Tutte le Forme del Male

di _Joanna_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Verità ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Novità ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Ritorno a Hogwarts ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Sorprese ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Sintomi ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - L'Arma ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Il Patto ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Successi e Fallimenti ***



Capitolo 1
*** Prologo - Verità ***


1.1






Nota dell'Autrice

Questa è stata la prima fanfiction che ho scritto, nel lontano 2014 e sviluppa uni dei più famosi clichè del fandom Potteriano, clichè reso poi canonico dalla stessa Rowling. Spero, tuttavia, di aver reso il mio personaggio comunque un po' interessante e sarei lieta di ricevere i vostri feedback.
Piccolo avvertimento: il suddetto personaggio è lievemente sociopatico, una precisazione, questa, che ritengo necessario premettere.
Intanto, vi ringrazio per il vostro tempo.

Jo

:

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Prologo
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Verità



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«Fai attenzione» gli disse, accarezzandogli delicatamente il braccio.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma provava un acuto senso di angoscia, anzi diciamo anche di puro terrore, come se stesse per accadere qualcosa di tremendo che lei sentiva di non poter evitare.
«Io faccio sempre attenzione» le rispose lui, con una smorfia divertita «A dopo» aggiunse, sfiorandole le labbra in un veloce e timido bacio.
Megan non voleva lasciarlo andare così; gli afferrò il braccio e lo attirò a sé, incurante del rumore della folla che si stava avvicinando.
«Non mi interessa che tu vinca, per me sei già tu il Campione, lo sai?» gli disse, seria. Cedric sorrise e la baciò di nuovo, prima di allontanarsi lungo il sentiero ombroso che portava allo stadio.
Megan lo seguì con lo sguardo, quindi si avviò verso le tribune insieme agli altri.
Da lassù, vide il suo Cedric entrare nel Labirinto Incantato, il volto teso che si illuminava in un ultimo sorriso, solo per lei, prima che le alte siepi si chiudessero attorno a lui.
«Cedric vincerà, ho scommesso cinque galeoni su di lui» affermò suo fratello William, convinto.
«Anche Krum ha buone possibilità» obiettò George, accogliendo una puntata dell'ultimo minuto da un Corvonero del sesto anno «Ottima scelta, amico mio» approvò poi.
«Abbiamo il vincitore!» esclamò d'un tratto Silente, solenne.
Le siepi si riaprirono e sulle tribune si scatenarono cori e boati di approvazione, mentre la banda riprendeva a intonare quell'irritante motivetto allegro.
Ma Megan non li udiva.
Le sue peggiori paure, la cui esistenza lei non sapeva spiegare nemmeno a se stessa, si erano avverate.
Si precipitò giù dagli spalti, dove i festeggiamenti continuavano frenetici; nessuno si era ancora accorto che c'era qualcosa di mortalmente sbagliato nel modo in cui il corpo di Cedric giaceva sul prato.
Un urlo, il suo, fece tacere gli strumenti e mise fine al sogno.
Megan si svegliò nel suo letto, sudata e stremata.
I primi raggi del sole tracciavano sottili lame di luce sul pavimento della sua camera.
Megan si mise a sedere, cercando disperatamente di scacciare quelle immagini tremende dalla sua testa.
Era passato un mese da quella notte terribile, eppure l'orrore che provava era sempre lo stesso.
E forse, pensava Megan, era giusto che fosse così.

*

A qualche decina di chilometri di distanza, Cedric era il protagonista del sogno di un altro.
Harry Potter si svegliò urlando, le lenzuola aggrovigliate intorno alle gambe e al petto, come le spire di un serpente strette attorno alla preda.
Mancava poco all'alba e a un nuovo, noioso giorno in casa Dursley.

*

Megan non credeva di riuscire a riprendere sonno dopo quell'incubo, invece, quando aprì gli occhi, vide che il sole aveva inondato di luce la sua camera; la calura estiva, dopo la tregua notturna, era tornata ad opprimere i cieli di mezza Inghilterra.
Cacciò via con rabbia le lenzuola e si alzò, rischiando di inciampare su uno dei libri di magia che aveva dimenticato sul pavimento la sera prima.
“Al diavolo” pensò, agguantando la bacchetta, che aveva lasciato sul comodino.
La legge ministeriale imponeva che ai minorenni non fosse concesso usare la magia fuori dalle mura di Hogwarts; tuttavia, chi viveva in una famiglia di maghi poteva godere di qualche libertà: il Ministero, infatti, dal momento che poteva solo localizzare gli incantesimi, ma non individuarne l'autore, e non potendo di certo vietare a maghi e streghe adulti di farne uso, doveva raccomandarsi ai genitori affinché la legge venisse rispettata.
I suoi genitori vigilavano attentamente, ma ogni tanto a Megan e a suo fratello William  era concesso uno strappo alla regola.
Essendo sola in quel momento, Megan agitò la bacchetta e lanciò un semplice incantesimo di levitazione, facendo atterrare i libri su uno scaffale.
Terminata l'operazione, Megan ripose la bacchetta sul comodino, quindi si diresse verso l'armadio e lo aprì.
Il disordine che vi regnava avrebbe fatto impallidire chiunque: nel ripiano in basso, vecchi libri e strumenti erano ammassati l'uno sull'altro, senza riguardi; appesi alle grucce, mescolati tra loro, c'erano gli abiti Babbani, le divise scolastiche e alcuni vecchi abitini dal taglio formale.
Megan rovistò un po' in quella confusione, finché non trovò quello che stava cercando: una semplice camicia di lino, molto fresca, e un paio di pantaloncini di jeans chiari; indifferente al disordine ulteriore che aveva causato, richiuse l'armadio, quindi scelse la biancheria intima e andò in bagno per lavarsi e cambiarsi.
Quando scese di sotto per fare colazione, erano ormai le nove e trenta passate.
«'Giorno» salutò, entrando in cucina.
«Oh, buongiorno tesoro» le rispose sua madre; era in piedi davanti alla finestra e per lei quello sembrava essere tutto tranne che un giorno buono.
Megan non vi badò e si diresse verso la credenza.
«Vuoi che chiami Ellie per farti preparare qualcosa?» le chiese sua madre.
«No, grazie. Prenderò solo un caffè» rispose lei, riempiendo la tazza con il bollente liquido scuro.
«Sicura?» insistette «Ieri sera non hai quasi toccato cibo e hai del tutto saltato il pranzo, dovresti mangiare almeno qualcosa».
«No, sto bene così» rifiutò di nuovo.
In effetti, però, sua madre aveva ragione: da quando era tornata a casa per le vacanze, Megan era dimagrita molto; passava gran parte delle sue giornate chiusa in camera, a leggere e studiare i libri di incantesimi che aveva chiesto in prestito ad alcuni ragazzi di Durmstrang, e, quando scendeva, non restava mai molto tempo in compagnia della sua famiglia, né di chiunque altro.
Ora, quando si osservava allo specchio, doveva constatare che quello non rifletteva più l'immagine a cui lei era abituata: non vedeva più la ragazza vivace e solare che era sempre stata, ma una ragazzina taciturna e insicura. I lunghi capelli, neri e lisci, incorniciavano un viso pallido, dalle guance scavate, e gli zigomi alti e appuntiti mettevano i risalto due grandi occhi grigio-azzurro, cerchiati da pesanti occhiaie e adombrati da un costante velo di malinconia.
La morte di Cedric l'aveva devastata, e in lei era rimasto un solo desiderio a darle sostegno: la vendetta. Aveva scritto ad alcuni ragazzi di Durmstrang, con cui aveva fatto amicizia nell'ultimo anno, per farsi spedire i loro libri di Magia; da quel punto di vista, la scuola del Nord andava decisamente controcorrente: lì, infatti, gli insegnanti non si limitavano a fare apprendere ai loro studenti sciocche formule di difesa, ma veri e propri Incantesimi Oscuri. Megan aveva deciso di impararli, anche se, per il momento, non aveva la possibilità di fare pratica: pur potendo fare, di quando in quando, qualche magia fuori da Hogwarts, era piuttosto sicura che lanciare un qualche Sortilegio Oscuro in casa avrebbe fatto allarmare il Ministero; perciò, era costretta a limitarsi alla sola teoria e, per il momento, questo era abbastanza.
«Dov'è Will?» chiese a un tratto Megan, accorgendosi solo allora dell'assenza del fratello.
«È andato dai Weasley» rispose sua madre, che aveva ripreso a fissare l'orizzonte.
“Ah, già” pensò, ricordandosi di quella visita programmata da settimane; William aveva insistito perché andasse anche lei, ma Megan aveva rifiutato.
«Sono una Serpeverde» aveva detto una volta, quando William aveva cercato di nuovo di convincerla «Non vorrei mai essere accusata di spionaggio mentre voi Grifondoro vi allenate per il Campionato».
Quella era stata solo una delle decine di scuse che aveva trovato per declinare l'invito, non troppo spontaneo, dei Weasley.
All'improvviso, Megan udì l'inconfondibile crepitio delle fiamme: qualcuno aveva appena usato la Metropolvere per Materializzarsi nel loro salotto.
«Non può già essere tornato» mormorò sua madre, che era sbiancata di colpo.
«Chi, Will?» chiese Megan, senza ottenere risposta.
Un attimo dopo, suo padre comparve sulla soglia della cucina.
Aveva un'aria stanca, come di uno che non fa una dormita decente da settimane; sua madre gli andò incontro, pallidissima.
«Com'è andata?» chiese con un filo di voce.
Megan seguiva la scena preoccupata: non aveva mai visto i suoi genitori in quello stato.
«No» mormorò sua madre un attimo dopo, come se il silenzio le avesse appena dato la peggiore delle risposte.
«Che succede?» riuscì a chiedere Megan, incontrando lo sguardo sconsolato di suo padre e quello angosciato di sua madre.
Dopo un lungo istante, finalmente suo padre parlò «Megan, c'è una cosa che devi sapere»
«No, non se ne parla!» esclamò sua madre, interropendolo.
«Non abbiamo scelta, Kate, deve saperlo» ribatté lui, con convinzione.
«No, assolutamente no, è troppo presto!» protestò l'altra.
«Sapere che cosa?» chiese Megan, con una nota di panico nella voce; si sentiva confusa e il comportamento dei suoi genitori, di solito sempre calmi e riflessivi, la spaventava.
«La verità Megan» rispose suo padre, avviandosi verso il salotto, seguito dalla moglie.
Megan, abbandonato il suo caffè, non ebbe altra scelta che imitarli.

   «Vincent, ti prego» ripeté per l'ennesima volta sua madre, ignorando deliberatamente il marito che le faceva segno di accomodarsi su una delle grandi poltrone del salotto.
Suo padre si posizionò in piedi davanti al camino. Voltava loro le spalle, e si tormentava il polsino della camicia; era un gesto che Megan gli aveva visto fare spesso, quando c'era qualcosa che lo preoccupava o lo innervosiva.
Dopo un lungo silenzio, rotto soltanto dai respiri affannosi di sua madre, suo padre riprese a parlare.
«Devi sapere che noi, io» precisò «non sono sempre stato l'uomo che sono oggi. Avevo fatto una scelta, di cui mi sono pentito presto, di cui mi vergogno in ogni momento»
Megan, che era stata quasi costretta a sedersi sul divano, pendeva dalle sue labbra.
«Devi capire che a quel tempo ero giovane, pieno di idee stupide. Ero ambizioso e arrogante e le mie amicizie … Non cerco giustificazioni, ma devi capire che in certi momenti si fanno scelte sbagliate, che si rimpiangono amaramente in seguito».
«Papà» lo interruppe Megan, stanca di quei giri di parole «Mi stai dicendo che hai fatto una cosa sbagliata da giovane, quale?» lo esortò, temendo la riposta.
Suo padre trasse un lungo respiro «Mi sono unito al Signore Oscuro» disse infine, in tono grave; slacciò i bottoni del polsino sinistro e tirò su la manica, scoprendosi l'avambraccio: un grosso tatuaggio, nero e spettrale, pulsava sinistramente.
Era il Marchio Nero.
Megan represse un gemito. Si alzò lentamente, avvicinandosi a quella cosa che sembrava dotata di vita propria, per esaminarla.
«Quando incontrai tua madre, ero già diventato un Mangiamorte» riprese a raccontare lui, scoccando un'occhiata alla moglie, che finalmente aveva preso posto sulla poltrona più vicina, lo sguardo basso e l'aria sconfitta.
«Lei non condivideva le mie idee e, dopo poco tempo, mi accorsi che neanche io mi riconoscevo più in quegli ideali. Ci innamorammo, ci sposammo, ma non potevamo avere una vita, non così» continuò «Non si può smettere di essere un Mangiamorte» spiegò «L'unico modo per sciogliersi dal giuramento è pagare con la vita»
«Poi, un giorno, il Signore Oscuro venne da me. Mi disse che dovevo andarmene, lasciare l'Inghilterra e dire a tutti che Lui mi stava dando la caccia. Era una cosa credibile, perché già allora occupavo una posizione di rilievo al Ministero. Voleva che lo servissi in quel modo e mi disse che, un giorno, forse, avrei saputo il perché».
Fece una pausa, come per raccogliere le idee prima di continuare; la parte peggiore di quella confessione a tre, dunque, non era ancora arrivata.
«Per me quella era un'occasione unica. Potevo sfuggire al suo controllo e con il suo permesso per di più. Così feci come mi aveva ordinato, simulai un attacco in casa nostra e con tua madre lasciammo il Paese. Silente stesso ci offrì protezione per la fuga. Arrivammo in Francia e lì aspettammo. Passò un mese, poi tre, un anno e niente. Sperai che il Signore Oscuro si fosse dimenticato di me, del nostro accordo, ma non fu così. Una notte, dopo più di due anni di esilio, si presentò alla porta un Mangiamorte. Non lo conoscevo, doveva essere una nuova recluta, dal momento che non poteva avere più di diciotto anni. Mi disse che il Signore Oscuro era stato sconfitto e che se n'era andato, ma che sarebbe ritornato presto, e allora avrebbe voluto raccogliere i frutti di ciò che gli avevo promesso. Dovevo onorare il mio giuramento, mi disse, e così» si fermò, sospirando «Così mi consegnò voi».
Tacque.
Megan guardò suo padre confusa.
«Noi?» chiese, cercando una risposta nello sguardo avvilito di suo padre e in quello terreo di sua madre, che aveva cominciato a piangere.
«Sì, tu e tuo fratello» rispose alla fine suo padre.
«Che significa?» chiese; la risposta era fin troppo evidente, ma Megan non voleva crederci, aveva un disperato bisogno di sentirsi dire che non era vero, che quelli che aveva davanti erano i suoi veri e unici genitori.
«Noi non siamo i vostri veri genitori» dichiarò invece suo padre, o meglio, a questo punto, l'uomo che si era professato come tale fino a quel momento.
«Ma-» cominciò Megan, senza riuscire a pronunciare la domanda che sapeva di dover fare.
Chi allora? E perché glielo stavano dicendo in quel momento, e solo a lei poi?
«Tesoro, è meglio che ti sieda» disse sua madre, parlando per la prima volta da quando suo padre aveva cominciato a raccontare.
Megan non l'ascoltò nemmeno, aspettando che suo padre continuasse, ma lui taceva ancora. Era tornato a darle le spalle, le braccia tese sulle mani appoggiate al camino, lo sguardo fisso sulla cenere fredda.
«Tua madre era una Veela, Megan» disse alla fine, dopo quel silenzio teso ed eterno «Ed era stata destinata a un uomo, a...» si interruppe «a Lui».
Quando ebbe pronunciato quell'ultima parola, “lui”, fu come se qualcuno l'avesse trafitta con mille stilettate velenose.
«Vuoi dire che-» riuscì a dire alla fine, ritrovando chissà come la voce che credeva ormai persa per sempre «Che Voldemort è il mio vero padre?»
«Sì».
Altre stilettate.
Megan sentì la vista offuscarsi e le gambe sembravano essere diventate molli e pesanti.
Trovò a tentoni il bracciolo del divano e vi si lasciò cadere.
Voldemort era suo padre.
Voldemort, quel demonio, quel mostro ripugnate, quell'essere malvagio e crudele era suo  padre.
Voldemort, che aveva ucciso il suo Cedric, e innumerevoli altri innocenti, era suo padre.
Senza neanche accorgersene, Megan si scoprì a ridere.
I suoi genitori, o meglio, le persone che lei aveva sempre considerato tali e che l'avevano cresciuta, la stavano osservando preoccupati.
«Megan…» cominciò sua madre, ma lei la interruppe subito, sforzandosi di controllare quella risata isterica che doveva certamente suonare inquietante «Ok, molto divertente» disse, ironica.
«Tesoro, è…» cominciò sua madre «È la verità, tesoro».
«D'accordo allora! Mio padre è Voldemort e mia madre è, che cosa avete detto, una Veela?» ricapitolò.
«Amore…»
«No, no, sto bene, davvero» ghignò Megan «È semplicemente assurdo, tragicamente assurdo, ma va bene».
«Non è tutto» disse suo padre.
«Oh ma davvero?» chiese Megan, sarcastica «Che altro mi avete tenuto nascosto? Vediamo, mio fratello non è mio fratello, e quello vero se l'è tenuto Voldemort? O chessò, sono imparentata con qualche altro assassino o-?»
«Vuole incontrarti» disse suo padre, semplicemente.
Di nuovo, Megan sentì il desiderio bruciante di ridere. Questa volta riuscì a trattenersi e chiese «Incontrarmi? Perché, vuole giocare a fare il padre? E Will, viene con noi?»
Suo padre ignorò il suo tono e rispose «Non vuole tuo fratello, ha fatto domande e ha deciso che sei tu quella che gli interessa».
«Ma davvero?» ripeté. Sentiva l'odio e la rabbia, a lungo covati in quelle settimane, esploderle dentro «Gli interesso? Mi dispiace allora, perché io non provo alcun interesse per lui».
«Non possiamo-» stava ribattendo suo padre, quando si intromise sua madre «Vince, non puoi costringerla, e neanche lui, è troppo giovane».
«Non è questione di essere giovani, non voglio vederlo» ribatté Megan.
«Lo so che è giovane e lo sa anche lui» disse suo padre «Vuole solo accertarsi di chi e che cosa sia diventata, non pretenderà che si unisca a lui o altro, vorrà solo vederla e mi ordinerà di addestrarla nelle Arti Oscure, me l'ha assicurato».
«Oh bé, se te l'ha assicurato!» sbottò sua madre, ancora pallida, ma risoluta.
«Non mi importa, non ci andrò» continuava a ripetere Megan, stranamente calma.
«Sarà solo per questa volta, poi, a tempo debito, diremo tutto a Silente e lui ci aiuterà».
«Se proprio insisti va bene!» dichiarò alla fine Megan «E gli dirò esattamente quello che sono e che penso».
«Megan, non dirai sul serio!» esclamò sua madre, allarmata.
«Certo» assicurò Megan «Piuttosto che unirmi a lui preferisco morire!» concluse e, ignorando le grida di sua madre che cercava di richiamarla, corse a chiudersi in camera sua.

   Per tre giorni, Megan rimase rinchiusa tra le quattro pareti della sua stanza.
I suoi genitori, dopo qualche debole tentativo, avevano deciso di lasciarle il tempo e lo spazio che le servivano.
Ellie, l'Elfa Domestica di famiglia, si Materializzava in silenzio nella sua camera per portarle da mangiare e ritirare i piatti che Megan lasciava, quasi intonsi, sulla scrivania.
All'alba del quarto giorno, Megan, che aveva passato le ultime ore sveglia a riflettere, prese la sua decisione: avrebbe riposto per l'ultima volta la sua fiducia in quelli che aveva creduto essere i suoi genitori. Dopotutto, non aveva altra scelta.
Quando scese di sotto, li trovò in cucina, seduti a parlare davanti a una tazza di tè nero.
«Non possiamo più aspettare, Kate» stava dicendo suo padre «Vuole una riposta».
«E l'avrà» lo interruppe Megan, entrando.
Sua madre balzò in piedi e si avvicinò a lei, per abbracciarla. Lo sguardo gelido che Megan le rivolse le fece cambiare idea.
«Lo incontrerò e mi mostrerò timida e sorpresa, per niente ostile, va bene?» chiese, in tono di sfida.
Suo padre annuì, quindi si alzò e lasciò la stanza.
«Sarà meglio prepararsi» disse sua madre, dopo un momento; Megan la seguì docile, sperando di aver preso la decisione migliore.

*

«Ci sta aspettando» disse suo padre, raggiungendole in fondo alle scale.
Si era cambiato d'abito: ora indossava un completo nero e, drappeggiato sulle spalle larghe, quello che Megan intuì fosse il Mantello dei Mangiamorte.
Sua madre, invece, aveva scelto un bell'abito lungo, verde pino, mentre Megan aveva alla fine optato per un semplice tailleur pantalone.
Con un cenno di assenso, tutti e tre si diressero verso il salotto.
«Andrò prima io, tu mi seguirai subito dopo» le disse suo padre, entrando nel camino.
Afferrò la Metropolvere e declamò «Villa Malfoy»; con un ruggito, le fiamme verdi si accesero e lo inghiottirono
Megan, per nulla sorpresa di quella destinazione, attese qualche istante, quindi ripeté gli stessi gesti.
“Fa che vada tutto bene” si ritrovò a pensare, mentre il turbine verde la trasportava lontano, facendole roteare davanti centinaia di camini dai mille colori; Megan sarebbe entrata volentieri in uno qualsiasi di quelli.
Alla fine la sua folle giravolta terminò e Megan atterrò incerta sul tappeto bruciacchiato davanti al camino dei Malfoy.
Pochi attimi dopo, anche sua madre li raggiunse.
Dalla penombra della stanza, emerse la sagoma di un uomo, e fu solo quando la luce delle candele illuminò il suo viso che Megan lo riconobbe: Peter Minus, basso e grassoccio, si rivolse a loro con fare untuosamente deferente «Ben arrivati, signor Parker, signora» salutò affabile con la sua vocetta fastidiosa «Seguitemi» squittì, precedendoli sulla soglia e facendo loro strada lungo il corridoio, alcune rampe di scale e altri due corridoi.
Megan era stata molte volte a Villa Malfoy, dal momento che Lucius era il cugino di suo padre. Lei e Draco, il figlio di Lucius, erano praticamente cresciuti insieme, tanto che, se non fosse stato per l'incredibile somiglianza che legava Megan al suo gemello, si sarebbe detto che erano loro due i fratelli e William l'amico.
Tuttavia, ora che si ritrovava a percorre quei corridoi che conosceva tanto bene, Megan si sentiva un'estranea, un'intrusa.
«Aspettate qui» disse Minus, una volta che ebbero raggiunto il grande atrio. Di solito, Megan non mancava mai di notare lo sfarzo di quel luogo, arredato con il gusto finissimo di Narcissa; tuttavia, in quel momento, le pareva più tetro di una cattedrale abbandonata, buio e umido.
Codaliscia si era allontanato e si era fermato davanti alla porta del salone; bussò tre volte, quindi socchiuse l'uscio e sgattaiolò dentro.
Pochi istanti dopo ne uscì trafelato, come se avesse appena corso una maratona, o ricevuto il peggiore degli spaventi.
«Potete entrare adesso» disse agitato.
Suo padre le fece cenno di precederlo, quindi, con un ultimo sguardo di raccomandazione, abbassò la maniglia di bronzo della porta e l'aprì per lei.
Il salone di villa Malfoy era, come il resto della dimora, immenso.
Il grande camino di marmo era spento e l'unica luce proveniva dai quattro grandi candelabri a muro, appesi agli angoli della sala.
Al lungo tavolo, riccamente decorato, erano sedute alcune persone, per lo più sconosciute; Megan riconobbe solo Lucius e Narcissa Malfoy, Dwayne Tiger e Magnus Goyle.
Al capo opposto del tavolo, ammantati dalle tenebre, un paio di occhi rossi la stavano fissando.
Megan era pietrificata dal terrore.
Con lentezza esasperante, Voldemort si alzò in piedi e avanzò.
Mentre si avvicinava, la luce delle candele danzava tra le pieghe del suo mantello, risalendo l'alta, snella figura del Signore Oscuro, finché non illuminò il volto più orrendo che Megan avesse mai visto.
Più simile a un teschio animalesco che a un viso umano, con la pelle bianca e sottile, quasi trasparente, Voldemort era il ritratto della Morte. Al posto del naso, c'erano due sottili fessure, come le narici di un serpente, e le labbra erano inesistenti.
«Benvenuti» alitò Voldemort, in tono che voleva sembrare suadente, ma che invece era solo raccapricciante «Vincent, Katherine, accomodatevi» continuò, indicando con le lunga dita pallide due sedie lì accanto.
«E tu, mia cara, devi essere Megan» riconobbe.
Al sentir pronunciare il suo nome, Megan sentì il sangue gelarsi nelle vene.
«Mi devo congratulare con voi, amici miei» continuò, rivolgendosi di nuovo ai suoi genitori, che nel frattempo avevano preso posto.
«Vi siete presi cura di lei molto bene, vedo. E, avevi ragione Lucius, è bellissima» disse,  ricevendo un cenno di muto ringraziamento da parte di Malfoy.
All'improvviso, Megan sentì qualcosa sfiorarle le caviglie; abbassò lo sguardo e vide un lungo, viscido serpente strisciare sinuoso verso Voldemort.
«Oh, questa è Nagini» spiegò il Signore Oscuro, accarezzando dolcemente l'enorme testa della serpe.
«E lei» continuò poi, rivolgendosi a Nagini «lei è Megan, la mia deliziosa figlia».
Alcuni mormorii di inquieta ammirazione percorsero la sala. Un attimo dopo, Megan capì il perché: Lord Voldemort aveva appena parlato in serpentese.
«E ora, perdonami cara, ma non sono molto pratico di queste cose» continuò, tornando alla lingua normale «Dovrei abbracciarti, suppongo?» chiese, e così facendo, sorrise in modo orribile, allargando le braccia.
Megan, che destava anche solo l'idea di sfiorare quel mostro ripugnante, fece un passo indietro.
«Capisco, forse è troppo presto» aggiunse Voldemort, che non sembrava per nulla dispiaciuto della sua mancata dimostrazione di affetto,
In quel momento Megan provò un odio bruciante e parlò, per la prima volta da quando era arrivata.
«Non osare toccarmi» sibilò in serpentese.
Voldemort non si scompose e disse, a sua volta, in serpentese «Molto bene, mi avevano detto che avevi ereditato questo dono»
Megan non sapeva che cosa stava facendo.
Si era ripromessa di restare calma, ma quando era entrata in quella stanza, quando aveva visto quella bestia, quel demonio, tutti i suoi buoni propositi erano volati via, come foglie al vento, e l'odio verso quell'essere mostruoso erano divampati dentro di lei, fino a prendere il sopravvento.
Non sarebbe finita bene, di questo ne era certa.
«Mi avrai anche generata, ma tu non sei mio padre e non provare a sperare che mi unisca a un relitto ripugnante come te» continuò.
I Mangiamorte, che non conoscevano la lingua, rimasero in silenzio, cercando di intuire quello che stava succedendo.
Un lampo d'ira balenò negli occhi sanguigni di Voldemort.
«Tutti fuori, voglio restare solo con la mia bambina» ordinò, nella lingua umana.
I Mangiamorte si affrettarono ad obbedire; i suoi genitori, con il terrore dipinto sul volto, furono gli ultimi a lasciare la sala.
«Molto bene, vedo che hai carattere e la rabbia è uno strumento utile» disse Voldemort, riprendendo a usare il serpentese «Anche se preferisco sia diretta verso gli altri» aggiunse.
«Mi dispiace,» ribatté Megan «non so che cosa ti aspettassi da questo incontro, ma devo deluderti, non sarò mai come te»
«Davvero? E che cosa te lo fa pensare?» chiese Voldemort, per nulla impressionato dalle sue dichiarazioni.
«Tu hai ucciso il ragazzo che amavo, pensi davvero che potrei mai perdonare il suo assassino?»
«Ah sì, quell'Eric»
«Cedric!» esclamò Megan, ricacciando a fatica le lacrime.
«Cedric, giusto, un bel ragazzo devo ammetterlo» disse Voldemort, con noncuranza, «È stato Codaliscia ad ucciderlo» aggiunse «Se vuoi, puoi avere la sua testa» le offrì.
«Ti prego!» esclamò di nuovo Megan «Quel ratto non respira neanche senza il tuo permesso. Lui è stato la mano, tu hai dato l'ordine» ricostruì.
«Ah, l'amore» sospirò Voldemort, orrendamente «Troverai qualcun altro, senza dubbio» disse con semplicità, e insinuò «Pensi sul serio che sarebbe rimasto con te, pensi che i tuoi amici si fideranno ancora quando sapranno chi sei veramente?»
Megan, confusa, rimase, suo malgrado, ad ascoltarlo.
«Già, mi hanno detto che sei amica di Potter» continuò Voldemort «Potter, che invece di affrontare il suo destino, è scappato via come un codardo, lasciando il tuo Cedric a morire al suo posto».
«Non è vero!» protestò Megan, ritrovando la voce.
«Come pensi che sia riuscito a sfuggirmi?» chiese e, senza aspettarsi una risposta, continuò «A sfuggire a me, il più grande mago di tutti i tempi! Megan,» insistette «le persone mentono, ingannano e, dietro al più grande ardimento, si cela sempre la peggiore delle viltà» spiegò «E poi, avanti, credi davvero che quando saprà la verità rimarrà al tuo fianco?» le chiese e, senza darle il tempo di rispondere, proseguì «No, Potter, e tutti quelli che tu chiami amici, e ogni altro mago e strega senza un briciolo di ambizione, da codardi quali sono, ti vedranno come una minaccia, ti escluderanno, e tu che cosa farai?».
«Non ho scelto io di chi essere figlia, contano le azioni e-» ribatté Megan, cercando, ormai invano, di opporsi.
«Ah, vedo che Silente è già entrato nella tua bella testolina e ha fatto i suoi danni» la interruppe subito «Amore, amicizia, buone azioni, tutte cose inutili secondo me. È il potere che conta, solo questo. Vuoi davvero passare la tua esistenza all'ombra degli altri? So come Silente e le sue pecore trattano noi Serpeverde, scommetto che non c'è stata una sola occasione in cui qualcuno ti abbia preferita a un pidocchioso Grifondoro, mai una volta che qualcuno si sia fidato ciecamente di te» continuò.
Aveva toccato il tasto giusto, lo sapeva, e per questo insisteva.
«Megan, non dirmi che non hai mai desiderato essere al centro dell'attenzione, avere il rispetto di tutti. Ebbene, te lo devi prendere, quel rispetto, e io posso aiutarti. Nessuno dubiterà più del tuo potere, nessuno metterà mai più in discussione la tua forza. Non ti serve Potter, per il semplice fatto che tu non servi a lui».
«E se fossi io a dire la verità, e se raccontassi tutto a Silente? Come pensi la prenderebbe?» lo sfidò. Megan ancora non lo aveva capito, ma stava reagendo esattamente come Voldemort voleva
«Fallo» rispose lui, tranquillamente «Dì la verità su chi sei, e guarda i tuoi preziosi amici dileguarsi. Il tuo sangue, le tue origini, parlano per te. Sanno quello che sei e temono quello che potresti diventare. Se fai tue le loro paure, se accetti il tuo destino, loro non potranno usarle contro di te. Unisciti a me e avrai tutto quello che hai sempre desiderato» concluse.
Per un lungo istante, nessuno dei due aggiunse altro.
Megan era confusa, ancora furiosa certo, ma più con se stessa ora.
«Vai pure adesso e rifletti su quello che ti ho detto. Ti accorgerai da sola che non ho mentito» la congedò Voldemort.
Di nuovo, Megan esitò, quindi, senza dire una parola, si allontanò da quella stanza infernale e dal demonio che la abitava.
Ai suoi genitori non raccontò nulla di quello che lei e Voldemort si erano detti; loro rispettarono il suo silenzio e non le fecero domande.
Quando finalmente si ritrovò sola nella sua camera, le lacrime, a lungo trattenute, esplosero come un fiume in piena.
“Riflettici”.
Il ghigno malefico di Voldemort le danzò davanti agli occhi e Megan, prima di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, si ripromise di obbedire.


* * *

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Novità ***


2.2
N.A.

Mi scuso per l'orrendo font, ma essendo una capra in tutte queste diavolerie tecnologiche (?) non so proprio come fare (quello che usavo prima era di grandezza giusta da mobile, ma minuscola da pc, quello di adesso è giusto da pc, ma enorme da mobile, ... help! >_<) .
A voi,

Capitolo I

Novità







Nei giorni seguenti, in casa Parker, regnarono la calma e la serenità.
Megan era tornata a dedicarsi ai suoi libri, nella speranza che lo studio la distraesse dai suoi dolorosi pensieri.
Anche William, che era tornato a casa da un paio di giorni, aveva deciso di seguire l'esempio della sorella, dal momento che mancavano ormai appena tre settimane al ritorno a Hogwarts.
Quel pomeriggio, Megan era seduta sul letto e sfogliava un volume dedicato agli Esseri; stava leggendo un capitolo molto interessante, dedicato alle Veele.
Scoprire di essere la figlia di Voldemort era stato, a dir poco, sconvolgente, e naturalmente Megan non era riuscita a pensare ad altro in quel momento.
Tuttavia, ora che era stata costretta a fare i conti con la realtà, aveva cominciato a chiedersi chi fosse la sua vera madre.
Tutto quello che i suoi genitori, adottivi a questo punto, erano riusciti a dirle era che sua madre era una Veela e che molto probabilmente era morta.
Non era molto su cui basarsi, ma Megan aveva deciso di cercare informazioni, se non su di lei, almeno sulla sua specie.
Dopotutto, Megan era per metà Veela, per quanto non avesse mai notato nulla in lei che facesse pensare a una cosa del genere, ma questo fatto le apriva le porte a molte, nuove possibilità, oltre che a tante domande.
Per esempio, stando a quello che c'era scritto, dall'unione tra un uomo e una Veela potevano nascere solo figlie femmine e, solo dopo due o tre generazioni, si avevano dei maschi.
Perché allora sua madre aveva dato alla luce due gemelli, di cui un maschio?
Stava rileggendo ancora quel passaggio, cercando di ricavarne qualcosa di nuovo, quando all'improvviso, annunciato da un deciso bussare alla porta, suo fratello fece irruzione nella sua camera; era trafelato e aveva un'espressione nervosa e preoccupata.
Megan alzò di scatto la testa e l'osservò allarmata, aspettando che lui si spiegasse.
«Meg,» esordì quello, avanzando verso di lei «ho appena ricevuto questa, guarda» disse, sventolandole davanti agli occhi una lettera, che aveva tutta l'aria di essere stata scritta in fretta e furia.
Megan fece come le era stato detto e lesse il breve messaggio:

Harry è stato espulso da Hogwarts, forse ci sarà un'udienza. Noi ci stiamo riunendo tutti al Quartier Generale, quando puoi raggiungici.
Ron.

Megan rilesse il testo due volte, quindi riconsegnò la lettera a suo fratello.
«Che significa? Espulso? Perché?» esclamò «E che cos'è il Quartier Generale?» aggiunse.
«Non lo so» rispose lui, sbrigativo «ho già avvertito papà, vedrà di scoprire qualcosa» spiegò «e il Quartier Generale… bé è complicato. Ora dobbiamo andare, ti spiegheranno tutto lì».
«Dobbiamo?» chiese Megan, confusa.
«Sì» affermò lui «Vieni anche tu, è giusto che tu sappia tutto. E poi,» aggiunse «Ti farebbe bene stare insieme ad altre persone, non sei uscita di casa per tutta l'estate».
«Tra poco a Hogwarts sarò costretta a stare sempre in mezzo agli altri» ribatté lei, sbuffando.
«Sai che cosa intendo» insistette Will «Saranno tutti felici di vederli, sono preoccupati per te».
Megan rimase per un po' in silenzio. In effetti, riflettendoci, non aveva molto senso restare lì, a casa, da sola, a tormentarsi, facendo percorre ai suoi pensieri sempre gli stessi, angosciosi, sentieri.
«D'accordo» si risolse alla fine. Suo fratello le rivolse un largo sorriso, quindi uscì dalla stanza, per avvertire sua madre della loro imminente partenza.

*

Erano da poco passate le otto quando entrambi scesero al piano di sotto, pronti per andare.
Avevano preparato solo l'essenziale, dal momento che avevano deciso di tornare a casa prima dell'inizio della scuola per prendere i bauli e i libri.
Avrebbero usato la Metropolvere, che li avrebbe portati all'ufficio di suo padre, a Londra; da lì, avrebbero raggiunto il Quartier Generale che, diceva Will, non era molto distante.
«Siete pronti?» chiese suo padre quando li vide entrare. Era da poco tornato dal Ministero, dove era riuscito a capire soltanto che Harry aveva usato la magia alla presenza di uno o più Babbani; la sua espulsione da Hogwarts era stata, per il momento, rimandata, in attesa di un'udienza formale davanti all'intero Wizengamot.
Suo padre faceva parte di quel consiglio, perciò aveva promesso che avrebbe fatto tutto il possibile per accertare i fatti e aiutare Harry.
«Molto bene, andiamo» li esortò, lasciando poi che lo precedessero.
Megan era stata molte volte nell'ufficio londinese di suo padre, e lo aveva sempre trovato un luogo decisamente interessante.
Situato nel cuore della City, al trentunesimo piano della Tower 42, l'ufficio era diviso in due parti: entrando dalla porta, infatti, ci si ritrovava in un grande salotto, ben arredato, perfettamente in linea con i gusti e le mode Babbane; suo padre, infatti, per conto del Ministero della Magia, intratteneva rapporti con i membri del Parlamento Babbano e, in quella parte dell'ufficio, aveva ricevuto innumerevoli deputati, sottosegretari e, una volta, perfino il Primo Ministro, che però ignorava la sua natura magica.
Da lì, si aprivano tre porte, che conducevano rispettivamente alla sala riunioni, al bagno e, l'ultima, a un piccolo archivio, pieno zeppo di scartoffie. In realtà, scostando leggermente uno scaffale appoggiato al muro, si accedeva alla seconda parte dell'ufficio, riservata agli affari Ministeriali.
Fu lì, nel secondo salotto, che i due fratelli comparvero, seguiti poco dopo dal padre.
«Bene» disse quest'ultimo, scrollandosi di dosso la cenere del camino «Da qui, uscite e andate a destra e poi dritto» indicò loro «A meno di mezzo miglio troverete la fermata della Metropolitana che vi porterà … Bé, dove sai tu» concluse, accennando a William che annuì sicuro.
«State attenti» si raccomandò, prima di congedarli «Vi scriverò non appena avrò qualche altra informazione».
Londra di sera era davvero magnifica; purtroppo, non avevano il tempo di fermarsi a contemplarla, così si affrettarono a raggiungere la stazione e presero il treno che, secondo Will, li avrebbe portati nelle vicinanze del Quartier Generale.
La Metropolitana era davvero un'invenzione geniale, aveva pensato Megan la prima volta che c'era stata; ma ora, dopo alcuni anni passati a Hogwarts, la tecnologia Babbana non le sembrava più così prodigiosa, anzi, trovava tutto decisamente noioso, a dire il vero.
«Non ho l'indirizzo preciso» le spiegò suo fratello, mentre le porte del treno si chiudevano dietro di loro «Ma ci sarà qualcuno ad aspettarci» le assicurò.
Uscirono dalla stazione e si incamminarono per le vie silenziose di quella zona di Londra; dopo qualche minuto, giunsero in una piccola piazza, molto semplice e dall'aspetto parecchio modesto, per non dire degradato.
Le case circostanti parevano, infatti, tutt'altro che accoglienti: l'intonaco delle facciate era malamente scrostato, i vetri di alcune finestre erano rotti e svariati sacchi di immondizia, vecchia di giorni, giacevano abbandonati sui gradini
Il luogo sembrava deserto, finché a un tratto, dal nulla, comparve una strega dall'aspetto stravagante.
«Tu devi essere William» salutò lei allegramente, venendo loro incontro; era molto giovane e poteva avere al massimo quattro o cinque anni più di loro.
«E tu sei Megan, immagino» riconobbe «Vi somigliate tantissimo!» esclamò e, cominciando a rovistare tra le pieghe del suo mantello, si presentò «Io sono Tonks, comunque».
Dopo un minuto buono, la stramba strega esclamò di nuovo, trionfante «Eccolo qui, per un attimo ho temuto di averlo perso!» disse, consegnando loro un biglietto, scritto in un'elegante calligrafia serrata. Il messaggio diceva semplicemente:

Il Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si può trovare al numero dodici di Grimmauld Place, Londra.

«Avete letto?» chiese la ragazza «Bene, imparate l'indirizzo a memoria, perché ora bisogna distruggerlo» e, così dicendo, estrasse la bacchetta, riprese il foglietto e lo incendiò, senza premurarsi affatto di essere vista.
Per un attimo, non accadde nulla; poi, all'improvviso, là dove un attimo prima non c'era altro che una solida, e sudicia, parete di mattoni, tra i numeri civici 11 e 13, comparve una piccola porta, sopra la quale svettava orgoglioso il numero 12.
“Incanto Fidelius” intuì Megan, affrettandosi poi a seguire Tonks su per i gradini.
Varcata la soglia, la porta si richiuse silenziosamente alle loro spalle.
Il bagliore tremolante delle lampade a gas illuminò un lungo, stretto corridoio, dalle pareti rivestite con una cupa tappezzeria malconcia, scollata in più punti, punteggiate da alcuni vecchi quadri, dalle cornici elaborate.
L'unico pezzo di arredamento era un tavolino, con una sola zampa scolpita a foggia di serpente.
Sulla sinistra, quasi alla fine del corridoio, si intravedeva un tenue bagliore filtrare da sotto una porta.
«Riunione in corso» spiegò Tonks, facendo loro strada fino ai piedi di una lunga e buia scala di legno «Secondo e terzo piano» disse «Dividerete la camera con gli altri» aggiunse, prima di tornare sui suoi passi.
I due Parker avevano appena messo il piede sul primo gradino quando un frastuono assordante li fece sobbalzare.
Girarono di scatto la testa e videro Tonks giacere lunga distesa sulla vecchia moquette, il tavolino rovesciato accanto a lei.
«Brutti sudici Mezzosangue e Traditori!» ruggì una voce, furibonda «Feccia! Come osate insozzare la dimora dei miei antenati! Via, esseri abietti e ibridi!»
«Ma che diavolo?» chiese Will, urlando per sovrastare i tremendi ululati che sembravano provenire da dietro una porta, nel corridoio.
Quando si avvicinarono, dopo aver aiutato Tonks a rialzarsi, videro che non si trattava affatto di una porta: incorniciato da due vecchie tende tarlate, il vecchio ritratto di una donna, dalle sembianze grottesche, stava vomitando insulti a non finire.
«TONKS!» urlò una voce, furibonda.
Tutti e tre si voltarono di scatto e videro la signora Weasley, in piedi di fronte alla porta dove si stava tenendo la riunione; aveva le braccia sui fianchi ed era rossa in viso.
Dietro di lei, accorsero Black e Lupin, che scattarono in avanti e afferrarono le tende, cercando di richiuderle.
Il ritratto continuava a gridare e a sbavare, furioso.
«Taci, orrida vecchia strega, TACI!» ringhiò Black, continuando a dare strattoni.
«TUUU!» ululò la donna nel ritratto, gli occhi fuori dalle orbite «Traditore del tuo stesso sangue, vergogna della mia carne, infida creatura del-»
Ma non seppero mai che genere di creatura fosse Sirius; con uno sforzo formidabile, lui e Lupin riuscirono a richiudere le tende e gli strilli impazziti del vecchio dipinto si spensero ed echeggiarono nel silenzio.
«Mi dispiace, non lo faccio apposta» si scusò Tonks; in quel momento, sembrava ancora più giovane di quanto non fosse.
La signora Weasley le rivolse uno sguardo ammonitore, quindi si concentrò sui nuovi arrivati.
«Oh, William caro» bisbigliò, facendo loro cenno di allontanarsi dal quadro malevolo.
«E Megan, che bello averti qui» aggiunse, rivolgendole uno strano sguardo, quasi preoccupato «Ora andate di sopra con gli altri, vi chiameremo quando sarà pronta la cena» disse, affrettandosi poi a rientrare nella stanza dove si stava tenendo la riunione.
«Strano» commentò Will, prima di raccogliere il suo bagaglio e cominciare a salire.
Avevano appena raggiunto il secondo pianerottolo, quando udirono una voce, alquanto familiare, che gridava furiosa quanto quella del ritratto.
«E così non andate alle riunioni, chissà che tragedia!»
William le gettò uno sguardo perplesso.
Erano ancora fermi lì, incerti se fosse il caso o meno di interrompere quella che sembrava essere un'accesa discussione, quando Harry Potter disse l'ultima cosa che Megan avrebbe voluto sentire
«Dopotutto chi è che lo ha visto tornare? Chi lo ha affrontato? Chi ha visto Cedric morire?»
«Chi non ha fatto nulla per evitarlo?» ringhiò Megan, spalancando la porta.
Nella piccola, tetra stanza, c'erano i tre Grifondoro: Harry, il viso tirato e paonazzo, come di uno che ha passato le ultime ore a urlare, Ron e Hermione, l'espressione mesta e colpevole.
«Oh, ciao Megan» mormorò la ragazza, imbarazzata «Non sapevamo fossi qui».
Megan la ignorò e continuò «Deve essere stato proprio un bello spettacolo!» esclamò «Il grande eroe sfugge di nuovo al Signore Oscuro e racconta la sua terribile esperienza. Sarebbe stato un bel titolo vero?»
«Meg, io non intendevo-» tentò di dire Harry, ma ormai Megan era un fiume in piena; incapace di fermarsi, continuava a vomitare tutto il suo rancore e il suo dolore addosso all'unica persona che, probabilmente, stava soffrendo quanto lei.
«L'ennesima tragedia di Potter che in esclusiva rivela i dettagli della morte del suo compianto amico, decisamente un grande scoop!»
«Meg, adesso basta» si inserì Will, cercando di farla calmare «Non serve a niente-»
Uno schiocco improvviso lo fece interrompere: i gemelli Weasley si erano appena Materializzati.
«Ciao Parker, ben arrivata» salutò allegro Fred «Harry, ci era sembrato di … » stava continuando, ma Megan aveva già lasciato la stanza.
William le corse dietro «Lo so che non è facile, ma sono sicuro che-» cominciò, ma lei lo zittì subito «Non mi interessa, lasciami sola!» esclamò «Non avrei mai dovuto darti ascolto, non sarei dovuta venire!» aggiunse, allontanandosi lungo il corridoio ed entrando nella prima stanza libera.
Finalmente sola, Megan si abbandonò alle lacrime.

*

Per una mezz'ora, nessuno venne più a disturbarla; poi, quando le urla del ritratto echeggiarono di nuovo nell'ingresso, fino ai piani di sopra, Megan udì dei passi avvicinarsi.
«Megan, cara» la chiamò la signora Weasley «È ora di cena, vieni»
Megan non aveva alcuna voglia di sedersi a un tavolo a mangiare insieme a Harry e agli altri tuttavia, non ritenne di poter rifiutare senza risultare scortese.
«Grazie, signora Weasley» rispose alla fine, seguendo la donna giù per le scale, fino alla porta della stanza che aveva ospitato la riunione.
Oltre la soglia, una stretta scaletta conduceva a un locale abbastanza ampio, pieno di scaffali e credenze, al centro del quale si trova un lungo tavolo di legno.
Suo fratello era già lì, insieme ai suoi amici Grifondoro, la famiglia Weasley, quasi al completo, Black, Lupin e, inaspettatamente, il professor Piton.
«Come al solito Black, tu parli prima di pensare, ammesso che tu ne sia capace» stava dicendo il professore, alzandosi.
Alcuni rotoli di pergamena, reliquie della riunione appena conclusa, giacevano ancora aperti sul tavolo e Bill, il maggiore dei fratelli Weasley, si affrettò a farli Evanescere.
«E tu sei-» stava ribattendo Sirius, alzandosi a sua volta, ma Lupin lo costrinse a rimettersi a sedere; Black tacque, limitandosi a scoccare un'occhiata velenosa a Piton.
«Ciao Meg» la salutò allegramente Ginny, vedendola entrare; Megan ricambiò il saluto con il tono più cordiale e allegro che riuscì a trovare.
«Buonasera Professore» disse dopo, salutando l'insegnante, che rimase a fissarla, come se non si aspettasse di vederla lì; aveva una strana espressione, notò Megan, ma, dopotutto, l'aveva sempre, ragionò subito dopo.
«Signorina Parker» disse lui alla fine «Non mi aspettavo di trovarti qui» continuò e qualcosa nel suo tono sembrava suggerire che la cosa lo preoccupasse.
«Buona serata» si congedò infine, lasciando in fretta la stanza.
«Allora, passata una bella estate?» stava chiedendo Sirius a Harry, con aria cupa.
«No, schifosa» rispose il ragazzo, gettando poi un'occhiata imbarazzata a Megan: se le vacanze di Harry erano state orribili, di certo doveva sapere che le sue non potevano essere state migliori.
«Non so proprio di che ti lamenti» riprese Sirius «Almeno hai avuto un'avventura, sei uscito di casa, io sono rinchiuso qui dentro da settimane»
All'improvviso, Megan sentì qualcosa strusciare contro le sue ginocchia e sussultò, terrorizzata.
«Tranquilla, è solo Grattastinchi» disse Ron, che aveva notato la sua reazione.
Il brutto gatto di Hermione le rivolse uno sguardo stranamente intelligente, quindi balzò in grembo a Black e si acciambellò.
Megan accettò la sedia che il ragazzo dai capelli rossi le offriva, mentre la conversazione tra Harry e il suo padrino continuava.
«Oh, sicuro» stava dicendo Sirius, sarcastico «Ascolto le relazioni di Piton e mi tocca stare qui a sorbire in silenzio tutte le sue insopportabili allusioni al fatto che lui è là fuori che rischia la vita, mentre io sto qui seduto comodo a divertirmi… e a fare le pulizie…»
«Quali pulizie?» chiese Harry.
«Stiamo cercando di rendere questo posto abitabile» disse Sirius, agitando una mano per mostrare la cucina lugubre.
«Ecco la cena» annunciò la signora Weasley, appoggiando un grande calderone di stufato sul tavolo e cominciando a distribuirne generose dosi in tutti i piatti.
Megan, che ormai non era più abituata alle grandi abbuffate, guardò la sua porzione nauseata.
In breve, tutti cominciarono a parlare allegramente tra loro.
«Allora, tuo fratello ti ha già raccontato tutto?» le chiese Fred, a un tratto.
Megan, che stava osservando con aria assente lo spettacolino che Tonks aveva messo su per Hermione e Ginny, trasalì.
«Ehi, un po' nervosa?» chiese di nuovo Fred.
«No, no, scusa, non stavo ascoltando, dicevi?»
«Se sai già tutto dell'Ordine, ormai sei dei nostri!»
«No, veramente no, di che si tratta?»
«È una società segreta che combatte Tu-Sai-Chi» spiegò George «Ma solo gli adulti ne fanno parte, a noi non è permesso partecipare alle riunioni o altro»
«È una vera ingiustizia» si inserì Ron.
«Nostra madre non vuole» sbuffò George, esibendosi poi nella prodigiosamente perfetta  imitazione della signora Weasley, che, per sua fortuna, era troppo impegnata a sgridare Sirius per qualcosa che aveva detto.
I gemelli e Ron ragguagliarono Megan circa tutto quello che erano riusciti a scoprire, ben poco a essere sinceri, quando la signora Weasley richiamò l'attenzione.
«È ora di andare a dormire» disse sbadigliando.
«Non ancora, Molly» disse Sirius «Sai, sono sorpreso» continuò, rivolgendosi a Harry «Ero convinto che, appena arrivato qui, avresti cominciato a fare domande su Voldemort»
Al nome di Voldemort, un brivido carico di tensione percorse la stanza e l'atmosfera, un attimo prima gioiosa e sonnolenta, si raggelò.   
«L’ho fatto!» ribatté Harry, indignato «Ho chiesto a Ron e Hermione, ma hanno detto che noi non possiamo sapere perché non facciamo parte dell'Ordine».
«È così, infatti» ribatté la signora Weasley «Siete troppo giovani».
«Noi siamo maggiorenni!» protestarono i gemelli Weasley all'unisono.
«Harry ha il diritto di sapere!»
«Silente ha detto-»
«Non sta a te decidere-»
«Non è James-»
«Hanno diritto più di molti altri-»
In un istante, l'atmosfera mutò di nuovo e la cucina divenne un vero e proprio campo di battaglia, combattuta a suon di grida e proteste; tutti cercavano di dire la loro ed era impossibile per chiunque distinguere altro suono se non quello della propria voce.
Alla fine, dopo cinque minuti buoni di quella cacofonia incomprensibile, la signora Weasley si arrese.
«Molto bene» disse, con voce spezzata. «Fred, George, Ginny, Ron, Hermione, William, Megan, fuori di qui!»
La quiete, appena ritrovata, venne infranta di nuovo: nessuno dei ragazzi nominati voleva saperne di lasciare la cucina.
Megan, di nuovo, non si unì alle proteste.
«No!» urlò la signora Weasley «Vi proibisco assolutamente…»
«Molly, non puoi impedirlo a Fred e George» osservò il signor Weasley stancamente «Loro sono maggiorenni».
«Ma… oh, va bene, Fred e George possono restare, ma Ron…»
«Harry racconterà comunque a me e Hermione tutto quello che direte!» esclamò Ron «Vero?»
«Certo» confermò Harry.
«Bene!» urlò la signora Weasley. «Bene! William, Megan…»
Will fece per protestare, ma la signora Weasley fu irremovibile «Prima dovrò sentire che cosa ne pensano i vostri genitori» disse, scoccando a Megan un'occhiata diffidente. Era chiaro che non vedesse di buon occhio i legami dei Parker con la famiglia Malfoy.
«Mi scusi, signora Weasley» intervenne Megan, per la prima volta «Ma credo che, dopo Harry, qui sia io la prima ad avere il diritto di sapere che cosa sta succedendo» disse calma, lasciando che il vero significato di quelle parole colpisse nel segno. Anche lei aveva perso qualcuno di importante a causa di Voldemort, come potevano sul serio dubitare?
La risposta, il tremendo segreto che aveva appreso appena una settimana prima, e le conseguenze che Voldemort aveva profetizzato, minacciarono di prendere il sopravvento. Se loro avessero saputo la verità, che cosa avrebbero pensato?
«Va bene» acconsentì la signora Weasley «William… »
«Meg è mia sorella» ribatté lui, trionfante, scambiandosi un sguardo d'intesa con la gemella.
«D'accordo!» sospirò alla fine la signora Weasley «Ginny, a letto!»
Tra mille proteste, la più piccola dei Weasley seguì la madre fuori.
«Allora, che cosa volete sapere?» chiese Sirius.
Harry trasse un gran respiro e fece la domanda che, di certo, doveva averlo ossessionato per tutta l'estate «Dov’è Voldemort?»

*

Venti minuti più tardi, la signora Weasley tornò in cucina e impose che quel ragguaglio dell'ultim'ora terminasse.
Questa volta, nessuno poté trovare nulla da obiettare.
In realtà, osservò Megan, le informazioni che Sirius e gli altri avevano rivelato loro non erano così sensazionali: che Caramell non volesse accettare il ritorno di Voldemort era risaputo, quanto alla necessità dell'Ordine di reclutare nuovi membri, e impedire a Voldemort di fare altrettanto, anche questa era una mossa piuttosto prevedibile. L'unica vera, nuova e importante informazione che avevano appreso riguardava un'arma, un oggetto, un qualcosa che Voldemort stava cercando e che, se ottenuto, poteva portarlo alla vittoria.
«Ginny si sarà addormentata» disse la signora Weasley, che aveva insistito per accompagnarli fino alle loro stanze, per assicurarsi che andassero tutti a dormire «Perciò cercate di non svegliarla» concluse, rivolta a Hermione a Megan, che condividevano la camera con lei; quindi augurò loro la buonanotte e si congedò.
Will, Harry e Ron entrarono nella loro stanza, e lo stesso fecero le ragazze.
«Sì, addormentata, come no» sentì dire a George, mentre si chiudeva la porta della camera alle spalle.

*

Le giornate a Grimmauld Place si rivelarono più noiose del previsto.
Ogni mattina, la signora Weasley veniva a svegliargli, annunciando che una stanza aveva urgentemente bisogno delle loro cure.
Dopo la colazione, tutti quanti si armavano di guanti, sacchetti e, talvolta, di doxycidi, e iniziavano l'ennesima lotta contro tutto quello che si annidava nella casa; Doxy e Puffskein, infatti, erano solo alcune delle creature che avevano deciso di abitare quel luogo tetro, e sembravano assolutamente decise a rimanerci.
Megan detestava stare lì; non era tanto per le pulizie, che di certo non erano piacevoli, ma per il fatto che era costretta a passare molto tempo in compagnia di Harry. Non si era ancora scusata per quello che gli aveva detto la sera del suo arrivo, non che credesse di doverlo fare e, infatti, ogni volta che le si presentava l'occasione di farlo, decideva che, dopotutto, non aveva detto nulla che non fosse vero.
Naturalmente, non poteva incolpare Harry per la morte di Cedric, ma non poteva fare a meno di considerare alcune cose. Per esempio, si chiedeva che cosa avrebbe fatto lei se si fosse trovata al posto di Harry: avrebbe rischiato la sua vita per qualcuno che conosceva appena? Probabilmente no; e che cosa sarebbe successo se, al contrario, invece di Cedric, ci fossero stati Ron o Hermione? Harry avrebbe esitato? Sarebbero tornati entrambi vivi da quel cimitero maledetto?
Alla fine, non poteva biasimare il Ragazzo Sopravvissuto per essersi comportato come avrebbe fatto lei, ma non per questo poteva perdonarlo del tutto.
Anche se, forse, la persona che Megan non riusciva a perdonare era lei stessa: troppe volte, infatti, non senza vergogna, si era scoperta a invidiare Potter.
Già, proprio lui, Harry Potter, il celebre bambino sfuggito alla Morte, che aveva sconfitto il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi.
Harry Potter che, qualunque cosa facesse, finiva sempre per essere ricompensato, adulato, scusato.
Harry Potter che era diventato famoso per qualcosa che neppure ricordava e che non gli aveva lasciato null'altro che una banale cicatrice.
Certo, lui aveva perso i suoi genitori quella notte, ma non per questo si era ritrovato abbandonato; era stato accolto dai suoi parenti e infine si era costruito una nuova famiglia, altrettanto affettuosa e presente.
E poi, pensava, perdere le persone che avrebbero dovuto essere delle figure importanti, prima ancora di riuscire a conoscerle, non era poi una grande tragedia; insomma, come si poteva davvero soffrire per qualcuno che nemmeno si era in grado di ricordare?
Dopotutto, non era l'unico orfano del mondo; ne esistevano a migliaia, la maggior parte dei quali non poteva vantare alcun glorioso passato, e a cui era stata riservata un'esistenza infinitamente più sfortunata e infelice.
Naturalmente, ora che Voldemort era tornato per dargli la caccia, il peso di quella fama immeritata si faceva sentire, ma chi poteva dire che non sarebbe andare a finire come quattordici anni prima?
O magari, molto più semplicemente, il Ministero avrebbe finito con l'accettare la verità sul ritorno del Signore Oscuro, e avrebbe impiegato tutte le sue forze per sconfiggerlo.
Harry avrebbe trascorso qualche altro mese di inquietudine, quindi avrebbe di nuovo ricevuto gli elogi e i ringraziamenti per essere sfuggito al suo carnefice e per aver avvertito tutti quanti del pericolo.
Ancora una volta, sarebbe stato ricoperto di rinnovata gloria e, comunque avesse deciso di spendere la sua vita, avrebbe continuato a vivere di rendita, senza aver mai fatto qualcosa di davvero rilevante per meritarsela.
Sì, decisamente Megan non riusciva a provare pena per Harry.
Aveva avuto tutto quello che molti altri potevano solo sognare, al misero prezzo di perdere i propri genitori quando era poco più che un neonato.
Anche Megan aveva perso i suoi veri genitori, ma nessuno per questo l'avrebbe celebrata; al contrario, se il segreto delle sue vere origini fosse stato rivelato, molto probabilmente sarebbe vissuta per sempre con il peso della colpa e del sospetto per qualcosa che, come era stato per Potter, nemmeno lei era stata in grado di controllare.
Ovviamente, nessuno in quella casa avrebbe mai potuto condividere questi pensieri, eccetto, forse, una persona, insieme alla quale Megan riusciva, se non proprio a divertirsi, quanto meno a distrarsi.
Il professor Piton, infatti, andava e veniva dal Quartier Generale e, talvolta, era costretto ad aspettare a fare il suo rapporto, affinché gli altri membri dell'Ordine, ritardati da altri, improvvisi, impegni lo raggiungessero.
Megan approfittava di quei momenti per parlare con l'unico altro Serpeverde del gruppo che, come lei, non si associava a quel senso di euforia generale per tutto quello che Potter faceva.
Quel pomeriggio, quando scese in cucina per prendersi una pausa, dopo l'ennesima mattinata passata a disinfestare una delle camere da letto, trovò il professor Piton, seduto da solo al tavolo: evidentemente, la riunione dell'Ordine era stata posticipata.
Hermione e Ginny erano alle prese con tazze e bollitori per il tè, mentre la signora Weasley era intenta a strofinare alcune pentole, già perfettamente pulite.
«Buonasera, professore» salutò allegramente Megan, mentre un sonoro “clunk” segnalava l'arrivo di Moody.
«Tutto a posto, Molly» annunciò l'ex-Auror, apprestandosi a scendere «È un Molliccio»
«Grazie, Alastor» disse la signora Weasley «Preferivo esserne sicura» continuò «In questa casa, non si può mai sapere»
Moody borbottò un «Non c'è di che» e, poco dopo, aggiunse «Non posso restare, Molly. Silente mi ha chiesto di raggiungerlo dopo la riunione» spiegò, estraendo una specie di orologio da una delle molte tasche del suo lungo pastrano «Che doveva iniziare venti minuti fa»  
«Ma se te ne vai, non potrai riferirgli le novità» azzardò la signora Weasley.
«Quell'uomo sa sempre tutto prima di tutti» ringhiò divertito Moody, congedandosi.
Per un po', regno il silenzio, rotto soltanto dal tintinnio delle stoviglie e dal rumoroso “clunk” dei passi del vecchio Auror; lo sentirono zoppicare nell'ingresso, quindi aprire la porta e uscire.
«Spero che non sia successo niente al Ministero» sospirò la signora Weasley, a un tratto.
«Artur, Podmore e Tonks sono stati trattenuti per un'ispezione straordinaria» spiegò Piton «Quanto a Shacklebolt, doveva occuparsi di alcune cose urgenti presso il Ministero Babbano» aggiunse.
In quel momento, il bollitore prese a fischiare furioso e le due ragazze si affrettarono a  riempire la teiera.
«Lasciate, faccio io» disse la signora Weasley che, quando era angosciata, destava restarsene con le mani in mano; poco dopo, reggendo i vassoi colmi delle squisite leccornie della sua cucina, uscì, diretta ai piani superiori.
Come sempre, infatti, quando c'era Piton intorno, se non era strettamente necessario stare nella stessa stanza, Sirius insisteva per rimanere di sopra, costringendo gli altri a continuare le pulizie, qualunque fosse l'ora. Evidentemente, però, questa volta i ragazzi dovevano averlo convinto a fare una pausa, che si sarebbe però tenuta il più lontana possibile dalla cucina.

*

   «Quindi questi filtri non sono classificati come illegali?» stava chiedendo Megan.
Dopo che la signora Weasley era uscita, Megan l'aveva imitata ed era salita in camera sua, per prendere alcuni dei libri che aveva scelto di portare con sé da casa.
Quando le riunioni venivano posticipate, infatti, aveva preso l'abitudine di confrontarsi con il professor Piton, facendogli molte domande circa i nuovi incantesimi che aveva appreso durante l'estate.
Ogni tanto, Hermione si univa a loro, anche se molto spesso rimaneva in silenzio, temendo le consuete risposte sprezzanti dell'insegnante di Pozioni.
Questa era una di quelle volte; la Granger se ne stava un po' in disparte, apparentemente assorbita dal lungo tema sulle proprietà delle radici delle piante d'acqua dolce, sforzandosi di non farsi coinvolgere dalla loro discussione che, ovviamente, doveva suonare decisamente più accattivante.
«Esattamente» rispose intanto Piton «Ma perché stai studiando queste cose? Sono di livello molto più avanzato dei G.U.F.O.» aggiunse, in tono sospettoso.
«Bé, non vorrei rischiare di non essere ammessa al suo corso per il M.A.G.O.» rispose Megan, cercando di apparire il più innocente possibile.
«Non preoccuparti» ribatté lui «Sei la migliore allieva che abbia mai avuto» aggiunse, e Megan non poté reprimere un moto di orgoglio e di selvaggia soddisfazione; Hermione, la perfetta studentessa, sempre prima della classe, incassò in silenzio.
«Tuttavia» continuò Piton «Questo va anche oltre. Metà degli studenti del settimo anno non saprebbero riconoscere la differenza tra un Intruglio Soporifero e una Soluzione Sonnolenta».
«Oh, bé» balbettò Megan, colta alla sprovvista. Piton poteva anche essere assurdamente di parte, ma rimaneva comunque un insegnante di Hogwarts, e gli interessi di Megan, già al limite della legalità, rischiavano di divenire troppo sospetti.
«Hai già in mente che cosa fare dopo la scuola?» chiese d'un tratto Piton, abbandonando l'atteggiamento circospetto.
«Veramente no» ripose lei, tranquillizzandosi.
«Capisco» annuì il professore «Quest'anno inizieranno gli incontri di orientamento» proseguì «Ma vedrai, non avrai problemi, qualunque carriera intraprenderai» osservò, mentre Megan non si perdeva una sola mossa di Hermione; doveva essere così strano per lei non essere al centro degli elogi di un insegnante.
All'improvviso, si udirono alcuni passi nel corridoio e, poco, dopo, i membri dell'Ordine fecero il loro ingresso in cucina, accompagnati dalle grida disumane del ritratto della signora Black: Tonks era inciampata di nuovo nel tavolino.


* * *




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Capitolo 3
*** Capitolo II - Ritorno a Hogwarts ***


3.3



Capitolo II

Ritonro a Hogwarts





Le ultime due settimane a Grimmauld Place passarono con la stessa, noiosa lentezza.
Il via vai dei membri dell'Ordine della Fenice continuava frequente e regolare, ma i ragazzi non vennero più messi al corrente degli ultimi avvenimenti e, dopo le prime, timide proteste, Harry e gli altri finirono col rassegnarsi.
Harry, d'altra parte, aveva avuto altro a cui pensare: con l'avvicinarsi dell'udienza, il suo umore era peggiorato, ed era diventato nervoso e scostante; tuttavia, per Megan, non faceva molta differenza, dal momento che i due si rivolgevano la parola solo quando era strettamente necessario.
Quando però giunse il giorno fatidico, Megan, che si era ritrovata più volte a fantasticare malignamente su una Hogwarts senza il famoso Harry Potter, dimenticò per un momento i suoi propositi, e si unì agli altri nell'augurargli buona fortuna prima, e nel congratularsi per il felice verdetto dopo.
Adesso, comunque, il 31 agosto era arrivato, e con esso il tanto sospirato ritorno a Hogwarts.
«Non si preoccupi, signora Weasley» sentì William dire sul pianerottolo «Avevamo comunque intenzione di partire prima di pranzo»
Un attimo dopo, la porta della sua stanza si aprì e la signora Weasley entrò, reggendo tra le braccia due grosse pile di vestiti lavati di fresco; in cima a una di quelle, spiccavano tre buste.
«Queste sono le vostre lettere da Hogwarts» disse, appoggiando la pila sul letto di Hermione e uscendo di nuovo nel corridoio, portandosi dietro la lettera per Ginny.
Le due ragazze presero le rispettive buste e le aprirono; un istante dopo, Hermione sobbalzò.
«Sono stata nominata Prefetto!» esclamò felice, mostrando una spilla rosso e oro, con una grossa P sovrapposta al leone dei Grifondoro.
«Congratulazioni» disse Megan, finendo di scartare la sua lettera; la capovolse e, senza guardare, ne rovesciò il contenuto sul palmo della mano. Il contatto con il freddo metallo non la sorprese.
«Beh, congratulazioni anche a te» disse Hermione, osservando la spilla che Megan reggeva in mano, perfettamente identica alla sua, eccezion fatta per lo stemma, un serpente, sui colori verde e argento.
Hermione uscì dalla stanza subito dopo, probabilmente per condividere la bella notizia con i suoi amici.
Megan, rimasta sola, si sedette sul bordo letto, rigirandosi la spilla tra le mani, ripensando a un episodio accaduto appena qualche mese prima.
«L'anno prossimo sarai nominata Prefetto di sicuro» le aveva detto una volta Cedric.
Era un bel pomeriggio di aprile, ed era la prima, vera, giornata di caldo e di sole da mesi. Megan e Cedric se ne stavano seduti nel parco, all'ombra di un grande acero, a qualche metro di distanza dal Lago.
La terza e ultima prova del Torneo si stava avvicinando e con essa la morte di Cedric, ma nessuno allora avrebbe potuto anche solamente sospettarlo.
Solo a ricordare quel momento di semplice serenità, Megan sentì le lacrime rigarle il volto.
Quanto sarebbe stato felice di quella notizia, immaginava. Quasi riusciva a vedere la scena, lei che gli diceva che era diventata Prefetto e Cedric che lo sorrideva orgoglioso, dicendo «Era ora, così la sera non dovrò più farti sgattaiolare di nascosto!»
Era vero.
Moltissime volte, dopo il coprifuoco, Megan era uscita di nascosto dai sotterranei, percorrendo i passaggi segreti che conducevano al quarto piano.
Lì, si assicurava che né Gazza, né qualche altro Prefetto, o Caposcuola, fosse nei paraggi, quindi raggiungeva Cedric davanti all'entrata del Bagno dei Prefetti.
Era stato proprio là dentro che Megan lo aveva aiutato a decifrare il messaggio contenuto nell'uovo d'oro.
Se non l'avesse fatto, se Cedric non fosse riuscito a capire qual era l'indizio, precludendosi così la possibilità di continuare a gareggiare nel Torneo, ora sarebbe ancora vivo.

   Era una fredda sera di gennaio.
Megan era immersa nel caldo abbraccio liquido della piscina e, appoggiata sui gomiti al bordo della grande vasca, accarezzava distrattamente l'uovo d'oro, l'eco delle urla agghiaccianti che quello strano oggetto aveva sprigionato ancora nelle orecchie.
Per fortuna, nessuno nel castello sembrava averle udite.
Stava osservando Cedric che, in piedi, avvolto dai vapori profumati della stanza, si frizionava i capelli fradici, quando, improvvisamente, era sta colta da un'ispirazione.
«E se provassimo ad aprirlo sott'acqua?» aveva esclamato.
«Perché?» aveva chiesto lui.
«Un'intuizione».
Cedric l'aveva guardata, perplesso, così Megan aveva aggiunto «Sembra l'urlo di una Banshee e, secondo alcune leggende, l'unico modo per fermarlo è immergere la testa della Banshee nell'acqua, soffocandola».
«Già» aveva convenuto lui «e, secondo altri, se lo fai, si forma un'onda anomala».
«Bé, fortuna che questa è solo una grossa vasca» aveva ribattuto lei, sempre più decisa.
Cedric era rimasto a guardarla per un momento, quindi si era arreso e si era rituffato nella piscina. Poi, afferrato l'uovo, lo aveva immerso sotto il pelo dell'acqua, aprendolo con circospezione.
Questa volta, al posto delle grida tremende, una melodia dolce era giunta alle loro orecchie, ovattata, ma ugualmente incomprensibile.
Cedric aveva quindi richiuso l'uovo e la melodia si era spenta all'istante.
«Forse dobbiamo immergerci anche noi» aveva suggerito lui dopo un momento e così, insieme, si erano tuffati sott'acqua.
Quando Cedric aveva riaperto l'uovo, un canto magnifico, soave e invitante, era risuonato attorno a loro e le parole, ora chiaramente distinguibili, erano sembrate voler suggerire qualcosa.
Erano rimasti ad ascoltare per qualche altro secondo, quindi erano tornati in superficie.
«Che significa?» aveva chiesto Cedric, mettendo da parte l'uovo, appoggiandolo sul bordo della vasca.
«Non saprei» aveva risposto Megan, perplessa «Le nostre voci ascolterai, se negli abissi cercherai. Un'ora sola tua avrai e il tesoro che abbiamo riprenderai. Dopo l'ora mala sorte avrai e ciò che fu preso mai riavrai» aveva recitato «Qualcuno ti ha rubato qualcosa, un tesoro e dovrai andare a riprenderlo» aveva tradotto poi.
Cedric aveva annuito con aria assente «Già, ma io non ho un tesoro» aveva aggiunto dopo un momento.
«Sarà una metafora, qualcosa a cui tieni» aveva ribattuto lei, sempre pensierosa «Ma la sfida qui è capire dove andare a cercarlo» aveva continuato.
«Lo dicono, negli abissi» aveva detto Cedric «Abissi… » aveva ripetuto poi, riflettendo «Quelli dell'Oceano?» aveva azzardato.
«Ma certo!» aveva esclamato Megan a un tratto «Che stupida! Il Lago Nero! Queste che stanno cantando sono sirene! Le avrò viste decine di volte dalle finestre dei sotterranei!»
«Giusto!» aveva esclamato Cedric, euforico.
Il suo entusiasmo, però, era durato poco.
«Ma come faccio a cercare questo tesoro sott'acqua, senza poter tornare in superficie a respirare e con solo un'ora di tempo a disposizione?» aveva chiesto, in tono depresso, lasciandosi cadere contro il bordo della vasca.
«Bé, non so» aveva ribattuto lei, appoggiando la testa sul suo petto «Qualcosa ci inventeremo» aveva aggiunto poi, gentilmente, cercando di infondergli fiducia.
All'improvviso, con un balzo, Cedric era uscito dall'acqua, un guizzo eccitato nello sguardo.
«Che ti prende?» aveva chiesto lei, confusa.
«Ho un'idea, credo di sapere come fare» aveva risposto Cedric in fretta, vestendosi con rapidità, senza premurarsi di non infradiciare la divisa.
«Che sarebbe?» aveva insistito Megan.
«Non sono ancora sicuro» aveva ribattuto lui sbrigativamente, facendo per allontanarsi.
«Ced» lo aveva richiamato «Mancano ancora tre settimane alla seconda prova, devi proprio accertarti della tua intuizione adesso?»
«Sì, ma non preoccuparti mi farò perdonare» aveva risposto lui impaziente, chinandosi su di lei per darle un veloce bacio a fior di labbra «A domani, ti amo» aveva detto, dirigendosi poi verso l'uscita.
Megan era rimasta pietrificata.
Cedric, che aveva già afferrato la maniglia della porta, si era bloccato, come se si fosse appena reso conto delle sue parole.
Si era voltato a guardarla, un'espressione tra l'imbarazzato e il terrorizzato.
Megan aveva ricambiato il suo sguardo e, con un sorriso, aveva detto «Ti amo anch'io»
Cedric aveva abbassato lo sguardo, annuendo soddisfatto, quindi aveva aperto la porta ed era uscito.
Soltanto dopo una settimana, però, Cedric si era finalmente degnato di farle sapere che cosa aveva capito quella sera.
«Ho controllato dappertutto» aveva annunciato, dopo averla raggiunta al tavolo dei Serpeverde; Draco gli aveva gettato un'occhiata sprezzante, che nessun altro, a parte Megan, era parso notare.
«Volevo vedere se esisteva un altro incantesimo più efficace, ma non ne ho trovati» le  aveva spiegato Cedric, dopo averla presa da parte «A meno di non Trasfigurarmi in una qualche creatura marina, ma, se qualcosa andasse storto, non so se ti andrebbe a genio l'idea di avere un pesce palla come ragazzo».
Megan lo aveva guadato con un'espressione confusa e Cedric aveva continuato «Incantesimo Testabolla, semplice e veloce, dovrò solo ricordarmi di ripeterlo più volte sott'acqua».
Megan gli aveva gettato le braccia al collo, entusiasta. Poi, però, si era ricordata che ce l'aveva ancora con lui per non essersi più fatto vedere dopo quella sera, e così si era sciolta dall'abbraccio, mettendo su un cipiglio imbronciato.
«Che c'è adesso? Non sei contenta di sapere che non annegherò nel tentativo di raggiungere la gloria?» aveva scherzato Cedric.
«Ti sei fatto gli affari tuoi per giorni e ora vuoi anche che gioisca per te?» aveva ribattuto lei, irritata.
«Bé, pensavo che volessi anche tu che trovassi in fretta un modo per superare la prova» aveva risposto lui, perplesso «Ma adesso sono qui e giuro che ti dedicherò tutto il mio tempo».
«Non ci pensare neanche, mancano meno di due settimane alla gara, ti devi concentrare»  aveva ribattuto ancora lei, affrettandosi poi a raccogliere i libri per andare a lezione.
Cedric era rimasto per un po' in silenzio, incerto se parlare avesse potuto o meno migliorare la situazione.
«Meg, aspetta» si era risolto alla fine, seguendola nel corridoio «Non-» aveva iniziato, ma Megan lo aveva interrotto subito «So quanto sia stressante questa cosa del Torneo, ma mi basterebbe stare con te solo per qualche minuto ogni tanto» aveva ammesso.
Cedric le aveva sorriso, abbracciandola.
«Che ne dici di adesso?» le aveva chiesto.
«Ora ho lezione con la McGranitt» aveva risposto lei.
«Hai dei voti perfetti, puoi saltarla una lezione» l'aveva tentata lui, con una smorfia che mal si s'addiceva alla sua fama di bravo ragazzo.
«E vorrei continuare ad averli» aveva replicato lei, decisa e, accompagnata dalla risata divertita di Cedric, era entrata nell'aula.

   Quel ricordo, perfettamente nitido, ora le sembrava appartenere a un'altra vita, e non la sua. Con un gesto rabbioso, si asciugò le lacrime e ripose la spilla nella busta, gettandola poi nel baule che, aperto, aspettava ancora di essere riempito con le ultime cose.
Megan, di mala voglia, si alzò, e finì di preparare i bagagli.

*

Un'ora più tardi, dopo aver assistito all'impetuosa manifestazione di gioia della signora Weasley per la nomina di Ron a Prefetto, Megan e il suo gemello salutarono tutti e lasciarono il numero 12 di Grimmauld Place.
Il mite vento leggero di fine estate scompigliò dolcemente i capelli di Megan, che si gustò quel momento di ritrovata libertà, incamminandosi poi per le affollate vie di Londra.
Dopo una breve sosta nello studio del padre, lei e Will si diressero a Diagon Alley, per acquistare i libri e l'occorrente per la scuola.
«Ehi, Meg!» si sentì chiamare, mentre usciva dal Ghirigoro; Draco Malfoy, con la sua perenne aria svogliata, le venne incontro.
«William» salutò «Passata una bella estate?» chiese.
«Incantevole» rispose suo fratello; lui e Draco avevano sempre avuto un rapporto strano; erano amici, questo era certo, ma non si poteva dire che la loro fosse un'amicizia convenzionale; l'assegnazione di William alla Casa Grifondoro, poi, era stata la prova di quanto i due ragazzi fossero diversi.
«La tua, Draco?» domandò William.
«Non c'è male» rispose l'altro «Anche se per un attimo è stata davvero meravigliosa» aggiunse «Quando ho saputo che Potter sarebbe stato espulso» precisò, davanti alle loro espressioni confuse.
«Naturalmente» commentò Will, sarcastico.
Draco non vi badò e riprese «Mia madre è appena entrata a prendermi i libri» disse, indicando la vetrina del Ghirigoro, e suscitando la smorfia divertita di Will «Andiamo a prenderci una Burrobirra?» propose.
«Non per me, grazie» rispose suo fratello, che aveva appena adocchiato Melissa Hooney, una ragazza Corvonero del quinto anno, la quale gli lanciò un'occhiata maliziosa.
Megan sollevò gli occhi al cielo.
«Come vuoi» rispose Draco «Andiamo?» aggiunse, rivolto a Megan, che lo seguì.

*

«Secondo mio padre, Potter doveva essere espulso» stava dicendo Draco.
Avevano preso posto a un tavolino, davanti all'ingresso della Gelateria di Florian.
«Ma come sempre Silente è arrivato e ha esercitato la sua influenza sul Wizengamot per far scagionare il suo protetto» continuò, accigliato.
«Bé, non ha più molto senso continuare a parlarne, ormai è stato deciso così» ribatté Megan, con indifferenza.
«Già, infatti» concordò Draco.
«Ah, a proposito» continuò il ragazzo «Sono Prefetto, come avevo previsto»
«Anche io» disse Megan.
Draco annuì soddisfatto «Immagino che Silente avrà nominato anche Potter e la Granger» aggiunse poi, ritrovando la sua espressione accigliata.
«Non Potter» disse Megan, gustandosi l'espressione sorpresa dell'amico, che chiese «E chi?»
«Weasley».
«WEASLEY?!» ripeté Draco, esterrefatto «Come… Sul serio?» chiese, osservandola attentamente, come per accertarsi che non lo stesse prendendo in giro.
«Non ci posso credere! Sai» dichiarò poi «Dopotutto, non mi dispiace che Potter non sia stato espulso».

   Passarono il resto del pomeriggio a chiacchierare del più e del meno, e Draco fu abbastanza delicato da non nominare mai Cedric.
Megan sapeva bene che Draco non aveva mai nutrito una grande simpatia per lui: dal momento che Cedric era un Tassorosso, Draco non lo riteneva degno né della sua stima, né tanto meno della sua attenzione.
L'unica eccezione era stata in occasione del Torneo Tremaghi quando, dopo l'annuncio dei Campioni, Draco aveva preso l'abitudine di tessere le lodi di Cedric, decantandone le numerose qualità, con l'unico scopo di denigrare Harry.
Tuttavia, Megan ricordava anche quanto il ragazzo si fosse dimostrato sorprendentemente comprensivo con lei; anzi, a dire il vero, non era affatto sicura che sarebbe mai riuscita a sopportare quegli ultimi giorni a Hogwarts senza il sostegno dell'amico.

   «Ci sarà da divertirsi quest'anno!» esclamò Draco, congedandosi.
Megan ritrovò suo fratello che, a quanto pareva, era riuscito ad ottenere dalla Corvonero un appuntamento per il primo fine settimana a Hogsmeade, e insieme si avviarono di nuovo verso l'ufficio del padre.

*

La mattina seguente, terminati gli ultimi preparativi, la famiglia Parker si recò al completo alla stazione di King's Cross.
Harry, Hermione e i Weasley arrivarono poco dopo di loro e, sorprendentemente, non erano soli: un enorme cane nero, dall'aspetto randagio, li seguiva d'appresso.
«Oh cielo, quello è… ?» chiese, rivolta a William.
«Temo di sì» rispose lui, distogliendo in fretta lo sguardo per non attirare attenzioni scomode, affrettandosi poi a caricare il baule sul treno; Megan lo imitò e, una volta a bordo, i due si separarono.
Will andò a cercare i suoi amici Grifondoro, mentre Megan si recò nella carrozza dei Prefetti; Draco, la spilla nuova di zecca appuntata sulla divisa, era già lì.
«Ci siete tutti?» chiese Jasper Walsh, uno dei due Capiscuola, quando il treno cominciò a muoversi, prendendo rapidamente velocità.
«Ottimo» approvò «Innanzitutto, benvenuti e congratulazioni per le vostre nomine» disse «Ora, i compiti di un Prefetto sono piuttosto semplici. All'arrivo a Hogwarts, dovrete aiutare tutti gli studenti a raggiungere le carrozze e, dopo il banchetto, scortare gli studenti del primo anno nei rispettivi dormitori. Dovrete poi assicurarvi che tutti osservino le regole della scuola, in particolare che tutti rispettino il coprifuoco, e segnalare a noi, i Capiscuola, o a un insegnante, qualunque comportamento riteniate grave o pericoloso per l'incolumità degli altri studenti» spiegò «Come forse già sapete,» continuò «I Prefetti hanno il potere di togliere punti, ma solo agli studenti della propria Casa. Hanno inoltre la facoltà, e l'obbligo, di assegnare punizioni. Ovviamente, questo non significa che voi ne possiate abusare. Infatti, se noi, o qualche insegnante, dovessimo accorgerci che qualcuno di voi usasse la sua posizione in modo sbagliato e contro le regole, la sua nomina verrà immediatamente revocata» concluse Walsh e, prima di congedarli, raccomandò «Ora potete tornare ai vostri scompartimenti, ma di quando in quando dovrete pattugliare i corridoi del treno e accertarvi che tutto sia in ordine. Per qualsiasi problema, rivolgetevi pure a noi»
I neo-Prefetti ruppero i ranghi e si sparpagliarono lungo il treno.
«Sarà divertente!» esclamò Draco, quando fu sicuro di essere fuori dalla portata d'orecchio dei Capiscuola.
«Draco…» lo ammonì Megan «Non cominciare già il primo giorno»
«No, hai ragione» convenne lui «Lascerò che Potter si goda il suo trionfale ritorno a Hogwarts» aggiunse con un ghigno, facendosi largo bruscamente tra due Corvonero del secondo anno, la spilla da Prefetto ben in vista.
Naturalmente, Draco disattese subito la sua promessa: dopo una decina di minuti, infatti, si ritrovò a passare proprio davanti allo scompartimento dove Potter e i suoi amici erano seduti, e non resistette alla tentazione di mettere un po' di zizzania.
«Che vuoi?» lo accolse Harry, gelido.
«Sii più educato, Potter» lo ammonì Draco «O sarò costretto a metterti in punizione» lo minacciò.
Megan era dietro di lui e cercava un modo per trascinarlo via di lì senza farlo sfigurare, prima che succedesse qualcosa.
«Vedi Potter,» continuò Draco imperterrito «Io sono un Prefetto adesso, e quindi ho il potere di infliggere punizioni, a differenza di te»
«Già, ma tu, a differenza di me, sei un idiota» ribatté Harry.
«Almeno non sono un pazzo assassino» ribatté Draco «E non mi invento storie assurde per attirare l'attenzione. Vedi io non ho bisogno di raccontare menzogne per ottenere quello che voglio, io lo merito e basta».
«Tu lo meriti e basta?» ripeté Harry, sprezzante.
Draco lo ignorò, e riprese «Di' un po', che cosa si prova a essere secondi a Weasley?»
«Draco non c'è bisogno di sottolineare l'ovvio, andiamo» risolse alla fine Megan, notando lo sguardo furente di Harry e di Hermione.
Draco, che per il momento si era divertito abbastanza, osservò ancora per un istante i volti disgustati dei Grifondoro, quindi seguì Megan fuori dallo scompartimento.

   Il resto del viaggio trascorse, per fortuna, senza altri incidenti.
Dopo aver pattugliato i corridoi, Megan e Draco si unirono ai loro compagni di Serpeverde.
Pansy, la migliore amica di Megan, passò tutto il tempo a elogiare Draco per la sua nomina, ascoltando rapita il racconto dell'alterco con Harry, annuendo, ridendo e commentando con frasi sprezzanti, a seconda di quale reazione richiedesse la situazione.
«Oh Draco, sono certa che diventerai Caposcuola al settimo anno» dichiarò per quella che doveva essere la terza volta. Draco, che non disdegnava i complimenti, annuì compiaciuto.
«Ora dobbiamo assicurarci che tutti scendano dal treno» annunciò, con l'aria di chi si apprestava a svolgere un compito gravoso.
«Oh, povero Draco, quante responsabilità!» esclamò Pansy, ricevendo in risposta un gesto di fatale rassegnazione.
«Sei tremendo» gli disse Megan, mentre, dal corridoio, guardavano gli studenti trascinare i propri bagagli giù dal treno.
«Lo so» ghignò Draco, con una smorfia.
Megan scosse la testa divertita.
Quando tutti furono a bordo della carrozze, lei e Draco salirono sull'ultima, insieme a  Blaise Zabini e ai due Prefetti di Corvonero.
Arrivati nella Sala Grande, Silente diede i soliti annunci di rito e comunicò i nuovi avvicendamenti nel corpo insegnanti. Tutti pendevano dalle labbra del Preside, ansiosi di conoscere il nome dello sventurato che aveva accettato la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure.
Non appena però Dolores Umbridge, Sottosegretario Anziano del Ministero, e nuova insegnante di Difesa, ebbe terminato la sua presentazione, gli studenti si resero subito conto che sarebbero stati loro gli sventurati.
Megan ricordò di aver incontrato la Umbridge una volta, un paio di anni prima.
Si trovava nell'ufficio di suo padre, insieme a sua madre e a suo fratello, tutti agghindati per presenziare a una cena di gala a casa di un qualche importante diplomatico straniero.
All'improvviso, il camino dello studio si era acceso e dalle fiamme era apparsa la donna dall'aspetto più ridicolo che Megan avesse mai visto.
Di bassa statura, portava tra i capelli color topo un enorme fiocco lilla, in tinta con il completo di tweed, e calzava ai piedi piccoli e a papera due orrende scarpette, di una tonalità di lilla leggermente più scura, decorate con un'enorme clip a forma di fiore.
«Oh, meno male che sei ancora qui, Vincent!» si era annunciata quella; aveva una voce fastidiosa, sorprendentemente acuta per una donna di quell'età.
«Dobbiamo assolutamente rivedere quel rapporto su» aveva continuato, interropendosi subito, accorgendosi solo in quel momento della presenza di altre persone.
«Oh questi sono i miei figli» aveva spiegato suo padre, indicandoli «E conoscerai sicuramente mia moglie Katherine».
«Buona sera, bambini» aveva salutato la Umbridge, in tono disgustosamente lezioso, come se si stesse rivolgendo a due bambini di tre anni.
«Katherine cara» aveva aggiunto poi «Sei proprio deliziosa come Vincent dice».
Sua madre aveva gettato un'occhiata al marito, che aveva risposto con uno sguardo come a voler dire “Non ho idea di che cosa stia parlando”.
«Non ti dispiace se te lo rubo un momentino, non è vero cara?» aveva continuato la Umbridge, con il suo tono affettato.
«Naturalmente» aveva risposto sua madre, cortese «Ragazzi» li aveva chiamati, uscendo con loro dall'ufficio, per poi sedersi ad aspettare nella “parte Babbana” dello studio.
Già da quel primo incontro, Megan aveva intuito che quella donna non fosse affatto dolce o innocua come si presentava e, ora che la Umbridge aveva pronunciato il suo discorso inaugurale, quella che era stata solo un'impressione, si tramutò in una certezza.

   Terminato il banchetto, Megan e Draco guidarono la nervosa dozzina di primini di Serpeverde fino ai sotterranei.
Percorsero gli stretti passaggi di pietra nuda, quindi si fermarono davanti a una parete, scintillante di umidità.
«Pura Anguis» disse Draco; il pannello del muro scivolò di lato, rivelando l'accesso alla Sala Comune.  
I ragazzini del primo anno, rimasero a bocca aperta.
Il ritrovo dei Serpeverde era un un sotterraneo lungo e basso con le pareti di pietra scura e il soffitto affrescato. Alte e strette finestre si affacciavano direttamente sul fondale del Lago Nero, dalla torbide acque scure.
Le molte lampade erano accese e gettavano una luce tenue e verdastra; cinque fuochi scoppiettavano allegri nei rispettivi camini di marmo nero, decorati con sculture elaborate; al lato opposto della Sala, si ergevano fino al soffitto i grandi scaffali che ospitavano i volumi di magia e incantesimi, dalle pregiate rilegature.
I divani di pelle erano sistemati in posizioni solo in apparenza casuali e alcune poltrone scolpite erano disposte intorno ad un lungo tavolo di legno nero e lucido.
In fondo a sinistra, una sinuosa scala di mogano si arrampicava fino ad un pianerottolo che, come spiegò Megan poco dopo, portava ai dormitori.
I Serpeverde si sparpagliarono nella Sala, qualcuno si accomodò davanti ai camini, i più salirono al piano di sopra.
Megan decise di imitarli, e, dopo aver augurato la buona notte a Draco, si arrampicò sui gradini insieme a Pansy.
L'ampio corridoio, anch'esso illuminato dalle stesse lampade verdi, si allungava per parecchie decine di metri; quattordici porte, sette per lato, conducevano ai dormitori.
Megan lo percorse per un tratto, fermandosi davanti al sua camera, identificata da una targhetta d'argento su cui erano incastonati alcuni smeraldi a formare la scritta “RAGAZZE, V ANNO”.
«Ah» sospirò Pansy, una volta entrata, lasciandosi poi cadere sul morbido letto a baldacchino attorno al quale erano stati disposti i suoi bagagli.
Megan si sedette sul suo e cominciò a rovistare nel baule alla ricerca del pigiama.
«Secondo te» stava dicendo Pansy, ma Megan la interruppe subito. Improvvisamente, si sentiva troppo stanca per parlare: l'angoscia, che sembrava essersi dissolta al suo arrivo a Hogwarts, era tornata, più violenta che mai.
Si infilò sotto le coperte e in un attimo sprofondò nel consueto sonno inquieto e agitato.

*

La mattina seguente, Megan si era svegliata ancora più stremata e nervosa di quanto non fosse stata la sera prima.
Pansy non sembrava essersela presa per il suo comportamento scostante e, insieme, erano uscite dai sotterranei dirette alla Sala Grande per la colazione.
«Dopo quest'anno potremo finalmente dire addio ad alcune materie odiose» stava dicendo Pansy, afferrando un'altra fetta di pane tostato e spalmandoci sopra una generosa dose di marmellata d'arancia.
Megan si limitò ad annuire, attirando a sé un piatto di biscotti allo zenzero e sforzandosi di mangiare qualcosa.
Il professor Piton arrivò poco dopo e consegnò loro l'orario delle lezioni
«Oh no» mormorò Pansy, avvilita, scorrendo l'elenco «Adesso ci tocca Erbologia».
Megan sapeva quanto l'amica detestasse quella materia, così decise di tirarle su il morale, facendole notare che, subito dopo, avrebbero avuto Pozioni con i Grifondoro. Infatti, le lezioni di Piton erano sempre un gran divertimento per i Serpeverde che, ogni volta, si gustavano deliziati le umiliazioni che il loro Direttore riservava a Harry e agli altri suoi compagni di Casa.
Megan sapeva bene che le critiche di Piton erano spesso crudeli e immotivate, ma alle ingiustizie del professore rimediavano prontamente tutti gli altri: nessuno, infatti, a scuola aveva un'alta opinione dei Serpeverde; ambiziosi e calcolatori di natura, giudicati malfidati e ambigui, non erano esattamente gli studenti da prendere a modello, e per questo venivano un po' emarginati.
Non c'era da stupirsi, quindi, se i Serpeverde facevano fronte comune e rispondevano con orgoglio a ogni provocazione.

   Finirono in fretta di mangiare, quindi scesero di nuovo di sotto per prendere i libri e il materiale necessari e uscirono all'esterno.
L'aria settembrina era pungente e il cielo grigio era appesantito dalle nuvole, informi e scure, che minacciavano pioggia.
Terminata la lezione che, proprio grazie a Megan aveva fruttato cinque punti per i Serpeverde, rientrarono tutti dentro al castello, e si diressero di nuovo verso i sotterranei.

   Durante Pozioni, come previsto, Piton non perse occasioni per biasimare i Grifondoro, in particolare Harry, che si ritrovò a incassare in silenzio le umiliazioni del professore.
Un ulteriore momento di divertimento si aggiunse quando Paciock, nel tentativo di riempire la sua fiala, finì per rovesciare l'intero contenuto del suo calderone per terra. Evidentemente, non era riuscito a preparare la pozione a dovere, dal momento che il liquido, che avrebbe dovuto essere di una tenue sfumatura di giallo, aveva assunto una tonalità rosso cupo, per poi prendere fuoco.
Piton, con un moto di disgusto mal celato, intervenne subito e spense le fiamme, togliendo poi cinque punte a Grifondoro per “il miserabile errore nella preparazione e la goffaggine senza scusanti” di Paciock.

   Dopo pranzo, Megan si recò con suo fratello, Pansy e Draco, alla lezione di Aritmanzia.
La professoressa Vector tenne un discorso piuttosto fatalista riguardo ai G.U.F.O., tanto che, uscendo dall'aula, Megan sentì alcune ragazze di Corvonero mettersi d'accordo per pianificare da subito lo studio.
«Ora abbiamo la Umbridge» osservò Draco, allegro, mentre tutti e quattro si avviavano verso l'aula di Difesa.
Dietro di loro, a debita distanza, li seguiva Hermione.
«Non mi dire che non vedi l'ora di passare un'intera ora con quella» esclamò William; anche lui, come la sorella, era tristemente memore del primo incontro con la donna.
«No, ma mio padre dice che è molto influente al Ministero» disse «Quindi ci tengo a fare bella figura».
«Diciamo che vuoi leccarle il culo» risolse Will.
Draco fece spallucce, indifferente, ed entrò per primo nella stanza.
Megan lo seguì, e prese posto accanto a Pansy.
La professoressa Umbridge, intanto, era già seduta alla cattedra; indossava un vaporoso cardigan rosa e l'immancabile fiocco era sistemato in cima alla testa.
Quando tutti si furono seduti, si alzò e disse «Buon pomeriggio, ragazzi!»
Alcuni borbottarono «Buon pomeriggio».
«Mmm» disse la professoressa Umbridge «Se non vi spiace, vi pregherei di rispondere “Buon pomeriggio, professoressa Umbridge”. Un’altra volta, prego. Buon pomeriggio, ragazzi!» ripeté di nuovo, con la sua solita vocetta leziosa.
«Buon pomeriggio, professoressa Umbridge» le risposero in coro.
«Bene» approvò lei amabile, alzandosi. «Ora, via le bacchette, per favore» disse, quindi picchiettò la sua, straordinariamente corta, contro la lavagna, sulla quale comparvero alcune frasi di introduzione al corso, e gli obiettivi che esso si proponeva; Megan notò subito che non c'era un solo accenno all'uso pratico della Magia Difensiva.
«Come sapete, l’insegnamento di questa materia è stato preoccupantemente discontinuo» esordì «È dunque opinione del Ministero che voi seguiate, da adesso, un programma ben strutturato e approvato dal Ministero della Magia, in modo da essere preparati per affrontare il vostro G.U.F.O.»
Fece una pausa, quindi picchiettò di nuovo la bacchetta contro la lavagna che tornò nera e pulita.
«Bene, ora prendete i vostri libri» disse, riaccomodandosi dietro la cattedra.
I ragazzi fecero come era stato richiesto ed estrassero i volumi dalle borse.
«Ora andate al primo capitolo e leggetelo con attenzione».
In silenzio, i ragazzi si apprestarono a fare come era stato loro richiesto, quando si udì la voce di Hermione Granger; stava fissando la Umbridge, con la mano alzata, il libro aperto sull'indice.
La Umbridge si girò a guardarla, un'espressione materna dipinta sul viso.
«Sì, cara, ha una domanda?» chiese.
«Sì, vorrei sapere come mai qui non c’è scritto niente sul fatto di usare incantesimi di Difesa».
«Usare incantesimi di Difesa?» ripeté la professoressa Umbridge con una risatina «Signorina?»
«Granger».
«Bene, signorina Granger, per rispondere alla sua domanda, non vedo perché mai dovreste usare incantesimi di Difesa nella mia classe».
«Non useremo la magia?» esclamò Harry a voce alta.
«Gli studenti alzano la mano quando desiderano parlare nella mia aula».
Harry alzò la mano e la Umbridge gli voltò con decisione le spalle.
Il braccio di Hermione scattò di nuovo in aria.
«Sì, signorina Granger?» chiese la Umbridge, lievemente infastidita.
«Ma come faremo a imparare gli Incantesimi di Difesa se non ci è concesso esercitarci durante le lezioni?»
«Voi apprenderete gli incantesimi di Difesa in un modo sicuro e provo di rischi».
«E a che cosa serve?» chiese Harry ad alta voce «Se verremo attaccati, non sarà sicuro e privo di rischi».
«La mano, signor Potter» cantilenò la professoressa Umbridge, voltandogli di nuovo le spalle.
Ormai metà della classe chiedeva la parola, solo i Serpeverde osservavano la scena, in silenzio.
«Ma non c’è anche una prova pratica di Difesa contro le Arti Oscure durante i G.U.F.O.?» stava chiedendo Dean Thomas.
«È opinione del Ministero che una conoscenza teorica sia più che sufficiente. Se avrete studiato a fondo la teoria, sarete perfettamente in grado di eseguire gli incantesimi durante gli esami».
«Senza mai averli provati prima?» chiese Parvati Patil, incredula.
«La sua mano non è alzata!» replicò la professoressa, secca.
«E a che cosa servirà la teoria là fuori, nel mondo reale?» intervenne Harry ad alta voce, la mano di nuovo levata.
«Non c’è niente là fuori, signor Potter» ribatté lei, affabile.
«Oh, davvero?» insistette Harry.
«Chi immagina possa desiderare di aggredire dei ragazzini come voi?» chiese la professoressa Umbridge, con voce tremendamente mielosa.
«Mmm, mi lasci pensare…» rispose Harry in tono falsamente meditabondo «Forse… Lord Voldemort?»
Al nome di Voldemort, qualcuno trattenne il fatto, altri gemettero.
«Dieci punti in meno a Grifondoro, signor Potter» decretò lei dura e aggiunse, ritrovando il suo tono falsamente dolce e materno «Ora, permettete che chiarisca un paio di cose. Vi è stato riferito che un certo Mago Oscuro è di nuovo in circolazione. Ma questa è una bugia»
«NON è una bugia!» esclamò Harry. «Io l’ho visto e-»
«Punizione, signor Potter!» lo interruppe la Umbridge, trionfante.
«Quindi secondo lei Cedric Diggory è morto così, da solo?» urlò Harry, livido.
«La morte di Cedric Diggory è stata un tragico incidente» rispose lei, in tono pratico.
Megan che, come tutti, aveva assistito allo scambio in silenzio, si alzò in piedi e il dolore, la rabbia, il tormento provati negli ultimi mesi, esplosero all'improvviso.
«Un tragico incidente?» ripeté, gelida «E come se lo spiega?» continuò, senza dare il tempo alla professoressa di interromperla «Quanti maghi conosce che se ne vanno in giro a lanciare Anatemi e che per caso uccidono qualcuno?»
«Si sieda, signorina?» chiese la Umbridge.
«Parker e no, non mi siedo finché lei non mi avrà dato una risposta plausibile» ribatté Megan, impassibile.
«Si rimetta a sedere o la avverto, sarò costretta a mettere in punizione anche lei» minacciò.
«Lo faccia» la sfidò lei «Ma mi risponda, come è morto secondo lei?»
«Si è trattato di un drammatico, tragico incidente, so quanto può essere difficile da accettare per dei ragazzini come voi… » rispose la Umbridge, ritrovando il suo tono falsamente dolce.
«Voldemort l’ha ucciso, e lei lo sa» urlò Harry.
«Ora basta!» strillò la Umbridge, e aggiunse, con voce tremendamente infantile «Venite qui, signor Potter, signorina Parker».
Harry diede un calcio alla sedia, e raggiunse la cattedra.
Megan, muovendosi con violenza tale che per poco non ribaltò il banco, scattò nella direzione opposta, verso la porta.
«Signorina Parker, venga immediatamente qui!»
«Altrimenti?» la provocò lei.
La Umbridge sfoderò la bacchetta e gliela puntò contro.
Nell'aula, tutti trattennero il respiro; Megan scorse suo fratello, che la guardava come per supplicarla di non esagerare, ma era troppo tardi.
«Sul serio?» chiese, in tono divertito «Vuole davvero attaccare uno studente?»
Per un attimo rimase immobile, quindi voltò le spalle alla Umbridge, afferrò la maniglia e uscì, sbattendosi poi con forza la porta alle spalle.

*

Dopo quella sfuriata, Megan era corsa a rifugiarsi nel suo dormitorio, ma sapeva bene che la cosa non si sarebbe risolta tanto facilmente.
Appena una mezz'ora più tardi, infatti, Draco era venuto a bussare alla sua porta, dicendogli che Piton l'aveva convocata nel suo ufficio.
Non potendo fare altrimenti, Megan si era avviata lungo gli stretti passaggi dei sotterranei; doveva ancora svoltare l'angolo e imboccare l'ultimo corridoio, quando la voce della Umbridge, terribilmente alterata, la raggiunse.
«Questo comportamento è inaccettabile!» stava dicendo la professoressa «Davvero intollerabile, mi aspetto che vengano presi seri provvedimenti!»
Megan avanzò, quindi bussò alla porta dello studio di Piton, che la invitò ad entrare.
«Oh, ecco, signorina Parker» l'accolse la Umbridge, gelida «Dovrà rispondere delle sue azioni di oggi, mi aspetto le sue scuse!»
Megan le rivolse uno sguardo scettico e rimase in silenzio.
«La professoressa Umbridge ha ragione» disse Piton, calmo «Il tuo comportamento è stato molto irrispettoso e, da un Prefetto, ci si dovrebbe aspettare una condotta impeccabile» continuò, fissandola con attenzione, mentre la Umbridge annuiva decisa.
«Per questo motivo» riprese il professore «Sei sollevata dai tuoi compiti di Prefetto per due settimane e, durante questo periodo, tutti gli insegnanti dovranno assegnarti dei compiti extra».
«Come credete» approvò Megan, distaccata, ma Piton non aveva ancora finito «Inoltre,» continuò lui «Ti verranno tolti cinquanta punti».
«Cinquanta?» esclamò Megan, sbigottita, davanti all'orrenda faccia trionfante della Umbridge.
«Esatto, signorina Parker» intervenne lei «I Serpeverde sono stati la mia Casa per sette lunghi anni, e sono io la prima a sperare che voi manteniate il primato nella scuola. Tuttavia,» aggiunse «l'affetto per quella che fu la mia Casata non mi impedirà di punire chi se lo merita. Mi aspetto dunque che questo le serva da lezione» concluse.
Per un attimo, nessuno aggiunse altro.
Si aspettavano davvero che lei si scusasse?
«Posso andare?» chiese Megan, alla fine.
Piton posò lo sguardo su di lei e in esso Megan vide una profonda delusione; fu questo a farle più male.
«Puoi tornare nel tuo dormitorio» concesse il Direttore dei Serpeverde.
«Ehm, ehm» fece la Umbridge, scoccando un'occhiata a Piton, che aggiunse «Giusto. La tua spilla da Prefetto».
Megan, che aveva già raggiunto la porta, tornò indietro a grandi passi. Si staccò la spilla dalla divisa, quindi la schiaffò sulla scrivania del professore.
«È tutto?» chiese, evitando accuratamente di guardare Piton.
«Certo, cara» rispose la Umbridge, con voce zuccherosa.
Megan si voltò e uscì in fretta dall'ufficio.

   Come aveva previsto, ritornata in Sala Comune, i suoi amici l'assalirono di domande.
«Cinquanta punti?» esclamò Pansy, quando Megan ebbe finito il suo racconto.
«È vergognoso!» aggiunse, assumendo un'espressione indignata.
Draco, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio ad ascoltare, si limitò ad annuire.
«Non può farlo!» continuò Pansy «Non preoccuparti, recupereremo i punti in un attimo, vedrai».
«Ma che importa!» sbottò Megan a un tratto. Non erano i cinquanta miseri punti la questione centrale: la Umbridge voleva mettere a tacere chiunque sostenesse che Voldemort era tornato.
«No, naturalmente» ribatté Pansy, dopo un istante di perplessità «Ma vedrai, se ti scusi sono certa che la Umbridge ti toglierà la punizione, è così ingiusta. Draco, diglielo anche tu…»
«Scusarmi?!» esclamò Megan, furente.
«Bé, non-» stava dicendo Pansy, ma Megan le voltò le spalle con decisione, allontanandosi in fretta, diretta ai dormitori di sopra.
Un rumore di passi le suggerì che qualcuno la stava seguendo. Megan si voltò di scatto «Pansy, lasciami in pace!» esclamò, «Oh…» aggiunse semplicemente, accorgendosi che a seguirla non era la sua amica.
Raggiunse la porta della stanza e vi entrò; dietro di lei, Draco la imitò.
«Questo è il dormitorio delle ragazze» lo ammonì; Draco, indifferente alla cosa, avanzò verso di lei.
«Ai Serpeverde è rimasto un solo Prefetto, non ti conviene rischiare» aggiunse lei, ma il ragazzo, per tutta risposta, si accomodò sul bordo del letto di Pansy.
Sospirando rassegnata, Megan si sedette sul suo.
«Che vuoi?» gli chiese, brusca.
«Solo parlare»
«Non lo stiamo già facendo?» ribatté lei, acida.
«Sai che cosa intendo» rispose lui e continuò «Si può sapere che ti è preso oggi?»
«Non lo so» rispose Megan, dopo un momento. Tutta la stanchezza di quella giornata parve crollarle addosso in quell'istante. «È che quando ha fatto il nome di Cedric, io…» spiegò.
«So che non deve essere facile, ma dimmi, a che cosa è servito reagire in quel modo?»
«Vuoi farmi la morale, Draco?!» sbottò lei, alzandosi in piedi.
«No, assolutamente» ribatté lui, alzandosi a sua volta «Voglio solo farti ragionare».
Megan si limitò a lanciargli un'occhiata torva; era in grado di ragionare benissimo da sola, anche senza il suo aiuto, pensò.
«Insomma,» continuò Draco «dopotutto, devi ammettere anche tu che la vicenda non è chiara».
Megan stava per interromperlo, ma il ragazzo non gliene diede il tempo e proseguì «Tu non c'eri quando è successo, non puoi sapere quello che è davvero accaduto, e così neanche il Ministero. Solo Potter era presente e, per quel che ne possiamo sapere, potrebbe essere stato lui a-»
«Oh, andiamo Draco!» sbottò Megan «Sai perfettamente che è stato Voldemort!»
L'espressione di Draco si indurì al sentir pronunciare il nome del Signore Oscuro. «C'è solo la parola di Potter su questo» commentò alla fine.
«Ma davvero? Tuo padre non ti ha raccontato proprio nulla di quella notte?» chiese Megan, ironica.
«Perché mai avrebbe dovuto raccontarmi qualcosa?» ribatté Draco.
«Ti prego!» sbuffò lei «Lo sanno tutti che tuo padre è un Mangiamorte!»
Draco impallidì di colpo, ma Megan continuò «Avanti, non c'è Serpeverde che non sia parente o amico di uno di loro» affermò.
«O figlio» ammise Draco alla fine, con un ghigno.
«Già» concordò Megan, cupa.
«Aspetta,» disse Draco, con una scintilla di comprensione nello sguardo «vuoi dire che anche zio Vince, voglio dire tuo padre è, è un … Mangiamorte?» chiese, pronunciando l'ultima parola con un filo di voce.
Megan si limitò ad annuire.
«Sul serio?» chiese Draco, attonito «Voglio dire, lui e papà discutono sempre, su … bé lo sai»
«Alcuni avranno posizioni più radicali di altri» propose Megan e Draco annuì convinto.
«E a te sta bene? Voglio dire che tuo padre sia…?» le chiese poi.
«Oh, io…» stava dicendo Megan, quando un pensiero le attraversò la mente.
Poteva rivelare a Draco chi era lei realmente?
Dopotutto, suo padre era un Mangiamorte, ed era stato presente all'incontro tra lei e Voldemort.
Perché Lucius non aveva detto nulla al figlio?
Forse temeva che Draco le avrebbe fatto troppo domande, domande a cui pensava, e a ragione, Megan non fosse pronta a rispondere?
O era stato Voldemort a imporre il silenzio? E se l'aveva fatto, perché?
Draco, intanto, la stava osservando, impaziente, e solo allora Megan si rese conto che aveva lasciato la sua frase a metà.
«Naturalmente, sì» si affrettò a concludere.
Il volto dell'amico si rilassò.
«Bene» disse Draco «Non ero tanto sicuro. Sai, per il fatto che William è un Grifondoro» spiegò «E che tu sei amica di Potter»
«Harry e io non siamo amici, non più almeno» ribatté Megan, cupa.
«Meglio così» commentò Draco, allegro.
In quel momento, la porta della stanza si aprì e Pansy comparve sulla soglia.
Per un istante, rimase interdetta; evidentemente non si aspettava di trovare Draco lì.
Tuttavia, si riprese in fretta, e mise su lo sguardo più malizioso che riuscì a trovare.
«Bene, bene» disse, incrociando le braccia al petto «Non credi di aver sbagliato dormitorio?»
«Mea culpa» rispose Draco, avviandosi alla porta, mentre il suo sguardo indugiava ostentatamente sulla ragazza.
Pansy gli rivolse un'occhiata ugualmente sfacciata.
Alla fine, Draco uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Pansy si lasciò cadere sul suo letto, con aria sognante.
«Non capisco perché non ti decidi a invitarlo a venire con te a Hogsmeade» commentò Megan, ricevendo in risposta l'occhiata torva dell'amica.
«Perché non mi interessa invitarlo» disse Pansy alla fine.
«Davvero?» ribatté Megan, incredula «Guarda che lo sa benissimo che gli muori dietro»
«Io non gli muoio affatto dietro» ripeté Pansy, punta sul vivo «E comunque ho già un appuntamento» aggiunse.
«Ah sì, e con chi?» chiese Megan, in tono neutrale.
«Theodore Bloomstick» rispose lei, con noncuranza.
«Chi? Quello con gli occhi infossati e la mascella da bulldog?» chiese Megan, stupita.
«Molto divertente, comunque sì, lui» ribatté Pansy, e aggiunse «Stravede per me, sai? E farebbe bene anche a te uscire con qualcuno»
Lo sguardo di Megan si indurì, ma l'amica continuò imperterrita «Non deve mica essere una cosa seria, ma dico davvero, ti farebbe bene distrarti un po'».
«No, grazie» risolse alla fine Megan.
Per un attimo Pansy fu lì lì per ribattere, ma poi decise di non farlo e si limitò a dire «Come vuoi, però promettimi che ci penserai. Ci sono un sacco di ragazzi carini … Prendi Blaise, se non ci fosse Draco, ci farei un pensierino anche io…»
«Ah quindi lo ammetti!» esclamò Megan trionfante.
«Io, no … No!» ribatté Pansy, ma ormai era troppo tardi: Megan si cimentò nella perfetta imitazione dell'amica, con tanto di smorfie sognanti e occhiate ammiccanti.
«Meg, dai piantala, NO!» protestò Pansy, ridendo e, per qualche minuto, la Umbridge, Voldemort, Cedric e tutti pensieri che l'avevano tormentata durante l'estate, vennero dimenticati.


* * *

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Capitolo 4
*** Capitolo III - Sorprese ***


4.4

Capitolo III

Sorprese





Finalmente, la prima, estenuante settimana a Hogwarts giunse al termine.

Megan si svegliò, come sempre, molto presto.
Cercando di non svegliare Pansy, Daphne e Millicent, che condividevano il dormitorio con lei, si cambiò in fretta, quindi scese in Sala Comune per fare i compiti.
Infatti, oltre all'impressionante mole di lavoro che gli insegnanti avevano affidato a tutti, Megan doveva svolgere anche altri compiti per punizione; sconfortata, decise di affrontare subito i capitoli extra che la Umbridge le aveva affidato.
Il libro era, se possibile, ancora più noioso delle lezioni e ben presto Megan si ritrovò a dover rileggere gli stessi passaggi più volte, tentando disperatamente di costringere il suo cervello a collaborare.
Quando poi, finalmente, un paio d'ore più tardi, terminò il tema per la Umbridge, Megan non era più sola nella Sala Comune: alcuni altri studenti, del quinto e del settimo anno, erano, come lei, chini sui libri, cercando di ignorare l'invitante richiamo del sole che, certamente, doveva essersi ormai sollevato, radioso e splendente, nel cielo.
«Le proprietà della Pietra di Luna e i suoi usi nella preparazione di pozioni» lesse ad alta voce Pansy, rigirandosi la piuma tra le dita; fissò la pergamena bianca per un po', quindi sospirò abbattuta «Perché dobbiamo imparare queste cose, è già scritto tutto nei libri, basta leggere».
«Perché agli esami non possiamo leggere i libri» osservò Megan, distrattamente.
«È proprio questo il punto!» ribatté l'altra, sconsolata.
«Se vuoi puoi copiare da me» propose Draco, tendendole la sua pergamena che Pansy accettò entusiasta.
«A proposito,» aggiunse Draco «Hai già finito la descrizione degli Asticelli per la Caporal?»
«No, non ancora» rispose Pansy, intingendo la piuma nel calamaio per trascrivere il  suo tema.
«Allora dopo lo facciamo insieme» propose il ragazzo, alzandosi.
«Credo di avere altri programmi» rispose Pansy allegramente «Magari questa sera?» aggiunse.
«Oh, d'accordo, vada per stasera» disse Draco, in tono neutro «Ci vediamo» le salutò poi, uscendo dalla Sala Comune, seguito a ruota da Tiger e Goyle.
Quando Megan fu sicura che i tre se ne fossero andati, si rivolse a Pansy «Ma non l'avevi fatto ieri sera?»
«No, ti sbagli» rispose l'amica, senza sollevare lo sguardo dal foglio; aveva messo da parte la pergamena di Draco e scriveva automaticamente tutte le informazioni sull'uso della Pietra di Luna, come se le sapesse già perfettamente a memoria.
«Perché non la pianti di fingerti un'oca solo per farlo contento?» le chiese Megan, severa.
La ragazza si strinse nelle spalle, una smorfia di fanciullesca malizia sulla labbra.
Megan sollevò gli occhi al cielo e si alzò «Andiamo anche noi» propose «Sto morendo di fame» disse, sorprendendosi delle sue stesse parole.

   Dieci minuti più tardi, Megan e Pansy erano sedute con i compagni Serpeverde al loro tavolo, nella Sala Grande.
Con il ritorno a Hogwarts, anche l'appetito di Megan era ricomparso; si stava servendo la seconda porzione di porridge quando udì Draco esclamare «Guardate un po' chi fa il suo trionfale ingresso: San Potter il martire!»
Megan si voltò e vide Harry entrare in quel momento nella Sala Grande, ma il suo aspetto non aveva proprio niente di trionfale.
Per fortuna, i Serpeverde erano seduti troppo lontano perché lui li sentisse; con passo rapido e nervoso, Harry raggiunse i suoi amici al tavolo dei Grifondoro, all'altra estremità della Sala.
In effetti, Megan doveva ammettere che, dal suo arrivo a Hogwarts, Harry si stava comportando davvero come un martire: solo e incompreso da tutti, eccezion fatta per i suoi amici più stretti, non faceva che provocare l'ira della Umbridge, inanellando una punizione dopo l'altra.
Da una parte, Megan ammirava quel comportamento, quella solida e incrollabile fede nelle proprie idee, nella verità, contro tutto e tutti.
Tuttavia, quella era una battaglia che Harry non poteva vincere: lui e la Umbridge, infatti, non combattevano ad armi pari; ogni sua protesta, ogni suo minimo accenno di sfida,  venivano soffocati all'istante e severamente puniti.
Che senso aveva, allora, continuare quella vana ribellione?
Non era più semplice arrendersi ed evitare così altri guai?
Megan pensava di sì, e aveva quindi deciso di non contestare più la versione della Umbridge; al contrario, si sarebbe comportata come una perfetta studentessa, docile e diligente e, quando poi la verità sarebbe venuta fuori, nessuno avrebbe potuto incolparla di non averci almeno provato.
«Andiamo a farci due risate al loro allenamento?» stava proponendo Draco.
Megan si riscosse dai suoi pensieri e ribatté «Non dovresti pensare agli allenamenti dei Serpeverde?» chiese e aggiunse «Non avete ancora fatto le selezioni».
«Perché avremmo dovuto?» domandò il ragazzo, sinceramente perplesso.
«Non se ne sono andati i due Battitori e un Cacciatore, l'anno scorso?»
«Ah sì,» convenne Draco «Ma Urquhart li ha già rimpiazzati» asserì, accennando a Tiger e Goyle, seduti lì accanto.
«Cosa?» chiese Megan, allibita «Non avete fatto le selezioni? È assurdo!»
«Bé, non ne abbiamo bisogno» ribatté Draco, calmo «Se poi i risultati sono questi…» disse, indicando il tavolo dei Grifondoro, dove Harry e Ron si stavano alzando, le scope sotto braccio.
«Se tuo fratello fosse stato dei Serpeverde sarebbe stato di sicuro in squadra» continuò Draco «Deve essere davvero umiliante essere secondi ai Weasley».
Megan, ancora irritata per la nomina dei nuovi giocatori, non fece caso alle parole del ragazzo che aggiunse, alzandosi a sua volta «Andiamo?»
Megan aveva ormai perso l'appetito; uscì con gli altri all'esterno, ma non li seguì al campo.
Era una bella giornata di metà settembre, fresca e ventosa; il cielo era limpido e il sole gettava tutt'intorno una luce chiara e pulita, accecante.
Decise di fare una passeggiata nel parco, sperando che questo la aiutasse a rilassarsi.
Benché non ci avesse sperato più di tanto, non poteva nascondere a se stessa la delusione: Megan amava il Quidditch e di certo giocava meglio di molti altri Serpeverde; tuttavia, nella squadra della sua Casa, non c'era mai stato posto per le ragazze. A parte il Cercatore, che doveva essere agile e veloce, per gli altri ruoli venivano sempre scelti sei grossi armadioni, caratteristica questa che una ragazza, a parte Millicent, forse, non poteva di certo avere.
Scacciò via con rabbia questi pensieri e continuò a camminare.
Dopo un decina di minuti di quel girovagare senza meta, Megan si ritrovò nei pressi dello Stadio: la voce di Draco si levava forte e netta, accompagnata dalle risate di Pansy e dagli ululati di Tiger e Goyle: l'allenamento dei Grifondoro era cominciato.
Megan si sedette all'ombra opaca di un albero e stava pensando che fosse il caso di rientrare quando, dopo appena cinque minuti di gioco, udì un fischio e la voce della Johnson che annunciava la fine dell'allenamento.
Poco dopo, infatti, vide i suoi amici lasciare il campo.
«Ti sei persa uno spettacolo esilarante!» esclamò Draco, notandola.
Pansy rise ancora, come se quella del ragazzo fosse stata la più divertente delle battute; Megan non la sopportava quando si comportava così.
«Intanto loro si allenano, mentre tu stai qui a ridere» ribatté Megan, quando il gruppetto la raggiunse «Vedremo poi chi riderà alla partita».
«Non preoccuparti, non avremo problemi contro Weasley» disse Draco, suscitando in Pansy un'altra ondata di risa isteriche.
Megan scosse la testa rassegnata: non c'era verso di convincere Draco a rinunciare al suo hobby preferito: tormentare i Grifondoro.
«E poi, dopotutto, dovrebbe ringraziarmi» dichiarò il ragazzo che, davanti alla sua espressione perplessa, aggiunse «Lo sto aiutando a gestire la tensione. Durante la partita vera dovrà sopportare ben più di qualche sfottò!» concluse e, seguito dagli altri, si allontanò, diretto al castello.
In quel momento, i Grifondoro uscirono dagli spogliatoi.
In testa al gruppo, i gemelli Weasley tentavano di rinfrancare uno sconsolato Ron che, evidentemente, come aveva lasciato intendere Draco, doveva aver fornito una performance penosa; a chiudere la fila, un po' distanziato dagli altri, c'era Harry.
Da quando erano arrivati a Hogwarts, Megan non aveva più avuto occasione di intercettare Harry da solo; così, quando vide il resto della squadra risalire il pendio verso il Castello, Megan gli andò incontro.
«Ciao Harry» lo salutò.
«Oh, ciao» le rispose lui, sorpreso e, forse, infastidito.
C'era da aspettarselo, rifletté Megan: dopotutto, il suo ottimo amico Draco aveva appena finito di insultare il suo.
«Ehm, posso parlarti un minuto?» continuò Megan; il Grifondoro annuì e insieme si avviarono dalla parte opposta del parco, verso la capanna di Hagrid.
«Io…» cominciò Megan dopo un lungo, imbarazzato silenzio «Io volevo chiederti scusa per quello che ti ho detto … sai, quando sono arrivata quest'estate».
«Oh, non importa, non preoccuparti» rispose Harry, rapido.
«No davvero, ti chiedo scusa, non avrei dovuto, neanche le pensavo quelle cose» continuò lei.       
«Lo so, non devi scusarti, lo avrei fatto anche io» disse Harry, affrettandosi poi ad aggiungere «Non volevo dire… »
Megan però gli stava sorridendo e lo rassicurò «Tranquillo, ho capito cosa intendevi dire»
Il volto del ragazzo si rilassò.
Erano arrivati al limitare della Foresta Oscura; fecero dietrofront, passando di nuovo accanto alla capanna del guardiacaccia; il viso del ragazzo si rabbuiò di colpo.
«Sono certa che tornerà presto» disse Megan, intuendo correttamente i pensieri di Harry, che le sorrise.
Risalirono il pendio verso il castello, parlando delle lezioni e, soprattutto, della Umbridge; il Grifondoro le mostrò i profondi tagli alla mano che la professoressa gli aveva inferto durante le interminabili ore di punizione.
«È la stessa cosa che mi ha detto Hermione» commentò Harry cupo, quando lei provò ad esortarlo a denunciare la cosa.
«Non può passarla liscia, Harry» insistette Megan.
«Lo so, ma…» si interruppe «Bé, in realtà non c'è ancora niente di deciso» cominciò, affrettandosi a proseguire, davanti allo sguardo curioso di lei.
«Abbiamo avuto un'idea, Hermione l'ha avuta» precisò «Comunque, il prossimo fine settimana c'è la visita a Hogsmeade, ti andrebbe di venire?»
«Ehm» rispose Megan, confusa; cosa c'entravano i castighi barbari della Umbridge con la gita al villaggio?
«Non con me» precisò subito Harry, imbarazzato «Cioè, non solo. Abbiamo deciso di vederci lì per parlare di questa cosa, del fatto che la Umbridge non ci sta insegnando nulla di valido o utile, quindi se vuoi venire … se non hai già altri impegni, naturalmente».
Megan osservò divertita il volto del ragazzo colorarsi di una tenue sfumatura rossastra.
«D'accordo, ci vediamo all'ingresso sabato alle dieci?»
«Ottimo» concordò Harry «Allora, a sabato» la salutò e, prima ancora che Megan potesse aggiungere altro, aveva già imboccato i gradini davanti al portone, scomparendo all'interno del Castello.
Senza fretta, Megan entrò a sua volta; la sua già esigua voglia di fare i compiti, era del tutto svanita.

*

Il resto della settimana proseguì tranquillamente.
Megan passava le sue serate a studiare e quando finalmente saliva in camera, si addormentava di schianto, troppo sfinita persino per sognare.
Avere tutti quei compiti extra da svolgere era certamente penoso, ma Megan doveva ammettere che la mole spaventosa di studio la stava aiutando a non pensare.
Quei pensieri, che l'avevano tormentata per settimane, adesso parevano solo dei ricordi lontani e Megan cominciava a credere che, dopotutto, essere figlia di, bé di Lui, non fosse poi una tragedia.
Decisamente più drammatica era invece la situazione con la Umbridge.
Evidentemente, il Ministero aveva deciso che il miglior metodo per “risollevare gli standard scolastici” sussisteva nell'annoiare a morte gli studenti: l'innovativa tecnica d'insegnamento, infatti, prevedeva che i ragazzi rimanessero per ore seduti a leggere, in completo silenzio; per compito, la Umbridge assegnava loro metri su metri di riassunti e temi, un lavoro, questo, non certo difficile, ma che non aveva speranze di scuotere in loro il minimo spirito critico.
L'unica cosa che rendeva quelle lezioni sopportabili era l'aspettativa che Megan aveva riposto nelle parole di Harry: se lui e i suoi amici Grifondoro avevano avuto un'idea per sbarazzarsi della Umbridge, Megan avrebbe dato il suo contributo senza pensarci.

   Finalmente, arrivò il sabato.
«Non è colpa mia se Silente ha permesso a quell'idiota di insegnare» stava dicendo Draco.
Lui, Megan e Pansy stavano facendo colazione, seduti al tavolo dei Serpeverde e, a quanto pareva, l'argomento di conversazione era ancora la lezione di Cura delle Creture Magiche, che si era tenuta il pomeriggio prima.
La Umbridge, fresca della nomina a Inquisitore Supremo di Hogwarts, aveva assistito alla lezione della professoressa Caporal e, naturalmente, Draco non si era lasciato sfuggire l'occasione di denigrare Hagrid, facendo perdere le staffe a Harry che era stato, ovviamente, punito da una gongolante Umbridge.
«Poco importa, se anche ritornasse, la Umbridge non gli permetterebbe di insegnare» continuò Draco e Megan si ritrovò ad essere d'accordo.
«Allora, che si fa oggi a Hogsmeade?» chiese il ragazzo, infilandosi la giacca che aveva appoggiato accanto a sé, sulla panca.
«Io ho un appuntamento da Madama Piediburro» disse Pansy, allegra, studiando attentamente la reazione di Draco, che si limitò ad annuire, lievemente infastidito.
«Andiamo ai Tre Manici di Scopa?» propose allora il ragazzo. «Io non vengo» disse Megan, alzandosi.
«Perché?» domandò Draco.
«Ho da fare» rispose lei, evasiva; non le era sfuggito lo sguardo malizioso di Pansy che, certamente, doveva aver pensato a un appuntamento segreto. Che lo credesse pure, si disse Megan, allontanandosi; non aveva proprio intenzione di restare lì a dare spiegazioni.
Harry, come concordato, la stava aspettando davanti al portone d'ingresso, ma, come notò presto, non era solo. Accanto a lui, infatti, c'era la ragazza di Potter, Cho Chang, una Corvonero del sesto anno. Il sorriso radioso che le illuminava il viso si spense all'istante quando vide Megan unirsi a loro.
Il terzetto, si accodò al resto degli studenti, che sfilarono davanti a un sospettoso Gazza.
«Perché ti ha annusato?» chiese Megan, una volta usciti all'esterno. In effetti, lo strambo custode di Hogwarts si era messo a fiutare Harry, prima di farlo passare.
«Caccabombe» rispose Harry «Credeva che le avessi ordinate per posta» aggiunse, con un tono come per dire “Non chiedermi perché lo pensava”.
Per il resto del tragitto verso il villaggio, Megan decise di tenersi in disparte, ma Cho e Harry, forse per il fatto che sapevano che lei era dietro di loro, non si scambiarono niente di più che qualche convenevole.
«Hermione ha detto che ci saremmo incontrati là» le disse Harry, quando raggiunsero la strada principale di Hogsmeade, indicando poi la stretta viuzza che portava al pub Testa di Porco; gettò una rapida occhiata verso Cho e stava per aggiungere altro, quando Megan lo interruppe e disse che avrebbe girovagato un po' per i negozietti del villaggio. Con un sorriso di ringraziamento, Harry raggiunse la Corvonero e i due si avviarono  nella direzione opposta, scomparendo tra la folla.
Ben preso Megan si accorse di non avere alcun interesse ad entrare in nessuna delle botteghe del posto; sfilò davanti alle vetrine, che mettevano in mostra ogni genere di cose, dagli strani marchingegni dell'Emporio di Zonco, ai dolci variopinti di Mielandia, agli stravaganti accessori di Mondomago.
Dopo circa mezz'ora, Harry e Cho ritornarono; entrambi esibivano un'espressione cupa, quasi risentita, ma non dissero nulla e Megan decise di non fare domande.
Si incamminarono invece verso il lugubre pub e, raggiunto l'ingresso, trovarono ad aspettarli Ron e Hermione, che per un attimo parve sorpresa di vederla.
«Cominciamo a entrare?» propose la Grifondoro, un po' nervosa.
I cinque ragazzi sciamarono all'interno.
La Testa di Porco era un locale per gente, per così dire, schiva.
Il proprietario, un uomo alto, con barba e capelli grigi, li squadrò per un istante, quindi prese le loro ordinazioni senza battere ciglio.
«Gli altri dovrebbero arrivare più o meno adesso» disse Hermione, prendendo posto a un tavolino, nell'angolo più estremo del locale.
Infatti, appena pochi istanti dopo, la porta del pub si aprì di nuovo e un folto gruppo di ragazzi fece il suo ingresso nel bar.
Megan ne riconobbe alcuni: Neville Paciock e Dean Thomas aprivano la fila, seguiti dalle gemelle Patil e un'altra ragazza di Grifondoro, di cui Megan non sapeva il nome; poi Lunatica Loovegood e altre due Corvonero; poi due ragazzini dall'aria smarrita e cinque ragazzi di Tassorosso; seguiva l'intera squadra di Quidditch di Grifondoro, poi Ginny Weasley, seguita da altri tre Corvonero e, a chiudere la fila, William e Lee Jordan.
Con una stretta allo stomaco, Megan si rese conto di essere l'unica Serpeverde.
Quando tutti ebbero preso posto, Hermione cominciò «Bene, sapete tutti perché siamo qui… »

*

Mezz'ora più tardi, l'eterogeneo gruppo di studenti lasciò la Testa Porco.
Harry era riuscito a convincere tutti della necessità di esercitarsi negli incantesimi di Difesa, e così era stato fondato l'Esercito di Silente.
Megan era rimasta un po' delusa inizialmente, ma alla fine aveva dovuto ricredersi: un gruppo clandestino che si addestrava per combattere era decisamente un'idea esaltante.
Restava solo da scegliere il luogo adatto per riunirsi, un particolare, questo, che aveva raffreddato non poco gli animi.
Hermione si era dimostrata fiduciosa, ma, già sulla strada del ritorno, Megan aveva cominciato a pensare a tutte le cose che avrebbero potuto andare storte.
E se li avessero scoperti?
E se la Umbridge avesse trovato la pergamena che Hermione li aveva costretti a firmare?
E se non avessero trovato un posto abbastanza sicuro?
Valeva davvero la pena rischiare un'espulsione, perché questo avrebbe chiesto l'Inquisitore Supremo, per imparare qualche incantesimo in più?
E Harry sarebbe stato all'altezza?
«Sembri un po' nervosa, sai?» le disse suo fratello, interpretando correttamente il suo silenzio, mentre insieme si allontanavano dal villaggio di Hogsmeade.
Per sua fortuna, Will non indagò oltre, limitandosi a rassicurarla che presto avrebbero dato alla Umbridge pane per i suoi denti.

*

La mattina dopo, quando Megan scese di sotto, si accorse che, sulla bacheca dei Serpeverde, era comparso un avviso:

Per ordine dell'Inquisitore Supremo

Tutte le organizzazioni, squadre e gruppi studenteschi sono sciolti a partire da questo momento.

    La loro ricostituzione deve essere approvata all’Inquisitore Supremo.

    Qualsiasi studente che costituisca, o appartenga a un’organizzazione, squadra o gruppo non approvati dall’Inquisitore Supremo sarà espulso.

Di nuovo, Megan sentì lo stomaco contrarsi.
Si era ripromessa di non contestare più la Umbridge e adesso faceva parte di un gruppo illegale che, se scoperto, sarebbe costato ai suoi membri l'espulsione diretta.
Quanto era stata stupida a farsi tirare in mezzo da Harry e dai suoi amici Grifondoro?
Non le era mai importato delle regole, al contrario, le aveva infrante più volte, ma questa volta era diverso e Megan si domandò se quella puerile ribellione valesse davvero il rischio.
Intanto, gli altri Serpeverde erano arrivati e, dopo una veloce lettura al nuovo avviso, si erano diretti, come ogni mattina, di sopra per fare colazione.
Ovviamente, nessuno di loro si sentiva particolarmente minacciato da quel decreto.
Megan, sconsolata, prese la borsa dei libri e si affrettò a seguirli.
L'atmosfera nella Sala Grande era, come prevedibile, tesa e nervosa.
Megan evitò accuratamente di avvicinarsi ai tavoli delle altre Case; non aveva ancora deciso se partecipare o meno all'ES, e non voleva essere costretta a dare una risposta affrettata.
Tuttavia, non appena ebbe varcato l'ingresso della Sala, si accorse che non c'era alcun bisogno di evitare gli studenti delle altre Case: i membri del neonato gruppo di Difesa, infatti, le lanciavano, di quando in quando, occhiate sospettose; credevano che quell'avviso, di certo non comparso per caso, fosse dovuto a una sua soffiata?
“Naturalmente” pensò Megan, voltandosi e uscendo dalla Sala “Qualcuno fa la spia, e subito tutti pensano alla cattiva Serpeverde”.
Era talmente concentrata su questi pensieri, che non si accorse di Harry che la salutava, né di William che la chiamava.
Facendosi largo bruscamente tra un gruppetto di Tassorosso del primo anno, Megan varcò la soglia e si diresse alla serre per la lezione di Erbologia.

*

Per tutta la mattinata, l'umore di Megan fu grigio e cupo come il cielo all'esterno.
Dopo Erbologia, era scesa nei sotterranei per Pozioni, dove Piton le aveva riconsegnato la sua spilla da Prefetto.
Adesso era seduta in fondo all'aula di Antiche Rune, e sfogliava con aria assente il testo di Decifrare le Rune: Livello Intermedio, in attesa che lezione finisse. Finalmente, al suono della campanella, la professoressa Babbling congedò la classe, non prima di aver assegnato loro una nuova traduzione da fare per compito.
«Niente più compiti extra» osservò Hermione allegra, uscendo con lei dall'aula.
«Già» confermò Megan.
Dopo due lunghe settimane, la punizione che la Umbridge le aveva inflitto era finalmente terminata.
«Vorrei che Harry la smettesse di sfidare la Umbridge» aggiunse Hermione, mentre scendevano insieme le scale, dirette alla Sala Grande per il pranzo.
«Non mi pare che tu stia facendo il contrario» osservò Megan.
«Beh, ma è diverso» obiettò la Granger, dopo un essere rimasta interdetta per un istante «Insomma, non è una cosa totalmente inutile, né sbagliata, non pensi?» chiese, con un tono intrigante che mal s'addiceva al suo atteggiamento irreprensibile.
Stava forse cercando un modo per farle confessare che aveva fatto lei la spia? pensò Megan.
Avevano appena raggiunto la soglia della Sala Grande, quando, dall'altra parte del corridoio, videro arrivare Draco e Pansy, seguiti da Tiger e Goyle.
Pansy, non appena le vide, sfoderò i denti davanti e si esibì nell'infelice imitazione della Granger, saltellando da un piede all'altro, con la mano alzata.
Hermione fece finta di non vederla e, dopo aver salutato Megan, si avviò a passo spedito verso il tavolo dei Grifondoro.
«Era proprio necessario?» chiese Megan, prendendo posto al tavolo dei Serpeverde, situato all'estremità opposta della Sala.
«È divertente!» si giustificò Pansy, servendosi un porzione di patate lesse, aggiungendo  poi «Che ti importa, è solo una Sanguemarcio arrogante!»
«Se sai di essere migliore di lei che bisogno c'è di prenderla in giro?» ribatté Megan, prendendo a sua volta da mangiare.
«Oh non fingere di essere quella superiore» insistette Pansy «Hai riso anche tu quella volta, nei sotterranei, quando le sono cresciuti i dentoni a dismisura!» ridacchiò, scoccando a Draco un'occhiata di malvagia complicità.
«E quella volta che è rimasta chiusa in infermeria per settimane» ricordò il ragazzo, sghignazzando.
Megan non poté trattenere un sorriso divertito, il primo di quella giornata.
«O l'anno scorso, quando sono usciti tutti quegli articoli su di lei» continuò Pansy.
«Quello è stato un colpo basso» osservò Megan, in tono serio, per quanto poco convincente.
«Come si arrabbiava!» continuò Pansy, esibendosi poi nell'imitazione di una Hermione ridicolmente furente «Solo un idiota avrebbe potuto credere a quelle cose!» aggiunse alla fine la ragazza «Insomma dai, Hermione Granger, seduttrice senza cuore?»
«La madre di Weasley ci ha creduto» dichiarò Megan, asciutta.
«Davvero?» chiese Pansy, stupita.
Megan annuì. «Per Pasqua, al posto del solito uovo gigante, le ha mandato un ovettino minuscolo» spiegò poi «E, quando è venuta qui, era decisamente scortese. Per farla smettere, i figli le hanno dovuto spiegare che gli articoli della Skeeter erano pieni di bugie inventate».
Draco, Pansy e altri, che avevano ascoltato la conversazione, scoppiarono a ridere di gusto.
«Non ci posso credere!» esclamò Pansy, tenendosi la pancia «Sul serio ci ha creduto?»
«Che ti aspettavi da una grassa chioccia ignorante?» disse Draco, sprezzante.
«Draco…» lo riprese Megan, ma il ragazzo continuò imperterrito «Non riesco proprio a credere che i Weasley siano dei Purosangue».
«Guarda che non sono poi tanto male» ribatté Megan, aggiungendo poi, davanti allo sguardo scettico dell'amico «Insomma, sono così uniti…»
«Uniti?» esclamò Draco «Ma se litigano in continuazione. Scommetto che dai Weasley, una cena non può dirsi completa senza una lotta furiosa per aggiudicarsi l'ultima aletta di pollo striminzita»-
Megan alzò gli occhi al cielo e ribatté «Bé, dico solo che, una volta che ci hai fatto l'abitudine, non sono affatto stupidi o incapaci come sembrano».
«E tu come lo sai?» chiese Draco, sospettoso.
«Me l'ha detto mio fratello» rispose Megan in fretta.
«Ah già» concordò Draco «Bé, forse è così, in fondo devi solo abituarti ad andare a braccetto coi Babbani e a vivere in venti in una stanza».
Di nuovo, tutti scoppiarono a ridere.
Megan scosse piano la testa, ma non tentò più di controbattere.

*

   Dopo quella breve discussione, Megan aveva deciso.
Terminato il pranzo, andò a cercare Will, confermandogli la sua piena partecipazione all'Esercito di Silente.
Quando suo fratello, dopo averle rivolto un largo sorriso, si voltò per raggiungere i suoi amici Grifondoro, Megan, per la prima volta, si ritrovò a invidiarlo.
Le domande che, da quando aveva saputo la verità sulle sue origini, aveva avuto paura di porsi, affiorarono da sole nella sua mente.
Perché Voldemort aveva voluto incontrare solo lei?
Lei e William erano davvero tanto diversi?
Era per questo non erano stati smistati entrambi in Grifondoro?
C'era davvero qualcosa di tremendamente sbagliato in lei?

*

I giorni a Hogwarts passavano con mortale lentezza.
Gli insegnanti avevano fatto fronte comune e non facevano che assegnare loro compiti su compiti, ripetendo quanto fosse importante per gli studenti del quinto anno arrivare preparati agli esami. “Ne va del vostro futuro” ripetevano fino alla nausea, ogni volta che qualcuno accennava una timida protesta, nel tentativo di ricordare ai professori che esistevano altre cose oltre allo studio; vivere, per esempio, era una di queste.
A riscuoterla un po' da quella noia, giunse la notizia che Paciock aveva trovato il posto perfetto per tenere le riunioni dell'ES: al settimo piano, protetta da alcuni, strani, incantesimi, si celava la Stanza delle Necessità, un luogo irrintracciabile e invisibile ai più, che si palesava solamente quando qualcuno ne aveva davvero bisogno.
Megan ricordava di aver letto qualcosa a proposito di una stanza del genere, ma doveva ammettere di non aver mai creduto alla sua esistenza.
Un po' come era accaduto con la Camera dei Segreti, pensò con amarezza.
Comunque, al momento, c'erano pensieri più dolorosi ad affliggerla: tra meno di due giorni, infatti, il 13 di ottobre per la precisione, avrebbe compiuto sedici anni; non era particolarmente eccitata all'idea di festeggiare, anche perché, poco dopo, sarebbe arrivato anche il giorno del compleanno di Cedric.
Megan ricordava fin troppo bene il modo in cui lei lo aveva festeggiato l'anno prima.
La mattina del 25 di ottobre, Megan si era svegliata come sempre molto presto; era un martedì, quindi la sua giornata, e quella del ragazzo, erano state totalmente impegnate dalle lezioni.
Era stato infatti solo dopo cena che lei e Cedric avevano avuto modo di passare un po' di tempo insieme.

   «Diciassette anni» stava dicendo Cedric, sbottonandosi la camicia.
Si erano ritrovati, come spesso facevano fin dagli ultimi mesi dell'anno precedente, nel Bagno dei Prefetti, e Megan aveva avuto tutta l'intenzione di festeggiare il compleanno del suo ragazzo in un modo molto speciale.
«Sai che cosa significa?» le aveva chiesto poi.
«Che sei maggiorenne?» aveva risposto Megan, mentre, ancora vestita, sedeva vicino al bordo della piscina, giocando distrattamente con la schiuma che aveva cominciato ad invadere rapidamente la grande vasca.
«Esattamente» aveva concordato Cedric «E sai che significa?» aveva ripetuto.
«Che potrai fare il bello e il cattivo tempo fuori di qui, mentre io sarò costretta ad aspettare altri due anni?»
«Anche» aveva convenuto lui, e un lampo di selvaggia ambizione gli aveva attraversato lo sguardo.
Megan l'aveva osservato perplessa.
«Non ti ricordi che cosa ha detto Silente all'inizio di quest'anno?» l'aveva incalzata dopo un momento.
«Parli del Torneo Tremaghi?» aveva riflettuto Megan.
Cedric aveva annuito e finalmente Megan aveva compreso «Hai intenzione di iscriverti?» aveva chiesto, colta improvvisamente da un senso di apprensione, misto a eccitazione.
«Intendo vincerlo» aveva replicato lui e, di nuovo, il suo volto si era illuminato di quell'insolita scintilla di fiera superbia.
Megan era scattata in piedi e gli aveva gettato le braccia al collo; subito dopo però, mille pensieri le avevano affollato la mente e così, non senza fatica, aveva trovato la forza di sciogliersi da quel meraviglioso abbraccio.
«Sarà pericolosissimo» aveva obiettato, cercando di non perdersi nello sguardo risoluto del ragazzo.
«Questo lo so, ma non mi spaventa».
«Bè, spaventa me» aveva replicato lei.
«Credi che non ne sia all'altezza?» aveva ribattuto Cedric, piccato.
«No, certo che no» aveva risposto lei in fretta «Dico solo che dovresti rifletterci attentamente».
«È quello che ho fatto fin da subito».
Megan aveva osservato il suo ragazzo, di solito così mite e gentile, fissarla con quello strano sguardo, fiero e deciso, totalmente nuovo e diverso.
Ogni timore era scomparso e in lei era rimasta una sola, intensa emozione.
«Allora» aveva esordito «Bisogna festeggiare».
«Non sono ancora stato selezionato» aveva ribattuto Cedric, con una smorfia divertita.
«Non hai appena detto che vincerai questo Torneo?» aveva replicato Megan, facendo scivolare le sue mani sulle spalle del ragazzo, togliendogli lentamente la camicia, che era caduta con un morbido fruscio sul pavimento piastrellato.
Quindi lo aveva preso per mano e lo aveva condotto vicino al bordo della vasca, cominciando a sua svolta a liberarsi dai vestiti.
Cedric l'aveva seguita docile, decisamente eccitato.
Rimasta con i soli indumenti intimi, lo aveva fatto sdraiare sull'impiantito umido e caldo, mettendosi poi sopra di lui.
«Sei sicura?» aveva chiesto Cedric.
«Mai stata così sicura di qualcosa» aveva promesso lei, baciandolo.

   Quella era stata la sua prima volta, ed era stata semplicemente grandiosa.
A quella, ne erano poi seguite tante altre nel corso di quei lunghi, complicati mesi.
Se soltanto avesse saputo come sarebbe andata a finire, Megan avrebbe fatto di tutto per impedire a Cedric di gettare il suo nome, e con esso la sua vita, tra le fiamme azzurrine del Calice di Fuoco.
Se solo avesse avuto modo di prevedere quello che sarebbe accaduto, avrebbe volentieri fatto a meno di ogni bacio, di ogni carezza, di ogni sguardo del suo Ced, purché lui potesse avere ancora la possibilità di rivolgerli a qualcun'altra.

*

«Buon compleanno!»
Pansy si tuffò letteralmente sul suo letto la mattina del 13 ottobre.
Megan, che era riuscita ad addormentarsi più o meno un quarto d'ora prima si svegliò di soprassalto.
«Tanti auguri!» esclamò poi Pansy.
Megan si tirò su a sedere, mentre l'amica si alzava per prendere qualcosa dal suo comodino.
Anche le altre due ragazze, ancora mezze addormentate, si rizzarono a sedere, probabilmente per capire la ragione del trambusto.
«Yawn» sbadigliò sonoramente Daphne «Auguri, Meg» bofonchiò, prima di ributtarsi sul letto.
«Questo è per te» disse allegra Pansy, tendendole un grosso pacco incartato. «Aprilo!» la esortò, sedendosi poi sul bordo del suo letto.
«Grazie, Pansy» disse Megan, usando il tono più vivace che riuscì a trovare.
Cominciò a scartare il suo regalo, sotto lo sguardo vigile dell'amica.
«Allora, ti piace?» chiese Pansy, impaziente, prima ancora che Megan avesse finito di spacchettare.
Finalmente sciolse l'ultimo nodo e aprì la scatola.
Un sorriso sincero le illuminò il volto quando prese tra le mani il lungo, bellissimo abito color smeraldo che l'amica le aveva donato.
«Oh, Pansy, grazie» ripeté alla fine «È bellissimo».
«Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto!» esclamò la ragazza.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta del dormitorio.
«Sì?» chiese Pansy.
«Siete presentabili, signore?» domandò la voce di Draco.
Un attimo dopo, la porta venne spalancata.
Pansy gettò un gridolino eccitato.
«Buon compleanno, Meg!» esclamò Draco, entrando, seguito da Tiger e Goyle, che reggevano rispettivamente un enorme pacco quadrato e uno, altrettanto grosso, ma di forma decisamente più piatta e lunga.
«Draco!» lo ammonì Megan, guardandosi intorno a disagio.
Le altre due ragazze erano ancora sotto le coperte, ma, se Millicent era assolutamente indifferente all'intrusione, Daphne era il ritratto dell'imbarazzo e sembrò tentare di scomparire tra le lenzuola.
«Se non ricordo male» disse Draco «Qualcuno oggi diventa irrimediabilmente vecchio».
«Molto gentile» commentò Megan, sorridendo.
«Auguri, Megan», «Buon compleanno» dissero gli altri due, nel tentativo di trovare interessante la punta delle loro scarpe.
«Bé, ragazzi metteteli qui» ordinò Draco ai suoi amici, che obbedirono, appoggiando i due pacchi ai piedi del letto di Megan.
«Togliamo il disturbo, signore» aggiunse poi Draco, gettando un'occhiata tutt'altro che innocente a Pansy, che ricambiò.
«A dopo» le salutò alla fine, uscendo, seguito a ruota dai suoi due amici.
«Idiota» commentò Megan.
«Dai, Meg, aprili» la esortò Pansy, impaziente.
Con un sospiro di divertita rassegnazione, Megan scartò i suoi regali.
«Bè» commentò Pansy, quando Megan aprì il secondo pacchetto «Qualcuno ti vuole nella squadra, l'anno prossimo».
Con un sorriso di sincera gratitudine, Megan accarezzò il liscio manico di scopa che Draco le aveva donato, sperando che l'amica avesse ragione.


* * *

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - Sintomi ***


5.5

Capitolo IV

Sintomi









Nelle settimane che seguirono, Megan si ritrovò a pensare sempre più spesso che accettare di far parte dell'Esercito di Silente fosse stata una perdita di tempo.
Durante gli incontri, infatti, Harry si limitava a farli esercitare con alcuni, banali incantesimi, come la Fattura Impediente o l'Expelliarmus, tutte cose che si potevano trovare benissimo su qualunque manuale di Difesa del secondo o del terzo anno.
C'era da dire, tuttavia, che il livello generale della “classe” era decisamente infimo, fatta eccezione per pochi di loro.
Una sera, al termine dell'incontro, Megan aveva avvicinato Harry e aveva provato a suggerire l'idea di tenere delle altre lezioni, per quelli più bravi, di modo che potessero migliorare senza essere rallentati da quelli che avevano più difficoltà, o intralciati da coloro che dovevano presenziare ai sempre più numerosi allenamenti delle varie squadre di Quidditch.
Harry le aveva promesso che ci avrebbe pensato, ma nei giorni seguenti aveva evitato accuratamente l'argomento,  tanto che fu solo dopo molte insistenze che le disse chiaro e tondo che aveva deciso di scartare l'idea.
In realtà, comunque, la cosa che più la infastidiva era quella sensazione di immobilità: fondare un gruppo segreto, imparare a combattere, infrangere le regole imposte dalla Umbridge, nessuna di queste cose si era rivelata neanche lontanamente eccitante come aveva pensato, e quella sensazione di non stare facendo nulla di concreto non l'abbandonava mai.
Inoltre, da quando faceva parte dell'ES, Megan si era un po' allontanata dai suoi amici, come se credesse di averli, in qualche modo, traditi.
Passava molto più tempo con William ora e, stranamente, con Hermione.
Non potevano dirsi amiche, ma Megan doveva ammettere che la sua compagnia non era affatto snervante come aveva sempre pensato.
Ad ogni modo, stare con i Grifondoro la faceva sentire fuori posto, e cominciava a mancarle la complicità che aveva con i suoi amici di sempre; certo, negli ultimi tempi si era fatta, per così dire, un esame di coscienza, e aveva dovuto ammettere che il loro comportamento era stato spesso ingiusto e, anzi, ripensandoci, si era sentita nauseata dai suoi stessi commenti acidi e talvolta crudeli. Ma, si chiedeva, non si era sempre divertita con loro? Non era sempre stata al loro gioco, non aveva riso anche lei per quelle battute cattive, non era sempre stata zitta davanti al quelle provocazioni esasperate?
La verità era che Megan si sentiva confusa, stordita, come quel giorno, quando Voldemort aveva provato a convincerla a unirsi a lui, instillando in lei il seme del sospetto e della paura.
“Il tuo potere è immenso, loro avranno paura di te” le aveva detto.
Davvero Harry e gli altri l'avrebbero temuta se avessero saputo la verità?
Lei lo stava dimostrando, era molto più capace degli altri nei duelli, ma solo perché aveva passato tutta l'estate a studiare Incantesimi e Fatture di livello decisamente avanzato.
Aveva sempre avuto una naturale inclinazione per quel tipo di magia, ma dipendeva davvero dal fatto che Voldemort era suo padre?
E poi, c'era il suo gemello.
Megan non aveva mai avuto segreti per lui, e ora gli stava nascondendo una verità enorme, scomoda e pericolosa.
Si era ripetuta più volte che non dire niente fosse la decisione più saggia: in fondo, perché turbare suo fratello con qualcosa che non lo riguardava?
Voldemort, infatti, lo aveva messo in chiaro fin da subito: William non gli interessava.
Tutti questi pensieri la tormentavano ogni giorno e Megan era convinta che, prima o poi, sarebbe esplosa.
In effetti, una cosa del genere era già successa.

   Era un normale sabato pomeriggio; verso le quattro, Megan era uscita dai sotterranei, dopo un'altra giornata passata al chiuso a studiare. Doveva mancare ancora qualche minuto al tramonto e aveva sperato di riuscire a rubare qualche attimo di assoluto relax nel parco, assaporando gli ultimi raggi del sole.
Aveva appena imboccato il corridoio che conduceva alle scale, quando aveva notato alcuni ragazzini di Grifondoro.
Non potevano essere più grandi del secondo anno e avevano un'aria guardinga, decisamente sospetta.
Megan si era avvicinata e aveva chiesto loro spiegazioni: quei tre non avrebbero dovuto trovarsi lì, nei passaggi sotterranei, quando non c'era lezione.
I tre ragazzini, tra cui c'era, come aveva riconosciuto poco dopo, il più giovane dei fratelli Canon, erano ammutoliti e avevano cercato di nascondere qualcosa dietro le loro piccole schiene.
«Allora, che state combinando?» aveva domandato di nuovo lei, in tono minaccioso.
«Niente, ora torniamo nella nostra Sala Comune» aveva risposto l'unica ragazzina del gruppo, una bambina minuta, con una gran massa di capelli scuri e ricci.
Forse era stata la tensione di quei giorni, o forse il desiderio di fare qualcosa di concreto, fosse anche solo infliggere una misera punizione. O forse l'incredibile somiglianza che quei tre avevano con il più celebre trio Grifondoro; qualunque fosse stata la ragione, Megan aveva insistito perché le consegnassero quello che stavano cercando di nascondere.
Al loro ennesimo rifiuto, Megan aveva estratto la bacchetta e, senza quasi accorgersene, aveva lanciato una Fattura Rictusempra, scagliando Canon a cinque metri di distanza; gli altri due, terrorizzati, avevano lasciato cadere a terra quelli che le erano sembrati essere dolci e si erano precipitati a soccorrere l'amico.
Megan aveva compreso immediatamente che quel gesto impulsivo le sarebbe costato caro e, infatti, una volta salite le scale e raggiunto l'ingresso, ormai invaso dalle ombre, non era rimasta sorpresa di trovare Gazza, il custode, che, con un ghigno malevolo, le aveva detto che era stata convocata d'urgenza nell'ufficio della Umbridge, alla presenza di Piton e della McGranitt.
Non si sarebbe mai aspettata, però, quello che era accaduto dopo.
«A quanto pare, lei ha deliberatamente aggredito un altro studente, signorina Parker, come vorrebbe giustificare un simile, deplorevole comportamento?» aveva chiesto la Umbridge, in tono orrendamente lezioso, dopo aver ascoltato il resoconto della McGranitt.
In quel momento, Megan aveva avuto un'illuminazione.
«Stavo solo assolvendo ai miei doveri di Prefetto. Ho chiesto a quei tre che cosa stessero facendo nei sotterranei e che cosa cercassero di nascondere, ma loro, anziché rispondermi, hanno estratto le bacchette» aveva mentito «Mi sono semplicemente difesa».
«Difendersi da tre ragazzini del secondo e del primo anno?» aveva esclamato la McGranitt, incredula e sarcastica allo stesso tempo «Non potevi semplicemente disarmarli? Sono certa che conosci quell'incantesimo».
«Che cosa nascondevano, cara?» aveva chiesto la Umbridge, ignorando il commento della collega.
«Non saprei» aveva risposto Megan «Probabilmente, qualcosa di illegale. Qualunque cosa fosse, deve trovarsi ancora sul pavimento dei sotterranei, sempre che non l'abbiamo ripreso prima di andare in infermeria».
«Dirò al signor Gazza di controllare immediatamente» aveva affermato la Umbridge, gongolante.
«Ma insomma, si è forse dimenticata che la signorina Parker ha scagliato una Fattura contro tre studenti più piccoli?» aveva protestato la McGranitt.
«Affatto, Minerva cara» era intervenuta di nuovo la Umbridge, con voce affettata «Ma credo sia piuttosto chiaro che siano stati i suoi studenti a commettere una grave infrazione» aveva dichiarato; Megan non aveva creduto alle proprie orecchie, ma aveva fatto del suo meglio per non mostrarsi sorpresa «Hanno deliberatamente sfidato l'autorità di un Prefetto, minacciando persino di attaccarlo» aveva continuato poi la Umbridge «Per questo, direi proprio che un castigo sia d'obbligo e, vediamo, direi anche di sottrarre a Grifondoro trenta punti … A testa» aveva precisato, facendo comparire un'espressione sconvolta sul volto severo della McGranitt.
«Una volta recuperata la refurtiva poi,» aveva continuato «l'esaminerò con cura e, se dovessi appurare che si tratta di oggetti pericolosi, introdotti a scuola senza autorizzazione, sarò costretta a prendere ulteriori provvedimenti» aveva concluso, con un sorrisetto di malvagio trionfo.
«Ma… » aveva provato a ribattere la McGranitt, ma la Umbridge aveva ripreso, rivolgendosi a Megan con un sorriso condiscendente «Quanto a lei, mia cara, deve riconoscere che la sua reazione è stata un po' esagerata, per quanto nobile fosse il suo intento. Penso che cinque punti in meno l'aiuteranno a riflettere sulle sue azioni» aveva decretato, congedandola.
Piton, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, si era lasciato sfuggire un ghigno di vittoria.
Ad ogni modo, dire che le fosse andata bene era, senza alcun dubbio, riduttivo.
Harry e gli altri Grifondoro, una volta venuti a conoscenza dell'accaduto, erano stati piuttosto freddi con lei; naturalmente, William aveva provato a difenderla, ma senza ottenere grandi risultati.
A peggiorare la situazione poi, era intervenuto l'ennesimo decreto della Umbridge, comparso il giorno dopo sulle bacheche delle quattro Case: i Prodotti Weasley, i dolci che i tre Grifondoro si erano rifiutati di consegnarle, erano stati messi al bando.
In compenso però, Megan aveva trovato indulgenza presso i suoi amici Serpeverde che, a dire il vero, si erano complimentati con lei, in particolare Draco che, da quando era stato nominato Prefetto, era sempre alla ricerca di una buona scusa per prendersela con i Grifondoro, Harry nello specifico.
Tuttavia, la prossima riunione dell'ES si avvicinava e, come se gli animi non fossero già abbastanza accesi, anche la prima partita del Campionato, Serpeverde contro Grifondoro, era ormai imminente.

*

«Ti fa ancora tanto male?» stava chiedendo Pansy, preoccupata, mentre sedeva acciambellata accanto a Draco, che esibiva fiero i segni dell'aggressione subita dopo l'incontro.
Quella mattina, infatti, si era tenuta la partita contro i Grifondoro; i Serpeverde avevano perso, ma, evidentemente, la vittoria sul campo non era sembrata sufficiente a Harry e ai suoi: i Grifondoro non dovevano aver gradito la beffa, un po' crudele, che Draco aveva orchestrato ai danni del loro Portiere.
Quando la partita era cominciata, era stato subito chiaro che il nuovo Portiere dei Grifondoro non era affatto adatto al ruolo, o al Quidditch in generale, e che la spilla che aveva ideato Draco, null'altro che un'innocua coccarda, con su scritto “WEASLEY È IL NOSTRO RE”, in campo rosso e oro, fosse decisamente adeguata.
Ron Weasley non ne prendeva una e, infatti, dopo appena dieci minuti di gioco, i Serpeverde si erano ritrovati in vantaggio per 60 a 10.
Certo, il coro che Pansy aveva diretto con entusiasmo, non l'aveva aiutato per niente; le strofe, anch'esse inventate da Draco, erano piuttosto insultanti, ma, dopotutto, una canzone non poteva fare alcun male; se Ron faceva pena, non era di certo per colpa loro.
I Serpeverde avevano continuato a macinare punti, fin quando Harry e Draco non si erano lanciarti in picchiata, all'inseguimento il Boccino.
In un attimo, tutto era finito.
Harry aveva agguantato il Boccino, decretando la fine dell'incontro e la vittoria dei Grifondoro.
Improvvisamente, però, con la stessa rapidità con cui il gioco si era concluso, la situazione era precipitata.
Draco, infatti, arrabbiato per la sconfitta appena subita, si era avvicinato ai Grifondoro.
Dagli spalti, Megan non era riuscita a sentire quello che diceva, ma, qualunque cosa fosse, non poteva certo giustificare quello che era accaduto dopo: Harry e i gemelli Weasley erano scattati in avanti come un sol uomo, scagliandosi contro Draco e cominciando a colpirlo con raffiche di pugni.
Molti ragazzi, sulle tribune, erano ammutoliti, sorpresi; alcuni Grifondoro avevano preso a incitare i loro giocatori, come se la partita fosse ancora in corso, mentre i Serpeverde avevano ululato indignati. A gridare più forte di tutti era stata Pansy, che si era messa a strillare terrorizzata, con le lacrime agli occhi.
Alla fine, Madama Bumb era riuscita a fermare i Grifondoro e Megan aveva visto Draco, chiaramente dolorante, trascinarsi lontano; anche da quella distanza, si poteva intuire che il labbro del ragazzo era tagliato e che la guancia sotto l'occhio destro aveva cominciato a gonfiarsi, assumendo una brutta tonalità violacea.
Adesso, grazie alle cure di Madama Chips, il gonfiore era sparito, ma rimanevano inequivocabili i segni di quel vile attacco.
Megan non sapeva ancora che cosa fosse successo a Harry e agli altri due, ma era certa che la Umbridge non si sarebbe fatta sfuggire quell'occasione per punire duramente il Grifondoro.
Per la prima volta, dunque, il castigo di Harry sarebbe stato ben meritato e, soprattutto, nessuno avrebbe più potuto accusare lei di essersi comportata incivilmente.

*

Per quasi due settimane, l'ES non venne più convocato.
Megan aveva cominciato a pensare che Harry avesse deciso di non informarla delle riunioni, non ritenendola più degna di far parte di quell'esclusivo club di dilettanti.
Tuttavia, pensava anche, William non l'avrebbe mai tenuta all'oscuro di tutto in quel modo, perciò Megan finiva per convincersi che semplicemente gli incontri erano stati rimandati a data da destinarsi.
Finalmente, un pomeriggio, dopo pranzo, Megan sentì il galeone stregato bruciare e sulla moneta comparvero la data e l'ora della riunione, che si sarebbe tenuta quella sera alle otto.
Per il resto della giornata, Megan rifletté a lungo se fosse il caso o meno di andare, ma alla fine, alle otto meno dieci, uscì dai sotterranei per recarsi al settimo piano.

   «Ottime notizie!» l'accolse suo fratello, non appena Megan ebbe varcato la soglia della Stanza delle Necessità, dove si tenevano gli incontri dell'ES.
«Sono in squadra» spiegò, abbracciandola.
Megan gli rivolse un sorriso sincero.
Dopo la zuffa, o meglio l'aggressione sul campo di Quidditch, Harry e i gemelli Weasley erano stati squalificati dalla squadra e questo aveva reso vacanti tre posizioni; Will, che era un ottimo Battitore, doveva essere stato la scelta più ovvia come sostituto.
«Bene, ora che ci siamo tutti, direi di cominciare» esordì Harry, passando in rapida rassegna i presenti; quando il suo sguardo stava per posarsi su Megan, lui lo distolse in fretta, come se temesse che guardarla potesse portare a una qualche tremenda conseguenza.
Megan lo ignorò e si dispose in coppia con Will, per esercitarsi di nuovo con la Fattura Impediente.
Ben presto, tuttavia, decise di prendersi una pausa e, un po' in disparte, prese ad osservare lo strazio attorno a lei.
Tutti stavano mostrando timidi segni di miglioramento, ma non c'era alcun dubbio sul fatto che, se i Mangiamorte avessero attaccato, quei ragazzini non avrebbero avuto alcuna speranza contro i servi di Lord Voldemort.
Stava ancora esaminando le scadenti prestazioni dei suoi compagni, quando, d'un tratto, vide Neville Paciock, concentratissimo e madido di sudore, gridare «Impedimenta!»
La Fattura non colpì il suo bersaglio e Megan si accorse di trovarsi sulla traiettoria dell'incantesimo.
Di riflesso, sollevò la sua bacchetta e ordinò «Protego!»
Lo scudo magico si materializzò all'istante, ma la Fattura era decisamente ben piazzata, per quanto imprecisa, e Megan fu costretta ad arretrare, sospinta dalla forza del contraccolpo.
«Stai bene?» chiese Will, precipitandosi verso di lei.
Tutti avevano smesso di duellare e anche Harry non poté fare a meno di guardare nella sua direzione.
«Certo» rispose Megan, brusca, lanciando un'occhiata torva a Paciock che mormorò, avvilito «Mi dispiace, cercavo di colpire Hermione».
«E invece hai colpito me, sai che significa questo in un vero combattimento?» lo rimbrottò lei.
«I-io, ci provo… » balbettò Neville, invocando aiuto.
«Ti ha chiesto scusa e non ti sei fatta niente» disse a un tratto Harry, che nel frattempo li aveva raggiunti.
«Naturalmente, perché io, a differenza di tutti voi, sono capace di difendermi» ribatté Megan.
«Bé, se sei così brava perché non provi tu a tenere le lezioni» disse un ragazzo di Corvonero e, di nuovo, quella sensazione di rabbia e frustrazione esplose dentro di lei.
«Queste tu le chiami lezioni?» sbottò, quindi tornò a guardare Harry «A me sembrano solo delle patetiche pagliacciate, dove questi idioti non fanno altro che sventolare a caso la bacchetta credendosi dei temibili guerrieri».
«Non lo pensi sul serio…» si intromise William, ma Megan lo ignorò e proseguì, implacabile «Lo avete dimostrato anche alla partita, no? Oh, siete bravi a combattere alla Babbana, questo è certo, ma sono piuttosto sicura che i Mangiamorte sappiano difendersi da un branco di ragazzini capaci solo di sferrare qualche pugno a tradimento».
«A tradimento?», «Quel piccolo…» dissero Fred e George, indignati, sentendosi chiamare in causa, ma di nuovo Megan continuò, ostinata.
«Che cosa? Vi ha insultati?» chiese divertita «O ha chiamato la tua sporca amica “Sanguemarcio”?» aggiunse, fissando Harry negli occhi.
«Meg, adesso basta» esclamò Will, prendendola per un braccio e tentando di trascinarla via dal gruppo; qualcuno era ancora ammutolito, ma la maggior parte sembrava furiosa.
Megan si divincolò con forza; erano una contro venti, ma li avrebbe Schiantati tutti senza problemi, stava solo aspettando il pretesto.
«Allora?» chiese, rivolta a nessuno in particolare «Il vostro prezioso Potter non ha saputo insegnarvi altro?»
«Harry è un ottimo insegnante» dichiarò a un tratto Cho Chang.
«Se non ti sta bene puoi anche andartene» aggiunse un altro, forse Macmillan.
«Naturalmente, il grande Harry Potter, così bravo, così coraggioso…» sospirò Megan, sprezzante «Perché non racconti a tutti la verità?» lo incalzò «Perché non dici a tutti come sono andate davvero le cose? Racconta, Harry, di' loro come sei scappato a nasconderti, mentre Cedric veniva ucciso. Tu dovevi morire quella notte, non Cedric! Voldemort voleva te! Spiegaci, dunque, come hai fatto a scappare, mentre Cedric, che valeva cento volte te, è morto?»
In molti tentarono di protestare, ma Megan andava avanti, impietosa «Quanto deve essere eccitante vedere i migliori Auror del Ministero pronti a proteggerti, saperli disposti perfino a morire per te?»
A quelle parole, Hermione e Ginny sbiancarono, e anche William e il resto dei Weasley si allarmarono.
Harry, invece, rimaneva zitto.
«Volete il grande eroe a insegnarvi, bene, tenetevelo!» concluse Megan «Io ho intenzione di restare viva e non perderò di certo altro tempo con voi incapaci» dichiarò, avviandosi verso l'uscita.
Will tentò di richiamarla, ma era l'unico del gruppo; gli altri si limitarono a osservarla, borbottando tra loro, fin quando la voce di Weasley non giunse chiara e netta alle sue orecchie «Meglio così, non ci si può fidare di una dannata Serpeverde» dichiarò, scatenando mormorii di approvazione.
Megan, che aveva già una mano appoggiata alla maniglia della porta, la ritrasse e si voltò di scatto.
«Come prego?» chiese e, senza aspettare una risposta, estrasse la bacchetta e la puntò contro Weasley.
William scattò in avanti «Meg lascia perdere» provò a dire, ma Megan lo ignorò e avanzò.
Harry tentò di frapporsi, ma Ron glielo impedì e puntò a sua volta la bacchetta contro di lei.
«Ridicolo» mormorò Megan, quindi scagliò uno Stupeficium non verbale.
Weasley non ebbe nemmeno il tempo di difendersi; in un attimo venne sbalzato all'indietro a cadde a terra, svenuto.
Megan sogghignò soddisfatta, quindi lasciò la Stanza indisturbata, mentre il resto del gruppo accorreva in soccorso del ragazzo.

*

Il mattino seguente, Megan si svegliò stranamente serena.
L'incidente nella Stanza delle Necessità non sarebbe stato né dimenticato, né perdonato con molta facilità, ma Megan decise che non se ne sarebbe preoccupata più di tanto. In fondo, non aveva detto nulla che non avesse sempre pensato o che non fosse vero; se questo significava troncare ogni rapporto con Harry e i suoi amici, se ne sarebbe fatta una ragione.
Anche Pansy si accorse del suo inconsueto buonumore, ma, ad eccezione di un sorrisetto malizioso, non fece domande.
Da quel fine-settimana a Hogsmeade, infatti, Pansy si era convinta che ci fosse un misterioso ragazzo con cui Megan si incontrava ogni settimana.
In verità, non c'era nessun ragazzo, ma Megan aveva deciso di lasciar credere all'amica che esistesse, per giustificare così le sue uscite serali, quando, in realtà, si recava alle riunioni dell'ES.
Certo, ora che aveva lasciato il gruppo, Pansy si sarebbe insospettita ancora di più, ma Megan confidava di trovare una scusa convincente.
Dopo colazione, si recò, come ogni giovedì, alla lezione di Antiche Rune. La Granger frequentava il corso con lei e fu quindi il primo membro dell'ES che incontrò.
A parte un unico incrocio di sguardi, Hermione si limitò a ignorarla per tutta la lezione e, al termine dell'ora, si avviò in fretta nei sotterranei per Pozioni.
Laggiù, anche Harry e gli altri Grifondoro presenti si comportarono come sempre, anche se Megan poteva giurare di aver visto Dean Thomas lanciarle un'occhiata di puro disprezzo quando era entrata nell'aula. Quanto a Weasley, sembrò fare di tutto per non incrociare mai il suo sguardo e Megan decise che questo fosse dovuto al fatto che, finalmente, quell'idiota cominciava a capire di che pasta era fatta.
Tuttavia, se gli altri riuscirono a mostrare un'ostentata indifferenza, lo stesso non si poteva dire di suo fratello.
Will, infatti, aveva un'espressione strana quel giorno, smarrita, come se non sapesse bene come comportarsi.
Fu distratto per tutta la lezione, tanto che sbagliò la sua Soluzione Singhiozzante, una miscela piuttosto semplice, che gli valse il duro rimprovero di Piton.
Quando poi, dopo la lezione, i ragazzi cominciarono a uscire dall'aula, William la rincorse e la bloccò nei corridoi del sotterraneo.
«Dobbiamo parlare» le disse sottovoce, mentre gli altri passavano loro accanto, diretti alla Sala Grande per il pranzo.
Megan fece per protestare, ma lui la prese per un braccio e la trascinò fino all'imbocco di un passaggio segreto; Megan, controvoglia, non oppose resistenza e seguì il gemello.
«Meg,» cominciò Will, quando fu sicuro che fossero soli.
«Se stai per dirmi che devo scusarmi, perdi il tuo tempo» lo anticipò lei.
«Ascoltami» insistette lui «Quello che hai fatto è-»
«Che cosa, grave?» lo interruppe lei, ironica «Certo, immagino che saranno subito corsi a lamentarsi. Dopotutto, io ho aggredito selvaggiamente uno studente durante un incontro segreto di un gruppo clandestino che non ha alcuna autorizzazione per riunirsi».
«Il fatto che non possano denunciarti non significa che la cosa non avrà conseguenze» l'ammonì Will, serio.
«È una minaccia, per caso?» chiese Megan, per nulla impressionata.
«No, certo che no!» rispose lui in fretta «Ma ecco…» si interruppe.
Megan rimase ad osservarlo in silenzio.
«Bé ecco» riprese «Alcuni temono che tu voglia raccontare tutto alla Umbridge».
«Oh, se è questa la loro unica preoccupazione» disse lei, sbuffando «possono stare tranquilli, non ne ho la minima intenzione. E poi, ci vorranno decenni prima che possano rappresentare un pericolo!»
«Ma si può sapere che ti è preso?» chiese Will, ignorando il suo ultimo commento «Harry è tuo amico» affermò, ma il suo tono ora era incerto.
«No che non lo è, non lo è mai stato!» ribatté Megan «È tuo amico, non mio» precisò.
«Ma comunque non puoi pensare davvero quello che hai detto» insistette lui.
«Certo che lo penso!» esclamò Megan, risoluta.
«Meg non puoi dire certe cose!» l'ammonì, scuotendo la testa.
«Perché no?» chiese lei, in tono innocente.
«Perché … Meg» cominciò suo fratello, a disagio «Non puoi dare a tutti dell'incapace, non puoi attaccare qualcuno in quel modo, e non puoi dire a Harry che…»
«Che avrei preferito che fosse morto lui al posto di Cedric?» completò Megan, calma «Bé, mi spiace, ma è così. Se fosse dipeso da me, se avessi potuto salvare uno dei due, avrei scelto Cedric, è ovvio».
«No che non è ovvio!» provò a controbattere Will.
Megan scoppiò a ridere. «Andiamo, Will» disse poi «Chiunque, se ne avesse l'opportunità, salverebbe la persona che ama».
«Ma non augurandosi la morte degli altri!» esclamò lui.
Di nuovo, Megan sentì l'impulso di ridere. «Non mi sono augurata la morte di Harry, ho semplicemente detto che avrei preferito veder tornare vivo Cedric. A parti invertite, gli amici di Harry avrebbero pensato la stessa cosa. Tutti l'avrebbero pensato».
«No, non tutti!» ribatté suo fratello, con forza «Non è così che ragiona la gente normale».
«Ah, quindi ora non sono normale?!» esclamò Megan, irritata.
«Non ho detto questo» ribatté lui, calmo.
«Invece sì, è esattamente questo quello che hai detto» disse e aggiunse, corrugando la fronte, ricordando le parole di Weasley «Come è stato precisato, io sono la cattiva Serpeverde, la perfida Megan, e ora sono anche pazza».
«Guarda che nessuno pensa che tu sia cattiva o pazza» obiettò William «E questa storia dell'“io sono diversa, sono una Serpeverde” eccetera, è solo una tua paranoia, sei tu che ti autoescludi».
«Ma davvero?» ribatté lei, in tono falsamente perplesso.
«Perché credi ti abbia chiesto di venire a Grimmauld Place questa estate?» chiese suo fratello che, senza darle il tempo di rispondere, continuò «Perché vedessi quanto Harry e gli altri tengono a te. Harry è tuo amico» disse di nuovo.
«Per l'ultima volta, Harry e io non siamo mai stati amici, nessuno di loro lo è mai stato. Quelli sono i tuoi amici» ribatté Megan, con enfasi.
«D'accordo, ma…» provò a insistere lui.
«Io li ho sopportati, anche se non si può dire lo stesso di loro» continuò Megan.
«Ma non è vero! Sai perfettamente che non è così, stai solo facendo la vittima» esclamò Will, esasperato.
«La vittima?» ripeté lei, accigliata «Sul serio? Ti sei forse dimenticato quanti rospi ho dovuto ingoiare per colpa loro?» chiese, e continuò «Tu dici che è una mia paranoia, ma dimmi una sola volta in cui il mio essere Serpeverde non mi abbia ostacolata» affermò e riprese, contando sulle dita «Te lo ricordi, al secondo anno? Chi ha aiutato Harry a trovare l'ingresso della Camera dei Segreti e a salvare il collo della Weasley? Qualcuno mi ha ringraziata per caso? E due anni fa, quando Black è stato catturato, chi ha scritto subito a nostro padre chiedendogli di intercedere per lui con il Ministro? Ci sarebbe anche riuscito, se Sirius non fosse evaso in un qualche rocambolesco modo, e si sono mai presi il disturbo di spiegarmi come ha fatto?»
«Non l'hanno raccontato neanche a me» obiettò William.
«Certo, perché sapevano che me l'avresti detto!» ribatté lei, aspra «E sempre al secondo anno, quando Harry, davanti all'intera scuola, ha parlato Serpentese. I suoi perfetti amici lo difendevano, naturalmente “Oh Harry, c'è sicuramente una spiegazione”» disse, imitando il tono solenne e altero della Granger «“È un dono raro e particolare, ma non tutti i rettilofoni sono cattivi”. E poi cosa è successo quando tu, per aiutare il tuo amico a sentirsi meglio, sei andato a dirgli che anche io parlo Serpentese? Ti sei forse dimenticato le occhiate che mi lanciavano? O le accuse che mi hanno rivolto? Harry è un Grifondoro, ha distrutto Voldemort in chissà quale oscuro modo, ma Megan è una Serpeverde, quindi deve essere lei quella cattiva!»
«Nessuno ha mai pensato una cosa del genere» provò a controbattere suo fratello, con poca convinzione.
«Davvero? Will, sii sincero, con te stesso almeno. Ogni volta che succede qualcosa di brutto, tutti sospettano dei Serpeverde. Nessuno dei tuoi amici si è mai davvero fidato di me, nessuno in questa scuola ha mai preso le difese della mia Casa. Noi siamo quelli subdoli e arrivisti, e non c'è modo di cambiarlo» disse Megan, in tono di sfida «Quindi, per questo non mi scuserò» concluse, dopo una pausa; poi, senza aspettare una replica, si allontanò in fretta dai sotterranei.

*

I giorni che seguirono trascorsero nella completa, ordinaria tranquillità.
Nessuno dei Grifondoro diede cenno di voler parlare dell'incidente nella Stanza delle Necessità, e William non tentò più di sollevare la questione.
In realtà, dalla discussione nei sotterranei, Megan non aveva avuto più occasione di parlare con suo fratello da sola; era sempre circondato dai suoi maledetti amici e così lei aveva deciso di fare altrettanto.
Inoltre, poi, adesso che aveva chiuso del tutto con i Grifondoro, Megan si sentiva incredibilmente serena, come non lo era da mesi.
Voldemort non era più un pensiero fisso e anche il dolore per la morte di Cedric si era affievolito.
In realtà Megan non ne andava molto fiera, ma, dopotutto, la vita doveva pur andare avanti in qualche modo.

   Stava riflettendo su queste cose, seduta sul suo letto, rigirandosi tra le dita la collana che Cedric le aveva regalato lo scorso Natale, quando Pansy entrò nel dormitorio.
Era trafelata, come se avesse appena fatto le scale di corsa, e aveva un'espressione tra il disgustato e il furioso.
Megan le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Quella scema di Daphne» borbottò Pansy, cominciando a misurare la stanza a grandi passi.
Daphne Greengrass era una Serpeverde del quinto anno che condivideva il dormitorio con loro. Evidentemente, però, Pansy o non si curava di essere sentita o sapeva che la ragazza non sarebbe salita in camera molto presto.
«Io la ammazzo» continuò poi, pestando i piedi sul pavimento.
Megan cominciò a intuire il motivo di tanta, improvvisa animosità.
«Che cosa ha fatto?» la incalzò, visto che l'amica continuava a marciare per la stanza, borbottando insulti incomprensibili.
«Cosa non ha fatto!» sbottò Pansy alla fine, stringendo i pugni; si fermò, quindi si sedette sul letto di Megan, accanto a lei.
Per un po' rimase in silenzio, poi finalmente si decise a spiegare «Lo sai che cosa l'ho appena beccata a fare, quella smorfiosa?»
«No, che cosa?» chiese Megan, indulgente.
«Se ne stava là, sul divano, avvinghiata a Draco!»
«Capisco» commentò Megan, per nulla sorpresa.
«No invece!» esclamò Pansy, alzandosi in piedi «Era peggio di una Pianta Tentaculum!» continuò, esibendosi poi nella perfetta imitazione di Daphne «”Oh, davvero Draco?”, “Quanto sei divertente Draco”, “Hai proprio ragione Draco”. È insopportabile!» dichiarò «Con quella risata da oca isterica e con quella voce da gallina strozzata! Cosa pensa di ottenere?»
«Lo stesso che vuoi tu, immagino» rispose Megan, con semplicità.
«Già, e quell'idiota ci sta cascando!»
«Non credo» commentò Megan.
«Ma no, infatti» concordò Pansy, rimettendosi a sedere «È così irritante, chi la vuole una così!» sbuffò, la voce che tradiva ancora una certa insicurezza.
«Guarda che tu fai esattamente come lei» osservò Megan, senza riflettere.
«Non è vero!» esclamò Pansy, indignata, scattando di nuovo in piedi.
Megan le rivolse uno sguardo sardonico; «Tranquilla, a te viene molto meglio» disse alla fine.
Pansy si lasciò sfuggire un mezzo sorriso e tornò a sedersi accanto all'amica.
«Non hai nulla da temere da quella» la rassicurò Megan, abbracciandola «Davvero, credimi» aggiunse, notando l'espressione scettica dell'amica «Draco adora essere adulato, e non perde di certo la testa per la prima che gli fa un complimento».
«Ma è così carina» mugolò Pansy.
«Mai quanto te» le disse Megan, aggiungendo poi, a mo' di bonaria predica «Certo, se però continui a uscire con chiunque ti capiti a tiro…»
«Ma è una tattica!» esclamò Pansy « E poi non voglio sembrare disperata come quella là».
«Bé, direi che non sta funzionando» commentò Megan «Perché non vieni anche tu da Draco a Natale? Sai i regali… l'atmosfera giusta… il vischio…» insinuò.
«Ah già, voi due siete sempre insieme…» borbottò Pansy avvilita.
«Non sarai gelosa di me, adesso?»
«No, di te mi fido» dichiarò l'amica «Abbastanza» aggiunse poi.
Megan roteò gli occhi; «D'accordo, facciamo così» risolse «Sonderò il terreno durante le vacanze».
Pansy emise un trillo di gioia.
«Ma promettimi che non farai come con gli ultimi ragazzi che hai avuto» continuò Megan, seria «Siete i miei migliori amici e sarebbe davvero imbarazzante essere costretta a scegliere tra voi due».
«Ma tu sceglieresti me, lo so».
«Non saprei… » rispose Megan, suscitando l'espressione offesa dell'amica. «Draco non mi ruba le magliette, le collane, quell'abito nero di velluto» continuò, contando sulle dita.
Le due ragazze scoppiarono a ridere e, ancora una volta, Megan si ritrovò a constatare che, senza la sua amica, le sue giornate a Hogwarts sarebbero state incredibilmente deprimenti.

*

Le successive settimane trascorsero tranquille e monotone.
Dicembre arrivò, carico di neve e di freddo.
Megan non aveva più tempo per pensare a Harry o all'ES; la mole di compiti, infatti, era ormai diventata ingestibile e i suoi doveri di Prefetto le sottraevano anche quei pochi momenti di relax.
Per di più, la Umbridge aveva assegnato ai Prefetti alcuni turni notturni, probabilmente per evitare altre fughe: qualche notte prima della fine del trimestre, infatti, Harry e tutti i Weasley avevano lasciato il castello in fretta e furia. Il mattino seguente, la Umbridge si era presentata a lezione livida di rabbia, e soltanto molte ore dopo Megan era riuscita a farsi raccontare da suo fratello quello che era successo: Harry si era svegliato nel cuore della notte, urlando di terrore e dicendo che il padre di Ron era stato attaccato da un serpente enorme; era poi stato portato dal Preside e da lì, insieme ai Weasley, si era volatilizzato dal castello.
In effetti, come aveva saputo più tardi, il signor Weasley era stato davvero attaccato da qualcosa, e ora si trovava ricoverato al San Mungo.
Tuttavia, Megan non aveva avuto modo, né desiderio, di approfondire ulteriormente la questione.
Pochi giorni dopo, infatti, sarebbe arrivato il momento di tornare a casa.
Quel giorno, Megan, come gran parte degli studenti, lasciò Hogwarts la mattina presto.
Il parco davanti al castello era coperto da un soffice, umido drappo bianco, punteggiato qua e là dai pupazzi di neve fatti dagli studenti e dalle vestigia delle barricate dell'ultima battaglia a palle di neve dell'anno.
Era un trionfo di bianco e di verde, brillante alla luce chiara e pulita del sole invernale; una vera e propria visione di pace, tanto che Megan si ritrovò a sorridere come non era più riuscita a fare da mesi.
Con i suoi amici, prese l'Espresso che li avrebbe riportati tutti a Londra, dove si sarebbero goduti un po' di riposo e tranquillità, tra familiari e amici.
Come ogni anno, Megan, insieme alla sua famiglia, avrebbe trascorso qualche giorno a Villa Malfoy, quindi sarebbe ritornata a casa per Natale, per festeggiare insieme a zia Elizabeth, la sorella di sua madre.  
Sua zia era una strega alquanto bizzarra: amante della natura e degli animali, era sempre all'estero, nei posti più esotici, a trarre ispirazione per i suoi romanzi e, al ritorno dai suoi viaggi, portava sempre ai nipoti splendidi regali; curava anche una rubrica sulla Gazzetta del Profeta, intitolata “La Magia della Villeggiatura”, che da anni riscuoteva il favore unanime dei lettori.
Sì, non c'era dubbio, zia Elizabeth avrebbe saputo riempire di gioia anche a un Dissennatore.
Sarebbe stato un Natale felice e tranquillo, come ogni anno, e Megan era sicura che, almeno per un po', sarebbe riuscita a rimanere lontana dalle sue preoccupazioni.

   Ma, naturalmente, ciò non accadde.


* * *

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Capitolo 6
*** Capitolo V - L'Arma ***


6.6

Capitolo V

L'Arma








«Allora sei proprio sicura di non voler venire?» le chiese William, entrando nella sua stanza.
«Sicurissima» rispose Megan, distrattamente, senza sollevare lo sguardo dal libro che stava fingendo di leggere.
La sera prima, infatti, zia Elizabeth aveva proposto una gita di un paio di giorni a Snowdonia, un parco naturalistico ai piedi del monte Snowdon, “un luogo magico, dove anche il più potente degli stregoni si inchina alla maestosità incantevole della natura” aveva detto, recitando quanto aveva scritto nel suo articolo.
I suoi genitori e suo fratello aveva aderito all'idea con entusiasmo, mentre Megan aveva deciso di rimanere a casa.
«Ti farebbe bene staccare un po'» stava insistendo suo fratello, sedendosi sull'angolo della scrivania.
Megan sollevò gli occhi al cielo «L'ultima volta che mi hai consigliato di uscire, stare in mezzo agli altri, staccare un po', chiamalo come vuoi, si è rivelata una pessima idea, ricordi?» disse.
«D'accordo, come vuoi» si arrese Will «Se preferisci restare qui da sola a leggere…» continuò, afferrando un libro appoggiato sulla scrivania «Attaccare per non essere attaccati: quando la Difesa non è una scelta» lesse sulla copertina «Che roba è?» chiese, perplesso, rigirandosi il libro tra la mani.
«Niente» rispose Megan, sbrigativa, balzando giù dal letto per strappargli via il volume.
Suo fratello la fissò per un momento, ma non aggiunse altro.
«William, dobbiamo andare!» gridò sua madre dal piano di sotto.
«Bé, allora ci vediamo tra un paio di giorni» la salutò suo fratello, prima di uscire dalla stanza.
Era stato un po' freddo, pensò Megan, ma non se ne preoccupò.
La sua attenzione, infatti, era concentrata su un'unica cosa: l'incubo, che aveva avuto due notti prima, si stagliava ancora nitido nella sua mente, ed era stato così reale da sembrare qualcosa di più di un sogno terrificante.

    La Sala Grande di Hogwarts era addobbata a festa, come la sera del Ballo del Ceppo.
I tavoli delle Case erano spariti e, al loro posto, erano stati posizionati molti piccoli tavolini rotondi, ognuno dei quali ospitava vistose decorazioni floreali; striscioni verde e argento erano appesi ad ogni angolo e magnifiche statue di ghiaccio punteggiavano la Sala, scintillando alla luce delle candele.
Si respirava un delicato aroma di incenso e di rose.
Megan, che si trovava sulla pedana rialzata in fondo alla Sala, si guardò intorno.
Era sola.
«Ora sei tu la Campionessa» disse una voce, all'improvviso.
Megan si voltò di scatto e riconobbe subito chi aveva parlato: Cedric, elegante e bellissimo, le venne incontro.
«Guarda, sono venuti tutti per te» sussurrò avvicinandosi ancora di più a lei.
In effetti, in un attimo la Sala Grande si era riempita. Megan intravide i volti dei suoi amici, sorridenti, accerchiati da una folla di studenti, insegnanti, giornalisti, funzionari del Ministero e dignitari stranieri. Tutti ora le stavano sorridendo.
«Ma cosa?» chiese, e di nuovo Cedric si affrettò a spiegare «È la festa in tuo onore» disse, con un ampio sorriso.
In quel momento, Megan si rese conto di indossare un abito splendido, blu notte, con raffinati ricami d'argento.
«Per la vittoria contro Potter e Silente» continuò Cedric «Lui non ce l'avrebbe mai fatta senza di te. Ora inizierà una nuova era».
Megan non capiva, ma tutti gli sguardi continuavano ad essere puntati su di lei.
«Apriamo le danze?» propose Cedric.
Un'orchestra apparve dal nulla e cominciò a suonare.
Cedric la prese sottobraccio e la condusse fino al centro della Sala; la folla fece largo al loro passaggio.
Ballarono per quelle che a Megan parvero ore.
Tutti gli ospiti continuavano a rivolgerle sorrisi e sguardi di ammirazione, e ogni tanto Megan riusciva a captare qualche commento.
«Le saremo per sempre grati».
«Verrà insignita dell'Ordine di Merlino».
«Ora finalmente potremo smettere di nasconderci».
Megan si abituò in fretta a tutte quelle attenzioni e lo stupore iniziale lasciò presto il posto alla consapevolezza. Lei meritava quei complimenti, quella festa, quell'incondizionata gratitudine.
All'improvviso, le porte della Sala Grande si spalancarono e un vento gelido eruppe all'interno.
Le candele si spensero, l'orchestra tacque e grida di terrore serpeggiarono tra gli ospiti.
Un uomo, incappucciato e ammantato di nero, venne avanti.
«Tu!» disse, puntando l'indice contro di lei.
Aveva una voce familiare, ma un po' soffocata e Megan non riuscì a capire a chi appartenesse.
«Tu» ripeté «Sei stata tu a fare tutto questo».
Megan era di nuovo confusa, che cosa aveva fatto? Chi era l'uomo che la stava accusando, dopo che lei aveva portato pace e gioia al loro mondo?
«Ci hai condannati tutti!» continuò lo sconosciuto.
Megan non si rese conto di aver parlato, ma udì le proprie parole echeggiare nella Sala.
«Ho solo fatto ciò che era giusto!»
«Giusto?» la schernì l'uomo.
La sua voce era gelida e Megan di nuovo ebbe la sensazione di averla già sentita prima, anche se non riusciva a ricordare.
«Guarda» continuò l'uomo «Guarda quanto è giusto».
Megan obbedì e si guardo attorno.
La folla festante intorno a lei era sparita: la Sala ora era immersa nella penombra, ma si distinguevano chiaramente alcune forme, ombre, corpi forse, riversi sul pavimento, accasciati su sedie e tavolini, molti dei quali ribaltati .
Un liquido scuro e denso scintillava alla luce della luna.
Era sangue.
«È giusto questo?» chiese di nuovo l'uomo, afferrando uno dei cadaveri che giaceva per terra. Megan lo riconobbe, era Ron Weasley, pallido e inequivocabilmente morto.
«E questo?» continuò l'uomo, sollevando la testa di un altro ragazzo, Dean Thomas, seduto in modo scomposto a un tavolo poco distante.
«E questo? E questo?» continuò, ripetendo lo stesso gesto ancora e ancora.
Alla fine, Megan riconobbe metà della scolaresca di Hogwarts, tutti gli amici di Harry, i membri dell'ES, alcuni insegnanti e tanti, tanti altri.
Erano tutti morti.
No, non morti, erano stati uccisi.
Tutti quanti.
L'aria ora era ammorbata da un tanfo insopportabile, putrido.
Era l'odore della morte.
«Hai visto che cosa hai fatto?» chiese l'uomo, facendosi avanti.
Si scoprì il capo.
Una massa di capelli neri gli ricadde sulle spalle; sollevò la testa e finalmente Megan lo riconobbe.
Non era un uomo, era una ragazza, perfettamente identica a lei.
«Hai visto che cosa hai fatto?» ripeté.
Questa volta parlò con voce alta e squillante; una voce proprio identica alla sua.
«Hai visto che cosa sei diventata?» chiese. «Guarda» ordinò la sua copia, sospingendola verso la grande finestra in fondo alla sala.
Il vetro lucido le restituì il suo riflesso. Non indossava più il bel vestito blu, ma un lungo mantello scuro, sopra quella che sembrava essere una divisa, una specie di tuta di pelle nera.
«Guarda» disse il suo riflesso, ma Megan sapeva non di non aver parlato questa volta.
«Guarda» ripeté ancora la sua immagine, afferrandosi il polso sinistro e tirando su la manica.
C'era una macchia scura sull'avambraccio, una specie di grosso tatuaggio che sembrava essere dotato di vita propria.
Megan copiò il gesto e si scoprì il braccio.
Il Marchio Nero, nel venire alla luce, ammiccò orrendamente.
«Harry Potter è morto» disse una voce, acuta e fredda, prorompendo in una risata gelida e raccapricciante.
Un teschio pallido, due occhi rossi come il sangue e un serpente gigantesco, furono queste le ultime cose che Megan vide, prima di svegliarsi nel suo letto, a casa sua, sudata e stremata.

   «Era solo un sogno» aveva poi detto a se stessa, mettendosi a sedere e cercando di calmarsi; aveva il fiatone, come se avesse appena corso una maratona e si sentiva squassata da brividi incontrollabili.
«Solo un orribile, innocuo sogno. È colpa di tutto quello che ho mangiato» si era detta di nuovo, ricordando il ricco cenone di Natale della sera prima, fatto di timballi e pasticci di carne, spezzatini e l'immancabile Christmas Pudding.
Ma tutte le spiegazioni del mondo non erano riuscite a calmarla.
Quel sogno non poteva essere casuale, doveva avere un significato e c'era una sola persona a cui Megan potesse rivolgersi.
Non era più riuscita a chiudere occhio e all'alba era giunta a un decisione: doveva andare  da Voldemort.
Le parole di Sirius, a cui non aveva più pensato da settimane, le riecheggiavano nelle orecchie costantemente “Cerca una cosa che non aveva l'ultima volta… un'arma”.
E se fosse lei l'arma? Si era chiesta.
Quattordici anni prima non era che una neonata con il moccio al naso, ma adesso era quasi un'adulta, e poteva servirgli.
Ma come poteva lei essergli di qualche aiuto?
E, soprattutto, voleva esserlo?
Negli ultimi tempi, Megan si era ritrovata pericolosamente davanti a una risposta.
Aveva iniziato a riflettere su alcune cose, cose che l'avevano riempita di orrore per il solo fatto di averle pensate.
Si era chiesta, infatti, se Voldemort, così come Draco e la quasi totalità delle persone che conosceva e di cui si fidava, non avessero ragione riguardo ai Babbani e ai Nati Babbani.
Tre anni prima, la risposta a quella domanda era stata decisamente affermativa, ma poi era cresciuta, maturata, aveva, per così dire, ampliato i propri orizzonti e si ricreduta su molte cose che aveva sempre ritenuto, se non vere, quantomeno non importanti abbastanza da richiedere la sua attenzione.
Ma da quando aveva scoperto chi era realmente, quelle nuove certezze avevano cominciato a sgretolarsi e Megan era tornata a chiedersi se, dopotutto, il fine che Voldemort si era prefissato non fosse, in qualche misura, nobile e giusto.
Era così malvagio sperare nella creazione di una potente società di maghi, compatta e unita, a guida di tutto il mondo?
Certo, i metodi di Voldemort si erano rivelati crudeli e spietati, ma era colpa sua se la ferma opposizione di persone come Silente e tanti altri li avevano resi necessari?
Naturalmente, restava il fatto che il Signore Oscuro aveva cercato di uccidere un bambino innocente, un crimine davvero orrendo, ma ormai il bambino era cresciuto e comunque la cosa sembrava essere diventata un fatto di principio.
Non aveva senso interrogarsi su cose che non poteva conoscere e che a stento riusciva a comprendere.
Non aveva altra scelta: doveva parlare con Voldemort, capirne le intenzioni, magari negoziare?
Non era possibile credere che il Signore Oscuro sarebbe sceso a patti con qualcuno, ma magari con lei sì; se era lei l'arma che gli serviva, forse avrebbe accettato qualche condizione, forse…
Probabilmente erano solo le illusioni di una ragazzina, ma ormai il desiderio di incontrare Voldemort si era fatto strada dentro di lei, voleva capire, voleva prendere in mano la sua vita e il suo destino, e per farlo non poteva continuare a nascondere la testa sotto la sabbia e fingere di ignorare la realtà.
Lei era la figlia del Signore Oscuro e doveva comprendere fino in fondo che cosa significasse.

   Per realizzare questo piano, questo assurdo e pazzo piano, c'era solo un ostacolo da superare, e zia Elizabeth, con il suo viaggio, aveva dato a Megan l'occasione perfetta: avrebbe aspettato che la sua famiglia partisse, quindi, da sola, sarebbe andata da Lui.
In verità, non sapeva dove si trovasse, e non poteva di certo chiederlo a chiunque.
“Zio Lucius” pensò d'un tratto.
Era la soluzione più semplice e Megan si diede della stupida per non averci pensato subito.
Si vestì in fretta, prese un po' di denaro Babbano e qualche galeone dei maghi, quindi uscì di casa. Avrebbe potuto raggiungere Villa Malfoy con la Metropolvere, ma non era sicura che i camini fossero sempre collegati e, inoltre, non voleva che il Ministero tracciasse i suoi movimenti. Non sarebbe apparso affatto insolito che qualcuno dei Parker si fosse Materializzato a casa dei Malfoy, ma comunque non voleva correre rischi.
Con l'autobus raggiunse la metropolitana, che la portò a Victoria Station dove vide che c'era un treno per Swindon, nello Wiltshire, alle due e mezza; da lì, poi, avrebbe preso un altro autobus per Devizes, quindi avrebbe proseguito a piedi fino al maniero dei Malfoy. In tutto il viaggio sarebbe durato più di tre ore; non era comodo come la Metropolvere, ma non era neppure proibitivo.
Acquistò il biglietto e, dopo pochi minuti di attesa, sentì l'altoparlante annunciare il binario del suo treno.
Poteva ancora tirarsi indietro, gettare il biglietto nella spazzatura e tornare a casa. Forse sarebbe stata la cosa più sensata da fare.
O poteva prendere il treno e arrivare a Villa Malfoy. Avrebbe avuto qualche ora per riflettere e, una volta giunta lì, poteva sempre dire che era venuta perché la sua famiglia era partita e non voleva restare da sola. Non era vero, naturalmente, e sicuramente Draco non le avrebbe creduto. Doveva trovare un modo per sviare i sospetti, se si fosse reso necessario.
“Non volevo restare da sola perché… Perché da sola penso a Cedric!” era una scusa perfettamente plausibile, anzi era la verità. Se fosse rimasta a casa avrebbe pensato a lui, a come sarebbe stato quel Natale se lui non fosse morto, se Voldemort l'avesse risparmiato.
Già, Voldemort, il suo malvagio, crudele, abietto papà. Che cosa avrebbe fatto una volta arrivata? Che cosa gli avrebbe detto? Voldemort la voleva dalla sua parte gliel'aveva detto subito, perché poteva rivelarsi un'alleata preziosa e forse qualcosa di più.
Viveva ad Hogwarts, conosceva Harry, poteva diventare un'utile spia… Ma Megan aveva perso il controllo e si era inimicata Potter e i suoi amici; come l'avrebbe presa Voldemort? L'aveva avvertita che questo sarebbe potuto accedere, quindi forse l'avrebbe giudicato un fatto positivo. O magari si sarebbe arrabbiato, avrebbe compreso che una ragazzina non gli occorreva. E appunto, come poteva una ragazzina essere l'arma?
Un'ondata di panico la travolse.
“Stupida, non ti ucciderà!” si disse, ritrovando la calma.
Era ovvio che non potesse ucciderla: la morte di un altro studente avrebbe attirato l'attenzione, ed era proprio quello che Voldemort evitava da mesi.
Forse però incontrarlo non sarebbe comunque stata una buona idea.
Il suo era stato solamente un sogno, terribile, ma innocuo, e non poteva significare nulla. La Veggenza era un dono tanto raro quanto ambiguo e il fatto di aver sognato una cosa mai accaduta, non la rendeva certo una Profezia. Non sarebbe diventata una spietata assassina solo perché aveva sognato il massacro dei suoi compagni.
E poi, che cosa avrebbe potuto dirle Voldemort? Che era quello il suo destino e doveva rassegnarsi? O era una rassicurazione, quella cercava? Voleva forse sentirsi dire da lui che non avrebbe mai fatto nulla del genere, che non avrebbe mai compiuto una strage di innocenti e che si sarebbe limitato a dare la caccia solo a Harry?
Forse in questo Megan poteva davvero aiutarlo.
In fondo, la morte di una sola persona non era un prezzo equo per la vita di centinaia di altre?
Quanti erano morti per permettere a Harry di vivere? E quella lotta senza fine quante vittime aveva già causato?
Era un ragionamento un po' spietato, ma era la verità.
Come poteva Harry restarsene tranquillo, mentre gli altri rischiavano tutto per proteggerlo? Forse i suoi pensieri non erano propriamente corretti, ma il comportamento di Harry non era da meno.
Aveva deciso: sarebbe andata da Voldemort e avrebbe cercato di intuirne le intenzioni. Forse si sarebbe rivelato uno spreco di tempo, o forse sarebbe riuscita a sopravvivere alla guerra che stava per scoppiare, o magari sarebbe perfino riuscita ad evitarla.
Era un pensiero eccitante e le prime immagini del sogno, quelle dove Megan veniva acclamata da una folla ammirata, riaffiorarono nella sua mente e la cullarono dolcemente,  assecondando il lento sferragliare del treno che lasciava la città.

*

«Megan, che piacere vederti!» la salutò Narcissa, scendendo l'ampia scalinata di marmo. Indossava uno splendido abito da strega, di velluto blu scuro molto pesante, con un'ampia scollatura che metteva bene in mostra uno stupendo collier di zaffiri, in perfetta armonia con i suo occhi azzurro intenso.
Megan capì di essere arrivata in un momento poco opportuno: i Malfoy stavano uscendo per una serata di gala.
«Draco non c'è, è andato dai Goyle» proseguì la donna.
Megan ignorò l'ultimo commento. «Mi dispiace disturbavi a quest'ora e senza preavviso, ma ho bisogno di vedere Lucius» disse.
Il volto di Narcissa si adombrò per un momento, quindi con un sorriso indicò il piano di sopra, dove si trovava lo studio del marito.
Senza esitare, Megan lo raggiunse.
Trovò Lucius seduto alla sua scrivania, intento ad apporre il suo sigillo su alcune pergamene.
«Ciao zio» lo salutò, come era solita fare. Aveva parlato con voce leggermente stridula, che tradiva il suo nervosismo; tuttavia, Lucius parve non notarlo. Sollevò la testa e le sorrise.
«Megan, come mai qui?» chiese Lucius, non senza garbo. «Se avessi saputo del vostro arrivo,  vi avrei fatto riservare un invito dal Ministro».
«Veramente ci sono solo io» disse Megan, suscitando un'espressione sorpresa sul volto di Lucius. «Will e i miei sono partiti» spiegò.
Lucius annuì, ma conservò ancora quell'espressione di educata sorpresa. Megan non sapeva da dove cominciare.
«Ecco, io» si risolse «Non sapevo a chi altri rivolgermi per…» esitò, sperando che Lucius capisse da solo, nonostante non gli avesse fornito alcun dettaglio.
«Per vederlo» esalò alla fine, tutto d'un fiato, fissando il volto di Lucius per coglierne ogni espressione.
«Capisco» disse lui, semplicemente. Il suo volto, perennemente atteggiato in una smorfia di indolenza, mutò di colpo in un espressione dura e attenta. Il flemmatico Lucius Malfoy si era tramutato nell'efficiente Mangiamorte.
«Capisco» ripeté.
Rimase per un po' in silenzio, quindi si alzò dalla sua sedia e si accostò al camino freddo.
Megan si sentiva soffocare dall'inquietudine. Se Lucius si fosse rifiutato di aiutarla, lei che cosa avrebbe fatto, a chi altri avrebbe potuto rivolgersi? E se invece l'avesse accontentata, sarebbe stata in grado di affrontare Voldemort da sola? Già, perché questa volta non ci sarebbero stati i suoi genitori e nemmeno gli altri Mangiamorte. Forse la sua era stata una decisione troppo avventata e avrebbe finito col pentirsene amaramente. Tuttavia, non voleva mostrarsi spaventata o titubante; rimase ferma sulla porta, in silenzio, aspettando che Lucius parlasse. Per fortuna, non dovette attendere molto.
«Molto bene» disse Lucius alla fine «Ti porterò da lui. Hai mai usato la Materializzazione Congiunta?» le chiese. Megan scosse la testa.
«In questo periodo il Ministero non viene allertato dalle tracce, dal momento che ci sono troppi ragazzi in casa con le famiglie, e poi in questa circostanza la Materializzazione è più sicura di qualunque altro mezzo di Trasporto Magico» spiegò.
Megan annuì e si avvicinò a Lucius, che le porgeva il braccio. «Non sarà piacevole» l'avvertì.
Megan non ebbe neanche il tempo di pensare a che cosa avrebbe provato, quando improvvisamente percepì il pavimento di lucido marmo svanire da sotto i suoi piedi.
La sensazione era simile a quella che si prova a letto, quando ci si sta per addormentare e   per un attimo si ha l'impressione di cadere nel vuoto; solo che in quella circostanza si tratta di una cosa passeggera e le pareti solide e il morbido materasso offrono un immediato conforto e uno stabile supporto.
In quel momento, invece, tutto il mondo le turbinò intorno e l'unica cosa salda e rassicurante era il braccio di Lucius, a cui Megan si aggrappò furiosamente. Una densa tenebra le piombò addosso e Megan si sentì premere contro una forza invisibile e irresistibile, come una morsa che minacciava di toglierle il respiro e stritolarla.
Poi, in un attimo, così come era cominciata, la pressione svanì e l'aria fredda della notte invernale le invase i polmoni.
Erano in un bosco, circondati dall'odore forte dei pini.
«Tutto bene?» le chiese Lucius. Era perfettamente calmo, come se si fosse appena fermato dopo una aver fatto una bella passeggiata rilassante.
Dal canto suo, Megan si sentiva come uno straccio che era stato strizzato e sbattuto troppe volte.
Stava per rispondere, quando una spiacevole sensazione allo stomaco le suggerì che fosse meglio non aprire la bocca. Si limitò ad annuire.
«Andiamo» disse Lucius, incamminandosi.
Tentando di ignorare la nausea, Megan lo seguì.
Camminarono in silenzio per qualche minuto.
Si erano lasciati gli alberi alle spalle e ora procedevano svelti lungo una stretta via lastricata, assediata da ambo i lati da basse villette di mattoni. Si trovavano in un piccolo villaggio, che non poteva contare più di un migliaio di abitanti.
Svoltarono a sinistra, poi a destra e di nuovo a sinistra, immettendosi poi sulla strada principale.
All'orizzonte, spiccava una piccola altura, con in cima quello che, alla pallida luce della luna, sembrava un vecchio castello in rovina.
Con sua sorpresa, Megan vide che Lucius si dirigeva proprio in quella direzione.
Superarono una chiesa, dall'aspetto modesto, accanto alla quale sorgeva il cimitero, cinto da un'elegante inferriata, e giunsero ai piedi del colle. Cominciarono a risalirlo.
Mentre camminava, Megan si sentiva sempre di più una sciocca.
Come le era venuto in mente di incontrare Voldemort, da sola, in quella serata fredda e buia. No, doveva tornare indietro, anche a costo di apparire una bambina, vigliacca e capricciosa agli occhi di Lucius.
Stava per ingoiare l'orgoglio e dare voce ai suoi pensieri, quando Lucius parlò, per la prima volta da quando avevano lasciato il boschetto in cui si erano Materializzati «Da qui, puoi proseguire da sola».
Si erano fermati a qualche metro da un alto cancello di ferro, un po' arrugginito e reso instabile dalle intemperie e dall'incuria.
Poco lontano, circondata da un ampio giardino mal tenuto, sorgeva una grande villa, anch'essa in rovina.
Là dentro, immaginò, doveva esserci Voldemort.
Megan si sentì pervadere da una strana eccitazione, mista a paura. L'unica cosa che sapeva per certo era che non voleva più tirarsi indietro, che stupida era stata a pensarlo.
«Grazie» mormorò Megan.
Con il cuore in gola, afferrò una sbarra del cancello e spinse. Quella sembrò sbriciolarsi sotto il suo tocco, ma non cedette. Megan spinse con più forza e finalmente il battete si scostò, cigolando.
Megan avanzò.
L'erba del giardino era ghiacciata e irregolare. Tuttavia, alla luce della luna, Megan riuscì ad individuare uno stretto sentiero di pietra, strangolato dagli arbusti.
Lo percorse tutto, finché non giunse davanti ad alcuni gradini, che portavano ad un'ariosa veranda.
Megan salì e si fermò davanti alla porta. Il tetto di legno della veranda impediva alla debole luce di penetrare fin lì.
Si voltò indietro e vide che Lucius era rimasto in piedi davanti al cancello, il volto lungo e aristocratico reso lugubre e ancora più pallido dal bagliore spettrale della luna.
Megan tornò a guardare davanti a sé, quindi tastò il muro e la porta; non c'era il campanello, ma, poco dopo, riuscì ad afferrare un pesante batacchio di ottone. Lo spinse due volte contro la porta e attese.
Stava per bussare di nuovo, quando finalmente udì dei passi strascicati oltre la soglia; la porta venne socchiusa e un occhio acquoso fece capolino, illuminato dal basso da una fioca luce azzurrognola.
«Oh, sei tu» disse l'uomo, Peter Minus, aprendo maggiormente l'uscio. Sembrava ancora più basso e più calvo; con una mano reggeva una specie di lanterna, in cui guizzava una fiammella magica; l'altra mano impugnava la bacchetta, e pareva che tutto l'essere di quel piccolo, infido omuncolo fosse aggrappato ad essa.
Non sapeva spiegarsi come, ma, dal tono che usò, Megan ebbe la sensazione di essere attesa.
«Entra pure» la invitò Minus, scostandosi quel tanto che bastava per farla passare.
Megan obbedì.
«Da questa parte» disse l'uomo, dopo aver richiuso la porta con un gesto della bacchetta. La precedette attraverso l'atrio polveroso, su per una rampa di scale e lungo uno stretto corridoio, che terminava con una porta, sotto la quale filtrava la luce baluginante e calda del fuoco.
Si arrestarono davanti alla porta e Codaliscia le fece cenno di aspettare, quindi entrò nella stanza.
«Padrone…» cominciò Minus, con quel tono insopportabilmente untuoso e servile.
«Lasciala entrare, Codaliscia» lo interruppe Voldemort.
Megan sentì il sangue gelarsi nelle vene. Aveva dimenticato quella voce gelida e secca.
Codaliscia tornò sui suoi passi e la fece passare.
Megan avanzò piano.
La stanza era piccola e calda e recava le tracce di un lusso ormai perduto.
Voldemort era seduto su una grande poltrona, davanti al camino.
Da dove si trovava, Megan poteva vedere solo lo spesso schienale imbottito, il fluttuante mantello nero del Signore Oscuro che toccava terra e la punta pallida del teschio che era la sua testa.
Mentalmente, ringraziò la sua buona stella che Voldemort le desse le spalle. Se se lo fosse ritrovato davanti, all'improvviso, con quegli occhi rossi puntati su di lei, probabilmente avrebbe urlato.
«Vattene Codaliscia» ordinò Voldemort «Per questa sera non mi occorri più».
Minus, tutto inchini e salamelecchi, lasciò la stanza.
Megan era tesa come una corda di violino. Non le piacevano i modi di fare dell'ex ratto, e di solito non sopportava la sua presenza, ma avrebbe preferito che rimanesse; non si sentiva davvero pronta a restare da sola con Voldemort.
Per un po', nessuno dei due disse niente.
Era un silenzio inquieto, orribile, ma Megan lo rimpianse subito quando Voldemort parlò di nuovo, questa volta nella lingua sibilante dei serpenti «Credevo che il Natale si dovesse passare in famiglia, ma per quest'anno mi accontenterò di una visita in ritardo».
Megan era intontita; non sapeva che cosa le avrebbe detto Voldemort, vedendosela arrivare lì così, dopo tutti quei mesi, ma di certo non si aspettava che iniziasse la conversazione in quel modo.
Con un gesto esasperatamente lento e aggraziato, il Signore Oscuro si alzò dalla poltrona e si voltò a guardarla.
La sua alta figura sembrava fatta di tenebre, in contrasto con il caldo sfavillio del fuoco alle sue spalle.
Gli occhi, tremendi, erano due braci ardenti, inquietanti.
«Accomodati» proseguì, agitando la bacchetta con noncuranza, facendo quindi apparire una seconda poltrona, più piccola, accanto alla prima.
Senza sapere come comportarsi, Megan cercò di guadagnare un po' di tempo; si tolse il cappotto e lo pose con cura sul bracciolo della poltrona; alla fine però, non ebbe altro da fare e quindi obbedì.
Anche Voldemort tornò a sedere.
«Suppongo che i tuoi amici abbiano deciso di fare a meno della tua presenza» insinuò Voldemort e di nuovo Megan si sentì confusa.
“Non dovevo venire” si rammaricò, cercando un modo per togliersi da quella situazione in cui le stessa si cacciata.
«No, hai fatto la scelta giusta a venire da me» disse Voldemort, come se le avesse letto nel pensiero.
Improvvisamente, Megan comprese con orrore che molto probabilmente lui le aveva davvero letto nella mente.
«Non hai nulla da temere, e molto da guadagnare, invece» proseguì il Lord Oscuro. «Ti avevo avvertita, ma la tua presenza qui ora mi dimostra che sai che avevo ragione. Presto Potter e la sua banda si renderanno conto dell'errore che hanno commesso».
I modi di fare di Voldemort la disorientavano.
Era calmo, quasi gentile.
L'unica volta che gli aveva parlato, Megan era ancora furiosa, per Cedric, per la verità che aveva appena saputo, e aveva vomitato la sua frustrazione e la sua rabbia su Voldemort, senza curarsi delle conseguenze.
Ma questa volta era diverso, era stata lei a decidere di incontrarlo, era venuta con un motivo preciso e, se la prima volta aveva dentro di sé tutta quella rabbia a sostenerla, adesso si sentiva svuotata, debole.
Ma doveva dire qualcosa.
Voldemort era seduto sulla sua poltrona, rilassato, con le lunghe dita pallide stese sui braccioli, in quieta e paziente attesa.
Megan trasse un profondo respiro, cercando di richiamare a sé il proprio coraggio, quindi cominciò «Perché hai voluto incontrarmi quest'estate?»
Era una domanda che si era posta fin dall'inizio, anche se aveva voluto prendere per buone le spiegazioni che le avevano dato i suoi genitori.
E poi, era un modo come un altro per arrivare alla questione che l'aveva portata lì.
Voldemort non rispose subito; rimase qualche istante in silenzio, concentrato, come se stesse soppesando le parole. Alla fine disse «Perché sei la mia adorata figliola».
Megan non poté reprimere una smorfia «Infatti, sono tua figlia» disse, accorgendosi di aver pronunciato ad alta voce quelle parole per la prima volta. «Quindi saprai che non me la bevo. Perché? A che cosa ti servo davvero?»
Voldemort arricciò le labbra inesistenti, come un ghigno compiaciuto, ma non disse niente.
Megan lo incalzò; ora che aveva iniziato, parlare non era più così difficile.
«Perché vuoi Harry morto?» era una domanda semplice, eppure cruciale e si sorprese di non aver mai pensato di farla prima di quel momento.
Certo, Harry era il Ragazzo Sopravvissuto, il bambinetto di appena un anno che aveva sconfitto il più grande Mago Oscuro del secolo, ed era ragionevole, diciamo, credere che Voldemort ora volesse vendicarsi. Ma perché, quattordici anni prima, lui aveva cercato di uccidere un bambino indifeso?
«Ah» sospirò Voldemort, per nulla irritato dalla domanda; anzi, al contrario, appariva soddisfatto.
«È il motivo che cerco di comprendere da quasi quindici anni» spiegò «E che intendo scoprire con il tuo aiuto».
«Che cosa intendi?» chiese Megan, visibilmente perplessa.
«C'è una cosa che desidero ardentemente e che non posso prendere. Ma credo di aver trovato una soluzione e tu mi aiuterai a metterla in pratica».
«Che cos'è?» chiese di nuovo Megan.
«Un oggetto molto prezioso, ben protetto e segreto ai più, in grado di assicurarmi la vittoria».
«Come un'arma?»
Quindi non era lei l'arma. Era solo il mezzo che serviva a Voldemort per conquistarla. Megan si sentì umiliata e, con sua sorpresa, un po' delusa.
«Sì» rispose Voldemort «E no».
«Se vuoi il mio aiuto devi dirmi tutto» ribatté Megan. Un po' della rabbia, che credeva assopita, era ritornata e si percepiva chiaramente nel suo tono.
«Devo?» disse Voldemort, con un ghigno di malvagia ilarità.
«Io obbedirò a qualsiasi ordine» promise Megan «A una condizione».
Voldemort la studiò attentamente. Lei gli stava dando esattamente quello che voleva.
«E sarebbe?» chiese alla fine.
«Tu vuoi Harry, giusto?»
Voldemort si limitò ad annuire.
«Io ti aiuterò a prendere solo lui, non ucciderai nessuno, neanche Harry».
Voldemort le rivolse uno sguardo divertito.
Megan proseguì «Puoi imprigionarlo, come Silente ha fatto con Grindelwald, otterresti lo stesso risultato che ucciderlo, ma sarebbe molto più civile».
“Ma che cosa sto dicendo?” si chiese intanto. Parlare di civiltà, misericordia, a uno come Voldemort? Probabilmente era la cosa più folle e stupida che fosse mai stata detta. Forse era davvero solo una ragazzina sciocca.
«D'accordo» accettò Voldemort.
Megan era incredula, e il suo stupore doveva essere perfettamente visibile, perché Voldemort aggiunse «Se potrò evitarlo, non lo ucciderò».
Era una menzogna bella e buona, ma Megan non poté non sperare. Avrebbe potuto riderle in faccia, con quella sua risata fredda e tremenda, insultarla, dirle che non si sarebbe mai abbassato alle condizioni di una ragazzina; avrebbe potuto darle prova del suo potere, della sua totale mancanza di pietà, ma non l'aveva fatto. Stava al suo gioco, quindi Megan gli serviva davvero, molto più di quanto non avesse ammesso prima. O forse provava solo un gusto perverso a manipolare gli altri.
Megan non lo sapeva e forse non l'avrebbe mai compreso.
«Bene, ora che abbiamo risolto questa questione, veniamo a te» disse Voldemort, riscuotendola sai suoi pensieri.
«L'oggetto di cui ti parlavo, è una Profezia» continuò «Silente sa che la sto cercando e tenta inutilmente di proteggerla. Le Profezie possono essere ritirate solo da coloro per le quali vengono fatte, quindi solo io o Potter possiamo prenderla. Io ho incontrato delle difficoltà nell'introdurmi al Ministero perciò…»
«Vuoi che la prenda Harry» concluse per lui Megan. Voldemort annuì.
«Quindi sei stato tu ad attaccare il signor Weasley?» chiese e di nuovo Voldemort annuì. «Ma Harry non sa che cosa cerchi, e di certo l'Ordine non lo lascerà andare al Ministero» obiettò Megan.
«Ed è per questo che tu sei fondamentale. Devi trovare il modo di portarcelo, senza che Silente abbia il tempo di fermarlo».
«E poi che cosa dovrei fare, strappargliela di mano?» chiese ironica Megan.
«Farò in modo che ci sia qualcuno pronto a ricevere la Profezia» rispose Voldemort, arricciando di nuovo la bocca in quella smorfia spaventosa.
«E credi che la Profezia possa aiutarti? Sono solo stupidaggini e-»
«Non ho chiesto il tuo parere, ti ho dato un ordine!» sbottò Voldemort.
Megan si ritrasse sul fondo della poltrona, come se questa potesse inghiottirla e farla sparire da quel luogo, lontano da Voldemort.
Il mostro, ricordò, era sempre in agguato, sotto la superficie di apparente calma e cordialità.
“Forse ha ragione Harry, e io mi sto alleando con un assassino, un bruto, violento e crudele”.
Ma lei aveva provato ad essere gentile, a dimostrare il proprio valore, a unirsi ai “buoni”, e loro l'aveva scacciata, umiliata, trattata come una Serpeverde indegna di fiducia.
“Voldemort ha ucciso Cedric” le ricordava una voce nella sua testa, ma un'altra, più maligna, le sussurrava che Voldemort era suo padre, sangue del suo sangue.
E Megan lo aveva sperimentato già in passato, quando ancora non immaginava nulla delle sue vere origini, quanto fosse attratta da quel mondo oscuro e violento, quanto, in fondo, in lei ci fosse qualcosa che la rendeva orribilmente simile a Signore Oscuro.
Voldemort parve intuire i suoi pensieri, o forse li lesse di nuovo.
Si sentiva frastornata, e non riusciva a capire se quel senso di spossatezza fosse dovuto a un'intrusione nella sua mente o alla suggestione di quella situazione.
«La Preveggenza non è un potere affidabile, ma a volte le Profezie si avverano. Questa si è avverata, ed è per questo che ho bisogno di sapere» disse Voldemort, calmo «E di te» aggiunse.
La stava manipolando, lo sapeva, ma quella sensazione di essere indispensabile, unica, era troppo seducente. Megan si aggrappò alla forza di quelle parole, e delle emozioni che suscitavano in lei.
«Va bene, ti aiuterò a prenderla» decise, e aggiunse «Ma voglio una cosa in cambio».
Voldemort rimase in silenzio ad ascoltare, incuriosito.
«Devi insegnarmi tutto. Voglio essere forte, voglio conoscere le Maledizioni e imparare a usarle, voglio essere rispettata da tutti» disse.
Erano quasi le esatte parole che lui le aveva detto al loro primo incontro.
E aveva ragione, pensò Megan. Se non poteva avere il naturale rispetto degli altri, allora doveva conquistarselo, e il mago più potente, più temuto, e quindi rispettato, del mondo era lì, davanti a lei.
«Naturalmente» disse Voldemort, compiaciuto, estraendo la bacchetta.
Non ebbe nemmeno bisogno di scuoterla troppo o di pronunciare un incantesimo.
Una brillante luce rossa scaturì dalla punta della bacchetta, come un raggio, che investì Megan in pieno, scagliandola all'indietro.

*

Da quasi due ore, Megan stava prendendo lezioni private di Arti Oscure da Voldemort.
Era la cosa più assurda ed eccitante che le fosse mai capitata.
Ed era anche molto dolorosa.
Dopo il primo attacco a sorpresa, Megan si era ritrovata lunga distesa sul freddo pavimento di pietra.
La fattura le aveva tolto il respiro e la schiena le faceva male.
Si era aggrappata allo schienale della poltrona, che, come lei, si era ribaltata, e si era rialzata.
Voldemort, nel frattempo, era rimasto seduto a guardarla con un'espressione di crudele divertimento.
«È stato un colpo basso» aveva commentato Megan a denti stretti, abbastanza forte perché lui potesse sentirla.
«Vuoi essere forte? Non sono tutti come Silente e il suo esercito di onesti maghetti» aveva spiegato Voldemort, alzandosi in piedi a sua volta.
Alla parola “esercito” Megan aveva represso un gemito.
«Riproviamo» aveva detto Voldemort e Megan si era messa in posizione, esitando all'ultimo.
Voldemort l'aveva osservata perplesso.
«Sono minorenne» aveva ricordato a se stessa e a Voldemort «Non c'è il rischio di attirare l'attenzione se uso la magia qui?»
Voldemort aveva sogghignato «Questo luogo è protetto da ogni genere di incantesimo» aveva spiegato «È irrintracciabile, così come lo sono le persone al suo interno».
Megan si era sentita più sicura, anche se il fatto di non poter essere individuata da nessuno, neppure se le cose si fossero messe male per lei, avrebbe dovuto preoccuparla.
Aveva dunque concentrato tutta la sua attenzione sul duello.
Aveva lanciato il Sortilegio Scudo quasi nello stesso istante in cui Voldemort aveva scagliato il suo incantesimo, ma non era stato sufficiente. La barriera da lei eretta si era infranta al primo impatto e lei si era ritrovata di nuovo a gambe all'aria.
Erano andati avanti così per una decina di minuti, poi, finalmente, forse per la disperazione, o forse per il suo esasperato desiderio di non sentire altro dolore, il suo scudo aveva retto abbastanza da respingere la fattura. Megan aveva barcollato sotto la pressione immensa dell'incantesimo di Voldemort, che lottava furiosamente per colpirla, ma aveva resistito.
«Molto bene» l'aveva elogiata Voldemort e, di nuovo, a sorpresa, aveva lanciato un'altra fattura.
Megan era stata colpita in pieno.
«Molto male» aveva commentato lui.
Per almeno mezz'ora erano andati avanti così, e alla fine Megan era riuscita a parare la metà dei colpi e a schivare gli altri.
La cosa frustrante, però, era che quelli di Voldemort erano attacchi blandi, per nulla complessi, che qualunque ragazzo fresco di diploma avrebbe saputo respingere.
Poi era toccato a Megan attaccare, ma naturalmente non era riuscita a mettere a segno neanche un colpo, neppure di striscio.
Ora stava attaccando Voldemort, con una Maledizione Non Verbale di sua invenzione,  una sorta di Stupeficium potenziato, per così dire.
Era stata colpita già tre volte e per tre volte Voldemort aveva annullato l'incantesimo; Megan, ogni volta che si risvegliava, sentiva un tremendo senso di oppressione al petto, e ora si stava chiedendo per quanto tempo ancora sarebbe stata in grado di sopportarlo.
Evidentemente, la cosa non sembrava preoccupare Voldemort, che lanciò l'incantesimo di nuovo. Megan cercò di schivarlo e al contempo lanciò un Sortilegio Scudo, più efficace, che Voldemort le aveva mostrato in precedenza, sicura di farcela questa volta.
Quando riaprì gli occhi era sdraiata per terra. Ogni millimetro del suo corpo le faceva male e la testa e il petto erano un inferno di dolore.
«Per oggi, basta così» decise Voldemort. Torreggiava su di lei e aveva un'espressione irritata sul volto.
Lo stava deludendo?
«Di sopra ci sono delle camere, scegli quella che vuoi e riposati, domani ricominceremo dalle basi».
Megan non aveva la forza di controbattere.
Si alzò a fatica e obbedì.
Era sulla soglia, quando si voltò e disse «Buonanotte».
Voldemort non si diede la pena di risponderle.
“Sono un disastro, una stupida. Sono solo una ragazzina che voleva giocare a fare la grande” si disse, mentre saliva le scale che portavano al piano superiore.
Non c'erano luci, così Megan accese la punta della bacchetta, uno sforzo che le provocò delle fitte lancinanti al braccio, che aveva dovuto sopportare fin troppi contraccolpi.
Davanti a sé, un lungo corridoio si perdeva tra le tenebre.
Sulla parete di sinistra, gradi finestre si aprivano sul lato sud della villa, ma erano state tutte chiuse con pesanti assi di legno. Solo qualche flebile spiraglio era sfuggito all'opera di sbarramento, laddove il legno marcio e i chiodi arrugginiti avevano ceduto.
A destra si aprivano numerose porte.
Megan tentò la prima; era chiusa.
Provò con la seconda, che si aprì in un piccolo spazio, simile a ripostiglio, quasi completamente vuoto, a parte una vecchia sedia traballante e uno scaffale di legno, con le ante di vetro scardinate.
Anche la terza sbarrata, mentre la quarta si aprì cigolando. Era una polverosa stanza da letto, arredata con il gusto tipico di inizio secolo.
Nel centro della camera c'era un sontuoso baldacchino.
Una delle tende era caduta a terra, l'altra era piena di buchi, come le coperte che odoravano di muffa.
Megan lanciò un semplice incantesimo di pulizia, tentando di rendere quel giaciglio un po' più accogliente.
Il risultato non fu un granché, ma aveva un disperato bisogno di dormire, e quel letto era invitante quanto bastava.
Serrò la porta e si sorprese nel vedere che la chiave girava ancora nella stretta serratura arrugginita.
Si tolse i pantaloni e il maglione e si infilò tra le coperte, addormentandosi immediatamente.


* * *

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Il Patto ***


7.7


Capitolo VI


Il Patto






Dal momento che le finestre della stanza erano state sbarrate, il sonno di Megan non venne disturbato dai raggi del sole.

Quando aprì gli occhi, la camera era immersa nella semioscurità e Megan fece fatica a capire dove si trovava.
Si rigirò nel letto e il dolore ai muscoli e alle articolazioni le ricordò gli avvenimenti della sera prima.
Era nella villa di Voldemort, che la stava addestrando per prepararla al compito che aveva accettato.
Con fatica, si costrinse ad alzarsi.
Raccattò i vestiti che aveva gettato sul pavimento la notte precedente, e li sbatté con le mani per togliere la polvere.
Si rivestì in fretta, quindi uscì dalla stanza e scese di sotto.
Aveva una gran fame, ma non sapeva dove trovare da mangiare.
A dire la verità, non sapeva neanche se ci fosse cibo nella casa e se Voldemort avesse bisogno di nutrirsi.
Vide la porta del salotto, dove era stata la sera prima, aperta e decise di entrare.
Voldemort non c'era.
Un movimento alle sue spalle la fece voltare di scatto.
«Desideri qualcosa?» disse Peter Minus, guardandola con i suoi occhietti acquosi. Aveva lo stesso atteggiamento deferente che teneva con suo padre; era strano, ma indubbiamente piacevole, pensò Megan.
«Ho fame» rispose stupidamente Megan, cercando poi di darsi un tono.
Codaliscia si limitò a fissarla, sbattendo le palpebre un paio di volte, come un idiota che non capisce quello che gli altri gli dicono.
Poi, con un gesto distratto, agitò la bacchetta e due grosse focacce e un bricco di succo di zucca comparvero dal nulla, e rimasero a fluttuare a mezz'aria.
Forse, in quella casa, c'era davvero una cucina.
Megan prese il cibo e, senza ringraziare, si avviò lungo il corridoio, cominciando ad addentare una delle soffici focacce.
Uscì sulla veranda, e il vento freddo le frustò il viso. Il sole era già alto nel cielo; dovevano essere all'incirca le dieci del mattino.
Sulla sinistra, poco lontano dalla porta d'ingresso, notò un basso tavolino traballante e una sedia a dondolo rosa dai tarli.
Appoggiò con attenzione il bicchiere di succo sul tavolino, ma non si azzardò a sedersi.
Decise di dare un'occhiata al giardino.
Si rese immediatamente conto che la proprietà era immensa. La villa, su tre piani, si estendeva tanto in altezza quanto in larghezza, e il giardino che la circondava era ugualmente vasto.
Un tempo, quando ancora la proprietà era abitata, doveva essere stata la casa più bella del villaggio, probabilmente la residenza del ricco notabile del posto.
Decise di abbandonare la relativa stabilità del vialetto ghiaioso e prese a camminare sul prato fradicio e irregolare, punteggiato qua e là da cumuli di neve non ancora disciolta, residuo dell'ultima nevicata.
Svoltò l'angolo della villa e vide un piccolo orto, ormai abbandonato; poco oltre, c'era un grosso cespuglio di rovi e maonie.
Sul retro, un grande olmo, ora spoglio, torreggiava su alcune panchine di ferro battuto; ad uno dei grossi rami pendeva una vecchia corda, umida e sfibrata. Quando si avvicinò, notò poi tra il fango altri pezzi di corda e una grande asse di legno marcio: i resti di una rudimentale altalena.
Fece il giro completo della casa e, quando ritornò davanti all'ingresso, aveva terminato anche la sua colazione.
Non aveva molta voglia di rientrare, ma con il solo maglione il freddo cominciava ad essere insopportabile.
Trovò il bicchiere di succo dove l'aveva lasciato; era gelido. Ne bevve alcuni sorsi e rientrò in casa.
Salì di nuovo le scale fino al piccolo salotto al primo piano e notò la lunga coda del grosso serpente, Nagini, che faceva capolino dalla porta; Voldemort era nella stanza.
Si avvicinò con cautela e vide suo padre accarezzare amorevolmente la testa del serpente, che se ne stava per metà acciambellato sul pavimento, il resto del corpo flessuoso attorcigliato intorno alla poltrona.
Voldemort stava mormorando qualcosa che Megan, da quella distanza, non riuscì a cogliere.
Nagini si accorse della sua presenza e si voltò verso di lei.
«Ah, eccoti qui» sibilò Voldemort, tornando poi a rivolgersi al serpente.
Il lungo rettile scivolò per terra e strisciò fuori dalla stanza.
Quando le passò accanto, le rivolse un'occhiata colma di disprezzo.
“Che idiota che sono, i serpenti non provano sentimenti come il disprezzo” si disse, ma mentre lo pensava ebbe la sensazione che quello che valeva per gli altri serpenti, non si poteva applicare a Nagini. Ignorò il brivido che le percorse la schiena e avanzò.
Voldemort nel frattempo si era alzato in piedi, la bacchetta stretta tra le lunghe dita pallide.
«Riprendiamo il tuo addestramento» disse e Megan sfilò prontamente la bacchetta dalla tasca.
«Cominciamo con qualcosa di semplice» continuò Voldemort «Prova con l'Expelliarmus».
Megan fece una smorfia indignata. «Conosco già perfettamente quell'incantesimo, è tempo perso».
Voldemort atteggiò le labbra inesistenti in un ghigno sprezzante. «Dimostramelo» la invitò.
Megan rinsaldò la presa sulla bacchetta e si preparò a lanciare l'incantesimo. «EXPELLIARMUS!» gridò.
L'incantesimo raggiunse Voldemort, che agitò la bacchetta con un movimento pigro, indolente, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa.
La bacchetta di Megan tremò furiosamente, poi, con un brutale strattone, sfuggì alla sua presa.
«Direi che non lo conosci poi tanto bene» disse Voldemort, in tono irrisorio.
Megan lo ignorò e andò a riprendere la sua bacchetta, che era rotolata sotto una delle poltrone.
«Di nuovo» la incalzò Voldemort.
Megan strinse maggiormente la presa sulla bacchetta e si preparò a scagliare l'incantesimo di disarmo.
«EXPELL-» cominciò a gridare, ma Voldemort la interruppe subito. Megan si bloccò, con la bacchetta sospesa a mezz'aria e la bocca spalancata. La richiuse e attese che Voldemort parlasse.
«Questo è un incantesimo banale e inutile» spiegò «Qualunque mago sa contrastarlo, a meno che non sia completamente incapace».
Megan avrebbe voluto ribattere che, se era così inutile, non aveva senso perdere tempo a eseguirlo, ma Voldemort continuò «Se vuoi avere qualche possibilità contro il tuo avversario, non devi pronunciare la formula. Anzi, non devi farlo mai».
«Non abbiamo ancora iniziato con gli Incantesimi Non Verbali…» disse Megan, ma Voldemort la interruppe di nuovo «Imparerai ora» disse «Riprova con l'incantesimo di disarmo e non pronunciare la formula ad alta voce».
Megan annuì e si mise di nuovo in posizione di attacco. All'inizio fu difficilissimo, e Megan si accorse che stava usando la maggior parte delle sue energie e della sua concentrazione nel tentativo non muovere le labbra.
Alla fine riuscì a scagliare l'incantesimo, che Voldemort ostacolò con la stessa noncuranza di prima.
Andarono avanti per qualche minuto, e tutti i suoi tentativi si scontrarono con la blanda, ma impietosa resistenza di Voldemort e fallirono.
Megan capì che doveva usare un'altra strategia.
Strinse forte la bacchetta tra le dita e si preparò per un altro round. Questa volta non avrebbe fallito.
Sollevò la bacchetta in aria e gridò «IMPEDIMENTA!»
Voldemort era ovviamente troppo abile per farsi cogliere alla sprovvista, e cambiò rapidamente posizione, per contrastare l'incantesimo. Dovette credere che Megan, colma di frustrazione, avesse tentato quello sciocco attacco a sorpresa, ma non era così.
Megan interruppe a metà il movimento della bacchetta, ed eseguì il gesto per scagliare l'Expelliarmus Non Verbale.
La mano di Voldemort tremò per un momento, quindi perse la presa e la bacchetta di tasso disegnò un ampio cerchio nell'aria; Megan l'afferrò al volo, con un espressione di trionfo.
«Non male» commentò Voldemort a denti stretti «Furbo, ma quando i tuoi avversari ti avranno osservata un paio di volte, non si lasceranno di certo sorprendere dal tuo trucchetto».
Megan sentì il sorriso soddisfatto morirle sul viso. Restituì la bacchetta al proprietario e attese nuove istruzioni.
«Ora proviamo con un altro incantesimo Non Verbale, scegli tu quale» disse Voldemort.
Questa volta Megan non voleva fallire.
Rifletté un momento e le venne in mente una Fattura Non Verbale che aveva letto su uno dei libri presi in prestito dai ragazzi di Durmstrang.
A Hogwarts si imparavano alcune Fatture, benché in molti le considerassero un po' troppo oscure; ma quelle che studiavano a scuola erano molto semplici e tutto sommato innocue, anche se irritanti.
Quelle che si eseguivano a Durmstrang, invece, erano più complesse e potenzialmente pericolose.
Ne scelse una, molto simile alla Fattura Ustionante, ma decisamente più dannosa.
Voldemort intanto attendeva, all'erta.
Megan si concentrò, tentando di scagliare l'incantesimo. Per un po', non accadde nulla, poi sentì una vibrazione percorrerle il braccio armato, e capì che stava funzionando.
Anche Voldemort avvertì la stessa cosa e si preparò a erigere un generico Scudo di protezione.
All'ultimo istante Megan puntò in basso.
Evidentemente, il Signore Oscuro non si aspettava quella mossa, e quindi la Fattura non incontrò quasi resistenze. Infranse l'invisibile barriera e colpì alle gambe, quasi rasoterra.
Per un attimo, Megan pensò di aver fallito.
Poi Voldemort vacillò e cadde con un tonfo sulle ginocchia. La veste nera era stata lacerata e nell'aria si diffuse presto l'odore della carne bruciata.
Megan si fece avanti con cautela.
Voldemort sollevò lo sguardo su di lei: era furioso.
Agitò la bacchetta e Megan credette che stesse per attaccarla; invece, il Lord Oscuro puntò la bacchetta su di sé, nel punto in cui lei l'aveva colpito, e cominciò a disegnare ampi cerchi nell'aria.
Qualche istante più tardi si rialzò tranquillamente.
«Di nuovo» ringhiò.
Megan si affrettò ad obbedire.
Ora che aveva cominciato a esercitarsi in quel modo, si chiedeva come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento.
Non solo stava imparando in poche ore quello che mai avrebbe appreso in sette anni a Hogwarts, ma stava scoprendo un nuovo lato di sé: duellare era decisamente eccitante.
Andarono avanti per quelle che parvero ore, ma Megan non riuscì più a colpire il suo avversario.
Poi, dopo innumerevoli assalti andati a vuoto, Megan cominciò a notare che suo padre preferiva contrattaccare piuttosto che difendersi, costringendo lei a erigere continuamente gli Scudi.
Decise di imitarlo.
Scagliò uno Stupeficium, quindi si preparò a lanciare di nuovo la Fattura Ustionante; Voldemort, colto di sorpresa, venne investito in pieno.
Se avesse saputo prima quello che sarebbe accaduto, Megan non l'avrebbe mai fatto; Voldemort si rialzò dolorante, la stessa espressione furente, che aveva avuto la prima volta che era stato colpito, dipinta sul volto scheletrico; ma questa volta, non lanciò nessun incantesimo di guarigione su di sé.
Sollevò la bacchetta in aria, quindi l'abbassò con un movimento simile a una sferzata.
Fu come essere colpiti da una frusta infuocata; Megan venne scagliata all'indietro e perse i sensi.

*

Quando si svegliò, scoprì di trovarsi in quella che era diventata la sua camera nella villa di Voldemort.
La stanza era immersa nell'oscurità, quindi Megan non poteva sapere quanto tempo fosse rimasta priva di sensi.
Sollevò la testa e tentò di mettersi a sedere, ma una fitta lancinante al petto quasi le tolse il respiro.
Che diavolo era successo?
Quasi come a voler rispondere alla sua domanda silenziosa, la porta si aprì di colpo e Minus sgattaiolò all'interno, reggendo un candela, che appoggiò sul comodino accanto al suo letto, dove, poté vedere, erano state sistemate alcune boccette, bicchieri e innumerevoli bende.
Scostò leggermente le coperte di lato, e si accorse che non indossava più i suoi vestiti.
Una semplice veste di lino fungeva da camicia da notte e, sotto di essa, un intricato insieme di bende le fasciava il petto, dalla spalla sinistra all'inguine destro.
Megan sollevò lo sguardo su Minus, che aveva cominciato a trafficare con le fiale sul comodino; il pensiero che quell'essere l'avesse spogliata e toccata ovunque con quelle mani, le stesse mani che avevano impugnato la bacchetta e avevano scagliato la Maledizione che si era portata via la vita di Cedric, la faceva inorridire.
Minus si voltò in quel momento e la fissò sorpreso; quindi le porse un bicchiere che odorava di medicinale.
«Bevi» le ordinò.
«Che cos'è?» ringhiò lei, cercando di lasciare trapelare tutto il suo disprezzo.
«Bevi» ripeté lui.
Megan avrebbe voluto volentieri rovesciargli il bicchiere in faccia, ma il solo gesto di allungare il braccio le provocò un dolore atroce. Rimase immobile con la mano tesa a mezz'aria e, alla fine, non poté fare altro che afferrare il calice che Minus le tendeva. Con qualche difficoltà lo portò alle labbra; il liquido fumante aveva un sapore tremendo e bruciava da morire, ma Megan si sforzò di mandare giù l'intera dose.
Poi Minus le porse un altro bicchiere, ma questa volta Megan non tentò neppure di opporsi. Di certo non avrebbe avuto senso avvelenarla, si disse, e, mentre osservava Codaliscia lasciare la stanza, sentì le palpebre farsi di colpo pesanti, e in istante scivolò in un sonno profondo.

*

Si risvegliò qualche ora più tardi.
Si mosse leggermente, per tirarsi un po' più su sul cuscino, ma, di nuovo, fu un errore. Una fitta lancinante le tolse il respiro e Megan non riuscì a soffocare un gemito.
In quell'istante, la porta della camera si spalancò e Minus entrò nella stanza, reggendo una tazza di tè e un piatto di sandwich al salmone.
Appoggiò il tutto sul comodino ed estrasse una nuova candela dalla tasca, accendendola con un colpo di bacchetta.
«Mangia» le disse in tono secco, quindi, senza darle il tempo di dire qualcosa, ritornò sui propri passi e si richiuse la porta alle spalle.
Megan si tirò ancora più su, puntellandosi sui gomiti, e cercando di ignorare il male al petto.
Che Fattura le aveva lanciato Voldemort? Non conosceva nulla che provocasse dei danni del genere, e non aveva idea di se e quando si sarebbe completamente ristabilita.
Era stato davvero crudele con lei, pensò, e la ragione era piuttosto ovvia: aveva voluto punirla.
La stava addestrando, non solo a combattere, ma anche a rispettarlo.
Megan doveva sempre ricordare chi aveva davanti: il mago più oscuro e malvagio del mondo, che aveva l'abilità e la volontà di distruggerla in qualunque momento, se lei gli avesse disobbedito.
Forse aveva sempre avuto ragione Harry: non c'era altro che odio e cattiveria nel cuore di Voldemort che, se ai suoi nemici appariva spietato e crudele, la ragione doveva essere molto semplice: lo era davvero.
E lei si era alleata con lui.
Si era soltanto illusa; Voldemort aveva l'aspetto di un mostro perché era un mostro, e che Megan fosse sua figlia cambiava ben poco le cose.
O forse era abituato da troppo tempo a comportarsi in quel modo, e non conosceva altri modi per imporre rispetto e disciplina.
Megan decise che quella era la spiegazione più logica; ricordava che i cattivi della storia, per quanto crudeli, avevano sempre un atteggiamento gentile e affettuoso nei riguardi di una moglie, di un amico, o di un fratello.
La vita è fatta di grigi, alcuni più scuri, altri più chiari, si disse.
Voldemort non poteva fare eccezione, forse si era semplicemente orientato verso una sfumatura molto cupa.
Finì di bere il suo tè e addentò di mala voglia uno dei panini; dopo il primo boccone, capì che mangiare era decisamente troppo doloroso, e lo mise da parte.
Sul comodino c'era una bottiglia etichettata “Pozione Sonno Senza Sogni”; la prese, quindi la stappò.
Sapeva che l'abuso poteva essere pericoloso, ma decise che, in quella circostanza, non poteva di certo far male. Ne versò due dita nel bicchiere e la mandò giù d'un fiato.
Si sdraiò di nuovo e pensò che fosse il caso di spegnere la candela, quando le palpebre le divennero pesanti e si addormentò di nuovo.

*

Questa volta il dolore si insinuò nella sua mente prima ancora che riuscisse a svegliarsi.
Aprì gli occhi e si guardò intorno. La candela si era un po' consumata, ma non potevano essere passate più di un paio di ore.
Tentò di mettersi a sedere, e fu sorpresa nello scoprire che non era più un'operazione così impossibile; il dolore era rimasto, sordo e pulsante, ma sopportabile.
La fasciatura, però, le prudeva in modo insopportabile, ma decise di resistere alla tentazione; non aveva ancora idea di che cosa le avesse fatto Voldemort, e non voleva rischiare di peggiorare le cose.
Era sveglia da neanche cinque minuti, quando udì dei passi nel corridoio; qualche istante più tardi, Minus comparve sulla soglia, reggendo un vassoio di lucido argento, riccamente decorato.
Megan si chiese come facesse l'ex ratto a sapere quando era sveglia. Poi, un pensiero orribile le attraversò la mente, e capì che forse lui la spiava, magari in forma di Animagus.
Intanto Codaliscia aveva guadagnato il centro della camera; si avvicinò a lei e le posò delicatamente il vassoio sulle ginocchia.
Megan fissò per un momento la sua cena, quindi non riuscì a trattenersi e sbottò «Non sono mica malata!»
Non aveva mangiato nulla da quella mattina, ma adesso si sentiva molto più affamata e in forze di quanto non lo fosse stata nel pomeriggio. Aveva sperato in una cena un po' più sostanziosa, invece capì che si sarebbe dovuta accontentare del cibo che aveva davanti: una zuppa d'orzo fumante, del pane e un piatto di piselli e carote bollite.
Minus, che si era limitato ad ignorare il suo commento, le voltò le spalle, fece Evanescere i resti dello spuntino del pomeriggio, quindi prese a trafficare con i medicinali sul comodino.
Una volta terminata l'operazione, si rivolse a lei «Quando finisci di mangiare, metti il vassoio per terra e prendi le Pozioni» le disse, accennando ai due bicchieri che aveva preparato.
Megan, che aveva la bocca piena di carote, si limitò a scoccargli un'occhiata piena d'odio e disprezzo; Minus ebbe la buona grazia di fingersi contrito.
Si avviò di nuovo verso la porta, quindi si fermò e si voltò a guardarla; sembrava sul punto di dire qualcosa, poi cambiò idea e uscì in fretta.
Megan terminò la sua cena, poi prese le Pozioni, spense la candela e si infilò per bene sotto le coperte.
Di nuovo, il sonno non si fece attendere.

*

Si svegliò molte ore più tardi, o forse era ancora notte fonda, Megan non poteva saperlo; le finestre erano sbarrate, e precludevano la vista del mondo esterno.
Si rigirò nel letto, quindi si mise a sedere e prese a cercare a tentoni la bacchetta; una volta trovata, la puntò in direzione del comodino, concentrandosi per lanciare l'incantesimo di Incendio senza pronunciare la formula. Con sua grande sorpresa, ci riuscì al primo tentativo, e la flebile fiammella della candela guizzò allegra, rischiarando quella parte della stanza.
Megan ammiccò alla luce per momento, quindi si guardò intorno; la prima cosa che notò fu che il vassoio era sparito. Era la prova che qualcuno, Minus, era entrato nella camera mentre lei dormiva.
Il pensiero la fece sentire a disagio.
Come a voler confermare i suoi sospetti, sentì la porta aprirsi e, un attimo dopo, Codaliscia fece capolino, reggendo in mano lo stesso vassoio della sera prima, questa volta colmo di cibo per la colazione: tè e caffè fumanti, una focaccina croccante, due ciambelle alla crema, alcune fette di pane tostato, un bicchiere di succo, burro e un vasetto di marmellata alle fragole; forse aveva voluto farsi perdonare per l'esigua cena che le aveva servito.
Megan si avventò sul cibo senza dire una parola.
«Come stai?» le chiese Codaliscia, dopo un lungo silenzio.
Megan non rispose; non aveva alcuna intenzione di scambiare convenevoli con quell'essere che tanto disprezzava.
Minus l'osservò per un momento, quindi si avvicinò al suo letto e afferrò le coperte per scostarle.
Megan, con uno strillo soffocato, si ritirò di scatto, facendo ribaltare il vassoio.
Il movimento, troppo brusco, le provocò un dolore indicibile al petto e Megan non riuscì a reprimere un gemito di sofferenza.
«Il Signore Oscuro mi ha chiesto occuparmi della tua guarigione» spiegò Codaliscia.
Il fatto che Voldemort si fosse preoccupato di lei bastò a calmarla.
Forse non era senza cuore, dopotutto.
«Sto benissimo, grazie» disse Megan, sprezzante.
Minus la guardò perplesso; la reazione di Megan doveva aver tradito le sue parole.
«Allora puoi alzarti?» chiese il ratto.
Megan annuì.
Mise da parte quel che restava della colazione, scostò le coperte e cercò di mettersi a sedere.
Fu un errore.
Si bloccò a metà del movimento, i lineamenti del volto distorti in una smorfia di dolore. Ma il suo orgoglio ebbe la meglio; con un ultimo sforzo, riuscì a slanciare le gambe oltre il bordo del letto. Si sentiva come una bambina, esausta per aver compiuto un'impresa sovrumana, che per gli altri era semplice e naturale come respirare.
Appoggiò i piedi sul tappeto, si puntellò sulle mani, quindi finalmente si sollevò, barcollando pericolosamente.
Codaliscia le mise le mani sulle spalle e delicatamente la risospinse sul letto.
«Devi restare qui ancora qualche giorno» sentenziò Minus.
Megan annuì avvilita, poi ricordò qualcosa che la riempì di panico: lei doveva tornare a casa subito! William e i suoi genitori sarebbero tornati quella sera, e lei doveva farsi trovare a casa al loro arrivo. Non aveva detto a nessuno dove era andata e non si sentiva ancora pronta a confessare la sua decisione.
Certo, Voldemort avrebbe potuto informare suo padre da un momento all'altro, ma comunque non voleva che i suoi genitori lo venissero a scoprire da soli, riempiendosi di ansia e di apprensione per lei.
«Devo andarmene adesso» disse Megan, ma Codaliscia scosse la testa.
Ora si sentiva una prigioniera.
Cercò di calmarsi, pensando che la scuola sarebbe cominciata presto, e Voldemort non poteva impedirle di tornare a Hogwarts: la sua assenza avrebbe destato i sospetti di Silente, e forse anche del Ministero.
Poi, però, capì che quella non era affatto una garanzia: suo padre era un Mangiamorte, quindi Voldemort avrebbe potuto obbligarlo a trovare a una giustificazione qualunque per spiegare il mancato ritorno di Megan, dire che era malata, per esempio.
Si sentì invadere dalla paura, quindi dalla rabbia. Quanto era stata ingenua!
Minus nel frattempo se n'era andato, ma Megan era troppo concentrata sui suoi pensieri per farci caso.
Con la coda dell'occhio vide il vassoio ormai vuoto, giacere sul letto. Lo prese e lo usò, a mo' di specchio, per guardare il suo riflesso: aveva un aspetto pietoso in quel momento, con i lunghi capelli neri in disordine, ribelli, le occhiaie profonde e il viso pallido.
Lo gettò da parte, con sdegno; si sentiva così oppressa e frustrata, ed essere inchiodata in quel letto, in quella stanza semibuia certo non l'aiutava.
Impugnò la bacchetta e la puntò contro la finestra sbarrata, per aprirla.
Lanciò un incantesimo Non Verbale, ma tutta la sua rabbia sembrò concentrarsi in quell'unica azione: le assi di legno esplosero in milioni di schegge, i chiodi saltarono e le vecchie imposte vennero divelte dai cardini, rovinando al suolo.
Una ventata d'aria gelida irruppe nella stanza, seguita dalla luce pallida e chiara del mattino.
“Complimenti, Meg” si disse, sarcastica.
Ripose la bacchetta accanto a sé, quindi allungò il braccio per spegnere la candela ormai inutile.
Doveva trovare una soluzione, ma più ci pensava, più vedeva la sua situazione disperata.
Doveva chiedere di vedere Voldemort? O doveva trovare un modo per andarsene via e basta? E come?
Anche ammesso che fosse riuscita a ignorare il dolore, non era sicura di essere in grado di percorrere il corridoio, scendere le scale e uscire senza essere vista.
Poi avrebbe dovuto affrontare una faticosa discesa verso valle e anche allora, che cosa avrebbe fatto?
Non aveva idea di dove si trovasse.
La sera del suo arrivo era troppo nervosa all'idea di quello che stava per fare, che non aveva proprio pensato di chiedere a Lucius dove l'avesse portata. Stavano andando da Voldemort, e quella per lei era stata l'unica informazione importante.
Sapeva che la Materializzazione aveva dei limiti, quindi non potevano aver lasciato la Gran Bretagna. Questo restringeva le possibilità ad appena un centinaio di migliaia di luoghi.
Poteva essere dovunque, a decine di chilometri da Londra; magari era addirittura più vicina a Hogwarts che a casa.
Il giorno prima, quando era uscita all'aperto, non aveva notato grosse differenze climatiche, ma questo non significava nulla; e comunque, anche se fosse stata un'esperta, non si sarebbe certo preoccupata di riconoscere la vegetazione o di determinare le condizioni del meteo.
Naturalmente, una volta giunta ai piedi della collina, avrebbe potuto chiedere agli abitanti del villaggio, anche a costo di sembrare una sbandata, ma in ogni caso non aveva abbastanza denaro Babbano per pagare un mezzo di trasporto.
Aveva però qualche falce d'argento, che avrebbe potuto usare per salire a bordo del Nottetempo, ma non voleva correre il rischio di attirare i sospetti di qualcuno del mondo magico.
Forse Will aveva ragione, pensò: lei soffriva davvero di manie di persecuzione.
Non poteva credere di essere stata così stupida da non prevedere una cosa del genere.
Ora si sentì invadere dall'angoscia.
Ne aveva avuta anche quando era arrivata, ma quella si era dissolta in fretta davanti alle rassicurazioni di Voldemort, e alla prospettiva eccitante dell'addestramento.
Si era sentita forte, e quella sensazione era stata sostenuta dalla decisione che aveva preso; aveva accettato di unirsi a Voldemort e si era messa completamente nelle sue mani, senza preoccuparsi delle conseguenze, sicura della sua nuova posizione.
Si era arroccata sul suo piedistallo, ed era stata vittima della sua stessa arroganza.
“Perché devi fare sempre di tutto una tragedia?” si disse. Nessuno la stava maltrattando e Minus non le aveva detto che sarebbe dovuta restare per sempre.
Ma il pensiero che i suoi genitori, non trovandola a casa, venissero a sapere tutto la riempiva di panico, non del tutto motivato.
Stava ancora riflettendo, cercando un modo per convincere Voldemort a lasciarla andare quello stesso giorno, quando Codaliscia ritornò.
«Il Signore Oscuro vuole vederti» disse avanzando «Tieni» le disse, tendendole i vestiti che erano stati appoggiati sulla vecchia sedia traballante; Megan osservò Minus, che non diede alcun cenno di volersi allontanare. Riluttante, cominciò a vestirsi davanti a lui.
Quando ebbe finito, Codaliscia la guidò fuori dalla stanza.
Per la prima volta. Megan notò che Minus aveva un comportamento educato e gentile con lei, diverso dal patetico atteggiamento servile che riservava a Voldemort; in effetti, sembrava mosso dal sincero desiderio di aiutarla.
Forse, pensò Megan, si sentiva in colpa per aver ucciso Cedric.
Tuttavia, aveva sempre considerato Minus un individuo abietto, vile e crudele, incapace di provare sentimenti come la vergogna o il rimorso; aveva consegnato i genitori di Harry, i suoi migliori amici, a Voldemort, quindi come poteva dispiacersi per aver ucciso un ragazzo che neanche conosceva?
Non aveva molto senso interrogarsi al riguardo, comunque; dopo una faticosa discesa giù per la rampa di scale, finalmente raggiunsero il salottino al primo piano.
Voldemort era seduto sulla sua poltrona, ma non vi era traccia del serpente.
Megan sospirò di sollievo.
Codaliscia la lasciò sulla soglia e scomparì tra le ombre del corridoio.
Megan avanzò. Ora che era si era alzata e aveva mosso qualche passo non era così difficile muoversi, anche se la sua postura era un po' ingobbita, e le sembrava di avere un macigno attaccato al collo.
Si fermò davanti a Voldemort, accanto alla poltrona che aveva occupato la sera del suo arrivo.
Quella volta, lui l'aveva invitata ad accomodarsi, e non era sicura di potersi sedere senza il suo permesso; Voldemort, inoltre, non l'aveva ancora degnata di uno sguardo.
Finalmente, quando il silenzio si era protratto così a lungo da diventare imbarazzante, Voldemort sollevò la testa e la fissò, quasi sorpreso di vederla lì.
Atteggiò la bocca in un sogghigno, quindi le indicò la poltrona; fu un sollievo per lei abbandonarsi contro lo schienale, anche se sapeva che la parte difficile non era ancora cominciata.
«Vedo che stai meglio» disse Voldemort, senza smettere di puntare il suo sguardo indagatore su di lei; Megan era a disagio adesso.
«Allora riprendiamo l'addestramento» propose Voldemort, alzandosi.
Megan scosse la testa e tentò di assumere un'espressione e un tono chiari e decisi. «No, devo tornare a casa» disse.
Voldemort tornò a sedere.
«Davvero? La scuola non riprenderà che tra qualche giorno» disse calmo.
«Non avevo comunque intenzione di fermarmi a lungo» cominciò, ma Voldemort la interruppe, con uno strano ghigno, che Megan non riuscì a interpretare.
«Credevo volessi che ti addestrassi» disse lui «O pensavi di riuscire a imparare tutto in una notte?»
«E tu pensi di potermi insegnare in una settimana?» ribatté Megan.
Di nuovo, lo strano sogghigno si disegnò sul volto scheletrico del Lord Oscuro.
Megan, improvvisamente, percepì un vago senso di oppressione, poi sentì una grande quantità di sentimenti esploderle dentro all'unisono: ansia, paura, apprensione, esaltazione, tutto quello che aveva provato nelle ultime ore.
Poi comprese: Voldemort stava applicando la Legilimanzia su di lei.
Questa volta era riuscita a cogliere chiaramente l'intrusione di Voldemort tra i suoi pensieri; la sera in cui era arrivata, aveva provato una strana sensazione, ma nulla di più, e l'unica prova dell'avvenuta irruzione nella sua testa era stata la prontezza con cui Voldemort aveva compreso i suoi dubbi e le sue emozioni.
Potevano esserci solo due spiegazioni a quel fatto: o Voldemort era dotato di una grande empatia, cosa di cui lei dubitava, o lui le aveva letto nel pensiero; la soluzione corretta non poteva che essere la seconda.
Ad ogni modo, Megan non ne era certo felice: sapeva che cosa stava accadendo, certo, ma non aveva comunque i mezzi per difendersi.
Che cosa stava cercando Voldemort? Voleva scoprire il motivo per cui era tanto ansiosa di andarsene? Avrebbe capito subito che Megan voleva nascondere la sua nuova alleanza con il Signore Oscuro e avrebbe voluto sapere il perché.
E qual era il perché?
Con una stretta allo stomaco, Megan comprese che Voldemort avrebbe potuto scoprire tutto.
Suo padre non era affatto il seguace fedele che lui credeva.
Naturalmente, era tornato quando il Signore Oscuro aveva richiamato a sé i suoi Mangiamorte, ma aveva comunque chiarito la sua intenzione di tradirlo e di raccontare tutto a Silente; era stato proprio suo padre, no il suo padre adottivo, a dirglielo, e adesso lei avrebbe potuto consegnare quelle informazioni a Voldemort, mettendo a rischio tutte le persone a cui voleva bene.
Era stata una sciocca a non averci pensato prima: la sua mente era completamente indifesa e vulnerabile agli attacchi di Voldemort.
E la sua testa era una vera e propria miniera di informazioni, non solo sulla sua famiglia, ma anche su Harry, l'Ordine… Forse Voldemort aveva già scoperto molto da quando era arrivata, e voleva che restasse ancora qualche altro giorno solo per avere il tempo necessario a sondare la sua mente per intero.
Ma alla fine, di che cosa si preoccupava?
Non aveva forse accettato di schierarsi dalla parte di Voldemort? Non doveva niente all'Ordine, e, quanto a suo padre, all'uomo che l'aveva cresciuta, bé, era stata solo colpa sua.
Lui aveva fatto una scelta, si era unito ai Mangiamorte, salvo poi cambiare idea.
Aveva imboccato una strada, ma a metà del cammino si era fermato, si era voltato indietro, ed era ritornato sui propri passi, fermandosi al bivio, incapace di prendere una posizione chiara e indiscutibile.
Alla fine era stato proprio Voldemort, inconsapevole, a indicargli una terza via, fornendogli  l'opportunità di aggirare il problema che lui non aveva avuto la forza di affrontare: gli aveva affidato un compito, che gli aveva permesso di fuggire e che l'aveva tenuto lontano dalla guerra e dai suoi sensi di colpa per molto tempo.
Ma alla fine, dopo più di sedici anni di calma e pace, i peccati del passato erano tornati a bussare alla sua porta, e ancora una volta suo padre si era tirato indietro davanti alle proprie responsabilità. Si era disposto ai margini dei ranghi dei Mangiamorte, e aveva gettato Megan nelle fauci del mostro, mettendola in prima fila. Le aveva assicurato che avrebbe risolto tutto, che avrebbe chiesto aiuto a Silente, ma di nuovo si era limitato a promettere e basta. Erano passati mesi, e lui non si era ancora riscosso da quel torpore inerte e forse non l'avrebbe mai fatto; sarebbe rimasto a guardare, spettatore di una partita che avrebbe dovuto giocare, se non per se stesso, almeno per i suoi figli.
Ma, dopotutto, Megan e William non erano figli suoi, non davvero.
Vincent Parker aveva scelto il suo destino; Megan, invece, non aveva avuto questa possibilità.
Lei era la figlia di Voldemort e non poteva concedersi il lusso di non prendere una posizione.
Se si fosse schierata contro il Signore Oscuro, la sua vita sarebbe stata costantemente in pericolo; se avesse deciso di unirsi a lui, come già aveva promesso, forse sarebbe stata costretta a commettere un'infinita di crimini, ma sarebbe stata relativamente al sicuro da lui.
E qual era la scelta migliore, più furba?
Valeva la pena combattere contro Voldemort, contrastarlo per evitare che facesse che cosa poi? Conquistare il mondo e farlo sprofondare in un'era di cupo terrore e violenza? Quelli erano i piani dai cattivi dei romanzi, non certo la realtà.
Voldemort bramava il potere, questo era vero, ma cosa c'era di male nel voler affermare la supremazia della pura stirpe magica?
Le politiche dei Babbanofili avevano reso il loro mondo fragile, debole; Voldemort voleva assumere il controllo sulla comunità magica inglese, poi forse avrebbe allargato i suoi orizzonti oltre i confini della Gran Bretagna.
Ma non aveva parlato di stermini di Babbani o altre cose folli.
Disprezzava i Babbani e i Nati Babbani, ma non avrebbe mai commesso un genocidio tanto inutile, dal momento che lui ricavava la fonte della sua superiorità proprio da questa importante differenza.
Se poi tutto questo si scontrava contro la volontà di Silente e i suoi, era evidente che qualche atto di violenza sarebbe stato necessario, ma a quel punto non si poteva più parlare di crudeltà gratuita.
Ma, anche ammesso che Megan avesse deciso di stare dalla parte di Harry, valeva davvero la pena di rischiare la vita per qualcuno che non aveva fiducia in lei? Avrebbe potuto combattere cento battaglie, ma per i “buoni” lei sarebbe sempre rimasta la figlia di Voldemort.
Anzi, probabilmente l'avrebbero tenuta sotto costante controllo, temendo che la stessa pericolosa natura del padre potesse risvegliarsi anche nella figlia.
In fondo, non poteva biasimarli.
E non poteva neanche biasimare il padre che l'aveva cresciuta e che si era limitato a fare la scelta più furba e che gli aveva creato meno problemi.
Anche lei lo avrebbe fatto, solo che la sua posizione non le avrebbe consentito di restarsene in disparte.
Poco male, Megan detestava l'inattività.
Stava ragionando su tutto questo, quando percepì di nuovo, ancora più chiaramente, la presenza di Voldemort nella sua mente.
Forse non aveva più molto da nascondere, ma non voleva tollerare oltre quell'intrusione.
Ricordò di aver letto qualcosa, a proposito della Legilimanzia, in uno dei libri presi in prestito da Durmstrang.
C'era un paragrafo, rammentò, che parlava dell'Occlumanzia, una branca della Legilimanzia: se usata correttamente, l'Occlumanzia poteva proteggere la mente del mago, agendo come uno scudo contro gli attacchi esterni.
Si trattava di un'arte molto complessa e il testo non era molto specifico, e forniva solo alcune indicazioni molto generali.
Megan sapeva che non sarebbe riuscita a bloccare l'invasione di Voldemort, che era un Legilimens molto abile, ma decise comunque di fare un tentativo, basandosi su ciò che ricordava.
Il paragrafo diceva, se non si sbagliava, di svuotare la mente, e questo aveva senso, anche se farlo non era molto semplice.
Megan si sforzò di non pensare a niente, ma non era facile imporre alla propria mente una disciplina tanto innaturale.
Immaginò allora i suoi ricordi fluire lentamente all'esterno, come tanti fili argentati e fibrosi, e li gettò via.
Non fu una buona tattica, perché la presenza di Voldemort si fece ancora più intensa e avida.
Provò un altro sistema.
Visualizzò un cassetto, molto grande, in cui stipò tutti i suoi ricordi, le sue esperienze, le sue emozioni. Lo chiuse e si convinse che se avesse distrutto la chiave nessuno avrebbe mai più potuto riaprirlo.
Stava per farlo, quando un altro ricordo dei suoi studi schizzò fuori da quel cassetto immaginario.
Qual era la prima regola della Legilimanzia, la condizione necessaria perché un mago potesse insinuarsi nei pensieri di un altro e rovistare indisturbato tra i ricordi e le emozioni della sua vittima? Il contatto visivo.
Megan si concentrò su Voldemort, che teneva il suo sguardo sanguigno fisso su di lei, le pupille verticali dilatate dallo sforzo, certamente non troppo grande, di penetrare la sua mente. Megan cercò di interrompere il contatto, ma i suoi occhi erano incatenati a quelli del Lord Oscuro.
Tornò a concentrarsi sui suoi sforzi per chiudere la propria mente.
Visualizzò di nuovo l'immagine di prima, il cassetto, i faldoni che rappresentavano i suoi ricordi, la chiave. Se ne disfò, ma per un attimo non accadde nulla.
Poi all'improvviso provò una sensazione di liberazione, e fu solo perché ora era svanita che Megan si accorse della tremenda pressione che Voldemort aveva esercitato su di lei fino a quel momento.
Tornò a fissare il Signore Oscuro, anche se ormai non si sentiva più costretta a farlo; lui aveva una strana espressione, sembrava irritato, anzi furioso, ma anche, suo malgrado, impressionato.
Megan non sapeva quanto tempo fosse durata l'intrusione di Voldemort, minuti o forse solo qualche istante.
Si sentiva esausta, adesso, e si accorse solo allora che aveva il respiro corto e irregolare, la gola arida e le unghie delle mani conficcate nel sottile rivestimento dei braccioli.
Allentò la presa e pian piano riprese a respirare normalmente.
Voldemort fremeva di rabbia.
Aveva scoperto tutto allora?
Si alzò di scatto e prese a misurare la stanza a grandi passi, quindi si fermò di colpo, scosse la testa e riprese a camminare.
Megan non osava dire una parola.
Dopo un paio di minuti, finalmente Voldemort si bloccò al centro della stanza, le rivolse uno sguardo di gelido furore e sibilò «Come hai fatto?»
Megan non aveva idea di che cosa stesse parlando.
«Come hai fatto?» ripeté Voldemort, in tono pericolosamente alterato.
Megan era nervosa e spaventata, ma trovò comunque il coraggio di dire «Come ho fatto a fare cosa?»
Voldemort proruppe in una risata fredda e senza gioia, improvvisa e terrificante.
Poi notò il suo sguardo sinceramente confuso e si ricompose «Davvero non te ne sei accorta?»
Megan si strinse nelle spalle e scosse la testa come a ribadire che lei non sapeva a che cosa lui stesse facendo riferimento.
Voldemort puntò i suoi occhi sanguigni su di lei, e rimase in silenzio. Poi parve convincersi della sua sincerità e disse «Chi ti ha insegnato l'Occlumanzia?»
Megan sgranò gli occhi «N-nessuno» balbettò «Ho solo letto qualcosa su un libro» continuò, cercando di dare alla sua voce un tono meno patetico e spaventato.
Voldemort parve rilassarsi nell'udire quella risposta. «Allora questo spiega come mai la tua tecnica è tanto imprecisa».
Aveva detto imprecisa, non inefficace, quindi aveva davvero funzionato? Ma  aveva tentato di respingere gli assalti di Voldemort solo all'ultimo momento, prima si era lasciata trasportare dai propri pensieri, pensieri che Voldemort doveva aver percepito, a meno che… Quanto si poteva restare lucidi durante un attacco mentale di quella portata?
Megan cominciò a sentirsi euforica; il Signore Oscuro non era riuscito a fare breccia  nella sua mente, non aveva scoperto nulla di importante. Poteva scegliere lei che cosa rivelargli e cosa invece tacergli e questo la fece sentire forte e importante. Non era una sprovveduta, dopotutto.
Voldemort tornò a sedere. Non doveva essere piacevole per lui non riuscire a penetrare le difese rozze e grossolane di una ragazzina.
Megan, conscia del proprio potere e forte del fatto che Voldemort avrebbe saputo solo ciò che lei voleva che sapesse, si sentì molto più tranquilla.
«Non ho detto a nessuno che sarei venuta qui» confessò. Voldemort non poté fare altro che ascoltare. «Lo farò, naturalmente, ma non adesso» continuò.
Voldemort annuì, una strana espressione grave sul volto pallido e tirato.
«Che cosa dovrò fare, una volta tornata a Hogwarts?» chiese Megan.
Il Lord Oscuro non rispose subito. Forse aveva avuto altri piani per lei, ma quell'ultima scoperta aveva cambiato tutto.
«Devi riguadagnarti la fiducia di Potter» disse alla fine «E trovare un modo per portarlo al Ministero».
Megan annuì, chiedendosi se sarebbe stata in grado di riuscirci.
«Puoi andare» la congedò Voldemort.
Megan si alzò, mentre il Signore Oscuro chiamava Minus.
L'ex ratto comparve immediatamente sulla soglia, come se fosse rimasto a origliare dietro la porta per tutto il tempo. A Megan questo non dispiacque; voleva che Codaliscia si rendesse conto di chi aveva di fronte, e la temesse come temeva il suo padrone; forse, un giorno, avrebbe avuto modo di pareggiare i conti con lui e vendicare Cedric, e voleva che Minus vivesse nella paura costante.
«Riportala a casa» ordinò Voldemort, quindi lasciò la stanza senza aggiungere altro.
Codaliscia le offrì un braccio grassoccio, che Megan afferrò; ormai non provava più repulsione nel toccarlo, ma solo un freddo disprezzo, quasi indifferente; Minus non meritava di più.
Di nuovo, avvertì la spiacevole sensazione di venire schiacciata da un peso spaventosamente grande, e si chiese se, con l'abitudine, la Materializzazione smettesse di far sentire maghi e streghe spossati e nauseati.
Apparvero in un stretto vicolo ai margini della Brighton Road, la strada principale del sobborgo di Biggin Hill, nel distretto di Bromley a sud di Londra. I Parker vivevano lì, in una grande villa un po' fuori mano, all'estremità opposta rispetto al piccolo aeroporto,  circondata da un bel parco, con alberi e un piccolo laghetto.
Quando Megan si voltò, Minus era già sparito. Lasciò il vicolo e si incamminò verso casa. La ferita che le aveva inflitto Voldemort continuava a pulsare, ancora di più ora che era stata costretta a Materializzarsi, ma non ebbe troppe difficoltà a percorrere il breve tragitto verso la villa.
Erano da poco passate le undici, quindi la maggior parte degli abitanti era al lavoro, a Londra o nei dintorni, o a scuola, perciò le vie erano quasi del tutto deserte.
Passò accanto alla Ridgeway Primary School, la scuola elementare che lei e William avrebbero dovuto frequentare, prima di ricevere la loro lettera di ammissione a Hogwarts.
I loro genitori avevano però optato per un'educazione privata, esattamente come accadeva in tutte le famiglie di maghi.
Tuttavia, a quel tempo, lei e suo fratello erano soliti frequentare l'unico parco del paese e avevano stretto, per così dire, amicizia con alcuni bambini Babbani; ma ormai erano passati tanti anni e, probabilmente, loro non l'avrebbero neanche più riconosciuta.
Il sole splendeva alto nel cielo sereno, ma l'aria era comunque fredda e pungente; Megan accelerò il passo, per quanto le fosse possibile.
Percorse l'ultimo tratto di strada, quindi oltrepassò le siepi divisorie e raggiunse il vialetto ghiaioso, ai margini del quale svettava il cartello che avvertiva i passanti che, da quel punto, si entrava in una proprietà privata; a circa cento metri di distanza, alto e maestoso, si ergeva il cancello che permetteva di accedere al parco e alla villa.
Megan lo aprì con un colpo di bacchetta, quindi percorse l'ultimo tratto del vialetto ed entrò in casa.
I suoi genitori non sarebbero arrivati prima di molte ore, così decise di andare a fare una doccia e poi salire in camera e dormire un po'; non voleva che intuissero qualcosa, e sapeva fin troppo bene di avere uno aspetto tutt'altro che fresco e riposato.

*

La sua famiglia tornò quella sera, intorno alle sei.
Megan si fece trovare sul divano in salotto, con una coperta stesa sulle gambe, un libro di narrativa Babbana aperto in una mano, una tazza di tè fumante nell'altra.
I suoi non sospettarono nulla e Megan esalò un sospiro di sollievo quando si richiuse la porta della sua camera alle spalle, dopo aver finito di cenare in normale tranquillità insieme agli altri, ascoltando interessata il resoconto della loro breve vacanza.
Erano di buon umore, quindi Megan preferì aspettare per raccontare il proprio di resoconto.
“Domani” decise “Domani confesserò tutto”.




* * *

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - Successi e Fallimenti ***


8.8





Successi e Fallimenti






Megan si era ripromessa di informare al più presto i suoi genitori della decisione che aveva preso.
Aveva deciso di farlo subito, per togliersi il pensiero; ormai era fatta, e loro non avrebbero potuto fare altro che accettarlo.
Ma, proprio come la pallida cicatrice, residua traccia della Fattura di Voldemort, che stava sbiadendo rapidamente, cancellata dalle massicce dosi di Unguento Smemorello, anche la determinazione di Megan stava via via affievolendosi.
Cominciò, infatti, a chiedersi quanto radicato fosse il tradimento nel cuore di suo padre; se avesse saputo quali erano le intenzioni di Megan, forse lui si sarebbe deciso a parlare con Silente, e Megan non voleva che accadesse. Aveva appena dato una svolta alla sua vita, si sentiva benissimo, aveva uno scopo preciso e non vedeva l'ora di dimostrarsi valida e capace agli occhi del mago più potente del mondo, il quale, peraltro, era anche il suo padre biologico.
Così non disse niente il giorno dopo il ritorno a casa, e nemmeno quello dopo ancora.
La ripresa delle lezioni si avvicinava, e Megan passava gran parte delle sue giornate a pensare a un modo per riavvicinarsi a Harry. Non sapeva ancora come convincerlo ad andare al Ministero, ma per farlo doveva per forza riguadagnarsi un po' della sua fiducia, sempre che ne avesse mai avuta.
Alla fine, però, quando arrivò il momento di partire, Megan non aveva ancora deciso come agire; sperò che il ritorno al castello le offrisse un'occasione.

*

Fu più fortunata di quanto avesse osato sperare.
Era una fredda sera di inizio gennaio; le lezioni erano da poco terminate e Megan stava pattugliando i corridoi, quando si imbatté in Harry, che ciondolava in giro con le spalle curve e l'aria avvilita.
Aveva avuto quell'aspetto anche durante la lezione di Pozioni del mattino, ma Megan non ci aveva fatto troppo caso: Piton adorava umiliarlo davanti alla classe.
Lui non l'aveva vista; sembrava assorto nei propri pensieri e, mentre si avvicinava, aveva l'aspetto di un condannato che si avviava, cupo e rassegnato, al patibolo.
«Ciao Harry» lo salutò lei, alla fine, disinvolta.
Harry sollevò di scatto la testa, sorpreso. «Oh… Ciao» disse lui, accigliato.
Non era un grande inizio, ma Megan non poteva aspettarsi di meglio.
«Tutto bene?» continuò lei, preoccupata.
Harry annuì; poi, evidentemente, gli sembrò scortese non chiedere se anche lei stava bene, e così lo fece.
«Non c'è male» rispose Megan, e aggiunse «Senti, io… » esitò, poi proseguì «Io volevo chiederti scusa per quello che è successo prima di Natale».
Harry abbandonò la sua espressione cupa e le rivolse uno sguardo sorpreso.
«Sì, volevo dirti che mi dispiace» continuò Megan «Per quello che ho detto e… Vorrei scusarmi con tutti in realtà, e con Ron naturalmente. Ero arrabbiata, per quello che stava succedendo, non lo pensavo davvero… è solo che ho il brutto vizio di prendermela con chiunque, anche con chi non c'entra niente» concluse, impacciata.
Harry finalmente le sorrise «Non preoccuparti».
Anche Megan abbozzò un timido sorriso.
«Allora, dove te ne vai a quest'ora?» gli chiese poi, in tono allegro, camminandogli a fianco lungo il corridoio.
«Da Piton» rispose Harry, abbattuto, e aggiunse, davanti allo sguardo interrogativo di Megan «Devo prendere ripetizioni».
«Di Pozioni?» rifletté Megan ad alta voce «Ma Piton non dà mai ripetizioni, e tu non sei peggio di altri».
Harry la guardò perplesso, chiedendosi se il suo fosse un tiepido complimento o un'offesa.
«Voglio dire» si affrettò lei a spiegare «Non sei il primo della classe, ma non credo proprio che tu abbia bisogno di prendere ripetizioni per passare gli esami».
«Piton la pensa diversamente a quanto pare» ribatté Harry, con una smorfia.
Arrivarono a un bivio e si salutarono; Harry andò a sinistra verso i sotterranei, mentre Megan prese il corridoio di destra da cui partivano le scale che portavano ai piani superiori.
Questa faccenda delle ripetizioni era sospetta, ma Megan non aveva elementi per capire altro.
Di certo Hermione e Ron sapevano la verità, ma non gliel'avrebbero mai confidata, e forse non l'avrebbero detto neanche a William.
Comunque, come inizio, non era stato niente male.
Completò il giro di perlustrazione, quindi rientrò nel dormitorio.
Già dal primo giorno, gli insegnanti li avevano caricati di compiti, e non si stupì nel trovare i suoi amici chini sul lungo tavolo della Sala Comune, alle prese con il lungo tema per Piton.
Si unì a loro, e decise che avrebbe rimandato la questione delle ripetizioni di Harry a un altro momento.

*

Erano tornati a Hogwarts da quasi un mese, ma i professori erano stati impietosi con loro.
I compiti che venivano loro affidati erano sempre più gravosi, e nessuno studente del quinto anno poteva più concedersi un momento di relax; perfino la squadra di Quidditch faticava a trovare il tempo per allenarsi.
Sapeva però che l'ES si era riunito un paio di volte, ma non aveva osato presentarsi; nonostante si fosse scusata anche con Weasley, un paio di giorni dopo l'incontro fortuito con Harry, non sapeva proprio come avrebbero reagito gli altri alla sua presenza, e non voleva mettere Harry nella condizione di dover prendere una decisione ferma e avventata.
Comunque, non aveva più avuto modo di parlagli; ogni tanto si incrociavano per i corridoi, ma si scambiavano solo un rapido saluto e nient'altro.
Megan sapeva che continuava a prendere ripetizioni da Piton, perché l'aveva visto un paio di volte scendere nei sotterranei dopo le lezioni.
Ad ogni modo, però, doveva sbloccare la situazione, altrimenti non sarebbe mai riuscita nel suo intento.

   L'occasione si presentò in una gelida mattina di inizio febbraio.
Megan entrò nella Sala Grande per fare colazione e notò immediatamente che qualcosa non andava.
Lanciò uno sguardo a Harry, che era seduto al tavolo dei Grifondoro e guardava con orrore la prima pagina della Gazzetta del Profeta.
Anche gli studenti delle altre Case confabulavano tra loro preoccupati, passandosi il giornale di mano in mano; al tavolo degli insegnanti, l'atmosfera era tesa, quasi cospiratoria.
Pansy, che era salita con lei dai sotterranei, aveva già preso posto tra i Serpeverde; lì, il clima era più disteso, anche se in molti discutevano tra loro, sfogliando la Gazzetta.
Da quella distanza Megan non riusciva a leggere il titolo, ma poteva vedere alcune foto, circa una decina, che occupavano tutta la prima pagina.
Decise di dirigersi verso il tavolo dei Grifondoro, e prese posto accanto al fratello.
La maggior parte degli studenti era troppo concentrata per notarla, ma altri, tra cui la Granger, si voltarono a guardarla, stupefatti.
«Meg» disse William, lievemente nervoso «Ehm, che ci fai qui?»
Megan si strinse nelle spalle e gli prese la sua copia della Gazzetta, che era appoggiata  contro una caraffa di Succo di Zucca.
Tornò alla prima pagina e lesse il titolo, scritto in grossi caratteri neri: “EVASIONE DI MASSA DA AZKABAN” recitava l'intestazione; sotto c'erano le immagini che aveva intravisto da lontano; erano le foto dei dieci prigionieri evasi, nove uomini e una donna, tutti dall'aspetto selvaggio e un po' folle.
«Non è possibile» mormorò, mentre iniziava a leggere l'articolo.
Secondo Caramell, l'artefice di tutto era Black, cugino dell'unica donna evasa, di nome Bellatrix Lestrange.
Guardò la foto, e si accorse che in effetti aveva una certa somiglianza con il padrino di Harry: entrambi avevano folti capelli neri e recavano le tracce della stessa grande bellezza, ormai perduta.
«Eccoti servito, Harry» stava dicendo Ron, sgomento «Ecco perché Tu-Sai-Chi era felice ieri notte».
Megan sollevò di scatto la testa: che cosa aveva detto Weasley?
La Granger, intanto, se ne stava andando e anche Ron e Harry si apprestarono a imitarla. Poi, però, Harry incontrò il suo sguardo e decise di restare.
Ron lo salutò e lasciò la sala Grande, seguito poi da William.
«Ehm, ciao» le disse Harry «Hai letto?» chiese poi, indicando il giornale.
Megan capì che quella era la sua occasione.
Annuì e cercò di apparire sconvolta come tutti gli altri «È terribile» cominciò «Silente l'aveva previsto, e nessuno gli ha dato ascolto».
Harry annuì con aria grave.
«Direi che questo è la prova che il Ministero o non vuole o non è in grado di proteggerci. Forse non lo siamo neanche noi, ma tu stai provando a fare qualcosa».
Sul volto di Harry comparve un sorriso di imbarazzato compiacimento. «Non è molto quello che facciamo, lo so, ma stanno tutti migliorando e-»
«Invece è tantissimo!» lo interruppe lei, con entusiasmo «Sono stata un'idiota, davvero».
«Perché non vieni alla prossima riunione?» propose Harry e continuò, davanti alla sua espressione incerta «Se chiedi scusa a tutti, non avranno problemi a riaccoglierti, sono solo un po' orgogliosi».
«Lo sono anch'io» scherzò Megan «Ma verrò, grazie Harry».
Si salutarono, quindi Megan raggiunse i suoi compagni Serpeverde.
La prima fase del suo piano era stata completata con successo.

*

Tuttavia, fu costretta ad aspettare altre due settimane prima di poter finalmente rimettere piede nella Stanza delle Necessità.
Dopo l'evasione da Azkaban, la Umbridge aveva imposto altri decreti, sempre più restrittivi, sia per gli studenti che per gli insegnanti.
Quanto a questi ultimi, due di loro, la Cooman e Hagrid, si trovavano in una situazione alquanto precaria. Hagrid era in verifica, mentre la stralunata insegnante di Divinazione era stata licenziata, e solo l'intervento del Preside aveva impedito alla Umbridge di bandirla da Hogwarts.
Megan non aveva mai frequentato il corso della Cooman, un personaggio quantomeno eccentrico, per non dire folle, e perciò non era rimasta stupita quando la Umbridge l'aveva dichiarata non idonea agli standard della scuola.
Quella donna le faceva un po' pena, ma dopotutto, pensava, se fosse stata una vera Veggente, come sosteneva di essere, avrebbe dovuto prevedere il suo imminente esonero.
Finalmente, un giorno, verso la fine di marzo, sul galeone truccato comparvero ora e data dell'incontro dell'ES.
Megan si recò puntuale all'ultimo piano, e varcò senza problemi l'ingresso della Stanza della Necessità.
Molti dei ragazzi erano già arrivati e, quando la videro entrare, le rivolsero occhiate incredule e, a tratti, ostili.
Megan fece come Harry le aveva consigliato, e si scusò personalmente con ognuno.
Incontrò lo sguardo del fratello, che le sorrideva raggiante. Megan rispose al sorriso, ma si sentì un po' in colpa nel vedere la felicità del suo gemello: lui credeva che si fosse ravveduta, e che le sue azioni fossero mosse da un sincero desiderio di riappacificazione, ma non era così. Megan li avrebbe traditi tutti quanti.
Comunque, non ebbe più modo di sentirsi in colpa; poco dopo iniziò la lezione e, come capì presto, Harry aveva iniziato a farli esercitare con i Patronus.
Megan non era mai riuscita ad evocarne uno corporeo, ed era eccitata all'idea di provarci.
Si rivelò più difficile del previsto.
Nonostante fosse più brava della maggior parte dei suoi compagni, quell'incantesimo le stava dando non pochi problemi.
Scandiva con chiarezza la formula e agitava la bacchetta eseguendo il movimento corretto, ma non riusciva ad ottenere alcun effetto. Alcune volte, una leggera nebbiolina argentata si sprigionava dalla punta della sua bacchetta, ma si disperdeva in fretta nell'aria, senza accennare a prendere una forma definita.
«Devi pensare a qualcosa che ti renda davvero felice» le disse Harry, avvicinandosi. Megan annuì, e si sforzò di richiamare alla mente il ricordo giusto.
Ma non ce n'erano, capì, abbattuta; tutte le sue emozioni più belle erano legate a Cedric, ma pensare a lui la faceva sentire malissimo. Persino i ricordi legati ai suoi genitori erano oscurati da un velo di malinconia, perché quelli erano i ricordi di un'altra persona; la sua vita precedente non esisteva più, ora lei era diversa, in tutto. Certo, le emozioni che aveva provato nelle ultime settimane erano state molte e intense, ma nessuna poteva essere definita propriamente felice: era stata arrabbiata, spaventata, esaltata; si era sentita frustrata, aveva conosciuto il disprezzo più profondo, e la soddisfazione più selvaggia, ma mai era stata semplicemente serena o felice.
L'esercitazione andò avanti per un'ora, poi furono costretti a interrompere l'allenamento e fare ritorno ai rispettivi dormitori.
Megan si avviò, sola e abbattuta, verso i sotterranei.

*

Le settimane passavano lentamente, ma comunque troppo in fretta.
Gli esami si stavano avvicinando e, con l'aumentare dei compiti, cresceva anche l'agitazione degli studenti.
Alcune ragazze si erano già lasciate travolgere da parecchie ondate di panico, e Madama Chips aveva avuto un gran da fare in infermeria, dove gli studenti venivano portati per ricevere una bella dose di Pozione Rilassante.
Per rimarcare poi il fatto che da quegli esami dipendeva il futuro di ciascuno, i Capi Casa avevano iniziato a convocare gli studenti per gli incontri di Orientamento Professionale; Megan fu una delle prime ad essere chiamata nell'ufficio di Piton.
«Accomodati» l'accolse il professore di Pozioni.
Era un tiepido pomeriggio di fine marzo, ma, quando Megan entrò nel gelido studio sotterraneo, le sembrò di varcare l'ingresso di una caverna scavata nel ventre di un ghiacciaio.
Piton era chino sulla sua scrivania, e stava finendo di scrivere qualcosa a margine di una pergamena; quindi spostò la piuma vicino al bordo in alto e tracciò una grossa D; Megan si augurò vivamente che quello appena valutato non fosse il suo compito.
«Allora» cominciò l'insegnante, quando Megan prese posto davanti a lui. «Come sai al termine di quest'anno dovrai scegliere le materie che desideri continuare per i successivi due anni qui a Hogwarts. Questa scelta potrebbe influire molto sul tuo futuro fuori da queste mura, quindi il mio consiglio è di cominciare fin da subito a pensare molto attentamente a che cosa desideri fare una volta diplomata».
Megan annuì, e Piton proseguì «Qui ci sono degli opuscoli informativi» disse, accennando alle sottili pile di fogli disposte sul lato destro della scrivania «Hai già qualche idea in merito?» chiese.
«Veramente no» ammise Megan.
Era sempre stato suo desiderio diventare un una Spezza-Incantesimi, tuttavia da molti mesi non nutriva più molto interesse per qualsivoglia carriera. Quello, dopotutto, era stato il sogno di Cedric, e Megan si era sempre immaginata al suo fianco, a distruggere qualche maleficio tra le sabbie del deserto africano, o tra le rovine di un tempio indiano.
Ma ora Cedric non c'era più e lei, a dirla tutta, non riteneva più necessario compiere una scelta: un'altra “carriera”, infatti, le si era prospettata davanti.
«Pensavo,» riprese nel frattempo Piton «magari vorresti orientarti verso una carriera al Ministero?» suggerì «I tuoi voti sono ottimi, benché abbia notato un leggero calo in quest'ultimo semestre».
Megan ascoltò in silenzio il Direttore della sua Casa illustrarle le varie possibili alternative di impiego, e i requisiti minimi per accedervi.
«Parker, dovrai pure avere qualche ambizione!» sbottò a un certo punto Piton. Megan, che non aveva prestato troppa attenzione fino a quel momento, sobbalzò leggermente.
«Sì, immagino di sì» disse lei, dopo un momento «Credo che mi orienterò verso questo» disse, afferrando il primo opuscolo.
«Relazioni Babbane?» chiese Piton, tra il perplesso e lo sconcertato.
«Ehm» iniziò Megan, ma il professore la interruppe subito «Sul serio Parker, che ti prende ultimamente?» chiese, con una leggera nota irritata nella voce.
«Niente» si affrettò a rispondere lei, quindi aggiunse «Immagino che non ci sia nulla qui che faccia per me» e, sentendosi per la prima volta a disagio, concluse «Posso andare ora?»
Piton la squadrò per un momento, incerto se insistere; quindi annuì impercettibilmente.
Megan lasciò l'ufficio in fretta e fu solo quand'ebbe chiuso la porta del dormitorio alle sue spalle che riuscì a trarre un lungo, profondo sospiro.
Che diamine le era preso prima?
Non ebbe tempo di darsi una risposta perché, appena un istante più tardi, Pansy fece letteralmente irruzione nella camera.
«È stato grandioso» esclamò esaltata e, davanti al suo sguardo interrogativo aggiunse «Io e Draco ci siamo baciati!» esultò.
Megan scosse la testa divertita.
«Ah» sospirò Pansy lasciandosi cadere sul letto.
«Ora la pianterai di fare l'oca, mi auguro» le disse Megan.
«Penso che chiederò a Micheal di uscire» dichiarò Pansy.
«Micheal?» chiese Megan, confusa.
«Bé sì, non voglio rendere tutto troppo facile».
«Troppo facile?» esclamò Megan, allibita e, davanti all'espressione elusiva dell'amica aggiunse, semiseria «Io ti ammazzo».
Pansy si strinse nelle spalle e cominciò a ridere.

*

Per quanto trovasse irritante l'atteggiamento di Pansy, Megan aveva altri problemi a cui pensare.
Aveva finalmente deciso come intendeva agire, anche se la soluzione che aveva trovato le avrebbe creato non pochi problemi in futuro.
E poi, a peggiorare la situazione, c'erano gli esami.
Il professor Piton aveva ragione: i suoi voti erano in lento, ma costante calo e, oltre all'agitazione per i G.U.F.O. in avvicinamento, aveva anche una battaglia di orgoglio da combattere; era andata ad altre due riunioni dell'ES, ma non era riuscita a fare miglioramenti con il suo Patronus. Anzi, a dire il vero stava peggiorando: ora, faticava molto anche a produrre quei patetici sbuffi grigiastri.
Il prossimo incontro si sarebbe tenuto quella sera, così Megan decise di consumare la cena in fretta, così da ritagliarsi un po' di tempo per esercitarsi da sola e indisturbata nel suo dormitorio.
Alle sette e trenta uscì dalla Sala Comune, per fare il solito giro di ispezione, per poi salire all'ultimo piano e raggiungere gli altri dell'ES.
Stava percorrendo uno dei corridoio del secondo piano, quando vide Draco che le veniva incontro.
Quando furono a meno di un metro di distanza l'uno dall'altra, Megan si accorse che l'amico aveva un'espressione stranamente compiaciuta.
«Dove stai andando?» le chiese Draco.
Megan gli rivolse un'occhiata interrogativa e rispose «Faccio il giro di ispezione, tu invece perché sei qui?»
«Li abbiamo presi» disse, euforico.
Megan non capiva, chi era stato preso?
«Potter, sappiamo dove si nasconde» proseguì Draco «La Umbridge ha detto di aspettare che ci siano tutti, ma io non vedo l'ora di mettere le mani su quell'idiota. Questa volta sarà espulso!» esclamò trionfante.
Megan, con orrore, incominciò a comprendere.
«Ehm, grandioso» disse, cercando di mostrarsi il più convincente possibile.
«Peccato che tu non abbia accettato di fare parte della Squadra di Inquisizione, la professoressa Umbridge ci ricompenserà bene dopo stasera».
Megan annuì distrattamente; non andava bene, non andava assolutamente bene.
Harry non poteva essere espulso, ad ogni costo doveva rimanere a scuola.
In quel momento, arrivarono anche Tiger e Goyle; anche loro esibivano un sorriso raggiante sui loro volti massicci e ottusi.
«Ci siamo?» chiese Draco, tremando di eccitazione. Gli altri due si scambiarono uno sguardo confuso, poi annuirono con decisione.
«A dopo» la salutò Draco, con una voce sorprendentemente acuta; Megan rimase per un attimo immobile, quindi cominciò a correre nella direzione opposta, su per le scale e attraverso i passaggi segreti.
Non aveva ancora raggiunto il settimo piano, quando vide alcuni ragazzi dell'ES venirle incontro trafelati; qualcuno cercò di dirle qualcosa, ma Megan li ignorò e proseguì.
Stava per svoltare l'ultimo angolo, quando udì un gran tonfo, accompagnato da alcune risate di scherno; si bloccò di colpo, quindi, nascosta dietro al muro, si sporse  cautamente per spiare il corridoio.
Vide Draco, raggiante, torreggiare su Harry, che giaceva lungo disteso sul pavimento: probabilmente era appena stato colpito da un incantesimo rallentante.
E, dal fondo del corridoio, resa ancora più stridula dall'eccitazione, risuonò la voce della Umbridge «Eccellente, oh sì eccellente Draco» esultò «Cinquanta punti a Serpeverde» dichiarò, quindi, con uno sguardo di sadica soddisfazione si rivolse a Harry «Alzati Potter, ora andiamo dal Preside».

*

Con la presente, Dolores Umbridge, Preside di Hogwarts e Inquisitore Supremo la informa che è stata convocata nell'Ufficio del Preside.

Quando Megan lesse quelle poche parole, comprese che i suoi peggiori timori si erano avverati.
Qualcuno doveva aver trovato la lista dei partecipanti dell'esercito di Silente e l'aveva consegnata alla Umbridge.
Megan venne colta dal panico; non poteva venire espulsa, non avrebbe mai sopportato un'umiliazione del genere: guardare i suoi amici terminare gli studi a Hogwarts, mentre lei veniva costretta a ripiegare in qualche scuola di secondo o terzo ordine, magari addirittura fuori dalla Gran Bretagna, sarebbe stato semplicemente inaccettabile e tremendamente imbarazzante.
Ma il suo nome e la sua firma erano tracciati chiaramente e indiscutibilmente su quella pergamena, e Megan non sapeva proprio che cosa inventarsi per cavarsela questa volta.
Naturalmente, però, non poteva immaginare che quella che all'inizio le era sembrata una tragedia, si sarebbe rivelata una grande occasione.
E così, depressa e rassegnata, Megan si avviò lentamente verso la Presidenza
Stava percorrendo l'ultimo corridoio che conduceva alla Torre delle Scale di Marmo, diretta allo studio del Preside, quando incrociò alcuni altri membri dell'ES, che venivano dalla parte opposta. Quelli le rivolsero degli sguardi ostili, mormorando tra loro.
Alla fine, Macmillan disse qualcosa a voce alta, che suonava molto simile a “Lo avevo detto che non ci si poteva fidare di una Serpeverde”.
Megan, che si trovava davanti a lui, a qualche passo di distanza, si bloccò di colpo.
«Che cosa hai detto, Macmillan?» chiese, irritata, voltandosi per fronteggiare il Tassorosso.
«Che non ci si può fidare di una Serpeverde» ripeté lui, calmo. Alcuni altri ragazzi cercarono di farlo tacere, ma i più rimasero zitti, come a voler fornire una sorta di muto consenso.
«Credi che sia stata io a dire alla Umbridge dell'ES?» domandò Megan, aspra.
«È quello che pensano tutti, Parker» rispose Macmillan, scatenando mormorii di assenso. «Vuoi negarlo?» la incalzò.
Megan non ebbe il tempo di rispondere; in quel momento, un altro gruppo di studenti li raggiunse. Tutti la guadavano torvo.
Si accodarono al gruppo di Macmillan e Megan, dopo momento di esitazione, si unì a loro.
Quando poi si riunirono tutti nell'Ufficio del Preside, che peraltro sembrava essere stato teatro di una violenta zuffa, fu subito chiaro che nessuno di loro sarebbe stato espulso.
Neanche la recente promozione sembrava dunque aver dato alla Umbridge il potere di espellere qualche studente.

   «Inaccettabile» ripeté la Umbridge per l'ennesima volta «Assolutamente inaccettabile» Troneggiava su di loro, circostanza decisamente unica, dall'alto della pedana rialzata, circondata dai resti dei tavolini dalle gambe sottili; era successo decisamente qualcosa lì dentro e, a giudicare dall'atteggiamento della Umbridge, quel qualcosa non l'aveva affatto compiaciuta.
«Non posso provare le vostre continue riunioni» continuò la neo Preside «Ma la lista parla chiaro, avete infranto il Decreto ministeriale prendendo parte a un'organizzazione illegale a scopo sovversivo» li accusò; non c'era più alcuna traccia del suo solito tono affettato, la sua voce ora era acida e fredda, ma ugualmente insopportabile.
Sul fondo dello studio, accanto alla porta, i membri della Squadra di Inquisizione gongolavano come non mai, e non si perdevano una parola; solo Pansy e Draco sembravano turbati, come se la gioia del momento non potesse dirsi completa per loro; la ragione, era evidente.
«Sarete messi in punizione, fino alla fine dell'anno scolastico» stava continuando la Umbridge «Qualcuno ha da dire qualcosa a sua discolpa?» li sfidò poi.
In quel momento, Draco prese la parola «Professoressa» iniziò.
«Sì, Draco» disse la Umbridge, ritrovando improvvisamente il suo tono dolce e indulgente.
«Credo che qui ci sia stato un malinteso» continuò Draco, rivolgendo un chiaro sguardo nella direzione di Megan.
Lei si voltò a guardare prima la Umbridge, poi l'amico, poi di nuovo la Umbridge, che invece osservava entrambi in silenziosa attesa.
«Ebbene?» risolse infine la Preside.
Megan pensò in fretta.
Poteva mentire e salvarsi, o stare zitta e condividere la punizione con gli altri; già, gli altri che, senza nemmeno aver voluto ascoltare la sua versione, avevano deciso che era stata lei a tradire l'ES.
«Megan non ha mai avuto intenzione di tradirla, professoressa» continuò Draco.
Megan si sentiva la gola asciutta; non aveva idea di dove il suo amico volesse andare a parare, né come pensasse di negare l'evidenza.
La Umbridge intanto ascoltava in silenzio, indecisa se voler credere o meno a quelle parole.
Tra i ragazzi serpeggiarono mormorii confusi; Megan lanciò un'occhiata a suo fratello che se ne stava in piedi accanto a Weasley, con un espressione incredula e inorridita sul volto.
«Megan ha accettato di far parte dell'Esercito di Silente per poter avere informazioni» proseguì ancora Draco «Informazioni da consegnare a lei, naturalmente» aggiunse.
«E perché non hai detto nulla fino ad ora» chiese la Umbridge, sospettosa «E nemmeno tu, signorina Parker?»
«Come ha detto lei, professoressa» si inserì di nuovo Draco «Non c'erano mai state riunioni, quindi non aveva nulla di rilevante da riferirle. Questa sera doveva esserci la prima, e quindi Megan mi ha subito informato dei dettagli e io sono venuto a riferirli a lei».
Megan continuava a restare in silenzio, incapace di contraddire l'amico.
La Umbridge le lanciò di nuovo uno sguardo indagatore, quindi tornò a concentrarsi su Draco, che riprese, sempre più convinto «Megan si è quindi recata sul luogo, per evitare di destare sospetti, e per dire a Pansy dove poteva trovare la lista con i nomi di tutti i membri» aggiunse, al che anche Pansy annuì prontamente.
Ancora una volta, la Umbridge rimase in silenzio, soppesando le parole che aveva appena udito.
«Ebbene, signorina Parker» disse infine «È così che è andata?»
Megan, che era rimasta ad ascoltare incredula, fu costretta a dire qualcosa.
Draco le aveva appena offerto un modo per salvarsi dalla punizione, e le sarebbe bastato annuire in silenzio per scamparla; tuttavia, sapeva che, se l'avesse fatto, questa volta Harry e gli altri non l'avrebbero mai perdonata e lei non avrebbe più avuto nessuna possibilità di portare a termine il compito che Voldemort le aveva affidato.
Pur sapendo che la Umbridge si sarebbe arrabbiata con Draco per averle mentito così spudoratamente, si fece coraggio e rispose «No, professoressa».
«Che cosa è successo, allora?» strillò la Umbridge, impaziente.
Evitando accuratamente di guardare i suoi amici, Megan spiegò «Sono entrata nell'Esercito di Silente per gli stessi motivi degli altri, volevo imparare a combattere, dal momento che lei si è rifiutata di farlo… se per mancanza di volontà o per totale incapacità non saprei dirlo» dichiarò, scatenando mormorii di approvazione tra i membri dell'ES.
«Come osi?» scattò la professoressa, ma Megan si affrettò a concludere «Quindi non c'era nessun altro scopo, ho aderito al gruppo per contrastare la sua totale ignoranza in materia e se crede che questo meriti una punizione, allora verrò punita anche io come tutti gli altri».
«Puoi starne certa, signorina Parker» promise la Umbridge.

*
 
Ovviamente, gli altri Serpeverde l'avevano presa molto bene.
La Umbridge si era limitata a togliere dieci punti a Draco per averle mentito, ma comunque il danno morale era elevatissimo.
Megan non aveva risposto alle domande insistenti dei suoi amici, così loro avevano iniziato a trattarla con freddezza e distacco, come se lei fosse una portatrice sana di una qualche oscura e infida malattia.
Un giorno, forse molto presto, Megan avrebbe rivelato la vera ragione del suo gesto, e allora i suoi amici avrebbero capito e tutto sarebbe ritornato come prima.
Quanto ai membri dell'ES, erano rimasti tutti piacevolmente colpiti dal suo comportamento, William più degli altri, e Megan non si era mai trovata tanto in sintonia con loro in tutta la sua vita; condividere la punizione della Umbridge aveva creato una sorta di legame tra loro, suggellato dalle orrende cicatrici inferte dalle penne incantate della sadica Preside.
Inoltre, era anche stato scoperto il nome della spia; a quanto pare la Granger aveva stregato l'elenco dei nomi, con una incantesimo alquanto crudele per una studentessa irreprensibile come lei, azione, questa, che le era valsa i sinceri complimenti di Megan.
Poco dopo quella spiacevole avventura, comunque, giunsero le vacanze di Pasqua; Megan pensò che quella potesse essere una buona occasione per mettere in atto il suo piano, ma, ancora una volta, avvenne qualcosa che la costrinse a cambiare i suoi progetti.
Due giorni prima della sospensione delle lezioni, infatti, Megan aveva ricevuto una lettera dei suoi genitori, che le ordinavano, neanche troppo velatamente, di tornare a casa.
Da sola, avevano precisato.
Dal momento che, come William, aveva programmato di restare a Hogwarts per studiare, dovette inventarsi una scusa: disse che aveva scelto di tornare a casa perché lì avrebbe potuto concentrare meglio, visto che nel proprio dormitorio non era più la ben accetta; suo fratello inizialmente si offrì di farle compagnia, ma si lasciò convincere facilmente a rimanere a scuola insieme ai suoi amici e, per fortuna, non sospettò nulla.

*
Era tornata a casa da un paio di giorni.
I suoi genitori non le avevano ancora lasciato intendere nulla riguardo la loro richiesta tanto insolita quanto preoccupante.
Nella tarda mattinata del terzo giorno, tuttavia, Megan ebbe le sue risposte.
Stava scendendo le scale, diretta in giardino dopo una lunga, noiosa, sessione di studio; era una bella giornata primaverile e non vedeva proprio l'ora di rilassarsi per una mezzoretta all'ombra di uno dei maestosi alberi che punteggiavano il parco della villa.
Arrivata nel grande atrio d'ingresso si fermò un momento; aveva davvero voglia di qualcosa di fresco da bere, e magari anche di un bel libro da leggere, qualcosa di leggero per svagarsi un po'.
Decise che avrebbe chiesto di occuparsene a Ellie, L'Elfa Domestica della sua famiglia.
La chiamò, ma non ottenne alcuna risposta; era dalla sera precedente che Megan non riusciva a trovarla, e si chiese se per caso non si fosse ammalata, anche se quella sarebbe stata la prima volta.
Decise di arrangiarsi.
Non aveva voglia di risalire le scale per raggiungere la biblioteca, così si diresse verso il salotto, dove si trovavano alcuni scaffali che offrivano comunque una scelta abbastanza vasta.
Aveva mosso appena qualche passo, quando vide suo padre uscire proprio dalla porta del salotto.
Aveva il volto tirato e sfoggiava un'espressione preoccupata; per un istante non parve nemmeno vederla.
«Megan» esordì alla fine «Vieni» disse semplicemente e, senza darle altre spiegazioni, rientrò nella stanza.
Megan aveva visto suo padre così teso solamente una volta e la ragione, come constatò poco dopo, era la medesima.
Varcò la soglia del salotto e ad accoglierla trovò Lord Voldemort, che se ne stava tranquillamente seduto sulla poltrona, con le lunghe dita bianche intrecciate davanti a sé, mentre la povera Ellie se ne stava accucciata accanto a lui, pronta ad esaudire qualunque richiesta.
C'era anche sua madre, seduta sul divano, e sul suo bel volto c'era la stessa espressione tesa del marito.
Megan esitò un istante, colta di sorpresa, quindi riprese ad avanzare, e fu solo allora che si rese conto che l'esile creatura ai piedi del Signore Oscuro non era Ellie; l'esserino infatti, era sì un Elfo Domestico, ma non il suo.
«Megan» la salutò Voldemort, con un scintillio sinistro nei freddi occhi sanguigni. «Ho saputo che ti sei ristabilita completamente dopo il nostro ultimo incontro» aggiunse poi.
Suo padre, quello adottivo, aveva intanto preso posto accanto alla moglie e scosse la testa impercettibilmente a quelle parole; non sembrava arrabbiato, ma, piuttosto, deluso.
Per un po' nessuno disse nulla, poi, all'improvviso, l'Elfo sconosciuto emise una sorta di rantolo gutturale, come se volesse segnalare la sua presenza.
«Oh, lui è Kreacher» presentò Voldemort, con noncuranza «Ma tu lo conosci già, non è vero?»
L'Elfo, sentendosi nominare, sollevò la brutta testa rugosa, e finalmente Megan lo riconobbe: era l'Elfo Domestico di Sirius Black.
«Mi ha riferito alcune informazioni importanti, sai» continuò Voldemort «Non sapevo che Silente ti avesse accolta nel suo esclusivo circolo segreto»
Megan, ormai incapace di dire alcunché, si limitò ad abbassare lo sguardo.
Di nuovo,  nella stanza cadde il silenzio, rotto alla fine dalla parole del Signore Oscuro.
«Vincent, vai pure, voglio scambiare due parole con mia figlia» ordinò al suo seguace, che, prontamente obbedì; sua madre, non essendo stata nominata, esitò un istante, quindi si rassegnò a seguire il marito ed uscì dalla stanza.
«Vieni Kreaher» ordinò poi suo padre e il brutto Elfo si affrettò a eseguire, infilandosi malamente nello spiraglio della porta che, velocemente, venne chiusa.
Megan non osava emettere un suono.
«Siediti» ordinò il Signore Oscuro, passando rapidamente alla lingua sibilante dei serpenti; Megan, riluttante, obbedì e prese il posto di sua madre sul divano, lo sguardo fisso sul pavimento.
«Mi congratulo con te» esordì Voldemort «Non credevo riservassi così tante sorprese» continuò; Megan sollevò di scatto la testa, ormai completamente smarrita.
«Questo ci da un vantaggio inaspettato» proseguì Voldemort «E l'Elfo mi ha rivelato alcune importanti informazioni» .
Fece una pausa, quindi si alzò e si diresse verso il camino, dandole le spalle.
«Dimmi» disse alla fine «Come definiresti il rapporto tra Potter e Black?»
Megan, sempre più confusa, rispose «Black è il suo padrino».
«E sono legati?» chiese Voldemort.
«Credo di sì».
«Quanto?» insistette lui.
«Molto, immagino».
«Ho bisogno di saperlo!» ringhiò Voldemort, battendo il pugno bianco contro la mensola del camino; Megan arretrò sullo schienale del divano.
«Sono molto legati, credo che Black lo consideri come un figlio, o un fratello, non saprei davvero come interpretarlo» rispose lei, tutto d'un fiato.
«E Potter?» la incalzò il Signore Oscuro.
«La stessa cosa».
«Credi che metterebbe a rischio la sua vita per salvarlo?»
«Senza dubbio» rispose Megan, senza esitazione.
«Eccellente» esalò Voldemort, ritornando a sedere sulla poltrona.
«Ma non avrai modo di catturarlo, resta sempre chiuso a… » obiettò Megan, interrompendosi poi quando si rese conto che non era in grado di pronunciare il nome del rifugio segreto dell'Ordine.
«Incanto Fidelius» riconobbe il Signore Oscuro «Non sarà un problema» tagliò corto. «Quello che voglio da te» continuò poi «È che ti assicuri che Potter non abbia la possibilità di contattare nessuno e che corra al Ministero per salvarlo».
«Credevo che avessi affidato a me il compito di portare Harry al Ministero» protestò Megan, senza pensare.
«Infatti, ma hai fallito» decretò Voldemort.
«Non-» tentò di protestare ancora, ma il Signore Oscuro la interruppe «Non importa, ora farai come ti ho detto, mi hai capito?»
Megan annuì in silenzio.
«Rispondimi!» ringhiò Voldemort, le narici a fessura dilatate.
«Sì, ho capito» rispose Megan, tra l'arrabbiato e lo spaventato.
«Bene» approvò il Signore Oscuro, ritrovando il suo tono freddo e calmo «Ora puoi andare» disse alla fine.
Megan esitò un istante, quindi decise che fosse meglio non contrariarlo e lasciò la stanza. I suoi genitori attendevano poco oltre l'ingresso; quando la vide, sua madre non riuscì a reprimere un gemito di sollievo.
Tuttavia, Megan non aveva voglia di parlare con nessuno; le passò accanto in silenzio, quindi risalì le scale in fretta, mentre con la coda dell'occhio vedeva suo padre rientrare nel salotto, evidentemente per ricevere altre istruzioni dal suo Signore.


* * *

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