And this war's not over

di Nat_Matryoshka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Noticine pre-storia
Wow. Era da tanto, troppo tempo che non mi capitava di iniziare una long fiction su un fandom che amo... mi sento emozionata.
L’idea per questa storia è nata da una mia rielaborazione personale degli eventi: mi sono chiesta tante di quelle volte “e se al Tridente le cose fossero andate in modo diverso? Se Rhaegar e Lyanna non fossero morti? E, soprattutto, se Jon fosse cresciuto accanto ai suoi veri genitori?”. Tutte idee che hanno preso la forma della storia che state per leggere, dopo aver fatto un giro nella mia mente ed essere state rielaborate con pazienza e arricchite da dettagli un po’ pescati in giro per la serie, un po’ inventati da me. Dettagli che si mantengono all’interno del what if e che, spero, possano interessarvi quanto ha appassionato me scriverli!
Come al solito, ogni critica o parere sono più che benaccetti, mi piace ricevere consigli per migliorare!
Chi ha già letto la mia raccolta Songs about Jon probabilmente troverà una piccola sorpresa nascosta all’interno della storia che si riallaccia proprio a una delle flashfic, ma anche nel caso che non l’abbiate letta non avrete comunque problemi ad immergervi nel clima della storia.
Detto questo, non vi faccio nessuno spoiler e vi lascio direttamente alla lettura. Oggi è il compleanno della mia bae Ailisea e il capitolo è dedicato a lei, per ringraziarla della pazienza con cui ha letto ogni bozza, dandomi consigli e suggerimenti. <3
Detto questo… buona lettura, gentile pubblico!

 
 
 
 


And this war’s not over
 
 
 



“There was smoke in the fireplace as white as the snow
A voice beckoned gently "now it's time to go",
a requiem played, as you begged for forgiveness
"don't touch me!" I screamed -
I've got unfinished business.”

 
[White Lies – Unfinished Business]

 
 
 
 
 
 
 
 

Dorne, Torre della Gioia
Giorni prima della Battaglia del Tridente

 
 
 
 
 


Il lampo brillò nell’aria per qualche minuto, illuminando la stanza come se fosse stato giorno.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette…
 
Dopo qualche secondo seguì il tuono, fragoroso come immaginava.
Suo padre le aveva insegnato che, per capire quanto il fulmine fosse distante da dove si trovava, avrebbe dovuto contare: ogni secondo era un miglio di distanza da lei. “Più andrai avanti coi numeri, più lo sentirai distante, bambina. E comunque, perché dovresti avere paura di un tuono? Non può farti alcun male. Sei al sicuro, a casa. Non hai motivo di temerlo.”
 
La piccola Lyanna aveva contato quei secondi con diligenza, ogni volta che il temporale la coglieva impreparata nel mezzo della notte. Si era stretta sotto alle coperte tentando di farsi un po’ di coraggio, ripetendosi che non c’era nulla da temere, che la natura era sua amica, solo che ogni tanto aveva bisogno anche lei di gridare e di sfogarsi, come tutti del resto. Era con quel pensiero che si riaddormentava e il giorno dopo riprendeva a giocare e a correre coi suoi fratelli come se non fosse successo nulla, spensierata come solo una bambina poteva esserlo. Le mancavano un po’ quei tempi.
Si girò nel letto: improvvisamente sentiva freddo, nonostante il clima di Dorne fosse tutto tranne che rigido.
I suoi occhi abituati all’oscurità incontrarono il viso dell’uomo che le dormiva accanto – il suo uomo, rifletté, con una stretta al cuore, un misto di amarezza e dolcezza – e si soffermarono sul naso dritto, le guance lisce, le ombre che la luna disegnava sotto ai suoi occhi sottili. Occhi il cui color ossidiana si accendeva ogni volta che la guardava e le sorrideva, nascondendo per un po’ la malinconia del suo animo.
 
Gli occhi di Rhaegar Targaryen, il principe ereditario.
 
La giovane continuò ad osservarlo senza parlare, timorosa di svegliarlo anche solo con un respiro più profondo. Era tornato da lei quando il cielo già imbruniva, il bel viso sempre teso che si era rilassato solo quando l’aveva trovata seduta accanto al focolare spento, le gambe distese, le mani che accarezzavano il ventre sporgente: in quel momento, chiunque l’avesse visto avrebbe immediatamente capito perché la bellezza del principe fosse giudicata leggendaria. Avevano consumato il loro pasto insieme guardando fuori dalla finestra le nubi in tempesta che si rincorrevano, finché non era sopraggiunta la notte e, con lei, l’unico momento in cui si sentivano davvero tranquilli, protetti.
Entrambi riuscivano a scivolare nel sonno solo se erano l’uno accanto all’altra. Lyanna cercava le sue mani sotto alle lenzuola, ne prendeva una e se la appoggiava contro le labbra, chiedeva disperatamente un contatto che la facesse sentire al sicuro dal mondo, da quello che stava succedendo, dalla stranezza di tutto ciò che la circondava. Rhaegar le sfiorava la pancia con la mano libera e cercava di offrirle la sua forza, di sussurrare frasi che potessero esserle di conforto. Mormorava fino a che la mente non si annebbiava, fino a che le sue stesse parole non iniziavano a sfilacciarsi e a confondersi per poi lasciare il posto al sonno.
 
Com’era strana la vita: fin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata, Lyanna era sempre stata una ragazza forte, una guerriera più che una lady del Nord. Vinceva tornei (sotto mentite spoglie, è vero, ma un torneo l’aveva vinto), si batteva come un ragazzo, cavalcava, tirava con l’arco… non aveva mai visto né incertezza né paura sul suo viso, anzi sembrava non esserci posto per quei sentimenti in lei, almeno quando erano insieme. Era la sua lady di Ghiaccio: forte, pura, indomabile.
 
Fino a quando non aveva scoperto di essere incinta del suo terzo erede.
 
 
 

 


***
 
 
 


Erano fuggiti da Harrenhal poco dopo aver scoperto la gravidanza.
 
A ripensarci in quel momento, con la freddezza del senno di poi, si era trattato di un azzardo, un’azione stupidamente precipitosa: il giovane erede al trono dei Sette Regni, sposato e con due figli che fuggiva assieme alla figlia di un nobile del Nord, già promessa sposa ad un altro. Ma quale altra scelta avrebbero avuto? Si erano gettati nel rischio senza pensare a quello che sarebbe potuto succedere, come se nessuno dei due conoscesse la conseguenza di quei loro incontri silenziosi, al riparo sia dagli occhi del re che da quelli del padre di lei. La verità era che sapevano fin troppo bene quello che sarebbe successo: avevano semplicemente scelto di ignorarlo, presi dall’ebbrezza di aver finalmente trovato quello che le storie e le ballate definivano l’amore della propria vita.
 
Lyanna continuò ad osservare il compagno, trattenendosi dal passare le dita tra i suoi capelli argentati per non svegliarlo. Conosceva poco Robert Baratheon, il suo promesso sposo, ma quello che aveva sentito raccontare di lui – da altri che non fossero suo fratello Ned, il suo miglior amico – non le era mai piaciuto granché: si diceva che amasse il vino e le prostitute, e che non fosse tipo da legarsi con giuramento di fedeltà ad una sola donna. Aveva avuto una figlia bastarda da una donna della valle di Arryn, una bambina che, probabilmente, non avrebbe mai saputo nulla delle sue origini… per il suo, di bambino, non sarebbe andata così, pensò tra sé e sé spostandosi leggermente al fine di trovare una posizione comoda. Non avrebbe mai permesso che qualcuno glielo portasse via, che fosse etichettato come bastardo e spedito chissà dove o, peggio, ucciso.
Anche per quel motivo avevano deciso di fuggire: Rhaegar non avrebbe mai permesso che alla donna che amava venisse fatto del male, meno che mai ora che portava in grembo l’ultima testa del Drago.
 
Sospirò. Rhaegar aveva accettato di buon grado il matrimonio con Elia Martell perché non aveva trovato ragioni per le quali avrebbe dovuto rifiutarla: la principessa non solo era gentile e tranquilla, ma anche profondamente innamorata di lui… sentimento che Rhaegar da parte sua non ricambiava, come le aveva già detto. La simpatia e l’affetto erano una cosa, l’amore un’altra. Eppure, l’uomo che dormiva a così poca distanza dal suo corpo intorpidito voleva molto bene ai due figli che la moglie gli aveva dato, Rhaenys ed Aegon. Li amava, ma era stato disposto a lasciarli per un’altra donna, per quel terzo piccolo drago che la faceva tribolare durante la notte e che amava annunciare la sua presenza con qualche calcetto energico, di tanto in tanto.
C’era differenza, tra l’amore che provava per i suoi figli legittimi e il trasporto con cui baciava lei sulle labbra ogni sera, prima di appoggiare l’orecchio sulla sua pancia?
Non si accorse di aver inavvertitamente disteso le dita sui capelli di Rhaegar e di averli accarezzati avanti e indietro, sovrappensiero. Non con forza, ma con abbastanza energia da portare il giovane principe ad aprire gli occhi e a fissare il viso della ragazza del Nord.
 
“Lyanna? Mi è arrivata un’eco dei tuoi pensieri, nel sonno.”
 
Lei continuò a guardarlo, incerta. Quando Rhaegar le posava gli occhi addosso, raramente sapeva cosa dire.
 
“Va tutto bene?”
 
Si morse un labbro, ma non rispose: appoggiò la testa al suo petto e soffocò tutti i pensieri di dolore e di paura nel loro contatto, quel contatto che desiderava disperatamente durante il giorno ma che neppure la notte riusciva mai a godersi, tormentata dai dolori e dagli incubi. Non era una stupida, sapeva esattamente a cosa stavano andando incontro… ma, per qualche ragione che ancora non capiva, non riusciva a mettere la mente prima del cuore e a pensare razionalmente. Forse non c’era posto per la razionalità, nel loro mondo.
Il mondo in cui esistiamo solo io, te e nostro figlio.
 
Annuì appena, continuando a restargli accanto.
 
“Non riesco a dormire, è stata la tempesta a svegliarmi. E… i pensieri” ammise alla fine, anche se un po’ riluttante. Non riusciva a tenere nascosto nulla all’uomo che aveva scelto come suo compagno.
 
Rhaegar strinse le braccia attorno al suo corpo e la abbracciò, come faceva sempre quando cercava di far sparire le nuvole che coprivano il loro orizzonte. Non servivano molte parole con Lyanna, alla fine.
Dopo qualche attimo, anche lui le aprì la sua mente, facendo scappare il pensiero che più lo tormentava tra quelli che teneva rinchiusi nel cuore.
 
“Robert vorrà farmela pagare personalmente, lo sai. Ti ho rapita, ti ho sottratta dalle mani della tua famiglia e del tuo promesso sposo… sono azioni imperdonabili, neppure un principe ereditario potrebbe permettersi di fare una cosa del genere. Neanche mio padre potrebbe fermarlo dal chiedere giustizia, temo. La guerra è alle porte…”
 
Lei scattò di lato, improvvisamente sveglia e perfettamente consapevole di quello che, di lì a poco, avrebbe sentito. Strinse le coperte al petto. “No. Non dirai sul serio, Rhaegar. Non…”
 
“Quale altra scelta mi resta, Lyanna? I Martell mi hanno assicurato la loro lealtà e il loro esercito, ma dovrò tornare ad Approdo del Re per radunare le truppe ed organizzarle. Non posso lasciarli soli, non ora che hanno bisogno del mio appoggio…” la sua voce vacillò per un attimo. “Voglio che ci sia un futuro, per te, per noi. Non so a cosa porterà questa guerra ma, qualunque cosa succeda… voglio che tu resti al sicuro. In ogni caso, né tu né il bambino pagherete per le mie azioni.”
 
Erano entrambi seduti l’uno di fronte all’altra. Per quanto potesse essersi preparata mille e più volte ai discorsi che avrebbero dovuto affrontare, l’idea di doverlo salutare con la possibilità di non rivederlo mai più la faceva ancora tremare come una bambina spaventata.
Dov’era andata la Lyanna che si batteva come un ragazzino con la sua spada di legno, sempre sicura? Che fine aveva fatto, lungo quale strada tortuosa si era smarrita per non ritornare più?
 
“Per un attimo, al mio risveglio, ho sperato di vivere in un’altra realtà. In un mondo in cui io e te saremmo stati uniti da un matrimonio valido, in cui non ci saremmo dovuti nascondere come dei criminali solo perché abbiamo scelto da soli la persona con la quale condividere la nostra vita. Cosa ci succederà, Rhaegar? Agli occhi del mondo io non sono altro che una puttana, una puttana di alto lignaggio che ti ha irretito e allontanato dalla tua vera famiglia. Il bambino che aspettiamo è un bastardo che non godrà mai di alcun diritto. Se anche dovessi vincere la guerra e salire al trono, per noi non cambierebbe nulla… ma, in tutto questo, non riesco a smettere di amarti, di credere in te e di essere felice anche solo per il fatto che sei qui, che sei vivo e che gli Déi mi hanno concesso la possibilità di averti ancora accanto a me, almeno per un altro giorno. Sono una persona orribile?”
 
Alzò la testa, le parole che uscivano dalle sue labbra come un fiume in piena, incontrollabili. Aveva spogliato la sua anima davanti a lui, proprio come il compagno poco prima, come facevano sempre entrambi per evitare che i pesi che portavano nel cuore diventassero eccessivamente gravosi. Alla fine aveva farfugliato, temendo di non avere più il coraggio di dire quello che pensava, ma non importava. Rhaegar avrebbe capito comunque.
 
Lui si limitò a sorriderle, di nuovo, prendendola tra le braccia. Ancora una volta, con la dolcezza nelle parole e la malinconia negli occhi che aveva imparato a conoscere e ad amare.
 
“Tu sei mia, io sono tuo. Ci siamo scambiati una promessa nel Parco degli Déi di Harrenhal, te la ricordi? Non sono tipo da lasciare promesse non mantenute, mia cara fanciulla del Nord. Soprattutto non davanti ad una donna tanto valorosa e splendida come voi, Cavaliere dell’Albero che Ride.”
 
Lyanna chiuse gli occhi: l’immagine dei mantelli con i simboli del drago a tre teste e del metalupo che si erano posati a vicenda sulle spalle durante il loro matrimonio segreto ormai mesi prima danzò dietro alle sue palpebre, facendola sorridere a sua volta. Si distese nuovamente nel letto, tra le coperte morbide e le braccia sicure dell’uomo che amava, concedendosi qualche attimo di sonno. Attimo che divenne un tempo molto più lungo una volta che Rhaegar iniziò a cantare piano una canzone, le parole che scivolavano nel buio della notte e nel fresco dell’aria purificata dal temporale.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II
 

Questa volta le note dell’autore sono in fondo al capitolo, miei prodi nuovi lettori. Non vi anticipo nulla, se non che il capitolo è un po’ più lungo del primo e che la storia inizia a muoversi, per cui… buona lettura!
 
 
 
 
 

“Are you strong enough to stand
Protecting both your heart and mine?”

 
[Florence + The Machine – Heavy in Your Arms]
 
 
 
 
 
 
 

“Lo zio di vostra moglie è pronto, Vostra Grazia. Diecimila dorniani stanno risalendo la Strada del Re, presto saranno qui per unirsi alle nostre truppe, come vostro padre ha richiesto. I ribelli riceveranno un benvenuto consono.”
 
Il tono di Jaime Lannister era quello di sempre: fermo, attento, fiero di portare notizie che, secondo lui, avrebbero risollevato il morale del suo signore. Il ragazzo era entrato da poco nella Guardia Reale ma già si dimostrava un membro di tutto rispetto, nonostante la sua giovane età e lo scetticismo di alcuni membri più anziani, come Lord Selmy. Ma in tempi come quelli, chi avrebbe potuto impedire ad un ragazzo dotato di tanta buona volontà di servire il suo re e il principe ereditario?
Rhaegar aveva abbandonato tutti e se n’era andato. La giovane lupa del Nord, la figlia di Lord Rickard Stark doveva avergli gettato addosso un qualche incantesimo da selvaggi delle foreste, se era riuscita a convincerlo ad abbandonare il reame e a seguirla in quella fuga verso il Sud, così mormorava la gente. Si, doveva essere per forza così, aveva riflettuto il ragazzo tra sé e sé, mentre scortava il principe lungo le stanze del castello, verso la sala del Trono. Rhaegar Targaryen era un uomo eccezionale, un cavaliere pieno d’onore… probabilmente la ragazza si era resa conto di essersi spinta troppo in là con lui e aveva piagnucolato qualcosa sul fatto che suo padre e il suo promesso sposo non ne sarebbero stati felici, così da costringere il principe a lasciarla da qualche parte e poi tornare alla sua vita e al regno, così com’era giusto che fosse.
Non che fossero affari suoi, comunque: ciò che decideva il principe restava legge, lui non avrebbe potuto farci nulla. Le stesse parole che Lord Barristan gli aveva rivolto qualche tempo prima, quando re Aerys aveva deciso di amministrare la giustizia a modo suo.
Si morse le labbra per trattenersi dal riferire al Giovane Drago quanto era successo tempo prima nella sala del Trono. Non voleva turbarlo ulteriormente prima del tempo.
 
La situazione, comunque, stava migliorando: Lord Selmy aveva radunato le truppe, Robert Baratheon era stato sconfitto dai Tyrell e la sua baldanza sembrava cedere pian piano, per quanto le sue doti di guerriero fossero leggendarie. E ora il principe era tornato, mentre il re dava l’ordine di far passare altre truppe dal Sud e i loro alleati di Dorne si sarebbero uniti alla causa contro i ribelli di Robert. Se gli Déi erano ancora dalla loro parte, la vittoria era già stata scritta.
 
“Vostro padre vi sta aspettando. Sapeva che avreste incontrato la principessa Elia questa mattina, per cui non vi ha messo fretta… vi attenderò qui fuori, Altezza. Se doveste aver bisogno di me, sapere dove trovarmi.”
 
“Ti ringrazio, ragazzo.” L’ombra sotto gli occhi di Rhaegar non gli piacque, ma la interpretò come un segno dell’inquietudine che provava all’idea di incontrare suo padre dopo quello che era successo con la Stark. In fondo, tutti conoscevano la tempra di re Aerys, il Re Folle.
 
“Più tardi vorrei parlare con te, se mio padre non ha altri compiti da farti svolgere lontano da qui. Posso contare sulla tua collaborazione?”
Jaime non poté trattenersi dal sorridere, anche se lo nascose subito. Non era consono alla situazione.
 
“Certamente, Vostra Grazia. Sarò qui ad aspettarvi.”
 
 

 
 

***
 
 
 
L’incontro con Elia era stato di breve durata: le sue cameriere l’avevano avvertito che la principessa non stava bene e sarebbe dovuta restare a letto, ancora provata dalla nascita dell’ultimo figlio. La donna era sempre stata di salute cagionevole, ma l’ultima gravidanza in particolare l’aveva lasciata stremata, senza forze, a detta dei Maestri e dei guaritori che Rhaegar aveva chiamato già da tempo al suo capezzale. Probabilmente non avrebbe più potuto dargli eredi, l’avevano avvisato; notizia davanti alla quale il principe aveva chinato la testa, il pensiero che tornava irrimediabilmente verso Lyanna e l’altro figlio che aspettavano entrambi. Le teste del Drago sarebbero state tre, dopotutto.
 
Quando li avevano lasciati soli, non era riuscito a far altro che prenderle una mano e guardarla riposare senza svegliarla, improvvisamente a corto di parole. Elia, però non dormiva e non aveva intenzione di rimproverarlo, né di accusarlo per quella fuga, il suo buon carattere e l’amore che provava nei confronti del marito glielo avevano impedito; si era limitata a tendere una delle mani sottili dalla carnagione scura verso il viso chiaro del principe, chiedendogli di prendere in braccio Aegon per portarglielo e assicurarsi che stesse bene.
Per quanto le cameriere e le dame di compagnia avessero insistito con lei perché prendesse una balia per allattare il figlio, la principessa aveva sempre rifiutato, preferendo nutrire al seno entrambi i bambini. Un gesto d’amore che nessuna di loro riusciva a spiegarsi, ma che Rhaegar capiva fin troppo bene: erano la sua famiglia, le uniche due creature che potesse sentire veramente sue, i figli nati dall’unione con un uomo che amava e che non la ricambiava in pieno. Con loro, non si sentiva mai sola.
Improvvisamente, mentre porgeva il piccolo Aegon VI Targaryen a sua madre, Rhaegar sentì le sue seppur esili certezze vacillare tutte insieme, come se una scalinata di pietra si sgretolasse sotto ai suoi piedi.
 
Non parlarono della sua fuga, non discussero di nulla che riguardasse il regno o la situazione del momento. Elia trascorreva le giornate tra il letto e la terrazza della sua stanza, era stata esonerata da qualunque riunione o impegno pubblico e viveva costantemente sorvegliata dalle cameriere, per timore che le sue condizioni di salute potessero improvvisamente peggiorare. Non c’era bisogno di rimarcare ulteriormente su questioni che l’avrebbero solo fatta soffrire di più… non quando lui aveva una guerra a cui pensare, delle battaglie che lo attendevano e che rendevano il loro futuro, se possibile, ancora più incerto.
Si era limitato ad assicurarsi che fosse assistita e curata e a restare per un po’ in sua compagnia, mentre ascoltava le servette delle cucine scherzare con la piccola Rhaenys, che sembrava averne combinata un’altra delle sue insieme al gattino nero che si portava sempre dietro. Elia gli aveva parlato di quanto la figlia fosse cresciuta nel poco tempo in cui non era stato con loro, di come Aegon avesse imparato, finalmente, a dormire una notte intera di filato, delle chiacchiere di palazzo, degli ultimi messaggi di suo fratello Oberyn… piccoli dettagli quasi insignificanti, ma che dimostravano quanto la donna tenesse al giudizio del marito. Alla fine si era addormentata, lasciando a Rhaegar il compito di rimettere Aegon nella culla, ricevendo una carezza sul viso da parte del marito e un pensiero rapido prima che la porta si chiudesse dietro di lui: così come voleva la sicurezza di Lyanna, non avrebbe lasciato che qualcuno facesse del male a Elia Martell di Dorne e ai loro due bambini.
 
Poco dopo, mentre lasciava i suoi appartamenti per recarsi verso la sala del Trono di Spade, aveva incontrato Jaime Lannister. Era stato lui a metterlo a conoscenza di come si stesse evolvendo la situazione della guerra, staccando la sua mente da qualunque pensiero sereno avesse potuto formulare durante quel tempo trascorso con la moglie.
Avevano percorso i corridoi senza scambiarsi altre parole, ognuno occupato nei propri pensieri, ognuno con le idee che prendevano direzioni diverse. Jaime lo aveva lasciato davanti alla porta della sala del Trono, gli aveva promesso di attenderlo lì al suo ritorno, poi si era congedato, allontanandosi di qualche metro per lasciare spazio al principe. Spazio per raccogliersi, prima di affrontare il re? Chissà.
Per quanto non fosse un uomo particolarmente religioso, in quel momento Rhaegar sentiva il bisogno di rivolgere una preghiera ai Sette Déi, come gli aveva insegnato sua madre da bambino. Avrebbe chiesto al Guerriero di dargli la forza e al Padre di illuminare il cuore del suo affinché lo ascoltasse in ciò che aveva da dirgli, nonostante sapesse che non sarebbe stata un’impresa facile… per questo, avrebbe invocato anche gli Antichi Déi di cui Lyanna gli aveva parlato, sperando in un loro intervento. Sperando che lo ascoltassero.
 
Lyanna... L’aveva lasciata pochi giorni prima, eppure già gli mancava come se non la vedesse da un secolo intero. Aveva dato l’ordine a tre membri della Guardia di vegliare su di lei, ma saperla così lontana, alle prese con una gravidanza per niente semplice lo spaventava più di quanto potesse effettivamente rendersi conto. Chiuse gli occhi per un attimo e il suo primo pensiero fu per lei, per il suo sorriso, per il modo in cui l’aveva stretto a sé prima di lasciarlo andare via. Rafforzò la sua preghiera, sfiorò le sue labbra con la mente e sperò che, in qualunque modo, quel pensiero potesse arrivarle.
Quando li riaprì, davanti a lui c’era ancora la porta della sala del Trono, imponente, minacciosa.
Era solo una porta, e suo padre era solo un uomo, dopotutto.
 
Si fece coraggio e la varcò.
 
 
 

***
 
 


Aerys Targaryen, secondo del suo nome, sedeva sul Trono di Spade, il viso magro e scavato dalle rughe rivolto verso l’ingresso, gli occhi che accompagnavano il figlio in ogni suo movimento.
 
“Avete richiesto la mia presenza, padre?”
 
Il giovane principe si mosse verso il centro della sala, i muscoli fastidiosamente tesi dal nervosismo. Ogni incontro con il padre gli provocava reazioni di quel genere, da qualche anno a quella parte: la vena di pazzia che aveva caratterizzato molti dei suoi antenati sembrava essersi presentata anche in lui, nonostante la promessa di un lungo periodo di pace nei primi anni del suo regno.
Il padre che gli restituivano i suoi ricordi di bambino era un uomo risoluto ma gentile e affascinante, anche se spesso preda di accessi d’ira. Un uomo ben diverso da quello che lo stava continuando a fissare dalla cima del trono forgiato da Aegon il Conquistatore, lo sguardo acceso da una luce di sospetto, gli occhi viola nascosti da folti ciuffi di capelli bianco-argentei e dalla corona che indossava sul capo, il cimelio appartenuto ad Aegon IV.
Di quel padre, Rhaegar aveva avuto paura. Aveva temuto per la salute di sua madre, sempre più sofferente, per quella del suo fratellino Viserys, un bambino di neanche dieci anni che la donna cercava di proteggere dagli attacchi di rabbia del marito, fin troppo frequenti… ma non poteva tirarsi indietro, non ora che la sicurezza di tante persone dipendeva da lui.
 
“Sei qui per rispondere delle tue azioni, Rhaegar? Di fronte a me, piuttosto che davanti agli Stark e a Robert Baratheon?”
 
Aveva colto immediatamente il punto della situazione, senza lasciargli spazio per introdurre il discorso. Il principe chinò il ginocchio a terra in segno di rispetto e rivolse lo sguardo al genitore, tentando di mantenere il contegno tranquillo e distaccato che si era prefissato prima di entrare.
 
“Si padre, ma non è la questione che mi preme di più. Lyanna Stark sta bene e mi ha seguito di sua spontanea volontà, il mio non è stato un rapimento, né mi sarei mai permesso di farle violenza. In questo momento si trova a Dorne, protetta da alcuni dei miei migliori cavalieri, ma la situazione non potrà restare così all’infinito. Ho intenzione di prenderla come mia seconda sposa, ma devo prima incontrare Lord Stark e suo figlio Brandon.”
 
Alle sue parole seguì un silenzio impenetrabile, pesante, tagliente come le spade che brillavano nella luce che filtrava dalle vetrate. Suo padre continuò a fissarlo, gli occhi viola puntati in quelli scuri del figlio, poi scoppiò in una risata fragorosa, inaspettata. Sinistra.
 
“Vuoi davvero conferire con Rickard Stark e suo figlio? Vuoi parlare loro della tua preziosa sgualdrina del Nord? Allora dovrò chiedere ai servi di chiamare le Sorelle del Silenzio e farmi portare l’urna del vecchio e il cadavere del figlio, dato che la loro esecuzione ormai è avvenuta da un bel pezzo.”
 
Rhaegar restò paralizzato per un attimo. Le parole di Aerys non davano adito ad equivoci, eppure ancora non riusciva a capacitarsi di quanto aveva appena ascoltato. Esecuzione?
 
Il re proseguì, incurante dello sguardo sconvolto sul viso del principe.
 
“Brandon Stark è venuto qui per minacciarti assieme all’erede di Arryn, mentre eri lontano. A minacciare il principe ereditario, capisci? Il loro futuro re, il prossimo che siederà sul Trono di Spade! Pensavi che avrei potuto far passare impunito un affronto del genere? No che non potevo… per questo, quando Stark mi ha chiesto giustizia tramite un duello, ho scelto il fuoco come sfidante. È stato il fuoco del drago a decretare la sua colpevolezza, mentre il figlio guardava e tentava di salvarlo. Voleva proteggere un traditore della Corona, un uomo che non avrebbe esitato ad uccidere il suo principe!”
 
Gli occhi di Aerys erano febbrili. Aveva iniziato ad accompagnare le sue parole con i gesti, le mani adunche afferravano l’aria con rabbia.
 
“Hanno avuto ciò che meritavano: nessuno può sfidare la stirpe del Drago. Avevo chiesto che anche Eddard Stark e Robert Baratheon mi venissero consegnati, ma Jon Arryn ha preferito rifiutarsi e iniziare questa stupida ribellione, che comunque non porterà a nulla. Le nostre truppe riusciranno a respingerli, ora che anche i dorniani sono dalla nostra parte la sconfitta è esclusa… e il Drago potrà continuare a regnare, come ha sempre regnato. Come ha sempre regnato.”
 
Calò di nuovo il silenzio, ancora più doloroso del precedente. Ma Rhaegar non aveva intenzione di farlo protrarre più a lungo.
Si avvicinò al padre e finalmente, dopo anni passati ad evitare lo scontro, lo fronteggiò apertamente: dimenticò per un attimo di trovarsi al cospetto del re e si alzò, guardandolo negli occhi, con tanta forza disperata da stupire se stesso.
 
“Pensavo che un re avesse l’obbligo di proteggere i propri sudditi, non di disporre delle loro vite come preferisce. Che vi è accaduto, padre? La mia mancanza poteva essere rimediata tramite un atto di diplomazia, ma ora che le cose si sono messe in questo modo, come faremo ad evitare la guerra? Gli Stark vorranno vendicare l’uccisione di due loro membri. I Baratheon chiedono la mia testa per quanto è avvenuto con Lyanna… e ora anche gli Arryn hanno un motivo per proseguire con le ostilità.”
 
Si accorse di tremare. Il loro non era più il colloquio tra un principe e il re, assomigliava piuttosto ad uno scontro tra un figlio incredulo che cerca di riportare sulla via della ragione un padre uscito di senno. Suo padre non sembrò accorgersene: gli occhi viola erano vacui, saettavano dal figlio alla porta d’ingresso alle pareti della stanza, quindi di nuovo al figlio. Non sembrò accorgersi nemmeno che Rhaegar, in un impeto di disperazione, lo aveva afferrato per le spalle, scuotendolo appena per costringerlo a farsi guardare negli occhi.
 
“Padre… vi prego, cercate di ragionare. Possiamo ancora rimettere le cose a posto, ma dobbiamo agire in fretta… dobbiamo marciare verso il sud del Tridente e scontrarci con le truppe dei ribelli, ma abbiamo ancora la possibilità di vincere e di evitare una strage inutile. Quello che accadrà dopo… sarà la sorte a deciderlo, per ora non abbiamo potere in merito. Ma promettetemi che cercherete di proteggere la città e il nostro popolo. Siete il Protettore dei Sette Regni. Lo dovete a tutti loro.”
 
Per un attimo, gli sembrò di aver visto una minuscola scintilla di comprensione accendersi negli occhi del padre. Un istante dopo, però, l’uomo lo allontanò da sé, colpendo il viso del principe con una delle mani sottili e nodose, le lunghe unghie che tracciavano una striscia sulla sua guancia.
 
“Vuoi rimproverarmi per quanto ho fatto per te? Per te e la tua famiglia, per tua madre, per tuo fratello? Gli Stark mi hanno affrontato e io ho amministrato la giustizia, non è questo che dovrebbe fare un re? Rickard Stark ha bruciato all’interno della sua armatura, il fuoco era il mio campione e gli Déi lo hanno giudicato colpevole, punendolo. Suo figlio Brandon è morto nel tentativo di salvarlo… se fosse stato veramente innocente, avrebbe ottenuto la salvezza. Questo è stato il volere degli Déi: chi minaccia un membro della famiglia reale deve pagare. E tu, in tutto questo, osi accusarmi di essere un cattivo re?”.
 
Si era spinto in avanti di scatto e aveva continuato a muoversi in maniera scomposta, una marionetta di legno e spago che attraversava la base rialzata del Trono a grandi falcate.
 
“Osi dire che non ho a cuore le sorti del mio regno? Mi ferisci, Rhaegar. Non ho intenzione di proseguire ulteriormente la nostra discussione. Per adesso sei congedato. Và fuori, ora!”
 
Aveva gridato l’ultima frase. Rhaegar abbassò lo sguardo, non desiderava guardare in quegli occhi per un secondo di più. Si inchinò e poggiò di nuovo il ginocchio a terra senza altre parole, come avrebbe fatto un perfetto sconosciuto. Quello che sentiva di essere, in quel momento.
 
“Come desiderate, padre. Con permesso.”
 
Rhaegar Targaryen voltò le spalle all’uomo seduto sul Trono di Spade e percorse la sala con passo tranquillo, cercando di non far trasparire l’amarezza e l’inquietudine che provava. Se anche aveva pensato che ci sarebbe stata una speranza di pace e prosperità per il regno, quella minuscola possibilità era sparita una volta conclusosi il colloquio col padre. Si toccò il viso, sfiorando la pelle nel punto in cui le unghie dell’uomo lo avevano graffiato, strinse i denti. Pensò alla regina, al volto spaventato di Viserys che si nascondeva dietro la gonna della sua cameriera personale e si tappava le orecchie per non sentire le grida della madre e sospirò, la rabbia ormai svanita come un filo di fumo, trasformata in qualcosa di più solido: tristezza.
L’uomo che aveva considerato un padre duro ma giusto se n’era andato.
 
Le sue preghiere erano rimaste inascoltate. Per Aerys Targaryen, ormai, non c’era più speranza.

 
 
 
 
***
 
 

Scelse il suo studio come luogo dove incontrare Jaime. Aveva sempre provato piacere nell’avvertire la brezza marina sulla pelle, e la vista della sua arpa era riuscito a rincuorarlo almeno per un attimo.
Il ragazzo tardava, probabilmente il re lo aveva trattenuto per chissà quali questioni. Passeggiando attraverso la stanza per ingannare il tempo, Rhaegar fu quasi tentato di sedersi di fronte allo strumento e suonare qualcosa tanto per restare in esercizio, quando sentì bussare discretamente alla porta: Jaime doveva essere arrivato.
 
“Eccomi qui, Altezza, come avevate richiesto.”
 
Il giovane Lannister era sempre attento e al massimo dell’efficienza, un ragazzo consapevole di quanto la sua nomina fosse eccezionale e che, per questo, si comportava sempre in maniera ineccepibile. Gli piaceva la sua baldanza e il modo un po’ sfrontato di battersi nei tornei, a dirla tutta: era un bravo ragazzo e sarebbe rimasto un buon cavaliere, ne era certo.
Quel giorno, però, gli sembrava nervoso. Probabilmente quanto lo era lui.
 
“Grazie, ragazzo. Puoi sederti, temo che ne avremo per un po’.”
 
Jaime obbedì e si accomodò di fronte a lui, esitante. Rhaegar intrecciò le dita sotto al mento e lo osservò, cercando il modo migliore per iniziare un discorso che non voleva saperne di venire fuori.
Finalmente, dopo un respiro profondo, ci riuscì.
 
“Come ho avuto modo di scoprire proprio da te, sei a conoscenza della situazione in cui ci troviamo… e immagino che tu sappia anche quanto sia successo a Rickard e Brandon Stark. Mio padre non è tipo da lasciare sotto silenzio le sue azioni, soprattutto quelle più… eclatanti.”
 
Jaime si mosse sulla sedia, a disagio: si sentiva ancora in colpa per non essere stato il primo a riferirglielo, ma chi sarebbe mai riuscito a trovare le parole giuste, in una situazione simile?
Rhaegar doveva aver intercettato il suo stato d’animo tormentato, perché un breve sorriso gli era spuntato sulle labbra, come ad incoraggiarlo.
 
“Non te ne sto facendo una colpa, stai tranquillo… non c’erano né il tempo né le condizioni per parlarne, non è stata una tua mancanza. Il problema, però, è un altro: entrambi sappiamo benissimo cosa succederà se dovessimo perdere la guerra. Robert Baratheon sta aspettando il momento in cui finalmente potrà colpirmi con la sua mazza da guerra, gli Stark vorranno vendicarsi del triplice torto che hanno subito… insomma, ho di che preoccuparmi, non credi?” sorrise di nuovo, con più amarezza.
 
“Approdo del Re verrebbe saccheggiata, mio padre probabilmente deposto e imprigionato, se non addirittura ucciso… nessuno vorrebbe sul trono un re folle. Quanto a mia moglie e ai miei figli, subirebbero la stessa sorte, ed è questo a spaventarmi: non voglio che succeda nulla di male a nessuno di loro. Sei un ragazzo molto giovane, probabilmente non riesci a capire fino in fondo ciò che sto dicendo, non avendo figli tuoi... ma mi fido di te come cavaliere ed è qui che entri in scena, o meglio è qui che richiedo il tuo intervento. Te la senti di ascoltare la mia proposta?”
 
Jaime alzò gli occhi e li posò su quelli scuri del principe. “Sono al vostro servizio, Vostra Grazia. Come sempre.”
 
“Resta vicino ad Elia, ad Aegon e a Rhaenys. Il tuo giuramento ti impone di proteggere donne e bambini e dalla tua parte hai la gioventù e la forza necessaria a mantenere fede alla parola data… caratteristica che, purtroppo, manca a parecchi cavalieri più esperti.” Si era alzato e aveva iniziato a camminare avanti e indietro per la stanza, come se il solo muovere le gambe in quei pochi passi gli rendesse più semplice il discorso. “Nella mia posizione attuale posso solo sperare che le cose non si mettano così male da impedirmi di tornare ma, purtroppo per me, non prevedo il futuro. Per questo chiedo il tuo aiuto, non solo come principe, ma come uomo. Sei in grado di promettermi che lo farai? Che metterai la salvezza dei miei figli e di mia moglie al di sopra di tutto?”
 
“Ve lo prometto, Altezza.”
 
Rhaegar lo guardò a lungo, cercando di osservarlo non con gli occhi del principe ma del padre preoccupato che era in quel momento: Jaime gli sembrava risoluto, il viso illuminato da uno sguardo che non aveva ancora visto, più adulto, più consapevole di quale fosse il suo compito. Il principe ereditario gli aveva chiesto personalmente di tenere sotto la sua custodia la propria moglie e i figli, gli dava la sua fiducia in un momento in cui gli sarebbe stato impossibile affidarsi completamente a chiunque… e il ragazzo sembrava averlo capito bene. Si era inchinato nel solito modo compito, eppure la velocità con cui si era mosso tradiva l’energia di cui era carico, l’irruenza di giovane cavaliere alle primi armi mascherata dall’eleganza e dal suo bell’aspetto.
 
“Alzati, ragazzo. Hai la mia fiducia.”
 
Jaime gli posò gli occhi addosso, incerto, ma a Rhaegar non servivano altre prove. Tutto ciò di cui aveva bisogno era di ricevere ascolto e di capire se il ragazzo fosse pronto, e in quello era stato accontentato.
Un venticello sottile gli spettinò i capelli argentei e accarezzò anche quelli dorati del giovane Lannister, ancora in piedi davanti a lui in attesa di ricevere ordini. Era poco più giovane di lui ed entrambi erano già in prima linea, a sorreggere le sorti di una guerra che prometteva di cambiarli completamente.
 
Basta che resti sempre qualcosa di quelli che eravamo. Di ciò che siamo ora.
 
“Domani partiremo all’alba. L’esercito di Robert Baratheon si schiererà al Tridente, terremo lì la prossima battaglia… se gli Déi ci sorrideranno ancora, tu ed io avremo di nuovo occasione di chiacchierare piacevolmente come abbiamo fatto oggi.” Sorrise, ma senza allegria. “Tieni gli occhi aperti ragazzo, e abbi giudizio: sono gli unici auguri che mi sento di farti.”
“Senz’altro. Vostra Grazia, io…” Jaime si interruppe, come se non sapesse bene cosa dire. Il principe lo osservò, interrogativo.
“Continua, ragazzo.”
 
Jaime aprì la bocca ma la richiuse immediatamente, improvvisamente a corto di parole. Come avrebbe potuto dire al principe che aveva giurato di servire e proteggere che avrebbe preferito seguirlo nella battaglia e combattere al suo fianco? Che, in quanto membro della Guardia Reale, il suo posto era in campo, non in città insieme alle donne e ai bambini? Eppure, l’uomo che aveva di fronte gli aveva appena affidato quanto di più caro avesse in quel momento. La sola idea di deluderlo, di chiedere qualcosa in più come un bambino capriccioso che non si accontenta di ciò che ha, lo metteva tremendamente a disagio.
Per quanto il suo spirito guerriero non ne volesse sapere di riposare, si rendeva conto che il compito di un cavaliere era anche quello di obbedire e accettare gli ordini.
 
“… volevo ringraziarvi, e augurarvi buona fortuna.”
Si inchinò rigidamente, ancora, come era abituato a fare di fronte ai suoi superiori. Rivolse un ultimo sguardo al principe e di nuovo, si riempì gli occhi della sua malinconia, così sottile eppure pressante. Forte.
 
Jaime Lannister uscì dalla stanza, chiudendo appena la porta alle spalle.
 
All’interno del suo studio, Rhaegar Targaryen aveva posato la testa tra le mani e liberato i suoi pensieri, lasciandoli andare dove preferivano e svuotando temporaneamente la mente. Si sentiva vuoto, stanco, come se avesse camminato a piedi da Dorne ad Approdo del Re per un anno intero senza fermarsi, combattendo lungo la strada, stancandosi, scalando montagne intere.
 
I passi svanivano nel corridoio e già Rhaegar rifletteva sulla battaglia, e se e quando avrebbe potuto ringraziare il ragazzo per la promessa mantenuta.
 
 

 
 
 
 
 
 



Noticine post-storia
Dato che non mi capitava da tempo di avere lettori tanto affezionati e di trovarmi avanti di qualche capitolo, ho intenzione di viziarvi un po’ per qualche settimana e postare con più frequenza. Non so se riuscirò a mantenere il ritmo di due capitoli a settimana a lungo, ma nel frattempo… spero che stiate seguendo la storia con piacere!
La caratterizzazione di Aerys è stata la parte che più mi ha messo in difficoltà, insieme all’analisi del Jaime ragazzo: sono due personaggi affascinanti ma che trovo parecchio difficili da mantenere IC e che ho dovuto “studiare” bene prima di scrivere su di loro. Spero di aver mantenuto IC anche Rhaegar, è un altro di quei personaggi di cui si sa poco ma che amo, e di cui amo scrivere <3
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni e per aver inserito la mia storia tra le preferite o le seguite: mi avete commosso, sul serio! Siete tantissimi, non avrei mai immaginato che una mia storia nata un po’ per caso un po’ per puro divertimento avesse questo seguito e venisse tanto apprezzata. Siete fantastici e spero davvero che vi interessi sempre di più capitolo dopo capitolo, come io ho amo scriverla :3
 
Alla prossima allora!
Nat
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 

Noticine dell’autrice
Con questo capitolo, arriviamo ad uno snodo cruciale, quello della Battaglia del Tridente. Come penso avrete già capito dagli sviluppi della storia, gran parte delle vicende seguono quelle originali, ma non tutte: si tratta pur sempre di una what if, Rhaegar e Lyanna si incontreranno di nuovo, per cui… aspettatevi un bel po’ di sorprese! :P
Non vi dico altro per non fare spoiler: l’appuntamento è alla fine della pagina, come sempre e… buona lettura!
 
 

 
 
 

“He’s torn between his honour and the true love of his life
he prayed for both but was denied.”
 
[Within Temptation – Hand of Sorrow]
 
 
 
 
 
 
 
La canzone si era interrotta da un attimo, quando Lyanna gli aveva chiesto perché fosse così triste. Rhaegar aveva posato l’arpa e si era spostato un ciuffo di capelli dal viso.
 
“Parla di mia madre. Sono anni che non la vedo sorridere…  come chi è veramente felice. Il suo matrimonio non le ha dato gioia, se non per il fatto che ha avuto due figli che la amano.”
 
Rhaella Targaryen era una donna dalla bellezza incredibile, che più di un cantastorie aveva cantato e che aveva fatto sospirare innumerevoli cavalieri: da ragazzina era stata piena di energia, dolce eppure arguta e intelligente, tutte caratteristiche che sembravano essere svanite qualche anno dopo, quando aveva varcato la soglia del tempio come sposa di re Aerys II e nuova regina dei Sette Regni. Col suo matrimonio, la luce che le illuminava il viso era stata sostituita dall’ombra, i gesti dolci e spontanei rivolti al padre e ai fratelli si erano trasformati in inchini cerimoniosi, sguardi spaventati, occhiate di rabbia. Si diceva che non fosse mai corso buon sangue tra lei ed Aerys, eppure si erano sempre sopportati con tranquillità, fino a che le loro nozze non erano state decise.
I primi tempi, prima che la vena di pazzia che malediceva la sua famiglia si manifestasse, suo padre era stato un uomo gentile, un buon principe e un re giusto, poi le cose erano irrimediabilmente precipitate. Rhaegar non ricordava bene il momento in cui suo padre aveva iniziato a perdere la ragione – se mai c’era stato un momento preciso - ma doveva essere avvenuto poco prima della nascita di suo fratello Viserys, quando lui era soltanto un adolescente.
Quel che era certo, però, era che sua madre ne soffriva profondamente e non si era mai ripresa del tutto.
 
 

 

***
 
 
 


Tempo dopo
verso la Forca Verde del Tridente
 
 
 


La campagna che scorreva sotto ai suoi occhi si alternava alle mura di Harrenhal piovute fuori dai suoi ricordi, mentre guidava l’esercito verso il Tridente.
 
Il giovane cercò di riportare indietro qualcosa che lo distraesse dalla tensione che provava al momento, per non spaventarsi e trasmettere quell’umore anche ai suoi soldati. Erano i suoi uomini, si fidavano di lui e delle sue abilità: non poteva deluderli dimostrando tanta incapacità di autocontrollo.
Sarebbe stato il futuro re. Un re doveva controllare la paura, non lasciarsi vincere come un bambino.
Eppure, le mani del principe tremavano, rese scivolose dal sudore, la stretta sulle briglie che cedeva ad ogni passo. Si guardò bene da mostrarlo ai cavalieri che lo affiancavano: li vedeva tutti accanto a sé, seduti sui loro destrieri, gli sguardi rivolti alla loro prossima destinazione. Pronti a sacrificarsi per il loro principe e il reame, se fosse stato necessario.
 
Molti di loro moriranno, rifletté amaramente. Lontani da casa, impegnati in una guerra che non li riguarda direttamente. Scatenata da un capriccio del loro principe… anche se forse non lo sanno.
 
Puntò lo sguardo verso il gruppo di cavalieri più vicini, cercando disperatamente un pretesto qualsiasi che distogliesse i suoi pensieri dalla direzione che stavano prendendo: gli stendardi erano tanti, i membri di famiglie importanti non mancavano di certo all’appello. Tra loro, un uomo si era staccato dal suo gruppo e gli si era avvicinato, un uomo che Rhaegar conosceva fin troppo bene e rispettava, Lord Barristan Selmy della Guardia Reale.
 
“Altezza, vengo con buone notizie: i nostri esploratori ci hanno appena riferito che i ribelli si sono schierati su un tratto del Tridente, quello chiamato Forca Verde. Siamo certi che anche i Tully di Delta delle Acque abbiano aderito alla loro causa, anche se non sappiamo esattamente quante truppe abbiano fornito.”
 
Rhaegar gli sorrise per ringraziarlo. “Sono certo che sapremo farci trovare preparati” fu l’unico commento che restituì al cavaliere. L’uomo parve comprendere il suo stato d’animo: solo chi poteva vantarsi di conoscere bene il principe Rhaegar sapeva quanto preferisse la musica ai combattimenti e come avrebbe desiderato trovarsi in qualunque altro luogo piuttosto che sulla strada per il campo di battaglia.
Barristan Selmy non aggiunse altro. Si congedò con un sorriso e con la solita cortesia che doveva al suo futuro sovrano, arricchita però da un’inflessione quasi affettuosa in quel “che il Guerriero vi protegga, Altezza” che gli rivolse come saluto.
 
Il principe afferrò le briglie del suo purosangue nero con più sicurezza, quasi a voler partire da quel gesto per scuotersi completamente. Alla testa del suo esercito, si dirigeva verso il Nord.
 
 

 

***
 
 

“La giovane principessa amava un cavaliere, lui la ricambiava: i cuori di entrambi erano pieni di gioia, colmi di quell’amore puro e infantile proprio di due ragazzi ancora ignari di qualsiasi obbligo sociale.
Ma lei era una principessa, lui il membro di una famiglia di basso lignaggio. Come sarebbe stata possibile una qualsiasi unione?
La giovane principessa non si dava pace. Pianse per giorni quando suo padre le disse che avrebbe dovuto sposare un altro uomo.  Pianse il giorno del suo fidanzamento ufficiale, nella sua stanza, dove nessuno poteva vederla. Pianse il giorno del suo matrimonio, nonostante tutti le scambiassero per lacrime di gioia, per l’emozione di essere diventata regina dei Sette Regni.
Anche durante la sua prima notte di nozze piangeva, e suo marito non poté consolarla in alcun modo.
Del cavaliere, non si seppe più nulla: qualcuno disse che era diventato septon per farsi aiutare dai Sette a lenire le sue pene d’amore, altri che serviva come mercenario, altri inventavano storie tanto per avere qualcosa da raccontare. Una cosa, però, era certa: per entrambi non era stato possibile sostituire il posto nel cuore che l’altro aveva occupato.”
 
Lyanna l’aveva guardato mentre raccontava quella storia, durante una delle tanti notti trascorse insieme. Era stata lei a chiedergli di parlarle della sua famiglia, richiesta che il compagno aveva accontentato immediatamente continuando il racconto sulla vita di sua madre da dove l’aveva interrotto. Rhaella Targaryen era una donna fragile e dolce, eppure dietro quella fragilità apparente si nascondeva una grande forza: riusciva a proteggere il figlio minore con una determinazione di cui nessuno l’avrebbe creduta capace, meno che mai il suo regale marito e fratello re Aerys. Li amava entrambi, i suoi figli, tanto da mettere la loro sicurezza prima della propria, tanto da fare scudo al corpo magro del fratellino con il proprio ogni volta che suo padre perdeva le staffe. Come avrebbero potuto ripagare un amore del genere?
Le aveva continuato a raccontare storie anche mentre Lyanna si assopiva, serena, ancora priva del turbamento che l’avrebbe accompagnata una volta scoperta la gravidanza. Raccontava e cantava, le accarezzava i capelli scuri sciolti sul cuscino, si perdeva ad osservare il movimento delicato del suo petto al ritmo del respiro, ringraziava chiunque potesse ringraziare – gli Déi Antichi, quelli Nuovi, chiunque potesse ascoltarlo – per quel dono, per la donna eccezionale che riposava al suo fianco.
 
Avrebbe voluto conoscerla prima, quando era solo un ragazzino e non sapeva ancora cosa fosse l’amore: avrebbero avuto più tempo. Ma forse a loro era destinata la stessa sorte toccata a Lady Rhaella e al suo cavaliere, piena di ostacoli, dolce e amara come una promessa seguita da una separazione.
 

 
 

***
 
 

Il cielo restava sgombro dalle nuvole, l’aria era tersa. Dovunque Rhaegar posasse lo sguardo, vedeva la natura mostrarsi nel suo splendore, gli alberi muoversi delicatamente al vento, l’acqua del fiume che si faceva strada lungo il suo letto gorgogliando e accompagnando il fragore degli zoccoli dei cavalli con un ritmo simile, anche se più sommesso. Niente di più diverso dal suo umore, in quel momento… ma se il tempo avesse dovuto uniformarsi al suo stato d’animo, l’esercito avrebbe subito l’attacco di una tempesta, con tuoni e pioggia incessante, grandine, fulmini.
 
Forse era meglio così.
 
Sapeva che il gruppo dei ribelli era numeroso, forse anche più del loro, eppure non era il pensiero in sé a preoccuparlo, quanto l’idea di quello che sarebbe potuto succedere dopo, con un’eventuale vittoria o sconfitta: sapeva benissimo che Robert non si sarebbe fatto tanti scrupoli ad ucciderlo, per cui la disfatta si sarebbe conclusa quasi sicuramente con la sua morte, a meno di non rivelarsi tanto abile da evitare i colpi dell’arma dello sfidante… il problema era Lyanna. La sola idea che quell’uomo potesse accampare dei diritti su di lei, che potesse scoprire la gravidanza e ripudiare il loro bambino lo spaventava, non gli dava altra scelta se non quella di vincere e di tornare a casa, qualunque conseguenza avesse comportato quella vittoria.
Continuava a muoversi lungo la strada con la consapevolezza di essere l’unico a poter portare un cambiamento, la possibilità di migliorare le cose: sarebbe succeduto a suo padre sul Trono, come speravano in tanti, come si auguravano i suoi sostenitori, gli amici della Corona, tutti gli uomini che marciavano con lui verso il Tridente. Speravano in un nuovo re giusto, ma avrebbero accettato il suo legame con una donna del Nord, la figlia di un lord che era stata sua complice nella fuga che aveva portato a quella guerra?
 
Non doveva pensarci. Non doveva pensarci e basta.
 
Il Tridente non era lontano, l’esercito nemico si avvicinava a loro come una bestia mostruosa e rapida, impossibile da evitare, eppure sua madre gli ripeteva sempre di non fasciarsi la testa prima di averla rotta. Doveva affrontare la battaglia, il resto sarebbe arrivato dopo. Non poteva lasciare che quanto aveva di più caro diventasse la sua debolezza, di quello Robert avrebbe approfittato.
 
Robert. Non sapeva praticamente nulla dell’uomo, se non che era un guerriero eccezionale, un grande bevitore e, a quanto si diceva, un frequentatore di bordelli. E che sembrava innamorato di Lyanna, o almeno era convinto di esserlo, come gli aveva riferito lei con amarezza. Eppure, entro poco tempo sarebbero stati avversari, l’uno contro l’altro su un campo di battaglia, i loro eserciti pronti allo scontro. In lui il ribelle non vedeva un prossimo re, quanto piuttosto un rapitore, un pazzo che aveva osato portargli via la sua promessa sposa e che, probabilmente, aveva anche abusato di lei… l’idea che Lyanna potesse aver seguito il principe di sua spontanea volontà, ovviamente, non gli passava per la testa. Se avesse potuto vederli mentre parlavano distesi sul loro letto nella torre, intenti a discutere del futuro del loro bambino!
 
Nonostante la rabbia e la tensione, nonostante la preoccupazione che gli attanagliava le viscere, non riuscì a trattenere un piccolo sorriso all’idea di Lyanna che lo guardava dritto negli occhi, ogni volta che le prendeva il viso tra le mani e la baciava, cogliendola di sorpresa.
 
Quel contatto, quelle parole scambiate, nessuno avrebbe potuto portarli via.
 
 
 

***
 
 

“Quando arriverà il momento, dovrò tornare da Robert. Non posso ribellarmi, questo lo sai anche tu, Rhaegar. Ma quello che si è creato tra noi… io non voglio dimenticarlo. Non posso dimenticarlo.”
 
Si erano visti altre volte, dopo il pomeriggio del loro incontro casuale. Forse il principe frequentava il parco abitualmente, forse si trovava lì sempre alla stessa ora per cercare di incontrarla, fatto stava che ormai il loro era diventato un appuntamento fisso, una specie di incontro obbligatorio che entrambi non volevano mancare. Rhaegar suonava l’arpa, Lyanna si sedeva contro il tronco dell’albero diga e ascoltava, gli occhi socchiusi colpiti dalla luce color rubino che filtrava tra le fronde, calda eppure rilassante, delicata, rossa come il drago che il ragazzo portava ricamato sull’abito. Ascoltava e separava la mente da tutto ciò che sarebbe accaduto da lì a qualche tempo, dall’idea del matrimonio, dal fatto che anche Rhaegar era sposato e aveva già due figli. La storia della regina l’aveva commossa – come tante altre che il principe aveva suonato con la sua arpa – ma non avrebbe fatto come lei, non avrebbe rinunciato al suo amore piegando la testa e piangendo in silenzio dove nessuno poteva vederla. Lei era sangue del Nord, selvaggia come un metalupo e altrettanto indomabile: potevano metterla all’angolo, ma non impedirle di gestire la sua vita. Avrebbe tenuto per sé quel sentimento che iniziava a legarla a Rhaegar e non ci avrebbe rinunciato tanto presto, non ora che sentiva di aver trovato qualcuno che ricambiava il piacere di quegli incontri, che le donava qualcosa senza chiedere nulla in cambio.
 
Quando si trattava di suo padre, però, si sentiva inutile, inerme. Un cucciolo di lupo che deve obbedire agli ordini dell’anziano del branco.
 
Lui si era chinato verso di lei, le dita che le sfioravano una guancia, esitanti.
 
“Robert sarà anche il mio futuro marito, ma non sa nulla di me, non vuole vedere chi sono davvero. Sa cogliere la bellezza, ma non ho solo quella da offrirgli… perché l’unica persona che lo ha capito non potrà mai essere mia?”
 
Aveva parlato troppo: si coprì la bocca con le mani, spaventata, ma Rhaegar non sembrava arrabbiato. Sorrise nel coprirle la visuale dal sole, aveva ancora una traccia di risata sulle labbra quando la baciò con delicatezza, appoggiandole le mani dietro la nuca, affondando le dita in quella massa di capelli morbidi e scuri. E quando Lyanna lo ricambiò con trasporto, trascinandolo verso il basso e portando i loro corpi a cadere sull’erba della radura, non pensò a nient’altro se non al fatto che erano insieme in quell’istante e che nessuno, nemmeno Robert, nemmeno il re, avrebbe potuto intromettersi.
 
C’erano stati altri incontri, altri momenti in cui si erano staccati da tutto e da tutti. C’erano state notti che non avrebbero mai dimenticato e il loro matrimonio nel Parco degli Déi. E poi la promessa che le aveva fatto, che aveva ripetuto la prima volta che aveva appoggiato la testa contro il suo ventre: l’avrebbe protetta. Da chiunque, da qualunque cosa avrebbe potuto mettersi tra loro due.
 
Erano incoscienti, forse folli. Ma tutto ciò che sapeva era che amava Lyanna e che riusciva a vedere in lei sia le rose che il ferro, la forza e la bellezza della sua anima fuse assieme.
 
 

 
 

***
 
 

La chiamavano Forca Verde del Tridente per una ragione, osservò Rhaegar: gli alberi circondavano i lati del fiume come una fila di pazienti attendenti agli ordini del loro lord, l’erba cresceva fin sul greto e si confondeva con i sassolini e il fango che l’acqua trasportava nei suoi spostamenti. Un bel posto per tenere una battaglia, su quello non c’era dubbio… e un buon posto per cadere. Tra l’erba, le foglie e il cantare degli uccelli, anche se presto sarebbero scappati a causa del rumore e sarebbero stati rimpiazzati dai corvi, attratti dalla possibilità di un pasto sicuro. Ce n’erano sempre tanti, sui campi battuti dagli eserciti.
 
Non si sarebbe mai abituato alle battaglie: il fragore delle armi, lo scalpitare dei cavalli, le grida dei suoi uomini che si scontravano con quelli del nemico erano sempre nuovi per lui. Forse li aveva semplicemente rimossi ogni volta, quei rumori, seppelliti in un angolo della sua anima dove sarebbero rimasti fino all’occasione di riviverli ancora. Forse, pensava, e si guardava intorno, alla testa di un esercito enorme, un principe che avrebbe dovuto mostrare sprezzo del pericolo e che invece si sentiva infinitamente piccolo e solo.
 
Poco lontano, c’era l’uomo che aveva immaginato di incontrare per ore intere nei suoi sogni più spaventosi e disordinati.  Robert Baratheon era lì, di fronte a lui.
Alto e massiccio, il corpo completamente fasciato dall’armatura, l’elmo con le corna di cervo che brillavano minacciose alla luce del sole: il suo avversario sapeva come incutere timore nei nemici, su quello non c’erano dubbi. Lo sguardo che gli aveva riservato scrutandolo da sotto la celata dell’elmo, poi, non dava adito ad equivoci; lo odiava, glielo leggeva su ogni centimetro del viso, sulla smorfia di rabbia che lo aveva deformato non appena aveva posato gli occhi sul principe. 
 
Si erano fronteggiati ancora a cavallo, Rhaegar sul suo purosangue nero, Robert sul grosso stallone baio che cavalcava, lentamente ma con fare minaccioso, come se cercassero l’uno di studiare le mosse dell’altro.
Erano stati attimi di tensione, un continuo puntarsi addosso le armi e aspettare che l’avversario si muovesse per primo, una giostra il cui premio finale era ben più alto delle solite somme di denaro o dei baci della fanciulla più bella della corte. Una giostra estenuante, rotta solo da Robert, che con uno scatto improvviso aveva interrotto quel gioco di sguardi per puntargli addosso la sua arma, scartando in avanti con foga.
 
“Hai forse paura, maledetto? Hai paura dell’uomo che ti farà pagare per aver stuprato la sua donna?”
 
Chi aveva parlato della furia e della potenza di Robert Baratheon come guerriero non mentiva: era veramente un combattente di valore, come dimostravano i colpi violenti che sferrava all’indirizzo del principe, colpi che avrebbero steso chiunque non fosse stato tanto accorto da tentare di pararli in qualche modo. Dopo un attimo di sconcerto iniziale, Rhaegar era entrato nella logica del combattimento e aveva iniziato a proteggersi sia con lo scudo che con la spada, cercando di respingere i colpi del martello da guerra di Robert con la propria arma. Per quanto potesse parare, però, restava comunque svantaggiato: l’uomo era riuscito a portarlo dal greto al punto in cui l’acqua iniziava a diventare alta quasi dieci centimetri, rendendo difficili i movimenti dei cavalli a causa del fango e dei detriti.
Come se non bastasse, il suo avversario non sembrava disposto a lasciare che il combattimento si svolgesse in silenzio. Robert Baratheon continuava a pungolarlo con le parole, tentava di distrarlo, di fargli perdere la concentrazione che metteva nelle parate e nei colpi meditati attentamente.
 
“Pensavi di farla franca? Di poter mettere le mani addosso ad una fanciulla di alto lignaggio e restare impunito, protetto da quel pazzo sanguinario del re tuo padre? Se è così, ti sbagliavi di grosso… intendo farti pagare le violenze che hai inferto a Lyanna una per una, maledetto. Una per una, hai capito?”
 
Un colpo più furioso degli altri rischiò quasi di prenderlo al braccio: Rhaegar se ne accorse appena in tempo per scartare di lato e tentare di trasformare quel movimento in un attacco a suo favore, allungando la spada e riuscendo a toccare Robert. Era stato fermato, eppure per un attimo l’uomo si era distratto, troppo preso dal tentativo di abbatterlo per riuscire a proteggersi in tempo. Avrebbe potuto sfruttare quella distrazione a suo favore…  
 
“Nostra è la furia”, diceva il motto di casa Baratheon. Era sulla furia che si basava la strategia di Robert, la stessa furia che avrebbe finito col trascinarlo inesorabilmente in balìa della battaglia, se solo lui avesse giocato bene le sue carte.
 
Intanto, Robert continuava col suo tentativo di intimorirlo usando le parole, nonostante l’avversario non si fosse mostrato particolarmente colpito dagli attacchi verbali. Questa volta, però, Rhaegar non sarebbe rimasto in silenzio.
 
“Sei pronto a morire, feccia?”
“Per la verità, mio Lord, mi sento più pronto a vincere. E a tornare da Lady Lyanna, che mi sta aspettando.”
 
Si concesse di sorridere, protetto dal suo elmo sormontato dal drago a tre teste: Robert si era arrabbiato di nuovo. Per quanto i suoi accessi d’ira potessero essere pericolosi, erano sempre seguiti da un attimo di distrazione, perfetto per cercare di penetrarne la guardia e colpirlo quando meno se lo aspettava… cosa che accadde, come previsto. Questa volta, però, il principe calcolò meglio la sua mossa e riuscì a spingere il suo destriero ad avvicinarsi di più a quello dell’avversario, colpendolo al lato della testa con un fendente di spada preciso che staccò una delle corna di cervo sull’elmo e sembrò aver ferito Robert sul lato del viso lasciato scoperto. Bene.
 
Rhaegar Targaryen non era un amante delle battaglie. Non lo era mai stato: fin da bambino, sembrava molto più portato per la musica e la letteratura che per la spada e lo scudo. Per anni si era rifiutato di imparare a giostrare e a combattere, finché, un giorno, non si era recato dal maestro d’armi di Approdo del Re dicendo di voler diventare un guerriero anche lui. Non ricordava bene da cosa fosse nata quell’idea, a dire il vero… forse dalla lettura delle gesta del suo bisnonno, Aegon V, forse da un sogno o da qualche ballata che gli era capitato di ascoltare o di suonare lui stesso. Fatto stava che il Maestro aveva accettato e lo aveva immediatamente addestrato alla scienza della guerra, arte nella quale il principe si era dimostrato parecchio versato, anche se continuava a preferire la compagnia della sua arpa a quella della spada.
Nonostante avesse ben altri pensieri per la testa, Rhaegar si ritrovò a ringraziare chiunque avesse fatto nascere nella sua mente quell’idea, anni prima: se non avesse ricevuto nessun addestramento alle armi sarebbe già diventato carne per i corvi da un bel pezzo.
Girò la testa per osservare la situazione nell’attimo in cui Robert cercava di valutare i danni inferti al suo elmo dal colpo sferratogli in precedenza, tentando di cogliere un segno che potesse portarlo a capire la situazione, ma non riuscì a vedere nient’altro che cavalli che correvano in fuga disordinata, cavalieri disarcionati, stemmi fatti a pezzi che galleggiavano sulle acque basse del fiume come tetri uccelli morti. Poco lontano da lui, un uomo era caduto, affogato in pochi centimetri d’acqua, lo stendardo che mostrava un rapace strappato e macchiato di sangue che fluttuava sopra al suo viso, quasi volesse proteggerlo da ulteriori colpi. Per un solo istante il principe si chiese chi ci fosse davvero, sotto a quel drappo, chi fosse stato in vita l’uomo che aveva sacrificato tutto (moglie? Figli?) per seguirlo in quella guerra folle… pensiero di breve durata: Robert si era ripreso e aveva incominciato a incalzarlo, se possibile, con ancora più rabbia e foga che in precedenza.
 
Il sole aveva iniziato a calare sulle acque del fiume, tingendole di rosso: un presagio sinistro, per chi voleva crederci. Ma il principe non poteva badare più di tanto a ciò che lo circondava, non ora che era impegnato nella battaglia e il suo avversario non sembrava intenzionato a dargli tregua nemmeno per un secondo.
Robert Baratheon era riuscito a spingerlo talmente tanto avanti rispetto alle rive del fiume da fargli perdere l’orientamento, già reso difficile dalla celata dell’elmo abbassata; Rhaegar cercò di riprendere la strategia dei colpi cauti intervallati dalla protezione dello scudo, ma qualcosa sembrava non funzionare come prima. Ogni fendente che destinava all’altro veniva abilmente parato ed era seguito da un assalto ancora più diretto, più forte. Vecchie voci di come Robert sembrasse posseduto dal Guerriero in persona quando combatteva continuavano ad attraversargli la mente, uccelli del malaugurio che non servivano ad altro che ad innervosirlo di più.
 
Non devo distrarmi, dannazione!
 
Troppo tardi: un secondo di esitazione di troppo lo aveva portato a calcolare male la sua mossa. Robert riuscì a colpirlo al braccio che aveva appena teso in un affondo mancato e a sbilanciarlo quel tanto che bastava a disarcionarlo. Il suo cavallo nitrì, spaventato e in un attimo il mondo si capovolse attorno a lui mentre si ritrovava nelle acque del Tridente, il peso dell’armatura che lo trascinava in basso nonostante l’acqua non fosse molto profonda.
In qualche modo riuscì a rialzarsi, nonostante il dolore alla spalla che lanciava fitte così forti da fargli lacrimare gli occhi. Non aveva lasciato la presa sulla spada e lo scudo era lì accanto, a portata di mano; riuscì ad afferrarlo appena in tempo per parare un nuovo colpo da parte di Robert, che aveva abbandonato poco lontano il suo stallone ed era smontato di sella per poter combattere a terra, tra le acque fangose del fiume.
Il colpo alla schiena lo aveva rallentato, sentiva le giunture doloranti e la ferita alla spalla sanguinava, ma non poteva fermarsi: i rumori della battaglia si facevano più forti intorno a lui, ascoltava i suoi uomini gridare, alcuni chiamavano aiuto, altri incitavano i loro cavalli alla carica. Non avrebbe saputo dire quanti ribelli erano caduti e se il loro numero fosse superiore o inferiore a quello delle loro perdite, ma le acque si stavano tingendo di un rosso più intenso, un rosso che apparteneva a qualcosa che non era la luce del tramonto.
 
Non posso farcela.
 
Si sorprese a pensarlo per la prima volta da quando la battaglia aveva avuto inizio, ma questa volta si trattava di un pensiero fin troppo concreto, fin troppo reale. Con orrore, si accorse che la vista si stava annebbiando e la forza con cui parava i colpi e li restituiva era ridicola, in confronto alla potenza dell’uomo che lo stava per mettere all’angolo. Sembravano uno scudiero inesperto e un cavaliere veterano nella battaglia conclusiva di un torneo, con la sola differenza che, nei tornei organizzati in occasione delle feste, solitamente non c’erano in gioco la vita o la morte.
Tentò di giocare un ultima carta, la più disperata: si chinò e provò con un affondo diretto, spingendo la sua spada verso il punto in cui aveva colpito in precedenza, cercando di sbilanciare Robert o almeno di costringerlo ad aprire la guardia. Riuscì nel suo intento solo a metà. L’uomo venne colpito di striscio, ma gli rimase tempo sufficiente per caricare il colpo con entrambe le mani, il sangue che sporcava l’estremità del martello che brillava nel sole. Rosso come il tramonto, più del tramonto.
 
“Ora che è finita, che sapore ha la sconfitta, Targaryen? Ti dispiace morire qui, per mano del legittimo sposo della donna che ti sei permesso di rapire?”
 
Sapeva che era finita prima ancora che fosse Robert a dirglielo, prima ancora che la sua arma si abbattesse sul petto, strappandogli il respiro dai polmoni e colpendo con violenza il pettorale della sua armatura, quello decorato da rubini, l’orgoglio del fabbro dal quale suo padre l’aveva fatta forgiare.
 
In un istante che sembrò durare secoli, Rhaegar Targaryen cadde nelle acque fangose del fiume, i rubini che si spargevano attorno a lui come gocce di sangue, preziosi come la vita che sentiva abbandonarlo. Cadde con una leggerezza inaspettata per uno che indossava un’armatura tanto pesante, scivolò nelle acque scure senza fare rumore, con delicatezza.
Nella sua mente, i pensieri turbinavano con foga, quasi a spingersi per avere la precedenza: il viso di sua figlia Rhaenys, che non era neppure riuscito a salutare, le mani magre e scure di Elia, il sorriso di Aegon, il suo pianto, le risatine felici che gli aveva dedicato l’ultima volta che l’aveva preso in braccio. Ma, sopra ad ogni altra immagine, c’era quella della donna che aveva lasciato a Dorne, la sua lady del Nord dallo sguardo fiero e dalla pelle candida come neve, la madre del suo prossimo erede, la giovane Lupa alla quale aveva affidato il suo cuore, da un anno a quella parte. Lei gli tendeva le mani, una lacrima scivolava da uno degli occhi grigio-azzurri. Il principe tese la sua per raggiungerla, ma riuscì solo a perdere la presa sulla spada, che affondò accanto a lui.
 
Lyanna…
 
Fu con quel nome sulle labbra che affondò. Lacrime salate gli colavano giù dagli occhi, mentre la vista si offuscava sempre di più e l’acqua lo accoglieva a braccia aperte, una fredda amante che lo prendeva senza lasciargli altro scampo.
Fu con quel nome sulle labbra che cadde, ma non seppe dire se lo aveva solo richiamato con la mente o pronunciato ad alta voce mentre Robert Baratheon alzava la sua arma al cielo e gridava, un suono vuoto, lontano, ormai senza importanza.
 
 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 

Rieccomi di nuovo qui per un altro capitolo, miei prodi amici e lettori. Mi scuso per il ritardo, ma come vi avevo già avvertito ho avuto dei problemi con la linea internet e solo ora sono riuscita a scroccarne un po’ per pubblicare… per la prossima settimana spero davvero di aver risolto e di aggiornare in tempo!
Per le note vere e proprie vi rimando alla fine del capitolo: posso solo anticiparvi che il capitolo è dedicato interamente a Lyanna e Jon. Per cui buona lettura, e a dopo!

 
 

 
“Oh, who am I to say I'm always yours?”
          [Elle Goulding – This Love (Will be your downfall)]          
 
 
 
 


Torre della Gioia, Dorne.
Qualche giorno dopo
 
 



Lyanna cammina lungo un fiume che non conosce, teatro di uno scontro recente. Ovunque vede i segni della distruzione, i corvi hanno già iniziato a banchettare e gracchiano per chiamarsi l’un l’altro. Non si rende conto di trovarsi nei pressi del Tridente finché non vede un grande stendardo col drago a tre teste sventolare strappato accanto ad una delle rive, alcuni cavalieri distesi sotto alla sua ombra come se riposassero.
Improvvisamente comprende la situazione e inizia a correre, solleva spruzzi d’acqua mentre si avvicina ad una figura che si trascina sulle ginocchia a poca distanza dal punto in cui si trova lei. È ancora coperta dall’armatura e indossa l’elmo, ma Lyanna riesce comunque a riconoscerla, prima ancora che l’elmo rotto cada dalla testa e le mostri il viso pallido e le labbra bluastre dell’uomo che le si sta avvicinando.
Rhaegar le tende la mano, chiedendole aiuto. Ha l’armatura macchiata di sangue, le mani graffiate protese in avanti in una richiesta muta ma inequivocabile, poi chiama il suo nome con voce strozzata, resa confusa dal fragore che continua a diffondersi intorno a loro. Prima che Lyanna possa fare qualunque cosa il principe cade in avanti, i capelli argentei si spargono nell’acqua come i petali di un fiore screziato di rosso; la ragazza cerca di sollevarlo, di fare qualunque cosa per salvarlo dal fiume, ma la corrente inizia a farsi più forte e lo trascina via, la sua morsa sul corpo esanime diventa sempre più violenta mentre gli uomini intorno a lei ridono, risate secche e sinistre risuonano nell’aria e l’acqua inizia a ribollire e a diventare più scura, più fredda, più…
 
Lyanna si era svegliata da quell’incubo tra i dolori, il sudore freddo che le scendeva dalla fronte e il fiatone, come se avesse corso per miglia senza fermarsi. Si tirò su e si accarezzò la pancia con delicatezza, preoccupata dalle fitte che avvertiva dalla sera prima: era ancora presto, eppure il suo bambino continuava a farsi sentire. Proprio ora che non poteva contare sulla sua famiglia per aiutarla a metterlo al mondo.
Si asciugò la fronte e tentò di alzarsi in piedi, fallendo clamorosamente. Forse sarebbe stato meglio cercare di mantenere la calma e chiamare gli uomini che Rhaegar le aveva lasciato come scorta, i tre cavalieri della Guardia Reale che si trovavano nella parte della torre riservata agli eserciti e che sorvegliavano la zona da qualche giorno a quella parte: a quanto pareva avevano ricevuto un messaggio che sembrava importante, ma alla richiesta della ragazza di ottenere maggiori informazioni in merito si erano rifiutati di rispondere, invitandola a stare tranquilla e a tornare a letto per non compromettere la sua salute.
La Lyanna di qualche mese prima si sarebbe arrabbiata e li avrebbe costretti a rispondere, ma si sentiva decisamente troppo debole e doveva pensare al bambino prima di tutto: anche Rhaegar glielo avrebbe detto. Si erano separati senza farsi altre promesse, senza scene che avrebbero reso quella partenza più difficile di quanto già non lo fosse, ma ciò non la aiutava a sentire meno la sua mancanza… soprattutto quando i dolori della gravidanza arrivavano con tanta forza da spaventarla e ridurla in quello stato di prostrazione.
Strinse i denti, scuotendo la testa: così non andava. Non poteva lasciare che un solo sogno la mettesse al tappeto, in fondo si trattava soltanto di un sogno, no? Un’immagine mentale, il frutto delle sue riflessioni prima di addormentarsi, la sera precedente. Nient’altro. Rhaegar era un principe, aveva un esercito alle spalle e sapeva quello che faceva, in ogni caso; da parte sua, lei poteva solo stare tranquilla e chiamare aiuto nel caso in cui il bambino avesse scelto di venire al mondo prima del previsto. Cosa che sembrava probabile, se doveva dar retta al dolore intermittente che continuava a provare.
Eppure, una piccola parte di lei stringeva nella mente i frammenti di quel sogno e li esaminava, chiedendosi se non ci fosse per caso una parte di verità in ciò che aveva visto.
E se a Rhaegar fosse davvero successo qualcosa? Se, per qualche assurdo caso, il suo fosse stato un sogno premonitore?
Una nuova fitta al ventre interruppe quei pensieri: quasi avesse captato il suo stato d’animo, suo figlio aveva iniziato a scalciare con più energia. Lyanna si risedette sul letto, arrendendosi; era meglio restare lì e chiedere aiuto alle serve che l’avevano aiutata a lavarsi e vestirsi durante la sua permanenza.
Una delle ragazze era fuori dalla sua stanza, intenta a sistemare qualcosa nel baule. Si chiamava Elyssa Sand e, da quanto ne sapeva, era arrivata assieme ai cavalieri della Guardia per servirla durante l’assenza di Rhaegar: non la conosceva bene – doveva essere la bastarda di qualche signore di Dorne, dato il nome – ma si era sempre comportata con gentilezza nei suoi confronti, assistendola quando aveva bisogno di aiuto. Non si sarebbe rifiutata di darle una mano, anche se in quel caso, probabilmente, ci sarebbe stato bisogno di più di una persona per risolvere la situazione.
Cercò di attirare la sua attenzione con un piccolo colpo di tosse, ma la ragazza si era già girata per controllare se la lady avesse avuto bisogno di lei.

“Chiama… chiama qualcuno, per favore. Il bambino… credo stia per nascere.”

Gli occhi sbarrati della giovane la convinsero che qualcosa decisamente non andava: si era precipitata fuori dalla stanza non appena Lyanna aveva emesso un gemito di dolore a conclusione della sua richiesta di aiuto. Non le era rimasto altro da fare se non distendersi sul letto e aspettare che Elyssa ritornasse, le mani strette sul ventre, la mente che cercava di separarsi da quanto aveva visto poche ore prima. Respirava profondamente per calmarsi. Un respiro, una stretta di dolore. Un respiro, un attimo di tregua.

 
 


***
 
 

In seguito, si rese conto di non ricordare nulla di quanto era successo poco dopo.

L’ultima immagine che si era fissata nella sua mente era quella di Elyssa che si precipitava a chiamare le donne di servizio, seguita poco dopo dalla cuoca e da una delle sguattere, tutte scure in viso e preoccupate allo stesso modo. La donna più anziana e la sguattera erano rimaste ad assisterla, mentre la ragazza dorniana correva di sotto ad avvisare i cavalieri della Guardia. Al suo ritorno, era trafelata e spaventata:
“Sono arrivati… gli uomini del Nord. Sono armati… portano il simbolo del metalupo con loro… hanno iniziato ad attaccare le guardie, credo… credo pensino che stiamo tenendo prigioniera Lady Lyanna!”
La sguattera era impegnata a sventolare la giovane lady e a cercare di farle bere dell’acqua fresca, ma si girò per scambiare un’occhiata spaventata con l’altra ragazza che stava cercando dei panni puliti: allora le Guardie ci avevano visto giusto, quel mattino. Si stavano davvero avvicinando dei soldati a cavallo, uomini che erano venuti lì per loro. A peggiorare le cose, Lyanna aveva iniziato a lamentarsi con più forza e, con grande orrore delle donne, a perdere sangue.
Metalupi significava Stark. E Stark… significava Brandon e Ned. Brandon e Ned erano arrivati a prenderla, l’avrebbero portata da Rhaegar, l’avrebbero aiutata… loro…
“Non c’è tempo da perdere, Lady Lyanna sta per partorire. Dobbiamo pensarci noi.”
La donna più anziana aveva preso le redini della situazione: una volta spedita Elyssa a scaldare un mastello d’acqua, aveva radunato quanti più panni puliti le riuscisse di trovare, mentre Lyanna restava distesa sul letto, continuando a lamentarsi e cercando di respirare il più profondamente possibile. Non si rendeva conto della situazione, sapeva solo che il bambino aveva deciso di nascere nel momento meno opportuno, con suo padre lontano e uno scontro alle porte. Per fortuna che le donne erano lì ad assisterla, ebbe il tempo di pensare la ragazza. Grazie agli Déi, sono lontana dalla mia famiglia ma non completamente sola.
Ricordava solo vagamente di aver gridato e spinto con tutte le sue forze, come le aveva detto di fare la vecchia Rahne, che era stata levatrice e balia di tanti bambini e ormai sapeva come andava un parto. Ricordava di aver sentito un gran fragore di armi venire dal piano inferiore della torre, intervallato da grida e dai gemiti di paura di Elyssa e della sguattera, che aiutavano Rahne e intanto gettavano un occhio alla situazione, riferendosi ogni tanto qualcosa a mezza bocca, gli sguardi bassi. Lo scontro continuava ad infuriare mentre Lyanna piangeva e stringeva i denti, pensava a Rhaegar, strattonava le lenzuola e gridava, sperando che qualcuno la sentisse, che ci fossero davvero Brandon ed Eddard, a poca distanza eppure completamente ignari delle sue condizioni. Strinse i denti ancora e ancora, sperando che il bambino nascesse in fretta. Sperando che avesse ancora la possibilità di conoscere suo padre.
“Dovete stare tranquilla, milady… pensate solo a vostro figlio e alla sua salute. Continuate a spingere e a respirare. Andrà tutto bene. Andrà tutto…”

Accanto al letto c’era la coroncina di fiori che Rhaegar aveva intrecciato per lei giorni prima, secca eppure ancora bella, blu come solo le rose d’inverno potevano essere, anche se il passare dei giorni l’aveva leggermente sbiadita. Lyanna tese la mano e la afferrò spasmodicamente, i petali che si sbriciolavano fra le sue dita, polvere azzurra e marrone che si perdeva tra le lenzuola macchiate di sangue.
 

 


***
 


“… ia sorella è qui, lo so. Devo vederla immediatamente.”
“Mio Lord, ne avete tutto il diritto e, credetemi, nessuno di noi vuole tenerla lontana da voi o farle del male… ma Lady Lyanna non è nelle condizioni di poter vedere qualcuno, mi creda. Potete chiedere a Rahne e alle sue compagne, sono loro che…”
“… sentito cosa ha detto Lord Stark, ragazzo? Portaci da sua sorella, subito. Non abbiamo voglia di aspettare ancora per…”
“Morti! Morti tutti! I cavalieri della Guardia… il principe Rhaegar non l’avrebbe mai permesso, lui…”

Voci confuse le arrivavano alle orecchie, sovrapponendosi come suoni diversi in una stessa canzone. Lyanna sbatté gli occhi, la testa che le pulsava dolorosamente: si sentiva debolissima. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso dall’inizio del travaglio, sapeva solo che la vecchia Rahne le aveva messo tra le braccia suo figlio qualche ora o qualche secolo prima, un esserino dai capelli neri che si lamentava senza fare troppo rumore, come se avesse compreso la situazione e non volesse disturbare sua madre. Elyssa lo aveva lavato e avvolto in un panno, poi glielo aveva portato, preoccupata che le condizioni di Lyanna potessero peggiorare da un momento all’altro, tanto da non permetterle nemmeno di vederlo. Prima di perdere conoscenza del tutto era riuscita a baciarlo sulla testa e a guardarlo bene, il suo bambino: era un maschio. Avrebbe dovuto pensare ad un nome per lui, ma la stanchezza e l’emozione avevano avuto la meglio.
Quando si era risvegliata, aveva sentito forte e chiara la voce di suo fratello correre lungo le scale che portavano al piano di sopra, seguita, pochi istanti dopo, da Ned stesso. Dopo aver tanto pensato a lui, dopo aver sperato per giorni di poterlo incontrare di nuovo, era lì davanti a lei, coperto di polvere e affannato, ma vivo. Lo sguardo che le aveva rivolto, però, era tutto tranne che rassicurante: la paura continuava a dominare i tratti del suo viso, paura che non si era esaurita nemmeno quando le si era avvicinato per vederla da vicino e prenderle una mano. Gliel’aveva stretta, una stretta in cui Lyanna era riuscita a percepire tutto ciò che suo fratello stava provando.

Brandon, però, non era con lui. La cosa le sembrò strana, ma scelse di non fare domande.
Le ragazze si erano allontanate, spaventate; preferivano occuparsi del bambino e non disturbare quella riunione di famiglia. Elyssa si era trattenuta ancora un attimo per porgere il bambino a Ned, timidamente, quasi avesse paura di una sua reazione violenta.
“Lord Stark? Questo è il figlio di Lady Lyanna. Volete tenerlo un po’ in braccio?”
Sulle prime l’uomo si era mostrato sorpreso, ma dopo un attimo aveva accolto il fagottino tra le braccia. Quel bambino era il ritratto di Lyanna, anche se con qualcosa di diverso: i capelli neri e riccioluti avevano l’aspetto di quelli della sorella, ma i tratti del viso erano in qualche modo più eleganti, principeschi, più morbidi di quelli tipici degli Stark. Sembrava dormire sereno, come se tutto il trambusto che aveva sentito intorno a sé non lo riguardasse minimamente. Eddard si fermò ancora a guardarlo per qualche attimo, prima di essere richiamato da un piccolo ansito di dolore di Lyanna. Lo depose con dolcezza sul letto e si avvicinò alla sorella, che nel frattempo si era alzata e aveva tentato qualche passo verso di lui.
Non servì a molto: cadde di nuovo a terra, priva di forze. Il fratello si inginocchiò e la rialzò, appoggiandole la testa sulle sue gambe per farla riprendere.
“Lya? Sono io, Ned. Siamo arrivati… ora non sarai più sola. Non devi temere nulla.”
La ragazza aveva raccolto la forza necessaria per alzare la testa e guardarlo negli occhi, lo sguardo appannato ma pervaso della forza che Ned ricordava bene. È rimasta la stessa, è sempre la Lyanna che conoscevo.
“Ned… hai visto? Il mio bambino… mi dispiace non essere riuscita a dirti nulla.” Un colpo di tosse. “Rhaegar… è andato sul Tridente, l’esercito di Robert dev’essere lì, ma non mi sono arrivate notizie… e Brandon? Come sta Brandon? È qui con te, vero?”
Eddard si morse le labbra. Avrebbe voluto raccontarle la verità, ma come poteva riferirle che suo padre e suo fratello erano stati uccisi da un atto di follia del re - il padre dell’uomo che amava e aspettava – senza peggiorare la sua situazione? Per fortuna Lyanna sembrava avere troppa fretta di riferirgli qualcosa per prestare attenzione alla risposta.
“Ned… prendi il bambino. Devo… dovrei dargli un nome, suo padre vorrebbe conoscerlo, lo abbiamo aspettato tanto… “
“Lyanna.” Il tono di Ned si era fatto improvvisamente grave, esitante. Il quadro della situazione iniziava ad essergli più chiaro. “Il bambino è figlio del principe Rhaegar, vero?”
Neppure sua sorella rispose a quella domanda. Si limitò ad accogliere il figlio tra le braccia, non prima di avergli posato un bacio sulla testolina scura. Il piccolo continuava a restare in silenzio, tranquillo e composto, comportamento atipico per un neonato, ma Lyanna non sembrava farci caso: era così felice e sollevata che fosse nato da non riuscire a far altro che guardarlo rapita.
Un altro spasmo violento, però, la costrinse a piegarsi su se stessa. Ned le tolse i capelli dal viso e prese di nuovo il bambino per spostarlo sul letto, poi tentò di fare la stessa cosa con Lyanna per convincerla a riposare, ma la sorella era così turbata e agitata da non riuscire a calmarsi, nemmeno quando l’uomo le strinse di nuovo una mano.
“Jon. Il suo nome… è Jon. Ned, ti prego…”
Jon. Il viso del suo buon amico Jon Arryn gli attraversò subito la mente: erano cresciuti sotto la sua ala, anche la ragazza aveva imparato a volergli bene e a considerarlo parte della famiglia, una sorta di padre in più. Forse era per quel motivo che Lyanna aveva scelto quel nome, tra i tanti che avrebbe potuto dare a suo figlio. Jon Arryn era un uomo saggio e una brava persona, ne sarebbe stato sicuramente felice, rifletté.
Improvvisamente, Lyanna afferrò con più forza la mano del fratello. Gli occhi si erano riempiti di lacrime e lo fissavano, lucidi, febbrili.
“Ned… puoi promettermi che resterai vicino a Jon? Che lo proteggerai… come fosse figlio tuo? E se… se dovesse succedermi qualcosa… qualunque cosa… che lo farai crescere nel modo migliore, che…” strinse di nuovo i denti, per poi emettere un gemito di dolore “… che gli resterai accanto?”
“Lo proteggerò, Lya, te lo prometto. Lo proteggeremo tutti, anche tu. Ti porteremo fuori di qui e ti aiuteremo a guarire, poi torneremo a Grande Inverno.”
“Prometti, Ned, ti prego. Non lasciare che Robert gli faccia del male, non lasciare che nessuno gli faccia del male… io e Rhaegar lo amiamo, lo abbiamo aspettato tanto… nostro figlio, Jon…”
Eddard Stark, il nuovo signore di Grande Inverno, continuò a stringere sua sorella con la forza disperata di un bambino indifeso che si aggrappa alla propria madre, la stessa forza disperata di chi si vede portare via qualcuno che ama senza poter fare nulla per impedirlo. Aveva finalmente ritrovato sua sorella, l’avrebbe riportata a Grande Inverno, sarebbe guarita, avrebbero cresciuto tutti insieme il nipote, ma per quanto potesse continuare a ripetersi quelle parole, il viso pallido e l’abito macchiato di sangue di Lyanna lo riportavano ogni volta alla realtà, come un pugno nello stomaco.

“Prometti, Ned.”

“Te lo prometto, Lya. Jon è tuo figlio, ma sarà come se fosse mio. Non permetterò che gli accada nulla di male, non potrei permetterlo.”

Gli occhi lucidi di Lyanna si illuminarono per un attimo e un sorriso dolce le piegò le labbra, un sorriso lieto dopo tutta la sofferenza che le aveva visto provare. Non disse nulla: si limitò a ringraziarlo con lo sguardo, mentre il suo corpo si scioglieva tra le braccia del fratello che la sentiva diventare sempre più leggera, come se non avesse peso. In un attimo che sembrò durare in eterno, Eddard Stark si guardò dall’esterno stringere Lyanna e gridare per chiamare qualcuno, gridare tutto il suo dolore e la sua rabbia, gridare e basta, sperando che lo sentissero.
A poca distanza da lui, il bambino di nome Jon si era svegliato e aveva iniziato a piangere.
 

 


***
 


I compagni lo avevano raggiunto subito, attirati dalla sua richiesta di aiuto. In un attimo erano lì, pronti a sostenere Lord Stark in qualunque compito avesse richiesto la loro presenza, uniti come solo degli amici – più che dei semplici compagni – erano in grado di essere. In un’altra situazione Eddard Stark ne sarebbe stato felice, ma stringeva ancora Lyanna tra le braccia e non si rendeva conto di nient’altro che non fossero le condizioni di salute di sua sorella.
Non si accorse nemmeno del gesto di Howland Reed – Howland dell’Incollatura, suo buon amico, un cavaliere piccolo ma tenace – che si era chinato accanto a Lyanna e le aveva sfiorato sia il collo che il braccio. Era talmente prostrato dal dolore che sentì a malapena ciò che l’uomo stava dicendo, ma gli altri compagni capirono al volo.

“Lord Stark? Eddard… Lady Lyanna respira ancora. Dobbiamo immediatamente portarla da qualcuno che possa curarla.”

 
 
 






Noticine di Nat
Come vi avevo promesso, anche il capitolo su Jon è arrivato: finalmente ho avuto l’occasione di tratteggiare il rapporto tra lui e Lyanna, uno dei miei preferiti (e ipotetico, purtroppo… almeno per ora), che non vedevo l’ora di approfondire un po’… spero con risultati leggibili! Lyanna è un personaggio meraviglioso a mio parere, una donna che passa dall’essere una ragazza forte e indomabile a una madre perfettamente consapevole di dover proteggere se stessa e suo figlio, ma con i suoi momenti di fragilità. Sapere anche solo di essere riuscita a renderla IC e a farla amare anche a voi come la amo io è una grandissima soddisfazione, una delle più grandi nella mia “carriera” da fanwriter in questo fandom.
Vi ringrazio ancora con tutto il cuore per le recensioni, le letture, gli inserimenti tra le preferite e le seguite: mi commuovete, siete un pubblico fantastico. Scrivere per me è uno sfogo e un piacere, ma scrivere per un pubblico come voi, attento e partecipe, è un piacere doppio, qualcosa di indescrivibile. Continuate così, miei prodi <3
(Soprattutto dopo il terzo capitolo. Pensavo già che gran parte dei lettori sarebbe scappata, temendo un’azione da troll da parte mia, invece siete rimasti a esprimere i vostri pareri “a caldo” su quanto avevate letto. Siete stati davvero impagabili. E avete fatto bene, perché le sorprese devono ancora iniziare :P)
 
Alla prossima!
Nat

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V
 
Rieccomi tra voi, cari lettori! Il capitolo che state per leggere fa da apripista al prossimo – dedicato al saccheggio di Approdo del Re – per cui sarà un po’ più “di passaggio” rispetto agli altri, ma vedrete in azione sia Rhaegar che Lyanna, come vi avevo promesso. Per ora non aggiungo altro, ci vediamo come al solito a fine pagina per le altre note, e… buona lettura!
 
 
 

“Who I am from the start, take me home to my heart.
Let me go and I will run, I will not be silent.
All this time spent in vain, wasted years, wasted gain.
All is lost, hope remains, and this war's not over.”
[Trading Yesterday – Shattered]

 
 
 




Nel sogno, Rhaegar cammina lungo il cortile di un castello.

Anche se non l’ha mai visitata di persona, sente di sapere dove si trova: quella di fronte a lui è Grande Inverno, una fortezza massiccia dalle torri alte, lo stemma del metalupo grigio che sventola su una bandiera appesa all’ingresso del forte principale. Le montagne intorno sono coperte di neve, che scintilla sugli alberi e sui merli che ornano i terrazzi delle torri, immergendolo in un’atmosfera sospesa, quasi incantata. Fin troppo sospesa, anche per un sogno.
L’attenzione del principe viene attirata da una serie di figure davanti a lui, poco lontane: alcuni uomini vestiti di pellicce e pelli trattate circondano un’altra figura, qualcuno si china verso di lei, altri si limitano a guardarla, restando in piedi. Incuriosito, il giovane si avvicina e finalmente capisce per quale motivo gli uomini si sono raccolti in un capannello: stanno proteggendo una donna riversa a terra, il cappuccio che le copre i capelli e il viso, le mani rosse di sangue che stringono tremanti un fagotto avvolto in una coperta bianca, talmente bianca che si confonde con la neve caduta. L’unica parte della donna a restare scoperta sono le sue mani, ma Rhaegar, stranamente, la riconosce. Sa di trovarsi davanti a Lyanna e allo stesso modo sa che il fagottino che protegge è suo figlio, il bambino che fino a poco fa credeva ancora non nato.
Quasi avesse percepito la sua presenza, la donna si volta e allunga verso di lui la coperta, senza sollevare gli occhi, muta e solenne come le mura del castello che li circonda. Il principe afferra il fagotto con mani tremanti quanto quelle della donna e lo svolge… ma, invece di suo figlio, del suo piccolo erede, si trova davanti un esserino ricoperto di scaglie, un bambino-drago dai riccioli neri e dalle ali membranose attaccate al corpicino, inerme, la pelle che diventa sempre più bluastra a causa del freddo.
Piccolo, indifeso, freddo. Un drago a metà, una creatura miserabile e debole.
Rhaegar vorrebbe gridare, ma dalla bocca non esce nulla: è come se la neve avesse cancellato anche il suono della sua voce, attutendolo, rendendolo muto. Gli uomini si voltano verso di lui e sollevano la donna, che si riprende il bambino e abbassa il cappuccio: è Lyanna, ma non potrebbe essere più diversa dalla fanciulla che ricorda e che ama, così bella e gentile, così forte. Questa versione di Lyanna è pallida e deperita, il vestito strappato all’altezza delle gambe, i capelli disseminati di petali di rose blu ormai secchi.
“Avevi promesso” gli ricorda, mentre due lacrime sottili e fredde tracciano solchi brillanti lungo le guance bianche, più pallide del ghiaccio. Allunga le mani verso di lui e Rhaegar non sa più cosa deve fare, dove deve andare. Le mani della sua donna sono fredde come la neve e lo afferrano, ghermiscono i suoi capelli e il viso, artigliano il suo petto in una morsa disperata…
 
“Altezza?”
Si dibatte ancora, cercando di sfuggire a quella presa. Fa freddo…
“Principe Rhaegar? Siete sveglio?”
Aveva promesso…

Il tocco improvviso di una mano sulla spalla lo fece riscuotere, per fortuna senza gridare. Ci volle qualche attimo prima di abituarsi all’oscurità del luogo in cui si trovava, ma presto i suoi occhi riuscirono a distinguere, nella penombra, qualche particolare della stanza: candele accese, un mobile fornito di sedia, varie ampolle dai colori brillanti allineate sul mobile, una libreria piena di tomi e rotoli. Oltre al viso dell’uomo che aveva appena parlato, un individuo dalla pelle scura e dai capelli altrettanto scuri, con un forte accento di Pentos.
“Altezza, vi siete svegliato finalmente… è una settimana che dormite, temevamo che non vi foste ripreso dalle ferite che vi ha inferto Robert Baratheon...”
Il principe rimase un attimo sospeso nell’eco di quella frase, ma il ricordo degli eventi della settimana precedente lo riscosse immediatamente con violenza. L’ultima immagine che la mente gli riportava era quella del martello da guerra di Robert che gli si abbatteva sul petto e i rubini della sua armatura che si disperdevano nel Tridente, tra le grida degli uomini e il fragore delle armi che si scontravano: una fitta improvvisa tra le costole lo costrinse a distendersi di nuovo.
L’uomo si precipitò a controllare lo stato delle sue ferite, sollecito e attento come poteva esserlo solo un medico, o un Maestro della Cittadella.

“Chi… chi mi ha portato qui?”
“Uno dei vostri uomini, Altezza. Prima di abbandonare il campo definitivamente vi ha visto muovervi nell’acqua accanto alla riva e si è avvicinato per controllare la situazione; appena si è accorto che respiravate ancora non ha perso tempo e ha pensato di condurvi lontano, assieme ad altri soldati del vostro esercito, verso di me. Ha fatto appena in tempo: ancora poco e le vostre ferite sarebbero peggiorate tanto da portarvi alla morte. Ho provato a curarle nel miglior modo possibile, ma dovrete riposare molto se volete riprendere le forze… ragion per cui vi sconsiglio fortemente di affaticarvi, in qualunque modo” terminò, mentre gettava alcuni ingredienti in un piccolo mortaio di pietra e li schiacciava con il pestello.

Rhaegar cercò di identificare il luogo in cui si trovava guardandosi intorno, ma niente di quello che vedeva riusciva a ricondurlo ad un qualsiasi posto di cui avesse sentito parlare, per quanto potesse sforzarsi di fare mente locale. Fu di nuovo il suo guaritore a venirgli in aiuto.
“Restate fermo, devo cambiarvi il bendaggio. Siete doppiamente fortunato che qui attorno si trovino tante erbe medicinali, non so proprio come avrei fatto a preparare questi impacchi ad Approdo del Re, tra la confusione della corte e la guerra alle porte… ecco, bene così. Prima che continui ad occuparmi di voi senza aver avuto nemmeno il buon gusto di presentarmi, rimedio subito: sono Demeter, guaritore della Città Libera di Pentos e alchimista dilettante, incaricato da un mio concittadino e amico di occuparmi del principe ereditario.”
L’uomo gli sembrava sincero. Dopotutto lo stava curando, se avesse desiderato eliminarlo si sarebbe potuto limitare a lasciarlo morire, senza neppure prendersi il disturbo di tentare una cura.
“Non siamo ad Approdo del Re, dunque. Dove mi hanno portato? E… cosa ne è stato del mio esercito? Come si è conclusa la guerra?”
“Siamo nella Valle di Arryn, in un piccolo villaggio dalle parti di Padelle Salate. Secondo il mio buon amico, le montagne sarebbero state il luogo migliore dove nascondervi, almeno finché la situazione non si sia stabilizzata completamente. Per quanto riguarda la guerra…” sospirò, mentre con mano esperta spalmava il cataplasma sulla pelle coperta di ferite del principe “non penso di essere la persona più adatta a darvi notizie simili. Quando tornerà il mio compare potrete rivolgere a lui le vostre domande.”
Rhaegar capì che non avrebbe avuto senso insistere. Si distese nuovamente sul letto e accettò di buon grado le cure, continuando a riflettere sull’identità del “buon amico” nominato da Demeter di Pentos.

 


***
 


“Devo andare, Lya.”

Aveva indossato l’armatura con il drago a tre teste ricoperto di rubini, che scintillavano nella luce dell’alba facendo a gara con il sole nascente. Stava per impugnare la spada, i suoi cavalieri lo aspettavano per scortarlo ad Approdo del Re, la battaglia era vicina e Lyanna ancora non riusciva ad accettarlo.
Le aveva sistemato una coroncina di rose blu accanto al letto, i suoi fiori preferiti. Gli occhi di Lyanna, quel giorno, ne avevano la stessa tonalità: blu come il cielo, velati di grigio come le nuvole che lo ricoprono prima di una tempesta. Vederla lì, le mani appoggiate con delicatezza sul ventre gonfio, un’espressione triste sul viso, gli faceva male quanto saperla lontana.
“Lya, io…”
“Non fare promesse” il sorriso di lei era triste, rassegnato. Il sorriso amaro di chi sa che, una volta partito per la guerra, un uomo non ha più potere sul proprio destino.
“Non possiamo scegliere ciò che succederà. Pregherò per te e ti aspetterò, come ho sempre fatto.”
Rhaegar continuava a guardarla, il cuore stretto dal dolore che gli impediva di respirare normalmente. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, giurare che sarebbe tornato, ma le parole si erano incastrate da qualche parte tra la gola e il petto e non volevano saperne di venire fuori. Cercò di imprimere nella mente il viso di Lyanna, la forma dei suoi occhi, il modo in cui la luce le faceva brillare i capelli scuri, poi si voltò, impedendosi di pensare che quella poteva essere l’ultima volta in cui avrebbe varcato la soglia di quella torre.
Si era diretto verso la porta, incontro al suo destino. Non voleva voltarsi indietro.
Un attimo dopo, si era sentito abbracciare da dietro: Lyanna lo stringeva con tutte le sue forze, per quanto la pancia le impedisse gran parte dei movimenti e la rendesse goffa e fragile come non l’aveva mai vista. Lasciò andare in fumo ogni promessa di restare stoico, distaccato e si voltò per stringerla a sua volta, affondare il viso in quei capelli morbidi e respirare a pieni polmoni il suo profumo di rose, di freddo, di casa. Era rimasto stretto a lei per un attimo che gli era sembrato durare ore, finché il pensiero della battaglia non lo aveva riportato alla realtà: le aveva preso il viso tra le mani e le aveva posato un bacio sulle labbra, delicato e pieno di tutte le promesse che non aveva osato fare ad alta voce.
A volte si chiedeva se non si fosse fatto eccessivamente trascinare dalla Profezia del Principe che Fu Promesso, portando rovina a ciò che aveva intorno in nome di quella vecchia storia. Gli bastava lanciare uno sguardo al viso di Lyanna , ai suoi occhi pieni di forza e al loro bambino per capire che non era così.
Era uscito dalla torre col cuore sempre pesante, ma con una minuscola scintilla di speranza che restava accesa sotto le ceneri della disperazione provata nei giorni precedenti.
Devo tornare, aveva pensato tra sé. Devo farlo per lei e per il nostro futuro, se ce ne resta uno da vivere assieme.
 

 


***
 
 

La stanza intorno a lei girava e girava, come se stesse ballando forsennata e non riuscisse a fermarsi.

Si era appena svegliata dall’ennesimo incubo e la prima immagine che le era balenata davanti agli occhi era stata quella di un uomo vestito di scuro che le sistemava le coperte, il viso segnato dalla stanchezza ma aperto in un sorriso che le era familiare. Non era riuscita ad indagare oltre: un moto di stanchezza improvvisa l’aveva portata a cadere nuovamente addormentata, ripiombando nel disordine di sogni frammentati e brandelli di ricordi che punteggiavano le sue notti.
In lontananza, aveva sentito piangere un neonato. Jon, era riuscita a pensare, stupendo perfino se stessa: come faceva a conoscerne il nome? Eppure, in un piccolo angolo addormentato della mente, sentiva di essere legata a quel bambino, tanto che l’aveva sognato ininterrottamente.
Una volta svegliatasi, poco dopo, i ricordi le erano tornati alla mente tutti assieme, come se qualcuno l’avesse svegliata lanciandole addosso un secchio d’acqua gelata. Rhaegar era al Tridente, il suo bambino era nato, Ned era venuto a salvarla, la guerra ancora continuava, non aveva notizie del compagno… e in quel momento dove si trovava?
Un lieve rumore dalla stanza la fece voltare. Si puntellò sul gomito e suo fratello Ned entrò nel suo campo visivo: aveva appena varcato la soglia della stanza e sembrava essere intento ad armeggiare con delle lenzuola, chino su un piccolo letto che si trovava in un angolo alla sua destra. Appena si accorse che sua sorella era sveglia si precipitò al suo capezzale, ansioso di vedere se le cure avessero sortito qualche effetto. “Lya? Sei sveglia… come ti senti?”
La ragazza riuscì appena ad articolare il suo nome e ad inarcare leggermente le labbra per dimostrargli che lo aveva sentito ed era felice di vederlo, prima di ricadere di nuovo distesa sul letto, ancora non del tutto in forze. Ned le porse una coppa piena di un liquido ambrato e la aiutò a bere a piccoli sorsi.
“Siamo ancora a Dorne. Volevamo portarti a Nord, verso casa, ma non eri in condizioni di viaggiare a lungo, dovevamo farti curare immediatamente… abbiamo trovato chi poteva occuparsi di te e anche una balia per Jon, lui sta bene. Howland ed io abbiamo temuto per la tua salute, hai dormito tantissimo e continuavi ad agitarti… devo riferirgli che ti sei svegliata, ne sarà felice.”
Sul viso di suo fratello, tra le pieghe scavate dall’ansia e dalle notti insonni, si stava facendo strada pian piano il sollievo, sottile ma presente. Ned le aveva sempre voluto un bene dell’anima, Lyanna lo aveva percepito e lo ricambiava con altrettanto affetto: suo fratello era un libro aperto per lei e lei, allo stesso modo, era sempre stata sincera con lui. Tra loro non c’erano segreti e non ce ne sarebbero mai stati.
Una volta che si fosse sentita meglio, avrebbe dovuto confidargli molte cose. Ma non era quello il momento.
Tentò di alzarsi di nuovo, accompagnando quel gesto con un gemito di dolore. Chiunque avesse provveduto a curarla aveva lavorato bene ripulendole le ferite e cospargendole con impacchi di erbe che mandavano un buon profumo, ma si sentiva ancora debole e la testa le girava incessantemente.
Probabilmente dipendeva anche dal fatto che non toccava cibo vero da giorni, ma al momento aveva altro a cui pensare.

“Jon… è qui? Posso vederlo?”

Ned lo prese dalla culla e glielo porse: si era appena svegliato e le aveva puntato addosso gli occhi grigio-azzurri, agitando appena una manina, che la ragazza si portò subito alle labbra. Almeno lui sembrava stare bene, come le aveva detto Ned, era pulito e quasi sicuramente aveva mangiato. Se lo strinse al petto, cercando di colmare il vuoto che sentiva dentro, di recuperare il tempo che aveva trascorso in stato di incoscienza, lontana da lui. Jon restava tranquillo, l’aveva accettata praticamente subito.
“La tua mamma è qui, bambino mio. Ti sono mancata, vero?” gli posò un bacio sulla testa. “Ora ci siamo io, lo zio Ned e lo zio Howland a proteggerti… non devi avere paura di nulla, Jon. Noi ti vogliamo bene, anche il tuo papà te ne vuole.”
Eddard si voltò, a disagio. Aveva sentito delle voci correre per il villaggio, voci che riguardavano la sconfitta delle truppe Targaryen sul Tridente e la morte del principe ereditario, ma non sapeva se dar loro credito o meno. Soprattutto non voleva parlarne con Lyanna, che si stava riprendendo dalle sue ferite ed era ancora in convalescenza. Non le aveva nemmeno parlato della morte di Brandon e del padre… ma non era ancora il momento, pensò, riscuotendosi. Sua sorella cullava piano il figlio, esausta ma felice: non avrebbe mai avuto il coraggio di turbarla ulteriormente.
Jon emise un piccolo lamento che si trasformò presto in un pianto; doveva avere fame. La ragazza tentò di sbottonarsi il corsetto per avvicinarlo al seno, ma si accorse di non avere forze sufficienti. Si morse le labbra e continuò nel suo intento con una mano sola, testarda, finché Eddard non prese gentilmente il braccio il bambino e la dissuase. “Ancora no, Lya. Non sei abbastanza in forze, è meglio che ci pensi la balia, almeno finché non ti sentirai davvero meglio.”
Lyanna si riappoggiò allo schienale del letto, triste. La fatica del parto doveva averle tolto quasi completamente il latte. Non era certo colpa sua, eppure si sentiva inutile, come se avesse negato di sua volontà le cure al bambino. Quasi inavvertitamente, piegò gli angoli della bocca all’ingiù e aggrottò la fronte, facendo il broncio: bastò quel gesto a far ridere suo fratello come un ragazzino.
“Non fare quella faccia, sembri una di quelle rane che possono trasformarsi in umani, quelle dei racconti della vecchia Nan!”
Lyanna rise a sua volta. “Una rana? Io, la Lady di Grande Inverno, sarei una rana delle favole? Certo che ne hai di coraggio, lupacchiotto spelacchiato!”
Il fratello scansò il pugno affettuoso che la ragazza aveva tentato di affibbiargli e le porse di nuovo il bambino. Non poteva allattarlo, ma finché non fosse arrivata la balia poteva tenerlo quanto voleva.
“Tieni, ranocchia-lupo. Il tuo cucciolo ha bisogno di te.”
Guardando sua sorella cullare Jon con amore si chiese quanto potesse pesarle sulle spalle la mancanza del suo compagno (il padre di suo nipote… suo cognato), qualunque sentimento o vincolo potesse averli legati dal giorno del Torneo di Harrenhal a quel momento.
 



***
 


L’aveva visto allontanarsi, le spalle dritte di chi non teme il proprio destino. Lo aveva sentito raggiungere il piano più basso della torre, allontanarsi al galoppo coi suoi uomini lasciandosi alle spalle una nube di polvere e di parole non dette.
Lyanna lo aveva accompagnato con lo sguardo fin dove le era stato possibile, fino a che non era diventato una macchia rossa e nera in lontananza, un puntino che svaniva sempre più velocemente. Aveva trattenuto le lacrime fino alla fine, ma non era bastato a impedire che scivolassero giù dai suoi occhi e le bagnassero le labbra, il collo, i capelli scuri che ancora reggevano la rosa che Rhaegar le aveva posato tra i ciuffi. Piangeva per il suo principe lontano, per la direzione che avevano preso le loro vite… o forse piangeva per se stessa e per suo figlio, chi poteva dirlo? Sapeva solo di non riuscire a fermarsi, inginocchiata in un angolo di quella stanza fredda, la pietra che le addormentava la ginocchia e intorpidiva pian piano i suoi sensi.
Più tardi avrebbe incolpato la gravidanza per quel pianto ininterrotto, si sarebbe asciugata le lacrime quasi con rabbia, promettendo a se stessa che non ci sarebbe caduta più, che una donna del Nord doveva essere forte e superare tutte le avversità a testa alta. Si sarebbe ricomposta sedendosi sul letto, ma il pensiero di Rhaegar non l’avrebbe abbandonata nelle notti a seguire, nemmeno per una volta.

Se lui doveva vincere per tornare da lei, lei avrebbe dovuto sostenere entrambi.
 

 
 





Noticine di Nat
Il prossimo capitolo sarà molto più d’azione rispetto a questo, promesso!
Scherzi a parte, siamo nella cosiddetta fase di “calma prima della tempesta”: il prossimo capitolo sarà dedicato al saccheggio di Approdo del Re, evento che nella realtà della storia dovrebbe avvenire a distanza di settimane o mesi dal Tridente ma che, per ragioni di tempi da ridurre, ho dovuto anticipare un po’. Spero che la storia non ne risenta, anche perché per ragioni di what if ho apportato qualche cambiamento qua e là. Come vi ho ripetuto spesso nelle risposte alle recensioni, sono davvero felice di avere la possibilità di “muovere” sia Rhaegar che Lyanna e di farli interagire con Jon, per questo ho deciso di mantenere gli eventi più o meno simili alla realtà ma non troppo, per darmi la possibilità di combinare i loro incontri in maniera plausibile… e non potete immaginare quanto mi diverta e mi soddisfi scrivere su di loro e ricevere il vostro feedback. Penso che non vi ringrazierò mai abbastanza, davvero.
Un grazie speciale a voi che leggete e basta, ai miei fedeli recensori e ai nuovi arrivati che hanno inserito la storia nelle seguite e nelle preferite. Siete tutti eccezionali <3
Alla prossima, allora!
Nat

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI
 
Buonsalve a voi, amici lettori! Questa volta non dirò nulla: mi limiterò ad augurarvi buona lettura e ad aspettarvi in fondo al capitolo per le solite noticine post-storia.
 

 


“Se danzi con i draghi, rischi di finire bruciato.”
[George R.R. Martin – Il Cavaliere Misterioso]
 
 
 


Approdo del Re
Sacco della città
 




Mai, nemmeno nei suoi incubi più sfrenati e spaventosi, Jaime Lannister avrebbe pensato di vedere Approdo del Re messa a ferro e fuoco. Eppure, lo spettacolo che i suoi occhi gli offrivano era quello di una città completamente in subbuglio: gente che correva e fuggiva via, le truppe Lannister che la assaltavano, caos, grida, disordine. Uno scenario spaventoso, da cui chiunque con un po’ di buon senso si sarebbe immediatamente ritirato.

Non aveva idea di come fossero cambiate le alleanze, rifletté mentre correva per i corridoi della Fortezza Rossa, diretto alla Sala del Trono (dove gli aveva detto di recarsi il Gran Maestro Pycelle, che aveva incontrato poco prima); sapeva soltanto che quelli che una volta erano alleati della Corona erano appena diventati nemici e invasori che appoggiavano la causa di Robert Baratheon, vincitore della Battaglia del Tridente. La notizia della morte del principe ereditario si era sparsa fin troppo presto ed era stata un duro colpo da mandare giù, sia per la sua famiglia che per lui, che lo ammirava e si era sempre sentito onorato di servirlo, ma non avevano avuto il tempo di piangerlo, né di preparare una qualunque commemorazione: in pochi giorni le truppe erano arrivate e l’assedio era iniziato.
Continuò a correre, spaventato dal clamore. Avrebbe voluto sincerarsi sulla sicurezza della principessa Elia e dei suoi bambini, ma non poteva disobbedire agli ordini del re e commettere un’insubordinazione proprio in un momento tanto delicato. Poteva solo sperare che le donne di servizio sapessero chi chiamare in caso di pericolo, almeno nel lasso di tempo necessario ad ascoltare ciò che Sua Maestà aveva da dirgli.
Arrivò trafelato alla Sala del Trono, la cui porta era già aperta: al suo interno, re Aerys e il suo nuovo Primo Cavaliere, il capo dei Piromanti Rossart, sembravano impegnati in una discussione molto animata. Non ci volle molto per capire cosa riguardasse: il re doveva aver capito che i Lannister non erano più amici della Corona come una volta.

“… Non mi interessa quanto tempo ci voglia, devi portarmi quanto più altofuoco possibile, chiaro? L’intera scorta deve essere al mio servizio, dalla prima all’ultima boccetta! Questa città deve bruciare, non esistono altre soluzioni. Brucerà dalla prima all’ultima pietra, grazie al fuoco del drago verrà purificata e risorgerà dalle sue ceneri, ripulita dalla feccia che ha finto di servirmi con lealtà e che invece tramava alle mie spalle… hai capito? Bruceranno tutti, brucerà tutto quanto!”
Jaime fece la sua apparizione al centro della stanza, la spada ben stretta al fianco a fornirgli la sicurezza che sentiva scivolare via ogni volta che si trovava al cospetto del re. L’uomo gli puntò addosso gli occhi, se possibile ancora più febbrili e spaventosi dell’ultima volta in cui li aveva visti.

“Ragazzo? Sei qui, finalmente… devo affidarti un compito che solo tu puoi portare a termine, in quanto membro delle mie Guardie Reali. Non hai compagni per aiutarti nell’impresa, ma nessuno meglio di te potrà fare quanto ti chiedo.”

Le braccia di Jaime si tesero per il nervosismo. Un grido di donna risuonò forte e chiaro per le mura del castello: un urlo disperato, terrorizzato.

“Le truppe Lannister stanno marciando per la città, per la mia città. La stanno distruggendo, ormai è stata messa a ferro e fuoco e nessuno potrà fermarli, se non il fuoco del drago… tu però non devi preoccuparti per loro, saranno i miei alchimisti a sistemarli. Ho bisogno che mi porti la testa del traditore, di chi ha ordito questo assalto in nome dell’usurpatore che ha assassinato mio figlio... devi uccidere Tywin Lannister per me.”
Il grido di donna continuava a diffondersi, più violento, ancora più angosciante che in precedenza. Il ragazzo avrebbe voluto mettersi le mani sulle orecchie e scappare via, ma non poteva farlo davanti al suo re, non ora che gli aveva fatto una richiesta impossibile da soddisfare, un omicidio che non avrebbe mai, mai potuto compiere…

“Cos’hai, ragazzo? Sei diventato sordo, forse? Ti ho detto di andare a cercare tuo padre e di ucciderlo, è questo che ti ordina il tuo re. Portami la sua testa e sarò sicuro della tua fedeltà, ti metterai in salvo assieme alla corte e guarderai con me la città bruciare e purificarsi, libera dai parassiti che la abitano. La giustizia verrà amministrata da me e dai draghi, come è sempre successo da quando la dinastia Targaryen è al potere!”

Re Aerys si era alzato dal Trono e aveva preso a girare per la stanza, farneticando e scuotendo le mani, tanto che perfino il suo Primo Cavaliere si era ritirato in un angolo, a disagio. In quanto a Jaime, era rimasto paralizzato al centro della stanza, la mano sull’elsa della spada, i nervi tesi come le corde di un liuto.
“Puoi andare, Rossart, conosci il tuo incarico: entro la prossima ora tutto l’altofuoco di cui disponi dovrà essere portato in questa stanza. In quanto a te, ragazzo…”

Da qualche parte, un bambino stava piangendo: Jaime ne sentiva le grida, forti e chiare come se si fosse trovato nella stanza di fianco alla sua. Qualcosa di terribile stava succedendo nella fortezza e lui era lì, davanti al suo sovrano che gli aveva appena chiesto di assassinare suo padre senza battere ciglio, gli occhi ancora pervasi da una luce sinistra, quasi diabolica.
Al pianto del bambino si erano aggiunte le grida di una bambina, anche quelle disperate, talmente alte di tono da fargli scendere il sudore gelido lungo la schiena.
La principessa Elia. Rhaenys. Il piccolo Aegon…

“Mi stai ascoltando, ragazzo? Vai ora, subito! Portami la testa di Tywin Lannister!”

In seguito, a Jaime sembrò che il tempo si fermasse, cominciando a scorrere al rallentatore, immerso in una nebbia irreale che falsava le sue percezioni come in un sogno. Ricordava di aver sguainato la spada quasi automaticamente, come se il suo braccio si fosse mosso da solo verso l’elsa, e di aver fatto qualche passo avanti, più vicino al re che continuava a muoversi scuotendo le braccia, gridando ordini e maledizioni contro chi non poteva rispondergli. Era stata sempre quell’atmosfera ovattata ad accompagnarlo in ogni suo passo, anche quando pochi metri separavano il giovane cavaliere della Guardia Reale da Aerys, il Re Folle, l’uomo che avrebbe dovuto proteggere i Sette Regni ma che aveva appena dichiarato di voler bruciare la capitale completamente, fino alle fondamenta.

Era stata quell’atmosfera irreale a velare le parole dell’uomo, i suoi gesti spazientiti, la voce gracchiante con la quale aveva annunciato di volerci pensare da solo. Mentre scendeva la piattaforma del Trono e spingeva il ragazzo da una parte, nella mente di Jaime si era introdotta un’idea folle quanto la mente del sovrano, un’idea spaventosa eppure concreta, reale, tanto concreta da apparirgli l’unica soluzione possibile per salvare suo padre e la città. Aveva sentito la mano della spada pulsare, l’acciaio freddo che gli faceva sudare il palmo e lo spingeva ad agire e aveva voltato lo sguardo verso quello che avrebbe dovuto essere il suo re, la persona che doveva infondergli fiducia e rispetto: un uomo dall’aspetto incredibilmente malmesso e sporco  che avanzava a fatica verso il centro della sala, le membra convulse, le unghie lunghe come gli artigli di una belva.

La regina Rhaella aveva gridato, quella notte. Aveva pianto e urlato, l’aveva implorato di smettere, di non farsi sentire dal principe Viserys che dormiva poco lontano dalla loro camera, gli aveva chiesto di non farle del male. Lui l’aveva ignorata e aveva disposto del suo corpo come ne disponeva sempre, umiliandola, ferendola. Neppure quella volta  Jaime era potuto fuggire via, tappandosi le orecchie e dimenticando: i cavalieri della Guardia Reale dovevano proteggere la famiglia del re ovunque e quella sera lui e Ser Barristan Selmy erano di pattuglia davanti ai loro appartamenti. Non possiamo fare nulla per fermarlo, aveva detto il cavaliere più anziano. Dobbiamo proteggere la regina, ma non da suo marito.
Lei sta soffrendo, aveva ripreso Jaime. Non può farle del male, è sua moglie. Ser Barristan, però, non gli aveva risposto.
La regina Rhaella era sempre stata dolce e gentile, bella e luminosa come una pietra di luna. Eppure, non aveva ricevuto amore in cambio delle sue premure.
Fu un attimo: quasi non si accorse della spada puntata verso la schiena del re. Poi affondò, e il mondo esplose in una miriade di schegge luminose, dolorosamente reali.
Un affondo, un grido spezzato e un secondo dopo re Aerys era a terra, rantolava, gridava aiuto con voce sempre più debole, sempre più sommessa, un grido che si esauriva e si confondeva nella nebbia che aveva accompagnato il ragazzo e che solo in quel momento si diradava, mostrandogli ciò che era successo: il re stava morendo. L’uomo che l’aveva spaventato, che aveva terrorizzato la moglie, i propri figli e gran parte della corte con le sue azioni avventate era ai suoi piedi, una ferita sanguinante sulla schiena.

Aerys Targaryen, secondo del suo nome, giaceva a terra esanime, mentre in città si scatenava l’inferno.

È morto, è morto, è morto continuava a ripetergli la sua mente, scuotendolo, colpendolo con la violenza di uno schiaffo. Da qualche parte dentro di lui, qualcuno gridava a gran voce, senza fermarsi.

L’ho ucciso io.
 

 


***
 
 

Nel trambusto generale, nessuno si era accorto dell’uomo che fuggiva.
Incappucciata, la figura completamente coperta dal mantello, si faceva strada per i vicoli e le stradine dei bassifondi che gli abitanti chiamavano Fondo delle Pulci, una bagarre di venditori ambulanti, bambini seminudi e affamati, animali da cortile a piede libero, taverne e squallidi caseggiati fatiscenti. Nessuno lo avrebbe riconosciuto – per sua fortuna – e nessuno lo aspettava, se non un locandiere con barba e capelli scuri, in piedi davanti alla porta del suo negozio.
I due si scambiarono un semplice cenno del capo. La figura incappucciata si limitò a scoprirsi appena gli occhi, mentre l’uomo gli faceva strada all’interno della locanda e lo conduceva in un retrobottega buio, arredato con un vecchio tavolo, una sedia e un letto dall’aria misera.
“I due piccoli di drago sono morti. I leoni presto saranno qui e il cervo reclamerà il trono.”
L’uomo scosse la testa, indicando il letto alle sue spalle. Nessuno poteva sentirli: il popolo era in subbuglio, nelle strade le grida si alternavano al nitrito dei cavalli e all’abbaiare dei cani. “Ho fatto quanto chiedeva, mio Lord… il bambino è lì, in quella coperta. Una delle mie sguattere ha appena avuto un figlio, è lei ad occuparsi della sua alimentazione, ma non ho idea di quanto durerà la protezione garantita da questo nascondiglio...”
L’uomo incappucciato mise fine alla sua titubanza porgendogli un sacchetto pieno di monete. “Non servirà più: io e lui leveremo il disturbo tra poco. Questo è per la vostra generosità, mi rammarico di non potervene dare di più, ma… al momento la situazione al palazzo è alquanto travagliata, come immaginerete” si esibì in un sorriso di circostanza. “Avete fatto fin troppo per noi, vi ringrazio. Anche il Continente Occidentale intero vi ringrazierà, un giorno.”
La figura incappucciata prese con sé il fagottino disteso sul letto e lo coprì con le maniche ampie dell’abito, nascondendolo alla vista del mondo esterno. Uscì dalla taverna e si gettò nuovamente nel disordine della città, il bambino dai radi capelli argentati che dormiva tra le sue braccia, incurante di quanto succedeva attorno a lui.
 

 
 
***
 


La luce del tramonto illuminava in pieno il Trono di Spade, facendo brillare sinistramente le lame che lo componevano, come se ancora grondassero sangue. Chissà cosa aveva pensato Aegon il Conquistatore al momento di dare l’ordine di raccogliere le spade per fondere quel trono, pensava Jaime di tanto in tanto. Chissà se aveva mai pensato a quante persone avrebbero bramato quel posto a sedere irto di punte e di morte, chissà se avrebbe mai immaginato che un suo discendente ne sarebbe stato talmente ossessionato da non curare nemmeno i tagli e le ferite che il Trono gli procurava. Chissà, pensava Jaime Lannister tra sé e sé, mentre Robert Baratheon faceva il suo ingresso nella sala del Trono, lo stendardo giallo e nero col cervo simbolo della sua casata alto e visibile.

Suo padre restava in piedi poco distante da lui, incurante del sacrificio che era stato necessario a salvargli la vita. Non aveva detto nulla a Jaime riguardo al cadavere di re Aerys ai suoi piedi, non gli aveva rivolto sguardi di rimprovero o espressioni esterrefatte, non aveva gridato né parlato in generale: lo aveva squadrato semplicemente coi suoi occhi freddi, senza aggiungere nulla. Jaime dubitava che avrebbe cambiato atteggiamento, neppure se gli avesse rivelato che il re aveva richiesto la sua testa come prova di fedeltà al suo figlio primogenito e che, per quello, lui lo aveva ucciso.
Poi era entrato Robert Baratheon, e Tywin aveva tolto l’udienza. Ora il suo sguardo era rivolto all’uomo che percorreva la stanza a grandi passi, l’armatura indosso, l’incedere sicuro di chi sa di aver vinto una battaglia conclusiva e di avere diritto ad un premio molto importante. Ma Robert non ebbe tempo di dire nulla: la porta si spalancò di nuovo e fecero il loro ingresso due cavalieri, Amory Lorch e Ser Gregor Clegane, un uomo enorme che faceva parte di una casata alfiere di quella Lannister.
Clegane era soprannominato “Montagna che Cavalca” per una ragione valida, osservò il ragazzo mentre i due si facevano strada e si inchinavano al cospetto di Robert Baratheon. L’uomo portava tra le braccia due stendardi Lannister arrotolati che sembravano nascondere qualcosa al loro interno, due involti rosso porpora e oro, tutti macchiati, che depositò a terra a mo’ di omaggio al loro nuovo signore.
Quando li svolse, Jaime si accorse con orrore che erano imbrattati di sangue. Tra le pieghe spuntavano due volti, visi di bambini. Due piccoli visi pallidi, le labbra tese, una manina che pendeva inerte, bianca in maniera spaventosa, irreale.
Aegon e Rhaenys Targeryen, i figli del principe ereditario.
Jaime avrebbe voluto gridare, dire qualunque cosa, ma si accorse di non avere più voce: se n’era andata del tutto, come se anche le parole si rifiutassero di assistere ad uno spettacolo simile.
“La progenie del Drago si è estinta. I due figli di Rhaegar Targaryen e la principessa Elia Martell di Dorne, sua moglie, sono morti. Nessun Targaryen vivo calpesta più i pavimenti della Fortezza Rossa... Vostra Maestà, Lord Robert Baratheon.”
“Lunga vita al re” aveva risposto Lorch di rimando, un sussurro appena udibile.
Sulle labbra di Tywin Lannister era apparso un sorriso calcolatore, gelido. Il ragazzo non aveva idea se fosse stato lui a ordinare la morte di quei bambini, se effettivamente avesse avuto o no un ruolo in quella vicenda, ma di una cosa era certo: sapeva esattamente come ingraziarsi il favore del nuovo re. L’uomo che stava preparandosi a sedere sul Trono di Spade e che osservava la scena davanti ai suoi occhi compiaciuto, neppure un’ombra di pietà ad adombrarli.
Un attimo dopo, suo padre aveva ripreso il solito cipiglio di sempre, immobile come una statua di sale, il viso imperscrutabile: difficile dire cosa gli passasse per la testa, se si sentisse sollevato per l’affermazione appena uscita dalle labbra di Ser Amory o se fosse rimasto indifferente, come lo era di fronte a qualunque cosa capitasse intorno a lui. Robert Baratheon era acceso di un misto tra furia gelida e un cieco trionfo, come se quei due piccoli, miseri cadaveri fossero un prezzo adeguato alla sua vittoria, ma non sufficiente. In quanto a Jaime, sentiva di aver fatto degli sforzi infiniti per contenere tutto ciò che provava: terrore, incredulità per quanto era successo al re, rabbia, angoscia, il nulla più totale. Tutti quei sentimenti si erano fusi insieme e si erano trasformati in un’apatia più pericolosa, più spaventosa ancora del terrore o della rabbia, un sentimento che non conosceva e che lo disorientava.

Cosa avrebbe detto il principe Rhaegar, del fatto che i suoi figli e sua moglie erano morti? E poi lui, lui aveva ucciso suo padre, il re. Lo aveva trapassato con una lama, lo aveva ucciso perché non gli chiedesse più la testa di Tywin Lannister, perché non bruciasse la città fino alle fondamenta.

Poi ripensò a quanto era successo al Tridente e seppe che il principe non lo avrebbe mai rimproverato, né punito in alcun modo. Avrebbe dovuto fare i conti con le conseguenze delle sue azioni da solo.
 

 
***
 


Le ombre nella sala del Trono si addensavano negli angoli, popolandoli di spettri e figure spaventose, colorandosi ora di rosso, ora di nero. Tra quelle ombre una lo osservava con sguardo penetrante, gli occhi ancora accesi di una luce febbrile, le mani che scuotevano l’aria fendendola, tagliandola. Re Aerys gli posava gli occhi addosso, ma quando parlava, era un’altra la voce che gli usciva dalle labbra secche, ben diversa da quella che aveva avuto in vita, più dolce e malinconica, triste.
“Avevi promesso di tenerli al sicuro” gli diceva il principe Rhaegar e abbassava lo sguardo, sconfitto. Poi se ne andava e la stanza restava buia, fredda come quando Jaime l’aveva varcata per la prima volta, durante quella giornata. Fredda e buia come se ci fossero solo il ragazzo e l’ombra del principe al suo interno, come se Tywin Lannister, i due uomini e Robert Baratheon non avessero importanza, nient’altro che burattini in scena sul palco di un burattinaio annoiato e amante delle avventure di guerra. Crudele, insensibile, non umano.
Jaime chiuse gli occhi e li distolse immediatamente dal Trono, a disagio. Suo malgrado, si ritrovò a pregare affinché quella promessa infranta non venisse mai alla luce, perché nessuno scoprisse quanto era successo quel giorno al giovane cavaliere che aveva giurato di proteggere la famiglia del suo principe, fallendo nel tentativo.

Insieme a quella promessa, era morta la parte migliore di lui.
 
 

 
 
 



Noticine di Nat
Ed eccoci al saccheggio di Approdo del Re, come vi avevo promesso: avrete notato che rispetto alla storia originale non è cambiato molto, per ragioni di elasticità della trama ho dovuto mantenere più o meno tutto simile. Non potete capire quanto mi abbia pianto il cuore far uccidere sia Rhaenys che Elia, sono due bei personaggi che meriterebbero di essere approfonditi e trattati quanto gli altri… il problema è che non avrei potuto comunque includerle negli sviluppi successivi della storia per ragioni sia logistiche che di svolgimento, per cui ho dovuto scegliere di mantenere uguale la loro “sparizione”. Sob ç_ç
In questo capitolo avete rivisto anche Jaime e Aerys,che si ritrovano a confrontarsi nella mia versione dell’assassinio del re: la scena in se mi ha fatto abbastanza tribolare, ho sempre l’impressione di non riuscire a cogliere abbastanza bene i loro caratteri, diversissimi e parecchio complessi… ma, come sempre, lascio a voi il verdetto e spero che anche questo capitolo vi abbia colpiti e soddisfatti come i precedenti!
Vi ringrazio ancora per la pazienza con cui mi seguite, per gli inserimenti della storia tra le seguite/preferite e per i vostri feedback, tutti fantastici. Mi riempite di gioia <3
Alla prossima, allora!
Nat

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII
 
 



“Running around, searching, looking for something to find
while I'm still here waiting for you,
do you see me at all my sweet love?”
[L’aura – Today]
 
 
 
 
 


In viaggio verso Grande Inverno
quasi un mese dopo
 
 



Il paesaggio intorno a Lyanna non smetteva di stupirla: gli alberi avevano ormai preso i colori dell’autunno, tingendosi di rosso e oro e marrone con tanto vigore da sembrare gareggiare a chi mostrava il fogliame più bello e più ricco. Erano appena ripartiti da Delta delle Acque, ma non avevano fretta, la loro piccola carovana procedeva al passo e, per la prima volta dopo tantissimo tempo, la ragazza si sentiva in forze.
Le sue ferite erano guarite, ma non poteva ancora sforzarsi troppo. Erano ripartiti da Dorne portandosi dietro la balia di Jon, con la raccomandazione del vecchio Maestro che l’aveva curata di pulire spesso le ferite e di non fare follie per non peggiorare le sue condizioni di salute, raccomandazione che Lyanna aveva faticato ad ascoltare: le sarebbe piaciuto tantissimo cavalcare a briglia sciolta per le pianure, il vento nei capelli, almeno per dimenticare per un po’ le paure che le attanagliavano lo stomaco… ma aveva promesso a Ned che si sarebbe comportata bene e così sarebbe stato. Suo fratello se lo meritava, anche Jon lo meritava.

La sera prima avevano alloggiato al castello dei Tully a Delta delle Acque, la famiglia della moglie di Ned, Catelyn. L’accoglienza era stata eccellente, il banchetto in loro onore ottimo, Hoster Tully e suo figlio Edmure erano brave persone, eppure Lyanna ancora non riusciva a sentirsi a suo agio, come se nessun posto potesse portarle lo stesso conforto che le avrebbe dato Grande Inverno. La nota più piacevole della serata era arrivata quando Catelyn aveva presentato loro il piccolo Robb, un bambino di un anno dai ricciolini rossicci e gli occhi grandi ed espressivi, che la donna adorava: era bastata un’occhiata per capire che anche suo fratello se n’era innamorato all’istante. Era la prima volta che a Lyanna capitava di vedere Ned alle prese con un bambino che non fosse il nipote e il modo in cui l’aveva preso in braccio e aveva sorriso nel vedergli tirare con interesse qualche ciocca di capelli le scaldava il cuore anche a distanza di ore. Non conosceva suo fratello sotto quell’aspetto, ma l’idea di aver affidato la sua vita e quella del figlio alle sue cure la rendeva felice. Ned è un brav’uomo, aveva detto a Catelyn Tully, ora Stark. Ti sarà fedele, crescerà tuo figlio e quelli che verranno dopo nel migliore dei modi. So che soffri ancora per Brandon e che eri promessa a lui, anche Ned soffre per lo stesso motivo, anche io lo vorrei ancora con noi… ma tuo marito non ti farà mai mancare nulla. Mio fratello è un uomo meraviglioso.

Ned l’aveva presa da parte e le aveva raccontato quanto era successo al padre e al fratello, cercando di trovare le parole giuste e di non farla soffrire più del necessario con i dettagli. Era stato un colloquio teso, al termine del quale Lyanna non aveva detto nulla: trattenendo le lacrime, i pugni stretti, aveva chiesto se Brandon o suo padre avessero sofferto. Ned non aveva risposto, si era limitato a guardarla per un attimo negli occhi e a stringerla in un abbraccio subito dopo, cancellando la distanza che quel segreto aveva posto tra loro.
Era stato semplice aprirsi e raccontargli quanto era successo durante la sua fuga, da quel momento in poi. Ned aveva il diritto di sapere e Lyanna gli aveva detto la verità, senza omettere nulla, esprimendo l’amore che provava per Rhaegar con tutta se stessa. Era così fiera, così bella nel suo difendere la loro storia, che l’uomo non aveva fatto nessuna fatica a crederle. Rhaegar Targaryen gli aveva sempre dato l’impressione di un uomo gentile e di un cavaliere di valore, stessa immagine che avevano di lui molti lord e suoi amici, non avrebbe mai potuto commettere atti violenti contro di lei, di nessun genere. L’unico a disprezzarlo e a crederlo veramente capace di un rapimento contro la volontà di una giovane di alto lignaggio era Robert, ma sia Lyanna che Eddard sapevano benissimo che il suo parere non era dei più attendibili.

“Robert ti ama davvero, Lyanna, questo posso assicurartelo. Il suo unico problema è che, beh… ti ha idealizzata. Pensa di avere a che fare con una delicata donzella dagli occhi grandi e dalle maniere impeccabili e cerca platealmente di ignorare il tuo sangue di lupo, quello che ti fa preferire l’arco e le galoppate nei boschi al ricamo e alle lezioni di danza, per intenderci” l’uomo arricciò le labbra, divertito. “Ma questo non vuol dire che non ti ami. Il problema è che non sarà mai ricambiato.”

Lyanna si era stretta le mani in grembo, tesa. Ne aveva discusso tante volte col fratello, eppure temeva sempre che l’amicizia tra lui e Robert potesse, in qualche modo, condizionare i suoi ragionamenti riguardo a quella questione: “Ned… se c’è una cosa che amo e che ho sempre amato di Rhaegar, è proprio il fatto che mi abbia vista per quello che ero. Non avevo bisogno di indossare maschere con lui, né di fingermi un’altra o giocare alla piccola lady elegante solo per fare bella figura. Sapevo benissimo che era già sposato e che mai avremmo potuto essere uniti da qualcosa di più di un semplice matrimonio simbolico, eppure ho vissuto quei mesi insieme con gioia, senza preoccuparmi di nient’altro che non fossimo noi due. Gli Déi soltanto sanno quanto sia stata stupida… ma ero felice, Ned. E ora ho Jon con me, l’unica cosa che mi rimane di quel periodo trascorso insieme. Siamo stati incoscienti, eppure per nulla al mondo sceglierei di tornare indietro e di rifiutargli quel bacio nel Parco degli Déi, durante uno dei nostri incontri segreti. Robert non avrebbe mai potuto rendermi così felice … lui ama la Lyanna che pensa di vedere, non quella che sono realmente. E io sono molto di più di un paio di occhi e un corpo da ragazza.”
Testarda e forte, la sua ragazza-lupo. Questa è la Lyanna che ricordavo, pensò Ned.

“Ma ora Rhaegar non c’è più. Riuscirai a vivere senza di lui?”

Le aveva raccontato del Tridente, di quello che aveva sentito dire, delle voci che gli erano arrivate. Se sua sorella aveva affrontato con forza la notizia della morte del padre e del fratello, questa l’aveva messa in ginocchio: aveva abbracciato di nuovo Ned, un abbraccio in cui il fratello aveva potuto percepire per intero la sua disperazione, il dolore che la pervadeva e la scuoteva mentre singhiozzava sulla sua spalla.
Erano anni che non vedeva piangere Lyanna in quel modo; avrebbe preferito non doverla più consolare, ma allo stesso tempo era felice di essere lì, di poterle sussurrare all’orecchio che le voleva bene e che per lei ci sarebbe stato, come sempre, fin da quando erano bambini. Avevano pianto insieme i loro morti e si erano fatti forza, dandosi coraggio. Lyanna non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza.
“Ho Jon e ho voi… non sono sola, almeno non completamente. E poi, te l’ho detto Ned: dentro di me, sento che Rhaegar non è morto. Non saprei spiegarti perché, è più una sensazione che una certezza vera e propria… ma sento che qualcosa non è andato come ti hanno detto, che lui è ancora tra noi. E se gli Déi lo vogliono, prima o poi ci incontreremo di nuovo.”
Subito dopo aver concluso quel discorso aveva preso in braccio il figlio e lo aveva cullato, come faceva sempre quando il suo pianto la spingeva a dedicargli attenzioni con più urgenza del solito. Jon era tranquillo, tranne quando sentiva sua madre alzare la voce o lamentarsi: in quei casi diventava irrequieto e difficile da rilassare, a meno che Lyanna non gli parlasse per calmarlo. Neppure il latte della sua nutrice serviva a farlo stare meglio, se prima la madre non lo teneva un po’ in braccio.

La serata era proseguita in maniera più serena, allietata dalle chiacchiere riguardanti il matrimonio tra la sorella di Catelyn, Lysa, e Jon Arryn e varie altre notizie su banchetti e unioni tra lady e lord di alto lignaggio, chiacchiere che riempirono il silenzio che Lyanna sentiva dentro come una canzone suonata da lontano. Quella notte l’aveva trascorsa dormendo profondamente, senza sognare, il che era anche meglio, dopo tutti gli incubi angoscianti che aveva fatto in passato. Al suo risveglio si era preparata ed erano subito partiti per il Nord: a loro si erano uniti anche Catelyn e il piccolo Robb, pronti a dirigersi vero quella che sarebbe stata la loro nuova casa.
Il suo cavallo procedeva al passo, dandole la possibilità di poter ammirare la natura che la circondava. Non erano lontani dal Tridente, il che la fece tornare con la mente al discorso su Rhaegar che aveva avuto con Ned qualche giorno prima. Anche quando la tristezza minacciava di attaccarsi al cuore e di iniziare a morderlo coi suoi denti avvelenati, restava della stessa idea: qualcosa, dentro di sé, le diceva che il suo compagno era ancora vivo.
 

 


***
 


Grande Inverno
qualche tempo dopo
 


Non le era sembrato vero di poter poggiare di nuovo il piede sul pavimento del cortile di Grande Inverno, così solido, così reale da renderla felice fino a commuoverla. Eppure, erano finalmente arrivati: il freddo le pizzicava la pelle senza ferirla, come a volerle dare un benvenuto discreto, gli alberi agitavano delicatamente le fronde, un filo di fumo si alzava dal camino delle cucine… tutto era meravigliosamente uguale a quando l’aveva lasciata, prima del Torneo di Harrenhal che aveva cambiato così drasticamente la sua vita, le loro vite.
Non riuscì a trattenersi dallo smontare da cavallo e correre ad abbracciare la vecchia Nan e Maestro Luwin, lì nel cortile per dare loro il benvenuto, entrambi felicissimi di vederli arrivare. L’anziana balia continuava ad accarezzarle i capelli e a chiederle se stesse bene e se avesse mangiato a sufficienza, il Maestro si era limitato a sorriderle e a posarle una mano sulla spalla, un gesto familiare e affettuoso che le mancava da tanto, troppo tempo.

“Eddard mi ha già scritto di suo figlio e del tuo bambino. Sono impaziente di vederli e di assicurarmi che siano in salute, soprattutto il tuo Jon. Mi concederai un attimo di tempo anche per visitare te, bambina?”
Lyanna strinse la mano del Maestro e gli regalò uno dei suoi sorrisi più belli, più puri e felici. Un raggio di sole che asciugava le ultime gocce di pioggia dopo un temporale devastante.

“Certo che potrete farlo. Io e Jon stiamo bene, solo che non può contare su di me per quanto riguarda il suo nutrimento… ho sofferto troppo durante il parto” abbassò gli occhi, quella vergogna sottile e strisciante che aveva provato in precedenza tornava a riaffacciarsi. “Non ho più latte da dargli, abbiamo dovuto portare con noi una ragazza che si occupi di lui. Mi dispiace tantissimo.”

L’uomo le aveva accarezzato una guancia per consolarla. “Non ti crucciare. Siete vivi, no? L’importante è quello, Lyanna. Ricordalo sempre. siete stati fortunati, e noi siamo fortunati a riavervi qui.”

Non avevano parlato molto, ma erano bastate quelle poche parole piene d’affetto da parte di una persona cara a farla sentire meglio, almeno per un pochino. Le aveva conservate nel cuore, ripensandole mentre si dirigeva verso le stalle per cercare qualcuno che le era mancato quanto i suoi amici e familiari: una creatura dal manto grigio e bianco, candida come la neve ma allo stesso tempo impetuosa, come le tempeste che gli abitanti del Nord avevano imparato a conoscere fin troppo bene. Il suo cavallo preferito, dono di suo padre per uno degli ultimi compleanni che aveva trascorso con lei, la bella purosangue che rispondeva al nome di Visenya e che l’aveva salutata immediatamente con un nitrito, come se il loro ultimo incontro risalisse a poche ore prima. Lyanna rimase ad accarezzarla per dei minuti interi, sfiorandole le orecchie, spostando la criniera grigia che le cadeva sugli occhi scuri, cercando di riprendere contatto con la vita che si era lasciata indietro e che finalmente era venuta a reclamare come sua, dopo mesi di gioia e momenti di sofferenza. Qualcosa mancava, era vero, ma cosa aveva detto a Ned? Ce l’avrebbe fatta, e così sarebbe stato. Avrebbe combattuto, avrebbe sofferto, ma non sarebbe stata sola, mai più.
 
 


***
 


L’Incollatura era completamente diversa da come l’aveva immaginata, ma ne era rimasta comunque affascinata: una distesa di acqua e di alberi che la abbracciavano da ogni lato, le piccole case degli abitanti che parevano sospese tra i rami e la corrente, un’esplosione di verde, di marrone, di bronzo e d’oro che colpiva i suoi occhi da ogni lato. Conosceva Howland da tempo, eppure non le era mai capitato di visitare casa sua prima di allora, l’alta torre che i Reed definivano affettuosamente “la nostra reggia” e che a qualunque altro nobile del Sud sarebbe sembrata misera, grande più o meno come la residenza di un lord minore, ma che Howland e la sua famiglia amavano profondamente.

Una volta scesa dall’imbarcazione che li aveva portati alla torre, Catelyn aveva calcolato male la distanza, rischiando di infilare un piede nell’acqua della palude. L’espressione infastidita e spaventata che percorreva  il suo volto aveva fatto sorridere sotto i baffi Lyanna, mostrandole ancora una volta quanto lei e la cognata fossero diverse, anche nelle piccole cose: Catelyn era stata educata da lady perfetta, sempre sorridente e compunta, bellissima in ogni occasione, abituata a fare conversazione il minimo necessario e a danzare con grazia in occasione delle feste; Lyanna poteva anche apparire elegante e femminile tanto quanto le altre giovani, ma nessun’altra cavalcava bene come lei, nessuna avrebbe conversato in maniera tanto animata e attenta con altri lord di argomenti estranei alle donne. Nessuna donna avrebbe ricevuto un addestramento che comprendeva anche qualche accenno di combattimento con la spada, nessuna donna avrebbe sempre tenuto la testa alta come faceva lei, anche a costo di sembrare impertinente. Era proprio quell’unicità ad aver attirato Rhaegar ed era quella stessa unicità che Robert non riusciva a vedere, per quanto si dichiarasse innamorato di lei.
Howland e la sua famiglia si erano dimostrati ospitali e amichevoli come sempre, facendole sentire il calore di una seconda casa. Sua moglie Jyana , una donna piccola e sorridente, si portava dietro una bambina riccioluta, la loro primogenita Meera: nella sua energia, nel modo in cui impartiva ordini ai domestici e accoglieva in casa il marito e gli ospiti Lyanna aveva rivisto molto della sua vitalità, del modo in cui si stava riprendendo dalla gravidanza pensando sia alla sua vita che al figlio. Era una donna sveglia e vivace, la compagna perfetta per la tranquillità e il buon temperamento di Howland, il piccolo crannogman che aveva accompagnato Ned in tante avventure.

Si erano goduti la compagnia reciproca scherzando, parlando tra loro con leggerezza, come se la guerra non li avesse mai toccati davvero. Immersa in quell’atmosfera familiare, il pensiero di Rhaegar era più lontano, ma non meno doloroso.
Erano ripartiti il giorno dopo, senza Howland: era rimasto con la sua famiglia, pronto comunque a fornire il proprio aiuto se si fosse rivelato necessario. Aveva sentito la puntura della tristezza nel cuore quando l’avevano lasciato indietro, ma il pensiero di non essere eccessivamente lontani dall’Incollatura la confortava, rafforzava l’idea che si sarebbero rivisti presto. Sarebbe stato bello veder giocare insieme Jon e Meera, rifletteva. Per il suo bambino desiderava una vita felice e l’affetto dei suoi compagni di gioco, non la vergogna e la derisione che caratterizzavano l’esistenza dei bastardi.
Potevano considerarlo uno Stark o un Targaryen, ma di una sola cosa Lyanna era certa: non avrebbe permesso a nessuno di far sentire Jon inferiore al figlio di qualunque altro nobile. E quando gli altri li lasciavano soli, glielo ripeteva cullandolo tra le braccia, calmando i suoi pianti, sussurrando una ninnananna alle sue orecchie con dolcezza, come faceva sempre.

“Tu che sei il figlio del Nord e del Sud e che hai sangue di drago e di lupo, ce la farai. Sei nato dal Ghiaccio e dal Fuoco, nulla potrà scalfire la tua anima, né prendersi il tuo cuore, se non glielo permetterai. Dormi bambino mio, c’è la tua mamma qui con te, io ti proteggerò e anche i tuoi zii faranno lo stesso. Dormi bambino mio… sono sicura che anche tuo padre ti pensa, dovunque si trovi.”
 

 


***
 
 
L’uomo aveva viaggiato per giorni, sempre protetto dal mantello col cappuccio che indossava sopra a dei vestiti ampi, di foggia insolita: un forestiero scappato dalla capitale, dovevano aver pensato i proprietari delle locande presso le quali aveva soggiornato. L’uomo non parlava molto, ma il denaro che lasciava come pagamento serviva a far calare l’interesse sul fagotto che si portava dietro, dal quale proveniva un pianto flebile.

C’erano voluti giorni, ma alla fine era giunto a destinazione: la Valle di Arryn si era aperta davanti ai suoi occhi, con le sue montagne che proteggevano gli abitanti e li tenevano separati dal resto del mondo e dalle sue guerre, come quella che aveva appena insanguinato la capitale. Il posto ideale per tener nascosto qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era tanto importante per i Sette Regni e il loro destino.
Il luogo stabilito con il suo compare era quello in cui si trovava in quel momento, il piccolo paese che rispondeva al nome di Padelle Salate; si era diretto immediatamente al centro e aveva cercato la casa che gli era stato detto di raggiungere, lo studio di un certo Maestro Erwald, un anziano saggio che si era momentaneamente trasferito altrove. Demeter aveva fatto un buon lavoro, rifletté l’uomo: era lì già da qualche tempo, così da farsi benvolere dagli abitanti del villaggio e da passare inosservato in seguito, quando il loro compito avrebbe richiesto una certa segretezza. Meglio così.
Aveva bussato qualche colpo alla porta della casa, cercando di apparire tranquillo, come prima di una visita già prefissata. Pochi attimi dopo l’uomo gli aveva aperto, sospettoso sulle prime, decisamente disteso una volta che lo ebbe riconosciuto.

“Oh, siete voi. Arrivate a tempo debito… il principe sta meglio, ha ripreso conoscenza e le sue ferite si stanno pian piano rimarginando. Avete con voi…?”

L’uomo sollevò il fagotto, dal quale spuntava una manina pallida. “Eccolo” disse semplicemente, senza aggiungere altro.
 

 


***
 


Rhaegar Targaryen si era alzato di scatto, pentendosi un attimo dopo di quell’azione: le ferite sul petto e sulla schiena gli facevano troppo male per permettere movimenti tanto bruschi. Eppure, qualcosa di nuovo stava succedendo intorno a lui: la porta era aperta e Demeter, l’uomo che l’aveva curato per giorni, stava parlottando con un individuo coperto da un abito col cappuccio, un piccolo lamento in sottofondo.
Quella voce gli era sembrata familiare, ma poteva fidarsi ancora delle sue orecchie e della sua testa? Era in stato di stress da giorni, aveva affrontato una battaglia, subìto delle ferite… quanto poteva risultare attendibile, se anche il lamento che sentiva gli sembrava il pianto di un bambino, molto familiare?
Non dovette attendere per ricevere risposta alle sue domande: l’uomo in compagnia di Demeter gli si era avvicinato, lasciando che la luce proveniente dalla finestra lo illuminasse completamente. Si era girato verso di lui e aveva parlato, qualche attimo prima di abbassarsi il cappuccio per rivelare la sua identità.
“Principe Rhaegar… siete salvo, allora. Vedervi vivo e vegeto mi conforta incredibilmente.”

Rhaegar aveva dovuto reggersi con forza ai lati del letto per non cadere giù vittima dei capogiri: quanto aveva davanti agli occhi era assurdo, incredibile, privo di senso. Eppure… quegli occhi scuri, quell’accento di Pentos appena mascherato dalla parlata tipica di Approdo del Re, la pelle liscia del cranio, erano inequivocabili. Con la poca voce roca che era riuscito a recuperare dai recessi della gola si era sforzato di chiamarlo, come se solo pronunciare il suo nome potesse rendere l’uomo più concreto o spiegargli perché fosse lì.

“Lord… Varys?”
 
 

 
 
 
 


Noticine di Nat
Eccoci qui di nuovo, questa volta con un capitolo dedicato per il novanta per cento a Lyanna. Rhaegar compare poco, ma nel prossimo capitolo avrà decisamente un ruolo maggiore, visto e considerato che si saprà anche qualcosa in più riguardo al “personaggio misterioso” che sta dietro un po’ a tutta la vicenda… e che fa la sua apparizione alla fine di questo capitolo.
Grazie ancora per la pazienza con la quale mi seguite e per le nuove aggiunte alle seguite e alle ricordate, siete sempre eccezionali! Sono felice che la storia continui ad appassionarvi e ad interessarvi capitolo dopo capitolo: è un po’ il sogno di ogni fanwriter e scrittore in generale, ma per me in particolare è una gioia e un grande traguardo sapere che la mia storia vi sia “rimasta dentro”, che vi accompagni settimana dopo settimana. A me piace scriverla e spero che questa gioia arrivi anche a voi!
Alla prossima, allora!
Nat

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII
 
 
 


“Our blood is cold
and we're alone,
but I'm alone with you.”
[Editors - No Sound But The Wind]

 
 
 



Gli ci era voluto un po’ di tempo per abituarsi alla presenza dell’uomo nella stanza. Fino a poche ore prima l’unica voce che aveva ascoltato era stata quella tranquilla e marcata dall’accento di Pentos di Demeter; ora che Lord Varys si era aggiunto alla compagnia, la piccola stanza sembrava letteralmente scoppiare, nonostante fossero soltanto in tre a muoversi in quello spazio ristretto. Non era la presenza dell’eunuco a fargli girare la testa vorticosamente, né il dolore che ancora provava, ma la mole di notizie e di informazioni che quell’uomo aveva appena portato con sé dalla capitale.

“Vostro padre è morto, Altezza. La corte era in subbuglio, Approdo del Re è stata saccheggiata e distrutta per la gran parte. La principessa Elia e vostra figlia Rhaenys…”

Non gli era parso vero di poter prendere in braccio Aegon: quel fagotto avvolto nelle coperte, piccolo e scosso dal pianto, era suo figlio. Varys era riuscito a sostituirlo con un bambino del popolo pochi giorni prima del saccheggio della corte, non appena i suoi uccelletti lo avevano avvisato della disfatta del principe ereditario al Tridente. La povera Elia era talmente indebolita e stanca da non accorgersi di nulla, neppure che il bambino che portava al seno per allattarlo non era effettivamente suo figlio.

“… sono state assassinate per ordine di Tywin Lannister, ex Primo Cavaliere del re e ora parte integrante della nuova corte di Robert Baratheon, il prossimo sovrano che siederà sul Trono di Spade.”
Se l’arrivo dell’uomo gli aveva portato dei furiosi capogiri, la scoperta di come il mondo che conosceva si fosse ridotto in pezzi in quel lasso di tempo tanto breve lo aveva messo letteralmente al tappeto: per sua fortuna stringeva tra le braccia il figlio, un piccolo peso caldo e sicuro che lo aiutava a restare calmo. Non ti è rimasto nessun altro, figlio mio. E a me non rimane nessun altro, oltre a te.

E Lyanna? Come stava, cos’era successo a lei e al loro bambino?

“Nessun Targaryen è rimasto alla Fortezza Rossa: vostra madre e vostro fratello Viserys sono stati portati a Roccia del Drago, dove la regina ha dato alla luce una bambina, vostra sorella… e poi è deceduta, da quanto mi è stato riferito.” Varys abbassò gli occhi, l’ombra di una tristezza sincera gli incupiva il volto. “La bambina, Daenerys, è in buona salute: lei e il principino Viserys verranno presto trasferiti in un luogo più sicuro.”
Aveva perso entrambi i genitori, sua figlia e sua moglie in un tempo così breve da sembrargli irreale, come se stesse ascoltando uno dei tanti bollettini di guerra coi quali i suoi generali turbavano le giornate assolate a corte, ogni volta che una scaramuccia tra casate rivali incrinava la serenità della famiglia reale. Solo che, in quel caso, ad essere coinvolte erano persone che amava e che non avrebbe rivisto mai più.

Sua madre che sorrideva e accettava il piccolo mazzo di fiori che aveva colto per lei in giardino, fingendosi imbarazzata. Elia, la sua pelle bruna, lo sguardo gentile che gli rivolgeva ogni volta che prendeva in braccio i bambini. Rhaenys che gli permetteva di accarezzare il gattino nero che si portava sempre dietro. Non avrebbe più sentito le loro voci, sarebbero rimaste ombre fatte di ricordi e rimpianti, ombre impresse nel suo cuore, ma nulla di più.

Si sforzò di lasciare uscire un filo di voce, roca e spezzata, ma pur sempre la sua. Doveva sapere se tutto era perduto o se ancora una minuscola speranza esisteva, da qualche parte. “Lyanna… Stark. Qualcuno ha sue notizie? È ancora viva?”
Gli sembrò che Varys si fosse preso un attimo per scegliere con cura le parole prima di rispondergli: “I miei informatori di Dorne mi hanno detto che ha dato alla luce un bambino, un maschietto. L’ultima volta che quegli uccelletti hanno cantato qualcosa che la riguardasse, la ragazza Stark era in viaggio con suo fratello e la loro scorta verso Delta delle Acque, dove si trova la moglie di Eddard Stark, Lady Tully. Da quanto ne sappiamo, potrebbe già essere arrivata al Nord.”

Il giovane sentì il sollievo pervadergli la testa e diffondersi lungo tutto il corpo, distendendolo per qualche attimo, ma si trattò di un breve momento di pace: l’eco di quanto era accaduto gli cadde di nuovo addosso, opprimendolo tanto da dargli l’impressione di soffocare. Riuscì soltanto a stringere meccanicamente Aegon tra le braccia, rifiutandosi di fare altro che non fosse osservarlo con occhi spenti, incapace di reagire in alcun modo.
I due uomini lo interpretarono come un segno di resa: era ora di lasciare al principe qualche attimo di solitudine per assorbire il danno lontano da occhi indiscreti. Si congedarono entrambi.
“Devo recarmi a cercare alcuni ingredienti fondamentali per le pozioni di cura, Lord Varys mi accompagnerà. Non staremo troppo via, Altezza.” L’uomo che si faceva chiamare Demeter di Pentos aveva preso con sé un sacchetto, avviandosi verso la porta assieme all’eunuco. Rhaegar teneva ancora la testa china sul bambino, sordo a qualsiasi suono.
“Principe Rhaegar? Sono… desolato per le vostre perdite. Mi dispiace molto.”
Il giovane non rispose: si limitò a guardarli uscire, estraneo a quei movimenti come un fantasma incorporeo che osserva quanto accade attorno a lui distaccato, sicuro di non poter intervenire in alcun modo. Solo quando i due uomini si trovarono fuori dalla sua portata si permise di piangere, le lacrime che scivolavano senza controllo dai suoi occhi, i singhiozzi che lo scuotevano come un bambino spaventato. Piangeva disperato senza che nessuno lo consolasse, ma forse era meglio così: voleva restare solo con se stesso. Solo in quel modo, forse, sarebbe riuscito a riprendere il controllo su quella vita che gli sfuggiva dalle mani con tanta, troppa facilità.

Pianse dopo anni che non lo faceva, senza nemmeno rendersene conto.
 

 
 
***
 



“Quindi, ora è un usurpatore a sedere sul Trono. Qualcuno che se l’è preso con la forza, senza averne i diritti dinastici… che gli Déi ci proteggano, finiremo veramente male, di questo passo.”

Era arrivata l’ora delle solite medicazioni: Demeter si stava occupando delle ferite sul petto del principe, quelle che lo preoccupavano di più per l’ostinazione con la quale si rifiutavano di guarire. I lembi si erano richiusi e cicatrizzati, ma le fratture alle costole restavano difficili da risolvere con poco; dopotutto, un colpo inferto dal martello di guerra di Robert Baratheon non era esattamente un danno di lieve entità. Una cura di cataplasmi e una serie di pozioni che il giovane era costretto a bere avrebbero risolto il problema, ma i tempi di guarigione si prospettavano piuttosto lunghi.

“Il problema non è tanto Robert Baratheon in sé, amico mio.” L’eunuco partecipava attivamente alla conversazione e teneva contemporaneamente d’occhio una giovane donna che, poco lontano da loro, allattava il piccolo Aegon. Avevano comprato la sua discrezione con una borsa di monete d’oro, per quanto Rhaegar non riuscisse ancora a fidarsi in pieno di chi lo circondava e osservasse chiunque con un certo sospetto. Varys gli aveva assicurato che sarebbe stato difficile trovare spie dei Lannister nella Valle – l’esperto era lui, in quel caso – ma il principe non riusciva ancora a convincersene. “Il problema è l’uomo che lo sostiene, colui che ha orchestrato gli ultimi eventi e che orchestrerà sicuramente anche quelli futuri: Tywin Lannister. Quando ho sentito che le truppe stavano per entrare in città, sono corso ad informare Sua Maestà e il suo Primo Cavaliere e ho tentato di convincerli a chiudere le porte, ma ho trovato la mia strada sbarrata dal Gran Maestro Pycelle… è stato quell’uomo a convincere il re ad aprire la città agli invasori Lannister, probabilmente la sua fedeltà alla Corona era già compromessa da tempo. Senza dubbio Tywin Lannister utilizzerà la situazione a suo favore e non esiterà a proporsi come aiutante e consigliere del nuovo re… o a fargli sposare sua figlia, la giovane Cersei. Ora che Lyanna Stark è fuori gioco per ovvie ragioni” – e lanciò un’occhiata al principe – “Robert Baratheon è felicemente scapolo e pronto a giocare un ruolo decisivo nel quadro del nuovo regno.”

Rhaegar si era ricomposto quel tanto che bastava a partecipare anche lui alla conversazione in maniera attiva, nonostante le mani abili di Demeter lo costringessero a restare disteso per ricevere i trattamenti che avrebbero contribuito a farlo star meglio. Si era ripreso dal crollo di poco prima, ma restava ancora scosso: l’idea che suo figlio minore si fosse salvato a scapito delle vite della madre e della sorella non gli dava pace. “Quadro nel quale i miei figli ed Elia non potevano avere una parte, ovviamente. E ora, qual è il ruolo che ci spetta? Restare dietro le quinte, cercare un luogo dove vivere il resto delle nostre vite come dei miserabili, sperando che nessuno ci scopra e ci venda ai Baratheon?” era amareggiato. Il suo guaritore e Varys si scambiarono un’occhiata, prima che l’eunuco tentasse di rispondere a quegli interrogativi col suo solito tono pacato, un tentativo di rassicurarlo che, però, non sortì gli effetti desiderati.

“Aegon ha un ruolo importante nel futuro dei Sette Regni, Altezza: sarebbe stato il vostro successore e potrebbe ancora esserlo, se gli eventi dovessero piegarsi di nuovo a nostro favore. Per quanto tenessimo anche alla sicurezza della principessa Rhaenys e a quella di vostra moglie, non c’è stato modo di poterle trasferire in un luogo sicuro, vostro padre voleva tenere Elia a corte per assicurarsi che i Martell appoggiassero il vostro esercito fino alla fine. Per quanto riguarda Rhaenys… capirete che camuffare un bambino di neanche un anno e sostituirlo con il figlio di un qualsiasi mendicante del Fondo delle Pulci risulta molto più semplice rispetto al tentativo di nascondere una bambina di tre anni, per non parlare della difficoltà di trovare una piccola sosia che le somigliasse abbastanza. Credetemi, abbiamo fatto il possibile… ma la situazione non era semplice da gestire. È già un miracolo che voi siate vivo e che Aegon sia sopravvissuto.”

“Cosa volete da me, Lord Varys? Vi prego, ditemelo.”

Era la seconda di un’innumerevole serie di sconfitte che avrebbe dovuto ammettere: aveva lasciato la donna che amava sola, con suo figlio in grembo, aveva abbandonato sua moglie e la sua bambina nel luogo che sarebbe diventato presto una prigione dove avrebbero trovato la morte, si era lasciato sconfiggere dall’uomo che lo odiava più di ogni altra cosa al mondo e aveva perso il Trono, il palazzo, la sua vita. Non aveva idea di come avrebbe fatto a rimettere insieme i pezzi, non in quella situazione, non quando non sembrava esserci posto per un qualsiasi futuro, da nessuna parte.

“Non sono io a volere qualcosa da voi, Altezza… dovreste essere voi a desiderare di fare qualcosa per voi stesso. Per come stanno le cose, la soluzione migliore sarebbe che vi ricongiungeste ai vostri fratelli a Roccia del Drago e da lì che vi trasferiste tutti assieme in un luogo più sicuro, come una qualunque delle Città Libere. Un’azione contro i Baratheon mossa in questo momento si risolverebbe in un’inutile disfatta, ci vorranno anni prima di riuscire a radunare abbastanza alleati e un esercito sufficiente a riprendere quanto vi spetta, ma per ora vi trovereste al sicuro.”
Varys non aveva cambiato tono, ma nella sua pacatezza Rhaegar riconosceva la cura di chi ha sempre messo gli interessi del regno al disopra di ogni altra cosa. Per quanto quell’uomo potesse essere un maestro delle spie e degli inganni, aveva servito suo padre con fedeltà e gli aveva riportato il figlio rischiando la vita, oltre ad architettare il suo salvataggio… eppure, sentiva di non potergli dare retta fino in fondo: Lyanna era l’unico ricordo della sua vita precedente, l’unica speranza alla quale avrebbe potuto aggrapparsi per ricostruire qualcosa. Conosceva i suoi doveri, ma non ne aveva anche nei confronti della madre di suo figlio, il Principe che Fu Promesso?

“L’unica cosa che desidero, in questo momento, è riprendere contatto con la mia vita. E non sarà organizzando una fuga e una resistenza armata che riuscirò a farlo.”

Si distese di nuovo sul letto, una fitta improvvisa al fianco che lo costringeva a calmarsi e ad accettare il riposo forzato che le sue condizioni di salute gli imponevano. Decise di chiudere in quel modo la sua udienza, per quel giorno: accettò il latte di papavero che Demeter gli offriva per sopportare la medicazione delle ferite che mancavano all’appello e si chiuse in un silenzio cupo, carico di parole non dette. Qualunque cosa fosse venuta in seguito, aveva bisogno di pensarci su a lungo.
 

 


***
 


Sarebbe partito per il Nord, per raggiungere Lyanna e suo figlio.

Avrebbe viaggiato per giorni, mesi forse, ma ormai aveva deciso: sarebbe stato quello il suo obiettivo, non il Trono, non il tentativo di riprendersi un ruolo che ormai non gli spettava più. Se c’era qualcuno che desiderava davvero vedere in quel momento, quella era la donna che amava, la donna alla quale aveva promesso una vita completamente diversa e che avrebbe voluto ricompensare come meritava.
Non sarebbe partito presto, le ferite e la debolezza glielo impedivano. Quei giorni trascorsi a guarire e a riflettere, però, l’avevano aiutato a fare chiarezza nelle proprie intenzioni, per quanto ancora nel suo cuore restassero degli spiragli aperti al senso di colpa; riusciva a richiuderli solo riflettendo sul fatto che, dovunque si trovassero, Viserys e Daenerys avrebbero ricevuto aiuto e appoggi, non sarebbero comunque mai stati soli. Chi si sarebbe preso cura di lui, se non avesse pensato da solo a se stesso?
Aveva lasciato Lyanna alla Torre della Gioia, sola e spaventata nonostante la sua forza le impedisse di mostrarsi in quel modo. Se n’era andato per combattere la sua battaglia da solo, commettendo un atto di leggerezza e di incoscienza enorme, impossibile da arginare. Quel viaggio sarebbe stata un’occasione di ripagare quegli sbagli, di tentare di costruire qualcosa di nuovo ripartendo dall’inizio.
Voleva conoscere suo figlio. Voleva che lui ed Aegon crescessero insieme e imparassero qualcosa l’uno dall’altro. Voleva restare con Lyanna per godersi quegli aspetti della vita di tutti i giorni che non era mai riuscito a cogliere. Viveva le sue giornate nel desiderio disperato di normalità, della tranquilla indifferenza generale che la vita di un principe non avrebbe mai potuto conoscere. Ora che lui ed Aegon erano due perfetti sconosciuti, forse, ne avrebbe avuto un assaggio: una speranza che continuava a cullare ossessivamente, il ritornello che accompagnava le sue giornate e le sue notti, addormentandolo, confortandolo.

Potevano dire quello che volevano, insultarlo, dargli dello stupido, non gliene sarebbe importato nulla. Avrebbe fatto quello che riteneva giusto per lui in quel momento, senza rimandare: in molti casi significava perdere occasioni, lasciar cadere tutto. Non sarebbe più successo.
 

 
***


Quella sera era arrivata una notizia che aveva riempito tutti di gioia, a Grande Inverno: Benjen aveva ricevuto il permesso di scendere dal Castello Nero ed era venuto in visita a casa, portando con sé la solita irruenza e l’allegria del giovane lupo che era rimasto, nonostante l’addestramento da confratello dei Guardiani della Notte. Ned gli aveva scritto per raccontargli di quanto era successo al padre e al fratello, ma nessuno di quegli eventi riuscì a turbare il loro incontro. Se anche Benjen aveva versato lacrime, lo aveva fatto in solitudine, lasciandosele alle spalle una volta arrivato.
La prima cosa che aveva fatto era stato correre ad abbracciare Lyanna. I due fratelli erano rimasti stretti fino a che la sorella non gli aveva presentato Jon, appena tornato dalla cena. Benjen lo aveva preso in braccio e sembrava essere entrato immediatamente in sintonia col piccolo, almeno a giudicare dagli strilli deliziati di Jon, che continuava a tirare con interesse i capelli lunghi dello zio. Lyanna aveva osservato la scena con un sorriso, limitandosi a riprenderlo tra le braccia dopo quel colloquio, schioccandogli un bacio sulla testa e regalando al fratello un sorriso divertito alla sua battuta. “Ha ripreso da sua madre, quello è poco ma sicuro. Il sangue del lupacchiotto non gli manca.”

“Non sei più il giovane lupo della famiglia Stark, dovrai farci l’abitudine.”

Benjen aveva sorriso a sua volta. “Un piccolo lupo dal cuore di drago… un’aggiunta alla nostra cucciolata, ci mancava un po’ di varietà.”
Lyanna non avrebbe mai ringraziato abbastanza i fratelli per il modo in cui avevano affrontato la questione di Rhaegar: finché lei e Jon stavano bene, nessuno dei due aveva ritenuto opportuno farle pesare le azioni passate. Benjen oltretutto l’aveva sempre appoggiata con l’affetto di un fratellino e di un complice, non sarebbe stato da lui sgridarla accampando come scusa quella di “farlo per il suo bene”. Erano solidali con lei, la circondavano di amore e avevano accettato Jon come nipote riservandogli lo stesso trattamento affettuoso: non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Avevano continuato a chiacchierare per tutta la sera, spostando i loro discorsi anche a tavola, riallacciando i legami che il tempo sembrava aver sospeso, ma non interrotto del tutto. Anche Ned si era unito a loro, fino a che non era arrivato Maestro Luwin con un messaggio, giunto qualche ora prima da Approdo del Re, chiedendo che il nuovo capofamiglia degli Stark lo seguisse nella torre per leggerlo e rispondere. Ned si era scusato e lo aveva seguito, mentre i fratelli e Catelyn continuavano a parlare del più e del meno.

Benjen stava raccontando loro della Barriera e dei nuovi confratelli arrivati da poco, quando Ned era ritornato tra loro, scuro in volto. Lyanna stava già chiedendosi se ci fosse qualche questione poco piacevole dietro alla sua espressione: il fratello si sedette tra loro con la pergamena tra le mani, porgendola prima alla sorella, poi alla moglie e al fratello perché la leggessero. Man mano che gli altri proseguivano con la lettura, la sua espressione si faceva sempre più imperscrutabile.

“Viene dalla corte: Robert ci ha mandato l’invito per il suo matrimonio. È stato incoronato re… e sposerà Cersei Lannister.”
 
 

 
 
.




Noticine di Nat
Rieccoci qui, cari lettori! Con le ultime rivelazioni riguardo a Rhaegar e al suo salvataggio (a opera del suo “aiutante misterioso”, che poi altri non era che Varys), un capitolo più incentrato su di lui che su Lyanna, anche se col prossimo recupereremo ampiamente anche il suo, di POV. Questa alternanza tra punti di vista mi entusiasma: finalmente posso parlare di Rhaegar e Lyanna per più di un solo capitolo e svolgere una storia intera che li vede come protagonisti, cosa che volevo fare da un bel po’ di tempo. Il vostro sostegno è ovviamente preziosissimo, come sempre <3
Come state continuando a vedere, gran parte degli eventi ricalcano quelli della serie tv, ma ho sparso qua e là parecchi accenni al what if che più avanti svilupperò in maniera più ampia… e che spero continuino ad interessarvi e divertirvi come vi è piaciuto finora il resto della storia.
Grazie ancora a tutti coloro che leggono la storia e lasciano il loro feedback, a chi legge “dietro le quinte” e a chi continua ad aggiungerla ai preferiti e alle seguite, siete un pubblico meraviglioso!
Alla prossima, allora!
Nat
 

 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX
 
 



“I lay with the wolves,
             alone, it seems…            
I thought I was part of you.”
[Sia – She Wolf (Falling to pieces)]
 
 

 
 



“Quindi, Robert si sposa e ci ha chiesto di partecipare alle nozze come niente fosse?”

Erano passati due giorni dall’arrivo del messaggio e già Lyanna ed Eddard si erano messi in viaggio: la meta era Approdo del Re, dove si sarebbero tenute le nozze tra la giovane Cersei Lannister e Robert Baratheon, o meglio Sua Maestà Robert, Primo del Suo Nome. Gli eventi avevano preso una piega inaspettata.

“Sembra proprio di si. Nella mia risposta ho potuto solo assicurare che saremmo partiti presto… temo che, per le domande, dovremmo aspettare il momento in cui ci troveremo faccia a faccia. Non dovremmo metterci molto ad arrivare a corte, comunque.”

Erano giunti a Grande Inverno da qualche settimana e già dovevano ripartire, sballottati verso una destinazione e un evento che non le erano affatto graditi: da sotto l’ampio mantello grigio col cappuccio che indossava, Lyanna sbuffò facendo saettare una ciocca di capelli davanti al viso. Aveva dovuto lasciare Jon nelle mani della vecchia Nan e di Maestro Luwin, consigliata da Ned che preferiva tenere fuori il nipote da questioni poco simpatiche che riguardavano la sua nascita e suo padre e che sicuramente sarebbero venute alla luce durante quei festeggiamenti. Per quanto si fidasse di loro, l’idea di separarsi dal figlio le risultava odiosa, difficile da digerire. E poi avrebbe dovuto incontrare Robert e tenere una conversazione con lui, ed era quel pensiero, forse, ad innervosirla di più, in assoluto.
In teoria l’invito era esteso a tutti gli Stark, in pratica si erano mossi soltanto Eddard, Lyanna e Catelyn: anche il piccolo Robb era rimasto a casa, nonostante fosse già più grandicello di Jon e non creasse particolari problemi. Non ci avrebbero messo molto a raggiungere Approdo del Re, ma già Lyanna sbuffava e sperava di lasciarsi alle spalle la cerimonia il più presto possibile. Detestava i convenevoli e le smancerie che i matrimoni portavano con loro e una parte di lei – una parte minuscola, che cercava di mettere a tacere ogni volta che tornava fuori – fremeva al pensiero delle chiacchiere che sarebbero girate di bocca in bocca alla sua apparizione, considerata la natura del suo rapporto con Rhaegar e Robert. Che dicessero pure quello che volevano, si riscuoteva poco dopo: lei non aveva nulla da nascondere.

“Robert che sposa l’unica figlia di Tywin Lannister. Curioso, non trovi? Conoscendolo, non penso gliene importi granché – di amanti ne avrà quante vuole,  per quanto splendida possa essere la sua nuova compagna - ma una mente più sveglia potrebbe vederci un tentativo da parte dei Lannister di governare al posto suo dietro le quinte… non pensi anche tu?” Lyanna aveva spronato Visenya per avvicinarsi al pezzato di Ned, che le aveva rivolto un’occhiata un po’ obliqua.

“Diffidi anche tu delle doti da governante di Robert? Non hai torto, sono il suo migliore amico ma riconosco che non è mai stato portato per la strategia… non si può mai dire, potrebbe dimostrarsi un buon re. Sicuramente Tywin Lannister ha il fiuto per gli affari, se è questo che intendi.”
Lyanna non poté trattenersi dal sorridere amaramente. Tywin Lannister le sembrava esattamente il tipo di uomo da usare i propri figli come pedine nel suo gioco, soprattutto se quel gioco prevedeva di governare sui Sette Regni, direttamente o meno.

“Sapremo tutto a tempo debito… per ora, non dobbiamo far altro che arrivare alla capitale. Il matrimonio ci aspetta.”
 
 


***
 
 

Sua sorella si sposava. Cersei si sposava. Si sposava con quel cinghiale nerboruto e amante della bottiglia di Robert Baratheon. Ogni volta che gli capitava di ripensarci, sentiva di avere urgente bisogno di prendere una boccata d’aria, o la sua testa che scoppiava lo avrebbe fatto diventare matto.

Jaime Lannister aveva vissuto i giorni che avevano separato l’annuncio delle nozze a quella mattina in uno stato di fastidiosa agitazione, interrotta soltanto dalle sue occupazioni da membro della Guardia Reale: ronde, controlli in città, pattuglie, i soliti compiti che accoglieva con piacere, gli bastava essere lontano dalla corte e dai preparativi. Quel giorno, però, non aveva potuto sottrarsi all’ordine di suo padre di aggiornare il Libro della Guardia in vista degli ultimi cambiamenti che aveva comportato la guerra (il Capitano doveva essere impegnato altrove, a quanto pareva) e si era ritrovato nella sala dove si riuniva coi suoi compagni, impegnato sia a scrivere che a cercare di togliersi dalla mente l’immagine del bestione tronfio e rozzo che tra poco sarebbe diventato suo cognato.
Quando suo padre aveva annunciato le nozze al diretto interessato, Robert Baratheon gli aveva affibbiato una bella pacca sulla spalla, aggiungendo un “vuol dire che d’ora in avanti dovrò chiamarvi padre, Lord Tywin?” che aveva trasformato il viso pallido di Tywin Lannister in una maschera color latte inacidito. Ve la siete cercata, aveva pensato Jaime con un sorrisetto divertito, anche se nell’arco di pochi giorni aveva compreso perfettamente lo stato d’animo del genitore.
Sapeva a cosa andava incontro, quando aveva promesso Cersei a un uomo del genere. Eppure la sua brama di controllare il regno non si fermava di fronte a nulla, neppure se si trattava di sacrificare la sua unica figlia costringendola ad un matrimonio che non la rendeva affatto felice.

Stava quasi per riuscire a scrollarsi di dosso quei pensieri e a lavorare finalmente in un clima di concentrazione maggiore, quando la porta si era aperta e aveva fatto il suo ingresso proprio la sorella, affannata dalle continue sedute di pettinatura, trucco e prova dei vestiti alle quali l’avevano sicuramente costretta. Erano giorni che non si ritrovavano a parlare faccia a faccia: dopo la caduta di Approdo del Re erano successe tante cose, troppe da poter essere affrontate con una semplice chiacchierata tra fratelli… eppure Cersei non l’aveva cercato, non si era messa nei suoi panni. Non aveva neppure cercato di dargli conforto per quanto era successo con re Aerys, ed era quella la cosa che faceva soffrire di più Jaime.
Vederla agitata e coi capelli fuori posto, però, gli faceva un certo effetto. In passato erano girate voci sul suo possibile matrimonio col principe Rhaegar (se la principessa Elia fosse venuta a mancare prima del previsto), voci smentite da suo padre ma che dovevano contenere una traccia di verità, almeno dall’atteggiamento che aveva preso Cersei da quando si era sparsa la notizia della sconfitta del principe al Tridente. Quel giorno, però, sua sorella non sembrava dell’umore giusto per lasciarsi andare alla tristezza: era arrabbiata, anzi furiosa. Non era troppo difficile capirne il motivo.

“Ti stai preparando per la grande farsa che si terrà tra qualche giorno, Jaime? ”

Si era chiusa la porta alle spalle, portandosi di fronte al fratello come se non volesse garantirgli una via di scampo. Il giovane avrebbe voluto congedarla con poche parole e andarsene, ma sentiva che quella conversazione sarebbe andata avanti per parecchio.
“Nostro padre ha sistemato tutto alla perfezione, non ti pare? Arriva un nuovo re sul trono e sua figlia è pronta per sposarlo, come se non avesse né sentimenti né potere decisionale, completamente in balìa delle scelte fatte da chi ha più potere di lei… ti sembra giusto, Jaime? Ti sembra giusto che mi sia stato sempre imposto tutto quanto? Prima c’era stato Rhaegar Targaryen, che è andato in sposa a quella Dorniana proprio quando mi ero abituata all’idea che sarei diventata sua moglie, poi è arrivato Robert Baratheon e io sono tornata sulla piazza, un pezzo di carne da svendere al migliore offerente. Un pezzo di carne che deve sorridere e apparire sempre bellissimo e perfetto, ma che non può decidere come disporre di se stesso. Non sono altro che questo, per nostro padre.”

Aveva continuato a parlare muovendosi per la stanza, presa da un desiderio febbrile di sfogarsi, di tirare fuori tutto quello che aveva dentro. Jaime, da parte sua, non aveva potuto far altro che guardarla, intervenendo debolmente per tentare di rabbonirla.

“Sai che nostro padre è sordo alle richieste. Lo è sempre stato…”
“E per questo dovrei arrendermi, secondo te? Dovrei lasciargli fare quello che più gli aggrada senza dire nulla?” gli aveva afferrato entrambe le mani, fissandolo negli occhi. Era decisamente infuriata e disperata. “Non voglio obbedirgli, Jaime. Ci hanno già separato una volta, lo faranno ancora… e ora vorranno la mia fedeltà completa, vorranno che riverisca Robert e diventi presto la madre dei suoi figli. E neppure lo conosco, capisci? Te ne rendi conto?”
“Neppure se diventerai regina e potrai dare il tuo contributo nel governare i Sette Regni?”
“Regina? Cosa vuoi che me ne faccia del trono se nemmeno posso governare direttamente?”

Qualcosa in lui si era spezzato. Si era ritrovato solo ad affrontare l’assassinio di un uomo che aveva servito con fedeltà fino a poco tempo prima, senza che nessuno riuscisse a dargli conforto, a capire che poteva anche essere stato necessario, ma che un omicidio restava un omicidio e che un ragazzo non poteva sopportarlo con tanta facilità, qualunque causa avesse potuto avere alle spalle quel gesto. Nessuno l’aveva compreso, nessuno aveva voluto capire come si sentisse e cosa provasse nei confronti del padre: sua sorella poteva non aver fatto il primo passo verso di lui, ma non stavano forse condividendo gli stessi sentimenti, soli in quella stanza, lontani del mondo?

“Cersei… basta. Smetti di parlare come se fossi sola… non ci hanno ancora separati, in fondo. Sono rimasto qui, a corte, come membro della Guardia… come mi avevi chiesto tu.”

Fu quel flusso di pensieri a portarlo a tendere le braccia verso la sua gemella e ad abbracciarla, come a volerle dire che non era sola, che quella confusione e quella rabbia le provavano entrambi e avrebbero potuto venirne fuori insieme. La abbracciò e la tenne stretta come a zittirla, sapendo benissimo che era sbagliato, che Cersei avrebbe potuto prenderlo come un incoraggiamento a continuare coi loro incontri, quegli stessi incontri che i loro genitori avevano tentato di scoraggiare con tanta energia… ma in quel momento gli importava poco o nulla del passato.
Rimase fermo, in piedi, per quello che sembrava un tempo infinito, senza altri pensieri che non riguardassero sua sorella nella testa. Sapeva di perdere pian piano se stesso, ma non voleva pensarci.

Non in quel momento.
 
 


***
 
 
 


Approdo del Re
vigilia del matrimonio reale
 




Lyanna e Ned erano scesi da poco nel cortile del palazzo assieme a Catelyn e al resto della scorta, quando erano stati avvisati che il re richiedeva la loro presenza nel suo studio. Lyanna aveva stretto i denti, rassettandosi suo malgrado il vestito: il momento del confronto era finalmente arrivato, rimandarlo sarebbe stato inutile, impossibile. Tanto valeva prepararsi a difendere se stessa e il suo orgoglio, come la lupa fiera che era sempre stata.

Catelyn venne accompagnata nelle sue stanze mentre il marito e la cognata percorrevano i corridoi del Palazzo Reale, uno spettacolo che Lyanna non era abituata a vedere spesso, un labirinto di corridoi, stanze e terrazzi che in un’altra occasione l’avrebbe estasiata e incuriosita, ma ora la confondeva e infastidiva. Possibile che Robert non avesse mostrato neppure l’educazione di accoglierli personalmente, delegando due guardie a scortare i suoi ospiti verso lo studio? Ma già, lui era il re adesso… piccolo particolare che continuava a sfuggirle, pensò roteando gli occhi e sbuffando appena per non farsi sentire dal fratello. Quell’uomo aveva occupazioni più importanti alle quali pensare, tra le quali non figurava assolutamente mostrare di tenere all’amicizia di Ned, evidentemente.

Le due guardie li lasciarono davanti alla porta dello studio, dopo aver bussato e atteso la risposta del re. Robert era all’interno, seduto dietro alla scrivania di legno pregiato con la finestra alle spalle, dalla quale entrava un venticello sottile ma – per fortuna – fresco. Accolse immediatamente Ned con una pacca sulle spalle e un abbraccio e iniziò a fargli domande sulla sua salute e su quella del figlio, non accennando ad occuparsi di Lyanna, che volgeva il suo sguardo ora a destra ora a sinistra, abbracciando ogni angolo della stanza. Se quello era lo studio del re, era molto probabile che fosse appartenuto a Rhaegar o almeno a suo padre… come testimoniava l’arpa di legno pregiato intarsiata d’argento, gettata in un angolo, quasi a volerla togliere dalla circolazione perché non fosse d’impiccio e nessuno potesse vederla. Le fece stringere il cuore il pensiero che un oggetto così prezioso, l’arpa che Rhaegar aveva amato tanto da portarla con se ad Harrenhal, venisse trattato come un rifiuto qualsiasi: avrebbe voluto avvicinarsi e accarezzarne le corde, sedersi accanto allo strumento e restare da sola col suo dolore, senza spettatori, senza la presenza di Robert che incombeva alle sue spalle. Ma doveva trattenersi, almeno fino a quando non sarebbe tornata nella sua stanza, vittoriosa o sconfitta.
Preferiva decisamente la prima ipotesi.
Robert sembrava finalmente essersi accorto di lei: le aveva lanciato uno sguardo che voleva essere gentile, ma nel quale concentrava uno strano misto di durezza e sollievo. È felice di vedermi nonostante non possa essere più sua, non solo perché deve sposare un’altra… sa che sono stata di un altro uomo e che sono ancora legata a lui, dopotutto. Questo non lo accetterà mai.
La voce dell’uomo si abbinava alla sua espressione: esitante ma dura, come se fosse rimasta incastrata tra il cuore e le labbra, come un pensiero difficile da trasformare in parole.

“Lyanna, anche tu sei la benvenuta, ovviamente. Vi ho chiamati qui perché ho bisogno di sistemare qualche… cosetta riguardo i nostri trascorsi, diciamo…”

“… Visto e considerato che domani è il tuo matrimonio e vuoi sistemarti la coscienza con la tua ex-promessa che un altro ti ha tolto da sotto il naso?”

Suo padre le aveva ripetuto infinite volte che la sua lingua lunga prima o poi l’avrebbe rovinata, ma Lyanna non l’aveva mai ascoltato. Era intervenuta quasi senza pensarci, agendo d’istinto di fronte alla farsa che Robert stava propinando loro: si sposava il giorno dopo, questo ormai lo avevano capito tutti. Cosa intendeva fare? Accordarle il suo permesso perché potesse ormai considerarsi libera dalla loro promessa di matrimonio?
Qualunque cosa avesse in mente, lei non l’avrebbe accettata. Specie se proposta con quella finta cerimoniosità che non gli si addiceva affatto.
Ned le aveva lanciato un’occhiata di rimprovero, ma Robert sembrò incassare il colpo senza dire nulla: se c’era una cosa che aveva imparato, era che Lyanna amava avere sempre l’ultima parola. Era meglio non stuzzicarla e mantenere un profilo basso, se si voleva proseguire la conversazione con calma.

“Proprio così. Come avevo scritto nel messaggio del corvo che vi ho spedito tempo fa, la mia incoronazione è già avvenuta e domani sposerò Cersei Lannister, la figlia di Tywin, l’ex Primo Cavaliere del Re Folle. In tutto questo, mi pare inutile affermare che il nostro fidanzamento non è più valido, Lyanna, se già non era stato rotto da alcuni… sgradevoli eventi accaduti tempo fa, se vogliamo chiamarli così.”

La pazienza della ragazza – se mai era esistita – stava arrivando pericolosamente al limite. “Rhaegar non mi ha rapita contro la mia volontà, Robert, se è questo che intendi con ‘sgradevoli eventi’. Né mi ha stuprata. Sono scappata con lui perché lo amavo, anzi lo amo ancora.”

L’uomo respirò rumorosamente, come a tentare di calmarsi. “Capirete, quindi, come abbia messo da parte questi dissapori per non incrinare la serenità di un evento tanto importante, anche se la questione non si chiude certo qui. In qualità di migliore amico di tuo fratello e di tuo ex promesso nonché re, ho comunque il dovere di provvedere alla tua sistemazione, anche se gran parte dei nobili non lo avrebbe mai fatto: un matrimonio di rango elevato risolverà la tua situazione e ti permetterà di avere accanto qualcuno che ti aiuti a crescere il tuo bastardo, se non addirittura disposto a riconoscer-“

Ned doveva avergli detto di Jon, realizzò Lyanna. Oltre a scrivergli che era sana, salva e sola. Ma si trattò di un attimo: il secondo successivo a quell’affermazione si era alzata in piedi di scatto, tirando indietro la sedia e fissando Robert con occhi pieni d’ira.

“Non azzardarti a chiamare in quel modo mio figlio!”

Anche Robert Baratheon aveva decisamente perso la pazienza. Ormai era paonazzo e furioso.

“Come dovrei chiamarlo, di grazia? È il bastardo di un drago e dovresti ringraziare l’amicizia che mi lega a tuo fratello se non ho ancora ordinato di andarlo a prendere a Grande Inverno per sgozzarlo. I suoi fratellastri sono stati assassinati in questo castello, suo padre è morto in battaglia per mano mia ponendo fine alla dinastia dei Draghi… può già considerarsi fortunato se non ha fatto la stessa fine. Arrabbiati quanto vuoi, Lyanna, la situazione non cambierà. E ti pregherei di moderare il linguaggio quando ti trovi di fronte al tuo re, Lady Stark.”

Lyanna si era morsa le labbra, furibonda e pronta ad attaccare. Spaventato dalla possibilità che la sorella potesse aggiungere altro e mettersi ulteriormente nei guai, Eddard si alzò in piedi e la spinse delicatamente a sedere, tentando di blandirli entrambi. Non era proprio il caso di scatenare una nuova guerra su quella questione.

“Vediamo di calmarci un attimo. Lyanna, basta così. Robert… Vostra Altezza… non pensate che il matrimonio spetti a me come decisione? Sono suo fratello, è vero, ma resto pur sempre signore del Nord e ho abbastanza alleati da poter organizzare delle nozze che possano sistemarla in maniera adeguata, anche se conosco abbastanza mia sorella da poter affermare che vorrà crescere il bambino col mio aiuto e con quello dei nostri amici, anche senza un marito. Davvero, non c’è bisogno di discutere ancora, la faccenda ormai è chiusa. Non turbiamo ulteriormente un’occasione di festa, come avete già detto.”
Robert si risedette. Sembrava aver ripreso il controllo di sé, almeno per il momento.

“Non essere tanto cerimonioso, Ned, sei sempre il mio migliore amico, diamine” borbottò, distogliendo lo sguardo dagli occhi grigio-blu di Lyanna, che ancora mandavano lampi. “D’accordo, fai come vuoi. Te lo concedo soltanto perché ci conosciamo da una vita e tengo alla tua presenza domani, al Tempio. E perché devo essere un buon re, o almeno uno migliore del mio predecessore… per oggi abbiamo finito, comunque. Vi congedo.”

Ma il fuoco nel cuore di Lyanna, dopotutto, non era facile da spegnere.

“Non mi sbagliavo su di te, Robert. Non hai mai cercato di capirmi, né di amarmi per quello che sono… e non ameresti neppure mio figlio, non ci riusciresti, e io a lui non rinuncerei per nulla al mondo. Buon per te che tu abbia accettato si sposare Cersei, perché non avrei mai ceduto la libertà in cambio di una ripulita alla mia reputazione… non ho niente di cui vergognarmi. Assolutamente nulla.”

Il re non aveva aggiunto nulla a quell’attacco diretto: con grande sorpresa dell’amico, si era alzato senza dire una parola, preceduto da Lyanna, che aveva sbattuto la porta alle sue spalle, furente, senza salutare.

Ned sospirò: riuscire a restare calmo in quel clima rovente non gli era mai sembrato tanto difficile come durante quella breve udienza. Robert stava sistemando alcuni documenti sulla sua scrivania, ma non si trattenne dal lanciargli un’occhiata, dopo aver guardato Lyanna uscire.

“Da quando è diventata così dura? Sembra completamente diversa dalla Lyanna che conoscevo, eppure è sempre la stessa donna. Cosa le è successo, Ned? È stato quel Targaryen a cambiarla così tanto?”

“È sempre stata così, Robert. Solo che ora ha qualcosa di importante da proteggere… ed è ancora attaccata al ricordo dell’uomo che amava. Questo dovrai accettarlo, prima o poi.”

Il re sospirò, continuando col suo lavoro, anche se dai gesti distratti si vedeva che cercava solo di prendere tempo.

“Credimi, Ned, l’avrei sposata, se avessi potuto. Non me ne sarebbe fregato un accidente né del suo bastardo, né del fatto che è ancora legata con la memoria a quell’uomo… avrei sperato che finisse con l’amarmi, ci avrei lavorato su per renderla felice. Ma non posso farlo. Tywin Lannister mi ha offerto sua figlia e il controllo sul Trono, ho bisogno di alleati potenti e del loro denaro se voglio continuare a regnare, non di uno scandalo e di altre malelingue, oltre a quelle che già mi pendono sulla testa. Ora la posta in gioco è troppo alta… ho dovuto abbandonare qualcosa per ottenere altro. Anche se, dopotutto… forse tua sorella preferisce che le cose siano andate in questo modo.”

Terminò quella frase scuotendo la testa, accompagnandolo alla porta. Aveva una luce diversa negli occhi, un misto di rassegnazione e tristezza che Eddard non aveva mai visto.

“È difficile accettare tutto questo e restare distaccati, Ned. Soprattutto se sei ancora innamorato di lei.”
 

 


***
 


La cerimonia si era svolta al Tempio di Baelor, in pompa magna come si addiceva al matrimonio di un sovrano. La giovane Cersei Lannister appariva bellissima nel suo abito di seta e broccati color porpora, i capelli acconciati in trecce elaborate e il mantello col leone dorato dei Lannister che splendeva nella luce filtrata dalle vetrate colorate. Anche Robert aveva un che di maestoso, dovette ammettere Lyanna suo malgrado: seduta accanto al fratello e alla cognata in seconda fila, lo vide avanzare verso l’altare e togliersi dalle spalle il mantello nero e giallo col simbolo della sua casata per posarlo su quelle della sposa, mentre lei faceva lo stesso con il suo, color porpora come il vestito. Robert indossava un’armatura istoriata e aveva posato ai suoi piedi l’elmo con le corna di cervo. All’idea che poteva essere lo stesso elmo che aveva indossato il giorno della battaglia del Tridente, la ragazza sentì che lo stomaco le si riduceva ad un nodo stretto e doloroso.

Dopo la funzione erano usciti dal Tempio e si erano diretti verso il giardino del palazzo, dove era stato allestito il banchetto, grazie al clima ancora abbastanza mite da permettere di mangiare all’aperto. Ad Approdo del Re avrebbe fatto caldo perfino nel pieno dell’inverno, pensò Lyanna mentre sbuffava sventolandosi il viso con una manica: forse era troppa abituata al Nord, ma ne aveva già abbastanza della corte, della gente e del caldo. Che Robert si prendesse i privilegi della Corona e restasse a marcire in quella fornace, lei preferiva il freddo di Grande Inverno e le sue sale di pietra, semplici e spoglie ma tanto familiari da farla sentire protetta e felice.
Ned le sembrava decisamente più sereno rispetto al giorno prima, probabilmente perché aver sventato un litigio di proporzioni epiche tra sua sorella e il suo migliore amico era un motivo sufficiente a renderlo felice. Quando le aveva chiesto di accompagnarlo a salutare alcuni lord che aveva incontrato in occasione del suo matrimonio e congedato con troppa fretta i suoi occhi brillavano di tranquillità, la stessa tranquillità con la quale aveva rassicurato sua moglie sulle condizioni del piccolo Robb. Sembrava il solito Ned, placido e gentile, autorevole, forte: il signore che Grande Inverno meritava.
Lyanna, però, non si sentiva a suo agio. Il vestito le stringeva fastidiosamente il busto, aveva caldo, le facevano male i piedi e già non vedeva l’ora di fare un bagno e dirigersi verso casa il più presto possibile il mattino dopo. Avrebbe voluto avere con se Jon, il bambino riusciva a tranquillizzarla come pochi facevano, come se accanto a lui avesse potuto recuperare in pieno la sua forza.

“Quando parlavi del matrimonio a Robert… non dicevi sul serio, vero Ned?”

Suo fratello scosse la testa, lasciandosi sfuggire un sospiro. “No, Lya, anche provandoci sai benissimo che non potrei importi un marito che non vuoi. E comunque ne abbiamo già parlato, no? Se vuoi essere tu a crescere Jon da sola, sai benissimo che Grande Inverno resterà sempre la tua casa e che non penserei mai di allontanarti. Se poi dovessi decidere che esiste qualcuno in grado di renderti più felice di noi e del nostro calore… ovviamente rispetterò la decisione. Anche perché non ho idea di quale partito presentarti.”
“Non un Bolton, per carità: mi spaventano, loro e quello stemma inquietante” scherzò la ragazza, mentre si dirigevano verso una delle tende per cercare gli amici di cui aveva parlato Ned. Se suo fratello le era accanto, sentiva che avrebbe potuto lasciarsi alle spalle quella giornata con più facilità, nonostante sentisse la mancanza di suo figlio. Ned era stato comunque lungimirante: non sarebbe stata una buona idea, quella di portarsi dietro un bambino che non avrebbe fatto altro che inasprire gli animi con la sua presenza.
Il colloquio di Eddard non durò molto, rivelandosi una di quelle solite occasioni da convenevoli e sorrisi di circostanza che Lyanna detestava. La storia di come Robert l’aveva ufficialmente lasciata per prendere in moglie Cersei Lannister doveva aver fatto il giro, ma perlomeno gli interlocutori del fratello ebbero il buongusto di stare zitti e di non accennare alla cosa, mantenendo neutrale la conversazione. La ragazza, però, continuava ad annoiarsi e accolse con gioia la possibilità di tornare a sedere al loro tavolo e mangiare qualcosa, assaggiando un po’ tutte le pietanze, incuriosita dal loro aspetto.
La torta nuziale ancora doveva arrivare, quando Lyanna si alzò e decise di fare una passeggiata. Avvertì Ned e si incamminò verso l’angolo più nascosto del giardino, decisa a cercare il Parco degli Déi e a nascondersi lì, dove gli alberi-diga le avrebbero donato un po’ di pace e la tranquillità che desiderava.
Non aveva tenuto in conto la possibilità che altri invitati potessero avere avuto la stessa idea.

Un lord e una donna che non conosceva – sua moglie, o sua sorella, o chissà chi – si erano appartati sotto ad uno degli alberi, probabilmente più per approfittare della solitudine del luogo che per pregare o starsene in comunione con gli Antichi Déi. Sembravano annoiati e desiderosi solo di distanziarsi il più possibile dal banchetto e dal suo rumore, sentimenti che Lyanna sentiva decisamente di condividere. Stava per cercare di assumere un’espressione la più distesa possibile per passar loro davanti e guadagnarsi un angolino di Parco dove restare in tranquillità, quando la parola “Stark” buttata casualmente nel loro discorso la convinse ad accucciarsi dietro ad una delle siepi che circondavano l’ingresso al giardino e ad avvicinarsi appena, sempre nascosta, per ascoltarli meglio.

“… Ned Stark e sua sorella. Mai mi sarei aspettata di vedere quella ragazza qui, dopo quello che è successo col principe ereditario e il re… ho sentito dire anche che ha avuto un figlio bastardo da Rhaegar Targaryen. Forse è quello, il motivo per cui Sua Maestà l’ha ripudiata. Anzi, è sicuramente per quello.”
“Certo che ha avuto una bella faccia tosta… presentarsi al matrimonio come se nulla fosse, davanti al re e alla nuova regina. Potrebbe davvero aver stregato sia lui che il principe Targaryen con i suoi poteri di ammaliatrice, come si dice tra la nobiltà del Sud. Poteri che derivano direttamente da quelle loro stregonerie da Figli della Foresta.”
“Credi nella magia? Non l’avrei mai detto…”
“Non è questione di credere o no nella magia, mia cara… non sappiamo molto di questa gente del Nord. Le voci che girano potrebbero benissimo essere vere…”
“Meglio starne comunque alla larga. Non si sa mai.”

Dopo neanche due minuti, già si era stufata di ascoltare cattiverie. Lasciò quei due a spettegolare sulla vita di corte, mentre lei riprendeva all’indietro la strada per il banchetto, stringendo i pugni per trattenere un grido di frustrazione e di rabbia. Che stupida era stata a pensare che nessuno avrebbe più parlato di quanto era successo con Rhaegar! Le bastava girare l’angolo per trovarsi circondata da gente che non vedeva l’ora di raccontare versioni diverse della stessa storia, in un miscuglio di racconti e mezze verità che non facevano altro che farla soffrire di più.
Avrebbe voluto voltare la testa e non preoccuparsene, ma era difficile, troppo difficile. Scrollare le spalle e ridere in faccia a persone come quelle era un lusso che avrebbe potuto permettersi solo una persona sicura di sé e protetta dalle avversità: in quel momento, non si sentiva minimamente capace di tanto.
Tornò da Ned con la testa che girava per la rabbia e per le lacrime che tentava di rimandare indietro, senza spiegargli perché fosse così scura in viso.
Avrebbe potuto andare ad affrontare quel lord di persona, fargli rimangiare le sue parole, ma non si sentiva più in forze: desiderava solo tornare in camera, riposare e stringere Jon tra le braccia il più presto possibile.
 
Mentre Ned e Catelyn si scambiavano pareri sull’andamento della cerimonia, l’occhio le cadde sul gruppo di musicanti che avevano appena iniziato a sistemare gli strumenti per eseguire delle ballate: uno di loro stava pulendo una grande arpa di legno, le cui corde rilucevano splendide nel sole. Le tornò in mente l’arpa di Rhaegar che suonava solo per lei e le sfuggì una lacrima, che cadde sulle sue dita come una piccola perla scivolata da un ricamo.
 

 
 
 




Noticine di Nat
Qualcuno vuole un po’ di estateeeeH? [cit.]
Salve, cari lettori! Spero stiate passando bene questo periodo, anche tra eventuali debiti/maturità/sessione estiva… io sono piombata nel tunnel degli esami universitari estivi, ma non posso rinunciare al nostro appuntamento settimanale, così cerco di conciliare studio e scrittura. Mi sono divertita a descrivere lo scontro Robert/Lyanna di questo capitolo, era tanto che lo avevo in mente e finalmente ho potuto liberare la “wild Lyanna”, quella fiera che farebbe di tutto per proteggere il suo cucciolo… e che spero fortemente sia IC!
Il Robert di questa storia – a parte il comportamento motivato dal what if – è un po’ il Robert che immagino rapportato a lei: la ama ancora, ma nonostante tutto deve lasciarla libera perché si è buttato in un’impresa più grande di lui e ormai non può tirarsi indietro, non ora che deve pensare al trono e al suo ruolo di re. Oltretutto, come si sarà capito, non nutre particolare simpatia per Jon (eh beh…) e non ce l’avrebbe mai fatta ad accettarlo come figliastro, neppure se sua madre è la donna che dice di amare più di ogni altra cosa. È innamorato, ma resta testardo, anche più di Lyanna!
Anche descrivere Jaime è una sfida: la mia idea è quella di un giovane confuso, nel quale convivono male e bene e che dovrà affrontare un percorso di cambiamento, come quello nella serie, per intenderci. Sono veramente felice di avere la possibilità di scrivere su di lui e cercherò di sfruttarla al meglio :)
Il prossimo capitolo sarà decisamente focalizzato su Rhaegar, per cui… stay tuned, amati lettori!
Grazie ancora a chi sta seguendo la storia (continuate ad aumentare!), a chi commenta ogni capitolo con entusiasmo sempre maggiore e a voi lettori silenziosi. Siete tutti grandiosi <3
Alla prossima, allora!
Nat

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X
 

 
 


“Once I travelled seven seas to find my love,
and once I sang seven hundred songs.
Well, maybe I have still to walk seven thousand miles
until I find the one that I belong.”
[Xandria – Eversleeping]
 
 
 
 
Padelle Salate
qualche giorno dopo
 




Aveva sognato di nuovo Lyanna.

Questa volta non si era trattato di un sogno angoscioso, non era stato uno di quegli incubi che lo facevano risvegliare in un bagno di sudore, stravolto e spaventato come durante la convalescenza seguita alla battaglia del Tridente. No, era stato un bel sogno: era nel Parco degli Déi e la sua donna gli sorrideva, bella come l’ultima volta in cui si erano lasciati ma priva della sofferenza che le aveva deformato i lineamenti per lungo tempo, più serena e rilassata. Era seduta sotto uno degli alberi-diga e sembrava impegnata a giocare con qualcosa che stringeva tra le braccia e continuava a spostare verso l’alto e verso il basso: Rhaegar le si era avvicinato per scoprire che l’oggetto di quelle attenzioni era un bambino dai corti riccioli neri, uno scricciolo che la ragazza cullava e faceva ridere, tanto che le grida di gioia del piccolo riempivano il Parco e le orecchie del principe come una musica.

“Finalmente sei arrivato” gli aveva sorriso lei appena lo aveva visto. “Ti aspettavamo da tanto, io e tuo figlio. Ora che sei qui, resterai?”

Ho promesso troppe cose e ne ho mantenute poche, tanto che ormai ho quasi paura di questa parola e dell’effetto che fa, avrebbe voluto rispondere lui. Ma tanti altri sogni gli avevano insegnato che la cosa migliore era rimanere in silenzio e lasciarsi avvolgere dall’atmosfera del Parco, godersela come se si fosse trovato davvero lì, accanto alle persone che più desiderava vedere in quel momento. Si era seduto accanto a Lyanna e aveva preso il bambino dalle sue braccia per poterlo vedere meglio, terrorizzato all’idea di potergli fare male in qualunque modo, anche soltanto stringendolo in maniera sbagliata.
Il piccolo era proprio come se l’era immaginato, come l’aveva visto nei suoi sogni precedenti: occhi di un grigio scuro e morbido che sembrava la fusione perfetta tra il suo color ossidiana e il grigio azzurro di Lyanna, capelli neri e riccioluti, i tratti eleganti dei Targaryen che si ripresentavano sul suo viso ingentilendo quelli più decisi degli Stark. L’aveva alzato oltre la testa e suo figlio gli aveva dedicato un’altra risata, limpida come le precedenti, pura gioia che lo pervadeva e riempiva il cuore del padre. Non era riuscito a togliergli gli occhi di dosso, neppure quando Lyanna lo aveva poggiato delicatamente a terra perché potesse riposare all’ombra e si era avvicinata al compagno, sfiorandogli la fronte con la sua in un tentativo di contatto che mancava a entrambi da troppo tempo.
Era sceso verso le sue labbra piano, il più lentamente possibile, per non perdere nemmeno un istante di quanto la mente gli stava regalando. L’aveva baciata con la stessa delicatezza con la quale aveva stretto suo figlio e aveva aspettato che il sogno svanisse, così com’era venuto, in un turbine di luci sfavillanti e parole sussurrate che diventavano pian piano meno comprensibili… ma non era stato così. Una volta riaperti gli occhi, Lyanna era ancora con lui e accanto a lei lo osservava un ragazzino dai capelli argentati, piccolo e magro, un sorriso malizioso sul viso, degno di chi ha appena combinato una marachella e sa di essere stato colto con le mani nel sacco.

“Chi è il vero Principe che è Stato Promesso, padre? Io, il Drago della stirpe Targaryen, o il ragazzino del Nord, il figlio dei Lupi? E chi sceglierai tra noi per regnare?”

Rhaegar non sapeva come rispondere. Avrebbe desiderato chiamare a sé quel ragazzino e donargli lo stesso affetto che aveva dato al fratellastro, ma per quanto potesse tendergli le braccia quello gli scappava ridendo, fuggendo in una foschia che diventava sempre più fitta e confusa, sfuggente, impossibile da afferrare… fino a che il giovane non si svegliò, ritrovandosi sul letto nel quale aveva trascorso gran parte della sua convalescenza. Poco distante da lui, Aegon VI Targaryen, tornato neonato, piangeva a pieni polmoni, forse per la fame, forse perché si era svegliato anche lui dopo un bel sogno e voleva esprimere in qualche modo il suo disappunto.
Il principe si alzò, lo prese in braccio e cercando di calmarlo, mentre si avvicinava alla finestra e la apriva per godere un po’ del fresco e della brezza marina portati dalla notte. Sentirlo agitarsi tra le sue braccia per poi tranquillizzarsi e addormentarsi in pochi minuti lo aiutò a rilassarsi e a lasciare che i frammenti del sogno lo pervadessero.
 
 


***
 


“Siete proprio sicuro, Altezza? Sapete bene che le sorti del regno dipenderanno anche da voi e dalle vostre decisioni… volete davvero voltare le spalle ai Sette Regni e recarvi al Nord per intraprendere un viaggio che non sapete neppure se avrà esito positivo?”
“Non sto voltando le spalle ai Sette Regni, Lord Varys… o almeno, lo sto facendo solo per ora: sapete benissimo che non ho la forza sufficiente né per radunare un esercito, né per sondare il terreno e capire se le famiglie fedeli alla mia lo sono ancora. Mi serve del tempo, semplicemente del tempo… che lo trascorra nascosto in una qualsiasi delle Città Libere o al Nord, il risultato sarebbe lo stesso. Devo riflettere e cercare me stesso, ma soprattutto devo ritrovare una parte della mia famiglia. Il Principe che Fu Promesso…”
Si interruppe di botto, come se avesse avuto timore di lasciar trapelare con troppa intensità quelle che aveva sempre considerato fantasie, se non addirittura ossessioni. Varys, però, gli rispose con la solita calma.
“Si tratta di una leggenda, Vostra Altezza, lo sapete benissimo. Come potete essere sicuri che vostro figlio sia davvero il Principe?”
Rhaegar non aveva risposto: si era limitato a sorridere, spostando lo sguardo sull’eunuco, in piedi accanto a lui. “Se non do una possibilità al mio destino non lo vedrò mai realizzarsi, non pensi anche tu, amico mio? Sono pronto a tutto ciò che verrà, anche al fallimento… ma devo tentare. Devo farlo, desidero farlo disperatamente, per me e per i miei figli. E per il futuro dei Sette Regni. Questo viaggio al Nord potrebbe portare molto di più di quello che immaginiamo.”
L’uomo chinò il capo, come a volergli comunicare che comprendeva il suo ragionamento, anche se lo approvava solo in parte. “Se ritenete che sia giusto così, Altezza, sicuramente avrete le vostre ragioni. Tuttavia, vi chiederei di aspettare ancora qualche giorno prima di partire, se non altro per permettere alle vostre ferite di guarire totalmente… vi aspetta un viaggio piuttosto lungo.”
“Sarà fatto. Dobbiamo anche discutere di quanto occorrerà ai miei fratelli affinché vivano tranquilli e non abbiano problemi, almeno fino a che Dany non sarà cresciuta abbastanza da poter prendere in mano la sua vita” aveva concluso Rhaegar, ribadendo un argomento che stava a cuore sia a lui che a Varys, il quale gli restituì in pieno il sorriso, felice che il principe avesse messo da parte un po’ dell’avventatezza che aveva caratterizzato le sue giornate precedenti.
“Senz’altro, Altezza. Senz’altro.”
 
 
***
 


Avevano lasciato Approdo del Re qualche giorno prima, in mattinata, con il sole che aveva appena iniziato a rendere tiepide le pietre del cortile. Questa volta era stato il re in persona a salutarli, quasi a volersi far perdonare la sua mancanza di ospitalità alla vigilia del matrimonio: aveva scambiato con Ned un abbraccio fraterno e con Catelyn i soliti convenevoli amichevoli riservati alle dame di alto lignaggio, ma si era trattenuto con Lyanna per tutto il resto del tempo, impegnato nel saluto più difficile tra quelli che gli era toccato distribuire quel giorno.

“Allora, Vostra Maestà… abbiate cura di voi. E salutate la regina.”

Robert l’aveva guardata, passando gli occhi sul suo profilo deciso, le labbra piegate in un tentativo di sorriso distaccato, gli occhi grigio-blu che mandavano fiamme nonostante fossero del colore del ghiaccio. Si chiese, forse per la prima volta, se avesse davvero capito qualcosa di quella ragazza, se non avesse sbagliato fin dall’inizio a corteggiarla senza dare prima un’occhiata alla sua anima per capirla, o almeno per provarci. Ora era troppo tardi per ripensarci: gli restava il rimpianto di non averlo fatto, la consapevolezza e la rabbia che, là fuori, c’era stato un altro uomo abbastanza fortunato da saper conquistare il suo cuore e la sua anima tutti interi, senza dover pregare gli Déi per una possibilità.
“Lyanna… mi dispiace per ieri. Se puoi, dimentica la nostra discussione e quello che ho detto. Sono state parole terribili, ma sai che per te ho il massimo rispetto e continuerò ad averne sempre, anche se le cose sono andate diversamente da quanto ci aspettavamo.”
Lei gli aveva sorriso mestamente, stringendo le briglie e rivolgendogli la domanda che più avrebbe bruciato. “Ma non puoi ancora accettare il fatto che io ami un altro uomo e sia la madre di suo figlio, vero? Anche se quel bambino è sia mio che suo.”
Robert restò in silenzio: Lyanna lo capiva molto meglio di chiunque altro. Anche più di quanto lui capisse se stesso. Non le rispose: si limitò a prenderle una mano e a stringerla per salutarla, guardandola un’ultima volta negli occhi prima di lasciarla andare. Solo gli Déi sapevano quando l’avrebbe rivista…

“Abbi cura di te, Lyanna.”

La ragazza si era lasciata la corte alle spalle con un certo sollievo, pronta a riprendere la strada per il Nord, per Jon e la sua famiglia. Aveva spronato Visenya al trotto e non si era voltata indietro, non era riuscita a cogliere quella luce mista di rabbia e tristezza che illuminava gli occhi blu del re.
 

 


***
 


Demeter gli aveva procurato quanto gli aveva chiesto: una polvere nera in una piccola sacchetta di pelle, il primo passo verso una serie di cambiamenti che sarebbero arrivati lentamente, con costanza. Aveva lasciato Aegon alle cure della solita ragazza e si era spinto verso l’intrico di alberi di un boschetto vicino, in cerca di un tratto di fiume che fosse il più lontano possibile dagli insediamenti umani e gli garantisse la tranquillità di poter agire in silenzio e calma, protetto dall’ombra degli alberi secolari che crescevano attorno a lui.
Si era inginocchiato nei pressi del fiume, prendendo dell’acqua nel cavo delle mani e versandola sulla testa, rabbrividendo appena al tocco gelato delle sue dita. Il passo successivo era stato quello di impastare la polverina nera con altra acqua e passarsela sui capelli, con lo stesso impegno di un bambino che gioca con il fango e vuole creare con le sue mani castelli, valli, interi imperi. Era seduto davanti al fiume, chinato quel tanto che bastava da poter osservare la sua immagine riflessa: un giovane dal viso scavato gli restituì lo sguardo, un po’ stranito, una luce guardinga negli occhi ormai abituati a vedere inganni e pericoli dappertutto. Un giovane che, fino a qualche mese prima, era stato il figlio di un re, l’erede al trono, una speranza di pace e serenità per i Sette Regni , ma che ora era ridotto a scappare e nascondersi come un mendicante, ad aver paura perfino del suo aspetto, tanto da dover ricorrere a trucchi di quel tipo per proteggere se stesso e il bambino che gli Déi o chissà chi altro avevano salvato a costo delle vite della madre e della sorellina.
Distolse lo sguardo dai suoi stessi occhi, pozzi di ossidiana che avrebbero potuto inghiottirlo se solo avesse fatto un passo falso, impregnò le mani della miscela di polvere e acqua e lasciò che ricoprisse completamente i suoi capelli, colorandoli, nascondendo nel nero il biondo argenteo che li aveva resi tanto belli.
Pian piano, il giovane principe Targaryen cambiava aspetto davanti ai suoi stessi occhi: le occhiaie marcavano uno sguardo stanco e pensieroso, un accenno di barba bionda gli copriva il mento e il labbro superiore, ma erano i capelli a fare la differenza, neri come la notte, come l’ala di un corvo, bagnati e incollati al viso come se avesse tuffato la testa nell’acqua per rinfrescarla dopo un pomeriggio di lettura al sole. Così diversi da quelli argentei che le dame osservavano sospirando, dalle ciocche morbide che Lyanna aveva accarezzato nei momenti trascorsi insieme che gli sembravano ormai lontani secoli, millenni, come se fossero appartenuti ad un’altra vita o ad una delle ballate che suonava con la sua arpa. Eppure, era quella la maschera che avrebbe dovuto indossare, almeno fino a che non sarebbe tornato al luogo al quale davvero sentiva di appartenere.
Dovunque, ma con lei.
Si prese il viso tra le mani e respirò profondamente, aprendo i polmoni all’aria e il corpo al tocco dell’erba sotto le ginocchia, alla puntura gelata dell’acqua sulle dita, a tutte quelle sensazioni che le giornate trascorse a letto gli avevano precluso. Continuò a respirare e aspettò che qualche raggio di sole gli sfiorasse la testa per asciugare i suoi capelli bagnati e completare la trasformazione nel giovane senza nome che avrebbe viaggiato per il Nord in compagnia di un cavallo e del figlio, solo e sconosciuto, o almeno sperava.
Sfiorò con un dito le sue cicatrici sul petto, là dove Robert Baratheon aveva calato il martello da guerra per colpirlo, schiacciando le sue ossa come foglie morte, scavando solchi con la forza del braccio e dell’odio che bruciava dentro di lui. Le delineò, accarezzandole come se dovesse imparare la loro esatta collocazione, immaginando la testa di Lyanna appoggiarsi sul suo petto e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che avrebbero affrontato qualunque ostacolo insieme, che lui era il Sangue del Drago, il principe ereditario, parte della sua forza, l’unico uomo che avrebbe mai desiderato al suo fianco. Sorrise tra sé, mentre prendeva il piccolo sentiero che lo avrebbe riportato al villaggio, facendosi accompagnare da quei sogni ad occhi aperti.
 
 


***
 
 


“Non posso credere che tu l’abbia fatto, Lyanna. Sul serio. Come accidenti sei riuscita ad introdurti nello studio di Robert per portarla via con te? E soprattutto, come hai fatto a nasconderla?”
“Hai presente la cerimonia della messa a letto? Mentre eravate tutti impegnati a cantare sconcezze e portare a letto la dolce sposina Cersei, io mi riappropriavo di un oggetto che merita di meglio che venire gettato in una stanza, nemmeno fosse spazzatura. Quindi me la sono ripresa, starà meglio qui a Grande Inverno che in una stanza qualunque ad Approdo del Re, a corrodersi e soffocare nella polvere.”
Lyanna aveva sorriso con l’aria di chi l’ha fatta grossa sotto al naso di qualcuno, prima di spacchettare con cura un involto infilato tra i bagagli che avevano riportato dalla capitale: dalla stoffa era apparsa nientemeno che l’arpa d’argento e legno prezioso appartenuta a Rhaegar Targaryen, che brillava sotto al sole del mattino quasi a voler ringraziare la sua salvatrice di quella premura.

“Questo è rubare. Lyanna, non ti rendi conto di quello che fai. Se Robert…”
“Se Robert non la vedrà più, penserà di averla già buttata via e non se ne preoccuperà più di tanto. Fidati Ned, se l’ha gettata via in quella maniera voleva soltanto levarla di torno e non pensarci più… gli ho fatto un favore, mi dovrebbe ringraziare” concluse la ragazza con un altro sorrisetto, scrollando le spalle come se la questione non la toccasse più di tanto. Prese con grande delicatezza lo strumento e lo portò nel salone, in attesa di trovargli una sistemazione migliore: una volta ripulita e fatta accordare da qualcuno che se ne intendeva, sarebbe tornata a fare bella mostra di sé come meritava. Peccato che nessuno dei membri della sua famiglia sapesse suonarla.

Più tardi quella sera aveva finalmente preso in braccio Jon, restando per un bel po’ da sola con lui. Si era limitata a guardarlo muoversi sul letto e avvertirla della sua presenza emettendo piccoli gorgoglii e versi di impazienza, ma era bastato a ridarle un po’ di serenità e a calmare i suoi nervi. Mentre lo accarezzava e faceva del suo meglio per metterlo a dormire – aveva completamente abbandonato l’idea di provare ad allattarlo – ripensò all’arpa e al viso sconvolto di Ned quando l’aveva vista estrarre dai bagagli. Suo fratello era sempre stato l’immagine della razionalità e dell’equilibrio, un giovane lupo saggio e posato che sapeva quale fosse la decisione giusta da prendere, un vero lord… eppure, in casi come quello, non riusciva ad abbandonare la ragione e a guardare le cose dal suo punto di vista, quello di una persona innamorata disposta a cacciarsi nei guai pur di riguadagnare qualcosa appartenente al proprio passato felice.
Avrebbe voluto portare suo figlio davanti allo strumento, guidargli le manine sulle corde e spiegargli quello che quell’arpa aveva significato per lei, raccontargli il modo in cui lei e suo padre si erano conosciuti e innamorati grazie anche alle note che da lì erano nate, alle ballate che il bel principe malinconico cantava e suonava nelle stanze vuote del castello, per la polvere e i ricordi sbiaditi delle antiche battaglie che ancora le abitavano. Avrebbe desiderato che Jon fosse già adulto, anche solo per potergli raccontare tutto e sentirsi rispondere con fiducia che suo padre sarebbe tornato, che il sangue del Drago era forte in lui e non sarebbe bastata una cornata inflitta da un cervo a farlo finire nel fango e nella polvere. Sapeva che i suoi pensieri erano più frutto di un improvviso desiderio di sicurezza che una predizione sicura della realtà, ma non le importava: anche lei aveva le sue debolezze, dopotutto… non le avrebbe mai nascoste a suo figlio. Jon meritava di vedere ogni suo lato, sia la parte migliore che quella che le piaceva meno.

Appoggiò le labbra sui ricciolini neri del bambino e aspirò il suo profumo di caldo e di casa: erano neri, morbidi, scuri quanto i capelli di Rhaegar erano chiari, e bellissimi.
 

 


***
 


Quella notte aveva dormito poco. Né sogni consolatori né incubi lo avevano tormentato, ma forse era meglio così. Si era svegliato all’alba e subito aveva iniziato a radunare le sue poche cose per prepararsi al viaggio, senza indugi né ripensamenti: la meta gli era chiara, doveva soltanto mettersi sulla strada e lasciarsi la sua storia alle spalle. Un capitolo della sua vita si era chiuso, un altro stava per riaprirsi, ma questa volta sarebbe stato lui a prendere il destino tra le mani, non qualcun altro.
Varys e Demeter erano accanto al suo cavallo, in attesa. L’eunuco gli aveva porto un sacchetto di monete, per la prima volta con un’espressione sul viso che si avvicinava all’imbarazzo.
“Queste spettano a voi, Altezza. Per quanto dobbiate restare in incognito, non potete viaggiare completamente privo di denaro…”
Rhaegar sorrise: non era più un principe, almeno fino a che non avesse ripreso il suo posto sul Trono. Quei formalismi erano inutili di fronte al giovane vestito con abiti semplici e con un bambino legato al collo come un piccolo involto di stracci, ma la deferenza e la gentilezza di Varys restavano sempre le stesse, come se si rifiutasse di ignorare ciò che era diventato e continuasse a mettere la regalità del principe ereditario al di sopra di tutto.
“Grazie, amico mio. Vi sono debitore di una vita intera… dovrei essere io a darvi una ricompensa.”
“La più grande ricompensa è la vostra salvezza, principe Rhaegar. La vostra e quella del giovane Aegon.” Demeter intanto era impegnato a sistemare le varie borse alla sella, assicurandole e ricontrollando che tutto fosse in ordine. Finì di legarle e si rivolse a Rhaegar: “Avrete provviste sufficienti almeno per i prossimi cinque, massimo sei giorni, Altezza. Dopodiché, la cosa migliore sarebbe cercare qualche buona taverna non troppo in vista e rifocillarsi lì, se manterrete un profilo basso e non darete troppa confidenza agli estranei non incontrerete problemi… non dovrebbero riconoscervi, camuffato in quel modo.”
L’armatura, ormai rovinata e macchiata di sangue, era stata tenuta da parte in un angolo della stanza. Varys gli aveva procurato dei pantaloni, una casacca color rosso cupo della sua misura e un mantello nero di buona fattura ma non particolarmente appariscente: con un po’ di fortuna sarebbe potuto passare per un signore di una casata minore in viaggio, oppure per un cavaliere errante. Nessuno avrebbe riconosciuto nel giovane dai capelli neri e gli occhi scuri e malinconici il bel principe drago Rhaegar Targaryen, anche perché praticamente nessuno, nei piccoli villaggi dell’Est, doveva averlo visto dal vivo.
E poi, tutti mi credono morto. Robert stesso pensa di avermi ucciso al Tridente… nessuno si aspetterebbe di vedermi ricomparire, da un giorno all’altro. Forse nemmeno Lyanna.
Si fece aiutare da Demeter ad issarsi a cavallo e sistemare il bambino in modo da non causargli disagi durante gli spostamenti. Per fortuna Aegon sembrava dotato di un’indole piuttosto tranquilla – si agitava solo all’ora dei pasti – e si lasciò legare come un piccolo pacchetto di stoffa senza fare tante storie, mugolando appena in segno di approvazione.
“Ricordate i nostri discorsi, Altezza. Promettermi che penserete ai vostri fratelli… che non perderete voi stesso e vi dedicherete anche al regno, oltre che al vostro erede del Nord.”
“Ve lo prometto, Lord Varys, ma non potrei fare altrimenti, conosco i miei doveri. Ho solo bisogno di aspettare e di raccogliere la mia famiglia, o almeno quel che ne è rimasto, accanto a me… il regno non sarà perduto. Ci vorrà del tempo, ma troverò la mia strada. Su questo potete contare.”
Sia l’eunuco che Demeter sorrisero. Vederlo partire era triste, ma l’espressione determinata del principe mostrava che quel periodo di convalescenza aveva fatto bene alla sua forza interiore e alla sua volontà. Il Drago non aveva perso le ali, né la capacità di sputare fuoco: era stanco, ferito, ma non completamente sconfitto. Avrebbe volato ancora, e non da solo. Ora i draghi erano quattro.
Quattro e mezzo, se voleva considerare anche il suo ultimo nato.
Rhaegar spronò il cavallo e agitò la mano per salutare entrambi, mentre si allontanava piano da Padelle Salate per dirigersi al Nord. Il suo primo pensiero, mentre trottava per i campi, con il mare accanto a lui che lo accompagnava come un nastro di pietre preziose in movimento, fu per il suo bisnonno Aegon V, che secondo le leggende che si raccontavano si era rasato i capelli e viaggiava per i Sette Regni in incognito, fino a che un cavaliere errante non lo aveva preso come suo scudiero. Io li ho tinti, invece, rifletté tra sé e sé, e per la prima volta dopo giorni si concesse un piccolo sorriso davvero divertito.
 
 

***
 
 
“Non ho intenzione di andarmene. Ora sono qui, e sono venuto per restare.”

Lyanna aveva alzato una mano nel dormiveglia, afferrando l’aria con le dita come se volesse impedire ai frammenti del sogno di sparire, andarsene senza il suo permesso. Rhaegar continuava a sorridere dietro alle sue palpebre, mentre una mano dalle dita lunghe e aggraziate – l’arpa le aveva modellate, rese delicate e leggere per poter pizzicare le corde senza incrinarle, senza piegarle troppo – le scivolava tra i capelli e li accarezzava, passando avanti e indietro, sfiorandoli come se volesse ricordarne la consistenza, per quanto la sua immagine non fosse altro che fumo e ricordi, nient’altro che quello.

“Vorrei svegliarmi e trovarti accanto a me, come una volta. Ma so che non sarà così.”

Il sorriso di Rhaegar non si era incrinato, neppure quando Lyanna l’avevo guardato sparire con tristezza, inghiottito dalla nebbia leggera del sogno. Un’immagine opalescente che sfuggiva al suo controllo.
La giovane si alzò, scrollandosi i capelli dalle spalle e cercando di raccogliere solo per un istante un ricordo di quanto aveva visto, della voce e dei gesti di Rhaegar, almeno per conservarli un altro po’ nella mente. Ma un pianto la interruppe quasi subito, disperato come potevano esserlo solo i pianti dei bambini piccoli e affamati: Jon si era appena svegliato e richiedeva la sua presenza. Con un sospiro la ragazza si alzò e lo prese dalla culla, posandogli un bacio tra i ricciolini neri e cullandolo per calmarlo, piano, come faceva sempre.

Suo figlio stava crescendo, impercettibilmente, ma stava crescendo: aveva solo qualche mese e già si muoveva con irrequietezza e si esercitava in piccoli gorgheggi vivaci che sembravano tentativi di pronunciare qualche parola. A Lyanna piaceva portarlo con se quando passeggiava nel Parco degli Déi, soli, perché iniziasse da subito ad apprezzare la bellezza dell’ombra degli alberi-diga e la quiete che quell’angolo le regalava. Quando i suoi piedi poggiavano sul muschio fresco e umido e le mani si aggrappavano alla superficie liscia dei tronchi, solo in quel momento si sentiva veramente a casa.
Anche quel giorno non si fece mancare la sua passeggiata. Infagottò Jon in una copertina, indossò il mantello e uscì nel giardino, salutata dal vento autunnale che faceva cadere le foglie e le disseminava dappertutto, monete d’oro cadute dal cielo e dimenticate in ogni angolo. Il Parco risuonava della sua musica segreta e lei era lì per ascoltarla, pronta a camminare tra gli alberi e a portare con sé qualche traccia delle notti trascorse a pensare e a rincorrere sogni e immagini di quella che avrebbe potuto essere la vita che desiderava, con la speranza che la sensazione che provava al riguardo fosse esatta, che il padre di suo figlio fosse vivo, da qualche parte, un drago ferito ma ancora in grado di rialzarsi e di raggiungerla, volando, dovunque si trovasse.
Avrebbe voluto che anche Rhaegar fosse lì con lei, rifletté, mentre guardava Jon riposare tra le sue braccia, sotto al più grande tra gli alberi-diga del Parco.

Almeno per quel momento, però, avrebbe dovuto accontentarsi dei sogni.
 
 
 
 
 

 





Noticine di Nat
Sssalve cari lettori, e benvenuti ad un nuovo capitolo di passaggio!
Questa settimana è stata veramente caotica: tra riassunti, film da vedere e cose da appuntare, questa sessione estiva è una tribolazione. Mi ritrovo a poter scrivere solo in serata dopo aver studiato ore, ma sto cercando di portarmi avanti il più possibile per garantirvi comunque l’aggiornamento del lunedì. Se dovessero esserci eventuali ritardi potrei posticiparlo al massimo al mercoledì, ma spero non sia necessario ç_ç
Ora che Rhaegar è ufficialmente partito, la sua riunione con Lyanna appare più vicina… anche se c’è sempre il POV di Approdo del Re di mezzo, per cui vi farò cuocere ancora un po’ nella suspence, eheh. Lo so che mi amate <3
Scherzi a parte, le cose continueranno a movimentarsi “a piccoli passi”, anche perché mi piace alternare l’azione ai capitoli riflessivi. In questo ho inserito un piccolo “Easter Egg” relativo a Il cavaliere dei Sette Regni, una raccolta di Martin che ho adorato (e vi straconsiglio!), vediamo un po’ se riuscite a beccarla.
Alla prossima, allora, cari lettori! E buon inizio di luglio a tutti voi :3
Nat

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI
 
 
 
 
 

“Now I'm trying to make sense of what little remains, oh
'cause you left me with no love
and honour to my name.”
[The Script – Breakeven]

 
 
 
 
 
 
 
 
Neppure da bambina Cersei Lannister aveva conosciuto la felicità.
 
Fin dalla sua nascita era stata colmata di amore e attenzioni da sua madre, una donna forte e intelligente che, a detta dei servitori, era stata l’unica ad aver conquistato Tywin Lannister e il suo cuore freddo, di granito solido quanto quello della roccia su cui poggiava la residenza di famiglia: la nascita di Cersei e di Jaime era stata salutata con gioia, come si confaceva a quella degli eredi di una delle famiglia più potenti dei Sette Regni. Johanna Lannister si era ripresa in fretta dal parto e si era mostrata da subito la madre che Cersei ricordava, gentile e pronta sia a sgridarli quando serviva che a premiarli quando se l’erano meritato.
 
Una roccia ricoperta di muschio e fiori, tanto gentile quanto Tywin era duro e imperscrutabile.
 
Poi, all’improvviso, le cose erano cambiate. Con la nascita del loro fratellino, Tyrion, la loro luce si era spenta, l’unica luce che illuminava le stanze altrimenti buie di Castel Granito, l’unica persona che sembrasse veramente interessata alle loro piccole esistenze. Johanna Lannister se n’era andata in un attimo, così velocemente da non permettere ai suoi figli neppure di salutarla o di rendersi conto che la stavano perdendo: se n’era andata e basta, lasciandosi dietro un marito vedovo col cuore, se possibile, ancora più duro di quanto non fosse in precedenza e tre figli smarriti, uno dei quali era appena un neonato.
 
Se c’era una cosa che Cersei non perdonava al fratello minore, era quella di aver portato loro via la madre.
Non servivano a nulla i tentativi di Jaime di convincerla che Tyrion non c’entrava nulla, che sarebbe successo anche se a nascere fosse stato qualcun altro e che non aveva senso rendere la vita del fratello ancora di più un inferno con le sue cattiverie: Cersei era inconsolabile. Specie dopo quel periodo iniziale trascorso come moglie di Robert Baratheon, periodo che le aveva mostrato chiaramente quello che già immaginava, ovvero che il suo regale marito considerava il loro solo un matrimonio di comodo e lei la donna che avrebbe dovuto accettare per forza se voleva governare i Sette Regni.
 
Sua madre non avrebbe mai permesso che Tywin la vendesse come un animale al miglior offerente. Johanna Lannister si sarebbe opposta a qualunque matrimonio avrebbe potuto rendere sua figlia infelice, ne era sicura. Ma quelle riflessioni piene di rabbia e di dolore non servivano a nulla, se non a farla soffrire ancora di più: la madre non sarebbe tornata a consolarla, né a strapparla da quel destino che le toccava affrontare giorno dopo giorno. Doveva badare da sola a se stessa, lottare con le unghie e con i denti, proteggersi.
 
Per fortuna le era rimasto ancora Jaime.
 
Il fratello le restava accanto il più possibile, nonostante i suoi impegni di Guardia Reale. Ora che era sposata col re Cersei trascorreva molto meno tempo da sola, ma quegli sprazzi di tranquillità durante i quali si trovavano a stretto contatto l’uno dell’altra erano preziosi, l’unica gioia che le giornate le concedevano. Soprattutto dopo la prima notte di nozze con suo marito.
Cersei non era né una stupida né un’ingenua: conosceva perfettamente i trascorsi dietro il suo matrimonio, la storia che aveva per protagonisti Robert, Lyanna Stark e il principe Rhaegar Targaryen. Aveva semplicemente scelto di ignorare la cosa, mordendosi le labbra e trascorrendo gran parte del ricevimento di nozze a stringere i pugni ed evitare di volgere lo sguardo verso la giovane lupa del Nord, la donna che aveva stregato quello che avrebbe dovuto essere il suo promesso sposo se le cose non si fossero messe in quel modo.
Robert era un bell’uomo, quello nessuno poteva negarlo: forte, atletico, possente, lo sguardo ardente racchiuso da un paio di occhi che bruciavano, un guerriero perfetto, il sogno di gran parte delle fanciulle dei Sette Regni (o almeno di tutte quelle che non svenivano dietro al principe Rhaegar). Pur sapendo quanto fosse ancora invaghito della giovane Stark, aveva fatto un tentativo di entrare nelle sue grazie, di dimostrarsi una buona moglie e una regina degna di quel nome… fino alla fatidica prima notte di nozze, la notte in cui il suo regale marito si era preso quanto gli spettava senza dolcezza, senza trasporto, ubriaco e desideroso del suo corpo e di nient’altro. L’aveva presa e al culmine del piacere aveva chiamato un nome con la bocca impastata, il vino che ancora non esauriva il suo effetto. Un nome che non era il suo.
 
Lyanna…
 
A ripensarci in quel momento, sentiva le lacrime che si facevano strada prepotentemente giù per gli occhi, desiderose di caderle sul viso e bagnare le mani strette in grembo, i pugni contratti. Si costrinse a calmarsi e cercò di ricomporsi, inspirando profondamente: ci mancava solo che qualcuno venisse a cercarla e la trovasse in quello stato. Era patetica. Doveva essere una regina, non una ragazzina piagnona.
 
Pensò a Jaime, all’ultima volta che si erano trovati soli, poche ore prima. Lei gli aveva accarezzato a lungo i capelli, avanti e indietro, desiderando tenerlo accanto a sé per ore, giorni, fermare il tempo e congelare i movimenti di chiunque potesse disturbarli per restare sempre così come si trovavano.
 
“Non voglio far nascere i figli di Robert. Lui non mi ama.”
 
Non aveva ricevuto risposta. Aveva continuato a parlare, spinta da non sapeva cosa.
 
“Come vorrei che fossimo dei Targaryen anche noi, Jaime. Ti avrei sposato, sarebbe stato normale, nessuno mi avrebbe costretto ad un matrimonio forzato con un ubriacone che neppure mi ha mai guardata… ma non è così, io sono una donna e tu sei un cavaliere della Guardia Reale e mio fratello, siamo inermi e soli, completamente soli. Ma io non ci sto, Jaime… io voglio lottare. Devo lottare. Sfodererò gli artigli e lo farò, e mi sentirai ruggire.”
 
Ascoltami ruggire, era quello il motto della loro casata. E lei cos’era, se non una leonessa pronta a rivestirsi della sua criniera, quando si rivelava necessario?
Jaime aveva continuato a sfiorarle con le dita pigre i capelli, silenzioso, preoccupato di infrangere quella calma perfetta anche solo con una parola sbagliata. Ormai aveva capito che con Cersei non serviva parlare, soprattutto quando sua sorella aveva bisogno di sfogarsi: tacere e ascoltarla restavano le opzioni migliori, in ogni caso.
 
Dillo che hai paura. Dì che non vuoi che sbilanciarti, che vorresti essere per lei quello che i tuoi genitori vi hanno sempre impedito di diventare ma che hai paura delle conseguenze.
 
Mise a tacere quella voce interiore e rimase lì dov’era. Non si mosse, non fiatò, neppure quando Cersei si girò e cercò le sue labbra per stringerle in un bacio triste, una sorta di richiesta di aiuto appena sussurrata, come se anche le avesse paura di fare un passo falso, un passo che li dividesse per sempre.
Che sua sorella si prendesse pure quello che voleva, pensò, mentre rispondeva a quel bacio goffamente, impacciato come un ragazzino alle prime armi: era stanco di dover prendere decisioni che si rivelavano sempre catastrofiche. Preferiva lasciare che gli eventi lo travolgessero, senza lasciarsi da parte, senza tentare inutilmente di controllarli.

 
 


***
 


A poche camere di distanza, Robert Baratheon sedeva nel suo ufficio, già alticcio di prima mattina e di pessimo umore. Neppure il vino era riuscito a tirarlo su di morale, e sì che si trattava di una vendemmia eccellente. Ad ogni modo, aveva esagerato come al solito e ora sedeva con la testa tra le mani, lo sguardo annebbiato che si posava dalle carte che avrebbe dovuto leggere alla sedia di fronte alla sua scrivania, fino agli angoli più remoti della stanza che, una volta, era appartenuta ad Aerys Targaryen, il Re Folle. Dov’è l’arpa di quella feccia del principe Targaryen? Eppure mi pareva di averla messa nell’angolo, in attesa di trasferirla in un luogo migliore, si ritrovò a pensare. Ma era chiaramente ubriaco, non avrebbe potuto comunque affidarsi alle percezioni falsate che gli restituiva il vino… e poi, aveva altro a cui pensare. Al regno, per esempio.
 
Fin dall’inizio gli era apparso chiaro che governare Sette Regni non sarebbe stato semplice come prepararsi per una guerra: servivano strategia, coraggio, indulgenza, saggezza, temperanza… tutte doti che aveva sempre sottovalutato ma che, in quei momenti di ebbrezza pericolosamente mista ad un’estrema lucidità, gli apparivano assolutamente necessarie. Eppure aveva sempre messo a tacere le malignità di chi lo vedeva solo come un rozzo guerriero incapace di prendersi le responsabilità proprie di un re, dimostrando che avrebbe potuto essere migliore del sovrano folle che lo aveva preceduto… ma finora aveva avuto ben poche possibilità di farlo concretamente.
Rhaegar Targaryen era morto, d’accordo, ma cosa aveva ottenuto in cambio? Lyanna non era comunque sua. Non lo era mai stata. Aveva dovuto sposare la graziosa donzella di Tywin Lannister, ma non provava il minimo affetto nei confronti di quella ragazzina, nonostante fosse considerata una delle donne più belle dei Sette Regni, nonché tra le più potenti. Appena aveva posato il suo regale posteriore su quel bel Trono irto di lame, subito i membri del Concilio Ristretto gli erano piombati addosso come tanti falchi ciarlando di tasse, opere pubbliche da ristrutturare, contadini da ascoltare, progetti, denaro, lavoro, lavoro, lavoro… non c’era da stupirsi se, ogni tanto, mollava tutto e andava a dilettarsi nei bordelli, tra le prostitute e le ragazze di bottega che erano più che liete di dedicargli i loro servigi. Se non altro, con un mantello e un cappuccio non era più il sovrano, ma un uomo qualunque che sapeva pagare bene il silenzio.
 
Razza di stupido. Eri davvero convinto che quella del re fosse una vita tutta rose e fiori?
 
 
Si asciugò una goccia di sudore che gli colava dalla fronte: ora aveva sete. Era autunno, eppure l’aria era calda come in una giornata d’estate. O forse era lui ad aver bevuto troppo?
 
Avvicinò le labbra ad una brocca d’acqua, trangugiando un sorso come se non bevesse da mesi. Doveva schiarirsi la mente e lavorare alle carte che gli aveva passato quella buonanima del suo Primo Cavaliere Jon Arryn, oppure avrebbe ricevuto la peggiore delle strigliate dall’uomo che era stato come un padre per lui e che, sotto sotto, aveva paura di deludere.
 

 
 
 
***
 
 
 
Vorrei che fossimo nati Targaryen, Jaime. Io sarei stata tua e tu mio, senza nessuno tra noi due. Nessuno mi avrebbe costretta a sposare quel bruto di Robert Baratheon, non avrei dovuto sforzarmi di innamorarmi di lui e restare delusa nel vedere che non sono altro che un dovere, un dovere con un bel corpo e un faccino accattivante. Perché me ne sono innamorata sulle prime, sai? Pensavo che, avendomi sempre sotto gli occhi e nel suo letto, si sarebbe scordato di quella Lupa Stark, che avrebbe amato solo e soltanto me… ma mi sbagliavo. Ho capito che solo stando con te posso sentirmi completa, felice. Così ho smesso di ingannarmi e ho iniziato a rifiutare: sei tu l’unico che accetto e che accetterò. E non lascerò che mi dicano che sbaglio.
 
Alla fine, aveva davvero senso lasciarsi andare?
 
Forse aveva sbagliato tutta la vita, rifletté: forse il suo problema era stato proprio quello di aver sempre seguito tutto quello che gli dicevano di fare gli altri. Suo padre che lo voleva sempre al suo fianco e lo costringeva a leggere nonostante lo vedesse continuamente in difficoltà, sua sorella che lo scongiurava di entrare nella Guardia Reale per non perderlo, il suo re che gli intimava di uccidere il padre per dimostrare la sua fedeltà… aveva mai tratto qualche beneficio dal comportarsi sempre come tutti si aspettavano?
No. La vita gli era scivolata tra le dita, senza che lui potesse farci nulla. E se avesse deciso di lasciarsi portare via dalla corrente, una buona volta? Sapeva che non era giusto, ma la sua mente lottava tra una parte che gli gridava quanto fosse sbagliato quello che aveva fatto e un’altra che restava in silenzio, stanca di combattere.
Strinse una ciocca di capelli di Cersei tra le dita, posando lo sguardo sul suo viso disteso, addormentato. Si avvicinò alle sue labbra e la baciò, come non aveva mai fatto prima, con coraggio, follemente, sfogando il disordine che sentiva nella mente e sperando, allo stesso tempo, che lei non si svegliasse, che il suo sguardo felice e smarrito quanto il suo non lo colpisse, che continuasse a dormire convinta di sognare.
Sarebbe stato meglio per entrambi. Anche se, forse, quel desiderio era solo un altro modo di obbedire alla sua coscienza.
 
Lo sai cosa si dice dei Targaryen, Jaime? Che gli Déi lancino una moneta ogni volta che nasce un bambino, per affidare alla sorte la sua sanità mentale. Saresti stato pronto ad affrontare un rischio simile?
 

 

***
 
 
 
Rhaegar si era fermato nella prima locanda che aveva trovato circa quattro giorni dopo la partenza: come aveva pronosticato Demeter, le riserve di cibo erano durate giusto per quel lasso di tempo. Si era premurato che nessuno lo seguisse, prima di legare il cavallo all’esterno e di entrare con suo figlio in braccio, un fagottino nascosto sotto al mantello che - sperava – non avrebbe attirato l’attenzione.
Si era chiesto se fosse stato il caso di tingere i capelli anche a lui come aveva fatto per i suoi, ma alla fine aveva deciso di lasciarli al naturale: Aegon era così piccolo che, con un po’ di fortuna, sarebbe potuto passare inosservato nonostante il colore bizzarro, così argenteo e inusuale tra la gente comune.
Il figlio aveva quasi un anno e per fortuna era praticamente svezzato. Le provviste che gli aveva fornito Demeter comprendevano solo latte, ma Rhaegar avrebbe voluto trovare qualcosa di più sostanzioso da dargli: avevano bisogno di mangiare, il viaggio non sarebbe durato poco. Con la solita cautela che aveva mostrato durante tutto il viaggio, si fece strada all’interno della locanda, un locale modesto ma pulito che sorgeva accanto ad un ruscello e ad un piccolo insediamento di case e fattorie.
Erano i soli avventori, a parte un uomo seduto in un angolo e la locandiera, una donna robusta con addosso un abito sformato. Nessuno sembrò dargli importanza, fino a che la donna non si avvicinò per chiedere loro cosa desiderassero da mangiare.
 
“Un piatto caldo, di qualunque tipo. Magari della zuppa e qualcosa di solido, se c’è.”
 
La donna annuì e tornò dietro al bancone, per poi sparire in cucina. Rhaegar cercò di assumere un’aria rilassata e sistemò Aegon accanto a se sulla panca, cercando di non battere ciglio quando l’unico avventore si sedette di fronte a lui, chiedendo con lo sguardo se il posto era occupato.
 
Resta indifferente. Non può comunque averti riconosciuto.
 
Il principe annuì ma si calò leggermente più avanti il cappuccio del mantello, mentre la locandiera li raggiungeva con un pezzo di pane, una ciotola e un piatto di verdure cotte.
 
“Siete fortunato ad essere arrivato qui a metà dell’autunno, ser. L’orto è ancora ricco, ma la terra sta già iniziando a seccarsi e presto non darà più nulla, a parte qualche patata stopposa e un po’ di cipolle da mettere nella carne… mio fratello è tornato dalla caccia ieri e ha portato della selvaggina fresca, per cui posso offrirvi una cena almeno degna di questo nome. Per il bambino cosa volete prendere?”
 
Aegon aveva annunciato di avere fame con i suoi piccoli gridolini di avvertimento, come faceva sempre. Rhaegar rivolse uno sguardo preoccupato all’avventore e alla donna, ma nessuno dei due sembrava aver cambiato espressione o realizzato qualcosa all’improvviso. Poteva rilassarsi, almeno per il momento, e chiedere alla locandiera di portargli un’altra porzione di verdura cotta per il figlio.
 
“Siete diretto anche voi nelle Terre dei Fiumi, ser?”
 
L’uomo che gli aveva rivolto la parola, l’avventore, sembrava essere un contadino, almeno a giudicare dalle mani callose e dal viso abbronzato, così come dagli abiti usurati che indossava. Non c’era traccia di malizia nel suo sguardo, né di un qualsiasi interesse maligno nei suoi confronti: sembrava un semplice lavoratore che si rilassava in locanda dopo una giornata di lavoro, nient’altro. Da parte sua, avrebbe potuto continuare a recitare il suo ruolo senza grossi problemi.
 
“Si, sono qui solo di passaggio. Ho degli affari da sbrigare presso i Tully.” Era meglio restare vaghi e non parlare di Grande Inverno, in nessun caso.
 
“Tully, eh? C’è stato un matrimonio tempo fa, se non sbaglio… si è sposata la figlia maggiore, con uno Stark mi pare, mentre la minore è andata nelle terre degli Arryn. L’ultimo figlio è scapolo, secondo me aspettano solo l’occasione buona per rifilarlo a qualche ricca donzella di un casato alfiere delle Trote. Non che la cosa ci dispiaccia, eh! Matrimonio significa cibo, e a quello della ragazza Tully ce n’è stato a sufficienza… ora se n’è andata al Nord, povera figliola. Chissà che freddo fa lì.”
 
Quindi Eddard si è sposato alla fine, rifletté Rhaegar. Fu quasi tentato di chiedere all’uomo se avesse sentito delle voci che riguardavano l’arrivo di una ragazza Stark al Nord dopo la guerra, ma si trattenne prima di tradirsi. Dopo averci riflettuto, decise di arrischiare un’unica domanda.
 
“Stark? Ero convinto che il nuovo capofamiglia fosse morto prima della guerra… se ne parlava spesso, da dove vengo io. Si sono forse sbagliati?”
 
Razza di stupido, stai rovinando tutto! gli gridò una vocina interiore, stizzita. L’uomo, però, era troppo preso dal suo cibo per farci caso.
 
“No, hanno ragione: il figlio primogenito di Lord Stark è morto, da quanto ne so. Deve essere stato il minore a sposarsi, non ricordo se il secondogenito o l’ultimo… certo che ne avrebbe avute di gatte da pelare lord Rickard se fosse stato vivo, tra sua figlia che se n’è scappata col principe ereditario Targaryen e gli ha scodellato un bastardo e un altro dei figli a congelarsi su alla Barriera… mah, storie di nobili. Io coltivo la terra e mi sta bene così, mai e poi mai avrei voluto nascere nobile.”
 
Avrebbe aggiunto altro, ma la locandiera era appena arrivata con un vassoio di carne e patate, distogliendoli entrambi dalla conversazione e permettendo a Rhaegar di raccogliere i suoi pensieri. L’idea che Lyanna potesse essere morta lo aveva tormentato spesso, ma le notizie di Varys prima e quel minimo cenno del contadino ora lo avevano confortato, in qualche modo. Certo, si trattava sempre di voci riportate, ma se fosse successo veramente qualcosa lo avrebbero saputo tutti… oppure no?
 
Doveva continuare col viaggio. Qualunque cosa sarebbe successa dopo, il suo compito era di tornare al Nord.
 
Terminò la serata imboccando il figlio con un misto di avena, verdura e carne tritata che gli aveva portato la donna, per poi chiedere se era disponibile una stanza, almeno per quella notte: non c’era motivo di restare a dormire all’addiaccio, col rischio di imbattersi in qualche brigante. Quando la donna gli porse la chiave della stanza salutò il suo compagno e si recò al piano di sopra, felice che Aegon si fosse addormentato nel frattempo: almeno uno di loro avrebbe riposato sereno, quella notte.
 
Si coricò che gli uccelli ancora cantavano e il cielo era appena diventato scuro.
L’ultimo pensiero, ovviamente, era per Lyanna.
 
 
 

 
 





Noticine di Nat
Questa volta sono veramente in ritardo, chiedo venia. Come avevo scritto nelle note del capitolo precedente, sono nel rush da esame e mi ritrovo non so quanti film ancora da vedere… ragion per cui sto scrivendo molto poco e aggiorno lentamente, ma non voglio comunque perdere il ritmo al quale vi ho abituato (e mi sono abituata!). Spero di riuscire ad aggiornare all’inizio della prossima settimana, ma nel caso non dovessi farcela cercherò comunque di non farvi aspettare troppo!
In questo capitolo ho affrontato in maniera ancora più specifica il rapporto tra Jaime e Cersei, un ship che non amo particolarmente e che, per questo, mi riesce un po’ ostica da trattare. Ci ho messo un po’ “del mio”, ma amo Jaime e cerco di fare del mio meglio per renderlo realistico, anche se si ritrova sempre a tormentarsi e soffrire, povero ragazzo. ;_;
 
Grazie ancora ai miei lettori abituali, a chi ha aggiunto la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate e a chi legge “dietro le quinte”: non finirò mai di ringraziarvi, siete straordinari. Spero di ricevere sempre il vostro supporto!
 
Alla prossima, gente!
Nat

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII
 
 


“Every now and then the stars align
boy and girl meet by the great design.
Could it be that you and me are the lucky ones?”
[Lana Del Rey – Lucky Ones]

 
 
 
 


Quante volte aveva sognato il portone d’ingresso di Grande Inverno, prima di quel giorno? E quante volte lo aveva sfiorato, prima che la nebbia del sogno lo portasse via?

Aveva perso il conto, ma forse neppure gliene importava: ora che era finalmente giunto alla meta, tutto il resto non importava. Nessun incubo lo avrebbe più tormentato, Lyanna era lì, a pochi passi da lui. Avrebbe conosciuto suo figlio. Era arrivato. Perché ancora esitava?
Sembrava tutto, tranne che un giovane principe Targaryen: erano giorni che non si cambiava d’abito, aveva i capelli scuri e portava un bambino legato al corpo, una piccola appendice che, ora più che mai, restava legata indissolubilmente a lui e al suo destino. Lyanna lo avrebbe riconosciuto?
Se avesse continuato a restare lì davanti, roso dai dubbi, non l’avrebbe mai scoperto.
Si fece coraggio e picchiò il battente con la testa di lupo contro il portone di quercia.
 
 


***
 


Quella stessa mattina, Lyanna si era svegliata inquieta.

Non avrebbe saputo dire da cosa derivasse la sua irrequietezza: si sentiva strana, come se avesse percepito il cambiamento di qualcosa di importante. Sulle prime non ci aveva fatto caso, attribuendo quella sensazione alle scarse ore di sonno – Jon si era svegliato continuamente, forse non si sentiva bene, forse aveva gli incubi – ma, man mano che ci ripensava, si rendeva conto che si trattava di una condizione completamente diversa. Un po’ come gli animali, quando avvertivano la tempesta in arrivo, mettendosi in allarme.
Si, più o meno si trattava di una situazione simile. Ma non aveva idea di cosa guidasse quei sentimenti.
Ogni tanto le capitava di ripensare a Rhaegar, con la stessa dolcezza amara con la quale affrontava il ricordo di Brandon, anche se non riusciva a rinunciare alla speranza: dentro di sé, aveva creduto che il compagno fosse ancora vivo. Per quanto lo scorrere dei giorni contribuisse all’idea che l’uomo che amava non sarebbe mai tornato, sarebbe stato difficile costringere il suo cuore e la sua mente  a rinunciare alla speranza… che, a lungo andare, stava diventando un’arma a doppio taglio. Sperare senza vedere risultati concreti non era forse più doloroso che mettersi l’anima in pace una volta per tutte?
Per fortuna aveva dei fratelli come Ned e Benjen che portavano sempre qualcosa di bello nella sua vita.
Il minore degli Stark otteneva spesso delle piccole licenze dal Castello Nero per scendere dalla sua famiglia, riempiendo di felicità la sorella: la complicità tra il giovane lupacchiotto e Lyanna era sempre stata eccezionale, ancora di più da quando era nato Jon, che Benjen adorava. Quel pomeriggio la ragazza lo aveva portato con sé nel salone, dove lei e suo fratello si erano seduti a parlare del più e del meno: Lyanna adorava le storie che riguardavano le esplorazioni di Benjen, la Barriera e le peripezie quotidiane dei confratelli, che suo fratello raccontava arricchendole di particolari divertenti.

“… Quindi si sono beccati una bella sgridata. Lord Mormont era furioso… era arrabbiato addirittura Maestro Aemon, il che è tutto dire. Non l’avevamo mai visto così…”

“Aemon?” chiese la ragazza, incuriosita dal nome, che le suonava familiare.

“Maestro Aemon, sì. Il nostro Maestro. Chi diventa un saggio della Cittadella dovrebbe abbandonare il nome della propria casata, ma da quanto raccontano i suoi assistenti Maestro Aemon era una personalità importante, a suo tempo: fratello di Re Aegon V l’Improbabile, ti rendi conto? Sarebbe potuto diventare lui stesso re, da quanto ho sentito, ma ha rinunciato per servire la Cittadella… è una storia che conoscono in pochi, ma è una di quelle persone che si guadagnano il rispetto di tutti anche solo con una parola.”

Lyanna sorrise: allora i Targaryen continuavano ad esistere, dopotutto. Una volta che fosse cresciuto un pochino, le sarebbe piaciuto presentargli Jon: era un parente alla lontana, ma restava comunque un membro della sua famiglia… avrebbe messo in contatto due generazioni. A Rhaegar avrebbe fatto piacere di sicuro.
Rhaegar…
I pensieri che l’avevano turbata durante quella mattinata minacciavano di aggredirla di nuovo. La ragazza scosse la testa per allontanarli e si dedicò al figlio, che sembrava intenzionato a compiere una scalata della schiena dello zio in tempi brevi. Benjen rise, accogliendo tra le braccia il nipote e lasciando che giocasse con lui: presto la stanza fu piena delle risate del ragazzo e di quelle di Jon, che risollevarono lo spirito della ragazza. Lyanna pregò che la aiutassero a star meglio, almeno per un po’.

Fu in quel momento che sentirono un vociare proveniente dalle mura esterne.
 
 


***
 
 
Non era raro che si presentassero dei visitatori, a Grande Inverno: Eddard Stark era spesso impegnato in colloqui con i contadini del luogo o semplicemente con i suoi lord alfieri, che arrivavano al castello per chiedere udienza ed esporgli i loro problemi. Un visitatore così insistente, però, non si era mai visto: le guardie avevano provato ad allontanarlo due volte ma quello restava dove si trovava, dichiarando di dover vedere urgentemente Lord Stark.
Le guardie lo respingevano ogni volta.

“Chiunque voi siate, dovete andarvene: oggi Lord Stark non riceve nessuno. Ripresentatevi tra qualche giorno”, aveva gridato una di loro, appena il principe aveva bussato ed esposto la sua richiesta. Ma Rhaegar non era tipo da rinunciare tanto facilmente: aveva guardato dentro di sé per recuperare quanto era rimasto del giovane erede al trono e aveva esibito la voce più controllata che gli era riuscito di trovare, quella che avrebbe dovuto convincere le guardie ad accettare la sua richiesta nonostante le resistenze iniziali.

“Sono il principe Rhaegar Targaryen, erede legittimo di Re Aerys II, e voglio vedere Eddard Stark. Immediatamente.”

Seguì il silenzio. Se anche si era aspettato una reazione sorpresa da parte delle guardie, certo non avrebbe mai creduto di vederle scoppiare a ridere: eppure i suoni che gli arrivavano dal camminamento in alto erano proprio quelli di uno scroscio di risa violente, derisorie.
“Questa è buona! Quindi sareste addirittura il principe ereditario? Non sapete che è morto durante la Battaglia del Tridente, quasi un anno fa? Siete poco informato, ser Rhaegar Targaryen!”
“Sarà ubriaco, Oder. Ignoralo e lascialo stare, se ne andrà da solo.”
“No, aspettate, questa è proprio bella.” Una terza guardia, che fino a quel momento era rimasta in disparte, si unì ai compari, un sorriso sinceramente divertito dipinto sul volto. “Chiamiamo comunque Lord Stark. Deve avere qualcosa di davvero importante da dirgli, se continua ad insistere senza temere le conseguenze… ci faremo due risate, ve lo garantisco. Andate a chiamarlo, forza!”

Rhaegar strinse i pugni: sapeva che tornare a Grande Inverno non sarebbe stato semplice, lo aveva immaginato fin dall’inizio del suo viaggio e se l’era ripetuto a lungo anche mentre tendeva la mano verso i batacchi a forma di testa di lupo, il cuore che continuava a vacillare nonostante avesse fatto di tutto per mantenerlo saldo. Dove continuare a serrare i denti e restare tranquillo, tutto lì. Sembrava così semplice, ma in realtà era difficile, oh se lo era.
E se suo cognato lo avesse messo alla porta per vendicarsi di quello che aveva fatto passare a sua sorella? O magari per ricordargli quanto suo padre aveva fatto al fratello e a Lord Rickard? Se – peggio ancora – non avesse perso tempo ad avvertire il suo buon amico Robert Baratheon che al Tridente le cose non erano andate come si aspettava? Non conosceva Ned Stark così bene da poter escludere a priori quella possibilità, ma sarebbe stato pronto a lottare. Non poteva abbandonare tutto, non ora che era così vicino alla meta da toccarla con un dito.
Le guardie si erano allontanate: dovevano essere tornate all’interno per chiamare il signore di Grande Inverno, rifletté il giovane principe. Aegon, nella sua culla di stoffa legata alla sella, si era messo a piangere.
Rimase davanti al portone, a tormentare i propri pensieri e a mischiarli con le ansie e col desiderio di correre dentro, di attraversare stanze e corridoi gridando il nome di Lyanna fino a perdere il fiato nei polmoni, fino a cadere a terra esausto. Aspettava.
 
 


***
 
 


“Cosa succede, Lord Cassel? Perché tutto questo fermento?”
“Sembra sia arrivato uno straniero alle porte, Lord Benjen. E non uno straniero qualunque… Oder, che era di pattuglia davanti alle porte, dice che si definisce un principe e continua ad insistere per vedere vostro fratello. Bizzarro, non trovate?”
“Non più di tutto quello che si vede ogni giorno alla Barriera, amico mio” sorrise Benjen, un guizzo interessato negli occhi grigi. “Però la questione si fa interessante. Penso che andrò a dare un’occhiata.”
Non aveva invitato la sorella a seguirlo, ma Lyanna non si sarebbe mai lasciata scappare l’occasione di curiosare un po’. E poi, era da quella mattina che sentiva qualcosa di strano nell’aria: neanche a farlo apposta, uno straniero misterioso si presentava alle porte, come per una strana coincidenza.

E se…?
Piantala, Lyanna. Vai a vedere e basta.

Una forza che non riusciva a comprendere la spingeva verso le porte del castello, come una foglia trascinata qua e là dai capricci del vento. Senza neanche rendersene conto, stava correndo: stanza dopo stanza, tra scale e corridoi, non sentiva le voci di chi la chiamava per chiederle cosa stesse succedendo, non sentiva il corpo sbattere contro gli angoli delle porte, nulla la fermava. Riprese fiato solo quando arrivò in prossimità del camminamento sopra il portone, appoggiò le mani sul parapetto e guardò in basso.
Ciò che vide le fece saltare il cuore dal petto alla gola allo stomaco, poi di nuovo in gola, come se avesse percorso una rampa intera di scale inciampando e rotolando giù, rialzandosi stordita.
Come la prima volta in cui si erano incontrati, quando quei capelli del colore dell’argento le avevano colpito l’anima, scavando un buco riempito solo dalle note che lui traeva dalla sua arpa, dello stesso argento lucente.

Dovette reggersi con più forza o avrebbe rischiato di cadere giù, in preda ai capogiri: lì in basso, davanti alle porte di Grande Inverno, c’era Rhaegar Targaryen.
 

 

***
 


Le guardie stavano arrivando dalla parte opposta rispetto a pochi minuti prima, nonostante le loro espressioni non fossero cambiate: continuavano a non credere ad una sola parola di quanto era uscito dalle sue labbra, ma se non altro avevano mantenuto fede all’intento di andare a chiamare il loro signore.

“Vieni avanti, principe: Lord Stark ha deciso di riceverti. Vediamo cosa ne dirà lui della tua storia… ma chissà, potrebbe anche crederti.”

In seguito, Rhaegar si era chiesto mille volte cosa lo avesse spinto a guardare in alto, dalla parte opposta rispetto a quella dove si trovavano le guardie: probabilmente era stato l’istinto, forse una voce interiore che voleva ricompensarlo per le sofferenze e la fatica patite fino a quel momento, o magari una completa casualità… quando aveva alzato gli occhi, però, si era trovato di fronte esattamente la persona che avrebbe voluto vedere per prima quel giorno, l’unica che avrebbe potuto dissipare i suoi dubbi e dargli, finalmente, la pace che desiderava: Lyanna.
Lyanna era lì, in carne ed ossa, viva, in piedi sul camminamento, il viso sconvolto e gli occhi spalancati come una sonnambula svegliata durante il suo girovagare, le labbra contratte che cercavano di far uscire la voce ma che, allo stesso tempo, avevano paura di farlo. Lo aveva riconosciuto nonostante il viso sporco e segnato dalla fatica, nonostante i capelli tinti.
Qualcosa avrebbe dovuto spezzare quell’incanto, qualsiasi cosa: continuavano a fissarsi come se il tempo non esistesse più, fermo in quell’istante, congelato. Lei gli parlava senza muovere le labbra, era scettica e felice e confusa, lui si sforzava di trasmettere almeno una parte di ciò che stava provando – fatica, tensione, timore, neppure lui sapeva più cosa provava – usando gli occhi invece della voce, continuando a mantenere il contatto visivo, resistendo all’impulso di urlare il suo nome senza ritegno. Sarebbero potute passare ore, senza che se ne accorgessero.
Fu lei a tirare fuori la prima parola, la voce roca che gli tremava. Il primo passo che le spettava, questa volta.

“Se sei veramente Rhaegar Targaryen, dimostralo!”

Sentiva le lacrime che si affacciavano pericolosamente ai suoi occhi, doveva essere la tensione che cresceva e lo divorava dall’interno. Le ricacciò indietro sorridendo e ricordò il loro primo incontro, le ombre del Parco degli Déi, la musica. Il suo viso acceso di imbarazzo e interesse. Le disse una frase che solo lei poteva conoscere, la prima che le aveva rivolto e che entrambi ricordavano come se quell’incontro fosse avvenuto il giorno prima.

“Lady Stark? Vi è piaciuta la mia canzone?”
 
Non servivano altre parole. Lyanna si era coperta la bocca con le mani, stringendo per un attimo gli occhi come se anche lei stesse trattenendo a fatica le lacrime. L’attimo dopo era sparita: doveva essersi precipitata giù per le scale, liberando finalmente la tensione che la stringeva, lasciandosi andare alla gioia.
 

 

***
 
 

Gli aveva buttato le braccia al collo con tanta forza che avevano rischiato di finire a terra, tra la prima neve e le foglie bagnate dalle piogge notturne. Il primo impatto era stato violento, puramente istintuale, come ci si sarebbe aspettato da un’amante separata per troppo tempo dal proprio innamorato, ma un attimo dopo Lyanna si era staccata dal corpo di Rhaegar e lo aveva fissato negli occhi, finalmente da vicino, accarezzandogli una guancia con dita tremanti. Ancora non riusciva a credere che il padre di suo figlio fosse lì, davanti a lei. Non poteva essere lui, eppure nessun altro avrebbe potuto guardarla in quel modo, con l’amore e la devozione pure che leggeva nel suo sguardo. Nessun altro le avrebbe preso una mano in quel modo per baciarla con dolcezza, continuando a sorridere come qualcuno che è finalmente tornato a casa dopo un viaggio lunghissimo.

“Sei tornato.”
“Una promessa, almeno, l’ho mantenuta.” Il suo sorriso era sempre malinconico, e dolce. Come avrebbe potuto non riconoscerlo?

Lyanna tornò a stringerlo, affondando il viso nella piega morbida del suo collo, inspirando il profumo della strada, delle notti che aveva trascorso lontano da lei. Sarebbe potuta arrivare la peggiore tempesta che il Nord avrebbe ricordato e lei sarebbe stata rimasta lì, stretta a Rhaegar, persa tra le sue braccia e incurante di qualunque altra cosa li circondava… a parte Jon. Ma lui lo conoscerai comunque tra poco.
Lui le prese il viso tra le mani e finalmente, dopo mesi interi che desiderava farlo e sogni che gli avevano lasciato in bocca un gusto amaro, la baciò. Un bacio lunghissimo, intenso, quello di due persone che ritrovano le proprie metà perdute dopo secoli in cui si erano cercate senza mai smettere. Lui le affondò le dita tra i capelli e, per la prima volta da quando l’aveva incontrata, sentì Lyanna sciogliersi in lacrime come non aveva mai fatto: neppure lei avrebbe saputo dire esattamente per cosa piangeva, se per la gioia di vederlo, per il dolore che ancora la accompagnava o lo smarrimento di quell’unico istante in cui aveva temuto che potesse non trattarsi di lui, che le sue speranze si fossero infrante in un attimo. Ma le lacrime erano durate poco: come un temporale estivo erano sparite, sostituite da un sorriso che aveva scaldato il cuore di Rhaegar. Aveva riscaldato entrambi, come se il tempo non fosse mai passato davvero.

“Andiamo dentro, principe ereditario. È ora che mio fratello ti veda, finalmente… e sarò io ad annunciargli il tuo arrivo, non le guardie.”

Prese la mano di Rhaegar e varcò in quel modo la soglia di Grande Inverno, stretti l’uno all’altra grazie alla presa salda delle dita intrecciate, come fossero parte dello stesso corpo. Il principe lanciò uno sguardo alla chioma di Lyanna, al suo sorriso, alle spalle che si muovevano dolcemente passo dopo passo e, dopo mesi di lontananza, di vagabondaggi e di ferite che ancora dovevano guarire del tutto, finalmente si sentì a casa.
Al resto avrebbero pensato con calma, si disse per calmare la sua voce interiore: finché erano insieme, tutti i problemi sembravano risolvibili. Ora che era con lei, sentiva che le forze gli tornavano pian piano, come se bastasse la sua sola presenza a infondergli coraggio.
 
 

 
 




Noticine di Nat
La sessione estiva è andata bene e anche il nuovo capitolo è arrivato!
Finalmente il viaggio di Rhaegar si è concluso: ho scritto queste pagine di getto, guidata completamente dalla musica e le ho ricorrette una decina di volte, perché ogni volta che voglio descrivere una scena sulla quale non vedo l’ora di scrivere ho sempre la sensazione di non averlo fatto bene… anyway, il risultato è questo, e spero davvero che si sia trattata di una buona scena, che dia giustizia ad entrambi.
Da questa parte della storia in poi inizieranno le sorprese e le difficoltà, per cui… stay tuned! È l’unico consiglio che posso darvi senza fare spoiler ulteriori <3
La frase rivolta da Rhaegar a Lyanna è un’autocitazione dalla mia raccolta di flashfic “Songs about Jon” (che trovate sempre qui, sul mio account di EFP), non ho potuto resistere ad inserirla!
Ringrazio ancora i miei lettori-recensori fedeli, i lettori silenziosi e le new entry tra le preferite e le ricordate: siete sempre tanti, troppi e meravigliosi. Senza il vostro supporto, questa mia “avventura nella scrittura” non sarebbe così piacevole.
 
Alla prossima, allora!
Nat

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII
 
 


“God I must confess…
I do envy the sinners.”
[Nightwish – She’s my Sin]

 
 
 
 


Quella notte l’avevano trascorsa insieme.

Una sola non sarebbe mai bastata a ripagare tutte quelle che avevano vissuto distanti, ognuno preda dei suoi pensieri in un letto vuoto e freddo, ma se la sarebbero fatta bastare, per il momento.
Lyanna l’aveva accolto come non faceva da tanto, troppo tempo, lui si era lasciato avvolgere da quelle braccia amorevoli dimenticando tutto, chiudendo fuori i pensieri che lo avevano tormentato in passato, almeno per qualche ora. Si erano abbracciati senza una parola, felici solo del contatto reciproco. Avevano fatto l’amore come se non si fossero mai lasciati, aggiungendo al solito trasporto la foga di chi ha paura di vedere il momento svanire, come in un sogno troppo realistico, di quelli che lasciano addosso solo delusione.

Basta inseguire immagini mentali e sogni. Ora devo affrontare la realtà.
Lyanna è qui, con me.

Erano rimasti distesi vicini, ad aspettare l’alba, come era successo innumerevoli volte durante il loro soggiorno alla Torre della Gioia; questa volta, però, non erano da soli. La compagna gli aveva presentato il loro unico figlio, quel terzo erede al quale tanto aveva pensato durante quei mesi trascorsi lontano da lei e Rhaegar ne era rimasto totalmente rapito, tanto da avere quasi paura di stringerlo per non fargli del male. Lyanna aveva sorriso con indulgenza e glielo aveva posato tra le braccia, dandogli il tempo di abituarsi alla sue presenza: era stato in quel momento che Jon aveva aperto gli occhi e li aveva fissati in quelli del padre, come se avesse capito perfettamente chi fosse l’uomo che lo teneva in braccio con tanta delicatezza.

“Ha i tuoi occhi.” Rhaegar si era sciolto in un sorriso fiero, da padre felice e orgoglioso di tenere in braccio il proprio figlio. “Gli occhi del Nord. Il tuo sangue è più forte del mio.”
“Ma tutto il resto lo ha preso da te… guarda i suoi capelli, la linea del viso: sono nobili. È anche un Targaryen, è sia fuoco che ghiaccio. Un misto perfetto di entrambi.” Lyanna aveva risposto al suo sorriso, accarezzando la guancia del compagno e poi quella paffutella di Jon, chinandosi a baciarlo sui riccioli neri.
“Chi l’avrebbe mai detto? Adesso abbiamo due principini da crescere. Se aggiungi anche Robb e gli eventuali figli che Catelyn e mio fratello potrebbero decidere di avere in futuro, Grande Inverno si riempirà di bambini… anche se la cosa non mi dispiace affatto.” Aveva ridacchiato.

Rhaegar rimase in silenzio. L’allusione ad Aegon gli aveva fatto tornare in mente la profezia, ma ancora non aveva trovato le parole adatte per spiegarla a Lyanna: aveva sempre il timore che la compagna potesse non capire o, peggio, arrabbiarsi perché gliel’aveva tenuta nascosta. Decise che si sarebbe preso il suo tempo, in fondo sia Aegon che Jon erano bambini e nessuno dei due era pronto per regnare. Il Trono non era più dei Targaryen, ma ciò non toglieva che avrebbero ancora potuto reclamarlo… solo non subito.

Scacciò quel pensiero e si dedicò completamente a Jon, ancora meravigliato dalla sua dolcezza e dalla tranquillità con cui si lasciava cullare, già abituato alle braccia del padre. Aveva rimandato per tanto, troppo tempo ogni possibilità di essere felice. Era arrivato il momento di riprendersi ciò che gli spettava.
 
 


***
 
 

“Vostra Altezza… siete tornato.”

L’affermazione suonò quasi stupida, ma Eddard Stark sentiva di non riuscire ad esprimersi in nessun altro modo: trovarsi davanti il principe ereditario, che credeva morto da tempo, lo aveva decisamente spiazzato. Il suo autocontrollo per fortuna aveva avuto la meglio, ma le pause che continuava a mettere tra una parola e l’altra la dicevano lunga su quanto si trovasse a disagio in quel momento.
Rhaegar Targaryen, però, gli sembrava tranquillo. Il viso era smunto, i capelli decisamente più scuri di quanto li ricordasse e sfoggiava un bel paio di occhiaie che gli segnavano gli occhi ossidiana, ma era per mano a Lyanna e gli aveva rivolto un inequivocabile piccolo sorriso, segno che aveva intenzione di condurre quell’incontro su una linea pacifica. Cosa si aspettava dal fratello della sua compagna? Probabilmente che tradisse il suo migliore amico e appoggiasse la sua causa, su quello aveva pochi dubbi.
Non avrebbero mai concluso nulla se non avessero mai iniziato quella conversazione in un qualunque modo.

“Esatto, amico mio. Sono tornato dal regno dei morti, è proprio il caso di dirlo… ma per fortuna ho sempre avuto un posto dove tornare. È stata questa idea a darmi la forza di arrivare fin qui.”

Ned gli aveva indicato la strada per il suo studio e si erano accomodati, ognuno con un peso nel cuore da condividere con gli altri. Lyanna, però, non gli era mai sembrata più serena: aver ritrovato il suo uomo la riempiva di una luce che Ned aveva visto solo raramente, una luce che sembrava conferirle una forza incredibile. Quella felicità, però, non li avrebbe aiutati comunque, non ora che avevano tanti problemi da affrontare.
Per fortuna fu sua sorella a iniziare, con la solita schiettezza che il fratello aveva imparato ad amare e anche a temere, a dire la verità. “Rhaegar resterà qui, Ned. La sua famiglia non esiste più, i Targaryen sono andati in esilio… ha bisogno di un posto da dove ricominciare, e io e Jon saremo quel posto.”
Il principe aveva sorriso, illuminandosi per la prima volta in quella giornata come se qualcuno avesse acceso un piccolo fuoco nel suo cuore. Aveva preso di nuovo la mano di Lyanna ed era stata quella stretta ferma ad incoraggiarlo a proseguire col suo discorso, come se solo dalla ragazza potesse trarre la forza necessaria per affrontarlo.

“Lyanna ha ragione: la mia famiglia non esiste più. Mia madre è morta dando alla luce mia sorella minore, i miei fratelli sono stati portati in salvo lontani perché i nostri nemici non li trovassero, sul Trono siede un usurpatore… al momento non ho la possibilità di riprendere ciò che mi spetta di diritto, sono troppo debole e non potrei organizzare una rivolta armata contro i Baratheon neppure se lo volessi. Per questo sono qui e sto chiedendo il vostro aiuto, Lord Stark, come un principe ereditario non farebbe mai. Vi chiedo di non rivelare al re la mia presenza, ma di darmi il tempo di riprendermi qui, nelle vostre terre, di darmi la possibilità di crescere i miei figli come non ho potuto fare con la mia primogenita. Se non avete intenzione di lasciarmi vivere sotto il vostro tetto troverò un posto dove stabilirmi nelle terre qui intorno, posso anche nascondermi alla Barriera, tra i Guardiani della Notte… ma vi chiedo soltanto di mantenere il segreto, da uomo a uomo, da padre a padre.”

Eddard Stark, Lord di Grande Inverno, aveva ascoltato quanto aveva da dire il principe ereditario con il mento posato sulle dita intrecciate, la mente che si soffermava su ogni parola e ricostruiva le immagini che c’erano dietro, il dolore e la stanchezza che l’uomo aveva messo in ogni sillaba. Quello che gli chiedeva era impossibile, folle, eppure Ned sapeva che il principe si era affidato a lui proprio perché era convinto che il fratello della sua compagna non gli avrebbe mai chiuso la porta in faccia. Lord Stark era un uomo che valutava l’onore al di sopra di ogni altra cosa, e a Robert Baratheon non aveva mai giurato davvero fedeltà: lo considerava il suo migliore amico, ma non approvava decisamente i metodi coi quali era salito al potere. Che onore poteva possedere l’uomo che non solo non puniva un assassinio di innocenti, ma lo considerava necessario ai fini del mantenimento del potere?
Lyanna lo stava guardando, attendeva trepidante, inquieta come una bambina spaventata. Come avrebbe potuto metterli alla porta entrambi?
Si alzò in piedi, cercando di conferire forza e determinazione alle sue parole, molta più forza e determinazione di quanta ne provasse in realtà.

“Dalle vostre parole ho capito molte cose, Altezza. Ho capito che siete un uomo disperato, che tenete alla vostra famiglia, che siete giunto qui dopo un viaggio lungo e adesso desiderate solo un po’ di calma e la possibilità di vivere serenamente, oltre a pensare al modo di riprendervi il Trono. I vostri intenti sono motivati dall’amore, ma capirete bene quanto sia difficile trovarsi nella mia posizione… re Robert si fida di me e non si aspetterebbe una mossa del genere, non dal suo migliore amico.”

Sentì i respiri di entrambi trattenersi, come se provenissero da un’unica creatura che aspettava un verdetto di vita o di morte.

“… Tuttavia, siete il padre di mio nipote, il compagno della mia unica sorella… e il mio re legittimo, non posso negarlo. Voltarvi le spalle sarebbe un affronto a Lyanna e una macchia al mio onore di padre e di uomo… per cui vi accolgo nel mio castello, principe Rhaegar della casa Targaryen. Affidiamoci agli Antichi Déi e a quelli nuovi e preghiamo che ogni cosa vada per il meglio. Per quanto burrascosi siano stati i trascorsi passati delle nostre famiglie, da voi non ho mai ricevuto alcun male e non intendo recarvene.”

Rhaegar lasciò andare il fiato che aveva trattenuto, più leggero, come se avessero spostato di colpo la pietra che gravava sulle sue spalle. Lyanna stava per dire qualcosa, ma non ci riuscì: nei suoi occhi luccicava una lacrima, che scacciò prontamente con un cenno della testa. Avrebbe voluto alzarsi in piedi e stringere Ned in un abbraccio enorme, dimostrargli quanto gli voleva bene e quanto gli fosse grata per quella decisione… scelse di trattenersi, di nuovo. Ora doveva pensare a Rhaegar, a Jon, e anche ad Aegon.

Lasciarono la stanza con un inchino. Il compagno era già nel corridoio, quando Lyanna tornò sui suoi passi e buttò le braccia al collo del fratello, stringendolo come se non volesse più lasciarlo andare, irruenta e dolce come sempre. Eddard ricambiò la stretta e le accarezzò i capelli, felice semplicemente per il fatto di averla lì, di sentirla vicina e di sapere che era felice e che la sua famiglia era unita, finalmente.

“Grazie, Ned. Sei una delle più grandi fortune che gli Déi abbiano messo sul mio cammino.”
 

 


***
 


“Ciao, piccolo lupacchiotto. Il tuo papà non è molto abituato a tenerti in braccio, ma imparerà presto… intanto tu devi crescere bene e diventare un bambino bello e bravo, d’accordo? Senza litigare col tuo nuovo fratellone Aegon…”

Lyanna era deliziata dal modo in cui Rhaegar giocava con Jon: nonostante il compagno dicesse di non sentirsi un buon padre, lei era assolutamente convinta del contrario. Un cattivo padre non avrebbe mai affrontato tanti pericoli per portare in salvo un figlio e cercarne un altro, soprattutto se il secondo era considerato dai più un semplice bastardo di nessuna importanza. Un cattivo padre? No, Rhaegar non lo era decisamente. Poteva aver commesso degli errori, ma ora stava cercando di porvi rimedio con tutto se stesso.

“È così piccolo” aveva sospirato Lyanna, prendendo Jon dalle sue braccia. “Mi chiedo sempre come potrebbe essere vederlo crescere. Fino a qualche mese fa non avrei mai, mai creduto di poterlo stringere tra le braccia e chiamarlo col suo nome. Ero sola, spaventata, chiusa in quella torre, temevo di non farcela e di doverlo lasciare da solo ad affrontare il mondo, invece ora sono qui, anche tu sei qui. Tra qualche tempo inizierà a parlare e a camminare, a chiamarci mamma e papà… non ero pronta, ecco. Per cui, Rhaegar, non sentirti mai un cattivo padre solo perché non hai potuto trascorrere più tempo coi tuoi figli…tutti quanti dobbiamo iniziare da qualche parte, alla fine.”
“Tu sei un’ottima madre, Lyanna. Si vede dal modo in cui lo guardi. E da come hai accettato Aegon.”
“Avrei mai potuto fare il contrario? È pur sempre tuo figlio… un cucciolo di drago, che da oggi in poi avrà una mamma lupo. Chissà se la cosa gli farà piacere o no.”

La ragazza aveva sorriso, appoggiando la schiena contro il tronco del suo albero-diga preferito e stringendosi di più accanto al compagno, che si godeva come lei la tranquillità e la brezza autunnale che soffiava nel Parco. Erano insieme nel posto che preferiva al mondo, accanto a coloro che rendevano le loro vite complete. Una buona premessa per ricominciare, in ogni senso.
Rhaegar si guardò intorno e all’improvviso ricordò il sogno che lo aveva svegliato ormai molte notti prima, quando aveva visto sia Jon che Aegon nello stesso luogo in cui si trovavano in quel momento, col secondogenito adulto che gli aveva chiesto, beffardo, chi dei due avrebbe scelto come suo erede legittimo. Di nuovo allontanò il pensiero della profezia dalla mente, ma in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto rimandare il discorso all’infinito: prima o poi sarebbe arrivato il momento di parlarne con Lyanna. Avrebbe dovuto discutere del loro futuro e di quello dei loro figli, ma non era ancora il momento adatto a farlo.
Accarezzò la testina di Aegon e scompigliò i suoi capelli chiari, così come aveva accarezzato i ricci neri dell’ultimo figlio, che ora riposava in braccio a Lyanna. Il principino drago e il sangue di lupo, due eredi che amava entrambi allo stesso modo. La sua successione si prospettava problematica.
 
 

 

***
 


Si diceva che i Guardiani della Notte non avessero re: anche se legati da giuramento alla protezione dei Sette Regni, si erano sempre mantenuti neutrali davanti a qualunque disputa dinastica per generazioni, come da tradizione. Per quel motivo, l’inchino che Benjen Stark aveva rivolto a Rhaegar una volta che il principe si era presentato era apparso piuttosto inusuale, anche se aveva fatto sorridere Lyanna: il suo compagno ispirava rispetto. Era impossibile non sentirsi avvolti nell’aura di sicurezza che emanava, nonostante le privazioni e la fatica degli ultimi tempi, nonostante tutto quello che gli era successo. Il giovane Guardiano della Notte, dopo l’iniziale imbarazzo dovuto al suo gesto, si era subito abituato alla presenza del principe e lo aveva inserito nella conversazione con molta naturalezza, come se si trovasse di fronte ad un uomo qualsiasi. Il discorso si era appena spostato sulle ultime novità al Castello Nero e le condizioni di salute dei confratelli, quando Lyanna aveva ricordato quanto aveva detto suo fratello in precedenza riguardo ad Aemon Targaryen, l’anziano maestro parente di Rhaegar. Stava per condurre il discorso in quella direzione ma il compagno la precedette, con grande stupore della ragazza.

“Ditemi, Benjen, come sta Maestro Aemon? Tempo fa ero in corrispondenza con lui, ma una serie di.. imprevisti hanno interrotto il nostro scambio di lettere, come potrete ben immaginare. È in salute? Serve ancora con impegno i Guardiani della Notte?”
“Maestro Aemon... Targaryen? Giusto, lui è il vostro… oh, perdonatemi, non volevo essere invadente” si fermò bruscamente il ragazzo, evitando di scivolare verso un eccesso di confidenza arrossendo appena. Lyanna non poté trattenersi dal sorridere di nuovo: era proprio un giovane Stark, un piccolo lupo irruento che si vestiva da adulto, ma restava pur sempre un ragazzetto di quindici anni. “Maestro Aemon sta bene, nonostante gli acciacchi dell’età: nessuno di noi sa di preciso quanti anni abbia, ma è come se fosse nato e cresciuto al Castello Nero, tra i ranger e i Guardiani. Purtroppo con l’avanzare del tempo ha perso la vista, ma è ancora lucido e in grado di ricevere visite. Se ne aveste voglia, forse potrei combinare un incontro…”

Aveva lasciato cadere la frase, forse per evitare di osare di nuovo troppo, ma Rhaegar non ci aveva fatto caso: una nuova idea stava prendendo forma nella sua mente, un’idea che riguardava sempre la profezia ma che, a differenza di quelle che lo avevano tormentato ossessivamente, riusciva a tranquillizzarlo: il fratello del suo bisnonno non si trovava lontano da lì. L’uomo col quale aveva scambiato tante lettere, l’anziano saggio al quale aveva affidato i suoi pensieri e i suoi timori e che l’aveva confortato come un bambino dubbioso, sempre con la stessa gentilezza, riservandogli ogni volta qualche parola che si rivelava sempre azzeccata alla situazione. Più di una volta gli aveva parlato della profezia, confidandogli di essere convinto che fosse Aegon il Principe che Fu Promesso: non aveva mai ricevuto una risposta chiara, ma il suo prozio era l’unico al quale potesse parlare di argomenti come quello, l’unico ad interessarsi alle antiche leggende con l’attenzione di uno studioso, senza liquidarli come frutto di fantasie o questioni senza importanza. La loro corrispondenza era finita durante le giornate trascorse con Lyanna, prima della nascita del suo cucciolo di lupo… chissà cosa avrebbe detto di Jon, pensò tra sé e sé. Chissà se condivideva le sue paure e le sue speranze riguardo ai due principini.

Lyanna era rilassata, continuava a chiacchierare col fratello e a ridere delle facce buffe che Jon faceva una volta preso in braccio dallo zio, Rhaegar invece rifletteva sul da farsi: forse la soluzione ai suoi problemi era arrivata. Non avrebbe potuto agire in nessun altro modo, se non sellare un cavallo il giorno dopo e chiedere al giovane Benjen Stark di accompagnarlo a incontrare il prozio che non aveva mai visto dal vivo, Maestro Aemon della Casa Targaryen.

 
 
 





Noticine di Nat
Probabilmente dopo la staticità di questo capitolo mi lancerete copiose quantità di ortaggi marci… ma era necessario allo sviluppo della storia, almeno per delineare questi ultimi capitoli prima del time skip che vedrà Jon ragazzino e la comparsa degli altri ragazzi Stark. Nel prossimo avremo un incontro che sogno da tempo di scrivere, ossia quello tra Maestro Aemon e Rhaegar… tenete duro, l’azione arriverà, promesso!
Ora che è estate ho più tempo per scrivere, ma come capirete la pigrizia e le attività rimandate durante l’inverno richiedono la mia attenzione, come penso succeda anche a voi… cercherò comunque di non farvi aspettare troppo, promesso! Spero che anche voi non vi stufiate di leggere la storia e continuiate a seguirla con piacere, come avete sempre fatto <3
Alla prossima, allora! Grazie ancora per i nuovi preferiti, i seguiti e le recensioni che continuate a lasciare :)
Nat
 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV
 
 
 


“One more life to live is what I want.”
[Epica – Chasing the Dragon]
 
 
 
 


La strada verso la Barriera rappresentava un’avventura per Rhaegar, qualcosa di nuovo del quale aveva sempre sentito parlare senza mai farsene un’idea precisa. Per il Sud le terre del Nord erano una sorta di miraggio, un luogo lontano nel quale la storia si fondeva con le leggende, le dicerie, l’immaginazione: tanto più si andava verso l’estremità del mondo conosciuto, tanto più i racconti diventavano fantastici e impossibili. Da ragazzino si era appassionato a ciò che i viaggiatori e i Corvi Erranti narravano a suo padre, nella sua mente era passata di sfuggita l’idea che, un giorno, anche lui avrebbe potuto visitare le terre delle quali gli avevano tanto parlato, ma si trattava di idee vaghe, mai diventate realtà.

Mai, fino a quel giorno.

La piccola spedizione composta da lui, Benjen e Lyanna galoppava spedita verso l’estremo Nord delle terre Stark, sollevando ciottoli e zolle di terra al passaggio dei loro cavalli. La ragazza aveva insistito per accompagnarli: non voleva separarsi da Rhaegar un minuto di più, e la prospettiva di un’avventura la elettrizzava. Così erano partiti molto presto, accompagnati dalle raccomandazioni di Ned di non stancarsi troppo e da quelle di Lyanna di prendersi cura di Jon e di Aegon, che erano stati affidato agli zii in attesa del ritorno della madre e del padre.
Il viaggio d’andata si prospettava tranquillo, come il giovane principe aveva sperato. Sulla strada per la Barriera non si incontrava praticamente nessuno, se non qualche contadino che spingeva i propri animali verso i pascoli e gli abitanti dei piccoli villaggi presenti nei territori degli Stark, che si inchinavano rispettosamente al passaggio di un uomo in nero e della sua scorta. Come gli aveva detto Lyanna, il Nord era un piccolo mondo a parte: al Sud sarebbe stato difficile non venire identificato come il principe ereditario Targaryen, ma lassù la gente non era pratica delle questioni e degli intrighi politici della corte. Probabilmente in pochi riconoscevano il re come autorità, abituati com’erano a rivolgersi agli Stark e ai lord alfieri per ogni questione.
“Manca tanto al Castello?” sentì gridare la compagna, rivolta al fratello che cavalcava poco avanti a lei. Sorrise nel vederla così allegra, così piena di vita, in groppa alla sua Visenya, che la ragazza aveva chiamato così in onore dell’antenata di Rhaegar, la sorella guerriera di Aegon I Targaryen. Era così diversa dalla Lyanna triste e spenta che aveva conosciuto nei giorni prima della Battaglia del Tridente da farlo sentire meglio, più sollevato e in grado di affrontare qualunque ostacolo. Continuò a sorridere guardando la donna e il cognato, anche dopo che i due lo ebbero superato, costringendolo a spronare il cavallo per inseguirli.

“Non molto, siamo a metà strada! La mia licenza terminava oggi… poterò con me una sorpresa, Lord Mormont ne sarà felice!”
 

 


***
 


Si erano appena avvicinati al portone d’ingresso del Castello Nero, quando i cancelli si erano aperti e i Confratelli in nero avevano accolto tra loro gli ospiti. Rhaegar si era calato nervosamente il cappuccio sulla testa: preferiva non farsi troppa pubblicità, almeno fino al momento in cui avrebbe incontrato il prozio. Lyanna sembrava cauta ma risoluta, mentre Benjen era, ovviamente, nel suo elemento. Il ragazzo aveva mandato immediatamente un attendente alle Torri perché chiamasse Lord Mormont, mentre alcuni stallieri si prendevano cura dei cavalli dei tre ospiti. Rhaegar continuava a stringersi nelle spalle, un po’ a disagio, in attesa di essere ricevuto.
Dall’alto, uno degli attendenti personali di Jeor Mormont aveva fatto loro cenno di raggiungerlo: il Lord Comandante li avrebbe ricevuti nel suo studio. Benjen fece loro strada verso la torre, mentre un gruppo di Guardiani curiosi li osservava dal cortile, interrompendo per un attimo l’allenamento quotidiano col Maestro d’Armi: non era raro vedere dei visitatori al Castello Nero, ma pochi erano così circospetti e misteriosi come l’uomo col mantello che accompagnava il giovane Stark.
Lord Mormont si era mostrato stupito da quella visita improvvisa, anche se il rango dei suoi visitatori aveva fugato ogni perplessità, sostituendola con una moderata curiosità. Aveva salutato Lyanna con deferenza, ma era rimasto incerto su come comportarsi di fronte al giovane principe Targaryen: i Guardiani della Notte non si inchinavano di fronte a nessuno, non riconoscendo alcun sovrano. Come Benjen prima di lui, aveva risolto quel momento di imbarazzo limitandosi ad un gesto di cortesia e una stretta di mano a Rhaegar, accettando senza particolari problemi la richiesta del principe di vedere il loro Maestro, il suo prozio.
Lyanna aveva deciso di restare insieme al Lord Comandante, sarebbe stato Benjen ad accompagnare Rhaegar fino alla torre per poi lasciare che il giovane incontrasse il prozio da solo. Nell’accomiatarsi, la ragazza gli sfiorò la guancia con una carezza, come se non sapesse bene cosa dire per salutarlo, indecisa se augurargli buona fortuna o sorridergli con la solita sicurezza che contraddistingueva la Lyanna ragazzina, quella che non si fermava di fronte a nulla. Non sapeva di preciso per quale motivo il compagno volesse vederlo, ma anche solo percepire il suo turbamento la rendeva insicura, come se non sentisse più la terra sotto ai piedi.
Rhaegar si riscosse e seguì il più giovane degli Stark lungo le scale, verso la torre dell’anziano. Nel farsi da parte davanti alla porta Benjen gli rivolse un sorriso di incoraggiamento, non prima di aver aperto la porta e di aver avvisato il Maestro della loro visita.

“Maestro Aemon? Sono Benjen Stark, vengo da voi con un visitatore. So che la cosa è un po’ improvvisa, ma… è una questione di grande importanza.” Poi, rivolto a
Rhaegar: “vi lascio soli. Raggiungerò mia sorella e il Lord Comandante di sotto… a più tardi, Altezza.”

Rhaegar guardava la porta, le gambe che rifiutavano di muoversi. Quell’ingresso lo riportò a quello varcato mesi prima, a suo padre e alla battaglia persa che aveva combattuto contro di lui e la sua follia, al dolore che lo aveva accompagnato. Di nuovo, si scrollò tutto di dosso: i suoi figli avevano bisogno di lui.
Non poteva rimandare ancora quella discussione.
 

 


***
 


L’anziano Maestro Aemon, figlio di Maekar I Targaryen, sedeva su una poltrona in fondo alla stanza, circondato dagli strumenti e dalle pergamene che facevano parte della sua vita di saggio e Maestro dei Guardiani. Libri, alambicchi, strani oggetti che Rhaegar non aveva mai visto, tutto gli mostrava un’esistenza che conosceva solo tramite le lettere che aveva scambiato col prozio e che gli sembrava distante, come se fosse precipitato in uno dei racconti che avevano popolato le sue fantasie di ragazzino senza sapere come muoversi al suo interno. Eppure, era proprio quello l’uomo col quale aveva parlato della profezia, il fratello del suo bisnonno, protagonista di tante avventure e lì davanti a lui, nella penombra fresca della torre. Il giovane si diede una spinta e si fece avanti, i passi che echeggiavano tra le mura di pietra.

“Un visitatore? Interessante, non sono molte le persone che chiedono espressamente di vedermi… fatevi avanti, non siate timido.”

Ora che si era avvicinato, riusciva a vederlo meglio: l’uomo aveva i capelli corti e argentei, dello stesso biondo argenteo, splendido dei capelli di Aegon. Lo stesso biondo dei suoi, che piano piano riprendeva forza sul nero della tintura. Gli occhi aperti erano velati dalla cecità, proprio come aveva detto Benjen, ma Rhaegar non diede peso a quel dettaglio. Non sapeva il perché, ma l’uomo gli dava l’idea di poter scandagliare nel suo animo senza bisogno di guardarlo.
La voce gli uscì più incerta di quanto avesse desiderato.

“Maestro… zio Aemon? Forse non vi ricordate di me, l’ultima mia lettera risale a molto tempo fa…”
“… ma non potrei comunque dimenticare il figlio di mio nipote Aerys. Rhaegar, ragazzo, finalmente sei venuto a trovarmi… quali notizie porti dalla capitale? Temo non siano esattamente buone, o avresti lasciato che la carta me le comunicasse, invece della tua presenza.”

La prima impressione era stata quella giusta: suo zio riusciva a leggere nel suo animo senza bisogno di guardarlo negli occhi. Il giovane principe si avvicinò ancora, incerto ma rassicurato dalla gentilezza nella voce dell’uomo, fino a sovrastarlo con la sua figura. Aemon tese una mano e prese quella di Rhaegar, che ancora tremava appena.

Cosa accidenti sto facendo? Sono il figlio di un re, non un bambino spaventato qualunque!

“Mi sono arrivate delle voci, ma entrambi sappiamo quante imprecisioni si nascondano nelle chiacchiere passate di bocca in bocca… corvi che parlavano della tua morte al Tridente, dell’incoronazione di Robert Baratheon, della morte di Aerys e di Rhaella… siamo lontani dal mondo e non riconosciamo l’autorità del re, ma ciò non vuol dire che io abbia rinnegato in pieno la mia famiglia. Da quando hai smesso di scrivermi, tempo fa, non ho mai scordato l’argomento delle nostre lettere, i tuoi pensieri sulla profezia del Principe che Fu Promesso. Sento che sei turbato, Rhaegar, stai tremando da quando sei entrato e la tua voce è insicura, come se qualcosa più grande di te ti schiacciasse… è arrivato il momento di parlarne, sei qui per questo, alla fine.”

Fu come se qualcosa, finalmente, si fosse liberata: un senso di oppressione che avvertiva da quando quella storia aveva avuto inizio, da quando aveva capito che la sua vita e quella di Lyanna non sarebbero mai state tranquille, normali. Si sedette di fronte all’uomo e iniziò a raccontargli tutto, dall’incontro con la ragazza alla Battaglia del Tridente, fino alla nascita del terzogenito e al suo viaggio per ricongiungersi alla donna che amava. Non omise nulla, neppure la morte di Rickard e Brandon Stark per mano del padre. Man mano che la conversazione andava avanti, sentiva il cuore farsi più leggero, le sue paure che si dissipavano, fino ad arrivare all’interrogativo che più gli premeva: come avrebbe fatto a decidere chi dei due sarebbe stato il suo successore, una volta riottenuto il Trono che gli spettava?

“Aegon è il mio figlio legittimo, nato dal matrimonio con Elia… ma io e Lyanna ci siamo sposati in segreto, nel Parco degli Déi di Harrenhall prima di fuggire, quindi Jon non sarebbe un bastardo, ma un Targaryen con gli stessi diritti dei miei figli legittimi. E poi c’è mia sorella Daenerys insieme a Viserys, sono fuggiti nelle Città Libere per evitare i sicari dell’usurpatore. La situazione è così complessa che non saprei da che parte iniziare… ma se c’è una cosa che so, è che ho lottato per i miei figli, e li proteggerò. Così come Lyanna. Non permetterò che lei e Jon vengano umiliati o allontanati da me.”

Suo zio sorrideva. Rhaegar trovava incredibile come l’anziano saggio non avesse mai fatto una piega di fronte ai suoi racconti, quasi fosse abituato alle stranezze che la vita gli metteva davanti… dopotutto, proveniva da una famiglia che affidava ai propri figli bambini delle uova di drago affinché se ne prendessero cura, gli intrighi degli uomini dovevano sembrargli decisamente ordinari. Era rimasto fermo ad ascoltarlo, senza preoccuparsi del tempo che passava, né del fatto che il figlio di suo nipote fosse spuntato dal nulla a chiedergli un consiglio, come se si fossero lasciati solo il giorno prima.

“Vedo la fierezza del drago in te, ragazzo mio. Hai una famiglia che ami e un motivo per vivere, nonostante le morti che hanno segnato il tuo cammino. Sei una persona forte, sarai un ottimo re. Troverai la strada, ne sono sicuro… con più facilità di quanto immagini. Mi hai chiesto a lungo aiuto per interpretare la profezia, ma sono convinto che, in cuor tuo, tu conosca già il responso. Ricordi il nome della canzone che mi hai scritto di aver composto per tuo figlio Aegon, quella ispirata proprio alla profezia?”

La canzone del Ghiaccio e del Fuoco. Un principe che domini le fiamme e il ghiaccio eterno, una forza in grado di far inchinare entrambi davanti a sé. O forse, se il Ghiaccio e il Fuoco fossero state due persone separate…?

“Noi Maestri non indulgiamo molto nelle storie e nei miti, siamo uomini di scienza. Ma mi hai detto che il tuo ultimo erede è nato da una donna Stark, la gente del Nord… e il tuo Aegon è un drago, con il sangue del Sud nelle vene. Non pensi che la profezia potrebbe riguardare entrambi?”
Rhaegar rimase per un attimo immobile, il gracchiare lontano dei corvi proveniente dalla loro ala nella torre che lo stordiva, confondendo il senso del tempo e dello spazio.

Quella soluzione gli era sembrata sempre assurda, impossibile, eppure…

Si inginocchiò ai piedi dello zio, confuso. Non sapeva neppure lui cosa avrebbe fatto, si rendeva conto solo di avere finalmente ciò che gli mancava: una traccia da seguire. Il vecchio saggio gli aveva fornito proprio quella, sollevandolo dai suoi dubbi con la mano salda di un uomo che aveva vissuto la storia da lontano, stringendosi nelle spalle e continuando a osservarla con occhio attento, senza giudicare. Gli era grato per quello, immensamente grato.
Aemon non lo aveva visto mostrargli il suo rispetto, ma doveva averlo intuito dallo spostamento d’aria. Appoggiò una mano sulla testa del giovane e gli accarezzò i capelli, il primo gesto veramente paterno che Rhaegar avesse ricevuto da quando era un bambino.

“Se gli Déi ci assistono, avremo un sovrano giusto, il migliore dai tempi di mio zio. Mantieni il cuore saldo e la mente volta alla giustizia, ragazzo, e il drago continuerà a volare sui cieli dei Sette Regni, nonostante gli intrighi di corte. Ma soprattutto, qualunque decisione tu possa prendere in merito… non abbandonare la ragione, né la tua famiglia. Io sarò qui, se avrai ancora bisogno di un vecchio prozio al quale rivolgerti.”
Rhaegar Targaryen, primo del suo nome, figlio di re Aerys II si alzò in piedi, rivolgendo un ultimo sguardo all’uomo che lo aveva appena congedato, il Maestro che sarebbe potuto diventare re ma che aveva preferito restare nell’ombra, tra la calma delle pergamene e l’eco delle battaglie che si spegneva lontano, su quell’orizzonte che si intravedeva a malapena dalla Barriera. Eppure era stato l’unico uomo a potergli dare un consiglio valido, l’unico che lo facesse sentire ancora a casa.

“Grazie, zi… Maestro. Che gli Déi Antichi e quelli Nuovi possano proteggervi… e che possano aiutare me nella mia decisione. Ne avrò bisogno.”
“Caro ragazzo…” era girato, ma dal tono delle sue parole era certo che Aemon stesse sorridendo. “Sei sopravvissuto alle ferite inferte dal martello da guerra di Robert Baratheon, una questione simile dovrebbe sembrarti un gioco da bambini, in confronto.”

 
 


***
 


Il Parco degli Déi, nelle mattine di sole, era ancora più bello di quanto ricordasse. Più bello ancora di quello di Harrenhal, nonostante fosse legato affettivamente a quel luogo. Ma niente poteva rivaleggiare con la bellezza di Lyanna, vestita di azzurro e grigio argento, in piedi di fronte a lui.

Mentre le posava una corona di rose blu dell’inverno sulla testa, gli sembrò di rivivere una scena già avvenuta mesi prima: il loro matrimonio, il drappo di casa Targaryen sulle spalle della compagna, il bacio che si erano scambiati all’ombra di quegli alberi, la paura che scorreva insieme al sangue e all’eccitazione stupida, ingenua di due ragazzini pronti per un’avventura più grande di loro. Questa volta, però, era diverso.
Le sollevò il viso tra le mani e non vide paura nei suoi occhi, né preoccupazione per il loro futuro: era serena. Non le aveva raccontato della profezia, mentre lei cullava Jon per farlo addormentare e posava una carezza sul viso di Aegon, che aveva iniziato a dire le prime parole e sembrava gradire le attenzioni di entrambi i genitori. Non ne aveva avuto il coraggio, ma avrebbe dovuto farlo il prima possibile: non poteva nascondere qualcosa alla donna che amava e che l’aveva aspettato con la sua fiducia, senza lasciar spegnere quella piccola fiammella di coraggio che le ardeva nel cuore. Lyanna accarezzava il suo secondogenito, giocando con le sue piccole mani, e Rhaegar rifletteva sul momento in cui la profezia si sarebbe imposta sulle loro vite, costringendolo a prendere una decisione… ma sentiva che, in qualche modo, ce l’avrebbe fatta. Avrebbe atteso e osservato, come gli aveva consigliato di fare suo zio.

Lyanna lo avrebbe capito, gli avrebbe donato il suo appoggio, tutta la sua forza. Come aveva sempre fatto.

Appoggiò le labbra su quelle della ragazza, con delicatezza, sfiorandole i capelli mentre il loro bacio diventava più intenso. Un petalo si staccò dalla coroncina di rose e cadde sulla neve, spiccando di un blu più intenso in contrasto col candore brillante che lo circondava. Pensò al Ghiaccio della Profezia, al Fuoco che lo accompagnava e pregò gli Déi di concedere loro la forza di capire qual era la strada giusta da prendere e la saggezza necessaria a crescere per il meglio i loro figli, così piccoli eppure così importanti.
Si staccò da lei per godersi lo spettacolo del rossore sulle sue guance, che Lyanna dedicava solo a lui. in seguito avrebbe detto che si trattava del freddo, ma la conosceva troppo bene per capire che non gliel’avrebbe mai data vinta: era una Lupa troppo testarda e forte, come la sua gente del Nord.
“Io, Rhaegar della casa Targaryen, prendo te, Lyanna della casa Stark, come mia sposa. Prometto di onorarti e proteggerti fino alla fine dei miei giorni, e chiedo agli Déi Antichi di benedire questo mio giuramento.”
Questa volta non avevano mantelli da scambiarsi: Eddard li aveva coperti entrambi con un grande drappo rappresentante il metalupo, appoggiando le loro mani una sopra l’altra, come la prima volta. Si erano già sposati, ma tutta la cerimonia aveva avuto il sapore di qualcosa fatto di nascosto, di un modo per giustificare la loro fuga, soli nel Parco di Harrenhal. Ora che Ned e la sua famiglia erano presenti, quell’unione poteva essere resa ufficiale.
Aveva pensato ad Elia, a Rhaenys. Le aveva viste nei suoi sogni, aveva chiesto scusa, aveva detto che mai e poi le avrebbe volute morte, nessuna delle due… ma sapeva di essere solo, di avere soltanto Lyanna e la sua famiglia con sé. Guardare al passato e rimanervi bloccato non aveva senso, non avrebbe fatto tornare le cose com’erano: doveva concentrarsi sul futuro, renderlo il più possibile migliore, costruirlo passo dopo passo. Le avrebbe ricordate, onorando la loro memoria e punendo chi aveva osato far loro del male.
Sarebbe ripartito da lì.
Strinse Lyanna in un abbraccio e sentì le sue braccia stringersi intorno al suo corpo, il respiro caldo che formava piccole nuvolette nell’aria fredda del mattino, nonostante fosse ancora autunno. L’inverno sarebbe arrivato, ma non era solo: i suoi figli dormivano a poca distanza da lui, sua moglie lo guardava, gli occhi grigi che bucavano i suoi pensieri offrendo la loro sincerità, la purezza d’animo di quella ragazza del Nord più brava con la spada che nelle danze. In qualche modo, ce l’avrebbero fatta.

Sarebbero inciampati, avrebbero tentennato, forse sarebbero caduti. Ma l’avrebbero fatto insieme.

 
 
 






Noticine di Nat
Vi chiedo davvero scusa per il ritardo, sono imperdonabile: sono stata una settimana all’estero in completo relax e mancanza di linea, ero convinta di riuscire ad aggiornare prima della partenza ma, tra una cosa e l’altra, sono rimasta bloccata sul capitolo e ci ho messo più tempo del previsto. Spero che il risultato sia comunque buono <3
Col prossimo capitolo inizierà un time skip di una decina d’anni che, piano piano, riporterà la storia sulla linea degli eventi di GoT, anche se con esiti diversi, essendo comunque una What If. Per quanto riguarda il capitolo, parlare di Maestro Aemon e farlo interagire con Rhaegar mi è piaciuto un sacco, era uno dei miei sogni proibiti: sono due personaggi che adoro e che avrei sempre voluto vedere interagire, anche nella realtà. Visto che non è possibile, mi sono sfogata con la fantasia!  Anche per quanto riguarda la Profezia e la Canzone del Ghiaccio e del Fuoco mi sono completamente affidata agli headcanon, dato che nella serie e nei libri non se ne parla quasi per nulla.
Grazie ancora per il vostro seguito e le recensioni, siete fantastici!
Alla prossima, allora!
Nat

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV
 
 




“You run away
you hide away
to the other side of the universe
where you’re safe from all that hunts you down.”
[Within Temptation – Fire and Ice]

 
 
 
 
 


Grande Inverno
Dieci anni dopo
 
 



“Sono Aegon I Targaryen, il Conquistatore! Inchinati al mio cospetto, Tohrren della casa Stark, se non vuoi che i miei draghi brucino la tua dimora fino alle fondamenta!”
“Nessuno qui ha paura dei tuoi strani animali, re che viene da lontano… noi Stark abbiamo un esercito di metalupi e i Giganti sorvegliano il nostro territorio da anni. Credi di essere veramente così potente?”
“Non credo di esserlo… lo sono. E ora avrai un assaggio della mia forza!”

Un ragazzino dai capelli argentei, sudato e spettinato, si era appena lanciato all’attacco contro l’altro, brandendo una spada di legno e lanciando quelle che, secondo lui, dovevano sembrare spaventose grida di guerra. Tohrren Stark, ovvero il suo compagno di giochi, era scartato di lato appena in tempo, evitando un colpo secco all’altezza della spalla: era un ragazzetto dai capelli scuri e ricci, un paio di occhi grigio-azzurri accesi dall’indignazione appena nascosti dalla celata dell’elmo ammaccato che portava sulla testa. Il sedicente Aegon Targaryen, però, non sembrava volersi dare per vinto: continuava a farsi avanti a colpi di spada, ridendo ogni volta che il suo avversario lo respingeva.

“Tutta qui la vostra forza, Lord Stark? Mi sembrate fuori allenamento!”

Il ragazzo lo respinse con un fendente particolarmente ben piazzato. “Parlate voi, che vi fate difendere da tre lucertole giganti? Pensavo che i Targaryen avessero più onore!”

Una delle tre lucertole giganti aveva afferrato un bastone e si era infilata nella disputa, iniziando a distribuire colpi un po’ ovunque, sia al suo “padrone” che allo sfidante. Quella più alta, con tanto di cappuccio di stoffa verde che gli copriva il volto si stava dando da fare per interpretare al meglio il ruolo del drago, sbuffando e minacciando Lord Stark con la sua presenza. La terza, invece, sembrava averne abbastanza di quella guerra interminabile: si era tolta il cappuccio con fastidio, rivelando una bella chioma rossa e uno sguardo da principessina che si è piegata a quei giochi soltanto per far felici gli altri, tremendamente adulto per appartenere ad una bambina di soli otto anni.

“Non voglio più fare il drago, mi sono stufata. Perché non posso fare la principessa, invece?”

Il drago più piccolo le si era piazzato davanti a gambe larghe, le mani sui fianchi e l’espressione probabilmente accigliata sotto al cappuccio nero: l’idea che qualcuno potesse abbandonare il gioco di punto in bianco non le stava bene, non ora che avevano conquistato quasi tutto il Continente Occidentale.

“Qui non ci sono principesse, c’è un regno da prendere! E tu devi fare il drago” aveva concluso, con un tono che non ammetteva repliche. Ma l’altra non aveva nessuna intenzione di obbedirle: aveva gettato il cappuccio a terra, allontanandosi sdegnata dai compagni di gioco con la bambina più piccola alle calcagna, ancora impegnata a darle dei piccoli colpi sulla schiena con la sua arma.

“Mamma! Mamma! Arya mi sta infastidendo con il suo bastone!”
“Sei tu che non vuoi collaborare alla conquista del Continente! Giochi con noi soltanto perché speri di fare la principessa per Aegon” l’aveva stuzzicata la piccola, togliendosi il cappuccio e rivelando finalmente il suo aspetto, quello di una bambinetta spettinata e sdentata di sei anni, con i capelli divisi in due trecce ormai arruffate e le mani piene di tagli, poco consoni ad una futura lady di Grande Inverno. Ma Arya era fatta così: tanto quanto Sansa era delicata e aggraziata, lei era irruenta, vivace, sempre pronta a giocare e ad azzuffarsi con i cugini e il fratello maggiore. Inutile dire che adorava quelle recite, specie quando poteva interpretare il ruolo del drago o del cavaliere.

Catelyn Stark, la madre di entrambe e signora di Grande Inverno, era arrivata in un attimo, rapida come un uccello da preda e altrettanto accigliata, pronta a sedare un qualunque accenno di litigata tra la figlia maggiore e la minore. Per quanto amasse i suoi ragazzi tutti allo stesso modo le riusciva molto più facile rapportarsi con Sansa, così docile e simile a se stessa quando era piccola, rispetto a quella piccola peste irrefrenabile della terzogenita. C’era molto del sangue degli Stark in Arya… molto più di quanto ne scorresse nelle vene di Robb e di Sansa, entrambi eleganti e posati, due piccoli lord e lady pronti ad ereditare il castello e le buone maniere della loro madre e dei Tully in generale. Più la guardava, più a Catelyn ricordava l’irruenza della cognata, che infatti aveva un debole per la nipotina.

L’arrivo di Lady Stark aveva distolto i ragazzini dai loro giochi: si erano radunati a frotte intorno a lei, posando spade e bastoni e togliendosi di dosso i cappucci da drago, ridiventando un gruppetto di bambini stravolti dai loro giochi. Quello che sembrava il capo del gruppo, il biondo dagli occhi viola, si affrettò a inchinarsi prima di rivolgersi gentilmente alla donna: “Dobbiamo già salire per il pranzo, Lady Catelyn?”

“No Aegon, non è ancora ora. Ma sono dell’idea che la vostra razione di battaglie sanguinose sia sufficiente, almeno per stamattina” aveva risposto, cercando di non mostrare l’accenno di sorriso che la cortesia del ragazzino le aveva fatto nascere sulle labbra. Non era molto di più di un nipote acquisito per lei, ma la affascinava per buone maniere ed eleganza, tutte ereditate dal principe Targaryen suo padre: quando erano arrivati entrambi al castello dieci anni prima, coperti di polvere e stremati da un viaggio lunghissimo, non avrebbe mai pensato di vederli rinascere, Rhaegar finalmente riunito alla compagna, Aegon come figlio adottivo di Grande Inverno, un piccolo drago in una tana di lupi. Eppure era lì, un ragazzo di undici anni vivace come pochi e altrettanto cortese e bello come suo padre. Un erede perfetto per il Trono… se i Targaryen avessero regnato ancora, come ai tempi di suo nonno Aerys.

Tohrren Stark, ossia Jon, l’unico figlio di Lyanna, si era avvicinato al fratellastro togliendosi il mantello che indossava e depositando ai suoi piedi la spada di legno. Si asciugò il sudore dalla fronte e gli si rivolse un sorriso sicuro, luminoso, che aveva tantissimo sia della madre che del padre.

“Con questa siamo pari, principe Aegon. Una vittoria ciascuno!”

Sul viso del piccolo Targaryen comparve un altro sorriso, più astuto di quello del fratellastro, come se la sapesse lunga e desiderasse batterlo in furbizia. “Sono lieto che abbiate accettato la vostra sconfitta, Lord Stark… questo significa che accetterete anche il fatto che sono destinato a diventare il vostro re.”
“Questo è tutto da vedere, principe. Intanto i vostri draghi sono scappati.”

Aegon si girò per constatare la situazione e rispondere a tono, ma si accorse che il fratello non aveva torto: a parte Sansa che aveva abbandonato volontariamente il gioco, Arya era stata costretta a seguire la sorella per la lezione di cucito nonostante le proteste e Robb li affiancava ormai privo del cappuccio da drago, nelle vesti serie di primogenito di Eddard Stark pronto ad obbedire alla propria madre. Ma Aegon non voleva darsi comunque per vinto.
“Non dubitate delle mie risorse, Tohrren della casa Stark. Come ben sapete…”
“… i principi Targaryen sono noti per la loro saggezza e sapienza, acquistata dopo aver trascorso anni sui libri. Per cui, vorrete scusarmi se ora mi recherò a studiare e inviterò anche voi a seguirmi. Che ne dite?”

Rhaegar Targaryen aveva appena fatto il suo ingresso nel cortile, portando l’attenzione di tutti i presenti a focalizzarsi su di lui. Gli anni erano passati per tutti, ma sull’uomo sembravano aver sortito tutto un altro effetto: bello ed elegante, aveva superato i trent’anni con la solita grazia che l’aveva accompagnato in tutta la sua esistenza, trasmettendola anche ai figli. Dietro di lui avanzava la giovane moglie, Lyanna, anche lei bellissima ma in maniera più selvaggia, piena della vivacità che aveva portato il marito a perdere la testa per lei. Entrambi amavano guardare Aegon e Jon giocare con i nipoti della ragazza e riempire il cortile di grida e risate, ma quando si trattava di studiare diventavano decisamente inflessibili.

“Padre! Lyanna!” Aegon si era voltato ed era corso ad abbracciare il principe, che l’aveva accolto senza esitazione: non rifiutava mai il contatto coi figli, non voleva abituarli alla stessa educazione rigida che suo padre aveva riservato a lui e a suo fratello. “Stavo discutendo con Jon riguardo alla conquista del Nord, ma non vuole ammettere la mia vittoria. Posso rimandare ancora lo studio? Maestro Luwin non si offenderà se ritardiamo ancora un po’…”
Volse la testa verso Lyanna, cercando di conquistarla con uno sguardo da cucciolo, ma la donna lo conosceva fin troppo bene per cedere ancora. Anche Jon, nel frattempo, si era unito alla richiesta:
“Dai madre, ancora un po’! Possiamo giocare ancora?”
Lyanna lo guardò, soffermandosi sul viso di quel figlio che aveva tanto desiderato e protetto con tutta se stessa per tanti anni, attraversando pericoli che ancora la facevano tremare durante le notti insonni, nonostante fossero passati ormai dieci anni dalla sua nascita. Gli sfiorò i capelli con una carezza, rendendosi conto una volta di più quanto fosse importante per lei e quanto la rendesse felice anche solo il fatto di essere chiamata madre… anche quando si trattava di convincerla a permettere qualcosa che non approvava.

Cercò di assumere un’espressione severa senza riuscirci.

“Per giocare c’è sempre tempo, nessuno vi porterà via il cortile… mentre Maestro Luwin ha altri impegni da sbrigare, se è stato così gentile da dedicarvi parte della sua giornata dovreste ringraziarlo e sbrigarvi a raggiungerlo nella torre. Su, da bravi.”
“Ma l’araldica è noiosa! Impareremmo molto di più giocando ai re del passato e…”
“Aegon, non ti azzardare a rispondere così a…” lo ammonì Rhaegar, ma Lyanna lo blandì con un altro sorriso, poggiando una mano sulla spalla del figlio acquisito e una su quella di Jon, facendoli voltare con un gesto gentile ma deciso verso il castello.
“Anche lo studio fa parte dei compiti di un principe. E poi, non vi interessano le vite dei re che interpretate ogni giorno? Potreste trarre spunto per nuovi giochi… forza, dentro. Parlerò io con Maestro Luwin per chiedergli di dedicare un po’ di tempo all’araldica e un po’ alla storia dei grandi personaggi del passato” li incoraggiò, facendo segno al marito di seguirla. Lui scosse la testa, ammirato: la sua Lupa del Nord riusciva sempre a farsi obbedire dai figli, per quanto scatenati o desiderosi di giocare potessero essere, un talento naturale che anche Catelyn le invidiava.

Ogni volta che Aegon si ritirava dai giochi lo faceva in buona compagnia: sia Robb che Jon si accodarono al ragazzo, diretti verso le stanze dell’anziano Maestro. Mentre attraversavano il castello passarono davanti alla stanza della septa, dalla quale provenivano i mugugni di protesta di Arya e i rimproveri della donna, che si sforzava ogni giorno di insegnarle qualche attività femminile senza riuscire nei suoi intenti. Lyanna non poté fare a meno di sorridere: a volte la vita era ironica, soprattutto quando decideva di trasmettere alcuni tratti del carattere da una generazione all’altra. Ventisei anni prima il Nord aveva visto nascere una bambina bella ma indomabile, un cucciolo di lupo infilato a forza in un vestito da donna e costretto a imparare le buone maniere; era passata una generazione ed ecco che un’altra ragazzina lupo correva per i cortili di Grande Inverno, pronta a far tribolare la propria madre e a divertire i fratelli con la sua irruenza.

A Rhaegar non sfuggì l’incresparsi delle labbra della moglie.
“Stavi pensando a quanto Arya ti assomigli, vero? “

Lyanna annuì.
“A volte il sangue fa degli strani scherzi. Sansa e Robb sono più Tully che Stark, in Arya c’è lo stesso sangue di lupo che scorreva in me e nei miei fratelli. Ma Jon…” si tirò leggermente indietro, così che suo marito restasse l’unico interlocutore di quanto stava dicendo “Jon è speciale, è un lupo ma anche un drago. Ha meno sangue Targaryen rispetto ad Aegon, ma basta guardarlo negli occhi per capire quanto abbia preso da te. E sono legatissimi.”
Arrivato di fronte alla stanza che Ned gli aveva ceduto come studio, Rhaegar si congedò dalla moglie baciandola appena sulle labbra, come faceva sempre quando non c’era nessuno in giro: non avevano necessità di nascondersi, ma il solo fatto di rubare quel bacio li faceva ridere entrambi come ragazzini alle prese col primo amore. Si chiuse la porta alle spalle e sedette davanti al tavolo, la mente di nuovo invasa dai pensieri che avevano continuato ad accompagnarlo per anni. Jon ed Aegon erano ormai adulti e per quanto il Trono ancora appartenesse ai Baratheon la possibilità che uno dei due lo reclamasse diventava sempre più concreta.

E se fossi tu a metterti alla testa delle truppe per riprenderti ciò che ti spetta?

Cercò di zittire quella voce. Non era mai stato un guerriero, e di certo non lo sarebbe diventato alla sua età.  
 
 


***
 


Eddard Stark era sempre stato un uomo giusto, questo lo sapevano tutti: non gli piacevano le punizioni crudeli, né le sentenze dettate dal capriccio. Da quando aveva sostituito suo padre come signore di Grande Inverno aveva ordinato delle esecuzioni, ma si era trattato di Guardiani della Notte disertori e criminali che scorrazzavano liberi per le sue terre, uomini che avrebbero comunque ricevuto una punizione da parte della Corona, di certo meno mite di un’esecuzione diretta. Non che avesse piacere nell’uccidere la gente: si trattava semplicemente di mantenere l’ordine e in quel caso preferiva seguire l’insegnamento di suo padre e di tutti gli Stark prima di lui, eseguendo personalmente quelle condanne.

Il caso di Jorah Mormont, però, lo lasciava ancora perplesso.

Conosceva la sua casata da anni: Jeor Mormont era da poco diventato il Lord Comandante dei Guardiani della Notte, sua sorella Maege era una guerriera e una donna di valore, le sue figlie non si tiravano mai indietro quando si trattava di dare manforte agli Stark, di cui erano alfieri. Non si sarebbe mai aspettato che proprio il figlio di Lord Mormont venisse catturato mentre tentava di vendere come schiavi alcuni bracconieri trovati a smerciare pellicce e carne nei loro territori, ma le voci che passavano di bocca in bocca tra gli uomini che lo avevano portato a Grande Inverno perché venisse giudicato gli avevano fatto capire chiaramente che dietro a quell’azione improvvisa c’era una questione di donne e amori sofferti che ancora non gli era completamente chiara.
A quanto pareva, l’uomo era caduto in disgrazia e aveva cercato di risollevare la sua situazione indebitandosi fino al collo, fino a trasgredire la legge. A sentire la sua scorta la colpa era da attribuire alla seconda moglie, Lady Lynesse Hightower, ma Ned non sapeva se dar loro credito oppure no: l’unica cosa che sapeva era che Jorah si trovava nelle sue segrete da un paio di giorni, legato e in attesa di giudizio, e che lui non sapeva assolutamente come pronunciarsi in merito.
Secondo le leggi degli Stark, quell’uomo meritava la morte. Quelle della Corona lo avrebbero destinato ai Confratelli in Nero nel migliore dei casi. Un uomo che condannava dei suoi simili alla schiavitù doveva essere giudicato severamente, ma se fosse stata la disperazione a spingerlo a quel gesto?

Si strofinò le tempie, un moto di stanchezza che gli venne naturale: aveva riflettuto su quella questione molto più a lungo di quando avrebbe voluto, mettendola davanti a tante altre forse più importanti. Quando si trattava della vita di un uomo ogni attimo diventava prezioso, ogni minuto speso a riflettere era un passo indietro o in avanti che faceva compiere al suo destino. Come avrebbe potuto starsene tranquillo mentre pronunciava una condanna tanto a cuor leggero?  
Pensò a Lyanna e al marito, alle voci che erano girate su di lei quando entrambi pensavano che Rhaegar fosse morto, a quanto avesse sofferto nel sentirsi chiamare sgualdrina dei Targaryen, donna di malaffare, solo perché amava con tutta se stessa un uomo già sposato, per quanto lui la ricambiasse con lo stesso amore matto e testardo. Si rendeva conto di non essere esattamente imparziale, ma quando il cuore si metteva in mezzo a quel genere di questioni era sempre difficile giudicarle in maniera fredda e razionale. Non poteva non pensare agli atti assurdi che si compiono per amore, alla pazzia e alla leggerezza che leggeva negli occhi di sua sorella, che le aveva visto in viso il giorno in cui aveva riportato l’arpa di Rhaegar da Approdo del Re… forse l’unica colpa di Mormont era stata quella di non essersi affidato abbastanza al buon senso, non più di quanto ci si fosse affidata Lyanna.

Sospirò e si rimise a lavorare su quanto stava facendo in precedenza, tentando di portare la mente a riflettere su qualcos’altro. Sapeva benissimo che quella questione lo avrebbe tormentato tutta la notte, ma valeva la pena di provare.

 








Noticine di Nat
Della serie “a volte ritornano, come gli zombie”: eccomi qui! Questo aggiornamento ci ha messo anni a vedere la luce, ma tra studio, contest in corso, contest da preparare e compleanno non riuscivo mai a trovare un momento buono per mettermi tranquilla a scrivere… fino ad oggi pomeriggio. Che dire, spero che siate ancora interessati a leggere gli sviluppi della storia, ora che siamo entrati ufficialmente nella seconda fase!
Jorah Mormont è uno di quei personaggi che volevo inserire da tempo, ma solo da poco sono riuscita a combinarlo con gli sviluppi della storia e a dargli un ruolo in questo What If. Quale ruolo? Beh… lo scoprirete a tempo debito! :P
Non vi dico altro per non rovinarvi la sorpresa: spero di ritrovarvi anche coi prossimi capitoli, e… alla prossima!
Nat

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI
 
 



“And promise me this:
you’ll wait for me only,
scared of the lonely arms.”
[Ben Howard – Promise]
 
 
 
 



Quella mattina ci volle un po’prima che Jorah Mormont si rendesse conto del luogo in cui si trovava.

Aveva sognato sua moglie, bella come la ricordava: Lynesse Hightower era seduta nel parco del suo castello, sorridente, col grembo coperto di rose e la gioia che irradiava da ogni parte di lei, con tanta forza da rendere felice anche lui. Le si era avvicinato e aveva preso posto al suo fianco, guardandola intrecciare una collana di fiori e cantare una melodia che non ricordava, lieta, quasi infantile nella sua spensieratezza… finché non gli aveva porto una rosa che, con suo grande orrore, si era trasformata in un mucchio di carne sanguinolenta nelle sue mani. Le aveva osservate spaventato e mentre sua moglie iniziava a sparire in un turbinio confuso di voci concitate si era svegliato dal sonno, madido di sudore e decisamente scosso.

Sapeva benissimo cosa stava cercando di spiegargli la sua coscienza, ma non intendeva darle retta: non era stato l’amore che provava per Lynesse a condannarlo, era stata la sua stupidità. O forse entrambe le cose, e lui non voleva rendersene conto.
Le cose non cambiavano comunque: sua moglie se n’era andata, era tornata nelle terre degli Hightower una volta che gli uomini degli Stark avevano decretato l’inizio della prigionia di suo marito, senza curarsi troppo della sua salute o di quello che sarebbe potuto succedere… sembrava addirittura sollevata, come se qualunque soluzione fosse preferibile al restarsene ancora all’Isola dell’Orso, circondata dal nulla e attaccata dagli spifferi e dall’umidità. Anche se quella soluzione implicava la condanna di un uomo finito nei guai solo per assecondare i suoi capricci.
Strinse un pugno, digrignando i denti e sentendosi completamente sveglio. La sua giornata era iniziata.
Un rumore di passi nel corridoio adiacente alla cella lo fece voltare, per quanto si fosse abituato all’andirivieni di uomini e guardie. L’incedere era decisamente più leggero di quello del solito carceriere che gli portava acqua e cibo, in qualche modo più nobile: non gli ci volle molto per capire che apparteneva a qualcuno degli abitanti della fortezza. Una figura che aveva aperto silenziosamente la porta e si era stagliato contro la luce fioca che proveniva dalla porta, alta e maestosa, impossibile da ignorare.
Jorah Mormont alzò la testa e incontrò lo sguardo color ossidiana di un uomo che non aveva mai visto, ma al quale riusciva istintivamente a collegare un nome: Rhaegar Targaryen, il giovane principe figlio del loro re precedente.

“Lord Mormont… ho una proposta da farvi. Siete disposto ad ascoltarla?”
 

 


***
 
 


Le sale di Approdo del Re non erano un posto tranquillo. Non più, almeno.

Jaime Lannister ormai le conosceva bene, una per una, come se fossero sempre state casa sua. Non lo avrebbe ammesso neppure a se stesso, ma si era abituato a girare in quegli interni, tanto che si sarebbe sentito a disagio se suo padre avesse deciso, di punto in bianco, di spedirlo a Castel Granito per onorare il nome della famiglia e portare avanti la discendenza dei Lannister… ma non poteva più farlo, suo figlio era un membro della Guardia Reale, non avrebbe avuto né moglie, né figli.

Per fortuna.

Per quanto la considerasse casa sua, sapeva quali stanze evitare e in quali rifugiarsi: la sala del Trono, ad esempio, era troppo piena di brutti ricordi che era meglio lasciare seppelliti lì dentro, colma com’era di sangue e orrori, con il Trono di Spade che ancora rifletteva i raggi del sole e li restituiva affilati, crudeli come nel giorno in cui il mondo era crollato a pezzi. Suo cognato Robert Baratheon sedeva su quell’ammasso di lame e di dolore, fingendo di amministrare un regno per il quale, probabilmente, non provava interesse. Sua sorella viveva una vita che non la rendeva felice, sposata ad un uomo che non amava (e che non la ricambiava) e circondata dai figli, la sua unica gioia. E lui? Cosa stava facendo della sua vita?

Nulla, era quella la verità. Per quanto lo riguardava, avrebbe preferito annullarsi del tutto.

Il suo giuramento di Guardia Reale gli imponeva di non prendere moglie né di avere figli, ma nessuno si preoccupava dei figli illegittimi: quelli non contavano mai, in ogni caso. La gente li chiamava “bastardi”, dava loro cognomi che riprendevano le caratteristiche del luogo nel quale erano nati e si limitava ad ignorarli, quando non li trattava come inferiori. I bastardi dei piccoli nobili a volte venivano riconosciuti e investiti di cariche prestigiose, alcuni avevano anche fatto carriera… si raccontava anche di bastardi di re diventati personaggi importanti, anche se i casi erano decisamente più ridotti. La sua fortuna era che nessuno pareva essersi accorto della somiglianza tra lui e i figli di Cersei, i suoi nipoti: in caso contrario, tutti avrebbero capito cosa c’era dietro. E Robert Baratheon, da bravo marito fedifrago più entusiasta delle sue amanti che di sua moglie, non sembrava prestare grande attenzione alle caratteristiche fisiche di quelli che considerava i suoi bambini.
Ma anche se re Robert si fosse svegliato dal suo sonno come un orso a primavera, rifletteva il giovane Lannister, sprezzante, nessuno avrebbe fatto nulla. Certo, il popolo poteva nutrirsi di malelingue e tenerle a mente nel momento in cui uno dei loro nemici avesse deciso di rovesciarli, ma non era già forse scontento di Robert e del suo regno di bagordi e irresponsabilità?

Fece vagare lo sguardo sui corridoi nei quali camminava, trascinandosi avanti come se non sapesse bene quale direzione prendere, come se fossero solo e soltanto le sue gambe a guidarlo senza meta. Fino a poco tempo prima non avrebbe mai creduto di poter diventare quello che era in quel momento: uno spergiuro, un falso, un traditore… un assassino di re, quello che in fondo sei da anni, no? gli aveva suggerito la sua mente, perfida. Non avrebbe mai pensato di poter fingere fino a quel punto, accarezzando le testoline bionde dei bambini che gli correvano accanto – Joffrey con la sua spada, la piccola Myrcella, Tommen che non aveva ancora cinque anni – e lasciando che lo chiamassero zio, che sciamassero verso il re loro padre che non li degnava di grandi sguardi, a parte qualche carezza distratta. Eppure era lì e custodiva dentro di sé segreti troppo grandi per poterli esternare, troppo gravi da essere raccontati a chiunque, come se niente fosse.
Cersei aveva sempre insistito per tenerselo accanto: ad ogni nuovo incontro non voleva mai lasciarlo andare, lo stringeva tra le braccia e lo rassicurava di come nessuno avrebbe potuto separarli, di come le cose sarebbero andate bene da quel momento in poi. Robert non la amava e lei non amava lui, voleva restare con suo fratello e nessun altro, avrebbero aspettato il momento opportuno per ribaltare la situazione a loro favore e prendersi il Trono, e in fondo a chi importava davvero di quello che avrebbe detto il Lord loro padre? La cosa più spaventosa era che Cersei credeva davvero in quei sogni folli, ci si aggrappava come un naufrago ai resti della sua nave e li usava per sostenersi, finendo per confonderlo ancora di più. Da parte sua, Jaime si lasciava trascinare dagli eventi, senza opporvi resistenza: si era reso conto da tempo che, più che amare lei, amava l’idea di poter tornare al passato, di azzerare il corso del tempo e riportarlo all’inizio, quando era un giovane cavaliere e non doveva preoccuparsi di nulla che non fosse il suo giuramento.

Poi un giorno di nove anni prima Cersei gli aveva detto di essere incinta, e qualcosa in lui si era incrinato.

Aveva continuato con la solita vita, covando quella bugia come un tesoro prezioso, portandola con sé ovunque andava: aveva tenuto compagnia alla sorella come poteva, l’aveva assistita durante il parto, aveva recitato la parte del fratello affettuoso e devoto… ma quando gli avevano porto Joffrey perché lo tenesse un po’ in braccio, non si era sentito orgoglioso né felice per quel bambino che era anche suo. Si sentiva fuori posto, come se i confini della bugia che aveva costruito avessero iniziato ad andargli stretti.
Eppure, non era riuscito a ritirarsi da quella farsa così ben orchestrata, il bisogno di approvazione era più forte e lo spingeva avanti come se non possedesse una propria volontà. Dopo Joffrey era nata Myrcella, poi il piccolo Tommen: i suoi figli, ma che allo stesso tempo non lo erano. E la sua sensazione di essere un estraneo che si lasciava trascinare dalla corrente continuava, inesorabile.

Spesso si era chiesto cosa avrebbe pensato di lui il principe Rhaegar, se lo avesse saputo, ma ora quell’idea non lo coglieva più nemmeno lontanamente. Il principe era morto da anni e di certo non avrebbe speso parole gentili per un traditore come lui.

 
 


***
 
 

“Sareste disposto a scambiare la vostra condizione di prigioniero con una missione che potrebbe ridarvi la libertà, Lord Mormont?”

Tra le qualità di Rhaegar Targaryen – erano tante, impossibile negarlo, non a caso il principe era stato molto amato, quando la sua famiglia era al potere – una di quelle che venivano lodate maggiormente era l’eloquenza, mista alla forza di persuasione: non si poteva non prenderlo sul serio, qualunque parola fosse uscita dalle sue labbra. La fortuna voleva che le sue parole fossero anche sagge e ponderate nella gran parte dei casi, per cui i suoi interlocutori non trovavano difficile affidarsi completamente a lui.

Jorah Mormont non era mai stato così a stretto contatto con il principe prima di allora, ma si rendeva bene conto di come tutti potessero parlare con ammirazione di quell’uomo, il figlio primogenito del loro re precedente, diverso anni luce dal genitore come il sole lo era dal cielo notturno. Lo aveva messo subito a suo agio, nonostante sapesse bene di trovarsi al cospetto di un criminale, sedendosi di fronte a lui quasi fosse un suo pari e spiegandogli ciò che aveva in mente, un progetto che gli avrebbe risparmiato la morte per decapitazione e che, al contempo, lo avrebbe riabilitato agli occhi di tutti.

“Sarò breve: si tratta di partire e allontanarsi dal Continente Occidentale per raggiungere le Città Libere, senza alcuna comodità né sicurezza: una volta che arriverete lì, sarete solo con voi stesso e dovrete cavarvela autonomamente… almeno fino a che non riuscirete a stabilire un contatto con i miei fratelli, il principe Viserys e la principessa Daenerys. La vostra missione è quella di proteggerli e di vegliare su di loro perché non accada nulla di male a nessuno dei due, insieme ad un altro dei miei alleati più fidati che ho provveduto ad indirizzare verso di loro, almeno finché Dany non sarà abbastanza grande per riunirsi a me e riprendere il Trono. Ovviamente non dovrete raccontare loro la verità, ne far sapere nulla di me: potrebbero esserci nostri nemici ovunque. Dovrete cercare Lord Barristan Selmy, ex Cavaliere della Guardia Reale, e attendere assieme a lui altre mie istruzioni. Pensate di esserne in grado?”

Jorah Mormont lo fissò, sbigottito, come se non avesse capito bene: era la richiesta più strana che avesse ricevuto fino a quel momento. Sembrava che l’uomo – il principe ereditario, non un nobile qualsiasi – gli stesse mettendo una parte della sua vita tra le mani, affidandola ad un perfetto sconosciuto come se si fidasse ciecamente di lui e sapesse che non poteva fallire. Come era possibile?

“A Lord Stark non siete molto più utile da morto che da vivo, ho parlato con lui fino a questa mattina… ma a me servono uomini in grado di mantenere il segreto e muoversi con cautela in un territorio straniero, e da quanto ne so voi siete abituato. Nelle vostre condizioni attuali dovrebbe essere l’alternativa migliore, o sbaglio?”
“Un esilio volontario, in pratica.”
“Esattamente.” Il principe sorrise, come a volersi complimentare per l’acume dell’uomo, giunto al punto della questione con una sola frase. “Siate sincero, non avreste tentato una fuga? Nemmeno per vedere vostra moglie un ultima volta?”
Jorah tacque: gli aveva praticamente letto nella mente. Il suo primo pensiero, una volta ricevuta la notizia che suo padre aveva chiesto di scortarlo alla Barriera invece di giustiziarlo, era stato di scappare: avrebbe seminato la scorta e rubato un cavallo per raggiungere le terre del Sud, dopodiché avrebbe salutato Lynesse e si sarebbe dato alla macchia. Iniziare la vita come un lord e finirla come un brigante qualunque non era certo la cosa migliore che potesse capitargli, ma era sempre meglio del freddo della Barriera, dei suoi pericoli e dello sguardo di riprovazione del padre. Ora che aveva un’alternativa, ne stava già valutando i pro e i contro… certo, darsi al brigantaggio nelle Città Libere aveva tutto un altro sapore rispetto al nascondersi tra i boschi del Continente Occidentale e assaltare qualche carovana diretta alla capitale.

Non avrebbe potuto riabbracciare Lynesse. Ma a sua moglie sarebbe davvero importato qualcosa?

Rhaegar Targaryen era lì, di fronte a lui, in attesa. In momenti come quello, le decisioni andavano prese rapidamente, senza lasciare che la mente vagasse troppo e un’obiezione, anche la più piccola, iniziasse a rodergli il cuore per farlo desistere. Solo una domanda gli restava incastrata in gola, pronta ad uscire prima che il loro patto venisse firmato.

“Altezza… perché scegliete me? Un uomo che ha venduto come schiavi degli uomini liberi, un criminale… siete davvero sicuro che sia la persona migliore a cui affidare questo compito?”
Il principe, inaspettatamente, sorrise. Un sorriso saggio, malinconico come quelli che era solito elargire.
“Perché proprio voi, dite? Perché posso capirvi, più di chiunque altro: avete agito per amore. E quando si agisce per amore, Lord Mormont, si possono anche dimenticare i rischi… ma si soffre comunque, forse anche più di chi agisce spinto da altri motivi.”
Il Lord dell’Isola dell’Orso si inchinò, un ginocchio a terra per esprimere rispetto al principe. Per la prima volta dopo giorni alzò gli occhi e sostenne lo sguardo dell’uomo, la vergogna che aveva provato che scompariva pian piano, inghiottita da un coraggio che non si sarebbe mai aspettato di provare.

“Sono ai vostri ordini, Altezza. Fate di me ciò che ritenete più opportuno.”
 
Rhaegar lo scortò fuori dalla cella, le guardie che facevano ala permettendo loro di uscire. Il passo successivo sarebbe stato quello di salpare da Porto Bianco verso le Terre dell’Estate, dove si sarebbe messo in contatto con Lord Varys, in servizio ad Approdo del Re ma ancora fedele ai Targaryen. Jorah Mormont lo ascoltava, e non poteva fare a meno di lasciar vagare la sua mente sulla prossima destinazione, su quello che lo aspettava una volta giunto a destinazione. I due principi Targaryen erano soltanto due immagini nebulose, prive di un volto preciso, ma erano una possibilità concreta. Una possibilità che non voleva abbandonare.
 
Viserys Targaryen, il piccolo drago. Daenerys Targaryen, la Nata dalla Tempesta.
Sarà un piacere conoscervi.

 
 
 






Noticine di Nat
Salve, gentile pubblico!
Questo capitolo fa parte di quelli “di passaggio” che cerco di limitare il più possibile per rendere la storia meno noiosa, ma mi serviva un “punto d’appoggio” per dipanare la storia di Jorah e lanciarlo negli eventi del what if… ed eccolo qui, pronto ad introdurre anche Dany e Viserys. Provo un amore particolare sia per gli Stark che per i Targaryen, per cui capirete come sia impaziente di muovere anche loro <3
Col prossimo capitolo arriverà una visita a Grande Inverno, per cui vi prometto decisamente più azione e nuovi sviluppi!
Intanto vi ringrazio col cuore per l’affetto che mi state dimostrando continuando a seguire la storia, recensendola e inserendola nei preferiti/nelle seguite, siete impagabili e spero davvero di non deludervi mai.
Alla prossima!
Nat

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII
 
 



“Yeah, I might seem so strong
yeah, I might speak so long
I’ve never been so wrong.”
[London Grammar – Strong]

 
 
 
 
 


“Vorrei che non dovessi lasciarci, Rhaegar. Anche se solo per pochi giorni.”

La notte stava per cedere il passo al giorno: nel tepore del letto che condivideva con il marito, Lyanna guardava il cielo colorarsi di azzurro e di rosa, sempre più vivido, brillante come un tessuto appena finito di tingere. Era meraviglioso restarsene lì e dimenticare tutto, le braccia di Rhaegar strette attorno al suo corpo con tanta dolcezza da scaldarla e farla sentire protetta come non le succedeva da tanto, troppo tempo. Fuori potevano esserci tumulti, eserciti nemici pronti ad attaccarli, disastri e pericoli, ma finché lui restava con lei, finché il loro piccolo gruppo familiare era unito, niente poteva andare storto.
Il marito le spostò una ciocca di capelli dall’orecchio, tracciando la linea della mandibola della ragazza con una serie di piccoli baci.

“Lo sai che sono costretto, Lya. Se Sua Maestà ha davvero deciso di farci visita qui a Grande Inverno non ho nessuna intenzione di offrirgli su un piatto d’argento la possibilità di catturarmi e scatenare un’altra guerra… ho deciso di mettere te e i bambini al primo posto, non voglio farmi portare ad Approdo del Re come prigioniero” concluse, spostando la bocca verso i suoi capelli morbidi e affondando il naso tra le ciocche, assaporando quel profumo di freddo e di rose dell’inverno che tanto amava.
Come aveva fatto a sopravvivere senza di lei durante tutti quei mesi di pellegrinaggi senza meta?

Lei si voltò e si fece spazio tra le sue braccia, rabbrividendo al tocco della sua pelle nuda, meravigliosamente tiepida e liscia. Aspettò che Rhaegar la stringesse in un abbraccio per respirare anche lei il suo profumo di casa, di calore e protezione: momenti come quelli erano rari, ma cercava di goderseli il più possibile, senza pensare a nulla. Senza pensare a quando sarebbe arrivato il prossimo.

“Lo so, ma… vorrei che non fosse necessario. Se Robert fosse una persona ragionevole potremmo evitare tutto questo e vivere tranquillamente il nostro rapporto alla luce del sole… e invece devi partire per la Barriera per nasconderti finché non se ne saranno andati tutti e portarti dietro anche Aegon. Ti sembra giusto? Sono stufa di tutti questi inganni, stufa di dovermi sorbire le occhiate della regina e quelle di Robert, di giocare il ruolo della ragazzaccia diffidente che ha rovinato la famiglia e si rifiuta di riprendere una condotta accettabile, stufa di tutto… a volte non so nemmeno come faccio ad andare avanti, Rhaegar. Se non ci foste tu, Jon ed Aegon penso che sarei già finita, da un pezzo.”

Lui non rispose: si limitò a prenderle il viso con dolcezza e a baciarla con più forza, un bacio che sapeva di calore, di desiderio. Un bacio che continuò a lungo, anche mentre le mani del principe le sfioravano la schiena e le gambe nude, le accarezzavano il seno, indugiavano sulla pelle morbida tra la vita e i fianchi.
La ragazza si staccò da lui, accaldata e felice ma allo stesso tempo triste all’idea di doversi già separare dal marito. “È ora di alzarsi. Non possiamo restarcene a letto, qualcuno ci verrebbe a cercare.”

“E se anche fosse?” rispose lui, divertito, uno sguardo fintamente altezzoso che percorreva gli occhi ossidiana. “Sono pur sempre il principe ereditario, è mio diritto restare a letto con la bella fanciulla lupo che ho la fortuna di chiamare moglie. E se Sua Maestà dovesse essere invidioso, fatti suoi!”
Lei sorrise di rimando, dandogli un colpetto affettuoso sulla testa. “I bambini ci verrebbero a cercare. Ti ricordi anche tu quante volte sono già venuti a stanarci, silenziosi come due lupacchiotti a caccia… non perderebbero l’occasione” lo baciò di nuovo sulle labbra, questa volta come a voler chiudere il discorso. “Andiamo, principe drago, la colazione e nuove avventure ci aspettano.”

Lui la guardò negli occhi, tentando di calmare la tempesta che ancora li animava.

“Si tratta solo di pochi giorni, Lya. Io ed Aegon ce la caveremo.”

Poi la prese per mano, scendendo dal letto e cercando gli abiti da indossare per recarsi ai piedi della torre, verso le cucine dove li aspettavano gli altri membri di casa Stark. Appena in tempo per vedere Jon ed Aegon sfrecciargli davanti, vestiti ancora per metà e già pieni di energia, due cuccioli instancabili che percorrevano i corridoi del castello al galoppo.
 
 


***
 

L’idea di separarsi dal fratellastro e dai cugini acquisiti non piaceva per niente ad Aegon, ma si era dovuto piegare. Suo padre si era inginocchiato ai suoi piedi – lui, il principe ereditario Targaryen! – e lo aveva guardato da sotto in su parlandogli come avrebbe fatto ad un adulto e pregandolo di seguirlo senza fare storie: più tardi gli avrebbe spiegato il perché di quella partenza. Il ragazzino inizialmente aveva puntato i piedi e sbuffato, tornando ad essere il piccolo Aegon di undici anni che desiderava vivere come tutti i suoi coetanei meno nobili e importanti, ma vedendo il padre teso e pensieroso aveva finito per capire da solo che quell’atteggiamento non sarebbe servito a nulla e lo aveva seguito senza far storie.

Lyanna era lì nel cortile pronta a salutarli, i begli occhi grigi appena velati di tristezza. Lei e suo padre si erano scambiati un saluto veloce, abbracciandosi e sussurrandosi all’orecchio qualcosa che Aegon non aveva afferrato; dopodiché, sua madre lo aveva aiutato a sistemarsi sulla sella, aggiustando le borse con l’occorrente per il viaggio e arruffandogli i capelli con una carezza affettuosa a mo’ di saluto. Insieme a lei c’erano Jon, la piccola Arya e Ned Stark, un comitato di arrivederci che rappresentava tutti gli abitanti di Grande Inverno.

“Quando tornerà lo zio Rhaegar, zia Lyanna?” aveva chiesto Arya, guardandoli allontanarsi in una nube di polvere e di piccole gocce di pioggia appena accennate, la minaccia di un acquazzone che il cielo stendeva su di loro. “Mi piacciono le sue storie. E mi piace giocare con Aegon ai cavalieri erranti.”
La donna non poté fare a meno di sorridere, l’unica lacrima che le era scesa da uno degli occhi che scivolava all’angolo delle labbra e si fermava lì, asciugata dal movimento della bocca. Accarezzò la testa della bambina e la prese per mano, portando anche Jon dentro: il figlio era triste quanto il fratellastro, ma aveva cercato di contenersi assumendo quell’aria compita e posata che si addiceva ad un vero principe, così simile al contegno di Rhaegar da allargare il sorriso di Lyanna. Ogni volta che lo vedeva studiare e stringere gli occhi davanti ad una riga particolarmente difficile da capire o recitare il ruolo del re del Nord quando giocava con Aegon e i cugini pensava a quanto somigliasse al padre, più di quanto lui stesso potesse rendersene conto. C’era grazia e nobiltà in quei gesti, quella maestosità sottile ma ben percepibile tipica dei Signori dei Draghi che era passata attraverso il sangue forte degli Stark e si era manifestata intatta in suo figlio.

Aegon poteva aver preso da suo padre l’ardore del drago, aveva riflettuto mentre scortava i bambini verso la torre per le loro lezioni, ma Jon ne portava con sé la calma e la malinconia. La tempra di suo padre e di quei re Stark maestosi e antichi, che vegliavano su di loro dalle statue di pietra custodite a Grande Inverno.
 
 


***
 
 


“Ancora non ho capito perché siamo qui, padre. Sua Maestà è arrivato in visita a Grande Inverno, non dovremmo accoglierlo anche noi assieme a Lyanna e zio Ned?”

Rhaegar sospirò, in difficoltà: come avrebbe fatto a raccontare al figlio tutte le questioni irrisolte dietro alla sua nascita e a quella di Jon? Quali parole avrebbe potuto usare, che fossero semplici abbastanza per un bambino di undici anni? Decise di tagliare corto, ma solo per quel momento: prima o poi avrebbe dovuto parlare a suo figlio e raccontargli tutto, spiegargli quello che la guerra aveva portato a tutti loro e quanto invece aveva tolto, cambiandoli. “Sua Maestà non è nostro amico, Aegon. Non lo è mai stato, e se ci viene data la possibilità di evitare una guerra inutile dobbiamo sfruttarla al massimo. Ne approfitteremo per far visita ad una persona che vorrebbe conoscerti, un nostro parente che vive alla Barriera e che non ha mai occasione di incontrarci normalmente… ti va di conoscere il fratello del mio bisnonno?”

Il ragazzino, per fortuna, non fece altre domande: sembrava incuriosito dalla nuova avventura, come lo era sempre quando il padre gli proponeva qualcosa di nuovo. Erano smontati da cavallo e subito il Castello Nero li aveva accolti, assieme alla cortesia degli attendenti e alla curiosità di quelli che non avevano mai visto il principe Rhaegar fare il suo ingresso insieme al figlio: una coppia di stallieri che l’uomo non aveva mai notato prima si sbrigarono a accompagnare i loro cavalli nella stalla e a chiamare Lord Mormont, che li portò immediatamente alla torre di Maestro Aemon.

Era da tanto, troppo tempo che non faceva visita all’anziano saggio: chissà come stava. L’ultima volta che si erano visti Aegon era ancora un bimbetto di pochi anni, troppo piccolo per cavalcare e grande abbastanza da affrontare quel viaggio assieme a lui… ma ora, per la prima volta dopo anni, gli avrebbe portato un’altra parte della famiglia, una che ancora non conosceva.

Sarebbe stata una bella riunione, pensò tra sé e sé.
 
 


***
 

“Io le odio, le visite del re. E odio anche Sansa e le sue chiacchiere sui principi, la corte, i cavalieri e tutte quelle altre stupidaggini!”

Arya scuoteva la testa, caparbia, la gambe a cavalcioni della balconata sulla quale si era seduta in compagnia del cugino. A nessuno dei due interessava granché di intrattenere il re e la regina, che erano arrivati quella mattina insieme a tutto il loro seguito, accolti dagli Stark al completo. Re Robert e sua moglie Cersei erano stanchi per il viaggio, ma ciò non gli aveva impedito di partecipare al banchetto che era stato imbandito in loro onore nel castello, con tantissime portate e altrettanto vino: con loro c’erano i giovani principi Joffrey e Tommen e la piccola Myrcella, la secondogenita, ben diversa nelle maniere e nel contegno da Arya, che aveva trascorso la mattina a tirare con l’arco insieme a Lyanna. Inutile dire che Sansa era raggiante all’idea di poter pranzare accanto al giovane principe, affascinata com’era dalla sua chioma dorata e dai begli abiti porpora e oro che Joffrey indossava: lei e Jeyne Poole avevano trascorso la mattina a ridacchiare e a parlarsi all’orecchio sottovoce, fino a che il padre non aveva assegnato i posti a tavola e aveva sistemato la figlia proprio accanto al principe. La sorella non avrebbe potuto essere più felice.

La bambina sbuffava. Aveva mangiato con la sua solita energia da piccolo lupo, trovando anche il tempo per lanciare qualche briciola di pane sui capelli di Sansa che continuava a definirla “impossibile da portare a corte”, attirandosi una sgridata da parte della madre che l’aveva invitata ad alzarsi da tavola subito dopo il dolce. Non che le fosse dispiaciuto lasciare sua sorella e quell’odiosa atmosfera cerimoniosa che riempiva la sala, ma avrebbe voluto poter dimostrare le sue capacità con l’arco e la spada di legno come avevano fatto i suoi fratelli nel piazzale quella mattina: Robb era stato fantastico, forte come un vero guerriero e altrettanto valoroso, ma anche Jon non era stato da meno… avevano dato del filo da torcere a quella pappamolla del principino Joffrey, che aveva minacciato di trascinarli entrambi in catene ad Approdo del Re ma che, alla fine, si era arreso alla sconfitta. Le sarebbe piaciuto infilzare il cappello ridicolo che indossava con un freccia, ripensò ridendo tra sé, ma zia Lyanna l’aveva fermata appena in tempo.

Jon, seduto lì con lei, era pensieroso come sempre. Forse rifletteva l’umore di sua madre, che quel giorno sembrava tesa e preoccupata, forse anche lui mal sopportava l’atmosfera pesante che accompagnava la visita del re… fatto stava che aveva accolto con gioia l’occasione di staccarsi dal banchetto per ritirarsi in quell’angoletto appartato con Arya, angolo dal quale potevano dominare il cortile e osservare i movimenti di tutti senza essere visti a loro volta. Lui le scompigliò i capelli, sorridendo a quella dichiarazione di odio tanto convinta.

“Invece secondo me le vuoi bene, in realtà. E lei ne vuole a te… è che siete troppo diverse, semplicemente. Lei è una lady, tu sei un lupacchiotto. E stai sicura che io, Robb, Aegon, Bran e Rickon ti vogliamo bene così come sei.”
“Mamma ha sempre detto che dovrei prendere esempio da Sansa ed essere aggraziata e affascinante come lei” aveva sospirato Arya, continuando a far dondolare le gambe. “Secondo me vorrebbero che fossi diversa. Forse tirare con l’arco, cavalcare e lottare con la spada non sono attività adatte a me, come dice sempre la septa…”

“… E tu lasciala parlare. Dicevano le stesse cose a me quando avevo la tua età, ti pare che abbia mai dato loro retta? A volte gli adulti seguono degli schemi troppo rigidi, bambina. Ti do il permesso di non ascoltarli.”

I due si girarono entrambi, gli occhi dilatati dalla sorpresa: Lyanna – non si sapeva come ci fosse riuscita senza farsi sentire – li aveva raggiunti in cima alla torretta e ora si trovava in mezzo a loro, accaldata e sorridente come se avesse cavalcato per miglia e sempre bellissima e selvaggia come entrambi la conoscevano. “Tu sei una bambina meravigliosa e una vera Stark, così come Jon ha preso tanto sia dalla famiglia di suo padre che dalla nostra. A me piaci tanto così come sei, Arya… in fondo, chi ha detto che le vere lady siano solo quelle che sanno cantare e ricamare alla perfezione? Ci sono anche quelle che preferiscono cavalcare, come me e come te. E sono bellissime lo stesso” sorrise, facendo cenno ad entrambi di seguirla di sotto. Sul viso di Arya si allargò un sorriso, che non ci mise molto a passare anche su quello più serio e malinconico del cugino.

“Ora andiamo, lupacchiotti: vi porto con me a fare una passeggiata nel Parco degli Déi, lì staremo decisamente più comodi e tranquilli… e il principe Joffrey non rischierà di ritrovarsi una freccia infilzata nel cappello” soggiunse, scendendo agilmente le scale e facendo strada al suo piccolo seguito. Sapeva che, dietro di lei, Jon stava ridacchiando.
 
 


***
 


Eddard Stark aveva guardato sua sorella allontanarsi seguita da sua figlia e dal nipote, rallegrandosi un po’ per l’espressione di serenità che modellava il bel viso di Lyanna. Quella doveva essere stata una giornata faticosa per la ragazza, fin troppo: non solo aveva dovuto salutare all’alba il marito e il figliastro, ma le era toccato fare buon viso a cattivo gioco e accogliere con un sorriso forzato e i soliti convenevoli che non le appartenevano il re e la famiglia, in visita a Grande Inverno. Robert si era comportato bene, non l’aveva approcciata direttamente né fatta oggetto di frecciatine, limitandosi ad un comportamento cortese e distaccato. Probabilmente voleva evitare i guai con sua moglie, anche se non gli sembrava che tra i due sposi ci fossero particolare affetto o complicità… così come non gli sembrava che Robert fosse attento nei confronti dei bambini, ma forse si comportava in quel modo per il nervosismo di trovarsi accanto ad una donna di cui era ancora innamorato.
Quello che aveva fatto soffrire di più Lyanna – e anche lui, di rimando – era stata la freddezza con la quale tutti sembravano trattare Jon. Era il figlio bastardo della sorella del signore di Grande Inverno, neanche suo, eppure i pettegolezzi sulla donna e sui suoi trascorsi continuavano a passare di bocca in bocca tra i membri della corte reale, cattivi, insinuanti. Nessuno aveva osato mettere alla porta il ragazzino, eppure non si erano risparmiati occhiatacce e chiacchiere sottovoce… era sicuramente quello il motivo per il quale Jon si era alzato da tavola prima e Lyanna aveva disertato le solite chiacchiere alla fine del pranzo, preferendo la calma del Parco degli Déi a quella compagnia.

C’erano cose che non cambiavano, aveva pensato con un sospiro, e una di quelle era la mentalità della gente. D’accordo, non sapevano nulla del matrimonio segreto di Lyanna e Rhaegar, ma sarebbe cambiato qualcosa se anche l’avessero saputo? Jon sarebbe rimasto un figlio nato fuori dal matrimonio da una ragazzina che non sapeva comportarsi secondo l’etichetta e da un principe che non riusciva a tenersi a freno e aveva allungato le mani su ciò che non gli spettava… gli sembrava di sentirle, le chiacchiere che gli avevano riempito le orecchie per mesi e che strisciavano anche tra le mura di Harrenhal, durante quei primi incontri che lui non aveva avuto il coraggio di spezzare, quando sperava che le voci fossero soltanto maldicenze prive di fondamento, spifferi feroci ma facili da contrastare. Sua sorella aveva lottato per la sua felicità, ma quella guerra non era ancora finita.

Il suo umore tetro e pensieroso doveva essere stato evidente: Robert lo raggiunse quasi senza farsi sentire, se non per la pacca amichevole che riservò alle spalle del suo migliore amico, prendendolo di sorpresa.

“Allora, Ned? Dove stavi facendo vagare i tuoi pensieri da algido signore del Nord?”

Tentava di metterla sullo scherzo, ma si vedeva benissimo che anche lui non apprezzava granché il clima che si era creato, altrimenti non avrebbe lasciato la sala per cercare l’amico e rinunciare così ad un altro giro di bevute. Ned decise di essere sincero: “Pensavo a Lyanna, a suo figlio. Al fatto che non saranno mai completamente felici, per quanto il Nord sia la loro casa.”

Toccò a Robert sospirare. Aveva cercato di essere distaccato, di non degnare Lyanna di troppa importanza e allo stesso tempo di trattarla con gentilezza, ma gli sguardi assenti di lei non avevano fatto altro che peggiorare il suo umore.

“Credi che non me ne accorga, Ned? Sta pensando a quel drago, glielo leggo negli occhi. Non ha mai smesso di amarlo, né di sperare che tornasse da lei… poteva avere tutto dalla vita, poteva diventare regina, ma ha preferito seguire il suo istinto e quella feccia in un’avventura che le ha portato solo disgrazia… e un figlio bastardo. Che ti piaccia o no, quel ragazzino è uno Snow e resterà tale, a meno che tua sorella non trovi qualche lord che decida di sposarla e di riconoscerlo.”
Se conoscessi tutta la verità! non poté trattenersi dal pensare Ned, ma cercò di mantenere un’espressione vaga, concentrata sul movimento leggero dell’albero di fronte a loro.
“Non saresti comunque riuscito ad avere il suo cuore, Robert. Lei apparteneva al Nord, è sempre appartenuta a Grande Inverno, a questo castello: portandola con te al Sud l’avresti resa infelice, lo sai anche tu.”
“Ma non ha esitato a seguire quell’uomo dovunque. Non mi ha mai amato davvero, Ned, ed è questo a farmi così male da non poterlo accettare… avrei potuto sposare qualunque donna, ma il mio pensiero sarebbe rimasto sempre a lei. A una donna che invece non mi pensava minimamente” concluse, alzandosi di scatto e iniziando a camminare avanti e indietro, per quanto la grossa mole lo rallentasse. Ormai non era più il giovane prestante che abbatteva cavalieri durante i tornei, quel tempo era decisamente finito.
“Cersei Lannister non sarà, ecco… il massimo della simpatia e della dolcezza”-  Ned sorrise suo malgrado, ricordando le lamentele dell’amico - “ma è pur sempre tua moglie. E avete dei figli, i tuoi eredi… l’amore è un sentimento che può arrivare anche col tempo, credimi: non conoscevo Catelyn quando me l’hanno promessa in sposa alla morte di Brandon, ma adesso non potrei vivere senza di lei. Magari…”
“Cersei è bella da vedere, ma insopportabile da avere vicino” lo interruppe Robert. “Credimi, se fosse tua moglie soppeseresti decisamente la possibilità di mollare tutto per ritirarti alla Barriera… e in quanto ai miei figli, non ho quasi rapporti con loro. La piccola Myrcella è deliziosa, Tommen è un bravo bambino, ma Joffrey… Joffrey è strano, neanche io riesco a capirlo, Ned. Non sai quante volte gliele ho suonate perché aveva fatto qualcosa di male ai ragazzini con cui giocava, o a qualche animale… a vederti così attaccato ai tuoi ragazzi, così sollecito anche nei confronti del tuo nipotino bastardo, un po’ ti invidio e non mi sento un buon padre, ma non so cosa fare. A volte mi sembra di aver sposato mio suocero piuttosto che Cersei, dato che non perde occasione per mettere bocca negli affari della corte. Alla fine, cosa mi resta di bello nella vita, se non le puttane e il vino? Quelli non tradiscono mai!”

Un’altra pacca sulle spalle, meno energica dell’altra ma tipica di Robert. Eddard si voltò e riuscì a sorridergli, contento che la loro confidenza non fosse cambiata in tutti quegli anni.

“Non tradiscono, ma a lungo andare ti rovineranno… l’ultima volta che ti ho visto ancora riuscivi a metterti l’armatura. Ora dubito che ti entrerà…” soggiunse, osservando il ventre dell’uomo, che spingeva in avanti il panciotto di pelle rosso scuro. Per tutta risposta Robert rise ancora, un ruggito gioviale che risuonò chiarissimo nell’aria fredda del cortile.
“Al diavolo l’armatura, Ned! Ora sono un vero re, non mi vedi? Chi ha più bisogno di combattere a destra e a sinistra?”

Con l’eco della risata che ancora tremava nell’aria, si avviarono all’interno.
 
 


***
 
 


Castello Nero
Poche ore dopo
 
 


“Così, tu saresti il piccolo Aegon VI Targaryen, eh? Il nome ti calza a pennello: ti muovi e parli come il tuo omonimo predecessore, Aegon V, mio fratello minore. Era un ragazzino pieno di vita, non stava mai fermo come te…”

L’anziano saggio aveva posato le mani sul viso del trisnipote, accarezzandolo per saggiarne i lineamenti e confrontarli col ricordo di quelli di suo fratello. Il ragazzino, sempre così vivace e dalla lingua lunga, sembrava intimidito: incontrare un altro membro della sua famiglia vivo e vegeto, solenne nei suoi abiti neri e circondato da una quantità di libri e ampolle come non ne aveva viste nemmeno a Grande Inverno lo aveva lasciato senza parole, ma non era riuscito a cancellare del tutto la sua irruenza. Il padre gli teneva una mano sulla testa, sorridendo per quella riunione familiare nella quale non avrebbe mai osato sperare.
“L’ultima volta in cui sei venuto qui eri un bambinetto di qualche anno, ancora piccolo per girare da solo per il Castello” sorrise l’anziano, terminando quel riconoscimento e prendendo la mano che Rhaegar gli offriva per alzarsi. “E ora sei quasi un giovanotto… hai undici anni, più o meno l’età che aveva mio fratello quando si mise a vagare per i Sette Regni al seguito di un giovane cavaliere errante. Il sangue del drago è forte in te come lo era in lui, e in tuo padre.”

Aegon alzò il mento e scosse indietro i capelli biondo argenteo, un gesto che fece sorridere Rhaegar e gli ricordò la baldanza che ogni tanto prendeva anche lui, quando era soltanto un ragazzino pieno di sogni e di speranze e amava trascorrere le giornate a comporre canzoni e studiare le storie del Continente Occidentale. Forse era arrivato davvero il momento di metterli al corrente di ciò che rappresentavano per il regno, sia lui che Jon… ma doveva ancora discutere con il Maestro, e dovevano farlo da soli.

“Aegon, figliolo, vai in cortile da Lord Mormont. Prima mi ha detto che voleva mostrarti qualcosa che ti avrebbe interessato, ti sta aspettando vicino alla postazione degli arcieri… io ho una questione un po’ lunga da discutere, ti annoieresti. Ti raggiungerò tra poco” lo congedò il principe, e con sua grande sorpresa il figlio non fece storie: il Castello Nero era così pieno di sorprese e di novità da non voler perdere un attimo per esplorarlo. Dopo un mezzo inchino – Jon era più composto, l’aveva decisamente ripreso dal padre, ma anche Aegon quando si sforzava diventava un principino modello – si girò e abbandonò la stanza, strappando un altro sorriso ad entrambi gli uomini.
“Sta crescendo bene. Quanti Draghi sono rimasti in giro per il Continente Occidentale?”
“Per ora due, io ed Aegon… ma ho appena mandato un uomo del quale spero di potermi fidare nelle Città Libere, sotto il comando di Varys l’Eunuco e Demeter di Pentos, due uomini che mi hanno aiutato durante la mia convalescenza nella Valle di Arryn: ha il compito di cercare i miei fratelli, Viserys e Daenerys… sperando che stiano bene e che nessuno si sia già accorto della loro presenza. Sono importantissimi per il regno, anche se non sono coinvolti direttamente nella successione.”
“Quel compito toccherà ad Aegon. Pensi che sarà in grado di accettare tutto ciò che ne conseguirà, ragazzo mio? Che abbraccerà il suo ruolo di prossimo re nonostante le guerre che vi troverete a combattere? Re Robert non si allontanerà facilmente dal Trono, e dietro di lui c’è un leone ancora più potente che stringe i suoi artigli su di lui e sui Sette Regni… non sarà facile. Non lo è mai stato, ma pare che i tempi si siano fatti alquanto duri per i draghi” soggiunse, alzandosi per chiudere la porta e risedendosi sulla sua poltrona di fronte agli strumenti di lavoro e ai libri.

Rhaegar mosse la testa nervosamente, riprendendo in maniera perfetta il gesto del figlio. Quel discorso continuava a girare per la sua mente da giorni, mesi, anni, ma non l’aveva mai affrontato seriamente come avrebbe dovuto fare un re, sedendosi a tavolino coi propri alfieri e sviscerandolo parte per parte, con l’attenzione di chi sa di non poter fallire. Avrebbe dovuto prendere da parte Jon ed Aegon e dire loro tutto, comunicargli quei segreti che avevano condizionato le loro esistenze, crescerli non solo come due bambini felici ma anche come due futuri principi, gli eredi al Trono di Spade. Avevano gli stessi identici diritti, erano entrambi suoi figli che amava allo stesso modo, eppure non sarebbero potuti succedergli insieme: uno dei due avrebbe prevalso, ma chi? E come avrebbe riunito a sé i fratelli, ancora piccoli, nascosti tra le Città Libere come dei cittadini qualunque, lontani dalla loro famiglia?

“Hai nel sangue il fuoco del drago, ragazzo. Se non sei in grado tu di sollevare la situazione, chi sarà in grado di farlo? Te l’ho già detto anni fa, e in questi anni la mia opinione non è cambiata.”
Rhaegar si ritrovò a sorridere suo malgrado, avvicinandosi alla finestra per osservare Aegon che trotterellava dietro a Jeor Mormont: suo figlio stava crescendo nel migliore dei modi. Anzi, i suoi figli: un piccolo drago e un lupo silenzioso e tranquillo, il fuoco caldo del Sud e il vento freddo del Nord. Pensò ai suoi fratelli, dovunque si trovassero, a Lyanna e alla sua dolce caparbietà, a Eddard, a sua madre morta da tanti anni, a tutte le persone che aveva incontrato e che avevano posto la sua fiducia in lui, a Elia, a Rhaenys. Pensò a se stesso, e sentì all’improvviso un calore che lambiva il suo cuore e si diffondeva nella testa, lungo gli arti, nei punti più profondi del suo animo.

Sarebbe stato all’altezza del suo compito, questa volta..

Si voltò verso il Maestro, un sorriso decisamente più sicuro scolpito sulle labbra.
“I Draghi torneranno a regnare, ve lo prometto. Anche se dovessero volerci anni.”

 
 








Noticine di Nat
Questa volta non ho nulla da aggiungere al capitolo, se non che dal prossimi avremo un altro time-skip che porterà agli eventi contemporanei con la serie:  finalmente la storia inizia a prendere una piega più movimentata dopo tutte queste macchinazioni e riflessioni, che spero siano state comunque di vostro gradimento <3
Vi ringrazio ancora per tutti i commenti, le aggiunte ai preferiti e alle seguite! E vi auguro un buon Lucca per chi di voi dovesse andarci, un buon Halloween e weekend dei Santi :3
Nat

 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII
 

 
 


“Come not between the dragon and his wrath.”
[King Lear, scena prima – William Shakespeare]
 
 
 
 
 


Grande Inverno
Quattro anni dopo
 
 
 



“Fatemi capire, padre: esiste una profezia che dovrebbe parlare di me e Jon?”

Lo studio di Rhaegar era decisamente affollato per quell’ora del mattino: non solo i due figli sedevano davanti al tavolo, ma anche la moglie e suo cognato Eddard presiedevano quella riunione, la donna in piedi con le braccia incrociate sul petto, l’uomo appoggiato alla porta, entrambi con un’espressione grave sul viso. Dopo tanti anni di ripensamenti ed esitazioni era arrivato il momento della verità per tutti, un momento che Rhaegar non avrebbe più potuto rimandare: Jon ed Aegon erano cresciuti, avevano quattordici e quindici anni, due piccoli adulti ormai in grado di capire cosa si stava preparando per loro, quale sarebbe stato il loro ruolo all’interno dei Sette Regni: era da folli tenerli ancora all’oscuro di tutto.

“Esatto, Aegon: è una profezia di cui sentii parlare quando ero ancora un ragazzino. Raccontava di un Principe promesso dagli Déi che avrebbe governato il Continente Occidentale, un principe protetto dal Ghiaccio e dal Fuoco, o nato dall’unione di entrambi.” Deglutì appena: quanto aveva appena detto faceva pendere la bilancia decisamente verso Jon, l’unico tra i due ad essere figlio di una donna del Nord… ma Aegon sembrava non averci fatto caso, preso com’era dal discorso.

“Non viene specificato a quale casa dovrebbe appartenere il Principe, ma all’epoca eravamo noi Targaryen a regnare, per cui lo interpretai come un segno di buon auspicio per il futuro. Quando sei nato tu… tua madre non ne sapeva nulla, non volevo farla soffrire o aggiungere altre preoccupazioni alla sua vita, già ne aveva abbastanza per conto suo;  ho continuato a riflettere sulla profezia in solitudine, parlandone soltanto con il fratello del mio bisnonno Aegon, Maestro Aemon. Poi è nato Jon, c’è stata la guerra, sono finito lontano da tutti con te ancora neonato… dovevo tornare qui a Grande Inverno, riprendere le forze e proteggerti. Solo dopo qualche anno sono tornato col pensiero alla profezia, ma nel frattempo eravate diventati due e le cose si prospettavano più difficili. Le teste del Drago da tre erano diventate due… ma c’era pur sempre l’altra profezia, quella in cui volevo credere con tutto me stesso. E che iniziavo ad interpretare in maniera diversa.”

“Non potremmo più essere tre teste, Rhaenys è morta” mormorò Aegon, cupo, e Lyanna capì immediatamente il motivo di quella tristezza: si sentiva responsabile per quanto accaduto. Rhaegar aveva raccontato la storia dall’inizio, senza omettere nulla, senza saltare nemmeno la parte dell’assassinio di Elia così come gli era stata raccontata da Varys. Quando era arrivato a raccontare di come il piccolo Aegon fosse stato sostituito da un bambino del popolo e portato in salvo prima del saccheggio di Approdo del Re, sul viso del giovane si era fermata un’ombra scura, un concentrato di dolore e di confusione che la ragazza conosceva bene. Avrebbe voluto alzarsi e abbracciare quel ragazzino biondo e sottile come faceva quando era piccolo e veniva svegliato dagli incubi, ma sapeva di dover aspettare che Rhaegar finisse col suo discorso.

Anche il marito aveva abbassato gli occhi. “Voi siete ancora qui. E, al di là del mare, nelle Città Libere, abitano i miei fratelli, in esilio. Daenerys ha un anno meno di te, Jon, mentre Viserys è più grande, dovrebbe avere quasi una decina d’anni più di voi, ormai… ho mandato un cavaliere di cui credo di potermi fidare per accompagnarli, ma quando saremo forti abbastanza da poter guidare un esercito richiameremo anche loro perché non vivano più da reclusi lontani dalla loro famiglia. È solo questione di tempo…”
“… Prima che ci riprendiamo il Trono? E a quel punto chi di noi governerà, padre? Io non ne sarei in grado.”

Inaspettatamente, era stata la voce di Jon a rompere il silenzio: l’ultimo figlio di Rhaegar Targaryen si mordeva il labbro con la stessa espressione insicura che assumeva quando qualche questione che lo riguardava si complicava, che si trattasse di dover raccontare una piccola bugia a sua madre o di spiegare ad Arya che la spada di legno distrutta che gli aveva portato non si poteva aggiustare. Lyanna questa volta non riuscì a trattenersi: si alzò e raggiunse il figlio, ma non lo strinse per paura di metterlo in imbarazzo, si limitò a fargli una carezza sulla testa, come a fargli capire che né lei né Rhaegar avevano mai pensato a lui come un incapace.
Rhaegar gli sorrise, come a volerlo mettere a suo agio. “Non penso proprio, Jon. Sia tu che Aegon possedete delle qualità degne di un governante perfetto… tu sei saggio e pacato, lui deciso e forte. Innanzitutto dobbiamo pensare a come arrivare al Trono, poi verrà il tempo in cui ci concentreremo sul governo… ma non dovete pensare neanche per un attimo di essere inadatti al ruolo di principi: è un vostro diritto di nascita, ce l’avete nel sangue. E farò di tutto perché possiate essere felici entrambi.”

Aegon sembrava rinfrancato, almeno leggermente.

“Io e te dobbiamo governare assieme, Jon, non se ne parla che ti escluda da solo” allungò una mano e gli spettinò i capelli, un gesto che fece esibire il fratellastro in una smorfia e distese il sorriso di Aegon. “Che tu sia il mio consigliere o che decidiamo di allargare il Trono perché ci ospiti entrambi, se io vado a corte tu vieni con me, è fuori discussione. Vogliamo lasciare il Drago con una testa sola?” lo rimproverò, ma Jon aveva già riacquistato il buon umore: era difficile restare corrucciati a lungo se accanto a lui c’era una scintilla sempre pronta ad accendersi come suo fratello.
“Finché Baratheon e i Lannister si stringono attorno al Trono la vedo difficile. Ci vorrà del tempo… e un buon esercito, decisamente un buon esercito. Se anche Robert decidesse di lasciare il Trono, Stannis inizierebbe subito ad accamparvi dei diritti… e poi c’è sempre il Principe Joffrey, che mi sembra piuttosto affezionato al suo ruolo” soggiunse Ned, in tono velatamente sarcastico. Appoggiava in pieno le decisioni di Rhaegar, ormai lo conosceva bene e sapeva che la sua fiducia in lui era ben riposta, ma l’idea di correre ad Approdo del Re per riprendersi il Trono gli continuava a sembrare assurda, quasi irrealizzabile. Come avrebbero fatto a radunare un esercito lealista abbastanza consistente da attaccare quello Lannister? E cosa sarebbe successo se avessero perso? Rhaegar era un buon comandante e aveva avuto la fortuna dalla sua durante l’ultima battaglia che aveva combattuto, ma in questo caso si trattava di condurre migliaia di uomini contro due, forse anche tre case e i loro eserciti. Forse però…
“I Martell potrebbero appoggiarci. E abbiamo parecchi amici e alleati nelle Città Libere… ma è ancora presto per pensarci, per fortuna abbiamo tempo per organizzarci e saggiare il terreno. Era importante però che conosceste tutti la storia che ho, che abbiamo avuto alle spalle fino a questo momento: non si prospettano tempi rosei di fronte a noi, ho bisogno di sapere se siete disposti ad affrontarli con me oppure no.”
“Non c’è bisogno di chiederlo, padre: siamo i tuoi eredi.” Aegon era scattato in piedi, seguito da Jon. Era incredibile come la flemma dell’ultimogenito cambiasse in movimento ed energia quando era vicino al fratello. Il ragazzo si tolse dal viso un ricciolo nero e rivolse un sorriso fugace alla madre, prima di aggiungere. “Un Drago e un Lupo, pronti a restare al tuo fianco!”
“Potrei abbandonarvi ora, Altezza? Vi ho giurato fedeltà quando mi avete raggiunto qui, quattordici anni fa, e non intendo rimangiarmi il giuramento” anche Ned Stark aveva sorriso, ma il sorriso non si era allargato a Lyanna, di nuovo in piedi accanto a lui: la moglie gli sembrava corrucciata, le labbra tese in una linea che non prometteva nulla di buono. Le avrebbe parlato, ma prima voleva aspettare che la stanza si svuotasse.
“Ve ne sono immensamente grato, sapevo di potermi fidare di voi. La mia nuova famiglia è la migliore che potessi desiderare.” Rhaegar si alzò, come a voler comunicare che l’udienza era tolta. Eddard fu il primo ad andarsene, seguito da Aegon (che galoppò via come al solito, a grandi falcate) e da Jon (che invece si era inchinato, prima che Lyanna gli scivolasse dietro e lo abbracciasse come faceva sempre col figlio). La moglie fu l’unica a rimanere, e Rhaegar seppe che aveva avuto la sua stessa idea.

Lyanna arrabbiata non era uno spettacolo che si vedeva tutti i giorni e sicuramente neppure uno dei più piacevoli, ma l’avrebbe affrontato.

“Perché non mi hai parlato prima di questa storia della profezia?”

Rhaegar si passò una mano sul viso, stanco come se avesse cavalcato per ore senza mai riposare.

“Lya… te l’ho detto, non sapevo neanche io cosa pensare: per questo ne ho parlato solo con mio zio. Era tutto così poco definito, così difficile da interpretare, che….
“… hai preferito nascondermelo. Come potrei fidarmi di mio marito, se non mi racconta la verità? Sai benissimo quante ne abbiamo passate e quante ne passeremo, Rhaegar, perché hai pensato che non fossi forte abbastanza da accettare una cosa simile?”

Era la prima volta che alzava la voce durante una discussione.

Il principe rimase in silenzio. Cosa avrebbe potuto dirle? Che aveva paura di far nascere in lei idee assurde, che Lyanna avrebbe potuto pensare di essere stata scelta solo perché il loro bambino sarebbe potuto essere una possibile interpretazione della profezia? Era stato un vigliacco, se ne rendeva conto: voleva proteggerla, ma non aveva fatto i conti con la sua forza, col fatto che la moglie non era una donzella paurosa in balia degli eventi. Solo ora si rendeva conto che in lei avrebbe potuto trovare un’alleata formidabile, come era sempre stata.
“Sono stato avventato, lo so anche io. Ma non l’ho fatto per nasconderti qualcosa… sai che ti amo, Lya. Ti amo più di ogni altra cosa e mai avrei voluto tenerti all’oscuro di un fatto importante… o escludere Jon. Amo entrambi i nostri figli, con tutto il cuore, allo stesso modo. Sai anche questo.”
All’improvviso gli sembrò che tutte quelle parole non avessero più senso, non di fronte alle labbra incurvate di Lyanna e al suo cipiglio triste, deluso. Poteva capirla: agendo nella convinzione di nasconderle qualcosa per il suo bene, aveva ottenuto esattamente l’effetto contrario, un effetto che sarebbe stato far sparire con le parole. Lui stesso avrebbe sofferto se lei gli avesse nascosto qualcosa d’importante, per cui la capiva… ma cos’altro gli restava da fare? Senza Lyanna, tutto sarebbe stato inutile.
“È per il contenuto della profezia, vero? Avevi paura che mi mettessi a lavorare di fantasia e immaginassi che volevi tenere Jon lontano dalla successione? Io non penserei mai una cosa del genere, Rhaegar… allora perché nascondermelo? Perché?”
Lei aveva abbassato la voce, ma la delusione che aleggiava nell’aria lo faceva stare peggio che se si fossero gridati contro per ore. Non si rese conto di reagire in maniera esagerata: si sentiva in colpa, quello era forse l’unico modo per esprimerlo; l’unico e il più sbagliato.
Forse Lyanna aveva ragione. Forse – anche solo per un secondo, un minuscolo attimo di colpevolezza – aveva davvero pensato che il Trono fosse destinato solo ad Aegon, chi poteva dirlo? Fatto stava che non avrebbe mai voluto che Jon venisse umiliato, o considerato secondo al suo primo erede, di questo era sicuro. Costasse quel che costasse.
“D’accordo, ti ho nascosto qualcosa, e allora? Ti rendi conto di cosa significhi avere due figli entrambi forse destinati ad un Trono che però potrà ospitarne uno solo? Ho sofferto per anni ogni volta che li vedevo giocare, addolorato all’idea che prima o poi avrebbero lottato tra loro, si sarebbero separati, o magari il loro legame non sarebbe più stato lo stesso… ho avuto paura, Lya, paura, sai cosa vuol dire? La nostra storia ha visto fin troppi fratelli combattere tra loro, compiere atrocità, e tutto per un posto a sedere su uno stupido sedile irto di punte. Ho avuto le mie ragioni, puoi capirmi? Pensi che ti avrei tenuta nascosta la cosa per sempre?”
La moglie si avvicinò a lui e gli prese il viso tra le mani, fissando gli occhi grandi e grigio-blu in quelli neri di lui, tentando di calmarlo. Non si erano mai trovati a litigare davvero e ogni gesto le sembrava goffo, insensato, come se nessuno dei due avesse saputo bene come muoversi in situazioni per loro nuove.
“Io ti amo, Rhaegar. Non ho mai smesso. Amo te, amo Jon ed Aegon nello stesso identico modo come se anche lui fosse mio figlio. E per questo posso capire ogni tua parola, ogni tuo dolore… ma per capirti devo sapere cosa ti passa per la testa, cosa ti affligge. Se non mi fai partecipe di ciò che ti turba, come possiamo affrontare tutto insieme?”

Lasciò la stanza in una scia leggera del suo solito profumo di freddo e di rose dell’inverno, mentre Rhaegar stringeva tra le labbra parole che non era riuscito a far uscire, un sapore amaro che gli corrodeva il cuore e la gola.
 
 


***
 
 

Tornando nella sua camera da letto quella stessa sera, Lyanna vi trovò una corona di rose blu dell’inverno, intrecciata con una grazia che poteva attribuire solo alle mani di sua nipote Sansa. Accanto sedeva suo marito, un sorriso completamente nuovo che gli illuminava i tratti.

“Scusa. Sono stato uno stupido, non avrei dovuto permettermi di gridarti contro in quel modo, Lya. E avrei dovuto raccontarti tutto prima. Non voglio avere più segreti per te, di questo puoi fidarti davvero.”

La ragazza sorrise: non era riuscita nemmeno per un secondo ad essere arrabbiata con Rhaegar. Si, ci aveva provato, ma era impossibile non capire il suo tormento ed esserne colpiti, per quanto una piccola stilla di risentimento avesse tentato di roderle il cuore, almeno all’inizio… era come se fossero uno parte dell’altra, in maniera così profonda da soffrire quando erano distanti anche solo col pensiero, presi da un litigio che non li avrebbe portati da nessuna parte. Gli buttò le braccia al collo senza dire nulla, felice che avesse capito, che avesse cercato di toccarle il cuore e di fare pace con lei nel modo che la rendeva più felice, portandole i suoi fiori preferiti e accettando qualunque rimprovero che lei avrebbe potuto fargli… ma non c’era più tempo per le parole gridate dietro.
Lo baciò sulla bocca con trasporto, inspirando come se fosse stato lui a fornirle l’aria che le serviva per vivere, stringendolo con una forza che non credeva possibile, lasciando che le mani di Rhaegar la accarezzassero come se fosse preziosa e delicata, fragile come i petali delle rose che le cadevano sul viso e tra i capelli, blu su nero, intensificando il suo profumo. Si perse nei suoi baci e lasciarono tutto alle spalle come se non fosse successo nulla, ma con una sicurezza nuova: quel legame, quel modo di capirsi senza parlare che li aveva uniti dal primo momento era ancora presente, più forte che mai.

Sfiorò una delle rose che cadevano a terra, mentre il marito le copriva il collo di baci, sciogliendo ogni sua intenzione, annullando i pensieri.
 
 


***
 
 


Città libera di Pentos
 
 


Sei un drago, Dany. I draghi non hanno paura di nessuno. I draghi camminano impettiti e fieri, devono mostrare agli altri animali che sono loro i più forti, i dominanti. E tu cosa sei, un drago o una lucertola? Non provi vergogna all’idea di disonorare una stirpe antica e potente come la nostra col tuo comportamento infantile?

La ragazzina dalla chioma di un biondo quasi argenteo continuava a rigirarsi quelle parole nella mente, incerta se considerare se stessa come appartenente alla prima o alla seconda specie: aveva un aspetto inusuale, nobile, eppure si sentiva piccola e indifesa come una lucertola, una minuscola creaturina che non riusciva a difendersi da sola se non scappando e nascondendosi. Tra lei e suo fratello Viserys, il drago era decisamente lui.
Già, suo fratello… chissà come avrebbe preso il fatto che non aveva alcuna intenzione di sposarsi, non subito, almeno. Così le avevano detto di fare il buon ser Jorah e ser Barristan, così lei si sarebbe comportata: si fidava di quei due uomini che l’avevano consigliata così bene durante i periodi più difficili, tanto da chiedere immediatamente lumi a loro quando qualcosa la preoccupava.

Viserys vuole portare avanti la tradizione. È ancora convinto che io possa riprendere il Trono che ci appartiene soltanto sposandolo e convincendo i nostri alleati a seguirci verso il Continente Occidentale… vuole che giriamo per Città Libere col nostro esercito per convincerli che avranno porti aperti e un avvenire diverso se ci seguiranno. Io, però, non so che fare. Non so se sarò in grado di regnare, non so nulla nemmeno della mia famiglia, se non che mia madre è morta nel darmi alla luce e che nostro padre è stato ucciso dagli uomini dell’usurpatore che siede sul Trono di Spade. Non so chi sono.
Tu sei un membro della famiglia reale per nascita, bambina, le aveva detto ser Barristan con gentilezza. E tuo fratello non ha certo la tempra morale o l’integrità di un governante. Non può costringerti a fare quello che non vuoi, soprattutto se si tratta di qualcosa di delicato come il matrimonio.

Suo fratello le aveva raccontato che il padre era un re giusto e intelligente, schiacciato da uomini corrotti che lo avevano tradito, ma Daenerys conosceva le storie della follia di alcuni Targaryen dai racconti di ser Jorah, che aveva giurato di dirle sempre la verità e di servirla: per quanto amasse Viserys, spesso le faceva paura. Era un ragazzo sottile, dagli occhi grandi che potevano passare da un accenno di quella che sembrava gentilezza alla follia, quando la strattonava urlando perché gli aveva risposto durante un diverbio o per una sciocchezza qualsiasi. C’erano volte in cui la cercava di notte, tremando per un incubo come un bambino di pochi anni e rifugiandosi tra le braccia della sorellina, ma c’erano stati anche giorni in cui era scappata da lui, rifugiandosi in una stanza occupata già da uno dei suoi consiglieri pur di non restare sola.

All’idea di sposarlo, la sua mente cadeva nella confusione più totale. Per fortuna avrebbe potuto rimandare il discorso ad una data lontana: Ser Barristan era lì accanto a lei, anziano ma gentile e forte come sempre, pronto a scortarla per il suo giro quotidiano nella città.

“Stai allegra, bambina: oggi c’è una sorpresa per te” le aveva detto l’uomo, trattenendo a stento un certo entusiasmo contenuto e curioso. “Mi hanno parlato di un carico che arriva addirittura dalla Barriera, ma non ho idea se sia vero o no… forse arriva da un luogo ancora più a Nord, forse da uno al di là di questo mare, non ho idea. Sta di fatto che si tratta di una cassa piuttosto pesante, e che stamattina qualcuno l’ha portata all’attracco delle navi e ha chiamato Ser Mormont perché ti avvisasse… non ci resta che andare a controllare di persona” aveva concluso, scortandola. La curiosità di Dany cresceva ad ogni passo.
Lo stesso uomo che portava la cassa sembrava essere curioso: probabilmente nessuno lo aveva avvisato del contenuto. Quando la giovane e Ser Barristan giunsero all’approdo tese loro la cassa, spostandosi di qualche passo per dedicarsi ai suoi compiti ma tenendo comunque d’occhio la scena discretamente, attratto da quell’oggetto di legno pesante che gli era stato raccomandato con tante attenzioni. Una volta che la ragazza la aprì per dare sfogo finalmente alla curiosità, però, dovette frenare la delusione: i tre grossi sassi squamosi che poggiavano su un letto di paglia non gli sembrarono granché interessanti, tanto che si voltò per dedicarsi davvero ad altre attività.

Lo sguardo di ser Barristan, però, brillava di eccitazione.

“Questa è davvero una bella sorpresa, bambina” mormorò, attento a non farsi sentire da orecchie indiscrete. “Mai, mai mi sarei aspettato di vederne uno nella mia vita… ma addirittura tre! Deve essere un segno. Anzi, è sicuramente un segno.”
“Un segno? Ma sono… sembrano… ecco, solo tre pietre. Belle, ma solo tre pietre. A cosa dovrebbero servirmi?”
Barristan Selmy, il cavaliere che aveva partecipato a tornei e battaglie con valore, pervaso sempre da un cipiglio di saggia serietà, si lasciò scappare una risata indulgente.
“Quelle non sono pietre, Daenerys… sono uova di drago. E, se sono arrivate a te, significa che sarai la regina che potrà prendersene cura.”

 
 
 






Noticine di Nat
Questo capitolo è arrivato un po’ in ritardo, me ne rendo conto: ho avuto un periodo di blocco dello scrittore che mi ha tolto la motivazione, ma con un po’ di pazienza (e la giusta musica, di nuovo la mia Musa Florence Welch) sono riuscita a mettere insieme anche il diciottesimo capitolo, che apre il secondo time skip e vede entrare in campo Daenerys, personaggio che volevo trattare da tantissimo tempo. Avrete capito anche che non riesco a far litigare seriamente Rhaegar e Lyanna, per quanto ci provi li vedo sempre come due personaggi che riuscirebbero comunque a trovare un punto d’accordo, per cui… diciamo che la storia prende un po’ la direzione che vuole, alla fine. Vi ringrazio sempre immensamente per tutto l'affetto che le dimostrate, capitolo dopo capitolo. <3
That’s all per questo aggiornamento, gente. Spero che lo svolgimento della storia vi stia coinvolgendo!
Nat
 
 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX
 
 
 



“Acting on your best behavior
turn your back on Mother Nature,
everybody wants to rule the world.”
[Lorde – Everybody Wants to Rule the World]
 
 
 




C’erano parole che, per quanto le si potesse girare e rigirare nella mente, restavano sempre troppo difficili da pronunciare. Nascevano nella testa, vagavano tra la gola e le labbra e si fermavano lì, bloccandosi come se non volessero saperne di andarsene, fino a che un moto di coraggio non le portava esattamente dove dovevano stare, ossia fuori, riferite al loro destinatario. Per quanto fosse un uomo che conosceva fin troppo bene l’onore e la giustizia, a volte Ned Stark aveva difficoltà nel trovare le parole giuste. Soprattutto in momenti come quello.

Ho bisogno del tuo aiuto, Ned: Jon Arryn è malato, solo gli Déi sanno cosa abbia. Sono giorni che i Maestri si alternano al suo capezzale senza capirci un accidente, blaterando di debolezza, vecchiaia che avanza, cibi e bevande dannose… non so neppure se siano arrivati a una soluzione vera e propria. In tutto questo non ho più un Primo Cavaliere che mi aiuti a reggere il regno… che, come sai, non è facile da gestire. Per questo ti chiedo di sostituirlo. Nessuno meglio di te saprebbe risanare la situazione.

Il corvo era arrivato quella mattina, rispettando la diceria che vedeva gli uccelli dalle ali nere portatori di brutte notizie; perché si trattasse di una brutta notizia, poi, neppure Eddard Stark riusciva a spiegarselo. Sapeva solo che quel messaggio gli aveva lasciato addosso una sensazione di disagio, di sospensione, come se non avesse saputo come comportarsi al riguardo. Oltre al dispiacere e alla preoccupazione per un amico che conosceva da una vita, si aggiungeva quella di dover comunicare la notizia a Catelyn, di lasciarla con i figli e imbarcarsi in un’impresa più grande di lui, verso quel luogo di orrori e meraviglie che era la corte reale di Approdo del Re… non negava di apprezzare la fiducia che Robert poneva in lui, ma quel messaggio continuava a renderlo inquieto. Decise di lasciarlo perdere, almeno per un po’.

Aveva questioni più importanti di cui preoccuparsi, al momento: ad esempio il fatto che Robert gli avesse accennato alla convenienza di un possibile matrimonio tra Sansa e suo figlio Joffrey. Affondò le mani tra i capelli, sospirando, certo che quelle questioni lo avrebbero tormentato per ben più di tempo di qualche ora.
 


***
 
 

Città libera di Pentos
 


“Parlatemi ancora di Rhaegar, Ser Barristan. So così poco di lui… Viserys ogni tanto mi racconta qualcosa, ma neppure lui ricorda granché, era solo un bambino quando sono fuggiti qui con mia madre. Mi ha detto che era un principe saggio, un combattente valoroso… ma io vorrei sapere cosa c’era dietro al suo potere, che tipo di uomo era. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo.”
Erano seduti sotto al portico della grande casa che ospitava entrambi i giovani principi, il sole caldo delle Città Libere che lambiva la pelle di Daenerys facendo scintillare come fili d’oro pallido i suoi capelli, mentre un altro raggio toccava l’armatura dell’anziano cavaliere, trasformandola in un’opera d’arte fatta d’argento vivo. La ragazza aveva portato a casa le uova e, dietro insistenza del suo consigliere, le aveva nascoste sotto al letto: sarebbe stato meglio che nessuno le avesse viste, almeno per un altro po’ di tempo. Nessuno dei due aveva idea di come avrebbero fatto a farle schiudere, ma l’importante era che restassero al sicuro, anche dallo stesso Viserys, che non avrebbe esitato un attimo dallo sbandierarle in giro come trofei, tutto felice di quel privilegio così speciale concesso alla casa Targaryen. Avrebbero finito solo per attirare attenzioni indesiderate, l’ultima cosa di cui avevano bisogno.
L’anziano cavaliere sorrise. Avrebbe potuto parlare per ore di Rhaegar e degli anni passati al suo servizio, di come il principe fosse sempre stato saggio e gentile, – al contrario della follia di suo padre, Aerys II – di quanto la sua morte li avesse sconvolti tutti, fino a scoprire tramite Varys che era ancora vivo e si trovava al Nord, in esilio volontario accanto alla donna che amava… ma non poteva: quando era giunto lì nelle Città Libere su ordine del Ragno Tessitore aveva giurato di non rivelare ai due giovani principi che Rhaegar Targaryen era ancora vivo, non sarebbe stato sicuro né per lui né per loro. Quella promessa gli restava bloccata nel cuore come una vecchia cicatrice che bruciava e non ne voleva sapere di guarire; nonostante continuasse a ripetersi che lo faceva solo per il bene dei principi, mentire a Daenerys gli risultava doloroso, difficile. Ormai la conosceva da parecchi anni, vedeva la determinazione dietro a quei morbidi occhi viola, sapeva che stava crescendo come donna e come principessa… ma non poteva lasciare che un gesto sconsiderato mettesse a repentaglio il futuro che si prospettava per lei. Per questo si limitò ad offrirle i racconti che conosceva meglio, quelli che riguardavano la giovinezza di Rhaegar e il grande amore per Lyanna Stark.
“Vostro fratello era una persona speciale, bambina: un principe saggio, una figura elegante, un musicista raffinato, un governante che si sarebbe fatto rispettare e amare dal suo popolo. Il re… anche lui era amato, fino a che le cose non sono degenerate. Le storie che si raccontano sulla sua pazzia possono non essere tutte vere, ma purtroppo gran parte corrisponde alla realtà, c’era veramente una vena di squilibrio nella vostra famiglia che in lui si è manifestata con più forza che in altri. Vostra madre, però, ha sempre cercato di proteggervi e tutti aspettavano che Rhaegar ereditasse il Trono… fino alla Battaglia del Tridente, il giorno in cui il suo esercito e quello di Robert Baratheon si incontrarono nelle terre dei Tully, alla Forca Verde del fiume. Rhaegar era versato nell’arte nelle armi, ma non abbastanza da contrastare un uomo come Robert Baratheon. Io ero con lui, principessa… e posso assicurarvi che si è battuto, ci ha provato con tutte le sue forze. Ma Robert era più forte.”
Fece una pausa, un attimo in cui la mente di Daenerys si permise di viaggiare e di dipingere con gli occhi della mente la bellezza di suo fratello, nonostante non avesse mai visto nemmeno un suo ritratto. Lo immaginava un po’ più vecchio di Viserys, alto ed elegante, gli occhi scuri che splendevano sotto l’elmo con le ali di drago, lo sguardo gentile colmo di malinconia e risoluzione. Chissà com’era la sua voce. Chissà come aveva ordinato ai suoi uomini di disporsi nello schieramento scelto per la battaglia, e se quel tono somigliava almeno lontanamente a quello che usava quando parlava con la sua Lady Lyanna, la bella donna del Nord con cui era fuggito. Sospirò, rapita in parte da quei sogni così vividi. Barristan Selmy le continuava a sorridere.
“Perché il popolo lo amava tanto? Me lo sono sempre chiesto, ma non riesco ad immaginarlo… non dovrebbero appoggiare ogni principe e re, nel bene e nel male? Perché Rhaegar era tanto speciale?”
“Vostro fratello sapeva farsi amare. Non è una dote comune in chi regna, ma se un principe è giusto il suo popolo finisce per percepirlo e per appoggiarlo, quasi istintivamente. Rhaegar non si sforzava di essere ciò che era, si comportava con naturalezza, così si faceva benvolere da tutti. Sarebbe stato un grande  re… peccato che non abbiate potuto conoscerlo, Daenerys.”
O forse lo conoscerete prima o poi, avrebbe voluto dire. Se gli Déi ci assisteranno.
Dany giocherellava con una ciocca di capelli, godendosi i raggi del sole sulla schiena. “A volte vorrei che anche Viserys fosse come Rhaegar, o almeno come lo descrivono… mio fratello mi spaventa, Ser Barristan. A volte è come se… qualcosa in lui si guastasse, all’improvviso: un attimo prima è gentile, quello dopo mi grida cattiverie e mi strattona… una volta mi ha detto che sarei dovuta nascere prima, così Rhaegar avrebbe sposato me e non sarebbe fuggito con Lyanna Stark. Ogni tanto insiste con la storia del matrimonio.”
Si era interrotta, come se non sapesse come proseguire. Ser Barristan le prese una mano con affetto indulgente, osservandola mentre Daenerys puntava i begli occhi viola nei suoi, cercando le parole giuste per continuare quel discorso.
“Non dovete preoccuparvi di questo, bambina: ci siamo io e Ser Mormont al vostro fianco. Viserys può aver ragione per quanto riguarda le pretese sul regno, ma per il resto… nessuno può costringervi a fare ciò che non volete. Vostro fratello Rhaegar avrebbe voluto che foste felice e al sicuro, e noi lotteremo perché voi lo siate. Ora dovete solo preoccuparvi di voi stessa… e iniziare ad accarezzare l’idea di radunare un esercito, perché il Trono di Spade vi aspetta.”
Daenerys Targaryen restò in silenzio. Alle labbra le arrivavano fiumi di parole: frasi spezzate, ringraziamenti, discorsi che non sapeva né come iniziare né come finire, ma decise di tenerli fuori. Abbassò gli occhi, li rialzò e li fissò nuovamente in quelli più anziani e gentili del suo cavaliere, sorridendogli a sua volta.
 


***
 

Quella notte, distesa tra le lenzuola e accarezzata appena dalla brezza leggera che soffiava su Pentos, Daenerys sognò i draghi.

Erano tre, proprio come le sue uova: bestie enormi, possenti, metri e metri di pelle e scaglie che il sole faceva scintillare come se fossero state coperti di pietre preziose. La ragazza camminava su una spiaggia che non conosceva, i piedi affondavano nella sabbia dorata, calda, mentre si avvicinava alle tre creature senza nessuna paura, quasi le avesse sempre conosciute. Il più vicino dei tre era il drago nero, le ali sfumate di rosso tese su una struttura ossea talmente perfetta da sembrare scolpita, la testa reclinata in avanti che sputava fuoco ed emetteva sbuffi di fumo assieme alle grandi narici. Dany si fermò accanto all’animale, rapita dai suoi movimenti, fino a che la sua attenzione non fu attirata da qualcos’altro: un giovane sedeva sul collo della bestia, le mani bianche gli accarezzavano la grossa testa  per calmarlo, sussurrandogli parole in una lingua che la ragazza non capiva. Fu solo quando il giovane sembrò finalmente accorgersi di lei che Dany associò il suo viso a un nome che conosceva… e lo stupore ebbe la meglio, facendola indietreggiare.

Fratello?

Non aveva mai visto Rhaegar prima di allora, ma la descrizione corrispondeva a quella data da Ser Barristan: capelli biondo argenteo, occhi nero-violacei e morbidi, alto, asciutto, uno sguardo gentile tutto per lei che tradiva una certa malinconia sottile, come un tramonto a lungo aspettato e svanito in un attimo. L’uomo le tese una mano, sempre con il suo sorriso malinconico, e bastò quello sguardo e quel gesto a far capire a Dany quanto fossero diversi i suoi fratelli, quanto Rhaegar e Viserys rappresentassero due lati opposti di una stessa medaglia, del Drago a Tre Teste che ornava lo stendardo dei Targaryen e che sembrava essere diventato così importante per il minore da trasformarsi in un’ossessione. La terza testa era lei, a rigor di logica. Ma non sapeva ancora se sarebbe stata degna o no di quel titolo.

Rhaegar le guidò le mani sulle squame del drago nero perché potesse accarezzarlo, mentre gli altri due – uno dorato, l’altro di un bel verde brillante – ruggivano intorno a loro, con forza stranamente amichevole. Il fratello maggiore, quello che aveva sempre desiderato incontrare, la invitava con gentilezza serena, ancora diverso da Viserys, che pretendeva da lei senza chiedere cosa desiderasse, senza pensare a ciò che la sorella poteva provare.
Ad un certo punto, vide il fratello piegarsi in avanti e indicarle qualcosa che non rientrava nel suo campo visivo. Dany si sporse… e guardò se stessa, una piccola figura insicura, che tendeva le mani verso le uova che Ser Barristan le aveva affidato, ancora nel loro cassone di legno. Le toccava, allungava le dita bianche e le uova improvvisamente prendevano fuoco, un incendio che divampava con potenza inarrestabile, facendola sussultare… fino a che non le vide trasformarsi in altri tre draghi squamosi, identici a quelli adulti ma più piccoli, anche se ugualmente forti. Era stato tutto così improvviso da lasciarla senza fiato, con addosso la confusione sospesa tipica dei sogni.

“Lascia che il drago si risvegli in te, Dany. Non aver paura di mostrare la tua forza… anche se ora ti senti sola, pian piano scoprirai cosa sei in grado di fare e troverai il coraggio di cui hai bisogno. Ti sono stati affidati tre draghi, tre come le teste del drago dei Targaryen, tre come i draghi del nostro antenato e delle sue sorelle, Aegon, Rhaenys e Visenya… e, se la profezia dice il vero, saranno loro a guidarti nel Continente Occidentale. Non perdere mai la speranza, sorella… sei più forte di quanto immagini.”
Lei si girò a guardarlo, quasi spaventata da quelle parole, ma Rhaegar restava accanto a lei, gentile, un’illusione che scacciava ogni timore.
“Vorrei esserne in grado, fratello… ma ho paura di deluderti. Sono solo una ragazzina che si nasconde tra i vicoli di Pentos per fuggire dai nostri nemici, come potrei governare un regno intero?”
Il drago nero spalancò le enormi ali, facendo scivolare ai suoi piedi sia la ragazza che suo fratello: gli altri due lo seguirono, innalzandosi verso il cielo terso come frecce lanciate da un arco, splendidi e rapidi, fulmini lucenti che sembravano arrivare al sole lanciando ruggiti che mettevano in ginocchio tutte le altre creature. Suo fratello Rhaegar si era allontanato, scompariva nella luce brillante del giorno, il sorriso che gli piegava le labbra, dedicato solo a lei.

“Sei sangue del Drago, Daenerys. Per quanto debba nascondere la propria identità, un drago resta sempre un drago… e rialzerà la testa dalla polvere. Non sei sola.”

La ragazza corse verso di lui, facendo volare ovunque nuvolette di sabbia, impaziente di raggiungerlo, di riempirlo di domande, di chiedergli come avrebbe fatto a trovare se stessa, a non perdere il coraggio di fronte a ciò che la attendeva… ma la sabbia dura la rallentava, la luce del sole era troppo intensa e Rhaegar si allontanava, una bella figura nobile stagliata contro il cielo e altrettanto maestosa, splendida come i suoi draghi, come…

Il canto di un uccello la riscosse improvvisamente da quel sogno. Daenerys Targaryen si alzò, puntellandosi sul gomito per reggersi e voltando lo sguardo verso la tenda che separava la sua stanza dalla terrazza, la brezza leggera che la muoveva con grazia, come i veli di un’abile danzatrice. Cercò di ricordare il viso di Rhaegar, la sua voce, ma il sogno era dispettoso e sfuggente, svaniva in un filo di fumo dalla sua mente. Eppure, una cosa le era rimasta: il Principe Drago l’aveva chiamata sorella. Le aveva detto di credere in se stessa, di non abbandonarsi… il minimo che avrebbe potuto fare sarebbe stato seguire quel consiglio, tenere la testa alta e gli occhi aperti, senza paura del futuro.
Avrebbe ascoltato quello che le ripeteva sempre Ser Barristan, rifletté, mentre una delle cameriere la aiutava a vestirsi e a pettinare la morbida massa dei capelli biondo argentei. Un vero drago alzava la testa di fronte alle avversità, non faceva capolino dalla tana per scappare di nuovo dentro come una lucertola piccola e timida, spaventata dall’immensità delle terre di fronte a lei.

Il primo passo sarebbe stato quello di non tremare di fronte a Viserys. Mai più.
 
 

***
 


Quando Lyanna gli aveva confidato di avere un tesoro da parte per lui, anni prima, Rhaegar non avrebbe mai e poi mai pensato che la moglie fosse riuscita davvero a recuperare la sua arpa. Eppure, una volta varcata la soglia della stanza nella quale l’aveva fatta sistemare, il principe aveva dovuto constatare che il tesoro era proprio quello: l’argento puro dei suoi due draghi intrecciati riluceva sotto al sole del mattino, come a volerlo finalmente salutare dopo i mesi in cui erano rimasti separati. L’aveva raggiunta immediatamente e, quasi con timore, aveva accarezzato quelle corde sottilissime con mano delicata, meravigliandosi di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui aveva suonato qualcosa col suo strumento, ricordando il viso della moglie la primissima volta in cui aveva ascoltato una delle sue canzoni e si era commossa durante uno dei banchetti ad Harrenhal in cui Stark e Targaryen si erano trovati a sedere allo stesso tavolo. L’incontro con la sua arpa era avvenuto mesi, anni prima, ma l’emozione che provava nel riprenderla tra le mani e nel sedersi davanti al suo strumento si rinnovava ogni volta, anche a distanza di molto tempo. Anche quel giorno.

Si accomodò sul piccolo sgabello che Lyanna gli aveva fatto preparare e iniziò a pizzicare le corde per tentare qualche nota, ancora un po’ teso: le prime gli uscirono con difficoltà, ma man mano che andava avanti sentiva la sicurezza tornargli, insieme all’affinità per la musica che lo caratterizzava. Stava improvvisando una ballata di quelle che preferiva suonare quando la porta si aprì appena, accompagnando l’ingresso del figlio minore: Jon era lì e lo osservava, un po’ imbarazzato da quel silenzio ma comunque curioso di scoprire cosa stesse facendo suo padre. Rhaegar sorrise nella sua direzione, facendo un gesto con la mano per invitarlo ad entrare.
Il suo terzogenito si avvicinò titubante. Era adorabile nella sua timidezza: quando si trattava di rapportarsi direttamente con Rhaegar diventava improvvisamente impacciato, come se non sapesse bene come dimostrargli quello che provava… il che era strano, dato che sia lui che Aegon erano sempre vissuti assieme al padre e a Lyanna e avevano imparato a conoscerli bene. Ma forse quel contegno fin troppo riservato e austero era diventato parte del figlio, così come Aegon era espansivo ed allegro.
“Vi sto disturbando, padre? Stavate suonando qualcosa?”
“Non preoccuparti figliolo, era solo un esercizio come tanti. Stavo cercando di riprendere la mano… ma temo di essere un po’ arrugginito.” Il principe si voltò verso di lui, dando le spalle all’arpa per guardarlo in viso e osservare il passaggio del sole sui suoi occhi scuri, meravigliandosi una volta di più di quanto fossero un misto perfetto tra i suoi e quelli di Lyanna. Jon intanto si avvicinò all’arpa, sfiorandola come aveva fatto il padre poco prima.

“A me non sembra… stavate suonando qualcosa di molto bello, anche se non ho riconosciuto la melodia… e mia madre mi ha sempre ripetuto quanto il vostro canto stregasse dame e cavalieri in ogni occasione, soprattutto durante i banchetti.”
“Dammi pure del tu, figliolo, non sono il tuo principe quando ci troviamo in privato… e piano con le lusinghe, o mi verrà voglia di riprendere a suonare pubblicamente!”.  Dopo tanto tempo che non lo faceva, Rhaegar rise con gioia, scompigliando i capelli di Jon come se fosse ancora un bambino, divertito dal sorriso che gli rivolgeva. In fondo, lui e il figlio erano uguali: a volte seguivano l’etichetta con tanta attenzione da non riuscire ad essere spigliati in momenti di quotidianità come quello, dove i gesti contavano molto di più della cortesia prevista dal cerimoniale.

“Vuoi provare qualche accordo? L’arpa non è uno strumento semplice da suonare, ma se avessi voglia di imparare posso provare ad insegnarti… chissà, potrei averti passato la familiarità con la musica, Aegon finora non mi è mai sembrato molto portato per gli strumenti musicali” continuò l’uomo, sedendosi di nuovo di fronte all’arpa e posando entrambe le mani sullo strumento, cercando di riportare alla mente una qualsiasi melodia da far ascoltare al figlio. La prima a venirgli in mente fu quella che aveva composto e che parlava di sua madre, “La Regina dagli occhi tristi”: forse non era delle più allegre, ma ricordava quanto Lyanna si fosse commossa ascoltandola, quante volte gli avesse chiesto di cantarla e di raccontare qualcosa sulla sua famiglia, qualsiasi cosa. Jon lo attendeva paziente, gli occhi accesi da un guizzo di interesse.

“Era una Regina dai capelli d’argento, ma i suoi occhi piangevano lacrime calde…”

Jon tentava di accompagnarlo: aveva iniziato confondendo la melodia della canzone con quella che sembrava L’orso e la fanciulla bionda, ma pian piano aveva preso il ritmo e verso la fine aveva anche improvvisato due note non completamente sbagliate, mettendosi alla prova con l’arpa con un interesse che aveva riempito di gioia il cuore di suo padre. Rhaegar lo osservò pizzicare le corde e mordersi le labbra ogni volta che il suono della nota non usciva esattamente come se lo sarebbe aspettato, ringraziandosi per aver avuto l’idea di cercare il suo strumento: se non si fosse svegliato col desiderio impellente di fare musica, quel momento così prezioso accanto a Jon non sarebbe mai avvenuto.
“… dame, cavalieri, storie, nulla poteva lenire il suo dolore. Solo un uomo in armatura d’argento…”

Ascoltava la voce del figlio, profonda e dolce, ne osservava il profilo elegante illuminato dal sole. Per una volta tanto aveva la mente sgombra, senza pensieri che riguardassero il trono, i suoi fratelli, la guerra… e quando Lyanna aprì la porta, incuriosita dalla musica che sentiva provenire dalla stanza, li trovò uno accanto all’altro, sorridenti e presi dal canto, un padre e un figlio che si dilettavano nella musica, prima ancora che un principe e uno dei futuri eredi al Trono.
 
 


***
 


“Ti prego Ned, dimmi che stai scherzando. Robert non può chiederti una cosa del genere… andiamo, sa benissimo che il tuo posto è qui, a Grande Inverno!”

Lyanna non ricordava di aver mai visto sua cognata così sbalordita, come se non riuscisse a credere ad una sola parola di quelle uscite dalle labbra del marito: Catelyn aveva la fama di donna inflessibile e integra, piena dell’onore dei Tully e della morale degli Stark, ormai radicata così tanto in lei da renderla una vera donna del Nord… eppure, qualcosa ancora riusciva a turbare la sua quiete, evidentemente.

“Cat, per quanto Robert possa capire le mie ragioni, pensa comunque che sarei più utile ad Approdo del Re come suo Primo Cavaliere piuttosto che qui al Nord come semplice lord, l’ha detto non so quante volte. Per questo mi ha chiesto di sostituire Jon Arryn… è un vecchio amico, è stato come un secondo padre per noi e pare non gli resti molto da vivere, temo che non riuscirò ad arrivare prima che ci lasci. Per quanto io non desideri farlo, devo piegarmi al suo volere…. Si tratta comunque del re. Puoi capirmi, vero?”

Catelyn si mordeva le labbra, a disagio. Sapeva benissimo che suo marito non avrebbe mai mancato ad una questione di onore come quella, eppure non voleva rassegnarsi a vederlo partire. Così come non voleva rassegnarsi Lyanna. Ma cosa avrebbero potuto fare? Robert era il re, la sua parola era legge e Ned restava comunque il suo migliore amico e un lord fedele alla Corona: era impossibile lottare contro tutti quegli ostacoli.
Lyanna, però, non riusciva a darsi per vinta. Non lo aveva mai fatto e non avrebbe iniziato in quel momento.

“Con tanti uomini disponibili ad Approdo del Re, per quale motivo Robert dovrebbe volere proprio te? sa benissimo che deve esserci sempre uno Stark a Grande Inverno e che noi abbiamo bisogno del nostro lord… è il tuo migliore amico, d’accordo, ma ti sta chiedendo troppo, Ned. Dovresti trasferirti nella capitale, restare lontano da qui, e…”

Eddard, che aveva previsto la reazione di sua sorella, la fermò posandole un dito sulle labbra. Voleva bene a Lyanna, ma a volte gli sembrava che non riuscisse a rendersi conto dei doveri di un lord: era intelligente e piena di risorse, con un forte senso della giustizia, ma a volte il suo essere ribelle e impetuosa come un piccolo ruscello di montagna la portava a chiudere gli occhi di fronte a molte questioni importanti, convinta che avrebbe potuto comunque “sistemarle a modo suo”.

“Lya, sai benissimo che non posso ritirarmi, per quanto non mi faccia piacere. Questa volta devo adempiere al mio dovere, ho già agito contro Robert una volta per il tuo bene ma questa volta la questione è diversa e riguarda soltanto me. Il Sud è lontano, è vero… ma possiamo comunque tenerci in contatto via corvo e tu saresti la benvenuta in qualsiasi momento, così come Cat. Robb mi sostituirà egregiamente… e tuo marito è una persona saggia e intelligente, sapere di lasciarti in sua compagnia mi conforta.”
“Ma le bambine? Perché devi condannare alla lontananza anche loro?” Catelyn era tornata alla carica, probabilmente incoraggiata dalla cognata. Ned sospirò: aveva previsto qualche riserva da parte della sua famiglia, ma a quel punto le cose stavano prendendo una piega davvero complicata da gestire.
“Sansa dovrà sposare il principe Joffrey, sarà meglio per lei che lo conosca e trascorra del tempo accanto a lui per abituarsi all’idea, anche se credo ne sia entusiasta… e ad Arya farà piacere viaggiare, è una ragazzina curiosa, trarrà sicuramente beneficio dalla cosa. Non ho intenzione di costringerle a restare per sempre… quando la situazione sarà tornata alla normalità potranno decidere di tornare a Grande Inverno o almeno potrà farlo Arya. Magari si tratterà di una situazione temporanea anche per me… non lo so Cat, so solo che Robert ha bisogno di me e non riesco a tirarmi indietro. Ti prego, non impuntarti… mi rendi più difficile salutarti. Era per questo che ho avuto delle remore a comunicarti la notizia.”
Nella stanza era calato il silenzio: la determinazione di Ned era palpabile, quasi si trattasse di un entità spirituale presente nella stanza assieme a loro. Lyanna poteva capirlo: non si era nutrita anche lei della stessa determinazione, da quando aveva deciso con tutta se stessa di proteggere il suo bambino a quando si era rifiutata di accettare la morte di Rhaegar, anni prima? Eppure non riusciva ad accettare la sua partenza, così come non si accetta mai qualcosa che spaventa e che riguarda le persone che si amano. Grande Inverno sarebbe stata vuota senza di lui, così come lo era la Torre della Gioia senza la risata di Benjen, la voce calma di Brandon, la gentilezza di Ned, le mani calde e delicate di Rhaegar. in qualche modo, tutti gli uomini della sua vita se n’erano andati ed erano tornati, alcuni dopo un po’, altri solo come ricordi. Sarebbe stata abbastanza forte da sopportare anche quell’assenza?

Scosse la testa e abbracciò il fratello senza parlare, seguita poco dopo da Catelyn. A volte le parole erano superflue, momenti come quello non facevano altro che ricordarglielo.
 
 

 





Noticine di Nat
Lo so, sono imperdonabile: è ormai più di un mese che non aggiorno, e il bello è che mi ero ripromessa di regalarvi un aggiornamento flash per ringraziarvi per le trentuno persone che hanno inserito la storia nelle seguite… ma il solito famigerato Blocco dello Scrittore ci ha messo lo zampino, per cui mi sono ritrovata ad aggiornare all’inizio di gennaio, con un capitolo bello denso di “momenti relax” e un paio di avvenimenti importanti, tanto per non lasciare strada solo all’introspezione. L’ho scritto in una fase un po’ “nì”, per cui vi chiedo anticipatamente scusa se dovesse risultare un po’ prolisso e noioso; spero comunque che sia la parte dedicata a Rhaegar e Jon che quella solo su Dany risultino IC, finora sono i tre personaggi che mi danno più problemi per quanto riguarda la narrazione e che non vorrei mandare del tutto fuori strada.
Che altro dire? Grazie ancora di cuore a chi segue la storia, a chi recensisce, a chi l’ha inserita nei preferiti… e anche ai tanti lettori “silenziosi” che mi rendono felice col loro appoggio!
Nat
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


Capitolo XX
 

 
 


“Who will love you?
Who will fight?
And who will fall, far behind?”
[Birdy – Skinny Love]
 

 
 



La carovana era partita da poco per Approdo del Re, ma la folla che aveva accompagnato il commiato di Ned Stark, delle sue figlie e della scorta ancora restava ferma sulla piazza della fortezza, incerta se tornare all’interno o continuare a tenere lo sguardo puntato verso l’orizzonte, in attesa che gli sbuffi di polvere liberati dal galoppo dei cavalli si dissolvessero, perdendosi in lontananza, sfumando come le nuvole. Catelyn Stark strinse gli occhi fissando davanti a sé, cercando di raccogliere la forza che sentiva venirle meno da quando il marito le aveva parlato di quel viaggio: sapeva di avere accanto la cognata, il marito di lei e i tutti i suoi figli maschi, ma il pensiero di Ned e delle bambine che si allontanavano non era semplice da scacciare. Si strinse di più nel mantello e prese per mano Rickon e Bran, i figli minori, accorsi come tutti gli altri a salutare i viaggiatori, seguita poco dopo dal resto della corte e da Robb, il maggiore, che era accorso al suo fianco per stringerle il braccio, premuroso come sempre. Il principe era nel suo studio, Lyanna era appena rientrata, triste anche lei ma troppo fiera e orgogliosa per mostrarlo a qualcuno. Aegon e Jon osservavano la scena da una delle postazioni riservate alle sentinelle, pensierosi come gli altri.

Aegon guardava di sotto. Jon non l’aveva mai visto in quelle condizioni: per uno come il fratellastro, che non riusciva a star fermo un attimo e ardeva sempre di una fiammella vivace di allegria, restare in silenzio appoggiato al balcone era strano, quasi sospetto.

“Pensi che arriveranno presto a corte? Lord Stark, Arya e Sansa, intendo. Il viaggio sembra lungo.”
“Immagino di sì. In fondo, il Sud non è esattamente dietro l’angolo.” Jon si sporse in avanti, lasciando le dita penzolare in una specie di gioco ozioso. “Sansa non vedeva l’ora di partire, l’idea di trascorrere tanto tempo accanto al principe Joffrey la fa andare in brodo di giuggiole… cosa ci troverà in quel bamboccio biondo, poi, deve spiegarmelo. Eppure sembrava tanto offesa quando Arya gli ha tirato una freccia nel cappello…”
Stava per ridacchiare e rivolgere un’occhiata complice ad Aegon, quando intercettò lo sguardo del fratellastro… e, improvvisamente, capì il motivo di quell’umore cupo, di quella malinconia che sembrava afferrarlo e che non era affatto da lui. Si diede dello stupido: come poteva non averlo capito? Eppure, gli sguardi che il fratello lanciava a Sansa erano abbastanza eloquenti. Più di una volta lo aveva sorpreso a sorridere anche dopo che quei giochi di occhiate erano finiti, dopo che Sansa aveva distolto lo sguardo ed era tornata alle sue occupazioni, incurante del principe che la osservava nutrendosi di ogni minimo dettaglio del suo viso. E poi c’erano state le volte in cui aveva sorpreso Aegon che passava casualmente davanti alla stanza nella quale Sansa e la septa si esercitavano nel canto, la voce dolce della cugina che volava col vento… tutto concorreva ad una sola risposta.

“Da quanto tempo…?” si interruppe, a metà tra il divertito – perché la tentazione di dare una gomitata al fratello era sempre fortissima, anche per una persona seria come lui – e lo stupito. Aegon e Sansa?
“Da sempre” era stata la risposta secca. “Da quando siamo cresciuti insieme. Finché sei solo un bambino non ti rendi conto di cosa significhi innamorarti di qualcuno, pensare che daresti volentieri la tua felicità in cambio della sua… e poi se ne va, pronta a sposare uno stupido pallone gonfiato a cui magari lei nemmeno interessa. Cosa potrei darle secondo te, Jon? Un regno? Un nome prestigioso da unire al suo? Non ho nulla, ecco tutto. Sono il figlio di un principe decaduto, di una famiglia ormai estinta… contro un Lannister non posso far nulla. Sono un drago privo di onore.”

In un altro momento avrebbe riso, forse lo avrebbe preso in giro, ma Aegon gli sembrava così desolato da impedirgli di proferire una sola frase di scherno. Cercò di consolarlo.

“Intanto sei, anzi siamo Targaryen, e questo non mi pare poco. Se nostro padre regnasse, tu saresti il suo erede legittimo e le potresti donare la corona e tutti i Sette Regni, altro che un po’ di pidocchioso oro Lannister. Pensi che qualcuno avrebbe qualcosa da obiettare di fronte a un drago? Qualunque leone perderebbe tutto il pelo a vederti… e nessuno può competere coi tuoi favolosi occhi viola, Altezza Reale.”

Aegon ghignò. Jon poteva non essere un compagnone, ma sapeva essere divertente quando voleva. Molto divertente. Il fratellastro gli affibbiò una pacca sulla spalla, ridacchiando.

“Sansa prima o poi lo capirà… se sei fortunato, le basteranno due giorni con quella mammoletta piagnucolona del principe Joffrey per accorgersi di quanto tu sia interessante. E io prometto di non prenderti in giro per questa confidenza, sua Altezza Principe Aegon VI Targaryen” concluse con fare pomposo, strappando un’altra risata al fratello, questa volta sincera e sonora. Gli occhi di Aegon brillavano, e per la prima volta Jon vide in lui un giovane uomo pieno di carattere e di forza, diverso dall’Aegon ragazzino e scherzoso che conosceva bene, il fratellastro col quale era cresciuto e che aveva imparato ad amare. Per una  volta tanto, i ruoli si erano scambiati: quello pronto a scherzare e a consolare Aegon era diventato lui, sempre così serio e posato da sembrare un anziano saggio nonostante la giovane età.

I due si avviarono all’interno del castello, Aegon davanti, Jon che lo seguiva. Gli rimase un attimo di tempo per immaginare un possibile scenario futuro, prima che la voce di sua madre lo distraesse riportandolo alla realtà: suo fratello e la cugina seduti sul Trono di Spade, due figure altrettanto nobili e belle l’una di fianco all’altra come due statue, come se quel posto fosse sempre appartenuto loro di diritto. Sorrise tra sé.
 



***
 
 


Approdo del Re
Tempo dopo
 




La capitale non era cambiata: l’ultima visita di Ned Stark risaliva a più di dieci anni prima, eppure tutto sembrava rimasto uguale, come se Approdo del Re riposasse all’interno di un tempo immutabile, che la manteneva drasticamente identica a se stessa. C’era il caldo innanzitutto, quella cappa di calore soffocante che sfiniva chi lavorava e seccava i nobili sfaccendati, mitigata ogni tanto da una brezza leggerissima che graziava gli abitanti con una carezza piacevole, un sollievo per chi era costretto a indossare abiti cerimoniali per gran parte della giornata. C’era l’etichetta da rispettare, sempre rigida, c’erano i suoi nuovi compiti da Primo Cavaliere del re… e c’era Jon Arryn da visitare, chiuso da mesi nella sua stanza e consumato da una malattia che nessuno riusciva ad identificare, diventato in pochi mesi l’ombra di se stesso, così diverso dall’uomo sorridente e gentile che Ned ricordava da gettarlo nello sconforto.

Era giunto alla capitale da poco tempo, troppo poco per abituarsi alla girandola di apparenze e giochi di potere che formava la corte, ma non se ne preoccupava: si rendeva bene conto di non appartenere a quell’ambiente, così come sarebbe stato impossibile vedere un metalupo in giro per le strade del Sud. Dentro di sé si sentiva un uomo del Nord, legato ai suoi principi e alle leggi che avevano comandato la vita dei suoi genitori e di tutti gli Stark, fin dai tempi di Tohrren Stark e di Brandon il Costruttore, fin dall’inizio della loro storia. Era orgoglioso della sua ascendenza e sperava che un po’ del rigore giusto con cui amministrava la legge a Grande Inverno fosse riconosciuto anche lì, dove i Leoni e i Cervi correvano insieme sotto un sole che li sfiniva e faceva brillare d’oro gli stendardi. Erano le sue figlie a preoccuparlo, non tanto la piccola quanto Sansa, che smaniava per essere accolta nel seguito della regina e già si acconciava i capelli come una nobildonna di Approdo del Re, come se nulla la legasse più all’ambiente in cui era nata e cresciuta… ma respinse quel pensiero, costringendosi a restare con la mente su Jon e sulla visita imminente all’amico: c’erano questioni più urgenti che richiedevano la sua attenzione.

Da quando la malattia aveva iniziato a roderlo, il Primo Cavaliere era stato spostato dalle sue stanze in una più vicina ai locali dove alloggiava il Gran Maestro Pycelle, così da essere controllato con più efficacia. L’uomo, però, non era riuscito a migliorare granché la situazione del malato, se non per quanto riguardava il dolore: Jon era disteso a letto da giorni, circondato da medicamenti e pozioni e costantemente rifornito di latte di papavero, l’unico rimedio in grado di donargli sonni tranquilli. Per Ned, abituato ad un uomo energico nonostante l’età che avanzava, vederlo in quello stato era sempre scioccante.

“Eddard… mio caro ragazzo, qual buon vento ti porta qui?”

Se non altro, il suo vecchio amico cercava di metterlo a suo agio. Jon tentò di alzarsi dal letto, ma un violento colpo di tosse lo costrinse a stendersi di nuovo. Ned lo raggiunse, una mano tesa per aiutarlo a sostenersi e per salutare l’uomo che era stato come un secondo padre per lui.

“Venti burrascosi, mio buon amico… un vento di nome re Robert, che mi ha chiesto di farti da sostituto fino a che non ti sentirai meglio” rispose Eddard, cercando di non far trapelare il suo vero stato d’animo dalla voce. Aveva evitato accuratamente di parlare della malattia, ma ora che lo visitava di nuovo si rendeva conto di quanto fossero critiche le condizioni dell’altro. Non era certo che quello di Primo Cavaliere fosse un incarico momentaneo, ma non voleva farglielo capire. Non poteva farglielo capire.
Jon, però, sembrava avergli letto nel pensiero.

“Ah, Ned… non sei mai stato capace a mentire, ragazzo, fin da quando eri un bambino. Sia io che te sappiamo benissimo che la mia malattia è troppo forte per essere sconfitta… e che tra poco vi lascerò. Ragion per cui vorrei che mi ascoltassi attentamente e facessi esattamente quello che ti chiedo di fare, anche se possono sembrarti ordini incomprensibili. Va bene?”

Eddard Stark, sempre grave e composto come si addiceva ad un lord del Nord, si sentiva esattamente un ragazzino confuso e spaventato al capezzale di un caro piegato dalle sofferenze. Si tese in avanti, quasi avesse paura che quelle parole scappassero fuori, si intrufolassero in luoghi dove non sarebbero dovute entrare.

“Apri il mio baule. In fondo, sotto ad un gruppo di mantelli da viaggio, troverai un quaderno rilegato in pelle, una serie di pergamene cucite tra loro da un filo spesso… è il mio diario, dove ho annotato alcune notizie che vorrei restassero segrete. Ti ho fatto chiamare anche perché sento di potermi fidare solo di te all’interno di questa corte, non posso rischiare che quanto voglio mostrarti finisca nelle mani della regina, dei Maestri o di una delle spie della Corona. Prendilo e nascondilo nell’angolo più segreto della tua stanza, in un luogo che soltanto tu conosci… e quando avrai finito di leggerlo, distruggilo. Lo farai, Ned?”

Eddard annuì, spostandosi verso il fondo del letto in cerca del baule e del diario. In fondo al cassone di legno c’era effettivamente un libricino rilegato in pelle, che l’uomo si affrettò a nascondere all’interno dell’abito. Sul viso dell’amico comparve un’espressione di sollievo, come se la vista del libretto finalmente in buone mani riuscisse da sola a farlo sentire meglio. Tentò di piegare le labbra in un sorriso.

“È tutto in quel libro, Ned. La Genealogia delle maggiori Casate dei Sette Regni… sono arrivato alle mie conclusioni grazie a quelle pagine, è stato il mio punto di partenza e sarà anche il tuo, ma prima leggi il diario, ti sarà tutto più chiaro. Ricorda solo di farlo sparire… nessuno deve sapere che l’ho scritto, mi raccomando Ned. Nascondilo immediatamente…”

La voce dell’amico si era fatta più flebile, mentre un colpo di tosse spazzava via le ultime parole di quella frase. Ned non voleva farlo stancare: strinse la mano del buon Jon Arryn e chiamò il Maestro perché gli somministrasse le medicine della sera, non prima di avergli rivolto un cenno col capo come a concludere la conversazione. Poco dopo arrivò anche il Maestro Pycelle, seguito da uno degli assistenti guaritori incaricati di occuparsi del caso di Jon: Ned li sentì borbottare tra loro, prima che un numero sufficiente di passi non lo mise al sicuro dalla loro vista, abbastanza al sicuro da estrarre il libretto e rigirarselo tra le mani. Nell’aprirlo gli cadde lo sguardo su una frase casuale, la prima riga di una pagina vergata con la calligrafia precisa e nitida del Primo Cavaliere:
“… ho parlato al ragazzo, giù alla fonderia: proprio come immaginavo, ha i capelli neri, scurissimi. Mi ha detto di chiamarsi Gendry e di essere figlio di una povera donna del Fondo delle Pulci, ma di non sapere nulla di suo padre.”
Non aveva idea di quali informazioni Jon avesse accumulato durante le sue indagini, ma di una cosa era certo: quel libro doveva essere nascosto immediatamente.

In qualche modo, sentiva che ciò che vi era stato scritto avrebbe potuto compromettere il regno.
 
 


***
 
 


“Padre, quand’è che potrò sposare il Principe Joffrey? Dovremo aspettare molto?”

Sansa continuava a preoccuparlo. Era passato qualche giorno dal colloquio con Jon che gli aveva rivelato l’esistenza di quel diario nascosto dalla vista dei Maestri e di Robert e ancora non riusciva a controllare il nervosismo e i pensieri che erano nati in lui dopo una prima lettura del manoscritto: sembrava che Jon avesse smosso le acque di un lago enorme, una distesa all’apparenza calma ma che nascondeva un fondo oscuro e misterioso, un territorio dove un lupo come lui non avrebbe mai dovuto avventurarsi. L’affetto che provava per l’ex Primo Cavaliere lo tratteneva dal lasciar perdere tutto e fingere di non aver mai letto quanto lui gli aveva affidato, ma doveva ammettere che quella situazione lo intimoriva.
E sua figlia sembrava al settimo cielo: la permanenza a corte la divertiva moltissimo, come se non avesse sognato altro nella sua vita di ragazzina di dodici anni, amante dei balli e delle storie di principesse e cavalieri valorosi. Se non fosse stato tanto turbato dallo stato di salute di Jon probabilmente avrebbe discusso con lei chiedendole cosa le piacesse tanto di Approdo del Re e perché fosse così infatuata di Joffrey, ma sentiva di non averne la forza. Per cui si limitò a blandirla: “Non avere tanta fretta, Sansa… tu e il Principe dovete ancora conoscervi, organizzare un matrimonio in fretta non sarebbe un bene per nessuno dei due. E poi, non vorresti tornare al Nord prima di sposarti? Rivedere la mamma, Robb, Jon, Aegon, i tuoi fratelli…”

Il pensiero di Grande Inverno era un peso sullo stomaco che gli annebbiava la mente, ma come avrebbe potuto abbandonare Jon Arryn? E Robert, che contava su di lui?

“Ma la mamma può sempre venire a trovarci, così come Robb. E anche Jon. Joffrey deve restare qui, invece… e noi due ci amiamo, perché dobbiamo aspettare? È la stessa cosa che mi ha detto la mamma, ma io sono stufa di aspettare!”

Arya, seduta a fare colazione poco lontana, sbuffò. “Che seccatura che sei. Joffrey è uno stupido vigliacco, che non sa combattere con la spada e si fa sempre coprire le spalle dalle sue guardie. Come puoi desiderare di sposarti con un tipo del genere? Io non voglio vivere sotto al suo stesso tetto. Neanche a Nymeria piace.”

Sansa stava per ribattere alla sorellina, decisamente offesa, ma un’occhiata da parte della septa le fece capire che non aveva senso alimentare ancora quei battibecchi inutili. Le lanciò un’occhiataccia e si chiuse nel suo sdegnoso silenzio, voltando le spalle ad Arya con cipiglio offeso.
I metalupi… Ned sorrise, guardando i due animali che riposavano ai piedi delle figlie, placidi come se montassero la guardia alle loro padroncine: Nymeria era un animale bianco e grigio, dagli occhi vivaci e dal temperamento simile a quello di Arya, Lady – sua sorella – aveva il pelo più chiaro e lo sguardo dolce e indulgente, un carattere paziente e un’eleganza innata, una piccola Sansa in versione animale. Ricordava bene il giorno in cui Jon li aveva trovati, durante un giro di ricognizione nelle loro terre, e di come i cuccioli fossero stati uguali nel numero ai ragazzi Stark: uno per ogni figlio, come se una mano dall’alto avesse deciso di abbinare quelle creature ai giovani figli della Casa del Metalupo. Robb aveva avuto Vento Grigio, Bran Estate, Rickon Cagnaccio… e per Jon Spettro, l’unico albino tra i cuccioli, un lupacchiotto bianco dagli occhi rossi simili a rubini di cui si era innamorato anche Aegon. Perfetto per il nipote, che era un misto di ghiaccio e fuoco.
Arya e Sansa avevano insistito per portare a Sud i loro animali, e Ned ne era stato felice: le avrebbero protette. Se anche lui fosse stato lontano col pensiero, perso dietro a quei misteri che iniziavano ad emergere attorno a lui, almeno le figlie non sarebbero state da sole.

O almeno, così sperava.
 

 
 





Noticine di Nat
Aegon  e Sansa. Scommetto che non ve lo aspettavate!
Scherzi a parte, la mia passione per la SanSan è forte e dura dalla seconda stagione della serie, ma chi mi segue sa che sono una sperimentatrice e non posso rinunciare a formare nuove coppie, soprattutto quando la storia lo permette… per cui ho provato a seguire anche questo sentiero, sperando che l’andamento della storia possa continuare ad incuriosirvi. Tra l’altro ci sono parecchie fic nel fandom internazionale su di loro e alcune non sono nemmeno male, per cui… è stato più forte di me!
Vi sarete accorti che il what if è in pieno svolgimento e che, per questo, le vicende stanno prendendo pieghe abbastanza differenti dalla storia… ma non voglio comunque spoilerarvi nulla, per cui vi lascio tutta la suspence (?) e la sorpresa di vedere cosa dovranno affrontare Ned, Lyanna e gli altri! Questo capitolo è dedicato tutto a lui per ragioni di svolgimento della trama, ma la storia ruota anche attorno agli altri personaggi, as always.
L’aggiornamento questa volta è lampo,  ma la sessione invernale mi aspetta… spero davvero che la Musa non mi abbandoni. Nel frattempo vi ringrazio di cuore per aver inserito la mia stori tra le seguite, le preferite e le ricordate, siete sempre di più e mi riempite di gioia!
Nat

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI
 
 
 

“Your mouth is poison, your mouth is wine
You think your dreams are the same as mine.”
 [The Civil Wars – Poison and Wine]
 
 
 
 
 
 
 
Jon Arryn si consumò in pochi giorni, come una candela che, lentamente, esaurisce la cera, sciogliendosi, bruciando fino alla fine lo stoppino che le permette di restare illuminata.

Morì circondato dal Maestro e dagli assistenti che avevano cercato di curarlo, senza che nessuno capisse veramente quale malattia avesse causato il decadimento lento ma progressivo, per quale motivo un uomo apparentemente in ottima salute si fosse, da un giorno all’altro, ammalato tanto da non poter lasciare più il letto.
Si spense in un pomeriggio di sole, dopo aver chiesto al suo buon amico Eddard Stark e a re Robert di poter parlare con loro, rassicurandoli sulla sua salute, anche se entrambi avevano capito benissimo che l’uomo che era stato come un padre per loro era arrivato ormai al limite. Ned non fece più parola del libro che Jon gli aveva affidato, né del diario dell’amico, ma lo sguardo che gli lanciò prima di uscire dalla stanza valeva ogni promessa che avrebbe potuto fare a voce.
 
Il funerale si sarebbe svolto nel Tempio di Baelor, alla presenza di tutta la corte ma non di Lysa Arryn, cognata di Ned e moglie di Jon: la vedova era stata avvertita tramite messaggio della morte del marito, eppure i più dubitavano che avrebbe affrontato il viaggio dalla Valle di Arryn ad Approdo del Re per poi tornare indietro. Quasi la immaginava Eddard Stark, seduta nella sala del trono di quell’enorme palazzo arroccato sulla montagna, lo sguardo smarrito di chi non sa bene come comportarsi dopo la scomparsa di un uomo che, a conti fatti, non conosceva nemmeno bene… ma dubitava che quell’evento l’avrebbe portata a raccogliersi intorno ai fratelli o a chiedere loro aiuto. Lysa Arryn era orgogliosa e testarda come suo padre, dopotutto, e l’inimicizia con la sorella Catelyn non era diminuita con gli anni.
 
Appena i Maestri ebbero annunciato la morte del Primo Cavaliere, il Lord di Grande Inverno non perse un attimo: il suo primissimo pensiero fu per il libro e il diario che gli erano stati affidati e che aveva riposto in un angolo del baule che aveva portato con sé, disposto nell’angolo più lontano della stanza che occupava., al sicuro (o almeno si augurava) da qualsiasi sguardo curioso. Prima di scendere al Tempio per presenziare alla cerimonia insieme a Robert e alla corte, prima ancora di piangere l’amico come avrebbe meritato, si recò nei suoi alloggi per controllare che tutto fosse a posto: fortunatamente, sembrava che a nessun servitore fosse venuto in mente di frugare nel baule di Lord Stark, che fosse per curiosità personale o istigato da qualcuno… la regina non aveva scoperto nulla. Almeno per il momento.
 
La sera prima, quasi mosso da un presentimento, aveva estratto quel libricino per sfogliarlo e leggere qualche altra riga, un tentativo di far luce su quel mistero che Jon non voleva rivelargli ma che sembrava averlo tormentato per lungo tempo: le pagine scricchiolavano, una si era quasi staccata e aveva colpito il suo sguardo, aprendosi davanti ai suoi occhi. L’aveva distesa, gli occhi si erano posati quasi automaticamente sulle parole vergate con l’inchiostro nero sulla pergamena, quasi a graffiarlo.
 
“La bambina gli assomiglia tremendamente: ha i capelli già scuri, per quanto sia poco più di una neonata, e gli occhi dei Baratheon… sua madre mi ha confermato di averla fatta vedere a Robert, ma non sono certa che conosca la sua vera identità. Forse è meglio che non sappia nulla, per lei e per sua figlia.
Ogni volta che il mio sguardo si posa su uno dei figli di Cersei Lannister – perché non hanno il sangue di Robert, questo ormai mi è chiaro – non posso fare a meno di pensare a quanto la corte, a quanto il re possa essere distratto: se avesse rivolto le sue attenzioni a uno dei tanti bambini bastardi che ha generato e che vivono ad Approdo del Re, probabilmente avrebbe capito davvero cosa è accaduto alle sue spalle. Cambierebbe qualcosa? Sicuramente la legittimità del Principe Joffrey come erede al trono verrebbe meno, ma un bastardo…”
 
La pagina si interrompeva, strappata, come se una mano frettolosa avesse interrotto quel flusso di parole all’improvviso, ma Ned Stark già iniziava a raccogliere i pezzi con più chiarezza. Se anche il suo sguardo si era mai posato sui capelli biondi dell’erede al trono (così diversi da quelli dell’amico) era sempre stato distratto, mai indagatore… Jon, invece, aveva raccolto i suoi sospetti. Li aveva analizzati con cura, studiati, cercati tra i libri, confrontati. E poi li aveva affidati a lui, nella speranza che il lavoro continuasse, che qualcuno portasse a galla il segreto che serpeggiava tra le mura di Approdo del Re… un segreto che gli era gravato addosso per anni, forse la causa stessa della sua malattia incurabile.  
In fondo alla pagina spiccava una frase, vergata con calligrafia più frettolosa, leggermente sbiadita.
 
Il seme è forte.
 
Un rumore di passi deciso lo costrinse a rimettere immediatamente il diario nel baule, coprendolo con abiti e parti della sua armatura da cerimonia: una delle guardie di Robert reclamava la sua presenza al Tempio di Baelor per l’inizio del funerale. L’uomo lo seguì, assicurandosi di aver chiuso la porta alle sue spalle, la preoccupazione che si faceva strada nuovamente nel suo cuore all’idea di dover lasciare incustodito quel segreto che ora gli pesava sulle spalle e che – se lo sentiva  - non sarebbe stato semplice da affrontare.
Per un attimo, ebbe la tentazione prepotente di confidare quanto sapeva al re, esporgli i suoi timori e avvertirlo di quanto era probabilmente successo al loro amico, ma una voce dentro di sé lo fermò con altrettanta forza, impedendoglielo. Cersei Lannister era pur sempre la regina, e la sua famiglia non avrebbe preso alla leggera qualunque accusa, specie se presentata senza prove… avrebbe vanificato in un attimo tutto ciò che Jon aveva costruito, non se lo sarebbe mai perdonato. Era il suo dovere di Primo Cavaliere: proteggere il regno, anche a costo di portare dolore al suo migliore amico, ammesso e non concesso che sua moglie stesse davvero macchinando qualcosa.
 
Il senso del dovere degli Stark, rifletté tra sé e sé. Che fardello meraviglioso e opprimente che ci portiamo sulle spalle.
 
Una volta preso posto alla cerimonia, il suo sguardo cadde su Jon, coperto dal drappo degli Arryn: non era riuscito a salvare l’amico, ma ne aveva raccolto l’eredità, se così si poteva chiamare. In qualche modo, avrebbe fatto il possibile perché ciò che era accaduto non si ripetesse.
 
 
 
 
***
 
 

“Dobbiamo andare, bambina. La nave ci sta aspettando.”
 
Mani bianche stringevano la gonna del vestito, le unghie affondate nelle pieghe della stoffa si muovevano frenetiche, assecondando il nervosismo della ragazza. Una brezza leggera arrivò ad accarezzarle una ciocca di capelli biondo argenteo, ma quel giorno la giovane Targaryen non era dell’umore adatto per godersela.
 
“Non sono pronta, Ser Barristan… e non penso nemmeno che sia la soluzione giusta. Perché dobbiamo visitare le Città Libere e convincere la gente che siamo il re e la regina legittimi dei Sette Regni? Perché dovrebbero fidarsi proprio di noi, due stranieri venuti da lontano?”
 
Il cavaliere dai capelli bianchi scosse piano la testa: condivideva quelle stesse perplessità, eppure non se la sentiva di confermare l’insicurezza che attanagliava lo stomaco della sua principessa. Si limitò a porgerle una mano coperta dal guanto di maglia, un gesto affettuoso che lo faceva sentire come un padre che cerca di riportare il sorriso sul viso di una figlia abbattuta dagli eventi. Fu un sorriso sollevato ad accogliere la stretta di Daenerys, che si alzò pronta a seguirlo, rincuorata dalla sicurezza di quel cavaliere che aveva giurato di proteggerla e di servirla dovunque si fosse recata.
 
“Sarebbe meglio non far attendere il principe Viserys, sapete come è fatto… e poi, dovete nascondere le uova. Ser Jorah le ha già chiuse nel baule, ora dovete solo sistemarle in mezzo ai vostri bagagli e portarle in un angolo della nave dove nessuno le vedrà. Ovviamente, la loro collocazione resterà un segreto tra me e voi” sorrise, accompagnandola sulla terrazza inondata dal sole. “Anche se vostro fratello dovrebbe esserne informato, prima o poi… sarà difficile nascondergli tre draghi nel caso si schiudessero, non credete?”
 
Dany sospirò, sistemandosi addosso l’abito azzurro e oro che indossava, più per un riflesso dettato dal nervosismo che per vera necessità. Ancora non riusciva a capire cosa la frenasse dal raccontare del dono ricevuto a suo fratello: forse per paura di una sua reazione indispettita, o perché non voleva che quelle uova tanto preziose venissero esposte come trofei o, peggio, trasformate in strumenti di guerra. Secondo Ser Jorah erano solo dei fossili che non si sarebbero mai schiusi, nulla più di tre belle decorazioni, ma quanta magia antica conosceva da esserne così sicuro?
 
Di una cosa era certa, quel giorno una nave li avrebbe condotti nella più vicina delle Città Libere. Due principi esiliati, vestiti dell’unico abito vagamente cerimoniale che possedessero, poveri eppure in possesso di una nave fornita loro da un Magistro e di ambizioni più grandi dei Sette Regni. Nessuno avrebbe dato loro ascolto… forse solo dei folli, o qualche nostalgico che aveva vissuto nel Continente Occidentale all’epoca dei loro genitori e ancora ricordava il nome dei Targaryen. Erano armati di speranze, nulla più.
Scese le scale quasi meccanicamente, il braccio di ser Barristan che la sosteneva con premura, gli abiti chiari frusciavano morbidi nella brezza del mattino come ali. Poco lontano dalla casa dove alloggiavano si trovava il porto, già pieno di mercanti e marinai che scaricavano casse e si affaccendavano attorno alle navi anche a quell’ora del mattino. Tra loro spiccava un giovane pallido dai capelli argentati, ben vestito e decisamente impaziente, affiancato da Magistro Illyrio e da alcuni uomini che Daenerys non conosceva, forse marinai che li avrebbero accompagnati in quel viaggio.
 
Viserys Targaryen indossava l’abito più bello che era riuscito a permettersi con le sue magre finanze, una mezza tunica di pelle rosso cupo dalle spalle rinforzate sulla quale aveva appuntato una spilla d’argento con le teste di drago, un modo in più per dimostrare la loro autorità a chi avesse nutrito qualche dubbio nei loro confronti. I pantaloni e la camicia sottile erano di fattura umile, ma puliti e cuciti alla perfezione, e un lungo bagno aveva reso i suoi capelli e la pelle lucenti e profumati. Il fratello la salutò con un sorriso compiaciuto, gettando uno sguardo al vestito della ragazza come a voler controllare se anche il suo aspetto esprimesse forza e rispetto, poi le si avvicinò per prenderle un braccio. Daenerys vide Ser Jorah irrigidirsi e il buon Ser Barristan seguirli subito, vicino abbastanza da infondere sicurezza alla sua protetta ma non tanto da irritare il principe. Jorah Mormont colse un’occhiata da parte del cavaliere e si affrettò a far cenno agli inservienti perché caricassero i bagagli nella stiva, bagagli tra cui spiccava la piccola cassa di legno istoriato che conteneva le uova.
 
Viserys è troppo occupato con me per accorgersene.
 
Suo fratello sembrava raggiante, un ragazzino felice che riesce finalmente a realizzare i suoi desideri più ardenti tutti in una volta. Daenerys, appoggiata al suo braccio, non poté far altro che assecondarlo e seguirlo sulla Conquistatrice, la nave fornita da Illyrio che suo fratello aveva subito ribattezzato in onore del loro antenato, Aegon il Conquistatore. Viserys era sempre lo stesso, sorrise tra sé la ragazza.
 
“Sei pronta, cara sorella? Presto la nostra povertà sarà solo un lontano ricordo… quando mostreremo a quegli straccioni che abitano le Città Libere che il drago ha ancora due teste pronte a sputare fuoco, nessuno oserà più considerarci due usurpatori. Sarà il vero usurpatore a pagare… quello che siede sul Trono di Spade. Non pensi anche tu che sia una giornata meravigliosa? Un nuovo re e una nuova regina che rinascono dalla cenere.”
 
“Hai intenzione di dare un ruolo anche a me, nel regno che hai immaginato?” non poté trattenersi dal chiedere la ragazza. Il dubbio che le rodeva il cuore da mesi era difficile da mettere da parte, ma doveva capire se Viserys desiderava davvero recuperare le tradizioni familiari e prenderla come sua sposa… oppure scegliere di usare il prestigio del loro nome per guadagnare qualche alleanza tramite un matrimonio. Non aveva idea di quale delle due ipotesi preferire.
 
Suo fratello sorrise a sua volta, come se quel pensiero lo divertisse, e le accarezzò i capelli argentei.
 
“Ma certo, Dany. I draghi devono sempre regnare insieme, no? È stata la nostra forza per anni e dovrà esserlo anche ora, soprattutto in un momento come questo… un re e una regina legittimi per i Sette Regni, legati dal sangue e dal fuoco, come dice il nostro motto. Non potrei mai regnare senza di te.”
 
Ecco che tornava il Viserys gentile, quello che le sfiorava i capelli e si comportava da fratello affettuoso. Quanto sarebbe durata quella manifestazione di amore fraterno, si chiese la ragazza, quanto avrebbe resistito prima di tornare a minacciarla, di dirle che era di sua proprietà e doveva piegarsi alle sue decisioni?
Stava per chiedergli di più, per sfruttare quel momento di rilassamento per saperne di più dei suoi piani… quando un grido li fece voltare entrambi verso l’entrata delle stive, dalla quale correva fuori un marinaio trafelato, urlando.
 
“Principe Viserys! Principessa Daenerys! Lord Selmy! Scendete immediatamente, le stive hanno preso fuoco!”
 
Una fiammata violenta, furiosa, accompagnò quelle parole: lingue di fuoco rosse e arancioni stavano divorando il legno della nave, spargendosi anche sul ponte, per quanto gli uomini tentassero di domarle. Ser Barristan prese in mano la situazione: spinse fuori dalla nave Daenerys, che dovette faticare per spingervi giù a sua volta anche Viserys, fermo a fissare le fiamme come se fossero un miraggio, o il presagio di qualcosa di più grande. Nel disordine provocato da quell’incidente, tra le grida degli uomini e la corsa disordinata di chi accorreva ad assistere alla scena, la scatola contenente le uova passò in secondo piano: la ragazza se ne ricordò poco dopo, quando vide alcuni degli inservienti di Magistro Illyrio precipitarsi a scaricare tutto ciò che le fiamme ancora non avevano divorato.
 
Le uova.
 
Corse sulla nave incurante della mano di Ser Jorah che cercava di trattenerla, superando marinai e servitori, superando anche suo fratello che osservava la scena dal molo, il viso ancora contorto in una smorfia di preoccupato interesse. Le fiamme erano state praticamente domate: la nave non aveva subito danni così gravi da impedirle di salpare per sempre, ma sia gran parte del ponte che la che la stiva erano punteggiati di macerie e sicuramente anche molte delle provviste che vi erano state accumulate erano andate distrutte. La causa dell’incendio le era ancora incomprensibile: poteva capitare che le imbarcazioni prendessero fuoco così, all’improvviso, anche mentre erano ormeggiate nel molo e il vento non era tanto alto da propagare le fiamme velocemente, cercò di consolare se stessa, ma ciò non cambiava il fatto che la loro unica nave avrebbe dovuto essere riparata prima di poter ripartire. Viserys sarebbe stato furioso, e nella sua furia se la sarebbe presa anche con lei.
 
Avanzò tra le schegge di legno bruciate, pestandone alcune, sporcando di cenere l’abito chiaro, macchie nere che coprivano la bella seta celeste e le inzaccheravano anche i piedi. Tra le casse che i marinai non erano riusciti a portare in salvo riconobbe quella che conteneva le uova, le decorazioni istoriate in metallo contorte e annerite dal fumo, pezzi di legno sparsi ovunque. Cadde in ginocchio, affondando le mani nella cenere calda senza che i tizzoni ancora caldi le bruciassero la pelle: avrebbe voluto piangere, ma non poteva mostrarsi debole agli occhi del fratello, dei suoi fidati consiglieri. L’unico collegamento col suo passato, il suo tesoro, la sua risorsa, probabilmente erano finite in pezzi o cadute chissà dove, o magari ridotte in cenere… erano uova di drago, d’accordo, ma lo erano davvero? Non sapeva nulla di chi gliele aveva mandate, né da dove venissero: magari da qualche parte qualcuno si fregava le mani soddisfatto, felice di aver ingannato una stupida ragazzina Targaryen con tre sassi dipinti e spacciati per uova. Eppure… se anche fossero stati sassi, li avrebbe trovati scoloriti e bruciati, ma interi. Come avevano fatto a sparire del tutto?
 
Non ci mise molto a scoprirlo. Un piccolo sibilo la costrinse a spostare lo sguardo dai resti carbonizzati della cassa a un altro cumulo di cenere poco più in là, dove quelli che sembravano… topi? si agitavano piano, lamentandosi con voci stridule. Daenerys si avvicinò piano, titubante, ma quando uno di loro alzò una protuberanza membranosa verso il cielo, ruggendo, la sorpresa fu tale da farla crollare in ginocchio tra le assi, sporcando ulteriormente gli abiti e anche il viso, quando si portò le mani alla bocca dalla sorpresa.
 
Tre piccoli animali squamosi si agitavano tra la cenere, spiegando le ali, strusciando sul legno le code sottili. Uno era di un giallo dorato, il secondo verde screziato di un arancio caldo come le fiamme, il terzo – quello che sembrava anche il più grande – era rosso e nero e ruggiva, facendo volare la cenere intorno a sé e incitando i fratelli ad agitarsi.
 
Tre draghi.
 
Le sue uova, sollecitate dal calore, avevano dato vita a tre animali vivi, tre animali che non solcavano i cieli dei continenti da millenni.
Daenerys non sapeva come comportarsi. Rimase a terra, le mani tese verso le tre creature, finché uno dei tre animali non le si avvicinò con curiosità e si arrampicò lungo il suo braccio nudo con le piccole unghie appuntite, facendole il solletico, seguito presto dagli altri due.
 
Tre draghi, come le teste del drago della loro casa.
 
 
 

***
 
 
 
“È stata una mossa avventata, Cersei. Lo sai anche tu. Jon Arryn poteva aver scoperto… di noi, ma credi davvero che avrebbe raccontato qualcosa a Robert? E soprattutto, pensi che tuo marito ci avrebbe creduto?”
 
Il funerale era terminato da poco. Cersei Lannister era ancora vestita di nero, un velo posato tra i capelli biondi per indicare il lutto che aveva colpito Robert Baratheon e, per estensione, anche lei, ma sul suo viso non c’era traccia né di dolore né di pentimento: era seccata, come se Jaime fosse stato un semplice nobile venuto a disturbare la sua tranquillità con questioni di nessuna importanza.
 
“Se ho fatto quel che ho fatto, credimi, c’è un motivo. Il nostro Primo Cavaliere aveva girato la città, fatto indagini… se anche non aveva scoperto di Joffrey e dei bambini, credimi, ci è andato molto vicino. Il Maestro Pycelle ha trovato quella Genealogia tra le sue ultime letture, alcuni nostri uomini mi hanno riferito di suoi spostamenti tra i bordelli e il Fondo delle Pulci… Non avrebbe potuto muovere un dito contro la corona, ma un uomo retto e disposto e far trionfare la giustizia riesce sempre a trovare degli alleati. Specie se ha degli amici nella corte” concluse, sedendosi di fronte alla finestra dello studio del marito, che si trovava chissà dove assieme a Ned Stark. Avevano già un nuovo Primo Cavaliere, senza doversi nemmeno scomodare a nominarne un altro.
 
“Sospetti di Stark?”
 
“Stark è solo uno dei nostri possibili nemici… anche se si rivolterebbe più per difendere l’onore di Robert e della giustizia che per accaparrarsi il Trono. Hai idea di quanta gente potrebbe approfittare della situazione, se venisse davvero a galla la storia che Joffrey è nostro figlio, che tutti quelli che la gente crede figli di Robert Baratheon sono in realtà dei Lannister? I nobili potrebbero insorgere da un momento all’altro, Stannis Baratheon imporrebbe a mio marito un erede che venga dalla sua famiglia… o farebbero legittimare uno dei bastardi di Robert, tanto per farci un dispetto. Riesci ad immaginarlo, Jaime?” si alzò dalla sedia, avvicinandosi al fratello e afferrandogli il viso tra le mani con impeto quasi disperato. “Riesci ad immaginare cosa farebbe nostro padre se lo scoprisse?”
 
Si che lo immaginava. Da quando Cersei lo aveva trascinato in quella spirale di segreti e di sotterfugi, la colpa aveva iniziato a bussare alla sua porta sempre più spesso, una costante fastidiosa, insistente. Eppure, era stato lui a farsi trascinare, a sospendere ogni giudizio. Come poteva aspettarsi che la corrente degli eventi lo risparmiasse?
 
La spinse via con più decisione di quanta avesse voluto mettere in quel gesto. Cersei se ne accorse: un lampo di risentimento le attraversò gli occhi chiari, mentre suo fratello si spostava attraverso la stanza.
 
“Potrai anche aver eliminato un ostacolo, ma ce ne sono tanti altri attorno a noi. Non potremmo mai vivere tranquilli col destino che abbiamo scelto.”
 
“Tranquillità? Non ho mai preteso di stare tranquilla, Jaime… una regina non riposa mai. Voglio solo che i nostri figli siano felici e non subiscano la stessa sorte di vessazioni che è toccata a me.”
Gli lanciò un ultimo sguardo, come a volerlo congedare, mentre si voltava verso la finestra e il cielo che imbruniva, la luce aranciata e violetta che illuminava il mare tingendolo come una seta pregiata.
Jaime si voltò e uscì dalla stanza senza aggiungere altro, impedendosi di tendere le braccia verso la sorella e di stringerla, come avrebbe voluto fare. Non poteva assecondarla, non doveva farlo. Non ora che Cersei stava lentamente distruggendo le fondamenta della loro esistenza nel tentativo di proteggere il loro rapporto.
 
È ora che io smetta di seguirla.

 
 
 
 
 


Noticine di Nat
Questa volta sono stata veramente imperdonabile, me ne rendo conto. Dopo la sessione invernale – che si è protratta fino a febbraio – ho avuto quella primaverile, che è finita solo ieri e mi ha tolto praticamente tutta la voglia di scrivere… in pratica ho trascurato questa storia e voi lettori, cosa che mi è dispiaciuta un sacco, anche perché ho praticamente tutta la storia abbozzata in mente, devo solo trovare il tempo di scriverla e ritoccarla un po’. Vi chiedo umilmente scusa e spero di non avervi “perduti per strada” in questa mia assenza Il capitolo è statico, ma consideratela una sorta di ripartenza con la marcia bassa, giusto per ingranare un po’ dopo la lunga assenza. Dopo avervi deliziato (?) con le vicende di Grande Inverno dovevo tornare da Dany (che comunque amo muovere, spero risulti credibile!) e ad Approdo del Re, giusto per continuare a tirare le fila del what if… insomma, in qualche modo l’ispirazione è tornata.
Grazie ancora, graziegraziegrazie per tutte le recensioni, le letture, gli inserimenti tra i preferiti, le seguite e le ricordate: siete fantastici! E siete sempre di più, cosa che mi stupisce e mi rende felicissima!

Nat

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


Capitolo XXII
 
 
 
 
 
 
“But in this twilight, our choices seal our fate.
 [Mumford&Sons – Broken Crown]
 

 
 
 
 
 
 
Ogni volta che gli capitava di pensare ai Martell, ecco che l'ennesimo, feroce mal di testa minacciava di tornare a tormentarlo.

Doran Martell, il fratello di Elia, signore di Lancia del Sole. Oberyn Martell, il fratello minore, detto la Vipera Rossa, un guerriero vendicativo e subdolo, rapido come il morso di un serpente dorniano e altrettanto letale. Le sue figlie, le Serpi delle Sabbie, una schiera nutrita di ragazze addestrate alle armi e gelose della libertà di cui il loro principato godeva... altre possibili pedine nel gioco del Trono, altre fonti di problemi. Era da un po' che pensava al ruolo che avrebbero potuto ricoprire, – che lui avrebbe potuto far ricoprire loro, se avesse tentato un'alleanza con i Martell – ed era stato in quel momento che le emicranie, precise e inesorabili, avevano iniziato ad attaccarlo.
 
Robert Baratheon sedeva sul Trono, ma la sua presa non era abbastanza salda: c'erano i Leoni dietro ad ogni sua decisione, loro e la potenza di un Concilio Ristretto guidato da uomini abituati a fare dei sacrifici per guidare un regno. C'era la mano ferma e giusta di Eddard Stark, partito per il Sud in qualità di amico e consigliere del re e rimasto lì per ricoprire il ruolo di Primo Cavaliere, per quanto sua moglie continuasse a preoccuparsi per quella sua promozione così improvvisa. Eppure, quella giostra sgangherata continuava ad andare avanti, in attesa che Joffrey, il primogenito di Robert, sostituisse il padre e portasse avanti la potenza di Lannister e Baratheon uniti.
Ci dev'essere una crepa nel disegno, un punto dove possiamo inserirci, rifletté il principe. Erano quattordici anni che si nascondeva a Grande Inverno in attesa di raccogliere un esercito di lealisti abbastanza nutrito da rovesciare il Trono e riprenderlo per sé e per i figli, ma l'occasione che aspettava ancora non era arrivata. Sovvertire alle basi un regno, dopotutto, era un'impresa, non un giochino da ragazzi, una spedizione che chiunque avrebbe potuto organizzare e guidare in pochi mesi con la certezza assoluta della vittoria... era stato in quel preciso momento che la sua mente si era rivolta verso Dorne e il principe Doran, l'unica regione dei Sette Regni che avrebbe appoggiato una sua azione contro il Trono, l'unica che – forse – avrebbe riconosciuto la legittimità dei Targaryen nella lotta per la successione. Forse. Ormai, si nutriva più di supposizioni che di altro.
 
Di una cosa, però, era certo: non poteva continuare a sperare che la sorte, i Sette Déi o quegli Antichi volgessero lo sguardo verso di lui per offrirgli una buona occasione. Aegon stava crescendo, anche Jon ormai era un uomo, e per lui e Lyanna gli anni trascorrevano come per tutti gli altri, incidendosi sui loro volti... e lontano, al di là del mare, sua sorella Daenerys diventava una donna e iniziava a muovere i suoi primi passi da adulta, aiutata dagli uomini a cui aveva chiesto di affiancarla e consigliarla.
Gettò un'occhiata alla pila di fogli di pergamena davanti a sé, sui quali torreggiava un messaggio vergato da una calligrafia precisa e netta, il cui stropicciamento evidente indicava un viaggio piuttosto lungo. “Le uova si sono schiuse era l'unico messaggio che riportava al suo destinatario, una semplice serie di parole che però era bastata ad accendere un misto di sentimenti contrastanti nel cuore del principe Targaryen.
 
Se i draghi erano nati, se quelle uova trovate da alcuni informatori del Ragno Tessitore in una regione ormai remota e dimenticata avevano dato il loro frutto, allora significava che la loro dinastia sarebbe potuta rinascere allo stesso modo. Erano ancora piccoli, d'accordo, non avrebbero potuto spaventare nessuno né tantomeno essere impiegati immediatamente nella riconquista del trono... ma rappresentavano comunque qualcosa. Erano un inizio, quell'inizio in cui Rhaegar Targaryen aveva sperato per tanti anni, quella stella che si era illuminata nel cielo la notte in cui Aegon era entrato nella sua vita e che non aveva mai abbandonato la sua mente del tutto.
Il pensiero di un trono sempre più vicino, ovviamente, gli faceva tornare in mente Dorne. Era una sorta di circolo vizioso dal quale non riusciva a liberarsi.
 
L'ultima volta in cui ho incontrato Oberyn Martell era al nostro matrimonio, mio ed Elia. Lui e Doran la amavano immensamente e non l'hanno mai abbandonata, nemmeno quando viveva con me ad Approdo del Re... Sarei fortunato se mi lasciassero andar via da Lancia del Sole ancora in possesso della testa, dopo quello che le ho fatto.
 
Era stato Gregor Clegane, uno dei tirapiedi di Tywin Lannister, ad uccidere sua moglie, il bambino che tutti credevano Aegon e sua figlia, lo sapeva bene: Varys glielo aveva detto durante il terribile periodo di guarigione che aveva affrontato a Padelle Salate, scavandogli un vuoto nel cuore che non si era ancora rimarginato del tutto. Cosa avrebbe fatto se Rhaenys fosse rimasta viva, se Approdo del Re non fosse stata saccheggiata, se fosse riuscito a sconfiggere Robert Baratheon al Tridente invece di essere colpito quasi mortalmente e salvato dagli uomini fedeli al Ragno Tessitore? Se l'era chiesto migliaia di volte, e altrettante volte si era svegliato nel bel mezzo della notte, sudato, la mente svuotata dal senso di colpa... fino a che il tempo non aveva esercitato la sua funzione di guaritore, aiutandolo, pian piano, a riprendersi. Ma una scheggia di dolore sordo gli era rimasta nel petto, un senso di impotenza difficile da eliminare.
 
Il problema era che non avrebbe potuto cambiare il passato. In nessun modo. Poteva solamente agire nel presente e cercare di pianificare il proprio futuro, così da non pentirsi delle proprie scelte una seconda volta.
 
Si strofinò le tempie con decisione, tentando di scacciare quell'emicrania insistente: se doveva tentare il tutto per tutto con una visita a Dorne, allora avrebbe davvero giocato quella carta. Avrebbe abbandonato Lyanna un'altra volta, ma era certo che sua moglie avrebbe capito: in quegli anni avevano condiviso tutto, comprese le paure e le aspettative nei riguardi del trono. E anche se Ned era ancora al Sud, impegnato con la corte, era sicuro di poter contare sulla comprensione di Lady Stark e su una piccola scorta di uomini del Nord di cui aveva bisogno per affrontare il viaggio.
Restava solo da contattare Daenerys per svelare chi stava vegliando su di lei da tanti anni... quel compito, però, era decisamente più facile del doversi recare in una regione tanto lontana per tentare una strategia di avvicinamento con i parenti della sua defunta moglie. Sorrise, riflettendo all'idea di tre draghi che volavano su Grande Inverno, tra la meraviglia generale e la gioia dipinta sul viso dei suoi figli, quello estatico di Aegon e quello più serio e posato di Jon... e, per un attimo, il mal di testa che lo tormentava si fece da parte per fare posto al desiderio impellente, violento di abbracciare i ragazzi, di affondare il viso nei capelli neri della moglie e di inspirare il suo profumo di rose d'inverno, di casa, di buono.
 
Doveva parlare con la sua famiglia. Il più presto possibile.
 
 
 

***
 
 
 

“Un'alleanza col Sud? Ne sei proprio sicuro?”

Aveva trovato la moglie e i ragazzi nella biblioteca, intenti come al solito a studiare: da quando Arya e Sansa erano partite per la corte col padre, entrambi i figli si erano fatti silenziosi, persi nei loro pensieri com'erano. Aegon gli sembrava corrucciato, distratto, Jon come al solito era imperscrutabile, ma fortunatamente le ore trascorse tra i libri riuscivano a rasserenarli entrambi.
 
Lyanna era seduta davanti alla finestra, la luce bianca di quella giornata piovosa che le illuminava i capelli neri riempiendoli di riflessi chiari, brillanti. Teneva un libro sulle ginocchia e sembrava tranquilla, come se la compagnia dei figli riuscisse da sola a scacciare ogni moto di tristezza che ogni tanto la afferrava. Lo aveva salutato con lo sguardo per poi rimettersi a leggere, e Rhaegar si era soffermato ad osservare le ciglia lunghe e scure che si muovevano avanti e indietro sulle righe del tomo, le sue dita bianche che giravano le pagine, le piccole smorfie impercettibili all'incontro con una parola che la faceva pensare. Avrebbe voluto inginocchiarsi ai suoi piedi, prendere una delle sue mani e baciarla, un dito per volta, guardarla sorridere e arrossire come quando era ragazzina e trascorrevano ore nei giardini di Harrenhal... ma doveva prima affrontare quel discorso, poi avrebbe pensato al resto. Avrebbero avuto tutto il tempo che desideravano per stare insieme.
 
Alla vista del padre, Jon ed Aegon si erano alzati entrambi di scatto, incerti se lasciare immediatamente la stanza o correre a salutarlo come facevano sempre, pieni di quell'entusiasmo affettuoso che non si era mai spento, neppure con l'età. Lyanna aveva accarezzato la testa al suo primogenito, incoraggiante, mentre Rhaegar si sedeva e invitava Aegon a restare perché partecipasse alla discussione: avevano deciso di non avere segreti e così sarebbe stato, per quanto alcuni discorsi potessero essere difficili da affrontare col figlio.
Circondato della sua famiglia, raccontò del suo progetto, senza dimenticare le preoccupazioni che l'avevano tormentato. Fu sollevato nel constatare che né i figli né la moglie lo consideravano folle o poco assennato: semmai, non amavano particolarmente l'idea di vederlo partire per così tanto tempo, diretto in una regione che nessuno di loro conosceva bene. Dorne, il Sud, inesplorato e caldo, pieno di insidie. Parte della sua famiglia, eppure così lontano da sembrargli una favola.
 
“È l'unica soluzione a cui sia riuscito a pensare, Lya. Non sarà facile, i Martell non saranno esattamente esaltati all'idea di rivedere un parente acquisito creduto morto da anni... ma devo tentare. Ora come non mai ho pensato al nostro futuro, al Trono, e a quello che mi aspetta se continuerò a restare in attesa di un miracolo, o di qualsiasi segno gli Déi vogliano inviarmi. Non posso lasciarvi questa eredità. Non devo farlo. Io...”
Si era interrotto, incapace di trovare altre parole. Come avrebbe potuto dipingere la propria costernazione per farla apparire meno pesante?
 
“Padre, portami con te, ti prego.” Aegon si alzò di scatto, accompagnando la preoccupazione del tono di Lyanna col suo solito impeto. “Potrai convincerli meglio... i miei zii hanno bisogno di vederti forte, deciso. Se sarò con te, magari riusciremo ad arrivare subito ad una trattativa.”
 
Piantò sul viso del padre i suoi grandi occhi viola, una ciocca di capelli argentei che si posava leggera a schermarli: era lo sguardo che gli riservava ogni volta che era necessario penetrare la corazza di malinconia e gentilezza che il principe poneva davanti a sé, perfino con i suoi figli. Una corazza che cadeva presto, a patto di avere la pazienza necessaria per scavare in profondità e vincere la riservatezza di Rhaegar Targaryen... cosa che a Aegon era sempre riuscita bene. Suo figlio mescolava il sangue caldo di Dorne con quello del drago con un pizzico dell'eleganza e della compostezza paterne, in un misto che non mancava mai di far sorridere suo padre. Al principe Oberyn e a Doran Martell sarebbe piaciuto, di quello potevano stare certi... ma cosa avrebbero pensato del suo terzo erede, il piccolo lupo?
 
Jon sembrava avergli letto nel pensiero.
 
“Padre... non dovete preoccuparvi per me. So che questo viaggio riguarda voi ed Aegon in prima persona.” Per un attimo gli sembrò quasi che il figlio stesse per abbassare gli occhi, ma una scintilla più decisa, quasi ribelle, li illuminò l'istante successivo, riscaldandolo.
“E poi, uno Stark deve sempre restare a Grande Inverno. Ora che mio zio Ned è lontano, zia Catelyn e Robb hanno bisogno di me... e mia madre non deve restare sola. La proteggerò io, mentre voi siete lontani. Ve lo prometto.”
 
Era così serio, così pronto a portare sulle spalle quella responsabilità, da costringere Rhegar a sciogliersi in un sorriso. Lyanna lo cinse in un abbraccio, accarezzandogli i riccioli scuri e stringendolo come faceva quando era un bambino, un fagottino di carne e sangue appena staccatosi dal suo corpo, delicato e bisognoso di protezione, un lupacchiotto non ancora presentato al suo branco... e, presto, il principe sentì di non poter restare fermo dove si trovava: allargò le braccia e cinse entrambi i figli in un abbraccio, allungandosi per attirare a sé anche la moglie, felice di essere lì, in quel momento e di averli al suo fianco. Quattro persone divise da una serie di circostanze e poi riunite, come doveva essere, come pezzi di un mosaico che formavano un disegno perfetto solo se disposti in un certo modo.
 
Sorrise di nuovo, pieno di quella sensazione di calma e completezza che lo pervadeva ogni volta che si ritrovava accanto alla sua famiglia. Da quant'era che non si sentiva in quel modo?
 
“Allora è deciso. Partiremo domani mattina.”
 
 
 
 
***
 
 
 
“Prometti che starai attento e non farai imprudenze.”
“Non fare imprudenze? Sbaglio, o quella che si cacciava sempre in guai più grossi di lei eri tu, Cavaliere dell'Albero che Ride?”
 
Un buffetto affettuoso sulla guancia. “Parlo sul serio, mio principe. Dorne non è esattamente dietro l'angolo, siete in due e non avete nemmeno una scorta in grado di respingere un attacco... regno o non regno, la tua vita è più importante. Non c'è nulla di più importante di Rhaegar Targaryen e di suo figlio... dei miei figli. Ricordalo sempre.”
 
Lyanna gli sembrava preoccupata, per quanto riuscisse a nasconderlo molto bene. Quella che una volta era stata una ragazza irruenta e vivace, col tempo si era trasformata in una madre saggia e una moglie amorevole e intelligente, per quanto una punta di coraggio sfrontato fosse rimasta in lei, chiusa nel suo cuore, dove solo il marito poteva vederla.
 
“Non potrei dimenticarlo. Lya... mi dispiace.”
“Di cosa? Di non poter scatenare un incidente diplomatico con me?” ridacchiò lei. Almeno, non sembrava offesa. Sperava che non lo fosse.
“Di non poterti portare a Dorne. Sai meglio di me che ti amo e che mai potrei vergognarmi di te, ma non posso lasciarti entrare lì. Nascerebbero dei problemi che non posso affrontare... non voglio esporti a questioni nate dal mio egoismo. È meglio che resti al sicuro qui, assieme a Jon; se mi dovesse succedere qualcosa, puoi sempre riprendere le redini della situazione. Sai che ripongo in te la massima fiducia.”
 
Lei non rispose: tirò verso di sé le briglie dello stallone del marito, quel tanto che le bastava per fargli abbassare la testa e poter appoggiare le labbra su quelle di lui. La sua bocca era morbida, lo baciava con avidità, con dolcezza ma anche con tristezza, come se non volesse mai farlo andare via. Come quando erano solo due ragazzini e si incontravano in segreto dopo il torneo, baciandosi per salutarsi, con tanta intensità da non riuscire a sentire più nulla attorno a loro, quasi il mondo fosse scomparso, inghiottito dalla segretezza del loro incontro.
 
Si staccarono quasi subito. La donna gli rivolse un cenno di saluto malinconico, mentre la scorta iniziava a farsi strada lungo il camminamento che portava all'esterno della fortezza e Jon salutava il fratellastro, affibbiandogli la solita pacca affettuosa sulla spalla. Aegon balzò sul suo cavallo e si affiancò al padre, in attesa di ordini. Irruento come sempre.
 
Si lasciò alle spalle la vegetazione rigogliosa del Nord e le torri di pietra di Grande Inverno mentre il sole sorgeva, pronto a colorare le cime delle montagne lontane con la sua luce tiepida. Presto vedrò solo sabbia e piante desertiche, e il calore ci costringerà a viaggiare di notte, pensò, forzandosi a non guardare indietro. Aveva visto Dorne solo un paio di volte in quasi quarant'anni di vita, ma non si sarebbe mai più abituato ad un paesaggio tanto diverso, non dopo aver vissuto per anni nelle terre del Nord.
 
Né si sarebbe abituato con tanta facilità alla mancanza di Lyanna.
 
 
 
 
***
 
 
 
La notizia si era fatta strada tra le mura di pietra, rimbalzando da una parte all'altra con la velocità del suono: il re era partito per una caccia quella mattina, ma qualcosa era andato storto. Chi parlava di una freccia che aveva sbagliato direzione, chi di una caduta accidentale, qualcuno malignava sul fatto che, probabilmente, Sua Maestà Robert Baratheon era ubriaco fradicio come al solito... alcune, le più inquietanti, suggerivano il coinvolgimento del veleno o di un cospiratore stanco di quel sovrano così poco portato per il governo, ma venivano tacciate in un attimo per paura che potessero diffondersi eccessivamente. Su una sola cosa le voci concordavano: Robert Baratheon era stato caricato e ferito dalla bestia che avrebbe dovuto riportare al castello come trofeo, gettando il suo giovane scudiero Lancel Lannister nel panico. Era stato portato di corsa nelle sue stanze e assistito da ogni maestro nelle vicinanze, ma la gravità della sua ferita faceva mormorare e scuotere la testa ad ognuno di loro.
 
Davanti alla sua stanza si era raccolto un gran numero di persone: servette incaricate di portare acqua e unguenti medicinali, Maestri, un septon che borbottava preghiere a mezza bocca, nobili preoccupati... fatto chiamare di corsa in qualità di Primo Cavaliere e amico del re, un'espressione preoccupata quanto quella che aveva avuto il giorno in cui Jon Arryn aveva chiesto espressamente di lui, uno sguardo che mostrava chiaramente quanto ritenesse grave la situazione. Aveva detto a Robert di non bere. Lo aveva pregato, scongiurato di pensare meno alle cacce e ai divertimenti e più al suo regno. Aveva iniziato a parlargli dei suoi sospetti, poco a poco... di quanto Jon aveva scoperto, di quale segreto sua moglie nascondesse. Forse era stato avventato, stupidamente imprudente, forse il suo era un atto di egoismo, degno di un uomo che vuole liberarsi di un segreto scomodo... ma ci aveva provato. Solo che Robert, al solito, non gli aveva prestato orecchio più di tanto.
 
“Concedimi un attimo di respiro, Ned. Il Concilio Ristretto non mi dà tregua, non ce la faccio a sopportare troppe notizie assieme... ma ti prometto che ne parleremo. Presto. Così mi spiegherai meglio cosa aveva in mente Jon.”
 
Presto, aveva detto. Da quel momento in poi, le cose sembravano essere precipitate tutte assieme. Ned Stark scosse la testa: aveva lasciato Sansa e Arya alle loro lezioni di cucito, sperando di poter tornare da loro col cuore rasserenato da una risposta positiva di Robert, ma la vita continuava a dimostrargli che le cose non andavano mai come avrebbe sperato. Nemmeno quando ogni indizio sembrava essere a favore di una buona riuscita del piano.
 
In tutta quella confusione, si era dimenticato di riporre il diario di Jon Arryn al sicuro nel baule, come al solito.
 

 
 






Noticine di Nat
E siamo già al ventiduesimo capitolo. Wow!
Di nuovo, mi trovo a dover chiedere scusa per il lasso di tempo enorme tra un capitolo e l'altro: come forse avrete capito, l'ispirazione, causa esami, ultimamente latita parecchio. Dopo una decina di capitoli super-movimentati e pieni di eventi, sono arrivata a quelli più "statici", nei quali gli eventi si dipanano per portare ad altre sottotrame... come al solito non ne sono mai soddisfatta, ma spero che - almeno per voi - non si tratti di una lettura noiosa e monotona.
Grazie ancora per tutti i preferiti, i "seguiti" e i "ricordati", mi riempite sempre di gioia! ;)

Nat

 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***


Capitolo XXIII
 
 
 


“I don’t know what we’re doing,
I don’t know what we’ve done,
but the fire is coming
so I think we should run.”
 [Daughter - Run]

 
 
 
 


Suo figlio cavalcava a briglia sciolta davanti a lui, e tutto ciò che riusciva a vedere erano i suoi capelli d’argento. Brillavano nel sole come pigri fili preziosi lasciati scivolare da un ricamo non terminato, ne catturavano i raggi e rischiavano di abbagliarlo ogni volta che distoglieva lo sguardo dalla strada per fissarlo altrove, preso com’era dal nervosismo per quell’incontro coi principi di Dorne.

Oberyn Martell. Quante volte aveva ripetuto quel nome nella mente, girandolo, sussurrandolo, trasformandolo in un concetto astratto che continuava a sfuggirgli inesorabilmente? E quante volte si era chiesto se aveva fatto davvero bene, a portare con sé solo suo figlio e un piccolo numero di guardie fidate, strategicamente prive di stendardi se non per un piccolo vessillo dei Targaryen che aveva fatto realizzare appositamente per quella visita? Troppe, tanto che si era stufato di tormentarsi e aveva semplicemente accantonato il tutto concentrandosi sul percorso da compiere per giungere alla meta, all’estremità opposta del Continente Occidentale. Giorni di marcia, di pioggia e sole, di vento e di attesa. Soprattutto di attesa.

Aegon non gli sembrava scontento, e forse era l’unico a sentirsi in quel modo, tra loro. Il suo cavallo procedeva spedito in testa al corteo – lo aveva lasciato fare, un po’ di entusiasmo avrebbe sollevato l’umore a tutti – distanziandoli di poco, il ragazzo stringeva le briglie e ogni tanto si voltava per controllare che il padre lo seguisse senza allontanarsi dai suoi uomini, ricevendo in cambio occhiate ora attente, ora distratte, e qualche sorriso appena accennato. Rhaegar ripensò al ragazzo che era stato anche lui, ma trovò difficile accostare il giovane silenzioso e amante dei libri, completamente immerso nell’amore per la propria arpa, all’irruenza del figlio e alla vivacità del sangue dorniano che scorreva nelle sue vene.
Qualunque pensiero l’avrebbe distratto dall’idea di Dorne e della lontananza da Lyanna, il problema è che non gli riusciva di afferrare quello giusto. Ogni attimo era buono per tornare a tormentarsi su ciò che non era ancora avvenuto, creare ipotesi nella propria testa, negoziare col nulla. Voglio riconquistare i Sette Regni e restituirli alla mia dinastia, come deve essere fatto. Ma ho bisogno del vostro aiuto, siamo deboli e soli, io e mio figlio. Quale sarà il prezzo da pagare?
Troppa umiltà non avrebbe giovato all’immagine di un futuro regnante, ma non sarebbe risultato credibile fingendosi potente, più temibile di quanto non fosse in realtà. Gli sembrava di vederli, il principe Doran e suo fratello Oberyn che lo osservavano di sottecchi, sprezzanti, inavvicinabili… ma non aveva alternative, se non quella di inchinarsi e accettare ciò che il destino gli avrebbe consegnato. Lo doveva ad Aegon, a Jon, a sua moglie: l’unico indennizzo ad una vita di rinunce e segretezza, dopo averle portato via una parte di giovinezza.
Sempre che non avesse vacillato prima di poter ottenere alcunché, come temeva sarebbe successo…

Scrollò la testa per impedire a quel pensiero di attecchire alla sua mente, tentando di concentrarsi nuovamente sul paesaggio. Erano in viaggio da giorni, circondati da sabbie e vegetazione sempre più scarsa, con le torri di Lancia del Sole dritte davanti a loro, come soldati sull’attenti in attesa di ordini.
 
 

***
 
 

Una regina deve sorridere quando il momento lo richiede e piangere quando sono i suoi sudditi a farlo per primi, così le aveva insegnato suo padre. Non deve mostrare la propria vera faccia dietro alla maschera di magnanimità e grandezza che le copre il viso. I sudditi devono vedere solo quello che un regnante decide di fare mostra, che si tratti di gioia o di dolore: scoprire il proprio viso significa rendersi vulnerabili. E la vulnerabilità è l’ultima cosa che una regina può desiderare.
Tywin Lannister insegnava con voce severa e sua figlia, per quanto sembrasse la meno adatta a ricevere le sue lezioni, taceva e imparava. E aveva conservato quegli insegnamenti per anni, fino a quel giorno.
Suo marito, il re, stava morendo. Suo figlio Joffrey era ancora troppo giovane per poter governare. Era la regina, ora, a tirare le fila di tutto. Perché allora non si sentiva soddisfatta, come se le mancasse qualcosa di fondamentale che non riusciva a richiamare a sé per quanto potesse sforzarsi?
Strinse un pugno, appoggiandolo con tanta foga sulla pietra della finestra da graffiarsi il lato della mano. Reggeva le redini dei Sette Regni, ormai. Era la donna più potente di Approdo del Re, forse dell’intero Continente Occidentale. Suo marito stava per morire, lasciandole quel ruolo che aveva sognato per anni, per una vita intera. Avrebbe potuto finalmente decidere da sola cosa fare, come agire…
Eppure restava lì, ferma, a mordersi le labbra. Una ragazzina insicura che si era sempre nascosta dietro una maschera adatta ad ogni occasione, senza tradire gli insegnamenti del padre. Tywin Lannister sarebbe stato fiero di lei: chissà, forse l’avrebbe davvero lasciata governare, senza cercarle per forza un nuovo marito a cui affiancarla. E poi…

Il rumore di un’armatura che si avvicinava lungo il corridoio la strappò ai suoi pensieri, riportandola alla realtà. Jaime.

“Hai avvelenato il vino, non è vero?”

Cersei ne aveva sopportate abbastanza per quel giorno da lasciar passare anche l’insolenza del fratello. Scattò in avanti, spingendogli prepotentemente una mano sulla bocca, per quanto il corridoio fosse praticamente deserto. “Stai zitto, idiota! Vuoi che ci sentano fino a Grande Inverno?”

“Pensi che sia rimasto ancora qualcuno che non abbia capito la tua strategia?” fu la sua risposta, arrogante, un’aggressività preoccupata e trattenuta a stento. Jaime sorrise amaramente. “Robert sta morendo, ferito da un cinghiale che avrebbe dovuto abbattere… ed era ubriaco, per colmo della sfortuna. Che caso, vero? Un marito ingombrante, che non ti ha mai amata,che scompare in circostanze tragiche e lascia tre figli, nessuno dei quali può governare.” Si interruppe un attimo, solo per lanciare uno sguardo alla sorella. Cersei cercava di trattenere a stento il livore, così come Jaime controllava la rabbia senza farla esplodere, accarezzandola come avrebbe fatto con una belva feroce pronta da aizzare al momento giusto. “Quale occasione migliore di regnare per una splendida, giovane regina? Era un peccato sprecarla, non sarebbe stato da te.”

La donna aveva preso a camminare per la stanza. Jaime continuò, imperterrito, vomitava tutti i pensieri peggiori che covava da quella mattina, dal momento in cui era stato richiamato per pattugliare il castello mentre i Maestri si affollavano fuori dalla stanza del re. Non provava una grande simpatia per Robert, doveva essere onesto, e non aveva esitato prima di restare vicino a sua sorella infischiandosene del marito, ma da lì a desiderare di vederlo morire…

“Così, ora hai ottenuto quello che vuoi, Cersei. Sarai regina… a meno che nostro padre non decida di riprendere il controllo del gioco e di usarti come pedina, cosa che probabilmente farà.” Si concesse un attimo di pausa. Voci lontane, non ben identificate, si inseguivano per i corridoi. “Non ci avevi pensato?”

A Cersei tremava la voce, ma fu un attimo: il secondo dopo, ogni traccia di incertezza era sparita, mentre la rabbia finalmente iniziava ad attaccare il suo bersaglio. Era in piedi davanti a Jaime e lo fissava come non aveva mai fatto in vita sua, livida, il tremito delle labbra che si trasferiva alle mani.

“L’ho fatto per noi, Jaime. Solo per me stessa… e per noi. Non lo capisci? O forse non te ne importa più nulla, dato che sei venuto qui ad accusarmi del delitto… al quale hai partecipato anche tu? Si, anche tu… indirettamente, hai contribuito ad aiutarmi, e abbiamo tre figli, nati alle spalle di Robert. Credi di essere innocente, Cavaliere della Guardia Reale senza macchia? Ti senti al sicuro?”

Gridava sempre più forte, ormai, sentiva la gola seccarsi e afferrare la voce per spegnerla, senza riuscirci. Le cose non stavano andando come desiderava, si sentiva debole e più la debolezza aumentava, più una sensazione di impotenza rabbiosa si faceva viva e la pungolava, impedendole di ragionare con lucidità. Si era ripromessa di chiedere a Jaime di aiutarla, come fratello e come l’unico uomo che amava e che avrebbe voluto al suo fianco, ma sentiva di non potercela fare più. Non in quel clima, non con il gemello che le dava della stupida accusandola di aver commesso un azione con leggerezza, tanto per giocare a fare la governante perfetta. Come avrebbe potuto fidarsi di lui, ora che le aveva voltato le spalle?

Ma Jaime si era già girato verso la porta, e nel suo sguardo c’era qualcosa di stanco e anziano, quasi fosse invecchiato di dieci anni in una notte. Anche la voce con cui le rispose era incolore.

“No, Cersei. Non l’hai fatto per me. Hai smesso da tempo di considerarmi l’unica cosa per cui valga la pena combattere, e lo sai anche tu. Lascerei perdere ogni cosa e smetterei con questa farsa, se solo non mi importasse davvero dei nostri figli… loro non hanno colpa della nostra stupidità. Né delle tue ambizioni.”

“Nostro padre non metterà le mani sul regno, Jaime. Non finché io sarò regina dei Sette Regni.”

Cersei era pallida come non l’aveva mai vista, il bel viso sciupato, consumato dalla foga che l’aveva scossa durante quella conversazione. Un altro Jaime l’avrebbe abbracciata, consolandola, lui non poteva cedere: si era ripromesso di staccarsi dall’influenza che aveva su di lui. Sua sorella avrebbe potuto anche continuare ad inseguire una gloria irraggiungibile, ma lo avrebbe fatto da sola.

“Vorrei che fosse così semplice, Cersei… sfortunatamente, conosci nostro padre bene quanto me.”
Le voltò le spalle ancora, ed ebbe la sensazione di riguardare se stesso che compiva la medesima azione innumerevoli volte senza trovare pace. Scosse la testa senza dire nulla mentre abbandonava la stanza con passo grave, l’armatura da Guardia Reale che gli conferiva prestigio anche se non c’era nessuno a vederlo e a confidare in lui, lì nel corridoio, mentre tutto il castello aspettava.

Dietro di lui, Cersei fissava la sua schiena lucente di metallo, le labbra ancora trattenute in una linea sottile che restava ferma, la rabbia che ancora galoppava. Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma rimase in silenzio.
 
 

***
 


Il Principe Doran Martell di Lancia del Sole li aspettava nel cortile del suo palazzo, seduto su un’elegante poltrona dallo schienale imbottito.

Rhaegar Targaryen e suo figlio Aegon erano stati accolti come si conveniva a dei principi del loro rango: con acqua fresca e frutta di stagione, e dei servi che avevano provveduto a farli accomodare nella zona più areata del cortile, in attesa che i principi li ricevessero. Con grande sorpresa di Rhaegar, nessuno sembrava particolarmente stupito della loro presenza, come se fosse quasi normale veder comparire un uomo creduto morto da anni in compagnia del figlio, così da un momento all’altro. Forse la notizia della battaglia del Tridente non era giunta fin lì… o forse – aveva più senso – gli uccelletti erano arrivati fin lì a cinguettare notizie che erano rimaste all’interno del palazzo di Lancia del Sole.
Quando erano stati chiamati per la loro udienza, avevano seguito una serva alta e sottile dai capelli neri lunghissimi lungo un corridoio con i pavimenti di pietra battuta e costeggiato da colonne fino ai giardini interni al palazzo. Il principe Doran, cognato di Rhaegar e zio di Aegon, era seduto su una poltrona imbottita non lontano da una splendida fontana colma d’acqua, dove dei pesci rossi nuotavano tra le piante galleggianti. La gamba malata poggiava su di uno sgabello intarsiato, ma nonostante la sua salute non fosse delle migliori lo sguardo del principe era sempre attento, pronto a cogliere qualunque variazione d’umore passasse sul viso dei propri familiari o cortigiani.

Alle sue spalle, in piedi, c’era il principe Oberyn, il più giovane della famiglia. Quel giorno indossava un abito ocra aperto sul petto, finemente ricamato, e osservava i nuovi arrivati con uno sguardo calcolatore che non piacque affatto a Rhaegar. Fin dall’inizio aveva compreso che il principe sarebbe stato l’ostacolo più grande al raggiungimento del suo obiettivo, ma aveva cercato di accantonare quel pensiero, concentrandosi su ciò che avrebbe dovuto dire per spiegare la sua situazione… con gli occhi dell’uomo addosso, però, si rese conto di aver sbagliato nel dimenticare proprio quel dettaglio. Oberyn non sembrava esattamente intenzionato a lasciarli andare con facilità, e l’idea di Aegon di smuovere l’animo degli zii solo mostrandosi sembrava goffa e ingenua, impossibile da portare a compimento. Avrebbe dovuto lottare per affermarsi, lo sentiva. Del resto, ci era abituato.

Doran li salutò con un gesto della mano e un sorriso, enorme, rivolto al nipote. “Aegon, ragazzo… non pensavo che sarebbe mai arrivato il giorno in cui ci saremmo incontrati. E, principe Rhaegar… i miei rispetti. Siete i benvenuti qui, per cui potete accomodarvi dove preferite.” Fece cenno a degli sgabelli disposti attorno ad un tavolino carico di incensi e portate di cibo, così che gli ospiti potessero accomodarsi. Oberyn restava in piedi dietro alla sedia col sorriso stampato sulle labbra, finché non ruppe il silenzio con poche frasi scelte con cura.
“Principe Rhaegar… ed Aegon, mio nipote. Qual buon vento vi porta qui dal Nord? Sicuramente qualcosa di importante, se vi siete scomodati a compiere un viaggio così lungo.”

Rhaegar inspirò profondamente, sperando che la preoccupazione che provava non fosse trapelata attraverso il viso. Per un attimo ebbe la tentazione di allontanare il figlio toccandogli leggermente il braccio, come aveva fatto fino a quel momento ogni volta che doveva discutere di situazioni difficili e di decisioni importanti, ma capì che non poteva farlo: Aegon era cresciuto, ormai era abbastanza adulto da essere coinvolto in prima persona nelle discussioni che lo riguardavano. Conosceva la storia della propria famiglia, le sue origini. E quelli di fronte a lui, che a Rhaegar piacesse o no, erano i suoi zii. Sangue del suo sangue. Come avrebbe reagito Elia, se avesse saputo che il marito lo aveva considerato un bambino per l’ennesima volta?

Non doveva proteggerlo da nessuno. Erano lì, insieme, e si sarebbero sostenuti a vicenda.

Raccolse le forze e si sedette assieme al figlio, pronto a raccontare la storia dall’inizio. Non proprio dal vero inizio – quella di Jon l’avrebbe custodita per sé, riguardava solo lui e Lyanna, alla fine -  ma abbastanza dall’inizio da permettere ad entrambi di farsi un’idea della situazione: Dorne, il regno più riluttante a far parte dei Sette, era sempre stato il più isolato.
“Spero che abbiate tempo, miei principi, perché il vento che mi porta ha molto da dire. E non basteranno poche ore, temo, per discutere del problema che necessita la vostra attenzione.”

Accanto a lui, Aegon spostava lo sguardo dai papiri a bagno nell’acqua della fontana all’abito ocra di suo zio Oberyn, la Vipera Rossa di Dorne, senza saper bene dove fermarlo.
 
 
***
 
 


Robert Baratheon morì un pomeriggio, prima che il principe Rhaegar giungesse a Lancia del Sole.

Morì mentre il giovane che credeva suo figlio, Joffrey, si esercitava nell’uso delle armi in cortile, la mente già piena di sogni sul momento in cui sarebbe succeduto al padre diventando re. Morì mentre, al Nord, la donna che aveva amato per anni sedeva accanto alla finestra della torre più alta di Grande Inverno pensando al marito in viaggio per il Sud. Non si erano più visti, lui e Lyanna, ma l’immagine di lei gli aveva attraversato la mente, di tanto in tanto. Assieme al pensiero che, per quanto potesse averla amata e la amasse ancora, probabilmente gli Déi avevano scelto un destino diverso per entrambi.
Ned Stark era al suo capezzale, pronto a trascrivere le sue volontà, solo con le scoperte che aveva appena fatto: ora che anche Robert moriva, era l’unico a sapere la verità sulle ricerche di Jon Arryn in merito alla discendenza del legittimo re. La prudenza gli suggeriva di lasciar perdere e portare quel segreto con sé una volta terminato l’incarico di Primo Cavaliere, ma l’idea che non fosse giusto, che i Sette Regni non potevano essere lasciati nelle mani di una donna pronta a tutto pur di ottenere ciò che desiderava, continuava a tormentarlo.

Forse avrebbe continuato ancora, fino a che non avesse preso una decisione riguardo a quel diario che occupava il suo baule, e sembrava pesare più di un macigno.

 
 
 









Noticine di Nat
Niente da dire, se non che il ritardo è stato veramente abissale e che, tra tesi di laurea da scrivere, altre fanfiction e vari cali di ispirazione, purtroppo sono riuscita a produrre poco o nulla. Un capitolo di passaggio, ma che in qualche modo introduce gli eventi verso una grossa svolta, forse la più grande finora.
Fuggo, ma prima ci tengo a ringraziare tantissimo chi, nonostante il ritardo negli aggiornamenti, continua a leggere, recensire e aggiungere la storia a preferite e seguite. Siete sempre tantissimi e spero sempre di non deludervi <3


Piccolo edit di Settembre 2017
Ehi, prode lettore! Proprio tu, che ti sia avvicinato solo ora alla mia storia o che sia rimasto nonostante i vari ritardi e gli aggiornamenti così distanti tra loro!
Grazie di cuore per il tuo appoggio e per tutto l'amore che hai dedicato al mio lavoro, leggendolo, inserendolo nelle preferite/seguite/ricordate/, commentandolo... il blocco dello scrittore mi è stato addosso per mesi e non avevo molta voglia di continuare questa fanfiction, anche se Rhaegar e Lyanna sono una delle mie OTP assolute e adoro scrivere su di loro. Poi, tra ultimi esami e tesi di laurea, potrai capire che ho potuto dedicarmi ben poco alla scrittura... fino al finale della settima stagione. Il tuo entusiasmo, il lavoro di brainstorming ed editing fatto assieme alla bae Ailisea e la canonizzazione della R+L hanno riacceso la voglia di riprendere in mano tutto il lavoro, che hai appena letto in versione editata e corretta. Spero davvero che l'ispirazione mi assista costantemente, per regalarti altri aggiornamenti che ti appassionino come i precedenti! Nel frattempo, però, ti ringrazio ancora di cuore e spero di trovarti ancora tra i miei lettori, anche in storie di altri fandom :)

Rey
 

 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV ***


Capitolo XXIV
 
 




“These are hard times for dreamers
and love lost believers.”
[MSMR – Bones]
 
 
 




Era partita immediatamente, non appena gli stallieri avevano sellato il suo cavallo ed era riuscita a rimediare qualche provvista per il viaggio.

Aveva baciato sulla testa il figlio come faceva quando era ancora un bambino, poi era salita in sella alla sua Visenya e aveva atteso che gli uomini della scorta che l’avrebbe accompagnata caricassero quanto sarebbe servito per arrivare fino ad Approdo del Re. Ci avrebbero messo settimane, ragion per cui non voleva attendere un attimo di più per andarsene.  
Sua cognata l’avrebbe seguita: voleva restarle vicina, e quanto era successo necessitava urgentemente anche la sua presenza. Sulle prime l’idea di lasciare soli Robb, Jon e i bambini per tanto tempo l’aveva turbata, ma i ragazzi potevano contare su Ser Rodrik e Maestro Luwin… e Robb era abbastanza grande per sostituire il padre come Lord di Grande Inverno. Non avevano nulla da temere. Tutto ciò che avrebbero dovuto fare era precipitarsi alla corte il prima possibile, prima che fosse troppo tardi.

Lyanna si morse un labbro, piena di pensieri che già avevano minacciato di travolgerla al mattino, quando le era stato portato il messaggio arrivato via corvo da Approdo del Re. Se già una partenza improvvisa come quella l’aveva riempita di ansia, l’idea di non poter contattare Rhaegar per chiedergli consiglio era insopportabile. Le mancava l’appoggio del marito, il suo sorriso, un semplice andrà tutto bene, Lya che riusciva sempre a farle tornare la speranza al momento giusto… avrebbe potuto inviargli un messaggio di emergenza, le circostanze lo permettevano. Ma non voleva aggiungere altra pena all’incontro coi suoi parenti, altre preoccupazioni che non meritava. Doveva cavarsela da sola, e affidare a Jon le spiegazioni: lei, Catelyn e una piccola scorta avrebbero raggiunto Ned ad Approdo del Re. Suo fratello era appena stato accusato di aver complottato contro la Corona, e stava per subire un processo.

Il paesaggio si snodava intorno a loro, meraviglioso e selvaggio, ma non riusciva a goderselo. Non aveva in mente altro che la pergamena recapitata dal corvo, la calligrafia precisa che la ricopriva, il pensiero di Ned rinchiuso in qualche segreta da chissà quanti giorni, provato, stanco. Robert era morto, l’uccello aveva portato anche quel messaggio, e alla confusione si era aggiunta anche una stilla di dispiacere, ricordando il loro ultimo incontro qualche mese prima. Aveva accartocciato il messaggio, appoggiandosi alla balconata di pietra per non cadere. Ned Stark è stato imprigionato. Minacce alla regina. Complotto contro la Corona. Processo. Segrete. Udienza. Parole staccate tra loro, incoerenti, che le danzavano nella mente come impazzite. Non era possibile. Non suo fratello Ned.

Si fermarono una prima volta nei pressi di Porto Bianco, ad una piccola taverna la cui insegna di legno era stata corrosa dal tempo e dalle piogge. Catelyn mangiava in silenzio, ogni tanto guardava fuori da una delle finestre e stringeva le labbra, come se stesse elaborando e cancellando migliaia di discorsi allo stesso tempo, mentre gli uomini della scorta davano da mangiare ai cavalli e portavano sui volti tanti sguardi cupi, tutti uguali. Qualcosa di brutto stava succedendo, ormai l’avevano capito anche loro: conoscevano Ned Stark, e si rendevano conto che, dietro alle accuse che gli pendevano sulla testa, doveva esserci qualcosa.

Ned non avrebbe mai potuto tramare contro Robert. Era il suo migliore amico. Ha accettato di diventare il suo Primo Cavaliere, di vivere al Sud e lasciare Grande Inverno, la sua casa. Lyanna si mordeva l’interno di una guancia, incapace di fermare il moto dei suoi pensieri. Ha portato Sansa e Arya fin laggiù, ha lasciato sua moglie, la sua famiglia. Come avrebbe potuto farlo? Non l’avrebbe mai fatto. È una bugia. È solo una bugia. Deve essere un inganno.

Poggiò la testa tra le mani, sconfitta, desiderando di aver portato almeno il figlio con sé… anche se si rendeva perfettamente conto che, se avesse voluto proteggerlo davvero, avrebbe dovuto affrontare tutta quella faccenda da sola.
 
 

 

***
 

Ned Stark spalancò gli occhi e si alzò, trascinato fuori da uno dei tanti incubi che popolavano le sue notti.

Era stato condotto in una delle celle solo una settimana prima, eppure gli sembrava di aver trascorso secoli nei sotterranei. Che tempo faceva, là fuori? Come stavano le sue figlie? Aveva lasciato Sansa turbata, gli occhi pieni di spavento, mentre Arya era sotto la custodia di Syrio Forel, il maestro di spada braavosiano che aveva trovato per lei… ma non sapeva altro. Nessuno voleva dirgli come stavano, cosa stava tramando la regina per loro: le guardie che ogni giorno deponevano un piatto di cibo stantio davanti alla sua porta erano sorde ad ogni domanda.

Poteva solamente aspettare. Aspettare, e maledire la sua dannata ingenuità, quel senso dell’onore che l’aveva spinto ad esporsi fino a tentare un colloquio diretto con la regina. Aveva affrontato la leonessa nella sua tana, e cosa aveva ottenuto? Nulla. Un sorriso scaltro da parte della donna che avrebbe dovuto proteggere e amministrare i Sette Regni alla morte del marito, un sorriso calcolatore, degno di chi stava solo aspettando la mossa dell’altro per mettere in moto il proprio piano. Un ragno paziente, che tesse la sua tela in silenzio e resta fermo, osserva la mosca che prova a farsi strada… solo per restare invischiata nella tela, senza possibilità di fuga.

Jon era morto perché aveva scoperto un segreto che non avrebbe dovuto conoscere: il diario era sparito la sera stessa del suo colloquio con Cersei Lannister. Anche Robert Baratheon era morto, ma non sapeva nulla delle macchinazioni di sua moglie… no, probabilmente la regina aveva solo scelto di togliere di mezzo l’altro ostacolo che le impediva di stringere tra le mani il destino dei Sette Regni, approfittando delle debolezze di Robert e di quella battuta di caccia organizzata a tempo debito, senza rendersi conto che il comando non sarebbe mai stato davvero suo, non con Tywin Lannister alle sue spalle. Lui aveva raccolto quelle prove, si era fidato pienamente di Jon: qualcuno avrebbe dovuto proseguire il suo lavoro, fare giustizia laddove l’ex Primo Cavaliere aveva fallito. Ed Eddard Stark si era preso quel peso sulle spalle, convinto fino in fondo di avere accumulato esperienza a sufficienza, di poter proporre alla sua avversaria delle condizioni abbastanza valide per convincerla ad agire seguendo la ragione. Aveva provato a giocare al Gioco in cui sembravano impegnati tutti, con solo l’onore e la consapevolezza di essere nel giusto dalla sua parte.

Fate la mossa più giusta, Vostra Altezza. Vi giuro che impedirò qualunque violenza a danno vostro, o dei vostri figli.  
Perché dovrei abdicare? aveva risposto Cersei, e sorrideva.
Se vi ritirerete, se ammetterete che vostro figlio Joffrey non è l’erede legittimo e lascerete che Stannis Baratheon venga incoronato al posto suo, potrete ritirarvi a vivere in pace lontano. Ogni parola gli sembrava immensamente sbagliata, e anche il nome di Stannis strideva con quanto avrebbe voluto dire davvero. Sarà Rhaegar Targaryen, figlio del nostro ultimo Re Folle, a riportare la pace nel regno, e suo figlio Aegon, e mio nipote Jon assieme a lui, quelle parole correvano nella sua mente, ma dovevano restare nascoste: non poteva tradire la sua famiglia.
Fate quel che è giusto per i Sette Regni, Altezza.
So riconoscere ciò che è giusto da ciò che non lo è, Lord Stark, aveva sorriso di nuovo la regina. E quando le guardie avevano fatto irruzione nella sua stanza quella sera, Ned aveva capito che quelle che aveva reputato condizioni accettabili non erano state altro che parole vuote, gettate al vento. Non era in grado di destreggiarsi con il Gioco, non quanto Cersei Lannister e la sua corte, e l’onore e la morale non l’avevano aiutato.

Aveva osato troppo, e aveva pagato quell’errore. Quella sera stessa le porte delle celle di Approdo del Re si erano aperte per lui, mentre voci che diffondevano accuse di alto tradimento e cospirazione contro il principe Joffrey lasciavano la fortezza e si dirigevano per la città, verso ogni angolo dei Sette Regni. Per fortuna le figlie non si trovavano con lui in quel momento, aveva pensato Eddard mentre le guardie chiudevano con forza la porta della cella: Sansa era con le sue cameriere e quelle della regina, Arya probabilmente giocava con Nymeria nei pressi della sua stanza. L’idea che qualcuno dovesse informarle di quella vicenda, però, gli stringeva il cuore in una morsa insopportabile.

Si sedette a fatica sulla panca di pietra che gli aveva fatto da letto, cercando di rimettere assieme i pensieri. Non aveva idea di quanto sarebbe rimasto lì dentro: le porte delle segrete spesso si aprivano senza richiudersi, ma era difficile che un prigioniero del suo rango potesse cavarsela con un semplice periodo di isolamento… no, la Regina doveva avere in serbo qualcosa di eclatante. Un processo di fronte a tutti i nobili e al Concilio Ristretto? L’esilio? O peggio, la morte per decapitazione? Non lo sapeva, e quei pensieri gli fecero girare tanto la testa da costringerlo a ricadere disteso.

Poteva solamente aspettare. Aspettare, e sperare che nessuno facesse del male alle sue figlie.
 
 

 

***
 


La luce del tramonto disegnava il vestito rosso di Cersei Lannister, un pittore pigro dalle dita leggere. La donna gettò uno sguardo alla terrazza fuori dallo studio che era stato del marito e si godette per un attimo il panorama, come Robert Baratheon non aveva mai fatto: suo marito era sempre stato troppo preso da graziose compagnie femminili e dall’alcool per prestare attenzione alla bellezza di quelle mura antiche… o ai suoi figli.

Per fortuna.

Sorseggiò del vino, poi posò il calice accanto a sé, asciugandosi una goccia dal labbro. Ned Stark aveva giocato la sua mossa esattamente come si era aspettata che facesse: attaccandola direttamente. Pieno d’onore com’era, sentiva di essere l’unico in grado di portare avanti la missione lasciatagli dall’ex Primo Cavaliere, l’unico – dopo la morte di Robert – a poterla ricondurre alla ragione. Le aveva persino offerto protezione! Lei aveva risposto, l’aveva incastrato. Il diario era sparito, e tra poco l’ultima persona in grado di ostacolare la sua famiglia avrebbe perso il suo ruolo, coperto di vergogna, dimenticato da tutti.

Suo padre aveva fatto ingresso nella stanza pochi minuti prima e le girava intorno in silenzio, allungando ogni tanto una mano verso gli oggetti che lo circondavano, gesti automatici senza particolare importanza. Stranamente non si era ancora seduto, né aveva accettato la sedia che Cersei gli aveva indicato: si limitava a gettare occhiate attorno, con un modo di fare così distaccato e rilassato che la figlia aveva iniziato ad innervosirsi. Sembrava perfettamente sicuro di sé, a suo agio, nonostante l’ultima notizia importante che aveva ricevuto riguardasse le accuse di alto tradimento mosse al Primo Cavaliere del regno. Una sicurezza che non prometteva bene.

Cersei allungò una mano verso la brocca e si versò un altro bicchiere di vino di Arbor. Sapeva di peggiorare la situazione, ma ultimamente sentiva che solo il vino poteva darle la sicurezza che cercava. Stai diventando come Robert, ridacchiò una vocina nel suo cervello, che mise subito a tacere. Tywin Lannister decise che era il momento adatto per metterla al corrente di ciò che gli attraversava la mente, e si sedette di fronte a lei.

“Come avete intenzione di disporre di Eddard Stark, tu e tuo figlio Joffrey?”

Dritto al punto, tagliente quanto bastava: suo padre non era cambiato.  Conosceva le sue intenzioni, gliele leggeva negli occhi e sapeva perfettamente che non sarebbe servito a nulla girare intorno alla questione ancora a lungo. Quella qualità che avrebbe voluto ereditare da lui non finiva di metterla in difficoltà, ma in qualche modo se lo aspettava. In qualche modo, avrebbe ottenuto ciò che voleva.

“Disporre?” un sorriso obliquo le incurvò le labbra. “La giustizia va amministrata, non credi anche tu? Eddard Stark è venuto da me blaterando idiozie riguardo ad un mio coinvolgimento nella morte di Robert, e ha preteso che mi facessi da parte. Non possiamo rischiare che complotti ulteriormente contro la Corona, magari facendosi aiutare da Stannis e Renly Baratheon e dai lord del Nord e dell’Altopiano… non sappiamo di cosa potrebbe essere capace. Un periodo in carcere potrebbe farlo diventare più… ragionevole, ecco.”

“E dopo? Hai intenzione di condannarlo a morte, così da metterci contro metà del Continente Occidentale?”
Il tono di suo padre non era di rimprovero, ma la tranquillità che stillava da ogni sillaba la inquietava di più che se le avesse gridato in faccia. Cersei strinse un pugno in grembo, mentre suo padre si rigirava tra le dita una delle coppe da vino che i servitori avevano posato sul tavolo, lanciandole ogni tanto occhiate fredde. Gli occhi azzurri sembravano ghiaccio puro.

“Cosa altro potremmo fare ad un traditore della Corona, che vuole vendere il Trono ai fratelli di quell’inetto del mio defunto marito?”Cersei cercò di mantenere la calma. “Voglio solo il bene dei miei figli, e quello del regno. Cosa fareste voi, nella mia posizione?”

“Lo invierei alla Barriera, ad esempio. O in esilio. Ti rendi conto di come verrebbe accolta una condanna a morte priva di prove, soprattutto se il condannato è un uomo noto a tutti per la propria rettitudine?” sorrise. “No, evidentemente. Altrimenti ci avresti pensato per prima. Sembra proprio che la tua impulsività non faccia altro che ostacolarti.”

Cersei si morse un labbro, trattenendosi dal gridare. Non poteva darla vinta a suo padre. Desiderava solo che il suo Primo Cavaliere venisse messo a tacere, ma lo scenario che Tywin le aveva presentato sembrava decisamente troppo realistico per ignorarlo. Se gli Stark avessero davvero approfittato di quella decisione per fomentare una rivolta contro la Corona, facendosi appoggiare dai Baratheon, e magari anche dai Tyrell? Avrebbe davvero potuto disporre di un buon esercito, in grado di annientare i suoi nemici e dimostrare la superiorità della propria famiglia? No, le sussurrava quella voce crudele nella sua testa, e aveva lo stesso tono sarcastico di suo padre.

“Eddard Stark verrà inviato alla Barriera come grazia elargita direttamente del Re, ed è meglio che tu inizi a mettertelo in testa” concluse Tywin Lannister, senza lasciarle alternative. “Puoi decidere se dare l’annuncio durante un’udienza con il Re o domani in pubblico, questo te lo concedo. Non ci sarà nessuna esecuzione, è la mia ultima parola sull’argomento.”

Cersei chinò la testa, umiliata. Non lo guardò uscire dalla stanza a passo felpato, come un anziano leone che otteneva il rispetto con la paura, quasi non sentì nemmeno Jaime che entrava e si chiudeva la porta alle spalle, sedendosi a poca distanza dal tavolo. Alzò gli occhi solo quando il gemello annunciò la propria presenza con un colpetto di tosse.

“Non possiamo liberarci di Stark.” Cersei stava cercando di liquidarlo, ma Jaime non se ne accorse, o forse non voleva farlo. “Hai sicuramente sentito nostro padre… non possiamo rischiare un attacco. La notizia si diffonderebbe, avremmo i Lord del Nord e dell’Altopiano tutti addosso. Andrà alla Barriera, e se saremo fortunati riusciremmo anche a farla sembrare una grazia speciale concessa da Joffrey.”

Jaime sorrise, ma era un sorriso amaro. “Immagino dovremmo fare in modo che non invii nessun corvo, allora. Sa ancora scrivere, a quanto mi risulta, e tagliargli le mani non gli impedirebbe comunque di far arrivare la verità alle orecchie giuste.”

“Chi vuoi che gli creda?” sbottò Cersei, alzandosi di scatto. Prese a percorrere a grandi passi la stanza, frustrata. “Un Guardiano della Notte, condannato per alto tradimento, che invia messaggi pieni di farneticazioni? È fuori discussione. Ad ogni modo, far intercettare dei messaggi e distruggerli è molto più semplice che fronteggiare l’attacco di chissà quanti Lord.”

Perché suo fratello le appariva tanto soddisfatto? Il sorrisetto che gli piegava le labbra era insopportabile da guardare, e Cersei provò l’impulso irresistibile di dargli uno schiaffo. Si ripeté per l’ennesima volta che non doveva arrabbiarsi, e che in fondo quella grazia poteva volgere a favore della Corona e del ruolo di Joffrey, ma non riusciva a togliersi dalla testa il tono di suo padre. Il sarcasmo, il fatto che le stesse dando ordini come avrebbe fatto ad una bambina piccola, o ad una serva.

“Non possiamo rischiare che si insospettisca di più” sibilò, e per quanto desiderasse mantenere un tono distaccato non riuscì a non digrignare i denti. “Avrà capito che la morte del Re è opera nostra, non è uno stupido. Se però riuscissimo a fargli credere ancora che Jon Arryn sia morto davvero di malattia, in qualunque modo, avremmo una speranza in più di continuare a governare a modo nostro.”

“A modo tuo, vuoi dire.” Jaime era vicino alla porta, e la aprì con un solo gesto. “Non sono mai stato una parte importante dei tuoi progetti, Cersei, te l’ho già detto. E in fondo, ti bastava ottenere quello che desideravi, no? Un regno tutto tuo, senza nessuno che ti dica come amministrarlo.”
Si voltò, dandole le spalle. Non si fermò nemmeno per darle un’occhiata, né aspettò abbastanza da cogliere quel “Jaime!” urlato con voce livida di furia che la sorella gli aveva appena rivolto.

 
 
 








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So di essere totalmente imperdonabile, per cui non aggiungerò altro: mi dispiace che questo aggiornamento sia arrivato così tardi. Ho lasciato perdere il fandom per un bel po', mi sono laureata, ho iniziato a lavorare e in tutto questo ho abbandonato la storia e la voglia di continuarla... finché non è arrivato il buon proposito numero 1 del 2019, che era di finire almeno questo capitolo e raccogliere idee per i prossimi. Mi rendo conto che si tratta di un capitolo "di passaggio", ma spero vi faccia comunque piacere leggerlo. Se non altro, mi è servito a tirare le fila della storia e gettare le fondamenta per la parte successiva. 
Grazie ancora per tutte le letture, le recensioni, i preferiti e le seguite. Ogni volta che mi dimostrate amore, mi sento più motivata a continuare a scrivere in generale. 

Rey

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