The choices we make make us who we are

di Gemini_no_Aki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I ***
Capitolo 2: *** What happened in between ~ Blind Fury ***
Capitolo 3: *** What happened in between ~ Confusion ***



Capitolo 1
*** Chapter I ***


The choices we make make us who we are



Il piano era semplice, talmente semplice che anche un bambino sarebbe stato in grado di seguirlo, – seguirlo, non metterlo in atto, e spesso temeva che Jacopo lo vedesse ancora come un bambino. - uccidere entrambi i fratelli nel momento in cui il Cardinale avesse alzato l’ostia, era davvero semplice e rapido, nulla poteva andare storto, eppure il pensiero di quel piano lo tenne sveglio fino alle prime luci dell’alba quando decise che non sarebbe mai riuscito a prendere sonno e desistette dal provarci.

Il cuore gli martellava nel petto ad ogni passo che faceva verso la Cattedrale, pareva quasi impazzito, per un attimo temette che Lorenzo se ne fosse accorto quando lo abbracciò, era impossibile non accorgersene, c’era una sorta di inspiegabile terrore che allungava i propri tentacoli dentro il giovane Pazzi, un singolo passo falso avrebbe rovinato ogni cosa e non poteva permetterselo, non quella volta, non quel giorno. Non era un bambino. Era perfettamente in grado di portare avanti quel piano che aveva portato a così tanti crucci e notti insonni.

Eppure adesso aveva paura, mentre la Cattedrale si riempiva e le persone prendevano posto, mentre il Cardinale camminava lungo la navata e la messa iniziava, mentre parole di perdono e bontà divinità venivano dette. Francesco non riusciva a staccare lo sguardo da un punto fisso davanti a sé, a malapena batteva le palpebre, in una concentrazione che era più dovuta al suo non voler lasciar trapelare nulla più che alla convinzione di ciò che stava per accadere.

In un attimo fu il caos. Il giovane Cardinale sollevò l’ostia verso il crocefisso e ogni ingranaggio scattò al proprio posto. Francesco si mosse con una finta decisione, si sporse avanti verso Giuliano, lo sguardo sempre fisso davanti a sé, strattonò indietro il più giovane e lo colpì. Era poco più di un graffio, lo sapeva, ma il sangue non sembrò farsi attendere andando a colare lungo la camicia come se fosse più grave di quel che era in verità, sussurrò qualcosa in tono talmente basso che non era nemmeno certo che il destinatario potesse averlo sentito, e ancor meno era certo se gli avrebbe creduto.

Per un attimo, uno soltanto, provò la tentazione di voltarsi ed assicurarsi che suo zio Jacopo lo avesse visto, che avesse visto il sangue che imbrattava la veste del più giovane dei fratelli Medici che era scivolato a terra, una mano sulla ferita al collo, e giaceva semi nascosto tra le panche. Non voleva la sua approvazione, solo sincerarsi che avesse visto che ogni cosa era andata secondo i piani, o quasi almeno. Lorenzo stava ancora combattendo mentre Clarice cercava di trascinarlo con sé verso la sagrestia tenendo ferma anche Lucrezia che gridava e piangeva disperata per il figlio più giovane, voleva fuggire e trovare un rifugio sicuro in cui nascondersi, ma non lo fece, non c’era tempo.

Un uomo, in quel momento Francesco non riuscì nemmeno a riconoscerlo, si stava avvicinando, la spada levata e pronta a calare su di lui, – o su Giuliano, per infierire di più, per dare il colpo di grazia – il pugnale lasciò la mano prima ancora che la mente avesse tempo di registrare il gesto o l’intenzione, l’uomo stramazzò a terra senza un suono se non quello metallico della lama sulle mattonelle della chiesa. Non si accorse di quello alle sue spalle finché non lo sentì.

Fino a quel momento aveva sempre creduto che alla fine della propria vita, quando si stanno vivendo gli ultimi istanti concessi nel mondo terreno, ogni cosa attorno a sé rallenti, ogni sbaglio torni alla mente, ogni decisione presa dal primo momento di vita, ogni singolo ricordo, anche i più repressi e dimenticati, si presenti davanti a te come a volerti sbeffeggiare, come a volerti provare che ancora esiste e non importa quanto tu possa aver lottato, non verrà mai dimenticato del tutto. Lo credeva davvero ma mai convinzione si rivelò più errata. Invece di rallentare il mondo attorno a lui accelerò di colpo, prese a vorticare in un turbinio di urla e sagome. E di dolore. Non riusciva quasi a respirare dal dolore.

Poi di colpo tutto si fermò, ogni cosa si fece immobile e fu come restare sospesi nel nulla, il dolore era ancora lì, non sembrava intenzionato ad abbandonarlo, ma il mondo aveva smesso di muoversi e si era fatto silenzioso, ad eccezione di quella voce che lo aveva chiamato, era sorpresa, inspiegabilmente preoccupata, familiare e velata da un panico che mai aveva sentito prima, non per lui, non chiamando il suo nome. C’era qualcosa di sbagliato, tremendamente sbagliato e Francesco non era più sicuro che si trattasse della voce o del pugnale – il suo pugnale, quello che ricordava di aver usato per ferire Giuliano e per uccidere l’uomo con la spada – che era affondato nel suo petto. Forse entrambe le cose erano sbagliate, ma il pugnale soprattutto, non aveva ragione di trovarsi lì, ma forse estrarlo non era stata la sua mossa migliore. - molte sue scelte, pensò Francesco in quel momento, non erano state le migliori che avesse mai preso. Una in più, una in meno, che male poteva fare? -

In sottofondo, distante e ovattato, una donna piangeva e gridava, qualcuno che per qualche ragione suonava familiare, eppure non riusciva a darle un nome, la mente era annebbiata quanto la vista, probabilmente non sarebbe riuscito nemmeno a riconoscere il suo stesso fratello.

«Francesco…?» Giuliano era in piedi, fuori dal nascondiglio tra le panche ora che la Cattedrale si era svuotata, una mano premeva sulla ferita che gli aveva inferto, ormai aveva smesso di sanguinare ma Francesco sperava che avesse convinto Jacopo in un primo momento, le cose erano rapidamente sfuggite al suo controllo nonostante il piano fosse semplice come si era ripetuto centinaia di volte. Ora Giuliano torreggiava su di lui, il volto contratto in una smorfia preoccupata, non poteva distogliere lo sguardo. Non era mai stato così tanto più alto di lui, né lui così basso. Francesco si rese conto solo in quel momento di trovarsi inginocchiato sulle mattonelle sporche di sangue – il suo sangue, quello che colava dalla sua veste, da dietro le mani premute sul petto. Il suo. - della Cattedrale.

«Francesco… Francesco.» La voce giunse da lontano nonostante sapesse che il giovane Medici era a pochi passi da lui, poi il mondo si inclinò sempre di più, un velo scuro sembrò avvolgerlo mentre cadeva di schiena e restava fermo a fissare il soffitto che ricordava più luminoso di quanto non vedesse. Giuliano si era avvicinato, non aveva smesso di chiamarlo, mai in tutta la loro vita aveva ripetuto il suo nome così tante volte, stava dicendo altro, qualche domanda o almeno così sembrava a Francesco ma non riusciva a capire più di una o due parole e messe insieme non avevano alcun senso.

C’era una seconda voce, ancora più familiare di quella di Giuliano, in lontananza, c’era il rumore di una porta aperta in fretta e furia, il legno che sbatteva contro il muro di pietra, qualcuno che chiamava a gran voce Giuliano, e lui rimaneva lì, inginocchiato accanto al suo corpo, incerto se toccarlo o meno. Ma non c’era disgusto sul suo volto, o almeno, Francesco non lo vedeva, c’era preoccupazione e paura.

«Sono qui… - disse a mezza voce, poi voltò il capo verso la sagoma che si avvicinava correndo seguita da altre due – Sono qui fratello.»

Qualcuno lo mosse, gli sollevò la testa con una gentilezza e una delicatezza che non era certo di meritare. Li aveva traditi. Aveva tradito Lorenzo, aveva complottato per ucciderlo, per ucciderli entrambi, aveva quasi ucciso Giuliano, una singola scelta giusta alla fine di ogni cosa non bastava a cancellare le sue innumerevoli colpe. Non meritava quella gentilezza e quella preoccupazione. Meritava di morire da solo, – Perché sì, non era stupido, stava morendo, lo sapeva e non vi era nulla che potessero dire o fare per cambiare le cose. Stava morendo. Stranamente il pensiero non lo spaventò. - di venir abbandonato sulla pietra fredda della Cattedrale. Meritava quella sorte, ne era sicuro.

Invece non era solo, Giuliano era lì, aveva smesso di fare domande ma non si era mosso, Lorenzo era al suo fianco davanti al fratello, gli passava una mano tra i capelli neri in una confortante carezza, lo chiamava lui adesso, con quella voce che Francesco conosceva quanto quella del suo stesso fratello.

- Per un attimo pregò che Guglielmo fosse al sicuro come gli aveva scritto nella lettera, che lui e sua moglie fossero lontani da quella chiesa macchiata di sangue, da quella famiglia che aveva portato solo dolore e lo avrebbe distrutto. Pregò che stesse bene, ignaro di ogni cosa finché le acque non si fossero calmate. E che lo perdonasse, almeno un poco. -

«Francesco, apri gli occhi. Devi guardarmi, so che mi senti, non farmi questo, non questa volta.»

Francesco voleva spiegarli ogni cosa, spiegargli del suo piano, quello vero, quello che aveva messo in atto e che gli si era ritorto contro ma che, al tempo stesso, aveva funzionato, dirgli di come avesse voltato le spalle alla stessa famiglia che non aveva esitato un attimo a rinnegare Guglielmo, per lui, perché in fondo credeva alle sue parole, al suo idealismo, voleva credere che se qualcuno poteva davvero cambiare le cose quello sarebbe stato Lorenzo. Ma era troppo in quel momento, così Francesco si limitò a guardarlo con gli occhi socchiusi abbozzando un sorriso e lasciandosi sfuggire un flebile lamento quando premette entrambe le mani sulla ferita concentrandosi sulle parole che diceva. Promesse vuote, come quelle di Jacopo che gli avevano avvelenato la mente così a lungo, Lorenzo continuava imperterrito a dire che sarebbe stato bene, probabilmente più per convincere sé stesso che lui. Eppure, a dispetto di ogni altra cosa, nonostante sapesse che era una bugia, Francesco decise di credergli. Perché era Lorenzo, perché sapeva non gli avrebbe mai mentito, non su una cosa del genere, non in quel momento, non sarebbe stato onorevole mentire ad un uomo che sta morendo.

E ancora gli credeva quando la stanchezza e il dolore ebbero la meglio sulla sua volontà di restare cosciente e l’ultima cosa che sentì fu Lorenzo chiamare il suo nome mentre lasciava chiudere gli occhi.





Guglielmo non si era mosso per quasi una settimana, se non si contavano quei brevi momenti in cui Bianca era riuscita a staccarlo dalla sedia su cui sembrava aver fatto radici, per mangiare qualcosa o dormire un paio d’ore. Ore durante le quali Lorenzo aveva promesso di rimanere al suo posto e di svegliarlo qualora fosse accaduto qualcosa, qualunque cosa.

Le cose erano cambiate, in modo graduale, stavano ancora cambiando. Jacopo Pazzi era morto, Lorenzo non aveva mostrato alcuna pietà per l’uomo che aveva cercato di uccidere la sua famiglia.

«Siamo ancora vivi. Entrambi. - Gli aveva detto con disprezzo poche ore dopo il tentato omicidio, i vestiti ancora sporchi di sangue, come le mani. - Hai ucciso una sola persona quest’oggi, ed è tuo nipote.» Lo aveva fatto impiccare davanti ad una folla esultante ed era tornato a casa. Giuliano sembrava più disposto ad avere i due fratelli sotto il suo stesso tetto, aveva tenuto per sé, custodito gelosamente come il segreto di un’amante, quelle poche parole che Francesco gli aveva detto prima che il caos esplodesse. “Ho scelto voi, Medici.” , non c’era rabbia o sarcasmo, al contrario c’era l’ombra di un sorriso. “Non farmi pentire.”

Alla fine Guglielmo aveva trascinato una sedia accanto al letto e vi aveva preso residenza. Anche in quel momento era lì, addormentato con la testa appoggiata ad una mano, pericolante, rischiando di cadere di faccia per terra. – e non sarebbe stata la prima volta -

«Non sarebbe più comodo… un letto?» Mormorò una voce roca che lo svegliò di colpo. Per un attimo Guglielmo si guardò intorno disorientato prima di posare lo sguardo sul fratello steso a letto che lo osservava stancamente con un mezzo sorriso.

Il giovane fu tentato di scattare in piedi, di abbracciarlo, o di correre fuori dalla stanza urlando a pieni polmoni, di chiamare qualcuno, non importava nemmeno chi. Invece sospirò, e venne fuori come un singhiozzo strozzato, allungò una mano prendendo quella di Francesco, ancora lievemente fredda, ma poco importava. Era vivo. Sveglio. Cosa poteva chiedere di più?

«La prossima volta… - Iniziò con voce tremante. Deglutì e prese un respiro profondo chiudendo gli occhi, quando li riaprì non distolse lo sguardo dal fratello. - La prossima volta che pensi di farti pugnalare almeno abbi la decenza di indossare un’armatura.»


Angolino dell'Autrice: *che di tanto in tanto resuscita* Capitolo 1 di 4, gli altri 3 coprono l'arco di tempo tra la prima parte e la scena finale che, a conti fatti, è la ragione per cui ho scritto il fix-it. Tutto a causa di Guglielmo e della sua battuta finale.

Ai prossimi.
Aki

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Capitolo 2
*** What happened in between ~ Blind Fury ***


What happened in between - Blind Fury

La Cattedrale parve piombare nel silenzio in pochi istanti, un silenzio surreale e pesante e non importava se quattro persone erano al suo interno, – cinque, si sforzò di pensare Giuliano, cinque persone. - il silenzio pesava su di loro come un macigno. Il giovane Medici non si mosse, non ci riusciva, e nemmeno riusciva a staccare gli occhi dalla scena che aveva davanti. Era sbagliata. Era tutto sbagliato.

Odiava Francesco, lo sapeva lui, lo sapeva chiunque, eppure. Eppure quella voce non sembrava voler lasciare la sua mente, lo tormentava, quel pensiero, quel ricordo di forse un paio di minuti prima – Pochi minuti? Erano davvero passati solo pochi minuti? - si era artigliato nella sua mente e continuava a viverlo.


Tutto si sarebbe aspettato, Giuliano, eccetto quello. Sospettava dei Pazzi, sospettava di Francesco più di chiunque altro, non lo aveva fatto impazzire l’idea di abbracciarlo, non aveva creduto ad una singola sillaba uscita dalla sua bocca, e non si sentiva al sicuro ad averlo alle spalle in quel momento. Perché tutto si poteva dire di lui, ma non che fosse stupido, o cieco. Quale altra ragione avrebbe dovuto avere per sedersi alle loro spalle se non stava tramando qualcosa?

Quindi sì, Giuliano si aspettava di tutto. Afferrò d’istinto il pugnale che portava alla cintura quando sentì il braccio di Francesco attorno al suo collo, quando lo tirò indietro – e Giuliano non vide un altro pugnale, sottile e rapido, passargli accanto, a pochi centimetri da dove era un attimo prima.

«Ho scelto voi, Medici. - Era solo un sussurro ma fu abbastanza per Giuliano. - Prega di essere un buon attore.» Il dolore che provò quando il pugnale di Francesco lo ferì al collo fu improvviso, per un attimo credette che quelle parole fossero l’ennesima menzogna, poi Francesco lo spinse indietro, tra due panche, Giuliano fece appena in tempo a passare la sua unica arma a Lorenzo prima di cadere sui banchi rovesciati, Francesco sopra di lui come a volergli dare il colpo di grazia che però non arrivò. «Non farmi pentire.» C’era qualcosa nel suo sguardo, un tormento, una sorta di paura, Giuliano non sapeva cosa avesse in mente, rimase disteso, la mano sul collo e il sangue che lentamente colava tra le dita e sulla camicia, non era mortale, e lo sapeva anche Francesco.

Qualunque cosa i Pazzi avessero architettato per quel giorno – ucciderli, quello era ovvio, ucciderli nella Cattedrale durante la messa. - Francesco aveva appena voltato le spalle alla sua famiglia.

Giuliano video l’uomo avvicinarsi alle spalle del giovane dopo che aveva usato il proprio pugnale per ucciderne uno davanti a lui, ebbe la tentazione di avvertirlo ma non lo fece. no. Doveva restare nascosto tra i detriti e le schegge di legno dei banchi, doveva far credere che era morto. Vide come Francesco riuscì a disarmare ed uccidere il suo assalitore e vide l’uomo che pensava di aver ucciso un attimo prima lanciare indietro il pugnale prima di morire.


Giuliano era certo di odiarlo eppure una singola, semplice, azione, poche parole sussurrate lo stavano confondendo. Non ero lo stesso odio che provava prima, in quel momento nemmeno riusciva ad odiarlo. Non dopo che gli aveva salvato la vita. Non dopo che era –

Il primo suono che sentì dopo quella che parve un’eternità fu Lorenzo. Un suono strano, a metà tra una parola che Giuliano non comprese – ma che a pensarci bene poteva essere solo il nome di Francesco in quel momento. - e un singhiozzo trattenuto.

Lorenzo sollevò le mani dalla ferita, tremava mentre incerto passava una mano tra i capelli scuri, sul volto, mentre cercava di pulire il sangue che gli era colato dalle labbra senza risultati. Come poteva toglierglielo quando le sue stesse mani ne erano coperte?

Qualcosa gli diceva che avrebbe potuto esserci Giuliano in quella situazione, steso a terra, coperto di sangue e immobile. Ma Giuliano era vivo davanti a lui, con una ferita che aveva già smesso di sanguinare, immobile certo, pietrificato in ginocchio accanto al corpo di Francesco.

Il dolore e la disperazione mutarono presto in rabbia, una furia cieca prese il controllo della sua mente. Avevano cercato di uccidere lui, avevano cercato di uccidere Giuliano. E Francesco era morto. Sotto i suoi occhi, mentre cercava di salvarlo, mentre gli prometteva che tutto si sarebbe sistemato, sarebbe stato bene e avrebbero potuto ricominciare da capo. Mentre gli prometteva che lo avrebbe salvato. Francesco era morto sorridendo e Lorenzo sapeva esattamente di chi era la colpa.

Ancora tremava, ma questa volta di rabbia, mentre si alzava e superava il fratello, lo sguardo duro fisso davanti a sé, ignorò le grida di Clarice, la ignorò anche quando pregò Sandro di andare con lui, di fermarlo, di proteggerlo se avesse potuto o fosse servito. Di portarlo a casa. Ignorò l’amico che correndo lo raggiunse per affiancarsi a lui. Sandro non disse nulla mentre attraversavano una città nel panico e nel caos, con fuochi ai lati delle strade e sui carri, con gente che ancora fuggiva per trovare rifugio, lo seguì solamente, preoccupato certo, ma leale fino alla fine.

«Dev’essere qui, da qualche parte. Dividiamoci. Cercate dappertutto.»

 Avrebbe trovato Jacopo Pazzi e gli avrebbe fatto pagare ogni crimine commesso contro la sua famiglia. Ogni attentato, ogni imboscata, ogni parola avvelenata che aveva quasi portato alla loro disfatta. Quella congiura perpetrata in quel giorno santo, su un suolo consacrato. E avrebbe pagato per Francesco.


Angolino dell'autrice: Ci sono scene che nella stesura iniziale avevo detto non avevano trovato posto, parti che avrebbero rotto il ritmo allungando troppo il brodo, ma che erano importanti lo stesso per entrare meglio nei personaggi, per capirli. questo è il primo dei 3 capitoli centrali, banalmente chiamato "what happened in between".  

Spero vi piaccia, spero che questo fix-it vi sia piaciuto e che i personaggi non stonino troppo con quelli reali, è stato il primo tentativo, se avete commenti, consigli, idee, sono sempre ben accetti. (gli altri 2 capitoli sono già chiusi, ma sono sempre disposta ad un seguito, o qualcosa del genere, dipende dall'ispirazione)

Aki

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Capitolo 3
*** What happened in between ~ Confusion ***


What happened in between - Confusion

Giuliano si decise solo dopo che Lorenzo aveva abbandonato la Cattedrale a posare una mano sul volto di colui che Lorenzo aveva così spesso chiamato a amico, colui che aveva invidiato per anni, e che gli aveva salvato la vita. Non riusciva ancora a crederci, come poteva una giornata di festa tramutarsi in quello? In un tentato assassinio. - O riuscito, pensò mestamente. - Come poteva una frase mandarlo in confusione in quel modo?

Ho scelto voi. Ho scelto voi. Ho scelto voi.

La voce di Francesco suonava distorta nella sua mente, come un’eco troppo lontano, come se già Giuliano non riuscisse a ricordare com’era e tutto ciò lo spaventava. Non aveva mai prestato attenzione a Francesco, o alla sua voce, e in quel momento desiderava, per qualche ragione ancora oscura, averlo fatto. Magari sarebbe stato di conforto. In qualche modo.

Gli spostò a lato un ricciolo che era caduto disordinato sulla sua fronte, il gesto era dolorosamente familiare, ricordava di aver fatto lo stesso, o qualcosa di molto simile, quando Simonetta era morta; era un gesto delicato, di quelli solitamente riservati agli amanti. Lui odiava Francesco. Lo odiava. Lo…

Era sbagliato. Era tutto così assurdamente sbagliato. E Francesco non aiutava, nemmeno alla fine, da buon egoista qual’era, - ma non davvero, si ritrovò a pensare Giuliano – rimaneva immobile, dall’aspetto così sereno come mai l’aveva visto prima, – e l’aveva guardato lungo, poteva negarlo quando voleva ma l’aveva fatto, nella sua stupida gelosia verso il fratello. - certo c’era del sangue che non avrebbe dovuto trovarsi lì, non sul suo viso dove Lorenzo lo aveva accarezzato nella speranza di svegliarlo, non sulle labbra ancora increspate in un sorriso, non sul petto, o attorno a lui sulle mattonelle della Cattedrale, ma era sereno.

Giuliano chiuse gli occhi per un attimo, non avrebbe pianto, era insensato continuava a ripetersi, non aveva ragione di piangere per qualcuno che solo un’ora prima, anche meno, odiava a morte. No, non avrebbe pianto.

Trattenendo a stento un lamento gli posò una mano sul petto e chinò il capo, non voleva piangere, non ne aveva motivo. Eccetto il fatto che gli aveva salvato la vita.

«Ho scelto voi, Medici.»

Giuliano si chinò in avanti fino a che la fronte non era posata sulla mano sul suo petto. Lo aveva tormentato da vivo e continuava a farlo da morto. Non era giusto.

Non lo meritavi.” Lo pensò solamente, era già sorpreso dal fatto di averlo pensato, se lo avesse detto sarebbe stato troppo anche per lui.

Per un attimo immaginò di averlo sentito muoversi lentamente, cercare di respirare, ma non era possibile, non poteva esserlo. Era morto, davanti a loro, lo avevano visto morire. Ma il sospiro, debole, sofferente, ma reale, che Giuliano sentì non mentiva, o almeno così sperava.

«Francesco…?» Non riuscì a non sembrare spaventato in quel momento, incerto, e non riuscì a frenare il sospiro che gli sfuggì quando Francesco, come sentendolo, strinse appena gli occhi, un movimento quasi impercettibile ma che gli diede speranza.

Mandò a chiamare una carrozza, degli aiuti, qualunque cosa potesse servire loro per tornare a Palazzo Medici il più in fretta possibile, e nel modo più sicuro, chiunque potesse aiutare, salvare, Francesco.

Qualcuno dovrà informare Guglielmo.” Pensò mentre la carrozza li portava verso casa passando da vie secondarie e meno usate, in quel momento ben più sicure delle principali in cui la gente si era riversata come un fiume in piena. “E Lorenzo.”

Lorenzo che era andato a dare la caccia a chiunque avesse portato avanti quella cospirazione, Lorenzo che voleva la testa di Jacopo Pazzi su una picca, Lorenzo che sembrava inarrestabile mentre mosso da una rabbia cieca che Giuliano sperava svanisse presto.

Alla fine però non vi fu alcun bisogno di mandare qualcuno a cercare Guglielmo. Sia lui che Bianca che la loro bambina erano a Palazzo Medici, Giuliano lo sentì prima ancora di vederlo. Aveva lasciato che due guardie prendessero Francesco - «Piano! Fate piano per Dio!» Non seppe spiegarsi il perché di quella reazione così protettiva di colpo, o forse lo sapeva in verità ma fece del suo meglio per ignorarlo. - per aiutare sua madre e Clarice a scendere dalla carrozza quando un urlo spezzò la quiete del cortile. Guglielmo aveva le mani sulle spalle di Bianca ma l’aveva subito lasciata andare quando vide le guardie avvicinarsi e suo fratello venire trasportato all’interno, li inseguì allungando una mano verso quella di Francesco, le domande uscivano dalla sua bocca una dopo l’altra, senza pause o tempo materiale per rispondere, inframezzate solo dal nome del fratello ripetuto, urlato con una disperazione che Giuliano stava odiando, finché una porta venne chiusa davanti a lui e Guglielmo si zittì per qualche istante, il tempo di comprendere cosa fosse accaduto.

«Fatemi entrare! - Urlò battendo entrambi i pugni contro la porta con violenza. - Fatemi entrare! È mio fratello, ho il diritto di essere lì!»

Giuliano fece qualche passo incerto nella sua direzione, abbracciò Bianca che gli corse incontro chiedendogli cosa fosse accaduto, e dove fosse Lorenzo, ma non le rispose, la lasciò tra le braccia di loro madre e si avvicinò. Non sapeva se era la cosa migliore da fare, in quel momento Guglielmo, il calmo, pacifico Guglielmo, era fuori di sé. Ma ben presto le urla scemarono, si ridussero gradualmente a sussurri, smise di battere sulla porta e rimase fermo in quella posizione, i pugni chiusi sul legno, la testa ora contro la porta, chinata in segno di resa e le spalle scosse da singhiozzi silenziosi.

«È mio fratello, - ripeté ancora. Giuliano gli posò una mano sulla spalla sperando che fosse abbastanza in quel momento, non aveva parole che potessero confortarlo. - per favore… È mio fratello.»


«Pagherai – La voce di Lorenzo era poco più di un sussurro, era stanco eppure la rabbia che aveva provato nella Cattedrale ancora non era svanita, ancor meno ora che aveva davanti a sé Jacopo Pazzi. - per ogni cosa che hai fatto. Per l’attentato a mio padre, alla mia famiglia, a mio fratello.» Non menzionò sé stesso direttamente, in quel momento era la cosa meno importante. Jacopo aveva complottato per uccidere Giuliano e vi era quasi riuscito. Il corpo di Salviati penzolava da una delle finestre, il mercenario attendeva in cella la sua esecuzione il mattino seguente, ed ora era il turno di Jacopo.

«Hai fallito, ma non per questo avrai la mia pietà. - alle sue spalle Sandro si mosse inquieto – Chiedi perdono a Dio se lo desideri, forse ti ascolterà.» Jacopo non si mosse, teneva tra le mani il medaglione con il ritratto della moglie, l’ultimo ricordo di un tempo in cui aveva ancora al proprio fianco qualcuno che lo amava.

«Hai fallito. - ripeté Lorenzo. - Il tuo piano ha fallito, siamo ancora vivi, sia io che Giuliano.» Per un attimo la mente tornò alla Cattedrale, al viso pallido di Francesco che lo guardava sorridendo, al momento in cui aveva chiuso gli occhi e la sua vita si era spezzata. Per cosa poi? «Hai ucciso una sola persona quest’oggi, ed è tuo nipote.» Non fece caso alla reazione che Jacopo poteva aver avuto a quella scoperta, fece un gesto rapido con la mano e le guardie tirarono l’uomo in piedi, lo avvicinarono alla finestra e, con un cappio attorno al collo, lo gettarono di sotto mentre una folla urlante esultava dalla strada.

Voltandosi verso Sandro gli fece cenno di seguirlo, si sentiva improvvisamente troppo stanco anche solo per parlare, l’adrenalina che aveva provato fino a poco prima era svanita e ora restava solo il vuoto.

Vuoto che sperava di colmare almeno in parte ricongiungendosi con la sua famiglia.


Guglielmo trascinò una sedia dallo schienale alto accanto al letto, poi vi posò un catino colmo d’acqua e un pezzo di stoffa, ogni movimento sembrava calcolato fino all’ultimo passo, come se il rischio di sbagliarne anche uno solo potesse portare alla rovina. In verità Guglielmo si muoveva in automatico, con gesti che in passato aveva compiuto più volte di quanto volesse ammettere e che ormai conosceva a memoria. Si sedette piano sul bordo del letto e iniziò a passare la stoffa sul volto del fratello pulendolo lentamente dal sangue. La ferita al petto era già stata pulita e coperta da mani ben più esperte delle sue e Guglielmo ne fu grato, ricordava come pulire delle ferite superficiali ma una del genere sarebbe stata di molto fuori dalla sua portata. E dal suo autocontrollo.

«Com’è che finisce sempre così, fratello? - Giuliano lo sentì domandare a bassa voce da dove era fermo dalla porta, indeciso se entrare o meno. - Tu in un letto e io a doverti pulire una qualche ferita. E tutto perché nostro zio è… - Guglielmo si bloccò per un attimo, immerse la stoffa nell’acqua e la strizzò prima di riprendere quello che stava facendo, ma sorrideva, anzi, quasi rideva, come se avesse sentito una frase particolarmente divertente. E il giovane Medici davvero non riusciva a coomprenderlo. - … pazzo.»

Era stato Francesco a dirlo la prima volta, anni prima, dopo che Jacopo lo aveva punito per qualcosa che entrambi ormai avevano dimenticato. «Nostro zio è pazzo, non essere così arrabbiato.» Aveva scherzato all’epoca Francesco riuscendo a strappare una piccola risata al fratello intento a tamponargli un sopracciglio.

Giuliano fu tentato dal dire qualcosa, commentare quella frase, magari anche farsi sfuggire una risata quando sentì Lorenzo parlare dal cortile. Lanciando un’occhiata veloce alla stanza, assicurandosi per un attimo in più che Francesco fosse davvero ancora vivo, si incamminò verso il fratello che, non appena posato lo sguardo su di lui, subito gli andò incontro stringendolo in un abbraccio disperato. Giuliano riuscì a capire solo un paio delle parole che Lorenzo sussurrava con il volto premuto contro la sua spalla. Gli chiedeva scusa per non averlo protetto meglio, perché poteva essere morto a quell’ora, per non avergli creduto quando lo aveva messo in guardia, e gli chiedeva di Francesco, se lo avessero portato a Palazzo o abbandonato nella Cattedrale e per un attimo Giuliano avrebbe voluto sentirsi offeso di quel pensiero.

«Vieni con me Lorenzo.» Lo spostò da contro di sé con gentilezza e, prendendogli la mano, lo condusse nella stanza che aveva lasciato poco prima, non sapeva come spiegarli che Francesco non era morto, non ancora aveva specificato il dottore che gli aveva pulito e coperto la ferita, non ancora, non in modo convincente. Vederlo con i suoi occhi avrebbe di certo funzionato meglio.


Angolino dell'autrice: Capitolo 3 di 4. Giuliano si è intromesso in quello che doveva essere, in origine, l'ultimo capitolo e ha deciso che voleva un qualcosa tutto per sè e per le sue infinite pare. Il "Ho scelto voi, Medici" lo tormenterà molto a lungo temo, e di certo non può odiare Francesco come faceva prima, no?

Poi c'è Lorenzo, che ha voluto il suo ritaglino nel capitolo per uccidere Jacopo e farlo sentire un po' in colpa.

E poi c'è lui, il protagonista del capitolo finale, la vera furia cieca, in più sensi di uno solo, perchè se vuole il caro Guglielmo è davvero cieco. Ma lui avrà tutto lo spazio che merita nel finale.

Grazie a chiunque sia arrivato fin qui a leggere, a chi la sta magari seguendo in silenzio. Grazie.

Love~ (e angst)

Aki

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