Incontri che cambiano la vita

di Kodocha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 4° Capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Negli anni  aveva fantasticato molte volte sul suo trasferimento a Tokyo e sulla possibilità di un futuro migliore che quella città avrebbe potuto offrirle, ma una volta giunta lì la realtà aveva totalmente deluso le sue aspettative.
Erano trascorse due settimane, non conosceva quasi nessuno del posto e l’unico lavoro che era riuscita a trovare era quello di governante presso la famiglia Hayama, una delle più benestanti dell’intera periferia.
Chiaramente non sminuiva quel lavoro, tutt’altro, anche perché le offriva vitto e alloggio gratis, oltre ad una paga piuttosto elevata, tuttavia avrebbe preferito di gran lunga poter dedicarsi ad un’occupazione più in linea con il campo di studi che aveva intrapreso e concluso con il massimo dei voti, ovvero quello del design d’interni.
Ma pazienza, per il momento si sarebbe accontentata, anche perché non aveva altra scelta.
Sospirò, richiudendo la valigia ormai vuota e si guardò intorno, in quelle quattro mura bianche in cui avrebbe dovuto temporaneamente alloggiare.
Era una stanza molto spaziosa ed illuminata, l’unica pecca era la mancanza di colori sgargianti, nulla a cui non avrebbe potuto rimediare con l’acquisto di peluche e decorazione varie, proprio come aveva fatto con la sua vecchia camera ad Hokkaido.
«Allora, ti piace la tua camera?»
Una voce alle sue spalle la fece voltare.
Sorrise, trovandosi faccia a faccia con la primogenita del signor Hayama, Natsumi, di anni ventisette.
Era stata proprio lei a farle sostene il colloquio di lavoro e tra le due era subito scattata una simpatia e complicità reciproca, come se si conoscessero da anni.
«Molto, è davvero deliziosa»
«Ne sono felice» sorrise, accomodandosi sul bordo del letto a due pizze «Sai, questa prima era la camera di mio fratello. L’abbiamo trasformata in una camera degli ospiti  dopo il suo trasferimento a Los Angeles»
«Si è trasferito per lavoro?»
Annuì «Ma anche perché Fuka, la sua fidanzata storica, aveva deciso di frequentare la facoltà d’infermieristica lì e lui è andato con lei. Ormai sono trascorsi più di cinque anni da allora»
«Devi sentire molto la sua mancanza»
«All’inizio sì, poi col tempo mi sono abituata a non averlo più in giro per casa» scrollò le spalle e si alzò, fronteggiandola «Bando alle ciance, ero venuta qui per avvisarti  che stasera io e mio padre ceneremo a casa di amici, quindi non dovrai occuparti della cucina»
«Oh, capisco» mormorò, pensierosa «Vorrà dire che mangerò anch’io qualcosa fuori»
«Se vuoi puoi unirti a noi, saresti la benvenuta, potrei present…»
«Ti ringrazio, ma per questa volta passo» l’interruppe, abbozzando un sorriso timido ed impacciato«Non mi sentirei a mio agio nel cenare in casa di persone che non conosco, spero tu capisca»
Natsumi annuì, sorridendo a sua volta «Tranquilla, capisco perfettamente. Adesso scusami ma devo proprio andare» alzò una mano in segno di saluto e si voltò, avviandosi verso l’uscita «A più tardi, Sana»
«A più tardi Nat, divertiti»
Erano le nove di sera quando Sana, terminate le pulizie, uscii da quell'enorme villa.
Aveva una fame tremenda, ma era troppo esausta per mettersi ai fornelli, così decise di recarsi nel locale in cui qualche giorno prima aveva fatto domanda come cameriera… ovviamente non era andata a buon fine, poiché non cercavano personale, ma il proprietario, un certo Tsuyoshi Sasaki, era stato così gentile e a modo con lei che aveva deciso di tornarci ugualmente, anche se per motivi diversi.
«Hei, ma tu sei la ragazza dell’altra volta»  l’accolse Tsuyoshi, sorridendole amichevolmente «Sana, giusto?»
«Eh si, sono proprio io» esordì lei, ricambiando il sorriso «Ma questa volta sono venuta qui per mangiare, non per altro»
«Oh bene, allora tieni, scegli pure» prese il menù da sotto il bancone e glielo porse «Offre la casa»
«Sei molto gentile, non c’è bisogno che…»
«Alt! Non voglio sentire storie, stasera mangerai gratis» disse, con un tono che non ammetteva repliche «Almeno mi sentirò meno in colpa per non esser riuscito ad offrirti un posto di lavoro nel mio locale»
«Ma…»
«Niente ma. Sono il capo, decido io qui» le strizzò l’occhio, mentre con l’indice le indicò un tavolino a due posti libero «Accomodati pure, manderò un cameriere a prendere la tua ordinazione»
«Okay, se proprio insisti» sorridendogli, prese il menù «Vorrà dire che sarò molto generosa con la mancia, almeno mi sdebiterò in qualche modo»




Circa venti minuti dopo un’altra persona fece il suo ingresso nel locale di Tsuyoshi.
Si trattava di un ragazzo di ventiquattro anni, biondo, muscoloso e dagli occhi ambrati, caratteristiche che gli conferivano un fascino invidiabile, al punto tale da catturare l’interesse di tutte le donne prive d’accompagnatore presenti in quel posto.
«Akito» lo salutò l’amico, vedendolo comparire accanto al bancone «Mi stavo giusto chiedendo che fine avessi fatto. Avevi detto che saresti venuto qui alle otto»
«Ero impegnato» gli rispose semplicemente, facendo un’alzata di spalle.
«Fammi indovinare… con una donna, non è così?»
Akito annuì, ghignando con fare malizioso e l’amico  scosse la testa con disappunto.
«Questo nuovo atteggiamento che hai assunto con le donne, cambiandole con la stessa frequenza con cui si cambiano le mutande, non mi piace per niente»
«Non iniziare a seccarmi con le tue lamentele, Sasaki» sbraitò accigliato «Ho già sprecato fin troppi anni a fare il fidanzatino perfetto e sappiamo entrambi com’è andata a finire. Adesso, se permetti, vorrei solo pensare a divertirmi»
Tsuyoshi sospirò, ma non obiettò.
Conosceva Akito sin da quando erano bambini e sapeva che portando avanti quella discussione sarebbero sfociati in una lite e non aveva la benché minima intenzione di creare spiacevoli tensioni tra loro.
«Parlando d’altro, sei tornato a casa? E’ da una settimana che hai fatto ritorno in Giappone e la tua famiglia è ancora all’oscuro di tutto»
Questa volta fu il turno di Akito di sospirare.
Sapeva che era giunto il momento di tornare dalla sua famiglia ed affrontare una volta per tutte quella situazione, ma gli mancava il coraggio per farlo.
Come avrebbe fatto a dire a suo padre e Natsumi che Fuka, dopo quasi dieci anni di fidanzamento, e per giunta pochi mesi prima delle nozze, l’aveva mollato per un altro uomo conosciuto nel reparto d’ infermeria in cui lavorava?
E, soprattutto, come faceva a dir loro che, invece di accattare la cosa ed andare avanti con la sua vita a testa alta, aveva deciso di abbandonare tutto, lavoro, casa, città e amici, per allontanarsi dal dolore che quella rottura gli aveva causato?
«Non… non lo so. Credo che ci andrò stasera stessa, ormai non posso più permettermi di vivere in una stanza d’albergo, sto sprecando tutti i miei risparmi»
«Lo sai che la mia offerta è ancora valida. Puoi tranquillamente trasferirti a casa mia, in attesa che trovi un altro lavoro che possa permetterti di affittare un appartamento tutto tuo, per me non può essere che un piacere aiutarti»
«E fare il terzo in comodo tra te e Aya? No, grazie»
Sbuffò, voltandosi dall’altra parte e… la vide.
Lunghi capelli ramati, occhioni da cerbiatta e un viso acqua e sapone.
Talmente bella che era come se fosse stata messa in rilievo, mentre tutto il resto veniva miseramente retrocesso.
«E’ una nuova cliente?»
«Chi?»
«La rossa»
«Ti riferisci a Sana?»
«E come diavolo faccio a sapere come si chiama?»
«Scusa, hai ragione» ridacchiò, grattandosi la nuca «Comunque sì, è nuova. E’ la seconda volta che si reca qui, anche se la prima volta è stata per…»
«E’ da sola?» l’interruppe .
«Sì, perché me lo chiedi?»
«Secondo te?» gli strizzò l’occhio e, senza attendere una qualche tipo di risposta, le si avvicinò «Ehi, tu sei Sana, giusto?» ammiccò, dedicandole uno di quei sorrisi che in genere stendevano gran parte delle donne.
Sana lo guardò, masticando l’ultimo boccone del suo panino, lo inghiottì e solo allora gli chiese «Ci conosciamo?»
«No, ma rimediamo subito» prese posto di fronte a lei, senza smettere di guardarla come un lupo che fissa la sua prossima preda «Io sono Akito Hay…»
«Non m’interessa chi tu sia, voglio solo sapere come fai a conoscere il mio nome e chi ti ha dato il permesso di sederti al mio tavolo»
«Accidenti, sei sempre così acida o questa è solamente una giornata storta?»
Sana si accigliò, soprattutto quando vide quei due occhi ambrati scendere sulla sua scollatura «In genere non sono acida, e questa giornata andava alla grande fino a qualche secondo fa»
«Non ti sembra di esagerare? In fin dei conti volevo solo presentarmi»
«Non mi piace il modo in cui mi guardi»
Akito sollevò un sopracciglio, ghignando «E, sentiamo, come ti starei guardando?»
«Come se già mi vedessi sul tuo letto e di certo non per fare una lotta con i cuscini» borbottò e lui rise, passandosi una mano tra i capelli.
Le piacevano le donne difficili, trovava gusto nel sedurle.
«Beh, effettivamente sarebbe parecchio divertente. Per entrambi, s’intende»
«Ne dubito» replicò, storcendo il naso.
«Ti assicuro che fino ad ora nessuna si è mai lamentata, anzi»
«Ah sì?» gli sorrise, furba, sporgendosi verso di lui «A me, invece, qualcosa mi dice che sei tutto fumo e niente arrosto»
Hayama affondò i denti nel labbro inferiore, saettando lo sguardo su quelle di Sana, ormai a pochi centimetri di distanza dalle sue «Per esserne sicura dovresti provare, non credi?»
Sana accentuò il suo sorriso e, sporgendosi maggiormente verso di lui, ad un soffio dal suo viso gli sussurrò «Piuttosto che venire a letto con un cafone montato come te, preferirei farmi il bidet con l’acido muriatico» e ridacchiò quando vide l’espressione presuntuosa del biondino trasformarsi fino a divenire, nel giro di pochi secondi, imbestialita.
«Come prego?» ringhiò.
«Hai capito benissimo» si allontanò, aprì la borsa ed appoggiò una mancia generosa sul tavolo «Adesso devo proprio andare, spero di non rivederti mai più» gli alzò il medio, cacciò fuori la lingua, gli diede le spalle ed ancheggiando se ne andò, lasciandolo senza parole.
Akito era frastornato, oltre che imbestialito.
Non gli era mai capitata una roba del genere in ventiquattro anni di vita.
Ma chi si credeva di essere quella lì?
Miss Giappone?
Certo, era molto bella, motiv per cui aveva provato ad approcciarla, ma ne aveva viste di migliori.
«Stupida ragazzina» borbottò.
Ordinò un super alcolico, lo inghiottì in un sorso, ignorando il bruciore alla gola e si alzò da quel tavolo, dirigendosi verso un altro, occupato da un gruppo di tre ragazze.
Di certo non si sarebbe lasciato rovinare la serata da quella stupida ragazzina acida e bisbetica; aveva un assoluto bisogno di scollegare il cervello, se non l’avesse fatto era certo che si sarebbe trovato di nuovo sul punto di pensare a Fuka, e non poteva permetterlo.
Doveva smettere di pensare a lei e al dolore che gli aveva causato, ne andava della sua stabilità mentale.
Trascorse l’intera notta a bere e a rimorchiare donne, finendo  a letto con quella che più di tutte si era dimostrata disponibile a divertirsi e a lasciarsi andare, senza pretendere inutili coinvolgimenti sentimentali, finché, stanco ed ubriaco marcio, chiamò un taxi e si recò nella villa in cui aveva vissuto fino a cinque anni prima.
A causa del pessimo stato in cui si ritrovava ci mise un bel po’ per riuscire ad infilare la chiave nella toppa e ad aprire la porta d’ingresso, depositare la valigia accanto all’appendiabiti, trascinarsi al piano superiore senza essere visto da anima viva ed entrare nella sua vecchia camera.
Non sapeva ancora cosa avrebbe detto l’indomani alla sua famiglia per giustificare la sua presenza lì, ma in quel momento poco gli importava.
Si spogliò, nel buio della stanza, rischiando più volte d’inciampare e si lasciò andare sul letto, addormentandosi subito, senza neppure rendersi conto della presenza di un’altra persona che, beata, dormiva proprio accanto a lui.

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Capitolo 2
*** 1° Capitolo ***


Erano le sette in punto quando il suono della sveglia si propagò insistentemente nella camera in cui alloggiava, facendole mugugnare una serie di parole incomprensibili.
Con gli occhi semiaperti si rigirò sul letto, cercò a tentoni quell’aggeggio infernale sul comò, lo spense e tornò ad accoccolarsi su quel petto caldo e muscoloso alla sua destra, auto convincendosi che dormendo per altri cinque minuti non avrebbe recato alcun danno a nessuno.
Ci impiegò esattamente una decina di secondi prima di rendersi conto della situazione; spalancò le palpebre, alzò timorosa lo sguardo, guardò il tizio mezzo nudo sulla quale era avvinghiata, la stesso della scorsa sera incontrato nel locale di Tsuyoshi, si staccò velocemente da lui, sgusciò da sotto le lenzuola, scattò come una molla fuori da letto ed emise un urlo talmente disumano che, era certa, l’avesse sentita l’intera città.
Akito si tirò su a sedere, spaventato e frastornato, portandosi una mano all’altezza della tempia, come a cercare di calmare la dolorosa emicrania che l’aveva colpito, causata con molta probabilità dalla sbronza della scorsa notte… ma fu tutto inutile, anche perché una persona alla sua sinistra, mitragliandolo di parole tirate fuori a raffica, non fece altro che contribuire all’aumento del dolore.
«Cosa ci fai tu sul mio letto? E come hai fatto ad entrare in casa? Mi hai seguita? Razza di maniaco! Spero per te che non ti sia azzardato ad allungare una mano su di me mentre dormivo o giuro che ti strozzo con le mie stesse mani!»
Hayama si voltò ed appena il suo sguardo si posò sulla ragazza dai capelli ramati incontrata nel locale, spalancò così tanto le palpebre che per poco gli occhi non gli fuoriuscirono dalle orbite «Tu?»
«Non fingere di mostrarti sorpreso di vedermi, pervertito» sbottò, puntandosi le mani sui fianchi «Sparisci immediatamente da qui o chiamo la polizia»
Sempre più confuso, Akito fece per ribattere, ma il rumore di passi che si avvicinavano sempre più velocemente alla sua camera, seguiti dalla porta che si spalancò di colpo, glielo impedì.
«Sana, perché hai urlato? Tutto ben… eh? Akito?»
Natsumi lo fissò sbigottita, seguita dal signor Fuyuki, comparso pochi istanti dopo dietro le sue spalle, anch’egli allarmato dall’urlo ch’aveva udito «Ma… ma cosa ci fai tu qui?»
«Nat, papà» li salutò, freddamente «Vorrei dire che è un piacere rivedervi, ma vista la situazione non mi sembra il caso» si voltò a guardare Sana, coperta solo da una sottile camicia da notte che, per un istante, gli mandò in tilt il cervello. Ma subito si ridestò; d’altronde non è era il caso di fantasticare su di lei in un momento del genere «Si può sapere chi è questa qui e cosa ci fa in camera mia?»
Superato l'attimo di sorpresa, Nat si schiarì  la voce e passò alle presentazioni «Lei è Sana, la nostra nuova governante. Sana, nel caso non lo avessi ancora capito, lui è Akito, mio fratello»
«Tuo fratello?» mormorò, strabuzzando gli occhi «Ma non avevi detto che si era trasferito a Los Angeles?»
«Infatti» asserì il signor Fuyuki, avanzando verso il figlio, ancora spaparanzato sul letto «Non sapevo del tuo ritorno, Akito. Non me ne avevi parlato»
«Volevo farvi una sorpresa» scrollò le spalle, inventandosi la prima scusa che gli passò per la testa. Non era né il luogo, né il momento adatto per spiegar loro come stavano effettivamente le cose «Piuttosto…» guardò nuovamente la tipa dai capelli ramati, trovandola con un’espressione da pesce lesso stampata sulla faccia, segno evidente che tutto si aspettava fuorché fosse un membro della famiglia per cui aveva iniziato a lavorare «La nuova governante? Lei? Starete scherzando, spero. Che fine ha fatto la signora Shimura?»
«E’ andata in pensione»
«Ah»
«E poi perché dovrebbe essere uno scherzo? Che c’è di strano nell’avere una governante giovane e bella?»
Sana abbozzò un timido sorriso, Akito, al contrario, alzò gli occhi al soffitto.
Non c’era nulla di strano, certo, tuttavia convivere sotto lo stesso tetto con lei, seppur per un lasso di tempo limitato, non avrebbe potuto portare altro che rogne, n’era sicuro; gli erano bastati quei pochi minuti nel locale di Tsu per giungere ad una tale conclusione.
Inoltre, veder gironzolare tutto quel ben di Dio per la casa, tutti i sacrosanti giorni, senza poterne usufruire, non avrebbe giovato affatto alla sua stabilità mentale.
«Sì, okay, ma perché si trova in camera mia?»
«Tecnicamente questa non è più camera tua»
«Come?» sbottò, corrucciando la fronte.
«Non ricordi? Pochi mesi dopo il tuo trasferimento ti chiesi se potevamo trasformarla in una camera degli ospiti e tu acconsentisti»
«Non ricordo affatto una roba del genere» ringhiò, si scalciò le lenzuola di dosso e scese dal letto, coperto solo da un misero paio di boxer, provocando l’imbarazzo della nuova governante che, arrossendo, si voltò dall’altra parte «Possedevate già due camere riservate agli ospiti, perché far diventare anche questa una…»
«Una delle camere a cui ti riferisci è diventata il mio studio personale» l’interruppe il signor Fuyuki «L’altra, quella in fondo al corridoio, come ben saprai è molto piccola ed umida, quindi abbiamo preferito concedere questa alla signorina Kurata»
«Ma…»
«Mi trasferirò nell’altra stanza allora, che sia piccola ed umida non è un problema» riprese la parola Sana, attirando gli sguardi degli altri tre «D’altronde questa era camera sua ed è giusto che torni ad essere tale»
Akito inarcò un sopracciglio.
Era la prima volta che quella lì mostrava un minimo di gentilezza nei suoi confronti, ma probabilmente era tutta una messinscena per apparire cordiale agli occhi della sua famiglia.
«Non credo sia necessario» bisbigliò incerta Nat, spostando lo sguardo dall’uno all’altra, per poi soffermarsi sul fratello «Cioè, voglio dire… resterai in città per molto? Se hai deciso di fermarti solo per pochi giorni è inutile trasferire gli oggetti personali di Sana nell’altra stanza, se poi a breve dovremmo ricollocarli qui»
Dinnanzi a quella scomoda domanda Hayama s’irrigidì, trattenendo il respiro per una manciata di secondi.
«Io…» indeciso su come risponderle, boccheggiò con la stessa frequenza di un pesce rinchiuso all’interno di una boccia, per poi uscirsene con un misero «Non lo so»
«Cosa significa che non lo sai?»
«Significa che non lo so, okay?» sbottò.
«Okay, va bene, non c’è bisogno di scaldarsi tanto» sbuffò Nat, per poi porgergli l’ennesima, scomoda, domanda «Un momento, adesso che ci penso… come mai Fuka non è con te?»
Nel solo sentir pronunciare quel nome avvertì un peso all’altezza del cuore, come un macigno che gli comprimeva il petto.
Sospirò, chinando lo sguardo «Aveva… aveva degli impegni»
«E’ ancora presa con l’organizzazione del matrimonio, non è così?»
Ricordi di lei, alle prese con la pianificazione delle nozze, nella loro casa, tra riviste di abiti da sposta, di location e bomboniere nuziali, gli provocarono un senso di angoscia e malinconia tali da causargli una dolorosa morsa alla bocca dello stomaco.
Con l’umore nero come il carbone, strinse convulsamente i pugni lungo i fianchi, con così tanta forza da conficcarsi le unghie nella carne.
«Matrimonio?» s’intromise Sana, trasalendo.
 «Proprio così, convalideranno a nozze a dicembre»
«Oh, ma davvero?» bisbigliò con voce stizzita, fulminando il biondino che, confuso, aggrottò le sopracciglia.
«Scusate, ma adesso devo proprio andare o farò tardi a lavoro» intervenne Fuyuki, lisciandosi i folti baffi neri «Akito, sono molto felice di rivederti. Riprenderemo il discorso stasera, okay?»
Il figlio annuì, augurandosi che da lì a quella sera sarebbe riuscito a racimolare il coraggio sufficiente per raccontar loro tutta la verità.
«Vado a prepararmi anch’io, alle otto ho appuntamento al parco con Hisae» aggiunse Natsumi, lanciando un veloce sguardo alla sveglia appoggiata sul comò.
«Andate pure, il tempo di rendermi presentabile e vi servirò la colazione» disse Sana, aprendo le ante dell’armadio «Faccio in un battibaleno»
I due annuirono e, dopo aver stretto in un caloroso abbraccio Akito, uscirono dalla stanza, lasciandolo solo con la nuova governante, nettamente diversa da quella vecchia.
Adorava la signora Shimura, si era sempre mostrata gentile e cordiale nei suoi confronti, tanto da avere la costante premura di preparargli un’abbondante porzione di sushi, la sua pietanza preferita, ogni qual volta tornava in Giappone, ma per ovvi motivi non era mai stato minimamente attratto da lei, di Sana invece lo era, eccome se lo era.
La guardò, girata di spalle, soffermandosi più del dovuto su quel lato b da urlo e sulle sue gambe, lunghe ed affusolate, lasciate scoperte dalla camicia da notte.
Era davvero incantevole e ciò non favoriva affatto il suo tentativo di autocontrollo degli ormoni.
«Terminati i preparativi per la colazione porterò la mia roba nell’altra stanza, va bene?»
Hayama ispirò ed espirò, distogliendo lo sguardo dalle sue forme.
Non era il caso di comportarsi come un adolescente in piena crisi ormonale.
«Non preoccuparti, puoi tranquillamente restare qui, andrò io nella camera degli ospiti»
«Non ce n’è bisogno» borbottò, prendendo un paio di leggings neri ed una maglia bianca a mezze maniche, con su stampato un buffo pipistrello dalle ali blu e un cuore disegnato sulla pancia «Non voglio alcun tipo di favore da te»
«Andiamo, non essere ridicola» sbuffò, alzando gli occhi al soffitto «Tutto questo astio per cosa? Per aver tentato di rimorchiarti?» scosse la testa, come se avesse a che fare con un caso perso «Forse avrò sbagliato il tipo d'approccio, anche se in genere funziona, ma non è il caso di farla tanto tragica»
«Il tuo approccio è stato da cafoni, poco ma sicuro. Ma il motivo del mio astio è un altro»
«E quale sarebbe?»

«Il fatto è che…» chiuse le ante con rabbia, voltandosi verso di lui «Quelli come te, caro Hayama, mi danno il voltastomaco»
«Il voltastomaco?» ripeté, incurvando un sopracciglio.
«Esatto» sbottò, avanzando nella sua direzione, con gli occhi ridotti a due fessure «Sei fidanzato e per giunta in procinto di sposarti, ed hai anche il coraggio di recarti nei locali per rimorchiare altre donne? Ma non ti vergogni? Sei deplorevole!»
Akito serrò la mascella, infastidito come poche volte in volte in vita sua.
Ma come si permetteva?
Conosceva solo il suo nome e già si permetteva di giudicarlo?
Fu tentato di urlarle contro i peggiori insulti, ma alla fine si astenne dal farlo e se ne uscì con un semplice «Questi non sono affari tuoi»
«Certo ma, sai com’è, per solidarietà femminile provo pena per quella povera ragazza con cui a breve ti unirai in matrimonio» lo scrutò dall’alto in basso, con disgusto «Non la conosco, ma qualcosa mi dice che non la meriti. Fossi in lei ti pianterei all’altare» fece per andarsene, ma lui glielo impedì, afferrandola per il polso, furioso al mille per mille.
Era davvero il colmo; non solo era stato piantato in asso per un altro uomo, umiliato e ferito come mai prima di allora, adesso doveva anche sentirsi dire che era lui a non meritare lei?
Chiaramente sapeva che Sana era all’oscuro di come si erano svolti i fatti, ma ciò non gli impedì di rabbuiarsi ugualmente.
«Tu non sai niente di me» spuntò a denti stretti e lei lo fulminò per l’ennesima volta nel giro di pochi secondi, strattonandosi dalla sua presa.
«Ne so abbastanza» si voltò, dandogli le spalle e, prima di varcare l’uscita della camera, aggiunse «Non m’interessa che tu sia il figlio del mio capo, non voglio avere nulla a che fare con te, quindi stammi alla larga»

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Capitolo 3
*** 2° Capitolo ***


«Come sarebbe a dire che non hai ancora raccontato nulla alla tua famiglia?»
Akito sbuffò, facendo un rigoroso sorso della sua Kirin Ichiban «Vuoi che ti faccia un disegnino, Tsu?»

«Non provare a fare lo spiritoso con me, Hayama. E’ trascorso quasi un mese dal tuo ritorno in Giappone, quand’è che ti deciderai a dir loro tutta la verità?»
«Presto» mormorò, rigirandosi la bottiglia di birra tra le mani «Tempo di consegnare il progetto al signor Toshiba e gli racconterò tutto, anche perché non credo di avere altra scelta»
«Cosa c’entra il progetto a cui stai lavorando con questa faccenda?»
«Sai bene che il signor Toshiba è un uomo molto rinomato e potente qui a Tokyo, qualora dovesse apprezzare il mio lavoro mi aprirebbe le porte ad altre opportunità lavorat…»
«E con ciò?» l’interruppe, incurvando un sopracciglio «Continuo a non cogliere il nesso»
«Se mi lasciassi finire magari capiresti» sbuffò nuovamente, alzò gli occhi al soffitto e riprese «Se i miei piani lavorativi dovessero andare a buon fine, mi risulterebbe più semplice raccontare a Nat e a mio padre come si sono svolti realmente i fatti. Cioè, voglio dire…» gesticolò con la mano, alla ricerca delle parole più giuste per esprimere il suo concetto «Gli direi “Sì, è vero, Fuka mi ha piantato per un altro uomo ed io sono stato così rincitrullito da abbandonare tutto, compreso un lavoro importante e ben retribuito, per allontanarmi da lei e dal dolore che mi aveva causato, ma non preoccupatevi, mi sono già rimboccato le maniche, ho trovato un nuovo impiego e ben presto la smetterò di usufruire dei soldi della mia famiglia per mantenermi”»
Tsuyoshi sospirò, passando lo strofinaccio sul bancone «Secondo me stai esagerando con tutte queste paranoie. Sono la tua famiglia, credi davvero che potrebbero giudicare te e la tua decisione di lasciare Los Angeles?»
«Non lo so, ma preferisco non rischiare. Ci manca solo che mi diano dell’idiota per aver mandato all’aria la vita stabile che mi ero creato lì, dopo anni di fatica, rinunce e sudore… e per cosa poi?» serrò la mascella, furibondo «Per una donna!»
«Non era una donna qualsiasi, e lo sai bene»
Akito sospirò a sua volta, chinando leggermente lo sguardo.
Certo che lo sapeva, Fuka non era mai stata una donna qualsiasi per lui, l’aveva sempre vista sotto una luce diversa rispetto alle altre, sin dal loro primo incontro, avvenuto durante il secondo anno delle scuole medie; ricordava perfettamente quel giorno d’inizio dicembre e l’ingresso di lei, timido ed impacciato, nell’aula, l’accento tipico d’Osaka con cui aveva annunciato la sua presentazione e il suo modo di giocherellare con una ciocca di capelli mentre parlava, sotto gli sguardi incuriositi degli altri componenti della classe. Ricordava addirittura l’uniforme scolastica che indossava, quegli occhi carichi d’incertezza e spavento, tipici di una ragazzina di appena dodici anni catapultata in una nuova città, ma più di ogni altra cosa ricordava la prima volta in cui gli aveva sorriso e la piacevole tachicardia che n’era scaturita.
Scosse freneticamente la testa, come a voler rimuovere quei  ricordi dalla propria mente e, rivolgendosi all’amico, chiese «Possiamo cambiare argomento? Non mi và di parlare di lei»
Tsuyoshi annuì, gli stappò la seconda birra e gliela porse «Con Sana invece come procede? Ci sono stati miglioramenti?»
«Miglioramenti? Con quella lì?» ringhiò, aggrottando le sopracciglia «Neanche per sogno! Continua ad essere la solita donnicciola bisbetica ed irritante che conobbi qui»
«Suvvia, non dire così. Con me si è sempre mostrata gentile e a modo, proprio l’altro giorno mi ha portato dei muffin preparati con le sue mani, erano squisiti»
«E’ tutta una farsa, te lo assicuro» borbottò, sorseggiando la sua bevanda «Non ha avuto neppure la premura di ringraziarmi per averle concesso la mia vecchia camera, anzi, se n’è uscita con “Ti avevo detto che non volevo alcun tipo di favore da uno come te”. Come se non bastasse mi lancia occhiatacce ventiquattro ore su ventiquattro, come se fossi la peggior feccia presente sulla faccia della terra ed ogni volta che tento di rivolgere la parola mi liquida in mezzo nano secondo, sbuffando come una pentola a pressione. Ti rendi conto?»
«Beh, tutto sommato non ha tutti i torti a comportarsi così con te» ridacchiò, scuotendo il capo «Ti vorrei ricordare, nel caso l’avessi scordato, che il tuo primo approccio con lei non è stato dei migliori, inoltre è convinta che tu sia un traditore compulsivo, visto che…»
«Non m’interessa cosa pensa» l’interruppe acidamente «Lavora per la mia famiglia, in casa mia, quindi dovrebbe quanto meno sforzarsi di comportarsi in maniera meno scorbutica ed assumere un atteggiamento più professionale con il sottoscritto» si alzò dallo sgabello, sfilò delle banconote dal portafogli e le appoggiò sul bancone «Adesso ti saluto, ripasserò stasera, forse»
E senza attendere una qualche tipo di risposta gli diede le spalle, varcò l’uscita del locale e s’incamminò tra le strade poco affollate della città.
Non che avesse molta voglia di tornare a casa, anche perché sapeva che una volta giunto lì sarebbe stato costretto a subirsi gli interrogatori da parte di Natsumi e suo padre che, resisi conto che qualcosa non andava, non facevano altro che tartassarlo di domande riguardanti la sua permanenza in Giappone, troppo prolungata per poter essere spacciata come una semplice vacanza…  tuttavia aveva ancora molto lavoro da fare, la pianta architettonica commissionata da signor Toshiba era ancora in fase di sviluppo e non poteva permettersi di perdere tempo prezioso.
Giunto a destinazione, varcato il cancello della grande villa e percorso l’altrettanto grande giardino in tipico stile orientale, con tanto di ruscello con carpe salterine, aprì la porta d’ingresso e trovò Natsumi seduta sul divano in pelle del soggiorno, con lo sguardo perso nel vuoto «Nat» la salutò, facendola sussultare.
«Akito» lo chiamò, balzando dal divano, con una mano portata all’altezza del cuore «Mi hai spaventata»
Lui scrollò le spalle e fece per aggiungere qualcosa, ma le parole gli morirono in gola quando notò l’espressione della sorella, una strana espressione che non riusciva ben a decifrare «Che ti prende?»
«Eh?»
«E’ tutto apposto?» le chiese, avvicinandosi.
«Uhm… no, cioè sì»
«Non voglio chiedertelo un’altra volta, Nat. Che ti prende?»
Conosceva sua sorella come le sue tasche e sapeva riconoscere quando provava a nascondergli qualcosa.
«Beh» si mordicchiò il labbro inferiore, dondolandosi sui talloni, segni d’evidente agitazione «In realtà è successa una cosa»
«E cosa diavolo stai aspettando? Sputa il rospo!»
«Non… non so come dirtelo»
«Si tratta di papà?» si allarmò «Sta male?»
«Eh? No! Lui non c’entra»
«Allora cosa…»
«Ho chiamato Fuka, mi ha raccontato tutto» disse tutto d’un fiato, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi ed Akito s’irrigidì, spalancando le palpebre.
«Cos’hai fatto?»
«Senti, mi dispiace, okay? So che non averi dovuto, ma avevo bisogno di sapere» mormorò, rialzando lo sguardo per incontrare quello furente del fratello «E’ da quando sei tornato che ti chiedo spiegazioni sul tuo strano comportamento e del perché Fuka non si facesse viva, ma tu ogni volta sviavi le domande, cambiavi argomento e…»
«Ma ti sei bevuta il cervello?» urlò a pieni polmoni, facendola indietreggiare di qualche passo «Come ti sei permessa di chiamarla?»
«Te l’ho detto, mi dispiace» bisbigliò, mortificata «Ma non immaginavo fosse successo tutto questo… insomma, che qualcosa non andava l’avevo capito, ma non che ti avesse lasciato» deglutì «Ma perché non ce ne hai parlato?»
«L’avrei fatto, stavo solo aspettando il momento giusto»
«E quando sarebbe arrivato? E’ trascorso quasi un mese da quando sei tornato in Giappone»
«E allora? C’era una scadenza?»
«No, tuttavia gradirei sapere il motivo per cui stavi esitando tanto» ribatté  «Non dirmi che ti vergognavi nel dirci che quella poco di buono ti ha mollato per un altro, per giunta pochi mesi prima delle nozze»
«Poco di buono?» ripeté, sollevando un sopracciglio.
«Come altro dovrei chiamarla dopo quello che ti ha fatto?» sbottò, puntandosi le mani sui fianchi «E poi lo sai che non mi è mai piaciuta, spero solo che quel Takashi la pianti in asso per…» un rumore, seguito da un leggera imprecazione, la fecero voltare. Guardò in direzione della porta che collegava al corridoio, lasciata semi aperta «Sana, sei tu?»
A quella domanda seguì un sospiro, dopodiché la ragazza dai capelli ramati fece la sua comparsa, apparendo sull’uscio della porta «Scusatemi, non volevo interrompervi» sussurrò, con lo sguardo puntato sulle punte delle scarpe «Il fatto è che dovevo uscire di casa per recarmi alla posta e… beh, si insomma…» deglutì, giocherellando con il bordo della busta da lettere che teneva tra le mani «Per poter uscire dovevo necessariamente passare da qui e…»
«Tranquilla, è tutto okay» la rassicurò Nat, sorridendole dolcemente, a differenza di Akito che, assottigliando gli occhi, la scrutò attentamente.
Era la prima volta, da quasi un mese a quella parte, che Sana non gli rivolgeva un’occhiata torva delle sue e sembrasse addirittura intimidita dalla sua presenza, tant’è vero che pareva non trovar neppure il coraggio di guardarlo in volto.
Che avesse origliato parte della conversazione?
«Piuttosto, come mai devi andare alla posta?»
«Devo spedire questa» spiegò, alzando la mano per mostrare meglio la busta da lettere «Era già da ieri che dovevo farlo, ma tra una cosa e l’altra non ci sono riuscita»
«Oh, capisco. Vuoi che ti presti la mia auto?»
Sana fece per risponderle, ma Akito l’anticipò  «L’accompagno io» e non perché avesse tutta quella gran voglia di farle da autista, ma avrebbe fatto di tutto pur di non riprendere la discussione con Natsumi, compreso dare un passaggio in auto alla nuova governante.
«Akito, noi due abbiamo ancora molte cose da chiarire» gli ricordò Nat, guardandolo male, ma lui non se ne curò affatto, le diede le spalle, prese le chiavi appese accanto all’ingresso, aprì la porta, con un cenno del capo esortò Sana a seguirlo e lei, con non poca titubanza mista a sorpresa, lo fece.
«Sei gentile ad offrirmi un passaggio, ma non ce n’è bisogno, posso chiamare un taxi, oppure…»
«Non fare storie e sali su questa benedetta macchina» sbuffò, accomodandosi sul sedile del guidatore.
Ovviamente era consapevole che in quel modo avrebbe solamente rimandato la conversazione con Natsumi di un’ora o poco più, anche perché l’ufficio postale distanziava solo una decina di minuti dalla sua casa, ma era pur sempre meglio di niente; non gli era andato affatto a genio che avesse contattato Fuka per farsi raccontare tutto, si sentiva troppo nervoso ed agitato e aveva bisogno di calmarsi o, conoscendosi, sapeva che sarebbero finiti col sfociare in una lite.
Sospirò impercettibilmente e guardò di sottecchi Sana, trovandola con lo sguardo puntato fuori al finestrino «Sai, non sapevo avessi il vizio di origliare le conversazioni altrui» la provocò, facendola trasalire.
«Non volevo origliare» si giustificò, mordicchiandosi nervosamente il labbro  «Mi sono semplicemente trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato»
Akito emise una risata nervosa, cambiando corsia «Sei una ficcanaso, Kurata»
«Come ti permetti? Non sono una ficcanaso!» sbottò, indignata «Se avessi saputo che tu e Natsumi stavate discutendo di questione private, sta pur certo che non mi sarei mai neppure avvicinata al soggiorno e…»
«Eppure sei rimasta lì» l’interruppe «Hai continuato a restare fuori quella maledetta porta, invece di andar via»
«E invece ti sbagli, stavo andando via, ma nel farlo ho urtato contro la cristalliera e vi siete accorti della mia presenza» sbuffò, incrociando le braccia al seno «Mi spiace aver ascoltato parte della vostra conversazione, ma ti assicuro che non era mia intenzione»
Sembrava stesse dicendo la verità, ma non n’era tanto convinto, forse a causa della scarsa considerazione che aveva nei suoi riguardi, tuttavia decise di sorvolare e, cambiando argomento, le chiese «Devi spedire una lettera?»
«No»
«E allora cosa contiene quella busta?»
«Ma a te che importa?» borbottò, storcendo il naso e l’altro alzò gli occhi al cielo, seccato.
«Dunque sei l’unica a potersi impicciare degli affari altrui?»
«Te lo ripeto per l’ultima volta, non l’ho fatto di proposito»
«Ma sei venuta comunque a conoscenza di questioni mie personali, Kurata e…»
«Non per mio volere!» gli ricordò per l’ennesima volta, facendolo sbuffare come una locomotiva.
Era davvero seccante.
Bella, ma seccante.
«Okay, come vuoi, fingi che non ti abbia chiesto nulla» borbottò, cambiando marcia.
Con la coda dell’occhio la vide aprire la bocca per obiettare, ma poi ci ripensò e la richiuse, dedicò di uno sguardo il tettuccio dell’auto, sospirò e solo dopo svariati secondi finalmente si decise a riprendere parola «Tuo padre ha avuto la gentilezza di anticiparmi lo stipendio, devo spedire dei soldi a mia madre. L’azienda per cui lavorava ha chiuso i battenti qualche mese fa, quindi voglio aiutarla a sostenere le spese, anche se a distanza» mormorò con un fil di voce ed Akito, per la prima volta da quando la conosceva, rimase colpito da qualcosa che andasse ben oltre la sua bellezza.
Non gli capitava spesso d’incontrare dei coetanei che, piuttosto che spendere l’intero stipendio per cose futili, lo prodigassero per aiutare la propria famiglia, dunque da quel punto di vista era sicuramente da apprezzare.
«E’ per aiutarla con le spese che ti sei trasferita a Tokyo?»
Sapeva di poter risultare invadente, ma ormai la curiosità aveva preso il sopravvento.
Annuì «Ad Hokkaido, negli ultimi tempi, a causa della crisi è sempre più difficile trovare lavoro. Non che qui a Tokyo sia facile, intendiamoci, di fatti quello di governante è l’unico impiego che sono riuscita a trovare»
«Pensavo ti piacesse questo lavoro»
«Infatti è così, tuttavia avrei preferito dedicarmi a qualcosa più in linea con il campo di studi che ho concluso»
«E quale sarebbe?»
«Design d’interni» si voltò a guardarlo, sistemandosi meglio sul sedile «Tu sei laureato in architettura, vero?»
«Te l’ha detto Nat?»
«No, l’altro giorno, pulendo la tua camera, ho visto la pianta architettonica a cui stai lavorando e…»
«E poi dici che non sei una ficcanaso» la schernì, ma stavolta con una nota di divertimento nella voce e lei roteò gli occhi al cielo, soffocando un mezzo sorriso.
«Ehi, era appoggiata sulla scrivania, era impossibile non notarla»
«Beh…» accostò l’auto accanto al marciapiede e la guardò «Mi spiace dover interrompere la prima conversazione più o meno civile avvenuta tra noi, ma siamo arrivati»
Sana si affacciò al finestrino, guardò oltre le vetrate dell’ufficio postale ed esultò «Che fortuna, non c’è nessuno!» si slacciò la cintura di sicurezza ed aprì lo sportello «Faccio in un battibaleno» trillò, scendendo velocemente dall’auto e Hayama restò a fissarla finché le porte scorrevoli dell’edificio non si chiusero dietro le sue spalle.  A discapito di come si aspettava, stare in sua compagnia non si era rivelato essere poi così scocciante, anzi, gli ultimi minuti era risultati quasi piacevoli… non al punto tale da fargli cambiare completamente idea sul suo conto, ma abbastanza da comprendere che, forse, dietro quella facciata da ragazza dura e acida, c’era ben altro.



 
«Ti va del gelato?»
Sana distolse lo sguardo dal finestrino e si voltò verso Akito, corrucciando la fronte «Eh?»
«Hai ancora un’ora di pausa, no?»
«Beh, sì, ma…»
«Ma?»
«Perché vuoi mangiare un gelato con me?»
«Ti sembra tanto strana come proposta?»
«Direi proprio di sì» asserì, scrutandolo con fare circospetto «A dirla tutta avevo già trovato strano il fatto che ti fossi proposto di accompagnarmi all’ufficio postale, visti i rapporti tesi che ci sono tra noi, ed ora vuoi...»
«Non mi va di tornare a casa» le confessò «Non ancora» aggiunse in un sussurro, aumentando la presa sul voltante e l’espressione di Sana, dapprima sospettosa, si addolcì.
Non ci voleva un genio per capire che voleva godersi ancora un po’ di distrazione prima di tornare dalla sua famiglia e riprendere quello spiacevole discorso riguardante la sua ex, quindi perché non accontentarlo? In fondo non le costava nulla.
«Che gelato sia allora» acconsentì, incrociando le braccia al petto «Ma t’avverto, offri tu»
Hayama annuì, sollevato, parcheggiando fuori la prima gelateria che gli era capitata a tiro, una in cui non c’era mai stato prima di allora, probabilmente l’avevano aperta durante la sua permanenza a Los Angeles «Spero solo che qui li facciano buoni»
«Sarà meglio per te»
«Altrimenti?»
«Me la pagherai» si finse minacciosa, aprendo lo sportello «Non c’è cosa che odio di più del gelato scadente» scese dall’auto e lui la seguì, ridacchiando.
La osservò spiaccicare il naso e i palmi delle mani sulla vetrina del bancone, guardare i vari gusti con l’acquolina in bocca, sporcarsi il viso di gelato alla vaniglia, lamentarsi dell’inutilità dei tovaglioli delle gelaterie, il suo modo di gesticolare mentre passava da un discorso all’altro, senza seguire un filo logico e sorriderne divenne quasi inevitabile.
«Comunque ti devo delle scuse» esordì poi, rigirando il cucchiaino nella coppetta semivuota «Per… si insomma… per il modo in cui mi sono comportata nelle ultime settimane. Voglio dire… ti ho trattato come se…»
«Fossi l’uomo più meschino presente sulla faccia della terra?» l’anticipò, facendole chinare il capo.
«Esatto» sospirò «Sono stata poco professionale, inoltre non meritavi affatto un trattamento del genere. Ma sai com’è, credevo fossi uno di quelli che tradiscono le proprie fidanzate, non immaginavo che…» rifletté attentamente sulle parole più giuste da utilizzare «Fossi libero, sentimentalmente parlando intendo»
«Dunque stai iniziando a ricrederti sul mio conto?»
«Un po’» fece spallucce «Voglio dire, ti considero sempre un cafone, visto il modo in cui hai tentato di approcciarmi la prima volta che ci siamo visti, ma almeno non sei un traditore»
«Beh, grazie tante per il cafone» borbottò, storcendo il naso e Sana rise, una risata cristallina e scoppiettante; Akito si fermò ad assaporarla, quasi suo malgrado.
«Non temere, sei ancora  in tempo per farmi ricredere»
«E a che pro?»
«A che pro, dici? Mh…» degnò il soffitto di un’occhiata, picchiettandosi il mento con l’indice «Beh, se mi dimostrassi di saperti comportare come un gentiluomo, potrei anche prendere in considerazione l’idea di diventare tua amica»
«Non credo nell’amicizia tra un uomo e una donna» obbiettò.
Non ci aveva mai creduto, soprattutto qualora uno dei  due provasse attrazione verso l’altro.
E lui era attratto da Sana, molto più di quanto lei stessa potesse immaginare.
«Esiste eccome, invece» obbiettò a sua volta, inghiottendo l’ultimo boccone del suo gelato «E te lo dimostrerò, a patto che continui ad offrirmi il gelato almeno una volta a settimana e la smetti di farmi trovare della biancheria intima femminile sparsa per la tua camera»
«Biancheria femminile?» mormorò, grattandosi la nuca con fare pensieroso.
Da quando era tornato a vivere dalla sua famiglia gli era capitato poche volte di portare una donna in camera, e sempre di nascosto, ma non ricordava che una di loro avesse dimenticato della biancheria lì.
«Esatto. E’ capitato solo una volta in realtà, tre giorni fa» gli lanciò un’occhiata torva, piegando le labbra in una smorfia contrariata «C’era un perizoma leopardato ai piedi del tuo letto, l’ho trovato mentre passavo l’aspirapolvere. Dubito fosse tuo, era troppo piccolo»
«Ovvio che non era mio» sbottò, aggrottando le sopracciglia «Ti pare che indossi della biancheria da donna?»
«Mai dire mai, ci sono molti uomini che la indossano, sai?» fece spallucce e, prima che lui potesse replicare, aggiunse «Piuttosto, se ha dimenticato le mutandine in camera tua, mi dici com’è uscita da casa?»
«Col sorriso» ammiccò.
Altra risata da parte di lei, fresca come l’acqua quando si ha sete.
Akito ne rimase estasiato.
«Sei incredibile, Hayama»

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Capitolo 4
*** 3° Capitolo ***


Aveva ripreso in mano le redini della sua vita.
Aveva smesso di piangersi addosso, crivellarsi nel dolore e si era rimboccato le maniche, andando avanti per la sua strada; gli ci erano voluti ben due mesi, ma alla fine c’era riuscito.
Non poteva dire di esser completamente guarito, certo, la ferita causata dalla rottura con Fuka era ancora aperta, ma si stava pian piano rimarginando e di questo n’era felice.
Trovava distrazione nelle donne, usandole proprio come loro usavano lui, solo ed esclusivamente per puro godimento fisico, senza mai instaurare alcun tipo di legame emotivo o sentimentale e gli andava bene così.
Non avrebbe mai più permesso ad una donna di entrargli dentro, non ci sarebbe cascato di nuovo, se l’era ripromesso e a nulla erano serviti i tentativi di Natsumi di dissuaderlo; aveva tentato più e più volte di convincerlo a non lasciarsi influenzare dalla spiacevole parentesi avvenuta con Fuka, a fargli credere che la persona giusta per lui c’era e che non avrebbe dovuto precludersi la possibilità di conoscerla, ma a nulla era servito, restava fermo nella sua decisione.
Con lei e suo padre i rapporti erano tornati alla normalità; aveva raccontato per filo e per segno come si erano svolti realmente i fatti e loro, seppur non approvando a pieno la sua decisione di abbandonare la vita stabile che si era creato a Los Angeles, l’avevano compreso, senza giudicarlo od etichettarlo come un idiota.
Gli avevano addirittura proposto di tornare a vivere stabilmente lì, proprio come i vecchi tempi, ma lui aveva rifiutato.
Non gli andava a genio l’idea di vivere ancora a lungo con la sua famiglia, voleva riprendere in mano la sua indipendenza e, pian piano, ci stava riuscendo; il progetto commissionato dal signor Toshiba era stato concluso e consegnato con gran successo e ciò gli aveva permesso di ottenere una discreta pubblicità nel suo settore, proprio come aveva sperato, e in poco tempo era stato assunto come assistente di uno dei più rinomati architetti della città.
Non si trattava di una posizione importante come quella ch’aveva raggiunto a Los Angeles, lì era lui il rinomato architetto in cerca di un assistente, ma per il momento si sarebbe accontentato, anche perché a causa delle necessità finanziare non aveva alternative.
Anche con Sana, la nuova governante, c’erano stati notevoli sviluppi, al punto tale che, ormai, quei giorni di profondo astio tra i due, sembravano tanto lontani.
Non la considerava un’amica, n’era troppo attratto per farlo, ma con lei ci stava bene, molto più di quanto potesse immaginare; gli piaceva stare in sua compagnia, ridere con lei, punzecchiarla, osservarla pulire l’appartamento con una cura maniacale, rientrare in casa e trovarla lì, con uno strofinaccio tra le mani e un sorriso radioso ad arricciarle gli angoli della bocca.
Trovava così appagante la sua presenza che più e più volte si era ritrovato a fare i salti mortali a lavoro pur di riuscire a racimolare un po’ di tempo libero da trascorrere insieme lei e la cosa più assurda era che non gli pesava affatto; era divertente portarla ad esplorare luoghi di Tokyo a lei ancora sconosciuti, recarsi nei locali e fare a gara su chi riusciva ad ingozzarsi di più,  tra una risata e l’altra, sotto gli sguardi allibiti dei camerieri e delle persone circostanti.
Quella ragazza era un vero spasso, un vulcano di energie, completamente diversa dalle tante donne ch’aveva conosciuto nel corso degli anni; in una maniera o nell’altra riusciva sempre a stupirlo, proprio come quel giorno d’inizio luglio quando, rincasando da lavoro, la trovò impalata in mezzo al soggiorno, con le mani portate dietro la schiena e un sorriso teso stampato sulla faccia «Heilà, Hayama!»
Quest’ultimo assottigliò gli occhi, scrutandola con fare circospetto.
Non sapeva spiegarsi esattamente il perché ma c’era qualcosa di strano nella sua espressione, un qualcosa che però non riusciva bene a decifrare «Che ti prende? E perché sei impalata lì al centro del soggiorno?»
«Sapevo che saresti tornato a breve, così ti ho aspettato qui per accoglierti come si deve e…»
«Ma se non l’hai mai fatto!»
«E allora? C’è sempre una prima volta per tutto, no?!»
Akito le si avvicinò, perplesso, con la fronte aggrottata «Te lo ripeto per l’ultima volta, Kurata, che ti prende?»
«Te l’ho detto, nulla! Piuttosto…» gli sorrise, indicandolo dall’alto in basso «Sai che ti trovo in splendida forma? Sbaglio o hai aumentato i muscoli?» gli diede un buffetto sul braccio, strizzandogli l’occhio «E poi il colore di questa camicia ti sta a pennello, risalta molto i tuoi…»
«Kurata!» l’interruppe, alzando appena il tono di voce. Non che gli dispiacessero quei complimenti, ma era certo che glieli stava rivolgendo solo ed esclusivamente per un puro scopo personale.
Voleva forse addolcirlo?
Probabile.
«Ti prego, dimmi che non hai incendiato la mia camera»
«Ma sei stupido o cosa?» sbottò, indignata «Quando mai ho incendiato qualcosa?»
«Allora cos’hai combinato?» borbottò, incrociando le braccia al petto «Hai rotto il vaso preferito di Nat? Graffiato qualche mobile, o…»
«Nulla del genere» borbottò a sua volta, gonfiando le guance «E’ solo che…»
«Solo che?» l’incitò a continuare.
«Ho combinato un casino» ammise infine, chinando il capo.
«Che tipo di casino?»
«Vedi, il fatto è che…» un rumore proveniente dal piano superiore la fece impallidire ed ammutolire in contemporanea, lasciando il suo interlocutore sempre più perplesso ed interdetto.
«Chi c’è di sopra?» le chiese, ma non ottenne risposta.
Sana si limitò a distogliere lo sguardo dal suo, assumendo un’aria colpevole e un campanello di allarme risuonò della testa di Hayama; era assolutamente certo di non aver intravisto né la macchina di Natsumi, né quella di suo padre in cortile, dunque chi poteva esserci di sopra?
Un uomo forse?
Una simile ipotesi fu peggio di una doccia ghiacciata.
«Kurata» la chiamò e, stringendo con rabbia i pugni lungo i fianchi, riformulò la domanda «Chi c’è di sopra?»
Era furioso e davvero non riusciva a capirne il motivo.
Insomma, che fosse attratto da lei lo sapeva, non era una novità, ma oltre a quello non c’era e non ci sarebbe mai stato nulla, dunque perché provava tanta irritazione a saperla con un altro? Cos’era quella stretta allo stomaco che avvertiva?
 «Ecco, io…» la osservò dondolarsi sui talloni e torturarsi nervosamente il labbro inferiore con i denti, come se fosse in difficoltà, come se non avesse il coraggio di dirgli come stavano effettivamente le cose e ciò lo fece infuriare, se possibile, ancora di più.
«Come ti sei azzardata a portare un uomo in casa mia?» le urlò contro, facendola dapprima trasalire e poi assumere un’espressione talmente sconcertata che, se non avesse avuto i nervi a fior di pelle, gli sarebbe risultata parecchio esilarante.
«Un uomo?»
«Non provare a finger…» l’ennesimo rumore, proveniente dal piano superiore, lo portò non solo a lasciare la predica sospesa a mezz’aria, ma anche a sorpassarla e a salire velocemente la rampa di scale, con un diavolo per capello, ignorando la voce di Sana dietro di lui che quasi lo supplicava di fermarsi.
Non sapeva perché stesse reagendo il quel modo, del perché si comportasse come un fidanzato geloso, seppur non provasse alcun tipo di sentimento per lei, l’unica cosa di cui era certo era che quel tizio nascosto in camera sua non sarebbe uscito di casa dalla porta, bensì dalla finestra.
Spalancò la porta di colpo, ma la scena che gli si parò davanti era completamente differente da quella che si aspettava; la camera era messo a soqquadro e sul pavimento, a pochi passa da lui, c’era un batuffolo nero con tanto di orecchie e punta e coda scodinzolante.
«Un cane?!» sbottò, basito, osservando quella piccola palla di pelo venirgli in contro e subito dopo udì la voce di Sana, dietro di lui, urlare «Posso spiegare!»
Lo superò, entrò in camera e prese in braccio il cagnolino «Lo so, ho sbagliato, questa non è casa mia e non dovevo permettermi di portare un animale qui senza il vostro consenso, però…» deglutì, accarezzandolo «Oggi pomeriggio mi trovavo in centro per fare la spesa e, fuori ad un negozio d’abbigliamento sportivo, ho notato un grosso scatolone muoversi, come se ci fosse qualcosa dentro, così, incuriosita, mi sono avvicinata per vedere cosa contenesse e ho trovato lui. Ho chiesto al proprietario del negozio se fosse suo, ma lui mi ha risposto di no, che qualcuno l’aveva lasciato lì una settimana fa e ha anche aggiunto che se nessuno l’avesse adottato sicuramente sarebbe stato soppresso. Quindi io…» alzò lo sguardo su Akito, assumendo un’espressione da bambina «Non ho avuto il coraggio di lasciarlo lì, mi dispiace»
Hayama sospirò, portandosi una mano sulla fronte.
Certo, trovare un cane era stato meglio di trovare un uomo, su quello non c’era alcun dubbio, tuttavia quella piccola palla di pelo, per lui, rappresentava ugualmente un problema… non che odiasse i cani, ma non gli suscitavano neppure tutta quella gran simpatia, inoltre non aveva la benché minima voglia di assumersi la responsabilità di accudirne uno.
«Kurata, il tuo è stato un gran bel gesto, ma…» un nodo alla gola gli impedì di continuare quando la vide stringere ancora di più a sé il cucciolo, come se avesse paura che potesse portarglielo via da un momento all’altro «Ma…» deglutì, fissando quelle due pozze color cioccolato cariche di supplica «Ma…» ripeté per l’ennesima volta, dandosi mentalmente dell’idiota.
Perché era così difficile dirlo?
Perché si sentiva come un orco che voleva portarle via una cosa a lei tanto cara?
«Insomma, Kurata…» sbuffò poi, massaggiandosi le tempie con movimenti circolari, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo «Accudire un cane è una grossa responsabilità e…»
«Penserò a tutto io, promesso» lo supplicò, sfoderando l’espressione più angelica che riusciva a fare «Mi occuperò di ogni singola cosa, delle spese, delle passeggiate, di fornirgli cibo e acqua, e… e…» aprì e richiuse la bocca almeno una decina di volte e poi, sospirando pesantemente, chinò il capo «Ma cosa sto farneticando? Che stupida! Non posso chiedervi tanto»
Il tremolio nella voce lasciava chiaramente intendere che si stesse sforzando di non piangere e nel capirlo, Akito, provò un gran senso di tenerezza nei suoi confronti; era chiaro come il sole che si fosse già affezionata a quel batuffolino nero, lo si capiva dal modo in cui lo guardava, accarezzava e stringeva a sé, come se potesse scomparire da un momento all’altro.
«E va bene» sbuffò infine, alzando gli occhi al soffitto «Puoi tenerlo»
Sana trasalì, nel suo sguardo c’era tanta incredulità e speranza «Eh?»
«Ho detto che puoi tenerlo. Ma sarai tu ad occupartene, t’avverto, io me ne lavo le mani»
 Per una frazione di secondo sorrise, prima di tornare seria «E come la mettiamo con tuo padre e Nat?»
«Nat adora gli animali, quindi sono certo che quando lo vedrà farà i salti di gioia. Quanto a mio padre, beh…» scrollò le spalle «Non si è mai espresso a riguardo, ma non credo gli dispiacerà»
«Sicuro?»
Annuì.
«Quindi lo teniamo?»
Annuì una seconda volta e il sorriso che ricevette in risposta fu così radioso, limpido e cristallino che, di rimando, fece sorridere anche lui, contro la sua volontà.
La vide appoggiare delicatamente il cagnolino sul pavimento, corrergli incontro e, prima che potesse rendersene conto, si ritrovò con le sue braccia avvolte intorno al torace e il viso affondato all’altezza del petto.
Hayama s’irrigidì, non perché quell’abbraccio gli recasse fastidio, anzi, ma la sensazione positiva che quel contatto scaturì lo sorprese più del dovuto «Se questo è il tuo modo di ringraziarmi, sappi che puoi adottare tutti i cani che vuoi» tentò di sdrammatizzare.
Sana ridacchiò, si alzò in punta di piedi e gli posò un casto bacio sulla guancia destra, provocandogli un lungo brivido su per la spina dorsale «Grazie, Akito»



***
Angolo autrice:

Heilà! 
N'è passato di tempo, eh? ^-^"
Perdonate l'attesa, ma non sono riuscita ad aggiornare prima.

Per farmi perdonare proverò a pubblicare il capitolo successivo la prossima settimana, intanto se volete/potete, fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo aggiornamento, leggere le vostre recensioni è sempre un toccasana per me *_*
A presto! =)

 

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Capitolo 5
*** 4° Capitolo ***


«Allora sei proprio sicuro di non voler partecipare alla festa in piscina?»
«Sì»
«Sicuro, sicuro, sicuro? Ti voglio ricordare che ci saranno molte mie amiche» Natsumi sorrise in modo provocatorio e, muovendo eloquentemente le sopracciglia dall’alto verso il basso, aggiunse «In bikini»
«Ringraziando i Kami non ho bisogno di partecipare alla tua stupida festa per vedere delle donne mezze nude. Inoltre…» la guardò, sollevando un sopracciglio con disappunto «Ti vorrei far presente che hai ventisette anni suonati Nat, non sedici. Ti sembra maturo da parte tua approfittare del viaggio di lavoro di papà per organizzare un…»
«Risparmiami la predica, per favore» l’interruppe, puntandosi le mani sui fianchi «Non c’è nulla di male nel volersi divertire con i propri amici, così come non c’è nulla di male nello sfruttare la mega piscina che abbiamo in giardino per… »
«Okay, fa come vuoi» l’interruppe a sua volta, sbuffando come una locomotiva «Ma sappi che, semmai la tua combriccola d’amici dovesse causare qualche danno alla casa, non mi assumerò alcun tipo di responsabilità, sarai l’unica a doverne rispondere a papà quando tornerà»
«Nessuno causerà alcun tipo di danno, Akito, puoi stare tranquillo. D’altronde stiamo parlando di persone mature e responsabili, non di ragazzini stupidi e spericolati»
«Stando alle persone che frequenti avrei qualcosa da ridire, ma lasciamo perdere» sospirando, prese posto accanto alla scrivania della sua camera «Adesso devo lavorare, ho un progetto da consegnare a breve. Mi raccomando, non fate troppo rumore e soprattutto non permettere a nessuno di salire al piano superiore»
«Tranquillo, non ti accorgerai neppure della nostra presenza» gli strizzò l’occhio e, dandogli le spalle, concluse «Ti saluto, devo ancora scegliere quale costume indossare. Se cambi idea sai dove trovarci»
Akito si limitò a salutarla con un gesto annoiato della mano, sfilò dalla valigetta il foglio con su illustrato il progetto architettonico a cui stava lavorando e lo appoggiò sulla scrivania, sperando che almeno quel giorno sarebbe riuscito a superare quel blocco che da diversi giorni non gli consentiva di andare avanti con planimetria, un blocco tale che lo stava mandando letteralmente fuori di testa; era conscio e fiero delle sue capacità lavorative, sapeva di avere talento, dunque odiava quella mancanza d’ispirazione, il non riuscire a dare il massimo di sé ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a superarlo.
Era a corto di idee, ogni sacrosanta volta che posava gli occhi su quel foglio la sua mente sembrava andare in totale blackout ed era la prima volta, da quando aveva intrapreso quel mestiere, che gli capitava una situazione del genere.
Sbuffando, provò a disegnare delle linee a caso, cancellandole subito dopo, con così tanta stizza e nervosismo da rischiare di dividere la gomma a metà.
Lanciò la matita dall’altra parte della scrivania e, imprecando come se non ci fosse un domani, si lasciò andare sullo schienale della sedia, portandosi entrambe le mani sul volto; non ne poteva più, tutto ciò era davvero destabilizzante.
Circa un'ora dopo, esasperato come non mai, lasciò vagare lo sguardo sul soffitto, come se fosse in attesa di una sorta d’illuminazione e, nel mentre, sentì un rumore di passi provenire dal corridoio.
Si voltò, incuriosito, guardando oltre la porta lasciata semi aperta , giusto il tempo di intravedere Sana passare con un sottospecie di gonnellino turchese e la schiena… nuda. Nuda?! Hayama spalancò le palpebre e, prima di rendersene conto, si ritrovò a balzare dalla sedia, spalancare la porta e sgattaiolare fuori al corridoio, trovandola lì, vicino alla rampa di scale «Kurata»
Quest’ultima si voltò, mostrandosi con solo un misero bikini bianco a triangolo a coprirle il seno e un pareo che Akito, non capendoci molto, aveva scambiato per un gonnellino. Era splendida e lui ne rimase estasiato «Sì?»
«Ma… ma… » deglutì, boccheggiando con la stessa frequenza di un pesce rinchiuso all’interno di una boccia di cristallo, scendendo continuamente lo sguardo su quel corpo armonioso «Dove… dove stai andando? E perché sei conciata in quel modo?»
Sana scrollò le spalle, portandosi indietro i capelli «Nat mi ha invitato alla festa in piscina e, visto che è il mio giorno libero, ho deciso di accettare»
«Ah»
«Tu non vieni?»
«No… io…» si sentiva un completo idiota lì in piedi davanti a lei, senza ben sapere cosa dire o fare, eppure non poteva farci niente. Quel ventre piatto, la curva dolce del seno, quelle gambe lunghe ed affusolate, l’avevano letteralmente stregato «Dovrei lavorare, sai com’è, ho una consegna a breve» preferì, scompigliandosi nervosamente i capelli «Seppur non sia ancora riuscito a superare quel blocco di cui ti ho parlato»
«Un motivo in più per unirti a noi, allora»
«Dubito che una festa mi aiuterà a risolvere i problemi d’ispirazione»
«Scollegare per un po’ il cervello non potrà che farti bene, Hayama. Hai bisogno di prenderti una pausa o rischierai seriamente di dare di matto» constatò, prima di alzare una mano in segno di saluto e aggiungere «Adesso scusami ma devo proprio andare, devo aiutare Nat a preparare il tavolo del buffet. Semmai deciderai di venire sarai il benvenuto»
Akito annuì, osservandola scendere velocemente la rampa di scale, con quel maledetto pareo svolazzante, un po’ troppo coprente per i suoi gusti.
Sospirò. Cos’avrebbe dato per vederla senza quell’inutile pezzetto di stoffa.
Un pezzetto di stoffa che, molto probabilmente, avrebbe tolto per tuffarsi in piscina, o per prendere il sole, o… «Ma perché diavolo sono ancora qui?» borbottò tra sé e sé.
Si diresse a grandi falcate nella sua stanza, sentendosi anche piuttosto sfigato, come un adolescente in piena crisi ormonale che non aveva mai visto una donna mezza nuda e spalancò le ante dell’armadio, alla ricerca del costume da bagno che, tra le tante cose, aveva infilato in valigia prima di scappare via da Los Angeles «Maledizione, ma dov’è finito?» sbottò, lanciando i suoi abiti sul pavimento, riducendoli in ammassi di stoffa sgualciti e mal ridotti.
Era assolutamente consapevole di quanto fosse ridicolo il suo comportamento, così com’era consapevole che la cosa più giusta da fare era quella di rimettersi a lavoro e smetterla di fantasticare sulla sua governante, eppure non riusciva a darsi un contegno «Trovato!» esultò, sfilando dallo scatolone un costume da bagno blu leggermente sgualcito, molto somigliante ad un paio di boxer.
Si spogliò, lo indossò, si diede un veloce sguardo allo specchio, scese al piano inferiore ed uscì in giardino, trovando una dozzina di persone sparpagliate un po’  ovunque, tra tavoli, sdraio e palloni gonfiabili «Guarda guarda chi si è deciso ad onorarci della sua presenza» bonificò Natsumi, comparendogli davanti con un bikini dalle fantasie floreali, un paio d’occhiali da sole enormi sul naso e un cocktail tra le mani «Per quale motivo hai cambiato improvvisamente idea?»
«Nessun motivo in particolare, avevo solo bisogno di prendermi una pausa» mentì, scollando le spalle.
Non poteva certo confessarle che l’unico motivo per cui aveva deciso di prendere parte a quella stupida festicciola era poter ammirare Sana in tutto il suo splendore… non gli andava di essere etichettato come un maniaco disperato, anche se era proprio così che si sentiva.
Sentì Nat aggiungere qualcosa, ma non si curò neppure di ascoltarla, impegnato com’era a cercare una chioma rossa a lui ben nota e quando finalmente la trovò, distesa su una delle sdraio, non ci pensò due volte a liquidare la sorella e dirigersi nella sua direzione, fermandosi ad un passo da lei.
La trovò con gli occhi chiusi, un braccio portato sulla fronte, la gamba destra piegata e priva di quell’insulso pareo a coprirla… peccato solo che, essendo distesa di schiena, quel lato b che tanto desiderava poter ammirare non era visibile ai suoi occhi.
“Che sfiga” pensò tra sé e sé, ignorando quella fastidiosa vocina nella testa che, imperterrita, continuava a rinfacciargli di quanto fosse stupido e patetico il suo atteggiamento.
Si schiarì la voce con un finto colpetto di tosse, giusto per attirare la sua attenzione e Sana aprì lentamente gli occhi, lo guardò e sorrise «E così alla fine hai deciso di venire»
«Eh già»
«Come mai hai cambiato idea?»
«Ho semplicemente seguito il tuo consiglio, Kurata» le rispose distrattamente, perdendosi nuovamente ad ammirarla; osservò quelle ciglia che sembravano finte tanto era lunghe, quelle iridi color cioccolato che, al sole, parevano un po’ più chiare del solito, le piccole lentiggini sul naso, le labbra carnose, i lunghi capelli ramati che le ricadevano fino a metà schiena, scese su quella piccola parte di seno scoperta, sul ventre, sul laccetto del bikini legato sul fianco, sulle quelle gambe sinuose e domandarsi come fosse possibile che un semplice essere umano potesse possedere una tale bellezza fu inevitabile.
Con la gola secca e gli ormoni che quasi lo imploravano anche solo di sfiorare quella pelle bianca e liscia come la seta, Akito deglutì a fatica, risalendo lo sguardo per incontrare il suo e quando la trovò intenta ad ammirarlo a sua volta, soffermandosi più del dovuto sull’addome scolpito, non poté far a meno di ghignare «Visto qualcosa d’interessante?» ammiccò.
La vide trasalire, come una bambina colta con le mani nel sacco, ed arrossire così tanto da raggiungere quasi lo stesso colorito dell’asciugamano sulla quale era distesa «Che?! No, è solo che…» si voltò velocemente dall’altra parte, arrotolandosi una ciocca di capelli intorno all’indice «Non.. non sapevo che fare l’architetto scolpisse tanto il fisico»
«Dovresti sapere che presto molta attenzione all’attività fisica»
«Mh, già, è vero» imbarazzata, evitò accuratamente di incrociare quegli occhi ambrati, spostando lo sguardo su qualsiasi cosa che rientrasse nel suo campo visivo, vivente o non, per poi concentrarsi sul batuffolino nero ch’aveva adottato circa due settime prima, beatamente accoccolato tra le braccia di una ragazza dal caschetto corvino «A quanto pare Aki ha fatto colpo» costatò, un tantino infastidita, come se le desse noia vedere quel cucciolo farsi coccolare da un’altra.
 «Kurata» la chiamò l’altro, visibilmente seccato «Ti avrò ripetuto almeno un centinaio di volte di non chiamare quella palla di pelo con il diminutivo del mio nome»
«Ed io ti avrò ripetuto altrettante volte che quel nome mi piace, quindi piantala di fare storie» sbuffò.
«Ma non potevi sceglierne uno più normale? Ad esempio Rex, Rocky, Billi, Hachiko, Ro…»
«Che banalità!» l’interruppe, storcendo appena il naso.
«Ah, certo, perché Aki invece è originale»
«Altroché se lo è! Inoltre…» lo guardò, corrucciando la fronte «Ti faccio presente che un’altra persona, al tuo posto, avrebbe apprezzato la mia scelta di…»
«Non una persona sana di mente, Kurata, poco ma sicuro» la zittì, intuendo dove volesse andare a parare «Quindi provvedi a cambiarglielo, o lo farò personalmente»
«Ma non puoi, ormai si è già abituato!» obiettò, tirandosi su a sedere «Ogni volta che sente pronunciare il nome Aki, drizza le orecchie e scodinzola. Si sentirebbe spaesato se iniziassimo a chiamarlo diversamente»
«Non è un problema mio»
«Sei un insensibile!»
«Pensala come ti pare, fatto sta che devi cambiarglielo»
«Non se ne parla» affermò decisa, incrociando le braccia sotto al seno «Continuerà a chiamarsi in quel modo, che ti piaccia o meno»
«Kurata» si piegò su di lei, assumendo un’aria minacciosa «Sappi che se non farai come ti dico, finirai col pentirtene»
«E’ una minaccia?»
«Forse»
«Credi davvero di farmi paura, Hayama?» gli chiese, sollevando un sopracciglio.
«Ti converrebbe averla»
Sana scoppiò a ridere di gusto, per nulla intimorita, smettendo solo quando sentì una mano di Akito posarsi sotto le sue gambe e l’altra sulla schiena; si sentì rabbrividire, ma non sapeva se ciò era causato dal lieve piacere scaturito da quel contatto, o dalla consapevolezza di quanto sarebbe accaduto da lì a breve «Ma… ma che diavolo fai?» balbettò, ma lui non se ne curò affatto, la sollevo, si avvicinò velocemente al bordo piscina e fece per gettarla in acqua, ma all’ultimo qualcosa andò storto; le braccia di Sana si avvinghiarono con forza intorno al suo collo, trascinandolo con lei.
Finirono entrambi in quell’enorme piscina, riemergendo una frazione di secondo di distanza l’uno dall’altra.
Infreddoliti e bagnati fradici, si guardarono dapprima in cagnesco e poi, come se nulla fosse, scoppiarono a ridere a pieni polmoni, sotto gli sguardi sconcertati del resto degli invitati, in particolar quello di Natsumi che mai aveva visto suo fratello divertirsi in quel modo.
«Sei proprio un idiota!» urlò lei, gettandogli a raffica degli schizzi d’acqua ghiacciata, ma Akito non si lasciò sopraffare; l’afferrò per un braccio, l’attirò a sé, la sollevò e la gettò di nuovo sott’acqua, ghignando con fare soddisfatto.
La vide riemergere, spostarsi i capelli dalla faccia ed assumere un’aria di sfida «Eh no, questa me la paghi» gli si avvicinò velocemente, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Akito la fermò, cingendole la vita con le mani. «Cosa credi di fare, Kurata?»
«Affogarti, mi sembra ovvio» proferì, agitandosi e scalciando come una forsennata «Un affronto simile non può restare impunito»
E Akito rise di nuovo, una risata fragorosa, una di quelle risate che ti fanno dimenticare tutto il resto e ti fanno diventare i piedi leggeri e solo con Sana gli capitava di ridere in quel modo, con lei e nessun altro.
«Guarda che dovresti tremare dalla paura, non sghignazzare» borbottò, sopprimendo un sorriso e, approfittando della temporanea distrazione del biondino, sgusciò dalla sua presa, con le mani gli fece pressione sulla testa e lo spinse sott’acqua.
Come se avesse appena compiuto la vendetta del secolo, fu così presa dall’esultare che non si rese neppure conto che Hayama era riemerso alle sue spalle, o almeno finché non sentì due braccia avvolgerla da dietro. E furono brividi intensi quelli che avvertì nel sentire il torace di Akito premergli contro la schiena, e il suo respiro solleticarle il collo «Stai giocando col fuoco, Kurata, t’avverto»
«Semmai…» deglutì, con la gola improvvisamente secca «Semmai sei tu a star giocando con il fuoco, Hayama»
Quest’ultimo la fece voltare, senza eliminare quella minuscola distanza che separava i loro corpi, ma non disse nulla, non obiettò, si limitò ad assumere un’espressione seria e a osservarla, seguendo la scia di goccioline che le scendevano lentamente lungo il viso, il collo, sulla curva del seno, e poi risalì pian piano, fino a soffermarsi su quelle labbra rosse ed invitanti come le ciliegie.
Cos’avrebbe dato per poterle assaporare, anche solo una volta.
Sospirò appena, incatenò gli occhi nei suoi e per un attimo ebbe l’impressione di leggerci dentro un desiderio gemello al suo, ma fu costretto a ricredersi quando Sana, appoggiandogli i palmi aperti delle mani sul petto, lo allontanò da lei.
Gli diede velocemente le spalle, forse per non far notare le gote arrossate e, schiarendosi la voce, mormorò «Inizio a sentire freddo, sarà meglio che rientri in casa» e, senza neppure dargli tempo di proferire parola, uscì dalla piscina, recuperò l’asciugamano appoggiata sulla sdraio, se l’avvolse intorno, infilò le infradito e, facendosi spazio tra la gente, rientrò in casa.
«Che stupida!» si rimproverò, tamponandosi i capelli accanto al tavolo delle bevande «Stupida, stupida, stupida!» continuò, aumentando d’impeto, domandandosi al contempo com’era possibile che si fosse ritrovata in una situazione del genere con Hayama.
Insomma, sapeva di provare una certa attrazione per lui, d’altronde era un uomo molto affascinante e lei restava pur sempre una donna provvista d’ormoni, ma fino a quel momento era sempre riuscita a mantenere una linea di confine tra loro e a rapportarsi come una governante/amica… eppure, poco prima, era davvero tentata di baciarlo.
Già.
Voleva baciarlo.
Assurdo.
Ma cosa l’era saltato per l’anticamera del cervello?
Akito era un membro della famiglia per cui lavorava, non poteva rischiare di sconvolgere gli equilibri e creare spiacevoli tensioni ed imbarazzi sul posto di lavoro, inoltre, come se non bastasse, cercavano cose completamente diverse; lui, ancora stravolto dalla ferita amorosa inflittagli da Fuka, voleva esclusivamente delle avventure da una sola notte, mentre lei, l’eterna romantica, non si sarebbe mai accontentata di un uomo che le scaldava solo il letto, voleva molto di più… dunque che senso aveva desiderare un bacio che, già sapeva, non avrebbe portato a nulla di buono?
Sospirò platealmente e pochi istanti dopo sentì qualcosa di peloso solleticarle la caviglia.
Abbassò la testa e sorrise quando i suoi occhi si posarono sull’adorabile musetto nero di Aki «Ecco qui il piccolo traditore» lo sollevò e lo strinse delicatamente contro il petto «Ti sei deciso a smetterla di farti coccolare dalle altre?» borbottò, ricevendo in risposta una leccata sulla faccia che la fece ridacchiare «Sei proprio un ruffiano!»
«Quel cagnolino ha fatto una vera e propria strage di cuori, non c’è che dire»
Una voce alle sue spalle la fece voltare.
«Eh già» si limitò a rispondere, studiando con interesse il ragazzo a torso nudo che si era appena rivolto a lei; aveva dei lineamenti occidentali, iridi azzurre e una strana tonalità di capelli, leggermente tendenti al grigio, ma che a lui donavano particolarmente. Il fisico era asciutto, con spalle larghe e muscoli ben delineati, anche se non eccessivamente sviluppati.
Era talmente affascinate da sembrare un divo dello spettacolo, ragion per cui si sorprese di non averlo notato prima.
Lui le sorrise e, avvicinandosi, le chiese «Sai come si chiama?»
«Aki»
«Aki?!» ripeté, spalancando appena le palpebre «Non avevo mai sentito un cane chiamarsi così,  è un po’ insolito»
«A quanto pare a nessuno piace il nome che gli ho scelto» sbuffò, risentita.
«L’hai scelto tu? Eppure mi era sembrato di capire che fosse il cane di Natsumi»
«In parte è così. Diciamo che appartiene a tutti i membri di questa casa, me compresa, quindi è…»
«Abiti qui?» l’interruppe, sinceramente sorpreso e lei annuì.
«Mi sembra di capire che Nat non te l’abbia ancora riferito, ma io sono Sana Kurata, la nuova governante della famiglia Hayama»
«Beh no, in effetti si era dimenticata di dirmi ch’aveva assunto una governate così giovane e carina» ammiccò, facendola arrossire «Io, invece, sono Naozumi Kamura, un amico di vecchia data di Natsumi. Lieto di fare la tua conoscenza, Sana» allungò una mano per presentarsi, ritraendola non appena vide Aki ringhiare, digrignando i denti «Ma che gli prende?» borbottò, indietreggiando di un passo.
Sana tentò inutilmente di calmare quel batuffolo nero, accarezzandogli dolcemente la testa e rivolse un sorriso di scuse a Naozumi «Devi scusarlo. Ti assicuro che in genere è dolcissimo, solo che non va molto d’accordo con gli uomini, fatta eccezione per Hayama»
«Oh, capisco» mormorò, guardando con disappunto che quella piccola bestiolina che, imperterrita, continuava a mostrargli i denti «Adesso sarà meglio che vada, prima che gli altri mi diano per disperso» rialzò lo sguardo su di lei e, sorridendole, aggiunse «Spero di rivederti presto, non mi dispiacerebbe scambiare altre due chiacchiere con te. Magari la prossima volta senza rischiare di rimetterci una mano»
Sana ridacchiò, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Sono certa che non mancherà l’occasione»
«Me lo auguro» le strizzò l’occhio, alzò una mano in segno di saluto e se ne andò, uscendo in quell'ampio giardino addobbato a festa e lei restò lì a fissarlo, finché non sparì dal suo campo visivo, con una strana ma allo stesso tempo piacevole sensazione a stravolgerla.
«E’ un tipo davvero carino, non trovi?» chiese, rivolgendosi ad Aki che, come se l’avesse in qualche modo capita, tornò a ringhiare e ad arricciare il naso. Sospirò, alzando gli occhi al soffitto, tra il divertito e il seccato «Come non detto, a te piace solo Hayama!»



 

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