Origins of Love

di direiellie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


      Origins of Love


Aprii gli occhi all'improvviso. Mi guardai attorno senza riconoscere l'ambiente che mi attorniava, leggermente spaventata. Sotto di me terriccio umido, mi circondavano alberi secolari e cespugli. Ero ancora sdraiata mentre cercavo di fare mente locale per ricordare perché mi trovassi nel bel mezzo di una foresta. Poi ricordai, e una lacrima volle uscire insistentemente fino a scendere lungo il mio collo. 

Mi alzai da terra, recuperai il mio zaino - l'unica cosa con me - e cominciai a camminare, senza sapere dove mi avrebbero portato le mie gambe stanche lungo i sentieri di quella foresta. Non avevo meta e mi concessi di osservare tutto quello che avevo attorno in quel momento. Animali, piante, enormi sassi... la natura. Era tutto umidiccio e l'erba bassa era cosparsa di rugiada. Sicuramente era mattina, l'alba doveva essere passata da poco tempo, ma tra il verde non scorgevo nessun raggio di sole. Dovevo aver passato la notte in quel preciso angolo della foresta dove poco fa mi ero svegliata, salva, all'apparenza. Non avevo più cibo con me e sentivo una gran fame. Bevvi un sorso d'acqua e ripresi a camminare sperando di trovare presto luoghi famigliari, persone, o almeno qualche baita solitaria. C'era un tale silenzio che potevo sentire il mio respiro affannarsi sempre di più, una lieve pace che ben presto si ruppe con quello che sembrava il rumore di una motosega. Spalancai leggermente lo sguardo con la speranza di trovare di lì a poco qualcuno che volesse darmi un aiuto. Mi mancava parlare con qualcuno, era troppo tempo ormai che lo facevo solo con i miei pensieri. Cercai di capire da dove provenisse quel fastidioso rumore. Non era lontano. Sentii un tonfo improvviso, un tronco d'albero cadere al suolo. Feci un balzo e decisa mi avvicinai sempre più, fidandomi delle mie orecchie e di quello che avevano appena sentito. Sfiorai rami di alberi per farmi strada arrivando infine a un tronco perfettamente mozzato. Non era da me avventurarmi in un posto sconosciuto, ma ero sola e non avevo più le forze di starci. Il desiderio di trovare qualcuno mi portò avanti fino a scorgere, tra alberi dal tronco robusto, un uomo in lontananza con una motosega in mano. L'immagine davanti a me non era delle migliori, mi sentii all'istante in un film dell'orrore, ma smisi subito di far viaggiare la fantasia e mi sedetti a terra, non molto lontano da lui, guardandolo incuriosita. 
L'uomo indossava una camicia aperta e un paio di jeans consumati. Mi chiesi perché fosse tutto solo a stroncare la vita a poveri alberi, ugualmente rapita. Sperando non si accorgesse della mia presenza mi avvicinai di poco, nascondendomi tra la natura per non farmi vedere, con l'insano desiderio, però, che mi trovasse. Aveva capelli castani non molto corti e lunghe basette. Non riuscivo a distinguere il colore dei suoi occhi, così come le particolarità delle sue mani. Sembrava forte, a giudicare dalla figura della sua schiena quando mi dava le spalle. Chissà quanti anni aveva. Restai a guardarlo insistentemente, ne ero un po' affascinata. Seguii i suoi movimenti per tutto il tempo del suo lavoro, con lo strano desiderio di voler conoscere l'ora. 
Dopo un interminabile tempo passato a fissare lui e lo sfondo che ci circondava posò la motosega a terra e si asciugò la fronte. Riprese poi la motosega e cominciò a camminare in direzione opposta alla mia. Volevo scattare in piedi ma non mi alzai subito, rimuginai tra me e me, quando poi i pensieri furono offuscati dalla sola voglia di seguirlo. Quando fui più vicina si bloccò di colpo, come se sapesse della mia presenza. Annusò l'aria e si voltò verso di me. Sperando non mi avesse notata restai immobile, poi ripresi a camminare con lui. Non sapevo quello che stavo facendo, forse avrei sbagliato, forse mi sarei ritrovata nei guai, forse...
Arrivai sul ciglio di una strada e guardandomi intorno lui non c'era più. Mi bloccai, ma poco più in là lo vidi salire su una roulotte dotata di un gancio da traino. Il pensiero fu automatico, improvviso: corsi e mi ci infilai dentro, senza farmi vedere. Non riuscivo a spiegarmi il motivo dei miei gesti, quell'uomo a cui mi stavo aggrappando avrebbe potuto essere chiunque. Tuttavia mi ero quasi sempre fidata di me stessa, e quella volta non avevo certo smesso. Così, senza sapere nulla di lui restai lì, immobile, pensando a quello che sarebbe accaduto. Infondo non sapevo né avevo un posto dove andare. C'erano troppe curve per i miei gusti, ma dovevo fare lo sforzo di restare ferma. Avrei tanto voluto vedere ciò che ci circondava mentre viaggiavamo sulla strada, per chissà quale meta, forse casa sua. Lo speravo. Mentre mi concessi di fantasticare un po' sentii un dosso sotto di me, e provai un dolore tremendo al braccio destro. Mi venne il panico, speravo non avesse sentito niente di sospetto, ma appena la roulotte si fermò le mie speranze svanirono. Sentii la portiera sbattere, la conferma delle mie speranze crollate, e lui venire verso di me.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Tastò il mio corpo sotto la coperta verde scura, precisamente la mia spalla sinistra. Tremante sfilai la coperta, raggiungendo impaurita il suo sguardo. Prese il mio zaino e lo buttò per strada, guardandomi con fare minaccioso. Avrei dovuto aspettarmelo.
«E tu chi saresti, ragazzina?!» 
La prima frase che gli sentii pronunciare. La sua voce non era come il suo sguardo, era tranquilla e sicura, ma forse il suo sguardo mentiva.
«Scusami, mi sono persa, pensavo potessi aiutarmi...» ora quella che mentiva era la mia di voce. Non sapevo come rivolgermi a lui, lo guardavo freneticamente, era sicuramente irritato dalla mia presenza, cercai senza sforzo di essere gentile.
«Scendi.» il suo tono non era freddo, più che altro scontroso.
«Ma dove vuoi che vada?»
«Non lo so.»
Mi voltò le spalle rientrando alla guida della roulotte, lasciandomi in mezzo alla strada vicino al mio zaino. 
«Non volevo essere invadente!» gli urlai.
Restai a guardare la roulotte allontanarsi, ma poco dopo, per mia fortuna, si fermò. Salii a fianco a lui, un po' timorosa, ma sollevata dal suo ripensamento.
«Spii sempre le persone?» 
Mi prese di sprovvista, non collegai subito la sua domanda, sicura non mi avrebbe rivolto parola, poi capii che si stava riferendo alla foresta.

«Scusami, pensavo non te ne fossi accorto.»
Ebbi un brivido di freddo che mi salì per tutto il corpo. Avevo il piacere di vedere la strada che percorrevamo e quello che ci circondava, con mia grande sorpresa notai la neve cospargere l'ambiente. Con la coda dell'occhio mi lanciò un velocissimo sguardo notando le mie braccia che cercavano di scaldarsi a vicenda e accese il riscaldamento.
«Grazie...»
Odiavo i silenzi imbarazzanti. Mi trovavo in una roulotte di un uomo a me sconosciuto che mi sedeva a fianco. Che avrei dovuto dire? Ne avevo tante di cose in testa, ma nessuna sembrava adatta alla situazione. In quel momento però lui era il solo in mio aiuto.
«Mi chiamo El..Emily» osai dire.
«Logan.»
«Non dovresti mettere la cintura?» Non volevo sembrare presuntuosa, avevo solo bisogno di parlare. Scelsi ovviamente l'argomento sbagliato.
«Non mi serve qualcuno che mi dica cosa fare.»
«Scusa.»
Ripresi sconfitta ad osservare l'ambiente. Davanti a noi non si notavano abitazioni di alcun tipo, continuavo a chiedermi se stessimo andando a casa sua o chissà dove. Non mi aveva ancora chiesto nulla di me, ma se voleva aiutarmi, il momento delle domande sarebbe presto arrivato. Mi chiedevo continuamente cosa sarebbe accaduto nei prossimi giorni e dove sarei finita. Logan sembrava buono. Mi misi a gambe incrociate, cercando di far stare calmo il mio stomaco affamato e non affatto contento delle curve che doveva subire. Ogni tanto lanciavo uno sguardo a Logan, ogni tanto anche lui mi guardava, incuriosito, forse. Le prime case solitarie tra le colline cominciarono a spuntare curva dopo curva e tutto a un tratto la roulotte prese una salita che portò a una collinetta con al centro una splendida ed enorme casa in legno. Nel bel mezzo di Canadian Rockies, nord ovest del Canada, abitava Logan.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Logan fermò la roulotte dalla parte opposta all'entrata di casa, aiutandomi poi a scendere. Presi il mio zaino e posai lo sguardo sulla sua grande casa.
«Da questa parte» disse, accompagnandomi con lo sguardo.
«A...arrivo»
Varcando la soglia la sensazione di essere fuori luogo trovandomi in quel posto mi assalì. Posò le chiavi sul tavolo della cucina e si tolse la camicia sudata. Mi lanciò uno sguardo e allontanai i miei occhi da lui.
«Wow» dissi a bassa voce e senza accorgermene mentre camminavo lentamente per la casa.
«Che c'è?» la sua voce, ora, era più tranquilla.
«È bellissima» gli sorrisi. Posai il mio zaino sul divano e mi ci sedetti a fianco stando in silenzio. Mi sentivo un'intrusa. Ero un'intrusa. Lo sentii trafficare dietro di me, in cucina, e poco dopo venirmi accanto.
«Tieni, sarai affamata» disse porgendomi un sandwich al formaggio mentre si stava sedendo a fianco a me. Guardai quel cibo come fosse oro colato, ero già in debito con lui più di quel che avrei voluto.
«Gra...grazie!» 
Divorai il sandwich sotto i suoi occhi pieni di domande, non mangiavo da parecchie ore, speravo in una cortesia a base di cibo. Io non avrei osato chiedere niente, nemmeno dove fosse il bagno se mi sarebbe servito di lì a poco, essere in casa sua si stava rivelando una vera e propria fortuna.
Mi sembrava molto strano il fatto che ancora non mi avesse posto nessun tipo di domanda sul mio conto, su chi fosse la ragazza che in questo momento aveva in casa sua, io però ne aspettavo una di quelle scomode di lì a poco.
«Senti...» 
Ecco, stava iniziando il discorso, un qualcosa del tipo "Ragazzina, non posso farti da baby sitter!"
Tolsi lo sguardo inizialmente su di lui, mi guardai le mani tremare leggermente.
«Non mi interessa né chi sei né quanti anni hai e né da dove vieni. Ormai sei piombata qui, quindi non posso buttarti fuori casa... ma... se qualcuno ti sta cercando là fuori io non voglio finire in casini adolescenziali per causa tua, non so niente di te.»
Adolescenziali. Feci una piccola smorfia. Il suo neo-discorso mi aveva sorpresa, ero pronta ad accogliere il peggio. Passava dallo scontroso all'amico pentito, era difficile stargli dietro. La sua voce mi piaceva.
«Non c'è possibilità che qualcuno mi stia cercando» una lacrima mi rigò il viso.
«I miei genitori sono stati uccisi, l'altro ieri, no... credo di aver perso la cognizione del tempo, sono stati uccisi!» urlai. Iniziai a piangere senza volerlo, sentivo il suo sguardo pesantissimo su di me.
«Si tratta di mutanti, ne sono sicura. Non so come io sia riuscita a scappare... non so perché l'abbiano fatto... non lo so...»
A pugni stretti lo guardavo con le lacrime agli occhi. Il suo silenzio mi imbarazzava e innervosiva allo stesso tempo. Sentii un lieve rumore metallico, come una spada sfilata dalla sua custodia. Mi voltai verso di lui e spalancando gli occhi vidi sei lame affilatissime uscire ai lati delle sue nocche. Mi alzai di scatto dal divano, continuando a fissarlo spaventata. Le lacrime bruciavano sulle guance. 
«Tranquilla, non ti faccio nulla» 
Non capivo, ero spaventata.
«Tu... tu sei un mutante... ma... come...» le parole non uscivano, mi stavo pentendo di essermi fidata di me stessa.
«Non ti spaventare, prometto di non toccarti...» alzò leggermente le braccia con ancora le sei lame in bella vista. Continuavo a non capire, avevo la testa in panne, se avesse voluto farmi del male l'avrebbe fatto nel momento esatto in cui si era accorto della mia presenza nella foresta. La sua azione sembrava perlopiù una confessione, una verità che si era sentito in dovere di mostrarmi, forse dopo quello che gli avevo sinceramente raccontato. Mi sedetti nuovamente a fianco a lui, guardandolo ancora dubbiosa.
«Sono un mutante, ma non mi diverto a uccidere la gente» confessò. Di certo questa non era una cattiva notizia, perlomeno non sarei diventata la sua cena.
«Non ho mai creduto possibile questa cosa dei mutanti... mi sembra una cosa così...»
«Impossibile?» ribatté.
«Si.»
Anche se mi stavo lentamente tranquillizzando, ora quella che aveva domande da fare ero io. E ne avevo molte.
«Al mondo non esistono solo i cattivi però... anche per quanto riguarda il mondo dei mutanti.»
Gli sorrisi sbiecamente, non era più scontroso come aveva voluto apparirmi, forse non lo era di natura, forse voleva solo sembrarlo. Anche se ero preoccupata della sua reale natura in qualche modo gli ero assolutamente grata.
«Mi dispiace per i tuoi genitori» mi disse abbassando gli occhi. Non dissi niente, aspettai che fosse di nuovo lui a parlare.
«Puoi restare, non credo tu abbia un posto dove andare.»
E lo fece, sorprendentemente lo fece, dovevo essergli davvero grata.
«Davvero? Grazie... grazie. Non ti darò fastidio.»
Mi rivolse uno sguardo di approvazione e facendo rientrare gli artigli si alzò dal divano per raggiungere nuovamente la cucina.
«Che ore sono?»
Desideravo saperlo da troppo tempo.
«Le 11 e 20, ormai.»
Lo stomaco mi brontolò di nuovo.
«Tranquilla, preparo qualcosa per pranzo.»
Meno male, pensai, quel sandwich non bastò a sfamare ore e ore di digiuno.
«Ti posso aiutare, se vuoi, so cucinare!» volevo mostrarmi disponibile fin da subito, e capace, non volevo essergli di intralcio ma di aiuto. Lui lo stava facendo con me.
«No, tu hai bisogno di riposo, ti chiamo quando è pronto in tavola.»
Effettivamente il viaggio in roulotte non aveva avuto un buon effetto su di me, come tutto quello che l'aveva preceduto. Il mio stomaco aveva sopportato anche troppo. Mi stesi sul divano, schiacciata dal senso di intrusione che non mi aveva ancora abbandonata. Chiusi gli occhi cercando di pensare al nulla.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Mi svegliai con l'odore di pasta appena condita, e non appena aprii gli occhi trovai il viso di Logan davanti a me.
«Dormito bene?» disse guardandomi negli occhi. Il suo sguardo era troppo intenso e illeggibile per i miei gusti. A volte gli sguardi mi facevano strani effetti.
«Si, benissimo. Che ore sono?» 
Sgranchii tutte le ossa.
«Le 12 e 30. Allora, hai fame?» 
Ritornò in cucina indicandomi con lo sguardo il mio posto a tavola.
«Da morire!»
Mi sedetti cercando di tenere a freno la fame e, anche se con lieve imbarazzo, cominciai a mangiare senza fare complimenti. Tra una forchettata e l'altra lo guardavo mangiare, soffermandomi soprattutto sulle sue mani, le culle di quegli artigli.
«Ti... Ti fanno male quando vengono fuori?» 
Da quando era uscita questa storia sui mutanti ero sempre stata un po' affascinata da loro, anche se dopo l'attacco ai miei genitori ne ero anche terrorizzata, adesso.
«Tutte le volte» disse senza guardarmi.
«E... E come funziona? Sei nato così?» 
Guardavo il mio piatto per non guardare i suoi occhi. Ero un po' a disagio ma curiosa. Anche se proprio loro avevano tolto la vita alle persone a me più care, ora che avevo Logan davanti a me morivo dalla voglia di saperne di più sul loro conto.
«Non lo so. So di avere il corpo interamente riempito di adamantio, qualcosa di indistruttibile» disse mentre si alzò da tavola. Si appoggiò al mobile della cucina a fianco al tavolo e dalla tasca tirò fuori un accendino, portando alle labbra un sigaro della confezione che avevo notato nei pressi della cucina prima di addormentarmi e, mentre ispirava fumo, finivo quello che ancora avevo nel piatto, portando spesso il mio sguardo su di lui.
«Esperimenti sui mutanti» dissi convinta. Fece un segno di approvazione che mi fece ribollire un pensiero in testa.
«Non sembri tipo da farsi incastrare» affermai, pensando al momento in cui mi aveva fatto capire di essersi accorto della mia presenza nella foresta.
«E invece penso proprio mi abbiano incastrato!» ruggì.
«E non ricordi proprio nulla?» mi faceva rabbia il fatto che non sapesse niente, come doveva essere andata? Sembrava tormentato, collegai questa impressione alla sua iniziale scontrosità.
«No, ma so per certo di doverla far pagare a qualcuno... guarda qui, di certo non ci nasci con questi!»
Con un rumore improvviso di lamine tirò fuori i suoi artigli, fissandomi. Strizzai gli occhi fissandolo a mia volta.
«Scusa» disse ritirando gli artigli. Si spostò verso il salotto e non appena si sedette dandomi le spalle sparecchiai il poco rimasto raggiungendolo poco dopo. Erano tante le cose che volevo sapere, ma non avevo intenzione di dargli ulteriore tormento. Mi sedetti sul divano a fianco a lui, scoprendolo minuto dopo minuto. Dopo quelli che sembrarono solo cinque minuti avevo ormai scoperto parte della persona che era ed era stata. Non era sposato ma forse lo era stato, non aveva figli, lavorava regolarmente, era buono. E devo ammettere che quest'ultima parte mi interessava più di qualsiasi altra cosa in questo momento della mia vita, in questo mondo in cui vivevo. Quello che mi dava più filo da torcere tra i miei pensieri era il fatto che da quando era stato preso da chissà chi per chissà quale esperimento non ricordava più nulla di quello che era stato prima, di cosa faceva, di dove abitava, delle persone che frequentava, e questo era straziante, non avevo idea della forza che aveva dovuto adottare per ricostruirsi una storia. Ero ancora più curiosa di prima sulla sua natura e su quello che era in grado di fare. 
Dentro di me sapevo che nei giorni seguenti sarebbe andata meglio, per tutti e due, presto non mi sarei più sentita sola, forse era solo quello che speravo e desideravo. Ero sicura però non mi avrebbe fatto mancare niente. Mi piaceva pensarlo. Mentre pensavo a questo restavo sul suo divano con lo sguardo perso nel nulla, titubante su ogni cosa che stavo per fare o pensare.
Venuta la sera mi venne il dubbio di dove avrei dormito, non che qualsiasi scelta mi avrebbe causato problemi. Dopo aver passato l'ultima notte circondata dal terriccio umido della foresta mi sarei accontentata anche del pavimento. Mi cedette invece il divano della sala, con cui avevo già preso confidenza. Avevo anche la tv a mia disposizione, conoscendomi non avrei desiderato altro. 
Dopo cena mi feci una lunga doccia calda, forse il momento più imbarazzante della giornata. Non vedevo l'ora però di buttare via tutti gli odori che ricordavano la mia fuga, con l'acqua e il bagnoschiuma volevo far scivolare via anche il dolore.
Per la notte Logan mi diede una sua camicia, scusandosi di non avere qualcosa di più somigliante ad un pigiama, e una coperta di lana. Ogni secondo che passavo in casa sua mi sentivo sempre più in debito nei suoi confronti, e questo mi diede il tormento per parecchio tempo prima di riuscire ad addormentarmi.

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Capitolo 5
*** 5 ***


La mattina seguente quando aprii gli occhi guardai istintivamente l'orologio della cucina, erano circa le 9:30 e il silenzio della casa era sovrano. Prima di elaborare freneticamente le ultime 48 ore pensai di trovarmi nella mia stanza, pronta a gestire un nuovo giorno organizzato la sera precedente, prima di addormentarmi, insieme ad altri mille perché. Fissai per un attimo il soffitto e dopo parecchi minuti mi alzai. Pensai subito dopo a Logan, non sembrava essere in casa; lo immaginai al lavoro tra qualche albero, con la motosega in mano. In cucina trovai un biglietto sul tavolo.
"Sono a lavoro, nel frigo c'è il latte e nella dispensa i cereali, per pranzo fai come se fossi a casa tua"
Sorrisi, sorpresa, non conoscevo Logan, ma tutto mi sarei aspettata di trovare di su quel tavolo, tranne quel post it. 
Mi piaceva l'aspetto della sua camicia su di me. Gironzolai un po' per il soggiorno, curiosa quasi come al solito, poi andai in bagno per cambiarmi e rinfrescarmi, mettendoci più tempo di quanto me ne servisse. Di certo il tempo non mi mancava.
Quando uscii dal bagno per prima cosa misi il post it nello zaino, e con addosso i vestiti di giorni prima pensai che avrei dovuto farmi al più presto un guardaroba. Collegai l'idea ai pochi risparmi che avevo avuto possibilità di portarmi dietro che, certo, sarebbero bastati per qualche giorno, dopodiché? L'idea di chiedere ulteriore aiuto a Logan non mi piaceva. Decisi che avrei pensato a questo la sera, al suo ritorno. 
Non avevo ancora avuto la possibilità di guardare l'intera casa, così, approfittando della sua assenza, feci anche un giro di esplorazione. Il pensiero che poco o niente avrebbe tenuto occupati i miei pensieri mi spaventava molto, per questo ci misi più del dovuto anche in questo.
Oltre la grande sala che affiancava la cucina e un piccolo bagno, la casa che mi ospitava era costituita da altre stanze. Al piano superiore vi era un secondo bagno in cui non avevo osato entrare, ma che avevo visto solo sulla soglia pensando di non voler invadere ulteriormente la privacy di Logan, cosa che però non riuscii a raccontarmi per restare sulla soglia anche di quella che era la sua camera da letto. Il letto matrimoniale affacciava su un'immensa vetrata, grande quanto tutta la parete frontale, e identica a quella che, al piano inferiore, affiancava il divano del soggiorno, ormai il mio nido. Poche altre cose riempivano la sua stanza, e tutte di legno. Un comodino, uno solo, dal suo lato, un comò e un armadio più grande sulla parete di destra. Magari una mensola al suo interno sarebbe spettata a me prima o poi. Il pensiero di avere un'altra casa mi distruggeva, odiavo i cambiamenti come poche altre cose, ma quelli radicali, a volte, facevano al caso mio. Il pensiero di affezionarmi ad una casa che non era la mia mi metteva il panico, ma mai come adesso, in camera di Logan, desideravo che fosse quella la casa di cui avevo bisogno. Posai involontariamente la mano destra sul suo copriletto, accarezzai le lenzuola velocemente, come se mi stesse aspettando qualcuno al piano di sotto, e uscii. La scala che divideva i due piani era una delle cose che mi piacevano di più. In legno anch'essa aveva disegni sul corrimano che mi ricordavano la foresta in cui l'avevo trovato, o lui aveva trovato me. Mi ricordava quel che sognai la notte accompagnata da terriccio umido, anche se nessuna di quelle immagini aveva contorni, niente di messo a fuoco.
Sulla soglia di casa la mattina di Canadian Rockies mi dava il buongiorno, quel che circondava la dimora di legno e vetrate sembrava essere dominato solo da Logan. Mi sentivo l'ospite indesiderato di una tranquillità diversa da quella a cui la mia modesta solitudine era abituata, una tranquillità che ancora non mi apparteneva. Tutto raccontava Logan, dal primo filo d'erba che mi sfiorava le scarpe alla punta della montagna più alta che toccava il cielo.
Avrei voluto scendere anche io in città, non conoscevo nulla di quel posto, ma l'instabilità dentro la quale ancora mi trovavo me lo impedì, così come la paura di lasciare quella casa, unico punto di riferimento, per non trovarla al mio ritorno, e con lei Logan.
Ritrovai lo stato d'animo nato guardando le montagne, gli alberi, il sentiero che con la roulotte ero arrivata su quella collina e quello che con il pick up Logan aveva raggiunto un'altra giornata di lavoro, la città in lontananza... e decisi di riprendere in mano l'album da disegno che avevo sempre con me, seduta sul retro della casa. Il vento che di tanto in tanto mi sfiorava i capelli spezzava i pensieri autodistruttivi che elaborava la mia mente sopra la mano destra che impugnava la matita da disegno. Così occupai il resto della giornata e al rientro di Logan sobbalzai un poco, sentendo i suoi passi pesanti sul parquet dell'ingresso.
«È molto bello» il respiro che chiuse la frase mi scostò la ciocca di capelli che avevo dietro l'orecchio destro.
«Grazie, ho perso un po' la mano.» posai la matita ormai priva di mina e lo guardai. «Il lavoro?» 
Dannazione, non avrei voluto chiederlo, sarei sembrata una sorta di finta moglie che lo stava aspettando a casa, che assurda visione, la buon'educazione mi fregava sempre. Si accorse del mio imbarazzo.
«Ce l'ho ancora» si alzò da terra per rientrare in casa. Raccolsi i fogli precedentemente strappati e accartocciati e le matite, piegai l'album e lo seguii.
«Ehm, grazie del post it» mi piaceva, ci avevo rimuginato su per la maggior parte del tempo in cui stavo disegnando l'essenza di quel luogo. Mi guardò dubbioso, se avesse avuto voglia di rispondere mi avrebbe detto che non era un tipo di azione che meritava gratitudine o qualcosa del genere. Cambiai subito discorso.
«Ho pochi soldi con me, basteranno per qualche giorno contando che dovrò farmi un qualcosa che assomigli a un guardaroba... non sono mai stata giù in città, forse dovrei trovarmi un lavoro, forse... non lo so...»
Durante il giorno non sembrava così difficile esporre la situazione in cui mi trovavo, mi pentii di averne parlato per prima.
«Un lavoro? Quanti anni hai?» osò un mezzo sorriso provocatorio mentre si aprì una birra, appoggiandosi al top della cucina. Ripensai ai casini "adolescenziali" in cui pensava fossi.
«Ho vent'anni» dissi forzandomi, aspettando la sua ovvia reazione.
«Prrfff!» 
Sputò l'ultimo sorso di birra sul tavolo di fronte, portando alla bocca il pugno in cui stringeva ancora la lattina. 
«Cosa?»
Non riuscii a trattenere la risata, gli si leggeva in faccia l'innocenza con cui era sicuro di ciò che sapevo stesse pensando. Feci una smorfia. Vidi il suo sorriso ampliare. 
«Aspetta, non dire niente, lo dico io al posto tuo: cosa? Vent'anni? Te ne avrei dati quindici se non di meno» gesticolai «tu quanti ne hai? È alle donne che non si chiede, dopo tutto, quindi diciamo che per logica merito la risposta.»
Ancora incredulo si sfiorò le lunghe basette, pensieroso.
«Beh, i miei non contano, dopotutto.»
«E allora nemmeno i miei.» 
Sorrisi e girai i tacchi. Sentii il suo sguardo sulle mie spalle.

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


Il silenzio di quella notte era interrotto ripetutamente da urla di terrore, forti, lunghe e rabbiose. Erano le mie. Non ero sveglia, non ero nemmeno addormentata, mi sentivo come intrappolata in un limbo in cui non potevo far altro che urlare, piangere e dimenarmi. Stringevo tra le mani la coperta di lana come se fosse l'unico appiglio a cui potevo affidare il mio dolore. I miei genitori... i miei genitori erano morti. Morti. Non avevo la forza di respirare, sentivo però il cuore battermi dentro all'impazzata, lo sentivo in tutto il corpo. I miei genitori erano morti ed io, per questo, non riuscivo più a respirare. Ogni urlo disperato era un tentativo di rimonta sul mio respiro, una chiamata d'aiuto senza risposta perché adesso ero solo io, i miei genitori erano stati uccisi ed il solo pensiero mi mandava a fuoco. Non sentivo nient'altro che questo immondo pensiero perforarmi la testa, lo stomaco, le budella... il cuore.
Era come se fino a quella notte il mio corpo si fosse automaticamente rifiutato di esprimere una reazione più che lecita a ciò che era accaduto, come se da quel momento fino a questa notte fossi vissuta in un corpo secondario capace di perfetto autocontrollo, datomi apposta per esser in grado di sopravvivere fino al momento in cui avrei trovato qualcuno che poteva e voleva mettermi al sicuro.
Logan.
Logan. Le braccia di Logan. Mi avevano appena afferrata senza farmi alcun male ed allo stesso tempo mi tenevano immobile, a penzoloni come una bambola di pezza.
«Ehi, ehi, ehi, ragazzina?! Ehi, va tutto bene, che ti prende?!»
Era la prima volta che mi toccava. Vedevo annebbiato, mi faceva male lo stomaco. Non sentivo né emanavo più nessun grido di terrore, ma continuavo a piangere.
«I miei genitori... i miei genitori...»
Sospirò senza dire niente, non lo vedevo ancora a fuoco, così come nient'altro attorno a noi. Sentii il pavimento freddo del bagno sotto di me, la sua mano mi accarezzò veloce e in modo impercettibile i capelli, scostandoli dalla fronte e dal collo sudati, vomitai una volta, due e poi chiusi gli occhi.
Il giorno dopo non mi mossi dal divano per la maggior parte del tempo, era come se fossi uno degli altri anonimi suppellettili della casa e come tale mi comportai. Immobile, apatica, distante. Rimuginai continuamente su ogni momento della notte appena passata, ancora e ancora.
Logan, la sera, aveva aperto bocca solo per chiedermi come stessi, ed io avevo aperto bocca solo per dirgli che stavo bene, anche se non era vero.
La mattina seguente a quella giornata instabile ero già in piedi alle sei del mattino. Avrei approfittato del lavoro di Logan, e quindi del suo tragitto, per scendere in città. Lavata e vestita, e nuovamente seduta sul divano del soggiorno, osservavo per la prima volta la routine delle prime ore del mattino di un boscaiolo. Innanzi tutto, quel che mi stavo chiedendo con più insistenza, era come facesse a resistere così esageratamente al freddo; se non era a torso nudo, una volta fuori dal letto, era in maniche corte, e in questo stato sbrigava tutto quel che era da elenco prima di uscire di casa. Forse il segreto stava nella sua reale natura di mutante, non c'era altra spiegazione. Una cosa era certa, Logan non era in grado di farsi una colazione, ed ora che ci pensavo, non era proprio un granché ai fornelli. Il giorno in cui mi portò a casa sua ero troppo scossa e disorientata per constatare la qualità della sua cucina, ma soprattutto troppo affamata. Stavo per dire qualcosa di estremamente sarcastico, ma non dissi nulla, ero ancora in forte imbarazzo dopo la notte appena passata. Lasciai parlare quelle battute solo nella mia testa, pensando a un'occasione più appropriata in cui le avrei tirate fuori. Ogni tanto voltava lo sguardo dalla mia parte per ritrarlo subito. Io facevo finta di sistemarmi un lembo della camicia o di spazzare via briciole immaginarie dai miei jeans.
Con un sigaro in bocca, sempre gli stessi, era pronto a uscire di casa. Prontamente lo seguii.
Il pick up era arancio scuro, sbiadito, molto vissuto. Non ne capivo niente di date e modelli ma mi piaceva.
«Forte questo pick up» studiai la portiera per riuscire a sedermi dal lato del passeggero senza far danni. Non fare danni, Emily, continuavo a ripetermi. Logan sorrise sotto i baffi e sparì al volante. Per lo meno lo faccio divertire, pensai.
Avevo intenzione di studiare attentamente l'intero tragitto, mi misi a gambe incrociate. Quando assumevo quella posizione ero solitamente a mio agio, quindi ostentavo tranquillità, ma Logan non sembrava d'accordo e lo notai osservarmi velocemente con la coda dell'occhio, dopodiché la sua bocca prese una forma buffa, mi aspettavo qualche commento accusatorio e sarcastico allo stesso tempo, ma non disse niente e mi venne di nuovo in mente la battuta che avrei voluto fargli a colazione, così parlai io, ma solo dopo essermi schiarita la voce per fargli sapere indirettamente che stavo iniziando a parlare.
«Sapresti consigliarmi qualche negozio che potrebbe fare al caso mio?»
Non scostò lo sguardo dalla strada e così nemmeno io.
«In realtà no, mi spiace, ma ti posso lasciare al grande magazzino più vicino. Te la saprai sbrigare da sola?»
«Va benissimo, grazie, e si, non preoccuparti.»
In realtà era l'unica cosa che continuavo a chiedermi ignara della risposta e pensando inutilmente ai negozi che avrei potuto trovare in quella zona mi misi lo zaino sulle gambe per controllare se il portafogli era al suo posto, e lo stesso per i soldi al suo interno e i miei documenti.
«Non fare domanda per nessun posto di lavoro.»
Sembrava leggermi nel pensiero, mentre controllavo i documenti stavo proprio pensando alla possibilità di trovare lavoro nelle vicinanze come gli avevo accennato qualche sera prima. 
«Cosa? E perché? Infondo la città non è poi così lontana, troverò sicuramente un modo per scendere e risalire senza crearti problemi, e poi-» m'interruppe.
«Non si tratta della distanza da casa... non farlo e basta.»
Per un brevissimo istante avrei giurato stesse per dire casa nostra, in ogni caso non sembrava voler sentire scuse, quindi non fiatai. Starlo ad ascoltare era il minimo che potessi fare, dopotutto, anche se non trovavo motivo sulla questione, ma ci avrei rimuginato sopra per il tempo seguente. Una cosa era certa: non vedevo l'ora di avere qualche vestito nuovo e le infinite cose di uso quotidiano che volente o nolente mi erano necessarie. Avevo intenzione di spendere il minimo per ognuna di esse.
Guardare il pick up di Logan allontanarsi da me per, infine, abbandonarmi momentaneamente alla città mi mise paura per qualche minuto, pensai subito alla possibilità di non poter tornare più alla casa legno e vetrate che mi piaceva, mi piaceva davvero, pensai di essere improvvisamente tornata indietro nel tempo, a quando vagavo per il bosco in cerca di aiuto. Pensai soprattutto al fatto di non aver concordato con Logan come ritornare a casa, e non avevo scordato di farlo ma non avevo voluto e lui non ci aveva di certo pensato, non aveva mai dovuto pensare a questo genere di dettagli quotidiani, infondo, ed io non volevo essere la persona sola al mondo che l'avrebbe cambiato, non quando potevo evitarlo. Mi dissi che sarei potuta tornare a casa a piedi quando volevo, la strada l'avevo memorizzata nel mio personale momento a gambe incrociate, ma dato che ci avrei messo un'eternità mi dissi anche che mentre sarei stata sulla strada del ritorno Logan avrebbe dovuto certamente rincasare, e quindi trovarmi sulla strada, al contrario, se fosse stato già a casa si sarebbe ricordato di me, prima o poi, e quindi sarebbe sceso nuovamente con il pick up trovandomi comunque su quella stessa strada.
La macchina che doveva posteggiare proprio dietro di me mi fece spazzare via quei pensieri suonandomi contro due colpi di clacson, così mi allontanai velocemente arruffandomi i capelli imbarazzata. Sarei sopravvissuta a quella giornata. Mentre me lo ripetevo entrai nell'unico posto che mi era stato consigliato in cui fare rifornimento di tutto quello che mi serviva.
A fine giornata avevo spulciato il grande magazzino in lungo e in largo, trovato un locale di mio gradimento a pochi metri, scoperto un negozio di musica molto piccolo ma ben fornito, mi ero persa due o tre volte nel tentativo di ritornare al punto di partenza per aver scordato un paio di acquisti dalla lista e sorriso a diversi passanti. Ero pronta a cercare di tornare a casa, quindi mi incamminai seguendo il tragitto invisibile del pick up che avevo in testa. Il freddo stava cominciando a farsi sentire molto più del pomeriggio, così decisi di inaugurare una delle felpe appena acquistate infilandomela continuando a camminare e cercando di guardarmi intorno il meno possibile.
«Ehi, ragazzina, stai cercando qualche altra roulotte in cui infilarti?»
Logan. La voce di Logan. L'unica voce che ormai potevo conoscere e sentire. Mi aveva trovata, di nuovo, come avevo sospettato. Avrei dovuto semplicemente saperlo.
«No, certo che no» gli sorrisi timidamente mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e salendo velocemente sul pick up cercando di non inciampare o lasciare per strada una delle mie preziose buste di acquisti.
«Scusa, non ci siamo messi d'accordo sui tempi, com'è andata? Dalla quantità di buste direi piuttosto bene» disse indicandole con lo sguardo. 
«E quella?» guardando invece la felpa che avevo infilato per strada.
«Bene» le cose che avevo da dirgli erano infinite, così mi limitai a fargli sapere che andava, davvero, tutto bene. Sulla strada di casa mi impegnai a guardarlo senza lasciarmi scoprire.

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Quella mattina mi trovavo ai fornelli da una buona mezz'ora e per diversi fattori: la ormai ovvia inesperienza di Logan in cucina, il suo rientro a casa per pranzo e, soprattutto, la mia voglia di calarmi nei panni della cuoca di un tempo. 
Nella mia casa ero solita mettermi alla prova con l'arte culinaria quasi tutti i giorni, mi piaceva farlo ed era una delle cose di cui sentivo più la mancanza. Il top della mia cucina ma soprattutto il forno e i fornelli che lo affiancavano erano molto diversi da quelli su cui stavo martoriando pomodoro, carota e cipolla in questo momento, ma ciò voleva dire mettersi alla prova doppiamente, e con anche lo sfizio di poter curiosare per scoprire dove Logan teneva ogni cosa non ci pensai due volte. La cipolla che soffriggeva aveva il vizio di ipnotizzarmi, per questo riuscivo sempre a bruciacchiarla almeno un po'. Quando i suoi contorni si doravano emanava il suo odore più forte, era in quel momento che la travolgevo con il pomodoro accuratamente tagliuzzato precedentemente. I passaggi che di volta in volta seguivo con qualche accortezza aggiuntiva scoperta all'ultimo momento mi tenevano la mente occupata ed allo stesso tempo erano capaci di svelare il mio piacere in quell'attività. 
Tutto attorno a me veniva ancora scoperto come fosse la prima volta. Mi guardavo intorno ancora così lentamente e come se il mio corpo e la mia mente avessero ormai compreso quello strano modo in cui il tempo non mi rincorreva più, ormai, ma ricadeva su di me con fin troppa abbondanza.
Mentre il tutto cuoceva mi stiracchiai dando le spalle ai fornelli e controllando l'ora. Fuori dalla finestra il bianco della neve copriva ancora gran parte del paesaggio ed il freddo quel giorno era aumentato a dismisura. Per fortuna avevo fatto rifornimento in tempo, pensai, e a quel pensiero mi strinsi a una delle nuove felpe che avevo indosso. Passeggiando tra la cucina e il soggiorno, un po' per abbassare la fiamma del fornello, un po' per fare zapping alla tv, posai lo sguardo su alcuni sigari che Logan aveva lasciato a casa. Ne presi uno che feci rotolare piano tra le dita e che annusai abbondantemente, pensai che era questo sigaro ad avere lo stesso odore di Logan e non il contrario, per sentirmi meno sola. Quell'odore pesante mi portò a pensare a cosa la persona che mi aveva preso sotto la sua ala era davvero in grado di fare, a quello che ancora non sapevo o mi nascondeva, ma non feci in tempo a darmi una delle mie improbabili risposte che sentii il telefono di casa squillare. Una, due, tre volte mentre decidevo se rispondere o fare finta di niente, come la perfetta intrusa che ancora mi sentivo, non muovendomi dalla mia posizione, con ancora il sigaro in mano. Al quarto squillo mi convinsi ad alzare la cornetta, convincendomi che infondo Logan avrebbe potuto aspettare una telefonata importante avendo però scordato di avvisarmi a riguardo, o qualcosa del genere. Problemi inutili, infine, poiché subito dopo aver risposto sentii riattaccare. Con una smorfia di leggero disprezzo posai anch'io la cornetta e corsi a spegnere il fornello e a scolare la pasta. Nello stesso momento in cui una o due gocce di acqua bollente mi colpirono il palmo della mano la porta di casa si spalancò in un tonfo che mi fece sobbalzare mentre mi voltai di scatto lasciando pentole e mestoli dove mi capitò. 
C'era un motivo se il passo pesante di Logan non aveva ancora varcato la soglia facendosi sentire rincasare, non appena piombai davanti alla porta di casa, infatti, ebbi davanti a me il suo corpo che cercava di reggersi ad essa e poi venire verso di me trafitto nel petto in tre punti. Il mio cuore sobbalzò. 
«Oh mio Dio...» al mio strozzato sussurro corsi verso di lui cercando di reggerlo con tutte le mie forze. «Oddio, oddio Logan»
Premevo le ferite per non far sgorgare troppo sangue al di fuori di esse senza avere in realtà la minima idea di quel che stavo facendo, e nel giro di pochi secondi avevo le mani coperte di sangue. Lui non sembrava sentire troppo dolore, al contrario del mio volto che stava assumendo le espressioni più orride. 
«Che cos-» prima che potessi parlare mi zittì, con il viso sempre più tranquillo e privo di dolore.
«Non è niente Emi, non ti spaventare» Emi. Era la prima volta che mi chiamava così, con il mio nome. La sua camicia era a brandelli e sporca di terra e sangue scurissimo, come faceva a non sentire nemmeno il più minimo dolore? 
«Cos'è successo? Cosa diavolo è successo?» nemmeno questa volta riuscii a finire la frase, prima di aggiungere altro venni di nuovo colta di sorpresa. Dove la stoffa era stata crudelmente strappata le ferite inizialmente profonde stavano tornando indietro nel tempo, lasciando posto a un nuovo strato di pelle perfettamente sano e roseo: si stavano rimarginando.
«Non è niente, te l'ho detto, mi spiace averti fatto spaventare» 
Allontanai immediatamente le mie mani dalla sua pelle calda e restai di stucco a fissare le parti del suo corpo ferite tornare come nuove per poi cadere di peso sulla parete dietro di me, mettendomi a sedere sul pavimento, poco lontano da dove Logan era ancora sdraiato. 
«Tu puoi... puoi rigenerarti? Ma come...» 
Stavo fissando le mie piccole mani ancora coperte di sangue così come i polsini della felpa, pensando intensamente a quest'altro potere che la sua natura gli aveva donato. Poteva rigenerarsi. Non riuscivo a crederci ma allo stesso tempo ero quasi estasiata da questa scoperta.
«Mi hanno fatto un'imboscata qua vicino, volevo aspettare di tornare come nuovo prima di entrare in casa, ma non sarebbe stata la scelta migliore.»
Ero quasi sicura stesse ancora a terra per non meravigliarmi troppo mostrandomi la sua agilità anche dopo essere appena stato fatto quasi a pezzi. Lo guardavo dritto negli occhi adesso, cercando di scorgere tutto ciò che non mi stava dicendo. Tutto quell'odore di sangue mi stava nauseando, pizzicandomi il naso insistentemente. 
«Sei stato... ma chi...?» 
Era stato aggredito. Non di certo da un animale. Che cos'era, una sorta di punizione divina per la quale ogni essere umano - o mutante, in questo caso - che mi si avvicinava doveva essere fatto fuori? Non riuscii a trattenere le lacrime. 
«Scu... scusami. Vado in bagno a ripulirmi.»
Mi lavai le mani e fin sopra i gomiti per tre volte di fila per poi sciacquarmi il viso ancora scosso, stropicciarmi gli occhi e guardarmi allo specchio pensierosa. Dalla cucina sentivo Logan trafficare con le pentole che avevo lasciato in giro. Il pranzo, diamine. La pasta che avevo scolato sarebbe stata ormai fredda e poco presentabile, anche se fatta sguazzare nel condimento che, per lo meno, era ancora al sicuro nel suo pentolino con tanto di coperchio. Logan era stato appena aggredito ed io pensavo al pranzo per non pensare invece a quanto questo pensiero mi faceva male. Lo immaginai per un attimo guardare il mio spettacolo ai fornelli e sentii bussare.
«Ragazzina, tutto bene lì dentro?»
Mi sciacquai un'altra velocissima volta e uscii dal bagno, trovandomelo davanti. Scostai subito lo sguardo dal suo per rivolgerlo verso il suo petto, che accarezzai con la mano destra, avanti e indietro lungo i tre punti strappati della camicia.
«Ehi, così mi fai il solletico» la sua bocca assunse una buffa curvatura, prese la mia mano nella sua per portare il mio braccio lungo il mio fianco.
«Logan... chi è stato?» gli chiesi con l'espressione più seria possibile. Lui passò lo sguardo da me al pavimento, sbuffando piano.
«Ti ho già rovinato il pranzo che, nonostante tutto, ha un aspetto delizioso quindi... sediamoci e mangiamo, okay?»
Mi diede un bacio sulla fronte su cui subito dopo poggiò il mento per qualche secondo. Tremai da capo a piedi senza darlo a vedere e senza ribattere rimasi a guardarlo mentre si avvicinava alla tavola già apparecchiata.

 

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Capitolo 8
*** 8 ***


Quella notte sognai i miei genitori nell'attimo prima di lasciarmi per sempre, sognai figure sfocate condurmi in un labirinto di soli alberi e sognai soprattutto anche la morte di Logan, il suo corpo coperto di sangue e le mie mani che non erano in grado di salvarlo. 
Quando mi svegliai feci attraversare la mia mente, e il soffitto che stavo fissando senza scostare lo sguardo di un millimetro, da una sola ed unica parola: indistruttibile. Logan era pressoché indistruttibile, non sarebbe morto come i miei genitori, non mi avrebbe lasciata in balia di me stessa e della mia seconda personalità in grado di contrastare all'occasione, a quanto pareva, il dolore più grande. Logan era indistruttibile. Ci misi 15 minuti buoni per convincermi e far scivolare via quegli incubi, lo stesso tempo necessario per accorgermi della cosa forse più strana che avrei potuto trovare al mio risveglio: Logan a casa e non a lavoro. Stava gironzolando per la cucina cercando forse di prepararsi una colazione decente. Rabbrividii immobile fissando, ancora mezza addormentata, la sua possente schiena, fin quando mi decisi a ricadere sdraiata dietro al divano, ben contenta del fatto che non si fosse accorto, o avesse fatto finta di non accorgersi, del mio risveglio. Pensai ancora alla stranezza della situazione, tanto che per un momento avrei giurato di star ancora dormendo. Logan non stava mai a casa da lavoro, non aveva mai altri impegni per farlo. Mi presi qualche altro minuto per prepararmi alla conversazione che avremmo avuto, formulai mentalmente qualche battuta e mi alzai. Il mio corpo tremolante dal freddo lo fece voltare verso di me. 
«Buongiorno, giuro che quella colazione avrebbe dovuto trovarsi già in tavola» balbettò indicando i fornelli su cui una padella conteneva quelle che secondo il suo parere dovevano essere due o tre uova strapazzate. Sghignazzai sotto i baffi stropicciandomi gli occhi con una mano «Faccio io, uova e pancetta per entrambi. Tu limitati al caffè, okay?» gli rimproverai indicando a mia volta l'enorme macchinetta a fianco a lui «E... a dirmi cosa ci fai a casa, anche se ho la vaga sensazione di saperlo.» Feci saltellare le uova all'interno della padella e con la coda dell'occhio vidi l'espressione di Logan corrucciarsi appena, mentre con la mano destra si massaggiava il collo avanti e indietro. 
Non mi avrebbe dato spiegazioni, me lo confermò lui stesso armeggiando con la macchina del caffè senza avermi ancora rivolto alcuna risposta. C'era qualcosa che non andava e tutto quello che mi circondava compreso l'uomo davanti a me me lo confermavano. Logan veniva aggredito ed il giorno dopo l'accaduto decideva di stare a casa. Con me. Per me. Era ovvio il fatto che non volesse lasciarmi a casa da sola. La domanda era: per quale motivo? Se mi stava proteggendo da qualcosa o da qualcuno, di cosa o chi si trattava? E la risposta a quest'ultima domanda era anche la risposta a chi l'aveva ridotto nello stato in cui lo vidi tornare a casa?
«Sai che dovremo affrontare il discorso prima o poi...» spensi il fuoco del fornello, ci davamo ancora le spalle.
«Lo so» e non appena mi diede ragione feci rettificare i pensieri di poco prima al mio cervello: Logan veniva aggredito, il giorno dopo l'accaduto decideva di stare a casa ma soprattutto di presentarsi tutto fuorché silenzioso, scontroso o sarcastico. Non glielo feci notare.
«E che preferirei questo accadesse più prima che poi.»
«Si.»
Tregua. Il suo acconsentire mi tolse tutta la voglia di stargli addosso per trovare risposte. Sedendomi a tavola per consumare la colazione gli feci capire, senza dire nulla, che avrei aspettato il suo confidarsi. Ero sicura che, se aveva davvero deciso di stare a casa da lavoro, la questione mi riguardava, e lui lo sapeva quanto me. Avrei avuto spiegazioni.
Poi, appena prima di addentare l'ultimo boccone, collegai senza ragione apparente un particolare che avevo dimenticato di riferirgli. La chiamata del giorno precedente, a cui nessuno aveva risposto, o meglio, a cui il qualcuno dall'altro capo del telefono si era degnato semplicemente di riagganciare. Poteva c'entrare qualcosa con l'irrimediabile accaduto subito dopo? L'avrei scoperto non appena Logan ne fosse stato a conoscenza. 
Non ebbi nemmeno il tempo di pensare a come formulare la frase, si accorse del mio sguardo assente e troppo pensieroso.
«Che c'è? Stavolta mi dispiace ma non puoi dire niente riguardo la mia cucina perc-» 
Lo interruppi.
«Logan» 
Le sue orecchie si erano impercettibilmente appena mosse, avrei potuto giurarlo. Mi ricordò un lupo. 
«Ieri, prima che tu tornassi a casa, ha squillato il telefono, ho risposto, ma ho sentito riattaccare»
«Cosa hai detto?!»
«Lo sapevo, c'entra qualcosa questo, vero?» 
Socchiuse gli occhi per un attimo che sfumò via con il suo corpo che si alzò di scatto, il rumore della lama di una spada appena sfilata dalla propria custodia, il tavolo spostato per poter arrivare, in un secondo, alla mia gola. Due artigli su tre erano del tutto fuori dalla sua mano sinistra, il terzo, quello centrale, puntava sulla mia gola pronto ad uscire completamente da un momento all'altro.
«Che cosa ti diedi da mangiare il giorno in cui piombasti in casa mia?» 
Il suo respiro mi sfiorò il naso, istintivamente lo annusai.
«Cosa?» 
Sentivo il cervello non pensare a niente e la fronte grondante di sudore. Per quale assurdo ed inconcepibile motivo Logan mi stava attaccando alla gola?
«Rispondimi!» urlò.
«Un... un sandwich al formaggio. Logan...» 
I tre artigli si ritirarono al loro posto e la stessa mano che li conteneva si poggiò sulla mia spalla. Logan tirò un sospiro di sollievo fin troppo rumoroso.
«Scusa, dovevo assicurarmi non fossi una mutaforma. Scusami, stai bene?» 
Ora entrambe le sue mani poggiavano sulle mie spalle strattonandomi leggermente «Siamo nei guai, sei nei guai, qualcuno ti sta cercando, forse dal primo giorno in cui hai lasciato la tua casa, sospettano tu sia qui e ieri ne hanno avuto conferma, al telefono, mentre io ho avuto un loro cordiale avviso. Divertente.»
Il suo tono di voce diceva che ne aveva viste e vissute così tante da non potersi più meravigliare o meglio spaventare di qualcosa. Sentii la colazione capovolgersi nel mio stomaco, mi girava la testa ed inutilmente cercai di ripetere mentalmente quello che mi aveva appena detto.
«Una... una mutaforma? Come ti viene in mente? E perché qualcuno dovrebbe cercarmi? Perché qualcuno dovrebbe sapere che io sia qui ma soprattutto perché dovrebbe avere il numero del tuo telefono di casa? Logan... che cosa diavolo stai dicendo?»
Il suo sguardo alzarsi sul mio mi disse che era confuso quanto me, ma anche arrabbiato, furioso, intrattabile. Senza saperlo, senza volerlo e più di tutto senza capirlo lo avevo appena messo in pericolo. L'unica cosa che mi ero promessa di non fare e alla quale stavo facendo così attenzione da quando ero piombata, come lui stesso aveva detto, in quella casa.
Senza aspettare che disse altro e senza aspettare che io stessa potessi pensare ad altro, corsi al piano superiore. Presi il mio zaino, aprii l'anta del lungo e stretto armadio sul pianerottolo che Logan mi aveva ceduto qualche giorno dopo il mio arrivo, meccanicamente, disordinatamente presi la mia roba infilandola dentro lo zainetto, facendo cadere la metà degli indumenti sul pavimento, senza coordinazione, senza parlare, senza pensare, senza vedere, perché avevo iniziato a piangere istericamente, e le lacrime mi stavano appannando la vista.
«Emily, fermati, che stai facendo?» 
Lo immaginai salire le scale senza realmente sentire il rumore dei suoi passi. Il mio pianto copriva tutto, perfino la paura.
«Me ne vado, me ne vado via, non posso stare qua. Non lo accetto. Me ne vado adesso, prima che sia troppo tar-»
«È già troppo tardi, non capisci? Su qualsiasi fronte.»
Mi bloccò le braccia che stavano ancora facendo tutto da sole, su e giù tra le mensole dell'armadio e lo zaino.
«No, no Logan, non posso pensare al fatto che ti abbiano aggredito per colpa mia, per cercare me! Non collezionerò altre colpe di questo genere!»
Mi teneva ancora stretta, tanto che mi era impossibile muovere l'intero busto, lo guardavo negli occhi perché in quella situazione non esisteva né imbarazzo né vergogna né intrusione. Non accettavo di essere un suo pericolo.
«Emily, guardami, io sto bene. Stavo bene anche mentre sentivo la pelle lacerarsi. Se tu esci da questa casa non sopravvivrai, non senza di me.»
«E se io non esco da questa casa forse non sopravvivremo entrambi.»
Non glielo dissi che pensavo più alla sua di incolumità che alla mia. Alla sua, praticamente intaccabile, invece che alla mia, praticamente già fatta a pezzi.
«Forse.»

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


Logan restò a casa anche il giorno dopo. Ed il giorno dopo ancora. La sua presenza non faceva che aumentare quella sensazione di schiacciamento che, pian piano, mi stava riducendo un senso di colpa umano, senza contare la paura di cui ogni mio pensiero era affetto. Non solo qualcuno, là fuori, mi stava cercando ed io non avevo la minima idea di quel che potesse volere da una come me. Non solo poteva essere chi aveva fatto del male a Logan ma addirittura chi aveva ucciso i miei genitori. Non solo la parola mutaforma continuava a frullarmi in testa come una stupida ed incomprensibile barzelletta, ma la presenza di Logan in casa si aggiungeva al peso che mi batteva sullo stomaco. Ero riuscita ad essergli di impiccio molto più di quel che avrei mai pensato e senza rendermene nemmeno conto. Come era potuto accadere? Come era riuscito a convincermi a non lasciare la sua casa, l'altra sera? Aveva giocato la carta della sopravvivenza: se solo avessi messo piede fuori da quella casa sarei stata in mano loro. Ma questo voleva anche dire non essere più un pericolo di Logan ed un suo inutile impiccio. E se invece l'avrebbe messo in guai ben più seri? Ero impotente. Avevo paura. Non sapevo distinguere il meglio dal peggio, il giusto dallo sbagliato. Aprirmi maggiormente a Logan avrebbe voluto dire altro peso che batteva sullo stomaco. Ero impotente. Che cosa avremmo dovuto fare? Che cosa avrebbe messo Logan fuori da tutto questo?
La sua figura che mi passò davanti per aggiungere legna al fuoco del camino di fronte a me interruppe le continue corse tra un pensiero e l'altro.
«Ehi, a che cosa stai pensando?»
Avevo scordato di star tenendo una tazza di caffè fra le mani e di avere un plaid intorno alle spalle. A che cosa stavo pensando? Mi aveva davvero appena posto quella domanda? Mi venne in mente il giorno in cui scendemmo in città.
«Mi sento come il giorno in cui siamo scesi in città, quando mi hai fatto salire sul pick up per tornare a casa. Avevo molte cose da dirti ma mi limitai a farti sapere che era andato tutto bene.»
Si sedette a fianco a me con ancora qualche pezzo di legno in mano che posò sul pavimento. Mi tolse la tazza dalle mani e mi aggiustò il plaid che stava cadendo tutto da un solo lato. Sospirò piano e quel sospiro non era altro che la sua comprensione.
«Niente di quello che è successo in questi giorni poteva essere impedito, tanto meno da te. Scopriremo cos'è quello che cercano, e gli impedirò di prenderselo.»
Nonostante tutto, in quel momento, non desiderai di trovarmi in nessun altro posto al mondo. Nemmeno a casa mia, nemmeno nel passato.
Guardai le mani di Logan che stavano immobili sulle sue ginocchia. Erano il riassunto della sua persona. Ferme, forti, bellissime.. pronte però a svelare quel che mai, esteriormente, ci si sarebbe aspettati di riuscire a scorgere. Logan era così, lo stavo imparando giorno dopo giorno.
«E che cosa faremo nel frattempo? Non possiamo stare chiusi in casa per sempre. Devi tornare a lavoro, prima che il senso di colpa mi inghiottisca definitivamente.»
Girai gli occhi al cielo per prendermi in giro da sola facendo attenzione che se ne accorgesse, e feci ricadere lo sguardo in basso.
«Domani riprenderò la mia routine, se questo può sollevarti. Forse là fuori le acque si sono calmate, almeno per quanto mi riguarda. Tu non devi neanche pensarci ad uscire da questa casa, intesi?»
Gli tirai un buffetto sulla spalla «Intesi» e avvicinai la mano destra alla fronte in segno di comando ricevuto. Sorrise, e sentii staccarsi un pezzetto di quella colpevolezza sullo stomaco.
La notte non riuscii a prendere sonno. Mi girai e rigirai sul divano per ore e quando ormai ero stanca anche di provare a dormire mi misi seduta, prendendomi il viso tra le mani e attorcigliandomi i lunghi capelli. La vista che si poteva ammirare dalla grande vetrata che affiancava il divano era diventata parte di me, soprattutto la notte, con il suo cielo sempre abbondantemente stellato. Mi piaceva perdere lo sguardo in mezzo ad essa ed immaginare tutti gli animali della foresta che ci abbracciava da ogni lato. Quella notte però, oltre a loro, facevano capolino nella mia testa anche le figure indefinite di chi era sulle mie tracce. Li immaginavo nascosti appena fuori casa, o nella foresta dietro di essa, aspettando che uno di noi due avrebbe di nuovo varcato la soglia e sentii all'istante il panico prendere potere lungo tutto il corpo, pensando alla mattina seguente e a Logan che raggiungeva il suo lavoro. Cercai forzatamente di precludermi certi pensieri, ed osservando gli alberi innevati riuscii finalmente ad addormentarmi. Nelle prime ore del mattino venni svegliata da un fortissimo temporale che sembrava voler gettare la sua ira solo sulla nostra casa. Non realizzai subito quanto fosse realmente violento e rumoroso, continui lampi illuminavano per meno di un secondo il paesaggio circostante e ancora del tutto assonnata mi feci catturare da loro pensando a quanto mi fosse sempre piaciuta la pioggia, perché in grado di cullarmi, nel senso più grande del termine, in ogni circostanza. Pensai per un breve attimo di trovarmi di nuovo a casa mia, nella mia stanza, sotto il piumone nel quale avevo affogato tante lacrime ed anche tante risate, in un passato che mi sembrava molto più lontano di quel che effettivamente fosse. Quando il tutto mi ipnotizzò a tal punto da farmi capire che quella notte non avrei dormito granché raggiunsi la cucina pensando al tè bollente che avrei potuto prepararmi. Appena presi il bollitore tra le mani, però, allo scrosciare della pioggia si aggiunsero le urla di Logan, mischiate a ringhi animaleschi che mai, in vita mia, avevo sentito. Nemmeno nei miei incubi peggiori.
Mi catapultai al piano superiore mentre la mia mente proiettava una sola immagine: il suo corpo coperto nuovamente di sangue.
Era invece seduto sul letto, con le braccia aperte, i sei artigli sguainati, il lenzuolo strappato in diversi punti e il viso coperto di terrore e rabbia. Non l'avevo mai visto così prima d'ora, un animale appena strappato dal suo branco o dal suo habitat naturale. Quando si accorse della mia presenza ritrasse subito gli artigli e rilassò i muscoli del viso, regolarizzando il respiro accelerato.
«Scusami, ti ho svegliata.»
Solo dopo che iniziò a parlare mi resi conto di quanto fosse così tanto più buia la sua camera da letto rispetto al soggiorno.
«Non ti preoccupare, ero in cucina, qualcuno prima di te aveva già deciso che non avrei dovuto chiudere occhio stanotte.»
Mi appallottolai in un angolo del suo letto a due piazze, attenta ai miei movimenti e a capire se avrei potuto infastidirlo. Poi ripresi a parlare.
«Cos'hai sognato di così... brutto?»
Abbassò lo sguardo. Io mi misi a gambe incrociate, lo sapeva che era la mia posizione di rilassamento e di tregua da tutto, quindi l'avrebbe preso come un invito a non mettere nessun freno alle sue parole, perché avrei accettato e compreso tutto.
«La guerra. La Guerra Civile Americana, la Grande Guerra...» sospirò «una delle poche e... orrende cose che hanno iniziato a tormentarmi da quando, oltre alla mia natura, non so più chi sono, o chi ero.» Aveva alzato le ginocchia per appoggiare su di loro le braccia e tutto il peso di quelle parole. Il viso lo teneva chinato, non aveva finito di raccontarmi i suoi terrori, ma non sembrava voler continuare ad accontentarmi. Che collegamento avevano quelle guerre con lui? Perché dovevano occupare i suoi incubi? Poi ripresi fiato dal bicchiere d'acqua in cui ero appena caduta, e mi risposi.
«La Grande Guerra? Tu hai combattuto nella Grande Guerra del... 1917?»
Abbozzò il sorriso di tutte le volte in cui riuscivo a stanarlo. Forse lui lo prendeva come un gioco, io invece ero entrata davvero, con tutta me stessa, in quel labirinto che portava il suo nome.
«Speravo non fossi una cima in Storia.»
«Infatti non lo sono.»
Questo voleva dire che grazie al fattore rigenerante, o semplicemente alla sua natura di mutante, non invecchiava. Avrei potuto arrivarci anche senza la storia delle guerre.
«Te l'avevo detto che la mia età non contava, dopotutto.» di nuovo quel mezzo sorriso.
«E invece conta più di quella di qualsiasi altro, diamine!»
Involontariamente mi feci prendere da troppo entusiasmo, e caddi ancora a gambe incrociate su di un lato «ops.»
Non mi rialzai, e corrucciai la fronte, ritornando seria.
«Pensi... che chi ti ha fatto questo abbia anche a che fare con il tuo arruolamento?»
Anche lui cambiò espressione, e distese le gambe.
«Non lo so... è possibile. Quel che accompagna tutte le guerre, durante la notte, sono continui flashback di una camera, che non riesco a riconoscere, ma che ha sempre la puzza di esperimenti, e di governativo. Ha una vasca al centro, e macchinari in disuso.»
Mai come in quel momento mi aveva resa partecipe dei suoi tormenti.
«Non devo esser stato un granché se è tutto qui quello che sono in grado di ricordare. Forse il migliore in quello che facevo, ma non un granché come persona.»
Avrei voluto prendere quel preciso istante dalla realtà e poterlo conservare come il post-it che mi lasciò sul tavolo la prima mattina. Con Logan ogni momento poteva essere l'opposto del precedente, ed in questo avrei potuto sgretolare tutta la sua indistruttibilità in una mia sola esile mano.
«Logan, tu non sei un mostro, qualsiasi cosa nasconda il tuo passato. Tu hai un dono.»
Mi guardò nella totale oscurità. Un lupo. Mi ricordò di nuovo la figura di un lupo. Uno dei continui lampi ci illuminò interamente. Mi concentrai un'altra volta sullo zampettante e insistente rumore della pioggia. La vista dalla camera di Logan era ancora più bella di quella che si poteva scorgere al piano inferiore, era la prima volta che potevo vederla. Mi stava ancora guardando.
«Tu lo sapevi, vero?»
«Che cosa?»
«Che qualcuno mi stava cercando. Per questo mi hai impedito di fare domanda per ogni tipo di lavoro, perché sarei stata esposta al pericolo senza saperlo.»
Si sdraiò e per la prima volta da quando ero entrata nella sua camera da letto sembrava sinceramente più tranquillo.
«Istinto. Non sono abituato a vederlo sbagliare.»
Pensai a quante volte dovevo moltiplicare l'essergli grata. Il futuro nascondeva altre moltiplicazioni, su questo non c'era dubbio. 
Facendo un balzo per sdraiarmi a mia volta gli intonai un sarcastico «A chi lo dici!» che stavolta lo fece ridere di gusto. Si voltò dall'altra parte, ancora ridendo, e con quel gesto mi diede il permesso di stare al suo fianco. Al sicuro. La sua schiena catturò il mio sguardo molto più del temporale che continuava il suo spettacolo, così, in una notte di pioggia, iniziai ad amarlo.

 

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Capitolo 10
*** 10 ***


La battaglia di Gettysburg del 1863, la Linea Hindenburg del 1917, i Vosgi del 1944, la Caduta di Saigon del 1974. Logan mi raccontò qualcosa di tutte le guerre in cui sapeva di aver combattuto, e quelle immagini scorrevano a rotazione nella mia testa senza fermarsi, avrei addirittura giurato di averle sognate durante tutta la notte.
Occhi verdi, capelli castano scuro, lunghissimi, pelle bianco latte, labbra screpolate, ciglia bagnate e tanti nei. Stavo guardando la mia immagine riflessa sullo specchio del bagno da diversi minuti, troppi minuti, quando venni riportata alla realtà da alcuni lamenti. Fuori casa qualcuno guaiva insistentemente e per qualche ragione percepivo di essere l'unica a poterlo sentire, come se fosse dentro di me. Per qualche ragione che andava al di là dell'essere effettivamente la sola in casa e nei paraggi.
Corsi al piano di sotto e mi bloccai con la mano sulla maniglia della porta ripensando alle figure indefinite che secondo Logan mi stavano cercando, ma i lamenti erano troppo forti per poter essere ignorati, così uscii.
Mi sembrava di non metter piede fuori casa da un'infinità di tempo, posai lo sguardo oltre le montagne, godendomi un po' di quell'aria ancora gelida che non mi piaceva, ma un po' mi era mancata. Sul retro della casa scoprii un cucciolo di lupo che più che guaire se ne stava tutto tremante, fradicio e ricoperto di fango tra la legna impilata di scorta per il camino.
Dal primo momento che mi vide non mi tolse più lo sguardo di dosso.
Il mio fin troppo sviluppato senso materno non mi fece far altro che prenderlo tra le braccia e portarlo dentro casa insieme a me.
Non appena mi chiusi la porta alle spalle pensai solo a quanto si sarebbe infuriato Logan rientrando a casa, a come avrebbe roteato gli occhi verso il cielo e sbattuto porte e coperchi. Beh, i coperchi forse no.
Un altro guaito mi fece ancora sprofondare le dita in quella palla di pelo che avevo tra le braccia. Continuava a guardarmi concentratissimo, senza distogliere lo sguardo. Due occhietti della sfumatura d'ambra più chiara. 
Misi il cucciolo a terra, di fronte al camino, proprio dove giorni prima Logan mi stava analizzando tra plaid e caffè, e lo sistemai su di un vecchio asciugamano, tastando il pelo dove il fango si era indurito.
Era un maschietto.
Non perdendolo d'occhio nemmeno un secondo misi a bollire della carne in un pentolino, sogghignando alla vista delle sue orecchie drizzarsi non appena la tirai fuori dal freezer.
Mentre la carne cuoceva escogitai un piano per poterlo lavare e ripulire senza rendere il bagno del piano terra un completo disastro.
Non. Mi. Toglieva. Lo. Sguardo. Di. Dosso. Nemmeno per un secondo.
Era semplicemente bellissimo. Non si può dire null'altro di un lupo.
Aveva il musetto più scuro rispetto al resto del corpo, e striature molto più chiare intorno agli occhi e sul collo.
Era stato abbandonato dalla madre? Aveva perso tutti i fratelli? Il branco? Per quanto ne sapevo solo in situazioni tragiche si poteva assistere ad un singolo esemplare di lupo, specialmente se cucciolo.
Senza rendermene conto mi ritrovavo nuovamente in balia di qualcuno senza un passato preciso, e che non aveva nemmeno il dono della parola.
Lo ammetto, nemmeno io riuscivo a staccargli gli occhi di dosso.
Impiegai più di due ore a sciacquargli via quel fango di dosso e ripulirlo da cima a fondo, più per evitare di non sporcare da nessuna parte che per l'ostinazione del fango, in effetti.
Trangugiò la carne come se non ne avesse mai vista prima in vita sua e non stette un attimo fermo, il che mi rese quasi impossibile riordinare il bagno e la cucina.
Solo ora che me ne stavo nuovamente con le mani in mano guardandolo zampettare per ogni stanza ritornai a pensare al Logan infuriato. A un certo punto iniziai a temere seriamente il suo ritorno.
Oscillavo tra un che diavolo mi è passato per la testa? e un non potevo mica lasciarlo al freddo e al gelo! senza darne una per vinta.
Logan rientrò più tardi del solito, questo mi diede il tempo di formulare almeno dieci versioni diverse del perché un lupo si trovava dentro casa sua, lupo che non appena sentii il suo pick up posteggiare nascosi in bagno.
«Ciao ragazzina»
Grazie al cielo era di buon'umore. Lanciò giacca e chiavi sul divano a fianco a me e posò la scatola di sigari sul solito ripiano della cucina.
«Ciao! Novità dal mondo esterno?» mi sporsi indietro al di là dello schienale del divano per guardarlo. Non farti scoprire dal tono di voce, non farti scoprire dal tono di voce, non farti scoprire dal tono di voce.
Appoggiato al frigo aperto si era appena immobilizzato muovendo impercettibilmente le orecchie e la fronte. Mi venne subito in mente il cucciolo di lupo estasiato dalla vista e l'odore della carne.
Oh, dannazione. Dannazione! Come diamine avevo potuto scordare che Logan era un mutante? Come diamine avevo potuto scordare che non si può nascondere un animale ad un altro animale? Stupida, stupida, stupida.
Ancor prima che potesse anche solo spostare lo sguardo, cambiare posizione o parlare mi alzai di scatto piazzandomi davanti a lui.
«Ti posso spiegare.»
Non lo feci apposta ma tirai fuori gli occhi dolci.
«C'è qualcuno qui, qualcuno è stato in casa» mi superò senza neanche guardarmi.
«Logan ti posso spiegare, ti siedi per favore? Per favore» abbozzai un sorrisetto nervoso. Non mi calcolò nemmeno per mezza frase. Andava dritto verso il bagno.
«LOGAN!» urlai, e si voltò. «Ti siedi, per favore?»
Santo cielo, era più facile gestire un cucciolo di lupo selvatico che farsi ascoltare da Logan.
«Non è successo niente di grave, prometti di non arrabbiarti?» ero riuscita a farlo sedere, più di quello non potevo aspirare.
«No. Che cosa hai combinato?» 
Ecco appunto.
Mi risedetti sul divano anch'io. 
«Ho trovato un cucciolo di lupo. L'ho sentito guaire da dentro casa e-»
Avrei dovuto immaginarlo che non mi avrebbe fatto finire di parlare. Era già in piedi, direzione bagno.
Spalancò la porta, guardò il cucciolo che di tutta risposta guardò me invece che Logan, e dopo avermi lanciato un'occhiata tornò verso il frigo.
«Buon Dio, che cos'ho fatto di male?» stappò la birra col solo pollice.
«Non dire così, è solo un cucciolo! Continuava a guaire e non ce l'ho fatta ad ignorarlo, era tra la legna coperto di fango! Avrei dovuto lasciarlo lì dov'era?»
Roteò gli occhi verso il cielo. Mi sentii compiaciuta per averlo previsto.
«No, per carità, avresti dovuto appendere un cartello alla porta con su scritto "Rifugio per disperati"»
Trasalii. So che non lo pensava davvero nei miei confronti anche se aveva ragione di farlo, ma ci restai comunque un po' male.
Se ne accorse subito. Scostò lo sguardo e curvò la bocca.
«Sai che non intendevo quello»
«Lo so» arricciai il naso senza guardarlo.
Lui trascinò una sedia dal tavolo della cucina e ci si sedette di peso.
Non lo lasciai iniziare a parlare.
«Logan, ho avuto una sensazione strana. Era come se solo io potessi sentirlo guaire, come se solo io dovessi sentirlo guaire.»
Si strofinò un paio di volte la mano sinistra sul viso, contrariato.
«Un cucciolo di lupo non è mai da solo, a meno che non si trovi nella tana dove la madre l'ha lasciato per procurargli del cibo. Se è arrivato fin qui da solo non può che essere davvero solo.»
Non ero neanche sicura di quello che stavo dicendo, di certo non ero stata cresciuta da un branco di lupi, ma dovevo risultare convincente.
Logan era molto, molto arrabbiato, ma non avevo intenzione di schiodarmi dalla mia posizione.
«Se veniamo circondati da un branco di lupi lascio che ti sbranino.»
Non sembrava, ma era la cosa più piacevole che potessi sentirmi dire in quel momento. Sorrisi e gli saltai al collo per abbracciarlo.
Avevo sempre chiesto di poter prendere un cane ai miei genitori, ma non ero mai stata accontentata, un cucciolo di lupo non avevo mai neanche osato desiderarlo.

 

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Capitolo 11
*** 11 ***


Il piccolo Jona viveva con noi da diversi giorni. Così lo avevo chiamato: Jona. Impiegai un'intera giornata per convincere Logan a partecipare alla decisione del nome e un'altra per decidere come chiamarlo, poiché non ci fu verso, per Logan avrebbe potuto rimanere benissimo anche senza nome. Il mio ultimo tentativo di renderlo partecipe fu un discorso contorto e a quanto pare poco credibile sui nomi propri e su quanto questi costituiscano il nostro contorno, ma in risposta ricevetti una sola risata soffocata e non mi sforzai oltre. Per lo meno non era ancora alterato per il fatto di averne due, da adesso in poi, di intrusi in casa.
Il cinismo di Logan sapeva innervosirmi e incantarmi allo stesso tempo: non ne voleva sapere di dare un nome a un cucciolo di lupo ma portava quest'ultimo a passeggio ogni sera piuttosto che farmi mettere piede fuori dalla porta di casa e rischiare così di essere controllata, o peggio, catturata.
Su questo stavo rimuginando mentre, dalla finestra della cucina, li guardavo entrambi scorrazzare sul prato. Jona non passava più di dieci minuti senza voltarsi in cerca del mio sguardo. Continuavo a chiedermi sotto quale tipo di incantesimo fosse finito, tanto era insolita la cosa. Gli sorrisi lievemente ed ecco che si voltò per tornare ad azzannare un altro bastone. Logan stava fumando uno dei suoi sigari. Girava quest'ultimo tra le dita della mano destra mentre quella sinistra la teneva sul fianco. Ogni tanto guardava il cielo espirando nuvolette di fumo, ogni tanto si voltava anche lui verso di me.
Quando rientrarono in casa offrii una tazza di caffè a Logan e diedi una grattatina tra le orecchie a Jona, che mi mordicchiò la mano e corse dietro il divano.
«Ahi!» gli rimproverai scherzosamente guardandolo sculettare.
Aveva quattro zampotte enormi rispetto al resto del corpicino, che spesso e volentieri lo facevano inciampare o camminare di sbieco. Era uno spasso guardarlo.
Presi una tazza di caffè anche per me e andai a sedermi di fronte alla finestra del soggiorno. Logan si trovava dietro il tavolo della cucina, Jona si stava leccando le zampe posteriori davanti al camino. Un altro di quei momenti che avrei voluto fermare, prendere e conservare.
«Vi assomigliate» dissi a Logan. Lui inarcò un sopracciglio.
«Non assomiglio a un cane» disse girandosi la tazza tra le mani. Roteai gli occhi verso il cielo abbozzando un sorriso.
«Non è un cane, è un lupo» gli rimproverai continuando a sorseggiare il mio caffè. Lui di tutta risposta alzò le mani in segno di arresa con un'espressione buffissima, prendendomi in giro.
Era vero, lui e il cucciolo si assomigliavano in molti aspetti. Prima che arrivasse Jona mi capitò di paragonare Logan a un lupo in diverse occasioni: quando mi fissava nel buio pesto della casa, quando mi accorgevo del movimento impercettibile delle sue orecchie, quando fiutava l'impossibile.
«Per quale motivo ti ostini a vedere cose dove non ce ne sono?» che sfacciato, pensai.
«Solo perché tu non le vedi non vuol dire che queste non ci siano.» dissi guardandolo di sbieco. «Ho sempre desiderato un cane, sai?» aggiunsi guardando Jona che nel frattempo aveva cambiato una decina di posizioni prima di trovare quella adatta con la quale appisolarsi.
«Non è un cane, è un lupo.» rispose Logan sarcastico alzandosi per posare la sua tazza. Sorrisi sotto i baffi.
«È molto più di un semplice animale domestico, così come tu sei molto più di un semplice uomo.» incrociai le braccia dopo aver posato la tazza al mio fianco pronunciando l'ultima frase, curiosa della sua reazione.
«Che fai, ricominci?» rispose appoggiandosi al top della cucina come era suo solito, anche lui a braccia incrociate.
Gli voltai le spalle per guardare oltre la finestra.
Eccola sempre lì, la foresta. Lì ero scappata, lì mi aveva trovata, lì si erano nascosti i miei predatori e da lì molto probabilmente proveniva anche Jona. Come un filo conduttore, qualcosa mi legava a quella foresta dalla quale, alle volte, sentivo richiami forti e chiari alla quale facevo fatica a resistere. Come il giorno in cui avevo trovato Jona tra la legna, qualcosa mi diceva che solo io riuscivo a sentire certi suoni, che solo io potevo ascoltarli.
«Ehi, che c'è?»
Logan mi riportò alla realtà. Mi voltai per un attimo verso di lui per poi tornare a guardare, e sentire, la foresta.
«Niente.»
Avrei voluto dirgli ciò a cui stavo pensando, ma non avevo idea di come farlo. Probabilmente mi avrebbe ripetuto che vedevo cose dove non ce ne erano e io avrei dovuto tenergli testa a tono in un altro dei nostri botta e risposta.
Ci rimuginai su per qualche minuto, poi mi alzai dalla sedia in cui stavo contemplando la foresta per raggiungere il lavandino e sciacquare velocemente entrambe le nostre tazze. Con la coda dell'occhio lo vidi appoggiare i sigari al loro posto e raggiungere il divano. 

Mi voltai dando le spalle al lavandino, osservando i movimenti di Logan. Rimuginai ancora un attimo a braccia incrociate, mi voltai verso sinistra poggiando il viso sulla mia spalla e poi mi decisi. 
Lo raggiunsi sul divano sedendomi sul bracciolo a gambe incrociate. Lui si voltò verso di me rivolgendo uno sguardo veloce alla mia posizione.
«Sentiamo...» disse piano.
Ora o mai più. Non avevo più voglia di tenere dentro, solo per me, i pensieri della foresta.
«Ricordi quando ti ho detto che avevo la sensazione di aver trovato Jona perché in qualche modo ero la sola a poterlo e doverlo sentire?» con le mani stavo martoriando il tessuto del divano.
Logan si sistemò nuovamente sul divano voltando anche il corpo verso di me. 
«Vai avanti» disse vedendomi seria.
«Quella sensazione non mi ha abbandonata.» non distolsi il mio sguardo dal suo «Sento Jona, sento la foresta, sento là fuori in un modo che non riesco a spiegarmi.»
Mi accorsi che stavo gesticolando e Logan non aveva ancora espresso alcun pensiero. Rimasi in attesa corrucciando la fronte. Sentii un brivido di freddo.
«La mia presenza non ti fa bene.» disse sarcasticamente passandomi una delle coperte che lasciavo sempre vicino al divano ben piegate.
«Logan, sii serio.» mi appallottolai dentro la coperta abbandonando la mia posizione sul bracciolo e facendomi spazio al suo fianco «Questa sensazione mi sta dando il tormento.»
Guardando nuovamente il suo sguardo capii che per Logan c'era un fondo di verità in quanto mi aveva appena detto. Corrucciai un'altra volta la fronte, poggiando la testa sulla sua spalla.
«Forse è la mia a non fare bene a te.»
Lo sentii sospirare piano e lo immaginai scuotere il capo socchiudendo gli occhi, come quando mi prendeva in giro.
Neanche Logan sapeva dare una spiegazione a ciò che sentivo prepotente dentro di me, o forse una spiegazione non voleva darmela. Fissai lo sguardo sul camino, poi su Jona che era ancora beatamente appisolato e infine mi voltai nuovamente verso la finestra del soggiorno che raggiunsi avvolta nella coperta. Cercai di concentrare i pensieri esclusivamente sulle mie sensazioni, chiusi gli occhi, figurai la foresta, gli animali, le nuvole, il vento, la strada... fino a quando queste si accesero come un fuoco, bruciando sempre più dentro tutta me stessa. Sbarrai gli occhi e ripresi fiato.
La calma apparente nella quale eravamo rimasti non ci avrebbe cullato ancora per molto.

 

 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Logan dormiva beatamente nella sua stanza, al piano superiore, e il suo russare invece di infastidirmi mi cullava come una ninna nanna. Era da molti giorni che i suoi incubi non gli facevano visita. Da quella notte in cui mi spaventò e lo sorpresi ad artigli scoperti tra le lenzuola martoriate avevo risposto poche volte al suo ringhiare notturno, unicamente per fargli credere che non tutte le volte i suoi incubi svegliavano anche me. Se capitava che scendesse al piano inferiore facevo finta di dormire, sperando di darla a bere ai suoi sensi sviluppati. Alcune volte si accendeva un sigaro, altre si stappava una birra, ed altre volte ancora, adesso, si divincolava da Jona, che ad ogni impercettibile fruscio rizzava le sue infallibili orecchie da cucciolo di lupo ed anche in piena notte scorrazzava tra le gambe di Logan sperando di giocare come fosse con un altro cucciolo del suo branco. In questo caso era per me difficilissimo resistere allo stimolo di sorridere e alla tentazione di aprire gli occhi.
Anche Jona in questo momento stava dormendo, appallottolato come un ghiro ai piedi del divano, sul quale stavo sistemando le mie coperte e di lì a poco sarei crollata. Mi voltai verso la finestra della cucina, poi posai nuovamente lo sguardo su Jona. Il pensiero fu immediato, un bisogno improvviso: uscire di casa. Mi imbacuccai per ripararmi dal freddo facendo meno rumore possibile e, poggiando la mano destra sulla maniglia della porta, mi voltai in direzione della scala, immaginando Logan dormire. Inspirai profondamente e aprii.
Il freddo pungente mi saltò subito in viso, avvolgendomi. Nel buio pesto della notte riuscivo a malapena a scorgere il paesaggio, guardai la casa di Logan dietro di me e senza distogliere lo sguardo feci qualche passo indietro, dopodiché mi voltai di scatto cominciando a correre in direzione della foresta. Me la ricordo bene la notte che trascorsi sul letto di terriccio umido dopo essere scappata dalle grinfie di chi aveva assassinato i miei genitori. Mente e corpo avevano fatto squadra e mi avevano protetta dall'abisso di quella vicenda, la foresta mi aveva cullata e mostrato la strada fino a Logan. Ero davvero riuscita a sopravvivere? Mi sembrava così irreale, ripensandoci. La foresta non mi faceva paura, al contrario mi sentivo parte integrante di essa. Così come uno degli animali in agguato che si nascondevano tra alberi e cespugli così anch'io scrutavo i dintorni, allerta. A braccia aperte sfioravo le foglie e i tronchi sul mio passaggio, poi chiusi gli occhi. Quando li riaprii vidi uno specchio di fronte a me, attorniato da piante rampicanti, ma su di esso non c'era il mio riflesso bensì quello di un orso. Istintivamente indietreggiai sorpresa ma notai che il riflesso dell'orso davanti a me fece lo stesso, per poi sfumare via lasciando il suo posto al riflesso di un lupo. Mossi il volto a destra e a sinistra e il riflesso fece lo stesso. Ci guardammo intensamente per qualche istante, quando il riflesso prese la forma di un altro lupo, e di un altro ancora, fino a riconoscere tra questi Jona. Lui mi guardava in modo diverso, quasi ammiccante, e a sua volta lasciò il suo posto ad un altro riflesso, quello di Logan. Sentii un brivido, non appena comparse davanti a me, mi sorrise lievemente e pensai che stesse per pronunciare qualcosa, invece non lo fece. Il suo mezzo sorriso si trasformò nel mio, e il suo riflesso si trasformò nel mio riflesso. C'era la mia figura adesso riflessa sullo specchio, ma qualcosa mi diceva che non fosse solo mia. Era quella dell'orso, dei lupi, di Logan. Era quella di tutti gli animali della foresta e della foresta stessa. Era quella della forza della natura. Lo specchio era ancora di fronte a me, in un susseguirsi di immagini sfocate più riflessi di tanti animali diversi cominciarono ad apparire velocemente su di esso. Poi una luce abbagliante mi tolse la vista e mi svegliai.
A pochi centimetri dal mio viso Logan, preoccupato, chiamava il mio nome, stringendo piano le mie spalle. «Sono...» non riuscii a pronunciare ciò che volevo dirgli, come se fossi ancora intrappolata nel sogno che avevo appena fatto. Una parte di me pensava allo specchio rivelatore e al suo vortice di animali, l'altra guardava Logan stranito che molto probabilmente aveva trascorso gli ultimi minuti cercando di svegliarmi per riportarmi alla realtà. Era ancora notte e la luce del soggiorno era accesa, ripensai al russare di Logan che aveva accompagnato il mio sonno. Strabuzzai un po' gli occhi.
«Emily, stai bene?» disse portando le sue mani dalle mie spalle alla mia fronte. Mi sollevai poggiandomi sui gomiti, portai la mia mano sulla sua che aveva spostato sulla mia tempia. Lo guardai negli occhi, poi guardai Jona che sull'attenti si trovava alla mia sinistra con le orecchie all'insù. Inclinò leggermente il muso verso destra. E in un triangolo di attenzioni riprovai a parlare guardando Logan. «Sono una mutante.»

 

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