Paper Shrapnel - Proiettili di carta

di sidphil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 - Epilogo ***
Capitolo 39: *** Mi manchi. Ti amo. Torna a casa presto. - Ian ***
Capitolo 40: *** Mi manchi. Ti amo. Torna a casa presto. - Mickey ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Colpi di pistola risuonarono in tutto il campo. Alcuni soldati fecero capolino dalle loro tende, guardandosi intorno già immersi nel mattino. Si cominciavano ad udire le loro voci vibranti nell'aria, appena percepibili in fondo allo spiazzo dove si trovava Ian. Trattenne un sospiro, caricò la pistola e sparò altre tre volte verso l'alto.
I soldati arrivarono correndo, precipitandosi fuori dalle tende vestiti a metà. Si raggrupparono in file scomposte per gruppi di cinque, stropicciandosi gli occhi ancora assonnati puntati sul loro sergente istruttore. Ian sbattè le palpebre.
-Scusate, ho forse detto "a riposo"?-
In un secondo uomini e file si riordinarono. I tacchi risuonarono uno contro l'altro, un braccio dritto lungo il fianco e l'altro sollevato in segno di saluto. Ian non potè che provare una punta di orgoglio. Ancora una settimana e sarebbe stato in grado persino di far sbattere loro gli occhi nello stesso momento.
Deglutì la propria boria, sostituendola con l'irritazione. -Mi state prendendo per il culo?- urlò. -Sentite una cazzo di pistola e il vostro primo istinto è quello di allinearvi permettendo al plotone avversario di falciarvi uno ad uno?-
Alcuni soldati si agitarono, imbarazzati. Ian si appuntò mentalmente i loro nomi, così da poter avvertire il loro futuro luogotenente di tenerli d'occhio. Erano tutti terribilmente silenziosi mentre se ne stavano lì a fissare il terreno. Alcuni di loro lanciarono occhiate furtive all'arma che teneva in mano.
-O forse il vostro primo istinto è stato quello di correre da me e chiedermi perchè diavolo stessi facendo fuoco?- suggerì sarcastico. -Non sono più il vostro stramaledetto sergente, nel caso ve ne foste dimenticati. Il luogotenente Lishman ha preso in custodia i vostri culi un paio di giorni fa per prepararvi ad andare in guerra. A proposito, come sta andando?-
Silenzio. Alcuni soldati strisciarono casualmente i piedi al suolo e uno di loro parlò. -Con tutto il dovuto rispetto signore, che cosa avremmo dovuto fare?-
Ian fissò lo sguardo sull'uomo in seconda fila ancora in posizione di saluto, l'espressione innocente in contrasto con la figura muscolosa. Allargò le labbra in un sorriso mentre sollevava la pistola e vide l'uomo deglutire. Inserì la sicura. -Bella domanda. Che cosa dovreste fare se sentiste sparare? Beh, prima di tutto, allinearvi in perfetto ordine sembra un'ottima idea. Soprattutto nella foresta, quando non saprete dove si trova il nemico e da dove arrivano i colpi. Correre dal vostro luogotenente per chiedergli che cosa fare sembra un'altra opzione fantastica. In particolar modo, dopo avergli parlato, tornerete nelle vostre tende senza copertura per andare a riprendere le vostre armi che vi siete lasciati SU PER IL CULO!-
Buttò la pistola a terra e si avvicinò alla prima fila. I soldati deglutirono, si mossero appena o evitarono il suo sguardo, ma nessuno osò fare un passo indietro. -Tra meno di una settimana sarete in guerra. Meno di una fottuta settimana.  E voi non sapete cosa fare se qualcuno vi sta sparando? Sparate anche voi!-
-Avremmo dovuto spararle, sergente?-
-Beh, avreste potuto almeno prendere delle armi. Armi di ogni tipo, qualsiasi cosa, invece di correre a destra e sinistra come un branco di adolescenti che sente aprirsi il garage a casa della fidanzata!-
Per un pò nessuno osò proferire parola. Il silenzio era calato sul gruppo mentre il vento freddo del mattino soffiava sul campo. Alcuni soldati passarono alla posizione di riposo senza che Ian avesse dato l'ordine. Ian si sentì formicolare le mani dalla rabbia ma imporre ordini militari era sbagliato. Passò un minuto, poi un altro, finchè qualcuno dietro di lui non si schiarì la gola. Ian lanciò un'occhiata oltre la propria spalla e i soldati si misero nuovamente sull'attenti. Un sorriso comparve sulle labbra sottili del luogotenente Lishman. -Che ne dite se cominciamo con i nostri giri di corsa, ragazzi?-
Senza emettere un fiato, i soldati cominciarono a disperdersi sotto allo sguardo di Lishman. Quando se ne furono andati tutti, fece un passo verso Ian. -Beh, è stato... vivace-. Ian grugnì e Lishman spostò la pistola con la punta del piede. -Forse un po' eccessivo. Questi uomini sanno a cosa stanno andando incontro. Sono dei brav'uomini, tu stesso li hai addestrati-
-A quanto pare non abbastanza-
-Sta bene, sergente?-
Ian buttò fuori una risata. -Voglio solo essere sicuro di non spedire quaranta uomini oltreoceano a morire. Va bene, luogotenente?-
L'uomo non rispose. Infilò una mano in tasca e vi tirò fuori una busta bianca con il timbro dell'esercito. Ian deglutì pesantemente ed ebbe l'istinto di indietreggiare ma ormai là fuori non c'era più nessuno che potesse morire per lui. La prese e la aprì strappandola. -Nuove reclute- spiegò Lishman. -Li manderanno tra una settimana, dopo che questi saranno partiti-
Ian annuì. Aveva già aperto la lettera e ora stava leggendo i nomi. Cinque di loro avevano la scritta "SELEZIONATO" in rosso. Memorizzò con particolare attenzione quei cinque finchè non arrivò all'ultimo.
Mickey Milkovich. Giovane straordinariamente cazzuto che aveva rotto il naso del professore in quarta elementare per avergli imposto di partecipare ad un progetto di arte nonostante non fosse una ragazza. Non riuscì a trattenere un sorriso mentre se lo immaginava ricevere la lettera di arruolamento. Le possibilità che obbedisse ad un'autorità governativa erano le stesse di vederlo ascoltare un insegnante sedici anni prima. E le possibilità che desse ascolto proprio a lui erano ancora più basse.
Ripiegò la lettera e si diresse verso la mensa. Lishman avrebbe provveduto a completare l'addestramento degli uomini per poi prepararli alla vera guerra. Il suo lavoro era finito, ora ne sarebbero arrivati altri quaranta, che lo volessero o no.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mickey entrò dalla porta principale, accolto dal sibilo del ferro da stiro e da un mucchio di vestiti sparsi. Appese la giacca sull'appendiabiti ed entrò in cucina. Baciò sua madre sulla guancia, controllando discretamente che non si fosse di nuovo bruciata le dita, poi appoggiò la busta della spesa in cucina.  La tv era accesa nella stanza accanto, ronzando con fare inquietante. Lanciò un'occhiata e vide Mandy seduta sul divano accanto a loro padre. Era impossibilmente raggomitolata su sè stessa contro al bracciolo del divano mentre Terry sedeva di fianco a lei completamente ignaro del suo disagio. Mickey attese sulla soglia finchè lei non lo vide. Inarcò un sopracciglio e la ragazza scosse la testa. Esitante, si staccò dallo stipite e tornò in cucina.- C'è posta?- chiese.
Sua madre inspirò rumorosamente e gli indicò una pila di lettere sul tavolo con il ferro da stiro. Mickey la fissò per un attimo; stava stirando una maglietta, una delle sue se non andava errato. Era blu con una fila di bottoni ed il colletto. Premeva così tanto sul tessuto che rimase sorpreso nel vedere che il materiale scadente non si fosse ancora bruciato o non avesse ancora preso fuoco. -Mamma?- la chiamò. -Tutto bene?-
Lei alzò lo sguardo. I suoi occhi azzurri erano gonfi e cerchiati di rosso. Si sforzò con tutta sè stessa di fargli un sorriso, le guance che tremavano. Il ferro da stiro si fermò proprio al centro della maglietta, le mani immobili. -Starai bene- gli sussurrò.
Mickey sbattè le palpebre, raccolse bruscamente le buste dal tavolo e le aprì, impaziente di leggerne il contenuto. Spazzatura, carte di credito per cui suo padre non avrebbe mai firmato, richieste per beneficenza, avvisi per il pagamento delle bollette. E alla fine, in fondo alla pila, già aperta, c'era una busta con il timbro dell'esercito in bella vista. La lasciò cadere. -No-
-Mickey... -
-No- ripetè. -Non succederà. Non andrò, okay? Non ci andrò affatto-
Sua madre lasciò cadere il ferro, il quale sbattè contro l'asse da stiro facendo cadere entrambi a terra. Mickey si morse la lingua per lo spavento a quel rumore assordante mentre il cuore cominciava a palpitargli nel petto. La donna stava tremando e Mickey sapeva di averle ricordato suo padre, anche se per un breve attimo.
-Che cazzo sta succedendo qui?- tuonò Terry.
-Colpa mia- si affrettò a rispondere Mickey. Aveva già raddrizzato l'asse da stiro e stava raccogliendo il ferro. Lo spense ma non lo posò, spingendo sua madre dietro di sè. -Niente di grave-
Terry lo fissò per qualche secondo e annuì. Fece per andarsene ma lo sguardo gli cadde sulla busta abbandonata sul tavolo. La prese, ne lesse il contenuto e sorrise. -Buon per te, finalmente vai in guerra-
-Cosa?- chiese Mandy comparendo dietro di lui. Terry le mostrò la lettera.
-Tuo fratello è in partenza per il Vietnam-
Mandy spalancò gli occhi e gli strappò la lettera dalle mani. Alzò lo sguardo, incrociando quello del fratello. -Non puoi-
-Non lo farò-
-Col cazzo- sputò Terry. Riprese la lettera urtando Mandy nella foga e gli si avvicinò. -E' una missione affidata dal governo, devi fare ciò che ti dicono. E' già abbastanza vergognoso che siano stati loro a doverti chiamare. I tuoi fratelli si sono arruolati e sono partiti mesi fa. Saresti dovuto andare con loro-
Mickey si trattenne dallo scoppiare a ridere. Spostò lo sguardo su Mandy, la quale era indietreggiata fino all'angolo con le braccia strette al petto. Fece spallucce quando ricambiò lo sguardo, contraddicendo le sue stesse parole di poco prima. -Non posso andarci, cazzo- ripetè. Cercò di pensare ad un qualsiasi motivo che suo padre potesse eventualmente accettare. Frugò tra i propri ricordi finchè non si fermò su uno di questi, annebbiato dall'alcool  e da un inusuale momento in cui suo padre gli dava una pacca sulla schiena. Si ricordò di un viso, insieme alle parole che le aveva detto di rimangiarsi. -La puttana è incinta-
Terry si accigliò. -Che cosa?-
-Quella della spa, chiunque essa sia- spiegò. -Sai, quella mora con l'accento forte e una lingua da serpente? Quella con quel nome incomprensibile. E' incinta, mio. Me lo ha detto lei-
-Svetlana?-
Il nome non gli diceva niente ma annuì lo stesso.
-Quella puttana comunista? E' lei che sarà la madre dei miei nipoti?-
Mickey deglutì nervosamente, senza sapere che cosa dire. Era abbastanza sicuro che fosse stato proprio a Terry a spingerlo ad andarci insieme, dicendogli che fosse brava a letto tanto quanto sembrasse dalle apparenze. Ricordava che fosse stato il proprio cervello, in preda ai fumi dell'alcool, a portarlo verso di lei e a farle scivolare i soldi in mano solo per far chiudere la bocca a suo padre sul fatto che avesse bisogno di una donna nella sua vita, anche se solo per alleviare un pò di stress. -Pensavo ti piacesse- buttò fuori.
-Come puttana sì- replicò lui. -Non come figlioccia-
-Non voglio sposarmela, è solo incinta di mio figlio-
-Un sacco di uomini tornano dai loro figli dopo la guerra-
Mickey dovette mordersi la lingua dal dirgli che spesso tornassero a casa di figli che non erano nemmeno loro. Non sarebbe riuscito a difendere per sempre sua madre ed il fatto che fosse nato durante la Seconda Guerra Mondiale non sarebbe sfuggito all'attenzione di Terry.
-In ogni caso non ha importanza- ribattè Terry, incespicando verso di lui. Mickey riuscì ad odorare birra nel suo alito pesante e si costrinse ad indietreggiare verso il muro. -Non ti lasceranno a casa per questo, figliolo, deve esserci qualcos'altro. Piedi piatti... frociaggine... -. Mickey si irrigidì a quella parola e Terry lo colpì forte su una guancia, facendolo passare per un buffetto affettuoso. -Andrai in guerra, ragazzo mio. Sorridi e rallegrati. Guarda se le altre ragazze ti fanno uno sconto per questo-. Ammiccò e tornò nell'altra stanza. Quando passò di fianco a Mandy, lei indietreggiò senza seguirlo. Un attimo dopo la chiamò e lei guardò il fratello. -Suppongo di doverti augurare buona fortuna-
Mickey le sorrise. -Manca ancora un pò di tempo-
Mandy annuì e lo abbracciò. -So prendermi cura di me, sai? Ancora un paio di settimane e sarò fuori di qui, sposata con un riccone dall'altra parte della città. Vedrai- mormorò.
Mickey le afferrò la mano prima che potesse allontanarsi e ne baciò le nocche. -Scrivimi dalla tua villa. Voglio un sacco di lettere-
Lei inspirò rumorosamente e annuì, raggiungendo poi il padre nell'altra stanza. Mickey appoggiò il ferro da stiro sull'asse in bilico e guardò sua madre. -Mamma?-. Ci fu un sospiro pesante. -Non piangere. Su, mamma, non... non piangere, cazzo-
Lei cominciò a singhiozzare, sforzandosi con tutta se stessa di trattenersi. Mickey si avvicinò e la prese tra le braccia mentre lei appoggiava il viso sulla sua spalla, bagnandogli di lacrime il logoro maglione. Mickey si morse il labbro con forza, sentendo un sapore metallico sulla lingua. Non avrebbe pianto. Un uomo che stava per andare in guerra non piangeva.
 
Una settimana dopo arrivò l'ultimo richiamo. Mickey strappò la busta, la lesse in silenzio e la appese al frigo. Mandy cominciò a segnare i giorni sul calendario, contando quanti ne mancassero alla sua partenza. Mickey cercò di distrarsi contando invece i giorni che mancavano al ritorno di Iggy, quattro mesi dopo. Finse che anche Mandy facesse la stessa cosa, e quando la sua mano cominciò a tremare mentre i giorni diminuivano sempre di più, si rassegnò a fingere anche lei.

 
La mattina della partenza, Mickey rotolò giù dal letto e si infilò l'uniforme da addestramento stirata di fresco che sua madre gli aveva posato ai piedi del letto, aggiungendo poi un altro paio di calze e una maglietta attillata nella borsa. La richiuse nonostante fosse ancora mezza vuota. La parte superiore sprofondava, il tessuto che si afflosciava come una torta uscita male. Mickey si sentiva proprio così. Afferrò i manici con una tale forza da avere le nocche bianche e la fece oscillare, quasi senza peso.
In cucina, prese del pane e preparò un toast, mangiandolo mentre faceva per uscire. Si fermò solo quando sentì scricchiolare una porta in corridoio. -Dove stai andando?- gli chiese Mandy con voce assonnata.
Mickey deglutì e per un momento credette che se ne fosse dimenticata. - Torno tra un pò- rispose.
-Cazzate-
-Mandy...-
Lei si avvicinò e lo abbracciò, singhiozzando sulla sua spalla. -Non provare a morire lì fuori, okay? Non posso farcela ancora. Non posso... non posso andare ad un altra veglia-
-Faresti meglio a non prepararmi una veglia- ribattè Mickey. Forzò un sorriso mentre si separavano. -Andrà tutto bene, non ti lascerò come ha fatto quello sfigato, okay?-
-Non è uno sfigato-
-Aveva una fottuta villa?-. Mandy sorrise, ma sembrava forzato nel buio mattutino. Mickey la baciò sulla fronte e fece un passo indietro. -Starai bene?-
- So cosa mi aspetta qui, non è una novità-
Mickey annuì e uscì dalla porta principale. Sorgeva un sole rosso, che riscaldava le strade di Chicago coperte dal freddo invernale. Scese i gradini del portico due a due e si avviò verso l'ufficio di reclutamento. C'erano alcune candele accese davanti alla finestra principale, di fianco alla quale erano allineati gli altri uomini. Appoggiate ad esse, accanto alla cera colata, lettere e foto da parte della famiglia. Ne riconobbe una di Mandy, con la sua scrittura arricciata, una lettera che doveva essere spedita al fronte ma che non era mai arrivata. A quanto pare i dieci centesimi per il francobollo erano finiti tra i risparmi destinati alle birre di Terry. Mickey non era riuscito a cambiare i propri soldi prima che la sorella del ragazzo si presentasse sulla sua soglia chiedendo di Mandy.
Cercò di non pensare al fatto che Mandy avrebbe fatto lo stesso per lui. Da chi  sarebbe andata? Svetlana? Non le importava nemmeno che stesse andando in guerra. Gli aveva semplicemente fatto uno sconto del quindici per cento e lo aveva rispedito da dov'era arrivato, lamentandosi che presto avrebbe avuto un bambino e che quindi fosse meglio che non si facesse ammazzare.
Mostrò la lettera di arruolamento all'ufficiale accanto alla portiera dell'autobus insieme ai documenti e salì quando quest'ultimo gli fece un cenno di approvazione. Li aspettava un lungo viaggio e Mickey aveva l'impressione che sarebbe stato perlopiù silenzioso. Tutti gli uomini fissarono le candele sul marciapiede, preoccupati, o speranzosi, di essere loro i prossimi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ian aspirò dalla propria sigaretta e sbuffò il fumo guardandolo dissolversi nell'aria. Di lì a poco l'autobus sarebbe comparso sul sentiero fangoso, carico di nuove reclute, ansiose o terrorizzate di andare in guerra. Scorse il mezzo in lontananza proprio quando il mozzicone cominciò a bruciare un pò troppo vicino alle dita, quindi lo buttò per terra e lo schiacciò con il tacco dello stivale. Si stiracchiò il corpo indolenzito e si avvicinò all'asta della bandiera, assumendo la perfetta posizione da soldato, riaggiustandosi il berretto e allacciandosi i bottoni dell'uniforme fino al collo.
L'autobus si fermò e le porte si aprirono cigolando. Giovani uomini cominciarono a scendere, guardandosi curiosamente intorno per cercare il sergente istruttore. Quei pochi che si accorsero di lui si avvicinarono, seguiti a breve dagli altri. I borsoni, che sembravano essere strapieni, oscillavano sulle loro spalle, colpendo gli uomini al loro fianco. L'autobus si svuotò, lasciando per un secondo tutte le portiere aperte. Ian piegò la testa in un cenno di saluto all'autista e gli uomini rimasero a fissarlo mentre le porte finalmente si richiudevano e il mezzo ripartiva con un'ampia inversione di marcia.
Lentamente, si voltarono tutti di  nuovo verso Ian con un'espressione incerta. Alcuni posarono le borse a terra, altri se le sistemarono meglio in spalla. Solo tre di loro erano sull'attenti ma erano comunque troppo nervosi per sollevare la mano in saluto.
- AT-TENTI!- ordinò Ian.
Scoppiò il disordine. Borsoni caddero a terra e piedi strisciarono sul suolo mentre cominciava a regnare la confusione generale quando nessuno sembrò riconoscere la differenza tra "Attenti" e "Riposo". Uno degli uomini che aveva eseguito la posizione corretta cambiò idea e si mise a riposo.
Ian fece scorrere svogliatamente lo sguardo sulla massa di uomini. Rimase con la schiena dritta, muovendosi a malapena per respirare. -"Attenti" è la posizione del saluto- disse casualmente.
Tutti cambiarono immediatamente. Quelli troppo nervosi per eseguire il saluto lo fecero così velocemente che Ian avrebbe potuto scommettere che il giorno dopo avessero una bruciatura sulla fronte. Alcuni non tenevano la schiena perfettamente dritta e altri avevano l'uniforme così stropicciata da sembrare come se avessero fatto la lotta sull'autobus o prima di salirci.
-Benvenuti- cominciò Ian, pentendosene immediatamente. -Sono il sergente Ian Gallagher. Questo campo, campo Waterloo, è attivo dalla Grande Guerra. Ha preparato soldati che hanno dato la vita per un nemico ancora più grande di quello che affronterete voi. Ha preparato più soldati che sono tornati a casa al sicuro, tutti interi e pronti a continuare con la loro vita che soldati morti per la propria patria. Sono qui per fare in modo che voi rientriate nel primo gruppo. Se mi darete ascolto e vi allenerete come se ne dipendesse la vostra vita, il che in effetti è così, tornerete a casa-
Una risata echeggiò non appena finì di parlare. Inarcò un sopracciglio. -Qualcuno ha qualcosa da dire?-
-Sì- rispose una voce. -Torneremo tutti a casa dentro sacchi per cadaveri, e tu lo sai-
Ian sorrise e annuì. - L'uomo che ha espresso questa opinione avrebbe voglia di presentarsi al resto del gruppo?-
Un fruscio provenì dall'ultima fila e un uomo si fece avanti, i capelli scuri in contrasto con lo sfondo rosato del cielo. Teneva la mano sollevata in un gesto ironico di saluto e si mordeva il labbro per trattenere un sorriso sarcastico. La sua uniforme era smessa e cosparsa di macchie scure, probabili bruciature da ferro da stiro, e il viso era velato da uno strato di sporcizia. Aveva l'aria di essere appena uscito proprio da uno di quei sacchi per cadaveri in cui era così sicuro di finire. - Sono proprio qui, signore-
-Il tuo nome, cadetto-
- Mickey-
Ian scosse la testa. - Solo cognomi qui-
-Milkovich-
-Milkovich- ripetè lentamente. Fece scorrere lo sguardo lungo il suo corpo per poi fermarsi sui suoi occhi incredibilmente azzurri. Il suo ardore non era nulla di nuovo, "rissoso" avrebbe potuto benissimo essere il suo secondo nome, e fu proprio quel sorrisetto spavaldo che cercava di mostrare disinvoltura che gli fece mancare un battito e lo costrinse ad esaminare con più attenzione l'uomo che aveva conosciuto solo attraverso le voci. Annuì, perlopiù a sè stesso, e fece un passo avanti, quasi pestandogli i piedi. Era più alto di lui di almeno dieci centimetri, il che rendeva facile guardarlo come se fosse un insetto che poteva essere schiacciato da un momento all'altro. -Magari potresti preoccuparti di mostrare più rispetto per i tuoi compagni e non diffondere credenze false e maligne su ciò che vi accadrà oltremare-
-Magari potresti preoccuparti di non darci false speranze- lo imitò Mickey.
-Il mio lavoro è quello di addestrarvi abbastanza da permettere al luogotenente a cui verrete affidati di riportarvi a casa vivi- replicò Ian. -E sono molto, molto bravo nel mio lavoro, Milkovich-
-Ah sì?- sorrise Mickey. E' per questo che non sei laggiù a farti sparare addosso dai Charlie? Perchè sei un istruttore così bravo? Hai una cazzo di idea di cosa succeda là e di cosa dovremo affrontare?  E prima di rispondere di sì, sappi che la propaganda dell'esercito non vale-
Ian lo spinse forte facendolo indietreggiare. Mickey ruzzolò contro la prima fila, finendo quasi per terra cadendo sul suo stesso culo, e il sorriso gli sparì dalle labbra come sapone sulla vernice. Occhi azzurri fissarono con aria di sfida quelli verdi di Ian, irremovibili, mentre l'uomo era ad un passo dal tirarsi su le maniche e mettergli le mani addosso. Fu Ian ad interrompere il contatto visivo, guardando invece il resto del gruppo. -Milkovich si è appena offerto di darvi una dimostrazione dei giri di corsa che dovrete fare tra tre settimane quando vi avrò messi tutti in forma- disse sorridendo amichevolmente. Si rigirò verso Mickey. -Dieci giri intorno al campo. Niente pausa, niente acqua-
- Vaffanculo-
-E vuole anche lavare la bandiera del campo- aggiunse. - Personalmente, io non avrei voglia di arrampicarmi sull'asta dopo dieci giri di corsa, ma se lui vuole io direi di accontentarlo-. Tornò a guardare il suo nuovo e decisamente sconfitto cadetto. Represse totalmente quella parte di sè che di solito mostrava ai nuovi arrivati, il calore, l'affetto, quella parte che voleva che si fidassero di lui, quella parte che li avrebbe aiutati a credere di tornare a casa vivi. Se Mickey pensava di essere destinato ad un sacco per cadaveri, Ian sarebbe stato felice di lasciarglielo credere. Sperava solo che quella credenza diventasse una premonizione.
Dopo un momento, Mickey abbassò lo sguardo, perdendo tutta la propria arroganza. Ian sbattè le palpebre, sorpreso nel vederlo arrendersi così facilmente alla sua autorità. Scacciò via quel pensiero e sorrise raggiante al gruppo. -Se volete andare in mensa per fare colazione, andate pure. Lì incontrerete il vostro cuoco, siate gentili. Cucina quello che vuole lui ma potrebbe arrivare a farvi sentire come a casa vostra se gli piacerete-. Gli uomini si dispersero e Ian si voltò di nuovo verso Mickey. -Comincia a correre-
Mickey lo mandò a quel paese e obbedì, mantenendo un ritmo regolare. Ian avvampò per la rabbia ma decise di lasciar perdere.
Dopo due giri, Mickey si tolse la giacca, buttandola da qualche parte sul terreno polveroso mentre Ian stava appoggiato all'asta della bandiera fumando una sigaretta. Lo seguì con lo sguardo: al terzo giro era coperto di sudore. Al quarto, cambiò ritmo, mantenendo quello di una camminata veloce. Al quinto trascinava i piedi con le gambe tremanti, tossendo e leccandosi continuamente le labbra per evitare che gli si spaccassero. Quando si avvicinò all'asta, guardò Ian senza degnarlo di una parola. Ian gli sbuffò il fumo in faccia. -Sei a metà-
Il fatto che Mickey non lo avesse mandato a quel paese di nuovo sarebbe stato un miracolo, se solo Ian avesse creduto che gli rimanesse ancora energia per poterlo fare. Era alla terza sigaretta mentre contemplava quel ragazzino di nove anni che aveva rotto il naso all'insegnante, lo stesso ragazzino che gli avrebbe sputato in faccia piuttosto che eseguire l'ordine e correre. Quando Mickey lo superò per la sesta volta, Ian urlò: -Ti darò una pausa se rispondi ad una domanda-
-Acqua- replicò invece Mickey. Cercò con tutto se' stesso di sembrare minaccioso ma la voce gli morì nella gola prosciugata. Ian scosse la testa.
-Non fa nemmeno caldo-. Mickey gli passò oltre sbuffando.
Il sole invernale sorse, esplodendo in tutta la sua potenza. Gli altri uomini uscirono di nuovo ed Ian fece segno loro di sedersi e restare a guardare. Trentanove uomini obbedirono, dividendosi in gruppetti. Ian memorizzò mentalmente le varie categorie: gli accaniti, quelli che si erano impegnati tutta la vita per riuscire ad entrare nell'esercito; i fuggitivi, coloro che usavano l'opportunità dell'esercito per lasciarsi alle spalle i problemi; gli ereditari, quelli che seguivano i passi del padre veterano di guerra, e i selezionati, coloro che erano stati arruolati dal governo. Mickey si sarebbe adattato bene.
Al nono giro Mickey si fermò momentaneamente per vomitare, facendone finire un pò sugli stivali di Ian. Quest ultimo imprecò sottovoce e rimosse la sigaretta dalle labbra per rimproverarlo, ma il moro se n'era già andato. Ora faceva davvero fatica, senza riuscire quasi a reggersi in piedi, ma nonostante questo proseguì. Ian lo fissò per un secondo per poi ripulirsi gli stivali sull'erba. Era un miracolo che stesse ancora correndo senza che Ian avesse preteso prima delle scuse.
All'ultimo giro, Mickey inciampò e ruzzolò a terra in una nube di polvere. Ian lo osservò poco più in alto dalla posizione in cui si trovava, seduto contro all'asta. I suoi occhi azzurri lo fissarono socchiusi, il sudore che gli colava dalla fronte che ne nascondeva ogni emozione. Allungò una mano con fare incerto e Ian gli passò una borraccia. Ci mise pochi secondi per bere, mettendosi seduto nonostante gli tremassero ancora le gambe. Ian gli avrebbe concesso una pausa ma c'erano ancora trentanove paia di occhi puntati su di lui, trentanove uomini che dovevano imparare a rispettarlo se volevano avere una speranza di poter tornare a casa vivi.
- Non stai dimenticando qualcosa, Milkovich?-. L'uomo fermò bruscamente lo sguardo su di lui e si trattenne dall'istinto di indietreggiare, lasciandosi invece impossessare dalla stessa impenetrabilità di poco prima.
Mickey deglutì e si rialzò con fatica, avvicinandosi poi all'asta e avvolgendole le mani intorno mentre Ian si faceva da parte. Si asciugò i palmi sudati sui pantaloni e ritornò in posizione, cercando con lo sguardo possibili punti di appoggio o su cui far leva, senza trovarne neanche uno. Solo un palo di legno con una corda per tirare giù la bandiera.
-Stai aspettando qualcosa?- lo incitò Ian, senza ricevere risposta. Mickey si sollevò sull'asta, agganciandosi con le gambe deboli per tirarsi su. Quando fu a metà Ian congedò il gruppo per l'ora di pranzo. Li seguì con lo sguardo mentre si avviavano verso la mensa per poi tornare su Mickey. Sulle sue mani erano comparsi dei nuovi segni rossi, distinguibili dai precedenti. Si schiarì la gola. -Puoi scendere, Milkovich-
Nessuna risposta, Mickey diede appena segno di aver sentito. Ian continuò a guardarlo per altri dieci minuti mentre saliva arrancando. Una volta in cima, staccò la bandiera e scivolò giù, pezzi di tessuto dei pantaloni che si staccarono per via dell'attrito con la ruvida corteccia, e consegnò la bandiera quando arrivò a terra.
-Avevo detto che potevi scendere-
-Mi hai detto di prendere la fottuta bandiera e io l'ho fatto- ribattè Mickey.
Ian fece per replicare ma Mickey si stava già dirigendo con nonchalance verso la mensa, come se nulla fosse successo. Camminava lentamente e con andatura instabile ma sembrava essersi ripreso con il minimo sforzo.
Dopo un momento, Ian riagganciò la bandiera e la fece risalire al suo posto in cima all'asta, svolazzante nell'aria. Si ripulì le mani dalla polvere e raggiunse gli altri in mensa per il pranzo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mickey si sedette in fondo al tavolo, abbastanza lontano dall'uomo più vicino a lui. Stava per cominciare a mangiare i propri maccheroni al formaggio quando avvertì lo sguardo di qualcuno su di sè. Alzò la testa e si ritrovò davanti Ian con le braccia conserte e l'aria di uno che non aveva per niente voglia di scherzare. Con un cenno del capo gli indicò il resto del gruppo e Mickey, trattenendosi dall'alzare gli occhi al cielo, spostò il vassoio.
 L'uomo ora accanto a lui gli rivolse un sorriso sghembo. Aveva i capelli biondi, luminosi occhi verdi e lo spazio tra i due incisivi. -Denny- si presentò, porgendogli la mano. Mickey riprese il vassoio, si alzò e andò ad un altro tavolo pieno di uomini già seduti, più sporchi di lui solo perchè il sudore dovuto alla corsa aveva lavato via un pò del proprio sudiciume. Diede un colpo all'estremità della panca, la quale rimase immobile. -Questo posto è libero?-
Uno degli uomini gli rivolse un gesto plateale di benvenuto in risposta. Aveva un'espressione impassibile e divideva la pasta nel piatto con la forchetta. Insieme a lui ce n'erano altri quattro e nessuno di loro si presentò o si offrì di stringergli la mano. Continuarono tutti a mangiare senza dire una parola, accorgendosi appena della sua presenza. Mickey sorrise a quel silenzio e alla tranquillità del momento, imitandoli. Non molto tempo dopo, sebbene fosse difficile dire esattamente quanto vista la quantità di cibo divorata, Ian si avvicinò al loro tavolo.
-E' bello vedere che andate d'accordo, ragazzi-. L'unica risposta che ottenne furono sguardi vuoti e il rumore del cibo masticato. Sorrise ugualmente, come se vi fosse abituato. -Come probabilmente già sapete, voi siete gli unici qui ad essere stati arruolati. Per questo motivo mi piacerebbe prendermi del tempo per conoscervi meglio, abituarvi all'esercito e alle nostre pratiche, essere disponibile... -
-Aspetta- lo interruppe Mickey, ingoiando gli ultimi maccheroni rimasti. Un boccone particolarmente consistente gli aveva impedito di bloccare prima il discorso da parata di Ian. -Mi stai dicendo che tutti gli altri idioti si sono offerti volontariamente di farsi ammazzare in terra straniera?-
-Si sono offerti volontariamente per servire il loro Paese-
-Si sono offerti volontariamente per morire in una guerra che non ha nessuno scopo-
Il pomo d'Adamo di Ian si alzò bruscamente e Mickey si leccò le labbra per nascondere un sorriso di fronte alla sua indignazione. Dopo un momento, Ian sorrise a sua volta. - Bene allora, Milkovich, mi sa che comincerò proprio con te-
-Ah sì? Qual' è la punizione? Altri dieci giri? Arrampicarsi sull'asta? Hai delle pistole qui in giro con cui spararmi?-
-Non mi provocare-
Mickey passò la lingua sul labbro inferiore, sorridendo, furbo. Ian seguì il movimento della lingua con lo sguardo e Mickey tornò immediatamente serio, abbassando gli occhi sul proprio cibo, sebbene rompere quel contatto visivo gli avesse lasciato lo stesso effetto di vetri rotti sulla faccia. Ci fu un attimo di silenzio e fu Ian a romperlo, picchiettando le nocche sulla superficie del tavolo; un gesto insignificante che tuttavia gli provocò un brivido lungo la spina dorsale.
-Dopo aver finito le tue cose, fatti una doccia e vieni nella mia tenda. Hai capito, Milkovich?- ordinò Ian.
- Sissignore- rispose Mickey con un finto saluto. Cercò di controllare il proprio tremolio mentre guardava Ian allontanarsi.
 
Mickey decise di saltare la doccia. Era sudato marcio, l'uniforme già in pessime condizioni dopo solo un giorno, e un po' d'acqua calda sarebbe stata una benedizione migliore della stessa parola di Dio. Ma il bagno del campo consisteva in uno spazio comune per le docce, l'acqua che scivolava lungo le squallide piastrelle mentre quaranta uomini nudi si lavavano avvolti in una nube di vapore.
Era tutto troppo gay per lui.
Si diresse invece verso la tenda di Ian, fermandosi davanti all'entrata senza sapere se bussare o meno. Alla fine scelse di schiarirsi semplicemente la voce ed entrare, trovando il proprio sergente a torso nudo con i pantaloni slacciati che gli cadevano sui fianchi. Spostò in fretta lo sguardo. -Scusa, io... -
-Nessun problema- fu svelto a rispondere Ian. Mickey avvertì i suoi occhi verde-azzurro su di sè mentre aspettava di sentirlo allacciarsi la cerniera dei pantaloni. Cercò di capire se si fosse anche infilato una maglietta ma non gli parve. -Siediti-
-Sto bene così-
Ian fece spallucce e finalmente si rivestì. Mickey tornò a guardarlo un momento prima del dovuto, catturando un'immagine degli addominali scolpiti dell'uomo che sparivano sotto al tessuto di cotone della maglietta attillata. Cercò di convincersi che si fosse trattato di una semplice casualità ma lo stomaco gli si rivoltò per la nausea. Si schiarì nuovamente la gola. -Allora, perchè sono qui?-
- Te l'ho detto-
-Pensi che stessi ascoltando?-
Ian non trattenne una risatina e si sedette sulla branda. Aveva un sorriso curioso, come un diamante trovato in una cava di carbone. Mickey si strinse ancora di più nelle spalle, incrociando le braccia al petto con una tale forza da potersi ritrovare sicuramente dei segni rossi sulla pelle, e serrò la mascella.
-Pensavo di essermi guadagnato il tuo rispetto- confessò Ian. -Che stupido, non che un rifiuto bianco del South Side abbia rispetto per qualcuno, ma... beh, in qualche modo mi aspettavo che mi sputassi in faccia quando ti ho ordinato di correre-
- L'ho preso in considerazione-
- E?-
-Avevi uno sguardo negli occhi-
-Che sguardo?-
Mickey incatenò gli occhi ai suoi. Cercò quell'oscurità e quella freddezza che ci aveva trovato neanche molto tempo prima ma questa volta non le trovò. Non che non vi fosse abituato. Suo padre era un maestro nel nasconderle davanti ai poliziotti o quando gli insegnanti facevano troppe domande sui suoi lividi. Ed Ian aveva un motivo in più per farlo rispetto a suo padre: doveva farsi piacere dagli altri, farli sentire al sicuro.
-Che sguardo?- insistette.
-Quello da "posso e farò anche di peggio"- rispose Mickey. Si pentì immediatamente di averlo detto, sentendosi come se fosse in un vortice mentre desiderava di potersi rimangiare tutto. La sicurezza infusa dalla voce di Ian era solo un'illusione, una a cui aveva creduto troppe volte.
Ian sembrò rilassarsi e abbassò lo sguardo. Non era il tipo di reazione a cui fosse abituato. Lo guardò grattarsi il retro del collo con le dita lunghe e ossute per poi stiracchiarsi con uno sbadiglio. -Non sono qui per spaventarvi- disse. Il suo sguardo risalì lungo il corpo di Mickey, brillando di una luce completamente estranea. -Ma devo avere il tuo rispetto e quello di tutti gli altri lì fuori, quindi quando qualcuno non sta alle regole già al primo giorno devo dare il buon esempio-
-Lo capisco-
-Sì? Perchè non voglio che tu abbia paura di parlarmi o venire da me per qualsiasi altra cosa. Non ti farei mai niente di male-
-Ti sembro una puttanella a cui vuoi entrare nei pantaloni?- sputò Mickey. Ian scoppiò a ridere e quel suono gli provocò brividi lungo la schiena. -Non ho bisogno dei tuoi discorsi del cazzo su come ti vuoi prendere cura di me- continuò. -Sono qui perchè mi ci hanno mandato. Che tu mi insegni qualcosa sull'esercito o no, non cambierò mai la mia fottuta idea-
-Perchè no?-
-Perchè là ci morirò, che sia per la Nazione o per l'ego del Presidente- sbottò. -Qualsiasi cosa tu pensi non cambierà niente-
Ian annuì lentamente, lo sguardo sempre più serio. Non freddo, ma piuttosto concentrato, come se stesse cercando di capire come approcciarsi a Mickey. Gli venne quasi da ridere. Eccolo lì, in una tenda nel bel mezzo degli Stati Uniti, Dio solo sapeva dove, di fronte ad un uomo di almeno tre anni più giovane che cercava di farlo pensare come lui, di "capirlo".
-Posso chiederti una cosa?- chiese ad un tratto Ian.
-L'hai appena fatto- rispose Mickey, dandogli le spalle. Era già per metà fuori dalla tenda, una mano che teneva sollevato un lembo per poter uscire, quando lo raggiunse la voce di Ian. Non arrogante o autoritaria, bensì curiosa, come i suoi occhi e il suo sorriso.
-Perchè non ti sei arruolato spontaneamente?-
Mickey lo guardò oltre la spalla. -Mi prendi per il culo?-
Ian fece spallucce. -Ti danno un sacco di soldi se ti arruoli. Aiuta a prendersi cura della famiglia, oppure ti permette di allontanarti da loro. Puoi credere o non credere nella guerra, ma qualsiasi posto è meglio del South Side-
-Come lo sai?-
-Sono cresciuto ad un paio di isolati da te-
Mickey non seppe che cosa dire per un momento. Cercò di ricordare un viso dai capelli rossi e di cognome Gallagher ma gli venne in mente solo una persona. -Il ragazzo che è morto- disse ad un tratto. -Quello con tutte le candele, i fiori, quelle stronzate lì-
-Mio fratello-
Ci fu un lungo silenzio prima che fosse Mickey a romperlo schiarendosi la gola. La calma con cui Ian aveva pronunciato quelle due parole gli spezzò il cuore. -I miei fratelli sono già in guerra, quindi abbiamo già i soldi- confessò. -Ma è meglio non lasciare mia sorella da sola. E non c'è South Side merdoso che tenga, io non voglio morire-
-Sarebbe più credibile se la smettessi di ripetere che morirai-
Mickey sorrise. - Potrei farlo se solo i corpi che tornano a casa non fossero più di morti che di vivi-.  Uscì dalla tenda immergendosi nella fredda aria notturna. Il lembo di tessuto gli sfiorò la gamba e si richiuse lentamente. Con un brivido di freddo, percorse il labirinto di tende fino a quella che gli era stata assegnata. Entrò, trovando Denny già profondamente addormentato sulla brandina a sinistra. Imprecò sottovoce, slacciò gli stivali e si infilò in quella rimasta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


I soldati uscirono lentamente dalle proprie tende. Nonostante fosse ancora mattina presto erano tutti sull'attenti, vestiti solo con gli anfibi, biancheria e magliette grigie. L'adunata era suonata solo da dieci minuti e si era scatenato il panico generale.
Ian aspettò pazientemente in mezzo alla zona di formazione, sbuffando il fumo della sigaretta come un segnale d'aiuto. Alcuni soldati gli si avvicinarono. A guidarli era un uomo corpulento, uno degli "eredi" se Ian non ricordava male. - Qualcuno ha preso la nostra roba- disse.
Ian inarcò un sopracciglio. -Vuoi dire la roba dietro di me?-
Il soldato gettò uno sguardo oltre la sua spalla e fece per andare in quella direzione. Ian alzò svogliatamente una mano, senza quasi nemmeno opporre resistenza quando l'uomo gliela spinse via. Tuttavia lo guardò con aria di sfida e un sorrisetto sulle labbra, lo sguardo freddo. Il soldato lo squadrò da capo a piedi, probabilmente in un tentativo di capire se potesse farcela in una lotta contro il suo sergente.
-Che ne dici di fare un passo indietro?- suggerì Ian, sbuffandogli il fumo in faccia. Lo osservò con aria indifferente mentre serrava i pugni e si preparò a buttare via la sigaretta. Imitò il suo gesto, restando tuttavia fermo e controllato. Non aveva mai fatto a botte con un cadetto ma c'era una prima volta per tutto.
L'uomo indietreggiò e gli altri fecero lo stesso. Si sistemarono in file ordinate, gli accaniti in prima fila che fingevano di prestare attenzione. Altri uomini ancora sparpagliati in giro notarono le loro cose ammucchiate dietro al sergente ma capirono in fretta che andarle a prendere non fosse un'opzione contemplabile. L'ultimo uomo arrivò e si posizionò in fila con gli altri, Milkovich. Ian lo vide imprecare sottovoce e sorrise, guadagnandosi un'occhiataccia.
-Molto bene- cominciò Ian, osservando le reclute una ad una. -Come già avrete notato, tutti i borsoni sono stati presi dalle vostre tende stamattina. Vi ho gentilmente lasciato una maglietta e gli stivali-
-Si gela comunque, cazzo- protestò qualcuno. Il commento lo fece solo sorridere ancora di più.
-Dietro di me ci sono quaranta borsoni quasi totalmente identici. Avete due minuti per trovare il vostro. Ognuno di voi deve avere il rispettivo borsone allo scadere del tempo, altrimenti si ricomincia da capo. Tutto chiaro?-. I soldati annuirono. -Bene-. Si fece da parte per fare spazio. -Il tempo è partito dieci secondi fa-
Gli uomini si affrettarono a cercare le borse dividendosi nei soliti gruppi, ogni gruppo seguendo una strategia propria: gli accaniti volevano trovare i borsoni il prima possibile quindi ogni uomo si diede da fare per contribuire; gli eredi si affidarono invece alla tecnica "ogni uomo fa per sè stesso"; i fuggitivi avrebbero potuto anche avere una strategia se solo non fossero rimasti nelle retrovie per evitare di essere colpiti da una gomitata mentre gli arruolati prendevano i borsoni come farebbe un ladro in mezzo alla strada. Tutti e cinque riuscirono a trovarle prima dello scadere del tempo.
-Tempo- urlò Ian. Otto uomini tenevano in mano il proprio borsone. Il resto di loro era ancora dentro alla mischia, per metà sparpagliati e per metà allineati in file perfette.
-Ributtate le borse nel mucchio- ordinò Ian. Si avvicinò e nascose le borse già identificate, poi fece in modo di mettere in disordine le file perfette organizzate dagli accaniti. -Ripartite-
 
-Siete andati peggio di prima, avete bisogno di più tempo?- chiese dopo due minuti. Ci furono diverse rispose e tutti si scambiarono uno sguardo. -Se si potesse dare più tempo per quando Charlie attaccherà, vi darei più tempo anche ora. Rifare-
Scoppiò di nuovo il caos. Tutte le strategie sembravano essere state abbandonate, ognuno cercava di ritrovare la propria borsa da sè. Passarono due minuti, poi altri due. Dopo altre dieci volte, Ian si mise a ridere alzando gli occhi al cielo. -La vostra strategia fa schifo-. Riportò le borse all'interno del mucchio con un calcio. -Non avete idea di cosa fare nè di come farlo. Non ascoltate, non seguite un piano, non lavorate come una cazzo di squadra-
-Forse dovremmo fare in un altro modo- suggerì un soldato. -Tutti quelli che hanno già preso le loro borse dovrebbero spostarsi-
-Non è lo scopo dell'esercizio- ribattè Ian. Cercò il proprietario della voce ma non individuò nessuno. Alcuni uomini sfregarono le mani tra loro ed Ian riuscì a vedere la pelle d'oca sulle loro gambe, il bordo ruvido degli anfibi che lasciava dei segni rossi sugli stinchi. Sospirò profondamente. -Rifare-
Ritornò la confusione precedente e a metà tempo Ian urlò: -STOP!-. Nessuno proferì parola quando cominciò ad imprecare così tanto da superare il limite a cui la maggior parte degli uomini presenti avesse mai assistito. Lo guardarono tutti scioccati, tranne un unico uomo che sorrideva. Mickey. Rimase a fissarlo per un secondo, lasciando che il suo viso lo tranquillizzasse, poi tornò a concentrarsi sull'intero gruppo.
-Qualcuno potrebbe gentilmente dirmi qual è lo scopo dell'esercizio?- chiese.
-Prendere le nostre borse-
-Battere il tempo limite-
-Imparare a lavorare sotto pressione-
-Torturarci-
-Ho mai detto che potete parlare tutti insieme?- li redarguì. Alcuni richiusero immediatamente la bocca, le labbra serrate e gli occhi rivolti verso il basso. -Tu- disse Ian indicando uno degli accaniti. Era scarno, i capelli luminosi e gli occhi grandi che celavano uno sguardo nervoso. -Nome?-
- D-Denny -
-Cognome, soldato-
-Barber, signore-
Ian annuì. -Barber, qual è lo scopo dell'esercizio?-
- Non... non lo so, signore-
-Certo che lo sai-
- N-No signore, io... -
-Barber- lo interruppe Ian, severo. -Smettila di balbettare. Sei un bravo soldato, arruolato per mano tua. Immagino che tu lo abbia fatto senza informarti prima sulle pratiche dell'esercito, no?-
Denny ci mise un pò prima di rispondere. Anche quando aprì la bocca per farlo, gli ci volle qualche secondo perchè uscisse qualche parola. -No signore. Mi sono informato prima di venire qui, signore-
-Bene. Allora dimmi, qual è lo scopo dell'esercizio?-
-Insegnarci che... dobbiamo lavorare come una squadra?-
-E' una domanda, soldato?-
-No..?-
-No?-
-No, signore... ?-
Ian lasciò perdere e spostò lo sguardo. -Questo esercizio riguarda il lavoro di squadra-. Tirò fuori un'altra sigaretta e se la accese, facendo dissolvere il fumo nell'aria mattutina, l'unico punto caldo in tutto il campo. Gli riscaldò le labbra. -Riguarda l'essere in grado di lavorare insieme. Siete un'unità, andrete a combattere insieme. Dovrete essere come un tutt'uno al primo schiocco di dita del vostro luogotenente o morirete. E io non sarò li ad urlarvi addosso finchè non farete la cosa giusta. Potete odiarvi quanto volete qui, anche voi stessi, non mi importa se vi piacerà o no con chi andrete in battaglia. Ma insisterò affinchè vi importi se morirà. Perchè se non sarà così, tornerete tutti con una bandiera sulla bara-. Rimase in silenzio per un momento poi fece un passo indietro. -Ricominciate-
Ci vollero altri tre tentativi prima che tutti avessero le proprie borse in mano prima dello scadere del tempo. E anche nonostante questo, il merito fu quasi interamente degli arruolati che passarono le borse a quelli che riconoscevano oppure urlarono vari nomi , lanciando i borsoni ai proprietari. In entrambi i casi più di una persona finì a terra per il peso della propria borsa scagliata nella sua direzione.
-Mettetevi un paio di pantaloni e andate a mangiare- ordinò infine Ian.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


All'ora di cena Mickey era un relitto vivente. Da qualche parte aveva letto che il dolore muscolare per gli allenamenti non avrebbe dovuto presentarsi fino al giorno dopo, ma era giunto alla conclusione che fosse una bugia bella e buona.
 Uno degli altri arruolati si sedette di fianco a lui, annusò l'aria e si allontanò. Non avrebbe continuato ad evitare le docce ancora per molto, ma era abbastanza sicuro di riuscirci per quella sera. Lo stomaco gorgogliava in modo sospetto all'olezzo del proprio sudore e sussultava ogni volta che sfiorasse accidentalmente qualcuno. I suoi pensieri correvano in tutte le direzioni fino ad arrivare ad un vicolo cieco, ma alla fine era difficile evitare il colpo.
-Milkovich- chiamò qualcuno. Mickey alzò la testa; un ragazzo con occhi e capelli color cioccolato lo guardava con un sorriso sghembo. Doveva essere Wells, se aveva sentito bene tutte le volte che Ian gli aveva urlato contro. -Ci stai per una partita stasera?-
-Partita?- chiese. -Se vuoi farmi ancora fare quella stronzata dei borsoni...-
Wells scoppiò a ridere. -Nah, partita a carte-
Ci pensò su. -Non ho soldi-
-Mettiamo in palio le sigarette-
Mickey accettò e Wells sorrise tornando al proprio cibo.
 
Il fumo saliva verso il soffitto della tenda come una nube tempestosa pronta ad esplodere in un acquazzone. Mickey si rigirò la sigaretta tra le labbra, picchiettando con le dita le proprie carte mentre gli altri fissavano concentrati le loro. Wells si infilava in continuazione le mani tra i capelli praticamente assenti più per abitudine, come una morbida copertura; Ashton muoveva la mascella come se stesse masticando tabacco nonostante avesse deciso di non fumare, mentre Fleming faceva traballare il piede sul pavimento. Mickey era abbastanza sicuro che stesse tenendo il ritmo di "I love Lucy". E poi c'era Berns, immobile come una statua se non fosse stato per il tic all'occhio sinistro.
-Carte- disse Mickey, lanciando le sigarette in mezzo allo sgangherato tavolo di legno. Non riusciva a capire da dove fosse saltato fuori e quando lo aveva chiesto a Wells, quest ultimo aveva semplicemente ammiccato con un sorriso furbo senza dare ulteriori spiegazioni. Probabilmente lo aveva rubato, da dove non ne aveva idea, ma avvertiva quest'insana necessità di saperlo.
Anche Berns chiamò e fu il turno di Ashton, che dopo un'iniziale esitazione fece lo stesso. Wells lasciò e Berns imitò gli altri, interrompendo il movimento del piede. Mickey alzò la posta e anche Ashton cambiò idea. Mickey guardò i due rimasti: Berns era immobile, persino i movimenti per buttare le sigarette in mezzo al tavolo erano meccanici, ed il suo occhio aveva smesso di scattare, fissando invece lo sguardo sulle carte coperte. Mickey piegò l'estremità delle carte verso di sè. Anche Fleming lasciò. Berns scoprì le carte rivelando due assi; ne mancava ancora uno. Wells fischiò compiaciuto e adagiò una mano sulle carte in tavola. -Pronti, ragazzi?-
Mickey annuì mentre Berns non disse nulla.
-Sembra che Milkovich ti abbia battuto-
Tutti e cinque si voltarono di scatto verso la voce. Ian era sulla soglia della tenda che sorrideva, sbuffando il fumo nell'aria già densa. -Comunque, scoprite le carte. Non finirete più nei guai di così, tanto vale finire il gioco almeno-
Wells obbedì. Asso di spade.
-Complimenti, Berns- si congratulò Ian. Fece cenno loro di alzarsi e uscì. Un attimo dopo lo sentirono urlare, quindi Mickey si alzò e lo seguì fuori dalla tenda. La mezza luna stava sbiadendo insieme alla luce delle stelle che la circondavano. Gli uomini si precipitarono fuori dalle tende stropicciandosi gli occhi e sistemandosi i capelli quasi inesistenti. -Seguitemi- ordinò Ian.
Mickey aspettò che si muovessero prima i propri compagni per poi seguirli. Alcuni avevano aumentato il passo per stare dietro al sergente. Dei soldati indossavano solo la maglietta che di solito tenevano sotto all'uniforme e la biancheria ma altri erano riusciti ad infilarsi un paio di pantaloni e la giacca. Mickey indossava semplicemente una maglietta attillata, ancora calda dall'aria pesante dentro alla tenda.
-E' normale- udì qualcuno dire. Si guardò intorno alla ricerca della voce ma non capì chi avesse parlato. Un chiacchiericcio sommesso si levò nel gruppo. -Stronzo di merda, svegliarci così... -, -Ormai è una tortura, lo fa apposta...-, -Se avessi voluto essere svegliato a quest'ora sarei rimasto a scuola-, -Chi cazzo si crede di essere?-. E poi, alla fine, sentì una lamentela che non proveniva da qualche ricco figlio di papà. Le parole arrivarono alle sue spalle, soffocate solo dalla sigaretta che pendeva dalle labbra di Wells. -Mio fratello mi ha detto che è un po' fuori di testa- sussurrò. -Non rispetta molto le regole, una roba del genere. Ha sparato ad una delle ultime reclute solo per dargli una lezione-
-Chiudi quella cazzo di bocca- sbottò Mickey, lanciando un'occhiata in giro. - Non sarebbe nell'esercito se fosse matto-
Wells fece spallucce. -E' solo ciò che ho sentito-
Mickey scosse la testa e continuò a camminare. Aveva memorizzato abbastanza la pianta del campo da capire che si stessero dirigendo verso le latrine, rallentando una volta giunti a destinazione. Gli uomini si strinsero l'uno all'altro davanti alla struttura di legno, sussurrando tra loro e tremando per il freddo. Ian ricomparve davanti a loro tenendo in mano due secchi pieni d'acqua e sapone. In tasca aveva degli spazzolini di ogni forma e colore. Mickey sbattè gli occhi pensando di essersi immaginato tutto ma poi Ian appoggiò i secchi a terra e il tonfo secco lo distolse dalla propria perplessità.
-Pulirete tutto il bagno finchè non splende-
-E con cosa?- chiese qualcuno. Ian lasciò cadere a terra gli spazzolini con un sorriso.
-Fottiti- urlò qualcun altro.
-Perchè?-
-"Perchè"?- lo prese in giro Ian incrociando le braccia al petto. -Ogni infrazione nell'esercito è punibile se il vostro sergente ritiene che sia così. E per ogni infrazione nell'esercito viene punito tutto il gruppo-
-Ancora una volta, perchè?-
Ian sorrise. -Che cosa abbiamo imparato questa mattina, cadetto?-
-Lavoro di squadra?-
-Lavoro di squadra, responsabilità della squadra. Le infrazioni sono una responsabilità di tutti, anche se stavate dormendo mentre è successo-. Fece un passo avanti e diede una pacca sulla schiena al soldato più vicino. -Datevi da fare-
Si scatenò una gran confusione non appena Ian se ne fu andato. Raccolsero gli spazzolini gettati a terra e due di loro portarono dentro i secchi, ammassandosi davanti alla porta per entrare, anfibi pesanti e piedi scalzi che strusciavano sul pavimento. Mickey raccolse uno spazzolino giallo e rimase in disparte, aspettando che entrassero prima tutti gli altri. Gettò un'occhiata oltre la propria spalla, notando Ian in piedi che li guardava. Il rosso piegò la testa in un cenno verso il bagno senza dire una parola.
-Perchè non hai lasciato perdere?- chiese Mickey. -Ce la faranno pagare-
-Regole del South Side-
Mickey rimase a fissarlo per un secondo, poi entrò. Dentro era una baraonda di voci, spazzolini che strofinavano e acqua e sapone che lasciavano scie scivolose sul pavimento. Immerse uno spazzolino in un secchio e cominciò a pulire una parte ancora intoccata. Lavorò in silenzio, a parte qualche parola scambiata con i complici di quel casino, poi si avvicinò lentamente ad un secchio. Utilizzando lo spazzolino e l'acqua insaponata, grattò via lo strato di sudiciume che ricopriva il proprio corpo, stando bene attento a non farsi vedere nè a bagnarsi troppo. Il sudore sparì a poco a poco mentre cercava di fare in modo di profumare un pò di più. Una volta finito, tornò a strofinare le piastrelle insieme agli altri.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ian sorrise involontariamente mentre guardava gli uomini affrettarsi ad uscire dalle proprie tende. Alcuni di loro si erano ripresi piuttosto bene, le borse viola sotto agli occhi l'unica traccia delle poche ore di sonno, ma altri arrivarono ancora mezzi svestiti, rendendosi conto a malapena di non avere addosso la giacca.
-Nottata dura?- chiese quando tutti e quaranta furono di fronte a lui. Qualcuno borbottò qualcosa di incomprensibile e tutti lo fissarono come se fosse un animale in gabbia. Si leccò le labbra cancellandone il sorriso e annuì. -Bene, penso che comprendiate le regole. Il sole è sorto quindi è ora che vi svegliate anche voi-.
Altri mormorii, piedi strascicati al suolo per ristabilire l'equilibrio già precario, sguardi diffidenti. Si schiarì la gola. -Oggi iniziamo con la corsa. E' il primo giorno quindi farete solo un giro-
Calò un lungo silenzio. Mickey urlò dal fondo: -Un gioco da ragazzi-. I loro sguardi si incrociarono e il moro fece segno di sì con la testa, come a fargli capire di essere dalla sua parte.
-E' bello saperlo. Mi aspetto di vederti in prima fila, Milkovich- replicò Ian con le labbra sollevate in un mezzo sorriso. Mickey lo mandò automaticamente a quel paese ma nascose subito il gesto, chiudendo la mano a pugno, il sorriso che gli sparì dalle labbra. Per un secondo Ian vide riflessa nei suoi occhi azzurri la paura degli altri uomini e il cuore sembrò sobbalzargli nel petto come un ascensore che non si era fermato al piano selezionato. -Cominciate a correre- ordinò in tono meno autoritario di quanto volesse. Mentre gli uomini partivano si accese un'altra sigaretta e aspirò un lungo tiro. Cercò di non fumare troppo in fretta ma non riuscì ad avvertire l'effetto della nicotina nelle vene. Quando gli uomini furono a metà percorso, stava aspirando ormai tiro dopo tiro.
Superarono la curva e accelerarono nell' ultimo tratto. Sorrise alla vista di Mickey in prima fila quasi senza fiato che lottava con un altro soldato, tirandosi le magliette a vicenda per arrivare uno prima dell'altro, Wells forse, il quale continuava a passarsi una mano sulla fronte per spostarsi ciocche di capelli inesistenti. A qualche metro dall'asta della bandiera, Wells lo spinse, Mickey perse l'equilibrio e scivolò in avanti, superando la linea di traguardo con la punta dello stivale. Una nube di polvere si levò nell'aria, facendo tossire gli altri uomini mentre cercavano di riprendere fiato.
-Non male- commentò Ian. -Almeno ce l'avete fatta tutti-. Offrì la mano a Mickey, il quale la guardò e si rialzò da solo. Fece un passo indietro mentre si ripuliva le mani e i pantaloni dalla polvere. Era un disastro, ma almeno non come il giorno prima. -Ora giù, cinquanta flessioni-
Gli uomini lo fissarono impassibili ed Ian ricambiò lo sguardo senza parlare, quasi senza sbattere le palpebre, finchè un primo uomo non obbedì. Gli altri lo imitarono, contando sottovoce.

Dopo, fece eseguire loro altre serie di esercizi finchè il sole non fu ormai alto nel cielo, e li mandò quindi a fare colazione. Attese che tutti se ne andassero, dividendosi nei soliti gruppetti. Wells gettò un'occhiata oltre la propria spalla, verso qualcuno dietro di lui, fece spallucce e proseguì. -Ehi-
Ian si voltò verso la direzione della voce e si ritrovò davanti a Mickey. -Ti ricordi quando ti ho detto che ce l'avrebbero fatta pagare? Hanno appena deciso che vogliono farlo con te-
Ian esalò una risata. -Sono il loro sergente-
-Non penso gliene importi qualcosa-
-So badare a me stesso, cadetto-
Mickey rimase a fissarlo per qualche secondo e annuì. -Come vuole, signore-, e se ne andò insieme agli altri.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


-SINISTRA!-
Mickey cambiò direzione. Facevano pratica su come tenere in mano una pistola, quest'ultima di plastica in modo che non "facesse fuoco" mentre marciavano. Si stavano allenando anche sulla marcia, cosa che lo fece sentire d'accordo con gli altri che si sussurravano tra loro quanto volessero ammazzare il sergente. Il sole era caldo ma l'aria fredda, facendo sentire ogni soldato sul campo come se si trovasse in una specie di purgatorio.
Un altro ordine, altro cambio di direzione, altro urlo. Qualcuno "avrebbe potuto colpire in faccia qualcun altro con quella pistola" quindi ora Ian ordinò dieci giri di corsa. Mickey alzò gli occhi al cielo e buttò a terra l'arma. Wells lo colpì sulla schiena mentre gli passava di fianco e non ci mise molto a mandarlo all'inferno. Rimase immobile in mezzo al campo, aspettando che Ian incrociasse il suo sguardo.
-Dovresti correre, cadetto-
-Mi sembra di ricordare che tu avessi detto di correre solo un giro oggi-
-Ricordi anche che vi ho detto che sarete puniti come gruppo?-
-Sì e non penso che serva a qualcosa. Non ci sta avvicinando l'uno all'altro e li porta solo ad odiarti-
Ian deglutì e per un momento Mickey si pentì delle proprie parole. Ma quando gli fece un cenno verso alla pista quello sguardo nei suoi occhi era già svanito. -Devi recuperare, Milkovich-. Poco dopo aggiunse: -Vieni da me più tardi, parleremo un pò-
Mickey esitò per un secondo poi annuì e cominciò a correre.

 
La tenda di Ian era prossima a trasformarsi in una nube di fumo. Un lembo di tessuto era stato sollevato per lasciarlo entrare ma il fumo si accumulava ugualmente verso il soffitto. Mentre entrava si guardò intorno, notando un calendario di pin-up dalle pagine sporche, avvicinandosi dopo aver lanciato un'occhiata ad Ian. -Hai un mese preferito?- gli chiese.
-Luglio-
Mickey lo guardò un'ultima volta e sfogliò le pagine fino al mese di Luglio con un fischio di apprezzamento. La ragazza, bruna, con le gambe lunghe e un paio di tette piuttosto grandi, stava sdraiata mezza nuda sull'ala di un bombardiere dell'esercito, leccandosi le labbra con un'occhiolino. Mickey si schiarì la gola e finse di stare stretto nei pantaloni, poi lasciò andare la pagina. -Di che cosa volevi parlare?-
Ian espirò il fumo e gli passò la sigaretta. Mickey la accettò e se la portò alle labbra; aveva un sapore diverso, come se sul filtro fossero rimasti dei residui della sua saliva. La tenne tra le labbra forse più del necessario prima di aspirare un tiro. Avvertì gli occhi di Ian su di sè e si affrettò a restituirgliela mentre sbuffava il fumo. Le loro dita si sfiorarono e quasi la fece cadere per lo shock; Ian non sembrò nemmeno accorgersene.
-Te l'ho detto- rispose finalmente. -Mi dedico spesso agli arruolati-
-Beh. è tutto a posto, quindi se hai finito... -
-Perchè ti preoccupi per me?-
Mickey lo guardò e deglutì, sopraffatto dalla profondità del suo sguardo. Scosse le spalle ma il movimento era forzato. Le mani fremevano alla ricerca di un qualche tipo di conforto, quindi, quando Ian gli passò di nuovo la sigaretta, la accettò senza esitazione. -Regole del South Side- rispose aspirando un tiro. Ian inarcò un sopracciglio. -Sai, dobbiamo guardarci tutti le spalle a vicenda. E quei ragazzi... -
-E' strano che siano tutti questa volta- lo interruppe Ian. -Di solito sono abituato agli arruolati e ai fuggitivi, durante le prime settimane. Non amano molto me e il mio modo di fare, ma gli altri mi rispettano-
-Non ho detto che non ti rispettino. Pensano solo che tu sia fuori di testa-. Ancora una volta desiderò di potersi rimangiare tutto. Gli porse la sigaretta nella speranza che un pò di nicotina lo aiutasse a calmare il suo sguardo impaurito, ma non servì a nulla. -Non voglio morire- disse improvvisamente.
Ian alzò lo sguardo. Le sue parole avevano ottenuto l'effetto desiderato di distogliergli l'attenzione da quell'attimo di smarrimento in cui avrebbe voluto raggomitolarsi su sè stesso e non vedere più nessuno, ma ora avrebbe dovuto dare spiegazioni.
Deglutì, si passò una mano sul viso e fece spallucce. Ian continuò a guardarlo in attesa, la sigaretta che si consumava tra le sue lunghe dita. -Vuoi sapere perchè mi preoccupo per te? Regole del South Side o no, se quegli uomini non ti vorranno moriremo tutti- spiegò. -E non so perchè cazzo dovrei tornare indietro, sempre se c'è qualche motivo per farlo, ma... non sono pronto per morire. Sto per avere un bambino, ho una sorella da accompagnare all'altare e non... non posso morire, perciò voglio che tu sappia che gli altri non sono felici di averti come sergente. E ho bisogno che tu sistemi questa situazione perchè sei l'unico che si preoccuperà che il mio cervello non venga spappolato da qualche coglione comunista-
-Stai per avere un bambino?-
Sbattè le palpebre; non si era nemmeno reso conto di averlo detto, ma annuì comunque. -Già. Una puttana dice che è mio-
Ian annuì, aspirando un ultimo tiro e buttando per terra la sigaretta. Il pavimento era cosparso di pezzi di carta che gli coprivano quasi gli stivali. -Vedrai il tuo bambino- disse. -Hai la mia parola-
Mickey annuì. Rimasero in silenzio, la promessa impossibile di Ian che aleggiava tra loro.
-Puoi andare- lo congedò infine il sergente, accendendosi un'altra sigaretta. Mickey fece segno di sì con la testa, tuttavia rimase immobile ancora per un momento, cercando di capire perchè si sentisse un macigno sullo stomaco, desiderando di non aver condiviso così tante informazioni con lui. Probabilmente il bambino non era suo, forse non esisteva neanche. E ora Ian gli aveva promesso che lo avrebbe visto, celando una tristezza che non si era reso conto di provare.
Uscì dalla tenda, strofinando le mani tra loro come se tra le dita avesse ancora la sigaretta. Si leccò il labbro inferiore e il sapore di Ian era ancora lì.  Infilò il labbro tra i denti, godendosi quella sensazione finchè non fu svanita. Wells gli passò accanto facendogli l'occhiolino. -Interrogatorio numero due. Non dirmi che gli hai raccontato qualcosa sul nostro mercato nero-
Mickey si sforzò di rispondere con un sorriso, il quale si affievolì immediatamente. Wells proseguì mentre Mickey entrava invece nella propria tenda. Denny cominciò a farneticare e Mickey questa volta lo lasciò fare, nonostante di solito lo zittisse alla prima occasione. Le sue parole lo distrassero dal vortice di pensieri e dalla confusione che sentiva crescere sempre di più.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Ian stava ancora fissando l'entrata quando arrivò Wells, alzando la mano in un saluto sarcastico. Ricambiò con un breve cenno del capo. L'uomo si sedette con nonchalance in fondo alla branda e fece la solita domanda di tutti gli altri arruolati.
- Sto solo controllando- rispose Ian.
- Ah beh, in questo caso dovresti sapere che il cibo fa schifo- replicò Wells. -E che non sono un grande fan della corsa, della marcia, delle flessioni, degli addominali... qualsiasi cosa in cui centri l'allenamento, insomma. E... -
-Stai zitto-
-Pensavo che volessi controllare se è tutto a posto-
Ian sbuffò il fumo senza preoccuparsi di indirizzarlo lontano da lui. Wells lo scacciò con la mano e si abbandonò contro alla parete. Rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, come se stessero combattendo la loro personale Guerra Fredda, e Ian aspirò un altro tiro. Ne aveva fumate troppe. Fu l'unica spiegazione che riuscì a trovare per quella sensazione angosciante nel petto e l'eco delle parole di Mickey che gli rimbombavano nella testa, "Sto per avere un bambino".
Un bambino. Un neonato vero, in carne ed ossa, suo e di una donna, il che era qualcosa che comunque avrebbe dovuto aspettarsi da uno come lui.
Tossì dopo aver inalato troppo fumo. Wells fece un sorrisetto. -Pivello-
-Stavo pensando-
-A ciò che stai per farmi?-
Quasi gli cadde la sigaretta dalle mani. Alzò lo sguardo sull'uomo seduto in fondo alla branda. Aveva un'espressione impassibile, stoica, fatta eccezione per un mezzo sorriso all'angolo delle labbra. I suoi occhi scuri sostennero lo sguardo di Ian, il quale lasciò cadere finalmente la sigaretta schiacciandola con il tacco dello stivale, e mosse qualche passo verso di lui. -Cadetto. Per quanto la tua insolenza sia seccante, non ti costerà una punizione-
-Peccato- fece spallucce Wells, e si rialzò. Fece un passo verso l'uscita continuando a parlare, ma Ian non lo ascoltò, osservando invece la curva dei suoi fianchi, il sorriso sulle labbra morbide, i muscoli che si intravedevano sotto al tessuto dei vestiti.
-Forse lo è- disse improvvisamente.
Wells si girò. Stava ormai per uscire ma con un rapido movimento richiuse la tenda. - Mi fa piacere sentirlo-

Wells se ne andò subito dopo ed Ian fu contento di non averlo dovuto cacciare. In passato gli era già capitato che altri uomini volessero rimanere a coccolarsi con lui pensando che fosse una buona idea svegliarsi poi alle quattro del mattino per sgattaiolare fuori dalla sua tenda prima che qualcuno li vedesse. In poche parole, aveva una calamita per uomini dalla bassa libido e basso quoziente intellettivo. "E per gli etero, a quanto pare" pensò quando scorse Mickey tra le reclute. I loro sguardi si incrociarono per un momento ma Mickey abbassò immediatamente la testa, vagando tra i tavoli della mensa.
Quel giorno stavano lavorando con pistole di plastica e lo scopo dell'esercizio era indovinare il nome corretto dei pezzi componenti per poterle riassemblare. Mickey aveva finito in meno di cinque minuti, senza nemmeno aspettare che Ian dicesse loro i nomi da collegare ai vari pezzi, perciò gli aveva detto di aiutare gli altri; guardandolo si rese conto che stava solo fingendo di farlo.
Lo vide fermarsi vicino a Wells e cominciò ad osservarli attentamente. Wells gli rivolse il suo solito sorriso, guardandolo in quel modo che ad Ian non era certo estraneo. Si sentì bruciare lo stomaco ma non era sicuro di quale dei due fosse geloso.
Un altro uomo, il secondo sino a quel momento, finì di assemblare la sua pistola. La alzò puntandola contro qualcuno che gli stava probabilmente antipatico e finse di sparargli, tenendo il conto di un punteggio immaginario, la sua voce che risuonava sopra alle altre.
-Miller- urlò Ian, coprendo il chiacchiericcio del gruppo e facendo calare il silenzio. Non aveva tolto gli occhi di dosso a Mickey, il quale teneva in mano il caricatore della pistola di Wells. Non appena si accorse di essere fissato ricambiò con un'espressione che sembrava chiedergli che cosa diavolo volesse. Ian deglutì e sorrise vedendolo alzare la mano probabilmente per mandarlo a quel paese. Tornò a fissare Miller, ancora con la pistola in mano. -Che cosa ho detto riguardo alle pistole?-
-Di classificarle e assemblarle-
-Ricordi qualcos altro?-. Miller scosse la testa. -Beh, infatti non c'era altro. Ad eccezione di una cosa, e cioè l'ovvio divieto di non puntarle contro ai tuoi compagni-
-E' finta-
-Sì, e il tuo primo istinto è quello di puntarla contro ai tuoi amici? Gli unici uomini che ti copriranno le spalle là fuori? E poi mi dirai che quando ne avrai una vera in mano non lo farai? Cosa succederebbe se ti scivolasse il dito sul grilletto? Se la sicura non funzionasse?-
-E' una pistola fin... -. Non ebbe il tempo di finire che Ian gliela strappò di mano. Gliela puntò al petto e lo fece indietreggiare contro al muro.
-Ma ti sei dimenticato di mettere la sicura-
Miller riprese la pistola con le dita tremanti. Ian fece un passo indietro e si rivolse all'intero gruppo. -Nessuno di voi si è reso conto di ciò che stava facendo Miller, ed è andato avanti per tre minuti. Nessuno di voi gli ha fatto notare di aver dimenticato un pezzo. Vi avrebbe uccisi tutti-
Fece una panoramica della stanza. Alcuni lo ignorarono e tornarono alle alle loro conversazioni, altri sospirarono seccati, trattenendosi dallo sbadigliare o contando i cerchi sul pavimento di legno. -Bene, ignoratemi. Sono solo l'uomo che vi deve addestrare, che sta dando di matto solo perchè uno di voi stava giocando con una pistola giocattolo. Non è così importante-. Fissò una ad una le reclute. -Qui non si gioca più. Non è più uno scherzo. Magari siete cresciuti giocando a fare i soldatini nel cortile di casa vostra, sparando ai bidoni per farci uscire le volpi o a vostro fratello. Anche io l'ho fatto con mio fratello, finchè questo Paese in guerra non ci è finito davvero e ha smesso di essere un gioco. Ora forse non capirete, forse avete continuato a giocare anche dopo l'inizio della guerra, non mi interessa. Ma mi interessa invece che voi stiate continuando a giocare qui. Ha smesso di essere un gioco nel momento esatto in cui siete scesi dall'autobus. State andando in guerra. Ucciderete altre persone, oppure potreste essere uccisi voi, potreste morire. E a nessuno sembra fregare qualcosa, porca puttana!-
Sbattè il pugno sul tavolo più vicino facendo sobbalzare vari pezzi di pistola che caddero a terra. Tutti avevano gli occhi puntati su di lui, sgranati, immobili. Deglutì pesantemente e prese un respiro profondo cercando di mantenere la calma. Aveva bisogno di una sigaretta.
-Se siete spaventati, beh, fate bene ad esserlo- continuò. -Non voglio mentirvi. Sono qui, come vi ho già detto una marea di altre volte, per assicurarmi che non moriate lì fuori. E non posso farlo se voi non prendete la cosa seriamente, avete capito?-. Le risposte arrivarono appena accennate e confuse, alcuni annuirono. -Ho chiesto, AVETE CAPITO?-
-SIGNOR SI' SIGNORE-
Ian alzò gli occhi al cielo e uscì infuriato dalla mensa, imprecando sottovoce. Udì le voci degli uomini dietro di sè; era impazzito, era partito di cervello, avrebbero dovuto chiamare qualcuno, aveva superato il limite, non era il loro sergente, avrebbe dovuto andarsene.
-Che diavolo era?-
Ian si voltò bruscamente, ad un passo dal caricare il pugno. Mickey lo aveva seguito fuori dalla mensa, fin sullo spiazzo. Chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo, ogni fibra del proprio corpo che tremava. -Era il mio lavoro, Milkovich-
-Quello è il tuo lavoro? Fare quei grandi discorsi e poi andartene via?-
-Non ti devo nessuna spiegazione, cadetto-
-Sì invece-
Ian lo guardò storto. -Nemico comune- replicò. -Dai alle persone un nemico comune e loro si uniranno per combatterlo. Siete tutti uguali, tutti con i vostri stupidi stereotipi da liceali, perciò ho pensato che forse avrei potuto aiutarvi ad uscire da quella mentalità-
-Sono abbastanza sicuro che il nemico comune dovrebbe essere Charlie-
Calò il silenzio. Ian si sforzò di mantenere la propria compostezza ma era difficile con le farfalle nello stomaco. Inspirò rumorosamente. Cominciava ad avere freddo, avvertiva già la pelle d'oca sulle braccia nude. Infilò una mano in tasca alla ricerca di una sigaretta.
-Ti faranno licenziare-
-Forse dovrebbero- ribattè. Fece un profondo respiro e sbuffò il fumo verso l'alto, scoppiando a ridere. -Farmi licenziare è il loro obiettivo comune, li renderà una squadra. Poi magari arriverà un buono a nulla del cazzo che crederà di potervi insegnare a combattere stando seduti in una stanza a guardare filmati in bianco e nero e allora sarete felici finalmente-
-Forse hai scordato la parte in cui non voglio morire-
Ian scosse le spalle. -Morirai o non morirai, io non posso farci niente-
-Cosa cazzo hai che non va?-
-Troppo-. Si leccò le labbra e oltrepassò Mickey. Aprì la porta della mensa e urlò: -Cinque giri di corsa, ora-. Si fece da parte e li seguì con lo sguardo mentre gli passavano accanto. Ricambiò con un sorriso ogni occhiataccia, sussultando a malapena quando Wells gli tirò una pacca sul sedere. Fulminò con lo sguardo Mickey ancora fermo immobile in mezzo al via vai, facendogli cenno di andare. Questa volta l'uomo non si trattenne e lo mandò a quel paese, facendolo scoppiare a ridere.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


-Giochiamo a Poker stasera-
Mickey alzò lo sguardo dal piatto corrugando le sopracciglia. -Non impari niente?- chiese.
Wells sorrise. - Non preoccuparti, ho la sensazione che stavolta non ci farà niente-
-E perchè?-. Wells scosse le spalle ammiccando e prese una forchettata di patate. Mickey indugiò per un momento prima di rispondere. -Certo. Nella tua tenda?-. Wells annuì. L'idea di tornare a pulire le latrine non lo entusiasmava particolarmente ma almeno avrebbe potuto lavarsi un pò. Fissò il cibo, sparpagliandolo pigramente intorno al piatto finchè non gli balzò un'idea in mente. Si alzò e attraversò la stanza, passando accanto al tavolo dove di solito sedeva Ian ma quella sera era vuoto, fatta eccezione per un vassoio ancora mezzo pieno. Immerse il dito nella zuppa e lo ritirò immediatamente. Era bollente. Si guardò rapidamente intorno e decise di prendere la scorciatoia dalle cucine per uscire. Spinse la porta ed entrò, udendo un rumore metallico di pentole. Sembrava deserta. Si aggirò intorno agli elettrodomestici finchè non si fermò di fronte ad un lavello, Ian seduto di fianco con una ciotola ed un cucchiaio in grembo. -Che stai facendo?-
Ian alzò la testa. -Punizione collettiva, ricordi?-. Mickey lo fissò impassibile e Ian sorrise. -Niente dessert-
Questa volta anche Mickey non riuscì a trattenere un sorriso e fece un passo verso di lui. -Quindi? Te lo mangerai tutto da solo?-
-Esatto-. Mickey lo guardò per un secondo e sporse verso la ciotola. Ian fu più svelto e la allontanò, facendogli ricadere la mano sulla sua gamba invece. Mickey avvertì il suo corpo irrigidirsi e la mano gli tremò, facendo gocciolare un pò di liquido dalla ciotola. Mickey riuscì a prendergliela, immergendovi un dito per poi leccarlo.
-Non male-
-Stai rischiando altri giri di corsa-
-Stiamo a vedere-
Ian scoppiò a ridere e scese dal bancone, costringendo Mickey ad indietreggiare. Alzò le mani in segno di sconfitta, gettando il cucchiaio nella ciotola. Dopo aver preso un ultimo sorso risucchiando il liquido tra le labbra, cosa che lasciò Mickey senza parole per un momento, parlò. -Allora, perchè sei qui?-
-Ti stavo cercando-
-Perchè? Di solito non sono io ad avere il dolce-
Mickey inspirò rumorosamente. - Nah, mi stavo solo chiedendo se avessi qualcosa da fare stasera-
Ian si accigliò. -Che tipo di piani impegni avere qui?-
-Ti va di venire a giocare a poker?-
Ian si morse il labbro per trattenere un sorriso. -Il gioco d'azzardo è proibito nell'esercito. Qualsiasi gioco di carte in cui si scommettono soldi o sigarette è vietato-
-Beh, non sono sicuro di riuscire a convincere i ragazzi a spogliarsi-. Si pentì immediatamente di averlo detto quando vide gli occhi di Ian allargarsi. Lo stomaco gli si rivoltò in un'ondata di nausea, le guance accaldate. Esisteva qualcosa da poter dire ad Ian senza volerselo continuamente rimangiare? Evitò il suo sguardo e si schiarì la gola. -Stasera giochiamo e Wells ha detto che non ci avresti fatto niente, quindi... - disse facendo spallucce. -Pensavo intendesse che faresti volentieri una partita con noi. Ti farebbe guadagnare dei punti con loro-
-Non mi preoccupano gli arruolati-
-Considerando che sono quelli con più precedenti penali e che non hanno nulla da perdere... io mi preoccuperei di più- ribattè Mickey.
Ian sembrò rifletterci per un attimo e annuì. -Niente scommesse però-
-Certo- replicò Mickey alzando gli occhi al cielo. Ian rise e gli tolse la ciotola dalle mani. Mickey riuscì ad immergervi il dito un'ultima volta ed uscì dalla cucina indietreggiando, leccandovi il cioccolato rimasto sopra.

 
-Si segue la regina, gli assi sono i più alti e i fanti fanno da Jolly- spiegò Wells, mescolando le carte come farebbe un bambino e piegandole in continuazione. Continuò a parlare finchè la tenda non si aprì ed entrò Ian. Alternò lo sguardo tra lui e Mickey inarcando un sopracciglio, una silenziosa domanda che aleggiava nell'aria.
-Cristo...- imprecò Ian- Gli uomini rimasero immobili, le sigarette che pendevano dalle labbra, mentre Wells continuava a mescolare le carte. Mickey fece segno di sedersi alla sua destra ed Ian obbedì, strappando le carte di mano all'uomo. -Nessuno ti ha insegnato come si mischia?-
Wells sorrise compiaciuto ed Ian sparse le carte a ventaglio sul tavolo, le raggruppò in un mazzo e le fece scivolare una sopra l'altra come una cascata. Mickey seguì ogni movimento delle sue lunghe dita che spostavano agilmente le carte, mescolandole con mosse fluide. Picchiettò il mazzo sulla superficie del tavolo e lo riporse a Wells. -Si segue la regina, giusto?-
Wells annuì e cominciò a distribuire le carte. Mickey offrì una sigaretta ad Ian e a poco a poco tutti si abituarono alla presenza del loro sergente mentre la tenda si riempiva di fumo. Ian fece anche qualche battuta non totalmente idiota ma il più delle volte Mickey dovette scuotere la testa.
-Come fai ad essere così bravo?- borbottò Berns quando Ian avvicinò a sè il mucchio di sigarette. Erano le prime parole che sentivano pronunciare da Berns in tutta la sera, e forse anche dal suo arrivo al campo.
Ian sorrise. -Semplice, non mi piace perdere le sigarette-
-Amico, sei dipendente cazzo-
-Non dirlo ad un soldato-
Mickey sbuffò il fumo tra le labbra. Avvertì lo sguardo penetrante di Ian su di sè e quella sensazione famigliare contro cui aveva lottato per tutta la vita tornò ad impossessarsi di lui come una sorta di vendetta. Il sorriso gli svanì dalle labbra ed esplose in una tosse violenta. Aspettò che Ian spostasse lo sguardo e prese un respiro profondo per riprendere fiato. Calmare i battiti impazziti del proprio cuore era impossibile ma almeno il tremore svanì quando aspirò un altro tiro.

Finirono di giocare qualche ora dopo. Gli altri se ne andarono, lasciando nella tenda solo Ian, Mickey e Wells, il quale si stiracchiò con uno sbadiglio. -Dovrei andare a dormire-
Ian lo imitò. -La sveglia è tra un paio d'ore-
Mickey si alzò per primo facendo strisciare le gambe della sedia sul pavimento e salutò con un cenno ironico della mano. Una parte di lui continuava a ripetergli che Ian fosse un ospite e che dovesse quindi riaccompagnarlo alla sua tenda, ma l'altra preferì invece andarsene, preoccupato dal significato che avrebbe potuto avere quella semplice azione. -Buonanotte- salutò, ricevendo un vago cenno in risposta. Indugiò ancora un momento poi uscì nella notte.
 Per una volta era felice che fosse inverno. L'aria era pungente e rivitalizzante. Sembrava che gli stesse congelando il sangue nelle vene ma almeno poteva giustificare il rossore sulle guance. Quando tornò nella propria tenda rimase deluso nel vedere Denny addormentato. Si sarebbe distratto volentieri con la sua voce squillante.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


-Se potessi pagare un uomo per non essere etero... - sospirò Wells.
Ian scoppiò a ridere.
 -Come se tu non ci avessi mai pensato-
-Girati e chiudi la bocca-

 
Il furgone della posta arrivò proprio a metà dei giri di corsa. Parcheggiò accanto ad Ian e un uomo saltò fuori con un sorriso. -Buongiorno, sergente. Come sono i nuovi arrivati?-
-Mi odiano- rispose.
-Quindi tutto nella norma?-
Ian finse un sorriso e indicò le borse sul retro del furgone. - C'è qualche possibilità che il primo giro di lettere sia lì dentro?-
Il soldato annuì e gli passò una borsa. Ian la aprì, riconoscendo immediatamente la busta in cima alla pila, poi scorse tra le altre. Controllò tutti i nomi, assicurandosi che ogni uomo avesse ricevuto una lettera. Quando rimase con solo due lettere e si rese conto che mancassero ancora tre nomi, gli si rivoltò lo stomaco. -Grazie-
-Ne hai dimenticata una- lo richiamò il soldato. Quando gli porse la lettera rimasta nella borsa, la nausea sparì per un secondo ma poi riconobbe la scrittura sbarazzina di Fiona. Strinse la busta tra le mani avvertendo la consistenza di più fogli all'interno, una lettera per ogni membro della sua famiglia. Con un sorriso si allontanò dal furgone e salutò con un cenno l'autista, voltandosi poi a guardare i soldati che rallentavano fino a fermarsi. Alcuni cominciarono subito con le flessioni, altri si fermarono a prendere fiato per poi crollare a terra come se i piedi non fossero più in grado di sostenerli, altri ancora rimasero immobili in attesa di ordini. Quando lanciò loro un'occhiataccia, si abbassarono immediatamente.
Gli uomini che finirono per primi si sedettero o per terra e insultarono scherzosamente i compagni per incoraggiarli. Ian sorrise alla vista dei soldati che preferivano aspettare gli altri prima di andare a colazione. L'ultimo uomo finì la sessione di addominali e respirò profondamente. Nessuno si mosse. Una dozzina di reclute tennero lo sguardo ansioso puntato su di lui ma nessuno gli mise fretta. Ora che il sole era finalmente sorto, l'aria era più calda e la brezza mattutina era ben voluta dagli uomini ancora accaldati dalla corsa. Si diffuse un tranquillo chiacchiericcio mentre si preparavano ad alzarsi per andare in mensa. Un paio si alzarono seguiti immediatamente da altri che aiutarono l'ultimo rimasto, finchè tutti non furono in piedi.
-Bel lavoro- si complimentò Ian. Gli occhi erano tutti fissi su di lui, alcuni diffidenti. Sforzò un sorriso e agitò le lettere in aria.  -So che siete tutti ansiosi di avere notizie dalle vostre famiglie ma questa settimana è stata piena di infrazioni-
-Non ci vuoi dare le lettere?- chiese qualcuno.
-Ve le darò ma dovrete lavorare un pò di più per averle. Altri due giri-
Per un momento nessuno di mosse. Poi qualcuno si staccò dal gruppo e cominciò a correre. Anche gli altri lo imitarono, disperdendo rapidamente il gruppo e sparendo in una nube di polvere. Solo Mickey rimase immobile, guardando gli altri con un sorriso sulle labbra.
-Non vai?- chiese Ian.
-Chi mi scriverebbe?- replicò Mickey avvicinandosi. -Hai una sigaretta?-
Ian prese il pacchetto e gliene porse una. Mickey se la portò alle labbra, cercando l'accendino nelle proprie tasche. Ian scosse la testa e gli fece segno di sporgersi, coprendo l'estremità della sigaretta con la mano per accendergliela, restando immobile finchè non vide fuoriuscire un rivolo di fumo. Il moro fece un tiro e gliela porse immediatamente, quindi Ian la accettò rigirandosela tra le dita per un momento prima di aspirare. Sapeva di sporco e di saliva, un mix pungente sulle proprie labbra. Fece poi per restituirgliela e Mickey quasi gliela strappò di mano per poter aspirare di nuovo.
-Stai bene?- gli chiese. Mickey lo guardò stranito, inarcando un sopracciglio. -Per le lettere-
Mickey rise beffardo. -Andiamo, come se mio padre mi scrivesse per dirmi quanto gli manco. Secondo te lascerebbe usare a mia madre e a mia sorella i soldi per comprare la carta invece di spenderli per le sue bevute?-
- No, ma... -
-I miei fratelli non hanno ricevuto nessuna lettera, perchè io dovrei?-
Ian si sentì gravare addosso il peso delle proprie lettere. Aveva un'intera famiglia a scrivergli qualsiasi cosa passasse loro per la testa, che metteva assieme ogni centesimo per comprare il francobollo per un'unica grande busta, un' intera famiglia che pendeva dalle sue labbra, che voleva vederlo tornare a casa e che temeva che non  lo facesse nonostante non si trovasse al fronte.
Non si accorse nemmeno quando Mickey gli offrì di nuovo la sigaretta. -Mi dispiace-
-Fanculo-. Mickey riprese la sigaretta e aspirò più di quanto forse avrebbe dovuto, per poi ripassargliela con le dita tremanti, come se mancasse qualcosa in quell'ultima boccata. Ian aspirò, il suo sapore pungente sulla lingua.
-La partita di poker è stata divertente-  cambiò discorso Ian.
Mickey esalò una risata. -Non hai paura di essere licenziato per questo?-
- Non sembri il tipo che mi denuncerebbe-
-Solo perchè non voglio un pigrone del cazzo al posto tuo-
Ian quasi soffocò nella propria risata. Mickey lo osservò rigirarsi la sigaretta tra le dita, e quando gliela ripassò se la portò alle labbra come un alcolizzato con la bottiglia. E pensava di essere lui quello con una dipendenza.
Gli uomini terminarono il primo giro, quindi si allontanò da Mickey e andò loro incontro. Cominciò a sistemare le lettere seguendo l'ordine con cui gli si avvicinavano senza nemmeno oltrepassare l'asta della bandiera, senza tecnicamente finire il giro, ma decise di consegnarle ugualmente. La pila diminuì a mano a mano che gli uomini prendevano le loro lettere quasi strappandogliele di mano. Alcuni aprirono immediatamente la busta, leggendone il contenuto in piedi e immobili in mezzo al campo oppure mentre andavano in mensa, mentre altri la tennero stretta nel pugno aspettando di essere seduti a colazione. Tutti sorridevano e trattenevano le lacrime oppure accarezzavano semplicemente le lettere in inchiostro nero e blu sulla carta. Erano lì solo da una settimana e già morivano all'idea di avere notizie dalle famiglie.
Consegnò l'ultima lettera e guardò Mickey. Teneva lo sguardo fisso su di loro con i pugni stretti e chiusi, quasi come se anche lui stesse stringendo una lettera tra le dita. Ian si schiarì la gola e l'uomo si voltò verso di lui, inspirando rumorosamente. - Giusto, colazione-
Fece per seguire gli altri ma Ian lo afferrò per il braccio. Si guardò velocemente intorno poi fissò il suo sguardo intenso sul moro, temporeggiando in cerca delle parole adatte. Dirgli a bruciapelo " So che non vorresti essere qui ora" non sembrava un'idea sensata.
-Ho bisogno di una mano per l'esercitazione di oggi- disse infine. -Il cuoco ci porterà la colazione-
Mickey ebbe un attimo di esitazione ma poi annuì. Ian sorrise, si girò nella direzione opposta e gli fece segno di seguirlo, dirigendosi verso il magazzino. Lo spazio era angusto, pieno di tavoli pericolanti, sedie di legno e un mucchio disordinato di brande rotte. In un angolo erano state ammucchiate delle tende in una pila che sfiorava quasi il soffitto; allineate contro alla parete c'erano invece scatole sigillate contenenti armi vere, mentre quelle di plastica erano in una scatola nera, invece che grigio metallizzato, di fronte a loro. Il resto dello spazio era occupato da corde, pneumatici e rampe di legno.
-Okay, dobbiamo sistemare gli ostacoli in campo- spiegò Ian.
-Che sarebbero... ?-
Ian gli indicò tutti gli oggetti che avrebbero dovuto usare e dovette impedirgli di spostare una rampa di legno da solo. Riuscirono a portarla a malapena in due fino al limite dello spiazzo. -Dovrebbe stare in mezzo-
-Beh, e ora invece è in fondo-
Ian rise e tornarono in magazzino. Fecero una pausa per la colazione, sedendosi sulle sedie e abbuffandosi di uova. Si sforzò con tutto se stesso di non parlare della questione delle lettere. Finì di mangiare per primo e si alzò per portare fuori degli pneumatici. Quando tornò Mickey era ancora seduto e in mano teneva una busta da cui spuntavano diverse pagine scritte.
-Scusami- disse il moro restituendogli le lettere senza neanche guardarlo. -Ti sono cadute dalla tasca-
- Non preoccuparti-
-Allora, pneumatici-
-Pneumatici-. Mickey prese altri due pneumatici e li portò fuori mentre Ian rimase immobile con lo sguardo puntato sulle proprie lettere. Erano allineate una dietro l'altra, tutte scritte in modo terribile, persino con i pastelli, solo l'ultima riga di ciascun foglio visibile che recitava "Mi manchi", "ti voglio bene", "torna presto" dopo il congedo.
Sbattè le palpebre nel tentativo di trattenere le lacrime e ripiegò le lettere, riponendole in tasca e assicurandosi di aver allacciato il bottone.
Aveva il cuore in gola ma ormai non poteva più parlarne con Mickey. Come avrebbe potuto dirgli di capirlo quando in realtà era chiaro che non fosse così? Come avrebbe fatto a parlargliene quando aveva quattro persone a casa che si preoccupavano per lui mentre Mickey non aveva nessuno?
Il moro tornò in magazzino per gli altri pneumatici e questa volta lo imitò. Il silenzio tra loro era carico di tensione ed Ian non aveva idea di come romperlo. Finirono di sistemare il percorso, Mickey in fondo ed Ian al centro dello spiazzo, e i loro sguardi si incrociarono sopra alla fila di pneumatici. Gli altri uomini tornarono fuori, alcuni ancora con le lettere in mano, ma Ian tenne gli occhi fissi su di lui. Era come guardare un miraggio generato dal sole che sarebbe svanito se avesse sbattuto le palpebre. Non sapeva che cosa dirgli ma avrebbe potuto guardarlo con la speranza di fargli capire che non fosse solo.
Si schiarì la gola e cominciò a spiegare l'esercizio.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


"Mi manchi". "Ti voglio bene". "Torna presto".

Era come se quelle parole fossero tatuate sul retro delle palpebre di Mickey. Si infilò nel letto facendo un gran baccano e Denny si svegliò come se fosse appena uscito da una tomba, farfugliando parole che sarebbero potute suonare minacciose se solo non fosse stato il primo ad arrendersi durante l'esercitazione di quella mattina e l'unico a cadere dalla fila di pneumatici scoppiando a piangere.

"Mi manchi". "Ti voglio bene". "Torna presto".

Aveva già letto quelle frasi in passato su lettere appoggiate sul marciapiede insieme a mazzi di fiori, scritte con la stessa convinzione e speranza. Quattro persone che volevano disperatamente che Ian tornasse a casa, così come avrebbero voluto il fratello. Non ricordava il nome.
Denny brontolò di nuovo e Mickey si alzò dal letto, infilandosi i pantaloni e ignorando le domande del ragazzo mezzo addormentato. Uscì nella notte gelida, strofinandosi le braccia nude e camminando più in fretta di quanto fosse necessario. Aveva bisogno di rileggere quelle frasi, di capirle. La prima volta che le aveva lette era stato in mezzo al marciapiede mentre aspettava che Mandy si desse una mossa, e le aveva derise, trattate come parole vuote. Ma rivederle in una calligrafia tremante sulla pagina, indirizzate ad un altro fratello, aveva risvegliato qualcosa.
Si diresse verso la tenda di Ian ed entrò, le parole che continuavano a rimbombargli tra le tempie. E fu lì che si accorse di ciò che stesse accadendo nella tenda. Realizzò lentamente vedendo il sedere nudo di Ian e un uomo piegato davanti a lui sulla branda. Il rosso alzò lo sguardo non appena udì aprirsi la tenda, indietreggiando immediatamente. Mickey imprecò e spostò lo sguardo.
-Ma che... - esclamò Wells accorgendosi delle sua presenza, per poi scuotere semplicemente le spalle.
-Mickey... - lo chiamò Ian.
Mickey si girò e uscì. Non sentiva più niente, almeno era riuscito a togliersi quelle frasi dalla testa. Ma ora avevano preso il loro posto nuove immagini. Aveva una mezza idea di tornare indietro e sbraitare contro di loro. Insieme alle immagini, parole di suo padre che gli pizzicavano la lingua. "Froci". "Sporchi omosessuali". "Feccia dell'umanità".
Udì la voce di Ian dietro di sè, ma non si fermò; era sicuro che non avrebbe continuato  a seguirlo e ad urlare. Era notte fonda e Mickey non vedeva l'ora di fare il diavolo a quattro. Tremava in tutto il corpo e si sentiva un macigno nel petto che gli rese difficile respirare. Avrebbe voluto gridare, correre intorno al campo fino a vomitare, raggomitolarsi su sè stesso e morire.
Oltrepassò la propria tenda e camminò fino ai limiti del campo, arrivando alla pista. Cominciò a correre, il respiro mozzato.
Continuò a correre, lottando contro alla pressione che gravava sui polmoni e sui muscoli che sembravano implorarlo di fermarsi, finchè non gli cedettero le gambe e cadde a terra con il viso sul terreno sporco.
Rimase sdraiato cercando di fare dei respiri profondi, ma il fiato gli morì in gola, trasformandosi invece in un singhiozzo. Un miscuglio di imprecazioni, parole di suo padre e pensieri fuoriuscirono dalle sue labbra mentre piangeva. Voleva solo riuscire a smettere di piangere, voleva solo morire.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


NB: linguaggio omofobo

Ian era seduto al tavolo della mensa e guardava Mickey giocare con il cibo nel piatto. Era più lontano da Wells rispetto al solito, ma nulla faceva pensare che fosse cambiato qualcosa tra loro.
Fece traballare il piede sul pavimento finchè non lo vide alzarsi per andare al buffet, quindi lo imitò, prendendo un piatto e accodandosi con gli altri. Mickey gli lanciò semplicemente una breve occhiata. -Milkovich- lo chiamò. -Passi nella mia tenda stasera?-
-No-
-Mi... -
-Per quanto possa capire, questa faccenda dell'essere tuo amico è abbastanza facoltativa- sbottò. Si versò un po' di purè sbattendo il cucchiaino nel piatto. - E ne ho basta. Non voglio venire da te, non voglio parlarti. Io farò il mio lavoro, tu farai il tuo e ognuno starà fuori dalla strada dell'altro, okay?-
Ian rimase in silenzio e Mickey fece per andarsene. -Non era una richiesta, soldato-
Mickey si rigirò con un mezzo sorriso e fece spallucce. -Fammi rapporto allora-
Ian sarebbe rimasto a fissarlo anche per tutta la sera, ma alcuni uomini avevano cominciato a guardarli di sottecchi e sapeva che la cosa migliore fosse non attirare l'attenzione su di sè o su Mickey.
Tornò a sedersi e attese che gli uomini finissero e si ritirassero per la notte, poi si alzò e si addentrò in mezzo al labirinto di tende dirigendosi verso quella di Mickey, schiarendosi rumorosamente la gola prima di entrare. Varcata la soglia, lo trovò seduto sul letto che fumava e Denny nel bel mezzo di una frase. Non appena ebbe realizzato la sua presenza, il ragazzo si mise sull'attenti e salutò entusiasta.
-Buonasera, signore. E' un piacere vederla e averla nella nostra tenda. C'è qualcosa che possiamo fare per lei, signore?-
-Barber- lo ammonì Ian piegando la testa da un lato. Rivolse uno sguardo a Mickey, rilassato sul letto con una rivista aperta sulle gambe. Ragazze nude, un classico. Tornò a guardare Denny. -Barber, puoi lasciarmi un minuto da solo con Milkovich?-
-Certo signore, certo che posso farlo. Un minuto, più di un minuto o... -
-Trovati solo qualcosa da fare per un po', Barber-
Denny annuì, fece di nuovo il saluto e uscì. Ian sbuffò e scosse la testa, tornando a concentrarsi su Mickey. Non si era mosso se non per sfogliare la rivista. Il suo sguardo scorreva lungo la pagina senza alcun'espressione, ed Ian ebbe il vago sospetto che stesse leggendo davvero l'articolo senza prestare attenzione alle fotografie. Si schiarì la gola e l'uomo non reagì. -Milkovich, dobbiamo parlare-
Nessuna risposta.
-Oppure parlerò io. Mi dispiace di essere stato occupato ieri sera quando sei venuto da me. Cerco sempre di essere disponibile per tutti e... -
-Stai scherzando, vero?-. Lasciò cadere la rivista dalle proprie gambe ignorando la sigaretta che si consumava tra le sue dita, tenendola il più possibile vicina  come se avesse paura che Ian potesse rubargliela.
-Sto cercando di avere una conversazione-
-Riguardo a cosa?-
-Riguardo a qualsiasi cosa volessi dirmi la scorsa notte-
Mickey fece un sorriso ironico e si leccò le labbra per nascondere il gesto, fallendo e scoppiando invece in una risata. -Non ti vergogni neanche un po' -
-Io non... -
-Ti stavi scopando Wells- sputò acido. -Non eri "occupato", stavi facendo sesso gay nella tua tenda come se fosse una cosa qualsiasi. Sai che i froci non sono ammessi nell'esercito?-
-Davvero? Non l'ho mai sentito- rispose sarcastico Ian. L'ansia per quella conversazione aveva lasciato posto ad una rabbia profonda. -Vuoi parlare della politica dell'esercito? Bene, parleremo di quello. Tecnicamente sì, le mie preferenze sessuali mi dequalificano dal poter servire il mio Paese, ma lo faccio comunque-
-Non puoi-
-E cosa farai allora? Scriverai una lettera ai miei superiori? Mi farai cacciare? Fallo pure, vai fino in fondo- lo sfidò. -Ma sappi che il vostro nuovo sergente avrà il doppio dei miei anni, sarà molto più severo e non gli importerà niente di te. Vi preparerà per andare a morire per la vostra patria. Non gli importerà se tornerete o no-
-Non voglio che ti importi se tornerò o no-
Ian si fermò per un momento, sentendosi avvampare per la rabbia, e serrò i pugni. - Credi che mi interessi uno stronzo omofobo? Scendi da questo fottuto piedistallo. E' il mio cazzo di lavoro prendermi cura di voi-
-Non ho bisogno di un fottuto babysitter-
-Hai bisogno di qualcuno-
Mickey si raddrizzò e rise derisorio. -Non mi hai sempre detto di avere gli altri uomini lì fuori? Che sono loro la mia famiglia? Tra pochi mesi ci manderai a morire. Non ho bisogno di TE-
Ian deglutì. -Quindi mi denuncerai?-
-Forse-
-Forse?-
Mickey non disse nulla per un po', poi scosse la testa. -Frocio o non frocio, sei la mia unica possibilità per sopravvivere in questa merda di situazione-
-Il che significa?-
-Se resti lontano da me terrò la bocca chiusa-
Ianlo fissò un attimo più a lungo poi annuì appena. Fece per uscire dalla tenda imprecando sottovoce mentre Mickey tornava a mettersi comodo. Era già per metà oltre la soglia quando si rigirò un'altra volta. -Di che cosa volevi parlare ieri sera?-
-Non sono cazzi tuoi -
- Sai, di solito la parte migliore sono le battute sull'entrata dal retro-
Mickey alzò lo sguardo. C'era qualcosa nei suoi occhi insieme ad un bagliore di paura. Ian uscì chiudendo la tenda e lasciandosi alle spalle quello sguardo. Ripensare a quella conversazione lo stordiva. Per quanto volesse tenersi il proprio lavoro, l'idea di dover stare lontano da Mickey era come un mattone nel petto. Mickey era spaventato e non sarebbe stato pronto per andare in guerra se avesse continuato a tenerselo dentro. Che lo odiasse o no, Ian voleva mantenere la parola e farlo tornare a casa vivo.
Ancora preoccupato, tornò nella propria tenda. Era talmente arrabbiato da voler prendere a pugni un muro, ma il pensiero del moro gli scatenava una tempesta di tantissime altre emozioni.
Si grattò il retro della testa ricacciando quei sentimenti nel profondo della propria mente e si sdraiò in branda. Chiuse gli occhi rallentando a poco a poco il respiro, cercando di dormire un po'.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Mickey uscì dalla tenda ancora mezzo addormentato per andare in bagno. Aveva ridotto al minimo i dettagli della sua conversazione con Ian, dicendo a Denny di aver parlato dei suoi progressi come soldato. Naturalmente questo aveva portato il ragazzo solo a fare ulteriori congetture su cosa potessero significare quelle domande da parte del sergente, perciò Mickey aveva finto di essersi addormentato dieci minuti dopo.
Attraversò il campo ancora avvolto nel buio che limitava la vista, una mano appoggiata contro alle tende per camminare il più possibile diritto. Ricordi di parole e immagini di cui avrebbe volentieri fatto a meno si insinuavano in continuazione nella sua testa. Le stesse frasi che lo avevano tormentato la notte precedente erano ora diventate un mantra che lo tranquillizzava e lo distraeva da tutto il resto.
"Mi manchi". "Ti voglio bene". "Torna a casa presto".
Se si sforzava abbastanza, poteva far finta che fossero state scritte con la calligrafia di Mandy o sussurrate dalla voce sommessa di sua madre.
Con le palpebre pesanti, non si accorse di Wells che arrivava dalla parte opposta finchè non ci andò a sbattere contro. -Woah!- esclamò l'uomo, alzando le mani per tenerlo in equilibrio. Mickey indietreggiò rapidamente, sfuggendogli. Wells si mise a ridere, l'alito che sapeva di fumo e alcool. -Dove stai andando, Milkovich?-
Mickey gli passò oltre senza dire una parola.
-Dai su, sono andato da lui solo perchè tu non abboccavi-
Mickey si arrestò di colpo e si rigirò sbattendo le palpebre, il sonno spazzato via da quelle parole come un tornado. Il sorrisetto di Wells sembrava illuminare la notte tersa. -Che cosa?-
-So che sei geloso ma non vuol dire che non possiamo essere amici-
Mickey fece un passo verso di lui. - Cosa cazzo hai appena detto?- ringhiò sottovoce.
-Non ho detto niente- mormorò Wells. Di colpo sparì ogni traccia di ebbrezza e il suo sorriso sbilenco si tramutò in qualcosa di più sinistro. -Ho insinuato che ti piaccia prenderlo nel culo, ma non ho detto niente-
Mickey lo spinse con forza e Wells inciampò ruzzolando contro ad una tenda, ma si raddrizzò subito. Mickey si avvicinò, lo sguardo infuocato. Tutte le emozioni provate  e i ricordi risalirono in superficie, tutte le parole di suo padre urlate in preda all'alcool, i pugni sollevati in aria. Tutto l'odio che provava per sè stesso e gli impulsi più nascosti uscirono allo scoperto mentre afferrava Wells per il colletto. -Prova a ripeterlo-  lo sfidò. Wells aprì la bocca per parlare di nuovo ma Mickey lo colpì sulla mandibola, avvertendo le sue gengive contro alle proprie dita. Lo colpì di nuovo, tenendolo fermo con la mano libera mentre cercava di dimenarsi. Wells riuscì a fare un passo indietro, strappandosi la maglietta per schivare un altro pugno. Ne approfittò e colpì Mickey due volte allo stomaco, quindi quest ultimo lo buttò a terra, spingendogli la testa verso il basso mentre gli sferrava una ginocchiata alle costole. Wells riuscì a rigirarsi e ricambiò con un calcio, facendogli perdere l'equilibrio per poi rincarare la dose con altri due pugni in faccia.
Gli altri uomini cominciarono a riversarsi fuori dalle tende attirati dai loro grugniti rabbiosi, senza bisogno di dover usare altre parole. Mickey lo buttò a terra e gli salì sopra, colpendolo con tutta la forza che aveva in corpo. Temette di essere distratto dal capannello di gente a cui non sembrava importare più di tanto chi vincesse. Rimasero semplicemente a guardare, fischiando compiaciuti ad ogni pugno particolarmente violento.
Wells riuscì a ribellarsi ancora con qualche pugno ma ormai era una maschera di sangue quando una voce risuonò nella notte.
 -Ma che cazzo sta succedendo?!- urlò Ian. Afferrò Mickey per il colletto e lo lanciò in mezzo alla folla dietro di lui. Mickey inciampò e riuscì a recuperare l'equilibrio poco prima di finire contro agli uomini, e si ripulì le mani. Teneva lo sguardo mortale ancora puntato su Wells, e quando Ian lo aiutò a rialzarsi, partì di nuovo alla carica.
Ian tese un braccio verso di lui per bloccarlo e Mickey si fermò a pochi millimetri dalle sue dita lunghe e spigolose, ingoiando tutta la propria rabbia. Anche Wells fece per avanzare e Ian lo afferrò per la maglietta, spingendolo indietro un po' più gentilmente rispetto a Mickey. Quest ultimo avanzò di nuovo per protestare ma avvertì una nota di disgusto salirgli in gola.
Ian spostò lo sguardo tra i due, cauto. Il gruppo aveva già cominciato a disperdersi, solo poche persone erano rimaste a guardare. -Per cosa diavolo era questo?- chiese Ian in tono severo.
-Chiedilo a lui- rispose Wells. -E' stato lui a colpirmi per primo-
-Già, adesso è colpa mia, frocio di merda-
-Ti direi di toglierti quel palo dal culo ma penso che ti piaccia-
Mickey fece un passo avanti ma si bloccò di colpo quando le dita di Ian si strinsero attorno al tessuto della sua maglietta, provocandogli come una scossa che lo attraversò in tutto il corpo. Si liberò immediatamente dalla sua presa e sputò per terra. -Non toccarmi, cazzo-
-Oh, ma dai. Smettila di negare ciò che vorresti-
-Sei un fottuto uomo morto-
-Vediamo-
-Pensi che non sappia dove sono le pistole?-
-SILENZIO!- urlò Ian.
Wells sgranò gli occhi e deglutì qualunque fosse la sua risposta. Mickey reagì appena, cercando di nascondere il proprio tremore con un sorriso arrogante. Rabbrividì quando Ian prese un respiro calmo e profondo.
-Siete entrambi due idioti- sibilò. I suoi occhi profondi brillavano nel buio, spostandosi da un uomo all'altro. -Questa squadra e questa guerra non sono un gioco, un triangolo amoroso o una cazzo di orgia. A nessuno frega niente di quello che volete o provate, tantomeno a me. Quindi, se volete scontrarvi su chi sia gay, etero o qualsiasi altra cosa, fatelo quando sarete tornati a casa vostra con le vostre gang nei vostri fottuti quartieri. Per il momento, datevi una calmata-
-Vaffanculo, frocio - sputò Mickey.
Ian fece un passo verso di lui. -Tu o parli o non lo fai, ma se non lo fai non puoi andartene in giro a prendere a pugni chiunque non rispecchi la tua ristretta visione del mondo-
-Ha detto che volevo scoparti-
- "Essere scopato da lui"- lo corresse Wells.
Mickey si mosse nella sua direzione ed Ian lo spinse di nuovo. Sbattè contro ad una tenda e cercò di ritrovare l'equilibrio una seconda volta mentre Ian gli dava le spalle, sbuffando come se avesse appena fatto un tiro di sigaretta. Scosse la testa.
-Tre giri!- urlò. Dalle tende arrivarono dei movimenti ma nulla di più. -Le risse sono contro il codice di condotta dell'esercito e prevedono una punizione- spiegò Ian a voce alta. - Tutti fuori a correre. ORA!-
I soldati uscirono brontolando e si diressero verso la pista, lanciando occhiatacce a Mickey e a Wells. Alcuni andarono a svegliare gli altri nelle tende più lontane, non volendo essere gli unici a dover correre.
-Andate, voi due- ordinò Ian, e Wells sbuffò.
-Sono stato preso a pugni e devo fare tre giri di corsa?-
-Responsabilità collettiva, cadetto- rispose Ian in tono stanco. -Tutti corrono per gli errori di tutti. E siccome hai continuato ad insultare Milkovich, penso sia più che giusto che anche tu ti faccia qualche giro-
Wells sputò per terra e si unì al gruppo, mentre Ian si voltava a guardare Mickey. Lo ispezionò rapidamente, indugiando sui punti in cui perdeva sangue. -Devi andare anche tu-
-No-
-Milkovich... -
-Non provare a dirmi niente. Qualsiasi cosa dirai non vale più per me-. Sputò per terra e gli diede le spalle, tornando nella propria tenda. Era abbastanza sicuro di aver sentito Ian imprecare ma le parole si persero nella notte.
Entrò un paio di minuti dopo e si medicò le ferite sulle nocche. A parte quello, il massimo che Wells era riuscito a fare era stato spaccargli il labbro. Si sedette sulla branda, scosse un pò di volte la mano nonostante il dolore e si raggomitolò su sè stesso chiudendo gli occhi.
Ma l'insonnia ebbe la meglio, tenendolo sveglio per il resto della nottata a ripetersi parole che non avrebbero dovuto significare niente per lui, fino a quando il sole non cominciò a sorgere.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


I giorni passarono e Mickey eseguì gli ordini il meno possibile. Si accigliava quando Ian lo guardava e sputava ai suoi piedi quando chiamava il suo nome. Vederlo gli provocava la nausea, insieme all'immagine del suo corpo dietro a quello di Wells. Ogni volta che gli lanciava un'occhiata, anche se per sbaglio, chiudeva gli occhi e contava fino a dieci per trattenersi dall'andarsene via. Stare intorno a loro era diventata anche più dura.  Quando li vedeva incrociare lo sguardo, spingeva via il proprio cibo. Quando li vedeva entrare insieme nella tenda di Ian, doveva fermarsi a riprendere il respiro. Un giorno, Ian aveva sistemato la presa di Wells sulla pistola e quest'ultimo lo aveva ringraziato facendogli l'occhiolino. Mickey aveva buttato per terra la propria ed era tornato in tenda.
Insieme a questo, la voce di suo padre continuava ad urlare nella sua testa, cose che aveva già sentito in passato rivolte a lui, tranne una. Per qualche motivo, la voce di Terry continuava a sibilare "Geloso" ogni volta che si trovasse di fronte a Wells, e gli faceva bruciare lo stomaco ancora di più.

Ma a poco a poco si rese conto che Wells stesse avendo sempre meno a che fare con Ian, e viceversa. Dopo la notte del litigio, mentre Ian di solito prestava attenzione ai soldati allo stesso modo, il suo sguardo cominciò a indugiare sempre meno su Mickey. E dopo poco tempo accadde la stessa cosa con Wells.
Wells cominciò a trascorrere più tempo con gli altri arruolati invece di congedarsi una volta tramontato il sole dietro alle colline, ma non se ne preoccupava affatto. Morto un papa se ne fa un altro, e Wells se ne stava semplicemente seduto al tavolo rubato mischiando le carte e facendo battute su tutte le donne che avrebbe avuto una volta tornato a casa come un eroe.
Questo fu anche peggio per Mickey, in qualche modo.
Visto che Ian ora non lo guardava più, era lui a guardare Ian. Era cominciato tutto quasi inconsciamente, trattenendo lo sguardo un po' più a lungo dopo aver ascoltato la spiegazione degli esercizi, oppure come reazione alla sua voce quando lo udiva ordinare qualcosa ad un compagno. Quando si rendeva conto di essere rimasto a fissare la figura snella di Ian che si stagliava sull'azzurro cielo invernale, cercava sempre di trovare una scusa credibile; lo guardava per assicurarsi che Ian non facesse lo stesso; lo guardava per assicurarsi che non ci fosse un altro ora che con Wells sembrava finita. Gesù, quanti gay avrebbero potuto esserci in un posto come quello? Due, pensava, sembrava un coefficiente di stupidità abbastanza alto.
Per non parlare di tre.
 
Guardare Ian portò le sue conseguenze. Alcuni piccoli cambiamenti nel suo comportamento rimbombarono nella testa di Mickey come un campanello d'allarme, anche se non capì bene il motivo.
A volte si presentava qualche minuto dopo l'arrivo dell'ultimo uomo nonostante l'adunata fosse già suonata. A volte, lo stesso sguardo sfuggente che riservava a Wells e a Mickey capitò anche con altri soldati. A cena rigirava il cibo nel piatto come a dare l'impressione di aver mangiato qualcosa anche se in realtà non toccava nulla.
Mickey non ci fece caso. O almeno ci provò. Lo guardava  come un'infermiera controllava il paziente beccato a fissare un pò troppo la morfina durante il turno di notte.
E poi, cinque giorni dopo "l'incidente", così come lo definiva (soprattutto per fare in modo che il Terry nella sua testa non capisse a cosa si stesse riferendo), non ci fu più niente da guardare a cena.
Ian aveva mandato tutti in mensa, e Mickey pensò che li avrebbe raggiunti. La giornata era stata lunga, gli faceva male la schiena, si sentiva la pelle appiccicosa di sudore e tutti avevano un'espressione esausta, sconfitta. Non ci aveva prestato molta attenzione quando aveva visto Ian ridotto allo stesso modo.
- Avete visto il sergente?- chiese ad un tratto. Dallo sguardo di Fleming capì di aver interrotto una conversazione, ma poi, come se non si trattasse di nulla d'importante (e onestamente a Mickey non fregava nulla di cosa fosse), il soldato rispose.
-Due minuti fa. Sai, è quel tizio rosso che ci urla addosso tutto il giorno-
Mickey lo fissò finchè l'uomo non abbassò la testa come per scusarsi del proprio sarcasmo. Il moro scosse la testa e lanciò un'occhiata a Wells dalla parte opposta, il viso sorridente e gli occhi che brillavano. -Perchè, cerchi qualcosa da fare stasera?- chiese l'uomo dall'estremità del tavolo.
Mickey ricambiò con un sorriso assassino. -Rispondi alla cazzo di domanda e basta-
-E' tornato nella sua tenda. Stanco- fece spallucce Wells.
-E non aveva fame?-
-Non sono la sua badante-
Mickey si morse la lingua per trattenersi. Chiedere a Wells se gli fregasse qualcosa era come chiedere a tutto il tavolo se sapessero della sua relazione con Ian. Infatti, molti sguardi straniti si posarono su di loro e Wells cominciò ad essere fin troppo compiaciuto per la direzione di quel discorso.
Mickey si alzò e uscì, dirigendosi verso la tenda di Ian. In testa continuavano a ripetersi imprecazioni di ogni tipo insieme agli insulti di Terry, come un incendio che si alimentava sempre di più, e la nausea divenne se possibile ancora più forte a mano a mano che si avvicinava a destinazione. Continui flashback si ripetevano uno dietro l'altro, un pò come quelli che dovevano avere i soldati affetti da Disturbo Post- traumatico, e per un attimo giurò persino di aver sentito Ian emettere un lamento, ma era tutto silenzioso.
La notte era calata presto, adagiandosi sul campo come una coperta. Mickey si passò una mano sulla bocca con un respiro profondo, cercando di trovare una giustifica alle proprie azioni. Non poteva morire ed Ian era la sua unica speranza di sopravvivenza. Se il sergente non stava bene diventava un problema di logica, non di sentimenti. E probabilmente era solo un raffreddore.
Sollevò il lembo di tessuto. Dentro era buio ed Ian era solo una figura nascosta sotto alle coperte. Deglutì pesantemente. -Ian?-
Nessun movimento, l'unica risposta solo il suo lieve respiro.
-Stai bene?-
Niente. Lasciò ricadere il lembo e tornò nella propria tenda strisciando i piedi sul suolo.
Era presto, troppo presto per dormire, ed Ian stava russando. Stava solo dormendo, era stata una lunga giornata.
Scosse la testa cercando di ignorare quella sensazione opprimente nel petto, sorpreso che il silenzio di Ian fosse riuscito a zittire anche le voci nella sua testa. Si slacciò gli anfibi lanciandoli poi in mezzo alla tenda e si sdraiò in branda aprendo una delle riviste che gli aveva dato suo padre prima di partire. Fissò per qualche secondo la ragazza in prima pagina, poi la aprì e cominciò a leggere.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Otto camionette dell'esercito danneggiate erano state parcheggiate in mezzo al campo. Faceva tutt'altro che caldo, ma il sole, insieme alle esalazioni dei motori, faceva sudare i soldati, i quali imprecavano mentre armeggiavano con il mezzo, creando ancora più danno di quanto già non ce ne fosse.
-Cambio- ordinò Ian e una recluta di ogni gruppo si spostò alla camionetta successiva. L'unico lato positivo dell'esercizio era che almeno, una volta avviati i motori, avrebbero potuto andare a farsi una doccia e non fare più niente per il resto del pomeriggio. Una ricompensa che significava molto più di quanto Ian si aspettasse, o che perlomeno aveva significato molto due ore prima, quando i soldati ignari credevano che aggiustare delle camionette fosse come bere un bicchier d'acqua.
Ian fece in modo di controllare tutti. Voleva assicurarsi che tutti collaborassero e capissero che si trattava di un esercizio di gruppo. Questo non andava molto a genio agli uomini, soprattutto dopo aver scoperto che solo la metà di loro sapesse come usare una chiave inglese e solo un quarto come riparare una macchina. Spesso e volentieri arrivavano qua e là imprecazioni da coloro che avevano sistemato da soli il motore quasi un'ora e mezza prima. E ogni volta che qualcuno alzava la voce o si arrabbiava con gli altri senza aiutare e dare consigli con calma, venivano spediti a fare un giro di corsa.
L'unica persona che Ian non guardava era Mickey. Il suo sguardo passava oltre, assicurandosi di posarsi su tutti tranne lui. Nonostante questo, Ian era ben cosciente della sua presenza alle sue spalle. Sapeva esattamente dove si trovasse, anche lui accaldato e sudato insieme agli altri, e che fosse stato il primo a togliersi la maglietta.
Sussultò quando sentì qualcuno sbattere con forza la chiave inglese contro ad un motore, seguito da una miriade di imprecazioni. Un soldato inciampò all'indietro. -Corsa- urlò lanciando un'occhiata nella loro direzione. L'uomo che aveva spinto il compagno partì borbottando qualcosa sottovoce. Non ci fu bisogno di sentirlo per capire che non si trattasse di qualcosa di particolarmente lusinghiero. -Ah ragazzi, se qualcuno di voi finisce ad usare le torce... - li richiamò. - ... domani vi faccio correre il doppio-
-Questa è andata-
Ian prese un respiro. - Sono tutte andate, è quello il punto-
-No, ti assicuro che questa ha bisogno di almeno tre parti nuove, probabilmente una nuova cinghia. L'olio è partito e in tutta sincerità credo che queste candele non funzionassero già da prima-
Ian aprì e richiuse i pugni. Si sforò di fare un profondo respiro e alzò lo sguardo verso l'unico punto in tutto il campo in cui non avrebbe voluto guardare. Mickey era accovacciato sul cofano della camionetta ed era chino sul motore. I muscoli erano ancora più evidenti sotto allo strato di sudore, come la statua di un dio greco scolpita da Prassitele, in mano una chiave inglese, il braccio che penzolava in mezzo alle gambe. I loro occhi si incrociarono senza passare oltre. Probabilmente non avrebbe reagito bene se lo avesse guardato da un'altra parte.
-Tutte le camionette possono essere riparate con i pezzi forniti- spiegò. - Se non ti sta bene non mi interessa-
Mickey trattenne un sorriso. -Non sto dicendo che non si possano riparare, dico solo che si spegnerà dopo una decina di chilometri-
-Ti crederò quando l'avrai sistemata-
Mickey diede un colpetto al finestrino e l'uomo seduto al volante girò la chiave per avviare la camionetta. Il motore rombò, sbuffò e sembrò finalmente prendere vita. Tutti i soldati si girarono verso di loro sorridenti e qualcuno esultò. Mickey fece finalmente un sorrisetto. -Dicevi... ?-
-Dicevo "passare alla prossima"-. Se ne andò mentre i soldati tornavano a disperdersi intorno alle camionette rimaste. Avvertiva degli sguardi di sè ma non avrebbe saputo dire di chi. Sicuramente non di Mickey. Gli aveva chiesto di lasciarlo in pace e così avrebbe fatto.
 
Tre ore dopo e sempre meno uomini spediti a correre, tutte e otto le camionette presero vita. Ian fece un cenno di approvazione, si complimentò con inutili elogi e li mandò a farsi una doccia. Stava per tornare nella propria tenda quando una voce lo costrinse a voltarsi.
-Non scherzo riguardo alla camionetta. Non durerà molto- disse Mickey.
-Che cosa vuoi, Milkovich?-
-Voglio che almeno una di quelle cazzo di camionette non collassi nel bel mezzo del nulla- sbottò. - Scusa se è così fottutamente difficile da capire-
Ian sospirò. Era tardi e il sole stava già cominciando a sparire dietro alle nuvole. Non aveva tempo di lasciarsi trascinare in qualsiasi cosa Mickey fosse in grado di provocargli. - Quelle camionette vengono usate costantemente in questo tipo di esercizio. Finchè si riesce ad avviare il motore a nessuno frega del resto-
Mickey rimase in silenzio con la propria maglietta tra le mani, stringendola come se potesse soffocarla. Ian continuò ad immaginarsi quelle mani intorno alla propria gola mentre il tessuto si tingeva di viola.
-Sai,- disse alla fine. - sarebbe più facile per me restarti lontano se tu facessi la stessa cosa-. Gli diede le spalle e fece per andarsene. Voleva solo tornare nella propria tenda e restare da solo ascoltando tutti gli altri ridere, urlare, corrersi dietro, felici invece che in preda ad un senso di fallimento, felici come se per una volta il sergente non stesse loro con il fiato sul collo. Voleva solo andarsene a dormire.
-Stai bene?-
-Cosa cazzo te ne importa?- ribattè. Non sentì nient'altro, nè i passi di Mickey, la sua voce o il suo respiro. Lo lasciò da solo in mezzo al campo e tornò nella propria tenda e al silenzio che gli avrebbe offerto.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Mickey seguì Ian con lo sguardo mentre se ne andava, sentendo il cuore sprofondargli nel petto. Una voce nella testa continuava a ripetergli le parole di suo padre nella testa ogni volta che vedeva Ian ma il sole, la fatica e il suo sguardo riuscivano ad acquietarle. Sapeva di doversi allontanare, di dover smettere di guardare e fare esattamente ciò che Ian avesse detto, restargli lontano. Alla fine si trattava solo di questo, la distanza era ciò che lo teneva al sicuro.
Fece un passo indietro e si voltò per andare alle docce, prendendosi il proprio tempo. Se ci avesse impiegato abbastanza ad arrivare, tutti gli altri avrebbero finito e lui avrebbe potuto lavarsi in pace.
Mentre camminava sorrise al ricordo degli errori fatti di proposito durante l'esercizio: avvitare i bulloni nel modo sbagliato, stringere invece di allentare... tutto pur di provocare Wells, farsi urlare addosso e farlo spedire a correre di nuovo.
Arrivò in bagno e si lavò velocemente. Erano rimasti solo un paio di ritardatari, e finchè avesse tenuto gli occhi puntati sulla parete, sarebbe stato in grado di tenere a bada i propri impulsi. Entrò ed uscì in pochi minuti, rinfilandosi i vestiti sporchi dopo essersi asciugato.
Ci sarebbe stata un'altra partita a carte nella tenda di Wells, ma nonostante fosse stato Ashton ad invitarlo, era meglio restare alla larga. Solo il pensiero di essere nella stessa stanza con lui gli faceva vedere rosso. Decise invece di tornare nella propria tenda, magari per riposarsi un po' o per finire di "leggere".

Non appena entrò, capì che i suoi piani sarebbero saltati. Denny era seduto sulla sua branda che si allacciava e slacciava in continuazione gli stivali in modo che fossero abbastanza stretti. Una volta finito era praticamente in lacrime notando un laccio ancora allentato, quindi ricominciò da capo.
Mickey gli diede una pacca sulla schiena e il giovane alzò la testa, lasciando perdere l'impresa. Era ancora praticamente un bambino, essendosi arruolato non appena compiuti diciotto anni, ed era chiaro a tutti che fosse profondamente provato da quella preparazione. -Ehi, Mickey- lo salutò, prendendo a malapena il respiro. - Bel lavoro oggi con le camionette. Sei riuscito a farne partire tre, wow. Ero lì quando una è partita ma l'ho toccata appena, sai, ho solo passato gli strumenti. E ho girato la chiave. Sostanzialmente mi sono fatto da parte, sai, sono bravo a starmene fuori dai piedi, ma non è esattamente... -
-Vuoi una sigaretta?- suggerì Mickey, offrendogliene una. Denny la afferrò lentamente, la accese e tossì subito dopo aver aspirato. Storse il naso ma prese comunque un altro tiro. Dopo altri due tiri il tremolio delle sue mani sembrò calmarsi.
-Sei stato bravo- si complimentò Mickey sedendosi sulla propria branda.
-Mi hanno urlato contro spesso-
-Finchè non è Ian a farlo non importa-
Denny si accigliò sentendolo chiamare il sergente con il suo nome ma non disse niente. Si rigirò la sigaretta tra le dita rischiando di farla cadere e sibilò dolorante quando l'estremità gli bruciò il palmo. -Non penso di potercela fare- mormorò. Sembrò' rivolgersi più a sè stesso che a Mickey, o almeno così gli parve. Ormai quel ragazzo era abituato a parlare senza ricevere risposta, solitamente lo scopo delle sue parole era solo quello di riempire il silenzio. -Non sono bravo a fare niente di tutto questo-
-E' solo la terza settimana. Andrà tutto bene-
Denny scosse la testa. -No, non è vero. Mi spareranno, salterò in aria per una bomba o uno di quei gorilla di cui si parla in TV mi taglierà la testa, e mia mamma potrà rincontrarmi solo chiuso in una bara e le daranno una bandiera ripiegata, e dovrà spiegare al mio fratellino perché ho fatto ciò che ho fatto, e lui non ha mai capito che me ne stessi andando, e... -
-Hai mai ascoltato quello che dice il sergente?- lo interruppe Mickey facendo roteare la sigaretta tra le labbra. - Non ci manderà a morire-
Denny esalò beffardo, per nulla convinto. - Ti fidi davvero di quell'uomo?-. La sua voce era bassa, quasi speranzosa, ma celava una punta di cinismo.
-Perchè non dovrei?-
-Penso che abbia qualche rotella fuori posto. Non fraintendermi, capisco che la guerra sia una cosa seria, ma ci urla addosso di continuo, ci fa fare un sacco di giri di corsa e ha puntato una pistola addosso a Miller. Ho sentito che ha sparato ad uno del gruppo precedente-
-Sarebbe stato dimesso-
-Penso che si stia arrendendo con noi-
Mickey sbuffò il fumo nell'aria. Capiva a cosa si riferisse. Il sergente li aveva osservati con sguardo disinteressato per tutto il giorno, spendendo a malapena due parole per complimentarsi per il lavoro fatto. Ma erano passate tre settimane ed era riuscito a fare in modo che tutti ricordassero il nome dei compagni. L'ostinata divisione in gruppi in mensa cominciava a venire meno. Tutti odiavano Ian ma almeno la squadra diventava sempre più unita.
-Ha avuto una brutta giornata, penso abbia il diritto anche lui di avere delle brutte giornate. - E anche se si fosse arreso con noi, il suo lavoro è quello di addestrarci e non si arrenderà in questo-
-E se non gli importasse più se moriremo o no?-
-E' l'unica cosa che gli importa-
Denny deglutì e continuò a fumare. Tossì, buttò a terra il mozzicone e lo schiacciò con il tacco dello stivale slacciato. Tenne lo sguardo inchiodato sul pavimento, per una volta senza parlare.
Mickey avvertì un'insolito senso di responsabilità crescere dentro di lui. Era come avere davanti Mandy che piangeva perchè nessun ragazzo l'aveva invitata al ballo.
-C'è solo un modo per sopravvivere lì fuori- disse improvvisamente. - ed è sapere come usare una pistola-
-Non so come si fa-
-Sei fortunato che io lo sappia invece-. Si alzò e gli fece segno di seguirlo. -Vieni-. Uscì dalla tenda e Denny si affrettò ad andargli dietro, tornando alla sua solita vivacità e sottolineando più volte il fatto che stessero per infrangere le regole dell'esercito. Mickey invece tornò ad ignorarlo come al solito, lasciando che le sue parole gli scivolassero addosso come un'onda in mezzo al mare.

Arrivati al magazzino, Mickey scassinò il lucchetto. Entrarono ed aprì una delle scatole che contenevano le pistole di plastica mentre Denny richiudeva la porta dietro di loro. Ne assemblò una in fretta e la tese nella sua direzione. - Sai dirmi che tipo di pistola è?-
-Calibro 50-
Mickey se la rigirò tra le mani e gliela porse. Denny la accettò incerto, timoroso che potesse far fuoco nonostante fosse finta e naturalmente scarica. Mickey gli diede il nome di tutte le parti componenti, spiegandogli come assemblarla e come disfarla. Gli insegnò a mirare, rimpiangendo di non poter avere una pistola vera per poter essere sicuro che Denny imparasse davvero.
Dopo un'ora circa suonò l'ora di cena, quindi Mickey disfò nuovamente la pistola e la rimise al suo posto. Sgattaiolarono fuori dalla rimessa e si avviarono insieme verso la mensa. Denny aveva trovato un nuovo argomento, qualcosa sul colore del cielo prima che diventasse abbastanza scuro da rendere visibili le stelle, e Mickey ascoltò serenamente. Quel continuo blaterare gli ricordava Mandy nei suoi momenti felici e Iggy in quelli rabbiosi, sebbene fosse piuttosto raro che si mettesse a parlare di stelle.
Una volta in mensa le loro strade si divisero, anche se i rispettivi gruppi non erano poi così distanti l'uno dall'altro. Mickey si unì agli altri quattro arruolati, mantenendo il più possibile le distanze da Wells, e scandagliò l'intera stanza con lo sguardo.Ian non c'era.
Si sedette al proprio posto cercando di non farci caso.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Mickey si svegliò lentamente la mattina dopo, stiracchiandosi mentre sentiva crescere dentro di sè un innato senso di terrore. Partì dalla bocca dello stomaco che gorgogliava per la fame, cosa che non gli succedeva dal primo giorno quando aveva saltato i pasti per via della punizione. Si guardò intorno e posò lo sguardo su Denny ancora profondamente addormentato, rannicchiato sotto alle coperte con un sorriso contento sulle labbra. Scosse la testa; la prossima cosa che avrebbe dovuto insegnargli era imparare a dormire con un occhio aperto.
 Rotolò su un lato e si alzò in piedi infilandosi una maglietta e un paio di pantaloni. Quando uscì dalla tenda rimase quasi accecato dalla luce del sole. Sbattè le palpebre un paio di volte, ispezionando il campo che si estendeva di fronte a sè. Il primo pensiero fu quello di non aver sentito l'adunata, ma era molto improbabile che fosse successa la stessa cosa a Denny.
Si avvicinò ad un paio di uomini vicino ad una tenda. - Sapete che cosa succede?- chiese. Uno dei due fece spallucce e fu l'altro a rispondere.
-Non mi lamento-
Mickey annuì, alzando gli occhi al cielo mentre si allontanava. Alcuni aprirono le loro tende invitando i compagni ad entrare, altri le aprirono e le richiusero immediatamente. Il loro ronfare si udiva tra i sentieri che si snodavano tra gli alloggi.
Continuò a camminare fino alla fine di quel labirinto e scorse qualcuno correre intorno al campo. -Persky!- lo chiamò; l'uomo non rallentò. Mickey imprecò sottovoce e cominciò a seguirlo. Gli ci vollero una decina di minuti per raggiungerlo visto che l'uomo andava sempre più veloce, e un altro paio per riprendere fiato.
-Persky- lo richiamò. -Qualcuno ti ha detto di correre?-
-No. Non ho sentito l'adunata, ho saltato la corsa e quindi mi sono arrangiato-
-Beh, a quanto pare tutti non hanno sentito la sveglia nè hanno corso-
Persky rallentò appena e lo guardò. -Magari abbiamo un giorno libero-
-Lo permettono?-
L'uomo scosse le spalle. -Non senza avvertire ma... non saprei. Il sergente è un tipo strano, magari sta progettando di spararci tutti più tardi-
Mickey non ricambiò il suo sorriso divertito e virò verso le tende. Rallentò fino a fermarsi davanti a quella di Wells e fece per entrare, indugiando. Era la tenda più vicina e le probabilità che Ian si trovasse lì erano tante quante quelle che si trovasse nella propria. E poi così si sarebbe risparmiato un po' di strada invece che arrivare fino alla sua per poi non trovarlo.
Imprecò sottovoce e bussò lievemente contro al supporto di metallo. Niente.
-Siete svegli?- chiamò. Niente.
Si chiuse le mani a coppa sugli occhi e sbirciò attraverso le dita mentre muoveva un passo dentro; scorse la figura di Wells in branda che dormiva con il cuscino stretto al petto e le coperte intorno alla vita. Entrò definitivamente, si avvicinò e tirò un calcio alla branda facendola tremare, ma l'uomo non si mosse.
-Wells-. Dall'altra parte della tenda udì un grugnito di Berns mentre si rigirava ma lo ignorò. Se era in grado di parlare e muoversi come un tronco d'albero, magari era in grado di fare lo stesso quando dormiva. Colpì un'altra volta la branda. -Svegliati-
Ancora niente. Appoggiò un ginocchio sul materasso e lo fece ondeggiare un paio di volte come una barca in mezzo al mare in tempesta. Aspettò che si fermasse e finalmente sentì dei borbottii confusi, insieme a qualche insulto. -Hai visto Ian?-
-Chi?-
Mickey lanciò un'occhiata a Berns. Quell'uomo avrebbe anche potuto essere morto. Scalciò un'altra volta la branda. -Sai, il tizio che te lo mette nel culo- sibilò. Wells brontolò infastidito. - Lo hai visto?-
- Non dall'esercizio con le camionette-
-Non era qui stanotte?-
-No-
-E tu non eri con lui?-
-Cazzo, te l'ho detto, non lo vedo dall'esercizio delle camionette-. Si rigirò nel letto, le lenzuola che gli coprivano a malapena le parti basse. Fece per aprire gli occhi ma sembrava ancora troppo stanco. - E poi, che cosa te ne frega?- aggiunse. -Pensavo volessi stare lontano dai nostri germi gay-
-E' quasi mezzogiorno e nessuno ha suonato l'adunata- sbottò Mickey. -Non ti sembra preoccupante?-
-Magari sta dormendo-
-Ti sembra il tipo che dorme fino a tardi?-
-Non sono il suo ragazzo-
Mickey colpì bruscamente la branda e Wells protestò ad alta voce in risposta. Si mise a sedere con gli occhi che brillavano di rabbia. -Porca puttana, non è qui. Levati dalle palle-
Mickey lo afferrò dal retro del collo e lo scaraventò a terra, poi uscì dirigendosi verso la tenda di Ian, accompagnato da una miriade di insulti. Aveva voglia di una sigaretta e ogni nervo del proprio corpo sembrava sotto l'effetto di una scossa elettrica.
Avvicinandosi, notò un capannello di uomini riuniti davanti alla tenda di Ian. Sussurravano tutti tra loro, come se avessero paura di compiere quei cinque metri che li separavno dall'entrata. Mickey imprecò sottovoce e alcuni si voltarono a guardarlo mentre altri lo salutarono. -E' lì dentro?- chiese. Qualcuno fece spallucce.
-Non lo sappiamo-
Esaminò rapidamente il gruppo. C'erano tutti, persino gli accaniti patriottici. Anche se la maggior parte di loro odiava Ian, lo avrebbero seguito in capo al mondo, ma non avevano il coraggio di entrare nella sua tenda per svegliarlo e scoprire che cosa avesse.
Alzò gli occhi al cielo e mosse un passo in quella piccola terra di nessuno che si era creata al centro del gruppo, spostando la tenda per entrare.

Dentro era buio pesto, le pareti riuscivano a non far passare neanche un raggio di luce. L'uniforme di Ian era abbandonata per terra in mezzo alla stanza, come se si fosse spogliato in fretta e infilato semplicemente a letto. Teneva le coperte sollevate fino al mento e gli dava la schiena, girato verso alla parete. Non avrebbe nemmeno saputo dire se respirasse o no. Si schiarì la gola.
-Ian?-
Nessuna risposta. Fece un passo continuando a fissare la sua figura sdraiata, tirando un sospiro di sollievo quando vide le coperte alzarsi ed abbassarsi lentamente. Almeno non era morto. Ma comunque, drogato, ferito o incapace di alzarsi a causa per mano di qualcuno non era una possibilità da escludere. O addormentato. Magari stava dormendo così profondamente da non aver udito il suono fastidioso della sveglia, la quale era stata buttata per terra (come Mickey aveva constatato camminandoci sopra).
Imprecò e si avvicinò alla branda tenendosi in equilibrio sul piede non infilzato da un'asticella di metallo. Si sostenne al materasso strizzando gli occhi per il dolore. -Ian?- lo chiamò di nuovo, riappoggiando finalmente il piede sul pavimento. Lo scosse appena con una mano sulla spalla. -Tutto bene?-
Niente.
Lo scosse con più forza. -Ehi, su amico. Lì fuori ci sono quaranta uomini che si chiedono se tu sia morto o no-
Udì un mormorio provenire appena dal rosso, il quale si spostò ancora di più contro alla parete tirandosi le coperte fin sopra al viso. -Devi alzarti-
Altri borbottii.
-Che cosa?-
-Ho detto vaffanculo-
Mickey sospirò e fece un passo indietro. -E' mezzogiorno. Solo uno dei tuoi soldati ha eseguito i compiti che avremmo dovuto fare, e molto probabilmente ha alzato quel culone non più di venti minuti fa-
-Non me ne frega niente-
-Ian-
-Ricordi cosa ti ho detto ieri?-
Mickey richiuse le dita a pugno. Ian rimase immobile, la voce come una cantilena. Deglutì rumorosamente e cercò di rilassarsi. -Alzati da quel fottuto letto-
-Lasciami in pace-
-Ian...-
-LEVATI DALLE PALLE!-
Mickey indietreggiò velocemente. Da lì riusciva a sentire il vociare intorno al campo. Cercò di smettere di tremare ma era difficile quando l'ultima volta che qualcuno gli aveva urlato addosso in quel modo era stato quando suo padre lo aveva beccato baciare il figlio dei vicini e lo aveva picchiato fino a ridurlo in fin di vita. Aveva sei anni. Aveva sempre fatto il possibile perchè nessuno gli urlasse più in faccia in quel modo.
In ogni caso, doveva ricordarsi di respirare.
-Stai bene, Ian?- mormorò in tono calmo.
Di nuovo nessuna risposta. Le parole sommesse e le repliche acide avevano lasciato spazio al silenzio, quel silenzio che si adattava di più all'oscurità che lo avvolgeva meglio della logora coperta. Rimase lì ancora per qualche minuto nella speranza che Ian cambiasse idea e si alzasse, ma quando non udì altro che silenzio uscì.
Circa una dozzina di uomini puntarono lo sguardo su di lui quando oltrepassò la soglia. Si schiarì la gola.
-Il sergente non si sente bene, perciò dovremmo... -. Si interruppe con un colpo di tosse. Non aveva idea di cosa avrebbero dovuto fare, nè che tipo di autorità avesse per decretarlo. - ... prenderci semplicemente il giorno libero. E' tutto okay, domani sarà tutto a posto-
Nessuno sembrò credergli ma alla fine se ne andarono. Sperò quasi che restassero, che gli facessero altre domande così da poter trovare una risposta anche per sè stesso. Indugiò per un altro momento e si allontanò anche lui, cercando di ignorare quella sensazione di disagio e fallendo miseramente.
Continuò a ripetersi quell'ultima frase come un mantra. Se le avesse ripetute abbastanza, forse sarebbero anche diventate vere. E fu l'unica cosa che riuscì a farlo tornare a respirare normalmente.

Domani sarà tutto a posto.

Domani sarà tutto a posto.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Ian cercò di alzarsi. Continuava a ripetersi di alzarsi, rotolare giù dal letto e appoggiare i piedi a terra. Quanto poteva essere difficile rigirarsi dall'altra parte e mettersi in piedi? Quanto poteva essere difficile infilarsi un paio di pantaloni? Quanto doveva essere pigro per essere ancora sdraiato a letto?
Prese un respiro profondo, l'aria che gli grattò la gola secca. Richiuse gli occhi cercando di scacciare i pensieri che sembravano levarsi nell'oscurità, volteggiare intorno alla tenda e tornare a rimbombargli tra le tempie. La branda era comoda e calda e forse, se fosse rimasto immobile, gli sarebbero solo passati accanto. Se si fosse coperto ancora di più, magari non l'avrebbero nemmeno visto.
Ogni tanto il suono di alcune voci arrivava ad interrompere il suo monologo interiore durante il giorno o durante la notte. O durante la settimana. Aveva perso il conto di quante persone fossero passate davanti alla sua tenda, o di tutte quelle che potevano passare durante una giornata scandendo il tempo che aveva trascorso a letto, il tempo che aveva trascorso da solo. Le ignorava semplicemente, molte non parlavano nemmeno di lui. Quelle che invece lo facevano, avevano abbastanza buon senso da stare zitte quando passavano di lì.
Sembrava che si stessero divertendo, che fossero meno timorosi del solito. Alcuni sembravano persino essere usciti dai loro gruppi abituali per fare conoscenza con gli altri. Almeno c'era una cosa che aveva fatto bene: era riuscito a renderli uniti, anche se contro di lui.
Si irrigidì quando udì qualcuno avvicinarsi. La tenda si aprì e il lembo di tessuto sbattè contro alla parete. Poi, il clangore metallico delle posate contro ad un piatto, e per fortuna non contro al pavimento. Un sussurro, probabilmente un'imprecazione, passi pesanti e poi solo un silenzio insolito, non più confortante come pochi minuti prima. Non reagì, mosse appena i piedi sotto alle coperte mentre si spostava ancora di più contro alla parete. Sentì il profumo del piatto ma non capì di cosa si trattasse. Lo stomaco gorgogliò immediatamente sebbene il solo pensiero del cibo gli facesse venire da vomitare.
-Ti ho portato la cena- udì la voce di Mickey. Altri passi, il fruscio di un pezzo di carta che veniva strappato mentre appoggiava il piatto sul tavolo. -Ho pensato che magari avessi un po' di fame-
In effetti il suo corpo sembrava richiedere il cibo a gran voce ma la branda era troppo calda e la presenza di Mickey troppo minacciosa. Cercò persino di non respirare troppo per non doversi muovere. La presenza dell'altro uomo gli provocava solo brutti pensieri. "Non gli piaci". "Pensa che tu sia solo un rifiuto". "Sei solo feccia, un frocio di merda". "Feccia". "Feccia". "Feccia".
-Sei rimasto a letto per tutto il giorno, cazzo- continuò Mickey. Riusciva ad udire a malapena le sue parole in mezzo a quel treno di pensieri. -Devi alzarti-
Scosse la testa contro al cuscino. Sapeva che Mickey non poteva averlo visto ma era meglio co piuttosto che non dover dire niente.
Chiuse nuovamente gli occhi cercando di trattenere le lacrime. Mickey aveva ragione, doveva alzarsi. Perchè non ci riusciva, porca puttana?
-Almeno mangia qualcosa-
Cercò di emettere un mormorio ma aveva la gola troppo secca.
-Forza!- urlò ancora Mickey. -Non puoi... -
Due mani furono immediatamente su di lui tirandolo indietro, le coperte che gli scivolarono dal corpo. Cercò di dimenarsi per liberarsi dalla presa. Mickey lo aveva rigirato con l'intento di trascinarlo giù dalla branda, quindi ormai non era più attaccato alla parete. Lo colpì con forza, allontanando le sue mani e riuscendo finalmente a spingerlo via. Si ritrovò seduto, le coperte aggrovigliate intorno alle caviglie, il corpo scosso dai brividi. -Vaffanculo- riuscì a dire.
Mickey deglutì visibilmente, gli occhi blu che brillavano come il mare prima di una tempesta. Tremava e lo fissava come se temesse che potesse scomparire da un momento all'altro. Ian non era sicuro che fosse del tutto impossibile. Avrebbe potuto dargli facilmente le spalle, raggomitolarsi su sè stesso e, con grande gioia di tutti, sparire.
-Abbiamo bisogno di te lì fuori-
-No, non è vero-
-Tutti se ne vanno solo in giro e... -
- ... si divertono e sono felici senza il loro sergente intorno. Sì, l'ho sentito dire da almeno una dozzina di loro mentre passavano qui vicino. Va semplicemente meglio senza di me-
Mickey non trattenne una risata ironica. -Credi che si tratti solo di questo? Sono solo un paio di fighette stressate e felici che nessuno abbia rovinato la loro manicure, un branco di ricchi viziati che stanno per farsi esplodere la testa-
Ian fece spallucce. - Almeno saranno felici in queste ultime settimane prima che succeda-. Fece per rigirarsi verso la parete ma Mickey glielo impedì. Lo guardò con occhi stanchi, e non sconvolti per il suo tono rabbioso. Riusciva a malapena a vederlo nonostante sentisse il peso della sua mano sulla propria spalla. Era l'unica cosa che riusciva a tenerlo su mentre il mondo sembrava crollargli addosso e le parole continuavano a ripetersi nella sua testa. "E' tutta colpa tua". "Sei solo feccia". "Colpa". "Frocio". "Feccia". - Posso tornare a dormire ora?- chiese sforzandosi di usare quel barlume di sarcasmo, facendo invece uscire un tono esausto, sconfitto che provocò i brividi a Mickey. Si scosse la sua mano di dosso.
-Puoi almeno dirmi cosa c'è che non va?- chiese Mickey.
Ian lo fissò a lungo. Era una domanda interessante; la risposta variava da tutto a niente. da Mickey, a Wells, a sè stesso. Il mondo sembrava essersi scollegato e questo poteva essere un male. Il letto che gli sembrava il posto più caldo e sicuro poteva essere un male. Mickey che gli poneva questa domanda, nonostante tra tutti i soldati fosse probabilmente quello che lo odiasse di più insieme agli altri arruolati, poteva essere un male peggiore. Ma nessuna di queste fu la risposta che scelse di dare. - E' colpa mia-
Mickey sollevò la mano dalla sua spalla. -Che cosa?-
-Lip. E' colpa mia se è morto-
Mickey sembrò rimuginare per un momento sulle sue parole. Fece un passo indietro. -Come?-
-Non ero lì-
-Perchè cazzo avresti dovuto essere lì?-
Ian sbattè le palpebre e si sistemò in una posizione più comoda, poi gli fece segno di prendere una sedia. Aspettò che si fosse seduto e continuò. - Appena ho compiuto diciotto anni mi sono arruolato. Naturalmente mia sorella ha dato di matto e Carl e Debbie erano... terrorizzati. Pensavano che non sarei riuscito a prendermi cura di me, quindi Lip decise di fare lo stesso. Ci siamo preparati insieme per anni e poi, quando è arrivata la guerra, eravamo pronti per partire. Insieme, per proteggerci l'uno con l'altro.
Tre giorni prima della partenza il luogotenente mi chiamò nel suo ufficio per dirmi che avevo ricevuto una promozione al ruolo di sergente istruttore. Non sarei andato insieme a mio fratello. E invece di contrattare e chiedere di aspettare fino alla fine del mio servizio, ho colto al volo l'opportunità di una posizione migliore. Alla fine era comunque lui ad occuparsi di me ed era compito mio fare la stessa cosa con lui-
-Ian... -
-E' durato due settimane in Vietnam. Due. E poi, quando è tornato a casa... non penso che Carl lo avesse riconosciuto. Sicuramente neanche Liam. Io... riuscivo  riconoscere i segni, quei piccoli cambiamenti, quella crepa in ogni soldato, e riuscivo a vederlo in quella bara. Carl continuava a chiedere dove fosse Lip, chi fosse quell'uomo nella bara, come potesse credere che quello fosse suo fratello... non sarebbe mai dovuto partire. Era partito per prendersi cura di me, perchè i miei fratelli avevano paura per me. Ma sono stato in grado di occuparmi di me stesso, cazzo. Avrei potuto farcela da solo e Lip... Lip avrebbe dovuto essere all'università. Carl avrebbe potuto chiedere chi fosse quell'uomo dietro alla cattedra con una giacca di tweed invece di chiedere chi fosse l'uomo nella bara. Avrei dovuto occuparmi di lui, avrei dovuto capire subito che lui non avrebbe potuto... lui non... avrei dovuto... -. Inspirò rumorosamente e si asciugò le lacrime ferme agli angoli degli occhi. Mickey era immobile sulla sedia con le mani in mano. Ian cercò di concentrarsi sui propri piedi e sospirò profondamente. -Io posso prendermi cura di me, ma Lip... Lip non aveva idea di ciò a cui stesse andando in contro. E io avrei dovuto capirlo già dal primo giorno, avrei dovuto capire che non ne sarebbe uscito intero-
-Ian...-
-Se non hai niente da dire, potresti andartene?-
Mickey rimase immobile per un po'. Poi si alzò, mise al suo posto la sedia e gli porse il piatto. Glielo posizionò tra le mani, trattenendolo per un secondo prima di lasciarlo. -Mangia qualcosa- ordinò gentilmente. Non gli disse altro, allungò semplicemente le posate verso di lui.
Ian sistemò meglio il piatto sulle ginocchia e raccolse un po' di purè. Lasciò il cibo sulla lingua per qualche minuto prima di deglutire, senza riuscire a gustarselo. Il proprio stomaco brontolò in risposta, come a volergliene chiedere dell'altro. Invece lasciò cadere la forchetta nel piatto.
-Ancora due bocconi-
-Non sono un fottuto bambino-. Lo stomaco protestò di nuovo quindi ne prese ancora, e poi ancora. In breve tempo finì tutto, deciso a voler riempire quella sensazione di vuoto nello stomaco. Mise da parte il piatto vuoto e guardò Mickey. - Puoi andare-
-Ti alzerai domani?-
Ian fece spallucce. Mickey esitò per un momento e si alzò, mentre Ian si sdraiava voltandosi dall'altra parte e tirandosi le coperte fino al mento. Ascoltò i suoi passi che si allontanavano e il fruscio della tenda che si richiudeva dietro di lui. Il silenzio e la solitudine tornarono ad impadronirsi della tenda mentre fissava la parete. Senza nessun'altra presenza, le voci tornarono a tormentarlo e quel buco nello stomaco che aveva cercato inutilmente di riempire crebbe ancora di più.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Due giorni dopo, l'adunata suonò in orario. Mickey grugnì in protesta, riuscendo a malapena ad aprire gli occhi per la stanchezza. Sembrava che il cervello spingesse contro al cranio per cercare di uscire ed ogni rumore aveva lo stesso effetto di un martello pneumatico nelle proprie orecchie.
La notte precedente era stata animata dalle solite partite di poker, sigarette e un nuovo sfizio, l'alcool. Con il sergente fuori dai giochi, Wells era riuscito a sgattaiolare fuori dal campo ed era tornato con una borsa piena di birre. Mickey aveva bevuto fino a smettere di preoccuparsi che Ian potesse non aver mangiato per tutto il giorno e poi aveva continuato fino a dimenticarsi persino chi fosse Ian. Ora i ricordi ritornarono aggressivi uno dietro l'altro, come a punirlo per averli messi da parte.
L'adunata suonò altre due volte costringendo gli uomini ancora assonnati ad alzarsi dalle brande e ad affrettarsi ad uscire vestiti a metà. Ad aspettarli non c'era Ian. Un uomo basso e corpulento con la divisa verde militare perfettamente stirata stava in piedi al suo solito posto. Di fianco a lui c'erano altri due uomini: uno, l'autista dedusse Mickey, indossava anch'egli la divisa e sembrava all'incirca sulla trentina. L'altro, più o meno della stessa età del primo, era più alto e muscoloso, il viso butterato. Indossava una maglietta grigia e pantaloni mimetici e aveva le labbra tirate in un sorriso mentre gli uomini si riunivano sullo spiazzo.
- A riposo, soldati- urlò l'uomo di media statura. -Come avrete notato, il vostro sergente è stato fuori servizio negli ultimi giorni. Alcuni di voi hanno espresso la loro preoccupazione all'ufficio principale ed è per questo che siamo qui. Non possiamo dirvi tutto ma vi assicuriamo solo che il vostro sergente si riprenderà. Speriamo che si rimetta in sesto entro la fine della settimana-
Si diffuse un vociare generale, certamente non lieto della notizia. L'uomo scambiò uno sguardo con il nuovo sergente istruttore (perchè non c'era più dubbio su chi fosse ormai) prima di continuare. - Nel frattempo, sarà il sergente Keller a dirigere il campo-
Il soldato al centro annuì e fece un passo avanti, continuando a sorridere in modo amichevole e disponibile. - Buongiorno, uomini. So quanto sia insolito avere un cambio di autorità durante una preparazione ma vi assicuro che sarà solo temporaneo e il meno duro possibile. Comunque, avete due giorni da recuperare. Sapete che cosa significa?-
Tutti lo fissarono impassibili.
-Niente corsa-. Un paio di uomini esultarono e il nuovo sergente rise. - Lavoreremo subito con le pistole e verso la fine della settimana passeremo a cose più serie. Ora ho bisogno dell'aiuto di qualcuno di voi-
Alcuni degli accaniti si offrirono immediatamente volontari, ma non furono gli unici. I gruppi erano più vari, le barriere erano crollate, e se Mickey non avesse inquadrato tutti fin da subito, sarebbe stato difficile dire dove finisse una cerchia e dove ne iniziasse un'altra.
Rimase indietro insieme ad altri mentre si dirigevano verso la mensa. Una volta dentro sistemarono i tavoli in file ordinate e presero posto. Gli uomini insieme a Keller ritornarono portando invece le pistole di plastica e cominciarono a distribuirle. Ricevuta la propria, Mickey la assemblò e la smontò il più velocemente possibile, seguendo il ritmo dei battiti del proprio cuore.
La stava assemblando per la quarta volta quando Keller parlò. - Oggi impareremo quali sono le componenti basilari delle pistole-
- Lo abbiamo già fatto- intervenne Mickey.
- Non importa, lo rifaremo per essere sicuri che tutti siano sulla stessa lunghezza d'onda- replicò Keller con il suo solito finto sorriso, il quale sparì immediatamente quando notò la pistola di fronte a lui. Tirò fuori dalla scatola i pezzi e cominciò a descriverli uno per uno nel dettaglio con devastante lentezza mentre Mickey scomponeva di nuovo l'arma.
 
Passarono quasi due ore prima che il sergente dicesse loro di provare a rimontare le pistole da soli, un esercizio che avevano già fatto. Mickey eseguì il compito e osservò il sergente vagare per la stanza. Corresse gli errori degli altri senza battere ciglio, modificò alcune parti senza nessuna spiegazione e prese in mano da solo la situazione quando vide qualcuno in difficoltà. Mickey sbuffò e smontò di nuovo la propria.
-La sicura va dietro- suggerì Keller. Mickey lo guardò oltre la spalla. Era a metà dell'ennesimo rassemblaggio e teneva ancora la sicura in mano. Una serie di espressioni colorite gli attraversarono la mente, ma invece di dirle ad alta voce continuò semplicemente a lavorare, montando la sicura al suo posto e terminando il compito senza spostare lo sguardo da quello dell'uomo. Rigirò la pistola tra le mani e gliela porse.
-Credo di aver capito-
Keller sorrise, uno di quei sorrisi che fanno venire voglia di cancellarli con un pugno ben assestato sui denti immacolati fino a lasciare solo una poltiglia di sangue. Restituì la pistola e Mickey per poco non lo insultò.
L'esercizio proseguì per altri dieci minuti. Era difficile fare qualsiasi cosa quando era il sergente ad occuparsi di tutto.
Dopo quello, passarono al successivo: mirare. Mickey se ne andò a metà dell'esercizio.
Tirò fuori una sigaretta e la accese. Il fumo era aspro nella sua gola e il filtro non aveva nessun sapore. La buttò via dopo un solo tiro, osservando la brace che si spegneva tra l'erba secca. Avvertì dei passi e si voltò, ritrovandosi davanti Denny che lo fissava con le mani in tasca, cercando di non mostrare lo sconvolgimento per averlo visto andarsene in quel modo. -Ehi- lo salutò.
-Che cosa vuoi?-
-Il sergente mi ha mandato a riprenderti-
-Non è il mio fottuto sergente-
Denny deglutì. - E'... meglio del sergente Gallagher-
-E' meglio?- ripetè Mickey. Buttò fuori una risata ironica e scalciò il mozzicone verso il ragazzo, facendolo atterrare poco più in là. - Il sergente "Sorriso-falso" dell'accademia "tratta-tutti-come-dei-cazzo-di-bambini-incapaci" è meglio di Ian? Ti sembra migliore? Fanculo. Pensavo volessi restare vivo-
-Resterò vivo. Mi ha lasciato uscire perchè ha detto che ho la mira giusta-
-Keller ti farà uccidere-
-Mickey... -
-E' così. Lo hai visto? Hai visto come corregge gli errori di tutti? Come cammina, come se avesse un qualche potere sovrannaturale che gli permette di prendersi cura di noi? Non potrà occuparsi di tutti in Vietnam, non potrà sistemare gli errori prima che saltiamo in aria nella dannata giungla. Sono passate tre ore e ci ha insegnato solo come morire opponendo la minima resistenza. Ci trasformerà in carne da macello-
-Sono solo tre ore-
-Ho visto abbastanza-
-Torni dentro?-
Mickey lo fissò per un momento, poi riprese a camminare passandogli oltre. Denny lo seguì fino alla mensa. Quando rientrarono Keller sorrise. -Guarda chi ha deciso di unirsi a noi. Cadet... -
 Il resto del discorso venne interrotto dalla porta della cucina che si richiuse alle spalle di Mickey. Il cuoco lo fissò con uno sguardo scioccato, in piedi dietro ad una tinozza fumante piena di solo Dio sa cosa. - Ho bisogno della colazione- disse Mickey.
-Non finchè non lo ordina il sergente-
-E' per il sergente- sbottò. L'uomo esitò e si voltò dall'altro lato, armeggiando con il fornello, e gli porse un piatto di uova strapazzate e bacon. Mickey lo prese e uscì senza dire una parola.
Andò verso la tenda di Ian ma fece immediatamente un passo indietro quando vide uscirvi due uomini in uniforme che sussurravano tra loro. Le uniche parole che riuscì a sentire furono: "Malato", "Pericoloso" e "Rischio". Aspettò che passassero oltre e riprese a camminare.
 
Ian era seduto sulla branda a torso nudo, le coperte che gli coprivano una gamba. Sembrava sul punto di tornare a dormire, le palpebre che gli calavano in protesta a due enormi cerchi scuri sotto agli occhi. Si fermò sul momento quando vide entrare Mickey e allungò il braccio per prendere il piatto.
Mickey glielo porse e lo osservò mentre lo ispezionava incerto, spargendo più cibo intorno di quanto ne mangiasse realmente. Prese una sedia accanto al tavolo e la posizionò di fronte a lui per sedersi, restando entrambi in silenzio mentre mangiava.
-Grazie- disse ad un certo punto Ian, spostando il piatto.
-Perchè erano qui?-
Ian sbattè lentamente le palpebre, gli occhi che non sembravano voler restare aperti. - Era solo il dottore-
-Dottore?-
Ian fece spallucce. - Ogni tanto passa a dare un'occhiata-
Mickey non seppe cosa replicare. Cercò una risposta adatta per cambiare discorso mentre lo stomaco gorgogliava. Ian gli porse un'avanzo di bacon e lo divorò immediatamente, per poi finire tutto il piatto. Era rimasto quasi tutto, era solo stato sparpagliato intorno. Avvertì una fitta di senso di colpa per aver spolverato tutte le uova, realizzando che magari avrebbe potuto lasciarne un po' nel caso Ian avesse avuto fame più tardi.
- Posso chiederti una cosa?
Mickey alzò gli occhi dal piatto. -Certo-
-Io ti faccio paura?-
- Se mi fai paura?- ripetè Mickey. Ian annuì e il moro buttò fuori una risata. - No-
- Il generale ha detto che chi mi ha fatto rapporto ha paura di me-
- Chiaramente non sanno cosa vuol dire avere paura- replicò.
Quando Ian tornò a sdraiarsi senza dire nulla, il corpo che finalmente crollava, aggiunse: - So riconoscere quando qualcuno vuole fare del male e PUO' fare del male. E tu non faresti del male neanche ad una cazzo di mosca-
Ian emise una risata beffarda. - Sono un sergente dell'esercito. Pensi che sia arrivato fin qui lasciando volare le mosche sul mio piatto?-
-Penso che tu sia arrivato fin qui perchè sapevano che non avresti sparato-
Ian si rigirò per guardarlo. Un occhio era coperto dal cuscino ma l'altro era fisso su di lui. Mickey mantenne un sorriso canzonatorio sulle labbra. Era bravo in questo, pensava potesse essere d'aiuto in qualche modo.
-Quando è stata l'ultima volta che ti ho spaventato?- chiese Ian. La domanda alleggiò pesante tra di loro mentre calava il silenzio. Mickey pensò di mentire, ma quando posò lo sguardo sul sergente di fronte a lui non ne fu capace.
-Due giorni fa- ammise. - Quando non volevi alzarti-
-Non quel tipo di paura-
Mickey scosse le spalle. -Questa è stata l'ultima volta-
Ian non disse nulla per un momento, lo sguardo che vagava incessantemente da una parte all'altra del soffitto. - Allora lascia che ti riformuli la domanda... Quando è stata l'ultima volta che ti sei sentito spaventato da me?-
-Quando mi hai fatto fare tutti quei giri di corsa il primo giorno-
-Non quando ho quasi sparato a Miller?-
Mickey rise. -Era una pistola finta, cazzo. E in quel momento ho capito-
-Che cosa?-
-Lo sguardo che avevi negli occhi- rispose Mickey. - Non era lo stesso di sempre. Certo, faresti molto peggio che mandarmi a correre intorno al campo, ma non mi faresti del male. Non lo faresti a nessuno. Sei qui per proteggerci e a volte... a volte significa che devi superare un po' il limite. E lo capisco, ci passo sopra. Ma so che non alzeresti un dito su nessuno di noi. Per questo non mi fai paura-
-Per gli altri non è lo stesso-
- Gli altri sono degli idioti che non le hanno mai prese in vita loro. Non conoscono la differenza tra l'intimidazione e l'affetto profondo-
Ian rimase in silenzio per un pò, poi concluse. - Sei congedato, Milkovich-
-Non ho intenzione di tornare da Keller-
Ian scosse le spalle. - Sai che me ne frega-
-Ti dispiace se resto seduto qui?-. Ian non rispose quindi lo prese come un no. Si sporse dalla sedia e rovistò tra i suoi effetti personali, trovando un libro di quelli enormi con il titolo da una lunga serie di parole. Una volta aperto trovò un segnalibro circa a metà e un segno in penna sulla pagina a sinistra. Alternò un'occhiata tra lo scarabocchio e Ian, raggomitolato su sè stesso con il viso rivolto verso al muro, e si schiarì la gola. Cominciò a leggere da quel punto ed Ian non ebbe alcuna reazione.
 
Lesse fino alla fine del libro, la voce ormai rauca e la gola arsa. Spostò i piedi dalla branda e si alzò, chinandosi appena su Ian. Aveva gli occhi chiusi ed il respiro calmo e regolare. Ripose il segnalibro al suo postò e uscì.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Trascorsero cinque giorni. Ogni tanto Mickey passava. Pensava fossero le volte in cui lo aveva visto, una volta al giorno. Un pasto al giorno. Pochi secondi appena sveglio al giorno. Cinque volte, cinque giorni. Aveva senso.
Cinque giorni e non si era alzato dal letto. Cinque giorni e l'unica persona che era passata a controllarlo era l'unica che lo odiava. Cinque giorni e l'unico motivo per cui si preoccupavano della sua assenza era la paura di morire. Motivi egoisti che non lo riguardavano personalmente. Era solo. Cinque giorni da solo.
Si alzò dal letto. Il materasso stava cominciando a lasciargli strani segni sulla pelle diafana, scie rossastre che non sparivano neanche strofinandoci sopra più volte. Gli faceva male la schiena, aveva i crampi alle gambe e gli occhi erano stanchi persino di restare chiusi.
Entro un paio di minuti non gli sarebbe importato più di niente.
Cominciò a rovistare tra i cassetti della scrivania; era sicuro di avere una revolver da qualche parte. Un regalo per la sua partenza, ironizzando sul fatto che l'esercito avesse armi che non avevano neanche mai visto la guerra, mentre quella, invece, proveniva dal loro quartiere e di guerre ne aveva viste eccome, più di tutte quelle pistole luccicanti messe assieme. Al tempo aveva riso, gli era sembrato divertente, ora invece sembrava solo prendersi gioco di lui. Una pistola che aveva vissuto la guerra per un uomo troppo codardo per combatterla. Era perfetto, poetico. O ironico. O forse entrambe le cose.
La riesumò da sotto una pila di fogli e controllò il caricatore. Era piena. Fece comunque girare una volta il tamburo, lo facevano sempre tutti. Il suono che emise fu come quello di un treno che correva sulle rotaie; regolare, assordante e troppo veloce per potersi fermare. Fece rientrare il tamburo e guardò il calendario appeso alla parete. Certo, donne mezze nude non erano esattamente la rappresentazione più accurata di suo fratello, anzi, sarebbe stata una sorpresa se fosse riuscito a trovarne più di una nella sua vita ( e qui riuscì a sentire la voce di Lip che protestava nella sua testa) ma era l'unica cosa che aveva. Tutto il resto era stato rispedito a Chicago dalla sua famiglia. Non voleva essere perseguitato dai ricordi ma ora desiderava avere qualcosa di più che un semplice calendario raffigurante donne con tette enormi.
Sospirò e si portò la pistola alla testa. La canna era fredda contro alla fronte, come un ultimo bacio della morte.
Chiuse gli occhi, nonostante sembrassero protestare. Il buio permise ai suoi fantasmi di ritornare in superficie, soprattutto di suo fratello, ma anche di tutti quegli uomini che aveva spedito in guerra e che erano tornati dentro ad una bara, ai quali aveva promesso di tornare a casa vivi, se non tutti interi.
Il dito indugiò sul grilletto. Tremava incontrollabilmente, al punto di poter arrivare a sparare involontariamente ancora prima di essere pronto.
Prima di essere pronto.
Tutti quegli uomini partivano ancora prima di essere pronti. Lip se n'era andato prima di essere pronto. Due mesi non bastavano per preparare qualcuno ad andare in guerra. Due mesi non bastavano per insegnare ad un cucciolo a fare fuori i suoi bisogni.
Anche la mano tremava ora. Prese un respiro profondo. Stava per portare la pistola alla tempia quando entrò qualcuno.
-Porca puttana-
Si girò e abbassò la pistola. Mickey era in piedi davanti all'entrata portando un piatto tra le mani.
 Strano. Non si era accorto che fosse passato un altro giorno. O forse... ne erano passati solo due? Il terzo pasto del secondo giorno... Cercò di ricordare quanto tempo fosse passato da quando Mickey si era fermato a leggere per lui ma non ci riuscì. Il tempo era solo una linea sfuocata nella propria mente annebbiata dai pensieri.
-Ian... - deglutì pesantemente Mickey. - ... ma che cazzo?-
- Vattene-
- Stavi per premere il grilletto?-
- Cosa diavolo te ne importa?-
Mickey imprecò, la voce spezzata. Lasciò cadere il piatto sulla superficie più vicina, senza curarsi di aver sporcato un lembo di tenda. - Cosa me ne importa? Mi prendi per il culo, cazzo? Ti stavi puntando una dannata pistola alla testa!-
- La testa è mia, sono affari miei-
- Sei un bastardo egoista-
- Levati dalle palle- esplose Ian. Si portò nuovamente la pistola alla fronte ma il braccio tremava ancora. Non sentiva più la voce di Lip. Chissà se i demoni erano scappati per colpa di Mickey. La pistola tremava contro alla tempia. Quel gelo non era più un bacio, ma la carezza ruvida e graffiante di un mucchio di ossa.
- Metti giù quella cazzo di pistola- cercò di ammonirlo Mickey.
- Vai via, soldato. Questo è un ordine-
- Io non prendo ordini da te!-
Ian gli puntò addosso la pistola. I nervi sembrarono calmarsi quando la allineo con la sua fronte. Smise di tremare. - Tu invece ascolterai i miei fottuti ordini. Vattene, soldato-
- Non lo farai-
- Non ci scommetterei-
Mickey fece un passo avanti finchè la canna non aderì contro alla sua pelle, fissandolo negli occhi. - Fallo allora-
Ian rimase immobile per un bel pò. Il corpo fu nuovamente scosso da tremiti, le membra improvvisamente esauste che lo imploravano di tornare a letto.
Mickey gli afferrò la mano e gli tolse gentilmente la pistola. Inserì la sicura e la lanciò il più lontano possibile. Indugiò per un momento poi appoggiò una mano sul suo viso. -Ehi, è tutto okay. Va tutto bene-
Ian incrociò il suo sguardo per un secondo. - Niente va bene-
- Ian... -
- Merda, potresti lasciarmi in pace?-
- No-. Mickey rimosse la propria mano ed Ian tornò a sedersi sulla branda. - Anche se ti prendessi la pistola, nessuno mi assicura che non ce ne siano altre. So che ce ne sono circa un centinaio in magazzino, neanche tanto lontano da qui. Quindi no, non ti lascerò in pace dopo essere entrato ed averti trovato con una revolver alla testa. Per che razza di idiota mi hai preso?-
- Mickey... -
- No-
Ian deglutì e si passò una mano tra i capelli. - Non voglio più sentire tutto questo-
- Sentire cosa?-
- Tutto. Non voglio sentire più. Non voglio più sentirmi in colpa per mio fratello. Non voglio questo senso di colpa. Non vogli sentirmi triste, non voglio sentire affatto. Voglio solo... voglio andarmene, voglio che smetta di succedermi qualsiasi cosa e... e non posso più rimanere in questo letto-
- Ma vorresti stare in una tomba?-
- Una volta morto non ci sarò più. Non dirmi che credi che ci sia qualcos'altro-
-Non puoi farlo-
- Neanche Keller ti vuole morto. E' meglio che i soldati durino un paio d'anni così non devono prepararne troppi di nuovi-
-Keller è solo un incapace, ma non intendevo questo-
-E cosa allora? E' uno spreco? Non puoi rovinarmi la vita se non ne ho più una? E' troppo fastidioso guardare mentre mi uccido quando vorresti farlo tu? Prego, prendi la pistola. Puoi premere tu il grilletto-
- Sei un fottuto idiota-
- Dimmi qualcosa che non so-. Fissò Mickey a lungo, completamente immobile fatta eccezione per il tremore del corpo, in piedi in mezzo alla stanza e totalmente esposto sotto al suo sguardo. Il moro si passò una mano sul viso.
-Vuoi sapere perchè ero venuto da te?-
- Cosa?-
- Quella sera, quando sono entrato e... -. Fece un gesto casuale con la mano per poi continuare. - Vuoi sapere perchè volevo parlarti? Perchè sono venuto qui?-
Ian rimase in silenzio, assimilando le sue parole. Non aveva idea di cosa stessero facendo ora o che cosa dovessero fare di fronte al suo desiderio di morire. Ma una parte di lui era davvero curiosa di sapere perchè Mickey fosse venuto nella sua tenda a notte fonda e senza essere richiesto, presentandosi da solo come avrebbe voluto che tutti gli altri facessero, sentendosi abbastanza a loro agio. Una parte di lui soffriva ancora per non essere riuscito ad aiutarlo quella volta, per averlo perso quella notte.
 - Certo- rispose.
- Le lettere. Avevi quattro maledette lettere, una scritta con i pastelli. E in tutte c'era scritto che qualcuno ti vuole bene, che a qualcuno importa di te, che qualcuno vuole che tu torni a casa. Quattro cazzo di lettere per ogni membro della tua famiglia-
- Ne ho cinque-
- Ne ho sei. Sette se conti la troia che aspetta mio figlio. Quindi sono in vantaggio su questo. E sai quante lettere ho ricevuto?- chiese. - Zero. Neanche un "dove hai messo le mie sigarette?". E tu hai quattro persone che dicono di volerti bene, che hanno bisogno che tu torni a casa intero anche se non sei nemmeno in pericolo. Quindi sono tornato per poter rileggerle. Volevo capire come fosse possibile che un ragazzo cresciuto a pochi isolati da me nel mio stesso merdoso quartiere e nello stesso merdoso sistema possa avere così tante persone che lo amano. Perchè io non ne ho nessuna. E tu ne hai quattro. Quattro su cinque non è male-
- Le lettere sono sul tavolo-
- Non afferri il punto, cazzo-
Ian lo fissò impassibile. Si sentiva formicolare le dita al pensiero della pistola. Il grilletto era solo il punto di pressione e la sua testa l'obiettivo. Avrebbe potuto facilmente essere uno di quelle figure scure di cartone al poligono di tiro.
- Eccoti qui, pronto a non tornare da loro-
Ian rimase in silenzio.
- Quattro persone ti vogliono vivo! Quattro!- urlò Mickey. - Come fai a non capirlo? Come fai a non renderti conto che ci sono quattro persone preoccupate a morte per te nonostante tu non stia nemmeno andando in guerra? Tante persone che ti vogliono nella loro vita? E tu sei disposto a buttare via ciò che loro vogliono di più al mondo. Non ti importa nemmeno di loro?-
- Non è per loro-
- E per cosa allora? Per l'unica persona da cui non puoi tornare? Perchè onestamente, si fotta. E' morto. Se n'è andato da un bel po' ormai, e tu invece sei ancora qui.  Ormai non ti aspetti più che torni, quindi dimmi che differenza fa ora. Cos'è cambiato ora rispetto a qualche giorno fa?-
-Vaffanculo-
- Sì, vaffanculo a me. Fanculo al mondo. Fanculo tutto. Ma non mandare affanculo le quattro persone che ti amano più di ogni altra cosa e che hanno paura per te. Vaffanculo a tutto il resto ma non a loro-
Ian scosse la testa. -Non capisci-
-Spiegami allora-
-Non posso-
Mickey si leccò il labbro inferiore e si guardò intorno. - Hai qualcos'altro che posso leggere?-
- No-. Ian rimase in silenzio mentre il moro continuava a guardarsi intorno. - Puoi andare-
- Domani non voglio venire a portare le uova ad un cadavere insanguinato-
- Non venire allora- fece spallucce Ian.
- Fottiti-
- Che cosa vuoi da me?-
- Mi hai fatto una promessa. Mi hai promesso che mi avresti fatto tornare a casa vivo-
Ian sorrise triste. -E tu mi hai creduto?-
- Non credo alle promesse dal giorno in cui sono nato, ma non sono l'unico a cui l'hai fatta. L'hai fatta ad ogni uomo lì fuori e alcuni di loro... non capiscono una promessa infranta. Non capiscono che per alcuni tornare a casa in una bara sarebbe meglio. Vogliono tornare vivi. Vogliono credere che tu sia l'unico a poter fare in modo che sia così. Puoi aiutarli a battere le probabilità , puoi aiutarli a scendere da soli dall'aereo invece di essere portati. E che tu voglia mantenerla o no, loro credono a questa promessa. E sei stato tu a farla. Quindi forse dovresti alzarti da quel cazzo di letto e assicurarti che Keller non li faccia ammazzare tutti-
- Non posso impedire che qualcuno venga ucciso-
- Ma puoi farli sentire al sicuro-
- Nessuno è al sicuro, Mickey-
- Tutto quello che ti sto chiedendo è semplicemente di raccontare loro la storia della buonanotte, non di credere alle favole- ribattè Mickey.
Ian lo fissò per un po' poi annui. - Raccontare la favola della buonanotte. Promettere che non moriranno in Vietnam. Farli rigare dritto... Potrei vendere l'anima al diavolo. L'ho già fatto prima-
- Ian... -
- Sono stanco-
- Stai seriamente tornando a dormire?-
- Vuoi restare lì a guardarmi?- gli chiese.  Pensò di suonare stanco e sconsolato ma Mickey sembrò prenderlo come una sfida. Il moro prese la sedia da sotto al tavolo e la posizionò davanti al letto. Una volta seduto, gli fece un cenno verso alla branda. - E' fottutamente inquietante-
- Non ti lascio da solo-
- Sono comunque da solo-
Rimasero a fissarsi a lungo. Ian si leccò il labbro superiore, le gambe che gli tremavano. Voleva solo tornare a letto e usare quel poco di energia che gli rimaneva per riuscire a tenere gli occhi chiusi, ma aveva anche freddo, e non voleva più sentirlo. Gli ricordava la canna della pistola, quella pistola che ora lo chiamava dall'altra parte della stanza. E aveva una promessa da mantenere. Avrebbe aspettato fino alla partenza degli uomini.
Le parole gli uscirono prima di poterle fermare. Conosceva già la risposta e sapeva di perdere quell'ultima barriera contro a quella pistola, ma il letto era freddo e il calore del suo corpo era ormai svanito. - Ti sdrai con me?-
Per un momento credette di aver congelato il tempo con quelle semplici quattro parole. Mickey era completamente immobile, senza sbattere nemmeno gli occhi. Poi, molto lentamente, si passò più volte la lingua lungo il labbro inferiore e annuì, alzandosi dalla sedia con fare impacciato.
Ian si sdraiò e tenne sollevate le coperte per farlo entrare. Si spostò contro alla parete cercando di lasciargli più spazio possibile. Le ginocchia di Mickey erano incastrate perfettamente con le sue e il suo respiro e caldo contro al suo collo. Per un breve e doloroso momento, quello tra le ginocchia fu l'unico contatto tra loro.
Ma poi, Mickey gli circondò il torso con il braccio, attirandolo a sè. Era molto più piccolo di lui ma Ian ci stava perfettamente. Esalò un respiro profondo mentre i loro corpi si rilassavano uno contro l'altro. Per la prima volta dopo tanto tempo, Ian scivolò nel sonno desiderando di svegliarsi la mattina dopo.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Mickey aprì gli occhi per primo. Gli ci volle un momento per realizzare la sensazione di sicurezza e calore che lo avvolgeva. Sbattè le ciglia contro al retro del collo di Ian e un brivido gli corse lungo la schiena quando realizzò quanto fossero vicini, ogni centimetro del proprio corpo perfettamente incastrato con quello del rosso. Non voleva emettere nemmeno un fiato per paura di distruggere quel puzzle in cui si era ritrovato.
Molto lentamente, si sporse in avanti. Inalò intensamente il profumo di Ian, un misto di sigarette, sporcizia e polvere, e fu scosso da un tremore. Si trattenne dal prendere un respiro profondo, sapendo che non lo avrebbe calmato come avrebbe voluto.
Esitò per un momento, rimanendo a fissare il collo di Ian. Riusciva a sentire il suo respiro, il braccio che si alzava e si abbassava al ritmo del suo petto. Fu attraversato da un brivido quando si chinò lievemente e gli sfiorò la pelle con le labbra. Vi adagiò timidi baci, il suo profumo nelle narici, cercando di imprimerne ogni secondo nella mente. In questi modo avrebbe potuto fingere di provare la stessa cosa quando si sarebbe svegliato accanto alla sua futura moglie.
Scivolò fuori dal letto e si stiracchiò, tornando poi a guardare Ian che dormiva beatamente. Avrebbe aspettato che si fosse svegliato per assicurarsi che si alzasse dal letto. Mentre lo guardava e aspettava la sveglia, si creò una lista mentale di tutte le cose che avrebbe dovuto fare quella mattina.
Quando suonò l'adunata, Ian non si mosse di un centimetro. Mickey attese qualche secondo, sperando di cogliere anche il più piccolo gesto, ma non accadde. Si avvicinò e gli scosse la spalla, ottenendo un grugnito in risposta. - Alzati- ordinò gentilmente.
Ian borbottò parole incomprensibili, o forse non proprio visto che Mickey riuscì a distinguere un "vaffanculo" forte e chiaro.
- Avevi detto che ti saresti alzato oggi-
- No, non è vero-
- Mi hai promesso che avresti raccontato la favola della buonanotte-
- Di' loro di non credere alle favole-
- Fottiti- ribattè Mickey. -Alzati-
Ian protestò e si rigirò puntando lo sguardo su di lui, ancora raggomitolato su sè stesso. Lo guardò casualmente, un sorriso appena accennato all'angolo delle labbra. - Allora, per quanto?- chiese.
- Che cosa?-
- Per quanto sei rimasto nel letto?-
Mickey fece per rispondere ma non trovò le parole. Aveva l'impressione che le proprie guance stessero acquistando sempre più colore, quindi cercò di deglutire il cuore in gola.
- Avanti, so che non sei rimasto tutta la notte accoccolato ad un frocio. Dimmi, dopo quanto tempo ti sei alzato?-
- Vaffanculo-
- Voglio saperlo-
- Alzati da quel cazzo di letto-
Ian rimase a fissarlo per un po'. - Passami gli stivali-
Mickey si girò, trovò gli anfibi neri e lucidi vicino alla scrivania, li raccolse e li lanciò in fondo alla branda. Ian rotolò fino a mettersi dritto e se li infilò per poi allacciarseli.
- Non ti cambi?-
- No-
- Hai indossato la stessa divisa per almeno una settimana, ci hai dormito, non ti sei nemmeno fatto una doccia e non l'hai lavata-
- Non mi cambio-
- Dovresti... -
- Puzzo?-
Mickey deglutì. Ian incrociò il suo sguardo con un insolito luccichio negli occhi e per un momento non fu più tanto sicuro di essersi svegliato per primo. Ian era stato sveglio tutto il tempo. Aveva sentito i suoi baci.
Scacciò immediatamente quei pensieri. Ian era rimasto immobile come se fosse morto, non aveva alcuna idea.
 - Come un fottuto cassonetto dell'immondizia-  rispose.
Ian sembrò pensarci sù e fece spallucce. - Vorrà dire che li spaventerò ancora di più-
- Che cosa dirai?-
- Che cos' ha detto il generale?-
- Solo che ti saresti ripreso- . Lo seguì con lo sguardo mentre si alzava. Il suo corpo sembrava protestare ad ogni movimento, come se il letto fosse il suo unico habitat naturale. - Hai intenzione di dare più spiegazioni?-
- No-
- Succede spesso?-
- Che cosa?-
Mickey fece spallucce. Teneva le braccia incrociate al petto e sembrava mettercela tutta per scavarsi un solco nelle labbra con i denti. - A volte mia mamma... prende troppe aspirine e dice sempre che si è sbagliata ma... quando avevo sei anni ho cominciato a nascondere le pistole-
Ian rimase immobile per un momento poi sforzò un sorriso e si voltò verso l'entrata. - Non devi nascondere le pistole da me, Mickey-
Quelle parole non fecero niente per farlo sentire meglio. Seguì Ian fuori dalla tenda, restando qualche passo più indietro per non dare l'impressione che stessero camminando insieme. Nonostante questo però, ci era voluto un pò per farlo alzare e vestire quindi erano rimasti gli unici due assenti. E Keller era rimasto lì in attesa che arrivasse tutto il gruppo prima di mandarli a correre. 
Mickey andò al proprio posto mentre Ian cominciava a parlare con lui, fissandolo con un sorriso provocatorio mentre gli porgeva la mano. Keller fu colto alla sprovvista ma alla fine la strinse e e disse qualcosa come "Sono contento che tu sia tornato". Si voltò poi verso di loro.
- Allora, uomini. Sembra che il vostro sergente sia tornato e pronto a svolgere il proprio dovere-. Ci fu solo silenzio in risposta. - Nei prossimi giorni sarò qui intorno finchè non manderanno qualcuno a riprendermi ma ora è il sergente Gallagher al comando-. Sembrò quasi fare l'occhiolino, ma si trattenne. Mickey sputò per terra.
Ian fece un passo avanti. - Grazie, Keller. Ora, uomini, sapete cosa fare. Cominciate a correre-
Mickey restò immobile sul posto per assicurarsi che Ian mantenesse la sua bella facciata, poi seguì gli altri. Non passò molto che Wells gli si affiancò, rallentando per tenere il passo. - Che cos' hai fatto?- chiese.
- Di cosa parli?-
Wells alzò gli occhi al cielo. - Avanti, sei l'unica persona a cui freghi qualcosa di Gallagher. Allora, che cos'hai fatto? Cos' hai fatto per farlo smettere di succhiarsi il pollice?-
- Sei tu il suo ragazzo-
- Scopamici e fidanzati sono due cose ben diverse-
Mickey strinse i pugni ma il livido sotto all'occhio di Wells gli ricordò di averlo già colpito una volta. Moriva dalla voglia di rifarlo, giusto per rendere uguale anche l'altro. Avrebbe donato al mondo bel capolavoro estetico.
- Gli dai quello che vuole?- continuò a punzecchiarlo Wells. - Non ti ho visto uscire dalla sua tenda ieri sera. Ti ha tenuto fino al mattino? E' bravo sai, a stare in piedi, ad andare avanti. Scommetto che ti è piaciuto stare piegato a novanta come una puttanella... -
- Penso sia buffo- replicò tranquillamente Mickey. - che siamo in un campo per imparare come uccidere. Due mesi per insegnarci come sparare a qualcuno dritto in faccia. Le pistole sono dappertutto e sono sicuro che ogni tanto gli incidenti succedano-
- Mi stai minacciando, Milkovich?-
- No. Se lo stessi facendo ti direi che non sei il primo che cerca di fare il furbo con me. E aggiungerei che chiunque fosse, ora è sottoterra-
- Che paura-
Mickey scosse la testa. -No, è solo la verità-. Fissò Wells finchè l'uomo non scoppiò a ridere e lo superò.
Sputò per terra. Aveva lo stomaco sottosopra, quasi implorandolo di fermarsi per vomitare. Gli tornarono in mente alcune immagini di quella notte. Lui che si infilava nel letto di Ian, le loro gambe intrecciate, i piedi che si sfioravano. Le sue labbra che gli sfioravano il collo alla mattina e l'odore di sigaretta.
Superò l'ultima curva e comparve Ian accanto a Keller con una sigaretta in bocca, buttando il fumo verso l'alto. Avrebbe voluto sentire il suo gusto. Non della sigaretta. La nicotina non era abbastanza forte da fargli palpitare il cuore. No, avrebbe voluto sentire il sapore delle labbra di Ian contro alle proprie. Sigaretta, muschio, sporcizia, polvere sulla lingua.
Ian sparì di nuovo dal suo campo visivo e sputò di nuovo per terra. Ancora una volta le parole di suo padre tornarono a perseguitarlo insieme al disgusto. I brividi lo attraversarono per i suoi stessi pensieri, per come il suo corpo stesse reagendo alle immagini che continuavano a susseguirsi davanti ai suoi occhi. Era solo il frammento di un sogno, l'ultima cosa che si ricordava prima di aver aperto gli occhi.
Nel sogno non si era limitato ad infilarsi nel letto di Ian, non gli aveva baciato semplicemente il retro del collo. Si erano sdraiati uno di fronte all'altro e si erano baciati. E quel bacio, l'immagine delle labbra di Ian contro alle sue e il suo sapore finalmente chiaro e intenso nella sua bocca, continuava a pulsargli tra le tempie. Quel sogno cercava di diventare realtà combattendo contro alla mera forza di volontà.
Cominciò un nuovo giro. Ian era ancora lì con la sua sigaretta. Sentì salirgli la nausea e cambiò direzione. Passò oltre i due sergenti senza nemmeno guardarli e corse in bagno.
Si inginocchiò sul gabinetto e si liberò lo stomaco. Una volta finito, si infilò due dita in gola per continuare. Voleva togliersi dalla bocca il sapore di Ian, liberarsene completamente. Era una dipendenza, solo un'orribile e malsana dipendenza da cui poteva guarire. Suo padre gli aveva sempre detto di poterlo curare a forza di botte; lo avrebbe fatto da solo.
Quando lo stomaco fu completamente vuoto e la gola gli bruciò per il sapore acido di bile, rimase con la fronte appoggiata al bordo della tazza. Tremava in tutto il corpo e dopo un lungo momento in cui si era sforzato di non farlo, cominciò a piangere.
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Ian sperò che la sigaretta riuscisse a calmarlo, ma alla fine cominciò semplicemente a fingere che fosse così, o meglio, che non avesse affatto bisogno di calmarsi. Keller continuava a gettare occhiate oltre la spalla, cosa che avrebbe potuto sopportare senza problemi se non fosse stato occupato a chiedersi se Mickey stesse bene.
Lo aveva visto correre verso il bagno e fremeva dalla voglia di seguirlo, ma Keller aveva detto qualcosa, non ricordava le parole esatte, quindi era rimasto piantato lì. Gli uomini avrebbero corso l'ultimo giro e poi si sarebbero esercitati al tiro a segno, era già tutto pronto. Forse era stato Keller a deciderlo.
Buttò a terra il mozzicone consumato e lo schiacciò sotto allo stivale, spostando rapidamente lo sguardo un'ultima volta verso ai bagni nella speranza di veder uscire Mickey. Andò poi a piazzarsi davanti ai bersagli, aspettando che i soldati terminassero le serie di flessioni, addominali e salti sul posto, e si schiarì la gola quando ebbero finito.
- Mi è stato riferito che alcuni di voi sono già abbastanza bravi da poter usare le pistole vere- cominciò, guardandoli uno ad uno. La maggior parte sembravano nervosi, altri emozionati. - Jenkins, Hart, Massey, Lincoln e Johnson userete ancora le pistole di plastica-
- Che cosa?- esclamò Jenkins. Massey si schiarì la gola.
- Penso che volesse dire "mi scusi", signore-
- Le pistole non sono giocattoli- spiegò Ian. - E se vi illuminate come un bambino alla mattina di Natale quando ne sentite solo parlare, non ve le lascerò neanche toccare. Non ne toccherete nemmeno una finchè non  saprete davvero come usarla, finchè non capirete che quando si spara a qualcuno fa male. Vi mozza il fiato. Fa male tanto a voi quanto a loro. Siete emozionati all'idea di partire e andare ad uccidere? Sarete i primi a morire. Quindi prendete le pistole di plastica e toglietevi quello stupido sorriso dalla faccia-
Keller si schiarì la voce e Ian lo guardò inarcando un sopracciglio. - Sì, sergente?-
- Forse sarebbe meglio lasciarli usare le pistole vere come gli altri-
Ian sorrise. -Forse sarebbe meglio non contestare la mia autorità di fronte ai miei uomini-
- Sto solo suggerendo che se vuoi costruire una squadra, far usare le pistole di plastica potrebbe farli sentire tagliati fuori-
Calò il silenzio mentre Ian lo fissava. Allargò appena il sorriso sulle labbra e si voltò di nuovo verso gli uomini. - Sapete, Keller ha decisamente ragione-. I cinque nominati sorrisero. - Quindi oggi userete tutti le pistole di plastica e forse domani, come squadra, capirete che le pistole non sono giocattoli- . Li fissò ancora un momento poi fece un cenno verso le scatole contenenti le pistole finte. I soldati obbedirono, protestando sottovoce.
- Dovremmo allenarli con... -
- DEVO allenarli con le pistole vere- lo interruppe Ian voltandosi verso Keller. Lo fissò dall'alto al basso , ogni centimetro del proprio corpo che tremava per la stanchezza. - IO devo assicurarmi che siano pronti per andare in guerra. IO devo assicurarmi che non vengano uccisi. Insegnare che le pistole non sono lì per sparare sulla folla come dei pazzi in un film dell'orrore fa parte di questo, è il mio lavoro. Il tuo è assicurarti che io non faccia fuori nessuno di loro prima che partano per il Vietnam-. Keller sbattè le palpebre. - Non ti preoccupare, comunque. Oggi l'unica persona che vorrei far fuori sei tu-
Cominciò a passeggiare tra le fila di uomini. Si erano divisi in gruppi da otto, mirando i bersagli con le pistole di plastica. Urlò loro come correggere mira e postura, alzò gli occhi al cielo ad ogni errore e rimproverò Keller quando cercò di aiutare un soldato aggiustando la presa al posto suo. Il soldato era in grado di correggersi da solo, sapeva cosa stava sbagliando.
Ian fece tutto questo con i piedi dolenti e e il cervello che protestava per fargli chiudere gli occhi. Chiuderli proprio in quel momento, chiuderli per sempre.
Prese un'altra sigaretta e aspirò un tiro. Fu solo quando gli uomini ricominciarono il giro da capo che si ricordò di Mickey. Il cuore gli mancò un battito.
Lanciò un altro sguardo in direzione dei bagni, i nervi ormai al limite. La calma momentanea provocatagli dalla sigaretta svanì in un lampo. Indugiò sulle sue stesse parole, dimenticandosi persino cosa stesse per dire. Guardò il soldato davanti a lui e corresse la prima cosa che gli saltò all'occhio, per poi proseguire con il resto della fila. Quando fu il turno di un altro cambio, raggiunse l'estremità della fila e picchiettò Denny sulla spalla.
-Sergente, signore- lo salutò il ragazzo entusiasta. - Stavo sbagliando qualcosa? Non penso che questo sia un gioco, signore. Assolutamente no, signore. Ho sorriso solo quella volta perchè ha detto che stavo tenendo la pistola nel modo giusto e... -
- E' tutto a posto, Barber- tagliò corto Ian. Gli girava la testa. Troppo fumo. O forse troppo poco. - Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me-
- Qualsiasi cosa, signore. Basta che lo dica, signore-
- Vai a controllare Milkovich-
Denny sbattè le palpebre e si guardò intorno. - D'accordo. Dov'è, signore?-
- L'ho visto correre verso il bagno-. Denny non si mosse. -Vorrei che andassi ora, Barber-
- Lo so, è solo che... -. Si bloccò. Ian inarcò un sopracciglio con fare interrogativo e Denny sospirò. - Mickey di solito cerca di andarci quando non c'è nessuno. Penso che forse si senta a disagio. Se è lì non credo che voglia essere disturbato-
- Ha interrotto i giri di corsa, potrebbe sentirsi male. Puoi andare a controllarlo, per favore?-
Denny annuì. -Sì, signore-. Scomparve in una corsa lenta verso i bagni.
Ian tornò a concentrarsi sull'esercizio nonostante la sua mente corresse altrove. Keller si intromise di nuovo, e quando si accorse di lui ammiccò, come se Ian dovesse essergli grato per l'aiuto. Un cosa simile lo avrebbe fatto imbestialire di solito, ma era troppo stanco. Era ancora in grado di fargli smettere di intervenire in continuazione ma questa volta lo lasciò dare comunque ordini.

Non molto tempo dopo Denny fu di ritorno e si fermò accanto ad Ian scivolando. - Sono tornato, signore-
- Lo vedo, Barber- rispose sbuffando il fumo verso l'alto. Lo guardò con la coda nell'occhio. - E?-
Denny scosse le spalle. -Dice che sta male-
- Ma?-
Denny gli rivolse un gesto evasivo con la mano ed emise un suono a metà tra un grugnito ed uno squittio acuto. Ian continuò semplicemente a fissarlo finchè finalmente non parlò. - Credo abbia pianto-
Ian si sentì crollare. Annuì e lo ringraziò, mandandolo al suo posto. Keller stava aiutando di nuovo un altro soldato con la presa sulla pistola. Ad Ian morì la voce in gola quando cercò di riprenderlo. Aprì la bocca ma non vi uscì alcun suono. Prese un respiro per riprovarci ma alla fine lasciò perdere.
Diede un'altra occhiata verso il bagno ma rimase fermo dove si trovava. Mickey voleva che mantenesse il controllo del campo e non era nemmeno in grado di fare quello.
Prese una boccata d'aria e si morse il labbro per trattenere le lacrime che minacciavano di uscirgli. Riusciva a sentirle pungergli gli angoli degli occhi.
Non c'è niente per cui piangere. Niente per cui piangere. Fai un bel respiro.
Tremò, incapace di inspirare profondamente, e rimase immobile mentre Keller annunciava la fine dell'esercizio e congedava gli uomini per il pranzo. Quando tirò una pacca sulla spalla ad Ian come per congratularsi per essersi levato di mezzo, finì quasi per terra.
Non appena gli diedero le spalle, si allontanò per tornare nella propria tenda. Gli brontolava lo stomaco ma non sarebbe stato in grado di trattenere del cibo in quel momento. Il solo pensiero gli faceva venire da vomitare.
Aprì la tenda, si buttò in branda e si avvolse nelle coperte. Si coprì fin sopra il naso, usandole come un sacchetto per l'iperventilazione. Le lacrime gli riempirono gli occhi per poi trasformarsi in veri e propri singhiozzi. L'intero corpo sussultava nonostante fosse esausto per la stanchezza.
 
Vacillò tra il sonno e la veglia per tutto il giorno. Stava per chiudere di nuovo gli occhi quando sentì la tenda aprirsi. Provò con tutto sè stesso a fingere di essersi addormentato ma i tentativi di controllare il proprio respiro gli provocarono solo altri tremori.
Mickey si schiarì la gola. La sua presenza gli infondeva calore nonostante fosse ancora fermo sulla soglia. Era probabile che non fosse nemmeno entrato. Avrebbe voluto guardarlo ma non ne aveva la forza. - Volevo solo dirti che hai fatto un bel lavoro oggi-
- Tu non c'eri-
- No, ma hai resistito fino all'ora di pranzo. Sei ore in più degli ultimi giorni-
Inspirò rumorosamente con il naso. Cercò di rigirarsi dall'altra parte ma non ci riuscì. La voce gli si strozzò in gola. - Che ti è successo?-
- Non preoccuparti-
- Mickey... -. Le sue parole rimasero sospese nell'aria quando sentì la tenda richiudersi. Regnò di nuovo il freddo, comunicandogli l'assenza di Mickey. Cercò di chiudere di nuovo gli occhi ma ormai il sonno era svanito. Invece, il cuore cominciò a battergli all'impazzata contro allo sterno, continuando a preoccuparsi di ciò che non avrebbe dovuto.
Non si riaddormentò che fino alla mattina presto.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Mickey aprì gli occhi ancora prima della sveglia. La fredda aria mattutina gli entrò a poco a poco nelle ossa, convincendolo sempre meno del fatto che la coperta dell'esercito bastasse per tenerlo al caldo.
Rotolò giù dal letto, si infilò gli anfibi e una maglietta e uscì alla volta della tenda di Ian. Era stato il suo primo pensiero appena sveglio; capelli rossi, occhi azzurro-verde e quell'affascinante mezzo sorriso che si incupiva ogni giorno sempre di più. L'adunata sarebbe suonata a momenti e lui avrebbe continuato a rigirarsi nel letto, rifiutandosi di alzarsi. E Mickey lo avrebbe trascinato giù a forza se fosse stato necessario.
Arrivò davanti alla sua tenda e indugiò, incerto. La sensazione di nausea del giorno prima tornò a tormentarlo per l'ansia di vedere Ian, ancora assonnato e brontolone avvolto nelle coperte per l'orario, ancora vivo. Non esercitò molta forza di volontà contro al chiedersi che cosa stesse indossando, se avesse una maglietta, a come avrebbe potuto essere far scorrere la mano sui suoi addominali...
Deglutì pesantemente sentendo risalirgli la cena della sera prima. Aprì la tenda  e fece capolino con la testa. Se avesse tenuto i piedi fuori dalla soglia sarebbe rimasto stabile. Lanciò un'occhiata verso la branda, era vuota. Le coperte erano aggrovigliate in un mucchio in fondo, una cosa che il sergente di solito non faceva.
Deglutì nuovamente e ispezionò il resto della stanza. Non c'era sangue a quanto vedeva, e nessun corpo, il che era una cosa positiva. L'unica domanda rimasta era se la pistola fosse ancora lì.
-Ian?- provò a chiamare, oltrepassando la soglia di un passo. -  Ian?-
- Sono qui dietro-
Uscì dalla tenda e cercò di guardare oltre la cima. Non vide nulla, perciò vi girò intorno finchè non trovò Ian poco lontano che fumava. Gli dava le spalle, gli occhi puntati sull'alba sanguigna mentre il fumo fuoriusciva sfiorandogli le labbra. - Che stai facendo?- gli chiese.
Ian lo guardò oltre la propria spalla, il suo mezzo sorriso che brillava all'albeggiare di quella nuova giornata. - Fumo una sigaretta. Cos'altro, altrimenti?-
- E sei uscito dalla tenda solo per questo?-
Ian fece spallucce. - Non mi piace riempire l'aria di fumo-
- Quindi per te una sigaretta è più importante del tuo letto?-
Scosse di nuovo le spalle.
Mickey tirò un sospirò di sollievo, i battiti che rallentavano sempre di pù. "E' vivo. Sta bene. Sta bene"
Il sole si levò oltre la linea dell'orizzonte, esplodendo in raggi di luce dorata che contrastavano con il cielo roseo sormontato da nubi violacee. Il fumo si dissolse nella sua direzione, acre e dolce allo stesso tempo nell'aria del mattino.
Ian aspirò un altro tiro e gliela offrì. Mickey rimase semplicemente a fissarla per un lungo momento, cercando di imprimersi nella mente il modo con cui Ian la tenesse tra le dita. Si leccò le labbra al pensiero del suo sapore che riusciva ad avvertire caldo sula propria lingua. Ogni parte del suo corpo sembrò improvvisamente prendere fuoco nell'aria gelata.
- No- ebbe la forza di dire, coprendo la parola con un colpo di tosse. Ian scosse di nuovo le spalle e se la riportò alle labbra. La fece roteare un paio di volte, la rimosse ed espirò. Ogni centimetro delle mani di Mickey fremeva per la sigaretta quindi decise di infilarsele in tasca e cambiare discorso. - Come ti senti oggi?-
- Bene-
Rabbrividì a quella risposta. Riecheggiava nei propri ricordi con la voce di sua madre e di sua sorella, la sua stessa voce che si spezzava nel pronunciare quella semplice parola quando suo padre gli aveva rotto il polso per la prima volta. Almeno era riuscito a non piangere.
- Non mentirmi-. Ian lo guardò. - Nessuno sta mai bene-
Il rosso annuì, lasciando penzolare le braccia lungo i fianchi e rigirandosi distrattamente la sigaretta tra le dita. - Oggi voglio morire un po' meno di ieri. Ma continuo a pensare a come sarebbe se mi spegnessi la sigaretta sul braccio. Magari farebbe scoccare una scintilla nel mio cervello. Continuo a pensare a Keller che si gira e mi guarda in quel modo e non riesco a decidere se tirargli un pugno in faccia o arrendermi e lasciare che pensi lui a tutto-
- Non puoi arrenderti-
- Non posso nemmeno tirargli un pugno-
Mickey non disse nulla per un momento. - Che punizione è prevista per chi tira un pugno in faccia ad un sergente?-
Ian sorrise e Mickey credette di non aver mai visto niente di più luminoso. - Beh, posso dirti che non sarebbe come colpire Wells-. Mickey grugnì in segno di protesta. - Conoscendo Keller, credo che ti denuncerebbe per reato penale. Ma c'è un bisogno disperato di uomini in Vietnam, quindi potresti cavartela con il lavoro nelle cucine per il resto della preparazione-
- Mi piace la cucina-
Ian lo guardò di sbieco. - Non voglio nè impedirti nè incoraggiarti a colpire Keller da parte mia-
- Col cazzo da parte tua. Lo colpirei per cancellargli quello stupido sorrisetto-. Ian scoppiò a ridere e Mickey ricambiò sorridendo. Era un bel suono.
- Sicuro di non volere un tiro?-
La parte tossica di Mickey saltellò eccitata all'idea. Fissò la sigaretta come se non fumasse da anni e stesse per essere messo di fronte ad un plotone d'esecuzione. - L'esercito ha ancora i plotoni d'esecuzione?- chiese.
Ian sbattè le palpebre. -No-
Prese la sigaretta il più velocemente possibile per evitare di toccarlo ma quando le loro dita si sfiorarono il tempo sembro congelarsi. Ogni piega della pelle sulle mani gli pizzicò come se avesse appena toccato un cavo scoperto. Si portò la sigaretta alle labbra, salivando al pensiero del suo sapore.
Notò Ian con la coda nell'occhio che lo fissava, una strana luce che balenava nelle sue iridi dal colore dell'oceano. Un'ondata di nausea lo attraversò di nuovo, le parole di suo padre che gli rimbombavano nella testa, e abbandonò il braccio lungo il fianco, restituendo la sigaretta ad Ian con la mano tremante. - Sto cercando di smettere-
Ian rimase in silenzio per qualche secondo. - Un uomo coraggioso che cerca di perdere un vizio prima della guerra-
- No- ribattè. - Solo un inutile codardo-
Prima che Ian potesse rispondere, suonò l'adunata. Mickey rivolse le spalle al sole nascente e si diresse sullo spiazzo senza dire altro. Aveva ancora lo stomaco sottosopra e probabilmente non sarebbe riuscito a trattenerci la colazione, ma almeno, forse, la corsa lo avrebbe aiutato a buttare fuori tutte quelle emozioni insieme al sudore.
Non sapeva se le farfalle nel proprio stomaco preferissero il clima tropicale o la tundra gelata ma avrebbe fatto il possibile per farle uscire.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Ian tenne duro per tutto il giorno. Suonò la sirena per l'ora di cena e decise di uscire dalla mensa e tornare in tenda. Fece appena tre passi prima di rigirarsi quando qualcuno lo picchiettò sulla spalla.
-Pensavo che cenassimo insieme- disse Keller.
- Ho molto da fare-
- Riguarda il tuo lavoro-
Ian lo fissò per un momento. Si sentiva il cuore pesante nel petto e avrebbe preferito di gran lunga chiudere gli occhi che vedere il brutto muso di Keller, ma alla fine annuì. - Parla ora-
- Non sta andando molto bene-
- Perchè no?-
- Alla maggior parte degli uomini non piaci e i pochi a cui piaci pensano che tu non sia abbastanza mentalmente stabile per occuparti di un'intera unità. Temono che li farai uccidere tutti-
- Li farò uccidere tutti?-
- Sì-
Rimase di nuovo in silenzio e annuì. - Keller, i miei uomini sono degli idioti. E così anche tu-
Fece per andarsene ma Keller gli urlò dietro. - Insultarmi non migliorerà la tua situazione, Gallagher-
- Cercare palesemente di rubarmi il lavoro non aiuterà neanche te, Keller- ribattè. - Perciò dirò quello che mi pare su di te e tu sei libero di farmi rapporto al quartiere generale. Ma quando si tratta di questo gruppo, la responsabilità è mia. Questi sono i MIEI uomini. Potrò anche non piacergli ma mi rispettano, e quando sono io ad occuparmi di loro almeno imparano qualcosa.  Quindi ti suggerisco di prendere il tuo rapporto sul mio comportamento, le mie azioni e la mia stabilità mentale e ficcartelo su per il culo-
-  Altrimenti?-
- Se pensi che non ti lascerò un occhio nero ti sbagli-
Keller non disse nulla per un momento. - Se pensi che quegli uomini sceglieranno te, sei pazzo-
- Se tu pensi che dipenda da una loro scelta, allora non hai capito niente dell'esercito- ribattè. - Ora ti suggerisco di levarti di mezzo e di lasciarmi lavorare o dovrò farti rapporto per aver sprecato il mio prezioso tempo. Ci siamo capiti, Keller?-
- Capisco che tu stia totalmente dando di matto-
Ian non trattenne una risata. - E' stato bello chiacchierare con te-. Si voltò e ignorò un ulteriore tentativo dell'uomo di mettergli il bastone tra le ruote.
Gli sembrava di poter crollare da un momento all'altro e la camminata verso la tenda, che di solito durava pochi minuti, gli sembrò come una maratona.
Si trascinò fino a destinazione e si lasciò cadere sulla branda con i pensieri che correvano a miglia allora. Keller avrebbe preso il controllo del gruppo. Avrebbe abbandonato Mickey. Gli uomini sarebbero morti tutti. Lui sarebbe stato licenziato dall'esercito, con disonore. Per malattia mentale, se avesse continuato così. Doveva stare molto più che attento.
Si rigirò dall'altro lato e premette il viso contro alla parete, respirando il tessuto intriso di polvere. Chiuse gli occhi e vagò nella propria testa alla ricerca di qualcosa che lo calmasse, qualcosa che potesse interrompere quel treno in corsa di pensieri. Qualcosa che gli desse la forza di trattenere le lacrime nei suoi occhi stanchi.
Si concentrò su Mickey. Più precisamente, sull'immagine di Mickey che sorrideva seduto sul cofano della camionetta, sudato e accaldato sotto al sole pomeridiano. Mickey che affermava di odiarlo ma poi lo provocava come se fossero migliori amici. Mickey felice, con uno sguardo luminoso negli occhi che ad Ian piaceva pensare fosse solo per lui. Uno sguardo che Ian cominciava a credere fosse DAVVERO solo per lui.
Nonostante la perfezione di quell'immagine, cercò di scacciarla. Non poteva permettersi di affidare il proprio cuore a qualcuno che non se ne sarebbe preso cura, a qualcuno che sarebbe rimasto disgustato da una cosa del genere. No, doveva proteggerlo.
E' solo che non riusciva a trovare di qualcosa abbastanza forte da proteggerlo dal sorriso di Mickey. Quindi, il suo sogno ad occhi aperti lo trascinò dolcemente verso immagini in cui baciava Mickey, verso la sensazione delle loro pelli una contro l'altra, scivolando nel sonno proprio un attimo prima di togliersi i pantaloni.
Si addormentò con un sorriso ebete sulle labbra.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Mickey rimase a riposo aspettando che Ian arrivasse e ordinasse loro di mettersi sull'attenti.
Era presto, lo sapeva. Metà degli uomini non si erano ancora nemmeno alzati dal letto. Lui si era alzato un paio di ore prima, tormentati da pensieri impuri, ed era andato a farsi una corsa. Aveva già fatto due volte i giri mattutini e fremeva dalla voglia di correre ancora.
Continuò a far traballare il piede sull'erba dello spiazzo. Una parte di sè voleva andare nella tenda di Ian a controllarlo, continuando a lanciare occhiate oltre la spalla. Sapeva di avere ancora tempo per andarci e svegliare il sergente. Sapeva di avere ancora tempo di cancellare quello stupido sorriso dalla faccia di Keller. Ma Wells era proprio di fianco a lui con gli occhi puntati a terra, continuando a sorridere beffardo ogni volta che lo vedeva guardare in lontananza. Era indeciso su chi voler colpire di più dei due, Wells o Keller. Ma qualcuno avrebbe comunque colpito se non si fosse calmato un pò.
Ian arrivò insieme agli ultimi ritardatari. Mickey rilasciò un sospiro pesante, interrompendo il movimento convulso del piede. Lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava a Keller con un sorriso amaro, voltandosi poi a guardare le reclute quando anche l'ultima ebbe prese posto.
- AT-TENTI! -
I tacchi di quaranta soldati sbatterono all'unisono mentre si portavano le mani alla fronte per il saluto. Una perfetta unità. Ian sorrise. - Cominciate a correre-
I soldati obbedirono. Avevano smesso di disperdersi lungo la pista. Ora correvano in un mucchio compatto accostandosi agli uomini meno agili e mandando i più veloci in fondo per portare tutti fino alla fine. Mickey rimase in mezzo ascoltando Denny che blaterava, per nulla sorpreso che riuscisse a sostenere un monologo anche mentre correva senza rimanere senza fiato. Doveva essere nato con un polmone in più, probabilmente.
Il gruppo terminò i giri di corsa e passò immediatamente alla consueta imperativa sessione di esercizi. Erano come una macchina perfettamente lubrificata, un corpo e una mente sola. Il sorriso sulle labbra di Ian era quasi accecante.

 
Mentre andavano in mensa per la colazione, Mickey udì la voce di Keller.
- Sono deboli. Lenti. Punti sui più deboli invece che sui più forti. E' così che li hai addestrati?-
-Li ho addestrati a prendersi cura l'uno dell'altro- rispose Ian.
- Ogni uomo fa per sè stesso lì fuori-
- Sì, se sei disposto a farti sparare-
- Gallagher, sono stato in disaccordo su di te fin dall'inizio in tutto questo. Sei troppo giovane, troppo idealista, e non capisci... -
- Mi scusi- intervenne Mickey, fermandosi proprio di fianco ad Ian rivolgendo a Keller un sorriso amaro. - Credo sia ora che lei lasci in pace il nostro sergente-
Un paio di uomini che si stavano dirigendo in mensa insieme a lui si fermarono, e altri dopo di loro dopo essersi guardati indietro. Ci fu un lungo momento in cui tutti rimasero sullo spiazzo, lo stomaco che gorgogliava per la fame. Keller sbattè le palpebre sorpreso. - Che cosa mi hai appena detto, cadetto?-
- "Cadetto"- lo scimmiottò sarcastico Mickey. - Sa almeno il mio nome?- . Aspettò un secondo. - Ian sapeva tutti i nostri nomi nel giro di tre giorni. E lei è stato qui per... quanto, cinque giorni? Non sa neanche il nome di uno di noi?-
- Non è il mio lavoro-
- Il suo lavoro è prepararci ad andare a morire. Bel lavoro. Sono sicuro che sua madre ne sarà così orgogliosa. Almeno non finirà lei ad essere ucciso, no?-
- Stai oltrepassando il limite, cadetto-
- Se insulta il mio sergente, insulta me-
Keller scoppiò quasi a ridere ma si trattenne mordendosi il labbro. Forse era stato lo sguardo mortale di Mickey ad assicurargli che le sue non fossero minacce a vuoto. - La pensate tutti così?-
Calò un lungo silenzio. A Mickey sembrava di avere il cuore che dondolava appeso ad un filo, il respiro bloccato in gola. Era abbastanza sicuro di essere l'unico in quel campo a cui piacesse Ian. O meglio, a cui piacesse all'infuori del suo uccello. Avrebbe perso quello scontro lì e subito.
Ma poi accadde qualcosa di incredibile. Denny fece un passo in mezzo allo spiazzo e rispose senza esitazione. - Sì, signore. Ognuno di noi la pensa così-. I suoi occhi verdi si posarono su Mickey quando finì di parlare e Mickey gli rivolse un cenno di approvazione. Wells urlò dalla sua posizione.
- Beh, forse non tutti si sentono proprio così-. Il gruppo si diradò per permettere a Keller di vederlo, le labbra che si allargavano in un sorriso. - Milkovich è un po' troppo educato. La maggior parte di noi pensano che lei dovrebbe semplicemente andarsene affanculo-
Il sorriso di Keller svanì. Mickey riuscì a trattenere la propria risata prima che esplodesse nell'aria.
- Sei un sergente di merda- urlò qualcuno.
- E' Gallagher il nostro sergente- echeggiò la voce di un altro.
- Se ti metti contro di lui, ti metti contro di noi-
- Vattene a casa!-
I soldati si abbandonarono ad un turpiloquio  di insulti finchè Ian non alzò una mano per zittirli. In un colpo solo calò di nuovo il silenzio. - Penso che sia ora che tu la smetta di cercare di farmi licenziare- disse a Keller. - Non pensi?-
- Non sei pronto per tutto questo-
- E' un sergente migliore di quanto lo sia tu- si intromise Mickey. - E anche se non lo fosse, fa parte della nostra famiglia. Siamo tutti una famiglia-
Keller lo fissò, il viso senza espressione. Fece un passo indietro. - Se siete disposti a morire nella giungla, allora fate pure-. Se ne andò e tornò nella propria tenda.
Per un interminabile momento rimasero tutti immobili. Fu Ian a parlare. - Andate a fare colazione-
Tutti si mossero tranne Mickey che rimase a guardarlo. - Sono quasi triste che non abbia insistito-
- Ah sì?-
- Non ho mai voluto così tanto fare un occhio nero a qualcuno-
Ian sospirò profondamente e gli diede una pacca sulla spalla. Una scossa sembrò attraversarlo in quel punto, bloccandogli l'aria nei polmoni. Ian non sembrò nemmeno accorgersene e proseguì semplicemente verso la mensa. - Puoi tirargli un pugno quando torni dal 'Nam-
- Vivo o morto?-
- Potresti tirargli un pugno da morto?-
- Tornerei sulla Terra da fottuto fantasma solo per dargli un pugno-
- Penso che il tuo pugno lo oltrepasserebbe-
- Da poltergeist allora-
Ian tacque per un momento poi annuì e si diressero in mensa insieme. Mickey riuscì a convincerlo a sedersi con tutti gli altri e anche se non tutti furono amichevoli con lui, molti lo accolsero gentilmente. E nessuno si permise di dirgli qualcosa di offensivo, non con Mickey seduto di fianco a lui come un bulldog che faceva la guardia, fremendo all'idea di azzannarli alla gola se ci avessero provato.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Keller se ne andò due giorni dopo. E in quei due giorni rimase nella sua tenda, senza nemmeno intrattenersi con quei pochi che volevano che continuasse a tentare di prendere il posto di Ian. Quegli stessi sostenitori sparirono immediatamente quando si resero conto della sua infantilità e  cominciarono ad imparare qualcosa sotto l'autorità di Ian.
Ian dal canto suo riuscì a trascorrere più tempo fuori dalla tenda; di solito reggeva fino all'ora di cena. Almeno cenava la maggior parte delle volte.
Mickey smise di andare a controllarlo in continuazione, ma diminuendo gradualmente le visite. Non andò più nella sua tenda. Non rimase più a leggere nè tornò a dormire nel suo letto. Non che Ian lo chiedesse. Il suo cuore era già in grado di spezzarsi da solo nel suo involucro.

 
Tre giorni dopo la partenza di Keller, una mattina Ian si svegliò e si mise a sedere. Era ancora presto, il sole non era nemmeno sorto. Ancora una volta gli occhi erano stanchi per essere rimasti chiusi troppo a lungo, ma la prospettiva di lasciare la branda era terrificante quanto il pensiero di spararsi un colpo in testa.
Gettò le gambe oltre il bordo e appoggiò i piedi sul pavimento. Rimase a guardarsi intorno, chiedendosi perchè mai avesse deciso di dare a tutti un giorno libero. Era tenuto a concederlo di tanto in tanto, ma rinunciare all'unica cosa che lo distraeva dai propri pensieri era stata una pessima idea. E non aveva nient'altro per poterli placare.
Dei passi echeggiarono sulla ghiaia fuori dalla tenda. Si voltò in quella direzione, stringendo la coperta tra le mani. Sapeva di essersi levato l'esercito di mezzo ormai ma continuava ad avere una strana, paranoica sensazione. 
Seguì con lo sguardo la tenda che veniva sollevata e la testa di Mickey che si affacciava. Rilasciò finalmente un respiro.
- Oh- fece Mickey. - Scusa-
- Che fai già sveglio?- gli chiese.
Mickey fece spallucce. - Non riuscivo a dormire-
Rimasero a fissarsi a lungo, poi fu Mickey a muoversi, lasciando andare il lembo di tenda che gli sfiorò la nuca mentre si girava per andarsene.
- Lo fai spesso?- parlò di nuovo Ian.
- Che cosa?-
- Controllarmi di mattina presto-
Un velo sembro coprire gli occhi di Mickey. - No-
- Mickey-
- Cosa c'è?-
- Se io non posso mentirti, allora non devi farlo neanche tu-
Mickey restò in silenzio per qualche secondo poi scrollò di nuovo le spalle. - Quando mi sveglio presto vengo ad assicurarmi che tu non ti sia sparato durante la notte. Di solito stai dormendo-
- Per quanto resti?-
Mickey inalò un respiro aspro e fece di nuovo per uscire. Ian sentì il battito accelerare a quel gesto, e se fosse stato nelle condizioni ideali si sarebbe alzato e lo avrebbe fermato. - Non farlo- disse semplicemente. Mickey si fermò. - Per quanto resti?- ripetè.
I suoi occhi azzurri si spostarono sul viso di Ian. Avevano uno sguardo tagliente, brillante, e per un breve attimo sembrarono abbassare la guardia. Non era più il duro, rifiuto bianco entrato in quel campo per la prima volta. Sembrava un bambino indifeso, timoroso che una risposta sbagliata potesse lasciarlo in un ammasso di sangue sul pavimento.
Il cuore di Ian si spezzò un po' di più. Non aveva reso Mickey più forte. Lo aveva reso più debole.
- Un paio di minuti- ammise. - A volte... non è facile capire se stai dormendo o... -
- Entra-
Mickey scosse la testa. - Dovresti tornare a letto-
- Se lo facessi ci resterei tutto il giorno. Entra-
Mickey esitò, tenendo lo sguardo fisso a terra come se una barriera invisibile lo separasse dalla tenda. Entrò lentamente con un piede dopo l'altro, restando dritto in piedi sotto al soffitto verde,  senza muoversi oltre.
- Come va?-
- Che cosa?-
- Controllo. Non lo faccio da un po'-
- Non devi preoccuparti per me-
- E' il mio lavoro-
- Sto bene-
- Nessuno sta mai bene-
Mickey fece spallucce. - Io sì-
Calò di nuovo il silenzio. L'atmosfera era pesante, come se tutto le parole non dette aleggiassero tra loro, minacciando di scappare dalle labbra. - L'altro giorno Denny ha detto che non stavi bene- replicò Ian.
- E allora?-
- Ha detto anche che hai pianto-
- Io non piango, cazzo-
- Mickey-
- Probabilmente avevo gli occhi lucidi. Ho vomitato l'anima. C'era qualcosa che non andava nel cibo-
- Non avevi mangiato niente-
- La cena della sera prima-
- Se fosse davvero quello il motivo, saresti stato male poche ore dopo. Senza contare che tutto il gruppo sarebbe finito in bagno con te- gli fece notare. Lo fissò a lungo, facendo del suo meglio per dare l'impressione di autocontrollo, di restare calmo. - Ero preoccupato per te-
- Non dovevi-
- Dimmi perchè no. Perchè, sai questo? Questo piccolo conflitto che hai con te stesso? Mi fa preoccupare ancora di più-
Mickey si agitò. Incrociò le braccia al petto e scosse le spalle. - Mi sono solo sentito male-
- Lo so-
Niente.
Ian deglutì un groppo in gola, desiderando di poter sospendere quella conversazione. Premere pausa, infilarsi nel letto e ritornarci un paio d'ore più tardi.  O giorni. Settimane. Mesi. Voleva tornare a quando la sua unica preoccupazione era far sentire Mickey a suo agio invece di sforzarsi perlopiù di non raggomitolarsi su sè stesso.
Ma era passato troppo tempo. Era rimasto in silenzio mentre Mickey lo scrutava con quegli occhi azzurri troppo luminosi. Si era sforzato di non tremare quando lo aveva trascinato giù dal letto. Aveva fatto il possibile per calmare le palpitazioni, per convincersi che uno stronzo omofobo come Mickey non potesse essere gay, ma sapeva di mentire. Il modo in cui Mickey lo guardava, in cui si prendeva cura di lui... c'era qualcosa. Lo sapeva.
Ci riprovò. - Lo so, Mickey-. E quando Mickey non fece altro che mettersi sulla difensiva il più possibile lontano da lui, aggiunse: - So che sei gay-
- Vaffanculo-
- Non c'è niente di cui vergognarsi-
- Non sono gay, cazzo-
- Ah no?- chiese Ian sarcastico. Mickey scosse di nuovo la testa e fece per uscire. - Quindi non ci impieghi più tempo del solito per fumare dalla mia sigaretta solo per sentire il mio sapore? Non sei mai entrato mentre mi cambiavo senza restare a guardare un po' più del dovuto?-
- Mai-
- Mickey-
- Non sono un cazzo di frocio!- urlò Mickey. Si rigirò e avanzò verso di lui. Si fermò a pochi centimetri di distanza, tremante di fronte a quella barriera invisibile, e lo fissò infuriato. - Non sono come voi-
- Sei un codardo-
- Fottiti-
Ian si alzò e lo spinse bruscamente. Riuscì appena a farlo indietreggiare di un passo. - Non ti sto giudicando. Non ti sto chiedendo niente. Ti sto solo dicendo che lo so. So che lo sei, so che cosa vuoi e so perchè non ti permetti di averlo. E se hai bisogno che qualcuno ti capisca, qualcuno con cui parlare di come ti senti, hai me. Voglio dirti solo questo. Sono qui per te-
- Non ho bisogno di te-
Ian deglutì cercando di calmare il tono di voce. La violenza non avrebbe risolto la situazione. Probabilmente era il tipo di interazione che Mickey di solito associava a quel tipo di conversazione.
- Tenerti tutto dentro non ti aiuterà. Non è una cosa che ti conviene fare mentre stai per andare in guerra. Non vuoi che qualcuno ti conosca davvero? Non vorresti lasciare questo mondo con la consapevolezza che qualcuno ti ha accettato per ciò che sei?-
- Chi ti ha detto che lascerò questo mondo?-
- Chi ti ha detto che non succederà? C'è un alta probabilità che tu muoia lì fuori-
- Allora morirò rendendo fiero mio padre-
- Tuo padre non è qui, cazzo! Sai chi è qui? Io! E me ne frega qualcosa di te!-
- Beh, forse non dovresti-
- Hai anche solo idea di quanto ci abbia provato? Hai idea di cosa darei per fare in modo che non mi importi niente della tua morte?- sbottò. - Darei il mondo intero per non dover mandare un'altra persona che amo in guerra senza la mia protezione-
Nella tenda calò il silenzio. Qualcosa sembrò addolcirsi nello sguardo di Mickey ma tornò subito sulla difensiva. Le parole di Ian riecheggiarono tra le pareti e desiderò di potersele rimangiare. "Un'altra persona che amo". Persona che amo. Amore.
Imprecò sottovoce.
- Darei anche io qualsiasi cosa perchè tu non debba farlo- replicò Mickey.
- Potresti almeno... -
- No-
Ian richiuse la bocca. Non era sicuro di ciò che Mickey stesse pensando. Tutto ciò che voleva era la conferma di non essere pazzo, di aver visto davvero quello sguardo.
Palpò la tasca alla ricerca del pacchetto di sigarette. Mickey tirò fuori il proprio e gliene porse una. -Grazie-
La accese e buttò fuori il fumo verso l'alto, lasciandolo volteggiare nello spazio intorno. Mickey rimase a fissarlo in silenzio. -Puoi andare-
Mickey scosse la testa.
- Vai- ripetè. - E' un ordine, soldato-
- Con tutto il dovuto rispetto, sergente...- ribattè Mickey. -... non credo che lei sia nelle condizioni di essere lasciato solo in questo momento-. Scrollò le spalle e si voltò verso il tavolo. - Hai già finito il libro?-
Ian rimase immobile mentre Mickey rovistava tra le sue cose cercando il libro. Ne aveva lette venti pagine, più o meno. Il moro prese la sedia da sotto il tavolo e la rigirò sedendosi di fronte a lui. - Capitolo dieci-
Ian sospirò e tornò a sdraiarsi. Si avvolse nelle coperte e si girò dandogli le spalle. Tremava ancora per la forza delle sue stesse parole. La parola con la A continuò a ripetersi nella sua testa. A poco a poco, la dolce melodia della voce di Mickey si tramutò in un suono continuo che riuscì a prenderne il posto. E dopo poco tempo, crollò di nuovo addormentato.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Quando suonò l'adunata, Mickey si svegliò di soprassalto. Il libro gli sfuggì dalle mani, il pollice che scivolò via dalle pagine mentre cadeva. Aveva ricominciato a leggerlo dall'inizio dopo che Ian si era addormentato per capire meglio la storia. Ora non se la ricordava già più.
Si stiracchiò e tese il collo prima da una parte e poi dall'altra. Aveva la schiena completamente irrigidita. Ogni centimetro del corpo gli doleva per essere rimasto seduto così a lungo sulla sedia di legno. Si alzò in piedi sciogliendo i muscoli un'ultima volta e si voltò a guardare Ian. A quanto pare non si era mosso di un millimetro. Non era nemmeno sicuro che si fosse svegliato.
Diede un lieve colpo con il ginocchio alla branda. Colpì un po' più forte facendo traballare la sua struttura già precaria. Ian borbottò qualcosa di incomprensibile.
- Dai, amico- lo incoraggiò. - Oggi non c'è più nessuno a sostituirti-
Ian emise altri versi indecifrabili e Mickey sospirò. - Alzati-
Niente.
Serrò le labbra e gli adagiò gentilmente una mano sul capo. Gli accarezzò i capelli ramati spostandoli indietro, godendosene a lungo la morbidezza. Era più caldo di quanto ricordasse. - Come ti senti?- gli chiese dolcemente.
Ian inspirò rumorosamente in risposta. Mickey si sedette sul bordo della branda facendola sollevare lievemente da terra e spostò i piedi per riportarla in equilibrio sul pavimento, non prima di aver sentito la schiena calda e solida di Ian aderire per un attimo contro alla sua. Si sentì come attraversato da una scossa elettrica a quel contatto nonostante gli stesse ancora accarezzando la testa, i pensieri che turbinavano come un vortice intorno alla possibilità che Keller fosse stato mandato via troppo presto. Se Ian non si alzava neanche quella mattina, le cose si sarebbero messe male.
Ma Mickey non voleva opprimerlo ancora di più. Si era sentito fiero di lui quando era riuscito a trascorrere anche solo mezza giornata fuori dal letto. E quando era passato persino a giornate intere, lo aveva osservato diventare sempre più debole. Forse quel giorno libero non era stata una buona idea. Forse essere continuamente sul filo del rasoio gli dava la forza per restare in piedi.
Respirò profondamente per non farsi prendere da un attacco di panico. Spostò la mano dai suoi capelli picchiettandolo forte sulla schiena più volte. - Andiamo. Alzati, vestiti, ordinaci di correre, cazzo-
Nessuna risposta.
- Vuoi mandarmi là fuori impreparato e farmi uccidere? O vuoi che torni vivo?-
- Vaffanculo-
Sebbene fosse stato appena un sussurro, sorrise sentendo la voce di Ian echeggiare chiaramente nella tenda.
Ian si rigirò e scalciò via le coperte fulminandolo con lo sguardo. - Scendi dal mio cazzo di letto. E vai a prepararti-
- Lo faccio quando lo farai tu-
- Oggi farò un'ispezione quindi sarebbe meglio che ti pulissi la bava dalla maglietta-
Il sorriso di Mickey si allargò ancora di più mentre si alzava in piedi ed Ian si trascinava fuori dal letto. Prese gli stivali e guardò il moro. - Nel caso non te ne fossi accorto, soldato, quello era un congedo-
Mickey fischiò. - Sembra che qualcuno si sia alzato dalla parte sbagliata del letto-
Ian lo fissò per un momento e abbassò lo sguardo sui propri piedi. -Scusa-. Lo attraversò un brivido, le dita che armeggiavano con i lacci. - Per favore, vai-
Mickey esitò per un momento poi annuì, nonostante Ian non lo stesse nemmeno guardando, e uscì. Tornò alla propria tenda e fu sorpreso di trovarci ancora Denny già completamente vestito che camminava avanti e indietro. - Che succede?- gli chiese.
- Lettere- rispose quest'ultimo. Mickey lo fissò impassibile. - Non ne ricevo da un po'- spiegò il ragazzo. - E mia mamma... lei dice di scrivermi ogni giorno ma io non ne ho ricevuta neanche una, e so che non riceviamo lettere tutti i giorni, ma se lei lo ha fatto davvero , non pensi che a quest'ora mi sarebbero arrivate? E se le fosse successo qualcosa di brutto? E se mio fratello non è stato in grado di occuparsi di lei? Sapevo che non avrei dovuto lasciarli soli. Non avrei mai dovuto lasciarli in quella casa da soli. Lei non è capace di badare a sè stessa. Non è... -
- Respira- lo interruppe Mickey.
Denny annuì ma l'aria inalata sembrò dargli solo ancora più energia per parlare. - E' vedova, sai... Mio padre è morto in Corea, e ora io devo partire per il Vietnam, e lei ha così paura che io muoia, io sono preoccupato che lei sia morta per l'ansia, e non avrei mai dovuto lasciarla. E se le fosse successo qualcosa? E se fosse lei ad essere morta?-
Mickey rimase semplicemente a fissarlo. Non era in grado di fermare quello sproloquio, o quell'attacco, qualunque cosa fosse. E poi Denny gli ricordava solo di non aver avuto nessuna notizia di sua madre. O di Mandy. Certo, non si era mai aspettato il contrario, ma ora cominciava a farsi delle domande. E se Terry le avesse rotto i polsi? E se avesse picchiato Mandy così forte da non potersi alzare e andare a lavorare? E se non gli stessero scrivendo perchè Terry l'avesse reso loro impossibile, e non perchè non avesse dato loro il permesso? Doveva scacciare quei pensieri.
Afferrò Denny per una spalla quando gli passò accanto, anche se i suoi piedi continuarono a muoversi come se fosse incapace di fermarsi. - Forse le lettere sono solo un po' in ritardo- suggerì. - Tua madre ti avrà spedito due lettere al giorno, servirà una borsa intera solo per le tue, quindi avranno ritardato. Ma è tutto a posto, okay Denny? Tua mamma si sta probabilmente occupando di tuo fratello-
Denny deglutì. - Come fai a dirlo?-
- Perchè è forte. Non si farà buttare giù. Il suo bambino sta partendo per la guerra e cavolo se non lo vedrà tornare da eroe, okay?-
Denny annuì e Mickey gli diede una pacca sulla schiena. Prese la giacca dell'uniforme e se la infilò sopra alla maglietta. - Cerca di essere presentabile. Ian sta per fare un'ispezione-
- Te l'ha detto lui?-
Mickey ignorò la domanda anche quando Denny inarcò le sopracciglia con uno sguardo interrogativo. Fece del proprio meglio per lisciare le pieghe dell'uniforme e si annodò i lacci degli stivali buoni per poi uscire seguito dal ragazzo. Occuparono il loro posto in fondo al gruppo e si misero sull'attenti al richiamo di Ian.
Il sergente vagò tra le file, corrugando le sopracciglia di fronte e bottoni slacciati, uniformi smesse e macchie sulle magliette. Li ispezionò uno ad uno con un'espressione di sdegno sul viso che si tramutò in totale apatia quando si fermò su Mickey. I loro occhi si incrociarono e Mickey cercò di comunicare con lo sguardo. Stai bene?
Ian lo ignorò, o forse non se ne rese nemmeno conto, e proseguì.

Dopo poco tempo erano già a correre intorno al campo. Mickey aveva i polmoni in fiamme. Non ne era sicuro, ma sembrava che il gruppo avesse aumentato il ritmo ultimamente. O forse era a lui a correre più veloce del solito, cercando di eliminare i pensieri insieme al sudore.
Finito l'ultimo giro, Mickey fu il primo ad abbassarsi per le flessioni. In un secondo si rese conto che gli altri avrebbero avuto bisogno di almeno un minuto per raggiungerlo. Esalò un respiro pesante e sbattè le palpebre per liberarsi del sudore che gli scivolava sugli occhi. Gli girava la testa per la fatica ma continuò a sforzarsi oltre il proprio limite. Più spingeva, più diventava facile ignorare il pensiero di sua madre, di Mandy, di Ian. Soprattutto Ian, la sua figura che brillava sul retro delle sue palpebre, mentre ripensava alla morbidezza dei suoi capelli. Grattò le mani sul terreno sporco, cercando delle pietre che gli spaccassero la pelle.
Sospirò e si girò per sdraiarsi sulla schiena. Alcuni avevano già finito e si erano seduti, altri erano in piedi. Era l'unico ad essersi sdraiato, sbattendo gli occhi per liberare la vista sfuocata dal sudore. Aspettò che il resto del gruppo finisse e quando tutti si rialzarono, si sforzò di fare lo stesso.
Dopo qualche secondo vide una mano muoversi verso di lui. La afferrò e si rialzò con Miller che sorrideva. - Ci sei andato un po' pesante, Milkovich-
Scosse le spalle.
- Stai bene?-
- Sì-
Miller indugiò un momento e annuì, dandogli una pacca amichevole sulla schiena. Si avviarono insieme verso alla mensa, e a metà strada ci riprovò. - Sai, lo scopo dell'addestramento non è solo prepararci alla guerra, è anche renderci una famiglia. Quindi, sai, se c'è qualcosa che non va... tutti qua sono più che disposti ad ascoltare-
Mickey lo fissò a lungo prima di annuire. - Grazie-
Miller piegò la testa e aprì la porta della mensa. Mickey si guardò intorno mentre andava a prendere la colazione. Le divisioni erano sparite. Ciò che erano stati all'inizio, Mickey non era nemmeno così sicuro a meno che non si trattasse del suo gruppo. Ora avrebbe saputo elencarli tutti per nome.
Lanciò un'occhiata a Denny che parlava con la bocca piena di uova mentre Berns lo guardava alzando gli occhi al cielo. Sorrise e prese il proprio cibo.
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Il furgone della posta arrivò sgommando a metà pomeriggio. Ian gli rivolse un cenno, girando la testa dall'altra parte per la polvere sollevata dalle ruote mentre sbuffava il fumo della sigaretta. Gettò uno sguardo agli uomini che si stavano allenando a sparare. - Tieni su i gomiti, Hunt- urlò.
Attese che l'uomo aggiustasse le presa poi si voltò verso il soldato che scendeva dalla camionetta trascinando con sè una borsa piena di lettere. - Scusa il ritardo-
Ian fece spallucce. - Può capitare-
L'uomo cominciò a tirare fuori le lettere e ad impilarle sul cofano. Ian le girò in orizzontale per impedire che cadessero. Una volta ritirata la borsa nel furgone, Ian passò in rassegna i nomi degli uomini a cui erano indirizzate. Ne aveva passate circa una decina quando il soldato si schiarì la gola.
-Sì?- rispose Ian. L'altro prese dalla tasca una busta bianca stropicciata ed Ian si congelò. Il sigillo blu tornò immediatamente famigliare così come il fatto che fosse separata dal resto delle altre. Gli salì il panico e per un momento pensò di vomitare. Il cuore gli martellava nel petto. "Non è Lip" ripetè nella testa. "Non è la mia famiglia".
Deglutì. - Chi?-
- Milkovich-
Guardò verso i bersagli. Mickey era dietro ad un compagno che gli dava consigli su come tenere la pistola. Aveva rapidamente preso il comando dopo che Ian si era spostato per parlare con il soldato addetto alla posta. E anche se non stava sorridendo (Ian ormai era sicuro che non ridesse mai a parte quando era con lui) sembrava felice. E la busta bianca in mano a quell'uomo era come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere su quella felicità.
- Che cosa prevede la politica dell'esercito?-
- Mi scusi?-
- Per queste lettere- spiegò. - Che cosa... cosa dovrei fare?-
Il soldato fece spallucce. - E' a carico del sergente. Puoi semplicemente dargliela come le altre. Penso che si faccia così di solito-
- E se decidessi di non dargliela?-
- Prima o poi lo scoprirà. La famiglia gli scriverà-
Ian ne dubitava. Prese la lettera e la infilò in tasca. Alcuni uomini avevano notato il furgone  e fremevano dalla voglia di mettere le mani sulle lettere. Prese anche quelle e salutò il collega, facendosi da parte per lasciargli lo spazio per fare manovra.
Alzò un braccio mostrando le buste. - Le avrete a cena-. I soldati protestarono.
- Oppure... - suggerì. - Se ognuno di voi riesce a centrare un bersaglio dritto nel cuore con tre proiettili, le avrete subito-
I soldati tornarono subito in azione. Un piccolo sorriso comparve all'angolo delle labbra di Ian vedendo il loro impegno, ma svanì subito quando Mickey si fece da parte accendendosi una sigaretta. Ricontrollò lettere e nomi. In qualche modo sperava che la famiglia di Mickey gli avesse scritto per dargli la notizia prima che lo facesse l'esercito. Non fu così.
Due soldati riuscirono a fare centro entrambi al terzo colpo. Ian porse loro le lettere e le intascarono, poi andarono ad aiutare gli altri. Non potè trattenere un sorriso.
 
All'ora di cena finì di consegnare tutte le altre. Mickey non si avvicinò nemmeno, seguì semplicemente primi che le avevano già ricevute in mensa. Ian deglutì, cercando di ignorare il peso della busta bianca nella tasca, cercando di non ripensare al fatto di avere una busta anche per lui.
Entrò in mensa per ultimo e si sedette in mezzo agli altri. Si abbandonò al chiacchiericcio intorno a lui, ridendo alle battute e scuotendo la testa ai commenti osceni. Tutti si sentivano più a loro agio alla sua presenza, a volte dimenticandosi persino che fosse il loro sergente e che fosse più che autorizzato a riprenderli.
 
Il gruppo cominciò a disperdersi e, quando Mickey si alzò, gli si avvicinò parlando in tono il più basso possibile per non farsi sentire dagli altri. - Passi da me dopo?-
Mickey indugiò per un momento e annuì.
Il cuore di Ian crollò fino alla busta nella tasca, i due che facevano a pugni per chi lo facesse sentire peggio. Odiava quel lavoro. Odiava avere la responsabilità di tutto. Keller aveva ragione, era solo poco più che un ragazzo.
Tornò in tenda e cominciò a vagare intorno alla stanza. Si fermò per un momento a fissare la ragazza sdraiata sul cofano della camionetta militare sul calendario, poi riprese a girare in tondo.
Passò un po' prima che la tenda si aprisse. Si voltò e cercò di restare con i piedi ancorati al suolo, lo sguardo fisso su Mickey.
 Il moro entrò e rimase sulla soglia come la notte precedente. - Volevi vedermi?-
Ian annuì e gli fece segno di sedersi sulla sedia. Lui andò sulla branda, rimuovendo la lettera dalla tasca ma tenendola saldamente dietro alla schiena, aspettando che Mickey si fosse seduto di fronte a lui.
- Un po' formale, non ti sembra?- commentò Mickey mentre si sistemava.
- Non ero sicuro che venissi-  ammise Ian. - Sai, dopo ieri sera-
Mickey fece spallucce. - E' acqua passata. Sarei venuto comunque a controllarti-
Calò un lungo silenzio mentre Ian lo fissava, cercando di penetrare in quel muro che Mickey aveva nuovamente costruito dietro a quello sguardo. Era rigirdo in tutto il corpo, ma forse era dovuto al comportamento insolito di Ian nei suoi confronti.
- E' successo qualcosa?-
- C'è una lettera per te- cominciò Ian.
- Stronzate-
- Non è... dalla tua famiglia-
Mickey sorrise. - Ora è più credibile-
Quel sorriso lo spezzò ancora di più. Si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare mentre rivelava la lettera da dietro la schiena. Si sforzò con tutto sè stesso di non tremare, deglutendo il sapore metallico sulla lingua e le lacrime che minacciavano di uscirgli. Gli vennero in mente una miriade di imprecazioni mentre gli porgeva la busta bianca. La busta bianca che avrebbe rovinato Mickey. La busta bianca che avrebbe spento quell'unico raggio di sole nella vita di Ian.
Quasi si ritrasse, chiedendosi come avrebbe fatto a resistere alla tentazione della pistola nel cassetto della scrivania se Mickey si fosse avvolto nelle coperte della sua branda lontano, senza più essere preoccupato per lui, e per delle buone ragioni.
Mickey si accigliò mentre la afferrava per il bordo. Ian la strinse ancora di più e la lasciò andare solo quando l'uomo forzò la presa. Abbandonò le mani in  grembo, in attesa.
Mickey gettò un'occhiata veloce e distratta al fronte della lettera, ignorandolo, e la strappò per aprirla. Dispiegò la lettera e cominciò a leggere.
- Cazzo- sussurrò appena.
La prima lacrima scivolò sul viso di Ian.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Mickey lasciò cadere il foglio. Gli tremavano così tanto le mani che dovette chiuderle a pugno una volta prima di passarsele sul viso. Cercò di concentrarsi sul respiro, inspirando ed espirando pesantemente per trattenere le lacrime in cui rischiava di annegare.
Ian si fece in avanti e le loro ginocchia si toccarono. - Mi dispiace-
- Fanculo-
- Chi è?-
Mickey riuscì ad alzare lo sguardo su di lui scuotendo la testa. Le sue lacrime erano ancora ferme agli angoli degli occhi ma quelle di Ian gli avevano rigato il viso. Vedere il proprio dolore riflesso nel volto innocente di Ian fu come una pugnalata allo stomaco. Alzò la mano e le asciugò con il pollice. Ian gli prese la mano e la trattenne contro al suo viso.
- Iggy- rispose Mickey alla fine.
- Come?-
- Stronzate di guerra. Morto in azione. Un eroe. Probabilmente si guadagnerà una medaglia al valore o una merda simile-
- E' una bella cosa-
Mickey rise sarcastico. - Già, bellissima. Davvero fantastica. Qualcosa di luccicante e di valore che mio padre potrà vendere per comprarsi più alcool mentre mia madre e mia sorella piangono in bagno a notte fonda per non disturbarlo. L'eroe è dovuto partire e andare a farsi uccidere. Probabilmente è saltato davanti a qualcuno che stava per essere colpito e si è fatto esplodere il cervello-. Si sforzò di ridere, una risata amara, il suono rauco contro alla propria gola. Ian piegò appena il viso verso la sua mano e ne baciò il palmo.
Il fiume in piena dietro agli occhi di Mickey esondò.
- Quello stupido idiota di mio fratello- esplose tra le lacrime, cercando di alleviare il dolore con gli insulti.  - Quello sapeva a  malapena come tenere in mano una pistola. Non sapeva nemmeno colpire la parete di un granaio con un fottuto fucile. Sono sorpreso persino che sia durato una settimana. Io e Mandy scommettevamo. Lei continuava a dire che sarebbe tornato sano e salvo e io le dicevo " Cazzo, Mandy, sarà morto ancora prima di toccare terra".
Chi cazzo permette ad un idiota del genere di stare nell'esercito? Aveva anche i piedi piatti. Probabilmente avrà insultato ogni autorità, si sarà fatto ritardare la partenza con tutte le punizioni che avrà ricevuto. Magari si è fatto anche un mese in prigione per insubordinazione-
Si fermò per riprendere fiato e il respiro gli morì in gola, trasformandosi in un'altra risata. - Gli dicevo sempre: "Ig, ti farai sparare in testa. E non sarà neanche Charlie* a farlo"-.
 Abbassò la testa tremando convulsamente, cercando di convincersi che fosse per le risate. Ian gli strinse ancora di più la mano, tenendolo ancorato a terra mentre le lacrime scendevano sul viso. Mickey arricciò il naso sforzandosi di trattenerle. I Milkovich non piangevano. Iggy non avrebbe voluto vederlo piangere.
- Quel fottuto cretino probabilmente vuole una torta- mormorò. - Ha scritto le sue ultime volontà prima di partire e ci ha fatto promettere di non leggerle, e io sono sicuro che sia perchè ha scritto di volere un funerale in casa pieno di torte e di essere sepolto con una torta in faccia. Probabilmente ha anche lasciato scritto di bruciare la cazzo di bandiera-. Questa volta la risata fu autentica, ma venne fuori rauca e il sorriso forzato.
Ian rimase semplicemente immobile a guardarlo, senza dire niente. Le loro ginocchia erano pressate le une contro alle altre, tenendoli bloccati insieme. Mickey chiuse gli occhi e prese un lungo respiro raddrizzando la schiena. Abbassò di nuovo la testa e la fronte aderì contro a quella di Ian. Non si spostò al contatto. Strinse semplicemente più forte la sua mano, cercando di alleviare un po' del suo dolore. Anche Ian aveva le proprie sofferenze con cui fare i conti.
Dopo un po' Mickey indietreggiò. Spostò la sedia e si liberò dalla sua presa. Riuscì a sentire le dita di Ian scivolare via dalle proprie controvoglia, senza volerlo lasciar andare così facilmente.
Si alzò in piedi e cominciò a vagare per la stanza. Scalciò distrattamente la sedia. Avvertiva gli occhi di Ian che lo seguivano in ogni movimento, assicurandosi che non facesse niente di stupido. Non sapeva neanche che cosa avrebbe potuto fare di stupido a dirla tutta.
- Hai della birra?- gli chiese all'improvviso.
Ian sbattè le palpebre. - No-
- Wells ce l'ha-. Ian non  disse nulla e Mickey tirò un altro calcio alla sedia. - Iggy lo sapeva-
- Che cosa?-
Mickey gli rivolse una breve occhiata e cerò di sorridere, senza successo. - Tu continuavi a chiedermi come avrei fatto ad andarmene senza che qualcuno mi conoscesse davvero. Iggy lo sapeva. Non disse niente al riguardo ma non penso che fosse molto contento, come mio padre, ma... lo sapeva. E non è che gliene importasse molto, faceva tutte quelle battute su quanto mi sarei divertito in prigione, a come sarei stato felice lì-. Rise di nuovo e inspirò rumorosamente per ricacciare indietro le ultime lacrime. - Parlava in continuazione di James Dean. E non ho mai avuto il coraggio di dirgli che James Dean non è nemmeno il mio tipo-
- E' il mio-
Il sorriso di Mickey crebbe ancora di più quando guardò Ian. - Lo immaginavo-
Anche Ian rise. - Da cosa?-
- Soprattutto dalla tua colossale cotta per me-
- Fottiti-
Mickey buttò fuori una risata e si sedette di fianco a lui sulla branda. - Hai una sigaretta?-
Ian ne prese una dal pacchetto e se la portò alle labbra. La accese, aspirò un tiro e gliela passò. Mickey si leccò il labbro inferiore. - Ancora un po'-. Ian obbedì, sbuffando il fumo dalle narici, e si rigirò la sigaretta tra le labbra. Aspirò un' ultima volta e gliela porse di nuovo.
Mickey la prese. Non aspirò subito, invece assaporando semplicemente Ian per un po' sulle proprie labbra. Era più salato del solito, forse per via delle lacrime che avevano riempito la stanza. Con le spalle pressate una contro l'altra trascorsero la serata continuando a passarsi e ripassarsi la sigaretta.
 

NB: *Charlie è il modo con cui gli americani definivano i nemici. Ancora non mi è molto chiaro se si usi al singolare o al plurale...

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Ian sentì la sveglia ma non aprì gli occhi. Il corpo di Mickey era pressato contro al suo petto, la sua testa sotto al mento e i loro respiri in perfetta sincronia. Doveva essergli caduta la sigaretta visto che ora le dita erano intrecciate a quelle del moro. La quiete disperata di quella felicità riempì la mente ancora stordita dal sonno.
Mickey emise un grugnito e si mosse appena. Le labbra di Ian si incurvarono in un sorriso mentre lo guardava cercare di capire che cosa stesse toccando e cosa invece no. Le sue dita si allargarono tra quelle di Ian, tornando poi a stringerlo più forte. Lo lasciò andare e si rialzò dal suo petto. Per un attimo Ian non seppe dire se gli rendesse più facile o più difficile respirare.
Mickey gli diede un colpetto sulla gamba ed Ian brontolò allegramente. - E' ora di alzarsi- sussurrò.
- No- protestò Ian. - Sto facendo un bel sogno-. Percepì il sorriso di Mickey anche senza vederlo.
- Ah sì? Che cosa stai sognando?-
- C'era un uomo stupendo che dormiva su di me- rispose. - E mi stava per svegliare con un bacio-
Mickey sbuffò. - Stavi davvero sognando-
Aprì un occhio per guardarlo, il collo piegato in un angolatura scomoda, appoggiato contro alla parete della tenda. Mickey invece giocherellava con una sigaretta spenta, ancora seduto sulla branda di fianco a lui. Lo fissò a lungo, godendosi il contrasto che viveva in Mickey tra il conforto che trasmetteva seduto accanto a lui e l'imbarazzo per essere rimasto addormentato tutta la notte sul suo petto.
- Dovremmo alzarci-
- Non dobbiamo per forza-
Mickey sorrise. - Penso che tu sia il responsabile qui-
- Ecco perchè posso dire che non dobbiamo alzarci per forza-
Mickey rise e si portò la sigaretta alle labbra, accendendola. Il fumo bruciava nell'aria mattutina. Ian allungò una mano e Mickey gliela porse. Aspirò, inalando il suo sapore amaro e dolce al contempo. Quella seconda natura della sua essenza stava cominciando a mandarlo fuori di testa.
Mickey allungò la mano per riaverla ma Ian scosse la testa. - Ha ancora il tuo sapore-
- Dammela-
Ian la allontanò ancora di più e Mickey si allungò sopra di lui, finendo con il crollargli sopra. Ian scoppiò a ridere, il suono della risata soffocato dal peso improvviso su di sè, ritornando immediatamente come a prendersi gioco del moro che ora si stava arrampicando su di lui verso la sua mano. Ian la alzò ancora di più riportandosi poi la sigaretta alle labbra.
Mickey si rigirò sul suo grembo e si rialzò mettendosi seduto, le gambe intrecciate a quelle di Ian, sporgendosi in avanti per inalare il fumo. Afferrò la sigaretta tra le dita, rimuovendola con attenzione dalle labbra di Ian. La rigirò e se la portò alla bocca. Aspirò lentamente, senza mai lasciare il suo sguardo, e sbuffò verso l'alto.
I suoi occhi tornarono in quelli di Ian dopo aver liberato i polmoni. Ian gli sorrise, rimuovendogli le reminescenze del sonno sotto all'occhio con il pollice. Gli sfiorò la pelle morbida, facendolo scorrere sul suo zigomo e lungo la mascella. Mickey emise un respiro pesante mentre faceva un altro tiro e Ian fece scivolare la mano sul suo collo fino al petto.
Mickey chiuse gli occhi. Ian cercò di trattenere il sorriso che minacciava di allargarsi ancora di più mentre scendeva sui suoi addominali e raggiungeva il bordo dei pantaloni. Il fumo si dissolse nell'aria mentre Ian osservava il piacere dipinto sul suo volto nonostante lo stesse appena toccando. Sollevò il bordo della maglietta e adagiò la mano sulla pelle sotto. Mickey piegò le dita contro alla sigaretta.
Ma poi, Mickey appoggiò la mano sulla sua impedendogli di proseguire oltre. Se la portò invece al petto, trattenendola sul cuore che palpitava impazzito. Apri gli occhi, innocenti iridi azzurre che contrastavano con la dura scorza esteriore. Scosse lievemente la testa. - Dobbiamo alzarci-
Ian tacque per un momento, poi annuì. Rimosse la mano da sotto la sua maglietta, toccandolo più di quanto fosse necessario, e gli prese la sigaretta per fare un ultimo tiro e appoggiarla sul letto.
Mickey scese lentamente dal suo grembo, si passò un amano tra i capelli spettinati e guardò Ian per un secondo. - Stai bene?-
- Sì-
Mickey trattenne lo sguardo nel suo, un lampo che sembrò attraversare lo spazio tra loro, annuì in fretta e uscì. Ian lasciò andare finalmente il respiro, il fumo che fuoriusciva dai suoi polmoni come se stesse gareggiando in una maratona.
 Si rigirò tra le lenzuola cercando di pensare a tutto tranne che a Mickey. I giri di corsa. Mickey che correva. La colazione. Mickey che mangiava. Una pistola. Mickey che ne prendeva una nuova di zecca facendo scorrere le mani sul calcio nella ricerca di qualche possibile difetto mentre se la portava alle labbra e soffiava via la polvere dalla canna.
Esalò un sospiro pesante e si costrinse ad uscire dal letto, continuando tuttavia a sorridere anche alle azioni più semplici. Rimestò i vestiti, si passò una mano tra i capelli e fece un respiro profondo. Cercò di mantenere il controllo ma era impossibile farlo quando Mickey era lì fuori ad aspettarlo a riposo sullo spiazzo, pronto a mettersi sull'attenti.
Scosse la testa per quei pensieri e uscì dalla tenda. Arrivato sullo spiazzo, fece scorrere lo sguardo lungo le fila di uomini, rispondendo con un cenno della testa al loro saluto. Riuscì a catturare lo sguardo di Mickey per un secondo mentre alzava la testa dal gruppo con cui stava chiacchierando. Ritrovò il suo stesso sorriso in quei perfetti occhi blu.
Si passò una mano sul viso per nasconderlo, si fermò accanto all'asta della bandiera e urlò: - AT- TENTI!-. I tacchi di quaranta uomini risuonarono uno contro l'altro mentre portavano le mani alla fronte per il saluto. - Uomini, avete ancora due settimane qui. Presto sarete a dormire nella giungla, e spero, se vi ho istruiti come si deve, con un occhio aperto. Siete arrivati al capolinea e forse potreste non sentirvi pronti. Ma c'è un modo per farlo-. Tacque per creare tensione. Tutti lo fissavano, gli occhi che brillavano nella speranza di novità. Le labbra si allargarono in un sorriso sghembo. - Correre il doppio-
Alcuni gli fischiarono contro in protesta, ma si misero a correre. Mickey rimase nelle retrovie e gli passò accanto. - Per me non vale, vero?-
Ian scosse la testa. - Niente trattamenti di favore-
- Dai-
- Solo se me lo succhi-
- Fottiti-. Il tono sembrava serio ma poi sorrise e partì insieme agli altri.
Ian scosse la testa cercando di tenere a bada le farfalle nel proprio stomaco. Si spostò appena e si appoggiò all'asta accendendosi una sigaretta. La nicotina sembrò fare effetto, ma non appena le sue labbra sfiorarono il filtro capì che non era quella la droga di cui aveva bisogno. Quando Mickey svoltò nell'ultima curva, il suo sguardo incontrò il suo e indugiò per un momento sulla sigaretta. Ian se la portò alle labbra e aspirò un lungo e lento tiro.
Ebbe la soddisfazione di vederlo inciampare sui propri piedi.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


NB: linguaggio omofobo

 
La settimana passò così. Dopo cena Mickey andava nella tenda di Ian e si fermava a leggere o a passarsi e ripassarsi la sigaretta in silenzio. Si era abituato alla tranquillità di Ian e alla sua profonda tristezza come se fossero semplicemente il colore delle pareti. Ed era piacevole starci seduto accanto quando ricordava che Iggy non sarebbe tornato a casa e che non avrebbe mai avuto la possibilità di raccontargli della guerra. O di Ian.
Ma Ian comprendeva meglio di quanto potesse aspettarsi da chiunque altro. Le loro conversazioni si erano trasformate in racconti sui loro fratelli maggiori: quella volta che Lip aveva cercato di sistemare la cugina della sua ragazza di New York con Ian; quella volta che Iggy aveva spostato Mickey quando Terry aveva cercato di prenderlo a calci; quella volta che Lip gli aveva comunicato che si sarebbe sposato ed Ian aveva riso così tanto al pensiero che Lip se n'era andato ancora prima di dirgli con chi; quella volta che Iggy era tornato a casa annunciando di essersi arruolato cantando a squarciagola la canzone di reclutamento. Le serate trascorse a fumare fuori dalla finestra, ad intrufolarsi nei negozi per rubare i dolci lottando per l'ultimo biscotto rimasto... la lista andò sempre più avanti finchè Mickey non fu abbastanza sicuro di conoscere il passato di Ian meglio del proprio.
Di mattina invece cercavano di svegliarsi prima dell'adunata. Qualcosa che prima sarebbe stata come una tortura divenne un piccolo pezzo di paradiso quando Mickey potè restare ad aspettare ascoltando il respiro di Ian e guardando le sue palpebre agitarsi nel sonno mentre sognava, la calma di quei momenti che precedevano l'alba in cui Ian era ancora beatamente addormentato e la sua tristezza sembrava svanire nella quiete della stanza. E quando apriva gli occhi e trovava Mickey davanti a lui a fissarlo, e un sorriso appariva sulle sue labbra, per un breve momento Mickey poteva fingere che la sua tristezza non esistesse nemmeno.

Fu proprio in una di queste mattine in cui Mickey si svegliò con il corpo di Ian aggrovigliato al suo che si sentì pervadere da un senso di nausea. Chiuse gli occhi e cercò la sua mano per stringerla forte, cercando di calmarsi con quel contatto e di ignorare tutto il resto, ignorare ciò che gli era stato sempre inculcato. La nausea tornò ancora più forte e decise di uscire rapidamente dal letto.
Le gambe non riuscirono a sostenerlo e invece di uscire dalla tenda, crollò a terra. Abbasso la testa sul pavimento respirando affannosamente, cercando di non piangere. O perlomeno, di non piangere abbastanza forte da svegliare Ian.
Quasi subito, la calma dell'uomo sparì dalla stanza come se dipendesse dalla presenza di Mickey accanto a lui. Udì un fruscio e improvvisamente una mano ossuta stava scorrendo lungo la sua spina dorsale. Mickey ansò. Lo sentì inginocchiarsi accanto a lui, il calore irradiato dal suo corpo che lo avvolgeva mentre continuava ad accarezzarlo.
- Ehi- lo chiamò dolcemente. - Respira-
Mickey ci provò. La mano di Ian, che gli provocava la pelle d'oca, allo stesso tempo era il supporto che lo teneva ancorato a terra. Se si concentrava solo su di lui riusciva ad avvertire la nausea alleviarsi al ritmo delle sue carezze. Il problema non era mai Ian. Era sè stesso.
Quei pensieri riportarono la sensazione di nausea, lo stomaco sottosopra mentre l'odio che provava per sè stesso tornava a bruciargli nelle vene. Riusciva a sentire la voce di suo padre urlargli nella testa. "Frocio del cazzo". " Gay buoni a nulla". "Feccia della natura". "Dovremmo attirarli tutti in un club con un'offerta speciale, chiuderli dentro e bruciare tutto".
Le labbra di Ian si posarono sulla sua testa. Sfiorò i capelli cortissimi fino a raggiungere il retro del collo. Teneri baci rallentarono il battito del suo cuore mentre i brutti pensieri cominciavano a svanire. Lasciò che il proprio corpo si tranquillizzasse sotto al tocco di Ian, e quando quest'ultimo si spostò, raddrizzò la schiena.
Ian lo guardò con un'espressione preoccupata, una preoccupazione che non ebbe più bisogno di avere quando tornò la tristezza, una corrente impetuosa dietro all'oceano nei suoi occhi, senza curarsi di nasconderla solo perchè fosse ancora mattina presto e la sveglia non fosse ancora suonata.
Mickey adagiò una mano sulla sua guancia e Ian ne baciò il palmo. Mickey la lasciò cadere, facendola scivolare contro al suo collo per poi ritirarla. Si sforzò di sorridere. - Scusa-
Ian scosse la testa. - Non è niente che non capisca-
- Come l'ha presa la tua famiglia?- gli chiese. Ian non rispose quindi continuò. - Come l'hanno gestito? A loro andava bene ciò... ciò che sei? Hanno avuto bisogno di tempo?-. Ian si incupì. - Oh-
- C'è differenza tra l'accettare sè stessi e avere tutto il mondo che ti guarda come se non fossi un essere umano-
Mickey scoppiò quasi a ridere ma riuscì a trattenersi. - Quindi tutto il tuo sermone sul fatto che qualcuno dovrebbe conoscermi... erano solo parole. Non conoscono nemmeno te-
- I ragazzi mi conoscono-
- Non intendevi questo prima-
Nella tenda calò il silenzio mentre Ian evitava il suo sguardo. Mickey desiderò di potersi rimangiare le parole per non dovergli causare ulteriore dolore di quanto stesse già soffrendo ma ormai il guaio era fatto e probabilmente non avrebbe potuto essere peggio di così. - Lip?-
Ian rise. Gli occhi brillavano delle lacrime che si sforzava di non liberare. Scosse la testa. - Lip... avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non saperlo. Mi ha beccato mezzo nudo con un altro ragazzo mentre stava venendo ad invitarmi ad uscire con una ragazza che aveva incontrato mentre fumava dietro alla palestra-. Sorrise. - Non credo che fosse tanto il fatto di volerlo sapere, quanto il non volere che per me fosse ancora più dura-
- Che cosa "più dura"?-
- La vita-. Si guardò intorno, catturando la vista del calendario vicino alla scrivania. - Voleva che potessi vivermi la mia vita senza che nessuno cercasse di ostacolarmi. Quindi, anche se sapeva... avrebbe preferito di no. Non voleva sapere quanto sarebbe stato difficile per me. Non voleva sapere che i miei sogni... tutto questo... sarebbe stato impossibile-
- Ma allora? Come fai a guardare in faccia un'organizzazione che ti odia e pensare "Voglio fare questo nella vita, questo è il tipo di inferno che voglio affrontare"?-
- Ero un fuggitivo- spiegò Ian. - Ho cercato con tutto me stesso di essere forte come i patriottici. Ogni ufficiale era convinto che fossi così. Ma a casa mia... mia sorella si occupava di noi ancora prima di avere l'età per truccarsi. Era lei che si svegliava a notte fonda quando piangevamo. Si assicurava che avessimo cibo nel piatto, penne e matite nell'astuccio, una giustificazione se stavamo a casa da scuola ammalati. Mio padre era incosciente per la maggior parte del tempo e mia mamma... passava dall'essere la madre migliore che potessi chiedere al tagliarsi i polsi per divertimento. Un paio di anni fa alla fine è riuscita a tagliare abbastanza in profondità. Dio, ero così disperato di voler uscire da lì. E l'unico modo per farlo, l'unico che non mi sarebbe costato troppi soldi, era l'esercito. E se questo significava non poter dire a nessuno che sono gay... beh, lo stavo già facendo. Quanto può essere difficile non ammetterlo in un posto dove potrei essere accusato di tradimento se lo facessi?-
- La tua famiglia ti ama-
- Questo non vuol dire che mi faccia bene-
Mickey lo fissò per un bel po' prima di comprendere il senso delle sue parole. Se ci rifletteva, anche parte della sua famiglia lo amava. - E tu?- chiese poi.
- Io?-
- Come hai accettato... sai, quello che sei?-
Ian sorrise appena. - Prima di tutto, non sono cresciuto a casa tua. Penso che questo sia un vantaggio-. Mickey non colse la battuta e il sorriso di Ian scomparve. Prese un respiro e continuò. - Penso che... beh, ci ho lavorato sù. E' dura, fottutamente dura, odiare te stesso per volere qualcuno che ti rende felice-
- Tu mi rendi felice-
- Ma ti odi comunque?-
Mickey lo fissò a lungo. Riuscì a vedere la propria figura riflessa nei suoi occhi e per un attimo credette di poter vedere sè stesso così come lo vedeva Ian. Forte. Intelligente. Indipendente. Con un cuore d'oro.
Scosse lentamente la testa. - Non posso odiarmi per te-
Ian sorrise e lo baciò sulla fronte. Poi si alzò appoggiandosi sulla sua testa per fare leva. - Forza, dobbiamo alzarci-
- La sirena non è ancora suonata-
Ian lo fissò per un attimo e alzò il dito al cielo. La sirena suonò un secondo dopo e l'uomo sorrise.
Mickey scosse la testa e si alzò. Lo stomaco gli bruciava ancora e il vuoto lasciato dalle lacrime non versate era come un pesante macigno sul petto. Fece per uscire ma Ian gli strinse la mano tirandola verso di sè, baciandogli il dorso. Mickey sorrise e uscì per andare ad unirsi agli altri.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Ian si svegliò prima del resto del campo. Adagiò gentilmente una mano sulla testa di Mickey e se la spostò dal petto. Fece del suo meglio per uscire dal letto senza svegliarlo e si ghiacciò, un piede già sul pavimento e l'altro ancora sulla branda, quando Mickey brontolò nel sonno. Si rigirò tirandosi le coperte fin sopra alle spalle e fu di nuovo immobile.
Ian scese dal letto con un piccolo sorriso sulle labbra, si infilò la giacca e uscì dalla tenda. Il vento si era alzato, soffiando sempre più forte tra le tende. Si fermò un momento per controllare che la sua fosse ben piantata a terra e proseguì.
Una camionetta stava entrando dalla parte opposta del campo. A quanto aveva sentito alla radio, il nuovo luogotenente sarebbe arrivato presto, probabilmente prima dell'alba. Mancava solo una settimana alla partenza degli uomini e avrebbe preso lui il comando.
A quel pensiero Ian tirò un sospiro di sollievo. Il corpo gli doleva ancora per la stanchezza, protestando ad ogni movimento, e farsi da parte prendendosi una pausa era come accedere ad un pezzo di paradiso mandatogli da qualche dio benevolente. Ma quel sollievo lasciò posto ad una sensazione di angoscia, ricordandogli della partenza imminente. Mickey stava per andarsene. E non sapeva quanto avrebbe resistito senza di lui.
Si fermò ai limiti del campo e si cinse il torso con le braccia. Stava cominciando a piovere, le gocce che gli cadevano picchiettando sulle spalle come proiettili di ghiaccio dall'altra parte dell'oceano. Sollevò il bavero della divisa e unì i piedi. Il luogotenente doveva essere già arrivato.
La camionetta comparve sul sentiero sterrato, il rombo del motore coperto dal temporale in arrivo. Si fermò di fronte ad Ian ed il luogotenente saltò giù. Gli rivolse un sorriso luminoso nonostante la pioggia battente, i denti perfettamente bianchi, e allungò la mano. - Luogotenente Pfender-
Ian la strinse. - Sergente Gallagher-
- Dovremmo entrare?-
Ian annuì e salutò l'autista con un cenno. L'uomo ricambiò mentre faceva retromarcia e in pochi secondi se n'era già andato. Ian accompagnò il luogotenente in mensa e gli fece prendere posto ad uno dei tavoli più vicini alla porta.
- Mi dica- cominciò l'uomo. - Come sono gli uomini?-
- Beh, luogotenente... -
- Gus-
- Gus- si corresse. Afferrò il bordo del tavolo per trattenersi dal farci traballare sopra le dita e mise sù la sua espressione più professionale. - Sono forti. In questo gruppo ci mettono molto cuore. Corrono come un' unità, sono leali uno con l'altro-
- E anche verso di te, a quanto ho sentito-. Ian annuì. - Pensi che avranno problemi con un cambio di autorità?-
Scosse la testa. - Non se io lo approvo-
Gus fece un mezzo sorriso. - E lo approva?-
Ogni parte frutto dell'addestramento militare di Ian urlò a gran voce "Sì". E mentre raddrizzava le spalle per rispondere ad un ufficiale di grado più alto, non potè fare a meno di esprimere alcuni dubbi. - Dipende- ammise in tono onesto. - Quali sono le sue credenziali?-
Fortunatamente Gus non si offese. Si sistemò sulla panca riflettendo sulle sue parole prima di tornare a guardarlo. -  Sono nell'esercito da dieci anni. Sono stato nella tua posizione attuale e ho mandato in guerra seicento uomini. Per quanto ne so, quattrocentosettant'otto di loro sono tornati a casa vivi. Circa un centinaio dei restanti sono vivi ma con danni seri-
- Non è un risultato terribile-
Gus concordò. - Sono stato anche in Vietnam due volte, sei mesi ciascuna. So cosa vuol dire combattere lì fuori. Posso dare a questi uomini qualcosa che tu non puoi. Esperienza. Nella prossima settimana li preparerò esattamente a ciò che stanno per affrontare. Mi aspetto di riportare a casa ognuno di loro sano e salvo, sergente- concluse. Quando Ian non disse niente aggiunse: - Non avrebbe potuto chiedere luogotenente migliore-
- Per quanto staranno via?-
- Un anno- rispose Gus. - Con la possibilità che il tempo si estenda ad altri sei mesi-
Ian annuì, lo stomaco sottosopra. - Bene, allora-
- Mi supporterà?-
Ian sorrise. - Non avevo intenzione di fare il contrario-
Gus ricambiò e suonò l'adunata. Si rialzò ed Ian lo seguì in mezzo alla furiosa tempesta. Mentre si dirigevano sullo spiazzo Gus urlò: - Correranno con questo tempo?-
Ian scosse le spalle con indifferenza. -Io glielo farei fare-
Gus si fermò con una risata lasciandolo avanzare fino a prendere il solito posto accanto all'asta della bandiera. Cercò di restare composto ma il vento gli soffiava dritto in faccia e il bavero gli sfregava contro al viso.
Mickey fu uno dei primi ad arrivare, correndo in mezzo alla tempesta e fermandosi un po' più avanti rispetto al solito. L'espressione preoccupata sul suo viso svanì quando posò lo sguardo su Ian, trasformandosi invece in sospetto quando gli cadde su Gus. Ian scosse la testa a quel gesto appena percettibile e Mickey tornò a rilassarsi in posizione di risposo.
- Buongiorno- gridò sopra alla tempesta quando arrivarono anche gli ultimi. Si misero sull'attenti al suono della sua voce nonostante non lo avesse nemmeno ordinato. Sorrise.
- Come sapete, andrete in guerra tra una settimana. Questo significa che il vostro luogotenente è arrivato per dirigere le operazioni e conoscervi. Il luogotenente Pfender ha saputo dare prova di sè nell'esercito ed è l'uomo perfetto per accompagnarvi in guerra. Per favore, dategli un caloroso benvenuto-
Un applauso scoraggiato  esplose tra le fila quando il luogotenente fece un passo avanti. Sorrise amichevolmente e urlò: - AT- TENTI!-
Come un macchinario perfettamente lubrificato, gli uomini obbedirono senza battere ciglio.
- Mi è stato detto che con un tempo simile il vostro sergente vi farebbe correre lo stesso, di solito. Terribile da parte sua, non è vero?-
Alcuni soldati risero e Ian inarcò un sopracciglio nella sua direzione.
- Questa non è nemmeno pioggia in Vietnam- continuò Gus. - Questa è pioggerellina! Certo, qui è più fredda, ma non è pioggia. Quindi muovete il culo-
Alcuni lo guardarono indignati, altri alzarono gli occhi al cielo e altri ancora sorrisero. Molti guardavano Ian, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non andava in quell'ordine.
Ian, dal canto suo, cercò di restare completamente impassibile. Quando incrociò il loro sguardo, sbattè semplicemente le palpebre cercando di far capire loro che ormai non era più la persona a cui dover obbedire.
Alla fine però, tutti si avviarono sulla pista, più lentamente del solito per via delle condizioni atmosferiche. Ian rimase lì a guardarli e ammirò con sorpresa Gus che gli si affiancava invece di rientrare, cercando di parlare sopra al frastuono.
- C'è una possibilità che lei abbia un favorito?-
- Come?-
Gus scosse le spalle. - Stano cercando nuovi intermediari. Qualcuno di loro potrebbe restare-
- Non sono sicuro di trovare qualcuno che non lo voglia, luogotenente-
Gus annuì e tacque. Il vento turbinò come un vortice intorno a loro mentre Ian fissava la pista vuota attendendo che ricomparissero gli uomini. Quando sbucarono da dietro la curva, scorse Mickey che teneva Denny per un braccio, cercando di tenerlo in piedi in mezzo alla burrasca.
Il cuore aumentò i battiti a quella vista e continuò a guardare mentre l'uomo che amava gli dimostrava qualcosa che avrebbe dovuto capire prima. Mickey aveva un gran cuore. Un cuore che non avrebbe potuto sopravvivere alla guerra.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Il comando al campo cambiò gradualmente. Mickey fu l'ultimo degli uomini a smettere di affidarsi ad Ian, nonostante continuasse ancora a guardare il luogotenente con sospetto. Due giorni dopo il suo arrivo, Gus si era seduto a tavola di fronte a lui e aveva cominciato a parlargli come se fossero vecchi amici.
- Che cosa vuole?- gli chiese Mickey. Aveva cambiato idea su di lui, accettando persino che avesse preso il posto di Ian (ogni cosa che provocava meno stress ad Ian era un bene dopotutto) ma ciò non significava che gli andasse bene il fatto di doverselo fare amico.
Gus sorrise. - Mi piace controllare gli arruolati-
Mickey emise una risata di scherno. - E' stato Ian a dirglielo?-
- Voi due siete vicini-
Mickey abbassò gli occhi sul tavolo e scosse le spalle cercando di restare il più possibile indifferente. Riusciva ancora a sentire il calore della mano di Ian sul suo petto quella mattina. Persino la corsa nella fredda aria mattutina non lo aveva liberato da quella sensazione che cercava di proteggere con tutto sè stesso. - E' un bravo sergente-
Gus annuì. - Così pare. Vorrei che mi avesse addestrato qualcuno come lui. Probabilmente mi avrebbe risparmiato un bell'inferno-
- Tipo?-
- Prendermi schegge in una gamba- rispose Gus. - E una ferita da proiettile sull'addome-
- Già, torni a raccontarmelo dopo che le avranno tolto sei proiettili dal culo-
Gus inarcò un sopracciglio, interrogativo. - Com'è successo?-
Mickey sorrise. - Magari glielo racconterò un giorno-
Gus ricambiò e cominciò a mangiare, mettendosi a proprio agio in mezzo ai soldati, scherzando tranquillamente con ognuno di loro. Ciò che Ian aveva raggiunto in due mesi, lui l'aveva fatto in pochi giorni. Il suo sorriso spontaneo, l'atteggiamento amichevole e disponibile e la sua fondamentale stabilità gli furono di grande vantaggio con gli uomini. Non era difficile capire che alcuni di loro fossero felici di non essere più sotto l'autorità di Ian.
Fu così fino a quando non si alzò e annunciò le attività della giornata. Sebbene tutti avessero già smesso di rivolgersi ad Ian, ora lanciavano occhiate furtive nella sua direzione. Ian sorrideva appena e quando si accorgeva che tutti lo stavano guardando, faceva semplicemente spallucce.
Gli uomini uscirono sullo spiazzo con circoscrizione. Gus stava ancora parlando, spiegando le regole del "gioco", ma la maggior parte di loro era troppo occupata a bisbigliare con i compagni per ascoltarlo. Denny si avvicinò a Mickey e cominciò a parlare a raffica senza fermarsi un secondo. Mickey non aveva nemmeno l'energia per dirgli di smetterla.
Gus cominciò a distribuire pistole finte. Mickey la prese, controllò che fosse a posto e si posizionò dove gli indicò Ian. Mentre gli passava accanto gli rivolse uno sguardo curioso e Ian scosse le spalle, non per indicare che ora fosse tutta responsabilità del sergente come aveva fatto prima, piuttosto per fargli capire che anche lui pensava che il luogotenente fosse un po' tocco, ma che non avrebbe fatto nulla al riguardo.
Poco dopo, i soldati si divisero in due file da venti uomini ciascuna, gli uni di fronte agli altri, separati da una serie di ostacoli sparpagliati in giro. Mickey stava già passando in rassegna delle buone postazioni per nascondersi e altrettante da cui poter far fuoco. Ispezionò il gruppo avversario cercando di ricordare ciò che sapeva sul loro modo di mirare e pianificando il proprio percorso in base alla posizione degli ostacoli sul campo. Ma le informazioni erano troppe da memorizzare e in troppo poco tempo, e finì presto con il farsi trascinare da quell'enorme treno di pensieri. Deglutì un groppo amaro in gola.
- Bene, uomini- urlò Gus. - Queste non sono pistole vere, ma se verrete colpiti farà molto male. Ecco perchè lo scopo dell'esercizio è appunto non essere colpiti. E' abbastanza chiaro?-
Gli uomini annuirono e Mickey sistemò la presa sulla pistola.
- Quando vi darò l'ordine, correrete in campo. Questo esercizio non è "ogni uomo per sè stesso". Siete una squadra, lavorate come un gruppo. Non avrete tempo di pianificare strategie prima che l'altra squadra cominci a sparare. Lavorate in fretta, lavorate bene e soprattutto, non fatevi colpire-
Gus uscì dal campo. Le due squadre si fissarono negli occhi, stringendo così tanto le pistole da avere le nocche bianche.
- VIA!-
Mickey respirò profondamente e corse verso alla pila di sedie più vicina. Erano state tutte sistemate in modo da poter offrire il migliore riparo possibile ma c'erano abbastanza aperture da cui puntare la pistola. Altri tre uomini avevano scelto la sua stessa posizione quindi cominciarono a discutere su cosa fare. Gli spari erano già cominciati e alcuni si strofinavano le braccia nei punti in cui erano stati colpiti.
Mickey sistemò la pistola in uno dei buchi e sparò tre colpi in rapida successione. Nessuno sembrò ricambiare. Il cuore gli martellava nel petto, ma era più per l'irritazione. Se si provava questo durante un combattimento, era come essere in una sparatoria con un sacco di merda in mezzo. E ne aveva viste così tante crescendo nel quartiere, che ora non faceva molta differenza. Ma trovarsi in mezzo invece che osservarla attraverso le fessure della finestra, questo sì che era diverso.
Si sporse dalla propria barriera e cominciò a far fuoco verso gli avversari, i quali ricambiarono immediatamente. Quando vide qualcuno puntare su di lui si abbassò, ma venne comunque colpito alle nocche e alla spalla. - Come cazzo si fa a vincere questa roba?- mormorò, più a sè stesso che agli altri.
- Non credo ci sia un modo- rispose Miller sparando un colpo. - Dopotutto, non è così la fottuta guerra? Nessuna fine in vista, nessun modo per vincere, solo un mucchio di ragazzi che sparano e che vengono colpiti?-
Mickey non disse nulla, si affacciò nuovamente e mirò tre diversi bersagli, colpendone due. Mentre era ancora allo scoperto, si accorse di essere sotto il tiro di due soldati, ma sparavano largo, davvero largo, e cominciò a chiedersi seriamente se stessero cercando davvero di colpire gli avversari. Certo, erano tutti compagni, ma in quel momento erano nemici, e non avrebbero dovuto andarci leggeri.
Con la coda nell'occhio scorse Denny sporgersi da una pila di copertoni. Erano nella stessa squadra e stava rannicchiato dietro alla sua pistola come se fosse uno scudo. Non aveva idea di cosa stesse cercando di fare finchè non lo vide fissare un altro riparo a pochi metri di distanza.
Lo seguì con lo sguardo mentre si preparava a correre, sollevando la pistola per proteggersi. Almeno cinque uomini lo stavano puntando e non si era accorto di nessuno di loro. Mickey si morse il labbro per non imprecare e fece gesto a Miller di aiutarlo a coprire Denny. Rimasero in ansiosa attesa dietro alla pila di sedie mentre lo osservavano misurare la distanza. Poi partì.
Mickey cominciò a sparare ma la pistola di Miller si inceppò e la propria si svuotò dopo soli due colpi. - Cazzo- borbottò sottovoce. Lanciò un'occhiata a Denny accovacciato per terra per cercare di raggiungere la propria meta. - Cazzo-
Buttò a terra la pistola e uscì dal nascondiglio. Afferrò Denny per la schiena e lo spinse in avanti, praticamente lanciandolo dietro alla barriera. I proiettili colpirono Mickey sulla schiena strappandogli il tessuto dell'uniforme e un paio lo sbrecciarono sulle guance.  Almeno aveva trovato qualcuno che non aveva paura di premere il grilletto.
Strisciò verso Denny e si appoggiò al tavolo rovesciato inalando un respiro profondo. - A cosa cazzo stavi pensando?-
- Ad un nascondiglio più vantaggioso-
- Sì, certo, e non te ne frega niente di morire mentre cerchi di raggiungerlo-
- Non sono proiettili veri, Mick-. Tuttavia, si strofinava il petto colpito mentre parlava. Piccoli rivoli di sangue si intravedevano sotto alla maglietta, il respiro affannoso. - Non succede niente se vengo colpito-
- Lo scopo è NON farsi colpire- ribattè Mickey controllando le proprie ferite. La maggior parte erano poco più che dei puntini rossastri sulla pelle. Si passò una mano sul viso, trovandovi altre macchie di sangue. Imprecò per la rabbia.
- Non dovevi farlo-
- Siamo una famiglia, Denny. Mi faccio colpire per la famiglia-
Denny sorrise. - Hai buttato via la tua pistola-
- Avevo finito i proiettili-
- Vuoi la mia?-
Mickey la accettò e fece capolino oltre la barriera. Si riabbassò e scosse la testa. -Almeno avevi ragione su una cosa, è un punto vantaggioso da cui sparare-
I due fecero a turno per l'arma. Mickey aggiustò la sua mira quando il ragazzo cercò di sparare volutamente troppo largo. Alcune munizione di scorta vennero lanciate in mezzo al campo quando cominciarono a scarseggiare e alcuni coraggiosi si buttarono in mezzo per raccoglierle e passarle ai compagni.
Il sole cominciò a tramontare, proiettando una luce rossastra sul campo. Per un momento, con lo scoppio degli spari e l'aria lievemente più calda a mano a mano che il sole si avvicinava alla Terra, Mickey si sentì come un animale in attesa della preda. Aveva ripreso la sua pistola,  cambiato posizione un sacco di volte, aveva lavorato con tutti i suoi compagni di squadra e aveva sparato praticamente ad ognuno degli avversari.
In breve, tutti finirono di nuovo le munizioni e invece di donarne altre, Gus applaudì. - Ben fatto, uomini. Pulitevi e andate a cena-
Lo stomaco di Mickey brontolò per la fame ma aspettò prima di abbandonare la propria postazione. Controllò due volte la pistola e la restituì al luogotenente con un cenno del capo. Aveva caldo, era sudato, e moriva dalla voglia di rimpinzarsi di calorie. Il corpo era un dolore unico dopo essere rimasto accovacciato per terra tutto il tempo e la mente stanca per aver pensato in continuazione a strategie efficaci.
Mentre usciva dal campo, qualcuno gli appoggiò gentilmente una mano sulla schiena. - Stai bene?- chiese Ian.
Mickey annuì.
- Su, vieni a pulirti. Hai sangue dappertutto-
Abbassò lo sguardo sulla propria maglietta e la vide punteggiata di tracce di sangue. Aveva puntini rossi dappertutto e altri si stavano già tinteggiando di viola. Si passò un mano anche sul viso, trovandovi altro sangue, e sorrise. - Probabilmente sembro il fottuto mostro di Frankenstein-
- Se Frankenstein fosse sexy... - replicò Ian a bassa voce. Mickey scoppiò a ridere e si lasciò accompagnare nella sua tenda.

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Ian era silenzioso mentre si sedeva sulla sedia di fronte a Mickey, seduto invece sulla sua branda. Teneva il kit del pronto soccorso sulle gambe, anche se sembrava un tantino esagerato. Mickey aveva solo un paio di graffi e qualche livido.
 Ian prese dei tamponi antisettici e mise da parte la cassetta. - Brucerà un po'- lo avvertì.
- Peggio dei proiettili?-
Ian sbuffò ironico e tamponò delicatamente i tagli sul suo viso. Mickey fece una smorfia e indietreggiò appena. Ian gli afferrò il retro della testa per tenerlo fermo e lo ripulì dal sangue, cercando di rendere le ferite meno evidenti possibile. Ma anche quando il sangue fu rimosso, erano ancora rossastre e ben visibili sulla pelle. Detestava doverle aggiungere alle sue già permanenti cicatrici ma non poteva farci molto altro. Molto probabilmente sarebbero svanite nel giro di una settimana.
Appallottolò i tamponi e li lanciò verso al cestino della spazzatura. Questi rimbalzarono sul bordo e atterrarono sul pavimento. Ian rimase a fissarli per un secondo poi tornò a guardare Mickey. - Grazie- disse il moro.
 Ian si costrinse ad annuire. Cercò di fare come se fosse tutto a posto, visto che Mickey lo stava ancora guardando, ma si sentiva come se il mondo gli stesse crollando addosso. Un velo di tristezza e oscurità stava tornando ad avvolgerlo e gli sembrava come se Mickey riuscisse a percepire quel nuovo peso.
Mickey allungò una mano e la appoggiò sulla sua gamba. - Ehi- lo chiamò dolcemente. - Va tutto bene?-
Ian cercò di annuire ma alla fine scosse la testa. Cominciò a tremare in tutto il corpo e quando fece per prendere un respiro profondo per calmarsi, rimase solo immobile per qualche secondo.
Mickey rovistò nelle proprie tasche e prese una sigaretta. La accese, ne aspirò un lungo e lento tiro. Rigirò più volte il filtro tra le labbra e la offrì ad Ian.
La afferrò con le dita tremanti e si portò il sapore di Mickey alle labbra. Inalò profondamente e sbuffò il fumo dalle narici, cercando di trattenerne la maggior parte. Gli bruciarono i polmoni ma non tossì. Prese un altro tiro e Mickey parlò.
- Cosa c'è che non va?-
- Non voglio che tu te ne vada-
Mickey abbassò lo sguardo sforzando un sorriso, e fece spallucce. - Non possiamo farci niente-
Ian esitò. Fece scivolare la mano su quella di Mickey e la strinse. Mickey ricambiò. - E se... se potessi fare qualcosa?-
Mickey sbattè gli occhi.
- Stanno cercando qualcuno da promuovere- spiegò. - Non so esattamente per cosa, ma... Mi hanno detto che tirerà qualcuno fuori dalla guerra-
- Ian... -
- Tu sei il candidato perfetto. Mi hai aiutato molto in quest'ultimo mese. Nessuno avrà da ridire, possono vedere tutti il potenziale di un caposquadra che c'è in te, che tu sei più di un semplice soldato. Posso tirartene fuori, Mickey-
Mickey deglutì e spostò lo sguardo da quello ansioso e deciso di Ian.
Ian insistette, il cuore che gli martellava nel petto. Strinse ancora di più la presa, nonostante sentisse la sua mano scivolare via dalla propria. - Non ce la farai. E so che abbiamo continuato a girarci intorno, ma, là fuori? durante quell'esercizio? Credo che nessuno sia stato colpito così tanto come te-
- Sono dei cazzo di finti proiettili- ribattè Mickey. Nonostante il tono aspro, tenne la voce bassa e deglutì. - Sarò meno spericolato lì fuori-
Ian scosse la testa. - Non è questo il punto. Non penso di averti mai visto fare qualcosa di stupido. Continuavi a stare dietro agli altri. Li coprivi anche quando non avevi più munizioni. Continuavi a mettere gli altri al sicuro e te stesso in pericolo per proteggerli. Non puoi... non puoi farlo, Mickey-
- Sto proteggendo la mia squadra. E' quello che dovrei fare-
- Se continuerai a farti colpire così, non puoi proteggerli-
- Non sono proiettili veri... -
- Ma lo saranno- esplose Ian. Respirò profondamente e lasciò la sua mano per premere i palmi sugli occhi. Lasciò ricadere le mani in grembo e lo fissò dritto negli occhi. - Dimmelo- sussurrò. - Ti prego, dimmi che non salterai davanti a Miller, a Wells o a Barber. Dimmi che resterai dietro a quei fottuti alberi-
Mickey rimase in silenzio e si leccò nervosamente il labbro inferiore.
Ian arricciò il naso cercando di non piangere. - Non tornerai se ti lascio partire. E Mickey, giuro su Dio, se ricevo una lettera in cui dicono che tu... -. La voce gli morì in gola e tossì. - Non posso leggere quella lettera, Mickey-
- Pensi che io lo voglia?- chiese il moro. - Cazzo, no. Mio padre userebbe quella lettera come sottobicchiere per settimane prima che mia madre la legga. Non sono io ad aver voglia di morire-
- No, non lo sei- concordò Ian. Indietreggiò sulla sedia nonostante Mickey si fosse sporto in avanti. Lo spettro di quel contatto mancato aleggiò nello spazio tra le loro ginocchia ma nessuno dei due chiuse quella distanza. Ian prese un respiro profondo e cercò di sorridere. - Ma sei tu quello che vuole proteggere chi ce l'ha-
Il silenzio calò su di loro mentre si fissavano. Mickey non disse niente in risposta, senza cercare di giustificarsi, ed Ian sentì il proprio cuore spezzarsi. Inspirò rumorosamente. Si era completamente irrigidito per la tensione che riempiva la stanza, e lo sguardo di Mickey era l'unica cosa a dargli la forza per non crollare. Non gli aveva mai visto quello sguardo prima, pregno delle scuse silenziose che non riusciva ad esprimere a parole. Riusciva già a vederlo mentre lo lasciava.
- Lasciamelo fare- ripetè. Parlò a voce bassa, così bassa da temere che Mickey non lo avesse nemmeno udito. Anche se non c'era una vera speranza che Mickey acconsentisse, voleva provarci comunque. - Lascia che ti offra la promozione-. Silenzio. - Posso salvarti, Mick-
- Ian- cominciò Mickey. La gravità nel suo tono di voce lo uccise. Quella voce, quella già così velenosa il primo giorno, che aveva pronunciato così tante cose orribili, ora era la voce più dolce che Ian avesse mai sentito. Il dolore celato da quell'unica parola lo tagliò a metà come un coltello mentre evitava il suo sguardo sforzandosi con tutto sè stesso di non piangere.
- Ian- ripetè, questa volta a voce più bassa. Tese una mano e gli sollevò il viso, per poi riabbassarla quasi subito. - Sono la mia famiglia. Non posso lasciarli andare da soli-
 - Non sono soli-
- Ma mi sento come se lo fossero. E mi incolperei per chiunque di loro torni in una bara-. Si spostò fin sul bordo della branda e le loro ginocchia si toccarono. Gli sfilò la sigaretta dalle dita e aspirò un lungo tiro per poi ridargliela. Ian se la riportò alle labbra ma aveva il respiro corto. - Devo farlo. Lo capisci, vero?-
Ian annuì tremante.
Mickey gli prese la mano tra le proprie e sussurrò: - Vorrei non doverlo fare. Darei qualsiasi cosa perchè non mi importi di quegli idioti. Qualsiasi cosa, Ian. Ma non avevo una famiglia prima di loro-
Finalmente, Ian esplose e le lacrime cominciarono a scendergli sul viso. Mickey gli appoggiò una mano sul retro del collo e unì la loro fronte. Ian non sapeva dire se anche Mickey stesse tremando o se fosse lui a tremare così forte da darne l'impressione.
Dopo un lungo momento, Ian esalò un sospirò tremolante e si tolse la sigaretta dalle labbra. - Allora posso chiederti ancora solo una cosa? Prima che... -
- Qualsiasi cosa-
- Baciami-

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Mickey non aveva idea del perchè, ma quelle due parole gli fecero scivolare via la mano dal suo collo. Il calore infuso dal corpo di Ian era svanito, ad eccezione del contatto persistente tra le loro ginocchia. Indietreggiò separandosi definitivamente e cercò di respirare. Tutta l'aria nella stanza sembrava essersi dissolta. Riuscì a percepire, più che vedere, il sorriso amaro di Ian.
- Lo sapevo- sussurrò il rosso. Stava ancora piangendo ma riuscì in qualche modo ad emettere una risata strozzata. - Lo sapevo-
- Ian... -
- Smettila. Solo... smettila di dire il mio nome, cazzo-. Si alzò e andò dall'altro lato della stanza. Mickey lo seguì con lo sguardo mentre camminava in cerchio, chiudendo le mani a pugno ai lati del capo come se stesse cercando di afferrare capelli inesistenti. Non sapeva come, ma sentiva il dolore di Ian molto più del proprio. E quella sensazione di paura nel petto sembrava più un singhiozzo in fondo alla gola che voleva uscire.
Ian gli voltò le spalle. - Pensavo... pensavo che stesse funzionando-
- E' così-
- E allora perchè... -
Mickey scosse la testa. Fece oscillare le gambe oltre la branda. La sensazione di vuoto sotto ai piedi era la stessa che aveva nel cuore. Continuò a tenere lo sguardo puntato verso il basso, l'espressione distrutta negli occhi di Ian era troppo da sopportare. - C'è tanto... -
- Tanto sarebbe chiedermi di lasciarti andare in guerra come farebbe un amante- sbottò Ian.
Mickey trasalì alla parola "amante" e abbassò la testa in risposta al tono aspro di Ian. Nella mente rivedeva i sogni in cui lo baciava e riviveva i momenti in cui erano stati così vicini. Riusciva a sentire il suo sapore sul filtro della sigaretta, caldo sulla lingua.
- Mickey?-
Alzò di nuovo lo sguardo su Ian che lo squadrava. Teneva le mani strette l'una nell'altra e avrebbe voluto indietreggiare ancora di più, ma ormai era già contro alla parete della tenda. Era sicuro di non essergli mai stato così lontano nella sua tenda, ma era come se Ian lo stesse toccando, come se quelle lunghe e morbide dite lo stessero sfiorando sul petto e le sue labbra si fossero avvicinate un po' troppo. Cercò di scacciare quel pensiero.
- Tu non vuoi?- chiese Ian.
Fece per rispondere ma non seppe cosa dire. Ian imprecò e tornò a girare in tondo.
- Sono un tale idiota. E me ne sto qui a pensare... a pensare che forse c'è qualcosa e tu invece stai solo cercando di impedirmi di spararmi in testa. Tra l'altro hai fatto un gran bel lavoro. Pensavo davvero che tu volessi... -
- Ehi- lo fermò Mickey. - Non è così-
- Ah no? E allora cos'è? Che cos' è per te quando ti addormenti tra le mie braccia? Quando mi sveglio piangendo e tu mi baci sulle guance per asciugarmi le lacrime? Quando ci passiamo la sigaretta di mattina presto e i nostri corpi sono stretti di notte, e sento il tuo sapore sulla mia lingua e i tuoi occhi brillano come una luce nel buio? Cos'è per te, Mickey? Niente?-
- Tutto-
- E allora perchè non vuoi baciarmi?-
Mickey avanzò un po' di più sul letto. - Io non... non bacio i ragazzi. Non da quando... -
Ian sorrise ma era un sorriso smorto. - Qui non c'è nessuno che ti vuol fare del male. Tuo padre non ti vedrà stavolta-
Mickey si inumidì le labbra, il cuore che gli martellava nel petto. - Io non ho mai... non ho mai voluto baciare così tanto qualcuno come voglio baciare te-
Il sorriso di Ian si allargò, senza sembrare più così triste. Mosse un passo verso di lui. - Anche io mi sento così-
- Cazzate- ribattè Mickey. - Non sono altro che una bocca calda per te-
Ian scosse la testa. - No-
Per un secondo Mickey tremò in tutto il corpo, poi si alzò. Si avvicinò ad Ian e si fermò, solo un respiro a separarli. I loro sguardi si incrociarono, gli occhi che brillavano di un bagliore nuovo, ed Ian adagiò una mano sulla sua guancia. - Solo se tu lo vuoi- sussurrò.
Mickey annuì e chiuse la distanza tra loro. Le labbra si scontrarono gentilmente e nessuno dei due si mosse, assaporandone il calore.
Ian tirò Mickey a sè e schiuse le labbra, facendo scivolare la lingua contro alla sua. Mickey sentì il sapore di sigaretta e polvere più intensamente di quanto avesse mai fatto prima. Si abbandonò nel bacio, lasciando andare tutte le proprie inibizioni, annullando definitivamente lo spazio tra loro.
Si avvolsero l'uno nelle braccia dell'altro, approfondendo ancora di più il bacio. Tenevano le mani uno sul retro del collo dell'altro, cercando di fondersi il più possibile.
Ian dovette riprendere fiato per primo, staccandosi con un lieve rantolo. Appoggiò la fronte contro a quella di Mickey, il quale buttò fuori una risata sollevata, interrotta immediatamente dallo stesso bisogno. Ian chinò la testa e lo baciò piano, come a voler giocherellare con le sue labbra, e indietreggiò quando Mickey ricambiò. Strofinò il naso contro al suo, mantenendo le labbra fuori dalla portata mentre aspettava che Mickey sollevasse lo sguardo. Quando i loro occhi si incontrarono, il sorriso svanì e sussurrò: - Non provare a morire-
- Anche tu, eh- mormorò Mickey. Si gettò in avanti per baciarlo di nuovo e Ian questa volta glielo permise. Si spostarono sulla branda continuando a baciarsi lentamente, aumentando il ritmo e rallentando di nuovo.
Ian si spostò a baciarlo sul collo, tuttavia fermandosi sempre appena sopra al bordo della maglietta. Mani gelate si accarezzarono i torsi accaldati e dopo ore crollarono addormentati, pochi millimetri a separare le loro labbra.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Lunghe nottate trascorsero tra lenti baci. Ian aveva il privilegio di starsene nelle retrovie a sorseggiare il suo caffè mentre il luogotenente Pfender dirigeva il gruppo nelle esercitazioni. Provava una quasi dispettosa soddisfazione nel vedere Mickey sbadigliare, stropicciarsi gli occhi e inciampare sui propri piedi per la stanchezza. E ogni volta che il moro lo beccava sorridere, lo mandava a quel paese.
Purtroppo però il tempo era agli sgoccioli. Quattro giorni dopo Ian si risvegliò al rombo del motore di un autobus che entrava nel campo. Sentì il cuore precipitargli nel petto, cercando di trovare conforto rifugiandosi nel calore di Mickey. Sebbene il moro fosse ancora profondamente addormentato, le sue labbra continuavano a sfiorargli il retro del collo.
Ian rimase immobile tra le sue braccia il più possibile, fingendo che l'autobus fosse solo frutto della sua immaginazione e che Mickey avesse accettato la sua offerta. Ma alla fine la sveglia suonò e Mickey si mosse dietro di lui. Ian si rigirò.
- Ehi- gracchiò Mickey aprendo gli occhi.
- Ehi-
Si fissarono a lungo ma poi Ian si sporse e gli diede il più piccolo dei baci. Indietreggiò e scese dal letto raccogliendo la maglietta da terra e gettando a Mickey la sua. Aveva freddo senza la sensazione della sua pelle contro alla propria ma era una sensazione a cui avrebbe dovuto abituarsi. - Devi scrivermi- gli disse, senza riuscire a guardarlo negli occhi.
- Certo-
- Ogni giorno-
Mickey ridacchiò. - E a chi dico che sto scrivendo?-. Ian fece spallucce. - Alla mia ragazza?-
- Fottiti-
Mickey si alzò e si avvicinò. Lo baciò, un bacio lungo e dolce, adagiando poi la fronte contro alla sua. I suoi occhi erano pieni di emozione ma il sorriso appena accennato sulle labbra non raggiungeva lo sguardo. Ian si tranquillizzò poco a poco, come se il suo corpo fosse l'unico conforto a tenerlo in piedi. Chiuse gli occhi nel tentativo di non piangere.
- Tornerò a casa- promise Mickey. Quindi faresti meglio ad essere qui, cazzo-
Ian sorrise. -Tra una settimana arriveranno nuovi cadetti. Sembrano già meglio di voi stronzi-
Mickey rise e si trattenne dal baciarlo di nuovo. Fece scivolare invece la mano sul suo collo e fece un passo indietro, il sorriso ancora sulle labbra. Ian ricambiò, pur sapendo che il suo non somigliasse neanche lontanamente a quello di Mickey, ma non riuscì a dare di più.
Mickey gli diede una pacca sulla spalla e uscì dalla tenda. Ian si portò una mano alle labbra, cercando di memorizzare il suo ultimo bacio. Forse l'ultimo che Mickey gli avrebbe mai dato.
Rabbrividì e prese un lungo respiro per calmare i nervi, asciugandosi gli occhi ancora asciutti. Lo seguì, avviandosi sullo spiazzo dove gli uomini si erano riuniti tutti sull'attenti, il luogotenente Pfender in piedi di fronte a loro. Ian lo salutò con un cenno e l'uomo ricambiò.
Fece un passo avanti per osservare meglio gli uomini con cui aveva condiviso quegli ultimi due mesi. Se glielo avessero chiesto avrebbe saputo recitare tutti i loro nomi completi a memoria, nomi dei famigliari, chi avesse cani e chi gatti, chi aveva una ragazza che lo aspettava e chi sperava che ce ne fosse una a preoccuparsi per lui. Conosceva ognuno di loro e conosceva le loro famiglie ancora meglio della sua.
Si schiarì la gola. - E' arrivato il giorno in cui dobbiamo salutarci. E vorrei che non foste costretti a farlo. Vorrei che non fossimo in guerra e che nessuno di voi dovesse mettersi in pericolo. Ma il mondo ci ha messi di fronte ad una sfida, la sfida del comunismo in Vietnam, e col cazzo che gli Stati Uniti rifiuteranno una sfida. Siete pronti, lo siete da settimane ormai. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato solo mettervi a vostro agio e abituarvi. Ho piena fiducia che ognuno di voi torni a casa sulle sue gambe. E fareste meglio a fare in modo che sia davvero così-
Gli uomini annuirono con fare solenne. Ian si mise sull'attenti rivolgendo loro il saluto e tutti ricambiarono. Indietreggiò e il luogotenente prese il suo posto per spiegare le direttive del viaggio. Gli occhi di Ian viaggiarono sulla folla finchè non si posarono su quelli azzurri di Mickey, mantenendo lo sguardo nel suo finchè non fu ora di partire.
Mentre gli passavano di fianco, tutti gli tesero la mano. Ricambiò ogni stretta augurando buona fortuna. Si sforzò di sorridere, ricambiare le battute e dare pacche sulla schiena ad alcuni. Denny lo colse di sorpresa con un abbraccio e rise, dandogli dei gentili colpetti sulla schiena con la mano.
Finalmente, Mickey si fermò di fronte a lui con un sorriso e gli occhi pieni di lacrime. Ian gli rivolse un cenno del capo e gli offrì la mano. - Buona fortuna, Milkovich-
Mickey esitò ed Ian rimase a lungo in attesa cercando di controllare il proprio tremolio. Poi, Mickey si mosse e lo avvolse in un abbraccio. Premette le mani chiuse a pugno sulla sua schiena mentre Ian ricambiava con forza, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
Rimasero in quella posizione più a lungo del dovuto. Ian aveva un'espressione contratta sul viso per trattenere le lacrime. Ne uscì solo una che andò immediatamente a depositarsi sulla nuova e pulita uniforme di Mickey. Avvertì le sue labbra premute delicatamente contro al proprio collo mentre si staccavano, poi gli sfiorarono l'orecchio con un sussurro. - Ti amo-
Indietreggiò e tutto ciò che Ian riuscì a fare senza crollare fu annuire. Mickey gli strinse la mano e le loro dita indugiarono ancora un momento nel tocco prima di spostarsi e lasciar il posto al soldato successivo.
Per questo, Ian non lo vide salire sull'autobus. Non sapeva dove si fosse seduto quando le porte si richiusero e rivolse loro un ultimo saluto. Credette di averlo visto per un momento dietro al finestrino insieme ad una mano che si agitava nella sua direzione.
L'autobus si allontanò e quando scomparve dalla vista, Ian cadde a terra, ogni centimetro del corpo scosso dai singhiozzi.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 - Epilogo ***


Ian rigirò il cucchiaino nella poltiglia di cereali. Carl e Debbie bighellonavano in cucina preparandosi per la scuola, Debbie che stringeva ancora tra i denti uno dei pancake che aveva preparato. Carl invece ammucchiava coltellini a serramanico dai cassetti ed Ian non aveva idea di come dirgli di smetterla. Fiona era già uscita, e Frank... Solo Dio sapeva dove fosse.
 Ian stava per essere lasciato solo nella casa completamente svuotata, chiedendosi per metà quando Lip si sarebbe alzato dal letto e metà ricordandosi che fosse sepolto a miglia di distanza. Ogni giorno era così, ormai era quasi passato un anno.
Quando i ragazzi furono usciti, si alzò e buttò il resto dei cereali nel lavandino. Prese il grembiule appeso accanto al frigorifero e lo infilò nello zaino. Il lavapiatti era l'ultima cosa che voleva fare ma era difficile spiegare di essere stato cacciato dall'esercito per aver sparato ad un uomo. Al piede. Non sarebbe stato comunque un buon soldato.
Controllò l'orologio, cercando di convincersi a non uscire troppo presto, ma non aveva nient'altro da fare. Tutto era terribilmente noioso. Le lancette ticchettavano ad una lentezza devastante e in tv non c'era nessun programma che gli interessava. Aveva smesso di ascoltare i notiziari da mesi per non dover sentire elencare continuamente i morti, convinto di essersi perso il nome di Mickey mentre veniva congedato.
Mise lo zaino in spalla e andò alla porta. La aprì senza farci molto caso, andando quasi a sbattere contro alla persona sul portico oltre la soglia. Abbassò lentamente la mano dal pomello e riconobbe un sorriso famigliare.
- Ehi- disse Mickey.
- Ehi... ?- rispose. Le labbra minacciarono di allargarsi a sua volta in un sorriso, ma cercò di trattenersi. Il mondo sembrò riprendere improvvisamente colore. - Solo un fottuto "ehi"?-
Mickey sembrò ripensarci. - Ciao, sergente... ?-
- Vaffanculo- replicò scuotendo la testa. - E' passato un anno e mezzo. Un anno e mezzo, porca puttana, e non ho ricevuto neanche una lettera da quando ho lasciato l'esercito-
- Non sapevo il tuo indirizzo-
- Pensavo fossi morto-
- Non lo sono-
Ian lo spinse ma Mickey si mosse appena. Uscì quindi sul portico minimizzando la distanza tra loro e fissandolo nelle iridi azzurre. Occhi azzurri che celavano uno sguardo più duro, triste, ma forse anche più felice di quanto avesse mai visto prima.
- E non hai cercato un modo per averlo? Le persone muoiono a destra e sinistra ogni giorno e io me ne sto qui seduto ad aspettare di sentire la voce di un presentatore che mi dice se qualche pezzo di merda comunista ti ha spappolato il cervello. Mickey, pensavo fossi morto. Mi hai spaventato a morte, cazzo-
Il sorriso di Mickey non vacillò nemmeno. Sembrava illuminarsi semplicemente per il fatto di essergli così vicino, avvolto dal calore del suo corpo. - Servirebbe se ti dicessi che mi dispiace?- chiese.
- Fottiti- ribattè Ian. - Credevo fossi morto-
- Ma non lo sono- ripetè Mickey. - Quindi che ne dici di chiudere quella cazzo di bocca e accogliermi come si accoglierebbe un uomo tornato dalla guerra?-
Ian sbattè gli occhi al luccichio in quelli di Mickey. Il moro si leccò il labbro inferiore e fece un passo verso di lui. Ian scosse la testa, il sorriso che esplodeva finalmente sulle labbra, e sussurrò: - Fottiti-
Lo baciò con forza, perdendosi in quel sapore che non aveva sentito per diciotto mesi. Mickey ricambiò con una passione ed un'urgenza che prima non aveva mai avuto. Spinse Ian oltre la soglia e la porta si richiuse sbattendo alle loro spalle mentre ruzzolavano a terra.
 
FINE



 

Nota di Sidphil: Anche questa storia è giunta al termine, purtroppo. So che non è la tipica fiction che vorremmo leggere dei Gallavich ma credo che ogni storia abbia il suo perchè. Questa, in particolar modo rispetto alle altre, mi ha lasciato molto anche dal punto di vista riflessivo. Credo che l'autrice abbia voluto lasciare dei messaggi dietro alle azioni dei nostri due personaggi, qualcosa che a livello umano può essere comprensibile da tutti. Naturalmente, ognuno trae le lezioni e le conclusioni in base alle proprie esperienze, e credo che molte delle parti di questa storia lascino al lettore la più completa e libera interpretazione. Ecco perchè è stata una delle storie che più ho amato leggere e tradurre.
Il finale, anche a detta dell'autrice stessa, è un pò dolce-amaro. Ma questo è. Ci sono altri due capitoli dopo questo epilogo che ci faranno dare una breve occhiata a due avvenimenti significativi che Ian e Mickey hanno vissuto dopo la loro separazione. Non hanno particolare rilevanza per la storia, ma forse possono chiarire alcune cose che a mio avviso sono lasciate sospese.
La prossima storia sarà il (spero atteso) sequel di Show Me Baby, Tame Me Baby. Purtroppo non so ancora quando comincerò a pubblicarlo, ma la traduzione è in corso. Spero di non farvi attendere troppo. A presto!

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Capitolo 39
*** Mi manchi. Ti amo. Torna a casa presto. - Ian ***


Avvenimento accaduto tra il capitolo 37 e l'Epilogo.

 
La luce degli spari illuminò l'oscurità. Le foglie stormivano di un fruscio rumoroso che prometteva una pioggia più naturale di quella dei proiettili. Un uomo gridava ordini , ordini che perdevano ogni significato nella notte tersa. Qualcuno cadde. Qualcun altro urlò. Il fuoco si scatenò di nuovo in risposta.
Sentiva un respiro pesante, abbastanza da sovrastare quello di tutti gli altri. Comparve il volto di Mickey madido di sudore, striato di sporco, gli occhi azzurri spalancati per il terrore. Teneva la pistola al petto, come se lo stesse proteggendo invece di fare il contrario. Sussurrava qualcosa, qualcosa di indecifrabile.
Un colpo echeggiò nella foresta più forte degli altri. Mickey sussultò e guardò in basso. Una macchia di sangue comparve sulla sua uniforme, rimanendo immobile per un surreale momento prima di allargarsi sul tessuto. Mickey impallidì e crollò nel fango.
Improvvisamente riuscì a sentire la sua voce.
"Ian... Ian... Ian... "

- MICKEY!-. Ian si svegliò di soprassalto, urlando. Si mise a sedere di scatto, il cuore che batteva impazzito, il buio della notte che gli impediva la vista. Si sforzò di stabilizzare il respiro e di sbattere le palpebre ma l'oscurità lo faceva sentire come se gli occhi fossero già chiusi. Si sdraiò di nuovo tremante. "Solo un sogno. Era solo un sogno. Era solo un sogno".
Continuò a ripetersi quel monito a lungo, per poi decidere di smetterla. Si alzò e andò alla scrivania, rovistando nei cassetti. Tutte le lettere di Mickey erano ammucchiate in un angolo ordinate per data, ma ce n'era solo una che voleva leggere. Un'unica lettera in cui Mickey era stanco e aveva paura, in cui gli aveva detto ciò che voleva dire davvero, o almeno ciò che Ian sperava volesse dire davvero.
Prese la lettera dalla busta e attese che gli occhi si abituassero alla luce, anche se ormai non ne aveva nemmeno più bisogno. L'aveva memorizzata dall'inizio alla fine. Era stropicciata per le tante volte in cui era stata ripiegata ed era chiazzata di giallo per il sudore delle sue mani, tanto da rendere alcuni punti quasi illeggibili. Ma in quel momento aveva bisogno non solo di quelle parole, ma anche della calligrafia trascurata di Mickey, quasi impossibile da capire.
 
"Ian,
oggi abbiamo camminato per dieci ore nella stramaledetta giungla. Sono fradicio. Non ha mai smesso di piovere. Ci hanno sparato undici volte e Gus non sa nemmeno se qui saremo al sicuro per la notte. Non ci lascia ricambiare il fuoco, ma anche se lo facesse non c'è abbastanza copertura.
Se muoio qui, se muoio in questa fottuta giungla, voglio che tu sappia che ti amo, che sei la parte migliore della mia vita, il mio ricordo più bello, e vorrei averti incontrato prima. Vorrei poter essere rimasto di più con te. Se dovessi morire, sappi che non sarà mai per essermi messo troppo in pericolo. Perchè ho solo un obiettivo qui ed è tornare a casa da te.
Quindi vedi di esserci, okay? Aspettami perchè sto tornando da te, lo prometto. Se questa dannata giungla mai finirà, se questa guerra mai finirà, se tornerò mai a casa, sarà per te. E non posso farcela qui se tu non ce la fai lì.
Mi manchi. Ti amo. "
Mick

 
Il respiro rallentò e chiuse gli occhi. Anche il battito era tornato normale ma sapeva già che non sarebbe più riuscito a dormire. Quindi ripiegò la lettera, se la mise in tasca e uscì per farsi una camminata intorno al campo.
Ascoltò i soldati che dormivano, il loro respiro come una dolce litania nella notte. L'aria odorava della pioggia imminente. Nessuno si muoveva, non un anima sveglia. I nuovi soldati erano meglio dei precedenti, rispettavano diligentemente le regole, e Ian non era sicuro se la cosa gli piacesse o no. Gli rendeva più difficile far nascere in loro il senso di "responsabilità collettiva".
Tornò sullo spiazzo e appoggiò una mano all'asta della bandiera, la stessa su cui Mickey si era arrampicato sei mesi prima. Se chiudeva gli occhi, riusciva ad immaginare che fosse ancora calda per il suo tocco, anche se in quel momento il freddo del legno contrastava con il calore di quella notte estiva.
Guardando l'orizzonte, vide la tempesta in arrivo. Grosse nubi nere avanzavano nel cielo come un esercito nemico e preannunciavano un diluvio biblico che sarebbe comunque finito prima che fosse mattino inoltrato, lasciando un terreno fangoso e soldati non abbastanza riposati poichè svegliati dal temporale.
Mosso dall'istinto, Ian corse in mensa e trovò il corno con cui suonare l'adunata. Lo suonò un paio di volte mettendoci più fiato possibile e tornò fuori. Nel campo si diffuse un lieve movimento, i soldati che uscivano lentamente stropicciandosi gli occhi. Accorsero sullo spiazzo formando delle file ordinate, a riposo.
Quasi tutti arruolati.
Quasi tutti tra i soldati più ricettivi agli ordini che Ian avesse mai addestrato.
- AT-TENTI!-
Tutti scattarono in posizione.
- Chi sa dirmi cosa c'è dietro di voi?-
Gli uomini si scambiarono qualche occhiata, aspettandosi una domanda a trabocchetto. Alcuni dissero sottovoce le possibili risposte che raggiunsero comunque l'orecchio di Ian. Il campo. Le tende. Le nostre cose. Merda. Ha preso di nuovo le nostre cose?
Ian attese pazientemente finchè uno dei patriottici, un soldato di nome Davidson, alzò la mano.
- Sì?-
- Una tempesta, signore-
Ian sorrise. - Una tempesta, sì. Sapete quante tempeste dovrete affrontare in Vietnam?-. Nessuno rispose. - Molte. Peggio di questa. Quindi oggi cominceremo un po' prima così potete provare sulla pelle il tipo di acquazzoni che vi infradiceranno ogni singolo giorno fino alla fine del vostro servizio. Qualche obiezione?-
Come previsto, nessuna.
- Cominciate a correre-
Gli uomini obbedirono. Percorsero appena due giri che cominciò a piovere, le gocce che cadevano con meno forza della doccia di un motel. Ma poi, i fulmini squarciarono il cielo e i tuoni esplosero come a voler sfidare le risate dei soldati. Come Ian aveva previsto, il cielo si aprì in un violento acquazzone e gli uomini furono costretti a trascinarsi nel fango mentre le magliette fradicie sembravano volerli tirare giù per diventare un tutt'uno con esso.
Ian li guardò con aria disinteressata, pensando a Mickey alle prese con la stessa pioggia, chiedendosi se la tempesta avesse già attraversato l'oceano e lui l'avesse già affrontata. Aveva voglia di una sigaretta ma sapeva che con quella pioggia e senza il sapore di Mickey sarebbe stata inutile. Aveva definitivamente smesso di fumare da quando Mickey se n'era andato.
 
Gli uomini terminarono i giri di corsa e proseguirono con le flessioni. Il fango li imbrattava ogni volta che si abbassavano, sporcando la loro pelle.
- E' TUTTO QUELLO CHE SAPETE FARE?- urlò sopra al frastuono. Alcuni erano caduti. - QUESTO E' NIENTE! QUESTO E' SPUTO IN VIETNAM-
Non sapeva quanti credessero alle sue parole ma nessuno osò lamentarsi. Tutti continuarono l'esercizio. Vide uno di loro cercare di fare il furbo, Nash, e gli si avvicinò. Gli appoggiò un piede sulla schiena e lo spinse nel fango, la faccia coperta di melma.  - FLESSIONI!-
Nash si tirò sù a fatica e ricominciò, ostacolato dal peso di Ian e dal suolo scivoloso. Ian si spostò quando ebbe finito ma rimase a fissarlo mentre faceva gli addominali. Il gruppo aspettò che finisse, mettendoci circa quindici minuti in più, poi si alzarono per andare in mensa.
- La colazione non è ancora pronta- urlò Ian. - Ci esercitiamo con le pistole-
Due soldati corsero immediatamente a prendere l'occorrente nella rimessa, seguiti da altri tre. Ian fece sistemare loro le sagome per i bersagli e spiegò loro come creare delle coperture. Gli uomini caricarono le pistole con serietà, cercando di ripararle il più possibile dalla pioggia.
Ian caricò la propria e si mise di fronte a loro. - Colpite i bersagli. Abbastanza semplice?-
Annuirono.
In realtà non lo era. La copertura era buona, forse anche troppo, e la pioggia offuscava la vista. Gli uomini erano esausti e continuavano a guardare nella sua direzione come per chiedergli se potessero tornare a dormire o andare a farsi una doccia. Ricambiò i loro sguardi impassibile. Se Mickey lo stava facendo, allora potevano farlo anche loro.
 
Il sole non sorse mai. Rimase dietro alle nuvole e il tempo si fermò finchè non arrivò la camionetta della posta. Ian se ne rese appena conto fino a quando l'autista non gli porse una pila di lettere schiarendosi la gola. Aspettò che gli porgesse la seconda ma non arrivò. - Nessuna lettera per me?- chiese cercando di non mostrare la sensazione di panico nel suo tono.
- Oh- rispose l'autista, e tornò a rovistare nella borsa. Ian rimase in attesa sbattendo il piede sull'erba bagnata. Il soldato gli porse una sola busta da parte di Fiona. - Ecco, signore-
Ian annuì, la prese e lo congedò. Cercò di controllare i tremori del proprio corpo, il sangue che sembrava gelargli nelle vene e il respiro che si bloccava nei polmoni. C'erano svariati motivi per cui Mickey poteva non aver scritto, forse c'era stato un fuoco pesante. E' morto. Forse pioveva troppo per riuscire a scrivere su carta asciutta. E' morto. Erano in costante movimento. E' morto. Era...
E' morto.
E' morto.
E' morto.
Mickey è morto.

Aprì la bocca e inalò più aria possibile. Cercò di scuotersi di dosso quel pensiero ma continuava a perseguitarlo come un fantasma. Infilò in tasca la lettera della sua famiglia e andò in mensa per posare quelle degli altri soldati.
Rimase lì a lungo, afferrando con forza il bordo del tavolo mentre cercava di respirare normalmente. Il cuoco entrò per preparare la colazione e non gli offrì di più che un semplice saluto, che Ian ignorò. Cercò di riprendersi. Spinse le parole "Mickey è morto" nel retro del cranio e uscì...
... Per vedere che si era scatenato l'inferno. I bersagli erano, per l'appunto, troppo difficili da colpire. Ma questo non voleva dire che i soldati dovessero prendere il loro posto e fingere di spararsi con pistole vere.
- COSA CAZZO STATE FACENDO?- urlò. Il tempo sembrò fermarsi. Tutti si voltarono a fissarlo con uno sguardo di terrore e per una volta non ne rimase offeso. Avrebbero dovuto temerlo. Tutti dovevano essere terrorizzati di fronte a ciò che stava per fare.
Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto.
- Chi diavolo ha deciso che questa fosse una buona idea?- chiese quando si fu avvicinato abbastanza. Nessuno rispose. - O me lo dite ora o ognuno di voi correrà fino a vomitare i polmoni-
Niente.
- Pensate che sia un fottuto scherzo? Queste sono pistole vere. Hanno... - sparò un colpo dalla propria arma. Tutti sobbalzarono. - ... dei dannati proiettili veri. E se vi colpite con uno di questi, morirete-
- Ma dai- replicò una voce. Lo stesso tono sarcastico di Mickey.
Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto.
- Siamo esattamente dove sono i bersagli e nessuno riesce a colpirli-
- Chi ha parlato?-
Il gruppo si aprì rivelando Nash in fondo, bagnato fradicio e tremante. Rigirò la pistola intorno al dito senza inserire la sicura. - Ci stavamo solo divertendo un po'. Siamo fradici, esausti, e... -
- E sarete fradici ed esausti anche nel fottuto Vietnam- sbottò Ian muovendosi nella sua direzione. - Vuoi forse dirmi che quando sarai fradicio ed esausto dall'altra parte del mondo, con i nemici nascosti nella giungla, vi sparerete l'uno contro l'altro solo per "divertirvi un po'"?-
Nash fece spallucce. - Probabilmente spareremo a loro-
Ian sparò un altro colpo a terra. Nash spalancò gli occhi. - Tu pensi...- disse, così piano da non essere quasi udibile con il frastuono della pioggia. - ... che questo sia un gioco?-
- No, signore-
Ian sparò di nuovo. Più vicino.  Nash sussultò. - Questo è un gioco, soldato, o stai andando in guerra?-
- Sto andando in guerra, signore-
Un altro colpo. Nash deglutì, il pomo d'Adamo che sobbalzava sotto al mento appuntito. Con quel diluvio, Ian non sapeva dire se avesse le lacrime agli occhi o se fosse solo il riflesso della pioggia nelle sue iridi blu scuro. Ian avanzò verso di lui mentre Nash cercava invece di indietreggiare. Lo afferrò per la maglietta e lo tirò a sè, lasciando pochi millimetri di distanza tra loro, il respiro caldo contro al tessuto della sua giacca.
- Sei una cazzo di scusa di soldato- sussurrò.
Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto. Mickey è morto. Più forte della pioggia. Più forte delle lacrime del soldato davanti a lui.
- E non ti meriti di essere chiamato tale-
Sparò un ultimo colpo e Nash urlò. Il sangue imbrattò l'erba già fradicia e l'uomo cadde a terra tra gemiti di dolore, tenendosi il piede.
Ogni singolo uomo indietreggiò  mentre Ian fissava il soldato a terra. Riuscì a sentire l'orrore che provavano mentre lo guardavano come se fosse un mostro, senza provarne quasi nulla se non freddezza. Freddezza per il sangue che sgorgava dal piede di Nash. Il sangue che sgorgava dal petto di Mickey.
Deglutì e fece un passo indietro. Inserì la sicura e tornò in mensa per chiamare un dottore. Finalmente, qualcosa sembrò risvegliarsi in mezzo alle sue peggiori paure. Un altro tipo di paura.
"Mi licenzieranno".

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Capitolo 40
*** Mi manchi. Ti amo. Torna a casa presto. - Mickey ***


Mickey non smise di imprecare neanche per un attimo mentre i proiettili sembravano piovere intorno a lui. Era accovacciato dietro ad un albero dal tronco largo che si divideva in tre parti. Denny era alla sua sinistra che puntava il fucile facendolo sporgere dallo spazio tra i due tronchi, il viso sporco di sangue e uno sguardo duro negli occhi verdi. Wells era invece alla sua destra, Il fucile stretto al petto. La pioggia era riuscita a togliergli quel sorriso idiota dalla faccia, finalmente.
Gus e Miller erano due metri davanti a loro inginocchiati dietro a dei cespugli, quasi invisibili dietro alla cascata di pioggia. Il cielo si era oscurato coprendo il sole e nessuno sapeva dire che ora fosse o se fosse ancora giorno.
Erano sotto fuoco pesante da otto giorni. Doveva esserci una zona sicura protetta dalle truppe americane non lontano da loro. Ma aveva sentito Gus ripetere la stessa cosa per quattro giorni, quindi non nutriva più grandi speranze.
Gli spari diminuirono e Gus fece segno di proseguire. I tre uomini si mossero come una sola persona, prendendo il posto di poco prima del luogotenente. Fecero fuoco mentre avanzavano e Mickey contò i proiettili sperando che gli bastassero per allontanarsi dal Vietcong.
Per un breve attimo, con l'attenuarsi dei colpi, il pensiero di Mickey andò ad Ian. Ian, al quale non riusciva a mandare lettere da una settimana. Ian che stava addestrando nuove reclute da mandare a morire in quella guerra. Ian, che aspettava che tornasse a casa. Evitò una raffica di colpi. Ian, che avrebbe potuto vederlo tornare in una bara.
Si riscosse da quei pensieri e fissò Gus. I suoi segnali diventavano sempre più difficili da capire. La pioggia cadeva fitta, coprendo la vista. Pensavano che il nemico fosse di fronte, ma era impossibile dirlo. A volte i colpi arrivavano da dietro, a volte di lato. A volte erano solo pochi soldati, mentre il gruppo più consistente aspettava che prendessero posizione.
Mickey deglutì, fece un cenno del capo e si mosse insieme agli altri due uomini. Questa volta nessuno ricambiò i loro colpi. Gus si voltò a guardarli annuendo. - Se ce la facciamo in questo breve tratto, siamo salvi-
Mickey rise beffardo.
- Lo prometto-
Non disse niente. Volse lo sguardo agli alberi, alla pioggia, ai lampi di luce provenienti dalle armi nemiche. Gus li fece avanzare ricambiando il fuoco e guadagnando terreno. Mickey contò altri tre uomini in meno, arrivando a tredici perdite totali negli ultimi sei mesi. Statisticamente, non era male.
- Andate ora- ordinò Gus. I soldati lo guardarono. Lui non tolse lo sguardo dai nemici di fronte a loro. - Superateli a destra, coprite quelli che corrono e arriverete al campo. Lì sarete al sicuro. Andate-
Mickey rimase immobile. Denny con lui. Wells cominciò a correre. Spararono nella radura per coprirlo e sparì tra gli alberi. Altri lo seguirono, Miller, Johnson. Mickey pregò un dio in cui non credeva di farli arrivare sani e salvi. Ognuno di loro.
- Vai, Mick-
Mickey guardò Denny dietro di lui, annuendo con freddezza. Nonostante ora avesse di fronte un uomo e non più il ragazzino terrorizzato perchè non riceveva le lettere della madre, non poteva lasciarlo lì.
- Insieme- replicò.
Denny annuì.
Rivolsero un'occhiata al luogotenente che annuì a sua volta. Attesero che i colpi diminuissero e partirono. Gus fece fuoco dietro di loro mentre gli altri sparavano dalla vegetazione per coprirli.
I proiettili arrivarono dagli alberi. Non molti ma dovevano stare comunque attenti. La mente di Mickey tornò all'esercizio con le pistole a pallini, Denny che correva per cercare un riparo, lui che si buttava in mezzo e intercettava il più colpi possibile. Se avesse fatto la stessa cosa lì sarebbe finito in poltiglia. Deglutì e accelerò, Denny subito dietro di lui.
Erano a metà quando Mickey percepì l'arrivo di un proiettile. Il tempo sembrò fermarsi, il luccichio metallico che risaltava sul cielo scuro. Cercò di fermarsi, di rallentare. Tutto inutile. Lo avrebbe preso, sapeva che lo avrebbe preso.
Ian, ti prego. Ian.
Il suo ultimo pensiero.
O almeno, il suo ultimo pensiero finchè non tornò alla realtà e Denny gli si parò davanti. Il proiettile lo colpì nel petto, il sangue che gli tinse immediatamente la giacca mentre cadeva a terra.
- Denny!- urlò Mickey. Più come se fosse un ordine. Si inginocchiò accanto a lui, premendo le mani sulla ferita, il sangue caldo che gli imbrattò immediatamente la pelle. - Denny, giuro su Dio-
Denny sorrise. - Ho solo... ricambiato il favore- sussurrò.
- DENNY!-
Cominciò a scuoterlo, senza realizzare che ora erano le lacrime a bagnargli il viso e non più pioggia. Una mano lo afferrò dal retro della giacca e lo tirò in piedi. Si dimenò cercando di prendere Denny con sè ma i suoi occhi erano ormai vitrei e fissavano il cielo sopra di lui.
- Corri, Milkovich- sbottò Gus.
 E Mickey, nonostante ci fosse il suo amico morto sull' erba, si voltò e corse. Perchè Ian lo aveva reso un soldato. E un ordine era un ordine.
 

Una zona sicura non era comunque sicura dalla pioggia. Dagli scontri, certo, ma non dall'incessante tempesta vietnamita. Mickey era seduto su una branda in una tenda insieme agli altri. Stavano tutti in silenzio lasciando che fosse il vento ad urlare mentre le penne scorrevano sulla carta. Alcuni avevano già scritto otto fogli, in più lettere o in una sola. Altri erano al primo. Mickey era l'unico ad essere riuscito a scrivere solo una parola.
Ian.
Non c'era nient'altro da dire. Come avrebbe potuto dirgli che Denny era morto? Come avrebbe potuto dirgli di averlo lasciato nella giungla sotto alla pioggia? Aveva importanza che Gus avesse promesso di andare a riprenderlo una volta che la zona fosse stata più sicura? Sarebbe stato ancora lì, e sarebbe stato ancora Denny? Come avrebbe potuto dirgli di aver perso una delle poche persone al mondo che si fidavano di lui? Come avrebbe fatto a dirgli che tutti quelli del suo plotone erano morti?
Mickey aveva fatto uno sforzo tremendo per non parlare dei morti fino a quel momento. Glielo aveva tenuto nascosto, nonostante sapesse che Ian avrebbe ricevuto tutti i rapporti. Ma ora, lì seduto, non poteva non dirgli che Denny era morto proprio sotto ai suoi occhi. Che era morto per lui. Ma non c'erano parole per farlo.
"Dio, ti amo" scrisse. "Mi manchi. Non provare a morirmi"
Firmò la lettera, la piegò e la infilò in una busta. Sbattè le palpebre per far cadere le ultime lacrime, si asciugò gli occhi e si alzò. Mise la lettera nella tasca dei pantaloni e uscì sotto alla pioggia per andare nella tenda della posta.
Quando entrò vide un uomo seduto ad una scrivania che divideva le lettere in pile diverse a seconda della destinazione. Prese la propria e si schiarì la gola aspettando che l'uomo alzasse la testa. Non lo fece, tese semplicemente la mano. Mickey gli porse la lettera e fece per andarsene.
- Ragazzo, questa non puoi mandarla-
Mickey si voltò. - Cosa?-
Un paio di velati occhi blu lo guardarono con un'espressione accigliata mentre gli restituiva la lettera. - Non puoi mandarla. Ti serve l'indirizzo-
- Cosa significa che mi serve l'indirizzo?- chiese. Gli strappò di mano la busta. - Questa andrà al mio sergente. Non c'è bisogno del suo cazzo di indirizzo-
- Il tuo sergente è stato congedato dall'esercito. Ti serve il suo indirizzo-
Mickey lo fissò per un lungo momento, una sensazione angosciante alla bocca dello stomaco. - Congedato?- ripetè. Gli ci volle un po' per riuscire a controllare di nuovo la voce. Gli sembrava come se la tenda verde si stesse richiudendo su di lui. - Cosa diavolo vuol dire che è stato congedato? Sta bene?-
- Sì- rispose l'uomo. - Ma l'uomo a cui ha sparato invece... -
Mickey imprecò. - Hai il suo indirizzo?-
L'uomo scosse la testa.
- Tu non capisci- insistette Mickey. - So che ce l'hai. Devi avere l'indirizzo per ogni soldato. E io non ce l'ho. Ma non gli scrivo da più di una settimana e se non riceverà questa lettera...-. Si blocco e cominciò a tremargli la voce. Strinse la lettera, stropicciandone gli angoli. -... se non la riceve, non so se starà bene-
- Non ho il suo indirizzo-
- Per favore-
L'uomo abbassò per un momento lo sguardo sulle lettere davanti a lui e tornò a guardarlo. Il suo sguardo era ancora più impietosito. - So che devi molto al tuo vecchio sergente. Soprattutto dopo una perdita... può essere difficile non avere il suo supporto. Ma ti consiglio di affidarti al tuo luogotenente, soldato-
Mickey scosse la testa, le lacrime che gli pizzicavano il naso. - Non capisci. Io devo... devo far avere questa lettera ad Ian. Per favore-
- Il tuo luogotenente potrà aiutarti-
Mickey rimase come congelato. Fissò l'uomo cercando con tutto sè stesso di non piangere, il corpo che tremava al pensiero delle parole che gli aveva scritto. Erano solo sedici fottute lettere. Solo sedici, ma non poteva spiegare quanto fossero importanti, quanto avesse bisogno che Ian le leggesse. Che Ian le avrebbe lette e avrebbe capito che Denny fosse morto quel giorno e che Mickey avesse bisogno di lui almeno tanto quanto Ian di Mickey, se non di più.
-Per favore- sussurrò.
L'uomo scosse la testa.
- Sai il suo cazzo di indirizzo o no?- chiese Wells. Era per metà dentro alla tenda e sembrava livido. Il soldato spostò lo sguardo su di lui, il volto pieno di compassione che si tramutò in un'espressione confusa. Fece per rispondere ma Wells lo anticipò. - Di' solo sì o no. E se sì, dagli questo fottuto indirizzo-
- Non mi è permesso dare informazioni personali-
Wells si avvicinò, buttò la propria lettera sulla scrivania e si chinò su di lui. - Te lo chiederò solo ancora una volta- sussurrò. - E se la risposta non sarà un "no" deciso, che non sai l'indirizzo e che non puoi averlo, allora -io e lui?- non saremo molto contenti-. L'uomo non rispose e Wells indicò una cicatrice sotto al proprio occhio destro. - Vedi questa? Me l'ha fatta lui. La cicatrice sulla sua fronte? Quella è mia. Cosa pensi che potremmo fare insieme?-
L'uomo deglutì e tornò a guardare Mickey. - Mi dispiace, figliolo. Non ho accesso a questo tipo di informazioni qui. E potrei provare ad avere l'indirizzo, ma ci vorrebbero settimane e... -
- Ad allora saremo morti- concluse Mickey. Annuì. - Grazie comunque-
Fece per uscire e Wells gli andò dietro. Una volta fuori, Mickey gli rivolse un'occhiata diffidente. - Grazie-
Wells scosse le spalle. - Io posso scrivere alla mia ragazza. Dovresti poterlo fare anche tu-. E con questo se ne andò.
Mickey tornò in tenda, la lettera stropicciata ancora tra le mani. Si sedette sulla branda, il respiro finalmente calmo, e fissò la busta. Poi la fece scivolare sotto al cuscino, la prima di quella che sarebbe stata una lunga serie
 

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