Nella corsia accanto, sempre.

di rainbowdasharp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I: acqua, per conoscere ***
Capitolo 2: *** II: acqua, per comprendere ***
Capitolo 3: *** III: acqua, per cambiare ***
Capitolo 4: *** IV: acqua, per raggiungersi ***



Capitolo 1
*** I: acqua, per conoscere ***


Nella corsia accanto, sempre




atto I: acqua, per conoscere

Era solo un bambino, allora, Haruka Nanase. Nuotava con la naturalezza con cui respirava, guardava estasiato il mondo che cambiava forma e colore; non finiva mai di stupirsi dell'aspetto che le cose assumevano lì, sotto la superficie.

Non si stupì neanche quando, per la prima volta, trovò al suo fianco una sagoma. La colse di sfuggita, un insieme di riflessi che non subito catturò la sua attenzione, almeno fin quando la presenza silenziosa non lo superò.

Era una figura concreta e sfuggente, eppure viva. Era solo e soltanto acqua, eppure aveva la forma e le movenze di un essere umano - un essere umano che nuotava, come lui.

In stile libero.


{parole: 110}

note: Questo è un letterale tuffo (ah-ah) nel passato, per me, che nel mio periodo di "silenzio" scrittura ho scritto tantissimo sulla RinHaru che rimane, ad oggi, una delle mie OTPilastro, approfittando un po' delle parole. Quando ho deciso di uscire un po' da quella che è la mia comfort zone ed iscrivermi a questo contest, avevo inizialmente puntato ad altro ma, in effetti, visto che questa è una soulmate!AU, non poteva che ricadere su di loro la mia scelta.
La composizione di questa raccolta sarà un po' peculiare; a questo primo brevissimo capitolo seguiranno una flashfic e due one-shot, che andranno un po' a ripercorrere non solo la soulmate!AU, ma anche i punti "salienti" della relazione di Rin e Haruka (o, almeno, questo è il mio obiettivo... speriamo di riuscire!)
Il prompt da cui ho preso spunto è il seguente: "I soulmate possono comunicare l’un l’altro con un linguaggio che solo loro capiscono".
Non posso che, a questo punto, sperare che vi sia piaciuto questo breve incipit!

 


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Capitolo 2
*** II: acqua, per comprendere ***


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Nella corsia accanto, sempre




atto II: acqua, per comprendere

Haruka non amava i cambiamenti.

Persino lo scorrere delle stagioni era fonte di irritazione per lui, molte volte. Le sue abitudini dovevano adeguarsi alle nuove temperature, a nuovi orari, nuovo alternarsi di luce e buio.

Per questo, quando quella primavera Rin Matsuoka aveva invaso la sua vita, aveva subito provato una strana agitazione all'altezza dello stomaco, come se il suo corpo lo stesse avvertendo del pericolo imminente.

Questa sensazione andava moltiplicandosi quando si trovavano, fianco a fianco, nelle corsie della piscina. Più che sulle pedane, dove Haruka non poteva fare a meno di vedere il sorriso sicuro di sé del rosso, quel pizzicore diventava quasi insopportabile in acqua: chissà come, lo obbligava ad abbandonare il suo solito modo di nuotare e quando accelerava, Rin tornava ad affiancarlo un attimo dopo, quasi fosse consapevole di quel prurito che gli causava.

La cosa peggiore, però, era che non aveva più danzato con l'Acqua. Non da quando era arrivato ad Iwami.

L'ormai familiare, suo malgrado, schiocco dell'elastico degli occhialini di Rin lo costrinse a prepararsi al tuffo. Il fischio dell'allenatore divenne il suo lasciapassare per tornare nel suo ambiente naturale, dove il suo corpo era libero; un salto, l'impatto con l'acqua e, inconsciamente, un'occhiata irritata alla sua destra.

Ma non trovò Rin.

L'Acqua nuotava veloce, il vivissimo gioco di luci percorreva interamente il corpo minuto. Haruka fu percorso da un brivido, mentre la voglia di poterla sfiorare, prima che scomparisse di nuovo, lo spingeva ad inseguirla, a raggiungerla. La piscina gli apparve vuota: nessuna corsia, nessun compagno – solo lui e l'Acqua.

Mosso da quell'irrazionale ma irrefrenabile desiderio, Haruka deviò il suo percorso fino quando non raggiunse la figura; tese la mano, nel disperato tentativo di afferrarla e, incredibilmente, vi riuscì.

Era inaspettatamente calda, al tatto. Un tepore nuovo, mai provato, invase le sue membra – una sensazione che non avrebbe mai dimenticato. Aveva il sapore della familiarità e della libertà al tempo stesso, una contraddittoria compresenza di sicurezza e ignoto che aveva il volto di...

«Nanase, stai... bene?»

Rin Matsuoka era di fronte a lui, i vivaci occhi rossi lievemente sgranati. Avvertì chiaramente la mano che aveva afferrato l'Acqua essere ora intrecciata in quella di Rin, il quale cercava in qualche modo di sostenerlo, seppur un po' goffamente.

Quando era riemerso?

«Haru!» La voce preoccupata di Makoto risuonò in tutto l'ambiente. Eppure, Haruka guardava ancora Rin.

«Tu sei l'Acqua» affermò, seguendo la propria linea di pensieri. Gli occhi del coetaneo sembrarono dilatarsi ancora un poco come se, dietro al suo stupore, vi fosse altro.

Come se avesse capito di cosa stava parlando.


Quando la primavera portò via con sé i petali di ciliegio e Rin Matsuoka, Haruka sapeva dove trovarlo. Forse non comprendeva ancora il significato della sua presenza lì, ma non gli interessava.

Tornare in acqua significava poterlo seguire di nuovo. Poteva cercare di afferrarlo, sfidarlo, percepire di nuovo quella sensazione.

Quel prurito che, in realtà, col passare del tempo sembrò sempre di più un battito d'ali, piacevolmente fastidioso.


{parole: 498}

note: Ecco la seconda parte di questa piccola raccolta!  Sembra davvero assurdo da pensare, ma la brevità non è il mio forte; ho sempre moltissimi problemi a racchiudere piccoli universi in poche parole e spero vivamente di essere riuscita a trasmettere quel che volevo passasse da questo secondo "atto". La RinHaru vive e respira in acqua. Rin ha visto Haruka nuotare, Haruka lo ha visto "volare" sopra di sé, sempre in piscina. L'unica cosa che potrebbe guidarli incontro al loro destino è, inequivocabilmente, l'acqua.

 


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Capitolo 3
*** III: acqua, per cambiare ***


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Nella corsia accanto, sempre




atto III: acqua, per cambiare

«Ehi, Haru. Non hai provato anche tu qualcosa, durante quella gara... ?»

Quanti cambiamenti avrebbe ancora dovuto affrontare, pur di non lasciare andare quella sensazione?

C'era voluto del tempo, affinché capisse. Rin Matsuoka aveva invaso la sua vita con la furia di un maremoto, lasciandolo irrimediabilmente diverso; il suo ricordo, le sue parole avevano eroso granello dopo granello tutto ciò che Haruka credeva di volere – anzi, addirittura di essere. E quel viaggio in Australia, improvvisato, ne era solo l'ennesima conferma. Quel letto che entrambi avevano accettato di condividere, per quella notte, una firma su un patto già stipulato anni prima.

Rin sapeva parlare con il tono calmo dello scorrere dei ruscelli di montagna; era un mormorio continuo, pieno della nuova vita che Haruka aveva cominciato inconsapevolmente a desiderare. Ma non era successo durante quell'episodio in particolare a cui Rin si riferiva, risalente a pochi mesi prima, no; da anni, Haruka non faceva altro che nuotare, sempre più veloce, sempre più spesso, per raggiungere l'unico traguardo che davvero contava. E quel traguardo era...

«Rin» lo interruppe, ad un certo punto, voltandosi lentamente sul fianco, verso di lui; quella distanza ormai quasi nulla, tra loro, venne definitivamente spazzata via quando la mano di Haruka sfiorò quella del rosso con cautela, ma con lo stesso disperato bisogno che aveva avvertito quella volta da bambini, in piscina, chissà quanti anni prima. Se per Rin rompere le barriere era facile, quasi naturale, per Haruka quel gesto era il risultato di mesi di pensieri, di ricordi, di speranze. «Hai mai visto l'Acqua?»

La domanda poteva sembrare illogica ed incomprensibile, persino a chi conosceva Haruka e il suo modo diretto (persino troppo, quasi da risultare stralunato) di esprimersi. Eppure, non era quello il caso – non stavolta: perché era certo che solo Rin potesse comprendere quello di cui stavano parlando e ne ebbe la conferma quando l'altro quasi sussultò per poi girarsi verso di lui ed incontrare il suo sguardo, evidentemente colto alla sprovvista.

Scintillarono negli occhi di entrambi le espressioni di quegli anni passati ad inseguire, disperatamente, quella che a tutti gli effetti si sarebbe potuta considerare una musa del nuoto: una figura sfuggente ma costantemente presente per guidarli, per spingerli ad andare più veloce, per costringerli a non mollare.

«... Che razza di—domanda è?» riuscì infine a soffiare Rin, sempre sulla difensiva quando si trattava di sentimenti; eppure, Haruka sentiva solo l'agitarsi lieve delle onde. «Vedo l'acqua tutti i giorni». Distolse lo sguardo, lo indirizzò verso le ventole sul soffitto, che a fatica davano un po' di refrigerio alla stanza e poi rimase in silenzio, quasi colpevole.

«Sai a cosa mi riferisco» insistette dunque il moro, testardo abbastanza da proseguire e stringere ancora la mano di Rin che, consapevole quanto poco convincenti suonassero i tentativi di fuggire dalla domanda, non riusciva a sottrarsi da quel contatto.

Il silenzio che ne seguì parve essere a malapena scalfito dagli sporadici suoni della notte di Sidney, i quali si potevano udire dalle strade attorno all'albergo dove soggiornavano: rumori di clacson, risate allegre, voci che parlavano in inglese.

All'improvviso, Rin si sollevò a sedere, la canottiera nera stropicciata a causa dello stare disteso; Haruka lo vide portarsi la mano libera sul volto, di fronte agli occhi e, persino nel semi-buio della stanza, ebbe la sensazione che fosse rosso in volto.

«Non so se è la stessa cosa» ammise, infine, ancora incapace di guardarlo. «Mi è capitato di... vedere qualcosa mentre nuotavo. Qualche volta».

«Qualcosa» gli fece eco Haruka, così da costringerlo a continuare, sollecitandolo a lasciarsi andare. Rin, che da bambino non riusciva mai a tenere la bocca chiusa, adesso sembrava avere difficoltà nell'aprirsi, nel confessare un segreto che, in realtà, Haruka conosceva già.

«Quando abbiamo gareggiato la prima volta» mormorò il rosso, a voce bassa e con fretta, quasi volesse evitare che l'altro capisse. «Sapevo che c'era un altro bambino come me nella corsia accanto, eppure... ho avuto la sensazione che fosse diverso. Che tu fossi diverso».

Stavolta fu il turno di Haruka mettersi seduto, la mano ancora stretta in quella dell'altro come se tutto ad un tratto potesse scivolare via; si limitò in un primo momento a seguire con occhi curiosi e avidi le linee sinuose delle sue spalle, del suo collo, della mascella parzialmente nascosta dai capelli in disordine.

«Perché?» sussurrò poi, senza rendersene conto.

«Perché sembravi appartenere all'acqua. Come se tu—fossi l'Acqua».

Nonostante si pensasse preparato a simili affermazioni, Haruka avvertì un brivido attraversargli la schiena ed ebbe bisogno di qualche attimo per realizzare che, alla fine, quell'infinito nuotare in circolo lo aveva finalmente condotto alla sua meta: ciò che per anni aveva inseguito sotto la superficie dell'acqua adesso era lì, a pochi centimetri da lui, asciutto e caldo, reale e corporeo.

«Non me lo avevi mai detto» si limitò a replicare il moro, mascherando quanto in realtà il suo animo si stesse dibattendo dentro lui, come se volesse finalmente abbandonare il mare per provare a spiccare il volo – lontano, più lontano,come se avesse appena scoperto la superficie dopo che Rin gliel'aveva mostrata.

Capì solo in quel momento la natura di quello che, anni prima, aveva banalmente etichettato come “prurito” nello stomaco.

«Pensavo di essere pazzo» brontolò immediatamente l'altro.

«Io ho pensato che fosse la mia guida». Il corpo del moro scivolò in avanti, più vicino a quello di Rin, fin quando non si vide costretto a lasciare andare la mano del ragazzo per costringerlo a voltarsi verso di lui, così da poterlo guardare negli occhi: come aveva immaginato, persino nel bel mezzo della notte, il suo volto pareva di un bel colore rosso e, a giudicare da come la pelle scottava sotto le sue dita, non doveva essere solo un'impressione. «L'Acqua ci ha trovati».

Lo sentì trattenere il respiro, anche se non ne comprese subito la ragione; lo sguardo del rivale di sempre brillava quanto le luci della notte australiana, scintillava più della superficie di qualunque specchio d'acqua.

Era strano sentire così vicino il respiro di qualcuno, il calore del corpo di un altro; si chiese, anzi, se fosse possibile essere più vicini ancora, se fosse possibile cacciare quell'ultima sciocca distanza che li divideva dal traguardo.

Fu Rin a trovare per primo il coraggio di dare quell'ultima bracciata; un movimento minimo fu sufficiente a far sì che le loro labbra si raggiungessero dopo essersi inseguite tanto a lungo. Fu un bacio breve, impacciato, eppure in grado di mandare entrambi in apnea, di far battere i loro cuori con la stessa forza con cui tuonavano nei loro petti grazie all'adrenalina delle gare.

Quando recuperarono i propri spazi, però, quella distanza non aveva più il sapore di una sfida; era un traguardo ottenuto, che faceva ancora fremere i loro corpi ma che al tempo stesso sapevano di poter ottenere di nuovo, insieme, ancora e ancora.

«Mio padre» sussurrò Rin e a Haruka ricordò il rumore delle onde che si poteva ascoltare riecheggiare nelle conchiglie, anche quando il mare era lontano. «Lui... mi diceva sempre che ci sono persone destinate ad incontrarsi».

«A cambiarsi» lo corresse Haruka, ricordando ancora quella sensazione di buffo solletico nello stomaco, quella voglia di superare i propri limiti che gli incontri con Rin, anche quando brevi o disastrosi, avevano sempre accresciuto in lui.

«E a ritrovarsi. Sempre».

A quelle poche parole, seguì una carezza leggera e delicata, nonostante Rin avesse le mani grandi. Haruka si ritrovò quasi a socchiudere gli occhi, lasciando che l'immagine del ragazzo andasse lentamente a sovrapporsi a quella silhouette indefinita, compagna di sempre, che aveva sempre visto nuotare al suo fianco.

Era abituato a sentire la presenza di Rin in acqua, nella corsia accanto. Anche quando non c'era, da quando le loro strade si erano divise, a Haruka bastava chiudere per un attimo gli occhi per ricordare lo spettacolo a cui, grazie a lui, aveva assistito. Era abituato a lasciarsi trascinare dai ricordi di tutte le volte in cui Rin aveva invaso la sua vita; ogni volta l'aveva presa, ribaltata – una tempesta, che al suo passaggio spesso aveva lasciato distruzione ma anche nuove speranze, portando il sereno con sé.

Forse Rin era davvero lo spirito dell'Acqua.

Ma adesso poteva percepire la sua presenza anche lì, su quel letto. Sentiva lo stesso irrefrenabile bisogno di congiungere le loro mani, di stare al suo fianco, di continuare a correre ed era certo, ormai, che sarebbe stato in grado di avvertirlo anche quando sarebbero fuori dalla piscina oppure troppo lontani per incrociare i propri sguardi.

A quel lungo, pensieroso ma non scomodo silenzio, seguirono due sorrisi complici, che presto si tramutarono in risate sommesse e stupide – la sua più accennata, quella di Rin più brillante, fragorosa.

«Forse gli altri hanno ragione» mormorò Rin ad un certo punto e, quasi fosse incapace di stargli distante troppo a lungo, poggiò la propria fronte contro quella di Haruka.

«Su cosa?»

«Siamo davvero due maniaci dell'Acqua».



{parole: 1475}

note: Terza parte, conclusiva del punto di vista di Haruka!  La scena su cui mi sono basata è, secondo me, il luogo di arrivo di un rapporto che è sempre stato burrascoso, nel bene e nel male (motivo per cui la Rinharu secondo me possiede così tanta potenza): è finalmente un porto sicuro dove riposare, per entrambi, come se l'Australia fosse stato designato come luogo di rinascita per entrambi. Ecco, ho voluto riprendere questa scena  per ricucire al canon la questione "soulmate";  proprio perché è un traguardo per loro, perché questa è la prima scena in cui Rin riesce a parlare letteralmente con il cuore in mano a Haruka e lui ascolta, colpito, commosso, scosso.  La dinamica ha preso pieghe differenti, qui,  ma il concetto è sempre quello: sono uniti, un legame più forte che mai, indissolubile. E finalmente (spero?) si rivela il prompt da cui si è avviata la raccolta, quel linguaggio che appartiene solo a loro: una figura indefinita che rappresenta l'altro, in acqua, pronta a motivare, a spingerli a continuare a nuotare.  Non è un linguaggio molto ortodosso, me ne rendo conto, ma (anche parzialmente nel canon, considerando che si percepiscono a miglia e miglia di distanze) è il loro linguaggio.

 


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Capitolo 4
*** IV: acqua, per raggiungersi ***


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Nella corsia accanto, sempre




atto IV: acqua, per raggiungersi

Da quando Rin era tornato in Australia, il ritmo della sua vita aveva preso una piega stranamente regolare: sveglia al mattino presto, colazione nutriente, allenamenti, università e di nuovo, da capo.

Questo pensiero lo colpì all'improvviso, di fronte all'armadietto che gli era stato assegnato il primo giorno di corsi; con le chiavi in mano, lo sportello aperto di fronte a sé, la divisa dell'università australiana diligentemente piegata e pochi altri effetti personali, Rin si rese conto che era cambiato, di nuovo.

Aveva delle abitudini.

Era quasi impensabile, per lui: non aveva ricordi di aver mai vissuto troppo a lungo nello stesso luogo, sin da bambino, né di essersi mai trovato a suo agio in azioni ripetute sempre nel solito modo: piuttosto, aveva sempre sentito il bisogno di sperimentare, vedere luoghi e persone nuove, trovare vette da scalare poste sempre più in alto – se si escludeva il brutto periodo che aveva passato qualche anno prima, Rin era piuttosto sicuro di non aver mai trovato pace nel vero senso della parola. A volte aveva la sensazione che la casa della sua famiglia, dove probabilmente Gou e sua madre, assieme al loro gatto, in quel momento stavano dormendo, non fosse più casa sua... a dirla tutta, forse, casa sua non c'era mai stata.

Doveva ancora trovarla, magari.

Un sorriso si formò subito sulle sue labbra, il pensiero che veloce trottava a qualche mese prima, alla sua partenza da Tokyo: gli amici, vecchi e nuovi, che lo avevano seguito sino all'aeroporto per salutarlo, per augurargli buon viaggio e poi lui, Haruka, con una borsa tra le mani che teneva con la cautela con cui si tratterebbe una bomba ad orologeria. Gli aveva intimato di prenderla con un borbottio non troppo chiaro e senza perdersi troppo in chiacchiere e poi, con quel sorriso accennato che Rin aveva ammesso a se stesso un po' tardi di amare, non gli aveva augurato buon viaggio, no; gli aveva detto: “Ci vediamo in acqua”.

Tipico di Haruka Nanase.

In quella borsa, Rin aveva trovato i primi oggetti che avevano arredato il suo appartamento a Sidney: un ricettario incentrato sullo sgombro, un grembiule nuovo e, avvolta accuratamente in un involucro di plastica, una conchiglia piuttosto grande. Haruka aveva un modo tutto suo di comunicare e Rin aveva passato qualche giorno a chiedersi che cosa quegli oggetti potessero significare nello specifico per lui: per quanto riguardava il libro di cucina, era ovvio che gli stesse intimando di mangiare più sgombro o, almeno, di imparare a cucinarlo per bene e, supponeva, a questo era legato anche il grembiule.

Ma la conchiglia?

Rin chiuse l'armadietto con cura, raccolse gli occhialini e, con quel gesto ormai marchiato a fuoco nel suo intero essere, quello schiocco di gomma su gomma, li indossò mentre si dirigeva a passo sostenuto verso la piscina che, quel giorno, era esposta direttamente alla luce del sole. L'odore familiare del cloro accolse il suo olfatto, così come il vociare in tanti diversi accenti d'inglese gli diede il benvenuto.

Rin si spostò da una parte, ancora con la felpa indosso, per iniziare il riscaldamento. La corsa del mattino aveva sicuramente giovato, ma anni di esperienza gli avevano insegnato a non sottovalutare gli esercizi di preparazione: si occupò prima delle gambe, poi delle braccia e solo quando sentì il corpo adeguatamente pronto, si diresse a passo sicuro verso le pedane di partenza. Si liberò della felpa, poi diede un'occhiata alle vasche, accertandosi di quali fossero già occupate: stranamente, quel giorno non erano in molti ad allenarsi a quell'ora. Alcuni erano tornati a casa, pareva, per passare qualche giorno con la propria famiglia.

Ma non lui.

Non era perché la sua famiglia non gli mancasse – anzi; nonostante la quotidianità di casa Matsuoka fosse solo un ricordo sfumato della sua infanzia, a Rin mancavano i brontolii di Gou, l'odore della carne che invadeva la cucina mentre sua madre cucinava e persino i graffi di quel grassone del loro gatto.

Eppure, Rin sapeva che la sua casa doveva essere costruita bracciata dopo bracciata, vasca dopo vasca. Forse, insieme ad ogni mattone posto, poi sarebbero venute le medaglie, le vittorie o chissà cos'altro – era certo solo del fatto che non poteva fermarsi. Sapeva che il giorno in cui avrebbe avuto una casa priva di scatoloni era ancora lontano e che, nel frattempo, la sua unica casa era proprio lì.

In acqua. La stessa acqua che tanto gli aveva tolto, sì, ma altrettanto gli aveva donato.

Si piegò in avanti, pronto a tuffarsi. Improvvisamente, tutto – le voci che invadevano l'ambiente, il sole che scaldava la sua pelle candida, i pensieri che, veloci, attraversavano la sua mente – sembrò perdere consistenza: tese le braccia in avanti e, nelle orecchie solo il suono del suo respiro, improvvisamente tiranno, abbandonò il cemento per essere accolto nell'unico luogo a cui sentiva di appartenere davvero.

L'acqua era fresca, piacevole e appena mossa dalla presenza di altri atleti; ora al respiro si era sostituito il suono prorompente del suo battito cardiaco, che scandiva ogni attimo come per voler rendere ciò che stava sotto la superficie dell'acqua ancora più surreale, quasi magico.

Riemerse a malincuore per prendere una grossa boccata d'aria; a questo gesto seguirono immediatamente i familiari movimenti di braccia e gambe che, allenate a dovere, subito lo sospinsero con sicurezza verso la sua meta. Una bracciata, un colpo di gambe, una perfetta sinergia di ogni arto del suo corpo: un ritmo che, però, non sembrava mai essere veloce abbastanza, perché ancora non riusciva a raggiungere quel futuro.

Di recente, capitava spesso che riuscisse a scorgere, tra le ombre e le luci che si intersecavano sotto la superficie dell'acqua, quella che ormai anche lui, come Haruka, aveva cominciato a chiamare Acqua, nonostante ben conoscesse la sua identità. Anche quel giorno, la trovò poco più avanti, nella corsia accanto: era agile e fluida come una sirena, veloce come solo il suo ragazzo (incredibile come, a distanza di mesi, questo concetto lo facesse ancora sentire leggero ed agitato al medesimo tempo, neanche fosse un ragazzino) in qualche piscina di Tokyo sapeva poter essere. E allora, spontaneamente, nonostante la fatica, lo sforzo e la stanchezza di chissà quante vasche che pesavano sui suoi muscoli allenati, ecco che si faceva più veloce, più avido perché sapeva che Haruka non gli avrebbe mai e poi mai fatto sconti.

E allora l'Acqua sembrava volergli sfuggire, nella corsia accanto, divenire irraggiungibile e, in un gioco di testardaggine, Rin non poteva fare altro che sorridere, aumentare il ritmo, dimostrargli che quel che gli aveva mostrato ormai dieci anni prima, quella visione, si era solo fatta più potente, più reale.

Non un miraggio, ma un miracolo.

C'era qualcosa di diverso, però, quel giorno: l'essenza di Haruka sembrava più viva del solito, paradossalmente più reale (per quanto “reale” potesse apparire un insieme di correnti d'acqua), tanto che Rin perse ben presto la concezione delle vasche già fatte, delle lunghe file di galleggianti che distinguevano le corsie, la consapevolezza di dove si trovasse di fronte alla sensazione di non essere più lontani migliaia di chilometri, ma fianco a fianco.

Quella era una gara in piena regola.

Dopo chissà quanto tempo, quasi all'improvviso, l'Acqua si fermò: la figura sembrò rimanere sospesa in acqua, bellissima e potente come una nina, in un tempo altro ma rivolta verso di lui, come se si aspettasse qualcosa; colse Rin così di sorpresa che il giovane non poté fare a meno di fermarsi ad osservarla, incantato, un attimo prima che questa tendesse una mano verso di lui.

C'era un che di familiare, in quel gesto. In un attimo, alle spalle dell'Acqua, vide di nuovo l'albero di ciliegio in fiore che già una volta lo aveva salvato e Haruka che, sotto di esso, gli prometteva di mostrargli uno spettacolo indimenticabile.

Afferrò quella mano senza esitare neanche un attimo e, seppur non del tutto consciamente, subito si rese conto che era reale e non una mera illusione. Era calda, viva e le dita di quest'ultima si intrecciarono ben presto con le sue, in un gesto deciso e determinato, un attimo prima di sentire le labbra – ma erano davvero lì? - di Haruka poggiarsi sulle proprie, febbrili e piene di desiderio come solo le sue, aveva scoperto, potevano essere.

La passione del suo compagno erompeva solo in acqua e a letto; Rin si era chiesto spesso come, per tutta la vita, avesse nascosto quell'avidità e possessione che aveva imparato a percepire solo in quegli ultimi mesi, quando in un tocco semplice come un bacio riusciva a mettere così... tanto.

Non si rese conto che aveva ripreso a respirare, ormai riemerso, seppur col naso, e che le sue labbra continuavano ad essere tormentate, inseguite, imprigionate. Non si accorse delle voci che, improvvisamente, erano tornate a punzecchiare il suo udito, persino più prorompenti di prima in quell'ambiente così raccolto, troppo stretto per quelle emozioni che si agitavano nel suo torace.

Almeno fin quando, quasi fosse stato liberato da un incantesimo, si permise di riaprire gli occhi ed incontrò le iridi blu, magnifiche e brillanti di Haruka Nanase.

Quello vero.

«... Ma che--» gli sfuggì, in un sussurro che sapeva di imprecazione e meraviglia al tempo stesso.

«Sorpresa». Forse avrebbe trovato divertente quel tono piatto, paradossale per quel che aveva appena detto, se non si fosse sentito lui la vittima del teatrino che il moro aveva messo su.

Una consapevolezza che lo colpì con parecchio ritardo, che mandò a fuoco la sua faccia già piuttosto accaldata dal bacio di poco prima e che gli permise infine di notare come avessero attirato l'attenzione di tutti i presenti.

A quel punto, non poté fare a meno di portarsi una mano sul volto, sperando di scomparire.

«Rin, you didn't tell us you had a boyfriend!»

«Is that the guy you're always talking about?»

«I wish my girlfriend would do something like that for me too...»

Era ufficialmente fregato, in più di un senso.

Punto primo, i suoi compagni e amici non gli avrebbero più dato tregua: da tempo insinuavano che avesse una storia con qualcuno e non facevano altro che cercare di capire che tipo fosse la fiamma di Rin Matsuoka – che tipo fosse, se fosse rimasta in Giappone, quando l'avrebbe rivista...

«Rin?»

Punto secondo... beh, era semplice da immaginare. Haruka era lì, inspiegabilmente, immerso con lui fino al torso in una piscina di Sidney dopo una gara durata chissà quanto e un bacio che ancora sentiva ardere sulle labbra. Haruka che, con il suo sguardo impenetrabile e il capo lievemente inclinato da un lato, sembrava attendere una sua reazione che andasse al di là dello stupore.

«Rin?» ripeté di nuovo, allontanandogli con gesto sicuro la mano dal volto. «Stai piangendo?»

«Non—sto piangendo» soffiò, colto nel vivo; doveva ammetterlo, in quella dissestata e lunga relazione che si trascinavano, tra alti e bassi, dalle elementari, non avrebbe mai e poi mai pensato Haruka capace di organizzare una sorpresa come quella. E anche se non stava piangendo in quel momento, era piuttosto sicuro che si sarebbe commosso non appena l'imbarazzo fosse scemato almeno un po'. «Che ti è saltato in mente?»

«Avevo voglia di vederti» constatò il moro come se niente fosse, prima di sciogliersi in un sorriso leggero – quel genere di espressioni di cui Rin, ne era certo, non si sarebbe mai stancato. Neanche quando sarebbero stati vecchi e rugosi come due tartarughe. «Non mi bastava più correrti dietro in piscina».

Il suono di quelle parole acquisì immediatamente un significato così potente che, quasi in risposta, Rin sentì gli occhi pungere (eccole, quelle stupide lacrime); erano immersi in acqua, vicini, senza alcuna bramosia di vincere, di andare più veloci, di essere all'altezza dell'altro.

Per quello, lo sapevano entrambi, ci sarebbe stato sempre tempo e non sarebbe mai cambiato davvero. Quel che era davvero diverso, che fece sì che Rin scoppiasse in una risata un po' umida e non solo per via dell'acqua clorata, era che non avevano bisogno di pretesti per desiderare di stare accanto l'uno all'altro, in un cammino condiviso.

Un cammino lungo una vita, sperava, e non solo qualche vasca.



{parole: 2008}

note: Ultimo capitolo, "extra" se così si può considerare di questa piccola avventura in cui mi sono voluta tuffare (che simpatica che sono, vero?). Ho superato un po' di ostacoli e ammetto che questo capitolo mi ha dato tantissimi problemi nonostante io sia molto più affine a Rin che non a Haruka... non so cosa sia successo ma ci ho messo davvero un'eternità. Parlando della conclusione, invece, anche qui mi sono rifatta ad un legame che trascende tempo, spazio e che in effetti quando collide con la realtà lascia quasi disorientati: il rapporto tra Haruka e Rin, qui come nel canon, è il motore di tutti i cambiamenti che avvengono nelle loro vite. Sono entrambi la corrente che li sospinge insieme verso un futuro incerto, sì, ma che su entrambi esercita un fascino irresistibile - Rin lo ha scoperto da bambino, impulsivo com'è, mentre Haruka con calma, da "grande". 
Spero davvero che questa raccolta vi sia piaciuta! So che avrei potuto far di meglio, ma sono riuscita a concluderla e per me è già un piccolo traguardo. Grazie per aver letto fin qui ♥

 


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