Amore mancato

di Stephaniee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chapter one ***
Capitolo 3: *** Chapter two ***
Capitolo 4: *** Chapter three ***
Capitolo 5: *** Chapter four ***
Capitolo 6: *** Chapter five ***
Capitolo 7: *** Chapter six ***
Capitolo 8: *** Chapter seven ***
Capitolo 9: *** Chapter eight ***
Capitolo 10: *** Chapter nine ***
Capitolo 11: *** Chapter ten ***
Capitolo 12: *** Chapter eleven ***
Capitolo 13: *** Chapter twelve ***
Capitolo 14: *** Chapter thirteen ***
Capitolo 15: *** Chapter fourteen ***
Capitolo 16: *** Chapter fifteen ***
Capitolo 17: *** Chapter sixteen ***
Capitolo 18: *** Chapter seventeen ***
Capitolo 19: *** Chapter eighteen ***
Capitolo 20: *** Chapter nineteen ***
Capitolo 21: *** Chapter twenty ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo
Summer days and summer nights
Non si dice “ho paura di amare”.
Si dice “ho paura di scoprire che

qualcuno mi piace a tal punto
che potrei innamorarmene così fortemente
da rinunciare a una parte di me stesso”
Le mie paure mi remano contro.
 

20 luglio.

Ieri notte Luke ha dormito qui, i miei non c’erano abbiamo passato tutta la notte a baciarci ed è stato troppo difficile non andare oltre… Ma nonostante stessimo benissimo insieme, era veramente troppo presto ed ero angosciata dal timore che una volta fatto, una volta poi ufficializzato il tutto, lui si sarebbe comportato come con Val. Magari avrebbe conosciuto una più carina, più simpatica esattamente come aveva conosciuto me e tutto sarebbe andato a puttane. Avevo bisogno di più conferme per andare oltre, anche se lo volevo tantissimo.
Lui era stato veramente bravo con me in realtà. Non ho ancora la patente quindi quando dobbiamo uscire è sempre lui a guidare e a me dispiace da una parte, ma dall’altra mi fa piacere vederlo così interessato a vedermi.
Ha fatto pure un salto da Mcdonald per recuperare la cena e poi si è presentato qui bello come il sole.
Mi ha invitato da lui questo pomeriggio, vuole presentarmi suo fratello e portarmi a casa sua, sono veramente agitata. Frederik non mi ha mai portato in casa, certo, conoscevo già i suoi perché abitiamo vicini quindi l’ho sempre vista ed incrociata più volte.
Ma così è diverso, lui vuole presentarmi. E’ una cosa molto dolce, anche se è passato poco tempo da quando ha lasciato Val.
Solo ora mi rendo conto che non abbiamo mai affrontato l’argomento, certo ero sicura di piacergli non avevo nessun dubbio a riguardo, ma non mi ero mai accertata di come si sentiva in merito a questa rottura, Val era stata una parte fondamentale della sua vita per tre lunghi anni.


“Topina a breve passo a prenderti. Parto adesso”
“Mi preparo allora, grazie mille...”


Mi aveva davvero chiamata così?
Che diabete.
Però era troppo carino.


Andai preparami e indossai un vestitino nero a canottiera, legai in vita uno dei miei giubbettini di jeans leggeri e mi guardai allo specchio: le mie mattinate con Emma in piscina degli ultimi giorni avevano dato alla mia carnagione un colorito più scuro, le lentiggini si vedevano ancora di più e i miei capelli erano come sempre lisci ed indomabili.
Scesi le scale di corsa per aspettarlo giù, il mio stomaco sembrava ospitare un milione di farfalle, come da mesi ormai.



 

1 agosto.

Sono a casa sua, oggi accadrà me lo sento.
Indosso due calze diverse e uno slip blu a dir poco imbarazzante.


La prima volta che sono entrata in camera sua mi ero stupita di quanto assomigliasse alla mia, esattamente gli stessi colori: azzurro e marrone chiaro, l’unica differenza stava nel letto: il suo era un letto francese ad una piazza e mezza, mentre il mio un letto a castello.
Ci stiamo baciando da ore, sento le labbra gonfie e non solo quelle. Le sue mani mi stringono forte, possessive, desiderose.
Prendo io l’iniziativa e gli sfilo la maglietta, lui capisce esattamente senza che bisogno che io parli. Lo sento armeggiare con i miei pantaloncini e togliermeli con ansia, era così bello sentirsi desiderate, aveva la capacità di farmi sentire bellissima.
Lo sentivo accarezzarmi le gambe fino arrivare ai miei slip, le sue mani sono bollenti, i nostri respiri erano ormai all’unisono, affannati e frettolosi. Gli presi il viso tra le mani e i miei occhi si incastrarono per l’ennesima volta nei suoi. Era incredibile come ogni volta che mi trovavo a fissarli tutto il resto scomparisse per sempre.
“Sei bellissima Kat”
Non avevo forza di rispondere, continuavo a guardarlo negli occhi mentre lui divorava letteralmente la mia bocca. Le mie mani ora erano sui suoi boxer, volevo liberarmene ad ogni costo. Lo sentivo sorridere sulle mie labbra, mi spostai sopra di lui, un sottile strato di biancheria divideva ciò che volevo e ciò che allo stesso tempo temevo. Luke si liberò in fretta del mio reggiseno e in un attimo mi liberai dei suoi boxer, avevo i capelli arruffati, le labbra gonfie e mi sentivo bollente. Luke si alzò e mi prese il viso tra le mani, gli scompigliai i capelli e lo baciai con forza, con desiderio. Eravamo entrambi già al limite senza aver cominciato.
“Se non mi togli questi slip impazzisco” sussurrai continuando a baciarlo. Luke si liberò in meno di un secondo della mie mutande e mi rimisi sopra di lui, era seduto ed io sembravo così piccola confronto a lui.
“Sei pazzesca Kat Spencer”
“Anche tu Piterson”
Non potevo fuggire, non volevo fuggire. E così con gli occhi incatenati ci perdemmo l’uno nell’altra per il resto del pomeriggio.


Sentivo il suo viso tra i miei capelli, il suo respiro sulla mia spalla e il sua braccio abbracciarmi. Mi accorsi che stavo sudando freddo, mi mancava il respiro, mi sentivo un peso premere sul torace, ma non c’era nulla che potesse ostruire il passaggio dell’aria e il condizionatore posizionato sul muro di camera sua aveva eliminato il caldo estivo.
Ma le mie sensazioni non avevano nulla a che vedere con il caldo estivo. Era paura.
“Adesso puoi anche sparire” il mio fu un sussurro strozzato
“Ma cosa dici?” la sua voce era roca dal sonno ma le due braccia mi strinsero “non vado da nessuna parte Kat, devi imparare a fidarti”


Già, fosse facile.



 

9 agosto.

Io e Luke siamo seduti sul divano di casa mia da quando ci siamo svegliati, anche se sarebbe meglio dire da quando abbiamo deciso di abbandonare il letto visto che non abbiamo dormito quasi per niente. Ho improvvisato una pasta integrale al pesto rosso che stiamo mangiando allegramente di fronte ad un film.
“Domani è la notte di San Lorenzo” biascicai tra un boccone l’altro
“Già è vero! Le stelle cadenti”
“Le ho sempre viste in riva al mare” sospirai perdendomi un po’ nei ricordi
Luke appoggiò il suo piatto sul tavolino e mi strinse a sé, guardandomi con quei due smeraldi che si trovava al posto degli occhi.
“Hai impegni domani Kat?”
“N-no”
“Bene. Allora io adesso vado” disse lasciandomi un bacio in fronte “passerò a prenderti alle 15, fai la valigia Kat stasera andiamo al mare”
La mia faccia doveva avere un espressione comica, non so cosa avrei dato per vedermi.
“Sei serio?” percepivo i miei occhi brillare. Questo ragazzo andava oltre ogni mia aspettativa.
“So che è una follia, ma io ci sto. Tu ci stai?
“Ovvio!”
Lanciai il piatto sul tavolo e mi incollai alle sue labbra.

 


“Non sai perdere” Luke si stava sbellicando dalle risate
“No, sono una persona molto competitiva Piterson. Sto ancora cercando di elaborare il fatto che tu sia uscito con 80 mentre io solo con 73. Figurati cosa posso fare di fronte ad un campo di minigolf.” Lo guardai in cagnesco e la sua risposta fu ridere ancora di più.
Camminavamo mano nella mano nella piccola città di mare, molto pittoresca a dire la verità: piccole viette di pietra attraversavano il centro, i negozi erano tutti in miniatura rispetto a quelli a cui eravamo abituati in città.
Il sole stava tramontando sul mare mentre noi ci dirigevamo verso il piccolo albergo in cui avevamo trovato posto per quelle due notti. Era alta stagione, era stato difficile trovare una stanza libera ma alla fine ci eravamo riusciti, non era una stanza da sogno ma comunque moderna e confortevole.
Mentre aspettavamo l’ora di cena mi trovavo seduta tra le gambe di Luke e lui mi baciava la nuca provocandomi una serie infinita di brividi per tutto il corpo.
“Ci pensi mai a quando è incredibile la nostra storia?” mi chiese tra un bacio e l’altro
“A dire la verità, si ci penso spesso ” risposi voltandomi verso di lui
“Credi che stiamo correndo troppo?” potevo percepire preoccupazione nei suoi occhi “Stiamo andando come due fulmini Kat, non usciamo da due situazioni semplici.” il suo sguardo si spostò verso il basso
“Probabilmente non stiamo facendo le cose con calma...” lo costrinsi a guardarmi, vidi la tristezza scomparire e lasciare spazio al suo solito sguardo, quello che anche durante la scuola riservava solo a me.
Il mio sguardo voleva esprimere sicurezza, volevo tranquillizzarlo e fargli sentire che ero li per lui e che non avrei cambiato idea, dai suoi occhi percepivo di esserci riuscita alla perfezione.



 

10 agosto.

"Mi butto, mi getto
Tra le braccia del vento
Con le mani ci faccio una vela
Aeroplani coi libri di scuola

Finita, per ora
Inclinato come l'asse terrestre
Voglio prendere il sole
È il programma del prossimo trimestre

Sento il mare dentro a una conchiglia estate
L'eternità è un battito di ciglia."

 

Il sole era in alto nel cielo, faceva un caldo pazzesco. La spiaggia era ben attrezzata, sabbia ovunque una piccola piscina nella zona bar con un chiosco con il tetto in qualcosa che assomigliava alla paglia. Di sicuro un atmosfera rilassante.
Avevamo passato tutto il giorno lì, io con i miei libri e lui con la sua Gazzetta mentre mi guardava di nascosto e io facevo finta di non accorgermene. Ci eravamo schizzati nell’acqua come due bambini per poi finire in mezzo al mare a baciarci come due adulti, io lui e il sapore salato dell’acqua di mare.
Avevamo dormito insieme sotto l’ombrellone all’ombra dopo pranzo e ci eravamo riempiti di abbronzante quando avevamo deciso che era il momento di fare le lucertole sotto al sole.
“Ho bisogno di una doccia. Mi sento impanata come una cotoletta” lamentavo guardandomi piena di sabbia quasi dappertutto per colpa sua.
“Sei bellissima anche con la sabbia nei capelli, tranquilla”
“Che sviolinata” risi mentre gli tiravo l'ennesima manciata di sabbia



 



Avevamo scelto di guardare le stelle in una spiaggia libera che terminava con un piccolo gruppo di scogli in mezzo al mare, facilmente raggiungibili senza rischiare di fare il bagno. Indossavo una gonna nera a tubino e una felpa nera sopra: il vento che c’era in mare era terribile e bisognava stare al caldo, ci eravamo portati anche un telo mare e una bottiglia di vino, rigorosamente rosso.
Luke era bellissimo, indossava dei bermuda beige e anche lui una felpa nera per proteggersi dal vento, camminavamo insieme verso la scogliera mano nella mano.
Un volta sistemati e coperti con il telo Luke mi abbracciò forte e iniziammo a guardare le stelle riscaldandoci dal vento marittimo con il vino.
Non ero mai stata più felice in vita mia e ci credevo davvero.


Gli amori folli finiscono per i motivi più disparati, ma di solito hanno tutti un elemento in comune: sono stelle cadenti, un attimo di splendore luminoso nel cielo, un lampo fugace di eternità che in un istante svanisce.


Fine Prologo.

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Capitolo 2
*** Chapter one ***


Chapter one
Kat’s birthday

anno 2014

Capì che, non solo ella gli era vicina,
ma che ora non sapeva più dove finiva lei
e dove cominciava lui.
Anna Karenina

 

Vorrei poter dire che dopo la maturità le cose tra me e Luke fossero andate con calma, senza fretta, ma mentirei spudoratamente.
Ci eravamo vissuti con un intensità tale che un tornado a confronto era un leggero venticello estivo. Ci eravamo prima distrutti e poi ricostruiti, ora avevamo appena iniziato l’università e facevamo i conti con la vita reale, la quotidianità. L’estate era finita ormai.

Era il mio compleanno e mi trovavo nell’aula di russo a fare lezione come dei bambini di sei anni. Le prime lezioni consistevano, infatti, in ripetizioni ad alta voce dell’alfabeto cirillico, insieme a circa un centinaio di studenti come me seduti su queste panchine terribilmente scomode.

A fianco a me Julia, sembravo essere destinata ad avere compagne di studi con lo stesso nome, ripeteva svogliata mentre messaggiava con il suo Simon. L’avevo conosciuta uno dei primi giorni di università era una ragazza molto semplice, capelli castani occhi castani ed un bellissimo ampio sorriso. Il mio cellulare fece vibrare tutta la panchina, si trattava di un messaggio di Luke.

 

Sto aspettando il treno per tornare a casa, tu che fai? Sei a lezione?”
Si, sono a Russo1. Dopo pranzo al volo e torno a casa, se partivi dopo ci incrociavamo alla stazione...”

Lo so… Fa niente dai. Ci vediamo stasera per il tuo compleanno, un bacio”
A Stasera… un bacio”

La sua sede universitaria si trovava a circa un’ora dai nostri paesini, la mia nella stessa città della nostra scuola superiore. Per noi che eravamo abituati a viverci ogni giorno a scuola ed ormai ogni giorno in generale, era stata dura affrontare questo primo mese di università, soprattutto perché mi ero appena iscritta alla patente e non potevo essere molto utile in questo senso. Luke non si lamentava a riguardo, quando dovevamo vederci dopo l’università la mattina prendeva la macchina, così al ritorno dalla sua sede passava per la città e poi stavamo insieme.

Irina Averina, la mia docente di grammatica russa decise di terminare la tortura con dieci minuti di anticipo. Non trovavo del tutto formativo che una sola docente dovesse dedicarsi a più di un centinaio di studenti, attraverso delle lezioni frontali con zero interazione, perché fondamentalmente ripetevamo ma tutti insieme e non singolarmente, non le ritenevo utili allo scopo di imparare una lingua il più velocemente possibile. Lo scopo della Triennale era quello di farci passare da bimbi russi dell’asilo a bimbi di quinta elementare in un anno accademico, per poi accelerare e garantire un B1 all’ingresso del terzo anno. Una missione quasi impossibile ai miei occhi.

Ci riempivano quindi di compiti di grammatica allo sfinimento, che venivano corretti in classe ovviamente in gruppo.

Un crescendo di voci si fece strada alle nostre orecchie mentre arrivavamo alla prossimità del bar dell’università. Riuscì ad intravedere Mood con quelle che dovevano essere delle nuove compagne di corso, alzò lo sguardo e gli feci cenno con la mano prima di entrare con Julia. Quando i nostri panini furono pronti, acchiappai il mio e avanzai verso l’esterno.

 

Julia, io scappo a casa, così ho tutto il tempo di sistemarmi per l’aperitivo. Ci sarai?
Certo che sì! Alle 19, giusto?”

Esattamente! A dopo allora!”

Camminavo mangiando il mio panino, ci sarebbero voluti una ventina di minuti prima di arrivare alla stazione e un’altra mezz’ora prima di essere a casa. Dovevo ancora sentire il locale dove volevo festeggiare, scegliere cosa indossare ed Emma avrebbe impiegato almeno due ore per aiutarmi, ma più di tutto volevo ritagliarmi del tempo per chiamare Luke.

Questa giornata per lui non era solo la giornata del mio compleanno, ma anche una data che fino a pochissimo tempo prima era stata importante, molto importante ed io volevo assicurarmi che stesse bene.

Avevo la sensazione che per lui questa giornata non era stata semplice. Lo sentivo, conoscevo quel ragazzo come nessun’altro, probabilmente lei si era fatta sentire, anzi potevo esserne sicura.

 

 

Non ero preoccupata che lei gli avesse scritto, lui aveva scelto me, una scelta sofferta, ponderata, che aveva fatto soffrire senza dubbio quella ragazza. Ma aveva scelto me. La mia unica preoccupazione era il carico emotivo che lui poteva aver ricevuto da lei in questa giornata. Un carico emotivo che solo chi ha avuto una relazione lunga e a tratti sofferta può comprendere.

 

Hey”
Hey festeggiata” la sua voce era tranquilla, meno male.

Come stai? Sei arrivato?”
Sisi sono a casa, ho mangiato più o meno tutto quello che c’era nel frigorifero. Tu?”
Sono arrivata e ho mangiato un panino al volo mentre uscivo, così adesso ho più tempo per rilassarmi. Come è andata la tua giornata?”
Tutto bene. Mi ha scritto Val… un messaggio un po’ lungo. Non arrabbiarti, credo sia solo un po’ malinconica data la giornata...”
Si. Ci avevo già pensato e un po’ me lo aspettavo onestamente. Sarebbe stato strano il contrario...”
Sei pronta per stasera?”
Prontissima. Tu?”
Certo, super pronto. Passo a prenderti alle 18:30”
Va bene… perfetto. Riposati, un bacio.”
Un bacio a te, fai la brava”
Sono sempre brava”

 

Una strana sensazione si era fatta strada dentro di me, certo mi aveva raccontato tutto, ma eppure c’era qualcosa che sentivo, una sorta di sesto senso mi diceva che qualcosa si era rotto o si stava per rompere e al solo pensiero di perderlo mi mancava l’ossigeno, era come avere due mani che stringevano sempre di più il mio collo. Ignorai quella brutta sensazione e andai a preparami un bagno caldo.

Ero solo paranoica.

 

Avevo impiegato circa un’ora per prepararmi, i capelli proprio non ne volevano sapere di stare in ordine e decidere il vestito si era rivelata un impresa impossibile da sola. Emma era in ritardo dunque non potevo contare sulla sua assistenza. Dopo aver provato ogni singolo vestito presente nel mio armadio, alcuni dei quali non ricordavo nemmeno esistessero, decisi per un vestito corto nero e bianco abbastanza accollato sul davanti e scollato sulla schiena, rigorosamente scarpe basse e i capelli sarebbero rimasti esattamente come erano di solito.

 

Eravamo seduti nel locale da già diverso tempo, Emma e alcune nuove conoscenti, tra cui anche Julia, stavano facendo amicizia e le sentivo ridere a crepapelle. Al mio fianco Luke non mi lasciava un secondo anche se avevo notato una cera preoccupazione un certo distacco in lui.
Ma forse ero solo io paranoica.

La serata procedeva bene, non potevo lamentarmi, sembrava che finalmente un mio compleanno si stesse svolgendo senza drammi o problemi, ero felice come non ero mai stata in vita mia e sapevo che quello era esattamente il mio posto nel mondo.

Eppure una nota amara si insinuava nella mia mente.

 

 

Eravamo al nostro posto.

Il nostro posto, meglio conosciuto come Alberobello, anche se non si trovava in Puglia ma a pochi metri da casa mia sotto un albero solitario, era la nostra meta finale prima di andare a casa praticamente sempre. C’erano sere dove semplicemente si parlava, ma la maggior parte dei nostri appuntamenti ad Alberobello finivano sempre con me e Luke nei sedili posteriori della sua auto.
Quello era uno di quei giorni, avevamo appena finito di fare l’amore che come sempre con lui era un altalena di emozioni sempre nuove, anche se in particolare percepivo che quella sera me la sarei ricordata per il resto della vita.

Ero accoccolata sopra Luke mentre lui mi accarezzava la schiena, nella sue braccia mi ero sempre sentita invincibile, come se nulla potesse mai scalfirmi o ferirmi.
 

Sei indimenticabile Kat Spencer. Ricordatelo sempre.”

 

Eccole di nuovo: un milione di farfalle ripresero a volare nel mio stomaco fino quasi a farmi venire la nausea, ogni gesto, movimento e sensazione di fece di nuovo vivida, colorata nonostante il buio della notte. Le sue labbra, la cosa più preziosa su questo pianeta e di nuovo perdermi con lui alla luce della luna sotto al nostro albero solitario.

Sotto al nostro posto.

 

Se avessi saputo che quella sarebbe stata l’ultima volta, ti avrei stretto fino a soffocarci.

 

*Spazio per Steph*
Ci ho messo molto ad aggiornare, è vero. Chiedo perdono.
Questa parte della storia è molto dolorosa da scrivere e quindi rivivere ma sto cercando di recuperare il tempo perso. Prometto che saranno più frequenti d'ora in poi.
Fatemi sapere cosa ne pensate, non temete Kat e Luke sono ancora ben lontani da separarsi...

Steph.

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Capitolo 3
*** Chapter two ***


Chapter two
Game over

anno 2014

 

18 Ottobre.

Sarebbe stata una nuova data da ricordare per sempre, subito dopo il mio compleanno, il 12 ottobre, altra data rovinata fino a nuovo ordine. Forse lo sarebbe stata per sempre in un certo senso. Ogni 12 ottobre degli anni futuri avrei pensato a lui e alla nostra ultima volta insieme. Avrei pensato a quante probabilità c’erano al mondo che la mia nascita potesse coincidere con l’anniversario della persona che amavo con la sua amata. Il destino aveva sempre un grandissimo senso dell'umorismo.
18 ottobre, una data che avrei odiato per sempre. Bisognava vedere se sarei mai stata capace di odiare anche lui con la stessa intensità.
Probabilmente mai.

Mi ero svegliata quella mattina con la mia sensazione strana che ormai portavo avanti da una settimana, anche se la percepivo sempre più intensa.
Ma probabilmente ero solo paranoica.

Luke mi aveva scritto che sarebbe venuto a prendermi in università alle 14 al termine delle lezioni per mangiare una cosa insieme e fare due chiacchiere, apparentemente niente di cui preoccuparsi, eppure l’ansia mi stava dilaniando dalle 9 del mattino. In aula ero inquieta, sapevo che stava accadere qualcosa di terribile perché eravamo connessi, che ci piacesse o meno da questo non potevamo scappare neanche volendo.

Non avevo avuto le forze di fare colazione, lo stomaco era chiuso e le farfalle tutte morte, mentre il mondo era grigio. Julia con una pazienza che aveva stupito anche me, non faceva altro che ripetermi che non avevo di che preoccuparmi, che si trattava di un pranzo, io e lui ci frequentavamo da diversi mesi ormai e la sera del mio compleanno lo aveva visto così tanto preso da me che le sembrava impossibile il mio stato d’animo.

Eppure non potevo farci niente.

Me lo sentivo.

 

Finalmente le 14.
Camminavo lente verso la sua macchina, potevo riconoscerla tra altre mille, ma in quel momento mi sembrava di camminare verso il patibolo. Lui era bello, come sempre.

Entrai in macchina lentamente, Luke mi baciò distrattamente sulle labbra e partì.
Buona parte del tragitto guardai fuori in silenzio, l’unico rumore che percepivo era il mio cuore sull’orlo del collasso.

Poi a metà strada Piterson spaccò il cielo.

Kat devo parlarti”

 

 

Guardavo fissa nel vuoto.
Mi ero vestita, avevo messo anche una collana quel giorno e mi ero truccata. Mi trovavo nell’aula di inglese1 a seguire un nuovo corso, anche se esternamente ero impeccabile dentro ero in mille pezzi, avevo solo accennato a tutti cosa era successo ma non mi ero sentita di scendere nei dettagli anche perché io stessa ancora dovevo realizzare.

Perchè io non ci credevo, non riuscivo a crederci e soprattutto non volevo crederci.
Attendevo che qualcuno mi desse un pizzicotto per svegliarmi da questo incubo in cui mi trovavo da ormai 24 ore. Luke mi aveva riempito di messaggi, era dolce come sempre.
Io ero fredda e distaccata. Non capivo cosa volesse ancora dalla mia vita, dopotutto aveva scelto e fatto tutto lui.
Io subivo le sue scelte, perché solo questo potevo fare e riuscivo a fare in quel momento.

 

Scesi dalla macchina trattenendo le lacrime, non volevo farmi vedere fragile da lui. Le sue parole erano state peggio di lame infilate lentamente nella carne. In venti minuti era riuscito a distruggermi completamente.
Non so se sono pronto per ufficializzare la nostra storia, non so se mi sento pronto a essere fidanzato di nuovo.”

Vuoto. Silenzio.
Mentre io avevo un milione di parole da dire e tanta voglia di urlarle, ma non usciva voce dalla mia bocca. E poi quel bacio, il suo bacio, così urgente come se già gli mancassi da morire mentre mi trovavo ancora lì. La confusione, la testa leggerissima quando le sue labbra erano sulle mie e poi il macigno insostenibile quando si era staccato, quando gli occhi avevano cominciato a pizzicarmi e la voce a tremare.
In quanti pezzi può frantumarsi una persona?

 

La lezione di Inglese1 era anche interessante, provavo una profonda adorazione per la docente, e una certa invidia per la sua pronuncia quasi impeccabile. Peccato per il mio umore che mi impediva di concentrarmi.

“Kat, resti in università per pranzo?”
“No Julia grazie, torno a casa. Ci vediamo domani mattina”

 

“Il giorno che distribuivano il cuore
Penso io fossi altrove, la testa chissà dove

Piuttosto che l’amore, preferivo un Range Rover
Adesso fuori piove, adesso noi game over.”

 

 

Mentre percorrevo il centro in direzione della stazione dei pullman, la canzone mi entrava dentro nelle vene fino ad anestetizzare il cuore, la musica era l’unica cosa al momento che riusciva a farmi andare avanti. Emma non sapeva più che fare con me, cercava di starmi vicino quanto possibile ma il mio stato d’animo era nettamente in contrasto con il suo, dato che al momento era molto presa dal suo primo anno con Mike, non poteva mollare tutto e stare dietro a me, ma nessuno poteva perché nessuno fondamentalmente sapeva con esattezza cosa fosse accaduto.

Neanche io.

 

 

La sensazione di vivere dentro un incubo non mi aveva abbandonata nemmeno dopo due settimane. Sostanzialmente sopravvivevo agli eventi. La cosa paradossale della vicenda era che a me Luke mancava da morire ma non lo cercavo mai, mentre lui mi cercava costantemente e pretendeva di sapere come stavo, se stavo andando in università, con chi uscivo, chi vedevo… Praticamente mi tartassava di domande e io sempre meno riuscivo a razionalizzare il suo comportamento nei miei confronti. Aveva scelto di rivederla, avevo intravisto qualcosa su Facebook una Val molto contenta di una sorpresa sotto casa. Sapevo che era stato lui.

Io non lo cercavo, ma non riuscivo a non rispondergli, mi costava già troppa fatica non chiamarlo e non vederlo dunque mi aggrappavo alla sua presenza “virtuale” nonostante non riuscivo a capire il suo comportamento.

 

Quale era il senso di tutto ciò?

 

 

Quasi un mese dopo, era stata fissata da un Mood una sorta di rimpatriata tra vecchi compagni. Si trattava di un aperitivo vicino all’università e ci sarebbe stato anche Luke, e non solo mi aveva gentilmente offerto un passaggio, lo aveva fatto con uno stato d’animo così tranquillo che mi aveva turbato.

Beato te che stai bene.

 

Non so se è stato perché abbiamo fatto tutto così in fretta, ma sento che stiamo rallentando adesso. E’ sempre più difficile vedersi ed incastrarsi tra i vari impegni… Tu hai l’università il tuo lavoretto al pub, io sto ad un ora dalle nostre case, per vederci devo sempre utilizzare la mia macchina. Sta diventando complicato viverci come vorremmo Kat”
Dunque non vado bene perché non sono come Val che non fa niente e ti aspetta a casa? Vaffanculo Luke”
Kat non volevo dire questo…”

Misi tutta la mia forza per sbattere quella portiera e per correre via il più velocemente possibile.
Lui non mi seguì.

 

Sarebbe stato qui a momenti e rivederlo mi metteva una cera agitazione, mannaggia a lui. Nonostante ciò avevo cercato di essere la migliore versione di me stessa, mi ero vestita bene, truccata e come da qualche tempo fuori apparentemente sembravo una persona serena, tranquilla e felice. Sapevo che il mio orgoglio mi avrebbe aiutato a gestire quel tragitto alla grande, non avrei ceduto in nessun modo a lui, non dopo le patetiche scuse che aveva trovato per liquidarmi.

 

Scendi.”
Arrivo.”

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Capitolo 4
*** Chapter three ***


Chapter three
Breath and go on



Sentivo le gambe atrofizzate mentre scendevo le scale. Il battito accelerato, mani sudate e gola secca. Vedere Luke mi provocava delle sensazioni contrastanti: ero incazzata nera per la sua vigliaccheria, ma non ero sicura che i suoi sentimenti per Val fossero effettivamente svaniti del tutto, allo stesso tempo non potevo avere controllo sul mio cuore e sulle reazioni del mio corpo quando mi trovavo a dividere la sua stessa aria. Ma ero troppo orgogliosa per ammettergli di essere innamorata di lui.

 

Sarebbe stata una di quelle cose che mi sarei portata nella tomba.

 

Il tragitto dal portone di casa al posteggio i sembrò infinito. Luke se ne stava lì appoggiato alla sua macchina con le mani in tasca e la sua solita faccia. Era bellissimo, ma non avevo nessuna intenzione di dirglielo.
Il suo sguardo era inchiodato su di me, quando i miei occhi incontrarono i suoi ogni traccia di sofferenza svanì completamente e gli sorrisi.
Lui ricambiò e il mio cuore ebbe un mancamento.

 

Potevo però percepire del disagio in lui, lo squadrai dalla testa ai piedi, mi era mancato da morire e volevo memorizzare ogni dettaglio di lui.  Il mio sguardo si incastrò sulle sue mani: aveva rincominciato a portare le fedina di Val.
La sua scelta era palese dunque.
Motivo in più per non rivelare i miei sentimenti.

 

"Ciao"
"Ciao Luke"

"Sei bellissima"
"Ma fammi il piacere. Andiamo faremo tardi" questa frase doveva uscire rabbiosa, ma invece ero contornata da una piccola risata. Ero patetica.
"Ok"

 

Passammo buona parte del tragitto in un silenzio imbarazzante. La sua macchina mi portava alla mente un sacco di ricordi, tutti legati alla nostra storia, se così potevo chiamarla. Perché la cosa più dolorosa era che non sapevo nemmeno come etichettare ciò che avevamo vissuto.

Perché a quanto pare aveva significato qualcosa solo per me.


 

Fuori dal locale scelto c'erano proprio tutti: Mood venti metri lontano da Julie, Rory e Ana. Vedere Mood mi metteva addosso sempre una certa allegria, sapevo dai suoi racconti che le cose con Julie non erano andate a finire bene, non appena era finita la loro storia, era terminato anche l'interesse di Julie nei miei confronti.

 

L'atmosfera non era per niente gradevole come doveva essere. Mood e Julie si lanciavano occhiate mentre Rory cercava invece di deviare l'attenzione sul passato continuando a parlare di ciò che facevamo adesso, tra studi lavori etc. Nel frattempo ogni occasione per me era buona per lanciare battutine a Piterson che stava con orgoglio e senza ritegno soprattutto parlando del suo ritorno con Val.

 

"Si ecco, siamo tornati insieme. Ma non è ancora ufficiale ci stiamo riprovando..."  Piterson si tormentava le mani nel parlare. Che fosse per caso soggezione o imbarazzo? Sinceramente me lo auguravo data la circostanza.
"E tu Kat come l'hai presa?"

"Non stavamo insieme"

 

La mia risposta smorzò l'entusiasmo dei presenti, che a parte Luke, si aspettavano probabilmente di passare un aperitivo interessante condito da litigi e spettacolo.
Ma non era mia intenzione lavare i miei panni sporchi di fronte e loro o di fronte chiunque altro. Per divertirsi avrebbero dovuto trovare qualcosa d'altro.

Perché il mio dolore non sarebbe stato oggetto di divertimento di nessuno.

 

Kat appunto mentale, qui non ti puoi fidare di nessuno se non di Rory che sta facendo di tutto per parlare di altro e di Mood che sta vivendo la stessa situazione.

 

 

L'aperitivo fu tutto tranne che piacevole e decidemmo di rinviare di alcuni mesi il prossimo appuntamento perché era chiaro che non si poteva fare nell'immediato.  Mi diressi verso la macchina di Luke, perché nonostante sarei potuta tornare con Mood, il mio cuore mi diceva che avevo delle questioni da chiarire in privato con Piterson e che non potevo rimandare.

 

"Non hai toccato cibo"
"Non avevo fame, Luke"

"Mi dispiace per Ana e per Julie, non era argomento da discutere così apertamente"
"Guarda, francamente della tua relazione non me ne importa niente"
"Kat..."
"No davvero. Adesso ascoltami: è tutto ok. Accetto la tua decisione perché altro non posso fare, ma davvero non cercare di rifilarmi altre giustificazioni e per favore smettile di scrivermi ogni giorno per sentirti meno in colpa, perché non mi aiuti."
"Kat, va bene. Ma non riesco a tagliarti fuori completamente dalla mia vita. Io e Val ci stiamo riprovando e questo è vero, non lo nego, ma abbiamo fatto così forti e folli io e te, non voglio perderti"

 

I suoi occhi erano piantati nei miei, erano verdi come li ricordavo e come li avevo sognati per tutto il tempo passato lontani. Mi mancava da morire Luke Piterson e  non potevo farci niente.

 

"Non mi stai perdendo ma ti chiedo di darmi il tempo per metabolizzare tutta questa storia, adesso me ne vado Luke"

 

Non feci in tempo ad aprire la portiera che la sua mano fu dietro alla mia nuca e mi attirò a se azzerando la nostra distanza. Le nostra labbra si erano mancate da morire e subito trovarono la via di casa, come se non fosse passato un solo giorno dalla nostra rottura. Il bacio mi stava annebbiando i pensieri e non riuscivo più a ragionare. L'amore era qualcosa di troppo forte da gestire ed ebbi la prima conferma che la distanza non separava.

Peccato che il mio fosse un amore a senso unico.

 

Con quell'ultimo pensiero in mente riuscì a riemergere da quel bacio che tanto volevo ma che allo stesso tempo odiavo.

Mi staccai con molta riluttanza dalla sua bocca e ripresi fiato.

 

"Questa è stata l'ennesima cazzata che hai fatto"

Sussurrai sulle sue labbra prima di girarmi e andarmene per sempre da quella macchina e dall'uomo che amavo.

 

Fu in quel preciso momento che presi coscienza del fatto che non sarebbe bastata una vita per cancellare il suo ricordo e le sue impronte su di me, che per quanto potessi provare a farmi toccare da altri nessuno avrebbe avuto le sue mani, che il mio cuore avrebbe risposto sempre e solo al suo tocco perché ormai per quanto a lui non riuscissi e non volessi ammetterlo, gli appartenevo.

 

 

Ero sul libro di linguistica generale da quasi due ore, eppure nulla di ciò che leggevo sembrava varcare e soglie del mio cervello.

Tutto quello a cui riuscivo a pensare era quel bacio, che aveva acceso la fiammella della speranza dentro di me, nonostante la mia parte razionale faceva di tutto per eliminare ogni possibile appiglio.

 

Ma io a quel bacio mi ci attaccavo con le unghie e la speranza era dura a morire.

Emma aveva smesso di commentare l'atteggiamento di Piterson e mi aveva promesso un sabato sera tra ragazze a ballare in città. La cosa non mi riempiva di gioia perché non ero dell'umore giusto, ma almeno avrei potuto bere fino ad anestetizzare il dolore.

 

Respira Kat, puoi farcela.

 

*Spazio per Steph*
Sono tornata! dovete scusare la mia assenza, sto cercando di scrivere il più velocemente possibile il seguito di questa storia, ma come anticipato a volte è doloroso.
Fatemi sapere il vostro pensiero!

un bacio

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Capitolo 5
*** Chapter four ***


Chapter four
My xmas gift


anno 2014


 

Era il giorno di Natale, di neve neanche l’ombra, anzi c’era un accenno di sole in questa giornata di festa.

I miei avevano deciso di passarlo in un ristorante lungo il fiume con alcuni parenti visti raramente, a parte le mie nonne.

Il mio stato d’animo era sempre apatico e a rincarare la dose, in università non avevo concentrazione e rispetto ai miei compagni che si erano buttati subito in esami parziali ed erano riusciti a trovare un ritmo e gruppi di studio, io ero rimasta emarginata a causa del mio dolore e del lavoro al pub.

Il lavoro di per sé non era pesante, il titolare mi chiedeva solo di fare qualche sera nel week end ma il problema cruciale erano gli orari. Staccare alle 3 dal pub la domenica mi impediva di essere reattiva alle 9 del mattino del lunedì. Quindi la mia settimana partiva a rilento e non riposavo mai del tutto, ma ne avevo bisogno dunque non volevo rinunciarvi.

 

Avevo scelto un abbigliamento sobrio ma pur sempre in linea con la giornata, tutto sommato non mi dispiaceva l’idea di trascorrere il Natale a farmi servire in un ristorante, piuttosto che smanettare con i miei in cucina come ogni anno.

Il posto in sé si trovava proprio a lungo fiume, era molto suggestivo nonostante la stagione fredda. In estate doveva essere magico, zanzare a parte chiaramente.

 

Il pranzo era trascorso bene, stranamente nessuna discussione aveva spezzato l’atmosfera natalizia, stavamo mangiando il dolce, ero pienissima e non avevo la forza per muovermi.

Ad un tratto il mio cellulare vibrò per l’arrivo di un messaggio.

Tanti auguri di Buon natale Kat”

si trattava di Piterson, ovviamente.

Ero indecisa su cosa rispondere e se rispondere. Negli ultimi due mesi avevo evitato il più possibile qualsiasi interazione o luogo da lui frequentato, avevo fatto di tutto per dimenticarmi di lui, di tutto per cancellare la nostra storia… Con scarsi risultati visto che quel messaggio aveva alimentato la mia speranza anche se ormai era ridotta ad una fiammella minuscola.

 

Buon Natale anche a te.”
Grazie, come stai? Cosa hai ricevuto per Natale?”

 

Quella semplice domanda per quel cretino del mio cuore significava solo: vuole continuare la conversazione.

Per la mia testa era: è solo educato

Sto bene, tu? Ho ricevuto dei regali interessanti, una collana e diverse mance. Tu?”

Anche io più o meno lo stesso. Mangiato molto?”
Come sempre a Natale si finisce rotolando. Tu?”

Ahahaha uguale dai. Diciamo che sono molto pieno in questo momento. Fai qualcosa durante queste feste?

 

Che cosa vuoi da me Piterson?

 

In realtà no. Oggi sono via al ristorante ma torniamo stasera, tu?”
Non farò nulla, Val è andata dai suoi parenti e ho dieci giorni da godermi senza di lei.”

Capisco”
Ti va Kat se ci vediamo magari il 27? così facciamo due chiacchiere a quattro occhi”

 

Quella fiammella del cazzo era già un incendio e stava decimando il mio buon senso.

 

Okay, va bene.”
Perfetto dai allora ti scrivo il 27 così ci mettiamo d’accordo.”

Va bene, buona serata”
a te Kat… Fai la brava, un bacio”

 

Passai tutto il tragitto in macchina a pensare al nostro scambio di messaggi e al fatto che lo avrei visto esattamente tra quarantotto ore dopo sessanta giorni di assenza dalla mia vita.

Due mesi interi dove mi ero subita foto con Val su ogni mezzo di comunicazione inventato dall’uomo. Due mesi dove il mio cuore si era costruito attorno muri su muri per impedirmi di soffrire ancora a causa sua. Due mesi di totale astinenza non solo sessuale, ma sentimentale, dove nessuno mi aveva più guardata o sfiorata come faceva lui. Semplicemente perché non sarebbe servito a nulla.

 

Sapevo con certezza che avrei passato le prossime quarantotto ore a fissare il cellulare in attesa di un suo messaggio, un suo segnale.

 

Sapevo che sarebbero state le più lunghe della mia vita.

 

 

 

27 dicembre

anno 2014

 

Avevo aspettato tutto il giorno che Luke mi facesse sapere per la sera. Odiavo dipendere così tanto da lui dopo questi mesi, odiavo di essere ancora innamorata di un uomo che aveva messo in chiaro di non amare me.

Eppure eccomi qui, alle 21, pronta per un appuntamento delle 21:30. Agitata e tutta truccata, con la speranza che una volta incrociato il mio sguardo lui cambi idea e torni a scegliere me.

Ma non sarebbe mai accaduto ed era da stupidi sperarci.

 

Era arrivato.

Tornai in bagno per guardarmi allo specchio, non avevo indossato chissà che cosa, un paio di jeans scuri, un maglione pesante aderente e un paio di stivali.

Mi ero truccata e dovevo ammettere di aver fatto il bagno nel profumo.

 

La prima cosa che notai era che aveva cambiato macchina.

Al posto della scatolina a cui ero abituata, c’era una berlina nera nuova. Entrai e rivederlo dopo quei mesi fu strano. Ero imbarazzata da morire, ma lui mi sorrise e mi passò tutto.

Hai cambiato macchina” la voce non mi tradì, sembravo effettivamente rilassata e tranquilla.

Si, ti piace?”
Molto carina”

Allora cosa mi racconti, come va l’università?”
Piterson ce l’hai una domanda di riserva? Va… così così. Tu?”
Va abbastanza bene, sto preparando degli esami.”

 

Almeno lui li preparava, io non ero riuscita a combinare un cavolo negli ultimi giorni.

 

Andiamo a fare un giro?” proposi speranzosa di levarmi da sotto casa mia
Si certo”

 

Era strano. Passai il tempo a giochicchiare con la sua radio mettendo e togliendo canzoni dalla sua chiavetta e memorizzando quelle che mi piacevano. Lui guidava tranquillo come sempre, anche se la sua mano quando non era sul cambio si appoggiava sul mio ginocchio, scottandomi. Ma ero sicura al cento per cento che quello fosse un suo gesto abitudinario a cui non dava nessun peso, mentre per me significava un ritorno al passato.

 

Ci fermammo in un posto che avevamo già visitato insieme, per studiare durante la maturità. Mi venne da sorridere ma mi limitai a intavolare un discorso.

 

Allora, raccontami un po’ che cosa è successo a Luke Piterson in questi mesi”
Nulla di che, vado in università esco con gli amici e con Val… Solita vita, anche se l’uni è pesante”

Non dirlo a me. Faccio fatica a gestire tutta la mole di studio”
Lavori ancora al pub?
Ovviamente si. E’ piuttosto divertente e mi piace essere un po’ più indipendente economicamente. Tu lavori ancora da tuo padre?”
Si, quando non ho lezione al pomeriggio vado. Fa comodo anche a me qualche soldo in più. Ti vedi con qualcuno?”

 

Quella domanda fu un colpo al cuore.

 

No, non mi va molto di avere relazioni in questo momento, perché?”
Nono così per sapere.”

Come va con Val?”
Come sempre. Non è cambiato niente sostanzialmente tra di noi”

 

Calò un silenzio pesante nell’abitacolo. Guardai Piterson negli occhi in cerca di quella luce che conoscevo bene, quel guizzo di pazzia che lo aveva reso interessante ai miei occhi per tutto quel tempo. E quando posò il suo sguardo su di me, le mie aspettative non vennero tradite, lo sguardo da psicopatico era sempre lì.

 

Abbracciami” chiede
Non no voglia di abbracciarti Piterson”

Abbracciami” e quello fu un ordine.

 

Mi abbracciò forte, il suo profumo mi arrivò alle narici come una badilata in fronte e inspirai a fondo prima di staccarmi. Basta era il mio limite quello.

Piterson invece cercava in tutti i modi il contatto fisico, non perdeva occasione mentre parlavamo di sfiorarmi o avvicinarsi e io mi ritraevo come se scottasse. Era una situazione comica per chiunque vedesse la scena dall’esterno, che terminò alle due del mattino con i nostri primi sbadigli.

Alla fine cedetti a quindici minuti di abbraccio con grattini sulla schiena, solo perché mi era mancato davvero tanto e quella che doveva limitarsi non ero di certo io.

 

Andiamo a casa dai” sussurrò Luke
Si, mi sta venendo sonno”

 

Sotto casa mia guardai Luke negli occhi intensamente e gli chiesi per favore di scrivermi per farmi sapere quando era arrivato a casa. La sua risposta fu un bacio all’angolo della bocca che mi rese impossibile dire qualsiasi altra parola.

 

Me ne andai con la testa più confusa che mai e con una sola domanda in testa:

Quale era stato il senso di questo incontro?

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Capitolo 6
*** Chapter five ***


Chapter five
Falling down again

 

14 Febbraio

anno 2015

 

La sessione invernale era andata male. In compenso però, ero riuscita a passare al primo colpo con un solo errore la teoria della patente. Adesso tutto stava nel fissare le guide ed imparare e guidare. Ma fino a che non sarebbe arrivato il foglio rosa in scuola guida, avevo le meni legate. Più cercavo di studiare più la mia testa si distraeva. Il pensiero era sempre lo stesso: Luke.

C’era stato un altro incontro a gennaio in occasione del suo compleanno, si era svolto esattamente con lo stesso copione.
Io cercavo di fare del mio meglio, non lo cercavo mai nonostante mi mancasse, certo, ormai mi ero abituata alla sua assenza, ma purtroppo almeno una volta al giorno occupava i miei pensieri. Lui non era d’aiuto per niente: era sempre lui a cercarmi o a propormi di vederci ed io ero debole e troppo coinvolta per dire di no, l’unica cosa che riuscivo a fare era respingere ogni contatto fisico con lui.

La situazione era ai confini della realtà: io innamorata di lui che lo respingevo, lui fidanzato con un’altra che faceva l’idiota.
Perfettamente cosciente di quanto quella situazione poteva essere tossica, ero spaccata a metà: una parte di me voleva vederlo e sentirlo, l’altra sperava che una mattina lui si svegliasse e si dimenticasse per sempre di Kat Spencer.

La sessione invernale era stata una tragedia, avevo dato cinque esami ma soltanto due erano andati a buon fine, tuttavia non mi importava, avrei perseverato e continuato a studiare Piterson o meno.
Non era lui che nei giorni successivo al nostro incontro aveva sperato in un messaggio, non era lui che aveva di nuovo pianto a letto, in silenzio senza farsi sentire. Non era a lui che la fame passava ogni volta che in università incrociavo Val.

Ero io però a dargli il potere di fare tutto questo e qualcosa doveva cambiare prima di subito.

Questo San Valentino non sarebbe stata la festa degli innamorati, o almeno non per me.
Per me sarebbe stato l’inizio di una nuova vita.

 

 

Pasqua

anno 2015

 

Mi legai il grembiule in vita, pronta ad affrontare questo nuovo turno al pub. Era la domenica di Pasqua, ma noi eravamo aperti. Sicuramente le persone provate dai pranzi luculliani avrebbero fatto un giro per fuggire dalle famiglie numerose.
Come la primavera, anche io rifiorivo dopo un lungo e rigido inverno. Mi ero buttata sulla patente, sul lavoro e sullo studio in università. Il tutto contornato da nuove amicizie.
Da Natale Rory aveva iniziato a frequentarsi con una ragazza Margi, che mi era piaciuta subito e che già conoscevo di vista dai tempi del liceo. Vedevo spesso loro due in università insieme a Julia e pranzavamo insieme.
Emma frequentava spesso il pub dove lavoravo e da qualche tempo il mio datore di lavoro aveva deciso di assumere anche lei, lavorare insieme si era rivelato molto divertente e un occasione per vederci di più. Il locale aveva cominciato a radunare molti ragazzi della mia età e avevamo conosciuto Francy. Era una di quelle persone che ti colpiscono a prima vista e non solo per gli occhi verdi da gatta, per fortuna completamente diversi dal verde di Piterson. Aveva un modo di fare accomodante, gentile e una risata contagiosa.

Potevo affermare di aver ristabilito un minimo di equilibrio nella mia vita, pensavo ancora a Luke ogni giorno e nonostante non lo avrei mai ammesso ad anima viva, ero ancora innamorata di lui.

 

"Se credete che si può smettere di amare qualcuno soltanto non vedendosi più, be’ vi sbagliate alla grande. Se amate qualcuno, e lo amate davvero, l’amore va avanti, non muta e non cambia. Si annida in una piccola parte del vostro cuore e per quanto potete schiacciarlo in un angolo lui rimarrà sempre lì con la sua fiammella accesa, pronta a divampare se alimentata."

 

Ma potevo affermare con certezza che meno lo vedevo e meglio stavo.
Infatti.

Le ultime parole famose.

 

Ciao, disturbo?”

 

Ogni volta che appariva il numero di Luke sul mio telefono il mondo si fermava per qualche secondo.

 

Ciao, sono a lavoro dimmi”
Nulla, è che oggi ero a fare il pranzo di Pasqua vicino a casa tua e ti ho pensato. A che ora stacchi?”

Oggi chiudiamo a mezzanotte, è Pasqua”
Capisco… va be’ niente allora magari faccio un salto a salutarti durante la serata”
Come vuoi, io sono qui”
Va bene a presto”

Dopo aver servito due clienti mi fiondo in cucina da Emma.

Emma” avevo la voce più alta di un ottava e stavo già iniziando ad agitarmi
Dimmi”

Verrà qui”
Ma chi? Oddio… no ti prego”

 

Emma rimase a fissarmi, vedevo la preoccupazione nei suoi occhi e anche un pochino di curiosità.

 

Ma che cosa vuole?”
Tu lo sai?”

 

Per fortuna la mole di gente ci impedì di proseguire il nostro discorso, Emma era occupata a preparare panini, piadine o toast per quei coraggiosi che avevano fame, mentre io cercavo di servire da bere il più velocemente possibile. Ogni volta che la porta si apriva il mio cuore mancava un battito e con tutta la gente che entrava ed usciva dal locale rischiavo seriamente di andare in arresto cardiaco. In tutto ciò ero conciata malissimo, era normale durante il lavoro al bancone sporcarsi tra birre e super alcolici dunque non dovevo essere un bel vedere. Però in fondo al cuore io ci speravo che lui varcasse quella porta e che venisse ancora una volta lui da me, non mi importava delle sue motivazioni, erano una dimostrazione di qualcosa.

E alla fiammella nascosta nel mio cuore, bastava per divampare.

 

Il turno si era svolto senza troppi intoppi. Mi stavo occupando della chiusura e mentre Emma puliva la cucina io pulivo tutta la sala, compresi i pavimenti. Per fortuna era una festività dunque forse per l’una entrambe saremmo state a casa sotto la doccia.

 

Non potevo dire di essere triste, ma sicuramente ero delusa. E arrabbiata.
Non aveva nessun diritto di scrivermi, obbligarmi alla sua presenza e poi non presentarsi. Il mio cuore aveva fatto gli straordinari tutta la sera per colpa sua e come un’idiota avevo fissato la porta ogni volta che si apriva nella speranza di vederlo comparire.
Io ed Emma stavamo camminando verso le nostre abitazioni, eravamo arrivate all’incrocio dove ci salutavamo poichè le nostre strade si dividevano. Avevamo insultato Piterson per tutto il tragitto.

 

 

Il getto della doccia sulle pelle era sempre un toccasana dopo i turni al pub. Erano in grado di rimetterti al mondo.

Cercai di fare il più piano possibile, anche se i miei sapevano che quando tornavo dal pub avevo la necessità di farmi la doccia e di conseguenza di utilizzare il phon.

Finalmente mi sentivo lavata e pulita, indossai il pigiama pronta per andare a dormire quando il mio telefono vibrò.

 

Sono quasi sotto casa tua, immagino che il turno sia finito”

 

Sopravvivere a queste altalene di emozioni era veramente difficile. Non appena il mio cuore smetteva di sperare lui compariva come il prezzemolo.

 

Mi misi velocemente una tuta e scesi.

Quella sera ero talmente stanca che non mi importava apparire bella ai suoi occhi, e già questo era un traguardo personale.

Mi aveva visto in tutti i modi non si sarebbe di certo scandalizzato.

Non potevo però impedire al mio cuore di capitolare ogni volta che incontravo i suoi occhi verdi.

 

Ciao”
Ciao”

 

E di colpo mi sentì catapultata indietro nel tempo.

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Capitolo 7
*** Chapter six ***


Chapter six
Pieces of me

 

Pasquetta
 

anno 2015
 

ore 5:01.
 

Fissavo il soffitto di camera mia mentre aspettavo che il battito del mio cuore si regolarizzasse. Mi sembrava di essere estranea al mio corpo e che quello che era successo quella sera non fosse veramente accaduto. Se c’era una cosa che non dovevo fare con Luke era spiegarmi, perché nonostante fosse un egoista ed un idiota, mi capiva sempre senza che io parlassi.

Non avevo bisogno di spiegare il mio disagio, lui semplicemente lo sapeva.

Eppure nonostante questa sintonia che avevamo sempre avuto e che continuava nel tempo non mi capacitavo di come non riuscisse ad accorgersi che ero innamorata di lui. O peggio, forse lo sapeva ma faceva finta di niente.

 

Le sue mani a contatto con la mia schiena, pelle contro pelle. Una cosa che non accadeva da diverso tempo. Il suo sguardo inchiodato su di me, nessun bacio, nessun gesto spinto. Solo questo. La necessità di avere le sue mani a contatto diretto, addosso.”

 

Potevo fare la distaccata con Piterson, ma probabilmente il mio corpo mi avrebbe sempre tradito.

Che poi di concreto non era successo niente. Perchè non c’era stato un bacio, non eravamo andati a letto insieme, non c’erano stati baci. Ma anche solo l’intimità di quel gesto era abbastanza per me da farmi stare così.

E io odiavo come mi sentivo.
E stavo iniziando ad odiare lui.

 

Così non riuscivo a dormire, ancora una volta Piterson era capace di entrare a gamba tesa nella mia vita e sconvolgermi. Non importava quanto tempo passava, non importava quanto io cercassi di crearmi un equilibrio. Lui sconvolgeva tutto. Ed io ero cosciente di permetterglielo, ma ancora non ero pronta a lasciarlo andare. Volevo delle risposte e le avrei ottenute. Prima però dovevo scrollarmi di dosso questa sensazione, dovevo cancellare le tracce delle sue mani su di me.

Fosse stato facile.

Mi ritrovavo a pensare se sarei mai riuscita a dimenticarlo del tutto. Non avevo una risposta. Le lacrime cominciarono a solcare le mie guance, io pensavo di non aver più lacrime da piangere per lui, invece ogni volta dovevo ricredermi.
Mi chiedevo se all’una di notte ci sono stata io, tra i suoi pensieri, come lui fa parte dei miei.
Mi chiedevo se sorrideva ricordando delle nostre uscite. Perché io lo facevo, lo facevo sempre ma non perché lo volevo, no, perché se avessi potuto avrei messo via tutti questi bellissimi pensieri in una scatola e non l’avrei aperta mai più, così almeno non avrei più sofferto tra mille dubbi e incertezze.
Ormai eri entrato nella mia mente, nella mia pelle, perfino tra le ossa, fino ad arrivare al mio cuore.

E forse non sarebbe stato più possibile rimuoverlo da lì.

 

 

 

Giugno

anno 2015


 

La sessione estiva si avvicinava con prepotenza e con lei anche l’obbligo di studiare e recuperare gli esami andati male della sessione invernale. La voglia di studiare c’era a giorni alterni ed io speravo francamente di farcela questa volta.
Passavo le mie giornate alternando piscina, studio e lavoro al pub. Emma e Mike erano in crisi e da qualche tempo mi stavo concentrando anche sull’aiutare la mia amica ad uscire da quella brutta situazione. Sapevo cosa significava avere il cuore spezzato.
Avrei passato il pomeriggio a studiare Inglese e poi la sera avrei visto Francy ed Emma. Il piano ero quello di farci un giro e poi di andare dove ci portava il cuore.
Ed era più o meno il programma di quasi tutte le nostre sere.

 

Non sentivo e non vedevo Piterson da Pasqua e sinceramente per la prima volta erano passati più di sessanta giorni senza vederci.
Io non lo cercavo come sempre e lui, per la prima volta non cercava me.

 

E a me questo stava facendo un gran bene.
Nonostante nella folla cercassi comunque i suoi occhi tra un milione di altri, nonostante sperassi sempre che il destino mi giocasse qualche scherzo e mi facesse trovare di fronte lui, anche con Val, non mi importava, nonostante la speranza fosse davvero l’ultima a morire… Il suo non cercarmi mi faceva bene.

 

Quell’estate sarebbe stata mia, mia e basta. Una sorta di vendetta per quella precedente. Avrei coperto tutti i ricordi vissuti con Luke al mare, sarei passata oltre. Me lo sentivo.

Dopo quasi un anno di sofferenze era giunto il momento di andare oltre.

 

E quel pensiero e con la voglia di ricominciare da zero sorrisi alzando gli occhi dai libri di inglese e puntai il cielo.

Sarebbe stata un estate da ricordare.

 

 

Il locale era pieno di gente ed io e le mie amiche avevamo solo voglia di bere, ballare e staccare il cervello. Eravamo arrivate qui grazie ad alcuni ragazzi che frequentavano il pub, diciamo che ci eravamo unite a loro per passare una bella serata. Eravamo tutte bellissime, ci avevamo dato dentro con la preparazione quella sera.
Ed infatti, avevamo racimolato tre drink e ci stavamo scatenando in pista da ballo, Francy mi stava trascinando perché le note di “Lean on” per lei fungevano da interruttore on-off, così io ed Emma la seguimmo sorridenti.

Non ero mai stata una tipa da discoteca, diciamo che ero più ragazza da calice di vino al bar, ma quella sera avevo bisogno di quello.
Avevo bisogno della musica alta, delle mie amiche che ballavano e magari anche di qualcuno con cui passare il tempo.

Fu quella sera che per la prima volta mi sentì viva di nuovo.

Dopo tanto tempo, non sentivo più di sopravvivere agli eventi ma di vivere… E stavo bene, dopo tanto stavo bene.

 

Nessuna di noi aveva rimorchiato qualcuno, ma non ci importava. I nostri accompagnatori un po’ ci avevano provato, ma senza troppa malizia, ci avevano solo fatto sorridere e divertire. Era ormai mattina presto quando la fame aveva preso il sopravvento e ci eravamo posizionati dentro ad un fast food, pronti a divorare il mondo.
Io avevo optato per una patatina grande e ne andavo molto fiera, mentre le mie amiche e i nostri due cavalieri ci davano dentro con panini e altre schifezze.

 

Quindi Kat sei single?”
Stai buono Alex, lo sono ma non mi interessa conoscere nessuno seriamente”

Ahia… Ci stai ancora sotto eh?”

 

Francy mollò una gomitata al malcapitato e io scoppiai a ridere di gusto.

 

Comunque è un peccato”
continuò Alex, era un conoscente di Francy, un ragazzo abbastanza anonimo, capelli scuri, niente di eclatante ma comunque molto simpatico e la sua schiettezza mi faceva sorridere.

Mentre camminavo verso casa, per la prima volta dopo tanto tempo avevo il sorriso stampato sulle labbra e mi resi conto che per una sera, dopo mesi di grigio e buio, non avevo pensato a lui.

 

Crollai come un sasso all’alba con il sorriso sulle labbra.
Era proprio vero, le amiche possono salvarti la vita a volte.

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Capitolo 8
*** Chapter seven ***


Chapter seven
One year later

 

Estate

anno 2016

 

Io e Julia camminavamo fuori dal collegio Santa Caterina, orgogliose dell’esame appena sostenuto. Avevamo collezionato rispettivamente un 26 e un 27. La sensazione post-esame era qualcosa di meraviglioso, e andava festeggiato questo traguardo, nonostante fossimo solo all’inizio della nostra sessione estiva. Io avevo collezionato una lunga serie di insuccessi e più volte avevo pensato di abbandonare gli studi per lavorare, ma qualcosa mi diceva che non era il momento di mollare.

Io e Julia optammo per un giro in centro e un pranzo, nonostante fossero già le tre ma non avevamo toccato cibo, prima di tornare a casa con la mia macchina. Tra un mese esatto avrei fatto un anno di patente ed ero molto orgogliosa della mia indipendenza, avevo appena iniziato a guidare la mia macchina ufficiale, dopo un anno di esperienza con il catorcio.

 

Nessuna delle due aveva trovato qualcosa da acquistare nei negozi, così dopo poco tempo eravamo già a mangiare.

 

E Luke non lo hai più sentito?”Julia sapeva che l’argomento per me rappresentava ancora, dopo tanto tempo, fonte di dolore.

Non lo sento da Natale. Mi ha solo scritto gli auguri, ma credo sia stato un messaggio inoltrato a tutta la rubrica. La conversazione dopo è morta lì”

Non ho mai capito la mente di quel ragazzo. Che senso ha quello che ha fatto? Prima lasciarla, poi stare con te poi di nuovo con lei… Forse aveva solo paura Kat.” Lei era una delle poche che insieme alle mie amiche più care, aveva passato il tempo ad analizzare la situazione fino allo sfinimento, anche lei senza raggiungere una risposta eloquente al suo comportamento.

Credo che se la paura ci sia stata, c’è stata prima di fare il salto, prima di lasciare lei. Dopo non ci sono scuse, il passo lo aveva già fatto… Evidentemente ha avuto dei ripensamenti. Comunque non ci stiamo più sentendo come prima e mi va benissimo così.”

 

 

E Dicevo la verità. Ormai ad ottobre sarebbero stati due anni dalla nostra separazione e non aveva senso continuare a parlarne. La mia vita procedeva senza problemi: università, pub e le mie amiche del cuore.

Ero riuscita a intraprendere un surrogato di relazione con una vecchia fiamma, erano incontri poco romantici. Si trattava di più di uno sfogo fisico senza complicazioni.

Certo, lui non era Luke.

Però me lo tenevo dentro questo pensiero.

Nel Frattempo il cameriere ci consegnò le nostre Caeser salad, avevano un aspetto veramente invitante.

 

Comunque ho visto che è a New York”

Ma chi?” mi ero persa pensando alle notti con Piterson in macchina, ma non lo avrei mai ammesso.

Luke. E’ a New York. Ma Val l’ho vista ieri alla mensa dell’università quindi magari è con la famiglia”

Senz’altro”

 

Il mio pensiero viaggiò oltre oceano e me lo immaginavo, nella grande mela. Ci stava a pennello Piterson in quel contesto.

 

Stasera che fate tu e le altre?”

Mhh. Francy mi obbligherà praticamente a uscire con lei, il suo adorato Nick e i suoi amici.”

Quindi si vedono?”

Si… Anche se sono preoccupata. Ho purtroppo ben presente come finiscono queste situazioni. A qualcuno si spezzerà il cuore.”

Già, speriamo di no!”

 

Emma e Mike non stavano più insieme da diverso tempo, lui si era addirittura fatto una nel parcheggio dove lavoravamo, da uomo di classe quale era.

Lei tutto sommato stava bene, aveva conosciuto un ragazzo, una persona un po’ tenebrosa infatti né io né Francy lo avevamo conosciuto. Era un vero e proprio mistero.

Mentre Francy si era imbattuta in una relazione alquanto pericolosa. Certo, adesso erano proprio all’inizio, lui era stato chiaro, non voleva nessuna storia al momento e quanto altro, usciva da una relazione piuttosto lunga.

L’unico problema di questa pseudo-frequentazione risiedeva nel fatto che fosse palpabile che stavano bene insieme, e non solo esteticamente parlando, ma si vedeva che lui stava bene, si sentiva bene quando stava con lei, e averla attorno gli metteva una certa allegria. E chi si trovava vicino a loro lo percepiva subito.

I suoi amici erano veramente simpatici, quindi non mi pesava in nessun modo uscire con loro, e poi probabilmente ci sarebbe stata anche Emma.

Qualcosa mi diceva però che a soffrire per questa situazione sarebbe stata Francy, perché sebbene lui era sereno quando stava con lei, lei aveva proprio quella certa luce negli occhi.

Come amica sono sempre stata apprensiva, forse perché non auguravo a nessuno la sofferenza e a maggior ragione se potevo evitarne a chi volevo bene. Ero un po’ preoccupata, ma fino a che lui si sarebbe comportato bene, non ci sarebbe stato nessun problema.

 

 

 

 

 

Avevo appena accompagnato Julia a casa quando inaspettatamente mi arrivò un sms.

E soltanto una persona mi mandava messaggi normali.

 

Ciao, ho bisogno di vederti. Posso passare dopo cena?”

 

Fissavo il telefono da cinque minuti.

Un sacco di domande mi vorticavano nella mente. Perchè adesso?

Non era a New York? Perchè aveva bisogno di vedermi? Era successo qualcosa? Iniziai a preoccuparmi, pensavo si trovasse in difficoltà e che avesse bisogno di aiuto.

Ma comunque, anche se si fosse trovato in difficoltà, perché aveva bisogno di me?

 

Certo. Almeno mi spieghi che succede”

 

Non riuscivo a toccare cibo, giochicchiavo con la bistecca a tavola mentre i miei genitori si congratulavano con me per il 26 preso all’esame. Ormai non me ne importava più niente, le mani mi sudavano, non lo vedevo da più di anno eppure era incredibile l’effetto che ancora mi provocava.

Avvisai Francy che avrei tardato un pochino, e mi andai a fare una doccia rigenerante dopo quella giornata estenuante.

 

Piterson alle 21 era sotto casa mia, vidi nell’abitacolo della macchina un sacchetto da fast food, e aveva la faccia parecchio provata.

I suoi occhi però, erano sempre una calamità. Non avevo scampo di fronte al suo sguardo e probabilmente non ne avrei mai avuto.

 

Caro Piterson, se penso all’amore tu sei la cosa che ci va più vicina.

 

Sono atterrato due ore fa”

Ho visto, eri a New York.”

Kat, è stato bellissimo… ho visto cose inimmaginabili” ...E mentre lui mi raccontava del monumento alle torri gemelle, del cibo, della città che non dorme mai, io sorridevo come un idiota: ero semplicemente felice che avesse deciso di condividerle con me.

Aveva una bellissima luce negli occhi, ed ero grata di poterne godere solo io.

 

...E tu invece Kat cosa mi racconti?”

Oggi ho preso 26 ad un esame, non è un 20, ma era complesso e ne sono felice”

Ma grande! Sono felice per te!”

Tu come mai sei qui e non con Val?”

 

Ero stupida dalla mia domanda diretta, ma per tanto tempo mi ero lasciata confondere dal suo atteggiamento e ora volevo le risposte alle mie domande. A tutte le mie domande.

 

Una volta atterrato volevo vedere te, non so spiegarti perché”

Be’ mi fa piacere che vuoi condividere con me questa esperienza che hai fatto, lo sai che viaggiare mi piace molto. Ancora oggi se penso a Barcellona mi viene da sorridere.”

Si Barcellona è stato un viaggio assurdo...”

Decisamente”

 

Era calato il silenzio tra di noi, due calamite verdi mi studiavano, sentivo il suo sguardo trapassarmi. Tutto ad un tratto l’atmosfera si era fatta carica di elettricità e ti aspettative.

Puntai i miei occhi dentro ai suoi, quella luce si avvicinava lentamente ma con decisione, potevo sentire il suo profumo farsi più vicino e occupare le mie narici, fino a che le sue labbra furono sulle mie. Prima dolcemente, leggere come mi stesse chiedendo il permesso, dopo averlo ottenuto con più insistenza, passione e desiderio. Il mio cuore faticava a rimanere nella gabbia toracica, mi sentivo come se quel bacio mi avesse risvegliato, le mie mani erano ancorate alla sua nuca e mi sfuggì un gemito, mi sentivo completa dopo tanto, tantissimo tempo.

 

Devo andare”

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Capitolo 9
*** Chapter eight ***


Chapter seven
One year later

 

Estate

anno 2016

 

Io e Julia camminavamo fuori dal collegio Santa Caterina, orgogliose dell’esame appena sostenuto. Avevamo collezionato rispettivamente un 26 e un 27. La sensazione post-esame era qualcosa di meraviglioso, e andava festeggiato questo traguardo, nonostante fossimo solo all’inizio della nostra sessione estiva. Io avevo collezionato una lunga serie di insuccessi e più volte avevo pensato di abbandonare gli studi per lavorare, ma qualcosa mi diceva che non era il momento di mollare.

Io e Julia optammo per un giro in centro e un pranzo, nonostante fossero già le tre ma non avevamo toccato cibo, prima di tornare a casa con la mia macchina. Tra un mese esatto avrei fatto un anno di patente ed ero molto orgogliosa della mia indipendenza, avevo appena iniziato a guidare la mia macchina ufficiale, dopo un anno di esperienza con il catorcio.

 

Nessuna delle due aveva trovato qualcosa da acquistare nei negozi, così dopo poco tempo eravamo già a mangiare.

 

E Luke non lo hai più sentito?”Julia sapeva che l’argomento per me rappresentava ancora, dopo tanto tempo, fonte di dolore.

Non lo sento da Natale. Mi ha solo scritto gli auguri, ma credo sia stato un messaggio inoltrato a tutta la rubrica. La conversazione dopo è morta lì”

Non ho mai capito la mente di quel ragazzo. Che senso ha quello che ha fatto? Prima lasciarla, poi stare con te poi di nuovo con lei… Forse aveva solo paura Kat.” Lei era una delle poche che insieme alle mie amiche più care, aveva passato il tempo ad analizzare la situazione fino allo sfinimento, anche lei senza raggiungere una risposta eloquente al suo comportamento.

Credo che se la paura ci sia stata, c’è stata prima di fare il salto, prima di lasciare lei. Dopo non ci sono scuse, il passo lo aveva già fatto… Evidentemente ha avuto dei ripensamenti. Comunque non ci stiamo più sentendo come prima e mi va benissimo così.”

 

 

E Dicevo la verità. Ormai ad ottobre sarebbero stati due anni dalla nostra separazione e non aveva senso continuare a parlarne. La mia vita procedeva senza problemi: università, pub e le mie amiche del cuore.

Ero riuscita a intraprendere un surrogato di relazione con una vecchia fiamma, erano incontri poco romantici. Si trattava di più di uno sfogo fisico senza complicazioni.

Certo, lui non era Luke.

Però me lo tenevo dentro questo pensiero.

Nel Frattempo il cameriere ci consegnò le nostre Caeser salad, avevano un aspetto veramente invitante.

 

Comunque ho visto che è a New York”

Ma chi?” mi ero persa pensando alle notti con Piterson in macchina, ma non lo avrei mai ammesso.

Luke. E’ a New York. Ma Val l’ho vista ieri alla mensa dell’università quindi magari è con la famiglia”

Senz’altro”

 

Il mio pensiero viaggiò oltre oceano e me lo immaginavo, nella grande mela. Ci stava a pennello Piterson in quel contesto.

 

Stasera che fate tu e le altre?”

Mhh. Francy mi obbligherà praticamente a uscire con lei, il suo adorato Nick e i suoi amici.”

Quindi si vedono?”

Si… Anche se sono preoccupata. Ho purtroppo ben presente come finiscono queste situazioni. A qualcuno si spezzerà il cuore.”

Già, speriamo di no!”

 

Emma e Mike non stavano più insieme da diverso tempo, lui si era addirittura fatto una nel parcheggio dove lavoravamo, da uomo di classe quale era.

Lei tutto sommato stava bene, aveva conosciuto un ragazzo, una persona un po’ tenebrosa infatti né io né Francy lo avevamo conosciuto. Era un vero e proprio mistero.

Mentre Francy si era imbattuta in una relazione alquanto pericolosa. Certo, adesso erano proprio all’inizio, lui era stato chiaro, non voleva nessuna storia al momento e quanto altro, usciva da una relazione piuttosto lunga.

L’unico problema di questa pseudo-frequentazione risiedeva nel fatto che fosse palpabile che stavano bene insieme, e non solo esteticamente parlando, ma si vedeva che lui stava bene, si sentiva bene quando stava con lei, e averla attorno gli metteva una certa allegria. E chi si trovava vicino a loro lo percepiva subito.

I suoi amici erano veramente simpatici, quindi non mi pesava in nessun modo uscire con loro, e poi probabilmente ci sarebbe stata anche Emma.

Qualcosa mi diceva però che a soffrire per questa situazione sarebbe stata Francy, perché sebbene lui era sereno quando stava con lei, lei aveva proprio quella certa luce negli occhi.

Come amica sono sempre stata apprensiva, forse perché non auguravo a nessuno la sofferenza e a maggior ragione se potevo evitarne a chi volevo bene. Ero un po’ preoccupata, ma fino a che lui si sarebbe comportato bene, non ci sarebbe stato nessun problema.

 

 

 

 

 

Avevo appena accompagnato Julia a casa quando inaspettatamente mi arrivò un sms.

E soltanto una persona mi mandava messaggi normali.

 

Ciao, ho bisogno di vederti. Posso passare dopo cena?”

 

Fissavo il telefono da cinque minuti.

Un sacco di domande mi vorticavano nella mente. Perchè adesso?

Non era a New York? Perchè aveva bisogno di vedermi? Era successo qualcosa? Iniziai a preoccuparmi, pensavo si trovasse in difficoltà e che avesse bisogno di aiuto.

Ma comunque, anche se si fosse trovato in difficoltà, perché aveva bisogno di me?

 

Certo. Almeno mi spieghi che succede”

 

Non riuscivo a toccare cibo, giochicchiavo con la bistecca a tavola mentre i miei genitori si congratulavano con me per il 26 preso all’esame. Ormai non me ne importava più niente, le mani mi sudavano, non lo vedevo da più di anno eppure era incredibile l’effetto che ancora mi provocava.

Avvisai Francy che avrei tardato un pochino, e mi andai a fare una doccia rigenerante dopo quella giornata estenuante.

 

Piterson alle 21 era sotto casa mia, vidi nell’abitacolo della macchina un sacchetto da fast food, e aveva la faccia parecchio provata.

I suoi occhi però, erano sempre una calamità. Non avevo scampo di fronte al suo sguardo e probabilmente non ne avrei mai avuto.

 

Caro Piterson, se penso all’amore tu sei la cosa che ci va più vicina.

 

Sono atterrato due ore fa”

Ho visto, eri a New York.”

Kat, è stato bellissimo… ho visto cose inimmaginabili” ...E mentre lui mi raccontava del monumento alle torri gemelle, del cibo, della città che non dorme mai, io sorridevo come un idiota: ero semplicemente felice che avesse deciso di condividerle con me.

Aveva una bellissima luce negli occhi, ed ero grata di poterne godere solo io.

 

...E tu invece Kat cosa mi racconti?”

Oggi ho preso 26 ad un esame, non è un 20, ma era complesso e ne sono felice”

Ma grande! Sono felice per te!”

Tu come mai sei qui e non con Val?”

 

Ero stupida dalla mia domanda diretta, ma per tanto tempo mi ero lasciata confondere dal suo atteggiamento e ora volevo le risposte alle mie domande. A tutte le mie domande.

 

Una volta atterrato volevo vedere te, non so spiegarti perché”

Be’ mi fa piacere che vuoi condividere con me questa esperienza che hai fatto, lo sai che viaggiare mi piace molto. Ancora oggi se penso a Barcellona mi viene da sorridere.”

Si Barcellona è stato un viaggio assurdo...”

Decisamente”

 

Era calato il silenzio tra di noi, due calamite verdi mi studiavano, sentivo il suo sguardo trapassarmi. Tutto ad un tratto l’atmosfera si era fatta carica di elettricità e ti aspettative.

Puntai i miei occhi dentro ai suoi, quella luce si avvicinava lentamente ma con decisione, potevo sentire il suo profumo farsi più vicino e occupare le mie narici, fino a che le sue labbra furono sulle mie. Prima dolcemente, leggere come mi stesse chiedendo il permesso, dopo averlo ottenuto con più insistenza, passione e desiderio. Il mio cuore faticava a rimanere nella gabbia toracica, mi sentivo come se quel bacio mi avesse risvegliato, le mie mani erano ancorate alla sua nuca e mi sfuggì un gemito, mi sentivo completa dopo tanto, tantissimo tempo.

 

Devo andare”

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Capitolo 10
*** Chapter nine ***


Chapter nine
Start it over

Gennaio 2017
 

Non riuscivo a tenere in mano la tazza del caffè. Quella mattina il cielo era stranamente sereno, nonostante fossimo in pieno inverno. Mi trovavo al bar di fronte l’università in attesa di incontrare il presidente del dipartimento di lingue per sostenere un colloquio. Avevo preso una decisione importante: in autunno avevo partecipato al bando per l’Erasmus Traineeship e nonostante mi mancassero ancora diversi esami, ero stata presa con tanto di borsa di studio.
Le meta che avevo scelto era l’Olanda. Precisamente una cittadina a venti minuti da Amsterdam.

 

Ero agitata da morire e temevo di fare una pessima figura. Continuavo a ripetermi nella mente la presentazione che avevo dovuto stilare per quel colloquio.
Vorrei cogliere questa opportunità per imparare a scrivere e tradurre. Credo che sia la giusta esperienza per il mio titolo di studi...”

E oltretutto avevo bisogno di staccare dalla mia realtà, perché stavo rischiando di soffocare. Avevo bisogno di un nuovo inizio, di nuovi stimoli mentali per continuare la mia vita.  Non avevo idea di come la gente potesse continuare a vivere e a raggiungere obbiettivi senza progredire: si adagiavano nella loro zona di comfort e non avevano più il coraggio di uscire.

Io ero terrorizzata invece da rimanere incastrata in una vita mediocre.

Ero io stupida a volere la follia costante, a volermi sentire viva sempre, ogni minuto della mia vita? Ed era vero che volevo scappare, perché era il termine corretto. Stavo scappando dalle situazioni da cui non riuscivo ad uscire e per quanto non ne andassi fiera, sapevo che non c’era altro modo per troncare i legami.

Le mie amiche erano state super felici quando scoprì di essere stata presa. Francy mi aveva informato subito che sarebbe venuta a trovarmi, io ero in agitazione perché da quel momento avrei dovuto prenotare i voli, trovare un appartamento e sistemare tutta la parte burocratica dell’università.

L’ultimo step era questo colloquio, e doveva andare bene.
Tracannai il caffè d’un fiato e mi diressi verso il dipartimento.
Era quasi arrivato il mio turno.

 

 

Quando arrivò la mail dal dipartimento il terrore di dover rinunciare al mio viaggio mi fece venire la tachicardia.

Con la presente le comunichiamo di essere risultata idonea al programma Erasmus Traineeship...”

Era ufficiale. Me ne sarei andata per tre mesi. Incominciai a saltare come una pazza per tutta la casa, i miei genitori erano contenti per me, anche se in quel momento realizzai che forse la mancanza più grande sarebbero stati loro.

Sarei partita l’8 febbraio.

Avevo prenotato il volo di andata e quello di ritorno, sarei tornata il 2 maggio. Non ero mai stata così tanto tempo lontana da casa, ma non ero per niente spaventate, francamente non vedevo l’ora. Avevo un mese di tempo per sistemare tutto alla perfezione, appartamento, informazioni utili, tragitti vari. Mia madre aveva deciso di partire con me e rimanere un paio di giorni per visitare Utrecht. Era una cittadina abbastanza grande, dotata di diverse linee interne di autobus e due stazioni dei treni. Il luogo di lavoro sarebbe stato in una zona chiamata Overvecht. Così le mie ricerche dell’appartamento si erano concentrate tra quella zona della città e il centro storico.

Nel frattempo organizzavo la mia festa d’addio, si trattava giusto di un aperitivo, niente di particolare. Nel frattempo facevo i conti con le “voci” che giravano molto velocemente. Persone che non mi rivolgevano parola da mesi o addirittura anni, di colpo erano interessati a sapere cosa andassi a fare in Olanda e perché.

Mancava solo una persona all’appello, ma sapevo che il suo interesse per il mio viaggio sarebbe arrivato presto.

 

 

Quel pomeriggio avrei visto le ragazze per una cioccolata calda. Mi diressi verso il bar con il mio vecchio iPod e la mia vecchia musica, mi faceva sorridere quando il casuale selezionava certe canzoni, a volte sembrava conoscermi davvero.
Francy era ancora alle prese con la sua pseudo-relazione che aveva alti e bassi, più bassi che alti al momento, mentre Emma si era trovata incastrata in quella che aveva l’aria di rimanere una frequentazione per molto tempo. Io in amore ero sfigata, ma anche le mie amiche non scherzavano. La mia situazione sentimentale in quel periodo lasciava parecchio a desiderare, avevo troncato anche i miei incontri di solo sesso e qualsiasi tentativo di frequentazione iniziassi era destinato ad incontrare il paragone con lui e non ne riuscivo a venire a capo. Neanche dopo tutto quel tempo.

Più volte mi ero trovata a domandarmi se si potesse amare una persona a distanza ed io ero la prova vivente che la distanza di corpi non separava.

Certo, non si piangeva più ma ero lontana dal poter dire di essere pronta ad amare di nuovo, perché non era così.

 

Sei pronta per stasera?” la voce di Francy mi destò dai miei pensieri
Direi di si, quindi andiamo a ballare?”

Questa sera saremmo state solo noi tre, e saremmo andate a ballare nel locale dove suonava un amico di Nick. Non avevamo la certezza ci fosse anche lui, ma almeno potevamo contare su un entrata gratis. Mi piaceva molto passare i miei pomeriggi con le amiche al bar, era quasi terapeutico avere qualcuno con cui poter parlare di tutto come facevamo noi. Forse a volte addirittura scendevamo troppo nei dettagli e chissà chi ci sentiva cosa pensava, anche se a noi non fregava nulla del pensiero degli altri.

Come ci vestiamo?”

E grazie alla domanda di Emma passammo il resto del tempo a parlare di come ci saremmo vestite.

 

 

Il momento di riflessione post-doccia doveva essere annoverato tra i diritti fondamentali dell’uomo. Mentre continuavo i miei pensieri di assoluta profondità e di un certo spessore, mi arrivò un messaggio.
Un messaggio che avevo previsto e messo in conto, ma alla quale non ero pronta e non lo ero mai.

 

Ciao Kat”

 

Ero certa che prima o poi la mia partenza gli sarebbe giunta all’orecchio e che non avrebbe resistito.

Ciao Luke, dimmi”
No niente, tutto bene?”
Tutto bene grazie, tu?”
Meno male… Ho saputo che parti, ma è vero?”
Si. Parto l’8 febbraio.”
Che bello! Ma quindi Erasmus? Mi piacerebbe vederti prima che tu parta”
Vedremo di organizzare” perchè vuoi vedermi Piterson?
Sisi certo, io ci sono sicuramente il 6. Prima ho degli esami.”

Giusto, allora vada per il 6. Spero di non avere nessun inconveniente”
Sei felice?”

Dio solo sa quante volte avevo modificato la risposta a questo ultimo messaggio. Non ero mai stata capace di ammettere che non ero felice da diverso tempo.

 

Si, moltissimo.”
Bene allora, che fai stasera?”

Mi stavo preparando per andare a ballare. Tu?”
Credo nulla, casa e riposo.”
Una certa anzianità ormai”
Decisamente si. Kat ti lascio alla tua serata, ciao a presto”
Ciao”

 

E la conversazione in un modo o nell’altro era sempre lui a chiuderla. Sempre lui tagliava la comunicazione perché ogni volta io mi dimostravo incapace di farlo.
Sei una stupida Kat.

Ma andando via avrei mandato via anche lui.

 

 

Eravamo appena arrivate al locale, questa volta non avevamo nessuna intenzione di ubriacarci ma soltanto di divertirci prima della mia partenza.
Alla fine, per gioia di Francy c’era anche Nick in discoteca ed io ed Emma passammo la serata con loro.
Verso metà serata mentre rientravo dalla zona fumatori il mio sguardo si posò su un ragazzo. Era alto, capelli scuri, ma ciò che mi colpì fu il viso: aveva un viso con dei lineamenti dolci e allo stesso tempo però la mandibola ben delineata, labbra carnose e un naso alla francese che ricordava molto il mio.
Per la prima volta uno sconosciuto mi smosse qualcosa dentro, una sensazione che ormai avevo dimenticato si fece strada nel mio stomaco. Lo guardai un paio di volte e il suo sguardo ad un certo punto incontrò il mio: aveva due occhi color nocciola, certo non erano verde bosco come quelli di Piterson, ma ricordavano il caramello e a me il caramello faceva senz’altro gola.
Inaspettatamente si avvicinò al mio orecchio per farsi sentire nella confusione:

Hai due occhi veramente enormi, sono belli”

Grazie” il suo viso era parecchio vicino al mio e potevo sentire il suo profumo. Era un tipico profumo da uomo, legnoso, molto avvolgente.
Più mi stava vicino più mi capacitavo di quanto forse assurdamente bello.

Sono qui solo di passaggio” urlò al mio orecchio ad un certo punto. Non capì in che senso ma mentre stavo per chiederglielo mi disse che era lì per un compleanno dunque ci scambiammo i numeri e si presentò: si chiamava Jake.

 

Quella sera quando arrivai a casa cercai Jake su Facebook e la cosa che trovai mi lasciò senza parole.
Abitava a Londra. In quel momento capì il senso della sua frase.

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Capitolo 11
*** Chapter ten ***


Chapter ten
I gotta go on my own way

Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.
(Guy de Maupassant)

 

La data si avvicinava pericolosamente e con lei anche la mia eccitazione cresceva sempre di più.
Da quella serata avevo sentito Jake via messaggio molto spesso e si era dimostrato una persona estremamente interessante: laureato nel mio stesso indirizzo, lavorava come giornalista a Londra e si occupava principalmente della politica estera, nello specifico mi riferì di prediligere tutto ciò che era di carattere arabo, infatti ogni tanto si dirigeva a Dubai sempre per lavoro. Trovavo affascinante la sua passione per quella realtà di cui noi in concreto sapevamo veramente poco, la maggioranza delle persone che conoscevo non avrebbe saputo distinguere uno sciita e sunnita, eppure pretendevano di avere ragione.
Delle idee politiche altrui non mi interessava, ma da persona diplomatica quale ero, mi premeva che chiunque avesse un opinione sapesse quanto meno di cosa stesse parlando.
Gli raccontai di essere in procinto di partire per recarmi ad Utrecht. Potevo decisamente dire che fosse sulla mia stessa lunghezza d’onda.

Purtroppo però il tempismo era dei peggiori.

 

Le valige se ne stavano aperte sul mio pavimento da più ventiquattro ore ormai mentre cercavo il modo più efficace di farci stare vestiti per tre mesi,i inutile dire quanto ardua si rivelò l’impresa. Quella sera ci sarebbe stata la mia festa di addio con Emma, Francy, Rory Margy e Julia. Mi sarebbero mancate da morire.
Mi recai in cucina, terminare le valigie sarebbe stato meno impossibile con un delizioso the verde con miele in mano. Guardai l’orologio, sapevo da un paio di giorni che avrei visto Luke quel pomeriggio e stranamente ero serena, quieta, e questa era senza dubbio una novità.

Feci dunque qualche progresso con i bagagli e poi andai a prepararmi per l’appuntamento, scelsi qualcosa di molto sobrio, anche perché il mio armadio era in carenza di capi vista la partenza.

Con l’arrivare dell’ora x, la mia calma andò letteralmente a farsi friggere insieme alla quiete interiore. Ero agitata da morire come lo ero sempre stata se si trattava di lui.

Inspira ed espira.

Vai Kat.

 

Due caffè, grazie”

 

Eravamo seduti ad un tavolino di un bar dove non ero mai stata, tanto carino dal design moderno e tanto lontano da dove abitavamo.

 

Allora parti” sentì il suo sguardo puntarsi su di me, ma decisi di non guardarlo. L’ultima volta non era finita bene, quindi avrei mantenuto un certo distacco.
Così sembrerebbe.”

Be’ allora sei contenta? E’ un grande passo questo. Abiterai sola?”
Si ovvio che sono contenta. Mi serve staccare dalla realtà in questo momento. Ho bisogno di un nuovo inizio, e si abiterò sola per i primi due mesi, poi condividerò un appartamento con dei ragazzi.”
Ho capito… Sarà una bella esperienza vedrai.” Alzai per sbaglio lo sguardo, stava sorridendo e sembrava addirittura sincero.
Mi aveva fottuto di nuovo con quegli occhi.


Senza dubbio lo sarà” risposi ricambiando lo sguardo.

Il resto del pomeriggio volò letteralmente, parlammo dell’università e degli esami, dell’Olanda e di quanto questa cosa avrebbe cambiato per sempre me stessa, la mia mente e il mio modo di vedere tante cose. Di colpo mi sentì catapultata nel 2014, quando passavamo i nostri pomeriggi insieme a parlare, non eravamo cambiati poi molto da allora. Io ero sempre innamorata di lui e lui era sempre innamorato di un’altra.
Ma nonostante questo, mi faceva stare bene ed a mio agio come nessuno mai era riuscito prima d’ora. E dio quanto lo odiavo per questo.

Arrivò il momento di andare a casa senza che me ne accorgessi, ma la mia festa d’addio era imminente e dovevo prepararmi alla serata.

Kat mi raccomando, divertiti e goditela al massimo questa esperienza.”
Certo, non c’è nemmeno bisogno di dirlo”

E un ultima cosa”

 

I suoi occhi erano nei miei. Due magneti che si attraggono con la stessa forza con cui si respingono. Il mio cuore palpitava di nuovo all’impazzata e il terrore che quello accaduto l’ultima volta potesse ripetersi mi attanagliò la gola.

 

Quello che è successo l’ultima volta è stato un errore, non accadrà mai più, tientelo per te.”

 

Ero una vera idiota e quella era solo l’ennesima dimostrazione.

Mentre mi ricomponevo per forse la millesima volta, feci una promessa a me stessa: non glia avrei mai più permesso di ridurmi in quello stato, il potere è singolare: una persona ha potere su di te se tu glielo lasci avere. Non gli avrei mai più permesso di avere potere su di me, avevo tre mesi per andare oltre questa storia infinita e avrei dovuto sfruttarli al meglio per tornare a testa alta.

E porca puttana ci sarei riuscita.

O almeno ci speravo.

 

 

Il locale aveva delle luci soffuse e diversi piccoli stand per l’aperitivo, all’esterno una deliziosa vasca con dei pesci rossi faceva compagnia alla zona fumatori, all’interno l’arredamento vintage rendeva il luogo molto particolare e difficile da dimenticare. Avevamo quasi assaggiato tutto e la loro presenza mi stava salvando da una serata passata a domandarmi per la centesima volta che cosa avessi di sbagliato o cosa avessi in meno di Lei.
C’era un cameriere che incessantemente veniva a nostro tavolo ed ormai le mie amiche ci avevano preso gusto nel coinvolgerlo nella nostra serata.

Stavo bene. Nonostante tutto, stavo bene.

Ora sarebbe cominciato un meraviglioso capitolo della mia vita, un capitolo che mi avrebbe cambiato alle radici e che difficilmente avrei potuto cancellare dai miei ricordi. Utrecht stava per diventare la mia casa, avrei imparato a memoria altre strade, altri posti, altre facce… Mi sarei costruita una nuova dimora in un altro angolo del mondo e questo non me lo avrebbe portato via nessuno.

Sarebbe stato terapeutico per il mio cuore quel viaggio?

Io ci speravo con tutta me stessa.

 

Dai Kat andiamo a ballare”

 

La mano di Francy mi strappò dal mio buco nero di pensieri ed andai a ballare. E Sorrisi senza accorgermene, doveva essere così che si ricominciava ad essere felici.

Mi sarebbero mancate, davvero tanto.

 

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Capitolo 12
*** Chapter eleven ***


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Chapter eleven
Forget your past, forgive yourself, and begin again

 

Guardavo fuori dal finestrino della mia macchina, mio padre si trovava alla guida, mia madre era seduta sul sedile anteriore ed io dietro, sola insieme al mio iPod.

Erano le 6:45 del mattino, il freddo era pungente, ma nulla a che vedere con il gelo che mi aspettava una atterrata nella mia nuova dimora. Osservavo il paesaggio circostante entrando nell’ottica che quando lo avrei rivisto, sarebbe stata primavera inoltrata.

Nonostante fosse presto, era impossibile riaddormentarsi o pensare di rilassarsi.
Ero tremendamente agitata, inquieta ma sopratutto felice e speranzosa di ciò che mi attendeva. Sentivo già la mancanza delle mie amiche, ma ero convinta che ne avrei fatte di nuove.
Partivo con il cuore ferito, quasi lacerato dall’incostanza e la mancanza di tatto di Luke. Più passavano gli anni, meno riuscivo a capire il suo atteggiamento nei miei confronti. A chiunque tentassi di chiedere un opinione venivano i capelli bianchi nel tentativo di dare una spiegazione a tutto ciò che ci era successo negli ultimi tre anni.

L’unica cosa di cui ero certa, era che passando tre mesi lontano dalla mia realtà sarei riuscita a fare un passo indietro e osservare la mia vita con più obbiettività.

Da lontano scorsi il Terminal dell’aeroporto, eravamo arrivati. Spensi la musica e mi sporsi verso i sedili anteriori:

Ci siamo mamma” esclamai. Avevo preso un sacco di aerei prima di quello, a quattordici anni ero stata due settimane a Dublino a studiare inglese facendo tappa sia ad Amsterdam che a Bruxelles, qualche anno dopo prima a Londra , recentemente ero tornata in Spagna, prima di nuovo a Barcellona, a Valencia, per poi terminare con le Canarie.
Però quella volta era diverso. Quella volta partivo sola (tralasciando quel week-end con mia madre) e avrei dovuto imparare ad usare i mezzi di trasporto, a orientarmi e ad abituarmi ad una nuova città.

Il pensiero di Luke mi tormentava ad ogni passo che facevo con le mie valige. Si poteva arrivare a fuggire per amore, perché ero cosciente che stavo cercando di scappare dalle mie emozioni, in un altro stato?

Io credevo che certe cose esistessero solo nei film, avete presente quando la protagonista è delusa, triste ed amareggiata e parte improvvisamente per un lungo viaggio e il suo lui compare magicamente alle porte del gate, per dichiararle amore eterno? Be’ io non avrei avuto niente di tutto ciò e almeno di questo ero sicura.

 

 

Un cappuccio e una brioche, integrale frutti di bosco. Grazie.” era il mio ultimo caffè decente, ed avevo intenzione di gustarmelo a pieno. Avevamo appena consegnato le valigie al check-in e stavamo aspettando che il gate aprisse. Per fortuna l’aeroporto a quell’ora era abbastanza tranquillo. Stava albeggiando, si prospettava una giornata serena. Saremmo arrivate ad Amsterdam Schiphol alle 10:00 ed il monitor segnalava neve.

Assaporai la mia ultima colazione italiana molto lentamente insieme a mia mamma, sorrisi al pensiero di avere in valigia la mia moka e due confezioni caffè italiano, caffè di cui avrei fatto uso moderatamente.

Kat, andiamo. Hanno aperto il gate”

 

 

Mi ha scritto che arriverà a breve qualcuno” sospirai cercando di tranquillizzare mia mamma “stai tranquilla, adesso qualcuno ci aprirà questa dannata porta”

Kat sarei più tranquilla se non ci fosse un metro di neve” sbraitò lei isterica.

Effettivamente, si era fatto mezzogiorno passato tra l’arrivo ad Amsterdam, il treno per Utrecht e l’autobus per arrivare fino alla casa ed iniziavamo ad accusare la stanchezza. Il tutto era condito da un manto di neve bianca, purissima. I fiocchi erano enormi e di quel passo il giorno seguente sarebbe stato difficile aprire la porta di casa. Ironico perché non stavamo riuscendo ad aprirla comunque, con o senza neve.

Ad un tratto, da lontano apparve una dea bionda in bicicletta, si presentò subito: si chiamava Hedy ed abitava nel monolocale sopra al mio. Fu molto gentile e finalmente entrammo, l’abitazione era piccola ma strutturata bene: all’ingresso vi era un piccolo soggiorno con un divano grigio, una tenda separava la zona giorno dalla zona notte, dove emergeva un letto alla francese con televisione, un piccolo armadio con all’interno la lavatrice.

Invece, alla sinistra del soggiorno trovavamo un piccolo tavolo per due, una scrivania, il bagno con doccia e lavandino e subito dopo il bagno solo con il water. Questa cosa mi stranì subito, ma mi piaceva l’idea che fossero separati. Infine l’appartamento terminava con un piccolo cucinotto dotato di porta finestra ed un minuscolo terrazzo.

Era un monolocale spazioso tutto sommato. Non sarebbe stato difficile viverci in due, gli spazi erano ben suddivisi. Presi subito a disfare le valigie e posizionai le mie cose. Nonostante il tempo, dovevamo per forza uscire se volevamo mangiare qualcosa e fare un minimo di spesa.

 

Le strade erano completamente diverse da quelle a cui ero abituata. Lunghe scie di biciclette sfrecciavano sulle piste ciclabili, che erano dotate pure di semafori. Non era assolutamente possibile camminare al di fuori del marciapiede: ogni mezzo aveva la sua corsia, dai pedoni, alle bici alle macchine. Per sbaglio ero finita sulla ciclabile ed una bici mi aveva suonato all’impazzata, capì subito che lì tutti utilizzavano le proprie corsie senza intralciare gli altri. Mi piaceva molto.

Girovagammo diverso tempo per i supermercati a causa dei prezzi elevati, mia mamma alla fine si arrese e capì che era il costo della vita ad essere elevato, proporzionato chiaramente agli stipendi dei cittadini. Terminata la spesa, tornammo a casa per riposarci. Il giorno seguente, neve permettendo, avremmo continuato la nostra esplorazione della città.

 

 

Quella sera crollammo praticamente subito. Eravamo stravolte dal viaggio e dalle intemperie. Il termometro segnalava meno sei gradi all’esterno, faceva veramente freddo, ma aveva smesso di nevicare, dunque il giorno seguente sarebbe stato possibile girare alla scoperta della città.

Ed io non vedevo l’ora di conoscere Utrecht.

 

Il mattino seguente quando mi svegliai, notai subito che il riscaldamento dell’abitazione funzionava a meraviglia: in casa si stava bene, c’era un bel calduccio ed i termosifoni erano bollenti. Con il clima che mi sarei subita da febbraio a maggio, quella era senz’altro una nota positiva.

Mi trascinai già dal letto e misi su la moka con il caffè, andai in bagno, dove ormai alloggiavano tutte le mie cose.

Mentre attendevo il caffè, e con il caffè anche mia mamma, collegai finalmente il telefono al Wi-fi della casa, subito mi arrivarono una valanga di notifiche, sopratutto messaggi da Francy, Emma e Julie…

Mi mancavano già da morire.

 

Guardai fuori dalle immense finestre e fu in quel momento che realizzai davvero quanto quell’esperienza stava per stravolgermi la vita.

 

 

 

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Capitolo 13
*** Chapter twelve ***


Chapter twelve
Forget your past, forgive yourself, and begin again part II

 

Chiusi il portatile, lo sistemai nello zainetto, afferrai il panino che avevo accuratamente preparato, indossai cappotto, scarpe, cuffiette nelle orecchie e mi gettai in strada.
Era passato un mese da quando ero arrivata in quella città, bene o male ormai ero in grado di orientarmi. Stavo andando alla sede della radio per la quale facevo traduzioni, per la solita puntata settimanale del giovedì sera. Durante quel mese ne avevamo combinate di tutti i colori io ed i miei colleghi di stage. Eravamo stati a Maastricht per carnevale ed era stata una giornata che solo il termine allucinante poteva descrivere a pieno.

Ma non avevo mai sentito Luke. Era apparentemente scomparso dalla mia vita, ed io, ci soffrivo. Non sapevo esattamente che cosa si aspettasse il mio cuore da questo viaggio, ma era sofferente a causa del suo menefreghismo. Non mi aveva mai cercata o chiamata.

Ed io lo pensavo, tutti i giorni era nella mia testa, pensavo costantemente a quanto il tempo mi sembrava essere volato da quel remoto 18 ottobre, a quanto in questi anni ho continuato a sperare in un suo ritorno, ad ogni incontro continuavo a sperare e guardandomi da fuori mi facevo pena.

 

Ciao Kat eccoti qua!”
Buonasera!”

 

Ero arrivata sotto alla sede della radio, nel cortile c’era il mio capo che stava fumando una sigaretta con altre due persone. Feci un cenno con la mano mi diressi subito verso l’ingresso. Avevo mezz’ora per sistemare la mia roba, cenare e poi saremmo andati in onda.
Quella era la nostra redazione, gentilmente prestata da un’associazione italiana in Olanda, ma si trattava di una radio “mobile” potevamo mandare in onda la puntata ovunque volessimo, bastava solo una connessione ad internet.

Preparai tutta la mia roba, proprio mentre stavo terminando il panino, il mio capo e altre due figure si palesarono nello studio. Si trattava di due ospiti del giorno, invitati dalla radio a divulgare la propria esperienza di italiani all’estero.
Erano proprio il genere di persone che di solito Robert, il mio capo, invitava con piacere.

 

3,2,1… In onda"

 

Il centro di Utrecht era veramente mozzafiato, più ci passavo, più l'architettura delle case, dei negozi, mi piaceva ed iniziavo ad abituarmi a quel paesaggio.
Uno a casa propria non ci fa mai caso, agli alberi, ai colori delle abitazioni, alle strade e a tutto ciò che c’è attorno. Sarà questione di abitudine, ma alla lunga ci si ritrova a vivere con dei paraocchi.
Avevo iniziato a sentire famigliari certi angoli, punti di riferimento per orientarmi, angoli suggestivi che avevo scoperto per caso girando in bicicletta.

Mi interrogavo sul tempo che mi rimaneva da vivermi nella mia nuova casa, che sentivo mia più di ogni altra cosa al mondo.

Riflettevo, pensavo e scrivevo molto. Avevo comprato un piccolo quaderno dove sfogavo i miei pensieri più privati, quelli che bussavano alla porta del mio cervello solo di notte, ed ovviamente tra questi c’era anche Luke. Si, perché si era iniziato a fare vivo e dopo quell’apparente silenzio. Io lo ritrovavo in tutte le canzoni, ogni volta che vedevo qualcosa di bello il desiderio di condividerlo con lui mi stritolava lo stomaco.

Eppure, ero arrivata ad una conclusione importante: mi stavo rendendo molto infelice da sola. Si, perché nonostante lui ci mettesse del suo, ero io a sperare, io a permettergli di continuare questa cosa, che non aveva nemmeno un nome.

Mi recai in un coffee shop, era il mio preferito. Si trovava su una chiatta galleggiante su uno dei canali del centro. Mi piaceva molto scrivere lì, trovavo sempre la giusta ispirazione e un ottima cioccolata calda. Accantonai i miei pensieri e mi gettai a capofitto sull’articolo del giorno, per fortuna Luke non poteva sovrastare la mia passione più grande.

 

 

Noi siamo tante cose: amanti, complici, amici, compagni etc.”
Sicuramente lo siamo stati. Ma adesso non mi risulta sia così”

Lo so, però ti prometto che se mai un giorno dovesse succedere che… Un viaggio lo facciamo io e te.”
Non fare promesse che non puoi mantenere”

 

Quell’ultimo scambio di messaggi aveva incendiato le mie speranze più di quanto potevo ammettere. Era divertente, mi soffermavo sul suo uso del presente e mi ci aggrappavo con le unghie e con i denti. Un po’ mi trovavo patetica, ed un po’ ci speravo con tutta me stessa che quella fosse la volta buona per noi.

Ma come sempre la mia vocina interiore urlava che lui stava con Val, esattamente come tre anni fa, ed io ero ancora nella stessa situazione.

Ero definitivamente patetica.

Quanto torni effettivamente?”
Il 2 maggio. Ho l’aereo alle 7 del mattino.”

Allora quando torni ci organizziamo per vederci.”
Ok”

 

Ero decisamente senza speranza.

 

 

Pedalavo senza sosta per raggiungere un altro dei miei posti preferiti: un piccolo caffè in centro dove facevano dolci fatti in casa. Mi sedetti al tavolo ed estrassi il mio pc, pronta a sistemare l’articolo prima di recarmi allo Sugar Factory di Amsterdam. Uno dei tanti lati positivi di quel tirocinio era la possibilità di partecipare gratuitamente a concerti, prevalentemente di artisti italiani all’estero.

Era un locale abbastanza piccolo, poteva ospitare al massimo un paio di centinaia di persone, ma aveva il suo fascino. Raggiunsi subito Robert che stava bevendo una birra ed ascoltava l’inizio del concerto.

 

Buonasera! Scusa per il ritardo, ma nel frattempo ho completato l’ultimo articolo. ”
Ciao Kat, ben arrivata e ben fatto. Adesso godiamoci il concerto, lì ci sono i vincitori dei biglietti, dopo verranno a cena con noi”

 

La radio era solita pubblicare le interviste una settimana prima del concerto, chi riusciva ad indovinare l’enigma vinceva due biglietti e passava la serata con noi. Era una bellissima iniziativa, molto interessante e ci permetteva di conoscere un sacco di persone.

Mi recai al guardaroba per lasciare in custodia il mio cappotto, ma lo zaino con il pc, non avrei perso di vista per niente al mondo.

 

Il concerto proseguì bene, i nostri ospiti si stavano divertendo un mondo, e tutto sommato anche io stavo bene. Mi era molto difficile lasciarmi andare a quegli eventi, in generale per pochi artisti perdevo la testa a tal punto da diventare una vera fan. Mancava poco al termine e francamente ne ero sollevata: avevo una fame terribile! Avevo assolutamente bisogno di mettere qualcosa sotto ai denti.

Robert e io, insieme agli ospiti recuperammo i giubbotti per poi incamminarci verso un ristorante portoghese consigliatoci dal mio capo.

Mi ritrovai a pensare alle mie amiche, precisamente all’aperitivo fatto prima della mia partenza. Mi mancavano molto. Tanto quanto mi mancava anche la cucina di mio padre. Sorrisi al pensiero delle sue lasagne al ragù. Sapevo che stavano sentendo molto la mia mancanza, nonostante durante la mia infanzia loro erano stati poco a casa per motivi lavorativi, non era mai successo che uno di noi mancasse da casa per tre mesi. Pensai che ormai era marzo, un mese che sarebbe volato e nella quale avrei dovuto trovare una sistemazione per aprile, in quanto, il proprietario del mio meraviglioso monolocale sarebbe tornato dal suo viaggio.

 

Dunque Kat, parlaci un po’ di te”

 

Gli occhi dei nostri ospiti erano puntati su di me. Sorrisi, e cominciai a presentarmi mentre Robert ci faceva strada verso il tavolo.

Sarebbe stata un’altra piacevole serata.

 

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Capitolo 14
*** Chapter thirteen ***


Chapter thirteen
New home, new mates.

 

Aprile 2017

 

Mi resi conto a casa vuota che quello era il mio primo trasloco, e lo stavo facendo da sola. Mentre mi ritrovai ad osservare le dieci buste di plastica contenenti gli oggetti più disparati, dalle tazze ai calzini, mi meravigliavo di quante cose avrei dovuto portare con me sull’autobus e quanti viaggi avrei dovuto fare per riuscire a portare tutto nella mia nuova abitazione.

Il pensiero mi faceva venire l’ansia.

Robert si era offerto di portare buona parte delle cose in macchina, ma aveva diversi impegni quel giorno, dunque non avrebbe potuto aiutarmi fino in fondo.

Ma ero comunque fortunata, grazie al suo aiuto avrei fatto meno viaggi comunque.

Nella nuova casa mi aspettavano due coinquilini, An e Bansey, rispettivamente una dottoranda proveniente dal Vietnam e uno studente ungherese, di Budapest. Mi erano sembrate da subito due persone molto gentili ed alla mano.

 

Sentì il telefono vibrare, Robert era arrivato con la macchina a salvarmi da un trasloco impossibile.

 

Caspita Kat, per essere una persona sola ne hai di roba!”
Lo so, è che c’è anche il cibo, l’olio, il riso, la pasta e tutto quello che non ho ancora finito di usare.”

 

Con fatica caricammo tutto nella sua auto e mi lasciò sotto l’appartamento. Ora i viaggi si riducevano ad ingresso-ascensore-quinto piano.

Impiegai meno tempo del previsto a portare su tutto, grazie anche a Bansey, ora dovevo solo svuotare i bagagli e sistemare la mia roba.

La stanza assegnatomi mi fece sorridere, ricordava moltissimo quella dipinta da Van Gogh, il letto in particolare sembrava uscito dal dipinto. Infatti, scricchiolava da morire ed ogni volta che mi ci appoggiavo mi domandavo sempre se non appartenesse davvero al pittore.

 

Nel pomeriggio la mia nuova collega sarebbe venuta a trovarmi nella nuova casa, insieme ad altre collaboratrici. Ci trovavamo molto bene insieme, sopratutto per cene e pranzi all’italiana.

Ero rimasta molto affascinata dalla comunità italiana all’estero, non importava a nessuno da quale regione venissi, eri italiano e allora venivi ospitato. Noi esattamente come tutti gli altri popoli all’estero facevamo gruppo, per cultura, per abitudini ed anche per religione a volte.

Era incredibile, un di quelle cose che se non vivi in prima persona non puoi comprendere davvero.

 

 

Il pomeriggio con le ragazze era stato molto piacevole, avevamo parlato, scherzato e mangiato. Erano tre ragazze molto interessanti e diverse fra loro, provenivamo da diverse zone d’Italia quindi era piacevole confrontarsi e scoprire un sacco di cose l’una dell’altra. Avevo preso monopolio della scrivania che si trovava in soggiorno, dava sulle finestre, enormi, ed era diventato il mio posto preferito dove pranzare e cenare, sempre continuando a lavorare al pc.

Dal quinto piano si godeva di una vista magnifica, Overvecht ospitava la comunità mussulmana di Utrecht, il nostro appartamento si trovata proprio a ridosso della Moschea. Era una struttura stupenda a livello architettonico ed il quartiere mi piaceva, certo c’erano anche gli olandesi, ma i negozi di quella zona erano tipicamente Islamici. La panettiera era stata dolcissima con me, ero scesa a comprare il pane mi aveva regalato un pain au chocolat. Dovetti ammettere a me stessa che non ero abituata a vederli così perfettamente integrati in una comunità estera, ma la panettiera, con cui ormai avevo una certa confidenza, mi rivelò che esattamente come tra gli italiani ci sono delinquenti, anche tra di loro era lo stesso. Utrecht era sicuramente un polo multietnico, una città in grado di aprirti il cranio in due come un anguria.

Ormai avevo imparato a memoria ogni angolo, o quasi, della città. Il pensiero di tornare a casa mi faceva sentire triste e felice contemporaneamente.

Da un lato, avevo la mia vecchia vita, le mie amiche e la mia famiglia da cui tornare, dall’altro ormai era diventata parte di me, ogni negozio, ogni angolo, ogni strada… Anche solo il pensiero di lasciare quella sorta di seconda vita, mi faceva già sentire la mancanza di tutto.

 

 

Quella sera mi trovavo sul lettino di Van Gogh e stavo guardando una serie TV, quando improvvisamente mi arrivò un messaggio:

 

Ciao Kat”

 

Era dal nostro ultimo scambio di messaggi che non lo sentivo. Mi resi conto in quel momento di quanto gli eventi mi avessero risucchiato a tal punto, da accantonare lui. Da tempo non riuscivo a ricordare un giorno dove almeno un mio pensiero fosse rivolto a lui, ma grazie ad Utrecht, il trasloco ed il nuovo quartiere… Mi ero dimenticata di pensarlo.

Questa era una cosa da non sottovalutare.

 

Adesso però quel messaggio risultava un macigno da duecento chili scaraventato sulla mia schiena.

Non sentivo nemmeno più le voci del film o Bansey che parlava al telefono con la sua fidanzata in ungherese, ne tanto meno An che ascoltava musica asiatica in soggiorno. Come sempre, se si trattava di lui, tutto il cosmo scompariva, mi sembrava di affogare dentro quelle due parole, quelle sette lettere che non significavano praticamente nulla.

 

Ciao Luke”

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Capitolo 15
*** Chapter fourteen ***


Chapter fourteen
Last week in my happy place

 

Quella sarebbe stata la mia ultima settimana ad Utrecht. Ero già nostalgica prima ancora di terminarla, mi sembrava di non aver finito ancora il mio tempo, di dover fare ancora delle cose prima di andare via, come se i mesi trascorsi fossero in realtà duranti a malapena due settimane. Ma troppe cose mi aspettavano a casa, la mia famiglia, le mie amiche… e Luke.
Durante il nostro ultimo scambio di messaggi, aveva insistito per vedermi subito il giorno seguente del mio arrivo, ed io ancora una volta non ero stata in grado di negarglielo. Tuttavia, potevo sentire il mio dolore più attenuato, ed anche il sentimento lo era.

Ma dovevo capire se questa sensazione era dovuta alla lontananza oppure no.

Mi trovavo da Bagels and Beans, come molte mattine facevo, per lavorare ai miei ultimi articoli, volevo scrivere una piccola “guida”, in chiava ironica sulla città, volevo lasciare una piccola traccia di Kat Spencer in questo posto, visto che ormai era diventato parte di me.

Da quando quella giornata era iniziata, una nuova sensazione mi aveva travolto: non mi era mai successo di percepire come casa, luogo sicuro, due posti contemporaneamente.

 

 

Pedalavo veloce su per il “ponte rosso” un ponte levatoio che attraversava uno dei numerosi canali della città, Utrecht stava fiorendo, la primavera stava arrivando anche se le temperature continuavano ad essere miti ed il vento tagliente come lame.
Arrivai sotto casa, legai la bicicletta, aprì il portone e chiamai l’ascensore.

Una volta giunta al piano, casa nostra era facilmente riconoscibile dall’odore costante di cibo asiatico di An, odore che obbligava me ed il mio coinquilino a chiudere sempre le poste delle nostre stanze per evitare di sentire odore di ravioli al vapore anche mentre dormivamo. C’era da ammettere però che An, era una cuoca straordinaria.

 

Sono in casa”
Ciao Kat” mi salutò An dirigendosi verso il salotto.

Ciao An, Ciao Bansey” risposi io.

Un Bansey appena sveglio si palesò in cucina e tirò fuori il mio oggetto preferito di tutta l’abitazione: la macchina Nespresso con il monta-latte per cappuccio. Ormai lui sapeva che quando si faceva un caffè macchiato per lui doveva prepararne sempre due. Mentre lo aiutavo in cucina a preparare due ottimi caffè (il meglio che potevo aspirare considerando dove mi trovavo) sentimmo un rumore, una specie di fruscio: avevo notato, entrando, che in cucina c’era una busta di plastica bianca abbastanza spessa, ma non ci avevo fatto caso distratta dal caffè.

 

Bansey” sussurrai.
What? Cosa?”

Quella busta...” provai a dire io
Cosa? Sarà di An lo sai che è disordinata”
Quella busta si muove” terminai spaventata.

 

Bansey da vero eroe tentò di acchiappare la busta “arrabbiata” che intanto si muoveva per la cucina, quando riuscì a sollevare la plastica vidi finalmente il contenuto: un grosso, arancione ed incazzato granchio a chele aperte correva, per quanto fosse possibile correre per la cucina.
Cominciammo ad urlare entrambi increduli dalla scoperta e Bansey cominciò ad urlare “An vieni qui!”

La nostra asiatica preferita, con una nochalance degna di nota afferrò il povero animale e lo gettò nella pentola piena di acqua bollente che si trovava sul fuoco, per poi tornare in soggiorno lasciandoci lì, come due idioti.

 

Ragazzi era soltanto un granchio”

 

Io e Bansey eravamo allibiti, cominciammo a ridere fino a non sentir più gli addominali e tornammo ai nostri caffè.

Mi sarebbero mancati anche loro, veramente tanto.

 

Terminato il panico e le risate scatenate dal granchio, mi chiusi nella mia stanza a finire di lavorare agli articoli e per riposarmi un po’ davanti ad un buon film.

Nel pomeriggio sarei uscita nuovamente per comprare gli ultimi souvenir e regali da lasciare alle mie amiche al ritorno.

 

 

Avevo comprato per tutte le mie amiche dei piccoli pensieri, un ricordo dall’Olanda. Ero anche abbastanza soddisfatta del risultato, non avevo speso più di quanto avevo previsto. Avevo scelto una delle mie strade preferite per fare spese, pieno centro storico, la piazza del mercato del sabato, dove nei mesi in cui ero stata lì, avevo visto realizzare un incredibile e mastodontico centro commerciale, meraviglioso e molto ricco a livello di negozi. Le vetrate erano composte da mosaici moderni e colorati, che davano una percezione multicolore dell’esterno.

Nonostante non avessi speso molto, avevo però impiegato molto tempo per prenderli tutti e avevo perso la cognizione del tempo: quella sera avevo una cena con Robert e gli altri stagisti prima della mia partenza, una fantastica pizza italiana ci aspettava ed io ero anche piuttosto affamata.

 

In tempo record pedalai gli otto chilometri che mi separavano dal centro e lasciai i regali. Una volta cambiata e sistemata ne feci altri cinque per arrivare alla pizzeria. Ero puntuale, come sempre del resto.

Una delle mie più grandi qualità.

 

Salutai con un cenno della mano due delle ragazze che lavoravano con me e legai la mia bici, dopodiché iniziammo ad entrare visto il freddo pungente, nonostante fosse fine aprile.

 

Sei triste Kat?” mi domandò la mia dolce biondina tedesca, Hariett era laureata ed era venuta ad Utrecht come Erasmus post-laurea, era quella che conoscevo meno tra tutte le ragazze, era arrivata da sole due settimane ma a pelle mi era sembrata una ragazza molto dolce.

Ad essere onesta un po’ si. Sono abbastanza triste, sia di lasciare Utrecht, sia di lasciare questo piccolo lavoro” ammisi abbassando lo sguardo “Ma prometto che tornerò presto e noi non ci perderemo di vista.”

 

Assolutamente no!” Ci vedremo, in Italia, o in altri posti del mondo!” esclamò Claude, una vecchia stagista della radio, tornata da qualche settimana in visita e per cercare lavoro in Olanda. Le sorrisi, ed in quel momento arrivano Robert e l’ultima stagista mancante, ed in un battibaleno stavamo divorando cinque pizze che sapevano di casa.

 

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Capitolo 16
*** Chapter fifteen ***


Chapter fifteen
Back to bad habits

 

Maggio 2017

 

5:31.

Sessanta secondi passati a imprecare per aver prenotato il volo di ritorno alle 8:00 del mattino. Avrei preso il treno da Utrecht per le 6:30, in modo da arrivare direttamente dentro all’aeroporto alle 7:00. Avrei avuto solo un’ora per fare tutto ma ce l’avrei fatta, a quell’ora gli aeroporti erano vuoti o quasi.

Feci il giro della casa almeno dieci volte, silenziosamente per non svegliare nessuno. Avevo il magone ma non avevo il tempo materiale per pensarci. Tutto era pronto, indossavo due felpe perché lo spazio in valigia era praticamente esaurito. Avrei preso il primo autobus della giornata, mi veniva da ridere al pensiero di girare da sola con due valigie ed uno zaino. Lasciai le chiavi sul tavolo e guardai la mia dimora un ultima volta, pensai alla prima casa, il mio primo appartamento, che non avevo più rivisto da fine marzo e che ora ospitava il legittimo proprietario. Ai miei due mesi lì, al dolore per la mancanza di casa, degli affetti, ma alle esperienze, i concerti, le persone conosciute, tutto il cibo sperimentato ed agli innumerevoli sorrisi che avevo fatto durante quel periodo. Alla dolce Amsterdam, che nasconde molto di più di quello che ai turisti è concesso vedere, alla biblioteca in centro da quattro piani con spazio lettura, a Wondel park e ai suoi bunker segreti. Penavo al pub Olivier di Utrecht, ex chiesa sconsacrata che offrire dei cibo olandese veramente ottimo, a tutti gli angoli nascosti della città che avrei conservato nella mia memoria per sempre.

 

 

Mi ero portata dietro tanto dolore al mio arrivo, ma era straordinario come quella città era riuscita a farmi stare meglio, a rimarginare le ferite regalandomi così tanti ricordi. L’autobus arrivò in orario, salì faticosamente e timbrai un ultima volta il mio abbonamento, feci di nuovo mente locale, avevo preso tutto, non avevo lasciato nulla che non fosse vuoto o da buttare.

Osservai il paesaggio, cercai di memorizzare più dettagli possibili, mi dispiaceva da morire lasciare quel posto. Mi dispiaceva lasciare quella piccola vita alternativa che mi ero creata, la famiglia improvvisata che si era formata. Ogni persona, ogni posto visitato, da Amsterdam a Maastricht a Leiden. Ogni città me la portavo dentro consapevole che prima o poi sarei dovuta tornare. Ormai appartenevo un po’ a questo posto e questo non potevo cambiarlo.

 

Arrivammo a Schiphol in anticipo e subito mi lanciai alla ricerca del gate, una volta consegnate entrambe le valigie potevo finalmente dedicarmi alla colazione. A breve avrebbero aperto l’imbarco e avevo giusto dieci minuti per fare la mia ultima colazione olandese: caffè pessimo e brioche passabile.

Mi sarebbero mancate anche loro.

 

 

Una volta informata mia mamma della mia partenza, spensi il telefono e mi rilassai sul sedile. Volare sola era piacevole, dava un certo senso di indipendenza. Ti senti capace di tutto, invincibile ma soprattutto libera. Tutto ad un tratto mi sembravano più facili da affrontare problemi, che prima di partire mi affliggevano adesso mi preoccupavano, ma sentivo come la certezza che in qualche modo si sarebbero risolti. Il volo durò pressapoco un’ora, non appena scesi dall’aereo la prima cosa che notai fu che riuscivo a comprendere subito tutto quello che le persone attorno a me dicevano, finalmente dopo mesi.

Attesi le valigie e poi mi diressi verso la porta di vetro degli arrivi. Sapevo che ad aspettarmi dall’altra parte ci sarebbe stata sicuramente mia madre con Emma, senza dubbio. Rispetto alla mia partenza, non volevo che ci fosse Luke ad attendermi. Per ciò che riguardava me il nostro tempo era finito, così come la mia speranza.

Sentivo la necessità dopo questo taglio netto, di avere nuovi inizi, nuovi stimoli e anche un nuovo amore.

Le vidi entrambe. Mi stavano cercando con lo sguardo, non appena mi notarono si avvicinarono velocemente per salutarmi. Emma mi abbracciò forte.

 

Mamma che caldo!” sbuffai scherzosamente appena Emma mi lasciò andare. C’erano almeno 10 gradi in più rispetto ad Utrecht ed inoltre erano quasi le dieci del mattino.

Ci avviammo alla macchina e cominciai il mio racconto, sul lavoro alla radio, sulla città e su tutto quello che non avevo raccontato loro durante le varie video-chiamate. Riconobbi il tragitto dell’andata, nonostante non fosse più inverno notai con piacere che il paesaggio era lo stesso, ma rigoglioso ed al massimo della sua bellezza.

Mi sentivo diversa dalla persona che che era partita, profondamente cambiata: era difficile da spiegare, il viaggio era stata una delle prima cose che avevo fatto esclusivamente per me e sola con me stessa, senza pensare ai miei problemi di cuore o ai sentimenti degli altri.

Mentre elaboravo tutti questi pensieri, mi domandavo se la mia vita di prima mi calzasse ancora a pennello oppure dopo questa esperienza l’avrei trovata stretta.

Lo avrei scoperto.

 

Nel frattempo Emma mi aveva aggiornato a grandi linee su quello che mi ero persa negli ultimi tre mesi. A quanto pare un sacco di cose potevano succedere in tre mesi, non ci avevo mai fatto caso prima di quel momento.

La casa era esattamente come l’avevo lasciata, il mio letto, la mia stanza, l’odore di casa mia. Le porte finestre del soggiorno che davano sul terrazzo, tutto uguale. Fu una bella sensazione. Mi rattristai per un istante al pensiero della mia casetta, ormai già così lontana.

Era qualcosa che avrei potuto capire solo io, sarebbe stato troppo difficile spiegarlo agli altri.

 

Kat vieni”

 

Emma mi chiamò, mi stava aiutando con le valigie, così le svuotammo insieme e le diedi il suo regalo.

Per tutto il pomeriggio rimase con me e recuperammo il tempo perduto, quella sera avrei visto anche Francy.

Ero tornata a casa.

Ora dovevo dare alla mia mente il tempo di metabolizzare il tutto.

 

 

 

 

Francy ed Emma mi guardavano come se fossi un fantasma. Be’ c’era da precisare che il freddo olandese non aveva giovato al mio colorito, ma avrei ben presto avuto tutto il tempo di prendere colore in Croazia con Francy. Avevamo prenotato due settimane in un appartamento meraviglioso, doveva venire anche Emma ma all’ultimo momento non le erano state concesse le ferie, dunque ci aveva perso anche economicamente. Eravamo al bar e le mie amiche attendevano spiegazioni riguardo al mio imminente “appuntamento” con Luke.

 

Kat, sei seria?” cominciò Emma “ancora?”

Se ha tutta questa voglia di vederti dovrebbe quanto meno degnarsi di lasciare la sua fidanzata” terminò Francy.

Sapevo che le mie amiche avevano ragione, ma ero anche determinata a dimostrare a me stessa che i miei sentimenti erano spariti nei suoi confronti, non sentivo più dolore e volevo solo avere la giusta conferma, il punto alla fine di questa interminabile storia.

 

Lo so ragazze, ma ne ho bisogno per me. Fidatevi, non accadrà niente di niente.”

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Capitolo 17
*** Chapter sixteen ***


Chapter sixteen
Carpe diem

 

Il mio primo risveglio a casa fu una benedizione. Mi era decisamente mancato il mio materasso. Quando aprì gli occhi ebbi come la sensazione di non essermene mai andata, che Utrecht fosse stato una sorta di sogno. Fu strano alzarsi e non trovare i miei coinquilini, ma contemporaneamente quella era stata la mia casa per vent’anni e non avrei mai potuto sentirmi estranea o a disagio.

Era una splendida giornata di sole, faceva abbastanza caldo e dovevo ammettere di essere anche felice di sentire caldo dopo mesi. Preparai la moka e il latte di soia sul tavolo, era bello godere di casa propria. I miei genitori erano a lavoro, quindi avrei avuto tutta la casa per me quel giorno. Un ritorno ai vecchi tempi. Ed a proposito di ritorno ai vecchi tempi, quel giorno avrei visto Luke.

Ero contenta di vederlo, come quando sai che rivedrai un vecchio amico. Provavo sensazioni diverse dal solito, non c’era ansia, non c’era angoscia o timore. Non mi sentivo il cuore esplodere nel petto al pensiero di incrociare il suo sguardo. Quello sguardo che aveva causato turbamento in me fin dal primo giorno di scuola, dal suo “hey aspettami” le prime parole che mi aveva rivolto, ignaro anche lui di tutto quello che stava per travolgerci.

Era stata una bella storia la nostra, non lunga, non ufficiale, ma intensa, forte e sicuramente indimenticabile. La fiammella di speranza si era trasformata in altro, in felicità per i ricordi vissuti insieme, pur brevi ma di quella intensità e spontaneità che è rara da trovare. L’alchimia che esisteva tra noi, intesa come attrazione fisica ed intellettiva, sarebbe potuta e resistere a tanti imprevisti nel corso del tempo.

Difatti essa trascende il sentimento, va oltre l’amore, la passione, il desiderio. Crea quel legame che si rivela indissolubile e rende le due persone incapaci di rinunciare l’uno all’altra. Mi piaceva pensare che per noi fosse così, che qualche ingranaggio era girato bene e che dunque per noi sarebbe stato impossibile dirsi addio definitivamente.

 

 

Mi trovavo in macchina con Francy, eravamo in un parcheggio al tramonto con cibo spazzatura in auto. Stranamente silenziose entrambe, quel silenzio che però non puoi permetterti con chiunque. Un silenzio che non pesa, non imbarazza ma rilassa, rilassa il collo, le spalle e ti lascia perdere nei pensieri.

Quel pomeriggio di inizio estate era così. Entrambe perse in un legame chimico con qualcuno, ma che per motivi disparati non poteva evolvere in qualcosa di diverso. Se da una parte, la mia, c’era la consapevolezza di un sentimento affievolito, di un bel ricordo un po’ vissuto di fretta, ma comunque finito; dall’altra, la sua, c’era un sentimento appena nato, vissuto in ogni secondo, ma che lasciava l’amaro in bocca.

 

Tra poco vedrai Nick” ruppi il nostro mutismo
Tra poco vedrai Luke” rispose mantenendo il suo sguardo sull’orizzonte.

Si ma sono stranamente quieta, in pace” ammisi sincera.
Spero duri per tutto il vostro incontro Kat, posso già anticiparti che nel mio non ci sarà sicuramente pace”
Hai preso una decisione dunque” chiesi alla mia amica.
Si, voglio chiudere con Nick, non c’è possibilità di avere una relazione, lui è sempre stato chiaro su questo e continuare a vedersi, stare insieme per poi vederlo con altre mi ferisce.”
E’ la decisione giusta Francy, lo sai”
E’ strano Kat, di solito sei tu che nei tuoi incontri fai la cosa giusta. Io ho sempre seguito l’istinto” lo sguardo della mia amica finalmente di distolse dall’orizzonte: avevo la sua attenzione.
A volte però è necessario per non farsi male, sai, in questi anni, molte volte avrei voluto assecondare quel secondo in più lo sguardo di Luke. Solo per vedere cosa avesse fatto se avesse avuto la Kat disponibile che ricordava. E lo sai quanto l’ho amato, silenziosamente, un’amore a senso unico, esattamente come il tuo adesso.”
Lo so. Sono stanca di angosciarmi per capire dove si trova, con chi e cosa sta facendo. Devo troncare.”
E’ la cosa giusta Francy. Sono con te.” Ero davvero fiera della sua decisione, sapevo che fosse sofferta, non è mai semplice rinunciare a qualcosa che ci faceva stare bene.
Tu invece cosa pensi di fare?” Domandò la mia amica, cambiando argomento. Era il segnale che non avremmo più parlato di Nick.
Nulla, cosa devo fare… Mi fa piacere vederlo, e mi farà sempre piacere vederlo. Ma tutto questo tempo, mi sono un po’ rassegnata. Sono certa ormai che tutto quello che potevamo essere, lo siamo stati. Oggi si mette un punto e si comincia un nuovo capitolo.”
Speriamo in bene allora.” concluse Francy.
Ti aggiorno appena torno”
Anche io”

 

 

Ci eravamo salutate da un po’, entrambe proiettate con la testa altrove. Avremmo avuto tutto il tempo in Croazia di rilassarci e di non pensare a tutte queste cose.
Ero sdraiata nel mio letto, stavo leggendo un libro che trovavo a dir poco spettacolare. Si trattava di “Educazione Sentimentale” di Flaubert, naturalmente. Era una lettura per cui inizialmente ero stata scettica, non amavo la letteratura francese in generale, ma dopo aver letto Madame Bovary, lo scrittore mi aveva conquistata sicché mi ero buttata su un altro dei suoi libri.

L’amore di Frédéric Moreau per Marie, la moglie del Sig. Arnoux, amore per tutto il libro platonico, sofferto, struggente. Un amore che il protagonista scoprirà essere ricambiato, ma non sempre questo basta a far andare bene le cose.
Non mi resi conto che era quasi ora di vedere Luke. Mi venne un po’ da sorridere: non centravamo nulla noi con Educazione Sentimentale, ma sicuramente a differenza di Marie, non avevo nessun rimpianto. Scesi le scale lentamente, mandai un messaggio di incoraggiamento a Francy, e mi recai nel mio parcheggio. Luke era già arrivato, questa volta mi ero fatta attendere qualche minuto. Incredibile, ero sempre stata così puntuale.

Che fosse bello era una questione oggettiva, nulla a che vedere con i sentimenti. Anzi, lo trovavo un po’ stressato rispetto al primo ricordo che avevo di lui.

Gli occhi però erano peggio di due smeraldi, sempre oggettivamente parlando.

 

Ben tornata” mi salutò sorridendo, sembrava veramente felice di rivedermi.
Grazie” gli sorrisi di rimando.

Allora, non mi racconti?”
Da cosa devo cominciare? E poi ci siamo sentiti, non ho altre news oltre a quello che ci siamo detti”
Ve be’ ci sarà qualcosa che non mi hai raccontato!”
Be’ si dai, forse sulle mie giornate...”

 

Passammo quasi due ore a parlare di tutto quello che ci eravamo persi rispettivamente della vita dell’altro.

 

Andiamo a fare un giro?”
Si dai, va bene. Non ho altri impegni stasera” risposi scherzosamente.

Girovagammo un po’ nel circondario, ascoltammo musica e continuammo a parlare di un milione di cose, università, Utrecht, esami, ricordi…

In poco tempo calò il buio. Nessuno era intenzionato ad andare a casa, c’era una strana elettricità nell’aria, qualcosa che negli ultimi incontri non c’era. O forse c’era, ma ero troppo immersa nel mio dolore per farci caso. Stavamo bene, eravamo rilassati. Mi piaceva la situazione in cui ci trovavamo, per la prima volta dopo tanti anni ero a mio agio con lui, non mi sentivo più vulnerabile. Mi godevo solo questa nostra chimica, ogni volta che ci incontravamo, saltava fuori come se non se ne fosse mai andata. La nostra affinità era così, non gliene fregava niente delle nostre vite, dei litigi, della rabbia. Lei esisteva e si faceva sentire.

Infatti fu un attimo.

Non me ne resi conto nemmeno, di essere arrivata a quel punto, ma accadde.
Accadde che dopo tre anni, mi trovavo seduta sopra di lui ferma in un abbraccio a guardarlo in quegli occhi a cui non avrei mai saputo dire no.
Le sue mani sotto la mia maglietta, sulla schiena, un tocco che conoscevo a memoria e che ogni cellula le conosceva, e rivendicava appartenenza.
Occhi negli occhi ci perdemmo di nuovo, insieme. Quella volta sapevo che sarebbe stata l’ultima, quindi mi ricordai di stringerlo forte.

 

Di qualunque cosa le nostre anime siano fatte, la mia e la tua sono fatte della stessa cosa.
(Emily Brontë)

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Capitolo 18
*** Chapter seventeen ***


Chapter seventeen
What happened?

 

Sei arrivato a casa?”
Sisi come stai?”

Si tutto bene”
Buonanotte Kat”
Buonanotte”

Mi trovavo a letto incapace di prendere sonno. Era come se non fosse successo nulla, come se anche questo fosse stato tutto un sogno come Utrecht e a breve mi sarei svegliata.

Quanto avevo desiderato nel suo ritorno? Per quanto tempo mi ero angosciata, soffocata dai ricordi, sui suoi sentimenti? Si parlava di anni.

Certe cose sono talmente incredibili, che ci mettono meno tempo ad accadere di quello che serve poi per metabolizzarle.

In quanto avrei metabolizzato tutto questo? Mi diedi un pizzicotto sul braccio sinistro, mi sentivo dentro ad una stupida commedia romantica.

Ero ancora agitata, scombussolata, elettrizzata e mi sentivo più viva che mai. Pentita? Al momento no.

Avevo seguito l’istinto per la prima volta nella mia vita, senza domandarmi quando avrebbe fatto male, senza concentrarmi sul mio dolore, sulla mia sofferenza. Avevo levato quel filtro grigio dagli occhi e avevo visto quello che c’era realmente tra me e Luke: tanta alchimia.

Questo era innegabile, ma non cambiava le cose. Non sarei stata felice di vederlo lasciare Val ancora una volta per me, non avrebbe avuto senso. Era chiaro che non potesse fare a meno di ciò che aveva con lei, probabilmente era quella la sua scelta, la scelta aveva intenzione di portare avanti nella sua vita. E per la prima volta, non sentivo di essere stata scartata, non mi domandavo cosa avessi di sbagliato, non mi angosciavo.

Mi sentivo leggera, fluttuante consapevole di aver fatto qualcosa che si sarebbe esaurita quella sera senza possibilità di succedere di nuovo. Avevamo chiuso il cerchio, un ammissione e noi stessi: “Non riesco a dirti addio, ma non riesco ad immaginarmi con te.” E c’erano dei buoni motivi, dirgli addio per me non sarebbe mai stato possibile. Ma non avevo intenzione di scommettere ancora su un amore, una persona che tradiva con questa facilità, i dubbi sarebbero stati sempre sul ciglio della porta, non avrei mai potuto fidarmi al cento per cento.

Le cose avevano seguito un corso diverso dall’ordinario, avevamo fatto le cose male fin da subito.

Un po’ come quando fai un dolce, ma non segui la ricetta, può venire fuori qualcosa di meraviglioso, ma la maggior parte delle volte viene fuori uno schifo. Ed ormai gli ingredienti sono amalgamati e non puoi più separarli, così anche noi ci eravamo mescolati anima, corpo, pelle e adesso cercavamo solo di riprendercele.

Mi addormentai lentamente abbracciando il pensiero che per sempre qualcosa di lui sarebbe rimasto in me, e qualcosa di me sarebbe rimasto in lui.

 

 

A breve avrei visto Francy. Avevamo sicuramente molte cose da dirci, entrambe.

Mentre ero con Luke, Emma mi aveva scritto che Francy aveva pianto parecchio quella sera, ma ero sollevata di sapere che non era sola ad affrontare quella situazione, perché conoscendola avrebbe avuto un esito più simile al mio.

 

Avevamo deciso di farci un giro in macchina, ultimamente era diventato il nostro passatempo preferito: aria-condizionata e musica. Certo non era particolarmente economico per la sottoscritta, ma la mia macchina non consumava molto quindi si poteva fare.

Mi guardai allo specchio e sorrisi come un ebete. Tutto sommato ero felice, serena, non avevo preoccupazioni e non mi importava se Luke si fosse mai fatto più sentire oppure no.

Era liberatorio.

Francy non aveva una bella faccia, ma francamente pensavo peggio. Camminava tranquilla. Occhiali da sole, sigaretta e si diresse verso il mio parcheggio. Iniziò subito in macchina a raccontarmi di quella serata, di come aveva preso Nick da parte su dei gradini e avevano parlato. Era stata decisa, aveva pianto si, ma così avrebbe potuto essere libera sentimentalmente. Non era felice, glielo leggevo negli occhi. Meglio chiudere certe porte, a lasciarle aperte entravano troppi spifferi.

Poi toccò a me raccontare della mia serata, non se lo aspettava la mia amica, dell’esito di quell’incontro. Era abituata ad una Kat che tendeva al distacco, per non soffrire ancora, ed invece fare quella che sembrava la cosa sbagliata, mi aveva donato una pace interiore che tutti i nostri appuntamenti precedenti non mi avevano mai lasciata. Forse ero io che ero cambiata durante gli ultimi mesi, mesi che erano stati intensi, avevano lasciato una traccia concreta dentro me e forse proprio quel periodo avrebbe determinato la persona che sarei stata in futuro.

 

 

Io e Francy girammo in macchina a lungo, fu in un certo senso, terapeutico per entrambe quel pomeriggio. Inoltre eravamo eccitate per l’imminente partenza. Avevamo prenotato questo piccolo appartamento nella famosa isola di Pago, due settimane di sole, mare e relax. Eravamo contente. Era la nostra prima vacanza insieme, ma sapevo che sarebbe andata bene.

La vacanza cadeva a fagiolo per Francy, avrebbe potuto dimenticare la questione Nick, o quanto meno provarci, stando lontana da casa. Certo, se c’era una cosa che avevo capito nelle ultime ventiquattro ore, era che la distanza non separava, o almeno, non separava i sentimenti veri.

Andammo a berci un thè freddo in centro, stava iniziando a fare caldo sul serio, anche se il sole era veramente piacevole. Le piante erano in piena fioritura, rigogliose e verdi, il centro della nostra cittadina risplendeva in quel periodo dell’anno.

Qualche ora dopo ci raggiunse Emma da lavoro. Le raccontai cosa mi era successo e non poteva credere alle sue orecchie.

Kat, sei sicura di stare così bene?” chiese lei “non è una cosa da niente”
Lo so, ma davvero mi sento tranquilla” ed ero sincera.

Spero per te che sia davvero così. Non è normale andare a letto con un ex-fidanzato dopo così tanto tempo”
Sono consapevole anche di questo Emma, davvero, sto bene.”

Sembrò convinta dalle mie ultime parole, così tornammo all’argomento Nick, all’imminente vacanza e ai miei studi che erano stati messi in stand-by da febbraio per l'Erasmus.

Eppure io mi sentivo davvero tranquilla, come se ogni cosa fosse andata come doveva.

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Capitolo 19
*** Chapter eighteen ***


Chapter eighteen
Afterthought

 

Proviamo spesso rimorso per azioni che ricommetteremmo tali e quali.
(Roberto Gervaso)

 

Era stata una sera d’estate come tante, o meglio sarebbe stata una sera d’estate come tante altre se non avessimo deciso di andare in centro.

Ci eravamo incontrate alle solita ora, decise semplicemente a berci qualcosa e fare due passi, sapevamo che la probabilità di incontrare Nick sarebbe stata alta, ma io speravo non accadesse.

Vorrei poter dire lo stesso di Francy. Fu strano, ma nemmeno così tanto come immaginavo. Mentre eravamo sedute fuori dal locale, Nick e i suoi amici ci avevano intravisto. Vidi il bicchiere nella mano della mia amica tremare quando lui si avvicinò per salutarla. Quella reazione mi fece luce sui sentimenti della mia amica, guardai Emma, ed entrambe in quel preciso momento, ci rendemmo conto che avremmo sentito parlare di Nick per molto tempo.

Tra i due tutto sommato non c’era tensione, si sedettero a bere qualcosa con noi e la serata si rivelò comunque piacevole.

Tra la mia amica e quel ragazzo la complicità era palpabile, quella che c’è tra due persone che hanno condiviso più di qualche notte di divertimento.

Capivo esattamente come si sentiva, legata da un maledetto filo invisibile ad una persona, provare a tagliare quel filo con ogni mezzo a disposizione, senza riuscirci mai del tutto.

Cosa fate dopo?” un amico di Nick si rivolse a noi “volete venire a ballare?” Io ed Emma non rispondemmo. Lasciammo che fosse la nostra amica a decidere se se la sentiva o meno, nella mia mente sapevo che quello sarebbe stato l’inizio di una serata disastrosa emotivamente parlando chiaramente.

Per noi va bene” rispose Francy.

 


La musica si sentiva fino dal parcheggio, era ormai l’una passata quando arrivammo al club, si trattava di un posto abbastanza informale quindi non avrebbero fatto storie sull’abbigliamento. La mia amica non veniva persa di vista nemmeno un secondo, né da noi né da lui.

Una volta entrati subito i ragazzi si diressero verso un area riservata e noi con loro, altre persone li salutarono ed io e le mie amiche ci presentammo. Fu tutto un susseguirsi di bottiglie al tavolo, Nick e Francy si parlavano vicini, guancia a guancia e nulla da fuori faceva pensare che avessero rotto.

Emma ed io passammo il tempo con gli amici, bevevamo, parlavamo di loro e ballavamo.

La serata sembrava scorrere senza particolari drammi, fino a quando lui non prese in braccio Francy e si baciarono appassionatamente sui divanetti.

Io ed Emma ci guardammo rassegnate“Si vede che hanno chiuso” dissi scoppiando a ridere poco dopo.

 

 

Lo percepì arrivare ancora prima di vederlo, sapevo che era lui. L’ingresso del locale era affollato da un gruppo di ragazzi, gambe lunghe, jeans che calzano a pennello, camicia bianca capello corvino. Avrei riconosciuto quella figura tra altre miliardi di figure al mondo. Mi pietrificai. Emma si accese una sigaretta dalla disperazione, adesso il disastro emotivo era magicamente raddoppiato. Passarono davanti al nostro tavolo, ero lì, in piedi con una vodka-tonic in mano completamente incapace di dire o fare qualsiasi cosa, lui alzò lo sguardo e incontrai i miei due scintillanti smeraldi. La sua faccia era indecifrabile anche per me. Nessuno dei due si aspettava di vedere l’altro e non avevamo la più pallida idea di come comportarci dato il nostro ultimo incontro.

La musica scomparve, tutti scomparvero per un tempo che mi parve infinito. Scesi i gradini senza poter percepire le mie gambe, iniziai a dirigermi verso di lui ma persi il suo sguardo, la bolla si ruppe nel preciso momento in cui Val gli prese la mano. Rimasi immobile sull’ultimo gradino mentre lui velocemente si spostò, lo vidi andare verso l’altra area privata del locale, mi sentivo bruciare dalla vergogna, potevo percepire la mia faccia andare a fuoco.

Ancora una volta ero un’idiota.

La sensazione di serenità provata fino a quella sera scomparve, ancora una volta l’affronto di essere l’altra mi aveva distrutto. Dove lui la sfiorava, sentivo dolore io.

Emma mi raggiunse e mi trascinò quasi di peso sui divanetti.

Stai bene?” mi guardava, sembrava veramente preoccupata e non la biasimavo.
Si.”

 

 

Nel frattempo Francy e Nick erano passati dal baciarsi al non cagarsi. La nostra amica ci raggiunse con una faccia che diceva tutto, senza bisogno di aprir bocca.

Emma salutò tutti mentre io e Francy abbozzammo dei saluti con la mano. Sembrava che due tir ci avessero investito più volte, camminavamo per inerzia verso la macchina di Emma.

E’ un coglione” esordì io ad alta voce e valeva per entrambi.
Non può fare così” continuò la mia amica, ed anche questo commendo valeva per entrambi.

Emma guidava spedita, la serata era stata pesante anche per lei, in silenzio arrivammo alle rispettive case, promettendoci a vicenda che ne avremmo parlato dopo una bella dormita.

 

Sempre se io e Francy fossimo riuscite a prendere sonno.

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Capitolo 20
*** Chapter nineteen ***


Chapter ninenteen
Trust the journey

 

“Quando sei nel dubbio, mettiti in moto”
D.H.Lawrence

 

 

15 luglio 2017

 

Quella notte sarebbe stata difficile da scordare. Dall’alto delle mie presunzioni, dove credevo di averlo dimenticato e accantonato per sempre, ero precipitata schiantandomi contro la realtà dei fatti.

Pensavo che per entrambi avesse contato qualcosa la notte passata insieme, il ragazzo che conoscevo io non avrebbe mai fatto una cosa del genere alla sua fidanzata.

Evidentemente mi sbagliavo su tutto.

La scena vissuta era stata una sorta di deja-vu, mi era già successo innumerevoli volte di vederli insieme e di non poter fare nulla se non maledire me stessa per i miei sentimenti.

Ed eccomi lì, tre anni dopo, esattamente sulla stessa barca che credevo di aver finalmente lasciato.

Questa volta però, non potevo fare altro che incolpare me stessa, se quella sera fossi scappata come al solito, non sarei trovata in questa situazione. Sarebbe bastato continuare a limitarsi, come avevo sempre fatto durante i nostri incontri, certo, a volte era scappato un bacio, ma avevo decisamente superato il limite. Non sapevo cosa mi fosse passato per la testa, ero delusa da me stessa perché ero convinta davvero di averla superata.

Fu quella mattina che presi coscienza di una cosa importante: era giunto il momento di non sentirlo più.

Quella sarebbe stata la fine di questa cosa, qualsiasi cosa fosse. Mi incolpavo di tutto. Mi davo la colpa di avergli dato questo immenso potere su di me, mi incolpavo dei miei sentimenti, mi incolpavo di non riuscire a dimenticare questa storia una volta per tutte e mi incolpavo di amare una persona che non mi dava niente.

Questo sentimento andava contro tutti i miei principi, alla persona che ero, ai miei ideali di donna emancipata, andava contro di me.

Così decisi. Decisi che era la fine, avrei messo un punto su tutto questo e sarei partita senza pensieri per la Croazia, doveva essere la volta buona.

 

 

 

 

Scrissi alle ragazze che quel pomeriggio non sarei stata disponibile. Mi dispiaceva molto per Francy, ma sapevo che non sarebbe stata sola.

Per distrarmi da quel tumulto emotivo, organizzai lo studio e gli esami che fino a quel momento avevo rimandato.

Non mancava molto alla nostra vacanza, avevo due settimane di tempo per preparare un piccolo esame da sei crediti, perfetto per riprendere piano piano la vita universitaria.

Tra l’altro l’argomento dell’esame mi interessava: Tecniche di traduzione letteraria.

Reduce dal mio viaggio, quello era senza dubbio un argomento alla mia portata. Passai il pomeriggio a scaricare la bibliografia, che spaziava da autori russi ad inglesi per arrivare agli scrittori spagnoli, dovetti dunque organizzare gli argomenti spalmandoli sulle sole due settimane che avevo, il 28 luglio era la data dell’esame, due giorni dopo alle 3 del pomeriggio io e la mia amica avevamo un aereo da prendere.

 

Due settimane e sarei stata di nuovo lontana da casa, spalmata al sole su spiagge selvagge e mare cristallino.

Due ore dopo ero ancora persa tra autori di varia origine e sulle loro tecniche, quando il mio telefono cominciò a vibrare come un matto.

 

Chiamata in entrata da Luke.

 

Il mio cuore non perse solo un battito, andai in arresto cardiaco per un qualche secondo. Pensai a tutte le volte che avevo fissato il telefono in attesa di un suo ripensamento, un messaggio di scuse, tipo “Hey sono stato un idiota a chiudere con te”, tutte cose che non erano mai accadute, perché lui sapeva solo prendere da me ed io ero ancora peggio perché glielo permettevo.

Eppure, Luke Piterson aveva la capacità di mettere il mondo in pausa.

Ma accadde qualcosa di strano, mi scattò dentro un senso di amor proprio che non credevo di avere, a fronte di tutto il discorso che mi ero fatta in precedenza, l’istinto fu quello di non rispondere, indugiai davanti al telefono che continuava ignaro di tutti i miei pensieri a vibrare seguendo sempre lo stessa alternanza vibrazione, silenzio, vibrazione...

Ero consapevole che se non avessi risposto mi sarei chiesta per sempre cosa avesse da dirmi, ma la parte razionale di me voleva aggredire la speranza e ucciderla definitivamente, ritenendo che non fosse importante sapere il perché. Ed era così, non era più importante, non era più affare mio.

Non era più roba mia ed io non ero più roba sua.

Dunque non risposi.

La linea cadde e la chiamata in entrata diventò chiamata persa.

 

Esattamente come aveva perso me.

 

*Spazio per Steph*
E' molto tempo che non vi lascio un mio messaggio sotto ad un capitolo, ma
devo farlo assolutamente per questo capitolo, breve ma fondamentale per Kat.
Vi invito a farmi sapere cosa ne pensate di questa storia, se vi piace il seguito i Primo ed Ultimo e se avete qualche suggerimento sono qui apposta.
Anche se non commneto ogni capitolo, sentitevi liberi e libere di tartassarmi di messaggi se vi sembra una schifezza o noioso o altro. (Si spera anche che possa piacere)

A presto
Steph.

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Capitolo 21
*** Chapter twenty ***


Chapter twenty
Myself first

 

Erano ormai due settimane che affogavo in autori, biografie, ideologie sul tradurre, tra chi sosteneva che la traduzione letterale fosse l’unica via per rendere al meglio un testo in una qualsiasi altra lingua, chi invece riteneva che il compito del traduttore fosse appunto quello di parafrasare un testo apportando anche modifiche di carattere strutturale per renderlo comprensibile al meglio ma, senza stravolgere il contenuto.

Ripetevo per la milionesima volta uno degli argomenti d’esame, mentre preparavo una centrifuga alla frutta, una nuova abitudine degli ultimi quattordici giorni.

Un’altra buona, anzi, ottima nuova abitudine era la mia capacità di ignorare ogni telefonata o messaggio di Luke: aveva provato a chiamarmi in diverse occasioni, mi aveva scritto un paio di messaggi, ma io non avevo mai risposto.

Sentivo che ero io a decidere, finalmente. Lo avevo privato del potere che esercitava su di me, certo lo pensavo e non ero felice, ma sentivo di essere sulla strada giusta per uscire da quel lungo tunnel.

 

 

Avrei voluto poter dire lo stesso di Francy. La mia amica stava decisamente peggio di me, Nick non sembrava in grado di prendere nessun tipo di decisione duratura e lei era ancora troppo innamorata per dare una svolta decisiva alla sua situazione.
Mi dispiaceva non poterle essere vicina in quel momento, ma avremmo avuto due settimane per stare insieme, la mia priorità in quei giorni era l’esame e lei avrebbe capito, anche perché nelle mie pause dallo studio sentivo costantemente entrambe.
L’esame sarebbe stato l’indomani ed io avevo solo quell’ultimo giorno per ripassare e prepararmi a dovere.

 

L’orologio del soggiorno segnava le 14:05 quando decisi di fare una pausa per mettere qualcosa sotto ai denti. L’agitazione cominciava a farsi sentire e tutto il mondo stava passando in secondo piano. Decisi che mi sarei presa un’oretta di pausa per mangiare e rilassare la mente con un po’ di musica, mi sarebbe piaciuto leggere ma avevo gli occhi troppo stanchi per farlo.

Mentre le note di Jessie J riempivano il soggiorno, iniziai a tirare fuori la valigia per cominciare a riempirla delle cose fondamentali, asciugamano, costumi, creme solari e tutto il necessario per il mare. Sentivo la necessità, dopo tutto il freddo preso in Olanda, di sentire veramente il sole sulla pelle e scaldarmi fino a dentro le ossa. Tornai svogliatamente alle mie fotocopie e mi concentrai solo ed esclusivamente sullo studio, al mare avrei potuto pensare il giorno dopo, una volta finito l’esame.

 

 

Quella mattina di luglio l’afa era insostenibile già alle 9 del mattino.
Passeggiavo davanti al collegio Santa Caterina, in attesa che aprisse per appoggiare il mio materiale ed attendere di essere chiamata all’appello. Ero agitata ma lucida, ero abbastanza preparata, forse non al cento per cento visto le poche settimane di studio, ma abbastanza da passare quell’esame e partire tranquilla.

Feci un salto al bar adiacente alla struttura per prendere una bottiglia d’acqua e un panino.

Conoscevo bene la scarsa organizzazione della mia università e più di una volta mi era capitato di avere un appello alle 9 ma di essere effettivamente interrogata alle 18. Erano giornate estenuanti sia per alunni e professori, questo determinava spesso una alta percentuale di bocciature.
Fare scorta di cibo si sarebbe rivelato utile nel caso fossi finita dopo pranzo.

 

Al mio ritorno dal bar, i cancelli erano stati finalmente aperti, con quindici minuti di ritardo, mi diressi nell’aula disegnata e mi sedetti al primo banco. Dopo pochi istanti fui raggiunta da altri colleghi, la capienza dell’aula non poteva ospitare tutti gli iscritti e vidi molti sedersi fuori, per terra.

La probabilità di finire per ultima si faceva sempre più plausibile.

Finalmente il docente alle 9:35 ci degnò della sua presenza informandoci che avrebbe interrogato in base al momento dell’iscrizione. Ottimo, considerando che avevo deciso all’ultimo di dare quell’esame mi avrebbe interrogato minimo alle 16.

Così passarono le ore, collega per collega il professore promuoveva o bocciava abbastanza obbiettivamente, il che fu un sollievo. Nella mia mente assimilavo tutte le domande e le eventuali risposte che forniva il docente, in modo di ripeterle esattamente uguali nel caso fossero toccate a me. Ci fu la pausa pranzo di mezz’ora alle 13. Mangiai il panino e presi un po’ di aria pulita. L’agitazione piano piano era scemata, man mano che i miei colleghi venivano interrogati io ripassavo e mi concentravo sugli argomenti preferiti del professore.

 

 

 

 

ore 16:52.

Finalmente fu il mio turno, di colpo l’ansia mi attanagliò lo stomaco e mi seccò la gola. Tremando mi diressi alla cattedra e presi posto. Le prime due domande furono classiche, le aveva appena fatte ed io risposi senza problemi.  Forse annoiato dalla giornata, oppure dagli argomenti decise di fare “una domanda più interessante” così l’aveva definita il docente, sul pensiero di un traduttore russo di cui aveva accennato a lezione, io che a lezione non ci ero stata perché ero ad Utrecht sentii la bocciatura arrivare alle mie spalle, cacciai via l’ansia il più possibile, cercando di fare mente locale sulle mie letture e parzialmente riuscii a cavarmela. Il professore decise di mandarmi a casa con un 24 senza chiedermi altro.
Avrei potuto prendere di più? Senza dubbio si, se si fosse tenuto alle domande sul materiale. Avrei potuto dirgli dell’Erasmus? No, sarebbe stato controproducente.
Sorrisi ed accettai il mio voto, con l’unica intenzione di andarmene a casa il prima possibile per chiudere gli occhi e dormire per il resto della giornata.

 

 

Arrivai a casa che era pomeriggio inoltrato, informai tutti del mio voto: i miei genitori e le mie amiche, per poi dedicarmi ad una doccia rigenerante e finalmente al mio letto con pc, libri ed una bibita fresca.

Tutta l’adrenalina scese e mi ritrovai beatamente serena. La sensazione dopo un esame andato bene era una delle più appaganti del mondo, non accadeva spesso, parliamoci chiaro, anzi, le volte in cui venivo bocciata superavano di gran lunga quelle in cui venivo promossa. A differenza delle mie colleghe non ero così devota ai miei studi, perché non ero poi così presa sentimentalmente.

C’erano esami con la quale avevo feeling fin da subito ed altri che invece ripudiavo.

Esattamente come mi accadeva con alcuni autori e scrittori, se con Pascoli, D’annunzio, Montale, Leopardi sentivo una connessione profonda, con Saba ad esempio non sentivo nulla. Era sempre stato così per tutto, io andavo a sentimento nelle cose, nelle persone, nella vita. Per quanto il mio cervello ed il mio modo di vivere fossero estremamente razionali, allo stesso tempo le mie amicizie, le affinità platoniche e non, erano dettate tutte dal sentimento, mi buttavo a capofitto nelle persone con la quale sentivo chimica, alchimia e non accettavo compromessi. Allo stesso tempo chi non mi colpiva, chi guardandomi non riusciva a stabilire una connessione, non aveva speranza di riuscirci in seguito.

Aggrappata a quei pensieri mentre guardavo una serie tv, caddi in un sonno profondo.

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Il sole filtrava attraverso il finestrino della macchina, alla radio passava una canzone che sarebbe diventata un tormentone estivo, nel sedile di fronte al mio c’era la mia amica, il paesaggio verso l’aeroporto era esattamente come due mesi prima. La strada correva veloce, avete presente quando vi trovate in un posto, oppure state facendo qualcosa ed improvvisamente sentite che siete vivi? In quel momento mi sentii così.

Mi sentivo più viva che mai, pronta ad affrontare quella nuova avventura, alla scoperta di un posto dove non ero mai stata, ma che sembrava avere tutte le carte in regole per farmi innamorare.

Ancora non lo sapevo, ma effettivamente io e Francy ci lasciammo un pezzo di cuore in Croazia.

Il mio sogno, effettivamente, era di visitare tutti i posti possibili per lasciare un po’ di me dappertutto. Mi domandavo spesso se fossi riuscita a realizzarlo, quando chiudevo gli occhi, mi immaginavo in Asia a passeggiare vicino alle rive de Gange, in cima alla muraglia cinese, senza parole per la sua maestosità, nei vari mercati ad assaggiare una moltitudine di spezie diverse, sui cammelli nel deserto del Sahara ed anche in quello del Sinai, in cima alla Statua della Libertà a New York, seduta in un locale giapponese a Tokyo ad assaggiare il vero e sacrosanto sushi…

Volevo il mondo intero non per possederlo, ma per viverlo.

 

 

Entrammo in aeroporto perfettamente puntuali per l’apertura del gate, non vedevamo l’ora di arrivare e lanciarci in spiaggia.

Una volta arrivate a metà volo iniziammo a vedere una serie di isole frastagliate e un mare a dir poco meraviglioso, la vista dall’alto rendeva perfettamente il territorio, ancora prima di scendere quel paesaggio sprigionò dentro di me una sensazione di pace interiore ineguagliabile, un piccolo paradiso ed una sensazione di nuova vita. Ancora non lo sapevamo, ma quella vacanza sarebbe stato proprio questo per noi: rinascita.





 
*Spazio per Steph*
Ebbene si, siamo giunti anche alla fine di questo secondo volume di Primo ed Ultimo. Quando ho iniziato a scrivere questa storia non mi aspettavo sinceramente di concluderla così in fretta. Invece, è successo che i capitoli venivano da sè, uno dietro l'altro dunque eccoli qui. Non esitate a farmi sapere cosa ne pensate, se è stato all'altezza delle vostre aspettative oppure immaginavate un finale diverso.

Baci
Steph

ps.Colgo l'occasione anche per augurarvi Buon Natale e Buon anno!
pps. ci sarà un terzo volume... vi levo ogni dubbio!

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