A Holiday in Asbury Park of Sandy…

di Evola Who
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Riepilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


A Holiday in Asbury Park of Sandy
 
 


“Il volo 036780 da Atlantic City per Milano avrà un ritardo di un’ora. Ci scusiamo per il disagio.”

“Beh, almeno non è il mio aereo” pensò una giovane ragazza con aria stanca.

Era seduta nella sala d’attesa dell’aeroporto della metropoli del New Jersey, con il suo trolley accanto e la fedele borsa a sacco di “Doctor Who” sotto la spalla. Era pronta a tornare a casa, nella sua città, dalla sua famiglia, e persino dai problemi che doveva affrontare tornando in patria, con la sua noiosa e barbosa routine.

Dopo aver passato probabilmente la settimana più bella della sua vita. Una vacanza ad Asbury Park. Sette giorni in una piccola località di mare della provincia Americana.

Per lei era un posto che nascondeva un luogo pieno di storia del rock, grazie al passaggio del mitico boss. Era anche una cittadina che l’aveva sempre incuriosita e che aveva sognato per molto tempo.

In quel momento provava una profonda tristezza e solitudine. E non era solo all’idea di tornare a casa, piuttosto per quello che si stava lasciando alle spalle.

Toccò il medaglione della collana che portava attorno al collo, pensando a tutto quello che aveva passato in quella settimana…
 
****
 
“Ecco la sia stanza!” disse la signora Wher, aprendo la porta con tono cordiale. “La stanza n°30. Seconda me è la più carine di tutte!”

La giovane entrò nella camera, guardandosi intorno e appoggiando a terra la sua valigia. Il letto matrimoniale era ben fatto, la porta del bagno era aperta, i mobili erano di legno luccicante, c’era una toletta e le finestre erano chiuse; la tappezzeria era in stile Vittoriano. Era davvero una stanza carina e molto “british” ma in un certo modo rustico e confortevole.

“Allora, il pranzo sarà servito alle dodici, la cena alle sette e la colazione alle otto” spiegò la signora Wher. “Se le interessa, può affittare la nostra ‘tea room’ in ogni momento.”

“Sì, ho letto della vostra deliziosa tea room. Ma non credo di averne bisogno. Mi dispiace” rispose la giovane ospite con tono dolce.

“Oh, non si dispiaccia, il mio era un piccolo suggerimento, non un obbligo” e fece una piccola risata. “Tenga le sue chiavi. Le ho già spiegato tutte le cose più importanti. Per qualsiasi dubbio, può chiedere sia me, a mio marito e all’intero staff.” Le diede le sue chiavi e la augurò un buon soggiorno.

Quando la ragazza rimase sola, fece un lungo sospiro di sollievo, gettò la sua borsa sul letto, per poi buttarsi sul materasso. Sospirò ancora una volta e riposò gli occhi per un attimo.

Pensava a tutto quello che doveva fare: aprire la valigia, sistemare i vestiti nell’armadio, fare una videochiamata su Skipe con sua madre, mettere sotto carica il cellulare, il computer portatile, la macchina fotografica; e doveva anche organizzarsi.

Ma ora tutto quello che volevo fare era solo un lungo bagno caldo che la facesse rilassare e che l’aiutasse a riprendersi da quel lungo viaggio in aereo.

E lo fece. Si sentì molto fortunata di aver trovato la vasca da bagno al posto della doccia. Passò un lungo momento a mollo nella vasca, rilassandosi. Dopodiché si concesse di leggere un libro sulla terrazza dell’hotel, godendosi l’aria fresca dell’estate, il verso dei gabbiani e il rumore delle onde dell’oceano in lontananza.

Mentre il sole tramontava davanti a lei, dietro alle case in stile vittoriano si godette quel momento di silenzio e l’inizio della vacanza.
 
****
 
Il giorno dopo, era davanti al Convention Hall, sorridente e con in mano la sua Canon digitale. Fotografò l’esterno del teatro/centro commerciale, per poi entrarci dentro, dove si trovavano dei piccoli negozi di vestiti, di articoli da spiaggia, bar e ristoranti. E poi, al di là di quelli, l’ingresso del teatro. Era talmente affascinata che continuava a scattare foto.

Passò il resto della mattinata a camminare sul lungo mare di Asubry Park, fino ad arrivare al casinò abbandonato decenni prima. Ora era solo uno scheletro di un edifico senza porte e finestre.

Scattò delle foto dell’entrata, per poi entrare anche lì, e ne rimase affascinata: certo, dentro non c’era niente, ma consisteva comunque in un edificio vuoto, con il pavimento di marmo rovinato, il tetto fatto a pezzi, le pareti arrugginite e un enorme graffito psichedelico su un lato della parete.

La ragazza rimase a bocca aperta e si guardò intorno. Quel luogo l’aveva colpita tanto che si mise a fare foto avanti e dentro, vedendo i raggi del sole che filtravano delle ormai ex finestre e che davano un po’ di luce all’interno.

Trovava quella scena davvero bella ai suoi occhi e non poteva fare a meno di immortalare tutto con la sua Canon; quando vide i risultati, si accorse che erano solo scatti solitari, senza persone, non ce n’era nemmeno una che la ritraesse in in quei luoghi.

E da quel momento sentì una piccola sensazione di sconforto e solitudine. Avrebbe voluto avere qualcuno, in quel momento, che le scattasse delle foto. E non solo.

Le sarebbe piaciuto avere un amico che le facesse compagnia in quell’avventura. Ma purtroppo non ne aveva molti. Soprattutto non aveva molti che fossero disposti ad andare fino a là con lei. Ma se ne era fatta una ragione e si era convinta che si sarebbe divertita anche da sola. Anche se a volte provava quelle sensazioni di sconforto.

Fece un lungo sproprio, si riprese e continuò a camminare, fino alla fine del casinò. Passò il resto della giornata tra i negozi e ristoranti della riva e alla spiaggia, fino a sera, tra una passeggiata, una nuotata, gli scatti e tanto altro.

Fece le stesse cose anche il giorno dopo, finché decise di uscire la sera e andare allo Stone Pony, il mitico locare dove il boss aveva suonato prima di diventare la leggenda che era.

Ci andò a piedi, con la sua borsa e la sua macchina fotografica.
Era emozionata. Non vedeva l’ora di passare una serata divertente.
Quando vide la famosa entrata, ritratta in varie immagini, non poté fare a meno di scattare una fotografia, prima di entrare.

Rimase colpita, il locale era pieno di presone di ogni età e etnia, mentre una band sul palco scenico suonava un blues rock che le ricordava quello dei Blues Brothers.

Il locale era come lo aveva visto nelle fotografie: appese alle pareti c’erano chitarre elettriche autografiche, vecchie locandine e delle gigantgrafie dedicate al boss, una di Bruce Springsteen da giovane e una della copertina del sul primo album, ovvero “Greetings from Asbury Park, N.J.”. Rimase sorpresa anche dal bancone del bar: era un ovale chiuso con sedie e grandi tavoli in fondo.

La giovane era entusiasta, non poteva fare a meno di sorridere. Non era tipa da locale, soprattutto non era una che frequentava la vita notturna. Eppure, in quel momento si sentiva completamente spontanea e a suo agio.

Forse per la musica, forse per la storia che c’era in quel luogo, o forse per il pensiero di essere lontanissima da casa, in un paese straniero dove nessuno la conosceva.

Ma ora voleva solo divertirsi e godersi quella serata. Andò al balcone e ordinò solo una coca con limone, guardandosi attorno e scattando un sacco di foto. Probabilmente la gente intorno a lei pensava che fosse solo una turista troppo entusiasta. Non le importava. Le piaceva pensare di essere una giornalista/fotografa di fama mondiale a caccia dello scatto prefetto.

Dopo aver scattato, andò davanti al palco, per ascoltare quella band, probabilmente locale, di Rhythm and blues, tenendo il ritmo a tempo con il resto del pubblico battendo la mano sul bicchiere della sua bevanda, con un enorme sorriso in volto.

Quando la band finì la sua canzone, il cantante chiese se tra il pubblico qualcuno avesse una qualche richiesta; erano disposti a suonare qualsiasi canzone che volessero sentire, purché fosse bella.

Così la ragazza iniziò a dire voce altra: “Spirit The Night” con tono entusiastico.

“Oh, abbiamo voglia di classici!” disse il cantante, facendo ridere il pubblico, poi iniziarono a suonare.

Lei iniziò a canticchiare tra sé e sé, saltando a tempo di musica e muovendo la testa secondo il ritmo. Si divertì tanto che quella diventò la più bella serata della sua vita.
 
 
A mezzanotte passata, la band finì di suonare. Per lei era ora di ritornare al albergo.

Appena uscita dal locane iniziò a camminare, finché non sentì una voce maschile dietro di lei: “Ehi! Scusami!”.

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Note:
Sono tornate! :D
Dopo una lunga pausa (veramente, ho scritto, copiato e
iniziato a lavorare) da EFP sono trornata!
Ma con la prima storia originale.
E, per chi non lo abbia capito ispirandomi 
alle canzoni e un pò della "figura" di Bruce
Springsteen. Ovvero, il Boss.
Ma è una storia originale con presonaggi 
creati dalla mia folla mente.
Mi solo ispirata sia dal luogo e
dalle sue canzoni.
Spero che vi piaccia!
A presto! 

 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


 

Lei si girò con aria confusa vedendo un ragazzo che correva verso di lei. Probabilmente era uscito dallo stesso locale. Rimase ferma sul posto, mentre lui si avvicinava.
 
“Scusami, spero di non disturbarti, ma volevo solo confermare le mie deduzioni” le disse.
 
“Le tue deduzioni?” ripeté lei perplessa con aria stranita guardando lo sconosciuto.
 
Era un ragazzo sui i vent’anni, alto almeno 1,80 m, con fisico asciutto e spalle large, viso tondo, occhi scuri, capelli corti ma arruffati di un intenso castano scuro. Indossava una camicia nera, dei blue jeans chiari e un paio di scarpe di tela. Stava sorridendo, mentre lei era sorpresa e un po’ preoccupata.
 
“Sì, la mie deduzioni su di te. Ovvero che sei una turista, ma non Americana, probabilmente Europea. Forse è la tua prima volta in questo paese, e sei venuta fin qui perché tu sei fan del Boss. Visto che questo luogo è famoso grazie a lui. E come molti fan di tutto in mondo vengono qui, anche tu volevi farlo almeno una volta nella vita” fece un sorriso vittorioso, sicuro delle sue parole.
 
La turista si mise a braccia conserte, ricambiando il sorriso: “Davvero ottime deduzioni, Sherlock. Ma se ti fossi sbagliato? Se io fossi una semplice turista e basta? O una giornalista free lance che sta scrivendo un articolo sulle province Americane?” rispose con uno sguardo divertito, pronta ad ascoltare la sua risposta. 
 
“È vero, hai ragione. Potresti essere tutto quello che hai appena detto. Però c’è una cosa che hai fatto che mi dà ragione. Ovvero la canzone che hai scelto”.
 
La ragazza rimase stranita, ma lo guardò con uno sguardo divertito, iniziando a ridere. E lo sconosciuto con lei.
 
“Comunque, spero di non averti spaventata per queste domande” disse il ragazzo.
 
“No, no. Sono un po’ perplessa, ma non spaventata” lo rassicurò lei sorridendo. “Spero di averti fatto vincere qualche scommessa tra te e i tuoi amici.”
“Veramente no.” ammise. “Non ho dimostrato le ‘mie doti da detective’ per una stupida scommessa tra amici. Ma per attaccare bottone e conoscerti”.
 
Lei rimase completamente sorpresa, di solito non pensava molto ai ragazzi e anche loro non si erano mai interessati troppo a lei. Quindi non aveva idea di come definire quell’incontro e soprattutto quella ammissione.
Ci stava provando? Stavano flirtando? O quel ragazzo voleva solo presentarsi senza nessun doppio fine?
 
Qualsiasi cosa fosse voleva scappare via il più lontano possibile. Prima di dire qualcosa di stupido o imbarazzante. Ma no, rimase lì, a guardarlo negli occhi, con aria stupita, e rimanendo in silenzio pensando a cosa dire.
 
Era in vacanza, lontano da tutti, e poteva fare tutto quello che voleva. Perciò decise di rimanere là per vedere come sarebbe andata a finire e accettare tutti i rischi.
 
“Comunque sono contento che io non ti abbia spaventata. Solo che ti ho vita dentro al locale e… volevo conoscerti” ammise un po’ timido, cosa che a lei fece piacere.
 
“In un modo diretto. Non è da tutti” rispose ironicamente.           
 
“Lo so, a volte essere diretti fa un po’ paura e si corre il rischio di ‘intimorire’ un po’ le persone, ma è l’unico modo per essere chiari. E poi anche io sono fedele al boss. Quindi…” ed entrambi risero. “Comunque io sono Bobby Jean” aggiunse poi per presentarsi.
 
“Bobby Jean?” rispose lei stupita.
 
“Sì, Bobby Jean. Come la canzone. Anche se il mio nome completo è Bobby Jean Stewart. Puoi chiamarmi solo Jean” spiegò e sorrise. Un sorriso luminoso e allegro.
 
La giovane si fece contagiare da quello sguardo, ricambiando il sorriso, divertita per quello strano nome.
 
“Immagino che anche i tuoi genitori siano fedeli al Santo Boss” rispose ironicamente.
 
“Già. E mia sorella si chiama Rosie Jane Stewart.”
“Rosie, come la canzone ‘Rosalita’.”
 
“E Jane come ‘Incident On 57th Street’.”
I due risero ancora insieme.
 
“Mi chiamo Sandy” si presentò la ragazza.
 
“Ovvero la canzone di questa città” commentò il ragazzo sorpreso.
 
“E secondo te sono qui per caso?” domandò ironicamente. “Purtroppo non è così” aggiunsi, smettendo di ridere. “Mia madre quando era incinta guardava una Soap opera e una delle protagoniste si chiamava ‘Sandy’, quel nome le piaceva e mi ha chiamata così”.
 
“Comunque è pur sempre un bel nome” disse il ragazzo.
 
Dopo pochi minuti, Jean le propose di accompagnarla fino al suo hotel. Sandy acconsentì e i due si incamminarono a piedi. Durante il tragitto iniziarono a conoscersi un po’ meglio. Sandy chiese se lui fosse originario di Asubry Park e lui rispose che era nato e cresciuto a Farmingdale, una piccola cittadina della contea di Nassau. Fin da piccolo andava lì ad Asbury Park in vacanza ogni estate. Adesso viveva a New York, si era appena laureato alla School Of Visual Arts, parlando della sua passione per il disegno e per i fumetti, un'altra cosa che i due avevano in comune.
 
Sandy raccontò la sua vita: viveva a Londra, studiava lettere classiche, era la sua prima vacanza da sola all’estero e il suo sogno era diventare una scrittrice.
 
Entrambi iniziarono a provare un interesse e un fascino l’uno per l’altra, provando una piccola sensazione di complicità tra loro. Sembrava proprio che provassero le stesse emozioni.
 
Quando arrivano al bed and breakfast di Sandy, Jean domandò: “Tu alloggi qui?”.
 
“Lo so. Un po’ rustico. Ma mi ricorda casa” rispose lei sarcastica e i due risero.
 
“Comunque grazie per avermi accompagnata fin qui. È stato un piacere conoscerti, Jean”
“Anche per me, Sandy.”
 
Si guardarono negli occhi, scambiandosi uno sguardo luminoso, ma con l’aria tesa. Entrambi erano imbarazzati. Non sapevano che cosa dire. O meglio, sapevano che cosa dire, ma non sapevano come farlo.
 
“Allora, ti auguro buonanotte. E… una buona permanenza ad Asbury Park” Jean ruppe il silenzio guardando in basso.
 
“Grazie. Allora, buonanotte e grazie ancora.”
 
Si scambiarono un ultimo sorriso. E poi Jean si voltò e iniziò a camminare.
Sandy capì che non voleva che se ne andasse, non così almeno. Ma non sapeva che cosa fare. A parte continuare a guardarlo mentre si allontanava lungo il marciapiede. Quando vide la sua Canon, le venne una idea. Lo chiamò e lui si girò indietro.
 
“Sei bravo con la fotografia?” gli domandò.
 
Jean si avvicinò a lei dicendo confuso: “Cosa?”
 
“Ti ho chiesto se sei bravo con le foto” ripeté e indicò la sua Canon.
 
“Beh, ho fatto un corso di fotografia in terza media e in prima superiore. Quindi posso dire che ho le basi, ma non so se sono bravo” spiegò guardando in basso.  La ragazza sorrise convinta della sua idea riuscita.
 
“Perché?” domandò lui.
 
“Beh, ci sono dei luoghi in cui mi piacerebbe scattarmi delle foto. Ma purtroppo sono troppo ‘anti conformista’ per riuscire a farmi un selfie decente… quindi mi servirebbe qualcuno che mi faccia da fotografo”.
 
“In pratica, vuoi un cavalletto umano” rispose Jean ironico.
 
Sandy rise per la sua battuta, dicendo: “Sì, praticamente mi serve un cavalletto umano. Ma anche qualcuno che conosca bene la zona” disse l’ultima fase con serietà.
 
Jean rimase sorpreso da quelle parole, ma era contento da quella proposta: “D’accordo, anzi, sarà un piacere aiutare una giovane turista. Per il boss” rispose.
 
“Amen” disse Sandy ridendo.
 
Così si accordarono per il giorno successivo, decidendo di trovarsi davanti alla gelateria sulla riva verso le dieci, a patto che ognuno pagasse la propria parte e si diedero di nuovo la buonanotte.
 
Sandy stava camminando verso al bed and breakfast, ma Jean chiamò di nuovo, lei si girò, dicendo: “Sì?”
 
“Posso farti una domanda?”
 
“Certo”.
 
“Prima al locale, quando la band ha chiesto delle proposte. Ecco… perché tu hai scelto proprio ‘Spirit In The Night’?”
 
Lei rimase un po’ perplessa dalla sua domanda, ma lui continuò: “Insomma, nel senso: con tutte le canzoni più rock del boss, perché proprio quella?”
 
“Perché è stata la prima canzone a farmi rivalutare Bruce Springsteen.
Nonché una delle mie canzoni preferite in generale” rispose sorridendo. “Mi piacciono la musica, il ritmo e il testo. Vorrei vivere anche io una storia come quella, anche se non sono mia stata una tipa notturna” e rise.
 
“Però, dopo quella canzone ne ho sentita un'altra, un'altra, e un'altra cora. Finché non mi sono innamorata perdutamente delle sue parole, delle sue storie, della sua musica e del suo modo di cantare. Penso che sia arrivato nel momento giusto della mia vita”.
 
Guardò in basso, con occhi lucidi, ma sempre con il sorriso sulle labbra, questa volta nostalgico, come se stesse ricordando chi sa quanti ricordi.
Jean la guardò affascinato da quelle parole, la capiva.  La capiva perfettamente. E non poteva fare a meno di essere affascinato da lei.
 
“E poi avevano un bravo sassofonista, quindi perché non approfittarne?” aggiunse, alzando la testa. Ancora una volta risero entrambi.
Si guardarono per l’ultima volta negli occhi, scambiandosi un sorriso dolce e salutandosi definitamente.
 
Quando Sandy entrò in camera si sentì felice per quella serata e eccitata per il giorno successivo. Aveva fatto una cosa che non era mai riuscita a fare prima. Ovvero invitare un ragazzo per un appuntamento. Anche se per lei era un appuntamento con un protezionale “amico occasionale estivo” e sapeva che non sarebbe mai nato niente di romantico. Però ammetteva che era carino.
 
Si convinse che non sarebbe mai successo nulla tra di loro in quel senso. E poi la sua vacanza era già perfetta così come era iniziata. Non avrebbe potuto chiedere di meglio.

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Note:
Nuovi capitolo!
Spero che questa storia vi piaccia
Volevo pubblicarlo domenica,
ma devo da fare. 
Qundi, pubblicerò addeso.
Grazie mille per i vostri commenti. :)
Evola

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Il giorno dopo,

Erano nella piccola gelateria sulla riva, e stavano facendo una cosa insolita per entrambi, ovvero gelato a colazione. Presero dei gusti quasi simili: Sandy prese una coppetta con cioccolato, panna montata e menta. E Jean una con caffè, cioccolata e panna montata.
 
Erano seduti uno di fronte all’altra al tavolo di legno in stile in pic-nic. Lei iniziò a spiegare i luoghi in cui avrebbe voluto essere immortalata: la spiaggia, il casinò, da Wonder bar, sulla riva e Jean raccontò che avrebbe potuto accompagnarla anche in città e in altri locali.
 
All’inizio, Sandy non voleva che si disturbasse così tanto e non voleva approfittarsi della sua disponibilità. Ma lui riuscì a convincerla del contrario facendole capire che era un piacere. Sandy si sentì davvero fortunata e grata per la sua gentilezza.
 
Dopo essere messi d’accordo, iniziarono a conoscersi meglio parlando delle loro vite e delle loro passioni, scoprendo di aver moltissime cose in comune.
 
La passioni del disegno e die fumetti Marvel e DC. Fino alle grafic novel e alle vignette, oltre che la passione per il cinema, dai film più commerciali ai cult classici. Ma avevano anche altre passioni che non li accomunavano molto: Sandy adorava scrivere, leggere e non aveva un genere o uno scrittore preferito, bastava che un libro la affascinasse per riuscire a leggerlo in meno di una settimana.
 
Adorava anche le serie tv e animate e non le piaceva molto uscire. Era una ragazza introversa, che adorava i suoi spazi dopo aver visto tante persone per molto tempo. Preferiva avere una piccola cerca di amici.
 
Jean era un po’ diverso: non era un grande appassionato di serie tv, e guardava poche serie animate, ma era anche un grande appassionato di anime e manga. A lui piaceva uscire un più spesso di sera, sia da solo che con gli amici. E suonava la chitarra da quando andava alle medie.
 
Entrami adoravamo gli stessi generi musicali: dal rock Inglese e Americano anni 50’, 60’ e 70’ ai più classici miti di blues. A Sandy piaceva anche la disco music e a Jean il jazz e l’Hip-hop. Più parlavano, più sembravano conoscersi da una vita. Entrambi avevano la sensazione di poter dire qualsiasi cosa all’altro, senza mai sentirsi a disagio.
 
Anche i loro caratteri erano un po’ differenti: all’inizio Sandy sembrava timida, ma quando si rilassò diventò più solare e aperta. Al contrario di Jean che, pur con un carattere più socievole, si dimostrava ancora un po’ timido e guardava quasi sempre in basso, sorridendo.
 
“Ieri mi hai detto che hai ‘riscoperto’ Bruce. Giusto?” chiese Jean.
 
Sandy rimase un po’ confusa da quelle parole.
 
“Nel senso che, prima lo ascoltavi ma non ti piaceva. Giusto?”
 
“Sì.” Ammise lei finendo il suo gelato. “La prima canzone che ho sentito del boss è stata ‘Born in the U.S.A’ a quattordici anni. E dal ricordo che ne avevo mi sembrava una hit anni’80 come una canzone di tanti altri cantanti dell’epoca.”
 
Il ragazzo rise divertito rispondendo: “Sul serio?”
 
“Lo so, lo so. Avevo quattrodici anni e a quel tempo ascoltavo solamente i Beatles e le band rock Inglesi. Non ascoltavo molto la musica anni’80.”
 
Spiegò ridendo e guardando in basso. “Pensavo che fosse una canzone becera sull’orgoglio Americano.”
 
“E invece è una bella critica proprio all’orgoglio americano e alla guerra del Vietnam” rispose Jean.

“Peccato che Reagan l’abbia usata per la sua campagna elettorale, dimostrando di non aver capito il messaggio.”
 
“Meno male che esiste la versione acustica” aggiunse lei.
 
“Parole sante.”
 
Fecero un finto cin-cin con le loro coppette quasi vote.
 
“Solo due anni fa ho ascoltato ‘Spirit In The Night’, quasi per caso. E… l’ho rivalutato tantissimo” continuò Sandy. “E ho rivalutato anche quella canzone.
 
Soprattutto quel testo” fece un mezzo sorriso. “Non sembrava il testo di una canzone, ma una storia, una storia appassionata e dolce. Poi ne ho ascoltata un'altra, un'altra e un'altra ancora. E mi appassionavo a quelle storie, un po’ dolci, un po’ allegre, un po’ romantiche e un po’ amare. In un modo così appassionante e reale… non lo so. In quel momento avevo bisogno di sentire quei racconti.
 
 Dopo mi sono letta la sua autobiografia in meno di una settimana” fece una risatina divertita e Jean si intenerì davanti a quella reazione, sebbene si fosse un po’ intristito nell’udire quel racconto.
 
“E più andavo avanti, più sembrava un romanzo ‘On The Road’ di un uomo che ce l’aveva fatta nella vita. Ma ho capito che ancora oggi ho bisogno di sentire quelle storie di vita reale. Talmente tanto che sono venuta fin qui a scoprire quei luoghi di quei racconti” alzò leggermente le braccia in altro per indicare tutta la vita, finendo la sua storia.
 
Jean rimase affascinato dalle sue parole, gli suonavano così autentiche e avvincenti e non poteva far a meno di essere più ammirato da lei. Talmente tanto che sarebbe potuto stare lì seduto per ore.
 
“Invece la tua passione per Springsteen è stata ereditata già dal nome?”

“Già. I miei sono i più grandi fan del Boss sin dai tempi del liceo. Anche se mia madre è la più grande appassionata di musica della famiglia” raccontò Jean alzando lo sguardo con un sorriso nostalgico.
 
Sua madre fin da piccola amava la musica, passione che le era stata tramessa dai suoi genitori, che avevano origini di New Orleans, che le avevano passato la passione per il soul e il blues. Imparò a suonare la chitarra a dieci anni e poi il basso al liceo.

Da ragazza aveva creato un gruppo punk rock di sole ragazze, dopo il fenomeno delle girl band come le Go-go, le Expose, The Quanaways e molte altre.
 
Avevano molto successo sia a scuola che agli eventi locali. E grazie alla sua band aveva conosciuto il padre di Jean e si erano innamorati grazie alla musica. Ora lei lavorava come DJ radiofonica della radio locale.

Era riuscita a condividere la sua passione con i due figli: infatti sua sorella maggiore era diventata una polistrumentista maestosa, studiando al conservatorio. Ora era insegniate di musica di un liceo privato.
 
Anche se Jean aveva imparato a suonare la chitarra, aveva ereditato la passione di suo pare, ovvero il disegno e i fumetti. Suo padre era un grafico pubblicitario. Infatti, lui voleva diventare fumettista, ma suonava la chitarra come sfogo delle emozioni e dello stress.

Sandy era ammirata da lui e dalla sua famiglia, legata dalla stessa passione e amore.
 
Jean chiese dei genitori di Sandy e lei rispose con un po’ di amarezza: era la seconda figlia di una famiglia, aveva un fratello maggiore e una sorella minore. Nessuno condivideva le sue passioni, sua madre era sempre stata una casalinga che aveva passato con la famiglia ogni suo attimo e non era mai riuscita a coinvolgerla in nessun tipo di passione.
 
Suo padre su certe cose era molto autoritario e non riusciva mai a coinvolgerlo quasi per niente. Ed era molta diversa dai suoi fratelli. Faceva sempre la “strana” della famiglia, scoprendo tutto quello che le piaceva, quasi sempre da sola.
 
“Questo non vuol dire che non gli vogliono bene. Anzi, siamo molto legati, voglio loro un bene dell’anima e non immaginerei la mia vita senza di loro. Ma mi sento sola ad avere tante ispirazioni e passioni, senza nessuno con cui condividere qualcosa” spiegò lei. “Mi piacerebbe diventare una scrittrice. Ma i miei non capiscono quello che voglio fare e quello che scrivo.
 
 Loro vorrebbero che io trovassi un lavoro un po’ più ‘normale’” guardò in basso con aria inespressiva, ma dietro i suoi occhiali nascondeva un’aria triste e malinconica.
 
“Capisco…” rispose Jean.
 
Sandy alzò gli occhi di scatto un po’ stranita ma sorpresa da quelle frasi.
 
“Alle medie volevo condividere tutto quello che mi piaceva con gli altri miei compagni. Ma non è stato così.” E guardò in basso. “Tutti mi prendevano in giro per quello che dicevo, per quello che ascoltavo e per quello che mi piaceva.” Giocò con il cucchiaino di plastica dentro alla coppetta vuota.
 
“Volevi essere accettato, ma non riuscivi a essere uguale a loro” Continuò lei, capendo che avevano vissuto la stessa situazione durante l’adolescenza.
 
“Ma in fondo è meglio essere anticonformista originale” finì sorridendo.

“Parole sante.” Rispose Sandy e i due risero insieme.
 
“Allora, facciamo queste foto?” chiese Jean convinto e pronto a mostrarle la città.

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Note:
Ecco il nuovo capitolo!
Questo è un capitolo molto intrurativo
per far conoscere i due presonaggi.
In fondo, chi ha fatto amicizia in estate durante
le vacanze quando eravamo bambini o adulti?
Spero che vi piaccia questa storia e grazie ad tutti
per quelli che leggono e recesicono!
Alla prossima!
Evola
P.s
Vi consiglio di ascolatare "
Born In The U.S.Ain versione aculstica 
e live. Citato del testo.
Perchè (secondo me) è molto più bella del originale e meno
"confusa" del originale.
Poi, ditemi che ne pensate :)


 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Quella mattinata passarono sulla riva, scattando foto da convention hall fino al casinò. Ovvero per il resto del casinò rimase affascinata ascoltando le storie della infanzia di Jean e i suoi divertenti aneddoti sulla sua famiglia, mentre lui la immortalava con la Canon sorridendo e avvicinandosi, pian piano, sempre di più.
 
Andarono a pranzo da Wonder Bar, ovvero il bar/ristorante iconico della città con il faccione felice di “Wonder” dipinto sull’insegna del locale. Mangiarono Cheeseburger con patatine guardando le foto che avevano scattato e raccontando le differenze tra il cibo Inglese e quello Americano.
Poi, Sandy chiese se non fosse mai stato a un concerto musicale.
“Uno di Bruce o uno in generale?”
 
“In generale.”
 
Jean pensò per qualche istante e rispose: “Allora, da quando ho iniziato il college sono andato a un concerto dei Foo Fighters, di Patti Smith, Bob Dylan, Bon Jovi, Rolling Stones e molti gruppi indie di New York.”
 
Sandy rimase affascinata da lui e un po’ invidiosa che avesse visto tutti quei cantanti e gruppi dal vivo.
 
“Io, invece, sono andata ad un solo concerto in vita mia, ovvero Paul MacCartney all’Arena di Verona.” Rispose lei.
 
“Cavolo! Paul McCartney a Verona!” rispose stupito. “Deve essere stata una esperienza fantastica!”
 
“Lo è stata. In quel momento, quando ero dentro a quell’arena, a cantare e urlare in mezzo a tutta la folla… mi sembrava che tutto fosse possibile. Qualsiasi cosa che avessi in mente di fare mi sembrava possibile. È stata l’esperienza più indimenticabile della mia vita” finì con un sorriso sul volto.
Jean capì le sue emozioni e non poté fare a meno di sorridere.
 
“Ma non sono mai stata a vedere un concerto del boss.”
 
“Nemmeno io. I miei genitori hanno partecipato a vari suoi tour da ragazzi. Infatti, mio padre ha chiesto di mia madre di sposarlo durante il tour ‘Tunnel Of Love Express tour’. Ma dopo il matrimonio e la nascita di me e di mia sorella, non hanno avuto più tempo per andare ai concerti. Quando io ero piccolo, hanno avuto dei problemi finanziari. Nulla di che, ma hanno dovuto sistemarlo. E a causa di ciò non avevano più tempo per andare ai concerti, un po’ anche per ‘colpa’ nostra” rise divertito. “Ma ci hanno tramesso la loro passione tramite i racconti di quei concerti.”
 
“E poi, tutti dicono che un concerto del Boss è l’esperienza più emozionante della vita” aggiunse Sandy.
 
“Ed è vero. Io e mia sorella siamo la prova vivente” rispose Jean e poi rise.

“Ma tu vivi a New York e ora c’è ‘Springsteen on Broadway’ fino ad dicembre. Non riesci ad andarci?” chiese Sandy perplessa.
 
“Beh, purtroppo devo stringere un po’ la cinghia. Mia sorella mi sta aiutando con l’affitto durante ora devo rispianare nell’attesa di trovare un lavoro e smettere di dipendere da mia sorella. E poi i biglietti sono esauriti da mesi”.
 
“Mi dispiace.”
 
“Non fa niente. Ci sarà un'altra occasione.” E sorrise.
 
Sandy ricambiò e i due continuarono a pranzare.
 
Passarono il resto della giornata in spiaggia a scattare foto sulla piccola passerella di sassi neri a mo’ di ponte sulla riva fino all’acqua. Per poi divertirsi tra un bagno e un altro fino a sera.
 
Il giorno dopo, si diedero appuntamento al piccolo parco acquatico per bambini. Ma dopo essersi divertiti tra secchiate d’acqua e gli schizzi a sorpresa, decisero di fare un giro per la città in macchina, continuando a fare foto. Così passarono un altro giorno divertendosi insieme fino a sera.
 
Ormai, Sandy non poteva fare a meno di quel nuovo amico, lo adorava: la sua compagnia, la sua risata, il modo in cui raccontava la sua infanzia in quella città, e di come la ascoltava e la incoraggiava a seguire i suoi sogni quando si sentiva un po’ insicura.
 
E ora le veniva da ridere al pensiero che qualche giorno prima avesse provato quella piccola sensazione di solitudine. Adesso era serena e divertita in compagnia del ragazzo più interessante che avesse mai incontrato.

Mentre camminavano sulla via della città insieme, gli chiese: “Senti, Jean, posso farti una domanda? Tu hai una ragazza, in questo momento?” lo chiese in modo diretto. Come aveva fatto lui. Ma sperando che Jean non fraintendesse nulla.
 
Si fermarono e Jean la guardò dicendo: “Perché mi stai chiedendo questo?”
 
“Beh, sei venuto qui da solo in vacanza. Non mi hai chiesto se fossi single o meno. Quindi mi è venuto questo dubbio” rispose guardandolo.
 
Jean guardò in basso con aria inespressiva.
 
Sandy cominciò a preoccuparsi per lui, pensando che avesse toccato un tasto dolente.
 
“Tutto Bene?”
 
“Sì, sì. Tutto bene. È solo che… sono stato lasciato circa tre mesi fa. E non ci siamo lasciati proprio benissimo…” con tono piatto raccontò la sua relazione in poche parole: aveva conosciuto la sua ex ragazza tramite amici e si erano innamorati. All’inizio andava tutto bene, poi avevano iniziato a litigare sempre più spesso. E quando lei lo aveva accusato di trascurarla, aveva poi deciso di lasciarlo.
 
“E adesso sono solo. Ma mi sono ripreso” disse, così i due ripresero a camminare.
 
“Cavolo, mi dispiace.” Disse lei con tono triste.
 
“Non fa niente. Sono cose che capitano. E poi, è la classica storia dei sognatori. Ovvero…”
 
“Amore e passione. Non poi fare uno, senza trascurare l’altro” Continuò Sandy.
 
Jean la guardò con aria sorpresa rispondendo: “Esatto” e guardò in basso facendo un piccolo sorriso.
 
“Ma tu invece? Anche tu sola e abbandonata come me, oppure hai qualche principe Inglese nascosto a casa tua?”
 
Sandy rise divertita: “No. Non sono stata abbandonata e non ho un principe inglese che mi aspetta” rispose e poi rise.
“Ah, allora sei solo single.”
 
“Beh… diciamo che sono uno spirito libero”.
 
Non sapeva come spiegare. Ma, non sapeva perché, voleva dimostrarsi più interessante agli occhi del ragazzo.

Come una specie di “avventuriera” della vita. Ma allo stesso tempo voleva mostrarsi più “reale” rispondendo: “Quindi sono come te, una sognatrice che non ha tempo per l’amore. A parte per quello che voglio fare” E sorrise.
 
Jean ricambiò il sorriso continuando a camminare di fianco a lei, ma con una strana sensazione di sollievo e quasi speranza. Pensò a una domanda. Una domanda che voleva fare. Ma che lo intimoriva moltissimo. Soprattutto, per la paura di una risposta negativa.
 
Dopo aver fatto le foto insieme alla spiaggia di Brandley Cove, camminarono fino alla Convention Hall. Ovvero, davanti al Greetings from Asbury Park. Era quasi l’ora del tramonto. Sandy si decise a scattare altre fotografie davanti all’edificio.

Finché Jean non si avvicinò a lei con tono timido, dicendo: “Sandy, posso chiederti una cosa?”
 
“Certo.”
 
“Visto che in questi ultimi giorni ci siamo conosciuti un po’ meglio e ci troviamo simpatici a vicenda…” continuò a guardare in basso con aria incerta. Sandy lo guardò un po’ stranito da suo atteggiamento, ma soprattutto da quelle frasi. “E… visto che domani è il quattro luglio, mi piacerebbe fare qualcosa di speciale” alzò gli occhi con un mezzo sorriso.
 
“In che senso ‘qualcosa di speciale’?” chiese Sandy con un tono divertito. Come se lui stesse scherzando.
 
“Beh, nel senso magari uscire insieme alla sera. In un modo un po’ diverso.” Continuò a spiegare.
 
“Intendi dire un appuntamento?” chiese lei perplessa.
 
“Sì, no, più o meno.”
 
Tentò di spiegare quello che avrebbe voluto fare: sulla spiaggia di sera avrebbero trasmetto un film a mezzanotte. Prima avrebbe voluto portarla fuori a cena in un ristorante Italiano e poi al concerto degli The B’52 ad Stone Pony.
 
Sandy rimase colpita da quella proposta. Anche un po’ titubante a rispondere.
Come poteva rispondere? Se si trattava di un appuntamento non poteva accettare. Quella era solo una “amicizia estiva”, presto si sarebbero detti addio per sempre. Ma se non si fosse trattato di un appuntamento ma di una normale serata di festa del quattro luglio? Probabilmente l’avrebbe solo offeso e non voleva farlo.
 
Si sentiva indecisa come una ragazzina durante la sua prima cotta.

“Allora? Ti va?” chiese Jean speranzoso.
 
Sandy lo guardò negli occhi vedendo il suo sorriso dolce e gli occhi scuri luminosi con la macchina fotografica introno al collo.

In fondo, dopo tutto quello che aveva fatto, il giro per la città e la sua compagnia, poteva dire di sì. Avevano un sacco di cose in comune, compresi gli stessi ideali. E poi, non le capitava mai di ricevere un invito del genere, perché rifiutare quella occasione?
 
“Va bene. Ho sempre desiderato vedere un film all’aria aperta. Soprattutto in spiaggia. E anche vedere un gruppo storico pop come i B’52.”
 
Jean rimase sopreso, ma sollevato da quella conferma ma disse: “Davvero?”

“Sì, Jean. Voglio uscire con te” disse Sandy e poi sorrise.
 
Lui ricambiò con aria sollevata e disse: “Grazie, Sandy!”
 
“Ma di cosa? Dopo tutte le foto che mi hai fatto, mi sembra il minimo”. Si guardarono negli occhi, in silenzio, entrambi si sentivano emozionati: Jean era felice di aver fatto quella domanda e di aver ricevuto una risposta positiva. E Sandy era eccitata da quell’invito e non sapeva che cosa aspettarsi per il giorno seguente.
 
Quando il silenzio si fece teso, guardò in basso con aria un po’ imbarazzata.
“Ma… che film faranno?” domandò lei
 
“Oh, il più grande film del mondo. Ovvero, ‘Footloose’
 
“Secondo ‘Star-Lord’” precisò Sandy e il ragazzo rise divertito.
 
Quando Jean le diede la sua canon le chiese: “Posso chiederti una cosa?”

“Certamente.”
 
“Possiamo farci un selfie?”
 
Sandy lo guardò stranita e ripeté la frase perplessa: “Un ‘Selfie’?”
 
“Sì, ovvero un altro scatto ma con il telefono.”
 
“So che cosa è un selfie. Ma, perché questa cosa?”
 
“Beh, dopo tutte le foto che ti ho scattato, mi sembra il minimo” rispose Jean ironicamente.
 
Sandy rise divertita, rispondendo: “Okay, ma ti avverto: nei selife vengo malissimo.”
 
“Non è vero. Ti ho scattato foto per tre giorni e sei sempre venuta benissimo.”
 
Lei lo guardò con un mezzo sorriso per quell’apprezzamento gentile. Ma rispose: “Okay. Ti ho già detto di sì. Non c’è bisogno che tu mi convinca”
 
Così si mise accanto a Jean che nel frattempo prese il suo smartphone. Prepararono la foto, posizionandosi davanti alla statua che gli piaceva come sfondo e si misero in posa.
 
Entrambi fecero la stessa espressione: occhi e bocca spalancati ma con aria allegra. Dopo lo scatto si misero a ridere davanti a quella foto.

-----------------------------
Note:
Mi dispiace di aver fatto aspettare così
tanto per questo capitolo.
Ma, ho avuto problemi con la gestione della
sceconda e altre cose.
Bene, Ora abbiamo apputamento!
Qundi, ormai siamo vicini al finale 
di questa "avventrua estiva"
Grazie mille ad tutto quelli che leggono!
Evola 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Si salutarono gentilmente come sempre e si diedero appuntamento per l’indomani davanti all’Hotel di Sandy per le sette e mezza.

Quando Sandy entrò nella sua camera provava una sensazione di agitazione e eccitazione, non vedeva l’ora che arrivasse la sera seguente. Si sentiva un po’ strana per quella agitazione. In fondo, era una serata per il quattro luglio. E non sarebbe stata nemmeno la prima volta in cui sarebbero usciti di sera. Quindi, perché si sentiva così agitata?
 
Guardò in basso, sospirando e cercando di calmarsi. Camminò davanti all’armadio, lo aprì e guardò tutti i suoi vestiti: canotte, t-shirt e pantaloncini o pantaloni leggeri. Andò del panico. Si era resa conto che non aveva niente per il giorno successivo.
 

 
****

 
Il giorno dopo passò tutta la mattinata sulla riva e da convention hall alla ricerca di un vestito e delle scarpe per la serata (e in più per qualche souvenir che voleva prendersi) e si sentì un po’ una ipocrita: lei, proprio lei, che non si era mai curato del suo aspetto fisico, adesso si stava facendo tanti problemi per un ragazzo.

Si stava preoccupando del suo aspetto per un appuntamento, ma poi ci pensò meglio:

in fondo, forse a lui non importava del suo aspetto fisico, avrebbe potuto indossare quello che voleva, per Jean non sarebbe stato importante. Eppure, in un certo senso, visto che avrebbe preso parte ad una festa e il ragazzo l’aveva invitata anche a cena, per una colta avrebbe potuto anche vestirsi in maniera più “carina”. Avrebbe scelto dei vestiti che la facessero sentire a suo agio.
 
Dopo qualche ora trovò tutto quello di cui aveva bisogno.
Quella sera, Jean era davanti all’hotel, indossava una giacca, una camicia, dei jeans e un paio di scarpe di tela. Stava aspettando Sandy con aria nervosa, sebbene fosse pronto per l’appuntamento. Fece un profondo sospiro.
 
“Jean!” sentì lei che lo chiamava.
 
Alzò la testa di scatto e rimase affascinato: Sandy indossava un vestito a strati, lungo fino alle cosce, che le lasciava le gambe scoperte, con sopra delle piccole stampe a forma di margherite e le spalline sottili. Aveva ai piedi dei sandali neri e bianchi, bassi, e sulla spalla portava una piccola borsetta nera con le frange.
 
Jean rimase più stupito per il suo viso: i capelli scuri e sciolti le cadevano sulle spalle, mossi, gli occhiali sottili e neri nascondevano i suoi occhi castani. Il volto era sempre rotondo e naturale. Era la prima volta che la vedeva diversa: da quando l’aveva conosciuta, Sandy aveva sempre indossato canotte colorate, pantaloncini scuri, vecchi sandali e aveva sempre portato i capelli raccolti da una moletta.

L’aveva sempre stupenda. Ma ora la trovava ancora più bella. Soprattutto con quel sorriso luminoso.

Quando Sandy fu davanti a lui lo salutò.
 
“Ciao!” rispose.
 
“Buon quattro luglio”.
 
“Buon quattro luglio anche a te! Sei bellissima”.
 
Sandy guardò in basso con un piccolo sorriso e un po’ di rossore sulle gote, rispondendo: “Grazie. Anche tu.”
 
“Oh, beh… ho solo indosso una camicia e giacca. Tu invece hai un bel vestito che ti sta davvero bene…”
 
Entrambi guardarono in basso sorridendo un po’ imbarazzati da quei reciproci complimenti.
 
“Comunque, prima di andare, avrei una piccola cosa da darti, visto che non si va mai ad un appuntamento a mani vuote”.
 
Sandy rimase stupita ma disse: “Ma… non dovevi.”
“È solo un piccolo pensierino.”
 
Dalla tasca della giacca Jean tirò fuori una piccola scatolina quadrata e grigia che le porse.
 
“Posso aprila?” chiese Sandy, guardandola.
 
“Certo.”
 
Così lo aprì e rimase sorpresa. Dentro c’era una collana argentata a forma di plettro di chitarra con sopra inciso: “Show a little faith. There’s magic in the night.”
 
“I versi di ‘Thunder Road’.” Disse Sandy sorridendo felice.
 
“È una delle mie canzoni preferite. Ho sempre creduto di andare via per vincere.”

Si scambiarono sguardi luminosi, finché Jean non le propose di aiutarla ad indossarla.  Sandy acconsentì e Jean gliela mise intorno al collo.
 
“Grazie. È davvero stupenda.” Disse Sandy e poi gli diede un leggero bacio sulla guancia.
 
Jean arrossì, ma alla fine iniziarono a camminare verso al ristorante. Per la prima volta mano per la mano. Entrambi provavano una bella sensazione di conforto e di calore.
 

 
****

 
Arrivarono al locale, un bar/ristorante Italiano di nome “Stella e Marina” sulla spiaggia. Jean aveva prenotato un tavolo esterno con la vista sul mare.
 
“Allora, ti piace la cucina Italiana?” chiese lui entusiasta.
 
“Da morire!” rispose lei felicissima.
 
Mangiarono spaghetti allo scoglio e bevvero drink analcolici – perché Sandy era astemia, e lui rispettò la sua scelta – guardando il tramonto; come sottofondo, c’era una canzone del Boss, ovvero “Thundertrack”, e ogni tanto canticchiavano, mentre lui raccontava in breve la storia del quatto luglio in un modo molto ironico, che faceva ridere entrambi.
 
Più ridevano, più Sandy iniziava a sviluppare una piccola cotta per lui: come se per la prima volta notasse il suo fascino, il viso dolce, gli occhi marroni e profondi e la sua risata contagiosa. Si rese conto che più si dimostrava simpatico, più lo trovava affascinate.
 
Dopo la cena, andarono da Stone Pony per ascoltare la reunion dei B’52 e ballarono insieme sulle note delle loro canzoni. Alla fine del concerto, andarono verso la spiaggia per vedersi il film di mezzanotte e si sedettero l’uno accanto all’altra. Per l’intera durata della visione non staccarono gli occhi dallo schermo.
 
Dopo il film, camminarono sulla riva del mare, godendosi il vento estivo fresco. Per poi sedersi sulla sabbia e godersi lo spettacolo dei fuochi d’artificio di colore rosso, bianco e blu.
 

****

 
 
Dopo i fuochi, Jean propose di fare un giro in macchina.
 
“Dove stiamo andando?” chiese Sandy incuriosita.
 
“In un posto molto speciale.”
 
“Non è che mi porti in un posto isolato per uccidermi?” chiese lei guardandolo.
 
“Cosa? No!” rispose subito il ragazzo. “È un posto molto speciale in cui mi portavano i mei nonni quando ero piccolo, andavano a giocare lì con mia sorella. E da adolescente ci andavo a suonare durante le vacanze estive. E… vorrei mostrartelo.”
 
“Perché?”
 
“Perché ti ho detto che ti averi fatto vedere tutte le cose belle della mia città. È incluso anche questo.” E sorrise.
 
Sandy lo ricambiò e si godette il viaggio. Alla fine arrivarono sulla riva di un fiume.
 
Sandy scese e si guardò intorno: il fiume era scuro e largo, in mezzo poteva vedere un piccolo boschetto con la terra sabbiosa e erbosa.
“Dove siamo?”
 
“Il lago di Boatramp.” rispose Jean. “Aspettami sulla riva. Io devo prendere una cosa.”
 
Sandy si sedette sulla riva, togliendosi i sandali per rimanere scalza e aspettò Jean, finché, poco dopo, non lo vide tornare verso di lei con in mano una chitarra classica. Sandy ne rimase stupita.
 
“Sandy, ti presento la mia vecchia amica: JD.”
 
La ragazza rise, dicendo: “Perché JD?”
 
“È il nome del negozio musicale dove l’ho comprata.” Iniziò ad accordala.

Sandy rimase affascinata da lui e della sua chitarra e gli chiese se potesse suonare qualcosa. Lui rispose di sì, a patto che dopo lei cantasse per lui –come “ricompensa” per la bella serata.

All’inizio Sandy rispose di no, pensando che il ragazzo stesse scherzando. Ma lui insistette, continuando a dire che, se lei non avesse cantato dopo che lui avesse suonato per lei, allora l’avrebbe buttata nel lago.

Al quel punto, Sandy accettò e lui iniziò a suonare. Sandy riconobbe subito la canzone: “4th of July, Asbury Park”, meglio nota come “Sandy” di Bruce Springsteen.
 

Sandy the fireworks are hailin’ over Little Eden tonight
forcin’ a light into all those stoned-out faces
left stranded on this Fourth of July…”  

Jean continuò a cantare.
 
Lei rimase rapita dalla sua calda voce. Chiuse gli occhi e cercò di godersi la canzone e la sua voce, soprattutto quando cantava il ritornello.
 

“…Sandy the aurora is risin’ behind us
the pier lights our carnival life forever
love me tonight for I may never see you again
hey Sandy girl…”

 
Quando Jean ebbe finito di suonare, la guardò con espressione luminosa. Mise la chitarra dietro la schiena e disse: “Allora?”
 
“Sei stato maglificio. Suoni e canti davvero bene.” Rispose Sandy con uno sguardo ricolmo di ammirazione.
 
“Davvero?”
 
“Sì. Ma una domanda: fai così con tutte le ragazze che speri di conquistare?”

Jean rise, dicendo sarcasticamente: “Solo con tutte quelle che si chiamano Sandy e che vogliono festeggiare il quattro luglio con me”. Entrambi risero.
 
“Volevo solo dedicarti qualcosa di davvero indimenticabile e speciale” aggiunse Jean, quindi iniziò ad avvicinarsi al suo volto. “Dopotutto, è il primo quattro lungo che festeggi. E… so sfruttare una buona occasione per la canzone perfetta.” Entrambi risero divertiti.
 
Si guardarono negli occhi, perdendosi nei rispettivi sguardi. Sandy stava per parlare, ma Jean la interruppe dicendo: “Adesso devi cantare per me.”
 
Lei rise divertita dicendo: “Non ci penso per niente!”
 
“Ma l’hai promesso!” replicò Jean divertito.
 
“Sì, ma avevo le dita incrociate. Quindi, non è valido. E poi, cono stonata come una campana. Lo faccio per salvare le tue orecchie.”

“Ma l’hai promesso. E se non canti…”

Si avvicinò a lei, la prese per i fianchi e per le gambe, portandola in braccio. Sandy rimase sorpresa e un po’ spaventata e disse: “Che stai facendo?!”

Gettando le mani attorno al suo collo per non cadere.
 
“Ti butto del lago” rispose Jean, per poi fermarsi davanti alla riva “E ti avverto, le acque di questo lago sono molto fredde, soprattutto di notte. Quindi, ti conviene a cantare.”
 
Jean non poteva essere davvero serio, quindi Sandy continuò a ridere, rispondendo: “Non lo faresti!”
 
“Dici?”
 
Il ragazzo iniziò ad allentare la presa e Sandy gli si strinse forte al collo dicendo: “Okay, okay, okay! Canterò! Hai vinto! Però che cosa?”

“Qualsiasi canzone che ti venga in mente.”
 
Così lei pensò a una canzone e iniziò a canticchiare:

“Everybodys got a hungry heart Everybodys got a hungry heart, Lay down your money and you play your part, Everybodys got a hungry heart…

 lo guardò dei occhi.
 

Jean rimase sorpreso da quella canzone e continuò a cantare insieme a lei:

 

“Lay down your money and you play your part, Everybodys got a hungry heart…”
“Lay down your money and you play your part. Everybody's got a hungry heart…”

 
Smisero di cantare e risero divertiti.
 
“Contento?”
 
“Certo.”
 
Si guardarono in silenzio, percependo chiaramente la tensione di sentire i loro corpi così vicini per la prima volta.
 
“Sai, c’è una cosa che non ho mai capito di questa canzone. Ovvero, che cosa significa ‘Tutti quanti abbiamo un cuore affamato’?” chiese Sandy.
 
“Beh, significa che tutti noi abbiamo bisogno di innamorarci. Di qualcuno o di qualcosa. Dobbiamo mettere in gioco i nostri sentimenti a costo di soffrire. Perché, in fondo, chi vuole stare realmente da solo?”
 
“Già.”
 
Si persero ancora una volta nei loro occhi e nei loro sguardo, che da divertiti quali erano diventarono più profondi e desiderosi. I loro volti si avvicinarono fino a che furono tanto vicini da baciarsi. Fu un lungo e denso bacio sulle labbra.
 
Sandy trovò tutto quanto così eccitante: lei, in braccio ad un straordinario ragazzo, che non solo le aveva dedicato una bella canzone, ma anche degli stupendi giorni.
 
 E soprattutto si trattava di un ragazzo che la trovava stupenda sia per il suo carattere che per le sue passioni. Ma non solo, la trovava persino affascinante, almeno a giudicare dal modo in cui le stringeva i fianchi e la baciava.
 
Quando si staccarono, si fissarono con arai intensa.
 
“Wow.” Disse Jean.
 
“Già.”
 
Lui posò la fronte contro quella di Sandy, prendendo dei respiri profondi.

“E ora?” chiese lui.
 
“Potremmo andare da te e continuare…” rispose lei senza nemmeno pensare.
 
Jean rimase sorpreso da quella proposta, che probabilmente non si sarebbe mai aspettato da lei.
 
“Ne sei sicura? Sei che dopo potremmo anche non fermarci più?”
 
“Lo so. Ed è ciò che voglio.” Rispose Sandy e lo baciò.
 
Si baciarono ancora, con più desidero, con più dolcezza e Sandy posò le mani sul suo petto. Jean era sempre più sorpreso da quelle parole, quasi sconvolto. Ma ricambiò stringendola ancora di più di prima.
 
“E poi, mi stai ancora portando in braccio.” Disse Sandy ironicamente e così risero entrambi.

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Note musicali:
* la canzone "Thunder Road"   
** Il ristorante "Stella e Marina" esiste veramente ;)
*** La cazone di stotto fondo. 
 **** il gruppo 
 B’52 con una delle loro canzoni migliori ;) 
***** La canzone dedicata ad Sandy con tanto di traduzione ;) 
****** La cazone dei cuori affamanti. 

Note:
Orami siamo anguti alla fine.
Ma spero che vi piaccia questo capitolo un pò
hot ;)
Buon Weekand!
Evola 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Andarono a casa di Jean, che alloggiava in un piccolo appartamento sulla spiaggia. Quando entrarono in camera, si gettarono subito l’uno sull’altra. Sandy gli tolse la giacca e gli slacciò i bottoni della camicia, accarezzando avidamente la sua pelle nuda.
 
Jean le mise le mani sotto il vestito, toccandola leggermente, sebbene in modo piuttosto lussurioso, risalendo dai suoi fianchi fino alla schiena, togliendole di dosso l’indumento.
 
Quando si furono privati dei vestiti, si unirono con dolcezza, senza smettere di baciarsi, di accarezzarsi e di dirsi piccole frasi dolci.

Si desideravano a vicenda: per Jean erano passati mesi, che sembravano eterni, dall’ultima volta in cui qualcuno lo aveva desiderato così tanto, e si sentiva così fortunato e felice. Per Sandy, invece, era l’esperienza più folle che avesse mai fatto.
 
Ma quel desiderio, i suoi respiri e le sue parole la facevano sentire desiderata e amata come donna. Era la sensazione più intensa e eccitante che avesse mai provato.
 
Dopo l’atto, si coccolarono a vicenda, rimanendo a letto, sodisfatti e felici, soprattutto trovarsi l’uno accanto all’altro. Sandy confessò che era stata la sua prima e vera esperienza sessuale – con lo stupore di Jean – ma lo rassicurò subito, dicendo che era stata l’esperienza più bella della sua vita.

E lui confessò che era la prima donna con cui avesse fatto sesso dopo essere stato lasciato e ammise di essere stato anche un po’ nervoso.
 
La ragazza lo rassicurò, dicendo che era stato molto dolce, e lo baciò sulla guancia. Entrambi continuarono a coccolarsi fino a che non si addormentarono.

Quando Sandy si svegliò, vide dalla sveglia che erano le due di notte passate e doveva andare. Si alzò dal letto, senza far rumore, per evitare di svegliare Jean, si vestì e andò via.
 

****

 
Ora si trovava in quella sala d’attesa, in aeroporto. Dopo aver sistemato la valigia, ed essersi fatta una doccia, era andata a prendere l’autobus per Atlantic City.
 
E tutto questo dopo la sua prima volta, era scappata via come una ladra, senza dire nulla a Jean, nemmeno un bigliettino scritto. Pensava a tutto questo, tenendo tra le dite la collana che lui le aveva regalato, sentendosi terribilmente in colpa per avergli mentito.

Il suo nome non era Sandy, non era Inglese e, di certo, non studiava letteratura all’università.

In realtà, si chiamava Eva, era Italiana, viveva una piccola città di provincia sull’appennino Bolognese, lavorava come utente in una cooperativa sociale e, se non avesse vinto una piccola somma con un gratta e vinci, non avrebbe mai potuto permettersi quella vacanza.
 
Quando Jean si era presentato per la prima volta, aveva deciso di “esagerare” un po’, sperando di diventare un po’ più interessante davanti a lui.
 
E, quando avevano iniziato a frequentarsi, aveva pensato che sarebbe stata una piccola avventura estiva, nulla di che.

Certo, poi si era invaghita di lui. E dopo quella notte, che pensava fosse solo una “avventura di una notte”,
Come nei film, si sentiva ancora peggio. Senza pensieri, senza emozioni.

Ma lei non era così. Eva era sensibile ed emotiva, si faceva coinvolgere delle cose. E purtroppo per lei, si era accorta di essere innamorata di lui. Non doveva succedere, non doveva capitare e non poteva essere vero.
 
Ma era così. Doveva ammetterlo a se stessa. Così come doveva accettare il pensiero che, dopo che fosse salita su quell’aereo, non l’avrebbe mai più rivisto e sarebbe dovuta andare avanti con la sua solita vita.
 
Fece un lungo sospiro e chiuse gli occhi per riposarsi un po’. Ma in quel momento, sentì qualcuno che gridava: “Eva! Eva!”.
 
Aprì gli occhi di scatto, spaventata, e si guardò intorno, per capire se qualcuno la stesse effettivamente chiamando o si stesse rivolgendo ad un’altra ragazza con il suo stesso nome. Rimase quasi sconvolta: era Jean, vestito e con la chitarra dietro alla schiena con la tracolla e si guardò intorno. Correva attraverso tutto l’aeroporto, gridando il suo nome.
 
A quel punto, Eva si alzò chiamandolo: “Jean!”.
 
Lui si girò e sorrise, vedendola, quindi corse verso di lei: “Eva!”.
 
Quando le fu davanti, Eva si accorse che Jean aveva il fiatone: “Pensavo, pensavo che fossi già sull’aereo” disse e riprese fiato.
 
“No” rispose lei un po’ perplessa “Il mio parte fra un’ora e devo fare due scali”. Poi si rese conto di quello che stava spiegando e domandò confusa: “Ma come hai fatto a trovarmi? E soprattutto, come fai a sapere il mio vero nome?”.
 
Jean si sedette accanto a lei e spiegò: si era svegliato verso le sei, sentendo accanto a sé l’altra parte del letto fredda e vuota.

Era rimasto davvero confuso dalla sua assenza, così era andato al bed and breakfast per cercarla, visto che non si erano mai scambiati i numeri di cellulare, ma aveva avuto qualche difficoltà, visto che non c’era una “Sandy” con la sua descrizione fisica e senza un cognome. Allora, aveva deciso di mostrare il selfie che avevano fatto il giorno precedente. La signora della reception aveva spiegato che la ragazza non si chiamava “Sandy” ed era partita meno un’ora prima.
 
“So che quasi tutti i turisti partono dall’aeroporto di Atlantic City. Così ho preso un autobus diretto qui per cercarti, sperando che non fosse troppo tardi”.
 
Eva lo guardò con aria sorpresa, con la bocca semi aperta. Non sapeva cosa dire o pensare. Era forse la scena più dolce a cui avesse mai assistito. O una cosa da stalker. Ma non poteva fare a meno di essere stupita di lui e di come l’avesse cercata.
 
“E… immagino che tu sia venuto qui per chiedermi perché me ne sono andata via senza dire niente”.
 
“No, al contrario. Voglio chiederti di restare qui con me. Almeno per un altro po’” rispose Jean e le prese la mano.
 
“Cosa?!?” rispose Eva, quasi urlando.
 
Non poteva credere a quello che aveva sentito. Si aspettava che Jean fosse arrabbiato con lei o che ne fosse rimasto tremendamente deluso, ma non che volesse ancora stare con lei.
 
“So che devi andare, ma ti prego rimani qui con me. Solo per un po’. Per vedere se questa storia tra di noi può andare avanti”.
 
“Come puoi chiedermi una cosa del genere?” chiese lei, sconvolta, guardandolo negli occhi malinconici ma con lo sguardo speranzoso.
 
“Ti ho mentito, Jean. Io non sono Inglese, non studio letteratura e non mi chiamo nemmeno Sandy!”.
 
Il viso del ragazzo rimase stranito come se non capisse le sue parole.

“Come puoi fidarti di me? Dopo che ti ho mentito su questo?”
 
“Perché a me di queste cose non interessa!” rispose Jean con sicurezza, guardandola.

Eva batté le palpebre, confusa da quelle affermazioni: “A me non interessa del tuo nome, della tua nazionalità o del tuo lavoro. Perché so che le tue passioni, i tuoi sogni, i tuoi sorrisi, le tue emozioni e tutto quello che ci siamo detti, erano veri” rispose e le strinse la mano con dolcezza “Come quello che ti ho detto di me, dei miei sogni, delle mie passioni, della mia famiglia. Ma soprattutto, so che le nostre risate, il nostro bacio e questa notte erano reali. E so che lo sono anche per te”.
 
Eva continuò a guardarlo, titubante ma colpita dalle sue parole e di come le stringeva la mano. Nessuno aveva mai fatto tanto per lei. Si sentiva amata e anche un po’ spaventata.
 
“In fondo, che cosa è un nome? Ciò che chiamiamo rosa, anche non un altro nome, conserva sempre il suo profumo”.
 
Eva rise un po’ divertita, dicendo: “Vuoi conquistarmi citando Shakespeare?”.
 
“Veramente volevo usare l’aiuto della mia vecchia amica” rispose Jean.
 
Si alzò, prese la chitarra in mano per poi mettersi in ginocchio davanti a lei. Eva era perplessa, ma capì subito le sue intenzioni.
 
“Jean, non…”
 
“Non dirmi che non devo” la interruppe subito. “Prima di dirmi tutto quello che pensi o di criticarmi, ascoltami”.
 
Eva era dubbiosa, ma acconsentì, seppure con un po’ di imbarazzo.
Jean iniziò a suonare, erano gli accodi di “Sandy”.
 

“Eva, the fireworks are saluting inside me now…”

 
Non poteva crederci, aveva cambiato il testo per lei, non sapeva che cosa provare.
 

“enlightening all those frightened faces by force
remained stranded in this five of July
down at the airport it's full of with switchblade lovers
so fast so shiny so sharp
and the wizards play on Pinball Way
on the catwalk, past the dark
and the boys drink bars
with their open shirts like Latin lovers along the balcony.
chase all those silly foreign sturiste..”

 
Al quel punto, si sentì una fisarmonica in lontananza ed Eva vide una giovane donna con in mano lo strumento che si mise accanto a Jean.
 
Eva si portò una mano alla bocca dallo stupore. Il solo fatto che lui cantasse quella versione di “Sandy” per lei era una cosa incredibile. Jean aveva organizzato un vero e proprio spettacolo solo per lei, per convincerla a restare.
Si formò una piccola folla intorno a loro e alcune persone li filmarono persino con il telefono. Ma Eva orami aveva il cuore pieno di gioia, si emozionò quando Jean suonò l’assolo strumentale.
 

“Eva the aurora’s rising behind us,
the pier lights our carnival life forever
oh love me now and I promise I’ll love you forever”

 
Jean finì di suonare, senza staccare gli occhi dai suoi, sorridendo, mentre la piccola folla iniziò ad applaudire. Jean non diede loro attenzioni.
Rimanendo ancora in ginocchio disse: “Allora? Questo non ti ha fatto capire che non mi importa di quelle piccole bugie, ma solo di te e di noi? Quindi, ti prego, rimani qui ancora per un po’” le disse, poi entrambi rimasero in silenzio.
 
Eva aveva entrambe le mani sulle labbra con gli occhi lucidi.

Jean rimase in ginocchio in attesa della sua risposta, come le presone attorno a loro. Tutti erano impazienti di sentire la sua risposta, come se fosse una scena cult di un film.
 
Eva voleva urlare di sì, buttarsi tra le sue braccia e baciarlo. Non tanto per il suo gesto a dir poco romantico, ma perché era veramente innamorato di lei, nonostante quelle piccole bugie. Avrebbe voluto dirgli di sì, come nei migliori finali delle commedie romantiche.
 
 Ma quello non era un film, era la vita reale. Doveva pensare alla sua vita, alla sua famiglia e a quello che doveva fare.
 
Così, guardò in basso, tolse le mani dalle labbra e disse: “Jean, io vorrei tanto dirti di sì, ma non posso”.
 
Le lacrime iniziarono a scendere lungo le sue guance, mentre il pubblico ci rimase male.
 
“Io devo tonare a casa. Devo tornare della mia famiglia, dal mio lavoro, alla mia vita. Quindi non posso restare, per quanto io lo voglia. Mi dispiace” disse piano.
 
Eva si sentì ancora peggio. Questa volta lo avrebbe davvero ferito. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei non sapeva come riuscisse a trattenersi dal piangere per il dolore. Probabilmente per le persone che li fissavano e li filmavano. Jean non sembrava molto scosso da quel rifiuto. Anzi, sembrava che non fosse nemmeno triste.
 
“Beh, avevo previsto questa risposta. Ma ho ancora un asso della manica. E questa volta, so che non rifiuterai”.
 
Eva rimase perplessa da quella frase, non sapeva se dovesse essere preoccupata o spaventata da quelle parole.
 
Jean mise una mano nella tasca posteriore dei jeans e ne tirò fuori un biglietto. Si trattava di un biglietto rigido e abbastanza lungo, come quelli degli stadi. All’inizio, Eva era titubante, ma lo prese e rimase sconvolta.
Springsteen on Broadway!” lesse emozionata.
 
Non ci voleva credere. Aveva in mano un biglietto per il concerto di Bruce Springsteen a New York! Ed era datato per quel sabato. Aveva la bocca aperta per lo stupore, come la gente che si trovava ancora attorno a loro.
 
“Come li hai avuti? Avevi detto che erano già esauriti!” chiese, guardandolo con un sorriso.
 
Jean ricambiò il sorriso, spiegando: aveva passato la giornata con sua sorella nella grande Mela, prima del loro appuntamento. Lei aveva comprato i biglietti per sé e la sua ragazza.
 
 Ma all’ultimo momento le hanno dato un impegno di lavoro. Così, li aveva regalati al fratello. Jean voleva fare una sorpresa a Eva durante il loro appuntamento. Ma li aveva dimenticati al suo appartamento.
 
“Visto che nessuno di loro aveva mai visto il boss del vivo. Quindi, ti va di vivere questa esperienza insieme? Per la prima volta?”.
 
Le lacrime di Eva non erano più di tristezza, ma di gioia. Non per i biglietti, non per la canzone, ma per le sue parole e i suoi gesti. Non aveva mia assistito ad una cosa del genere. Soprattutto per lei. Allora i sentimenti di Jean erano davvero sinceri. E anche i suoi. Non voleva fare la scelta sbagliata per poi pentirsene per sempre.

“Allora? Che ne dici?”.
 
“Perdermi probabilmente l’unica occasione della mia vita di vedere il Boss dal vivo? Sarei una pazza a dire di no!”.
 
Lo sguardo di Jean era luminoso di felicità. Entrambi si alzarono e si abbracciarono, scambiandosi un lungo bacio sulle labbra, sotto gli applausi e la gioia della piccola folla intorno a loro.
 
Quel bacio augurava l’inizio della loro storia, una storia fatta di gioia, passioni, rispetto e reciproco amore.
 
Dopo il bacio, entrambi si misero fronte contro fronte e sorrisero felici.
 
“È la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me. Grazie”.
 
“No. Ti devo ringraziare io per avermi di sì”. Entrambi risero.
 
“Comunque, se te lo stai chiedendo, la ragazza della fisarmonica è una studente di mia sorella” aggiunse Jean.
 
Eva rise divertita e i due continuarono a baciarsi.


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Note:
Nuovo capitolo!
Ma, tranqulli, questo non è l'utimo. Ben sì, il perlutimo!
La prossima settimana, ci sarà il prologo di questa
rimantica storia estiva!
Spero che questa storia vi sia piacuto
e grazie ad tutti quelli che hanno letto questa
piccola storia!
Buon weekand!
Evola 

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Capitolo 7
*** Riepilogo ***


Quando uscirono dall’aeroporto, presero un autobus per Asbury Park, seduti vicini e abbracciati con aria serena.

“Eva?”.

“Sì?”.

“Ti ho già detto perché mia madre mi ha chiamato proprio Bobby Jean?”.

“Perché è la canzone preferita di tua madre. Giusto?”.

“Non solo. Era anche il nome del suo migliore amico”.

Eva lo guardò sorpresa e Jean iniziò a raccontare l’origine del suo nome: a dodici anni, sua madre conobbe il suo nuovo vicino, un ragazzino dai capelli rossicci, della sua stessa età, che frequentava la sua stessa classe. Diventarono amici inseparabili nel corso degli anni. Avevano gli stessi interessi: la musica, i film, i vestiti e i libri.
Fu lui a convincerla a fondare una band punk rock femminile e fu lui a presentarle quello che sarebbe diventato il suo futuro marito.Ma dopo il liceo se andò dallo stato, senza farsi più sentire, lasciando un vuoto enorme nella sua più grande e unica amica.

“Mi ricordo quando ha raccontato questa storia per la prima volta. Avevo sei anni, ero dentro al suo piccolo studio, stavamo ascoltando ‘Bobby Jean’ dall’album ‘Born In The Usa’ e mia madre ha iniziato a piangere verso alla fine del brano. Più di preciso quando ha sentito l’ultima strofa: ‘But just to say "I miss you baby. Good luck. Goodbye, Bobby Jean”. Rimasi terribilmente confuso, sia perché mia madre stava piangendo sia perché quella canzone aveva il mio nome. Così lei mi raccontò tutta la storia. Aveva deciso di chiamarmi come lui, per rendergli omaggio in un modo dolce. Per ricordarlo. Anche se –come dice lei – sono l’opposto di lui” e rise. “Sono fiero di aver il suo nome.”

Jean sorrideva, guardando fuori dal finestrino. Eva rimase sorpresa da quel racconto e si sentì un po’ più legata con lui. Gli domandò se sua madre non l’avesse mia cercato, soprattutto da quando i social network erano portata di tutti. Jean rispose che glielo aveva chiesto, ma lei non voleva cercarlo.

“Voleva ricordalo come l’ultima volta che lo aveva visto, ovvero un giovane ragazzo di appena vent’anni, alla ricerca della sua strada. Non voleva sapere se ci fosse riuscito o no. Voleva solo ricordarlo così. Insieme ai suoi ricordi giovanili di quella canzone. E del mio nome” concluse Jean.

Eva rimase affascina dalla sua storia e lo strinse ancora di più forte.

“E invece il tuo nome?” chiese lui. “Qual è la tua storia del nome? Del tuo vero nome” entrambi risero.

“La stessa storia”.

Così spiegò: sua madre guardava una telenovela Argentina di nome “Perla nera” quando era incinta. Una delle protagoniste si chiamava Eva.

“Visto? Niente di speciale.”

“Però preferisco il tuo vero nome”.

Eva lo guardò con aria perplessa.

“Perché è più originale”.

Si scambiarono un sorriso e si baciarono, godendosi il viaggio. Fu l’inizio del loro amore unico.

Ma prima avrebbero vissuto l’esperienza imperdibile di vedere il boss dal vivo.


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Note:
Ecco! Questo è la fine della una delle prime storie originali!
Spero che vi sia piacuta questa storia romantica con sottofondo
la musica del Boss.
So che non sarà una delle mie storie originali o ben
realizate.
Ma, ho cercato di essere corete con i miei presonaggi
e almeno, "vivere" io in quella vacanza.
E rigrazio ad tutti ad tutto quello che hanno letto
e recesito!
Probamimente, la prossima storia la pubblicerò
del 2019.
Qundi, questo sarà l'utima storia del 2018!
Allora, vi auguro un buon natale e buon anno!
Evola     

 

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