The Hunter

di Venice93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amiria ***
Capitolo 2: *** I suoi occhi ***



Capitolo 1
*** Amiria ***


THE HUNTER

Capitolo 1°: Amiria

Il mattino sembrava essere arrivato più in fretta rispetto agli altri giorni; il sole cominciava a filtrare tra le tapparelle e gli oggetti nella stanza sembravano prendere vita. Le rose si coloravano di un rosso intenso, mentre l'acqua nella tinozza rifletteva gli intensi raggi solari e dipingeva dei particolari riflessi sui muri.

Un rumoroso sbadiglio riecheggiò nella camera, infastidendo Sam, il cane lupo, che dormiva ai piedi del letto.

-Possibile che io debba sempre dormire scomodo a causa tua?- disse Eevar, mettendosi a sedere e guardando Sam contrariato.

Il lupo, di tutta risposta, non si mosse di un millimetro, si leccò il muso e chiuse di nuovo gli occhi.

Eevar si alzò, si stiracchiò per qualche secondo, si avvicinò alla tinozza e prese dell'acqua tra le mani per lavarsi il viso. Si asciugò alla meno peggio e si guardò allo specchio.

La bevuta della sera prima marcava ancora i suoi occhi grigi con dei bei cerchi scuri, manco l'avessero preso a pugni, o forse si... questo lui non se lo ricordava. I capelli lunghi, scuri, sulle spalle erano piuttosto spettinati, come se non se li spazzolasse da una settimana. Forse era davvero così.

-Eevar, hai quel non so che di affascinante- si canzonò.

Sam scese dal letto e andò verso la porta grattandola. Il legno era ormai tutto graffiato dai suoi artigli neri, ma al padrone di casa poco importava. Quel capanno era l'unico luogo che lo liberava da qualsiasi ansia, paura, responsabilità. A lui non fregava nulla se fosse sporco, in disordine o rovinato dal lupo, quello era il suo nido.

Si vestì in fretta, prese un coltello, un piccolo sacco ed uscì di casa.


 


 

Il castello era vivo già di prima mattina. I passi della servitù riempivano il silenzio e il profumo di pane, dolci e marmellate fluttuavano per tutti i corridoi.

Nemmeno un minimo bagliore riusciva a penetrare tra le spesse tende dorate, non un rumore, nemmeno il suono del fiume o degli uccellini. Nulla. La stanza era immersa nel buio e nel silenzio.

Un leggero bussare, destò Marwel dal sonno.

-Principessa, è già mattina.- sussurrò Gwen, la dama di compagnia.

I suoi occhi scuri erano svegli e spensierati, tipici di un'adolescente, la sua pelle diafana faceva contrasto con i capelli neri, accuratamente raccolti ed impreziositi da piccole gemme blu, come il suo abito.

-Forza, preparate la Principessa.- ordinò alle cameriere.

Marwel si tirò su a sedere e si strofinò gli occhi. La lunga chioma bionda le copriva parte del viso e le solleticava il naso, mentre il freddo della stanza la faceva rabbrividire.

-Vorrei dormire fino al mese prossimo.- sussurrò stanca.

-Suvvia, due balli reali e già vi lamentate.- scherzò Gwen.

Una delle cameriere scostò le tende facendo entrare i forti raggi solari che fecero brillare le pareti e dipinsero delle splendide sfumature su tutto ciò che c'era nella stanza, penetrando attraverso i vetri colorati delle finestre.

Marwel scese dal letto barcollando e si diresse verso il tavolo da toeletta. Si sedette sulla morbida sedia foderata di velluto e si specchiò.

I suoi occhi verdi portarono l'attenzione sul segno del cuscino disegnato sulla sua guancia. Sbuffò e mosse lo sguardo altrove. La camera profumava di lavanda e le cameriere accesero il fuoco per riscaldarla.

Un abito color rosso ciliegia l'attendeva sul letto; si fece vestire in silenzio, tra uno sbadiglio e l'altro. Volle lasciare i capelli sciolti, con qualche ciocca fermata da nastri scarlatti.

Uscì dalla camera e si diresse nella sala della colazione, senza proferire parola e con un gran sonno.


 


 

La brina era poggiata su ogni singola, foglia, fiore, radice, quasi a voler coprire, come una coperta, ciò che formava la natura in quel bosco dove ogni arbusto aveva una forma diversa e molti animali vi abitavano.

Eevar si inginocchiò a raccogliere delle erbe mediche, mentre Sam gironzolava per i fatti suoi; riempì il sacco e lo chiuse, richiamò Sam e s'incamminò nella fitta boscaglia.

Trovò le trappole che aveva piazzato la sera prima e ne raccolse le prede, le lego insieme con dello spago e si incamminò verso le mura. Andava una volta al mese a vendere ciò che cacciava e raccoglieva alla piazza del mercato, dentro le mura di Amiria, per racimolare qualche moneta. Il fatto che ne spendesse almeno la metà nella locanda la sera stessa, non conta.

Trascorse due notti fuori casa ed arrivò davanti alle mura che era pomeriggio inoltrato. Le guardie non gli chiesero nemmeno il suo nome, poichè lo conoscevano bene e sapevano che non avrebbe portato problemi. Eevar era conosciuto come "il cacciatore", non solo per le prede che uccideva nel bosco, ma anche per le storie che raccontavano sull'uccisione di demoni e bestie di ogni genere, avvenute in tutto il regno di Amiria, per mano sua. Aveva lasciato quella strada molto tempo prima.

Aprirono le alte porte borchiate e l'uomo entrò insieme al suo lupo. C'era ancora molta gente in giro, tutti chiacchieravano e si godevano gli ultimi raggi del sole prima del suo calare. Le botteghe erano ancora tutte aperte e l'odore delle spezie e del cibo catturò l'attenzione del cacciatore, che sentì immediatamente i morsi della fame.

Si avviò per la piazza del mercato, al banco delle erbe mediche.

-Doris, mia cara, mi stavi aspettando?- scherzò Eevar con la donna che vendeva le erbe.

-Eevar! avevo giusto finito il tarassaco!- rispose lei ridendo.

Doris era una donna di mezza età che aveva dedicato la sua vita ai medicamenti e ad aiutare il prossimo; era infatti il medico del villaggio dentro le mura.

L'uomo si guadagnò i suoi denari e si apprestò a vendere anche la carne al macellaio.

Il viaggio gli aveva tolto molte energie e si sentiva piuttosto stanco e affamato, così anche Sam che sbadigliava a ogni metro che faceva.

-Che dici Sam? Andiamo alla locanda?- disse guardando il lupo.

Di tutta risposta, il cagnone, cominciò a correre verso la struttura, che ormai conosceva centimetro per centimetro.

Eevar consumò un pasto abbondante e affittò una stanza, dove lasciò Sam a riposare. Prima di andare a dormire gli piaceva passeggiare per le vie della città, che trovava profondamente affascinante e luminosa. Si ricordava di quando abitava anche lui in quel luogo, ma era trascorso tanto, tanto tempo ormai.


 


 

-Un altro ballo?- chiese Marwel piuttosto infastidita.

Sua madre, la Regina Eris, le stava seduta di fronte, con le labbra leggermente inzaccherate di marmellata. La guardava seria, ma con la dolcezza di una madre qualunque.

-Lo sai che tuo padre vuole vederti sposata.- rispose appoggiando le posate al piatto.

Marwel alzò gli occhi al cielo. Mutilava la sua colazione punzecchiandola con la forchetta, per scacciare via il fastidio. Lei non voleva sposarsi con il primo Principe che le capitava a tiro, lei sognava l'amore, quello folle e forte. Il suo destino però sembrava ben diverso.

-Non è già contento che mio fratello Deril si sia sposato? L'erede al trono è lui, dopotutto.- disse senza guardare Eris.

-Vi vuole entrambi sistemati.- rispose secca la madre.

Marwel si alzò e lasciò la sala della colazione con passo svelto. Si chiuse in camera e non permise nemmeno a Gwen di entrare.

Si avvicinò ad un grosso comò e aprì il suo portagioie dorato, impreziosito da gemme colorate. Estrasse delicatamente un ciondolo e lo rigirò tra le dita più volte, per assaporarne il ricordo.


 


 

15 anni prima...


 

Sembrava un giorno come un altro ad Amiria. L'inverno era arrivato da poco e già aveva imbiancato i tetti delle case e le prime impronte comparivano sulle strade. Tutto sembrava ricoperto di zucchero a velo, o almeno così se lo immaginava Marwel mentre guardava dalla finestra i fiocchi scendere sul suo regno.

-Mamma! Voglio andare a giocare fuori!- urlò felice.

-Va bene, ma solo per un'ora. Ti voglio qui per pranzo, chiaro?- rispose la madre facendole una carezza sul viso.

La balia accompagnò la bambina fuori dal castello e la osservò giocare con la neve e costruire piccoli cumuli qua e là.

Un forte vento si alzò d'improvviso e la dolce nevicata divenne in fretta una bufera. Non era normale quel cambio repentino di clima e la balia se ne accorse.

-Principessa, dobbiamo tornare dentro!- disse avvicinandosi alla bambina.

Marwel, che cominciava a tremare dal freddo, si incamminò verso la balia senza protestare, ma quando aveva quasi sfiorato la sua mano, si sentì sollevare da terra ed emise un urlo.

Un cavaliere vestito di nero e ricoperto da un'armatura dello stesso colore, con il volto completamente coperto, la prese fulmineo e la caricò sul cavallo, cominciando a galoppare verso il grande portone delle mura, che per l'occasione del mercato veniva lasciato aperto.

La balia cominciò a chiedere aiuto e in un attimo le guardie furono dietro al misterioso cavaliere. Marwel era spaventata ed infreddolita, ma non riusciva ad emettere alcun suono dal terrore, pensava di essere spacciata, che non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori, ne il suo fastidiosissimo fratello, ma che in quel momento avrebbe tanto voluto al suo fianco.

Il cavaliere svoltò in una via dalla quale si poteva benissimo vedere il portone che stava per essere chiuso dalle guardie.


 

Eevar era andato a caccia con suo padre quella mattina. Gli stava insegnando a costruire delle trappole per le lepri e a perfezionare la tecnica con l'arco e le frecce, quando il clima cambiò rapidamente.

-Non promette nulla di buono- disse il padre -sarà meglio tornare a casa-.

Raccolsero le loro cose e si avviarono verso le mura. Eevar aveva 13 anni e seguiva il padre dappertutto, cercando di imparare qualsiasi cosa. Milek, il genitore, era un ex soldato di Amiria, congedatosi dopo aver perso la moglie in un tragico incidente a cavallo. Aveva insegnato ad Eevar a difendersi con la spada, con l'arco e con lo scudo. Lui era un alunno provetto e amava passare del tempo con suo padre.

Arrivati alle mura si accorsero subito che qualcosa non andava e affrettarono il passo.

-Derk! Cosa succede?- chiese Milek ad una guardia.

-La Principessa è in pericolo!- rispose lui.

Eevar cominciò a correre per le vie della città, mentre il padre lo chiamava e gli diceva di fermarsi. Lui, armato di arco e frecce, cercava la Principessa, schivando i passanti come nulla fosse.

Il padre gli aveva insegnato a non aver paura, ad aiutare il prossimo nel momento del bisogno, perchè tutto il bene che avrebbe fatto, prima o poi, sarebbe tornato indietro.

Vide il cavaliere nero dirigersi verso la grande porta e cominciò a correre verso la sua direzione. Si fermò, prese la mira e lanciò una freccia su una zampa del cavallo che impennò e speronò il rapitore facendolo cadere a terra.

Le guardie gli furono subito addosso ed Eevar corse incontro al cavallo che ancora si agitava ferito con in sella la Principessa. Afferrò la bambina per le vesti e la tirò giù. Ella cadde, ma prima che lui potesse aiutarla a rialzarsi, il cavallo lo colpì alla schiena facendogli perdere i sensi.

Quando si risvegliò, si rese conto che non si trovava nella propria casa, ma in una stanza fin troppo ordinata e pulita per i suoi gusti. Provava molto male all'altezza delle scapole e non riusciva a respirare bene. Suo padre era li con lui.

-Papà...- lo chiamò sussurrando.

-Eevar che cosa ti è saltato in mente? potevi morire!- disse il padre sedendosi vicino a lui e prendendogli la mano.

-La Principessa?- chiese Eevar ignorando completamente le parole del padre.

-L'hai salvata. Sta bene. Ma tu no e questa cosa ti costerà mesi di punizione.- rispose Milek.

-Ho fatto solo ciò che mi hai insegnato tu.- disse prima di chiudere gli occhi e cadere in un sonno profondo.

Al suo risveglio il padre non c'era più, ma al suo posto vi era una bambina con gli occhi verdi e i capelli biondi, un livido sul volto e un piccolo taglio sul naso.

-Vi siete svegliato finalmente. Vostro padre tornerà presto. Avete fame? il medico ha detto che dovete mangiare per rimettervi in forze...sapete, avete subito un grosso trauma e...-

-Voi siete la Principessa, giusto? vi ho fatto male tirandovi giù da cavallo?- la interruppe Eevar.

Lei sorrise e abbassò lo sguardo.

-No... mi avete salvato la vita.- rispose.

I giorni susseguirono e il ragazzo riprese a camminare e respirare con meno fatica, così Milek decise che fosse ora di tornare a casa. Ringraziarono il medico di corte, il Re e la Regina per l'ospitalità e le cure, poi imboccarono l'uscita del castello.

-Eevar aspettate!- urlò Marwel sulla scalinata.

Il ragazzo si girò, mentre il padre continuò a dirigersi verso casa.

-Io... io volevo ringraziarvi per quello che avete fatto e per il rischio che avete corso prestandomi soccorso.- disse la Principessa ad un passo da lui.

Il ragazzo mise una mano in tasca, poi gliela porse alla bambina che lo guardò senza capire. Lui aprì la mano e lei vide con stupore che sul palmo c'era un piccolo ciondolo con una minuscola pietra in centro che brillava.

-Questo è un porta fortuna, Principessa. Vorrei che lo teneste voi.- disse Eevar poggiando il ciondolo sulla mano della bambina e chiudendo le dita attorno ad esso.

-Ma è vostro...- sussurrò Marwel.

-Serve di più a voi.- rispose Eevar prima di voltarsi e seguire suo padre.


 


 

15 anni dopo...


 

-Chissà che fine ha fatto quel ragazzo...- bisbigliò Marwel mentre rimetteva il ciondolo al suo posto.

Lo aveva sognato alcune volte. Molte cose erano cambiate da quel giorno. Non le era permesso di uscire quasi mai e le porte delle mura erano perennemente chiuse, non le aprivano più in occasione del mercato.

Calò la sera e il ballo era alle porte, ma Marwel non aveva voglia di danzare di parlare con i signorotti che le venivano presentati da suo padre. Era già vestita ed acconciata per l'evento, ma aveva deciso di trascorrere in solitudine gli ultimi minuti prima di dover scendere nel salone delle feste.

Indossò il suo mantello ed uscì nel grande terrazzo del castello e rimase li a guardare le stelle.

Eevar camminava da una ventina di minuti ormai e pian piano si avvicinava al castello. Si fermò ad osservarne l'architettura e a ricordare tutte le volte che da ragazzino passava di li.

Guardava le finestre illuminate e sentiva la musica riecheggiare nella cittadella.

"Dev'esserci una festa" pensò.

Un movimento in alto attirò la sua attenzione; alzò lo sguardo e vide una figura femminile che guardava il cielo. Non riusciva a scorgerne i lineamenti, poichè era troppo buio, però non riusciva a smettere di guardarla.

Ella si accorse di essere osservata e rientrò nel castello.

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Capitolo 2
*** I suoi occhi ***


Capitolo 2°: I suoi occhi


 

-Papà, cosa c'è?- chiese Eevar interrompendo il pasto.

Milek alzò lo sguardo verso il figlio e sorrise.

-Nulla figlio mio... sono solo sovrappensiero.- rispose.

Eevar finì di mangiare, lavò le stoviglie e le ripose al loro posto. Uscì fuori a prendere la legna per il camino e si accorse che c'era un gran trambusto al castello. Non riusciva a vedere bene fin li, però la gente scappava verso la grande porta delle mura.

-Cosa succede?- urlò Eevar ad un paesano.

-Il cavaliere! Il cavaliere è fuggito! sta dando fuoco a tutto! Non è umano!- rispose lui prima di scappare.

Il ragazzo entrò in casa per avvisare il padre, ma si bloccò immediatamente. Il ciocco di legno che aveva in mano gli cadde e fece un tonfo sordo che lui nemmeno sentì.

Il cavaliere nero teneva suo padre per il collo e non appena Eevar entrò, egli si volse a guardarlo.

-Ciao Eevar- disse con una voce gutturale.

-Lascia stare mio padre!- tuonò il ragazzo, mentre con lo sguardo cercava la sua spada.

Il cavaliere se ne accorse e cominciò a ridere.

-Cerchi questa?- gli chiese facendogli vedere la spada.

Eevar si irrigidì, comprendendo quel che stava per accadere. Si sentiva inerme, tutto il coraggio che aveva utilizzato con la Principessa sembrava svanito nell'oscurità e non era facile ripescarlo.

-E...Eevar... vattene...scappa...- sussurrò suo padre con un filo di voce.

-No! Non ti lascio qui!- disse il ragazzo lanciandosi contro il cavaliere.

Di risposta, il mostro lo colpì in pieno volto gettandolo a terra. Alzò la spada per colpire Milek.

-Non...non sarà mai tuo...l'ho addestrato troppo bene..- bisbigliò l'uomo accennando un mezzo sorriso.

Eevar si sollevò in silenzio, afferrò il suo pugnale da caccia e con un urlo balzò addosso al cavaliere trafiggendogli la schiena. Egli emise un grido inumano e cadde in ginocchio, allentando la presa sul collo di Milek. Fulmineo il mostro prese nuovamente possesso della spada ed infilzò il padre del ragazzo, all'altezza del cuore.

Eevar perse il fiato, guardava il sangue uscire dal corpo di suo padre e non riusciva a muoversi. Rimase in ginocchio con il pugnale insanguinato in mano, gli occhi sbarrati e le lacrime lungo le guance.

Una nube nera si materializzò attorno al cavaliere nero ed egli sparì, così com'era comparso.

-Padre!- urlò Eevar andandogli incontro.

Milek accarezzò il volto di suo figlio, mentre lentamente entrava nel mondo dei morti.

-Eevar non puoi rimanere qui...siamo...siamo stati scoperti...nel bosco...rimani...-

Non riuscì più a proferire parola. Morì tra le braccia disperate di suo figlio.


 


 

Eevar si svegliò di soprassalto. Aveva avuto un incubo, era sudato dalla testa ai piedi e aveva destato Sam che era sceso dal letto e aveva cominciato ad abbaiargli contro.

-Buono Sam.- disse lui prendendosi la testa tra le mani.

Non era la prima volta che faceva quel sogno, anzi, che ricordava quel momento durante il sonno. Decise di vestirsi e fare due passi, all'aria aperta.


 

-Vi presento mia figlia Marwel, Principessa Amiria.- disse Re Aarold prendendo la mano della ragazza e facendola avvicinare al figlio del Barone.

Il ragazzo fece un inchino e sorrise.

-Sono lieto di fare la vostra conoscenza vostra grazia.- disse avvicinando le labbra alla sua mano.

Marwel fece un sorriso falso e attese che finissero i convenevoli per dire:

-Lieta anche io. Purtroppo non mi sento molto bene, devo proprio andare-.

-Marwel!- la richiamò suo padre andandole dietro.

-Padre, quanti me ne avete presentati? decine? migliaia? direi che posso andare nelle mie stanze stasera.- rispose lei voltandosi.

-Prima o poi dovrai prendere marito- disse lui prima di lasciarla andare via.

Marwel alzò gli occhi al cielo e si diresse verso le sue stanze. Si accorse mentre percorreva i lunghi corridoi del castello, che le guardie non erano presenti. Con tutta probabilità il Re le aveva sparpagliate attorno al salone, lasciando incustodito il resto del castello.

Marwel prese la palla al balzo; andò nella sua stanza a recuperare il mantello ed uscì dal castello attraverso le stanze della servitù, che era tutta impegnata per il ballo.

Appena mise piede fuori si sentì subito meglio, come se tutti i pesi e le responsabilità le avesse lasciate all'interno e fosse libera di essere semplicemente Marwel.

Cercò di non destare troppa attenzione su di se mentre passeggiava per le vie della città. Vide delle guardie che camminavano nella sua direzione e svoltò in un vicolo buio per nascondersi.

-Tutto bene?- fece una voce alle sue spalle.

Si voltò di scatto e trattenne un urlo. Il cuore le batteva a mille e il fiato era corto. Le guardie si avvicinavano sempre di più ed ella cadde nel panico.

-State bene? avete bisogno di aiuto?- chiese l'uomo.

Marwel non riusciva a vederlo a causa del buio pesto di quel vicolo.

-Non dite niente, state al gioco- disse lei prima di stringergli le braccia al collo.

Lui rimase stupito da quel gesto, ma quando vide le guardie, capì che la ragazza stava fuggendo da loro e allora l'abbracciò a sua volta. Le guardie li osservarono per qualche secondo, poi ripresero a camminare per la loro strada.

-Se ne sono andati. Allora... cosa avete fatto? furto? avete offeso qualcuno che non dovevate?- chiese staccandosi dall'abbraccio.

Ella lo guardò, sperando di scorgerne i lineamenti, ma non ci riuscì.

-Ehm... più o meno- rispose soltanto.

Lui sorrise, anche se lei non riuscì a vederlo.

-Venite con me. Siete congelata- disse incamminandosi verso la locanda - State tranquilla- aggiunse vedendo che lei non lo seguiva -non vi farò alcunché-.

Lei lo seguì timidamente fino alla porta del locale, poi lui si voltò e la ragazza potè finalmente vedere il volto del suo interlocutore. Rimase stupita. Sentiva di averlo già visto, quegli occhi grigi, i capelli scuri... non ricordava dove, ma era sicura di averlo conosciuto.

-Allora? vogliamo entrare?- disse aprendo la porta della locanda.

Lei annuì ed entrarono. Il posto non era molto affollato e per lo più era invaso da ubriachi. Marwel tirò un sospiro di sollievo, in quello stato nessuno l'avrebbe riconosciuta.

-Vi offro da bere, vi va?- disse lui mentre con una mano faceva cenno alla cameriera.

-Si, grazie... posso sapere il vostro nome, Sir..?- chiese lei timidamente.

Lui la guardava, come si guardano i primi fiori che sbocciano in primavera. Seguiva i suoi lineamenti con lo sguardo, il naso sottile, il solco sopra il labbro superiore, il colore della sua pelle e il verde dei suoi occhi. Sembrava un dipinto.

-Eevar- rispose, senza scostare lo sguardo.

-Ecco a voi!- disse la cameriera mentre posava sul tavolo due calici di bronzo e una caraffa piena di vino.

Ella ammutolì. Schiuse leggermente le labbra e sussurrò il suo nome. Ricordò quel ragazzino coraggioso che l'aveva tratta in salvo 15 anni prima, allora aveva solo 10 anni.

-E voi? qual'è il vostro nome?- chiese lui.

Non glielo poteva dire. Come poteva rivelargli chi fosse? l'avrebbe riportata subito al castello e la sua serata in totale libertà sarebbe finita li.

-Gwen. Mi chiamo così- mentì -sono una dama di compagnia della Principessa-.

Eevar la osservò. Si accorse che mentre gli rispondeva non riusciva a guardarlo in volto, come se stesse mentendo. Poco gli importava.

-Alla vostra salute, Gwen- disse versando il vino nel bicchiere della ragazza.

-Da dove venite?- chiese lei, dopo aver sorseggiato la bevanda.

-Da un villaggio, poi un altro e un altro ancora- rispose con un mezzo sorriso.

-Non avete fissa dimora?- continuò lei incuriosita.

-Si e no- disse lui appoggiando il bicchiere sul tavolo -Viaggio spesso-.

-Cosa vi ha portato dentro le mura?- fece lei.

-Sono un cacciatore. Porto carne ed erbe qui e le vendo al mercato- rispose Eevar.

-Anche a me piacerebbe viaggiare, vedere il mondo... e invece sono sempre chiusa nel castello- disse Marwel volandosi a guardare in direzione di casa sua.

-Il mondo non è posto per delle delicate fanciulle- disse lui.

-Per quale motivo?- chiese lei un po' infastidita.

Lui si riempì il bicchiere, bevve un sorso di vino e rispose:

-Vedete, dentro queste mura non succede nulla. Fuori il mondo è pieno di persone poco raccomandabili, bestie non esattamente umane, pronte ad uccidere in qualunque momento-.

Ella sorrise:

-E voi? siete una persona poco raccomandabile?-

Lui avvicinò la mano alla sua, inclinò la testa leggermente d'un lato e rispose:

-C'è chi dice di si e chi dice di no. Voi? cosa dite?-

Marwel distolse lo sguardo e allontanò la mano intimidita.

-Vi accompagno a casa, Gwen- disse lui alzandosi.

Lei avrebbe voluto protestare, ma era tardi e il ballo sarebbe finito di li a poco e sicuramente avrebbe ricevuto la visita di sua madre nelle sue stanze.

Uscirono dalla locanda, mentre Marwel osservava le luci della città, la gente allegra che chiacchierava per strada e si chiedeva quando avrebbe rivisto tutto questo e quando avrebbe rivisto Eevar.

Arrivarono al castello, esattamente di fronte alla porta d'ingresso delle stanze della servitù.

-Bene, ora che siete in salvo, vi auguro buonanotte- disse lui afferrandole la mano e avvicinando le labbra a sfiorarle il dorso.

Un brivido percorse lungo la schiena della ragazza.

-Sono contenta di avervi conosciuto Eevar. Spero di rivedervi- disse lei.

Lui si avvicinò alla ragazza e sussurrò:

-Guardate che so chi siete, non c'è bisogno di mentire con me. So che non vi rivedrò più-.

Ella si portò una mano al viso, poi la porse sul suo e disse:

-Questo non è vero... non potete esserne certo-.

Gli lasciò un bacio sulla guancia ed entrò nel castello.

Eevar si sfiorò il punto dove l'aveva baciato e sorrise. Non l'aveva dimenticata. Chissà se fosse lo stesso per lei.


 

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