Sakura Drops

di StarCrossedAyu
(/viewuser.php?uid=1055651)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 🌸 ***
Capitolo 2: *** 🌸🌸 ***



Capitolo 1
*** 🌸 ***


Sakura Drops

 

 

 

 

 

Fissava il monitor da ore, gli occhi stanchi e affaticati al di sotto delle lenti da lettura, digitando le correzioni da apportare ai documenti.

Levi Ackerman era un impiegato come tanti, dalla vita monotona e una routine che rendeva ogni giorno uguale al precedente. L'uomo ad ogni modo non se ne lamentava, anzi: trovava confortante sapere che avrebbe preso il treno al solito orario, giungendo in ufficio alle otto in punto e lavorato con costanza alle stesse scartoffie di sempre fino alla pausa pranzo.

Allo scoccare delle 12:30 mise il pc in standby, si alzò dalla sua postazione raccogliendo il proprio soprabito e il cestino del bento, lasciando il luogo di lavoro per dirigersi al parco. Era una bella giornata, l'aria fresca gli giungeva alle narici portando con sé i profumi della primavera in arrivo e, nonostante la sua indole pratica e poco propensa ai sentimentalismi, sentí un brivido di aspettativa percorrerlo da capo a piedi al pensiero che a breve sarebbe sopraggiunto il suo periodo preferito - se non l'unico che tollerasse - dell'anno.

L'hanami era alle porte, le stazioni meteo prevedevano l'inizio della fioritura di lì a pochi giorni e i boccioli dalle tinte rosate avrebbero invaso Ueno.

Il corvino era un abitudinario per eccellenza e anche osservare i ciliegi rientrava tra quelle azioni che svolgeva con precisione quasi maniacale. Trovava affascinante il modo in cui quel fiore, dalla corolla delicata, si aprisse al mondo mostrando la fragile bellezza dovuta alla sua caducità. In un battito di ciglia avrebbe perso i piccoli petali, morbidi e vellutati, che come gocce di pioggia sarebbero caduti al suolo formando un tappeto dal colore pallido.

Una commovente poesia dalle fattezze proprie della natura.

Attraversato il parco, raggiunse la panchina dove soleva sedersi. Le restanti erano tutte occupate da una o più persone, ma quella preferita dall'impiegato era praticamente terra proibita per chiunque passasse di lì almeno una volta ogni tanto: il temerario che avesse avuto l'ardire di accomodarvisi sarebbe stato inesorabilmente cacciato in malo modo. E con poca grazia, anche.

Levi non era burbero, ma neanche esattamente gentile. Semplicemente, era poco avvezzo al contatto umano. Non sapeva ben interpretare le emozioni altrui e non gli interessava granché farlo. Preferiva la carta stampata alle interazioni coi suoi simili che non fossero essenziali.

E mentre si appropriava del suo personale angolo di paradiso, gli sembrò che un petalo solitario attraversasse l'aria per poi svanire nella quiete del posto.


🌸🌸🌸


Quel giorno era iniziato male, e se lo sciagurato che sedeva sulla sua panchina non si fosse alzato all'istante sarebbe finito anche peggio.

Levi, a un paio di metri di distanza, assottigliò lo sguardo glaciale trasudando fastidio da ogni poro disponibile nel tentativo di intimidire il castano che, naso all'insú, occupava la sua tacita proprietà. Valigetta alla mano e bento nell'altra, annullò con poche falcate lo spazio a dividerli, oscurando con la propria figura la luce che illuminava il volto caramello del giovane. Due iridi verdi come i prati estivi fissarono le proprie, e il corvino se possibile si sentí ancora più infastidito dall'evidente curiosità e sorpresa che vi lesse.

«Ohi.»

Lo sconosciuto, al suo tono acre e minaccioso però, non si mosse. Chiunque sarebbe fuggito immediatamente a gambe levate.

«Sí?»

Il moccioso evidentemente era duro di comprendonio, e Levi si costrinse a dar ulteriore fiato alla bocca per esplicare il concetto non verbale che aveva già chiaramente espresso.

«Alza il culo.»

Il castano non mutò espressione, né diede segno di aver recepito il messaggio. Forse i suoi neuroni lavoravano alla velocità di un bradipo.

«Perché? Aspetti qualcuno?»

Quella domanda lasciò l'uomo interdetto per un istante, facendogli inarcare un sopracciglio l'attimo dopo.

«No.»

«Oh, allora visto che non disturbo posso restare. È così bello qui: esposto a sufficienza da essere scaldati dal sole ma non troppo da esserne infastiditi; poco distante c'é una piccola fontana di acqua fresca ed è una zona poco rumorosa e frequentata; inoltre è pieno di ciliegi prossimi alla fioritura, è davvero meraviglioso!» esclamò il ragazzo, allegro.

Levi strinse i pugni, frustrato. Sapeva perfettamente quelle cose, perché aveva scelto quella panchina apposta.

«Tranquillo» proseguí il castano. «Prometto di non disturbarti e che resterò zitto e buono. Sei uno a cui piace riflettere?»

«No.»

«Forse allora ti piace la solitudine...? Non è una cosa triste? Stare soli, intendo. Io non ci riuscirei mai, finirei per impazzire...! Se in futuro il genere umano dovesse estinguersi ed io fossi il solo superstite darei di matto, tu -»

«Io gradisco solo il silenzio» lo interruppe l'uomo che nel frattempo, inspiegabilmente, si era seduto a debita distanza dal giovane logorroico. «Cristo, sono qui da neanche un minuto e ho già mal di testa...! Dacci un taglio.»

Con un risolino imbarazzato, il ragazzo si grattò la nuca costringendosi a tacere. Restarono così, ognuno assorto nei propri pensieri in un quadro eterogeneo dalle tinte tenui dell'hanami.

Era il primo giorno di fioritura dei ciliegi, e Levi consumò il suo pasto ammirando l'impercettibile schiudersi dei boccioli al ritmo di un respiro che affiancava il proprio.


🌸🌸🌸


«Ancora tu?!»

«Buongiorno anche a te!» rise il castano, facendogli spazio sulla panchina e accarezzandone il legno levigato per invitarlo a unirsi a lui.

Levi sbuffò, palesemente contrariato. Altro che "zitto e buono", il giorno prima era tornato in ufficio con una forte emicrania e si era visto costretto all'uso di un farmaco - cosa che detestava - per proseguire col proprio lavoro.

«Ascoltami bene, il parco è enorme: trovati un sasso, un albero, un solco nel terreno dove mettere radici e sloggia.»

Il ragazzo, con un sorriso di sfida invece, si sistemò meglio scivolando in avanti incrociando le gambe.

«Mi piace stare qui. È un luogo pubblico, non vedo il tuo nome scritto da nessuna parte... A proposito, come ti chiami?»

«Porta rispetto, moccioso, ho almeno dieci anni più di te» commentò il corvino, estremamente seccato dall'interruzione della sua routine. Di quel passo, avrebbe trascorso i giorni dell'hanami ad ascoltare quello sciocco blaterare piuttosto che a godersi il meraviglioso spettacolo che la natura offriva da promemoria sul come, nonostante si raggiunga il limite massimo di gioia e splendore, tutto sia inevitabilmente destinato a finire.

«Si vede..! Insomma, volevo dire» si corresse velocemente all'occhiata assassina dell'uomo, «si nota dal tuo aspetto - non nel senso che sembri vecchio! - ma dal... tuo abbigliamento...?»

La nota interrogativa nella sua voce gli fece portare le dita a stringere il ponte del naso: sentiva già la testa iniziare a dolergli.

«... Non puoi semplicemente andartene?»

Il giovane intrecciò le dita, portando le mani unite dietro la nuca come fossero un guanciale a cui appoggiarsi, un sorrisetto strafottente dipinto sulle sue labbra piene. Stravaccato a quel modo, lo fissò intenzionato a non muovere un singolo muscolo.

Levi si arrese, almeno momentaneamente. Come il giorno precedente, si sedette all'estremità opposta della panchina posando la valigetta in pelle nera nello spazio che li separava e iniziando a disfare il nodo del furoshiki che avvolgeva il suo bento.

«Allora?»

«Allora cosa» fece spazientito il corvino.

«Qual é il tuo nome?»

«Non ti occorre saperlo.»

«Sei timido! Facciamo così, ti dico prima il mi-»

«Non mi interessa.»

«Eren Yeager. È un piacere conoscerti» disse il ragazzo, chinando lievemente il capo in segno di rispetto - finalmente. A quel punto Levi, che non era maleducato, si vide costretto a presentarsi.

«Levi Ackerman» le parole gli uscirono fuori quasi gliele stessero tirando con le tenaglie. «Vorrei poter dire altrettanto...»

La bocca di Eren si piegò in un caldo sorriso, le iridi smeraldine che brillavano sotto i raggi del sole di metà Marzo, abbagliandolo come se rilucessero di luce propria.

«Prenditi cura di me, Levi-san.»

I primi boccioli iniziarono a schiudersi.

 

🌸🌸🌸


«Sembra delizioso...!»

Eren guardava con l'acquolina in bocca il contenuto del cestino del pranzo di Levi. Era ormai il terzo giorno che l'uomo si trovava a trascorrere la pausa pranzo in compagnia del ragazzo, il quale si faceva puntualmente trovare sulla sua panchina preferita.

Il corvino non rispose, afferrando invece le bacchette e portandosi alle labbra un boccone di riso.

«Lo ha preparato tua moglie?» chiese il giovane, divorando con lo sguardo l'appetitosa pietanza.

«Non sono sposato.»

«La tua ragazza...?»

«Non sono fidanzato.»

«Allora la tua domestica?»

Levi alzò gli occhi al cielo, esasperato da quel terzo grado.

«Vivo da solo e cucino io. Contento?»

La bocca di Eren si schiuse in muta sorpresa. La preparazione del bento era una vera e propria arte, di cui generalmente si occupava la donna. Un uomo single si sarebbe limitato a comprarne uno da asporto a una delle tante bancarelle o, per evitare spese eccessive in cibo, avrebbe semplicemente cotto e condito la portata principale, ovvero il riso. Il pasto di Levi, invece, era un capolavoro di colori e odori, nutriente e ben bilanciato.

«Davvero? Sei bravissimo! Ti piace cucinare?»

Il corvino si prese il suo tempo per masticare un pezzetto di carne, prima di rispondere.

«No, ma visto che devo comunque farlo sarebbe tempo sprecato non dedicarvi la giusta attenzione.»

«Sembri molto saggio, Levi-san.»

«Sono solo pratico, ottimizzarlo è la cosa migliore.»

Restarono in silenzio alcuni minuti, ognuno assorto nei propri pensieri, quando l'impiegato realizzò che Eren non portava mai nulla da mangiare con sé.

«Arrivi qui sempre molto presto. Hai già mangiato?»

Il ragazzo aggrottò la fronte, passandosi il palmo sulla nuca.

«Io... credo di no.»

«Credi? Non te lo ricordi?» inarcò un sopracciglio l'altro. Eren scosse la testa, pensieroso.

«A dire il vero no. Ma non ho appetito, quindi non è un problema» gli disse come a volerlo rassicurare. «Non preoccuparti, davvero.»

«Non mi stavo affatto preoccupando. Non ti avrei offerto nulla comunque.»

Il giovane incrociò le braccia e gonfiò le guance, volgendo il viso arrossato dalla parte opposta in segno di profonda offesa.

«Antipatico...!»

Mentre chiudeva il contenitore ermetico ormai vuoto, avvolgendolo nuovamente nella stoffa, le labbra di Levi si curvarono lievemente in un sorriso accennato.

Il calore che filtrava attraverso i rami dei ciliegi in fiore scaldava i boccioli, invitandoli dolcemente ad aprirsi e mostrare la loro innegabile bellezza.


🌸🌸🌸


Era trascorsa un'intera settimana dal loro primo incontro.

Ogni giorno, alla medesima ora, Levi si recava ad Ueno per la pausa pranzo ed Eren era lì, sorridente, pronto ad accoglierlo. Il corvino non era mai stato uno di molte parole, né gli piaceva ascoltare gli altri: si annoiava nel sentirli sciorinare i fatti propri come dei venditori al mercato del pesce, e se possibile evitava qualunque contesto in cui fosse costretto a sorbirsi sequele di aneddoti di cui, per inciso, non gliene fregava un fico secco. Eppure, non gli dispiaceva ascoltare Eren.

Aveva scoperto che era uno studente di Scienze della comunicazione presso la Tōdai; aveva molti amici, tra cui un tipo di nome Armin e una certa Mikasa, la quale portava il suo stesso cognome e, a quanto pareva, lo stesso atteggiamento scostante - il moccioso gli aveva infatti chiesto se per caso fossero parenti; la madre era casalinga mentre il padre un medico, e aveva un fratellastro più grande che però viveva a Osaka; gli piaceva lo sport e scattare fotografie, amava l'estate e il profumo dell'oceano; collezionava conchiglie e film d'autore, leggeva manga e scriveva lettere a sua nonna perché le piaceva da morire l'odore della carta; era stato fidanzato ma non aveva mai avuto una relazione seria perché non aveva sentito il proprio cuore battere forte nel petto e la terra mancargli sotto ai piedi.

Levi non aveva mai posto alcuna domanda - il castano era un inarrestabile treno di chiacchiere - ma si era scoperto, di volta in volta, sempre più avido di informazioni: beveva le sue parole come fossero acqua fresca e si nutriva dei suoi luminosi sorrisi e del rossore che si propagava sulle sue gote ogni qualvolta lo stuzzicava o metteva in imbarazzo.

Senza che se ne rendesse conto Eren era divenuto una piacevole nuova abitudine che lo assorbiva come poche altre e, nel momento in cui sollevò distrattamente lo sguardo verso i ciliegi, i fiori erano già sbocciati. Avevano schiuso le loro braccia, esponendosi al mondo. Magnifici. Vulnerabili.

Anche Levi, in quel momento, si sentiva fragile. Non aveva mai provato il tepore che sentiva scaldargli il petto, né la voglia irrefrenabile di trattenersi il più possibile su quella panchina pur di beneficiare della compagnia del ragazzo un altro misero minuto, accantonando i propri doveri appannaggio del suo egoismo.

Specchiarsi negli occhi di Eren lo rendeva un po' più debole e forte allo stesso tempo, e non sapeva esattamente come gestire quella novità.

Restò ad ammirare le meraviglie che il parco di Ueno aveva da offrire, e una di queste era lì, accanto a lui, distante un battito di ciglia.

🌸🌸🌸

Eren vide l'uomo avvicinarsi col suo tipico passo elegante e misurato. Si accomodò al proprio fianco, la distanza a separarli che si era accorciata di giorno in giorno, tenendo tra le mani un fagotto insolitamente voluminoso rispetto a quello che portava di solito.

«Che cos'é?» gli chiese con curiosità, allungandosi impercettibilmente verso Levi che sentí il proprio respiro divenire irregolare. L'altro si schiarí la voce, aprendo al contempo il furoshiki e rivelando due contenitori per il bento.

«Ti ho preparato il pranzo.»

Gli occhi del ragazzo presero a brillare, eccitati.

«Davvero? Per me?»

Il corvino sollevò un coperchio, mostrando il contenuto: riso al curry saltato con verdure, salsa di soia e uova strapazzate, il tutto disposto perfettamente creando un piccolo dipinto tutto da gustare.

«Tch, l'ho fatto perché sono stufo di sentirmi osservato mentre mangio. È inquietante» rispose fintamente seccato da tanto entusiasmo, mentendo spudoratamente.

La verità era che lo preoccupava non vederlo mangiare, e soprattutto che non sentisse il senso della fame a quell'ora del giorno. Insomma, era uno studente e seguiva dei corsi, spendeva certamente energie fisiche e mentali che però non vedeva ripristinarsi con un pasto adeguato. Inoltre, i complimenti che Eren gli rivolgeva ogni volta che decantava la sua bravura ai fornelli lo avevano invogliato a fargli assaggiare la propria cucina: desiderava vedere il suo volto soddisfatto mentre mangiava ciò che gli aveva preparato. Sapeva di essere narcisista, ma decise di non darvi troppo peso.

Raccolse le bacchette, porgendole al ragazzo che già pregustava il sapore di ogni singolo boccone e sentiva la salivazione aumentare ad ogni secondo che passava.

Quando Eren fece per prenderle, però, caddero sul legno della panchina rischiando di rotolare giù. Entrambi allungarono le mani nel tentativo di frenare la loro caduta.

Levi sentí il freddo della plastica contro il proprio palmo, la superficie liscia delle assi su cui sedevano. Quello che non sentí fu il calore di Eren, la morbidezza della sua pelle, la consistenza della sua mano.

Era lì, sulla sua.

Poteva vederla.

La vedeva, chiara come il sole, passargli attraverso, trasparente quasi fosse un sogno. O un incubo, il peggiore che avesse mai vissuto.

Sollevò il viso alla ricerca di quello del ragazzo, trovandolo in preda al terrore: le sue iridi smeraldine avevano ingoiato la pupilla, cibandosene impietosamente, le labbra tremule e l'incarnato improvvisamente pallido. Tremava vistosamente, fissando il punto in cui la sua carne inesistente fendeva la materia, valicando il confine tra immaginario e concreto, tangibile ed effimero.

«I-io...! Cosa -» le parole di Eren non riuscivano a prendere forma, scosso dall'accaduto «Io sono... Sono...!»

Sotto gli occhi di Levi, lo studente sparí come fumo portato via dal vento, dissolvendosi come tempera al contatto con l'acqua corrente. Una macchia di colore svanita lentamente, lasciando il posto al profondo vuoto.

L'uomo restò lì, immobile, per un tempo che gli parve lungo un'eternità, le bacchette ancora sotto il suo palmo. Quando lo sollevò, proseguirono la loro corsa cadendo al suolo, tra polvere e petali.

I primi fiori di ciliegio avevano iniziato a perdere piccoli frammenti rosati, creando il suggestivo scenario che circondava Levi nel momento in cui realizzò di aver conversato tutto il tempo con un fantasma.

 

🌸🌸🌸


Il corvino non dormí, quella notte. Era troppo scosso, sopraffatto dall'incredulità. Possibile non si fosse accorto che Eren-

Si passò una mano sul volto, frustrato: il suo appetito inesistente, i vuoti di memoria di cui soffriva, la sua presenza costante al parco piuttosto che altrove, improvvisamente ogni tassello trovò la giusta collocazione. Come aveva potuto essere così cieco da non accorgersene...?

Non riusciva nemmeno a formulare quel pensiero. Probabilmente il suo cervello rifiutava categoricamente l'idea che quel ragazzo, così solare ed energico, non fosse altro che l'ombra di ciò che probabilmente era stato.

Il cuore di Levi, invece, aveva tristemente realizzato che al giovane fossero bastati pochi giorni per farvi inspiegabilmente breccia. E infine spariva così, senza una parola o una qualsiasi spiegazione, qualunque cosa lo convincesse a rassegnarsi al fatto che quella piacevole abitudine fosse solo una finzione.

Non poteva accettarlo.

Non riusciva a credere di essere stato vittima di uno scherzo del destino tanto crudele.

Il giorno seguente tornò a Ueno con titubanza. Non sapeva cosa lo attendesse, ma non era mai fuggito dinanzi una difficoltà e non avrebbe iniziato certo in quel momento. Percorse il parco, piccole gocce di ciliegio che si disperdevano trasportate da una brezza tanto leggera quanto gelida, camminando con fare deciso e al tempo stesso una paura immotivata ad opprimergli il petto. Non temeva l'incontro con Eren, tutt'altro: era inconsciamente spaventato all'idea che non fosse lì, sulla loro panchina, ad aspettarlo col suo magnifico sorriso.

Superò la curva, quasi trattenendo il fiato, e finalmente poté tornare a respirare.

Il ragazzo era seduto al solito posto: leggermente chino in avanti, le braccia poggiate sulle ginocchia e le mani che si tormentavano l'un l'altra.

Levi gli si avvicinò, fermandosi poco distante dal giovane, mentre quelle iridi verdi si posavano su di lui quasi in preda al panico.

«... Sei venuto.»

Le parole dell'uomo suonarono fredde ad entrambi, ed Eren sentí il bisogno di bagnarsi le labbra con la lingua. Non che servisse poi a molto, in effetti.

«Sì, io-» sospirò il castano, calando lo sguardo sul terreno polveroso. Attese una manciata di secondi, raccogliendo le idee. «Non so da dove iniziare, a dire il vero, perché non so cosa mi stia accadendo. Cosa mi sia accaduto» si corresse, sorridendo amaramente.

L'altro emise un sospiro scocciato, accomodandosi all'estremità opposta della panchina come al loro primo incontro. Si sentiva adirato - immotivatamente, lo sapeva - e non riusciva a tollerare la vicinanza di Eren nonostante, intimamente, quella distanza lo ferisse.

«Ogni giorno mi trovo qui, non so come. Tu arrivi, e quando vai via io... Non esisto più. Ricordo la mia vita: la famiglia, gli amici, l'università. Poi, il nulla. Non so come io sia... Sia...»

Il giovane prese a tremare visibilmente, nascondendo il viso dietro il palmo di una mano. Levi incrociò le braccia, gambe accavallate, fissandolo con meno durezza di quanto avesse fatto fino a poco prima.

«Qualunque cosa ti sia accaduta non ha importanza. Oramai è successo, il tempo non si riavvolge» disse, serio e pacato. «Perché sei ancora qui...?»

«I-io non lo so... L'unica certezza che ho, per quanto suoni assurdo... Sei tu.»

L'uomo non parlò, tentando di tenere a freno il proprio cuore dall'accelerare il suo battito, interessandosi ostinatamente al modo in cui i petali già al suolo si rincorrevano tra di loro, sospinti dal vento primaverile.

Immobili, come soggetti di un dipinto, rimasero silenziosamente assorti in quello scenario dalle tinte color pastello, dove i rami avevano iniziato a perdere i soffici e fragili fiori che li adornavano.

Quando Levi si alzò per dirigersi nuovamente in ufficio, contrariamente a quanto faceva di solito, si voltò un'ultima volta verso la panchina.

Eren non c'era più.

 

🌸🌸🌸


La presenza del ragazzo, la sua esistenza se così poteva essere definita, iniziava e finiva con Levi. Compariva dal nulla assoluto, in attesa dell'imminente arrivo dell'impiegato, e si dissolveva non appena quest'ultimo si allontanava, consapevole che non avrebbe fatto ritorno fino al giorno seguente.

Quell'atmosfera tesa, che li aveva momentaneamente allontanati, si era dissolta man mano che i ciliegi si spogliavano dei morbidi abiti profumati che li avevano rivestiti, protagonisti di un incantesimo che andava lentamente dissolvendosi.

«Non ti facevo tipo da lacrima facile» commentò il corvino col naso all'insú mentre osservava i rami, protesi in avanti quasi volessero afferrare quei piccoli miracoli dalla vita lunga un battito di ciglia.

«Oh, andiamo, se non piangi guardando Titanic sei senza cuore...!» sbottò Eren, le gote leggermente arrossate per l'imbarazzo.

Lo sguardo glaciale dell'uomo si posò su quel volto evanescente, e si chiese se davvero bastasse un film per classificarlo in quanto tale. Spesso lo avevano additato come arido di sentimenti ma adesso, con Eren al suo fianco, non era più così certo che gli altri avessero ragione. Poteva davvero considerarsi al pari di una prugna avvizzita, quando la semplice vicinanza del ragazzo gli scaldava l'animo tanto quanto il sole estivo?

Levi sapeva che qualcosa, in lui, era irrimediabilmente mutato. Quello spirito dalle fattezze giovanili era stato in grado di demolire pezzo dopo pezzo, nel più completo silenzio, la corazza di fredda indifferenza che lo ricopriva da anni ed era diventata parte integrante del suo essere fino a fondersi, inesorabile, in un unico corpo. Si chiese cosa sarebbe potuto accadere se il loro incontro fosse avvenuto in circostanze normali. Se gli eventi avessero seguito lo stesso corso, inghiottiti dai fiumi del tempo al quale era impossibile sfuggire, oppure ognuno avrebbe semplicemente proseguito sulla propria strada.

Si sarebbero comunque trovati, su quella panchina...? Magari altrove?

L'uomo non riusciva a sottrarsi a quei pensieri, inconcludenti eppure inevitabili. Poi, l'espressione di Eren - dapprima spensierata - mutò lentamente: il lieve broncio svaní, sostituito dalla linea sottile che assunsero le sue labbra; le sopracciglia si curvarono in una forma che dava serietà ai suoi occhi luminescenti come gemme preziose, ora appannati dalla tristezza; il suo vociare vispo divenne un sospiro sconfitto, mentre lo fissava intensamente.

«Non mi piace quando aggrotti la fronte, Levi-san. Mi sembra di essere tornati al giorno in cui ci siamo visti la prima volta. Sembravi così...» esitò, alla ricerca delle parole adatte, «arrabbiato. In collera con le persone, e il mondo. Eri sereno solo guardando i fiori.»

La caduta dei ciliegi, per quanto mesta, era una certezza incrollabile. Quanti momenti ancora gli restavano, invece, con Eren...? Decise che voleva viverli appieno, in un modo nuovo.

«L'hanami ormai è quasi finito. Stasera verrò qui, ad ammirare gli ultimi petali alla luce della Luna.»

Lasciò il ragazzo lì, stupito e indeciso se domandargli o meno se quello fosse un invito o una semplice informazione, andando verso l'ingresso del parco con la voglia che l'astro solare fosse già tramontato per lasciare il posto alla pallida compagna.

 

🌸🌸🌸


Eren sostava accanto l'albero, alle spalle della panchina sulla quale sedevano di solito. Osservava il cielo, manto stellato dal colore scuro come la pece, mentre piccoli fari illuminavano le fronde degli alberi che trattenevano a stento gli ultimi petali, lentamente sostituiti da foglie giovani e verdi. Grappoli di ciliegie, rosse e succose, sarebbero nate da quel sacrificio. Forti, rigogliose.

Levi, invece, si sentí gracile come mai gli era capitato prima di allora. La vista di Eren, poco più avanti, aveva fatto battere il suo cuore a un ritmo incostante dovuto alla sorpresa di trovarlo lì. Forse, fino a quando si fosse recato ad Ueno, il ragazzo avrebbe continuato a tenergli compagnia e allietare le sue giornate; magari, presentandosi più volte al giorno la sua essenza sarebbe rimasta ancorata al mondo terreno. Era un pensiero egoista, ma si sentí quasi felice dinanzi quella prospettiva. Calpestò un rametto secco, e il castano si voltò col sorriso a distenderne il volto e il suo nome sulle labbra.

«Levi-san.»

«Come facevi a sapere che ero io...?»

Eren tornò a fissare le stelle, senza cercare nulla in particolare.

«I miei sensi percepiscono solo te.»

Levi gli si affiancò, imitandolo, mani in tasca.

Aveva usato i fiori come scusa, ma l'unica cosa che voleva realmente fare era imprimere nella propria mente il viso di qualcuno che era esistito nel suo tempo, ma che aveva precocemente abbandonato le sue spoglie mortali per assumerne di nuove. Eterne, si trovò a sperare.

Erano circondati dalla quiete quando il primo esplose.

Miriadi di scintille colorate tappezzarono il cielo in una cascata luminosa, in una sequenza dai contorni indefiniti e la cui forma veniva decisa unicamente dal vento.

L'uomo sentì l'altro trattenere il fiato e, girandosi quietamente ad osservarlo, sentí distintamente il suono proveniente dal proprio petto martellargli nelle orecchie come un tamburo.

I fuochi d'artificio non avrebbero mai superato la bellezza di Eren in quel momento, o in qualunque altro: le gote, piene e rosse d'eccitazione; le ciocche disordinate a incorniciargli il viso caramello; le labbra schiuse e turgide, lucide come un frutto colto di primo mattino; le iridi di giada che brillavano di una luce che mai aveva intravisto.

Era stupendo.

Era perfetto.

«Vorrei stringerti la mano.»

Aveva parlato a voce alta, inconsciamente, seguendo un flusso di cui era rimasto prigioniero.

Eren si girò di scatto, il colorito che aumentava esponenzialmente al suo imbarazzo, calando lo sguardo sul terreno.

«Lo vorrei anch'io...» mormorò, la sua voce sovrastata dallo scoppiettare ripetuto e incessante dovuto allo spettacolo pirotecnico.

«Guardami, Eren.» Il giovane obbedí, trovando un mare calmo ad accoglierlo. «Se avessi potuto... Se ti avessi baciato, cosa avresti fatto...?»

Un sorriso, triste e tremulo, piegò la sua bocca morbida.

«Non vuoi scoprirlo...?»

Fu un movimento naturale come respirare, avvicinarsi l'uno all'altro. Protendersi, in cerca di un contatto che non sarebbe mai giunto. Di una carezza che non avrebbe mai trovato risposta.

Eppure, nonostante non potesse gustarne il sapore che era certo fosse dolce come miele o non potesse saggiarne la consistenza, Levi percepí distintamente il tepore delle sue labbra quasi fossero realmente sulle proprie. Si sentì beffato ancora una volta, a un soffio da colui che aveva scoperto di desiderare con tutta l'anima.

«É s-strano» fece il ragazzo, allontanandosi impercettibilmente per poi riaprire gli occhi «sentire un cuore inesistente battere all'impazzata come sta facendo adesso... É il tuo, Levi-san? O sono solo io, ad essermi innamorato...?»

Una brezza decisa li investí, portando con sé freddo e solitudine, spazzando via ciò che restava dei fiori.

Eren scomparve, miraggio nel deserto, lasciando Levi con la morte nel cuore: anche l'ultimo petalo era caduto, e l'uomo seppe con certezza che non avrebbe rivisto mai più quel sorriso.

 

🌸🌸🌸


Era trascorso un intero anno, da quella sera.

I primi tempi, Levi si recava ad Ueno ogni giorno, più e più volte. Aveva girato il parco, atteso sulla panchina, accarezzato la corteccia dell'albero che aveva assistito alla sua lenta caduta per poi colpirlo con forza, ferendosi le nocche fino a farle sanguinare. Infine, si era arreso. Evitava quel luogo come la peste, quasi temesse che entrandovi i ricordi che aveva di quel periodo gli sarebbero stati risucchiati via. Sostituiti da un vuoto che sentiva dentro, più potente di quanto non fosse mai stato.

Levi difficilmente si affezionava alle persone, ma il castano era stato ben più di quanto si fosse inizialmente illuso, lasciandogli una voragine che non poteva - voleva - colmare.

Le giornate si erano susseguite, ripetitive e monotone come erano sempre state, mentre lui le attraversava in qualità di spettatore. Il suo carattere già ruvido si era arricchito di acredine, rendendolo maggiormente burbero e scostante.

Quando il periodo della fioritura sopraggiunse, la rabbia e la tristezza si impossessarono del suo essere.

Non voleva vedere i fiori sbocciare.

Non voleva vederli appassire.

Non voleva rinascere.

Non voleva morire.

Ma qualcosa gli disse che, se non per sé stesso, lo doveva a lui.

Raccolse ogni briciola di coraggio - e soprattutto dolore - che possedeva, varcando l'ingresso di Ueno dopo tanto tempo. Stringeva il manico della valigetta di pelle con forza tale da sbiancare l'epidermide già pallida, spingendo i piedi su un percorso che conosceva a memoria. Avrebbe trovato quella panchina ad occhi chiusi.

Vuota.

Sapeva che nessuno lo stava aspettando. Forse nessuno lo aveva mai fatto, e tutto era stato frutto dell'immaginazione di un povero folle. Il sentimento che sentiva, però, era vero quanto ciò che aveva dinanzi a lui quel momento. Concreto, quasi tangibile.

Sollevò lo sguardo, posandolo sui primi boccioli in procinto di schiudersi, e quel sorriso gli trapassò l'anima come un dardo ben scoccato. Digrignò i denti, frustrato, pronto a girare i tacchi ed andarsene così come era venuto.

«Levi-san.»

Sentí la voce chiamarlo e restò fermo, immobile come vittima di un incantesimo o la sua peggior paura. Era pazzo davvero.

«Levi-san, guardami.»

L'uomo, le iridi plumbee dapprima sgranate, strizzò gli occhi per escludere qualunque fantasia la sua mente stesse architettando, ingannata da quel luogo tanto familiare quanto velenoso.

«Levi-san...» Sentí qualcosa posarsi sulla propria spalla; dita stringere la stoffa della sua giacca; il calore della pelle trasferirsi al tessuto; un respiro, dolce e delicato, accanto al proprio orecchio.

«Guardami, per favore...»

Quel tocco, quella supplica, erano più di quanto potesse sopportare. Si voltò, pronto a trovare solo il vuoto, la pupilla che si stringeva lasciando il posto all'iride dai toni dei profondi ghiacci.

Il vento si sollevò, delicato e dal profumo fresco, invitando i ciliegi ad aprirsi ancora una volta al mondo, e per Levi niente ebbe più importanza.




つづく...

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 🌸🌸 ***


Sakura Drops

 

 

 

 

 

 

Correva a perdifiato, per l'ennesima volta quella settimana.

Eren Yeager era uno studente come molti, ritardatario cronico e maratoneta per necessità. Il ragazzo avrebbe tanto voluto essere puntuale e preciso come Armin, ma le sue orecchie sembravano nutrire un vero e proprio rifiuto verso il suono emesso dalla sveglia, così come le sue membra non sentivano la necessità di abbandonare il calore del letto. La lezione era iniziata da un bel pezzo e non appena lo avesse visto entrare, il Prof. Shadis avrebbe reclamato la sua testa solo per porgerla come monito ai presenti: chi si fosse presentato impreparato all'esame, avrebbe subito la stessa sorte.

Era quasi ora di pranzo e il percorrere quei vicoletti secondari che pullulavano di attività gastronomiche, le cui cucine andavano a pieno regime riversando in strada odori succulenti e tentatori, non faceva altro che acuire i crampi al suo stomaco vuoto e affamato. Inutile dire che, per la fretta, avesse saltato la colazione.

Sbucò velocemente sul corso principale, scansando i pedoni come un atleta sciistico nel pieno della manche, senza modificare la propria andatura. Riconobbe i pressi di Ueno: percorrendolo, piuttosto che aggirandolo, avrebbe recuperato tempo prezioso.

Fu così che si ritrovò a calpestare il selciato del parco con l'unico obiettivo di giungere il prima possibile a destinazione, le ciocche castane al vento e la tracolla che ballonzolava allegramente sul fianco. Eternamente distratto, per uno strano gioco del destino lo colse la consapevolezza che l'hanami fosse prossimo: le gemme sui rami dei ciliegi, pronte a schiudersi, erano numerose e quasi lucenti per via della rugiada che, persistente, ancora li ricopriva.

Ad Eren non erano mai interessati particolarmente i fiori. Sua madre, anni prima, soleva portarlo al castello di Osaka, complice il suo compleanno che cadeva in quel periodo e la presenza di Zeke. Era indubbiamente uno spettacolo unico, la sublimazione di un attimo, eppure gli incuteva una certa tristezza sapere che una vita tanto bella fosse altrettanto fragile: gli ricordava che ogni cosa era destinata a finire, e lui odiava gli addii, di qualunque natura fossero. Una morte lenta, per quanto affascinante ed eterea sembrasse, non la rendeva certamente più gradevole.

Era un percorso tranquillo quello, persino isolato, quando l'occhio gli cadde su di una figura scura che, sull'altro ciglio del viottolo, si dirigeva verso l'unica panchina stranamente libera.

Gli sembrò di vivere quell'istante in slow-motion mentre lo sorpassava, bevendo i particolari di quel viso tanto pallido quanto severa era l'espressione che lo dipingeva: occhi fini e tempestosi, ciocche corvine ad adornarne il volto, labbra sottili e tese in una smorfia rigida.

Solo quando lo ebbe superato gli sembrò che i secondi riprendessero correttamente a scorrere, ormai a poca distanza dall'unico semaforo che lo separava dalla propria meta altresì vicina. In attesa che le auto si fermassero per consentirgli di attraversare, ripensò un'ultima volta a quell'uomo distinto e all'apparenza freddo, calpestando sovrappensiero le strisce pedonali non appena scattò il verde.

Non la vide sopraggiungere. Percepí solo l'urto, il dolore, e il buio.

Era strano come, nell'oscurità più totale, un singolo petalo rosa danzasse nell'aria.

 

🌸🌸🌸


Il ragazzo sedeva su di una panchina.

Non pensava a nulla, se non che l'aria quel giorno fosse particolarmente fresca ed il calore del sole piacevole sul viso. Un tepore che lo abbandonò non appena la luce dell'astro venne oscurata da qualcosa. O qualcuno.

Un uomo lo fissava con evidente disappunto, le sue iridi glaciali che parevano volerlo trafiggere come spilli acuminati e le nocche bianche nello stringere con forza il manico di una valigetta, nera più del suo umore.

«Ohi.»

Il giovane, a quel tono acre e minaccioso però, non si mosse. Chiunque sarebbe fuggito immediatamente a gambe levate...

«Sí?»

...ma lui era conosciuto per cocciutaggine e faccia tosta, suscitando sovente irritazione e disappunto nel prossimo.

«Alza il culo.»

Difatti.

Il corvino ormai trasudava fastidio rendendolo quasi visibile, una sottile aura a circondare la sua figura elegante e minuta.

«Perché? Aspetti qualcuno?» gli chiese.

Quella domanda lasciò l'uomo interdetto, facendogli inarcare un sopracciglio l'attimo dopo.

«No.»

Il giovane sorrise ampiamente.

«Oh, allora visto che non disturbo posso restare. È così bello qui: esposto a sufficienza da essere scaldati dal sole ma non troppo da esserne infastiditi; poco distante c'è una piccola fontana di acqua fresca ed è una zona poco rumorosa e frequentata; inoltre è pieno di ciliegi prossimi alla fioritura, è davvero meraviglioso!» esclamò il ragazzo, allegro.

Lo sconosciuto strinse i pugni, frustrato. Pareva che la sua furia, piuttosto che scemare, andasse acuendosi pericolosamente.

«Tranquillo» si affrettò ad aggiungere allora il castano. «Prometto di non disturbarti e che resterò zitto e buono. Sei uno a cui piace riflettere?»

«No» fu la replica, secca e concisa.

«Forse allora ti piace la solitudine...?» tentò ancora. «Non è una cosa triste? Stare soli, intendo. Io non ci riuscirei mai, finirei per impazzire...! Se in futuro il genere umano dovesse estinguersi ed io fossi il solo superstite darei di matto, tu -»

«Io gradisco solo il silenzio» lo interruppe l'uomo che nel frattempo, contro ogni pronostico, si era seduto a debita distanza. «Cristo, sono qui da neanche un minuto e ho già mal di testa...! Dacci un taglio.»

Con un risolino imbarazzato, il più giovane si grattò la nuca costringendosi a tacere - non senza un certo sforzo. Il silenzio gli era da sempre sgradevole eppure, in quel momento, non gli sembrava poi tanto sbagliato guardarsi attorno e godersi quella pace; i colori del parco, tenui e delicati, a far da sfondo alla strana coppia all'apparenza male assortita.

Era il primo giorno di fioritura dei ciliegi e il ragazzo restò ad ascoltare l'inaspettato compagno consumare il proprio pasto, circondato da una miriade di boccioli che si schiudevano impercettibilmente.

 

🌸🌸🌸


«Ancora tu?!» sbottò il corvino.

«Buongiorno anche a te!» rise il castano, facendogli spazio sulla panchina e accarezzandone il legno levigato per invitarlo a unirsi a lui. L'uomo sbuffò, evidentemente infastidito da quell'imprevisto.

«Ascoltami bene, il parco è enorme: trovati un sasso, un albero, un solco nel terreno dove mettere radici e sloggia.»

Il ragazzo, con un sorriso di sfida invece, si sistemò meglio scivolando in avanti e incrociando le gambe. Lo divertiva assistere al modo in cui lo sconosciuto perdeva le staffe, causando un lieve ma sensibile rigonfiamento sulla tempia dove pulsava una vena che irrorava sangue come impazzita. Gli era evidente che in pochi lo avessero mai contraddetto.

«Mi piace stare qui. È un luogo pubblico, non vedo il tuo nome scritto da nessuna parte... A proposito, come ti chiami?» gli domandò, colto dalla sua irrefrenabile curiosità.

«Porta rispetto, moccioso, ho almeno dieci anni più di te» commentò il corvino, estremamente seccato. Il ragazzo, malauguratamente per lui, era corredato di un filtro bocca-cervello alquanto malfunzionante, e si ritrovò a dar fiato a parole innocenti ma poco felici.

«Si vede...! Insomma, volevo dire» si corresse velocemente all'occhiata assassina dell'uomo, «si nota dal tuo aspetto - non nel senso che sembri vecchio! - ma dal... tuo abbigliamento...?»

La sua era un'arrampicata sugli specchi, lo sapeva bene, e confidò nella buona sorte piuttosto che sulla tolleranza dell'altro, il quale si portò le dita a stringere il ponte del naso.

«... Non puoi semplicemente andartene?»

Il giovane, le mani unite e intrecciate dietro la nuca come fossero un guanciale a cui appoggiarsi, sfoggiò un sorrisetto strafottente. Bellamente stravaccato, lo fissò intenzionato a non muovere un singolo muscolo.

Il maggiore si arrese, almeno per il momento: come il giorno precedente, si sedette all'estremità opposta della panchina posando la valigetta in pelle nera nello spazio che li separava, iniziando a disfare il nodo del furoshiki che avvolgeva il suo bento.

«Allora?»

«Allora cosa» fece spazientito l'uomo.

«Qual è il tuo nome?»

«Non ti occorre saperlo.»

Il castano batté le mani, come folgorato da un'illuminazione improvvisa.

«Sei timido! Facciamo così, ti dico prima il mi-»

«Non mi interessa» rispose, ma un fiume in piena lo investì dando forma e suono a colui che lo stava oltremodo importunando da due giorni.

«Eren Yeager. È un piacere conoscerti» disse il ragazzo, chinando lievemente il capo in segno di rispetto. Sì, Eren era il suo nome, un barlume di sciocca consapevolezza a scaldargli il petto.

A quel punto l'uomo, che a quanto pareva non era maleducato, si vide costretto a presentarsi.

«Levi Ackerman» le parole gli uscirono fuori quasi gliele stessero estorcendo sotto tortura. «Vorrei poter dire altrettanto...»

Il volto di Levi rimase stoico, le ciocche corvine che ondeggiavano lievemente mosse da una brezza fievole e delicata, le sue iridi dai toni tempestosi dell'inverno a scrutarlo con disinteresse.

«Prenditi cura di me, Levi-san.»

Il mondo intorno a loro continuò a girare, imperterrito, allo stesso modo con cui i primi petali iniziavano timidamente a palesarsi.

 

🌸🌸🌸


«Sembra delizioso...!»

Eren aveva la salivazione alle stelle, guardando il contenuto del bento di Levi-san. Era ormai il terzo giorno che il ragazzo si trovava a trascorrere quel momento della giornata in compagnia dell'uomo, il quale si presentava alla panchina puntuale come un orologio svizzero - spaccava persino i secondi..!

L'interessato non rispose, afferrando invece le bacchette e portandosi alle labbra un boccone di riso.

«Lo ha preparato tua moglie?» fece il giovane, divorando con lo sguardo l'appetitosa pietanza.

«Non sono sposato.»

«La tua ragazza...?»

«Non sono fidanzato.»

«Allora la tua domestica?»

Levi-san alzò gli occhi al cielo, evidentemente tediato da quelle domande inopportune.

«Vivo da solo e cucino io. Contento?»

La bocca di Eren si schiuse in muta sorpresa. La preparazione del bento era una vera e propria arte, di cui generalmente si occupava la donna. Un uomo single si sarebbe limitato a comprarne uno da asporto a una delle tante bancarelle o, per evitare spese eccessive in cibo, avrebbe semplicemente cotto e condito la portata principale, ovvero il riso. Il pasto di Levi-san, invece, era un capolavoro di colori e odori, nutriente e ben bilanciato.

«Davvero? Sei bravissimo! Ti piace cucinare?»

Il corvino si prese il suo tempo per masticare un pezzetto di carne, prima di rispondere.

«No, ma visto che devo comunque farlo sarebbe tempo sprecato non dedicarvi la giusta attenzione.»

«Sembri molto saggio, Levi-san.»

«Sono solo pratico, ottimizzarlo è la cosa migliore.»

Restarono in silenzio alcuni minuti, ognuno assorto nei propri pensieri, quando l'impiegato gli pose, per la prima volta da quando si erano incontrati, una domanda.

«Arrivi qui sempre molto presto. Hai già mangiato?»

Il ragazzo aggrottò la fronte, passandosi il palmo sulla nuca. Tentò di rammentare cosa avesse fatto prima di giungere al parco: vaghi odori, immagini sbiadite di cibi dalle svariate forme, ma non era certo di essersi fermato per consumare un pasto.

«Io... credo di no.»

«Credi? Non te lo ricordi?» inarcò un sopracciglio l'altro. Eren scosse la testa, pensieroso.

«A dire il vero no. Ma non ho appetito, quindi non è un problema» gli disse come a volerlo rassicurare .«Non preoccuparti, davvero.»

In effetti, stranamente, nonostante l'aspetto invitante del bento di Levi-san, il ragazzo scoprì di non sentire il senso della fame.

«Non mi stavo affatto preoccupando. Non ti avrei offerto nulla comunque.»

Il giovane incrociò le braccia e gonfiò le guance, distratto dalle proprie considerazioni, volgendo il viso arrossato dalla parte opposta in segno di profonda offesa.

«Antipatico...!»

Sentì il clic del coperchio che tornava al proprio posto, e il fruscio della stoffa che veniva avvolta sapientemente intorno al contenitore. Immaginò quelle stesse mani annodare la cravatta che ogni giorno Levi-san indossava, e si trovò a desiderare di poterle sfiorare, solo per scoprire se fossero delicate come apparivano o sapevano essere insistenti, urgenti nel toccare il suo volto colorito ormai dall'imbarazzo di quei pensieri impropri. Strinse i pugni, Eren, evitando di rendere reale quella fantasia puerile.

Il calore che filtrava attraverso i rami dei ciliegi in fiore scaldava i boccioli, invitandoli dolcemente ad aprirsi e mostrare la loro innegabile bellezza.

 

🌸🌸🌸


Era trascorsa un'intera settimana dal loro primo "scontro".

Ogni giorno, alla medesima ora, Eren si trovava ad Ueno in attesa che Levi-san lo raggiungesse. Il ragazzo sapeva di essere alquanto prolisso - o affetto da logorrea, a detta dell'uomo -, ma non riusciva a impedirsi di dar voce a ciò che gli premeva raccontargli. Gli capitava di narrargli piccole avventure d'infanzia, della propria famiglia, o i suoi interessi. Eventi lontani nel tempo eppur vividi come accaduti pochi frangenti prima, così come sbiadite erano le sensazioni riguardo ai suoi passi giornalieri e le attività quotidiane che precedevano o seguivano ogni loro incontro. Si bloccava nel mezzo di un discorso, talvolta, colto da brevi vuoti ma sentiva la voglia incessante, un bisogno impellente di metterlo al corrente su ogni cosa lo riguardasse, persino le minuzie. Nonostante il fastidio iniziale e l'espressione di eterno disappunto a modellargli il viso, sembrava che a Levi non dispiacesse troppo ascoltarlo.

Il maggiore non gli aveva mai posto alcuna domanda - insomma, era un inarrestabile treno di chiacchiere già da solo...! -, ma di volta in volta pareva sempre più curioso di conoscere nuovi aneddoti bislacchi o particolari di un mondo che non gli apparteneva: i suoi occhi lo scrutavano con scrupolosa attenzione ed Eren si sentiva imbarazzato e lusingato insieme, da quell'individuo scostante eppure tanto accorto.

Senza che ne fosse consapevole, Levi-san era divenuto una piacevole costante che lo attirava come nulla prima di allora e, nel momento in cui sollevò distrattamente lo sguardo verso i ciliegi, i fiori erano già sbocciati. Avevano schiuso le loro braccia, esponendosi al mondo. Magnifici. Potenti.

Anche Eren si sentiva più forte: qualcosa, in quell'uomo, gli infondeva profonda fiducia e rispetto, un'intensa voglia di scoprirsi e farsi scoprire; l'irrefrenabile desiderio di farsi spazio oltre la barriera di freddezza che lo circondava, e conoscere ben più del suo solo nome o che lavorasse in un quartiere vicino.

La compostezza di Levi-san lo invogliava a proseguire quegli incontri brevi e fugaci, a non arrendersi di fronte la facciata di finta indifferenza bensì prodigarsi fino ad abbattere quelle difese erette contro il prossimo. Aveva tempo, si disse, era tenace abbastanza da saper aspettare.

Rimase lì seduto, coccolato dal calore del Sole e dalla presenza di quello che era un perfetto sconosciuto ma che desiderava con tutto sè stesso diventasse qualcosa di più.

 

🌸🌸🌸


Levi-san si avvicinò, con la solita calma, alla panchina sulla quale Eren lo attendeva.

«Che cos'é?» si sentí chiedere con curiosità, mentre il ragazzo si allungava impercettibilmente verso l'uomo sentendo una strana titubanza provenire dal corpo teso dell'altro. Questi si schiarí la voce, aprendo al contempo il furoshiki e rivelando due contenitori per il bento.

«Ti ho preparato il pranzo.»

Gli occhi di Eren presero a brillare, eccitati.

«Davvero? Per me?»

Il corvino sollevò un coperchio, mostrando il contenuto: riso al curry saltato con verdure, salsa di soia e uova strapazzate, il tutto disposto perfettamente creando un piccolo dipinto tutto da gustare.

«Tch, l'ho fatto perché sono stufo di sentirmi osservato mentre mangio. È inquietante» rispose apparentemente seccato da tanto entusiasmo, e se il giovane fosse stato più attento ai particolari, meno distratto, avrebbe visto il modo in cui l'impiegato tentava di reprimere un abbozzo di sorriso.

Eren studiò con interesse e meraviglia quel pasto, preparato con le proprie mani dall'uomo divenuto oggetto dei suoi desideri più reconditi, sfregando i palmi tra loro e leccandosi le labbra carnose con fare vorace. Attese che Levi-san recuperasse le bacchette e gliele porgesse - anche se avrebbe tranquillamente affondato il viso nel recipiente alla stregua di un maiale, ma era certo che il corvino non avrebbe gradito -, sentendo il senso della fame per la prima volta da giorni. Che fosse quel gesto, tanto generoso quanto accorato, ad aver risvegliato quel bisogno quasi dimenticato..? Quando fece per prenderle, però, caddero sul legno della panchina rischiando di rotolare giù. Entrambi allungarono le mani nel tentativo di frenare la loro caduta.

Eren vide il proprio palmo fendere l'aria. Quasi non si accorse di aver anche attraversato la materia, non fosse stato per l'impercettibile tremolio del dorso pallido dell'uomo, che teneva ferme le bacchette contro il legno della panchina.

Non sentiva niente al tatto, né contro la pelle.

Fissò quel punto in cui la sua carne inesistente valicava il confine tra immaginario e concreto, un mondo che credeva appartenergli ma che invece gli era profondamente estraneo.

«I-io...! Cosa -» le parole di Eren non riuscivano a prendere forma, la sua voce tremava e sapeva di avere il terrore negli occhi «Io sono... Sono...!»

Tutto intorno a lui iniziò a svanire, perdere definizione e contorni. La figura di Levi-san, che non aveva avuto il coraggio di guardare, sbiadí inesorabilmente lasciandolo solo nel nulla più totale.

I primi fiori di ciliegio avevano iniziato a perdere piccoli frammenti rosati, ma Eren non poté vederli perché si era perso in una dimensione di cui non conosceva la natura e da cui non sapeva se sarebbe mai potuto tornare.

 

🌸🌸🌸


Il nero più assoluto.

Eren era avvolto nell'oscurità più totale, fluttuando in un luogo privo di confini e regole. Persino i suoni erano inesistenti. Teneva le palpebre calate - ammesso che ne avesse - perché sarebbe stato inutile fare diversamente. Persino pensare gli sembrava così difficile...!

Chi era? Cosa faceva lì? Che luogo era mai quello? E soprattutto, come ci era finito?

L'ultima cosa che ricordava era di aver attraversato il parco, i ciliegi, e un... uomo...

Gli era così familiare quella camminata, quel volto così austero, a tal punto da esser certo di conoscere il suo nome...

Perché lo conosceva, giusto...? Breve, intenso, musicale: delicato al punto da temere di sciuparlo solo pronunciandolo, eppure forte e autoritario al pari di una colonna portante.

Le sue labbra si piegarono in un timido sorriso, mentre emetteva un suono che aveva, chissà quando, scoperto gli fosse caro come null'altro.

«Levi-san...»

Improvviso e folgorante, un bagliore lo avvolse e si sentí scuotere. Mani che lo toccavano, voci che pregavano. E di nuovo il buio lo chiamò a sé trascinandolo sul fondo, con l'eco di una di queste ultime che, persistente, continuava a chiamarlo.

Eren...!

 

🌸🌸🌸


«... Sei venuto.»

Le parole di Levi-san, il quale lo aveva appena raggiunto, suonarono fredde alle orecchie di entrambi. Eren sentí il bisogno di bagnarsi le labbra con la lingua.

Come dare un senso a qualcosa che non riusciva a comprendere? A un tempo che sapeva non appartenergli più...?

«Sì, io-» sospirò il ragazzo, calando lo sguardo sul terreno polveroso. Attese una manciata di secondi, raccogliendo le idee. «Non so da dove iniziare, a dire il vero, perché non so cosa mi stia accadendo. Cosa mi sia accaduto» si corresse, sorridendo amaramente.

L'uomo emise un sospiro scocciato, accomodandosi all'estremità opposta della panchina come era accaduto al loro primo incontro. Eren si sentí ferito da quella distanza, ma non gliene fece una colpa: in fondo, in quanti potevano dire di aver dialogato con un fantasma e non esserne rimasti sconvolti..? Tentò di esprimere quanto meglio gli era possibile ciò che gli era quantomeno chiaro.

«Ogni giorno mi trovo qui, non so come. Tu arrivi, e quando vai via io... Non esisto più. Ricordo la mia vita: la famiglia, gli amici, l'università. Poi, il nulla. Non so come io sia... Sia...»

Prese a tremare visibilmente, nascondendo il viso dietro il palmo di una mano. Era difficile accettare una verità simile: non essere più padrone del proprio futuro perché, a conti fatti, era stato spazzato via come polvere al vento. La voce di Levi-san, calma e pacata, lo raggiunse poco dopo.

«Qualunque cosa ti sia accaduta non ha importanza. Oramai è successo, il tempo non si riavvolge. Perché sei ancora qui...?»

Quanto avrebbe voluto rispondere in maniera esaustiva a quella domanda, ma l'unica cosa che poté fare fu essere almeno sincero.
«I-io non lo so... L'unica certezza che ho, per quanto suoni assurdo... Sei tu.»

Sembrava una frase così intima e ambigua, tanto che Eren sentí il proprio volto accendersi velocemente, mentre si interessava al modo in cui i petali al suolo si rincorrevano tra di loro, sospinti dalla brezza primaverile.

Immobili, come soggetti di un dipinto, rimasero silenziosamente assorti in quello scenario dalle tinte color pastello, dove i rami avevano iniziato a perdere i soffici e fragili fiori che li adornavano.

Quando Levi-san si alzò per dirigersi nuovamente in ufficio, dandogli le spalle, Eren seppe che il suo momento di lucida esistenza era giunto al termine. Chiuse gli occhi, accarezzato dal vento, e percepí i propri sensi farsi meno vividi, le sue membra intorpidirsi, la sua coscienza assopirsi.

Tornò nel limbo a cui oramai apparteneva, con le spalle del corvino come ultima immagine ad accompagnarlo oltre il confine tra vita e morte.

 

🌸🌸🌸


L'esistenza di Eren, se così poteva essere definita, era scandita inevitabilmente dalla presenza di Levi-san ad Ueno. L'atmosfera tesa, che li aveva momentaneamente allontanati, si era dissolta man mano che i ciliegi si spogliavano dei morbidi abiti profumati che li avevano rivestiti, protagonisti di un incantesimo che andava lentamente dissolvendosi.

«Non ti facevo tipo da lacrima facile» commentò l'uomo, il naso rivolto all'insú mentre osservava i rami protesi in avanti quasi volessero afferrare quei piccoli miracoli dalla vita lunga un battito di ciglia. Eren, col volto in fiamme per via di quella debolezza, esclamò: «Oh, andiamo, se non piangi guardando Titanic sei senza cuore...!»

Gli occhi di Levi-san, così profondi, sembrarono attraversargli l'anima quasi tentasse di carpire qualche segreto antico. Si sentì preda di qualcosa che andava al di là della sua comprensione, estremamente semplice altresì complessa: lo stomaco gli si contorse, così come il cuore pareva aver preso la rincorsa; eppure, quello sguardo intenso raccontava di una sfida persa in partenza, di una sconfitta evidente e un destino ineluttabile. I lineamenti dell'uomo si indurirono sensibilmente.

Era lui, Eren, oggetto di tanto rimpianto? Non voleva ispirare in lui un sentimento tanto amaro.

«Non mi piace quando aggrotti la fronte, Levi-san. Mi sembra di essere tornati al giorno in cui ci siamo visti la prima volta. Sembravi così...» esitò, alla ricerca delle parole adatte, «arrabbiato. In collera con le persone, e il mondo. Eri sereno solo guardando i fiori.»

Il ragazzo pensava davvero quanto aveva affermato. Sperava, nel suo piccolo, di essere stato lui artefice di un cambiamento tanto lento quanto impercettibile nel corvino, il quale sembrava maggiormente propenso ad esporsi al prossimo più di quanto non fosse nell'istante in cui si erano incontrati. Forse si lusingava soltanto di avere un simile merito, ma il pensiero di essere artefice di un tale traguardo lo rasserenava. Non sapeva quanto tempo gli fosse rimasto: avrebbe potuto restare bloccato lì, in un empasse privo di qualsivoglia sbocco, o svanire allo stesso modo in cui era vissuto.

Il cipiglio di Levi-san, divenuto mortalmente serio, lo lasciò però interdetto per un attimo.

«L'hanami ormai è quasi finito. Stasera verrò qui, ad ammirare gli ultimi petali alla luce della Luna.»

Eren non seppe cosa dire. Era uno scenario insolito, quello che si prospettava. Si domandò se quello fosse un appuntamento camuffato da semplice capriccio o viceversa, ma non ebbe il coraggio di chiederglielo: non voleva illudersi.

Permise alla sua essenza di dissolversi, osservando l'uomo allontanarsi, con la speranza che presto lo avrebbe rivisto e l'animo in tumulto per la trepidante attesa.

 

🌸🌸🌸


Eren sostava accanto l'albero alle spalle della panchina sulla quale sedevano di solito. Osservava il cielo, manto stellato dal colore scuro come la pece, mentre piccoli fari illuminavano le fronde degli alberi che trattenevano a stento gli ultimi petali, lentamente sostituiti da foglie giovani e verdi. Grappoli di ciliegie, rosse e succose, sarebbero nate da quel sacrificio. Forti, rigogliose.

Sentí un rametto secco spezzarsi e si voltò col sorriso a distendere i tratti del proprio volto e un nome sulle labbra.

«Levi-san.»

«Come facevi a sapere che ero io...?»

Eren tornò a fissare le stelle, senza cercare nulla in particolare.

«I miei sensi percepiscono solo te.»

Ci aveva fatto caso negli ultimi giorni, dopo aver realizzato la propria natura effimera e inconsistente. Ogni cosa non ruotasse intorno la figura del corvino, semplicemente gli era invisibile.

Levi-san gli si affiancò, imitandolo, mani in tasca.

Scrutarono coloro che erano state, per millenni, la guida di marinai ed esploratori, alla ricerca di un cammino che potessero percorrere. Erano circondati dalla quiete più completa, quando il primo esplose.

Miriadi di scintille colorate tappezzarono il cielo in una cascata luminosa, una sequenza dai contorni indefiniti e la cui forma veniva decisa unicamente dal vento.

Il ragazzo trattenne il fiato dinanzi a quello spettacolo, schiudendo le labbra per la sorpresa e la meraviglia che ogni nuovo fragore portava.

Non si aspettava minimamente di udire quelle parole.

«Vorrei stringerti la mano.»

Eren si girò di scatto, il colorito che aumentava esponenzialmente al suo imbarazzo. Vide il volto di Levi-san illuminato dai molteplici colori dei fuochi d'artificio: la fronte distesa e i capelli setosi perfettamente pettinati; il naso piccolo e delicato, le labbra sottili e pallide, l'arco di cupido perfettamente simmetrico; le iridi plumbee torbide e al tempo stesso brillanti. Calò infine lo sguardo al terreno, confessando quanto celato nel proprio animo.

«Lo vorrei anch'io...» mormorò, la sua voce sovrastata dallo scoppiettare ripetuto e incessante dovuto allo spettacolo pirotecnico.

«Guardami, Eren.» Il giovane obbedí, trovando un mare calmo ad accoglierlo. «Se avessi potuto... Se ti avessi baciato, cosa avresti fatto...?»

Un sorriso, triste e tremulo, piegò la sua bocca morbida.

«Non vuoi scoprirlo...?»

Fu un movimento naturale come respirare, avvicinarsi l'uno all'altro. Protendersi, in cerca di un contatto che non sarebbe mai giunto. Di una carezza che non avrebbe mai trovato risposta.

Eppure, nonostante non potesse gustarne il sapore che era certo fosse fresco come la menta e non potesse saggiarne la consistenza, Eren percepí distintamente il tepore delle sue labbra quasi fossero realmente sulle proprie. Si scoprí felice di poter sentire ancora qualcosa, nonostante le condizioni in cui versasse da chissà quanto. Contento di aver potuto godere di quell'attimo breve e intenso.

«É s-strano» fece il ragazzo, allontanandosi impercettibilmente per poi riaprire gli occhi, «sentire un cuore inesistente battere all'impazzata come sta facendo adesso... É il tuo, Levi-san? O sono solo io, ad essermi innamorato...?»

Ma quando, specchiandosi in quelle iridi fredde, scorse il dolore della rassegnazione a un fato a cui non sapevano come opporsi, Eren seppe che quello non era abbastanza; che se esisteva anche solo una possibilità di poter toccare realmente l'uomo verso il quale provava amore, avrebbe dato qualsiasi cosa.

Una brezza decisa li investí, portando con sé gelo e solitudine, spazzando via ciò che restava dei fiori.

Fu con quel desiderio, bruciante e potente, che Eren si dissolse davanti agli occhi dell'uomo: anche l'ultimo petalo era caduto.

 

🌸🌸🌸


Eren fluttuava nel vuoto, ancora una volta.

In quella dimensione non esisteva spazio, tempo, gravità. L'unica cosa a cui potesse ancorarsi, era il sentimento che provava nei confronti di Levi-san.

Inizialmente non udiva nulla se non il proprio respiro, non vedeva altro se non il buio. Poi, voci distanti come un'eco passata presero a fargli compagnia: toni disparati che lo cullavano in quell'abisso oscuro; pianti, risa, talvolta preghiere. Non sapeva a chi appartenessero, ma l'unica che desiderasse sentire non lo chiamò nemmeno una volta. Infine, lo spesso strato nero prese a schiarirsi man mano che il flusso scorreva. Percepí qualcosa di bollente stringergli il palmo, tenerlo stretto per poi lasciarlo a intervalli regolari, ma in quel luogo era solo.

Il pensiero del corvino non lo abbandonò mai nemmeno per un istante, e quando la luce divenne accecante al punto da sentirsi sopraffatto da tale bagliore, fu il suo nome l'ultima cosa che pronunciò.

«Levi-san...»

Il chiarore lo avvolse, e si sentí scuotere e toccare con insistenza, bagnare il volto e sussurrare all'orecchio.

«E-Eren! Eren, sei tornato...! È un miracolo!»

Sua madre singhiozzava sulla sua spalla, abbracciando un corpo che non rispondeva ai comandi, in un letto d'ospedale in cui non sapeva come era finito.

 

🌸🌸🌸


Si era svegliato da un coma durato sei mesi.

Un'auto aveva perso il controllo, investendolo, nel mese di Marzo. Era ormai Ottobre.

Eren all'inizio parlava poco. I suoi arti erano atrofizzati per la lunga degenza e il movimento praticamente nullo a cui erano stati sottoposti. Aveva perso la milza, riportato varie cicatrici ma, miracolosamente, era vivo. Una volta affrontata la fisioterapia, avrebbe camminato di nuovo. Sarebbe tornato alla sua solita vita. Ma qual era..?

I medici gli ripetevano che ciò che aveva vissuto, ad Ueno, era frutto del suo stato di incoscienza e dei farmaci che avevano dovuto somministrargli, in attesa che l'edema cranico si riassorbisse in modo da evitare che causasse danni irreparabili. Ma come poteva amare una fantasia?

Così, visitato da amici e parenti, si limitava a guardare fuori dalla finestra il mondo che andava avanti. Si sentiva sconfitto, impotente, incapace di dimostrare che Levi-san esistesse realmente. Che si ricordasse di lui, magari, nonostante i mesi oramai trascorsi.

«Eren...»

Il giovane si voltò verso la madre, che lo guardava preoccupata. La donna passò le dita tra i capelli del figlio, cresciuti rispetto a come li portava prima di quella disgrazia. Gli stavano bene, eppure accentuavano la sua aria persa. Carla non era abituata a vedere Eren così emotivamente abbattuto, ma non poteva biasimarlo in fondo.

«Tesoro devi alzarti, iniziare la riabilitazione.»

«Mh...»

«Tu credi davvero al fatto che Ackerman-san esista...?»

«Che importanza vuoi che abbia, ora...?»

«Ne ha per te.»

Osservò il ragazzo volgere nuovamente il capo verso l'orizzonte, e sospirò affranta.

«Oh, e se per il tuo compleanno andassimo ad Osaka? Zeke-kun è stato qui più volte, sai? Sarà felice di rivederti in forma, e poi il panorama al castello è magnifico durante il periodo dell'hanami!»

A quelle parole, qualcosa nel petto di Eren si smosse.

I fiori di ciliegio.

É così che lo aveva conosciuto, e così lo avrebbe ritrovato.

«Mamma, potresti chiamare il fisioterapista?»

La bruna lo fissò, perplessa da quel repentino cambio di rotta, ma non fece alcuna obiezione: lo scintillio determinato negli occhi di suo figlio non le permise di dubitare un solo istante delle sue intenzioni.

 

🌸🌸🌸


Gli esercizi erano stati estenuanti, compiere un passo più difficile di qualunque altra cosa prima di allora, eppure se c'era riuscito da infante lo avrebbe fatto anche da adulto. Centimetro dopo centimetro, metro dopo metro, si impadronì nuovamente del proprio corpo e della vita che aveva condotto prima che quell'automobile la mettesse a repentaglio.

Eren era tornato quello di sempre, eccezion fatta per il germoglio avvizzito che custodita nel cuore, in attesa che l'oggetto di quell'amore lo nutrisse con altrettanto sentimento o lo calpestasse miserabilmente. Ma non riusciva a smettere di pensare a quel bacio mai dato, quel tepore così reale da sembrare concreto, quello sguardo talmente addolorato da trafiggergli il petto.

Levi-san era da qualche parte, e lui lo avrebbe trovato.

Il solo nome non gli era bastato, purtroppo, ma sapeva che prima o poi sarebbe tornato ad Ueno. Se non per l'hanami, almeno per quello che avevano condiviso, perchè c'era ed era autentico.

Finalmente era primavera, ed i ciliegi sarebbero fioriti a breve.

Camminava per il parco, ogni giorno alla stessa ora nei pressa della panchina che li aveva accolti con tanta benevolenza, e attendeva. Si guardava attorno, cercando una sagoma scura e minuta cui correre incontro, invano.

Quel giorno sarebbe stato uguale ai precedenti eppure non riusciva a smettere di sperare tanto che, nello scorgere la figura che tanto aveva aspettato, credette di star sognando. Si mosse piano, con titubanza, incerto se fosse davvero lui. Se non stesse immaginando ciò che desiderava vedere.

Poi lo vide fermarsi presso la panchina.

Udì distintamente il suo sospiro spezzato, come avesse sperato di trovarla occupata.

Di trovare lui.

Lo osservò sollevare il volto al cielo, quasi maledicendo i boccioli sui rami più alti e digrignare i denti per la frustrazione.

Eren non riuscì più a trattenersi.

«Levi-san.»

L'uomo si irrigidì, immobile come una statua.

«Levi-san, guardami.»

Il corvino strizzò le palpebre, capo chino e pugni chiusi.

«Levi-san...» Il ragazzo allungò la mano, posandola sulla sua spalla; strinse la stoffa della sua giacca; percepì il calore del suo corpo attraverso il tessuto; soffiò delicatamente al suo orecchio. «Guardami, per favore...»

Finalmente il maggiore si voltò, le iridi che divoravano la pupilla cibandosene in attesa dell'ennesimo miraggio evanescente.

Il vento si sollevò, delicato e dal profumo fresco, invitando i ciliegi ad aprirsi ancora una volta al mondo, e per Eren niente ebbe più importanza.

«Eren...»

«Sì. Sì, sono io...!» rispose quello con voce rotta.

Il palmo pallido di Levi cercò la sua guancia umida, asciugando una lacrima.

«Posso toccarti.»

«Sì.»

L'uomo lo guardò con imbronciato stupore.

«Sono morto.»

A quel punto Eren rise, incapace di trattenersi.

«No, non lo sei...!» ridacchiò. «Sono io ad essere vivo.»

Lesse sul suo volto l'incredulità, la sorpresa, le mille domande a cui avrebbe dovuto rispondere. Ma non in quel momento.

«Levi-san, non ho smesso di pensarti neanche un attimo. Voglio sapere che gusto ha il bacio che non ci siamo mai scambiati. Vuoi darmelo ancora...?»

Le gote di Levi presero un leggero colore, mentre le dita andavano a intrecciarsi tra quei capelli d'ebano leggermente più lunghi rispetto al tempo in cui si erano incontrati. Non ebbe bisogno di cercare conferma nello sguardo dell'altro.

Lo attirò a sé con delicata passione, facendo combaciare le loro labbra pronte a schiudersi ed assaggiarsi. La bocca di Eren aveva il sapore delle ciliegie, quella di Levi sapeva di menta, e nell'istante in cui le loro lingue si incontrarono per la prima volta seppero con incrollabile certezza che quella dolce effusione sarebbe stata la prima di una lunga serie.

I primi boccioli si schiusero sotto invito della primavera, mostrandosi nella loro gloriosa bellezza ed assistendo alla nascita di un fiore altrettanto sublime e fragile, ma dal gambo forte e i petali rigogliosi, la cui forma era dettata unicamente dal sentimento che Eren e Levi nutrivano l'uno per l'altro e che era stato in grado di valicare il confine tra effimero e terreno.



お わり


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3815740