L'hotel Infestato

di AlsoSprachVelociraptor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - FINE ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


-Un hotel infestato dai fantasmi?-

Dennis sospirò pesantemente, mettendo a posto le scartoffie sulla sua nuova scrivania. Lucida, di mogano nero che aveva cerato fino a pochi istanti prima. Finalmente, finalmente aveva una scrivania! Quanti anni aveva passato a fare l'imbecille per strada, senza essere riconosciuto per i suoi sforzi?

Ora che Brian, il suo manager e un pezzo grosso alla BBC era andato in pensione, il suo nebuloso e non del tutto legale ruolo spettava a lui. La BBC avrebbe avuto grandi cambiamenti. Tra cui....

-Io non ci vado in culo alla Scozia per vedere dei fantasmi del cazzo!- gridò Lloyd, gli occhi fuori dalle orbite e il viso rosso di rabbia. Pestò i piedi per terra e si agitò, sbattendo le sue manacce sulla sua preziosa scrivania.

Dennis storse il naso. -Non sei grato per essere stato assunto alla BBC?- cercò di cambiare argomento.

Lloyd Richmond, nuova stella di Londra, un ragazzotto di ventitré anni basso e magrolino direttamente dall'East End e dal marcato accento cockney, trasandato e dai capelli neri spettinati sul viso infantile e pallidissimo. Nessuno si aspetterebbe quel mocciosetto ossuto dietro al genio dei più grandi cortometraggi del millennio, capaci di sconvolgere tutto il Regno Unito. Cortometraggi violenti e tremendi e pregni di sentimenti negativi ma attraenti, da cui non potevi staccare gli occhi anche se provocavano conati lungo l'esofago. Documentari crudi, seri e realisti, impegnati e comici, eppure tragici nella loro monotonia, che raccontavano dei sobborghi crudeli in cui Richmond era cresciuto.

Beh, era cresciuto poco, a vederlo. Sembrava ancora un ragazzino nodoso e pallido, troppo pallido e ossuto, quasi un... fantasma.

Dennis rise alla battuta che era fulminata nella sua mente, sotto a un'altra bestemmia del ragazzo davanti a lui.

Si schiarì la voce e cacciò le mani di Lloyd dalla sua nuova scrivania. -Farai un buon lavoro, Richmond.-

-Infilatelo su per il culo, il tuo buon lavoro- sibilò il ragazzotto, soffiandosi via dal viso i capelli. -Io non sono un cazzone che va a riprendere i fantasmini e i demonietti! Io sono un regista!-

-E fai un film allora! Ma sui fantasmi dell'albergo. Lo vuoi questo lavoro o no?-

Lloyd gridò dall'esasperazione.

Dennis gli sorrise, scartabellando ancora sulla sua nuova scrivania. Passò un foglio al ragazzo, che smise di fare i capricci definitivamente. Fissò il foglio con i suoi inquietanti occhi azzurro pallidi, per poi alzarli assieme alle sopracciglia sottili.

Oh, ora era convinto, eh?

-È un viaggio di quanti mesi tu vuoi, quanti te ne servono, pagati dalla BBC. Lo staff dell'hotel sarà a tua completa disposizione, per ogni tuo ordine.

-Ogni?- sussurrò lui.

Sapeva di Lucy, la ex assistente di Lloyd. Una giovane studentessa che aveva avuto la sfortuna di incontrare quella bestiaccia sotto forma di ragazzetto.

Avevano avuto una mezza relazione, ammesso e concesso che Lloyd avesse delle emozioni. Aveva finito per trattarla male come chiunque fosse nei paraggi di Lloyd, fino a buttarla giù dal balcone per noia. Non fu la prima, non fu l'ultima, e sicuramente non fu l'unica. Anche un paio di cameraman avevano subito la sua stessa sorte, dal set alla finestra al terzo piano del suo appartamento.

Un operatore una volta era rimasto sfregiato da una bruciatura di terzo grado causata da un gioco di Lloyd: voleva vedere fino a che punto la pelle umana reggeva il calore. Versandogli cera bollente sul viso, ovviamente.

Non era completamente centrato quel Lloyd Richmond, e usarlo ma da lontano per la BBC e per il nuovo lavoro di Dennis era il massimo. Un talento, una mente geniale nel corpo di un sociopatico rachitico.

Raramente lasciava la sua casa, il suo appartamento in cui viveva quasi come un hikikomori, un pazzo dal quoziente intellettivo incalcolabile.

La pazzia andava a braccetto con la genialità, no?

Forse non fino a quel punto.

Dennis sospirò di nuovo. La vita da ufficio non faceva per lui, ma ormai a quasi trentacinque anni non poteva più permettersi di correre dietro ai vip sul red carpet e farsi picchiare dai bodyguard come faceva quando ne aveva venti. Si ritrovava spesso a sospirare, ormai.

-Ogni- confermò Dennis. Sul volto scarno di Lloyd, finalmente, si dipinse un sorriso.

Sinistro, inquietante, ma pur sempre un sorriso.

Lloyd si calò il suo amato cappellino della Planet Holliwood di Cannes, un cimelio che si portava dietro fin da bambino, ed uscì dall'ufficio di Pennis trotterellando felice e quasi sbattendo contro l'enorme cugino di Pennis, Ken Touken, che tornava dallo stadio dove aveva lavorato fino a quel momento. Faceva il cronista delle partite di calcio, e ormai erano finite. Quando Lloyd era stato chiamato nell'ufficio dovevano ancora iniziare. Era stato dentro così tanto?

Touken era vicino alle macchinette a masticare una merendina con lo sguardo perso nel vuoto, come spesso aveva. Lloyd lo salutò con un sorrisino che di solito non aveva ma Ken era troppo perso nei suoi pensieri e, sinceramente, troppo stupido per accorgersene. Salutò col suo vocione basso e aprì la porta dell'ufficio da cui Lloyd era appena uscito, venendo accolto dalla voce acuta e fastidiosa dell'infuriato Dennis.

Erano affari suoi, non più di Lloyd.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ronansay era un'isola così brutta e piccola che non c'era nemmeno su Wikipedia, né su Google Maps.

Miserabile, patetica, eppure...

Il Mare del Nord, lì, aveva un significato diverso. Lloyd ci si era perso più volte con lo sguardo mentre era sul vecchio e sporco traghetto che l'avrebbe portato dalla Scozia fino a quell'isoletta patetica.

Era verde acqua, delle volte. Verde puro, altre volte virava sul blu freddo, e brillava di una luce intensa e mai vista prima. Altre volte era semplicemente, inquietantemente nero.

Lloyd l'aveva già visto il Mare del Nord, ma non quel Mare del Nord. Era diverso. Lo sentiva.

Arrivò quando ancora il sole non era completamente sorto e il faro dell'isola lo acciecò per qualche istante. Il capitano del traghetto, uno scozzese bastardo originario di quell'isola che già odiava, rise a voce alta quando Lloyd si ritrasse dalla fastidiosa luce del faro.

Le valigie di Lloyd erano più pesanti del ragazzo stesso, così fu praticamente obbligato a farsi aiutare da quel maledetto scozzese. Più lo guardava e più lo odiava, e forse quell'uomo se ne accorse dagli sguardi carichi d'odio del più giovane.

-Non guardarmi così, bambino. Vi conosco, voi di Londra! Simpatici, ma un po' freddi, eh?-

Lloyd non rispose.

-Dove soggiorni?-

-Al B&B vicino alla spiaggia.-

-Ah, da altri londinesi!-

Lloyd lo guardò male, ma un po' meno male del solito. Erano di Londra anche i gestori dell'albergo? Che Pennis l'avesse tradito? Divenne tutto rosso in faccia, e lo scozzese dovette averlo visto, perchè scoppiò ancora a ridere. Era così divertente?

-Ti troverai bene, anche se quell'albergo...-

-Lo so, lo so. Sono qui per questo.- rispose il londinese, con un sorrisetto beffardo che di felice o contento, però, aveva ben poco.

L'hotel faceva schifo, e non doveva essere ristrutturato o semplicemente aggiustato da un sacco di anni. Lo accolsero un uomo corpulento e una donna bassa e dal viso duro. Sorridevano entrambi, ma Lloyd piacevano poco.

Come tutti, del resto.

No, anche meno.

Dietro di loro, tre ragazzi. Un ragazzotto sovrappeso sulla trentina, dai capelli biondi a spazzola e lo sguardo da bulletto, una ragazza sulla ventina, bassa e castana dallo sguardo curioso ma non troppo, bella ma decisamente comune e col classico trucco da instagram influencer, e una ragazzetta diversa. Non assomigliava troppo agli altri due. Adolescente, molto più giovane degli altri due, i suoi capelli erano di un rosso scuro, quasi mogano, e i suoi occhi color mare non verdi, non blu, zigzagavano da Lloyd alle sue enormi valigie a Lloyd ancora, instancabili come il Mare del Nord. Alta e dalle spalle e fianchi larghi, anche se aveva un po' la faccia da cane bastonato.

-Lloyd Richmond?- fece la donna bionda, che doveva essere la madre delle tre bestie. Il suo tono era duro tanto quanto il suo viso, anche se stava cercando di sorridere, e il suo fisico era snello e affilato come un coltellino a serramanico fermo in una posa nervosa che, a giudicare dal suo viso, avrebbe probabilmente voluto piantare nell'addome del suo ospite. Lloyd annuì a malapena. Era bassa, così bassa da arrivare sì e no alle orecchie del ragazzo che si era sempre ritenuto un tappetto.

Lloyd superava a malapena il metro e settanta, e non arrivava di certo al metro e settantacinque. L'uomo al suo fianco, anche lui con accento londinese, era alto circa quanto Lloyd. La ragazzina più giovane dei tre figli era ben più alta anche dell'uomo a cui, sinceramente, non somigliava per niente.

Era probabilmente alta oltre il metro e ottanta e, sinceramente, un pensierino su di lei l'avrebbe potuto fare...

-Sono Abigail e lui è Robert. Chiamaci Abby e Robbie!- trillò la donna con una voce che però non era squillante come il tono che voleva assumere. Non le piaceva. E Lloyd era molto più bravo di lei a questo gioco.

Sfoderò un sorrisone e scosse la sua mano, mostrandole il lato più gentile di sé. Nella sua testa, si vedeva accoltellarla ripetutamente e strapparle quella odiosa faccia dall'osso del cranio. Quel pensiero rese il suo sorriso ancora più naturale e magnetico.

Era questo il suo segreto!

Robbie era solo un'imbecille che puzzava di alcol, Abby una stronza, e le tre bestiacce loro figlie non sembravano da meno.

-Loro sono Alfred, Charlotte e Johanne. Sono i nostri figli!-

I tre non dovevano essere molto più giovani o vecchi di lui, ma li salutò lo stesso con gran rispetto. L'unico maschio dei tre, il corpulento Alfie, sorrise meravigliato a quel saluto così elegante. Charley, la stronza, non lo degnò di uno sguardo. La ragazzetta, Jo, rimase intontita e ferma come pietra, evidentemente a disagio.

Odiava tutti e cinque, ora.

-È molto presto- continuò Abby, cercando di scortare Lloyd dentro l'albergo mentre Jo e Alfie prendevano le sue valigie. -vuole riposarsi un altro po'?-

Lloyd le rivolse un risolino. Lei non sapeva che lui dormiva solo quattro ore a notte, quando dormiva.

Negò e, stringendosi nel proprio enorme giaccone, fece il primo passo dentro l'albergo.

Un brivido gelido scosse la sua schiena, e Abby e famiglia cercarono di ignorare lo sguardo turbato di Lloyd.

-La sua camera è di qua, mi segua. Qui, ogni mattina, dalle sette alle dieci, si tiene la colazione. Questa è la sala degli ospiti. Spero si troverà bene qui.-

Lloyd non ne era del tutto sicuro

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


L'albergo aveva davvero qualcosa di strano.

Lloyd non credeva nei fantasmi, non ci poteva credere, però...

La temperatura interna era di diversi gradi più bassa di quella fuori, anche se era ottobre e le temperature sul Mare del Nord non erano gentili.

La sua camera era fredda, gelida, ma umida.

Ronansay non era così umida, ma l'albergo, la sua camera, quello stramaledetto posto sì.

Era strano, era ovviamente strano.

Ma ci saranno state altre spiegazioni oltre a quella del fantasma, no?

-È mai morto qualcuno qui, che voi sappiate?- chiese Lloyd alla telecamera. Aveva deciso di intervistare quella famiglia di imbecilli, così che avrebbe avuto altro materiale con cui fare quel maledetto film per Pennis.

Robbie aggrottò le folte sopracciglia scure e il viso di Abby si fece ancora più duro. -No.- rispose, tombale.

-Non qui...- sussurrò Charley, scorrendo la home di facebook sul suo cellulare. Faceva la stronza, ma il suo sguardo era molto più triste.

Era strano e non si fidava di loro, e di Abby men che meno, però forse Charley...

La madre fulminò con lo sguardo lei e Alfie che stava a sua volta per sputare il rospo, e tutti si zittirono in un brutto silenzio.

Un solo colpo di tosse di Robbie, dato apposta, fece zittire totalmente Charlotte, quasi spaventata dal gesto, e strinse istintivamente una mano alla giovane e confusa Jo seduta al suo fianco.

Lloyd sbuffò con noia perchè sapeva che gli sarebbero aspettate cinque interviste diverse.

Quattro, vedendo lo sguardo spaesato di Jo. No, lei non c'era decisamente in mezzo.

-Non qui?-

-No e basta.- Interruppe ancora Abby, e Lloyd, per una frazione di secondo, vide rosso.

Odiava essere interrotto, e non stava facendo altro che odiare, odiare quella Abby dallo sguardo più freddo della camera stessa. La temperatura si era abbassata ancora? Mise la mano sull'elsa del coltellino che aveva in tasca, ma la ritrasse subito. No, lì non c'era Dennis che poteva sotterrare prove e pagare persone per stare zitte.

Decise di finire la faccenda delle interviste e andarsene, almeno per quel momento.

Lloyd sfregò le gambe coperte dai lunghi pantaloni della sua tuta preferita e sbuffò una nuvoletta di vapore dal naso arrossato e infreddolito, nell'aria gelida di Ronansay degli ultimi giorni di ottobre. Non riusciva nemmeno a tenere saldamente la sigaretta tra le labbra che continuavano a tremare, eppure era appena sull'uscio dell'albergo.

No, non era normale.

Che ci fosse Abigail dietro le strane apparizioni di Ronansay, dietro quel freddo? Magari per attirare più visitatori, magari per spostare l'attenzione da qualcos'altro?

Sì, sembrava decisamente colpevole. Non si fidava di lei, e sicuramente sarebbe stata l'ultima da cui lui avrebbe sentito una versione. E il ché voleva dire svelare i suoi piani, smascherare le sue finte e mandarla sul lastrico. Oh, da lei avrebbe avuto una confessione, prima o poi.

La odiava e Lloyd era malefico.

Prima di dormire, riuscì a fermare la giovane Jo. Aveva diciassette anni, era alta e grande e grossa ma fragile e discreta.

-Robert dovrebbe essere tuo padre? Non gli somigli.- le chiese Lloyd, mentre lei gli portava gli asciugamani nuovi. Lei arrossì, sviò lo sguardo e non rispose. No, non lo era.

Di chi era figlia? Su quell'isoletta, non aveva visto nessuno che potesse somigliarle, a parte Abby ovviamente. Forse Abby stava nascondendo non solo un finto fantasma, ma anche un tradimento. E, nel cuore della notte, anche i rumori di passi fuori dalla sua stanzona.

Lloyd rise sotto ai baffi mentre Jo scappava quasi dalla sua camera, a lasciarlo solo coi suoi piani malefici.

Doveva ammetterlo, la camera era carina.

Ampia, molto ampia, quasi quanto il suo monolocale a Londra. Il letto era almeno da tre persone, o almeno, da tre Lloyd, e aveva un tavolo da pranzo, una grossa scrivania su cui aveva già appoggiato tutto ciò che gli sarebbe servito per quel film idiota che, invece, stava diventando abbastanza interessante.

Anche se non aveva il wi-fi. Fortunatamente aveva deciso di portarsi il suo da casa.

Un frigobar ancora vuoto, una libreria che aveva già riempito con tutti i suoi libri e i suoi film preferiti, i suoi appunti e i quaderni in cui amava disegnare le idee che aveva.

Non era particolarmente bravo, ma lo calmava così tanto quando avrebbe voluto distruggere le persone accanto a sé o quando si sentiva la testa esplodere dai pensieri che lo terrorizzavano. I passi fuori dalla porta gli facevano gelare il sangue nelle vene, non per il fatto dei "passi del fantasma" come la raccontavano i marinai imbecilli che soggiornavano lì. Lloyd non aveva paura dei morti, ma dei vivi sì.

In un angolo del cervello c'era sempre qualcuno che gridava all'allarme, e di notte le sue grida erano particolarmente forti nella scatola cranica di Lloyd. Che si ricordasse, aveva sempre avuto il terrore della notte, delle persone, di ciò che c'era fuori. Il pesante catenaccio di ferro saldo alla spessa porta inscardinabile di legno e il coltellino sotto al cuscino di Lloyd compensavano quei rumori molesti e quell'omino piagnucolante nel suo cervello.

L'unica pecca della camera: non aveva il bagno.

Doveva percorrere tutto il lungo corridoio che separava le poche stanze dal bagno, unico, alla fine dell'albergo.

Non amava molto percorrere quel corridoio, per la paura di incontrare qualcuno. No, non il fantasma. Il personale dell'albergo e gli altri ospiti. Che orrore, i rapporti sociali... Lloyd non poteva permettersi di fidarsi di nessuno.

La notte era particolarmente agitata, tra passi e lo sbattere di porte, ma cosa poteva aspettarsi da una famiglia composta da tre figli giovani? C'era anche qualche ragazzotto idiota e ubriaco che risiedeva praticamente permanentemente nell'albergo. Sì, erano loro, e non sarebbero entrati nella sua stanza e non si sarebbero interessati a lui.

L'albergo non distava molto dal porto, e quasi tutti erano marinai che stavano via per mesi e mesi e tornavano per vivere una triste vita in quell'hotel imbecille e freddo come il cocito dantesco.

I giorni passano velocemente quando li passi chiuso in casa, e così fece Lloyd, serrato nella sua comoda stanza che non aveva fatto altro che rendere sempre più sua.

Si faceva portare lì cibo da asporto da qualche take-away della zona. Facevano schifo in confronto ai suoi soliti di Londra, ma sempre meglio di morire di fame.

I tre ragazzi sembravano particolarmente preoccupati della sua condizione che, per Lloyd, era completamente normale.

Jo aveva 17 anni, Charley 26 e Alfie una trentina, anche se li portava davvero male. Lo avevano spesso invitato a uscire, una volta scoperto che Lloyd aveva circa l'età della sorella di mezzo.

Lui, ovviamente, aveva sempre rifiutato.

Aveva dei dati, delle registrazioni e delle telecamere da controllare. Non aveva tempo e voglia di sprecarsi con degli altri ragazzi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


La storia del Marinaio Perduto. Una vecchia ma non-così-vecchia storia di Ronansay, una delle poche cose importanti di quella putrida isoletta.

I marinai non sapevano bene indicare in che data fosse successo questo fattaccio, se dieci anni prima o seicento.

Un marinaio che per amore si imbarca per il Mare del Nord. La sua sposa che lo ripudia per un altro, lui che tenta il tutto per tutto, forse per riconquistarla, forse per continuare ad amarla anche da lontano. Forse per scappare da lei.

Il mare in tempesta che lo divora, lo spoglia della sua vita terrena e lo riporta sulla spiaggia solo per mostrare che, per il momento, il dio è sazio, ma non per sempre, e presto tornerà a rivendicare vite.

Una storiella come tante altre, ma il dettaglio che stupì più Lloyd fu quello del funerale.

I giovani marinai, forse ubriachi o forse solo ignoranti, gli raccontarono che il suo corpo era così pregno d'acqua che la cremazione fu inutile.

Da quelle parti, nella Scozia più remota, il rito celtico della cremazione era ben più in voga dell'inumazione classica, e, in un certo senso, aveva il suo significato spirituale.

La sua anima non fu liberata, e il cadavere fu perso nel Mare del Nord, inghiottito dalle acque che avevano reclamato non solo il suo corpo, ma anche la sua anima.

L'unico modo per liberarlo era distruggere il suo corpo, ma ormai...

-L'ha gettato la moglie lì!- diceva un marinaio. -No, è stato un errore. Doveva essere inviato in Inghilterra per tornare dai suoi parenti, ma la nave è affondata.- disse un altro.

-No, è scomparsa solo la sua bara! È stato il Dio del Mare!- gracchiò uno più vecchio.

Rivedendo quegli appunti che aveva preso in diversi giorni su quella storia del Marinaio Perduto,  nel gelo della sua camera stretto nei suoi strati e strati di giacconi e maglioni,  niente aveva un granchè senso.

Perchè lo spirito del Perduto dovrebbe risiedere in quell'hotel e non nel mare, dov'era morto e dov'era il suo corpo tutt'ora?

-Jo, tu l'hai mai sentita questa storia?-

La ragazza dalla lunga treccia rosso scuro lo squadrò strano. Aggrottò le sopracciglia e negò con veemenza, guardandolo dritto negli occhi per più di sei secondi.

Stava proprio migliorando, quella ragazzina!

-No, mi spiace- sussurrò, rifacendo con pazienza il lecchio sfatto di giorni di Lloyd. Jo era gentile ed educata, e si era presa la briga, da sola e senza che nessuno glielo avesse chiesto, di rifare il letto del film-maker ogni volta che cambiava i suoi asciugamani. 

No, Lloyd non odiava Jo.

 Il suo sguardo era un po' diverso, ora. Forse più confuso, o più spaventato. -Dici che quel marinaio è... il fantasma che c'è qui?- ebbe il coraggio di chiedere lei. Lloyd sorrise a questo suo sprizzo di vitalità, raro in lei.

Soggiornava lì da quasi due settimane, e oltre a orme bagnate fuori dalla sua porta e rumorini notturni che in confronto al trambusto di Londra sembravano il cicalare dei grilli fuori dalla sua finestra, non aveva ancora visto nulla. Alzò le spalle senza troppo interesse.

-Forse. Tu ci credi?-

-Mamma non vuole che io ne parli. Io... vorrei crederci. Io vorrei sapere...!- lo interruppe. Avevano tutti il vizio di interrompere, lì a Ronansay?

L'accento quasi londinese e quasi scozzese della giovane Jo aveva già confuso abbastanza Lloyd, stanco delle giornate passate ad ascoltare marinai idioti e all'aria aperta. All'aria aperta! Il sole lo stava per accecare e si sentiva troppa aria fresca nei polmoni. I suoi piedi erano tutti arrossati per colpa della scarpinata che aveva dovuto fare per trovare tutti i marinai da intervistare, ed era stanco morto.

Come non gli capitava da anni, si addormentò di botto sulla sua scrivania, in una posizione orribile, poco dopo che Jo si congedò da lui con la sua solita aria impettita.

Si svegliò qualche ora dopo, impossibile da dire quante, tramortito e intorpidito.

Non si sentiva più una mano e la guancia su cui ci si era appoggiato, e le caviglie sembravano girarsi su sé stesse e il sedere sembrava essersi appiattito sulla scomoda sedia di legno.

La temperatura nella stanza, come in tutto l'albergo, era gelida come al solito, e si sentiva tremare dal freddo.

Si alzò con una lamentela e fece per appropinquarsi verso il vecchio letto della camera, se un brivido non gli avesse prima scosso la schiena.

Oh.

Doveva pisciare.

Sbadigliò e strisciò alla porta, a passo lento, quanto le sue gambe ancora più addormentate della sua mente potessero permettergli.

Si fermò. Era sicuro uscire di notte? E se qualcuno l'avesse seguito? Se qualcuno fosse entrato nella sua camera? E se, e se...?

Un brivido dalla sua vescica lungo la spina dorsale lo convinsero definitivamente. Con coltellino serramanico e chiave della sua camera chiusa per sicurezza ben riposti nella sua tasca, raggiunse velocemente il bagno.

Pisciare fu difficile perchè le sue mani erano gelide e il cavallo dei pantaloni no. Tenne duro perchè, se non voleva farsela sulle scarpe o farla seduto come una femmina per cui, in quell'isola, l'avevano preso fin troppe volte, tenersi in mano l'uccello era l'unico modo. Il suo orgoglio ne valeva.

A denti stretti e mani ancora più gelide dopo essersele lavate nel vecchio lavabo, uscì ciabattando dall'unico bagno per gli uomini dell'hotel, che però non voleva saperne di chiudersi.

Abby l'aveva fatto ben presente, che la porta del bagno degli uomini va chiusa ogni volta che si usa, non voglio vedere la schifezza al suo interno. Strega bastarda.

Qualcuno di grosso stava aspettando dietro di lui.

Anzi, lo stava fissando.

Una fitta percorse la sua mente ma il peso del coltellino al fianco lo calmò e riprese a ragionare. Una sola persona l'aveva seguito con curiosità ogni volta che poteva: Alfred.

Alfie ancora non aveva ben capito perchè Lloyd andasse nel bagno dei maschi, pur avendogli fatto presente più di una volta che era maschio. Maschio!

-Alfie, cazzo, te l'ho detto, ho il pisello!- sbraitò Lloyd, voltandosi verso l'uomo alle sue spalle.

Che non era Alfie però.

Era un uomo alto, dal fisico imponente e l'aspetto umidiccio.

No, non umidiccio.

Fradicio.

Colava acqua, i vestiti erano zuppi, i suoi capelli scuri pregni e gocciolanti, e i suoi occhi color mare lo stavano fissando senza molta espressività.

Un altro marinaio imbecille e ubriaco, bene.

Lloyd sospirò, guardandolo esasperato. -Sono maschio.-

L'uomo sembrò mutare appena espressione, facendo una faccia sorpresa, che Lloyd interpretò male.

Come al solito. Era molto permaloso. Divenne rosso in viso dalla rabbia, e finalmente le sue mani si scaldarono.

-Cristo, non è difficile! Guardami, ho il pomo d'adamo! La senti la mia voce? Ti sembra quella di una ragazza? Cazzo, ma siete tutti così cre...-

-No, non è quello- sussurrò l'uomo. Aveva una voce roca e spezzata, e le sue labbra bluastre si muovevano appena. -Tu... tu mi vedi?-

Lloyd si sentì gelare di nuovo, questa volta dall'interno.

L'unica parte bollente era rimasta la base del suo cranio, che sembrava voler fuggire dalla sua testa assieme a tutte le vertebre.

La pelle dell'uomo era diafana, cadaverica, le sue labbra blu e malate, e i suoi occhi di chissà quale magico colore contornati da vene scoppiate. I suoi capelli, lunghi fino alle spalle e anche oltre, erano impiatricciati di alghe, sabbia, ami, qualsiasi schifezza del mare.

Era illuminato da fiammelle blu che gli volteggiavano attorno come scintille su un focolare morente, che non facevano altro che aumentare la freddezza della sua pelle e del suo sguardo vacuo, che prima non aveva evidentemente notato.

Lloyd sospirò pesantemente, terrorizzato ma più ancora avvilito.

-Tu sei il fantasma, vero?-

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La fuga di Lloyd finalmente aveva avuto fine: era nella sua camera, al sicuro.

Aveva corso a perdifiato per tutto il corridoio, quasi scivolando sulle alghe e sul parquet bagnato fradicio di acqua dall'odore quasi marcescente e stantio, ma riuscì a mettersi in salvo.

Beh, almeno per ora.

Cercò di riprendere a respirare, sorridendo soddisfatto. Si appoggiò con la schiena alla porta e si lasciò scivolare a terra, lentamente e senza fretta, guardando il suo salvatore con cui era scappato dal pericolo.

-Stavo per gridare appena ho visto che si avvicinava- sussurrò Lloyd, e l'altro rise. -Ho avuto paura anche io. Non provavo paura così da... tanto.- rispose al ragazzo, col suo vocione basso.

Lloyd rimase a guardare il fantasma che ora non sembrava così pericoloso. -Abby mi terrorizza. È piccola ma...-

Il londinese non riuscì a finire la frase, quando un pensiero lo paralizzò.

La chiave?

Lloyd, appena sentita la voce di Abby e la luce della sua odiosa pila elettrica nel corridoio vicino, era entrato nel panico. Aveva scartato il fantasma e si era fiondato sulla sua porta, dimenticandosi di averla chiusa a chiave.

Tentò di inserire la chiave nella serratura, ma cadde a terra, come una chiavetta USB che non ne vuole sapere di inserirsi nel computer.

Il fantasma gli fu alle calcagna presto, terrorizzato a sua volta... da Abby? Aveva aperto la porta comunque, spinto il ragazzo dentro e rinchiusa alle sue spalle. Abby non li aveva visti.

Lloyd sentì i muscoli irrigidirsi e la testa diventare pesante e bollente e il cuore pompargli rumorosamente nelle orecchie. La sua chiave? Non l'aveva raccolta. Dov'era?

-La chiave!- alzò la voce il ragazzo, ma il fantasma, come consapevole di tutto, alzò un suo grosso braccio e tra le sue forti dita... la chiave della camera di Lloyd, compresa di quei brutti portachiavi in legno. La appoggiò sul comodino di Lloyd, vicino al letto dov'era seduto.

Ora Lloyd si sentiva quasi vicino a quel fantasma che gli aveva risparmiato uno dei suoi soliti, brutti attacchi d'ansia.

-Come ti chiami? Chiamavi?-

L'uomo si pulì un po' i capelli scuri, lasciando cadere a terra le alghe incastrate dalle sue lunghe ciocche. - "chiamo" va bene, suppongo. Il mio nome è Kenneth.-

-Nome noioso per uno spettro-

Kenneth rise a voce alta. Aveva una voce meravigliosa, e la sua risata era melodiosa come una dolce canzone dei tempi andati. -Puoi chiamarmi Ken, se ti va. O Kenny.-

Lloyd si lasciò scappare una risata a sua volta, più sollevato dalla sua vicinanza.

E pensare che fino al giorno prima non credeva che i fantasmi potessero esistere... -Kenny è ancora peggio! Ti chiamerò così, d'ora in poi. Kenny lo spettro.-

Il fantasma annuì, una scintilla di divertimento nei suoi occhi ora blu e ora verdi.

Lloyd cercò di allungare la mano verso il muro, per accendere le luci e vedere meglio quell'uomo che, effettivamente, era solo un uomo.

Un suo schiocco di dita bastò ad accendere tutte le luci nella sala. I suoi capelli, alla luce del neon appesi al soffitto, erano di un rosso scuro e brillante, e i suoi occhi viravano più su un verde intenso che a un blu, come invece sospettava all'inizio.

Aveva già visto quei capelli, e quegli occhi, e quello sguardo gentile. E aveva soprattutto visto quanto schifosamente bagnato fosse.

-Puoi fare qualcosa per...?-

Kenny era seduto sul suo letto, e lo aveva imbrattato tutto d'acqua. La cosa lo infastidiva non poco.

Il fantasma dovette accorgersene, perchè si guardò attorno come se avesse pestato la coda a un cucciolo di cane, con tutto il rimorso che i suoi grandi ed eleganti occhi verde acqua potevano contenere.

Un movimento della mano e l'acqua sparì.

-Questa camera era la mia, quando ero...- sussurrò perso nei suoi pensieri, senza il coraggio però di finire la frase, una volta che il suo letto tornò pulito e asciutto come la sua maglietta, che però non risultava meno stretta.

Lloyd stava osservando un po' troppo quello spettro. Forse se fosse morto meno arrapante...

-Senti, scopare con un fantasma è necrofilia, per te?- chiese Lloyd con tutta la calma del mondo, sedendosi sui talloni con ancora la schiena premuta alla porta.

Lo sguardo di Kenny si dilatò, il suo viso bluastro si fece quasi rosso e i suoi occhi iniziarono a divagare per la camera.

Non gli diede una risposta.

-Verrai da me anche domani?- continuò il ragazzo, battendosi le mani sulle ginocchia. -Mi piaci, sai?-

Lo spettro continuava a non rispondergli. Con un sorriso tra l'imbarazzato e lo spaventato, aprì appena le labbra blu per parlare. -Ho paura che tu mi possa stuprare, a questo punto.-

Lloyd scoppiò direttamente a ridere mentre Kenny si lasciava scappare un mezzo sorriso. -Faccio paura ai fantasmi! Sono spettacolare!-

-Con chi stai parlando?- tuonò la voce di Abby, dietro di lui, dietro la porta a cui era appoggiato.

Lloyd saltò in piedi, lasciandosi scappare un mezzo grido, mentre Kenny fece per scomparire nei muri. Lloyd lo scacciò con una mano, e l fantasma non se lo fece ripetere due volte.

-Niente! Telefono! Il mio boss!- gracchiò il ragazzo, oltre la porta. Prese al volo la chiave che Kenny gli aveva gentilmente restituito, giocò un po' con le serrature della porta, per aprirsi sul viso duro e brontolante della donna. Lloyd le sorrise. -Era Pennis, mi chiedeva come andava il lavoro. È troppo tardi per chiamare?-

-Veda un po' lei- fece col suo tono mai gentile. -Pennis? Quello scemo coi capelli rossi della tv?-

-Dal vivo è un po' meno scemo- disse il moro, anche se non ne era del tutto convinto. Abby non ne era convinta a sua volta. Col suo solito sorriso rovesciato lo congedò come se dovesse mandarlo a quel paese.

Lloyd maledisse quel posto, maledisse sé stesso e maledisse la possibilità sprecata quella notte di non passarla da solo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Lloyd aveva ancora piantati nella retina i bei occhi color mare del fantasma quando una mano meno gentile del solito bussò contro la porta della sua camera.

Non riusciva a lavorare quel giorno... forse era lo shock causato dall'incontro con un fantasma? Il ricordo delle sue grosse e muscolose cosce sotto i suoi jeans laceri e fradici? Il fatto che era l'anima di una persona morta che gli era apparsa nel cuore della notte?

Forse avrebbe dovuto dare un po' più di importanza al fatto che lo spirito di un morto avesse deciso di palesarsi davanti a lui più dall'idea del suo pazzesco fisico palestrato. Fisico... i fantasmi avevano un fisico? Lloyd se li era sempre immaginati come dei lenzuoli volanti, non come... come... come Kenny, insomma.

Chiunque si sarebbe pisciato addosso dal terrore, e invece...

Non che la mente di Lloyd funzionasse come quella di tutti gli altri.

-Ehi! Richmond!-

La voce oltre la sua porta non era quella altisonante e antipatica di Abby e non era quella timida e quasi sussurrata di Jo.

Quando aprì la porta, spostandosi con una forza disumana dalla sua scrivania all'uscio, Charley era furibonda e Jo al suo fianco era desolata. Più del solito, insomma.

Una a fianco dell'altra sembravano un duo comico: se la maggiore, Charlotte, era una diva di instagram dai capelli scuri e gli affilati occhi color caramello contornati da un appuntito eyeliner, bassa e magra e atletica, Johanne al suo fianco sembrava una gigantessa in una divisa scolastica palesemente troppo corta per la sua spropositata altezza. La giacca non arrivava ai suoi polsi, la camicia era da uomo e stretta sul suo seno e sui suoi larghi fianchi e la gonna non arrivava alle ginocchia.

Se non fosse stata così carina sarebbe stata un disastro di persona. Un'orchessa alla Shrek, ma parecchio attraente. Era una ragazzina ma prometteva di crescere decisamente bene, anche se francamente per Lloyd era già cresciuta abbastanza.

Charley le arrivava alla spalla, e solo una coscia di Jo era probabilmente più larga della vita della sorella. Ma Jo era diversa, quel pomeriggio...

-Sarebbe una divisa scolastica quella? Vai anche a scuola? Esci di qui, davvero?- ridacchiò Lloyd mentre entrambe entravano nella sua camera, presumibilmente per i mestieri giornalieri. Di solito, però, i tre fratelli entravano uno alla volta a rotazione.

-Uh, ho capito- continuò Lloyd, non ricevendo risposta dalla cipigliata Charley e la abbattuta Jo. -La bella bimba ha fatto qualcosa di male?-

-Bella?- sussurrò Jo mentre stringeva delle lenzuola al petto. -Non posso usare altri termini finché non compi diciotto anni.-

Il viso della ragazza assunse un colorito rossastro e quello di Charley si indurì così tanto da sembrare Abby con le extension castane.

Lloyd, all'inizio, credette che Jo stesse nascondendo i bottoni tirati della camicia sul suo petto stringendosi addosso delle lenzuola strane, ma sotto le coperte tra le sue braccia nascondeva un libro dall'aspetto malandato. Stava nascondendo il libro...?

Lloyd era più interessato all'uniforme che al libro, ora come ora.

-Che ha fatto?- cercò di continuare Lloyd, seduto alla sua scrivania col pc che era andato momentaneamente in stand-by. Se stava nascondendo quel vecchio coso non era affare suo, e non avrebbe fatto saltare la sua patetica copertura.

-Mamma l'ha beccata nella sua camera, appena tornata da scuola.- rispose Charley, guardando male Jo che però cercò di ignorare la sorella. -È vietato entrare nella camera di mamma. È già la terza volta...-

-Sono vietate tante cose, qui.-

-Troppe- sussurrò Jo, appoggiando vicino a Lloyd i vari teli, come se si potesse fidare di lui, e correndo ad aiutare la sorella per aggiustare le lenzuola sotto il materasso del letto di Lloyd. Alzava il pesante materasso senza troppi sforzi, mentre Charley non riusciva nemmeno a sollevarli da sola.

Il ragazzo rimase a guardare Jo, sicuro di un'idea che la sera prima aveva cercato di reprimere, ma un freddo inumano lo gelò sul posto, fermando anche quella realizzazione a metà. Rimase rigido e spaventato, come ricoperto da una spessa coltre di neve gelata dalla notte, finché Jo non si rimise dritta in piedi, lasciandosi la gonna a quadri sulle sue larghe cosce coperte da spessi collant e il suo sguardo cercò conferme negli occhi suoi.

-Non ti deve interessare se le regole sono troppe o sono ingiuste, si rispettano e basta! Sono regole per un motivo!- continuò Charley, appoggiandosi le mani sui suoi stretti fianchi. Jo strinse i pugni. -Ma le regole sbagliate...!-

-Niente ma, Jo. In questo hotel non esistono ma. Di ma si crepa, qui.-

La voce di Charley aveva assunto un tono che non era piaciuto né a Lloyd né, evidentemente, a Jo. Dal viso della ragazza più giovane poteva scorgere una gamma troppo ampia e confusa di pensieri, sentimenti e ricordi che non andavano a combaciare con niente.

Lloyd si sentiva ancora congelato, infreddolito da dentro come se gli avessero ficcato un imbuto in gola e gli avessero fatto ingoiare tutta l'Antartide tritata.

Jo si voltò verso Lloyd, forse per ricevere risposte o forse solo aiuto. -Hai freddo?- chiese, come leggendogli nella mente.

Lloyd annuì. Non riusciva a fare molto altro al momento. Charley si congedò dalla stanza per trovare altre coperte per il suo ospite, lasciando i due giovani da soli, che rimasero a fissarsi per un tempo indeterminato. Lo sguardo di Jo era color mare in tempesta ora, scuro e pieno di chissà quali mostri che si nascondevano sotto la superficie agitata.

-Avremo delle risposte, te lo prometto.- disse Lloyd di punto in bianco e Jo, come se il loro scopo a un tratto fosse diventato lo stesso, annuì seria, il libro nascosto dalle lenzuola di nuovo ben premute al proprio petto.

Charley tornò e gentilmente dispose le coperte sul letto appena fatto di Lloyd e invitò la sorella ad andarsene assieme a lei, e di lasciar il signor Richmond lavorare in pace.

Jo si voltò appena a guardarlo, con quei capelli rosso scuro e gli occhi color mare e quello sguardo carico di sogni e di determinazione e di gentilezza, tutto quello che aveva visto Lloyd la notte prima sul viso di qualcun altro.

Quando fu solo, la temperatura della stanza non sembrò alzarsi. Rimase gelida ancora per un po', mentre Lloyd riprendeva a lavorare al computer, con un altro paio di occhi neri e verdi e blu e cristallini puntati sulla schiena.

Non ora, ora non era il momento giusto.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Toccare Kenny era una sensazione paranormale, in tutti i sensi. Era gelido ma non trasmetteva freddo. La sua pelle era morbida, anche se scalfita dal suo lavoro.

-Qui facevo il pescatore- sussurrò Kenny, seduto al suo fianco, una gelida notte di temporale.

Le nubi erano salite dal Mare, e sembravano essersi stabilite sull'isoletta come un puntaspilli sulla cartina geografica. La voce di Kenny era una lenta e bassa melodia, e Lloyd riusciva quasi a sentirsi stanco e non iperattivo ad ascoltarlo.

A luci spente e con solo i suoi fuochi fatui (che aveva scoperto essere una delle sue tante abilità, decisamente una delle più utili) ad illuminarli, la situazione era più rilassante che davvero spaventosa e inquietante come forse avrebbe dovuto essere.

Sussurrava anche se era praticamente sicuro di non essere ascoltato da nessuno, e che nessuno avrebbe davvero sentito la sua voce ancora. Se non Lloyd.

Alzò una mano, mettendola davanti al naso pallido di Lloyd. Era forte e callosa, cadaverica come tutta la sua pelle ma piena di cicatrici. -Ho imparato a squamare i pesci qui, non... ero molto bravo. Ma cucinavo bene.-

Lloyd rimase a guardare la sua mano con sfida. La prese tra le proprie e gli si avvicinò con il suo solito sorrisetto strafottente da chi voleva palesemente qualcosa. -Sai ancora cucinare?-

Kenny lo guardò strano. -Vuoi che cucini per te?-

Era anche intelligente. A Lloyd andava sempre meglio. Annuì sfregando i lunghi e scompigliati capelli neri contro la sua spalla, in modo decisamente ruffiano.

-Io sono uno youtuber e film-maker famoso, sarebbe un onore per te!-

-Un..?-

Oh, già. Kenneth era morto nel 2001, anni prima anche solo dell'invenzione di Youtube. Lloyd stesso aveva iniziato a caricare i suoi cortometraggi nel 2011, dieci anni dopo la morte dell'uomo, ed era abbastanza palese che lui non conoscesse nulla di quel nuovo mondo che era internet.

2001, aveva avuto solo quella informazione per lui. Non il modo in cui era morto, né perchè fosse a Ronansay anche con quel palese accento londinese. Appena cercava di chiedere qualcosa, Ken spariva in una nebbia sottile, e Lloyd si ritrovava di nuovo solo, perso e arrabbiato. Non voleva. Voleva avere quel fantasma attorno, voleva tenerlo vicino a sé, non voleva farlo scappare.

A quel pensiero, istintivamente, strinse più forte il suo braccio. Cercò di spiegarsi al meglio anche sotto il suo sguardo che lo stava perforando, con calma e dolcezza, come tiepide gocce d'acqua che rimbalzavano su una roccia per secoli e millenni fino a scavarla. -Sono un regista amatoriale, insomma. Faccio cortometraggi, sono qui per questo. La BBC mi ha mandato qui per... sai cos'è la BBC, giusto?-

Il viso dell'uomo parve piegarsi in un mezzo sorriso e un mezzo broncio offeso. -Certo che lo so- rispose, scompigliandogli di nuovo i capelli in modo affettuoso. Era sempre così gentile...

Aveva scoperto che quei troppi anni di solitudine avevano davvero provato Kenny. Cristo, per stare quasi un ventennio in completa solitudine senza problemi, rimanendo sempre splendido e potendo terrorizzare la gente con dei poteri paranormali da film horror, Lloyd avrebbe pagato oro!

Ma Kenny si era dimostrato un uomo buono, al contrario di Lloyd.

Se Lloyd avesse potuto usare quella sorta di telecinesi strana che lui sembrava possedere e quei fuochi che controllava a piacimento, avrebbe distrutto vite. Lui, invece, la usava per accendere a distanza la coperta scaldasonno di Lloyd, scaldargli l'acqua per il suo solito the serale, e spegnere le luci quando crollava nel sonno, cullandolo in un turbinio di fiammelle blu brillanti come stelle.

Era passata qualcosa come una settimana da quando Lloyd aveva scoperto la natura di Kenny.

All'inizio sembrava avere timore di avvicinarsi, un fantasma che aveva paura di lui! Coi giorni, tuttavia, Kenny si era avvicinato da solo al ragazzo.

Compariva sempre più spesso nelle scampagnate notturne di Lloyd dalla sua stanza al bagno, e una volta comparve nella sua stanza. Timidamente, come un miraggio, ma era lì e sembrava a disagio e in imbarazzo.

Voleva parlare. Un fantasma che si sentiva solo?

Non era un chiacchierone, ma amava ascoltare, e rimanere al fianco di Lloyd quasi sempre, a osservarlo anche nel sonno.

A Lloyd non dispiaceva essere controllato, non da Kenny.

Gli dava un senso di protezione, di... debolezza. Debolezza positiva. Poteva dormire e non avere paura del fuori, perché c'era qualcuno a vegliare su di lui tutta la notte.

Gli avrebbe anche permesso di venire sotto le coperte assieme a lui e fare possibilmente altro, ma era sicuro che, se solo avesse provato a chiederglielo, sarebbe esploso dall'imbarazzo.

Ma amava rimanere in sua compagnia, e la cosa sembrava reciproca.

Lloyd era un po' un fantasma nella società in cui tentava di vivere. No, in realtà non tentava. Aveva completamente rinunciato.

Quella notte, mentre era coricato e fissava la sua larga schiena, preso da un indomito coraggio, si avvicinò a Kenny che era seduto al bordo del suo letto a leggere i libri che Lloyd aveva portato da Londra e lo abbracciò da dietro, avvolgendo le sue braccia scarne attorno alla sua vita stretta.

Lo sentì irrigidirsi dall'imbarazzo contro al suo corpo, ma pian piano si calmò. Si voltò a sorridergli, mise una mano tra i capelli scompigliati di Lloyd e iniziò ad accarezzarlo, con lentezza e dolcezza, finchè il ragazzo non sprofondò in un sonno stranamente calmo e rilassante.

Benchè il suo corpo fosse gelido, non gli trasmetteva freddo.

Era comodo e bello avere finalmente qualcuno al proprio fianco, anche se era morto da diciassette anni.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Il taglierino entrava bene nella sua pelle, come in tutte le pelli che Lloyd avesse mai sezionato. Sollevò delicatamente gli strati di pelle bluastra, mostrando le vene sotto essa. Erano bianche, e vuote. Ecco il motivo per cui la sua pelle era così inumanamente pallida...

Lloyd sentì a malapena il gemito sofferente di Kenny, e quando si voltò ad osservarlo, lo ritrovò accartocciato su sé stesso e con la mano libera sul viso.

-Ti fa schifo?-

-Un po'- mentì l'uomo, con la sua voce ovattata dalla mano sulla sua bocca.

-Ti fa male?-

Era una domanda che faceva spesso. Vedere gli occhi pieni di panico per le sue azioni era qualcosa che gli muoveva qualcosa dentro, doveva ammetterlo. Il panico era portato dal dolore.

Kenny non provava dolore. Era solo disgustato dal sapere com'era dentro.

Era proprio strano.

-Perché devi farlo?- chiese, aprendo le dita sul suo viso giusto per muovere le labbra. Lloyd scalfì lievemente l'osso bianco e spesso del braccio del fantasma con il taglierino, alzando le spalle. -Mi piace aprire le cose.-

-Io non sono una cosa. Le persone non sono cose.-

Era vero, ma... nemmeno i gatti lo erano. Però quando aveva sette anni non gli importava molto.

Alzò le spalle di nuovo.

Kenny abbassò appena la mano dai suoi occhi verde mare, guardandolo e giudicandolo. O forse non era uno sguardo giudicante... a Lloyd non importava.

Divenne rosso in viso mentre richiudeva con cautela il braccio del fantasma, e la pelle si ricompose da sola. Kenny mosse le dita della sua mano bluastra, ora di nuovo mobile. La alzò verso il suo viso, e Lloyd si aspettò uno schiaffo o un pugno e invece prese ad accarezzargli lentamente il viso. Le sue dita erano gelide ma delicate... Lloyd socchiuse gli occhi e appoggiò la guancia alla sua mano, non dissimile a un animale domestico.

Lloyd non era un animale domestico, sia lui che Kenneth lo sapevano, ma al momento non importava molto a nessuno dei due.

Era più una fiera selvatica, di dimensioni ridotte e dagli occhioni azzurri, ma le sue intenzioni non erano quelle di un cucciolotto amorevole.

-Sei aggressivo- sussurrò Kenneth. Lloyd non rispose. -Anzi, violento. E arrabbiato. Ti hanno fatto qualcosa?-

, avrebbe voluto rispondere. La vita mi ha sempre trattato da schifo, come se fossi un brutto giocattolo difettoso. La vita mi ha costruito male e poi mi ha dato colpe che non ho.

Negò. -Qualcuno nasce marcio dentro. Tu non sei marcio nemmeno dopo quasi vent'anni in mare.-

Se Lloyd fosse stato completamente lucido in quel momento, avrebbe pensato che no, non conosceva i motivi della morte di Kenneth, né perché infestasse quell'hotel. Era morto in mare, data quella "versione" bagnaticcia, ma... perché? Dove? Cos'era successo nel 2001 a Ronansay e perché nessuno proferiva nulla in merito?

Lloyd avrebbe avuto tempo più tardi per riflettervi in merito.

Ora Kenny non si sarebbe accontentato di quelle patetiche scuse, e dai suoi occhi profondi e tempestosi come il mare del Nord che l'aveva inghiottito poteva vederlo. Quasi ne aveva paura, di quegli occhi, ma ricacciò giù quel sentimento che era venuto a galla come tutti gli altri.

-Domani esci un po', ora dormi.- disse semplicemente il fantasma, non in tono cattivo, ma imperativo e che non permetteva risposte negative. 

Lloyd annuì, anche se avrebbe potuto negare e scacciare quello spirito con un soffio.

Perchè non riusciva a sentirsi come al solito, con Kenny?

Lloyd scalciò a terra i propri vestiti e Kenneth li raccolse e li mise a posto con premura. Si imbacuccò sotto alle pesanti coperte e cercò di scaldarsi, anche se tutto attorno a lui gelava.

-Perchè ti vedo?-

-Eh?-

-Ti vedo.- continuò Lloyd. -Io ti vedo. Ma solo io. Perchè io sì e gli altri no?-

La voce di Lloyd sembrava più debole, più ovattata e timida. Sentiva le palpebre pesanti per qualche motivo incomprensibile, ma la sua voglia di sapere era più forte di qualsiasi incantesimo del sonno. Ken non rispose subito, continuando ad aggiustargli i capelli sulla fronte che non volevano in nessun modo stare al loro posto o lontani dagli occhi stanchi del ragazzo. Prese un profondo sospiro, anche se non ne aveva nessun bisogno. -Tu... sei diverso, Lloyd. Non pensi come gli altri, non vedi le cose come gli altri, e... credo sia per questo.-

Quando Kenny alzò lo sguardo, incontrò qualcosa in quello di Lloyd che l'avrebbe fatto impallidire, se avesse avuto ancora sangue nelle vene. Tentò di sorridere, spettinargli di nuovo i capelli e pettinarglieli di nuovo. Diverso... quante volte Lloyd aveva sentito quella parola? Dalle labbra di Ken suonava in un modo strano. In un modo diverso.

-Ehi, non stupirti. Mi hai appena aperto il braccio!-

Non ebbe reazione da Lloyd. Socchiuse gli occhi, e sentì solo i polpastrelli gelidi del fantasma sfiorargli la guancia, prima di ritirare con imbarazzo la mano. -Non è una cosa negativa, Lloyd. Non è negativo non essere come gli altri, essere sé stessi e avere il coraggio di esserlo.-

Lloyd non lo sapeva. Lloyd non faceva apposta, e non gli importava quasi mai. Quasi.

Un altro brivido di freddo scosse il suo corpo. Avrebbe nevicato presto, su Ronansay.

Lo sguardo di Kenneth ora andava oltre le finestre e oltre il cielo nero sopra l'isola, puntato su qualcosa di impossibile da vedere.

Forse casa...

Il ragazzo rimase a guardarlo, freddo e impassibile ma dagli occhi che cambiavano colore a ogni sensazione che passava sul suo viso. Verdi, neri, blu, azzurri, grigi.

La sua mano appoggiata sulla spalla di Lloyd, ben coperta dal piumone, e il suo sguardo puntato sulla finestra.

Il giorno dopo Lloyd avrebbe dovuto parlare con qualcuno.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


-Sei più intelligente di quanto dai a credere, lo so.-

Charley sgranò gli occhi pesantemente contornati da trucco e li abbassò su Lloyd. -In che senso?-

Aveva seguito il consiglio di Kenneth di uscire, e si era recato sulla spiaggia. Non sapeva disegnare particolarmente bene, ma amava tratteggiare i paesaggi. E il mare, il Mare del Nord...

Sulla spiaggia, quasi sconsolata, aveva trovato Charley, che, quando vide il ragazzo tutto imbacuccato e quasi appallottolato su sé stesso mentre cercava di disegnare il paesaggio marittimo, rimase dura come un sasso. Voleva scappare? Voleva raccontare tutto? Lei sapeva. Forse entrambi.

Decise di sedersi al suo fianco, farsi un paio di selfie, e scorrere la bacheca di instagram, con quel ticchettio continuo e fastidioso delle unghie finte sullo schermo dello smartphone.

Non aveva ancora alzato lo sguardo, quasi per paura.

-Il fantasma.-

-Non esistono i fantasmi- ringhiò lei, aggrottando le sopracciglia disegnate a regola d'arte. -Non ci sono. E tu sei qui per niente.-

Lloyd però sapeva che esistevano perchè aveva modo di toccarli con mano. E anche di dare una pacca sul culo a uno di essi.

-Tu la pensi così?-

-Sì, ti ho detto di sì!- fece ancora Charley, quasi esasperata. Era quello a cui stava puntando Lloyd, che annuì platealmente alla sua risposta, mordicchiando la matita che stava tenendo tra le dita. Un pezzo di legno si staccò e gli finì tra i denti, ma fece finta di niente.

Aveva un sapore orribile...

-Se lo dici tu... sembri sicura...-

-Lo sono.-

-D'accordo, d'accordo...-

Finalmente Charley alzò lo sguardo, solo per fissarlo con... cos'era? Paura? Curiosità?

Lloyd alzò a sua volta lo sguardo sul suo, sorridendole con malizia. Lei tentò ancora di abbassare lo sguardo, poi lo alzò di nuovo, poi si voltò verso il mare e da lì i suoi occhi castani non si tolsero più.

-Tu dici che i fantasmi... esistono?-

Mancò poco che a Lloyd scappasse una risata. Non era scema come Alfie, ma di certo non era un genio come lui! Alzò le spalle. -C'è qualcuno che vorresti rivedere un'ultima volta?-

Il volto di Charley sembrò crollare su sé stesso, quella maschera di fondotinta e ombretti creparsi sulla sua pelle ora quasi cerea. Rimorso? Una strana epifania? Lloyd non lo seppe con certezza.

-Vorrei ringraziarlo per quello che ha fatto per me e Alfie e la mamma... e vorrei scusarmi. Ma è troppo tardi, perchè non... esistono i fantasmi...-

Deglutì e vide i suoi occhi lucidi. Oh. Aveva colpito forse troppo in profondità nell'animo della donna. Cercando di mandare giù il nodo che le aveva chiuso la gola, continuò il dialogo che, senza accorgersi, stava mandando avanti da sola. La sua voce era più rauca e più cantilenante, come una giustificazione data da una bambina colpevole.

-Ero piccola, e avevo saputo che mio padre Robbie sarebbe tornato a casa... eppure non avevo capito chi era stato davvero un padre, per me. Credo di averlo fatto soffrire, e lui... lui non lo meritava. Non l'hanno mai più ritrovato, e ho sperato per tanti anni che fosse scappato, fosse ancora vivo... fosse scappato da noi. Sarebbe stato meglio se Kenny se ne fosse andato prima. Rivederlo in Jo mi fa male tutti i giorni...-

Kenny. Aveva detto chiaramente "Kenny".

Era lui! Stava parlando di Kenneth! Il fantasma dell'hotel!

Lloyd aprì la bocca per parlare, per chiedere cosa c'entrasse Kenneth con lei, con Abigail, con Jo e cosa volesse dire "lasciarlo andare" e "ritrovare", ma Charley si alzò in piedi con una velocità allarmante. Si stava coprendo il viso con le mani.

-Non dirlo a Jo, ti prego.-

Detto questo, la ragazza scappò, arrancando nella sabbia e sparendo oltre il lungomare.

Lloyd rimase con la matita stretta tra le dita indurite dal freddo e dalla tensione.

Charley non era la persona giusta con cui parlarne, ma aveva capito a chi doveva rivolgere le sue attenzioni.

Ora sembrava quasi palese.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


La porta della camera decise di non aprirsi.

Lloyd si aggrappò, saltò e gridò, cercò di arrampicarsi sulla maniglia come una scimmia e gli tirò pure un pugno, in puro stile da primate, ma non cedette.

-Vuoi andare da Johanne?-

Dietro di lui, una voce, l’aria fredda e statica, e la temperatura abbassata di colpo.

Kenneth si era palesato ancora nella sua forma bagnaticcia e piena di schifezze del mare, come ormai non faceva da tempo.

Lloyd alzò le spalle, continuando a stringere la maniglia gelida tra le mani calde dalla rabbia, ma stando ben attento a non fissarlo negli occhi. Se l’avesse fatto, sarebbe finita. -Forse. Che te ne frega?-

Lo sguardo di Kenny non si fece più morbido. -Lasciala stare.-

-Non me la scopo mica.-

La risposta di Lloyd non fece che contrarre il viso di Kenneth, che per la prima volta sembrava quello che era davvero: un essere spaventoso, soprannaturale e imponente.

Era quasi due metri di massiccio fantasma, e Lloyd arrivava miracolosamente al metro e settanta. E già, era solo un umano, senza nessun potere.

-Lasciala stare- disse ancora Kenny, e la sua voce sembrò rimbombare in un modo innaturale nella scatola cranica di Lloyd, che si dovette reggere all’odiata maniglia per stare in piedi, le ginocchia tutto ad un tratto molli.

Rimase ad osservarlo, perché non si era mai comportato così.

Jo gli assomigliava, era palese. Se Kenny era il marinaio perduto, Abby era la moglie malvagia, ma… il marito di Abigail era quell'imbecille di Robert, e il padre dei due figli più grandi della donna. Non sembrava tornargli nulla nella testa che ora sentiva così pesante...

Forse Kenny era l'amante? O forse…

-Tu sei il vero padre di Jo.- sussurrò Lloyd, lasciandosi scivolare a terra, con la schiena premuta contro alla porta dura e fredda. -E non vuoi che lei lo sappia. Nemmeno Abby lo vuole, vero?-

Kenneth non rispose.

-Charley… le manchi, sai?-

Non ebbe ancora nessuna risposta.

-Voglio solo scoprire la verità.- continuò Lloyd con un filo di voce. Ormai stava solo parlando a sé stesso. -Pennis mi ha mandato qui, ma… io voglio sapere cosa c'è dietro. Voglio sapere cosa cazzo non va in questa famiglia.-

Quello che stava fuggendo dalle sue labbra era un orribile e indistinguibile mix di bugie e verità, tranelli e sincerità, ma non sembrò agire nulla su Kenny.

Perchè i suoi trucchetti non funzionavano con lui? Stava iniziando a sentirsi frustrato. Perchè non riusciva a cavare il ragno dal buco? Perchè con lui non funzionava niente? Perchè con lui doveva sentirsi in quel modo?

Lloyd strinse i pugni e abbassò la testa, rimanendo a guardare il risvolto fradicio dei pantaloni di Kenny. Strinse tanto i pugni da farsi male, e se li tirò sul viso, schiacciandoseli con forza sugli occhi. Perchè non funzionava? Perchè non riusciva? Perchè?

Aveva promesso di non fallire mai!

La mano gelida di Kenneth tra i capelli lo fece quasi trasalire, il suo sguardo ora più azzurro che verde del mare calmo e appena mosso da una leggera e rinfrescante brezza lo calmò un po’.

-Va tutto bene, Lloyd. Scusami.-

Non andava bene.

La sua grossa mano fredda passò sulla sua nuca, tirandoselo vicino. Le sue labbra bagnate dal gelido mare del Nord si posarono sulla sua fronte, senza nessuna fretta.

-Io sono qui. Sono con te, ma ti prego. Ti scongiuro. Non fare nulla a Jo, non dirle niente. Hai sofferto, ma non vuol dire che anche lei debba soffrire.-

-Se qualcuno sapesse chi è mio padre e non me lo dicesse, sarei furibondo.- fu l’unica, fredda risposta di Lloyd.

Ken rimase a guardarlo, accarezzando lentamente i capelli ispidi sulla sua nuca. Erano fradici, e non per l’acqua di Kenneth, ma per il sudore dello stesso Lloyd.

Si sentiva come all’inferno, sospeso in bilico tra il gelo del cocito e il caldo bollente del flegetonte.

-Lo faccio per lei!- tentò ancora Lloyd, quasi gridando. La sua voce, ora, era decisamente più debole.

-Lo fai per te. Ti prego, ti scongiuro, non farlo.-

Il più giovane serrò gli occhi e pregò che tutto attorno a lui sparisse per sempre. Si sbatté le mani sulle orecchie e si chiuse su sé stesso, stanco, esasperato e frustrato, in un vortice che sembrava spingerlo sempre più giù, in fondo al mare...

Sentì solo le braccia del fantasma attorno al suo corpo, a stringerlo in un abbraccio di cui Lloyd non conosceva il significato.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Lloyd aveva promesso di lasciare in pace Jo, ma non gli altri componenti della famiglia.

Se la ragazzina non aveva nessuna colpa, la madre ne aveva di sicuro. Lo vedeva ogni volta che usciva, ogni volta che incrociava il suo sguardo gelido, pieno di sospetto e astio immotivato.

Una donna incattivita dalla vita.

Robbie... era sempre ubriaco, aggressivo e la maggior parte delle volte ciondolava nel bar dell'hotel bevendo gli alcolici che avrebbe dovuto vendere, e se Charley e Jo gli giravano sempre a largo, Alfie era sempre sul piede di guerra con lui.

Non ne stava venendo a capo, non capiva più niente!

Strinse la sigaretta tra i denti con così tanta forza e rabbia da romperla, sentendo il gusto schifoso del tabacco sulla punta della lingua. Con un grido esasperato la lanciò nella neve fresca che era appena caduta sull'isola in aria, tirando un calcio furibondo alla neve che non portò davvero a niente se non a infreddolirlo ancora di più.

Ronansay era gelida quel giorno, tanto quanto i suoi abitanti.

Dondoló le gambe giù dalla balaustra del porto, con la schiena rivolta al mare per cercare di scaldarsi, ma non ci riusciva. Tutto gli dava freddo, in quel posto... persino il suo fantasma.

Il suo sguardo si fissò prima sul mare, ma si annoiò presto. Era sempre grigio, o nero, o quel colore tra il blu e il verde che gli ricordava troppo il colore degli occhi di Kenneth e, identico, quello di Jo. Decise di focalizzarsi sul paesaggio opposto, verso l'isola. Non molto grossa, ma quasi completamente disabitata. Sulla stradina centrale che dava sul porto, una manciata di case grigie o marroni ordinatamente poste a troppi metri di distanza l'una dall'altra, come se un bambino avesse finito i lego da porre su una tavola da gioco e avesse dovuto arrangiarsi con quelli che aveva. Oltre ad esso, il verde del nulla tra macchie di neve bianca e accecante che lo infastidiva troppo.

-Uh...-

Un vocione lo sorprese, ma era troppo raffreddato per sobbalzare a dovere. Stringendosi nel suo cappottone, si voltò a guardare Alfie, con un grosso punto interrogativo sul viso.

L'uomo si grattò la zazzera biondastra con imbarazzo. -Vorrei parlarti...-

-Sono maschio.- rispose in fretta Lloyd, abbassandosi la visiera del cappello sulla testa. Non se la sentiva di trattare di quel discorso ancora.

Alfie negò con forza, sedendosi goffamente al suo fianco. -No! No, quello l'ho capito... io volevo dirti per...il fantasma.-

Non lo voleva al suo fianco, Alfred puzzava sempre di sudore e la sua tuta da lavoro era sempre macchiata di qualsiasi schifezza, dall'olio ai tralicci di legno, dato che era l'unico che si occupava almeno in parte di mantenere in piedi l'albergo, e...

Aspetta.

Lloyd sgranò gli occhi. Cosa? Aveva cercato indizi su quella maledetta isola per quattro settimane intere senza vedere una via d'uscita, e ora gli indizi venivano da lui!

Con fretta e nuova energia nel suo corpo infreddolito, frugò nel suo zainetto. Estrasse il suo amato quadernino e annuì all'altro ragazzo con nuovo interesse.

Alfie sembrava un po' reticente.

-Me l'ha detto Charley, che tu... sai qualcosa del fantasma. Che c'è davvero!-

-Io non ho mai detto che il fantasma c'è davvero- insistette Lloyd, ma era inutile discutere col testone di Alfie, che continuò il suo discorso come se niente fosse. -Jo, Jo non è la figlia di mio padre Rob.-

Questo Lloyd lo sapeva.

-Perchè mi stai parlando di Jo? Avevi detto del fantasma...-

-È la figlia del primo marito di nostra madre, Kenneth. Nata qualche mese dopo la sua morte. Il... il fantasma dovrebbe essere lui, no? Kenny!-

Lloyd sgranò gli occhi. Kenny era il marito di Abby?! E Robbie? Spalancò la bocca, ma Alfie lo zittì ancora. Ora, anche i suoi occhi erano più lucidi.

-Io...so anche perché la mamma non ti ha voluto parlare di Kenny. Non crede ai fantasmi ma.. lei non ha mai raccontato di Kenny in famiglia, con Jo. Lei non sa chi sia suo padre, e noi, dopo che è morto, non abbiamo più potuto parlare di lui. Mi...mi manca. Rob fa schifo come padre, l'ha sempre fatto. Ken ha fatto una vita da schifo all'hotel, ed ora lui è...-

Prese un lungo sospiro, e Lloyd, istintivamente, gli appoggiò una mano sulla spalla. Non poteva fermarsi di parlare ora, era così vicino a risolvere il caso...

Alfie quasi gli sorrise, riprendendo un po' della sua forza. -Mamma da giovane era una scapestrata. Rimase incinta presto di me e Charley dal suo fidanzatino del tempo, Rob... che scappò via due o tre volte. Lui non c'è mai stato per noi, è sempre e solo scappato, e lei ha sempre continuato a corrergli dietro. Kenny... lui era il nostro vicino di casa. Ci aiutava coi compiti quando abitavamo a Londra, ci teneva in casa sua quando mamma faceva lavori extra per farci vivere decentemente. Lui era l'unico padre che io volessi. Che noi meritavamo.-

Lloyd non immaginava Alfie con una parlantina del genere. -Dunque... tua madre ha usato quell'imbecille altruista di Kenneth.-

-Ne parli come se lo conoscessi- ridacchiò Alfred, con un sorriso tutto fuorché felice. Lo conosco meglio di quanto tu credi, ma non disse nulla. Lo intimò di andare avanti con un movimento della matita mentre finiva di scrivere sul suo taccuino.

-Mamma aveva bisogno di un marito per trasferirsi qui. Sai, al tempo gli isolani erano un po' bigotti e una mamma single... beh, in realtà lo sono ancora. Fatto sta che mamma voleva cambiare vita e Kenny era gentile e... non so se fossero davvero sposati o solo per finta. Ero un ragazzino, che ne sapevo io? Fatto sta che mamma ha avuto altri fidanzati nel frattempo, ma io... li odiavo tutti. Ero arrabbiato, avevo tredici anni! Kenny qua è stato picchiato e sfruttato ma riusciva sempre a sorriderci. Ricordo ancora le buone cene che ci cucinava. Kenny mi ha aiutato tanto, e... in cambio, l'ho lasciato morire...-

Questa volta Alfie iniziò a singhiozzare davvero. Lasciarlo morire, aveva detto qualcosa del genere anche Charley?

-Com'è successo? È stata Abigail?-

Lloyd era sicuro che era stata lei, in qualche modo, a far fuori lo scomodo primo marito.

Gli occhi di Alfred si spalancarono come se Lloyd gli avesse mostrato il coltello che si portava sempre dietro, ma era sicuro fosse ben nascosto nello zainetto. -Mamma? No! Le ho dato la colpa per tanti anni, ma non è stata lei, davvero. Non direttamente. Lo è stata tanto quanto io, Charley, e Robert...-

-Cristo Alfie, dimmelo e basta!- gridò Lloyd tutto ad un tratto. Ora Alfie aveva un buon motivo per avere paura. -Kenny andò a pesca, non mi ricordo perchè, e lo trovammo due giorni dopo il naufragio della sua nave, sulla spiaggia. Beh... morto.-

Alfie fissò un punto verso il mare. Lì, nessuno dei pochi turisti, pescatori o semplici abitanti della città osava mettere piede. Non lontano da una bassa scogliera, un punto di spiaggia ciottolosa più alta rispetto al resto.

Un altare a quel dio capriccioso che era il mare del Nord, dove il suo sacrificio umano era stato reclamato.

-Chissà da quanti giorni era lì, nessuno di noi l'aveva cercato in quel periodo, e... Non voglio mai più provare quella sensazione. Puzzava quando l'abbiamo trovato e volevo solo scappare e andarmene e tapparmi il naso e gli occhi, io... ho provato disgusto per l'unica persona che contava nella mia vita. Non me lo sono mai perdonato... Perchè mi sono sentito così?-

Alfie aveva ancora voglia di parlare con quella voce ora rotta e singhiozzante, ma una brutta sensazione si impadronì dello stomaco capovolto di Lloyd. Era una sensazione strana, simile a quella che aveva provato il giorno prima con Kenny, anzi, che Kenny con uno di quei suoi maledetti poteri gli aveva causato. Ora però il fantasma non era lì attorno, ma si sentiva comunque come un calzino girato alla rovescia.

-Perdonami- sussurrò il ragazzo moro, saltando giù dalla balaustra tutto ad un tratto, sotto lo sguardo stupito e stupido di Alfie. -non mi sento molto bene. Grazie comunque per le info.-

Alfie allungò una mano verso di lui, come un naufrago che si appiglia a un pezzo di legno. -Aspetta! Di' a Ken che mi dispiace. Chiedigli se può perdonarmi. Ti prego...-

Avrebbe voluto mentire, ma si sentiva male, strano. Non negò, non mentì. Annuì.

Alfie rispose con un sorriso e con altre lacrime, che non fecero nessun effetto allo scombussolato Lloyd.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Era come una sensazione di dolore fisico, mentale,  spirituale. Come se qualcuno avesse deciso di pugnalarlo con un coltello, ma non un vero coltello. Uno finto, uno fantasma.

Non sanguinava, eppure sentiva la ferita.

Cosa l’aveva lacerato così?

Si trascinò a fatica nell’hotel, nella sua stanza, ma non raggiunse il letto. Non ne aveva le forze. Come ormai era consuetudine in quel maledetto hotel, si lasciò scivolare contro la porta, crollando sul pavimento gelido.

-Com’è morire?- chiese a voce alta, come se ci fosse qualcuno ad ascoltarlo.

C’era.

Kenneth si palesò davanti a lui, flebile come un miraggio nel deserto. -Com’è morire?- ripeté.

-Triste- rispose a voce bassa il fantasma.

-Raccontamelo.-

La mania che Lloyd aveva sempre avuto con la morte era malata, lontana e cinica. A sei anni aveva catturato una ranocchia dallo stagno vicino alla baracca in cui viveva fuori Londra e, dopo averla mostrata a sua sorella maggiore, l'aveva strizzata tra le mani senza pietà.

A sette tagliò il polpaccio a uno degli amanti di sua madre per curiosità e anche perchè odiava tutti quegli uomini che entravano in casa loro. A dieci fece trovare ciò che rimaneva del gatto dei vicini davanti alla loro porta. Odiava i suoi vicini. Li odiava.

A sedici, quando sua madre era poco più che un vegetale per l'overdose che aveva avuto, non pianse. Non provò davvero nulla. Fay, sua sorella, sembrava un fiume in piena. La colpì in viso perché sentirla fare così tanto rumore coi suoi singhiozzi gli dava fastidio e se ne andò con la sua vecchia valigia rubata dalla spazzatura dei vicini.  Lo meritava. Fay era scappata appena compiuti i sedici anni e l’aveva lasciato da solo con sua madre, gli ultimi anni di lucidità di quella donna consumata dalla droga.

A consegnare pizze e giornali e depredare i corpi immobili dei drogati nei vicoletti aveva raccolto un gruzzoletto per potersi prendere una telecamera e riprendere la vita. O la morte.

Aveva fatto successo e continuava a sentire l'impulso della morte dentro di sé. Aveva picchiato sua sorella incinta l’ultima volta che l'aveva vista. Si era fatto strada fino alla BBC insanguinandosi le mani, e così Dennis l’aveva trovato: sporco di sangue. Si era scopato la sua bella e gentile manager e poi l’aveva buttata giù dal balcone.

Lei era innamorata… lui voleva vedere le sue ossa.

Ricordava la paura negli occhi del gatto dei vicini ma non ricordava di aver provato qualcosa. Negli occhi di Kenneth non c'era paura ma c'era la morte come negli occhi di quel gatto.

-Raccontami come.- chiese ancora Lloyd, anche se più che una domanda era un ordine.

Kenny si sedette davanti a lui, gambe incrociate e mento alto.

-Non c'è molto da raccontare. Il Mare ha preso la mia nave, ma mi ha voluto riportare alla spiaggia un'ultima volta.

Non c'era nessuno. Non potevo muovermi, avevo freddo e le braccia sembravano quelle di qualcun altro. Ogni respiro sembravano spilli in gola e nel petto e anche solo rimanere lucido era doloroso. Ho provato a gridare ma nessuno mi ha sentito. Non so quanto tempo sia passato dalla marea che mi ha portato alla spiaggia fino alla mia morte, forse ore, forse mezza giornata. Ero triste, ero.. triste e basta. Stavo morendo in modo solo e patetico. E poi hanno perso la mia bara in mare. Ho vissuto in modo patetico, sono morto in modo patetico, e anche dopo la morte sono rimasto solo un patetico ricordo.-

Lloyd non aveva mai pensato che gli altri potessero provare qualcosa. Non era nemmeno sicuro di provare qualcosa lui stesso. Era palese, le emozioni esistevano e lo sapeva, ma l'idea di esse non l'aveva mai scalfito. Era come un pensiero estraneo, che qualcuno, Kenny probabilmente, gli stava incuneando nel cervello.

Kenneth era morto da solo, lentamente e dolorosamente, senza nessuno al fianco, consapevole di non essere amato. Anche Lloyd sarebbe morto da solo, alla ricerca di aria e aiuto, una mano puntata verso nessuno perché nessuno lo amava e lui non si era mai fatto amare da nessuno. Immaginava la sua morte spesso, ma mai così.

Più che un'immaginazione, ora, sembrava una visione dal futuro.

Lloyd si sentì tutto ad un tratto mancare l'aria nei polmoni.

Ricordò gli occhi di Lucy mentre premeva sulle sue spalle per buttarla giù dal balconcino del condominio. Cos'aveva pensato lei, in quel momento? Forse “perché mi fai questo? Credevo tu mi amassi!”, forse pensava alla famiglia che si lasciava alle spalle. Forse al fatto che la sua vita sarebbe finita presto, senza aver mai fatto niente, tanti anni di studio e fatica solo per diventare carne sfracellata al suolo. Era sopravvissuta o si era sfracellata davvero?

L'aria non voleva saperne di entrare nei polmoni di Lloyd, e per quanto aprisse la bocca non passava niente.

Ken strinse le sue spalle, lo chiamò e lo scosse, gli tirò qualche schiaffo al centro della schiena e finalmente il tappo che si era creato nella gola di Lloyd se ne andò. Kenneth lo strinse in un abbraccio preoccupato e Lloyd lo lasciò fare.

Avrebbe voluto vedere Kenny morire.

Doveva essere bellissimo. Fradicio, pallido sotto la luna bianca mentre pian piano il suo battito si faceva più lento, i suoi occhi più spenti, il suo respiro lieve.

Quanta bellezza era andata persa.

Kenny adagiò Lloyd con cura sul letto, sedendosi al suo fianco mentre dolcemente gli accarezzava i capelli sudaticci sulla fronte madida e bollente. -Scusami, io non… tu… Hai la febbre. Devi riposare…- sussurrò, come se la sua melodiosa voce potesse dargli fastidio.

Lloyd rimase a osservare lo spirito di quell'uomo meraviglioso e perso e patetico, come se nella sua testa non ci fosse altro oltre a lui. -Rimani con me...- riuscì solo a dire.

Quella sera? Per sempre?

Kenny scostò le coperte dal corpo febbricitante di Lloyd e lo cinse in un abbraccio protettivo, stretto al suo petto come un tesoro delicato da proteggere.

Che Lloyd ricordasse, nessun altro l'aveva mai abbracciato.

Quante nuove emozioni tutte assieme…

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Lloyd stava placidamente dormendo, anche se era ormai quasi mezzogiorno. Non dormiva mai per così tante ore di seguito, ma la sera prima era stato così male…

Ricordava i suoi occhi azzurro chiaro pieni di lacrime e arrossati e il suo faccino sofferente. Lo credeva insensibile, un mostriciattolo dal bel visino e dal cuore di ghiaccio, e invece.. era riuscito a commuoversi per lui e per la sua storia. Era un passo avanti, anche se in realtà era solo una mossa di Kenny.

Sapeva che uno dei suoi strani, nuovi poteri da essere sovrannaturale era poter causare certe emozioni e pensieri nelle persone, ma non l’aveva mai davvero provato seriamente. Con Abby, almeno quindici anni prima, non aveva funzionato, ma anche lei aveva avuto qualche giramento di testa a causa sua. Aveva provato a instillare qualche emozione ed empatia nel testone duro di Lloyd e aveva finito per farlo ammalare e quasi svenire.

Kenneth sospirò pesantemente e si legò i capelli in una alta coda di cavallo, per tenerli lontani dal viso.

Aveva comunque funzionato, no? Qualcosa aveva provato.

Con Abby aveva provato a farsi amare, far amare il suo ricordo dopo la sua morte, ma il piano era fallito. Abby non aveva mai provato rimorso e nostalgia, e nulla aveva attecchito in lei. Con Lloyd, invece...

Non lo credeva sensibile, proprio per nulla. Forse non lo conosceva così bene come credeva. Forse c’era qualcosa di salvabile in quel ragazzino. Nessuno aveva salvato Kenny, ma lui poteva, invece, cambiare la sorte di qualcuno.

Si voltò un’ultima volta a fissarlo, assopito e raggomitolato su sé stesso come un cucciolotto.

Era così carino…

Kenny aveva deciso di preparargli qualcosa da mangiare. Lloyd aveva la febbre, e probabilmente si era raffreddato in quei giorni in cui era uscito per studiare e interrogare i vari abitanti di Ronansay. Almeno, sperava fosse quello e non il suo tentativo di scombussolargli il cervello.  Sì, gli avrebbe fatto un bel pranzetto caldo, così sarebbe stato meglio. E si sarebbe fatto perdonare.

In quegli anni qualche chef era stato ospite dell’albergo, e nella notte Ken era entrato nelle loro camere per leggere i loro libri e appunti di ricette. Amava leggere, e da diciassette anni non aveva fatto altro che quello. Aveva, però, imparato tante cose. Un astronomo e tutta la sua crew erano stati due settimane a Ronansay per studiare il cielo terso sopra l’isola, e Kenneth aveva letto tutti i libri che si erano portati dietro. Ogni volta che vedeva il cielo, ora, riusciva a riconoscere stelle e costellazioni e galassie al primo colpo, che ruotavano in un ciclo infinito che ormai conosceva a memoria, giorno per giorno, ininterrottamente. Un ciclo infinito di cui anche lui si sentiva parte, oramai.

I suoi libri preferiti, però, rimanevano quelli di ricette.

Le sue mani erano ormai poco abituate al caldo, ma almeno non si scottava più. Quando sentiva il calore del fuoco, la sua mente gli diceva di ritrarre la mano, di proteggersi, ma il fuoco era ormai qualcosa che non scalfiva più la sua pelle.

Scaldò un pentolone di brodo e iniziò a tagliare con calma i petti di pollo che aveva fatto arrivare a casa grazie a quelle nuove, strambe tecnologie di Lloyd. Amazzonia? Just do it? Come aveva detto che si chiamavano?

Il pollo faceva bene, soprattutto nelle sue condizioni. E faceva bene anche perchè quel bambinetto mangiava solo ed esclusivamente schifezze.

Era così debole… e aveva bisogno di carne sulle ossa. Kenny non era mai stato particolarmente magro, e non si era mai ammalato. Atletico e muscoloso, sempre, ma non aveva mai visto nessun osso sporgere dal proprio corpo.

Beh, forse ora, con la decomposizione di un cadavere nel Mare del Nord per quasi vent’anni….

Il brodo iniziava a bollire prima del previsto, e sopra al rumore delle bolle che scoppiavano sulla superficie dorata del liquido profumato, non sentì la porta aprirsi.

-Oh. Non sapevo che... ci fosse…-

Kenny si voltò quasi spaventato a fissare chi l’aveva scoperto. Chi l’aveva visto.

Un paio di occhi identici ai suoi lo fulminarono sul posto.

Jo strinse gli asciugamani al petto, abbassando istintivamente lo sguardo. -Perdonami se ti ho… disturbato.- sussurrò, arretrando.

Kenny deglutì così forte che probabilmente lo sentì anche la ragazza. Era sconvolto.

Lei lo vedeva…

Era sicuro che lei l’avrebbe riconosciuto, se avesse solo alzato lo sguardo su di lui.

Non lo fece.

Era una ragazzina insicura, timida e riservata. Ed era identica a lui.

Aveva il bel viso rotondo di sua madre Abby, gli occhi più grandi di quelli di Kenneth, ma era alta e dai capelli rosso scuro che Kenneth non aveva visto in mai nessun altro se non sé stesso, e gli occhi colore del mare del Nord, come quel mare che l’aveva preso e…

...se volesse prendere anche lei? La sua unica figlia?

-Non mi hai disturbato.- rispose Kenny, sorridendole. Non l’aveva vista nascere, non da vivo, ma lui era sempre stato lì.

Cercò di ricacciare giù le lacrime, pensando a quanto avrebbe voluto abbracciarla e non lasciarla andare mai più. -Tu sei Jo, vero? - chiese, in uno sprizzo di coraggio che non avrebbe dovuto avere. -Sei una brava ragazza.-

Lei alzò appena il suo sguardo, annuendo timidamente. Rimase a fissarlo, stranita e incuriosita, sgranando un paio di volte gli occhi. Negò lentamente, come se un qualche pensiero si fosse infranto nella sua mente, e poi si voltò, verso la porta, pronta a tornare a lavorare.

Si voltò, però, un’ultima volta, come a imprimersi il suo volto nella mente. Sorrise timidamente, e poi scappò via dalla porta della camera.

Che l’avesse riconosciuto?

Che sapesse qualcosa? O forse era solo felice di aver ricevuto qualche parola gentile?

Kenneth era ancora pensieroso,  e ancora stava fissando la porta, come a sperare che la figlia facesse ritorno.

Non lo fece.

Abbassò lo sguardo su Lloyd che, nel frattempo, si era rigirato un paio di volte nel sonno.

Altri scoppi di bolle. Si voltò e notò che il coperchio della pentola si stava alzando con violenza.

Il brodo! Ecco cosa si stava dimenticando.

Velocemente, Kenny abbassò il fuoco e tornò a tagliare il pollo per cucinarlo al ragazzo. Ora doveva pensare a lui.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


-I capricci non funzionano, Lloyd.-

Il ragazzo pestò i piedi per terra, poi si piegò su sé stesso per lanciargli la ciabatta. Kenny la evitò con facilità. -Non uscirai oggi. E ora dormi.-

Il viso di Lloyd, che in quei due giorni era sempre stato innaturalmente e malsanamente pallido e incolore, quasi quanto quello di Kenneth, iniziò ad assumere tinte rossastre di rabbia. -Non mi controlli! Non sei mio padre!-

Tu non ce l’hai un padre, fece per rispondere Kenneth, ma si morse la lingua in tempo. Era una cattiveria, e il fatto che Lloyd non avesse mai conosciuto suo padre era una intima confessione che Kenny non avrebbe usato contro di lui. No. Non era così che andava.

Kenny alzò le spalle, sedendosi al suo fianco. -Io… Mi spiace, Lloyd. Ma io lo faccio perchè ti voglio bene, lo sai.-

Fece per prendere la sua mano, ma Lloyd si tirò ancora indietro, stringendosi al petto il vecchio e sporco berretto da baseball bianco e nero del Planet Hollywood di Cannes che non lasciava andare nemmeno a letto con la febbre.

Kenny ricordava quando quella catena aveva aperto, circa nel 1991… Ma perchè Lloyd l’aveva? Nel 1991 non era nato. Lloyd aveva appena compiuto ventitré anni, e quando la maggior parte dei Planet Hollywood fallì, tra il ‘97 e il ‘98, Lloyd doveva avere tra i due e i tre anni.

Kenny allungò una mano per toccare il cappello, se Lloyd gliel’avesse permesso. Non sembrava mai stato lavato, e la parte bianca ormai era quasi beige. Lloyd non sembrò arretrare, ma era meglio non rischiare.

-Posso vederlo?-

-Non rovinarlo- sussurrò lui, con molte meno forze del solito. Glielo allungò con cautela, e Kenneth lo afferrò con altrettanta delicatezza. Era un miracolo che gliel’avesse dato, anche se per poco tempo. Non vi si staccava mai.

-Come mai…?-

Kenny non fece in tempo a finire la frase.

-È stata l’unica gita che abbiamo fatto tutti assieme, in famiglia.- rispose semplicemente. Kenny lo lasciò parlare, e questa volta il ragazzo, per farsi forza, cercò la mano di Kenneth invece che il cappellino. Lo strinse con tutta la sua scarsa forza del momento e riprese a parlare, a testa bassa e sguardo vacuo. -Avevo cinque anni. Mia madre aveva portato me e Fay, mia sorella maggiore, in gita a Cannes, non so perchè fossimo lì o cosa stesse facendo mia madre. Forse doveva trasportare della droga, chissà. Mamma ci ha portati al Planet Hollywood che.. ricordo che stava fallendo, non c’era quasi nessuno, e… era pieno di robe dei film, foto, oggetti di scena…-

Nello sguardo pallido di Lloyd vedeva qualcosa. Una scintilla di speranza, di sogni, di desideri. -Da allora voglio fare il regista. E quel cappello mi ricorda che c’è altro. Mi ricorda quando mia madre camminava e mia sorella mi parlava e io…-

-E tu eri felice.- concluse Kenny. Non voleva sapere cosa Lloyd avrebbe detto, perchè non avrebbe detto nulla che il fantasma avrebbe voluto sentire. Gli restituì il cappello, ma il ragazzo non mollò la presa sulla sua mano, che pian piano stava tornando calda e forte.

-Ha chiuso l’anno dopo.- concluse. -L’anno in cui sei morto.-

Alzò lo sguardo su quello del fantasma, e cercò di rivolgergli quello che sembrava un sorriso sottinteso.

-Grazie di aver ascoltato la mia lagna. Non so che cazzo mi prende…-

-No! Non è una lagna!- cercò di interromperlo ancora Kenny, e il ragazzo lo guardò male. Non gli avrebbe più permesso di interromperlo, e il tempo di essere sentimentale era finito. Il gelido Lloyd Richmond era tornato.

No, forse non del tutto.

-Sei… bravo, hai combattuto e stai realizzando il tuo sogno. Il tuo film su Ronansay sarà bellissimo, ma non lo finirai ora. Prima devi riposare e riprenderti.-

Kenny cercò di sorridergli mentre gli appoggiava una mano sullo stomaco coperto dal pesante piumone, dandogli qualche leggera e amorevole pacca. -E… mangia tutto il pollo!-

Lloyd annuì, abbassando lo sguardo.

Era… era riuscito a farsi obbedire da lui? Si piegò per dargli un bacio sulla fronte, e non rispose come al solito, tirandosi indietro con sdegno, ma fremendo sotto alle pesanti coperte.

Con un sospiro, Kenneth si alzò in piedi, causando uno scatto d’ira a Lloyd. -Eh? E ora dove vai? Non rimani qui con me?-

Cosa stava succedendo?

Lloyd lo voleva lì con lui? Non voleva stare da solo? Kenneth era troppo sbalordito per parlare, e boccheggiò come un pesce fuor d’acqua davanti al ragazzo che arrossì malamente, coprendosi con le coperte metà del suo viso che, almeno, aveva ripreso un colorito. -Non… fa’ finta di niente, cazzo… E non guardarmi!-

-Vuoi che rimanga qui con te? Posso rimandare tutto, se vuoi.-

Gli occhi di Lloyd rimasero bassi. Allungò una mano e Kenny, come al solito, la prese nella propria. -No… no. Va bene lo stesso.-

-Sicuro?-

Il ragazzo annuì. -Davvero.-

-Non stai mentendo?-

Lloyd negò. Sembrava sincero. Gli rivolse un altro timido sorriso. -Grazie per avermi ascoltato. Ancora.-

Lloyd aveva bisogno di attenzioni e affetto come aveva bisogno dell’aria che respirava, e se Kenny avesse ancora respirato ne avrebbe avuto lo stesso bisogno. -Non ringraziarmi.-

L’uomo si piegò sul letto e si decise a premere le sue labbra a quelle di Lloyd. Le sue labbra erano morbide e calde e Kenny si sentì caldo dentro, vivo e felice. Era un bacio a stampo, ma era qualcosa come il loro primo. Era pur sempre importante. Una volta finito, Lloyd tornò a ricoprirsi il viso con la coperta, il cappello della Planet Hollywood calato.

Kenny rimase per un po’ a guardarlo, perso in un mondo in cui era vivo e innamorato invece che morto e triste. Si sentiva vivo e non andava bene.

-Vado...vado a fare un giro. Tu mangia.-

-L’hai già detto.-

-E lo ripeterò ancora, se ce n’è bisogno.-

Il ragazzo sorrise da sotto le coperte. -Sei proprio un rompipalle. Vattene, prima vai e prima torni.-

Era vero.

Si decise ad allontanarsi da lui, per andare a prendere un po’ di aria.

Non poteva fisicamente uscire dalla porta, non poteva allontanarsi dall’hotel, ma poteva rimanere sul tetto, o sul portico. Aveva il bisogno di sentire l’aria sulla pelle, anche se la pelle non ce l’aveva più e l’aria era qualcosa di cui non aveva bisogno.

Forse avrebbe potuto anche apparire sulla spiaggia, sul mare, ma… aveva troppa paura. Il mare, ora come ora, lo terrorizzava.

Non ci sarebbe andato, non da solo, almeno.

E la cantina. Lì non poteva entrarci, non poteva aprirne la porta chiusa a chiave e non poteva passarvi attraverso.

Amava ancora salire gli scalini di legno vecchio e marcio che portavano alla grossa terrazza sul tetto, anche se avrebbe potuto teletrasportarsi o… o qualsiasi cosa fosse quella roba che poteva fare.

Accese un fuoco fatuo tra le sue mani e continuò a camminare per i bui corridoi dell’albergo in cui la sua anima aveva risieduto per troppi anni, con una nota di malinconia, lasciandosi alle spalle una scia bagnaticcia di acqua di mare e alghe e sabbia.

Si stava sentendo troppo umano, in quel periodo. Per colpa di Lloyd. Aveva accettato il suo destino, l’oblio che avrebbe voluto e non sarebbe mai arrivato, e invece quel ragazzino aveva scombussolato tutto nella sua mente, nel suo cuore, e Kenny, lui… lui si sentiva…

Un rumore alle sue spalle lo fece quasi gridare dallo spavento. Si voltò verso la fonte del rumore.

Una stanza buia.

Era la stanza di Abigail, in cui lui non aveva mai dormito, non aveva mai potuto nemmeno avvicinarsi.

Hai paura, Kenneth? E di cosa, dei fantasmi?

Nella stanza c’era qualcuno, anche se a quell’ora non sarebbe dovuto esserci nessuno. I tre ragazzi in cucina, Abby nella sala principale, Robb al bar dell’albergo, e tutti gli ospiti, tutti i marinai o nel pub a ubriacarsi o a mangiare nella sala. Un ladro?

Chi c’era nel buio della camera che non era mai stata sua?

Col fuoco freddo in una mano, aprì meglio la porta. Un altro rumore. Un singhiozzo e un piagnucolio.

Dietro al letto si nascondeva qualcuno.

Bastò un passo del fantasma per far scappare al ladruncolo un altro singhiozzo di terrore, e farlo retrocedere fino alla parete, le mani tra i capelli rosso mogano e il viso affondato nelle ginocchia.

-Jo?- sussurrò Kenny. Lei non rispose. Rimase a fissarlo, con un mix di terrore e incredulità.

-Jo!- gridò Abby dall’altra parte del corridoio. -Jo, non sarai nella mia stanza, vero?-

Anche Kenny strabuzzò gli occhi con terrore, voltandosi verso la figlia, rannicchiata in un angolo con dei libri strani tra le mani.

Entrambi non avevano via di scampo, ma, a differenza della ragazza, Kenny decise di agire, lanciandosi su di lei.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


I vivi non potevano vederlo. O meglio, non vedevano una persona. Vedevano un’eterea figura, una nebbia dalle vaghe fattezze umane, uno spirito come quelli dei film, insomma. Questo vedeva allo specchio da ormai diciassette anni.

Solo Lloyd, fino a quel momento, l’aveva visto come quello che era: un uomo.

E Jo.

Constatò che, come poteva toccare Lloyd, poteva anche essere non fatto d’aria per Johanne, quando la alzò di peso e la spinse nell’enorme, vecchissimo armadio della residenza e si fiondò assieme a lei, richiudendosi tutto alle spalle per nascondersi da Abby, che sarebbe arrivata a momenti.

Kenneth conosceva fin troppo bene la furia cieca di Abigail, e l’aveva provata sulla propria pelle quando era vivo. Una volta lei gli lanciò un vaso, quasi colpendolo in pieno. Se Kenny era un uomo mite e paziente, Abby era piena di forze, di speranze e di frustrazione.

Avrebbe voluto aiutarla, farla stare meglio, ma… Ormai era troppo tardi.

Strinse la figlia con tutta la forza che aveva in corpo, e sentì anche lei, timidamente, aggrapparsi a lui.

I passi pesanti di Abby risuonarono nell’armadio.

Silenzio.

-Johanne Wallace, sei qui?-

-”Wallace”?- sussurrò Kenny in disdegno. Wallace? Il cognome di lei? -In realtà sarebbe “Marsh”! Il mio cognome è…!-

Jo gli tirò un pugno sul petto e si premette un dito sulle labbra, cercando di zittirlo. Kenny alzò le spalle, non lasciandola andare. -Non mi sente. Nessuno mi sente. Tu invece…-

Aveva provato a parlare con la sua ormai ex moglie, in quegli anni. La morte li aveva separati, la morte di lui che a lei non andava così male, evidentemente.

Aveva provato a spiegarle quanto l’aveva amata, quanto l’avrebbe sempre amata, ma forse era un bene che lei non avesse sentito.

Con gli anni, giorno dopo giorno, l’amore che credeva immenso sembrava essere scemato nel nulla. Abby era cambiata. Era diventata una donna fredda, cinica e meschina, sofferente e del tutto disinteressata al benessere degli altri, dei suoi stessi figli.

Aveva fatto male, ed era stato come perdere un altro po’ di quella poca umanità che si sentiva rimasta.

Un amore che sentì crescere era, invece, quello per i figli che non erano mai stati suoi e per la nuova arrivata in famiglia, che invece era davvero sua. Aveva smesso di manifestarsi ai bambini quando lei era piccola, minuscola, e si era segregato nella notte, nei corridoi freddi e scuri.

Non poteva farsi vedere da Charlotte e Alfred, non dopo quello che lui aveva fatto loro. Credeva che riportare Robb dai ragazzi, il loro padre biologico,  avrebbe fatto bene per tutti, per il bene dei ragazzi e di Abby, e invece Robb presto divenne un alcolizzato frustrato. Kenny l’aveva portato loro, Kenny era la causa del loro dolore.

Solo una volta tentò di scusarsi con loro, ma non era andata bene.

Charley l’aveva fissato con terrore, aveva sussurrato qualcosa ed era scappata via.

Non voleva spaventare i bambini, non voleva spaventare la sua unica figlia. L’unica testimonianza della sua esistenza in quel mondo disgustoso. L’unica cosa bella che avesse mai fatto nella sua vita, e ora era lì tra le sue braccia…

La strinse ancora di più al suo corpo, anche se non era il momento per smancerie. -Ti voglio bene.- sussurrò contro i suoi capelli. -Te ne ho sempre voluto.-

No, non era momento di smancerie. Se la ragazzetta era rimasta ferma fino a quel momento, iniziò ad agitarsi e forse a spaventarsi, cercando di districarsi nella giungla di vestiti in cui erano prigionieri.

Facendo rumore.

Abby si stava avvicinando, continuando a gridare.

-Johanne! Io so che sei qui. Hai frugato dove non devi! Se ti trovo è finita per te!-

Kenny non l’aveva mai sentita così furibonda. Doveva parlare delle scartoffie che teneva tra le braccia. Stringendosi al corpo del padre, cercò di nascondere quei libri sotto la larga felpa che portava.

Si sentì rumore di legno che si spostava. Altri passi. Legno. Altri passi. Stava aprendo i cassetti.

-Cos’hai rubato, stavolta?-

I passi si avvicinavano.

Avrebbe aperto l’armadio, ne erano sicuri entrambi.

Kenny premette una mano sul fondo dell’armadio, e premette forte e ancora più forte, finchè non passò attraverso.

Odiava passare attraverso le cose. Era davvero una sensazione sgradevole.

-Tieniti a me. Più forte che puoi. Non lasciarmi per nessuna ragione, va bene?-

Non ebbe risposta da Jo, perchè appena vide le pesanti ante dell’armadio muoversi, Kenneth si lanciò indietro, stringendosi Jo al corpo e sparendo nel legno.

Abby aprì l’anta e trovò solo vestiti appesi e il fondo scuro dell’armadio. -Johanne!- gridò esasperata, sbattendo con violenza l’anta cigolante.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Jo pensò di essere stata buttata in mare, perché sentiva freddo ovunque e l'aria non voleva saperne di entrarle nei polmoni.

Tenne gli occhi serrati e premette la fronte sul legno. Sarebbe morta come quel fantasma..?

Quando il quintale di uomo che le era crollato addosso si tolse dalla sua schiena, Jo capì che non era in fondo al mare ma solo schiacciata sul pavimento dell'hotel in cui era nata e cresciuta. I fantasmi pesavano?

Che camera era? Non la sua e nemmeno quella di sua madre in cui si era avventurata quella notte.

Gli occhi color ghiaccio di Lloyd Richmond la congelarono sul posto. -Di solito non accetto visite.- borbottò lui, con una voce grave che non si addiceva al suo corpo giovane e fragile. Alzò lo sguardo sull'altro uomo nella stanza, che stava diligentemente aggiustandosi i vestiti stropicciati nella fuga.

..il fantasma? Era lui?

Fin da piccola Jo sapeva che c'era qualcosa di soprannaturale nell'hotel in cui abitava. Lo sentiva nell'aria gelida chiusa tra quelle mura, i passi fuori dalla porta, le orme bagnate nel corridoio. I suoi fratelli maggiori, Charley e Alfred, non ne volevano parlare. Mamma si arrabbiava ogni volta che aveva tentato anche solo di nominare la faccenda.

Perché erano lì a Ronansay se erano tutti originari di Londra? Perché mamma era sempre arrabbiata? Perché tutti sembravano ignorare quel fantasma così palese?

L'uomo aveva un aspetto quasi ordinario, eppure qualcosa in lui faceva capire che non era un uomo come tutti gli altri. Alto quasi due metri, dai lunghi capelli rosso scuro che ricadevano pigramente sulle sue spalle larghe, e... e...

-Meno male che mi hai ripetuto fino al vomito "Lloyd, non mettere in mezzo Jo!" e invece tu me la porti in camera.- starnazzò ancora il regista londinese, imbacuccato in un largo e pesante pigiamone e i capelli legati in qualche imbarazzante treccina. L'uomo, il fantasma, non rispose alla sua provocazione. Voltò le spalle a Jo, senza ancora parlare.

-Io non volevo, ma... lei c'è, in mezzo. Lei è il motivo per cui io sono ancora qui, ne sono quasi sicuro.-

La sua figura netta svanì nell'aria fresca della camera, ma Lloyd non sembrò scomporsi.

Jo, al contrario, era distrutta. Aveva visto un fantasma, ma quel fantasma l'aveva aiutata a fuggire da sua madre... si premette le mani sugli occhi, cercando di respirare e ragionare. Un fantasma! Aveva toccato un fantasma! Le aveva anche parlato, qualcosa riguardo al suo cognome... Jo era troppo terrorizzata per ricordare le sue parole.

Vicino a lei, rumore di carta. Era Lloyd, che le si era avvicinato per scartabellare i quaderni e le cartelline che aveva rubato dalla camera dei suoi genitori, inginocchiato al suo fianco.

-Un diario... un'agenda... e delle cartelle. Sono dei dati personali quelli qua dentro? Oh sì. Tessera sanitaria, carta d'identità...- lesse ad alta voce il ragazzo moro, tirando fuori con pazienza tutti i fogli all'interno della cartella in cui erano rinchiusi da chissà quanti anni. -... e certificato di morte. Tutti di Kenneth Marsh.-

Jo alzò finalmente lo sguardo, appena più sicura. -Marsh... il fantasma ha detto qualcosa del genere. È lui?-

Lloyd alzò il suo sguardo color ghiaccio solo per fissarla in modo strano. Piegò la testa in un movimento che non era un sì e non era un no.

-L'uomo annegato qui, anni fa.- continuò lei. -Voglio sapere chi è e perchè ce l'ha con noi!-

Lloyd rimise a posto tutti i documenti che Jo era riuscita a trafugare dalla camera della mamma e rimase a guardarla con un sorrisetto strafottente e un'aria di sfida che le faceva ribollire il sangue nelle vene. -Ma dunque sai anche formulare due frasi di seguito? Che brava bambina...-

Quel Richmond era un famoso youtuber e, successivamente, regista alla BBC. Aveva girato diversi corti e Jo ne aveva visti alcuni, i più famosi che erano finiti in tendenza su Youtube, e sapeva che era lì per una qualche ragione... mamma e papà non l'avevano detto, ma Alfie e Charley sì: il fantasma.

Loro erano sempre restii a svelarle cosa sapessero su cos'era quell'essere che si aggirava per i corridoi, ma qualcosa nei loro sguardi la bloccava sempre, a un passo dalla verità.

Jo divenne rossa di rabbia in viso. Cercò di riprendere i fogli che aveva trovato, ma il ragazzo glieli allontanò ancora. -No. Ascoltami. Li terrò io, così quella stre... tua madre non li troverà. Tu verrai qui a studiarli, anzi, li studieremo assieme. Tu mi dirai cos'hai scoperto, e io tutto quello che ho scoperto.-

-Tutto?- ripeté Jo, incredula.

Lloyd fece per rispondere, ma si bloccò di colpo. La temperatura calò drasticamente, come se qualcuno avesse spalancato tutto ad un tratto tutte le finestre del mini appartamento del londinese.

Ma le finestre erano chiuse. Il ragazzo si morse un labbro, alzando sarcasticamente le sopracciglia. -Mi sa che è un "no".-

Era stato il fantasma. Sospirò e annuì, alzandosi da terra. 

-Kenneth Marsh, nato nel marzo del 1963 a Londra. Ho letto e riletto quei documenti chissà quante volte, ma... su internet non esiste. Non esiste da nessuna parte.- tentò ancora Johanne. Doveva provare, o non avrebbe mai scoperto nulla... Si avvicinò al ragazzo, che era tornato a sedersi sul letto. Lui si strinse le mani sul grembo, stritolando il pesante pigiama che portava. Il suo viso era cereo e i suoi pungenti occhi azzurri erano contornati da orribili occhiaie viola.

Non l'aveva visto fuori per qualche giorno, ed evidentemente era stato molto male. Lui la squadrò male, ma la lasciò parlare.

-Tu... sai qualcosa di lui.-

Lloyd annuì.

-Quanto?-

-Non molto- rispose. Sembrava sincero. -So quello che devo sapere. Spererei di sapere altro. Non è un tipo di molte parole, sai?-

Johanne annuì a sua volta. Era stanca, e mamma probabilmente la stava cercando.

Non poteva scoprire tutto subito, ma col suo nuovo "socio" avrebbe potuto fare qualche passo più avanti.

-Gli asciugamani sono lì. Fai finta di aver fatto i mestieri perchè ti avevo chiamata. E ora sparisci, pidocchia, hai già sprecato troppo del mio tempo.-

Lloyd Richmond era tutt'altro che un ragazzo simpatico. Prese uno zainetto da sotto al letto e, dopo aver tirato fuori da esso un computer portatile di ultima generazione lo accese, iniziando a scrivere qualcosa, sotto lo sguardo infuriato della ragazza più giovane. 

Maledetto londinese...

Lo odiava, ma aveva un tremendo bisogno di lui. Jo era stanca di segreti.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Fuori dalla stanza di Richmond, sua madre la fulminò con lo sguardo e sentì i suoi occhi azzurri scavarle un buco tra le scapole, anche se era lontana metri.

-Johanne, perchè eri dal nostro ospite?-

Jo mostrò gli asciugamani sporchi. -Stavo passando di qui e mi ha chiesto di portargliene di nuovi.- rispose, fredda.

Giorno dopo giorno, sentiva sua madre più distaccata e rabbiosa, suo padre (se era suo padre visto il modo in cui la trattava) sempre più ubriaco e meno presente nei lavori all’hotel e i suoi fratelli sempre più scombussolati e tristi. E Jo si sentiva sempre meno di famiglia.

Si era sempre sentita come una pecora nera in un gregge bianco splendente. Nessuno era alto quanto lei, nessuno aveva il suo colore di capelli, rosso scuro. Non aveva mai visto niente del genere.

Se non…

Sua madre la ignorò e se ne sparì in qualche porta. Jo si incamminò lentamente verso la sua camera, strisciando i piedi per terra e lanciando gli asciugamani nella lavanderia.

Dopo quell’incontro, si sentiva triste. Tremendamente triste e sola.

Per un secondo, nel guardare il viso dell’uomo nella vecchia fotografia della sua patente trovata sotto il letto di mamma, nel vedere gli occhi del fantasma mentre la trascinava al sicuro, aveva pensato, sperato di assomigliargli.

Forse era un suo lontano antenato… una sua vecchia vita passata…

Lui era lì per lei, l’aveva detto testualmente.

Entrò a passi pesanti nella camera sua e dei suoi fratelli e buttò a terra la felpa grigia sporca di polvere vecchia anni, le maniche ormai nere o marroni, o qualsiasi colore sudicio fossero diventate. Era ora di dormire.

-Jo!- disse sua sorella Charlotte a voce più alta. Non gridando. Se Robbie l’avesse sentita gridare, le sarebbe sicuramente arrivato uno schiaffo in pieno viso. -Che schifo è?- ringhiò, indicando la felpa che la più giovane aveva lasciato sul pavimento di legno.

-La mia felpa- rispose Johanne. Non aveva voglia di parlare, non dopo quell’incontro, non dopo quello che le era successo…

Suo fratello le si avvicinò solo per prenderla per un braccio. -Cos’hai fatto al gomito? Dove sei stata? Sei tutta sporca!-

Le spazzolò via una ragnatela dai capelli e le pulì il braccio rovinato nella caduta… quale caduta? Ah, già, quando quel fantasma l’aveva salvata. Un fantasma. Un uomo morto.

Il corpo di Jo fu scosso da un brivido, mentre Alfie ancora stava esaminando la brutta escoriazione sul suo braccio, sotto la maglia rovinata a sua volta. Era una vecchia, vecchissima maglia di Alfie, e le era corta e stretta, benchè Alfred non fosse mai stato un ragazzo magro.

Alfie aveva dieci centimetri esatti d’altezza in meno di lei, e aveva spalle larghe e corpo forte e tozzo e le sue mani erano grandi almeno tanto quanto quelle di Jo, che era una ragazzona di oltre un metro e ottanta. Alfie era rude, temuto a Ronansay e spesso considerato come un bullo, ma la realtà era tutt’altra: era gentile con le sue sorelle minori, amorevole e protettivo, e soprattutto per la sorellina più piccola era un vero e proprio paladino. Jo, quando era piccola, lo vedeva come un cavaliere in armatura scintillante. Lui aveva quasi tredici anni in più di lei, come poteva vederlo se non un fortissimo supereroe?

Si era fatto la fama di “bulletto” negli anni dell’adolescenza e non le volle mai raccontare come. Non era cattivo, non era prepotente, lei lo conosceva bene. Il loro segreto era un mistero per Jo.

-Jo, fa freddo. Non puoi stare solo in maglietta- la ammonì lui, spingendola lievemente verso il bagno. -E fatti una doccia, fai schifo!-

Charley rise, appollaiata sul suo letto, già immersa nel suo enorme pigiama.

Jo amava i suoi fratelli, erano tutto per lei. A scuola non era particolarmente popolare e spesso loro erano il suo unico appiglio in una vita quasi troppo tranquilla e monotona.

Rimase a guardarli e si chiese se loro sapevano, e perchè non le dissero mai nulla.

-Kenneth Marsh…- sussurrò lei, sciogliendosi i capelli nel frattempo e ravvivandoseli dopo troppe ore chiuse in quella lunga treccia che portava sempre. Alfie si voltò a guardarla confusa, non capendo le sue parole. -Cosa?-

-No, nulla.-

Suo fratello si lasciò scappare un risolino alla sua reazione, ma Charlotte… rimase ferma, ghiacciata, a fissarla come se avesse pronunciato la peggiore delle bestemmie. Sì, loro sapevano.

Così come quel nome era salito alle sue labbra, così sparì nell’aria gelida dell’albergo. Con velocità si voltò ed entrò nel bagno, come se gli occhi e l’espressione e i sentimenti di Charley fossero troppo per lei.

Kenny, Kenny....

Era morto un l’anno in cui lei era nata, pochi mesi prima, e lì a Ronansay. Erano troppe coincidenze per lei.

Si spogliò velocemente e, mentre apriva la doccetta dell’acqua calda per scaldarla più velocemente, passò inavvertitamente davanti allo specchio.

Tornò indietro, osservandosi.

Lunghi capelli rosso scuro. Occhi verde mare. Quell’espressione triste…

Robb l’aveva chiamata bastarda più di una volta, mai dandole le attenzioni che avrebbe voluto. Non dava molte attenzioni nemmeno a Charley e a Alfred, ma non li ignorava, non apposta. Nessuno le credeva quando Charley diceva che loro erano sorelle. Mamma non le volle mai spiegare nulla di ciò che c’era prima di lei, di come erano arrivati a Ronansay da Londra. Quei documenti nascosti, vietati, quelle parole impronunciabili in sua presenza.

E il fantasma le aveva detto quelle cose… ti ho sempre voluto bene. Sono qui per te.

Jo si premette le mani sugli occhi ormai lacrimanti, lasciandosi scappare un singhiozzo.

Il suo vero padre era morto. Il suo vero padre era quel fantasma.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Probabilmente non avrebbe dovuto sentire nulla, ma dai versi che si lasciava scappare era palese che stesse sentendo tutto.

Kenneth sospirò ancora, premendosi i pollici sugli occhi. Lloyd rimase a fissarlo, ma continuò quello che stava facendo.

Ai fantasmi piacevano i massaggi? I fantasmi non avevano muscoli, ma i suoi erano duri come l'acciaio. Lloyd sapeva perfettamente l'anatomia umana, e sapeva dove affondare le dita nella sua schiena per farlo sentire meglio o peggio. Oltre a saper sezionare un corpo.

Premette un dito alla base del largo collo di Kenny e lui gemette ancora, contorcendosi sotto alle sue mani.

-Sei tesissimo.- sussurrò Lloyd, iniziando a sfregare il dito sul nodo sotto la fredda pelle di Kenny. Lui non rispose.

-È stato avvicinarti a Jo?-

-Non parlare di lei- lo ammonì l'uomo, irrigidendosi. Sì, era lei. Per vendetta premette più forte il pollice sul nervo dolorante e Kenneth lanciò un gridolino.

-Sì, per lei! Ora però..!-

Lloyd lo lasciò andare, e Kenny si piegò su sé stesso, i capelli rossi a coprirgli il viso pallido. -Io… io non so perché sono qui. Ne so quanto te. Ma Jo… io… io credo sia per lei.- disse ancora, di sua spontanea volontà. Stavolta, non c'era Lloyd seduto sul letto dietro di lui a premergli i nervi.

Lloyd lo abbracciò da dietro e sentì le sue grosse mani stringere le proprie, in un consenso silenzioso.

Amava essergli vicino, poter esprimere anche così silenziosamente i sentimenti che, sinceramente, credeva di non avere, ed essere capito al volo…

La porta si aprì tutto ad un tratto  in un turbinio inaspettato di lunghi capelli rosso scuro ed entrambi gli uomini saltarono sul letto.

Lloyd non aveva mai visto Jo coi capelli sciolti, e ora come mai era identica a Kenny. Anche lei doveva saperlo, perchè fissò il fantasma con un’audacia che non aveva mai dimostrato. -Tu lo sapevi?- disse con voce ferma, rivolta proprio a Kenneth. Lui in risposta non alzò lo sguardo, ma si sistemò i capelli dietro le orecchie. Non voleva parlare.

-Tu lo sapevi!- disse ancora la ragazza, alzando il tono della voce e sbattendosi la porta alle spalle.

-Stai zitta, pidocchia!- la ammonì Lloyd, alzandosi in piedi e avvicinandosi a lei.

Sembrava fatta di pietra, non voleva muoversi.

La spintonò via dalla porta e la chiuse a chiave, appoggiandosi ad essa come ormai da prassi. -Furba, fatti sentire da tutti mentre gridi al fantasma di…-

-..di mio padre?- sussurrò lei. Lloyd annuì, mentre Kenneth sobbalzò ancora.

Lloyd sospirò, guardando male l’uomo. -Oh, dai Kenny, solo uno meno sveglio di Alfie non ci sarebbe arrivato. Siete identici. Ti sei visto allo specchio?-

-Lo specchio non mi riflette- rispose lui.

Noioso…

-Puoi lasciarci soli?- disse Jo, che non sembrava più lei. Era audace e tenace e forte e…

-No- rispose Lloyd.

Il muro di certezze di Jo si sgretolò e nel suo sguardo riconobbe di nuovo quella ragazzina timida e impacciata. Biascicò qualcosa e si tirò una lunga ciocca dietro all’orecchio. -No, perchè tua madre penserebbe male. Cosa ci faresti nella mia camera, senza di me, chiusa a chiave?-

La ragazzina evidentemente non ci aveva pensato. Abbassò lo sguardo e sembrò ancora più identica a Kenny, che era dall’altra parte della stanza con la stessa espressione.

Lloyd sospirò. Doveva ancora prendere in mano la situazione?

-Siediti vicino a lui, va’.- disse ancora, spintonandola per un braccio. Jo era più alta, grossa e forte di lui, ma riusciva comunque a smuoverla da un capo all’altro della stanza. Entrambi lo guardarono come se avesse condannato entrambi a morte.

Come poteva sopportarli?

-Parlatevi, cazzo! Se avessi io mio padre qui, gli sarei già addosso! Veloce!-

Lloyd non parlava molto della sua famiglia, del padre assente e della madre in stato vegetativo per un’overdose, ma… se poteva salvare una famiglia, qualcuno di meritatevole, l’avrebbe fatto. Sia Jo che Ken lo meritavano.

La ragazza decise di darsi una mossa. Si avvicinò al letto, e si sedette vicina ma non troppo al fantasma, che rimase rigido a guardarla.

-Sei.. grande.- sussurrò lui. Allungò timidamente una mano e scostò una ciocca dal suo viso, e lei non arretrò. Stavano facendo grandi passi! Grandi passi per due zerbini con le gambe come loro, insomma.

Kenneth era un uomo dall’indole così dolce che non era un pericolo per nessuno. Questo l’aveva ucciso diciassette anni prima.

-Come hai conosciuto la mamma?- sussurrò Jo. Era una ragazza intelligente e molto deduttiva, anche se era tremendamente timida e impacciata. Kenneth sospirò, continuando a cercare di domare i lunghi capelli rosso mogano della ragazza, del suo stesso colore. -Andavamo a scuola assieme. Lei era una ragazza popolare, io facevo nuoto. Non… non ero molto popolare, io. Volevo fare musica, essere un chitarrista famoso è sempre stato il mio sogno, ma il mare…-

Kenneth si voltò a osservare qualcosa che non c'era, una parete umida della camera. Il mare.

Il richiamo del mare che aveva preso la sua vita, il limpido mare nei suoi occhi.

Lloyd abbassò però lo sguardo sul suo fisico possente e le sue spalle larghe e muscolose. Nuoto… spiegava molte cose.

Jo annuì attenta.

-Tua madre… Abby era la fidanzata storica di Robb. Era un piantagrane, bocciato chissà quante volte, fermato dalla polizia altrettanto frequentemente. Era rimasta incinta di Alfie, e Robb era scappato… è tornato, ci hanno riprovato, poi qualche anno dopo è scappato di nuovo, dopo Charley. Due erano troppi, ma evidentemente odiava usare il…-

Il fantasma si schiaffò sonoramente una mano sulle labbra, come se avesse nominato gli spurs in un pub pieno di gunners inferociti dopo aver perso il derby di Londra Nord.

-Contraccettivi. Preservativi, condom, goldoni, guanto!- sospirò esasperato Lloyd, sotto lo sguardo conscio della ragazza e spaventato dello spirito. -Ken, Jo ha quasi diciotto anni! Sa ‘ste cose!-

Delle volte avrebbe voluto spaccare qualcosa sul testone duro di Kenny, ma era talmente carino che anche lui cedeva. L'uomo, se avesse avuto ancora sangue nelle vene prosciugate, sarebbe arrossito da capo a piedi. -...io… ero il vicino di casa di Abby, spesso facevo da babysitter ai ragazzi. Voglio loro bene. Se solo mi vedessero, io… io... Poi mi ha chiesto di accompagnarla qui a Ronansay, per ricominciare una nuova vita… io le servivo per fingere di essere sposata e non una scapestrata madre single qualsiasi.-

-E tu?-

Kenny sbarrò gli occhi alla domanda inaspettata della figlia. -E tu, perché sei venuto qui?-

L'uomo, sulle prime, non diede segno di voler darle una risposta. Cedette dopo poco, la sua voce appena udibile sopra il vento aveva preso a sbattere contro i vetri e i muri.

-Perché voglio bene ai ragazzi, e perché amavo Abby. Ma lei non mi ha mai amato, nessuno l’ha mai davvero fatto. Non sono un tipo fortunato, come vedi.-

Il silenzio cadde. Lloyd, anche più di Jo, rimase spaesato.

Era palese, ma… Abby era fredda, distaccata e insensibile, egoista e scettica. Kenneth era gentile e altruista e amorevole, lui… perché lui amava lei?

Perché lui non ama me? chiese una disgustosa vocetta dentro di lui. Lloyd la ricacciò da dove era venuta, in qualche angolo marcio delle sue budella.

-E non la ami più?- chiese ancora Jo, stringendo tentativamente una mano a Kenny, che, ovviamente, ricambiò con affetto. -Vedi, Abby era una donna diversa, prima. Era allegra e solare… non gentile, mai gentile, ma provava così tanto amore che… si sentiva di doverlo condividere con qualcuno, a qualunque costo. Due o tre mesi prima che io… che il mare mi prendesse, provò anche con me. Mi disse che ero trasparente per lei, completamente inutile e… Non ero quello giusto, ma ormai avevo fatto il mio dovere. Nove mesi dopo, sei nata tu.-

La ragazza sembrava spaesata, tanto quanto Lloyd.

Il ragazzo lo guardò male, e Ken non alzò lo sguardo su di lui perchè sapeva quello che stava per dire. Dici di Rob, ma non mi sembra che a te usare il guanto piacesse così tanto. Decise di chiudere la bocca e non dire niente. Non era il momento, e non se la sentiva.

No, Lloyd si sentiva solo vuoto, forse invidioso, forse geloso. Odiava Abby. Kenneth è morto per lei, Kenneth avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, e lei lo buttò via come immondizia.

-Ma io voglio ancora bene a Alfie e Charley, voglio bene a te, e… non amo più Abby, ma sono ancora capace di amare. Il mio cuore ha smesso di battere, ma io amo ancora.-

I suoi occhi verde mare calarono su Lloyd, che rimase paralizzato sul posto.

Il tempo sembrò scorrere al rallentatore e velocizzato assieme. Jo cambiò le lenzuola e gli asciugamani e se ne andò,Kenny rimase a guardarlo e… quanto tempo era passato?

-A cosa stai pensando?- sussurrò Kenny, pretendendo una risposta sincera, e Lloyd si pentì di averlo fatto parlare, rimanere lì, di essere arrivato a Ronansay e di aver abbandonato Londra.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


-Hai messo incinta quella troia alla prima scopata!- rise Lloyd con una voce che non era decisamente la sua.

Kenny odiava quando faceva così. Non era Lloyd, sembrava sempre come se qualche demone si impossessasse di quel corpicino tutto tranne che comodo da indemoniare. Quando diceva quelle cose, rideva in quel modo e si muoveva con quei gesti così esagerati, sembrava sempre come se fosse qualche altra persona dietro la quale il vero lui si nascondeva.

-Come hai fatto a entrarci? Insomma, lei è piccoletta e tu…-

-Stai zitto, ti prego.-

Lloyd si zittì davvero.

-Non parlare di Abby così, non parlare di nessuno così. Non... si fa.-

-Non si fa?- sussurrò il ragazzo, mutando espressione in modo strano.

Kenny negò lentamente, invitandolo a sedersi al suo fianco sul letto.

-Con chi cazzo credi di parlare? Con un bambino? Fottiti tu e quella figa stretta di Abigail.- continuò il ragazzo moro, rigido sul posto.

Era ovvio che Lloyd non avesse ricevuto nessuna educazione civica, di comportamento e nessun aiuto dei quali aveva, palesemente, un tremendo bisogno. Strinse gli occhi con diffidenza come un cane randagio a cui si offre un tozzo di pane, ma come un cane randagio affamato e scheletrico si avvicinò lentamente e guardingo, sedendosi al suo fianco e rimanendo a fissarlo impazientemente.

Nei suoi modi tremendi c’era qualcosa di infantile. Beh, era poco più che un ragazzino a pensarci, ma… nella sua cattiveria c’era tanta purezza, in un certo senso. Pura follia o pura cattiveria, senza invidia dietro, senza uno scopo, senza una motivazione.

Una tela, completamente nera, la tinta secca e impossibile da staccare dal foglio bianco sotto essa, era l’animo di Lloyd.

Kenneth si sentiva quasi male a essergli così vicino. Era cattivo, ma… su una tela nera era possibile disegnare fiori colorati, fantasie vivaci. Kenny avrebbe costruito qualcosa su quel campo minato che era Lloyd Richmond.

Non ci era riuscito con Alfred, che era rimasto un bulletto da quattro soldi fino a quel momento. Non era riuscito a rendere Charley più sicura di sé, non era riuscito nemmeno a vedere la nascita di Jo, aveva lasciato Abby marcire in sé stessa, Abby che aveva promesso di proteggere e salvare..

No.

Non avrebbe più deluso nessuno. Non avrebbe più abbandonato nessuno. Non avrebbe mai più lasciato niente a metà, e finalmente avrebbe fatto qualcosa di utile, di buono, qualcosa di cui non sentirsi in colpa, come abbandonare i bambini che aveva promesso di crescere e proteggere, lasciare la donna che aveva messo incinta al suo destino con una bambina che non voleva, con un uomo non degno a una famiglia. Una figlia con una maledizione.

Lloyd lo stava fissando come se avesse appena fatto una delle sue magie come staccarsi la testa del corpo e lanciarla in aria. -Cosa vuol dire che non si fa? Io faccio il cazzo che mi pare.- disse il più giovane, sinceramente confuso e forse un po’ innervosito.

Kenny sospirò, lasciandolo sedere al suo fianco e passandogli un braccio dietro alle spalle, accarezzandolo lentamente. A ogni carezza gentile della sua mano, lo sentiva sempre meno duro e rigido.

Stava per dare le prime pennellate su quella tela nera, ma Kenny non era mai stato particolarmente bravo a disegnare. Tentò comunque.

-Rendi le persone tristi se dici queste cose.-

-E allora?-

Kenneth si sentiva come se gli fosse caduto a terra il pennello ancora prima di iniziare a dipingere, e in più si era sporcato di vernice le scarpe nuove.

-Beh io… io sì.-

Lloyd sgranò gli occhi.

-Io…- tentò Kenneth, avvicinandolo ancora di più a sé. Il ragazzo seguì il suo braccio, appoggiandosi alla sua spalla e fissandolo intensamente, curioso e confuso. Ce la stava facendo! -...se tu tratti male le persone, mi ferisci molto. Mi fai male.-

Aggrottò le sottili sopracciglia corvine e piegò appena la testa, rimanendo a fissarlo incredulo.

Qualcosa passò nel suo sguardo, simile al terrore puro, ma non rimase per più di qualche brevissimo istante. Strinse la presa sul suo braccio, si staccò da lui come un demone che si brucia con l’acqua santa e poi riprese ad aggrapparsi al suo braccio, più insicuro e pensieroso.

Aveva fatto un primo, buon disegno, le pennellate erano andate a buon fine ma… poteva dire lo stesso per Lloyd?

Lo scosse un po’. -Ehi..?-

-Se faccio lo stronzo, ti faccio stare male?-

-Sì- rispose sinceramente Kenneth. Odiava le cattiverie.

-E se facessi male a una persona, cosa ne penseresti? Tpo… tipo se buttassi qualcuno giù dalla finestra. Tu cosa penseresti di me?-

Questa volta fu il fantasma a rimanere incredulo davanti a quella domanda. Aveva studiato un po’ filosofia o.. o psicologia o qualsiasi cosa fosse, a scuola. Freud e le tre funzioni della mente umana, o… una cosa del genere. Erano passati ben trentasei anni da quando aveva finito le scuole, e quei ricordi, come tutti quelli della sua vita passata, della sua vita, si stavano pian piano affievolendo nella sua mente.

Era un pensiero che lo terrorizzava, perdere tutti i ricordi.

Passò una mano tra i capelli neri e arruffati di Lloyd, che ancora attendeva una risposta. Freud, già. Le tre parti della mente. Quella che controlla le altre due, quella selvaggia e la coscienza.

Se Lloyd ne aveva bisogno, sarebbe stato la sua coscienza. Il suo controllo, il suo freno.

Non aveva molto altro da fare.

-Sarei triste. Molto. Ma potremmo trovare una soluzione assieme.-

Lloyd non parve completamente convinto, ma annuì lo stesso, appoggiando la testa alla sua spalla e sfregando il viso stanco contro il tessuto della sua maglietta. Sembrava stravolto, povero piccolo...

-Anche tu dovresti dormire- lo apostrofò Kenny con la sua voce dolce. La pioggia aveva preso a scrosciare contro il vetro della finestra della camera.

Lloyd borbottò qualcosa ma non si rifiutò, infilandosi sotto il nuovo piumone portato dalla ragazza poco prima. -Vuoi che stia qui?- chiese ancora il fantasma, accarezzandogli una spalla con lentezza. Lloyd annuì poco deciso. Lo voleva o ne aveva bisogno?

Gli spiriti non dovrebbero pesare ma Kenneth lo faceva e il letto cigolò e il materasso si piegò sotto al suo massiccio corpo. Lloyd scivolò contro di lui ma non se ne lamentò.

-Allora mi ami?- sussurrò prima di addormentarsi.

Ken rimase zitto, immobile come una statua. L'unico movimento erano i vaghi fuocherelli che aleggiavano attorno al suo freddo corpo e la sua mano che si muoveva delicatamente sulla schiena del più giovane. Doveva dare la sua risposta. Era stanco di essere morto.

-Sì. Io ti amo, Lloyd.- rispose sicuro.

-Anche se sono cattivo?-

Kenneth si morse il labbro inferiore. Lui si considerava cattivo, un caso perso. No, non lo sarebbe stato, non con Kenny.

-Ti amo in tutto e per tutto. Amo te per come sei.-

-Forte…- e il ragazzo sprofondò nel sonno con un sorrisone senza dare nessuna risposta.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Lloyd si svegliò con un buon profumo di pancakes nel naso.

-Marmellata di pesche?- fece Kenny da lontano. Ai fornelli? -Ovvio- rispose Lloyd senza saper modulare il suo tono di voce. Aveva la bocca impastata dalla stanchezza e dalla lunga dormita, ma era di buon umore. Lloyd amava le pesche!

Erano le undici della mattina, ma Kenny cercava di svegliarlo sempre tardi. Di solito, a Londra, Lloyd non dormiva quasi mai, ma lì a Ronansay non sapeva fare altro che dormire, soprattutto se erano le braccia fredde di Kenneth a cullarlo nel sonno.

Si mise a sedere e presto il vassoio pieno di buoni dolci gli fu appoggiato sulle cosce che stavano diventando sempre meno ossute.

Era comunque un ragazzotto magro, ma non più scarno. Kenny lo faceva sicuramente mangiare troppo… ma, in effetti, stava portando delle conseguenze positive. Aveva più forza, poteva rimanere in giro più a lungo senza crollare stremato, ma… sembrava ancora più giovane. Le guance erano più paffute e le cosce erano meno ossute e più piene. Dopo quei mesi in Scozia, stava iniziando a mettere il grasso come le foche per proteggersi dal freddo?

-Mi farai diventare una ragazzina cicciona così- sussurrò Lloyd, prendendo il primo boccone di pancake. Non alzò lo sguardo sul più vecchio, ma lo sentì ridacchiare e sedersi al suo fianco. Una sua fredda mano sotto la nuca e lo fece piegare verso il suo corpo, premendo le labbra tra i suoi capelli freschi di lavaggio e shampoo alla… pesca, ovviamente. -Già lo sei. Una bella bimba.-

-Fottiti- borbottò Lloyd scostandolo da sé, non riuscendo comunque a non sorridere.

Ormai era ora di pranzo, ma Lloyd non aveva mai osato pranzare assieme a tutti gli altri dell'alloggio. Abby gli aveva, più esplicitamente o meno, fatto capire che non era ben accetto.

Era mesi che era lì, e lei non ne poteva più… anche se la BBC li stava pagando più che profumatamente.

-Perché tutta questa roba, oggi?-

Lloyd fissò con interesse le padelle che stavano lentamente scaldandosi sui fornelli. Una cena?

Kenny gli passò un braccio dietro le spalle, stringendolo a sé mentre lui continuava a mangiare. -Sono due mesi che ci conosciamo!-

Due?

Lloyd alzò le spalle e annuì, stupito. Wow. Era due mesi e mezzo lontano da Londra, dunque.

Si appoggiò alla sua spalla mentre finiva il primo pancake. Stava quasi finendo la marmellata di pesche, e rimanevano ancora due pancake. Stava usando troppa marmellata.

La situazione era idilliaca, ma i pesanti passi e le grida fuori dalla porta lo erano meno.

Kenneth si alzò in piedi tutto ad un tratto, come se potesse vedere attraverso i muri. Forse poteva. Scosse la testa da una parte all’altra, fece un passo in avanti e poi si fermò. -Lloyd. Preparati ed esci. Lo zainetto è già preparato, i vestiti sono puliti sulla sedia. Io… devo andare.-

Zainetto? Uscire? Andare?

-Cosa? Quando?-

-Adesso. Dalla porta principale. Vai!- e sparì nel nulla.

Si voltò verso la scrivania ed effettivamente lo zaino era già pronto, con dentro computer carico, soldi e merenda, e i vestiti puliti e stirati sulla sedia.

Prima non c’erano.

Kenny lo inquietava delle volte, ma forse avrebbe dovuto inquietarsi di più per quello che aveva detto. Uscire… lui doveva andare…

Sorrise divertito. Un altro mistero? Un mistero nel mistero? Lui era lì per quello!

Si vestì velocemente ma non troppo, si infilò velocemente la felpona e i pantaloni della felpa e la giacca a vento forse un po’ troppo larga per lui e trottò fuori dalla sua stanza, non prima di averla chiusa a chiave ed essersi infilato le chiavi in tasca. Non si fidava di lasciarle alla reception, ad Abby.

Che però quel giorno non c’era, notò con poco interesse. Jo aveva detto che sua madre sarebbe mancata per qualche giorno, per delle faccende sulla terraferma. Lloyd non era stato interessato alla mancanza della padrona dell’albergo, ma quella frase gli era rimasta in testa perchè Jo aveva definito “terraferma” l’isola di Gran Bretagna. Poi pensò che tutti i continenti, infondo, erano isole. La terraferma non esisteva davvero.

Le grida rabbiose di due uomini gli fecero dimenticare anche quella nozione e lo riportarono alla realtà di quell’orribile hotel.

Robert, il marito di Abby, era nella reception assieme ad Alfie, e stavano gridando qualcosa, prima che Lloyd passasse ignaro e disinteressato davanti a loro: il viso di Rob era gonfio e rosso peperone e Alfie aveva protettivamente la schiena verso la porta d’ingresso. Guardò Lloyd come manna dal cielo e Lloyd lo guardò come un cammello nella cruna di un ago.

Uscì dall’hotel senza dire nulla. Incredibilmente, la temperatura esterna era più bassa di quella interna. Di solito era il contrario. Di solito, con Kenny…

Si voltò, verso il corridoio alle sue spalle, talmente lungo e buio da non vederne una fine. Kenny… dov’era? Perchè non c’era freddo? Perchè non c’era il suo freddo?

-Qualche problema, Richmond?- chiese nervosamente Rob, che nel frattempo si era zittito, come il figlio. Lloyd alzò le spalle e senza rispondere uscì al vento gelido, stringendosi nel suo cappottone.

La prima cosa che udì fu il vento contro al viso, poi dei singhiozzi di terrore. Era Charley, nascosta sotto la tettoia per ripararsi dal vento e da qualcun altro, tremante e terrorizzata.

-Lloyd, ti prego…- sussurrò lei. Lloyd doveva uscire per lei? Kenneth l’aveva mandato lì per quello?

Si avvicinò a lei titubante, cercando di mettersi tra il vento gelido e il suo corpo. Charlotte non aveva niente per coprirsi, se non i suoi soliti, poco pesanti vestiti alla Paris Hilton versione Isoletta Sperduta della Scozia. Beh, aveva decisamente il fisico per permettersi quegli outfit… anche se aveva bisogno dei tacchi per arrivare a guardarsi negli occhi con il non-così-alto Lloyd.

Ah, aveva anche un occhio nero. Non ci aveva badato prima.

Era curioso ma non troppo, stranito ma non al limite. Il limite arrivò con Rob che correva fuori dalla porta ma, vedendo Lloyd, si irrigidì di colpo. -Torna dentro, Charlotte. Veloce.-

Il suo tono intransigente non gli ispirava niente di buono. Avrebbe voluto rispondere, ma non sapeva davvero cosa dire. Charley invece fu veloce e furba, e meno tremante ora che c’era il corpo di Lloyd a schermarla dal vento. -Devo aiutarlo con una faccenda al paese.-

-Torna dentro.- fece lui, come se la ragazza non avesse mai parlato. Lloyd, questa volta, trovò le parole. Si mise le mani sui fianchi e piegò la testa, rimanendo a fissare l’uomo che, sulla scalinata, si sentiva tanto alto e potente. Saresti anche così gradassone con la mia lama nella milza, stronzo?

-La BBC si arrabbierà parecchio se non finisco le riprese. Se dovrò fare dei nomi per imputare le colpe, devo sapere il suo cognome e il suo nome completo. Può riferirmeli?-

Vide negli occhi scuri di Rob la rabbia pura, come un toro che vede rosso. I pugni si strinsero e le labbra si serrarono e la mandibola si chiuse con così forza da far sentire ai due ragazzi il suo rumore secco di osso. Fece retrofont e tornò dentro, e appena l’uomo se ne fu andato, Lloyd si ritrovò Charley appesa al collo, a scoppiare di nuovo a piangere e ringraziarlo.

Se solo Kenny fosse stato lì a vederlo...

Cos’era successo? Perchè era lì, perchè aveva un occhio nero, e…

dov’era Jo?

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


-Rob non mi picchia sempre, anzi, quasi mai. Però oggi…-

-Oggi sì.- finì la frase Lloyd, senza problemi o paure. Charley annuì. Lloyd conosceva quella sensazione, anche lui era cresciuto in una famiglia violenta. Solo che lui non ne era stato afflitto così tanto, o almeno, lui non lo sapeva.

-Tu come hai fatto a…-

-Kenneth.- rispose Lloyd. Era stanco di menzogne e giochetti. La ragazza però non ne sembrò così turbata. Con un mezzo sorriso si tirò indietro una ciocca castana dietro l’orecchio e annuì, mordendo via un altro pezzo di pancake che Lloyd le aveva offerto. -Lo sapevo che lui.. c’era. Non ci avrebbe abbandonato. Ce l’aveva promesso, sai? Ero una bambina sola e triste, non avevo amici, ma lui c’era sempre al mio fianco e, con lui, non mi sentivo mai sola. Avevo avuto un brutto incubo la notte prima della sua partenza, avevo pianto e lui… mi aveva detto che sarebbe tornato, qualsiasi cosa fosse accaduta. E l’ha fatto…-

Una lacrima scura di mascara scese dalla sua guancia pallida, un vago sorriso sulle sue labbra sbavate di rossetto. -I pancake sono buonissimi. Lui è sempre stato bravo a farli.-

Lloyd non rispose, ma annuì silenziosamente. Aveva tanti pensieri nella testa, e il mare davanti a loro era agitato come i pensieri di Lloyd. Si erano fermati a riposare, a nascondersi e a mangiare in una baita vicina al mare, di solito usata dai pescatori per tenere reti e attrezzi di ricambio. E ora due fuggitivi.

Il ragazzo si concentrò sul mare in tempesta, dello stesso colore scuro degli occhi di Ken quel giorno.

Ken…

-Dov’è Jo?- chiese, finendo lo spuntino. Charley abbassò lo sguardo, pulendosi una guancia dal mascara colato. -Lei… lei ha fatto una stronzata e Rob l’ha presa e buttata in scantinato. Non si può entrare nello scantinato. Solo mamma e papà possono, e lui l’ha chiusa a chiave lì sotto. Ho paura per lei, ma… Alfie ha detto che se ne sta occupando. E mi ha detto di scappare perchè papà può fare del male solo a me.-

-E perchè non sei scappata, scema?-

Il rimbecco di Lloyd la ferì più del previsto, o forse il giusto, tanto quanto voleva Lloyd. Sgranò gli occhi nocciola e rimase a fissarlo con stupore, come se avesse risolto un qualche impossibile teorema matematico. -Io… non posso. Non da sola. Mi avrebbe… no, non…-

Era terrorizzata.

-Ho paura che... Kenny si dia le colpe per averci lasciati con Rob. Ma non è stato lui! Lui ci voleva bene, lui…-

Charlotte deglutì così forte che Lloyd si sentì raschiare la gola. Le passò una bottiglietta d’acqua che aveva trovato nello zainetto, e chissà come ci era finita lì. Lei la afferrò come nel deserto e la bevve, lasciando sul bordo del collo della bottiglia ciò che rimaneva del suo rossetto. -Ero una bambina, ero felice che mio padre naturale fosse tornato a casa. Ho paura di aver offeso Kenneth facendo così. Lui… lui per me contava così tanto, per me lui era il mio vero e unico padre, lui per me conta ancora tanto! Non ce l’ha con me, vero?-

Il suo sguardo fece male a Lloyd, nel profondo. Tutti amavano Kenny e Kenny amava tutti. Anche lei, anche Jo e Alfie, e anche Lloyd stesso. Sorrise, senza segni di strafottenza. -No. Lui ti vuole bene, me l’ha detto. Non smetterà mai di volertene, a te e ad Alfie e a Jo. Così… così ha detto quel cretino rosso.-

Perché l'aveva detto? Non era una bugia, eppure non erano nemmeno fatti suoi.

Anche Charley sorrise, un sorriso un po’ bruttino ora che aveva un occhio nero e il trucco colato ovunque. Ma era un sorriso di speranza, di bei ricordi, di un bel passato e di un, possibilmente, ancora migliore futuro.

-Torneremo al tramonto. Di notte, Kenny è molto più forte.- continuò Lloyd, cercando di scrollarsi di dosso l’imbarazzo di aver detto quella frase poco prima.

Charley annuì, ma non parve davvero ascoltarlo. Finì il suo pancake a sua volta e rimase a guardare il mare, in attesa.

Lloyd era preoccupato per Jo e per Kenny, che dovevano trovarsi assieme in quel momento. Pensò all'aumento di temperatura nell’hotel, al bacio di Kenneth, e al mare del Nord che lo aveva reclamato quasi diciotto anni prima. Pensò alla gentilezza con cui aveva trattato Charley, e il sorriso con cui lei l’aveva ringraziato.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Mamma era andata a fare commissioni in Scozia, nella città situata sulla costa davanti a Ronansay, per sbrigare le pratiche di fine anno. Accadeva ogni anno, ma quella volta era diverso.

Al suo ritorno, avrebbe cacciato Lloyd.

Jo non sapeva perchè volesse così tanto allontanarlo dall’hotel, ma… doveva centrare Kenneth, col suo segreto, e con...lei.

Rob, quello che non aveva mai chiamato padre, la guardò con odio. -Legati i capelli- borbottò, stringendo tra le mani una fetta biscottata che era quasi sul punto di spezzarsi. La colazione in famiglia non era mai una bella esperienza se non c’era la mamma in giro. Beh, non era bella nemmeno con lei, ma non così piena di ansia e rabbia almeno.

Robert l’aveva sempre odiata, lo sapeva. Ma ora Jo poteva odiarlo a sua volta, senza sentirsi una pecorella nera, un’aliena, una mostriciattola sola al mondo. Perchè non era più sola, non lo era mai stata.

-No.- rispose la ragazza. Presto avrebbe compiuto diciotto anni, e sarebbe potuta scappare da quell’hotel, vivere la vita, e magari andare a Londra, Londra che aveva sognato per così tanti anni nei ricordi dei suoi fratelloni!

Rob si alzò in piedi, di scatto, facendo cadere la sedia a terra. -Ti ho detto di farlo!-

-Basta.- ringhiò Alfred, che già si stava scaldando come il padre. Alfie non sopportava Rob, diceva che era colpa sua se mamma era triste, se loro erano così distrutti. Se Kenny era morto.

-Stai al tuo posto. E tu scusati, bastarda.-

Rob le puntò un dito grasso contro e Jo non ci vide più dalla rabbia. Di solito era calma, timida e impacciata, ma non doveva più essere così. Doveva alzare la voce, doveva farsi valere, doveva esistere, o sarebbe stata trasparente, invisibile, dimenticata, come…

-No! Tu non sei mio padre!- gridò con una voce da bambina, anche se aveva cercato di essere una donna adulta. Svettava di oltre dieci centimetri d’altezza sopra Rob, ma lui era ben più forte di lei. E aveva fatto l’errore di tenere i suoi lunghissimi capelli mogano sciolti.

Rob la prese per una ciocca e la tirò, causando un grido a Jo. La trascinò per metà camera, mentre lei gridava e lui gridava, e anche Alfie e Charley iniziarono ad alzare la voce.

Allontanò Charley con uno schiaffo in pieno viso e trascinò la terrorizzata Jo per il corridoio, fin dove le luci si interrompevano, scendendo le scale vicino al bagno degli uomini e tirandola fino alla porta della cantina.

La cantina.

Mamma aveva vietato a tutti di anche solo avvicinarsi a quella camera. Jo cercò di tirarsi indietro, di scappare e gridare aiuto, ma sentì qualche capello strapparsi alla cute e desistette.

-Stai qui a pensare, stronza. E magari capirai chi comanda!-

Rob la strattonò dentro e chiuse la porta alle sue spalle a chiave.

Il buio calò sulla grossa sala, gelida come mai. Il silenzio seguì.

Jo si ritrovò lì, sola e sperduta e dolorante e terrorizzata. Nell’essere spintonata nella cantina era caduta, e un ginocchio le doleva da impazzire.

Tirò fuori dalla tasca dei jeans il cellulare e cercò di farsi luce, ma non contò molto. Era un cellulare vecchio, uno scarto di sua sorella Charley, perchè i loro genitori non permettevano loro di avere smartfone di ultima generazione e non permettevano loro di avere una vita propria, un lavoro e una casa, di essere persone.

La cantina era umida, piena di muffa e ragnatele. Gracchiò come un corvo quando un ragno troppo grosso per i suoi gusti si nascose dietro a un vecchio mobile pieno di giornali ammuffiti.

Potevano esserci ragni anche più grossi, scarafaggi, topi.. no, i topi no… Jo era terrorizzata dai topi. E dagli scarafaggi e dai ragni e da un po’ tutto. Si alzò di scatto a quel pensiero, anche se appoggiare il peso sul ginocchio su cui era atterrata le faceva male. Sempre meglio il dolore che trovarsi qualche bestia addosso… rabbrividì di nuovo, anche se la cantina, al contrario del resto dell’hotel, non era così fredda.

Cercò di guardarsi attorno e un oggettino strano raccolse la sua attenzione. Era a terra, quadrato e grigiastro semi-nascosto sotto a un mobile. Si piegò, lo prese in mano, lo rigirò tra le dita e non seppe dire cosa fosse. Aveva tre spine, era rotondo e aveva un buco in mezzo…

Lo rigirò finchè non realizzò cos’era.

Oh no.

Non era possibile, non lì...

Una vertebra umana.

Gridò ancora, questa volta di più, più forte, con la voce che le raschiò l’interno della gola come un coltello, e si aggrappò alla maniglia della cantina, cercando di aprirla. La spintonò così tante volte che credette di averla rotta, e scoppiò in un pianto a dirotto.

Era un osso, un cadavere, lì in quella cantina, lì c’era…

Il buio era calato di nuovo, ma il silenzio no. Le grida e le lacrime e le sue unghie che graffiavano sul legno della porta erano tutti i rumori che riempivano quella stanza e il suo cervello, e non si accorse della luce blu alle sue spalle e della grossa figura che si stagliava nera davanti ad essa.

Fu lì lì per gridare ancora, quando ricordò che i fantasmi nell’hotel non erano cattivi, ma erano famiglia.

Dalla porta si tuffò contro il corpo di Kenneth e continuò a piangere e a gridare anche quando il suo padre biologico l’ebbe stretta tra le sue braccia. La lasciò sfogare, la lasciò bagnare la spallina della sua maglietta con le lacrime, e accarezzò i suoi capelli.

Dopo chissà quanto tempo, Jo si tranquillizzò tanto da alzare lo sguardo sul viso ora bluastro del fantasma.

Il fuoco fatuo di Kenny illuminava tutta la stanza in una maniera fredda e impossibile, anche la vertebra a terra.

Jo non aveva più voce. Indicò l’osso che lei aveva lasciato, o lanciato dalla paura sul pavimento, e lui si voltò appena a guardarlo, senza lasciare andare Jo andare e senza stupirsi troppo.

Con una naturalezza che non apparteneva a quella situazione, si voltò verso Jo e finalmente parlò, anche se non erano le parole che lei voleva udire.

-Credo… credo sia mia, sai?-

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Sotto al mobile non c’era una sola vertebra, ma due o tre e poi anche pezzi d’osso e finalmente un cranio mezzo spaccato.

C’era chiaramente una rottura sulla calotta cranica, causata da un qualcosa. Un oggetto acuminato, un’arma impropria… Jo aveva guardato tanto CSI nella sua vita, perchè Alfie era un grande fan e lui e Jo passavano i pomeriggi davanti alla televisione a guardare meravigliati. Charley non voleva vedere i cadaveri. Sarebbe morta del terrore in quella situazione…

-Sei sicuro sia il tuo?- disse Jo, prendendo con mani tremanti il cranio in mano. Era grosso e pesante e più scuro di quanto credeva. Le ossa erano bianche, no? Quelle erano grigiastre. Il cranio era quasi integro, se non per un enorme buco nel mezzo.

Kenny si piegò all’altezza delle mani della ragazza, a confrontare la sua testa col teschio.

Erano grandi uguali.

Jo passò un dito sull’arcata orbitale del teschio, poi su quella di suo padre. Il dito le scivolò sul suo grosso naso e gli finì nell’occhio. -Ahia- fece lui.

-Scusa- e Jo decise di ritrarre la mano. Scelta saggia.

-Sapevi che era… eri… qui?-

Jo si sedette con la schiena contro la porta, l’unico luogo sicuro e non disgustoso secondo la sua testa. Era probabilmente sporco a sua volta, ma non importava. Kenny le si sedette al fianco, negando, con tra le dita gli altri pezzi di cranio. -È stato portato dopo la mia morte.-

-E non sai se hanno depredato il tuo cadavere!?-

Kenny la guardò quasi offeso. -No, ero un po’ morto, sai. Sarebbe stato difficile accorgermi di qualcosa in quello stato.-

Era vero, non ci aveva pensato. Si appoggiò alla sua spalla e cercò di rilassarsi, anche se in quella situazione non poteva davvero farlo.

Era stata rinchiusa dal suo patrigno in una cantina sporca e piena di bestiacce e con un teschio decapitato per terra, il teschio di suo padre. E per giunta, un fantasma era arrivato ad aiutarla. Il fantasma di suo padre!

Sarebbe impazzita da un momento all'altro, lo sapeva... il cervello sembrava sbattere contro il suo cranio, e presto avrebbe fatto un buco nell'osso come quel teschio che aveva trovato e sarebbe schizzato fuori e scappato via da quel posto, da quell'hotel, da quell'isola.

Anche Jo avrebbe voluto tanto farlo… socchiuse gli occhi e si lasciò scivolare contro Kenny, che l'accolse con un sorriso amorevole.

Appoggiò la testa sulle sue cosce e si lasciò scivolare in uno strano sonno conciliatore, anche se non era decisamente tempo di dormire. Però si sentiva così bene… le mani del fantasma scorrevano calme e calmanti tra i suoi capelli, e Jo sapeva che c'era lui in mezzo. Chissà quanti poteri aveva? E chissà se quello era uno di essi? Non era del tutto male. Non era affatto male.

Jo si svegliò con una forte botta in testa e un grido. Cercò di balzare in piedi con gli occhi ancora annebbiati ma cadde su un mobile appoggiato vicino alla porta e si impiastricciò le mani con delle ragnatele.

-Johanne!- gridò sua madre, col terrore negli occhi. Le si avvicinò e la abbracciò come raramente accadeva. Jo si lasciò abbracciare, confusa e ancora assonnata. -Scusami, sono appena tornata e ho sentito cosa ha fatto Robb e io…-

Quando Abby aveva aperto la porta, aveva colpito involontariamente la figlia. No, mamma non la picchiava, e non permetteva a Robb di picchiarli se lei c'era. Non c'era sempre, purtroppo.

Abbassò lo sguardo e fissò con aria terrorizzata la coperta su cui si era addormentata Jo. Coperta? Doveva averla messa Kenny. Quella coperta non l'aveva mai vista.

Abby la scostò in un angolo con un calcio rabbioso, ora gelida in viso. Se per un istante sembrava essere tornata una mamma gentile e protettiva… era sparita, di nuovo.

-Vattene da qui. Va’ in camera tua- ringhiò a denti stretti, e come sempre, Jo obbedì.

Con un ultimo sguardo dentro la cantina ora illuminata da un vecchio neon fuori dalla porta, notò che il teschio era sparito.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


-Più centrale.-

-Centrale?-

-Non tenertelo sulle tette, cazzo! Meglio? Capisci meglio così?-

Jo lo guardò con ira mentre continuava a stringere il teschio al petto. -Hai detto sul cuore. E io il cuore ce l'ho dietro le tette. Le hai mai viste delle tette, tu?-

Lloyd sospirò pesantemente, aggiustandosi il cappellino della Planet Hollywood sulla testa. Bambina imbecille… -E allora non tenerlo sul cuore. Sotto al cuore.-

L'avrebbe strangolata coi suoi stessi capelli, talmente lunghi da sciolti da arrivarle al bacino, ma sapeva che se solo avesse tentato si sarebbe trovato contro non solo una donna cattiva e isterica ma anche un enorme fantasma capace di atti sovrannaturali inimmaginabili.

E poi Jo era abbastanza simpatica, non voleva farle del male.

Decise di abbassare il teschio sotto al seno, tenendoselo all'addome stretto nel corpetto. In quel vestito antico, era bellissima. Sembrava quasi nata per indossarlo, con quel viso e quell’espressività e tutta sé stessa che non sembrava appartenere a quell’epoca, e nemmeno a quel mondo. Ovviamente non glielo disse, Lloyd odiava i complimenti.

Erano partiti assieme dall’hotel qualche ora prima, quando il cielo era ancora nero pece e le stelle brillanti sull’Isola, per trovare le ultime cianfrusaglie che sarebbero servite per girare il film. Jo era emozionata almeno tanto quanto Lloyd stesso all’idea di girare il film, che si era effettivamente trasformato da documentario a film. E poi erano soci, no? Andava bene se Jo lo aiutava un po’. Jo non era Lucy.

Dopo che Kenny e Jo si presentarono nella sua camera con un teschio umano, il teschio di Kenneth, si sentiva più unito a lei. Jo era sempre taciturna e quando parlava diceva qualcosa che a Lloyd non piaceva, ma ricostruire quel teschio assieme li aveva avvicinati parecchio. Jo era la cosa più vicina ad una amica, una socia che Lloyd avesse mai avuto, ma non voleva ancora ammetterlo. Lloyd era un lupo solitario e non aveva bisogno di nessuno, né di amici né di compagni né di relazioni.

Anche se era palesemente una bugia.

Dopo aver raccattato in un vecchio negozio già aperto prima dell’alba un vecchio vestito funebre vittoriano e qualche candelabro antico, si erano diretti alla spiaggia. Lloyd aveva girato qualche scena d’interni nell’hotel, e registrato qualche suono grazie a Kenny che aveva salito e sceso le scale in modo spettrale come, beh, solo lui poteva fare.

Era stata una nottata divertente, e Lloyd non si aspettava di poter effettivamente godere quella vacanza forzata a Ronansay.

Dopo aver scattato qualche foto a Jo davanti alla vecchia, lugubre chiesetta dal campanile fatiscente e rotto, si erano diretti alla spiaggia, e Jo aveva girato tutta l’isola con quel brutto vestito addosso, sembrando quasi felice di indossarlo. Non gliel’aveva chiesto. Non gli importava davvero.

Era un po’ corto per lei, ma non importava molto dato che era immersa fino alle ginocchia nell'acqua del mare, il teschio in mano e la  telecamera di Lloyd puntata. Era fotogenica, bella e statuaria, se avesse avuto anche l'abilità di mantenere lo sguardo fisso per più di sei secondi e parlare senza balbettare e guardarsi le scarpe, avrebbe fatto scintille.

Il velo nero davanti al viso ondeggiava in modo perfetto davanti al suo viso roseo, e i suoi lunghi capelli rosso mogano si muovevano come le onde del mare del Nord, in una sincronia quasi perfetta. Il viso di Johanne era austero ma giovanile e ingenuo.

Dietro di lei, il sole stava stava nascendo, illuminando in giochi misteriosi la scena. Era tutto… tutto...

-E… taglia! Perfetta.- fece Lloyd finalmente, riuscendo a salvare la parte principale del film. Sì, sarà la scena centrale, iniziale e finale di tutto. La copertina, la locandina, e il suo biglietto per il successo e la memoria eterna.

-Sei stata bravissima.-

Non era stato Lloyd a parlare, ed erano solo loro due alla spiaggia.

Jo annuì imbarazzata ma si gelò sul posto nel realizzare a chi apparteneva quella voce. -Papà..?-

Come se quella fosse una comune vasca da bagno nella propria tranquilla casetta e non il Mare del Nord alle prime luci dell'alba, Kenny emerse dall'acqua in tutta la sua altezza, strizzandosi i capelli bagnati.

Lloyd e Jo rimasero a fissarlo.

Stupiti.

Pietrificati.

Che stava succedendo?

L'uomo alzò lo sguardo sui due ragazzi e rimase a sua volta di pietra. Forse aveva dimenticato un pezzo della storia? Forse non aveva detto tutto alla figlia e al compagno? Le sue guance si colorarono di scuro mentre si lisciava la maglietta sul petto, ormai semitrasparente. Odiava essere morto con una maglietta così esplicita. Non era un pornoattore, era un fantasma!

-Io… sono morto in mare, no? Cioè, no. Sono morto sulla spiaggia. Ma il mare ha ancora il mio cadavere.-

Si voltò verso Jo, che ancora stringeva il suo cranio tra le mani. -...quasi tutto il mio cadavere.- finì.

Jo e Lloyd annuirono piano. Non sembravano convinti, o forse…

Lloyd infilò l'occhio nella telecamera e puntò diretto al fantasma, che si coprì istintivamente il corpo con un braccio. Lo stava riprendendo..?

-Ti si vede in camera! Sei visibile!- gridò il ragazzo emozionato, non togliendo l'occhio dallo schermo. Nella telecamera, il mare si avvolgeva delicatamente attorno alle larghe cosce di Kenneth bagnando i suoi jeans chiari, mentre i suoi occhi brillavano come l'acqua in cui era immerso. La sua pelle era innaturalmente pallida come la porcellana e i suoi capelli rosso scuro si arruffavano al vento, e il suo sguardo gentile era fisso su di lui…

-Uh… non vuoi sapere la spiegazione? Lloyd? Ehi, Lloyd!-

Lloyd sembrava in trance. Non parlava ormai da troppo tempo quando abbandonò la telecamera per afferrare la fotocamera digitale che aveva al collo per scattargli una foto. Il momento era perfetto, Kenny era perfetto.

Kenny aprì le labbra bluastre per parlargli preoccupato ma Lloyd lo zittì con una mano. -Mettetevi vicini.-

Jo e il padre si guardarono poco convinti. Avanzarono difficilmente nell'acqua alta e si misero fianco a fianco, Jo istintivamente aggrappandosi alla mano del fantasma, stringendo il suo teschio nell'altro braccio.

Kenny fece per girarsi ma Lloyd lo riprese. Dovevano stare fermo e guardarlo!

La foto venne bene, tutto sommato. Anche se erano due idioti che non avevano nemmeno le basi di fotografia, design e cinematografia.

-Potresti toglierti la maglietta, Ken?-

Il fantasma non rispose, se non stringendosi entrambe le braccia sopra al petto. Se ancora avesse avuto sangue nelle vene, sarebbe sicuramente arrossito. -Nemmeno per sogno! Non dovresti provarci così con uno della mia età che… che potrebbe essere tuo padre!-

Era vero, se era morto a trentotto anni quasi diciotto anni prima, dunque ormai era vicino ai cinquantasei anni.

Lloyd però non sapeva quanti anni avesse suo padre perché era scappato prima che lui nascesse.

Alzò le spalle platealmente. -È l'età il problema, non che ci sto provando con un morto?-

Jo cercò di interrompere la situazione ma non ne aveva davvero il coraggio, così rimase zitta, ma notarono entrambi i suoi imbarazzati gesti.

-Beh- sospirò Lloyd, spegnendo la fotocamera e riallacciandosela al collo. -Non mi aspettavo un imprevisto del genere ma… non è negativo. Mi verrà in mente qualcosa, sono pur sempre il nuovo genio della regia. Riprendiamo le riprese!-

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Jo borbottò sottovoce tenendo la gonna sollevata con le mani, anzi, solo con le dita. La gonna era impiastricciata e bagnata e piena di sabbia e acqua salata e sale che continuava a sbatterle contro le gambe nude. I collant se li era già tolti prima, ed erano ancora più fradici della gonna.

Kenny la guardò arrancare nella sabbia verso la cabina vicina al molo, dove aveva lasciato i suoi vestiti moderni.

-Non ero mai stato in un film- disse sovrappensiero a Lloyd, seduto al suo fianco, che stava guardando il piccolo schermo della videocamera portatile e allo stesso tempo stava cercando qualcosa sullo smartphone, gli occhi coperti dal suo fido, perenne e vecchissimo cappellino. Annuì senza ascoltarlo davvero.

Ormai era mattina inoltrata. Era sabato e Jo non aveva scuola, e nemmeno amici di cui preoccuparsi.

Per pranzo Kenny aveva fatto per loro una semplice torta salata che aveva cucinato nella camera chiusa a chiave di Lloyd, e l'aveva portata ai due ragazzi che l'avevano quasi fagocitata come dei coccodrilli a mollo.

-Sei stato bravo.- continuò Kenny. Questa volta l'attenzione di Lloyd fu catturata, e si voltò con un'espressione confusa sul viso rotondo e giovanile. -A girare?-

-Anche- rispose Kenny, con un sorriso più imbarazzato. Con coraggio passò un braccio dietro le spalle tese del ragazzo. -Ma… intendo in generale. Ti sei arrabbiato solo una volta, e ti sei calmato quasi subito. Sei stato davvero bravo. Ora mi fido a lasciarti da solo con Jo. Però non mi fido di voi due assieme, sia chiaro.-

-Wow, l'hai notato…- disse solo Lloyd, abbassando lo sguardo di nuovo sulla videocamera, questa volta però senza davvero concentrarsi su essa. Se era spregiudicato e rude solitamente, quando si parlava di sé stesso o dei suoi sentimenti non si rivelava altro che un bambino in difficoltà.

Tentò di accarezzargli una spalla, coperta dal suo solito, pesante, larghissimo cappottone. -Ti stai impegnando tanto. Sono davvero fiero di te.-

Lloyd continuò a non alzare lo sguardo, ma si avvicinò a lui, appoggiandosi al suo corpo.

Sì, aveva la sua attenzione ora.

Kenneth sfilò con delicatezza il cappello dalla sua testa e si appoggiò con la tempia ai suoi capelli, rimanendo a fissare il mare, con sguardo mesto.

Il mare…

-Ero qui… ero chiuso nel mare prima di essere chiuso nell'hotel. Vedevo solo il mare, non ricordo molto. Poi mi sono ritrovato in quell'hotel, nel mio hotel, e… Jo. Era appena nata. Ho sempre dato a lei la colpa della mia evocazione all'hotel, ma con quel teschio non ne sono più sicuro. Le ho dato delle colpe che non ha.-

Lloyd era rimasto a guardarlo tutto il tempo durante il suo monologo, con tutta la curiosità dei suoi grandi occhi azzurro chiaro. -Il tuo cranio nella cantina… hai trovato altro?-

Kenny aveva controllato quel luogo di cui non aveva conoscenza dopo che sua figlia vi era stata chiusa dentro… ora che ci pensava, non aveva la benché minima idea del motivo per cui, in quegli anni, non era mai potuto entrare nello scantinato.

Poteva passare le pareti, raggiungere qualsiasi posto dell'hotel, tranne quella maledetta cantina.

Fino all'altro giorno.

Ora gli era accessibile, come e quando voleva. Ogni tanto si divertiva a spiluccare tra gli oggetti della sua vita passata chiusi a marcire lì dentro.

Sospirò pesantemente, socchiudendo gli occhi e parlando a bassa voce contro i folti capelli di Lloyd. -La mia roba di quando ero vivo. La mia chitarra, i miei vestiti, il mio portafoglio… tutto ciò che era mio.-

-E la tua testa- continuò Lloyd, appoggiandosi con la guancia alla sua spalla. -Chiunque sia stato, deve averla presa quando non era ancora solo ossa, dalla frattura si vede bene. Ma ha dimenticato la mandibola.-

Kenny lo lasciò parlare ma tirò fuori l'osso dalla tasca, dandolo al ragazzo dagli occhi sgranati. -Era solo qualche metro più in là. Gli animali che hanno mangiato la carne devono averla strappata e portata via. La lingua è un elemento molto pregiato nella cucina, e credo che non sia differente per quella umana...-

Lloyd si rigirò l'osso tra le dita, con uno sguardo più tetro e arrabbiato. No! L'aveva fatto innervosire? Era stato così bravo fino a quel momento…

-Guarda cosa hanno fatto al tuo corpo. Guarda! Non sei…?-

-No, Lloyd, e non devi esserlo nemmeno tu.-

Il più giovane alzò la testa come se Kenneth l'avesse appena colpito con uno schiaffo immotivato. Era incredulo, arrabbiato, ferito.

Negò, tentò di parlare ma Kenny lo interruppe ancora, premendo un dito sulle sue labbra sottili. -Non importa più, Lloyd. Non importa chi ha staccato la testa al mio cadavere e l'ha preso a martellate e chi ha mangiato la carne dalle mie ossa. Non importa più nemmeno chi mi ha mandato a morire o chi mi ha picchiato o insultato quando ero vivo. È finito tutto. È passato tutto. Io non sono turbato, non esserlo tu per me. Non ne ho bisogno, e nemmeno tu.-

Lloyd non rispose sulle prime, rimanendo appoggiato con le mani al suo petto e lo sguardo che vagava ovunque, senza mai fermarsi un istante. Non sapeva cosa stesse pensando, non lo seppe mai, e a quel punto si chiese se davvero voleva saperlo. No, probabilmente no.

-Ehi. Lloyd.- cercò di riscuoterlo il fantasma, ma il ragazzo non dava segno di volersi schiodare dai suoi pensieri, scacciando con uno schiaffo la mano di Kenneth che tentava di scuoterlo per una spalla. Provò anche ad alzare il suo mento, prendendolo tra le sue grosse dita, ma ancora non trovava pace. Non voleva o era perso nel suo mondo, come ogni tanto capitava?

Non importava nemmeno quello.

Gli schioccò un lieve bacio sull’angolo delle sue labbra e finalmente il ragazzo sembrò tornare col pensiero su quel mondo. -Torniamo a casa. Non voglio che Abby e Rob si arrabbino con voi.-

Lloyd annuì, rimanendo stretto a lui. Si alzò in piedi e gli strappò di mano il proprio fidato cappello con modi grezzi come suo solito, allontanandosi da Kenny come se tutto ad un tratto il suo corpo avesse preso a fumare e bruciare, e raccolse tutta la roba che aveva lasciato sulla scogliera deserta: attrezzatura da cinema, zainetto e aggeggi tecnologici che Kenny non conosceva, non tutti.

Era pur sempre morto diciotto anni prima.

Senza voltarsi Lloyd lo salutò e quasi corse su per la stradina rocciosa che si inerpicava nella parte alta dell’isola, dove si trovava l’hotel.

Kenny fece per ritornare in mare, ma qualcosa non gli permise di andarsene tranquillo.

Sulla spiaggia c’era qualcuno.

Jo.

Ancora stringeva il teschio che lui e Lloyd assieme avevano ricostruito, stretto al petto. Lo sguardo fisso sul mare, sul nulla, immobile nei suoi vestiti moderni.

-Jo?- la chiamò il fantasma. La ragazza reagì subito a differenza di Lloyd, anche se lo stato di trance era decisamente diverso da quello del ragazzo. Se lui stava tramando qualcosa, lei invece… era solo persa. Lei quasi saltò dallo spavento e rimase a fissare il padre come se fosse spuntato dal nulla.

-Eh?-

-Cosa stai facendo?-

-Io..?-

Sembrava sinceramente attonita. Non gli piaceva.

Doveva allontanarsi dal mare.

Si avvicinò a lei solo per prenderla per le spalle, voltarla di peso e spingerla verso la città e lontana dal Mare del Nord. -Vai, c’è freddo e tua madre ti starà cercando.- sbottò lui, stranamente nervoso.

Di solito non era nervoso… non dopo essere morto. Non aveva nessun motivo per esserlo. Ora… ora però…

Sua figlia decise di non fare domande e, salutandolo timidamente, quasi corse sulla strada di casa, nascondendo il teschio nello zainetto che non era decisamente stato creato per contenere ossa umane.

Qualcosa non quadrava.

Con orrore si accorse che la marea aveva già iniziato a crescere, con un ritmo che non avrebbe dovuto avere. Avrebbe portato una tremenda mareggiata.

Come dita di un mostro l’acqua gli sfiorò le caviglie, cercando di prenderlo e portarlo a fondo, come aveva fatto allora. Ora però quelle mani voraci non potevano scalfirlo, perchè avevano già banchettato col suo corpo e con il suo spirito troppo tempo prima, ma ancora osavano spingersi verso di lui come per torturarlo, distruggerlo un’ultima volta ancora.

Cosa stava complottando il mare del Nord, ora? Cosa voleva ancora da lui?

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Il suono di quella chitarra che aveva creduto persa risuonava in tutto l’edificio, ma a nessuno sembrava dare più fastidio che a Abby.

Forse perchè, a differenza di tutti gli altri, ricordava quella melodia quando era stata inventata, quasi quarant’anni prima in un garage a Londra.

Passò silenziosamente davanti alla porta semi-chiusa dei suoi tre figli e notò che si erano addormentati tutti col sorriso.

Era la canzone che Kenneth cantava a Alfie e Charley per farli addormentare, quando le tempeste risuonavano fuori dagli spessi muri dell’albergo e i bambini avevano paura ed erano tristi e soli  e spaventati, perchè la loro mamma negligente li aveva trascinati su un’isola nel mare del Nord che loro non conoscevano, li aveva resi soli e sperduti senza dare loro nessuna via da seguire, e Kenny era l’unico che pensava a loro.

Abby si malediva tutti i giorni perchè no, non era stata una buona madre.

Non era stata una buona donna, né tantomeno una buona moglie. Kenneth ancora glielo stava rinfacciando con quella canzone, ne era sicura.

Uscì dalla stanza stringendosi la vestaglia al petto, non spaventata dallo svegliare Rob. Era ubriaco e nemmeno un proiettile nello stomaco l’avrebbe svegliato. Ogni tanto ci pensava, ma…

I ragazzi dormivano, i marinai non erano potuti uscire quella notte a causa della mareggiata portata dalla marea dell’Atlantico.

Sotto la porta di Richmond non vedeva nessuna luce. O stava dormendo o era fuori, sinceramente non le importava. Lo voleva solo fuori dalla sua vita e da tutte quelle dei suoi familiari, soprattutto di Jo.

Lui la stava controllando, lo sapeva.

Quel giorno era tornata con un vestito vittoriano e i capelli liberi sulla sua schiena, come mai aveva avuto. Di solito li teneva chiusi in una treccia, che si stringeva tra le dita con nervosismo. Stava diventando libera, indipendente, sicura di sé… no. Non stava migliorando. Se si fosse presa delle libertà, il mare avrebbe preso anche lei.

Il mare la voleva, fin da appena nata.

Ricordava il suo parto: lampi e tempeste su Ronansay, il dolore che sembrava eterno, anche peggiore di quello che le portò Alfie che era un bambino grosso e pesante e lei era giovane, mingherlina ed era il suo primo figlio. I tuoni risuonavano più rumorosi delle sue grida di dolore e il mare si stava facendo strada tra le vie della cittadina dopo quell’alluvione mai vista, reclamando la preda che non era riuscito a prendersi.

Hai preso Kenneth, perchè non ti accontenti?

Richmond stava portando Jo verso il mare, Richmond era malvagio e probabilmente c’entrava qualcosa con Kenny, perchè era sicura che l’anima che vagava ancora in quei corridoi fosse la sua.

Doveva. Non potevano essere solo sue allucinazioni. Non erano allucinazioni, la temperatura dell’hotel così bassa non era un’allucinazione, quella chitarra non era un’allucinazione...

Il suono proveniva dalla fine del corridoio principale dell’hotel. Dopo aver passato l’angolo del bagno degli uomini, prima della scalinata in legno cigolante che conduceva al piano inferiore e quella che discendeva verso la cantina.

Lui era lì, ma ora c’era davvero. Non una sagoma indefinita persa nell’oscurità, non un flebile sussurro nell’aria gelida. Accasciato sul primo gradino delle scale che portavano al piano superiore, le sue dita delicate sulle corde della chitarra che suonava bene come aveva sempre fatto, senza dare importanza alle lunghe ciocche color mogano che cadevano sul suo viso dai tratti duri ma dall’espressione docile e gentile.

Kenneth Marsh, bello e imponente come diciotto anni prima.

E morto.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Era come un miraggio, pallido nella luce tiepida dei radi lampioni fuori dalle finestre e i tuoni che ogni tanto illuminavano il pavimento di pesante legno.

Le sue dita scorrevano sulle corde della vecchia chitarra con delicatezza, con la sua delicatezza, e i suoi lunghi capelli rosso amaranto coprivano il suo viso dal colore inumano.

Il suo viso… l’ultima volta che l’aveva visto, quando l’aveva mozzato con il machete dal resto del corpo, era un tripudio di vermi e di pelle che si stava staccando dall’osso bianco come la luce del sole. 

Doveva farlo, c’era scritto sul libro che le avevano dato delle anziane dell’isola. Doveva farlo, o Jo sarebbe morta come lui. Lo fece anche tra le lacrime e i conati di vomito nel tenere tra le mani un martello ricoperto di cervella marcite e sangue secco e putrefatto.

Gli occhi di Abby si riempirono di lacrime a quel ricordo. Ken era sempre stato bellissimo, ineffabile eppure così palese e scontato da non averlo mai davvero realizzato finché non ebbe più davanti il suo viso, ma quello della figlia che avevano avuto assieme, e assomigliava tremendamente al padre.

-Smettila- ringhiò Abby, appena un sussurro stretto tra i denti. Kenneth non smise, ma alzò lo sguardo, trovandosi contro due occhi tristi, mai blu e mai verdi. Ora sembravano quasi neri.

Aprì le labbra bluastre, ma non uscì nessun suono. Non lesse il suo labiale, non importava cos’aveva da dire.

Non era mai importato.

-Lasciaci in pace. Hai già fatto abbastanza, vattene. Vattene o...-

O? Cosa poteva fare contro a un fantasma?

-Mi hai abbandonata ed ero incinta. Sei stato uno stronzo a morire.-

Era una delle frasi più stupide che fossero mai uscite dalle labbra di Abigail, e si pentì quasi subito di averle pronunciate. Kenneth sembrò sospirare, provando qualche nuovo, antico assolo sulla sua chitarra appena riscoperta.

Lo ricordava provare qualche accordo nello scantinato del padre, in un quartiere di Londra in cui erano cresciuti. Era uno spirito libero, un punketto troppo gentile con una madre annegata nel Tamigi quando era troppo piccolo per ricordarla e un padre troppo impegnato a lavorare. Era la fine degli anni settanta, erano entrambi adolescenti e Ken in un chiodo nero e borchiato e con quella stupida cresta sulla testa era comunque carino. Abby e la loro compagnia si ritrovavano sempre, ogni settimana, e Kenny era sempre sorridente verso di lei ma a Abigail non importava di lui.

Non le era mai importato, a dire il vero. Ma non lo voleva morto…

-Non puoi rimanere qui. Dovresti… che ne so, Andare verso la luce, liberarti.-

Le sue folte sopracciglia diedero cenno di aggrottarsi in dissenso, le note si fecero più dure e pesanti come l’aria attorno ad Abby. 

Provò ancora a parlare, e anche se sentiva solo il suono della chitarra sempre più metallico e freddo, questa volta capì le sue parole.

Lasciala. Questo disse il fantasma. Libera, aggiunse. Lascia Jo libera. Lasciali tutti liberi. Liberati. Vivi. 

Abby gridò dalla rabbia, prendendo la pila elettrica che pendeva dalle sue mani inutilmente e lanciandogliela contro. Trapassò il corpo etereo del fantasma e sbattè contro la parete di legno dietro di lui, aprendosi sul pavimento e causando un gran trambusto.

Le luci si accesero alle sue spalle, il brusio di voci sonnolente che si erano dovute svegliare per il rumore che lei aveva causato.

Si sporse oltre l’angolo, ancora più infuriata di prima, infuriata con sé stessa per essersi lasciata scappare l’occasione di parlare con Kenneth e di chiedergli perchè, come e cosa, infuriata con Kenneth perchè era morto e l’aveva lasciata incinta, da sola, con il suo ex fidanzato combinaguai e due bambini a carico, e infuriata con…

...quel paio di occhi color ghiaccio che la fissavano da oltre il corridoio.

Lloyd Richmond, stupito e assonnato ma fin troppo sveglio per accorgersi che Kenneth era ancora lì, dietro Abby, ad aspettare. Aspettare cosa? Le sue scuse? Non avrebbe avuto scuse da Abigail, perchè lei era nel giusto.

Lloyd si accorse troppo tardi dello sguardo di Abby su di sé, e si richiuse velocemente la porta alle spalle.

-Ab, tutto ok?- chiese Cael, uno dei marinai che avevano affittato una camera per un semestre intero. Lei non gli rispose e, senza voltarsi, tornò nella sua camera.

Dietro di lei non c’era nessuno, ma non gli avrebbe dato nessuna soddisfazione. Non gli avrebbe detto che aveva ragione, non avrebbe… 

Non sapeva cosa doveva fare, ma ne aveva abbastanza.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


-Posso tenere qui la mia chitarra?-

-No.-

Ma Kenny rise e appoggiò lo stesso la vecchia, legnosa chitarra di almeno quarant'anni al muro, nella camera del ragazzo. -Volevo fare il musicista, da ragazzo. Ma mio padre era un padre vedovo e povero, e io dovevo iniziare a lavorare il prima possibile. Mia madre è annegata nel Tamigi, il suo corpo è finito nel Mare del Nord. Come me.- sussurrò Ken, adagiando la chitarra con una delicatezza non adatta a una vecchia chitarra come quella.

Lloyd incrociò le braccia al petto. Stava cercando di addolcirlo? Con un racconto idiota come quello? Ma chi si credeva di avere davanti?

-Ti ho detto di no! Non voglio la tua robaccia qui. E se ci fossero dei ragni dentro?-

Lloyd odiava i ragni. 

Era ancora arrabbiato con lui per la serata prima, quando si era messo a suonare e a parlare con Abby che, palesemente, lo vedeva.

Se ora quella donna che già gli sapeva di psicopatico avesse visto la chitarra del suo ex marito morto da diciotto anni nella sua camera, come avrebbe reagito?

-Però vuoi me, eh?-

Il fantasma si avvicinò a lui solo per stuzzicarlo, pizzicandogli una guancia tra le dita. Lloyd sbuffò sonoramente, ma non si fece mettere i piedi in testa. 

Non da un vecchio morto!

Strappò via la sua maglietta dai suoi vecchi jeans strappati e tirò il lembo su, fino al suo ispido petto rossiccio. Sbatté una mano sui suoi addominali duri ma non scolpiti, induriti e allenati dagli anni di dolori e sacrifici più che dalle palestre. Già quello provocò un gridolino non dissimile a quello di una ragazzina a cui si alza la gonnella.

Forse Lloyd guardava troppi hentai… e anche qualche yaoi, ovviamente.

-Io voglio questi.- rispose freddo, senza distogliere lo sguardo dal più alto, che invece affondò il viso tra le mani, imbarazzato. Aveva vinto ancora! Era così facile con lui...

Avrebbe voluto vederlo in gonnella, vestito da scolaretta giapponese, ora che ci pensava. Seduto sul grosso letto dell’appartamento di Lloyd a Londra, a tenersi giù la gonnella troppo corta sulle sue cosce larghe e muscolose, fiocchetti tra i suoi capelli e il suo viso imbarazzato e avvilito e…

Lloyd realizzò che Kenny non sarebbe mai venuto a Londra con lui. 

Lloyd sarebbe rimasto da solo nel suo appartamento, come prima. Come sempre.

Il suo sguardo su rattristò tutto ad un tratto mentre Kenneth si stava rimettendo la maglietta nei pantaloni, sotto la cintura. Vedendo il suo sguardo mutato tutto ad un tratto, il suo cervello raggiunse mille pensieri in cerca di una soluzione. -Vuoi… maglia?- bofonchiò, facendo per alzarsela di nuovo.

Lloyd lo fermò in tempo, ma la sua espressione non mutò.

-Presto tornerò a Londra, Abby non mi sopporta.-

Non capì se Kenny comprese quella situazione, ma se anche lo fece, non permise a quel pensiero di insinuarsi tra loro due.

Appoggiò pesantemente una mano sulla sua testa e prese ad accarezzagli i capelli, con un sorriso dolce. -Pensa a Ronansay ora, tuo lavoro qui non è ancora arrivato a termine.-

Stava parlando del film o di altro…? Nei suoi occhi blu scuro non trovò una risposta.

Passò delicatamente le sue dita dure e callose sulla guancia di Lloyd e se ne andò così come era arrivato, scomparendo sotto ai suoi occhi.

Aveva smesso di piovere, fuori, ma il cielo grigio scuro era come un pesante coperchio sull'isola, e Lloyd si sentiva più nervoso del solito. E di solito era abbastanza nervoso di suo.

Stava facendo le valige, presto sarebbe stato Natale. 

Odiava il Natale.

Quando non rimase nulla dello spirito nella sua stanza, riprese a mettere i vestiti che aveva appeso all'armadio nelle valigie. Non erano molti, ma erano davvero pesanti. Avrebbe preferito che, a fare quel lavoro, fosse Kenneth. A lui non piaceva per niente fare le pulizie.

Sarebbe partito, se tutto andava bene, il 23 dicembre, tra una settimana. Giusto in tempo per scappare dalle festività odiose degli isolani ma abbastanza tardi da infastidire Abby.

Un tuono lo fece saltare in aria dalla paura. Odiava quelle continue tempeste, odiava il mare del Nord…

Qualcuno bussò alla sua porta. Doveva essere Jo, forse Charley… e sperava non Alfie con le sue domande imbecilli. -Charley, non ti faccio comparire nel film, basta chied…-

-No.-

La voce non era né di Jo né di Charley né di Alfie, e soprattutto non era di Ken.

-Abby?- chiese Lloyd, all'erta vicino all'armadio. -Apri.- fece lei, senza emozione.

Non si fidava, ma doveva fare buon viso a cattivo gioco, o chissà cosa sarebbe successo.

-Arrivo!- cinguettò tutto sorridente, chinandosi sul suo zainetto per prendere il suo grosso coltello da caccia, la prima cosa che aveva comprato da solo con il lavoro da fattorino di pizze e di spaccio a Londra. Ancora prima della telecamera.

Se lo nascose nell'elastico dei boxer, a premere con la sua custodia dura contro il fianco e la coscia, e aprì la porta con un sorriso finto. 

Non aprì del tutto, tuttavia, dato che ancora un catenaccio separava Lloyd dal brutto sorriso capovolto di Abigail.

-Dov'è Jo?- chiese lei. 

Jo? 

-Non lo so. Che me ne frega? Ha diciotto anni, faccia il cazzo che vuole.- rispose sinceramente Lloyd, facendo per chiudere la porta. -Non la vedo da quando abbiamo girato il film. Vai a rompere le palle a qualcun altro.-

La odiava perché aveva lasciato morire l'uomo più incredibile che quella landa dimenticata da Dio o da Satana o da chiunque comandasse lassù o laggiù, la odiava perché aveva ottenuto così facilmente il suo amore senza meritarlo, e perché…

Perché gli stava puntando la canna del fucile contro lo stomaco.

-Apri la porta e fammi entrare- ordinò lei, gelida come al solito. Questa volta, però, era decisamente più convincente. -Dobbiamo parlare.-

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


La vecchia televisione appoggiata sul tavolo, da tutto il giorno, sembrava non dare segno di vita se non il continuo sfrigolio della schermata di NO SIGNAL che continuava a fischiare nelle orecchie di Lloyd, assieme alla voce dura di Abby davanti a lui e del suo continuare, come un tic insopportabile, a caricare il fucile che teneva tra le mani tremanti.

-Non lo ripeterò un’altra volta. Dov’è Johanne?- disse ancora, per la centesima volta. Lloyd non ne poteva più perchè non lo sapeva, e sinceramente non gli interessava nemmeno così tanto. Aveva quasi diciotto anni ed era un’adolescente ormonale, odiava quell’età e odiava quel posto e odiava quella situazione. -Devo ripeterlo ancora che non lo so o hai già capito alla seconda e me lo stai facendo ripetere per…?-

Caricò ancora l’arma e Lloyd si zittì. Odiava le armi da fuoco.

-Tu nascondi qualcosa col fantasma. Non sei venuto qui per lui, vero? Tu cosa vuoi da Jo? Lui cosa vuole da Jo?-

Se Abby voleva giocare, Lloyd avrebbe giocato. Il suo viso da cerbiattino spaventato mutò in quello che quasi sempre tentava di nascondere davvero, in quel sorriso arrogante e quegli occhi color ghiaccio strabuzzati che spesso avevano causato più danni che altro. Tirò fuori il grosso coltello da caccia da sotto la maglietta e la donna sembrò solo ora risvegliarsi e puntargli di nuovo il fucile, questa volta al viso. -Mettilo giù o ti…-

Lloyd lasciò cadere a terra il fodero e le sorrise, giochicchiando con un dito sulla lama e tagliandosi. Una sottile striscia di sangue solcò il suo polpastrello, ma a Lloyd piaceva giocare così. -Sennò cosa? Mi spari?- la sbeffeggiò lui, con un sorriso da mezzo pazzoide sul viso. E invece era lucidissimo. Era solo felice perché, ora, avrebbe avuto la scusa per accoltellare quella strega.

Quanti gli avevano puntato una pistola contro, e quanti erano usciti vivi? Abigail non era la prima, non sarebbe stata l’ultima, né era stata l’unica.

La donna sembrò meno sicura, ma questo non fece altro che aumentare la presa sul fucile. -Stai fermo e rispondi alle mie domande.-

-Ripeto: sennò cosa fai?

Stava iniziando a innervosirsi, e Lloyd era un campione in questo.

-Mamma!- gridò una voce femminile. Charlotte, che spuntò dalla porta spalancata della camera di Lloyd, gridando disperata alla vista. -Non fargli del male, no!- continuò a gridare.

Abigail fece l’errore di voltarsi verso la figlia, lasciando Lloyd scoperto. Mossa fatale. Lloyd diede un forte colpo al fucile, che per poco non cadde dalle mani di Abby, e la prese per i capelli, avvicinandola e puntandole il coltello alla gola. Un taglio netto alla giugulare ben visibile sotto la sua pelle sottile e pallida e sarebbe crepata sul colpo.

Charley gridò ancora, in lacrime, e fu presto raggiunta da Rob che la prese per i capelli e la trascinò via. Nel trambusto sentì anche le grida di Alfie assieme a quelle doloranti di Charley e rabbiose del loro padre, ma non era molto importante per lui ora, se non per la canna del fucile ben premuta e gelida sotto la sua mandibola.

Era una situazione di stallo, come in uno di quegli spaghetti western che Lloyd non amava ma apprezzava. Era pur sempre cinema d’autore.

Lloyd teneva stretta Abby per i capelli della frangia e il coltello ben premuto sulla sua gola, ma lei era abbastanza vicina per puntargli il fucile sotto al mento.

-Parla, o ti sparo.- disse lei, ma il sorriso non sparì dalle labbra di Lloyd. -Parla o ti sgozzo- la scimmiottò lui, aumentando però la pressione sulla sua pelle. Era una minaccia vera e propria, la sua. 

Il silenzio calò, se non per i tuoni fuori dalla vecchia abitazione. Il mare stava portando una tempesta. 

Lloyd decise di iniziare il discorso. -Hai portato tu la testa di Kenneth nella cantina?-

Abby spalancò gli occhi, caricò un altro paio di volte il fucile, inutilmente, e finalmente decise di parlare. -Come…?-

-Ho parlato con dei marinai in giro, parlavano del Marinaio Perduto. È palesemente Kenneth. Il fatto che qui giri la superstizione che finchè il corpo non è distrutto, l’anima continuerà a perseguitare i viventi ti ha fatto pensare che strappando la testa dal suo cadavere e frantumandola nella cantina di casa tua fosse una buona idea? Strappare la testa a Kenny, come hai potuto?!-

Lloyd perse il controllo e la presa sui capelli di Abigail aumentò senza che Lloyd se ne accorgesse, mentre la rabbia prendeva il sopravvento sui suoi occhi color azzurro pallido. -Stronza, come hai potuto fargli…!-

-C’era scritto sul libro e lo sai, dato che hai rubato entrambi. Non darmi colpe che non ho! Volevo solo proteggere la mia famiglia! Volevo liberare la mia bambina da quella maledizione, io volevo solo il bene dei miei figli!-

Libro? Che libro?

-Libro?- ripeté Lloyd, lasciandola appena andare. Non completamente, ancora non si fidava. E se fosse una tecnica per confonderlo?

Anche Abigail parve stupita. -Il libro sotto al mio letto. Tu hai preso sia il cranio sia il libro, e anche la chitarra!-

-Solo la chitarra e il teschio, ed entrambi me li ha portati Kenny.- la interruppe il ragazzo, indicando la mensola dietro di lui. -Non li vedi, dietro la scrivania?-

-Solo la chitarra.-

Ancora silenzio. Lloyd si voltò per un istante e.. no, non c’era nessun teschio.

Solo una persona aveva accesso sia alla camera di Lloyd che a quella di Abigail.

-Jo..?-

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Il mare era ancora più gelido del solito, come se stesse in qualche modo cercando di invitarla e cacciarla allo stesso tempo. Strinse il teschio di suo padre al petto e prese un grande respiro, per tranquillizzarsi.

Era sicura che fosse la scelta giusta.

Per dare il riposo eterno all’anima sofferente di suo padre, l’unico modo era restituire quello che era stato rubato al Mare. Il Mare era un dio crudele, ma giusto. Se avesse fatto quello che voleva, lui avrebbe adempito ai suoi compiti, ne era sicura. Sul libro della mamma c’era scritto questo, o almeno Jo credeva. Non capiva bene quell’antico inglese.

Fece un altro passo nell’acqua, che le arrivò presto alle ginocchia, imbrattando completamente la lunga gonna nera. Un brivido le scosse la schiena, ma non poteva tirarsi indietro. Papà meritava la pace…

Il mare le sussurrava qualcosa, il mare parlava ma non un linguaggio che tutti potevano capire. Nemmeno lei spesso lo capiva, ma quando le sue parole erano chiare alle sue orecchie, ed erano parole gentili ma austere. 

Vieni a me, vieni a me Johanne…

Un’onda particolarmente alta le colpì il basso ventre e l’addome e per poco non la fece ribaltare indietro, causandole un gridolino. Ormai l’acqua le arrivava alle cosce, ma non poteva tornare indietro… Fece un altro passo incerto nell’acqua ghiacciata di dicembre del mare del Nord. 

-Johanne! Cosa fai qui?-

Era la voce di Kenneth. Si voltò a guardarlo, ed era fradicio, bluastro, morto. I suoi occhi erano della stessa sfumatura blu scura che il mare aveva in quel momento, e il suo sguardo era così triste… -Jo, torna a riva. Ora.- la ammonì con la paura nella voce.

-Non posso!- cercò di risponderle lei. Non sentì la sua risposta, perchè un onda ancora più forte si infranse contro di lei. Il teschio sbatté contro la superficie crudele del mare dopo esserle sfuggito di mano, e con un grido cercò di riprenderlo. No! Non poteva perderlo ancora!

Perse l’equilibrio e cadde a peso morto in acqua, e sentì solo dolore per il troppo freddo, troppa poca aria, troppo…

Le onde la trasportarono lontana mentre tentava di lottare contro la corrente, risalire in superficie, ma era tutto inutile. Qualcosa la stava spingendo verso il basso, a fondo, sempre di più… dov’era? Dove la stava portando? Perchè?

Riuscì a malapena a far affiorare il viso sopra la superficie del mare, e il cielo ora era nero per le nuvole cariche di pioggia e di male.

Aprì le labbra quanto poteva, ma l’acqua entrò al posto dell’ossigeno e benchè stesse gelando sentì bruciare tutto il corpo di dolore. Gridò ma i suoi polmoni non produssero nulla se non bolle preziose.

Affondò ancora, senza forze e senza speranze, presa da quel dio crudele che non manteneva davvero le sue promesse ma voleva solo sacrifici.

Davanti a lei, la stessa identica scena si palesò, una scena vecchia diciotto anni.

Una nave che si infrangeva contro gli scogli e la forza di un feroce dio predatore, un uomo che cadeva in mare e lottava per districarsi da quell’acqua che lo voleva. Le labbra sempre più blu, gli occhi sempre più offuscati e tristi e disperati e combattivi, le mani che raschiavano la superficie del mare come se fosse stata solida.

Il suo lasciarsi trascinare sulla spiaggia, freddo e morente, e il suo sguardo rivolto verso il mondo che non l’aveva mai amato.

Con lui, però, non c’era una mano amica che lo stava trascinando al sicuro. Kenneth era morto in un modo crudele e triste, sbranato dal mare a cui apparteneva. Jo non avrebbe fatto la stessa fine, quello stesso uomo se l’era promesso.

Si risvegliò con il corpo scosso da brividi e la gola che bruciava come se le avessero versato tutto il contenuto di una teiera fumante e fischiante giù per la trachea.

Il mare colpiva gli scogli e i relitti arrugginiti della nave componendo una canzone non dissimile a una ninna nanna. Jo aveva così sonno…

-Tieni gli occhi aperti- sussurrò una voce calma e melodiosa come quella del mare. Alzò lo sguardo stanco sugli occhi identici ai suoi di suo padre, ora lucidi, ancora più tristi e ancora più sofferenti. -Parla con me, Jo. Ti prego, non dormire.-

Jo appoggiò la testa alla sua spalla, stanca. L’aveva trascinata fino a un mucchio di sassi e scogli che si estendevano non molto lontani dal golfo dell’isola, il porto da cui la nave con la bara di Kenny era partita, e anche il viaggio di Johanne. Kenny aveva un braccio dietro le sue spalle e uno attorno alla sua vita, a tenerla stretta al suo corpo e tenerla all’asciutto e non lasciarla in balia del mare del Nord che voleva cibarsi di entrambi. 

Ma lei era così stanca… avrebbe tanto, tanto voluto riposarsi. La pelle di suo padre era gelida e non le dava nessun aiuto con i brutti brividi che la scuotevano dolorosamente, e la cantilena del mare era più rumorosa della sua voce. 

-Siamo negli scogli in cui si è arenata la mia nave- continuò lui, togliendole dal viso i lunghi capelli del colore del granato, ora nerastri e impiastricciati. -e hai trovato la mia bara.-

-Ce l’ho fatta?- sussurrò lei. Lui annuì, con le lacrime agli occhi. -Ora sono tutto intero- continuò, cercando di non singhiozzare. Le sorrise dolcemente, prima di premere le sue labbra gelide sulla sua fronte. -Sei stata bravissima, ma ti prego, stai sveglia…-

Jo non ci riusciva, le palpebre non erano mai state così pesanti. -Ti prego, rimani sveglia. Parlami. Parlami di qualsiasi cosa.- continuò l’uomo, cercando di far rimanere più lontana possibile dall’acqua la figlia che teneva tra le braccia. Ma Jo non aveva nessun discorso in mente, se non…

-Vorrei vedere Londra…-

-Londra?-

Jo annuì. -L’ho vista in televisione ed è… così forte…-

Sentiva l’acqua sbatterle contro al corpo, cercare di strapparla dalle braccia di Kenneth che però era più duro, più forte e più determinato del mare stesso. -Ci sono tantissimi ragazzi e… macchine di lusso e edifici altissimi…-

-Anche io vorrei tanto rivederla- fece Kenny, quasi senza voce. Jo chiuse gli occhi, appoggiandosi alla sua spalla. -Ci sono quei pullman rossi a due piani e il Big Ben… l’hai mai visto tu..?-

-Spesso.-

-Voglio vederlo anche io… e quel grosso grattacielo a forma di cetriolo… quello l’hai visto..?-

-Quello no- rispose Kenny, risistemandosela sul corpo. Jo stava perdendo man mano conoscenza, ma lui le aveva detto di parlare… smise di rispondergli. Non aveva più le forze, e sentiva sempre meno parti del corpo. Era come se stesse cadendo a pezzi, e già i piedi e le mani l’avevano abbandonata, avevano perso sensibilità sprofondando nell’oblio gelido.

-Lo vedremo assieme- sussurrò Kenny con voce rotta, cercando di scuoterla. -Lo vedremo assieme, vedremo tutti i palazzi e i grattacieli nuovi di Londra. Saliremo su tutti i bus che vorrai, scaleremo tutti quei palazzoni, e…-

Un singhiozzo spezzò la voce sempre meno sicura di Kenneth, nel buio. -Ti prego Johanne, ti prego, apri gli occhi…-

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


La campana del modesto campanile di Ronansay suonò da morto. Un rintocco, due rintocchi, tre rintocchi.

Abby si irrigidì ancora di più. Che succedeva?

-La campana è rotta. Non suona da almeno quindici anni.- sussurrò lei, con qualcosa di diverso negli occhi. Prima fece per allontanare la canna del fucile dalla mandibola di Lloyd, ma poi il ferro premette ancora più crudelmente contro la sua pelle, Abby caricò un’ultima volta e premette il dito sul grilletto, pronta a osare.

-Basta, sono stanca…- sussurrò sull’orlo del pianto.

Per un istante, uno solo, Lloyd pensò alla vita di Abigail.

Madre single ritrovata madre senza sapere nemmeno essere una persona autonoma, trasferita in cerca di nuove possibilità in un’isola sperduta e lontana, dal mare cattivo e capriccioso. Tante relazioni fallite, e l’unico uomo, l’unica persona al mondo che le era rimasto vicina, l’unico che forse sarebbe potuto essere il futuro sereno che Abby voleva, morto. Per colpa sua.

Lei non l’aveva capito, lei l’aveva mandato a morire, e ogni giorno vedeva quell’uomo negli occhi della figlia avuta con lui per sbaglio, nata dopo la morte del padre di cui non seppe mai l’esistenza.

Lui continuava a maledire quel luogo con la sua figura, con i suoi lamenti e il mare continuava a reclamare quello che Abby non voleva più sacrificare, e i debiti crescevano, l’ex marito con cui aveva avuto i suoi primi due figli e con cui si era riconciliata e le aveva promesso sarebbe stato diverso, e invece era sempre un ubriacone violento e irascibile. L’hotel continuava ad andare in debito, l’isola sempre più spopolata, Abigail sempre più sola e quel senso di colpa continuava a essere un peso sulle sue spalle gracili e su quell’hotel malandato.

Ma tutto sommato niente le permetteva di puntargli un fucile alla testa. Tirò ancora di più la sua frangia e premette con forza il coltello alla sua gola, senza però dare un taglio netto. Un rigolo di sangue, sottilissimo, colò giù dalla sua gola mentre i suoi occhi si spalancavano e pian piano capiva in che situazione si era cacciata, cosa stava facendo e contro chi.

Il dito sul grilletto di Abby stava per cedere, ma la mano stretta attorno al manico del coltellaccio di Lloyd non avrebbe ceduto.

Le avrebbe tagliato la gola, avrebbe nascosto il suo cadavere, sarebbe scappato e…

E nulla, perché il boato coprì tutto.

Un’esplosione capovolse l’hotel un paio di volte, prima che Lloyd potesse accorgersene era lui volato dall’altra parte della camera assieme alla donna, ricoperti di schegge delle finestre esplose e di sangue proprio.

Abby era svenuta a terra, con la testa contro il muro. Lloyd si rialzò in piedi, lentamente e senza fretta, anche perchè non poteva fare altrimenti. La testa gli doleva, e le sue mani erano ricoperte di sangue e pezzi spessi di vetro e legno incastonati nella carne.

Cos’era successo..?

Si voltò verso le finestre frantumate, verso il mare in tempesta. Il mare. Jo. Kenny.

Raccolse il suo coltello, come prima cosa. Era ancora vicino ad Abby, che a sua volta stava riprendendo conoscenza.

Prima che fosse del tutto tornata in sé, Lloyd calciò lontano il fucile e le puntò il coltello, non molto aggressivamente.

Era solo un ragazzino ricoperto di schegge e inginocchiato a terra, senza forze e pieno di sangue. -Sta’ ferma, cazzo…- borbottò lui con quel vocione che non apparteneva a quel corpicino. Lei cercò, tuttavia, di alzarsi. 

-Era… veniva dal mare, vero?-

Lloyd non rispose. Si alzò in piedi e ignorò i vetri rotti che si erano incastrate nelle sue ginocchia, prima zoppicando, poi camminando veloce e successivamente correndo, sempre più forte e sempre più in forze.

Passò davanti alla sala principale, dove alcuni marinai riversavano a terra, assieme a Robb, ricoperto di legno e vetri rotti. Era caduta una trave, giusto su di lui. Charley e Alfie erano in un angolo, feriti ma salvi.

Avevano molte più contusioni di quante avrebbero dovute, ma sapeva il motivo. -Jo!- gridò lui, non chiamando la ragazza però. Sapeva non l’avrebbe trovata lì. 

Non aspettò una risposta, corse fuori dall’albergo, inciampando e cadendo mezzo metro sotto l’uscio, dopo aver dimenticato gli scalini.

Kenny non era ancora comparso, in nessun posto, nemmeno un vago bagliore che decretasse la sua esistenza.

Continuò a correre per le vie desolate, tra gli antifurto che risuonavano in ogni casa e le sirene delle ambulanze, dei vigili del fuoco e di qualcos’altro a cui Lloyd non riusciva a pensare al momento.

Le vie erano deserte, quasi oscurate. Se di solito il verde sfavillante dell’erba brillava negli occhi del ragazzo, ora sembrava tutto annerito, ingrigito, morto.

Morto.

Arrivato alla spiaggia, quasi cadde in ginocchio.

Non seppe quanto tempo passò da quando si accasciò sulla sabbia dura e gelida, a qualche metro dalla figura distesa sulla spiaggia, fradicia, immobile e a faccia in giù, su quella parte di spiaggia più alta rispetto al resto, su quell’altare sacrificale per quel dio del mare capriccioso.

Altra gente accorse, richiamati dal grido che Lloyd non si era accorto di aver fatto. Altre persone, che non riconobbe subito.

Prima corsero Charley e Alfred, gridando e piangendo. Solo Charley si fermò vicino a Lloyd, accarezzandogli una spalla nello stesso modo gentile che aveva Kenneth.

Arrivò zoppicando anche Abigail, ignorandolo completamente e scagliandosi sulla figura sdraiata a terra. I suoi lunghi capelli rosso scuro coprivano la sabbia come sangue riversato da una gola aperta.

Ma dal corpo di Jo non mancava una goccia di sangue, e le sue labbra erano blu, la sua pelle cerea, il suo corpo immobile.

L’unico rumore che smosse Lloyd fu la sirena dell’ambulanza che si stava avvicinando, o forse allontanando, chissà.

Senza pensarci due volte si alzò sulle gambe doloranti dai crampi e dal sangue e dalle schegge e si buttò in mezzo alla piccola strada, fermando appena in tempo l’ambulanza.

Non poteva permettere che la storia si ripetesse, non poteva permettere che Jo, la figlia di Kenny, facesse la stessa sorte del padre.

Non poteva permettersi di soffrire due volte.

L’ambulanza frenò con un rumoroso fischio, e gli infermieri corsero verso di lui, ma li scacciò con una mano.

No! Non io! Lei! Salvate Jo, salvatela!

Non seppe cosa disse, non era abbastanza lucido. Si voltarono, videro la ragazza, e corsero verso di lei. 

Poi fu tutto sempre più confuso, ma in un modo o nell’altro tornò all’hotel, e in un modo o nell’altro riuscì a non morire dissanguato.

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


-Domani?-

-Domani mattina, non molto dopo l’alba. Tua madre non mi sopporterebbe un giorno di più e lo sai.- ridacchiò Lloyd, pettinandole i lunghi capelli.

Da quando Jo era stata salvata in extremis sulla spiaggia, di Ken non c’era più stata traccia da nessuna parte. 

Jo aveva rotto la maledizione.

Divise i suoi capelli con una riga sul mezzo, e ricominciò a spazzolare, poi ad annodare i capelli, con calma e senza nessuna fretta.

Non doveva fare niente, non doveva incontrare nessuno, e nessuno era né all’hotel, né a Londra ad aspettarlo.

Dovrebbe essere stata la norma per Lloyd, eppure, ora che aveva conosciuto la compagnia, il rispetto e un sentimento strano che ancora Lloyd non si sentiva in vena di pronunciare, era tutto diventato più difficile.

Intrecciò due trecce con i lunghi e morbidi e lucenti capelli della ragazza, e le lasciò ricadere sulle sue spalle. -Ecco, Pippi. Sei anche rossa.-

La ragazza sgranò gli occhi e arrossì, facendo per tirargli uno schiaffo. Ne giro di due giorni era tornata forte e in forma, e forse anche più vivace del solito. Forse solo con lui.

Nel suo sguardo, però, c’era  anche tristezza. Come una tempesta estiva, sul suo viso nel giro di qualche istante si formò un broncio. -Papà non…-

-Finalmente gli hai dato la pace eterna. La meritava. Ma hai rischiato di morire in un modo idiota come è morto lui, e per questo meriteresti una bella punizione.- rispose velocemente Lloyd, cercando di mascherare la sua tristezza. Non poteva, non più.

-Mi ha salvata lui- si lasciò scappare la ragazza, stringendosi le mani in grembo, sul lettino d’ospedale.

Era ancora ricoverata, per accertamenti. Aveva forse ancora acqua di mare nei polmoni, qualche bernoccolo in testa che non avevano esaminato, o cali di pressione per l’ipotermia che aveva rischiato di correre. -Mi ha portata lui a riva. Ho trovato la sua bara, era aperta, dentro la nave. Ho… fatto quello che dovevo.-

Jo si zittì non disse più nulla, se non sporsi verso di lui e tirarlo in un forte abbraccio. Lloyd non seppe che fare. -Mi mancherai…- sussurrò lei, stritolandolo tra le sue braccia.

Era di più di dieci centimetri più alta di lui, di costituzione ben più forte e massiccia, un po’ come…

No, non poteva continuare a pensare a lui. Doveva darci un taglio.

Appoggiò la fronte alla spalla di Jo e aspettò che lei si stancasse, perchè non sapeva quanto dovevano durare gli abbracci. Dopo un bel po’ di tempo la ragazza, dagli occhi lucidi e imbronciati, si staccò da lui. 

La salutò con una tentata freddezza ma lei sembrò leggerlo dentro come quel maledetto libro che aveva trovato nella camera di sua madre. Sorrise nel modo dolce che aveva solo… 

Lloyd non ce la faceva più. 

Stringendosi nel suo giaccone, fidato compagno di quell’orribile viaggio, si diresse verso il porto. La spiaggia.

La sabbia sotto le sue All Star era compatta e bagnata, e il suo passo lento e costante. Non aveva fretta.

Il mare lo stava aspettando.

Lloyd si inginocchiò sulla riva, lasciando che le onde scalfisse la pelle graffiata e ferita delle sue ginocchia, ancora non guarite dalle schegge di vetro che avevano aperto la sua pelle pochi giorni prima.

L’acqua salata si insinuò dentro le lacerazioni, ma Lloyd non pianse e non gridò.

-Kenneth… mi senti?-

Nessuno rispose. Le onde lo colpirono ancora. Era un segno? O forse no. Non importava. Forse stava parlando all’uomo che più aveva segnato la sua vita, o forse solo a dell’acqua salata e fredda.

-Kenny… Kenny, io, io…-

Perchè quelle parole erano così difficili da dire? Perchè le sue labbra si rifiutavano anche solo di pronunciarle?

-Io ti amo, Kenny. Anche io ti amo. Avrei dovuto dirtelo tipo… tipo diecimila volte. Anche di più. E invece non l’ho fatto, e ora è troppo tardi, e…-

Invece Lloyd si lasciò scappare un singhiozzo perchè aveva sprecato l’occasione, e non solo. 

Aveva sprecato la seconda occasione che l’esistenza aveva dato a quell’uomo meraviglioso.

-Io… volevo solo dirti questo. Domani torno a Londra. Mi avevi detto che… cioè…-

Lloyd si sentiva nervoso. Stava solo parlando alla superficie dell’acqua, nessuno lo stava ascoltando ed era tornato completamente da solo con sé stesso. Perchè doveva sentirsi così? Si stava odiando, odiando Ronansay, odiando Dennis che l’aveva spinto lì e tutto ciò che era successo in quei due mesi.

-...stavi pescando per avere soldi per tornare a Londra, quando sei morto. La nave con la tua bara è sprofondata mentre ti stava riportando a Londra. Io voglio fare la tua tomba a Londra, voglio portarti a casa. Almeno nel mio…-

Era una frase tremendamente stupida, da filmetto harmony di serie B, ma doveva dirla. Non avrebbe più taciuto. -...cuore.-

Si alzò in piedi, stringendo i denti per il sale nelle ferite e il sale che dagli occhi era sceso fino al taglio che aveva sulla guancia, sempre causato da una scheggia di vetro.

Avrebbe dovuto metterci un cerotto, soprattutto ora che sarebbe tornato alla sporca Londra.

-Arrivederci, Kenny. A chissà quando.-

Si sarebbero incontrati di nuovo, un giorno, ne era sicuro.

Strinse la maniglia dello zainetto che portava sulle spalle con una mano e decise di percorrere la strada alta che portava alla collinetta su cui poggiava pesante l’hotel.

Lo sguardo rancoroso di Abby lo accolse. Anche Robb era sparito, ma dietro la sua scomparsa non c’era nulla di sovrannaturale, ma solo la rabbiosa Abigail che decise che di lui non ne poteva più e decise che, finalmente, era il tempo di sbarazzarsene.

Lloyd tirò dritto cercando di non guardarla, ma incredibilmente fu la donna a fare il primo passo.

-Puoi prendere le robe di Kenneth, quando vai via. Io le lascerò marcire lì per sempre, tu probabilmente potresti usarle in un modo migliore.-

Voleva sbarazzarsi anche di Kenny, di tutto ciò che c’era stato e ora non c’era più. Annuì e ringraziò sottovoce. -Vado via domani, all’alba.-

-E allora sbrigati a prendere le robe.- rispose acida la donna, andandosene via, il viso mezzo coperto dai suoi corti capelli biondi ormai biancastri.

Gentile come sempre.

Si spogliò degli indumenti di troppo e rimase solo con la felpa, e aveva caldo. Quando c’era il fantasma, aveva sempre freddo. Ora la temperatura si era decisamente alzata, ma Lloyd non era sicuro fosse una notizia positiva.

Trovò la porta della cantina aperta e, col cuore in gola, iniziò a frugare tra le cose che erano appartenute a lui.

Vecchi spartiti, un quaderno delle ricette di famiglia con la sua scrittura disordinata, vecchie medaglie dei suoi giorni da nuotatore. I segni di una vita passata.

Le avrebbe portate a Londra, avrebbe avuto finalmente qualcosa da mettere in quella tomba vuota.

E nessuno poteva vederlo piangere in quella cantina buia.

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - FINE ***


https://www.youtube.com/watch?v=2iUfn5vJI7Q 
The North Sea sings "Won't you come to me?"
 


Le casette tutte uguali lo accompagnarono nel suo viaggio verso il porto, dove il suo traghetto lo stava aspettando.

Si era dovuto far aiutare da due o tre marinai che quel giorno stavano ridacchiando nel pub dell’hotel per portare tutte le valigie e gli attrezzi sulla nave, ma ancora Lloyd non era salito. 

Il suo sguardo era verso l’isola.

Era un giorno perfetto. 

Il cielo si stava tingendo di un meraviglioso blu elettrico su un mare nero che risplendeva di verde brillante come un gioiello prezioso, a ogni onda riflettendo una faccia diversa di quel diamante scuro. Tra una casa e l’altra, dove poteva vedere oltre, la sperduta piattezza dell’isoletta non era misurabile. Davanti a Lloyd, un orizzonte verde, di alberi millenari che avevano resistito a ogni incursione naturale e umana e muri antichi che ancora rimanevano in piedi e verde, verde e verde. Dietro di lui, l’infinito orizzonte piatto del mare del Nord, che non poteva vedere come un nemico, qualsiasi cosa dicesse la sua mente. 

Caricò la sua macchina fotografica su un panorama e lentamente, girandosi su sé stesso, scattò una foto che, sarebbe stato sicuro, l’avrebbe fatto piangere un giorno di quelli.

-Richmond!- gridò Alister, il capitano del traghetto, un uomo che aveva superato la cinquantina ma rimaneva fiero e imponente, più coraggioso dei ciuffetti pallidi tra i suoi capelli ramati da tipico scozzese. -Non sali? Stiamo per partire!-

-Sì, un attimo…- borbottò disinteressato Lloyd.

Non sarebbero partiti senza di lui, con tutti i soldi che aveva pagato la BBC per quel viaggio…

In realtà non erano molti, ma per gli standard di quei poveracci non c’era paragone. 

Il mondo sembrava ricoperto da un filtro blu e Lloyd si sentiva bene, e malinconico, un po’ come quel paesaggio.

Non sapeva cosa stava smuovendo nel suo stomaco quel mare, dove la luce non aveva il coraggio di dichiararsi al mare del Nord e rimaneva quieta, nascosta dietro le nuvole come un velo di una sposa o di una vedova.

Arrivederci, Kenny.

Grazie di tutto, Ronansay. Fottiti, Ronansay. Non aveva sentimenti precisi per quell'isola, ma aveva sentimenti e a lui tanto bastava.

Reggendosi alla balaustra in metallo, Lloyd diede le spalle all’isola e si issò a fatica su per le scalette di ferro del traghetto, un Lloyd diverso da quello che era arrivato. 

Da Ronansay alla costa della Scozia del Nord ci sarebbero volute più di cinque ore di navigazione, e poi un’altra mezz’ora per arrivare all'aeroporto che l’avrebbe riportato a Londra e tre ore e mezza per l’aereo verso Heathrow senza contare le ore di cambio tra uno scambio e l’altro, passate in completo silenzio e solitudine. Per qualche motivo, la cosa non gli piaceva. Di solito era felice di starsene per conto suo, ma ora…

Premette la mano sulla maniglia della cameretta che gli avevano affibbiato per il viaggio. Avrebbe dormito, magari. 

Forse avrebbe sofferto meno.

Ma dentro la stanza c'era qualcuno, e delle voci imbecilli che venivano da lì dentro lo provavano.

Un mormorio più forte degli altri.

-Shh, vuoi farci scoprire?-

-Non ho fatto niente!

-Non tu, lui!-

Lloyd era diverso ma non uno del tutto dissimile dal suo io passato. Il suo coltellaccio era ancora nella tasca della sua tuta. Con una mano sull'elsa e una sulla maniglia, entrò cautamente nella stanza buia.

Accese la luce e sfoderò il coltello e tre voci diverse intonarono un “NO!” pieno della medesima disperazione.

Un testone biondo spuntò da dietro il letto, lunghi capelli castano scuro dondolarono da dietro l'armadio e una lunga treccia rossa sbucava da quello che a prima vista sembrava una sedia piena di vestiti sporchi.

-Alfie, Charley, Jo, cazzo ci fate qui?!- sbraitò Lloyd, fuori di sé.

Il cumulo di vestiti sul letto che sarebbe dovuto essere Jo si mosse sgraziatamente, e il volto accaldato e arrossato della ragazza più giovane era a malapena visibile sotto i troppi strati di maglioni, giacche e giacconi che portava. La sua voce era ovattata e più bassa e incomprensibile del solito. -Noi… volevamo…-

Lloyd si accorse di aver ancora il coltello in pugno dallo strano silenzio degli altri due ragazzi. Raccogliendo il fodero e facendo slalom tra una valigia e uno scatolone, si sedette sul letto al fianco di Jo.

Lei sorrise appena sotto la sciarpa attorno al suo viso, e rispose Alfred per lei, buttandosi a capofitto sul letto che sarebbe dovuto essere matrimoniale ma sembrava di tutt'altra dimensione. -Non poteva uscire dall'ospedale ancora, aveva da fare altri accertamenti, ma…- Appoggiò una mano pesante sulla testa della sorella minore e le aggiustò il paio di cuffie che le avevano messo in testa. 

-E siamo riusciti a scappare dalla mamma- provò a parlare Jo, anche se Alfred subito le serrò la bocca con una sciarpa. -No scema, ci ha lasciati andare. Da lei non saremmo scappati, lo sai. Mamma ha anche cacciato Rob, ci ha voluto fare una possibilità..-

-Non è quello- lo fermò Lloyd, prendendo il  lungo treccione rosso di Jo tra le mani e strattonandolo. La ragazza si lasciò scappare un gridolino e cercò di tirargli un debole schiaffo, mancandolo e non di poco. 

Amava stuzzicarla. -Non mi interessa di Abby. Ma voi? Dove state andando?-

-Ti seguiamo a Londra.- rispose Charley, più sicura del solito. Aveva ancora un occhio nero, malamente coperto dal fondotinta. 

Jo si abbassò appena una delle sciarpe dalle labbra. -Papà mi ha promesso che avrei visto Londra se non fossi annegata, e io sono qui ora, io devo… no, noi dobbiamo venire con te!-

Il mondo cadde addosso a Lloyd.

Faranno la fine di Lucy.

-No, non potete venire con me- sbottò il ragazzo moro, alzandosi in piedi. Charley si era appena seduta al suo fianco quando lui schizzò in piedi, lasciando tutti e tre straniti. Jo confusa e gli altri due semplicemente delusi. -Non sono la persona che voi credete io sia.-

-Ma hai detto a Kenny le nostre scuse!- sbraitò Alfie. -Mi hai protetta da nostro padre- continuò Charley. Jo non parlò, perchè quello che Lloyd aveva fatto per lei era tutto il fulcro della questione, dello stacco, del cambiamento. Non sapevano tutta la storia gli altri due, però. 

-Non posso. E basta parlare, io…-

Kenny era così fiero dei suoi cambiamenti, dei suoi miglioramenti, e sarebbe ancora sprofondato in quella sete di rabbia e violenza che non sembrava mai placarsi nel suo cuore e nei suoi muscoli. Non voleva farsi odiare da Kenny...

Charley si alzò sulle gambe ancora traballanti. Quella giornata, quella che cambiò tutto a Ronansay, Robert le aveva tirato un calcio così forte da slogarle la rotula. Era stata anche lei in ospedale per una giornata assieme alla sorella minore.

Riuscì comunque ad avvicinarsi a Lloyd e ad abbracciarlo, e il ragazzo rimase immobile mentre Charlotte affondava la fronte nell’incavo del suo collo, dove arrivava. Non era particolarmente alta.

-Ti giuro che non graveremo su di te, non ti daremo fastidio… Troveremo un lavoro io e Alfie e una casa e Jo starà con noi. Vogliamo solo il tuo sostegno…-

Charley era più vecchia di Lloyd, e Alfie anche più di lei. Eppure contavano su di lui.

Nemmeno Lloyd contava su sé stesso.

-Non voglio tornare in quella casa, ti prego, abbiamo solo te…-

Charley stava piangendo contro di lui. 

Cosa doveva fare in questo caso?

Cosa avrebbe fatto Kenny? Quale comportamento avrebbe reso Kenny fiero di lui?

Rigidamente, cercò di abbracciare la ragazza a sua volta. -Io voglio sostenervi- disse con un suo solito tono freddo. No, non andava bene. Cercò di modulare la voce, rendere il tono almeno un po’ simile a quello gentile che aveva Kenneth. -Io vi sosterrò.- ripeté con più sicurezza nella voce. -...e vi proteggerò.-

Poteva sentire il sorriso di Kenny, se fosse stato lì avrebbe sorriso con così tanta gioia che la stanza si sarebbe illuminata.

Charley continuò a piangere, questa volta supponeva per gioia. Alfie si alzò a sua volta e abbracciò entrambi, in una morsa decisamente dolorosa.

Dopo un po’ di tempo, quanto le serviva per alzarsi in piedi con quei chili di indumenti addosso, li raggiunse Jo, avvolgendoli con le sue lunghe braccia e sovrastando tutti e tre in un abbraccio che Lloyd non era sicuro di volere. O forse sì? 

No, probabilmente no.

Si divelse da quelle strette e con qualche scusa uscì di nuovo sul ponte del traghetto, deserto.

La solitudine… 

Ne aveva avuta così poca a Ronansay, e ora sembrava quasi un bene prezioso più che una condizione a cui abituarsi, com’era stato per tutta la sua vita.

Solo il rumore dei suoi passi e l’infrangersi delle onde del mare del Nord sulla nave riempivano quel silenzio.

Lloyd si appoggiò al parapetto e rimase a guardare il paesaggio.

Non c’era nulla.

La costa di Ronansay era ormai un miraggio grigio sul mare verde scuro, freddo e lucente. L’altra costa non si poteva vedere, era troppo lontana ancora e troppe ore lo dividevano da casa.

Ma cos’era casa, ora?

Cos’era casa se non il sorriso di Kenny, quella cameretta freda ma ospitale, Jo che gli cambiava gli asciugamani e il perenne rumore della suoneria dei messaggi di Charley e la risata sguaiata di Alfie e…

Kenny, il suo pensiero tornava sempre a lui.

Socchiuse gli occhi nel vento del mare, gelido come uno schiaffo. E come uno schiaffo il vento lo colpì in viso, facendo volare in aria il suo cappello e Lloyd, come in trance, rimase fissarlo volare nel cielo come un albatross migrante che andava in contro al suo destino. 

Si adagiò sul mare del Nord e quel dio crudele prese anche quello.

Lloyd sentì gli occhi bruciare, pizzicare, e finalmente le lacrime uscirono dai suoi occhi. Il suo cappello, il suo Kenneth, la sua vita e la sua gioia.

Perchè non poteva avere niente, nella vita?

Perchè era cattivo, perchè non poteva essere come tutti?

Un singhiozzo scappò dalle sue labbra strette in una smorfia, e poi un altro e un altro ancora. Non riusciva più a trattenersi, si sentiva vuoto e senza uno scopo. Non sapeva che farsene dei tre ragazzi che l’avevano seguito, non sapeva che farsene della sua carriera e dei brutti istinti e pensieri che abitavano la sua mente.

Appoggiò la fronte al parapetto e continuò a piangere come un bambino, picchiando i pugni sul metallo della balaustra e sbattendo i piedi sul pavimento di legno. Da bambino non aveva mai pianto, e piangeva ora, a ventitré anni.

Ridicolo, patetico, razza di…

Una mano gelida si posò sulla sua nuca, stringendo con delicatezza ma con mano sicura.

Lloyd non aveva nemmeno più le forze per contrastarlo. Un marinaio idiota? Uno stupido scherzo di Alfie?

-Alfie, cazzo, te l’ho detto, non sono in vena di…-

-Mi ricorda qualcosa, questo discorso.-

Una cosa scura calò sui suoi occhi. Un cappello. Un cappello? No! Il suo cappello, della Planet Hollywood di Cannes, vecchio e sporco ma pieno di ricordi e… 

Il suo cappello, quello caduto in mare?

Le mani di Kenny sulle sue spalle erano forti e delicate allo stesso tempo, e la sua figura era sfocata.

Passò un pollice sotto l’occhio di Lloyd e lui istintivamente chiuse le palpebre, come un bambino dopo aver fatto i capricci.

Pulì le sue lacrime e Kenneth ritornò splendente e visibile e bellissimo. Ma gli occhi di Lloyd avevano deciso di non smettere di piangere, e sentì un altro singhiozzo salirgli in gola.

Era lì… Kenny era lì. Era lì con lui. Cosa doveva fare? Come doveva sentirsi?

Non fece semplicemente nulla. Strinse il bordo della sua maglia e rimase a testa bassa, respirando rumorosamente e tirando su col naso. 

Fortunatamente per Lloyd, Kenny esisteva, e sapeva bene come esistere. Una sua mano gentile si spinse sotto la zazzera corvina di Lloyd, alzandogli la testa.

Si abbassò tanto bastava per premere le sue labbra alle sue, sempre gelide e sempre morbide, in un bacio che Kenneth aspettava da troppo, e Lloyd…

Beh… Non era mai stato un tipo da baci e romanticismo, ma con Kenny nulla era comune.

In primis perchè era un fantasma.

-Anche io- sussurrò contro le sue labbra, mentre Lloyd cercava di riprendere fiato da quel bacio inaspettato, voluto e quasi disperato. -Eh?-

Il sorriso di Kenny non lasciava nessun dubbio, e il più giovane sentì un brivido lungo la spina dorsale, sotto la mano di Kenny che ancora accarezzava la sua nuca. 

-Ti ho sentito, ieri.-

Oh.

Il mare.

Lloyd impallidì, poi arrossì, poi si sentì gelare e bollire e poi entrambi tutti assieme perchè Kenny aveva sentito tutta la sua confessione. L’aveva sentita!

Lloyd non rispose e Kenneth rise ancora con quella risata cristallina come le onde che il giorno prima l’avevano colpito, accolto e cullato nelle sue parole così troppo genuine. -Voglio venire a Londra con te, vivere con te e…-

-Sì, ho capito- lo interruppe il ragazzo, finalmente risvegliato. Il fantasma sulle prime rimase stupito dalla sua ripresa, ma poi le sue spalle si rilassarono, il sorriso tornò sul suo bel viso e le sue mani si intrecciarono dietro alla sua nuca. -Mi sei mancato, sai?-

Lo stava prendendo in giro? Non importava. Lui poteva.

Appoggiò le mani sui suoi fianchi e si appoggiò al suo petto, e Kenneth fece lo stesso con lui, l’uno contro l’altro, in silenzio e sorridenti. La testa di Lloyd era appoggiata al suo corpo, e anche se non sentiva il suo respiro e il suo cuore non batteva, era più vivo che mai, con le sue mani gentili e amorevoli sulla sua schiena e sulla sua nuca e i suoi muscoli gentili e rilassati contro il corpo magro di Lloyd…

Un cigolio, la porta che si apriva, e un gridolino di gioia.

-Papà!- gridò Jo, cercando di avanzare senza poter però piegare le ginocchia.

Lloyd decise di staccarsi da Kenny perchè l’uomo non apparteneva solo a lui, e questo era arrivato lentamente ad accettarlo e ad amarlo.

Perchè lui amava Kenneth.

La ragazza si lanciò tra le braccia del padre, e lui, come se non fosse una diciottenne di un metro e ottanta e più novanta chili di peso più chissà quanti strati di vestiti la sollevò come un fuscello e la abbracciò con forza, dondolandola tra le sue forti braccia, mai aggressive, sempre gentili. -Verrai a Londra con me? Vedremo Londra assieme?- continuò, ancora meno comprensibile di prima. Lei stava già piagnucolando, ma come poteva darle torto? Anche gli occhi di Lloyd erano lucidi. Kenny annuì.

-Come hai fatto?-

-Le cose sono più difficili di quanto quel libro racconti- rispose con una semplicità disarmante l’uomo dai capelli rossi scuro, riappoggiando la ragazza sul pavimento. Sia Lloyd che Jo si erano messi a fissarlo, in cerca di risposte. Non avrà creduto che quella risposta sarebbe servita a placare le loro domande… e invece così sembrava, perchè i suoi occhi si dilatarono e boccheggiò per qualche istante.

-Io… ehm…- iniziò, con insicurezza. Nemmeno lui lo sapeva bene. -Non credo c’entri col mio cranio o con la mia non-cremazione. C’entra col mare. Il mare mi voleva, il mare voleva Jo… ma ora che ha preso tutto il mio corpo, credo si sia sfamato. Non ha più fame. Credo sia soddisfatto, e… ora sono qui. Mi ha permesso di venire con voi.-

-Niente sonno eterno per la tua anima?- Continuò Jo, superando in velocità Lloyd. Kenny alzò le spalle, cercando di sorridere. Ora come ora c’era tanta rassegnazione sul suo viso gentile. -Non sono così fortunato da averlo. Dovrò ronzarvi attorno per un altro po’, se non vi dispiace.-

A Lloyd non dispiaceva affatto.

Lo sguardo di Kenny vagò lontano, oltre Jo. Dietro di lei, precisamente.

Charley e Alfie erano aggrappati alla porta che portava sul ponte del traghetto come se fosse uno scudo contro un drago, ma il drago gentile dagli occhi color mare li accolse a braccia aperte invece di sputare loro fuoco addosso.
E le sue fiamme erano blu e non facevano nemmeno caldo quando le si toccavano. Sembravano più timidi spifferi di aria fredda da una finestra malandata.

Il primo a buttarsi fu Alfie, che non aveva mai passato del tutto il lutto. Si fiondò tra le sue braccia come il bambino di tredici anni che era stato all’epoca della morte di Kenneth, e lui lo abbracciò senza segni di vergogna per l’età, perchè non c’è nessuna vergogna nel lutto di una persona vicina. Rimase pazientemente ad aspettare che Charley si facesse avanti, ma per lei era abituato ad aspettare.

Le ci volle un po’ ad avvicinarsi ma quando prese coraggio, forza e abbastanza lacrime, si buttò come un treno in corsa verso Kenny.

-Dunque ora lo vedete?- chiese Lloyd. -Com’è possibile?-

-Credo… credo c’entri con Jo. Ora che il mio corpo è completo io sono completo e… c’entra qualcosa con l’avere cambiato idea, modo di vedere le cose e…-

Che spiegazione confusa. 

Lloyd lo interruppe sventolando una mano, stanco di sentire quelle pause e quelle parole incerte. -Alcune cose devono rimanere un mistero, ora taci e goditi il momento.-

Alfie e Kenny annuirono, Charlotte era ancora persa nel suo pianto, mentre Jo rimase pensierosa. Lloyd le tirò una gomitata, ma probabilmente non sentì niente sotto i quattro maglioni e i due giacconi che portava. -E tu piantala di fare stronzate.-

-Io?-

-Chi ha rubato un libro di magia strana e ha portato un teschio in mezzo al mare?-

Charley ancora piangeva contro il petto di Kenny mentre cercava di consolarla, ma nessuno sapeva se le sue lacrime erano di gioia o di tristezza. Probabilmente un brutto mix che lei si era portata dentro per troppi, troppi anni.

-Perdonatemi- sussurrò Kenneth, più scuro in volto. Lloyd non sopportava di vedere quel buio nei suoi occhi color mare, quel dolore nel suo sguardo che non ne meritava altro… -Ho invitato io Robert a Ronansay. Vi ho condannati io a quel destino, e io vi ho lasciati da soli.-

-Cosa?- quasi gridò Alfie, con Jo che cercava di fargli abbassare il tono di voce. Era meglio non attirare l’attenzione, non in compagnia di un fantasma imbarcato senza biglietto. O di un fantasma in generale.

-Tu, scusarti?- rispose Charley, quasi con rabbia, aggrappandosi e tirando con forza la maglia di Kenneth. -Tu ci hai voluto sempre bene! Tu sei stato l’unico padre che io e Alfie abbiamo mai avuto! Ci hai sempre aiutato e sostenuti e… io sapevo che non ci avevi abbandonato!-

Questa volta, il fantasma non ebbe risposta. Abbassò la testa e abbozzò un mezzo sorriso, gli occhi lucidi e bagnati e ancora più adatti a quel colore marino delle sue iridi.

-L’importante- disse Kenneth, con un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da tutti e quattro i ragazzi, ma non troppo da passare oltre le porte e farsi udire dal personale del traghetto, ora più convinto, più vivo, -è che siamo tutti qui. Assieme. Per ricominciare da capo una vita nuova come una famiglia unita e felice. Abbiamo tutti una seconda possibilità.-

Lloyd si strinse il proprio cappello al petto mentre Alfie e Jo annuivano felici, e Charlotte si riprendeva dal suo pianto esagerato. Le sue guance erano colanti di trucco, e Kenny stava cercando di pulirle il viso con pazienza.

Il ragazzo moro rimase a osservarli con curiosità e una nuova consapevolezza in corpo, di appartenere a qualcosa, e di avere una nuova possibilità nella sua vita.

Sarebbe stato una persona migliore, non avrebbe più fatto soffrire nessuno, e avrebbe aiutato Charley e Alfie e Jo.

Si sarebbe scusato con Lucy.

Avrebbe montato un bel film e Dennis sarebbe stato felice, fiero di lui.

Con al suo fianco Kenneth, Lloyd avrebbe potuto migliorare, imparare, essere un regista e una persona migliore. Con Charley e Alfie e Jo sarebbe potuto essere più sicuro, felice.

Sì, ora Lloyd ne era sicuro.

Ce l’avrebbe fatta, ce l’avrebbero fatta tutti loro, tutti assieme.





 

È finito. 

Sono a metà tra l’orgogliosa e il triste, devo ammetterlo. Non credevo che la fine di una storia scritta e pubblicata da me mi avrebbe ferita così tanto! 

È come se un periodo della mia vita fosse finito, finalmente e tristemente. 

Un ringraziamento speciale va ovviamente a tutti voi, che avete letto e commentato e mi avete sostenuta così tanto, e senza di voi non ci sarebbe davvero nessun Hotel Infestato. Una storia esiste quando viene letta, raccontata e amata, e voi l’avete fatta esistere.

Spero il finale non vi abbia lasciato l’amaro in bocca. Ho la fama di essere abbastanza crudele nelle mie storie, ma ahimé, amo i lieto fine. 

È stato un bel viaggio, in bella compagnia. Piccola, ma splendida: pochi ma buoni!

Magari ci rivedremo sotto qualche altra mia o vostra storia in futuro. Nella vita si viaggia sempre, ed esistono tante strade in questo mondo.

Grazie di tutti e ricordatevi, ora che è estate e si va in vacanza, di stare attenti al mare!

 

-MoS

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