L'imperatore dei Due Mondi

di alessandroago_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Epilogo - L'imperatore dei Due Mondi ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Capitolo 1 mystery

L’IMPERATORE DEI DUE MONDI

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO UNO

 

 

 

 

 

Inverno del 1518, coste della Groenlandia.

 

 

 

 

 

Il vento gelido dell’implacabile Nord non offriva tregua agli abitanti delle Terre Verdi. O, meglio, di ciò che restava di esse.

Vinland, la patria promessa di un tempo, non era altro che una immensa distesa di ghiaccio che si estendeva fin sulle scoscese scogliere che sfociavano in un mare sempre in tempesta. Oltre, le banchise si estendevano implacabili e impossibili da affrontare durante la stagione invernale, mentre la rotta verso Sud restava l’unica affrontabile anche durante la cattiva stagione.

C’erano rischi, sicuramente, ma chiunque decidesse di intraprendere quel lungo viaggio ne era ben consapevole.

I Vichinghi di Vinland erano uomini intrepidi e decisi, l’oceano infinito era la loro casa e non temevano i cavalloni gelidi che mettevano a dura prova imbarcazioni ed esseri umani. Tuttavia, essi vivevano solo di lontani ricordi; erano quelli che tramandavano gli anziani, d’in generazione in generazione. Si trattava di leggende antichissime, la cui veridicità era andata perduta nel lento scorrere dei secoli.

Sigurd, il giovane principe dell’ultimo centro abitato delle Terre Verdi, stava ascoltando la narrazione di tali eventi quando il suo destino cominciò rapidamente a compiersi. Cosa ne poteva sapere del mondo, un ragazzino come lui? Un giovane di quattordici anni, che nessuno ancora considerava uomo e che si divertiva tutto il giorno ad allevare piccioni, gli unici uccelli domestici in grado di resistere al gelo intenso, se messi al riparo dalle intemperie durante i lunghissimi inverni?

Crescere piccioni e addestrarli era qualcosa di interessante per lui, probabilmente l’unico svago in grado di intrattenerlo piacevolmente.

Suo padre, il re Ragnar, venticinquesimo sovrano di Vinland, gliene aveva regalato una coppia il giorno del suo sesto compleanno; glieli aveva donati come animali esotici, poiché il bimbo potesse vederli e accarezzarne il piumaggio. Non avrebbe mai immaginato che essi si sarebbero adattati e riprodotti fino a dar vita a una ventina di esemplari gelosamente custoditi dal suo unico erede maschio, il pupillo della sua esistenza.

Re Ragnar adorava così tanto suo figlio da averlo isolato della roccaforte in pietra costruita nel bel mezzo della cittadina, mettendogli attorno numerose guardie fidate e permettendogli solo di aver contatti con il suo anziano precettore, che per l’appunto lo istruiva narrandogli continuamente le leggende e trasmettendogli le conoscenze delle rune. Di altro, gli era solo concessa la cura ai piccioni, e basta.

Sigurd era così cresciuto nella bambagia e di recente aveva anche smesso di ascoltare il vecchio bisbetico ricoperto da pellicce che gli stava sempre appresso; per lui era più importante Thor, il suo piccione maschio più giovane, ma che gli stava donando tante soddisfazioni e tanto affetto. Si trattava di un uccello d’indole particolarmente dolce, e nella piccionaia riscaldata sapeva apprendere tutto ciò che il principe gli insegnava.

Avendolo cresciuto il ragazzino con le sue stesse mani, per esso era come una sorta di genitore naturale, da imitare e da seguire ovunque nella piccola fortezza di pietra.

Ma io giorni scorrevano in fretta, e presto la buona stagione sarebbe tornata. Con essa, anche il momento delle partenze e dei misteriosi viaggi verso Sud.

 

 

 

Vinland, pochi mesi dopo.

 

 

 

 

Re Ragnar era un uomo di ferro, nel vero senso della parola. Vestiva ancora l’elmo dei suoi antenati, antichissimo, e faceva giungere da Sud tutto il materiale necessario per forgiare spade e curare l’attrezzatura bellica; sapeva che il ferro era l’unica cosa che poteva far la differenza, contro i nativi.

Eppure, nonostante la sua scorza dura e la sua parvenza implacabile, viveva per suo figlio; Sigurd era il maschio avuto in tarda età, dopo la morte delle prime tre mogli e a seguito di ben tredici figlie femmine, anch’esse venute a mancare pochi giorni dopo il parto. Era stato una sorta di premio, il dono che Dio gli aveva mandato dopo un’intera vita trascorsa ad attendere di lasciar estinguere la sua dinastia.

Per il Re, tenere il ragazzino lontano da ogni cosa che potesse nuocergli era stato importantissimo, e quando il giovane aveva cominciato a provare interesse nei confronti degli inutili pennuti che gli aveva regalato, be’, era stata davvero una soddisfazione, poiché non avrebbero mai potuto lederlo in qualche modo.

Se avesse invece cercato la spada, come facevano tutti i coetanei del loro piccolo popolo, sarebbe stato sicuramente peggio.

Sigurd valeva più di tutto l’oro presente a Vinland, e più di tutti i soldati addestrati di suo padre. Era un tesoro da custodire gelosamente, almeno fintanto che non avesse avuto figli, eredi a cui lasciare tutto quanto.

Fino a quel momento, il genitore si era ripromesso di preservarlo da tutto e da tutti, isolandolo in una grande stanza di pietra costantemente riscaldata da un crepitante fuoco e sempre sorvegliata da guerrieri di fiducia. Al suo interno era ammesso solo lui e l’anziano precettore, nessun altro.

Quando l’Assemblea degli anziani aveva richiesto che il giovane e futuro sovrano fosse educato per divenire Re, in un futuro sempre più prossimo, Ragnar aveva cercato di opporsi in ogni modo. Sigurd era più che mai vulnerabile, un vero disadattato, non era pronto a ciò che l’attendeva fuori dal palazzo reale.

Però, era anche vero che presto o tardi avrebbe dovuto fare i conti con la realtà, e l’anziano sovrano sapeva bene che non aveva più tante primavere di fronte a sé; gli anni si facevano sentire, aveva spesso le gambe gonfie e il respiro difficoltoso, con il clima estremo del territorio che non lo aiutava a stare meglio.

Quindi l’unica decisione sensata era quella di accogliere la richiesta dell’Assemblea, al fine di non inimicarsela e di non far spargere la voce che l’erede al trono era destinato a restare per sempre chiuso nel suo castello. Un inetto, in pratica.

Questo l’avrebbe solo reso ulteriormente vulnerabile al cospetto degli ultimi vichinghi, formato dal popolo di Vinland, non tanto numeroso ma molto feroce. E se così fosse stato, allora Sigurd avrebbe perso lo stesso, per essere soppiantato dal primo violento che avrebbe violato la fortezza dopo la morte del padre.

Ragnar allora sapeva che doveva parlare al figlio ed esporgli la situazione, per spiegargli per bene come si sarebbe evoluta la sua preparazione. Tuttavia, aveva il nodo il gola quando si presentò nella sua calda stanza, e lo vide mentre accarezzava con affetto il piumaggio del suo piccione preferito.

“Ah, siete voi, padre”, disse il ragazzo, sussultando lievemente quando si accorse che il genitore era lì con lui, a osservarlo alle spalle.

“Sono proprio io, figliolo”.

Sigurd sorrise, raggiante; era il sorriso più puro che esisteva, quello dell’innocenza e dell’ingenuità.

“Mi fa piacere che siate venuto a farmi visita. Sapete, ho molte cose da narrarvi, se avete un po’ di tempo a disposizione”, tornò a dire il ragazzino, in una maniera squisitamente gentile. Fu Ragnar quella volta a sorridere, riconoscendo che il precettore aveva indubbiamente fatto il suo mestiere.

“Ne ho un po’, sì”, ammise poi, “se ti va racconta, ma brevemente, perché poi ho anch’io qualcosa da dirti”. Sigurd rimase perplesso.

“Oh, no”, quasi esclamò, dopo un breve istante di riflessione, “allora parlate voi, avanti…”.

“Non ho fretta, racconta tu”, lo sollecitò il genitore con convinzione. Era certo che quello era uno degli ultimi istanti che avrebbe trascorso da puro, da ingenuo, da immacolato.

Con quello che gli aveva da spiegare, sul suo viso si sarebbero presto formate le prime rughe di preoccupazione, unite a un’espressione sicuramente un po’ turbata. Voleva godersi quindi quegli ultimi momenti così quieti e tranquilli, come se appartenessero a un altro mondo, a una realtà a parte.

“Vi ringrazio padre”, esordì allora il sorridente ragazzino, che fremeva dal desiderio di narrare. “Sapete, ho scoperto che Thor è veramente un signore dei piccioni, da come si comporta. Pare sia in grado di ritornare alla piccionaia anche da distanze ragguardevoli, e anche con il cattivo tempo o durante le tempeste di neve. Non teme nulla”.

“Come fai a saperlo?”, domandò il genitore.

“Be’, ho chiesto al signor precettore di liberarlo per conto mio al di là del nostro villaggio…”.

“Nelle terre dei nativi?”, tornò a interromperlo. Il figlio scosse il capo.

“Che importa, padre? Il signor precettore ha detto che era disposto anche a correre qualche piccolo rischio, pur di rendermi contento”, ammise il giovane.

Ragnar scosse il capo, contrariato, riconoscendo l’ingenuità evidente del figlio. Vinland non per nulla era rimasto l’unico centro abitato vichingo presente sulle coste di quella terra di ghiaccio e vento; gli altri villaggi erano stati spazzati via dal brutto tempo e dagli aggressivi nativi.

Isolata da tutto e da tutti, la cittadina era parzialmente protetta da una scogliera che si inabissava verso le furiose acque dell’oceano, che spesso durante l’inverno diventavano una rigida banchisa. Era stata eretta una protezione di pietre, ma non serviva sempre, specialmente durante la buona stagione, quando i nativi erano particolarmente agguerriti e non temevano nulla.

Era quindi necessario che Sigurd avesse almeno la concezione della pericolosità di ciò che lo circondava, e del fatto che il suo futuro e minuscolo regno non era altro che una sorta d’irto scoglio circondato da un nugolo di nemici.

“Figliolo”, cominciò a farfugliare il padre, da una parte irato, ma dall’altra tentennante, “non devi più far correre tali rischi a qualcuno che ti vuole bene, intesi? O a qualche tuo suddito. Questo era solo un capriccio… e sai cosa c’è di più brutto, eh? Che tu hai permesso che qualcuno di tanto importante per te e per la tua formazione rischiasse la vita per far affrontare delle prove a quella creatura che ti ostini a chiamare Thor”.

Il giovane alzò gli occhi dal piccione e li fissò in quelli del padre, all’improvviso; erano azzurrissimi e gelidi, in essi non c’era un barlume di pietà. Ragnar, per la prima volta, provò un brivido al cospetto del figlio.

“Thor è molto più di un semplice piccione, sapete? Lui è tutta la mia vita. L’ho cresciuto con le mie mani e mangia dalle mie labbra…”.

Il Re diede un pugno alla parete, facendola tremare.

Interrotto bruscamente, Sigurd rimase interdetto e il piccione volò via dalle sue mani, cominciando a volare in cerchio sopra la sua testa.

“Non ti permetterò più di dichiarare che quel pennuto è tutta la tua vita, intesi?”, sbuffò, quella volta arrabbiato per davvero. “Tu hai un regno, e i suoi componenti sono tutta la tua vita. Tu presto ti sposerai e avrai una brava moglie, che ti darà tanti figli sani e forti, e crescerai loro. E darai da mangiare a schiere di guerrieri…”, breve pausa, mentre il viso paonazzo del vecchio parve ingrossarsi, “… che poi comanderai e schiererai in battaglia contro gli esseri che vivono al di là del muro di pietre! Intesi? Questa è la tua vita, quella che io ho programmato per te, quindi smettila di osannare quel volatile che hai chiamato come un antico dio pagano, vergogna dei nostri avi!”.

Di fronte alla furia paterna, il ragazzino era rimasto basito. Non aveva mai affrontato la rabbia del genitore, e Ragnar stesso parve tornare in sé dopo aver notato quella parvenza di stordimento e di confusione che regnava sul volto del giovinetto. Tuttavia, non intendeva perdonargli il fatto di esser tornato a far leva su quel piccione, quando invece doveva prepararsi a fare grandi cose; gesta eroiche.

“Thor era un dio forte…”, fu l’unica osservazione che ebbe coraggi di sussurrare Sigurd, che pareva in procinto di mettersi a piangere. Il genitore tornò a interromperlo con prontezza e con voce tonante.

“Ciò che ci differenzia dalle bestie violente che sono al di là del muro è il fatto che crediamo nell’unico Dio e in Suo Figlio, morto sulla Croce per salvarci dal buio eterno. I nostri antenati sono giunti fin qui già dotati di crocefisso, e in esso hanno trovato la forza per tenere lontani i pagani…”. A quel punto, Ragnar perse il filo del discorso. Lasciò che tutto decadesse, prima di allungarsi e di abbracciare fortissimo il figlio, che rimase rigido al contatto.

“Tutto questo per dirti che partirai presto, figliolo”, sussurrò poi al suo orecchio, con dolcezza e rammarico, “rendimi orgoglioso di te, e fai capire ai tuoi sudditi che hai stoffa e coraggio”. +

“Partire?”, parve disgelarsi il giovane.

“Sì, non appena la stagione migliorerà lascerai Vinland; ti imbarcherai con i migliori elementi della nostra flotta e andrai con solo a vedere il mondo che ci circonda, così capirai quanto esso è vasto e quanto sia piccola la tua dimora”.

Ragnar sciolse l’abbraccio, mai ricambiato da quel figlioletto così scosso, nella sua innocenza infinita.

“Io…”, balbettò Sigurd, “… io…”. “… non so cosa dire”, parve concludere, dopo qualche altro balbettio.

Il padre gli rivolse un caldo sorriso, lottando contro i suoi lineamenti ancora tesi per la rabbia provata poco prima.

“Non c’è niente da dire. L’Assemblea ha così deciso, e noi seguiremo la sua proposta, poiché così avrai modo di formarti come uomo e riceverai con maggior diritto la corona delle Terre Verdi”.

Calò di nuovo il silenzio, con il più giovane che lasciava libero il suo sguardo. Il padre provò pena e pietà per lui; quanto avrebbe voluto proteggerlo… sarebbe stato disposto a partire egli stesso, pur di lasciarlo indenne. Ma a cosa sarebbe giovata una tale scelta? Il ragazzo doveva farsi le ossa, era giusto così.

Ragnar riconobbe per l’ennesima volta durante gli ultimi giorni che suo padre, quando aveva dodici anni, l’aveva condotto con lui oltre il muro di pietre e l’aveva fatto combattere contro i barbari, lasciandogli poi uccidere uno dei prigionieri della scaramuccia, in modo che potesse assaggiare il sangue e fare esperienza.

Era giunta l’ora anche per suo figlio di comprendere le leggi del mondo.

“Andrai, figlio mio, ben sapendo che tuo padre è sempre con te e non ti abbandonerà mai”, aggiunse infine, emozionato, “ma nel frattempo prega, stringi tra le mani la tua piccola Croce di legno. Ci sarà bisogno anche di lei…”.

Diede le spalle all’ammutolito giovane e se ne andò, ripetendo poi alle guardie posizionate all’ingresso della stanza di non lasciar uscire il figlio e di far entrare solo ed esclusivamente l’anziano precettore.

 

 

 

Primavera del 1518, coste della Groenlandia meridionale.

 

 

 

 

Sigurd aveva detto addio a suo padre. Nessun abitante di Vinland aveva mai visto un uomo piangere, tantomeno un re, eppure quel giorno Ragnar aveva lasciato che una lacrima scendesse lungo il suo volto. E anche in pubblico.

In sprezzo al suo dolore, il figlio era rimasto impassibile, e questo aveva colpito molto tutti i presenti.

Il principe aveva un’aria pura, illibata; un viso sbarbato e da bambino, due occhioni grandi e azzurri contornati da una pallidissima pelle di un bianco diafano. Era il colore di chi non aveva mai visto la luce del sole.

Su di lui neanche un’ombra di quel rossore che invece incupiva i marinai, ustionati dal vento gelido a cui erano costantemente sottoposti.

I capelli leggermente allungati del giovane erano biondissimi, come di tradizione. Era un vero figlio di suo padre.

Al di là dell’apparenza fisica inequivocabile, però, il temperamento lasciava a dir poco desiderare. Sembrava fatato, con quegli occhi a tratti socchiusi e le labbra incurvate all’insù, in una specie di sorriso destinato a non sbocciare mai.

Alfred, il comandante della spedizione verso Sud, era invece un uomo ben oltre la sessantina; era il più esperto di Vinland, l’unico ancora attivo alla sua età. Di solito, i marinai venivano inghiottiti dalle acque dell’oceano ben prima di giungere ai quarant’anni, ma lui aveva sfidato la sorte con un’abilità eccezionale, che gli aveva consentito di essere ancora vivo e di venir onorato dall’Assemblea degli anziani con quel compito che si prospettava alquanto difficile.

Come avrebbe fatto a rendere uomo quel bambinetto disadattato? Il principe era indubbiamente un soggetto confuso, o così gli pareva di percepire. Eppure, avrebbe dovuto imparare nel solo arco di un anno ogni cosa che c’era da sapere sul mondo che lo circondava.

Nessun membro del suo equipaggio si era atteso un tale e brigoso impegno, per fortuna che non aveva accennato nulla, altrimenti avrebbe rischiato ammutinamenti di massa.

Ora, invece, con il nobile ospite che stava per accomodarsi sul drakkar principale, quello del comandante in persona, tutti lo osservavano rapiti. Nessuno protestava, nessuno aveva il coraggio di chiedere o di affermare qualcosa.

Padre e figlio si salutarono così, in un silenzio rassegnato che vedeva un disadattato che s’imbarcava frettolosamente, quasi come se quella fosse un’imbarcazione da sogno, e un anziano col cuore spezzato che non faceva altro che osservare ogni goffa mossa del più giovane.

Infine, Ragnar afferrò Alfred per una spalla e l’avvicinò a sé, come se volesse baciargli la guancia in segno di saluto cordiale e di buon auspicio, mentre invece gli parlò piano all’orecchio.

“Ti affido il mio regno. Se gli dovesse capitare qualcosa di brutto, ti farò dare la caccia ovunque fintanto che non avrò la tua testa e quella dei tuoi uomini”, sibilò il ferito sovrano, “non ha importanza quanto sarà uomo, ma solo quanto potrà vedere e imparare tramite la vista e l’ingegno. Ed entro un anno dev’essere di nuovo qui, puntuale, assieme al precettore”.

“Sarà fatto, sire”, sussurrò a sua volta Alfred, allontanandosi subito dopo dal suo re.

“Mio figlio compirà un viaggio epocale, degno dei nostri antenati!”, professò subito dopo Ragnar, a voce altissima e al cospetto dei curiosi e dei marinai che stavano assistendo all’imbarco, rigorosamente pubblico affinché tutti fossero certi che il ragazzo era partito alla volta del Sud.

“Il vostro futuro re vedrà terre a voi sconosciute, guidato dal più grande soldato, marinaio e pirata di tutte le Terre Verdi. Egli tornerà tra un anno, in veste di uomo forgiato dalla fatica e dalla conoscenza, e potrà raccontarci ciò che lui e il capitano hanno avuto modo di vedere durante la loro lontananza…”.

Il re interruppe il suo discorso. Una brezza sempre più intensa aveva cominciato a rendersi fastidiosa, e preannunciava un rapido cambio del clima, come accadeva spesso a quelle latitudini ormai estreme. Tutti conoscevano i venti dell’entroterra, ed era risaputo che bisognava salpare prima che essi diventassero troppo forti, altrimenti si rischiava di incappare in onde troppo alte o in altri disagi pericolosi.

Di nuovo in silenzio, Alfred fece un leggero inchino al suo re e si diresse verso la sua imbarcazione, con il precettore del ragazzino che a sua volta arrancava e si affrettava a salire a bordo, prima che essa fosse spinta in acqua a forza dai marinai.

E così, i quattro drakkar più celebri di Vinland salparono così tanto in fretta che il vecchio sovrano si ritrovò a piangere, mentre in cuor suo pregava affinché quel calvario finisse presto e il suo rampollo tornasse a casa sano e salvo.

Fu in procinto di bloccare le manovre iniziali con la scusa che i venti si stavano intensificando, ma così facendo avrebbe arrestato solo momentaneamente quel processo inevitabile. Era meglio lasciare le cose come stavano… quello era il viaggio di suo figlio, il suo e il suo soltanto. Non doveva più interferire, altrimenti l’avrebbe messo solo in cattiva luce al cospetto del suo popolo.

“Andiamo tutti a pregare”, ordinò quando il gruppetto di imbarcazioni si era allontanato all’orizzonte, e non poteva più seguirlo con gli occhi.

Avrebbe indetto una messa al giorno, e avrebbe pregato assieme ai suoi sudditi per aver salva la vita di quell’innocente, così preziosa per quel piccolo regno sperduto e isolato.

 

Ormai distanti da Vinland, il giovane Sigurd si volse indietro, cercando con lo sguardo il padre. Egli era tuttavia già lontano, seppur la costa fosse ancora così vicina.

L’anziano precettore era seduto a suo fianco, su quell’imbarcazione sprovvista di ogni possibile protezione e molto semplice, basata sulla forza umana, ma non gli bastava la sua presenza.

Fu in quel momento che Alfred gli afferrò il capo con la sua mano destra nerboruta e lo spinse a volgersi in avanti, dove guardavano tutti gli altri.

“Non sei più tra le braccia di tuo padre, ragazzino”, gli intimò il vecchio pirata, cacciandogli poi tra le mani un lungo e pesante remo.

“Lui mi ha fatto promettere che ti avrei fatto diventare uomo, un vero vichingo come i tuoi antenati. Per cui, rema”, aggiunse, mostrandogli in malo modo come fare.

Sigurd aveva già visto le mosse sicure degli altri marinai, quindi aveva già una vaga idea. Afferrò con forza il suo strumento e lo spinse in acqua con tutte le sue forze, facendo solo increspare la superficie del grigio oceano.

“Così, devi metterci più forza”, tornò a spronarlo il comandante della spedizione, afferrandogli ambo le mani e stritolandogliele contro il remo, forzandogliele.

“Ehi, questo è il principe ereditario. Il nostro Re ti ha chiesto di renderlo uomo, non di fargli male”, intervenne con prontezza il precettore.

Alfred rise, per nulla colpito dal tono con cui era appena stato ripreso.

“Si può diventare uomo solo grazie ai muscoli e alla forza fisica, mio caro vecchio”, lo irrise, poi.

Il precettore non replicò, chiudendosi in uno sdegnoso silenzio, mentre Sigurd si sforzò di fare ciò che il comandante gli aveva ordinato. Aveva timore di lui, avrebbe quindi obbedito ciecamente, anche al costo di farsi male.

 

Verso metà giornata, il principe era un ammasso di sudore. Grondava dalle tempie e la pelle del suo viso, l’unica a essere rimasta scoperta dalle folte pellicce di foca che parevano renderlo di dimensioni mastodontiche.

“Ehi”, lo richiamò Alfred, a un certo punto, “sei troppo coperto, principe. Togliti qualcosa di dosso…”.

Sigurd obbedì, sempre in silenzio. La sua timidezza era così estrema che non gli permetteva neppure di parlare, ora che era così lontano dalla stanza dove aveva vissuto fin da quando era nato.

“Non svestirti troppo, però, altrimenti ti ammali. Non vorrei doverti riportare morto a tuo padre dopo neanche mezza giornata di navigazione”, tornò a instradarlo il pirata, con strafottenza.

Fu in quel momento però che l’uomo si accorse che lo strato di pellicce che era rimasto addosso al giovane si muoveva… leggermente, ma si muoveva, all’altezza del ventre. Rimase sbigottito per un attimo, prima di lasciarsi andare a una serie di insulti e di bestemmie così veementi da attirare l’attenzione dell’intero equipaggio.

“Cazzo hai lì sotto, giovanotto? Sei gravido, forse?”, sbottò in seguito.

Per la prima volta, Sigurd alzò gli occhi e osò parlare con la sua vocina tremolante e femminea.

“Non ho niente”, mormorò, in un sussurro.

“Invece hai qualcosa, e me lo stai nascondendo. Avanti, fammi vedere”, tornò alla carica Alfred, lasciando la sua postazione a prua e dirigendosi con solerzia verso di lui.

Notando la reticenza del ragazzino, gli afferrò il petto e gli scostò con violenza le pellicce, mentre il vecchio precettore tornava invano a lamentarsi.

Accadde immediatamente qualcosa che ammutolì tutti i presenti; a seguito del forte strattone, un piccione grigio scuro sgusciò da sotto il corposo vestiario e salterellò spaventato sulle spalle del giovane.

Alfred sgranò i suoi occhi stranamente scuri, e parve per la prima volta ammutolito. Naturalmente, quando ruppe il silenzio lo fece con molta irruenza.

“Un uccellaccio! Dì un po’, principe delle mie brache, cosa credevi di fare con il pollastro? Noi quelli li mangiamo!”, gorgogliò, col suo piglio da troglodita.

Sigurd afferrò la creatura e la strinse con ambo le mani al petto, con evidente affetto.

“Lui è Thor, e non è un uccellaccio… signore”. La sua vocina femminea e dal tono molto basso fece scoppiare a ridere l’intero equipaggio, mentre anche gli altri tre drakkar li affiancavano.

“Ah, non è un uccellaccio? Vedrai che quando l’avrò messo allo spiedo, questa sera, ti parrà proprio un bel pollastrello dalla ciccia sfrigolante…”, e Alfred di seguito mimò un morso a una coscia di pollo. Il principe lo guardò con disgusto, attirando ancora tutta l’attenzione dei marinai.

“Non lo farete, lui è la creatura più importante della mia vita. Non vi darà fastidio, me ne prenderò continuamente cura”, affermò, quella volta con un piglio più deciso. Poi, estrasse un sacchettino da una saccoccia cucita all’ultima pelliccia che indossava, ed estrasse qualche chicco di grano. Se lo mise tra le labbra e si chinò a nutrire il volatile, come se nulla fosse.

Thor, ancora giovane e abituato a nutrirsi dalle labbra del padroncino come se fosse il becco di un genitore naturale, accettò l’invito al pasto con solerzia, cominciando a starnazzare con le ali mentre ingoiava i piccoli chicchi.

Alfred rimase ancora sbalordito per qualche attimo, assieme alla sua ciurma, prima di lanciare l’ennesima sfilza di bestemmie roche e dotate di una volgarità allucinante… eppure non riuscì a distogliere l’attenzione del giovane da quell’essere piumato. Era come se quel principe fosse stregato, intrappolato in una realtà che aveva qualcosa di incomprensibile e di folle.

“Io…”, borbottò, finito lo sfogo, “… io… non ti permetterò di fare questo, sulla mia imbarcazione. Non ti permetterò di comportarti da donnicciola e di fare da madre a… a un piccione!”, urlò.

Violaceo in viso, si chinò verso un componente della sua ciurma e gli diede un forte manrovescio. Poi, in un silenzio innaturale, scoppiò a ridere in modo sguaiato, come un qualsiasi ubriaco.

“Non so per quanto tempo andremo d’accordo, mio futuro sovrano, ma ho promesso a tuo padre di riportarti indietro integro, con tanto di vecchio e di pennuto appena aggiunto. Io mantengo sempre le mie promesse, però non garantisco di riuscire sempre a tenere le mani al loro posto, intesi?”, spiegò, apparentemente calmandosi.

“Sarà meglio… sarà meglio che le mani ci restino, a posto. Non vorrei… mica… dover narrare di un’esperienza negativa al nostro sovrano”, balbettò l’imbarazzatissimo precettore, sempre più piccolo al cospetto della marmaglia che lo circondava. A quel punto, tutti quanti risero forte.

“Sono io che decido qui, vecchio. E tu e quella merda di bamboccio che dà da mangiare al pollastro non siete altro che mie pedine, adesso; fattene una ragione”.

Alfred non smise un attimo di fissare il ragazzo intento a nutrire il suo pennuto, mentre egli nemmeno si degnava di alzare lo sguardo e di fissare la scena vergognosa nella quale si era calato, anzi, sembrava ancora estraneo a quel mondo… a quella realtà… allora il comandante provò una strana sensazione, unita a un brivido istintivo.

Smise di fissare il giovane e comandò alla sua ciurma di rimettersi a remare; nessuno rise più, né fece commenti. Smise anche di gemere di dolore quello che era appena stato colpito a tradimento.

Quella era la sua piccola flotta, ed era lui a dettar legge; tutti erano atterriti e non esisteva la protesta o l’ilarità, almeno quando non le permetteva.

Intuì che Sigurd altro non era che un fardello, e decise all’improvviso che l’avrebbe lasciato in pace. Era come se avvertisse un presentimento molto gravoso, ed era solo trascorsa mezza giornata da quando avevano lasciato Vinland.

 

Quella sera, i marinai trascinarono a riva i loro lunghi ma leggeri drakkar, prima di accamparsi per la notte. Non si erano mai allontanati troppo dalla riva, per non perderla di vista e non perdere la rotta.

Il principe aveva le mani gonfie e piagate in più punti, avendo remato con solerzia mettendoci tutto l’impegno possibile. Thor era ancora con lui, così come l’anziano precettore, che aveva giurato al cospetto del suo Re di non abbandonare mai il rampollo e di vegliare su di lui.

Alfred fece accendere un piccolo fuoco, che produsse immediatamente un fumo cupo e denso, poiché alimentato con legna verde e umida. Il precettore e il principe andarono subito a sedersi accanto a lui quando le fiamme furono sufficienti a scaldarsi almeno le mani, vincendo ogni paura.

Sigurd osservò il comandante; appariva particolarmente lurido, ancora più di quella mattina. La barbaccia lunga e grigia, sudicia e appiccicosa, e i capelli tutti scompigliati ma in parte domati dal berretto di pelliccia di foca che copriva la calvizie che dominava nella parte più centrale del cranio. I denti mezzi marci e il pessimo odore che emanava quel corpo molto sporco erano il culmine del disgusto per ogni cristiano per bene, tuttavia il giovane principe provò a continuare a ignorarlo, mentre estraeva il delicato Thor da sotto le sue pellicce e lasciava che il calore del fuoco scaldasse anche il suo corpicino.

“Pollo arrosto, questa sera? Che ne dici, principe?”, tornò a provocarlo il comandante, sornione.

Solo loro tre erano attorno al fuoco, poiché gli altri uomini erano alla disperata ricerca di altro legname combustibile.

Con la sua solita inerzia, miscelata a una buona dose di timidezza, il giovane lo ignorò.

“Non credo sia il caso di continuare a ironizzare, comandante”, rispose al suo posto il precettore. Alfred rise.

“Mi resta solo l’ironia, insegnante dei miei stivali. Quasi tutto il resto me l’ha portato via l’età e l’avventura”.

“A proposito di quest’ultima, non staremo rischiando troppo? Ci siamo accampati a caso, senza nulla a proteggerci, e abbiamo acceso un fuoco e sparpagliato gli uomini. Potrebbero esserci dei selvaggi”.

Il comandante sbuffò, tornando serissimo.

“Conosco questa parte di litorale come se fosse casa mia, sai? Ora siamo accampati su una spiaggetta deserta, che durante l’alta marea di questa notte sarà separata dalla terraferma. Anche se ci sono selvaggi nelle vicinanze, non oseranno mettere un piede nell’acqua gelida, altrimenti il freddo li ustionerebbe, quindi vedrai che attenderanno con pazienza altre notti, per provare di affettarci con le loro accette di pietra”.

Il comandante rispose con sicurezza e serietà, per la prima volta durante quella prima giornata di viaggio parve non essere semplicemente una bestia primitiva e prepotente.

“E tu, principino? Ti diverti a sprecare il raro grano che possediamo, per darlo da mangiare al tuo inutile uccellaccio?”, sogghignò poi all’improvviso, allungandosi e avvicinando il viso a quello di Sigurd, che, dal canto suo, era ancora estraniato dal mondo e nutriva il suo adorato piccione con quel po’ di granaglie che si era portato dietro da Vinland.

Tuttavia, si affrettò ad allontanarsi quando il pestilenziale e rancido alito del pirata giunse alle sue giovani narici.

Il principe gli dedicò poi uno sguardo di profondo disgusto, atteggiamento che fece ridere di nuovo il più anziano.

“Ma devi star tranquillo con me, sai? Can che abbaia non morde, ed io già ti voglio bene come se fossi tuo padre”, quasi lo canzonò, “per questo non mangeremo pollame, questa sera”.

Presto, tutti gli altri marinai tornarono a radunarsi e ingrandirono il fuoco, poi fu portata una piccola cassa e da essa furono prelevate porzioni di carne sotto sale.

“Deliziosa carne del Sud, principe! Tu non hai idea di quel che vedrai, dai retta a me, non ne hai idea…”, e così dicendo, di tanto in tanto, Alfred pareva rasserenarsi, quasi come se la notte stesse calmando i suoi umori.

Sigurd mangiò la stessa porzione del suo precettore, e bevve alcolici assieme a lui, poiché l’acqua dolce era poca e si doveva razionare.

Dopo poco, a fine del brevissimo e frugale pasto, gran parte dei marinai era ubriaca, e con essa anche il principino, che di alcolici non ne aveva mai bevuti. Si sentiva male, gli sembrava che il mondo vorticasse attorno a lui.

Afferrò il suo piccione e lo strinse forte a sé, assicurandoselo sotto le pellicce, mentre il precettore allungava un braccio per cingerlo alla vita, al fine di non lasciarlo scivolare al suolo.

A quel punto, Alfred si alzò in piedi e si avvicinò a uno dei suoi uomini, per poi dargli un bel ceffone sulle chiappe. Tutta la ciurma rise fortissimo, e la vittima del gesto ne parve alquanto compiaciuto.

“Avanti, andiamo a riposare; domani sarà una giornata durissima…”, proclamò Alfred, poi dirigendo il suo sguardo verso il principe dall’aria assente e il vecchio precettore, “… e a voi, cari ospiti, consiglio di dormire assieme e di scaldarvi, perché qua fa molto freddo e non ci sono muri di pietre a proteggerci dal gelo”.

Detto questo, abbracciò l’uomo che aveva colpito poco prima e compì pochi passi, prima di distendere al suolo un paio di pellicce e di adagiarcisi sopra. Fecero lo stesso gli altri uomini, mentre l’anziano e il ragazzino restarono vicino al fuoco, che era ancora in grado di scaldare un poco.

Nonostante le sue perplessità a riguardo dell’atteggiamento del comandante, interpretando però quelle ultime azioni come scelte spinte dall’alterazione dei sensi a causa del troppo alcol che aveva tracannato, il precettore distese il suo protetto e lo coprì per bene.

Era evidente che il ragazzino aveva bevuto troppo ed era ubriaco e ancora più confuso del solito, quindi con istinto protettivo gli si sdraiò a fianco, stretto a lui.

Poco dopo, entrambi dormivano profondamente, con il piccolo Thor che creava una piccola cunetta sul petto del suo padroncino, che lo custodiva con grande effetto.

 

Quella notte, Sigurd fu svegliato di colpo da un forte senso di nausea, naturalmente accompagnato da un bisogno impellente di urinare.

Il ragazzo scostò il corpo dell’anziano dal suo, muovendosi con delicatezza; non era intimidito da quel contatto ravvicinato, anzi, era certo che l’avesse aiutato a dormire. Durante le notti più fredde dell’inverno, quando anche il fuoco non bastava a scaldare la sua grande camera dalle mura di pietra, il precettore stesso aveva dormito con lui tante volte, al fine di tenerlo maggiormente al caldo.

Pure suo padre, il grande sovrano, a volte aveva trascorso la notte nel suo stesso giaciglio. A quelle latitudini estreme, era meglio non dormire soli.

Si alzò e traballò, gli girava la testa e i pensieri frullavano nella sua mente come schegge impazzite. Alla fine, il bisogno di urinare lo spinse a muoversi con risolutezza, affrontando quel paio di passi che gli avrebbero permesso di non pisciare nel giaciglio condiviso.

Avvertì i movimenti di Thor, che si era risvegliato a sua volta, uniti a un altro rumore… a gemiti confusi, così strani che Sigurd pensò si trattasse di un qualche animale.

Eppure, erano umani… che fossero invasori?

Il ragazzino finì di urinare e strinse a sé il piccione, prima di compiere qualche altro passo e di notare due figure che si muovevano ritmicamente nel buio. La sagoma sfocata ma inconfondibile di Alfred pareva stagliarsi su un’altra, intenta a lanciare versi e lamenti che non avevano neppure la parvenza del dolore.

“Co… comandante?”, sussurrò il giovane, un po’ spaventato. Eppure, quel sussurro parve pietrificare le due figure, che smisero di agitarsi e di ansimare.

Alfred si volse verso il ragazzino, abbassando le pellicce e coprendosi le intimità nude.

“Principe”, disse ad alta voce. Si alzò e si diresse verso di lui.

“Cosa succede, non riesci a dormire?”.

Sigurd fu travolto da un conato di vomito, e lasciò che il suo stomaco si vuotasse.

“Per carità, dovevo immaginarlo che non avresti retto le nostre bevande. Da domani ti prometto che avrai a disposizione tutta la poca acqua che portiamo con noi, va bene?”, iniziò a dire il maturo comandante, avvicinandosi ancora di più e dandogli due pacche sulle spalle.

“Anche voi state male? Ho sentito i vostri lamenti…”, tornò a mormorare il principino, quando si fu asciugato le labbra con il panno lercio che il vecchio puzzolente gli aveva appena passato.

“Al contrario, sto benone”, si affrettò a precisare il comandante, con un tono di voce compiaciuto, “quello era il rumore della passione. Sai, mio caro ragazzo, non è semplice restare lontani per anni interi dalla civiltà, senza avere nessuna valvola di sfogo. La carne è una brutta bestia, lo dico sempre”.

Sigurd, non capendo, gli dedicò uno sguardo perplesso che fu inghiottito dal buio della notte. Avrebbe tanto voluto indagare di più su quelle parole che gli apparivano tanto criptiche, ma quel dialogo rispettoso fu interrotto dall’arrivo improvviso del precettore, che lo agguantò e lo attrasse a sé.

“Comandante, il ragazzo è ancora puro e illibato. Non vi permetto di parlare in questo modo al suo cospetto, oppure di lasciare che assista a tali nefandezze! Intesi? Che tutto questo non si ripeta mai più, altrimenti al nostro ritorno sarà mia premura dire al nostro sovrano che ha affidato suo figlio a un essere pervertito e contro natura”, declamò il vecchio, energicamente.

Sigurd non aveva mai riscontrato così tanta risolutezza nel suo maestro, soprattutto non si aspettava che avesse il coraggio di comportarsi in maniera così risoluta con quell’uomo che da quella mattina pareva averlo sempre intimidito.

“Io sono un pirata, un assassino, un viaggiatore. Sono un reietto, precettore, e questo il nostro Re ben lo sapeva, però ha deciso di affidarmi lo stesso il suo tesoro più grande. Non lascerò quindi che la tua presenza rovini le mie abitudini”, rispose Alfred, altrettanto risoluto.

I due uomini maturi parevano esser giunti a un punto di rottura, che fu comunque evitato dal più anziano, che trascinò il suo protetto verso il loro giaciglio.

“C’è tuttavia da aggiungere che non sapeva che foste un sodomita…”, buttò lì, prima di accomodarsi di nuovo assieme al principe. Se Alfred aveva udito, non lo diede a notare, poiché il silenzio calò sul gruppo di persone di nuovo distese a terra.

“Che cos’è un sodomita?”, chiese un po’ all’improvviso il più giovane, ma il suo maestro si limitò ad avvolgerlo nelle pellicce e a tacere.

“Che cos’è?”, insistette.

Il precettore fu costretto a rispondere, obbedendo alla richiesta incessante dell’allievo. D’altronde, era giusto che sapesse e che imparasse.

“E’ quando un uomo… va a letto con un altro, invece di trovarsi una moglie che possa soddisfare i suoi bisogni”. Il principe apparve perplesso.

“Anche noi abbiamo condiviso il giaciglio, e così pure tutti gli abitanti di Vinland durante gli inverni più lunghi”, sussurrò, nel timore di essere frutto di scherno. Infatti, l’anziano gli sorrise e gli accarezzò il capo.

“Sei così puro, mio principe”, affermò con dolcezza, “ma non basta condividere il letto con un uomo, per esserlo. Un giorno capirai”.

Invece Sigurd voleva capire subito, bramava la conoscenza e non voleva che qualcuno frenasse il suo processo di apprendimento. Era giovane, ma aveva imparato prestissimo a leggere e a interpretare le rune; assetato di sapere, aveva affrontato letture che i più anziani avevano considerato proibite per lui.

Aveva letto i testi che componevano le saghe degli antenati, dove i validi pirati vichinghi saccheggiavano villaggi e centri abitati di un territorio a loro ormai ignoto e andato perduto, poi radunavano tutte le donne che erano riusciti a razziare e si accoppiavano selvaggiamente con loro, in quelle che definivano orge frenetiche. Aveva fantasticato tante volte su quelle sintetiche descrizioni molto elusive, eppure così proibite.

Che praticare la sodomia fosse l’equivalente di ciò che gli antenati facevano con le loro novelle schiave, solo che tutto ciò si svolgeva tra soli uomini? Non ebbe il coraggio per insistere, anche perché ben presto i gemiti di poco prima ripresero a risuonare attorno a loro. Erano così colmi di passione e di affiatamento…

Sigurd udì un grugnito più deciso e profondo, sicuramente emesso dal comandante, e fu così attratto da quel che stava accadendo da spingersi a sollevare la testa da terra, nella speranza di poter scorgere qualcosa.

Fu il precettore a intervenire di nuovo e con prontezza, mettendogli le mani sulle orecchie per non permettergli di udire e bloccandogli la testa a terra.

Questo accadde anche durante le notti successive, e anzi, pareva che Alfred ci trovasse sempre più gusto a far rumore e ad ansimare, spesso si udivano addirittura i rumori emessi dai corpi che si sfioravano in fretta e con impeto, però il curioso principe fu obbligato dall’anziano maestro a dormire con le orecchie coperte.

Conoscendo ormai la sua infima curiosità da ragazzo, egli giunse persino a promettergli che avrebbe tirato il collo a Thor, se solo l’avesse beccato a origliare o a tentare di osservare quelle cose oscene che tanto spaventavano il suo saggio animo.

 

I giorni successivi infatti furono tutti quanti uguali e monotoni.

Gli unici momenti interessanti per Sigurd restavano le notti, durante le quali avvenivano quelle cose che tanto attiravano la sua curiosità, mentre di giorno doveva solo remare come gli altri marinai e tacere.

Nessuno lo infastidiva, anche lo stesso Alfred lo trattava con maggior rispetto, dopo la notte in cui l’aveva interrotto durante gli atti tanto detestati dal precettore.

Thor stava bene e veniva protetto sotto le pellicce, con il viaggio che appariva veramente tranquillo.

Non tardarono molto a raggiungere territori dove non c’erano più i ghiacci, con grandi estensioni verdi e temperature decisamente più miti. Per Sigurd quel clima così caldo era qualcosa che lo destabilizzava; spesso si scopriva troppo, o doveva scansare le pellicce in modo da restare a torso nudo e non sudare troppo, col rischio che Thor si spaventasse e volasse via. Così, aveva legato il piccione con una cordicella alla zampa destra, assicurandola poi alla piccola panca su cui stava seduto tutto il giorno, nel timore che potesse prendere il volo e tornare indietro.

Se c’erano tanti inconvenienti, c’era anche da ammettere che non mancavano i benefici di quell’attività fisica prolungata e dell’aria aperta e mitigata dalle correnti delle latitudini inferiori. Lo stesso precettore di giorno in giorno restava scosso al cospetto dello sviluppo fisico del suo protetto, giungendo spesso a pensare che presto non sarebbe neanche più stato in grado di riconoscerlo.

Sigurd era cambiato in fretta e radicalmente, nel corpo, poiché la pelle era diventata più scura, i capelli un tempo finissimi erano ormai una matassa ispida, con le spalle che si allargavano senza sosta e i muscoli che premevano contro la pelle. Si stava tramutando in una sorta reincarnazione di una qualche antica divinità nordica.

Alfred quei cambiamenti li notava e li apprezzava, con ciò pure aumentava il rispetto che portava al principe. Ben sapeva però che un corpo forgiato dalla fatica e dall’aria aperta non bastava a rendere un vero uomo, quindi ci sarebbe voluto anche un cambiamento a livello mentale.

“Preparati, mio principe”, gli disse durante una tiepida mattinata, dove l’oceano era calmissimo e il tepore del sole scaldava i rigidi corpi dei vichinghi di Vinland, “presto sarai uomo anche nello spirito”.

 

Giunsero al cospetto di una spiaggia formata da sabbia giallognola, alla foce di un grandissimo fiume.

Ove l’acqua dolce si miscelava con quella salata, si formavano mulinelli vorticosi e insidiosi.

Alfred diede ordine di affrontare tale turbinio, e di risalire il corso del fiume; una mossa alquanto inattesa per il principe, che ormai era abituato a navigare senza sosta e a fermarsi solo la notte, su qualche isolotto poco distante dalla costa frastagliata e selvaggia, ma protetto dall’acqua.

Non ci volle molto prima che i drakkar potessero muoversi verso la riva, per la prima volta di giorno, dopo lunghissime settimane trascorse in mare. Là c’era qualcosa di sorprendente, poiché tra le frasche e le canne mosse dal vento apparve un villaggio, come se fosse stato un miraggio.

Sigurd e il suo precettore sbarcarono e aiutarono i compagni a portare a terra le imbarcazioni, poi con curiosità li seguirono verso l’agglomerato di abitazioni, che avevano una sembianza molto vichinga, come quelle di Vinland. Il giovane si sentì quindi al sicuro.

“Fratelli! Che Dio sia sempre con voi!”, urlò un anziano, venendo loro incontro. Parlava bene la loro stessa lingua, non era di certo un indigeno.

Da dietro alcune basse strutture in pietra, che parevano piccole montagnole difensive, apparvero altre persone, e ben presto molti uomini amichevoli li accolsero.

“Alfred, vecchiaccio! Nulla ti piega, eh?”.

La voce roboante aveva spento tutte le altre, all’improvviso.

Un uomo mastodontico, dalle caratteristiche somatiche tipiche dei vichinghi, fece scostare gli altri con la sua sola presenza.

Solo Alfred rimase impassibile, anzi, riconoscendolo sorrise.

“Fratello! È sempre un piacere rivederti”, disse, poi si scambiarono forti pacche sulla schiena, a vicenda. “Come va coi musi pitturati?”, gli chiese, dopo i primi rapidi saluti.

“Ma che si fottano!”, e l’omone si piegò di poco, dandosi un paio di forti sculacciate.

Tutti i presenti, che avevano gli occhi puntati su di lui, risero di gusto. Tutti, tranne il principe e il precettore.

“A parte gli scherzi”, tornò però a spiegarsi, alla fine del breve momento di ilarità generale, “qui si stanno facendo sempre più insistenti. Ma non parliamo di questo, vecchio mio! Dimmi com’è andato il viaggio…”.

“Veramente, non male. Altre volte abbiamo affrontato tempeste, e ho perso molti uomini; questa volta siamo stati fortunati. Sarà che a bordo avevamo un amuleto, il nostro benedettissimo principe”.

“Il principe dei pirati?”, domandò l’omone con ritrovata ilarità.

“Oh, no”, Alfred quella volta rispose con aria di chi la sa lunga, “intendevo il nostro principe, quello vero; il figlio del nostro amatissimo sovrano”.

Silenzio per qualche istante, mentre Sigurd restava impassibile.

“Fratello, ti presento Sigurd, figlio di Ragnar, nostro Re e signore per ordine e vocazione”.

Il comandante afferrò per un braccio il ragazzo e lo spinse verso il gigante.

“Cazzo, sei veramente il principe”, affermò poi esso con serietà, dopo averlo osservato per qualche attimo con attenzione.

“Lo sono”, rispose Sigurd.

“Bene, buon per te”, buttò poi lì il gigante, con un tono che lasciò sconvolto il più giovane. Nessuno gli si era mai rivolto così, neppure Alfred durante il primo giorno di viaggio.

“E tu chi sei?”, domandò allora con un pizzico di titubante autorevolezza. Il suo moto di stizza ricevette solo un’occhiata torbida da parte dell’omone.

“Sono solo tuo fratello. Ti basta sapere questo?”.

“Io non ho fratelli, quindi devi essere per forza qualcun altro”, tornò alla ribalta Sigurd, punto sempre più nel vivo. Non voleva che si facessero beffe di lui anche in quel posto che gli era ignoto.

Tuttavia, quella che aveva considerato come una dimostrazione di forza si rivelò qualcosa di improvvisamente irritante, poiché la situazione parve raggelarsi e gli autoctoni si lasciarono andare a borbottii nervosi, ai quali Alfred pose fine con poche e decise parole.

“Non sa chi siete, né lo saprà mai, quindi perdonate la sua sfacciataggine da bamboccio”.

Ferito e umiliato, Sigurd non ebbe più il coraggio per dire nulla. Il suo precettore, stranamente, non lo difese, eppure gli sfiorò il braccio destro e gli fece cenno di tacere.

Dopo quel momento imbarazzante, si riprese a parlare e lo fecero tutti, dirigendosi verso le abitazioni. Il principe e il suo anziano precettore fecero, naturalmente, lo stesso.

 

“Alfred ci ha portato direttamente in un importante covo dei Fratelli…”, sussurrò il precettore all’orecchio del discepolo, quando poterono allontanarsi un attimo da quella gentaglia che aveva tanto indispettito il più giovane.

“Non so cosa sono”, ribadì il cocciuto principe.

“Mio signore, si fanno chiamare Fratelli tutti coloro che hanno perso il nome e la dignità, e cioè gli espulsi dal regno del tuo saggissimo padre e dei suoi predecessori”.

Sigurd ci rimase di sasso.

“Espulsi… da lui, dal Re in persona?”. Gli era sempre sembrato che suo padre fosse molto magnanimo, ma probabilmente era stata solo un’impressione.

“Oh, certo, e da chi se no?”, rispose piccato il precettore, agitandosi sotto la pelliccia leggera che lo vestiva.

“Il pirata allora ci ha portati qui per farci un danno? Se è come dite voi, Maestro, loro sono tutti miei nemici. Persone che mi odiano”.

“Odiano tuo padre, non te”.

“E’ la stessa cosa, penso”. Il precettore fu costretto a convenire che non aveva tutti i torti.

“Mio signore, limitati a stare al gioco, va bene? Chiamali Fratelli, e fingi di essere sereno. Vedrai che ci lasceranno in pace”.

“E se così non fosse?”.

“Alfred è un uomo di parola, non ti lascerebbe mai in pasto a queste carogne. Se ci ha portato qui c’è un motivo preciso, a noi ancora ignoto”, affermò l’anziano, sicuro di quel che stava dicendo. Immaginava, o, meglio, sperava, che il comandante non avesse alcuna intenzione di commettere un crimine tanto grave, che non gli avrebbe fruttato solo un espulsione da Vinland, bensì anche una bella taglia sulla sua testa.

Sigurd allora parve comunque calmarsi, e tirò fuori il piccolo Thor, arruffatissimo. Il suo piumaggio ormai era umido di sudore, poiché il suo padroncino lo teneva sempre sotto le pellicce e anch’egli stava sudando molto. Quello era un clima che non si poteva affrontare con abiti così pesanti.

Diede da mangiare al pennuto e lasciò che il suo sguardo si perdesse nel cielo limpido che li sovrastava.

“Non fate vedere il piccione, potrebbe attirare la loro attenzione e rendervi di nuovo un bersaglio per le loro prepotenze”, l’avvisò il maestro, ma questo il giovane già lo sapeva, e infatti tenne l’amico allo scoperto solo per poco tempo, giusto il necessario per alimentarsi e fare un paio di veloci bisogni. Poi, tornò a nasconderlo.

Poco dopo, Alfred andò a recuperarli.

“Non è bene imboscarsi in questo modo, questo è un territorio pericoloso”, li redarguì con nervosismo.

Senza dire altro, fece loro cenno di seguirlo.

Entrarono nel centro abitato, e Sigurd fece di tutto per evitare gli sguardi curiosi che si susseguivano al di là dei vani che fungevano da finestre.

Quel villaggio era così diverso da Vinland; non c’erano edifici in pietra, anzi, erano tutti una sorta di palafitte, dai tetti di canne e i muri di fango e sterpaglie.

Il comandante li condusse fin all’ingresso di una di esse, e li spinse dentro, gettando loro un mucchietto di vestiti stropicciati.

“Le pellicce d’ora in poi non servono più. Bisogna vestirsi leggeri”, spiegò, con un tono ispido e irritato, per poi andarsene chiudendo l’uscio. Sigurd lo seguì per qualche istante con lo sguardo, grazie all’apertura che faceva entrare la luce del sole in quell’ambiente che puzzava di umidità.

“Hai sbagliato a portare il principe così a Sud”, udì poi una voce, proveniente dall’esterno. Era quasi inconfondibile; doveva trattarsi del gigante di poco prima, solo che il ragazzo non riusciva a scorgerlo.

“E perché mai? Su, Fratello, ti garantisco che è come una donna. Adesso ha un po’ di muscoli alle braccia e al busto, ma due mesi fa era un coso rachitico che non si assomigliava neanche a un uomo!”.

Sigurd, che non poteva vederli ma solo sentirli, avvampò in volto.

“I nostri sovrani non devono mai sapere ciò che c’è oltre a Vinland”, sbraitò la voce roca, intensificandosi, “quello che nei secoli hanno costruito i reietti di quella città ostile e maledetta. Ci siamo fatti un culo così per rendere sicure le coste, e abbiamo prosperato grazie al nostro ingegno e alla nostra forza; i Re ci hanno cacciato, e noi abbiamo costruito una società parallela che nemmeno immaginano. Nessuno di loro dovrà mai provare a reclamare qualcosa, perché il sangue che scorre nelle nostre vene…”.

“… si interromperà bruscamente!”, interruppe con foga il comandante, prima di lasciarsi andare a una risata sboccata.

“Presto ci saranno lotte dinastiche che nemmeno immagini, Fratello. Vinland si distruggerà da sola, e tutti i fratelli che ormai popolano queste coste dovranno solo dimenticare la possibile insidia di una richiesta di riunificazione. Ragnar si è fregato con le sue stesse mani, come ha sempre fatto”.

Di fronte al silenzio del gigante, un Alfred che si allontanava non poté non aggiungere un’ultima frase, che lasciò senza parole il giovanissimo principe.

“Lui non diverrà mai re, vedrai. Il suo posto è in fondo all’oceano, e ci finirà prima di quanto pensi…”. La voce del comandante scomparve in lontananza, e lo stesso gigante se ne andò.

Sigurd rivolse uno sguardo atterrito al precettore, che era in ascolto anche lui e che quindi doveva aver origliato quella spinosa conversazione.

L’anziano si limitò a distogliere lo sguardo, tacendo grevemente.

 

Per un paio di giorni, allievo e maestro non parlarono. Non si parlarono proprio, lasciando che il silenzio lenisse ogni ferita provocata dalla moltitudine di brutti pensieri che mulinavano nelle loro menti quasi fossero stati mille o più coltelli.

Il giovane aveva tante domande in mente, ma non riusciva a esprimerle in nessun modo, quindi soffocava quella frustrazione con la sua solita estraneazione dal mondo. Giocherellava con Thor e gli dava da mangiare, stringendolo a sé e cercando di rinvigorire ogni giorno il legame di fedeltà che li univa.

Infatti, Sigurd percepiva quella creatura come un fedele amico, l’unico di cui potersi veramente fidare durante quell’avventura folle.

Si chiedeva quale fosse stato il reale progetto di suo padre; eppure, anche la sua mente pura e non abituata alla sporcizia dei brutti pensieri comprendeva che era stato ingannato. L’Assemblea degli anziani aveva richiesto quel suo allontanamento forzato non per renderlo un uomo o fortificarlo, bensì per darlo letteralmente in pasto ai criminali che l’avrebbero fatto a pezzi, così nessuno a Vinland si sarebbe dovuto sporcare le mani al momento opportuno.

Suo padre il re era malato e anziano, presto sarebbe morto e suo figlio non sarebbe più tornato indietro da un viaggio apparentemente d’istruzione; che situazione propizia per prendere il potere… e qualcuno nella città tra i ghiacci doveva aver tramato e preparato tutto.

Quella consapevolezza permeò così a fondo nei pensieri del principe che, dalla sera alla mattina, si accorse che qualcosa dentro di lui stava mutando. Come percepiva gli altri? Tutti avversari? Non l’aveva mai fatto, essendo stato cresciuto e educato con la più ferrea moralità cristiana.

Quando proprio non ne poté più, essendo ormai con il cuore a pezzi e la mente dilaniata da queste terribili consapevolezze, interpellò il precettore.

“Maestro, voi lo sapevate?”, si limitò a domandare, seccamente, con gli occhioni chiari luccicanti per via delle lacrime che stavano per scendere lungo le gote. L’anziano lo fissò a sua volta, ma ancora si dimostrò elusivo, e non rispose.

“Eh?!”, piagnucolò di nuovo il principino, tornando a incalzare una risposta che non sarebbe mai potuta giungere, anche perché la porta del loro rifugio fu spalancata all’improvviso e Alfred fece capolino all’interno.

“Muoviti, principe; oggi diverrai uomo”, disse, ridendo con aggressività e cattiveria. Incattivito a sua volta, ma anche spaventato, Sigurd titubò.

Allora Alfred si allungò e l’afferrò per un braccio, trascinandolo fuori di peso e chiudendo la porta dietro di sé.

“Il ragazzo deve venire da solo!”, precisò ad alta voce il comandante, rivolgendosi all’anziano rimasto chiuso dentro. Poi, tornò a rivolgersi in fretta al più giovane.

“Come mai non sei uscito in questi due giorni, principe? I nostri Fratelli sarebbero stati felici di conoscerti a dovere”, sghignazzò.

“Ah, sì? Per uccidermi?”.

La domanda atterrita del giovane bloccò il più anziano sul posto, e poiché ancora lo stava trascinando per un braccio lasciò sciogliere la stretta e gli rifilò un preciso manrovescio in pieno viso.

“Cazzo stai dicendo? E smettila di farti trainare e di piagnucolare, se vuoi guadagnarti il rispetto di tutti!”, poi imprecò vigorosamente. Il tutto al cospetto di numerosi occhi curiosi, che avevano cominciato a far capolino dalle aperture più vicine.

“Mi… mi hai ingannato”, borbottò allora il ragazzo, in lacrime, mentre si lasciava scivolare a terra. Il brusco contatto fisico pareva non averlo leso in alcun modo.

“Mi hai allontanato da casa solo… solo per uccidermi…”, la voce si ridusse a un sussurro quasi impercettibile, per far sì che altre orecchie non udissero a parte quelle del diretto interessato, “… quanto oro ti hanno promesso, a Vinland, per farmi sparire? Per portarmi… qui?”.

Alfred alzò la mano destra, come per colpirlo ugualmente, poi i suoi lineamenti divennero rapidamente tesi, come se avesse appena realizzato di aver udito parole non di suo gradimento.

Si chinò a suo fianco e gli alitò in pieno viso, per parlarli.

“Chi cazzo ti ha messo in testa queste cose? Il vecchio che ti accompagna?”, domandò, seccamente.

“Ho sentito ieri il tuo discorso… con il Fratello…”.

Alfred allora rise forte, tirandosi su in piedi e tornando a forzarlo per farlo rialzare a sua volta.

“Allora già sai con certezza che non diverrai mai un re, principino? No, te lo giuro sulla mia lunga barba e sul mio stesso sangue; non diverrai mai un re…”.

 

Lo condusse tra gli altri uomini, i Fratelli. Essi erano armati di spade, a lui non fu consegnato niente.

“Starai con me nelle retrovie, ma prima vedrai i tuoi avversari…”, borbottò Alfred, tesissimo.

Sigurd credeva che l’avrebbero ucciso, invece l’attenzione generale pareva incentrata su quella sorta di missione che li stava attendendo.

Tutti assieme, e nel silenzio più profondo possibile, si mossero uniti verso l’interno, tra la boscaglia che si tramutava presto in erba secca e caldo pareva farsi asfissiante. Là, un gruppo di capanne erano state erette in modo caotico.

Si avvicinarono di soppiatto, strisciando come serpenti tra l’erba alta, fitta e giallognola.

Alfred costrinse il principe ad alzare la testa per un solo, pericolo istante.

“Devi vedere il tuo nemico, prima di ucciderlo”, sibilò.

Sigurd vide numerose persone in fermento, che forse avevano già intuito che qualcosa non andava. Avevano piume tra i capelli ed erano seminude, con il viso dalla pelle scura e dipinta in più punti di un rosso acceso. Poi, i Fratelli diedero improvvisamente il via all’attacco a sorpresa.

Lo scontro fu rapido e micidiale; nonostante Alfred avesse messo un lungo coltellaccio tra le mani del ragazzo, non ci fu bisogno di utilizzarlo, poiché i nativi se la diedero a gambe.

“Stavano progettando di attaccarci a sorpresa, e noi abbiamo attaccato loro”, sghignazzò il gigante poco dopo, trionfante. Dei nemici ne erano stati uccisi pochi, però erano stati presi un paio di prigionieri, di cui due probabilmente illustri.

“Merce di scambio. Fintanto che li abbiamo in pugno, gli altri non ci romperanno i coglioni, anzi…”, sancì di nuovo l’omone, quando glieli presentarono.

Il terzo prigioniero, invece, era indubbiamente un soggetto molto umile, poiché il suo aspetto dimesso e privo di colori, piume e ornamenti parlava molto chiaro. Anche Sigurd, che osservava attentamente e ascoltava le varie conversazioni tra i vittoriosi, poté distinguerlo facilmente dagli altri due.

Fu proprio quel soggetto che Alfred strappò dalle mani robuste dei Fratelli, per condurlo al cospetto del giovane.

“Fallo inginocchiare e uccidilo”, ordinò, perentorio.

Il principe, che non si aspettava una tale mossa, andò quasi in confusione.

Attorno a lui, i Fratelli si stavano raggruppando come cani famelici, dopo aver legato gli altri due prigionieri e averli inginocchiati proprio di fronte all’altro malcapitato, ancora in piedi. Pareva che si fossero dimenticati della sua presenza, fintanto che la brama di sangue li aveva spinti nella loro missione, ma ora che si era concluso tutto erano tornati a guardarlo con aria torva, probabilmente odiandolo e giudicandolo.

“Hai ragione, principe; uno del tuo lignaggio non può uccidere con un coltellaccio arrugginito”, tornò a dire Alfred, alzando la posta in palio. Infatti, estrasse la sua bellissima spada con la mano sinistra, mentre con il braccio destro cingeva l’esile corpo del condannato a morte, e gliela porse.

“Giusto, e un futuro sovrano non si abbassa mai a far inchinare uno schiavo”, aggiunse, quando ancora il giovane era titubante.

Sigurd, confuso, afferrò la spada e la strinse con entrambe le mani, e prese altro tempo. Intanto il comandante diede una forte spinta all’indigeno e lo mise in ginocchio, tenendolo stretto per il collo con una morsa di ferro.

Fu in quel momento che il principe incrociò gli occhi di Alfred; ribollivano di furore. Il suo sguardo era eloquente… si stava giocando la propria vita.

La mente del più giovane comprese che quella era una prova, o uccideva il prigioniero, o veniva ucciso lui, nelle pratiche barbare ancora presenti a Vinland. Ne aveva sentito parlare, ma non aveva mai assistito a tali scene.

E come si faceva a uccidere un uomo? In un solo istante, le letture proibite tornarono a riemergere nella sua memoria. Esse non narravano solo di rapporti sessuali, ma anche di gesta eroiche, e, per l’appunto, di uccisioni di nemici e traditori. Tramite decapitazione.

Con il fiato sospeso, e con il viso che s’imporporava, Sigurd strinse forte l’elsa della spada con entrambe le mani, quasi fosse stato un remo, e la alzò verso il cielo. Era ora che la gente smettesse di ritenerlo un bamboccio; avrebbe ucciso non solo per salvarsi la vita, ma anche per preservare il suo orgoglio e la sua dignità, ben consapevole che i fuorilegge che lo circondavano lo stavano anche giudicando.

Abbassò l’arma con decisione, quando anche le braccia gli tremolavano e gli occhi restavano serrati. Li riaprì solo quando udì le grida strazianti del suo prigioniero; egli gemeva, era ancora vivo.

Gli aveva appena scalfito la pelle del collo.

Qualche risatina serpeggiò tra le fila dei Fratelli, mentre una rabbia incontenibile pervadeva all’improvviso il principe, che allora cominciò a colpire all’impazzata il prigioniero, facendolo letteralmente a pezzi con un modo di fare da indemoniato, da spirito d’oltretomba insaziabile di sangue.

Quand’ebbe finito, lordo di sangue come mai prima di quel momento, gettò la spada ormai vermiglia ai piedi del suo proprietario prima di cominciare a camminare con foga lungo il tragitto che lo aveva portato fin lì. Desiderava solo tornare dal suo precettore e sentirsi di nuovo protetto, col solo risultato che ben presto quei movimenti decisi si tramutarono in corsa frenetica, con le gote inumidite da silenziose lacrime amare.

Alfred, invece, rimasto fermo a fissare il ragazzo alla medesima maniera degli altri guerrieri, non fece poi altro che scrollare le spalle e tornare ad attirare l’attenzione su di sé.

“E’ un principe con il sangue infuocato dalla rabbia”, proclamò a voce alta, “merita ancora un’opportunità”.

Nessuno aggiunse altro; neppure il gigante, solitamente ciarliero.

 

Tornato con la coda fra le gambe dal suo protettore, il giovane si affrettò a scrostarsi di dosso il sangue che si stava raggrumando, senza spiegare nulla all’anziano.

Egli, da parte sua, si limitò a guardarlo grevemente, ma non chiese nulla. Forse, era soddisfatto del solo fatto che fosse tornato ancora vivo, anche se imbrattato di linfa vitale.

Thor gli si accoccolò sulla spalla destra.

A metà giornata, un po’ a sorpresa, il comandante andò a riprenderli e assieme agli altri suoi marinai ripresero la via dell’oceano; tutto accadde così, all’improvviso, esattamente come aveva avuto inizio.

Il principe fu felice di lasciarsi alle spalle la realtà dei Fratelli, di certo più prosperi di Vinland, ma ancora meno nobili di spirito. Tuttavia, avvertiva un qualcosa di strano dentro di sé, collegato a quel suo primo omicidio e a riguardo di quegli individui che ormai avevano colonizzato ampia parte della costa meridionale; percepiva che, molto presto, la sua vita sarebbe stata fatta di sangue corrente, con quei fuorilegge che sarebbero tornati ad avere un ruolo ben preciso in essa.

 

Il viaggio fu ancora lungo, e piuttosto monotono; altri villaggi vichinghi erano disseminati lungo le coste, ma erano di dimensioni più ridotte rispetto a quello del gigantesco Fratello.

Comunque, Alfred non sostò mai in nessun altro di essi, preferendo litorali isolati e dall’apparenza selvaggia.

Il clima cambiò ancora, diventando così caldo da far sì che il ragazzo si abituasse a indossare gli abiti che gli erano stati dati dai Fratelli.

Thor, ancora in ottima salute, ruotava costantemente ai suoi piedi, assicurato con un cordone alla zampa, mentre il precettore era sempre più silenzioso. Alfred e i suoi bisogni notturni parevano aver iniziato a piegare la sua rigidità.

Infine mutò anche il paesaggio, con gli alberi che avevano foglie e steli stranissimi, tutti abitati da bestie spaventose. Alcune avevano il pelo, sembravano grandi topi.

“Scimmie”, spiegò Alfred, notando lo sbigottimento del ragazzo. Lui aveva già visitato quelle terre, conosceva tutto. Per questo Sigurd gli si affidava ciecamente, pur temendo che prima o poi lo condannasse ad annegare nell’infinità dell’oceano.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Capitolo due mystery

CAPITOLO DUE

 

 

 

 

 

 

 

 

Si fermarono solo quando il clima divenne così caldo da far imperlare la pelle di sudore durante ogni momento della giornata e della nottata.

Alfred fece in modo che i Drakkar si spiaggiassero da soli lungo le rive sabbiose dell’ennesimo grande fiume.

Per la prima volta, il principe vide il comandante sorridente. Il suo non era più un sorriso che assomigliava a un ghigno provocante, bensì le sue labbra erano incurvate in maniera veramente rilassata. Con soddisfazione.

I suoi occhi parevano frugare all’interno della vastissima foresta che si estendeva attorno a loro, da ogni lato… era immensa, con le strida di tantissimi animali ignoti che riecheggiavano tra il fogliame di quegli alberi così alti e strani.

“Avanti, a terra!”, sbottò Alfred all’improvviso, interrompendo l’incantesimo che l’aveva avvolto per solo qualche istante.

Sigurd e il precettore non si fecero ripetere l’ordine.

Appoggiando i piedi nudi su quel suolo così soffice, il principe avvertì una strana sensazione, che gli riportò alla mente un sacco di ricordi pregevoli. Tra lui e quella terra lontanissima da quella in cui era nato si era già instaurato uno strano legame.

Trascinarono le imbarcazioni sulla riva, impiegando tutte le forze a disposizione, prima di mettersi a scaricare il magro carico.

“Le pellicce. Assicuratevele a dovere attorno alla vita…”, era l’ordine costante di Alfred.

Gli altri marinai non posero alcuna domanda, anzi, seguirono il consiglio con una decisione tale da far sembrare al principe che quella non fosse la prima volta in cui affrontavano una tale situazione.

Sigurd però non aveva più voglia di mettersi a faticare… la sua mente, i suoi occhi, il suo corpo; tutto era diventato secondario al cospetto della favolosa Natura che lo circondava. Gli tornarono alla mente i versi degli antenati; la Madre Terra, un tempo rigogliosa e fertile… lì, ove non c’era neanche un filo di vento a turbare le fronde degli alberi altissimi che si allungavano con coraggio verso l’azzurro del cielo, sembrava che ancora vivesse qualcosa di andato perduto.

Cos’era Vinland, al cospetto di un mondo così lussureggiante?

Muovendosi cautamente, si staccò dal gruppo di uomini affaticati e accaldati, per spingersi verso la foresta. Voleva assolutamente accarezzare il tronco di uno di quei grandi alberi, che di più alti di così non ne aveva mai visti, e lasciò infine che la sua mano destra percorresse la corteccia umidiccia del primo che ebbe al suo cospetto.

“Principe”, lo richiamò Alfred, improvvisamente vicino, “il lavoro ti aspetta. Ma che fai?”, domandò poi, notando che stava accarezzando il tronco di una pianta.

“La vita, comandante”, rispose distrattamente il ragazzo.

L’uomo gli si avvicinò ulteriormente.

“Come?”, chiese. Il tono burbero era sparito, al suo posto solo la curiosità.

“Qui c’è vita, comandante”, ribadì Sigurd, “non è come Vinland, la Terra dei Ghiacci”.

Alfred allungò una mano e gliela pose sulla spalla destra, con fare paterno. Il principe quasi fremette, avvertendo il contatto; non era mai successo che l’uomo gli riservasse un tocco gentile.

“Questo è solo l’inizio, ragazzo! La tua avventura inizia qui”, borbottò.

“E finirà in mare, poiché non sarò mai re…”. Il giovane, con tono basso e deluso, aveva appena finito di pronunciare quella sorta di profezia quando il pugno deciso dell’uomo più anziano si infilò tra le sue costole, piegandolo in due dal dolore.

“Sì, non sarai mai re”, ribadì con rinnovata rabbia il comandante, per poi infine tornare a urlarlo, quasi fosse un monito da tenere sempre a mente, “non sarai mai un re!”.

L’equipaggio rise forte, per poi gridarlo a sua volta.

Umiliato e piegato in due, il deluso e spezzato principe riconobbe che non avrebbe mai più dovuto permettersi di abbassare la guardia. Alfred era pericoloso e lo voleva morto, non doveva dimenticarsene.

Il precettore lo raggiunse a sua volta, chinandosi a suo fianco, ma il giovane lo respinse con tono aspro.

“Non dovete asciugare le mie lacrime, Maestro. State al vostro posto”.

L’anziano, per nulla intimorito, si permise solo di passargli una pelliccia candida, di lupo artico.

“Non lo farò mai, principe. A te imparare dai tuoi errori. Tuttavia devo consigliarti, e a quanto pare indossare questa pelliccia qui potrà esserci di aiuto”. Lui già la indossava, apparendo davvero primitivo.

Senza pudori, Sigurd si slacciò il cencio che portava attorno alla vita e si coprì le intimità con la pelliccia, come avevano fatto tutti gli altri. Non era forse quello l’inizio di una nuova avventura? La prima e l’ultima che gli sarebbe stato concesso di vivere? Ebbene, voleva affrontarla.

Da quando era venuto a contatto con tutto quel verde si era sentito meglio, poco importava degli affronti e delle premonizioni di Alfred.

Raggiunse quindi i compagni di viaggio, che tra l’altro detestava, e lavorò alacremente per mettere al riparo le imbarcazioni e scaricare quel poco che contenevano. Si trattava perlopiù di utensili provenienti da Vinland, e una parte del magro bottino saccheggiato dopo l’attacco ai nativi compiuto assieme ai Fratelli.

Esso fu suddiviso in parti più o meno uguali, e a ciascuno toccò un bel po’ di bagaglio. In seguito iniziò la marcia nella foresta.

L’intrico di rami si destreggiava tra sentieri battuti sicuramente da altri umani… questo lasciava perplesso il giovane, che guardava quelle piccole impronte e si chiedeva se quei nativi fossero simili a quelli più a settentrione. Nel caso fossero agguerriti quanto loro, sarebbe stato meglio evitare di entrare nel loro territorio.

“Tanti uomini, piccoli di statura”, la voce del precettore riecheggiò tra i tronchi, riuscendo a emergere tra le strida acute degli animali selvatici.

“E innocui, se vi comporterete come vi dirò”, proseguì Alfred, che era in testa alla colonna. Mulinava la spada e tagliava di tanto in tanto i rami che si abbassavano troppo, minando il sentiero.

“Nessuno di questi nativi ha mai attaccato uno di noi, durante i precedenti viaggi”, sancì l’amante di Alfred, che era proprio dietro al principe. Egli infatti si volse un istante verso di lui.

“Non sbagliavo allora a pensare che qui ci siete già stati”. L’altro giovane rise.

“Io ben due volte, principe. E per ben due volte sono tornato integro, così come i miei compagni; quindi, se non ci porterai sfortuna tu, ne usciremo anche questa volta senza difficoltà”.

Punto nell’orgoglio, il più giovane dei due si limitò a continuare a camminare, senza aggiungere altro.

Quanto detestava quella voce così femminea… Bjorn era il suo nome, o almeno così Alfred lo chiamava durante i loro amplessi. Biondo, longilineo, muscoloso, ma dalla voce troppo tenue e floscia, quasi da donna.

Sigurd lo odiava senza neppure sapere il perché, d’altronde quella era la prima volta che gli rivolgeva la parola. Tuttavia, sperava che non gliela rivolgesse mai più.

“Non tarderemo molto a incrociare alcuni dei nativi”, tornò a dire a voce alta il comandante, “mi riferisco ai nuovi, che qui non ci sono mai stati; non abbiate timore e non dimostratevi in soggezione. Essi sono totalmente innocui, poi già un po’ ci conosciamo”.

Il principe, notando che il suo anziano precettore faticava nella marcia, avendolo proprio davanti a lui, si allungò e gli tolse con delicatezza il bagaglio, prendendolo per sé.

“Mio principe, cosa fai? Posso farcela”, affermò l’anziano, col fiatone e un po’ sbigottito dall’improvviso gesto di altruismo del suo protetto.

 Il giovane non rispose, e l’uomo poté solo ringraziarlo mentalmente. Sì, il viziatissimo principino stava veramente crescendo e migliorando nello spirito.

Sigurd, dal canto suo, aggiunse il bagaglio al suo, già pesante, e presto si ritrovò ad arrancare.

Bjorn lo superò ridacchiando, e il nobile gli scagliò contro una mezza imprecazione, di quelle volgari udite proprio dai marinai durante la lunga navigazione. Solo allora il precettore si volse a dargli un mezzo scappellotto.

Eppure… tutto era destinato a finire presto, così come quella marcia infame.

Gli insetti erano diventati fastidiosi, e pure il rumore provocato dalle bestie che, su quei rami altissimi, lasciavano cadere scarti di frutti ed escrementi.

All’improvviso il fracasso della Natura si bloccò; scese il silenzio.

Un rapidissimo sibilo fu l’unica nota stonante in quel silenzio surreale, ove i vichinghi si erano bloccati sul posto, come pietrificati. Poco dopo, una scimmia dalla pelliccia nera e bianca capitombolò giù a terra, a peso morto.

Cadde proprio a pochi passi da Sigurd, e rimbalzando sulla fitta vegetazione gli finì ai piedi. Una piccola e rudimentale freccia fuoriusciva dal costato della balzana creatura, di certo opera di qualche umano.

Per un solo istante, il principe fu tentato di chinarsi verso di essa e di studiare la fattura di quell’utensile così diverso da quelli utilizzati dai guerrieri di Vinland, che sapevano usare solo la spada. L’arco e le frecce erano ritenute armi da nemici.

Quando l’impulso di chinarsi l’ebbe vinta, fece per abbassarsi verso la scimmia, ma dalla boscaglia emerse improvvisamente una strana figura; il ragazzo indietreggiò subito, rimanendo colpito e un po’ spaventato da quell’apparizione.

L’uomo era praticamente nudo, solo un lembo di tessuto copriva le sue intimità, e sembrava a sua volta un po’ perplesso nel trovarsi di fronte persone così diverse da lui.

Sigurd osservò la sua pelle scura, pensando che in fondo il sole di quelle latitudini stava rendendo anche lui di un altro colore.

Poco alla volta, altri tre cacciatori si aggiunsero al primo, sgusciando fuori dall’intrico della foresta con agilità, essendo abituati a muoversi in quel territorio composto perlopiù da alberi e da lunghe liane.

Alfred allora si mosse verso di loro, scostando il principe con una mano.

Bjorn, che l’aveva seguito, cominciò a tradurre ai nativi le parole che il comandante pronunciava… Sigurd rimase ad ascoltare, un po’ sorpreso. Non si aspettava che il suo nemico fosse addirittura capace di parlare quell’idioma così diverso da quello vichingo.

Successivamente, i cacciatori sorrisero e andarono a posizionarsi in testa alla colonna vichinga, parlando ogni tanto con Bjorn e conducendo di fatto la spedizione. Il comandante affiancò il principe per un solo istante.

“Sono nativi pacifici, questi. Ci porteranno in uno dei loro villaggi, ci tratteranno bene e poi ci indicheranno la strada che ci porterà alla nostra destinazione”, gli spiegò.

“Sa parlare quella lingua?”, chiese però Sigurd, ancora esterrefatto dalla capacità di tradizione di Bjorn. Lo indicò con una mano, per chiarezza.

Alfred rise piano.

“Bjorn è un giovane pieno di risorse, ma la sua particolarità è che impara molto in fretta le lingue. È un ragazzo in gamba, dovresti imparare da lui”. Così dicendo, superò il principe e lo lasciò a osservare le scene che si stavano susseguendo davanti ai suoi occhi.

Per la prima volta in vita sua, il giovane si ritrovò a provare invidia per qualcuno.

 

Gli scuri e tozzi nativi li accompagnarono fino a un loro villaggio, ove i vichinghi furono accolti con grande calore. Ospitali, le indigene lavorarono granaglie senza sosta e servirono pasti ai nuovi arrivati, mentre Alfred ricambiava la loro generosità con alcuni degli oggetti che si era portato dietro dai drakkar.

Al principe quelle cibarie non piacevano tanto, tuttavia aveva molta fame e si ingozzò a dovere. La stessa cosa fu per il precettore, che però non sembrava affatto a suo agio in quelle terre ignote. Era sempre più silenzioso e non parlava quasi mai. Aveva un aspetto torvo… oppure malaticcio? Sigurd preferiva non osservarlo troppo, per concentrarsi sul mondo circostante.

Quelli che lo circondavano dovevano essere nemici a tutti gli effetti, come ogni nativo, però erano così umani… così tanto che i bambini correvano verso di lui, pacifici e sorridenti, per allungare le mani verso Thor.

Il piccione era rinato, a stare all’aria aperta; il principe l’aveva lasciato libero, ma la creatura piumata non si era mai allontanata da lui. Il suo piumaggio rifletteva i caldi raggi solari di quelle latitudini remote e sembrava davvero una particella delle antiche divinità rimasta intrappolata nel corpo di un umile pennuto.

Sigurd era fiero di lui e permetteva ai ragazzini di sfiorarlo, qualora anche l’animale si mostrasse accondiscendente, senza ritrarsi al cospetto delle mani allungate.

Il comandante l’avvicinò non appena riuscì a liberarsi della festante presenza di una decina di bambini.

“L’uccellaccio sta avendo successo”, ironizzò, riferendosi chiaramente a Thor. Il principe gli riservò uno sguardo strano, quasi sprezzante.

“Questi nativi sono diversi da quelli settentrionali, e sono diversi anche da noi. Pare adorino la Natura e le sue creature più graziose”, si limitò ad affermare.

Alfred rise, mettendo in mostra i suoi denti gialli e rovinati.

“Questi non conoscono neppure Dio. Hanno dei templi immensi dove si recano a fare sacrifici… anche umani, ho visto io stesso con questi occhi”, asserì, poi fece per allungare una mano verso Thor, ma il piccione svolazzò e andò a posarsi sulla spalla opposta del suo padrone.

“Non sei amato dagli Dei”, disse con sicurezza il principe… che neanche si accorse dell’aggressività con cui aveva pronunciato quella breve frase. Era rimasto solo colpito dal netto rifiuto del volatile, eppure quelle parole erano sbocciate in modo spontaneo dentro di lui… come qualcosa che andava assolutamente detto.

Rimase col fiato sospeso mentre osservava la grande e callosa mano di Alfred, ancora all’altezza del suo viso. Essa, infine, non tornò a cercare il piccione, limitandosi ad abbattersi con fragore contro la guancia destra del ragazzo.

“Non so che cazzo hai in questa testa vuota…”, imprecò il comandante, schiumante di rabbia, “…sei tu che ci stai portando sfortuna, con queste evocazioni delle forze antiche. Prima questo piccione col nome di una divinità, poi mi insulti con quella lingua del cazzo…”, pronunciò nuovamente una serie di imprecazioni orribili, “…hai molta merda dentro di te. Devi spurgarti, e anche pentirti, perché noi abbiamo un solo Dio e i nostri avi ci hanno lasciato la benedizione del Battesimo. Non ti sarà permesso mai più, al mio cospetto, di pronunciare frasi di questo genere…”, altre imprecazioni caotiche, “…se noi siamo giunti fin qui è solo grazie all’infinita potenza di Dio...”.

Uno sfogo epico, che lasciò interdetto Sigurd.

Con le mani si massaggiava la mascella appena colpita, ferito nell’animo e nell’orgoglio. Era riuscito a far arrabbiare il vecchio come mai era accaduto da quando era salpato da Vinland.

Davanti agli sguardi della ciurma e di tutti gli altri presenti, Alfred tacque interrompendo lo sfogo come se non fosse mai riuscito a esporre per davvero il nocciolo del suo pensiero. Non disse altro e gli volse le spalle, ancora schiumante di rabbia, e se ne tornò tra i nativi.

Di nuovo umiliato e rosso in viso, il principe si guardò attorno e notò che tutti distoglievano lo sguardo da lui… tutti, tranne Bjorn, che lo osservava poco distante. Quando i loro sguardi si incrociarono, Sigurd riuscì a scorgere una scintilla di divertimento nei suoi occhi.

 

“Il comandante ha ragione. Non devi permetterti mai più”.

Il precettore gli si avvicinò poco dopo. Lentamente, con la voce tremolante. Forse temeva che il suo protetto stesse per esplodere, e in effetti era così.

Solo e isolato, con Thor sulla spalla a passarsi le piume con il becco, il giovane di sangue reale era nervosissimo. Udire quelle parole non gli fece bene.

“Non ho più bisogno della vostra protezione, Maestro. Ritenetevi congedato fin da ora”, gli ordinò senza guardarlo. L’anziano però non prestò attenzione alle sue parole, e si mise a sedere vicino a lui.

“Mio principe, sei alquanto cambiato. Questa avventura sta lasciando un profondo solco dentro di te…”.

“C’è sempre un prima e un dopo”, lo interruppe il giovane, con arroganza, “solo un anno fa ero ancora un ragazzino che non viveva senza suo padre. Che non usciva mai dalle stanze adibite appositamente per lui. Adesso sto diventando un uomo, io…”.

Una lacrima solitaria solcò il suo viso ancora con tratti da bambino.

“…io voglio diventare un uomo”, concluse, poi, asciugandosi la lacrima.

Ironia della sorte, essa era finita proprio per solcare il lembo di pelle arrossata dal colpo ricevuto da poco. Il vecchio sospirò e l’abbracciò forte.

“Ce la farai, sei sulla retta via. Ma devi sapere che tutto si ottiene grazie ai valori e allo spirito, così come tuo padre ha fatto finora. Elogiare divinità ormai dimenticate non ti farà bene e attirerà solo il male e il malumore del popolo. Per questo non mi sono opposto al ceffone, tutto qui”, si spiegò.

Il principe però negò vistosamente con il capo, e sgusciò via dalla stretta paterna, alzandosi a tornando ad allontanarsi.

Il precettore lo osservò con attenzione, senza seguirlo.

“Forse l’errore è stato quello di avergli fatto conoscere la Storia dei nostri antenati”, mormorò.

Quel suo pensiero espresso a voce però fu inghiottito dal rumore di una foresta indomita e implacabile.

 

Lasciarono il villaggio degli indigeni solo il giorno successivo, riprendendo la marcia alle prime luci dell’alba.

Sigurd aveva preferito dormire all’aperto, per non mischiarsi agli antipatici compagni di avventura, tuttavia fino a notte inoltrata non era riuscito a prendere sonno. Era giunto addirittura a pentirsi della sua scelta arrischiata; infatti, dalla boscaglia lussureggiante emergevano di tanto in tanto certi suoni… certi versi strani.

Inoltre, una moltitudine di fastidiosi insetti non gli aveva dato tregua.

Era riuscito solo ad assopirsi quando il suo Maestro l’aveva raggiunto, e abbracciandolo gli aveva trasmesso di nuovo un po’ di sicurezza.

A seguito di quella notte lunghissima e travagliata, il mattino successivo non fu facile da affrontare. Di nuovo con molto materiale caricato sulle spalle, il giovane riprese la marcia restando in fondo alla colonna, assieme al precettore, e senza rivolgere mai la parola a nessuno.

Da parte sua, Alfred si era comportato come se si fosse addirittura dimenticato che lui esisteva. Al giovane non era importato molto.

Durante la marcia, con in testa alla colonna alcuni nativi che la guidavano, non riusciva a distogliere gli occhi dal comandante e da Bjorn, sempre così vicini… poi, accadeva che li perdeva di vista a lungo, a causa della distanza, seppur leggera, e si ritrovava a rodersi l’animo.

Il più efferato uomo di Vinland non avrebbe mai alzato una mano verso il ragazzo che più amava, il biondissimo e intelligentissimo giovane suo coetaneo. Invece, nei suoi confronti non solo si era sfogato a più riprese e con violenza, ma aveva continuato a dimostrare disprezzo e a schernirlo con i suoi uomini.

Senza dimenticare che gli aveva detto più di una volta che non sarebbe mai diventato re. L’aveva umiliato in tutti i modi, vessandolo e obbligandolo a far fatica e a comportarsi come il componente più inutile e villano della sua ciurma di mezzi banditi.

Si accorse così di odiarli, giurando odio eterno a quel vecchio puzzolente che gli aveva reso tanto amara l’esistenza. Se avesse potuto fargli del male, l’avrebbe fatto, prima che egli potesse infierire di nuovo.

Anche se… in un certo senso, quel folle rancore pareva convogliare verso un altro lido opposto. Sapeva bene che Alfred era un ottimo amante; aveva sentito più volte le dolci parole che sussurrava di notte a Bjorn, unite ai suoi ansiti colmi di un piacere che a lui era ancora interamente sconosciuto.

Si ritrovò a immaginarsi al posto del suo nemico e coetaneo… quelle mani callose sul suo corpo, quelle parole piene di elogi… oh, voleva meritarsele anche lui.

Un leggero gonfiore alle parti intime gli fece smettere di pensare a quelle cose, prima che qualcuno potesse notare l’imbarazzante rigonfiamento sotto la pelliccia.  

 

Camminarono per giorni, quella volta soggiornando sempre all’aperto, facendo così pentire il principe di non aver tratto piacere dalla comodità di quella notte ospitale offerta dai nativi.

In ogni caso, proseguendo speditamente la marcia nonostante la fatica, sembrava che la meta fosse sempre più vicina. Gradualmente la foresta iniziò a lasciare maggiore spazio agli esseri umani e non era più un caso eccezionale attraversare qualche ignoto centro abitato.

Adesso un buon reticolo di strade e di sentieri sicuri si diramava abbastanza distintamente.

Senza ulteriori difficoltà, il gruppo dei vichinghi procedeva abbastanza speditamente, con Sigurd sempre abituato a ricevere gli sguardi curiosi delle persone del posto.

Doveva ammettere che aver avuto a che fare con quei barbari non era stato poi così male; le popolazioni più settentrionali erano perfide e guerriere, queste invece calme e pacifiche.

Dopo una marcia lunghissima, ove il ragazzo non aveva mai contato il numero dei giorni di cammino, infine si giunse allo splendore… a ciò che gli cambiò la vita.

La sola vista della città immensa i cui alti templi emergevano dalla foresta era stato qualcosa di abbagliante. In una terra davvero molto estesa dove non esistevano le stagioni e le persone erano tutte quasi nude, parlavano la stessa lingua e avevano più o meno le medesime abitudini, be’… pareva il Paradiso.

Il principe bramò allora anche quel luogo così lontano dal freddo regno di suo padre, piccolo e ristretto, retrogrado e incuneato tra l’oceano rabbioso e i ghiacci eterni. Se solo avesse potuto, di certo avrebbe accettato uno scambio. Avrebbe scaricato Vinland subito, immediatamente, su due piedi.

Solo quando i suoi piedi nudi e ormai callosi cominciarono a percorrere le strade di quella città sterminata si rese conto di quante persone ci fossero. Tantissime; innumerevoli.

Ovunque, dimore di ogni genere e mercanti. Ovunque, non c’era uno spazio libero.

Il chiasso provocato da tutta quella gente era ancora più elevato di quello prodotto dalle bestie selvatiche della foresta.

Il giovane riuscì presto ad attirare l’attenzione di una donna, che gli si avvicinò in fretta porgendogli qualcosa. Lui la guardò un po’ stranito e lei rise, lasciando che quella risata sincera percuotesse il suo petto e facesse ondeggiare i seni prosperosi e nudi.

Senza malizia alcuna, la donna continuò ad allungargli quello che sembrava un pezzettino di pesce.

“E’ un dono che ti vuole fare, accettalo pure. Non ti hanno insegnato che è scortese non accettare i regali?”.

Il tono perentorio di Alfred distolse il principe dalla sua immobilità.

Un po’ timoroso, allungò la mano e afferrò il frammento di carne. Era la prima volta che il comandante gli rivolgeva la parola e un po’ di attenzione dopo l’ultima rigidissima sfuriata, quindi aveva timore di incorrere di nuovo nella sua ira.

Mise in bocca e masticò il boccone, scoprendo che si trattava davvero di un piccolo filetto di pesce, salato e trattato, oltre che dal gusto favoloso. Affamato com’era, pensò subito che ne avrebbe accettato dell’altro.

“Grazie”, disse alla donna, con gentilezza, e quest’ultima gli sorrise, anche se non poteva aver capito la sua lingua. Era fantastico riconoscere la gentilezza e la bontà di quegli indigeni, sempre ben disposti verso il prossimo, seppur diverso da loro.

“Piaciuto?”, tornò alla carica Alfred, che gli si era avvicinato ancora di più. Tuttavia, Sigurd aveva occhi solo per la donna e per quello che gli stava porgendo, e cioè un bel recipiente colmo di quel pesce buonissimo che aveva appena gustato.

Fece per allungare una mano, ma lei lo ritrasse e allungò l’altro suo arto, rimasto libero.

Alfred rise forte, come suo solito.

“Principe, devi pagare se ne vuoi altro”, gli fece notare.

“Pagare? E con cosa?”, gli chiese, un po’ ingenuamente.

Si volse a osservarlo; il maturo comandante non pareva innervosito, bensì divertito e ben disposto nei suoi confronti. La tempesta si era quietata.

“Con quello che hai trascinato a spalla fino a ora. Cosa credi, di aver trasportato tanto peso per nulla? Avanti, falle vedere cos’hai con te; quando avrà scelto qualcosa che le piacerà, in cambio ti darà altro pesce”.

Elementare, riconobbe il ragazzo, che seguì alla lettera ciò che gli era stato detto. Per fortuna non dovette mettersi a togliersi tutto di dosso, poiché l’indigena parve attratta da un frammento di minerale roccioso proveniente direttamente da Vinland, e dopo averlo preso con sé gli aveva offerto subito altro pesce.

Il ragazzo mangiò con gusto, gettandosi sul cibo come un rapace.

Alfred tornò a ridere.

“Benvenuto a Tlatelolco, mio caro principe! Questo è il centro del mondo”, e platealmente allargò le braccia, come a voler indicare tutto ciò che li circondava.

Sigurd si guardò attorno e scorse alcuni dei suoi compagni di viaggio intenti a loro volta a fare scambi e a nutrirsi. C’era calca e i bassi nativi parevano concentrarsi tutti attorno ai pallidi stranieri, da poco entrati in città. Del precettore, nessuna traccia. Non si preoccupò molto per lui.

“Me ne rendo conto”, fu costretto infine ad ammettere.

Alfred gli posò una mano sulla spalla ormai inscurita dall’abbronzatura.

“Ragazzo mio, ti ho portato fin qui affinché tu potessi vedere con i tuoi stessi occhi quanto in realtà è piccolo il mondo di tuo padre; dimmi ora se tu hai mai immaginato una tal vastità di popoli, di climi, di verde”, lo interloquì con saggezza.

Sigurd, sincero, scosse il capo in cenno di diniego.

“E ci pensi che, se non fossimo concentrati a vivere in quel remoto angolo di mondo incastonato tra i ghiacci eterni, avremmo potuto creare un regno vastissimo, emulando le gesta dei nostri antenati? Invece i nostri sovrani restano da secoli racchiusi in quel che ritengono un nido, un luogo protetto, senza degnarsi di ciò che invece li circonda. Il viaggio fin qui infatti è lungo, ma non impossibile; basta seguire la costa…”.

Thor svolazzò quando notò l’ennesimo spostamento di Alfred, che tolse la mano dalla spalla del più giovane.

“E’ vero”, tornò a riconoscere il principe, con profonda convinzione, “infatti se mi sarà concessa occasione, io non commetterò questo sbaglio. Io… renderò immenso il regno di mio padre”.

Il comandante sorrise.

“Guarda tu stesso questi nativi pacifici. Fanno parte di un vastissimo impero, che chiamano Messico. Tuttavia, nonostante sappiano combattere in caso di guerra dichiarata, e lo sappiano fare con grande valore, non sono capaci di lavorare il ferro, né lo conoscono. Hanno delle frecce, certo, ma quanto pensi che possano resistere contro le valorose spade forgiate tra i ghiacci?”.

Il principe annuì nuovamente, interessato da quelle riflessioni. Comunque, Alfred non pareva intenzionato a proseguire oltre quel discorso tranquillo e colloquiale. Si allontanò in fretta, forse troppo, e cominciò a richiamare gli uomini.

Tutti attorno a lui.

Era giunto il momento, a quanto pareva, di radunarsi e di trovare un punto in cui esporre ciò che si era portato da Nord, tutto assieme, senza separarsi e perdersi tra la folla.

Solo in quel momento Sigurd riuscì a ritrovare il suo Maestro; egli era accasciato poco distante, stanco e dall’aria sfinita. L’aiutò a rialzarsi e se lo trascinò dietro, con i vichinghi di nuovo riuniti e pronti ad affrontare quell’ennesima ma pacifica avventura da improvvisati mercanti.

 

Si susseguirono un paio di giornate molto piacevoli. Gli stranieri dalla pelle pallida e dai capelli chiari avevano attirato subito l’attenzione, ma in maniera genuina; probabilmente, dovevano averne già incontrati… quello era di sicuro la certezza che Alfred non aveva mentito a riguardo.

Era davvero già venuto e tornato da quelle terre così calde, senza lasciarsi intimorire dal viaggio lunghissimo e ricco di insidie. Lui non era più un novellino, di certo.

Nonostante i recenti alterchi, tra egli e il principe era tornata la tregua. Sigurd aveva imparato a convivere con quelle persone piccole e strane, molto ospitali; aveva dormito sull’ingresso di alcune loro abitazioni, non fornite di porte. Pareva che in quella città magica non esistesse il crimine. Si stava semplicemente benissimo.

Durante il terzo giorno di permanenza in quella sorta di mercato perenne, ove ogni giorno migliaia di venditori e di possibili clienti si accalcavano lungo le large e calde strade, il principe poté assistere a un sacrificio rivolto alle divinità locali; un uomo aveva acquistato un volatile di notevoli dimensioni, dal piumaggio grigiastro, per poi stordirlo e strappargli il cuore proprio sull’ingresso di casa sua.

Il sangue aveva bagnato il selciato circostante… il principe si era affrettato a rivolgere lo sguardo verso i suoi compagni, ma tutti parevano concentrati sugli scambi coi nativi; essi apparivano ingenui, e non conoscendo in apparenza il valore dell’oro, lo offrivano in buone quantità al fine di accaparrarsi oggettini inutili provenienti dal Settentrione.

Solo Alfred stava seguendo la scena, sovrappensiero. Quando il comandante volse lo sguardo verso di lui, il giovane si affrettò ad abbassarlo. Non voleva che notasse il suo interesse per quel genere di pratiche.

Comunque… quella ricerca delle divinità tramite il sangue era qualcosa che lo inebriava. Che gli faceva tornare alla mente tutte quelle letture che aveva affrontato da bambino.

Come poteva credere in un Dio che gli aveva donato un mucchio di pietre immerso nel ghiaccio, quando molteplici divinità, con la loro potenza, erano riuscite a creare qualcosa di così splendido e difficile persino da immaginare?

 

A rovinare la magia, giunse la notizia dell’arrivo di altri uomini pallidi.

Durante il quarto giorno di scambi, molti nativi andarono a parlare con Bjorn.

La sua preoccupazione crebbe quando sopraggiunsero anche alcuni nobili locali, ornati di piume e dai corpi profumati. Senza avere la benché minima idea di quel che stesse succedendo, il principe proseguì i suoi scambi, tuttavia si accorse che qualcosa era davvero cambiato.

Le persone non offrivano più la loro confidenza, anzi, pareva avessero iniziato a evitarli.

Alfred infine lo avvicinò e lo prese da parte.

“Principe, è giunta notizia che alcuni uomini bianchi stiano proprio marciando verso la capitale del Messico. Sono armati di ferro, e nonostante si stiano proclamando divinità pare siano molto agguerriti”, gli spiegò.

Sigurd capì che si stava confrontando con lui solo perché si aspettava una risposta acuta; gli si stava rivolgendo nella stessa maniera con cui i consiglieri parlavano a suo padre.

“Che si tratti di altri vichinghi? Fratelli, forse?”, riuscì solo a chiedere, ma il comandante scosse il capo con vigore.

“No, ai Fratelli non è mai interessato il Sud, a loro basta il predominio delle coste settentrionali. Pescano, fanno la guerra e commerciano negli schiavi, niente di più. Questi non sono vichinghi…”.

“Non possiamo esserne certi. Ci sono tanti fuorilegge in giro”, mormorò un po’ incautamente il giovane. Infatti l’uomo parve innervosirsi.

“I Fratelli sono fuorilegge solo agli occhi di tuo padre, ricordalo bene”, gli intimò, prima di tornare a rilassarsi, “però hai ragione, non sappiamo ci chi si tratti. O almeno non lo sapremo fintanto che non avremo dato un’occhiata…”.

Negli occhi del più anziano balenò una strana luce.

“Concordo”, asserì Sigurd. Alfred allora gli allungò una pacifica pacca sulla spalla destra, tornando a far agitare Thor, sempre nervoso quando il comandante era nelle vicinanze.

“Allora, mio principe, si parte. Questa splendida avventura, condotta in questa splendida città, si conclude qui. Andiamo a vedere coi nostri occhi chi sono questi visitatori inattesi, che si proclamano divinità”, proseguì, “ma stai attento al tuo vecchio, non mi pare in vena di riuscire a riprendere la marcia…”.

Il principe focalizzò il suo sguardo sul precettore; l’uomo appariva ancora stanco e senza forze. Il viso era troppo pallido e stava a lungo senza parlare.

Alfred aveva ragione; qualcosa non stava andando per il verso giusto. Eppure, il suo allievo era così preso da quella nuova avventura da non preoccuparsi troppo per l’anziano Maestro, che invece avrebbe dato la vita per lui.

 

I vichinghi lasciarono la grande città mercato il giorno successivo. Non aveva più senso restare lì.

La curiosità li spingeva sempre oltre.

I sacchi un tempo pieni di cianfrusaglie ora contenevano oro e pietre preziose, unite a conchiglie splendide e a piume rare e colorate. Quel poco che era rimasto era stato donato a chi aveva concesso ospitalità.

Sigurd si era messo in marcia prendendo a braccetto l’anziano precettore, che in effetti continuava ad avere un’aria alquanto esangue.

Alfred aveva detto che quell’impero immenso era anche colmo di malattie ignote ai settentrionali; possibile che il vecchio ne avesse contratta una, e adesso stesse poco bene? Il giovane non poteva saperlo.

Prima di abbandonare Tlatelolco, promise che presto sarebbe tornato.

 

L’intrico della foresta avvolse nuovamente gli stranieri, eppure Alfred scelse di percorrere strade battute e di pietra, ove gli alberi non erano malvagi e tentatori. Il percorso era pulito e si poteva avanzare spediti.

Anzi, più si avanzava e più il principe si accorgeva che il paesaggio stava cambiando; si rendeva lagunare, e le piante perdevano altezza. Era una sorta di involuzione di quel mondo vastissimo. E più si proseguiva, più si incontravano nativi molto agitati.

I bianchi, gli estranei di quel mondo che si professavano divinità, erano sempre più vicini.

Una sera, il precettore malaticcio ebbe la forza per attaccare Alfred.

“Non ti porterà fortuna, questo voler inseguire la profezia di questi popoli. Se per loro questa gente venuta dal mare e differente da noi rappresenta divinità perdute, tanto vale che le seguano loro”, affermò con sicurezza. Ma il comandante era un uomo coriaceo e deciso, mai sarebbe tornato sui suoi passi.

“Questa marmaglia è giunta dove nessun altro, a parte me, è riuscito ad arrivare. Voglio prima vedere di persona questi individui”, aveva infatti ribadito. Il Maestro allora aveva scosso il capo, sconsolato.

“Io credo che non siano affari nostri”, aveva proseguito, “e per il ragazzo ormai sta per scadere il tempo che il padre ti ha concesso. Quello che rimane è giusto il necessario per riprendere il viaggio verso Nord, senza perdersi in inutili e insensate ricerche”.

Alfred aveva riso, con il suo solito modo di fare sprezzante.

“Vecchio, credi che me ne importi del nostro sovrano? Io sono libero di fare quel che voglio. Dovrà aspettare il suo pargolo…”.

Il Maestro aveva osservato l’allievo, nella speranza che intervenisse e provasse a dire la sua. Il principe però non disse nulla, in fondo non gli importava; ormai amante di quella terra calda, si chiedeva continuamente se quella che aveva condotto a Vinland era stata veramente una vita.

Tornare sotto la protezione paterna poteva solo significare che avrebbe dovuto affrontare di nuovo quella sorta di prigionia tra quelle grezze e rozze mura di pietra, continuamente sferzate dal vento gelido… no, non voleva tornare. Se doveva continuare a viaggiare, tanto valeva che lo facesse in quelle terre ospitali, dove tutto era una scoperta.

E se doveva morire, che Alfred lo gettasse pure nelle acque tiepide che li circondavano ormai da ogni parte…

 

Videro infine una colonna umana fiammeggiante di colore e rumorosa come una tormenta di neve.

Si muovevano uniti e il rumore che provocavano sovrastava quello della natura… era una sorta di seconda Tlatelolco, solo che questa era gente in marcia, non a far spesa.

Adesso la foresta non circondava più i vichinghi; essi, come coloro che stavano venendo loro incontro e seguivano il medesimo tracciato, solo che provenivano dal senso opposto, erano circondati dal terreno paludoso che circondava la capitale, Messico.

Quel girovagare aveva portato Alfred a farsi temerario, così si piazzò in testa ai suoi uomini quando notò che quello doveva essere il mitico corteo che riaccompagnava gli dei alla loro casa, come narravano i nativi.

Incrociò le braccia al petto nudo e ricoperto di peli brizzolati, distaccandosi di qualche passo dai compagni.

Ad avere il coraggio di seguirlo ci fu solo Bjorn, sempre però standogli alle spalle.

Sigurd osservò l’avanzata trionfante del corteo fintanto che ai suoi occhi non fu possibile distinguere una figura che spiccava su tutte; quella del dio. La divinità principale era avvolta in soffici piume e in abiti lussuosi, ed era adagiata su una grande portantina ornata di oro luccicante e di altre pietre preziose per i nativi.

Quando fu chiaro che i vichinghi stavano aspettando proprio lui, quell’individuo alzò una sola mano e all’unisono il corteo si bloccò.

Il principe lasciò che il debole precettore gli si avvinghiasse a un braccio, con Thor che tornava ad agitarsi sulla sua spalla destra. Era totalmente concentrato su quello che stava per accadere… anche perché sembrava che l’essere divino fosse proprio umano. Completamente umano.

Il corteo, quel suo seguito immenso, era composto da individui dalla pelle pallida come lui, circondati da tantissimi nativi che li veneravano e li seguivano con una docilità disarmante.

Apparve chiaro fin da subito che l’uomo sulla portantina, oltre a essere il capo degli stranieri e il dio principale, non aveva alcun tratto somatico tipico degli uomini di Vinland. La sua pelle era abbronzata, ma di più rispetto a quella arrossata dei vichinghi. I capelli erano castani, come la barba. Aveva un atteggiamento austero, da vero essere disceso direttamente dal cielo.

Alfred ebbe il coraggio di muoversi verso di lui, ignorando del tutto il resto del seguito. La reazione fu immediata; furono sguainate spade da parte degli stranieri, e armi rudimentali dai nativi. Tuttavia, la divinità fece cenno di abbassare ogni arma dedita all’offesa, poi, con una calma surreale, scese lentamente dalla portantina e si mosse verso il maturo vichingo.

Gli allungò una mano.

Con gli occhi parve penetrargli la carne; stava studiando Alfred, e pareva un po’ sorpreso di essersi trovato di fronte a una persona con la sua stessa carnagione. Infine, il suo sguardo austero e serio si posò sul suo seguito, concentrandosi sul principe e su Thor, che come al solito era pigramente appoggiato sulla spalla destra del giovane padrone.

Sigurd rimase esterrefatto da ciò che quello sguardo gli trasmise… percepì immediatamente un losco sentimento di odio. Quella creatura era qualcosa di devastante. Di pericoloso.

Non fece in tempo a pensare ad altro, poiché Alfred sputò con ira contro il palmo teso dello straniero, facendo scoppiare il finimondo.

“Guerrieri di Vinland, fate vedere a un dio quanto siete forti!”, gridò poco dopo, con tutto il corteo della creatura che insorgeva urlando e mulinando armi.

 

Finì tutto in pochi istanti. La mossa del comandante era stata folle e senza senso.

Soverchiati dai primitivi nativi, le forze di Alfred avevano cominciato in fretta ad arretrare e a venire massacrate, senza contare che non erano armate a dovere.

Mezzi nudi, i vichinghi estrassero spade e pugnali e combatterono con valore, ma quando i bianchi a seguito dell’invasore cominciarono a produrre esplosioni letali, con uno strano odore di polvere e di sangue che si mescolavano nell’aria, il panico ebbe il sopravvento.

Molti dei più valorosi abbandonarono la spada e si arresero, così la breve battaglia ebbe fine.

Sigurd, pietrificato, si era ritrovato a essere il ragazzino di qualche mese prima, solo e spaurito. Le catene che il mostro gli aveva inflitto erano state pesanti.

Così, i vichinghi giunsero a Messico da prigionieri, invece di tornare a casa carichi di orgoglio e di bottino.

 

“Io credevo… pensavo di far bene, Dio era con noi! Quelle merde di nativi si piegano come niente… erano quei cazzo di cosi che hanno quei mostri, a far paura…!”.

Alfred, confuso, per un paio di giorni si lamentò così e senza sosta. Com’era potuto accadere? In vita sua non aveva mai sbagliato praticamente nulla. Lui, l’eroe di Vinland che si era avventurato più volte oltre i confini dell’immaginazione del suo stesso popolo.

Adesso, a causa di quella marmaglia, era schiavo, e con lui tutti i suoi uomini.

Sigurd era stato il più fortunato, ma solo durante i primi giorni; come al solito, Thor aveva riscontrato apprezzamento presso gli occhi del capo straniero. Non era facile che tra un uomo e un animale ci fosse un rapporto così simbiotico. Tuttavia, questo non era bastato al giovane per non finire nelle prigioni improvvisate realizzate a Messico.

Là in catene ci giungevano nobili locali e tutte le figure che avevano tentato di mettere fine alla pantomima del ritorno di una divinità perduta.

Bjorn, l’unico in grado di comunicare con i civili del posto, era stato anche l’unico ad aver superato il trauma iniziale e a essersi messo in azione immediatamente. Grazie alla sua parlantina, era riuscito presto a ottenere informazioni importanti dagli altri prigionieri; tutti quanti riferivano che questi stranieri non erano popoli settentrionali, né meridionali, bensì semplicemente esseri che non erano mai stati avvistati né conosciuti in precedenza.

Insomma, erano davvero una sorpresa per tutti, come lo erano le loro armi che sparavano pallottole producendo un gran baccano.

Bjorn poi riferiva, ma il suo stesso amante era nervoso e non voleva ascoltare nulla.

“Porca puttana”, inveiva, “che si fottano, quel branco di porci! Io darò fuoco a quei cazzi striminziti che hanno tra le gambe, appena riesco a liberarmi…”. Non voleva rendersi conto che iniziare a conoscere il nemico poteva essere l’unico modo per sconfiggerlo.

Questo Sigurd lo sapeva, avendolo letto nelle antiche saghe. Le rune, nei loro parziali misteri, erano state le porte sulle quali si era affacciato il suo giovanile bisogno di apprendere.

Il ragazzo era tornato a stare sempre appresso al vecchio precettore, ancora debole, e non abbandonava mai il suo capezzale. Le catene ai polsi non gli impedivano di curarsi di lui.

“Usciremo mai da qui?”, domandò al vecchio, mentre il tempo scorreva, inesorabile.

“Siamo in catene, mio principe. Quando mai un uomo in catene riesce a fare qualcosa di concreto? Oh, ahimè anche tuo padre ormai si renderà conto che qualcosa non è andato per il verso giusto…”.

Sigurd sapeva che il vecchio avrebbe immaginato che fosse morto. Nessun uomo di Vinland sarebbe mai giunto fin laggiù per cercarlo. L’Assemblea alla fine aveva vinto… presto avrebbe avuto il potere più assoluto sulla città tra i ghiacci.

Tutti questi pensieri, uniti al fatto che la prigionia era stancante e demotivante, resero nervoso anche il giovane. Il cibo era scarso e le guardie straniere erano aggressive.

Avevano portato via ai vichinghi tutte le armi e tutto l’oro e gli oggetti che avevano con loro, e li trattavano con sputi e urla. Il ragazzo li odiava.

Ben presto, divenne impossibile anche nutrire Thor; non veniva portato quasi più nulla, e il principe ingurgitava tutto quello che gli capitava a tiro… solo allora comprese. Una sera, quando tutto era molto calmo, allungò il capo verso Alfred, che era sdraiato poco distante.

“Comandante, quanto dista da qui la prima colonia dei Fratelli?”, chiese, sussurrando. L’uomo, che aveva udito bene, si volse a sua volta verso di lui.

“Non molto, in realtà. Comunque, nessuno di noi può fare qualcosa”.

“Se trovassimo un modo per avvisarli, indicando brevemente il modo per raggiungerci ed evidenziando il nostro pericolo, essi potrebbero essere ben disposti verso di noi?”, tornò a insistere il ragazzo.

A quel punto, anche gli altri vichinghi origliavano quell’interessante discorso. Alfred però rise sommessamente.

“E’ vero che tra i Fratelli sono molto stimato per via della mia intraprendenza”, spiegò, “tuttavia, questo potrebbe non bastare. Sono individui molto pratici… dei veri bastardi. Senza poter ottenere qualcosa in cambio, non si muoveranno mai”.

“Potranno imparare nuove rotte meridionali e fare fortuna!”.

“Ragazzo, non possiamo contattarli… lascia perdere e risparmia le energie”, lo ammonì il comandante.

“Invece sì”, tornò però a insistere il principe, deciso più che mai, “abbiamo Thor…”. Alcuni risero.

“Un piccione magro non coprirà mai così tanta distanza. E non si stacca mai da te”, gli fece allora notare Alfred.

“Io invece credo che sia la nostra unica speranza, a questo punto”, intervenne debolmente il precettore.

“Thor può compiere anche lunghissime distanze, se motivato a dovere”, tornò alla carica il principe. Tuttavia, ormai era riuscito a suscitare l’ilarità di chi era riuscito ad ascoltarlo.

“Un cazzo di piccione non capisce… un cazzo, per l’appunto”, ringhiò Alfred, passando dalla risata alla rabbia che l’aveva caratterizzato in quegli ultimi giorni umilianti, “non so cosa hai in mente ragazzino, ma qui non siamo nel tuo mondo fatto di merdose favole per bambini. Hai capito bene? Non rompermi più i coglioni con merdate di questo genere”.

Sigurd incassò, in silenzio, ma non si demotivò.

Durante la notte pose le sue labbra vicino all’orecchio del precettore, e riprese a spiegare il discorso che aveva cominciato poco prima. Parve però che lo stesso anziano fosse molto dubbioso, a riguardo di quel piano.

“Thor non sa nutrirsi da solo, e il viaggio è troppo lungo. Senza contare che non potrebbe mai raggiungere una colonia dei Fratelli, poiché se anche riuscisse a ripercorrere il tragitto che lo riporterà alla piccionaia ove è nato, probabilmente non attraverserà e neppure si fermerà presso uno dei piccoli agglomerati vichinghi stanziati lungo le coste”. Un ragionamento che non faceva una piega.

Il principe batté leggermente il pugno nel pavimento in terra battuta… si sentiva distrutto e senza più alcuna via di fuga. Era tutto vero; la sua idea era inutile.

 

I giorni passarono e il cibo scarseggiò ancora di più. I corpi perdevano peso, e le menti lucidità.

Solo allora agli stranieri venne in mente di cominciare a liberare un po’ di posti, nella prigione; prendevano i nativi e li bruciavano vivi dopo averli umiliati, poi presero anche qualche vichingo, per torturarlo e poi lasciarlo morire. Probabilmente cercavano informazioni sugli individui di pelle pallida che avevano trovato tra i Messicani.

Gli unici arditi che li avevano affrontati col ferro tra le mani.

La situazione divenne così stressante da rendere Alfred una vera furia… gridava parolacce e insulti contro tutti, i suoi bellissimi occhi azzurri erano rossi come il fuoco e i capelli e la barba incanutivano in fretta e in modo definitivo. Era un uomo spezzato nel corpo e nello spirito.

Bjorn soffriva almeno quanto il suo amante, e il precettore stava male, manco parlava più. Gli altri dell’equipaggio sembravano fantasmi.

L’unico a non aver perso la ragione sembrava proprio il principe; il futuro sovrano aveva basato tutto sul solo pensiero che poteva salvarlo, a suo avviso, e ciò consisteva nel potere degli antenati. Alfred in fondo aveva ragione, poiché quello non era un mondo da favola.

Comunque, le saghe degli antenati erano state per lui lo spunto per sopravvivere a un’infanzia repressiva, alla non vita che l’aveva reso un verme, pallido a forza di restare nascosto tra le calde pietre di una distesa di ghiaccio. Non erano stati tuttavia proprio quegli stessi antenati, però, a giungere fino a Vinland da terre ormai ignote? Forse direttamente dalla mitica Asgard, seguendo rotte di cui nel tempo si erano perse le tracce, finendo dimenticate.

Fin quando i primi vichinghi erano stati pagani, la fortuna era stata dalla loro parte e il clima era stato clemente. Poi, con il sopraggiungere delle ultime strambe credenze cristiane, che avevano infettato il modo di vivere dei celebri Padri, tutto era cambiato in peggio.

Sigurd continuava ad apprezzare Cristo e il Suo messaggio, ma in quel momento di sofferenza e di indigenza estrema la sua mente lo portava ad aggrapparsi a quelle ultime idee… a quell’ultimo credo. E lui forse non aveva con sé una fantastica creatura, che portava il medesimo nome di un dio? Thor, figlio di un’altra epoca… all’improvviso, il piccione divenne motivo di culto.

Il giovane sacrificava il suo pasto misero per imboccarlo, come un tempo.

“Thor… in te la salvezza…”, sussurrava alla creatura piumata. Doveva essere la mente allucinata e provata del giovane a far rendere così folle la faccenda, eppure sembrava che il piccione capisse. Il dio, un tempo potente, doveva aver lasciato una parte di sé dentro a quell’esserino vulnerabile.

Giunse una notte in cui, sfruttando il chiarore di Luna che riusciva a entrare da una delle feritoie di quel posto squallido, Sigurd riuscì a impossessarsi di una piccola e leggera pietra.

Il giorno dopo la incise con un’altra, utilizzando tutte le forze che gli erano rimaste. Solo un paio di rune, che indicavano il bisogno di aiuto urgente e una rotta da seguire… nient’altro. I Fratelli, qualora fossero riusciti a mettere le mani su di essa, avrebbero capito immediatamente che l’unico in grandi di giungere a quelle latitudini meridionali era il loro amico Alfred, ed era pure in pericolo di vita.

Con la cordicella con cui si era solito assicurare le zampe all’animale per non farlo volare via, il principe creò un nodo con cui assicurò la ridotta pietra alla zampetta destra della creatura stessa. Infine, alzandosi a fatica e muovendosi piano, affinché le catene non facessero troppo rumore, spinse il piccione al di fuori della feritoia di robuste canne.

“Vai via, Thor, vai e dimostra chi sei…”, sussurrò, ma il pennuto provò a fare marcia indietro. Allora tornò a spingerlo via come poteva.

“Domina i fulmini e distruggi chi ci vuole far del male…”.

Thor però non aveva alcuna intenzione di andarsene; era spaventato dal buio e voleva tornare dal padroncino.

“La potenza del vero dio sarà con te. Torna indietro solo quando sarai tronfio di buone novelle per chi ti ha allevato e cresciuto con dedizione…”.

Le catene tolsero ogni altra possibile motivazione al ragazzo, che si lasciò crollare al suolo. All’aperto, il piccione si addormentò proprio dove il suo padrone l’aveva spinto per l’ultima volta.

Il mattino successivo, Thor non c’era più.

 

“Un prodigio. Un vero prodigio!”, esclamava di tanto in tanto il vecchio precettore, giusto per interrompere i lunghi e strazianti silenzi di una prigionia infame.

Gli stranieri andavano e venivano dalla prigione improvvisata e portavano via altri membri della spedizione… il tempo scorreva inesorabile, le catene facevano male e Bjorn blaterava che persino l’imperatore dei nativi fosse stato fatto prigioniero a sua volta. Era la fine.

Infatti Alfred restava sarcastico, e rideva nel suo solito modo scostante e irritante.

“L’uccellaccio sarà già morto da qualche parte”, ironizzava. La sua voce incrinata però lasciava trapelare tutta la sua delusione.

Giunse un giorno in cui nemmeno Sigurd credeva più al prodigio; a uno a uno, lentamente, i compagni di viaggio morivano di stenti o venivano torturati e uccisi, senza pietà alcuna.

Lo scorrere del tempo si fece confuso e i pasti non arrivavano più.

Gli stranieri erano le uniche divinità in quel mondo splendente ormai in rovina.

“Io l’avevo detto”, aveva iniziato a ripetere il vecchio malaticcio, che nonostante la sua brutta cera continuava a sopravvivere, dimostrandosi coriaceo, “inseguire il ritorno delle divinità pagane dei nativi è stato il più grande errore che si potesse fare”.

Nessuno tra i pochi superstiti osava dargli torto. Tanto ormai le loro fila si erano così tanto assottigliate da risultare impotenti, e i loro stessi corpi stavano gettando la spugna.

 

Quando gli tolsero le catene, il principe non realizzò subito che era momentaneamente libero. Lercio nei suoi escrementi, e messo nudo, faticò persino a mettere a fuoco le scure e tozze figure che stavano liberando tutti i prigionieri rimasti.

Bjorn, che appariva lucido, gli apparve davanti e gli allungò una mano.

“Avanti, finalmente possiamo uscire da qui”, disse, e il principe non poté non accettare la stretta ancora salda del nemico.

Una volta in piedi, rimasto solo con il giovane e con Alfred, gli unici sopravvissuti a quell’incubo, tentò di scuotere anche il suo vecchio Maestro. L’uomo tuttavia sembrava più morto che vivo.

“Andiamo, dobbiamo capire cosa cazzo sta succedendo”, esclamò Alfred, spronando gli unici due compagni rimasti a seguirlo verso la via di fuga. Anche gli altri prigionieri indigeni si stavano dando da fare per guadagnare l’aria aperta.

Seppur a malincuore, Sigurd abbandonò il vecchio. Non poteva però perdere quell’occasione di tornare libero, e di capire cosa avesse spinto i nativi a riprendere in mano la situazione.

Infatti, una volta uscito dall’edificio che lo aveva tenuto imprigionato per settimane e settimane, il principe notò subito che la città era piena di giovani indigeni armati e agguerriti. Dei pallidi stranieri neanche l’ombra.

Bjorn, incurante del fatto che fosse praticamente nudo, cominciò immediatamente a fare domande a chi pareva esser disposto a rispondere.

“Tanto non possiamo cavarcela”, intanto spiegava Alfred a Sigurd, “anche se riuscissimo a scappare da questa dannata città, senza equipaggio ed equipaggiamento non ce la faremo mai a riprendere il viaggio verso Nord”.

Poco dopo, Bjorn tornò ad avvicinarsi, raggiante.

“Non ci crederete, ma altri uomini bianchi sono giunti a frotte. Gli indigeni dicono di aver cacciato gli stranieri da Messico, raccogliendo tutte le loro forze per ribellarsi, e con l’arrivo inatteso di questi altri uomini armati di ferro tutto è di nuovo in discussione”, raccontò, “e sapete qual è la notizia più interessante?”.

Di fronte al silenzio dei due compagni, Bjorn sorrise per la prima volta da quando il principe lo conosceva.

“Si tratterebbe di uomini con le pellicce… così ci chiamano questi indigeni. Sono vichinghi…”.

Non ci fu bisogno di dire altro. I tre uomini si guardarono a vicenda e poi si mossero all’unisono verso i grandi templi che svettavano su quella città lagunare, ove la perfidia e l’avidità degli stranieri avevano rischiato di cancellare per sempre tutta quella bellezza spontanea e primitiva.

 

Là, gli uomini sudati e ricoperti di pellicce la facevano da padrone. Ce n’erano molti, ma tra i tanti spiccava la figura colossale del Fratello amico di Alfred.

Il comandante, magro e incurante anch’egli del suo corpo smagrito e seminudo, gli andò incontro barcollando. L’altro lo riconobbe immediatamente, e ne scaturì un lungo e fraterno abbraccio.

“Alfred, mio vecchio amico! Hai visto? Eri nei guai, e noi siamo venuti subito a riprenderti”, affermò il colosso, poi parve perdere euforia e osservò il comandante.

“Per carità, ma cosa ti hanno fatto?”, aggiunse.

Alfred scosse il capo con forza, i capelli lerci si mossero da tutte le parti.

“Ci hanno tenuti prigionieri, Fratello! Me ne hanno fatte di ogni… mi hanno portato via il bottino, i miei guadagni, la mia ciurma… i miei uomini, li hanno torturati e uccisi, altri lasciati a morire di fame…”. Il comandante parve in procinto di scoppiare a piangere, e Bjorn fu subito a suo fianco.

“Quelle facce pallide, vero? Sono stati loro?”, ringhiò il rabbioso Fratello, sempre più scuro in volto. Nel frattempo, i vichinghi più vicini osservavano e ascoltavano, dandosi di gomito ogni tanto.

“Sono stranieri che si fanno trattare come dei”, cominciò a spasimare Alfred, “sono peggio del diavolo in persona…!”.

“Li abbiamo già affrontati. Hanno armi che non conosciamo, ma sono inferiori per forza e per numero, soprattutto ora che gli indigeni sono contro di loro e combattono assieme a noi”.

“Io… io come farò a tornare a Vinland, umiliato e sconfitto…”, proseguì Alfred, coprendosi il viso con le mani, apparentemente incurante delle importanti parole del provvidenziale amico.

“Siamo qui per riportarti verso Nord e toglierti dai guai, non temere. E quando avremo distrutto queste merde straniere, ti potrai riprendere tutto ciò che ti hanno portato via”, lo rassicurò il gigante.

A interrompere quella scena in cui i due uomini di maggior spicco erano al centro dell’attenzione collettiva fu il volo di un uccello… di un piccione, per l’appunto, che andò subito a posarsi sulla spalla destra di Sigurd, rimasto finora in disparte e ai margini della scena.

“Il principe…”, cominciarono a risuonare voci tra i vichinghi, vedendolo ancora vivo. Anche il colosso lo notò, e si staccò da Alfred per andare a dargli una pacca sulla schiena, che fece volare via il buon pennuto.

“Per la prima volta sono felice di rivedere un elemento della nostra casata reale”, disse il Fratello, sorridendo a sorpresa, “tra l’altro questo piccione è venuto da me, personalmente. Ha fatto tutto lui. È lui che ci ha portato fin qui…”.

Nel silenzio generale, il gigante osservava il ragazzo con i suoi occhi grandi e lucidi. Era davvero emozionato. Sigurd, che da quel soggetto si era atteso solo odio e battutacce, si trovava invece a doversi ricredere sul suo conto.

“Thor”, mormorò infine il principe, come a chiudere quel discorso rimasto incompleto. Mancava infatti quell’ultima parola… quell’ultimo nome.

Un nome che, come per magia, fu ripetuto ad alta voce da tutti i guerrieri di Vinland presenti, quasi fosse una preghiera, un’invocazione profonda.

 

Giunse così la resa dei conti, con i vichinghi che a voce alta gridavano Thor, il nome del pennuto che li aveva condotti in una terra calda e accogliente. Lì gli indigeni non solo non erano agguerriti, ma richiedevano anche un intervento militare e stavano dalla loro stessa parte.

La ricchezza delle abitazioni era ben lungi dalla povertà delle tende dei nativi più settentrionali, nomadi e abituati al ritmo dei lunghi e rigidi inverni.

I Messicani erano infatti riusciti a spingere fuori dalla capitale gli stranieri, ribellandosi all’unisono, ma senza l’arrivo degli uomini ricoperti di pellicce non avrebbero mai potuto farcela a fermarli per qualche giorno.

Il Fratello colossale era riuscito a portare con sé guerrieri amici provenienti da tutte le colonie meridionali, e anche se si trattava in realtà di qualche centinaio di persone, era pur sempre una cifra che poteva fare la differenza. Ciò dimostrava anche un’ipotetica unità tra i Fratelli.

Ora, infine, i due schieramenti rivali erano l’uno al cospetto dell’altro.

Gli stranieri avevano perso gran parte degli alleati indigeni, che si erano ammassati tutti attorno ai vichinghi, armati fino ai denti; questi ultimi, però, sapevano bene che gli avversari erano molto pericolosi.

Anche se provati, quelli che si definivano Spagnoli imbracciavano i loro rumorosi strumenti di morte, e alcuni di essi montavano sulla groppa di creature mai viste prima. Erano in inferiorità numerica netta, tuttavia il loro capo pareva ancora di pietra, oltre che sicuro di sé. Aveva abbandonato la portantina, e anche se era armato e vestiva una sorta di luccicante abito di ferro ancora indossava qualche piuma incastonata nel suo lucente copricapo.

Lo scontro iniziò all’improvviso, con la sola consapevolezza che ambo gli schieramenti avevano tanto da perdere. Chi avrebbe vinto avrebbe anche avuto il Messico intero ai suoi piedi. Un Paradiso pieno di ricchezze.

I Fratelli erano avidi e bramosi, gli Spagnoli forse anche di più.

Al primo impatto tra le truppe, i vichinghi si dimostrarono più coraggiosi; però, quando cominciarono a risuonare gli echi prodotti dalle armi inconcepibili degli stranieri, molti nativi cominciarono a perdere coraggio.

Le creature che portavano in groppa alcuni di quelli che volevano farsi credere divinità erano aggressive e scalciavano, oltre a emettere versi rauchi e fastidiosi.

I Fratelli non lasciarono che le armi sconosciute li soverchiassero; alcuni stramazzarono al suolo, ma tanti altri piantarono le loro spade nelle gole nemiche. Non era semplice affrontare quegli ammassi di ferro, tuttavia con le armi erano più abili e più freschi i vichinghi.

Sigurd, che aveva a sua volta preso parte allo scontro, aveva inizialmente scelto di restare nelle retrovie. Oltre a non essere preparato per una battaglia così rischiosa e impegnativa, era ancora molto debole a seguito della lunga prigionia.

Quando notò che le cose non stavano andando per il verso giusto, circa a metà giornata, non ebbe il coraggio di continuare a tentennare oltre. I vichinghi erano stanchi e le loro pellicce insanguinate dalla loro stessa linfa vitale. Molti erano morti, stesi a terra e già freddi; molti altri erano feriti o morenti.

Le truppe dei Fratelli erano dimezzate, al cospetto di armi più evolute e di attrezzature ignote.

Il principe, schiumante di rabbia e deciso a non tornare a cadere nelle grinfie del nemico senza prima aver provato almeno a ferirlo, superò i compagni che lo precedevano e si lanciò con la spada in pugno proprio verso il comandante nemico.

Il dio era ancora comodamente adagiato sul dorso della sua bestia, e appariva imperturbabile. Non aveva ancora combattuto, e nonostante si trovasse tra le prime linee non aveva ancora sporcato di sangue i suoi ferri. Lasciava che le armi invincibili facessero tutto da sole.

Il ragazzo mise a frutto tutte le ultime energie che gli restavano, al fine di riuscire a raggiungerlo… con un paio di balzi gli fu nelle vicinanze… si fece tutto confuso attorno a lui.

Sapeva di correre incontro alle armi micidiali, che di lui avrebbero fatto un facile bersaglio, tuttavia era ben conscio che se i Fratelli fossero stati sconfitti sarebbe morto comunque.

“Mai più prigioniero!”, gridò, sovrastando il clangore della forsennata battaglia. “Mai più”, ripeté con minor forze, prima di mulinare la sua spada e di scagliarla verso la figura vicina dello straniero più importante.

Avvertì poi un forte rumore e altro odore di fumo, infine qualcosa lo travolse e gli fece perdere i sensi.

 

Il Walhalla.

Quello era il Paradiso degli antenati.

Sigurd era tornato a essere un guerriero possente, anzi, il più muscoloso di tutti. Non si era mai sentito così potente in vita sua. Peccato che le pellicce che lo ricoprivano erano sporche di sangue.

Si guardò le mani, e anche esse erano luride di liquido vermiglio…

“Il tuo sangue è versato, principe. Ora sei morto”.

Una voce d’oltretomba, profondissima, squarciò il misterioso vuoto che avvolgeva il robusto e giovane guerriero.

“Chi sei? Mostrati a me”, ordinò Sigurd, senza ombra di paura. In quel momento si sentiva invincibile e bramoso di vita… perché gli stavano dicendo che era morto?

“Io sono il dio che tu tante volte hai nominato, umile principe mortale”, rispose la voce.

“Tu sei Thor”, riconobbe allora il ragazzo, la voce finalmente tremolante.

“Lo sono”.

“Thor è morto! Non io”, lo irrise allora il principe, di nuovo colmo di un’euforia che non aveva nulla a che vedere con la drammatica e inspiegabile situazione che stava affrontando, “è da quando sono nato che me lo dicono. Ho chiamato Thor il mio piccione ed egli ha portato i Fratelli fin da noi, ma questo non è bastato! E non è bastato perché Thor è morto, altrimenti ci avrebbe aiutato a vincere”.

La voce rise forte, diventando il rombo di un tuono.

Il ragazzo fu costretto a tapparsi le orecchie, mentre attorno a lui sembrava che ci fosse un finimondo di fulmini e di scie luminose.

“Io sono vivo e vegeto; siete stati voi che mi avete sepolto vivo”, spiegò infine la voce rabbiosa.

“Io ti adoro, ti ho sempre adorato”, affermò il giovane, serio.

“E per te ho incastonato una parte di me in un volgare ma intelligente pennuto. E questo non è bastato, perché tu effettivamente sei morto, misero mortale”, irrise la divinità, con scherno.

Sigurd ebbe l’istinto di cercare la spada con le sue grandi mani, ma alla fine lasciò perdere.

“In te ho riposto fiducia, dio dei miei stivali. Non mi hai mai dato sostegno quando gridavo Thor in faccia a chi mi voleva far pregare un altro Dio”.

“Ebbene, ora è giunto il momento per ricompensare la tua fede incrollabile, se lo vorrai”, breve pausa a effetto, “a te la scelta, infatti…”.

“Scelta?”.

“In ginocchio, umile mortale! In ginocchio al mio cospetto!”, ordinò all’improvviso la voce, ma il principe non fece una piega.

A smuoverlo fu solo una forza superiore, che lo compresse fino a obbligarlo a inginocchiarsi.

“Io di te posso fare quello che voglio, hai visto? Impara la lezione. Io potrei tenerti qui con me, assieme agli altri guerrieri più validi che hanno avuto fiducia e creduto nelle divinità antiche con fermezza e onestà. Ma cosa me ne farei di te, qui e ora? Ora, che puoi essere il mio strumento più grande? Colui che mi farà rinascere dalla tomba del tempo, ove sono stato sepolto”.

“Io…”. Sigurd, inginocchiato, tentennò. “Io voglio tornare alla vita”, disse infine, “voglio riprendere possesso del mio corpo, e voglio narrare le gesta degli antenati. Voglio onorare gli dei e combattere nel loro nome”.

Era solo la verità. Le divinità del passato avevano reso grande il suo popolo e gli avevano permesso di compiere viaggi lunghissimi per mare, che ormai a Vinland solo Alfred sapeva compiere con maestria. Era tempo di tornare a elogiare le antiche saghe, e non quei testi freschi che i preti leggevano nelle chiese. Essi erano pane solo per i denti degli anziani, che tenevano così a bada le loro famiglie e impedivano le avventure che avrebbero potuto rinnovare l’apogeo vichingo.

Il dio parve compiaciuto, infatti la sua voce divenne improvvisamente morbida e leggiadra.

“Vedo purezza nel tuo cuore, principe”, affermò, “per questo tu tornerai indietro. Tornerai ed io ti renderò ciò che di più grande esiste su queste misere terre emerse… e non solo. Il tuo comandante ti ha reso uomo e ti ha promesso che non saresti mai diventato re, e aveva ragione; tu sarai molto di più…”.

Restò un attimo in silenzio, poi quell’atmosfera surreale iniziò a scomparire.

In un attimo, il Walhalla o qualunque cosa fosse iniziò a tremare e a sparire, come risucchiato in un mulinello di acqua torpida… che strappava tutto, ogni cosa; persino lo splendido corpo di Sigurd non ne rimase immune.

Ancora inginocchiato, iniziò a sua volta ad essere dilaniato e deturpato. Il principe gridò di orrore, e per un’ultima volta la voce riecheggiò chiaramente nella sua mente.

“Ricorda di sacrificare a me chiunque si sia opposto al mio ritorno. Donami le anime di chi ti ha rimproverato per aver sempre creduto nell’antico credo. Impiccali agli alberi, strappa loro l’anima così come io ti sto strappando da questo paradiso proibito…”.

 

Il principe tornò in sé. Era disteso ove era caduto, sulla nuda terra. Non appena riuscì a focalizzare con gli occhi, riconobbe subito Alfred che lo sovrastava.

“Principe”, disse l’uomo, con apprensione. Notando che aveva aperto gli occhi e si muoveva, si chinò a suo fianco.

“Abbiamo temuto che fossi morto…”.

“Sono vivo e sto bene, invece”, lo rassicurò il ragazzo, per poi mettersi a sedere. Era in forma e non aveva nulla di dolorante.

Si guardò attorno e vide che c’era aria di baldoria; i Fratelli esultavano ovunque.

“Abbiamo vinto, principe”, gli gridò Bjorn da poco distante, notando che stava bene.

Vinto? Sigurd era certo della fine. Possibile che gli stranieri dalle armi invincibili fossero invece stati sconfitti? Cosa si era perso mentre era giaciuto a terra, svenuto?

La consapevolezza che quello fosse stato un segnale di Thor prese possesso subito della sua mente, ancora intorpidita dall’esperienza strana e sovrannaturale affrontata da poco. Si volse con foga su un fianco, ma finì per colpire un piccolo corpicino… un ridotto ammasso di piume.

Con ansia, abbassò lo sguardo e notò il suo Thor. Era morto stecchito, gli occhi ancora aperti.

Il giovane alzò lo sguardo verso Alfred e socchiuse le labbra, in una smorfia di sincero sbigottimento, ma il più anziano allargò le braccia.

“Quando la bestia ha calciato, il piccione si è messo tra la zampa e te. Ha fatto in modo che lo zoccolo duro non dilaniasse le tue carni”, spiegò.

L’amarezza restò a vegliare nel cuore del ragazzo, che ancora sconvolto dagli ultimi avvenimenti si limitò a seguire ciò che il suo cuore gli consigliava di fare. Raccolse infatti il corpicino tra le mani, accarezzandone le piume, e non andò a festeggiare con i vincitori.

Scavò una buca con le mani, ai piedi di uno dei tanti alberi altissimi che vegliavano su quell’angolo di mondo.

Lasciò che le unghie si rompessero a causa dello sforzo.

Infine, seppellì il più fedele amico che aveva avuto. Non c’era tempo per le lacrime o per futili sentimentalismi, tanto ormai aveva compreso che tutto quello che era accaduto dopo il colpo mortale che aveva ricevuto altro non era stato che un disegno divino.

Thor il piccione era morto, ma il dio si era liberato di quel corpo insulso ed era tornato a vegliare su tutti i suoi figli.

Colmo di perentoria decisione, il principe completò la sepoltura e tornò presso i suoi.

 

Sigurd non degnò di un solo sguardo gli Spagnoli morti. I loro cadaveri erano stati deturpati e razziati dagli avidi Fratelli, decisi a far bottino.

La realtà era cambiata dopo la sua resurrezione, e si sentiva il Cristo di Thor, e non un figlio di un qualche altro Dio. Per quello gli umiliati e gli sconfitti stavano bene così, ridotti in quello stato disumano.

Con un tono di voce risoluto richiamò tutti i vichinghi attorno a sé, per poi farli marciare verso il centro di Messico. Quello era il vero corteo che rappresentava il ritorno di un dio, e anche i Messicani avvertirono tutto ciò; si unirono all’unica vera marcia, l’unica che avrebbe sancito un mondo più vasto e più libero, protetto da una divinità che amava i suoi figli.

Giunti tra gli alti templi pagani, senza che nessuno potesse fermarlo, il principe scalò la piramide più alta senza alcuna fretta. Giunto lassù, gli pareva di sfiorare il cielo.

Immerso in un silenzio tombale, alla fine si accorse che alcuni tra i Fratelli più temerari, assieme a qualche indigeno, stavano seguendo le sue orme.

Li attese in cima, con le braccia allargate.

Giunse per primo un nativo di mezza età, seguito da Bjorn, il traduttore del gruppo. L’uomo cominciò a parlottare frettolosamente, con Sigurd che lo osservava senza capire e l’altro giovane vichingo che ascoltava con attenzione.

“Vogliono concederti tutto il potere”, tradusse Bjorn alla fine del discorso, riassumendo, “la dinastia del loro ultimo imperatore è stata sterminata dalla furia degli stranieri. Però hanno capito che la divinità che attendevano, che li avrebbe salvati dalla fine del mondo, sei proprio tu. Ti concederanno quindi al più presto possibile… il titolo che ti aspetta”.

Le ultime parole erano state mormorate con una delusione e una rassegnazione tale da ferire il principe, che osservò Bjorn. Quanto si poteva fidare di lui? Dubitava che avesse mentito nel tradurre, però si stava appunto dimostrando geloso e invidioso per la piega assunta dagli eventi.

Sigurd non ci pensò oltre e fece un leggero inchino al cospetto dell’indigeno, che gradì il gesto gentile.

Giunse poi anche il colosso, assieme ad Alfred, e per ultimo un vichingo che trascinava un prigioniero in catene. Riconobbe immediatamente lo Spagnolo capo, quello che voleva farsi riconoscere come un dio.

Il giovane sorrise, e con un gesto perentorio indicò la pietra ove i nativi compivano i loro brutali sacrifici.

Un’infinità di occhi osservavano la scena, tutti fissi sul principe che faceva legare il dio, dopo averlo spogliato e aver gettato i suoi preziosi abiti ai presenti più vicini a lui.

Sigurd provava una marea di sentimenti contrastanti, dentro di lui… da una parte la sua razionalità gli diceva di non eccedere, dall’altra la sua follia fanatica insisteva affinché si vendicasse di quella lunga prigionia che l’aveva piegato e umiliato.

Così piantò la propria spada nel mezzo del petto dell’uomo; fece leva con tutta la forza che aveva, mentre il conquistatore straniero emetteva le ultime grida disperate… poi strappò il cuore, ancora palpitante, e lo elevò al cielo.

Tra i nativi si propagò un grido di giubilo. I vichinghi ancora lo osservavano, interdetti. Solo una voce tremolante e da anziano si elevò contrò di lui.

“Ti maledico, ragazzino, per quello che hai fatto! Ti ho educato ai valori della cristianità, e ora ti concedi alla perversione del sangue, proprio come i pagani…”.

Il precettore, barcollante, era lì tra la folla e urlava maledizioni senza sosta. Naturalmente rivolte contro il suo pupillo, che ferito nell’orgoglio ricordò le parole di Thor… ricorda di sacrificare chiunque si opponga al mio ritorno.

Il Maestro sembrava intenzionato a rimproverarlo, e magari prenderlo per un orecchio come faceva quando era bambino. Aveva cominciato a scalare la piramide, imperterrito.

“Portalo da me”, ordinò il giovane al Fratello che aveva condotto fin lì lo Spagnolo, il cui corpo dilaniato ancora troneggiava su Messico.

Il guerriero prese il vecchio a braccetto e lo condusse alla sommità in fretta.

Schiumante di rabbia, egli provò ad avventarsi contro il giovane allievo, ma il ragazzo lo afferrò con forza al collo e lo spinse verso l’ingresso del piccolo ambiente dedicato ai sacerdoti e alla preparazione dei riti. Lì, un paio di corde intessute dai nativi penzolavano giù, come una sorta di ornamenti votivi.

Senza più forze, il vecchio scivolò a terra, ma il più giovane aveva già una corda tra le mani e gliela passò attorno al collo, compiendo uno di quei micidiali nodi che aveva fatto migliaia di volte durante i lunghi mesi di navigazione verso Sud.

Compiuto il nodo, si limitò a stringere.

Col cappio al collo, l’anziano cominciò a dimenarsi follemente. Parve che qualcuno tra i presenti sulla sommità della piramide volesse intervenire, ma un eloquente sguardo di ghiaccio del principe rimise tutti al proprio posto.

Quando l’anziano fu morto, Sigurd si mostrò alla folla tornando ad allargare le braccia, per poi alzarle fino al cielo.

“Thor mi ha salvato da morte certa”, urlò, “Thor ci ha portato alla vittoria totale e inaspettata. Ora ricompensiamo lui, e torniamo ad abbracciare la fede pagana dei nostri antenati! O popolo intero, miei guerrieri valorosi, gridate in coro, affinché egli possa sentirci e compiacersi! Thor! Thor! Thor!”.

I Fratelli risposero prontamente all’inneggio. Erano stati rifiutati dai chierici di Vinland e costretti all’esilio… seguire le orme degli antenati forse avrebbe offerto maggiori fortune. Allo stesso tempo, anche se non avevano capito niente, pure i nativi si lasciarono andare a grida festose.

Erano felici che il loro dio fosse tornato, forte e potente come mai prima di quel momento.

Gli unici impassibili erano Bjorn e Alfred, che si scambiavano qualche sguardo per nulla soddisfatto, e questo non sfuggì al vincente principe. Ma cosa gliene importava, in fondo? Erano solo due uomini, soli in mezzo a una massa euforica.

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Capitolo 3
*** Epilogo - L'imperatore dei Due Mondi ***


epilogo mystery

EPILOGO

 

 

 

 

 

 

 

 

Vennero i giorni di gloria, per i guerrieri vichinghi. I Fratelli erano ricchi, e il principe che li aveva condotti alla vittoria era venerato come un dio, dopo aver ripristinato anche il culto degli antenati.

Il colossale Fratello, amico di Alfred, gli aveva giurato fedeltà; a sua volta era rimasto abbagliato da cotanta potenza.

Sigurd si sentiva ebbro di effluvi divini… si sentiva posseduto da una divinità che l’avrebbe portato alla vittoria. Aveva preso possesso del palazzo dell’imperatore dei nativi, per poi convocare subito Alfred.

“Hai visto? Mi avevi promesso che non sarei mai diventato un re. Infatti sono diventato un imperatore”, gli disse.

L’uomo si era limitato ad abbassare lo sguardo e a fare una smorfia truce… così il principe era tornato a dubitare di lui. Ora più che mai, però, doveva tenerselo stretto. Poteva ancora influenzare il parere dei Fratelli.

 

Il principe trascorse la sua prima notte da imperatore ascoltando i rumori del palazzo in cui alloggiava.

Aveva voluto che Alfred e Bjorn soggiornassero lì anche loro, assieme ai Fratelli più importanti, seguendo la tradizione dei nativi. I nobili dovevano sempre stare vicino alla loro guida. E l’indomani ci sarebbe stato il riconoscimento ufficiale da parte dei sacerdoti Messicani, mentre i Fratelli gli avevano già giurato fedeltà.

Li aveva letteralmente conquistati… proprio loro, che sarebbero dovuti essere i suoi nemici più affiatati.

Incapace di dormire, il ragazzo abbandonò il suo sontuoso alloggio e si mise in movimento verso quello di Alfred, nella speranza che l’uomo fosse ancora sveglio. Voleva parlargli.

Le stanze non avevano porte, poiché gli indigeni non conoscevano tale usanza, quindi quando si trovò al cospetto di quella del comandante poté udire subito i gemiti prodotti da un amplesso. Avrebbe dovuto immaginare che i due non avrebbero perso tempo… allora si chinò nel buio e si mise a fissare le due figure, che si davano da fare al chiaro di luna.

Bjorn, passivo, lasciava che il più anziano lo dominasse. Ogni tanto quest’ultimo si chinava a dargli qualche rumoroso e languido bacio, ma raramente.

Andarono avanti per un po’, poi smisero, poi ripresero daccapo. Il giovane spione non si perse una scena, per quel che riusciva a vedere. Odiava Bjorn… gli augurava ogni sorta di male. Perché quel giovane era più in gamba di lui… se solo avesse avuto Thor dalla sua parte, avrebbe fatto faville.

Sigurd ormai si sentiva secondo solo al suo cospetto. Nel suo cuore era avvenuta una maturazione incredibile, grazie al supporto della divinità, ma desiderava tanto essere al posto dell’altro giovane.

Dopo diverso tempo, i due interruppero i loro amplessi e rimasero abbracciati a lungo, chiacchierando. Il principe non riuscì a udire nulla.

Infine, tra i due parve scoppiare all’improvviso un alterco; Bjorn sovrastò la figura più possente di Alfred e mormorò qualcosa di davvero rabbioso e sprezzante. La reazione fu un pronto manrovescio da parte del comandante.

Allora, il più giovane scappò via singhiozzando.

Sigurd rimase a bocca aperta, mentre osservava la rapida degenerazione della situazione.

Alfred poi tentò di inseguire l’amante, ma si bloccò sull’apertura della sua stanza… non voleva umiliarsi a seguirlo. Infatti solo il principe lo fece, avvolto dal buio.

 

Bjorn era andato nella sua, di stanza. Rannicchiato al suolo, piangeva sommessamente.

Era così disperato che non si accorse che una figura l’aveva raggiunto alle spalle… quando avvertì un improvviso senso di pericolo, era già tutto finito e una stretta ferrea gli aveva strappato anche l’ultimo e triste sospiro.

 

Venne l’indomani, e vennero anche i giorni successivi; Sigurd era imperatore e non pensava ad altro se non ampliare il suo prestigio. E, naturalmente, tornare a Vinland.

Da quando aveva ucciso Bjorn, soffocandolo e poi facendo sparire per sempre il suo corpo in uno dei tanti canali che attraversavano quella magnifica capitale, Alfred era stato tutto per lui. L’uomo aveva cercato l’amante con disperazione, ma non l’aveva più trovato.

A quanto pareva avevano litigato, e il giovane gli aveva detto che non l’avrebbe voluto rivedere mai più… e tutto questo perché il più anziano favoreggiava proprio per il principe. Bjorn era un fervente cristiano e pur di non accettare quel capovolgimento improvviso di fronte aveva promesso di nascondersi nella foresta e di provare a convertire gli indigeni.

Questa consapevolezza, unita alle rassicurazioni di Sigurd, aveva fatto in modo che Alfred accettasse quella scelta. D’altronde, se il cocciuto traduttore si era messo in testa tale cosa, tanto valeva che l’assecondasse.

Senza più l’impiccio del nemico, il novello imperatore del Messico e dei Fratelli cominciò a recarsi ogni notte nella stanza di Alfred, fino a convincerlo a lasciargli condividere il letto. Presto fu solo ciò che Bjorn era stato fino a poco prima.

Il giovane nobile riceveva quei baci bugiardi, sapendo che il comandante immaginava il suo amato scomparso, però si accontentava così.

 

L’imperatore si affrettò a mettere sotto tortura i pochi Spagnoli sopravvissuti allo scontro finale. Li aveva lasciati in vita per scoprire ogni cosa, tutto quello che c’era da sapere sul mondo dal quale provenivano.

Che si trattasse dello stesso da cui provenivano i suoi stessi antenati?

Tra gli sventurati c’erano alcuni che conoscevano qualche parola delle lingue indigene, e tra gli indigeni c’erano giovani molto intelligenti e svegli che stavano già cominciando ad apprendere la lingua dei vichinghi. Presto tutto sarebbe stato più chiaro, nel frattempo li avrebbe nutriti e terrorizzati, in vista di tempi decisamente peggiori.

Dopo neanche un mese di regno, il ragazzo era riuscito tuttavia a capire molte cose di quegli individui, e ad essere a conoscenza dei segreti delle imbarcazioni che li avevano condotti fin lì.

 

Con un ritardo di ben due anni, alla fine il giovane principe di Vinland riprese il mare. Era il tempo di tornare a casa, al cospetto di suo padre. Sperando fosse ancora vivo…

Il viaggio verso Nord fu semplice e agevole, con il colossale Fratello che era un esperto navigatore quasi quanto Alfred, lasciato invece assieme ad altri guerrieri a vegliare sui nuovi possedimenti in Messico. I Fratelli rimasti nelle colonie settentrionali lo accolsero volentieri e offrirono il loro supporto, anche militare.

Il grosso Fratello garantiva per lui e si dilungava a narrare le sue imprese degne di un’antica saga.

Con tutte le colonie riunificate sotto il suo scettro, e con decine di poderosi drakkar a scortarlo, il giovane si accingeva quindi a tornare a casa.

E a Vinland ci giunse sul finire della breve estate; eppure, la cittadina era già isolata dai ghiacci e dalla neve.

Sigurd sbarcò assieme a una ventina tra i guerrieri più abili, e si diresse alla porta della città, ove le sentinelle lo intravidero e parvero non credere ai loro occhi. Gli aprirono e gli andarono incontro, ma dimostrarono un’ansia che lasciava presagire qualcosa di spiacevole.

A Vinland nessuno era venuto a conoscenza delle sue prodezze, isolata com’era, povera e misera capitale di un regno inesistente.

Fu accompagnato immediatamente al palazzo di suo padre, ma tutto gli parve cambiato. Da quanto tempo se n’era andato? Due anni abbondanti, quasi tre. E suo padre aveva vissuto solo per i primi mesi successivi alla sua partenza.

Il buon Ragnar era così venuto a mancare.

Sigurd apprese tutto dagli anziani, che avevano preso il potere della città governando tramite l’Assemblea che formavano già da tempi immemori; la mancanza di eredi al trono aveva favorito la loro ascesa al potere.

E ora, quei vecchiacci bavosi e rinsecchiti si erano radunati tutti nella spaziosa sala che un tempo era stata di suo padre, ove solo uno di loro sedeva sul trono intarsiato. Era il più incartapecorito di tutti, quello che il ragazzo aveva sempre detestato fin dalla prima volta in cui l’aveva visto.

“Non ha importanza ciò che vi prendete premura di narrare”, interruppe infine la narrazione, mettendo a tacere i vari anziani, “io ora sono tornato e voglio ciò che mi spetta per diritto. Questo regno è mio”.

L’intera Assemblea lì riunita si lasciò andare a una risata univoca e grottesca.

“Credi tu di avere diritti su questa città? Devi dimostrarlo. Io non ti riconosco più”, esclamò in modo tragicomico il capo dei vecchi, che dirigeva l’Assemblea dall’alto del suo trono, “voi, per caso, riconoscete in questo prepotente qualche tratto di quello che definisce suo padre?”, domandò, infine.

Tutti negarono.

Sigurd fremette di rabbia.

“Quindi voi non mi avete mai visto prima d’ora?”, chiese a sua volta.

I visi grinzosi e barbuti negarono. Gli occhi brillavano però, avidi di potere.

“Il figlio del nostro defunto sovrano è morto, assieme a tutti i membri della spedizione che doveva scortarlo più a Sud. Tu sei solo un pirata, giunto fin qui con un seguito di reietti e di individui condannati all’esilio eterno, assieme ai loro discendenti”, sancì l’anziano sul trono, inflessibile.

“In quanto straniero ed estraneo alla città, sei solo un nemico. Esci da queste mura prima di ritrovarti con una lama tra le costole”, si pronunciò un altro vecchio, ricevendo larghissimo consenso.

Tutti avevano riconosciuto il principe, ma nessuno voleva cedere l’importanza ottenuta dopo la morte del vecchio sovrano.

Sigurd li immaginava con le mani tra i denari, avide e sudicie… li maledisse con forza.

“Questa quindi è la vostra ultima parola? Io sono un nemico?”, chiese infine, in modo tale che la dichiarazione di guerra fosse chiara.

I vecchi annuirono e lo cacciarono.

“Mi rivedrete a breve, e allora saprete riconoscermi a dovere”, promise, prima di abbandonare il palazzo e la città.

Andò dai guerrieri che l’attendevano ancora sulle imbarcazioni e fece loro cenno di sbarcare; era giunto il momento di compiere una grande razzia. E tra i Fratelli non c’era nessuno che non provasse rancore verso Vinland, e ciò che quella città rappresentava.

 

Vinland contava a malapena duecento guerrieri abili alla guerra, e i vecchi che la governavano non avevano idea di quale fosse il potere in mano a Sigurd.

Nonostante le basse mura in pietra, le migliaia di uomini addestrati dell’imperatore del Messico e dei Fratelli non ebbero problemi a varcarle e a distruggere la città.

Gli anziani dell’Assemblea furono sgozzati a uno a uno, davanti allo scempio e alla rovina della loro città quasi millenaria.

Tutti gli uomini furono uccisi e le abitazioni razziate. Le donne furono violentate e portate sui drakkar, i bambini ammazzati assieme ai loro padri. Vinland doveva pagare il suo debito, al cospetto del sovrano che aveva rifiutato e ritenuto scemo.

L’imperatore fece salpare di nuovo i suoi uomini verso Sud soltanto quando fu sicuro che dell’antica capitale non era rimasto altro che qualche cumulo di pietre fumanti e insignificanti.

 

 

 

Luglio 1529, Lisbona.

 

 

 

Il porto della città lusitana era sempre affollatissimo durante l’estate. Genti da tutto il mondo conosciuto si accalcavano e lottavano per introdurre le loro mercanzie nei redditizi mercati cittadini.

Molti di questi marinai e mercanti si vantavano di importare mercanzie dall’Africa, oppure dalla più lontana Asia. Eppure, la maggior parte di questi beni materiali erano solo porcherie prive di valore.

Nel continuo baccano quotidiano, nessuno parve accorgersi delle imbarcazioni strane che erano comparse improvvisamente all’orizzonte. Era la stagione dei mercanti e dei navigatori, no? Tutti avevano in testa la fissa di affrontare la vastità dell’oceano, al fine di scoprire nuove terre e nuove mercanzie da importare.

Ci si era già scordati di quel Cortes che era salpato ormai decenni addietro, e che come tanti altri temerari non aveva più fatto ritorno.

Sulle strane navi in avvicinamento, nel frattempo, un giovane uomo stava sulla prua a osservare con curiosità quel nuovo mondo che stava per scoprire. Che fosse quello il posto da cui erano partiti i suoi antenati, e ove si erano svolti i fatti antichi narrati in quelle saghe che tanto adorava?

L’importante era averle raggiunte; ciò aveva comportato tantissimi sacrifici, infatti.

Il giovane imperatore del Messico, dei Fratelli e di Vinland durante i primi anni del suo regno non aveva fatto altro che espandere i suoi confini e approfondire le conoscenze degli Spagnoli.

Aveva imparato la lingua dai prigionieri che aveva tenuto in vita, ed era riuscito a estrapolare a loro ogni conoscenza dei popoli al di là dell’oceano. Si era fatto spiegare come costruire navi che fossero in grado di affrontare una navigazione così lunga e difficile, ma soprattutto come costruire le armi invincibili.

Così, mentre l’esercito vichingo avanzava inesorabilmente lungo tutti i fronti, sottomettendo i nativi del settentrione e poi gli indigeni del meridione, giungendo a conquistare in tempi brevissimi anche il vasto impero degli Incas, i Messicani erano stati utilizzati come operai in immensi cantieri navali.

Erano state abbattute intere porzioni delle immense foreste che si estendevano nelle zone più miti, e il legno quindi era stato presente a volontà. Erano state aperte cave di estrazione ove molti sudditi inetti alla guerra erano stati mandati a scavare, al fine di reperire i materiali idonei a fabbricare le armi più avanzate in possesso degli stranieri.

L’imperatore aveva da sempre saputo che se voleva avere una possibilità di spingersi oltre l’orizzonte poteva soltanto cercare di essere il migliore di tutti.

L’immenso esercito era poi stato istruito all’utilizzo delle armi da fuoco e di ferro, attraverso una ferrea disciplina impartita sempre dagli Spagnoli prigionieri, che ormai avevano capito che sarebbero sopravvissuti solo fintanto che sarebbero stati al gioco.

Quando la flotta immensa era stata ritenuta pronta, e i cantieri disseminati lungo tutto il litorale da Nord a Sud erano stati riforniti di ingenti quantità di viveri sotto sale e di grandi barili di acqua limpida, i tempi avevano iniziato a dimostrarsi maturi.

Lo stesso esercito era stato ritenuto soddisfacente da Sigurd, che aveva supervisionato i momenti più importanti dell’addestramento di massa. Le malattie portate dagli Spagnoli avevano creato qualche danno tra gli indigeni, però era bastato apprendere le cure, anche in quel caso, e tutto era stato arginato e aveva fortificato la popolazione.

Adesso, lasciandosi alle spalle un mondo ormai totalmente in mano sua, il giovane imperatore poteva dedicarsi a tornare a seguire le orme degli antenati, grazie alle indicazioni ottenute dagli stranieri.

 

Quando l’oceano rivelò un’estensione immensa di navi, era già troppo tardi. I primi barbari vestiti di pelliccia erano già sbarcati e stavano assaltando le periferie della città con un’aggressività folle e incontenibile.

Soverchiati dagli invasori, e in decisa inferiorità numerica, i soldati d’istanza a Lisbona si limitarono a darsela a gambe.

Giunti a sera, di quella splendido e importante centro abitato restavano solo le fiamme, che si alzavano fino al cielo. Ai vichinghi erano toccate molte donne, così come accadeva durante le antichissime razzie.

Sigurd però non era stato soddisfatto di quella vittoria schiacciante e molto semplice; non riusciva infatti a comprendere quanto vasto potesse essere quel mondo. Gli Spagnoli suoi prigionieri avevano giurato che quello era solo un lembo di una penisola… quindi, altre immense estensioni territoriali dovevano espandersi a Est, dove l’oceano lasciava spazio solo alla terra ferma.

Presto tutti avrebbero saputo del suo arrivo, doveva quindi prepararsi all’arrivo di altre truppe nemiche. E si trovava anche in un territorio totalmente ignoto, ove nessuno poteva più aiutarlo a orientarsi. La sfida ora era tutta sua.

Come se non bastasse, gli abitanti di quella grande città non avevano alcuna sembianza nordica; e allora, da qualche terra erano partiti i vichinghi che avevano fondato Vinland, venerando Thor e scrivendo saghe eroiche? Lì c’erano tantissime chiese cristiane, quindi era da quei territori che si era diffuso il credo religioso che aveva infettato pure la dinastia regnante delle Terre Verdi.

Mentre i suoi uomini si divertivano, l’imperatore si limitava a riflettere e ad attendere il nuovo giorno.

 

Il giorno successivo, un ingente esercito si presentò al cospetto delle rovine della città portuale. Schierato al medesimo modo del contingente Spagnolo che aveva creato tanti danni in Messico, i suoi guerrieri erano attrezzati con armi da fuoco e venivano protetti dal ferro.

Non avevano tuttavia fatto i conti con le sterminate forze giunte dall’oceano.

Grazie all’arruolamento forzato anche tra i nativi e i popoli sottomessi, e al lavoro di milioni di uomini in tutto l’impero, l’esercito invasore contava cifre da capogiro.

Sigurd coordinò le operazioni militari e la vittoria fu schiacciante e rapida.

Innervosito e deciso a voler spaventare gli abitanti di quel nuovo mondo, decise di avanzare a marce forzate verso l’entroterra, razziando e distruggendo ogni cosa. Una manna per i Fratelli, sempre smaniosi di fare bottino e di riempire la pancia.

 

Dopo settimane di distruzione e di saccheggi, una pacifica delegazione di messi giunse a contrattare una pace, ma anche a far domande. Parlavano la lingua degli Spagnoli e Sigurd sapeva cavarsela da solo.

Tuttavia rifiutò di contrattare con quelle persone tanto comuni; se volevano la pace, che si presentassero pure i vari sovrani che la richiedevano.

 

E i sovrani giunsero. Bandiere e vessilli da tutto quel mondo sconosciuto.

L’imperatore li atterrì con una dimostrazione militare che fece tremare la terra sotto ai loro piedi, poi li fece inginocchiare al suo cospetto, promettendo loro che non avrebbe mai più nociuto ai loro territori, a patto che gli giurassero fedeltà.

Quando questo fu accaduto, osservò i loro volti spaesati… nessuno di loro si sarebbe mai potuto aspettare l’arrivo di un’orda così potente di invasori dall’oceano. Erano rimasti travolti e sconvolti…

“Io voglio”, proseguì l’imperatore, in Spagnolo, “che voi mi indichiate la via di Asgard. Quella che mi riporterà alla terra dei miei antenati nordici, poiché io voglio vedere con i miei occhi il luogo ove tutto è iniziato. Io voglio conquistarlo”.

I sovrani presenti, rassicurati dal fatto che le loro terre interessavano solo relativamente a quel conquistatore formidabile, dopo aver giurato di nuovo fedeltà promisero che lo avrebbero indirizzato verso la Scandinavia.

Era così allora che quelle genti identificavano le terre gelide del Nord? Scandinavia?

Sigurd annuì, soddisfatto. Per la prima volta in vita sua era davvero felice.

 

 

 

Gennaio 1535, Uppsala, Svezia.

 

 

 

Norvegia, Svezia, Danimarca… tutte Nazioni ora sotto un’unica bandiera. La profezia degli antenati era diventata realtà con secoli di ritardo.

Con tutti ai suoi piedi, l’imperatore dei Due Mondi appariva invincibile, e il suo esercito era triplicato in forze e in numeri. Thor era tornato a essere il dio più venerato e adorato, e le chiese erano state razziate e deturpate, per poi essere trasformate in templi pagani.

Ora, tra la neve e il ghiaccio, si compiva l’ultimo capitolo dell’epica esistenza di un principe di un’isolata cittadina di pietra che era diventato il più grande imperatore mai esistito.

Sigurd era sì molto amato dalle divinità, ma era anche composto di carne e ossa.

Era ancora relativamente giovane quando, ormai compiuto il suo destino, si ammalò di febbri. E queste febbri divorarono le sue membra…

In procinto di morire, pensò a cosa sarebbe accaduto il giorno in cui sarebbe venuto a mancare. Ma questa era tutta un’altra storia, in fondo.

Come nelle antiche saghe degli eroi, lui aveva solo iniziato un percorso… di certo, qualcun altro con il suo medesimo valore l’avrebbe concluso nel miglior modo possibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Un vero parto, questo racconto.

Partendo dalla consegna, e cioè che i vichinghi non hanno mai abbandonato Vinland, la loro colonia in America Settentrionale, ecco gli sviluppi di questa storia.

Rimasti isolati e incapaci di ripercorrere le antiche rotte che li avrebbero riportati ad avere contatti con le popolazioni europee, i vichinghi rimasti nel continente americano hanno continuato a vivere un’esistenza distaccata e indipendente dalle vicende del Vecchio Continente.

Poi è bastata un po’ di fantasia… xD

Sigurd infatti ha incontrato Cortes. Nel racconto ho miscelato realtà storica e fantasia…

Il racconto ha qualcosa di epico, ho voluto provare a renderlo una sorta di piccola saga.

E…. niente, a voi giudicare. Ringrazio il giudice! La creatività dei suoi contest mi spinge sempre a scrivere avventure che forse vanno ben oltre anche ai miei stessi limiti.

 

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