Drowning Man

di _Atlas_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Can you save me? ***
Capitolo 2: *** Disposable Heroes ***
Capitolo 3: *** Drowning ***
Capitolo 4: *** Bad Liar ***
Capitolo 5: *** Wonderwall ***
Capitolo 6: *** Bonfire Heart ***
Capitolo 7: *** Space Dementia ***
Capitolo 8: *** Second Chances ***



Capitolo 1
*** Can you save me? ***


1.

Can you save me?





Quel giorno New York si era svegliata sotto un manto di neve.
Dall'attico della Stark Tower il panorama era incantevole e sembrava proprio che la città avesse abbandonato il suo ritmo frenetico per lasciarsi avvolgere da un clima di assoluta calma e spensieratezza.
La nevicata aveva messo di buon umore Pepper, che abituata al caldo torrido della California aveva accolto con entusiasmo i primi fiocchi caduti dal cielo; inoltre il freddo aveva avuto il privilegio di farle dimenticare Extremis e di ricordarle che quella brutta storia era ormai finita, così come quel Natale terribile appena passato, così come l'operazione di Tony.
Lui, a dire il vero, non se la passava altrettanto bene.
La neve era stata un piacevole diversivo per qualche ora, ma poi i demoni erano tornati.
Non era servito a niente rifugiarsi in laboratorio, i pensieri si aggrovigliavano sovrapponendosi sullo schermo delle mille interfacce aperte, insinuandosi nella sua mente e negandogli la lucidità.
La villa distrutta, il Mandarino, Extremis. Tutto tornava a galla sempre e gli ricordava che distruggere le armature era stato un gesto avventato e soprattutto futile, un modo banale per illudersi di poter cambiare. Un modo per convincersi di aver dimenticato e superato New York.
Ma quel peso che gravava sul suo petto c'era ancora e seguiva la scia dei suoi pensieri, prendendo talvolta le sembianze di quel maledetto portale o di Iron Man stesso, delle persone a lui care o di quelle che avrebbe voluto salvare.
Non si stupì di avere il fiato corto, ancora, e di non riuscire a prendere respiri profondi.
Il panico lo aveva abbandonato il tempo necessario per correggere Extremis e togliersi il reattore, ma era rimasto annidato in lui e adesso era riemerso dagli abissi come un kraken pronto ad avvinghiare coi tentacoli una nave in mezzo all'oceano.
Aveva fatto bene a lasciare il laboratorio, lì aveva la sensazione che i pensieri si moltiplicassero senza dargli scampo. Appena varcò l'atrio dell'attico fu assalito da un profumo squisito, che scoprì provenire direttamente dalla cucina; Pepper doveva essere davvero contenta per aver deciso di mettersi ai fornelli.
Sorrise sovrappensiero e finalmente riuscì ad aprire i polmoni.
Si prese qualche secondo prima di raggiungerla, era certo di avere lo sguardo ancora vitreo e non voleva che la donna lo intercettasse, non ora che le cose avevano ripreso a funzionare.
Si avvicinò alle vetrate del soggiorno e per qualche secondo rimase imbambolato di fronte al panorama candido che rifletteva nel suo sguardo. Si ritrovò a rimpiangere i momenti in cui quella città gli aveva trasmesso gioia o al massimo qualche grattacapo con cui arrovellarsi la mente; adesso era diverso, e anche davanti a quel manto bianco riusciva a vedere il portale, a percepirne la grandezza e il silenzio dal quale era stato inghiottito.
Un scarica gelida gli attraversò improvvisamente il corpo e il suo cuore iniziò a palpitare, inviando scariche di adrenalina in tutte le direzioni. Aveva di nuovo il fiato corto ma riuscì a non cedere a quella morsa terrificante, riprendendo a poco a poco il controllo sul suo respiro.
Col tempo aveva scoperto che non era così difficile, se non era a New York e se non si arrischiava a guardare troppo il cielo.
"Tony?"
La voce di Pepper lo fece sussultare da lontano e per un attimo sperò di scomparire. Assunse l'espressione più disinvolta di cui fosse capace, ma il panico era ancora lì e gli opprimeva il petto.



 
* * *



Erano seduti sugli sgabelli della penisola, uno di fronte all'altra, in silenzio.
Pepper lo osservava giocare con la forchetta in mezzo al piatto, senza toccare cibo e senza mai alzare lo sguardo.
"Non mangi?"
A Tony non sfuggì il tono deluso della donna, ma aveva lo stomaco chiuso ed era riuscito a prendere solo qualche boccone del piatto che aveva preparato.
"Non ho molta fame" disse con una scrollata di spalle e utilizzando il tono più neutrale che gli fu possibile. Sfuggì il suo sguardo tenendo gli occhi bassi, ma percepiva quello della donna su di sè, consapevole che quella farsa non sarebbe potuta durare ancora molto.
"C'è qualcosa che non va?" chiese infatti Pepper dopo un lungo silenzio.
"Uh? No, sto bene" rispose indifferente, o almeno sperando di risultare tale. Il panico si era affievolito, ma gli aveva lasciato addosso un pesante velo di ansia che a Pepper non sarebbe mai potuto sfuggire.
"Ne sei sicuro?"
"Mm-mh," per rendere credibile la sua risposta si decise a prendere una forchettata di uova strapazzate e a farle un sorriso convincente che, tuttavia, sapeva che non l'avrebbe convinta affatto.
"Tony, lo sai che mentire non se-"
"Non sto mentendo."
"...rve a niente. Ah, no?"
"No."
Tony la sentì sbuffare sommessamente e si sentì subito in colpa per aver rovinato il loro pranzo e molto probabilmente l'intera giornata. Ma cosa avrebbe dovuto dirle? Che le cose non funzionavano affatto, almeno per lui? Che il panico era tornato, così come quella stretta al petto e il fiato corto? Che non poteva affacciarsi alla finestra perchè altrimenti avrebbe visto di nuovo il portale?
E a che scopo le avrebbe dovuto dire queste cose?
D'altra parte era conscio che non dirle niente sarebbe stato peggio e in fin dei conti la donna non meritava il suo silenzio, soprattutto dopo quello che avevano passato negli ultimi mesi.
"Scusa" mormorò quindi a denti stretti, guardandola negli occhi giusto il tempo di intravedere la sua espressione interrogativa. "Qualcosa c'è, hai ragione."
Pepper lo vide abbassare di nuovo lo sguardo e sospirare rumorosamente. Aveva sperato che col tempo le cose migliorassero da sole ed effettivamente gli incubi erano spariti ed entrambi avevano ripreso a dormire notti tranquille, eppure percepiva in lui la stessa tensione, come se fosse sempre in allerta, pronto a captare una qualsiasi minaccia proveniente dall'esterno. Se ne accorgeva dal suo modo di parlare e dallo sguardo spaurito che solo di rado le dava la possibilità di vedere senza barriere, ma che lei riusciva a cogliere in ogni momento.
Sospirò a sua volta, scegliendo con cura le parole da rivolgergli.
"Se vuoi parlarne, ti ascolto."
Tony sollevò lo sguardo e le rivolse un sorriso tirato. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di parlare davvero con lei, ci aveva provato solo una volta ma le sue parole avevano espresso ben poco di ciò che lo tormentava all'interno e lei non aveva afferrato la reale portata delle sue emozioni.
Adesso gli stava di nuovo tendendo la mano, ma come allora non si reputava in grado di esprimersi come avrebbe voluto.
La stretta al petto iniziava a farsi più dolorosa, e infine le parole lasciarono la sua bocca senza che se ne rendesse conto.
"Ho...paura." ammise senza nascondere la sensazione di disagio che lo stava prosciugando. Non l'aveva mai confessato apertamente a nessuno e nell'istante in cui pronunciò quelle parole, avvertì un senso di smarrimento farsi largo dentro di sè. "Sempre. A volte è più sopportabile, ma..." aggiunse senza però terminare la frase.
"È per New York?"
A Pepper bastò sussurrare quella domanda per vederlo irrigidirsi, annuire e abbassare di nuovo la testa.
"Parte tutto da lì, ma poi finisce per portare a galla anche il resto. É come...una creatura mitologica. Tagli una testa e ne spuntano altre sette, e il mostro diventa sempre più grande. È...sfiancante." confessò con impaccio. Realizzò con ritardo di aver ripreso il controllo del respiro, constatando che svuotare anche solo la minima parte del problema lo stava facendo sentire meglio.
"Di cosa hai paura?"
"Di non essere pronto... q-quando torneranno" rispose di getto.
Pepper mise da parte le posate e si sporse appena per prendergli la mano, ignorando il fatto che lui preferì non ricambiare la stretta.
"Non è detto che torneranno" mormorò con convinzione.
"Come faccio a saperlo? Potrebbero farlo in qualunque momento. E se non fossi abbastanza pronto? Cosa accadrebbe se...se..."
"Faresti comunque del tuo meglio, quello che hai sempre fatto. Non puoi prenderti la responsabilità di qualcosa che non puoi controllare."
Tony avrebbe voluto credere a quelle parole, ma in cuor suo sapeva quanto alle sue orecchie risuonassero vuote, prive di significato.
"Un anno fa ho salvato New York. La gente si aspetta che lo faccia ancora" si ostinò "Non posso permettere che mi trovino impreparato. E poi..."
Pepper aggrottò le sopracciglia, senza capire. "Cosa?"
"Ho davvero avuto paura in quel portale, Pep. Paura di non farcela e di..."
"...morire?"
Tony annuì passandosi una mano sulla fronte; fu grato che avesse concluso lei quella frase, altrimenti non sarebbe stato in grado di farlo da solo. Le fu riconoscente soprattutto perchè sapeva quanto quei momenti avessero terrorizzato anche lei, e nonostante ciò era stata in grado di tornarci sopra.
"Non voglio nemmeno farmi trovare in preda a un attacco di panico" pronunciò infine con disprezzo. Fece per divincolarsi dalla stretta della donna, ma lei glielo impedì.
"Per quello possiamo trovare un soluzione. Avere paura è umano."
"Proposte?" si sforzò di non risultare troppo sarcastico, chiedendolo. In realtà avrebbe voluto davvero trovare una soluzione, se solo avesse avuto il potere di cancellare la sua paura per sempre. Ma non funzionava così e una parte di sè lo sapeva bene.
Pepper gli rivolse uno sguardo colmo d'affetto, sperando che non fraintendesse le sue successive parole.
"Potresti parlarne con qualcuno..."
Tony colse l'allusione ma preferì ignorarla, concentrandosi sulla sua mano ancorata alla propria e ricambiando finalmente la sua stretta. "Ne sto parlando con te..." le fece notare.
"Intendo con un esperto."
"Beh, mi conosci da tredici anni, chi meglio di te...?"
"Tony, potrai parlarne con me ogni volta che vorrai, questo lo sai già. Ma non è..."
"Non è la stessa cosa, ho capito" fu infine costretto ad ammettere.
Non sapeva in che modo relazionarsi con quelle parole, ma era disposto ad accettarle e a capire che provenivano da chi aveva a cuore la sua vita.
"Pensaci" concluse Pepper lasciandogli la mano e tornando al suo pranzo.
Tony la imitò e realizzò con gioia che l'ansia lo aveva poco a poco abbandonato, lasciandogli sul petto solo una leggera tensione che però gli provocava appena fastidio.
"Grazie" mormorò sincero.
Il panico sarebbe tornato, lo sapeva. Lo avrebbe colto di sorpresa in laboratorio, o magari di notte o mentre si radeva la barba, e come sempre sarebbe stato difficile mandarlo via.
Spesso concentrarsi sul respiro era controproducente e le palpitazioni talmente forti da fargli credere di stare per morire da un momento all'altro; Pepper non ne era sempre al corrente, ma anche solo saperla vicina riusciva a tranquillizzarlo un po'.
Fu in quell'istante che lei gli rivolse un sorriso, mettendo a tacere una volta per tutte le ultime proteste della sua mente.







NdA
Ehilà, salve! :D
Dopo qualche mese di assenza torno a pubblicare su Efp, sperando di fare cosa gradita a tutti e in particolare a chi ha sempre seguito le mie storie <3
Questa raccolta è nata un po' per caso e inizialmente doveva essere un'unica one shot, ma poi l'ispirazione ha preso il sopravvento e si sono aggiunti altri sette capitoli (per ora) :')
L'idea è quella di affrontare il "malessere" di Tony inserendo il punto di vista di altri personaggi, quelli con cui - nel mio headcanon – ha avuto modo di parlarne. Pepper è ovviamente la prima di una lista in realtà non troppo lunga :P
Come avrete capito, ho scelto il post Iron Man 3 come punto di partenza e l'idea è quella di arrivare sino ad Avengers:Endgame, tenendo conto anche di quello che accadrà nel film.

Ringrazio tantissimissimo _Lightning_, che ha visto questa raccolta nascere, spronandomi a pubblicarla e sorbendosi i miei scleri. Tvb Light, stavolta ti ho preso alla sprovvista :'D <3

E infine rigrazio chiunque mi seguirà in questo viaggio, spero che i capitoli saranno di vostro gradimento <3
Un bacio e alla prossima,

_Atlas_

 

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Capitolo 2
*** Disposable Heroes ***



2.

Disposable Heroes








"Ultron? Un'armatura a protezione del mondo?"
Bruce Banner formulò quella domanda senza preoccuparsi di nascondere il suo disorientamento. Non era sicuro che Tony fosse nel pieno delle proprie facoltà mentali, ma a giudicare dal suo atteggiamento disinvolto fu costretto a ricredersi.
"Sei serio?" chiese come ultimo scrupolo.
"Certo" confermò quello, "Come la vedi?"
Il dottore si raddrizzò gli occhiali sul naso, guardandosi intorno con evidente disagio. Un ologramma lampeggiava sospeso davanti ai suoi occhi, mostrando dati e sistemi che si ricollegavano all'iniziativa di Tony. Si era aspettato di smanettare con formule ed esperimenti quel mattino, quando l'amico lo aveva invitato a bere un drink con la scusa di mostrargli il nuovo laboratorio della Avengers Tower, ma non avrebbe mai immaginato di confrontarsi con un progetto di tale portata.
"Beh, è un progetto...azzardato, direi folle. Come lo hai pensato?" chiese sinceramente incuriosito.
"Rimuginazioni" spiegò in fretta Tony, "Aggiunte a un numero consistente di pensieri ossessivi. Sono utili a volte, ci credi?"
Bruce si pentì all'istante di avergli fatto quella domanda e preferì ignorarne la risposta, tornando al cuore del discorso.
"Riconosco che è un'idea interessante, per quanto irrealizzabile" ammise.
"Per ora" specificò Tony prendendo un sorso del suo drink, "Immagina di avere i mezzi necessari per risolvere l'enigma, sareb-"
"È troppo complicato..."
"J.a.r.v.i.s. potrebbe darci una mano."
"...per non parlare dei problemi verso cui potremmo andare in contro" replicò Bruce, pratico.
Tony sospirò con pesantezza, portandosi una mano sulla fronte come a cercare le parole giuste da dire.
"Per il momento si tratta solo di un'idea" disse sbrigativo "Ci sono ipotesi che non ho ancora considerato e che vorrei approfondire. Ma dobbiamo rischiare, potrebbe essere l'unica soluzione se..."
Bruce sembrò non seguire il suo ragionamento, "Se...?"
"Prova a immaginare lo scenario peggiore in cui potremmo trovarci."
"Non saprei...non..."
"Pensaci bene, Bruce."
L'uomo ammutolì di fronte alla veemenza dell'amico, poi gli bastò guardarlo negli occhi per capire cosa intendesse. "Il portale? Gli alieni?"
Tony annuì. "Se non rischiamo adesso, dopo potrebbe essere troppo tardi."
Bruce si passò una mano tra i capelli in un gesto di stizza, "Dopo quando, Tony?" chiese perplesso. "Tu parli come se stesse per accadere qualcosa, come se ne avessi la certezza!"
"Andiamo Bruce, pensi sul serio che non torneranno? Che da qui in avanti non accadrà mai niente che non richieda il nostro intervento? Hai una visione ottimistica della cosa, ma non...preferisco rimanere coi piedi per terra," confessò l'uomo e all'improvviso il suo volto si contrasse in un'espressione rigida, come a trattenere un pensiero molto più intenso di quello che aveva appena espresso.
Bruce lo guardò spaesato e con un velo di incredulità che lo infastidì.
"Questo non è essere realisti, questo è..."
"È un modo di trovare soluzioni" concluse per lui Tony, incapace di nascondere il nervosismo.
"Ultron è una soluzione?"
"Potrebbe."
L'uomo sfuggì il suo sguardo per non dargli modo di vedere la propria delusione. Aveva previsto lo scetticismo del collega, ma vederla avversarsi fu ugualmente doloroso e per un attimo pensò di riconsiderare il suo progetto. Forse aveva ragione Bruce, forse loro non sarebbero tornati e lui avrebbe continuato ad alimentare paure dettate da considerazioni errate.
Ma quell'unica possibilità che c'era, era tangibile, reale, e non poteva ignorarla.
"È un bel progetto, Tony, non intendo negarlo, nè ignorarlo. È solo che adesso resta un'immensa, assurda fantasia..." proruppe Bruce cercando di essere obiettivo.
"Già."
Il silenzio in cui si chiuse l'amico lo mise ancora più a disagio, mentre la domanda che si era fatta spazio nella mente non appena avevano iniziato quella conversazione, spingeva affinchè potesse venire espressa.
"Senti..." lo richiamò schiarendosi la voce, "Tu...tu come stai?"
A quelle parole Tony alzò la testa in modo brusco, chiaramente colto alla sprovvista.
"Come?" chiese a sua volta.
"Tu come stai, Tony?" scandì Bruce con più vigore.
"B-bene? Direi alla grande, perchè?"
"Alla grande? E gli attacchi di panico? L'ultima volta che ci siamo visti avevi problemi d'insonnia..."
Tony sospirò, senza capire bene se quello che provava fosse fastidio o un'altra sensazione a cui al momento non era in grado di dare un nome.
"Sì, me lo ricordo" affermò "Al contrario di te che ti sei appisolato sul mio divano non appena ho aperto bocca."
"Ho dei ricordi su un ascensore in Svizzera e un coniglio gigante, mi sembra. Dico bene?"
"Dici bene. Se avessi resistito ancora un po' a quest'ora ti ricorderesti anche di Dora l'Esploratrice."
Bruce sorrise, dopodichè incrociò le braccia sul petto con quella che a Tony sembrò rassegnazione.
"Tony, è l'ultima volta che te lo chiedo: come stai davvero?"
Preferì ignorare quella domanda, o almeno così parve a Bruce nel momento in cui l'amico gli diede le spalle, iniziando a trafficare con alcune interfacce aperte.
"Dormo cinque ore a notte, all'incirca" disse infine dopo qualche minuto "E l'ansia è diminuita, almeno fisicamente."
"Niente più attacchi di panico, quindi?"
"Mm-mh. È un buon traguardo..."
"Direi di sì" convenne Bruce, "E i pensieri ossessivi di cui parlavi prima?"
"Sono solo pensieri" spiegò troncando il discorso.
Preferì non aggiungere altro, rifugiandosi dietro alla convinzione che se non ne avesse parlato quelli sarebbero rimasti confinati tra le pareti del suo inconscio. Odiava quando succedeva, aveva la sensazione di trovarsi in un vortice senza uscita, dentro al quale spesso credeva di impazzire.
L'idea stessa di Ultron era nata in uno di quei momenti e aveva avuto il potere di zittire l'ansia che non aveva mai smesso di divorarlo; per questo sapeva di dovergli per forza dare una possibilità, che fosse con l'aiuto di un amico o da solo.
"Tony, dovresti..." iniziò a dire Bruce, ma finì subito per essere interrotto.
"Dovrei parlarne con qualcuno, lo so. Stavolta magari non con un dottore specializzato in fisica nucleare" disse facendolo sorridere.
"Te lo sconsiglio."
"Altrimenti rischierei di doverlo svegliare."
Bruce si mise le mani in tasca con l'intento di nascondere l'imbarazzo sempre più crescente.
"Sai, potresti offrirgli del caffè, se mai volessi parlare di nuovo con lui. Così non rischierà di addormentarsi" gli suggerì mantenendo volutamente un tono al contempo serio e scherzoso.
"Buona idea, dottor Banner" disse quindi Tony stando al gioco ma anche celando un grazie dietro quelle parole. "Andiamo, ti mostro il resto del laboratorio" aggiunse poi chiudendo le interfacce con un battito di mani.
Bruce annuì distratto e prima di seguirlo volse un'ultima occhiata al progetto di Ultron, abbandonato sulla scrivania.

"Maledizione."







NdA
Buonasssera :)
Eccovi il secondo capitolo della raccolta, con sua maestà il Dottor Banner :D
Ci troviamo da qualche parte prima di Age of Ultron e ho tenuto conto della discussione che Tony e Bruce hanno nel film proprio prima di creare Ultron. Ovviamente mi serviva più come pretesto per agganciarmi alla situazione emotiva di Tony e rimediare un po' alla pennichella che si fa Bruce in Iron Man 3 :')
Il finale non mi convince molto, ma ci tenevo a marcare il fatto che Banner resta comunque dubbioso nel rifiutare del tutto il progetto di Tony; certo, poi non si prenderà molte responsabilità in futuro, ma questa è un'altra storia :')

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, fatemi sapere quali sono i vostri pensieri al riguardo :)

Alla prossima,

_Atlas_

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Capitolo 3
*** Drowning ***


3.

Drowning







Il jet decollò non appena l'ultimo raggio di sole scomparve dietro le colline all'orizzonte, lasciando spazio a un'incantevole ora blu sulla costa californiana.
Dal finestrino Tony osservava il panorama in scala sempre più ridotta, fino a vederlo diventare un'enorme distesa abbagliante di luci artificiali. Da quella visione notturna scaturì una crescente malinconia che abbracciò interamente il suo corpo in una morsa gelida.
Rimase immobile intrappolato tra i braccioli del sedile, senza sentirsi in realtà turbato, ma solo tristemente consapevole che le sue azioni lo avevano infine condotto inesorabilmente verso la sconfitta.
Le sue paure avevano vinto Ultron e Ultron stesso ne aveva generate altre, mettendolo a nudo di fronte a una realtà che non sarebbe mai stato in grado di fronteggiare, nè controllare davvero.
Semplicemente, il suo mostro personale era troppo grande per poter essere annientato con il suo ingegno, e accettarlo come parte integrante di sè era una mossa ancora troppo difficile da mettere in atto.
Chiudersi in sè stesso, invece, gli riusciva ancora piuttosto bene e chiudere fuori gli altri dalla gabbia ossessiva che lui stesso aveva creato, negli ultimi tempi si era rivelato ancora più semplice.
Pepper era l'unica a cui era concesso oltrepassare quelle sbarre, ma solo di rado era riuscito ad accettarne i consigli e a metterli in pratica; erano poche le volte in cui si apriva con lei, ma non sapeva spiegarsi quando, nè il perchè qualcosa si fosse all'improvviso incrinato nel loro rapporto.
Probabilmente – anzi, ne era più che certo – la colpa era da attribuire a sè stesso, a quel giorno lontano in cui si era sottratto al suo sguardo per rincorrere le proprie angosce e in cui aveva deciso di chiudere definitivamente la porta della sua gabbia buttandone via la chiave.
L'aveva persa in quel momento, solo che era stato troppo occupato per rendersene conto.
Si erano abbracciati un'ultima volta pochi giorni prima, e poi l'aveva lasciata andare senza nemmeno provare a trattenerla; non la meritava, di questo era sempre stato consapevole.

Si portò le mani al volto e con le dita si strofinò le palpebre per alleviare il mal di testa che si portava dietro da giorni. Alla fine aveva deciso di lasciare Malibu per qualche tempo, sperando che l'energia caotica di New York potesse indirizzare i suoi pensieri verso mete meno dolorose e magari fare ritorno a casa quando avrebbe avuto la certezza di poter sistemare le cose.
L'altra faccia di New York, quella con le strade ridotte a campi di battaglia e con un portale alieno sulla testa, gli faceva ancora paura. Era stato in grado di sconfiggere il panico grazie ai consigli di Bruce e alla vicinanza di Pepper, ma concentrarsi sul proprio respiro non gli dava ancora il potere di distoglierlo del tutto dai suoi pensieri; il ricordo di quel giorno si confondeva con quello ancora fresco della Sokovia, doloroso e per certi versi più invadente.
Non riusciva ancora a credere come tutto si fosse concluso in un enorme disastro, per lo più accaduto per causa sua e per una sua distrazione; avrebbe voluto parlarne con Bruce, dirgli ciò che non aveva voluto ascoltare prima che scomparisse dai loro radar, parlare di quella maledetta visione che continuava a tormentarlo e infine scusarsi per averlo trascinato in quel progetto futuristico su cui lui lo aveva messo in guardia più di una volta.
Sì, New York avrebbe riportato a galla le ombre più scure della sua coscienza, ma forse mettersi a confronto con esse avrebbe fatto sorgere in lui nuove consapevolezze.

Posò nuovamente gli occhi sul finestrino incontrando il suo riflesso provato dalla stanchezza, riconoscendosi appena in quello sguardo privo di qualsiasi luce.
Abbassò le palpebre, aggrappandosi al rumore del suo respiro per evitare che altri pensieri si sovrapponessero tra loro, ma tanto sapeva che sarebbe stato inutile e che presto o tardi sarebbero tornati a fargli visita. Un portale, le grida delle vittime, i corpi delle persone che temeva di perdere, Ultron, poco importava con quale forma si sarebbero manifestati. Sarebbero tornati e ancora una volta lo avrebbero sommerso.
Liberò un lungo sospiro e per un istante ebbe la sensazione che i suoi polmoni si fossero alleggeriti, una piacevole e vaga illusione che presto sarebbe scomparsa, riportandolo alla realtà.
Tornò a puntare lo sguardo sul panorama notturno, perdendosi nel buio dei suoi pensieri.
Il jet continuò il suo viaggio verso New York, attraversando con rapidità la distesa di luci che illuminava il continente.







NdA
Buondì :D
Torno ad importunarvi con un capitolo un po' diverso dai precedenti e che in teoria avrei dovuto pubblicare più avanti. Dopo mooolti ripensamenti, ho deciso di inserirlo adesso nella raccolta per un motivo che poi capirete :P
Dunque, Tony è da solo - zan zan - e questo dovrebbe spiegare il perchè del titolo.
Considero il post Age of Ultron abbastanza tragico per lui, un momento di "sconfitta" che non intende condividere con terzi e che un po' spiega le sue condizioni all'inizio di Civil War. 
E a questo proposito, ci tengo a indirizzarvi alla raccolta Lost in Translation di _Lightning_, che ha colmato i vuoti del mio headcanon su questo argomento (unica differenza: nella mia versione è Pepper a chiedere la "pausa" a Tony) <3

Bien, è tutto :)
Grazie a chi continua a seguire la raccolta, spero che anche il seguito possa piacervi :)
E' probabile che i prossimi capitoli arriveranno un po' in ritardo, ho finito quelli pronti e la mia ispirazione è una grandissima stronza birichina :')
Un bacione e alla prossima,

_Atlas_

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Capitolo 4
*** Bad Liar ***


4.

Bad Liar







"Quando avrò il piacere di vedere un'altra espressione sulla tua faccia?"
Tony aggrottò le sopracciglia sentendosi rivolgere quelle parole, in realtà molto più preso dai movimenti dell'amico, che non senza difficoltà si arrischiava a raggiungere il divano nella sala principale del Complesso. Una volta seduto, Rhodey accentuò il suo sguardo interrogativo.
"Che tipo di espressione vorresti?" chiese quindi Tony.
"Mi accontento di una che non sembri incolparsi anche della Guerra Civile del 1861."
L'uomo sbuffò, vagamente seccato. "Sono certo che avrei fatto la mia parte anche in quel caso" replicò comunque in tono leggero.
Rhodey annuì con fare rassegnato e si sistemò meglio i sostegni che gli avvolgevano le gambe.
"Mi sembrava di essere stato chiaro, prima" gli disse alludendo alla questione degli Accordi e a tutto ciò che si erano detti mentre si esercitava a camminare nella palestra del compound.
"In più, questi cosi funzionano a meraviglia, dico davvero" aggiunse con un movimento della gamba, come a confermare ancora una volta le sue parole.
Tony tirò un sorriso all'angolo della bocca, "Lo so bene, li ho progettati io" borbottò.
"Adesso ti riconosco" ricambiò il sorriso Rhodey, "Allora, quando hai intenzione di ripartire?" domandò poi, conscio che presto avrebbe fatto ritorno a Malibu.
"Hai davvero tanta fretta che me ne vada?"
"Scherzi? Non vedo l'ora" replicò Rhodey stando allo scherzo, "Ma ci tengo anche a vederti staccare la spina per un po'" chiarì subito dopo.
Il sorriso di Tony durò ancora qualche istante, prima di piegarsi lentamente in una smorfia contrita; qualcosa di indefinito gli si attorcigliò nello stomaco, ricordandogli che il peso che si portava dentro difficilmente gli avrebbe offerto un momento di tregua.
"Ho...ho diverse questioni lasciate in sospeso di cui vorrei occuparmi" spiegò quindi, abbassando di colpo il tono della voce.
Rhodey non fu sorpreso di quella reazione, riconoscendo un'espressione che aveva visto fin troppe volte sul volto dell'amico. Intuì il nodo principale dei suoi pensieri ma preferì non indagare ulteriormente.
Tony d'altra parte preferì non spezzare il silenzio, restando immobile in un atteggiamento che non gli si addiceva ma che al momento era incapace di camuffare. Puntò lo sguardo sul pavimento della sala, sperando forse di trovare lì le parole per scappare da quella conversazione, ma ritrovando solo il ricordo scottante di eventi più recenti e dolorosi. Contrasse la mascella come riflesso involontario e quando sollevò lo sguardo, incrociando quello di Rhodes, se ne sentì schiacciare.
"Stai bene?" gli chiese l'amico, intuendo come qualcosa non andasse.
Gli rivolse un'espressione a metà tra il corruciato e il divertito e finì per alzare le spalle con insolenza.
"Certo che sì" sottolineò con un ghigno.
"Come vuoi" replicò Rhodey alzando le mani in segno di resa, abbandonando solo parte dell'argomento.
C'era qualcosa di cui ancora dovevano parlare e di cui era stato informato solo superficialmente dal diretto interessato.
"E la Siberia?" indagò quindi poco dopo, ostinato ad abbattere il silenzio dell'amico.
In tutta risposta, Tony si limitò ad alzare di nuovo le spalle, quasi l'argomento non lo toccasse minimamente. "Un po' freddino, non credo che ci tornerò" disse asciutto.
Lo sguardo di Rhodey lo costrinse a mordersi la lingua fino a farla sanguinare, consapevole che non se la sarebbe mai potuta cavare con lui con quell'atteggiamento distaccato. E poi era il suo migliore amico, gli doveva delle spiegazioni.
"...cosa vuoi sapere, avanti."
"Che tu e Cap ve ne siete date di santa ragione l'ho dedotto da solo" spiegò quello con ovvietà e di riflesso Tony si tastò con la mano il livido che gli incorniciava l'occhio destro. "Quello che vorrei sapere è il perchè."
Tony sospirò con pesantezza strofinandosi le palpebre con le dita sudate, prendendosi molto tempo prima di iniziare a parlare.
"Ti ricordi l'incidente dei miei, no?" chiese poi, sforzandosi di sembrare indifferente.
"Certo."
"Non è stato un incidente" disse laconico e di riflesso irrigidì tutto il corpo, come a volersi difendere dall'imminente scarica di emozioni che lo avrebbe sovrastato. Non era pronto a parlarne, non ancora.
"Che vuoi dire?" lo richiamò Rhodes, cercando di interpretare quella sua unica affermazione.
"Non è facile..." mormorò in risposta Tony riuscendo, non seppe come, a mostrare un sorriso in un inutile tentativo di allegerire l'atmosfera, distogliendo la mente dalle dolorose immagini che gli stava riproponendo. Per fortuna Rhodey aveva preferito rispettare i suoi tempi, attendendo con pazienza che si decidesse a parlare.
"E' stato Barnes a...ad ucciderli" disse tutto d'un fiato, pronunciando per la prima volta ad alta voce quelle parole. Per un attimo gli sembrarono irreali, astratte, come se quello che era accaduto non fosse successo davvero. Fu lo sguardo sconvolto di Rhodey a riportarlo alla realtà.
"Barnes...quel Barnes?"
"Già. Era un piano ben architettato dall'Hydra, ad essere sinceri. Lui l'ha solo portato a termine" spiegò piattamente Tony. Vide Rhodey incupirsi e passarsi una mano sul volto, probabilmente alla ricerca di un modo per accettare quelle parole. Un tentativo che gli ricordava i suoi, quando provava a confrontarsi con quella realtà senza riuscirci, ritrovandosi poi con gli occhi colmi di lacrime senza avere mai il coraggio di versarle.
"Non so...non so cosa dire, Tony. Quello che hai detto è..."
"Non è tutto" concluse per lui l'amico.
"Che vuoi dire?"
Tony sospirò profondamente, dopodichè si alzò dirigendosi verso la cucina.
"Voglio dire che c'è dell'altro" confessò, "Cap sapeva tutto. Dall'inizio. Poi la situazione è degenerata, ma questo lo sai già."
Rhodey aggrottò le sopracciglia, cercando di raccapezzarsi di fronte a quelle notizie inaspettate.
"Vuoi dire che Steve ha sempre saputo...?" chiese conferma.
"Sì."
"Anche a Lipsia?"
Tony sospirò per l'ennesima volta, "Anche a Lipsia" confermò.
Vide Rhodey alzarsi per avvicinarsi a lui e concentrarsi per coordinare al meglio i sostegni, in uno sguardo che riaccese il suo senso di colpa tornando a pungolargli lo stomaco e costringendolo ad abbassare lo sguardo.
"Non immaginavo una cosa simile" ammise il colonnello, fermandosi a un passo da lui, "Credevo aveste semplicemente discusso per gli Accordi e non che la questione fossi così...assurda. Insomma, si tratta dei tuoi genitori, Steve avrebbe dovuto informarti."
"Ha ritenuto più opportuno non farlo" commentò Tony apparentemente distratto per poi recuperare un bottiglia di scotch da sotto il bancone. "E poi, perchè avrebbe dovuto dirmelo? Lui è suo amico, mentre io sono solo quello che ha diviso gli Avengers" aggiunse, stavolta marcando bene le parole.
"Sai che non è così", rispose Rhodey, sedendosi al bordo della penisola.
Tony versò lo scotch in due bicchieri e uno lo passò all'amico, che lo ingorò.
"Credevo volesse uccidermi" confessò poi, dopo averne bevuto un sorso. Si sentì bruciare lo stomaco ma non era sicuro che fosse una reazione data dall'alcol. Avrebbe scommesso più sul ricordo di uno scudo pronto a spappolargli il cervello.
"Pensi davvero che lo avrebbe fatto?" chiese Rhodey, interrompendo i suoi pensieri.
"Lo consideravo un tipo piuttosto prevedibile e invece è riuscito a stupirmi, ci è mancato poco che mi sfracellasse il cranio con quella dannata padella."
Stavolta il suo respirò si accorciò distintamente, tanto che dovette fermarsi qualche secondo per concentrarsi e riaprire i polmoni. Non capiva il perchè di tutta quell'ansia, al momento c'erano ben altre emozioni a corrodergli le membra e le avrebbe volentieri affogate tutte in quel bicchiere di scotch, se solo fosse servito a qualcosa. Con un gesto brusco della mano allontanò il bicchiere dalla sua vista, poggiando poi entrambe le braccia sulla superficie lucida del tavolo. Respirò a fondo per lunghi secondi cercando di regolare la respirazione, il tutto sotto lo sguardo di Rhodey che si fece più severo quando incontrò il suo.
"Sto bene..." si affrettò a rassicurarlo, "...sono solo un po' ammaccato. Tra qualche giorno avrò recuperato il mio charme, non temere."
Rhodey annuì pensieroso, portandosi una mano sotto il mento. Lasciò che il silenzio occupasse la stanza per molti minuti e ne approfittò per raccogliere le sue successive parole, sperando che Tony potesse farne buon uso.
"Sai, non è stato facile all'inizio" disse quindi, alludendo alle proprie gambe "Ritrovarsi in queste condizioni da un giorno all'altro è stato....inaspettato e molto doloroso. Ma quel dolore mi è servito, Tony, senza quello non sarei mai stato in grado di andare avanti, nè di accettare il tuo aiuto" spiegò indicando il sostegno che aveva progettato apposta per lui.
"Non ci credo..." lo interruppe Tony prima che riprendesse a parlare e ritrovando all'istante la maschera del buon umore, "Mi stai facendo la ramanzina per caso?"
"Hai qualcosa in contrario? Sto cercando di darti una mano, qui" replicò Rhodey spazientito.
"Ok, ok. Capito. Dove vuoi arrivare?"
"Dove voglio arrivare?! A te, imbecille! Credo...credo che dovresti fare i conti con il tuo dolore, e non mi riferisco solo a Steve e a..."
"...ti assicuro che i conti li ho fatti davvero bene" sibilò Tony, irrigidendosi di colpo e perdendo di nuovo il controllo sul respiro.
"...quello che è successo in Siberia, ma anche agli Accordi, a Pepper e..."
"Quello adesso non c'entra" si affrettò a chiarire, sentendosi stritolare le viscere per il miscuglio di emozioni che stava provando.
"...e a ciò che ti trascini dietro da anni. Quello c'entra eccome" si intestardì Rhodey, "Che diavolo, Tony, sono tuo amico! Credi che non me ne accorga?"
"Cosa dovrei fare, piangermi addosso? Non è nel mio stile."
"Pensi che io sia rimasto a piangermi addosso?"
Tony abbassò di colpo lo sguardo, mordendosi di nuovo la lingua. "Scusa, non intendevo..." sospirò esausto, passandosi una mano tra i capelli. "Senti, io credo di ess-"
"Tony, fatti un favore" lo troncò subito Rhodey prima che potesse replicare, "Smettila di mentire a te stesso. Sono serio, non ci guadagnerai nulla" gli disse sperando di essere il più convincente possibile.
Non si stupì quando non ottenne risposta, consapevole che, se solo ci avesse messo la giusta attenzione, avrebbe potuto sentire il brusio di tutti i suoi pensieri che cercavano di convicerlo del contrario.
Tony si schiarì la voce senza però proferire parola; svuotò nel lavello i bicchieri ancora colmi di scotch, compiendo con estenuante lentezza ogni piccolo gesto, come a voler tardare quel che poco dopo si decise a dire.
"Stasera incontrerò il ragazzo del Queens, mi converrà mantenere questa facciata ancora per un po' se non voglio perdere la sua fiducia" disse senza sapere bene il perchè, forse solo lieto di aver appena trovato un'ottima giustificazione per non fare i conti con se stesso.
"Partirò per Malibu domani pomeriggio, e una volta a casa vedrò di darmi una sistemata...emotiva" si decise ad aggiungere.
Poi recuperò la giacca abbandonata sul divano, deciso ad evadere per un po' da quelle mura che al momento percepiva come oppressive e soffocanti.
"Pensi di farcela da solo?" si accertò Rhodey, in parte sorpreso dalle sue parole e indeciso su come interpretare i suoi sbalzi d'umore.
"Ehi, non eri contento che mi togliessi dai piedi?"
"Certo! Sono solo preoccupato" specificò, intuendo però la sua intenzione di agire da solo anche in quella faccenda.
"Me la saprò cavare" lo rassicurò infatti Tony, iniziando a giocherellare con una pallina di gomma che estrasse dalla tasca dei jeans.
"E'...è davvero una...?"
"Pallina antistress, esatto. E' utile, più o meno. Vuoi?"
Rhodey negò con un gesto secco della mano, "Puoi tenertela."
"Come preferisci. Tornerò sul tardi..." lo informò avviandosi poi all'uscita "Non aspettarmi sveglio."
Lo vide procedere a testa bassa verso l'uscita del compound e sperò con tutto se stesso che potesse fare i conti con quella situazione, senza venirne sopraffatto.







Nda
Buonsalve! :D
Sono un po' (tanto) in ritardo, ma spero possiate perdonarmi; è stato un capitolo difficile da scrivere soprattutto per la gestione di Rhodey, che mi ha fatta ammattire non poco.
Inizialmente avevo progettato di farlo parlare con Tony subito dopo gli eventi della Sokovia, per poi cambiare idea e inserirlo nel post-Siberia, ovvero in un momento ancora più critico per entrambi.
Come già sappiamo, le vecchie paure di Tony non sono sparite ma in questo frangente si presentano in modo diverso – manisfestandosi soprattutto attraverso il fisico (respiro corto, ecc) – e questo perchè ad occupare la sua mente sono i fatti accaduti in Siberia (più la questione degli Accordi e il senso di colpa per l'incidente di Rhodey).
La pallina antistress è invece un dettaglio che ho voluto inserire dopo aver scoperto che Tony ne ha davvero una in mano poco prima di incontrarsi con Rhodey, sul finale di Civil War.
Infine, il consiglio di Rhodey è fondamentale e lo affronterò meglio nel prossimo capitolo, che tra l'altro non vedo l'ora di scrivere :P

Un grazie particolare a _Lightning_, che in questi giorni mi ha aiutato a migliorare il capitolo, evitandomi così un crollo nervoso <3
E a tal proposito, vi informo che potreste trovare qualche similitudine tra questo capitolo e uno dei suoi prossimi aggiornamenti; non era cosa prevista, ma la nostra telepatia a quanto pare sta raggiungendo livelli estremi e ci sembrava giusto avvisarvi :')

Bene, ho finito.
Un abbraccio e alla prossima, spero che il capitolo vi sia piaciuto.

_Atlas_
 

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Capitolo 5
*** Wonderwall ***



5.

Wonderwall






La luce ambrata del tramonto californiano accarezzava le sue palpebre chiuse, cullate dal calore del sole.
Era steso sull'enorme materasso in camera da letto, con le braccia incrociate dietro la nuca e inerme, completamente immerso in quell'atmosfera che profumava di vaniglia e sapeva di casa.
Il suo petto si alzava e abbassava a intervalli regolari, trovando una quiete non definitiva e che negli ultimi giorni aveva pensato di non poter più raggiungere.
Ma in effetti, pian piano, qualcosa era cambiato.
Forse Rhodey non aveva sbagliato a dirgli di affrontare il dolore e forse le lacrime che aveva infine versato erano davvero servite a qualcosa.
O forse – pensava - era solo stato il ritorno di Pepper a rendere tutto più sopportabile.
Gli aveva offerto una spalla su cui piangere e aveva ascoltato con pazienza tutto quello che aveva avuto bisogno di dirle e raccontarle, senza tacere niente e senza nascondersi dietro maschere che si era scoperto incapace di indossare, almeno davanti a lei. L'aveva lasciata entrare nella sua gabbia e ora cercavano di distruggerne le sbarre insieme, una dopo l'altra, con le dovute difficoltà.
La sentì canticchiare un motivo degli U2, mentre sistemava accuratamente i vestiti dentro l'armadio, togliendoli da una valigia che Tony sperava di non rivedere mai più nella sua vita.
Si lasciò avvolgere da quella illusoria serenità, nonostante fosse ben consapevole che i suoi pensieri avrebbero voluto combattere altre battaglie; poteva ancora sentire l'eco delle parole di Rogers, bollenti nel gelo siberiano, e riusciva ancora a vedere nitidamente lo sguardo dei suoi genitori un attimo prima che una mano nemica ponesse fine alle loro vite per sempre.
L'istinto gli imponeva di seguire quei pensieri e stuzzicava le sue membra per far tornare la rabbia che in quei momenti aveva rischiato di sommergerlo, eppure lui restò inerme, deciso a non cedere a quella morsa terribile e sforzandosi di indirizzare il pensiero verso ciò che nella sua vita continuava ad avere senso.

Aveva ancora gli occhi chiusi quando le lacrime iniziarono a rigargli le guance.
Non aveva assolutamente voglia di piangere, era crollato una volta e non era intenzionato a replicare quel momento, quindi le ricacciò indietro e improvvisò un sonoro sbadiglio fingendo indifferenza, a dispetto della maschera che aveva scelto di non indossare più di fronte a Pepper.
Stava bene, erano sulla buona strada per far funzionare di nuovo tutto, si stava godendo un meraviglioso tramonto come solo a Malibu gli era consentito fare, perchè mai avrebbe dovuto piangere?
La donna intanto aveva smesso di canticchiare, senza lasciarsi insospettire troppo dal silenzio del compagno. Da quando era tornata aveva notato il suo cambio d'atteggiamento, molto più serio e stranamente poco propenso al dialogo, ma del resto sarebbe stato più preoccupante vederlo ridere e scherzare come al solito, vista la situazione.
"Questa mattina Happy non è venuto alle Industries" spezzò il silenzio, ripiegando con cura l'ultimo maglione e riponendolo in un cassetto. "Credi stia bene?"
Non ottenendo risposta si decise a guardarlo e a sfiorargli il ginocchio con la mano, sorridendo appena. "Dormi?"
Tony aprì quindi gli occhi, sforzandosi di sembrare naturale. "No, stavo solo..." tentò di dire con scarso successo per poi cambiare idea e rispondere alla sua domanda. "Comunque, Happy è a New York con Parker...gli ho chiesto di dargli un'occhiata. Tornerà la settimana prossima."
"Ah, d'accordo" annuì distratta Pepper, mordendosi il labbro. Non voleva sembrare apprensiva, ma si era chiaramente resa conto degli occhi rossi di Tony e di come ci fosse qualcosa che non andasse.
Non era stato semplice confrontarsi con ciò che le aveva raccontato solo pochi giorni prima, e un conto era sostenerlo in un improvviso scoppio di fragilità e un conto era stabilire in che modo aiutarlo in quel momento così delicato. Era sicura di non poter sostituire in questo una persona più in gamba ed esperta di lei, ma d'altra parte Tony si era sempre mostrato poco incline all'idea di parlare con uno psicologo e insistere sarebbe stato solo controproducente.
Si sedette quindi al suo fianco continuando a cercare una soluzione all'apparenza inesistente.
Avrebbe potuto distrarlo, raccontargli della mattinata sfiancante che aveva passato alle Industries o della telefonata che suo zio Morgan le aveva fatto per dirle dei due alpaca che aveva sistemato nella sua fattoria - dei banali pretesti per indirizzare la sua mente verso altre direzioni - ma in cuor suo sapeva che sarebbe stato inutile e, a pensarci bene, persino sbagliato.
Tony aveva bisogno di vivere quel dolore – e aveva avuto modo di discutere sulla questione anche con Rhodes, che si era dimostrato più che esaustivo al riguardo - , distrarlo avrebbe solo peggiorato la situazione, senza considerare che non era mai stato troppo bravo a gestire le "distrazioni" senza correre il rischio di farsi del male.
Si chiedeva se la sua vicinanza avrebbe potuto fare la differenza, ma giudicando da come l'aveva accolta solo due giorni prima era convinta che non fosse il caso di lasciarlo solo, considerando anche quanto significasse per lei tornare ad averlo vicino.
Venne quindi distratta proprio dalla sua mano, che si adagiò sulla sua schiena iniziando ad accarezzarla lentamente. Quel gesto la convinse a interrompere del tutto i suoi pensieri e a sdraiarsi al suo fianco, aspettando solo una manciata di secondi prima di stringersi a lui.
Tony fu grato che non gli stesse facendo domande, non sarebbe stato in grado di spiegare a parole la marea di emozioni che lo stava poco a poco sommergendo e dalla quale sembrava non avesse forze per scappare. In realtà sapeva di avere abbastanza coraggio per combattere quella furia, ma qualcosa in fondo al cuore gli urlava che era ancora troppo presto per risalire a galla e che aveva bisogno di sprofondare un po' di più prima di iniziare a riemergere.
Di nuovo, le lacrime presero il sopravvento ma questa volta decise di non ricacciarle indietro e lasciò invece che gli solleticassero le guance fino ad impigliarsi nel pizzetto.
Per un momento si chiese come facesse Pepper a volerlo ancora, a continuare a stargli accanto nonostante quel che di sè riusciva a offrirle; sentì una sua mano accarezzargli lievemente il petto e stringersi ancora un po' di più al suo corpo e pensò che la risposta a quelle domande non l'avrebbe mai accettata fino in fondo, perchè in cuor suo credeva di non meritarla. Eppure ne aveva bisogno, adesso più che mai.
Si lasciò perciò stringere, avvolgendola a sua volta tra le braccia in una stretta che avrebbe volentieri prolungato in eterno, mentre le sue lacrime fermavano a poco a poco la loro corsa sul suo viso.
L'ultimo raggio di sole accarezzò i loro corpi uniti, un attimo prima di sparire dietro l'orizzonte e lasciare il posto alle prime stelle della notte.
Un sospiro profondo mosse il petto di Tony, e a dispetto di tutto un lieve sorriso comparve sulle sue labbra, illuminandogli il volto.









Nda
Buon lunedì :D
Non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo, essendo il "post-Siberia" uno dei prompt che preferisco per far interagire Tony e Pepper. Ammetto di non essere del tutto soddisfatta del risultato, un po' perchè temo di essere andata troppo OOC e un po' perchè nell'ultima parte ho esagerato con il fluff (vi prego di farmi sapere se è davvero così esagerato).
Anyway, "affrontare il dolore" credo sia il punto di partenza per poter superare certe situazioni, e visto che sia in Spiderman: Homecoming sia in Infinity War Tony mi è sembrato relativamente tranquillo, ho pensato che potesse averci lavorato su.
E' chiaro che in questa situazione l'aiuto di Pepper consiste per lo più nell'ascoltarlo e nello stargli vicino, e questo è anche il motivo per cui ho voluto evitare i dialoghi. Certe volte le parole servono a poco, anche se in altre storie ho comunque affrontato il tema in maniera più esplicità ----> pubblicità occulta :')

Come sempre, ringrazio chi continua a seguire e a commentare questa raccolta <3
Con il prossimo capitolo me la prenderò un po' più con calma, chè ho bisogno di studiarmelo bene e sono già in preda all'ansia :')

Alla prossima,

_Atlas_

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Capitolo 6
*** Bonfire Heart ***



6.

Bonfire Heart







Una ventata di aria fresca gli spettinò i capelli non appena mise piede fuori dalle Stark Industries.
Tony inforcò gli occhiali da sole e si diresse verso l'auto parcheggiata di fronte all'uscita dell'edificio, affrettandosi a prendere posto sui sedili posteriori.
"Possiamo andare, Happy" disse all'autista, voltandosi infine alla sua sinistra. "Allora, sei soddisfatto?" chiese a un ancora emozionato Peter Parker, intento a guardare per l'ennesima volta il certificato rilasciato dalle Stark Internship.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise raggiante, "Moltissimo, grazie signor Stark. Davvero."
"Oh, è una pura formalità. Quel che importa è il tuo operato nell'azienda, e direi che te la sei cavata piuttosto bene."
Il sorriso di Peter si fece ancora più intenso e Tony ebbe l'impressione che ce la stesse mettendo tutta per non buttargli le braccia al collo e saltare dalla gioia, del resto aveva avuto modo di sfogarsi poco prima sotto gli occhi di tutti i presenti e quelli sempre più divertiti di Pepper.
"Piuttosto, fa' vedere come siamo usciti in quelle foto" gli disse indicandogli lo smartphone.
Peter gli mostrò subito il cellulare, facendo scorrere le dita sullo schermo e sulle foto che quasi sicuramente avrebbero raggiunto la stampa.
Nelle prime, entrambi sorridevano raggianti all'obiettivo mentre reggevano il certificato rilasciato dall'azienda, nelle ultime due invece erano intenti a farsi a vicenda le orecchie da coniglio mentre Peter sorrideva spontaneo verso la fotocamera.
Tony fece zoom su una di quelle, ingrandendo i loro sguardi allegri e soddisfatti, poi restituì il telefono al ragazzo e tornò a puntare gli occhi sulla strada.
"Inviamele" disse sbrigativo, guardandolo di sottecchi.
"C-certo, subito" gli rispose quello iniziando a trafficare col telefono. Tony sospirò di rimando.
La verità era che, da quando aveva accettato quella piccola collaborazione con le Stark Industries, si era abituato a vedere il ragazzo quasi tutti i giorni e ora che lo stava accompagnando in aeroporto percepiva uno strano peso al petto con cui non avrebbe mai immaginato di dover fare i conti.
Certo, a volte era stato costretto a mettere un freno alla sua parlantina frenetica e ai suoi sproloqui concitati a proposito di qualche film di fantascienza, ma il suo entusiasmo aveva finito per coinvolgerlo da capo a piedi ogni giorno di più, cosa che, d'altra parte, Pepper aveva notato ben prima di lui.
Tornò a sbirciare nella sua direzione, mentre era ancora intento a smanettare col cellulare e ad agitare ritmicamente la gamba a terra. Percepì una vaga tensione da parte sua e preferì prepararsi mentalmente alla raffica di parole con cui l'avrebbe sommerso da lì a poco e che, in effetti, non tardò ad arrivare.
"Uhm, signor Stark?"
"Sì?"
"Visto che ora tornerò a New York e sarò impegnato con la scuola – molto impegnato -, quando...c-cioè, come potrò, insomma riv-"
"Quando potrai rivedermi?" concluse per lui Tony.
"No, quan-"
"Ah, no? Non vuoi rivedermi?" chiese fingendosi offeso e gustandosi in realtà la reazione del ragazzo.
"C-certo! Insomma, sì " si corresse Peter, percependo le guance andare a fuoco, "Voglio dire, quando potrò collaborare di nuovo con lei e...con la sua azienda? Sempre se ce ne fosse l'opportunità" concluse con un filo di voce.
Tony lo guardò da dietro le lenti scure degli occhiali e soppesò la domanda, giusto per il gusto di tenerlo sulle spine.
"Uh, beh...non saprei. Ti farò sapere. Dirò a Happy di avvisarti per tempo, nel caso ci fossero occasioni" gli disse indicando con la testa l'uomo alla guida, il quale ricambiò con uno sguardo truce dallo specchietto retrovisore.
"D'accordo. Grazie" aggiunse a voce bassa.
Dovette costargli molto fare quella domanda, perchè per i successivi cinque minuti rimase immobile a guardare il panorama dal finestrino, come se stesse ritrovando le energie per ricaricarsi.
Tony si sentì quasi in colpa a non iniziare un'altra conversazione, ma quel peso al petto stava avendo il potere di infastidirlo più del necessario e non voleva che la cosa risultasse evidente dal suo tono di voce incrinato. Anche se ovviamente ce l'avrebbe messa tutta per farlo sembrare indifferente e spocchioso come sempre.
"Ho fame" sospirò a un tratto Peter, vedendo scorrere davanti a sè l'insegna di almeno quattro fast food differenti. Tony decise di cogliere la palla al balzo.
"Hai fame? Ho sentito bene?"
Peter si voltò di scatto verso di lui, con sguardo profondamente imbarazzato.
"Come? No no, sto bene. Era solo un...stavo solo pensando ad alta voce" si giustificò.
Tony lo scrutò ancora una volta da dietro gli occhiali, "Hap?" si rivolse poi all'autista, "Torna indietro, ci fermiamo da Burger King."
"Cosa?" sgranò gli occhi Peter "No, signor Stark, dico davvero. Sto bene, è colpa di questi cartelloni pubblicitari se...e poi devo prendere l'aereo, zia May dà di matto se domani mattina non sono a casa. Lo sa anche lei com'è fatta, io..."
Tony lo lasciò parlare, poi si sfilò gli occhiali dal viso e lo guardò seccato, "Hai finito?"
"Signore, davvero, io..."
"Alt" lo fermò "Sai che c'è? All'improvviso è venuta fame anche a me e ora ho voglia di un cheeseburger. Vuoi per caso spezzare il cuore al tuo mentore, privandolo del suo cheeseburger? Mmh?"
Peter deglutì a vuoto e la sua gamba iniziò a muoversi ancora più freneticamente.
"Cos'è, ragazzo, a un tratto hai perso la lingua? Potrei offendermi" lo stuzzicò Tony, mordendosi un labbro. Non l'avrebbe mai ammesso apertamente, ma era disposto a fare carte false pur di passare qualche altro momento con lui.
A quel punto Peter si trovò ad annuire senza neanche rendersene conto e sfoggiò un sorriso che gli illuminò il volto.
"E va bene...vada per il cheeseburger. Ma poi lo dice lei, a zia May."


 
*


"Ecco qui" proferì Tony, porgendo a Peter il suo panino e posando sul tavolo anche una generosa porzione di patatine fritte. "Non ringraziarmi" aggiunse notando un guizzò di felicità negli occhi del ragazzo.
Erano seduti all'aperto, uno di fronte all'altro, entrambi col volto segnato da un'espressione decisamente soddisfatta mentre addentavano il loro cheeseburger.
"È-è fantastico, Signor Stark" mormorò Peter con la bocca piena "Mi ricorda quando mi sono operato di appendicite – dei giorni terribili, non potevo mangiare nulla" iniziò a raccontare, rubando di tanto in tanto qualche patatina fritta. "Così un giorno zia May si è presentata nella mia stanza d'ospedale con questo cheeseburger, senza dire nulla ai medici, e insomma, ci crede? Dopo quattro giorni passati a mangiare riso in bianco, quel cheeseburger è stato una..."
"Benedizione?" gli andò incontro Tony, "Sì, lo posso immaginare."
"Sul serio?"
"Beh, è stata la prima cosa che ho mangiato quando sono tornato dall'Afghanistan. Dopo tre mesi passati a ingurgitare cibo di dubbia provenienza, quel panino mi era sembrato l'ottava meraviglia del mondo. E non è un'esagerazione" buttò lì alla leggera, scrollando appena le spalle.
Peter dovette interpretare male il suo commento, perchè Tony lo vide cambiare espressione e serrare le labbra come se non avesse voluto riaprirle mai più. Si chiese se per caso avesse sbagliato a tirare fuori quell'argomento, considerata la leggerezza che ci aveva messo e a dispetto degli incubi che, a quei tempi, lo avevano rincorso ogni notte.
"Beh? Ti ho forse impressionato?" gli chiese quindi, sollevando le sopracciglia in un'espressione confusa.
"No, no, è che..." iniziò a dire il ragazzo, "Avevo dimenticato, insomma..."
"Cosa, la mia trasferta in medio-oriente?"
"Direi di sì."
"Ah, non importa" lo rassicurò Tony, "Era solo un modo alquanto indelicato per dirti che anch'io credo nel potere curativo del cheeseburger. Pessimo paragone, lo ammetto."
A quel punto Peter si concesse qualche minuto di silenzio, giusto il tempo di riflettere su un paio di questioni e tornare alla carica.
"Signor Stark?" lo chiamò quindi.
"Sì?"
"Come ci riesce ad essere sempre così disinvolto q-quando parla di, insomma...di certe cose?" gli chiese titubante, e Tony si sentì pungere il petto per la sua inaspettata schiettezza, oltre ad avere la netta sensazione che trattenesse quella domanda da moltissimo tempo.
"Oh, è semplice. Sono un bugiardo patologico" rispose, inforcando di nuovo gli occhiali da sole, come a proteggersi da una minaccia esterna. "Come mai questo interesse nei miei confronti? Non è che per caso hai ancora quella fisima strampalata di voler essere come me?"
"Cosa?!" chiese Peter con un tono di voce che virò sullo stridulo, "No, o almeno non credo. E comunque questo non c'entra nulla con quello che le ho chiesto. La mia era s-solo una semplice curiosità, ma se non vuole..."
"Posso interromperti qui, ragazzo" lo tolse dall'impiccio Tony, "Ho capito ciò che intendi e la risposta è che si tratta di un processo naturale, probabilmente inciso direttamente nel mio DNA. È sempre stato così, da quando ne ho memoria."
"Anche dopo Lipsia?"
Tony si sentì mancare il fiato a quella domanda e per un solo ed unico istante desiderò che Peter avesse già preso il suo jet e che fosse mille miglia lontano da lui. Ci riflettè su, realizzando poi quanto forse sentisse la necessità di conoscere un po' di più quell'uomo che si ostinava a chiamare mentore e che aveva deciso di prendere come esempio.
"Quello di Lipsia è stato un processo lungo e parecchio difficile" confessò quindi, lasciando volutamente fuori la Siberia e tutto ciò che era successo laggiù, "Ma credo di aver elaborato anche quello, a questo punto. Tu che dici?" chiese quasi di più a se stesso.
Peter sollevò le labbra in un sorriso timido e annuì.
"Io la trovo in forma, signor Stark. Anzi, l'esperienza alle Stark Industries è stata davvero una delle più incredibili che io abbia vissuto, s-soprattutto perchè c'era anche l-lei. Spero...spero che ce saranno altre in futuro" confessò il ragazzo, agitandosi per combattere l'imbarazzo, e Tony fu grato di avere due lenti scure a proteggergli gli occhi, diventati pericolosamente e inaspettatamente troppo lucidi.
"Non temere, avrò modo di inserire il tuo nome in qualche progetto che farà impazzire quelli della ricerca. Ti divertirai" sogghignò poi, recuperando il suo solito atteggiamento scanzonato.
Vide il ragazzo trattenere un sorriso, per poi desistere a lasciare che gli illuminasse il volto in un'espressione raggiante.
"Uh, signor Stark..." lo chiamò poi, dando un'occhiata al suo orologio.
"Sì, il tuo jet. È ora di andare" convenne a malincuore Tony, prima di alzarsi e incamminandosi con lui verso l'auto, dove li stava aspettando Happy.
"Forse avremmo dovuto portare un cheeseburger anche lui" mormorò Peter pensieroso.
"Nah, dice che è a dieta. Meglio non provocarlo."







NdA
Buonsalve!
Yep, come avevo anticipato, con questo capitolo me la sono presa con estrema calma...per scrivere comunque qualcosa di cui non sono del tutto soddisfatta :')
Il punto è questo: non potevo trattare Peter come gli altri personaggi, perchè il legame che lo lega a Tony è ovviamente diverso, perciò il mio intento era quello di far capire in che modo la sua sola presenza, la sua parlantina e il suo entusiasmo, fossero in grado di sostenere Tony ed essergli d'aiuto, anche (e soprattutto) senza per forza parlare a fondo di qualcosa di specifico.
Anche l'atteggiamento di Tony è volutamente meno cupo e riflessivo, motivo per cui affronta in maniera molto più leggera il discorso sull'Afghanistan e su Lipsia.
E niente, scusate lo spiegone, ma in effetti non so quanto questi aspetti si evincano dal capitolo :')

In ultimo, è la prima volta in assoluto che scrivo di Peter. Non ho idea di come l'abbia gestito e quanto possa essere andata OOC, perciò vi chiedo scusa in anticipo se è ho combinato qualche castroneria :')
In ultimissimo, giuro, ovviamente le foto che ho citato nella prima parte sono quelle uscite in questi giorni, delle quali una si può vedere chiaramente nel terzo trailer di Endgame.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di poter aggiornare presto, sicuramente dopo aver visto Endgame.
Alla prossima,


_Atlas_

 

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Capitolo 7
*** Space Dementia ***


7.

Space Dementia






Il silenzio sulla Benatar lo stava portando inesorabilmente verso la pazzia.
Lo costringeva a pensare, a riflettere, a immaginare soluzioni che non sarebbe mai stato in grado di trovare e che in ogni caso lo avrebbero condotto verso una realtà con cui non era pronto a misurarsi.
Ma quando provava a frenare i suoi pensieri, percepiva l'ondata di panico generarsi dalle pareti del suo stomaco e risalire verso il petto, opprimendogli i polmoni già a corto di ossigeno; così si obbligava a restare lucido e a ingannare un tempo che sembrava immobile, irreale, quasi inesistente. Poco importava che lui e l'aliena blu fossero alla deriva nello spazio, a corto di viveri e di acqua, apparentemente senza possibilità di salvezza; finchè ci sarebbe stato un qui e ora in cui pensare e cercare soluzioni, aveva il diritto di non arrendersi.
A volte, però, immerso in quell'oscurità inospitale, si sentiva soffocare e la testa prendeva a vorticargli senza sosta, riportando in superficie tutto ciò che lo aveva condotto lì, tra i resti di qualche stella estinta e i giochi di colore delle nebulose.
Pensava a Peter, a quell'abbraccio colmo di paura che si era tramutato in cenere sotto il suo tocco, al vuoto terribile che lo aveva inglobato subito dopo, quando aveva capito che avevano perso.
Pensava a Pepper, alla promessa che le aveva rivolto un attimo prima di vanificarla per l'ennesima volta, con ancora la speranza di potersela cavare e di tornare da lei e di poterla rivedere ancora e di poter realizzare con lei quel futuro che aveva sognato.
E pensava che adesso non aveva neanche la certezza che fosse ancora in quel mondo, ferma e con lo sguardo lucido mentre sperava e aspettava un suo ritorno, anche ora che era così lontano da casa.

Pensava a quello e pensava a migliaia di altre cose, finchè le palpebre calavano pesanti suoi suoi occhi stanchi, immergendolo in una notte che non avrebbe visto l'alba.







NdA
Hello! :D
Mi accingo ad aggiornare questa raccolta seguendo la scia di Endgame, per una volta senza lanciare maledizioni ai Russo :')
Sì, Tony è di nuovo solo soletto e sì, ho preferito non approfondire troppo i suoi pensieri, in realtà per una questione che è strettamente legata al titolo (che sì, è anche una canzone dei Muse) e, al riguardo, vi riporto le parole di un articolo che mi ha aiutato a comprenderlo meglio: «"Space Dementia" è il termine con cui la NASA definisce il forte senso di alienazione, isolamento e insignificanza che provano gli astronauti lasciati nello spazio per un lungo periodo di tempo quando ripensano alla Terra [...]».
Tenendo conto di ciò, mi sembrava inopportuno far ragionare più lucidamente Tony, considerando che comunque resta sulla Benatar per quasi un mese.
Anyway, spero che questo azzardo sia comunque stato di vostro gradimento :D

Un saluto e ci ribecchiamo al prossimo aggiornamento, che dovrebbe anche essere l'ultimo di questa raccolta (salvo qualche illuminazione improvvisa :P)

_Atlas_

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Capitolo 8
*** Second Chances ***


8.


Second Chances
 
 



 
L’acqua gelida del rubinetto si posò salvifica sulla sua pelle, mentre con forza sfregava tra le mani una generosa dose di sapone. Anche quando furono pulite continuò a sciacquarle più volte con vigore, scorticandosi la pelle fragile intorno alle unghie e trattenendo appena il respiro quando questa iniziò a bruciare.
Prima di asciugarsi guardò a lungo il palmo chiaro delle sue mani, riconoscendo le linee imprecise che vi erano disegnate e qualche vecchia cicatrice che si era procurato in missione.
Sospirò con sollievo. La cenere era scomparsa.
A volte la percepiva tra le dita; granelli impercettibili che mutavano forma e diventavano piombo ogni volta che provava ad allontanare da sé quella sensazione appiccicosa e di tensione. Granelli invisibili ai suoi occhi ma così concreti per la sua mente, tanto che a volte ne era spaventato e si trovava di riflesso a chiudere la mano in un pugno, forse nella speranza di riuscire a trattenere ciò che aveva perso.
L’acqua allora ripuliva il senso di colpa dalle sue dita, senza però sciogliere il nodo d’ansia al centro del suo petto.
Incrociò di sfuggita il proprio riflesso allo specchio, prendendo atto della propria stanchezza senza però obbligarsi a tornare a letto, né a trascinarsi in laboratorio. D’altra parte, riposare gli era sempre stato impossibile e scappare non aveva ormai più senso.
Tornò comunque in camera da letto, sorridendo sovrappensiero nel vedere Pepper raggomitolata sotto le lenzuola, lieto che si fosse finalmente addormentata dopo essere rimasta sveglia per ore. Per sicurezza, si avvicinò alla culla a lato del materasso, sperando che anche Morgan avesse preso sonno e mordendosi il labbro quando invece si accorse che era di nuovo sveglia e con gli occhi puntati su di lui. 
Le sfiorò il viso in una carezza, iniziando a cullarla per farla addormentare ma rinunciandoci quasi subito non appena iniziò ad emettere gridolini e a muoversi agitata. La prese quindi in braccio, riuscendo per miracolo a non svegliare Pepper, e se la poggiò al petto cercando di farle riprendere sonno.
Talvolta temeva di averle trasmesso la sua sfortunata tendenza a passare le notti in bianco, ma Pepper lo aveva rassicurato su quanto quei problemi fossero all’ordine del giorno per una bambina di appena tre mesi, così si limitava a passare quelle ore insonni con la neonata tra le braccia, rifugiandosi in un contatto che sembrava mettere a tacere le grida dei suoi pensieri.
Anche adesso, nella penombra della stanza, la cenere era tornata ad essere un pensiero lontano, quasi inafferrabile.
Gli occhi di Morgan si posarono vispi sul suo viso, scrutandolo con attenzione e rivolgendogli di tanto in tanto uno sguardo sorridente, e Tony si sentì infinitamente piccolo nel realizzare quanta potenza e quanta vita potessero essere contenute in un corpo così minuto e fragile. A volte, con orgoglio immenso, riusciva a credere che quella forza fosse in grado di superare quella di qualsiasi altro essere umano, o supereroe, presente nell’Universo. Era stata lei, dal primo istante, a salvare l’invincibile Iron Man dalla sua personale sconfitta, ed era stata lei a porgere una seconda possibilità a lui e a Pepper, permettendo loro di andare avanti.
Continuò a cullarla lentamente, stringendo il suo corpo tra le braccia senza il timore di sentirlo svanire sotto il suo tocco; le sfiorò i capelli, scuri e sottili come i suoi, e li lasciò scorrere tra le dita, allontanando qualsiasi altro ricordo giungesse a interferire tra loro e quel gesto rassicurante.
Sorrise, sciogliendo il nodo d’ansia che gli opprimeva il torace, e per un po’ tornò a respirare.
 
 
 
 
 
 
 

NdA
Buonasssera!
Aspettavo il momento migliore per mettere la parola fine anche a questa raccolta, così eccomi qui, con il capitolo conclusivo.
Sin dall’uscita di Endgame ero sicurissima del fatto che anche Morgan si sarebbe meritata un posto da queste parti, in un modo tutto suo e in perfetto stile Stark. Restava solo capire come inserirla – ho scartato almeno una decina di scene alternative – e questa mi è sembrata la scelta migliore, visto che sto comunque sto portando avanti un’altra raccolta incentrata su lei e Tony.
Spero che questo finale sia stato di vostro gradimento e ringrazio tutte le persone che hanno seguito e commentato la storia in questi mesi, in particolare  T612 e Shilyss.
Un ringraziamento speciale va come sempre alla mia _Lightning_, per la pazienza con cui ha sopportato (e sopporta) i miei scleri pre pubblicazione, le mie crisi esistenziali e tante altre cose carine&coccolose. In omaggio per te una mia foto distorta <3
 
Grazie ancora per tutto il supporto, per me significa molto <3
 
 
_Atlas_

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