Eternamente tuo...

di StarCrossedAyu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eternamente tuo... ***
Capitolo 2: *** Extra ~ Revivescenza scarlatta ***



Capitolo 1
*** Eternamente tuo... ***


Eternamente tuo...

 





Il ragazzo, mani in tasca e sguardo rivolto al cielo, inspirò l'aria salmastra dell'Oceano Atlantico, passeggiando sul pontile.

Tutto aveva un che di nostalgico per Eren, il quale aveva lasciato Boston solo due anni prima. Si era trasferito a Salem da relativamente poco, eppure gli sembrava di appartenere a quel luogo da sempre.

Si era abituato persino ai numerosi turisti che accorrevano, soprattutto durante il mese di Ottobre. Halloween era un richiamo molto forte per coloro che volevano scoprire di più sulla famosa "caccia alle streghe", risalente ormai a quattrocento anni prima.

 

 

Un mattino come tanti, sbadigliando, aprì la cassetta delle lettere, sfogliando pigramente la corrispondenza. Tra bollette e pubblicità, una busta catturò la sua attenzione: ruvida, consistente, ingiallita dal tempo. Su uno dei lati, con grafia elegante, era riportato l'indirizzo della sua abitazione.

Nessun destinatario.

Nessun mittente.

Aggrottò la fronte, perplesso da quella stranezza. Già era raro ricevere qualcosa che non fossero fatture da pagare, in quell'epoca digitale, figurarsi una cosa simile.

Rientrò in casa portando con sé la misteriosa missiva e subito la sua inguaribile curiosità ebbe la meglio. Afferrò la busta scolorita, sedendosi al tavolo e aprendola con delicatezza. Ne estrasse un foglio accuratamente ripiegato, anch'esso ingiallito. La grana era certamente poco comune e sprigionava una strana fragranza. La annusò, portandola lentamente alle narici. Eren non se ne intendeva molto, ma avrebbe giurato fosse tè. Con gesti cauti, distese sulla superficie liscia del mobile quella che si rivelò essere una lettera. In alto a destra l'anno in cui era stata scritta.

1918, esattamente cento anni prima.

Si portò il palmo alle labbra, coprendosi la bocca e iniziando a leggere con attenzione le parole che componevano il testo. Parole che narravano d'amore. Parole certamente non rivolte a lui, ma che arrivarono dritte al suo cuore come un dardo ben scoccato.

La calligrafia era precisa, tondeggiante eppure priva di fronzoli e imperfezioni, l'inchiostro nitido e ben definito nonostante fosse stato usato un calamaio e non una comune biro.

Ogni frase trasudava un sentimento così forte da sembrargli tangibile e concreto come il pezzo di carta stretto nella sua mano. Narrava di una passione tanto irrazionale quanto bene accolta. Di un desiderio trascinante come un fiume in piena e di una dolcezza disarmante quanto il sorriso di un bambino.

Non aveva mai letto una dichiarazione simile - probabilmente la persona che avrebbe dovuto riceverla aveva abitato in quella medesima casa - e ne rimase toccato nel profondo.

Ripiegò accuratamente la lettera nella propria busta, chiudendola poi in un cassetto della sua scrivania. La giornata proseguì come qualunque altra tra lavoro, commissioni e la solita telefonata di rassicurazioni a sua madre. Il pensiero latente di quella lettera però non si decideva ad abbandonarlo e, giunta la sera, le sue mani trovarono nuovamente quella carta ruvida al tatto e i suoi occhi bevvero ancora di quell'amore forte e antico.

Trascorsero i giorni, le settimane divennero mesi, e più il tempo passava più Eren si convinceva che, per quanto irrazionale quel pensiero fosse, il destinatario di quella missiva così accorata somigliasse incredibilmente a sé stesso. Attraverso la penna di colui che scriveva, si rispecchiava nel modo in cui il protagonista camminava con lo sguardo rivolto al cielo, distratto al punto tale da rischiare di essere investito da qualche carrozza. Più volte Eren aveva sfiorato la morte per la leggerezza con cui attraversava la strada col naso perennemente all'insú. Si rivedeva in come toccava nervosamente le ciocche castane nel sentirsi a disagio, o quando la sua indole fiera spesso lo metteva nei guai.

Una persona dai molti pregi, ma era indubbiamente dei difetti che il mittente si era perdutamente innamorato.

Si chiedeva con esasperante insistenza chi fosse ad aver composto una simile sinfonia di sensazioni. Chi fosse colui che concludeva quel piccolo poema senza alcuna firma, ma con un semplice quanto disarmante "Eternamente tuo".

Alla milionesima volta che rileggeva la misteriosa lettera - le sue dita ormai impregnate dall'aroma di tè - si risolse ad indagare sulla faccenda. Sentiva il bisogno di scoprire che fine avessero fatto i due amanti, se la loro storia avesse avuto un lieto fine. Con tutta probabilità erano morti, ma forse qualcuno era a conoscenza di quale fosse stato il loro destino.

Scoprì, tramite il timbro apposto sul francobollo, che la busta era stata imbucata a una distanza relativamente breve dalla propria abitazione. Salem, infatti, ai tempi dei processi alle streghe, si era divisa in due fazioni distinte: città e villaggio. La lettera era stata smistata nell'ultima zona che, ormai in stato di abbandono, era quasi completamente disabitata e malamente collegata a quella cittadina.

Era tardo autunno ed Eren, risoluto, prese la sua auto di seconda mano diretto verso la parte vecchia di Salem. Lo accolsero poche case e un ambiente cupo e spettrale, degno delle più famigerate storie dell'orrore. Chiese ai pochi presenti informazioni riguardo la persona descritta nella lettera, ma senza successo. Finalmente, un anziano signore dallo sguardo vispo e baffetti grigi, gli indicò un'altura.

«C'é una villa diroccata, lassú in cima. Si dice che sia infestata dallo spirito errante del suo proprietario. Non so se sia vero, non ho mai avuto il coraggio di accertarmene, ma se vi abita qualcuno di certo sarà vecchio abbastanza da darti le risposte che cerchi.»

Eren vi si diresse, il tramonto a fare da sfondo al suo viaggio, parcheggiando infine oltre i cancelli spalancati della villa. I giardini incolti, le siepi rinsecchite, nessuna luce alle finestre. Niente faceva presagire la presenza di qualcuno. Scese dall'auto, pugni stretti e schiena dritta, e con fare deciso bussò al portone, più e più volte, senza ottenere nessuna risposta.

Quando provò a spingere l'uscio di legno, questo si aprì senza alcuno sforzo. Deglutí, teso, e si addentrò nella lugubre abitazione. Percorse i corridoi nel buio più totale, giungendo infine in un ampio salone debolmente rischiarato dalle tinte rossastre del Sole che calava. Nonostante l'assenza di qualunque cosa potesse far pensare che il luogo fosse abitato, ogni mobile, oggetto d'arredo e suppellettile era perfettamente pulito e lucidato, senza un granello di polvere.

Eren si guardò attorno, studiando ogni dettaglio di quell'ambiente dallo stile antiquato, finché notò la figura di un uomo.

Teneva il volto poggiato sul palmo di una mano, indice e medio sulla tempia, le palpebre serrate e l'espressione impassibile. Indossava una camicia bianca, sbottonata all'altezza del collo, e dei pantaloni color pece. I capelli erano neri quanto la notte più oscura, la pelle lattea come la Luna piena, profonde occhiaie ad adornarne il viso liscio come porcellana. Era immobile quasi fosse una statua, al punto da sembrare che non respirasse.

Perché respirava, giusto...?

Aprí gli occhi così repentinamente che Eren sobbalzò per lo spavento, forti brividi a percorrergli la schiena mentre un grido abbandonava le sue labbra.

Due iridi, fredde come il ghiaccio, si posarono su di lui e giurò che, per un istante, avessero brillato di luce propria. Eteree, penetranti, seducenti. Estranee, eppure tremendamente familiari. Sentí il cuore battere un po' più forte e diede la colpa alla paura irrazionale che aveva provato nel trovarsi faccia a faccia con lo sconosciuto. L'istinto gli urlava di fuggire, ma l'animo implorava di restare.

L'uomo lo fissava con espressione neutra, per nulla sorpreso di vederlo in quella che, probabilmente, era la sua dimora. Il suo sguardo sembrava malinconico, triste. Spento. Vuoto.

Il silenzio pesante, surreale, invogliò Eren a giustificare la sua presenza.

«Mi scusi, i-io non sarei dovuto entrare... Mi chiamo Eren, Eren Yeager, e ho ricevuto questa» disse, estraendo dalla tasca posteriore dei jeans la lettera. Gli occhi del corvino ebbero un guizzo, quasi avesse riconosciuto l'oggetto, tornando freddi e distanti così velocemente da fargli chiedere se non avesse immaginato tutto. «Mi domandavo se lei o qualcuno della sua famiglia ne sa qualcosa...»

Passò qualche altro secondo durante i quali il ragazzo riuscì a sentire distintamente il suono prodotto dal proprio respiro, prima che l'uomo parlasse.

«Vivo da solo. Non ho idea di cosa tu stia parlando.»

La sua voce, alle orecchie di Eren, era miele caldo che scorreva lungo la gola arrossata, lenendo un dolore inesistente ma che sapeva per certo di star provando. Cos'era quella sensazione così intensa? Perché desiderava udirla ancora, quando il suo tono basso e melodioso invece induceva il suo fisico a tremare dal terrore?

«Posso mostrargliela? Magari le ricorda qualcosa» mormorò, costringendo le proprie gambe ad avanzare verso la sua figura. Un passo, poi un altro, e vide l'uomo irrigidirsi impercettibilmente man mano che si avvicinava. Si trovò a pochi centimetri da lui che, seduto sul divano, non aveva battuto ciglio continuando invece ad osservarlo.

Il corvino, con innaturale lentezza, allungò la mano pallida verso la busta che Eren gli stava porgendo. Le dita sfiorarono le gemelle, ghiacciate al punto da chiedersi se, a causa loro, non provasse fisicamente dolore. Fu un contatto brevissimo ma intenso, che lo fece rabbrividire.
Il proprietario della villa esaminò l'involucro ed il suo contenuto, accennando un sorriso di scherno.

«Cento anni di ritardo. Le poste si sono decisamente superate, stavolta. Forse l'ha scritta mio nonno, era tipo da smancerie del genere» disse, leggendola quasi svogliatamente.

«Sa dove posso trovarlo?»

«Al camposanto. È morto da un pezzo.»

Eren si diede mentalmente dell'idiota, avrebbe dovuto immaginarlo, ma non riuscì a impedirsi di domandargli «Sa se... Se la persona a cui era indirizzata era la moglie?»

L'uomo sorrise ancora, le labbra sottili tirate in un ghigno beffardo mentre le massaggiava con l'indice.

«Chi ti dice fosse per una donna...?»

Il ragazzo arrossí violentemente, balbettando frasi sconnesse e senza senso. Gli occhi del corvino si addolcirono al suo crescente imbarazzo. Si allungò per restituirgli la lettera.

«Ormai non ha più importanza. Puoi anche bruciarla se vuoi, far finta che non sia mai esistita» disse laconico, e il giovane quasi gli strappò la busta di mano per stringerla possessivamente al petto. L'altro lo guardò, basito.

«Assolutamente no!» affermò deciso, le iridi verdi che brillavano determinate. «La conserverò con cura, com'é giusto che sia: un simile amore va custodito, non dimenticato.»

Il padrone della villa schiuse leggermente la bocca, le palpebre che si spalancavano e una scintilla che il castano avrebbe definito di speranza a illuminarne lo sguardo glaciale. Secondi lunghi un'eternità a fissarsi, mentre l'astro infuocato calava definitivamente e gettava il salone nell'oscurità più totale.

Eren si sentiva esposto, vulnerabile in quel luogo sconosciuto e tetro, ma nel profondo del suo animo qualcosa gli diceva di non essere in pericolo, tutt'altro.

L'uomo sembrò imporsi di apparire indifferente - eppure il turbamento sul suo viso al ragazzo era parso chiaro come il Sole - conducendolo verso l'ingresso. Era così delicato nei movimenti da sembrare che stesse fluttuando sul pavimento in marmo, piuttosto che calpestandolo.

Una volta all'esterno, Eren si voltò verso la figura silenziosa alle proprie spalle.

«Mi scusi ancora per il disturbo, Signor -» sorpreso, si accorse di non conoscere l'identità del corvino.

«.... Levi.»

Quattro lettere pronunciate in sequenza che lo spezzarono lì, su quei gradini scheggiati, squarciando il suo petto in due parti distinte. Non aveva mai udito quel nome in vita sua, allora perché gli sembrava fosse marchiato a fuoco nel suo cuore da sempre...?

Deglutí a vuoto, accaldato come stesse bruciando.

«Arrivederci, Levi» mormorò.

«Addio, Eren.»

Il ragazzo si sedette al volante, stringendolo con forza prima di girare la chiave nel quadro e metterla in moto. O almeno, ci provò. Il motore continuava a singhiozzare, un lamento agghiacciante nel silenzio di quel posto lugubre, e ad ogni tentativo sembrava implorare pietà.
Eren poggiò stancamente la fronte sullo sterzo, prendendo il cellulare e maledicendo la tecnologia moderna. Milioni di antenne portatrici di cancro e lì non c'era segnale. Fantastico.
Levi era rimasto immobile sulla scalinata antistante il portone della villa e, quando il ragazzo fece nuovamente capolino oltre la portiera ammaccata, sospirò.

«La macchina è in panne e il cellulare non prende, non è che -»

«Non possiedo un telefono» disse semplicemente ed Eren, avvilito, vagliò velocemente le possibilità a disposizione. Non poteva contattare il carro attrezzi o i suoi amici affinché venissero a prenderlo. Non gli restava che sperare in un ostello o simili, giù al villaggio.

«Non ci sono hotel in zona e camminare per due ore, sulla strada poco illuminata che conduce in città, non è consigliabile. Posso ospitarti per la notte e domani potrai andare via» concluse l'altro, voltandosi e rientrando in casa.

Il castano restò interdetto e, spinto dall'irrefrenabile e illogico desiderio di restare in compagnia di quell'uomo dai modi grezzi e cortesi che lo incuriosiva più di quanto fosse lecito, si affrettò a seguirlo, trovandolo al centro del lungo corridoio buio. Levi proseguì il suo cammino con Eren alle calcagna, salendo una rampa di scale dal corrimano in ferro battuto e gli elaborati intrecci, conducendolo al piano superiore. Aprí una delle numerose porte, attendendo che il giovane ne varcasse la soglia.

 Eren si guardò attorno, meravigliato. L'arredo era sobrio ma curato, con un enorme baldacchino dalle lenzuola in raso ed un caminetto acceso a riscaldare quella notte fredda. Aggrottò la fronte, perplesso. Com'era possibile che la legna già ardesse nel focolare quando la sua presenza era un evento imprevisto...?

«Troverai degli asciugamani puliti nel bagno adiacente. Non ho un ricambio da prestarti, desolato.»

«Non preoccuparti, sei già fin troppo gentile, me la caverò.»

Le labbra di Levi si piegarono in un accenno di sorriso.

«Buonanotte Eren» disse e, senza attendere una risposta, richiuse la porta lasciando il ragazzo con un milione di domande per la testa.

Eren si coricò, rilassandosi a contatto col tessuto liscio e fresco, addormentandosi in breve tempo. Non fosse stato per un tuono, improvviso e potente, non si sarebbe svegliato fino al mattino successivo.

Invece il boato lo fece sobbalzare, svegliandolo, e ciò che sentí immediatamente dopo lo lasciò senza parole.

«Mi manchi.»

Si voltò e Levi, in piedi accanto al suo letto, lo fissava.

Il castano avrebbe dovuto urlare, sentirsi minacciato e pronto a difendersi da una possibile aggressione - in fondo era uno sconosciuto, per quanto ne sapeva poteva essere un serial killer..!- ma il corvino aveva un'aria fragile, come se la sua sola vista gli causasse dolore e sofferenza.

 Eren si tirò su a sedere sotto lo sguardo attento dell'uomo che cercava di mantenere un'espressione neutra, come se il suo trovarsi lì nel bel mezzo della notte non fosse poi degno di nota.

«Tu mi conosci» affermò il ragazzo, il busto nudo e i capelli in disordine.

Levi non mosse alcun muscolo, forse timoroso che l'altro potesse reagire violentemente.

 «Tu mi conosci» ripeté e il corvino annuì. Con gesti lenti, cauti, si andò ad accomodare sul letto, le iridi di ghiaccio fisse in quelle smeraldine di Eren. Occhi negli occhi, fece scivolare il proprio palmo sulla seta alla ricerca della mano naturalmente scura del giovane.

Il castano lo lasciò fare, permettendogli di accarezzargli il dorso con le sue dita gelide e rabbrividendo in risposta. Il suo corpo tremava, avvertendo un pericolo che invece il suo cuore si rifiutava di percepire, attratto da quell'essere misterioso come lo è una falena dalla fiamma di una candela.

«Perché non mi ricordo di te...?»

«È la tua punizione: destinato a dimenticare ogni volta, me e la promessa che mi hai fatto» rispose, la voce colma di pena e amarezza.

«Ogni volta...?»

«Se te lo dicessi non mi crederesti Eren, ma posso mostrartelo. Sono stanco di nascondermi, sono stanco di fuggire, sono stanco di starti lontano...»

«Allora fallo» disse con fermezza. «Voglio sapere chi sei.»

Levi cercò nel suo sguardo un segno di incertezza, e quando fu sicuro non ve ne fosse alcuno si portò il polso alle labbra così velocemente da risultare quasi invisibile. Affondò i denti nella propria carne, squarciandola con decisione e facendo sgorgare dalla ferita fiotti di liquido cremisi. Le sue labbra, pallide e smunte, erano ora tinte di vermiglio come il muso di una bestia nel pieno del suo banchetto. Spaventoso. Agghiacciante.

Eppure quando si fiondò sulla sua bocca, facendosi spazio con la lingua alla ricerca della gemella, Eren non ebbe alcuna paura o timore, seguendo un istinto sconosciuto che gli urlava di accoglierlo, abbracciarlo, stringerlo. Il sapore ferroso del sangue, misto a una dolcezza di cui ignorava la provenienza, fluì nel suo essere insieme ai ricordi di cui Levi era eterno custode.




 

«Sono discepoli del demonio, schifosi sodomiti!» la donna li additava, mentre gli abitanti di Salem li giudicavano colpevoli di stregoneria e trascinavano entrambi nel bosco.

«Lasciatemi! Levi! Levi!!»

«Eren!»

Un cappio, appeso ad un albero, fu stretto al collo del corvino mentre il ragazzo veniva legato a un palo circondato da legna e fieno, pronto per essere arso vivo. Si guardarono, colmi d'amore l'uno per l'altro, colpevoli solo di essere nati in un'epoca intollerante ed aver entrambi rifiutato la stessa strega. Era stata lei infatti, rosa dalla gelosia, a denunciarli e condannarli a morte.

 «Lasciatelo maledetti!»

«Levi ti amo, mi senti?! Ti amo!»

Il fuoco ai piedi di Eren fu acceso e, mentre consumava i suoi abiti e si nutriva delle sue carni, Levi piangeva nel sentirlo urlare quanto lo amasse, promettendogli che lo avrebbe atteso nell'aldilà e non lo avrebbe mai dimenticato.

 Poi, silenzio.

Il corvino ormai desiderava solo abbracciare la morte per poterlo raggiungere.

 Lo sgabello su cui l'uomo era poggiato venne infine calciato via, il collo pallido spezzato di netto dalla fune durante la caduta. La strega, furiosa e per nulla soddisfatta, attese che i paesani tornassero alle proprie abitazioni e scagliò loro un maleficio.

«Tu» disse indicando Eren, «sei condannato a rinascere, ignaro del tuo passato e di questo luogo in cui farai sempre ritorno. E tu» proseguí voltandosi verso Levi, «sei condannato a non morire, unico testimone della vostra disfatta e legato indissolubilmente a Salem che non potrai mai abbandonare. È qui che rivedrai il tuo amore, destinato a morire sotto i tuoi occhi per poi rinascere ancora e ancora!»

Le iridi del corvino, vitree, brillarono nell'oscurità della notte.

Rimasto solo nel bosco, con uno strattone si liberò della corda, accorrendo accanto al cadavere di colui per cui aveva dato la vita e pianse. Lacrime scarlatte come il sangue di cui, da quel momento in poi, si sarebbe nutrito. Non morto per l'eternità, in attesa di rivedere Eren ancora una volta.




 

Il ragazzo sentí le labbra dell'altro abbandonarlo, scosso dai propri singhiozzi e completamente sconvolto.

«La mia punizione è ricordare per entrambi quanto fosse forte il nostro amore. Non ho smesso per un attimo di pensarti, attendendo il tuo ritorno di decade in decade, secolo in secolo» disse, asciugandogli una lacrima col pollice freddo come il marmo.

«La lettera... L'hai scritta tu?» mormorò il castano a fatica, il viso tinto di rosso lì dove Levi lo aveva baciato.

«Sí. In un momento di debolezza avevo scritto al precedente te stesso, incapace di trattenere oltre ciò che provavo. Ma il destino è beffardo e non è mai giunta a destinazione, fino ad ora almeno.»

«Io... Io cosa ho fatto...?»

«Hai vissuto. Ti sei creato una famiglia, avuto degli eredi e sei morto come ogni maledettissima volta...» l'uomo digrignò i denti, conficcandosi le unghie nei palmi con sufficiente forza da sanguinare «Non ce la faccio più, Eren. È un fardello troppo grande da sopportare. Non posso lasciarti andare ancora, non voglio...!» sibilò, la sofferenza che lo dilaniava così forte da essere tangibile.

Eren si riscosse. La persona che aveva amato e che, contro ogni logica, sapeva di amare non poteva morire. Bene, neanche lui lo avrebbe fatto.

«Non dovrai farlo.»

Espose la gola, mostrando all'altro la vena pulsante che irrorava linfa vitale nel suo corpo, invitandolo a prendersi ciò che gli apparteneva di diritto: il suo destino.

Le iridi di Levi, a quel gesto, brillarono nel buio della camera. Saettarono dal collo al viso di Eren qualche altro istante, poi il ragazzo sentí i suoi canini lacerare la carne morbida e tenera che gli aveva offerto mentre si dissetava del suo sangue.

Le forze lentamente lo abbandonarono, mentre le sue membra tremavano dal piacere che il suo morso provocava. Chiuse gli occhi, ormai sul baratro che lo avrebbe condotto nel regno dei morti da cui avrebbe fatto inesorabilmente ritorno.

 Le sue labbra trovarono il polso di Levi, che lo spingeva contro la sua bocca schiusa: un'offerta a bere della sua maledizione. Debolmente Eren leccò il liquido vermiglio, assaporandone di nuovo il gusto inconfondibile, per poi succhiarlo con avidità sempre crescente.

Ancora.

Di più.

Quando riaprí gli occhi le sue iridi erano oro fuso, luminescenti come stelle e spaventose come nient'altro sulla faccia della Terra. Il suo cuore si era fermato, ma ormai la sua condanna era siglata. Non morto, al fianco del suo amato per i secoli a venire.

Levi fece scorrere le dita tra i capelli castani del giovane vampiro, sull'orlo delle lacrime.

«Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti...» sussurrò, la voce colma di un sentimento troppo a lungo taciuto.

 «Sono qui Levi, con te. Eternamente tuo...» e con quelle parole, finalmente, furono liberi.

Di toccarsi, appartenersi ed amarsi, fino alla fine del mondo.


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Capitolo 2
*** Extra ~ Revivescenza scarlatta ***


Revivescenza scarlatta








In quel periodo dell'anno, non particolarmente rigido, le temperature notturne calavano fino a formare un sottile strato di brina sulle foglie degli alberi e sulle coltivazioni.

 

Levi, nella sua modesta dimora, sfogliava un libro prestatogli da un compaesano. Non era molto bravo, aveva imparato con fatica a leggere e non sapeva scrivere altro se non il proprio nome, ma ciò non gli impediva di tentare di migliorare.

 

Mentre assottigliava lo sguardo, cercando di ricordare la corretta pronuncia della parola stampata sulla carta dalla grana spessa, udí un lieve tonfo alla finestra. Quel suono, così comune in un luogo come il villaggio di Salem circondato da piante e arbusti, lo deconcentrò per un istante prima che tornasse a dedicare la propria attenzione a quelle lettere disposte in modo così complesso.

 

«Eternamente...» sillabò infine, chiudendo il tomo per poi lasciarlo sul tavolo. Infilò una giacca pesante, piuttosto vissuta e con qualche rattoppo, per poi aprire l'uscio di casa e avventurarsi fuori.

 

Lentamente, a passo regolare, si inoltrò nella fitta boscaglia al delimitare del suo appezzamento, quasi seguisse un percorso ben preciso quando non vi era altro se non pietre, radici affioranti e il buio più assoluto.

 

Una fiammella fioca, oltre la vegetazione, lo invogliò ad aumentare la propria andatura fino a raggiungere un enorme albero secolare. Ai suoi piedi, seduto su di una roccia e con una lanterna a illuminarne il volto caramellato, Eren lo attendeva.

 

Molti erano stati gli incontri che avevano preceduto quello, tutti svoltisi alla stessa maniera: il ragazzo, non appena aveva l'occasione di sfuggire all'attenzione dei genitori, batteva alla sua finestra incamminandosi verso il luogo che aveva assistito alla costante crescita del loro amore proibito dagli uomini.

 

Levi notò immediatamente il cipiglio adirato del castano, chiedendosene il motivo.

 

«Eren, qualcosa non va...?»

 

«Era proprio necessario?»

 

E allora il corvino comprese quale fosse la fonte di tanto malcontento.

 

«Sai che non posso fare altrimenti. Ho atteso fin troppo. La gente mormora alle mie spalle e sai come funzionano queste cose» sospirò, avvicinandosi a lui di qualche passo.

 

Eren si morse il labbro, frustrato dall'accaduto e anche da sé stesso: non poteva permettersi di essere immaturo, quando la loro relazione poteva essere scoperta e troncata da un momento all'altro, però... Dio solo sapeva quanto gli era costato tacere, quel pomeriggio, nel vederlo passeggiare con Petra. Era stato tremendamente doloroso, ma mai quanto vedere le loro mani giunte alla luce del Sole. Avrebbe voluto separarle solo per poter stringere il palmo di Levi nel proprio e reclamare il suo posto al fianco dell'uomo che amava e non poteva avere. L'altro aveva ragione, aveva indugiato abbastanza nel prendere moglie da dar adito ai paesani per spettegolare. Non poteva - non potevano - permetterselo.

 

Il giovane allungò la mano verso la sua, attirandolo a sé per poi sollevare lo sguardo su di lui. Perché non potevano stare insieme? Cosa c'era di così sbagliato in quel sentimento da non poterlo mostrare apertamente?

 

Levi intrecciò le dita con le sue, approfittandone per baciargli il capo spettinato.

 

Era cresciuto, il suo Eren, eppure a volte gli sembrava di vederlo di nuovo bambino, sporco di terriccio a causa di qualche rissa. Quante volte lo aveva osservato da lontano, vedendolo cambiare anno dopo anno. Poi, un giorno, le iridi smeraldine di quel ragazzo dal temperamento caldo avevano incrociato il gelo delle sue, e tutto si era fermato. Avevano iniziato a guardarsi, studiarsi, infine sorridersi di nascosto. Un'estate, col pretesto di essergli di aiuto, il castano si era presentato a casa sua per arare una porzione di terreno incolto. Sudati e senza forze, erano rientrati in casa per un bicchiere d'acqua e si erano ritrovati stretti l'uno all'altro, le loro labbra che si cercavano senza sosta, improvvisamente rinvigoriti da quel contatto a lungo desiderato e a cui non avevano mai potuto dar voce.

 

Il corvino si chinò, poggiando la fronte sulla sua.

 

«Ti amo, Eren. Sei l'unico per me, lo sei sempre stato.»

 

Il ragazzo tirò su col naso, cercando di trattenere la propria sofferenza.

 

«Ti amo anche io Levi, da morire. Solo è così difficile vedervi insieme e far finta di conoscerti appena quando invece per me sei tutto...!»

 

Il compagno sospirò, formando una nuvoletta tiepida, stringendolo contro il suo petto. Lo capiva bene, perché si sentiva allo stesso modo se non peggio. Sapeva inoltre di ingannare Petra, di corteggiarla solo perché non poteva fare diversamente perché era solo da troppo tempo per non suscitare sospetti e scalpore. Era una brava ragazza, meritava ben più di quello. Sapeva che l'avrebbe trattata con rispetto, ma l'amore - oh - quello era tutt'altra faccenda.

 

Eren ricambiò l'abbraccio, affondando il viso in quella giacca logora che aveva il profumo di sapone e di lillà. Inspirò a fondo quell'odore che sapeva di primavera, di casa, di un futuro che non avrebbero mai vissuto.

 

«Dimmi che non cambierà mai niente. Promettimelo...» mormorò, le parole attutite dalla stoffa.

 

Levi sentí il suo cuore stringersi a quella richiesta disperata.

 

«Non posso, Eren... Sai bene che sarebbe una bugia e odio mentirti. Cambieranno tante cose e varrà per entrambi.»

 

Levi avrebbe continuato a corteggiare la figlia dei Ral, l'avrebbe chiesta in moglie e infine sposata. Lo stesso, nonostante quello che provavano l'uno per l'altro, sarebbe accaduto ad Eren. Avrebbero messo su famiglia, come imponeva la società, rinunciando all'occasione di essere davvero felici.

 

Il ragazzo allora pianse, dando libero sfogo al suo dolore. Non riusciva ad accettare di non poter vivere al suo fianco.

 

«Però ti prometto una cosa, Eren: non importa cosa succederà, io ti amerò per sempre.»

 

«Davvero...?» chiese, la voce tremula. «Non mi dimenticherai?»

 

«Non potrei mai. Sono tuo. Eternamente tuo...» sussurrò il corvino, sollevandogli il viso e baciandolo sulle labbra, salate per le lacrime e screpolate dal freddo. Le dita di Eren lasciarono la stoffa per spostarsi sul suo viso pallido, mentre Levi riscaldava quella bocca rosea e alimentava ancora una volta quel sentimento così intenso e puro.

 

Si separarono solo per guardarsi, consapevoli che il tempo a loro disposizione era giunto al termine.

 

«Ora vai» disse il maggiore, «prima che i tuoi genitori notino la tua assenza.»

 

Eren si mise in piedi, superando Levi in altezza, lasciandogli un ultimo bacio a fior di labbra per poi incamminarsi a passo svelto. La lanterna restò lì, a far luce ai pensieri del corvino che continuò a rimuginare sulla faccenda.

 

Non voleva che Eren soffrisse in quel modo, che vivesse una vita che non desiderava. Piuttosto, sarebbe fuggito insieme a lui. Più ci pensava e più quell'idea folle e sconsiderata gli sembrava la cosa più logica da fare. Entrambi sapevano coltivare, e lui sapeva cacciare. Avrebbero potuto costruire una casa lontano da Salem, dalle malelingue e i pericoli che la loro relazione comportava. Decise che ne avrebbe parlato al ragazzo la sera seguente.

 

Raccolse la lampada ad olio, facendosi strada tra la boscaglia, ignaro che quella sarebbe stata la sua ultima notte.

 

Dietro un albero, una chioma rossa come il fuoco si mosse mentre due iridi dorate ardevano come l'inferno nell'aver assistito a quell'incontro proibito. Scoprire che entrambi, tempo addietro, l'avessero rifiutata in nome di ciò che nutrivano l'uno per l'altro l'aveva profondamente umiliata. Preda di una collera funesta e resa cieca da rabbia e risentimento, la strega corse verso il villaggio urlando che i discepoli del demonio erano tra loro.

 


 


 


 


 


 


 


 


Eren sgranò gli occhi, sussultando, le iridi vermiglie e la pupilla ridotta a una sottile fessura.

 

I vampiri non dormivano.

 

Era una necessità superflua, quando il loro corpo immortale non aveva bisogno di ristorarsi in alcun modo se non con sangue caldo e fresco. Esseri dalla sorprendente forza, incredibile velocità e un istinto animalesco che permetteva loro di fiutare la propria preda a chilometri di distanza.

 

Eren non aveva mai cacciato un essere umano durante la sua nuova vita da immortale. Non aveva mai sentito l'esigenza di farlo, quando l'unica cosa di cui volesse nutrirsi era la linfa scarlatta che scorreva nel corpo del compagno che giaceva disteso al suo fianco.

 

Levi si sollevò facendo leva su un gomito, andando a strofinare il naso sulla gola del ragazzo dove sentiva scorrere il liquido ferroso come impazzito.

 

I vampiri non dormivano, ma capitava che attraversassero stati di profonda catatonia durante i quali immagini, sensazioni ed emozioni si susseguivano senza soluzione di continuità. Ripercorrevano pensieri e a volte, ricordi.

 

«Parlami.»

 

La voce del corvino, calma e rassicurante, ebbe il potere di un balsamo lenitivo sull'animo in subbuglio della giovane creatura maledetta.

 

«Ne ho recuperato un altro...»

 

Levi cinse i fianchi di Eren, facendolo voltare verso di sé. Due gemme auree lo fissarono, intense e lucide. Solo qualche decade, si disse l'uomo, e avrebbe potuto specchiarsi nuovamente in quei magnifici smeraldi di cui, secoli addietro, si era perdutamente innamorato. Accarezzandogli una gota, leggermente impallidita a causa della sua nuova condizione, attese.

 

«Ho percepito il gelo dell'oscurità e il tuo fiato caldo sul viso... Assaggiato la consistenza delle sue labbra e il loro sapore... Ho udito la tua promessa Levi, aggrappandomi ad essa come un naufrago alla deriva» mormorò, quasi il loro fosse ancora un segreto da celare. «Ho visto quella notte

 

Il corvino sospirò. Sapeva perfettamente cosa Eren avesse provato nel rivivere quel momento. Per secoli non aveva fatto altro che quello, pur di ammirare il suo volto ancora una volta.

 

«Sei qui ora, conta solo questo» rispose, portando una mano a coppa sul suo viso.

 

«Come ho potuto dimenticarti...?» sussurrò il castano, sciogliendosi a quel tocco gelido che bruciava più delle fiamme stesse. «Come ho potuto scordare tanta sofferenza e tanto amore?»

 

«Il tuo corpo e la tua mente erano mortali, avevano dei limiti; adesso invece sei un essere eterno, puoi valicare confini che nessuna creatura terrena può superare.»

 

«Voglio farlo con te. Raccontami ancora una volta del nostro primo bacio, di quanto forte mi battesse il cuore nel petto, di come ti sei sentito nello stringermi tra le tue braccia.»

 

Levi allora mostrò la gola candida, esponendola al compagno.

 

«Mordimi e lo farò.»

 

Le zanne di Eren bucarono quella pelle morbida come seta e dura come marmo, facendo sgorgare nella propria bocca fiotti di afrodisiaco nettare che bagnò la sua lingua e inebriò i suoi sensi.

 

Ancora tra le lenzuola del loro letto, si ritrovò schiacciato contro il legno di una casa che ormai non esisteva più da centinaia di anni. Le mani del vampiro dai capelli scuri scivolavano sui suoi fianchi, eppure Levi gli artigliava le spalle quasi avesse il terrore che potesse sparire. Il buio di una notte di mezza luna avvolgeva le loro figure nude, ma sentiva il calore del Sole che filtrava dalla finestra scaldargli i vestiti. Presente e passato fusi in un unico istante che fluiva dentro di lui attraverso il sangue dell'amante che, con un grugnito roco, lo morse a sua volta. Uniti come nessuno sarebbe mai stato in grado di fare, memorie che li scuotevano nel profondo. Le loro espressioni deturpate dalla bellezza di quell'istante in cui si trovavano per l'ennesima e, al contempo, la prima volta.

 

Come guidati da qualcosa di superiore, i denti lasciarono la presa sulla pelle martoriata e le loro labbra tinte di cremisi si trovavarono a metà strada in un bacio che sapeva di nostalgia e scoperta. Con le palpebre calate, entrambi osservavano con disarmante vividezza la precedente versione di loro stessi, antica e scolpita nei loro animi dannati.

 

«Ah, Levi...! Ah!»

 

Quei gemiti, quella supplica giunse chiara e nitida alle sue orecchie, eco lontana di un momento già vissuto e consumato dal tempo. Le dita sottili del maggiore dei due vampiri lo strinsero a sé, suscitando in Eren il medesimo desiderio bruciante che lo aveva avvinto nell'unica occasione in cui si erano concessi di amarsi in ogni forma, oramai secoli addietro.

 

La lingua del castano percorse il suo collo, saggiando le ultime gocce scarlatte prima che la ferita infertagli si richiudesse inesorabilmente, andando a sussurrargli innocente e tentatore. «Fammi tuo...».

 

Quelle parole, ancora una volta, privarono Levi della razionalità che lo aveva da sempre contraddistinto, abbandonando ogni indugio ed appropriandosi del corpo dell'immortale sotto di lui e del ragazzo che era stato nello stesso istante. Un ruggito si riverberò dalla sua gola, mentre un sospiro di godimento abbandonò oscenamente le labbra di Eren che gli artigliava le spalle immacolate e stropicciava una stoffa inesistente.

 

«Eren...!»

 

Levi si impossessava del castano con dolce foga avviluppato dalle sue carni bollenti, intrappolato insieme al compagno in un ricordo dai contorni sbiaditi che fluiva nelle loro vene attraverso il sangue di cui si erano nutriti e dissetati.

 

Iridi ardenti come braci e verdi come i prati in primavera si sovrapposero in un gioco di colori e il corvino, soggiogato dall'intensa e amorevole passione che vi scorse, prese a muoversi a velocità sempre più sostenuta modellandolo a nuova forma, scolpendolo come una statua affinché lo accogliesse come fosse nato a quell'unico scopo.

 

Anime maledette prima dal giudizio degli uomini e poi dal sortilegio di una strega, forti abbastanza da cercarsi, attendersi, riunirsi per poi separarsi in attesa di un nuovo incontro dettato dal destino. Entità legate da un filo rosso che nulla mai sarebbe stato in grado di spezzare. Continuarono ad amarsi al chiaro di luna per minuti, ore, forse anni. Non se ne curarono.

 

In fondo il tempo, ormai, non aveva più alcuna importanza.


 

-


 

«Cosa leggi?»

 

Eren si sporse oltre la spalla dell'uomo, il mento nell'incavo del suo collo dove depositava piccoli e casti baci. Levi lo lasciò fare, sollevando leggermente il libro tra le sue mani.

 

«Me lo prestò Farlan. Non ho mai finito di leggerlo.»

 

In quei secoli di profonda solitudine e angoscia dove attendeva con spasmodica ansia di poter incontrare nuovamente Eren - anche se da lontano - aveva imparato a leggere meglio, a scrivere, ampliato la sua biblioteca e soprattutto la sua conoscenza. Si era costruito ciò che avrebbe voluto per sé e il ragazzo che amava, abbandonandolo poi all'incuria man mano che le sue sofferenze divenivano insostenibili. Ma a dispetto dell'esorbitante quantità di tempo a sua disposizione non ne aveva mai dedicato a quel tomo vecchio e ingiallito. Probabilmente non voleva aggiungere ulteriori particolari ai ricordi che aveva della sua vita terrena.

 

Il castano lesse con avida curiosità le parole stampate appena scolorite, sgranando le iridi vermiglie.

 

«Eternamente...»

 

Levi tacque, sollevando gli occhi gelidi sul suo volto privo di imperfezioni.

 

«Poetico, non trovi?» mormorò infine.

 

«Sì, ed anche appropriato...!» ridacchiò Eren, strofinando il naso tra i suoi capelli neri come la pece «Non ho mai dubitato della tua promessa, Levi. Sono stato io ad infrangere la mia...»

 


 

 

 

«Ti amo, mi senti?! Ti amo! Ti aspetterò Levi, qualunque cosa ci riservi la morte io attenderò il tuo arrivo!»

 



 

Le mani pallide del vampiro trovarono le gote dell'amante così velocemente da non scorgerne il movimento repentino.

 

«Non dire sciocchezze, Eren: hai aspettato che ti raggiungessi dall'altra parte per chissà quanto, prima di nascere a nuova vita ancora e ancora. Il fatto che i tuoi sentimenti si siano risvegliati nel bere il mio sangue dimostra con quanta tenacia tu ti sia aggrappato a quel giuramento. Non ti ho mai giudicato per aver vissuto...»

 

Le loro labbra si trovarono nel più naturale dei modi, confortandosi a vicenda. In una frazione di secondo Eren era accoccolato in grembo all'uomo, le braccia avvolte intorno al suo collo candido e un magnifico sorriso che mostrava i denti perlacei e appuntiti.

 

«Adesso siamo insieme, il resto non ha importanza.»

 

«Non posso lasciare Salem neanche volendo...»

 

«Non è necessario. Non mi interessa vedere il mondo se ho tutto ciò che voglio qui, al mio fianco» disse il castano, dissipando le sue paure come fossero fumo e cenere.

 

Levi gli cinse i fianchi, il libro sparito chissà dove, poggiando la fronte sulla sua.

 

«Dovrai sopportarmi per l'eternità.»

 

«Non chiedo altro...»

 

Riparati dalla luce del Sole loro nemica, che scaldava la terra fuori dalla villa, restarono avvinti in un abbraccio che sapeva di passato, presente e finalmente futuro. Smarriti in quell'amore che avrebbe attraversato gli oceani del tempo, eternamente loro...

 


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