Ininterrotta

di annies_rumor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guerra aperta ***
Capitolo 2: *** Occhi verdi, gusti raffinati; ***
Capitolo 3: *** Numeri primi; ***
Capitolo 4: *** Assenze; ***
Capitolo 5: *** L'importante è finire. ***
Capitolo 6: *** Red Marlboro; ***
Capitolo 7: *** Alex; ***
Capitolo 8: *** Dipendenze; ***
Capitolo 9: *** Breakdown; ***
Capitolo 10: *** About A. ***
Capitolo 11: *** Drugs; ***



Capitolo 1
*** Guerra aperta ***


“Una ragazza semplice, con grandi potenzialità”
Ecco cosa mi son sempre sentita ripetere sin dai tempi delle superiori.
All’epoca tutto sembrava diverso, ed io ne parlo come se fossero passati decenni quando in realtà son solo pochi anni.
Ho sempre avuto un grande senso umanistico, forse era questo a rendermi così brillante agli occhi dei prof.
Ho sempre cercato di dire la mia, in quanto donna del ventunesimo secolo, rivendicando ogni mio diritto.
Ho lottato, ho sempre lottato.
Contro la vita. Contro tutto e tutti. Contro me stessa.
Ho sempre cercato di raggiungere obiettivi prefissati, qualche volta ce l’ho fatta, altre lasciamo perdere.
Oggi ho ventitre anni, convivo da quasi due anni con il mio fidanzato Alex e sto cercando di metter su una vita semplice ma soddisfacente.
Mi piacciono tante cose e mi piace ambire sempre al meglio, sempre verso il gradino più alto della piramide ma di tanto in tanto so riconoscere di perdere la bussola e di ritrovarmi ferma anche ad un solo passo prima del traguardo ambito.
Il mio passato non è stato roseo, ma più mi guardo attorno e più mi rendo conto che non son l’unica a combattere con scheletri nell’armadio.
Vivo in un posto dove c’è quasi sempre il sole, anche d’inverno, il ché è fantastico perché mi permette di vivere la vita in modo diverso da chi abita in cupe città dove il cielo è sempre grigio e tipicamente riflette l’animo inquieto di chi per necessità, o semplicemente per sfortuna, ci vive da sempre.
In tutto ciò non ho ancora avuto modo di presentarmi, il mio nome è Annie e questo è solo un racconto di una vita come le altre.

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Capitolo 2
*** Occhi verdi, gusti raffinati; ***


Ricordo come se fosse ieri quegli occhi nella mia vita.
Occhi verdi, grandi e a volte cangianti.
Folte ciglia lunghe e nere come la pece.
Un ragazzo sensibile e riservato.
“Poche parole a buon intenditore” direbbe qualcuno.
Ci sono tante cose nella vita che non smetteranno mai di esistere nelle segrete della nostra mente,
o forse dovrei dire del nostro cuore.
La dura lotta tra amore e psiche non è solo una scultura di Canova, credo che ogni essere umano, almeno una volta nella vita, abbia affrontato, in un modo o nell’altro, questa dura ed estenuante lotta, che nella maggior parte dei casi, non porta a nulla di buono.
Questo è il mio: solo un amaro ricordo di un passato incancellabile.
I sussulti del cuore ancora li sento quando incrocio qualcuno con il suo stesso sguardo o quando per caso incontro qualcuno strettamente legato a lui.
Cerco di scappare via con la mente la maggior parte delle volte, ma il corpo si blocca ed io avverto sempre tutti i segnali che mi implorano di fuggire via, anima e corpo.
Alle volte ricordare è un piacere, altre una dannazione.
Ci sono amori vissuti e sepolti in modo cauto, restando a guardare nell’angolino, forse sperando in un risveglio, altri, restano per sempre imprigionati sotto le catene di un tempo dannato dove non è stato possibile far nascere, crescere e veder trionfare il frutto di giorni passati insieme, a pensare, progettare, ridere, giocare, immaginarsi teneramente insieme per chissà quanto altro tempo ancora.
Ricordo ancora tutto: il bello ed il brutto.
Il periodo iniziale, quello che fa innamorare, ed il periodo finale quando proprio non c’è più niente da fare.
La stupidità umana non avrà mai fine, delle volte preferiamo rinunciare piuttosto che lottare.
Perché rinunciare è più semplice, pensiamo faccia meno male,
ma le ferite non si curano facendo finta che non esistano.
Per le ferite ci vuole il sale, ed il sale brucia come le lacrime amare che perdiamo dopo una fine codarda e burrascosa.
All’epoca non potevo saperlo, avevo solo 19 anni ed il mondo davanti a me chiedeva disperatamente di esser preso in considerazione, per il mio bene, per il mio futuro dicevano.
Ed io l’ho lasciato fare, ho preso la strada del mondo: quella immensa, che non si sa mai dove porta.
La mia destinazione era Parigi, dopo una lotta alla Maturità dove con unghie e denti ho strappato un 98/100 alla commissione e ho abbandonato tutto, precludendomi l’opportunità di affermarmi con lo studio universitario. Perché la vita va così. Non puoi mai sapere cosa ti capiterà, devi solo remare in avanti, fin quando un giorno, non vedrai un piccolo angolo di mondo chiamato “terra ferma” e deciderai di fermarti per un po’ a riposare.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Numeri primi; ***


Siete mai stati primi in qualcosa?
Non so, i primi della classe ad esempio, i primi ad aver visto un visto un film, ad aver finito un compito in classe,
ad aver rimorchiato una ragazza, ad aver detto “ti amo”?!
Parlo spesso come se avessi un pubblico davanti a me pronto ad ascoltarmi e magari rispondermi,
ma la verità è che sono costantemente sola.
Nella mia rubrica ho centinaia di numeri, sui miei social migliaia di “amici” o “seguaci”, ma la verità è che quando ho bisogno di qualcuno, qualcuno con cui parlare intendo, qualcuno a cui far sentire la mia voce ed esprimere i miei pensieri, non c’è nessuno.
La tecnologia ci ha portato via uno dei beni più preziosi: il dialogo.
Il dialogo è tutto, confrontarsi è la base per ottenere una sana società, invece al giorno d’oggi siamo solo un branco di pecore guidate da un apparecchio elettronico, spesso difettoso, collegato a sua volta ad una rete che unisce tutto il mondo ma separa chi è più vicino.
Quand’è esattamente che avete fatto qualcosa per la prima volta senza che qualcuno vi abbia “consigliato” di farlo?
Quand’è stata esattamente l’ultima volta che avete fatto qualcosa di vostra spontanea volontà senza che nessuno vi abbia indotto, direttamente o non, a quell’azione?
Prime ed ultime volte non son poi così diverse.
Sono cose molto singolari per quanto diverse possano sembrare.
Mi guardo attorno e non riconosco più nulla. Tutti i valori che mi hanno insegnato e tutti i valori che avrei tanto desiderato poter insegnare un giorno, sembrano essere passati di moda, come se il “bon ton” fosse una moda da seguire e non una regola per vivere bene la quotidianità.
Ma il problema ha radici molto più profonde e purtroppo io sono solo un puntino nell’immenso mondo del Capitalismo che ci siamo costruiti con le nostre stesse mani.
Io sono stata la prima in qualcosa per un paio di volte.
Son stata la primogenita di mia madre, ad esempio, se può considerarsi valida come opzione.
Son stata prima classificata in un concorso letterario in quarto superiore.
Son stata la prima in altre cose che adesso non ricordo bene, se non erro, ma non sono mai stata la prima ad essere amata. Di questo ne sono sicura.
Ero per certo la prima ad amare, invece.
Ogni relazione che io abbia provato ad iniziare, finiva sempre con me che amavo alla disperazione e l' altro che prendeva le distanze.
Sono mai stata realmente innamorata? Ad oggi non lo so e questo pensiero mi divora lentamente, giorno dopo giorno.
Amo fin quando non vengo amata, non appena ottengo ciò che voglio, la corda inizia a sgretolarsi fino a diventare polvere. Per questo ho sempre preferito ed ottenuto quasi inconsapevolmente relazioni instabili e poco durature che hanno però portato via pezzi di me che probabilmente non riuscirò mai a ritrovare.
Nel cassetto dei ricordi celo con gelosia quegli occhi verdi ed imponenti che l’adolescenza mi hanno portato via. Occhi da ragazzo giovane e spensierato che di me velocemente si è scordato. Occhi per i quali probabilmente ancora pazzie farei, ma senza amore direi.
C’è stato un tempo in cui mi sono sentita pronta ad abbandonare tutto e ricominciare, lontana da quegli occhi che sapevano giocare come un serpente incantatore,
un tempo in cui le mie giornate passavano lente riflettendo accuratamente su cosa farne. Sviluppai un interesse per la fotografia ed i paesaggi erano diventanti la culla dei miei scatti quotidiani. Mi piacevano i fiori, le foglie cadenti dagli alberi fin giù al terreno. Mi piacevano gli orti, i giardini, il verde della speranza che sembrava non passare mai, nonostante le potenti piogge francesi nei periodi invernali. E poi amavo l’arte, ho amato il Louvre come Romeo ha amato Giulietta. Senza tempo. Per sempre. Quando d’un tratto, dopo mesi, mi son guardata allo specchio e non mi son più riconosciuta, mi son ritrovata senza il suo riflesso negli occhi e la sua ombra accanto ad ogni mio passo. E lì ho capito che era giunto il momento di tornare, perché scappare ha senso solo se alla fine si ritorna con qualcosa da raccontare, ed io avevo una bella storia con me: quella della mia rinascita.

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Capitolo 4
*** Assenze; ***


Figlia di un padre svanito nel nulla dopo il divorzio ma si potrebbe dire già assente dalla nascita.
Figlia di una madre con la sindrome di Peter Pan sfociata anni dopo in alcolismo.
Figlia di qualcuno o di nessuno?
E' una domanda che mi sono sempre posta, non riuscendo mai ad evincerne la risposta corretta.
Tempo fa, la reale percezione dell'assenza paterna: una morte, nemmeno troppo preannunciata. Un fulmine a ciel sereno oserei dire.
Nessuna depressione post notizia, con l'assenza ci ho sempre convissuto.
Ho pochi ricordi di mio padre, quasi nulla.
Vangando nei meandri della mia mente ricordo un grande uomo, fisicamente parlando.
Altro e grosso. Occhiali spessi ed un occhio ricostruito già dall'età adolescenziale dovuto ad una "marachella" di quel fratello maggiore, mio zio, mai conosciuto.
Una voce possente, sentita raramente: mio padre quando entrava in casa era solito  fischiare.
Fischiava per far capire che lui era a casa e che da quel momento in poi dovevo lasciare tutto e ciondolargli davanti mentre qualcuno gli scaldava la cena.
Il suo unico pasto in casa era la cena, dall'alba al tramonto lui era via per lavoro.
Quel lavoro di cui ho sempre nutrito vergogna sin dall'infanzia: mio padre era un fruttivendolo.
Ricordo bene che alle elementari ci chiesero un  tema sul lavoro dei nostri genitori,
ed io guardando i fogli dei miei compagni mi sentii così declassata da inventare il mio compito di sana pianta.
Finsi che mio padre fosse un maresciallo di Polizia, ma il Paese dove abitavo all'epoca era piccolissimo e si sà, le bugie hanno le gambe corte.
Mi vergognai successivamente della bugia detta, ma preferivo salvarmi la faccia davanti ai miei  compagni.
Anni dopo capii che non avevo nulla da invidiare ai miei compagni di classe, se non l'affetto paterno. Così posso raccontare ad oggi, in brevi righe, la figura di mio padre.
Mia madre? Mia madre non l'ho mai capita realmente.
E' sempre stata una figura misteriosa. Anche le sue scelte, persino oggi che sono cresciuta, non riesco a spigarmele.
Forse è diventata madre troppo presto, forse dalla vita ha sempre voluto di più senza mai ottenerlo, forse è semplicemente il suo modo di essere.
Con mia madre ho passato gran parte della mia infanzia e della mia adolescenza ma adesso, in età adulta, cerco di evitarla il più possibile.
Abbiamo due stili di vita completamente differenti e due concezioni del mondo attorno a noi completamente opposte.
Con il tempo, tutte le sue mancanze, tutte le sue "altre vite" soffocate e probabilmente anche il semplice mettere al mondo quattro figli, l'hanno annientata a tal punto da diventare schiava di sè stessa credendosi però schiava della vita. E' un concetto difficile da spiegare ma reale al punto da permettermi di capire che adesso, superata la soglia dei 40 anni, mia madre è affetta dalla sindrome di Peter Pan aggravata dal suo rifugiarsi nell'alcool ed il tutto contornato da un meraviglioso non rendersene minimamente conto. Quella donna sarebbe capace di scolarsi 40 birre e dire di non essere affatto ubriaca vomitando ai piedi del letto e dormendo successivamente nel suo stesso rigurgito.
Scene forti da immaginare, scene da film, quei film non poi così lontani dalle realtà di periferia.
Ho scelto ben presto di andar via di casa senza pentirmene: ero stanca di far da madre a mia madre.
E' successo tutto cosi velocemente da non rendermene conto:
un minuto prima sei una ragazzina imprigionata tra i banchi di scuola e quello dopo sei un'adulta che lavora e bada a sè stessa.


 

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Capitolo 5
*** L'importante è finire. ***


Quando si inizia una relazione non si può mai sapere a cosa ci porterà in futuro.
Ci sono fidanzamenti storici e storie che vivono solo di notte o all'ombra. 
Storie non raccontate, storie che non si possono raccontare.
Storie che nascono senza preavviso e ci si ritrova travolti dalla marea di emozioni che riescono a scaturire.
Il problema di queste storie è che tipicamente sono esse stesse un problema.
Ricordo tutto nei dettagli, dal primo giorno. Uno dei miei peggior difetti.
Era una soleggiata giornata di Aprile quando consapevole del mio trasferimento aziendale,
varcai la porta che mi avrebbe portata davanti alla mia più grande disperazione.
Lui era un tipo normale, uno di quelli che si notano certo, ma che non vengono notati da ragazze come me. E viceversa.
Nick. Un ragazzo tipicamente del sud, bruno, occhi color nocciola, corporatura  e altezza nella media e una parlantina niente male.
Con lui tutto fù diverso, sin da subito.
Passavano lenti quei giorni di primavera e pian piano mi spogliavo dai panni pesanti  e soprattutto da quelli passati.
Al ritorno da Parigi la mia vita era tutta un "forse", tra le mani stringevo solo un contratto a tempo indeterminato,
probabilmente, tempo indeterminato verso la distruzione.
Lavoravo tutto il giorno quasi tutti i giorni, e lui era sempre lì, sia quando entravo, sia  quando uscivo dal quel posto senza gloria. 
Poco dopo diventammo inseparabili, eravamo il braccio destro reciproco, ma anche il sole e la luna, la notte ed il giorno, la testa ed il cuore.
Tutte quelle cose correlate ma distanti, tutte quelle cose che esistono ma a cui nessuno fa mai caso, perché insieme, fianco a fianco, non si vedono mai.
Credo di poter descrivere così la mia relazione con quel ragazzo a cui ho regalato i miei giorni,
tutti i miei sorrisi, tutte le mie performance migliori, senza mai poter ottenere il premio più ambito: essere la prima nella sua vita.
Ho sempre avuto uno strano rapporto con la parola "prima", dopo lui è stata una vera e propria ossessione.
Il nostro rapporto era la netta descrizione, senza giri di parole, del tipico amore/odio che da sempre coinvolge intere generazioni,
Alcune persone  hanno un lieto fine, altre invece si ritrovano per terra a raccogliere i cocci rotti di un vaso pieno di sentimenti andato in frantumi in pochissimo tempo.
Ho vissuto mesi infiniti lottando con una persona che sapeva solo dirmi: "Scusami, io non posso", mentre dall'altra parte morivo poco a poco.
Credo di aver realmente amato Nick e Dio solo sa se di tanto in tanto ancora non ci penso.
Ma Nick è stato un capitolo difficile da leggere ed un libro ancor più difficile da dimenticare.
"Come sarebbe stato sé?" e forse come direbbe la saggia *Mina: "L'importante è finire."
Ero la seconda,
quella che c'era quando l'altra non era vicino.
Ero quella lontana che gli sfiorava il cuore ma non riusciva mai a toccarlo.
Ero l'altra. L'altra e basta. Quella che non avrebbe mai mostrato a nessuno.
L'altra alla quale non avrebbe mai regalato nulla se non le sue parole, i suoi sorrisi, i suoi malumori e i suoi silenzi.
Ero quella dietro l'angolo che doveva aspettar il "via libera" per poter uscire. Ero quella quotidiana ma mai costante.
Ero quella che passava i compleanni sola, le festività a piangere, i sabato sera con le amiche perché non peteva far altro.
Ero quella che ascoltava canzoni e le scriveva su un quaderno perché non poteva mandar messaggi.
Ero quella che andava in giro per strada e guardava sempre le cose due volte, una per me ed una per lui che non poteva esser lì con me.
Mi ha voluta bene, è l'unica certezza con la quale è finita questa storia.
Mi ha voluta bene è quello che mi son ripetuta per mesi dopo la fine.
Mi ha voluta bene è tutto ciò che riesco a dire quando qualcuno mi chiede di quella storia passata.
Ed io invece? Io l'ho amato.
L'ho amato con tutta me stessa, era il cielo con luna e stelle per me.
Lui era il mio sorriso. Nick era tutto ciò che mi auguravo nella vita. Il complice perfetto. Il giusto mix tra fidanzato e amico.
Nick era solo un ragazzo ma per era vita.
La sua energia era il sangue che scorreva nelle mie vene, i suoi occhi erano la forza del mio corpo,
le sue braccia erano la culla dove amavo rifugiarmi dopo giornate difficili, da dimenticare.
Nulla è per sempre e lui ha saputo dare un senso a questa frase nella mia vita.
Nick che quando scappavo mi rincorreva, Nick che quando ero triste mi faceva ridere,
Nick che quando avevo solo voglia di urlare, sapeva farmi sussurrare.
Nick e basta, solo Nick.
Non vedevo più nulla. Per mesi sono stata accecata da un bagliore di luce bianca, quella che dicono essere sempre in fondo ad un tunnel, ma io dal quel tunnel non riuscivo ad uscirci, la fine per me non esisteva.
Continuavo a vagare senza meta. Continuavo fino a vedermi sanguinare e non riconoscermi più nello specchio.
Continuavo perché la speranza è una bastarda. La speranza inganna fino a farti perdere il contatto con la realtà.
La speranza è una sposa vestita di  nero con la quale ballare tutta la notte senza dire una sola parola. 
E' passato diverso tempo da quando ho perso il controllo a quando ho preso consapevolezza della sua assenza.
E' passato tanto tempo dall'ultima volta che l'ho visto al mio fianco senza paura, dall'ultima volta che mi son vista al suo fianco senza paura.
Non potevo stare con lui ma non potevo starne senza. Lui era la mia qualità preferita di cocaina, quella costosa.
Quella che sapevo di non potermi permettere ma che acquistavo non pensando alle conseguenze.
Lui era la sostanza che sapevo mi avrebbe annientata a lungo andare ma di cui non riuscivo a farne a meno,
la morte d'altronde mi ha sempre fatto meno paura della vita.
Nick, se ci ripenso adesso non riesco a parlarne perché la bocca mi diventa amara,
il respiro si affanna e i ricordi si confondono come se improvvisamente quest'oggi fosse diventato ieri ormai e la routine stesse per ricominciare.
Alcuni parlano di turbamento psicologico, altri di donne che si fanno del male, altri invece di amore non corrisposto.
Non credo a nessuna di queste affermazioni, la verità è che non abbiamo coraggio.
In questi casi servirebbe solo una dose letale di coraggio: o salti nel vuoto o resti a guardarlo sull'orlo del precipizio.
Ma la gente non ha voglia di rischiare, di compromettersi. Come se terminare una relazione che non va avanti da anni ed iniziarne un'altra fosse un sacrilegio. 
A chi importa del mondo? A Nick importava del mondo, gli importava così tanto da non accorgersi che, davanti alla situazione, era diventato solo un altro uomo che reprime se stesso pur di non fuggire via dall'ideologia genitoriale, che vorrebbe il suo bene non accorgendosi della realtà e che non tutte le cose a fin di bene, portano del buono.
A Nick mancava il coraggio di scegliere, a me mancava il coraggio di parlare: due facce diverse della stessa medaglia.
D'improvviso si è spenta la luce bianca ed ho visto nel buio la fine del tunnel. Ero salva, ma visibilmente ferita.
Ad oggi posso solo contar le cicatrici.





*Ps. Mina è la più grande voce italiana di sempre. Nel testo si allude alla canzone "L'importante è finire."


 

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Capitolo 6
*** Red Marlboro; ***


Un certo Johnny Depp una volta in un'intervista affermò: 
"Ho iniziato a fumare a tredici anni, ho perso la verginità a tredici e a quattordici avevo già provato ogni tipo di droga.
Non dico di essere stato un cattivo ragazzo, ero soltanto curioso."

 
Non molto diverso da me, direi.
Tranne per il sesso, con quello ho iniziato molto più tardi.
A dieci anni, incredibile ma vero, ho fatto il mio primo tiro ad un sigaretta.
Una Marlboro rossa, di cui ricordo ancora il sapore: quello del timore.
Ero terrorizzata all'idea che mia madre potesse scoprirmi, ragion per cui subito dopo corsi in bagno a lavare i denti e mi mascherai dietro spruzzi di un profumo da quattro soldi. Inutile dire che filò tutto liscio come l'olio, ma dal quel momento in poi ero segnata.
Da quel momento in poi avevo qualcosa di cui vantarmi con i coetanei, avevo quel piccolo segreto che mi faceva sentire grande, ero in un certo senso soddisfatta e pronta al destino: sarei stata una fumatrice.
A 15 anni arrivò il primo tiro ad una canna, Marijuana.
A 17 le uscite fino a tarda notte, le droghe, lo sballo.
A 21 anni avevo già provato tutto ciò che il mercato illegale aveva da offrrmi: cocaina, MDMA, LSD, ketamina e chi più né ha, più né metta.
Nulla mi spaventava e quel lontano timore provato a dieci anni diventò solo un lontano ricordo.
Vedevo i miei coetanei svenire, finire male da qualche parte fuori dalla discoteca, vedevo gli occhi rivolti verso l'altro e la schiuma alla bocca,
ma nulla riusciva a fermarmi, ogni volta aspettavo con ansia il giorno in cui avrei assunto droga.
Voglia di libertà o semplicemente voglia di morire? Ad oggi non mi è ancora chiaro.
Al di fuori apparivo come una ragazza modello, con sani principi morali e una gran voglia di scoprire il mondo.
Dentro ero lacerata, mi rispecchiavo nel buio della notte, trovavo conforto solo nella perdita dei sensi.
Questa storia è andata avanti per tanto tempo, alternando fasi di piena coscienza ad altre di completa follia.
Il problema è sempre quello con la dipendenza: sai che ti uccide ma non puoi farne a meno.
Io ero dipendente da tutto: dalle droghe, dall'amore malato, dalla bulimia, dall'autolesionismo, dal bipolarismo e da tante altre diagnosi psicologiche,
una più, una meno, facevano tutte parte della mia vita. 
Le mie dipendenze erano i tatuaggi sulla mia pelle: 
i miei occhi soffrivano per le droghe, 
il mio cuore soffriva per l'amore,
il mio stomaco soffriva per la bulimia,
il mio corpo soffriva per l'autolesionismo,
la mia mente soffriva per il bipolarismo.
Tutte queste cose racchiuse in una sola persona, un mix letale.
Sono sempre stata una di quelle persone che trovava conforto nelle canzoni di Amy Winehouse, una di quelle che leggeva molto tutto il giorno viaggiando con la mente,
una di quelle che non usciva per un caffé, ma solo per lunghissime passeggiate in riva al mare.
Ero una persona semplice, forse, ma complessata fino all'inverosimile, tanto da odiare me stessa e lasciarmi morire lentamente.
Nel bene o nel male, il mio più grande pregio è sempre stato quello di saper fingere.
A scuola mai nessuno dei miei professori ha notato i miei problemi, poche amiche hanno guardato dentro la mia anima senza scappare a gambe levate subito dopo, 
nessun ragazzo ha mai accarezzato i miei polsi nudi, nessun genitore mi ha mai vietato quell'uscita di troppo per non andare a farmi del male.
Mai nessuno è la somma della gente nella mia vita.
Ho passato gran tempo della mia vita sola, senza pretendere nulla da nessuno, per me, erano tutti di passaggio.
Una volta terminata la loro parte nella mia vita, mi ritrovato a piangere come una ragazzina al quale è morto il gatto, ma ogni volta diventavo sempre più forte e rigida di quella precedente e così riuscivo a tirar avanti quel poco che bastava per non finire in giri più grandi di quelli che potessi gestire.
Ho sempre amato i tatuaggi, i piercing, i capelli colorati ma ammiravo le donne d'ufficio, sempre perfette ed impeccabili,
quelle capaci di gestire ruoli di grande importanza nel mondo lavorativo e tornare a casa pronte ad accudire marito e figli come se fosse una cosa naturale e spontanea.
Io vedevo come mi guardavano quando andavo in giro e non m'importava, in cuor mio desideravo solo diventare come loro un giorno, ma per il momento l'immagine nello specchio si addiceva alla mia persona e per questo continuavo: sono sempre stata così indecisa.
Mi piacevano sempre tante cose, se pur completamente opposte.
Mi piaceva il thè caldo e i libri d'amore e mi piacevano le serate in discoteca a sballarmi.
Mi piacevano i film d'azione quanto  quelli drammatici.
Mi piacevano gli abbracci ma anche il sesso sfrenato.
Mi piacevano tutti gli stili del mondo, cercandone uno tutto mio.
E poi, poi mi piaceva tanto passare del tempo con la mia buona e vecchia nonna.
Unica figura di riferimento. Unica valvola di sfogo. Unica persona  ad accertarsi se io avessi mangiato o meno.
Persino durante i tempi della bulimia andavo da lei, ci parlavo per ore e mi preparava pranzi stellari che, poco dopo, finivano in un lurido cesso di qualche locale nei dintorni. Se solo potessi tornare indietro, non butterei mai via quel cibo, perché sarebbe come buttar via un po' di lei e del suo amore nei miei confronti.
Amore che ad oggi pagheri oro per riavere indietro.
Amore che la vita stessa non ha potuto lasciare, cedendone il posto alla morte.
Mia nonna è morta senza che io l'abbia potuta ringraziare, senza potermi far perdonare.
E' scomparsa lasciandomi sola alle mie dipendenze che, poco a poco, aumetarono insieme alla disperazione per la perdita.
Mia nonna è entrata in quell'ospedale di cui non so nemmeno il colore delle pareti, e non è mai più uscita.
Lei che per me c'è sempre stata, è andata via sola da quel postaccio. Sola senza nessuno, senza di me.
La colpa mi ha divorata così tanto da ridurmi in cenere e non voler più rinascere. 
Probabilmente lei è la persona che ho amato di più nella mia vita e se solo potessi tornare indietro, sarei pronta a dar la mia vita per lei.
Il mondo è andato avanti poco dopo, il mio è rimasto fermo a quel giorno.
Cara nonna, ovunque tu sia, sappi che questo libro lo dedico a te.
Dalla prima all'ultima pagina.
Chissà, forse da lassù,
riuscirai a leggere tutto ciò che ti ho sempre nascosto e capirai i motivi per i quali non riuscivi a comprendermi.
Anche se non te l'ho mai detto: ti voglio bene nonna.

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Capitolo 7
*** Alex; ***


La mia relazione con Alex è sempre stata un punto interrogativo per il mondo ed un punto di riferimento per me.
Alex è stato mio amico per un determinato periodo prima di diventare il mio compagno di vita, ed inizialmente non avrei mai immaginato di finire tra le sue braccia.
Ricordo ancora il primo giorno in cui lo vidi, la lieve stretta di mano, quella presentazione frivola e veloce a cui non dar conto.
Ogni tanto, tra gli scaffali del negozio, mi faceva qualche domanda al volo, probabilmente solo per passatempo,
ed io per altrettanto passatempo gli rispondevo in maniera veloce e sincera.
Poco dopo arrivò il mio trasferimento e la relazione con Nick di mezzo all'amicizia stretta con quel collega strambo ma simpatico.
Nei mesi successivi, d'improvviso, proprio Alex venne trasferito nella mia filiare.
Ero stranamente entusiasta all'idea poiché non sarei più stata l'ultima arrivata ed inoltre avevo un asso nella manica: conoscevo già il nuovo commesso.
Ritornammo ottimi colleghi sin da subito, riallacciando quel rapporto che dopo il mio trasferimento andò inevitabilmente perduto.
La mia vita in quel periodo era un vero e proprio travaglio, ma avevo qualche amica a risollevarmi il morale ed in un giorno qualunque arrivò un invito poco galante:
"Che fai stasera?" .
Nuova generazione, ventunesimo secolo, casualità, noia, circostanze, ma quella sera decisi che non avrei avuto nulla da fare.
Soli io e Alex, in un pub qualunque a bere dell'ottima Tennet's ghiacciata in pieno inverno.
Due anime perdute ed un po' d'alcool.
Son sempre stata la figura "forte" della strana coppia. 
Io guidavo, io andavo sotto casa sua... 
Lui invece si trasformava in un gentiluomo, mi guidava in posti sconosciuti ma carini, si faceva trovare puntuale ad ogni chiamata, pagava il conto e mi faceva sorridere. Lui faceva esattamente tutto quello che avrei voluto fosse stato fatto da un altro. Con il tempo me ne resi conto e quell'amicizia iniziò a diventare un lieve tormento.
Ero  tra l'incudine e il martello. Alex mi piaceva, ma non abbastanza.
Restavo intrappolata in un relazione a senso unico con una persona già sentimentalmente legata. 
Le mie responsabilità lavorative aumentavano e la mia situazione casalinga peggiorava di giorno in giorno.
Ero solo una ragazza con un vulcano di emozioni intrappolate in un cuore che non aveva assolutamente intenzione di collaborare con il cervello.
L'estate era alle porta e Nick ormai lontano, restavo io con Alex e un paio di amici. Coppia fissa. Un quartetto strano ma capace di far impazzire anche il diavolo.
Poco a poco mi resi conto che con Nick lontano ed Alex sempre più vicino la mia bussola amorosa era praticamente frantumata al suolo.
Nick diventava un ricordo ed Alex un bellissimo presente, non intravedevo ombra di sofferenza, solo gioia pura.
Con Alex era tutto diverso, mi voleva bene, mi abbracciava spesso, era presente e ad un certo punto iniziai a chiedermi se, tutta quella disponibilità, non era forse un sinonimo d'amore. La risposta non tardò ad arrivare. 
Dormivo spesso con Alex, a casa sua ovviamente, ed ogni notte chiudevo gli occhi senza timore, sapevo che avremmo solo dormito abbracciati come due bambini.
Qualche tempo dopo, in una mattina come le altre nelle quali mi svegliai al suo fianco, un lieve bacio a stampo sulle labbra mi colse di sorpresa.
Alex aveva trovato il coraggio. 
Tutto il coraggio che io non avrei mai avuto. Mi alzai in fretta e furia scomparendo in ascensore mentre sulla sua  porta di casa arieggiava un amaro:
"Ci vediamo a lavoro".
Sembrava l'inizio della fine, ed invece con perseveranza e costanza fù il vero inizio.
Un vita fatta d'amore e amicizia con il medesimo uomo ogni giorno al mio fianco.
Che bellezza.
Ma anche Alex, come ogni buon principe che si rispetti, aveva dei difetti.
Il suo più grande difetto si chiamava "cocaina".

 

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Capitolo 8
*** Dipendenze; ***


Ogni buona relazione che si rispetti, ha un inizio da favola, sogni ad occhi aperti senza riuscire a smettere.
Io invece, mi  ritenevo la pecora nera della relazione. Volevo molto bene ad Alex, ma per un motivo e l'altro, ero sovrastata dal timore.
Timore che prendeva luogo e forma su ogni cosa e molto spesso riusciva a rovinare anche i momenti più belli.
Inizialmente mi lanciai nella relazione con Alex come fossi una Crocerossina, non aspettavo altro: salvare qualcuno.
Ma, salvare qualcuno, fondamentalmente, a che scopo?
Non riuscivo a capire se volessi solo una piccola gratificazione personale oppure volevo semplicemente dimostrare che al mondo esistono persone capaci di salvarne altre senza pretendere nulla in cambio. 
A prescindere da cosa volessi io, quel periodo segnò un'era che mai pù avrei potuto dimenticare.
Conobbi Alex in circostanze tranquille, solo man mano che la nostra conoscenza si ampliasse iniziai ad intuire piccole crepe all'interno dei suoi discorsi.
Alex era dipendente da un mucchio di cose, un mucchio di sostante. 
Mi raccontava di Festivals, serate in discoteca, mi faceva ascoltare tutti i suo Dj preferiti e mi parlava un sacco dei suoi compagni di avventura.
Io quella roba la conoscevo già, ma cercavo di essere vaga nelle mie risposte e di comparire sempre sorpresa dai suoi racconti.
Dietro tutte quelle chiacchiere c'era solo un bisogno compulsivo di dire la verità: Alex si drogava, molto più di me. 
Ad un certo punto della sua vita, in mia assenza, trasformò il suo contratto da part-time a full-time solo per poter spendere più soldi tra Hashish e Cocaina.
Avevo capito tutto ma inizialmente ancora non osavo pronnunciarmi.
La nostra relazione per lui prese la forma di un salvagente a cui aggrapparsi, 
ed io,  non sapevo se sarei stata all'altezza delle sue aspettative,
dopo tutto ero quella abituata ad aggrapparmi con le unghie su cose che potessero trarmi in salvo, non il contrario.
Passarono pochi mesi e finalmente mi decisi a parlare perché io quella relazione la volevo, la volevo davvero, ma non a quelle condizioni.
Alex avebbe dovuto smettere di drogarsi, perché io in quel circolo vizioso non potevo più permettermi di tornarci.
Era una scelta egoistica in un primo momento, ma diventò uno scopo di vita successivamente.
Parlai chiaro, per una volta presi tutto il coraggio che mai avrei immaginato di avere, e con fare esperto dissi ad Alex che se voleva continuare la relazione con me, avrebbe dovuto darsi una controllata e rivedere le sue priorità.
Da quel momento in poi, non passammo notti tranquille e giorni limpidi, poiché offuscati da una sola idea: debellare la droga.
Ricordo ancora tutte quelle sere a casa sua: invece di uscire restavamo lì, a parlarci e a cercar di non pensare al peggio, alla dipendenza.
DI notte arrivava il momento più brutto: dovevo essere vigile perché i suoi non erano più sogni ma incubi scatenati che lo facevano gridare, sudare, agitarsi nel letto come in preda ad un attacco epilettico. Ed io lì, rannicchiata dall'altra parte del letto attendendo che tutto finisse e sussurando quante più cose belle potessi, affinché tutti quegli incubi e quelle voci nel suo cervello andassero via. Delle volte mi alzavo per bagnare delle pezze da mettere attorno ai polsi o sulla fronte, come facevano le nonne con i piccoli affetti da febbre, io invece curavo un ragazzo affetto dalla dipendenza.
La gente non si rende conto di quanto faccia male una cosa, fin quando non smette di farla. E' lì che si vede il vero potere che essa ha su di noi e la sua manipolazione su tutta la nostra vita. Ricordo che guardavo Alex soffrire ed il più delle volte era tra le braccia di Morfeo stesso, senza poter essere capace di combattere, e mi ripetevo che mai e poi mai avrei ricominciato. Non potevo, non volevo più.
Salvare la vita a qualcuno, ti aiuta a capire l'importanza della tua stessa vita. 
Capii che l'affetto per Alex cresceva sempre più e che probabilmente ero l'unica ad aiutarlo in questa guerra dove tutto era più forte di lui. 
Alcuni dissero che fui la sua rovina, io invece vedevo solo quanto di giusto stessi facendo. 
Mi importava solo del suo benessere e ci avrei scommesso l' esistenza sulla realizzazione del mio idillio.
Non fu facile, ci vollero giorni, settimane e mesi. A distanza di anni è ancora dura ma entrambi sappiamo che il peggio è passato.
Qualcuno continua a pensare che Alex sia cambiato da quanto mi ha incontrata, altri pensano che sia io quella cambiata,
forse è questo che fa l'amore, cambia entrambe le parti per formare un intero più forte di prima.
Mi piace vedere le cose da questa prospettiva, mi piace pensare che la vita non sia altro che questo: una ricerca di bellezza.
E no, non parlo della bellezza fisica, dei lunghi capelli biondi di Raperonzolo o degli occhi celesti del Principe Azzurro,
parlo della bellezza di una vita umana, la bellezza di coricarsi la sera accanto a qualcuno che ami,
che ami davvero e non fingi.
La bellezza di quando qualcuno è pronto a rinunciare alla sua più grande dipendenza per te,
che gli stai insegnando l'amor proprio.



 

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Capitolo 9
*** Breakdown; ***


Ho sempre pensato molto al "costruire" negli ultimi tempi,
non rendendomi conto che la mia vita stesse andando lentamente in nessun dove.
Idealizzi il tuo futuro facilmente quando ottieni un lavoro remunerato e quattro mura solo tue in cui riposare,
ma la verità è che perdi la cognizione della realtà e pensi a quanto tornare indietro non sarebbe poi così male.
Un pensiero che fai ad occhi chiusi, quando sei al buio nella stanza o quando chiudi a chiave la porta del bagno e ti immergi sotto il getto d'acqua calda
dopo una giornata di lavoro pessima ed una relazione che non va ormai da tempo. 

Ho voluto un gran bene ad Alex per tutti questi anni e la nostra convivenza, tra alti e bassi,
è sempre stata un porto sicuro per me che ero abituata a dormire con la valigia sotto il letto.
Non è mai stata una storia facile o una di quelle da sogno per quanto mi riguarda. 
Ho voluto tutto e subito, ossessionata dal pensiero che non fosse possibile che qualcuno mi amasse così intensamente.
Ho organizzato un matrimonio sui cui non c'erano basi, ho idealizzato una vita che non era mia e ho vissuto una realtà lontana anni luce dalla mia natura selvaggia.
Ho "distrutto" il suo mondo insinuandomi nelle crepe della sua anima, pensando che bastasse un po' di affetto per risanare le sue ferite.
Ho cercato in lui qualcosa di speciale, qualcosa che facesse a caso mio, ma la verità e che ho pianto dentro per tutto il tempo.
Combattere con sé stessi è da sempre un problema, ma combattere con le dipendenze affettive e l'abuso da sostanze stupefacenti è un'altra storia.
Io avevo bisogno di uno psicologo e lui della riabilitazione.
Nella primavera del 2019 la situazione è precipitata in modo irreparabile,
abbiamo provato di tutto ma la mia instabilità mentale e la sua dipendenza hanno mandato qualsiasi soluzione in frantumi.
Alex si drogava ancora, più di prima, io ero diventata una casalinga depressa.
Si discuteva ogni giorno, con gli occhi rossi dal fumo e dal pianto.
Si faceva la pace e poi l'amore, ma il sesso non ha mai appagato il cuore.
Tutto era al limite: il nostro rapporto, i nostri averi, il nostro futuro e soprattutto le nostre vite.
Organizzammo un viaggio, quello della speranza come piace chiamarlo a me,
ingenuamente credemmo che ci bastasse una vacanza per rimettere a posto le cose.
In realtà bastò una vacanza ad entrambi per capire che il nostro destino era segnato.
Alcuni parlano di Amsterdam come della città del peccato per eccellenza,
ma quella è roba da novellini.
Il vero inferno ha il cielo grigio e cupo e all'aeroporto ti aspetta la scritta: "Welcome in Berlin".

Anni fa, quando ero solo una ragazzina, mi chiusi in camera per guardare il film "Noi, ragazzi dello Zoo di Berlino" di Christiane F. ,
quasi un decennio dopo ne ero la protagonista.
 

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Capitolo 10
*** About A. ***


La cosa che mi manca di più di Alex?
La sua essenza. 
E no, non vi parlo del suo essere debole di fronte alla droga. 
Il termine essenza, secondo la concezione aristotelica, significa «ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un'altra cosa»

Ed è questo, semplicemente questo ciò che voglio dire.
Alex sapeva amare, desiderare.
Sapeva ridere e giocare e soprattutto sapeva rendere felice il prossimo.
Ecco come mi aveva conquistata, con un abbraccio al giorno, un sorriso all'ora, amore in ogni minuto della giornata.
Dormire soli in un letto matrimoniale fa male, ma dormire soli, dopo aver dormito con qualcuno, uccide, a prescindere dalle dimensioni del letto.

I miei migliori ricordi con Alex sono gesti.

La sua sveglia puntuale delle 3:40 del mattino, i baci al risveglio, l'odore della Moka per due.
I miei occhi stanchi e assonati ed il suo trascinarsi fuori dal letto e poi il buio,
fin quando non era effettivamente ora di andar via.
E solo lì, in quel momento il suo bacio caldo sulla fronte:
"Sei bellissima. Ti amo. A dopo."

Le cioccolate, Dio, le cioccolate.
Avrei potuto metter su dieci chili ma a lui non sarebbe importato affatto. Voleva farmi felice e sapeva che  bastava un ovetto Kinder.
A volte non ero in casa, c'erano giorni in cui i nostri turni lavorativi erano opposti ed incontrarsi era impossibile,
ma lui non si faceva scoraggiare e al mio ritorno trovavo sempre della cioccolata perché sapeva benissimo che avrei sorriso.

Alex cucinava quando non ero in casa. Alex faceva le faccende domestiche quando ero indisposta.
Alex era una ragazzo a cui puoi chiedere di andar a fare la spesa e puoi fargli comprare anche gli assorbenti senza che sbagli.
A qualcuno può sembrare strano, a me no, io ho sempre creduto nella parità di sessi.
E soprattutto, ho sempre creduto che per amore, le persone possono cambiare e migliorare.
L'ho creduto o forse dovrei dire sperato, fino all'ultimo nei nostri giorni.

Non ho mai avuto dubbi sul tipo di amore che Alex nutrisse per me. 
Non sono mai stata gelosa delle altre ragazze, non ho mai temuto il tradimento.
I nostri problemi sono sempre stati altri.
Le nostre rogne son sempre state catastrofi che alla fine hanno distrutto la relazione.

Se mi manca ancora?
Certo che mi manca.
Sono passati mesi ma non c'è un singolo giorno in cui per almeno un minuto io non pensi a lui. 
Le nostre strade si sono divise e anche se entrambi proviamo a guardare in altre direzioni,
il mondo è rotondo e alla fine ci si ritrova sempre faccia a faccia.
Ma faccia a faccia con che? Col passato o col presente?
Con la paura del futuro o con il rimorso di ciò che poteva essere ed invece non è?
La verità è  che non si può dimenticare una storia così. 
La gente dimentica spesso il motivo per cui ride, ma non dimenticherà mai il motivo per cui ha pianto.
Ed io ogni notte abbraccio il cuscino e chiudo gli occhi, sperando in un domani migliore.
Ma quello strano domani che avevo immaginato senza lui, non è poi così facile.
Alle volte mi fa ancora piangere e quando invece non piango, mi inondo dentro di cose non dette, di cose incomprese.
Ma come lo salvi un amore che non vuole essere salvato?
 


 


 

 

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Capitolo 11
*** Drugs; ***


Ho sempre creduto che prima o poi sarei andata avanti.
Ho sperato per mesi che le cose cambiassero e che all'improvviso arrivasse qualcuno a salvarmi.
In cuor mio ho anche sperato, per un tempo indefinito, che fosse proprio Alex a ritornare e a tendermi la mano, 
ma così non è stato, ovviamente.
Non ho più notizie di lui. Non so cosa fa, dove va. Non so come sta, non so se sorride ed  è felice.
Tutte cose di cui mi importa ancora ma delle quali non posso parlare a nessuno.
Per un periodo ho provato ad immaginare me stessa accanto a qualcun altro e ho cercato disperatamente l'opposto di ciò che ho lasciato.
Credevo che mi bastasse relazionarmi con qualcuno di "estraneo" al mio mondo per ritornare a vivere e sorridere serenamente, senza nessuna sostanza in corpo.
Mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso.
Per tanti anni ho letto che "chi è danneggiato, va con chi è danneggiato", ed in cuor mio ci ho sempre creduto ma psicologicamente ho sempre sperato che non fosse così: due persone danneggiate non possono salvarsi per cui che senso avrebbe starci insieme?
Insomma, nella mia vita dopo il mio lockdown amoroso con Alex, ho cercato di guardare altrove, di abbandonare quel circolo vizioso e di dedicarmi a persone che non sapevano nemmeno l'esistenza di quella parte oscura di mondo.
Ad un certo punto però mi sono resa conto che per quanto io possa provarci, mi ritrovo sempre con un punto e capo.
Ho vissuto troppo per cancellare e far finta che non sia mai successo.
Ho vissuto troppo per far finta di non aver mai provato nulla.
Ho vissuto troppo per sentirmi a mio agio in situazioni "pulite".
In men  che non si dica sono ricaduta, in modo più potente che mai nel mio piccolo tunnel personale
e sono diventata tutto quello per cui ho troncato la relazione con Alex.
Vorrei chiedere aiuto, ma non so a chi. Non so come fare, non so come uscirne.
Ogni volta esco con la speranza di vivere qualcosa che cambierà per sempre la mia vita,
ma nella maggior parte delle volte mi trovo sola in qualche angolo di mondo completamente persa.
Ho ricominciato con la cocaina quando in cuor mio ho sentito di aver perso per sempre Alex, stupidamente volevo riprovarne l'effetto dopo diversi anni perché avevo bisogno di capire cosa ci fosse in quella sostanza di tanto autodistruttivo da annientare un amore come il nostro, poi ho ricordato: l'euforia.
Quella cosa che dopo un paio d'anni svanisce in qualsiasi rapporto ma che quella puttana bianca regala ad ogni tirata.
Non mi è ancora chiaro se non passata dalla padella alla brace ma se non altro adesso riesco a darmi una spiegazione.
Ultimamente il mio approccio con il mondo esterno è cambiato radicalmente, sento il potere delle droghe cambiarmi l'umore, la visione naturale delle cose, i sentimenti e gli obiettivi. Sento che tutto è in continua trasformazione, si evolve, cambia.
Non provo più interesse per nulla e solo delle volte, l'unica cosa a cui riesco a pensare da strafatta  è Alex.
Ciò che ho amato mi ha distrutta.
Ciò che ho amato mi ha segnata come un tattoo sulla pelle e tutto ciò dal quale ho desiderato scappare mi ha inseguita fino ad afferrarmi,
farmi perdere i sensi e mangiarmi viva. 
Non ricordo più i tempi felici. Non ricordo più la libertà e avere un sogno mi sembra un'utopia.

Da piccola ho letto centinaia di articoli su grandi artisti che svilluppavano maggiori competenze sotto uso di stupefacenti, forse un po' come me che ogni sabato sera voglio cambiare il mondo e ogni domenica pomeriggio vomito atterrita da qualche parte. 
Io non so  dove vanno le persone quando smettono di amare, ma so dove restano quando qualcuno le ha amate intensamente: nell'essenza dell'altra persona.
E non c'è sostanza al mondo capace di impedire questo naturale corso delle cose. 

Un giorno forse continuerò questa storia e sarò in grado di trovargli un buon finale, o almeno spero,
per il momento mi congedo cercando di imparare, per poi trascrivere, tutto quello che la vita ha ancora da insegnarmi.

 

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