The choices we make make us who we are di Gemini_no_Aki (/viewuser.php?uid=62854)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I ***
Capitolo 2: *** What happened in between ~ Blind Fury ***
Capitolo 3: *** What happened in between ~ Confusion ***
Capitolo 1 *** Chapter I ***
The
choices we make make us who we are
Il
piano era semplice, talmente semplice che anche un bambino sarebbe
stato in grado di seguirlo, – seguirlo,
non metterlo in atto, e spesso temeva che Jacopo lo vedesse ancora
come un bambino.
- uccidere entrambi i fratelli nel momento in cui il Cardinale avesse
alzato l’ostia, era davvero semplice e rapido, nulla poteva
andare
storto, eppure il pensiero di quel piano lo tenne sveglio fino alle
prime luci dell’alba quando decise che non sarebbe mai
riuscito a
prendere sonno e desistette dal provarci.
Il
cuore gli martellava nel petto ad ogni passo che faceva verso la
Cattedrale, pareva quasi impazzito, per un attimo temette che Lorenzo
se ne fosse accorto quando lo abbracciò, era impossibile non
accorgersene, c’era una sorta di inspiegabile terrore che
allungava
i propri tentacoli dentro il giovane Pazzi, un singolo passo falso
avrebbe rovinato ogni cosa e non poteva permetterselo, non quella
volta, non quel giorno. Non era un bambino. Era perfettamente in
grado di portare avanti quel piano che aveva portato a così
tanti
crucci e notti insonni.
Eppure
adesso aveva paura, mentre la Cattedrale si riempiva e le persone
prendevano posto, mentre il Cardinale camminava lungo la navata e la
messa iniziava, mentre parole di perdono e bontà
divinità venivano
dette. Francesco non riusciva a staccare lo sguardo da un punto fisso
davanti a sé, a malapena batteva le palpebre, in una
concentrazione
che era più dovuta al suo non voler lasciar trapelare nulla
più che
alla convinzione di ciò che stava per accadere.
In
un attimo fu il caos. Il giovane Cardinale sollevò
l’ostia verso
il crocefisso e ogni ingranaggio scattò al proprio posto.
Francesco
si mosse con una finta decisione, si sporse avanti verso Giuliano, lo
sguardo sempre fisso davanti a sé, strattonò
indietro il più
giovane e lo colpì. Era poco più di un graffio,
lo sapeva, ma il
sangue non sembrò farsi attendere andando a colare lungo la
camicia
come se fosse più grave di quel che era in
verità, sussurrò
qualcosa in tono talmente basso che non era nemmeno certo che il
destinatario potesse averlo sentito, e ancor meno era certo se gli
avrebbe creduto.
Per
un attimo, uno soltanto, provò la tentazione di voltarsi ed
assicurarsi che suo zio Jacopo lo avesse visto, che avesse visto il
sangue che imbrattava la veste del più giovane dei fratelli
Medici
che era scivolato a terra, una mano sulla ferita al collo, e giaceva
semi nascosto tra le panche. Non voleva la sua approvazione, solo
sincerarsi che avesse visto che ogni cosa era andata secondo i piani,
o quasi almeno. Lorenzo stava ancora combattendo mentre Clarice
cercava di trascinarlo con sé verso la sagrestia tenendo
ferma anche
Lucrezia che gridava e piangeva disperata per il figlio più
giovane,
voleva fuggire e trovare un rifugio sicuro in cui nascondersi, ma non
lo fece, non c’era tempo.
Un
uomo, in quel momento Francesco non riuscì nemmeno a
riconoscerlo,
si stava avvicinando, la spada levata e pronta a calare su di lui,
–
o
su Giuliano, per infierire di più, per dare il colpo di
grazia
– il pugnale lasciò la mano prima ancora che la
mente avesse tempo
di registrare il gesto o l’intenzione, l’uomo
stramazzò a terra
senza un suono se non quello metallico della lama sulle mattonelle
della chiesa. Non si accorse di quello alle sue spalle
finché non lo
sentì.
Fino
a quel momento aveva sempre creduto che alla fine della propria vita,
quando si stanno vivendo gli ultimi istanti concessi nel mondo
terreno, ogni cosa attorno a sé rallenti, ogni sbaglio torni
alla
mente, ogni decisione presa dal primo momento di vita, ogni singolo
ricordo, anche i più repressi e dimenticati, si presenti
davanti a
te come a volerti sbeffeggiare, come a volerti provare che ancora
esiste e non importa quanto tu possa aver lottato, non verrà
mai
dimenticato del tutto. Lo credeva davvero ma mai convinzione si
rivelò più errata. Invece di rallentare il mondo
attorno a lui
accelerò di colpo, prese a vorticare in un turbinio di urla
e
sagome. E di dolore. Non riusciva quasi a respirare dal dolore.
Poi
di colpo tutto si fermò, ogni cosa si fece immobile e fu
come
restare sospesi nel nulla, il dolore era ancora lì, non
sembrava
intenzionato ad abbandonarlo, ma il mondo aveva smesso di muoversi e
si era fatto silenzioso, ad eccezione di quella voce che lo aveva
chiamato, era sorpresa, inspiegabilmente preoccupata, familiare e
velata da un panico che mai aveva sentito prima, non per lui, non
chiamando il suo nome. C’era qualcosa di sbagliato,
tremendamente
sbagliato e Francesco non era più sicuro che si trattasse
della voce
o del pugnale – il
suo pugnale, quello che ricordava di aver usato per ferire Giuliano e
per uccidere l’uomo con la spada –
che era affondato nel suo petto. Forse entrambe le cose erano
sbagliate, ma il pugnale soprattutto, non aveva ragione di trovarsi
lì, ma forse estrarlo non era stata la sua mossa migliore. -
molte
sue scelte, pensò Francesco in quel momento, non erano state
le
migliori che avesse mai preso. Una in più, una in meno, che
male
poteva fare? -
In
sottofondo, distante e ovattato, una donna piangeva e gridava,
qualcuno che per qualche ragione suonava familiare, eppure non
riusciva a darle un nome, la mente era annebbiata quanto la vista,
probabilmente non sarebbe riuscito nemmeno a riconoscere il suo
stesso fratello.
«Francesco…?»
Giuliano era in piedi, fuori dal nascondiglio tra le panche ora che
la Cattedrale si era svuotata, una mano premeva sulla ferita che gli
aveva inferto, ormai aveva smesso di sanguinare ma Francesco sperava
che avesse convinto Jacopo in un primo momento, le cose erano
rapidamente sfuggite al suo controllo nonostante il piano fosse
semplice come si era ripetuto centinaia di volte. Ora Giuliano
torreggiava su di lui, il volto contratto in una smorfia preoccupata,
non poteva distogliere lo sguardo. Non era mai stato così
tanto più
alto di lui, né lui così basso. Francesco si rese
conto solo in
quel momento di trovarsi inginocchiato sulle mattonelle sporche di
sangue – il
suo sangue, quello che colava dalla sua veste, da dietro le mani
premute sul petto. Il suo. -
della Cattedrale.
«Francesco…
Francesco.» La voce giunse da lontano nonostante sapesse che
il
giovane Medici era a pochi passi da lui, poi il mondo si
inclinò
sempre di più, un velo scuro sembrò avvolgerlo
mentre cadeva di
schiena e restava fermo a fissare il soffitto che ricordava
più
luminoso di quanto non vedesse. Giuliano si era avvicinato, non aveva
smesso di chiamarlo, mai in tutta la loro vita aveva ripetuto il suo
nome così tante volte, stava dicendo altro, qualche domanda
o almeno
così sembrava a Francesco ma non riusciva a capire
più di una o due
parole e messe insieme non avevano alcun senso.
C’era
una seconda voce, ancora più familiare di quella di
Giuliano, in
lontananza, c’era il rumore di una porta aperta in fretta e
furia,
il legno che sbatteva contro il muro di pietra, qualcuno che chiamava
a gran voce Giuliano, e lui rimaneva lì, inginocchiato
accanto al
suo corpo, incerto se toccarlo o meno. Ma non c’era disgusto
sul
suo volto, o almeno, Francesco non lo vedeva, c’era
preoccupazione
e paura.
«Sono
qui… - disse
a mezza voce, poi voltò il capo verso la sagoma che si
avvicinava
correndo seguita da altre due –
Sono qui fratello.»
Qualcuno
lo mosse, gli sollevò la testa con una gentilezza e una
delicatezza
che non era certo di meritare. Li aveva traditi. Aveva tradito
Lorenzo, aveva complottato per ucciderlo, per ucciderli entrambi,
aveva quasi ucciso Giuliano, una singola scelta giusta alla fine di
ogni cosa non bastava a cancellare le sue innumerevoli colpe. Non
meritava quella gentilezza e quella preoccupazione. Meritava di
morire da solo, – Perché
sì, non era stupido, stava morendo, lo sapeva e non vi era
nulla che
potessero dire o fare per cambiare le cose. Stava morendo.
Stranamente il pensiero non lo spaventò. -
di venir abbandonato sulla pietra fredda della Cattedrale. Meritava
quella sorte, ne era sicuro.
Invece
non era solo, Giuliano era lì, aveva smesso di fare domande
ma non
si era mosso, Lorenzo era al suo fianco davanti al fratello, gli
passava una mano tra i capelli neri in una confortante carezza, lo
chiamava lui adesso, con quella voce che Francesco conosceva quanto
quella del suo stesso fratello.
-
Per
un attimo pregò che Guglielmo fosse al sicuro come gli aveva
scritto
nella lettera, che lui e sua moglie fossero lontani da quella chiesa
macchiata di sangue, da quella famiglia che aveva portato solo dolore
e lo avrebbe distrutto. Pregò che stesse bene, ignaro di
ogni cosa
finché le acque non si fossero calmate. E che lo perdonasse,
almeno
un poco. -
«Francesco,
apri gli occhi. Devi guardarmi, so che mi senti, non farmi questo,
non questa volta.»
Francesco
voleva spiegarli ogni cosa, spiegargli del suo piano, quello vero,
quello che aveva messo in atto e che gli si era ritorto contro ma
che, al tempo stesso, aveva funzionato, dirgli di come avesse voltato
le spalle alla stessa famiglia che non aveva esitato un attimo a
rinnegare Guglielmo, per lui, perché in fondo credeva alle
sue
parole, al suo idealismo, voleva credere che se qualcuno poteva
davvero cambiare le cose quello sarebbe stato Lorenzo. Ma era troppo
in quel momento, così Francesco si limitò a
guardarlo con gli occhi
socchiusi abbozzando un sorriso e lasciandosi sfuggire un flebile
lamento quando premette entrambe le mani sulla ferita concentrandosi
sulle parole che diceva. Promesse vuote, come quelle di Jacopo che
gli avevano avvelenato la mente così a lungo, Lorenzo
continuava
imperterrito a dire che sarebbe stato bene, probabilmente
più per
convincere sé stesso che lui. Eppure, a dispetto di ogni
altra cosa,
nonostante sapesse che era una bugia, Francesco decise di credergli.
Perché era Lorenzo, perché sapeva non gli avrebbe
mai mentito, non
su una cosa del genere, non in quel momento, non sarebbe stato
onorevole mentire ad un uomo che sta morendo.
E
ancora gli credeva quando la stanchezza e il dolore ebbero la meglio
sulla sua volontà di restare cosciente e l’ultima
cosa che sentì
fu Lorenzo chiamare il suo nome mentre lasciava chiudere gli occhi.
Guglielmo
non si era mosso per quasi una settimana, se non si contavano quei
brevi momenti in cui Bianca era riuscita a staccarlo dalla sedia su
cui sembrava aver fatto radici, per mangiare qualcosa o dormire un
paio d’ore. Ore durante le quali Lorenzo aveva promesso di
rimanere
al suo posto e di svegliarlo qualora fosse accaduto qualcosa,
qualunque
cosa.
Le
cose erano cambiate, in modo graduale, stavano ancora cambiando.
Jacopo Pazzi era morto, Lorenzo non aveva mostrato alcuna
pietà per
l’uomo che aveva cercato di uccidere la sua famiglia.
«Siamo
ancora vivi. Entrambi. - Gli aveva detto con disprezzo poche ore dopo
il tentato omicidio, i vestiti ancora sporchi di sangue, come le
mani. - Hai ucciso una sola persona quest’oggi, ed
è tuo nipote.»
Lo aveva fatto impiccare davanti ad una folla esultante ed era
tornato a casa. Giuliano sembrava più disposto ad avere i
due
fratelli sotto il suo stesso tetto, aveva tenuto per sé,
custodito
gelosamente come il segreto di un’amante, quelle poche parole
che
Francesco gli aveva detto prima che il caos esplodesse. “Ho
scelto voi, Medici.”
, non c’era rabbia o sarcasmo, al contrario c’era
l’ombra di un
sorriso. “Non
farmi pentire.”
Alla
fine Guglielmo aveva trascinato una sedia accanto al letto e vi aveva
preso residenza. Anche in quel momento era lì, addormentato
con la
testa appoggiata ad una mano, pericolante, rischiando di cadere di
faccia per terra. – e
non sarebbe stata la prima volta
-
«Non
sarebbe più comodo… un letto?»
Mormorò una voce roca che lo
svegliò di colpo. Per un attimo Guglielmo si
guardò intorno
disorientato prima di posare lo sguardo sul fratello steso a letto
che lo osservava stancamente con un mezzo sorriso.
Il
giovane fu tentato di scattare in piedi, di abbracciarlo, o di
correre fuori dalla stanza urlando a pieni polmoni, di chiamare
qualcuno, non importava nemmeno chi. Invece sospirò, e venne
fuori
come un singhiozzo strozzato, allungò una mano prendendo
quella di
Francesco, ancora lievemente fredda, ma poco importava. Era vivo.
Sveglio. Cosa poteva chiedere di più?
«La
prossima volta… - Iniziò
con voce tremante. Deglutì e prese un respiro profondo
chiudendo gli
occhi, quando li riaprì non distolse lo sguardo dal fratello.
- La prossima volta che pensi di farti pugnalare almeno abbi la
decenza di indossare un’armatura.»
Angolino dell'Autrice:
*che di tanto in tanto resuscita* Capitolo 1 di 4, gli altri 3 coprono
l'arco di tempo tra la prima parte e la scena finale che, a conti
fatti, è la ragione per cui ho scritto il fix-it. Tutto a
causa di Guglielmo e della sua battuta finale.
Ai prossimi.
Aki
|
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Capitolo 2 *** What happened in between ~ Blind Fury ***
What
happened in between - Blind Fury
La
Cattedrale parve piombare nel silenzio in pochi istanti, un silenzio
surreale e pesante e non importava se quattro persone erano al suo
interno, – cinque,
si sforzò di pensare Giuliano, cinque persone. -
il silenzio pesava su di loro come un macigno. Il giovane Medici non
si mosse, non ci riusciva, e nemmeno riusciva a staccare gli occhi
dalla scena che aveva davanti. Era sbagliata. Era tutto sbagliato.
Odiava
Francesco, lo sapeva lui, lo sapeva chiunque, eppure. Eppure quella
voce non sembrava voler lasciare la sua mente, lo tormentava, quel
pensiero, quel ricordo di forse un paio di minuti prima – Pochi
minuti? Erano davvero passati solo pochi minuti? -
si era artigliato nella sua mente e continuava a viverlo.
Tutto
si sarebbe aspettato, Giuliano, eccetto quello. Sospettava dei Pazzi,
sospettava di Francesco più di chiunque altro, non lo aveva
fatto
impazzire l’idea di abbracciarlo, non aveva creduto ad una
singola
sillaba uscita dalla sua bocca, e non si sentiva al sicuro ad averlo
alle spalle in quel momento. Perché tutto si poteva dire di
lui, ma
non che fosse stupido, o cieco. Quale altra ragione avrebbe dovuto
avere per sedersi alle loro spalle se non stava tramando qualcosa?
Quindi
sì, Giuliano si aspettava di tutto. Afferrò
d’istinto il pugnale
che portava alla cintura quando sentì il braccio di
Francesco
attorno al suo collo, quando lo tirò indietro – e
Giuliano non
vide un altro pugnale, sottile e rapido, passargli accanto, a pochi
centimetri da dove era un attimo prima.
«Ho
scelto voi, Medici. - Era solo un sussurro ma fu abbastanza per
Giuliano. - Prega di essere un buon attore.» Il dolore che
provò
quando il pugnale di Francesco lo ferì al collo fu
improvviso, per
un attimo credette che quelle parole fossero l’ennesima
menzogna,
poi Francesco lo spinse indietro, tra due panche, Giuliano fece
appena in tempo a passare la sua unica arma a Lorenzo prima di cadere
sui banchi rovesciati, Francesco sopra di lui come a volergli dare il
colpo di grazia che però non arrivò.
«Non farmi pentire.» C’era
qualcosa nel suo sguardo, un tormento, una sorta di paura, Giuliano
non sapeva cosa avesse in mente, rimase disteso, la mano sul collo e
il sangue che lentamente colava tra le dita e sulla camicia, non era
mortale, e lo sapeva anche Francesco.
Qualunque
cosa i Pazzi avessero architettato per quel giorno –
ucciderli,
quello era ovvio, ucciderli nella Cattedrale durante la messa. -
Francesco aveva appena voltato le spalle alla sua famiglia.
Giuliano
video l’uomo avvicinarsi alle spalle del giovane dopo che
aveva
usato il proprio pugnale per ucciderne uno davanti a lui, ebbe la
tentazione di avvertirlo ma non lo fece. no. Doveva restare nascosto
tra i detriti e le schegge di legno dei banchi, doveva far credere
che era morto. Vide come Francesco riuscì a disarmare ed
uccidere il
suo assalitore e vide l’uomo che pensava di aver ucciso un
attimo
prima lanciare indietro il pugnale prima di morire.
Giuliano
era certo di odiarlo eppure una singola, semplice, azione, poche
parole sussurrate lo stavano confondendo. Non ero lo stesso odio che
provava prima, in quel momento nemmeno riusciva ad odiarlo. Non dopo
che gli aveva salvato la vita. Non dopo che era –
Il
primo suono che sentì dopo quella che parve
un’eternità fu
Lorenzo. Un suono strano, a metà tra una parola che Giuliano
non
comprese – ma
che a pensarci bene poteva essere solo il nome di Francesco in quel
momento. -
e un singhiozzo trattenuto.
Lorenzo
sollevò le mani dalla ferita, tremava mentre incerto passava
una
mano tra i capelli scuri, sul volto, mentre cercava di pulire il
sangue che gli era colato dalle labbra senza risultati. Come poteva
toglierglielo quando le sue stesse mani ne erano coperte?
Qualcosa
gli diceva che avrebbe potuto esserci Giuliano in quella situazione,
steso a terra, coperto di sangue e immobile. Ma Giuliano era vivo
davanti a lui, con una ferita che aveva già smesso di
sanguinare,
immobile certo, pietrificato in ginocchio accanto al corpo di
Francesco.
Il
dolore e la disperazione mutarono presto in rabbia, una furia cieca
prese il controllo della sua mente. Avevano cercato di uccidere lui,
avevano cercato di uccidere Giuliano. E Francesco era morto. Sotto i
suoi occhi, mentre cercava di salvarlo, mentre gli prometteva che
tutto si sarebbe sistemato, sarebbe stato bene e avrebbero potuto
ricominciare da capo. Mentre gli prometteva che lo avrebbe salvato.
Francesco era morto sorridendo e Lorenzo sapeva esattamente di chi
era la colpa.
Ancora
tremava, ma questa volta di rabbia, mentre si alzava e superava il
fratello, lo sguardo duro fisso davanti a sé,
ignorò le grida di
Clarice, la ignorò anche quando pregò Sandro di
andare con lui, di
fermarlo, di proteggerlo se avesse potuto o fosse servito. Di
portarlo a casa. Ignorò l’amico che correndo lo
raggiunse per
affiancarsi a lui. Sandro non disse nulla mentre attraversavano una
città nel panico e nel caos, con fuochi ai lati delle strade
e sui
carri, con gente che ancora fuggiva per trovare rifugio, lo
seguì
solamente, preoccupato certo, ma leale fino alla fine.
«Dev’essere
qui, da qualche parte. Dividiamoci. Cercate dappertutto.»
Avrebbe
trovato Jacopo Pazzi e gli avrebbe fatto pagare ogni crimine commesso
contro la sua famiglia. Ogni attentato, ogni imboscata, ogni parola
avvelenata che aveva quasi portato alla loro disfatta. Quella
congiura perpetrata in quel giorno santo, su un suolo consacrato. E
avrebbe pagato per Francesco.
Angolino dell'autrice:
Ci sono scene che nella stesura iniziale avevo detto non avevano
trovato posto, parti che avrebbero rotto il ritmo allungando troppo il
brodo, ma che erano importanti lo stesso per entrare meglio nei
personaggi, per capirli. questo è il primo dei 3 capitoli
centrali, banalmente chiamato "what happened in between".
Spero
vi piaccia, spero che questo fix-it vi sia piaciuto e che i personaggi
non stonino troppo
con quelli reali, è stato il primo tentativo, se avete
commenti, consigli, idee, sono sempre ben accetti. (gli altri 2
capitoli sono già chiusi, ma sono sempre disposta ad un
seguito, o qualcosa del genere, dipende dall'ispirazione)
Aki
|
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Capitolo 3 *** What happened in between ~ Confusion ***
What happened
in between - Confusion
Giuliano
si decise solo dopo che Lorenzo aveva abbandonato la Cattedrale a
posare una mano sul volto di colui che Lorenzo aveva così
spesso
chiamato a amico, colui che aveva invidiato per anni, e che gli aveva
salvato la vita. Non riusciva ancora a crederci, come poteva una
giornata di festa tramutarsi in quello? In un tentato assassinio. - O
riuscito, pensò mestamente. -
Come poteva una frase mandarlo in confusione in quel modo?
Ho
scelto voi. Ho scelto voi. Ho scelto voi.
La
voce di Francesco suonava distorta nella sua mente, come
un’eco
troppo lontano, come se già Giuliano non riuscisse a
ricordare
com’era e tutto ciò lo spaventava. Non aveva mai
prestato
attenzione a Francesco, o alla sua voce, e in quel momento
desiderava, per qualche ragione ancora oscura, averlo fatto. Magari
sarebbe stato di conforto. In qualche modo.
Gli
spostò a lato un ricciolo che era caduto disordinato sulla
sua
fronte, il gesto era dolorosamente familiare, ricordava di aver fatto
lo stesso, o qualcosa di molto simile, quando Simonetta era morta;
era un gesto delicato, di quelli solitamente riservati agli amanti.
Lui odiava Francesco. Lo odiava. Lo…
Era
sbagliato. Era tutto così assurdamente sbagliato. E
Francesco non
aiutava, nemmeno alla fine, da buon egoista qual’era, - ma
non davvero, si ritrovò a pensare Giuliano –
rimaneva immobile, dall’aspetto così sereno come
mai l’aveva
visto prima, – e
l’aveva guardato lungo, poteva negarlo quando voleva ma
l’aveva
fatto, nella sua stupida gelosia verso il fratello. -
certo c’era del sangue che non avrebbe dovuto trovarsi
lì, non sul
suo viso dove Lorenzo lo aveva accarezzato nella speranza di
svegliarlo, non sulle labbra ancora increspate in un sorriso, non sul
petto, o attorno a lui sulle mattonelle della Cattedrale, ma era
sereno.
Giuliano
chiuse gli occhi per un attimo, non avrebbe pianto, era insensato
continuava a ripetersi, non aveva ragione di piangere per qualcuno
che solo un’ora prima, anche meno, odiava a morte. No, non
avrebbe
pianto.
Trattenendo
a stento un lamento gli posò una mano sul petto e
chinò il capo,
non voleva piangere, non ne aveva motivo. Eccetto il fatto che gli
aveva salvato la vita.
«Ho
scelto voi, Medici.»
Giuliano
si chinò in avanti fino a che la fronte non era posata sulla
mano
sul suo petto. Lo aveva tormentato da vivo e continuava a farlo da
morto. Non era giusto.
“Non
lo meritavi.”
Lo pensò solamente, era già sorpreso dal fatto di
averlo pensato,
se lo avesse detto sarebbe stato troppo anche per lui.
Per
un attimo immaginò di averlo sentito muoversi lentamente,
cercare di
respirare, ma non era possibile, non poteva esserlo. Era morto,
davanti a loro, lo avevano visto morire. Ma il sospiro, debole,
sofferente, ma reale, che Giuliano sentì non mentiva, o
almeno così
sperava.
«Francesco…?»
Non riuscì a non sembrare spaventato in quel momento,
incerto, e non
riuscì a frenare il sospiro che gli sfuggì quando
Francesco, come
sentendolo, strinse appena gli occhi, un movimento quasi
impercettibile ma che gli diede speranza.
Mandò
a chiamare una carrozza, degli aiuti, qualunque cosa potesse servire
loro per tornare a Palazzo Medici il più in fretta
possibile, e nel
modo più sicuro, chiunque potesse aiutare, salvare,
Francesco.
“Qualcuno
dovrà informare Guglielmo.”
Pensò mentre la carrozza li portava verso casa passando da
vie
secondarie e meno usate, in quel momento ben più sicure
delle
principali in cui la gente si era riversata come un fiume in piena.
“E
Lorenzo.”
Lorenzo
che era andato a dare la caccia a chiunque avesse portato avanti
quella cospirazione, Lorenzo che voleva la testa di Jacopo Pazzi su
una picca, Lorenzo che sembrava inarrestabile mentre mosso da una
rabbia cieca che Giuliano sperava svanisse presto.
Alla
fine però non vi fu alcun bisogno di mandare qualcuno a
cercare
Guglielmo. Sia lui che Bianca che la loro bambina erano a Palazzo
Medici, Giuliano lo sentì prima ancora di vederlo. Aveva
lasciato
che due guardie prendessero Francesco - «Piano!
Fate piano per Dio!»
Non seppe spiegarsi il perché di quella reazione
così protettiva di
colpo, o forse lo sapeva in verità ma fece del suo meglio
per
ignorarlo. - per aiutare sua madre e Clarice a scendere dalla
carrozza quando un urlo spezzò la quiete del cortile.
Guglielmo
aveva le mani sulle spalle di Bianca ma l’aveva subito
lasciata
andare quando vide le guardie avvicinarsi e suo fratello venire
trasportato all’interno, li inseguì allungando una
mano verso
quella di Francesco, le domande uscivano dalla sua bocca una dopo
l’altra, senza pause o tempo materiale per rispondere,
inframezzate
solo dal nome del fratello ripetuto, urlato con una disperazione che
Giuliano stava odiando, finché una porta venne chiusa
davanti a lui
e Guglielmo si zittì per qualche istante, il tempo di
comprendere
cosa fosse accaduto.
«Fatemi
entrare! - Urlò
battendo entrambi i pugni contro la porta con violenza.
- Fatemi entrare! È mio fratello, ho il diritto di essere
lì!»
Giuliano
fece qualche passo incerto nella sua direzione, abbracciò
Bianca che
gli corse incontro chiedendogli cosa fosse accaduto, e dove fosse
Lorenzo, ma non le rispose, la lasciò tra le braccia di loro
madre e
si avvicinò. Non sapeva se era la cosa migliore da fare, in
quel
momento Guglielmo, il calmo, pacifico Guglielmo, era fuori di
sé. Ma
ben presto le urla scemarono, si ridussero gradualmente a sussurri,
smise di battere sulla porta e rimase fermo in quella posizione, i
pugni chiusi sul legno, la testa ora contro la porta, chinata in
segno di resa e le spalle scosse da singhiozzi silenziosi.
«È
mio fratello, - ripeté
ancora. Giuliano gli posò una mano sulla spalla sperando che
fosse
abbastanza in quel momento, non aveva parole che potessero
confortarlo.
- per favore… È mio fratello.»
«Pagherai
– La
voce di Lorenzo era poco più di un sussurro, era stanco
eppure la
rabbia che aveva provato nella Cattedrale ancora non era svanita,
ancor meno ora che aveva davanti a sé Jacopo Pazzi.
- per ogni cosa che hai fatto. Per l’attentato a mio padre,
alla
mia famiglia, a mio fratello.» Non menzionò
sé stesso
direttamente, in quel momento era la cosa meno importante. Jacopo
aveva complottato per uccidere Giuliano e vi era quasi riuscito. Il
corpo di Salviati penzolava da una delle finestre, il mercenario
attendeva in cella la sua esecuzione il mattino seguente, ed ora era
il turno di Jacopo.
«Hai
fallito, ma non per questo avrai la mia pietà. - alle
sue spalle Sandro si mosse inquieto –
Chiedi perdono a Dio se lo desideri, forse ti
ascolterà.» Jacopo
non si mosse, teneva tra le mani il medaglione con il ritratto della
moglie, l’ultimo ricordo di un tempo in cui aveva ancora al
proprio
fianco qualcuno che lo amava.
«Hai
fallito. - ripeté
Lorenzo. -
Il tuo piano ha fallito, siamo ancora vivi, sia io che
Giuliano.»
Per un attimo la mente tornò alla Cattedrale, al viso
pallido di
Francesco che lo guardava sorridendo, al momento in cui aveva chiuso
gli occhi e la sua vita si era spezzata. Per cosa poi? «Hai
ucciso
una sola persona quest’oggi, ed è tuo
nipote.» Non fece caso alla
reazione che Jacopo poteva aver avuto a quella scoperta, fece un
gesto rapido con la mano e le guardie tirarono l’uomo in
piedi, lo
avvicinarono alla finestra e, con un cappio attorno al collo, lo
gettarono di sotto mentre una folla urlante esultava dalla strada.
Voltandosi
verso Sandro gli fece cenno di seguirlo, si sentiva improvvisamente
troppo stanco anche solo per parlare, l’adrenalina che aveva
provato fino a poco prima era svanita e ora restava solo il vuoto.
Vuoto
che sperava di colmare almeno in parte ricongiungendosi con la sua
famiglia.
Guglielmo
trascinò una sedia dallo schienale alto accanto al letto,
poi vi
posò un catino colmo d’acqua e un pezzo di stoffa,
ogni movimento
sembrava calcolato fino all’ultimo passo, come se il rischio
di
sbagliarne anche uno solo potesse portare alla rovina. In
verità
Guglielmo si muoveva in automatico, con gesti che in passato aveva
compiuto più volte di quanto volesse ammettere e che ormai
conosceva
a memoria. Si sedette piano sul bordo del letto e iniziò a
passare la
stoffa sul volto del fratello pulendolo lentamente dal sangue. La
ferita al petto era già stata pulita e coperta da mani ben
più
esperte delle sue e Guglielmo ne fu grato, ricordava come pulire
delle ferite superficiali ma una del genere sarebbe stata di molto
fuori dalla sua portata. E dal suo autocontrollo.
«Com’è
che finisce sempre così, fratello? - Giuliano
lo sentì domandare a bassa voce da dove era fermo dalla
porta,
indeciso se entrare o meno. -
Tu in un letto e io a doverti pulire una qualche ferita. E tutto
perché nostro zio è… - Guglielmo
si bloccò per un attimo, immerse la stoffa
nell’acqua e la strizzò
prima di riprendere quello che stava facendo, ma sorrideva, anzi, quasi
rideva, come se avesse sentito una frase particolarmente divertente. E
il giovane Medici davvero non riusciva a coomprenderlo. -
… pazzo.»
Era
stato Francesco a dirlo la prima volta, anni prima, dopo che Jacopo
lo aveva punito per qualcosa che entrambi ormai avevano dimenticato.
«Nostro
zio è pazzo, non essere così
arrabbiato.» Aveva
scherzato all’epoca Francesco riuscendo a strappare una
piccola
risata al fratello intento a tamponargli un sopracciglio.
Giuliano
fu tentato dal dire qualcosa, commentare quella frase, magari anche
farsi sfuggire una risata quando sentì Lorenzo parlare dal
cortile.
Lanciando un’occhiata veloce alla stanza, assicurandosi per
un
attimo in più che Francesco fosse davvero ancora vivo, si
incamminò
verso il fratello che, non appena posato lo sguardo su di lui, subito
gli andò incontro stringendolo in un abbraccio disperato.
Giuliano riuscì a
capire solo un paio delle parole che Lorenzo sussurrava con il volto
premuto contro la sua spalla. Gli chiedeva scusa per non averlo
protetto meglio, perché poteva essere morto a
quell’ora, per non
avergli creduto quando lo aveva messo in guardia, e gli chiedeva di
Francesco, se lo avessero portato a Palazzo o abbandonato nella
Cattedrale e per un attimo Giuliano avrebbe voluto sentirsi offeso di
quel
pensiero.
«Vieni
con me Lorenzo.» Lo spostò da contro di
sé con gentilezza e,
prendendogli la mano, lo condusse nella stanza che aveva lasciato
poco prima, non sapeva come spiegarli che Francesco non era morto,
non
ancora aveva specificato il dottore che gli aveva pulito e coperto la
ferita, non ancora,
non in modo convincente. Vederlo con i suoi occhi avrebbe di certo
funzionato meglio.
Angolino dell'autrice:
Capitolo 3 di 4. Giuliano si è intromesso in quello che
doveva essere, in origine, l'ultimo capitolo e ha deciso che voleva un
qualcosa tutto per sè e per le sue infinite pare. Il "Ho
scelto voi, Medici" lo tormenterà molto a lungo temo, e di
certo non può odiare Francesco come faceva prima, no?
Poi c'è Lorenzo, che
ha voluto il suo ritaglino nel capitolo per uccidere Jacopo e farlo
sentire un po' in colpa.
E poi c'è lui, il
protagonista del capitolo finale, la vera furia cieca,
in più sensi di uno solo, perchè se vuole il caro
Guglielmo è davvero cieco. Ma lui avrà tutto lo
spazio che merita nel finale.
Grazie a chiunque sia arrivato
fin qui a leggere, a chi la sta magari seguendo in silenzio. Grazie.
Love~ (e angst)
Aki
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