How to be saved

di Giuf8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Affogare ***
Capitolo 2: *** Respirazione bocca a bocca ***
Capitolo 3: *** Respirare ***



Capitolo 1
*** Affogare ***


Affogare

L'ago gli pungeva la pelle facendone scaturire piccole gocce di sangue che venivano sostituite dall'inchiostro nero come la pece. Piccole scariche di dolore si irradiavano dal suo avambraccio a tutto il corpo facendogli corrugare la fronte.
"Tutto bene? Vuoi che mi fermi? Sto lavorando da parecchio tempo" gli disse il tatuatore preoccupato.
"No, no continua pure" annuì Alec, la voce arrocchita dopo essere stato in silenzio tanto a lungo.
"Come vuoi" fece spallucce l'altro tornando al suo lavoro.
 
Una mezz'ora buona dopo Alec era di nuovo immerso nel marasma delle strade newyorchesi. Il freddo di novembre gli aggrediva le parti lasciate scoperte dal giacchino leggero facendogli gelare le mani e rendendo le dita insensibili. Esalò un debole sospiro che si condensò in una nuvola di vapore, rimase assorto a guardarla finché questa non svanì nel buio. Il flebile dolore che ancora avvertiva al braccio andava via via ad attenuarsi proprio come il suo respiro nella notte. Guardò corrucciato il braccio stringendo il pugno tanto da farsi sbiancare le nocche, le mezzelune delle unghie impresse nel palmo.
Una volta quel dolore gli bastava, bastava a farlo evadere dalla realtà in cui viveva, dalle pretese di perfezione, dagli sguardi di disapprovazione.
Una volta quel dolore bastava a non farlo affogare. Ora non più.
Alec non era più certo se stesse cercando solo di evadere.
Era perso.
Aveva sentito dire che era normale sentirsi persi a venticinque anni, che a quell'età lo erano tutti, ma lui sembrava esserlo più degli altri.
Tutto era iniziato quasi per gioco anni prima, non avrebbe saputo dire esattamente ne come ne quando. Tutto era nato solo con un innocente affronto nei confronti dei sui genitori.
Perché no, non sarebbe potuto partire per quel viaggio con Jace, il suo migliore amico, mancando alla festa di Natale che organizzavano ogni anno, lui non era andato, né in viaggio, né alla festa.
E no, la boxe non si addiceva al figlio maggiore di una delle famiglie più importanti e influenti d'America e lui inizialmente li aveva assecondati finché si era ritrovato coinvolto in combattimenti clandestini nei vicoli più bui di New York.
Per nessun motivo avrebbe potuto fare il poliziotto, sarebbe entrato in politica come suo padre e il padre di suo padre prima di lui, lui non aveva fatto l'accademia di polizia, ma appena compiuti i diciotto anni si era arruolato.
No, i tatuaggi erano solo per i teppisti non di certo per lui, una quantità di inchiostro sempre maggiore, di cui quella sull'avambraccio era solamente l'ultima aggiunta, era andata a rivestire la sua pelle pallida.
E sicuramente mai, mai in nessun caso il figlio di una delle famiglie più importanti d'America poteva essere gay. Mai.
Aveva sentito dire che ciò che fosse davvero importante per un genitore era la felicità del proprio figlio, quello effettivamente non valeva se eri il figlio di una delle famiglie più importanti d'America.
Alec non si illudeva, solo quando era adolescente si diceva che davvero non gli stavano bene tutte quelle imposizioni. Non che ora a venticinque anni gli stessero bene, ma in fondo La vacanza con Jace poteva benissimo organizzarla in un altro periodo, erano solo loro due in fin dei conti, non dovevano rendere conto a nessuno. La boxe non lo aveva mai davvero attirato, gli piaceva si, ma non quanto il tiro con l'arco.
Così come dipingere gli piaceva, ma, dentro di lui, sapeva di essere un leader, per questo in pochissimo tempo aveva rivestito uno degli incarichi più alti dell'esercito. Ai tatuaggi non ci aveva mai nemmeno pensato, non fino a quando gli erano stati vietati. Ma essere gay... Quello non poteva cambiarlo, non poteva fingere che gli piacesse qualcos'altro, ci aveva provato, più di una volta e no, non poteva farcela, Non sapeva fingere così bene.
E, ovviamente, quello era anche l'unico punto su cui i suoi genitori fossero intransigenti. Il motivo per cui gli stavano così tanto col fiato sul collo rispetto a sua sorella Izzy. Il motivo per cui erano così gelidi. Perché lo sapevano, eccome se lo sapevano, solo che non ne parlavano. Mai.
Alec in quel modo non trovava mai una valvola di sfogo, perché no, da brava famiglia quale erano nessuno avrebbe mai urlato tra le mura stantie della loro casa, non c'era bisogno di litigare.
Dio, quanto avrebbe voluto un bel litigio. Uno di quelli veri dove urli fino a farti esplodere le vene, di quelli in cui dici cose che non pensi davvero solo perché sei davvero molto arrabbiato, uno di quelli che ti lasciano ansante e sfinito che ti prosciugano da tutto: rabbia, dolore, incomprensioni. Invece Alec aveva soltanto due paia di occhi gelidi e schivi gesti di sufficienza con cui confrontarsi. Così era costretto a esplodere altrove e nulla riusciva mai davvero a lavare via la sua rabbia e il suo dolore.
Quelle ribellioni piccole o meno erano il suo modo per tentare di attrarre l'attenzione dei genitori, per suscitare in loro una qualunque emozione. O almeno quello era quello che gli avrebbe detto uno psicologo se solo ci fosse andato, era diventato molto bravo a psicoanalizzarsi.
Per molto tempo se le era fatte bastare, i suoi genitori si infuriavano e gli toglievano del tutto la parola per poi ritornare a rivolgersi a lui con quella gentilezza esagerata e terribilmente finta che lo faceva uscire di testa. Così ricominciava quel circolo vizioso che andava avanti da quando lui era abbastanza grande da riconoscere la sua omosessualità e capire che no, non era colpa sua, non era proprio una colpa, era così e basta. Non si sarebbe annullato per i suoi genitori, aveva provato ad avere delle storie, ma nessuna era mai durata abbastanza da poterla definire stabile o seria. Sapeva che poteva essere sfortuna, che non era facile uscire con uno come lui di nascosto, ma aveva sempre pensato che avrebbe incontrato una persona prima o poi che sarebbe passata sopra a tutto quello, o magari una persona per cui lui non avrebbe avuto paura di mostrarsi al mondo per quello che era.
Una corazza sempre più dura si formava intorno al suo cuore sempre più convinto che non sarebbe mai riuscito a trovare l'amore, quello vero. Non lo trovava a casa e sembrava non trovarlo in nessun altro luogo, i tentativi di Jace e dei suoi fratelli erano sufficienti solo a non farlo impazzire completamente, ma, per quanto Alec odiasse ammetterlo, non bastavano. Era così soffocante essere lui, annaspava per riuscire a tenere le testa sopra la superficie ma ogni giorno sembrava pesare un po' di più, ogni giorno sembrava sempre più attratto verso il fondo.
Il punto più basso lo aveva toccato quattro mesi prima, quando si era ritrovato a scopare, perché le cose bisogna avere il coraggio di chiamarle col loro nome, nel vicolo sul retro di una discoteca del quartiere gay con un tipo di cui nemmeno conosceva il nome.
Avrebbe voluto dirsi che non ci sarebbe ricascato, ma sapeva che sarebbe successo di nuovo ed era proprio quello che era successo.
Non importava quanto stesse male dopo, quanto si facesse schifo e come si sentisse solo un pezzo di carne usato, quei momenti in cui delle mani calde, labbra umide e un corpo sconosciuto sembravano prendersi cura di lui gli rendevano più semplice stare a galla, anche se solo per un po'.
 
 


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Questa non è ancora la storia che vi avevo promesso (parlo per quelle che hanno letto Heartbeat) è solo una breve parentesi di tre capitoli che pubblicherò ogni giorno fino a Natale. Un mio regalo, se vogliamo metterla così.
È una scrittura più introspettiva rispetto al solito, spero che non  vi risulti pesante e che vi piaccia comunque. È un Alec un po’ diverso rispetto a quello che sono io stessa abituata a immaginare, ma credo e spero di non essermi allontanata troppo dal personaggio “vero”.
Un abbraccio a tutti, a domani
Giuf8

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Capitolo 2
*** Respirazione bocca a bocca ***


Respirazione bocca a bocca

Alec si stava dirigendo verso casa non capendo come potesse sentirsi così, di solito dopo un tatuaggio si sentiva un po' più su, invece in quel momento se qualcuno fosse riuscito a toccare la sua anima avrebbe ritratto una mano intrisa di nero tanto quanto l'inchiostro che ora rivestiva il suo avambraccio.
Mise le mani in tasca chinando il capo mentre una leggera pioggerella cadeva su di lui.
Senza nemmeno deciderlo davvero le sue gambe si diressero verso il quartiere gay di Brooklyn. Avvertiva quella sensazione di nausea ormai famigliare e la bocca gli parve riempirsi di acida bile.
Entrò nel primo negozio di alcolici che trovò e prese una bottiglia di rum. Il liquido gli scivolò in gola bruciando quando raggiunse lo stomaco vuoto e facendogli percepire un piacevole quanto irreale calore. Fece una smorfia. Non beveva mai per piacere, la maggior parte delle volte era solo per soffocare i sentimenti, ma quella sera nulla sembrava funzionare. Non l'ago che gli aveva inciso la pelle, non l'alcool che gli annebbiava i sensi, nulla. Fu per quello che, con passo incerto si diresse alla discoteca più vicina.
Alec non ballava, mai. Se ne stava seduto in un cantuccio a fare tappezzeria finché non beccava qualcuno che fosse lì per il suo stesso identico motivo, a quel punto bastava un cenno del capo e che fosse il vicolo esterno o uno dei bagni non importava. Aveva ottenuto quello che voleva.
Anche quella sera era iniziata così, Alec seduto in un angolo ignorato dalla gran parte delle persone. Ogni tanto vedeva qualche ragazzo che si soffermava su di lui un po' più a lungo e allora distoglieva lo sguardo facendo capire che non fosse interessato.
Sapeva di essere bello, o meglio, gli avevano detto che fosse bello, lui ancora stentava a crederci. Quelle occhiate gli dicevano che era vero, ma lui non gli dava ascolto. Che fosse bello o meno poco importava, lui non si sentiva... Bello. Proprio no.
Il suo aspetto esteriore era un arma a doppio taglio. Attirava sia quelli a cui era interessato sia gli sguardi di quelli che "volevano qualcosa in più". Alec li avrebbe saputi riconoscere fra mille, forse merito dello spirito di osservazione maturato durante l'esercito, forse per una dote naturale, chissà. Lo osservavano con una maggiore intensità magari chiedendosi che cosa ci fosse sotto quell'aspetto. Ed Alec era esattamente l'ultima cosa che volesse rivelare. Così declinava senza una parola e si buttava tra le braccia di chi voleva solo spogliarlo dai vestiti e non dalla sua corazza.
Era facile come respirare, niente complicazioni, niente bugie, niente...
"Posso offrirti da bere?"
Alec si voltò sorpreso, non si era minimamente accorto dell'uomo che si era seduto poco più in là sul divanetto. Una piccola parte di sé si chiese come fosse dannatamente possibile che non si fosse accorto di nulla mentre l'uomo più bello che avesse mai visto si fosse seduto accanto a lui.
"No ti ringrazio, il ragazzo con cui sono venuto non approverebbe" rispose maledicendosi perché prendere un drink con quella meraviglia che gli stava seduto accanto era circa l'unica cosa che volesse davvero fare da molto molto tempo. Tuttavia il suo radar sembrava non funzionare con il tipo che riduceva sempre di più la loro distanza sul divanetto e lui non voleva avere niente a che fare con le persone che non riusciva a leggere. Era ironico come lui non lasciasse trapelare nulla di sé, ma volesse capire tutto degli altri. Ma quel tipo… Era in cerca solo di una nottata? O di un qualcosa di più? Era esattamente l’opposto di Alec. Lui era il silenzio, anonimità, quel tipo era tutto troppo, in un modo così esagerato da renderlo indecifrabile.
"Oh, mi spiace... con chi sei qui?" chiese lo sconosciuto con uno sguardo per nulla dispiaciuto.
Alec indicò un ragazzo con una maglietta verde bottiglia che ballava da solo in un angolo.
"Ah sei con quel tipo eh?" chiese l'altro con un sorriso a trentadue denti.
Alec annuì e se possibile il suo sorriso si allargò ancora di più.
"Ah è così è? Se smaschero il tuo gioco mi concederai un ballo?"
Alec fece per parlare ma due dita gli si posarono sulla labbra impedendoglielo.
"Fiorellino non accetto un no come risposta. "
Alec stava per ribattere perché davvero, Fiorellino? Ma come si permetteva quel tipo? Chi si credeva di essere? Quando...
"Ragnor, amico mio, vieni un po' qui."
Maledizione non è possibile.
Quante probabilità c'erano che quello fosse proprio il ragazzo con cui era venuto l'altro? Una su... Quanta gente poteva esserci stipata in quel posto? Due migliaia? Tre? Quattro? Scosse la testa rassegnato.
"Ehi Magnus, che c'è?"
"Niente, hai già fatto il tuo dovere" ribattè l'altro scacciandolo con sufficienza con una mano senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi di Alec che si sentiva esposto fin dentro in un posto oltre il cuore, oltre lo stomaco, un posto buio e silenzioso. Com'era possibile che una persona appena conosciuta sappia scuoterti così le fondamenta?
"Allora questo ballo?" chiese Magnus che nel frattempo si era alzato in piedi e gli tendeva una mano come se lo stesse invitando a chissà quale valzer ottocentesco al posto di quel tuonante marasma che era la musica da discoteca.
Alec non seppe dire che cosa scattò in lui, forse decise soltanto per una singola e stupida volta di disconnettere il cervello e godersi la sensazione di pelle contro pelle. Quanto può essere intimo tenersi per mano? Sembra che tutti gli sguardi si focalizzino solo su di voi. Le terminazioni nervose abbandonano il resto del corpo per concentrarsi solo sul palmo e sulle punte delle dita. Le gambe? Puri automi che continuano a svolgere il loro lavoro solo perché se si fermassero si perderebbe la possibilità di quel contatto. E la sicurezza che da? Tenersi per mano e un sussurro dolce che dice:"Sono qui, mi prendo cura io di te. " Altro che gli abbracci, altro che i baci.
Forse per questo Alec si lasciò trascinare a centro pista, forse per questo non pensò a nulla, forse per questo, anche solo per una volta, decise che valeva la pena ballare con qualcuno.
Fu quasi deluso quando l'altro gli lasciò la mano, ma presto si voltò verso di lui e lo guardò con quegli occhi verdi-dorati mentre posava dolcemente le mani sul suo petto facendole scivolare lentamente fino a portarle ad allacciarsi dietro al suo collo. Alec mise le sue mani sui fianchi dell'altro arrossendo appena quando le dita si andarono ad aggrappare ai passanti degli stretti jeans neri di Magnus. Venne subito rassicurato dal suo sorriso che era uno di quelli sinceri che non fanno nemmeno dischiudere le labbra ma che si estendono comunque fino agli occhi.
Solo a quel punto iniziarono a muoversi seriamente. Magnus stinse lievemente la presa sulle braccia costringendo Alec ad avvicinarsi. I loro corpi ora aderivano perfettamente in un modo che Alec si era perfino dimenticato che fosse possibile. Scopare con qualcuno nel vicolo non prevedeva così tanto contatto, mai.
Alec non ballava non perché non ne fosse capace, ma perché si imbarazzava tremendamente, tuttavia in quel momento l'imbarazzo era l'ultimo dei suoi pensieri. Per lui contavano solo le mani dell'altro che oscillavano lievemente a ritmo di musica e gli accarezzavano la schiena. I loro bacini che non la volevano sapere di scostarsi e che lo facevano fremere come un liceale alla prima cotta. Sarebbe sembrato inadeguato, se non fosse che avvertiva lo stesso desiderio montare in Magnus ogni volta che gli si strusciava addosso ai pantaloni stretti. Le sue mani scesero a stringere i glutei sodi facendo rantolare l’altro sempre più. Il fiato caldo che gli solleticava la pelle del collo facendolo impazzire di desiderio per avere quelle labbra. Un momento che agognava ma che allo stesso tempo rifuggiva perché pervaso dal terrore che, se le avesse ottenute, quelle labbra, sarebbe scomparso tutto. E sarebbe stato solo un uomo che ballava in modo lascivo con un altro uomo all'interno di una discoteca dalla musica scadente che puzzava di alcol e sudore.
Invece in quel momento non era così, in quell'istante c'erano solo lui e Magnus. Alec non aveva mai rischiato di affogare, non per davvero, si sentiva così solo in senso metaforico, eppure in quel momento si sentiva come il protagonista di un brutto film romantico che viene tratto in salvo dalle onde e si rannicchia sulla spiaggia sputacchiando acqua. L’uomo tra le sue braccia lo faceva sentire così, come il primo respiro di aria fresca mentre hai i polmoni allo stremo delle forze. Ed era bellissimo.
Alec sentiva le labbra di Magnus percorrere in una lenta e languida scia tutto il suo collo, in un gesto automatico reclinò la testa all’indietro esponendo una maggior superficie e chiudendo gli occhi per bearsi di quel momento. Non si esponeva così tanto di fronte a qualcuno da un tempo che nemmeno sapeva dire. Sentì la bocca dell’altro dischiudersi in un sorriso contro la sua pelle calda e trasalì quando avverti il tocco leggero della lingua. Abbassò il capo per ritrovarsi perso i quegli occhi verde-dorati e non ebbe più paura. Lo baciò consapevole che Magnus fosse reale, che non gli si sarebbe sgretolato tra le dita e, per una volta, quel bacio fu solo quello. Non una promessa per un futuro, non un invito ad approfondire la cosa in un angolo buio, fu solo un bacio perché ad Alec andava di farlo.
Aveva mai davvero baciato un ragazzo solo perché gli andava di farlo? Probabilmente no e, se lo aveva fatto, era stato molto molto tempo fa.
Alec si sorprese di quanto gli piacesse.
Magnus all’improvviso si staccò dal bacio per posare il capo sulla sua spalla con un sospiro e avvolgendolo in un abbraccio. Alec da principio fu rigido, come se avesse ricevuto una scossa elettrica, ma, mano a mano che il tempo passava si sciolse tra le braccia dell’altro, tanto che si ritrovò anche lui ad affondare il volto nella spalla dell’altro. Il suo odore di sandalo gli invadeva le narici creando una dipendenza in un modo quasi istantaneo.
In quell’stante, in quel momento, realizzò di aver abbassato tutte le sue barriere, ma si sentiva protetto avvolto nelle braccia di Magnus.
Una singola, stupida lacrima gli rotolò lungo tutta la guancia per andare poi a finire nella maglia dell’altro. Ma fu solo un secondo perché Alec non riusciva a smettere di sorridere.





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Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno speso il loro tempo durante le feste per leggere la mia storia e par farmi sapere che ne pensate. Tornare a scrivere e trovarvi pronte ad accogliermi di nuovo è uno tra i regali di Natale più belli che poteste farmi.
Prima di perdermi in giri infiniti di parole ... vi è piaciuto questo capitolo?
Scappo a finire l'ultimo (eheh sono sempre indietro con gli ultimi capitoli, non voglio mai scriverli)
A domani
Giuf8

 

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Capitolo 3
*** Respirare ***


Un mese dopo quella sera pareva essere così lontana.
Alec aveva respirato l’aria pura e per un po’ aveva pensato di essere guarito, ma poi lentamente aveva ricominciato a colare a picco.
Non aveva più sentito Magnus dalla sera del loro incontro.
Voleva farlo all’inizio.
Lui gli aveva lasciato il suo numero che lo fissava minaccioso dalla rubrica del suo telefono, ma per qualche motivo Alec non lo aveva mai cercato. Era stato semplice trovarlo su face-book usando il profilo della sorella, lui non aveva social. Come immaginava di Magnus non ne esistevano molti e Magnus Bane era inconfondibile. Ma Alec era spaventato, spaventato dai sentimenti che aveva provato quella sera, che ancora provava a rivedere una sua foto. Spaventato di non essere all’altezza della situazione. Spaventato di fare il primo passo. Spaventato che quel sorriso su quella magnifica foto profilo potesse scomparire per colpa sua, perché aveva paura di far sprofondare anche lui nell’abisso. Era stato in guerra, ma non aveva mai provato così tanta paura come ora.
Sospiro nell’aria fredda. Era arrivato dicembre e con lui le case e le strade si erano riempite di luci colorate e addobbi. Da bambino adorava il Natale, ora non più. Non gli piaceva da quando aveva saltato quella cena importante anni fa. Da quel momento suo padre, Robert, non lo aveva più invitato.
Natale è un periodo strano. Se hai famiglia, amici e tutto il resto è uno dei momenti più felici di tutto l’anno. Ma se sei triste e solo il Natale di farà sentire ancora più triste e solo. Gli sembrava perfino di ricordare di aver letto da qualche parte che il tasso di suicidi salisse in queste feste. Non ne dubitava. In tutto questo Alec era una via di mezzo, aveva una famiglia che, nonostante tutto, amava con tutto se stesso, eppure era irrimediabilmente solo.
Si appoggiò a una balaustra che delimitava la zona ghiacciata dove persone che non avevano mai visto dei pattini si esibivano in piroette artistiche sperando di non rompersi l’osso del collo. Si accese una sigaretta e osservò il fumo che saliva lento verso il cielo che si scuriva. La nicotina che gli entrava lentamente nel sangue mentre gli avvelenava i polmoni. Il pensiero gli corse a sua sorella Izzy e a suo fratello Max che ora probabilmente sedevano a un lussuoso tavolo aspettando che iniziasse ad essere servita la cena di Natale. Negli ultimi cinque anni Alec era sempre stato invitato a casa di Jace, ma quell’anno il suo amico avrebbe trascorso il Natale con la sua ragazza, Clary. Così lui si era trovato a girovagare senza meta tra le strade di New York chiedendosi se quella sarebbe diventata la sua nuova tradizione natalizia.
Chissà che cosa farà lui.
Scosse la testa cercando di scacciare quel pensiero impertinente che aveva più volte soffocato durante tutto la giornata, ma ora lì, perso nel freddo di quella sera di Natale, lo aggrediva con tutte le sue forze.
Lui. Non aveva nemmeno il coraggio di chiamarlo per nome. Farlo significava dargli troppa importanza e non poteva farlo. Nessuno doveva sapere che, nei giorni più difficili se lo immaginava a letto con lui che lo abbraccia stretto. Nessuno doveva sapere quanto spesso chiedesse gli occhi e si portasse una mano alle labbra cercando di ricordare quanto fossero morbide le sue. Nessuno doveva sapere che quando si concentrava riusciva ancora a sentire il suo profumo. Nessuno doveva sapere quante volte aprisse face-book durante il giorno solo per vedere la sua foto profilo, per costringersi a scrivergli. Nessuno doveva sapere quante volte aveva richiuso il sito sospirando. Nessuno doveva sapere come cercasse il suo volto tra le facce degli sconosciuti. Lo avrebbe voluto dimenticare perfino lui, ma non gli era possibile.
Quella sera in discoteca era cambiato. Se n’era accorto solo qualche settimana dopo quando era ritornato nella stessa discoteca e non aveva avvertito il bisogno di rimorchiare qualcuno per poterselo scopare nel bagno. Quello era stato il momento in cui aveva aperto gli occhi, di lì a qualche giorno aveva perfino avuto una vera conversazione con suo padre e, era riuscito a leggerlo negli occhi del genitore, ne rimase sorpreso perfino Robert. La vita che conduceva che, per qualche strano motivo sembrava essersi incrinata anni fa, si stava lentamente rimettendo insieme. Certo era ancora un lavoro grossolano, come se qualcuno cercasse di riparare un bicchiere di cristallo con dello scotch, ma era il primo segnale verso una riconciliazione da…beh, da praticamente sempre.
E ci ho solo ballato.
I pensieri di Alec lo riportarono a quella notte, al calore, all’emozione che gli aveva fatto capire di essere ancora vivo, di poter ancora provare qualcosa. Aveva capito che in fondo non era troppo tardi. Ma più passava il tempo più il suo ricordo sembrava sbiadire. Come un malato di Alzheimer che sa che presto perderà tutti i suoi ricordi Alec cercava di riviverli più volte che potesse. Ma talvolta si dimenticava la sfumatura della sua voce, talvolta il modo in cui gli teneva la mano, ormai non era più nemmeno certo di che colore fosse la maglia che indossasse e, cosa più terribile, dimenticava il colore dei suoi occhi. Le foto su face-book non gli rendevano giustizia, non riuscivano a far trasparire quanto fossero vivi e limpidi.
Chiuse gli occhi riportando alla mente quello sguardo intenso che gli guardava l’anima prima di avvicinarsi per baciarlo. Sospirò una nuvola di vapore.
“Davvero? Il Rockefeller Center? Non è un terribile cliché dopo Mamma ho riperso l’aereo?”
Alec si sentì il sangue gelare nelle vene, si girò piano, come se a fare un movimento brusco la fonte di quella voce potesse andarsene via. Ed eccoli, quegli occhi stupendi che si inchiodarono ai suoi.
“Magnus…”
“Ah, allora ti ricordi di me?” chiese appoggiandosi con la schiena alla balaustra accanto ad Alec.
Oh, se solo sapessi… se solo sapessi quanto mi è stato impossibile dimenticarti.
“Sì, io…”
“Non hai chiamato” disse l’altro e non era una domanda. Il tono ferreo di Magnus gli fece abbassare lo sguardo ai suoi piedi.
“Già.”
“Ci hai provato, vero?” gli chiese semplicemente dopo qualche minuto socchiudendo gli occhi in modo indagatore “Ma non ce l’hai fatta.”
Ed ecco la barriera impenetrabile di Alec accartocciata e buttata in un angolo come se fosse un foglietto di carta.
“Allora… che ci fai qui?”
Alec, suo malgrado, sorrise. Già si era accorto quella sera di ormai un mese fa di quel dono di Magnus, sapeva fare domande scomode, ma era come se riuscisse a capire la risposta senza che Alec aprisse bocca ed allora passava alla domanda seguente.
“Giravo e mi sono ritrovato qui.”
“Stai attento a dire certe cose, potresti incontrare qualcuno che creda nella magia del Natale e ti dica che era destino ritrovarsi davanti a questo albero.”
Alec sbuffò dal naso e l’aria si condensò immediatamente.
“E tu? Che ci fai qui?” domandò.
“Io?” Magnus fece spallucce guardandosi intorno prima di riportare lo sguardo su di lui e sorridere. Di nuovo quel dannato sorriso che era tutto occhi e niente labbra. Alec non sapeva sorridere così, non più.
 “Io sono qui per cercare te.”
Alec non capì se quella fosse una battuta o la cruda verità, perché Magnus lo disse senza scomporsi, come si afferma una legge universale nota a tutti. Si morse le labbra finché non sentì quasi gli incisivi andare a ledere la carne.
Per cercare te… Me. Per cercare me. Perché mai qualcuno dovrebbe cercarmi?
Alec non capiva se l’altro avesse intuito il turbinio di emozioni che aveva provocato con quella frase. Lui non si era mai sentito così speciale e nemmeno aveva mai sperato di poterlo essere.  Forse quella era solo una battuta e non voleva significare nulla, ma per Alec, anche se detta per scherzo era importantissima.
Magnus gli si fece vicino facendo arrestare il respiro di Alec che ancora si stava chiedendo cosa ci fosse di vero nelle sue parole, lui sembrò rispondere ai suoi pensieri.
“Fiorellino” disse dolce mentre col pollice gelido gli accarezzava il labbro inferiore togliendolo finalmente alla morsa dei denti “Non so chi ti abbia fatto credere il contrario, ma sei il regalo di Natale più bello che si possa ricevere.”
Gli occhi di Alec si fecero lucidi nella notte gelida riflettendo le luci dell’albero di Natale. Rimasero un secondo fermi fissi in quelli verde-dorati di Magnus, poi non riuscì a reggere oltre e si voltò veloce verso la pista di pattinaggio alle sue spalle. Dagli occhi socchiusi vedeva le luci farsi lunghe e acquose, tirò su col naso cercando di deglutire il nodo che aveva in gola con scarsi risultati.
Dopo un poco avvertì il corpo di Magnus premersi contro la sua schiena e avvolgerlo quasi per intero. Le morbide labbra ambrate gli baciarono dolcemente una guancia per poi andare a sussurrargli all’orecchio:”Che ne dici? Facciamo un giro?”
“Sui pattini?” chiese Alec voltandosi appena, felice del cambio di argomento.
 
“Sono terribilmente antiestetici” si stava lamentando Magnus indossando gli scarponi blu dei pattini da ghiaccio.
Alec lo osservava armeggiare con i lacci, lui i suoi se li era già sistemati da tempo.
“Vuoi una mano?” chiese esitante.
“Oh si ti prego!” esclamò Magnus spostando una gamba con il pattino ancora slacciato e posandola sulle cosce di Alec che diventò praticamente a tempo record color ciliegia.
Invidiava l’altro da morire era così spontaneo, così a suo agio nel suo corpo e così sicuro di sé che se anche non avesse avuto quell’aspetto sarebbe stato al centro dell’attenzione di chiunque. Ma ovviamente Magnus Bane non poteva avere i capelli arruffati, il naso storto e i brufoli, no, lui doveva far morire di desiderio Alec ad ogni sguardo, ad ogni gesto. Perfino ora nello spogliatoio della pista da pattinaggio.
 
Alec si avvicinò alla balaustra per poter finalmente accedere alla pista, Magnus che lo seguiva sorridente. Era disarmante quanto bastasse poco per farlo felice, aveva quasi del ridicolo, era come andare in giro con un cane scodinzolante e lui non poteva fare a meno, anche se in piccola parte, di esserne contagiato.
Fece un passo esitante sul ghiaccio e subito sentì la lama aderire alla superficie e dargli sicurezza, diede una spinta debole e si girò verso Magnus giusto in tempo per afferrarlo un istante prima che precipitasse a terra.
“Mamma mia! Me la son vista brutta!” quasi urlò senza permettere a nulla di sciupare il suo sorriso.
Alec ripartì con due spinte decise per poi accorgersi di non avere nessuno al suo fianco, si voltò e vide Magnus fermo nel punto in cui lo aveva lasciato.
“Che fai lì?” gli chiese.
“Pattino” rispose quello come se fosse uno scemo per non averlo capito.
“Magnus… non ti sei mosso di un millimetro” gli fece notare.
“Ah perché bisogna pure muoversi?”
Alec si portò una mano al volto e gli si avvicinò piano, si mise di fronte a lui e gli tese le mani. Magnus lo guardò negli occhi e gli sorrise, fu un sorriso diverso rispetto al solito, un sorriso dolce, un ringraziamento a fior di labbra. Le loro mani si ritrovarono dopo tutto quel tempo e si strinsero come se non volessero lasciarsi mai più, Alec ringraziò mentalmente se stesso di aver dimenticato i guanti a casa così poteva godersi la sensazione della pelle a contatto con quella dell’altro.
“Ora piano, un piede dopo l’altro.”
Andò bene, per circa due metri, andò tutto davvero bene poi Magnus incespicò in qualcosa di invisibile e ruzzolò tra le braccia di Alec. Il loro nasi si toccavano, i respiri si mischiavano, l’uno poteva quasi sentire il battito delle ciglia dell’altro.
“Scusa” fece Magnus tirandosi indietro.
Alec non mollò la presa, tenne l’altro stretto a sé, il cuore che galoppava a una velocità folle tanto che gli pareva assurdo che nessuno, eccetto lui potesse sentirlo.
“Assolutamente no, credo che ti dovrai scusare per questo.”
Cos’era quella? Dell’ironia? Non era più nemmeno certo di sapere come si usasse, ed eccola che rispuntava fuori dopo… quanto? Anni?
Un lampo divertito passò negli occhi verdi-dorati prima che le palpebre andassero a coprirli mentre Magnus si protendeva in avanti, le labbra che cercavano bramose quelle di Alec e per una volta non importava se fossero in pubblico, se quella non fosse una discoteca ma quanto di più simile Alec avesse mai avuto a un appuntamento sdolcinato, anche lui ricambiò il bacio. Dio, quanto lo aveva desiderato? Magnus era diventato all’istante il suo gusto preferito, come col gelato, possono esistere tutti i sapori del mondo ma la tua fedeltà va sempre al solito. Magnus era quello per lui. Una dipendenza formato persona.
Avvertì la lingua di Magnus percorrere velocemente il suo labbro inferiore prima di ritrarsi mentre sorrideva come un ebete.
Pattinarono praticamente abbracciati per quelle che potevano essere ore, ma che per loro non sarebbero state mai abbastanza.
“Posso farti una domanda?” chiese Alec ad un tratto.
“Certo” rispose l’altro tranquillo, le testa posata sulla sua spalla.
“Perché scegliere la pista di pattinaggio se non sai pattinare?”
“Non ti è mai venuto in mente che forse sono un pattinatore provetto ma faccio finta solo per poter star così?” gli domandò stringendoselo di più a sé e lasciandogli un bacio umido sulla guancia.
Alec lo guardò di scatto “Ah è così eh?” chiese e si sciolse dall’abbraccio per avanzare velocemente di qualche metro.
“No! No! Sei matto?! Cosa fai?! Torna qui! Ti prego!”
Alec guardò la faccia disperata di Magnus mentre si protendeva verso di lui nel tentativo di afferrarlo senza però muoversi di un centimetro coi pattini e… rise. Nemmeno si ricordava più come fosse il suono della sua risata e, non appena lo sentì, si accorse che gli era mancato da morire.
Si avvicinò a Magnus, gli prese le mani e se le portò intorno al collo, si guardò intorno, la pista semivuota, delle coppie passeggiavano al di là della balaustra, chinò il capo e lo baciò dolcemente, come se il proprietario della pista non stesse urlando loro di uscire perché ormai era notte fonda e doveva chiudere. Lo baciò come se fosse l’unico bacio che potesse dargli. Lo baciò come se volesse promettergli che lo avrebbe baciato così molte altre volte. Quel bacio voleva dire “Io so che siamo qui ora, al freddo su questa pista di pattinaggio, ma questa volta cercherò di esserci per te sempre.”
 Si staccò a corto di fiato, ma non aveva mai respirato così bene.
 
Magnus era perso in quel bacio. Aveva avuto molte esperienze, ma mai nessuno lo aveva baciato così. Come se fosse una questione di vita o di morte, come se lo stesse ringraziando per una cosa troppo grande perché Magnus potesse davvero capire.
Lui glielo avrebbe voluto dire prima, quando aveva riso con quegli occhi blu che facevano impallidire la notte, glielo avrebbe voluto dire che si era innamorato di quella risata e che avrebbe fatto di tutto per farlo ridere ancora, ancora e ancora. Ma sapeva che così facendo lo avrebbe spaventato, era rimasto zitto, per una volta, tenendosi dentro la grandezza di quei sentimenti e godendosi semplicemente quel bacio che di semplice non aveva nulla. Quando si staccò si perse a guardarlo negli occhi così blu, così perfetti e, ancora ansante, gli disse:”Credo sia il Natale più bello di sempre.”
Alec gli sorrise e seppe che lo era davvero.
 
Robert e Maryse camminavano a braccetto nel freddo della sera. Erano appena usciti dalla cena di gala che avevano tenuto quell’anno e avevano deciso di fare due passi. Si erano trovati così davanti al Rockfeller Center e, presi dalla nostalgia di quando Alexander era piccolo e lo portavano ogni sera di Natale a pattinare davanti all’albero illuminato a festa, si diressero con passo calmo verso la pista di pattinaggio. Era tardi e la pista era ormai semivuota per questo gli fu così semplice scorgere Alec. Stava abbracciato ad un altro uomo che aveva tutta l’aria di aver bisogno di tutto l’aiuto di loro figlio per stare in piedi. Ad un tratto Alec si scostò dalla presa dell’altro che gli urlò qualcosa che non riuscirono a cogliere. Alec rise.
I loro cuori di fermarono per un secondo. Non si erano resi conto di quanto tempo fosse passato da quando lo avevano sentito ridere l’ultima volta, ne quanto gli fosse mancato.
Maryse si voltò verso Robert che non riusciva a distogliere lo sguardo dal figlio e lo guardava come se fosse un regalo meraviglioso.
Alec si avvicinò all’uomo e lo baciò, un bacio che fece trasalire Maryse, non perché il suo bambino stesse baciando un uomo, no, non per quello, ma perché nessuno mai l’aveva baciata con così tanto amore, nessuno le aveva mai detto così tanto con un bacio, nemmeno Robert.
Si voltò verso il marito che, sentendosi osservato, ricambiò il suo sguardo con gli occhi lucidi.
“Oh, Maryse… Sono stato così stupido.”
 
 
Fine
 
 
 
 
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Lo so, lo so, lo so… a questa storia manca solo il “e vissero felici e contenti” ma ragazzi è Natale! Un lieto fine in grande stile è d’obbligo!
A parte questo vi è piaciuto?
Spero di sì, spero che lo vediate come un regalo di Natale in piena regola. Non importa se a tratti troppo…  boh… zuccheroso? Ogni tanto ci vuole.
Quindi ragazzi, che altro posso dirvi? (A parte che mi affeziono da morire ai miei personaggi e che lasciarli andare è sempre un trauma? E se è così anche per voi mi fate davvero commuovere)
Buon Natale a tutti!
Un abbraccio, ci vediamo alla prossima storia
Giuf8

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