Animali fantastici e dove trovarli (Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, Divisione Bestie)

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Qualcosa nell'aria ***
Capitolo 2: *** L'odore della paura ***
Capitolo 3: *** Dal fondo del bosco ***
Capitolo 4: *** In profondità ***
Capitolo 5: *** Cosa bolle in pentola? ***
Capitolo 6: *** Sporco affare ***
Capitolo 7: *** Le fiamme dell'attrazione ***



Capitolo 1
*** Qualcosa nell'aria ***


Capitolo I
 
Qualcosa nell’aria
 

Robert Jackson, un uomo alto e dalla corporatura massiccia, sulla cinquantina, sedeva alla scrivania nel suo ufficio e sbrigava le prime pratiche della giornata com’era sua consuetudine. Quel giorno, però, era diverso dagli altri: era il 2 settembre e avrebbe dovuto visionare i candidati, che si erano presentati per entrare a far parte della sua squadra. Sbuffò per l’ennesima volta, sentendo il chiasso provenire dall’esterno. Naturalmente aveva già dato un’occhiata alle loro schede, notando che per lo più si trattava di ragazzi tra i diciotto e i ventiquattro anni, da qui spiegato il caos; ma ciò che lo infastidiva era che alcuni di quei ragazzi avevano osato presentarsi dopo aver dichiarato candidatamene di non aver neanche superato i M.A.G.O. Che considerazione avevano del lavoro per cui si candidavano? Robert aveva tutta l’intenzione di mostrarli che, se pensavano, e l’avevano pensato, che fosse un gioco da ragazzi occuparsi di creature magiche, si sbagliavano di grosso. Non li avrebbe fatti attendere molto, sia perché era quel tipo di persona che credeva fermamente nel rispetto degli altri, sia perché i suoi colleghi avrebbero perso la pazienza ad averceli tra i piedi.
Sospirò lasciando cadere gli occhi sulle foto che arricchivano la sua scrivania: i suoi figli gli sorridevano da quella centrale e si ritrovò a sorridere anche lui; ignorò quella, nell’angolo, che una volta lo ritraeva con la moglie e in cui ora era da solo, gli faceva troppo male. Non si era mai interessato al funzionamento delle foto e dei ritratti magici, ma il fatto che la moglie fosse sparita dalla cornice dipendeva forse dal suo stesso desiderio di non vederla, perché, nonostante il dolore, era ancora troppo arrabbiato per il modo in cui aveva lasciato da soli lui e i figli.
La porta dell’ufficio si aprì all’improvviso ed entrò una donna che gli sorrise. «Buongiorno, capo! Becker mi ha detto che sei qui da un pezzo. Non è che mi cadi in un attacco di nostalgia perché la tua principessina è finalmente partita per Hogwarts?».
Robert sorrise leggermente in risposta. Annabelle James era l’unica persona che poteva entrare in quel modo nel suo ufficio. «Non provo nostalgia, io, per chi mi hai preso?» mentì spudoratamente facendo ridacchiare la donna. «E, comunque, finalmente che cosa? Sarah è così piccola, fragile e… beh, lo conosci il suo problema».
Il sorriso scomparve dal volto di Annabelle, che annuì compitamente. «Se la caverà, non è la prima. La McGranitt e gli altri professori le staranno accanto e faranno in modo che tutto vada bene. E poi c’è quel ragazzo che le hai presentato nelle vacanze di Natale» disse. Vedendo di non averlo convinto, aggiunse dolcemente: «Hai fatto la scelta giusta, Robert. Sta crescendo, non puoi tenerla sempre vicino a te».
«Sì, ma mi manca» borbottò l’uomo. «So che se la caverà».
«Anche a me mancano le mie ragazze, ti ricordo che Charlie è partita quest’anno per la prima volta proprio come Sarah. In più tu hai Samuel ed Edith a casa, io e Roger siamo rimasti soli soletti adesso».
«È stata smistata a Grifondoro» le comunicò Robert anche per cambiare argomento.
«Charlie è una Corvonero come tutta la famiglia. Roger sta cercando di convincerla a entrare nella squadra di Quidditch».
Robert ridacchiò.
In quel frangente planò, attraverso la porta lasciata socchiusa da Annabelle, un aeroplanino violaceo.
«Si comincia» commentò Annabelle sedendosi sulla scrivania. «Di che si tratta?».
«Non si sa» replicò Robert meditabondo, dopo aver scorso velocemente il messaggio. «A tuo marito, però, piacerebbe».
«Oh, Merlino, c’entra il Quidditch?».
«Già, a quanto pare, stamattina presto, il portiere dei Cannoni di Chudley è stato trovato ferito dal custode nel campo».
«Che bello» sbuffò. «Dici che possiamo invitare Roger? Potrebbe offendersi per essere stato escluso, per quanto lui non sopporti i Cannoni».
«Meglio di no, non sappiamo da che cosa è stato attaccato il portiere».
«Perché dev’essere stato un animale? Non potrebbe essere stato un tifoso arrabbiato perché nell’ultimo campionato non ha parato una pluffa?».
«Non è un portiere così cattivo. Non ti fare influenzare troppo da Roger» commentò Robert, alzando gli occhi al cielo. «Avanti, mettiamoci a lavoro».
Annabelle annuì e lo seguì nell’anticamera dell’ufficio, dove una decina di ragazzi attendeva con ansia di essere messa alla prova.
«Buongiorno a tutti» esclamò Robert. «Prego, accomodatevi pure nel nostro Quartier Generale». I ragazzi lo seguirono nello stanzone dove tutti i membri della squadra erano riuniti. «Bene, benvenuti all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, divisione bestie» aggiunse solennemente.
«Vi ringraziamo di esservi presentati» prese la parola Annabelle. «Abbiamo già visionato i vostri curricoli e oggi vi metteremo alla prova sul campo» spiegò, essendosi accordata con il capo in precedenza. «Vi abbiamo suddiviso in tre gruppi, ognuno dei quali sarà seguito da due membri della squadra. Allora, iniziamo subito, il primo gruppo, formato da Diana Webster, Nicolas Jackson e Sebastien Thomas, sarà guidato da Ishwar Aggarwal e da Fagan Bowie».
Ishwar era, almeno fino a quel momento, il più giovane della squadra ma risaltava agli occhi anche per le sue origini palesemente asiatiche e il suo inglese da un accento marcato; Fagan, al contrario, era il più anziano, amava mostrarsi burbero e brontolone, ma tutti sapevano ormai che era un ottimo amico e che era un vero esperto di creature magiche. Tra lui e Ishwar, un tipo preciso e meticoloso, i tre ragazzi avrebbero avuto del filo da torcere. Nicolas era il nipote di Robert e, visto che non aveva ascoltato il consiglio di non candidarsi, perché effettivamente non idoneo a quel lavoro, lo zio era ben intenzionato a metterlo a dura prova.
«Il secondo gruppo, composto da Norman Byrne, Nigel Scott, Jacob Morris ed Ella Simmons, sarà guidato, invece, da Fabricio Silva» riprese Annabelle dopo che i colleghi si furono presentati ai ragazzi.
Fabricio incarnava perfettamente il cliché del fascino latino-americano e le ragazze se lo stavano mangiando con gli occhi da quando l’avevano individuato; egli sorrise, conscio della reazione che provocava nelle ragazzine e più che divertito dalla situazione. Per avere già superato i quaranta da un pezzo, era uno che ancora amava divertirsi ed era un irrecuperabile scapolo. Oltre che il loro esperto di Vipertooth Peruviano s’intende.
«Nell’ultimo gruppo abbiamo Manuel Miller, Charlotte Carson e Benjamin Mulciber, guidati da Nerissa McLaughlin e Joachim Becker».
Nerissa era un’ottima amica per lei e per fortuna visto che erano le sole donne della squadra. Si passavano dieci anni, ma non era mai interessato a nessuna delle due. Nerissa era una donna sveglia e sempre pronta a mettersi in gioco. Joachim era in certo senso la nota stonata del gruppo. Se la squadra non avesse conosciuto e stimato il proprio capo, avrebbe trovato quanto mai ipocrita la prova a cui stava per sottomettere i candidati dopo aver assunto Joachim Becker, ma, in fondo, quella era tutta un’altra storia. Fortunatamente Nerissa avrebbe saputo prendersi cura del collega e dei ragazzi.
«Molto bene, ci rivedremo qui più tardi. Vi ricordo che i posti disponibili sono solo tre, perciò, mi raccomando, fate del vostro meglio» concluse Annabelle.
Nerissa si schiarì la voce. «A me non avete ancora comunicato qual è la missione. Avete trovato qualcosa anche per noi?» chiese, mentre i colleghi guidavano fuori i rispettivi gruppi.
«Roba fresca» replicò Robert, tirandole l’aeroplanino, giunto poco prima. «Divertiti».
«Cannoni di Chudley? Ma io li odio! Tifo per le Holyhead Harpies!» si lamentò Nerissa dopo aver letto.
«Arrangiati» replicò Robert, augurando poi buona fortuna ai ragazzi.
«Sei un tiranno! Uffa, sarei potuta andarci io a occuparmi dell’ippogrifo che vaga per Notturn Alley, sarebbe stato più divertente».
«Direi che è meglio andare» borbottò Joachim Becker, per nulla intenzionato ad ascoltare le lamentele della collega.
Nerissa non replicò e si diresse verso uno stanzino il cui unico arredo era un grosso camino che utilizzavano per viaggiare con la Metropolvere. «Avanti, ragazzi, s’inizia. Dimostrateci quanto valete».
 
 
«Ugh, mi sono riempita di cenere» si lamentò Charlotte Carson.
Nerissa alzò gli occhi al cielo, già annoiata da quella ragazzina vestita come se stesse andando a fare shopping con le sue amiche a Diagon Alley e non a indagare sulla possibile aggressione da parte di una creatura magica.
«Aspetta, lascia che ti aiuti» strillò uno dei due ragazzi di cui a Nerissa sfuggiva il nome.
«Deficiente!» sibilò la Carson a denti stretti. Il ragazzo, probabilmente pienamente consapevole, aveva tentato di pulirle il vestito con le mani sporche di cenere.
«Se avete finito di fare i cretini...» sbuffò Nerissa, mentre il ragazzo ridacchiava apertamente. Joachim li fissava male, ma non aprì bocca: era uno che parlava poco.
«Ho comprato questo vestito alla boutique Dupois» si lagnò Carson seguendoli fuori dalla saletta.
«Mi chiedo se tu sappia che cosa stiamo andando a fare» disse il ragazzo che le aveva sporcato ulteriormente la veste.
Nerissa si trovò d’accordo e si chiese se la smorfia altezzosa con cui la Carson rispose fosse un assenso o meno. «Tu come ti chiami?» chiese a bruciapelo all’altro giovane del gruppo.
«Benjamin Mulciber, signora» rispose quello dopo un attimo di esitazione.
Mulciber. Era un cognome famigerato in Gran Bretagna, ma il ragazzo sembrava più tranquillo e posato degli altri due. Comunque Nerissa non ebbe tempo di porre ulteriori domande, poiché furono raggiunti dal presidente dei Cannoni di Chudley, alquanto disperato (ma come faceva a finanziare una squadra del genere?!) e un altro uomo, robusto e avanti con l’età.
«Siamo del Ministero. Che cos’è successo al vostro portiere?» domandò Nerissa rapidamente. Non avrebbe fraternizzato con la squadra avversaria! Era lì solo per dovere.
«L’abbiamo portato al San Mungo e stiamo aspettando notizie, anzi andrei io stesso se permettete. Il custode, che l’ha trovato, vi racconterà tutto».
«Allora?» chiese Nerissa al custode.
«Seguitemi, vi mostro il campo» iniziò l’uomo e li guidò verso una delle uscite. «Ecco io ero qui, stavo dando una pulita prima dell’allenamento. All’improvviso ho sentito dei versi striduli e sono corso in campo. E così ho trovato Jefferson a terra».
«Se l’allenamento non era ancora iniziato perché era qui?» domandò Nerissa.
«Viene tutti i giorni. È un giovane volenteroso, crede davvero di poter risollevare le sorti della squadra».
Manuel Miller sghignazzò, beccandosi un’occhiataccia dal custode.
«Ha altro da dirci?» riprese Nerissa.
«No».
«Bene, allora andiamo a dare un’occhiata al campo» decise Nerissa superandolo. «Fatevi un giro e vedete se trovate qualcosa di utile» ordinò ai tre ragazzi.
Nerissa esaminò il campo con attenzione, tentando di tenere d’occhio i tre giovani: Manuel e Benjamin apparivano abbastanza attenti e rovistavano in ogni angolo, anche più meticolosamente di lei; Charlotte Carson, invece, si muoveva in modo incerto e aveva un’espressione seccata in volto. Dopo un po’ li richiamò e chiese loro se avessero trovato qualcosa. I tre negarono.
«Nemmeno io» ammise la donna. «Non ci resta che andare al San Mungo e parlare con il portiere, magari è riuscito a vedere la creatura che lo ha aggredito».
Per andare all’ospedale dei maghi usarono nuovamente la Metropolvere.
Nerissa si avviò a passo deciso all’accettazione e chiese informazioni.
«Primo piano. Lesioni da creatura» rispose seccamente l’addetta.
«Sai potresti fare questo lavoro, Carson, saresti bravissima» commentò Manuel Miller.
«Sei un’idiota Miller» replicò la ragazza.
«Non siate infantili» borbottò Joachim Becker, così silenzioso che i ragazzi non si erano neanche accorti che li avesse seguiti.
Nerissa li ignorò e cercò un medimago a cui chiedere delle condizioni di salute di Jefferson.
«Buongiorno, sono il Guaritore Paisley. Ho soccorso io Jefferson. Cosa volete sapere?».
«Come sta?» chiese Nerissa, poco avvezza ai convenevoli, tanto che alcuni la ritenevano antipatica.
«Ha un lieve trauma cranico causato dalla caduta, nient’altro. La divisa era strappata, apparentemente da artigli affilati, ma non c’è alcuna ferita».
«Va bene, grazie, possiamo parlargli?».
«No, deve riposare. È la prassi».
«C’è un animale là fuori a piede libero, lo lasciamo terrorizzare altri maghi innocenti o rispettiamo la prassi?» ringhiò Nerissa.
«Così le verranno altre rughe» sussurrò Charlotte Carson.
Manuel Miller sghignazzò, Benji Mulciber la fissò imbarazzato.
«Seguitemi» borbottò il medimago Paisley indignato.
Nerissa si voltò lentamente verso la Carson e la fulminò.
«Che c’è? È un paese libero!» ribatté la ragazza.
Manuel e Benji non replicarono e seguirono Nerissa lungo il candido e asettico corridoio.
«Quella si sta eliminando da sola» sussurrò Manuel a Benji, quest’ultimo si strinse nelle spalle e non commentò.
«’Giorno» esordì Nerissa, «siamo della Divisione Bestie, Ministero della Magia».
 Jefferson li osservò per un attimo, poi sospirò: «Salve».
«Che cosa ci può raccontare sul suo incidente?».
Il giovane si tastò la benda, che gli copriva la testa. «Non ho visto che cosa mi ha aggredito, ma veniva dall’alto, ne sono certo. È stato solo un momento, ma il colpo è stato abbastanza forte da farmi perdere l’equilibrio. Secondo me era una specie di uccello enorme e ha cercato di graffiarmi con i suoi artigli».
Nerissa si accigliò. «Un uccello enorme dice? Ha altro di utile da riferirci?».
«Mmm». Jefferson ci pensò su per qualche minuto.
«Non potete rimanere qui a lungo. Se dovesse venire il primario Goldstain, finirei nei guai» sbuffò il guaritore Paisley. «Per favore».
«Sì, sì, ce ne andiamo» borbottò Nerissa.
«Aspetti» la fermò il portiere dei Cannoni di Chudley. «L’animale veniva dal campanile… credo. Ho visto un’ombra e poi…».
«Dal campanile, eh? Va bene, grazie. Ora ce ne occuperemo noi». Nerissa fece un cenno ai suoi ragazzi e si diresse verso la porta. «Torniamo allo stadio».
I tre la seguirono senza fiatare, almeno finché non furono nuovamente sul prato del campo da Quidditch.
«Non dovremmo andare a vedere questo campanile?» domandò Manuel Miller.
«E dov’è il campanile?» ribatté Nerissa.
«Ehm» borbottò Manuel che evidentemente non ci aveva pensato.
«Dobbiamo fare il punto. Chi lo vuol fare?» chiese Nerissa.
Charlotte alzò la mano e disse annoiata: «Beh, non abbiamo molto, un cercatore è stato aggredito da un animale e noi dobbiamo trovarlo».
Nerissa la incenerì con lo sguardo.
«Sappiamo che la creatura che cerchiamo vola, ha gli artigli ed emette un verso stridulo» intervenne Benji.
«E il campanile è lì. L’ho visto io per prima!» trillò felice Charlotte Carson.
«Bene, allora ci smaterializzeremo fuori dalla chiesa e…» iniziò Nerissa.
«Perché non direttamente sul campanile?» la interruppe Charlotte.
«Perché potremmo spaventare l’animale o farci aggredire. Hai idea di che cosa sia?».
«Lo chiede a me? Se non lo sa lei» ribatté la ragazza.
«Oh, io un’idea ce l’ho, vorrei conoscere la vostra» sibilò Nerissa: quella ragazza le stava sempre più antipatica. «Allora? Prima tu, Carson».
«Un cavallo alato» dichiarò Charlotte. «Vola».
«Sì, i cavalli alati volano. Grazie del tuo contributo. Miller, visto che ridi, tu che cosa ne pensi?».
«Magari un grifone, ammaestrato da qualcuno che vuole danneggiare i Cannoni».
«Proposta interessante» concesse Nerissa. «Ma la lista dei sospettati potrebbe essere infinita».
«Potrebbe essere un ippogrifo, signora?» domandò Benji titubante. «Insomma, ho visto la divisa strappata accanto al letto di Jefferson e… scusi, io…».
Nerissa lo fissò sorpresa dal fatto che avesse preso la parola, era stato silenzioso per tutta la mattina. «Mi piace il tuo spirito di osservazione. Ho notato anch’io la divisa». Poi rivolta a tutti disse: «Prendetevi per mano e smaterializziamoci insieme». I tre ragazzi obbedirono. Pochi secondi dopo si smaterializzarono nella piazza della Chiesa. «Oh, cavolo» borbottò vedendo due vecchiette sui gradini di marmo fissarli inorridite.  «Mi dimentico sempre di prestare attenzione ai luoghi in cui mi smaterializzò!». Si avvicinò alle due che tremavano e pronunciò: «Oblivion».
«Dovrebbe stare più attenta, se il suo capo lo sapesse…» buttò lì Charlotte Carson.
Nerissa si strinse nelle spalle. «Non sarebbe contento, ma nemmeno sorpreso. Ora muoviamoci».
La chiesa era piccola, infatti il prete li venne subito incontro. «Cosa posso fare per voi?». Era basso e magro.
«Vorremmo vedere il campanile».
«Oh, siete della disinfestazione? Finalmente!  Sono giorni che vi aspetto! Prego, prego. Vi faccio strada».
«Per chi ci ha preso…» iniziò Charlotte, ma Manuel le diede una gomitata.
«Sta zitta».
«Ecco si sale da queste scale. Non vi dispiace se non vi accompagno, vero? Non ho molto feeling con gli animali».
Il prete li aveva condotti a una rampa di scale in legno e li guardava speranzoso. «Non si preoccupi, ce ne occuperemo noi» lo rassicurò Nerissa. «Muovetevi voi». Charlotte si catapultò su per prima e Nerissa la trattenne per un braccio. «Non ti devi annunciare! Gli animali poi hanno un udito molto più sottile di un essere umano». Una volta in cima ella entrò per prima. Era un ambiente in pietra e molto caotico, a dire la verità più che un campanile sembrava un vecchio ripostiglio. «Su ragazzi, date un’occhiata in giro». Nerissa si ritirò sulla soglia e li osservò al lavoro: Manuel era un ragazzo vivace e si guardava intorno, come a comprendere la situazione generale; Benji, invece, cercava i dettagli; Charlotte sembrava schifata e prendeva gli oggetti con le punta delle dita.
«C’è paglia e vecchie stoffe, come se fosse un nido» annunciò Manuel dopo averci riflettuto.
«E nella paglia, qui vicino all’apertura, ci sono dei frammenti… non sembra ceramica… è appiccicoso…» soggiunse Benji.
Nerissa si avvicinò ed esaminò con attenzione quanto il ragazzo le stava indicando. «Direi che questo chiude la questione» sentenziò. «È un uovo di ippogrifo».
«Quindi quello che ha attaccato il cercatore…» prese la parola Charlotte.
«Un portiere! Ma che problemi hai con il Quidditch?» sbottò Manuel.
«Cercatore portiere è la stessa cosa» ribatté Charlotte. «Volevo dire che è stato il cucciolo ad attaccare il giocatore, per questo non l’ha ferito ma solo strappato la divisa».
«La prima cosa sensata che hai detto da stamattina» commentò Nerissa stupita.
«E adesso che si fa?» chiese impaziente Manuel.
«Dobbiamo aspettare che gli ippogrifi ritornino, farceli amici e portarli via di qui» replicò Nerissa.
«Ma è pericoloso» si lagnò Charlotte.
«Lieta che tu abbia compreso».
 
E l’attesa fu lunga. Fortunatamente il prete ebbe pietà di loro e a un certo orario li portò dei panini. Gli ippogrifi rientrarono soltanto al tramonto.
«Posso andare io?» sussurrò Manuel.
«Divertiti» assentì Nerissa. «Vai, piano. Avrà paura per il cucciolo».
Manuel s’inchinò di fronte all’ippogrifo inquieto, ma dovette immediatamente arretrare perché quello s’imbizzarrì.
«È ferito» notò Benji.
«Sotto l’ala» concordò Manuel.
«Speriamo che non sia stato un mago» sbuffò Nerissa. «Riprova».
Manuel s’inchinò di nuovo e questa volta l’ippogrifo ricambiò.
«Avvicinati lentamente» mormorò Nerissa, ma il ragazzo si era già avvicinato alla creatura e dopo un momento d’incertezza l’accarezzò.
Nerissa e Benji si inchinarono a loro volta e ottennero la fiducia delle due creature.
 
Era tardi quando finalmente rientrarono in ufficio.
«Li pagano gli straordinari, vero?» sbottò Charlotte Carson.
«Temo di no, signorina Carson».
«Oh, Robert, ci hai aspettato» lo salutò Nerissa con un cenno.
«Com’è andata?».
«Due ippogrifi, la mamma e il cucciolo. Li abbiamo momentaneamente affidati alle cure degli Scamander» lo aggiornò Nerissa.
«Molto bene. Ora, ragazzi, prima di andare a casa, vorrei che redigeste il verbale» disse Robert ai tre giovani. «Dovreste mandarmelo via gufo, mi raccomando non metteteci troppo».
«Cosa? Adesso?» si lamentò Charlotte.
«Esattamente. Fa parte della vostra prova, di cui domani mattina avrete i risultati. Vi aspetto qui alle nove in punto» replicò Robert. «Ah, Nerissa aspetto anche il tuo rapporto sui ragazzi. Con te ci vediamo verso le otto e mezza».
«Agli ordini» sbuffò la donna.
La stesura del verbale richiese diverso tempo ai ragazzi che non volevano collaborare, specialmente Manuel e Charlotte. Nerissa dovette minacciarli più volte. Alla fine Benji prese in mano la situazione e scrisse personalmente il verbale, mentre i due compagni si insultavano a vicenda e Nerissa dormicchiava su una sedia.
«Finito» annunciò stancamente Benji.
«Che Merlino ti benedica» sospirò Nerissa. «Buonanotte».
 
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«Buongiorno a tutti ragazzi» esordì Robert Jackson, sorridendo loro. «Vi abbiamo fatto attendere, ma volevo prendere una decisione ponderata. Ho ascoltato il parere dei miei colleghi che vi hanno osservato nello svolgimento dei compiti affidatovi».
«Alla fine abbiamo scelto» intervenne Annabelle James, «Manuel Miller, Benjamin Mulciber ed Ella Simmons. Diana Webster sarà, invece, l’assistente della capo ufficio Penelope Light».
«Dovrete essere guidati per i primi mesi» riprese la parola Robert. «Manuel il tuo tutor è Fagan, Benji con Nerissa ed Ella con Fabricio».
«Benvenuti in squadra» concluse Annabelle con un sorriso. «E grazie a tutti gli altri per aver partecipato».

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Capitolo 2
*** L'odore della paura ***


Capitolo secondo
 
L’odore della paura
 

Robert si passò una mano tra i capelli e si stiracchiò prima di recuperare la giacca da camera. Era la sua mattina libera e per una volta avrebbe potuto fare con calma. Si era, però, ugualmente alzato presto per fare colazione con i figli.
«Buongiorno, ragazzi» esclamò entrando in cucina con un sorriso.
«Buongiorno!» trillò Edith scoccandogli un bacio sulla guancia. «Stamattina, avevo voglia di pancake al cioccolato e te ne ho fatto qualcuno alla marmellata».
«Grazie» replicò Robert, sedendosi di fronte al figlio maggiore con gli occhi incollati su La Gazzetta del Profeta del mattino. «Samuel, sei con noi?».
«Oh, sì. Ciao, papà. Dormito bene?».
«Sì, grazie. Qualcosa d’interessante?» chiese indicando il quotidiano.
«Mich farà un concerto a Londra con la sua band e prima terrà delle audizioni per un nuovo chitarrista».
«Che hanno fatto al vecchio?» domandò sorpresa Edith.
«Hanno litigato» replicò Samuel con un’alzata di spalle.
«Intendevo, s’è accaduto qualcosa di importante. Non m’interessa della cantante famosa di turno» bofonchiò Robert.
«Ma io mi ricordo di Mich, era una Grifondoro molto popolare quando ho iniziato io ad andare a Scuola» intervenne Edith, mescolando il suo the distrattamente. «Non avrei mai detto che sarebbe diventata tanto famosa!».
«Già cantava nel coro all’epoca. Vitious adorava la sua voce» ribatté Samuel stranamente infastidito.
Edith si accigliò e lo fissò in modo strano, ma scelse di cambiare argomento. «Allora, papà, io ho lezione anche nel pomeriggio e poi vado in biblioteca con delle amiche a studiare, perciò rientrerò per cena. Ti ho preparato qualcosa per pranzo; è in forno e devi solo scaldarlo».
«Va bene, tesoro» rispose grato Robert. Per un momento quando sua moglie li aveva abbandonati, aveva pensato che non ce l’avrebbe mai fatta, ma Edith, allora aveva dodici anni, aveva preso in mano la situazione riuscendo a farsi ascoltare persino dal fratello maggiore. Per un po’ Robert – e ancora si sentiva il colpa – si era completamente affidato nelle mani di una ragazzina e immerso nel lavoro, almeno finché Edith, poco prima dell’inizio della Scuola, non era andata da lui affermando che avrebbe iniziato a studiare a casa in modo da prendersi cura di lui e della sorellina Sarah. A quel punto aveva aperto gli occhi e si era reso conto di essersi comportato malissimo nei suoi confronti; s’intende che quel settembre Edith era tornata normalmente a Hogwarts con Samuel e lui si era dato da fare per trovare un nuovo equilibrio per sé e i suoi figli.
«Io vado, ho lezione alle nove» saltò su Edith, diede un bacio a Robert, uno scappellotto giocoso al fratello e, recuperata giacca e borsa, usò la Metropolvere per recarsi all’accademia di Lingue Magiche di Londra.
«Tu non hai lezione stamattina?». Samuel teneva gli occhi fissi sulla foto di Mich e sembrava beatamente perso nei suoi pensieri, perciò Robert fu costretto a ripetere la domanda, mentre scorreva la posta che Edith gli aveva lasciato sul tavolo.
«Oh». Non si accorse dell’espressione strana assunta dal figlio perché in quell’istante aveva adocchiato una lettera di Sarah.
«Dovresti leggere un po’ di cronaca. Un magiavvocato dovrebbe essere sempre informato su quello che accade, specialmente nel proprio paese. Comunque, ha scritto tua sorella».
«E che dice?».
«Ha fatto nuove amicizie e sembra contenta. Ti saluta» riassunse Robert dopo averla letta. «Magari stasera le rispondiamo tutti insieme».
«Sì, ok» replicò Samuel.
Robert cominciò a sparecchiare, ben intenzionato a farsi una passeggiata rilassante prima di pranzo, magari avrebbe anche potuto smaterializzarsi a Hyde Park.
«Senti, papà, ti devo parlare» sospirò Samuel serio. «Siediti, per favore».
Robert l’osservò preoccupato e si risedette. «Dimmi».
«Riguarda l’Accademia di Magisprudenza… vedi, io…». Samuel appariva in forte difficoltà.
«Tu…?» lo sollecitò allora Robert.
«Io ho…».
Un improvviso beccare alla finestra attirò l’attenzione di entrambi. «Scusa un attimo» disse Robert, alzandosi e prendendo la lettera portata dal gufo. Aggrottò la fronte leggendo e sbuffò.
«Che succede? Sarah si è messa nei guai?» provò a scherzare Samuel.
«Non viene da Hogwarts. È di Nerissa. A quanto pare è accaduto un putiferio al Paiolo Magico e credono sia stata una creatura magica».
«Ma è la tua mattina libera».
«Già, peccato che sono il capo. Dev’essere qualcosa di grave se Nerissa mi ha scritto. Nel biglietto non dice molto, ma solo di darmi una mossa. Ti dispiace se continuiamo la conversazione stasera?».
«No, tranquillo. Ci vediamo dopo» rispose il ragazzo, visibilmente sollevato.
Robert corse a vestirsi, chiedendosi che cosa avesse combinato il figlio e se dovesse preoccuparsene seriamente. Comunque, appena si smaterializzò al Paiolo Magico ogni pensiero scomparve di fronte al disastro: il locale era mezzo distrutto.
«Ma che diavolo…?».
Il luogo pullulava di agenti della Squadra Speciale Magica nella loro riconoscibilissima divisa beige, alcuni obliviatori, curiosi e giornalisti, che iniziavano ad affollarsi, e i suoi uomini. Raggiunse rapidamente Nerissa e Fagan.
«Ehilà capo, visto che roba?» lo accolse Nerissa.
«Che è successo?».
«Bella domanda. Lì c’è Steeval sta parlando con la locandiera. Dovresti farci due chiacchiere e decidere se questo caso è di competenza nostra o loro. Non voglio i suoi agenti tra i piedi! Stanno sta intralciando Benji e Manuel nella perquisizione» esclamò contrariato Fagan.
«Vado a parlare con loro. Vieni Nerissa. Fagan, per favore, vai a sorvegliare Manuel mi sembra che voglia attaccar briga con un agente. Non voglio grane con Steeval».
Fino all’estate dell’anno prima la locanda era stata gestita da Hannah Abbott, ma a causa dei disordini causati dai Neomangiamorte aveva preferito lasciare il lavoro e per un po’ si erano susseguiti vari gestori. Quell’estate finalmente il Paiolo Magico era stato definitivamente rilevato dalla signora McCarthy, che, a quanto sembrava, era imparentata con lo storico barista Tom.
La signora in quel momento appariva molto scossa e il Capitano Steeval le stava facendo bere dell’acqua.
«Steeval» salutò Robert con un cenno.
«Jackson» replicò l’altro porgendogli la mano.
«Si è capito cos’è stato? A me sembra che sia passato un tornado» disse Robert.
«No, no» boccheggiò la locandiera. «C’era qualcosa. Ne sono sicura».
«I miei uomini hanno controllato l’ingresso che dà su Charing Cross Road, è stata divelta dai cardini, non ci sono dubbi» gli comunicò Steeval.
«Quindi il caso è della mia squadra».
«Direi di sì, tranquillizza, Bowie».
Robert si grattò la testa imbarazzato chiedendosi che cosa avesse detto o fatto l’amico prima del suo arrivo, ma decise di non volerlo scoprire, così si limitò a ringraziare Steeval e assicurargli che lo avrebbe contattato in caso di necessità. Poi si rivolse a Nerissa: «Tu e Fagan avete scoperto qualcosa?».
«Semplici deduzioni, in attesa che Manuel e Benji finiscano un primo giro di ricognizione».
«Sentiamo».
«Qualunque cosa sia successa qui, dev’essere avvenuta presto perché non vi erano ancora avventori, che io sappia. Comunque Steeval ha chiamato dei medimaghi e dovrebbero essere qui a momenti».
«Ok, mi sembra che i ragazzi abbiano trovato qualcosa» disse Robert indicando i due giovani ammessi da pochissimo in squadra.
Manuel e Benji si avvicinarono e, dopo aver salutato, fecero rapporto: «La sala principale è combinata abbastanza male» disse il primo. «Le salette private e la cucina non sono state toccate».
«E questo va a favore della tesi di Steeval» brontolò Fagan.
«È stato sicuramente un animale» dichiarò Nerissa a beneficio dei due ragazzi.
«Non ho abbiamo trovato molto» prese la parola Benji. «Abbiamo trovato una teiera distrutta» continuò mostrandogliela. «L’abbiamo riparata. È rimasta solo qualche ammaccatura».
«Probabilmente era su qualche tavolo e l’animale l’ha presa e fracassata» commentò Fagan.
«Ma è di metallo» ribatté sorpreso Manuel.
«Quindi tu pensi che a fare questo disastro sia stato uno kneazle?» ringhiò Fagan.
«No, ma… beh, allora sappiamo che si tratta di una creatura grossa o molto possente» bofonchiò Manuel tentando di rifarsi.
«E ora è in giro per Londra» sbuffò Robert. «Dobbiamo darci una mossa! Avete trovato altro?».
«Un vaso di anguille in salamoia è andato in frantumi. Abbiamo pulito nella speranza di trovare un indizio, ma tra le anguille c’era un dente d’oro e dubito che sia della creatura» disse Benji.
«Inoltre qualche matto ha piantato una tenda da campeggio nella sala» soggiunse Manuel.
«Una tenda?» replicò Robert perplesso, poi qualcosa attirò la sua attenzione. «Sono arrivati i medimaghi del San Mungo. Manuel e Benji date un’occhiata alla tenda, ma non entrate da soli; Nerissa e Fagan venite con me».
I tre tornarono dalla locandiera e attesero che un guaritore la visitasse.
«Buongiorno, siamo della Divisione Bestie» disse Robert alla fine della visita. «La signora come sta?».
«Peter Lux» replicò il giovane medimago stringendogli la mano. «La signora sta bene, ha preso solo un brutto spavento. Le ho dato un pozione rilassante e ora dovrebbe riposare, ma potete fargli delle domande se è necessario. Scusate, vado dalla mia collega, sembra essere in difficoltà».
Robert, Fagan e Nerissa strinsero la mano alla locandiera e si presentarono. «Allora, signora McCarthy, può raccontarci che cos’è successo?».
La donna, manifestamente turbata, sospirò e annuì. «Non ho molto da dirvi. È accaduto tutto molto velocemente e non ci ho capito nulla». Bevve un sorso d’acqua e posò il bicchiere sul bancone, prendendosi del tempo per riordinare le idee. «Come ogni giorno sono scesa in cucina verso le cinque per preparare biscotti e pane caldo per la colazione… di solito apro verso le sei, sapete per coloro che usano il locale come punto d’arrivo per la Metropolvere, per chi lavora a Diagon Alley… insomma per venire incontro a chi per un motivo o un altro desidera o ha necessità di fare colazione presto… è andato tutto bene fino a circa le sei e mezza, sette meno venti… ero di nuovo in cucina per preparare il bacon per il signor Randalls… lo conoscete, no? Ha un negozio di libri e oggetti vari di seconda mano in una stradina di Diagon Alley… comunque, dicevo, ero in cucina e all’improvviso ho sentito un tonfo fortissimo e delle urla. Sono corsa in sala appena in tempo per vedere una forza invisibile scagliare i tavoli all’aria e poi buttare giù la porta d’ingresso…».
I tre amici si scambiarono uno sguardo incerto. «Una forza invisibile? Ne è sicura?» domandò Nerissa perplessa.
«Assolutamente sì!» ribatté la signora McCarthy.
«Senta, ma, a parte il signor Randalls, c’erano altri avventori in quel momento?».
«Solo un altro. Un certo signor Roecepton. È arrivato ieri sera sul tardi e mi ha chiesto di montare la tenda in sala, perché si sentiva più a suo agio».
«E lei gliel’ha permesso?» domandò scettica Nerissa.
La locandiera sospirò: «Non è facile mandare avanti questo posto, ma ho tre figlie… il signor Roecepton ha pagato subito e mi ha dato un extra per la tenda… che cosa dovevo fare?».
«Ha fatto bene, non si preoccupi» intervenne Fagan. «Ora, facciamo noi due chiacchiere con questo signore».
«Mi raccomando, signora McCarthy, non deve toccare nulla nel locale senza il nostro permesso» soggiunse Robert. «Andiamo dal signor Randalls» disse poi ai suoi compagni.
Il signor Randalls aveva un bel po’ di lividi, ma era stato molto fortunato a dire dei due medimaghi. Era un vecchietto fragile e cortese, rispose alle loro domande, ma non fu molto d’aiuto: aveva sentito lo stesso tonfo, che aveva attirato la locandiera in sala, ma non aveva fatto in tempo ad alzare gli occhi dal giornale, che leggeva, che una forza, ancora una volta invisibile, lo aveva scagliato all’indietro con tutto il tavolo. Nerissa indagò sull’illuminazione del locale al momento dell’incidente, ma fu inutile: le candele non mancavano, in più aveva ormai fatto giorno.
«Che cavolo può essere?» sbuffò Manuel, quando lui e Benji furono messi al corrente delle novità. «I demiguise sanno rendersi invisibili».
«Miller!» lo richiamò Fagan. «I demiguise hanno una natura gentile e schiva. Non avrebbero mai creato un disastro così, anche se fossero stati importunati».
«I Thestral? Trainano le carrozze di Hogwarts!» insisté Manuel.
«Ti sembra che un Thestral potrebbe fare qualcosa del genere?!».
«Oh, ma a lei non gliene va bene una!».
«Ti ho chiesto un milione di volte di stare zitto se non devi dire qualcosa di intelligente!».
«Va bene, ehm concentriamoci» li zittì Robert, mentre Nerissa sbuffava.
«Benji, facci un riepilogo!» disse quest’ultima esortando la recluta sotto la sua tutela. Non erano insieme che da un mese e mezzo, ma lo apprezzava sempre di più.
«Si tratta di una creatura molto grossa o possente… o tutt’e due… inoltre è invisibile» elencò Benji.
«Potrebbe essere un occamy» mormorò Fagan pensieroso.
Robert e Nerissa lo fissarono turbati, ma annuirono.
«Interroghiamo il signor Roecepton e cerchiamo di capirci qualcosa. Insomma un occamy non arriva così all’improvviso in un locale di Londra» borbottò Robert visibilmente preoccupato.
Il signor Roecepton aveva preso un bel colpo in testa e li fissò leggermente confuso. Era un mago basso, dai capelli e i baffi grigio-biancastri.
«Signor Roecepton, siamo della Divisione Bestie e abbiamo delle domande per lei» disse Fagan.
«Sono appena tornato da una spedizione» bofonchiò il mago. «Qualcosa mi ha colpito in testa, mentre stavo per uscire dalla tenda per fare colazione».
«Aspetti, aspetti» intervenne Nerissa. «Quando stava per uscire…? La creatura era dentro la tenda?».
«Lei teneva un animale nella sua tenda?» rincarò Robert fulminandolo con lo sguardo.
«Non lo so, sono confuso» affermò Roecepton.
«Lei è confuso?» sibilò Fagan irritato.
«Sì, ho bisogno di riposarmi. Il medimago ha detto che dovrò andare al San Mungo per fare un controllo più approfondito».
«Lei non si muoverà da qui senza il mio permesso» sbottò Robert. «Rimanga a disposizione della mia squadra. Provvederemo immediatamente a perquisire la sua tenda. E, mi dica, dov’è stato? In Oriente?».
«Oriente? No, no, sono stato sulle Alpi Austriache» rispose il signor Roecepton scontroso.
«Facciamo un giro nella tenda» sospirò Robert.
Com’era prevedibile era una tenda magica e il gruppo rimase a bocca aperto.
«Guarda, guarda, come si tratta bene il caro signor Roecepton» commentò Fagan. «Se fossi in te, Robert, farei subito qualche indagine su di lui».
L’altro annuì.
L’ingresso/salottino della tenda era tutto sotto sopra, un po’ come il Paiolo Magico, per cui la creatura doveva essersi data da fare prima di uscire.
«Qui c’è una traccia di fango» disse Manuel inginocchiandosi. «E c’è qualcosa» soggiunse dopo un attimo e pronunciò: «Gratta e netta».
«Una piuma» disse interessato Fagan, prendendola e osservandola con attenzione. Gli altri lo fissarono in attesa. «Credo sia di un’aquila reale. Fanno nidi sulle montagne per tutto l’anno».
«Qua c’è qualcosa di rotto» disse Benji.
«Come tutto quello che c’era qui dentro» lo derise Manuel.
L’altro ragazzo lo ignorò e lo aggiustò con un colpo di bacchetta. «È uno spioscopio!». L’oggetto iniziò a suonare fastidiosamente.
«Spegnilo» gli disse Nerissa. «Ma che…?».
«Sarà una di quelle robacce che vengono vendute a bambini e turisti» brontolò Fagan.
«Facciamo così, io e Benji andiamo al Ministero: vediamo se troviamo qualcosa su questo Roecepton, ci assicuriamo di dove si possano trovare le aquile reali sulle Alpi Austriache e portiamo un po’ di rinforzi. Voi perquisite a fondo tutta la tenda e delimitate la zona. Nessuno deve avvicinarsi al Paiolo Magico e, meno che mai, a questa tenda» istruì Robert.
 
Robert e Benji tornarono sul posto poco prima di pranzo in compagnia di Ella Simmons e Fabricio Silva.
«Sei arrivato appena in tempo! Stavo per chiamarti». Nerissa li raggiunse all’istante.
«Che succede? La creatura ha attaccato di nuovo?» replicò Robert turbato.
«No, Fagan ha fatto un giro per Londra, ma non ha trovato nulla. Sembra che la creatura sia tranquilla per ora».
«E allora?».
«Abbiamo trovato un po’ di cose interessanti sia nella sala sia nella tenda. E credo che dobbiamo allertare Steeval e i suoi uomini».
«Perché mai?».
«Perché nella tenda di Roecepton abbiamo trovato una ragazza stordita. Abbiamo chiamato un medimago e la sta visitando, ma se si tratta di rapimento non rientra nella nostra giurisdizione».
Robert annuì perfettamente conscio.
«Oh, che bella signorina. Vieni Ella, facciamoci noi due chiacchiere» trillò Fabricio tutto contento. «Va bene, vero Robert?».
«Sì, sì» replicò l’uomo. «Che avete trovato?» domandò, invece, rivolgendosi a Nerissa.
«Solvente Magico di Nonna Acetonella per ogni Tipo di Sporcizia…».
«Mi prendi in giro?» la interruppe Robert.
«No, scusa, è che Benji è troppo precisino quando fa le cose» sbuffò la donna, mettendo in tasca l’elenco da cui aveva iniziato a leggere. «Un quadro del Ministro della Magia Ulick Gamp dall’aria stordita. La locandiera ha ammesso che, spaventata, ha provato a schiantare la ‘forza invisibile’ e nel farlo deve aver preso il quadro stesso».
«Accidenti!» sbottò Robert. «Questo avrà fatto arrabbiare la creatura e forse l’ha ferita».
«Ed è per questo che se n’è sta buona per ora».
«Altro?».
«La valigia di Roecepton, ma dentro non c’è nulla di interessante, a parte il fatto che non sa lavarsi i calzini» ghignò Nerissa.  «Piuttosto, che hai scoperto su di lui?».
«Poco, ma, fidati, Fagan ci sguazzerà, pare che più di una volta sia stato accusato di traffico illegale di creature magiche».
«Quindi ha la fedina penale sporca?».
«No» rispose Robert a malincuore. «Il Wizengamot l’ha sempre assolto, vuoi perché non c’erano abbastanza prove…».
«Vuoi perché è bravo a far girare soldi e, probabilmente, ha qualche buon amico al Ministero» lo interruppe Nerissa.
«Esattamente. Ho già allertato Steeval, anche perché bisogna proteggere i Babbani. I suoi agenti sorveglieranno la zona».
«Ehm, ragazzi, abbiamo un problema» li chiamò Fabricio.
«Da quando hai problemi con le donne?» lo derise Nerissa raggiungendolo insieme a Robert.
«Io non ho problemi con le donne, sia chiaro» ribatté Fabricio guardandola male. «Noi abbiamo un grosso problema. Dolcezza, perché non ti presenti ai miei amici?» aggiunse rivolto alla giovane donna che li fissava stranita.
«Mi chiamo Jessica Thompson e sono una cacciatrice di mostri. Scrivo per una rivista online e fino a ieri pomeriggio mi trovavo sulle Alpi Austriache alla ricerca dello Yeti. Ora dove sono? Ho un gran mal di testa. E che sono quei bastoncini? Siete prestigiatori?».
«Siamo cosa?» sbottò Fagan appena sopraggiunto, ma neanche Manuel lo trovò divertente.
Robert si passò una mano tra i capelli. «Che facevi nella tenda?» le chiese ignorando le sue domande.
«Seguivo le tracce dello yeti e alcune portavano dentro la tenda… come fa a esserci un salotto elegante dentro una piccola tenda da campeggio?».
«Che cosa è successo dopo che sei entrata nella tenda?».
«Qualcosa ha iniziato a fare tutto a pezzi… non ho visto cosa…».
«Tipo una forza invisibile?» chiese Nerissa rassegnata a quella definizione che trovava assurda.
«Sì, perciò mi sono nascosta in una pendola… una pendola dentro una canadese! Vi rendete conto? Dove le vendono tende così? Non mi dispiacerebbe comprarne una!».
Ancora una volta le domande rimasero senza risposta, ma Robert molto cortesemente disse: «Ti lascio in compagnia di Fabricio».
«Che diavolo ci facciamo con una babbana?» sbottò Fagan appena furono abbastanza lontani dalle orecchie della ragazza.
«Che vuoi farci? Il medimago provvederà a obliviarla e mandarla a casa. Manuel, io e te andremo al Ministero all’istante. Manuel andrai a parlare con l’Ufficio Relazioni con i Babbani e con Steeval per informarli della ragazza e del fatto che Roecepton non ha evidentemente protetto la tenda con Incantesimi Respingi-Babbani. Io andrò a chiedere una passaporta, le Alpi Austriache ci aspettano».
 
Solo nel pomeriggio riuscirono a partire.
«Ci manca solo vagare per le Alpi di notte» brontolò Fagan.
«Percy Weasley per autorizzare la passaporta ha voluto sapere ogni dettaglio» sbuffò seccato Robert, mentre Benji e Manuel si alzavano.
«Odio le passaporte» borbottò il secondo.
«Ho torchiato Roecepton in tua assenza e mi sono fatta un’idea della zona in cui si trovava, incrociando le sue informazioni con gli attuali nidi di aquila reale noti» disse Nerissa ben determinata, stringendosi il mantello addosso.
Spirava un bel vento freddo.
Camminarono per un bel po’ prima di trovare il luogo, nel quale sicuramente Roecepton aveva piantato la tenda. Ormai stava facendo buio.
«Guarda che schifo ha lasciato» sbottò irritato Nerissa. «Che cosa pensa che la montagna sia casa sua?!».
«Stai tranquilla, gli metteremo sul conto anche questo» ribatté Robert. «Benji fai qualche foto, prima che faccia completamente buio». Il ragazzo obbedì. «Ottimo» commentò Robert quando il ragazzo finì di fotografare il luogo. «Diamo una ripulita a questo posto e vediamo se c’è qualcosa di utile».
«Ahi» si lamentò dopo un po’ Benji. «Mi sono tagliato».
Robert gli prese la mano e la osservò. «Dovevi stare più attento» borbottò prima di aggiustare il vetro rotto. Una bottiglietta, ormai vuota, passò di mano in mano. «C’è scritto Massima Cautela. Dobbiamo tornare subito a Londra, forse c’era veleno».
«Facciamo in fretta» sbuffò Fagan, riprendendo a perquisire il luogo e catalogare gli oggetti trovati.
«Questo zaino dev’essere della Babbana» disse a un certo punto Manuel attirando l’attenzione di tutti. «Ci sono libri su mostri famosi e obiettivi fotografici».
Quando finirono il lavoro era ormai buio, la mano di Benji non sanguinava più e il ragazzo sembrava stare bene. Robert gli diede una pacca sulla spalla. «Ti farai controllare ugualmente, appena torniamo andrai al Ministero e porterai la bottiglietta a Ishwar».
«Ehi, capo, vedi che è davvero tardi» gli disse Fagan, mentre tutti agguantavano la passaporta.
«Allora andrai a casa di Ishwar, è urgente» si corresse Robert.
 
Al Paiolo Magico, però, la situazione non era migliorata.
«Ehilà, capo» lo accolse Fabricio. «La babbana è sistemata: obliviata e in ottima salute. Un vero peccato, era davvero carina».
«Bene, allora non ci sono problemi?» indagò Robert che aveva colto l’espressione tesa della giovane Ella Simmons.
«In realtà sì, l’animale è in azione. Vicino a King’s Cross ci sono stati disordini e la Squadra Speciale Magica è intervenuta insieme agli obliviatori di turno. Forse dobbiamo chiamare rinforzi anche noi».
«Posso sapere che cosa sta succedendo qui?».
I presenti si voltarono verso l’improvvisa e autorevole domanda. Hermione Granger in Weasley, in piedi accanto alla locandiera, li fissava in attesa.
Magnifico, pensò Robert, ci mancava il Ministro! «Le spiego tutto io. Manuel ed Ella mettete in ordine questo posto, ma non toccate la tenda. Fagan chiama Joachim e Annabelle. Ho bisogno di tutta la squadra, nessuno escluso».
«Signore, nella tenda ho trovato questa macchina fotografica. Era mezza distrutta, come il tutto il resto, ma l’ho sistemata e se metto delle batterie nuove dovrebbe funzionare. Credo che sia della Babbana» gli comunicò Ella.
Robert le disse di verificare al più presto, poi ragguagliò la Ministra su quanto accaduto e le assicurò che stavano facendo tutto il possibile.
La locandiera fu molto gentile e offrì loro la cena che, però, fu molto silenziosa se non per le notizie e degli scoppi per nulla rassicuranti provenienti dalla parte babbana.
Verso mezzanotte li raggiunse Ella con una foto e gliela mostrò: «Ho recuperato solo questa» comunicò, lasciandosi scivolare su una panca completamente sfinita. La foto rappresentava quella che a prima vista appariva una macchia scura; solo dopo averla osservata attentamente arrivarono alla conclusione che doveva essere un pezzo di pelle della creatura. Comunque Robert si rese conto che la squadra non avrebbe retto ancora a lungo quel ritmo, così pianificò dei turni in modo che tutti potessero riposare almeno un po’.
Il primo lo fece lui stesso con Annabelle, decisamente più fresca degli altri.
«È tutto silenzioso» commentò a un certo punto la donna.
Robert annuì. «Probabilmente la creatura dorme».
«E dovresti farlo anche tu, sei distrutto».
L’uomo ridacchiò leggermente. «Ci credi che era la mia mattinata libera?».
«Un classico» sorrise Annabelle.
«Samuel mi stava per dire qualcosa… sembrava preoccupato…».
«Magari diventerai nonno».
«Annabelle!» sbottò Robert.
La donna rise. «Dai, scherzavo. Forse è meglio che ti fai sostituire da Joachim, sei troppo stanco».
Robert annuì e accettò il consiglio.
Verso l’alba, quando erano di turno Nerissa e Manuel, arrivarono Benji e Ishwar.
«Sveglia, Robert» ordinò Ishwar a Manuel senza mezzi termini.
«Che succede?» gli chiese Nerissa.
«Aspettiamo Robert» rispose il collega.
«Eccomi, eccomi» replicò Robert raggiungendoli. «Benji, stai bene?».
«Sì, grazie».
«Non era veleno» spiegò Ishwar.  «Pozione invisibile».
Robert imprecò, sfogando la sua frustrazione.
«Adesso sappiamo perché nessuno ha visto l’animale» sospirò Nerissa.
«Manuel, Nerissa svegliate Roecepton. Vediamo se il mal di testa gli è passato» ordinò Robert.
Manuel scosse il vecchio mago che, fedele a se stesso, dormiva in un sacco a pelo.
«Spostati» gli disse Nerissa, visto che Roecepton continuava a dormire imperterrito. «Aguamenti!».
Uno spruzzo d’acqua in pieno volto fece sobbalzare il mago. «Oh, ma insomma… dico io, che modi sono?» borbottò sputacchiando acqua dappertutto.
«Dovremmo lamentarci noi» ribatté Nerissa. «Insomma, non le hanno insegnato a dire la verità da bambino?». Il tono di Nerissa era sufficientemente pungente da far capire a Robert che l’amica non avesse dimenticato le condizioni in cui Roecepton aveva lasciato la montagna e la lasciò fare. «Non so se l’ha capito - ma i medimaghi ci hanno assicurato che lei sta benissimo – c’è una creatura pericolosa in giro per il centro di Londra e questa creatura è uscita dalla sua tenda! Che fa, collabora? O chiamiamo direttamente gli agenti della Squadra Speciale Magica? Il Wizengamot ne terrà conto».
«Oh, oh» saltò Roecepton adirato. «Ma come osa? Di che cosa mi state accusando? Voglio il mio magiavvocato!».
«La stiamo accusando di non aver protetto la sua tenda con gli incantesimi Respingi-Babbani prescritti nonostante fosse consapevole che all’interno di essa vi erano manufatti magici e ha violato lo Statuto di Segretezza; ha lasciato un mucchio di spazzatura sulle Alpi Austriache – e abbiamo sufficiente documentazione fotografica in merito. Ora, una creatura magica sta spaventando i Babbani! Vuol collaborare o meno?» intervenne con rabbia Robert.
«Va bene, va bene» borbottò Roecepton furioso. «Sono uno studioso di creature magiche proprio come voi». I membri della Divisione Bestie presenti si scambiarono un’occhiata scettica. «Sono andato sulle Alpi per studiare il graphorn».
«Il graphorn non è abbastanza grosso da mettere sottosopra un locale» borbottò impensierito Fagan.
«Signor Jackson, signor Jackson».
Robert si voltò verso la locandiera agitata. «Che succede?».
«La babbana di ieri!» rispose la donna concitata. «Va dicendo per tutta Charing Cross Road che c’è un grosso mostro grigio in agguato nelle strade di Londra».
Robert si diede una manata in fronte. «Fermatela, chiamate un medimago e un obliaviatore».
Meno di mezz’ora dopo, grazie all’aiuto di Fabricio, Jessica era seduta all’interno del Paiolo Magico insieme a loro, ad Anthony Goldstain, primario del San Mungo e un obliviatore qualificato del Ministero.
«L’incantesimo di memoria non ha funzionato perché c’è qualcosa che continua a stuzzicare ancora i suoi ricordi ed è forte» dichiarò Goldstain dopo averla visitata.
«Qualcosa come?» indagò Robert.
«Ehm, scusate» li interruppe Fabricio, che aveva avuto il compito di tranquillizzare e distrarre Jessica durante la visita. «La signorina dice di aver sentito un fetore così orribile che non può proprio toglierselo dalla testa».
«Ah, sì? Bene, allora facciamole un bel test dell’odorato» commentò Goldstain. «L’odorato è strettamente legato alla memoria. È questo che intendevo» spiegò. «Avete qualcosa da farle odorare?».
«Oh, sì, abbiamo un po’ di cose» ghignò Nerissa facendo cenno a Manuel e Benji di recuperarle. Per fortuna non avevano gettato nulla nel dubbio che potessero essere ancora utili per l’indagine.
Nel frattempo il primario somministrò una pozione rilassante alla ragazza, fingendo che fosse una semplice tisana.
«Siamo pronti?» chiese Robert. «Quanto ci vorrà?».
«Direi poco» replicò il medimago. «Bene, signorina, ora le farò odorare alcuni oggetti e lei mi dirà che ricordi le riportano alla mente, va bene?».
«Sì, ma voi siete ‘maghi’? Esistono i maghi quindi? E quelle creature che cerco da anni? Lo yeti, per esempio, esiste?».
«Ecco il primo oggetto» disse Goldstain. «Collabori, per favore».
Si trattava del flacone di nonna Acetosella.
Jessica arricciò il naso. «Mi ricorda le visite dal dentista».
«Che cos’è un dentista?» chiese Manuel, beccandosi una gomitata da Nerissa e un’occhiataccia dagli altri. Oltre che uno sguardo curioso della ragazza.
«Mi sembra giusto» concordò gentilmente Goldstain. «E questo?».
«Mi ricorda Halloween. Mia sorella è un po’ strana, sapete… le piaceva fare i frullati con la zucca… diceva che facevano atmosfera…».
Il medimago mise da parte la bottiglia di succo di zucca con cui aveva voluto testare in modo generale come la Babbana mettesse in relazione odori e ricordi e le porse qualcosa di molto legato alla tenda e a Roecepton.
«Oh, che schifo» sbottò Jessica, buttando a terra i calzini del vecchio mago.
«Questa è un’invasione di privacy» si lamentò quest’ultimo.
«È lo stesso odore della tenda» commentò Jessica nauseata. «Qualunque cosa stesse distruggendo la tenda prima che io mi nascondessi aveva quest’odore».
«Ottimo, la ringrazio. Perché non va a prendere una boccata d’aria con questo mio amico?» concluse Goldstain indicando l’obliviatore del Ministero, per poi rivolgersi a Robert. «Il mostro ha un odore orribile simile a questi calzini».
«Non è un mostro! È una creatura magica» lo redarguì Nerissa. «Ed è colpa di uno stupido mago se si trova qui!».
«Ma per favore» sbottò il medimago, «non stiamo mica parlando di un cucciolo di crup! Sta distruggendo il centro di Londra!».
Robert colse l’occhiata furiosa dell’amica e decise di intervenire: «Va bene, grazie, Anthony».
«Dovere» replicò atono l’uomo congedandosi.
«Perché non gli hai detto nulla?» lo aggredì all’istante Nerissa, appena l’altro mago si smaterializzò.
«Perché sì, Nerissa: alcune creature sono pericolose, ha ragione lui».
Nerissa lo guardò male, ma non insisté: sapeva che era vero e che Robert aveva sofferto molto per quelle che definiva semplicemente ‘creature pericolose’. «Ok, lasciamo stare. Torniamo sulle Alpi? Voglio controllare una cosa».
«Di nuovo? Ma ormai non ci sono molti dubbi su quale animale stia passeggiando tranquillamente per Londra» ribatté Robert.
«Ci vado sola. Ti chiedo solo un’oretta».
«Andrai con Fagan, ma sbrigatevi».
Mentre Fagan e Nerissa compivano un nuovo sopralluogo sulle Alpi Austriache, Robert radunò nuovamente la squadra e divise i compiti: l’animale aveva nuovamente iniziato a vagare per la città distruggendo tutto quello che aveva a tiro e mandò gran parte degli uomini a dare manforte agli agenti della Squadra Speciale Magica e di qualche Auror, mandato a supporto per volere della Ministra; tenne con sé solo i giovani.
«Capo». Ella Simmons tentò di richiamare la sua attenzione. «Ho trovato questa nella tenda. È una rete strappata».
Robert sbuffò, la prese e la sbatté sul tavolo sotto gli occhi di Roecepton. «Allora, sto perdendo la pazienza, adesso. Questa a che ti serviva?».
«E va bene! Volevo catturare il graphorn… per studiarlo, naturalmente…».
«E ce l’hai fatta?».
«Sì, appena l’ho preso ho raccattato tutto e me ne sono andato…».
«Per non essere beccato dagli agenti austriaci?».
«Può darsi. Ora, le ho detto tutto. Che altro vuole?» sbottò sgarbatamente Roecepton.
«Era già buio quando ha catturato la creatura, vero? Lei non ha preso un graphorn, l’ha capito, vero?» sospirò affranto Robert.
«Eccoci» gridò Fagan raggiungendoli.
«Lei è un emerito cretino, lo sa, vero?» sbottò Nerissa rivolta a Roecepton.
«Ha catturato un troll» concluse Robert.
«Già, ho trovato delle ossa di capra vicino alla caverna che aveva notato Nerissa» raccontò Fagan.
«Il graphorn a cui dava la caccia era dentro la grotta» soggiunse Nerissa.
«Chiama Steeval e fatti mandare un paio di uomini» ordinò Robert a Ella.
«Come fermiamo quel troll, per la miseria?» sbottò Fagan.
«Ma che è questa confusione?» sbottò Robert volgendosi verso Benji e Manuel che cercavano di trascinare la babbana Jessica e l’obliviatore tentava di prendere la mira.
«Se l’era fatta sfuggire, signore» rispose Manuel affannato.
«Incapaci» sbottò Robert. Solitamente era molto più paziente e comprensivo, specialmente verso i membri più giovani della squadra, ma erano due giorni che lavoravano a quel caso, aveva dormito pochissimo, aveva saltato parecchi pasti e, ciliegina sulla torta, i giornalisti e il Ministero gli stavano con il fiato sul collo.
«Petrificus Totalus». La babbana si irrigidì all’istante. «Ora, procedete. Manuel, Benji voi venite qui».
I due ragazzi obbedirono.
«Allora, qualche idea?» chiese Robert. 
«Il troll è ancora invisibile ed è parecchio arrabbiato» disse Nerissa. «Dovremmo attirarlo in una trappola».
«Potremmo usare la rete di Roecepton. L’ho aggiustata» propose Ella.
«Ma la strapperà di nuovo!» ribatté Manuel.
«Magari potremmo addormentarlo? Si può fare?» intervenne Benji.
«Dovrebbe essere una pozione soporifera molto potente» commentò Fagan meditabondo. «Ma potrebbe essere un’ottima soluzione».
«Dovremmo attirare il troll con un bel pezzo di carne» disse Nerissa.
«E sulla carne verseremo la pozione» aggiunse Robert. «È perfetto, ragazzi, mettiamoci al lavoro. Manuel, Benji andate a cercare Ishwar e ditegli di distillare una pozione soporifera molto forte. Agiremo stanotte. Ella vai dalla Ministra e fatti autorizzare a sgombrare totalmente tutta la zona vicino al Paiolo Magico e King’s Cross. Nerissa trova un bel pezzo di carne».
«Magari una bella capra grassoccia, gradirà senz’altro» brontolò Fagan.
Robert sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia: finalmente erano quasi arrivati alla fine di quella spiacevole avventura.
Quella notte i membri della Divisione Bestie agirono in una Londra addormentata. Il troll fu immediatamente attirato dall’odore della povera pecora, sgozzata appositamente, e cadde nella trappola. Robert incaricò Fagan e Ishwar di dare una controllatina alla creatura e riportarla sulle Alpi Austriache, ma rimase nel suo ufficio finché non gli comunicarono che la missione era stata perfettamente completata e poté tirare tranquillamente un sospiro di sollievo.

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Capitolo 3
*** Dal fondo del bosco ***


Capitolo terzo


 
Dal fondo del bosco
 


«Buongiorno! Come va stamattina?».
«Buongiorno» replicò Robert senza alzare gli occhi su Annabelle. «Sono sommerso da scartoffie».
«Ancore per la storia del troll?».
«Già» sbuffò l’uomo. «Spero che il Wizengamot condanni Roecepton a qualche mese di carcere, così, la prossima volta, ci penserà prima di andare a caccia di creature magiche e di sguinzagliarle nel cuore di Londra».
Annabelle non commentò, sapendo quando l’amico si fosse infuriato per quella storia. E non tanto per Roecepton, quanto per i problemi avuti con la Babbana e la poca collaborazione da parte dell’ufficio Relazioni con i Babbani. «Allora, poi, sei riuscito a parlare con Samuel?» gli domandò per cambiare argomento.
«No» sbuffò Robert, abbandonando finalmente la pergamena che stava leggendo. «Sono quasi due settimane che mi evita. Non ho proprio idea di che cosa gli sia preso».
La donna si accigliò e cercò le parole adatte per consigliare l’amico: avrebbe voluto dirgli di star tranquillo, ma ella per prima si sarebbe inquietata parecchio se una delle sue figlie si fosse comportata in quel modo.
Improvvisamente bussarono alla porta ed entrambi fissarono il nuovo venuto.
«’Giorno» bofonchiò Fagan. «È arrivato questo, capo».
«Perché non l’hanno mandato direttamente a me?» ribatté Robert prendendo il promemoria viola.
«Perché viene dall’Ufficio Relazioni con i Babbani e immagino che non abbiano ancora dimenticato la tua sfuriata» ridacchiò Fagan.
Robert sbuffò e lesse il foglietto, prima di tornare a guardare i suoi colleghi. «L’hai letto?».
«Oh, sì. E mi ricordo anche il bosco in questione» replicò Fagan. «Si trova nel Kent».
«Non è lì che si trova l’Accademia Auror?» chiese Annabelle dopo aver visionato il promemoria a sua volta.
«Già. È un bosco infestato per giunta. Ma non è solo questo, in una parte si è insediata una comunità di centauri e vi sono anche altre creature magiche».
«E non dovrebbe essere protetto dal Ministero?» ribatté perplessa Annabelle. «Com’è possibile che i Babbani abbiano potuto abbatterne gli alberi!».
«Oh, invece, è possibile» borbottò Fagan. «La pratica di protezione si dev’essere arenata. E indovina un po’ dove?».
«Porco Merlino» sbottò Robert, alzandosi. «Stavolta mi lamenterò con la Ministra in persona! Quelli dell’Ufficio Relazioni con i Babbani sono degli incompetenti!».
«Aspetta» lo trattenne Annabelle.
«No, lascialo andare» intervenne Fagan. «Anzi vengono con te. Voglio dirgliene un paio a quelli lì».
«Sì, ditegliene quante ne volete, ma il bosco non aspetta voi e sono stati aggrediti anche dei Babbani» sbottò Annabelle.
«Vacci tu con Ishwar» replicò Robert.
«Agli ordini» sbuffò Annabelle sarcasticamente. I due uomini, però, si erano già catapultati fuori dalla stanza e non l’avevano neanche ascoltata. Ella sospirò e andò a dare la bella notizia al collega.
Annabelle trovò Ishwar seduto alla sua scrivania intento a rileggere con la consueta scrupolosità una relazione. «Ehi, Ish» lo chiamò. «C’è del lavoro per noi».
«Di che si tratta?» le domandò, mettendo da parte la pergamena.
«Dobbiamo andare nel Kent, dei Babbani hanno tentato di fare dei lavori vicino al bosco e sono stati attaccati».
«E l’Ufficio Relazione con i Babbani pensa che sia stata una creatura magica?».
«Esattamente».
«Andiamo subito?».
«Non abbiamo altra scelta».
Annabelle e Ishwar lasciarono l’ufficio e, appena furono fuori dal Ministero, si smaterializzarono ai bordi del bosco.
«Quello dev’essere il cantore babbano» disse Annabelle.
«Credo sia cantiere» la corresse Ishwar. «È un’area di lavoro temporanea nella quale si costruisce qualcosa, di solito un edificio o una strada».
«Beh, si intendevo quello» replicò la donna. «Diamo un’occhiata cercando di non attirare l’attenzione».
Uscirono dal bosco, ma ebbero notevole difficoltà a muoversi tra i grossi macchinari di cui, almeno Annabelle, non conoscevano il nome e, contemporaneamente, tentare di non incrociare gli operai. Dopo poco raggiunsero una specie di capannone.
«Guarda» esclamò Ishwar attirando l’attenzione della collega. «Ci sono dei pezzi di plastica».
Annabelle si avvicinò e li esaminò. «Dobbiamo aggiustarli e scoprire di che cosa si tratta».
«Quello è un disegno invece» soggiunse l’uomo. Recuperò un foglio da terra e lo osservò. «È arte contemporanea?» chiese perplesso.
Annabelle fece per parlare, ma fu preceduta da una voce maschile parecchio infastidita.
«Voi chi siete? Chi vi ha detto il permesso di gironzolare nel cantiere? Non avete neanche il casco, siete veramente incoscienti!».
«Buongiorno» si limitò a replicare Annabelle, voltandosi a guardare un signore che dimostrava più di quarantacinque anni e indossava un casco giallo, ma, a differenza degli operai, aveva una giacca e dei pantaloni eleganti sotto un gilet arancione. «Siamo qui per l’aggressione».
«Oh». L’uomo s’illuminò. «Io sono Alfred Harris, l’ingegnere a capo del progetto. Siete della polizia?».
«No, siamo della protezione animali» intervenne Ishwar cogliendo l’incertezza della collega. «Abbiamo saputo dell’aggressione e riteniamo sia stato un animale del bosco».
«Capisco» commentò Harris aggrottando la fronte. «Siete un po’ come Ace Ventura?».
«Mi scusi, come chi?» domandò Ishwar.
«Un film famoso, non lo conoscete?» ribatté l’ingegnere. «No, eh?» soggiunse vedendo le loro facce stranite. «Vabbè non è importante. Comunque io penso che il bosco sia maledetto. Sembra che gli alberi ti guardino male. Gli operai sono stati attaccati da creature invisibili. Ora hanno tutti paura. Sei si sono addirittura licenziati. Di questo passo non potrò continuare, quindi vi pregherei di risolvere la questione in breve tempo».
«Siamo qui per questo» lo rassicurò Annabelle.
«Ah, in più c’è anche mia figlia oggi. Non poteva rimanere con mia moglie e non aveva scuola, perciò sono molto preoccupato» aggiunse Harris.
«Non si preoccupi, ci mettiamo subito a lavoro».
«Bene, indossate i caschi, però» ingiunse l’ingegnere indicandone alcuni su un tavolo lì vicino.
I due annuirono e si affrettarono ad assecondarlo, ma Annabelle sbuffò appena rimasero soli. «Bosco maledetto? Ma per favore! Sono loro che stanno invadendo il territorio delle creature magiche!».
Ishwar si strinse nelle spalle e, dopo aver verificato che nessuno lo stesse guardando, aggiustò l’oggetto di plastica con un rapido movimento della bacchetta.
«Sono degli occhiali protettivi» commentò sorpresa Annabelle.
«Già. E guarda i graffi».
«La creatura deve avere delle lunghe dita appuntite».
«E il disegno? È pieno di terra» borbottò Ishwar.
Annabelle lo prese in mano e lo pulì con il suo fazzoletto. Ishwar sapeva essere incredibilmente schizzinoso.
«Potevi usare la magia» mugugnò prevedibilmente.
«Era solo un po’ di terra! Ma non ti capita mai di sporcarti giocando con i tuoi figli?».
Ishwar assunse un’espressione indignata. «Non permetto ai miei figli di sporcarsi».
«Sono dei bambini piccoli, certo che devono sporcarsi».
«Non dire assurdità, piuttosto concentriamoci sul caso. Allora quest’opera d’arte contemporanea… anche se io preferisco quell’antica… perché ridi?» sbottò Ishwar sempre più indignato.
«Non è un’opera d’arte!».
«No? E che cos’è?».
«Il disegno di un bambino! Anzi, direi una bambina visto che l’ingequalcosa ha detto di aver portato qui la figlia oggi».
«È orribile».
«È una bambina!» sbuffò Annabelle. «Insomma Ishwar sei ancora giovane!».
«E che cosa rappresenterebbe?» sbuffò Ishwar ignorando il commento della collega.
«Mmm questa sembra una freccia… e poi qui c’è una specie di mostro spaventoso con le zanne… o almeno è quello che sembra…».
«Comunque non c’interessa, cerchiamo qualche indizio. Non abbiamo tempo da perdere».
«Ma che dici? Piuttosto cerchiamo la bambina. Questo mostro spaventoso potrebbe avere a che fare con il nostro caso».
«È solo una bambina, che cosa vuoi che capisca?».
Annabelle scosse la testa e sospirò. «Non è così che funziona con i bambini. Non dimenticare che possono essere più svegli e intelligenti di noi».
Fecero un giro per il cantiere e trovarono una bambina ai margini del bosco.
«È lei?» domandò nervosamente Iswar.
«Non credo che molti bambini girino da queste parti» replicò Annabelle, poi si avvicinò alla bimba. «Ciao, io sono Annabelle. Tu come ti chiami?».
La piccola smise di saltellare e si voltò verso di loro. «Buongiorno» sorrise. «Mi chiamo Caroline».
«Caroline, è proprio un bel nome».
«È più bello Annabelle» la contradisse la bambina.
«Indisponente» borbottò Ishwar e la collega gli tirò una gomitata.
«Il brontolone è un mio amico. Si chiama Ishwar» disse Annabelle, avendo notato lo sguardo della bambina sull’altro adulto.
«Senti, abbiamo trovato questo disegno, è tuo?» le domandò Annabelle.
Gli occhi di Caroline si illuminarono. «Sì! Ti piace?».
«È bello» rispose Annabelle, ignorando lo sbuffo di Ishwar. «Ma non ho capito bene che cosa rappresenta. È un mostro che hai visto tu? Magari nel bosco?».
Caroline si avvicinò di più a lei e, a bassa voce, le sussurrò: «Nel bosco ci sono un sacco di cose bellissime, ma c’è anche una bruttissima megera».
«Una megera?» sobbalzò Ishwar. «Impossibile!».
«Ed è lei nel disegno? Ti ricordi dove l’hai vista con precisione?» le chiese, invece, Annabelle lanciando un’occhiataccia al collega.
«In una casetta nel bosco. Lì in quella direzione. È facile trovarla».
«Grazie mille, ci sei stata molto utile, sai noi stiamo indagando sulle aggressioni che ci sono state» disse Annabelle.
Caroline sorrise e li salutò, allontanandosi sempre saltellando.
«Andiamo» sbottò Ishwar muovendosi nella direzione indicata dalla bambina.
«Si può sapere che hai?» ribatté Annabelle seguendolo.
«I bambini mi innervosiscono con i loro modi. Hai visto come ci guardava?».
Annabelle alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Senti, non vorrei dire ovvietà, ma hai un figlio e tua moglie ne aspetta un altro… i bambini non dovrebbero innervosirti!».
«Stiamo perdendo tempo. Sono sicuro che quella ha mentito e ci sta facendo girare a vuoto nel bosco».
«Quella ha un nome, ed è Caroline. E dubito che ci abbia preso in giro, il disegno era chiaro».
«Era solo uno stupido disegno».
Annabelle sbuffò, ma lasciò perdere.
Poco dopo, proprio come aveva detto Caroline, apparve in mezzo agli alberi una piccola casetta di legno, tutta coperta di verde e dall’aria rustica ma accogliente.
«Visto!» disse la donna in tono vittorioso, superando il collega.
«Aspetta, dove corri?!».
La donna bussò alla porticina proprio mentre Ishwar sopraggiungeva, ma non ebbe risposta. «Entriamo lo stesso».
«Ne sei sicura?».
«Certo, ti ricordo che sono stati aggrediti dei Babbani» ribatté Annabelle estraendo la bacchetta e aprendo la porta con un incantesimo.
All’interno l’impressione che fosse una casetta confortevole fu confermata.
«Questo sembra un piccolo ingresso» commentò Ishwar dopo aver dato un’occhiata veloce.
«Scendiamo giù allora» decise Annabelle dirigendosi verso le scale.
«Babbani o meno, per me questa è un’effrazione».
«Perché è la casa di un mago o di una strega e non di un babbano?».
Ishwar s’irrigidì. «Un non mago non se ne accorgerebbe, noi stiamo entrando nella casa di un nostro simile».
«Non mi piace come ragioni, te l’ho sempre detto» replicò Annabelle, chiedendosi esasperata perché Robert non le avesse affiancato Nerissa: si sarebbero capite al volo.
Al piano di sotto c’era un bel salottino, semplice, ma caldo, grazie a un fuocherello che scoppiettava nel caminetto, ma alquanto caotico.
«Chiunque sia il proprietario tornerà presto» intuì Ishwar.
Annabelle lo fulminò: non era il caso che le mettesse ansia! Sperando di essere entrata nella casa di un mago per bene e non di un potenziale omicida – colpa delle sue figlie che leggevano quei romanzi horror assurdi-, sollecitò il collega a cercare qualcosa che potesse essere utile all’indagine. Magari era stata proprio la ‘megera’ di cui parlava la bambina ad attaccare gli operai e non per forza una creatura magica.
«C’è un diario chiuso con il lucchetto» notò Ishwar. Annabelle gli si accostò, mentre lo apriva. «Giorno 3298. Le fatine sono irrequiete, quegli stupidi operai Babbani stanno rovinando tutto. G. B.» lesse. «Che significa?».
«Non lo so. Uno di noi deve tornare al Ministero per scoprire chi è questa G.B.».
«Comunque ha un buon motivo per attaccare i Babbani».
Annabelle annuì conscia che avesse ragione. «In caso fosse così, ci limiteremo ad avvertire la Squadra Speciale Magica».
«E voi chi siete?».
I due colleghi si voltarono di scatto verso una donna di mezz’età che reggeva un fascio di erbe tra le mani e li fissava spaventata.
«Oh, non si preoccupi» esclamò immediatamente Annabelle. «Siamo del Ministero. Più precisamente dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche».
La signora s’illuminò. «Siete venuti finalmente! Ho cercato di contattarvi un’infinità di volte!».
«A che cosa si riferisce, signora?».
«Oh! A cosa mi riferisco?! Allora non siete venuti per la mia denuncia! Non so proprio che cosa facciate voi del Ministero! Vi ho ripetutamente informato della violazione dell’habitat delle fatine!» sbottò la donna appoggiando le erbe su un tavolo.
«Ma quali fatine! Siamo qui per un’aggressione avvenuta ai danni di un gruppo di Babbani!» sbottò Ishwar.
«Oh, quelli!» sbuffò la donna storcendo il naso. «Se lo sono meritati! Hanno tentato di distruggere il bosco, ma il bosco sa difendersi e anche con ferocia se necessario! E ora andatevene!».
«Non ci può cacciare! Siamo del Ministero!» s’inalberò Ishwar.
«E siete entrati in casa mia senza alcun permesso! Credete che io sia una stupida!? Andatevene!».
Annabelle e Ishwar scelsero di accontentarla e se ne andarono.
«Magnifico, non abbiamo risolto nulla» sibilò Ishwar irritato.
«Beh, la signora ha detto che il bosco sa difendersi. Credo sia importante» ribatté Annabelle. «Magari ci sono dei clabbert».
«Li avrebbero visti! Anche il Babbano più tonto avrebbe notato il bagliore!».
Rimasero chiusi nei loro silenzi finché non uscirono dal bosco e furono intercettati dal un agitatissimo ingegnere Harris.
«Mia figlia è scomparsa! Non la trovo da nessuna parte! Dev’essere entrata nel bosco!».
«Noi l’abbiamo vista prima di entrare nel bosco» rispose Annabelle.
Harris si passò una mano tra i capelli e corse via, probabilmente a cercare la bambina.
«Proprio un bel padre se si perde la figlia».
«Sarà andata a giocare nel bosco» sospirò Annabelle. «È normale che Harris sia preoccupato dopo l’aggressione degli operai. Diamoci una mossa, magari ci è sfuggito qualcosa».
Rifecero il giro del cantiere, ma quando giunsero al capannone videro che Harris stava parlando agli operai e tentava di convincerli ad entrare nel bosco per cercare sua figlia.
«Dobbiamo fermarli» sussurrò Annabelle a Ishwar.
«È come?».
Annabelle si mordicchiò il labbro riflettendo, poi decise: «Non è ortodosso, ma se li facciamo dormire per un po’ sarà per il loro bene».
Ishwar s’accigliò. «Vuoi dire che dobbiamo farli bere la Pozione Soporifera?».
«Esattamente. La metteremo nel thermos del the. Non vedi che bevono tutti da lì? Allora, sbrigati: vai al Ministero cerca informazioni sulla nostra G.B. e recupera una potente Pozione Soporifera».
«Agli ordini».
Ishwar non era apparso più contento di lei, quando aveva rivolto le stesse parole a Robert quella mattina.
In attesa che il collega tornasse riprese a perquisire il cantiere, non perdendo d’occhio l’ingegnere e gli operai.
Non lontano dal capannone, trovò una scatola di legno colorato per i giocattoli, probabilmente di Caroline. Lo aprì tanto per non lasciare nulla di intentato, ma dubitando fortemente che dei giocattoli potessero aiutarla. Si dovette ricredere: non vi era alcun gioco, ma solo un mazzo di campanule selvatiche, sicuramente raccolte nel bosco, con un bigliettino recitante Per papà. Quel tipo di fiori cresceva soltanto alla base di alberi antichi di almeno un centinaio di anni. E ciò significava che la bambina doveva essersi già inoltrata nel folto del bosco. E non era un bene, perché oltre le creature, nel cuore del bosco vi era anche l’Accademia Auror.
Accolse con sollievo il ritorno di Ishwar, poiché non poter far nulla la stava innervosendo molto di più della situazione in sé.
Annabelle aiutò il collega a versare la pozione nel thermos, distraendo i Babbani.
Fortunatamente il piano funzionò e, a poco a poco, tutti si addormentarono.
«È una pozione molto forte» disse Ishwar orgogliosamente. «Abbiamo due ore per risolvere il caso senza che si mettano in mezzo».
«Ottimo» replicò Annabelle, informandolo sui fiori che aveva trovato.
«E io ho scoperto che G.B. sta per Giselda Baxter. E sai chi me l’ha detto?».
«Fabricio?» sorrise leggermente Annabelle, conoscendo i modi da latin lover del collega.
«No. Fagan».
Annabelle rise. «Scherzi? E come la conoscerebbe?».
«Non ci crederai mai, ma questa donna ha fondato il PUFF – Presidio Universale per il Futuro delle Fatine - e lei e Fagan sono gli unici iscritti».
La risata di Annabelle divenne incontrollabile: proprio non ce lo vedeva il burbero amico a battersi per delle fatine.
«Ah, mi ha anche detto che Fabricio, al quale è stata affidata la denuncia della signora, ha vergognosamente dimenticato la pratica! Li ho lasciati che litigavano».
Annabelle rise più forte ed ebbe bisogno di diversi minuti per calmarsi. «Bene, andiamo a cercare la bambina nel bosco innanzitutto» sospirò asciugandosi le lacrime.
«Comunque se scappa così, vuol dire che non è stata ben educata» sentenziò dopo un po’ Ishwar.
«Lo credi davvero? Sinceramente non penso si possa giudicare soltanto da questo».
«Ah, no? I miei figli non si permetteranno mai di fare una cosa del genere!».
«Beato te che ne sei così convinto» borbottò Annabelle. «I bambini sono così imprevedibili. Un cantiere poi non è posto per loro, si sarà annoiata e si sarà inoltrata nel bosco per gioco senza cattiveria o volontà di far dispetto a qualcuno. Probabilmente in questo momento si starà divertente incurante della preoccupazione suscitata».
«Suo padre le avrà sicuramente detto di non allontanarsi» insisté Ishwar.
«È una bella giornata autunnale e c’è un bosco dai colori bellissimi e dove crescono fiori come le campanule selvatiche, tu da bambino non avresti avuto voglia di farci un giro anche disubbidendo agli ordini dei tuoi genitori?».
«Certo che no» dichiarò con sicumera Ishwar.
«Fortunati i tuoi genitori allora» commentò Annabelle.
«I miei non erano fortunati, esigevano il rispetto e lo ottenevano tutto qui. È così che funziona».
«Non sono d’accordo» replicò Annabelle. «Il rispetto non si può ‘esigere’, ma…».
«Che c’è?» le chiese Ishwar.
Annabelle aveva smesso di parlare e si era fermata. «Ho pestato qualcosa» rispose chinandosi e rovistando nell’erba giallognola. «E questa che roba è? Sembra un manufatto in legno ben lavorato e ci sono anche dei disegni… Reparo!».
«È un arco» mormorò Ishwar chinandosi accanto a lei e passando un dito sulle costellazioni incise sul legno. «Questo genere di artefatti di solito viene fabbricato dai centauri. C’è una comunità da queste parti?».
«Sì, ma molto piccola» rispose Annabelle.
«Diamo un’occhiata qua intorno» decise Ishwar.
Era una piccola radura, poco lontana dal cantiere, per cui non si sorpresero quando trovarono un’ascia ai piedi di un imponente albero.
«Ci sono gli stessi graffi presenti sugli occhiali protettivi» notò Annabelle.
«Perciò dev’essere di uno degli operai aggrediti» soggiunse Ishwar.
«Stavano tentando di tagliare quest’albero» disse Annabelle passando la mano su un profondo taglio nella corteccia.
«Ehi, voi! Chi vi ha dato il permesso di stare nel nostro territorio?».
«Veniamo in pace» sospirò Annabelle voltandosi verso il centauro.
«E abbiamo trovato e aggiustato quest’arco. È uno dei vostri, vero?» aggiunse Ishwar sperando di suscitare la benevolenza della creatura.
«Sì, grazie» disse il centauro, riprendendosi l’arma. «Ora, andate via, però».
«Stiamo cercando di capire che cosa ha aggredito gli uomini che sono entrati nel bosco» tentò Annabelle.
«Noi centauri non aiutiamo gli umani» replicò rigidamente il centauro.
Né Annabelle né Ishwar ebbero il tempo di replicare che delle urla infantili squarciarono il bosco. Entrambi corsero verso la casetta di Giselda, da cui sembrava che provenissero. Rischiarono di perdersi un paio di volte, ma alla fine Ishwar riuscì a orientarsi e i due raggiunsero la casetta. Lì intorno, però, era tutto tranquillo e non c’era alcuna traccia della bambina.
«Accidenti, e ora che le sarà successo?» sbuffò Ishwar.
«Magari è entrata nella casa di Giselda, la porta è socchiusa».
«Effrazione, parte seconda» sbottò Ishwar.
«Il tuo sarcasmo è fuori luogo».
«Non è sarcasmo, sono perfettamente serio».
Annabelle lo ignorò e scese nuovamente le scale fino al salottino, nel quale erano già stati quella mattina. Iniziarono a perquisirlo nuovamente, ma il ritorno di Giselda li interruppe.
«Oh, ma è un vizio! Vi denuncerò sul serio al vostro capo! Al Ministro in persona se necessario!».
«Si calmi. Cercavamo una bambina e le sue urla ci hanno condotto fino a qui. Ho pensato che si fosse intrufolata in casa, visto che la porta era socchiusa».
«La bambina è scappata appena mi ha visto. Ho cercato di fermarla e si è spaventata ancora di più. Ha perso questa».
Annabelle prese la collanina che l’altra le porse: il ciondolo era a forma di fatina. «Grazie. Gliela restituiremo» disse. «E, per quanto riguarda le fatine, non si preoccupi i nostri colleghi accelereranno la pratica».
«Oh, bene» commentò Giselda piacevolmente spiazzata. «Allora, piacere di avervi conosciuto».
«Piacere nostro» replicò Annabelle. «Adesso andiamo a recuperare la bambina».
«Dobbiamo sbrigarci» le disse Ishwar. «È trascorsa già un’ora e poi presto farà buio e non sarebbe saggio neanche per noi vagare per il bosco. Lo sai che questa zona è infestata?».
«Non è proprio questa zona, ma più a nord, comunque sì dobbiamo risolvere il caso prima che cali il buio».
«Seguiamo gli alberi più antichi, se quella bambina è attratta dai fiori magari tornerà dove ha raccolto le campanule».
Annabelle annuì conscia che il collega avesse ragione.
Camminarono in silenzio finché non giunsero in una radura più grande di quella nella quale avevano incontrato il centauro.
«Ci sono tracce di scarponi» disse Ishwar chinandosi e toccando la terra. «Sicuramente gli operai sono arrivati fin qui».
La donna fece una smorfia infastidita. «Questi sono alberi molto antichi, sarebbe un vero peccato tagliarli».
«Forse più antichi di quanto sembri» borbottò Ishwar avvicinandosi a una pietra coperta di muschio. La pulì con la magia proprio mentre Annabelle lo affiancava. «È una statua di foggia celtica» commentò colpito.
«E presenta gli stessi graffi degli occhiali protettivi e dell’ascia» notò Annabelle. «C’è qualcosa nella bocca».
«È una campanula… oh, oh queste sono uova di fatina…» disse Ishwar dopo aver svuotato la bocca di pietra.
«E sono mezze mangiate…» continuò Annabelle.
«Qui c’è un pezzo di stoffa» soggiunse Ishwar spostandosi rapidamente di lato.
«Sembra proprio un pezzo della maglia che indossava la bambina e c’è un’impronta di zoccolo sopra» sospirò.
«I centauri non fanno male ai bambini di solito. Cerchiamoli».
«La bambina si sarà sicuramente spaventata un sacco» sospirò Annabelle.
«Peggio per lei» bofonchiò Ishwar, ma la collega lo ignorò.
Trovarono sia il centauro sia la bambina nella radura più piccola nella quale era passati poche ore prima.
«Che cos’ha?» domandò angosciata Annabelle, vedendo la bambina priva di sensi ai piedi del centauro.
«È caduta, ha sbattuto la testa e ha perso i sensi. Noi non facciamo male ai cuccioli d’uomo» rispose freddamente la creatura.
«La mia collega è solo preoccupata» intervenne diplomatico Ishwar.
«Promettete di far stare tutti lontani dalla nostra foresta e vi lasceremo andare» dichiarò il centauro.
Solo in quel momento i due colleghi videro dei volti minacciosi apparire tra gli alberi, si scambiarono un’occhiata e annuirono all’unisono. «Lo promettiamo» disse Annabelle.
«Molto bene» commentò il centauro e si ritirò insieme ai suoi compagni.
«Uhm, certo, molto bene…» borbottò Ishwar seccato.
Annabelle s’inginocchiò accanto a Caroline e pronunciò «Reinnerva», avendo cura di far sparire la bacchetta prima che la bambina fosse del tutto vigile. «Come stai?».
«Mi fa un po’ male la testa» borbottò Caroline.
«Sei caduta e hai sbattuto la testa, è normale. Che cosa ti è successo?» disse gentilmente Annabelle.
«Ho visto la megera e sono scappata via finché non ho raggiunto una radura. Ho visto una statua e ho pensato di giocarci, ma sono inciampata e qualcosa mi ha attaccato e quindi sono scappata via».
«Hai visto che cosa ti ha attaccato?» domandò Annabelle, sebbene ormai fosse certa di conoscere la risposta: i graffi sul volto della bimba erano gli stessi che avevano già visto sulla statua.
«Erano delle creature… non alte più di quindici centimetri… più o meno… ed erano furibonde… mi hanno graffiato come fanno i gatti… ma non erano gatti…».
Annabelle e Ishwar si scambiarono un’occhiata d’intesa.
«Credo di averne ferita una» confessò Caroline torcendosi le mani angosciata. «Non volevo».
«Stai tranquilla, ti sei solo difesa» sussurrò con voce bassa e tranquillizzante Annabelle, facendo un cenno al collega. Ishwar estrasse la bacchetta e la puntò verso la bambina i cui occhi divennero improvvisamente vacui.
«Io… dove sono?» chiese perplessa. «E voi chi siete?».
«Noi lavoriamo per la protezione animali, siamo qui per indagare sulle aggressioni agli operai, tu ti sei allontanata nel bosco e noi ti abbiamo trovata. Ora ti riaccompagniamo da tuo padre».
La bambina annuì palesemente confusa. «Grazie».
Quando finalmente ritornarono al cantiere gli operai si stavano svegliando. Il primo a correre verso di loro fu l’ingegnere che abbracciò la figlia. Annabelle e Ishwar si scostarono per lasciarli un po’ di privacy, ma rimasero abbastanza vicini da far capire a Harris di volergli parlare al più presto.
«Vi ringrazio per aver trovato la mia bambina».
«Dovere» rispose rigidamente Ishwar.
«Signor Harris deve fermare i lavori» dichiarò Annabelle con fermezza.
«Sì, sì, l’avevo già pensato. Modificherò il progetto e farò in modo di evitare il bosco» ribatté l’ingegnere. «Né io né gli operai vogliamo più avere nulla a che fare con quel bosco, ve lo assicuro. Ma c’è un problema».
«Quale?» chiese Ishwar.
«Gli operai mi hanno detto che è sparita una fiamma ossidrica e dobbiamo assolutamente ritrovarla, ma nessuno vuole andare a cercarla nel bosco».
«Non si preoccupi, ve la riporteremo noi».
«E come facciamo?» borbottò seccata Annabelle. «Sta per fare buio e dobbiamo trovare l’asticello ferito o non hai capito quello che ha detto Caroline?».
«Ho capito benissimo. D’altronde ci sono molti alberi da bacchetta nel bosco e gli asticelli sono ghiotti delle uova delle fatine… so fare due più due… senza contare tutti quei graffi… Comunque credo di sapere dov’è quella cosa che cercano i Babbani».
«Sul serio?».
«Già, credo che Giselda se ne sia impossessata. Vai tu e io cerco l’asticello».
«Va bene» acconsentì Annabelle.
Ishwar impiegò almeno una decina di minuti a ritrovare la radura più grande e s’inginocchiò, cercando l’asticello nei pressi dell’antica statua.
«Ahio!». L’uomo balzò all’indietro e si mise in bocca il dito insanguinato. «Accidenti!». Ebbe il suo bel daffare a calmare la creatura che, nonostante fosse ferita, tentava ancora di proteggersi. Alla fine, stanco e graffiato, gli somministrò qualche goccia di Pozione Soporifera e la ripose dormiente nella tasca del suo mantello.
Ad Annabelle era andata decisamente meglio, la donna lo attendeva sul limitare del bosco.
«Ho restituito quella fiammaqualcosa all’ingegnere, tu hai trovato l’asticello?».
«Sì, è qui al sicuro» rispose Ishwar sfiorando la tasca.
«Ottimo, siamo stati bravi, giusto in tempo: il sole sta per tramontare».
«Robert ci pagherà gli straordinari?».
Annabelle rise. «Può darsi».

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Capitolo 4
*** In profondità ***


Capitolo quarto



 
In profondità
 




Era un’ottima serata per pescare. Aveva già preso diverse anguille e delle trote. Il giorno dopo un bel barbecue avrebbe senz’altro attirato un po’ di gente. In quel periodo dell’anno il suo pub attirava i soliti avventori del villaggio, che bramavano una partita di carte e una buona birra che li scaldasse dopo una dura giornata di lavoro. Oh, se l’estate avesse potuto durare in eterno! Una zona lacustre come quella attirava senz’altro un buon numero di turisti.
Gettò la lenza, ripromettendosi di rientrare al più presto: alcuni avventori si ubriacavano facilmente e diventavano alquanto turbolenti a una certa ora, in più quella sera c’era un gruppo di londinesi figli di papà con la puzza sotto il naso. La peggior specie quando si trattava di far danno. E non si sentiva per nulla tranquillo all’idea di aver lasciato da sola la moglie.
La canna ebbe un forte strattone. «Oh, oh. E che abbiamo qui? Speriamo sia qualche grosso storione, ci farei senz’altro una bella figura» borbottò. Allungò una mano verso il fondo della barchetta di legno e recuperò la bottiglia di liquore. Diede un lungo sorso, mentre la lenza si tendeva preoccupantemente.
Lasciò andare la bottiglia, mentre il mulinello ruotava sempre più velocemente. Lo fermò e cominciò a tirare. Qualunque pesce avesse abboccato al suo amo, doveva essere incredibilmente grosso. Eccitato mantenne la presa, ben intenzionato a non farselo scappare. Con un grande sforzo riuscì a issare sulla barca la preda.
«Aaah». Il suo urlo lacerò la notte. Che razza di creatura era? Gettò la canna lontano da lui, ma non abbastanza velocemente da evitare che lo colpisse in volto quello che sembrava un tentacolo. Gli occhiali volarono sul fondo della barca. Perciò a tentoni recuperò uno dei rami e fu pronto a colpire l’animale quando lo aggredì nuovamente. Sembrava piccolo, ma aveva la stessa foga di un gatto infuriato che tirava fuori gli artigli. Aiutandosi con il remo lo allontanò da sé e tentò di stordirlo, ributtandolo in acqua. Non attese di scoprire se fosse vivo o morto, ma rimise al posto il remo e fuggì velocemente verso la riva.
Le sue urla e la lotta con il mostro non dovevano essere passate inosservate, visto che il gruppo di ragazzi londinesi si era radunato all’ingresso del pub e lo additava in lontananza; sua moglie si fece largo e gli venne in aiuto appena fu più vicino.
 «Ho bisogno di qualcosa di forte» borbottò sotto shock.
«Che ha visto? Il mostro di Loch Ness?» sghignazzò uno dei ragazzi.
«C’era davvero un mostro!» sbottò dopo un paio di bicchieri di whisky. «Ancora, amore mio, non vedi come sto?» soggiunse rivolto alla moglie.
«Un mostro? E di che tipo?» indagò un giovane dai capelli castani e il colorito chiaro.
«Ma non vedi che è ubriaco, Manuel? Lascialo perdere. Sta straparlando!».
«Non è vero!» s’irritò il locandiere. «Sono stato aggredito da un mostro, vi dico! Dev’essere rimasto impigliato al mio amo e non era per nulla contento! Se non ci credete guardate il remo con cui mi sono difeso!».
Manuel lo fissò scettico, ma qualcosa gli disse che sarebbe stato meglio verificare. Non ebbe difficoltà ad allontanarsi furtivamente, visto che l’attenzione di tutti era focalizzata sul locandiere farneticante e certamente non sobrio. Avevano visto tutti la scena a distanza: l’uomo ritto sulla barchetta dondolante che muoveva il remo con foga contro qualcosa che a quella distanza non erano riusciti a distinguere. E a meno che non fosse un pipistrello, doveva essere ben altro. Non impiegò che pochi minuti a raggiungere la barchetta abbandonata malamente sulla sponda dal lago. Cercando di non bagnarsi i piedi si chinò ed esaminò entrambi i remi. S’incupì notando i graffi presenti su uno dei due: doveva essere quello con cui il locandiere si era difeso. Scosse la testa: nessuno pesce poteva fare una cosa del genere. Si guardò intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno, estrasse la bacchetta ed evocò il suo patronus. Fissò il suo cavallo argentato sparire nella notte e poi tornò indietro.
L’atmosfera alla locanda era ormai totalmente ilare, il locandiere stesso era sufficientemente sbronzo da ridere sulla sua avventura e inventare dettagli sempre meno credibili.
Manuel sospirò e uscì nuovamente all’esterno, stringendosi le braccia al petto: era una fredda notte d’inizio ottobre. Poco dopo il familiare crack di una smaterializzazione lo fece voltare verso la zona più in ombra, per nulla illuminata dalla chiassosa insegna del locale.
«Il ritrovo della sirena. Mmm sembra un posto delizioso. Adatto a sbronzarsi quando la mattina dopo si dev’essere di turno alle nove in punto. Forse finalmente mi spiego i tuoi continui ritardi».
Ma perché proprio lui?, pensò seccato Manuel. «Fagan. Posso fare quello che voglio nel mio tempo libero. Piuttosto non sei troppo vecchio per frequentare i pub?» rispose a tono.
«Un po’ di rispetto, ragazzino» sibilò Fagan. «Hai chiamato e sono arrivato. Sono di turno, non hai altra scelta che collaborare con me. Oltre il fatto che sei ancora sotto la mia responsabilità».
«È passato un mese! Quando entrerò nella squadra a pieno titolo?» sbuffò Manuel che mal sopportava quella situazione.
«Quando dimostrerai di essere pronto» replicò Fagan avviandosi verso l’interno del pub. «E al momento sei ben lontano dall’esserlo».
«E chi dovrebbe stabilirlo?».
«Io naturalmente».
«Ecco appunto» bofonchiò Manuel afflitto, ma prima che entrasse nel locale si smaterializzò anche Fabricio.  «E tu che fai qui?».
«Oh, non potevo perdermi una serata al pub! Ci sono belle ragazze?».
«Niente di eccezionale» ghignò Manuel. Probabilmente quella nottata non sarebbe stato così male.
«Smettetela. Siamo in servizio» ringhiò Fagan.
Manuel raccontò ai colleghi quanto visto e scoperto.
«Il proprietario è completamente andato. Dovremo aspettare domani» borbottò spazientito Fagan.
«Non ti facevo così pudico, però» intervenne Fabricio. «Ha esagerato un pochino e si è preso un bello spavento».
«Non mi combinerei mai in quello stato, lasciando ciò che mi appartiene alla mercé di ubriachi» ribatté Fagan, andando verso la locandiera infastidita da alcuni giovanotti piuttosto audaci. «Interroghiamo un po’ di gente e mandiamola a casa».
Manuel e Fabricio obbedirono, per quanto pochi dei presenti fossero in grado di fornire risposte di senso compiuto.
«Non è che abbiamo ottenuto un granché» sospirò Manuel, dopo un po’.
«Oh, ma non trovi divertente quest’atmosfera?» esclamò Fabricio.
«Miller! Il locandiere ha iniziato a ciarlare di un mostro sputafuoco! Non mi hai parlato di fiamme» sbottò Fagan raggiungendo i due comodamente seduti a un tavolino. «È così che lavorate voi due?» soggiunse in un ringhio sommesso.
«Tecnicamente io non sono di turno» gli ricordò Manuel. «E comunque non ho visto alcuna fiamma. Probabilmente se l’è appena inventato».
«Bene, allora datevi una mossa. Ho detto alla signora che siamo della polizia. Cacciate tutti gli avventori e poi perquisite il locale con calma».
«E cosa vuoi trovarci? L’aggressione è stata fuori» ribatté Manuel.
«Sta zitto. E poi andrete a controllare anche le barche. Infine pattuglierete le sponde del lago per essere sicuri che non emerga nulla di pericoloso».
Fabricio e Manuel obbedirono, sebbene, specialmente quest’ultimo, lo ritenessero inutile.
«E questo cos’è?» borbottò Manuel dopo aver messo a soqquadro l’intero locale, mangiandosi anche un hamburger sotto lo sguardo di rimprovero di Fagan. Sfiorò la copertina di quello che sembrava un diario chiuso con il lucchetto. Roba da femminucce, l’aveva visto alle sue compagne di Casa più di una volta. Ma quello era particolare: non aveva un bellissimo e dolcissimo unicorno sulla copertina, ma uno yeti, per giunta non una rappresentazione fedele. Lo portò da Fagan e il più anziano aprì il lucchetto con la magia.
«Oh, oh, è della cacciatrice di mostri» sbuffò Manuel leggendo il nome sulla copertina interna.
«Quella ragazza è una persecuzione!» ringhiò, invece, Fagan.
«Hai detto la cacciatrice dei mostri? Perché non mi hai detto che c’era Jessica qui, eh? Insomma devi essere preciso quanto fai un resoconto! Fagan, non gliel’hai insegnato?».
Manuel boccheggiò di fronte all’atteggiamento improvvisamente furioso di Fabricio. «N-non l’ho vista» bofonchiò in risposta, tentando di allontanarsi da lui.
Sul viso di Fagan si era formata un’espressione interrogativa. «Nulla di quello che l’insegno rimane nella sua testaccia» borbottò in risposta, ma con gli occhi fissi su Fabricio. «Vediamo piuttosto dove si è nascosta. Quella ragazza è un vero pericolo!».
«Vado a controllare la barca» disse Manuel.
«Veniamo anche noi» disse Fagan. «Voglio vedere il remo di cui mi hai parlato».
«Io cerco Jessica. Hai detto anche tu che è pericolosa» disse, invece, Fabricio e si allontanò senza neanche aspettare risposta.
«Ma che ha?».
«Spero nulla» tagliò corto Fagan. «Forza, fammi strada».
Manuel obbedì e lo guidò fino alla barchetta del locandiere. Ormai era notte inoltrata, ma i lampioni della strada illuminavano suffusamente anche quella zona. «Ecco questo è il remo».
«Mmm» mormorò Fagan afferrandolo. «Guarda se c’è altro».
Manuel obbedì e salì sulla barca in modo da perquisirla meglio. Certo l’illuminazione non era delle migliore, per cui dovette aiutarsi con la magia. «Qui c’è del vetro… Reparo… Wow una bottiglia di whisky, ecco perché il locandiere non moriva di freddo mentre pescava… Magari era già ubriaco, eh, Fagan? E si è inventato tutto…».
«Non hai detto che l’hai visto tu stesso dimenarsi?» grugnì l’anziano.
«Sì, ma ero fin troppo distante… magari è solo molto fantasioso e con l’aiuto dell’alcool si è immaginato un’aggressione…».
«I segni su questo remo non sono immaginari» replicò Fagan. «Non c’è altro su quella barca?».
«Vediamo» disse il ragazzo illuminando ogni interstizio. «C’è il secchio con i pesci presi e la cassetta con tutto l’occorrente… oh…».
«Che hai trovato?».
«Mi sa che sono gli occhiali del locandiere. Effettivamente ne indossava un paio quando sono arrivato e ripensandoci quando è tornato non li aveva più… Sono rotti…».
Fagan gli esaminò e disse: «Devono essere stati colpiti dalla stessa creatura che ha graffiato il remo».
«Hai qualche idea?».
«Come no. È dovresti avercela anche tu, ragazzo» ribatté Fagan. «Ma preferisco essere sicuro prima di esprimermi. Avanti facciamo un giro di tutto il lago per sicurezza».
«Anche perché se rimaniamo fermi qui, geleremo» borbottò Manuel.
«Non ti lamentare sempre» lo rimproverò Fagan. «Ti sei unito alla Divisione Bestie non a quella dei Brevetti Ridicoli».
Era ormai giorno quando un sempre più burbero Fagan e un infreddolito Manuel tornarono al Ritrovo della Sirena, trovando Fabricio intento a leggere il diario di Jessica e a bere una tazza di tè fumante gentilmente offerto dalla locandiera. Manuel lo incenerì con lo sguardo.
«Oh, ma io ve lo dico che quella ragazza è geniale!» li accolse Fabricio. «Appena ha sentito del mostro è andata a fare ricerche! Prima che noi entrassimo in azione, capite!».
Fagan gemette. «Se Robert non fosse così buono, ci ritroveremmo nella Sezione Centauri per una cosa del genere».
Manuel non poté dargli torto questa volta: una Babbana li aveva battuti sul tempo, come faceva Fabricio a essere tanto allegro?
«L’hai trovata?» gli chiese Fagan.
«La locandiera dice che ha affittato una camera, ma stanotte non è rientrata a dormire».
«Speriamo che non si sia messa nei guai» borbottò Manuel.
«Ecco, ho portato la colazione anche a voi. Spero sia di vostro gradimento».
Fagan e Manuel ringraziarono la signora che gli servì con un sorriso stanco. Probabilmente neanche lei aveva dormito molto quella notte.
«Suo marito come sta?» le domandò Fagan.
«Oh, bene, non si preoccupi. Ha preso sbornie peggiori, ma è un brav’uomo. Spero che non incorrerà in problemi legali dopo stanotte». Era visibilmente preoccupata e Manuel si ricordò che Fagan si era presentato come un poliziotto babbano.
«Non si agiti, noi vogliamo assicurarci che la creatura del lago non sia pericolosa» spiegò il più anziano.
«Oh, quindi voi ci credete sul serio?». Ella era veramente stupita.
«Sì, signora» rispose Fagan. «Abbiamo controllato la barca di suo marito e vi sono realmente segni di colluttazione».
«Ma una creatura sputafuoco…?» mormorò ella ancora incerta.
«No, no, stia tranquilla. Suo marito era pur sempre ubriaco, qualcosa l’hai inventata… Piuttosto ho necessità di parlare con lui, appena si sveglia mi può avvertire?».
«Certamente! La ringrazio per la sua pazienza».
 
Solo a tarda mattinata, però, il proprietario del pub fu in grado di sostenere con loro un discorso di senso compiuto. Ammise di essersi inventato qualcosa a un certo punto e di non ricordarsi bene neanche che cosa, ma ribadì di essere stato realmente aggredito.
«Può mostrarci il punto preciso?» gli chiese Fagan.
«Sì, venite».
Manuel era stato mandato al Ministero per fare rapporto e, possibilmente, trovare qualcuno più fresco di loro che avevano trascorso la notte in bianco. Fabricio non si era voluto muovere di lì e così erano in due a seguire il locandiere. Non vollero che quest’ultimo li accompagnasse nel loro giro, ma accettarono di prendere la barca in prestito.
«È più o meno questo il punto» disse Fabricio.
«Sembra anche a me. Uno di noi dovrebbe immergersi e dare un’occhiata».
«Vado io» si offrì volontario Fabricio e iniziò a spogliarsi. Rimasto a torso nudo rabbrividì.
«Non essere avventato. Non conosciamo questo lago né le creature che lo abitano» lo ammonì Fagan.
«Tranquillo, mi limito a dare un’occhiata». Si tuffò e, prima di immergersi, applicò su di sé l’incantesimo Testabolla.
Il lago era limpido e poco inquinato, solo qualche busta di plastica e bottigliette varie gettate da qualche turista maleducato e poco rispettoso dell’ambiente. Fabricio andò più in profondità, ma non trovò nulla di strano o interessante, così riemerse.
«Allora?» lo accolse Fagan.
«Nulla. Non possiamo mica pretendere che la creatura se ne rimanga sempre nello stesso posto no?».
«No, ma da quello che ha detto il locandiere dev’essere ferita, quindi non credo sia andata lontano».
Fabricio s’issò sulla barca. «Che facciamo?».
«Torniamo a riva e vediamo se arriva qualche notizia dal Quartier Generale».
E così fecero.
«Oh».
«Che c’hai?». Fagan seguì lo sguardo del collega. «Oh, no».
Fabricio a malapena accostò la barca alla riva prima di scendere a precipizio e raggiungere Jessica, la cacciatrice di mostri. «Ciao».
La ragazza sembrò perplessa dal vederselo comparire davanti così in fretta. Fagan non comprendeva che cosa stesse passando per la testa dell’amico, certo era sempre stato un don Giovanni ma questa sembrava più un’ossessione.
«Vengo a dare una mano e magari il cambio a qualcuno di voi e trovo Fabricio che mostra i pettorali a una ragazza, ma bene! Forse dovrei raccontarlo a Robert».
Fagan si voltò verso la ben nota voce maliziosa. «Ciao, Nerissa».
«Fagan» replicò ella avvicinandosi di più.
«Ricordi la ragazza?».
«Dovrei?».
«Sì».
Nerissa assottigliò lo sguardo e scrutò la giovane. «Non mi dire che è quella Babbana squinternata che va alla ricerca di mostri».
«Oh, sì. E a proposito di follia credo che abbia contagiato anche Fabricio».
«Le ha appena offerto da bere! E noi che facciamo? Ci ha ignorati!» sbuffò Nerissa seguendo il collega con lo sguardo.
«Seguiamoli» sospirò Fagan.
«Robert dice che puoi andarti a riposare, è da ieri sera che sei in servizio. Ha mandato Manuel a dormire e più tardi manderà qualcun altro qui».
«Tra un po’ magari. Voglio essere sicuro che quello stupido torni in sé e ti dia una mano».
Fabricio, continuando bellamente a ignorarli, fece accomodare Jessica in uno dei tavolini della locanda spostandole addirittura la sedia.
«Almeno si coprisse» sussurrò Nerissa a Fagan. I due si erano seduti nel tavolino più vicino a quello di Fabricio e Jessica.
«Ma noi ci conosciamo già? Mi pare di aver già incontrato te e i tuoi amici».
La domanda della cacciatrice lasciò basiti Nerissa e Fagan, ma sul volto di Fabricio si dipinse un’espressione sognante subito sostituita da un’infastidita quando notò i due colleghi a poca distanza.
«No, ti sbagli» rispose Fabricio. «Non ci siamo mai incontrati. Però anche a me pare di conoscerti da sempre. Dev’essere il destino».
«Vomito» mormorò a voce non tanto bassa Nerissa aggrappandosi al braccio di Fagan, altrettanto disgustato. A dirla tutta neanche Jessica sembrava molto impressionata.
«Sarà» commentò infatti.
«Che cosa ti porta in Galles? Sei di queste parti?» domandò Fabricio, mentre la locandiera li serviva un pranzo leggero.
«Sono originaria della Cornovaglia. E tu?».
«Io sono argentino» rispose Fabricio con un sorriso.
«E come mai qui in Gran Bretagna?».
«Lavoro».
«Che tipo di lavoro?».
«Oh… ehm…» qui Fabricio si trovò leggermente in difficoltà, poi vide la locandiera a qualche tavolo di distanza e si ricordò di come li aveva presentati Fagan la sera prima. «Sezione speciale della polizia del Galles. Mi occupo di creature pericolose».
«Veramente?!». Gli occhi di Jessica brillarono. «Allora anche le forze dell’ordine hanno rilevato onde probabilistiche di grado quarto e stramberia atmosferica di livello cinque!».
Nerissa quasi si affogò con la birra a quelle parole e Fagan si passò una mano tra i capelli tra l’irritato e l’imbarazzato. «Non racconterò mai questa cosa a Robert. Non voglio che mi ridano dietro per i prossimi dieci anni» brontolò.
Fabricio al contrario non appariva minimamente scosso. «Diciamo che noi usiamo una scala diversa, ma sì».
«Ma è magnifico! Per anni le autorità mi hanno derisa! Sono stata costretta a fare infinite sedute psicanalitiche perché dicevo di vedere delle creature per tutti gli altri inesistenti!».
«Quindi ieri sera hai visto la creatura aggredire il locandiere?» chiese Fabricio. Fagan e Nerissa tesero le orecchie sperando di ascoltare qualcosa di interessante per una volta.
«No. Ero troppo lontana» replicò scocciata Jessica. «Ma ho provato a immergermi nel lago ieri notte».
«Di notte? Ma è pericoloso!».
La ragazza scrollò le spalle con noncuranza. «Sono una buona nuotatrice, ma non altrettanto brava come sub. Per questo stamattina sono andata a cercare un po’ di attrezzatura adatta».
«Io non credo dovresti farlo» borbottò Fabricio.
«Oh, giusto, ora ci siete tu e i tuoi colleghi».
«Esattamente. Ce ne occuperemo noi» replicò Fabricio con un sorriso smagliante, contento che avesse compreso.
«Hai ragione. E grazie per il pranzo, è ottimo».
Dopo pranzo Jessica si congedò affermando di voler riposare un po’ e Fagan afferrò, letteralmente, Fabricio per un orecchio. «Che stai combinando razza di scellerato? Civetti con una Babbana? Con quella Babbana?».
Nerissa li fissava a braccia conserte e con un’espressione palesemente infastidita stampata sul volto.
«Perché è reato ora?» ribatté Fabricio bruscamente. «E a proposito non è carino fare da terzo incomodo. Non potevate sedervi più distanti?».
Fagan ringhiò. «Ascoltami bene: sei in servizio e se non vuoi che ti faccia appioppare un richiamo disciplinare da Robert, vedi di darti una svegliata! Io vado a riposare, tu e Nerissa portate avanti le indagini! Qualcuno verrà a darti il cambio più tardi. Sono stato chiaro?».
«Sì» rispose a malincuore Fabricio guardandolo male.
«Bene» chiuse il discorso Fagan ricambiando l’occhiataccia.
«Proviamo a fare un giro e a interrogare la gente del villaggio» disse Nerissa, decidendo di non commentare quanto accaduto.
Fabricio non replicò, ma la seguì mantenendosi di cattivo umore per tutto il tempo. E fu davvero strano per Nerissa che era abituata a ben altro atteggiamento da parte del collega, sembrava quasi essere in compagnia di Ishwar.
Nel pomeriggio rientrarono alla locanda senza aver concluso nulla. «Magari è stato solo un caso isolato» sospirò Nerissa annoiata.
Fabricio non l’ascoltò neanche e si avvicinò al bancone. «Scusi, per caso la signorina Jessica Thompson è ancora nella sua camera?».
Il locandiera, con una cera di gran lunga migliore di quella della sera precedente, negò. «È uscita da più di un’ora con tutta l’attrezzatura per immergersi».
«Cosa?! E le ha detto in che punto del lago avrebbe voluto farlo?».
«Voleva raggiungere una grotta sull’altra sponda del lago. Non è un bel posto, di solito i pescatori non si avvicinano. Si tramandano strane storie. Spero stia bene, sono solo storie, no?».
«Certo, certo» borbottò Nerissa, correndo immediatamente dietro Fabricio. «Ci mancava solo questa».
Fabricio costrinse un povero pescatore ad accompagnarli fino all’ingresso della grotta.
«Perché nessuno al villaggio ce ne ha parlato?».
«È una storia che si tramanda tra pescatori» rispose il proprietario della barca. «Ormai si sta perdendo come tutte altre, ai giovani interessano ben altre cose».
«Un vero peccato» commentò Nerissa con un sospiro. «Ci immergeremo insieme» aggiunse in tono minaccioso a beneficio dell’amico.
«Ci aspetti qui» chiese Fabricio al pescatore.
«Va bene, ma non metteteci troppo» bofonchiò quello per nulla contento. «Ehi, ma non avete le bombole!?» soggiunse subito dopo.
«Non si preoccupi abbiamo ottimi polmoni. E poi ha detto lei stesso che solo un piccolo tratto di lago separa dall’ingresso della grotta. Non dovremmo andare in profondità» replicò Nerissa.
«Già, ma state attenti, potreste sentirvi male».
Naturalmente Fabricio e Nerissa una volta sott’acqua e lontani dal pescatore usarono su di sé l’incantesimo Testabolla. Comunque non ebbero veramente difficoltà a raggiungere la grotta che si rivelò molto piccola.
Fabricio si mise subito a cercare qualcosa che indicasse che Jessica fosse passata di lì, visto che di lei, di certo, non c’era traccia. Nerissa, invece, fu attratta dalle incisioni sulle pareti.
«Ho trovato qualcosa» strillò Fabricio e la sua voce echeggiò nella grotta.
«Non urlare» sussurrò Nerissa avvicinandosi.
«Non mi sembra rischi di crollare».
«Sì, ma credo che non dovremmo trovarci qui».
«Eh?».
«I disegni sulla roccia… questo è territorio di una comunità di sirene».
«Oh». Fabricio s’incupì e si affrettò a riparare l’oggetto rotto appena trovato. «È una macchina fotografica babbana, sicuramente è di Jessica».
«Hai capito quello che ho detto?» sibilò Nerissa. «Dobbiamo uscire di qui e contattare il Quartier Generale. I pescatori temono questo posto perché le sirene hanno fatto in modo che fosse così».
«Ho capito benissimo. Ciò significa che Jessica è in pericolo».
«Ti sei fissato con quella ragazza!».
«È una Babbana in pericolo! È compito nostro salvarla!» ribatté Fabricio. «Dò un’occhiata sul fondale».
«Aspetta… Maledetto testardo!» sbuffò Nerissa vedendolo tuffarsi nuovamente. Seccandosi di attenderlo senza fare nulla diede un’occhiata intorno a sé e trovò una cartelletta, al cui interno vi era un documento plastificato su cui vi era semplicemente scritto: O2 – 50 m.
«Ho trovato questa. Sicuramente appartiene a una sirena ma è spezzata» annunciò Fabricio risalendo sulla sponda.
«Ma che fai?» gli chiese Nerissa vedendolo intascare la collanina di conchiglie.
«Merce di scambio».
«Non mi piace per nulla questa storia. Robert non approverà».
«Robert non deve sapere per forza tutto» replicò bruscamente Fabricio. «Andiamo a vedere se Jessica è tornata alla locanda».
Alla locanda, però, trovarono Manuel. «Ehilà».
Nerissa lo ragguagliò sugli ultimi avvenimenti. «Fabricio è meglio se vai al Quartier Generale, così Ella potrà dara un’occhiata alla collana, al documento e alla macchina fotografica. Lei è la più brava con le cose babbane».
«Io non mi muovo da qui».
Nerissa sbuffò. «Ora mi stai facendo incazzare. Sei qui da stanotte, non sei lucido. Fa’ come ti ho detto».
«No» sbottò Fabricio. «Jessica potrebbe essere stata aggredita».
Manuel lo fissò basito mentre usciva dal locale ignorando totalmente le parole irate di Nerissa.
«Posso andare io al Quartier Generale» propose allora il ragazzo.
«Vai. E fai anche rapporto sul comportamento di Fabricio».
«Ma…».
«È un ordine, vai!».
Manuel obbedì e tornò nel giro di qualche ora. Fabricio e Nerissa era seduti a un tavolino e si fissavano in cagnesco, segno che la tensione tra i due non si era allentata nel frattempo.
«Eccomi» si annunciò il ragazzo. «I dati sulla cartelletta non sono altro che i calcoli per capire quanto ossigeno serve per immergersi di 50 metri. O è il simbolo chimico dell’ossigeno». I due continuarono a fissarlo immusoniti, perciò proseguì. «Le foto della macchina fotografica sono andate distrutte tutte tranne una: una specie di tentacolo verde pallido». E qui gli porse la foto che Ella aveva sviluppato appositamente. «È evidente che abbiamo a che fare con un avvincino, mi sembra e sono sicuro che Fagan l’aveva compreso da principio».
«Meglio così» commentò Nerissa. «E delle sirene del lago che ci dici?».
«Oh, l’avete scoperto?» replicò Manuel. «È una comunità tendenzialmente pacifica. Si è stanziata in una porzione del lago, solitamente evitata dai Babbani».
«Quell’avvincino è stato veramente sfortunato a beccare l’amo del locandiere» sbuffò Nerissa. «Altro?» chiese rivolta al ragazzo.
Manuel a disagio annuì e fissò Fabricio. «Senti, Fabricio, Robert vuole che torni al Quartier Generale».
«Certo, appena avremo concluso qui» replicò l’altro con falsa disinvoltura.
«No, immediatamente. È un ordine» si trovò a insistere Manuel.
«Se lo può scordare» ribatté Fabricio allontanandosi.
«È fuori di testa» sbuffò Nerissa.
«Tra poco verrà Benji e tu potrai andare a riposare» aggiunse Manuel.
«Bene, o finirà che lo strozzo».
Probabilmente Robert aveva ritenuto che Manuel e Benji non avrebbero avuto difficoltà a gestire da soli un caso in cui era coinvolto un avvincino, ma evidentemente non aveva fatto i conti con la testardaggine di Fabricio. Infatti, appena Nerissa si era smaterializzata, l’argentino annunciò che sarebbe andato di nuovo alla grotta e avrebbe cercato la Capitan Sirena.
«Ma che dici?» sbottò Benji che aveva avuto istruzioni ben precise della sua mentore, circa il fatto che dovessero pattugliare le zone del lago e vegliare sui Babbani che decidevano di andare a pescare. Quello e nient’altro.
«Non abbiamo il permesso di disturbare le sirene» tentò Manuel altrettanto trasecolato.
«Io sono stato estromesso dal caso, ricordate? Faccio quello che voglio. Voi rimanete pure qui».
Era una pazzia lasciarlo andare da solo per quanto fosse di gran lunga più esperto di loro.
«Nerissa mi ucciderà» mormorò Benji seguendoli. «Stiamo rubando» gemette quando Fabricio ‘prese in prestito’ una barca dal porticciolo più a sud.
Il più grande sembrava completamente perso nei suoi folli pensieri e non lo degnò minimamente della propria attenzione. Manuel scrollò le spalle rassegnato, chiedendosi se fosse poi tanto diverso dalle volte che a Hogwarts vagava per i corridoi dopo il coprifuoco con i suoi compagni. Di certo Benji non sembrava quel tipo di studente.
La visita alla grotta andò molto meglio di quanto avessero temuto: Fabricio riuscì a richiamare l’attenzione delle sirene e a ottenere un colloquio con la Capitan Sirena. Si scoprì che la collana di conchiglie l’avesse perduta proprio lei e fu molto felice di riaverla, tanto da promettere che avrebbe cercato personalmente Jessica.
Era ormai notte fonda quando tornarono alla locanda e tutto era tranquillo, persino gli avventori più turbolenti si erano ormai ritirati. Li furono messe a disposizione delle camere. Manuel provò a convincere Fabricio a dormire un po’, ma fu un’impresa difficile. Alla fine, però, entrambi crollarono mentre Benji pattugliava la zona.
Fu proprio quest’ultimo a svegliarli la mattina dopo. «Muovetevi» disse agitato. «Di sotto c’è un putiferio. Il proprietario ha raccontato della scomparsa di Jessica e tutti i giovani del luogo vogliono andare a cercarla e uccidere il mostro!».
I due si alzarono velocemente, ma quando scesero di sotto capirono che la situazione li era completamente sfuggita di mano: nella locanda non c’era più nessuno a parte la locandiera dall’aria parecchio scocciata e all’esterno erano giunti persino i giornalisti babbani. Un disastro totale. E meno male che avrebbero dovuto affrontare un avvincino! Messi in mezzo i Babbani, quella storia avrebbe avuto molta più risonanza di quanto avrebbero mai voluto.
«La locandiera mi ha dato questo» disse loro Benji raggiungendoli fuori.
«Che schifo! È un tovagliolo sporco!» sbottò Manuel facendo un passo indietro.
Benji lo ripulì alla bene in meglio in modo che il disegno centrale si vedesse.
«È la grotta delle sirene» la riconobbe all’istante Fabricio.
«Sì, l’ha disegnato il locandiere e si è offerto di guidare quelli scalmanati» sospirò Benji.
«Vai ad avvertire il Quartier Generale» gli disse Manuel.
«Perché io?» chiese allarmato Benji.
«Perché Nerissa non ti ucciderà e comunque tu non hai dormito stanotte, hai bisogno di una pausa».
«Va bene» acconsentì di malavoglia Benji: non aveva nessuna voglia di affrontare la sua mentore.
«Quello cos’è?» chiese Manuel dopo un po’ che passeggiavano sulla sponda cercando di capire come muoversi.
«Un segnale» rispose Fabricio appena individuò ciò che gli indicava l’altro. «Torniamo alla grotta».
«Ma come, ci stanno andando tutti!».
«Allora bisogna distrarli. Occupatene tu e io vado alla grotta» gli disse Fabricio e, per evitare polemiche, non attese neanche una risposta. Sapeva che, per quanto potesse impegnarsi Manuel, non sarebbe mai riuscito a prendere una barca e raggiungere la grotta senza che nessuno lo vedesse così scelse un’altra strada: entrò in acqua in un punto in cui la vegetazione lacustre l’avrebbe coperto agli occhi dei Babbani e s’immerse. Fortunatamente, come aveva sperato, la sirena che aveva lanciato il segnale era rimasta nei dintorni e fu abbastanza gentile da guidarlo fino alla grotta.
«Benvenuto, mago» lo accolse la Capitan Sirena.
«Grazie» replicò Fabricio, sforzandosi di mostrarsi rispettoso nonostante i suoi occhi fossero immediatamente saettati sul corpo svenuto di Jessica.
«Sta bene. È stata aggredita da un avvincino, ma le mie sorelle l’hanno aiutata prima che affogasse».
«Te ne sono grato» sospirò sincero e sollevato l’uomo. «Posso chiederti il favore di farmi scortare nuovamente dalla tua sirena? Non ho potuto prendere una barca».
La Capitan Sirena annuì con un cenno brusco del capo. «Ascolta, umano» aggiunse mentre già Fabricio si stava nuovamente immergendo, «la mia comunità ha perso un tridente antico e, per noi, d’inestimabile valore. Se dovessi trovarlo, te ne saremmo riconoscenti».
«Me lo ricorderò. Se ne avrò la possibilità, sarò felice di ricambiare la vostra generosità». Fabricio era sincero, ma ciò che gli premeva di più in quel momento era la salute di Jessica che, nonostante le rassicurazioni della Capitan Sirena, sembrava respirare a fatica e aveva dei brutti segni sul collo, sul viso, sulle braccia e sulle gambe. Non doveva essere stato solo un avvincino a graffiarla. Perciò l’uomo accolse con sollievo il congedo della Capitan Sirena, ma ancor di più l’aiuto delle altre sirene per trasportare Jessica in modo sicuro.
Sembrò volerci un tempo infinito per raggiungere la riva, ma, appena ci riuscì, Fabricio espirò a pieni polmoni e corse fino alla locanda. Di Manuel, dei giornalisti e dei giovani turbolenti non vi era traccia. E questo non era necessariamente un bene. La proprietaria della locanda li accolse con solerzia e accompagnò Fabricio nella stanza di Jessica.
«Vado a chiamare un medico» disse sollecita la locandiera.
«No» si affrettò a fermarla Fabricio. Lì ci voleva un Guaritore. «Me ne occupo io. Può rimanere con lei un attimo?». La ringraziò e corse fuori. Dove si era cacciato Manuel?
«Fabricio Silva».
«Fagan» fu sollevato nel vedere il collega, dimentico delle incomprensioni precedenti.
«Che sta succedendo? Sono appena arrivato».
Fabricio lo tirò in disparte sul retro del locale ed evocò il suo patronus. «Ho trovato Jessica con l’aiuto delle sirene, ma ha bisogno di un Guaritore. La Capitan Sirena mi ha detto che è stata attaccata da un avvincino, ma, viste le sue ferite, sicuramente erano molti di più».
«Io non credo. Le sirene controllano i loro avvincini, specialmente quelli domestici. Hanno perfettamente contezza del loro comportamento. Probabilmente si tratta dello stesso avvincino che ha attaccato il proprietario di questo locale. Dev’essere rimasto ferito nello scontro ed è molto più aggressivo del normale».
«Ah, può anche darsi».
«Dov’è quello scavezzacollo di Manuel?».
Fabricio allora gli raccontò della folla inferocita e del compito di distrarla assegnata a Manuel. «Mi aspettavo qualcun altro, oltre te. Anche Manuel ha bisogno di essere sostituito, ha riposato questa notte ma non tantissimo».
«Non credo serva nessun altro per ora. Appena Manuel si libera, lo manderemo al Quartier Generale. È necessario recuperare e curare quell’avvincino. Lo faremo stanotte, così i Babbani non potranno intralciarci e metteremo fine a questa storia».
«Perfetto» assentì Fabricio. «Andiamo a vedere se arriva il Guaritore che ho chiamato?».
Dovettero attendere un quarto d’ora prima che il suddetto Guaritore arrivasse e Fabricio era alquanto impaziente. «Avevo detto che è urgente».
«L’attacco di un avvincino, come quello da lei descritto, non è un codice rosso» fu la risposta.
Fagan lanciò un’occhiata di ammonimento all’amico prima che decidesse di sfogare tensione e stanchezza sul Guaritore. Lo accompagnarono in silenzio nella stanza di Jessica e lasciarono che la visitasse senza fiatare.
«Come immaginavo, non è nulla di grave» sentenziò con una punta di superbia il Guaritore, beccandosi un’occhiataccia da Fabricio, che non si mosse dal capezzale di Jessica per tutta la medicazione.  «Ecco fatto. Reinnerva!».
La ragazza riaprì gli occhi immediatamente, ma impiegò qualche minuto ad abituarsi alla luce della camera.
«Che è successo?».
«Ti abbiamo trovato svenuta in mezzo alla vegetazione sulla sponda sud del lago» mentì Fabricio.
«Ah».
«Come si sente, signorina?» le domandò il Guaritore in tono professionale.
«Bene» sospirò Jessica mettendosi seduta con l’aiuto di Fabricio. «Il mostro?».
«Stiamo predisponendo un piano di cattura. Ricordi qualcosa?» rispose Fabricio.
Ella fece una smorfia e annuì. «Era buio. Sono scesa forse anche oltre cinquanta metri… non mi sono regolata bene… all’improvviso è apparso qualcosa… alla luce della torcia ho visto che la sua bocca era piena di denti aguzzi… mi ha attaccato con quelli e con i tentacoli… era il mostro, ne sono sicura! Ma non sono riuscita a contrastarlo. Ha tentato di strangolarmi con quelle sue dita sottili… poi è arrivata una strana donna e mi ha aiutato, mi pare che non fosse sola… infine è diventato tutto nero, credo di essere svenuta…».
Fabricio annuì. La descrizione era chiara, si trattava di un avvincino: non c’era più alcun dubbio.
In quel momento arrivò Manuel quasi di corsa e fu sollevato nel vedere Fagan. «Un disastro! I giornalisti babbani già millantano l’esistenza di un Nessie gallese e gli abitanti del luogo stanno facendo a gara a raggiungere la grotta!».
Fagan imprecò in modo molto colorito e scosse la testa. «Vai al Quartier Generale e fai rapporto. Avremo bisogno di un bel po’ di obliviatori».
«Corro» replicò Manuel fiondandosi fuori dalla stanza.
«Obliviatori? Ho già sentito questa parola» disse Jessica curiosa.
Fagan scosse la testa seccato e puntò la bacchetta contro la ragazza.
«Ehi» l’urlo indignato di Jessica di fronte alla strana minaccia si mescolò a quello sorpreso e infastidito di Fabricio, che si frappose tra i due.
«Che ti salta in mente?» ringhiò quest’ultimo.
«La oblivio naturalmente. Levati!» fu la risposta adirata di Fagan che si avvicinò maggiormente al collega.
«No».
«No?» replicò Fagan preso in contropiede. Persino il Guaritore lo fissò come se gli mancasse qualche rotella. «Conosci la legge» sbottò Fagan cercando di essere ragionevole.
Fabricio sbuffò. «Allora lo faccio io».
«Sicuro?» brontolò Fagan.
«Sì, sicuro. Adesso non ti fidi di me?».
«Mi fido» ribatté asciutto Fagan ma lanciandogli un’occhiata significativa. «Vado a vedere che aria tira giù».
Giù, non tirava certamente buona aria. Il locandiere, intervistato, raccontava con fervore e dovizia di particolari l’aggressione subita e sventolava anche la canna da pesca, gli occhiali e il remo graffiati e con i segni dei tentacoli della creatura. Una folla di persone di tutte le età circondava lui e il giornalista.
In quel momento Manuel ritornò in compagni di Ishwar, Robert, un gruppo di Obliviatori e alcuni soggetti che Fagan sapeva appartenere al Comitato Malinformazione. Robert si chiuse la porta alle spalle in modo che non entrasse nessun altro e gli Obliviatori si misero al lavoro. In poco meno di un quart'ora la maggior parte dei presenti aveva uno sguardo vago; a quel punto Robert li lasciò uscire e con loro si dileguarono anche quelli della Malinformazione probabilmente intenzionati a fare un giro nel villaggio e assicurarsi che ogni voce sulla presenza di un mostro nel lago tacesse definitivamente.
«Un bel macello» borbottò a braccia conserte Robert. «Mi volete spiegare come un’aggressione da parte di uno stupido avvincino vi possa essere sfuggita così di mano?».
Manuel si defilò di fronte a quella predica con la scusa di accompagnare i due proprietari nelle loro stanze in modo che avessero un minimo di tempo per chiudere la questione e andersene.
«È quella stupida che si crede una cacciatrice di mostri» brontolò Fagan altrettanto seccato.
«Io non sono una stupida cacciatrice! Ho visto il mostro e mi ha anche aggredito!».
Un tempismo perfetto, decisamente! Manuel, appena rientrato in Sala, avrebbe voluto confondersi con la parete vista l’espressione furiosa di Robert. In realtà una parte di lui avrebbe anche voluto aiutare Fabricio, palesemente nell’occhio del ciclone, ma sicuramente non aveva idea di come fare. Alle spalle della ragazza apparve anche il Guaritore, che osservò la scena con interesse.
«Perché non l’hai obliviata, Fagan?» sbottò iroso Robert.
«Toccava a me farlo» rispose Fabricio.
«Tu non dovresti essere neanche qui» sibilò Robert. I due si guardarono in cagnesco. «Ishwar, occupati della ragazza» ordinò allora Robert.
«Lei è diversa dagli altri Babbani, sente il nostro mondo» tentò Fabricio mettendosi in mezzo ed evitando che Ishwar incantasse Jessica.
«Io non so cosa ti sia preso Fabricio, ma sei sospeso» esclamò Robert. «Ishwar, fa’ come ti ho detto».
Per la prima volta in quei mesi Manuel percepì una profonda crepa nella loro squadra. Per il poco tempo trascorso all’Accademia Auror aveva compreso che gli Auror facevano squadra perché obbligati spesso e volentieri, ma nella Divisione Bestie aveva sempre trovato una forte armonia. Anche Fagan che faceva tanto il vecchio brontolone, era perfettamente integrato. In più Ishwar si era sempre mostrato preciso e scrupoloso, ora invece sembrava incerto. E come dargli torto? Fabricio sembrava sul punto di duellare!
«Fabricio, va’ via» intervenne Fagan. «Nessuno di noi vuole uno scontro».
Fabricio strinse i pugni e si avviò verso l’uscita senza dire una parola, solo quando fu sulla soglia disse: «Jessica nella grotta ha trovato il tridente perduto della Capitan Sirena. Sarebbe il caso di restituirglielo».
La tensione era palpabile, ma i membri rimanenti della Divisione Bestie fecero finta di nulla e Manuel si adeguò al contegno dei compagni più esperti. Jessica fu obliviata in pochi secondi da Ishwar e accompagnata in un luogo ben distante in modo che non avesse motivo di ricordare qualcosa, visto che sembrava combattere fin troppo bene l’Incantesimo di Memoria.
Fagan e Manuel ebbero il compito di risolvere la faccenda del tridente e di occuparsi dell’avvincino. Il più giovane si accorse che, senza tutti quei Babbani intorno, non ebbero alcuna difficoltà. E, grazie all’aiuto della Capitan Sirena più che soddisfatta di riavere l’antico tridente, chiusero il caso in un paio di ore. L’avvincino era stato ferito non solo dai colpi di remo, come avevano creduto, ma gli era anche rimasto impigliato l’amo della canna da pesca sul labbro superiore e questo lo rendeva incredibilmente aggressivo. Fortunatamente anche in questo le sirene furono la loro salvezza, perché se ne occuparono personalmente.
«La prossima volta che andrò al pub, ne sceglierò uno a Londra» borbottò Manuel quella sera dopo aver consegnato il rapporto a Fagan.
Il più anziano ridacchiò e gli disse: «Oh, ma le creature magiche sono dappertutto. Fattene una ragione».

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Capitolo 5
*** Cosa bolle in pentola? ***


Capitolo quinto

 
 
Cosa bolle in pentola?

 
 
 
Robert sospirò. Quella mattina era proprio di cattivo umore: non era riuscito ancora a parlare con il figlio, perché lui cercava di evitarlo in ogni modo e non era solo un’impressione come aveva sostenuto Annabelle; in più Fabricio non era ancora rientrato in squadra e non si parlavano da quando si erano scontrati in Galles.
Qualcuno bussò alla porta e lui fu costretto a dire: «Avanti».
Un giovanotto sconosciuto, ma con indosso la riconoscibilissima divisa della Squadra Speciale Magica, apparve sulla soglia del suo ufficio.
«Signor Jackson, buongiorno».
«Buongiorno» replicò Robert chiedendosi che cosa volesse Terry Steeval da lui.
«Il Capitano mi ha chiesto di riferirle che è scomparso un mago a Hereford».
Robert si accigliò. «E io che cosa c’entro?».
«Nella zona limitrofa il bestiame dei Babbani è stato colpito da una strana malattia e il Capitano pensa che debba intervenire il suo Dipartimento».
«A Hereford, dice?».
«Sì, questo è l’indirizzo. I miei colleghi hanno già fatto un sopralluogo, ma non risulta alcun segno di effrazione o di possibile colluttazione».
«Bene, grazie. Manderò i miei uomini».
L’agente si congedò e Robert si alzò per raggiungere i colleghi. Quel giorno erano tutti radunati nell’ufficio – tutti tranne Fabricio naturalmente – e lo fissarono immediatamente al suo ingresso.
«Novità?» grugnì Fagan.
«Ho visto un agente della Squadra Speciale Magica» interloquì Manuel.
«Già, c’è del lavoro per noi» concordò Robert. «Fagan    e Manuel, per favore, recatevi fuori Hereford. A quanto pare il bestiame babbano si è ammalato. Nerissa e Joachim andate a questo indirizzo e date un’occhiata. Il proprietario è scomparso».
«E i due casi sono collegati, immagino» commentò Nerissa, dando un’occhiata veloce al foglietto che le aveva passato il suo capo.
«Secondo il Capitano Steeval, sì».
Fagan e Manuel usarono il camino per lasciare il Ministero e in seguito si smaterializzarono in una strada secondaria di Hereford. Non fu difficile ottenere informazioni perché gli allevatori del posto erano abbastanza furiosi e non attendevano altro che un supporto.
I due trascorsero la mattinata tra una stalla e l’altra, facendo finta di essere veterinari babbani mandati dal Governo per affrontare quella grave epidemia, ma non trovarono particolari indizi.
«Potrebbe essere colpa di un nogtail?» chiese Manuel appena si liberarono degli allevatori.
«Non credo» replicò Fagan pensieroso. «Sono troppe le fattorie coinvolte, dovrebbe esserci una vera e propria invasione. E comunque non mi pare che questo posto sia maledetto».
Manuel si strinse nelle spalle non avendo altre idee da proporre.
«Torniamo al Ministero e vediamo che cos’hanno scoperto Nerissa e Joachim».
 
 
Per Nerissa e Joachim, però, la mattinata non era trascorsa tanto tranquillamente e senza intoppi.
I due avevano trovato la casa del mago scomparso senza problemi e men che meno ebbero difficoltà a entrarvi. La casa non era molto grande e rustica come molte altre nella zona. Era formata da poche stanze: un piccolo bagno, una cucina con un soggiorno annesso, ma sempre di dimensioni ridotte, e una piccola camera da letto. Nel piccolo ambiente regnava un gran disordine e i due maghi faticarono a perquisirlo.
«Nemmeno i miei nipoti hanno mai creato tanto caos».
«Perché gliel’avresti permesso?» borbottò Joachim.
Nerissa si mordicchiò il labbro e gli lanciò una breve occhiata: non amava parlare con il collega, specialmente di questioni personali. «No» ammise. Si era ritrovata a crescere i tre nipoti a causa della guerra con Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Non era stato semplice anche perché lei non era mai stata il tipo di ragazza che sogna il principe azzurro e una famiglia piena di bambini, ma nonostante ciò credeva di essersela cavata molto meglio del collega che, invece, aveva scelto di formare una famiglia.
«C’è una porta qui» disse Joachim aprendola.
Nerissa lo seguì in quello che apparve subito come un seminterrato, ma non uno di quelli dove si accatastavano scatole e oggetti non utilizzati: era stato adibito a laboratorio di pozioni.
«Ah, abbiamo un appassionato di intrugli» commentò guardandosi intorno. «E mi sa che non siamo i primi a entrare qui dentro».
Joachim annuì.
Qualcuno aveva già frugato nel piccolo laboratorio che, probabilmente, era disordinato di natura proprio come il resto della casa.
Dopo un’attenta analisi, con l’aiuto anche di incantesimi di rilevamento, Nerissa trovò un grembiule sporco. «Questo ce lo portiamo».
«Mi sa che possiamo tornare e riferire a Robert» disse Joachim. «Qui non c’è nessuno».
«Sì, sono d’accordo».
 «Era ora che vi faceste vedere».
Una voce tonante precedette dei passi pesanti sulle scale. Nerissa e Joachim estrassero le bacchette.
Un uomo alto e distinto apparve davanti ai loro occhi e non sembrò turbarsi per le bacchette puntate contro di lui.
«Chi è lei?» chiese Nerissa.
«Siete del Ministero?» replicò lui. «Quell’uomo è scomparso da giorni e per giunta c’è una stupida babbana che gira da queste parti e fa troppe domande».
Nerissa pensò subito a Jessica e pregò che non fosse ancora lei. «Chi è lei?» ripeté.
«Datevi una mossa» sbuffò l’uomo ignorandola e tornando sui suoi passi.
«Ehi, torni indietro!» sbottò Nerissa e provò a inseguirlo, ma quello si era già smaterializzato.
«Robert non sarà contento» borbottò Joachim.
«Sta zitto» sibilò Nerissa.
«Nel grembiule c’è un’ampolla e dei piccoli frammenti di uovo» aggiunse l’uomo non curandosi del carattere della collega.
Lei si avvicinò e osservò l’ampolla riparandone l’etichetta. «Per l’acume mentale» lesse. «Che roba era?» si chiese costatando che era ormai vuota e probabilmente era stata quella a sporcare il grembiule.
«Non saprei» replicò Joachim. «Sicuramente Ishwar lo capirà subito».
«E Fagan riconoscerà questi frammenti. Anche se secondo me appartengono a un rettile. Andiamo».
Un incontro inatteso li trattenne, però, ulteriormente: una donna giovane e carina. «Buongiorno, siete poliziotti?».
«Sì» si affrettò a rispondere Nerissa. «Ci è stata denunciata la scomparsa del proprietario di questa casa e siamo venuti a dare un’occhiata. Lei chi è?».
«Oh, non sapevo che avesse parenti, in caso contrario li avrei avvertiti». La ragazza sembrò sinceramente dispiaciuta, ma fortunatamente non era Jessica.
«Lei come si chiama?» ripeté Nerissa.
«Cassy Denver».
«Lei ha visto il proprietario di questa casa?».
«Oh, sì. Abito qui accanto. È una persona riservata, vive da solo. Due giorni fa sono passata davanti alla casa e l’ho visto svenuto davanti alla porta, allora ho subito chiamato l’ambulanza. Mi dispiace di aver fatto preoccupare i suoi parenti, lui si trova all’ospedale qui vicino. Non sembra essere grave».
«La ringrazio, ci è stata molto utile». Nerissa salutò e fece cenno al collega di allontanarsi. Quando furono in un luogo deserto e lontano dalle orecchie della babbana, evocò il proprio patronus. «Avvertiamo il Quartier Generale e andiamo a trovare il nostro uomo all’ospedale».
Joachim non replicò, d’altronde sapeva di dover obbedire a Nerissa.
L’ospedale era più distante di quanto la ragazza avesse lasciato intendere, perciò i due dovettero smaterializzarsi un paio di volte prima di localizzarlo e raggiungerlo a piedi in modo da non destar sospetti. Si presentarono ancora una volta come poliziotti, ma l’infermiera all’ingresso chiese loro di vedere i documenti, prendendoli di sorpresa. Alla loro reazione la donna si agitò, ma Nerissa la schiantò prima che potesse allertare la sicurezza.
«Che cavolo fai?» sbottò Joachim. «Non puoi…».
«Stai zitto, si riprenderà» replicò Nerissa attirando l’attenzione di alcune infermerie di passaggio e suscitando un po’ di confusione, di cui i due ne approfittarono subito e si infilarono nel corridoio che portava ai reparti.
«E ora che facciamo?» sbottò Joachim fuori di sé. «Giuro che lo dirò a Robert! Non puoi fare così!».
Nerissa lo fulminò con lo sguardo, ma si limitò a puntare su di sé la bacchetta e trasfigurare il suo volto in modo che non potessero riconoscerla immediatamente. «Fallo anche tu» ordinò seccamente a Joachim, che obbedì continuando a mormorare.
Nerissa lo ignorò ben sapendo che avrebbe davvero raccontato tutto a Robert e sapendo che si sarebbe beccata una bella lavata di capo. Scacciò quei pensieri e si concentrò sul loro obiettivo. Fermò un’infermiera e le chiese di un uomo, circa di mezz’età, che era stato ricoverato qualche giorno prima. Sembrava che nessuno sapesse o volesse aiutarli, finché, con un colpo di fortuna, non incontrarono un giovane infermiere di colore che sembrava fuori di sé e iniziò a tremare alla loro domanda.
«Sei spaventato perché hai visto qualcosa di strano?» azzardò Nerissa tentando di capire il ragazzo.
«No, è sparito! Mi licenzieranno» confessò terrorizzato.
Nerissa imprecò. «Ti aiutiamo noi» disse per rassicurare l’infermiere. «Siamo degli amici dell’uomo, siamo venuti a trovarlo. Mostraci la sua stanza».
Il ragazzo obbedì all’istante e li condusse in un’ampia camera bianca, all’interno della quale lungo le pareti vi erano una serie di letti.
«Ecco questo era il suo! Era qui fino a stamattina! Mi licenzieranno!».
Nerissa non aveva idea di come aiutarlo e un po’ le dispiacque perché sicuramente il mago era scappato con la materializzazione e il povero ragazzo non avrebbe potuto impedirlo. Ma dov’era andato? Al San Mungo? O si sentiva meglio? Ma a casa, nemmeno mezz’ora prima, non c’era nessuno. «Che cos’aveva?».
«Non era ancora chiaro ai medici, per questo era sotto osservazione. Aveva la febbre alta, sudava e, sinceramente, emanava uno strano odore».
Nerissa si accigliò: avrebbe potuto ridere di quella considerazione che poteva far pensare a una scarsa igiene, ma non le piacque per nulla come il giovane disse ‘strano’. «Che odore era?».
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Non saprei di preciso, ma secondo i medici è entrato in contatto con sostanze chimiche particolari».
Sostanze chimiche? Sicuramente qualcosa che aveva usato nel suo laboratorio. Possibile che stessero indagando su un semplice incidente avvenuto durante la distillazione di una pozione? Eppure perché il mago era sparito? E chi era quell’uomo ben vestito e arrogante che era entrato così liberamente in una casa che non gli apparteneva?
Nerissa ringraziò l’infermiere e si volse verso Joachim.
«Ho dato un’occhiata» disse lui con freddezza. «Ho trovato questi».
La donna strinse tra le mani quella che a occhio avrebbe potuto essere scambiata con una pietra dalla forma contorta e un foglio con dei numeri. «Un bezoar. Questo fa pensare che forse il mago lo portasse con sé perché stava lavorando a una pozione pericolosa… sicuramente Ishwar lo capirà… Ma questo foglio cos’è? Un buono di consegna? Perché lo teneva con sé?».
«Torniamo al Quartier Generale, prima che la polizia babbana ci arresti» replicò Joachim per nulla interessato alle sue ipotesi.
Nerissa sbuffò, ma annuì e dovette trattenersi per non rispondergli a tono.
Una volta tornati al Ministero riferirono tutto a Robert e si confrontarono con Fagan e Manuel, che, però, non avevano molte altre risposte.
Pranzarono in ufficio in attesa di nuove istruzioni. Come previsto, Robert si arrabbiò parecchio quando Joachim gli raccontò dal piano geniale di Nerissa per entrare in ospedale. La donna, per conto suo, era abituata a vedere il suo capo infuriato perciò non si scompose più di tanto, ma si sorprese quando Robert disse che sarebbero andati insieme a dare un’altra occhiata alla zona: solitamente chi si beccava una lavata di capo come lei, di solito veniva estromesso dal caso al quale stava lavorando. Dopo averci riflettuto su, si sentì leggermente in colpa: Fabricio non c’era e il litigio tra lui e Robert era ancora nell’aria, quindi quest’ultimo non poteva e, in fondo, non voleva allontanare nessun altro, sebbene assicurò a Nerissa che avrebbe avuto un rapporto.
Il pomeriggio fu infruttuoso: tornarono alla casa del mago – su cui Manuel avrebbe dovuto cercare informazioni più precise ˗, ma non vi aveva fatto ritorno, osservarono la vicina, ma decisero di evitare contatti con i babbani finché avessero potuto; infine, quando ormai il tramonto era vicino, si spostarono nelle fattorie con gli animali malati.
E, finalmente, tutto quel vagare ebbe un senso: in una zona boschiva tra le fattorie trovarono una costruzione.
«È una guferia» disse Joachim.
«Diamo un’occhiata» decise Nerissa, ma Robert la fermò.
«No, chiamiamo Steeval per capire se è autorizzata o meno».
Così attesero pazientemente l’arrivo della Squadra Speciale Magica. Sedettero su un muretto basso.
«Scusa» borbottò Nerissa in modo che potesse sentirla solo Robert. «Sono stata impulsiva come al solito».
«Già» sbottò Robert, ancora arrabbiato. «Prima o poi finirai in guai seri e io con te».
«Potresti licenziarmi prima» lo provocò.
«Lo so, tranquilla» ribatté lui a tono.
«Come stai?» gli chiese sinceramente preoccupata: lavoravano insieme a Fabricio da anni e sapeva quanto era stato difficile per Robert allontanarlo.
«Sono stato meglio» ribatté laconico.
«Hai parlato con Fabricio?».
«Ancora no. Lo farò presto».
«Hai idea del perché si sia comportato in quel modo?».
«No».
«Annabelle ti ha riferito la sua teoria?».
«Sì» sbuffò Robert. «E mi sembra assurda».
«Mai dire mai» commentò Nerissa. «Oh, ecco Steeval».
Robert si raddrizzò e andò incontro al Capitano della Squadra Speciale Magica.
«Ho controllato» gli comunicò immediatamente. «La costruzione è abusiva».
«Diamo un’occhiata?».
«Sì, vado avanti con i miei uomini».
Robert annuì. Nerissa e Joachim lo seguirono.
La guferia era un edificio malconcio, alto e dalla stretta circonferenza. Di gufi ce n’erano ben pochi, ma ogni tanto si sentiva tubare nella parte sommitale completamente buia.
Il pavimento era ricoperto di escrementi e l’erba era spuntata tra i pertugi delle assi di legno ormai logore e in parte tarlate. In un lato del piccolo ambiente era accatastati alcuni vecchi schedari e armadi in legno che stonavano totalmente con il resto.
Nerissa arricciò il naso a causa dell’odore e assottigliò gli occhi per cogliere quanti più dettagli possibili, senza però intromettersi nella perquisizione della Squadra Speciale Magica.
Steeval si avvicinò loro poco dopo: «I miei uomini hanno trovato questo guanto di pelle di drago, alquanto usurato, e uno scrigno».
«Possiamo vederli?» chiese Robert.
«Il guanto sì» rispose il Capitano porgendoglielo. «Lo scrigno no. Carson si è bruciato toccandolo. Dev’essere maledetto, lo trasferiamo subito al Ministero e lo sottoporremo ai nostri Spezzaincantesimi».
I tre membri della Divisione Bestie attesero finché gli uomini di Steeval non recintarono la zona; successivamente Robert decise di andare di nuovo alla casa del mago per controllare se fosse tornato e, in caso, trovare anche l’altro guanto.
Ormai il sole stava tramontando. La giovane Denver li individuò e salutò mentre stava rientrando a casa. Robert lanciò a Nerissa un’occhiata di avvertimento e poi si rivolse alla ragazza.
«Buonasera».
«Buonasera» ricambiò allegramente Denver. «Come sta il mio vicino?».
«Ancora non è ben chiaro cosa l’ha fatto star male» rispose Robert senza sbilanciarsi.
«Oh, ma quello dove l’avete preso?» chiese la ragazza. «Lui è molto geloso dei suoi guanti. Non ha mai voluto prestarmeli».
Robert si accigliò. «Quando l’ha soccorso non li indossava, vero?».
«Invece sì. Quando l’ambulanza l’ha portato via li indossava».
«Ah, capisco. La ringrazio».
Questo comportò una nuova visita all’ospedale babbano, ma nonostante la stanchezza né Joachin né Nerissa si lamentarono. Questa volta Robert impose un incantesimo di Disillusione su di sé e su i due compagni. In questo modo ebbero la possibilità di entrare nell’edificio senza farsi notare e allarmare i babbani.
«Avrei dovuto pensarci anch’io».
«Decisamente» borbottò Robert senza neanche voltarsi verso Nerissa.
Ebbero, invece, non poche difficoltà a ritrovare la stanza dov’era stato ricoverato il mago senza l’aiuto dell’infermiere. Quando finalmente vi riuscirono, impiegarono un bel po’ di tempo a setacciare il posto.
«Ecco il guanto» sospirò Nerissa sollevata che almeno avessero trovato qualcosa. «Guardate, è strappato».
Robert lo scrutò per un attimo e annuì. «Dai, andiamo al Quartier Generale».
 
A quell’ora tarda, ad attenderli c’erano Ella Simmons e Ishwar, che avevano il turno di notte.
«Ho ricostruito la lettera» annunciò Ella, porgendo la pergamena, che Joachim aveva trovato in ospedale, a Robert.
«È una lettera minatoria» commentò Ishwar osservando il capo in attesa di una sua reazione.
«Preparala in fretta o ti aspetta un pensionamento anticipato» lesse Robert ad alta voce.
«Che carino» borbottò Nerissa non trattenendo uno sbadiglio.
«È firmata S.P. Avete idea di chi potrebbe essere?» domandò Robert.
Gli altri negarono.
«Va bene. Allora noi tre ce ne andiamo a casa; Ishwar ed Ella voi analizzate questo guanto per cortesia».
 
La mattina dopo Nerissa e Joachim furono spediti nuovamente all’ospedale babbano, questa volta con dei documenti finti preparati da Ella durante la notte; mentre Benji Mulciber e Manuel andarono a Diagon Alley, perché il foglio con i numeri non era altro che un buono di consegna. Magari il mago aveva acquistato un qualche animale pericoloso che aveva morso il bestiame babbano avvelenandolo e magari ucciso il mago stesso.
Nerissa e Joachim scoprirono che nessuno era andato a trovare il mago, ma di giorno era arrivata una civetta che aveva mandato in panico l’intero reparto, probabilmente aveva anche consegnato la lettera minatoria.
Rientrati al Ministero, trovarono Robert nel suo ufficio che li attendeva. «Lo spezzaincantesimi ha lavorato tutta la notte. Indovinate che cosa ha trovato nello scrigno?».
Nerissa si passò una mano sul viso e sbuffò. «Uova di drago?».
Joachim la guardò male non approvando quella spiritosaggine fuori luogo.
«Ci sei quasi. Uova di Ashwinder».
«Se è ancora vivo, il nostro caro mago dovrà fornirci non poche spiegazioni» commentò la donna.
«Non ho finito. Ella e Ishwar hanno analizzato il guanto, ritrovandovi residui di una sostanza appiccicosa, probabilmente veleno non ancora identificato, e segni di denti affilati».
«Magari quelli di Ashwinder» ragionò Nerissa.
«Magari» concesse Robert. «E magari il mago si è sentito male per questo».
«E ora che si fa?» chiese Nerissa preoccupata. «Il mago è scappato dall’ospedale, probabilmente consapevole che i babbani non avrebbero potuto aiutarlo».
«Dimentichi il bezoar che avete trovato, forse il mago voleva ingerire quello».
«Ma non ce l’ha fatta» mormorò Nerissa. «Robert, tu pensi che…».
Qualcuno bussò alla porta e la interruppe.
«Avanti».
«Buongiorno, signore». Un giovane agente della Squadra Speciale Magica. «Mi manda il Capitano Steeval per comunicarle che abbiamo svolto delle ricerche su S.P.»
«Bene, siete riusciti a risalire al nome del mittente della lettera minatoria?».
«Siamo quasi certi si tratti di Seymour Price».
«È molto conosciuto al Ministero» borbottò Joachim appena l’agente li lasciò soli.
«Non è un problema nostro» ribatté deciso Robert. «Convocatelo immediatamente».
«Non possono occuparsene loro?» si lamentò Joachim indicando la porta dalla quale era appena uscito l’agente della Squadra Speciale Magica.
«No. Appena Price arriverà, Nerissa torna qui insieme a Fagan».
Joachim fece una smorfia ma non proferì parola in merito.
 
Seymour Price si mostrò immediatamente poco collaborativo. Sembrò quasi che la sua sola presenza nel loro ufficio fosse una concessione di cui loro avrebbero dovuto essere profondamente grati. Nerissa fu costretta a mordersi la lingua pur di non creare ulteriori problemi a Robert. Fortunatamente fu quest’ultimo a condurre la conversazione, anche perché nemmeno Fagan era particolarmente diplomatico.
«Ricattava il mago?».
«Come si permette?» replicò Price con freddezza.
«Senta, se lei collaborasse, sarebbe meglio».
«Mi ha preso per uno dei suoi uomini?» sbottò Price alzandosi.
«Si sieda» ringhiò Fagan facendo un passo avanti.
«La prossima volta che ha voglia di farmi perdere tempo, contatti direttamente il mio magiavvocato».
Nerissa e Fagan si trattennero solo per un’occhiataccia di Robert.
«E ora?» sbottò Nerissa.
«Purosangue di m…».
«Fagan» lo zittì Robert. «Aspettiamo Benji e Manuel, sperando che almeno loro abbiano scoperto qualcosa».
Purtroppo i due ragazzi non portarono novità: il mago scomparso era il cliente più importante di quel negozio, ma nulla di illegale vi era stato acquistato. Né vi era traccia di alcun buono di consegna.
«D’altronde non lo scriverebbero nei registri ufficiali» borbottò Fagan.
«Fagan, facciamoci un altro giro nella casa del mago» decise Robert.
I due uomini con enorme sorpresa trovarono la porta del seminterrato aperta e percepirono immediatamente rumori di mobili spostati, perciò entrarono con le bacchette in pugno.
«Guarda chi c’è! Niente magiavvocato?» borbottò Fagan.
Robert gli lanciò un’occhiata di avvertimento e scese i gradini malconci. «Signor Price, che cosa fa qui? Ci sono i nostri sigilli».
«Cerco di risolvere il problema, se aspettassi voi…».
«Non ne ha il diritto» sibilò Robert. «Si aspetti una denuncia».
Price sbuffò e si smaterializzò sotto gli occhi dei due maghi. Fagan si mise a imprecare molto coloritamente. Robert, ormai abituato, si mordicchiò il labbro e raggiunse il bancone: c’era un registro sudicio che aveva attirato l’attenzione di Price. Lo sfiorò con le mani e odorò la sostanza appiccicaticcia che vi era sopra. Arricciò il naso e cercò di ripulire la copertina.
«Registro dei clienti! Fagan, viene a vedere».
L’altro smise d’imprecare e, borbottando a mezza voce, lo raggiunse.
«Il nostro caro mago vendeva pozioni in nero».
«E Price le comprava! Facciamolo finire ad Azkaban!».
Robert lo ignorò, ben conoscendo l’orgoglio ferito del Grifondoro e la sua smania di vendetta. «Questa sembra una lettera» disse estraendo una pergamena strappata dalle pagine del registro. «Reparo».
«Oh oh» commentò trionfalmente Fagan.
Lo stemma di Hogwarts troneggiava nell’intestazione.
 
 
Caro signor Price,
sono spiacente di comunicarle che suo figlio Eric, in questi primi mesi di scuola, ha manifestato un comportamento immaturo e poco rispettoso delle persone e delle regole della Scuola; inoltre, i suoi risultati, specialmente in Trasfigurazione, Incantesimi ed Erbologia, sono particolarmente scadenti.
Nella speranza della sua collaborazione,
In fede,
prof.ssa Else Cohen
Direttrice di Serpeverde
 
«E questo spiega molte cose» commentò contento Fagan.
«Per l’acume mentale!».
«Cosa?».
«L’etichetta sull’ampolla che hanno trovato Nerissa e Joachim» spiegò Robert. «Recitava “Per l’acume mentale”».
«Voleva creare una pozione per aiutare il ragazzino».
«Esattamente! E questo registro dovrebbe darci altre risposte» sospirò stancamente Robert.
I due trovarono una serie di ingredienti, molti dei quali non commerciabili.
«Questa è l’ultima e corrisponde al nostro buono di consegna» disse Fagan.
«Ed è arrivato lo stesso giorno in cui il mago è stato portato in ospedale. Ma cos’è?» si chiese Robert. «Non l’ha indicato».
«Forse perché è più illegale del resto».
«Ma, se è stato consegnato, l’avrà riposto da qualche parte, no?».
«E dove?» domandò ad alta voce Robert seguendo il ragionamento dell’amico.
«Alla guferia» s’illuminò Fagan. «Semplice, no?».
«Andiamo. Il mago potrebbe anche essere tornato lì e dubito sia in forma».
«Dobbiamo preoccuparci anche dei delinquenti» borbottò Fagan.
Roberto mandò un patronus al Quartier Generale, ma non replicò.
 
Quando Robert, Fagan, Nerissa e Ishwar si appostarono fuori dalla guferia era ormai calata la notte.
«Non dovremmo aspettare l’arrivo del Capitano Steeval?» chiese Ishwar, mentre i compagni si preparavano a quella piccola incursione notturna.
«No, abbiamo buoni motivi di credere che lì dentro ci sia un animale, quindi rientra nella nostra giurisdizione» replicò Robert. «Andiamo».
La guferia aveva un aspetto alquanto inquietante.
«Ho sentito un fruscio» borbottò Nerissa.
«Non mi sarai diventata fifona?» replicò Fagan.
La collega lo fulminò.
«Cerchiamo la cassa con lo stesso numero del buono di consegna» ripeté Robert per l’ennesima volta. Gli altri si misero subito a lavoro.
«Ho trovato questa… cosa…» mormorò Ishwar disgustato. «Sembra la pelle di qualcosa… Fagan, guarda».
Quest’ultimo, però, non fece in tempo a raggiungere il collega che il rumore tipico della smaterializzazione bloccò tutti sul posto. A pochi metri da loro era apparso un mago minuto, che vacillava come se fosse ubriaco o avvelenato.
«Tre teste, aveva! Tre!».
«Delira?» borbottò Nerissa.
«L’ho fatto solo per Seymour Price» aggiunse il mago con una voce stridula.
«Una confessione in piena regola» commentò Fagan osservando il mago accasciarsi a terra e perdere i sensi. «Fine delle show». Ishwar gli mise in mano la pelle e corse a soccorrerlo.
«È una pelle da muta. La portiamo con noi, ma credo che da queste parti ci sia un runespoor» annunciò Fagan dopo aver esaminato la pelle.
Altri rumori di smaterializzazione attirarono la loro attenzione. «Sarà Steeval con i suoi uomini» disse Robert. «Ishwar chiama i medimaghi, Fagan e Nerissa catturate il runespoor».
Catturare la creatura richiese gran parte della notte, ma quando tornarono al quartier generale Fagan era comunque contento perché Steeval aveva promesso che li avrebbe aiutati a incriminare Price.
«Tutta questa confusione perché un ragazzino va male a scuola» borbottò Nerissa.
«A volte si vuole troppo bene ai figli».
«Sarà, ma un calcio sul…».
«Nerissa».
«Che c’è? Volere bene non significa questo e lo sai bene».
«No, non significa questo» ammise Robert fissando le fotografie sulla sua scrivania. Samuel, da una di quelle, sembrava evitare il suo sguardo. O era solo una sua impressione? «Faccio io il verbale, ok?».
«Sei il migliore del mondo» strillò Nerissa.
 

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Capitolo 6
*** Sporco affare ***


Capitolo sesto


 
 
Sporco affare
 



Diagon Alley quella mattina era affollata come di consueto: avventori sia della zona sia provenienti da altre regioni che dall’estero, i cui strani accenti già si potevano percepire ai tavoli del Paiolo Magico; funzionari del Ministero che erano riusciti a sfuggire a noiose scartoffie per una piacevole pausa caffè; signore purosangue che avevano piacere di spettegolare un po’ e guardare le vetrine. Una giornata normale, nel mondo magico naturalmente.
Normale come il proprietario di un negozietto che aveva chiamato disperato il Ministero ritenendo di essere stato attaccato da una creatura. Non identificata.
Robert aveva deciso di mandare Annabelle e Nerissa a dare un’occhiata. Così le due adesso passeggiavano tranquillamente lungo l’High Street, per lo più convinte che il proprietario del negozio avesse un attacco di isterismo. Già nei giorni precedenti aveva chiamato altre volte, ma i loro colleghi non avevano trovato nulla nel suo negozio se non qualche innocuo ragnetto.
«Ma quello non è Samuel?» chiese Nerissa a un certo punto.
«Dove?» replicò sorpresa Annabelle cercando il ragazzo tra la folla.
«Vicino al negozio di Quidditch».
Effettivamente vi era un gruppo di ragazzi che entrò quasi subito nel negozio.
«Non l’ho visto» disse Annabelle pensierosa. «E comunque dovrebbe essere in Accademia a quest’ora».
«Io l’ho visto».
«Beh, non lo dire a Robert. È molto preoccupato per lui in questo momento».
Nerissa annuì. Le due donne a quel punto accelerarono il passo e raggiunsero il negozio.
Il proprietario le accolse terrorizzato: «Ancora quel ronzio! Ormai me lo sogno pure la notte! Vi prego, fate qualcosa».
Nerissa e Annabelle si scambiarono uno sguardo: il ronzio. Nessuno degli altri l’aveva mai sentito quando erano andati lì. Solo quel signore.
Questa volta, però, la situazione si prospettava leggermente diversa: l’ambiente era tutto sottosopra.
«L’ho trovato così stamattina» si lamentò il proprietario.
In quel momento un commesso lasciò cadere un vaso di vetro. E tutti si voltarono verso di lui.
«Non guardate me, io sono arrivato dopo».
Il proprietario si passò una mano sul volto.
«Facciamo due chiacchiere» disse Annabelle, preparandosi con un taccuino per prendere appunti. «Lei come si chiama?».
«Adrian Chamber» sbuffò il proprietario impaziente. «L’ho già detto ai vostri colleghi! Mi hanno preso in giro! “Stia tranquillo” e ora guardate voi stessi! Un sacco di danni e manca pure merce!».
«Le manca qualcosa?» chiese sorpresa Nerissa.
«Sì! L’incasso di una settimana, per esempio» strillò il signor Chamber.
«Lei ha lasciato l’incasso di una settimana qui? Senza incantesimi di protezione?» sbottò Nerissa.
«Scusi, ma a me sembra un furto» intervenne invece Annabelle che aveva osservato la cassa il cui coperchio era stato manomesso, probabilmente con un piede di porco. «Perché non ha chiamato la Squadra Speciale Magica?».
«Perché è stata una creatura!» sibilò furioso Chamber. «Il ronzio l’ho sentito ieri sera e di nuovo stamattina!».
«Sono sicura che un esercito di snasi le ha divelto la cassa ed è scappato via» borbottò Nerissa.
«Lei mi prende n giro!» urlò Chamber.
«Per favore, faccia un elenco della merce mancante e dell’ammonto del valore presente nella cassa» disse fermamente Annabelle e con praticità. «Noi daremo un’occhiata in giro. Le sconsiglio di aprire almeno per stamattina».
Il proprietario si placò leggermente e lasciò che le due donne compissero il loro lavoro.
«Tu hai sentito questo ronzio?» chiese Annabelle al giovane cassiere, un certo Daniel Adams.
«Sì» ammise il ragazzo.
Nerissa lo fissò scettica. «Davvero?».
«Sì, è proprio vicino a uno dei microonde che è stato rubato».
«Che cos’è un micronde?» chiese Nerissa.
«Microonde» la corresse Annabelle. «È una cosa babbana».
«Ah, strani i Babbani».
«Ma non l’ho detto al mio capo» aggiunse il ragazzo guardandosi intorno sperando che Chamber non lo sentisse. «Perché accidentalmente ho versato dell’acqua… ma l’ho asciugata subito… ho pensato che il ronzio dipendesse da quello… Non ho i soldi per ripagarlo e, poi nervoso com’è, mi licenzierebbe subito…».
«Ah-ah! Ditemi che queste non sono le impronte di una creatura!» gridò Adrian Chamber comparendo all’improvviso e facendo sussultare i tre.
«Che impronte?» domandò Nerissa.
L’uomo trionfalmente le condusse sul retro, qui vi era una porta di legno aperta che dava su un angusto cortile. All’interno il pavimento era sporco ed effettivamente sembravano delle impronte fangose.
«Le riconosci?» chiese Annabelle a Nerissa.
La seconda non rispose all’istante, ma osservò con attenzione prima di dire: «Bah, sembrano quasi di un cane… Lì c’è qualcosa che luccica».
Annabelle seguì il suo sguardo e si accorse, dopo aver abituato gli occhi alla penombra della stanzetta, che vi erano altri punti luccicanti. «Galeoni» mormorò.
«Probabilmente facenti parte della refurtiva» convenne Nerissa.
«Perché il ladro li ha lasciati qui?».
«Saranno caduti per sbaglio» replicò Nerissa non particolarmente convinta.
«Sono sparse dappertutto» ribatté Annabelle. «Non ha senso che si sia messo a lanciarle lui».
Le due donne si scambiarono uno sguardo perplesso e decisero di seguire le impronte. Si perdevano alla fine del vicolo, come se all’improvviso il cane si fosse fermato lì e non fosse più andato avanti.
Annabelle si guardò intorno tentando d’immaginare la prossima mossa che avrebbe potuto compiere l’animale.
«Guarda qui» sbuffò Nerissa mostrandole uno strumento. «Era vicino a quelle erbacce, ma abbastanza visibile… Non come se qualcuno avesse voluto nasconderlo».
Annabelle lo esaminò: un’asta di media lunghezza al cui estremo vi era stilizzata in ferro la forma di una zampa cagnesca sporca di fango ormai secco.
«Bah, io direi di chiamare gli agenti di Steeval. Trovo ridicola questa situazione» borbottò Nerissa.
«Ci sono zellini lì e dei galeoni».
Seguirono la scia di monete fino a un tombino scoperto.
Annabelle evocò un patronus e lo spedì a comunicare le novità a Robert, poi entrambe si accinsero a scendere nella fogna.
«Lumos» sussurrò Nerissa, tentando di rischiarare il buio intorno a loro.
Avanzarono uno alla volta, ma a parte qualche topo non videro nulla almeno in un primo momento.
«Quello è un galeone?» chiese Annabelle fermandosi e attendendo che l’amica illuminasse meglio il punto indicatole.
«Lì ce n’è un altro» borbottò Nerissa procedendo.
«Attenta, non vorrei che il ladro si fosse nascosto qui» replicò Annabelle stringendo la bacchetta.
A un certo punto il canale si divise in due parti. «Quello è un vicolo cieco, c’è una grata» disse Nerissa. «Dobbiamo andare di là».
«No, aspetta, c’è qualcuno».
«È solo un ammasso di stracci».
Annabelle le fece cenno di avvicinarsi.
Effettivamente dentro gli stracci c’era una persona.
«Mundungus Fletcher» sibilò Nerissa voltandolo con un piede.
«È primo di sensi» costatò Annabelle, che ne aveva immediatamente controllato i parametri vitali.
Nerissa lo legò e borbottò: «Una pessima rapina, anche per i suoi standard… Ha seminato in giro l’incasso… il sacco è mezzo vuoto…».
«Ha il viso graffiato, sembra quasi che sia stata aggradito… Comunque invio un patronus anche a Steeval».
«Vediamo che ci dice?».
Annabelle assentì e fece rinvenire Fletcher, un ladruncolo abbastanza noto da anni a tutto il Ministero.
Mundungus strillò e tentò di tirarsi indietro nonostante le mani legate.  «Ah, siete voi» sbottò quando le mise a fuoco. Sembrò calmarsi.
«Non è un piacere nemmeno per noi» ribatté Nerissa. «Allora, tu hai derubato Muggle World, vero?».
«Che siete diventate delle agenti di Steeval?» chiese sfrontato. «Ah, no, ti ci vedo meglio come Auror».
«Senti, non ho voglia di scherzare» sbottò Nerissa. «Tu hai usato uno stupido stratagemma per far pensare che era stata una creatura a fare il furto e ci hai fatto perdere tempo… Io odio perdere tempo…».
«Sì, un’idea geniale quella della zampa di cane… Ma la creatura c’è davvero» ribatté il ladro.
«Sì, certo» sbuffò Nerissa fissando il soffitto scuro. «Ed è state lei a graffiarti?».
«Sì!» strillò Mundungus indignato. «E che mi sono graffiato da solo?!».
«E cosa ti avrebbe aggredito?» chiese Nerissa.
«Non lo so, credetemi! Ho sentito solo un ronzio e sono stato attaccato. Sembrava uno sciame d’api! Credetemi!».
Le due donne si scambiarono uno sguardo, ma l’arrivo di alcuni agenti della Squadra Speciale Magica risparmiò loro la fatica di una replica.
Riferirono quanto scoperto e lasciarono a loro la responsabilità di calmare Adrian Chamber e riportargli parte della refurtiva. Tutto sommato era stato abbastanza semplice.


La mattina dopo, però, Robert le chiamò nel suo studio. «Ragazze, siete sicure di aver risolto il problema a Diagon Alley?».
Annabelle sedette sul bordo della scrivania e si strinse nelle spalle. «La questione è passata nelle mani di Steeval».
«Già, peccato che Chamber è piombato qui poco fa, lamentandosi di quel benedetto ronzio».
«Ci ho pensato» ammise Nerissa. «Se non ci fosse stato Fletcher di mezzo, probabilmente avrei ipotizzato un’infestazione di chizpurfle».
«Ho chiesto a Steeval il verbale dell’interrogatorio a Fletcher… sembra che le api che lo hanno attaccato siano uscite dal microonde rubato».
«Tutto chiaro» sospirò Annabelle.
«Ora, la domanda è» riprese Robert. «Risolvete il problema da sole o dobbiamo allertare la Sottosezione Flagelli?».
«Diamo un’occhiata» replicò Nerissa.
Annabelle si trattenne nello studio del capo e lo fissò con attenzione. «Tutto bene?».
«Certo, grazie».
«Robert, sono a malapena le nove del mattino. Tu hai già ricevuto Chamber e hai avuto il tempo di richiedere e leggere il verbale della Squadra Speciale Magica».
«Il verbale è abbastanza breve».
«Robert» ribatté Annabelle.
«Ho litigato con Samuel, va bene?» ammise finalmente l’uomo. «È stato tutta la notte fuori! Come fa ad andare a lezione stamattina!? Come vuole diventare magiavvocato? In questo modo?».
«Senti, Robert, devo dirti una cosa».
«Cosa?».
«Ieri mattina Nerissa ha visto Samuel vicino al negozio di Quidditch».
Robert la fissò con attenzione, poi la sollecitò a raggiungere la collega.
Annabelle annuì e nemmeno dieci minuti dopo, lei e Nerissa si trovavano nuovamente a Diagon Alley. Si avviarono di buon passo verso il negozio di articoli babbani, qui però le aspettava una sorpresa.
Annabelle tirò in un angolo Nerissa e insieme osservarono a bocca aperta le due persone che uscivano dal negozio.
«Questo non lo diciamo a Robert, vero?» chiese Nerissa.
Annabelle strinse le labbra: la verità è che non sapeva come comportarsi. Fabricio doveva essersi bevuto il cervello e il problema non era solo Robert: il loro amico e collega rischiava di finire in guai seri con il Ministero! Aveva portato una babbana a Diagon Alley! Una babbana che si era già trovata implicata in alcuni casi abbastanza seri. Del troll non si era ancora dimenticato nessuno! 
«Annabelle» la chiamò Nerissa.
«Non lo so. Robert ha già molti pensieri. Gli parlerò io» sospirò sentendo il peso della responsabilità di essere la vice di una squadra ministeriale.
«Ok, risolviamo un problema alla volta» comprese Nerissa.
Le due entrarono nel negozio e furono accolte da un’occhiataccia del proprietario.
«Oh, vi siete degnate? Per essere preso sul serio dovevo parlare direttamente con i vostri superiori! La prossima volta anche con il Ministro in persona, magari!».
«Si calmi» borbottò Nerissa. «Crediamo di aver capito qual è il problema».
«Sono un pazzo? Avete per caso allertato il San Mungo?».
Adrian Chamber era evidentemente esasperato.
«Siamo tornate per risolvere veramente il problema, signor Chamber» cercò di rassicurarlo Annabelle.
«Crediamo si tratti di un’infestazione di chizpurfle» disse pratica Nerissa guardandosi intorno. «Da dove ha sentito il ronzio oggi?».
Chamber la fissò diffidente, ma rispose: «Da un tosaerba».
«Da cosa?» ribatté Nerissa.
«Vi mostro» replicò l’uomo. «I babbani lo usano per tagliare l’erba, soprattutto nei loro giardini. Ad alcuni maghi piace fare questi lavori di casa…».
Nerissa sbuffò, ma si tenne ogni commento per sé probabilmente solo per aver colto l’occhiata di avvertimento della collega. «Dove sono i cavi… quelli che lo fanno funzionare…?» chiese appena ebbe di fronte un oggetto dalla forma strana.
Chamber con l’aiuto del suo commesso lo girò e mostrò il motore interno. «Accidenti!» sbottò. I fili erano tutti mangiucchiati, ma non sembravano esserci esserini. Evidentemente avevano tagliato la corda. «E ora?».
Il giovane Adams si allontanò di qualche passo disgustato e si batté vigorosamente la tunica quasi temendo di averceli addosso.
«Ancora non sei un degno pasto per loro» lo derise Nerissa, poi, seria, si rivolse al proprietario e ad Annabelle. «Secondo me, non ce ne sono molti. Se non sbaglio sono già diversi giorni che si lamenta della loro presenza, se fosse stata un’infestazione grave, sarebbe stato molto peggio».
«Vuoi preparare una trappola?» chiese Annabelle.
«Penso che potrebbe essere sufficiente, ma abbiamo bisogno di Ishwar» rifletté Nerissa.
«Bene, allora procediamo».

Un paio d’ore dopo erano di ritorno al negozio. Chamber aveva trovato una specie di mini pannello solare – a quanto pare particolarmente importante per i babbani – e Nerissa l’aveva cosparso di una pozione preparata appositamente dal collega. I chizpurfle erano attratti dagli oggetti magici, ma in loro assenza si accontentavano di strumenti elettronici babbani.  
Appoggiarono la trappola al centro del negozio e si nascosero dietro il bancone. Nel silenzio un piccolo sciame di chizpurfle si spostò lentamente verso il pannello.
«Perfetto» esclamò Nerissa facendo cenno agli altri di uscire allo scoperto. La pozione era molto appiccicosa e le creaturine erano rimaste loro malgrado attaccate. «Di queste ci occupiamo noi».
Chamber sembrava più rilassato e addirittura le ringraziò.
«Mi raccomando, faccia attenzione alla merce quando le arriva. Non si sa mai» raccomandò Nerissa.
«Missione compiuta» sospirò Annabelle.
«Già, dobbiamo andare a fare il verbale… Penso che chiederò un aiuto a Benji, ascoltare le esperienze altrui fa crescere…».
Annabelle alzò gli occhi al cielo. «Non le voglio sentire queste cose» borbottò. «Comunque visto che ci siamo, compriamo il regalo a Robert per il compleanno».
«Beh, in effetti, con quello che sta passando in questo periodo, almeno noi dobbiamo prenderci cura di lui».

 

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Capitolo 7
*** Le fiamme dell'attrazione ***


Capitolo settimo  



     

 
Le fiamme dell’attrazione
 



Nerissa lesse con attenzione il verbale che gentilmente Benji aveva redatto per lei. Ormai stava diventando una piacevole abitudine: il ragazzo era sempre cortese e disponibile. Era molto contenta che Robert gliel’avesse affidato.
«Come sta andando all’Accademia?» gli chiese firmando il documento.
Benji, che frequentava l’Accademia di Magizoologia, sollevò la testa dal manuale che stava studiando e si strinse nelle spalle. «Studiare e lavorare insieme è più faticoso di quanto credessi, ma sto andando avanti».
«Bene. Per quanto mi riguarda stai imparando più con la diretta esperienza, che con tutti quei libri» commentò. «Quando hai gli esami?».
«Il prossimo trimestre, perché quelle di adesso sono annuali».
Nerissa annuì e decise di lasciarlo concentrare su quell’enorme tomo di Incantesimi Curativi. Doveva ammettere che i nuovi acquisti non erano così male, ma molto diversi tra loro: Benji era il più piccolo e apparentemente il più riflessivo; Manuel era la disperazione di Fagan, anche se, e lei lo sapeva, era tutta apparenza, perché il collega si stava affezionando al quel ventenne confusionario e sveglio. Manuel era caratterialmente l’esatto opposto di Benji, in più aveva alle spalle un anno di Accademia Auror e un anno in cui aveva lottato contro se stesso e contro la sua famiglia prima di seguire veramente la sua strada. Infine, Ella Simmons, che apparentemente era una ragazza timida e introversa, aveva già conseguito il titolo di magizoologa, quindi di gran lunga più preparata degli altri due, e nell’ultimo anno prima di presentarsi da loro aveva viaggiato a lungo.
Diana Webster, invece, che era stata assunta insieme ai tre ragazzi non la vedevano quasi mai perché lavorava a fianco del loro Capo di Dipartimento, Penelope Light. Ma sembrava una ragazza in gamba con un titolo di studio in Magisprudenza e Nerissa dubitava fortemente che sarebbe rimasta a lungo all’ombra della Light.
Si stiracchiò, annoiata che non vi fosse alcuna attività da svolgere se non occuparsi di vecchie pratiche.
Fagan ne approfittava per far studiare Manuel, da lì a Nerissa sembravano le impronte di varie creature.
Fabricio, rientrato da poco in squadra - tutti facevano finta che non fosse successo nulla, ma chissà se lui e Robert ne avrebbero mai parlato e nessuno nominava mai Jessica naturalmente -, stava lavorando a un suo saggio sui Vipertooth peruviani. Joachim Becker, il più scontroso del gruppo, metteva in ordine dei documenti. Nerissa sapeva ben poco di lui, più per quello che le avevano accennato Annabelle e Robert che per altro. La figlia, per esempio, tentava di sfondare nel mondo del Quidditch, ma finora sembrava aver avuto poco successo. Ishwar era in un angolo a controllare la loro dispensa di pozioni e ingredienti; era un tipo meticoloso e compiva quel lavoro periodicamente. L’unica che mancava era Annabelle, ma era libera quel giorno.
Tutto sommato era una mattinata tranquilla. Probabilmente sarebbe riuscita finalmente a pranzare con suo nipote Andy, che da un po’ insisteva per presentarle la sua fidanzata, ma tra i suoi turni al San Mungo e i suoi al Ministero era diventato difficile.
«Ragazzi» entrò all’improvviso Robert, leggermente preoccupato, «ho appena ricevuto un messaggio da Hogwarts».
A quelle parole tutti si zittirono e lo fissarono con curiosità. Anche perché le creature a Hogwarts non mancavano, come la maggior parte di loro aveva vissuto in prima persona, ma la Scuola chiamava raramente il Ministero.
«A quanto pare è richiesta la nostra presenza».
«Voglio andare io» si propose Manuel entusiasta.
«No» sbottò Nerissa, «ci andiamo io e Benji». Erano troppi anni che non metteva piede a Hogwarts, era troppo curiosa. Inoltre, Robert non l’aveva detto ma erano stati chiamati per pro forma probabilmente. Insomma anche la Preside doveva mantenere i giusti rapporti con il Ministero, che le piacesse o meno. Ma a lei non interessava nulla di simili problemi, voleva solo rivedere la Scuola.
Non furono gli unici a proporsi e per poco Nerissa non minacciò Manuel di affatturarlo, piccolo ragazzino arrogante!
«Basta così!» sbottò Robert riprendendo il controllo. «Lo sapevo che sarebbe finita così» borbottò. «Allora ci andranno Fabricio e Ishwar». L’uomo si defilò ignorando le loro proteste.
Fabricio si alzò serio. Era sempre troppo serio da quando era tornato. Nerissa non l’aveva più visto fare il cascamorto con le stagiste o con altre impiegate del Ministero. Era quasi un altro.
Ishwar ripose ordinatamente i suoi elenchi e si disse pronto.
I due raggiunsero Robert nel suo ufficio per qualche ragguaglio in più e poi con la Metropolvere raggiunsero I tre manici di scopa.
Era una fredda giornata di fine novembre, anche se nel chiuso del Ministero non si percepiva. Si strinsero addosso il mantello e, dopo aver chiesto alcune indicazioni, si avviarono lungo la stradina che collegava Hogsmeade a Hogwarts.
«Tu che scuola hai frequentato?» chiese Fabricio al collega.
«Accademia di Magia Mόshù».
«Com’è?».
«È una scuola» replicò conciso Ishwar.
Fabricio sospirò, ben sapendo che il collega non fosse un gran chiacchierone. Comunque entrambi rimasero abbastanza sorpresi quando dopo un po’ un enorme cancello con due cinghiali alati apparve davanti ai loro occhi, ma ancora di più per il castello che si scorgeva poco lontano.
Ad andarli incontro fu palesemente un mezzogigante che si presentò come Hagrid. Lo seguirono all’interno e attraverso il parco.
«C’è stato un incendio nella rimessa delle barche» li informò Hagrid. «E poi qualcosa ha appiccato il fuoco vicino al campo da Quidditch… Alcuni ragazzi hanno detto di aver visto una creatura… Non ci sono animali sputafuoco qui…».
Fabricio notò che sembrava quasi dispiaciuto.
«Voi non avete frequentato Hogwarts, vero?» chiese Hagrid, guardandoli con sospetto. «Pensavo che veniva Nerissa».
Ishwar fece una smorfia, ma non commentò il suo inglese scorretto.
«Io ho frequentato Castelobruxo» disse Fabricio.
«Oh, lì ci sono molto animali, vero?».
«In effetti, viviamo a contatto con la natura. In fondo la Scuola è nella foresta Amazzonica» sorrise Fabricio, al quale il mezzogigante cominciava già a stare simpatico.
La rimessa delle barche di fatto era stata creata in quella che era una grotta rocciosa naturale. La discesa fu un poco faticosa  tra scogli e sassi, finché non raggiunsero il porto vero e proprio e un pontile di legno a cui erano attraccate almeno una dozzina di barche. Fabricio illuminò l’acqua circostante con la bacchetta e il suo sorriso si ampliò. Sembrava un bel posto. La luce illuminò fiocamente il tunnel buio che si concludeva con quello che sembrava una cortina d’edera. «Dopo si arriva al lago che abbiamo intravisto salendo?».
«Sì, il Lago Nero» rispose Hagrid.
Ishwar stava già ispezionando la rimessa con la consueta scrupolosità. Fabricio sospirò e si chiese se il collega fosse sempre così ligio al dovere o se esistesse qualcosa al mondo di più importante. Lui la risposta l’aveva già trovata.
«Ho trovato un grembiule bruciacchiato» borbottò Ishwar.
«Prova a ripulirlo» gli suggerì perlustrando le varie barchette.
«Non troverete nulla lì, vengono usate due volte l’anno e controllo personalmente che gli studenti non dimentichino nulla» disse Hagrid.
«Beh, qualcuno è stato qui recentemente» ribatté Fabricio chinandosi e tirando fuori una busta pergamenacea e una scatola di legno.
«Buongiorno, vi chiedo scusa per il ritardo». Fabricio si era riavvicinato a Ishwar per mostrargli quanto trovato e osservò sorpreso la donna appena sopraggiunta. Quanti anni aveva? Sembrava anziana, ma gli occhi che aveva fissato su di loro era vitali e arguti. Inoltre, sembrava una strega potente. «Sono la professoressa McGranitt, la Preside di Hogwarts» si presentò ella.
Ishwar e Fabricio le strinsero la mano.
«Hagrid di solito è perfettamente in grado di occuparsi delle creature presenti sul territorio della Scuola, ma ho ritenuto opportuno avvertirvi perché sembra essere una  estranea a quest’ambiente».
Fabricio intuì che la Preside non fosse particolarmente felice di averli lì. Il perché non gli era chiaro.
«Per caso questo grembiule vi dice qualcosa?» chiese Ishwar ai due insegnanti.
«Non rientra nella divisa della Scuola» replicò la McGranitt.
«L’ho già visto» disse, invece, Hagrid. «A Hogsmeade. Ultimamente c’è una ragazza che vende dolci e altri cibi a base di miele… con una bancarella… e ha questo grembiule di solito… anche sulla bancarella c’è l’ape disegnata».
Fabricio aprì la busta e tirò fuori un foglio di pergamena. Quasi rise leggendo, beccandosi un’occhiataccia dal collega e degli sguardi straniti da parte di Hagrid e della McGranitt. «È una lettera d’amore» disse come se chiarisse tutto. Ishwar alzò gli occhi al cielo. «È interessante… fa riferimento a un regalo prezioso…».
«Che sia quello nella scatola?» suggerì Ishwar.
Fabricio tracciò con il dito le due lettere incise sul coperchio e poi l’aprì. «No, sono solo gobbiglie. Non avevo visto mai un set tanto elegante, chissà quanto costa».
«P.M.» mormorò Ishwar notando a propria volta le iniziali. «Chi potrebbe essere?» chiese rivolto alla Preside.
«Ci sono diversi studenti che potrebbero rispondere a quelle iniziali» replicò ella.
«Ma non credo che tutti possano permettersi di spendere tanti soldi per delle biglie» insisté Ishwar. «Il proprietario potrebbe essere collegato alla creatura. Non potremmo avere un elenco degli studenti con queste iniziali?».
«Naturalmente» replicò la McGranitt.
«Noi nel frattempo andiamo a Hogsmeade e parliamo con la ragazza della bancarella, magari sa qualcosa» disse Fabricio.

I due così si congedarono e si allontanarono da Hogwarts. Durante il tragitto rimasero in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri. Una volta raggiunta l’High Street non fu difficile trovare la bancarella. Aspettarono in disparte perché vi erano diverse persone in fila. Alla fine, approfittando di un momento di calma, si avvicinarono anche loro.
«Buongiorno! Cosa desiderate? C’è ancora della torta di miele e ricotta e dei biscotti oppure dei vasetti…»
«Siamo del Ministero» la interruppe Ishwar.
La ragazza sembrò sorpresa e disse: «Ho la licenza, posso mostrarvela, se mi date un attimo».
«No, no» la fermò Fabricio lanciando un’occhiataccia al collega. «Siamo della Divisione Bestie. Vorremmo solo farle qualche domanda».
«La Divisione Bestie? Se volete controllare come teniamo gli animali, dovreste parlare con mio padre… La nostra fattoria è nello Yorkshire. Io porto solo alcuni prodotti»
«Stia tranquilla» prese la parola Fabricio. «Vogliamo solo chiederle se per caso ultimamente è stata avvicinata da qualche studente di Hogwarts».
Se possibile la ragazza fu ancora più sorpresa. «A Halloween c’è stata la prima gita dell’anno, ne ho incontrati tantissimi».
«Qualcuno le ha detto qualcosa di particolare… non so, magari ha cercato di mettersi in mostra… se posso permettermi, lei è una bella ragazza…» continuò Fabricio.
«I ragazzi più grandi facevano qualche battutina, qualcuno ha provato a offrirmi una burrobirra».
«E lei?».
«Io sono qui per lavorare, non per perdere tempo con dei mocciosi pieni di sé» replicò la donna. «Un gruppetto del settimo anno stava un po’ esagerando, ma io ho minacciato di chiamare uno dei loro insegnanti che avevo intravisto nei dintorni e si sono dati una calmata…».
«Ma si ricorda qualcuno di particolare?» insisté Fabricio.
«No, dovrei?» replicò la ragazza non comprendendo tutte quelle domande.
«E dalla fine di ottobre non ha visto nessun altro studente?» le chiese Ishwar.
«No, i ragazzi hanno il permesso di uscire dal castello solo durante le gite programmate e non ce ne sono state altre. Non avete frequentato Hogwarts, vero?». I due negarono. «Si vede, in caso contrario non l’avreste chiesto. La professoressa McGranitt è molto rigida, se permette una gita al mese è già un miracolo. Hagrid mi ha detto che ce ne sarà una nei prossimi giorni».
«Capisco, va bene, la ringraziamo» disse Fabricio congedandosi. «Mandiamo un Patronus al Quartier Generale e andiamo a mangiare qualcosa prima di tornare a Hogwarts, va bene? Nel frattempo penso che la lista con gli studenti che iniziano con P. M. sarà pronta».
Ishwar assentì.
Nemmeno dieci minuti dopo erano accomodati ai Tre Manici di Scopa pronti a ordinare, ma sorprendentemente furono raggiunti da Robert in persona. Fabricio s’incupì e non disse nulla.
«Sei preoccupato?» chiese Ishwar sorpreso che il loro capo avesse deciso di raggiungerli.
«Un po’» ammise. «Annabelle non sa che sono qui o non farebbe che prendermi in giro dicendo che sono un padre apprensivo».
Fabricio fu leggermente sollevato da quella considerazione: aveva pensato che Robert non si fidasse di lui e fosse andato a controllarlo, invece pensava solo alla figlia.
Mentre mangiavano, Fabricio e Ishwar raccontarono a Robert quel poco che avevano scoperto fino a quel momento. La quiete fu interrotta dal mezzogigante, che avevano conosciuto quella mattina, che li raggiunse contento di trovarli lì.
«Hagrid» lo accolse Robert.
«Oh, ci sei anche tu!» replicò con un enorme sorriso Hagrid, poi tornò serio. «La creatura ha fatto altri danni nel parco e uno stupido reporter di Radio Strega Network alla radio ha detto che c’è un drago a Scuola, già la McGranitt ha ricevuto le prime lettere di protesta dai genitori».
«Pausa pranzo finita» disse Robert. «Tu non pensi che possa essere un drago, Hagrid?».
Il guardiacaccia di Hogwarts sembrò quasi felice alla prospettiva. «Secondo me no. I ragazzi che l’hanno vista vicino al campo di Quidditch hanno detto che era piccola… A meno che non fosse un cucciolo…».
«Beh, andiamo a vedere» disse Ishwar alzandosi.
«Bene, mantenetemi aggiornati, ci vediamo pomeriggio in ufficio. Vi aspetto» replicò Robert.
«Non vieni con noi?» chiese sorpreso Fabricio.
«Scherzi? Ho impedito agli altri di venire a Hogwarts e ci vengo io? Nerissa me lo rinfaccerebbe per un bel po’».
«Mi piacerebbe vederla Nerissa… è da tanto…» disse Hagrid.
«Glielo riferirò, sarà felice di vederti» disse Robert congedandosi.
I tre rimasti si avviarono verso il Castello, questa volta Hagrid si premurò di far loro da guida e raccontò alcuni aneddoti divertenti. O almeno Fabricio li trovò tali, Ishwar mantenne la sua serietà.
Era una giornata abbastanza fredda e sulle montagne non troppo lontane si notavano strati di nebbia abbastanza spessi. Fabricio si accigliò e si rivolse ad Hagrid. «Ieri sera, quando la creatura è stata avvistata, c’era nebbia?».
«Sì, ieri notte ce n’è stata parecchia. Il parco a malapena si vedeva. L’allenamento dei Grifondoro è stato interrotto per far rientrare i ragazzi prima che diventasse difficile vedere a un palmo dal naso».
«Quindi la nebbia, che già stava scendendo, e il buio potrebbero aver distorto la loro visione» commentò Fabricio.
«Sì» assentì Hagrid.
I tre raggiunsero un’area del parco più remota, nei pressi della Foresta Proibita, o almeno così la definì Hagrid, qui gli alberi erano stati bruciati da poco.
«Abbiamo spento il fuoco» disse il professore di Erbologia e vicepreside, che si era presentato come Neville Paciock.
Fabricio osservò con attenzione e si rese conto che solo la parte più bassa degli alberi era stata bruciata e poi parte del prato nei dintorni. Indicò a Ishwar come le bruciature fossero tutte più o meno allo stesso livello.
«Pensate possa essere davvero un drago?» domandò preoccupato Paciock.
«Professore, scusi, per quale motivo un drago dovrebbe trovarsi in una Scuola?» replicò Ishwar.
A Fabricio e al collega non sfuggì lo sguardo che Hagrid e il professore si scambiarono. Che sapessero qualcosa? «Comunque non credo sia un drago» disse. «Anche un cucciolo avrebbe potuto bruciare più in alto e, anche se ancora non avesse sviluppato bene la fiammata, non si spiegherebbe la direzione strana con cui ha colpito».
«Qui ci sono anche dei segni» disse Ishwar. «Sembrano artigli».
«È pronta la lista che abbiamo chiesto alla Preside?» chiese Fabricio dopo aver costatato che non ci fosse nulla altro di utile.
«Si, seguitemi».
I corridoi erano abbastanza silenziosi e non incontrarono quasi nessuno nel percorso che compirono per raggiungere l’ufficio del vicepreside.
«Dove sono tutti?» domandò Fabricio curioso.
Neville fece loro cenno di entrare e rispose: «In classe naturalmente. Sono già iniziate le lezioni pomeridiane».
Fabricio e Ishwar si accomodarono e subito si concentrarono sulla lista che il professore consegnò loro.
 
Powell Miriam, I anno, Tassorosso
Paul Merinon, II anno Grifondoro
Patrick Moran, IV anno, Serpeverde
Parkinson Mark, VII anno, Serpeverde
Phoebe Moore, VII anno, Corvonero
 
«Per fortuna, sono pochi. Possiamo parlare con loro?» chiese Ishwar.
«Tre di loro sono minorenni» li avvertì Paciock.
«Ma noi vogliamo solo sapere se il set di gobbiglie appartiene a uno di loro e se per caso hanno visto qualcosa» spiegò Fabricio.
«In realtà, dovremmo parlare anche con i ragazzi che dicono di aver visto la creatura» aggiunse Ishwar.
Paciock rifletté un momento e poi annuì. «Li convocherò, però farò io le domande. Voi naturalmente potrete assistere».
«Non credo funzioni così, professore» esclamò Ishwar.
«Siete a Hogwarts, queste sono le condizioni».
Fabricio trattenne Ishwar che stava per ribattere. «Va bene, professore. Naturalmente, noi interverremo, se lo riterremo opportuno».
«Bene, vado a chiamarli».
Nonostante la fretta dei due colleghi, tutti i ragazzi si radunarono fuori dalla porta solo dopo il suono della campanella.
«Vi chiedo scusa, ma alcuni miei colleghi hanno preferito concludere le loro lezioni». In realtà, le scuse apparvero più formali che altro.
Chiamarono i ragazzi uno alla volta.
La prima era una ragazzina minuscola del primo anno e sembrava terrorizzata alla vista dei tre adulti. «Miriam, stai tranquilla, vorremmo rivolgerti solo alcune domande» cercò di metterla a suo agio Paciock. «Questo set di gobbiglie è tuo?».
Miriam sembrò sorpresa. «No, signore».
«Sai che alcuni tuoi compagni hanno detto di aver visto una creatura ieri sera?».
«Sì, il drago. Lo sanno tutti».
Ishwar alzò gli occhi al cielo e Fabricio trattenne a stento una risatina: chissà che storie stavano circolando per la Scuola.
«Molto probabilmente non è un drago» replicò pazientemente Paciock. «Tu hai visto qualcosa?».
«No, signore».
«Va bene, Miriam, ti ringrazio. Se dovesse venirti qualcosa in mente, ti prego, di parlarne con me o il con il professor Mcmillan».
La ragazzina annuì e uscì dall’ufficio, lasciando il posto a un ragazzino molto più sicuro di sé che sorrise immediatamente loro in modo tutt’altro che rassicurante; infatti, il professore non sembrò convinto, ma ripeté le stesse domande.
Paul negò. «Chissà quanto costa! Mio padre non me lo comprerebbe mai» borbottò. «Nessuno del secondo anno ne ha uno così» aggiunse occhieggiando il set con evidente desiderio.
Alla seconda domanda, invece, rispose affermativamente. «Sono andato a vedere gli allenamenti ed ero con James Potter».
«Che cosa ti ricordi?» intervenne Fabricio.
Il ragazzino si strinse nelle spalle. «C’era nebbia ed era buio. Io pensavo fosse un topo enorme».
Lo ringraziarono e fecero entrare Patrick Moran, già più grande degli altri due ma con un atteggiamento altero. Appena prese posto sulla sedia rivolse un’occhiata di sufficienza ai tre adulti, come se non fossero alla sua altezza. Il colloquio durò poco, perché rispose negativamente a entrambe le domande.
Mark Parkinson non fu di maggiore aiuto, in quanto affermò di non giocare ormai da anni con le gobbiglie per quanto a casa sua non mancasse un set altrettanto pregiato.
Infine, l’ultima ragazza negò a propria volta.
La squadra di Quidditch di Grifondoro, convocata al completo, mostrò tutta la propria fantasia nel descrivere la creatura e, questione che impensierì non poco Fabricio e Ishwar, alcuni di loro sembravano divertiti all’idea d’indagare.
«Mi è venuto il mal di testa» sibilò Ishwar che non aveva apprezzato la confusione e l’allegria dei Grifondoro.
«Che ne pensate?» chiese loro Neville.
«Parkinson» disse Ishwar. «Ha detto chiaramente di avere un set simile a questo a casa, avrà sicuramente mentito».
«Lei che ne pensa, professore?» domandò Fabricio.
Paciock sospirò. «Non lo so, tocca a voi indagare, no?».
Fabricio lo guardò male: perché erano tutti così restii con loro? Eppure non sembrava una persona antipatica. Ma persino Hagrid era diventato più espansivo con Robert. Ce l’avevano con lui e Ishwar perché non erano di Hogwarts?
«La creatura è nel parco, non faccia uscire nessuno» sentenziò Ishwar dopo aver riflettuto. «Noi torneremo domani mattina».
Fabricio annuì. Non aveva senso rimanere ancora. Robert aveva detto che li avrebbe aspettati in ufficio.
Il professore si propose di accompagnarli, ma nella Sala d’Ingresso furono bloccati da alcuni ragazzi. Adesso, in prossimità della cena, la Scuola era veramente viva e caotica.
«Fabricio!».
Tre ragazzine gli corsero incontro. «Abbiamo sentito che c’erano degli uomini della Divisione Bestie» gli disse la più piccola. «Abbiamo pensato che ci fosse mamma».
Fabricio sorrise alle tre sorelle Davies, che conosceva grazie alle varie cene che Annabelle aveva organizzato a casa sua. Erano anni ormai che lavorava in quella squadra. Una strana sensazione gli strinse lo stomaco: erano la sua seconda famiglia, eppure stava loro nascondendo qualcosa di importante. «Niente da fare. Tutti sarebbero voluti venire a Hogwarts, quindi Robert ha mandato noi».
Ishwar era sempre più nervoso, perché ormai erano diventati il centro dell’attenzione degli studenti di Hogwarts.
«Il solito guastafeste» commentò Margaret, la secondogenita di Annabelle.
«Comunque ci sono Sarah e Freya. Loro speravano che ci fosse Robert» aggiunse Charlotte, la più piccola trascinando vicino a loro due ragazzine della sua età.
Fabricio notò che la figlia di Robert era particolarmente pallida e le sorrise ricordandosi che di lì a poco ci sarebbe stata la luna piena. La ragazzina sembrava la più dispiaciuta nel rendersi conto che il padre avesse mandato i due colleghi.
«Porterò loro i vostri saluti» le rassicurò. Le ragazze sembrarono contente, persino la più grande, Eleanor, che era sempre la più silenziosa ma, per quanto ne sapeva Fabricio, aveva ereditato il talento del padre tanto che già l’anno prima era stata nominata Capitano della sua squadra.
Con un sorriso si allontanò nella notte buia e nuovamente nebbiosa: ora capiva perché i suoi colleghi si erano messi a litigare pur di essere mandati lì.
Al Quartier Generale trovarono Nerissa che riservò loro un’occhiataccia, ancora non le era passata da quella mattina, e Benji che continuava a studiare in un angolo dello stanzone.
«Ma non puoi andartene a casa?» borbottò Ishwar.
«Mia sorella è tornata con i compagni della sua band e non mi posso concentrare, almeno finché i miei non tornano da lavoro non si capisce nulla».
«Allora, ragazzi?» Robert li raggiunse e sedette con loro.
Fabricio e Ishwar a turno raccontarono quanto scoperto.
«Dubito anch’io che sia un drago. Comunque domani verranno anche Benji e Nerissa con voi» disse Robert, ignorando l’esclamazione di giubilo dell’amica. «Magari riusciranno a cogliere qualcosa che a voi è sfuggito. Poi siete davvero sicuri che ci sia un collegamento tra le gobbiglie e la creatura?».
«No» ammise Ishwar.
«Però i primi segni della presenza della creatura sono nella rimessa, dove abbiamo trovato anche le gobbiglie; gli altri danni sono successivi» aggiunse allora Fabricio.
«Vedremo» sospirò Robert. «Penso che possiamo andarcene tutti a casa. Benji puoi rimanere quanto vuoi».
Il ragazzo ringraziò e augurò loro una buona serata.
«Robert» chiamò Fabricio seguendo il collega e capo lungo un corridoio del Ministero. L’altro si fermò e lo attese. «Non puoi venire anche tu a Hogwarts? E Annabelle. Le ragazze ci tenevano».
L’uomo s’incupì. «Se domani mattina non risolverete, manderò Annabelle a sostituire uno di voi in modo che possa salutare le figlie, ma io non verrò».
«Perché?» non riuscì a trattenersi. «Sarah ci tiene».
Robert sbuffò e riprese a camminare. «Sarah si deve abituare. Ci vedremo a Natale».
Fabricio non insisté percependo il dolore dietro quelle parole.
 
La mattina dopo, come da istruzioni di Robert, Nerissa, Benji e Fabricio e Ishwar raggiunsero Hogwarts. Hagrid accolse felice la donna e Paciock fu contento di incontrare nuovamente Benji, che era stato suo alunno fino a un paio di anni prima.
Riguardarono con attenzione in tutti i luoghi da cui sicuramente la creatura era passata. Benji batté anche i territori circostanti e infine anche le acque del lago antistanti il ponte della rimessa.
«Ma perché?» chiese Nerissa incuriosita. Il ragazzo le era grato per la fiducia che riponeva in lui. Fabricio e Ishwar esploravano il parco in attesa di scovare la creatura.
«Immagina uno studente che vuole nascondere qualcosa… Insomma, se è il proprietario della lettera d’amore e delle gobbiglie, vuol dire che ha usato la barca… Forse in questo modo si è fatto consegnare la creatura spostandosi nottetempo verso l’altra sponda del Lago Nero, quella che è più vicina alla stazione… La creatura, visto che è pericolosa, doveva pur essere chiusa da qualche parte…» le spiegò mentre si toglieva le scarpe e gli indumenti più pesanti. Rabbrividì ma si immerse lentamente e si applicò un incantesimo termico e il testabolla. In realtà, non impiegò molto a trovare qualcosa. Riemerse portando con sé una cassa di medie dimensioni. Nerissa lo aiutò a issarla sul ponte. Poi l’aprì, mentre Benji si rivestiva.
«C’è una scritta, all’interno…» disse Nerissa illuminandola con la bacchetta. «Fiji».
«L’unico animale che mi viene in mente originario delle Fiji è il fiammagranchio» borbottò Benji distrattamente.
«Che hai detto?» lo fermò Nerissa.
«I fiammagranchi sono originari delle Fiji» ripeté Benji e in quel momento sembrò rendersi conto anche lui delle sue parole.
«Tutto tornerebbe» ragionò Nerissa. «Il fuoco. Gli alberi bruciati solo nella parte più bassa del tronco… Un Grifondoro ha detto di aver visto un topone…».
«E un altro un tasso» aggiunse Benji che aveva letto il rapporto dei colleghi quella mattina.
«Beh, almeno non è un drago. Raggiungiamo gli altri».
«Comunque in questo modo ha più senso il collegamento con la lettera d’amore» le disse Benji, prima di raggiungere Fabricio e Ishwar che discutevano animatamente con Hagrid.
«Perché mai?» gli chiese Nerissa per l’ennesima volta, per lei quelli erano solo giochi di qualche ragazzino.
«Fabricio ha detto che parla di un regalo prezioso».
I fiammagranchi erano effettivamente noti per il loro carapace incrostato di gemme preziose.
«Dobbiamo scoprire chi ha scritto la lettera» decise Nerissa. «Che succede?» chiese ai colleghi.
«Oh, Nerissa» l’accolse rincuorato Hagrid, che sembrava sollevato di vederla. La donna intanto aveva notato il ragazzo biondo che assisteva alla discussione a braccia conserte. Aveva un volto familiare. «Dì ai tuoi colleghi che Scorpius, qui, non voleva fare nulla di male».
Scorpius, che nome era? Pensò Nerissa.
«La Preside ha vietato a tutti gli studenti di uscire nel parco» sbottò Ishwar. «Questo ragazzo ha fatto una cosa gravissima e Hagrid vorrebbe insabbiare la cosa».
Nerissa si accigliò: ma seriamente? Avevano altri problemi che occuparsi degli studenti che violavano le regole.
«Stavo solo cercando la creatura. Voi perdete solo tempo» sbottò il Serpeverde.
Ishwar arrossì pronto a scoppiare. Fabricio sembrava seccato tanto da voler essere ben lontano da lì.
«Ah, sì? E tu saresti più bravo di noi? Che hai scoperto?» gli chiese scettica.
«Si tratta di un fiammagranchio e si è nascosto in una sponda del Lago Nero».
Nerissa sgranò gli occhi e sentì un borbottio indistinto provenire da Benji.
«Come l’avresti scoperto?» domandò Ishwar che fu il primo a riprendersi. 
«Segreti del mestiere» sorrise Scorpius.
Ishwar sembrò sul punto di strozzarlo.
«Scorpius non è un vostro problema» intervenne una voce autoritaria. Neville Paciock li aveva raggiunti e aveva lanciato un’occhiata severa al ragazzo. «La professoressa Cohen ti aspetta per sapere per quale motivo stanotte eri nel parco quando non eri nemmeno di ronda».
Il ragazzo deglutì. «Come fa a saperlo?».
«Ti aspettavi che la Caposcuola di Tassorosso ti coprisse?».
Scorpius sbuffò e se ne rientrò nel castello mormorando un saluto a mezza voce.
«Beh, adesso andremo a catturare il fiammagranchio così non darà più fastidio» disse Nerissa, decisa a non commentare.
«Aspettate, potete mostrarmi la lettera che avete trovato nella rimessa?» chiese Paciock.
Ishwar gliela porse a un’occhiata di Nerissa. Il professore la confrontò con un’altra pergamena che aveva in mano. «Ci avrei scommesso!» disse.
«Sa chi è stato?» gli chiese esplicitamente Fabricio.
«Sì, Patrick Moran. Ieri ha mentito, ne ero quasi certo. Questo è l’ultimo tema che mi ha consegnato, la scrittura è identica. Inoltre, il padre di Moran è un campione del mondo della nazionale irlandese, di sicuro i soldi non gli mancano».
«Ottimo, quindi non ci resta che catturare il fiammagranchio e avremo finito. Andiamo a dare un’occhiata» disse Nerissa.
«Si può sapere che problemi hanno in questa Scuola?» sbottò Ishwar quando furono da soli.
«In che senso?» chiese Nerissa fermandosi, non avendo intenzione di continuare la discussione vicino al Lago per non spaventare la creatura.
«I ragazzi indagano per fatti propri e pure i professori! Paciock ha capito subito che quel ragazzino mentiva eppure non ci ha detto nulla!».
«Hogwarts non gradisce la presenza del Ministero» replicò lei.
«Noi stiamo facendo il nostro lavoro e ci hanno chiamato loro!».
«Sono stati costretti o non l’avrebbero fatto. Non avevano veramente bisogno di noi e non si fidano del Ministero».
Ishwar era basito.
«Perché?» chiese Fabricio.
«Perché tutte le volte che il Ministero si è intromesso ha fatto solo danno e quando Hogwarts aveva veramente bisogno non c’era».
«L’anarchia» borbottò Ishwar.
Nerissa lo ignorò, perché lui non poteva capire.
Si divisero per battere tutta la zona, ma solo a pomeriggio inoltrato riuscirono a scorgere la creatura. Solo per orgoglio non aveva chiesto al Serpeverde di guidarli.
Si nascosero dietro alcuni alberi sul limitare della foresta.
«Benji, posiziona la cassa aperta poco distante da noi e mettici dentro…». Nerissa si guardò intorno e Fabricio le venne in aiuto individuando una piantina poco distante. «Esatto, questa attirerà la sua attenzione».
Fabricio e Ishwar crearono un fascio dall’odore pungente. Benji eseguì gli ordini e si ritrovarono di nuovo tutti in attesa.
Il fiammagranchio fu attirato ben presto dalla trappola e Nerissa si premurò di sigillare il coperchio. A quel punto lo fecero levitare fino all’ingresso della Scuola. Qui li attendeva Annabelle in compagnia delle figlie e poco distante c’era un uomo alto e slanciato palesemente furioso.
«Eccovi, avete risolto?» li accolse.
«Sì, abbiamo catturato il fiammagranchio».
«Io ho fatto la conoscenza del giovane Moran e del padre» dichiarò Annabelle accennando all’uomo. «La McGranitt si occuperà del Serpeverde, ma il padre dovrà renderci conto di un po’ di cose».
Così insieme tornarono al Quartier Generale. Annabelle e Robert colloquiarono a lungo con il signor Moran, tanto che Nerissa rimase sola insieme a Benji, che nel frattempo aveva stilato un completo resoconto come sua abitudine.
Alla fine si smaterializzarono tutti e tre al Paiolo Magico per prendersi qualcosa da bere e da mangiare.
«Quindi Moran si è preso una cotta per una ragazza che ha visto una sola volta e, siccome l’ha sentita parlare con un commesso di Mondomago di draghi, ha pensato di regalargliene uno» riassunse Nerissa.
«Esatto, peccato che i contatti ‘importanti’, come ha detto lui, cioè amici della famiglia Goyle, uno dei ragazzi con cui si accompagna a Scuola, gli abbia mandato il fiammagranchio, fregandolo… Lui non si è lasciato abbattere e ha deciso che sarebbe stata la stessa cosa» aggiunse Robert.
«Peccato, che mentre gli dava da mangiare gli sia scappato. Allora è corso via spaventato ma premurandosi di buttare la scatola nel lago per nascondere le prove» concluse Annabelle.
«Che inventiva» sbuffò Robert.
«Tutto per una cotta» borbottò Nerissa disgustata. «Beh, suo padre pagherà una bella multa».
«Senti, Robert» intervenne dopo un po’ Annabelle. «Come va con Samuel?».
L’uomo sbuffò: «Continua ad evitarmi e non riusciamo a parlare».
«Vedrai che si sistemerà tutto» sussurrò Annabelle stringendogli il braccio.
 

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