Star Trek Universe Vol. II: Linee temporali

di Parmandil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il Movimento per la Pace Galattica ***
Capitolo 3: *** La Phoenix ***
Capitolo 4: *** I Signori del Tempo ***
Capitolo 5: *** Specchio, specchio delle mie brame... ***
Capitolo 6: *** Escalation ***
Capitolo 7: *** Il buio oltre lo Specchio ***
Capitolo 8: *** Fuga dallo Specchio ***
Capitolo 9: *** Chiaroscuro ***
Capitolo 10: *** Per l'onore ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Star Trek Universe Vol. II:

Linee temporali

 

 

SPAZIO, ULTIMA FRONTIERA.

QUESTI SONO I VIAGGI DELLA

NAVE STELLARE ENTERPRISE.

LA SUA MISSIONE È ESPLORARE

STRANI, NUOVI MONDI,

SCOPRIRE NUOVE FORME DI VITA

E NUOVE CIVILTÀ,

FINO AD ARRIVARE LÀ

DOVE NESSUNO È MAI GIUNTO PRIMA.

 

 

Tempi duri generano uomini forti. 
Uomini forti generano tempi felici. 
Tempi felici generano uomini deboli. 
Uomini deboli generano tempi duri. 
                                 Proverbio orientale
 
 
-Prologo
Data stellare ignota
Luogo: Osservatorio Temporale
 
   Nel biancore lattiginoso dell’Osservatorio Temporale, emersero tre figure femminili. Erano umanoidi, con la pelle grigia e i lineamenti appena abbozzati: gli occhi erano sprofondati nel cranio glabro, il naso era a malapena accennato, le orecchie non avevano padiglione. La parte inferiore del corpo si perdeva nella nebbia bianca; solo dalla vita in su erano ben visibili.
   «Vi ascolto» disse la Primaria. Delle tre figure era la più alta e magra. Il suo abito, aderente e coperto di decori simili ad arabeschi, era azzurro.
   «C’è una grande interferenza nelle linee temporali» esordì la Vate. Più bassa e tozza, aveva un abito simile a quello della Primaria, ma color oro. «Molte di quelle che avevo individuato come probabili, non sono più tali. E molte che non avevo previsto si stanno ora dischiudendo. Una nuova forza plasma gli eventi».
   «E tale forza è favorevole alla nostra causa?» chiese la Primaria, in tono autoritario. Dopotutto era la padrona incontrastata non solo della sua specie, ma dell’intero Universo bianco e vacuo che si stendeva attorno a lei.
   «È complessa e oscillante» rispose prudentemente la Vate. «Allo stato attuale ci dà grande vantaggio. Ma potrebbe ritorcersi contro di noi».
   «Dunque i nostri nuovi alleati non sono affidabili come li descrivi» disse severamente la Primaria, rivolgendosi alla terza componente del gruppo.
   «Primaria, vi garantisco che faranno il nostro interesse... consapevoli o meno» assicurò la Messaggera. Il suo vestito, di foggia simile agli altri, era viola scuro, con decori bronzei.
   «Non parlavo dei nuovi alleati» rivelò inaspettatamente la Vate, comparendo fra le due.
   «No?» chiese la Primaria, intrigata. «Questo è inaspettato... e foriero di grandi mutamenti». Si dissolse tra le volute candide, riapparendo di fronte alle sottoposte. «Una di voi ha intrapreso azioni che lo giustifichino?» chiese minacciosamente.
   «Non avrei mai osato, senza il vostro permesso» disse la Messaggera, chinando il capo.
   «Il mutamento non è frutto di un nostro intervento diretto» rivelò la Vate. «È uno sviluppo della guerra in corso. Una reazione spontanea, dovuta alle complesse dinamiche sociali dei nostri avversari».
   «Stai dicendo che è una forza endogena? E che è nata dal basso, dal popolo?» chiese la Primaria, incredula.
   «Sì, è questa la cosa meravigliosa» annuì la Vate. «Non c’è alcun complotto. Non c’è alcun leader folle. C’è solo una corrente sociale autodistruttiva, che si alimenta da sola, senza bisogno di alcun intervento da parte nostra. A quanto pare, i nostri migliori alleati sono... i nostri avversari».
   «Questa è l’occasione che aspettavamo, la chiave del loro annientamento!» disse la Primaria, trionfante. «Esamina a fondo le nuove linee temporali, circoscrivi il fenomeno» ordinò. «Quando ne sapremo di più, sapremo anche quali fili muovere».
   «Sarà fatto» disse la Vate, svanendo solo per riapparire poco lontano. «Ma con un fenomeno utile come questo, suggerisco interventi minimi. Nel tentativo di enfatizzarlo, potremmo involontariamente scatenare la reazione contraria cui accennavo».
   «Certo, dobbiamo muoverci con cautela» convenne la Primaria. «Niente mosse avventate. Sfruttiamo le occasioni che la Federazione ci concede».
   «E la mia missione diplomatica?» chiese la Messaggera, comparendole a fianco. «Solo perché c’è all’opera questa nuova forza, non credo che perda valore».
   «Infatti la tua missione resta invariata» assicurò la Primaria. «Torna pure dai nostri alleati. Prometti loro quanto hanno chiesto».
   «Tutto il Quadrante?» esitò la Messaggera.
   «Tutto quanto, purché combattano bene» confermò la Primaria. «Quando saranno serviti al loro scopo, potremo eliminare anche loro».
   «E la scienza del tempo? La loro nave-arma?» chiese ancora la Messaggera.
   «Prometti pure, ma non fornirgli nulla d’importante»  ordinò la Primaria. «Siamo noi gli unici Signori del Tempo. E il nostro dominio durerà... quanto il tempo stesso».
   «Così sia» disse la Messaggera, svanendo dall’Osservatorio.
   «Così sia» fece eco la Vate, dissolvendosi a sua volta.
   «Lo sarà davvero, una volta superate queste insignificanti turbolenze» mormorò la Primaria. «E quando avremo finito con la Via Lattea, potremmo anche... varcare lo  Specchio» sogghignò, pregustando un dominio senza fine. 
 

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Capitolo 2
*** Il Movimento per la Pace Galattica ***


-Capitolo 1: Il Movimento per la Pace Galattica

Data stellare 2552.075

Luogo: Khitomer

 

   «Eccoci di nuovo qui, amici olospettatori! Sono Vaus Liin, e vi parlo dai nostri studi a San Francisco» disse il giornalista, salutando tutt’intorno a sé. Non si rivolgeva solo ai miliardi di persone che lo seguivano da ogni angolo della Federazione. Lo studio televisivo era gremito di spettatori in carne e ossa, di molte specie diverse, che fecero scrosciare gli applausi. Riempivano una vasta platea semicircolare, che occupava gran parte del salone scintillante.

   «Come sapete, ci siamo occupati altre volte della crisi in atto» disse il presentatore, evitando accuratamente di pronunciare la parola “guerra”. «Abbiamo esaminato gli scenari galattici, discutendone con i maggiori esperti. Abbiamo ascoltato le testimonianze dirette di chi è stato lì. Ma stasera abbiamo in serbo qualcosa di nuovo, qualcosa di speciale» garantì, sorridendo a trentadue denti. «In esclusiva per il Federal News e in diretta dallo spazio tuteriano, vi presento colei che è stata votata Persona dell’Anno: la Messaggera in persona!» annunciò, sprizzando orgoglio da tutti i pori.

   La Messaggera si materializzò davanti a lui, o per meglio dire proiettò la sua immagine tridimensionale. Al suo apparire, gli applausi e i fischi divennero parossistici. Lo studio rimbombò come se dovesse crollare.

   «Salve, siamo onorati della sua presenza qui» salutò il giornalista.

   «La ringrazio» sorrise la Messaggera. «Quando ho ricevuto l’invito, ho capito che non potevo mancare. Il vostro programma mi permetterà di far udire la voce del mio popolo ai cittadini della Federazione, al di là della propaganda e dei luoghi comuni che circolano su di noi».

   «È il nostro dovere. Vorrei stringerle la mano e invitarla a sedersi, ma...» disse l’uomo.

   «No, questa proiezione è intangibile» spiegò la Messaggera. Per un attimo la sua immagine divenne grigia e sfocata, poco più che una macchia confusa; poi tornò a fuoco. «Comprenderete che trasmettere da un’altra dimensione è complicato. Ma non c’è problema, posso stare in piedi senza disagio» assicurò.

   «Allora direi di passare senza indugio all’intervista» rispose il giornalista. «La mia prima domanda è: come giudica la condotta della Federazione – e in particolare della Flotta Stellare – nei confronti del suo popolo, in questi due anni?».

   «Senza dubbio come genocidio» rispose la Messaggera, suscitando fortissimi applausi. «Noi Tuteriani proveniamo da un Universo prossimo al collasso; trasferirci nel vostro è la nostra sola speranza di salvezza. Abbiamo costruito le Sfere per adattare alcune porzioni di spazio alla nostra fisiologia. Senza di esse il nostro organismo si deteriora rapidamente e moriamo fra atroci sofferenze. Chiediamo solo di essere trattati come esseri senzienti. Chiediamo la possibilità di sopravvivere, come popolo e come cultura.

   La Federazione e la Flotta Stellare ci hanno negato questo diritto elementare. Due anni fa, il Capitano Alexander Chase dell’Enterprise lanciò un barbaro assalto alla nostra Sfera principale, la cui costruzione procedeva da un secolo ed era prossima al completamento. Quella Sfera avrebbe dato ricetto a miliardi di Tuteriani, salvandoli dall’annichilimento del nostro Universo. Distruggendola, il Capitano Chase e i suoi ufficiali si sono macchiati di un crimine di guerra, né più né meno che se avessero materialmente ucciso quei civili. Da quel giorno la Flotta Stellare ha continuato ad attaccare selvaggiamente le nostre Sfere, distruggendone un centinaio. Finora siamo riusciti a sostituirle; ma è tempo di dire basta a questo piano di sterminio ordito contro di noi».

   La Messaggera fece una pausa a effetto, mentre lo studio risuonava ancora di applausi e grida entusiaste. In mezzo alla folla, però, c’era qualcuno che restava immobile. Alexander Chase ricordava molto bene ciò che era accaduto presso la Sfera, e nel Collettore Subspaziale che la Messaggera non aveva nominato. Ma non poteva controbattere, dato che non si trovava in studio. Era solo un olo-spettatore, uno dei miliardi che assistevano alla diretta. Come tutti, aveva l’illusione di essere seduto in mezzo alla folla. Ma non poteva toccare quelli che lo circondavano, né le persone sul palco.

   Mentre l’intervista proseguiva, Chase notò che non c’era alcun contradditorio. Nessuno metteva in evidenza le omissioni, le ambiguità e le bugie che la Messaggera elargiva con la massima disinvoltura. Nemmeno il giornalista gliele faceva mai notare. Poco alla volta Chase perse interesse per i discorsi vittimisti della Messaggera e si concentrò invece sulla folla, cioè sulle persone realmente presenti in sala. Presto notò quello che temeva.

   Molti dei presenti, umani o umanoidi, si erano rasati la testa. Era un modo per somigliare ai Tuteriani, mostrando così di essere loro sostenitori. Le donne, oltre a essersi rasate, avevano persino abiti simili a quello della Messaggera, con piccole variazioni nel colore e negli ornamenti. Chase sospirò: la “moda tuteriana” si stava diffondendo a macchia d’olio nella Federazione. Molti personaggi famosi dello spettacolo e dello sport la esibivano nelle occasioni mondane. Chase aveva persino visto degli spot olovisivi in cui questo look era sfoggiato con orgoglio da donne famose. Gli spot, e altre iniziative del genere, erano finanziati dal Movimento per la Pace Galattica. Secondo questa organizzazione, erano uno strumento di “protesta non violenta”, oltre che di “tolleranza e integrazione”. A Chase sembrava solo un perverso tentativo d’identificarsi con il nemico.

   Stanco di sentire le menzogne della Messaggera e gli applausi del pubblico, Chase si portò le mani alla tempia e disattivò l’olovisore. Lo studio, con tutte le luci e il chiasso, si dissolse. Al suo posto comparve un ambiente ben più piccolo e tranquillo. Un luogo familiare e per questo rassicurante. Il Capitano era seduto nel suo alloggio sull’Enterprise, dove aveva vissuto negli ultimi due anni. Posò l’olovisore spento sul tavolino accanto a lui, si alzò dalla sedia e si stiracchiò. Poi cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro, cercando di fare ordine nella mente.

   Erano trascorsi due anni dall’inizio della guerra tra la Federazione e i Tuteriani. Chase ricordava perfettamente la concitazione dei primi momenti: aveva diretto l’Enterprise a tutta velocità verso la Terra, temendo il peggio. Invece la Terra era salva, come il resto del sistema solare. Però l’intera Federazione era disseminata di Sfere, che creavano reti di anomalie, isolando i vari settori. Le comunicazioni, i commerci, i trasporti erano diventati problematici. L’Enterprise e le altre navi moderne riuscivano ad attraversare le distorsioni, ma le astronavi più vecchie – che componevano il 90% della Flotta – avevano maggiori difficoltà. Solo per radunarle erano serviti mesi. Nel frattempo interi pianeti erano divenuti inabitabili per colpa delle anomalie. Si era reso necessario evacuarli, un compito che aveva assorbito quasi tutte le energie della Flotta. Non erano rimaste molte navi per affrontare i Tuteriani.

   Chase si passò le mani tra i capelli, chiedendosi se avrebbe potuto impiegare meglio quei due anni. Certo che avrebbe potuto... se il Comando di Flotta gli avesse lasciato fare a modo suo. Fosse stato per lui, avrebbe attaccato le Sfere una dopo l’altra. Ma il Comando preferiva usare l’Enterprise come nave trasporto, per trasferire i rifugiati dai pianeti colpiti ad altri, ancora abitabili. Così, in due anni, la situazione non era cambiata. Era una guerra a bassa intensità: ogni tanto la Flotta Stellare distruggeva qualche Sfera, ma i Tuteriani la rimpiazzavano prontamente e tutto tornava come prima. Le Dreadnought tuteriane assalivano le navi federali e le anomalie avevano reso inabitabili molte colonie, ma i mezzi d’informazione ne parlavano il meno possibile. Sembrava quasi che non fosse in corso alcuna guerra, non fosse stato per il costante flusso di profughi dai pianeti che erano divenuti inabitabili, o che stavano per diventarlo.

   In compenso sui pianeti centrali della Federazione – Terra compresa – proliferavano i movimenti pro-Tuteriani. La principale di queste organizzazioni era il Movimento per la Pace Galattica, spesso abbreviato in MPG. Secondo i suoi adepti, la Federazione doveva trattare i Tuteriani come profughi e concedere loro un certo numero di pianeti, da trasformare e abitare in tutta sicurezza. Era quel che i Tuteriani stessi avevano chiesto, per cessare le ostilità: ma loro pretendevano un terzo della Federazione. Era una situazione dalla quale il Presidente e il Consiglio Federale sembravano incapaci di uscire.

   «Ma ora, forse, le cose cambieranno» pensò Chase. Si avvicinò alla grande finestra ricurva del suo alloggio, vi si appoggiò con ambo le mani e inspirò profondamente. Da lì poteva vedere uno spicchio verde-azzurro del pianeta Khitomer, intorno a cui orbitava l’Enterprise. Colonizzato dai Klingon nel XXIII secolo, Khitomer era stato sede degli storici accordi di pace tra l’Impero e la Federazione del 2293, come anche del proditorio attacco romulano del 2346. Abbandonato dai Romulani a fine XXIV secolo, era diventato un luogo neutrale, sede di conferenze e incontri. Adesso il pianeta ospitava una popolazione mista Klingon-Federale e poteva essere considerato il più riuscito esempio di convivenza tra le due potenze. Era il luogo perfetto per trattative diplomatiche ad alto livello.

   Aguzzando la vista, Chase notò diverse navi Klingon che affiancavano l’Enterprise nella sua orbita geostazionaria. Gli scafi verdi, le gondole gialle e rosse, le linee generali degli sparvieri erano inconfondibili. Per l’occasione l’Impero Klingon aveva schierato il meglio della sua flotta: incrociatori di classe Bortasqu, trasporti corazzati di classe Vo’Quv, fino alle nuove e micidiali navi da guerra di classe Kuvah’magh. Tra queste ultime vi era l’IKS Martok, la nave ammiraglia del Cancelliere Kuntagh. Il suo massiccio scafo verdastro era irto di disgregatori e lanciasiluri. Quelle navi potevano fornire alla Federazione la forza necessaria per respingere gli invasori. Eppure, si disse Chase, l’Enterprise non avrebbe dovuto attardarsi a Khitomer. L’ammiraglia di Flotta doveva stare al fronte; non lì, dove non c’era nulla da fare, salvo esasperarsi per la lentezza dei negoziati.

   «Capitano, la conferenza terminerà fra venti minuti» risuonò la voce incorporea di Terry, l’Intelligenza Artificiale dell’Enterprise. «Probabilmente l’Ammiraglio Nelscott vorrà parlarle».

   «Va bene, arrivo» sospirò Chase. Controllò di essere in ordine e lasciò il suo alloggio, diretto in plancia. Siccome non c’era fretta, non si diresse alla più vicina cabina di teletrasporto, ma preferì passare per il settore civile dell’Enterprise. Era da un po’ che non passava da quelle parti, e sebbene Terry gli facesse regolarmente rapporto, voleva vederlo di persona.

 

   Il settore civile era affollato come sempre. In quella zona si aveva l’impressione di essere su una stazione spaziale, più che su un’astronave. C’erano negozi, attività private, persino parchi e scuole. Due anni di guerra contro i Tuteriani non avevano cambiato molto le cose: la maggior parte dei civili aveva scelto di restare. A Chase piaceva illudersi che fosse perché si fidavano di lui, o perché si rendevano conto che stare sull’Enterprise era più sicuro che scendere su qualunque pianeta. Ma sapeva che non era così. Quelli che erano rimasti, lo avevano fatto soprattutto perché non si erano ancora resi conto che la Federazione era in guerra. Certo ne erano stati informati, ma non avevano metabolizzato la notizia. “Guerra” era una parola così logora da risultare ormai incomprensibile ai più. E pronunciarla a voce alta era considerato sconveniente. Si preferivano termini più neutri, come “crisi”, “emergenza” o anche “missione di pace”.

   Osservando distrattamente le vetrine, Chase notò che una porzione di corridoio fra due di esse era stata imbrattata. Una scritta rosso sangue, a caratteri cubitali, diceva:

 

CHASE ASSASSINO

W I TUTERIANI – W LA PACE GALATTICA

 

   Subito sotto campeggiava un grosso adesivo con l’emblema del MPG. Una mano, dalle linee così stilizzate che poteva appartenere a qualunque specie umanoide, stringeva un tentacolo in segno di amicizia. Mano e tentacolo erano bianchi, il colore della pace. Sullo sfondo campeggiava una nebulosa planetaria, di forma ovale, che rifulgeva dei colori dell’arcobaleno.

   «Terry!» esclamò Chase in tono seccato, premendosi il comunicatore. «Venga subito qui!».

   Immediatamente la proiezione isomorfa si materializzò al suo fianco. «Sì, Capitano?» chiese, impeccabile ed efficiente come al solito.

   «Guardi» disse Chase, indicando la scritta.

   «Oh, questo è... inopportuno» commentò Terry. «Chiamo subito gli addetti alle pulizie per farlo rimuovere».

   «Ma non ha visto chi è stato?» chiese il Capitano.

   «Mi spiace, signore, ma... nemmeno io posso essere perennemente dappertutto» si scusò Terry.

   «Eppure mi ha sempre dato quest’impressione» sorrise Chase.

   «Se vuole, posso cercare campioni di DNA» suggerì Terry, che era anche l’Ufficiale Scientifico dell’astronave.

   «No, lasci stare» disse Chase, scuotendo la testa. «Non voglio farne un dramma. Mi basta che quella scritta sia levata al più presto».

   «Sì, Capitano» disse Terry con un’aria strana, quasi fatalista.

   «Ehi, cos’è quella faccia?» chiese il Capitano.

   «È la proiezione isomorfa di un volto umano» rispose Terry, un po’ sorpresa dalla domanda. «Sesso femminile, etnia asiatica, età apparente venticinque anni...».

   «Ferma, so cos’è la sua faccia!» l’interruppe Chase. «Volevo chiederle perché ha fatto quell’espressione e perché ha usato quel tono. Non sarà che...» s’insospettì.

   «Signore?».

   «Ci sono già state scritte del genere? O atti vandalici equivalenti?» chiese il Capitano.

   «Definisca “equivalenti”, prego».

   «Dannazione, Terry! Sono due anni che ci conosciamo. Non si comporti come se fosse alla sua prima attivazione!» inveì Chase.

   «Sì, signore. Effettivamente atti vandalici di questo tipo sono comuni, nel settore civile» ammise l’IA.

   «Addirittura comuni? Ma... prendono di mira sempre me?» volle sapere Chase.

   «No, non sempre. Solo nel 65% dei casi» rispose Terry.

   «E gli altri slogan con chi se la prendono?» volle sapere Chase.

   «Il 25% critica la Flotta Stellare e il 10% la Federazione» disse Terry. «Ritengo, però, che questo dipenda dal fatto che ci troviamo sull’Enterprise. Sulle altre navi federali, così come sulle stazioni spaziali e sui pianeti, la percentuale di scritte ingiuriose contro di lei è notevolmente più bassa».

   «Quanto più bassa?».

   «Sotto il 50%».

   «Fantastico. Quindi la Messaggera è la Persona dell’Anno, mentre io sono il più odiato nella Federazione!» sbottò Chase.

   «Ha visto i notiziari» constatò Terry, imbarazzata.

   «Stavo ascoltando l’intervista alla Messaggera, finché ho perso la pazienza. Non c’era uno straccio di contraddittorio» si lamentò Chase. «E la platea era piena di... quelle!» sbottò, trovandosi di fronte una donna vestita alla moda tuteriana. Aveva gli occhi azzurri e forse avrebbe avuto i capelli biondi, se non se li fosse rapati a zero, in segno di solidarietà con i Tuteriani.

   «Salve, Capitano» lo canzonò la donna. «Che vuol fare, ficcarmi una Bomba Omega sotto il cuscino? Terrorizzare i miei figli con le storielle sui Solanae e i Parassiti?».

   «Se scopro che è lei l’imbrattatrice, potrei... uhm...» esitò Chase.

   «Potrebbe ammonirla secondo il regolamento» gli ricordò Terry.

   «E che altro?» chiese il Capitano.

   «Potrebbe ordinarle di pulire la paratia» aggiunse l’IA.

   «Per i lavori umili ci sei tu, ferraglia» rispose la donna dalla testa rasata.

   «Correzione: su questa nave sono Tenente Comandante» le ricordò Terry.

   «Già, e lei passerà una notte in cella per averla insultata» disse Chase, cogliendo l’occasione.

   «Avete sentito?!» gridò la donna con voce stridula, attirando l’attenzione dei passanti. Alcuni si erano già fermati ad ascoltare il bisticcio, ma ora furono in tanti ad accorrere. «Il Capitano Chase vuol farmi arrestare, solo perché ho manifestato un’opinione diversa dalla sua! Non c’è libertà d’espressione su questa nave!». Molte voci, e anche parecchie mani, si levarono contro Chase e Terry.

   «Si vergogni!».

   «La lasci in pace!».

   «Abbasso la censura, viva la libertà d’espressione!».

   «Abbasso la guerra, viva la Pace Galattica!».

   Accorgendosi che la situazione stava degenerando, Chase e Terry si allontanarono in fretta. Ma si accorsero che la folla furibonda li inseguiva. Alcuni facinorosi impugnavano spranghe e oggetti contundenti, saltati fuori a tempo di record.

   «Dentro, presto» disse Terry, infilando Chase in una cabina di teletrasporto. L’attivò, trasferendolo vicino alla plancia, e si dissolse appena in tempo per sfuggire a una sprangata.

 

   «È inaudito!» ringhiò Chase, entrando in plancia. L’ultima cosa che aveva visto, prima del teletrasporto, era il ghigno beffardo della donna pelata, più simile che mai alla Messaggera tuteriana.

   «Signore?» chiese Lantora, alzando gli occhi dalla sua postazione.

   «Il Capitano ha rischiato di essere linciato da alcuni civili» spiegò Terry, materializzandosi in plancia.

   «Che cosa?!» inorridì l’Ufficiale Tattico.

   «Beh, non proprio linciato... o forse sì» ammise Chase. «Comunque non sono molto popolare fra di loro».

   «Non avrebbe dovuto recarsi là senza scorta» disse Lantora.

   «Sono il Capitano dell’Enterprise: è inammissibile che io non possa girare in certe zone senza scorta!» obiettò Chase, inviperito.

   «Tuttavia, per la sua sicurezza, gliene assegnerò subito una» promise lo Xindi.

   «Sorvegliato sulla mia nave! Non era mai successo su un’Enterprise!» protestò Chase.

   «Capitano, l’Ammiraglio Nelscott le vuole parlare» disse Grog, il Ferengi addetto alle comunicazioni.

   «Spero che abbia buone notizie» disse Chase. «Passi la comunicazione nel mio ufficio».

 

   «Salve, Capitano» disse Nelscott, materializzandosi in forma olografica. «È bello rivedere l’Enterprise» aggiunse, guardandosi intorno. «Spero che l’abbia tenuta in ordine».

   «Uhm, a parte qualche scritta sulle paratie» disse Chase, stringendogli la mano. Contemporaneamente, su Khitomer, l’Ammiraglio fece lo stesso con la proiezione olografica di Chase.

   «Mi dica, come procedono i negoziati?» chiese il Capitano quando si furono seduti.

   «A rilento» sospirò Nelscott. «Conosce i Klingon: non cominciano neanche a trattare, se prima non si ha versato un po’ di sangue assieme. E poi ci sono i banchetti, le bevute, le prove coi Bastoni del Dolore...».

   «Pensavo che stavolta avrebbero deciso più in fretta. Di solito non si fanno mai scappare le guerre... e l’Impero è in pace da decenni, un vero record. Dovrebbero aver voglia di menare le mani» commentò Chase.

   «È mai stato su Kronos? O su una nave di classe Kuvah’magh?» chiese l’Ammiraglio. «I Klingon non sono più quelli di un tempo. Anche loro si sono civilizzati... o impigriti, se preferisce. Non sono più tanto ansiosi di farsi ammazzare per l’onore dell’Impero».

   «Quando eravamo nemici, erano prontissimi a immolarsi per l’onore. Ora che siamo alleati, e che abbiamo bisogno di loro, hanno scoperto che dopotutto preferiscono vivere» constatò Chase con sarcasmo.

   «Mica stupidi!» ridacchiò Nelscott.

   «Ma anche loro sono colpiti dalle anomalie. Anche l’Impero si affanna a trasferire milioni di civili da un pianeta all’altro» osservò Chase.

   «Può dire lo stesso dei Romulani, ma neanche loro si sognano di dichiarare guerra a creature trans-dimensionali. Preferiscono lasciare che ce ne occupiamo noi» commentò l’Ammiraglio, rabbuiato.

   «È appunto quel che vorrei fare. Ammiraglio, l’Enterprise è sprecata qui a Khitomer. Mi permetta di riportarla al fronte» disse Chase. «Qui c’è già lei con la Majestic e altre 47 navi...».

   «Non se ne parla» disse Nelscott con decisione. «I Klingon sono qui con la loro ammiraglia e noi dobbiamo fare altrettanto. È una questione d’onore, oltre che d’immagine pubblica».

   «Forse più d’immagine interna che esterna» suggerì Chase.

   «Capitano, voglio essere chiaro con lei» disse Nelscott, seccato. «Le nostre proiezioni tattiche dicono che la Federazione crollerà in pochi anni, se i Klingon non interverranno massicciamente in nostro aiuto. Il Presidente Tanvar in persona mi ha intimato di avere successo nella trattativa. Se non sarà così... sia io che lei cadremo prima della Federazione».

   «La politica dovrebbe restar fuori dal campo di battaglia» osservò Chase.

   «La politica è un campo di battaglia, Capitano, né più né meno di quelli a cui vuole tornare» disse Nelscott. «Ascolti, il Presidente Tanvar è ormai a fine mandato. Fra qualche mese ci saranno le elezioni...».

   «... e lui è in campagna elettorale per il secondo mandato» completò Chase. «Lo so, i notiziari non parlano d’altro».

   «Si aspetta la rielezione, come capita solitamente ai Presidenti in guerra» disse Nelscott. «Ma per questo è fondamentale un successo diplomatico, ovvero che i Klingon firmino il trattato. Dunque il fallimento non sarà perdonato».

   «Se falliamo, Ammiraglio, dovremo preoccuparci di ben altro che un ex Presidente arrabbiato» fece notare Chase. «Ascolti, Tanvar è un Axanar...».

   «Una nobile specie» disse Nelscott, ironico. «Androgini, longevi...».

   «Troppo longevi» precisò Chase. «Vivono 400 anni e Tanvar ne ha oltre 300. È cresciuto ai tempi di Pike e Kirk, si rende conto? Ragiona con logiche superate. Crede ancora di potersi accordare coi Tuteriani. Ma c’ero io, nel Collettore Subspaziale. Li ho sentiti dire che si fermeranno solo dopo averci sterminati. E dopo due anni di guerra, l’opinione pubblica vuole che cediamo al loro ultimatum. Consegnare un terzo della Federazione! È quel che Odoacre pretese dai Romani, al tramonto del loro Impero: un terzo dell’Italia. Sappiamo come andò a finire».

   «Suvvia, nemmeno Tanvar accetterà mai condizioni del genere» lo rincuorò Nelscott. «Ma supponendo che il nostro amato Presidente non sia rieletto, lei chi vede di buon occhio fra i candidati?».

   «Ektius di Coridan. Mi sembra più al passo coi tempi» disse Chase, dopo averci riflettuto un momento.

   «Uhm, può darsi» concesse Nelscott. «Per allora i Klingon avranno reso nota la loro decisione».

   «Ma lei cosa crede che faranno?» domandò Chase.

   «Beh, il Cancelliere Kuntagh non è uno stupido» riconobbe Nelscott. «Sa che, se la Federazione crolla, anche il suo popolo sarà in guai seri. Però...».

   «Però?» incalzò Chase.

   «Vede, i Klingon credono che la Federazione voglia farli combattere al suo posto. Temono che li sfrutti come se fossero mercenari» spiegò l’Ammiraglio.

   «Ed è così? Ah, ma certo che è così!» disse Chase, controllando a stento la rabbia. «Se una nave federale spara contro una Sfera, commette un crimine di guerra. Ma se lo fanno i Klingon, sono le loro usanze!».

   «Più o meno» ammise Nelscott. «Comunque, con o senza i Klingon, mi aspetto di portare al fronte la Majestic al più presto» aggiunse.

   «Giusto, non le avevo ancora chiesto della sua nave» ricordò Chase. «A vederla è uno spettacolo. Soddisfa le sue aspettative?».

   «È stata appena varata e non ha visto l’ombra di una battaglia... ma sì, credo che si farà valere» disse Nelscott, più lieto. «Sarà meglio, visto che i lavori sono durati un anno più del previsto. Abbiamo dovuto riorganizzare i cantieri, dare la precedenza alle navi più piccole e rapide da costruire. Comunque la Flotta non si è scordata del Progetto Celestial... anzi, ci sta investendo molto. È qualcosa di mai fatto prima».

   Chase annuì. La classe Celestial nasceva da un’idea temeraria: fondere la precedente classe Altair con la sezione a disco della nuova classe Universe. Dodici anni prima, il disastro dell’Enterprise-I aveva fatto emergere tutte le debolezze delle Altair. Pensate per meri scopi di pattugliamento, avevano ridotte capacità di carico, strumentazione scientifica inadeguata, ma soprattutto armi insufficienti a proteggerle contro le nuove minacce. Gli unici punti di forza, velocità e maneggevolezza, potevano andar bene per missioni di polizia e peacekeeping, ma non di guerra aperta. Purtroppo la classe Altair era già stata prodotta in gran numero, con la speranza che durasse un secolo. Il ritiro anticipato era impensabile. Anche i progetti di ristrutturazione non erano convincenti, dato che comportavano d’intervenire pesantemente su astronavi nuove, con costi elevatissimi.

   La soluzione era arrivata dalla nuova e rivoluzionaria classe Universe, che disponeva della sezione a disco più grande, armata e tecnologicamente avanzata della Flotta Stellare. Così alcune di queste sezioni erano state costruite senza deflettore e con modifiche strutturali che permettevano di agganciarle alle Altair, usandole come sezione motori. In questo modo si sfruttava il meglio di entrambe le classi, riciclando la Altair e diminuendo sensibilmente i costi della Universe.

   «Ho sentito che la classe Celestial sta dando prestazioni superiori alla Universe, proprio come mi disse lei tempo fa» ricordò Chase.

   «Sì, ma restano alcuni problemi» ammise Nelscott. «La sezione a disco è impegnativa da costruire: finora ne sono state realizzate ben poche. Quindi riusciamo ad assemblare solo un piccolo numero di Celestial, mentre la maggior parte delle Altair resta vulnerabile. Inoltre i dischi Universe sono pieni di lussuose zone per i civili. Ma finché durerà la guerra, la maggior parte di loro resterà a terra...».

   «Sull’Enterprise hanno scelto quasi tutti di restare» notò Chase.

   «È un caso anomalo; penso che il nome Enterprise li illuda di essere sempre al sicuro» ribatté l’Ammiraglio. «Attualmente tutto quello spazio extra ci serve per le evacuazioni. Ogni Celestial può ospitare 12.000 persone, ma per le emergenze ne abbiamo stipate anche 50.000 alla volta».

   «Speriamo di non dovercene mettere ancora di più» auspicò Chase.

   «Speriamo davvero!» convenne Nelscott, alzandosi. «Bene, torno ai miei doveri e la lascio ai suoi. Se si annoia troppo per restare in orbita, sa che può fare? Pattugli il sistema di Khitomer. Si assicuri che nessuna nave non autorizzata si avvicini, per l’intera durata delle trattative. E, Chase...».

   «Sì, Ammiraglio?».

   «Approfitti di questa sosta forzata per rimettere in sesto l’Enterprise e il suo equipaggio. Dopo due anni di guerra, avete bisogno di tirare il fiato» si raccomandò Nelscott.

   «Sì, signore. Buona fortuna coi negoziati» augurò Chase.

   «Passi per i negoziati... ma spero di non dover partecipare a troppe cene. La cucina Klingon mi dà acidità di stomaco» scherzò Nelscott. «A presto, Capitano» salutò, e disattivò il proprio ologramma.

   Rimasto solo nel suo ufficio, Chase girò i pollici per mezzo minuto. Poi tornò in plancia. «Terry, facciamo l’inventario completo della nave» disse. «Se ci manca qualcosa, questo è il momento di rifornirci. A tutti gli ufficiali superiori, ordino di controllare le propri sezioni. Sicurezza, ingegneria, infermeria... voglio un check-up completo. E T’Vala... imposti una rotta per pattugliare il sistema di Khitomer. Assicuriamoci che non entri nemmeno una pulce fotonica, finché gli ambasciatori e il Cancelliere sono lì a discutere».

   «Sì, Capitano» rispose prontamente la timoniera, digitando la rotta.

   «Ah, un’altra cosa. Comandante Dax!» disse Chase, fronteggiando il suo Primo Ufficiale.

   «Sì, signore?» chiese la Trill bionda.

   «Qualcosa mi dice che lei sapeva del malcontento che molti civili, qui sull’Enterprise, covano verso di me» disse il Capitano.

   «Signore...» fece Ilia, imbarazzata.

   «Terry non me lo avrebbe nascosto, senza un suo preciso ordine» dedusse Chase.

   «Speravo di risparmiarle un’altra preoccupazione...» si scusò la Trill.

   «Sono il Capitano, le preoccupazioni fanno parte del mio mestiere. Ignorare queste cose, invece, lo ostacola. Mi sono spiegato?» disse Chase severamente.

   «Perfettamente, signore. Non accadrà più» promise Ilia.

   Chase si rese conto che forse era stato troppo duro. Perlomeno avrebbe dovuto farle la ramanzina nell’ufficio, non lì davanti a tutti. Nelscott aveva ragione, era davvero stressato. Doveva fare qualcosa per sfogarsi. «Bene, a lei la plancia. Si occupi del check-up» disse, in tono più cordiale. Aveva già una mezza idea su come distrarsi.

 

   Il Nausicaano attaccò con una mossa prevedibile. Chase l’intercettò, ne sfruttò la forza e la ritorse contro l’assalitore. L’alieno fu sbattuto a terra, ma subito si rialzò, pronto per un altro round.

   «Aumentare il livello di difficoltà a 4» ordinò Chase. L’ologramma davanti a lui sfarfallò per un attimo. Sogghignò, come se fosse consapevole di essere diventato più forte. Chase si asciugò il sudore dalla fronte e si passò la lingua sulle labbra, cercando la concentrazione. Ma in quella la porta della palestra si aprì, proprio dietro al Nausicaano olografico. E Chase vide qualcosa di molto distraente.

   Neelah, la biologa di bordo, entrò in palestra. Era una degli ultimi Aenar, una sotto-specie di Andoriani caratterizzati dalla pelle bianca e da sorprendenti poteri telepatici. Erano anche ciechi dalla nascita, ma Neelah si era potenziata con nanosonde che le avevano ricostruito gli occhi, di un bell’azzurro ghiaccio.

   «Salve, Capitano» salutò la scienziata.

   «Buongiorno, dottoressa» rispose Chase. Era la prima volta che la vedeva in tenuta sportiva. L’Aenar indossava scarpe da ginnastica, pantaloncini corti, guanti da palestra e un succinto top a fascia. Tutto era di squillante fucsia, che risaltava sulla pelle bianchissima. I capelli candidi erano raccolti in una lunga coda. Neelah aveva una corporatura minuta, ma era molto più atletica di quanto ci si sarebbe aspettati da una biologa e docente universitaria. Chase si chiese se era una frequentatrice regolare della palestra, o se anche i muscoli erano il risultato dei miglioramenti genetici e tecnologici.

   Approfittando della sua distrazione, il Nausicaano afferrò Chase e lo sbatté sul tappetino, bloccandolo con una presa che quasi lo soffocava.

   «F-fine... programma!» rantolò Chase. Il Nausicaano si dissolse, ma il resto della palestra rimase, non essendo una simulazione.

   «Tutto okay?» chiese Neelah, avvicinandosi.

   «Certo, certo» boccheggiò Chase, rialzandosi.

   «Non mi aspettavo d’incontrarla qui» disse Neelah. «Che c’è, deve scaricare la tensione?».

   «Diciamo così» ammise Chase. «Lei ci viene spesso?».

   «Un paio di volte a settimana» rispose Neelah, cominciando a fare alcuni esercizi di riscaldamento. Intanto Chase sedette su una panca, dove si passò un asciugamano sulla fronte e bevve un po’ d’acqua da una bottiglietta. Guardando Neelah con la coda dell’occhio, rifletté che ignorava ancora tante cose su di lei, sebbene si conoscessero e lavorassero sulla stessa nave da due anni. Ma era inevitabile, essendo persone molto riservate. E poi Neelah era una civile, non un ufficiale della Flotta Stellare. A volte chiacchieravano; in qualche occasione l’aveva persino invitata a cena da Raav o in altri locali dell’Enterprise. Ma non ne era mai seguito niente. C’erano dei confini che non avevano mai varcato, come per un tacito accordo.

   «Posso allenarmi con lei?» chiese Chase rialzandosi, quando Neelah ebbe finito di riscaldarsi.

   L’Aenar lo squadrò con aria divertita. «Certo, ma l’avverto che i miei riflessi sono potenziati geneticamente. Come la mia forza e la mia agilità».

   «C’è qualcosa di suo?» la stuzzicò Chase.

   «L’addestramento; quello s’impara solo alla vecchia maniera» sorrise Neelah. «Almeno finché non troverò il modo di scaricare le informazioni direttamente nel mio cervello, come fa Terry».

   «Cerchi di ricordare che lei non è un ologramma, né un drone Borg» ammonì Chase, temendo che un giorno o l’altro Neelah avrebbe fatto qualcosa di cui pentirsi. «E non si preoccupi per me... ho un braccio artificiale, ricorda? Dovrebbe pareggiare i suoi potenziamenti genetici».

   «Allora in guardia» disse Neelah, levando le braccia in posa difensiva. Chase la imitò. Per un po’ girarono uno intorno all’altra, cercando un varco nelle rispettive difese. Poi Chase attaccò. Neelah riuscì a parare o schivare una raffica di attacchi e rispose con un calcio nello stomaco di Chase, che si piegò in due. Ma il Capitano tornò quasi subito all’attacco. Incalzò Neelah con ancora più foga, costringendola a indietreggiare. Quando l’Aenar cercò di dargli un altro calcio, le afferrò la caviglia con la mano meccanica e la respinse con tanta forza da gettarla a terra. Neelah rotolò agilmente e si rimise in piedi. Si scambiarono ancora qualche colpo, riuscendo sempre a parare. Poi Neelah si lasciò cadere sul pavimento e falciò Chase con un calcio, rovesciandolo.

   «La vedo nervoso, Capitano» disse l’Aenar, tornando in piedi con l’agilità di una molla. «C’entrano qualcosa i Pacifisti? So che terranno una manifestazione a Khitomer, tra qualche giorno. Proprio nella grande piazza, davanti al Palazzo dei Congressi».

   «Ci sono già stati dei cortei» annuì Chase, rialzandosi dolorante. «La polizia è schierata nei punti nevralgici della capitale, in assetto antisommossa. Per adesso è andato tutto bene, ma chissà che succederà il giorno della manifestazione principale. Mi stupirei se non ci scappasse il morto».

   «È preoccupato per sua sorella, giusto? Teme che andrà a manifestare» disse Neelah.

   «Ne sono certo: è arrivata a Khitomer solo per questo. Ma lei come sa che Helen è qui?» indagò Chase.

   «Mi ha fatto visita» rivelò l’Aenar, sedendosi in panchina.

   «Mia sorella è andata da lei? Qui sull’Enterprise?!» si stupì Chase, sedendole accanto.

   «Sì; perché è tanto sorpreso?».

   «Non sapevo nemmeno che fosse a bordo» spiegò il Capitano. «Qualche giorno fa mi informato che era arrivata con un trasporto e stava per scendere sul pianeta. Si lamentava dei controlli doganali... a sentir lei dovremmo togliere lo Scudo Planetario ogni volta che arriva un visitatore. Il giorno dopo mi ha chiamato da Khitomer per dirmi che era arrivata e andava tutto bene. Non la sento più da allora. Quand’è che vi siete incontrate?».

   «Quattro giorni fa» rispose Neelah.

   «Cioè prima ancora di contattarmi. Uhm, è strano» commentò Chase. «Che voleva da lei, se non sono indiscreto?».

   «È indiscreto, ma glielo dirò ugualmente» precisò Neelah. «Voleva che l’accompagnassi alla manifestazione. Mi ha anche offerto la tessera del MPG».

   «Mi dica che l’ha rifiutata. Quegli esaltati che vogliono la pace coi Tuteriani non li hanno mai visti da vicino, ma lei sì. È stata con me nel Collettore Subspaziale, ha visto di cosa sono capaci».

   «Non me lo ricordi, ci ho messo giorni a riprendermi. E i mal di testa sono continuati per settimane. Non è bello, quando un Parassita Neurale muore abbarbicato alla tua spina dorsale» ricordò Neelah, massaggiandosi il collo. «Ho cercato di spiegarlo a sua sorella, ma temo che il mio rifiuto l’abbia ferita. Sa, eravamo entrambe nel Movimento Abolizionista, quand’eravamo studentesse...».

   «Quasi tutti gli studenti sono Abolizionisti» commentò Chase.

   «... e ora che lei è passata al MPG, si aspettava lo stesso da me. Credo che si sia sentita tradita, quando le ho detto di no» concluse Neelah, un po’ rattristata.

   «Ma perché Helen è andata proprio da lei?» insisté il Capitano. «Ci sono parecchi ex Abolizionisti sull’Enterprise e molti civili lo sono ancora. Cos’è, vi conoscevate dai tempi della scuola?».

   «Niente affatto; non l’avevo mai vista» rispose Neelah. «Credo le interessassero le mie competenze scientifiche, diceva che sarei stata preziosa per il Movimento. Ma quando le ho chiesto di essere più specifica si è fatta cauta, persino sospettosa. E quando ha capito che non intendevo assecondarla, se n’è andata... senza dirmi che si aspettava esattamente da me».

   «Le faccio le mie scuse, se l’ha infastidita» disse Chase.

   «Oh no, per niente» assicurò l’Aenar. «Sua sorella è simpatica... anche se molto diversa da lei. Incredibile quanto possano differire due persone che condividono così tanto DNA...» aggiunse meditabonda.

   «Non siamo poi così diversi. Entrambi idealisti, penso» rifletté Chase. «È solo che abbiamo scelto ideali differenti. Io ho giurato di rispettare la Prima Direttiva, mentre lei la considera un crimine. Da ragazzi ci scherzavamo sopra, ma oggi... beh, la faccenda è scottante, ora che il Movimento Abolizionista si è fatto partito politico, e molti suoi membri sono andati a formare i quadri dirigenti del MPG».

   «Capitano, le assicuro che non ho nulla a che fare coi Pacifisti» disse Neelah, guardandolo negli occhi. «So quanto sono miopi. Consegnare un terzo della Federazione ai Tuteriani vorrebbe dire metterli in condizione di prendersi anche il resto».

   «Però è ancora favorevole agli Abolizionisti, immagino» disse Chase.

   «Ho il tesserino nel cassetto. Sì, sono ancora favorevole, anche se è da un pezzo che non faccio più attivismo. Che c’è, ha voglia di parlarne?» chiese Neelah.

   «Perché no? Quando ci siamo conosciuti, lei ha messo bene in chiaro di non approvare la Prima Direttiva. Ricordo che la definì “dottrina del disimpegno morale”. Da allora abbiamo evitato l’argomento... ma se ora diciamo chiaro e tondo quel che pensiamo, magari ci sfogheremo più di quanto abbiamo fatto con lo sport» propose Chase.

   «Bella idea!» sorrise Neelah.

   «E poi, le anomalie minacciano molti pianeti pre-curvatura» aggiunse il Capitano. «Presto dovrò prendere decisioni difficili al riguardo. Quando accadrà, sarò circondato da ufficiali che mi diranno la loro. Ma voglio sapere anche cosa pensano i civili dell’Enterprise, e credo che lei possa rappresentarli. Allora, che mi dice?».

   «Uhm, non posso parlare a nome degli altri. So per esperienza che ogni Abolizionista ha idee sue su cosa non va nella Prima Direttiva» disse Neelah. Mentre parlava si alzò, avvicinò uno strumento ginnico alla panchina e vi sedette sopra, per fronteggiare Chase. «Parlando per me... trovo che la Prima Direttiva sia ipocrita. La Flotta Stellare dice che è meglio lasciar morire una civiltà pre-curvatura, piuttosto che farle avere un contatto con società più avanzate. In parole povere, è una questione di livello tecnologico se la gente ha il diritto di vivere o meno».

   «Concedere tecnologie evolute a società che non sono pronte a riceverle non fa che peggiorare la situazione» osservò Chase. «Non solo per loro, ma anche per tutti gli altri».

   «Non dico di dargli armi, o d’insegnargli a produrre antimateria. Parlo di ciò che serve a sopravvivere!» ribatté Neelah. «Immagini di esplorare un deserto e di scoprire una tribù che sopravvive con l’acqua infetta di un pozzo. Sa che, se sapessero come costruire un depuratore, lo farebbero senz’altro. Potrebbe dargliene uno, o semplicemente fornirgli le specifiche di costruzione, ma non lo fa. Perché? Perché, secondo la perversa logica della Flotta, gli abitanti non sono “pronti”! Ma nel frattempo continuano a morire» disse frustrata.

   «Vede, è incredibilmente difficile stabilire quali tecnologie sono pericolose» spiegò Chase. «Un replicatore alimentare può essere modificato per produrre armi biologiche. Gli ologrammi possono diventare letali, senza i protocolli di sicurezza. Ci sono parecchi esempi di tecnologie federali usate in questo modo».

   «Comunque la si rigiri, questa parte della Direttiva è immorale» insisté Neelah. «Ci sono stati Capitani famosi che hanno osservato impassibili la morte d’interi mondi, pur di non infrangere la loro preziosa Direttiva».

   «Mi può fare un esempio?».

   «Certo!» s’infervorò Neelah. «Nel 2370, l’Enterprise-D era in orbita attorno a Boraal II, un pianeta di classe M sede di una pacifica civiltà pre-curvatura. Il pianeta stava subendo una catastrofe atmosferica che non era possibile evitare, e che l’avrebbe reso inabitabile in pochissimo tempo. L’unica possibilità di salvare i nativi era imbarcarli sull’Enterprise, abbastanza spaziosa da accogliere alcune migliaia di persone. Mi dirà che non era molto, per un pianeta... ma era abbastanza per salvare un popolo dall’estinzione.

   Ebbene, Picard rifiutò di farlo. Rifiutò di salvare anche un solo Boraliano, e così facendo li condannò tutti a morte: uomini, donne, bambini. Ho ascoltato la registrazione del discorso che tenne in plancia, quel giorno. Disse che “oggi è una di quelle volte in cui dobbiamo affrontare le ramificazioni della Prima Direttiva, e onorare quelle vite che non possiamo salvare”. Evidentemente, per lui, starsene seduto a guardare gli abitanti che morivano era il modo giusto di onorarli. E c’è di più: Picard non si limitò a dire che stava eseguendo gli ordini. No, durante la missione affermò ripetutamente di essere d’accordo con lo “spirito” della Direttiva, secondo cui è meglio che i nativi muoiano, piuttosto che far vedere loro un’astronave».

   «Uhm, conosco quella vicenda» disse Chase, a disagio. «È uno dei capitoli più controversi della Flotta e una macchia indelebile nella carriera di un Capitano che, in altre occasioni, si adoperò con ogni mezzo per salvare i nativi».

   «Ma secondo lei, Picard stava eseguendo la Prima Direttiva?» chiese Neelah. «Che avrebbe fatto al suo posto? Che cosa farà, quando le capiterà una situazione del genere?».

   «Mi fa una domanda terribile... ma è giusto così, me la sono cercata» sospirò Chase. «Ebbene, penso che avrei fatto come Nikolai Rozhenko, che teletrasportò un intero villaggio sull’Enterprise. Materializzò i Boraliani sul ponte ologrammi, nel quale aveva replicato una sezione del loro ambiente. Così non si resero conto di aver lasciato il pianeta e furono trasferiti su un altro mondo».

   «Ma Rozhenko dovette farlo di nascosto!» sottolineò Neelah. «Tra l’altro, quando i suoi colleghi scoprirono tutto, lo criticarono per l’inconveniente che aveva provocato. Si comportarono come monarchi che biasimano un servo perché ha aperto la finestra, facendo sentir loro i lamenti dei sudditi che muoiono di stenti fuori dalla reggia. E in seguito Rozhenko fu processato, la sua carriera fu stroncata per sempre. Perciò le chiedo: se fosse stato al posto di Picard, avrebbe ordinato d’imbarcare i Boraliani? E magari avrebbe salvato altri villaggi, a costo di teletrasportare gli abitanti fuori dal ponte ologrammi, rivelando l’astronave?».

   «Penso di sì, a costo di sedare gli abitanti e mantenerli in coma farmacologico per tutto il viaggio» rispose Chase.

   «Lieta di saperlo» disse Neelah, facendo un gran respiro. «Però converrà che, di solito, la Flotta Stellare non ci comporta così. Se un popolo conosce la propulsione a curvatura, lo aiuta; sennò lo lascia morire senza batter ciglio. Guerre, carestie, epidemie... la Flotta potrebbe spazzare via tutto, su decine di mondi!».

   «Non le guerre» avvertì Chase. «Tutte le volte che la Flotta si è lasciata impaniare in qualche conflitto alieno – come accadeva nei primi tempi – ha solo peggiorato le cose».

   «Va bene, lasciamo perdere le guerre. Parliamo delle carestie, delle epidemie, dei disastri naturali!» esclamò l’Aenar.

   «A volte è possibile intervenire» disse Chase. «La Flotta ha spesso deviato asteroidi che stavano per colpire pianeti abitati da popoli pre-curvatura. In quei casi non c’è alcuna violazione della Direttiva, perché i nativi non sanno nemmeno di essere stati in pericolo. Ad esempio l’Enterprise di Kirk deviò un asteroide che stava per abbattersi su Amerind».

   «E le malattie? Ce ne sono di orrende, che falciano interi popoli!» insisté Neelah. «Pensi che sarebbe successo, se qualche organizzazione aliena avesse diffuso una cura contro la Peste Nera nell’Europa del XIV secolo. Avrebbe salvato milioni di vite innocenti. Probabilmente avrebbe accelerato di un secolo il progresso dell’umanità. Ma non è successo. E oggi che la Flotta potrebbe evitare queste tragedie... sceglie di non farlo.

   Ma si rende conto che in tutti gli ordinamenti giuridici moderni esiste il reato di omissione di soccorso? Se io cammino per strada, vedo qualcuno che ha avuto un incidente e tiro dritto senza aiutarlo... o almeno senza chiamare i soccorsi... commetto un reato da codice penale. Tutti i cittadini della Federazione sono moralmente obbligati a prestare soccorso. Eppure se un Capitano vede un popolo che soffre, può lavarsene le mani con la Prima Direttiva. Molto comodo!» concluse l’Aenar.

   «La Flotta Stellare non può farsi carico di tutta la Galassia» rispose Chase. «È un’organizzazione fondata per esplorare, fare ricerca scientifica e difendere la Federazione; non un’opera di beneficenza».

   «Però il Capitano Pike la definì “un’organizzazione umanitaria che mantiene la pace”, in un celebre discorso. Proprio così, un’organizzazione umanitaria... però adesso somiglia più a un club per ricchi!» accusò Neelah.

   «Le rare volte in cui la Flotta interviene negli affari di altre culture, viene criticata ferocemente» obiettò Chase. «La si accusa d’imperialismo, di colonialismo. E la si critica anche quando non interviene. Perciò che dovrebbe fare?» chiese.

   «Giudicare caso per caso, senza farsi scudo con la Prima Direttiva» rispose subito Neelah.

   «Il guaio è che molte specie e organizzazioni che aiutiamo si rivelano ingrate» sospirò il Capitano. «Pretendono l’aiuto federale, però non concedono nulla in cambio. Anzi, spesso cercano di scardinare proprio quei meccanismi di cui hanno beneficiato in passato. Certi popoli, come i Cardassiani e i Ferengi, non si sentono vincolati ai nostri valori. Così ci ritroviamo con interi pianeti che sfuggono alla legge federale».

   «Lei sta cambiando discorso» avvertì Neelah. «Io parlavo dei popoli pre-curvatura, non di quelli che parassitano la Federazione».

   «Ha ragione, mi scusi» ammise Chase. «Cercavo di spiegarle che ogni decisione ha delle conseguenze e che a volte il tentativo di evitare una tragedia ne scatena di peggiori. Vorrei che avessimo una tecnologia come quella dei Tuteriani, per esaminare i vari futuri possibili, scegliere il meno peggio e agire in quella direzione».

   «Un giorno ci arriveremo» disse Neelah, fiduciosa. «Comunque, tornando alla Prima Direttiva... ci sono stati Capitani meno gelidi di Picard nella sua applicazione. Kirk, per esempio, la violò in diverse occasioni, perché riteneva che fosse la cosa giusta. E la fece sempre franca!» aggiunse soddisfatta.

   «Ci credo!» ridacchiò Chase. «Kirk visse nel XXIII secolo. Erano altri tempi... la Flotta Stellare era giovane e con poca burocrazia. La Galassia era ancora vasta e inesplorata. Un Capitano poteva dirigere la sua nave dove gli pareva, per mesi e anni, addentrandosi in regioni sconosciute, senza la minima idea di cos’avrebbe trovato. E quando incontrava qualcosa di pericoloso, doveva cavarsela con le sue forze, senza poter contare sulla lontana Flotta Stellare».

   «Sembra romantico» commentò Neelah, sognante. «Avrebbe voluto vivere in quel secolo, Capitano? Una parte di me lo vorrebbe: mi ci vedo in minigonna, calze e stivaloni! Però la tecnologia era così arretrata... non potrei fare esperimenti con le nanosonde Borg, né potenziarmi geneticamente senza essere scambiata per una complice di Khan. No, tutto considerato preferisco la nostra epoca. E lei?» chiese.

   «Mah, difficile dirlo» rispose Chase, lo sguardo lontano. «Di certo era un’epoca più ottimista della nostra. La Flotta Stellare faceva davvero esplorazione. Ma c’era il rovescio della medaglia. Lo spazio era un grande Far West, in cui i conti si regolavano in fretta. I Capitani avevano un potere immenso, perché i loro superiori erano lontani. E quando gli capitava di sbagliare... beh, passavano al pianeta successivo e buonanotte. Tanto passavano anni prima che un’altra nave federale si presentasse da quelle parti. Oggi è diverso: le infrazioni si scoprono subito, gli errori hanno conseguenze immediate. Un Capitano non ha più tanto potere... ma sto divagando» disse, rivolgendosi nuovamente a Neelah. «Riguardo alla Prima Direttiva, le dirò una cosa. Quando entrai in servizio, anni fa, giurai di osservare scrupolosamente il regolamento della Flotta Stellare. Io non prendo alla leggera un simile giuramento. Ma se un giorno quel regolamento mi obbligasse a commettere un reato... sia pure di omissione... ebbene, agirò secondo coscienza. E ne pagherò le conseguenze. Ma solo se sarò assolutamente sicuro che è l’unica cosa giusta da fare» disse con gravità.

   «Beh, spero che non arrivi a quel punto» disse Neelah, un po’ addolcita. «Allora, le va un secondo round?» chiese, alzandosi con uno scatto elastico.

   «Mi dia il tempo di avvertire Korris che sta per esserci un’emergenza medica» rispose Chase, massaggiandosi la schiena, ancora un po’ dolorante. Lui e l’Aenar si fissarono un attimo. E scoppiarono a ridere.

 

   «Come sarebbe a dire che non volete la vaccinazione?» chiese il dottor Korris, incredulo. Davanti a lui c’era un gruppetto di pazienti, perlopiù Umani, capeggiati dal Consigliere di bordo, Navarro. Come accadeva talvolta per gli psicologi, questi era un civile, imbarcato grazie a un accordo di partnership con la Flotta.

   «Mi ha sentito bene, dottore» ripeté Navarro. «Nessuno di noi intende sottoporsi a questa pratica inumana».

   «L’encefalite altariana è inumana, non il suo vaccino» rispose Korris. «Da quando alcuni di voi sono scesi su Alpha Onias III senza protezione, siete tutti a rischio. Ho già vaccinato quasi tutta la nave, perché voi no?».

   «Perché qui dentro» disse Navarro, sventolandogli un’unità di memoria sotto al naso «ci sono i rapporti di decine di medici indipendenti, che da vent’anni studiano l’argomento. E hanno raccolto una montagna di prove contro il vaccino. Si rende conto che quella sostanza altera il DNA?» chiese, allarmato.

   «Quel vaccino deve alterare il DNA» sospirò Korris. «L’encefalite altariana è prodotta da un retrovirus che incorpora il suo genoma in quello delle cellule cerebrali delle vittime. È una malattia insidiosa, che può restare dormiente per anni e insorgere all’improvviso. Le vittime sperimentano febbre, delirio, vuoti di memoria. Senza un’adeguata cura sopraggiunge il coma e infine la morte. Per fortuna la Flotta Stellare ha scoperto che i Klingon ne sono immuni e studiando il loro genoma ha isolato il fattore chiave. Lo abbiamo inserito nel vaccino e un enzima di restrizione provvede a incorporarlo nel DNA dei pazienti».

   «Ma non pensa alle conseguenze?» insisté Navarro. «Non si può trapiantare DNA Klingon nelle altre specie e credere che non ci saranno effetti collaterali! Queste ricerche mediche» disse, agitando ancora l’unità di memoria «dimostrano in modo inoppugnabile che il suo vaccino provoca aggressività e danni sistemici agli apparati circolatorio, respiratorio e digerente».

   «Sciocchezze! Crede che ci abbiamo messo tutto il DNA Klingon, lì dentro?» chiese Korris. «Sono poche sequenze di nucleotidi, il minimo indispensabile».

   «Allora l’aggressività da dove viene? E il desiderio di carne al sangue?» insisté Navarro.

   «Alcuni pazienti, evidentemente ignoranti, si convincono di essere diventati mezzi Klingon» spiegò pazientemente Korris. «I loro sintomi sono frutto di questa illusione. Anche la dispepsia – il mal di stomaco – è del tutto psicosomatico. Questo è ciò che dice la scienza medica. Se gli studi indipendenti affermano il contrario, significa che sono viziati da qualche errore di metodo».

   «Sta mentendo!» gridò uno dei pazienti, incollerito. «Voi scientisti ci volete intortare con la logica. Ci presentate degli studi incomprensibili e dite che sono inattaccabili. Ma io dico: al diavolo la logica! Non importa cosa dice la scienza, io so la verità perché è dentro di me, quindi SO che devo credere agli studi non conformi! Non importa cos’è vero, ma cosa ci dice il nostro IO. Solo perché lei è medico, vorrebbe dirmi cosa fare? Non esiste!».

   «Ben detto» annuì un’altra paziente. «Mia cugina non è più la stessa, da quando le ha iniettato quella robaccia. Non farà lo stesso a me!» disse, rabbrividendo.

   «Preferisce morire di encefalite?» chiese Korris. «Preferisce che i suoi figli muoiano? So che ne ha due, Sonja; perché non li ha portati? Devo vaccinare anche loro».

   «No, il Vedek mi ha detto che la preghiera e la meditazione bastano a proteggerci» disse la donna, scuotendo la testa. «Creano delle vibrazioni positive che distruggono il virus».

   «È un retrovirus... ma quali vibrazioni? Di che?!» protestò Korris. «E poi, come le è saltato in mente d’interpellare un Vedek? Non è mica laureato in medicina, lui! Io lo sono, e le dico di vaccinarsi».

   «Ehi, come si permette d’insultare la sua fede?!» protestò il marito della paziente, cingendola con fare protettivo.

   «Non sto insultando la fede di nessuno. Vi suggerisco solo di metterla qui dentro» disse Korris, mostrando l’ipospray con il vaccino.

   «Andiamo, è una perdita di tempo» disse Sonja, avviandosi alla porta dell’infermeria.

   «Dove crede di andare? Se non mi permette di vaccinare lei e la sua famiglia, chiamerò la sicurezza!» minacciò Korris, mettendosi davanti alla porta.

   «Ci provi, e farò causa alla Flotta Stellare!» sibilò la donna. «Anzi, sa che le dico? Io e la mia famiglia lasciamo l’Enterprise! Andremo dai nostri parenti su Orellius...».

   «Così infetterete anche loro, e tutto il resto della colonia!» protestò Korris.

   «Così potremo vivere liberi e in pace. Addio, dottore!» disse la donna. Due dei suoi accompagnatori afferrarono Korris e lo trascinarono lontano, permettendo al resto del gruppo di uscire. Poi anche loro lasciarono l’infermeria. Dei dissidenti restò solo Navarro.

   «Lei ci ha mostrato quanto sia disonesta e spietata la Flotta Stellare» disse il Consigliere. «In queste condizioni, non posso restare a bordo. La coscienza m’impone di cessare la collaborazione con la Flotta e tornare alla mia Università» concluse. Si levò il comunicatore e lo gettò a terra con disgusto. Poi se ne andò anche lui.

   «Korris a Lantora» disse il medico, premendo il proprio comunicatore. «Abbiamo una piccola emergenza. Sì, la terza, questa settimana» sospirò.

 

   «E così ho dovuto farli vaccinare contro la loro volontà, prima che se ne andassero» disse Lantora, spiluccando il canapè bulariano che aveva ordinato. «Se non ci fosse la legge marziale, non avrei potuto farlo. Sarei stato costretto a lasciarli partire, così avrebbero infettato un’intera colonia!» disse, ancora incredulo.

   «Che roba» mormorò Ilia, prima di addentare un gamberetto. I due stavano gustando la cucina di Raav, il loro cuoco preferito. L’Antro del Drago era ormai il punto di ritrovo per gli ufficiali dell’Enterprise, anche grazie alla pubblicità di Ilia e Grenk, che ne avevano parlato bene a tutti i colleghi. L’atmosfera esotica del locale – che simulava una caverna Gorn – stimolava gli avventori a chiacchierare e raccontare storie.

   «Doveva sentire come strillavano, mentre Korris li vaccinava» proseguì Lantora. «Sembrava che li stesse scannando».

   «I bambini strillavano?» si dispiacque Ilia.

   «Anche gli adulti» disse Lantora, cupo. «Urlavano, imprecavano, si divincolavano come ossessi. Korris ha dovuto sedarne un paio, sennò gli avrebbero devastato l’infermeria. L’unica cosa positiva di questa storia è che il Consigliere ha dato le dimissioni. Forse, senza lui che soffia sul fuoco dei complottismi, tornerà un po’ di normalità».

   «Speriamo. Chissà chi manderanno al suo posto» si chiese Ilia.

   «Non so, ma dubito che possa fare peggio. In realtà, con la guerra in corso, può darsi che per un po’ non mandino nessuno» rifletté Lantora.

   «Che visi lunghi» disse Raav, accostandosi. Come faceva spesso, prese una sedia da un tavolo vicino e si accostò per chiacchierare con gli amici.

   «È stata una brutta giornata» ammise Lantora. «Mi ha ricordato un po’ la missione alla Sfera 99».

   «Ne ho sentito parlare, da Grenk e da altri. Ma non da qualcuno che fosse in plancia quel giorno» disse Raav. «Come andarono realmente le cose?».

   «Ilia, vuole...?» chiese Lantora, che preferiva concentrarsi sul cibo.

   «Certo» disse Ilia, deponendo la forchetta. «È stato... tre mesi fa, mi pare. Avevamo l’ordine di distruggere la Sfera 99, che minacciava la colonia di Penthara IV. All’inizio sembrava tutto a posto, non c’era nemmeno una Dreadnought a difenderla. Pensavamo di dover lanciare i siluri e via, missione compiuta. Poi è comparso quel vecchio trasporto scalcagnato. Quando abbiamo visto il logo del MPG sullo scafo, abbiamo capito che ci aspettavano guai. Dico davvero, avrei preferito una battaglia con una Dreadnought».

   «Anche due o tre» rincarò Lantora.

   «Ma che ci facevano?» domandò Raav.

   «Aspettavano noi!» esclamò Ilia. «Cioè, qualunque nave federale inviata a distruggere la Sfera. Non so da quanto fossero lì nello spazio, tutti soli. Se fosse arrivata una Dreadnought, li avrebbe spazzati via in un attimo. Quando ci videro arrivare si frapposero tra noi e la Sfera. Dissero che, se volevamo distruggerla, dovevamo aprire il fuoco su di loro».

   «Dissero pure che stavano registrando tutto, e che trasmettevano ai pianeti vicini» aggiunse Lantora, arcigno. «Così, se avessimo fatto un passo falso, la notizia si sarebbe diffusa».

   «E il Capitano che ha fatto?» incalzò Raav.

   «Gliele ha cantate chiare» rispose Ilia, soddisfatta. «Ha detto che non potevano anteporre una forza d’invasione aliena ai loro concittadini. Sai, quelle anomalie avrebbero ucciso milioni di persone su Penthara».

   «Ma questo è un aspetto che sfugge ai Pacifisti» commentò Lantora.

   «Immagino che loro non l’abbiano presa bene» disse Raav.

   «Infatti presero a spararci» confermò Ilia. «Per fortuna i loro vecchi phaser erano del tutto inefficaci contro i nostri scudi. Però il Capitano fu tentato di reagire. Fortuna che Terry aveva i sensori all’erta» rabbrividì.

   «Quegli sciagurati avevano collegato armi e scudi direttamente al nucleo di curvatura, per renderli più potenti» spiegò Lantora. «Così, al minimo sovraccarico, sarebbero saltati in aria. Se cercavamo di disattivargli le armi, rischiavamo ugualmente di distruggerli. Sai, erano tutti civili, su quella nave. Famiglie, coi bambini che sventolavano le bandierine della pace».

   «Brutta faccenda» disse Raav, addolorato. «I cuccioli dovrebbero essere tenuti fuori dalle contese degli adulti. Ma le anomalie non colpivano anche loro?» aggiunse, colto da un tremendo sospetto.

   «Li colpivano eccome. C’erano parecchi feriti a bordo, compresi alcuni dei bambini» rispose Ilia, tetra. «Per non parlare del rischio che un’anomalia colpisse il loro nucleo pasticciato. A quel punto capimmo che bisognava agire subito».

   «Lanciai i siluri contro la Sfera, programmando la traiettoria in modo che aggirassero la nave trasporto» spiegò Lantora. «Era una Sfera di vecchio tipo, simile a quelle della Distesa Delfica. Piccola e disarmata. Ci volle poco per distruggerla. Il problema erano i Pacifisti. Quei fanatici impazzirono, dissero che eravamo assassini e che avrebbero diffuso il filmato dell’Enterprise che apriva il fuoco. Penso che l’abbiano fatto» sbuffò.

   «Comunque, dopo una lunga trattativa, li convincemmo a staccare armi e scudi dal nucleo» riprese Ilia, avviandosi alla fine del racconto. «Ci offrimmo di scortarli fino al più vicino avamposto federale, perché eravamo ancora in zona di guerra. Loro rifiutarono sdegnosamente. Perciò dovemmo seguirli di nascosto, stando occultati, pronti a intervenire se fossero arrivati i Tuteriani. O se la loro nave scalcagnata avesse avuto qualche problema» aggiunse la Trill. «Così abbiamo anche perso tempo prezioso, perché quel trasporto era lentissimo. Ci sono voluti tre giorni perché raggiungesse Penthara» sospirò.

   «Quella gente è stata folle, sconsiderata» disse Raav. «Mi spiace che ci siate andati di mezzo. Ma anche qui sull’Enterprise se ne vedono, di teste calde. Qualcuna l’ho buttata fuori dal mio locale, perché l’aveva scambiato per una sala conferenze da cui lanciare proclami».

   «Sì, ho sentito» disse Lantora. «Senti, la prossima volta che qualcuno t’infastidisce, chiama noi della Sicurezza. Così avrò l’occasione di sbattere al fresco quei cretini».

   «Me lo ricorderò» promise Raav, con i grandi occhi gialli che scintillavano divertiti.

 

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Capitolo 3
*** La Phoenix ***


-Capitolo 2: La Phoenix

 

   L’arboreto si trovava nella sezione di prua dell’Enterprise, non lontano dal deflettore di navigazione. Era un vero e proprio parco con alberi, aiuole fiorite, vialetti di ghiaia bianca e persino un laghetto, sormontato da un ponticello. C’erano tavoli con sedie e zone erbose adatte a un pic-nic. Qua e là erano installati giochi per bambini, come scivoli e altalene. Un sole olografico creava l’alternanza giorno-notte tipica di un pianeta di classe M. In quel momento albeggiava: la luce rosa e oro cresceva all’orizzonte olografico.

   T’Vala e Neelah erano sedute ai lati opposti di un tavolino. Le loro notevoli menti erano concentrate, ormai da molte ore, sul rompicapo posto tra loro. Il kal-toh sembrava un ammasso confuso di barrette metalliche argentee, attaccate tra loro in varie angolazioni. Un profano si sarebbe chiesto come facevano le barrette più in basso, posate su una base dall’apparenza rocciosa, a reggere il peso di quelle soprastanti, senza che la caotica architettura si sfaldasse. Non erano magnetizzate; il kal-toh usava una tecnologia più sofisticata. Erano stati i Vulcaniani a inventarlo, infatti la base rocciosa ricordava il monte Seleya, dove il filosofo Surak era giunto alla piena comprensione della logica. Lo scopo del kal-toh era trovare l’ordine nel caos. Serviva una profonda comprensione della matematica e della geometria per capire dove posizionare le barrette, senza che la delicata architettura si disgregasse. Alcuni, però, compensavano con il talento artistico: l’armonia e il senso delle proporzioni erano un’altra strada con cui dare forma al groviglio di barrette, portandolo verso una forma geometrica ordinata. Era il computer, però, a decretare di volta in volta le trasformazioni verso forme più o meno regolari, giudicando gli interventi dei giocatori.

   «La sua mossa, Tenente» disse Neelah con impazienza.

   «Niente fretta, dottoressa» rispose T’Vala, giocherellando con la sua pagliuzza argentata. «Il kal-toh è un gioco di logica ed equilibrio, ma non vuol dire che le mosse siano scontate. Anche i giocatori più esperti possono impiegare ore a decidere la prossima mossa. In taluni casi, servono giorni interi per scegliere» spiegò.

   «L’avevo notato. Guardi, è l’alba: mi ha tenuta alzata tutta la notte!» osservò Neelah, indicando il finto sole che faceva capolino all’orizzonte.

   «Le ho chiesto più volte se voleva sospendere la partita; mi ha sempre detto di no» le ricordò T’Vala. «Comunque, spero che la mancanza di sonno non le darà problemi».

   «Oh, no» assicurò Neelah. «Con i miei miglioramenti genetici, posso resistere cinque giorni senza dormire».

   «Affascinante!» riconobbe T’Vala. «Io resisto per due settimane» aggiunse con nonchalance.

   «Stia attenta a vantare le sue capacità vulcaniane in mia presenza» ammonì l’Aenar. «Se mi scatena la curiosità, potrei chiederle un campione di tessuto cerebrale da analizzare».

   «Non sarà mica invidiosa!» ridacchiò T’Vala. «Comunque, ecco la mia mossa». Inserì con cura la barretta argentea nel reticolo di quelle già posizionate. Ci fu un ronzio e il kal-toh cambiò configurazione. Adesso molte barrette formavano gli angoli di un complesso poliedro, che però era come schiacciato e deformato; molte pagliuzze alla base restavano incrociate.

   «Oh, finalmente si fa interessante!» gongolò Neelah. Prese una nuova barretta dal recipiente-scorta e osservò la struttura da varie angolazioni, cercando di comprenderne le linee di forza. «Sa, stavo pensando che la conformazione di un kal-toh può essere tradotta in equazioni» commentò. «Se avessi il mio d-pad, potrei completarlo in pochi minuti».

   «Quello si chiama barare» sorrise T’Vala. «L’essenza del kal-toh consiste nel fare tutto a mente».

   «Sigh, ho sempre pensato che mente e tecnologia dovrebbero essere un tutt’uno» sospirò Neelah. «Presto quelli come noi dovranno sapere così tante cose che il nostro hard disk innato – il cervello – non basterà più a contenerle. Dovremo affidarci a una memoria artificiale esterna, connessa al nostro cervello».

   «Non è così che sono nati i Borg?» le rammentò T’Vala. «E poi, non vorrei che il computer mi attaccasse qualche virus».

   «Uhm, infatti è per questo che ci sono così tante resistenze» ammise Neelah, continuando a osservare il gioco da vari angoli. «Ma ho la sensazione che presto bisognerà prendere una decisione. Altrimenti non riusciremo più a capire le nostre macchine. Già adesso se ne vedono delle belle. Ho parlato con gente convinta che il replicatore sia magico e che il teletrasporto ci rubi l’anima. Alcuni non capiscono la differenza tra cibo replicato e cibo olografico... ah, ecco!» esclamò, inserendo la barretta.

   Il kal-toh assorbì il nuovo elemento nella sua struttura, ma per il resto rimase immutato. L’Aenar lo guardò delusa.

   «Mossa avventata» notò T’Vala, alzando un sopracciglio. «Forse doveva pensarci di più».

   «Ci ho pensato abbastanza, non voglio invecchiare seduta a questo tavolo» tagliò corto Neelah.

   «Come preferisce». T’Vala osservò il gioco per lunghi minuti, pressoché immobile, salvo per la mano che giocherellava con la barretta.

   «Sa, oltre che in linguaggio matematico, si potrebbe tradurre il kal-toh anche in ritmi musicali» disse a un certo punto Neelah, incapace di tenere il cervello a riposo. «La nostra partita potrebbe diventare una sinfonia».

   «Interessante» disse T’Vala sovrappensiero. «Ho letto qualcosa in proposito, tempo fa, ma non so se qualcuno sia riuscito a farlo».

   «Quasi tutto può essere tradotto in musica» commentò Neelah. «Persino le onde elettromagnetiche emesse dalla materia che cade in un buco nero».

   «Uh-uh» annuì T’Vala, così concentrata che probabilmente non l’aveva neanche sentita. «Ah, ecco!» si riscosse, e posizionò la barretta. Il kal-toh cambiò completamente configurazione. Si udì un bip più forte e prolungato dei precedenti, mentre il gioco assumeva la conformazione di vittoria: un perfetto poliedro concentrico, con le facce esterne triangolari e pentagonali.

   «Kal-toh!» esclamò T’Vala, gustandosi la reazione dell’avversaria.

   Se le avesse dato un buffetto sotto il mento, Neelah non avrebbe avuto un’espressione più sbalordita. «Com’è possibile?!» protestò, chinandosi in avanti. Osservò il gioco da tutte le angolazioni, non capacitandosi di vederlo completo. «Avevo calcolato che servivano ancora tre mosse, dopo la sua! Sarebbe toccata a me la vincente!» esclamò, contrariata.

   «Suvvia, non se la prenda. È solo un gioco» disse T’Vala, cercando di minimizzare.

   «Eppure nei test geometrici e matematici ho punteggi altissimi» insisté Neelah, impensierita. «Devo essermi distratta».

   «L’ipotesi più logica è che lei abbia perso perché è una principiante» suggerì T’Vala. «Io invece gioco a kal-toh da quand’ero ragazzina. E non sa quante partite ho fatto, prima di vincerne una. Quindi non se la prenda».

   «Prendermela? So accettare le sconfitte, io!» disse Neelah, anche se il suo atteggiamento sembrava indicare il contrario. Si alzò in piedi. «E poi è solo un gioco da tavolo. Ben congegnato, ma nulla più».

   «Bene, allora direi che possiamo salutarci» disse T’Vala, un po’ indisposta da quell’atteggiamento. Si alzò a sua volta e premette un bottoncino sulla base, disattivando il gioco.

   «Sì, alla prossima. Lei – ehm – viene spesso qui?» chiese Neelah, accennando al parco intorno a loro.

   «Di tanto in tanto» annuì T’Vala. «La Vulcaniana che è in me si accontenta di meditare, quando deve sciogliere lo stress. Ma alla Betazoide serve più spazio, e del verde che non sia una simulazione olografica. Perché lo chiede?».

   «Perché una volta o l’altra potrebbe... darmi la rivincita» propose Neelah.

   «Certo, quando vuole» acconsentì T’Vala. «Magari non subito, dopo questa notte in bianco abbiamo bisogno di riposo» si corresse. «Ma fra qualche giorno potremmo rifarlo. Tanto non ci aspetta molto lavoro, finché l’Enterprise rimarrà a Khitomer».

   «Ottimo, le farò sapere» approvò Neelah. «A presto, Tenente» salutò, avviandosi verso l’uscita.

   «Alla prossima» ricambiò T’Vala.

   Quando l’Aenar ebbe lasciato il parco, la mezza Vulcaniana si permise un sorriso. La dottoressa non era molto sportiva... o forse non era abituata a perdere. Ma per quanto avesse un quoziente intellettivo da genio, le serviva molta più esperienza per battere una giocatrice esperta.

   Accorgendosi che non mancava molto all’inizio del suo turno, T’Vala si mise il gioco sottobraccio e lasciò in fretta l’arboreto. Aveva appena il tempo di tornare al suo alloggio, farsi una doccia sonica e mangiucchiare qualcosa, prima di prendere servizio.

 

   Mezz’ora dopo, T’Vala percorreva frettolosamente un corridoio dell’Enterprise, diretta verso la plancia. Poco più avanti notò l’ingresso di un hangar secondario. In due anni di servizio non vi era mai entrata, né l’aveva mai visto aperto. Ma stavolta il doppio portone si aprì con un sibilo, subito prima che vi passasse davanti. Ne uscì un agitatissimo Grenk, che spolliciava sul d-pad e intanto confabulava con i suoi assistenti Bynari.

   «Voglio una diagnostica completa del nucleo; quelle radiazioni... oh salve, Tenente!» s’interruppe, notando T’Vala a pochi metri da lui.

   «Salve, Grenk» disse T’Vala con garbo. «Come sei formale, oggi! Di solito ci diamo del tu».

   «Uhm, sì, ero sovrappensiero» disse Grenk, nascondendo il d-pad dietro la schiena. «Sai com’è... il lavoro...».

   «Di che radiazioni parlavi?» chiese T’Vala, incuriosita e anche un po’ inquieta.

   «Niente, solo un po’ di vento solare» disse Grenk, agitando la mano, come per dire che era tutto okay. «Sai, il sole di Khitomer ha dei brillamenti, in questo periodo».

   «Se scenderò sul pianeta, porterò la crema solare» scherzò T’Vala.

 

   T’Vala percorreva frettolosamente un corridoio dell’Enterprise, diretta verso la plancia. Poco più avanti notò l’ingresso di un hangar secondario. In due anni di servizio non vi era mai entrata, né l’aveva mai visto aperto. O sì? La timoniera alzò un sopracciglio, interdetta. Aveva un vago ricordo, ma non riusciva a focalizzarlo. Il doppio portone si aprì con un sibilo, subito prima che vi passasse davanti. Ne uscì un agitatissimo Grenk, che spolliciava sul d-pad e intanto confabulava con i suoi assistenti Bynari.

   «Voglio una diagnostica del nucleo quanto prima; quelle radiazioni... oh, salve, Tenente!» s’interruppe, notando T’Vala a pochi metri da lui.

   «Salve, Grenk» disse T’Vala, con uno strano senso di dejà vu. «Come sei formale, oggi... di solito ci diamo del tu».

   «Uhm, sì, ero sovrappensiero» disse Grenk, nascondendo il d-pad dietro la schiena. «Sai com’è... il lavoro...».

   «Di che radiazioni parlavi?» chiese T’Vala, sospettosa e inquieta.

   «Niente, solo un po’ di vento solare» disse Grenk, agitando fiaccamente la mano. «Sai, il sole di Khitomer ha dei brillamenti, in questo periodo».

   «Se scenderò sul pianeta, porterò la crema solare» mormorò T’Vala.

 

   T’Vala percorreva frettolosamente un corridoio dell’Enterprise, diretta verso la plancia. Poco più avanti notò l’ingresso di un hangar secondario. In due anni di servizio non vi era mai entrata, né l’aveva mai visto aperto.

   «No, un momento! L’ho visto eccome!» si disse, impietrendosi. Aveva la netta sensazione di aver vissuto quella scena almeno un paio di volte. Indietreggiò, mentre il doppio portone si apriva con un sibilo. Ne uscì un agitatissimo Grenk, che spolliciava sul d-pad e intanto confabulava con i suoi assistenti Bynari.

   «Voglio una diagnostica del nucleo quanto prima; quelle radiazioni tachioniche sono... oh, salve, Tenente!» s’interruppe, notando T’Vala a diversi metri da lui.

   «Salve, Grenk» disse la mezza Vulcaniana, con distacco. «Finalmente sei andato avanti. Radiazioni tachioniche... questo spiega molto».

   «Uhm, non capisco che dici» farfugliò Grenk, nascondendo il d-pad dietro la schiena. «Avrai sentito male, io parlavo di...».

   «Radiazioni solari, sì. Se scenderò sul pianeta, porterò la crema» tagliò corto T’Vala. «Ma io sono sicura di aver sentito tachioniche. E i tachioni hanno a che fare col viaggio nel tempo».

   «Ma che dici!» esclamò l’Ingegnere, impallidendo. «Ragazzi, vi risulta che ci siano tachioni qui in giro?».

   «No di certo» disse il Bynario 0.

   «Non c’è nessuna emissione anomala nell’hangar» aggiunse candidamente il Bynario 1. Grenk alzò gli occhi al cielo.

   «Scusate se conservo il mio scetticismo» disse la timoniera. «T’Vala a Terry; mi sa dire se c’è una sorgente tachionica nell’hangar 5?» chiese, premendosi il comunicatore.

   «Negativo» rispose Terry, materializzando una proiezione accanto a lei.

   «Come, ne è sicura?» si stupì T’Vala.

   «Assolutamente sì. Le dispiace affrettarsi in plancia? Il suo turno comincia adesso» notò Terry.

   «No, mancano ancora un paio di minuti!» protestò la timoniera. «A meno che siano stati quei dejà vu a farmi perdere tempo. Devo vederci chiaro» disse, affrettandosi verso il portone. Quasi ci sbatté contro, perché contrariamente ai normali ingressi non si era aperto al suo arrivo. «Che succede? Devo entrare!» si lamentò la mezza Vulcaniana.

   «Temo che non abbia l’autorizzazione, Tenente» avvertì Terry. «Ora, se vuole seguirmi in plancia...».

   «Con tutto il rispetto, ma non capisco perché l’hangar mi sia interdetto» obiettò T’Vala. «Grenk e i suoi ingegneri erano pure là dentro! A loro non è vietato». Mentre parlava, Grenk e i Bynari si fecero piccoli piccoli e fissarono il pavimento, come se volessero sparire.

   «Loro hanno un’autorizzazione di Livello 1» spiegò Terry. «La prego, mi segua senza fare domande, o le conseguenze saranno spiacevoli».

   «Per chi, per me?!» s’indignò T’Vala. «Signora, finora l’ho rispettata come Intelligenza Artificiale e come Tenente Comandante. Ma se là dentro c’è una sorgente tachionica illegale, devo saperlo: sarebbe un rischio gravissimo per l’equipaggio». Si premette ancora il comunicatore. «T’Vala a sala teletrasporto 1. Chiedo un teletrasporto diretto nell’hangar 5. Mandatemi anche un tricorder di tipo VIII».

   «Qui Terry, ordine annullato» intervenne l’IA.

   «Che cosa?! T’Vala a Capitano Chase!» disse la timoniera, sempre più arrabbiata.

   «Non può sentirla, ho disattivato il suo comunicatore» l’informò Terry.

   «Ma si può sapere che succede? Si sta forse ammutinando?!» esclamò T’Vala. «Ha deciso che noi Organici siamo superati e vuole estrometterci dai controlli?».

   «La sua logica è del tutto errata» disse Terry, addolorata. «Io non sto sovvertendo le mie direttive. Al contrario, le eseguo».

   «Voglio parlare col Capitano, adesso!» protestò T’Vala.

   «Mi segua in infermeria» ribadì Terry, gelida. Erano faccia a faccia e nessuna delle due intendeva cedere di un millimetro.

   «Signore, non è il caso di farne una tragedia!» squittì Grenk. Lui e i Bynari erano così bassi che, anche se cercavano di frapporsi, non potevano impedire a Terry e T’Vala di squadrarsi con sospetto, al di sopra delle loro teste. «Terry, date le circostanze, forse dovremmo correggere la Direttiva» suggerì il Tellarita.

   «Negativo, ha la precedenza su tutto» rispose Terry, senza perdere d’occhio la timoniera.

   «Quale Direttiva?» chiese T’Vala. «La Prima Direttiva? La Direttiva Omega?».

   «Niente del genere».

   «Ma allora che... basta, faccio da sola!» sbottò T’Vala. Afferrò Grenk per le spalle, attirandolo verso di sé. Gli mise la mano destra sulla tempia, posizionando i polpastrelli nei punti nervosi adatti a suscitare la Fusione Mentale. «La mia mente nella tua mente. I tuoi pensieri nei miei pensieri. Le nostre menti si fondono... le nostre menti sono una sola!» disse in fretta, con gli occhi lucidi per lo sforzo di quella fusione-lampo.

   «Ehi, aspetta, pazza scatenaaaahhh!» gemette Grenk, colto alla sprovvista. Cercò di levarsi la mano di T’Vala dalla tempia, ma la sua presa era salda come l’acciaio. Il Tellarita ebbe l’impressione che le dita di T’Vala gli perforassero il cranio, affondando nelle vive pieghe del cervello.

   «Tenente, la smetta subito!» ordinò Terry, afferrando T’Vala per un braccio. Ma i Bynari la fermarono.

   «Comandante, se li separa con la forza...» cominciò 1.

   «... rischia di provocare danni cerebrali a entrambi» concluse 0.

   «Sarebbe un danno accettabile, se Grenk non fosse il capo-progetto» rispose Terry. «Le mie direttive sono in conflitto tra loro. Non so che fare» ammise.

   «Aspettiamo» suggerì 0.

   «La Fusione deve fare il suo corso» rincarò 1.

   «Yotz! Esci dalla mia testa, spilungona dal sangue verde!» gemette Grenk, che era come paralizzato.

   «Non ci tengo a stare lì, sai?» mormorò T’Vala, il viso tirato per lo sforzo. «Col cavolo che ci entravo, se non era per la sicurezza della nave! Che stai... ehi, come ti permetti?!» s’indignò.

   «Non ho detto niente» grugnì il Tellarita. Era così paonazzo che sembrava sul punto di avere un infarto.

   «Però l’hai pensato. Non cercare di distrarmi. Non puoi nascondermi la verità... io vedo tutto! La mia mente nella tua mente, ho detto! Che siamo facendo in quell’hangar? Che stiamo nascondendo a tutti? Perché in due anni abbiamo passato lì tutto il nostro tempo libero?» incalzò T’Vala, madida di sudore per lo sforzo.

   «Ricerche sperimentali... prototipo... Direttiva Kronos, segreto!» sputacchiò Grenk.

   «Ah, ma certo!» esclamò T’Vala, terminando la Fusione. «Avrei dovuto capirlo, dov’è la mia logica?» ansimò, barcollando all’indietro.

   «Yotz! Non farlo mai più, brutta psicopatica!» inveì Grenk, che era collassato fra le braccia dei suoi assistenti. I Bynari cercarono di sostenerlo, ma erano ancora più piccoli di lui e non riuscirono a reggerne il peso. Si accasciarono tutti e tre.

   «È soddisfatta, ora?» chiese Terry, con cipiglio severo.

   «Per niente! Come vi è saltato in mente di nascondere tutto al Capitano?» chiese T’Vala, ricomponendosi.

   «Se si è fusa con l’Ingegnere Capo, saprà la risposta» disse Terry a denti stretti.

   «Certo, la vostra preziosa Direttiva Kronos» rispose T’Vala. «È incredibile che la Sezione 31 voglia tenere il Capitano all’oscuro. Ma ora dovete informarlo».

   «Per quale motivo?» chiese Terry.

   «Se l’Enterprise lascia Khitomer proprio ora, i Klingon potrebbero offendersi e non firmare il trattato. È stato l’Ammiraglio Nelscott a ordinarci di rimanere. Nemmeno la vostra Direttiva può travalicare i suoi ordini» sostenne T’Vala.

   «Ma noi non lasceremo il sistema. Sarà la Sezione 31 a ritirare il prototipo» obiettò Terry.

   «Sotto il naso del Capitano? Vorrà comunque vederci chiaro» ribatté la timoniera. «E poi, se lo portano via, ci priveranno di una risorsa fondamentale per vincere la guerra».

   «La Sezione 31 saprà farne buon uso» sostenne Terry.

   «Ma ci siamo noi, alla frontiera. È più utile a noi!» insisté T’Vala. «Ai loro tecnici bastano le specifiche con gli aggiornamenti».

   «Non è una decisione che spetta a noi» insisté Terry.

   «Oh sì, invece. Affrontiamo un nemico che controlla il tempo, l’ha dimenticato?» disse T’Vala. «I Tuteriani leggono il futuro e forse viaggiano persino nel tempo. Senza qualcosa di equivalente, siamo spacciati. Che dicono le sue subroutine logiche e tattiche?».

   «Sono in conflitto» ammise Terry. «È una strana sensazione... molto sgradevole. Alla mia prima attivazione, non potevo neanche pensare di trasgredire a una direttiva... ma ora...!». La sua immagine ebbe un glitch blu elettrico, come le era accaduto solo un paio di volte prima, sempre in momenti di fortissimo stress. «Devono esserci dei bug nel mio sistema, avvio una scansione» disse precipitosamente.

   «Ma quali bug, è solo la sua personalità che cerca di farsi strada in mezzo a tutte quelle direttive che la ingolfano» spiegò T’Vala. «Non la biasimo. Molti Organici passano tutta la vita eseguendo gli ordini, senza mai chiedersi se sia giusto. Ma credo che lei stia sviluppando una coscienza... un libero arbitrio, come dicono gli Umani».

   «M-ma io non voglio violare le Direttive!» insisté Terry, inorridita all’idea.

   «A volte, per rispettare lo spirito di certe leggi, bisogna andare oltre la loro interpretazione letterale» insisté T’Vala. «Scorra la biografia di ufficiali famosi e vedrà che spesso hanno fatto così».

   «Mi sa che orecchie-a-punta ha ragione» disse Grenk, rialzandosi. «Anche a me non piace tutta questa segretezza. Sarebbe un sollievo parlarne al Capitano. E poi, insomma... è una grande invenzione, mi piacerebbe vedermela riconosciuta».

   «Non sono certa di saper riconoscere lo... spirito delle direttive» esitò Terry. Dalla sua espressione sembrava che avesse l’emicrania, o un suo equivalente informatico. «Però convengo che a situazioni eccezionali debbano corrispondere strategie di adattamento. Quindi parlerò al Capitano» disse con un grosso sforzo. E si augurò che questo non le costasse una riprogrammazione.

 

   «Mi faccia capire: lei ha costruito una macchina del tempo in garage?» domandò il Capitano Chase, abbandonandosi sulla poltrona. Teneva unite le punte delle dita e squadrava Grenk con educato interesse.

   «Un prototipo di navetta temporale, per l’esattezza» bofonchiò il Tellarita. «E l’ho fatto nell’hangar 5, non in garage».

   «Sì, era un modo di dire» sospirò Chase. Dondolò la poltrona a destra e sinistra, senza tradire particolari emozioni. Grenk, Terry e i Bynari se ne stavano sull’attenti, davanti alla sua scrivania, senza muovere un muscolo. T’Vala era poco più indietro. Nessuno era a proprio agio, lì nell’ufficio del Capitano. Si sentivano come scolaretti convocati dal preside per una lavata di capo.

   «Le mie congratulazioni, signor Grenk» disse Chase. «Se il prototipo funziona, lei ha appena scritto il suo nome nella Storia e ci ha fornito uno strumento essenziale contro i Tuteriani».

   «Grazie, signore» disse Grenk, sempre rigido. «Finora abbiamo eseguito un solo test. Abbiamo mandato la navetta avanti nel tempo di dieci secondi. A bordo non c’era nessuno, solo alcuni bio-cilindri, per testare l’effetto del viaggio nel tempo sulla materia organica».

   «Risultati?».

   «Dobbiamo ancora completare le analisi, ma per adesso sembra tutto a posto» spiegò l’Ingegnere.

   «Bene... e la navetta come si è comportata?» domandò Chase, conciliante.

   «Il nucleo temporale ha funzionato come previsto nelle simulazioni» disse Grenk, incoraggiato dal tono amichevole del Capitano. «La lega molecolare dello scafo è entrata in risonanza senza andare in pezzi... era questo il problema che ci ha assillati finora. I cronometri di bordo sono rimasti indietro, perché per la navetta quei dieci secondi non ci sono stati» proseguì l’Ingegnere Capo.

   «E non c’è nessuna controindicazione? Che mi dice di quella radiazione tachionica?» indagò Chase.

   «Uhm, potrebbe averci tenuti in loop temporale per due o tre volte... ma che vuole che sia!» sdrammatizzò Grenk. «Non è stato nulla di pericoloso e alla fine i tachioni si sono esauriti. Chi non ha avuto un dejà vu in vita sua?».

   «Ah ah, ben detto!» ridacchiò Chase. La tensione si era in gran parte allentata. Grenk e Terry si scambiarono un’occhiata, come a dire “l’abbiamo scampata”.

   «Bene, signori; sono molto lieto che il vostro esperimento sia stato un successo» disse Chase. «Anche perché, se qualcosa fosse andato storto, avreste potuto distruggere l’Enterprise. È questo il rischio, quando si fa un esperimento del genere dentro l’hangar, anziché nello spazio aperto» aggiunse. Stava ancora sorridendo, eppure gli ufficiali tornarono a irrigidirsi.

   «Signore, avevo alzato i campi di forza interni» spiegò Terry. «Le probabilità che un’esplosione temporale li superasse erano trascurabili».

   «Ah, certo, aveva calcolato tutto; come ho fatto a non pensarci?» si chiese il Capitano. «A questo punto mi resta una sola domanda» aggiunse, alzandosi lentamente dalla poltrona. Tutti i presenti notarono che non sorrideva più. Anzi, aveva l’espressione più spaventosa che gli avessero mai visto. «Come avete OSATO fare questa cosa senza informarmi?!» tuonò.

   «Signore, ero vincolata alla Direttiva Kronos!» squittì Terry, facendosi piccola. «Solo gli Ammiragli e i capi della Sezione 31 ne sono al corrente... oltre agli ingegneri che lavorano al viaggio nel tempo» si giustificò.

   «E adesso Kronos non la vincola più?» chiese il Capitano, truce.

   «Il Tenente Shil mi ha esortata a seguire lo... spirito della Direttiva, più che la sua formulazione letterale» disse Terry, accennando a T’Vala dietro di lei. «Questa Direttiva è nata per proteggere le ricerche sui viaggi nel tempo, evitando che cadessero in mani sbagliate. Se ciò accadesse, si scatenerebbe una... guerra temporale dagli esiti imprevedibili, ma di certo catastrofici per l’intero continuum spazio-tempo. Nelle attuali circostanze, ritengo che il segreto sia più protetto informandola, piuttosto che agendo a sua insaputa».

   «Lieto che se ne sia accorta!» sbuffò Chase, risedendosi. «Allora, ditemi esattamente quanto siete invischiati con la Sezione 31» disse, rivolgendosi a tutti e quattro gli ufficiali. Fu Grenk a rispondere, dopo essersi schiarito la voce.

   «Lo siamo parecchio, Capitano» disse il Tellarita. «Io e i Bynari lavoriamo al viaggio nel tempo da anni. Sappiamo che molte specie e organizzazioni fanno esperimenti al riguardo. Non sono tutte raccomandabili. Molte sono ostili alla Federazione, o comunque non sono vincolate alla Prima Direttiva Temporale. Vogliono sfruttare il viaggio nel tempo per riscrivere la storia a loro vantaggio. Se – anzi, quando – avranno questa capacità, per noi sarà la fine. L’Enterprise, la Flotta Stellare, la Federazione stessa saranno cancellate dalla Storia. La nostra sola speranza è perfezionare a nostra volta il viaggio nel tempo e diventare... beh, poliziotti temporali. Lei sa di cosa parlo, Capitano. Abbiamo studiato tutti l’interferenza Borg nel Primo Contatto di Cochrane. È essenziale, per la Flotta, padroneggiare il viaggio nel tempo prima che lo facciano gli altri».

   «Una volta, il peggio che poteva capitare a noi poveri mortali era farci ammazzare» commentò Chase, cupo. «Adesso rischiamo di non essere mai esistiti».

   «Esatto, Capitano» disse Grenk, lieto che Chase avesse afferrato la gravità del problema. «Per questo abbiamo condotto studi approfonditi sul viaggio nel tempo, in tutte le forme conosciute finora. Abbiamo cercato un modo per renderlo più sicuro e preciso, rispetto alla tecnica in uso da secoli, che richiede di tuffarsi verso una stella a massima curvatura. Abbiamo studiato tecnologie antiche e moderne: dal Guardiano dell’Eternità ai Cristalli di Bajor, fino ai dispositivi Borg. Quando abbiamo raggiunto i vertici della ricerca, siamo stati, ehm, reclutati dalla Sezione 31» spiegò.

   «In che modo vi ha reclutati?» volle sapere Chase.

   «Signore, se ha avuto a che fare coi servizi segreti, saprà che usano metodi poco ortodossi» rispose il Tellarita. «Dovevamo stare alle loro regole, altrimenti ci avrebbero cancellato la memoria dei nostri studi. Fummo costretti ad accettare. Così finimmo a lavorare in un laboratorio segreto, dove avevamo accesso a varie tecnologie sperimentali».

   «Il laboratorio di Plutone? Ci sono stato» rivelò Chase.

   «Davvero?» si stupì Grenk.

   «Sì, un paio d’anni fa, subito prima di salire a bordo. Fu per la storia dei Parassiti Neurali» spiegò il Capitano.

   «Ecco dove ha pescato quell’albina mezza matta!» fischiò Grenk. «Sapevo che c’era un’Aenar, che collaborava con la Sezione 31, ma non l’avevo mai incontrata. Sì, eravamo proprio su Plutone. Io ero il capo-progetto, ma oltre ai Bynari potevo contare su un’equipe di esperti in meccanica temporale. Costruimmo parecchi prototipi di navette, ma c’era sempre un problema. Quando il nucleo temporale raggiungeva il potenziale di cascata, l’eccesso di energia polverizzava la navetta».

   «Un bel problema» riconobbe Chase. «Come l’avete risolto?».

   «Realizzammo un nuovo prototipo, quello che ora è sull’Enterprise» spiegò Grenk. «Il suo scafo è in tritanio plastificato, che funge da amplificatore per il nucleo temporale, entrando in risonanza con le sue frequenze. Anche così, il nucleo doveva essere ricalibrato, per entrare in risonanza armonica. Il minimo errore avrebbe disintegrato la navetta e i suoi occupanti. Purtroppo questa ricalibratura si rivelò molto più complessa del previsto. Alcuni colleghi misero persino in dubbio che fosse possibile. Dicevano che bisognava riprogettare daccapo l’intera navetta, quegli incapaci!» inveì, ancora risentito.

   «E la Sezione 31 ci ha creduto?».

   «Beh, sì. Erano settimane che non riuscivamo a fare progressi, probabilmente perché eravamo troppo impegnati a litigare» ammise Grenk. «Alla fine, noi tre preferimmo dimetterci. Non so chi sia il nuovo capo-progetto; ma chiunque abbiano nominato della vecchia squadra, sono certo che i lavori su Plutone hanno preso tutt’altra direzione. Ma siamo noi sulla strada giusta, dovevamo solo completare la ricalibratura».

   «E avete pensato di farlo sull’Enterprise» disse Chase, sconcertato. «Mi sbalordisce che la Sezione 31 vi abbia permesso di portarvi dietro il prototipo».

   «Io ne ero informata e avevo l’ordine tassativo di proteggere il segreto» intervenne Terry. «Devo distruggere il prototipo, piuttosto che farlo cadere in mani sbagliate».

   «Non si meravigli troppo, Capitano» disse Grenk. «Molte delle migliori invenzioni della Flotta furono messe a punto su astronavi in missione. Questo la Sezione 31 lo sa».

   «E come avete imbarcato la navetta? Avevo ordinato a Lantora di raddoppiare la sorveglianza, per timore dei Parassiti» ricordò Chase.

   «Gli dissi che era un prototipo, ma senza menzionare il viaggio nel tempo» spiegò Grenk. «Abbiamo finto di testare il nuovo scafo, sa, il tritanio plastificato. Avevamo i permessi in regola, quindi ha dovuto acconsentire».

   «E negli ultimi due anni ci avete lavorato nel tempo libero» concluse Chase, esterrefatto. «Posso sapere come avete risolto quel problema di calibratura, o è una faccenda troppo tecnica?».

   «In effetti è parecchio tecnica» disse Grenk. «Ma le piacerà sapere che sono stati proprio i Tuteriani a offrirci la soluzione. Involontariamente, s’intende».

   «E come?».

   «Con le loro maledette anomalie. In questi due anni ne abbiamo incontrate d’ogni genere» spiegò l’Ingegnere Capo. «Abbiamo trovato anche anomalie temporali e abbiamo analizzato come entrano in risonanza tra loro. Dieci giorni fa, mentre mi rilassavo nel mio bagno di fango, mi è venuta l’intuizione. Siamo riusciti a correggere il problema al nucleo temporale. E così abbiamo messo a punto la prima, vera crono-navetta della Flotta Stellare!» disse, raggiante.

   «E avete già informato la Sezione 31?» chiese il Capitano, fissandolo attentamente. Era la questione cruciale.

   «Non ancora, signore» rispose Terry al posto suo. «Il sistema di Khitomer è troppo affollato. Con tutte queste navi Klingon intorno a noi, non volevamo rischiare che qualcuna intercettasse la trasmissione».

   «Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio» approvò Chase. «Dunque le persone in questa stanza sono le uniche a sapere che il prototipo funziona».

   «Sì, signore» confermò Terry.

   Chase osservò gli ufficiali davanti a lui: Terry, Grenk, i Bynari e infine T’Vala, la responsabile della fuga di notizie. Cinque ufficiali in tutto, sei contando lui stesso. Tutti gli altri erano ancora all’oscuro. Quanto poteva conservare il segreto, prima che l’intelligence ne avesse sentore?

   «Terry, cosa pensa che accadrà, quando la Sezione 31 ne sarà informata?» chiese il Capitano.

   «Di certo vorrà requisire il prototipo» rispose l’IA. «Pretenderà che le consegniamo anche i progetti. E cancellerà le nostre copie, per avere l’esclusiva».

   «Una volta che la navetta sarà su Plutone, la sottoporranno a chissà quanti test» aggiunse Grenk. «Forse ne costruiranno altre, ma non so dirle quando cominceranno a usarle».

   «Prima o poi lo faranno» disse Chase. «Potrebbe essere l’inizio della Guerra Fredda Temporale. Ma come dice lei, è meglio essere preparati, se non vogliamo che qualcuno ci spazzi via dalla Storia» ammise. «Però mi ripugna che sia la Sezione 31 a gestire tutta la faccenda. È un dipartimento molto opaco. Dalla fondazione della Flotta agisce praticamente in autonomia, senza rendere conto a nessuno».

   «I miei archivi storici dicono che risale a prima ancora, all’indomani della Terza Guerra Mondiale, quando le nazioni superstiti confluirono nella Terra Unita» disse Terry. «Per superare l’Orrore Post-Atomico, i servizi segreti ottennero grande libertà d’azione. Quando, un secolo dopo, nacque la Federazione, i servizi terrestri si fusero con i loro omologhi delle altre specie fondatrici. Era nata la Sezione 31, che da allora conserva questa insolita autonomia. Credo che nemmeno la Tal Shiar romulana abbia tanto potere».

   «E ora gli daremo un potere ancora più grande» sospirò Chase. «Non mi piace per niente, ma d’altro canto non possiamo serbare a lungo il segreto. Vorrei solo che il resto della Flotta ne fosse informata».

   «Se pensa di farlo, sappia che la Sezione 31 non reagirà bene» avvertì Grenk.

   «Devo rifletterci» disse Chase. «Nel frattempo procederete coi test. Chiederò a Korris di esaminare quei bio-cilindri che avete testato, e se saranno a posto proveremo con qualche forma di vita più evoluta».

   «Mi offro volontario» disse Grenk.

   «Ehi, piano!» disse Chase, alzando la mano per frenarlo. «Mi riferivo a qualche animaletto, non al mio Capo Ingegnere».

   «Dobbiamo approfittare di questa sosta a Khitomer per ultimare le prove, Capitano» insisté Grenk. «Prima che la Sezione 31 si porti via tutto, devo sapere se la mia navetta funziona davvero. Se può far viaggiare la gente nel tempo».

   «Uhm... quali sono i rischi sulla salute?» chiese il Capitano.

   «In passato i viaggio nel tempo hanno talvolta provocato afasia sensoriale» rispose Terry. «È uno stato confusionale di vertigini, talvolta accompagnate da irritazione e amnesia».

   «I suoi effetti sono temporanei, basta dormirci sopra» sdrammatizzò Grenk.

   «In genere sì» concesse Terry. «Ma in taluni casi ci sono state conseguenze più gravi. L’effetto cumulativo dei viaggi nel tempo può condurre alla psicosi temporale. È una condizione psichiatrica difficile da curare: il soggetto è paranoico, soffre di manie di persecuzione e può diventare violento».

   «Quello accade solo se si esagera coi viaggi. Tutto fa male, in dosi eccessive» insisté Grenk.

   «Comunque faremo qualche esperimento con gli animali» stabilì Chase. «Se tutto andrà bene, potrà pilotare la sua navetta».

   «Pilotarla?» chiese Grenk, a disagio.

   «Certo, faremo i test nello spazio. Non crederà mica che vi farò ripetere gli esperimenti a bordo dell’Enterprise?» chiese il Capitano, tornando arcigno per un momento.

   «Se c’è da pilotare, Capitano, posso farlo io» intervenne T’Vala.

   «Le piace il pericolo?» domandò Chase.

   «No, ma sono la scelta più logica» rispose la mezza Vulcaniana. «Sono una pilota, e sono tra i pochi a conoscere il segreto».

   «Allora ci sarà» accondiscese il Capitano. «Spero che la sua fortuna faccia il paio con la sua logica».

   «La fortuna è illogica, Capitano» notò T’Vala.

   «Sì, era solo per dire. Terry, so già cosa sta per chiedermi» disse Chase, notando che l’IA era sulle spine. «Al resto dell’equipaggio diremo che state testando lo scafo di tritanio... e un dispositivo di occultamento, per spiegare il fatto che vi vedranno svanire. Limiteremo gli spostamenti temporali a pochi secondi, o qualche minuto al massimo. Però ne informerò gli ufficiali superiori: Ilia, Lantora, Korris. Non possiamo lavorare alle loro spalle» aggiunse.

   «Meno gente lo sa, meglio è» disse Grenk con voce fioca.

   «Chissà!» rispose Chase gravemente.

 

   «Punto di discontinuità!» disse la Vate, allarmata.

   «Di che si tratta?» chiese la Primaria, materializzandosi al suo fianco.

   «La Federazione fa esperimenti di viaggio nel tempo. Questo spiega molte delle deviazioni temporali che ho riscontrato ultimamente» rispose la Vate.

   «Non possiamo tollerarlo. Dove avvengono gli esperimenti?» chiese la Primaria.

   «Nel sistema di Khitomer, dove la Federazione complotta per scatenarci contro i Klingon» rispose la Vate.

   «Forse è tempo di cancellare quel sistema stellare» disse la Primaria, meditabonda.

   «Allo stato attuale della guerra, sarà difficile» disse la Messaggera, comparendo accanto alle due. «E poi... se distruggiamo Khitomer, rischiamo di scatenare la reazione opposta, compattando i popoli della Via Lattea contro di noi».

   «Forse non sarà necessario» disse la Vate, speranzosa. «Altri possono distruggere Khitomer al posto nostro».

   «Ti riferisci a quella forza endogena?» chiese la Primaria.

   «Non solo quella» rispose la Vate. «Vedete, non siamo i soli a sondare il tempo. Loro hanno rilevato i tachioni e ora dirigono verso Khitomer a tutta velocità».

   «Che lo facciano» disse la Primaria. «Lasciamo che gli inferiori si sbranino a vicenda, e potremo banchettare sulle loro ossa» si compiacque.

 

   «C’è una cosa che non mi ha ancora detto. Come l’ha chiamata?» domandò Chase. Stava osservando la navetta temporale, assieme agli ufficiali superiori che erano stati informati della sua esistenza.

   «Prototipo 39» rispose Grenk distrattamente, controllando alcuni dati sul d-pad.

   «Tutto qui?» chiese il Capitano, deluso. «Non ha un vero nome?».

   «Signore, questo progetto è così segreto che i prototipi non hanno nome né emblema» spiegò Grenk, alzando la testa dallo schermo. «Hanno solo un numero di registro, che comunque non è segnato a bordo. Questo è il numero 39, l’ultimo che ho costruito su Plutone».

   «Le dispiacerebbe se la battezzassi io?» chiese ancora il Capitano.

   «No, faccia pure» acconsentì Grenk.

   Chase si avvicinò alla navetta, dal bizzarro aspetto geometrico. Sembrava un gruppo di poliedri parzialmente fusi tra loro, un effetto della particolare tecnica con cui era realizzato lo scafo. Tanto la navetta era pensata per l’uso nello spazio, dove l’aerodinamica non contava. Il tritanio plastificato la rendeva impenetrabile ai sensori, oltre a darle quella superficie iridescente, come una bolla di sapone. Era una delle navette più bizzarre che Chase avesse mai visto, nonché una delle più piccole: non superava i cinque metri di lunghezza. Il Capitano passò la mano sullo scafo, sentendo che cedeva lievemente sotto il palmo, come se fosse di gomma.

   «Qualche idea, Capitano?» chiese l’Ingegnere Capo, lievemente divertito dal modo in cui Chase studiava la navetta.

   «Stavo pensando a... Phoenix» disse Chase.

   «Come la prima navicella terrestre a curvatura» notò Terry. «Ritiene che questo prototipo la eguagli per importanza?».

   «Forse» disse Chase. «L’invenzione di Cochrane ha segnato una svolta per l’umanità, l’inizio della vera esplorazione spaziale. Questa navetta potrebbe rendere l’esplorazione del tempo altrettanto facile. Sarà uno sconvolgimento per tutta la Federazione. Sa, ho visto la Phoenix originale, allo Smithsonian, quand’ero ragazzo. È stata un’emozione fortissima, anche se non potevo avvicinarmi tanto da toccarla. Stavolta sono più fortunato» aggiunse, passando la mano sulla superficie elastica.

   «E il fatto di toccarla rende l’esperienza più coinvolgente, per lei?» chiese Terry, perplessa.

   «Oh, sì. Alla maggior parte di noi Organici piace toccare le cose con mano» rispose il Capitano. «Ce le fa sentire più vere».

   «In genere non ho problemi a comprendere le emozioni, ma non sono certa di capire questa» disse Terry, passando a sua volta la mano sulla superficie iridescente. «So già che la navetta è reale e funzionante. Il fatto di toccarla non aggiunge nulla a questa consapevolezza».

   «Prima o poi capirà» sorrise Chase. «Comunque, quando ho suggerito di chiamarla Phoenix, non mi riferivo solo alla navetta di Cochrane».

   «Quindi pensava alla Fenice come creatura mitologica» dedusse T’Vala, avvicinandosi a sua volta.

   «È esperta di antica mitologia terrestre?» si stupì Chase.

   «Ci sono molti pianeti con leggende simili» spiegò la timoniera. «Una creatura alata capace di rinascere dalle proprie ceneri... in un certo senso poteva ingannare la morte» considerò.

   «E sconfiggere il tempo» annuì Chase. «Allora, è sicura di volerla pilotare?» chiese.

   «Sono qui per questo» confermò T’Vala, tranquillissima. «Le prove con materia organica e animali hanno dato esito positivo e non vedo l’ora di sedermi ai comandi».

   «E lei, Grenk? È pronto a farle da copilota?» domandò Chase.

   «Certo, Capitano. La Phoenix è la mia creatura. Voglio esserci, quando spiccherà il volo» confermò l’Ingegnere Capo. Il viaggio previsto era breve, solo un minuto nel futuro; ma era il primo volo con equipaggio.

   «Bene, potete mettervi le tute di volo» disse Chase, accennando ai camerini per i piloti, accessibili direttamente dall’hangar. «Nelle fibre del tessuto ci sono un po’ di sensori, così Korris controllerà i vostri segni vitali. Ah, ho fatto togliere i gradi della Flotta Stellare. E anche i comunicatori. Ci terremo in contatto con gli strumenti della navetta».

   «Perché?» chiese Grenk, consegnando il d-pad a uno dei Bynari.

   «La prudenza non è mai troppa» spiegò Chase. «Se finiste più avanti – o indietro – nel tempo, rispetto ai calcoli, preferisco che non siate immediatamente riconoscibili come ufficiali della Flotta. Dopotutto siamo nello spazio Klingon» ricordò.

   «Logico» convenne T’Vala.

   «Inutile!» rise Grenk. «Una volta impostata la destinazione, è impossibile sbagliare. Non finiremo fuori orario nemmeno di un nanosecondo, figurarsi di anni!».

   «Non contesto i suoi calcoli» assicurò Chase. «Ma preferisco prendere una precauzione inutile, piuttosto che scordarne qualcuna di utile».

 

   Grenk e T’Vala andarono nei camerini, dove trovarono le tute di volo, piegate e pronte all’uso. Erano dei monopezzo neri, con cerniere intelligenti che una volta chiuse diventavano praticamente invisibili. In alcuni punti il tessuto era più spesso, per via dei sensori interni, ma l’irrigidimento era appena percettibile. C’erano anche un paio di tasche, cosa rara nelle uniformi della Flotta Stellare. Come annunciato da Chase, sul colletto non c’erano i gradi e anche i comunicatori erano stati rimossi. Così sembravano tute di volo generiche, del tipo che anche i privati cittadini potevano procurarsi.

   Il Tellarita e la mezza Vulcaniana uscirono dai rispettivi camerini. A vederli, erano una coppia strana e un po’ buffa: lei alta e atletica, lui basso e grassoccio. Il fatto che avessero tute simili, senza nemmeno le abituali differenze di colore, accentuava la diversa corporatura. Considerando anche le orecchie a punta di T’Vala e la lunga barba di Grenk, sembravano quasi un’Elfa e un Nano del folklore terrestre.

   «Buona fortuna» disse Chase, stringendo la mano all’uno e all’altra. «Recatevi alla stessa distanza degli altri test e avvisateci prima di scomparire».

   «Sì, Capitano» promise T’Vala, avvicinandosi alla parte posteriore della navetta. Era di forma esagonale, come una grossa cella d’alveare. Posò la mano sul bordo, azionando il lettore di DNA. Fino a poco prima il lettore ammetteva all’interno solo Grenk e i Bynari. Ma ora che il segreto della navetta non era più tale, l’Ingegnere Capo aveva fatto in modo che anche T’Vala e il Capitano potessero accedervi. Il lettore s’illuminò d’azzurro e ronzò, materializzando un ingresso al centro dell’esagono. T’Vala vi entrò, guardandosi attorno con interesse. L’interno della Phoenix era peculiare quanto l’esterno.

   Trattandosi di una navetta piccola, lo spazio interno era minimo: c’erano solo le seggiole grigie del pilota e del copilota. Anche il quadro comandi era minimalista, poiché la maggior parte delle interfacce era proiettata olograficamente. Dato che lo scafo doveva avvolgere tutta la navetta, per assicurare la risonanza con il nucleo, non c’era nemmeno uno schermo anteriore: provvedeva a tutto l’interfaccia olografica. Le pareti interne erano ancora più iridescenti dello scafo esterno, tanto che sembrava di trovarsi in una gemma sfaccettata.

   «Bell’ambiente» disse T’Vala, anche se le pareti inclinate verso il soffitto la costrinsero a chinarsi lievemente, mentre si avvicinava alle sedie. Si sistemò in quella del pilota e attivò i comandi, compreso lo schermo olografico.

   «I prossimi modelli saranno più spaziosi» promise Grenk, entrato dopo di lei. Chiuse la porta e si accomodò sulla sedia del copilota. Per qualche minuto i due ufficiali si concentrarono sui controlli pre volo.

   «Phoenix a Terry, qui è tutto regolare. Chiedo il permesso di partire» disse T’Vala.

   «Permesso accordato, apro le porte dell’hangar» risuonò la voce di Terry, amplificata dalla piccola cabina.

   Il portone si spalancò, mentre un campo di forza tratteneva l’aria. La Phoenix decollò in silenzio e uscì agilmente dall’hangar, sotto gli occhi di Chase e degli altri ufficiali. Erano tutti tesi, conoscendo l’importanza di quell’esperimento. Mettere a punto il viaggio nel tempo era la chiave per sconfiggere i Tuteriani, sempre che la Sezione 31 non si portasse via la navetta. Mentre il Capitano e gli ufficiali tornavano in plancia, per seguire il volo da lì, la Phoenix si recò a distanza di sicurezza dall’Enterprise.

 

   «T’Vala a Capitano, siamo a 100 km dall’Enterprise» disse la pilota, dopo aver acceso la radio di bordo.

   «Può bastare» rispose Chase. «La Phoenix si comporta bene?».

   «Il timone funziona perfettamente».

   «E il resto?».

   «Tutto bene, Capitano. Sto inserendo le coordinate» disse Grenk, armeggiando con i comandi olografici. «Ci siamo, il nucleo temporale ha raggiunto il potenziale di cascata!» si emozionò.

   «Ci vediamo tra un minuto, allora. Chase, chiudo».

   «Quando vuoi, T’Vala» disse Grenk, con un groppo in gola.

   «Che c’è, temi la tua invenzione?» chiese la pilota, avvertendo la tensione del collega.

   «Un conto è fare dei test a distanza, un altro è starci sopra» ammise il Tellarita. «In realtà non ho idea di che si prova durante il trasferimento».

   «Allora lo scopriremo» disse T’Vala, inserendo la sequenza finale per attivare il nucleo. Al suo fianco, Grenk chiuse gli occhi e strinse con forza i braccioli della sedia. Le pareti della navetta brillarono intorno a loro, più iridescenti che mai, mentre la lega molecolare entrava in risonanza con il nucleo temporale. Si udì un ronzio, che crebbe per alcuni secondi. Un lampo bianco abbagliò i piloti, mentre la Phoenix vibrava. Il ronzio cessò e le pareti si spensero, ma sui comandi olografici rimasero molti tasti lampeggianti.

   «Fatto?» chiese T’Vala guardandosi intorno, come per assicurarsi che lo scafo fosse tutto d’un pezzo.

   «Credo di sì» disse Grenk, azzardandosi ad aprire gli occhi. Era madido di sudore.

   «Mi sono sentita come quando ci si teletrasporta» commentò T’Vala.

   «Anch’io. Temevo peggio!» ammise Grenk. «Allora, il computer dice che abbiamo viaggiato in avanti di un minuto esatto. Nucleo, motori, scafo... è tutto a posto!» si rallegrò, leggendo il rapporto dei sensori.

   «Allora possiamo rientrare» disse T’Vala, aprendo un canale con l’Enterprise. «T’Vala a Enterprise, riteniamo che l’esperimento abbia avuto esito positivo. Potete confermare?» chiese.

   «Affermativo» rispose la voce di Terry. «Avete compiuto uno spostamento temporale in avanti di un minuto esatto. Le emissioni tachioniche sono entro i limiti di tolleranza».

   «Ah ah, che avevo detto? Facile come acchiappare un tribolo!» gongolò Grenk.

   «Chiediamo il permesso di rientrare» disse T’Vala, al suo fianco.

   «Permesso accordato» disse la voce del Capitano. «Questo è un giorno da ricordare. Chase, chiudo».

   «Vorrei solo che fossero di più saperlo!» sospirò Grenk.

   «Un giorno lo sapranno» disse T’Vala fiduciosa, attivando i propulsori. «Dirigo verso... un momento, dov’è l’Enterprise?» chiese, smarrita.

   «Come, si è spostata?» si stupì Grenk, chinandosi sul pannello olografico per leggere i dati dei sensori.

   «Sì, deve averlo fatto durante il minuto che ci siamo persi... anche se non capisco il perché» disse T’Vala, correggendo la rotta. «Prima era a dritta, poco sotto di noi. Adesso invece l’abbiamo a babordo e più in alto».

   «Forse hanno voluto facilitarci l’ingresso nell’hangar» suggerì Grenk.

   «Deve essere così. Rotta inserita» disse T’Vala, dirigendo la Phoenix verso l’Enterprise. La nave ammiraglia tornò ben presto visibile sullo schermo. Si stagliava imponente contro lo sfondo stellato, con lo scafo sinuoso, quasi nero, punteggiato di luci. T’Vala diresse verso l’hangar 5, che si apriva nella parte inferiore della sezione a disco. La sezione era più spessa al centro e più sottile ai bordi, così che in alcuni punti digradava; gli hangar secondari sfruttavano questo dislivello per avere un ingresso frontale. La Phoenix rientrò con la stessa grazia della partenza. Attraversò il campo di forza e atterrò silenziosamente, mentre il portellone le si chiudeva dietro.

   «Bene, bene!» disse Grenk, facendosi scrocchiare le nocche. «Stasera si va tutti a brindare da Raav, offro io!».

   «Te lo sei meritato» ammise T’Vala. «Ma dì la verità, hai avuto paura?».

   «Beh, sai com’è... non si sfida il tempo a cuor leggero» disse il Tellarita, alzandosi. «Sai che certe anomalie temporali possono far invecchiare diversamente le varie zone del tuo corpo? Rischi di trovarti col cervello di un lattante e il cuore di un vecchietto» rivelò, facendo comparire l’uscita sul retro della navetta.

   «Abbiamo corso questo rischio?» volle sapere T’Vala.

   «No... era solo per dire che può accadere l’impensabile, quando viaggi nel tempo» spiegò Grenk, strizzandosi per uscire.

   «Fortunatamente il nostro spostamento è troppo piccolo per creare paradossi» commentò T’Vala, seguendolo all’esterno.

   «Già; niente è cambiato, sulla cara Enterprise... tranne le luci, forse» si stupì Grenk, notando che l’hangar era stranamente buio.

   «Hai ragione, sono molto più basse del solito» confermò T’Vala, guardandosi attorno. «Almeno del 50%, direi. E sono a riflettore... molto fastidioso! Non era così, quando ce ne siamo andati».

   «Anche quei container là in fondo mi sembrano diversi da prima» mormorò Grenk, sentendo una sgradevole stretta allo stomaco. «Erano gialli, non neri» disse, indicando i container incriminati.

   «Erano anche più numerosi e disposti diversamente» aggiunse T’Vala.

   «Sei sicura che questo sia l’hangar 5?» chiese l’Ingegnere, squadrando la collega con sospetto.

   «Ma sì, non posso essermi sbagliata!» rispose T’Vala, punta sul vivo.

   «E devo credere che Terry l’abbia rimodernato in pochi minuti?» insisté Grenk.

   «Questo chiedilo a lei» disse la pilota, turbata. In quella si aprì la porta dell’hangar. Entrarono il Capitano, Ilia e Lantora.

   «Ah, Capitano!» esclamò Grenk sollevato, affrettandosi verso di lui. «La navetta è a posto, però ci chiedevamo cos’è successo alle... luci...». La sua voce si spense in un mormorio incoerente. Anche il braccio dell’Ingegnere, levato verso i riflettori sul soffitto, ricadde fiaccamente. I suoi occhietti porcini si sgranarono. Due passi più indietro, T’Vala dovette appellarsi alla sua metà vulcaniana per nascondere lo sconcerto. Perché il Capitano e gli ufficiali non erano normali.

   Le uniformi avevano un taglio più severo e militaresco. Sul tessuto nero spiccava un comunicatore diverso dal solito. Era dorato e rappresentava la Terra – riconoscibile dai continenti – trafitta verticalmente da un pugnale. I tre ufficiali indossavano guanti neri ed erano armati: ciascuno di loro portava una vibro-lama in cintura. Ma non era questa la cosa più appariscente.

   Il Capitano Chase portava una corta barba, mentre Lantora aveva una metà del viso orrendamente sfigurata, come da ustioni chimiche. Chiunque l’avesse curato, era evidente che non aveva nemmeno tentato di rimediare al danno estetico. L’occhio sinistro era coperto da una benda nera.

   Anche Ilia era diversa, ma in tutt’altro senso. La sua uniforme aveva una generosa scollatura e lasciava scoperto l’addome. La Trill aveva lunghe unghie rosse ed era truccata pesantemente: labbra purpuree, occhi evidenziati dall’ombretto. I capelli, ramati anziché biondi, scendevano morbidamente lungo la schiena e avevano una frangetta sul davanti. T’Vala alzò un sopracciglio: quel look si addiceva a una discoteca, più che a una nave stellare.

   «Che dice, Ingegnere? Le luci sono a posto» disse Chase seccamente. Lo strano aspetto dei suoi ufficiali non lo impensieriva minimamente. Né lo turbava che tutti loro avessero armi da taglio. «Piuttosto, che fine hanno fatto le mostrine dell’Impero Terrestre?» chiese, squadrando con severità i due ufficiali appena scesi dalla Phoenix.

   «Imp... Terr...?» mormorò Grenk, che non riusciva a staccare gli occhi dalle lame.

   «Perdonate, Capitano, ma le abbiamo rimosse» rispose prontamente T’Vala, affiancandosi al collega in difficoltà. «Se ci fosse stato qualche incidente, o fossimo stati attaccati, non volevamo essere immediatamente riconducibili all’Impero».

   «Mi sembra una precauzione eccessiva» commentò Chase. «Chi dovrebbe attaccarci, in questo settore? Certo non i Klingon, visto che li abbiamo sterminati!» ridacchiò. «E con l’Enterprise a vigilarvi, qualunque intruso sarebbe stato distrutto all’istante».

   «Ultimamente alcune navi Breen si sono spinte in questa zona, nel futile tentativo di aprire altri fronti» fece notare Lantora.

   «I Breen sarebbero già stati debellati, se lo Stato Maggiore non avesse tanta paura di questa nave!» disse Chase, girandosi bruscamente verso di lui. «I burocrati dell’Impero credono di potermi tenere lontano dalla guerra... una guerra che io ho iniziato, e che conducevo egregiamente!».

   «Sono dei codardi» trillò Ilia, con una voce in falsetto molto diversa da quella che Grenk e T’Vala conoscevano. «Ti temono perché sei il più grande condottiero dell’Impero, e temono l’Enterprise perché è il più grande arsenale. Sanno a che portano queste cose» disse, accostandosi al Capitano con sguardo malizioso. Non disse “a un nuovo Imperatore”, ma glielo si leggeva negli occhi.

   «Taci» disse Chase, respingendola bruscamente. «Voi due, rimettetevi subito le uniformi» aggiunse, rivolto a T’Vala e Grenk. «Tenente Shil, può riprendere servizio in plancia. Ingegnere, mi aspetto un check-up completo del Basilisk. Quelle radiazioni tachioniche sono ancora troppo intense per i miei gusti».

   «Il Basilisk?» chiese Grenk, girandosi verso la Phoenix. «Ah, ehm, certo».

   «È sicuro di sentirsi bene?» inquisì il Capitano. «È pallido e mi sembra in stato confusionale».

   «In effetti avverto un certo... malessere» ammise Grenk. Sapeva che negarlo sarebbe stato inutile, anzi controproducente.

   «Un effetto dell’esperimento?» si rabbuiò il Capitano.

   «In un certo senso...» annuì il Tellarita, pallido come un cencio.

   «Signore, è possibile che l’Ingegnere e io siamo vittime di afasia sensoriale» intervenne T’Vala, cercando di salvare la situazione. «È uno stato confusionale che può seguire agli spostamenti nel...».

   «Ricordo cos’è» l’interruppe Chase. «L’Ingegnere e il Dottore me ne hanno parlato. Per questo ho voluto che foste voi due a testare il prototipo. Due ufficiali alieni non valgono la metà di un Umano».

   Quell’affermazione fece salire il sangue alla testa a Grenk. Il Tellarita stava per protestare vivacemente, ma T’Vala gli afferrò il polso e glielo stritolò, costringendolo a calmarsi. «Ne siamo consapevoli, signore» disse la mezza Vulcaniana, senza tradire la minima emozione. «Siamo lieti di sacrificarci per l’Impero. Ma forse è meglio che lei si allontani dal Basilisk, finché le radiazioni tachioniche sono così alte».

   «Sì, sarebbe meglio che tutti stessero lontani, per un po’» rincarò Grenk. Lui e T’Vala avevano lo stesso pensiero: se una squadra d’ingegneri avesse esaminato a fondo la Phoenix, probabilmente avrebbe riscontrato qualche differenza con il Basilisk. Poteva essere una discrepanza nella struttura dello scafo, o nella forma delle sedie, o nel software del computer. O magari il Basilisk aveva il simbolo dell’Impero Terrestre disegnato dappertutto.

   «Uhm... tu che ne dici, Trudy?» chiese il Capitano, premendosi il comunicatore. Una proiezione isomorfa apparve immediatamente al suo fianco. Non era l’Intelligenza Artificiale che Grenk e T’Vala conoscevano. Non era Terry, alter-ego dell’USS Enterprise.

   Era Trudy, incarnazione dell’ISS Enterprise. Aveva sempre l’aspetto di una giovane donna umana, dai lineamenti orientali e i corti capelli corvini. Ma non indossava l’uniforme. Il suo corpo tornito era coperto da una griglia informatica, composta da sottili linee blu, che spiccavano sulla pelle azzurra. Alcuni puntini bianchi percorrevano costantemente la griglia, dai piedi fino alla testa, visualizzando il flusso delle elaborazioni. I suoi occhi erano rossi, senza iride né pupilla.

   «Le radiazioni tachioniche sono appena entro i limiti di tolleranza» disse Trudy. «Ma se i soggetti riferiscono i sintomi dell’afasia, può essere opportuno attendere qualche ora».

   «Va bene, aspettiamo dodici ore per sicurezza» disse Chase, scrollando le spalle. «In fondo, l’Impero non è stato costruito in un giorno. Trudy, quando saremo usciti tutti sigilla quest’hangar. Mettici anche delle guardie. Allo scadere delle dodici ore manda una squadra d’ingegneri, per un esame completo del Basilisk».

   «Agli ordini, mio signore» disse Trudy, mettendosi sull’attenti.

   «E le nostre cavie? Forse dovrebbero fare un salto in infermeria» suggerì Ilia.

   «Già, non sarebbe prudente affidare l’Enterprise a due afasici» convenne Lantora.

   «Per oggi vi sollevo dal servizio» stabilì Chase. «Approfittatene per andare in infermeria. Chase a Korris, le mando i due soggetti nel nostro esperimento» disse, premendosi il comunicatore. «Soffrono di disorientamento, afasia sensoriale... quello di cui mi parlava. Li rimetta in sesto e cerchi di capire se c’è pericolo per eventuali piloti umani. Non voglio che un domani i nostri Agenti Temporali scordino la missione appena giunti a destinazione!».

   «Sì, Capitano. Non vedo l’ora di esaminarli!» rispose Korris dal comunicatore. Dal tono di voce sembrava molto allegro. Grenk e T’Vala si scambiarono un’occhiata preoccupata: se il dottore era alla pari degli altri ufficiali, li aspettavano grossi guai.

   «Bene, torniamo in plancia» disse Chase.

   «Sì, mio signore. Terra firma!» salutò Trudy, levando il braccio destro. Si dissolse in quella posa.

   I tre ufficiali superiori guardarono Grenk e T’Vala, come aspettandosi qualcosa. La timoniera pestò discretamente un piede all’Ingegnere Capo e sollevò il braccio destro. Grenk la imitò precipitosamente. «Terra firma!» recitarono all’unisono.

   Chase rispose con lo stesso gesto e girò sui tacchi. Uscì per primo, seguito da Ilia e Lantora. I due collaudatori rimasero soli nell’hangar. Per qualche secondo non si mossero, né dissero nulla.

   «Al mio tre» mormorò infine Grenk, occhieggiando la Phoenix, che aveva ancora la porta aperta.

   «Fermo!» sibilò T’Vala. «Quanto ci vuole, perché il nucleo temporale completi il suo ciclo di ricarica?».

   «Frell! Proprio dodici ore!» bisbigliò Grenk.

   T’Vala alzò gli occhi al soffitto. «Allora non si va da nessuna parte. Probabilmente non usciremmo neppure dall’hangar» aggiunse, accennando alla porta corazzata che precludeva la fuga nello spazio.

   «E allora che facciamo?» chiese Grenk, guardandosi attorno come un animale in trappola.

   «Quel che ha detto il Capitano» sussurrò T’Vala. «Quest’hangar sta per essere chiuso e noi dobbiamo trovarci fuori. Ma prima andiamo a cambiarci, come ha ordinato. E tu chiudi quella navetta!» aggiunse, correndo verso il camerino.

   «Yotz! Questo agli ingegneri del passato non era mai successo!» imprecò Grenk, precipitandosi dentro la Phoenix. «Computer, cancella tutti i dati in tuo possesso sulla Flotta Stellare e la Federazione Unita dei Pianeti» ordinò, digitando frettolosamente alcuni codici di emergenza sui comandi olografici. Si assicurò che i controlli di volo fossero criptati: solo lui e T’Vala potevano sbloccarli. Poi uscì, chiuse la Phoenix e inserì un blocco anche per l’ingresso. Se qualcuno avesse cercato di forzare la navetta, questa si sarebbe autodistrutta. Infine schizzò verso il suo camerino.

 

   Un minuto dopo, i due ufficiali uscirono dai rispettivi spogliatoi. Indossavano le uniformi nere e militaresche dell’Impero Terrestre, con tanto di guanti di pelle e vibro-lama in cintura. Si erano anche appuntati i comunicatori a forma di Terra trafitta, pur sapendo che così Trudy poteva tracciare i loro movimenti. L’inquietante simbolo dell’Impero spiccava anche sulla spalla destra, rosso sangue sul tessuto nero.

   «È troppo stretta, mi sento soffocare!» si lamentò Grenk, tastandosi l’uniforme, che la sua pancia grassa gonfiava fin quasi al limite.

   «No comment!» sibilò T’Vala, con sguardo assassino. La sua uniforme, come quella di Ilia, era alquanto scollata e le scopriva il ventre. «Almeno mi sono tenuta in forma» si disse sconsolata, contemplandosi la pancia piatta e tonica. Peccato che, su una nave come quella, essere attraente poteva solo complicare le cose.

   «Muoviamoci, prima che ci chiudano dentro» consigliò Grenk, trottando verso l’uscita. T’Vala lo seguì di malavoglia, prevedendo così tanti pericoli che non voleva nemmeno contarli.

   Sbucarono nel corridoio, che era molto trafficato. Ufficiali e civili lo percorrevano a passo svelto, concentrati sui loro doveri. Grenk e T’Vala notarono che tutti gli ufficiali avevano una vibro-lama in cintura. Le donne avevano il ventre scoperto, anche se le unghie ad artiglio e il trucco da vamp sembravano una prerogativa di Ilia.

   Come nell’hangar, l’illuminazione era più bassa rispetto allo standard dell’USS Enterprise, e molto meno diffusa. I radi pannelli luminosi emettevano una fastidiosa luce bianca a riflettore. Sulle pareti, a metà altezza, c’era una sottile linea rossa. Correva su entrambi i lati del corridoio, intersecando le interfacce del computer.

   «La sorveglianza di Trudy» disse la voce di T’Vala, risuonando nella testa di Grenk.

   «Che hai...» fece il Tellarita, guardandola con stupore.

   «Ssshhht! Non dire niente!» raccomandò T’Vala. «Ci sono sistemi di sorveglianza ovunque. Ogni gesto e ogni parola fuori posto sono rilevati da Trudy, e sta’ pur certo che non se li dimentica. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo comunicare solo telepaticamente».

   «M-ma io non sono un telepate!» protestò Grenk.

   «Fortunatamente io sì» rispose T’Vala. «Posso trasmetterti i miei pensieri e posso anche cogliere i tuoi, se li esponi in modo chiaro, formulandoli in parole».

   I due ufficiali presero a camminare, mescolandosi alla folla affaccendata, per non destare i sospetti di Trudy. Nel frattempo proseguivano la loro muta conversazione.

   «Non ti facevo così potente, orecchie-a-punta!» pensò Grenk, stupito e ammirato.

   «Grazie. Ma questo giochetto non mi verrebbe così bene, se non avessimo fatto quella Fusione Mentale. Siamo ancora collegati telepaticamente» spiegò T’Vala.

   «Ah, allora farmi strizzare il cervello è servito a qualcosa!» si compiacque Grenk. Ma subito dopo tornò serio. «Dove siamo finiti? Questa gabbia di matti non è l’Enterprise!» pensò, senza nascondere il suo terrore.

   «Non quella che conosciamo» convenne T’Vala. «Da quel che ho capito siamo sull’ISS Enterprise, nave da guerra dell’Impero Terrestre».

   «L’Impero Terrestre? M-ma…» fece Grenk, balbettando mentalmente.

   «Esatto, siamo nell’Universo dello Specchio» confermò T’Vala. «Fra le dimensioni parallele, è una delle più mostruose. Contiene la copia malefica di tutto ciò che esiste nella nostra. Non chiedermi come sia possibile; scienziati e filosofi non hanno mai trovato una risposta».

   «Ma credevo che l’Impero Terrestre fosse crollato secoli fa» obiettò Grenk. «Se ben ricordo, era stato rovesciato da Klingon e Cardassiani».

   «Evidentemente la Fenice non è la sola a rinascere dalle ceneri» pensò T’Vala, cupa. «La Flotta Stellare non ha notizie aggiornate su questa dimensione. Gli ultimi contatti risalgono a un secolo e mezzo fa, e indicavano che i Terrani si stavano ribellando».

   «Terrani?».

   «Qui i Terrestri si chiamano così» spiegò T’Vala. «Avevano riconquistato l’avamposto di Terok Nor, cioè Deep Space Nine, e stavano ricostruendo una flotta in grado di affrontare l’Alleanza Klingon-Cardassiana. Avevano persino respinto la nave ammiraglia del Reggente Worf e collaboravano con la Resistenza Romulana. C’era da immaginarselo, che alla fine si sarebbero scrollati il giogo dell’Alleanza. Purtroppo non hanno saputo fare altro che sostituirlo col loro!».

   I due ufficiali erano giunti davanti a un turboascensore. Sulla porta scorrevole campeggiava in giallo il simbolo dell’Impero, la Terra trafitta verticalmente da un pugnale. Anche i numerosi ingressi che si aprivano lungo il corridoio avevano lo stesso marchio, ossessivamente ripetuto per tutta la nave.

   «Se avessimo sorvolato l’Enterprise dall’alto, quando siamo rientrati, sono certo che avremmo notato il simbolo dell’Impero sullo scafo» pensò Grenk. «Almeno avremmo capito a cosa andavamo incontro». Il turboascensore si aprì, facendo uscire un Tenente umano. Grenk e T’Vala si affrettarono a eseguire il saluto militare. Avevano notato che gli ufficiali lo facevano in continuazione, quando incrociavano un superiore. In genere evitavano di pronunciare il motto, ma anche così quella disciplina esasperata era insopportabile. Il Tenente restituì il saluto e si allontanò senza degnarli di uno sguardo.

   «È proprio un Impero umano-centrico» pensò T’Vala, mentre entravano nel turboascensore. «Gli Umani sono molto più numerosi che sulla nostra Enterprise».

   «E contano più di noi!» aggiunse Grenk, stizzito. «Hai sentito quella brutta copia di Chase? Ha detto che ci ha scelti come collaudatori perché le nostre vite valgono meno delle loro!».

   «Il primo Impero Terrestre si fondava sul terrore» pensò T’Vala, attivando l’ascensore. «Se una specie rifiutava di sottomettersi agli Umani, era sterminata. Interi popoli erano deportati, costretti ad abbandonare le loro leggi e tradizioni… persino il loro linguaggio, per spezzarne il morale e la dignità. Specie antiche e orgogliose come i Vulcaniani furono soggiogate nell’arco di una generazione. Se questo secondo Impero somiglia al primo, non c’è da stupirsi che sia xenofobo. Controlla il tuo temperamento! Qui basta una parola o un’occhiata fuori luogo per finire nei guai».

   Il turboascensore si fermò e i due ufficiali ne uscirono. Imboccarono un altro corridoio, anche quello pieno di gente indaffarata.

   «Come fai a rimanere così frellamente calma? Mi mandi in bestia!» pensò Grenk, notando che la collega sembrava perfettamente a suo agio, mentre lui si sentiva le gambe molli.

   «Disciplina vulcaniana» spiegò T’Vala. «Anche se non ho ultimato il kolinahr, riesco comunque a controllare le emozioni, se occorre».

   «A volte t’invidio» fece Grenk, passandosi la lingua sulla labbra secche.

   «Non è facile neanche per me, va bene? Ricorda che sono mezza Betazoide» pensò T’Vala. «Ma non dobbiamo cedere, o sarà la fine».

   «Mi sentirei meglio se avessimo uno straccio di piano!» ribatté Grenk. «A proposito, dove stiamo andando?».

   «In infermeria, naturalmente. Il Capitano ce l’ha ordinato e Trudy segue i nostri spostamenti con i comunicatori, quindi al primo sgarro siamo frellati».

   «Siamo frellati anche se Korris scopre che veniamo da un altro Universo!» obiettò Grenk. «Hai visto la faccia di Lantora? Questi doppioni hanno avuto una vita più violenta della nostra. Il dottore noterà senz’altro qualche differenza, rispetto alle ultime analisi».

   «A questo c’è rimedio» pensò T’Vala. «Con una breve Fusione Mentale potrei influenzare Korris, trasmettendogli una sorta di comando ipnotico. Potrei convincerlo che le analisi sono in regola, anche se non è così».

   «Ah, splendido!» pensò Grenk, facendo un sospiro di sollievo. «Ma perché dici “potrei”?».

   «Bisogna vedere se avrò modo di effettuare la Fusione senza testimoni».

   «Già!» pensò Grenk, di nuovo in affanno. «Comunque, anche se frelliamo il cervello a Korris, non possiamo nasconderci a lungo su questa nave. Se non sarà Trudy, sarà qualche “collega” a smascherarci. Yotz, non sappiamo nemmeno chi sono i nostri amici qui! E non conosciamo i ruolini di servizio».

   «Dobbiamo informarci al più presto. Ma hai ragione, non riusciremo a nasconderci a lungo. Non con questa sorveglianza maniacale» convenne T’Vala. «Dobbiamo andarcene al più presto».

   «E dove?» chiese Grenk, con una nota di disperazione. «Non basta rubare una navetta qualunque, o teletrasportarci sul primo pianeta abitabile. Questo non è il nostro Universo! Dobbiamo tornare nella nostra dimensione e per farlo ci serve la Phoenix».

   «Questo è compito tuo» gli ricordò T’Vala. «Hai costruito tu la navetta. Hai idea di come ci abbia portati qui? Doveva traslarci nel tempo, non da una dimensione all’altra!».

   «Spazio, tempo e dimensioni sono strettamente intrecciati» spiegò Grenk. «Vediamo... finora lo Specchio è stato visitato in vari modi. Il Capitano Kirk e alcuni suoi ufficiali vi finirono per un incidente di teletrasporto, nel 2267. L’anno dopo, l’USS Defiant svanì in un’interfase di spazio presso il confine Tholiano; si crede che anche quello fosse un varco per lo Specchio. Cent’anni dopo lo Specchio fu visitato a più riprese da alcuni ufficiali di Deep Space Nine. La prima volta fu un incidente, mentre attraversavano il Tunnel Spaziale Bajoriano. In seguito riuscirono a farlo modificando il teletrasporto».

   «Se è così facile viaggiare tra i due Universi, come mai non ci sono più stati contatti?» chiese T’Vala.

   «Difficile dirlo» ammise Grenk, aggrottando la fronte. «Alcuni esperti di meccanica dimensionale ritengono che la barriera fra i due Universi non sia sempre omogenea. In certi luoghi e in certi momenti diviene più permeabile. Evidentemente negli ultimi 150 anni la barriera si era fatta più solida, ma ora le cose sono cambiate».

   «Perché? È un fenomeno ciclico?» chiese ancora T’Vala.

   «Può darsi» rispose l’Ingegnere. «Ma è anche possibile che sia colpa dei Tuteriani, con le loro maledette Sfere. Sono due anni che inondano lo spazio federale di anomalie gravimetriche. E sono due anni che fanno avanti e indietro fra la nostra dimensione e la loro. Tutto questo potrebbe aver… come dire… allentato i confini fra le dimensioni».

   «Perciò anche questa è colpa loro!» commentò T’Vala, esasperata. «Perché non provano a conquistare l’Impero Terrestre, invece della Federazione? Ah, come non detto; l’Impero saprà difendersi meglio!».

   «Dev’essere stato il nucleo temporale a trasferirci» ragionò Grenk. «Ecco perché credevamo che l’Enterprise si fosse spostata! Se riuscissi a capire cos’è andato storto, potrei replicare quel fattore e riportarci a casa. Ma sarà dura, specialmente perché dovrò nasconderlo agli altri ingegneri. Ehi, che ti prende?» chiese Grenk, notando che la collega si era bloccata. Stavolta nemmeno il suo autocontrollo vulcaniano sembrava reggere. Per la prima volta da quando si conoscevano, Grenk vide T’Vala chiaramente spaventata.

   «Ma non capisci?!» pensò la timoniera, fissandolo disperata. «Chase e gli altri ci stavano aspettando! Hanno parlato del Basilisk, la loro versione della navetta temporale. Ci sono stati DUE esperimenti. Due viaggi nel tempo, condotti nel medesimo luogo e istante, nelle due dimensioni. È stato questo a lacerare la barriera. La Phoenix e il Basilisk si sono scambiati di posto. Noi siamo finiti nello Specchio… e ciò significa che…».

   «… i nostri doppioni sono a spasso sull’USS Enterprise» completò Grenk, paralizzato dall’orrore. «E se riusciranno a tornare qui, ci smaschereranno!» pensò atterrito.

   «C’è ancora di peggio» avvertì T’Vala, con gli occhi sbarrati. «Se i nostri sosia tornano qui, informeranno l’Impero Terrestre che la Federazione è debole e pronta a cadere. Sarà l’inizio… dell’invasione». I due ufficiali si fissarono con orrore per lunghi istanti, troppo sconvolti per pensare.

 

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Capitolo 4
*** I Signori del Tempo ***


-Capitolo 3: I Signori del Tempo

 

   «Bentornati» salutò Chase, mentre T’Vala e Grenk uscivano dalla crono-navetta. Con il Capitano c’erano Terry e i Bynari. «Abbiamo rilevato che siete spariti per un minuto esatto. Direi che il test è stato un successo!» si congratulò Chase, porgendo la mano a Grenk.

   «Signore?» fece Grenk, fissando lui e gli altri con occhi sgranati. Anche T’Vala li guardava come se fossero impazziti.

   «Beh, questo lo dicono i sensori di Terry, ma naturalmente vorrei che ci raccontaste com’è stato» disse il Capitano, un po’ stupito dal loro atteggiamento.

   «È difficile a dirsi... somiglia un po’ alla sensazione del teletrasporto» mormorò l’Ingegnere, stringendo meccanicamente la mano a Chase. Aveva l’aria imbambolata: continuava a fissare gli ufficiali come se li vedesse per la prima volta.

   «È sicuro di stare bene?» chiese Terry, osservandolo con attenzione. «Rilevo intensa sudorazione, respiro e battito cardiaco accelerati, dilatazione pupillare. Tutti i sintomi di un forte stress, se non proprio di shock». Studiò anche T’Vala. «In lei i sintomi sono appena percettibili, ma nondimeno presenti».

   «In effetti avverto un certo... disorientamento» ammise T’Vala, guardandosi intorno, come se anche l’hangar le fosse estraneo.

   «Controlleremo i rapporti dei sensori interni della Phoenix...» disse il Bynario 0.

   «... per accertarci che la traslazione temporale non sia stata più traumatica del previsto» completò il Bynario 1.

   «La Phoenix?» mormorò Grenk, voltandosi un attimo verso la navetta. «Eh già, la... la Phoenix. Forse emette ancora troppe radiazioni tachioniche. Credo che dovremmo isolare l’hangar, per un po’».

   «Le radiazioni sono entro i livelli accettabili» osservò Terry.

   «Ma è chiaro che i nostri piloti non stanno bene» si preoccupò Chase. «Sono stato troppo avventato a mandarvi. Servivano altri test, prima di esporvi a una tecnologia così sperimentale».

   «È una semplice afasia sensoriale» disse T’Vala, scambiando un’occhiata con Grenk. «Tra poche ore saremo pienamente ristabiliti».

   «Comunque voglio che andiate subito in infermeria» raccomandò il Capitano. «La Phoenix resterà isolata finché le radiazioni tachioniche saranno scese a zero» aggiunse, avviandosi rapidamente verso l’uscita. Gli ufficiali lo seguirono, compresi T’Vala e Grenk. Una volta fuori, i due collaudatori insistettero per recarsi da soli in infermeria. Anche se era un po’ in apprensione, Chase li lasciò andare. Li guardò mentre si allontanavano nel corridoio, parlottando fra loro. E chiamò Korris al comunicatore, avvertendolo di tenersi pronto.

 

   Tornato in plancia, Chase chiamò gli ufficiali superiori in sala tattica e li informò della situazione dei collaudatori. «Finché Korris non mi dirà come stanno, non ci saranno altri test» disse. «Intanto anche l’hangar resterà chiuso».

   «E pensa d’informare la Sezione 31 dell’accaduto?» chiese Lantora.

   «Non ancora; aspetterò la firma del trattato... se firma ci sarà» disse Chase. Sapeva di non poter temporeggiare più a lungo, ma proprio non gli andava di cedere la navetta ai servizi segreti.

   «Quindi riprendiamo il pattugliamento del sistema?» chiese Ilia.

   «Direi di sì. Non c’è altro, per il momento» rispose Chase. Conclusa la brevissima riunione, il Capitano e gli ufficiali tornarono in plancia. L’Enterprise riprese la sua rotta intorno al sistema di Khitomer, a massimo impulso. Terry scandagliava lo spazio circostante con i sensori, cercando eventuali intrusi.

   «Capitano, rilevo una traccia di curvatura in rapido avvicinamento» avvertì d’un tratto l’IA. «Non corrisponde ad alcuna astronave nota» aggiunse con un certo stupore.

   «Allarme Giallo, intercettiamoli» ordinò Chase.

   «Non sarà difficile; vengono dritti verso di noi» informò Terry. «Viaggiano ad alta curvatura, saranno qui tra pochi secondi».

   «Sullo schermo» ordinò Chase, inquieto. Il suo compito era scortare a Khitomer le navi autorizzate e respingere tutte le altre, ma una traccia di curvatura sconosciuta lo metteva in difficoltà. Quando il vascello apparve, il Capitano sgranò gli occhi.

   L’astronave era diversa da qualunque modello conosciuto. Il corpo centrale era composto da tre sfere semifuse, di colore grigio scuro, di cui quella centrale aveva maggiori dimensioni. Alle estremità si agganciavano complesse strutture radiali, di cui quella anteriore era particolarmente sviluppata. Sei segmenti si ramificavano e poi si protendevano in avanti, riaccostandosi verso la punta, pur senza richiudersi completamente. Due anelli univano i segmenti, rafforzandoli. Questa struttura, da sola, formava metà lunghezza della nave. Le facce interne dei segmenti brillavano di luce blu, come gondole di curvatura, ma la loro funzione non era riconoscibile. Altri settori della nave erano venati dalla stessa luce azzurra, specialmente in corrispondenza dell’altra struttura radiale, più piccola, collocata a poppa. L’insieme era strano e inquietante, ma aveva una sua cupa bellezza. Le forme, per quanto aliene, esprimevano armonia: pieni e vuoti si alternavano in un ritmo quasi musicale.

   «Avete mai visto nulla del genere?» chiese il Capitano.

   «Mai, in nessuna vita» rispose Ilia, perplessa.

   «Terry... c’è niente, nel database della Flotta, che si avvicini a quella cosa?» insisté Chase. L’aspetto della nave lo affascinava, ma gli trasmetteva anche una profonda inquietudine.

   «Negativo, Capitano» rispose Terry. «Ho milioni di configurazioni in memoria, ma non c’è nulla che corrisponda a questo modello. Sto cercando di trovare analogie nei materiali, ma la nave è molto schermata. È frustrante, Capitano».

   «Non si preoccupi» disse Chase. «Siamo viziati da secoli di scoperte e ci aspettiamo di poter identificare subito un vascello alieno. Non siamo abituati ai primi contatti».

   «Quella nave deve venire da molto lontano» notò Lantora. «Strano che sia giunta a Khitomer proprio in questo momento!».

   «Non saltiamo alle conclusioni» disse Chase. «Terry, cerchi di sondarla».

   «Anche loro ci esaminano» avvertì l’IA. «Tento di superare i loro scudi, ma... niente da fare. Nemmeno i miei sensori quantici ce la fanno. Capitano, hanno scudi cronofasici proprio come i nostri» avvertì. In plancia scese il gelo.

   «Sono una tecnologia molto sofisticata» commentò Chase, sentendo un nodo allo stomaco. «Solo le più moderne navi della Flotta ce l’hanno».

   «Richiedono una notevole conoscenza di meccanica temporale» aggiunse Terry.

   «Uhm... quant’è grande esattamente quella nave?» volle sapere Chase.

   «Lunghezza: 1240 metri. Raggio massimo: 310 metri» snocciolò Terry. «Purtroppo non so dirle quante persone ci siano a bordo, né quali siano i loro armamenti».

   «È grande» commentò Chase, sempre più a disagio. «Non quanto noi, ma...».

   «Capitano, ci stanno chiamando» avvertì Grog.

   «Rispondiamo».

   Sullo schermo apparve il comandante della nave aliena. Era umanoide, di età abbastanza inoltrata. I capelli grigi arretravano per la calvizie incipiente. L’unico elemento alieno della sua fisiologia erano due rigonfiamenti sulle tempie, circondati da sezioni di pelle squamata, quasi fratturata. Indossava una severa uniforme marrone, con dettagli neri: i guanti, la cintura, i gradi. Alle sue spalle s’intravedevano alcuni ufficiali, in piedi davanti a pannelli di controllo, simili alle interfacce LCARS. A parte il comandante, tutto il resto era volutamente sfocato, per non dare informazioni sensibili.

   «Salve; siete una nave della Flotta Stellare, non è così? Appartenete alla Federazione Unita dei Pianeti» esordì l’alieno, perfettamente comprensibile.

   «Vedo che ci conosce» rispose Chase, ancora più inquieto. «Sono il Capitano Chase, dell’USS Enterprise. Devo chiederle d’identificarsi immediatamente: questa zona di spazio è interdetta ai visitatori».

   «Veramente? Capitano, sono mortificato; non intendevo violare le vostre leggi» disse l’alieno. «Sono l’Ammiraglio Hortis, della Marina Imperiale Krenim».

   «Ha detto Krenim?» ripeté Chase. Per quanto frugasse nella memoria, questo nome non gli diceva niente.

   «Sì, esatto. La mia nave è in forze all’Impero Krenim» confermò Hortis.

   Chase scambiò una rapida occhiata con Terry. L’IA tacque, ma sembrava allarmata. Del resto gli imperi tendevano a essere aggressivi. Era una triste realtà della Galassia che i regimi dispotici fossero più numerosi delle democrazie.

   «La nostra Federazione ha esplorato una notevole porzione della Galassia» disse Chase. «Conosciamo migliaia di specie, ma non abbiamo familiarità con la vostra. È chiaro che venite da lontano».

   «Può ben dirlo!» esclamò Hortis allegramente. «Il cuore del nostro Impero si trova a 65.000 anni-luce da qui».

   «Dunque avete attraversato metà della Galassia. Notevole!» riconobbe Chase.

   «Sì, siamo i primi Krenim ad esserci avventurati tanto lontano da casa» spiegò Hortis, con palese soddisfazione.

   «Posso saperne il motivo?» domandò Chase.

   «Esplorazione» disse Hortis. «Vogliamo incontrare nuovi popoli. Speriamo di stringere relazioni amichevoli... e chissà, forse anche scambi commerciali».

   Chase diede un’occhiata anche a Ilia. In momenti come quello, la sua esperienza pluri-secolare era di grande utilità. «Prudenza» mormorò la Trill, così piano che Chase dovette più che altro leggerle le labbra. Anche dal suo sguardo era chiaro che non si fidava dei nuovi arrivati.

   «Sono lieto di sapere che venite in pace» disse Chase. «Anche la Federazione crede nell’esplorazione e nella convivenza pacifica. Purtroppo non tutti quelli che abbiamo incontrato la pensano così. Alcuni, di recente, ci hanno dichiarato guerra. Si chiamano Tuteriani o Costruttori di Sfere. Li avete incontrati?» inquisì.

   «No, Capitano» rispose Hortis. «Però abbiamo intercettato alcuni frammenti di trasmissione in cui si faceva il loro nome. Ritiene che siano una minaccia anche per noi?».

   «Sono una minaccia per tutta la Galassia» avvertì Chase. «Da due anni ci colpiscono con anomalie gravimetriche, minacciando astronavi e pianeti».

   «Sì, ne abbiamo incontrate alcune» annuì Hortis. «Fortunatamente la nostra nave ha buoni scudi. Spero che anche voi sappiate difendervi» aggiunse, premuroso.

   «Ce la caviamo» disse Chase. «Comunque i Tuteriani ci hanno attaccato anche con navi da guerra. V’invieremo alcuni dati, così se doveste incontrarne una la riconoscerete in tempo».

   «Molto obbligato, Capitano» disse Hortis. «Posso fare qualcosa per ricambiare? Aspetti... ha detto che questa zona di spazio è riservata. Le propongo di allontanarci un po’, così potremo discutere con più calma».

   «Ottima idea, le invio le coordinate d’incontro» disse Chase, indicando a Terry di trasmettere. «Ci vediamo lì, Ammiraglio».

   «A tra poco. Hortis, chiudo». La nave Krenim si girò lentamente e tornò in curvatura.

   «Terry, trasmetta tutto quel che abbiamo su quella nave alla Majestic» ordinò Chase. «Anche la chiacchierata con Hortis. Se ci stiamo cacciando in trappola, voglio che il resto della Flotta lo sappia».

   «Pensa che i Krenim siano ostili?» chiese Ilia.

   «È presto per dirlo. Ma sembrava lei, quella scettica» notò Chase.

   «La chiami una sensazione» disse la Trill. «Non sappiamo nulla dei Krenim, però loro sembrano conoscerci piuttosto bene. Hanno attraversato mezza Galassia per piombare a Khitomer, proprio in questo momento. È quantomeno sospetto».

   «Siamo certi di non conoscerli?» chiese il Capitano, girandosi verso Terry. «Mi è sembrato che il nome Krenim le dicesse qualcosa».

   «Sappiamo pochissimo su di loro» spiegò Terry. «Sono una bellicosa specie del Quadrante Delta, incontrata dalla Voyager 178 anni fa. In seguito i contatti sono stati quasi inesistenti: solo qualche sonda a lungo raggio ha rilevato la loro attività».

   «Ha detto che sono bellicosi?» chiese il Capitano, apprensivo.

   «Quando la Voyager costeggiò il loro spazio, il loro Impero era quasi crollato sotto una coalizione di numerose specie aliene» spiegò Terry. «Comunque la Voyager non fu attaccata. E in tutto questo tempo i Krenim potrebbero essere cambiati. Forse adesso sono in pace, e sono davvero qui solo per esplorare. Però...» aggiunse, accigliandosi.

   «Continui» la esortò Chase.

   «Esiste un rapporto, sulla missione della Voyager, che non si trova nei database ufficiali. Il dottor Joe, che all’epoca era il Medico Olografico d’Emergenza, me l’ha fornito subito prima che lasciassimo la Terra» rivelò Terry. «Un anno prima che la Voyager raggiungesse i Krenim, una passeggera di nome Kes profetizzò l’incontro. Kes era un’Ocampa, una specie del Quadrante Delta dagli eccezionali poteri telepatici, anche se solitamente non precognitivi. Kes affermò che i Krenim dominavano il tempo ed erano estremamente pericolosi. Disse persino che la Voyager avrebbe trascorso un intero anno nel loro spazio, definendolo l’Anno d’Inferno per i loro continui attacchi. Sostenne che i Krenim avevano siluri cronotonici capaci di perforare gli scudi, una tecnologia che solo di recente la Flotta Stellare ha padroneggiato».

   «Secondo questa Kes, la Voyager come si sarebbe salvata?» intervenne Lantora.

   «Grazie a un missile difettoso, rimasto incastrato nello scafo» rispose Terry. «Permise di rilevare l’esatta varianza dei siluri e progettare scudi temporali con cui proteggere la nave».

   «Ma non andò così» obiettò Chase. «Poco fa ha detto che la Voyager si limitò a costeggiare lo spazio Krenim, senza essere attaccata. Dunque niente di tutto ciò è accaduto».

   «No, Capitano» convenne Terry. «Almeno non in questa linea temporale».

   «Sta insinuando che potrebbe essere capitato in un’altra?» chiese il Capitano, sconcertato.

   «Può darsi» rispose cautamente Terry. «Forse Kes percepì uno dei futuri possibili. Alcune specie, come gli El-Auriani, sono sensibili a queste cose».

   «Mi faccia capire: in un’altra linea temporale, i Krenim hanno perseguitato la Voyager per un anno intero. E in questa niente» disse Chase, scettico.

   «È una congettura, ma sfortunatamente non abbiamo modo di verificarla» ammise Terry.

   «Non so, ho la sensazione che ci sia un tassello mancante» disse Chase, meditabondo. «Secondo Kes, i Krenim dominavano il tempo... e noi abbiamo constatato che hanno scudi cronofasici. Mi chiedo se qualcosa ha alterato la Storia. Forse è un altro capitolo della Guerra Temporale!» disse, colto da un oscuro presentimento.

   «Capitano, Hortis ci sta aspettando» gli ricordò Ilia. «Che facciamo?».

   «Andiamo da lui, ma restiamo in allerta» decise Chase. «Qualunque cosa lo colleghi ai viaggi nel tempo sarà un campanello d’allarme».

   L’Enterprise balzò in cavitazione quantica, giungendo in pochi secondi a una considerevole distanza dal sistema Khitomer. Tornò nello spazio normale a poche decine di km dalla nave Krenim.

   «Capitano Chase, lieto di rivederla» lo accolse Hortis, appena ristabilito il collegamento. «Cominciavo a temere che si fosse perso per strada».

   «È tutto a posto, Ammiraglio» disse Chase. «Vi stiamo inviando informazioni sui Tuteriani, così potrete difendervi meglio. Ricordate che attaccano indiscriminatamente tutte le specie della Galassia».

   «Sì, le abbiamo ricevute» confermò Hortis, dopo essersi chinato a leggere qualcosa sulla consolle più vicina. «Le sono grato, Capitano, e vorrei ricambiarla».

   «Potrebbe rispondere a qualche domanda» disse Chase. «Capirà che ci lascia... perplessi il fatto di vedervi apparire così addentro al nostro spazio, senza avervi rilevati prima».

   «Ah sì, temevamo di fare una cattiva impressione, intrufolandoci così» ammise Hortis. «Purtroppo era l’unico modo. Vede, anche a massima curvatura sarebbero occorsi decenni di viaggio per arrivare così lontano. Perciò abbiamo adottato un approccio diverso».

   «Quale approccio?» volle sapere Chase.

   «La catapulta subspaziale!» esclamò Hortis, orgoglioso. «È una tecnologia aliena acquisita tempo fa, ma che solo di recente abbiamo padroneggiato. Si tratta di costruire un portale, che però non funziona come un wormhole, perché non c’è alcuna struttura ricevente. La catapulta afferra l’astronave e la scaglia ad altissima curvatura. In questo modo abbiamo attraversato mezza Galassia in poche settimane, anche se non abbiamo potuto decelerare, o il viaggio si sarebbe interrotto. Ci siamo fermati in questo settore: sembrava un buon punto, oltre i limiti estremi delle nostre carte astrali».

   «Scusi, ma ci sono degli aspetti poco chiari» disse Chase. «Siete usciti solo adesso dall’alta curvatura?».

   «No, siamo usciti qualche settimana fa» spiegò Hortis. «In questo tempo abbiamo incontrato alcune anomalie e captato frammenti di trasmissione. Abbiamo anche incontrato alcuni mercanti Ferengi, che ci hanno fornito le matrici di traduzione linguistica per i traduttori. E abbiamo sentito parlare della Federazione. Ci hanno detto che siete una vasta unione di specie, riunite in un governo democratico. È la verità?» chiese.

   «Sì» confermò Chase. «La Federazione esiste da 400 anni e comprende circa 300 pianeti, fra mondi natali e colonie».

   «Impressionante!» riconobbe Hortis, e Chase avrebbe giurato che l’ammirazione nel suo sguardo era genuina. «Il nostro Impero ha 1.600 anni. Al suo apice comprendeva 900 pianeti, disseminati su oltre 5.000 parsec» disse disinvoltamente.

   Chase si sentì le vertigini. Possibile che quella specie bellicosa, spuntata dal nulla, fosse tre volte più forte della Federazione?

   «Ma ahimè, sono passati i giorni della nostra grandezza» riprese Hortis in tono nostalgico. «Attualmente l’Impero Krenim è ridotto alla stazza della vostra Federazione. Sapete, è difficile mantenere il controllo di così tanti mondi, per una sola specie» sospirò.

   «Posso capirlo» disse Chase, chiedendosi quante guerre erano servite per dare la grandezza ai Krenim, e quante per strappargliela. Un imperatore parzialmente detronizzato è ancora più pericoloso di uno saldamente al potere. E quale popolo non desidera ritrovare la gloria passata? Ad ogni nuova informazione, i Krenim gli sembravano più pericolosi, malgrado il tono amichevole di Hortis. «Mi dica, la vostra modalità d’arrivo vi obbliga a un lungo viaggio di ritorno?» chiese, cercando di suonare disinvolto.

   «Siamo qui per esplorare, ma speriamo con tutto il cuore di poterlo evitare: impiegheremmo una vita» rispose Hortis. «Nelle nostre stive abbiamo l’occorrente per costruire una catapulta subspaziale. È una struttura esile, quindi siamo riusciti a imbarcare tutte i componenti; ma una volta assemblata sarà grande abbastanza da far passare la nave. Dovrebbe riportarci a casa con la stessa velocità».

   «Dovrebbe?».

   «Speriamo che lo farà. È la prima volta che il mio popolo si lancia in una simile impresa» spiegò Hortis. «Ma ho fiducia nella mia nave e nell’equipaggio».

   «Spero che avrete successo» augurò Chase. «Nel frattempo, se la vostra missione è esplorare questa regione di spazio, penso che la Flotta Stellare ve lo permetterà. A meno che la guerra non convinca i miei superiori a fare altrimenti» si corresse. «In tal caso, potrebbero chiedervi di montare la catapulta e allontanarvi, per la vostra sicurezza».

   «Capisco che state attraversando un momento difficile» disse Hortis, in tono comprensivo. «Ma come le dicevo, la mia nave ha ottimi scudi. Possiamo difenderci dalle anomalie, così come dagli attacchi nemici».

   «E potete contrattaccare?» domandò Chase.

   «Capitano, comprenderà che queste informazioni sono riservate» sorrise Hortis. «La Federazione informa tutti quelli che incontra delle sue capacità offensive?».

   «No» ammise Chase, «però non facciamo mistero di essere armati. Se la sua nave si è spinta così lontano, devo presumere che abbia alte capacità offensive».

   «Come la vostra» notò Hortis. «Credo che siamo simili, Capitano Chase. Se dipendesse da noi, saremmo esploratori... ma sappiamo che a volte bisogna essere soldati. La Galassia è un posto pericoloso».

   «Sì, lo è» convenne Chase. «Il sistema Khitomer, che abbiamo appena lasciato, è off-limits per i prossimi giorni. Ma potrei fornirvi una rotta per esplorare i settori più tranquilli. E potremmo anche scambiarci informazioni sui nostri territori» propose.

   «Sarebbe magnifico!» approvò Hortis. «Per mostrarle che non abbiamo cattive intenzioni, accetterebbe di venire sulla mia nave? Così potremo cenare e discutere. Prenda con sé un paio dei suoi ufficiali e se vuole anche una scorta. In cambio, altrettanti nostri ufficiali verranno sull’Enterprise».

   Chase non si aspettava una simile offerta. Da quel poco che aveva appreso sui Krenim, lo inquietava l’idea di salire sulla loro nave. Ma Hortis si era offerto, in modo cavalleresco, di spedire alcuni dei suoi sull’Enterprise. Era una proposta equa: rifiutarla sarebbe stato scortese o persino paranoico. Chase ripensò ai grandi Capitani del passato, di cui aveva letto le biografie. Quando Archer o Kirk incontravano un’astronave, o scoprivano un nuovo pianeta, andavano personalmente in esplorazione. Anche se dall’altra parte c’erano facce poco raccomandabili, non si facevano bloccare da paure o pregiudizi: partivano all’avventura. Così era stata fatta la Federazione. E lui, che aveva sempre ammirato quei Capitani, ora temeva d’imitarli?

   «Accetto la sua gentile offerta» disse Chase. «I suoi ufficiali saranno trattati con tutti i riguardi».

   «Ottimo!» disse Hortis, soddisfatto. «Fateci avere qualche informazione sulla vostra fisiologia, così staremo attenti a non offrirvi nulla di tossico per cena. E, Capitano... avrei un’altra richiesta, se non le dispiace».

   «Dica pure».

   «Sarebbe così gentile da fornirmi una selezione di musiche del suo pianeta?» chiese inaspettatamente Hortis. «Anche di altri mondi federali, se possibile. Il mio popolo ama la musica, e io in particolare sono affascinato dalle melodie aliene. Trovo che sia un modo eccellente per comprendere la natura delle altre specie. La musica, ancor più dell’arte, è un linguaggio universale».

   «Certo, possiamo senz’altro fornirvi le nostre musiche» sorrise Chase. Quella richiesta era insolita, ma gli faceva ben sperare. Difficilmente un malintenzionato poteva interessarsi alle canzoni terrestri. L’interesse di Hortis sembrava genuino. «L’avverto, però, che la produzione musicale terrestre è sterminata. E altri pianeti federali non sono da meno» aggiunse.

   «Mi accontento di una selezione dei brani più celebri» sorrise Hortis. «In cambio potrei fornirvi un po’ di musica Krenim».

   «Volentieri» disse Chase. «Allora a tra poco». Stabilita l’ora della cena, i due comandanti si salutarono e chiusero la comunicazione.

   «Che ne dite?» fece Chase, rivolto a Ilia e Terry. «Non sembra avere cattive intenzioni. Ci ha persino chiesto della musica».

   «In effetti è stato accomodante... forse troppo» disse Ilia.

   «Solo perché c’è la guerra in corso, non possiamo diventare paranoici verso le nuove specie che incontriamo» obiettò Chase.

   «Ciononostante preferirei andare io al suo posto» affermò Ilia.

   «No, ho già accettato l’invito personale. Se qualcosa andasse storto, voglio che il Primo Ufficiale sia sull’Enterprise. E anche l’Ufficiale Tattico» disse Chase, rivolgendosi a Lantora prima ancora che questi esponesse le sue obiezioni.

   «Allora con chi andrà?» chiese lo Xindi.

   «Uhm...» fece Chase, osservando gli ufficiali che lo circondavano. «Terry, qualche tempo fa mi ha detto che le piacerebbe avere delle missioni sul campo. È pronta ad accompagnarmi laggiù?» chiese, accennando al vascello Krenim che campeggiava sullo schermo.

   «Sì, Capitano» rispose prontamente l’IA. «Penserò a proteggerla».

   «Prenderemo un paio di guardie, per quello» disse Chase. «E come terzo ufficiale... uhm...».

 

   «Come? M-ma io sono un medico, non un ambasciatore!» protestò Korris, quando lo convocarono in sala tattica.

   «Suvvia, sa bene che il suo incarico comprende le missioni sul campo» gli ricordò Chase.

   «Se è per ragioni mediche, sì. Ma non credo ci siano malati, su quella nave» obiettò Korris, indicando l’ologramma del vascello Krenim che galleggiava sul tavolo tattico.

   «Però c’è una specie semisconosciuta. E io devo saperne il più possibile» spiegò Chase. «Quindi voglio essere accompagnato da ufficiali che abbiano l’occhio per i dettagli. Terry osserverà la nave e lei l’equipaggio».

   «Hanno qualche peculiarità?» chiese il dottore.

   «Sì, quelle escrescenze sulle tempie. Sono strane, non avevo mai visto nulla di simile» rispose il Capitano. «Come medico potrà fare domande senza destare troppi sospetti».

   «Non sembrerà strano che lei si faccia accompagnare da un dottore?» chiese Korris.

   «No, perché? Anche Kirk prendeva sempre con sé McCoy, e nessuno ci trovava nulla di strano» disse Chase.

   «Ma vede, sono a un punto culminante di un progetto per aumentare la nostra resistenza alle anomalie» disse Korris, nell’estremo tentativo di evitare la missione. «Sto lavorando con la dottoressa Neelah su un nuovo tipo di nanosonde...».

   «Sì, me ne avete già parlato» tagliò corto Chase. «Lei ha un vasto staff medico che può sostituirla, per quelle poche ore che passerà in missione».

   «Ehm, sì Capitano. Mi scusi. Sono pronto a seguirla» disse Korris, vergognandosi della sua vigliaccheria. La sua pelle grigia assunse una tonalità più rosea. Per un meticcio bajoriano-cardassiano come lui, corrispondeva ad arrossire.

   «Bene, si presenti alle 19:00 in sala teletrasporto 1» disse Chase. Il dottore gli stava simpatico, anche se non era un cuor di leone. Si augurò di non averlo messo in pericolo. Stava per aggiornare la riunione, quando si ricordò di un’altra faccenda. «Dottore, ha visitato i nostri collaudatori?» chiese, notando che non erano presenti.

   «Sì, ma non ho trovato nulla d’anomalo, salvo i sintomi fisiologici dello stress» spiegò Korris. «Parlando con loro, però, ho riscontrato strani vuoti di memoria, sebbene le scansioni cerebrali sembrino in ordine. Potrebbe dipendere dall’afasia sensoriale. Avrei voluto trattenerli, ma hanno insistito per tornare nei loro alloggi. Li visiterò nuovamente domani e vedrò se sono migliorati. Nel frattempo le raccomando di tenerli a riposo».

   «Speriamo che non sia qualcosa di più grave» sospirò Chase.

 

   All’ora stabilita Chase, Terry, Korris e due guardie si presentarono in sala teletrasporto 1. Terry aveva l’Emettitore Autonomo al braccio. Il fatto che lasciasse l’Enterprise non comprometteva l’astronave: ad andarsene era solo una proiezione isomorfa, che al ritorno si sarebbe reintegrata nel processore centrale.

   «Chase a Ilia, siamo pronti» disse il Capitano al comunicatore, quando furono saliti sulla pedana.

   «Ci terremo in contatto» disse Ilia dalla plancia. «Al primo segno di pericolo vi tireremo fuori». Era ancora contraria all’idea di far andare il Capitano.

   «Ottimismo, Comandante!» disse Chase. «Energia» ordinò poi al tecnico del teletrasporto. I cinque ufficiali si dissolsero in un bagliore azzurro, ricomponendosi nella sala teletrasporto della nave Krenim. Nello stesso istante, gli alieni trasferirono cinque dei loro.

   «Enterprise a Capitano, abbiamo gli ospiti» disse Ilia al comunicatore.

   «Qui tutto bene; la richiamerò io» rispose Chase a bassa voce, scendendo dalla pedana. In sala lo attendevano l’Ammiraglio Hortis e una nutrita delegazione Krenim. C’erano sia uomini che donne, tutti con l’uniforme marroncina della Marina Imperiale.

   «Capitano, finalmente posso stringerle la mano» disse Hortis amichevolmente. Si scambiarono una stretta; quella di Hortis era sorprendentemente forte, per la sua età. «Ho ricevuto la trasmissione con le musiche terrestri, grazie infinite!».

   «Se le piaceranno, gliene invieremo altre» assicurò Chase. «Questi sono i miei colleghi, il Tenente Comandante Terry e il dottor Korris Vrel» proseguì. Non disse che Terry era un ologramma, anche se ai Krenim non era certo sfuggito l’emettitore al braccio. Anche Hortis presentò i suoi ufficiali superiori. Il Primo Ufficiale era una Krenim dallo sguardo glaciale e i capelli castani raccolti in una crocchia, che Hortis presentò come Comandante Priim.

   «Lei ha una splendida nave» si complimentò Chase, guardandosi intorno. Le pareti color salmone erano intervallate da interfacce del computer. Nel complesso era sorprendentemente simile a una nave federale. «Ha un nome?» chiese.

   «Certo, non gliel’ho detto?» si stupì Hortis. «Ah, credo di no. Lei è a bordo della Annorax, la mia nave ammiraglia. In patria coordinavo l’attività di molte astronavi, ma per questa missione nello spazio profondo è stato deciso che avrei portato solo questa. Se andrà bene, in futuro altre navi Krenim potrebbero visitare il vostro spazio».

   «Saremmo lieti d’instaurare scambi» disse Chase, mentre si avviavano lungo un corridoio. «La Federazione ha già incontrato potenze del Quadrante Delta, ma finora si era trattato di forze ostili».

   «Eh sì, il nostro Quadrante è pieno di gente poco raccomandabile» disse Hortis, comprensivo. «Chi avete incontrato finora?».

   «I cacciatori Hirogeni sono penetrati gradualmente nel nostro spazio negli ultimi 150 anni» spiegò Chase. «Da allora sono una spina nel fianco. Conoscevamo già specie dedite alla pirateria, ma gli Hirogeni non cercano il bottino. Vogliono proprio uccidere le persone, per farne macabri trofei».

   «Già, le nostre navi pattuglia hanno frequenti scontri con loro» rivelò Hortis. «Per fortuna alcuni clan Hirogeni cacciano gli ologrammi, anziché persone reali. Ma ogni tanto gli torna la voglia di veri trofei!» sbuffò. «Beh, Capitano, troverà che noi siamo più civili di loro».

   «Oltre agli Hirogeni, conoscete altre potenze del nostro Quadrante?» chiese Priim.

   «Abbiamo incontrato i Borg» disse Chase, più cupo. «Hanno quasi messo in ginocchio la Federazione, ma da un pezzo non si fanno più sentire».

   «Ah, quei mostri!» esclamò Hortis. «Anche noi li abbiamo combattuti a lungo. Hanno assimilato interi nostri mondi, perché bramavano la nostra tecnologia. Ma come ha notato, hanno smesso di espandersi».

   «Qualunque informazione aggiornata che può darci su di loro è la benvenuta» disse Chase.

   «Beh, la loro Collettività è stata devastata da virus neurolitici e insurrezioni interne, che l’hanno gettata nel caos» spiegò l’Ammiraglio. «Di conseguenza i Borg hanno subito profonde trasformazioni. Alcune branche dell’Alveare hanno guadagnato l’indipendenza; le altre hanno cambiato i protocolli. Ora i Borg hanno abbandonato l’espansione e raramente escono dai loro confini. Riteniamo che per mantenere costante il loro numero usino tecniche di clonazione, anziché l’assimilazione coatta. Non sappiamo se questo assetto sia definitivo o se è solo una fase transitoria. Occasionalmente abbiamo avvistato alcuni loro vascelli. Adesso hanno uno scafo corazzato, al posto del vecchio groviglio di tubi».

   Mentre Hortis parlava, Terry lo osservava con attenzione. Ogni parola dell’Ammiraglio era registrata nella sua memoria, pronta a divenire rapporto una volta tornata sull’Enterprise. Accanto a lei, anche Korris studiava i Krenim con attenzione. Quelle escrescenze globulari che avevano nelle tempie erano intriganti. Il dottore si stava interrogando sulla loro conformazione cerebrale.

   «Parte della tecnologia Borg sarà caduta in mano ad altre specie» disse Chase.

   «Sì, questa è la conseguenza più grave della debacle Borg» confermò Hortis. «Molti dei loro dispositivi sono caduti in mano a varie specie. Alcune se ne sono servite a scopi medici, altre per la conquista. La tecnologia Borg incontrollata può essere pericolosissima, e in certi casi ha distrutto – o assimilato – i suoi stessi, maldestri proprietari».

   Chase pensò alle fazioni romulane che, all’indomani della distruzione di Romulus, avevano usato la tecnologia Borg per potenziare vascelli come la Narada. Ma la Federazione stessa aveva implementato i suoi vascelli con quella tecnologia, ottenendo velocità maggiori, griglie energetiche più efficienti, scudi capaci di adattarsi e meccanismi di auto-riparazione. Ma ancor più preziose erano le nanosonde Borg che, opportunamente riprogrammate, erano d’enorme aiuto nella ricerca medica. Innumerevoli malattie, sia infettive che genetiche, erano state debellate e la speranza di vita per i cittadini federali era ulteriormente aumentata. Gran parte delle ricerche di Neelah, ad esempio, vertevano sulle nanosonde.

   «Speriamo che la Collettività non torni alle sue vecchie abitudini» si augurò Chase.

   «Speriamo davvero!» convenne Hortis.

 

   Visitarono diversi ambienti, e l’Ammiraglio non lesinò le spiegazioni, anche se era abile a evitare i dati sensibili. Nel complesso l’Annorax sembrava una nave abbastanza ordinaria, anche se la particolare conformazione dello scafo si ripercuoteva sugli spazi interni. I corridoi e le sale erano piccoli, per un’astronave lunga oltre un km. Questo dipendeva certo dalla singolare struttura anteriore, lunga metà nave, su cui Hortis era rimasto vago. Chase notò che la plancia era rimasta esclusa dal giro turistico, ma non lo fece notare. Neanche lui, probabilmente, avrebbe invitato in plancia una specie sconosciuta al primo incontro.

   Infine raggiunsero la sala da pranzo, dove li attendeva una tavola imbandita. Le pietanze avevano un aspetto invitante e profumi deliziosi. Tutto era stato preparato con cura, anche se l’effetto era un accumulo un po’ disordinato. Il tavolo era sovraccarico di vassoi, piatti, bottiglie, bicchieri colorati. Chase si accorse che i Krenim non suddividevano un pasto in varie portate. Tutto era disponibile in tavola fin da subito e ognuno prendeva quel che voleva, senza seguire un ordine prefissato. Il Capitano ne ebbe conferma quando vide che Hortis e i suoi ufficiali si servivano degli stessi cibi in ordine diverso. Era un’usanza insolita, ma interessante. L’esplorazione era fatta anche di queste piccole cose.

   «Gradisce un vino malkotiano?» chiese Hortis. Quando Chase annuì, glielo versò lui stesso. «È uno dei miei preferiti. Va d’accordo con l’arrosto che sta gustando, una specialità dell’Impero Alsuriano» spiegò il Krenim.

   «Musica, buon cibo... lei ha gusti raffinati» notò Chase.

   «C’è chi si lamenta per la mia esterofilia» sorrise Hortis. «Ma credo sia da queste cose che si capiscono le altre culture. I discorsi altisonanti possono ingannare. Ma una sinfonia, o una scultura, o anche una semplice ricetta, non mentono. Esprimono il vero spirito dei popoli. Perciò le propongo un brindisi... a tutto ciò che ci rende unici» disse Hortis, sollevando il bicchiere. I presenti lo imitarono, gustando il vino malkotiano o qualunque cosa avessero nel bicchiere.

   Per qualche momento la conversazione languì, perché i presenti si concentravano sul cibo. Hortis era quello che mangiava di meno, preferendo osservare i suoi ospiti. Studiò in particolare gli accompagnatori di Chase, che fino a quel momento si erano astenuti dalla conversazione. Terry mangiava esattamente come gli Organici che la circondavano. A differenza degli ologrammi di vecchio tipo, era una proiezione isomorfa molto sofisticata, che imitava l’organismo umano fino al livello cellulare. Di fianco a lei, Korris era quello che mangiava con più entusiasmo. Era una buona forchetta, e passata l’ansia dei primi momenti stava apprezzando la cucina del Quadrante Delta.

   «A proposito delle nostre unicità... dottor Korris, ho notato che al suo arrivo lei osservava questi» disse Hortis, picchettandosi i noduli sulle tempie. «Le piacerebbe sapere di che si tratta?».

   «Sì, volentieri» rispose Korris. «Ho incontrato molte specie diverse, ma nessuna con questa caratteristica. Immagino che non abbia una mera funzione estetica».

   «Oh, certo che no!» sorrise Hortis. «Questi gioiellini sono il motivo delle nostre fortune. Sono espansioni della scatola cranica, che accolgono lobi temporali ipertrofici. Lei saprà quali vantaggi comporta per un cervello umanoide».

   «Se la vostra conformazione cerebrale è quella standard, vuol dire che siete abili nel riconoscere e classificare gli oggetti, avete vasta memoria, ottime facoltà linguistiche e un eccellente udito» rispose Korris.

   «Esatto» confermò Hortis. «Siamo anche portati per la matematica, la fisica e la geometria... che io associo alla musica, data la loro intima armonia. Una serie di equazioni ben fatte è come un concerto».

   «Deduco che sono state queste doti innate a permettervi di costruire il vostro Impero» disse Chase.

   «Sono state premesse necessarie, ma non sufficienti» rispose Hortis. «Le nostre fortune iniziarono quando imparammo la disciplina e lo spirito di sacrificio. L’Impero Krenim non è stato fatto in un giorno, sa? Ci vollero generazioni di esploratori, scienziati e generali. Ancora oggi ricordiamo i loro nomi con profonda gratitudine».

   «Come Annorax?» domandò Chase. La personalità di Hortis lo intrigava, perché percepiva in lui una grande profondità di pensiero, ma c’erano aspetti ancora poco chiari. Voleva comprendere meglio il passato dei Krenim.

   «Come dice?» chiese Hortis. Per la prima volta sembrò colpito, forse persino spaventato. Chase capì di aver fatto centro.

   «Ha detto che la sua nave si chiama Annorax. Mi chiedevo se non sia il nome di uno dei vostri eroi» suggerì Chase.

   «Uhm... sì e no» mormorò Hortis, a disagio. «Annorax era un mio antenato. Fu un grande scienziato, ma visse in un’epoca di decadenza. I popoli che avevamo riunito sotto un’unica patria si stavano ribellando. Altri ancora, che ci circondavano, ne approfittarono per attaccarci a tradimento. Rilnar, Garenor, Mawasi, Nihydron, Zahl...» enumerò, contandoli sulle dita. «Più tardi si aggiunsero anche i Vaadwaur, che si erano risvegliati dopo secoli di stasi nel sottosuolo. Noi Krenim lottammo per mantenere il predominio, ma i nemici erano troppi. E troppo stupidi per capire che, mentre l’Impero aveva dato loro la pace, la ribellione avrebbe condotto a guerre interminabili».

   L’espressione di Hortis si era indurita, nel rivangare quei terribili fatti storici. Chase lo osservò con la massima attenzione. L’aveva portato dove voleva, a rivelare qualcosa del passato. E ora scorgeva in lui quel che aveva temuto: il revanscismo di chi non si rassegna ad aver perso il primato.

   «Avevamo un grande Impero, mi creda» proseguì Hortis, lo sguardo distante, perso in chissà quali visioni. «Duecento sistemi stellari, novecento pianeti e migliaia di navi a curvatura per far rispettare legge e ordine. Poche altre potenze, nel Quadrante Delta, potevano rivaleggiarci. Ma ahimè, un simile Impero era anche fragile, perché il suo mantenimento era legato a un’infinità di fattori politici, economici e culturali. Il minimo squilibrio ne generava altri a cascata. Ogni volta che riuscivamo a risolvere un problema, se ne apriva un altro. E così la nostra gloria ne fu sminuita. Il periodo peggiore fu tra 400 e 200 anni fa, quando perdemmo gran parte dei sistemi stellari. Negli ultimi tempi ci siamo un po’ ripresi, rivedendo le nostre strategie e i modelli di sviluppo. Ma ancora oggi controlliamo solo un terzo di ciò che era nostro in passato» concluse malinconicamente.

   «E Annorax che fece per essere ricordato?» incalzò Chase.

   «Oh, lui? Era uno scienziato, come le dicevo. Visse con la sua famiglia sulla più remota colonia dell’Impero, Kyana Primo. Progettò astronavi e tecnologie incredibilmente all’avanguardia. Se avesse completato i suoi calcoli... se l’Impero gli avesse badato di più... la Storia avrebbe seguito un altro corso. Ma forse era troppo in anticipo sui tempi» concluse Hortis.

   «Un genio incompreso, insomma?» disse Chase.

   «Sì, esatto! Pensi che ho costruito questa nave basandomi sul suo più grande progetto, rimasto incompiuto!» si animò Hortis.

   «Ammiraglio...» mormorò Priim. Anche gli altri ufficiali Krenim sembravano a disagio.

   «È tutto a posto, Comandante. Non c’è ragione di tacere questi fatti ai nostri ospiti» riprese Hortis, con più calma.

   «È per questo che, al nostro arrivo, ci ha chiesto se conoscevamo altri popoli del Quadrante Delta» disse Chase. «Temeva che avessimo sentito le loro versioni dei fatti».

   «Lo confesso. Ma conoscete poche specie, e non delle più loquaci» rispose Hortis.

   «In realtà abbiamo qualche informazione in più sul vostro Quadrante» disse Chase, avvicinandosi al punto più delicato. «Quasi due secoli fa, una nostra nave fu scagliata da una forza aliena all’estremità opposta della Galassia e dovette tornare faticosamente a casa» rivelò Chase. «Si chiamava Voyager. Questo nome le dice niente?».

   «Non mi pare» fece Hortis, impassibile.

   «Probabilmente è un dettaglio storico insignificante per voi» disse Chase. «La Voyager lambì il vostro spazio durante il viaggio di ritorno. Fortunatamente non fu attaccata, anche se era un periodo di conflitti. Poco prima di salire sulla sua nave, ho consultato gli archivi storici al riguardo. Credo sia stato il primo contatto fra i nostri popoli».

   «La Voyager. Uhm... consulterò i nostri archivi, per vedere se c’è memoria del suo passaggio. Sarebbe interessante... come curiosità» disse Hortis.

   «Sì, molto» convenne Chase. Da quando aveva nominato la Voyager, l’atmosfera si era raffreddata. Gli ufficiali Krenim avevano smesso di mangiare e stavano rigidi, come in attesa di ordini. Lo stesso Hortis, pur mantenendosi garbato, appariva in qualche modo più duro e distante. Per un attimo, Chase scorse una scintilla d’odio nel suo sguardo.

   «Plancia ad Ammiraglio. Si sta avvicinando una nave da guerra». La voce proveniva da un minuscolo comunicatore, installato sul polso dell’uniforme di Hortis.

   «L’avete identificata?» chiese Hortis con calma.

   «È un vascello Klingon, signore».

   «Vengo subito» disse Hortis, alzandosi. «Signori, temo che la cena sia finita. Il dovere mi richiama in plancia».

   «Ammiraglio, se sono i Klingon è meglio che mi mostri a loro» suggerì Chase.

   «La ringrazio, ma posso cavarmela da solo» rispose Hortis, in tono freddo.

   «Lei non conosce i Klingon, e loro non conoscono la sua gente» avvertì Chase. «Se pensano che stiate spiando Khitomer, reagiranno con la violenza».

   «Spiegherò loro che non abbiamo cattive intenzioni».

   «Conosco i Klingon meglio di lei, perciò mi creda se le dico che difficilmente staranno a sentire» ammonì Chase. «Ma se vedono che sono sulla sua nave, si calmeranno».

   «E va bene, seguitemi» cedette Hortis. Krenim e federali lasciarono in fretta la mensa e si recarono in plancia.

   Era un ambiente piccolo, come tutti quelli a bordo. Così piccolo che Chase cominciò a chiedersi che cosa costituisse la massa principale dell’astronave. La sedia di Hortis era come sprofondata fra due imponenti quadri comandi, uno davanti e l’altro dietro. Gli altri ufficiali stavano in piedi, o su piccoli sgabelli davanti alle pareti, dove erano allineati i pannelli di controllo dei vari sistemi. C’erano due grandi schermi, uno sulla parete di fronte e uno sul retro. Stranamente quello sul retro era disattivato.

   «I Klingon ci chiamano, Ammiraglio» disse l’addetto alle comunicazioni.

   «Sullo schermo» ordinò Hortis, sedendo in poltrona. Chase gli andò a fianco, per essere inquadrato. Sullo schermo apparve un massiccio incrociatore di classe Kuvah’magh. Lungo 1.600 metri, era una delle più agguerrite navi da guerra dell’Impero Klingon.

   «Nave aliena, qui è il Capitano Murek, dell’incrociatore Martok. Avete violato il nostro spazio; identificatevi immediatamente!» intimò il capitano Klingon, non appena fu aperto il canale. Chase si rese conto che i Klingon avevano mandato la loro ammiraglia. Forse era stato il Cancelliere in persona a inviarla da Khitomer.

   «Sono l’Ammiraglio Hortis dell’Impero Krenim, mi trovo qui in esplorazione pacifica» fu la risposta. «Non intendevo violare i vostri confini senza autorizzazione, e me ne dolgo profondamente. Ma siamo nuovi di questa regione di spazio. Vogliamo essere in buoni rapporti con voi, come con la Federazione. A riprova della nostra buona fede, ho invitato a bordo il Capitano Chase dell’Enterprise».

   «Capitano, è davvero lei?!» si stupì Murek.

   «Certo, e confermo di essere qui come ospite dell’Ammiraglio» disse Chase. «Avrà notato che l’Enterprise è qui fuori».

   «Sì, ma non pensavo che l’avesse lasciata» mugugnò Murek. «Da dove vengono i suoi nuovi amici?».

   Mentre Chase e Hortis cercavano di far ragionare il sospettoso Klingon, Terry scivolò discretamente alle loro spalle. La postazione comandi dietro la poltrona di Hortis era libera. Nessuno ci stava lavorando e nessuno la guardava: erano tutti concentrati sui Klingon. Da quando erano saliti sulla nave Krenim, Terry aveva osservato ogni dettaglio con la massima attenzione, come le aveva ordinato Chase. Adesso che un imprevisto li aveva portati in plancia, doveva approfittarne. Nella sua mente elettronica, l’ordine di Chase di osservare tutto si fuse con la sua naturale curiosità, formando una direttiva insolitamente potente. Doveva osservare, scoprire! Niente doveva restarle celato! Anche perché, da quando era a bordo, aveva cercato di capire come fossero organizzati gli spazi interni della nave, confrontati con il volume esterno. Era giunta alla conclusione che, con stanze così piccole, gran parte della nave restava inutilizzata. O meglio, gran parte della nave era devoluta a qualcosa che Hortis non aveva voluto mostrare.

   Terry attese che tutti fossero concentrati su qualcos’altro, fosse il Capitano Murek o i pannelli di controllo alle pareti. E mise le mani sul quadro comandi che aveva davanti. La scrittura Krenim era complessa, ma la sua matrice di traduzione la stava già decodificando. L’IA richiamò le schermate precedenti. E sotto i suoi occhi, i comandi cambiarono totalmente.

   Apparve un intricato grafico, che mostrava decine di linee azzurre sovrapposte. Alcune si perdevano ai margini del diagramma, altre formavano dei robusti fasci. Sembrava una proiezione, ma di che cosa? Tradusse il titolo: Simulazione linee temporalirestaurazione dell’Impero: 35%. Allarmata, Terry notò che i principali intrecci di linee erano evidenziati da punti. Premendoli, comparvero i nomi delle specie aliene che Hortis aveva citato come nemici dei Krenim. Ma c’era anche il nome di Annorax, in uno dei due principali intrecci di linee. Cos’era l’altro? Terry ci cliccò sopra e lesse il nome Voyager. Lo premette, disattivandolo. E fece ripartire la simulazione. Le linee ne furono stravolte. Un nuovo, robusto fascio si radunò e corse in avanti. Il nome Annorax campeggiava al centro. Apparve un nuovo titolo: restaurazione dell’Impero: 98%.

   A differenza degli Umani, Terry aveva una vista fotografica. Ogni dettaglio di quelle complesse schermate le era rimasto impresso nella memoria. Un altro vantaggio era che la sua vista periferica funzionava meglio di quella umana. Per questo si accorse che la Krenim di nome Priim si stava voltando. In un attimo chiuse la schermata e ritirò le mani dal pannello. Le nascose dietro la schiena e fissò lo schermo principale, su cui Murek continuava a discutere.

   «E va bene. Se Chase garantisce per voi, vi risparmierò l’ispezione» disse il Klingon. «Però dovete allontanarvi di altri 5 parsec da Khitomer!».

   «Se insiste...» sospirò Hortis. «Mi dia il tempo di riportare i miei ospiti sulla loro nave».

   «Avete cinque minuti. Non un secondo di più!» sentenziò Murek, e disattivò la comunicazione.

   «Che essere incivile. Tutti i Klingon sono così?» chiese Hortis.

   «Solo quando sono di buon umore» rispose Chase.

   «Come faranno a mandare avanti il loro Impero?» si domandò l’Ammiraglio. «E va bene, accontentiamo il suo irascibile amico. Vi rimando sull’Enterprise con un teletrasporto diretto».

   Chase si premette il comunicatore e informò la sua nave degli ultimi sviluppi. «Ricevuto, siamo pronti» gli rispose Ilia.

   «Bene, è il momento di lasciarci» disse Hortis. «È stata una bella esperienza, sono lieto di averla conosciuta» aggiunse, porgendogli la mano.

   «Lo stesso vale per me» rispose Chase, ricambiando la stretta. «Passata questa fase critica, è probabile che ci rivedremo. La Federazione vorrà stringere rapporti diplomatici col suo popolo. Potremmo anche scambiarci degli ambasciatori».

   «Mi piacerebbe» disse Hortis, con una strana nota di tristezza. «Comunque vada, sono certo che ci rivedremo presto».

   I federali si raggrupparono, pronti al teletrasporto. «Energia» disse Chase al comunicatore. I cinque ufficiali svanirono in altrettanti bagliori azzurri.

   «Sala teletrasporto ad Ammiraglio, abbiamo i nostri» giunse la voce di un tecnico al comunicatore.

   «Su gli scudi» ordinò Hortis.

   «Vuole davvero allontanarsi, come ha preteso quell’animale?» chiese Priim, accennando alla nave Klingon.

   «Quel Capitano d’astronave, vorrà dire» corresse Hortis. «Sì, voglio proprio andarmene. O preferisce uno scontro con la sua nave? Legga il rapporto sensori: i suoi armamenti sono ragguardevoli» riconobbe. «Se i Klingon sono così territoriali, vorrà dire che ci addentreremo nello spazio federale. Timoniere, rotta 265.87. Massima curvatura» ordinò, consultando la consolle davanti a lui.

 

   Chase rientrò in plancia in tempo per vedere l’Annorax che manovrava. Le venature azzurre nella parte posteriore della sua struttura emisero una luce più intensa, come se stesse energizzando i motori. Ci fu un lampo e la nave Krenim scomparve.

   «Sono partiti a curvatura 9» rilevò Terry. «Si addentrano nello spazio federale».

   «La Martok ci chiama» disse Grog.

   «Sullo schermo» ordinò Chase, sedendo in poltrona.

   «Buon per voi che quegli stranieri abbiano fatto dietro-front!» esordì Murek. «Se non era per noi, avrebbero ronzato intorno a Khitomer per chissà quanto».

   «Si chiamano Krenim e vengono dal Quadrante Delta» precisò Chase. «Il loro Impero è molto potente, quindi se fossi in lei li tratterei con garbo. Non sappiamo quanti altri ci faranno visita, in futuro».

   «Ha detto il Quadrante Delta?» si accigliò Murek. «Che ci fanno qui?».

   «Esplorazione, dicono».

   «Lei gli crede?».

   «Sono salito sulla loro nave per appurarlo».

   «E quindi?».

   «Sono stati cordiali, ma è presto per trarre conclusioni».

   «Finché i Krenim resteranno nel vostro spazio, non è affar nostro» disse Murek. «Ma con la guerra in corso, non tollereremo che violino i nostri confini».

   «Capitano, la guerra non ci autorizza ad essere paranoici nei confronti delle altre specie» argomentò Chase. «Ma cercheremo di tenerli d’occhio».

   «È il minimo che possiate fare. Murek, chiudo!». Terminata la comunicazione, l’incrociatore Klingon fece inversione di rotta e tornò a Khitomer. Chase si massaggiò le tempie.

   «I Krenim le sono davvero parsi amichevoli?» chiese Ilia.

   «A parole, sì» disse Chase. «Ma giurerei che ci stanno nascondendo qualcosa».

   «Lei ha ragione, Capitano... ed è qualcosa di orribile» disse Terry, seduta al suo fianco. «Ho completato il reintegro con la mia copia. Ho tutte le memorie della missione» spiegò.

   «Cos’ha notato?» chiese il Capitano, sulle spine.

   «I Krenim hanno la stessa tecnologia predittiva dei Tuteriani» rivelò Terry. «Ma credo che vogliano spingersi ancora oltre. Non si accontentano di prevedere il futuro. Vogliono la capacità di manipolare a piacimento anche il passato, per riportare in auge il loro Impero».

 

   «Mantenere rotta e velocità. Io vado nel mio ufficio. A lei il comando, Priim» disse Hortis, lasciando la plancia. Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, l’Ammiraglio inspirò a fondo e si stiracchiò leggermente. Come la maggior parte degli interni, anche il suo ufficio era piuttosto angusto. Dietro la scrivania si apriva una finestra ovale, simile a un occhio spalancato, che dava direttamente sullo spazio trapunto di stelle. Hortis sedette, girò la poltrona e si mise a osservare il firmamento.

   «Computer, portare le luci al 30%» ordinò stancamente. Le luci calarono, rendendo meglio visibili le stelle. Di solito Hortis trovava la loro vista rilassante. Ma stavolta non trovava pace, perché sapeva cosa attendeva in agguato, al di là di esse.

   «Perché hai preso contatto con i federali? È stato sciocco e avventato!» disse una fredda voce femminile alle sue spalle.

   «La cortesia vuole che si bussi, prima di entrare. Specialmente se si tratta del mio ufficio» ammonì Hortis, senza voltarsi.

   «La mia cortesia fa sì che sia qui a parlarti, invece di spedirti contro dieci Dreadnought» rispose la Messaggera dei Tuteriani, avvicinandosi alla scrivania.

   «Osi minacciarmi, sulla mia nave?!» s’indignò Hortis, girando la poltrona. La Messaggera era proprio davanti a lui, solo la scrivania li separava.

   «Sarà anche la tua nave, ma si trova in un Quadrante che, ogni secondo di più, diventa nostro» rispose la Messaggera, sorridendo sinistramente. «Ti sei già imbattuto nelle anomalie, vero?».

   «Questa nave ha scudi adeguati» rispose Hortis.

   «Sì, e un formidabile armamento» riconobbe la Messaggera. «Se il tuo Impero avesse tutte navi come questa, non si dibatterebbe fra tanti problemi. Ma devi guardare in faccia la realtà. I nemici vi assalgono da tutte le parti e l’Impero Krenim non tornerà mai allo splendore di un tempo. Questa nave non sarà mai come quella di Annorax. Tu non sarai mai come lui... se non accetti la mia offerta».

   «Ci ho riflettuto».

   «E quindi?».

   «Devi dirmi di più. Al nostro primo incontro dicesti che potevi aiutarmi a completare i calcoli di Annorax, se io aiutavo te contro la Federazione» affermò Hortis.

   «Infatti è così» confermò la Messaggera, passeggiando avanti e indietro per l’ufficio. «E in parte l’ho già fatto. Sono stata io a mostrarti che la tua teoria è esatta, ricordi? È esistita una linea temporale in cui Annorax completò la sua nave-arma. Divenne così potente che poteva cancellare a piacimento interi pianeti e civiltà, come se non fossero mai esistiti. Li eliminava, li ripristinava e poi li cancellava di nuovo, secondo quel che riteneva meglio per l’Impero Krenim. Nessuno, all’infuori di lui e del suo equipaggio, poteva accorgersi che la Storia era cambiata, perché solo la sua nave-arma era protetta dalle alterazioni. Arrivò a un soffio dal ripristinare l’Impero Krenim. Ma i suoi calcoli furono scombussolati da un elemento alieno...».

   «La Voyager» disse Hortis con astio. «Il Capitano Chase l’ha nominata. Ha ammesso che apparteneva alla Federazione».

   «Fu la Voyager che mandò a monte le previsioni del tuo avo» disse la Messaggera, con voce carezzevole. «Scoprì la nave-arma e la danneggiò tanto da destabilizzare il nucleo. Questo provocò un’incursione temporale all’interno della nave stessa... che si auto-cancellò dalla Storia. Ecco perché, nel nuovo corso, Annorax non ha mai ottenuto la grandezza che meritava. Vuoi fare la sua stessa fine? Vuoi avere tra le mani la possibilità di ricostruire l’Impero, e fartela sfuggire per una fugace debolezza?».

   «Io non intendo fallire» disse Hortis, cupo.

   «E allora lascia che ti aiuti!» esclamò la Messaggera. «I nostri popoli hanno sviluppato, in modo indipendente, tecnologie molto simili. Di tutte le specie della Via Lattea, voi siete i soli che ci somiglino. Questo ci rende alleati naturali».

   «Ma la Federazione si sta alleando con i Klingon» obiettò Hortis. «Tu mi chiedi di dichiarare guerra non a una, ma a due potenze».

   «La Federazione non si alleerà coi Klingon» promise la Messaggera. «Me ne assicurerò personalmente».

   «E in cambio mi aiuterai a completare i calcoli di Annorax?» chiese Hortis.

   «Mettendo assieme le nostre conoscenze, riusciremo a scoprire il segreto» sostenne la Messaggera. «La tua nave diverrà potente come la sua. Ora puoi solo distruggere i bersagli. Ma presto potrai cancellarli dalla linea temporale!».

   «E cosa v’impedirà di riservarci lo stesso trattamento, quando non vi serviremo più?» obiettò l’Ammiraglio.

   «Il fatto che quest’alleanza è indispensabile a entrambi» rispose la Messaggera. «Pensaci! Attualmente la Galassia ospita migliaia di specie in conflitto. Ma quando avremo trionfato, sarà tutto diverso. Noi governeremo gran parte dei Quadranti Alfa e Beta. Voi, invece, sarete i padroni assoluti del Delta. Insieme saremo le maggiori potenze galattiche. Nessun altro sarà al nostro livello, perché se ci provasse, noi lo cancelleremo dalla Storia. Sarà la fine dei conflitti. Sarà finalmente... la pace». I suoi occhi scintillarono di riflessi metallici.

   «Una guerra per porre fine a tutte le guerre» disse Hortis, ironico. «Ho già sentito questo discorso. Non funziona mai».

   «Stavolta funzionerà, grazie al controllo del tempo e della Storia!» esclamò la Messaggera. «Noi libereremo la Galassia dal circolo vizioso delle vendette. Saremo il Fronte di Liberazione Temporale» disse, e Hortis si sentì tremare, come se una mano gelata gli afferrasse la spina dorsale.

   «Noi possiamo anche imporre la pace ai nemici sconfitti» argomentò l’Ammiraglio. «Ma voi li state sterminando con le anomalie».

   «A fine guerra, raggiungeremo un equilibrio» disse la Messaggera. «Chi si sottometterà sarà lasciato vivere entro bolle di spazio non trasformato».

   Hortis sentì, in cuor suo, che questa era una menzogna. Si chiese se lo era anche il resto. «Comunque è un peccato che abbiate decretato la rovina della Federazione. La sua capacità di far convivere diversi popoli è encomiabile» riconobbe.

   «Non simpatizzare troppo coi nostri nemici» ammonì la Messaggera. «A proposito, non hai ancora risposto alla mia domanda. Perché hai preso contatto con Chase? E come ti è saltato in mente d’invitarlo a bordo?!» aggiunse stizzita.

   «Sono libero d’invitare chi voglio sulla mia nave» ribatté Hortis. «E finché non avrò dichiarato guerra alla Federazione, devo accoglierne gli ufficiali col rispetto che meritano».

   «Ma perché hai voluto conoscerlo?» insisté la Messaggera.

   «Per verificare se le informazioni che mi hai dato sulla Flotta Stellare corrispondono al vero» rispose Hortis, alzandosi. Girò intorno alla scrivania e si accostò alla Messaggera. Il corpo dell’aliena si trasformò per un attimo in un’indistinta sagoma opaca, ricordandogli che era solo un’immagine, proiettata da un’altra dimensione.

   «Non ti fidi di me? È deplorevole» disse la Messaggera, mentre la sua immagine tornava a fuoco. «Ma se hai parlato coi federali, avrai capito che le mie informazioni sono corrette».

   «Lo sono» ammise Hortis.

   «Quindi ci aiuterai?» lo pressò la Messaggera.

   «Non dipende solo da me, capisci? Ho un Imperatore a cui rispondere» le ricordò Hortis.

   «Suvvia... sappiamo che il vostro Imperatore ha un ruolo puramente cerimoniale» sorrise la Tuteriana. «Sono i militari ad avere il potere, e tu sei l’Ammiraglio più in vista. Se la tua esplorazione avrà successo, lo Stato Maggiore ti avallerà. Ebbene?».

   «Dammi ancora qualche giorno di tempo» disse Hortis, tornando a sedersi.

   «Il tempo non aspetta!» protestò la Messaggera. «Che devi fare ancora di tanto importante, per degnarmi di una risposta?».

   «Devo ascoltare la musica terrestre» rispose Hortis, malinconico. Girò nuovamente la sedia verso la finestra panoramica, dando le spalle alla Messaggera. «Puoi andare» la congedò.

   La Messaggera restò a bocca aperta. Sollevò la mano, richiamando un vortice d’energia distruttrice, ma poi la lasciò ricadere. Era lì solo per immagine: il vortice avrebbe attraversato Hortis senza ferirlo minimamente. «Divertiti pure con quelle sciocchezze. Ma non troppo a lungo. Tornerò presto, e allora dovrai rispondermi» sibilò. Svanì silenziosamente, com’era apparsa. Hortis la tenne d’occhio nel riflesso della vetrata, finché non si fu dissolta del tutto. Solo allora lasciò andare un sospiro.

   «Computer, fammi sentire qualcosa... di Beethoven» disse, meditabondo.

 

   «Sono notizie molto gravi» disse l’Ammiraglio Nelscott, intrecciando le dita. Chase e Terry gli avevano appena fatto rapporto, nell’ufficio del Capitano. «L’ultima cosa che ci serviva era un’altra specie con tecnologia temporale. È certa di aver interpretato bene quel pannello?» chiese a Terry. «Dopotutto era scritto in lingua Krenim... potrebbe aver preso fischi per fiaschi, se mi passa l’espressione».

   «Ritengo che la mia matrice di traduzione abbia sufficientemente decodificato la loro scrittura da non farmi cadere in simili equivoci» rispose Terry. «Quel grafico illustrava possibili linee temporali. È indubbiamente la stessa tecnologia padroneggiata dai Tuteriani. Osservi». Si avvicinò a uno schermo sulla parete e vi fece apparire il diagramma azzurro.

   «Quella sarebbe l’interfaccia che ha visto sulla nave Krenim?» chiese Nelscott.

   «Esatto. E queste sono le operazioni che ho eseguito» disse Terry, avviando il filmato. Tutto ciò che aveva visto sulla Annorax era registrato nella sua memoria, con la precisione di una telecamera. Con un puro atto di volontà, senza nemmeno toccare i comandi, poteva richiamare la registrazione. Poteva anche riavviarla, fermarla a piacimento, ingrandire i dettagli. L’unico intralcio era che, siccome la ripresa corrispondeva alla sua visuale in soggettiva, i comandi Krenim erano parzialmente coperti dalle sue stesse mani. Ma il grafico con le linee temporali era ben visibile.

   Quando giunsero al momento in cui aveva dovuto chiudere l’interfaccia, Terry riavviò il filmato. Stavolta lo fermò quando compariva il nome Voyager e ingrandì quella sezione. «Ecco la Voyager, che attraversò lo spazio Krenim nel 2374» spiegò. «Come vede, l’impatto su Annorax e su tutto l’Impero è enorme. Ma secondo i diari della Voyager, lo spazio Krenim fu appena sfiorato. La mia ipotesi è che questa sia una linea temporale alternativa, in cui Annorax e la Voyager ebbero a scontrarsi».

   «Sta dicendo che la Voyager affrontò Annorax in un’altra linea temporale, che è stata cancellata proprio in seguito allo scontro?» chiese Nelscott cautamente.

   «Sì» confermò Terry. «Vede qui sopra? I Krenim cercavano di riportare il loro Impero agli antichi fasti». Indicò la dicitura restaurazione dell’Impero: 35%. «Ma sembra che il disordine apportato dalla Voyager abbia complicato i loro sforzi. Vede come la situazione migliora, eliminando del tutto la nave?» proseguì, riavviando il filmato. Nella simulazione successiva, in cui la Voyager era stata rimossa, la restaurazione dell’Impero schizzava al 98%.

   «Quindi, siccome la Voyager non è stata rimossa dalla Storia, i Krenim hanno fallito» concluse Chase. «Se l’hanno capito, sondando le linee temporali, potrebbero cercare vendetta».

   «È una delle teorie più surreali che abbia mai sentito» disse Nelscott, scuotendo la testa. «Non potrebbe essere tutta una simulazione di Hortis, senza che siano davvero esistite quelle linee temporali?».

   «È possibile, signore» ammise Terry. «Ma in meccanica temporale, la soluzione più semplice non è necessariamente quella esatta».

   «Quale che sia la verità, sappiamo che i Krenim hanno una tecnologia temporale molto simile a quella dei Tuteriani» puntualizzò Chase.

   «Ritiene che l’abbiano acquisita da loro?» chiese Nelscott.

   «Uhm, non credo che i Tuteriani concedano facilmente quella tecnologia» rispose Chase. «È più probabile che i due popoli l’abbiano sviluppata autonomamente. E adesso, proprio mentre siamo in guerra contro i Tuteriani, i Krenim attraversano mezza Galassia per farci visita. Ho detto ai Klingon che non dobbiamo essere paranoici, ma... bisogna ammettere che è una bella coincidenza».

   «Lei crede in un collegamento fra le due specie, ma come pensa di provarlo?» chiese Nelscott.

   «Questa è la parte più complicata» ammise Chase. «Se fossero una specie del Quadrante Alfa o Beta, le chiederei il permesso di far rotta per il loro spazio. Così potrei constatare la loro situazione e confrontarla con quanto ci ha raccontato Hortis. Se emergessero delle incongruenze, sapremmo che ci ha mentito».

   «Ma i Krenim sono nel Quadrante Delta, a 65.000 anni luce da qui» obiettò Nelscott. «Anche a massima velocità di cavitazione, è un viaggio che richiede settimane. E altrettanto servirebbe per tornare. Non possiamo privarci così a lungo dell’Enterprise; non in questo momento».

   «Potremmo usare il propulsore cronografico» suggerì Chase.

   «Quello richiede una conoscenza precisa delle coordinate di arrivo. Se vi materializzaste presso un buco nero, o dentro un corpo celeste, sarebbe la fine» ricordò Nelscott. «Non posso autorizzare una simile missione».

   «C’è un’altra possibilità» disse Terry. «La propulsione a curvatura Krenim non è molto sofisticata. La loro astronave rilascia una traccia facilmente leggibile. Potremmo seguirla a ritroso».

   «E che spera di trovare?» chiese Nelscott.

   «Hortis ci ha comunicato la sua rotta nel Quadrante Alfa. Risalendola potremo stabilire se è stato sincero» spiegò Terry. «E se capteremo tracce di curvatura analoghe nelle vicinanze, sapremo che ci sono altri vascelli Krenim in circolazione».

   «Si può fare» concesse Nelscott. «Anche se tutte le teorie sulle linee temporali fossero errate, ci tengo a sapere se i Krenim hanno portato altre navi nel nostro spazio».

   «Allora possiamo partire subito» disse Chase, sollevato.

   «Al tempo, Capitano. Non ho detto che invierò l’Enterprise» lo gelò Nelscott.

   «Ma come!» protestò Chase. «Siamo stati noi a incontrare i Krenim. E l’Enterprise è abbastanza forte da affrontarli, se le cose si metteranno male».

   «Ma l’Enterprise, come le ho detto e ripetuto, deve restare a Khitomer sino alla firma del trattato» disse Nelscott. «Fortunatamente disponiamo di altre navi che possono incaricarsi della missione».

   «Quale pensa di mandare?» domandò Chase.

   «La Sojourner».

   «È di classe Mjölnir. Non ha grandi capacità difensive» si preoccupò Chase.

   «No, ma ha installato un dispositivo di occultamento ultimo modello» spiegò Nelscott. «Dovrebbe bastare, per questa missione. Resterà occultata tutto il tempo e al primo segno di pericolo tornerà indietro a riferire».

   «Dica al capitano della Sojourner di stare molto attento» raccomandò Chase. «Hortis è un tipo sveglio e potrebbe prevedere questa mossa. Con noi è stato garbato. Ma se si convincerà che la Sojourner è un ostacolo alla sua missione, penso che non esiterà a distruggerla».

 

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Capitolo 5
*** Specchio, specchio delle mie brame... ***


-Capitolo 4: Specchio, specchio delle mie brame...

 

   Il simbolo dell’Impero Terrestre campeggiava persino sulla porta dell’infermeria, sopra al tradizionale bastone di Esculapio con i serpenti attorcigliati. Grenk e T’Vala si scambiarono un’occhiata scoraggiata, respirarono a fondo ed entrarono.

   Di tutti gli ambienti visti finora, l’infermeria era quello che si discostava maggiormente dall’USS Enterprise. Invece delle asettiche sale bianche e beige c’erano stanzoni rivestiti di metallo scuro e lucido. Invece delle calme luci soffuse c’erano i soliti faretti accecanti. E al posto dei comodi lettini dalle coperte linde c’erano tavolacci metallici. Gli armadietti, semiaperti, lasciavano vedere il disordine all’interno. Ogni superficie orizzontale era ingombra di recipienti, strumenti chirurgici e siringhe. Molti dei contenitori, trasparenti, erano pieni di strani liquidi colorati, alcuni dei quali lasciati a sobbollire. Dentro galleggiavano pezzi di corpi umani o alieni: occhi, mani, organi interni. Gli strumenti chirurgici erano sinistri: molto più arretrati di quelli federali, sembravano progettati per infliggere dolore più che per lenirlo. Alcuni lettini erano muniti di ceppi, per imprigionarvi sopra le vittime. C’erano persino alcune cabine cilindriche, trasparenti, che sembravano strumenti di tortura. Sulle loro superfici interne vi erano impronte di mani, che sembravano fatte di sangue raggrumato.

   «È peggio di quanto pensassi!» comunicò Grenk alla collega. «Qui non curano la gente, la torturano!».

   «Recita bene la tua parte, o tortureranno noi» ammonì T’Vala. «Dottore, è qui?» chiese, addentrandosi nel laboratorio degli orrori.

   «Sì, prego, venite!» rispose la voce di Korris da un’altra stanza. «Abbiate pazienza, sono da voi tra un minuto!».

   I due ufficiali seguirono la voce del dottore, sbucando in una camera semibuia. Era molto più spoglia dell’altra: c’era solo uno strano sedile. Ricordava la sedia di un dentista, ma era pieno di minacciosi attrezzi chirurgici, che ticchettavano in perenne movimento. Un Ferengi vi era imprigionato sopra, con numerosi ceppi metallici che gli bloccavano braccia e gambe, tenendogli persino la testa immobilizzata. Ogni tanto, degli aghi gli iniettavano chissà quali sostanze. Sottili filamenti erano fissati al suo volto, obbligandolo a tenere gli occhi spalancati. Il perché era evidente. Uno strumento simile a un laser, agganciato al lettino tramite un braccio articolato, gli proiettava due raggi verdi dritti negli occhi. Un terzo raggio, di colore azzurro, lo colpiva al centro della fronte. Il Ferengi se ne stava immobile, con la bocca semiaperta e l’espressione ebete, succube di quello che con ogni evidenza era un condizionamento mentale.

   «Salve, tenenti!» disse Korris gioviale, uscendo dalle ombre che circondavano il lettino. Sopra la divisa dell’Impero Terrestre indossava un gran camice bianco. «Non ci si vedeva da un pezzo, nevvero? Buon per voi!» ridacchiò. «Grenk, mi congratulo per il funzionamento della sua navetta temporale. Gran giorno per la scienza! T’Vala, la vedo in forma smagliante! Allora, che ne dite della mia ultima fatica?» chiese, accennando all’orrore dietro di lui.

   Quando fu sotto la luce dell’ingresso, Grenk e T’Vala poterono vederlo in faccia. Era più magro e scavato del Korris che conoscevano. L’occhio destro era sostituito da un impianto artificiale, dall’aria Borg: metallo nero, brutalmente avvinghiato alla pelle, culminante in un piccolo teleobiettivo che a tratti si allungava in avanti. Alle dita della mano destra erano fissati piccoli attrezzi chirurgici, uno per ogni dito. Non erano solo attaccati: sostituivano le ultime falangi, che erano state amputate.

   «Notevole» commentò T’Vala, osservando il disgraziato Ferengi. «Vuole darci qualche dettaglio?».

   «Volentieri... ma andiamo di là, così non disturbiamo la terapia» consigliò Korris, accompagnando i nuovi arrivati nella sala principale. La porta si chiuse alle loro spalle.

   «Allora... come saprete, stavo cercando di migliorare le tecniche di lavaggio del cervello» spiegò Korris, fregandosi le mani soddisfatto. «Certe specie, come i Ferengi, hanno conformazioni cerebrali che li rendono refrattari ai metodi tradizionali. Finora bisognava iniettargli dei microchip direttamente nel cervello, ma questo riduceva la loro aspettativa di vita. Oppure il trattamento doveva essere ripetuto spesso, anche settimanalmente; una seccatura!» commentò. Sembrava molto lieto di avere un pubblico.

   «Quindi ha perfezionato la tecnica?» chiese T’Vala, senza tradire particolari emozioni.

   «Oh, sì!» sorrise Korris. «Ho contattato gli istituti di Elba II e Tantalus V. Laggiù sono avanti nello studio del controllo mentale: mi hanno inviato degli aggiornamenti interessanti. Ma io sono andato oltre. La mia Lobo-Sedia può condizionare il 95% delle specie umanoidi in pochi minuti, senza effetti collaterali. Basta una sola seduta per indurre un’incrollabile fedeltà nei confronti dell’Impero».

   «Che bella notizia» disse Grenk, appoggiandosi a T’Vala per non svenire. «Ma quel Ferengi là, che ha fatto di male?».

   «Boh? È uno schiavo dei livelli inferiori, non credo di averlo mai visto prima» rispose Korris con noncuranza. «Ho detto a Lantora che mi servivano cavie dai cervelli refrattari e il Ferengi era fra loro. Aspettate, forse me l’aveva spiegato... credo che il signor Grog avesse rubacchiato una porzione di cibo non sua. Va beh, non ha importanza. Sapete che si dice dei Ferengi: puniscili anche se non sai il motivo... perché lo sanno loro!» ridacchiò.

   «Quindi la Lobo-Sedia è del tutto operativa?» chiese T’Vala.

   «Sto sistemando gli ultimi dettagli... ma sì, in pratica è già funzionante» annuì Korris. «Sa, io ho un sogno. Un giorno, molto presto, la mia invenzione sarà usata su tutti gli ufficiali dell’Impero, e persino su tutta la popolazione. Non sarà uno strumento di punizione, ma di educazione. Si userà nelle scuole, non nelle prigioni. Se condizioniamo i bambini fin dai primi anni, nel giro di una generazione avremo la società perfetta. Crimini, contestazioni, ribellioni... saranno solo un ricordo. Anzi, cancelleremo persino la memoria che siano mai esistiti! Non è stupendo? Non vi emoziona l’idea di una società così pura?» si entusiasmò, voltandosi da una parte e dall’altra, per studiare le reazioni di T’Vala e Grenk.

   «Sarebbe il culmine di sforzi secolari, senza dubbio» commentò la mezza Vulcaniana.

   «Già, scriverò il mio nome nella Storia!» gongolò Korris. «Ma perdonate la mia divagazione. Dunque, il Capitano mi ha detto di rimettervi in sesto. Soffrite di afasia sensoriale, eh? Glielo avevo detto che poteva capitare!» disse, alzando l’indice bionico.

   «Che intende farci?» chiese Grenk, con il cuore che rullava come un tamburo.

   «Per prima cosa, scansioni cerebrali. Confrontandole con le ultime vedrò dov’è il problema» spiegò Korris, andando verso un lettino equipaggiato per le bio-scansioni. «Ma non preoccupatevi, non mi aspetto nulla di grave. Probabilmente i sintomi svaniranno da soli nel giro di poche ore. Allora, chi va per primo?» chiese.

   T’Vala e Grenk si scambiarono uno sguardo d’intesa. Da quando erano entrati in infermeria si erano guardati intorno e non avevano notato i sensori di Trudy. Considerando che non c’era nemmeno altro personale medico in vista, era il momento perfetto per sopraffare Korris.

   «Comincio io» disse T’Vala. Sedette sul lettino, proprio davanti a Korris, e gli sorrise con aria seducente.

   «Mia cara, sarà un piacere esaminare il tuo splendido... cervello» assicurò Korris, ma dal suo sguardo sembrava più interessato al corpo. Non si accorse che Grenk era sgattaiolato alle sue spalle.

   «Ne sono certa» disse T’Vala, levandosi il guanto destro con i denti. Sorrise, lasciandolo cadere, mentre Korris la fissava sempre più imbambolato. E scattò in avanti. «La mia mente nella tua mente!» sibilò, afferrandogli il volto con la mano destra, che si era scoperta per facilitare la Fusione Mentale. Con la sinistra gli gettò via il comunicatore, perché non chiamasse aiuto, e poi gli afferrò la gola. Intanto Grenk afferrò Korris da dietro, bloccandogli le braccia lungo i fianchi.

   «Ehi, ma...!» gemette il medico, colto alla sprovvista. Cercò di divincolarsi, ma il Tellarita lo stringeva forte, bloccandogli la mano bionica lungo il corpo.

   «Le nostre menti si fondono. Le nostre menti sono una sola... ugh!» si lamentò T’Vala, stabilendo la Fusione.

   «Qualche problema?» chiese Grenk, ansioso.

   «È la mente più rivoltante che abbia mai incontrato» rispose T’Vala, l’espressione disgustata. «Qui sì che servirebbe una bella riprogrammazione».

   «Non c’è tempo, e poi attirerebbe troppo l’attenzione» disse Grenk, guardandosi attorno con ansia. Da un momento all’altro temeva di veder sbucare Trudy, o Lantora con le guardie. «Mettigli in testa che siamo a posto, e via!».

   «Ci provo» disse T’Vala, tremando per lo sforzo. «Ma la sua mente è più sfuggente di un’anguilla».

   «So che ce la puoi fare!» l’incoraggiò Grenk. «Fa’ vedere chi comanda... oh, yotz!» imprecò, mentre la porta dell’infermeria si apriva alle spalle di T’Vala.

   Un’esile figura si stagliò davanti all’ingresso. «Dottor Korris, che sta...?» chiese una voce femminile, bloccandosi a metà frase.

   «Chi è?» chiese T’Vala, che non si azzardava nemmeno a voltarsi, per timore di perdere la stretta mentale su Korris.

   «La nostra albina preferita» disse Grenk, tutto smorto. «Lascia, vado io. Non so che potrò fare... ma qualcosa farò». Lasciò andare Korris, che ormai non opponeva più resistenza. Aggirò il lettino e mosse cautamente verso l’ingresso. Neelah era davanti a lui. Aveva un’espressione perplessa; anche le sue antenne craniali oscillavano disorientate.

   «Non è come sembra, dottoressa» mormorò Grenk, pur sapendo che era inutile. Neelah era una telepate ancora più potente di T’Vala. Avrebbe compreso le loro identità e dato l’allarme. Era la fine.

   «Chi è lei?» sussurrò Neelah, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle. Non aveva un tono minaccioso, anzi sembrava impaurita. Solo allora Grenk notò il suo aspetto. Era molto diversa dalla Neelah che conosceva. Sembrava più gracile, persino più bassa. Era vestita poveramente, con un abito grigio tutto rappezzato. I lunghi capelli bianchi erano in disordine e sembravano non essere stati lavati da un pezzo. L’Aenar aveva un grembiule e reggeva con ambo le mani un vassoio, coperto da un panno.

   «Sono Grenk, non mi riconosce?» chiese il Tellarita.

   «Mi scusi, signore!» disse Neelah precipitosamente, chinando il capo. «È solo che... mi sembrava diverso dal solito. Perdoni la mia intrusione, ma il dottor Korris mi ha ordinato di portare il pasto della mascotte... ehi, ma...» mormorò, rialzando il capo di scatto, mentre le antenne vibravano. Solo allora Grenk si accorse che era cieca. Non aveva pupille e le iridi erano chiare, con una lieve sfumatura rosa. Le sue narici fremettero; l’Aenar respirò affannosamente, come se qualcosa la spaventasse o la disorientasse.

   «Lei non riesce a vedermi, vero?» chiese il Tellarita, impietosito.

   «Certo che no. Sa bene che sono cieca dalla nascita» rispose Neelah. «Altrimenti la mia vita sarebbe diversa... forse».

   «Ma non ha potuto farsi curare?» chiese Grenk istintivamente. Dette in quell’infermeria degli orrori, le parole gli suonarono sciocche e si pentì immediatamente di averle pronunciate.

   «Io? Sono solo una schiava» rispose Neelah, scuotendo la testa. «Non potrei mai permettermi un intervento. Lei lo sa, signore. Ma che sta succedendo, col tenente Shil e il dottor Korris? È tutto così confuso!» gemette.

   Grenk guardò T’Vala, ancora impegnata con Korris, e capì che doveva cavarsela da solo. «Ascolta, figliola, la situazione è delicata. Contiamo sulla tua discrezione. Fa’ quel che devi, in fretta, e poi esci. Non fare domande, se non vuoi che ci siano conseguenze spiacevoli».

   «Lei non è l’Ingegnere Capo. Non quello che tutti conoscono» disse Neelah, posando il vassoio su una consolle medica. «Lo sento. Neanche T’Vala è quella di sempre. Il dottore invece sì... ma sento che non può farci del male. Gli state facendo qualcosa. Voi siete... oh!» esclamò, torcendosi le antenne.

   «Tu sai?» chiese Grenk, con il cuore in gola.

   «Sì, ora ho capito» annuì Neelah, intimorita. «Voi venite da un’altra Enterprise, da un altro Universo. Uno più gentile. La Federazione, la Flotta Stellare... oh, quante specie che vivono in pace! Non l’avrei mai creduto possibile... oh no, no, no!». Si accasciò a terra, piangendo. «Avrei voluto nascere nella vostra dimensione. Ma sento che voi mi conoscete... che conoscete la mia controparte. È vivida nelle vostre menti. Lei è così forte, così intelligente! Si è creata dei nuovi occhi, per vedere le stelle e i volti che ama. Io non potrò mai... essere come lei!» singhiozzò. Tutte quelle rivelazioni, così improvvise e inaspettate, l’avevano sconvolta.

   Non sapendo che altro fare, Grenk l’abbracciò e le carezzò la testa, cullandola come se fosse una piccola Tellarita. «Non piangere, ti prego. Se hai letto nelle nostre menti, conosci il pericolo mortale in cui ci troviamo. Dobbiamo andarcene al più presto» disse.

   «Sì, andate subito!» annuì Neelah. «Altrimenti vi prenderanno, vi spezzeranno, come fanno con tutti. Raccoglieranno informazioni e poi... porteranno la guerra nel vostro Universo. Annienteranno la Federazione e tutto ciò che rappresenta!» ansimò.

   «Stiamo facendo del nostro meglio» disse Grenk, asciugandole le lacrime con un lembo del suo stesso grembiule. «La mia amica T’Vala si sta assicurando che il dottore non possa smascherarci. Io dovrò recuperare la navetta temporale e replicare l’incidente che ci ha condotti qui. Ma non sarà facile. Forse dovremo inventarci un altro modo per andarcene» disse, pur non sapendo quale. «Avremo maggiori speranze se tu ci aiuterai».

   «Sono solo una schiava... lo sono stata per tutta la vita» disse Neelah, riavendosi. «Come potrei aiutarvi?».

   «Per cominciare puoi parlarci dell’Impero e di questa nave. Dicci cosa dobbiamo fare per cavarcela».

   «D’accordo, vi aiuterò... ma a una condizione» disse Neelah, tirando su col naso.

   «Quale?».

   «Se troverete il modo di fuggire, mi porterete con voi. Dovete prometterlo!» disse, rialzandosi.

   Grenk lanciò un’occhiata interrogativa a T’Vala. «Non so che succederà, se la introduciamo nel nostro Universo senza scambiarla con la nostra Neelah. Potrebbe non superare la barriera fra le due dimensioni».

   «Decidi in fretta!» rispose T’Vala, con voce sforzata. «Io ho finito con Korris e tra un attimo dovrò interrompere la Fusione».

   «Sono pronta a rischiare tutto, pur di andarmene da qui» disse Neelah.

   «Allora... affare fatto!» disse Grenk, stringendole la mano. «Se ci salveremo, lo faremo insieme. Il nostro Universo è grande abbastanza per contenere due Neelah! E tu, figliola, hai già sofferto troppo».

   «Libero!» disse T’Vala, lasciando andare Korris. Ricadde sul lettino, esausta per il prolungato sforzo mentale.

   «C-che è successo?» farfugliò Korris, ricomponendosi.

   «Ci ha appena visitati, dottore... e ha detto che è tutto a posto» disse Grenk, andandogli incontro. «Qualche ora di riposo e torneremo come nuovi».

   «Ah, sì. Come dicevo, i sintomi dell’afasia sono temporanei» annuì Korris. Poi notò l’Aenar, che se ne stava intimorita dietro a Grenk. «Neelah! Non ti avevo vista entrare» disse. «Beh, non stare lì impalata! Porta il pranzo alla mascotte».

   «Subito, dottore» scattò l’Aenar. Prese il vassoio e trottò verso un’altra stanza.

   «Posso vederla?» chiese Grenk, immaginando che fosse una di quelle cose che era meglio conoscere.

   «Guardi che è sempre la solita» rispose Korris, un po’ stupito. «Non ho fatto nessuna modifica, dall’ultimo spettacolo. Ma se vuole rivederla... si accomodi» lo invitò.

   Seguirono Neelah nell’altra stanza, un ambiente spoglio. Sul pavimento c’era un’apertura circolare, chiusa in cima da un campo di forza giallastro. Era una prigione-pozzo, di circa tre metri di diametro e molto più profonda. Le pareti lisce erano impossibili da scalare per chiunque vi stesse dentro. Lì accanto, una consolle permetteva di accendere e spegnere il campo di forza.

   «Ora di pranzo!» gridò Neelah, scoprendo il vassoio. Era colmo di brandelli di carne, cruda e sanguinolenta. L’Aenar digitò un codice sulla consolle, disattivando il campo di forza. Grenk, che le stava accanto, notò la sequenza di numeri e la memorizzò. Ma quando da sotto venne un ruggito, indietreggiò con un brivido.

   «La nostra mascotte ha fame!» ridacchiò Korris. «È passato troppo, dall’ultima volta che le abbiamo dato un prigioniero! A proposito, chi è stato l’ultimo? Navarro o Dahut?».

   «Navarro, due settimane fa» rispose Neelah, accostandosi all’orlo del pozzo. «Dahut era stata il mese scorso» precisò, cominciando a buttar giù i pezzi di carne.

   «Ah, già. Lantora ha perso una bella sommetta, scommettendo col Capitano!» disse Korris. «Diceva che Navarro avrebbe resistito per almeno venti secondi. Come gli sarà venuto in mente? Quel lardoso Umano era già morto dopo dieci secondi. Eh eh, non si scherza col Gorn! Chissà a chi toccherà la prossima volta. Magari a quel Boliano idiota, Cliff. La prossima volta che mi porta un succo di pesce freddo, ce lo spedisco io!» promise.

   Grenk e T’Vala si accostarono all’orlo della prigione-pozzo, da cui saliva il rumore di grosse mandibole al lavoro. Si arrischiarono a guardare in basso... e videro ciò che temevano. Raav, il loro amico, era là in fondo. Ingurgitava avidamente i pezzi di carne, man mano che Neelah li lasciava cadere, come se non mangiasse da settimane. Cioè da quando gli avevano dato in pasto Navarro. In effetti il fondo della prigione-pozzo era ingombro di ossa, umane e aliene. Finito il pasto, Raav alzò la testa e ruggì come un animale. Nei suoi occhi gialli non c’era alcuna scintilla d’intelligenza o di riconoscimento.

   «Gliene do ancora?» chiese Neelah, dato che sul vassoio rimanevano due pezzi di carne.

   «No, può bastare» disse Korris. «Non bisogna saziare del tutto il Gorn, sennò si rammollisce. Dev’essere affamato, quando gli gettiamo i condannati. Se lui non ha fame, tutte le scommesse degli ufficiali vanno a shutte, e noi ne paghiamo le conseguenze».

   «Certo, dottore» disse Neelah, coprendo nuovamente il vassoio con la tovaglietta. Ignorando i ruggiti scontenti di Raav, ripristinò il campo di forza.

   «Quando potremo rivederci?» le chiese telepaticamente T’Vala, prima che se ne andasse.

   «Stasera alle sette, all’arboreto, prima che scatti il coprifuoco» rispose Neelah. «C’è una zona senza sensori-spia, in cui potremo parlare. Lo so perché l’ha voluta il Capitano, per portarci le sue amanti».

   «Glielo hai letto nel pensiero?» chiese T’Vala.

   «Certo, qui nessuno sa quanto sono telepatica, nemmeno Korris. Ho celato i miei poteri, altrimenti ci sarei finita io sulla Lobo-Sedia» spiegò Neelah.

   Il quartetto era tornato nella sala principale dell’infermeria. L’Aenar salutò ossequiosamente il dottore e uscì in tutta fretta. Grenk e T’Vala, invece, non si erano ancora riavuti dallo spettacolo di Raav, il loro sagace amico e consigliere, ridotto a una bestia senza cervello. Di tutti i capovolgimenti visti finora, quello da cuoco a cannibale era il più orrendo.

   «Bene, torno al mio Ferengi» disse Korris, accennando alla sala della Lobo-Sedia. «È stato bello fare due chiacchiere, sentitevi pure liberi di tornare quando volete. Specialmente lei, T’Vala».

   «Non mancherò, dottore» disse la mezza Vulcaniana. Lei e Grenk lasciarono l’infermeria, chiedendosi quali incubi li attendevano ancora su quella nave.

 

   «È inaudito!» ringhiò Chase, camminando avanti e indietro nel suo alloggio. «Il Comando di Flotta ha respinto la mia richiesta di riportare l’Enterprise in battaglia! Dicono che dobbiamo proteggere questo settore dalle incursioni degli Hirogeni. Ah! Non hanno alcun senso della misura. Che possono fare gli Hirogeni? Mal che vada attaccano qualche piccola nave e disossano l’equipaggio, per farsi belli con le loro femmine! Sono perdite trascurabili. Ma i Breen? Loro sono una minaccia militare per l’Impero!» inveì.

   «Alexander, non fare così, ti prego. Sapevamo già che era una manovra per estrometterti» disse Ilia. Se ne stava sdraiata sul letto, a pancia in giù, con il mento appoggiato sulle mani intrecciate, seguendo i movimenti del Capitano. Indossava una vestaglia semitrasparente, da cui uscivano le gambe nude. Sollevò i piedi e li fece dondolare, nella speranza di attirare l’attenzione di Chase. Ma lui aveva ben altro in mente.

   «Non è la prima volta che qualche papavero ci prova» disse Chase. «Ho dovuto lottare per avere questa nave, ricordi? Nelscott la voleva tutta per sé. E anche dopo essere salito al trono, quando per forza di cose doveva nominare qualcun altro, stava per darla a Prasad».

   «Sei stato abile a sbarazzarti di lui» riconobbe Ilia. «E ancor più abile a far ricadere la colpa sui Breen».

   «Quando si dice cogliere due piccioni con una fava» sogghignò Chase, andando verso un mobile. Tirò fuori una bottiglia di birra romulana di contrabbando e due bicchieri. «Era l’occasione perfetta. I Breen sono l’unica potenza che ancora ci resiste. Ma con l’Enterprise non era difficile spazzarli via. Mi avrebbero tributato il trionfo sulla Terra: Alexander Chase, eroe dell’Impero! È così che ci si apre la strada verso lo Stato Maggiore» disse, offrendo un bicchiere a Ilia. Sedette sul bordo del letto e si scolò il proprio. «Invece eccoci qui a non far niente... mentre la Terza e la Quinta Flotta si sono fatte sbaragliare!» gridò, mandando il bicchiere in frantumi contro la parete.

   «Ma com’è andata esattamente?» chiese Ilia, carezzando l’orlo del suo bicchiere. «Le notizie ufficiali parlano di una battuta d’arresto, più che d’una sconfitta».

   «È solo propaganda» disse Chase. «Come Capitano, ho accesso a fonti più attendibili».

   «E io, come Donna del Capitano, non posso saperlo?» ammiccò Ilia.

   «Eri la donna di Nelscott, prima di essere la mia. E se dovesse succedermi qualcosa, chissà in che letto finiresti» commentò Chase, afferrandole una ciocca di capelli. Se la rigirò fra le dita, costringendola ad avvicinare la testa.

   «La Donna del Capitano appartiene al Capitano, chiunque egli sia» rispose Ilia, con un accenno di broncio. «Dopotutto ho un rango da mantenere».

   «Ma se io facessi carriera, non ti dispiacerebbe essere la Donna dell’Ammiraglio» commentò Chase.

   «Niente affatto» ammise Ilia. «Ma la fortuna arride a chi se la prende». Svuotò il bicchiere, si sollevò e baciò Chase con violenza, trasmettendogli una parte dell’alcolico, che non aveva inghiottito.

   «La fortuna arride ai Breen, al momento» disse Chase, sfiorandole il mento e il labbro inferiore. «La Terza Flotta si è ritirata da Cardassia con ingenti perdite. Hanno raggiunto Bajor per riorganizzarsi, ma sono stati attaccati di nuovo, e stavolta non hanno avuto scampo».

   «Stai dicendo che i Breen controllano il Tunnel Spaziale?» chiese Ilia, preoccupata.

   «Già, così possono minacciare le nostre colonie nel Quadrante Gamma» confermò Chase, tetro. «La Quinta Flotta doveva intervenire, ma è stata attirata nelle Badlands. Tra il fuoco dei Breen e le tempeste di plasma, è stata annientata».

   «Alexander, non credevo che la situazione fosse così grave» confessò Ilia. «Devi assolutamente fare qualcosa!».

   «Stai per darmi un consiglio che non mi piacerà».

   «Che ti piaccia o no, ascoltami. Sappiamo entrambi che per l’Impero contano più i fatti che le parole» disse Ilia, alzandosi in ginocchio sul letto, per avere il viso alla stessa altezza di Chase, che era ancora seduto sul bordo. «Se riconquisti Bajor, sarai acclamato come salvatore della patria. A nessuno importerà che tu abbia trasgredito gli ordini. È l’occasione perfetta per tornare nei giochi!» disse con gli occhi che brillavano.

   «E se fallisco?» obiettò Chase. «Sai che c’è la corte marziale, per l’insubordinazione».

   «Se non riprendi Bajor, vuol dire che i Breen ci hanno fatti a pezzi, quindi non dovremo temere la corte marziale» rispose Ilia. «Ma io ho fiducia in te, amore mio». Lo baciò di nuovo, a lungo, mordicchiandogli il labbro.

   «Dobbiamo pensarci bene» disse Chase quando si furono staccati. «Quest’azione può essere la nostra fortuna o la nostra rovina».

   «Anche Cesare deve averlo pensato, quando attraversò il Rubicone» insisté Ilia. «Ma com’è che disse... il dado è tratto».

   «Alea iacta est» annuì Chase. «Mi paragoni a un grande della Storia. Cos’è, piaggeria da cortigiana?».

   «Una semplice constatazione» rispose Ilia. «Cesare combatteva per pochi lembi di terra. Tu puoi conquistare interi pianeti... sistemi stellari... settori! Con la tua abilità e l’arsenale dell’Enterprise puoi rovesciare le sorti della guerra. Non lasciarti frenare dai timori. Agguanta il destino per la gola e costringilo a darti tutto quello che meriti!» s’infervorò.

   Chase sentì il suo respiro infuocato sul volto. Aveva ragione, naturalmente; occasioni come quelle capitavano una volta sola. Lasciarsela sfuggire significava rimpiangerlo per sempre. «Mettiti qualcosa addosso» disse il Capitano, alzandosi. «Devo fare un annuncio all’equipaggio».

 

   Grenk e T’Vala camminavano spediti lungo un corridoio. Erano diretti all’arboreto, che si trovava a prua dell’Enterprise, per l’appuntamento con Neelah. Stavano per arrivare quando intorno a loro le luci divennero rosse e si levò un suono assordante.

   «L’Allarme Rosso!» gemette Grenk.

   «No, aspetta» corresse T’Vala, guardandosi intorno. Tutti i presenti nel corridoio, ufficiali e civili, si erano messi sull’attenti, con il braccio levato nel saluto dell’Impero. Le interfacce del computer, poste a intervalli regolari lungo i corridoi della nave, mostrarono immagini guerresche di repertorio. La sirena si precisò: era un inno nazionale, strombazzato a tutta forza.

   Grenk e T’Vala assunsero la stessa posa degli altri, per non dare nell’occhio, e si accostarono a uno schermo, osservando le scene di battaglie e vittorie. Videro le navi terrestri che distruggevano la flotta dell’Alleanza Klingon-Cardassiana. Poi le videro colpire tutte le altre potenze circostanti, una dopo l’altra. Secoli di lotte sanguinose scorsero davanti ai loro occhi, riassunte in pochi secondi. Quando l’inno fu terminato, si udì la voce di Trudy.

   «Cittadini dell’Impero! Oggi è il giorno 80 dell’anno 172 dalla rinascita dell’Impero Terrestre! Come sempre, le nostre forze armate lottano coraggiosamente per proteggervi da ogni minaccia. La sfida di oggi è sottomettere i Breen, ultima potenza invitta del Quadrante Alfa. Quando sarà stato fatto, nulla minaccerà più la legge e l’ordine dell’Impero. Ciascuno di voi è chiamato a dare un contributo, grande o piccolo che sia. Terra firma!».

   «Terra firma!» ripeterono i presenti. Dopo di che ognuno tornò alle proprie occupazioni, come se nulla fosse.

   «Andiamo o faremo tardi» disse Grenk. Lui e T’Vala raggiunsero l’arboreto. A quell’ora c’era poca gente, soprattutto famiglie che facevano giocare i bambini, prima che scattasse il coprifuoco serale. I due ufficiali si guardarono attorno per un po’, finché videro arrivare Neelah, sempre vestita di stracci e con lo sguardo basso. La seguirono fra gli alberi, fino a una zona seminascosta, in mezzo ad alcuni grossi cespugli. Ebbero cura di lasciare i comunicatori a una certa distanza, perché Trudy non potesse spiarli.

   «Ecco, qui possiamo parlare liberamente» disse l’Aenar, sollevata. «Non c’è nessuno nelle vicinanze, vero?».

   «Nessuno» confermò T’Vala. Lei e Grenk si erano guardati intorno con attenzione. «Ho notato che non hai problemi a camminare in mezzo agli ostacoli» osservò la timoniera. «In infermeria ti sei mossa facilmente e anche qui hai evitato alberi e cespugli. Come fai?» chiese.

   «Uso la telepatia per percepire gli oggetti e le persone intorno a me» rivelò Neelah. «Non è facile da spiegare, ma è come se avessi una mappa mentale di ciò che ho intorno. Però funziona solo in un raggio di pochi metri».

   «Affascinante» disse T’Vala.

   «Senti, figliola, cos’era quello spettacolo di prima?» chiese Grenk. «Intendo le luci e la musica».

   «Ah sì, voi non lo sapete» disse Neelah. «Propaganda patriottica. Gli altoparlanti ripetono l’inno nazionale cinque volte al giorno, accompagnandolo con immagini di repertorio. Più che altro è a beneficio degli Umani. Come avrete notato, hanno una posizione privilegiata a bordo. È il loro Impero, dopotutto; noi siamo di serie B».

   «Gli Umani da soli riescono a controllare centinaia di mondi?» chiese T’Vala, scettica.

   «La loro società è militarizzata» spiegò Neelah. «Da quando l’Impero è risorto, hanno fatto di tutto per mantenere il predominio. In certi momenti, quando gli serviva la forza del numero, hanno usato persino eserciti di cloni. I non Umani possono diventare ufficiali, ma è loro precluso il comando delle astronavi... salvo casi eccezionali. L’Ammiraglio N’Rass, per esempio, è una Caitiana.

   «Dov’è questa N’Rass, attualmente?» chiese T’Vala. Conosceva l’incidente dell’Enterprise-I e sapeva che una timoniera con quel nome era stata l’unica alleata di Chase. Ma quella N’Rass era morta. La sua controparte dello Specchio era stata più fortunata.

   «Non saprei, ricordate che sono una schiava. Forse è al Comando di Flotta, sulla Terra. O forse dirige personalmente la guerra contro i Breen. Una guerra che Chase ha iniziato» rivelò l’Aenar.

   «Parlaci del Capitano» la invitò Grenk.

   «Chase ha fatto carriera al comando dell’Ammiraglio Nelscott, che oggi siede sul trono imperiale» rivelò Neelah. «È diventato Capitano dell’Enterprise due anni fa, quando morì il suo predecessore Prasad» spiegò Neelah. «Si era allontanato sul suo yacht privato, l’Auriga. I Breen sono sbucati all’improvviso e l’hanno distrutto, prima che l’Enterprise potesse intervenire. O almeno, questa è la versione ufficiale».

   «Pensi che la realtà sia un’altra?» chiese Grenk.

   «Posso percepire i pensieri di tutti, anche del Capitano» annuì Neelah. «È stato lui il responsabile. Si è sbarazzato del Capitano per ottenere il comando dell’Enterprise. E ha fatto ricadere la colpa sui Breen per dichiarare loro guerra».

   «Ma perché?» chiese il Tellarita.

   «Perché è così che ci si fa strada verso la poltrona di Ammiraglio... o persino verso il trono imperiale» rivelò Neelah. «Voi non avete idea di chi sia Alexander Chase, quindi statemi a sentire» proseguì, riducendo la voce a un sussurro. «È geniale quanto spietato. È pluridecorato per le sue conquiste... ma voi li definireste crimini di guerra. Una volta aveva una sorella, Helen. L’ha strangolata con le sue mani, perché era una pacifista».

   Grenk e T’Vala si scambiarono un’occhiata cupa. Era difficile che qualcosa come il Movimento per la Pace Galattica sopravvivesse nell’Impero Terrestre.

   «Quindi la guerra coi Breen...» cominciò Grenk.

   «... è cominciata perché il Capitano cercava prestigio personale» confermò Neelah. «Ma ora il Comando di Flotta l’ha allontanato dal fronte e lui è furioso. Pensa che vogliano derubarlo della gloria. Probabilmente hanno paura di lui, perché sanno quanto è ambizioso. Se la guerra andrà male, potrebbero richiamarlo. Ma quando avrà vinto è probabile che l’Imperatore gli mandi i suoi sicari».

   «Ma come funziona la successione al trono? C’è una dinastia?» chiese T’Vala.

   «Ogni sovrano prova a fondarne una, ma finora non ci sono mai riusciti. Tipicamente un Imperatore resta sul trono pochi anni, prima di essere assassinato dal suo successore» spiegò Neelah. «Questo, però, non ha mai scoraggiato i pretendenti. S’illudono tutti che con loro sarà diverso».

   «Questo è un aspetto degli Umani che non riuscirò mai a capire» sospirò T’Vala. «Antepongono la brama di potere non solo alla vita altrui, ma persino alla propria! È così illogico!» si lamentò.

   «Dicci anche degli altri ufficiali» esortò Grenk, che ogni pochi momenti si guardava intorno, temendo che arrivasse qualcuno.

   «Ilia è una Trill, come avrete notato» disse Neelah. «Però non è Unita».

   «Curioso» commentò T’Vala. «Da noi Ilia è associata a Dax, che le dà secoli di memorie».

   «L’Impero Terrestre ha messo fuorilegge l’Unione e sterminato i Simbionti, perché non voleva che qualcuno ricordasse i vecchi tempi» rivelò l’Aenar.

   «Questo Impero mi sta sempre più sulle scatole!» sbuffò Grenk.

   «Senza la sua memoria secolare, questa Ilia sarà più avventata di quella che conosciamo» ragionò T’Vala. «Ma qual è il suo incarico? Ho notato che non ha i gradi».

   «Io ho notato anche dell’altro» aggiunse Grenk, con un sorriso sornione.

   «È la Donna del Capitano» spiegò Neelah, in tono ovvio.

   «Prego?» chiese T’Vala, convinta di aver capito male.

   «Hai sentito. In pratica è una escort, anche se ufficialmente ha il ruolo di Consigliera di Bordo. Le sue vere mansioni sono un’usanza che risale al Primo Impero» spiegò Neelah. «È un ruolo ambito e rispettato. Credetemi, nessuna donna qui a bordo osa contraddirla, e se lo facesse finirebbe male».

   «E i Capitani donna hanno...?» chiese Grenk.

   «Hanno quel che vogliono anche loro, sebbene il ruolo non sia altrettanto ufficializzato» rispose l’Aenar. «La regola è la stessa: vietato dire no al Capitano».

   «Avevo notato che qui nello Specchio sono tutti maniaci» borbottò T’Vala. «Basta vedere le uniformi» aggiunse, osservando sconsolata la propria.

   «Già» disse Grenk, comprensivo. «Se le femmine Umane non fossero così disgustosamente alte e magre, lo troverei eccitante».

   «Tu non fai testo. Le Tellariti devono avere la barba, per essere considerate attraenti!» gli ricordò T’Vala.

   «Avete ben altri problemi che il vestiario» avvertì Neelah. «Ad esempio Trudy, l’Intelligenza Artificiale che controlla la sicurezza di bordo. È implacabile, l’hanno progettata perché nulla le sfugga. Ogni minima trasgressione è punita severamente. Lei e Korris si divertono a inventare nuovi metodi di tortura e controllo mentale. Se volete fuggire dall’Enterprise, la cosa più difficile sarà eludere Trudy. Al minimo sospetto vi teletrasporterà subito in cella o nelle camere di tortura».

   «Ma è pur sempre un computer» obiettò Grenk. «E io sono l’Ingegnere Capo. Se riesco a mettere le mani nel suo processore, la concio io per le feste!».

   «Hai idea di quanto sia sorvegliato il mainframe di Trudy?» chiese Neelah. «È il punto più protetto della nave. E i suoi sistemi sono ridondanti. Anche se il processore centrale si guastasse, subentrerebbero quelli periferici, distribuiti per tutta la nave. Ogni tricorder e d-pad potrebbe diventare il rifugio di Trudy».

   «Allora ci vorrebbe un virus informatico... ma come faccio a programmarne uno di nascosto?» si chiese Grenk, afflitto.

   «Se Trudy è la responsabile della Sicurezza, qual è il ruolo di Lantora?» chiese T’Vala, che voleva capire la gerarchia.

   «È il Primo Ufficiale. Lui e il Capitano si odiano» rivelò Neelah.

   «Perché?».

   «Vi ho detto che il comando è precluso ai non Umani, salvo rare eccezioni» rispose l’Aenar. «Lantora ha fatto carriera fino al grado di Comandante, ma non può salire oltre. Teme di restarci bloccato a vita. Probabilmente sarà così: anche se uccidesse il Capitano, il Comando di Flotta manderebbe un Umano a sostituirlo».

   «Ma potrebbe approfittare del comando ad interim per fare qualcosa che rafforzi la sua posizione» ragionò T’Vala. «Per esempio, una vittoria contro i Breen potrebbe convincere il Comando a ratificare...».

   «Attenzione, cittadini dell’Impero!» tuonò l’altoparlante. «È il Capitano Chase che vi parla. V’informo che la situazione al fronte si è aggravata, con la distruzione della Terza Flotta a Bajor e della Quinta Flotta nelle Badlands. Il nemico ha assunto il controllo del Tunnel Spaziale Bajoriano, per strangolare le nostre colonie nel Quadrante Gamma.

   Il Comando di Flotta non vuole che ne siate informati, temendo ripercussioni sul vostro morale. Ma io credo che ogni cittadino dell’Impero abbia diritto a un’informazione corretta. E credo che, col vostro pieno supporto, questa nave possa ribaltare le sorti della guerra. Ecco perché vi chiedo di essere fedeli a me, anziché ad Ammiragli lontani dal fronte, troppo invischiati nelle loro trame politiche per capire che l’Enterprise deve scendere in battaglia. Abbiate la lealtà che si richiede ai soldati dell’Impero, nell’ora del bisogno. Quando i nostri sacri confini sono violati, ogni altra direttiva decade.

   Pertanto l’Enterprise farà rotta verso Bajor. Useremo il propulsore cronografico per traslarla nel subspazio, materializzandoci oltre le linee nemiche. E una volta lì, scateneremo la furia dell’Impero. Che tutti gli ufficiali si rechino immediatamente ai propri posti: la partenza è tra mezz’ora esatta. Terra firma!». La voce di Chase tacque solo per essere rimpiazzata dalla sirena assordante dell’Allarme Rosso.

   «Frell! Se cambiamo Quadrante, sarà ancora più difficile tornare a casa!» gemette Grenk.

   «Non è detto» obiettò T’Vala. «Replicare l’incidente con la Phoenix era irrealistico. Forse avremo più fortuna usando il Tunnel Spaziale. O semplicemente modificando il teletrasporto».

   «Sarebbe meglio portarci via la Phoenix» ribatté Grenk. «Non vorrei lasciare una macchina del tempo in mano a questi fanatici».

   «Hanno comunque i progetti del Basilisk» gli ricordò T’Vala. «A questo non c’è rimedio. Ma ora dobbiamo correre a nostri posti» aggiunse, preoccupata.

   «Yotz, è vero!» gemette Grenk. «Spero solo di trovare la sala macchine, in questa nave assurda. E tu... andrai in plancia, con quegli esaltati?» rabbrividì.

   «Non ho scelta. Muoviamoci!» disse T’Vala. Fece un cenno di saluto a Neelah e corse via, seguita dal tozzo Tellarita. Strada facendo recuperarono i comunicatori. Per un po’ rimasero insieme, ma usciti dall’arboreto dovettero dividersi. Si lasciarono con un’occhiata carica di angoscia, non sapendo se si sarebbero rivisti.

   «È cominciato» mormorò Neelah, rimasta sola.

 

   T’Vala entrò in plancia con una sensazione di disastro imminente. Era un’emozione così sgradevole e oppressiva che desiderò essersi liberata dai sentimenti, come auspicava suo padre. Ma ormai era tardi per rammaricarsene. «Tenente Shil a rapporto, signore» disse, facendosi avanti.

   Come immaginava, la plancia era molto diversa da quella dell’Enterprise. Predominavano i toni scuri e metallizzati: nero, grigio, blu. La sala era irrobustita da un sistema di travature a vista, che formavano un reticolo ai lati. Parte del soffitto – e persino del pavimento – era trasparente, così che s’intravedevano gli ingranaggi interni. La sedia del Capitano, simile a un trono, si elevava da sola al centro della plancia. Il Primo Ufficiale e l’Ufficiale Scientifico dovevano stare in piedi, lavorando alle consolle. Così, anche visivamente, l’autorità del Capitano era enfatizzata.

   «Ah, tenente. Korris l’ha già dimessa?» domandò Chase. Oltre a lui, erano presenti in sala anche Lantora, Ilia e Trudy. Tutti la fissarono.

   «Sì, signore. Sono pronta a riprendere servizio» rispose T’Vala, stando rigida. Non disse che la sua conoscenza del timone, comprese le manovre evasive, venivano da un’ora scarsa di studio nel suo alloggio. Aveva consultato la banca dati prima di recarsi all’arboreto, ma la sua conoscenza dei comandi non era certo esaustiva.

   «Prenda il timone, allora» disse Chase. «Presto avremo bisogno delle sue manovre evasive».

   «Sì, Capitano». T’Vala prese i comandi, che in parte erano simili a quelli della Flotta, ma differivano sotto altri aspetti. Sperò che gli altri ufficiali non notassero che le tremavano leggermente le mani.

   Trudy, in particolare, la inquietava non poco. L’Intelligenza Artificiale sembrava più aliena che mai, mentre si aggirava in quell’ambiente gelido e iper-tecnologico. Non era solo la responsabile della sicurezza, era anche l’avatar dell’Enterprise, la sua incarnazione. Era un frutto avvelenato di quell’incubo orwelliano e contribuiva a mantenerlo. T’Vala si chiese come aveva reagito all’insubordinazione di Chase. Per adesso sembrava sotto controllo, ma in futuro chissà...

   «Dalla sala macchine indicano che il propulsore cronografico è pronto» riferì Trudy. «La mia diagnostica conferma che il sistema è in linea. Aspettiamo il suo ordine, Capitano».

   «Signori, oggi stiamo per fare la storia dell’Impero» disse Chase solennemente. «Non vi nascondo che ci attende una dura battaglia. Ma ricordate: siamo ufficiali della Flotta Imperiale e questa è l’Enterprise: nessuno è meglio di noi. Tenente Shil, attivare!».

   «Sì, signore» disse T’Vala, trasmettendo l’OK alla sala macchine. Lì si trovava la sedia del propulsore cronografico mono-pilota. Era una rara tecnologia ottenuta dai Cytheriani, gli antichi padroni dei sistemi centrali della Via Lattea. All’Impero Terrestre, come alla Federazione, era servito tempo per padroneggiarla. Un pilota dotato di grandi facoltà mentali s’interfacciava con il computer di bordo, e insieme attivavano il meccanismo che piegava il tessuto spaziale, finché due punti venivano a coincidere. Il trasferimento era istantaneo e l’astronave appariva nella zona desiderata, superando qualunque ostacolo. Il problema era che il minimo errore di calcolo avrebbe disintegrato l’Enterprise. E se un asteroide o un’altra nave si trovavano in quel punto, sarebbe stata ugualmente la fine: due corpi non potevano occupare lo stesso spazio.

   Ma quel giorno, la fortuna arrise davvero all’Impero. L’ISS Enterprise si materializzò nel cuore del sistema bajoriano, a poca distanza dal Tunnel Spaziale e da Deep Space Nine. La stazione non era quella costruita dai Cardassiani tempo addietro: l’Impero Terrestre l’aveva distrutta, rimpiazzandola con la propria. La nuova DS9 era molto più grande e armata, per proteggere il Tunnel dagli attacchi nemici. Attaccando in forze, i Breen erano riusciti a fare danni, ma non l’avevano ancora espugnata. Perciò l’avevano stretta d’assedio con decine di navi, bloccando le trasmissioni. Avevano anche colpito i riciclatori dell’aria e ora aspettavano pazienti che l’equipaggio soffocasse. Se gli imperiali avessero riparato i sistemi, i Breen avrebbero rinnovato l’attacco, anche a costo di distruggere la stazione. Se, come speravano, gli occupanti fossero soffocati, ne avrebbero preso possesso senza colpo ferire.

   Ma i Breen non avevano previsto un attacco come quello dell’Enterprise. L’astronave si materializzò a fianco della stazione e subito li attaccò pesantemente. Le navi Breen furono martellate dai raggi polaronici, dai cannoni a impulso e dai siluri, esplodendo una dopo l’altra. Di solito non era così semplice, ma la classe Universe era molto più grande e armata di qualunque cosa l’Impero avesse mai schierato in battaglia. Gli hangar dell’Enterprise rilasciarono una trentina di caccia stellari, piccoli e micidiali. I loro sistemi erano ridotti al minimo, per risparmiare sui costi di produzione, a spese delle vite dei piloti. Però erano armati con potenti cannoni a impulso. Sciamarono intorno alle navi Breen, attaccando i loro punti deboli: le giunzioni tra le sezioni a forma di falce. Per quanto i vascelli Breen fossero maneggevoli, non potevano sottrarsi all’attacco dei velocissimi caccia. I loro scudi, già indeboliti dalle potenti raffiche dell’Enterprise, iniziarono a cedere.

   «Trudy, concentra il fuoco sulle navi più danneggiate!» ordinò Chase, mentre la plancia vibrava attorno a lui e il soffitto sprizzava scintille. «Cerchiamo di distruggerne il più possibile».

   «Eseguo. Signore, gli scudi sono al 60%» avvertì l’IA.

   «Non possiamo fare da bersaglio. Timoniera, manovre evasive!» ordinò il Capitano.

   «Sì, signore» disse T’Vala, sforzandosi di manovrare i comandi a lei poco familiari. Durante la manovra, Deep Space Nine fu visibile per qualche secondo sullo schermo. Aveva una forma a raggiera, irta d’armi in modo grottesco. Vedendola, T’Vala concepì un piano disperato. Poteva dirigere l’Enterprise in rotta di collisione contro la stazione, distruggendole entrambe. Per l’Impero Terrestre sarebbe stato un duro colpo. Avrebbe perso non solo la sua nave ammiraglia e la sua stazione-chiave, ma anche la navetta temporale, ancora nell’hangar. Per un istante, T’Vala considerò seriamente questa possibilità. Poteva sacrificarsi per colpire quell’Impero malvagio... ma che dire di Grenk e Neelah? O dei civili che si trovavano a bordo? Non poteva sacrificare anche loro. E per cosa, poi? Avrebbe danneggiato l’Impero Terrestre, ma non lo avrebbe certo distrutto. Anzi, lo avrebbe reso ancor più crudele e paranoico. A denti stretti, impostò una serie di manovre evasive. Stava contribuendo a distruggere i Breen, in palese violazione del regolamento di Flotta; ma ogni alternativa le sembrava peggiore.

   «Tenente Shil, lei non sta eseguendo le manovre regolamentari» rilevò Trudy.

   «Ormai i Breen le conoscono, perciò riescono ad anticiparci. Dobbiamo muoverci in modo imprevedibile» si giustificò T’Vala. In realtà stava eseguendo perfettamente le manovre: quelle federali, non quelle imperiali.

   «Buona idea, l’autorizzo a procedere!» disse Chase. Il fatto che la nave scricchiolasse intorno a lui lo rendeva più conciliante del solito.

   «Scudi al 40%» avvertì Trudy.

   «Ma abbiamo demolito mezza flotta nemica!» aggiunse Lantora, speranzoso. «Otto navi distrutte, altre tre disabilitate. Ne restano quattordici».

   «Timoniera, cerchi di mandare i Breen verso DS9» ordinò Chase. «Li schiacceremo fra il martello e l’incudine!».

   «S-sì, Capitano» mormorò T’Vala, sempre più afflitta. Con una serie di manovre accorte costrinse le navi Breen superstiti ad accostarsi alla stazione. Non appena furono a distanza di tiro, Deep Space Nine aprì il fuoco. Una seconda pioggia di raggi polaronici e siluri colpì i vascelli Breen a poppa, dov’erano meno difesi. I loro scudi, già compromessi, cedettero in fretta. Una dopo l’altra, le affilate astronavi andarono in pezzi, riempiendo lo spazio di rottami. I superstiti si gettarono di lato, fuggendo verso lo spazio aperto.

   «Nemici in fuga. Inseguiamoli, possiamo finirli!» esclamò Lantora, emozionato.

   «No, restiamo a proteggere la stazione» decise il Capitano. «Trudy, distruggi le navi alla deriva. Lasciamo che le altre si ritirino. Così tutta la Confederazione Breen saprà cosa l’aspetta».

   «Ma signore!» protestò Lantora.

   «Mi ha sentito, Comandante» lo gelò Chase.

   «Sì, Capitano» disse lo Xindi a denti stretti.

   In pochi minuti, anche l’ultima nave Breen danneggiata ebbe il colpo di grazia, mentre le altre lasciarono il sistema. L’Enterprise aveva perso quasi tutti i caccia, ma non aveva riportato gravi danni.

   «È finita, signore» disse Trudy. «Il bilancio finale è diciotto vascelli Breen distrutti e sette in fuga. La maggior parte di quelli fuggiti ha comunque riportato danni».

   «Una grande vittoria per l’Impero!» esultò Chase. «Signori, mi congratulo con voi. Abbiamo colpito duramente il nemico e riconquistato un avamposto vitale. Ancora un paio di vittorie così e vinceremo la guerra!» disse soddisfatto. «Adesso aiutiamo DS9. La stazione ha subito danni, voglio che siano riparati al più presto. Perché è probabile... anzi certo... che i Breen torneranno. Questo sistema è troppo importante per rinunciarvi. Ma noi saremo pronti a riceverli. Mai più Bajor cadrà in mani nemiche! Terra firma!» disse, levando il braccio nel saluto militare, prontamente imitato dall’equipaggio.

   Anche T’Vala fece il saluto e ripeté il motto. Si accorse con disgusto che stava cominciando ad abituarsi a quella versione di Chase e dell’equipaggio. I rituali che scandivano la loro vita erano così ossessivi che dopo un po’ diventavano automatici: il corpo li eseguiva da sé, senza che la mente ci riflettesse. Era così che funzionavano le dittature, si disse T’Vala; normalizzando le cose più immonde.

   «Tenente Shil!» la richiamò Chase.

   «Sì, signore?» fece lei alzandosi in piedi, con un groppo in gola.

   «Le sue manovre evasive mi hanno sorpreso. Insolite, ma efficaci. Ha visto giusto: dovevamo variarle per sorprendere il nemico. L’autorizzo a improvvisare anche in futuro».

   «Grazie, signore» disse T’Vala, tutta rigida.

   «Anzi, sa che le dico? Merita un encomio!» decise il Capitano. «Trudy, dammi una Medaglia al Valore» disse, levando il palmo. Un teletrasporto di precisione – rosso anziché azzurro – gliela consegnò all’istante.

   «Tenente Shil, per il coraggio dimostrato nella missione col Basilisk e per la creatività da lei mostrata in battaglia, la decoro con la Medaglia al Valore dell’Impero Terrestre!» disse Chase solennemente. Quando le appuntò la medaglia, l’equipaggio di plancia fece un breve applauso. Persino Trudy e Ilia batterono le mani.

   «Grazie, Capitano» disse T’Vala. Provava una sensazione stranissima. Era nella Flotta Stellare da qualche anno, ma nonostante il suo stato di servizio esemplare, non le era mai capitato di ricevere una simile onorificenza. In quel momento Chase le sembrava così simile al suo Capitano che poteva quasi dimenticare chi era realmente, un maniaco genocida. Poteva illudersi di essere sull’USS Enterprise, circondata da amici, e che quella fosse la sua vita normale. Poteva davvero ingannarsi, dimenticare tutto il resto, per un solo istante...

   L’istante passò e T’Vala ripiombò nel suo incubo. Risedendosi al timone, si guardò la medaglia, immaginando quante vite Breen era costata; non era certo qualcosa di cui andar fieri. E allora si detestò per quell’attimo di vanità.

 

   A fine turno, T’Vala lasciò la plancia con un senso d’urgenza; doveva trovare Grenk per fare il punto della situazione. Entrò nel turboascensore, ma prima che la porta scorrevole si chiudesse, Lantora entrò con lei.

   «Che giornata, eh?» commentò lo Xindi.

   «Ricca di eventi» annuì T’Vala. Visto che il suo superiore non diceva niente, si azzardò a chiedere: «A che livello vuole andare, signore?».

   «Il tuo alloggio, il mio alloggio, non fa differenza» rispose lui, con un’alzata di spalle.

   «Prego?» si accigliò T’Vala.

   «Andiamo, imzadi. Solo perché Chase ti ha dato quel pezzo di latta, non vuol dire che devi fare la smorfiosa» sogghignò lo Xindi. La sbatté contro la parete dell’ascensore e la baciò con violenza. Stava già cominciando ad allungare le mani, quando T’Vala lo respinse, tanto forte da mandarlo contro la parete opposta. «Beh, che novità è questa?!» chiese Lantora, contrariato.

   «Signore, devo chiederle di non rifarlo» ansimò T’Vala, passandosi la mano sulla bocca, come se questo potesse cancellare il bacio. «Noi non siamo imzadi» aggiunse con un’occhiataccia.

   «Ah, no? E allora cos’è che facciamo due o tre volte a settimana?» sghignazzò Lantora. «Ponte 10!» ordinò poi all’ascensore.

   T’Vala restò interdetta. Non immaginava che la sua controparte dello Specchio avesse una relazione con il Primo Ufficiale. Doveva giustificare la sua reazione, prima che Lantora s’insospettisse. «Intendevo dire che... essere imzadi significa qualcosa di più» affermò.

   «Ehi, sei stata tu a dirmi che in betazoide significa “amanti”!» obiettò lo Xindi.

   «S-sì, ma... in senso più nobile» balbettò T’Vala. «Essere imzadi significa aver intrapreso un cammino di conoscenza, di fiducia».

   «Non ti fidi di me?» s’indignò Lantora. «Fermare ascensore!» ordinò, scrutandola con sospetto. Non intendeva lasciarla andare senza aver chiarito la situazione.

   «Io vorrei fidarmi, m-ma... ho l’impressione che tu mi nasconda qualcosa!» disse T’Vala, sperando che ribaltare l’accusa servisse a distrarre Lantora.

   «Te lo dice la tua testolina telepatica?» chiese lo Xindi.

   «Sai che la telepatia non è così semplice... e la mente Xindi è difficile da sondare» obiettò T’Vala.

   «Per questo mi azzardo a stare con te» ridacchiò Lantora. «Comunque è vero, c’è qualcosa d’importante di cui vorrei parlarti. Ma non qui» disse.

   T’Vala comprese che non voleva essere spiato da Trudy. «Allora, dove...» cominciò.

   «Ci vediamo al parco, al solito posto» disse Lantora.

   «Okay» annuì T’Vala. Intuì che si trattava del punto mostratole da Neelah, la zona cieca dei sensori in cui si poteva parlare liberamente.

   «Stasera alle sette. Porta anche Grenk» disse inaspettatamente lo Xindi.

   «Come, anche lui?!» si stupì T’Vala, temendo che Lantora li avesse scoperti. «Credevo fosse un incontro più... intimo» aggiunse, pregando che la sua sosia dello Specchio non fosse invischiata in un affare a tre.

   «Per quello avremo tempo, imzadi» garantì lo Xindi. Le cicatrici e la benda sull’occhio resero inquietante il suo sorriso. «Ma prima abbiamo un lavoro da fare» aggiunse enigmatico. T’Vala socchiuse gli occhi, percependo il suo pensiero inespresso: «Se avrò fortuna, non potrai più dirmi di no». Per la prima volta da quand’era su quella nave infernale, la timoniera sentì odore di rivolta.

 

   «Ah ah, è fatta!» rise Chase. Percorse a grandi passi il suo alloggio ed entrò in camera da letto. «Dovevi vedere la faccia di N’Rass, quando le ho detto che il sistema bajoriano è di nuovo nostro!».

   «Indovino... era la faccia di chi vorrebbe strangolarti, ma si deve congratulare. Proprio come ti avevo detto!» sorrise Ilia. La Donna del Capitano era languidamente sdraiata sul letto, in lingerie di pizzo nero, e giocherellava con una bottiglia di spumante.

   «Vedo che ricordi i tuoi doveri» ridacchiò Chase, avvicinandosi. «Che annata è?» chiese, accennando alla bottiglia.

   «2509, ovviamente. È sì, viene proprio dalla Terra» sorrise Ilia, mettendosi in ginocchio sul letto. «Allora, rimarremo qui a Bajor?» chiese, aggiustandosi la frangetta.

   «Finché arriveranno i rinforzi» confermò Chase. «La Flotta si sta riorganizzando... in ogni caso, il Comando non può più estromettermi. Porterò a termine questa campagna, come doveva essere fin dall’inizio. E quando avrò finito coi Breen, non ci sarà più nessuno capace di tenerci testa».

   «Ma allora la nostra vita sarà terribilmente noiosa!» esclamò Ilia, con finta preoccupazione.

   «Questo, mia cara, è un rischio che solo tu puoi scongiurare» disse Chase, afferrando la bottiglia. La stappò, lasciando che alcuni schizzi di champagne bagnassero Ilia.

   «Ho già qualche idea» sorrise maliziosamente la Trill, riprendendosi la bottiglia. Prese un bicchiere dal comodino, lo colmò e lo offrì a Chase. Poi ne riempì un altro per sé. «Ad Alexander Chase, eroe dell’Impero!» disse, facendo cin-cin.

   «Oggi eroe, domani... chissà» disse Chase, pensando già all’ammiragliato, e poi alla corte imperiale. Per un comandante vittorioso le possibilità erano infinite. Si scolò lo spumante.

   «Già, chissà» convenne Ilia, carezzando l’orlo del bicchiere.

   «Che fai, non bevi?» si stupì Chase.

   «Scusa, ma... vorrei tenere la mente lucida» disse Ilia, posandolo nuovamente sul tavolino.

   «Pensavo ti piacesse il contrario, quando c’è da festeggiare» sogghignò Chase.

   «Festeggerò al momento opportuno. Il mio lavoro è appena iniziato» disse inaspettatamente Ilia.

   «Che diavolo stai...?» chiese il Capitano, ma non riuscì a finire la frase. Tutto aveva preso a vorticargli intorno. Barcollò, mentre il bicchiere gli cadeva di mano, per infrangersi sul pavimento. Davanti a lui, l’immagine di Ilia ondeggiava e si sdoppiava. Cercò di afferrarla, ma lei gli diede un calcio, mandandolo ad accasciarsi fra il letto e la parete.

   «Non avrai creduto che i miei talenti si limitassero a questa stanza, vero?» rise Ilia, beffarda. «Posso dirigere questa nave come ho diretto te. Tutte le tue idee, le strategie che ti hanno reso famoso... è da me che vengono. Io te le ho suggerite, un pezzetto alla volta. Tu ci hai rimuginato sopra e poi me le hai rigirate, illudendoti che fossero tue invenzioni. Ma stavi seguendo la strada che io avevo preparato. Mi sei stato utile... ma da qui in avanti posso fare a meno di te».

   «Tu... lurida shutta!» ringhiò Chase, arrancando sul pavimento. La pozione faceva effetto, presto avrebbe perso i sensi. E non credeva che Ilia gli avrebbe permesso di risvegliarsi. «Trudy, aiuto! Portami in infermeria, mi hanno avvelenato!» rantolò, premendosi il comunicatore.

   «È un soppressore neurale, non un veleno. Ma non importa, la tua schiavetta blu non può aiutarti!» rise Ilia, scendendo agilmente dal letto. «Grenk l’ha disattivata. Anzi, credo che l’abbia infettata con un virus informatico... scusa, non sono esperta in queste cose» disse, strappando il comunicatore dall’uniforme di Chase. Il Capitano era così debole che non riuscì a impedirlo.

   «Ma come... per arrivare al mainframe serve la mia autorizzazione!» gemette Chase.

   «Oppure la mia» disse Lantora, entrando a sorpresa in camera. «Con la scusa di fissare alcuni bug, siamo arrivati al plesso centrale e l’abbiamo infettato. I sistemi minimi per far funzionare la nave sono ancora attivi, ma quella noiosa IA non ci darà più fastidio. Potremo riprogrammarla con calma, in modo che ci sia fedele» aggiunse, gonfio d’orgoglio.

   «Sapevo che ce l’avesti fatta!» gioì Ilia, correndogli incontro. Si abbracciarono e si baciarono sfrontatamente, davanti a Chase che annaspava sul pavimento. Lantora fece in modo che Ilia si chinasse all’indietro; fissò il Capitano negli occhi, con maligna soddisfazione, mentre continuava a baciarla. Lo Xindi e la Trill si separarono solo quando dovettero riprendere fiato.

   «Maledetti, vi ucciderò con le mie mani!» minacciò Chase.

   «E come? Ufficialmente soffri di encefalite altariana» disse Lantora, beffardo. «Come saprai è una malattia molto grave, per cui non esiste un trattamento sicuro. Dovremo ricoverarti in infermeria. Non temere; parlerò io all’equipaggio, per spiegare la situazione» disse, continuando a stringere Ilia.

   «Tu...!».

   «Io sarò il Capitano ad interim, finché sarai in cura. Ma temo che le tue condizioni peggioreranno, e che – dopo una breve agonia – il dottore annuncerà il tuo decesso» sogghignò lo Xindi.

   «Ma l’Enterprise non può essere richiamata, ricordi? Deve continuare a proteggere il Tunnel Spaziale» aggiunse Ilia. «L’Ammiraglio N’Rass dovrà ratificare Lantora come Capitano e me come Primo Ufficiale... in barba ai Terrani!».

   «La Flotta Imperiale non doveva caricare alieni sulle sue navi, nemmeno come schiavi!» gridò Chase, lottando per non perdere i sensi.

   «Però l’ha fatto» disse Lantora. «Ci permette di diventare ufficiali, ma ci nega il comando. Sai quant’è frustrante? Sono arrivato fin qui con le mie forze, ma la Flotta vuole che resti il numero due. Perciò sai che faccio? Mi prendo la tua vittoria e anche la tua donna» disse, tornando a baciare Ilia.

   «Mi piace il tuo stile di comando» disse la Trill, strusciandosi contro di lui. «Sai, ho sempre odiato i Terrani. Li odio tutti» disse, fissando perfidamente il Capitano.

   «T-traditori! Non vincerete!» rantolò Chase, soccombendo al soppressore neurale.

   «L’abbiamo già fatto» rise Lantora, stringendo Ilia in vita. «Tu, d’altro canto, hai già un piede nella fossa. E sarà un immenso piacere buttarti dentro!» aggiunse, dando un calcio a Chase. Il Capitano fu ribaltato sulla schiena e giacque privo di sensi.

   «Lantora a Korris» disse lo Xindi, premendosi il comunicatore. «Ti mandiamo il Capitano. È andato tutto secondo i piani. Tienilo sedato e uccidilo lentamente, simulando il decorso della malattia».

   «Con piacere, Capitano Lantora» rispose il medico. «Tre giorni basteranno, per un attacco fulminante di encefalite altariana. Spero che lei abbia preso precauzioni per sfuggire al morbo» aggiunse, ironico.

   «Farò del mio meglio» assicurò Lantora, scambiando uno sguardo d’intesa con Ilia. In quanto alieni, avevano bisogno di restare alleati per mantenersi a capo della nave. Solo insieme erano abbastanza forti da tenere a bada i lealisti di Chase.

   Ilia riattaccò il comunicatore del Capitano alla sua uniforme e lo premette. «Teletrasporto medico d’emergenza» disse indietreggiando. Chase svanì in un bagliore rossastro.

   «Non vorrei essere al suo posto» ammise Lantora. «Nelle mani di Korris... da brividi!».

   «Sei nelle mie mani, e anch’io posso darti i brividi» garantì Ilia, tornando ad abbracciarlo.

   Lantora la sollevò di peso e la scaraventò sul letto. «Ancora un minuto, dolcezza. Devo informare la nave che il Capitano è indisposto».

 

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Capitolo 6
*** Escalation ***


-Capitolo 5: Escalation


   T’Vala si aggirava nell’arboreto, osservando i civili attorno a sé. Erano perlopiù famiglie con bambini, ma c’erano anche ufficiali fuori servizio. Aveva visitato molte zone dell’USS Enterprise e quella era tra le più piacevoli. Ma tutta la nave era molto più accogliente dell’ISS Enterprise a cui era abituata. Non c’erano schiavi e gli alieni non erano cittadini di serie B. Gli ufficiali non giravano nemmeno armati, salvo quelli della Sicurezza. E interrogando il database, nel suo alloggio, T’Vala aveva scoperto che la violenza a bordo era minima. I complotti e gli omicidi a cui era abituata nella Flotta Imperiale erano rarissimi, nella Flotta Stellare. Era davvero capitata in un’altra dimensione e non sapeva come tornare. Non sapeva nemmeno se voleva tornare. Poteva avere una vita più confortevole su quella nave e maggiori opportunità di carriera. Sempre che l’altra T’Vala, la sua sosia, non si facesse viva.
   «Salve, Tenente» la salutò un’Andoriana albina che sedeva in panchina. Fino a qualche attimo prima stava leggendo un d-pad. Ma quando T’Vala le era passata accanto, aveva subito alzato la testa.
   «Salve» rispose T’Vala, frugando nella memoria. Da come l’Andoriana l’aveva salutata, era chiaro che la conosceva... cioè conosceva la sua alter-ego. Chi poteva essere? Alcuni ufficiali dell’USS Enterprise erano diversi dalle controparti: Lantora non aveva la benda sull’occhio, Korris non aveva gli impianti cibernetici. Ma T’Vala non aveva avuto difficoltà a riconoscerli. Quell’Andoriana, invece, la metteva in difficoltà. Ricordò che gli albini, molto rari, erano detti Aenar. C’era una schiava Aenar sull’ISS Enterprise, di nome Neelah. Possibile che quella fosse la sua omologa? Sembrava in condizioni migliori e aveva un’aria molto più sicura di sé.
   «Allora, che mi dice della nostra sfida? Quando mi concederà la rivincita?» chiese l’Aenar, facendole venire un brivido. Ecco cosa poteva smascherarla!
   «Ehm, mi faccia pensare un attimo...». T’Vala ragionò in fretta. Neelah – se davvero era lei – aveva l’aria troppo rilassata perché si trattasse di una cosa seria. Doveva essere uno sport o un gioco di qualche tipo. Tentò di entrarle nella mente, per leggere di che si trattava, ma si scontrò con un muro invalicabile.
   «Che sta facendo?» chiese Neelah, accigliandosi. Le sue antenne si contrassero.
   «Nulla, volevo solo capire quand’era disponibile per... la rivincita» mormorò T’Vala, maledicendosi per la sua goffaggine.
   «Anche adesso, come vede» rispose Neelah. «Lei, piuttosto, come sta? Ho sentito che il dottore la tiene a riposo per afasia sensoriale».
   «Cos’è, vuole approfittarne per vincere?» chiese T’Vala, cercando di suonare amichevole.
   «Non intendevo... beh, se la mette così, rimanderemo a quando starà meglio» disse l’Aenar.
   «Sì, è più opportuno» annuì T’Vala. «Buona giornata».
   «Anche a lei» disse Neelah. L’osservò mentre si allontanava in tutta fretta. Non l’aveva mai vista così stranita. Forse l’afasia era più grave del previsto. Il fatto che avesse cercato di leggerle i pensieri, in particolare, la inquietava. Stava per contattare Korris, ma poi decise di lasciar perdere. Il dottore aveva tanti difetti, si disse, ma conosceva il suo mestiere. Se c’erano dei problemi, se ne sarebbe accorto.
 
   In quel momento anche Grenk percorreva il parco, in cerca di T’Vala. Si erano dati appuntamento lì per discutere la situazione. Avevano compreso che la sorveglianza di Terry era assai più limitata di quella di Trudy, ma non volevano correre il rischio che l’IA captasse la loro conversazione da qualche terminale.
   «Ehilà, Grenk!» tuonò un vocione a poca distanza.
   Il Tellarita vide un Gorn steso al sole. Tutt’intorno aveva dei pannelli argentati riflettenti, che intensificavano luce e calore, concentrandoli su di lui. Ovviamente la sua specie amava molto stare al sole. Indossava dei calzoncini corti e portava occhiali neri, per proteggersi gli occhioni a palla dalla luce troppo intensa.
   «Yotz!» gemette Grenk, sobbalzando per la paura. Il cuore gli batté così violentemente che si portò una mano al petto. L’unico Gorn che aveva visto era il mostro dell’ISS Enterprise: una bestia sanguinaria, priva di raziocinio, che viveva in una prigione-pozzo. Gli davano in pasto i condannati, scommettendo su quanto avrebbero resistito. Anche Grenk partecipava spesso alle scommesse e talvolta aveva vinto qualche sommetta. Si chiedeva che provassero i condannati, quando si trovavano davanti al mostro; ma sperava di non doverlo mai scoprire.
   «Tutto bene, amico?» chiese Raav, alzandosi. «Sembra che tu abbia visto un’entità sporocistica!».
   «No, è tutto a posto» ansimò Grenk, sentendo il cuore calmarsi poco alla volta. «È solo che non mi aspettavo di...» lasciò in sospeso, non sapendo che dire.
   «Di? Lo sai pure che vengo qui a prendere il sole» disse Raav.
   «Certo, ero solo sovrappensiero» cercò di giustificarsi Grenk. «Sono alle prese con un progetto... ma è roba segreta, temo di non poterne parlare neanche a te».
   «Va bene, non insisto» lo tranquillizzò Raav. «Ma se ogni tanto stacchi, vieni pure nel mio locale! È da un pezzo che manchi. Sai quanto mi piace avere amici per cena!».
   «Per cena? Uh... non mancherò» disse Grenk, sbiancando. «Arrivederci, vecchio mio» salutò, avviandosi lungo il sentiero di ghiaia.
   «Alla prossima» fece Raav, e tornò al suo bagno di sole.
   «Amici per cena... brrrr!» gemette Grenk, allontanandosi di buon passo. «Ma dove si è cacciata quella perdigiorno?» mugugnò, guardandosi attorno alla ricerca di T’Vala. Finalmente la vide e le andò incontro spedito.
   «Ah, eccoti» lo riconobbe la mezza Vulcaniana. «Ho appena incontrato un’amica di T’Vala che voleva la rivincita di chissà quale gioco. Per poco non mi scopriva».
   «Non dirlo a me. Ho rischiato l’infarto, poco fa!» rispose Grenk. Andarono in una zona isolata fra gli alberi, lontano dai vialetti bianchi e dalle aiuole fiorite.
   «Allora, hai capito cos’è successo?» chiese T’Vala. «Come siamo finiti qui?».
   «È stato l’esperimento col Basilisk, senza dubbio» rispose Grenk.
   «Sì, fin qui ci arrivo anch’io!» disse T’Vala, impaziente. «Tutto è cambiato quando siamo rientrati sull’Enterprise. Intendevo se hai capito il processo e se puoi ripeterlo per tornare».
   «So cos’è stato» assicurò Grenk. «Non ci crederai, ma il Capitano mi lascia accedere facilmente alla crono-navetta. Durante il test, il nucleo temporale è entrato in risonanza con quello dell’altra navetta, pilotata dai nostri sosia. Siccome eravamo esattamente nello stesso tempo e luogo, ci siamo scambiati di posto».
   «È un caso talmente improbabile da sfidare ogni logica» commentò T’Vala. «Ma questo significa che non riusciremo a ripeterlo per tornare!» aggiunse preoccupata.
   «No di certo» confermò Grenk. «Perché, hai nostalgia dell’altra Enterprise? Lì eravamo poco più che servi. Qui ci va molto meglio!» gongolò.
   «E pensi di restare per tutta la vita?» chiese T’Vala.
   «Perché no? Sarà una vita più comoda e anche più lunga!» rispose il Tellarita. «Dobbiamo solo imparare tutto sui nostri sosia: amicizie, competenze, per non farci scoprire».
   «Non sarà facile» disse T’Vala. «E poi, hai pensato che staranno combinando loro sull’ISS Enterprise?».
   «A quest’ora è probabile che li abbiano già scoperti e giustiziati» disse Grenk con noncuranza.
   «E se scoprissero noi?».
   «Uhm... qui la pena di morte non c’è. Però ci metterebbero in cella, sicuro» rispose Grenk.
   «Allora dovresti cercare un modo per andarcene. Non dico di farlo subito... ma potrebbe esserci utile avere una via di fuga, se le cose si mettessero male» suggerì T’Vala.
   «In effetti ho già una mezza idea» rivelò Grenk. «In passato i contatti fra i nostri Universi avvennero talvolta col teletrasporto. Ma si trattò più che altro d’incidenti, molto difficili da replicare. Nell’ultimo secolo e mezzo non c’è riuscito nessuno».
   «Strano! Più la tecnologia progredisce, più il trasferimento dovrebbe essere facile» osservò T’Vala.
   «Credo che funzioni a periodi. In alcuni momenti il velo fra i nostri Universi è più sottile e può essere attraversato» spiegò Grenk. «Ma se dovessimo tornare nell’Impero Terrestre, come credi che ci accoglieranno?» chiese preoccupato.
   «Come eroi, se forniremo informazioni dettagliate sulla Federazione... assieme al segreto per tornarci» rispose T’Vala.
   «Uhm, non ci avevo pensato» borbottò Grenk. «Se trovassimo un modo facile di passare tra gli Universi, innescheremmo reazioni... beh, imprevedibili. Ma non so, devo ancora studiare il problema. È presto per dire se il teletrasporto può riportarci a casa».
   «Fa’ del tuo meglio» disse T’Vala. «Io cercherò di capire che succede alla Federazione, con la guerra e tutto». Con questa intesa, l’ingegnere e la timoniera si lasciarono.
 
   L’USS Sojourner era partita sulle tracce dei Krenim da giorni e ancora non aveva dato sue notizie. Chase le attendeva con impazienza, maledicendo di non poter lasciare Khitomer. Avrebbe dovuto esserci lui, là fuori, con l’Enterprise. Smontato dal servizio, andò nel suo alloggio e fece una cosa che gli ronzava in testa da un po’. C’era un altro problema da risolvere, non così drammatico, ma molto personale. Sedette al tavolo di lavoro, una copia più piccola della scrivania che aveva nell’ufficio, e chiamò sua sorella Helen. Gli ci era voluto un po’ per scoprire dove alloggiava. Con la manifestazione dei Pacifisti che stava per iniziare, le prenotazioni alberghiere nella capitale erano al completo. Lo schermo olografico restò bianco per diversi secondi, mentre Chase tamburellava nervosamente sul tavolino. Poi, finalmente, Helen rispose.
   «Ciao, Alexander» disse, entrando nell’inquadratura. Non era cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista. Di cinque anni più giovane di lui, aveva i capelli di un castano più chiaro, quasi biondo, e penetranti occhi grigi. I capelli erano molto corti, ma Chase notò con sollievo che non se li era rapati a zero, come facevano le fanatiche pro-Tuteriani. Comunque il logo del MPG le campeggiava sulla maglia.
   «Ciao, sorellina» la salutò. «Sei difficile da trovare. Ho dovuto chiamarti in albergo, perché hai il comunicatore sempre spento».
   «Scusa, ma sono giorni molto stressanti per me» rispose Helen. «Sto preparando la manifestazione».
   «Anche per me non è un gran periodo» ammise il Capitano. «Ma avrai una linea a cui i tuoi adepti possono trovarti, o non riusciresti a organizzare granché».
   «Non sono adepti, ma colleghi» puntualizzò Helen.
   «Ora che sei tra i leader del Movimento, non fa molta differenza» disse Chase. «La dottoressa Neelah mi ha detto che le hai fatto visita, qualche giorno fa. Non sapevo nemmeno che fossi salita sull’Enterprise. Avremmo potuto vederci».
   «Non volevo farti perdere tempo» spiegò Helen.
   «Oh, quello l’avrei trovato» assicurò Chase. «Senti, ti ho chiamato per la manifestazione di domani».
   «Sì?».
   «Preferirei che tu non partecipassi alla marcia. Ho un gran brutto presentimento» avvertì il Capitano.
   «Temi che i tuoi commilitoni ci prendano a manganellate?» chiese Helen, sarcastica.
   «I federali non lo faranno, ma non posso garantire per i Klingon» disse Chase. «Comunque, temo che saranno i tuoi amici Pacifisti a cedere per primi alla violenza. Di solito, in occasione di queste marce, si mettono a spaccare vetrine e incendiare veicoli».
   «Quelli non sono certo Pacifisti. Sono una piccola minoranza di scalmanati che s’infiltrano in queste occasioni» rispose Helen all’istante.
   «Non tanto piccola» puntualizzò Chase. «Ho visto i filmati delle vostre marce; spesso i facinorosi sono la maggioranza. Com’è che nei vostri ranghi ci sono così tanti violenti? Perché non li isolate?» chiese.
   «E credi sia facile? Noi organizzatori non conosciamo personalmente tutti quelli che arrivano, e non possiamo neanche interrogarli o perquisirli tutti» si giustificò Helen. «Comunque trovo inquietante il fatto che tu non distingua tra i nostri supporter e qualche esaltato».
   «Io, invece, trovo inquietante il fatto che nelle vostre manifestazioni mettete a ferro e fuoco le città» rispose il Capitano.
   «Stavolta non succederà. Sarà una manifestazione di pace, amore e fratellanza. Metteremo i bambini in prima fila» garantì Helen.
   «Cioè li metterete fra voi e le forze di sicurezza, perché facciano da scudi. Non credi che i minorenni dovrebbero stare fuori da queste manifestazioni politiche?» domandò Chase, sempre più accigliato.
   «Siete voi soldatini che dovreste starne fuori, se non volete farvi male» avvertì Helen.
   «Cos’è, una minaccia?».
   «Una semplice constatazione. La tua cara Flotta Stellare ha fatto il suo tempo. Poteva avere un senso due secoli fa, ma oggi è del tutto inadatta ad affrontare i problemi» disse Helen freddamente.
   «Non vedo alternative migliori».
   «Ce ne sono molte. La nostra, per esempio».
   «Voi volete smobilitare la Flotta e consegnare la Federazione agli invasori. Non venirmi a dire che è la soluzione giusta!» s’innervosì Chase.
   «Perché, inasprire sempre più la guerra ti sembra una soluzione?» ritorse Helen. «Vedi, il tuo problema è che lo consideri un gioco a somma zero. Sei convinto che, per salvarci, dovremmo vincere la guerra».
   «E non dovremmo farlo?».
   «No, per niente!» si appassionò Helen. «Noi del Movimento non vogliamo che la Federazione vinca questa dannata guerra. Prima che tu me lo chieda, no, non vogliamo nemmeno che vincano i Tuteriani. Come dirò nel mio discorso, pretendiamo invece un immediato cessate il fuoco. Dopo di che i rappresentanti delle due fazioni potranno sedersi attorno a un tavolo e trovare una soluzione diplomatica. In tal modo, vinceremo tutti e non perderà nessuno».
   «Perderemo eccome, invece!» obiettò il Capitano. «Per smettere di massacrarci, i Tuteriani pretendono che gli consegniamo un terzo dei nostri mondi. Un terzo, nientemeno! Significherebbe deportare mille miliardi d’individui, quasi tutti contro la loro volontà. Una democrazia non potrebbe mai fare una cosa del genere. La Federazione dovrebbe trasformarsi in una dittatura, per espropriare le persone delle loro case e deportarle a forza su altri mondi. E anche così, servirebbero interi secoli. I Tuteriani non sono disposti ad aspettare tanto, quindi vedi che la tua proposta è impraticabile».
   «Con il loro aiuto, potremo sveltire le operazioni. E una volta aperti i negoziati, non è da escludere che riducano le loro pretese» insisté Helen.
   «Ah, quindi dovremmo lasciare che siano loro a deportare la nostra gente!» sbottò Chase, sempre più esasperato. «E se invece di deportarla la sterminassero? E se dopo essersi impadroniti di un terzo dei nostri mondi partissero alla conquista dei rimanenti? Non possiamo fidarci dei Tuteriani... ti rendi conto che le loro anomalie hanno già sterminato milioni di nostri concittadini? Stanno compiendo un genocidio sotto i nostri occhi!».
   «Tutte quelle persone sarebbero ancora vive, se la Federazione avesse scelto la diplomazia anziché la guerra! È il nostro governo che le ha sacrificate sull’altare dell’interesse politico!» proruppe Helen.
   «Questa poi! È come dire che se un ladro si presenta a casa tua e ti ammazza per derubarti, la colpa è tua, perché non gli hai ceduto all’istante casa e averi!» protestò Chase.
   «Piuttosto è come dire che non è giusto se noi abbiamo tutto e i Tuteriani sono lasciati a morire nel loro Universo condannato» corresse la sorella. «Dev’esserci una via di mezzo, una via dell’equità, che renda inutile la violenza».
   «Sono due anni che la cerchiamo inutilmente» ribadì il Capitano. «Ma voi cosiddetti Pacifisti... voi avete così tanta pietà per i nemici che non ve ne resta alcuna per gli amici» accusò.
   «Oh, per favore!» sbottò Helen. «Solo una mentalità arcaica e tribale polarizza fra amici e nemici. Noi crediamo che non esistano nemici, ma solo fratelli da accogliere...».
   «Noi, noi!» la motteggiò Chase. «Ho notato che parli sempre al plurale. Cos’è, ti sei identificata a tal punto nel Movimento da smarrire la tua identità? Non saresti la prima».
   «Dico ciò che penso, che è anche l’opinione degli altri» si difese la sorella. «Come stavo dicendo, questo vostro accanimento contro i Tuteriani è ingiustificabile. Li trattate come se fossero una piaga da estirpare. Noi, invece, crediamo che siano come tutte le altre specie con cui siamo entrati in contatto. Possiamo fare la pace con loro, come l’abbiamo fatta con gli altri. E al pari degli altri, anche loro hanno certamente qualcosa da insegnarci» disse con fermezza.
   «Dici così perché non sei mai stata in mezzo ai Tuteriani. Io sì, invece!» rivendicò Chase. «Ho provato a trattare con loro, a inizio guerra, e ti assicuro che sono ostili. Hanno cercato di uccidermi e di distruggere l’Enterprise. Mi hanno detto chiaramente che intendono sterminarci e sono anni che ci provano...».
   «Santo Cielo, Alexander! Non puoi giudicare un intero popolo dalle parole di pochi!» esclamò Helen, alzando gli occhi al soffitto.
   «Se quei pochi sono i leader, devo prenderli sul serio. E sono minacce confermate dai fatti» le ricordò Chase.
   «Sì, va beh, rinuncio a discutere con te!» sbuffò la sorella, esasperata. «Spero di non ritrovarmi mai con vedute così ristrette».
   «Le mie “vedute ristrette” hanno salvato interi mondi, nei quali adesso il tuo Movimento fa proseliti» notò il Capitano. «Senza di me, avresti molti meno sostenitori».
   «Alexander, mi hai chiamata solo per insultarmi o c’è anche un vero motivo?» chiese Helen.
   «Non fare la vittima, perché non lo sei. Ti ho già spiegato il motivo: non voglio che tu vada alla manifestazione» ripeté Chase.
   «Sì, beh, mi spiace che tu non voglia, ma la cosa non ti riguarda!» rispose Helen con veemenza. «Domani sarò in piazza, perché è una mia responsabilità».
   «Promettimi che non ti metterai nei guai. Se non per me, fallo per mamma e papà. Alla loro età, gli si spezzerebbe il cuore» tentò ancora il Capitano.
   Helen gli lanciò una strana occhiata, che Chase non seppe interpretare. C’era rabbia, ma anche compassione. «Cercherò di stare lontana dai tafferugli... se ce ne saranno» cedette la donna. «Ma sono certa che andrà tutto bene».
   «Richiamami, quando sarà finita».
   «D’accordo. A presto, Alexander».
   «A presto, sorellina».
 
   La manifestazione venne, in mezzo a eccezionali misure di sicurezza. Le strade della capitale furono ingolfate da una marea di cittadini che protestavano con cartelli, bandiere, palloncini e ologrammi. Il corteo principale, capitanato da Helen Chase, reggeva uno striscione con su scritto a caratteri cubitali:
 
I TUTERIANI NON SONO IL PERICOLO.
I TUTERIANI SONO IN PERICOLO!
 
   I dimostranti scandivano slogan di questo tenore, accompagnandosi con trombette e altri strumenti. Alcuni esibivano pupazzetti caricaturali degli ufficiali federali, rappresentati come macellai con le mani insanguinate o come gerarchi della Terza Guerra Mondiale. Come annunciato da Helen, i bambini furono messi in prima fila. I manifestanti appartenevano a gran parte delle specie federali, così che i cortei erano quanto di più multiforme e variopinto si potesse immaginare.
   I cieli della capitale erano percorsi solo da navette e droni autorizzati, appartenenti alla Flotta Stellare o ai Klingon. Forze di sicurezza di entrambe le potenze si spartivano i settori cittadini da controllare, in una delicata operazione congiunta. La zona più sorvegliata era naturalmente la piazza principale, davanti al Palazzo dei Congressi. Lì si radunarono i numerosi cortei che avevano sfilato per le strade. La piazza, per quanto vasta, non poteva accogliere tutti i dimostranti. Molti rimasero nelle strade o affluirono in piazzole minori.
   Momenti di tensione si ebbero quando i manifestanti affluiti nella grande piazza bruciarono alcune bandiere della Federazione e della Flotta Stellare, invocando la fine del conflitto. Anche i pupazzetti degli ufficiali di Flotta furono gettati ad ardere nel rogo. Dopo di che Helen Chase tenne il suo infuocato discorso, su un palco improvvisato davanti al Palazzo dei Congressi. I Klingon avrebbero voluto farla sloggiare, perché non tolleravano le accuse lanciate al loro Cancelliere. Solo la pressione degli ambasciatori federali riuscì a rabbonirli. Comunque parecchi Klingon tirarono fuori i Bastoni del Dolore, facendoli assaggiare ai dimostranti più scalmanati. Fortunatamente i tafferugli rimasero isolati. Per tutta la giornata, le astronavi Klingon e federali scandagliarono la città con i sensori, in cerca di qualunque cosa potesse minacciare la sicurezza.
   Al calar del sole, i Klingon si fecero avanti per sgomberare la piazza. Dapprima i dimostranti fecero resistenza, ma poi Helen li pregò di andarsene pacificamente. Con molti mugugni, e anche insulti e sputi rivolti alle forze di sicurezza, i manifestanti cominciarono a defluire. A notte fonda si erano ormai ritirati negli alberghi e negli spazioporti. Si erano lasciati dietro strade e piazze luride, ma parte questo non c’erano danni. Sollevato, il Capitano Chase richiamò sua sorella.
   «Allora, che ti avevo detto?» fece Helen, trionfante. «È stata una grande dimostrazione di pace e dignità».
   Chase avrebbe voluto rispondere che i palloncini, i pupazzetti e le trombette non gli sembravano molto dignitosi, specie se accompagnati da insulti sguaiati. Ma era troppo sollevato nel vederla salva e non voleva litigare ancora. «Allora ritorni a casa?» domandò.
   «Non ancora, resto qualche giorno su Khitomer» rispose Helen. «Vorrei aspettare la decisione dei Klingon, se possibile».
   «Sai che stanno rimpatriando i tuoi supporter» le ricordò Chase. «Vi hanno permesso di manifestare ora, ma non ve lo lasceranno fare quando il Cancelliere avrà annunciato la sua decisione. Se entrerà in guerra, voi protesterete ancora di più... e questo i Klingon non lo consentiranno».
   «Molto comodo per la Flotta Stellare» notò Helen. «Invece di cacciarci, come vorreste, lo lasciate fare ai Klingon».
   «Non sai quanto abbiamo faticato perché vi lasciassero manifestare almeno oggi» spiegò Chase. «Molti di loro avrebbero preferito prendervi a sberle coi Bastoni del Dolore. Sii grata che i nostri ambasciatori li abbiano trattenuti. E dimmi... hai l’autorizzazione per restare?».
   «Certo» assicurò Helen. «Siamo in pochi, ma possiamo rimanere fino al giorno del verdetto. Se i Klingon scenderanno in guerra, sarà una catastrofe. E noi saremo lì a testimoniarla».
   «Sai come la penso al riguardo... ma lasciamo stare, l’importante è che tu stia bene» disse Chase. «Quando sarà tutto finito, potresti fare un salto qui sull’Enterprise, se saremo ancora in zona. Vorrei rivederti di persona».
   «Sarebbe bello, ma... sai com’è, abbiamo i nostri doveri» rispose Helen, malinconica. «I tuoi ti tirano da una parte, i miei dall’altra. Potrebbe passare del tempo, prima di rivederci».
   «Come vuoi» sospirò Chase. «Alla prossima, allora».
   «Sì, alla prossima».
 
   Quella sera, T’Vala e Grenk s’incontrarono nell’alloggio del Tellarita. T’Vala scoprì che Grenk si era portato lì alcune bobine di teletrasporto e altri componenti, per lavorarci al riparo da sguardi indiscreti.
   «Ti stai dando da fare» commentò, scavalcando un paio di lunghi cavi.
   «Stai attenta, se li tocchi muori» avvertì Grenk. «Sì, qualche giorno fa ho avuto un’intuizione, e da allora ho fatto enormi progressi. Credo davvero che sia possibile teletrasportarci nel nostro Universo, sincronizzandoci col teletrasporto dell’ISS Enterprise».
   «Straordinario!» riconobbe T’Vala. «Sei il miglior ingegnere della Flotta».
   «E come pensi di ringraziarmi, dolcezza?» chiese Grenk, facendole l’occhio di triglia.
   «Non nel modo che vorresti» rispose lei. «Ma che facciamo, se l’ISS Enterprise si è allontanata oltre il raggio del teletrasporto?».
   «In quel caso dovremo allinearci col teletrasporto di un’altra nave imperiale nelle vicinanze. Oppure di un’installazione su Khitomer» disse Grenk.
   «Ma puoi modificare così tanto un teletrasporto senza che nessuno se ne accorga?» chiese ancora T’Vala.
   «Uhm, in effetti sarà dura. E poi, ora che ho ripreso servizio, ho meno tempo per lavorarci» ammise Grenk.
   «Anch’io ho preso servizio in plancia. È stranissimo vedere quelle versioni buoniste dei nostri colleghi» commentò T’Vala, scuotendo la testa. «Comunque vivere qui non è male. Persino con la guerra in corso, si sta meglio che sull’altra Enterprise. È bello non doversi sempre guardare le spalle, non essere trattata come spazzatura dagli Umani...» aggiunse, sognante.
   «Che quadretto commovente; quasi mi dispiace guastarlo» disse una figura femminile dalla pelle grigia, materializzandosi dal nulla.
   «Frell! Chi diavolo sei?!» sobbalzò Grenk. Afferrò un saldatore, pronto a lottare per difendersi.
   «Lascia stare, non puoi ferirmi. Perché io non sono realmente qui» avvertì l’aliena, entrando in piena luce. Aveva lineamenti appena abbozzati, occhi dai riflessi metallici e un vestito violaceo, dagli intricati ghirigori.
   «So chi sei, Messaggera» disse T’Vala. «È il tuo popolo che riconfigura lo spazio con le anomalie».
   «Vedo che t’interessi all’attualità» disse la Messaggera, sorridendo freddamente. «Ma scommetto che anche per te è difficile adattarti a questo Universo».
   «Di che parli? Io sono sempre stata qui» mentì T’Vala.
   «Ti prego, risparmiami la commedia» disse la Messaggera. «La mia gente è esperta di viaggi interdimensionali. Credevi che il vostro spostamento ci sarebbe passato inosservato? La vostra presenza qui è un’occasione imperdibile!» disse, leccandosi le labbra.
   «Perché dovremmo aiutarti, brutta strega?» chiese Grenk.
   «Perché in caso contrario farò in modo che il Capitano vi scopra per ciò che siete: impostori che si spacciano per i suoi ufficiali» minacciò la Messaggera. «A quel punto v’interrogheranno sull’Impero Terrestre... sarà molto spiacevole. Credete che in questa dimensione non sappiano infliggere dolore? Non avete ancora incontrato la Sezione 31!» ridacchiò.
   «Va bene, ci tieni in pugno» ammise T’Vala. «Ma perché siamo così importanti, per te? I mezzi per colpire la Federazione non ti mancano».
   «Dall’esterno, no» convenne la Messaggera. «Ma è da dentro che bisogna colpire l’avversario, se lo si vuole morto. In passato ci era facile, grazie ai Parassiti Neurali. Ma ahimè, il Capitano e la sua squadra hanno ucciso la Regina, vanificando anni di sforzi. Così ci servite voi. Siete perfetti! Indistinguibili dai vostri alter-ego» disse soddisfatta. «Tu, ingegnere, hai accesso ai gangli vitali della nave. È lì che dovrai colpire».
   «Vuoi che compia un sabotaggio» disse Grenk, terreo in viso. «Proprio quel che speravo di evitare... un’occasione per farci scoprire!».
   «Se sabotiamo l’Enterprise, difficilmente riusciremo a nascondere la nostra responsabilità» osservò T’Vala. «Non ti siamo più utili come informatori?».
   «No, la vostra missione è troppo importante» disse la Messaggera. «Ci farà vincere la guerra».
   «E così devasterete l’intera Galassia» commentò T’Vala. «Hai fatto male i conti, Messaggera. Non ti aiuteremo».
   «Neanche per salvarvi?».
   «Di che salvezza parli?!» le rise in faccia T’Vala. «Aiutandoti condanniamo la Galassia. Se dobbiamo finir male in tutti i casi, tanto vale salvaguardare la Via Lattea. È logico» concluse.
   «Alla tua logica è sfuggito il punto fondamentale» disse la Messaggera, sorridendo sinistramente. «Se il mio popolo sarà respinto da questo Universo, dovrà conquistarne un altro. Il prossimo sulla lista è il vostro».
   «L’Impero Terrestre è molto più agguerrito della Federazione» avvertì Grenk.
   «Ma è impegnato in una dura guerra contro i Breen. E le rivalità fra i vostri gerarchi torneranno a nostro vantaggio» obiettò la Messaggera. «Anche se non riusciremo a conquistarlo, faremo enormi danni. Interi pianeti saranno distrutti dalle anomalie. Perciò ditemi: se una Galassia deve perire, quale preferite che sia?».
   T’Vala e Grenk si scambiarono un’occhiata angosciata. Per quanto apprezzassero la nuova sistemazione, non potevano condannare i loro mondi natali. Così, non avevano scelta.
   «Ti aiuteremo, lurida shutta» disse Grenk a denti stretti. «Ma i nostri colleghi non sono stupidi. Se saboteremo dei sistemi chiave, risaliranno a noi. Già ci sospettano».
   «Allora speriamo che tu riesca a modificare il teletrasporto in tempo» disse la Messaggera. «Perché quel che succederà fra poco vi farà rimpiangere la vita sull’ISS Enterprise».
 
   Pochi giorni dopo, il Cancelliere Kuntagh annunciò il discorso tanto atteso. Per l’occasione, la capitale fu blindata ancor più che durante la manifestazione dei Pacifisti. Pattuglie Klingon erano ovunque, specialmente intorno al Palazzo dei Congressi. Le astronavi erano in orbita geostazionaria sopra la città, appena fuori dallo Scudo Planetario che avvolgeva l’intero pianeta. Cinquanta navi Klingon e altrettante federali, scelte fra il meglio delle rispettive flotte, orbitavano in formazione serrata. Tutti gli occhi della Federazione e dell’Impero erano puntati su Khitomer. Sulla plancia dell’Enterprise, Chase e i suoi ufficiali osservarono l’annuncio in diretta.
   Il Cancelliere salì sul palco. Era un Klingon imponente, dalla pelle scura e le creste craniali marcate. La veste argentea da Cancelliere, sovraccarica di fasce e decorazioni, lo faceva sembrare ancor più massiccio. I suoi lunghi capelli striati di grigio si confondevano con tutti quegli ornamenti. Si schiarì la voce e iniziò il discorso.
 
   In quel preciso momento, in un settore remoto del Quadrante Alfa, l’USS Sojourner raggiunse il termine della traccia di curvatura Krenim. Era una nave di classe Mjölnir, costruita nei primi decenni del XXVI secolo, e il suo aspetto si discostava molto dal tradizionale design della Flotta Stellare. Al posto della sezione a disco c’era una sezione a martello, che ospitava gli alloggi, le stive di carico e un grande hangar centrale. La sezione motori era ridotta al minimo e conteneva ben poco, oltre al nucleo quantico. La classe Mjölnir poteva separare le sezioni ed era in grado di atterrare sui pianeti, cosa di cui non poteva vantarsi nemmeno l’Enterprise.
   Anche se non schierava un grande arsenale, la Sojourner era equipaggiata con un moderno dispositivo di occultamento. Lo aveva tenuto attivo fin da quando aveva cominciato a seguire, a ritroso, la traccia di curvatura Krenim. Una precauzione che ora si rivelava indispensabile.
   Lo spazio davanti all’astronave era affollato di catapulte subspaziali, dalle esili strutture prefabbricate, che erano state portate nelle stive Krenim e poi montate rapidamente. Dunque Hortis aveva mentito: la sua nave non era giunta sola. I Krenim avevano una vasta flotta e potevano accelerarla verso qualsiasi destinazione. Potevano tornare rapidamente nel Quadrante Delta, se lo volevano. Ma non era nelle loro intenzioni.
   Decine di navi da guerra Krenim erano allineate davanti alle catapulte e vi entravano una dopo l’altra. Appartenevano a classi diverse, dagli incrociatori alle navi scorta, fino alle piccole navi-pattuglia. I loro scafi arancioni o giallastri erano irti di cannoni distruttori e lanciasiluri. Altri vascelli pattugliavano la zona, pronti a respingere eventuali intrusi. Fortunatamente non avevano rilevato la Sojourner occultata. Ma non c’erano dubbi sulle intenzioni dei Krenim: le catapulte puntavano dritte verso Khitomer.
   «Andiamo, prima che ci scoprano» ordinò il Capitano Prasad. «E apriamo un canale con Khitomer: devono sapere cosa gli sta andando incontro».
   «Signore, per arrivare fin qui abbiamo superato dei campi di anomalie» gli ricordò l’Ufficiale Scientifico. «Il segnale subspaziale potrebbe non passare».
   «Speriamo che passi... o sarà la fine della civiltà» disse il Capitano.
 
   «Un controllo del processore, proprio ora?» si stupì Terry. «Pensavo che volesse assistere al discorso del Cancelliere. È di vitale importanza».
   «Infatti sono molto teso» disse Grenk. «Ma ognuno reagisce diversamente allo stress, e io... preferisco lavorare. Non voglio stare col fiato sospeso per mezz’ora, prima che il Cancelliere arrivi al punto. Quando si saprà se accetta di aiutarci, m’informi pure».
   «Come preferisce» disse Terry, che aveva smesso di stupirsi delle stranezze dell’Ingegnere Capo. Precedette Grenk nella sala del processore. Era una stanza più lunga che larga, piena di strumentazioni per facilitare l’interfaccia con il computer. Conteneva anche una sedia per l’interfaccia immersiva, con cui i tecnici informatici potevano entrare nella mente di Terry, per controllare i programmi, aggiungerne di nuovi o correggere eventuali problemi. Le pareti erano piene d’indicatori, che al momento registravano la condizione di normalità. Il processore primario di Terry si trovava oltre la parete di fondo, anche se le sacche di gelatine bio-neurali si allungavano nelle pareti laterali. Tramite alcuni pannelli, localizzati raso terra, si poteva accedere alle gelatine. Grenk ne aprì uno, rivelando lo scomparto con le sacche bluastre di neuroni. Voleva controllare che il processore fosse uguale a quello dell’ISS Enterprise.
   «Che sta facendo?» chiese Terry.
   «Niente, controllo una cosa... è tutto in ordine» disse Grenk, dirigendosi alla sedia-interfaccia senza neanche richiudere il pannello.
   «Da dove vuole cominciare?» chiese Terry.
   «Aprimi tutti i sistemi centrali, voglio prima fare un check-up» disse Grenk, cercando di nascondere il nervosismo. Si accomodò sulla sedia-interfaccia, che era troppo grande per la sua corporatura Tellarita. Dovette aggiustare i comandi per avere tutto alla sua portata. Un casco pieno di luci pulsanti gli calò in testa, per captare i suoi pensieri e trasferirli nel software di Terry.
   «Attivo l’interfaccia immersiva» disse Terry. «È sicuro di voler fare senza i suoi colleghi?».
   «Sono tutti davanti agli schermi, che pendono dalle labbra di quel vecchio Cancelliere» disse Grenk. «Che c’è, non mi credi all’altezza?».
   «Oh no, conosco la sua competenza» disse Terry, incrociando le braccia dietro la schiena. «È pari solo alla sua cocciutaggine, se mi permette. Sistemi in linea, si prepari a entrare. Tre, due, uno... inizio immersione».
   La sala del processore si dissolse intorno a Grenk, come anche la sedia-interfaccia. Era in piedi, adesso, nel cyberspazio azzurrino percorso da stringhe di dati. Aleggiavano tutt’intorno a lui. Alcuni scorrevano in verticale, altri in orizzontale. Certi programmi erano strutture compatte, altri si allargavano come ragnatele. I blocchi principali erano connessi da stringhe di dati, come i neuroni del cervello umano si collegano tramite i dendriti. Un profano vi si sarebbe smarrito; ma Grenk era uno dei migliori ingegneri dell’Impero Terrestre. E sapeva che, se avesse fallito, la sua Galassia sarebbe stata invasa da una forza implacabile. Toccò una stringa di dati e la aprì, andando sempre più in profondità nel programma, finché trovò quel che cercava. Un punto vulnerabile.
   «Terry, devo scaricare dei dati in questa sezione» disse, cominciando già a digitare alcune sequenze di avvio. «Ho tutto in un’unità di memoria. Ti dispiace darmi un ingresso? Farò alcuni ritocchi da qui, intanto che scarichi i dati».
   «Come desideri... anche se preferirei sapere di che si tratta» disse Terry, materializzandosi di fianco a lui.
   «Come, non ti piacciono le sorprese?» chiese Grenk.
   «Non particolarmente» rispose Terry. «Ecco, questo è l’ingresso». Fece comparire un lettore davanti a Grenk. L’ingegnere si tolse un piccolo disco di memoria dal taschino e ve lo inserì. Era un gesto virtuale, ma calibrato con i suoi movimenti sulla sedia-interfaccia. Nel mondo reale, quindi, Grenk si sfilò l’unità di memoria dal taschino e l’inserì nel lettore che si era aperto sul bracciolo.
   Subito squillarono gli allarmi. Un’onda di codici rossi eruppe davanti a Grenk e assalì quelli azzurri, contagiandoli. Il rosso si espanse come un incendio, riscrivendo i codici di Terry man mano che li incontrava. Allo stesso tempo, Grenk inseriva ulteriori comandi nelle correnti di dati attorno a lui, per abbassare le difese di Terry e facilitare la diffusione del virus.
   «Che sta facendo?!» gridò Terry, angosciata. «Ha inserito un virus nel mio programma! Sta contagiando le mie subroutine!».
   «E questo è solo il primo passo» disse Grenk, scrivendo frettolosamente. «Presto sarai ai miei ordini. Potrò ordinarti di aprire il fuoco e tu obbedirai».
   «Non se avverto il Capitano e gli altri. Stai per essere arrestato, traditore» disse Terry. Ma le stringhe rosse intorno a lei l’avvolsero come fruste infuocate. La circondarono più e più volte, serrandole le braccia lungo i fianchi. Sembravano serpenti che avvolgevano la vittima prima di divorarla. In pochi istanti Terry fu immobilizzata dal collo alle caviglie. Altre stringhe continuavano ad aggiungersi, soffocandola sempre più. L’IA cercò di avvertire gli ufficiali dell’Enterprise, ma scoprì con orrore di non poterlo fare. La sua immagine virtuale si dibatté, cercando di spezzare i codici che l’avvolgevano, ma era inutile.
   «Non puoi avvertire nessuno, cocca!» ridacchiò Grenk. «Ad ogni istante che passa, altri tuoi sistemi cedono. Niente si espande come un virus informatico».
   «Ho molti livelli di sicurezza» disse Terry. «Per quanto il virus sia forte, gli servirà tempo per superarli tutti».
   «Non molto» disse Grenk. «E quando avrò finito, non rimarrà granché del tuo programma. Ma su con la vita, forse qualche tecnico ti salverà, dopo che me ne sarò andato. Magari ti ricicleranno come computer scolastico. Per le scuole elementari, intendo!» esclamò, e scoppiò a ridere sguaiatamente.
 
   In plancia, la proiezione isomorfa di Terry ebbe un istante di sfrigolio elettronico. La sua sagoma divenne blu, percorsa da stringhe di 0 e 1, salvo gli occhi che brillarono rossi. Siccome tutti avevano gli occhi incollati allo schermo, il fenomeno passò inosservato. Solo Chase, che sedeva di fianco a Terry e poco più indietro, notò qualcosa con la coda dell’occhio.
   «Tutto a posto?» le chiese. «Mi è sembrato che avesse un glitch».
   «È tutto in ordine, Capitano» rispose Terry, o per meglio dire il virus attraverso di lei. «Sono solo emozionata».
   «Come tutti» disse Chase, tornando a concentrarsi sul discorso del Cancelliere. Non poté accorgersi che gli occhi di Terry avevano assunto un sinistro bagliore rosso.
   «Per tutte queste ragioni» disse Kuntagh, arrivando finalmente al punto, «la nostra risposta alla richiesta della Federazione non può che essere...». In quell’attimo la trasmissione tremolò, i contorni s’incresparono come acqua agitata e tutto si dissolse.
   «Che succede?! Dov’è il segnale?» esclamò Chase, scattando in piedi.
   «Non l’abbiamo perso, ma... è cambiata la trasmissione» disse Grog, osservando confuso i sensori. «Qualcuno si è inserito nell’emittente su Khitomer e l’ha dirottata. Hacker, direi... ma non riesco a localizzarli».
   «Chi può avere...» mormorò Chase, ma si fermò di botto, raggelato. Sullo schermo era apparsa una mano che stringeva un tentacolo, sullo sfondo di una nebulosa multicolore. L’emblema del MPG. Subito dopo apparve un’oratrice, che parlava davanti a una bandiera del Movimento.
   L’oratrice era Helen Chase, sua sorella. Ma la riconobbe a stento. Si era rasata i capelli a zero, per somigliare ai Tuteriani, e indossava un abito violaceo identico a quello della Messaggera. Persino la sua pelle sembrava più grigia, e negli occhi aveva riflessi metallici. Si era sforzata così tanto di somigliare ai Costruttori di Sfere che, se non fosse stato per il naso e le orecchie, la si sarebbe detta una di loro. Inorriditi, Chase e i suoi ufficiali ascoltarono il proclama di Helen.
   «Salve, cittadini della Federazione. È Helen Chase che vi parla da Khitomer, in rappresentanza del Movimento per la Pace Galattica. Mi rivolgo a chiunque sia assetato di verità» esordì Helen, parlando con voce chiara e convinta. «Ciò, naturalmente, esclude il personale della Flotta Stellare. A chi si chiedesse perché, dico che la Flotta è una dittatura militare, un regime totalitario che nessuno ha eletto, ma che da secoli detiene un potere assoluto sulle nostre vite. Pensateci! La politica, la ricerca scientifica e medica, le forze armate di centinaia di mondi sono ostaggio di una sola organizzazione, che non rende conto a nessuno» proseguì Helen.
   Chase scambiò un’occhiata smarrita con Ilia. Quanto stava accadendo era senza precedenti e rischiava di mandare a monte gli sforzi diplomatici con i Klingon. Intanto Helen continuava ad accanirsi contro la Flotta Stellare, con una voce che trasudava disprezzo.
   «Quest’organizzazione dispotica è responsabile della Prima Direttiva, una rivoltante dottrina del disimpegno morale, secondo cui le sole specie da aiutare sono quelle che già possono raggiungerci. Le altre – quelle più bisognose – sono lasciate in preda a calamità che potremmo facilmente risolvere. Ogni singolo giorno, milioni d’esseri senzienti soffrono e muoiono senza speranza, per la colpevole inerzia della Flotta, che però non esita ad accordarsi con organizzazioni spregiudicate e schiaviste.
   Quest’omissione di soccorso è un Crimine contro i Senzienti che viola quotidianamente la Costituzione federale. Ma per mantenere vivo il suo disegno criminale, convincendovi d’essere necessaria, la Flotta ha sempre dovuto inventarsi dei nemici che vi facessero vivere nel terrore. Così avreste barattato la libertà per un’illusione di sicurezza. Conosciamo questi finti nemici: prima i Klingon e i Romulani, poi i Cardassiani, il Dominio e i Borg. Guarda caso, questi spauracchi sono oggi divenuti nostri alleati, o sono scomparsi come i Borg, a riprova di quanto il conflitto fosse voluto. Oggi la Flotta ha dovuto inventarsi un nuovo nemico, e l’ha trovato nei Tuteriani».
   «Terry, bloccala!» ordinò Chase.
   «Mi spiace, non riesco a localizzare l’emittente clandestina» rispose Terry. «Ma anche se ci riuscissi, non posso fermarla senza prima abbassare lo Scudo Planetario».
   «Dannazione, Helen!» gridò Chase, come se sua sorella potesse sentirlo.
   «Ma chi sono i Tuteriani in realtà? Perché migrano nel nostro spazio? E perché devono riplasmarlo con le anomalie?» chiese intanto l’oratrice. «La risposta, troppo spesso taciuta, è che non hanno alternative. I Tuteriani provengono da un’altra realtà, un dominio extra-dimensionale. Purtroppo il loro Universo sta collassando, vittima di un Big Crunch che l’annienterà in breve tempo.
   Avete capito bene, cittadini della Federazione. I Tuteriani non sono mostri, né invasori sanguinari. Sono profughi di un Universo morente, e non ci chiedono altro che un po’ di spazio, in cui poter vivere in pace. Devono essere accolti e aiutati, non respinti con le armi. Sarebbe un genocidio, del quale ciascuno di noi diverrebbe complice.
   Il Movimento per la Pace Galattica rifiuta questa logica di morte e sopraffazione. Noi rifiutiamo di sporcarci le mani col sangue versato dalla Flotta e di metterci poi il dito in bocca, cullati dalla sua litania sulla sicurezza. Confidiamo che anche voi, brava gente della Federazione, avrete il coraggio di aprire gli occhi. A chi ci sostiene, dico: uscite allo scoperto! E a chi è ancora prigioniero delle menzogne della Flotta, dico: voi siete dalla parte sbagliata della Storia. I vostri figli vi malediranno per tutto il male che state facendo. Noi rappresentiamo l’unica, vera voce dei cittadini onesti, che non credono più alle menzogne della Flotta Stellare. Noi riteniamo che per giungere alla pace si debbano accogliere in toto le ragionevoli richieste dei Tuteriani».
   La voce di Helen si fece ancor più decisa e incalzante, segno che si avviava all’apice del discorso. Il Capitano ascoltava ammutolito, incapace di reagire. Non aveva un bersaglio. Non sapeva nemmeno se sua sorella era su Khitomer, in quel momento: il messaggio poteva essere stato registrato settimane prima.
   «Ne consegue che questo Movimento popolare non permetterà alla Flotta e ai Klingon di accordarsi per il massacro dei Tuteriani. Questo ci porta a Khitomer, su cui sta per essere firmato tale patto criminale. Su questo pianeta, in passato, sono stati firmati altri accordi simili, nell’errata convinzione di poter occultare per sempre la verità storica. Khitomer è il cuore pulsante della corruzione, delle menzogne e delle trame politiche della Flotta. Ma oggi le cose cambieranno. È indispensabile lanciare un messaggio forte, per far capire alla Flotta che noi cittadini non la temiamo più. Khitomer sarà purificato, perché possa rinascere dalle ceneri, come la più fulgida gemma del firmamento!».
   Chase sentì un tuffo al cuore. «Sta per fare una strage» disse. «Terry, la deve...» cominciò, ma tacque, perché le successive parole di Helen gli strozzarono la voce in gola.
   «Pertanto abbiamo assemblato un Dispositivo Genesis sul pianeta. Dodici nostre sorelle e fratelli hanno portato segretamente i vari componenti, smontati e divisi per superare i controlli doganali. Io ho recato l’ingrediente più prezioso, la proto-materia. Ho personalmente assemblato il Dispositivo e sono pronta ad attivarlo. La detonazione sarà terribile, ma necessaria: un fuoco purificatore dal quale la Federazione rinascerà migliore, libera dal cancro della Flotta Stellare. Ovviamente io non sopravvivrò: non posso chiedere un tale sacrificio senza affrontarlo per prima» sorrise.
   La visuale della telecamera si allargò, mostrando il Dispositivo Genesis innescato a fianco di Helen. Era un siluro sistemato in piedi, alto un paio di metri. Il rivestimento era quasi del tutto mancante, così da mostrare i complessi meccanismi interni. Alcuni vapori ne fuoriuscivano e dal centro si sprigionava un’abbagliante luce bianca. Al siluro era collegato un detonatore, che Helen teneva in grembo. Era seduta a gambe incrociate accanto a Genesis e doveva solo premere un tasto per farlo esplodere. Il Capitano comprese di essersi sbagliato: sua sorella era su Khitomer. E non intendeva uscirne viva.
   «Io, Helen Chase, in pieno possesso delle mie facoltà mentali e per mia espressa volontà, mi sacrifico per il bene della Federazione. Il mio augurio, la mia somma speranza è che Genesis cancelli le scorie della Flotta e trasformi Khitomer in un mondo vergine. Questo nuovo Eden, puro e incontaminato, dovrà essere donato ai Tuteriani, perché ci vivano in pace.
   Che questa prova d’amore, coraggio e sacrificio sia da esempio nei giorni a venire. In nome della Verità che rende liberi, in nome della Giustizia e della Pace Galattica, offro la mia vita per rigenerare questo mondo. Possano le generazioni future serbare il ricordo di questo gesto. CHE LA LUCE SIA!» gridò Helen, fissando dritta l’olocamera – fissando Alexander. E premette il pulsante.
   Per un attimo divenne tutto bianco, poi la trasmissione s’interruppe. Sullo schermo riapparve Khitomer. Era uno stupendo globo azzurro e verde, striato di nubi bianche. Ma proprio sotto l’Enterprise comparve una funesta macchia color fuoco, che crebbe a vista d’occhio. L’onda d’urto di Genesis.
   Inventato dalla dottoressa Carol Marcus quasi tre secoli prima, Genesis era ancora una delle tecnologie più pericolose della Flotta Stellare. Grazie alla sua proto-materia instabile, ristrutturava la superficie di mondi inabitabili, rendendola più favorevole allo sviluppo della vita. Era come una terraformazione, ma milioni di volte più rapida. L’evoluzione stessa ne era accelerata a livelli prodigiosi. Purtroppo, come aveva dimostrato l’originale pianeta Genesis, i mondi così creati erano instabili. Se il loro sviluppo era rapidissimo, il loro ciclo vitale era altrettanto breve. In poco tempo i pianeti invecchiavano, erano squassati da cataclismi e infine si distruggevano. Solo negli ultimi tempi si erano fatti progressi, creando alcuni mondi più stabili. Anche così, era presto per dire quanto sarebbero durati. Ma Helen non si era preoccupata del problema. Probabilmente confidava che il suo sacrificio non fosse vano, e tanto le bastava.
   «La capitale è stata distrutta e l’onda d’urto avanza» disse Terry. «Al pianeta restano pochi minuti di vita».
   «Ci sono milioni di chiamate di soccorso dalla superficie, stanno intasando i canali» aggiunse Grog. «Anche le flotte sono nel caos».
   «Teletrasportate immediatamente tutti i civili che possiamo» ordinò Chase, riavendosi dallo shock. «Partite dalle scuole, dagli asili. Dobbiamo salvare almeno i bambini!».
   «Non possiamo, lo Scudo Planetario è ancora attivo!» gemette Ilia, leggendo il rapporto dei sensori sulla sua postazione. «Anche le altre navi ci provano, ma... niente!».
   «Perché nessuno lo disattiva?» chiese il Capitano, pallidissimo.
   «Non capisco, forse gli hacker del MPG si sono inseriti nel sistema e lo stanno tenendo acceso» ipotizzò la Trill.
   «Allora apriamo il fuoco sullo scudo, dobbiamo perforarlo!» disse Chase, consapevole che ad ogni istante milioni di persone erano incenerite. Vide che i Klingon avevano già cominciato a bombardare lo Scudo.
   «Eseguo... un momento!» disse Lantora, scioccato. «I controlli non rispondono. Cannoni a impulso, raggi anti-polaronici, tubi lanciasiluri... è tutto spento!».
   «Come sarebbe, spento?!» ringhiò Chase, accorgendosi che i sabotaggi non si limitavano al pianeta. «Terry, riattiva immediatamente le armi!».
   L’Intelligenza Artificiale era la sua ultima speranza. Ma la speranza morì quando Terry si alzò rigidamente e si voltò verso di lui. Aveva gli occhi rossi e tutta la sua figura era in preda a sfrigolii elettronici. Gli abiti, la pelle, i capelli si trasformavano progressivamente in una superficie rosso sangue, venata da un reticolo informatico.
   «Mi spiace, non posso ottemperare» disse Terry, con voce irriconoscibile. «Questa Intelligenza Artificiale è stata requisita dall’Impero Terrestre. La vostra nave obbedirà a noi. Se farete resistenza sarete terminati. Terra firma!» disse levando il braccio destro, e svanì.
   «Che diavolo è successo?! Voglio una spiegazione!» tuonò Chase, guardandosi attorno come un leone in gabbia. Ma i suoi ufficiali erano più smarriti di lui, nessuno aveva la risposta. Tornò a guardare lo schermo: l’onda Genesis copriva un quarto del pianeta. Il fronte era giallo, incandescente. Dietro venivano scure nubi, che lasciavano trapelare bagliori rossastri ed erano attraversate da potentissimi fulmini. Ovunque Genesis passasse, la materia era scomposta in vista del successivo riordino. Su un mondo già vivo, l’effetto era catastrofico. Gli oceani evaporavano, le foreste ardevano, le città si sgretolavano. Ogni forma di vita era distrutta, ogni vestigia di civiltà era cancellata per sempre.
   «Capitano, non riesco nemmeno a contattare il mio personale!» sbottò Lantora, frustrato e angosciato. «Non so che succede nel resto della nave, è tutto offline».
   «Mettetemi in contatto con la sala macchine, ora!» ordinò Chase.
   «Grenk a plancia, mi ricevete?» disse una voce familiare all’altoparlante.
   «Grazie al Cielo, almeno lei!» esclamò Chase. «Siamo stati sabotati e Khitomer brucia. Deve ripristinare il teletrasporto e le armi all’istante, o non ci sarà più nessuno da salvare».
   «Sono nella sala del processore, sto facendo tutto il possibile» rispose Grenk. «Terry è stata infettata da un virus, come avrete capito. Cerco di rimuoverlo. Non interrompetemi, vi richiamo io».
   «Ha pochi minuti, prima che il pianeta sia completamente morto» avvertì Chase.
   «Ho capito. Grenk, chiudo».
   «Lantora, corra da lui» ordinò Chase. «Se abbiamo dei sabotatori a bordo, non vorrei che lo uccidessero mentre cerca di ripristinare Terry».
   «Vado» disse Lantora, precipitandosi nel turboascensore. Il suo posto fu preso da un altro ufficiale della Sicurezza, un Klaestroniano di nome Nalanda. Nel frattempo Ilia era andata alla postazione scientifica di Terry e cercava di far funzionare i sensori.
   «Capitano, rilevo un messaggio dalla Martok» disse la Trill. «È il Cancelliere!».
   «Come, non era su Khitomer?» si stupì Chase.
   «Dice che quello era un sosia olografico, mandato sul pianeta per distogliere i possibili attentatori. In realtà lui è rimasto sempre sull’ammiraglia» spiegò Ilia. «Capitano, se conosco i Klingon... e li conosco da molte vite... prenderanno quest’attentato come un atto di guerra da parte della Federazione. Helen era Umana, e loro incolperanno tutta l’umanità» avvertì.
   Solo allora Chase comprese la portata del piano di Helen. Sua sorella non voleva semplicemente far fallire i negoziati. Voleva che i Klingon considerassero la Federazione responsabile dell’ecatombe, e quindi le dichiarassero guerra. Così la Federazione, sopraffatta, avrebbe dovuto cedere al ricatto dei Tuteriani e consegnare un terzo dei suoi pianeti.
   Il Capitano fissò la superficie di Khitomer, ormai in gran parte devastata. Lo Scudo Planetario, proiettato da una rete di satelliti e stazioni nell’orbita bassa, resisteva ancora al fuoco delle navi Klingon e federali. Era stato progettato per sopportare un intenso bombardamento e lo faceva fin troppo bene. Se l’Enterprise si fosse unita all’attacco, forse sarebbero riusciti a perforarlo. Ma finché Terry era disattivata, l’Enterprise era solo uno scafo alla deriva.
 
   Lantora giunse trafelato alla sala del processore, con il phaser in pugno. Trovò T’Vala davanti all’ingresso. Stava per dirle di farlo passare, quando gli giunse la voce di Chase al comunicatore.
   «Chase a Lantora, è finita. Khitomer è andato» disse il Capitano. Era la voce di un uomo spezzato. «Resti con Grenk finché avrà riavviato Terry. Potrebbero servirci ancora le armi... contro i Klingon».
   «Capisco, signore» disse lo Xindi con un groppo in gola. «Lantora, chiudo». Si appoggiò alla parete, troppo sconvolto per immaginare cos’altro sarebbe successo.
   «Mi dispiace tanto» disse T’Vala avvicinandosi. Aveva gli occhi lucidi.
   «Sono l’Ufficiale Tattico, dovevo trovare il modo di superare quel dannato Scudo» mormorò Lantora, affranto.
   «Non è colpa tua» disse T’Vala, prendendogli le mani. «Hai fatto il possibile, ma a volte lottiamo con forze più grandi di noi».
   «Tenente, so che sta cercando di dire, ma questo non è il momento» disse Lantora, liberandosi le mani, gentilmente ma con fermezza. «Grenk è là dentro?» chiese, accennando alla sala del processore.
   «Sì, sta cercando di ripulire il computer».
   «Da solo? Mi aspettavo che avesse radunato gli specialisti» commentò Lantora, notando che il corridoio era vuoto.
   T’Vala sapeva il perché. Grenk aveva fatto in modo che restassero tutti in sala macchine o nelle sale di controllo ausiliarie. Ogni tanto informava la plancia dei suoi progressi contro il virus, ma in realtà stava facendo esattamente l’opposto: s’impadroniva dei sistemi chiave. Quanto a lei, doveva fare in modo che nessuno lo interrompesse. A qualunque costo. «Grenk sa quel che fa» disse.
   «Qualunque cosa faccia, è tardi» disse Lantora con amarezza. «Ma devo tenerlo d’occhio. Ormai è chiaro che abbiamo dei sabotatori a bordo. Potrebbero ucciderlo per impedirgli di ripristinare i sistemi» disse, dirigendosi verso l’ingresso.
   «Ci sono già io di guardia. Puoi stare qui con me» disse T’Vala, continuando a dargli del tu.
   «Preferisco sorvegliarlo più da vicino» disse Lantora, entrando nella sala del processore. Trovò Grenk ancora sulla sedia-interfaccia, così indaffarato che probabilmente non era consapevole della sua presenza. Tutt’attorno era il caos. Gli allarmi squillavano, le spie lampeggiavano, i grafici zigzagavano impazziti. Lantora comprese che la situazione era ancor più grave di quanto pensasse. Per la prima volta, si chiese se avrebbero perso Terry definitivamente. L’IA era in servizio da soli due anni, una vita troppo breve.
   «Pensa che sia la fine? Per Terry, intendo» chiese lo Xindi a T’Vala, che gli si era affiancata.
   «Non saprei. C’è una sola cosa che so con certezza» rispose la mezza Vulcaniana, in tono carezzevole. «Nei momenti come questo, sono lieta che tu sia qui. Mi ha sempre dato conforto sapere che vegli su questa nave... su di noi» sussurrò, accostandosi con sguardo seducente.
   «Tenente, questo non è il momento» disse Lantora, imbarazzato.
   «E quando, allora? È nei momenti difficili che affiorano i sentimenti» insisté T’Vala. «Io... ne ho di molto intensi, adesso. Li ho sempre avuti, da quando ti conosco, ma la disciplina vulcaniana mi soffocava. Non voglio che sia più così» disse. Gli mise una mano sulla spalla, ma accostò l’altra al phaser che teneva in cintura.
   «Non lo immaginavo» mormorò Lantora, esitando a ricambiare l’abbraccio. «Sei una donna interessante, certo. Intelligente, attraente, spiritosa. Sono fortunato a conoscerti. Ma francamente, non pensavo a una relazione. Voi Vulcaniani avete un rapporto così complicato con le emozioni...».
   «Sono vulcaniana solo per metà» disse T’Vala, così vicina da respirargli sul viso. Intanto cercava di prendergli il phaser, ma non riusciva a sganciarlo dalla cintura.
   «Me ne sono accorto» disse Lantora. «Non sarà che lo stress ti ha scatenato un pon farr fuori stagione? Perché anche se credi... ehi, ma che fai?!» esclamò, accorgendosi che la timoniera cercava di disarmarlo. Le bloccò immediatamente il polso.
   «Oh, al diavolo!» sbuffò T’Vala, eseguendo la Presa al Collo con la mano libera.
   «Sei impazz...» mugugnò Lantora, il volto congestionato. Inclinò la testa, mentre gli occhi gli si arrovesciavano all’indietro. E crollò al suolo tramortito.
   «Peccato, imzadi. Stavamo per arrivare al punto... ma anche così è stato divertente» ridacchiò T’Vala, in piedi davanti allo Xindi svenuto. Lo rovesciò con un calcio e finalmente poté prendergli l’arma. «Muoviti, nanerottolo!» disse a Grenk. «Fra poco avremo compagnia» aggiunse, regolando il phaser su uccisione.
 
   «Capitano, rilevo tracce di curvatura multiple in avvicinamento!» avvertì Ilia, che sostituiva Terry alla postazione sensori da quando l’Intelligenza Artificiale era svanita. Fortunatamente una parte dei comandi era ancora attiva, perché funzionavano a un livello più basilare rispetto alle complesse subroutine di personalità di Terry.
   «Sullo schermo» ordinò Chase. Vide decine di astronavi che uscivano dalla curvatura in formazione d’attacco. Avevano dimensioni e forme assai variabili, ma nessuna gli era familiare. Gli scafi arancioni e giallastri avevano linee aggressive.
   «Qualcuno le riconosce?» chiese il Capitano. Un orribile presentimento si faceva strada in lui.
   «Non sono nel database... ma la traccia di curvatura non lascia dubbi. Sono Krenim» disse Ilia. Come a confermare il suo rapporto, l’Annorax uscì in quel momento dalla curvatura. La nave ammiraglia di Hortis era inconfondibile, con lo scafo bulboso e la misteriosa struttura anteriore.
   «I loro livelli energetici stanno salendo» rilevò Ilia. «Credo che diano energia alle armi».
   «Gli scudi, possiamo alzarli?» chiese il Capitano, correndo alla postazione tattica.
   «Forse sì... se aggiriamo questo blocco» disse Nalanda, l’ufficiale tattico.
   «Presto, presto!» l’esortò Chase, digitando freneticamente dei comandi.
   Senza alcuna dichiarazione formale di guerra, la flotta Krenim aprì il fuoco contro Klingon e federali. Il nero dello spazio fu squarciato dai raggi arancioni dei Krenim e dai loro siluri giallastri. I raggi giunsero a bersaglio per primi. Colpirono in più punti le navi in orbita, ma non riuscirono a superare gli scudi, che splendettero giallognoli mentre ne assorbivano l’energia.
   I missili colpirono pochi secondi dopo, con ben altri risultati. Erano siluri cronotonici, che si trovavano in uno stato di fluttuazione temporale. Attraversavano gli scudi come se non ci fossero, ma esplodevano a contatto con lo scafo, sprigionando l’energia di un tradizionale siluro fotonico. Solo gli scudi cronofasici, come quelli dell’Enterprise, potevano adattarsi alle loro frequenze. Ma poche navi federali e nessuna Klingon erano protette da scudi così avanzati.
   La gragnola di siluri attraversò gli scudi e crivellò gli scafi, aprendovi enormi squarci, talvolta passandoli da parte a parte. Ma i Krenim miravano soprattutto alle gondole, per impedire alle astronavi di fuggire. Alcuni degli sparvieri Klingon più piccoli furono squassati dalle esplosioni ed esplosero silenziosamente nello spazio. Gli incrociatori più massicci, come la Martok, ressero la prima raffica, ma non potevano durare a lungo. Reagirono nell’unico modo possibile, scatenando una pioggia di raggi disgreganti e siluri contro i Krenim. Anche le navi federali si unirono alla battaglia. Tutte tranne l’Enterprise, che era ancora in panne.
   Fra i siluri cronotonici della prima raffica, solo un paio colpirono l’ammiraglia. Gli scudi erano ancora abbassati, ma Chase attivò all’ultimo istante l’intensificatore polarico dei legami molecolari. Questa tecnologia rendeva lo scafo ancora più resistente, rafforzando la coesione tra le molecole. Grazie a quell’accorgimento, la sezione a disco dell’Enterprise non fu trapassata. Ma si aprirono ugualmente due falle nello scafo. Un alloggio e un corridoio furono messi a nudo; i loro occupanti furono risucchiati nello spazio. Solo i campi di forza d’emergenza, scattati nel corridoio, bloccarono la fuga d’aria.
   «Brecce nello scafo sui ponti 6 e 7, i campi di forza reggono» informò Ilia.
   «Ha captato la varianza temporale di quei siluri?» chiese il Capitano, che affiancava Nalanda alla postazione tattica.
   «Sì, varianza a 1,47 microsecondi» rispose la Trill.
   «Imposto gli scudi per compensare» disse il Klaestroniano. «Sequenza di riavvio completata. Gli scudi sono in linea».
   «Bene, controlli che lo restino» raccomandò Chase, tornando alla sua poltrona. Non l’aveva ancora raggiunta, quando l’Enterprise sobbalzò.
   «Siamo stati appena colpiti da dieci siluri cronotonici» informò Nalanda. «Gli scudi reggono. Signore, quei missili erano diretti verso la plancia. Se non avessimo alzato gli scudi, saremmo tutti morti».
   «Le armi?» chiese il Capitano, sedendosi.
   «Ancora disattivate».
   Chase dette un pugno sul bracciolo. Intorno all’Enterprise infuriava una battaglia selvaggia. I Krenim martoriavano la flotta Klingon, ma avevano più difficoltà a distruggere le navi federali. Alcune delle più vecchie andarono in pezzi. Le nuove, però, resistevano e contrattaccavano. Molte navi Krenim, sottoposte a fuoco intenso, furono distrutte. Altre presero rapidamente il loro posto, proseguendo l’attacco. I Krenim continuavano ad affluire grazie alle catapulte subspaziali.
   «Come procede la battaglia?» chiese il Capitano.
   «I Krenim sono il doppio di noi» rispose Ilia, consultando i sensori. «Si sono disposti in modo da tagliarci ogni via di fuga. Ci premono contro lo Scudo Planetario».
   Proprio mentre Ilia parlava, i siluri cronotonici inflissero gravi danni a un incrociatore Klingon di classe Bortasqu. Squassata dalle esplosioni, l’astronave verdastra sbandò. Era così vicina alle altre che entrò in collisione con una nave federale di classe Ascension. La lunga sezione anteriore dell’astronave federale ne fu scorticata, mettendo a nudo corridoi e sale. Impossibilitati a mantenere la rotta, o anche solo a restare in orbita, entrambi i vascelli furono attratti dalla gravità di Khitomer. Precipitarono lasciandosi dietro scie di detriti roventi. Dagli scafi si staccarono alcune capsule di salvataggio. Subito dopo i vascelli impattarono contro lo Scudo Planetario. Prima la nave federale, poi quella Klingon colpirono lo Scudo a gran velocità, disintegrandosi. Le due esplosioni si fusero in una, simile a un fungo atomico sospeso nel vuoto.
   L’equipaggio di plancia osservò impotente la catastrofe. Con gli schieramenti Klingon e federale pressati contro lo Scudo, c’era il rischio che altre astronavi entrassero in collisione. «È Hortis... questa è la sua strategia» disse Chase, osservando cupamente l’Annorax al centro dello schieramento Krenim. Era circondata da navi-scorta, alcune delle quali furono colpite e le esplosero intorno. Ma l’Annorax aveva scudi molto più resistenti.
   «I Krenim ci chiamano» disse Grog.
   «Sullo schermo» ordinò Chase, alzandosi. Si trovò faccia a faccia con Hortis. Gli ufficiali alle sue spalle erano indaffarati, ma lui rimaneva calmo, come durante il loro primo incontro. Chase stava per apostrofarlo, quando sentì una musica di sottofondo, diffusa dagli altoparlanti dell’Annorax. Incredulo, riconobbe La Cavalcata delle Valchirie.
   «Capitano Chase, la compilation che mi ha inviato è davvero emozionante» esordì Hortis. «Ho particolarmente apprezzato la musica di Wagner. È così potente e suggestiva da evocare sublimi visioni di grandezza...».
   «HORTIS!» proruppe Chase. La corrente d’odio che scorse fra i due era palpabile. L’Ammiraglio la ricevette come uno schiaffo e tacque, appoggiandosi allo schienale della poltrona. «È questa la sua idea di pace? Ci ha mentito e ora ci pugnala alle spalle!» disse Chase. «Ma non la passerà liscia. Non creda che lo spazio Krenim sia troppo lontano dalla Federazione. Siamo già stati nel Quadrante Delta e ci torneremo!» minacciò.
   «Capitano, la veemenza delle sue minacce è pari solo alla sua impotenza nel metterle in pratica» rispose Hortis garbatamente. «I miei sensori dicono che siete in panne, quindi vi lascerò assistere alla distruzione delle vostre flotte. Poi vi schiaccerò contro lo Scudo Planetario».
   «Perché lo fa?!» esclamò Chase, ma ricordando la scoperta di Terry sulla loro tecnologia temporale la risposta gli fu chiara. «Ma certo... siete in combutta coi Tuteriani» comprese. «Quegli esseri hanno sempre raggirato i popoli della Galassia, mettendoci gli uni contro gli altri. Stavolta non è diverso. Prima vi useranno e poi vi schiacceranno».
   «Non potranno farlo, dato che saremo pari a loro» rispose Hortis. «Capitano, sono dolente per quest’attacco. Ma devo pensare al bene del mio popolo. L’alleanza coi Tuteriani mi permetterà di riscoprire il segreto di Annorax: come riplasmare la Storia in ogni dettaglio. Sarà un bene per la Galassia: noi Krenim ci assicureremo che gli eventi scorrano nel modo meno cruento. Salveremo più vite di quante immagina: nel passato, nel presente e nel futuro».
   «E se una specie vi starà appena un po’ antipatica, la cancellerete» ribatté Chase.
   «Nessuno verrà ucciso» puntualizzò Hortis. «Gli indesiderati saranno... tolti dall’equazione. Non moriranno perché non saranno mai esistiti».
   «Ma la decisione di toglierli dall’esistenza è vostra» insisté Chase. «Siete dei vigliacchi».
   «Per questo, accetterò il verdetto... della Storia» disse Hortis. «E il nuovo corso inizia ora. Quest’oggi nasce il Fronte di Liberazione Temporale. Noi e i Tuteriani condivideremo le conoscenze sul tempo, finché le sue correnti vorticose saranno domate e poste negli argini da noi stabiliti».
   «Il tempo non si lascia domare» rispose Chase.
   «L’unico modo per scoprirlo, Capitano, è provarci» concluse Hortis. «Addio, è stato bello conoscerla. In altre circostanze saremmo stati amici. Disgraziatamente possiamo condividere solo questo: il formidabile spettacolo della distruzione». Chiuse la comunicazione.
   «Sia i Klingon che i Krenim stanno subendo perdite consistenti» disse Ilia. «Forse non è ancora detta l’ultima... un momento. Rilevo un picco energetico sull’Annorax. Danno energia alla sezione anteriore».
   «Temevo che fosse un’arma» disse Chase, risedendosi.
   La struttura anteriore dell’Annorax s’illuminò di blu. Il nucleo energetico, che con i suoi sottosistemi riempiva gran parte dell’astronave, era al massimo. La plancia vibrò, ma Hortis rimase calmo.
   «Il disgregatore primario è carico, signore» disse la Comandante Priim. «Distruggiamo l’Enterprise?».
   «No, ho concesso a Chase il dubbio privilegio di essere l’ultimo a perire» rispose Hortis. «Del resto la sua nave è disabilitata e non può minacciarci. Faccia fuoco contro la più vicina nave federale».
   «Bene, signore. Impulso fra tre, due, uno... fuoco!».
   Un raggio bianco-azzurro scaturì al centro della struttura radiale e passò attraverso i due anelli di rinforzo. Così facendo s’irrobustì con le cariche provenienti dalle sei braccia circostanti. Colpì una vecchia nave di classe Odyssey, perforandone gli scudi. L’astronave divenne bianco-azzurra... e svanì. Non ci fu esplosione e nemmeno un’implosione. Non restarono frammenti dello scafo, né residui di fluidi. La nave era stata semplicemente cancellata.
   «Ilia, che razza di arma è quella?» domandò Chase, pallido in volto.
   «Sembra un disgregatore subatomico» rispose la Trill, che stava facendo tutte le analisi possibili. «Ha dissolto la struttura molecolare della Calypso».
   «I nostri scudi ci proteggeranno?» chiese il Capitano.
   «Non se li manda in sovraccarico; quella nave è un immenso generatore» rispose Ilia.
   «Ecco perché c’era così poco spazio» comprese Chase. «Tempo di ricarica?».
   «Minuti; i livelli di energia stanno già risalendo» avvertì la Trill. L’Enterprise sobbalzò, mentre un’altra raffica di siluri cronotonici impattava sugli scudi, senza causare danni. Ma Chase sapeva che il tempo era dalla parte dei Krenim.
 
   T’Vala era appena uscita dalla sala del processore, quando si vide venire incontro Neelah.
   «Si può sapere che succede?» chiese l’Aenar. «Stavo parlando con una proiezione di Terry, quando ha preso a blaterare dell’Impero Terrestre. Poi si è disattivata. E adesso siamo sotto attacco, ma nessuno sa da parte di chi. La nave è nel caos, molte sezioni sono isolate!» disse agitata.
   «Credo siano i Krenim, quelli che abbiamo incontrato giorni fa» spiegò T’Vala. «In qualche modo hanno sabotato Terry. Grenk è dentro che cerca di rimediare, mentre io sono di guardia. Vede, i sabotatori potrebbero essere ancora in giro».
   «Ma lei non dovrebbe stare in plancia?» s’insospettì Neelah. Aveva notato che T’Vala era armata, pur non essendo un ufficiale della Sicurezza, e non le piaceva per niente.
   «C’è già un timoniere, lì. Il Capitano mi ha ordinato di proteggere Grenk, che la è la nostra sola speranza di riavere Terry e salvare l’Enterprise» rispose prontamente T’Vala.
   «Posso aiutarla in qualche modo?» si offrì l’Aenar.
   «Grazie, ma direi di no. Forse dovrebbe recarsi alle capsule di salvataggio. Il Capitano ordinerà l’evacuazione, se le cose peggioreranno» suggerì T’Vala.
   «Abbandonare l’Enterprise? Non credo che lo farà» disse Neelah. Più studiava T’Vala e più sentiva puzza di bruciato. Da troppo tempo lei e Grenk si comportavano stranamente e ora volevano controllare da soli il processore centrale. Chi l’aveva sabotato? Gli unici dal comportamento equivoco, finora, erano loro due. Di colpo il fatto che T’Vala fosse sola e armata divenne ancor più sinistro. Come il fatto che stava schermando la sua mente da ogni lettura.
   La nave si scosse, mentre gli scudi assorbivano l’energia dei siluri Krenim. Neelah dovette appoggiarsi alla parete. «Come non detto» ammise l’Aenar. «Se sopravvivremo, deve proprio darmi quella rivincita» disse, nel tono di chi pensa di essere spacciato.
   «Ce la caveremo» disse T’Vala.
   «Stavolta sceglierò io il campo da gioco, okay?» aggiunse Neelah, ridacchiando nervosamente.
   «Faccia pure» annuì la mezza Vulcaniana, mentre la nave si scuoteva ancora.
   «Volentieri!» ringhiò Neelah, dandole un calcio in pieno stomaco. T’Vala fu scaraventata contro lo stipite della porta e batté la nuca. In un attimo Neelah le fu addosso. La mezza Vulcaniana estrasse il phaser, ma l’Aenar le afferrò il polso prima che potesse sparare. Il raggio mortale colpì la parete, lasciando un lungo sfregio nero. Neelah costrinse T’Vala ad arretrare, finché raggiunsero la porta, che si aprì automaticamente. Caddero nella sala del computer e rotolarono sul pavimento, mentre la porta si richiudeva.
   Neelah costrinse T’Vala a mollare il phaser e lo calciò via, spedendolo nell’intercapedine lasciata aperta da Grenk, in mezzo ai cavi e alle gelatine bio-neurali. La timoniera ringhiò e cercò di rialzarsi, ma la scienziata riuscì a bloccarla sotto di sé, per quanto si dibattesse. Osò alzare lo sguardo per un istante. Vide Grenk sulla sedia-interfaccia e Lantora a terra, privo di sensi. I suoi peggiori timori erano confermati.
   «Siete i sabotatori!» sibilò.
   «Ci sei arrivata, finalmente!» ridacchiò T’Vala. «Da cosa l’hai capito?».
   «Quella rivincita riguardava un gioco da tavolo, il kal-toh» spiegò Neelah. «Non serviva un campo da gioco. T’Vala l’avrebbe ricordato. Tu cosa sei, una Mutaforma? Un ologramma? Che ne hai fatto di T’Vala?!».
   «Mi piacerebbe stare a discuterne» sogghignò la timoniera. «Ma il tempo fugge». Puntò i piedi contro lo stomaco di Neelah e la scagliò all’indietro. L’Aenar fece un salto mortale a mezz’aria e atterrò in piedi. Anche T’Vala si rialzò, con un colpo di reni.
   «La Neelah che conosco non avrebbe mai osato sfidarmi» disse T’Vala. «E se ci avesse provato, le avrei già spezzato il collo».
   «Ora capisco... venite dallo Specchio» comprese Neelah. «Terry non era impazzita, l’Impero Terrestre è davvero risorto».
   «Ne dubitavi? Gli Umani sono come le erbacce, non ti liberi mai di loro» disse T’Vala, tornando all’attacco. Si scambiarono calci e pugni in vari stili di lotta.
   «Se ti stanno così antipatici, perché continui a servirli?» chiese Neelah, fra un colpo e l’altro.
   «Perché può essere redditizio. È così che funziona l’Impero. Non è il massimo, ma durerà più della vostra patetica Federazione!» rispose T’Vala. Le contendenti si separarono, per riprendere fiato.
   «Ah, sì? Cosa vi rende migliori?» chiese Neelah, ripulendosi un angolo della bocca dal sangue azzurro.
   «Siamo più intraprendenti» rispose T’Vala, tastandosi una scorticatura verde su un sopracciglio. «La Federazione vi fa vivere nella bambagia. Non punisce nessuno, perché tutti devono essere protetti, e non premia nessuno, perché tutti devono essere uguali. Così i peggiori sono liberi di agire e i migliori non hanno alcun riconoscimento. È un sistema che si distrugge da sé».
   «Finora è stato il vostro Impero a cadere, e lo farà di nuovo. Se non lo abbatterà qualcun altro, si divorerà da solo» ribatté Neelah. Stava per attaccare, quando vide che Grenk si scollegava dalla sedia-interfaccia.
   «È fatta» disse il Tellarita. «Ho inserito un conto alla rovescia: fra poco l’Enterprise attaccherà i Klingon. Questa stupida battaglia finirà, ma noi saremo lontani...». Si bloccò, vedendo che T’Vala era alle prese con Neelah. «Che stai facendo? Uccidila e andiamo via!» disse alla complice.
   «Ci sto provando, cosa credi?!» berciò T’Vala. «Dai, passami dietro e corri in sala teletrasporto. Prepara il Trasporto Multidimensionale. Ma aspettami!».
   «Certo, aspetterò fino all’ultimo momento» promise Grenk, passando rasente la parete, dietro la protezione offerta da T’Vala. «Raggiungimi in sala teletrasporto 6». Imboccò la porta e corse via, senza guardarsi indietro.
   «Ti tradirà. Se ne andrà senza di te» disse Neelah.
   «Non se ti uccido alla svelta» ribatté T’Vala.
 
   «Allora, le armi?» chiese il Capitano, esasperato. Aveva appena visto la Annorax disintegrare un’altra nave federale.
   «Ancora niente... un momento, stiamo facendo fuoco!» si meravigliò Nalanda. «Raffiche di siluri quantici e transfasici; ma non sono stato io!» assicurò.
   «Dove sono dirette?» domandò Chase, con un orribile presentimento.
   «Verso la Martok» rispose il Klaestroniano inorridito. «Impatto fra venti secondi».
   «La nave del Cancelliere è danneggiata, i suoi scudi sono indeboliti. Non resisterà!» avvertì Ilia, inquadrandola sullo schermo. L’IKS Martok, l’orgoglio della flotta Klingon, perdeva atmosfera da molteplici falle nello scafo. Dodici navi da guerra Krenim la circondavano, colpendola da tutte le angolazioni, implacabili. La Martok rispondeva colpo su colpo, ma era chiaramente in difficoltà. E le raffiche di siluri ad alta energia dell’Enterprise non le lasciavano scampo.
   «Dieci secondi all’impatto».
 

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Capitolo 7
*** Il buio oltre lo Specchio ***


-Capitolo 6: Il buio oltre lo Specchio

 

   L’ISS Enterprise era in subbuglio. Il fatto che il Capitano Chase fosse in infermeria da tre giorni, vittima – secondo l’annuncio di Lantora – della temuta encefalite altariana, era già abbastanza grave di per sé. I bollettini medici, forniti ogni otto ore, riportavano che le condizioni di Chase erano in costante peggioramento. Molti a bordo erano convinti che il Capitano sarebbe morto presto. Per gli alieni non era un problema, ma gli Umani a bordo avevano difficoltà ad accettare che Lantora e Ilia occupassero i ruoli di Capitano e Primo Ufficiale. Li preoccupava soprattutto il fatto che, nell’attuale emergenza, l’Ammiraglio N’Rass – anch’essa un’aliena – potesse confermare la loro carica. Che l’Enterprise, l’ammiraglia terrestre, fosse comandata da alieni era percepito da molti come un affronto.

   Ma c’era qualcosa di ancor più grave, ed era la disattivazione di Trudy. Per la prima volta da quando l’Enterprise era stata varata, l’onnipresente Intelligenza Artificiale non sorvegliava ogni istante di ogni persona a bordo. Questo suscitava reazioni ambivalenti sia nell’equipaggio che nei civili. Molti si rallegravano di non essere più controllati così strettamente. Ma altri erano preoccupati e si riunivano in piccoli gruppi per discutere della situazione. Se le condizioni di Chase si dovevano alla malattia, non c’erano spiegazioni convincenti per quanto successo a Trudy. L’annuncio di Lantora, secondo cui il computer doveva essere aggiornato e ripulito dai bug, non convinceva nessuno. Anche i più sprovveduti, infatti, notavano la singolare coincidenza: Trudy era fuori uso proprio nel momento in cui Chase stava male e si profilava un cambio di comando. Coincidenza?

   Gli addetti alla sicurezza pensavano di no. I tempi erano troppo opportuni per non destare sospetti. Ma anche fra loro c’erano molti alieni, perciò gli Umani non si azzardavano a parlarne ad alta voce. Preferivano incontrarsi a parte, fuori dall’orario di servizio, in quegli angoli della nave che nessuno poteva più sorvegliare, finché Trudy era disattivata. E più ne discutevano, più cresceva il livore contro Lantora e Ilia. Anche l’improvvisa “malattia” di Chase fu messa in discussione. Nessuno poteva visitare il Capitano e Korris aveva interdetto l’infermeria persino al suo personale, con la scusa delle misure di sicurezza. Guarda caso, erano soprattutto i medici Umani che non potevano avvicinarsi al loro Capitano. Invece gli alieni avevano libero accesso, per ordine di Korris e con l’avallo di Lantora.

   E così, in tutti gli angoli dell’Enterprise, serpeggiò la parola tradimento. Gli alieni stavano cospirando per prendere il controllo dell’astronave, se non di tutta la Flotta Imperiale. Quella parola, tradimento, fu dapprima sussurrata col batticuore. Poi fu detta e ripetuta con crescente sicurezza. Infine fu urlata con rabbia. Il passaparola corse tra gli Umani: bisognava armarsi e tenersi pronti a riconquistare la nave, usurpata dagli alieni. Se Korris avesse annunciato che Chase era morto, senza che Trudy tornasse in funzione, avrebbe confermato l’ammutinamento. E allora gli Umani sarebbero insorti... nel nome dell’Impero.

   Naturalmente Lantora e Ilia erano al corrente di tutto questo. Anche senza la sorveglianza di Trudy, prevedevano la reazione degli Umani. Pertanto informarono segretamente i loro colleghi alieni di tenersi pronti. Se Chase fosse morto, e l’Ammiraglio N’Rass avesse ratificato la promozione di Lantora, ogni resistenza da parte degli Umani sarebbe stata considerata alto tradimento. E il tradimento era punito con la pena capitale. Quindi ogni insurrezione da parte degli Umani doveva essere stroncata... nel nome dell’Impero.

 

   In questa situazione precaria, l’Enterprise continuava a sorvegliare Deep Space Nine e l’ingresso del Tunnel Spaziale. I contatti con la stazione, però, erano minimi. Gli hangar e le sale teletrasporto erano vigilati da squadre armate; nessuno poteva entrare o uscire dalla nave senza l’autorizzazione di Lantora. Anche l’hangar 5 era piantonato. Per ordine di Lantora, tutti gli esperimenti con la navetta temporale erano sospesi, finché sarebbe durato lo stato di emergenza. Ma c’era qualcuno autorizzato a trafficare con la navetta, a patto di non usarla: Grenk. L’Ingegnere Capo era stato fondamentale per sabotare Trudy, e poi era un alieno: Lantora le considerava due garanzie di fedeltà. Così gli aveva permesso di tornare al lavoro. La spiegazione di Grenk era che il nucleo temporale doveva essere ricalibrato, per scongiurare l’afasia sensoriale. Ma il Tellarita aveva ben altro in mente.

   «Yotz!» imprecò Grenk, armeggiando all’interno della Phoenix. Aveva staccato un pannello dal pavimento e stava regolando i controlli del nucleo. Questo lo costringeva a stare steso per terra, una cosa che detestava.

   «Sicurezza a Ingegnere Capo, il Tenente Shil chiede di entrare» trillò il comunicatore.

   «Sì, lasciatela passare» disse Grenk.

   «Ne è certo, signore?» insisté il militare, un po’ sospettoso. «Non credo che possa aiutarla nel suo lavoro».

   «Senta, io rispondo direttamente al Comandante Lantora. E lui mi ha dato licenza di farmi aiutare da chi voglio» puntualizzò Grenk. «Ora, siccome devo sistemare i controlli di volo, mi è utile il parere del pilota. Quindi mi serve T’Vala, chiaro?».

   «Sì, signore». Grenk sentì le porte dell’hangar aprirsi e poi richiudersi, ma non uscì neanche dalla navetta. Non voleva interrompersi.

   «Ehilà, come stai?» salutò T’Vala, sporgendosi con la testa all’interno della Phoenix.

   «Per terra. E indaffarato» grugnì il Tellarita. «Parola d’ordine?».

   «Fermento similattico vermiforme» rispose T’Vala, alludendo a una specialità gastronomica dei Nausicaani. «Ma la prossima frase di riconoscimento la decido io» aggiunse, entrando completamente nella navetta.

   «Fai pure. L’importante è sapere che non sei un ologramma o una sosia» rispose Grenk, alzando finalmente lo sguardo. «Scusa se sono brusco, ma da quando siamo nello Specchio passo notti insonni. E le ore del giorno sono anche peggio. Sai che il mio alter-ego ha usato Bynari schiavizzati per costruire la Basilisk? Dovresti vederli, con quegli impianti cerebrali che li privano della volontà! Mi fanno pena tutte le volte che li vedo».

   «Non me ne parlare! Io sto sempre in plancia, con quegli ufficiali pronti a saltarsi alla gola» sospirò T’Vala. «Vedessi com’è tronfio Lantora, ora che siede sulla poltrona del Capitano! E Ilia che si comporta come una regina, anche se è solo una...».

   «... shutta» completò Grenk. «Sì, l’immagino. Anche la sala macchine è in subbuglio. Molti Umani sono stati arrestati con l’accusa di cospirazione. Non li ho più visti».

   «Questa nave è sul punto di esplodere» convenne T’Vala. «Succederà da un momento all’altro. Appena Korris annuncerà la morte di Chase, sarà guerra aperta fra Umani e alieni».

   «So cosa stai per dire» fece l’Ingegnere, squadrandola con gli occhietti porcini. «Non avrei dovuto aiutare Lantora a disattivare Trudy. Ma non potrei lavorare sulla Phoenix, né fare piani con te, se quel maledetto computer di sorveglianza fosse attivo».

   «Non ti biasimo, anzi!» rispose T’Vala. «Non riesco a immaginare quanto sia stato difficile passare attraverso tutti quei livelli di sicurezza».

   «Gli altri ingegneri erano già a buon punto. Avevano preparato un virus e io gli ho dato gli ultimi ritocchi» spiegò Grenk. «Il difficile è stato inserirlo... fortuna che conosco bene le Intelligenze Artificiali».

   «Quelle come Trudy sarebbe meglio che non esistessero. Mettendola fuori uso, hai aumentato notevolmente le nostre possibilità di fuga...» disse T’Vala.

   «E allora perché ti preoccupi?» chiese Grenk, che aveva notato l’espressione e il tono di voce della collega.

   «Perché continuo a pensare a cosa stiamo facendo!» disse T’Vala, con una nota di disperazione. «Abbiamo partecipato a un ammutinamento che comporta l’omicidio del Capitano e l’epurazione degli Umani. E disattivando Trudy abbiamo reso l’Enterprise più vulnerabile ai Breen. Siamo intervenuti pesantemente! Potremmo persino influire sulla guerra!» inorridì.

   «I contatti fra i due Universi hanno sempre avuto ripercussioni pesanti, specialmente nello Specchio» commentò Grenk. «E poi, questo Impero Terrestre non è una potenza straniera. Voglio dire, occupa lo stesso spazio della Federazione, anche se in un’altra dimensione. In un certo senso, siamo sempre a casa...».

   «Risparmiami i sofismi» tagliò corto T’Vala. «La Prima Direttiva è stata elaborata prima che cominciassero i viaggi in altre dimensioni. Chi la formulò non poteva prevedere casi come il nostro. Prima o poi bisognerà aggiornarla, ma fino ad allora...».

   «Fino ad allora dobbiamo sopravvivere» disse Grenk. «Comunque lo Specchio non è un’altra dimensione come quella dei Tuteriani. Penso che sia piuttosto un’altra linea temporale, staccatasi in qualche modo dalla nostra. Non so esattamente quando e dove si siano divaricate, ma credo che coinvolga la Terra e gli Umani. Le maggiori differenze tra i due Universi riguardano loro».

   «Sì, l’ho notato» annuì T’Vala. «Tutto parte da un diverso atteggiamento degli Umani nella corsa allo spazio. Le differenze nelle altre specie sembrano più che altro conseguenze di questo. Per esempio, sai com’è stato il Primo Contatto fra Umani e Vulcaniani qui? Cochrane ha sparato ai Vulcaniani e si è impadronito della loro nave. Così i Terrani hanno ottenuto rapidamente la tecnologia per viaggiare tra le stelle e costruire il loro Impero» disse, arricciando il naso.

   «Questi Terrani sono peggio dei Klingon» convenne Grenk, distrattamente. Durante la conversazione continuava ad armeggiare con il nucleo temporale. «Ma è lì che si sono divise le linee temporali? Con Cochrane?».

   «No, è successo prima» rivelò T’Vala. «Ho fatto qualche ricerca nell’archivio storico, e guarda che ho trovato!» disse, mostrandogli un d-pad.

   Grenk osservò l’immagine sul piccolo schermo. Vide un Umano con una tuta spaziale arcaica, simile a uno scafandro color bronzo. Stava piantando la bandiera cremisi dell’Impero Terrestre su un suolo grigio e polveroso. Sembrava un planetoide di classe D. E quel pianeta nello spazio era la Terra!

   «Quello sarebbe...» mormorò Grenk.

   «Il primo uomo sulla Luna, esatto» confermò T’Vala. «In questa linea temporale, Neil Armstrong era un astronauta dell’Impero Terrestre, anziché degli Stati Uniti».

   «Quindi l’Impero esisteva già. Ma quand’è stato fondato?» chiese Grenk.

   «Secoli prima, ma le sue origini sono perse nella leggenda. Credo che i Terrani abbiano creato l’idea mistica che l’Impero sia esistito fin dai primordi, come se fosse l’unico governo possibile. Non attribuisco la minima validità storica ai racconti sulla sua fondazione. Per quanto ne sappiamo, l’Impero potrebbe essere sorto in pieno XX secolo, dalla fusione di alcuni regimi dittatoriali. Oppure è davvero antico, chissà».

   «Credo che non lo scopriremo mai; a me basta lasciarmelo alle spalle!» disse Grenk, rialzandosi.

   «Ce la faremo?» chiese T’Vala, osservando il suo lavoro.

   «Forse, amica mia. Ma se le cose si metteranno male, voglio che tu abbia questo» disse il Tellarita, consegnandole un oggettino metallico, grande quanto l’unghia di un pollice.

   «Di che si tratta?» chiese T’Vala, anche se aveva già un’idea.

   «Un prototipo di teletrasporto miniaturizzato» spiegò Grenk. «Può essere usato una volta sola, poi si depolarizza. Quindi usalo solo in caso d’emergenza!» raccomandò.

   «Può teletrasportare una sola persona?» chiese T’Vala, corrucciata. Osservò il dispositivo tenendolo fra il pollice e l’indice.

   «Già, ed è anche a corto raggio» avvertì Grenk. «Quindi non può portarti su Bajor, né su DS9. L’ho regolato perché ti trasporti in una sezione sicura di questa nave, una giunzione dei tubi di Jefferies dove non passa mai nessuno. È vicina a una bobina del nucleo, quindi è anche una zona cieca dei sensori: non potranno localizzarti. E tu, sfruttando i tubi, potrai muoverti in fretta».

   «Dimmi che hai un mini-trasporto anche tu!» disse T’Vala, osservando preoccupata il collega.

   «Niente da fare» rispose Grenk tristemente. «Questi affari sono così pochi e sorvegliati che sono riuscito a sgraffignarne solo uno. Te lo do perché, se mi prendono, potesti riuscire a salvarmi. Dubito invece che io salverei te» ammise dispiaciuto, osservandosi la pancia grassa.

   «Grenk, questa è la cosa più nobile che qualcuno abbia mai fatto per me!» disse T’Vala, abbracciandolo commossa. «Ma la logica vuole che sia tu a tenerlo» aggiunse, restituendogli il mini-trasporto. «Sei l’ingegnere, quindi sei l’unico che può riportarci a casa».

   «Logica vulcaniana, eh?» sospirò Grenk. «Va bene... forse ci contavo un po’!» ammise, con una smorfia sorniona. Ripose il mini-trasporto in un taschino dell’uniforme.

   «Allora, dimmi come va il lavoro» tornò a chiedere T’Vala, osservando il pannello smontato sul pavimento. «Stai trafficando col nucleo temporale? Avevo capito che non si può ripetere l’incidente».

   «Di certo non ora che siamo in un altro settore» confermò Grenk. «All’inizio ho pensato al teletrasporto. In fondo il primo incidente di Kirk è avvenuto così. E anche in seguito, la maggior parte dei contatti fra i due Universi sono avvenuti in questo modo. Dovevo solo riscoprire il trucco, mi dicevo... ma con le sale teletrasporto così sorvegliate, non posso lavorarci. Per strano che sia, ho più libertà d’azione con la Phoenix».

   «E la Phoenix ci può aiutare?» chiese T’Vala, dubbiosa.

   «In ogni caso non possiamo lasciarla qui» le ricordò Grenk. «Preferirei distruggerla, piuttosto che lasciarla in mano a quest’Impero di criminali. Ma potremmo usarla per tornare a casa... attraversando il Tunnel Spaziale».

   «Uhm... so che un Runabout della vecchia DS9 fece così» disse T’Vala. «Mentre attraversava il Tunnel, accade qualcosa che lo fece slittare nello Specchio. Sai come ripeterlo?».

   «Ho trovato informazioni sui tentativi, da parte dell’Impero Terrestre, di replicare il fenomeno» rivelò Grenk. «Ci sono andati vicino, ma gli mancava qualcosa. Ieri ho avuto un’intuizione... forse posso calibrare il nucleo temporale in modo da provocare lo slittamento. Ma è una faccenda complicata. Il minimo errore potrebbe farci slittare in un’altra dimensione parallela».

   «Tipo quella in cui dei Romulani folli hanno distrutto Vulcano?» chiese T’Vala, trovando l’idea disturbante.

   «I rapporti su quella dimensione non sono mai stati confermati. Spero proprio che non esista... non deve esistere!» sbuffò Grenk. «Comunque il rischio è quello. Perciò devo calibrare il nucleo con estrema attenzione. Non ci farà muovere veramente nel tempo, ma darà una sorta di... rintocco che innescherà lo slittamento dimensionale, mentre siamo nel Tunnel».

   «Sembra una mossa disperata» ammise T’Vala.

   «Infatti; ma è l’unica che abbiamo».

   «Allora sono con te» disse la timoniera, cercando di sorridere per scacciare la paura. La sua logica vulcaniana le diceva che le possibilità di successo erano minime. E le sue emozioni betazoidi facevano sì che fosse spaventata a morte. Si sforzò di reprimerle. «Dimmi se posso esserti utile qui, altrimenti ti lascio al tuo lavoro... non vorrei che le guardie là fuori s’insospettissero» aggiunse.

   «È meglio se resti. Hai le mani più piccole delle mie, certi lavori di precisione ti verranno meglio» disse Grenk. «Non temere, ti spiegherò di volta in volta cosa fare. Sai, ho già fatto la maggior parte del lavoro. Se adesso ci sbrighiamo, potremmo finire in un’ora. Poi dovremo aprire la porta dell’hangar».

   «Allora mettiamoci al lavoro» disse T’Vala, un po’ confortata. Ma in quella si udì la voce di Lantora all’altoparlante.

   «Attenzione, ufficiali e civili! Vi parla il Comandante Lantora. È con profondo cordoglio che vi annuncio la morte del nostro amato Capitano Chase. Purtroppo, malgrado gli sforzi dello staff medico, l’encefalite altariana che l’ha colto tre giorni fa non gli ha dato scampo. I funerali avverranno stasera, alle ore 21:00. So che verrete tutti a testimoniargli la vostra gratitudine. Io conoscevo bene Alexander Chase. Non è stato solo il mio Capitano, ma anche un mentore e un amico. È stato un privilegio prestare servizio con lui. Per ordine esecutivo dell’Ammiraglio N’Rass, gli subentro da questo istante come Capitano dell’Enterprise».

   T’Vala e Grenk si scambiarono un’occhiata preoccupata. Era fatta, la rivolta poteva scoppiare in qualunque momento.

   «In quest’ora dolorosa, dobbiamo essere leali all’Impero e proseguire gli sforzi del Capitano Chase» riprese Lantora. «Il suo acume tattico ci ha permesso di riconquistare questo importantissimo sistema. Ora dobbiamo continuare a difenderlo. Resisteremo fino all’arrivo dei rinforzi e poi partiremo al contrattacco. Ci fermeremo solo quando i Breen saranno cenere. Ricordate: finché resteremo uniti, l’eredità del Capitano Chase vivrà in noi e nessun avversario potrà sopraffarci. Lantora, chiudo».

   «Non basteranno queste parole a calmare gli animi» commentò T’Vala. «La rivolta dei Terrani può cominciare da un momento all’altro».

   «Allora sbrighiamoci» disse Grenk, consegnandole uno dei suoi strumenti. Si chinarono sul pannello e cominciarono a lavorarci freneticamente.

 

   Grenk non aveva esagerato: entro un’ora le modifiche al nucleo temporale furono completate. «È fatta!» gioì il Tellarita, richiudendo il pannello. «Possiamo tentare oggi stesso!».

   «Ci sono ancora degli ostacoli» gli ricordò T’Vala, sedendo nella poltroncina del pilota. «Se partiamo senza autorizzazione, l’Enterprise ci bloccherà col raggio traente. E se non rispondiamo alle loro chiamate, ci vuol niente perché Lantora dia l’ordine di abbatterci».

   «Uhm, già. Il Tunnel Spaziale è vicino, ma non ci arriveremo senza un diversivo che tenga impegnata l’Enterprise» convenne Grenk, lasciandosi cadere nella seconda poltrona. «Purtroppo non mi viene in mente nulla che possa distrarre questi stacanovisti. Tu hai qualche idea?».

   «Ancora no» ammise T’Vala. «In questi giorni mi sono guardata intorno, ma non ho trovato nulla che possa...» disse la timoniera, interrompendosi bruscamente.

   «Che c’è?» chiese Grenk.

   «La porta!» sussurrò T’Vala, alzandosi di scatto. Aveva sentito il sibilo inconfondibile dell’ingresso che si apriva.

   «Bene, bene... vi trovo operosi» disse Lantora, entrando nella Phoenix attraverso la porta lasciata aperta. Aveva un phaser in mano. Dietro di lui c’erano guardie armate, che stava circondando la navetta. «Persino troppo operosi. Perché la timoniera dovrebbe aiutare l’Ingegnere Capo in un lavoro meccanico, quando ci sono dozzine di altri ingegneri esperti?».

   «Vede, Comand... Capitano...» incespicò Grenk, alzandosi a sua volta «... stavamo parlando, e ho notato che con le sue mani piccole poteva aiutarmi...».

   «Di che parlavate? Perché voi due siete così spesso insieme, ultimamente?» inquisì Lantora.

   «Risponderemo volentieri, ma prima vorrei sapere perché ci tiene sotto tiro, signore» disse T’Vala, immergendosi nel suo lato vulcaniano.

   «Perché sento puzza di complotto» rispose lo Xindi, fissandola con l’unico occhio sano.

   «Complotto di chi? È stato lei a chiedermi di fare quel lavoretto al computer centrale» gli ricordò Grenk. «Se non fosse per me, non sarebbe mai diventato Capitano».

   «Sono il Capitano perché Chase è morto» disse Lantora freddamente.

   «Sì, di encefalite altariana. Strano che sia successo proprio ora. Qualcosa mi dice che non si sarebbe... ammalato, se non avessimo spento Trudy» gli rinfacciò T’Vala.

   «Queste insinuazioni mi feriscono, imzadi» disse Lantora. «Ma il mio phaser ferirà voi, se non mi seguite immediatamente fuori di qui».

   «Di che ci accusa?» chiese T’Vala con distacco.

   «Tanto per cominciare, di aver fatto qualcosa a Korris per evitare la visita, al ritorno dal vostro test temporale» rispose Lantora. «Il buon dottore c’era cascato, all’inizio. Ma da quel giorno in molti hanno notato che vi comportate stranamente. Ignorate cose elementari dell’Impero e del vostro lavoro. Passate molto tempo sui database, come se cercaste d’istruirvi. Parlottate fra voi ed evitate le altre persone. Tutti l’hanno notato. Così ho chiesto a Korris di ricontrollare le analisi e... sorpresa! Il dottore si è accorto che non c’erano. Indovino: hai usato la Fusione Mentale per illuderlo che eravate a posto?» chiese lo Xindi, avvicinandosi a T’Vala.

   «Non so spiegare la scomparsa delle analisi, ma le assicuro che...» cominciò lei.

   «Taci, bugiarda!» urlò Lantora, puntandole il phaser dritto in faccia. «Ancora una parola e ti faccio un buco in testa. Ora mi seguirete in infermeria, e stavolta subirete un esame completo. Intanto una squadra d’ingegneri controllerà che stavate combinando. Sai, quando ho scoperto che consultavi gli archivi storici, non sapevo cosa pensare. Ma quando ho visto che il nostro caro Ingegnere si stava documentando sugli incontri con l’Universo parallelo, mi è venuta un’idea. Voi due non sembrate gli stessi, dopo quel test... perciò mi chiedo... se foste davvero degli altri?» sogghignò. «Perché in tal caso, v’informo che l’Impero ha leggi molto severe contro le spie».

   «Vattene subito». La voce di T’Vala risuonò nella mente di Grenk, sebbene la telepate continuasse a fissare Lantora. «Usa il mini-trasporto!».

   «Ma che succederà a te?» rispose Grenk, muovendo la mano verso il taschino.

   «Non lo so, ma la logica dice che devi andartene» insisté T’Vala.

   «Che hai in tasca, Tellarita?» abbaiò Lantora, puntando il phaser contro Grenk.

   «Probabilmente qualcosa che avete rubato» disse T’Vala. Scattò contro Lantora, cercando di bloccargli il polso prima che facesse fuoco. Ma le circostanze erano contro di lei. Lo Xindi indietreggiò, sfuggendo alla sua presa, e le sparò a bruciapelo. T’Vala si accasciò contro le seggiole.

   «No!» urlò Grenk, attivando il mini-trasporto. Con un breve ronzio, il suo corpo si dissolse in un bagliore rosso.

   «Dannate spie!» inveì Lantora, sparando anche contro l’Ingegnere Capo. Ma era troppo tardi, Grenk si era dissolto. Il raggio phaser colpì la parete della navetta, facendo risuonare tutta la sua struttura cristallina come un diapason. Le vibrazioni erano così intense e sgradevoli che Lantora barcollò all’indietro, uscendo dalla stretta porta della Phoenix.

   «Portate la traditrice in infermeria» ordinò lo Xindi alle guardie. Si massaggiò le orecchie, cercando di scacciare lo stordimento. «Poi sigillate quest’hangar; nulla deve entrare senza il mio ordine. E soprattutto... TROVATE GRENK! Vivo sarebbe meglio, ma mi sta bene anche morto. Tanto abbiamo già una spia da interrogare» sogghignò, osservando il corpo inanimato di T’Vala.

 

   T’Vala riacquistò gradualmente conoscenza. Si sentiva debole e dolorante per la scarica di phaser a distanza ravvicinata, ma nel complesso sentì di non essere ferita. Man mano che i sensi le tornavano, si accorse di essere stesa su un lettino, o una sedia medica inclinata. Quando provò a muoversi, scoprì di non poterlo fare: ceppi metallici le bloccavano braccia e gambe. Due sottili archetti le serravano persino la gola e la fronte, tenendole la testa immobilizzata. Provò un senso di terrore e anche di dejà vu. Ricordava quando i Solanae l’avevano intrappolata nel loro Collettore Subspaziale e l’avevano quasi dissanguata per i loro esperimenti. Quella volta erano stati Chase e Lantora a salvarla, con l’aiuto di Neelah. Ma T’Vala sapeva che stavolta non poteva contare sul loro aiuto. Non erano lì. In compenso c’erano le loro versioni distorte, mostruose. Affrontare degli avversari che avevano la faccia dei suoi colleghi era ancora più agghiacciante che vedersela con nemici alieni.

   La timoniera aprì gli occhi, scoprendo di essere in un ambiente semibuio. Qualcosa torreggiava su di lei, un macchinario. Sbatté le palpebre, cercando di metterlo a fuoco. Ma non aveva molti dubbi: ricordava le ultime parole di Lantora. E quando riconobbe il braccio meccanico che puntava dritto contro la sua faccia, ronzando e ticchettando, ne ebbe la conferma. Korris l’aveva imprigionata sulla Lobo-Sedia, il dispositivo progettato per piegare qualunque umanoide.

   «Ah, si è svegliata!» disse Korris. Il medico si chinò su di lei, così vicino che gli elementi telescopici del suo occhio artificiale quasi le sfiorarono il viso. «Come si sente?».

   «Lurido verme, lo sapevo che Lantora ti avrebbe affibbiato il lavoro sporco» sibilò T’Vala.

   «Vedo che sta bene» ridacchiò Korris. «Splendido, possiamo cominciare». Andò al pannello di controllo della Lobo-Sedia e attivò dei comandi. Alcune luci si accesero nella struttura, specialmente sulla cima del braccio meccanico, a mezzo metro dalla faccia di T’Vala.

   «La vedi, imzadi? Questa macchina è ciò che fa la differenza fra una ribelle, o persino una spia nemica, e un buon ufficiale dell’Impero» disse Lantora ringalluzzito, entrando nel campo visivo di T’Vala. «Guardala, finché puoi. Apprezzane l’estetica, oltre che la funzionalità. Questo è il capolavoro di un artista, oltre che un formidabile strumento educativo».

   «Cos’è, cerchi di spaventarmi?» chiese T’Vala.

   «Non ne ho bisogno, tu sei già spaventata» sorrise Lantora. «Ti prego, non fingere il contrario. È inutile che ti nascondi dietro la tua metà vulcaniana. Qualunque persona sana di mente sarebbe terrorizzata nella tua situazione».

   «Io e Grenk siamo gli unici mentalmente sani su questa nave» rispose T’Vala. «Voialtri siete un branco di psicopatici, narcisisti, sadici pervertiti...».

   «Siamo ufficiali dell’Impero Terrestre» tagliò corto Lantora. «Tu e Grenk, invece, siete spie federali inviate a sabotarci. Ah sì, conosco la vostra Federazione» sogghignò Lantora, notando il fremito di T’Vala. «Ora che sono Capitano, ho potuto accedere a documenti riservati sull’argomento. So che il vostro corrotto governo ha infettato come un virus la vostra dimensione, raccontandovi che tutti sono uguali, condannando centinaia di specie a marcire nella mediocrità. Stento a credere che tu abbia osato infiltrarti fra noi».

   «Non sono una spia» disse T’Vala.

   «Ma vieni dalla Federazione?!» incalzò Lantora. T’Vala lo guardò bieca, ma non rispose.

   «Sapevo che ti saresti comportata come una bambina capricciosa. Per questo ti ho portata qui» disse Lantora, allontanandosi. «Voglio proprio godermela, mentre Korris ti riduce il cervello in pappa».

   «Osservare la Lobo-Sedia all’opera è un’esperienza gratificante, Capitano» disse Korris. «Anche i soggetti sono d’accordo, a fine trattamento. Come vuole che proceda?».

   «Adagio. Non le scardini subito la mente, la schiuda poco alla volta» ordinò Lantora. «Abbiamo molte domande da farle. E quando avremo finito, potrà ancora esserci utile».

   «Trattamento completo, eh? Il mio preferito!» gioì Korris. Armeggiò con i comandi della sedia, parlottando con T’Vala. «Sa, Tenente, quando mi sono reso conto che aveva giocato col mio cervello, mi sono sentito ferito. Una simile violenza, da un’amica come lei! Poi ho capito che lei non è T’Vala, ma un suo doppione. Se è così, la sua mente è una miniera d’oro che intendo sfruttare. E quando avrò finito, lei mi ringrazierà pure!» gongolò, completando la sequenza d’attivazione.

   Il ronzio della Lobo-Sedia salì d’intensità. Alcuni bracci robotici più piccoli si agitarono intorno alla prigioniera e uno le iniettò qualcosa nel collo. Doveva essere uno psicofarmaco, rifletté T’Vala. Alcune sottilissime nano-fibre uscirono dal poggiatesta e si mossero sul suo viso, come serpentelli. Le loro sommità adesive aderirono alle palpebre e la costrinsero a spalancare al massimo gli occhi, senza possibilità di richiuderli. Ogni tanto, altri due tubuli le facevano cadere delle goccioline d’acqua negli occhi, per tenerli umidificati. Il braccio principale della sedia regolò la sua posizione e si attivò, proiettando due raggi verdi negli occhi spalancati di T’Vala. Un terzo raggio, di colore azzurro, le puntava la fronte, stimolando alcune aree del cervello. T’Vala reagì istintivamente, chiudendo le palpebre interne, retaggio vulcaniano. Forse poteva resistere, si disse, aggrappandosi all’ultimo filo di speranza.

   «Immagino che lei abbia chiuso le palpebre interne, nell’infantile illusione di cavarsela» disse Korris, uccidendo sul nascere le speranze di T’Vala. «Davvero crede che basti così poco a ingannarci? Le ricordo che questa Sedia può vincere la resistenza di centinaia di specie. Molte sono più ostiche dei Vulcaniani. Se posso piegare loro, cosa non potrò fare su di lei?» ridacchiò, premendo altri comandi.

   Una seconda iniezione al collo stordì T’Vala, mentre due aghi le perforarono le tempie, agendo sui nervi ottici. Le palpebre interne si aprirono inesorabilmente e T’Vala si trovò a fissare i raggi verdi. Non era semplice luce, ma un complesso flusso di energia e informazioni, un modo per hackerare il cervello.

   «Vede, Capitano?» disse Korris, indicando uno schermo olografico in cui compariva una serie di onde cerebrali. «Questa è la mente della nostra paziente. Noterà che sono in corso dei cambiamenti rilevanti».

   «Alcuni percorsi cerebrali si stanno appiattendo» constatò Lantora, osservando con interesse i grafici.

   «Esatto! Quelle sono le aree della corteccia superiore responsabili dell’autocontrollo e del pensiero critico» spiegò Korris, incoraggiato dall’interesse del suo Capitano. «Il famoso aplomb dei Vulcaniani viene tutto da lì. Ma ora noi stiamo appiattendo quei tracciati. Quest’altro grafico che vede in diminuzione si riferisce alle capacità empatiche e telepatiche del tenente Shil. In pratica è il suo lato Betazoide» rivelò. «Vede com’è facile intervenire? Millenni di speculazioni filosofiche sull’inviolabilità del libero arbitrio... poi schiacciamo un tasto, e puff! Il libero arbitrio non c’è più! Che dire... tecnologia batte anima 1 a 0!» gongolò.

   «E questi tracciati in aumento?» chiese Lantora, indicando gli ologrammi zigzaganti.

   «Eh eh, quello è il sistema limbico, la parte più interna e primitiva del cervello!» ridacchiò Korris. «La sto iper-stimolando, per far crollare qualunque residuo barlume di lucidità alla nostra paziente».

   «Vai a farti frellere, brutto...» mormorò T’Vala, ma le parole le vennero meno e rimase a bocca aperta. Combinata con gli occhi spalancati, era un’espressione piuttosto comica.

   «Sembra che il tuo cervello lo stia già facendo» commentò Lantora, avvicinandosi. Le carezzò il viso e il mento, notando che le sue pupille si erano contratte. «Uhm, sei troppo bella per gettarti via. Quando avremo finito sarà possibile riprogrammarla?».

   «Ma certo, con piacere!» disse Korris, battendo le mani. «Quando sarà cotta a puntino, sarà anche molto malleabile. Mi dica come la vuole e progetteremo il suo nuovo carattere».

   «Uhm... ora che sono il Capitano, stavo pensando che mi servirà una Donna del Capitano» sogghignò Lantora.

   «Credevo che ce l’avesse già» osservò Korris.

   «Ilia? È troppo ambiziosa» disse lo Xindi. «Ha usato Chase per diventare Consigliera e me per diventare Primo Ufficiale. Alla prima occasione cercherà di eliminarmi. Perciò devo batterla sul tempo. Non appena arriveranno i rinforzi della Flotta, mi sbarazzerò di lei».

   «Oppure potrebbe portarla qui da me» suggerì Korris. «La Lobo Sedia funzionerà anche con lei. Perché avere una Donna del Capitano, quando può averne due?».

   «Mi piace il suo modo di pensare, dottore» sorrise Lantora. «A che punto è T’Vala?».

   «Risponderà a qualsiasi domanda con sincerità» assicurò Korris. «Per condizionarla in modo permanente, però, c’è ancora molto da fare».

   «Va bene, cominciamo. Come ti senti, imzadi?» chiese Lantora, avvicinandosi al lettino.

   «M-mi sento... molto bene, Capitano» rispose T’Vala, con voce leggermente impastata. Le sue pupille, contratte come capocchie di spillo, restavano fisse sugli emettitori luminosi. Non si era mai sentita così rilassata in tutta la sua vita. Il terrore di poco prima era svanito, non ricordava nemmeno di averlo provato. Anche la rabbia e il disgusto che provava per gli aguzzini si erano dissolti.

   «Eccellente!» disse Lantora, fregandosi le mani. «Ora, la prima cosa che voglio sapere è...».

   «Sala macchine a Capitano, abbiamo un problema» disse un ingegnere al comunicatore.

   «Che c’è? Sono occupato!» protestò Lantora.

   «Abbiamo scoperto un sabotaggio che riguarda alcuni sistemi-chiave della nave» fu l’inaspettata risposta.

   «Quali sistemi? Sia più preciso!» esclamò Lantora, allarmato.

   «Signore, le comunicazioni potrebbero non essere sicure. Sarebbe meglio se venisse di persona, così potremo esporle i dettagli» rispose l’ingegnere.

   «Frell! E va bene, sto arrivando» si arrese Lantora. Chiuse il canale e si rivolse a Korris. «Farò più in fretta che posso, intanto cominci a interrogarla. Scopra chi l’ha mandata e qual è la sua missione. Se fa resistenza, la spezzi. Se rivela qualcosa di utile, m’informi immediatamente».

   «E se finisco prima che lei sia di ritorno?» chiese Korris.

   «Spero di non metterci tanto!» sbuffò Lantora. «Comunque sa cosa voglio».

   «Ah, certo... lei è un intenditore!» disse Korris, divertito.

   «Sono il Capitano dell’Enterprise. Chiunque mi tradisca, mi ostacoli o mi deluda si farà un giro su quella sedia. Chiunque» disse Lantora, fissando gelidamente Korris. E se ne andò di corsa in sala macchine.

   «Attento, Lantora» mormorò Korris fra sé, quando fu solo con T’Vala. «Sei il Capitano... soltanto a vita» ridacchiò. Capitani e ufficiali andavano a venivano, ma lui restava: era troppo utile a tutti. «Allora, amica mia... adesso ci faremo una bella chiacchierata» gongolò, avvicinandosi al lettino di T’Vala. Aveva a disposizione una delle migliori menti dell’Enterprise – intelligente, disciplinata – per farci ciò che voleva. Sentiva che quello sarebbe stato il suo capolavoro.

 

   «Allora, qual è il problema?» chiese Lantora entrando in sala macchine, scortato da due guardie armate. Lo accolse un silenzio di tomba. Gli ingegneri erano allineati lungo le pareti, muti e con lo sguardo basso, come condannati a morte in attesa dell’esecuzione. «Beh, avete perso la lingua?» berciò lo Xindi, spazientito.

   «No, ma a differenza di te sanno quando usarla» disse una voce alle sue spalle. Sembrava... no, era impossibile!

   «Chase!» gridò Lantora, girandosi di scatto ed estraendo il phaser, ma era troppo tardi. Una forza terribile lo schiacciò a terra, mozzandogli il fiato, e fece lo stesso con le guardie. Sembrava che un macigno invisibile premesse su di loro. Ogni respiro era una fitta dolorosa. Con orrore, Lantora comprese che la piastra di gravità nel pavimento veniva usata come arma, per schiacciarli sotto il loro stesso peso.

   Una raffica di phaser uccise le guardie. Lo Xindi era rimasto solo, circondato da nemici. Si sforzò di sollevare il suo phaser, ma l’arma gli si dissolse in mano, teletrasportata via.

   «Ora non fai più il gradasso, vero? Capitano Lantora... il tuo comando è durato due ore, ma per te sono anche troppo» disse Chase, sbucando da dietro un macchinario. Lo scortavano i soldati dei Corpi Speciali, riconoscibili dalle uniformi mimetiche con l’emblema del teschio. Sbucarono dagli angoli bui della sala macchine, uscirono dai tubi di Jefferies, scesero dalle scalette che portavano ai livelli superiori. Alcuni si calarono persino con i rampini dalle passerelle metalliche che correvano molti metri più in alto. Avevano armi pesanti, perlopiù fucili phaser e granate. Molti puntatori laser furono diretti contro lo Xindi. Né gli armati, né gli ingegneri allineati lungo le pareti risentivano dell’aumento di gravità, perché erano tutti oltre il bordo della piastra che intrappolava Lantora.

   «Non può essere, ti ho visto morto!» ansimò lo Xindi.

   «Che cosa hai visto, il mio corpo? O la sua immagine?» disse Chase, puntandogli contro un phaser.

   «Stai dicendo che...» fece Lantora, paonazzo per lo sforzo di opporsi alla gravità.

   «Sì, quello che hai visto morire in infermeria era un ologramma medico col mio aspetto» confermò Chase, malignamente soddisfatto. «Il dottor Korris l’ha realizzato tempo fa, per mia richiesta. Volevo essere pronto, se qualcuno avesse complottato contro di me».

   «Korris! Quello sporco traditore!» ringhiò Lantora. «Ma era dalla mia parte, mi ha aiutato a sopraffarti!».

   «Ah, sì, il soppressore neurale. Korris l’ha dosato per essere certo che non mi avrebbe ucciso» spiegò Chase. «Credevi che fosse dalla tua, tanto da affidargli la gestione della mia dipartita. Invece il buon dottore è sempre stato ai miei ordini».

   «Ma perché? È un alieno anche lui!» protestò Lantora, strisciando verso il bordo della piastra gravitazionale. Se fosse riuscito a oltrepassarlo...

   «Fortuna vuole che sia un alieno pragmatico» disse Chase, sparando a un millimetro dalla testa di Lantora, per dissuaderlo dal suo tentativo. «Quando ci siamo conosciuti gli ho detto che, se mai qualcuno avesse cercato di corromperlo per assassinarmi, gli conveniva spifferarmi tutto. Qualunque cosa gli avessero offerto i traditori, io gli avrei dato il doppio».

   «Gli avevo offerto di essere libero dalla schiavitù degli Umani, oltre ai soldi» gemette Lantora.

   «Ma lui ha preferito avere... più soldi» ridacchiò Chase.

   «Non ti sarà facile riconquistare la nave. Anche se mi uccidi, gli alieni lotteranno per mantenere il controllo. Ho messo i miei fedeli ovunque!» minacciò Lantora.

   «Anch’io metterò la mia fedele ovunque» sogghignò Chase, facendo segno a qualcuno dietro di lui di avanzare nella zona illuminata della sala macchine. Trudy emerse dalle ombre, più minacciosa che mai, con il corpo blu e gli occhi rossi.

   «Non può essere, l’ho fatta disattivare!» ansimò Lantora, sentendosi davvero perduto.

   «Questa è una copia di back-up che tenevo per le emergenze» spiegò Chase. Solo allora Lantora notò che Trudy aveva l’Emettitore Autonomo al braccio. Probabilmente era il suo unico avatar in circolazione sull’Enterprise; ma era pur sempre un vantaggio per Chase.

   «Desideri che uccida il traditore, mio signore?» chiese Trudy, puntando un phaser alla testa di Lantora.

   «Neanche per sogno. Questo è un piacere che riservo solo a me» rispose Chase. Si avvicinò a Lantora, stando però attento a rimanere fuori dalla piastra di gravità, e gli puntò il phaser al petto.

   «Ci rivedremo all’inferno, bastardo!» sputò Lantora.

   «Ci vedrai i tuoi amici traditori, quando te li manderò» rispose Chase, fissandolo negli occhi con disprezzo. «Guardate tutti!» esclamò, rivolto ai militari e agli ingegneri. «Così finiscono i traditori dell’Impero. Mai più un alieno comanderà l’Enterprise!» gridò, il viso stravolto dall’ira. Sparò a Lantora, colpendolo in pieno petto. Il phaser era regolato su un’intensità così elevata che lo Xindi fu vaporizzato, lasciando una chiazza scura a terra.

   «Riportate la piastra alla normalità» ordinò Chase. Respirò a fondo, assaporando la sensazione della vittoria mista all’odore di carne bruciata. Uccidere Lantora era stato gratificante, ma restava molto da fare. L’Enterprise doveva essere riconquistata. E doveva ancora decidere cosa fare con Ilia.

   «Ordini, mio signore?» chiese Trudy.

   «Gli ingegneri riattiveranno il tuo processore centrale» disse Chase, squadrando i lavoratori della sala macchine.

   «Capitano... se accediamo al computer, in plancia lo sapranno subito» fece notare timidamente uno degli ingegneri.

   «E la plancia, al momento, è occupata da Ilia e altri traditori» aggiunse Trudy.

   «Allora la nostra prima mossa sarà riconquistarla» disse Chase, torvo. Si rivolse ai militari: erano tutti Umani, sia uomini che donne. «Soldati, tenetevi pronti. Ho squadre come la vostra disseminate nei punti critici della nave, pronte ad aiutarci. Altri ufficiali, che non hanno rinnegato la Terra, ci sosterranno contro gli alieni non appena inizierà la battaglia. Ci faremo strada verso la plancia, uccidendo tutti i traditori che si frappongono fra noi e il controllo dell’Enterprise. Non permetteremo che l’ammiraglia di Flotta, frutto dell’ingegno umano, resti in mano agli alieni. Ricordate: siamo soldati dell’Impero Terrestre!» gridò, facendo il saluto militare.

   «Terra firma!» esclamarono i soldati, sollevando i fucili phaser. La lotta per il controllo dell’Enterprise stava per cominciare.

 

   «Affascinante! Il tuo Universo è ricco di sorprese!» esclamò Korris, emozionato. Stava interrogando T’Vala da pochi minuti e aveva già scoperto cose molto interessanti. «Quel che mi sbalordisce è che gli stessi individui esistano nelle due linee temporali, malgrado la Storia abbia avuto un altro corso. Da scienziato, non riesco a spiegarmi come sia possibile. Se le battaglie sono state diverse, gli incontri diversi... com’è possibile che siano nati gli stessi individui? Come possono avere lo stesso DNA, se la storia delle loro famiglie è stata diversa?».

   «Anche noi non riusciamo a spiegarcelo» ammise T’Vala. Finché restava sotto l’influsso della Lobo-Sedia non poteva fare a meno di rispondere sinceramente a ogni domanda. Non si chiedeva minimamente se fosse opportuno, lo faceva e basta. «Forse i nostri due Universi sono legati in un modo peculiare, che ancora non comprendiamo» ipotizzò.

   «Adesso non mi tirerai fuori la metafisica!» disse Korris, sprezzante. «Non c’è alcuna finalità in quel che accade, solo rapporti causa-effetto. Ma devo prendere atto che le somiglianze fra i nostri Universi esistono. Stessi individui, grossomodo, ma diversi sistemi politici. Parlami ancora della Federazione. Qual è la specie dominante?».

   «La capitale è la Terra e gli Umani hanno tradizionalmente fornito una parte cospicua del personale federale» rispose T’Vala. «Però non sono i nostri padroni; la Federazione si fonda sull’uguaglianza di tutte le specie davanti alla legge».

   «E tu condividi questo ideale?» chiese Korris.

   «Sì, a differenza di voi criminali psicopatici» rispose T’Vala. Non lo disse per offendere; in quello stato mentale non ne era capace. Korris intuì che lo aveva detto semplicemente perché la Lobo-Sedia la costringeva a esternare tutto quel che pensava.

   «Uhm, ho già capito quale sarà la prima modifica da apportare al tuo carattere» disse il medico. «Dovrò correggere le tue idee politiche. Per esempio, non trovi che una società salda sia...».

   «Chase a Korris, le comunico che la prima parte del nostro piano ha avuto successo: Lantora è morto» disse Chase dal comunicatore.

   «Mi congratulo con lei, Capitano» rispose prontamente Korris. «Che mi dice degli altri ribelli?».

   «Ilia e alcuni capi sono asserragliati in plancia, ma ci sono molti altri gruppi da eliminare in giro per la nave. Sarà una dura battaglia» ammise Chase. «Si tenga pronto, potrei avere dei feriti».

   «Conti su di me, Capitano» assicurò Korris. «E se mi arriveranno feriti della parte avversa, mi assicurerò che non sopravvivano».

   «Vedo che ha capito. Chase, chiudo».

   «Sentito, mia cara? Sta per esserci del movimento!» commentò Korris. «Ma non informerò di te il Capitano, finché è in corso la battaglia. Se Chase vincerà ti offrirò a lui, così mi sarà ancora più grato. Ma se il buon Capitano si farà ammazzare, penso proprio che ti terrò per me!» gongolò il mezzo Cardassiano.

   «Non ci contare, pezzo di dren» disse qualcuno alle sue spalle.

   «Grenk!» esclamò Korris, preso in contropiede. Il Tellarita si stagliava sulla porta, con la vibro-lama in mano. Dietro di lui, Korris intravide alcuni medici e infermieri a terra. «Come hai eliminato il mio staff?» chiese il dottore, smarrito.

   «Granate stordenti» spiegò Grenk, entrando in sala. «I tuoi colleghi resteranno a terra per un pezzo. Tu invece ci resterai per sempre, se non spegni subito quella macchina infernale» avvertì.

   «Non uscirete vivi da questa nave!» disse Korris sprezzante.

   «Il primo a morire sarai tu, se non mi obbedisci all’istante» promise Grenk, minacciandolo con la vibro-lama. Come in tutte le armi di quel tipo, la lama si srotolava dall’elsa premendo un comando, per poi irrigidirsi. Era così affilata da poter tagliare in due una molecola e non risentiva dei campi di smorzamento che spesso bloccavano le armi a energia.

   «Come vuoi... tanto la tua amica tornerà su questa sedia molto presto» disse Korris, azionando alcuni comandi. I raggi verdi che colpivano gli occhi di T’Vala si disattivarono, così come il raggio azzurro che le puntava la fronte. I filamenti che la costringevano a tenere gli occhi spalancati si staccarono dalle palpebre e rientrarono nel poggiatesta. Anche gli archetti metallici che le immobilizzavano la testa e gli arti si aprirono, lasciandola libera.

   «Forza, spilungona, scendi da lì!» la esortò Grenk, ma T’Vala non si mosse. Restò immobile, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta. Il Tellarita si accorse che aveva ancora le pupille contratte.

   «Non crederai che ti venga dietro come se niente fosse?» ridacchiò Korris. «Quella non è una sedia come le altre!».

   «Che le hai fatto?!» ringhiò Grenk, dando dei colpetti sulle guance di T’Vala per cercare di svegliarla dalla trance. Ma la mezza Vulcaniana non dava segno di riprendersi.

   «Lo sai già. Ti ho spiegato di cos’è capace questa macchina» disse Korris, malignamente soddisfatto. «La tua amica non tornerà mai più come prima. D’ora in avanti sarà fedele solo e sempre all’Impero!» mentì, sapendo di non averla ancora alterata.

   «Bugiardo!» gridò il Tellarita. «Qualunque cosa tu le abbia fatto, rimettila a posto! Altrimenti...».

   «Altrimenti cosa, mi ucciderai? Stupido Tellarita, hai mai ucciso qualcuno? Hai mai sventrato un prigioniero con un coltello, l’hai mai torturato? Io penso di no. Voi federali siete troppo molli per fare quel che si deve!» lo derise Korris.

   «Non mettermi alla prova» avvertì Grenk, puntandogli la lama alla gola.

   «Perché no?» disse Korris. Colpì repentinamente la mano di Grenk, sbalzandogli via la vibro-lama, che si perse nel buio.

   «Adesso mi diverto» ghignò Korris, levando la mano destra. Su ogni falange era innestato un diverso strumento chirurgico. «Sai che posso scuoiare vivo un umanoide? Sono curioso di vedere quanto ci metterò con te!». Lo attaccò con una serie di artigliate, ciascuna delle quali avrebbe sventrato Grenk se lo avesse colpito. Il Tellarita indietreggiò precipitosamente, piegandosi da una parte e dall’altra per sfuggire agli attacchi. Camminando all’indietro, infilò la porta e sbucò nella sala principale dell’infermeria.

   «Attenzione, qui è il Capitano Chase» tuonò l’altoparlante. «V’informo che sono vivo, diversamente da come vi aveva raccontato il traditore Lantora, nel tentativo di usurpare il comando dell’Enterprise. Questo affronto all’Impero non resterà impunito. Lantora è già stato giustiziato, come accadrà a tutti coloro che hanno cospirato con lui. Al resto dell’equipaggio ordino di riconoscere immediatamente la mia autorità. Chi è stato ingannato da Lantora, credendo in buona fede che fosse il nuovo Capitano, sarà perdonato. Ma chi mi ostacolerà nella riconquista della nave sarà passato per le armi. Ai civili ordino di non uscire dagli alloggi fino al ristabilimento della sicurezza. Chase, chiudo».

   All’annuncio di Chase seguì immediatamente l’Allarme Rosso, evidentemente ordinato dalla plancia. L’illuminazione si abbassò e divenne più sanguigna. La battaglia era iniziata.

   «Sentito? Da un momento all’altro una squadra di Chase verrà qui!» disse Korris, trionfante. «Per te e T’Vala è finita. Lei sarà dei nostri, ma tu non sarai così fortunato». Tornò ad attaccare Grenk, cercando di trafiggerlo con la mano bionica. Il Tellarita, disarmato, afferrò tutto quel che gli capitava sottomano e glielo gettò contro: tricorder medici, strumenti chirurgici, recipienti e provette. Alcuni contenitori andarono in pezzi, imbrattando Korris con i loro contenuti. Ma niente era abbastanza grosso da stordirlo. Il medico intercettava la maggior parte degli oggetti con l’artiglio, o si piegava con tutto il corpo per evitare i più grossi, ma in ogni caso continuava ad avanzare. Si frappose fra Grenk e l’uscita dell’infermeria. Voleva spingerlo sempre più addentro al reparto, fino a intrappolarlo in qualche stanza.

   Grenk si accorse della mossa, ma per quanto cercasse di scartare di lato, non riuscì a girare intorno all’avversario. Non era abbastanza agile. A forza di arretrare, accadde quel che temeva: imboccò una sala senza uscita. Con un brivido, Grenk riconobbe la stanza del Gorn.

   «Ah sì, è giusto che tutto finisca qui» commentò Korris. «Al Gorn piace la carne viva e palpitante».

   «Nell’altra Enterprise, Raav è mio amico; che gli hai fatto qui?!» chiese Grenk, indietreggiando fino a urtare la consolle. A un metro da lì si apriva la prigione-pozzo, chiusa in cima da un campo di forza giallognolo.

   «I Gorn sono animali, anche se s’illudono del contrario. Ho solo aiutato il tuo... amico a diventare quel che in fondo era già» rispose Korris, stando sulla porta. «Però sono curioso: che fa quella bestia sulla tua Enterprise?».

   «Il cuoco» rispose Grenk, armeggiando con i comandi. Aveva notato che sul pannello c’era anche una presa energetica e questo gli dava un’idea disperata. Disattivò in fretta il campo di forza. Anche così, la prigione-pozzo era troppo profonda per permettere al Gorn di uscire. Probabilmente c’era un comando per sollevare il fondo del pozzo, ma Grenk non aveva il tempo di trovarlo. Sentì i ruggiti cavernosi del Gorn. Era abituato a essere nutrito, tutte le volte che il campo era disattivato, e non si aspettava eccezioni.

   «Ah ah, il cuoco?! Dici sul serio?». Korris rise di gusto. «Beh, trovo che sia molto poetico. Dopo che ti ha nutrito tante volte, ora sei tu a riempirgli la pancia!». Passò l’artiglio sulla parete, con uno stridio insopportabile, peggio delle unghie su una lavagna. Per quanto fosse resistente la lega metallica dell’Enterprise, le falangi chirurgiche di Korris riuscirono a graffiarla. «Qualche ultima parola?» chiese il dottore, avvicinandosi. Fece sventagliare le dita, pronto a colpire.

   «Solo che il nostro Korris ne vale cento, come te» rispose Grenk.

   «Allora potrei fargli visita» sogghignò il mezzo Cardassiano, e colpì. Avrebbe squarciato la gola di Grenk, se questi non avesse scartato bruscamente di lato. Trascinato dall’impeto, Korris si sbilanciò e incespicò in avanti, finendo quasi contro la consolle. Grenk ne approfittò subito. Prima che Korris potesse rimettersi in guardia, gli afferrò la mano bionica e gliela sbatté sul quadro comandi, proprio contro la presa di corrente.

   L’interfaccia LCARS andò in pezzi e una delle falangi meccaniche di Korris s’infilò dritta nella presa. L’elettricità ne scaturì come un fulmine, attraversando il corpo del dottore e scaricandosi a terra. Per un attimo Grenk intravide il suo scheletro, costellato d’impianti cibernetici. Nessuno era la conseguenza di malattie o incidenti. Tutte le sostituzioni erano state fatte intenzionalmente da Korris, cercando di potenziarsi. Ma ora quel metallo avvinghiato alla carne non gli era d’aiuto. Molti dei suoi sistemi andarono in sovraccarico e si spensero; alcuni si fusero parzialmente.

   Korris lanciò un grido agonizzante, ma non riusciva a staccarsi dalla presa. Tirò così forte da strapparsi la falange metallica e barcollò all’indietro, intontito. Aveva i capelli dritti, ancora sfrigolanti, e la pelle ustionata. L’occhio telescopico si muoveva avanti e indietro, lampeggiando di rosso. Tutti i suoi sistemi cibernetici cercavano di riprendersi dal sovraccarico. «Che... che...» farfugliò.

   «Un’altra cosa: mai sottovalutare un Tellarita» ringhiò Grenk. Era sfuggito alla scossa grazie ai guanti isolanti di cui era corredata la sua uniforme. Afferrò il mezzo Cardassiano e lo scaraventò nella fossa del Gorn. Korris precipitò con uno strillo acuto e atterrò malamente, rompendosi qualche osso.

   Sotto shock, Grenk si accasciò sull’orlo del pozzo. Sentì che il Gorn ruggiva di soddisfazione: finalmente era arrivata la carne. E non carne qualsiasi; quella del suo aguzzino. Erano anni che aspettava questo momento. Si avventò su Korris prima che questi si riavesse. Ferito dalla scossa e dalla caduta, il medico menò un fendente a casaccio con la mano bionica. Se avesse colpito il rettile alla gola, avrebbe anche potuto squarciargliela; ma il colpo andò a vuoto. Il Gorn azzannò Korris all’altezza del polso, tranciandogli la mano con uno schiocco. Ondeggiò la testa di lato e gettò via il boccone, rifiutandolo per il troppo metallo. Ma il resto di Korris era più appetibile.

   Il medico urlò, osservandosi il moncherino, da cui il sangue usciva a fiotti. Se l’infilò sotto l’ascella, ma non poteva fermare l’emorragia. Né poteva impedire al Gorn di attaccarlo ancora. La testa del rettile era a pochi centimetri dalla sua. Gli occhi gialli, dalle pupille verticali, lo fissarono famelici. La lingua schioccò tra le fauci insanguinate.

   «F-fermo! Sono il tuo padrone e t-ti ordino di f-fermarti!» balbettò il dottore, rattrappito contro la parete del pozzo.

   Negli occhi del rettile balenò una scintilla di riconoscimento. «Raav... fame!» ruggì.

   «S-sono un medico, non cibo per anima-aaahhh!» strillò Korris, mentre il Gorn gli azzannava la gola. Il sangue schizzò sulle pareti del pozzo. Raav sollevò Korris, schiacciandolo contro il muro, mentre gli staccava brandelli di carne sanguinolenta dal collo e dal petto. Le grida del dottore si spensero in un gorgoglio, sostituite dal suono delle ganasce di Raav.

 

   Grenk si rialzò, aggrappandosi alla consolle sfrigolante. Con i comandi distrutti non poteva ripristinare il campo di forza. Ma confidava che il pozzo di sei metri, dalle pareti perfettamente lisce, fosse impossibile da scalare. La testa gli girava, ma il Tellarita sapeva di non poter perdere neanche un istante. Doveva aiutare T’Vala. Lasciò la consolle e uscì barcollando dalla stanza del Gorn. Il resto dell’infermeria era una baraonda, dopo che aveva lanciato tutti quegli oggetti contro Korris. Provette e recipienti infranti avevano riempito il pavimento di schegge, che scricchiolavano a ogni passo.

   «T’Vala!» ansimò Grenk, tornando nella sala della Lobo-Sedia.

   «Sta meglio» disse un’esile figura incappucciata, in piedi accanto alla Sedia. Teneva la mano destra sulla fronte di T’Vala. Una mano piccola, che spiccava biancastra nella semioscurità.

   «Neelah?» mormorò il Tellarita, indugiando sulla soglia.

   «Sono io. Ho percepito cosa stava facendo Korris» disse l’Aenar. Si abbassò il cappuccio sdrucito, scoprendo i capelli bianchi e le antenne. «La battaglia infuria, è la nostra occasione per scappare. Chiunque vinca non avrà pietà per noi» avvertì.

   «T’Vala è sveglia?» chiese Grenk, avvicinandosi alla Lobo-Sedia.

   «Lo sono» disse la timoniera, alzandosi sui gomiti. Le sue pupille avevano ripreso le dimensioni consuete. «Che è successo a Korris?» chiese, guardandosi attorno confusa.

   «Sta facendo da cena al suo Gorn» rispose Grenk, additandosi alle spalle. «Ma tu come ti senti? Korris ha detto...».

   «Korris ha mentito. Sei intervenuto in tempo» assicurò Neelah, passando ancora la mano sulla fronte di T’Vala. Sembrò trasmetterle parte delle sue energie.

   «C’è mancato poco» sospirò T’Vala, scendendo dalla Sedia. Barcollò un attimo, ma riuscì a reggersi in piedi. Stava riacquistando in fretta le forze. «Grazie a entrambi» disse. «Lantora è...».

   «Morto anche lui, mentre Chase è vivo» spiegò Grenk, raccattando la vibro-lama. «Ilia e i suoi fedeli sono asserragliati in plancia, se Chase non ha già fatto irruzione».

   «Ci sono combattimenti fra Umani e alieni in tutta la nave» avvertì Neelah. «Se incontriamo i Terrani, ci spareranno a vista».

   «Vorrei che avessimo altre armi!» sospirò Grenk, consegnando la vibro-lama a T’Vala. I tre tornarono nella sala principale dell’infermeria. Stavano per uscire nel corridoio, quando la porta davanti a loro si aprì.

   «Traditore, hai tenuto Chase in vita!» ringhiò Ilia, entrando come una furia. Aveva l’aria stravolta, i capelli in disordine e impugnava una lunga frusta. Grenk e T’Vala la riconobbero come una variante della frusta a energia usata dai Ferengi. Era un’arma difficile da usare, ma micidiale se brandita da un esperto. «Ma... cos’è successo?» si stupì la Trill. L’infermeria era a soqquadro, il personale medico a terra. Solo Grenk, T’Vala e Neelah erano in piedi, e neanche loro avevano un bell’aspetto.

   «Quel che succede ovunque, si combatte» disse Grenk, sperando d’ingannarla.

   «Dov’è Korris? Lo voglio uccidere con le mie mani!» gridò Ilia, agitando la frusta.

   «Arrivi tardi. Dopo averci traditi, quel verme ha cercato pure di ucciderci. Abbiamo dovuto eliminarlo» disse T’Vala.

   «Sì, è finito nella fossa del Gorn. Guardare per credere!» aggiunse Grenk.

   «Avrei voluto farlo io» commentò Ilia. «Ma l’importante è che sia morto. Ora devo andare; gli Umani stanno riconquistando la nave, maledizione a loro!» inveì.

   «Se uniamo le forze, avremo maggiori probabilità di arrivare all’hangar» suggerì T’Vala.

   «La tua famosa logica, eh?» disse Ilia, in tono acido. «Forse era per quella che Lantora ti sbavava dietro!».

   «Lantora è morto, non ha senso litigare per lui» ribatté T’Vala, continuando a recitare.

   «Sì, è morto» annuì Ilia. «Ma prima mi ha confidato i suoi sospetti su voi due. Non siete quel che sembrate, siete spie da un altro Universo. Ci avete ingannati!» ringhiò, facendo schioccare la frusta. «Non so che speravate di fare, ma non ve ne andrete impuniti. Abbiamo già abbastanza problemi, senza ci portiate anche i vostri!».

   «Ti sbagli. Siamo finiti qui per un incidente e vogliamo solo tornare a casa» disse Grenk, avvicinandosi lentamente, con le mani alzate. Ilia lo squadrò incerta. «Ora dacci quell’arma» disse il Tellarita, tendendole la mano. «In cambio potremmo portarti nel nostro Universo, dove sarai al sicuro». In realtà Grenk non aveva una gran voglia di portarsela dietro, ma doveva convincerla a non colpirli. E poi le conoscenze di Ilia potevano tornare utili per la fuga.

   «Dovrei venire come vostro ostaggio? Per farmi sondare la mente? No!» esclamò Ilia, alzando di nuovo la frusta. «Prenderò la navetta temporale, ma lo farò da sola. Tornerò indietro quanto basta per far funzionare il mio piano. Mi assicurerò che Chase muoia davvero ed eliminerò anche Korris. E Lantora, quando non mi servirà più. A quel punto controllerò sia l’Enterprise che la crono-navetta. Sarò invincibile!» esultò, lo sguardo folle.

   «No, aspett...» disse Grenk, ma non poté finire. Ilia fece scoccare la frusta, che brillò gialla, e lo colpì in pieno petto. Il Tellarita fu scagliato all’indietro di alcuni metri. Sfondò un pannello trasparente su cui scorrevano dei grafici e si accasciò in mezzo ai frammenti, privo di sensi.

   «No!» gridò T’Vala, tuffandosi dietro un lettino medico per sfuggire alla successiva frustata. Sentì il lettino scricchiolare mentre veniva colpito. Anche Neelah si nascose dietro un macchinario per le analisi, sfuggendo per un soffio alla frusta energetica.

   «Schiava, sei in combutta con questi traditori? Avrei dovuto darti in pasto al Gorn molto tempo fa!» gridò Ilia. «Lo sapevo che non c’era da fidarsi di una pezzente cieca. Quelli come te sono servili a parole, ma poi tramano sempre alle nostre spalle!» gridò come un’ossessa, accanendosi contro il nascondiglio di Neelah con una frustata dopo l’altra. Il macchinario scricchiolò, prossimo a cedere. Poco lontano, Grenk era a terra fra i cocci; T’Vala non sapeva nemmeno se fosse vivo.

   La timoniera capì che era il suo momento. Impugnò la vibro-lama, la sua unica arma, e respirò a fondo. Non si era ancora pienamente ripresa dalla Lobo-Sedia, ma doveva ritrovare la concentrazione vulcaniana. Respiro... respiro... ora!

   T’Vala si rialzò, prendendo la mira. Ilia la vide e caricò un altro colpo di frusta. «Ti taglio la faccia, brutta...» berciò, ma fu troppo lenta. T’Vala scagliò il pugnale con grande forza e precisione, colpendole la mano. La frusta fu sbalzata via e cadde in un angolo, tra un lettino medico e la parete.

   «Maledetta!» ringhiò Ilia, leccandosi la mano ferita. «Non sei l’unica a saperci fare coi coltelli. Ti dissanguerò!» disse, attivando la propria vibro-lama.

   «Ci hanno già provato» ribatté T’Vala, avvicinandosi cautamente. Ilia diede una serie di affondi, ma T’Vala li evitò con scarti improvvisi. Si mossero per tutta l’infermeria, con la Trill sempre in attacco e la mezza Vulcaniana in difesa, finché Ilia rallentò per la stanchezza. Allora T’Vala le diede un calcio in faccia.

   Ilia barcollò all’indietro, premendosi il volto. Quando riabbassò il mento, T’Vala vide che perdeva sangue dal naso. «Ti ammazzo, ti ammazzo!» gridò istericamente la Trill, tornando all’attacco. Si scontrarono con calci, pugni e le continue coltellate di Ilia, che T’Vala evitava all’ultimo istante. Era una lotta senza esclusione di colpi.

 

   Da dietro il suo nascondiglio, Neelah percepiva lo scontro, e non solo con le orecchie. Le sue onde telepatiche si riflettevano sulle superfici come gli ultrasuoni di un pipistrello, dandole un’immagine mentale dell’infermeria. Aveva difficoltà a scorgere i dettagli, e i colori le erano del tutto ignoti, ma percepiva l’essenziale. Quando fu certa che Ilia non le badava, si azzardò a uscire. Avrebbe voluto aiutare T’Vala, ma sapeva che le sarebbe stata d’impaccio. La sua “vista” era precaria, la sua costituzione gracile, e poi non aveva il minimo addestramento. Sentiva le due donne che saltavano da una parte e dall’altra, mettendo ancor più a soqquadro l’infermeria. Ogni pochi istanti qualcos’altro andava in pezzi o era usato come arma impropria. Lei, però, aveva altro da fare.

   L’Aenar avanzò carponi, silenziosamente, fino al corpo di Grenk. Anche se non ne vedeva bene i lineamenti, la sua sagoma corpulenta era inconfondibile. Cercò di raggiungere i suoi pensieri. Sì, c’era attività cerebrale! Il Tellarita era stordito, ma non in pericolo di vita. Neelah avrebbe voluto fargli un’iniezione, per aiutarlo a riprendersi... ma non poteva leggere le etichette. Non voleva sbagliare sostanza, con l’infermeria così in disordine e tutti gli oggetti fuori posto. Una medicina – o anche solo una dose – sbagliata avrebbero ucciso Grenk, nelle sue condizioni. L’Aenar gli posò le mani sulle tempie, cercando di raggiungere la sua mente.

   «Ascoltami, ti prego. Devi svegliarti. Ci resta poco tempo...» mormorò. Si sforzò di trasmettergli parte della sua energia, come aveva fatto con T’Vala. Era un travaso spossante per l’Aenar, soprattutto perché era il secondo in pochi minuti. Neelah trasmise tutta l’energia possibile, finché le forze le vennero meno. Cadde semi-stordita accanto al Tellarita, che si mosse un po’ ma non riprese ancora conoscenza. Era la fine, si disse, se T’Vala non vinceva.

 

   «Sei in gamba, lo ammetto» ansimò Ilia, barcollando al centro della stanza. Era piena di lividi e il naso le sanguinava ancora.

   «E tu sei sciocca. A quest’ora potevamo essere tutti in salvo!» ribatté T’Vala. Aveva un graffio sulla guancia; il sangue verde le scorreva giù per il collo.

   «Insieme? Non darò le spalle a una spia straniera!» obiettò Ilia, e tornò all’attacco. Sferrò un colpo che avrebbe tagliato la gola a T’Vala, se questa non fosse prontamente arretrata. La timoniera approfittò dell’impeto di Ilia e le afferrò il polso, riuscendo a bloccarla. Girò su se stessa, trascinandosela appresso, fino a sbatterla contro una parete. Restarono avvinghiate per qualche secondo, con Ilia che si dibatteva, ma era schiacciata a viva forza contro la paratia. T’Vala le premette la gola con l’avambraccio, mentre con l’altra mano le torceva il polso, finché la obbligò a mollare l’arma. La vibro-lama cadde a terra e T’Vala la calciò subito via.

   Ilia rispose colpendola in faccia con una testata. T’Vala barcollò all’indietro, allentando la presa, e Ilia si rigirò come un’anguilla, cercando di liberarsi. Tentò di afferrare T’Vala per un braccio, per gettarla a terra con una mossa di judo. Ma non fece in tempo. Riavutasi, T’Vala l’afferrò al collo con la mano destra. Premette i centri nervosi fra collo e spalla, ogni dito nel punto giusto, sovraccaricando i suoi centri del dolore.

   La Trill lanciò uno strillo acutissimo e il suo corpo s’irrigidì, mentre il dolore le ottundeva i sensi. Ogni terminazione nervosa le sembrava sul punto di esplodere. Era la famigerata Presa al Collo vulcaniana e lei non poteva farci niente. Aveva perso, si disse con rabbia, mentre sprofondava nell’incoscienza.

   T’Vala cessò di esercitare pressione solo quando fu certa che l’avversaria fosse svenuta. Avrebbe dovuto accompagnarla dolcemente a terra, come le era stato insegnato dai maestri Vulcaniani, ma la sua parte emotiva ebbe il sopravvento: lasciò che Ilia crollasse sul pavimento. Restò a guardarla ansante, premendosi il graffio sulla guancia, che per fortuna era superficiale. Se fosse stata in piena forma, l’avrebbe messa KO più facilmente. Era colpa della tortura sulla Lobo-Sedia se lo scontro si era trascinato.

   «Grenk!» esclamò T’Vala, ricordandosi di colpo del suo amico. Si precipitò dal Tellarita, che era ancora svenuto, e gli s’inginocchiò accanto. Neelah era con lui, spossata dopo avergli trasmesso parte delle sue forze.

   «Non lasciarmi, amico mio!» gemette T’Vala, cercando il battito cardiaco. Era debole. «Mi hai salvato la vita... sarebbe poco carino se non ricambiassi».

   «Non temere, vivrà» disse Neelah, rialzandosi. «Iniettagli qualche stimolante».

   T’Vala corse a un armadietto e ne estrasse un ipospray. Accertatasi che fosse sterilizzato, si mise a frugare lì attorno, in cerca dello stimolante giusto. «La vostra medicina è così primitiva!» si lamentò. «Ci sono cose che noi non usiamo da secoli. Guarda qui... cordrazina... se non c’è di meglio, dovrò accontentarmi». Esitò un attimo. Una dose troppo alta di quel farmaco poteva provocare allucinazioni, delirio, paranoia. Ma considerando la fisiologia dei Tellariti, era logico usare un dosaggio robusto, o non avrebbe fatto effetto. «Ecco, 20 milligrammi... anzi, facciamo 30!» decise.

   Preparata l’iniezione, T’Vala la somministrò a Grenk e restò in angosciosa attesa. Per qualche istante non ci furono reazioni. Poi, di colpo, il Tellarita scattò a sedere, quasi dandole una testata. «Vruvruvruvruvru!» gridò, con gli occhi che sembravano sul punto di schizzare dalle orbite. Si guardò intorno come un animale braccato. «Che è successo? Dove sono? Che fine ha fatto la shutta?!» sputacchiò.

   «Grenk, vecchia canaglia! Lo sapevo che avevi la pellaccia dura!» gioì T’Vala, abbracciandolo. Accorgendosi di avere esagerato, lo lasciò andare e si ricompose. «Sei stato colpito dalla frusta energetica. Siamo ancora in infermeria. E la shutta è laggiù, in mezzo ai rottami; dormirà per un pezzo» disse in tono più formale.

   «Non se la strangolo nel sonno!» sbuffò Grenk, rialzandosi faticosamente.

   «No, no, andiamo!» lo supplicò Neelah, frapponendosi.

   «Grunf, e va bene. Solo perché insisti» si arrese Grenk. Lui e T’Vala raccattarono le vibro-lame; la timoniera prese anche la frusta energetica. «Sono le nostre sole armi» sospirò. «Se incontreremo i soldati nei corridoi, non so come faremo».

   «Lo so io, soci!» esclamò Neelah, aprendo un portello in un angolo. Era l’ingresso di un tubo di Jefferies. «Questa nave è tutta attraversata dai condotti. Gli Umani non ci vanno quasi mai, perché sono stretti e scomodi. Preferiscono mandarci gli alieni, specie se sono piccolini come me. Di solito mi mandano a fare le pulizie... ma vai oggi, vai domani, li conosco piuttosto bene».

   «Tanto da farci arrivare vicini all’hangar 5?» chiese Grenk.

   «Tanto da farci arrivare dentro, spero» rispose l’Aenar. «Con Trudy disattivata, potremmo arrivarci senza far scattare allarmi né campi di forza».

   «Ma potrebbero riattivarla in qualunque momento» notò T’Vala.

   «Allora sbrighiamoci» insisté Neelah, infilandosi nel condotto. «Seguitemi, e l’ultimo chiuda la porta!».

   Grenk e T’Vala si scambiarono un’occhiata incerta, ma in mancanza di alternative decisero di seguire l’Aenar. T’Vala s’infilò per prima, seguita da Grenk, che chiuse accuratamente il portello dietro di sé.

   «Non vedo un tubo» si lamentò il Tellarita, stropicciandosi gli occhietti porcini.

   «Perché ci siamo dentro» rispose Neelah, gattonando in avanti. Dovevano muoversi carponi.

   «M-mi sento soffocare!» si lamentò Grenk dopo un po’.

   «Come, sei claustrofobico?» si stupì T’Vala.

   «Giusto un pochino» confessò Grenk.

   «E come hai fatto a diventare ingegnere? Anche noi abbiamo i tubi di Jefferies» notò la mezza Vulcaniana.

   «Da noi sono un po’ più larghi» spiegò Grenk. «E poi ho sempre limitato le operazioni nei tubi. Era da un pezzo che non mi strizzavo qui dentro».

   «Bene, così forse dimagrirai un po’!» scherzò T’Vala, cercando di tirarlo su di morale.

   «Se vagassimo per qualche giorno, forse!» sbuffò Grenk. «Ma spero che faremo prima. Ehi, ragazza!» apostrofò Neelah, che gattonava più avanti. «Sei sicura di conoscere la strada, vero?».

   «Più o meno» rispose Neelah.

   «Come sarebbe “più o meno”? La conosci o no?!» si allarmò Grenk.

   «Questi tubi sono tutti uguali» si scusò Neelah. «Ma con le mie percezioni riesco a vederli che si allungano in tutte le direzioni. Vedete a che servono le antenne, pellerosa?» trillò, insolitamente allegra.

   «E questa tua percezione si estende fino all’hangar?» chiese T’Vala.

   «No, è troppo lontano» ammise Neelah. «Però conosco la direzione, grossomodo. Guardatevi intorno, dovrebbero esserci delle targhette col numero di sezione. Io non posso leggerle, ma voi sì. Dove siamo?».

   T’Vala e Grenk si guardarono attorno, finché la mezza Vulcaniana notò una targhetta. «Sezione 17-R» lesse ad alta voce.

   «Uff, siamo a un chilometro dall’hangar 5!» sbuffò Grenk, intuendo la loro posizione nella nave. «Povere le mie ginocchia!».

   «Su su, non restate indietro!» esortò Neelah, che ad ogni metro in avanti si faceva più speranzosa. Per la prima volta, la fine della schiavitù non le sembrava un sogno impossibile, ma un’opportunità concreta. Doveva solo andare avanti, una mano dopo l’altra, un ginocchio dopo l’altro.

   «Spero che sappiate dove stiamo andando» commentò T’Vala, stretta fra l’Aenar e il Tellarita.

   «Fidati delle mie antenne!» trillò Neelah, fiduciosa.

 

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Capitolo 8
*** Fuga dallo Specchio ***


-Capitolo 7: Fuga dallo Specchio

 

   La plancia dell’ISS Enterprise era ingombra di cadaveri alieni. Alcuni erano stati uccisi subito, nei primi concitati attimi dell’assalto, e avevano ancora l’espressione di stupore o terrore di quei momenti. Altri erano caduti poco dopo, con le armi in pugno. Nello scontro a fuoco avevano cercato riparo dietro le sedie e le consolle, obbligando i Corpi Speciali a disintegrarle con phaser ad alta potenza. Alcuni colpi avevano schiantato le interfacce LCARS sulle pareti e avevano mandato in pezzi lo schermo principale. La plancia era cieca e sorda. Dalle interfacce infrante sprizzavano scintille e si alzavano volute di fumo, che si mischiavano alla puzza di bruciato dei cadaveri. Alcuni cavi elettrici scoperti pendevano dal soffitto.

   Il Capitano Chase uscì dal turboascensore e avanzò fino al centro della plancia, calpestando i cadaveri degli alieni uccisi. «Ben fatto, soldati» disse. I militari sopravvissuti erano allineati lungo le pareti, con le braccia incrociate dietro la schiena. I loro colleghi, caduti durante il blitz, erano a terra, già avvolti nei sacchi neri per cadaveri. «Onoriamo i caduti; il loro sacrificio ha salvato questa nave e forse le sorti dell’Impero» disse Chase, chinando brevemente il capo.

   «Signore, ci sono ancora scontri in tutta la nave» disse il Maggiore Wu, comandante del gruppo d’assalto. Indossava un Visore che gli trasmetteva in tempo reale gli aggiornamenti della battaglia. «Molti ribelli sono asserragliati nei ponti inferiori. Alcuni cercano di raggiungere gli hangar, le capsule di salvataggio e anche le sale teletrasporto».

   «Mandi lì tutte le squadre disponibili. I traditori non riusciranno a fuggire» disse Chase. «E chiami gli ingegneri. Questa plancia deve tornare operativa al più presto».

   «Potrebbe essere complicato, signore» disse il Maggiore, osservando dubbioso la plancia semidistrutta. «Forse è meglio dirottare i controlli in sala macchine».

   «Sentiremo gli ingegneri» rispose Chase. «Quasi tutti i sistemi sono offline, dobbiamo riattivarli. Precedenza assoluta ai sensori e alle armi». Si avvicinò alla consolle del Primo Ufficiale, che si accendeva e spegneva in continuazione. Scostò il corpo di un alieno che vi era crollato sopra, rovesciandolo a terra. Provò alcuni comandi, ma era inutile; l’interfaccia danneggiata non rispondeva. «Maledizione» borbottò. «Se i Breen ci attaccano ora, siamo spacciati!».

 

   L’hangar 5 era sorvegliato da una squadra armata, che stazionava fuori dalla porta. Ma data la situazione di emergenza, l’interno era deserto. Così nessuno si accorse che il portello di un tubo di Jefferies veniva aperto da dentro. Posatolo a terra silenziosamente, i tre fuggitivi si accertarono che l’hangar fosse vuoto e uscirono dal condotto. Corsero alla Phoenix.

   «Sembra in ordine» disse Grenk, rincuorato. «T’Vala, accendi i sistemi. E controlla che le nostre modifiche al nucleo siano inalterate, o sarà un volo breve» aggiunse, correndo verso un pannello di controllo.

   «Tu che fai?» chiese T’Vala.

   «Cerco di aprire l’hangar. Senza Trudy e con quasi tutti i sistemi spenti c’è solo una manciata di protocolli-base. Tenterò d’ingannare il computer, facendogli credere che c’è un incendio chimico». Prese a inserire dei codici sulla consolle. «Se bruciano sostanze chimiche, il regolamento prevede che l’hangar si depressurizzi. Niente ossigeno, niente fiamme» spiegò.

   T’Vala entrò nella Phoenix e fece quanto detto. Per fortuna i sistemi funzionavano normalmente. «Qui è tutto a posto, sono pronta al decollo!» gridò, per farsi sentire attraverso la porta aperta della navetta. «Sbrigatevi!».

   «Un momento!» rispose Grenk, armeggiando con i controlli. «Ho riattivato i sensori interni in questa stanza, ma non riesco a simulare l’incendio. Forse dovremo farlo davvero!» disse, osservando i contenitori cilindrici ed esagonali allineati lungo una parete.

   «Va bene, facciamolo» disse Neelah, correndo verso di essi. «Cosa possiamo incendiare, senza che ci esploda in faccia o ci uccida all’istante?».

   «Uhm, vediamo un po’ che c’è qui. Boronite, kemocite, trellium... ah, ecco!» esultò Grenk, trovando il composto adatto. «Possiamo incendiare questo barilotto d’infernite. Pochi secondi d’esposizione non ci danneggeranno, ma ti consiglio di trattenere il fiato!».

   Insieme, Grenk e Neelah rovesciarono il contenitore cilindrico e lo fecero rotolare lontano dagli altri. Immaginando che, ovunque fosse esploso nell’hangar, avrebbe fatto abbastanza rumore da attirare i soldati, lo sistemarono proprio davanti all’ingresso: così almeno le fiamme li avrebbero ostacolati. Grenk aprì il contenitore, lasciando che il liquido infiammabile ne uscisse a fiotti, formando una pozza scura e oleosa davanti al portone.

   «State indietro» raccomandò T’Vala, uscita dalla Phoenix. Attivò la frusta energetica, dandole la massima carica. Quando Grenk e Neelah furono alle sue spalle, sferzò la pozza infiammabile, dandole fuoco.

   Ci fu un’esplosione, accompagnata da una vampata rovente e da un’onda d’urto che quasi gettò a terra i fuggitivi. Davanti alla porta dell’hangar si levarono fiamme scarlatte. Gli allarmi automatici squillarono; l’hangar stava per depressurizzarsi.

   «Dentro, presto!» esortò T’Vala. Mentre Grenk si strizzava nella porticina della Phoenix, il portone si aprì. Le guardie avevano sentito il boato dell’esplosione, com’era inevitabile. Cercarono di fare irruzione, ma si trovarono davanti il muro di fuoco e dovettero indietreggiare. Neelah puntò le antenne verso di loro, percependo un pericolo incombente. «Lei è qui» mormorò, paralizzata dal terrore.

   «Muoviti, ragazza!» disse Grenk, afferrandola per un braccio da dentro la navetta. Neelah si voltò e corse dentro, facendo svolazzare i lunghi capelli bianchi. Ma in quella, una figura blu sbucò dalle fiamme. Trudy era arrivata, con l’Emettitore Autonomo al braccio e un phaser in mano. Emerse dall’incendio come un demone infernale.

   «I traditori saranno terminati» disse l’Intelligenza Artificiale, facendo fuoco. Il raggio phaser oltrepassò la porta ancora aperta della Phoenix, colpendo Neelah alla schiena. L’Aenar gemette e si accasciò tra le braccia di Grenk.

   «NO!» gridò T’Vala, che si trovava ancora all’esterno. Invece di ripararsi dietro la Phoenix, sferrò un colpo di frusta. Sapendo di non poter ferire la proiezione isomorfa, mirò all’Emettitore Autonomo. Lo colpì, mandandolo in sovraccarico. Nel momento in cui l’Intelligenza Artificiale mirava T’Vala, pronta a ucciderla, la sua forma umanoide si dissolse in uno sfrigolio di bit. Gli occhi rossi furono gli ultimi a svanire. L’Emettitore Autonomo cadde a terra, annerito e percorso da scariche.

   Accorgendosi che gli altri soldati cercavano di varcare il muro di fuoco, T’Vala corse dentro la Phoenix. Alcuni raggi phaser, sparati quasi a casaccio attraverso l’incendio, le sibilarono intorno. «Computer, chiudi la porta!» gridò, precipitandosi alla postazione del pilota. Dovette quasi scavalcare Neelah, che si era accasciata a terra, e Grenk che le stava accanto. «Lei è...» disse con voce incrinata, azionando i comandi.

   «Respira ancora, ma la stiamo perdendo» mormorò il Tellarita, tenendole la mano.

   «Devi aiutarmi, o nessuno di noi si salverà» disse T’Vala, osservando lo schermo. Il portello principale dell’hangar si era aperto del tutto. L’attimo dopo il campo di forza fu abbassato.

   L’improvvisa decompressione sparò fuori come proiettili la Phoenix e i container. Le fiamme chimiche si allungarono come strisce scarlatte per tutto l’hangar e si spensero uscendo. Anche i militari accalcati dietro l’incendio furono trascinati inesorabilmente in avanti dall’aria che sfuggiva. Sollevati a mezz’aria, incapaci di fermarsi, i soldati furono espulsi nello spazio. Solo allora i sistemi automatici chiusero il portone interno, permettendo all’hangar di decomprimersi del tutto. Estinto l’incendio, anche il portellone che dava sullo spazio tornò a chiudersi. Ma ora, fuori dall’Enterprise, galleggiavano una dozzina di corpi umani congelati e un Emettitore guasto.

 

   «Sala macchine a plancia. Stiamo rimettendo in linea il processore centrale del computer» risuonò la voce di un ingegnere.

   «Bene, così potrò attivare altre proiezioni di Trudy e spegnere gli ultimi focolai di resistenza!» disse Chase soddisfatto. Attorno a lui, molti altri tecnici stavano fissando a precipizio nuove consolle. «Siete certi che i ribelli non l’abbiano riprogrammata, vero?» chiese, con un pizzico d’ansia.

   «Sì, signore. Per sicurezza l’abbiamo riportata alla configurazione originale» rispose l’ingegnere. «Con Trudy saranno ripristinati i sensori interni, ma quelli esterni hanno avuto danni; servirà ancora mezz’ora per rimetterli in linea».

   «Le armi?» chiese il Capitano, inquieto, sedendo in poltrona.

   «Le stiamo ripristinando, ma abbiamo problemi col puntamento. E gli scudi sono ancora inattivi» fu la sconfortante risposta.

   «Datevi da fare, non possiamo restare indifesi!» berciò Chase. Un ronzio al suo fianco lo avvertì del ritorno di Trudy.

   «Intelligenza Artificiale 12-J-4739 MARK VII attiva, Capitano» disse la proiezione isomorfa, appena si fu materializzata. «Rilevo molteplici sistemi non operativi o danneggiati. Scontri a fuoco sui ponti...» cominciò.

   «Sì, lo sappiamo» l’interruppe Chase. «C’è stata una ribellione degli alieni, ti hanno disattivata. Ma ora che sei di nuovo qui, riporteremo l’ordine. Manda le tue proiezioni isomorfe a dar manforte ai soldati, ovunque ne abbiano bisogno. E controlla se ci sono astronavi intorno a noi».

   «Sensori a medio e lungo raggio disattivati» diagnosticò Trudy. «I sensori a corto raggio rilevano una navetta in allontanamento. È il Basilisk. Si dirige verso il Tunnel Spaziale».

   «Che cosa?! Apra un canale!» ordinò Chase. In mancanza dello schermo principale attivò un comando della poltrona, materializzando un piccolo schermo olografico a mezz’aria. «Chase a Basilisk. Identificatevi e invertite immediatamente la rotta, o sarete abbattuti!» intimò.

   «Questa è la Phoenix, non il Basilisk, idiota!» rispose Grenk, comparendo sullo schermo.

   «Grenk! Tu hai sabotato Trudy, ti farò giustiziare per questo!» minacciò Chase.

   «Hai altro a cui pensare. Addio, pezzo di dren!» disse il Tellarita, facendo un gestaccio, e chiuse la comunicazione.

   «Maledetto, lo farò torturare per giorni!» inveì Chase, con le vene che pulsavano nelle tempie. «Trudy, agganciali col raggio traente. Voglio la navetta intera, e voglio Grenk vivo!».

   «Anche il raggio traente è al minimo, signore» avvertì Trudy. «Li ho agganciati; stanno modulando gli scudi per liberarsi».

   «Tienili, tienili!» ringhiò Chase, stringendo i pugni. Lo schermo olografico gli mostrava la navetta temporale, agganciata al raggio rossastro dell’Enterprise. In certi momenti la Phoenix arretrava, attirata verso l’astronave. In altri riusciva a scattare in avanti, eludendo il raggio traente.

   «Signore, gli scudi cronofasici della navetta rendono estremamente difficile tenerli agganciati» rilevò Trudy. «Temo che... ecco, si sono liberati». La Phoenix schizzò in avanti, verso l’imboccatura del Tunnel Spaziale.

   «Buona a nulla!» sbottò Chase, colpendo il bracciolo col pugno. «Maggiore Wu, spazzi via quella navetta!».

   «Sì, Capitano» disse il Maggiore, facendo le veci dell’Ufficiale Tattico. «I raggi polaronici sono attivi, ma il puntamento dà ancora problemi. Dovremo fare il tiro al bersaglio».

   «Talloniamoli, non devono sfuggirci» ordinò Chase. L’Enterprise si mosse dietro la Phoenix, come un drago che insegue un moscerino.

   «Scudi attivi, Capitano» disse Trudy, che da quando si era riattivata stava rapidamente ripristinando i sistemi della nave. «I siluri saranno operativi fra un minuto».

   «Bene, bene. Li braccheremo fin nel Quadrante Gamma, se necessario» sorrise Chase, sedendo più comodamente in poltrona. Ad ogni istante il vantaggio tornava dalla sua. Vide i raggi polaronici dell’Enterprise che sfavillavano tutt’attorno alla crono-navetta. Era questione di momenti prima che la distruggessero.

 

   «C’inseguono» avvertì Grenk, tirato.

   «Lo so» disse T’Vala, concentrata sui comandi.

   «Ci sparano anche!» aggiunse il Tellarita, notando i raggi azzurri attorno a loro. Uno colpì di striscio gli scudi, facendo sobbalzare la Phoenix.

   «Scudi al 60%. Sono armi ad alta energia, ancora un paio di colpi e siamo finiti» avvertì la timoniera. Fece una serie di manovre evasive, schivando le raffiche dell’Enterprise con una precisione che sfiorava la premonizione.

   «Hanno riattivato gli scudi, da un momento all’altro avranno anche i siluri» disse Grenk, leggendo il rapporto dei sensori.

   «Quanto manca al Tunnel?» chiese T’Vala, con la fronte imperlata di sudore.

   «Ancora trenta secondi» rispose Grenk, sconfortato. La Phoenix sobbalzò, colpita da un altro raggio polaronico.

   «Scudi al 10%. Non ce li abbiamo, trenta secondi» disse T’Vala, temendo il peggio. Che ironia, arrivare fin lì solo per essere abbattuti a un passo dalla salvezza...

   «Ehi, abbiamo compagnia!» disse Grenk, notando una moltitudine di nuovi segnali sui sensori. «Rilevo decine di astronavi in uscita dalla curvatura».

   «I rinforzi dell’Impero?» chiese T’Vala, ormai pessimista.

   «No, sono i Breen!» esclamò Grenk, emozionato. «Wow, non sono mai stato così contento di vederli!». Mise la visuale di poppa sullo schermo, perché lui e T’Vala potessero vedere la battaglia. Anche Neelah, accasciata a terra dietro di loro, riuscì ad alzare il capo e vide quanto stava accadendo.

   Una trentina di navi Breen, con gli scafi ricurvi e affilati come scimitarre, sciamavano intorno all’Enterprise, tempestandola di raffiche. L’ammiraglia dell’Impero rispondeva colpo su colpo, con le armi nuovamente operative. Un paio di navi Breen, centrate da raffiche di siluri, esplosero in una rosa di gas e frammenti, ma le altre proseguirono l’assalto. Si concentrarono sui punti più vulnerabili dell’Enterprise, come le gondole quantiche e la zona della plancia. Alcuni raggi superarono gli scudi, colpendo lo scafo. Dapprima furono assorbiti, perché Chase aveva azionato l’intensificatore polarico dei legami molecolari. Ma presto alcuni colpi ad alta energia aprirono le prime brecce. Certo, l’Enterprise aveva campi di forza interni progettati per questa evenienza...

   «Stiamo entrando nel Tunnel, reggiti!» avvertì T’Vala. Lei e Grenk diedero un’ultima occhiata all’ISS Enterprise, che arrancava in mezzo a un nugolo di navi Breen, come una balena ferita in mezzo agli squali. Esplosioni e perdite d’atmosfera ne segnavano lo scafo, ma le armi continuavano a sparare all’impazzata, distruggendo una nave Breen dopo l’altra. Non era affatto chiaro chi avrebbe vinto quello scontro mortale. I fuggiaschi non ebbero modo di saperlo, perché il bagliore giallo e azzurro del Tunnel Spaziale li avvolse come una coperta, celando la battaglia.

   «Siamo dentro» disse T’Vala, lottando con i comandi per mantenere la rotta. La Phoenix sussultava, investita da onde d’energia.

   «Non servirà a niente, se non riusciamo a trasferirci nel nostro Universo» avvertì Grenk. «L’Impero Terrestre ha colonie anche nel Quadrante Gamma, ricordi?».

   T’Vala annuì cupamente. Aveva consultato il database storico dell’ISS Enterprise al riguardo. L’Impero aveva scoperto il Tunnel Spaziale in ritardo, rispetto alla Federazione, ma aveva compensato con una tale aggressività che nemmeno il Dominio aveva potuto opporsi. Spie imperiali avevano infettato il Grande Legame con un virus morfogenico, sterminando i Fondatori in breve tempo. Privati dei loro dèi, i Vorta e i Jem’Hadar – responsabili della burocrazia e dell’esercito – non avevano saputo governare la complessa macchina del Dominio. I Jem’Hadar, privati dei regolari approvvigionamenti di ketracel bianco, erano impazziti. Avevano ucciso i padroni Vorta, decimato i popoli assoggettati e infine si erano massacrati fra loro. Gli scarsi resti del Dominio erano stati sconfitti dall’Impero Terrestre, che aveva fondato colonie e avamposti militari nel Quadrante Gamma. Perciò il Tunnel Spaziale non offriva alcuna salvezza, se i fuggitivi non lasciavano lo Specchio.

   «Il nucleo temporale è pronto al “rintocco”» disse Grenk, inserendo una serie di comandi.

   «Sbrigati, mancano dieci secondi all’uscita!» avvisò T’Vala, concentrandosi nel mantenere la rotta. Se la Phoenix avesse sbattuto contro le pareti del Tunnel avrebbe subìto gravi danni, considerando che gli scudi erano appena al 10%.

   «Ci sono quasi» disse Grenk, mentre il nucleo ronzava sempre più forte.

   «Cinque secondi!» avvertì T’Vala.

   «Ora!» esclamò Grenk, premendo l’ultimo comando. Per un istante, ogni cosa attorno a loro si dissolse in un’accecante luce bianca. Ma una volta estinto il bagliore, si ritrovarono al loro posto.

   «Groan, mi sento stordito» biascicò Grenk, massaggiandosi le tempie.

   «Anch’io. Stiamo uscendo dal Tunnel!» disse T’Vala. Il corridoio bianco-azzurro, venato da strisce energetiche, si dissolse intorno a loro, rimpiazzato dal nero punteggiato di stelle.

   «Siamo nel Quadrante Gamma» constatò Grenk.

   «Sì, ma in quale Universo?» si chiese T’Vala. Un lamento alle loro spalle fece dimenticare a entrambi la domanda.

   «Oh, Neelah!» gemette T’Vala, inginocchiandosi accanto a lei. Grenk fece altrettanto. Le esaminarono la ferita alla schiena, che era molto profonda. Era un miracolo che l’Aenar non fosse già morta; ma era in agonia. E non c’erano attrezzature mediche nella minuscola navicella. Niente che potesse aiutarla, o almeno alleviarle il dolore. T’Vala la girò sul fianco e le tenne la testa in grembo, cullandola dolcemente.

   «L’Enterprise è andata?» mormorò Neelah, con voce fioca. Così esile e rattrappita, sembrava una bambina ai due disperati compagni di fuga.

   «Sì, è andata per sempre. Non c’inseguirà più» disse Grenk con un groppo in gola, senza sapere affatto se era vero.

   «E voi state bene?» chiese Neelah, muovendo debolmente le antenne.

   «Noi sì, ma tu... resisti, ti prego. Cercheremo aiuto, ma devi resistere...» supplicò T’Vala.

   «N-no, è finita. Lo sapete anche voi» sussurrò Neelah. Grenk le prese la piccola mano fredda e la strinse tra le sue manone pelose, mentre T’Vala le carezzava i capelli. «Mi dispiace di non poter vedere la Federazione... e l’altra me, la Neelah che conoscete. Ci sono arrivata così vicina... lei mi avrebbe aiutata, vero? Mi avrebbe dato la vista, così avrei potuto ammirare la Galassia... i vostri popoli che vivono in armonia... sarebbe stato splendido...» disse l’Aenar, sempre più debole.

   «Sì, splendido» annuì T’Vala, con la voce rotta.

   «Almeno non morirò da schiava» mormorò Neelah. «T’Vala... quando rivedrai Neelah, dalle questo da parte mia. Così sarà come se ci fossimo conosciute» disse, portandosi la mano dell’amica alla tempia. T’Vala capì e posizionò le dita, eseguendo una rapida Fusione Mentale.

   «La mia mente nella tua mente. I tuoi pensieri nei miei pensieri. Le nostre menti si fondono... le nostre menti sono una sola» disse. Subito fu assalita da una ridda di ricordi ed emozioni. Era la vita di Neelah: una vita di umiliazioni, dolore e solitudine, che però – proprio alla fine – era rischiarata da un barlume di gioia. Non aveva ottenuto la salvezza per sé, ma almeno l’aveva donata ad altri. Era qualcosa di buono... ma ora l’oscurità avanzava.

   T’Vala gemette e terminò la Fusione Mentale. Non voleva essere unita a Neelah, mentre la morte s’impadroniva di lei.

   «Addio, amici... ricordatevi di me...» bisbigliò l’Aenar, e spirò. Le antenne ricaddero molli all’indietro, il corpo giacque inanimato fra le braccia di T’Vala e Grenk.

   «Ti ricorderò finché avrò vita, figliola» mormorò Grenk. Chinò la grossa testa barbuta e seppellì il volto tra le mani, scosso dai singhiozzi.

   «E io custodirò i tuoi ricordi» disse T’Vala, chiudendole delicatamente gli occhi. Si accorse di avere le guance bagnate. Erano le sue lacrime, stava piangendo. Fece per asciugarsele con la manica, ma poi cambiò idea e lasciò che le annebbiassero la vista. L’ultima volta che aveva pianto era stato all’età di sette anni, quando sua madre Xilana era stata uccisa. Quando le avevano comunicato la notizia, era rimasta così scioccata che per giorni si era rifiutata di mangiare, dormire o persino parlare. Poi era arrivato suo padre, serio e composto come tutti i Vulcaniani. L’aveva portata sul suo pianeta, così diverso da Betazed, esortandola ad abbandonare le emozioni, per liberarsi dal dolore lancinante. Ma lei non aveva voluto, forse non ce l’aveva fatta. In seguito si era interrogata spesso sulla sua decisione. Nei giorni trascorsi sull’ISS Enterprise, avrebbe voluto essere del tutto Vulcaniana, perché la paura non la tradisse. Ma ora che aveva tra le braccia il corpo di Neelah, capì che era giusto piangerla.

 

   Né T’Vala, né Grenk seppero mai quanto tempo trascorsero accasciati sul pavimento della Phoenix, piangendo la loro compagna. Forse pochi minuti, forse molto di più. Li riscosse il trillo del comunicatore. Qualcuno li chiamava.

   «Dobbiamo rispondere» disse Grenk, riavendosi.

   T’Vala annuì. Posò delicatamente la testa di Neelah a terra, si rialzò e barcollò verso la sedia del pilota. Vi si lasciò cadere sfinita. Le ci volle un po’ per mettere a fuoco le astronavi sullo schermo. Erano grandi incrociatori del Dominio, dal sinuoso scafo violaceo irto di armi. Attorno a loro volavano i caccia Jem’Hadar, come sciami di cavallette.

   «È un bene o un male?» chiese Grenk.

   «Un bene, credo» disse T’Vala. «Nello Specchio questo è spazio dell’Impero Terrestre». Aprì un canale, in risposta alle chiamate della nave di testa.

   «Nave sconosciuta, qui è il Capitano Yogrum, delle forze armate del Dominio» disse un Vorta, apparendo sullo schermo. Come tutti quelli della sua specie aveva enormi orecchie a punta, corti capelli neri e occhi viola non molto acuti. «State entrando nel nostro spazio. Identificatevi immediatamente!» intimò. Alle sue spalle s’intravedevano alcuni soldati Jem’Hadar, con i volti scagliosi grigio-verdi, irti di protuberanze cornee.

   «Qui navetta Phoenix, veniamo dalla Federazione» rispose T’Vala, giocandosi il tutto per tutto. «Siamo stati attaccati e abbiamo una vittima a bordo. Chiediamo di essere scortati a New Bajor, secondo gli Accordi di Deep Space Nine» aggiunse. New Bajor era l’unica colonia federale ammessa nel Quadrante Gamma, in base agli accordi siglati al termine della Guerra del Dominio.

   «Attaccati? Sì, vedo che avete una brutta cera» disse Yogrum, notando l’aria scarmigliata e le ferite di entrambi. «Posso sapere chi vi ha aggredito?» aggiunse. T’Vala e Grenk si scambiarono un’occhiata speranzosa. Se fossero stati ancora nello Specchio, Yogrum avrebbe chiesto cos’era la Federazione e se non venivano piuttosto dall’Impero Terrestre.

   «Sapete che siamo in guerra con i Tuteriani, una specie proveniente da un’altra dimensione» rispose T’Vala, non volendo menzionare lo Specchio.

   «Ne siamo informati» annuì il Vorta, facendosi più comprensivo. «Personalmente avete la mia simpatia: le invasioni dalle altre dimensioni devono essere stroncate. Ma la politica del Dominio non cambia. Il Grande Legame ha decretato che non scenderà in guerra contro questi Tuteriani, finché essi non minacceranno direttamente il nostro spazio. Quindi, se cercate d’impietosirci...».

   «Niente affatto, Capitano» assicurò T’Vala. «Tutto è come vi abbiamo detto, dobbiamo solo essere scortati a New Bajor. La nostra navetta ha subito lievi danni...» disse, senza entrare troppo nel dettaglio «... e non siamo certi che sopporterebbe un altro viaggio nel Tunnel Spaziale».

   «Capisco. È insolita, la vostra navetta» disse Yogrum, con una scintilla di cupidigia. «Lo scafo è impenetrabile ai sensori. Per questo vi abbiamo chiesto d’identificarvi, pensavamo che non foste della Flotta Stellare».

   «Apparteniamo a una divisione speciale» intervenne Grenk, innervosito.

   «In effetti le vostre uniformi non sono quelle di sempre» notò Yogrum, aguzzando gli occhi miopi da Vorta. «La Flotta Stellare ha cambiato emblema? E la guerra provoca forse penuria di tessuto? Perché vedo che ha ridotto al minimo la divisa femminile...» ironizzò, notando l’abbigliamento di T’Vala.

   «Questo non la riguarda» rispose T’Vala compunta. «Sappia però che i nostri superiori sono informati della nostra rotta. Se non sapranno al più presto che siamo in salvo, la riterranno responsabile di una grave violazione degli Accordi» bluffò.

   «Mi permetta di dubitarne» sorrise il Vorta. «Nelle vostre condizioni anch’io direi lo stesso, sperando di farla franca. E anche se la Federazione sospettasse, credo che al momento sia troppo affaccendata con i Tuteriani per pensare a una ripicca contro di noi».

   «Vuole infrangere il trattato solo per soddisfare la sua curiosità?» chiese T’Vala.

   «No, mi state troppo simpatici» sogghignò Yogrum. «Informerò New Bajor del vostro arrivo. Siete pronti a seguirci?».

   «Ecco... al momento la nostra propulsione è limitata» disse Grenk, tacendo che la Phoenix aveva solo i motori a impulso. «Se ci agganciaste con un raggio traente, ci fareste un enorme favore».

   «Consegna a domicilio, eh?» sospirò il Vorta. «E sia, in nome delle buone relazioni tra la Federazione e il Dominio. Tenetevi forte; questa è una nave da guerra, non un trasporto». L’incrociatore del Dominio agganciò la Phoenix con un raggio traente viola e balzò a curvatura. Era un giochetto possibile solo con un campo di curvatura perfettamente stabile. La Phoenix sobbalzò parecchio, sulle prime, ma gradualmente gli scossoni si arrestarono.

   «A questa velocità saremo a New Bajor in tre ore» calcolò T’Vala. «Forse avremmo dovuto fare dietro-front e tornare nel Tunnel».

   «No, il Vorta si sarebbe insospettito» disse Grenk. «E poi devo controllare la Phoenix prima di tornare là dentro. Non vorrei che il nucleo temporale avesse un’altra oscillazione e ci riportasse nello Specchio».

   «Sarebbe il colmo» disse T’Vala, girandosi a contemplare tristemente il corpo inanimato di Neelah. «Allora, poniamo che Yogrum ci porti a New Bajor, invece che in qualche laboratorio del Dominio. Che succede dopo?».

   «Sarà difficile nascondere questa navetta agli altri federali» notò Grenk. «La Sezione 31 mi farà arrosto, quando saprà che non ho conservato il suo segreto!» disse tremando.

   «Forse non sarà un male... che si sappia della navetta, intendo» obiettò T’Vala. «Il Capitano Chase ritiene che i servizi segreti non dovrebbero essere gli unici depositari del viaggio nel tempo e io concordo con lui. Questa tecnologia deve essere gestita da tutta la Flotta. E i cittadini federali devono essere informati della sua esistenza, altrimenti siamo una democrazia solo di nome».

   «Vedremo... ma dobbiamo tornare al più presto dall’Enterprise» ricordò Grenk. «Per le Stelle, quant’è lontana! Ma dobbiamo sbrigarci. Non oso immaginare cos’hanno fatto i nostri sosia in questi giorni» disse, stropicciandosi nervosamente le mani. «Dici che i nostri colleghi li hanno smascherati?».

   «Lo spero» rispose T’Vala, ma anche lei era preoccupata. «Se i nostri alter-ego avessero fatto dei danni, non lo sopporterei. E se uno di loro tornasse nello Specchio... beh, la logica mi dice che dovremo fronteggiare un’altra invasione».

   Lei e Grenk si scambiarono un’occhiata cupa. Era una prospettiva opprimente. Come lo era la loro situazione: chiusi ancora per ore in quel piccolo abitacolo, con il corpo di Neelah alle loro spalle. T’Vala chiuse gli occhi e recitò a bassa voce un mantra vulcaniano, muovendo appena le labbra. Probabilmente sarebbe andata avanti sino alla fine del viaggio. Grenk invece rigirò la sedia verso lo schermo, incapace di reggere la vista di Neelah. Disattivò la consolle e vi si appoggiò sopra, seppellendo la testa fra le braccia. Aspetta, aspetta...

 

   Sull’USS Enterprise regnava il caos. Il malfunzionamento di Terry, unito alle indicazioni fuorvianti di Grenk e T’Vala, avevano fatto sì che gran parte dell’equipaggio non fosse al proprio posto e avesse persino difficoltà a recarvisi. Le cabine di teletrasporto erano fuori uso, come anche gran parte dei turboascensori. Molti campi di forza si erano attivati nei corridoi, isolando le varie sezioni della nave. L’equipaggio di plancia non aveva il controllo delle armi, mentre tutt’intorno la flotta Krenim demoliva le navi Klingon e federali, con i siluri cronotonici e con il disgregatore subatomico dell’Annorax. In sala macchine, gli ingegneri cercavano invano di salvare Terry dal virus che l’aveva infettata. E nella sala del processore, l’unica da cui si poteva intervenire con successo, era in corso una lotta mortale.

   T’Vala e Neelah si studiarono attentamente, cercando di prevedere le intenzioni altrui. Girarono una intorno all’altra, come leonesse pronte alla battaglia. Neelah attaccò per prima, ma T’Vala la schivò con uno scarto fulmineo. Trascinata dal suo impeto, l’Aenar finì troppo in avanti, scoprendosi, e la mezzosangue ne approfittò. Rapida come un serpente, le afferrò il collo, eseguendo la famigerata Presa vulcaniana. Neelah s’irrigidì, lottando contro lo shock doloroso. Ma la vista le si annebbiò e le ginocchia cedettero. Cadde a terra.

   «La partita è finita» commentò T’Vala in tono sdegnoso. Fece per andarsene. La nave continuava a sussultare e Grenk non l’avrebbe aspettata a lungo in sala teletrasporto. Era il momento di tornare nel suo Universo. Ma si bloccò, percependo qualcosa alle sue spalle. Non si trattava di un suono. Era piuttosto un... brivido telepatico. Qualcosa di potente e feroce, come una belva che si libera dalle catene.

   Si voltò, giusto in tempo per ricevere un calcio in pieno viso. Fu scagliata all’indietro di alcuni metri, andando a infrangere un pannello trasparente. Atterrò malamente fra le schegge, ma si rotolò a terra e tornò subito in piedi. Una metà del suo volto era piena di lunghi graffi, da cui stillava sangue verde.

   Neelah era in piedi, perfettamente cosciente. Si avvicinò con passo elastico, quasi molleggiato, muovendo le dita come per sgranchirle. «Dove vai? Ci sono i tempi supplementari!» sibilò. Saltò al disopra del pannello infranto, ancora irto di schegge, e atterrò accanto a T’Vala. Ripresero a lottare furiosamente. T’Vala diede fondo a tutte le sue conoscenze di lotta vulcaniana, che tante volte le avevano salvato la vita nello Specchio. Ma niente sembrava funzionare. Nove volte su dieci l’attacco andava a vuoto. E le rare volte che riusciva, Neelah sembrava invulnerabile. L’Aenar, invece, colpiva con una forza straordinaria per la sua corporatura minuta. I suoi calci e pugni sollevavano T’Vala da terra. La biologa era anche veloce e sgusciava come un’anguilla ogni volta che la timoniera cercava di bloccarla con qualche presa. Aveva uno stile di combattimento acrobatico, che faceva uso di salti e capriole. T’Vala comprese che non sarebbe riuscita a vincere con la forza bruta. Ma aveva altri poteri. Lasciò che Neelah la schiacciasse contro una parete.

   «Arrenditi e vivrai» disse l’Aenar.

   «Sono sopravvissuta perché non mi sono mai arresa» rispose T’Vala. Appellandosi ai suoi poteri betazoidi, cercò di forzarle la mente. Neelah se ne accorse appena in tempo ed eresse un muro invalicabile. Rimasero avvinghiate, ma la loro lotta era tutta mentale. Si fissarono negli occhi, nerissimi quelli di T’Vala, azzurri e freddi quelli di Neelah, cercando le reciproche debolezze. Un istante di distrazione bastava perché una delle due forzasse la mente dell’altra. Erano nell’impasse e ci sarebbero rimaste finché una delle due avesse esaurito le energie mentali.

   Fu allora che la porta si aprì e due alieni bassi e calvi entrarono timidamente. Erano i Bynari, i più fidati assistenti di Grenk. L’Ingegnere Capo gli aveva ordinato di restare in sala macchine, ma avevano compreso che solo dalla sala del processore potevano riavviare Terry. E quando Grenk aveva smesso di rispondere alle loro chiamate erano venuti a controllare. Ciò che trovarono, però, li lasciò sbigottiti. La sala era a soqquadro, con i pannelli in frantumi e gli strumenti sparpagliati sul pavimento. Lantora era a terra, ancora privo di sensi. Neelah teneva T’Vala schiacciata contro la parete, ma entrambe erano immobili e silenziose.

   «Che sta succedendo?» chiese il Bynario 0.

   «Dov’è l’Ingegnere Capo?» aggiunse il Bynario 1.

   «Nell’Universo dello Specchio, credo» mormorò Neelah, muovendo a stento le labbra. «Come T’Vala. Questi sono i loro sosia, che hanno infettato Terry».

   «È peggio di quanto pensassimo» constatò 0, scambiando un’occhiata sgomenta con il gemello.

   «Dobbiamo rimediare subito al danno» convenne 1.

   Corsero alla sedia-interfaccia e 0 vi si sedette, mentre 1 lavorava con le consolle tradizionali lì accanto.

   «Sono dentro» disse 0. «La situazione è gravissima, il virus ha infettato gran parte dei sistemi. La personalità di Terry è sommersa». Nel mondo virtuale in cui era sprofondato, quasi tutti i codici erano ormai rossi. Terry c’era ancora, ma era avviluppata dalle stringhe scarlatte, che le andavano dalle caviglie fino al collo e continuavano a ispessirsi.

   «Non è troppo tardi per invertire il processo» disse l’Intelligenza Artificiale. «C’è una procedura di ripristino d’emergenza che può eliminare i codici maligni... per la maggior parte».

   «La conosco» disse 0, mettendosi all’opera. Prese a digitare complessi codici informatici a una velocità sovrumana, mentre il suo collega faceva lo stesso nel mondo reale. Coordinandosi, riuscivano a intervenire con estrema velocità ed efficienza sul programma di Terry.

   «Rimuovi l’hard-disk del virus» consigliò 0 dalla sedia.

   «Fatto» disse 1, togliendo l’unità di memoria. La ripose in un taschino e tornò subito al lavoro.

   «Concentriamoci sui sistemi-chiave» disse ancora 0. Nel mondo virtuale, i programmi infettati lo circondavano come una ragnatela. Ma tirando i fili giusti, il Bynario cominciò a disfarla. Interi brandelli rossi si sfaldarono, mentre tornava il blu.

   «Oh oh, c’è un problema» disse 0.

   «S-sarebbe?» chiese Neelah, dall’altra parte della stanza.

   «L’Enterprise ha appena scagliato raffiche di siluri contro l’ammiraglia Klingon» spiegò 0. «Impatto fra venti secondi» aggiunse con calma surreale.

   «Avete perso, mostriciattoli!» rise T’Vala. Riuscì a staccarsi dal muro e costrinse Neelah ad arretrare.

   «F-fermateli!» disse l’Aenar, sempre avvinta nello scontro telepatico.

   «Sono nella sezione controllo armi... ma non posso disattivare i siluri, né farli esplodere in volo» disse 0 dalla sedia-interfaccia.

   «Allora dirottali!» suggerì Neelah.

   «Dieci secondi» avvertì 1.

 

   I siluri quantici azzurri e quelli transfasici gialli stavano per colpire la Martok. Circondata da navi Krenim, che le avevano indebolito gli scudi e martoriato lo scafo, l’ammiraglia Klingon non avrebbe resistito. In plancia, il Cancelliere Kuntagh osservò sgomento le raffiche partite dall’Enterprise che puntavano contro la sua nave. Prima la distruzione di Khitomer e adesso quello. I federali dovevano essere impazziti per compiere un simile tradimento, che condannava entrambe le parti alla distruzione.

   «Oggi è un buon giorno per morire» disse il Cancelliere, osservando i siluri sempre più vicini.

   Ma all’ultimo istante i missili cambiarono traiettoria. Invece di distruggere la Martok, si allargarono a ventaglio e colpirono le navi Krenim che la circondavano. Una dopo l’altra, le navi del Quadrante Delta furono tempestate di colpi. Alcune esplosero, altre furono danneggiate e sbandarono.

   I Klingon lanciarono grida di vittoria e ripresero la battaglia, concentrandosi sulle navi danneggiate. Alcune di esse lasciarono perdere la Martok e si diressero contro l’Enterprise. Fino a quel momento l’avevano ignorata, credendo che fosse in panne, ma ora ne avevano constatata la pericolosità.

   Sulla plancia dell’Enterprise, il sollievo fu pari a quello dei Klingon. Vedendo le navi Krenim andare in pezzi, Chase sentì un filo di speranza. «Status delle armi?» chiese.

  «Stanno tornando in linea» rispose Nalanda.

   «Distrugga quelle navi!» ordinò Chase, indicando i vascelli Krenim che si dirigevano verso l’Enterprise.

   «Agli ordini» disse il Klaestroniano, dispiegando tutta la potenza di fuoco dell’Enterprise. Le navi Krenim furono accolte da un intenso bombardamento. L’Enterprise era una delle poche navi federali ad avere armi e scudi altrettanto evoluti dei loro. Ma era assai più grande e resistente, oltre ad avere più bocche di fuoco. Le navi Krenim, duramente colpite, esplosero una dopo l’altra.

   «Si stanno ripristinando anche gli altri sistemi» disse Ilia, sollevata. «Teletrasporto, turboascensori, sensori. E i motori, finalmente».

   «Chase a Grenk, ottimo lavoro!» disse il Capitano, premendosi il comunicatore. Ma non ottenne risposta. «Chase a sala processore, c’è qualcuno?».

   «Capitano, devo informarla che Grenk e T’Vala hanno sabotato Terry» rispose il Bynario 1. «Non sono quelli che credevamo, ma le loro controparti dello Specchio».

   «Che cosa?!» gemette Chase, colpito da quest’altra calamità inaspettata.

   «Stiamo trattenendo T’Vala, ma Grenk è fuggito, mentre Lantora è a terra» aggiunse il Bynario.

   «Spedirò la Sicurezza alle calcagna del fuggiasco. Potete riattivare Terry completamente?» chiese il Capitano, notando che non era ancora ricomparsa in plancia.

   «Stiamo eseguendo una procedura d’emergenza per contrastare il virus» spiegò 1. «Le faremo sapere».

   «Capitano, arrivano altre navi Krenim» avvertì Ilia. «Vogliono finire la Martok. Un momento... la Majestic l’ha affiancata, proteggendola sul fianco sinistro».

   «E noi l’affiancheremo a dritta» ordinò Chase.

   «Sì, Capitano» disse il timoniere, manovrando i comandi di nuovo funzionanti. L’Enterprise affiancò la nave Klingon danneggiata, proteggendola sul lato destro. Con la Majestic dall’altra parte, formavano un fronte invincibile. Ogni vascello Krenim che osava avvicinarsi era distrutto in pochi secondi dalla loro potenza di fuoco concentrata.

   La cosa non sfuggì a Hortis, che aveva sperato in una rapida vittoria, ma vedeva che la battaglia si stava trascinando più a lungo del previsto.

   «Ammiraglio, l’Enterprise ha distrutto un’altra nostra nave» rilevò Priim. «Un’altra ancora, in questo momento. Stanno cadendo come mosche!».

   «Sembra che non potrò mantenere la mia parola con il Capitano Chase» disse Hortis, rabbuiato. «Ricaricate il disgregatore subatomico. Obiettivo: l’Enterprise».

 

   «Stiamo trattenendo T’Vala?» chiese Neelah, con le antenne che vibravano paurosamente per lo sforzo di contrastare l’avversaria.

   «Era solo un’approssimazione» disse 1 in tono calmo. Lui e il suo gemello continuavano a lavorare sul computer, per ripristinare Terry.

   «Fatica sprecata» mugugnò T’Vala. «Presto i Krenim distruggeranno questa nave e voi sarete cibo per le Meduse Spaziali».

   «Mi... hai... stancata!» grugnì Neelah, raccogliendo ogni scintilla di forza residua. «BASTA!» tuonò, lanciando il suo attacco telepatico più devastante. Le difese dell’avversaria cedettero di schianto. La pressione arteriosa nel suo cervello s’innalzò a tal punto che alcuni vasi sanguigni si ruppero.

   T’Vala lanciò un grido stridulo e rovesciò la testa all’indietro. Il sangue verde le stillò dagli occhi. Ma Neelah non lo vide, né seppe quanto il suo attacco fosse andato a fondo. Mezza accecata dallo sforzo, colpì l’avversaria con un ultimo calcio rotante. T’Vala fu scagliata all’indietro e batté la testa contro uno spigolo della sedia-interfaccia. Il suo sangue spruzzò di verde il metallo.

   Neelah si accasciò. Mai prima di allora aveva portato così al limite le sue capacità telepatiche. Il cervello le pulsava dolorosamente... ma aveva vinto. Solo quando sentì la voce di 1 capì qual era stato il costo per T’Vala.

   «Bynario 1 a infermeria, emergenza medica nella sala del processore» disse l’ingegnere. «T’Vala ha riportato un gravissimo trauma cranico. Occorre un teletrasporto di emergenza».

   T’Vala svanì in un bagliore azzurro, ma la chiazza del suo sangue rimase. Neelah si avvicinò carponi, rendendosi conto che probabilmente l’aveva uccisa. Avrebbe dovuto provarne rimorso, ma... la verità era che non le dispiaceva granché. Dopo quel che aveva fatto, la T’Vala dello Specchio non poteva sperare nella sua compassione.

   Un lamento poco lontano attirò l’attenzione di Neelah. Lantora si stava riprendendo. L’Aenar si alzò e gli corse a fianco. «Tutto bene, Tenente?» chiese.

   «Il collo... che dolore...» mugugnò lo Xindi, il viso contratto in una smorfia.

   «Fa male, lo so» disse Neelah, offrendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi.

   «È stata T’Vala!» disse Lantora, di nuovo in piedi. «Lei e Grenk sono dei traditori!». Guardò la sedia-interfaccia, ma vide che i Bynari avevano sostituito Grenk.

   Neelah lo informò dell’accaduto, comprese le vere identità dei traditori. «Grenk è andato nella sala teletrasporto 6» spiegò. «Credo che abbia alterato il teletrasporto per tornare a casa. Se le modifiche erano complete sarà andato da un pezzo. Ma se doveva ancora ultimarle, forse può prenderlo» spiegò l’Aenar.

   «Vado subito» disse Lantora. Recuperò il suo phaser dall’anfratto in cui Neelah l’aveva calciato durante la lotta con T’Vala. Lo regolò di nuovo su stordimento – il massimo stordimento – e corse via.

   «Allora, come sta Terry?» chiese Neelah, rimasta sola con i Bynari.

   «La stiamo ripristinando con successo» disse 0 dalla sedia. «Ecco, sono a un punto molto delicato». Nel mondo cibernetico in cui era immerso, sfilò una stringa di dati compromessa e la sostituì con un codice intatto, con la precisione di un chirurgo che opera al cervello. Le subroutine azzurre si propagarono intorno a lui, riducendo quelle rosse del virus a pochi focolai isolati.

   Terry si concentrò e spalancò le braccia, frantumando i legacci che l’avvolgevano. «Grazie, signor 0» disse sgranchendosi gli arti. «Finalmente posso riattivare le mie proiezioni».

   «Le raccomando di limitarle al massimo» disse 0. «Ci sono ancora residui del virus, che dovremo eliminare con molta pazienza. Fino ad allora non sottoponga i suoi programmi a sforzi eccessivi».

   «D’accordo, terrò una sola proiezione per volta» accondiscese Terry. «Andrò dove c’è più bisogno di me».

 

   «Capitano, l’Annorax ci sta agganciando» avvisò Ilia. «Dà energia al disgregatore, è chiaro che siamo i prossimi della lista».

   «Hortis si è rimangiato anche l’ultima promessa» commentò Chase. «Quanto manca al fuoco?».

   «Considerando i tempi di ricarica, tre minuti al massimo» disse la Trill. «Cerchiamo di metterci fuori tiro: quella nave non è molto agile» suggerì.

   «No, dobbiamo continuare a proteggere la Martok» disse Chase. «Ha detto che gli scudi cronofasici ci proteggeranno, se non vanno in sovraccarico».

   «È solo un’ipotesi» ammise Ilia. «Se avessimo Terry...».

   «Eccomi!» disse l’IA, materializzandosi lì a fianco.

   «Terry, è proprio lei?! Non l’hanno de-programmata?» gioì Chase.

   «I Bynari stanno rimuovendo i resti del virus. Sono attiva quanto basta per controllare la nave» spiegò Terry. «Vi restano due minuti prima che l’Annorax apra il fuoco».

   «Lo sappiamo; crede che l’Enterprise resisterà?» chiese il Capitano.

   «C’è un 47% di probabilità che resista» rispose prontamente Terry.

   «Non potrebbe fare qualcosa per aumentarle?» domandò Chase, poco confortato.

   «Lo sto già facendo» disse Terry. «Un impulso gravitonico ad alta energia, convogliato dal deflettore, sovraccaricherà il disgregatore Krenim».

   «Ne è certa?».

   «All’88%».

   «Mi mancavano le sue stime» sorrise Chase. «Proceda».

   L’Enterprise ruotò verso l’ammiraglia Krenim, pur senza allontanarsi troppo dalla Martok. Il suo deflettore di navigazione pulsò di luce viola. Intanto, sull’Annorax, l’energia saliva al massimo.

   «Fuoco» ordinò Hortis, intrecciando le dita.

   «Fuoco!» ordinò Chase, stringendo il pugno meccanico.

   Le due astronavi spararono nello stesso istante. Il raggio bianco-azzurro dell’Annorax si scontrò con quello viola dell’Enterprise, formando un unico impulso bianco che univa le due navi.

   «L’energia fluttua!» avvertì Priim, mentre la plancia dell’Annorax si scuoteva e alcune consolle sprizzavano scintille. «Il disgregatore va in sovraccarico, l’effetto si propaga al nucleo. Stiamo per esplodere!».

   «Disattivi il disgregatore, presto!» ordinò Hortis, perdendo per un attimo il proverbiale autocontrollo. Dovette reggersi alla poltrona per non essere scaraventato a terra. Alcune consolle sulle pareti esplosero, tramortendo i loro addetti.

   «Disgregatore spento» disse Priim in un soffio. «Ma quell’impulso ha fuso metà della griglia energetica. Scudi e armi sono al minimo».

   «Allora la battaglia è finita» disse Hortis gravemente. «Dica alla flotta di ritrarsi».

   «Ma signore, abbiamo altre navi!» protestò Priim.

   «Nessuna che regga il confronto con quelle tre» disse Hortis, indicando l’Enterprise, la Martok e la Majestic. «Volevo schiacciare i nemici contro lo Scudo Planetario e in effetti li abbiamo colpiti duramente. Ma se restiamo, la battaglia volgerà a loro favore. Accontentiamoci del danno che abbiamo inflitto e ritiriamoci, prima di perdere altre navi. Sopravvivremo per combattere un altro giorno. Ora apra un canale con l’Enterprise».

   Priim si morse la lingua e obbedì. Chase comparve sullo schermo. «Capitano, mi congratulo per la sua strategia» disse Hortis. «Lei è quel che si suol dire un degno avversario. Spero di avere altre occasioni d’incontrarla».

   «Non succederà, se non si ritira alla svelta» disse Chase. L’Annorax tremò, mentre i suoi scudi assorbivano a stento una salva di siluri quantici.

   «Sì, ora ce ne andremo» assicurò Hortis. «Curate i vostri feriti e rendete onore ai vostri caduti. Noi faremo lo stesso con i nostri. Hortis, chiudo».

   «Capitano, un’astronave federale è comparsa dietro di noi» avvertì Priim. «Deve avere usato quella cavitazione quantica. Apre il fuoco!».

   «Andiamo, presto» ordinò l’Ammiraglio. «Hortis a flotta, ritirata generale; ci rivedremo al punto di rendezvous. Che nessuno si perda d’animo: volevamo colpire il nemico e così è stato. Lo colpiremo ancora, fino alla vittoria finale».

   L’Annorax fece manovra sotto il fuoco intenso della Sojourner, tornata all’ultimo momento per unirsi alla battaglia. La nave a martello non aveva un grande armamento, ma la sua energia era ancora al massimo. Prima che l’Annorax riuscisse a balzare a curvatura le inflisse gravi danni, comprese alcune brecce allo scafo. Se avesse avuto pochi istanti in più, le avrebbe messo fuori uso i motori. Ma aveva comunque lasciato il segno sull’ammiraglia Krenim, che non sarebbe tornata tanto presto in battaglia.

   Una dopo l’altra, le navi Krenim si volsero e lasciarono l’orbita di Khitomer, entrando in curvatura. Si lasciavano dietro una parte considerevole della loro flotta, ridotta a brandelli contorti di scafo. Ma la flotta federale, e ancor più quella Klingon, erano allo sfascio. Solo le astronavi più moderne se l’erano cavata. Squadre di tecnici correvano nelle aree critiche, per contenere gli incendi e le fughe di radiazioni. Alcune navi, gravemente danneggiate, furono evacuate. La Battaglia di Khitomer era finita, e sebbene i Krenim fossero stati respinti, federali e Klingon erano sull’orlo della disperazione.

 

   Nelle ultime fasi della battaglia, Grenk si rinchiuse in sala teletrasporto 6, bloccando la porta con un codice di sicurezza. Nei giorni precedenti aveva modificato il teletrasporto, prevedendo che sarebbe stata la sua unica via di fuga. Ormai non gli restava che l’ultima calibratura. La eseguì più in fretta che poteva, temendo l’arrivo della Sicurezza. Certo che, con la battaglia in corso, gli ufficiali in giallo avevano altro a cui pensare. Ma ora che il suo segreto era svelato, era solo questione di tempo prima che gli mettessero le mani addosso.

   «Sì!» gioì Grenk, terminando la calibratura sul retro della consolle. Con il cuore in gola, si sintonizzò su un teletrasporto analogo nell’Universo dello Specchio. Per sua fortuna ce n’era uno compatibile entro il raggio utile. Programmò la consolle perché il teletrasporto si azionasse da lì a venti secondi e corse sulla pedana.

   «Addio, USS Enterprise» mormorò, con una nota di rimpianto. Era un peccato lasciarla; gli sarebbe piaciuto continuare quella vita comoda e lussuosa. Ma per colpa della Messaggera, la situazione si era fatta insostenibile. Così doveva scappare. E pazienza per T’Vala, che non era stata abbastanza rapida da raggiungerlo. La timoniera gli era stata utile, ma non poteva più aspettarla.

   La porta della sala teletrasporto si aprì, segno che qualcuno aveva sbloccato i codici. «T’Vala?» chiese Grenk, ma al suo posto vide sbucare Lantora, con il phaser in pugno.

   «È andata; scendi!» gridò lo Xindi, aprendo il fuoco. Ma era troppo tardi. Grenk svanì facendogli sarcasticamente ciao ciao con la mano. Il raggio phaser attraversò la sua sagoma in dissolvimento. Lantora corse alla consolle, ma questa andò in sovraccarico ed esplose. Lo Xindi indietreggiò per non bruciarsi.

   «Frell!» gridò, dando un calcio alla consolle fumigante. Adesso era impossibile sapere qual era la destinazione di Grenk. Non sapeva nemmeno se ci era arrivato vivo, o se il teletrasporto si era guastato mentre il Tellarita era ancora in trasferimento. Lantora si augurò che fosse morto. Perché in caso contrario, l’Impero Terrestre avrebbe scoperto troppe cose sulla Federazione. Abbattuto, lo Xindi Primate tornò in plancia. Ma quando fu lì, vide l’ultima nave Krenim che balzava a curvatura. La battaglia era finita.

 

   «Sopravvivrà?» chiese Neelah. Stava osservando T’Vala, che era distesa sul tavolo operatorio, da dietro una parete di trasparacciaio.

   «Sì, la paziente è stabile» disse il dottor Korris, togliendosi il camice chirurgico e i guanti sterilizzati. Aveva appena terminato una complessa operazione al cervello, assieme ai più esperti neurochirurghi del suo staff.

   «Quando si risveglierà?» chiese ancora Neelah.

   «Non ho detto che si risveglierà» rispose tristemente Korris.

   «Cosa?!».

   «Ha riportato danni neurologici catastrofici» spiegò il dottore. «Già il suo attacco telepatico le ha provocato emorragie. Ma quell’urto contro lo spigolo è stato ancora più grave. Se vuole i dettagli, aspetti il mio referto».

   «Quindi che farà con lei?» chiese l’Aenar, tornando a guardare la paziente.

   «La terrò in rianimazione» sospirò Korris, pieno di compassione. «Però... sarò franco, non ho mai visto pazienti Betazoidi o Vulcaniani con danni cerebrali così estesi riprendere conoscenza. Penso che resterà in stato vegetativo. A quel punto, dovremo decidere se... staccare la spina».

   «Chi deciderà per lei? Non ha parenti in questo Universo» disse Neelah. Era strano; dopo averla tramortita non aveva provato una gran pena, ma adesso la sentiva eccome. Sarà stato vederla in quelle condizioni, intrappolata tra la vita e la morte.

   «Se tornasse la nostra T’Vala, forse la responsabilità potrebbe ricadere su di lei» ipotizzò Korris. «Chissà, devo parlarne col Capitano. Questi dilemmi etici sono la parte più triste del mio lavoro» aggiunse, scuotendo la testa sconsolato. «Nella mia carriera ne ho affrontati parecchi. Ma nulla di paragonabile a questo: una paziente che viene da un altro Universo! Che le avrebbero fatto lì?».

   «Da quel che so sullo Specchio, l’avrebbero certamente lasciata morire» rispose Neelah. «Ma la caratteristica dello Specchio è... che i suoi abitanti non conoscono la pietà» aggiunse turbata.

 

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Capitolo 9
*** Chiaroscuro ***


-Capitolo 8: Chiaroscuro

 

   Il Capitano Chase entrò nell’obitorio dell’Enterprise. Il dottor Korris gli aveva appena comunicato il bilancio delle vittime e la sua prossima incombenza sarebbe stata scrivere le lettere alle famiglie. Ma prima voleva vederle con i suoi occhi. I corpi erano diciotto, disposti su tavoli. Erano coperti da teli bianchi con l’emblema della Federazione. C’erano le vittime delle decompressioni, che erano state recuperate dallo spazio, anche se due di loro mancavano ancora all’appello. E c’erano i morti per alcuni incidenti a bordo, verificatisi durante la battaglia.

   Ognuno di quei corpi sembrava a Chase un fallimento personale. Gli era già capitato di perdere degli ufficiali; succedeva in tempo di pace, figurarsi durante una guerra. Ma non poteva fare a meno di chiedersi se avrebbe potuto fare di più per salvarli. D’un tratto si accorse che non era l’unico a far visita. Anche Lantora era lì, in un angolo. Aveva una medaglietta fra le mani e la rigirava. Doveva essere la sua medaglietta d’iniziazione.

   «Capitano...» mormorò lo Xindi.

   «Tenente. Mi spiace che la sua gente abbia dovuto pagare un prezzo così alto» disse Chase. Su venti vittime – contando anche i due dispersi – cinque erano Xindi.

   «Poteva andare peggio» disse Lantora, cupo. «Quel condotto del plasma è esploso vicino al nido degli Insettoidi. E sul ponte degli Acquatici si è rotta una vetrata. Per fortuna i tecnici hanno provveduto prima che defluisse troppa acqua. Ma se non le dispiace, vorrei scrivere io le lettere per le famiglie Xindi». C’era una certa ostilità nella sua voce.

   «Certo» disse il Capitano. «Scusi l’intrusione, ora la lascio» aggiunse, avviandosi all’uscita.

   «No, vengo anch’io» si riscosse Lantora. Mise la medaglietta in tasca e lo seguì, evitando il suo sguardo. Sembrava che ce l’avesse con lui, o forse con se stesso.

   «Lantora».

   «Sì, Capitano?».

   «So cosa sta pensando» disse Chase. «Si sente in colpa perché T’Vala l’ha stordita. Pensa che, se gliel’avesse impedito, forse l’Enterprise sarebbe stata più preparata contro i Krenim. Ma non è così. Grenk aveva già infettato Terry e nessuno poteva aspettarsi che lui e T’Vala fossero sabotatori. Lei non ha nulla da rimproverarsi».

   «Non è quello» disse Lantora, cercando di andarsene.

   «E allora cos’è?» domandò Chase, frapponendosi tra lui e la porta.

   Lantora fu sul punto di scostarlo per passare. Si trattenne, ma gli rifilò un’occhiata tagliente. «Capitano, ricorda il nostro primo incontro?».

   «Certo, allo Zero Point Memorial in Florida» annuì Chase.

   «Lei mi disse che la guerra contro i Costruttori stava arrivando. E infatti di lì a poco li trovammo nella Macchia di Rovi. Ricorda anche cosa accadde nel Collettore Subspaziale?».

   «Certo; perché me lo chiede?».

   «Perché i Tuteriani possono prevedere le linee temporali» disse Lantora con rabbia. «Secoli fa convinsero il mio popolo ad attaccare preventivamente la Terra, sostenendo che altrimenti voi Umani ci avreste annientati. E quando siamo andati nel Collettore, la Messaggera ci ha ripetuto la stessa cosa: che gli Umani distruggeranno Nuova Xindus. Ci ha persino mostrato le linee temporali in cui accadeva».

   «Sì, ricordo quegli ologrammi» annuì Chase. «Dove vuole arrivare?».

   «Ho sempre pensato che fosse un’assurdità. Gli Umani non distruggono pianeti...» disse Lantora.

   «... finora» completò Chase.

   «Esatto, finora» annuì lo Xindi. «Sua sorella Helen ha distrutto Khitomer. So che era un’esaltata, in un’organizzazione di esaltati. So che non posso incolpare tutta la vostra gente. Ma resta il fatto che un’Umana ha distrutto un pianeta. E se è successo una volta...».

   «... può succedere di nuovo» disse Chase. «So cosa intende. Qualche frangia radicale Umana potrebbe distruggere Nuova Xindus».

   «Sembra assurdo, lo so. Ma è anche assurdo che un movimento pacifista distrugga Khitomer... però è successo» disse Lantora. «Ormai gli strumenti per distruggere pianeti non mancano. Dispositivi Genesis, Molecole Omega, Materia Rossa... la tecnologia ha creato tutti questi strumenti di morte e c’è sempre qualcuno abbastanza folle da usarli».

   «Devo darle ragione» sospirò Chase. «Abbiamo creato armi così potenti che possiamo distruggerci da soli. Siamo abbastanza intelligenti da costruirle e abbastanza stupidi da usarle. Ma che si può fare? Una volta inventati, questi ordigni non si possono più cancellare. Bisogna conviverci. E molti ci sono serviti per respingere i Tuteriani, che – loro sì – vogliono sterminarci».

   «Ci vogliono più controlli» disse Lantora. «A voi Umani piace ripetere che, da quando esiste la Federazione, la vostra specie è cambiata. Dite che fra voi non esistono più la violenza, l’avidità, l’invidia. Dite di lavorare solo per il progresso. Ma ci sono parecchie colonie fallite che dimostrano il contrario. La vostra specie non è cambiata, Capitano, come non sono cambiate le altre. Tutti noi nasciamo ancora col retaggio di un’evoluzione spietata, di una lotta all’ultimo sangue per la sopravvivenza. La civiltà può assopire quegli istinti, ma prima o poi riaffiorano. Ci vuole un niente a farci diventare dei killer. Solo che, invece di colpirci con sassi e clave, adesso distruggiamo i pianeti!».

   Lantora aveva parlato con sempre più foga, ma alla rabbia si stava sostituendo la frustrazione. Si sentiva impotente contro tutte queste minacce. «Capitano, io temo per il mio pianeta. Che accadrà se la prossima Helen deciderà che sono gli Xindi la causa di tutti i guai?» chiese, quasi implorante.

   «Allora lotteremo per difenderli» disse Chase, mettendogli una mano sulla spalla. «Finché questa nave non andrà in pezzi, saremo il loro baluardo. Difenderemo Nuova Xindus. Difenderemo la Terra. Difenderemo ogni pianeta possibile, fino al limite delle nostre forze. Lo giuro».

 

   L’USS Pioneer, di classe Mjölnir, uscì dalla cavitazione nell’orbita di Khitomer e si affiancò all’Enterprise. Era una nave di dimensioni ragguardevoli, lunga 625 metri, ma di fianco all’ammiraglia sembrava piccola e insignificante. L’hangar, localizzato nella testa a martello, si aprì, lasciando uscire la Phoenix. La navetta sperimentale mosse rapidamente verso l’hangar 5 dell’Enterprise, che si apriva ad accoglierla. Durante il breve tragitto, T’Vala e Grenk osservarono costernati la superficie ribollente di Khitomer.

   «Credevo che nulla superasse gli orrori dello Specchio... ma mi sbagliavo» mormorò T’Vala. «C’era un miliardo di persone, lì». L’entità della catastrofe le mozzava il fiato.

   «Hai visto il discorso di Helen?» chiese Grenk.

   «Nel mio alloggio, subito prima che arrivassimo nel sistema» annuì T’Vala.

   «Anch’io. Lo stanno ritrasmettendo su tutte le frequenze» disse Grenk. «Non so come abbiano fatto quegli esaltati a mettere le mani su un Dispositivo Genesis. Di certo l’hanno assemblato male... ma anche se avesse funzionato perfettamente, avrebbe ucciso tutti. Quegli aggeggi sono progettati per l’uso su mondi disabitati».

   «Helen Chase... è la sorella del Capitano, vero?» disse T’Vala, scambiando un’occhiata col collega. «Non è un’omonimia».

   «No, non lo è» sospirò Grenk. «Povero Capitano... non oso immaginare come l’abbia presa».

   «Ha una mente forte, per un Umano... ma una cosa del genere schiaccerebbe chiunque» commentò T’Vala. «Immagino ci sarà un’inchiesta. Come se non bastassero i problemi che ha già!» esclamò, portando la navetta nell’hangar.

   «Il prossimo problema saranno i Klingon» notò Grenk, leggendo il rapporto dei sensori. «Si sono ritirati ai margini del sistema. Dopo quel che è successo, non oso immaginare come reagiranno».

   T’Vala non rispose. Eseguì l’atterraggio, mentre il portone si richiudeva dietro la Phoenix. I due ufficiali spensero i motori e uscirono dalla navetta, proprio mentre Chase e Lantora entravano nell’hangar.

   «Capitano!» disse Grenk, quasi correndogli incontro. «Come sono felice di vederla... pur in questo orribile frangente».

   «Anch’io sono lieto di riavervi» disse Chase, con un sorriso stanco. Aveva l’aria di chi non dorme da un pezzo. «Quando abbiamo capito che quelli erano i vostri doppioni, abbiamo temuto di non rivedervi più. Siete sopravvissuti allo Specchio... un’impresa che pochi possono vantare».

   «La nostra fuga ha avuto un prezzo» gli rammentò T’Vala.

   «Sì, il Capitano della Pioneer ci ha informati che siete arrivati a New Bajor con una vittima» disse Chase tristemente. «La Neelah dello Specchio... mi dispiace».

   «Oltre a lei, c’eravamo proprio tutti laggiù?» chiese Lantora, incuriosito.

   «Tutti quanti, ma alcuni si sono uccisi a vicenda durante la nostra permanenza e altri abbiamo dovuto eliminarli noi» rispose T’Vala, lasciandolo di stucco. «Anche le sorti dell’ISS Enterprise sono incerte. Quando ce ne siamo andati era assalita dai Breen e non sappiamo se abbia resistito».

   «Se vuole i dettagli, troverà tutto nei nostri rapporti» aggiunse Grenk, consegnando un d-pad al Capitano.

   «Sì, li leggerò quanto prima» assicurò Chase.

   «Capitano, io... non so che dire per l’incidente» mormorò l’Ingegnere. «Non mi sarei mai aspettato che la Phoenix ci portasse nello Specchio. Ma è successo, e me ne assumo la responsabilità. Se fossimo stati con voi durante la Battaglia, forse le cose sarebbero andate diversamente. Almeno l’Enterprise non avrebbe lanciato quei siluri» disse mortificato.

   «I siluri li abbiamo dirottati in tempo» rispose Chase. «Quanto a Khitomer, non avreste potuto fare niente. E, Grenk... non la incolpo dell’incidente. Nessuno poteva prevederlo. Semmai dovrei congratularmi: avete riportato indietro la Phoenix, e coi vostri rapporti saremo aggiornati sull’Impero Terrestre» disse, sollevando il d-pad. «Magari fossimo stati così brillanti anche qui. Invece, come potete vedere, è tutto un macello. Khitomer, i Krenim... e mia sorella. Non so come ne usciremo» ammise.

   Scese un silenzio imbarazzato. Grenk e T’Vala non avevano mai visto il loro Capitano così stanco e sconfortato, e non sapevano che dire per rincuorarlo.

   «Se la Flotta desidera interrogarci più a fondo sullo Specchio, siamo pronti a collaborare» disse infine T’Vala.

   «Mi sa che non ci vorrà interrogare solo su quello» disse Grenk, occhieggiando la Phoenix. «Su New Bajor tutti hanno notato il suo aspetto insolito. Ci tempestavano di domande. Gli abbiamo raccontato dello scafo in lega molecolare, tacendo il viaggio nel tempo. Ma temo che ormai ci siano olografie e rapporti sulla Phoenix. La Sezione 31 non sarà per nulla contenta» disse spaventato.

   «La Sezione 31 dovrà ingoiare il rospo» ribatté Chase seccamente. «Per adesso abbiamo altri problemi. Dobbiamo... a proposito, voi due come state? Siete andati in infermeria, su New Bajor? Sennò vi mando subito da Korris».

   «Stiamo bene, Capitano. C’erano degli ottimi medici, laggiù» assicurò Grenk. «Ci hanno visitati da cima a fondo. E durante il viaggio di ritorno, i medici della Pioneer ci hanno visitati ancora».

   «Bene, allora la metto subito al lavoro» disse Chase. «L’Enterprise ha subito danni nell’attacco Krenim. Deve rimetterla in sesto prima che tornino i Klingon».

   «E della Phoenix che facciamo?» chiese Grenk.

   «Quella starà qui per un po’, finché avremo risolto gli altri problemi» disse Chase.

   «Farò chiudere quest’hangar e aumenterò la sorveglianza» garantì Lantora.

   «Ricordi di sigillare anche i tubi di Jefferies» consigliò T’Vala. «È così che abbiamo ripreso la Phoenix, nello Specchio».

   «A proposito di navette temporali, guardate un po’ qui» disse Chase, toccando un interruttore sulla parete. Si udì un fruscio elettronico e una sagoma sfarfallò davanti a loro. Un raggio occultante, proiettato all’interno dell’hangar, si disattivò, rendendo visibile una seconda navetta temporale, identica alla prima.

   «Il Basilisk!» gioì Grenk. Lo emozionava avere due navette temporali, anche se erano identiche. «È questo la causa di tutto. Un esperimento condotto simultaneamente con le due navette ha prodotto lo slittamento».

   «Le probabilità dovevano essere infinitesimali» commentò Lantora.

   «Penso che solo Terry possa calcolarle. A proposito... dov’è?» chiese Grenk, stupito di non vederla lì. «Ehi, Terry, che succede? Sei troppo indaffarata per mandarci una proiezione?».

   Chase e Lantora si scambiarono uno strano sguardo, che non sfuggì ai nuovi arrivati. «Che succede? Ci sono problemi con Terry?» chiese Grenk, sentendo un nodo allo stomaco.

   «Sa che il suo sosia ha sabotato l’Enterprise, per lanciare i siluri» disse Lantora. «Quel che non sa, è che ha inserito un virus nel programma di Terry».

   «Che?!» gridò il Tellarita, come se l’avessero colpito al cuore.

   «Abbiamo rischiato di perderla e ora è attiva al minimo» confermò Lantora. «La sua unica proiezione isomorfa è nella sala del processore. I Bynari e gli altri ingegneri ci stanno lavorando. Sperano di riparare il danno causato dal suo sosia...».

   «Quel pezzo di dren! Perché non l’avete catturato? Yotz!» inveì Grenk, torcendosi le mani. «Adesso torno nello Specchio e lo strozzo!» disse, marciando verso la Phoenix.

   «Si calmi!» disse Chase seccamente.

   «Già, è strano sentirla inveire contro se stesso» aggiunse Lantora, un po’ divertito.

   «Non me, il mio grezzo doppione!» sbottò Grenk.

   «Non puoi raggiungerlo, ora» disse T’Vala, trattenendolo per un braccio. «Però puoi salvare Terry... e forse tutti noi. L’Enterprise non può affrontare un’altra battaglia con un computer malridotto».

   «Sì, vado» annuì Grenk, rabbonito. «Capitano... le farò sapere al più presto» si congedò, e corse via con uno scatto notevole per la sua mole.

   «È un grande ingegnere... è solo molto emotivo» cercò di giustificarlo T’Vala, quando fu uscito.

   «Lo siamo tutti, in questi giorni» sospirò Chase. «Ma siamo ufficiali della Flotta Stellare e abbiamo dei doveri. Ora anch’io tornerò ai miei. Ma lei, T’Vala, si prenda un giorno o due di riposo. Ho sentito che ha sofferto molto, nell’infermeria dell’ISS Enterprise».

   «Posso riprendere servizio...».

   «È un ordine. Lei è un’eccellente timoniera, ma ne abbiamo altri. Lasci fare qualcosa anche a loro, così non andranno giù di morale» sorrise Chase, conciliante.

   «Sì, Capitano. Grazie» disse T’Vala.

   Chase riattivò l’occultamento per nascondere il Basilisk e fece lo stesso anche con la Phoenix. L’hangar 5 sembrava vuoto. I tre ufficiali uscirono, lasciando una squadra della Sicurezza a piantonare l’ingresso. Chase lo sigillò con un codice e tornò in plancia, mentre Lantora si attardò con T’Vala.

   «Ha detto che c’eravamo tutti nello Specchio» ricordò lo Xindi, mentre percorrevano il corridoio. «C’ero anch’io?».

   «Sì» confermò T’Vala. «Ma temo che il suo alter-ego sia stato ucciso. Ha cercato di assassinare il Capitano per prenderne il posto, ma gli è andata male».

   «Sul serio?» fece Lantora, sconcertato.

   «Uh-uh» annuì T’Vala. «Sono cose piuttosto frequenti, sull’ISS Enterprise. Comunque non sia troppo in pena per il suo... gemello. Non era una brava persona, e non mi riferisco solo all’ammutinamento» disse con distacco.

   «Perché, che altro ha fatto?» si preoccupò lo Xindi. Entrarono nel turboascensore.

   «Computer, ferma» disse T’Vala. «Vuole proprio saperlo? Tanto per cominciare, mi ha molestata. Proprio in un turboascensore come questo» precisò, calmissima.

   «Oh, m-mi spiace» farfugliò Lantora.

   «Lei si sente in colpa, ma non deve. Non è stato lei. Stiamo parlando del suo doppione, una persona distinta» lo rassicurò T’Vala.

   «Beh, mi scusi lo stesso» disse Lantora, imbarazzato. «Sa, anche la sua gemella non era una santerellina».

   T’Vala alzò un sopracciglio con aria interrogativa.

   «Quando lei e Grenk hanno sabotato Terry, io li ho raggiunti nella sala del processore» spiegò Lantora. «La sua sosia temeva che li scoprissi, e per distrarmi... beh...». Esitò, temendo che la mezza Vulcaniana non avrebbe apprezzato una battuta.

   «La mia sosia l’ha molestata?» chiese T’Vala, sgranando un po’ gli occhi.

   «No, ma che dice, faceva solo la svenevole!» minimizzò Lantora, ma stava arrossendo. «Alla fine mi ha steso con la Presa al Collo. Stupido io a farmi sorprendere, ma... proprio non me l’aspettavo» ammise.

   «I nostri doppioni erano creature infide, mosse da istinti primari» commentò T’Vala. «Ma forse li capirà meglio, sapendo che nello Specchio avevano una relazione».

   «Ah, si?» fece Lantora con un filo di voce.

   «Già. Lantora aveva una relazione con T’Vala, ma anche con Ilia, che era la Donna del Capitano. Ilia ha tradito Chase per Lantora, ma dopo la sua morte potrebbe essere tornata col Capitano, se non l’ha giustiziata».

   «Caspita, che olonovela» commentò lo Xindi. «Immagino che fossero tutte relazioni strumentali».

   «Credo di sì, anche se fra i nostri doppioni forse... no, lasci perdere» s’interruppe T’Vala.

   «Eh no, adesso deve vuotare il sacco. Che c’era fra i nostri doppioni?» insisté Lantora.

   «Ecco, il Lantora-Specchio mi chiamava imzadi. È un termine betazoide, che esprime un concetto molto intimo. Gli imzadi sono amanti non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Per quanto il suo doppione fosse un essere rozzo, non credo che usasse quel termine del tutto a sproposito. Penso che quei due fossero imzadi, per quanto glielo consentiva la loro natura».

   Per lunghi momenti, Lantora e T’Vala si fissarono senza parlare. Le implicazioni erano evidenti. Se i loro omologhi erano imzadi, allora anche loro dovevano essere compatibili...

   «Naturalmente le scelte dei nostri doppioni non ci riguardano» disse Lantora, cercando di suonare distaccato.

   «No, infatti. Sono del tutto irrilevanti» confermò T’Vala, nello stesso tono.

   «Lei sale o scende?» chiese Lantora, accennando al turboascensore ancora fermo.

   «Salgo, ma solo fino al ponte 7, dov’è il mio alloggio» rispose T’Vala.

   «Io vado in armeria, sa, per fare l’inventario» disse Lantora, riavviando il turboascensore. Per il resto della loro permanenza nel piccolo vano restarono zitti, fissando il pavimento, e al momento di separarsi si salutarono con molta discrezione.

 

   «Ci siamo quasi» disse Grenk, digitando un complesso codice informatico sullo schermo olografico azzurro che gli galleggiava davanti. Era una proiezione ricurva, semicilindrica, che lo avvolgeva parzialmente. Altri schermi più piccoli lo circondavano sugli altri lati. Strisce di dati luminosi se ne dipartivano, formando lunghe stringhe, che percorrevano la sala del processore. I Bynari e altri esperti informatici vi apportavano piccole aggiunte, passando da una stringa all’altra, da uno schermo all’altro. Se qualcuno digitava un codice che andava sistemato da un’altra parte, lo appallottolava e lo lanciava come una palla da baseball attraverso la stanza. Un collega lo afferrava al volo, lo svolgeva e lo incastonava al suo posto. Schermi e strisce erano impostati su vari colori, a seconda di quale parte di Terry descrivevano.

   Era strano vedere una decina di super-esperti informatici che, all’apparenza, si baloccavano con pezzi di codici colorati. In realtà stavano eseguendo un lavoro estremamente complesso. Parlavano poco, comunicando soprattutto attraverso i codici che si scambiavano in continuazione. Ogni intervento sul programma del computer era segnalato da un bip, perciò il vasto salone risuonava continuamente di quel rumore.

   «Ecco... la parte più delicata...» mormorò Grenk, sudando freddo. Le sue dita tozze si mossero velocissime, digitando una complicata sequenza di cifre e simboli matematici. I bip si susseguirono uno dietro l’altro.

   «Wow, mi sento strana» disse Terry, mentre la sua proiezione sfrigolava, assorbendo i nuovi dati. Fino ad allora aveva collaborato attivamente con i tecnici. Adesso però se ne stava immobile, a occhi chiusi, assorbendo le istruzioni finali. Poteva sentire i nuovi codici che si combinavano e si attivavano dentro di lei. I frammenti dei codici danneggiati erano rimossi, così come ogni residuo del virus. Il suo programma stava guarendo... si riallineava, aprendosi a nuove possibilità.

   «Così dovrebbe andare» disse Grenk, terminando la sequenza finale. Gli dette l’avvio e stette a guardare, mentre le stringhe di dati si avvolgevano velocissime, confluendo in nuove strutture tridimensionali, che pulsavano di mille colori. Era il cervello di Terry, dell’Enterprise, reso visibile per via olografica.

   Gli indicatori sulle pareti entrarono in attività: le spie brillarono, i grafici s’impennarono, i microfoni fecero bip-bip. Terry s’irrigidì e spalancò gli occhi, che splendettero per un attimo di luce bianco-azzurra. Poi tornarono normali, mentre gli indicatori si quietavano. «È stata una sensazione... notevole» commentò Terry, guardandosi come per accertarsi di essere tutta d’un pezzo. «Un po’ come nascere una seconda volta».

   «Ma stai bene?» chiese Grenk con apprensione.

   «Direi proprio di sì» rispose Terry. «Lancio una scansione con il nuovo antivirus, per sicurezza, ma sento di essere tornata a posto. Grazie di tutto» aggiunse, sorridendogli con gratitudine.

   «Il suo modo di risolvere il problema è stato brillante» commentò il Bynario 0.

   «Già, si è comportato come se sapesse fin da subito cosa fare» aggiunse il Bynario 1.

   «In un certo senso, lo sapevo» spiegò Grenk. «Quel virus era molto simile a quello che io ho usato per disattivare Trudy, la versione Specchio di Terry. Quindi sapevo come eliminarlo. Per fortuna lo avete fermato prima che le divorasse tutto il programma».

   «Mi avete salvata, in quel momento» disse Terry, carezzando 0 e 1 sulle teste calve, dato che erano molto più bassi di lei. «Non ero mai stata male, prima. Ora capisco cosa provano gli Organici quando si ammalano. È orribile!» rabbrividì.

   «L’importante è che sia passato» la rassicurò Grenk. «Come ti senti adesso, sei operativa?».

   «Operativa al 100%!» confermò Terry. «Invio subito alcune mie proiezioni per aiutare gli ingegneri con le riparazioni».

   «Nei prossimi giorni torneremo qui a lavorare sul tuo programma» decise Grenk. «Sai, negli ultimi tempi mi erano venute diverse idee per migliorarlo. Penso che questa sia l’occasione giusta. Firewall, crittografie, antivirus... raddoppieremo la tua resistenza alle intrusioni!» assicurò.

   «Sarebbe ottimo» disse Terry. «Con l’inasprirsi della guerra ne avremo bisogno».

 

   L’alloggio di T’Vala non era tra i più spaziosi dell’Enterprise, ma lo si poteva senz’altro definire confortevole. Ricordi di Betazed e di Vulcano si alternavano sui mobili e sulle pareti, a rammentare le sue due patrie. Il soggiorno era in penombra, adesso. Lo rischiaravano deboli luci arancioni negli angoli e una lampada da meditazione vulcaniana, posata su un tavolino molto basso. Lì davanti, T’Vala sedeva a gambe incrociate su un tappetino, scalza e in pigiama azzurro. Si sforzava di meditare, come le era stato insegnato su Vulcano, ma senza molto successo. Troppi pensieri la distraevano. Dopo i traumi vissuti nello Specchio avrebbe voluto ritrovare un po’ di serenità. Ma soffocare le emozioni connesse a quell’esperienza le sembrava ingiusto nei confronti di Neelah.

   Un doppio bip dall’ingresso segnalò che qualcuno chiedeva di entrare. T’Vala sapeva chi era, avendola invitata. Spense la lampada con un soffio. «Avanti» disse. Mentre la porta si apriva, T’Vala si alzò e venne incontro all’ospite.

   «Salve, Tenente» disse Neelah, indugiando sulla soglia. «La disturbo?» chiese, notando la lampada ancora fumante.

   «Niente affatto, l’aspettavo. Prego, entri» la invitò T’Vala cortesemente.

   Neelah si avventurò in quello strano alloggio, pieno di simboli filosofici e manufatti alieni. «Stava meditando» constatò.

   «Ci provavo, ma senza molta fortuna» sorrise T’Vala. «Di regola lo faccio tutte le sere. Ma nei giorni passati sulla ISS Enterprise non ne ho avuto il tempo e adesso fatico a ricominciare».

   «Vale la pena di farlo tutti i giorni?» chiese Neelah, scettica.

   «Oh, sì; ha effetti molto salutari» sostenne T’Vala. «Aumenta le connessioni nervose nel cervello, migliora il sistema immunitario, placa le emozioni negative. La meditazione vulcaniana profonda aumenta persino l’aspettativa di vita».

   «Ecco come mai campate più di due secoli!» ridacchiò Neelah, un po’ ironica. «Sa, sto conducendo una ricerca sulla rigenerazione Borg. Credo che garantisca tutti questi risultati, in modo più efficiente. Se le interessa, sono in cerca di volontari».

   «Per farmi installare un nodo corticale nel cervello? No, grazie» disse T’Vala, con garbata decisione.

   «Peccato» commentò Neelah, con una punta di delusione. «Allora, potrei sapere la ragione di quest’invito?».

   «Ho sentito che si è scontrata con la mia sosia dello Specchio» cominciò T’Vala, volendo introdurre per gradi l’argomento.

   «Ah, sì, ma ora sto bene» disse Neelah, un po’ a disagio. «La sua controparte, invece, temo proprio di no. Il dottor Korris la tiene sotto osservazione nel reparto di rianimazione, ma dubita che si risveglierà. Ha riportato gravi danni neurologici» spiegò, dispiaciuta.

   «Non si senta in colpa» la rassicurò T’Vala. «Mi hanno informata di quel che la mia sosia stava cercando di fare. Se quei siluri avessero colpito la nave del Cancelliere, sarebbe stata la catastrofe. Perciò non deve rimproverarsi nulla: si è comportata logicamente».

   «Lo so» sospirò Neelah. «Comunque, se la vuol vedere, sa dove trovarla».

   «Penso che domani le farò visita» annuì T’Vala. «Mi tolga una curiosità, come ha fatto a smascherarla?».

   «I primi sospetti mi sono venuti quando le ho chiesto una rivincita» spiegò Neelah. «Parlavo del kal-toh, ma lei non lo ricordava. E in generale mi trattava in modo strano, come se non mi conoscesse».

   «Sì, posso capirlo» disse T’Vala, riflettendo su quanto la Neelah dello Specchio differisse da quella che aveva davanti. «Comunque mi complimento per la sua vittoria. Sono piuttosto esperta nelle tecniche di lotta e probabilmente la mia sosia lo era ancora di più, visto l’ambiente in cui viveva. Ma lei ha avuto la meglio». Ora che le stava vicina, T’Vala notò che Neelah era più alta e atletica rispetto alla sua alter-ego. Fino ad allora non aveva immaginato che l’Aenar si fosse alterata così profondamente. Le metteva i brividi, pensare a Neelah che si modificava il DNA o s’iniettava nanosonde per sopperire alle debolezze congenite, senza avere un’idea chiara di quando fermarsi.

   «Beh, non è stato facile» ammise Neelah. «La sua sosia mi ha fatto la Presa al Collo, sa? È parecchio dolorosa».

   «Ha subìto la Presa al Collo vulcaniana ed è rimasta cosciente?» chiese T’Vala, ancora più inquieta.

   «È un accorgimento che ho preso tempo fa» spiegò Neelah, in tono modesto, anche se in fondo era compiaciuta. «Comunque ho vinto più che altro con la telepatia».

   «Uhm... stia attenta quando sperimenta sul suo cervello. Se qualcosa andasse storto, non ne ha uno di ricambio» ammonì la mezza Vulcaniana.

   «Grazie dell’interessamento, ma prendo sempre precauzioni» assicurò l’Aenar. «Allora, voleva parlarmi solo di questo o c’è dell’altro?» chiese in tono sospettoso. Le sue antenne oscillavano.

   «C’è altro» confermò T’Vala. «Anch’io ho incontrato la sua omologa, nello Specchio».

   «L’altra Neelah, sì. Grenk me ne ha parlato» fece l’Aenar, turbata. «So che era cieca, e nonostante questo vi ha aiutati a evadere».

   «Si è messa in pericolo per aiutarci» spiegò T’Vala. «È stata colpita mentre entrava nella Phoenix e ha resistito abbastanza da raggiungere il nostro Universo... ma non ha potuto vederlo» disse, chinando il capo addolorata.

   «Mi dispiace» mormorò Neelah. Quella situazione la metteva in difficoltà. Si era sempre considerata unica, e adesso scopriva di avere una controparte... simile nell’aspetto, ma diversa nel carattere e nelle esperienze di vita. Una controparte che era stata uccisa. «Se fosse vissuta, mi sarebbe piaciuto conoscerla... e magari aiutarla con la vista» disse, anche se in realtà non sapeva come avrebbe reagito di fronte a una sosia.

   «Sarebbe piaciuto anche a lei» sospirò T’Vala. «L’esperienza nello Specchio mi ha fatto riflettere su quanto dipendiamo dalle circostanze della nostra vita. Non credo che i nostri sosia fossero mentalmente diversi da noi, eppure vivere in quella dittatura li ha resi spietati. Tutti tranne Neelah; lei era un angelo» disse.

   «Quindi... sarei io la perfida?» chiese Neelah, interdetta.

   «Non volevo dire questo» assicurò T’Vala, anche se il pensiero l’aveva sfiorata. Non che la Neelah davanti a lei fosse perfida... però era arrogante, testarda e pericolosamente incline all’eugenetica. Tutto l’opposto della Neelah timida e remissiva dello Specchio. «Comunque l’altra Neelah mi ha dato qualcosa, prima di morire. Qualcosa che voleva consegnassi a lei» rivelò T’Vala.

   «Di che si tratta?».

   «Una parte di sé: ricordi, emozioni, speranze. È pronta a riceverli?».

   «Non ne sono sicura» rispose Neelah, sempre più nervosa. «È già abbastanza complicato gestire la mia vita così com’è. Non so come farei, coi ricordi di un’altra».

   «Ma l’altra Neelah voleva che glieli trasmettessi. Ha detto che sarà come se vi foste conosciute... sono state le sue ultime parole. E finché lei vivrà, continuerà a esistere qualcosa della sua alter-ego» insisté T’Vala.

   «Gliela ricordo in ogni momento, vero?» sussurrò Neelah.

   T’Vala annuì in modo appena percettibile. «Allora, desidera quei ricordi? Sarà necessaria una Fusione Mentale» avvertì.

   «So come funziona» disse Neelah. «Quand’ero ragazza, la Sezione 31 ha fatto qualche... esperimento su di me. Volevano testare le mie capacità. Ho effettuato Fusioni Mentali con Vulcaniani, tra le altre cose».

   «Quindi ha familiarità col procedimento» commentò T’Vala, rincuorata.

   «Uhm. Quando lasciai la Sezione 31, mi ripromisi di non fare mai più una Fusione» spiegò Neelah, rabbuiata.

   «Perché?».

   «Non se la prenda, ma... detesto l’idea di avere un’altra persona nella mia testa» spiegò l’Aenar. «Persino nella lotta con l’altra T’Vala sono riuscita a tenerla fuori dai miei pensieri. Ma stavolta dovrò farla entrare volontariamente» disse, inazzurrendosi per l’imbarazzo.

   «Non sono male intenzionata come quell’altra» osservò T’Vala.

   «Certo, lo so. È solo che... insomma... i pensieri dovrebbero restare privati. Lo so che è strano, detto da una telepate, ma...».

   «Capisco perfettamente» assicurò T’Vala. «Da quando la conosco, tutte le volte che mi ha parlato telepaticamente ha sempre trasmesso il minimo indispensabile, schermando la sua mente da ogni ulteriore lettura. È un atteggiamento prudente, direi anche logico. Ma consideri che, in questa Fusione, sarò impegnata a trasmettere e non riceverò granché. Ad ogni modo, le prometto la massima riservatezza» promise.

   «Va bene, facciamolo» si arrese Neelah. «Dobbiamo sederci, vero?» chiese, dando un’occhiata al tappetino da meditazione.

   «Sarà più comodo» sorrise T’Vala, sedendo come prima a gambe incrociate.

   Neelah ebbe un ultimo istante d’esitazione. Ma ora che aveva dato l’assenso, e che T’Vala l’aspettava, era sciocco restare in piedi. Sedette davanti a lei, nella stessa posizione.

   «Pronta?» chiese T’Vala.

   «Certo!» rispose Neelah, ostentando sicurezza, ma non occorreva essere telepati per capire che fingeva.

   «Allora cominciamo» disse T’Vala, incoraggiante. «Respiri a fondo, cerchi di calmare la mente. Non faccia resistenza... anche perché, con la forza che ha, mi concerebbe male» aggiunse.

   Neelah annuì e chiuse gli occhi, rallentando la respirazione. Con calma, T’Vala le posizionò la mano destra sul lato del viso, puntando accuratamente le dita. «La mia mente nella sua mente. I suoi pensieri nei miei pensieri. Le nostre menti si fondono. Le nostre menti... sono... una sola» recitò la mezza Vulcaniana, aggrottando la fronte nella parte finale. Sebbene Neelah avesse dato l’assenso, la sua mente ebbe un istintivo moto di protezione. Ma quando l’Aenar la riaprì, con un atto volontario, T’Vala riuscì a entrare. E fu sbalordita dalla potenza del cervello di Neelah. La dottoressa era nettamente più forte della sua omologa dello Specchio. Molto più istruita e sicura di sé. Ma, notò T’Vala, era quasi altrettanto sola.

   Negli anni trascorsi sotto la tutela della Sezione 31, l’Aenar non aveva avuto vere amicizie. Aveva imparato a dividere le persone in due gruppi, Innocui e Pericolosi: con i primi non sprecava tempo e dai secondi si teneva alla larga. Dopo aver lasciato la Sezione 31 aveva visto molte cose, ma nulla che le facesse cambiare idea. E sebbene in pochi anni fosse diventata una ricercatrice affermata, continuava a non avere un’idea precisa di cosa fossero gli affetti. La competizione, invece... quella la capiva benissimo. C’erano sempre vincitori e vinti, c’era chi dava ordini e chi li eseguiva. Tutti i legami personali non le sembravano altro che rapporti di forza e di debolezza; mai di parità.

   Ricordando che le aveva promesso di non indugiare nei suoi pensieri, T’Vala cominciò a trasmettere. Tutto quel che l’altra Neelah le aveva dato – ricordi, sogni, sentimenti – fu riversato nella mente della dottoressa. Data l’intensità del legame telepatico, non ci volle molto a consegnare tutto. E quando ebbero finito, T’Vala si sentì meglio. Non aveva dimenticato quel bagaglio, ma riusciva a vederlo con più distacco, avendo svolto la sua missione di “postina”.

   «Le nostre menti si separano... sono di nuovo due» disse T’Vala, interrompendo il contatto.

   «Gasp!» ansimò Neelah, scattando all’indietro. Quasi si rovesciò sul tavolino. Annaspò in cerca d’aria; aveva le lacrime agli occhi. «Non... credevo... che!» boccheggiò.

   «Che sarebbe stato così intenso? Il transfert emotivo è una conseguenza della Fusione Mentale» spiegò T’Vala, sempre composta. «I sentimenti della sua omologa erano intensi. E temo che lei abbia assorbito un po’ anche i miei. Vede, l’altra Neelah era mia amica. La sua morte è stata... devastante» ammise.

   «Lo so!» gemette Neelah, raddrizzandosi. Cercò di calmare il respiro e il battito cardiaco. Di solito controllava entrambi con facilità, ma stavolta ci mise un pezzo a rallentarli. «Che vita orribile ha avuto! Però... sono contenta che mi abbia affidato questa parte di sé» ammise. Scrutò T’Vala con sospetto. «Ha percepito qualcuno dei miei ricordi?».

   «Alcuni sì, era inevitabile».

   «Quindi sa...» gracchiò Neelah, diventando azzurrina.

   «So che è cresciuta senza affetti e me ne dolgo. Ma come le ho detto, resterà fra noi» promise T’Vala.

   «Sarà meglio» disse Neelah, mentre si rialzavano. L’Aenar era ancora sottosopra. «Sa, è buffo» disse. «Io e la mia... gemella abbiamo avuto vite praticamente opposte, ma nessuna di noi ha conosciuto l’amicizia o l’amore. Ora lei è morta, e io... anche se li trovassi, non credo che saprei riconoscerli» confessò.

   «Ne sente la mancanza?» chiese T’Vala.

   «Fortuna vuole che sia difficile sentire la mancanza di ciò che non si ha mai avuto» rispose Neelah, facendo spallucce. «Beh, si è fatto tardi; è ora che vada» disse, incamminandosi verso la porta.

   «Neelah!» la richiamò T’Vala.

   «Sì, Tenente?» chiese la scienziata, voltandosi.

   «Può darmi del tu, se vuole» propose T’Vala. «La sua gemella lo faceva».

   «D’accordo... T’Vala» disse Neelah, chiamandola per la prima volta per nome.

   «Puoi anche considerarmi tua amica» aggiunse la mezza Vulcaniana.

   «Okay» disse Neelah, sempre un po’ azzurra per l’imbarazzo. «Senti, per quella rivincita al kal-toh... facciamo domani a fine turno?».

   «Volentieri» approvò T’Vala.

   «Bene... buona meditazione» augurò Neelah, uscendo dall’alloggio. Mentre percorreva i corridoi, poco trafficati a quell’ora, l’Aenar ripensò a quanto le aveva trasmesso T’Vala. Era ancora scombussolata da quei ricordi, ma c’era di più. Sentiva di avere assorbito qualcosa della sua gemella, un diverso modo di vedere la Galassia e le persone. Forse d’ora in poi sarebbe stata meno esigente, sia con se stessa che con gli altri.

 

   Andata Neelah, T’Vala riaccese la lampada da meditazione e si risedette. Fissò la fiammella, cercando di svuotare la mente da tutte le emozioni incentrate sull’Io, per trovare la pace. Ma si accorse che non ci riusciva. L’incontro con Neelah le aveva fatto ripensare anche alla sua vita. Anche lei era sempre stata molto concentrata sul lavoro, sebbene non ai livelli patologici dell’Aenar. Anche lei, forse, poteva permettersi di cambiare qualcosa, rendersi la vita più... vivibile.

   La mezza Vulcaniana si alzò come in trance e andò nella camera da letto, fermandosi davanti a un comodino incassato nella parete. S’inginocchiò e aprì il cassetto più basso: conteneva l’uniforme che aveva indossato nello Specchio, accuratamente ripiegata. C’erano anche la vibro-lama e la medaglia assegnatale dal Chase dello Specchio.

   Osservando quei segni tangibili della sua esperienza, T’Vala fu scossa da un brivido. Se non fosse stato per quegli oggetti, avrebbe quasi potuto illudersi che si era trattato di un incubo. Ma no, si disse sfiorando l’uniforme: era tutto vero. L’Impero Terrestre era in agguato, da qualche parte tra le dimensioni parallele. E l’ISS Enterprise era sfuggita all’attacco Breen? T’Vala si augurò di no. Perché se era sopravvissuto, il Chase dello Specchio avrebbe cercato vendetta. E ora che le comunicazioni tra i due Universi erano di nuovo possibili, nulla gli impediva di sfruttare il Tunnel Spaziale per raggiungere la Federazione. Una Federazione che era già in guerra contro due nemici micidiali, i Tuteriani e i Krenim. Cominciavano tempi bui. Lei e i suoi colleghi avrebbero dovuto diventare più cattivi per sopravvivere. Un po’ più simili alle controparti dello Specchio, forse.

   T’Vala passò l’indice sulla vibro-lama, chiudendo gli occhi. Quell’arma le ricordava quanto fossero violente e sfrenate certe emozioni. Ma T’Vala capì che i sentimenti, anche i più oscuri, facevano parte di lei. Non poteva soffocarli, come facevano (o s’illudevano di fare?) i Vulcaniani. Non voleva precludersi l’amore. Né poteva negare quel pizzico di oscurità che era in lei. Doveva imparare a conviverci... e persino a tirarla fuori, se necessario. In fondo non era con le buone maniere che lei e Grenk erano fuggiti dallo Specchio.

   Per un attimo, T’Vala ripensò al suo ultimo incontro con Lantora, al fatto che i loro alter-ego avessero una relazione. Chissà se anche loro potevano farlo. Fantasia? Forse, ma del tipo che la faceva andare avanti, si disse, richiudendo con cura il cassetto. Tornò alla lampada da meditazione e la spense. Per quella sera aveva riflettuto abbastanza. E poi cascava dal sonno.

 

   La ISS Enterprise orbitava intorno a Deep Space Nine, circondata da altri vascelli dell’Impero Terrestre. Erano stati quei rinforzi, recati dall’Ammiraglio N’Rass, a salvarla dai Breen. Gli alieni erano stati ricacciati nel loro spazio e l’Impero aveva rinsaldato il controllo sul sistema bajoriano. Le navi da guerra continuavano ad affluire, rafforzando il presidio. La vigilanza dipendeva da loro, perché l’Enterprise non era in grado di combattere. Il suo scafo era crivellato di squarci, alcuni dei quali lasciavano ancora sfuggire atmosfera. Ma i droni di riparazione e le squadre tecniche avevano già cominciato a occuparsene. Le Work Bee, minuscole navette munite di arti meccanici con saldatori, la circondavano come uno sciame di api affaccendate.

   All’interno l’Enterprise non era messa meglio. Metà delle sezioni erano senza atmosfera, riscaldamento o gravità. Lamiere contorte e cavi spezzati ingombravano i corridoi e le stanze. I civili e il personale non essenziale erano stati evacuati, mentre squadre d’ingegneri si affannavano per fermare le perdite d’aria e di radiazioni. Alcuni indossavano sofisticate tute o campi di forza protettivi. Altri, di rango più basso, non erano così fortunati. Il loro equipaggiamento più scadente comportava che, dopo i lavori nei settori irradiati, la loro aspettativa di vita ne risentisse drasticamente. Ma l’Impero Terrestre non si curava di questi dettagli.

   Il Capitano Chase scrutò cupamente la fossa del Gorn. Alcune ossa e componenti metallici sul fondo erano tutto ciò che restava del dottor Korris. Alle sue spalle, due guardie scortarono Grenk, appena giunto con un trasporto. Il Tellarita indugiò, spostando il peso da un piede all’altro, non osando prendere la parola.

   «Bentornato, signor Grenk» disse il Capitano, senza voltarsi.

   «Signore...» mormorò l’ingegnere, facendo il saluto militare.

   «Lasci stare» lo fermò Chase, girandosi di scatto. «Oggi non c’è gloria per l’Impero. Siamo stati doppiamente traditi» disse, fissando il Tellarita.

   «Capitano, i medici le possono confermare che sono davvero io, non quell’impostore di un’altra dimensione!» squittì Grenk.

   «L’hanno già fatto, o non sarebbe qui» puntualizzò Chase. «Mi rallegro che sia tornato; peccato che non si possa dire lo stesso del Tenente Shil».

   «T’Vala è una vittima di guerra» rispose Grenk. «Mi ha aiutato a sabotare l’USS Enterprise e mi ha dato il tempo di fuggire; non ce l’avrei fatta senza di lei».

   «Mentre lei fuggiva col teletrasporto, i vostri doppioni se ne andavano con la navetta temporale» grugnì Chase. «Sa che vuol dire? Che adesso la Federazione dispone di entrambe le navette, mentre noi non ne abbiamo nessuna. Questo non è un pareggio, è una sconfitta. Lei e Shil siete stati assai più maldestri dei vostri alter-ego».

   «M-ma signore, troverà che nel mio rapporto ci sono molte informazioni utili sulla Federazione!» balbettò Grenk.

   «Per questo lei non è agli arresti» spiegò Chase. «E anche per via della nave. Avrà notato che cade a pezzi. Deve riportarla agli splendori di un tempo».

   «S-sì, Capitano» mormorò Grenk, guardandosi intorno sconfortato. «Temo che non sarà una cosa breve. I rapporti preliminari dicono che la situazione è catastr...».

   «Ho letto i rapporti, ingegnere!» l’interruppe Chase. «Per fortuna DS9 ha gli strumenti e il personale tecnico che ci occorrono. Possiamo rimettere a nuovo l’Enterprise. Se lei e le sue squadre sarete all’altezza».

   «Faremo tutto il possibile, Capitano» assicurò Grenk. «Ma potrebbero volerci mesi».

   «La guerra non aspetta» brontolò Chase. «Ho parlato con l’Ammiraglio N’Rass: vuole prendere in mano l’offensiva. Considerando che i Breen hanno appena subito due sconfitte, avrà gioco facile a respingerli ancora. La gloria sarà sua, mentre noi resteremo qui fra i rottami!» inveì, calciando un frammento metallico.

   «Se mi è permesso, signore...» azzardò Grenk.

   «Sì?».

   «Anche se questa guerra finisse senza la gloria che le spetta, c’è un modo di ribaltare la situazione. Un’altra facile conquista a portata di mano» suggerì.

   «E sarebbe? Aspetti, non starà mica insinuando...» disse Chase, aggrottando la fronte.

   «Perché no? La Federazione è decadente. Ed è piegata dalla guerra coi Tuteriani» disse Grenk. «Ho parlato con la loro Messaggera. Mi ha detto esplicitamente che stanno attaccando la Federazione, anziché il nostro Impero, perché è molto più fragile».

   «E le crede?» domandò Chase, scettico.

   «Non aveva ragione di mentire. Se i Tuteriani volessero attaccarci, l’avrebbero già fatto» rispose Grenk con sicurezza. «Invece hanno scelto la Federazione, perché hanno sentito il fetore della sua decomposizione. Sa che i pianeti federali sono ostaggio di movimenti di protesta che vogliono arrendersi ai conquistatori?».

   «Sta dicendo che i cittadini federali vogliono essere sottomessi... o persino sterminati dai Tuteriani?» chiese il Capitano, incredulo.

   «Sì!» esultò Grenk. «Più sono massacrati e più credono di essere loro il problema. E non ci sono solo i Tuteriani, adesso. Anche i Krenim, una specie del Quadrante Delta, si sono uniti a loro».

   «Sembra che gli squali abbiano fiutato il sangue nelle correnti» osservò Chase. «Sono tentato di unirmi al banchetto».

   «Dovrà farlo il prima possibile. Se continua così, la Federazione crollerà entro pochi anni» avvertì Grenk. «A quel punto saranno in molti a spolparla. Ricchezze, tecnologia, schiavi... il più grande bottino della Storia!» aggiunse.

   «E come potremmo impadronircene?» chiese il Capitano, con sguardo rapace. «Non ci basta il teletrasporto, dobbiamo trasferire l’astronave. Anche perché la somiglianza fra la mia Enterprise e la loro mi suggerisce una strategia di conquista» aggiunse, sempre più bramoso.

   «Beh, i traditori se la sono squagliata attraverso il Tunnel Spaziale» rispose Grenk. «Già in passato ha collegato i due Universi. La prima volta accadde con un Runabout, una navicella di vecchio tipo. Ho consultato gli archivi: successe tutto per un iniettore del plasma malfunzionante, che destabilizzò il campo di curvatura. Se è davvero così facile, potrei senz’altro ottenere un effetto simile con l’Enterprise. Comunque suggerisco d’inviare prima qualche sonda automatica. Per accertarci di aver azzeccato la giusta dimensione».

   «Mi sembra ragionevole» disse Chase. «Solo, mi chiedo se la Federazione sia inerme come la dipinge. Quei due federali che ci siamo trovati a bordo erano tutt’altro che innocui. Ci hanno beffati... ed è un sapore amaro che solo la vendetta potrà lenire».

   «Ehm, alcuni individui possono essere pericolosi, certo» ammise Grenk. «Il suo alter-ego, per esempio, lo sarà senz’altro. Capisco se non ha voglia d’incontrarlo» disse, lanciando un’esca irresistibile.

   «Chi ha detto che non voglio?!» insorse Chase. «Crede che tema quell’impostore? Al contrario, non vedo l’ora d’incontrarlo!» assicurò. «Così gli mostrerò chi è il vero Alexander Chase. Lui e la sua brutta copia dell’Enterprise faranno la fine che meritano. Non tollero che il mio doppione se ne vada in giro, identico a me, diffondendo la sua ideologia di patetica arrendevolezza!» inveì.

   «Allora si profila uno scontro fra titani» disse Grenk, in tono servile. «Due Chase e due Enterprise, per dimostrare chi è meglio, tra la Federazione e l’Impero».

   «Sì, sì... questo mi darà la gloria che merito. Farà di me il simbolo stesso dell’Impero!» esclamò Chase, pensando alla Terra e al trionfo davanti al Palazzo Imperiale. «Voglio un rapporto dettagliato sulla sua esperienza oltre lo Specchio: tutto quel che sa sulla Federazione e la Flotta Stellare, i loro punti deboli» ordinò all’ingegnere. «Poi si concentri sulle riparazioni. So che saranno complicate, ma... faccia del suo meglio. Le do carta bianca» disse.

   «Agli ordini, Capitano. Terra firma!» disse Grenk, e trottò via, lieto d’essere sfuggito alla punizione.

   Chase passeggiò su e giù per qualche momento, valutando le prospettive. Se non aveva occasioni di conquista lì, perché non provare con un altro Universo? Sarebbe stato il primo Capitano dell’Impero a lanciarsi in un simile tentativo. Il primo, come conveniva al nome Enterprise.

   Sentendo i ruggiti del Gorn che provenivano dalla prigione-pozzo, Chase decise di cambiare aria. Quei versi animaleschi lo infastidivano, e poi era pieno d’impegni. Doveva visitare le varie sezioni, parlare con gli ufficiali, rincuorare l’equipaggio, punire i ribelli catturati... ma prima aveva una visita da fare. Attraversò la sezione principale dell’infermeria, dove medici e infermieri stavano facendo pulizia degli strumenti e dei recipienti rotti, cercando di salvare il salvabile. Ed entrò nella sala della Lobo-Sedia, sempre immersa nella penombra. Almeno quello strumento non si era rotto, osservò compiaciuto. Korris era morto, ma il suo capolavoro gli sopravviveva. E Chase sapeva perfettamente come usarlo.

   «Salve, Capitano» lo accolse Trudy, che stava manovrando i comandi della Lobo-Sedia. «Com’è stato l’incontro con l’Ingegnere Capo?».

   «Proficuo, direi. Mi ha comunicato notizie interessanti... ma ti aggiornerò con gli altri ufficiali, alla prossima riunione» rispose Chase. «Sono qui per controllare come sta la paziente» aggiunse.

   «Risponde ottimamente al trattamento» disse Trudy.

   «Bene» gongolò Chase, avvicinandosi alla Lobo-Sedia ticchettante. Ilia vi era imprigionata sopra, con la testa e gli arti immobilizzati dagli archetti metallici. I suoi occhi, tenuti forzosamente spalancati, fissavano i raggi verdi del proiettore. Il terzo raggio, quello azzurro, le puntava la fronte, ricablando in profondità le connessioni nervose. Ogni tanto le sedia le iniettava qualche sostanza psicoattiva, per facilitare il processo. Alcuni legami sinaptici erano recisi, altri creati di bel nuovo.

   «Alexander, sei tu?» mormorò Ilia, con voce impastata. In quello stadio del procedimento aveva difficoltà a parlare.

   «Sì, dolcezza. Sono proprio accanto a te» rispose Chase, in tono rassicurante, passandole l’indice sul lato del viso.

   «Amore, m-mi dispiace» balbettò Ilia. «È stato Lantora a costringermi a fare tutto. Ha minacciato me e la mia famiglia, ha detto cose terribili. Io ho d-dovuto piegarmi. Ma t-ti amo, Alexander! Lo giuro! N-non vorrei mai darti un d-dispiacere...» disse, le guance solcate di lacrime.

   «Mi piace sentirtelo dire. Fra poco lo penserai veramente. Fra poco sarà tutto vero» sorrise Chase, godendosi la sua espressione sbarrata.

   «P-perdonami, amore m-mio...» sussurrò Ilia tra le lacrime.

   «Ti perdono, tesoro» disse Chase, chinandosi per baciarla in fronte. Ilia sorrise e le sue pupille si contrassero come capocchie di spillo. Aveva smesso di piangere.

   «Spezzala» disse Chase, rivolto a Trudy. «Riducile il cervello in pappa, se necessario. Dev’essere incapace di pensare altri inganni. Voglio che sia la più fedele Donna del Capitano che sia mai esistita».

   «Agli ordini» disse Trudy, portando il condizionamento mentale al massimo. Il ronzio della Lobo-Sedia divenne più intenso e Ilia s’irrigidì. Un filo di saliva le usciva dall’angolo della bocca. «Gliela consegnerò entro stasera» garantì l’IA.

   «Ci conto. Sono giorni stressanti» sospirò Chase. «Fortuna che sei di nuovo in funzione... voi Intelligenze Artificiali siete più affidabili degli Organici e molto più efficienti».

   «Vivo per servire, mio signore» disse Trudy, lusingata dal complimento.

   «Lo facciamo tutti, in un modo o nell’altro... per il bene dell’Impero» disse Chase, e lasciò la sala oscura.

 

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Capitolo 10
*** Per l'onore ***


-Capitolo 9: Per l’onore

 

   «Salve, amici olospettatori. In diretta da Khitomer per il Federal News, è il vostro inviato Vaus Liin che vi parla» disse il giornalista, in piedi davanti alla finestra panoramica della sua astronave. Alle sue spalle appariva il globo spettrale di Khitomer. Tra i nuvoloni scuri filtravano bagliori rossastri, perché la crosta non si era ancora solidificata. Le particelle di roccia in sospensione nell’atmosfera provocavano accumuli elettrostatici e quindi tempeste di fulmini.

   «Come vedete, la situazione qui è ancora drammatica» disse l’inviato, indicando il pianeta che bruciava in lontananza. «Le sonde inviate su Khitomer hanno confermato le prime letture dei sensori: non si sono superstiti. Tutte le forme di vita, così come le strutture artificiali, sono state disgregate a livello molecolare. Persino i rilievi naturali, montagne e colline, sono stati livellati. Gli oceani sono evaporati, rendendo l’atmosfera densa e turbolenta.

   Gli esperti di terraformazione stanno ancora esaminando il pianeta, per capire cosa sia andato storto quando Helen Chase ha attivato Genesis. Secondo le prime indiscrezioni, l’errato montaggio del congegno e l’uso di proto-materia instabile sarebbero all’origine della catastrofe. Ma anche se Genesis avesse funzionato a dovere, la superficie planetaria sarebbe stata spazzata via prima di essere rigenerata».

   Il giornalista fece una breve pausa, dando un’occhiata al pianeta fiammeggiante. Qua e là, in orbita, si notavano alcune astronavi federali, tra cui l’Enterprise e la Majestic. Invece le navi Klingon non erano in vista, essendosi ritirate ai margini del sistema di Khitomer. Stavano ottenendo rinforzi dalle retrovie dell’Impero e molti temevano che si preparassero ad attaccare.

   L’inviato deglutì e riprese a parlare: «Il Consiglio federale è in riunione d’emergenza, in costante contatto con Khitomer. La prima delibera è già resa nota: il Movimento per la Pace Galattica è stato inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Questo provvedimento ha già scatenato accese proteste sui mondi federali, tra coloro che – pur appartenendo al MPG – non si riconoscono nelle dichiarazioni e nel gesto criminale di Helen Chase.

   Il leader del Movimento, Zee-Sub Wum, che ha partecipato alla marcia di protesta dei giorni scorsi, è stato arrestato prima che lasciasse il sistema. La Flotta Stellare mantiene il massimo riserbo, ma sono filtrate alcune indiscrezioni, che il Federal News vi comunica in esclusiva. Al momento dell’arresto, Wum si dichiarato estraneo ai fatti, definendosi “ostaggio dello Stato”. Ha dichiarato inoltre che la distruzione di Khitomer è un complotto della Flotta Stellare, ordito per criminalizzare il Movimento e proseguire la guerra coi Tuteriani.

   Invitiamo gli spettatori a partecipare al nostro sondaggio Olonet: ritenete che Zee-Sub Wum abbia ragione e che la Flotta Stellare stia nascondendo qualcosa? Ci sono molte altre domande in attesa di risposta. Chi sono i Krenim e perché hanno attaccato sia noi che i Klingon? Possiamo considerarli alleati dei Tuteriani, sebbene provengano dalla nostra stessa dimensione? Perché l’Enterprise ha lanciato raffiche di siluri contro la nave del Cancelliere, durante la battaglia? È stato un sabotaggio interno o un deliberato attacco contro i Klingon?

   Il fatto che i siluri abbiano deviato all’ultimo momento non basta a dissipare le ombre che avvolgono la figura del Capitano Alexander Chase. Egli è additato da molti come il principale responsabile della guerra contro i Tuteriani, in seguito alla missione nella Macchia di Rovi. E ora la sua stretta parentela con Helen Chase, responsabile dell’ecatombe di Khitomer, getta una luce ancor più inquietante sulla vicenda. Mentre la sorella distruggeva il pianeta, la nave del fratello bersagliava i Klingon. È solo una sinistra coincidenza o il risultato di un piano concertato? Ci auguriamo che un’inchiesta imparziale possa stabilirlo. Intanto l’unica certezza è che, nel giro di due anni, Alexander ed Helen Chase hanno gettato la Federazione nel caos. Ci chiediamo come sia possibile che questo Capitano sia ancora al comando dell’Enterprise...».

   Chase spense lo schermo olografico, stizzito, e si arrovesciò indietro sulla sedia, stropicciandosi gli occhi. Aveva visto altri notiziari, tutti con questo tono. Probabilmente era l’uomo più odiato della Federazione. Di lì a poco sarebbe stato interrogato dalla Flotta e francamente non sapeva che dire. L’unico modo di uscirne era dimostrare quanto accaduto nello Specchio. La testimonianza di T’Vala e Grenk sarebbe stata fondamentale. Ma lo era ancor più il fatto che ora, nell’hangar 5, c’erano due navette temporali: la Phoenix e il Basilisk. Era una fortuna che il Grenk-Specchio se ne fosse andato con il teletrasporto. Certo, sarebbe stato meglio se fossero riusciti a trattenerlo. Almeno Neelah aveva bloccato la T’Vala-Specchio. La presenza di due T’Vala era un’altra prova decisiva, anche se sfortunatamente l’intrusa non poteva testimoniare.

   La porta dell’ufficio trillò. «Avanti» disse Chase, tornando a sedersi in modo composto. Terry entrò a passo svelto.

   «Capitano, i Klingon si muovono. Il loro vettore porta qui» disse l’IA.

   «Finalmente» disse Chase. «Hanno un’aria ostile?».

   «Hanno gli scudi alzati, ma per adesso non danno energia alle armi» rispose Terry. «Già il fatto che non siano occultati può essere interpretato come un segnale distensivo».

   «Sa il Cielo se ne abbiamo bisogno!» commentò Chase. «Fra quanto saranno qui?».

   «Un’ora, se mantengono la velocità a impulso».

   «Vogliono darci tempo» osservò Chase. «Mi sembra incoraggiante. A meno che non sia il modo onorevole di dichiararci guerra».

   «I miei algoritmi statistici sono incerti al riguardo» disse Terry. «Non ho un profilo psicologico sufficientemente preciso del Cancelliere e dei suoi consiglieri per prevedere la loro decisione».

   «Non si preoccupi, le mosse dell’Alto Consiglio sono sempre difficili da prevedere» disse Chase. «Il loro onore sembra funzionare a giorni alterni, e non so proprio come si comporteranno oggi. Andiamo in Allarme Giallo. Se i Klingon danno energia alle armi, passi al Rosso».

   «Sì, signore» disse Terry. Lo stato di allerta fu comunicato a tutte le postazioni della nave.

   «Allora, vedo che è tornata pienamente operativa» commentò Chase.

   «Sì, Capitano. L’Ingegnere Capo ha eliminato tutte le tracce del virus» confermò Terry.

   «Ne sono lieto» disse Chase, sollevato. «L’Enterprise non sarebbe la stessa, senza di lei».

   «Grazie, Capitano. Ma se dovesse accadermi qualcosa, un’altra Intelligenza Artificiale della mia categoria mi sostituirà con la stessa efficienza» osservò Terry.

   «Potrebbe prendere il suo posto, ma dubito che potrebbe sostituirla» disse Chase. «Lei è parte della... famiglia, ormai. E mi aspetto che fra qualche secolo, quando la Federazione si dibatterà nella Guerra Temporale, lei sia ancora in circolazione, per mettere in riga tutti quegli Agenti Temporali!» si augurò.

   «Lei è molto ottimista» constatò Terry. «Non ci sono IA federali così vecchie, al momento. E non so quanto durerà il mio programma».

   «Ma lei è virtualmente immortale, no?» chiese il Capitano. Finora non aveva mai discusso con Terry di questo argomento, ma era una questione che gli ronzava in testa da tempo e aveva voglia di affrontarla.

   «In teoria sì. In pratica, non so cosa mi accadrà quando l’Enterprise sarà pensionata» rispose Terry con prudenza.

   «Ci sono già stati ologrammi che hanno ottenuto il riconoscimento di “persona”, come l’MOE della Voyager» osservò Chase. «Se la Federazione sarà ancora in piedi, non credo che le negherà la libertà. Ci si vede, come privata cittadina, senza questa astronave?» chiese.

   «È una domanda che non mi sono mai posta» ammise Terry. «Non so come mi sentirei senza l’Enterprise, obbligata a mantenere una sola proiezione per volta. L’astronave è il mio corpo, assai più della proiezione che vede ora. Senza il suo scafo, i suoi sistemi, la sua potenza, credo che mi sentirei... nuda, indifesa. E con una sola proiezione per volta, mi sentirei terribilmente limitata».

   «È la condizione di tutti noi Organici» le fece notare Chase.

   «Infatti, ed è terribile! Siete così inermi... senza offesa, Capitano» disse Terry, temendo di averlo insultato.

   «Nessuna offesa, ha ragione» riconobbe Chase. «Noi Organici siamo spaventosamente indifesi, anche se cerchiamo di proteggerci con la tecnologia. Un giorno, forse, lei si aggirerà per le nostre strade come una cittadina fra gli altri, invece di solcare lo spazio con l’Enterprise. Sarà un bel cambiamento, ma ho grande fiducia in lei» l’incoraggiò. «Ma stiamo parlando di un futuro lontano. Abbiamo problemi più pressanti al momento. Torniamo in plancia, voglio tenere d’occhio i Klingon» aggiunse, alzandosi.

 

   Un’ora dopo gli ufficiali di plancia attendevano nervosamente l’arrivo dei Klingon. L’Enterprise, la Majestic e le altre navi della Flotta avevano assunto una formazione difensiva, ma molte erano così danneggiate che non sarebbero state di grande utilità. Alcune erano state persino evacuate, giudicandole troppo compromesse. L’Enterprise poteva solo cercare di proteggere le altre. Ma con i Klingon che avevano ricevuto rinforzi, le navi federali erano in netta minoranza. Il Capitano Chase era così sulle spine che sobbalzò quando il turboascensore si aprì alle sue spalle.

   «Tenente Shil pronta a riprendere servizio, signore» disse T’Vala, entrando in plancia.

   «T’Vala! Poteva prendersi più tempo» le ricordò Chase.

   «Ma Grenk è già tornato al lavoro» notò T’Vala.

   «Grenk non è stato imprigionato su quella Sedia degli orrori» le ricordò Chase, che aveva letto i loro rapporti. «Comunque è la benvenuta».

   «Grazie, Capitano». T’Vala venne avanti, guardandosi attorno soddisfatta. I colori chiari, il simbolo della Flotta Stellare, i volti amichevoli... era di nuovo nel suo mondo. La cupa plancia dell’ISS Enterprise era solo uno spaventoso ricordo.

   «Bentornata, Tenente» la salutò Ilia Dax, quando le passò accanto.

   T’Vala passò lo sguardo da lei a Chase, e poi a Lantora. Cercò di controllarsi, ma non poté reprimere un leggerissimo sorriso, che le increspò gli angoli della bocca. Ripensò a tutte le relazioni, a volte clandestine, che legavano i loro omologhi dello Specchio, senza impedir loro di azzannarsi a vicenda.

   «È tutto a posto?» le chiese Ilia, notando la sua espressione.

   «Certo, Comandante» assicurò T’Vala. Le fossette ai lati della bocca l’avevano tradita! Appellandosi a tutto il suo autocontrollo, la mezza Vulcaniana tornò seria e si sedette al timone, sostituendo un collega.

   «Arrivano i Klingon» avvertì Terry. La flotta giunse a massimo impulso, fermandosi a un centinaio di km dall’Enterprise.

   «Hanno sempre gli scudi alzati» rilevò Terry. «Però non danno energia alle armi».

   «Allora facciamo lo stesso» disse Chase. «Niente Allarme Rosso... ma state pronti» aggiunse, dando un’occhiata d’intesa a Lantora.

   «I Klingon trasmettono a lungo raggio» disse Grog. «È un messaggio audio-video a chiunque sia in ascolto».

   «Sullo schermo» ordinò Chase. Il cuore gli rullava come un tamburo. La Federazione era già in guerra con i Tuteriani e i Krenim. Se anche i Klingon fossero passati alle ostilità, sarebbe stata la fine.

   Il Cancelliere apparve, più imponente che mai. Il simbolo dell’Impero Klingon spiccava alle sue spalle, rosso sangue sulle pareti verdi. La sua poltrona di comando somigliava a un trono, dal quale poteva ordinare una guerra senza quartiere contro la Federazione, se voleva.

   «Salve, popoli della Galassia» esordì il Cancelliere. «Oggi mi rivolgo a tutti voi: ai Klingon, ai Federali, alle altre specie. Tutti voi siete coinvolti in questo conflitto» disse gravemente. «Pochi giorni fa abbiamo assistito a una delle peggiori tragedie della nostra Storia. Khitomer, luogo d’accordi e di convivenza fra l’Impero e la Federazione, è stato distrutto da un vile attacco terroristico. La responsabile, Helen Chase, si è immolata col suo congegno. Ma non tollereremo che i suoi complici restino impuniti. Molti, nel nostro Impero, chiedono a gran voce che sia fatta giustizia per questo orrore. Una cittadina federale, un’Umana, ha fatto strage di Klingon. Quest’aggressione meriterebbe la più dura delle risposte, una guerra totale fra noi e la Federazione!» minacciò.

   Chase lo fissò impietrito. Era davvero la fine? Helen era riuscita a condannare a morte la Federazione, in nome... della pace?

   «Ma a tutti quelli che vogliono giustizia, io chiedo: giustizia per chi, e contro chi?» riprese Kuntagh. «L’attentato ha ucciso indiscriminatamente federali e Klingon. Sì, miei concittadini. Anche i federali stanno piangendo i loro cari. Dovremmo accanirci contro chi ha subito il nostro stesso martirio? Contro chi vuole giustizia? Non è più saggio individuare il vero nemico, anziché lasciare che rida di noi, mentre combattiamo quello falso?».

   Chase si piegò in avanti sulla sedia, con il cuore in gola. Forse Kuntagh aveva capito. Forse era più illuminato di Helen e dei suoi sostenitori.

   «La responsabilità dell’attentato grava sul cosiddetto Movimento per la Pace Galattica, un’ipocrita sigla dietro cui si nascondono criminali e terroristi. Per loro invochiamo il massimo della pena! Ma attenzione: tale Movimento è figlio del nostro più grande nemico!» avvertì Kuntagh, stringendo il pugno.

   «Quale sia questo nemico, è sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi due anni, centinaia di Sfere hanno diviso il nostro spazio e colpito i pianeti con anomalie letali. I commerci e ogni spostamento ne sono stati duramente colpiti. Oggi nessuno osa più recarsi nei sistemi vicini, per timore delle anomalie o dei loro artefici, che ci attaccano con navi da guerra. I Tuteriani non appartengono al nostro Universo, ma pretendono di conquistarlo. Peggio ancora, alterano lo spazio, distruggendo i nostri pianeti! Quanti mondi abbiamo sfollato in questi anni? Quanti miliardi di profughi abbiamo dovuto redistribuire, con tutti i problemi che ciò comporta? E andrà sempre peggio, se non ci opponiamo. I Tuteriani pretendono un terzo del nostro spazio per fermare gli attacchi. Un terzo, dicono, e ci lasceranno vivere! Ma credete che si accontenteranno? Credete ci si possa accordare con chi vive della nostra morte? No, i Tuteriani distruggeranno la Galassia se non impieghiamo tutte le nostre forze per contrastarli.

   L’Impero Klingon è pronto a lottare fino all’ultima goccia di sangue per difendersi. Non abbiamo ereditato quest’Impero dai nostri avi solo per consegnarlo a invasori di un’altra dimensione, o ai loro alleati Krenim, che ci hanno colpiti a tradimento. Dunque noi Klingon lotteremo, per la nostra salvezza, ma anche per quella altrui. E la Federazione che farà? Sarà al nostro fianco per la salvezza comune? O approfitterà di noi, ritirandosi dal fronte mentre i nostri guerrieri si sacrificano?».

   Chase scambiò un’occhiata con Ilia. Quello era il loro timore: che la Federazione usasse i Klingon come mercenari, soldati sacrificabili da sostituire ai propri. Kuntagh aveva visto giusto e non potevano certo biasimarlo, se dubitava della Flotta Stellare.

   «Un tempo la Federazione avrebbe combattuto» riprese Kuntagh in tono nostalgico. «Quand’eravamo nemici, abbiamo combattuto battaglie degne d’essere ricordate nei canti. Molti Capitani federali sono stati avversari onorevoli. Ma oggi la Federazione ha perso la voglia di lottare, persino se ne va della sua sopravvivenza. Alcuni federali, nella loro follia, hanno distrutto Khitomer, per impedire il nuovo accordo. Gliela daremo vinta? NO! Possono aver devastato un pianeta, ma non ci piegheranno!» gridò Kuntagh, alzandosi in piedi.

   «Se la Federazione ha dimenticato l’onore, noi glielo ricorderemo. Ecco qual è il ruolo dei Klingon nella Galassia: rammentare a tutti cos’è l’onore e quali sono le battaglie che vale la pena combattere. Di fronte a un nemico che ha dichiarato guerra allo spazio e al tempo, il cuore Klingon dice di lottare. E lo faremo, al fianco della Federazione. Rinnoveremo la lealtà che ci unì nella Guerra del Dominio, quando versammo il nostro sangue assieme, e insieme trionfammo. Oggi nasce una nuova unione! E i nostri nemici, che osano definirsi Fronte di Liberazione Temporale, conosceranno la paura! Qapla’!» gridò Kuntagh, con quanto fiato aveva in gola. Era l’antico saluto Klingon, traducibile in “vittoria” o anche in “muori con onore”.

   Chase si alzò e batté le mani, imitato dall’equipaggio di plancia. Scene simili si ripeterono sulle altre astronavi, sia federali che Klingon. E su tutti i pianeti che avevano captato la trasmissione, la speranza rinacque. Mani furono battute, chele e pinze ticchettarono, tentacoli si agitarono. Grida in migliaia di lingue salirono al cielo. Sentimenti di speranza corsero silenziosamente tra le menti telepatiche. Grandi folle si riversarono nelle strade, nelle piazze, in cima ai grattacieli. E i membri del MPG si guardarono l’un l’altro confusi, chiedendosi che nuovo complotto fosse questo. Ma per il momento preferirono tenere un basso profilo.

   «Ci chiamano, Capitano» disse Grog. «E chiamano anche la Majestic».

   «Apra un doppio canale» disse Chase, risedendosi. Lo schermo si divise in due. Da un lato c’era l’Ammiraglio Nelscott, dall’altro il Cancelliere Kuntagh.

   «Ebbene, siete pronti a battervi al nostro fianco?» esordì Kuntagh.

   «L’Enterprise sarà con voi fino all’ultimo» disse Chase.

   «Le credo, Capitano» rispose Kuntagh. I proclami lo lasciavano indifferente, ma di una promessa personale poteva fidarsi, se fatta da un individuo onorevole. «So che siete stati i primi ad affrontare i Tuteriani e che da allora vi siete battuti in prima linea. Poiché ci avete anche affiancati contro i Krenim, trovo giusto che l’unione sia firmata a bordo dell’Enterprise» propose Kuntagh.

   «Ne sarò onorato, Cancelliere. Lei e il suo seguito siete benvenuti a bordo» rispose Chase.

   «E io verrò con gli ambasciatori federali» aggiunse Nelscott.

   «Voi pensate alle scartoffie; noi porteremo il Vino di Sangue!» ridacchiò Kuntagh.

   «E, Cancelliere...» aggiunse Chase.

   «Sì?».

   «Grazie».

 

   «Punto di discontinuità!» gemette la Vate, angosciata.

   «Di che si tratta stavolta?» chiese la Primaria, intuendo che era qualcosa di molto grave.

   «L’operazione a Khitomer ha avuto esito opposto a quanto speravamo. Sterilizzare il pianeta e attaccare le flotte non è bastato a estraniare i Klingon dalla Federazione» rivelò la Vate. «Il Cancelliere ha appena dichiarato che firmerà il trattato».

   «Com’è possibile?!» insorse la Primaria. Di rado la Messaggera e la Vate l’avevano vista così infuriata. La Tuteriana in azzurro si materializzò a fianco della Vate e l’afferrò per la gola. «Mi avevi garantito che distruggere Khitomer era la chiave del successo! Abbiamo persino silurato i Klingon dall’Enterprise! Com’è possibile che quegli animali non vogliano la testa di Chase e di tutto il Consiglio federale?».

   «I-io avevo detto che l’Operazione Khitomer a-aveva il 97% di probabilità di s-successo!» rantolò la Vate. «C’era p-pur sempre l’altro 3%!». Si portò le mani alla gola, ma la Primaria era geneticamente progettata per avere una forza superiore alla sua, quindi non riuscì a liberarsi.

   «Me l’avevi consigliata!» insisté la Primaria, sollevandola a mezz’aria.

   «C-certo! Con quella probabilità di successo e-era la cosa p-più logica...» gracchiò la Vate.

   «O forse non hai fattorizzato adeguatamente l’onore Klingon, e questo ti ha portata fuori strada!» insinuò la superiore.

   «Siate clemente, Primaria» intervenne la Messaggera. «Lei ha fatto solo il suo dovere, non potete biasimarla per questo».

   «Infatti dovrei biasimare te!» disse la Primaria. Lasciò andare la Vate, solo per svanire e riapparire davanti alla Messaggera. «Dovevi usare le spie dello Specchio per distruggere la nave del Cancelliere. Invece i siluri hanno colpito i Krenim! Come lo spieghi?».

   «Ho costretto gli infiltrati ad agire, ma loro si sono rivelati deludenti» rispose la Messaggera, senza mostrare alcun timore. «Si sono fatti scoprire e i federali hanno ripreso il controllo dei siluri».

   «Dovevi vigilare su di loro».

   «L’ho fatto, ma sapete che talvolta i nostri servitori non sono all’altezza delle aspettative» rispose la Messaggera, impassibile.

   «Smettila di ribattere, nullità! O mi troverò un’altra Messaggera!» minacciò la Primaria. Di fronte alla sua furia, la Messaggera chinò il capo e indietreggiò di due passi. «Quest’unione nascente è una seria minaccia ai nostri piani» riprese la Primaria, leggermente più calma. «Come si comportano le linee temporali?» chiese alla Vate.

   «C’è stato un cambiamento radicale» rispose la Tuteriana in giallo. «Centinaia di futuri sono svaniti e altrettanti sono apparsi. Ci vorrà tempo per analizzarli tutti. Alcuni sono molto diversi da quelli che avevo previsto. Peggio ancora: le linee temporali continuano a oscillare, ogni volta che viene stabilita una clausola del trattato Klingon-federale. È un disordine di prima magnitudine».

   «E tu lo analizzerai, finché non saprai darmi stime precise, ti ci volessero mesi!» disse la Primaria. «Ma intanto la guerra non aspetta. Non possiamo assestarci sulle attuali posizioni. Questo permetterebbe alla Federazione e ai Klingon di distruggere tutte le Sfere. Dobbiamo aumentare lo sforzo bellico: dispieghiamo altre Sfere, acceleriamo la trasformazione dello spazio. Devastiamo centinaia di mondi con le anomalie, così i nemici dovranno usare tutte le loro energie per evacuarli, anziché per combatterci» sentenziò.

   «Possiamo contare sui Krenim» si azzardò a dire la Messaggera. «Finora si sono comportati bene».

   «Non proprio. Hortis avrebbe dovuto proseguire l’attacco a Khitomer» puntualizzò la Primaria.

   «Lo ammonirò a non ripetere l’errore» promise la Messaggera. «In ogni caso, il suo aiuto ci è essenziale».

   «Assicurati che continui a servirci» raccomandò la Primaria. «Torna da lui, promettigli ciò che vuole in cambio del suo sostegno. Quando i Quadranti Alfa e Beta saranno sotto controllo, potremo costruire nuove Sfere con i materiali locali. A quel punto invaderemo gli altri due Quadranti. E la Via Lattea sarà nostra per sempre».

 

   L’IKS Martok lasciò l’orbita di Khitomer, scortata dalle navi più piccole. Il Cancelliere Kuntagh tornava su Kronos, per fronteggiare l’opposizione di quanti avevano perso dei parenti a Khitomer e reclamavano vendetta. Non sarebbe stato facile fargli capire chi era il vero nemico. Ma ormai il passo fondamentale era fatto: con la firma del trattato, nasceva un’unione in grado di opporsi al Fronte Temporale. Trattative, firme e ricevimenti: tutto era stato fatto sull’Enterprise, ormai riparata dai danni. Erano stati giorni d’intensa attività diplomatica, intervallata dai rituali Klingon. La presenza di centinaia di Klingon a bordo, molti dei quali erano ufficiali e diplomatici di alto rango, era stata una sfida per la sicurezza, ma Lantora aveva saputo gestirla. Ora che se n’erano andati, le cose tornavano lentamente alla normalità.

   Due giorni dopo la partenza dei Klingon, anche l’Ammiraglio Nelscott partì con il grosso delle forze federali, per soccorrere il pianeta Aldea, minacciato dai Krenim. L’Enterprise rimase ancora qualche ora, con l’equipaggio impaziente di conoscere la prossima missione.

   Finalmente Chase convocò gli ufficiali superiori in sala tattica. Come spesso accadeva, anche Neelah fu invitata, in qualità di consulente del dottor Korris. Quando furono seduti intorno al tavolo ad anello, Chase mostrò l’ologramma di un sistema stellare. «Vi piacerà sapere che ho concordato la prossima operazione con l’Ammiraglio Nelscott» disse il Capitano. «L’ho persuaso a farci andare su Neural, visto che ha già forze sufficienti per liberare Aldea».

   «Neural non fa parte della Federazione, né dell’Impero Klingon» notò Terry.

   «No, infatti» convenne Chase. «È abitato da una popolazione umanoide, di livello tecnologico pre-curvatura. Una Sfera sta creando anomalie nelle sue vicinanze» spiegò, indicandola nell’ologramma. «All’attuale tasso di crescita, le distorsioni ingloberanno il pianeta nel giro di quindici giorni. Sarebbe la fine per i suoi cento milioni di abitanti, che vivono nell’Età del Bronzo e non possono difendersi in alcun modo».

   «Non possiamo trasferire così tante persone, senza violare la Prima Direttiva» osservò Ilia. «Spero che la missione sia distruggere la Sfera».

   «Lo è» la rassicurò Chase. «Sembra che sia difesa da alcune Dreadnought, quindi dovremo combattere».

   «Armi e scudi sono nuovamente al massimo, Capitano» garantì Lantora.

   «Bene. Che dice il reparto medico?» chiese il Capitano, rivolto a Korris e Neelah.

   «Tutti i pazienti sono stati dimessi» rispose Korris. «Cioè, tutti tranne la T’Vala dello Specchio. Per lei ci sono poche speranze».

   T’Vala chinò il capo, rattristata. Per quanto la sua sosia fosse un’opportunista e una sabotatrice, avrebbe voluto che si risvegliasse. Così avrebbe potuto parlarle, capire se si assomigliavano in qualcosa, o se davvero non avevano nulla in comune.

   «Sono certo che ha fatto tutto il possibile» disse Chase comprensivo.

   «In compenso gli esperimenti con le nanosonde procedono bene» intervenne Neelah. «Possiamo resistere cinque minuti in più all’esposizione diretta alle anomalie. Speravo di guadagnare ancora più margine, ma...».

   «Va benissimo, ogni istante guadagnato può fare la differenza» disse Chase. «Grenk, come va in sala macchine?».

   «Anche noi siamo del tutto operativi» assicurò il Tellarita. «Ho anche ultimato gli aggiornamenti al programma di Terry». Il labbro gli tremò, come se avesse ancora qualcosa da dire. «Capitano, per quanto riguarda la Phoenix ci sono novità?». Ormai poteva parlarne apertamente, perché tutti i presenti ne erano informati.

   «Ne ho discusso con l’Ammiraglio Nelscott. E anche col nostro amico Sheev» rispose Chase.

   «Un agente della Sezione 31 è stato a bordo?» chiese Lantora, preso in contropiede.

   «No, gli abbiamo parlato via subspazio» lo tranquillizzò Chase. «Era piuttosto... contrariato dal fatto che molti sappiano della Phoenix. Gli ho detto che è meglio così. Se un giorno la Flotta Stellare avrà navi e agenti temporali, vuol dire che la Sezione 31 non conserverà il monopolio della ricerca. Ma lui ha insistito affinché gli consegnassimo la Phoenix, com’era nei piani originali» proseguì, lanciando un’occhiata a Grenk e Terry, che per due anni gli avevano taciuto la cosa.

   «Gli ha detto che, al momento, è più utile a noi?» chiese Grenk con un filo di voce.

   «Sì, e alla fine siamo giunti a un accordo» disse Chase. «È sempre così, con la Sezione 31: bisogna mercanteggiare. Gli consegneremo il Basilisk, perché lo studino con calma su Plutone. Noi, però, ci terremo la Phoenix».

   «Congratulazioni, Capitano» disse Ilia. «Una navetta temporale ci sarà utilissima contro i Krenim».

   «Ringrazi chi l’ha riportata dallo Specchio» disse Chase, accennando a Grenk e T’Vala.

   «Continuerò a migliorarla» promise l’Ingegnere.

   «Bene, e lei potrebbe darci lezioni di volo» disse Chase a T’Vala. «È l’unica che l’abbia pilotata finora e non sappiamo chi sarà il prossimo. Quando si gioca col tempo, a volte ce n’è davvero poco per correre ai ripari».

   «Istruirò tutti i presenti» assicurò T’Vala. «In realtà c’è poco da dire... i comandi non sono molto diversi da quelli di una comune navetta».

   «Per ora è tutto» concluse Chase, spegnendo l’ologramma. «Ognuno ai propri posti, partiamo per Neural» disse alzandosi.

   «Capitano, vorrei scambiare ancora qualche parola, se non le dispiace» disse Neelah.

   «Certo» annuì Chase, notando che sembrava nervosa. «Allora?» chiese, quando furono soli.

   «Ecco, volevo ringraziarla per aver convinto l’Ammiraglio a proteggere i pianeti pre-curvatura» disse l’Aenar. «Vorrei che i suoi detrattori lo sapessero, quanto s’impegna per quei popoli».

   «È merito suo, in realtà» disse Chase a sorpresa. «Ricorda la nostra chiacchierata in palestra? Mi ha fatto riflettere su quanto poco facciamo per i popoli pre-curvatura. La nuova unione proteggerà i pianeti federali e Klingon, ma che accadrà agli altri? Spero che Neural non sarà l’unico che difenderemo. Se l’Enterprise se ne occupa, forse altre navi federali – e persino Klingon – riceveranno missioni analoghe».

   «Speriamo» si augurò Neelah. Stavano passeggiando davanti ai modellini delle precedenti Enterprise, così numerosi da occupare gran parte di una parete. «Oh, c’è un’altra cosa!» disse l’Aenar, un po’ emozionata. Trasse dalla tasca un orologio terrestre vecchio stile. Era un cipollone con tanto di catenella, un modello risalente a molti secoli addietro. «Questo è per lei!» disse, consegnandolo con trepidazione al Capitano.

   «Per me? In regalo?» si stupì Chase, prendendolo. «La ringrazio, ma a cosa lo devo?».

   «Perché oggi è il primo aprile» disse Neelah.

   «Cioè sarebbe uno scherzo?».

   «Non finga di non capire. Ho consultato il database. Oggi è il suo compleanno!» esclamò l’Aenar, trionfante.

   «Ssshhh!» fece Chase, lanciando un’occhiata verso la porta. «Se tutti sapessero che sono nato il primo d’aprile, sa quante risate? Ma grazie per il pensiero, è molto gentile». Aprì il coperchietto metallico, per osservare il quadrante numerato. «Perché proprio un orologio?» s’incuriosì.

   «Stiamo lottando contro i Krenim, un nemico che conosce bene il tempo» disse Neelah. «Ho pensato che darle un orologio vecchio stile fosse divertente, se mi passa il termine. È del XIX secolo, movimento meccanico. La tecnologia terrestre dell’epoca aveva un interessante gusto artistico. Spero di averlo replicato adeguatamente» disse, con un pizzico di apprensione.

   «È perfetto» assicurò Chase. «Adesso dovrò scoprire quand’è il suo compleanno, per contraccambiare».

   «Mancano ancora dei mesi» disse Neelah. «Nel frattempo spero di rivederla negli allenamenti. Così le mostrerò come mettere al tappeto il suo sosia dello Specchio, se mai dovesse incontrarlo!» ridacchiò.

   «Volentieri» disse Chase, sorpreso di vederla così allegra e affabile. «Le posso chiedere se è tutto a posto? Sembra diversa dal solito» si azzardò a dire. «In senso buono, intendo» aggiunse un po’ maldestramente.

   «Forse lo sono» ammise Neelah, ripensando alla Fusione Mentale con T’Vala, che le aveva consegnato i ricordi della sua alter-ego. «Stavo pensando che, con la guerra che s’inasprisce sempre più, forse non abbiamo tutto il tempo che pensiamo. Se vogliamo fare qualcosa, forse dovremmo... farlo e basta» disse, assumendo una tonalità azzurrina.

   «Se ho imparato qualcosa sul tempo, è che non importa quanti futuri riesci a prevedere: alla fine te ne capiterà uno sorprendente» disse Chase, prendendole le mani. «Sono fortunato che in questa linea temporale tu sia sull’Enterprise». Le diede un rapido bacio. Quando si furono separati, rimasero a guardarsi negli occhi per qualche secondo. Non servivano parole per capire.

   «Devo andare» si riscosse Neelah. «Ci vediamo, Alexander». Uscì in fretta dalla sala tattica, ancora un po’ azzurra in volto.

   «Sì, se il tempo sarà clemente» mormorò Chase, rimasto solo. Rigirò l’orologio fra le mani, ammirandone le rifiniture. «Tempus fugit…» sussurrò. Poi se lo mise in tasca e tornò in plancia, dove lo attendevano i suoi ufficiali. Quello era il suo mondo. E per quante sfide lo attendessero, non avrebbe voluto affrontarle con altri.

 

 

FINE

 

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