia, dove probabilmente Gou e sua madre, assieme
al loro gatto, in quel momento stavano dormendo, non fosse
più casa
sua... a dirla tutta, forse, casa sua non c'era mai stata.
Doveva ancora trovarla, magari.
Un sorriso si formò subito sulle sue labbra, il pensiero che
veloce
trottava a qualche mese prima, alla sua partenza da Tokyo: gli amici,
vecchi e nuovi, che lo avevano seguito sino all'aeroporto per
salutarlo, per augurargli buon viaggio e poi lui,
Haruka, con
una borsa tra le mani che teneva con la cautela con cui si
tratterebbe una bomba ad orologeria. Gli aveva intimato di prenderla
con un borbottio non troppo chiaro e senza perdersi troppo in
chiacchiere e poi, con quel sorriso accennato che Rin aveva ammesso a
se stesso un po' tardi di amare, non gli aveva augurato buon viaggio,
no; gli aveva detto: “Ci vediamo in acqua”.
Tipico di Haruka Nanase.
In quella borsa, Rin aveva trovato i primi oggetti che avevano
arredato il suo appartamento a Sidney: un ricettario incentrato sullo
sgombro, un grembiule nuovo e, avvolta accuratamente in un involucro
di plastica, una conchiglia piuttosto grande. Haruka aveva un modo
tutto suo di comunicare e Rin aveva passato qualche giorno a
chiedersi che cosa quegli oggetti potessero significare nello
specifico per lui: per quanto riguardava il libro di cucina, era
ovvio che gli stesse intimando di mangiare più sgombro o,
almeno, di
imparare a cucinarlo per bene e, supponeva, a questo era legato anche
il grembiule.
Ma la conchiglia?
Rin chiuse l'armadietto con cura, raccolse gli occhialini e, con quel
gesto ormai marchiato a fuoco nel suo intero essere, quello schiocco
di gomma su gomma, li indossò mentre si dirigeva a passo
sostenuto
verso la piscina che, quel giorno, era esposta direttamente alla luce
del sole. L'odore familiare del cloro accolse il suo olfatto,
così
come il vociare in tanti diversi accenti d'inglese gli diede il
benvenuto.
Rin si spostò da una parte, ancora con la felpa indosso, per
iniziare il riscaldamento. La corsa del mattino aveva sicuramente
giovato, ma anni di esperienza gli avevano insegnato a non
sottovalutare gli esercizi di preparazione: si occupò prima
delle
gambe, poi delle braccia e solo quando sentì il corpo
adeguatamente
pronto, si diresse a passo sicuro verso le pedane di partenza. Si
liberò della felpa, poi diede un'occhiata alle vasche,
accertandosi
di quali fossero già occupate: stranamente, quel giorno non
erano in
molti ad allenarsi a quell'ora. Alcuni erano tornati a casa, pareva,
per passare qualche giorno con la propria famiglia.
Ma non lui.
Non era perché la sua famiglia non gli mancasse –
anzi; nonostante
la quotidianità di casa Matsuoka fosse
solo un ricordo
sfumato della sua infanzia, a Rin mancavano i brontolii di Gou,
l'odore della carne che invadeva la cucina mentre sua madre cucinava
e persino i graffi di quel grassone del loro gatto.
Eppure, Rin sapeva che la sua casa doveva essere costruita bracciata
dopo bracciata, vasca dopo vasca. Forse, insieme ad ogni mattone
posto, poi sarebbero venute le medaglie, le vittorie o
chissà
cos'altro – era certo solo del fatto che non poteva fermarsi.
Sapeva che il giorno in cui avrebbe avuto una casa priva di scatoloni
era ancora lontano e che, nel frattempo, la sua unica casa era
proprio lì.
In
acqua. La
stessa acqua che tanto
gli aveva tolto, sì, ma altrettanto gli aveva donato.
Si piegò in avanti, pronto a tuffarsi. Improvvisamente,
tutto – le
voci che invadevano l'ambiente, il sole che scaldava la sua pelle
candida, i pensieri che, veloci, attraversavano la sua mente
–
sembrò perdere consistenza: tese le braccia in avanti e,
nelle
orecchie solo il suono del suo respiro, improvvisamente tiranno,
abbandonò il cemento per essere accolto nell'unico luogo a
cui
sentiva di appartenere davvero.
L'acqua era fresca, piacevole e appena mossa dalla presenza di altri
atleti; ora al respiro si era sostituito il suono prorompente del suo
battito cardiaco, che scandiva ogni attimo come per voler rendere
ciò
che stava sotto la superficie dell'acqua ancora più
surreale, quasi
magico.
Riemerse a malincuore per prendere una grossa boccata d'aria; a
questo gesto seguirono immediatamente i familiari movimenti di
braccia e gambe che, allenate a dovere, subito lo sospinsero con
sicurezza verso la sua meta. Una bracciata, un colpo di gambe, una
perfetta sinergia di ogni arto del suo corpo: un ritmo che,
però,
non sembrava mai essere veloce abbastanza, perché ancora non
riusciva a raggiungere quel futuro.
Di recente, capitava spesso che riuscisse a scorgere, tra le ombre e
le luci che si intersecavano sotto la superficie dell'acqua, quella
che ormai anche lui, come Haruka, aveva cominciato a chiamare Acqua,
nonostante ben conoscesse la sua identità. Anche quel
giorno, la
trovò poco più avanti, nella corsia accanto: era
agile e fluida
come una sirena, veloce come solo il suo ragazzo
(incredibile
come, a distanza di mesi, questo concetto lo facesse ancora sentire
leggero ed agitato al medesimo tempo, neanche fosse un ragazzino) in
qualche piscina di Tokyo sapeva poter essere. E allora,
spontaneamente, nonostante la fatica, lo sforzo e la stanchezza di
chissà quante vasche che pesavano sui suoi muscoli allenati,
ecco
che si faceva più veloce, più avido
perché sapeva che Haruka non
gli avrebbe mai e poi mai fatto sconti.
E allora l'Acqua sembrava volergli sfuggire, nella corsia accanto,
divenire irraggiungibile e, in un gioco di testardaggine, Rin non
poteva fare altro che sorridere, aumentare il ritmo, dimostrargli che
quel che gli aveva mostrato ormai dieci anni prima, quella visione,
si era solo fatta più potente, più reale.
Non un miraggio, ma un miracolo.
C'era qualcosa di diverso, però, quel giorno: l'essenza di
Haruka
sembrava più viva del solito, paradossalmente più
reale (per quanto
“reale” potesse apparire un insieme di correnti
d'acqua), tanto
che Rin perse ben presto la concezione delle vasche già
fatte, delle
lunghe file di galleggianti che distinguevano le corsie, la
consapevolezza di dove si trovasse di fronte alla sensazione di non
essere più lontani migliaia di chilometri, ma fianco a
fianco.
Quella era una gara in piena regola.
Dopo chissà quanto tempo, quasi all'improvviso, l'Acqua si
fermò:
la figura sembrò rimanere sospesa in acqua, bellissima e
potente
come una nina, in un tempo altro ma rivolta verso di lui, come se si
aspettasse qualcosa; colse Rin così di sorpresa che il
giovane non
poté fare a meno di fermarsi ad osservarla, incantato, un
attimo
prima che questa tendesse una mano verso di lui.
C'era un che di familiare, in quel gesto. In un attimo, alle spalle
dell'Acqua, vide di nuovo l'albero di ciliegio in fiore che
già una
volta lo aveva salvato e Haruka che, sotto di esso, gli prometteva di
mostrargli uno spettacolo indimenticabile.
Afferrò quella mano senza esitare neanche un attimo e,
seppur non
del tutto consciamente, subito si rese conto che era reale
e
non una mera illusione. Era calda, viva e le dita di quest'ultima si
intrecciarono ben presto con le sue, in un gesto deciso e
determinato, un attimo prima di sentire le labbra – ma erano
davvero lì? - di Haruka poggiarsi sulle proprie, febbrili e
piene di
desiderio come solo le sue, aveva scoperto, potevano essere.
La passione del suo compagno erompeva solo in acqua e a letto; Rin si
era chiesto spesso come, per tutta la vita, avesse nascosto
quell'avidità e possessione che aveva imparato a percepire
solo in
quegli ultimi mesi, quando in un tocco semplice come un bacio
riusciva a mettere così... tanto.
Non si rese conto che aveva ripreso a respirare, ormai riemerso,
seppur col naso, e che le sue labbra continuavano ad essere
tormentate, inseguite, imprigionate. Non si accorse delle voci che,
improvvisamente, erano tornate a punzecchiare il suo udito, persino
più prorompenti di prima in quell'ambiente così
raccolto, troppo
stretto per quelle emozioni che si agitavano nel suo torace.
Almeno fin quando, quasi fosse stato liberato da un incantesimo, si
permise di riaprire gli occhi ed incontrò le iridi blu,
magnifiche e
brillanti di Haruka Nanase.
Quello vero.
«... Ma che--» gli sfuggì, in un
sussurro che sapeva di
imprecazione e meraviglia al tempo stesso.
«Sorpresa». Forse avrebbe trovato divertente quel
tono piatto,
paradossale per quel che aveva appena detto, se non si fosse sentito
lui la vittima del teatrino che il moro aveva messo
su.
Una consapevolezza che lo colpì con parecchio ritardo, che
mandò a
fuoco la sua faccia già piuttosto accaldata dal bacio di
poco prima
e che gli permise infine di notare come avessero attirato
l'attenzione di tutti i presenti.
A quel punto, non poté fare a meno di portarsi una mano sul
volto,
sperando di scomparire.
«Rin, you didn't tell us you had a boyfriend!»
«Is that the guy you're always talking about?»
«I wish my girlfriend would do something like that
for me too...»
Era ufficialmente fregato, in più di un senso.
Punto primo, i suoi compagni e amici non gli avrebbero più
dato
tregua: da tempo insinuavano che avesse una storia con qualcuno e non
facevano altro che cercare di capire che tipo fosse la fiamma
di Rin Matsuoka – che tipo fosse, se fosse rimasta in
Giappone,
quando l'avrebbe rivista...
«Rin?»
Punto secondo... beh, era semplice da immaginare. Haruka era
lì,
inspiegabilmente, immerso con lui fino al torso in una piscina di
Sidney dopo una gara durata chissà quanto e un bacio che
ancora
sentiva ardere sulle labbra. Haruka che, con il suo sguardo
impenetrabile e il capo lievemente inclinato da un lato, sembrava
attendere una sua reazione che andasse al di là dello
stupore.
«Rin?» ripeté di nuovo, allontanandogli
con gesto sicuro la mano
dal volto. «Stai piangendo?»
«Non—sto piangendo»
soffiò, colto nel vivo; doveva
ammetterlo, in quella dissestata e lunga relazione che si
trascinavano, tra alti e bassi, dalle elementari, non avrebbe mai e
poi mai pensato Haruka capace di organizzare una sorpresa come
quella. E anche se non stava piangendo in quel momento, era piuttosto
sicuro che si sarebbe commosso non appena l'imbarazzo fosse scemato
almeno un po'. «Che ti è saltato in
mente?»
«Avevo voglia di vederti» constatò il
moro come se niente fosse,
prima di sciogliersi in un sorriso leggero – quel genere di
espressioni di cui Rin, ne era certo, non si sarebbe mai stancato.
Neanche quando sarebbero stati vecchi e rugosi come due tartarughe.
«Non mi bastava più correrti dietro in
piscina».
Il suono di quelle parole acquisì immediatamente un
significato così
potente che, quasi in risposta, Rin sentì gli occhi pungere
(eccole,
quelle stupide lacrime); erano immersi in acqua, vicini, senza alcuna
bramosia di vincere, di andare più veloci, di essere
all'altezza
dell'altro.
Per quello, lo sapevano entrambi, ci sarebbe stato sempre tempo e non
sarebbe mai cambiato davvero. Quel che era davvero diverso, che fece
sì che Rin scoppiasse in una risata un po' umida e non solo
per via
dell'acqua clorata, era che non avevano bisogno di pretesti per
desiderare di stare accanto l'uno all'altro, in un cammino condiviso.
Un cammino lungo una vita, sperava, e non solo qualche vasca.
{parole:
2008}
note:
Ultimo capitolo, "extra" se così si può
considerare di questa piccola avventura in cui mi sono voluta tuffare
(che simpatica che sono, vero?). Ho superato un po' di ostacoli e
ammetto che questo capitolo mi ha dato tantissimi problemi nonostante
io sia molto più affine a Rin che non a Haruka... non so
cosa sia successo ma ci ho messo davvero un'eternità.
Parlando della conclusione, invece, anche qui mi sono rifatta ad un
legame che trascende tempo, spazio e che in effetti quando collide con
la realtà lascia quasi disorientati: il rapporto tra Haruka
e Rin, qui come nel canon, è il motore di tutti i
cambiamenti che avvengono nelle loro vite. Sono entrambi la corrente
che li sospinge insieme verso un futuro incerto, sì, ma che
su entrambi esercita un fascino irresistibile - Rin lo ha scoperto da
bambino, impulsivo com'è, mentre Haruka con calma, da
"grande".
Spero davvero che questa raccolta vi sia piaciuta! So che avrei potuto
far di meglio, ma sono riuscita a concluderla e per me è
già un piccolo traguardo. Grazie per aver letto fin qui
♥
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