Post Punk

di Tatuata Bella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incantevole ***
Capitolo 2: *** Betty Tossica ***
Capitolo 3: *** Il cielo su di noi ***
Capitolo 4: *** Somebody help me ***
Capitolo 5: *** House of Wolves ***
Capitolo 6: *** Ad occhi chiusi ***



Capitolo 1
*** Incantevole ***


(song)

1-  Incantevole fuori è un mondo fragile
 
Luca guardava i raggi del sole che filtravano attraverso i rami di un albero. 
Era primavera, lui era sdraiato in un prato e non era andato a scuola. E soprattutto aspettava lei. 
A quei tempi Luca era felice e gli bastava lei, lei e la primavera a renderlo tale. Dopotutto aveva diciotto anni, e tutte le cose brutte a cui la vita lo aveva già sottoposto non potevano toccarlo più di tanto se non coinvolgevano lei. Lei e la primavera.
Chiuse gli occhi, lasciandosi rapire dagli Arctic Monkeys e scaldare il viso dal sole.
Stop making the eyes at me I’ll stop making the eyes at you…
Aveva solo una lieve consapevolezza della presenza del suo stesso corpo su quel prato, sopra quell’erba. Sapeva solo che sopra di lui c’era il cielo, quel benedetto raggio di sole e sapeva anche che tra poco la sua totale armonia sarebbe stata completa.
And what is it that surprises me is that I don’t really want you to…
Arrivò una folata di vento che gli scompigliò il ciuffo di capelli castani sulla sua fronte, ma non era abbastanza per indurlo ad aprire gli occhi.
And your shoulders are frozen
E non era abbastanza nemmeno il qualcosa che gli stava stuzzicando il naso, qualsiasi cosa fosse.
Cold in the night
Cercò di scacciarlo con una mano, come fosse un insetto.
Oh, but you’re an exsplosion
Ma niente, continuava, si era spostato sul suo zigomo destro. Luca non aveva nessuna intenzione di spezzare quell’idillio dei sensi e della mente.
You’re dynamite
Ma continuava. Riluttante Luca infine si arrese e aprì lentamente un occhio.
La fonte di tutto quel trambusto era una piccola margherita bianca, e dietro i piccoli petali c’erano due occhi blu che riflettevano tutta la luce che filtrava tra i rami. 
Luca allungò una mano affondandola nei capelli lunghi e mossi della ragazza.
“Da quanto sei arrivata, Niki?” chiese.
“Poco. Volevo lasciarti dormire, ma…” si chinò su di lui, baciando le labbra di Luca, che da ore aspettavano quel dolcissimo contatto.
Lui prese la margherita dalle mani di Niki e la sistemò tra i suoi capelli neri, con un sorriso.
Niki si sdraiò accanto a Luca, a pancia in su, con lo sguardo rivolto verso il cielo.
Un altro piccolo bacio appena appoggiato sulle sue labbra.
“Sembra di stare in paradiso qui … ci resterei tutta la vita …” disse Luca, continuando a guardare il viso di Niki. Era bellissima, non riusciva a comandare al suo cervello di smettere di guardarla, con un braccio abbandonato sull’erba, le labbra socchiuse e gli occhi chiusi.
“Già. Poi ogni posto è meglio di casa mia…” disse Niki a voce bassa, poco più di un sussurro.
“E’ successo qualcosa?” chiese.
“Mia madre è pazza. Come al solito.” Disse Niki, rimanendo vaga. Non aveva voglia di parlare di sua madre, voleva solo passare tutta la giornata con Luca e non pensare ad altro che a non pensare a nulla.
Luca si mise su un fianco e sfiorò la pelle di Niki con la punta dell’indice: “Non ti va di parlarne?” chiese, già conoscendo la risposta.
“No. Non ci voglio pensare.”
Aprì gli occhi. A volte Luca si dimenticava di quanto fosse intenso il loro colore.
Niki prese la nuca di Luca con una mano, lo tirò a sé e cominciò a baciarlo. Aveva bisogno di ottenere da lui tutto l’amore che poteva darle, e doveva ottenerlo adesso, tutto insieme. Come se dovesse succhiargli via l’anima attraverso le labbra. 
Il cuore di Luca era impazzito, fuori controllo. Luca perdeva sempre ogni tipo di controllo quando c’era Niki con lui. In realtà aveva rinunciato ad ogni tipo di razionalità da quando Niki era entrata nella sua vita. Ma la amava. La amava da impazzire. 
“Stiamo insieme oggi, vero?” chiese Niki.
“Certo…” si chinò di nuovo sulle sue labbra, ma lei mise le sue dita tra la sua bocca e quella di Luca. Aveva bisogno di più. Le serviva ancora di più.
Gli gettò le braccia al collo e lo strinse a se, Luca ricambiò la stretta, respirando il profumo del suo collo. Era davvero in paradiso.
“A volte mi dimentico che la vita possa ancora essere così bella.” Sussurrò Niki all’orecchio di Luca. Lui sorrise, felice come non lo era mai stato. 
“Ah, cazzo, cazzo quanto ti amo…” disse.
Niki rise, senza sciogliere la sua stretta e cominciando ad accarezzargli i capelli a spazzola sulla sua nuca. La sua risata era un suono così limpido che a Luca sembrava davvero un suono angelico. Era davvero in paradiso.
Niki spinse Luca sull’erba, dando inizio ad una lotta mista a baci e solletico. Si sentiva davvero spensierata, come se la sua vita andasse bene, andasse bene davvero. Come se non avesse problemi, come se davvero il mondo fosse ancora un posto vivibile.
Le loro risate continuavano ancora quando si fermarono, guardandosi negli occhi.
Niki mise una mano su quella di Luca, che avvolgeva il suo fianco.
“Questo parco è fantastico. Ti dimentichi del mondo che c’è fuori qui. Come se fossi in una bolla di sapone, le cose brutte, i casini, tutto rimane fuori. Non ti sembra di essere davvero in paradiso?” chiese Luca.
Niki sorrise lievemente.
“No.” Allungò una mano e prese la sua borsa di pelle nera. Prese una sigaretta dal suo pacchetto di Lucky Strike, la accese, fece un tiro e la mise fra le labbra di Luca. 
“Adesso è il paradiso.”
 

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Capitolo 2
*** Betty Tossica ***


song

2-Betty Tossical’eroina le dona
 
Lasciare che Niki se ne tornasse in quell’inferno che lei chiamava casa dopo il pomeriggio bellissimo che avevano passato insieme, per Luca era stato uno strazio. Ma alla fine aveva dovuto lasciare la sua mano e allontanarsi dalle sue labbra. L’avrebbe rivista il pomeriggio dopo, non mancava poi così tanto tempo. La mattina invece, sia Luca che Niki si sarebbero dovuti rintanare a scuola; nessuno dei due l’aveva ancora abbandonata per dare una parvenza di normalità alla loro vita.
Luca infilò la chiave nella toppa, immerso nei suoi pensieri: “Sono tornato”
“Finalmente! Dov’eri?” L’incalzante accoglienza di sua madre non si faceva mai aspettare.
“Ero fuori con Niki.” Disse Luca, consapevole che a nessuno sarebbe importato della sua risposta, qualsiasi cosa avesse detto.
“Te lo dico io perchè sei sempre fuori casa: perchè non te ne frega un cazzo che tua sorella si stia rovinando la vita!”
Ecco, di nuovo. Erano mesi che continuava a sentirsi dire sempre le stesse frasi.
“No, non è per quello, ma’, è che anche io ho una vita.” Rispose, ma nessuno lo sentì. Sua madre era caduta in fase meditabondo-catatonica. Luca non voleva nemmeno immaginarsi i pensieri che affollavano il cervello di sua madre in quei momenti, ultimamente sempre più frequenti.
Eppure un tempo non era così, la famiglia di Luca era felice e viveva in armonia, è stata sua sorella a cambiare tutto, a trasformare ogni cosa in una specie di tragedia. Tutti si erano accorti del radicale cambiamento nel carattere della sorella, che era sempre stata non più di una bambina. Ma di certo dev’essere stato terribile per sua madre, tornare in casa con i sacchi della spesa e trovare la propria figlia tredicenne con un ago in vena.
E la verità era che nessuno si era mai fermato a chiederle il perché. Soltanto Luca conosceva la verità, semplicemente perché soltanto Luca gliel’aveva chiesta.
Betty non era mai stata una ragazza semplice. I disturbi comportamentali già nella primissima infanzia non facevano presagire un’adolescenza semplice. Per paura, per vigliaccheria, i loro genitori avevano deciso, con una velocità ed una leggerezza sorprendente, di spedire una bambina di undici anni in un centro di salute mentale. Era bastato il parere di un solo medico, che aveva etichettato il suo bipolarismo come un disturbo comportamentale grave, che necessitava di un ricovero immediato per non incorrere in tentativi di suicidio.
Se c’era una cosa a cui Betty non avrebbe mai pensato era il suicidio. E forse aveva cominciato a farsi per fargliela pagare. Perché nonostante tutto, un centro di salute mentale era il posto più semplice per conoscere persone che hanno dimestichezza con sostanze nocive.
Betty aveva confidato al fratello di aver conosciuto una ragazza, era stata ricoverata per disintossicarsi, ma non ci voleva stare, la pensava come Betty su molte cose, era più grande, e aveva una straordinaria capacità di introdurre farmaci illegali e vari tipi di allucinogeni all’interno della struttura.
Era la più piccola, era solo una bambina, sola, completamente in balia del volere degli altri.
Le pastiglie che prendeva di nascosto facevano peggiorare il suo disturbo anziché alleviarlo, così il suo ricovero continuava ad allungarsi, ancora e ancora, così tanto che i genitori di Luca e Betty non potevano più permetterselo, e, indebitatisi fino al collo, non ebbero altra scelta se non quella di chiedere di interrompere le cure.
Appena dimessa dal centro, due anni dopo, non era rimasto niente della Betty che Luca ricordava.
L’eroina era arrivata in fretta, un’apparente salvezza, una falsa amica, ad aspettarla a braccia aperte appena uscita dal centro.
La colpa di tutto questo era ricaduta indirettamente anche su Luca: lui lo sapeva. Lui era grande, ormai diciottenne, avrebbe dovuto dirglielo, e invece non l’aveva fatto.
 
Luca si diresse verso la camera della sorella e bussò alla porta.
“Betty, ci sei?” chiese.
“Entra…” disse la voce della sorella. Perfino quella era cambiata in lei negli ultimi tempi. 
Betty era seduta sul tappeto a gambe incrociate, guardando lo scacciapensieri legato al lampadario che penzolava al centro della stanza. I suoi bei riccioli castani incorniciavano un viso perfettamente ovale, la cui espressione era distantissima dall’assomigliare a quella delle sue coetanee. Betty era diventata prematuramente una donna, una bellissima donna, da quando aveva conosciuto il suo primo amore, l’eroina.
“Quella pazza ti ha di nuovo insultato?” chiese Betty.
Luca fece spallucce: “Un po’. Come al solito. Tu come stai oggi?” chiese.
“Meglio. Certo, lo sai. Questo posto è una prigione, non mi fanno uscire! Prima o poi impazzisco qui dentro.” 
“Io ci sto provando a convincerli a farti uscire di nuovo, ma lo sai, non mi ascoltano, non so come fare…”
Betty esitò un pochino, poi si decise a chiederglielo: “Beh, un modo per aiutarmi c’è… Potresti fare una commissione per me?”
Luca aveva già capito: “Te lo ripeto ancora una volta, Betty, non ti aiuterò mai a comprare quella roba.” 
“Shhh ma sei pazzo? Non urlare, ti sentono.” Betty abbassò drasticamente la voce. “Non voglio farmi. Voglio davvero smetterla. E’ solo che… ho finito il metadone.”
Luca sospirò: “Non devi superare la dose che ti da il SERT, lo sai.”
Gli occhi di Betty si riempirono di lacrime: “Sono stata male, Lu.”
Luca, lentamente, annuì: “Ma ricordati che lo faccio solo per non farti star male. Mamma e papà hanno ragione, lo sai anche tu, devi seguire alla lettera le cose che ti dicono al SERT, devi uscirne, devi uscirne davvero, prima che sia tardi...”
Betty fissò Luca dritto negli occhi: “E’ già tardi.”
Luca finse di non aver sentito.
“Promettimi almeno che ci proverai…”
“Te lo prometto, Luca.”
Luca sentì nascere dentro di sé un forte sentimento disperato di speranza, per quanto fosse consapevole della leggerezza con cui sua sorella faceva e rinnegava promesse. 
“Ti porto tutto domani sera. Vengo qui con Niki e Piera. E forse viene anche Angelo.” Disse Luca.
“Oh. Una festa. Fantastico!”
“Ma che dici, non è una festa, ti sembra che abbiamo voglia di fare una festa? Vengono qui e basta.” Precisò Luca.
“Beh, chiamala come vuoi. Per me è una festa.”
Era per questo che parlare con Betty faceva così impressione: l’eroina l’aveva fatta crescere, le aveva rubato in un lampo l’adolescenza intera, ma in fondo, ogni tanto, emergeva la sua vera età: era ancora una bambina, ed era proprio questo il suo dramma.
 

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Capitolo 3
*** Il cielo su di noi ***


(song)

3- Il cielo su di noi il cielo su Torino non risplende mai 
 
Era Aprile. I raggi di sole, che già cominciavano a diventare più caldi, si dipanavano oltre il muro imponente della scuola di Niki. Il sole di Torino continuava a brillare, qualsiasi cosa succedesse sotto di lui.
Luca non era di nuovo andato a scuola e adesso se ne andava in giro con del metadone in tasca. 
Il suono ovattato della campanella arrivò alle orecchie di Luca, e lui si mise più dritto, aspettando di vedere Niki sbucare dal portone e poi scendere le scale di marmo, correndo verso di lui, come faceva sempre. Magari avrebbe fatto anche un sorriso.
E dopo qualche minuto eccola uscire, emerse come una visione dal buco nero della porta. Dentro il buio e fuori la luce, l’amore.
Niki indossava un vestito grigio cortissimo, calze verdi e stivali da uomo. Vide Luca e gli corse incontro.
Si baciarono, in piedi in mezzo al flusso di gente che sciamava in tutte le direzioni, passandogli a fianco, dietro e attorno, alcuni lanciavano loro un’occhiata distratta, altri neppure li vedevano, nonostante la maglia colorata di Luca e le calze verdi.
“Finalmente fuori da questa stronzata.” Disse Niki dopo il bacio.
“La scuola?”
Niki annuì, lanciando un’ occhiata al cielo.
“Dai, leviamoci da questo posto, dobbiamo andare a prendere Piera.” Disse Luca prendendo Niki per mano. La stringeva delicatamente, come se si potesse rompere come porcellana; gli dava sempre l’idea di essere una creatura fragile.
“No, mi ha chiamato stamattina, dice che non la fanno uscire, di fare senza di lei stasera.” Disse Niki fissando il suo sguardo tutto blu dritto negli occhi di Luca.
“Ah. Ma che cazzo … è una vita che non esce da là dentro, non la possono rinchiudere così. Come mia sorella, cazzo. Prima era chiusa in quel centro, e adesso è chiusa in casa. E mi ha pure di nuovo mandato a prenderle il metadone.” Commentò Luca, frustrato.
Niki sfiorò il viso di Luca con un dito: “Tu sei troppo altruista. Stai troppo male per i casini degli altri, non ti puoi preoccupare per i problemi di tutti. Fai come me. A me importa solo di te.”
Luca le diede un bacio.
“E poi per Piera ad esempio… Con le buone non si ottiene mai un cazzo. Resta solo da provare con le cattive” aggiunse Niki con un’espressione maliziosa sul volto. Si accese una sigaretta e ne offrì una a Luca.
Lui la prese, fermandosi un paio di passi dietro a Niki.
“Che c’è?” chiese Niki fissando Luca con lo sguardo blu.
“Che cos’hai in mente?” chiese lui, dubbioso.
Niki ammiccò: “Niente…”
Luca sospirò. L’avrebbe scoperto più tardi.
Le loro dita tornarono ad intrecciarsi e Luca cercò un altro bacio, così, in mezzo alla gente.
“Chiamo Angelo. Sento cosa dice per stasera.” Disse poi Luca. Niki annuì e si andò a sedere su un muretto. Da lontano era solo una bellissima macchia di colore su uno sfondo grigio di mattoni.
“Ciao. Senti… stasera allora vieni da me?”
Luca si voltò e sorrise a Niki, che si era accesa un’altra sigaretta. Dio, quanto fumava. Lei ricambiò il sorriso.
“No, Piera non può…Ma non ci possiamo far niente se … Ok, ok. Sì. Passa da me alle ott… Niki?”
Niki si era alzata e aveva preso il cellulare dalle mani di Luca.
“Angelo? Sono Niki. Vieni a casa mia tra un’ora. Non me ne frega un cazzo. Se ti sbrighi la tiriamo fuori di lì.” Chiuse la chiamata e mise il cellulare di nuovo tra le mani di Luca.
“Che… cazzo gli hai detto?” chiese Luca confuso.
“Vieni. Andiamo a casa mia.” Disse Niki, senza rispondere alla domanda, afferrando la mano di Luca e correndo verso un autobus che stava partendo.
Luca si lasciava trascinare dall’esuberanza di Niki e anche se la sua bocca non stava ridendo era la sua anima a ridere, e rideva fortissimo e senza remore, fottendosene delle vite di merda che Dio aveva rifilato a tutti loro. Di certo ne avevano tutti molti, di peccati da scontare. Ma se quella vita era una punizione, non era efficace, finchè c’era lei.
 

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Capitolo 4
*** Somebody help me ***


(song)

4- Somebody help me Wake me from this day
 
La porta di casa di Niki scricchiolava sempre aprendola. Era una sorta di campanello d’allarme, era impossibile entrare in casa senza che chi c’era dentro se ne accorgesse, ma Niki ci provava sempre. Continuava disperatamente a cercare di sperare, sempre, anche nelle cose impossibili.
Con passo felpato Niki mise un piede nell’ingresso, seguita da Luca che camminava dietro di lei stringendole la mano.
“Forse non ci ha sentito” pensò Niki, e ci credeva, come in tutte le cose, ci credeva davvero.
“CHI CAZZO C’E’ IN CASA.” 
La voce roca che perseguitava le giornate e le notti di Niki la colpì come una lama. Doveva ricordarselo. Non poteva passare inosservata.
“Sono io mamma.” 
Una testa bionda platinata spettinata, con il volto segnato da due profonde borse sotto gli occhi, semi-mimetizzate dal fondotinta impastato, si affacciò da una porta.
“Sei tu. Dove cazzo sei stata tutta la notte?” 
“Ero a scuola”
“Non si va a scuola la notte. Non cercare di pigliarmi per il culo!”
“Mamma, sono le due del pomeriggio…”
La mamma di Niki si immobilizzò, con lo sguardo perso nel vuoto, borbottando a bassa voce: “le due del…le due del pomeriggio…”
Niki si diresse verso le scale, trascinandosi dietro Luca, ma sua madre non aveva intenzione di lasciarla andare così: “Quello è di nuovo qui?” disse puntando un dito verso Luca.
“Rimane solo per un paio d’ore” disse Niki. Luca conosceva le regole: quando si trovava in quella casa doveva sempre lasciar parlare Niki.
La madre di Niki stava per dire qualcosa, ma qualcuno suonò al campanello. La mamma di Niki lanciò uno strillo: “chi cazzo è?”
Niki corse verso la porta e la aprì di scatto.
“Niki…mi spieghi che cosa hai in ment…” cominciò il ragazzo che era appena entrato, ma si bloccò alla vista della madre di Niki, in piedi in corridoio, che lo squadrava avvolta nel suo pail.
“Perchè c’è tutta questa gente in casa mia Nicole?” strillò la mamma di Niki, con gli occhi sbarrati, come se fosse in preda al terrore. O forse lo era davvero.
“E’ solo un amico mamma. Si chiama Angelo…”
“NON ME NE FREGA UN CAZZO DI COME SI CHIAMA DEVE ANDARSENE VIA DI QUI! E anche lui! E pure tu! Voi stupidi ragazzini mi dovete lasciare in pace, capito?” si mise le mani tra i capelli e corse in cucina.
Niki ne approfittò per correre al piano di sopra, in camera sua, insieme a Luca e Angelo.
La voce della madre di Niki, arrochita dalle sigarette, si riusciva ancora a sentire, si riusciva sempre a sentire: “Dove cazzo…dove cazzo sono le mie fottute pillole?”
Chiudendosi la porta alle spalle, Luca sospirò: “Sta presa peggio del solito, eh Niki?”
Angelo si acciambellò sul pavimento, mentre Niki metteva sottosopra tutta la camera, alla ricerca di qualcosa.
“Niki?” chiese Luca.
“Non è possibile, ha di nuovo rubato le mie pillole … le avevo … nascoste … CAZZO …” borbottò in preda all’ansia.
“Hai guardato nella scatola sotto il letto?” chiese Luca. Conosceva a memoria tutti i nascondigli dove Niki nascondeva i suoi psicofarmaci per non farli rubare dalla madre.
Luca aveva ragione, le pillole erano nella scatola. Niki ne ingoiò un paio senz’acqua e si sedette per terra vicino ad Angelo. Luca li imitò in fretta.
“Scusatela. Sta uscendo di testa. Ha finito le pastiglie che gli ha dato lo psichiatra in due giorni e adesso è una settimana che è senza.” Disse Niki, tentando di giustificare il comportamento della madre. Come se gli altri non sapessero che ogni giorno c’era una scusa diversa. Sua madre era matta da legare, non c’erano molte spiegazioni, ed era ovvio che gli assistenti sociali avessero assegnato anche a Niki uno psichiatra, che aveva prescritto anche a lei degli psicofarmaci, come poteva sopravvivere in quell’inferno?
“Comunque... Angelo…” proseguì Niki.
“Lo sai che devi chiamarmi Ics!” protestò il ragazzo mostrando un’espressione accigliata sotto il groviglio di capelli corvini che gli incorniciavano il viso.
“Oh, ti prego, finiscila con questa storia.”
“Devo abituarmi ad usare Ics come nome. E’ meglio far circolare il mio nome meno possibile.”
“Credi davvero che la polizia venga a cercarti se usi il tuo vero nome quando spacci i tuoi cinque euro di erba al parco del Valentino?”
Ics fece spallucce, con espressione seria: “Non si può mai sapere. E’ una precauzione”.
Niki scosse la testa ammiccando a Luca che le rispose con un sorriso esasperato.
“In ogni caso… quelli della clinica non vogliono fare uscire Piera. E noi non vogliamo stare senza di lei stasera, non è vero?” disse Niki, riappropriandosi del sorrisetto malizioso di prima.
Angelo ricambiò il sorriso “Ovviamente no…”
 

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Capitolo 5
*** House of Wolves ***


Song

5- House of wolves anybody burn the house out down
 
“Ok, ragazzi, ma siete sicuri?” chiese Luca.
Ci era voluto un po’ per convincerlo e adesso che si trovavano di fronte a quella facciata grigiastra gli stavano tornando tutti i suoi dubbi.
“Dai amore, alla fine ti divertirai, come sempre...vedrai.” disse Niki baciando Luca sulle labbra.
Luca annuì: “Sì…come sempre. Hai ragione.”
“Vado io. Seguitemi in fretta, mi raccomando” disse Niki lasciando andare la mano di Luca e addentrandosi dentro la clinica. 
Angelo e Luca attesero soltanto per un minuto scarso, poi il primo prese il secondo per un braccio: “Andiamo.”
I due varcarono insieme la porta della clinica, diretti verso la reception. 
Luca si bloccò quando sentì la voce di Niki e allungò un braccio per fermare anche Angelo.
“Vorrei tanto vedere la mia amica… E’ ricoverata nella stanza 15… per favore…” diceva Niki. Dalla loro visuale, Luca e Angelo potevano intravedere solo in parte Niki, sportasi quanto più poteva verso il suo interlocutore.
“Ma signorina, nella stanza 15 non c’è nessuno” disse l’infermiere.
“Oooh. Ma ne è sicuro?”
Angelo fece un cenno a Luca, che si abbassò senza esitare per far salire l’amico sulle sue spalle. 
Angelo estrasse un accendino dalla tasca e mise la fiamma sotto il rilevatore del sistema antincendio.
“Perchè non scatta? Cazzo…”
“Stai calmo, Luca. Adesso scatta.”
Angelo non fece in tempo a finire la frase che un centinaio di sirene cominciò a suonare all’unisono e tutti i corridoi vennero inondati da spruzzi d’acqua.
Angelo riportò i piedi per terra con un salto e si mise a correre a perdifiato, seguito da Luca. Ben presto vennero raggiunti da Niki, raggiante in volto, che rideva a più non posso. 
Appena arrivarono di fronte alla stanza numero 10, Angelo spalancò la porta.
Piera era già in piedi, un sorriso lievemente malizioso stampato sul viso, incorniciato da lunghi capelli biondi. Scuoteva la testa: “Siete fottutamente prevedibili. Sapevo che eravate voi”
Angelo la afferrò  per un braccio: “Zitta e corri!”
Si riversarono tutti insieme nel lungo corridoio, che pullulava di degenti che erano usciti tutti in massa, superarono l’accettazione, in cui regnava il caos e scoppiarono a ridere quando l’infermiera che Niki aveva distratto li vide e gli urlò dietro: “torna qui stupida cagna!”
Era comunque troppo lontana per fermarli ormai.
Si precipitarono tutti giù per la scala antincendio, facendo quattro gradini alla volta, cadendo, rialzandosi, ridendo, urlando. Urlando vendetta alla vita.
Continuando a correre, presero un autobus semivuoto al volo, fermandosi a riprendere fiato solo dopo essersi seduti, ancora ridendo tutti e quattro come matti.
Piera, mezza soffocata dalle sue stesse risate, si aggrappò con le mani ad un palo gettando all’indietro i capelli biondi e scompigliati: “Dio, ragazzi… siete fantastici!”
“Ma se hai appena detto che siamo prevedibili” disse Luca sorridendo.
“Sì ma adesso sono fuori. Prima ero ancora là dentro” rispose Piera, raggiante.
Niki, ridendo come una pazza si appoggiò alla minuscola spalla di Piera: “Allora, splendore, che effetto ti fa la libertà?”
Piera abbracciò Niki, urlando: “woooooo! Uno sballo!” 
“Era una vita che non uscivi da lì. Come stai?” chiese Angelo, con il suo solito tono serio e un po’ suadente che faceva sentire chi gli stava attorno come se fosse l’unica persona esistente sull’universo.
“Adesso…benissimo. Ma voglio sapere voi, com’è il mondo reale, che cosa mi sono persa…” rispose Piera, sedendosi nel posto vuoto vicino a Angelo. “Luca, Betty come sta?” aggiunse poi, rivolta a Luca.
Luca sorrise un po’ sarcastico: “Lo vedrai stasera. Devi solo aspettare qualche ora.”
 

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Capitolo 6
*** Ad occhi chiusi ***


song

6- Ad occhi chiusi osserverò ogni piccolo gesto che inconsapevolmente fai
 
Betty aspettava spiando dalla fessura della porta.
“Finalmente siete arrivati! Stavo facendo le ragnatele, cazzo!” esclamò facendo entrare il fratello e il suo seguito di amici dentro la sua camera.
“Piera!” esclamò poi, stupita, sorridendo alla ragazza “Ti hanno lasciato uscire!”
Piera rivolse ad Angelo, che era il più vicino, un sorriso allusivo: “Sì beh. Più o meno.”
Ma Betty ormai non la ascoltava più: “Allora, Luca?”
Luca si tolse dalla tasca il famoso metadone che aveva portato con sé tutto il giorno.
“Se ti fai beccare da mamma ti ammazzo…” la avvertì Luca e Betty rispose annuendo velocemente e afferrando in fretta la bustina e cominciando a farla sciogliere in un bicchiere d’acqua. Mentre sua sorella beveva il bicchiere tutto di un fiato, Luca non si mosse di un millimetro, Niki non distoglieva lo sguardo dal viso del suo ragazzo, preoccupata per lui più che per sua sorella.
Luca non avrebbe alzato lo sguardo dal tappeto per nessun motivo al mondo, e Niki lo sapeva, lo sapeva benissimo quanto male gli faceva vedere la sorella in quelle condizioni. E d’accordo, il metadone faceva parte della terapia, ma Luca sapeva benissimo quanto fosse facile non controllare più la dipendenza anche da esso, soprattutto se ne prendeva più del dovuto.
Niki decise di trovare un modo per fare uscire il suo ragazzo dalla stanza, almeno per pochi secondi: “Luca, perché non vai a prendere qualcosa da mangiare?” Si pentì subito di quello che aveva appena detto. Meglio non coinvolgere nulla che c’entrasse col cibo quando c’era Piera nei dintorni, ma ormai il danno era fatto.
“Certo. Vado subito.” Dice Luca uscendo in fretta dalla stanza di sua sorella senza voltarsi nemmeno un istante. Piera non disse nulla, erano tutti troppo impegnati a guardarsi l’un l’altro cercando di evitare accuratamente di guardare Betty.
“Ho preso dei panini... un po’ di patatine...” disse Luca riaprendo la porta e chiudendola subito a chiave. “Ci sono i miei di là…” aggiunse, rispondendo allo sguardo interrogativo di Angelo.
“Vanno benissimo.” disse Niki guardando Luca con uno sguardo intenso.
Luca sistemò il vassoio in mezzo alla stanza, Angelo allungò una mano afferrando deciso un panino, ma senza guardarlo: teneva gli occhi fissi su Piera, come se la stesse sfidando. Lei gli sorrise, facendo finta di non capire; in realtà capiva benissimo.
“Uuuuuuuuh. Voglio le patatine anche io” disse Betty, che era già molto più serena; le sue gambe avevano smesso di tremare.
Luca si alzò in fretta e raccolse il bicchiere che la sorella aveva lasciato in terra, mettendolo in alto su uno scaffale; doveva lavarlo personalmente per essere sicuro che nessun altro ci bevesse per sbaglio.
Betty si impossessò del piattino con le patatine, ingoiandole praticamente senza masticarle. Luca la fissava. Non era facile notarlo, ma Niki si era accorta che aveva gli occhi lucidi. Gli si avvicinò per baciarlo.
“Non è che potrei avere dell’acqua?” chiese Piera, e Niki si fermò e ritornò a sedersi a gambe acciambellate sul pavimento.
“Sì.” dice Luca, facendo per alzarsi.
“Vado io.” Disse Betty, a voce troppo alta.
“No. Tu non ti muovi da qui.” Le intimò Luca. Lei si zittì.
Luca tornò dopo qualche istante con una bottiglia da due litri. Piera la prese, la aprì e cominciò a berla con ampi sorsi, senza mai prendere fiato, finché non la vuotò.
Angelo non le tolse gli occhi di dosso nemmeno un istante.
“Non mangi niente?” chiese.
“Ho già mangiato in clinica. Avevo solo un po’ sete.” Rispose Piera.
Angelo si spostò un po’ più vicino a Piera: “Avevi detto che stavi meglio...” bisbigliò in modo che solo lei potesse sentirlo.
“Infatti sto meglio. Davvero.” Rispose lei.
Angelo non disse nulla, si limitò a fissare la bottiglia vuota che adesso giaceva in mezzo alla stanza. 
Era sempre la stessa storia, il motivo per cui Piera era ricoverata in clinica: non mangiava nulla per giorni e in compenso si riempiva lo stomaco d’acqua, ne beveva così tanta che aveva l’illusione che le passasse la fame. Piera conviveva costantemente con la sua fame, la faceva sentire quasi sollevata, una specie di prova del nove che stava facendo bene. Era un anno che cercava di uscirne. O meglio, era un anno che sua madre si era stufata di vivere lì, si era sposata un industriale che aveva sborsato una dose di soldi per sistemare Piera in clinica. Non andavano spesso a trovarla, in verità, ma di questo, a Piera non interessava più di tanto, il suo unico pensiero era il cibo, e non c’era spazio per molto altro. Nonostante tutte le balle che raccontava agli amici, non aveva nemmeno iniziato a provare a uscirne, non aveva speranza di riuscirci, non finché c’era la bilancia. In clinica c’erano bilance soltanto negli studi dei medici, nelle camere erano assolutamente proibite, ma lei trovava sempre qualche scusa per riuscire a pesarsi, era una specie di droga, era felice solo se ogni volta che si pesava vedeva una tacca di meno su quel dannato quadrante.
“Stai attenta, Piera, ti prego.” Bisbigliò Angelo.
Piera si voltò stupita verso di lui: non le aveva mai parlato così. Lei gli sorrise, allungando un braccio magrissimo quanto bastava per sfiorargli una mano: “E’ tutto a posto” disse.
 

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