Diaftheiro

di Sesquiplebe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ifigenia ***
Capitolo 2: *** L'Età del Ferro ***
Capitolo 3: *** Il Tempo ***



Capitolo 1
*** Ifigenia ***


Non c'era una nuvola a chiazzare il cielo oceanico che, empio, si distendeva esausto sopra un letto invisibile. Non c'era l'abituale cinguettare allegro degli uccelli mentre gironzolavano tra i rami degli alberi, solo un pigolio sinistro si udiva da un nido solitario sulle braccia rinsecchite di una quercia morente. Non c'era nemmeno il soleggiare felice del sole, ora in disparte ad osservare in silenzio le pene maligne degli uomini codardi.
Una beata quiete inquietante soffocava l'aria del porto di Aulide torturato dai venti forti di una dea infuriata. Sulle navi approdate, linciate dalle acque torpide del mare, impazienti i divoratori di gloria attendevano l'estremo atto che li avrebbe, finalmente, liberati da quella gabbia tagliente in cui erano stati intrappolati per una colpa ignota del loro comandante.
Ifigenia saltellava felice sulle coste assassine dell'Egeo mentre il padre le rivolgeva un sorriso fittizio. Lei portava addosso uno dei suoi vestiti migliori, bianco, come la purezza della sua bellezza, e in capo un mazzo di gigli carmini colti personalmente da un campo benedetto a Persefone. Impaziente la fanciulla attendeva l'arrivo di Achille a cui fu data con gioia in sposa, ma, una volta volto lo sguardo ridente al genitore, dalla mano di fede del padre -del padre!- sbucò una lama velenosa ancora sul fianco, indugiante. Non mosse un dito, pure quando la figlia se ne accorse, stringendo sofferente il manico dell'arma.
Prese il respiro.
Sollevò lo sguardo.
Pugnalò la figlia,
e chiuse gli occhi.
Notò presto di aver sbagliato mira tra le grida dolorose della primogenita la quale, terrorizzata, fuggì via, inseguita da lui perchè stretto aveva il collo nel cappio di Artemide e non poteva scivolare via dalle sue scelte, spingendola su un picco elevato dove la giovane in trappola si fermò. 
Minacciò di suicidarsi, minacciò di buttarsi, tuttavia fu lui più veloce abbracciandola forte come ultimo saluto disperato.
Trafisse allora il freddo pugnale dritto in petto, e lasciò il cadavere piombare a terra insieme al terribile sacrilegio inferto alla dea.
Guardò irremovibile i fiumi scarlatti farsi strada sul suolo, lungo gli spigoli pungenti della scarpata fino a gocciolare nel mare placato.
Cedettero i suoi ginocchi alla desolazione, troppo deboli affinchè potessero sorreggere il peso aggressivo del tormento amaro che lo avrebbe perseguitato finchè ricordava il terribile gesto disumano. E tra lacrime annegate, chiese:

«Perdono.»

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Capitolo 2
*** L'Età del Ferro ***


L'età del ferro.
Davvero servono altre parole per descrivere tale mondo arido, distrutto dalla violenza delle passioni e logorato dai ferri delle armi?
L'inesorabile potere ardente del fuoco che impietoso stermina intere stirpi e eredi e figli propri, le violente acque dei mari le quali placide onde sono ora come taglienti lame avvelenate che catturano gli altri nelle loro fauci trascinandoli nell'oblio degli abissi, i tempestivi venti, sempre in gruppo e mai da soli, pronti ad oscurare i cieli sereni unendosi in un'unica forza distruttiva spazzando via le fatiche sudate dei padri, e l'ingorda terra da epoche fedele a tutti che apre le sue bocche affamate, insaziabili, sotto i piedi dei suoi amici ingoiandoli nelle viscere buie della sua fame lasciandoli cadere eternamente nel vuoto.
Nei letti dei genitori ci sono i serpenti dei figli, sulle pareti della casa il sangue schizzato delle gole dei figli tagliate dal padre.
La chiamano era dello scempio, dell'anarchia, della pazzia, dove la natura crudele e ferina dell'uomo si impone prepotentemente sulla ragione accecando le loro menti annebbiate mentre si nutre dei desideri più reconditi dell'animo umano attraversando l'intricata foresta del cuore portandoli, infine, all'auto-distruzione.

Non ci sono dei.
Nè santi.
Nè eroi.
Solo l'odore di morte, e il verde putrefatto ingrigito dei cadaveri.

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Capitolo 3
*** Il Tempo ***


L'insistente ticchettio di un orologio echeggiava all'interno di una casa tra le pareti riluttanti e gli oggetti impolverati abbandonati al degrado.
La dimora non era più abitata da anni or sono -l'ultimo padrone morì di vecchiaia senza lasciarla in eredità a qualcuno-, tuttavia, nonostante ciò, quell'orologio ancora si ostinava a funzionare perfettamente ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo. Torturava le orecchie dei visitatori impedendo di concludere gli affari di vendita e portando costantemente i poveri venditori al punto di partenza. Una volta tentarono di romperlo, ma non vi riuscirono. Quello continuava a strillare a squarciagola.
Nelle stanze non fiatava mai un filo di voce, solo il ticchettare fastidioso riempiva il triste silenzio che aveva divorato lentamente l'atmosfera fino a tacerla completamente dalla morte dell'anziano. Alcuni ipotizzarono un meccanismo di amplificazione a causa del forte rumore udibile ovunque, altri muri sottili dai quali penetrava facilmente le onde sonore, in qualsiasi caso quell'orologio era diventato un peso eccessivo per tutti.
Scandiva monotonamente il passare del tempo, una marcia militare feroce sempre avanti e avanti e avanti, ignorando i cadaveri dei compagni accatastati uno a fianco all'altro alle spalle fredde della lancetta. E proseguiva, proseguiva, proseguiva, avesse avuto chissà chi da raggiungere fra quei stermini di secoli, anni, giorni, minuti, secondi. Massacrava chiunque fosse avanti trasformandoli nel ieri, relitti trascinati indietro e indietro e indietro, schiacciati dai nuovi, finendo poi per sprofondare nell'oblio.

Quell'orologio lo odiavano tutti: nessuno sopportava ascoltare il suo canto tetro come il battere rassicurante del cuore, mentre ricordava l'inesorabile fine destinata ad ognuno di loro.

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