L'Anello Serpente

di Ysis Donahue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Storia ha inizio ***
Capitolo 2: *** Draco, Hermione, Sumir ***
Capitolo 3: *** Draco, Hermione, Tallula ***



Capitolo 1
*** La Storia ha inizio ***


Persia, 220 a.C.

La figura rapida ed esile, non più alta di un ragazzino umano di quattro o cinque anni, scivolava silenziosa ed anonima tra la fiumana di gambe umane e zampe animali che ingombrava l’ampia strada del mercato cittadino, stringendo saldamente un fagotto contro il petto e mormorando ossessivamente una frase, l’indirizzo che gli avevano indicato per la consegna.
Il fatto di essere stato scelto tra la moltitudine di creature magiche che si riunivano ogni giorno per cercare lavoro lo rendeva speranzoso, orgoglioso e più determinato che mai nel portare a termine l’incarico alla perfezione. Sperava che il suo cliente, vedendo quanto fosse stato veloce, efficiente ed economico, in futuro si sarebbe ricordato ancora di lui e lo avrebbe indicato anche ai suoi amici, aiutandolo a farsi una reputazione e a sopravvivere in quel mondo che oramai sembrava essere di dominio assoluto degli Esseri Umani.
Il giovane goblin lasciò finalmente la grossa strada trafficata e si immerse nel complesso reticolo di viuzze che costituiva la parte antica della città, quella dove ancora le Creature Magiche potevano vivere dignitosamente, lontane dal controllo degli usurpatori.
Finalmente raggiunse l’indirizzo indicato e, mentre si concedeva qualche secondo per ricomporsi dopo la corsa, la lama nera e ritorta del lungo pugnale lo raggiunse velocemente da sinistra, trapassandogli dapprima le costole e subito dopo il cuore. Il giovane morì quasi subito, senza neppure dare tempo allo stupore di dipingersi sul suo viso, e l’assassino lo trascinò velocemente all’ombra di un androne.
Per prima cosa recuperò il pacco che si era spedito quella mattina, poi si dedicò al cadavere: lo sezionò rapidamente, con movimenti secchi e precisi, recuperò le parti che gli servivano e si allontanò a passi svelti, lasciandosi dietro i resti.

 
Tentare di ristabilire il contatto con la sua energia magica era stata sicuramente la prova più difficile che si fosse mai trovato a sostenere in tutta la sua lunga e misera vita.
Aveva provato di tutto: digiuni, salassi, svariate combinazioni di questi due elementi, infiniti cicli di preghiere, i miscugli più improbabili di pozioni e cataplasmi; nulla, però, aveva funzionato.
Ma non si era arreso, e aveva deciso di intraprendere un’altra strada: aveva rubato tutti i trattati di Magia nera che uomini o Creature Magiche avessero mai scritto, e li aveva letti fino a consumare le pergamene.
Per anni ed anni officiò riti di evocazione e sacrifici in numero sempre maggiore, non perdendo neppure per un istante, nonostante l’assenza di risultati, la fede nella sua opera diabolica.
Provò, riprovò e provò ancora finchè la sua bramosia, in una torrida notte estiva, non venne pagata dalla Sua venuta.
La potenza del Suo contatto mentale fu tale che il vecchio essere si trovò a perdere sangue da naso, orecchie e bocca, senza che, in verità, gli importasse poi molto. La fredda voce infernale stava incendiando la sua mente con promesse ed immagini del trionfo che avrebbero conquistato assieme, e a lui null’altro importava.
La meravigliosa sensazione di terrore ed inadeguatezza che provava, l’enorme quantità di potere che percepiva in ogni minimo frammento dell’aria bastavano a renderlo felice ed appagato.
Tutto quello, presto, sarebbe stato suo.
E anche se deluso da quell’ulteriore, piccolo, intoppo nella sua scalata verso il trionfo e la vendetta, era troppo felice ed impaurito per poter obbiettare.
In fin dei conti, non si trattava che di rubare qualche altro oggetto, sacrificare qualche altra vita e rimuovere uno stupido sigillo umano.
Nulla di complicato.
Ora, finalmente, il momento era davvero giunto, e lui era più che pronto. Guidato, come sempre, dalla voce del demone, la creatura accese due bracieri sconsacrati col sangue e li intrise degli olii essenziali più preziosi.
Osservò per qualche secondo le fiamme levarsi verdi ed innaturalmente alte, poi le nutrì di nuovo combustibile: diede loro in pasto centinaia e centinaia di pergamene e volumi dagli argomenti più disparati, e bruciò anche disegni, abiti ricercati e oggetti di vanità.
Attese che venissero consumati fino alla fine e poi ne raccolse la cenere rovente a mani nude.
La unì ai resti delle vittime sacrificali, salmodiando lodi alla grandezza della sua Signora, la mescolò a lungo e, dopo avervi sputato dentro tre volte, ne bevve un lungo sorso e se ne intrise le braccia sin oltre al gomito.
Usò il resto di quel miserabile composto per tracciare sul pavimento un grosso e complicatissimo simbolo, il sigillo della strega, e il liquido sfrigolò e ribollì ad ogni tratto, come imprimendosi a fuoco sulla dura terra battuta.
La creatura magica si gettò prono sopra di esso e subito provò a divincolarsi ed arretrare, poiché il dolore che il contatto con quel sigillo santo gli causava era troppo atroce.
Ma la volontà del demone prigioniero lo spinse nuovamente a terra, e lo costrinse a grattare furiosamente il suolo con le lunghe dita adunche e la vecchia lingua.
Ad ogni millimetro di terra smossa le sue viscere si contorcevano ed un acuto dolore lo scuoteva da capo a piedi, ma la voce del demone lo sorreggeva e spronava a continuare, sempre più forte e ferma.
Dopo ore ed ore di supplizio, il simbolo venne quasi totalmente cancellato, e la creatura ebbe finalmente il permesso di alzarsi. Esausto e tremante sulle gambe, l’essere emise qualche breve ed affannato rantolio nell’aria tesa ed irrespirabile della stanza, e si diresse verso i bracieri mentre, alle sue spalle, il demone cominciava a manifestarsi in una nebbia oscura.
Da dietro uno dei due altari, il vecchio trasse un sacchetto di tessuto, lo stesso che l’ignaro ragazzo goblin aveva trasportato quella mattina. Ritornò presso il sigillo spezzato e fece rotolare parte del contenuto all’interno dell’antico perimetro.
Centinaia e centinaia di rubini e diamanti catturarono le scintille dei bracieri, e si accesero di mille lividi bagliori.
La polvere di platino, invece, venne gettata direttamente sul fuoco, trasformandosi in pioggia incandescente che sibilava sommessamente mentre si scioglieva, attendendo che il demone la riempisse e le desse una forma.
Non ci volle molto.
La nebbia si condensò e brillò per qualche istante, andando poi ad avvolgere e plasmare le preziose componenti di quello che sarebbe stato il suo nuovo corpo.
La creatura magica cadde in ginocchio e picchiò il vecchio capo a terra più e più volte, in preda all’estasi mistica.
Finalmente, finalmente avrebbe potuto ergere il capo dinnanzi agli umani e…
La punta della coda rovente del demone lo raggiunse e gli perforò il petto, fermandosi a pochi millimetri dal suo cuore pulsante.
Gli occhi del vecchio si spalancarono, feriti ed increduli.
“Tu mi avevi promesso…”
“E intendo mantenere la promessa. Sterminerò tutti gli esseri umani, e lo farò da sola. Ma tu hai ancora due importanti compiti da realizzare. Il primo è liberarmi completamente da questo sigillo, come promesso.”
Il vecchio osservò bene lo sbiadito simbolo che ornava terra e vide che un legaccio mistico legava ancora saldamente il demone.
“ E come pensi che potrei fare? Mi hai condannato a morte.”
“Precisamente morendo.” Assentì il demone, dando uno strattone alla coda e strappando il cuore dell’essere.
“Il tuo cuore pieno di devozione tradita è la chiave che cercavo da secoli e secoli.” Il demone si godette appieno la sua prima mezz’ora  di libertà,  la usò per distruggere e devastare ogni cosa.
Poi passò alla seconda parte del piano.
“ Ora” Sibilò rivolta al cadavere “passiamo al tuo secondo compito.”

La creatura avanzava lentamente, incespicando spesso, ma era davvero molto anziana e nessuno vi fece caso.
Portava una cappa marrone con un cappuccio, e sotto una logora veste scura che pendeva da tutti i lati. Sembrava innocua, ma le guardie imperiali erano pagate per fare domande ed impedire ai popolani di entrare scompostamente a palazzo, quindi lo fermarono in ogni caso.
Videro che l’età si era presa entrambi i suoi occhi e quasi tutta la sua forza, quindi furono più gentili e meno accurati del solito.
E comunque, quando il vecchio fece brillare davanti ai loro occhi un meraviglioso anello a forma di serpente, essi dimenticarono ogni cosa.
Lo scortarono all’interno come se fosse il loro Signore, lasciando incustodita la porta principale e sventrando con le lunghe scimitarre chiunque si parasse loro innanzi.
Raggiunsero così indisturbati il meraviglioso giardino dove il Maharaja stava celebrando un banchetto mangiando, bevendo e ridendo di gusto.
Fu facile arrivargli vicino: la festa era stata organizzata per celebrare l’ennesima vittoria del Grande Sovrano, quindi lui era al centro della scena e tutti gli altri troppo occupati a banchettare, ridere ed osservare le danzatrici ed i giochi di prestigio per controllare che non venisse avvicinato da individui sospetti.
Ucciderlo a sangue freddo gli avrebbe dato grande soddisfazione, ma la creatura magica voleva tutta l’attenzione per sé, quindi si fermò prima alla spalle di un invitato qualsiasi e lo colpì con una folgore.
Immediatamente l’atmosfera gioiosa scemò, e tutti coloro che avevano una lama al fianco la impugnarono e si lanciarono alla carica in massa.
Erano davvero una moltitudine, ma quelle che una volta erano due semplici  guardie della porta dopo l’incanto che gli aveva lanciato la creatura combattevano con una ferocia diabolica, dando prova di una forza prodigiosa e di un’assoluta mancanza di umanità.
Il loro protetto, inoltre, quella povera creatura anziana e cieca, si batteva, se possibile, con ancora più vigore, usando persino magie ed incanti che non avrebbe dovuto conoscere.
Inoltre non c’era ferita, magica o di lama, che sembrasse in grado di fermarla.
Il trio trucidò praticamente tutti gli invitati e, quando non fu rimasto che il Maharaja, la creatura abbatté pure i suoi commilitoni e diede inizio allo scontro finale.
Il sovrano sapeva di essere condannato, ma rimaneva comunque un valoroso condottiero ed un uomo d’onore.
Impugnò la sua magnifica scimitarra e diede, in ogni caso, battaglia.
Non fu uno scontro molto lungo e, ben presto, la Creatura rimase sola con quelli che aveva prescelto come testimoni della sua ascesa. Ignorando le loro lacrime sommesse, il vecchio pretese che lo guardassero tutti, dopodiché prese ad indottrinarli.
Raccontò loro di come, centinaia e centinaia di anni prima, fossero le Creature Magiche le sole ed uniche detentrici della Magia e di come gli Esseri Umani avessero sottratto loro questa conoscenza con l’inganno, rivoltandogliela contro.
Raccontò di come gli Uomini avessero setacciato palmo a palmo le città ed i villaggi, imponendo il sigillo sulle creature in fasce e uccidendo quelle troppo grandi per dimenticare del tutto, di come lui fosse misteriosamente scampato alla morte e di come avesse deciso di vendicarsi.
“E ora sarò io a comandare! Riotterrò il dominio e schiaccerò fino all’ultimo, maledetto Umano! Ucciderò tutti gli uomini ed obbligherò donne e bambine a demolire le vostre luride città e a riedificare la mia splendida civiltà! Saro un re! Un capo assoluto! Non vi sarà autorità al di fuori della mia!”
Si udì un sibilo, e la sua testa cadde di netto, spiccata dal disco lanciato da un giovane dignitario fortunosamente sfuggito al massacro. Le palpebre e la bocca del vecchio si contrassero spasmodicamente ancora per qualche secondo, poi rimasero paralizzate in una smorfia di mortale stupore. Il piccolo corpo avvizzito cadde all'indietro e cominciò a marcire e a decomporsi siccome, in realtà, era già morto da più di un mese. Il meraviglioso anello in foggia di rettile sentì il dito del suo precendente signore raggrinzirsi e ratrappirsi dentro le sue spire, e ne provò un'incontenibile gioia, che espresse rilucendo debolmente. Sapeva che il cadavere del criminale che aveva sterminato la famiglia Khan e tante altre persone sarebbe stato perquisito, e lei non avrebbe permesso di non essere notata. Sapeva che sarebbe stata raccolta e tramandata come un simbolo di forza e un potente trofeo. Sarebbe diventata forte, e avrebbe distrutto il mondo.

Buongiorno miei cari. Torno dopo molto tempo con una storia alla quale lavoro da parecchio, anche se per un lungo periodo l'ho abbandonata. Ma ultimamente ho ritrovato molti degli appunti che avevo preso e me ne sono innamorata nuovamente, così ho deciso di riprenderla in mano e sono più che decisa a terminarla, anche se già so che sarà una cosa molto lunga. (Anche se mai quanto "What If", prometto!) Spero davvero che vi possa piacere! Vi mando un bacio, Ysis.

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Capitolo 2
*** Draco, Hermione, Sumir ***



Inghilterra, 2005

Volendo esprimersi in maniera eufemistica, si poteva dire che Draco Malfoy, quella sera, fosse tremendamente agitato.
Da quelle che oramai erano ore ed ore intere percorreva incessantemente lo spazio non trascurabile del suo laboratorio di pozioni, cambiando e cambiando ancora l’ordine dei tomi e delle pergamene e spostando da uno scaffale all’altro le scorte degli ingredienti. Era incredibilmente stanco e nulla lo avrebbe reso più felice che salire alla sua camera da letto, tre piani più sopra, e stendersi tra le lenzuola, a fianco della sua compagna, ma non osava farlo.
In primo luogo perché il solo pensiero di sdraiarsi ed attendere, anche solo per qualche istante, l’oblio gli era insostenibile e secondariamente perché temeva che neppure la più perfetta ed efficace delle sue pozioni soporifere sarebbe stata abbastanza per fare tacere le voci delle sue ansie e delle sue paure.
Sapeva quel che voleva ed era certo e determinato nella sua decisione, ma ora che il momento era imminente tutte le ansie e le incertezze che aveva combattuto e negato per tre anni di fidanzamento si ribellavano violentemente, tormentandolo senza sosta.
La amava e sapeva di essere amato a sua volta, ma se non fosse bastato?
Se Hermione, portata a rivivere e ricostruire tutta la loro storia e, soprattutto, il loro passato affatto idilliaco avesse infine deciso che, no, erano davvero troppo diversi e che non era certa di riuscire a portare avanti la relazione, che ne sarebbe stato di lui?
Malgrado i lunghi e duri anni di lavoro sulla sua personalità e sul carattere, Draco in quel momento si sentiva nuovamente perfettamente calato nei panni dell’adolescente fondamentalmente pavido che era stato.
La paura del “non ordinario” ed il timore di un rifiuto erano talmente intensi, che quasi desiderava che i suoi genitori, o chi per loro, intervenissero in suo soccorso, come il deus ex machina che erano stati per larga parte della sua vita, e prendessero in mano la situazione, risolvendola a modo loro: uno stabile matrimonio combinato con una rampolla purosangue, che probabilmente non lo avrebbe mai conosciuto o apprezzato davvero ma che sarebbe stata un’impeccabile co-protagonista dell’intera messinscena, una vita lussuosa ed ostentata nel grande maniero di famiglia ed infine dei figli, non più di tre, da formare ed educare sin dal principio nel culto della famiglia e del nome.
E che fine avrebbe fatto Hermione, la brillante, volitiva, testarda e straordinaria Hermione Granger?
Beh, sarebbe dipeso da lei: ovviamente neppure l’influenza, peraltro piuttosto decaduta, o il patrimonio della famiglia Malfoy sarebbe riuscita a farla finire nel dimenticatoio, ma Draco sapeva bene che, a seconda di come lei avesse deciso di giocare le sue carte, suo padre e, soprattutto, sua madre avrebbero potuto favorire incredibilmente o, in caso contrario, rendere quasi impossibile la vita e la carriera futura di Hermione.
Era indubbio, però, che tutte le energie dei suoi sarebbero state spese nell’impedire che loro due potessero in qualche modo incontrarsi nuovamente.
Una vita senza Hermione. Una vita che, per quanto ricca, patinata e, in apparenza, pienamente soddisfacente, non avrebbe mai più potuto avere il sapore ed i colori di quella che si era faticosamente costruito da solo, passo dopo passo, negli otto anni che erano trascorsi dal termine della battaglia di Hogwarts.
No.
Quel sistema era, finalmente, sorpassato, i suoi stessi genitori erano sorpassati e lui era la sola persona in diritto e col dovere di gestire la sua vita.
Non c’era gonna o ala sotto la quale nascondersi, né un valido motivo per farlo.
Il ragazzo sospirò, e rilassò la schiena: la “crisi” era passata, almeno momentaneamente. Ma il pensiero di quella sua natura da pusillanime, sempre in agguato e pronta a farlo cedere alla minima difficoltà, lo faceva impazzire dalla collera.
Senza quasi rendersene conto, il ragazzo afferrò un’ampolla vuota e la scagliò contro il muro con un urlo di rabbia, irritandosi poi ulteriormente per quel puerile scatto di nervi.
“Signorino, state bene? Mi spiace disturbarvi, ma ho udito rumore come di vetri infranti.”
La vocina esitante e sommessa giunse, assieme ad un leggero bussare, da dietro la porta di quercia massiccia che dava sul corridoio.
Con un rapido colpo di bacchetta, Draco ricompose l’oggetto in frammenti e poi si avvicinò alla porta.
“Va tutto bene, Falyse, ho semplicemente urtato il tavolo. Piuttosto, come mai ancora in piedi a quest’ora così tarda? Hermione ha forse bisogno di qualcosa?”
“No, signorino, la signorina Hermione sembra dormire tranquillamente. Ma in vista del suo grande giorno, domani, avevo pensato che sarebbe stato molto carino prepararle dei biscotti speciali, seguendo sia la sua ricetta che il suo metodo. Solo che, in questo caso, la preparazione diventa un po’ più lunga del solito.”
Nonostante le ansie e la stanchezza, Draco sorrise per quella piccola mezza verità.
Quell’elfa domestica aveva iniziato a servire la sua famiglia poco prima che lui nascesse e quindi, fin dall’inizio, era stata lei ad occuparsi di lui e ad accudirlo.
In questo modo, tra i due si era creato un certo rapporto, anche se non un vero e proprio legame affettivo, e Draco aveva imparato a conoscerla bene: mai, neppure sotto tortura, Falyse avrebbe cucinato qualcosa senza fare impiego della magia.
Più probabilmente, invece, l’elfa aveva percepito la sua tensione e deciso di rimanere sveglia a sua volta, in caso di necessità e per fornirgli muto conforto.
Questo esempio di riguardo lo intenerì. “Mi sembra un’ottima idea, sono certo che verranno squisiti ed Hermione li apprezzerà sicuramente moltissimo!”
“Volete che ve ne porti qualcuno, una volta pronti?”
“Vedo che mi conosci sempre.” Rispose il ragazzo, schiudendo la porta.
Dal basso del suo metro scarso di altezza, il visino verde dell’elfa si illuminò di gioia.
“Avete sempre avuto un debole per i biscotti. Ma se non ricordo male vi piacciono appena dorati: sarà il caso che vada a controllare la cottura!”
Falyse si inchinò velocemente, un abitudine talmente antica e ben radicata che neppure Hermione era riuscita ad estirpare totalmente, e scomparve nel buio del corridoio.
Draco rientrò nel suo ufficio e chiuse la porta: si guardò attorno, sconfortato dal disordine che aveva creato durante le travagliate ore di veglia, e dopo una breve esitazione si sedette alla poltrona dietro la scrivania, congiungendo le dita sotto il mento ed osservando il cielo oscuro dalla finestra incantata: la notte era ancora lunga, così come la sua veglia.

Qualche ora dopo, Falyse si materializzava fuori dalla porta della camera da letto padronale, barcollando quasi impercettibilmente sotto il peso del gigantesco vassoio stracolmo che aveva preparato per la prima colazione.
Da dietro la porta proveniva un borbottio incessante e regolare, segno che la fidanzata del signorino era già in piedi e ripeteva le arringhe per il processo.
Con qualche difficoltà, la domestica bussò.
“Buongiorno signorina Hermione, vi ho portato la colazione. Posso entrare?”
L’uscio si schiuse immediatamente e la giovane strega apparve nel vano della porta, vestita per metà.
“Insomma, Falyse, ti ho detto mille e mille volte di darmi del tu!” La rimproverò bonariamente, togliendole poi dalle braccia il pesante carico.
“Quante cose meravigliose hai preparato, non dovevi disturbarti! Anche perché sono nervosa a tal punto che non credo riuscirò a mandare giù un solo boccone!”
Detto ciò posò il vassoio sul letto e fece per afferrare di nuovo le pergamene, ma la manina dell’elfa domestica la bloccò a metà del movimento.
“Signorina, non potete davvero essere più pronta di così, sono mesi che studiate i casi e giorni interi che perfezionate le vostre parti.
Il vostro debutto sarà straordinario, ma solo se non sverrete prima dalla fame! Ieri sera non avete praticamente toccato cibo, quindi sedete e mangiate almeno qualche biscotto, mentre io vi preparo il tea.”
 “E va bene.” Si arrese la strega, sorridendo per il tono autoritario e assieme materno dell’elfa.
Accantonò i foglietti con gli appunti e i discorsi  e sedette sul letto, avvicinandosi il piatto dei biscotti. Ne prese uno e fece per mangiarlo, ma si bloccò.
“Ma questi biscotti… no, non può essere!”
“Li ho preparati apposta per voi, signorina, seguendo la ricetta che mi avete dato tempo fa. Spero che siano venuti bene, al padrone sono piaciuti molto.”
“Io non so che dire, grazie!” La strega la guardava con un grosso sorriso e gli occhi lucidi di gratitudine, e Falyse fu lesta a distogliere lo sguardo, per evitare di mostrarsi commossa a sua volta.
Adorava letteralmente quella ragazza per  la sua intelligenza, la sua dolcezza e soprattutto l’effetto che aveva sul suo signorino ed ogni giorno ringraziava il cielo che lui avesse trovato una simile compagna con cui dividere la vita.
Sin dall’inizio aveva assistito alla vita del padrone e si era quasi rassegnata a vederlo sprofondare nella bambagia preconfezionata e letale in cui l’avevano da sempre avvolto i suoi genitori, ma poi c’era stata la seconda venuta di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e il ragazzo si era come risvegliato, trovando dentro di sé la forza e il coraggio di dire finalmente “no”, con sua grande gioia.
Aveva temuto, però, che il cambiamento non fosse permanente e che dopo il conflitto ed il delicato periodo della ricostruzione, Draco potesse tornare ai vecchi sistemi.
Per come la vedeva lei, però, l’essersi innamorato di Hermione aveva definitivamente accantonato quella possibilità e anche se talvolta, come la notte appena trascorsa, il suo padrone poteva avere dei momenti di debolezza, Falyse era oramai certa che il ragazzino sciocco, bizzoso, viziato e pusillanime che era stato non sarebbe mai più tornato.
“Forza, il tempo vola! Vi aiuto a sistemare i capelli mentre finite di ripetere.” Esclamò l’elfa domestica, riscuotendosi dai ricordi e concentrandosi sulla padroncina.
In breve Hermione fu vestita ed acconciata di tutto punto e finalmente pronta per uscire.
“Credi che andrà tutto bene?” Domandò ansiosamente la strega, dandosi un’ultima, nervosa, occhiata nello specchio accanto al camino.
“Ma certo che si, padroncina, li incanterete tutti. Siete assolutamente perfetta per questo lavoro e vi siete preparata molto duramente, nulla potrà andare storto.”
“Spero sia così. L’udienza si terrà alle undici, poi tornerò in ufficio, quindi rientrerò alla solita ora.”
“Vi farò trovare la vasca pronta per un bel bagno rilassante. Buona giornata, Signorina.”
“Buona giornata a te, Falyse, e grazie di tutto. Al Ministero della Magia!” Esclamò poi, gettando una manciata di metropolvere nel camino ed entrando nelle fiamme verdi, sparendo subito dopo.
L’elfa domestica si voltò e tornò ai suoi mestieri, non prima di aver sentito un leggero tonfo provenire dalla porta che conduceva al seminterrato.
Sorrise: il suo padroncino poteva essere molto cambiato, ma nel profondo qualcosa in lui sarebbe sempre stato riservato e serpentesco come lo ricordava.


110 a.C. Turchia
 

Sumir saltò il muretto e rimbalzò sulla tenda lacera posta sopra la bottega di uno speziale. Tocco terra pochi istanti dopo e spiccò una corsa indiavolata attraverso i vicoletti della città.
Le guardie del Visir non lo avrebbero acchiappato.
Attese qualche minuto ancora poi, stringendo attraverso la tasca degli ampi pantaloni il Mokassino che conteneva i gioielli appena rubati a palazzo, si confuse con la folla di uomini e donne che percorrevano il mercato mattutino. Si guardò attorno con attenzione e, dopo una rapida ricerca e la certezza di non essere osservato da anima viva, si diresse verso il modesto banchetto di Tegoo, orafo e gioielliere per i più, eminente signore della criminalità cittadina per i ladri come lui.
O ti rivolgevi a lui, o lasciavi la città.
“Un consiglio, maestro, la prego.”
Disse il giovane, utilizzando nonostante la certezza di non essere osservato il solito codice segreto.
Il mercante, un pingue uomo sulla quarantina dai piccoli occhi gelidi, vestito con una semplice tunica rosso sangue molto impolverata e un turbante color crema tutto storto annuì e lo condusse con un gesto fluido della mano verso un lato del banchetto, a prima vista non diverso dagli altri.
Sumir sapeva bene, però, che quell’uomo dall’aspetto innocuo e modesto padroneggiava spaventose arti magiche e che quel lato della bancarella, nello specifico, aveva la straordinaria capacità di celare qualsiasi cosa vi si dicesse o venisse mostrata: molti, redditizi, scambi di tesori erano avvenuti tra i due uomini in quel modo.
“Allora, mio giovane amico, cosa hai portato oggi al buon Tegoo? Un vero bottino, confido, visto il tuo calibro come ladro. Inoltre, i miei uccellini mi hanno riferito che raramente hanno visto le guardie del palazzo tanto agitate e furiose.”
“Lo sarei anche io, se mi fossi fatto rubare da sotto il naso i tesori preferiti del mio padrone.”
Concordò Sumir, vuotando il contenuto della bisaccia sul morbido tessuto del banco.
“Capisco …” rispose il mercante, osservando con occhi scintillanti di gioia i gioielli che il giovane estraeva dal sacchetto di pelle e calcolando il profitto che ne avrebbe tratto.
Quel ragazzo era una vera e propria miniera d’oro, senza dubbio il ladro migliore di tutto il paese: astutissimo ed agile, non c’era oggetto di cui non riuscisse ad appropriarsi e guardiano al quale non riuscisse a fuggire.
E, cosa migliore, non aveva la benché minima traccia di magia in sé, né quindi era in grado di riconoscerla negli oggetti che talvolta rubava.
Certi suoi colpi avevano fruttato al mercante guadagni davvero incalcolabili e gli avevano fatto stringere accordi e patti con stregoni e creature magiche che, senza i tesori e gli amuleti procuratigli da Sumir, non avrebbe mai neppure osato immaginare di poter contattare.
Quel giorno, però, prima ancora di iniziare ad osservare e valutare la merce, il mercante-stregone si sentì scuotere da un brivido di autentico e puro terrore.
Un’aura devastante, letale e potentissima, sembrava propagarsi a spire dalle profondità del contenitore del ragazzo e l’uomo, che aveva ucciso a sangue freddo per profitto più e più volte senza neppure battere ciglio, temette per la prima volta per la sua vita e la sua anima immortale.
Pregò di non dover vedere da cosa fosse prodotta, di non ritrovarsi mai e poi mai tra le grazie o, peggio, disgrazie di quell’essere, ma fu tutto vano.
Per ultima, trionfante nel suo corpo di platino e diamanti, uscì Lei, e catturò sulle scaglie della sua pelle indistruttibile la luce del sole, facendo risplendere nell’aria decine e decine di piccoli arcobaleni.
I suoi occhi rossi dardeggiavano di intelligenza e Sumir si pentì immediatamente di aver rubato senza prestare attenzione a ciò che prendeva: sicuramente il mercante avrebbe preteso quel gioiello di straordinaria bellezza, e a lui si spezzava il cuore a lasciarlo, anche gli avesse fruttato il più ricco dei compensi.
Anzi, a lasciarla.
Sapeva, sentiva, con incredibile certezza, che quell’anello era femmina, per assurdo che fosse.
“Ebbene, maestro? Cosa ti sembra del mio bottino?” Si sforzò di domandare in tono normale, mentre la sua mente e i suoi occhi correvano irresistibilmente al gioiello.
Tegoo sorrise e passò la mano sopra le ricchezze ammonticchiate sul banco, bene attento però a non coinvolgere nel gesto quell’ultimo, terrificante anello a forma di serpente.
“Eccezionale, davvero eccezionale! Credo che mi troverò parecchio alleggerito, oggi, dopo il tuo passaggio. Vediamo… per questa roba posso darti trecento lire turche. Aggiungendo queste collane e i bracciali posso arrivare a mille.
Quanto agli anelli col sigillo della casata, posso comprarteli a settanta lire l’uno, dato che non sono in ottime condizioni e che ci dovrò lavorare parecchio su per riuscire a venderli.”
Mentì disinvoltamente, sapendo che il suo acquirente avrebbe speso non meno di otto volte tanto pur di poterli avere.
“Poi, vediamo cosa ci rimane… ah, si, la pietra del turbante del Visir! Quella, all’incirca, potrà fruttarti ...”
“Non accetterò meno di mille e cento lire, per quella, maestro! É preziosissima.”
“E tanto nota e riconoscibile quanto bella, temo. Dovrò tagliarla più e più volte per avere qualche possibilità di venderla.”
Replicò il mercante con una smorfia contrariata, mentre dentro di sé esultava per l’offerta ridicolmente bassa per quel talismano quasi unico al mondo.
“Ma sono certo che ci riuscirete senza problemi. Mille e cento lire, o non se ne fa nulla.”
“Oh, sia come vuoi, non posso certo rischiare che tu ti rivolga a chissà qualche altro mercante o, peggio, disonesto truffatore! Ecco i tuoi soldi, controllali pure, se desideri.”
Il pesante sacchetto di lino sparì rapidamente nella saccoccia di Mokassino.
“Non credo di averne bisogno, siete sempre stato molto onesto. E in quanto a questo anello, maestro? Non lo volete?”
Sumir si diede dello stupido da solo: sicuramente era stata una dimenticanza, ma ora non aveva più possibilità, si era rovinato con la sua stessa linguaccia avventata.
Sicuramente Tegoo l’avrebbe pretesa per lui, e al maestro non osava rubare, era una persona troppo influente e pericolosa.
Lo avrebbe trovato ovunque, per quanto astuto fosse stato il suo nascondiglio, e lo avrebbe ucciso senza pietà.
Ma forse, Lei, valeva un tale prezzo…
“No, ragazzo, non voglio quell’anello.”
Il suo stupore fu tale che quasi urlò. “Cosa? Perché?”
“Beh, intanto perché è eccessivamente riconoscibile, dovrei smontarlo pezzo per pezzo e, una volta fatto, il solo valore dei materiali di cui è fatto non mi ripagherebbero lo sforzo. Inoltre…” Esitò brevemente e studiò attentamente gli occhi del giovane.
“Inoltre c’è qualcosa che non mi piace affatto, in quel gioiello, qualcosa di profondamente malvagio. Non mi va di averci nulla a che fare e, se posso darti un consiglio disinteressato, sarebbe bene che te ne liberassi pure tu. Ci sono forze e poteri, in questo grande mondo, che sarebbe meglio ignorare.”
Sumir studiò a lungo il volto insolitamente teso ed espressivo del mercante e lesse chiaramente la paura nei suoi occhi.
Ne fu profondamente turbato, tanto più che quella reazione gli sembrava estrema ed esagerata in relazione ad un semplice monile.
Ma poteva tenerla, e questo era quello che contava.
“Lo farò, maestro, la ringrazio per le sue parole.” Fece un breve inchino e si allontanò, sparendo velocemente nel caos del mercato.
Tegoo, finalmente, rilasciò il fiato che non si era accorto di avere trattenuto e rilassò tutto il corpo, scoprendo che muscoli che credeva sepolti da anni nel cibo e nell’inattività ora tremavano e guizzavano per la tensione e la tremenda paura.
“No, non lo farai. Chi mai potrebbe? È un gioiello meraviglioso, fatto apposta per sedurre l’animo degli umani e ha scelto di servirsi di te. Spero solo di sbagliarmi, e che tu possa resistergli.”
Scosse il capo rassegnato e si deterse il sudore dalla fronte con un grosso fazzoletto.
Dall’altra parte del banco una donna attirò debolmente la sua attenzione e lui le andò in contro, sfoderando il suo miglior sorriso da venditore.
Lei, intanto, si era risvegliata ed ora si rivolgeva al giovane ladro con una nenia cantilenante ed ipnotica, prendendo possesso del suo corpo e soprattutto della sua mente, tanto astuta e vivace da averla riscossa dal suo secolare torpore.
“Faremo grandi cose assieme, vedrai! Esaudirò ogni tuo desiderio e capriccio e tu non avrai di che lamentarti nel servirmi.”
Lo rassicurò, materializzandosi attorno al suo dito e sollevando il capo scintillante per parlargli.
Sumir annuì debolmente, elettrizzato ed incredulo, oramai totalmente dimentico del saggio consiglio del mercante.
“Si mia signora. Con quale nome devo rivolgermi a voi?”
“Il mio nome è Esshielt.”


Inghilterra, 2005


Finalmente era finita, ed era stato un vero successo!
Troppo elettrizzata per poter rimanere chiusa a mangiare in ufficio come faceva solitamente, Hermione varcò la soglia del Ministero della Magia e si tuffò nell’orda familiare e caotica che percorreva Diagon Alley in quel meraviglioso pomeriggio di primavera anticipata.
Vagò qua e là per un po’ e si diresse infine verso il Ghirigoro, sua meta sin dal principio. Curiosò per un po’ tra gli scaffali, in cerca di letture di approfondimento e testi che la aiutassero a scrivere due articoli che aveva promesso ad altrettanti giornali e quasi per caso, nella sezione dei libri di seconda mano, si imbatté in un libretto che, una volta aperto, si rivelò una raccolta di pozioni che avevano davvero poco da invidiare a quelle contenute nel “De Potentissimis Potionibus”, che per tanto tempo aveva studiato durante il suo secondo anno ad Hogwarts.
Incuriosita, cercò il nome dell’autore sulla copertina, sulla costa e persino in prima pagina, ma non trovò niente, né nulla che le potesse essere d’aiuto a capire di chi si trattasse.
Si diresse quindi alla cassa, per cercare di risolvere il mistero, e il cassiere, un uomo di colore alto, dall’enorme sorriso e con una gran massa di treccine che gli arrivavano a metà schiena, l’apostrofò con un vivace e fin troppo rumoroso.
“Che piacere vederla nel mio negozio signora Malfoy! Cosa posso fare per lei, oggi?”
Hermione arrossì e gli lanciò un’occhiataccia, sebbene non riuscisse a trattenere un sorriso.
“ Smetterla di gridare potrebbe essere un inizio, Lee Jordan! Non cambierai mai vero?” Domandò, sporgendosi poi a baciarlo sulle guance con un gran sorriso.
L’ex compagno sorrise a sua volta e ricambiò il saluto “ E perché mai dovrei? Senza di me questo posto sarebbe un vero mortorio! Guarda che roba sono costretto a vendere! “Lineamenti teorici di aritmanzia”, “Teoria ed ipotesi dello studio delle fatture mediche”, “Atti completi dei processi alle Creature Magiche, anni 2002/2003”! Non si può sopravvivere a questa roba senza un po’ di allegria qua e là! E questo cos’è?”
 Domandò, accantonando tutti gli altri pesanti volumi per concentrarsi sul libriccino.
“Speravo potessi rispondermi tu, non sono riuscita a trovare il titolo da nessuna parte.”
“Già, ora ricordo, è un libro che ho archiviato io stesso: un nostro fornitore ce lo ha portato assieme a circa sette casse di libri di pozionistica, che ha trovato per caso in una casa abbandonata da anni.
É una raccolta di pozioni decisamente complicate, ma dagli effetti curativi davvero straordinari.
Molto interessante, sebbene io dell’argomento abbia sempre capito poco, come un certo pipistrello untuoso potrebbe certamente testimoniare, se solo fosse ancora in questo mondo.
Lo fascio per il tuo fidanzato?”
Domandò, strizzandogli l’occhio con fare cameratesco.
Hermione annuì: rimproveri in qualità di Prefetto a parte, con Lee si era sempre trovata molto a suo agio, e gli era grata per averla sempre trattata come una persona normale, anche dopo che, oramai quasi quattro anni prima, si era ufficialmente fidanzata con Draco, con tutto quello che ne era derivato, pettegolezzi, maldicenze e teorie improbabili di strani complotti in primis.
Si era sforzata di non darvi molto peso, ben sapendo che quello che aveva scoperto in Draco valeva bene qualche occhiataccia e commento sgradevole, ma era stato confortante vedere che una faccia amica era rimasta tale, anche in quell’occasione sicuramente un po’ insolita.
Lee l’aveva sempre trattata gentilmente, accolta senza commenti, battutine o domande indiscrete all’interno del negozio e le aveva persino indicato l’entrata per un magazzino dei dipendenti oramai quasi in disuso, dove la strega poteva leggere per ore ed ore nella pace più completa.
In quel frangente, la nostalgia per Harry, Ron e la sua famiglia e tutti gli amici e membri dell’Ordine superstiti si era fatta bruciante.
Chi per seguire la propria carriera, chi per ritrovare se stesso, chi per cercare di ricucire strappi e ferite ancora troppo fresche: si erano tutti allontanati per qualche motivo, e ristabilire i contatti e gli antichi legami, ora, sembrava un’impresa quasi impossibile alla strega, che a malincuore aveva rinunciato.
“Ecco a te. Ti faccio recapitare tutto a casa, come al solito?”
“Si, grazie, prendo con me solo quello.” Rispose Hermione, riscuotendosi improvvisamente dai ricordi ed indicando il pacchettino fasciato in carta rossa e dorata.
“Una scelta casuale, immagino.” Disse all’amico, con aria di rimprovero, anche se non riuscì ad impedirsi di sorridere.
“Certo, assolutamente casuale! Perché, c’è forse qualcosa che non va?” Replicò Lee, con un’aria fin troppo innocente, sporgendosi oltre il bancone e baciandola nuovamente sulle guance.
“Passa una buona giornata, Hermione. Perché uno di questi giorni non cerchiamo di organizzare una rimpatriata? É passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo trovati tutti assieme, e anche in quel caso l’occasione non era delle più felici.”
“Ma certo, mi sembra un’idea favolosa! Mi farebbe proprio piacere rivedere un po’ delle vecchie facce!”
“Allora vedrò di organizzare qualcosa!”
Hermione sorrise ed uscì velocemente dal negozio, prima che al compagno potesse venire in mente di chiederle di sentire l’opinione di Harry, Ginny o Ron a riguardo. Una rapida occhiata all’orologio la convinse a tornare rapidamente al suo ufficio.
La pausa pranzo era appena terminata.

 

70 d.C.  India

La figura incappucciata si muoveva, silenziosissima ed invisibile, attraverso i corridoi semideserti del sontuoso palazzo. La Confraternita aveva prescelto lei tra tutti i discepoli, ritenendola la sola in grado di portare a termine la missione, e non aveva la minima intenzione di fallire.
La ricerca del manufatto era stata lunga e complessa, ma finalmente riteneva di averlo localizzato.
Prima che sorgesse il sole, avrebbe rubato il gioiello maledetto e l’avrebbe affidato ai Sapienti, affinché sigillassero l’empio demone che lo animava da ormai troppo tempo.
Quanto al suo possessore…. Beh, erano passati oramai sedici lunghi anni, ma finalmente Nantima avrebbe potuto vendicare l’orrenda strage della sua famiglia.
Al solo pensiero, un brivido di gioia le carezzò il cuore, ma la giovane si impose di mantenere la calma: aveva sacrificato troppo della sua vita per giungere sino a quel punto, e non avrebbe permesso che il suo momento di trionfo le fosse rovinato da uno scatto emotivo.
Nantima trattenne il fiato ed aguzzò le orecchie, nascondendosi in un’ampia macchia d’ombra: nell’enorme spazio davanti a lei percepiva il respiro, le risate, i sospiri ed i gemiti di non meno di trenta persone, di sesso ed età differente.
Percepire il suono che le interessava non sarebbe stato affatto semplice, ma non per questo si perse d’animo.
Pazientemente e con enorme determinazione, rimase in ascolto a lungo e finalmente individuò la nota che cercava, metallica e raspante come un sibilo. I suoi studi si erano rivelati corretti, e presto la sua sete di vendetta si sarebbe placata.
Senza tradire la minima emozione, la giovane sganciò dalla cintura un sacchettino intrecciato di fibra vegetale e, dopo essersi tappata naso e bocca con un lembo del turbante che la proteggeva e mascherava al contempo, lo aprì.
Al suo interno una polverina azzurra, lucente ed impalpabile, vorticava e si arrotolava su se stessa, come mossa da un vento misterioso. Non appena i lembi della sacca si schiusero, la rena si librò da sola in aria e, intrufolandosi tra gli interstizi delle assi, sotto le porte chiuse e tra le fibre dei ricchi tessuti  appesi a mura ed infissi, riempì tutte le stanze del palazzo, facendo sprofondare in un profondo sonno incantato chiunque si trovasse al suo interno, con la sola ovvia eccezione di Nantima.
La giovane assassina attese qualche istante, poi forzò la porta serrata con un pugnale incantato e si fece largo nel livello più interno dell’edificio.
Dapprima si imbatté in due guardiani armati, dall’aspetto selvaggio e feroce e subito dopo in decine e decine di ragazze bellissime e molto giovani, appena avvolte in sete colorate, costose e striminzite.
Su un gigantesco letto a baldacchino, al centro della stanza, altre giovani donne bellissime e, in mezzo a loro, un ragazzo riccamente vestito.
All’apparenza non poteva avere più di vent’anni, ed un’aria così mite e spensierata che avrebbe convinto chiunque, ma Nantima sapeva che le cose erano molto diverse: stando alle informazioni raccolte nel tempo, l’uomo davanti a lei aveva molti più anni di quelli normalmente concessi agli esseri umani e le mani grondanti del sangue di migliaia di vite innocenti, incluse quelle dei suoi genitori.
Un uomo, Sumir, che di mestiere ufficiale faceva il mercante ma che era anche e soprattutto un famigerato ladro, stregone, assassino e trafficante di praticamente ogni cosa fosse proibita, tanto che, da troppo tempo, rappresentava un pericolo persino per un’organizzazione importante come la Confraternita.
Un nemico scomodo, difficile da affrontare, proprio perché crudele, potente e in grado di manipolare la realtà.
Nantima sapeva di essere stata scelta proprio perché era solo una recluta fra tante, perfettamente sacrificabile, e perché il suo coinvolgimento personale le avrebbe impedito di mollare il lavoro a metà, ma le andava bene comunque.
“Sai, è pericoloso rimanere imbambolati di fronte ad un nemico, anche se stordito. Potrebbe riprendersi.”
Le parole raggiunsero la ragazza assieme al pugnale, ed ebbero sulla sua mente il medesimo effetto della lama sulla sua pelle: dapprima sembrarono sfiorarla appena, gelate, e poi la colpirono violentemente, con un’ondata di calore e dolore.
Nantima alzò gli occhi verso il letto, ma il giovane ovviamente non era più lì; la giovane provò a voltarsi, ma prima che potesse riuscirvi la lama di un coltellaccio apparve poco sopra la sua spalla destra e le percorse la gola, incidendo appena lo strato più superficiale della pelle.
“Credevi davvero che un uomo come me potesse farsi imbrogliare da un trucco misero come quello della polvere soporifera? Evidentemente tu e la tua Confraternita non siete altro che dei novellini.”
“O forse sei tu ad essere troppo sicuro di te stesso.” Nantima recuperò in un istante tutto il proprio raziocinio e fece una finta in avanti, distraendo l’avversario mentre con la mano libera trovava e scagliava con precisione un pugnale avvelenato, mirando alla sua gola.
La lama affondò con precisione nella carne tenera e scura e la giovane esultò interiormente, ma Sumir le cancellò rapidamente il sorriso dalle labbra.
Senza tradire la benché minima emozione, il ladro si sfilò il coltello dalla gola e lo contemplò con distaccato interesse, ignorando persino il copioso rivolo di sangue che fuoriusciva dalla ferita.
“E di cosa dovrei avere paura? Io sono imbattibile!” Le rilanciò l’arma, ma questa volta la giovane era pronta.
Parò il colpo e, con una smorfia di dolore, sguainò la propria sciabola: con quella prima pugnalata inaspettata, Sumir le aveva reso praticamente inutilizzabile il braccio destro, ma Nantima non avrebbe permesso alla ferita di darle il benché minimo svantaggio.
Con un grido si lanciò all’assalto, sperando di cogliere il ladro di sorpresa ma lui evocò in un istante una sciabola oscura e diede battaglia senza la minima esitazione.
Il duello tra i due continuò serrato per moltissimo tempo: Nantima era una combattente più prudente e riflessiva, che giocava molto in difesa e si muoveva parecchio, guizzando qua e là per evitare di rendersi un facile bersaglio; Sumir, al contrario, si limitava a caricare e ad attaccare con forza bruta, senza neppure curarsi di schivare appieno gli assalti della giovane.
Quando le sue ferite diventavano troppe, o troppo gravi, si limitava a sfiorarle con una mano ed esse svanivano all’istante, sicuramente ad opera di un potente incantesimo, che però, stranamente, lo stregone non aveva neppure bisogno di sillabare o pronunciare a mezza voce.
Ciò, unito al fatto che le cure miracolose erano sempre fatte con la mano destra, insospettirono Nantima a tal punto che la ragazza decise di giocare il tutto per tutto sull’intuizione che aveva avuto.
Giocò ancora a lungo con Sumir, celando le sue vere intenzioni, e quando fu certa del fatto che le sue difese fossero concentrate da tutt’altra parte, con uno sforzo estremo passò la sciabola da una mano all’altra e con un fendente preciso spiccò di netto la mano al suo avversario e, per buona misura, gli tagliò la gola.
O, almeno, così sarebbe andata se quella mano non avesse indossato Esshielt.
Con il suo potere, infatti, il demone fece si che la ferita non sanguinasse e che la mano tranciata rimanesse in vita e librata a mezz’aria, ma allo stesso tempo approfittò dell’inaspettata situazione che si era venuta a creare per prendere una decisione che rimandava da molto tempo.
Oramai aveva imparato tutti i trucchi e le astuzie di Sumir, fin nel minimo dettaglio, e dalla maniera in cui il ladro si era affidato totalmente a lei anche durante quell’ultimo, semplice, scontro Esshielt aveva capito aveva oramai estirpato da lui anche la minima scintilla di autonomia.
Non era minimamente interessata a fare la guardia ad un’ospite che non potesse in qualche modo ripagare i suoi servigi, quindi forse era il caso di abbandonare quel corpo e cercare nuovi luoghi da scoprire e cose da apprendere.
Inoltre, da quello che poteva cogliere sondando la sua mente, quella ragazza e il gruppo di cui faceva parte sembravano essere un po’ troppo informati circa la sua natura e la sua esistenza: anche se, per abitudine, durante lo scontro si era resa invisibile con un incantesimo, il demone sapeva bene che se avesse dissolto l’incanto la giovane l’avrebbe vista e riconosciuta per ciò che realmente era, e ciò era un male.
Se sottovalutata, quella situazione rischiava di diventare potenzialmente spinosa, per non dire decisamente problematica. Meglio correre ai ripari sin da subito.
Presa così la sua decisione, Esshielt abbandonò la mano del suo ospite dopo più di due secoli, portandolo alla morte senza il minimo ripensamento.
Il demone si sentì precipitare e toccò terra bruscamente, venendo poi sommersa da un fiume di sangue, che ingerì avidamente prima di mostrarsi.
Ancora incredula per l’inaspettata efficacia del suo attacco Nantima, dopo essersi accertata della morte del suo avversari trapassandogli il cuore con la sciabola, bendò rapidamente le ferite più gravi e si dedicò poi ad osservare, non senza malcelato disgusto, la mano mozzata di Sumir e, soprattutto, il meraviglioso gioiello che vi era improvvisamente comparso sopra.
L’anello si sentì sollevare e sfilare con cautela dalla mano mozzata del suo, oramai precedente, padrone.
 Percepì in maniera chiara e netta l’odore della paura e del disgusto di Nantima, che trattenne il fiato quando vide che la falange dove il serpente aveva trovato rifugio per tanti anni era scarnificata e consumata. L’osso era come bruciacchiato e venato e la scarsa pelle che a tratti lo celava sembrava essere stata sciolta con un qualche acido e si presentava di un’orribile colore giallo infetto.
Non desiderando prolungare neppure per un secondo il contatto con quel mefitico artefatto, la giovane lasciò cadere Esshielt all’interno della sua bisaccia incantata e si concentrò sull’uscire da palazzo prima che qualcuno potesse accorgersi che qualcosa non andava e decidesse di dare l’allarme.
Una semplice bisaccia incantata, però, non era neppure lontanamente in grado di impedire al demone di ottenere le informazioni che desiderava e pianificare un piano che le permettesse di annientare la Confraternita e di continuare ad esistere indisturbata, adescando di volta in volta giovani dalla mente pronta o un’enorme energia magica, in attesa di trovare la creatura speciale, quella che le avrebbe finalmente consentito di realizzare il suo piano.
 

Liberarsi della Confraternita degli Assassini fu semplicissimo, quasi un gioco da ragazzi.
Tra quei tronfi, vanesi ed arroganti guerrieri e sapienti, non ce ne fu neppure uno che si dimostrò in grado di resisterle o darle battaglia e in poche ore la Confraternita venne totalmente cancellata dal mondo e dalla storia.
Dopodiché, Esshielt si avvolse su se stessa e si addormentò, attendendo che la sua aura chiamasse a sé la prossima creatura che si sarebbe dimostrata degna di ospitarla.

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Capitolo 3
*** Draco, Hermione, Tallula ***


Inghilterra, 2005

Hermione apparve nel camino del Manor e scese sull’antico tappeto della famiglia Malfoy, bene attenta a non macchiarlo di cenere. 
Con un sospiro di sollievo scalciò via gli eleganti stivaletti che era stata costretta ad indossare durante il processo e calzò un paio di pantofole, poi posò la cartella da lavoro su un tavolinetto basso. 
Infine slegò la fibbia del leggero mantello primaverile e lo ripose nell’enorme armadio di mogano, accanto ad un indumento quasi identico ma verde smeraldo, segno che Draco era già rincasato o non era uscito del tutto. 
Felice di quella scoperta, la strega percorse velocemente il lungo vestibolo dell’ingresso ed entrò nello splendido salone affrescato, andando alla ricerca del fidanzato. 
Attraversò quasi di corsa l’enorme sala, prestando meno attenzione del solito agli affreschi, le ampie vetrate, i sontuosi tappeti, i mobili scuri e lucidi ed il gigantesco lampadario di cristallo a braccia molteplici. 
Giunta al centro della stanza, Hermione si fermò per qualche istante, riflettendo sulla strada da imboccare, e infine decise di varcare la grossa porta scorrevole che divideva il piano, ignorando la scala in marmo bianco che si avvolgeva in una semi elica, conducendo al livello inferiore della dimora. Accostò i battenti dietro di sé e trattenne a stento un brivido poiché, nonostante le torce di ferro battuto che portavano luce e calore, il pavimento di serpentino verde scuro del corridoio ampio e spazioso attirava terribilmente il freddo.
Ai lati del camminamento, realizzate anche esse in pietra verde, file e file di mensole contenenti parte della straordinaria biblioteca dei Malfoy salivano quasi sino al soffitto, costringendo, come sempre, la strega a fermarsi rapita a studiare i titoli dorati vergati sui dorsi dei tomi.
Nonostante gli ormai quattro anni di fidanzamento e il suo grande amore per la lettura, neppure lei era stata, ancora, in grado di leggerli tutti, ma non per questo intendeva arrendersi. 
Nella metà inferiore del corridoio, invece, disposti con gusto su numerose cassettiere di legno chiaro intarsiato, si trovavano oggetti d’argento di quasi tutte le epoche storiche, appartenenti a razze magiche ed etnie differenti. 
Un’altra porta scorrevole si trovava alla fine del corridoio e si apriva su un salone diviso in due ambienti da un’arcata in pietra lavorata. Il primo, solenne e sobrio era dedicato ai banchetti più sfarzosi e mondani ed ospitava al suo interno, tra le altre cose, arazzi, armature, antichi stemmi magici, servizi di cristallo elfico ed un antico clavicembalo appartenuto, secondo le leggende, ad un crudele e sanguinario sovrano dal fine animo artistico. L’altra stanza, invece, pur rimanendo altrettanto elegante aveva un’aria decisamente più accogliente ed informale, con i preziosi tappeti orientali, le ampie finestre dalle tende morbide e vaporose, le poltrone ed i soffici cuscini. 
Si trattava infatti di una sala lettura e in questa stanza Draco ed Hermione finivano invariabilmente per passare molto del loro tempo libero, leggendo, studiando, scrivendo articoli o semplicemente tenendosi compagnia. 
E proprio su una delle poltrone, con la cravatta allentata e la camicia leggermente slacciata, sedeva Draco Malfoy, immerso nella lettura di un libro sugli antichi riti di Samahien che Hermione stessa gli aveva regalato qualche anno addietro. 
Sentendola arrivare, il ragazzo sollevò gli occhi prima che lei potesse salutarlo e il cuore della strega batté un po’ più rapido. 
Gli occhi grigi di Draco erano quelli di una persona mortalmente preoccupata per qualcosa, e ciò la intimoriva istintivamente sotto molti aspetti. “Bentornata, hai passato una buona giornata? Come è andato il processo?” 
La voce del suo ragazzo era suadente e gentile, come sempre del resto, ma ciò non bastava a tranquillizzare Hermione, che si trovò costretta a deglutire energicamente prima di poter rispondere. 
“Si, grazie, è andato tutto alla perfezione e i miei interventi sono stati apprezzati. Credo di aver visto Blaise, al Ministero, ma non ne sono sicura in questi giorni il viavai è tremendo! E tu? Hai...” esitò, cercando di soppesare con cura le parole, ben sapendo che, notoriamente, si lasciava influenzare dalle proprie intuizioni ma che talvolta esse potevano essere sbagliate, soprattutto nel caso di Draco, capace di sconvolgerle mente e cuore. 
“Un’aria piuttosto tesa.” 
Si rassegnò infine a completare il pensiero, scoccandogli un’occhiata penetrante. 
Fortunatamente lui sorrise, affatto offeso, e si alzò, prendendole la mano. 
“A te non sfugge nulla, vero? Si, effettivamente sono un po’ teso. C’è una cosa che desidero chiederti.” 
La sua mano, grande e fredda come sempre, la rassicurò le la predispose all’analisi del problema. 
“Certo, dimmi tutto.” Rispose in tono pratico ed affettuoso, facendo il gesto di dirigersi verso la sua poltrona. 
“No, non è questo il luogo.” Replicò Draco, stringendo delicatamente la presa sulle sue dita e trascinandola con garbo verso la porta in fondo alla stanza, porta che conduceva alla maestosa Biblioteca stile barocco. 
Nonostante la curiosità e la punta d’ansia, come sempre la mente di Hermione rievocò la prima volta che era stata lì e il brivido che aveva provato nel vedere tutti quei libri meravigliosi in quella stanza stupenda. 
In quel momento si era davvero sentita come una delle principesse preferite della sua infanzia, e fortunatamente la sensazione non era mai passata del tutto. 
Trepidante, posò una mano sulla maniglia e Draco la coprì con la sua, aiutandola a ruotarla. Entrarono nel salone ed una volta tanto non furono i libri o gli antichi mappamondi ad attirare lo sguardo della ragazza, ma bensì il grosso mazzo di grandi rose bianche, che trionfava in un vaso di cristallo elfico su uno dei tavoli da studio. 
Al centro di quella nuvola candida, però, spiccava una piccola e perfetta macchiolina rossa e, avvicinandosi, la giovane poté notare che si trattava di una rosa rossa, una Scarlet Carson per essere precisi, identica in tutto e per tutto a quella che aveva trovato sul cuscino accanto a sé una mattina di quattro anni prima, quando aveva capito di amare il ragazzo che prima di allora si era sempre e solo imposta di disprezzare. 
E quello stesso ragazzo, ora, la stava guidando verso il tavolo e i fiori, trattenendo sempre meno efficacemente il proprio nervosismo. 
Hermione sentiva il cuore rullarle nel petto e le sembrava di non poter più respirare. Naturalmente un certo sospetto le era balenato in mente, ma non voleva neppure azzardarsi a prenderlo in considerazione, tanto sarebbe stato deludente sbagliarsi. 
“Hermione, tesoro mio …” Cominciò Draco Malfoy, con voce non proprio rilassatissima e già in grave debito di ossigeno. 
Temendo di bloccarsi irreparabilmente, decise di cestinare sul momento il discordo al quale aveva dedicato tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio e di affidarsi all’ispirazione. 
Si avvicinò al vaso, prese la rosa rossa e la porse alla sua ragazza, trepidante d'attesa. Non appena Hermione strinse il gambo tra le dita, i petali del fiore si schiusero totalmente e rivelarono al loro interno, adagiato nella naturale fodera rossa formata dai petali più giovani e teneri, un anello meraviglioso, a forma di serpente, con il corpo costellato di diamanti e due occhi di rubino che sembravano scrutare il mondo circostante attenti e colmi di intelligenza. 
“Vuoi sposarmi?” Concluse il ragazzo, ostentando una sicurezza maggiore di quella che provava nonostante il lungo confronto con se stesso combattuto la notte prima. 
Lei era rimasta come paralizzata e a lui sembrò che impiegasse un’eternità per rispondergli, ma si impose di non mostrare alcun tipo di tensione e di restare perfettamente immobile. 
Hermione, dal canto suo, ripeteva ossessivamente tra sé e sé quelle parole, che tanto aveva desiderato sentire durante quei quattro anni, e quasi non credeva potessero essere finalmente state pronunciate. 
Sentì lacrime di sollievo e gioia premere per uscire dagli occhi ed infine rigarle le guance e questo, per qualche misterioso motivo, le restituì la voce e la mobilità. 
Corse ad abbracciare Draco e lo strinse forte a sé. 
“Si, Draco. Si, si, si, si, si!” Odiava la sua lingua traditrice per essersi bloccata su un’affermazione tanto banale in un momento così cruciale, ma non riusciva a fare altrimenti: la felicità la aveva totalmente annebbiato la mente, e non sarebbe riuscita a pronunciare qualcosa di diverso neppure se ne fosse andato della sua stessa vita. 
Draco, dal canto suo, non sembrò minimamente infastidito da quella ripetizione, anzi. 
Finalmente sciolse la tensione del proprio corpo e, con animo decisamente più leggero, ricambiò la stretta di quella che oramai era ufficialmente la sua futura signora, cullandola poi leggermente tra le braccia. 
Lei rise sommessamente “Temevi forse un rifiuto?” 
“Si, e non sapevo che avrei fatto in quel caso.” Ammise, non senza difficoltà. 
Hermione alzò il capo e cercò i suoi occhi. “Sai che ti amo, vero?” 
“Me lo hai appena dimostrato. Ma a volte l’amore non basta.” 
“Non sarà il nostro caso. Lo giuro.” 
“Lo giuro anche io.” Rispose lui in tono determinato, cercando la bocca della ragazza e baciandola. 
Hermione ricambiò, senza riuscire a smettere di piangere e sempre tra una leggera cortina di lacrime osservò il suo futuro sposo togliere l’anello dal cuore del fiore ed infilarlo con enorme attenzione al suo dito. 
Era bellissimo, armonioso ed elegante nonostante la grandezza ed il peso e calzava al suo dito come se fosse stato forgiato apposta per le sue mani. Sorrise, rimirandolo incantata ed incredula.


Un dito caldo e magro riempiva il vuoto tra le sue spire. 
Un dito lungo, dalla pelle morbida, un dito che apparteneva alla mano di una donna estremamente potente ed intelligente. 
Subito Esshielt si riscosse dal suo lungo sonno ed ebbe un fremito di pura gioia. 
Era lei, finalmente l’aveva trovata! 
L’ospite perfetta, la discepola ideale, colei che le avrebbe permesso di dominare il mondo! 
La felicità e la gioia furono tali che, per qualche istante, il demone ne rimase quasi stordito, ma ben presto recuperò il solito ferreo controllo: sicuramente un’ospite tanto perfetta doveva essere estremamente sensibile e recettiva a qualsiasi cosa tentasse di inserirsi nella sua mente, quindi era di importanza vitale evitare di commettere il benché minimo errore. 
Il gioiello si calmò, sondò con attenzione l’aria che tirava tra la sua preda e la persona che era con lei e, appurato che la ragazza si trovava in un momento di grande sconvolgimento emotivo, ne analizzò con delicatezza e metodo i pensieri più superficiali, integrando poi le nozioni grazie alle conoscenze del mago, la cui mente era si brillante, ma decisamente più accessibile. 
La giovane si chiamava Hermione Granger, un gran bel nome, ed era appena stata chiesta in sposa dal ragazzo che amava.
Era molto famosa e rispettata in tutto il mondo magico per il contributo che aveva dato ad una certa impresa e, nonostante la giovane età, ricopriva già un ruolo abbastanza importante nel sistema che governava quel paese. 
Esshielt era deliziata da ogni nuova informazione che riusciva a carpire sulla giovane: potenza enorme, intelligenza smisurata, una mente pronta ed ordinatissima, incredibilmente facile da esaminare una volta penetrata, carisma, figura sociale consolidata ed influente. 
Lo spirito si addentrò ancora di più nella mente e tra i ricordi dei giovani, ripercorrendo giorni e notti, tempeste e momenti di pace, dolori e gioie e cercando un appiglio da sfruttare per ottenere il controllo sulla strega. 
La vide bambina, vivace e dall’intelligenza pronta ed irrequieta, e poi giovane studentessa e donna, brillante nello studio ma con un po’ di difficoltà a rapportarsi con i compagni, almeno finché non aveva trovato coloro che le sarebbero stati accanto per tutta la vita. 
La osservò affrontare grandi pericoli, situazioni intricate e gravi lutti sempre con la mente fredda e pronta ad analizzare la situazione e ne fu al contempo compiaciuta ed irritata: bramava da secoli e secoli di trovare una tale unione di grandi potenzialità, ed ora che finalmente ci era riuscita quasi temeva di non riuscire ad avvolgere quella creaturina tra le sue spire. 
Decidendo di cambiare tattica, il demone interruppe il legame con il futuro sposo e si immerse invece nel flusso di pensieri che occupavano la mente della strega al momento, per meglio conoscerla e capirla. 
Non che fossero molti: Hermione era talmente estasiata dalla proposta di matrimonio da non riuscire a pensare a nient’altro, ma Esshielt trovò comunque qualcosa di interessante a cui appigliarsi. 
A quanto pareva, la storia d’amore era solo l’epilogo di un rapporto decisamente più lungo e travagliato: scostando appena i ricordi trovò antipatia, odio, disprezzo, pietà e molte altre emozioni contrastanti, condite da moltissime istantanee di momenti e situazioni, in parte assolutamente stupende e in parte perfettamente orrende. 
E, più importante di ogni altra cosa, dal flusso di ricordi erano emerse due figure chiave per raggiungere il cuore e la mente della sua preda, i due più cari amici che, nonostante gli anni trascorsi e la distanza forzata, ancora occupavano uno spazio enorme dentro di lei.
Esshielt sorrise e si rilassò: avrebbe preferito ottenere subito il dominio sulla mente di Hermione, ma a ben pensarci il fatto che ciò non fosse avvenuto immediatamente era tutt'altro che negativo. 
Sarebbe stato indice di debolezza da parte della sua ospite e, in ogni caso, non era certo la prima volta che si trovava a dover attendere pazientemente studiando un buon piano. 
Ad ogni modo aveva trovato di che analizzare e, una volta terminato di visionare tutti i ricordi, avrebbe cominciato a lavorare ad una strategia.


10 Agosto 79 d.C. , Pompei, Italia

Il pesante bastone si abbatté sulla schiena della ragazza più e più volte, senza la minima pausa. Per quanto vecchia e dolorante, quell’orribile donna dimenticava tutti i suoi malanni quando decideva che il momento era buono per picchiare le sue serve. 
La giovane provò in tutti i modi a serrare le labbra e a rimanere in silenzio, rendendo così il supplizio meno divertente per la sua aguzzina, ma l’ennesimo colpo fu troppo persino per la sua schiena allenata alle botte più feroci. 
Un urlo le uscì dalle labbra serrate, mentre da tergo e dalla verga di legno cadevano e ruscellavano gocce di sangue grosse come sesterzi, che macchiavano il pavimento in pietra della stanza. 
A quella vista la donna, che altro non aspettava se non una scusa qualsiasi per raddoppiare le percosse, lanciò un urlo furioso e calcò con maggiore forza il bastone. 
Tallula, la giovane schiava etrusca vittima di quella terribile punizione, morse le labbra fino a farle sanguinare e si impose di rimanere in silenzio: oramai sapeva bene che piangere, singhiozzare, gemere od implorare serviva solo a rendere la sua aguzzina ancora più crudele e spietata, mentre il silenzio, sebbene fosse spesso impossibile da osservare, la stufava in fretta.
Finalmente, dopo quelle che sembravano ore ed ore, l’aguzzina si ricompose e lasciò cadere il bastone a terra, limitandosi ad attaccarla a male parole ed ordinandole di ripulire la sua meravigliosa camera da letto dal lurido sangue sporco che aveva spruzzato qua e là, minacciando tremende punizioni in caso, al suo ritorno, ne avesse trovato ancora la minima traccia, o percepito il sentore nell’aria. 
Non appena fu sola, la ragazza si stese carponi per terra, cercando in qualche modo di incanalare e sopportare il dolore. 
Si contorse a lungo, tentando di dominare gli spasmi, ma fu tutto inutile. Un lampo bianco le corse dietro agli occhi e sulla punta delle dita e nella stanza si udì distintamente lo schiocco secco di un oggetto pesante caduto a terra. 
Immediatamente Tallula alzò il capo, terrorizzata da quello che avrebbe potuto vedere. 
Sin da piccola aveva delle piccole luminescenze nascoste in lei, forze che uscivano dal suo corpo a suo comando e con le quali si divertiva e giocava. 
Un giorno, però, alcuni ragazzi del suo quartiere l’avevano sorpresa e, spaventati, l’avevano accerchiata e picchiata furiosamente con sassi e bastoni. La piccola etrusca, che era sola al mondo, era rimasta lì, incapace di difendersi e troppo terrorizzata per chiedere aiuto o provare a scappare, fino a che il gruppo di ragazzini non si era stufato di picchiarla e scalciarla. 
Ricordava di essersi trascinata all’ombra e di essere poi svenuta per molto, molto tempo. 
Quando si era ripresa era debolissima, tremendamente affamata ed assetata e, cosa peggiore di tutte, totalmente incapace di richiamare a sé le luci, che sembravano svanite nel nulla. 
Aveva pianto lacrime amare ed odiato quei ragazzini, che le avevano tolto l’unica cosa bella del mondo di fatica e soprusi che la circondava, ed aveva giudicato di vendicarsi. 
Ma siccome era di animo buono e di natura gentile, quel giuramento impetuoso venne ben presto dimenticato e nulla sarebbe accaduto se, qualche tempo dopo, lo stesso gruppo di ragazzi non l’avesse nuovamente circondata, col chiaro intento di picchiarla ancora. 
In quel momento i ricordi dell’umiliazione e del dolore uniti alla paura di una nuova rappresaglia presero il sopravvento, sovvertendo in maniera incontrovertibile l’equilibrio dentro di lei. 
Le luci si ripresentarono, più forti di prima e vennero in suo soccorso, uccidendo tutti i ragazzi. 
Spaventata, Tallula provò disperatamente a richiamarle e fermarle, ma esse erano diventate indomabili, e tali sarebbero rimaste negli anni a venire, scatenate improvvisamente da forti emozioni o perdite di conoscenza. 
Per quel motivo, ora, la ragazza si aggrappava al poco di forze che le rimaneva con ferrea determinazione, ed intanto osservava attentamente l’arredamento e la stanza attorno a sé, cercando eventuali danni ai quali riparare, oramai quasi rassegnata al peggio. 
Invece, grazie agli dei, la sola cosa fuori posto sembrava essere il grosso scrigno portagioie della padrona, che era caduto dal tavolo per il trucco e le acconciature sul quale era poggiato, spargendo il suo contenuto tutto attorno. 
Raccogliere tutti i monili e gli orpelli della vecchia strega sarebbe stata una tortura per la sua povera schiena, ma Tallula temeva di scoprire molto di peggio e almeno lo scrigno non sembrava essere rotto, come giudicò dopo averlo raccolto da terra ed osservato attentamente per un lungo momento. 
Muovendosi lentamente e macchiando nuovamente il pavimento chiaro di goccioline rosse fresche, la schiava si alzò cautamente, si avvicinò al mobile e vi posò sopra il portagioie intagliato, facendo attenzione a sistemarlo esattamente come faceva la padrona. 
Poi, sospirando e cercando di ignorare i dolori vari che la trafiggevano qua e là, la schiava si chinò e cercò di recuperare ori e gioielli il più velocemente possibile, ben sapendo che, se per disgrazia la matrona fosse rientrata nelle sue stanze proprio in quel momento e l’avesse trovata con le mani tra i suoi tesori, per lei sarebbe stata la fine. 
Quel mostro avrebbe avuto per legge tutto il diritto di toglierle la vita, anche torturandola pubblicamente, e lei non aveva la minima intenzione di sfidarla o darle il benché minimo appiglio, quello che pativa era già abbastanza! 
Era destino di ogni schiavo essere percosso e sfruttato fino a quasi morire di fatica, questo lo sapeva, ma la sua signora abbatteva qualsiasi livello di crudeltà e perversione. 
Sceglieva accuratamente le sue schiave tra le giovani orfane delle insulae, prediligendo appositamente le bambine più emarginate per ridurre al minimo il rischio il suo temperamento sadico potesse essere in qualche modo scoperto. 
E non molto tempo prima, a causa di un misterioso incidente, l’ennesima ragazzina era scomparsa nel nulla. 
La matrona si era lamentata lungamente di questo fatto con le sue amiche, al foro, sostenendo che la ragazzina era una sporca e lasciva perditempo, che aveva osato fuggire da una casa che le forniva cibo e protezione quasi sicuramente per seguire qualche lurido straccione par suo, che avrebbe probabilmente approfittato di lei e l’avrebbe poi venduta alla prima bettola malfamata. 
Le ricche signore, ovviamente, si erano mostrate doverosamente scandalizzate alla notizia, e si erano unite alla matrona nel tessere invettive su invettive grondanti veleno. 
Ma a Tallula, che pur aveva una mente estremamente semplice ed ulteriormente rallentata dallo sforzo inconsapevole ma costante di trattenere le luci all’interno del proprio corpo, non era sfuggito il fatto che questa “fuga” fosse avvenuta proprio poche ore dopo che la ragazza era stata convocata nelle stanze della signora per essere punita a causa di un errore commesso durante un ricevimento la sera prima, né che le sue urla disperate si erano interrotte improvvisamente e che il lungo, mortale, silenzio che le aveva seguite era stato punteggiato da strani suoni attutiti, simili al rumore di sbuffi affaticati, o al suono di un corpo arrotolato in qualcosa di grosso, come ad esempio il prezioso tappeto che era poi risultato essere misteriosamente sparito dalla camera da letto della signora. 
La schiava si chiedeva cosa avrebbero fatto le amiche della matrona se avessero scoperto questa e molte altre cose, ma in cuor suo sapeva di conoscere già la risposta.
Nulla, non avrebbero fatto assolutamente nulla. 
Il padrone di uno schiavo ne decideva vita e morte, dal momento in cui lo acquistava ne diventava la sorte. 
Sospirando e patendo le pene dell’inferno, Tallula raccolse tutti i gioielli e le pietre che riuscì ad individuare a colpo d’occhio, poi si accucciò e terminò il lavoro ispezionando sotto ogni mobile, tendaggio e in tutti gli angoli. 
Ben pochi oggetti erano riusciti a fuggire allo sguardo acuto dei suoi dodici anni, ma uno tra essi la colpì in modo particolare. 
Si trattava di una piccola scatolina di legno bianco, leggerissimo e compatto, che le dava una strana sensazione sotto le mani, come un leggero formicolio. 
La ragazzina lo strinse senza accorgersene per quasi cinque minuti, sprofondata in una profonda trance che si interruppe bruscamente quando le sue mani, muovendosi di propria iniziativa, scivolarono sulla chiusura e tentarono di farla scattare, ricorrendo, poi, ad una luce per liberarsi del meccanismo, che sembrava intenzionato a rimanere ostinatamente chiuso. 
Tallula osservò con orrore crescente il lento sollevarsi del coperchio, desiderando con tutta se stessa potersi fermare, liberarsi dello scrigno e scappare dalla stanza. 
Qualcosa, nell’aria e nella parte più recondita del suo cuore, le intimava di smetterla, di non guardare, di lasciare tutto esattamente com’era, ma oramai era troppo tardi. 
Finalmente libero dal coperchio di legno, steso su un panno morbido e certamente pregiato, troneggiava un anello semplicemente terrorizzante. In foggia serpentesca, ricoperto da settecento scaglie che scintillavano come pugnali, sembrava volerle leggere dentro con quegli occhi rossi, simili in tutto e per tutto a diaboliche gocce di sangue. 
E dopo averla letta, ne era sicura, il gioiello avrebbe spalancato le fauci e se la sarebbe mangiata. 
Dimentica della padrona, delle sue tremende punizioni corporali, delle minacce e di ogni altra cosa, la ragazzina sollevò d’istinto la mano destra e scagliò la scatola lontano, con tutta la sua forza. 
Fu allora che il serpente si animò, fermandosi a mezz’aria assieme alla scatola, ed alzò la piatta testa da rettile, sibilando la lingua biforcuta. Gli occhi rossi mandarono scintille e si mossero, per davvero questa volta, cercando quelli castani e terrorizzati di Tallula per provare a legare a sé quella potentissima giovane tramite l’ipnosi. 
Per qualche istante il piano parve funzionare , ma poi l’ennesima luce sprigionò dal corpo della schiava e distrusse la scatola di legno che conteneva il gioiello, facendolo così cadere e rompendo il contatto visivo. 
Il terrore era tale che Tallula dimenticò momentaneamente i propri dolori: afferrò l’anello da terra con un’espressione profondamente disgustata, lo buttò velocemente nel portagioie e si precipitò fuori dalla stanza correndo, dimenticandosi del sangue e tutto il resto, sfregandosi ossessivamente le mani, come a volerle ripulire da qualcosa di disgustoso.


Il sonno di Esshielt era stato turbato dopo soli nove anni, un tempo incredibilmente breve. 
Dopo lo sterminio della confraternita aveva alimentato ogni genere di sciocca e romantica credenza sulle proprie origini ed era passata tra poche mani, una più debole e futile dell’altra. 
Persino la sua attuale proprietaria era una donna assolutamente insignificante sia per intelligenza che per potenziale magico, tanto da tenerla costantemente chiusa in uno scrignetto incantato fatto di legno di sambuco. 
Era, però, deliziosamente crudele e cattiva e quindi l’anello aveva deciso di restare per qualche anno al suo fianco, godendosi l’intrattenimento delle sue torture brutali alle schiave finché non si fosse stufata. 
Allora avrebbe ammazzato la vecchia e avrebbe ricominciato il suo viaggio, cercando la mano di qualcuno che fosse di nuovo meritevole di indossarla. Qualcosa di imprevisto, però era capitato quel giorno: il forziere incantato, che solo la donna poteva maneggiare poiché protetto da una potente maledizione, era stato colpito da un’ onda di potere magico tanto concentrata ed efficace da riuscire a spezzare facilmente il maleficio ed aprirlo. 
Ciò aveva risvegliato prontamente il demone , che era stato quindi attratto da un oceano di energia praticamente illimitato. 
Sentì tutto quel potere avvicinarsi e il contatto con esso fu tanto intenso da spingerlo a sciogliere la sua forma di gioiello, terrorizzando a tal punto la giovane che lo deteneva che neppure l’ipnosi era riuscita a calmarla. 
Con un’altra scarica di energia magica aveva spezzato il contatto ed era poi scappata via dalla stanza, ma il demone era tutt’altro che pessimista. Sapeva che sarebbe tornata, molto presto, ed allora sarebbe stata sua. 
Sibilando di gioia, Esshielt si librò in aria e rassettò telepaticamente la stanza, per evitare che la sua creatura potesse venir picchiata di nuovo. 
Ricompose poi lo scrigno di sambuco che l’aveva accolta e vi si adagiò di buon grado, richiudendo con cura il coperchio ma non riformulando la maledizione. 
Era pronta. 
Ora doveva solo aspettare la sua nuova ospite.


12 Agosto 79 d.C. Pompei, Italia

Tallula era nello stanzone dove tutti gli schiavi della casa dormivano e vivevano e stava cucendo alla bell’e meglio le profonde ferite sulle gambe di una serva più giovane, frustata senza pietà dalla padrona.
Il compito la riempiva di rabbia, pietà e disgusto, ma osservare la ragazzina punita, che stringeva con forza uno straccio tra i denti per evitare che le urla ed i gemiti evocassero le ire della padrona, le dava la forza d’animo necessaria a svolgere quell’orrendo compito al meglio delle sue capacità.
Finalmente, dopo circa mezz’ora, il supplizio terminò e, una volta assicuratasi che la padrona fosse fuori casa, l’etrusca diede alla compagna una grossa tazza di vino allungato, affinché potesse riuscire a riposare un po’ nonostante il dolore. 
Già stanca per le lunghe ore di lavoro, la giovane decise di approfittare a sua volta del momento di requie e si stese anche lei sul suo lurido pagliericcio.
Ma, per quanto fosse stanca ed affaticata, proprio non riusciva a prendere sonno, sempre tormentata dal ricordo che, da circa due giorni, le vorticava in testa in qualsiasi momento. 
Si girò e rigirò a lungo sul giaciglio ed infine decise di affrontare la situazione: non poteva andare avanti così. 
Cautamente, badando di non essere scorta da anima viva, sgattaiolò sino alla stanza della matrona, e si chiuse la porta alle spalle. 
Il forziere era sempre lì, appena socchiuso, e anche se non riusciva a vederlo, Tallula percepiva chiaramente anche la presenza di quell’anello malefico. Si, malefico, non nutriva il minimo dubbio, in proposito. 
Solo a guardarlo, sono per averlo sfiorato per un istante con le dita, Tallula si era sentita terrorizzata e ripugnata come mai nella vita. 
Si vedeva, si sentiva che era Male, che aveva lo scopo di uccidere e ferire chiunque gli capitasse sotto tiro e lei voleva a tutti i costi tenersene fuori, far finta che non esistesse e che non le interessasse per niente. 
Ma la realtà era che non ci riusciva, non totalmente almeno. 
Per quanto le costasse ammetterlo, c’era una parte di lei che voleva l’anello, che aveva provato un’enorme scarica di felicità e desiderio quando ne aveva sfiorato le spire fredde e la pelle scintillante, che aveva gridato di dolore quando si era allontanata scappando da esso e che non aveva smesso un attimo di sognare piani per rubarlo. 
E tacitare questa seconda lei era molto più difficile di quanto Tallula avesse mai potuto immaginare, soprattutto perché tutti i piani culminavano invariabilmente con l’uccidere la matrona, cosa che la schiava etrusca temeva ed aborriva, certo, ma allo stesso tempo desiderava anche, pur sapendo che non sarebbe mai riuscita a farlo con le sue mani. 
Ma forse avrebbe dovuto trovare il coraggio, per il bene del mondo! In fondo la matrona lo meritava, eccome se lo meritava! 
Una morte lenta ,tra atroci dolori, gli stessi che lei aveva inflitto (a lei) a tutte le sue compagne, nulla di più. 
E che fosse pubblica, poiché la fine di un tale mostro doveva essere simbolo, per tutti coloro che come lei trattavano (lei) gli schiavi in maniera tanto ingiusta e bestiale, che il periodo dei loro lunghi e crudeli soprusi era finalmente terminato. 
Lei, innocente tra tutti gli innocenti, sarebbe diventata la loro giustiziera e paladina!

Esshielt sorrise, soddisfatta: sapeva di avere fatto breccia nel cuore della giovane ed ora la sua pazienza era stata ben ripagata. 
Tallula aveva desiderato rivederla, tanto da rischiare di venire brutalmente punita pur di riuscirci, e questo appiglio era stato più che sufficiente al demone, che aveva fatto breccia nella mente della giovane ed ora la stava riempendo di eroiche suggestioni e sogni di gloria. 
Esshielt si muoveva con molta cautela e cercando di essere neutrale al massimo, in modo che la giovane credesse di essere autonoma nelle proprie convinzioni. 
Proprio per questo motivo, quindi, evitò di materializzarsi al dito dell’ospite ed aspettò che fosse lei stessa a trovarla, innocentemente adagiata nella scatolina di sambuco.
Al solo vederla, il cuore della fanciulla prese a battere come impazzito ed un ultimo, disperato campanello d’allarme le risuonò debolmente nelle orecchie. 
Ma fermare Esshielt, oramai, era impossibile. 
“Bentornata, principessa, è una vera gioia rivederti. Dopo la tua fuga, due giorni fa, sono stata tormentata dalla paura: e se il mio orribile aspetto ti avesse turbato al punto da spingerti a non volermi vedere mai più? Sarei potuta morire dal dolore!” 
Il tono era dolce, benevolo, affettuoso come quello, supponeva, di una vecchia e saggia nonna. 
Tallula dimenticò immediatamente ogni timore e, anzi, le parve quasi di sentire una brezza tiepida e piacevole, che le consentì di vedere e di capire tutto ciò che circondava molto più chiaramente. 
Veniva voglia di sedersi a terra ed ascoltarla per tutto il tempo, tralasciando ogni altra cosa. 
“Se questo è il tuo desiderio, bambina, posso farlo avverare.”
Assicurò Esshielt, levando il capo diamantato ed ondeggiando lentamente sul posto, ipnotizzando la giovane anche per mezzo dei movimenti e dei giochi di luce che le percorrevano la pelle. 
“Non desidero altro se non renderti felice, mia principessa.” 
Tallula sorrise: quella voce era così calda ed affettuosa e le parole tanto dolci e comprensive da smuoverle qualcosa dentro. Un ultimo campanello d’allarme, però, le risuonò debolmente in un angolo remoto della testa. 
“Ma tu sei della padrona, perché mai dovresti interessarti a una semplice schiava come me? É un trucco?” 
“No, nessun trucco, bambina mia. In questo momento quell’orribile donna mi custodisce, è vero, ma io non sono sua. Se sono qui, in questa stanza e in questo momento, è solo perché lei mi tiene prigioniera.” 
Tallula, ora nuovamente attenta, strabuzzò gli occhi incredula. “Prigioniera? Come, perché?” 
“Devi sapere” Iniziò il demone, lasciando la scatola ed avvolgendosi in spire morbide attorno al polso della ragazza. “Che io sono uno spirito antico e molto, molto potente. Vengo da una terra lontana chiamata Persia e, tra coloro che si occupano di magia, sono una preda molto ambita. La tua padrona è una strega oscura, molto crudele ma poco potente, ed ha deciso di rapirmi per cercare di sfruttare i miei poteri magici per compiere i suoi oscuri rituali. Ma io mi sono sempre rifiutata, la mia magia è pura e serve per la cura e la crescita, non per la distruzione e la morte. 
Purtroppo, però, questo non le è piaciuto affatto e quindi mi ha sigillato in quella scatola per anni ed anni, fino a quando non sei arrivata tu, e mi hai liberato.” Esshielt sollevò la testa e lambì la guancia della schiava con una carezza che quasi sciolse il cuore della bambina. 
“Liberato? Ma come, neppure sapevo che fossi prigioniera!” 
“Ma mia cara bambina, grazie ai tuoi grandi poteri magici! Ricordi cosa è successo il giorno in cui ci siamo incontrate per la prima volta?” Domandò con tono suadente, beandosi della facilità con cui stava ingannando quella bambina così potente.
“Certo che si, come potrei mai dimenticarlo? La padrona mi stava punendo, anche se non ricordo per quale motivo, e quando finalmente ha deciso che era abbastanza se ne è andata lasciandomi agonizzante a terra. Stavo cercando in tutti i modi di non svenire quando...” 
“Quando il tuo cuore puro e buono ha percepito che qualcuno, vicino a te, aveva bisogno di aiuto.” Concluse Esshielt, fermando il viaggio a ritroso nei ricordi prima che l'istintivo moto di atavico terrore che aveva provato la ragazzina potesse stracciare la rete di malie che le stava tessendo attorno con tanta cura. 
“Tu sei una paladina predestinata, buona e potente, faro di guida e speranza per tutti i deboli e gli oppressi di questo tempo.” 
Il demone chinò il capo stellato in un finto atto di umiltà e reverenza e continuò il discorso che preparava fin dal primo incontro con la giovane schiava. “Proprio a causa del tuo grande potere, le forze oscure della magia hanno sempre e solo cercato di isolarti e piegarti, togliendoti tutto quello che ti spettava di diritto. Ciononostante, tu non ti sei mai spezzata, piccola mia, e ora che finalmente ti ho trovata, se lo desideri puoi intraprendere il cammino per diventare quello che sei da sempre destinata ad essere.” 
“E cioè?” 
Quella domanda così incredibilmente ingenua le giunse totalmente inaspettata, e per un momento Esshielt tentennò; i suoi discorsi erano costruiti a regola d'arte basandosi sugli insegnamenti che le aveva trasmesso a suo tempo Sumir: sapeva come accendere ira e desiderio,scatenare odio e gelosia, ammaliare con prospettive di potere, denaro, lunga vita e bellezza. 
E pur non comprendendo quelle sciocche e complicate emozioni, era oramai diventata una vera esperta nel suscitarle e gestirle. 
Ma nulla di questo interessava la ragazzina che aveva di fronte, che era probabilmente troppo piccola e davvero troppo pura per quel genere di cose. E del resto bastava anche solo guardarla distrattamente, di sfuggita, per capire cosa volesse. 
Persino lei era riuscita a coglierlo, ma ciò non bastava a rendere la sua missione più agevole. 
Tallula non voleva soldi, potere, bellezza o vendetta, ma semplicemente essere amata. 
Per un demone come lei, però, quel semplice compito era quasi impossibile. 
Di nuovo la serpe esitò, e questa volta una sfumatura minima della sua preoccupazione dovette in qualche modo trasparire da lei, perché avvertì immediatamente la bambina irrigidirsi e quasi allontanarsi da lei. 
Parte del suo strabiliante potenziale magico cominciava a raccogliersi, lento ma inesorabile, al centro della gola e sulla punta delle dita e fu proprio il corroborante crepitio di quell'energia e la possibilità di poterla sfruttare appieno per i suoi scopi a far uscire Esshielt dal suo momento di smarrimento. 
Doveva avere quell'enorme potere tutto per sé, e ci sarebbe riuscita ad ogni costo. 
Sorrise e si avvolse languidamente ma con fermezza al braccio della ragazzina, attirandola nuovamente a sé. Le posò la bella testa nell'incavo della sua spalla e le solleticò dolcemente l'orecchio con la lingua fresca ed asciutta, concentrando tutta sé stessa nello sforzo della recita. “Sarai la famiglia e la guida di ogni orfano, spezzerai le catene della schiavitù e verrai amata."

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