» Periegesi di Hoenn ;

di KomadoriZ71
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Albanova ***
Capitolo 2: *** 2. Solarosa ***
Capitolo 3: *** 3. Petalipoli ***
Capitolo 4: *** 4. Ferrugipoli ***
Capitolo 5: *** 5. Bluruvia ***
Capitolo 6: *** 6. Porto Selcepoli ***
Capitolo 7: *** 7. Ciclamipoli ***
Capitolo 8: *** 8. Mentania ***
Capitolo 9: *** 9. Brunifoglia ***
Capitolo 10: *** 10. Cuordilava ***
Capitolo 11: *** 11. Forestopoli ***



Capitolo 1
*** 1. Albanova ***


Albanova

Città di una bellezza ineguagliabile

 

 

 

 

Albanova era il posto ideale per chi voleva ricominciare a vivere, era una cittadina modesta abitata da un numero ristretto di persone. La foresta che circondava il modesto villaggio regalava diversi punti d'ombra per permettere ai pochi cittadini di rinfrescarsi. Anche Norman, il Capopalestra di Petalipoli, quel giorno aveva deciso di lasciare le lotte Pokémon per andare a trovare l'adorabile mogliettina. Aveva bisogno di staccare la spina per qualche ora, in più gli dispiaceva lasciare da sola la dolce metà.
Da quando il loro unico figlio era partito all'avventura insieme ai Pokémon, l'aria che si respirava in casa non era più la stessa ed era suo il compito di rallegrare la sua donna, la stessa che diversi anni prima aveva deciso di allontanarsi dalle sue radici per seguirlo in una regione sconosciuta, dove entrambi avevano la possibilità di gettarsi in una vita del tutto diversa e che non gli apparteneva.
«Mi piace stare qui».
I due coniugi erano accomodati sotto l'ombra degli alberi che delineavano il giardinetto di casa, avevano allestito un piccolo tavolo da esterno per posare le bibite ghiacciate, ogni tanto il vento danzava tra la vegetazione per regalare delle soavi carezze di pura freschezza, come se lo facesse apposta. Da quella posizione si godeva un'ottima vista della città di Albanova, il silenzio la tramutava in una minuscola oasi di pace, solo in poche occasioni si potevano sentire le risate dei bambini in sottofondo o i versi dei Pokémon che vivevano nei dintorni.
«Già, adoro questo posto».
Norman esclamò quelle parole con il sorriso sul volto e recuperò il bicchiere, accompagnandolo alle labbra per sollazzarsi con un po' del liquido fresco. «Non ti ricordi? L'abbiamo scelta insieme, nostro figlio aveva bisogno di un posto in cui giocare senza correre pericoli»
«Hai ragione Norman, peccato che sia dovuto partire così presto».
«Era inevitabile, doveva succedere».
«Quando l'abbiamo portato qui, Brendon sembrava un cucciolo piccolo e indifeso. Viaggiare con i Pokémon l'ha reso forte e molto più maturo, sono contenta dei traguardi che è riuscito a raggiungere grazie alla sua squadra. Sono fiera di lui, non ci sono dubbi».
Norman scrollò le spalle e riuscì a esprimersi grazie a un unico sorriso, non voleva ammetterlo ma era fiero dei pensieri che uscivano dalla bocca di sua moglie, era sempre stata una donna sincera e senza peli sulla lingua. Per questo l'amava e non aveva alcuna intenzione di smettere, aveva sposato una donna forte di carattere e che era sempre pronta a incoraggiare gli uomini di casa sua.
«Sapevo che Brendon aveva la stoffa per diventare il Campione di Hoenn, ne ero certo fin dagli inizi, da quando è venuto a trovarmi per la prima volta dentro alla Palestra. Ho visto una luce dentro ai suoi occhi da ragazzino, la stessa fiamma che l'ha aiutato a far tornare la pace nella nostra regione».
«Già, il nostro piccolo è diventato un eroe...Dovresti essere fiero di lui».
«Lo sono, ma non smetterò mai di essere fiero della donna che ho sposato».
Quel pomeriggio Norman e sua moglie si scambiarono un lungo bacio, ricco d'amore e di passione, il tutto davanti al paesaggio selvatico di Albanova, la città di una bellezza ineguagliabile.

 

 




 

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Capitolo 2
*** 2. Solarosa ***


Solarosa
Dove tutto comincia in piccolo

 

 

Solarosa non godeva di una popolazione numerosa, le poche case che la componevano erano circondate da un fitto paesaggio selvatico. Le uniche strutture di interesse erano il Centro Pokémon e il Pokémon Market, due edifici che permettevano agli allenatori in erba di equipaggiarsi prima di cominciare il loro viaggio insieme ai Pokémon. In pochi si fermavano a Solarosa, considerata dai molti come una via di passaggio piuttosto che un luogo in cui insediare le proprie radici.
Vera aveva fatto ritorno a Solarosa per un motivo ben preciso, cercava suo padre per mostrargli i progressi che aveva fatto con il Pokédex, non solo era diventata un asso delle Gare Pokémon, ma non aveva mai dimenticato il compito che l'aveva spronata a partire e a lasciarsi Albanova alle spalle. Suo padre, il Professore Birch, era un uomo in gamba e con una passione innata per il suo lavoro, aveva l'abitudine di studiare i Pokémon allo stato brado e ogni volta Vera doveva correre per chilometri prima di riuscire a individuarlo. Mentre passeggiava intorno all'aiuola posta in mezzo a Solarosa, le veniva in mente i ricordi inerenti al suo passato. Di quando era un'allenatrice alle prime armi che doveva cominciare il suo viaggio intorno alla regione di Hoenn.
Con la mente era tornata al lontano giorno che le aveva cambiato la vita per sempre.
Non se ne parlava di addentrarsi nel Percorso 102, uno scienziato si era piazzato nel mezzo e non permetteva a nessuno di oltrepassare gli immensi cespugli, aveva trovato delle impronte diverse dal solito, a detta sua appartenevano a una specie di Pokémon sconosciuta e lui si sentiva in dovere di analizzarle per portare alla luce una nuova scoperta scientifica. In pochi erano dello stesso parere, anche Vera che aveva assistito alla scena non era convinta della sentenza sputata da quell'uomo grassoccio e dai capelli unti appiccicati alla fronte. Grazie al cielo non doveva usufruire del passaggio, un duro allenamento l'aspettava nei pressi del Percorso 103, lo stesso che collegava la minuscola cittadina a uno spiazzo pieno di erba alta e ruscelli.
Vera era contenta di aiutare il padre, ma era diventata la padrona di quel minuscolo esserino e non poteva ignorare i suoi doveri da allenatrice. Il suo primo Pokémon si chiamava Torchic, era un dolcissimo pulcino di tipo Fuoco dal piumaggio arancione e giallo, non era molto forte dato il primo stadio evolutivo e aveva bisogno di mettersi a confronto con altri Pokémon per migliorarsi e prepararsi all'evoluzione. Eppure quel piccoletto sapeva il fatto suo, ce la metteva tutta per avere la meglio durante le lotte e rendere felice la sua giovane padroncina.
Solo con Brendon non era riuscito a vincere, lui e il suo Mudkip erano invincibili. Non solo Brendon era in netto vantaggio perché possedeva un Pokémon di tipo Acqua, ma dagli attacchi che sceglieva si capiva perfettamente che possedeva delle abilità come allenatore, aveva una tecnica ben precisa ed era complicato contrastarla. Si vedeva lontano un chilometro che era il figlio di un Capopalestra, era capace di seguire le orme di suo padre e all'epoca sia lei che Brendon ignoravano il destino che li aspettava oltre alla minuscola piazza di Solarosa. Quell'incontro si era dimostrato utile per rafforzare il loro legame d'amicizia, dopo la lotta si erano stretti la mano e avevano cominciato a correre in direzione del Laboratorio di Pokémon. Ridevano spensierati e con la mente erano già direzionati verso il loro viaggio, con il cuore che esplodeva dalla voglia di mettersi in gioco.
Eppure c'era qualcuno che quel giorno non aveva l'animo giusto per mettersi a sorridere, quando Brendon e Vera avevano messo piede a Solarosa avevano visto lo scienziato, seduto vicino all'aiuola e con un'espressione sconsolata sul volto. La camicia bianca era uscita dai pantaloni, i capelli erano in disordine e portava gli occhiali appannati.
Appena si erano avvicinati per chiedere cosa gli fosse successo, lui aveva risposto così:
« Ho appena finito di analizzare quelle che credevo fossero le impronte di un Pokémon raro. Ma è saltato fuori che erano le mie stesse impronte...».
I due si erano messi a ridacchiare sotto ai baffi e si erano messi a correre verso il Centro Pokémon, avevano la mente troppo occupata per prestare attenzione al povero individuo, ma almeno in quel modo avevano la possibilità di imboccare il sentiero che li avrebbe condotti a Petalipoli. La strada era breve, Petalipoli non era così lontana.
Solo allora Vera tornò alla realtà e scrollò le spalle, guardò dei bambini che saltavano allegri insieme ai loro Pokémon e non riuscì a non sorridere. Quei piccoli correvano come dei fulmini mentre si lasciavano alle loro spalle il cartello su cui era scritto il motto della città.

Solarosa ; Dove tutto comincia in piccolo


 

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Capitolo 3
*** 3. Petalipoli ***


Petalipoli
Dove l'uomo si fonde con la natura
 


 
 
Lino era conosciuto per essere un ragazzo riservato e fragile, queste caratteristiche non lo aiutavano a stringere amicizie con i coetanei che vivevano nei dintorni. Abitava insieme ai genitori a Petalipoli, non stava lontano dalla Palestra Pokémon e questo gli dava il pretesto giusto per mettere il naso fuori dalla sua camera. C'erano momenti in cui trascorreva le sue giornate appollaiato davanti al portone di casa, non faceva niente di interessante e il suo unico divertimento stava nell'osservare gli allenatori che entravano dentro alla Palestra per fronteggiarsi con Norman. Lino guardava quelle giovani speranze con occhi pieni di ammirazione, sognava di mettersi in viaggio con i Pokémon per diventare forte e sicuro come loro. Ma si trattava solo di un'innocente fantasia, Lino sapeva che non aveva le carte in regola per raggiungere traguardi così alti.
La fantasia era la sua unica a mica a Petalipoli, non poteva assistere agli incontri e questo gli dava la possibilità di immaginarsi la lotta, non si dimenticava mai di aggiungere i dettagli o i vari colpi di scena che solo un allenatore esperto sapeva regalare. Secondo la sua mente da bambino chiunque usciva vittorioso, ma non era sempre così, da quando Norman era diventato il Capopalestra la Medaglia Armonia era diventata un sogno ad occhi aperti per chiunque, solo in pochi riuscivano a conquistarla e questo accadeva dopo un estenuante periodo di duro allenamento. 
Ma le novità erano dietro l'angolo, il destino aveva un piano anche per quel ragazzino solitario e dall'aspetto cagionevole.
«Lino?»
«Sì, mamma?»
«Io e tuo padre abbiamo preso in considerazione l'idea di farti passare un periodo a casa dei tuoi zii, a Mentania. So che sarà difficile restare lontano dalla tua città, ma l'aria che si respira lassù sarà diversa e ti aiuterà a metterti in forze. Prepara le valige, tuo zio sta per arrivare».
Lino non aspettava altro e, se il cambiamento era in arrivo, lui doveva farsi trovare pronto e affrontare la nuova situazione come un piccolo adulto. Quel pomeriggio era scappato senza dire niente ai genitori, si era infiltrato nella Palestra con l'intento di raggiungere Norman. Lo considerava come l'uomo più abile dell'intera città, era l'unico che poteva capire la sua condizione e fare qualcosa per aiutarlo.
Cominciò a tremare nello stesso istante in cui varcò la soglia della Palestra, Norman lo metteva in soggezione, ma allora era diverso da come l'aveva visto in televisione. Aveva il viso ingombrato da un'espressione più serena, era alle prese con un ragazzino che non aveva mai visto in precedenza, forse condividevano la stessa età, aveva i Pokémon con sé ma non aveva l'aria di chi si era presentato per scontrarsi con il Capopalestra. Dava l'impressione di essere alle prime armi, pronto per tuffarsi in un lungo viaggio pieno di imprevisti e amicizie.
Lino respirò per farsi coraggio e cominciò a parlare.«Vorrei un Pokémon, per favore!»  
 
 
Lino era nel bel mezzo del Percorso 102 e con due Pokéball strette nel palmo della mano, era talmente emozionato che l'agitazione gli impediva di rimanere fermo. Sentiva il sudore che entrava in contatto con la superficie liscia delle due sfere in miniatura, doveva trattenerle con forza perché rischiavano di cadere per terra e di rompersi prima del loro utilizzo. Norman si era dimostrato molto comprensivo quando Lino gli aveva spiegato la sua situazione, per l'occasione gli aveva prestato un Pokémon e una Pokéball per riuscire nella cattura. Per fortuna non l'aveva lasciato da solo e gli aveva fornito una guida, si trattava del ragazzo con il buffo cappello e dagli occhi chiari che aveva visto nella Palestra. Era suo figlio. 
Lino era a conoscenza di quel fatto grazie alla televisione, secondo i notiziari Norman si era trasferito a Hoenn insieme alla moglie e al figlio, ma l'idea di incontrarlo dal vivo rendeva quell'esperienza unica e indimenticabile. Brendon aveva l'aria simpatica anche se non era un gran chiacchierone, ma dalla sua espressione sembrava contento di trovarsi lì con lui.
«Per prima cosa...Dobbiamo inoltrarci nell'erba alta, i Pokémon si nascondono lì».
Quello era il primo di tanti insegnamenti, Lino era lì per imparare quindi teneva bene a mente i consigli che provenivano da quel giovane allenatore. Annuì con calma e cominciò a camminare in direzione dei cespugli, aveva paura ad affrontare un Pokémon selvatico, ma con lo Zigzagoon di Norman al proprio fianco si sentiva molto più sicuro del previsto. 
Stava per fare un ulteriore passo, quando una presenza davanti a sé lo spronò a fermarsi. C'era un Pokémon dai tratti umanoidi nascosto tra le varie sterpaglie, sembrava un bambino vestito con una lunga veste bianca e un buffo casco verde in testa che gli occultava gran parte del viso, ornato a sua volta da una sottospecie di antenna dalla punta arrotondata e di un rosso scintillante. Era Ralst. Almeno il Pokédex di Brendon l'aveva definito così.
Lino e Ralts si guardarono per un istante.
Il silenzio più totale li circondava. 
Lino capì che quel Pokémon doveva essere suo.
«Vai, Zigzagoon!»
Lanciò la Pokéball senza pensarci due volte e cominciò a stringere i pugni quando Zigzagoon si materializzò sull'erba, Lino era talmente determinato che sul suo viso spuntò un'espressione che non aveva mai fatto in vita sua. 
Desiderava diventare il padrone di quel piccoletto e niente lo poteva fermare, secondo il Pokédex era molto raro da trovare e ciò lo rendeva speciale, unico nel suo genere.  Sotto consiglio di Brendon cominciò ad attaccare il piccolo Ralts, ma il giusto per indebolirlo, non voleva fargli troppo male. 
«Zigzagoon, usa Azione!»
Il Pokémon Procione seguì l'ordine del padrone provvisorio e cominciò a correre in direzione dell'avversario, lo colpì in pieno ma senza fare un brutto colpo. Ralts era troppo debole e impreparato per evitare l'attacco, rotolò sul campo di battaglia e cominciò ad attaccare con la mossa “Ruggito” per indebolire la potenza degli urti che gli arrivavano addosso.
«Lino l'avversario è debole adesso, lancia la Pokéball prima che sia troppo tardi» 
Quando arrivò il momento adatto, Lino schiacciò il pulsante centrale della Pokéball per ingrandirla e scagliarla contro Ralts, un lancio veloce e deciso come se fosse un campione del baseball. Un lampo di luce rossastra illuminò la forma del piccolo Pokémon, l'oggetto dalla forma sferica atterrò con delicatezza sull'erba e cominciò a tremare.
Una.
Due.
Tre volte.
 
«Finalmente! Ho catturato il mio primo Pokémon!»
Lino impazziva dalla gioia e rideva così tanto da sentire male alla pancia, correva lungo il sentiero principale per fare ritorno a Petalipoli con Brendon al suo fianco. In mano teneva la Pokéball in cui era chiuso il piccolo Ralts, agitandola in aria come se fosse una bandiera.
Era contento e sprizzava energia da tutti i pori, era la prima volta che si comportava in quel modo. «Torniamo alla Palestra, così posso rendere Zigzagoon a tuo padre!»
La visita alla Palestra risultò fin troppo sbrigativa, il tempo di ringraziare Norman per quell'immenso piacere che sua madre si presentò per portarlo via.
Finalmente Lino poteva partire con il cuore in pace, aveva un nuovo amico su cui fare affidamento e Mentania sembrava più un sogno a occhi aperti.
Ma era impossibile dimenticare l'occasione che aveva avuto a Petalipoli, una città che con poco gli aveva offerto così tanto. 
 

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Capitolo 4
*** 4. Ferrugipoli ***


 

Ferrugipoli

La città che sperimenta l'integrazione tra natura e scienza”

 

 

 

“Quando avrai la pazienza di venire a trovare il tuo vecchio? Sono mesi che non ti fai sentire” … “Cominciavo a preoccuparmi”.
Nonostante la calma che aleggiava dentro all'ufficio sfarzoso, il Signor. Petri aveva messo da una parte i suoi doveri da presidente per recuperare il Pokénav dal taschino della giacca elegante. Era sempre un buon momento per fare uno squillo veloce al suo unico figlio, erano mesi che non aveva sue notizie e per lui era una gioia poter ascoltare il suono della sua voce. Sperava di non disturbarlo e non lo biasimava per le mancate visite, Rocco era molto impegnato anche se aveva perso la carica del Campione, era diventato un uomo che mandava avanti la sua vita nella piccola isola di Verdezzupoli.
Sempre alla ricerca di pietre preziose da collezionare, sempre così impegnato a migliorare le sue tecniche con i Pokémon. Ma non se ne parlava di perfezionare il rapporto con suo padre, l'unica persona che lo incoraggiava e che faceva il tifo per lui anche se da lontano.
Papà...” sbuffò il ragazzo dall'altra parte del telefono. “Ne abbiamo già parlato
Il Signor. Petri sospirò e scrollò le spalle. Quanta pazienza ci voleva con quei giovani? Per loro la vita era un tragitto tutto in salita, quando recuperavano le energie per prendere la rincorsa non si fermavano più, non avevano la pazienza di fermarsi per ascoltare le lagne di un povero vecchio. Ma era meglio così, Rocco era un ragazzo forte come i Pokémon che allenava, c'era un motivo se era riuscito a raggiungere dei traguardi così alti.
Anche se il Signor. Petri preferiva vederlo al suo fianco, sposato con una bella donna e pronto per prendere in mano le redini della ditta. Era ovvio che gli piaceva l'idea di vederlo sistemato, voleva solo regalargli un futuro solido su cui fare affidamento. Non pretendeva l'oro, ma nemmeno l'argento.
Lo so che non sei più un bambino” mormorò il Signor. Petri per smorzare la tensione. “Ma almeno fammi sapere come stai e se ti trovi bene. Hai trovato delle nuove pietre? La prossima volta che verrò a trovarti le esaminerò dalla prima all'ultima, almeno una passione sono riuscito a trasmettertela
Sentì una risata provenire dall'altro lato della cornetta. “Papà, tu non cambierai mai. Non è vero?
Ci puoi scommettere la cravatta, figliolo
Comunque sì, sto bene” … “Di recente ho cominciato a fare degli scavi alle Cascate Meteore, si trovano tante pietre interessanti e i miei Pokémon sono liberi di scatenarsi senza provocare tanti danni. L'altro giorno ho visto un Bagon, la sua testa scintillava come una Pietralbore colpita dai raggi del sole. È stato magnifico, ci dovevi essere
Non ho il tempo per mettermi a scavare, qui hanno bisogno di una guida altrimenti si perdono in un bicchiere d'acqua
Lo so. Mi chiedo come fai a stare chiuso in un ufficio per tutto il giorno, io morirei dopo nemmeno una settimana. Ti ammiro molto per questo, sai?
È un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo
Mi dispiace papà, ma adesso devo andare. Ho promesso agli scienziati del Centro Spaziale di fargli una visita, hanno intercettato qualcosa di anomalo e hanno chiesto il mio intervento. Quando ti capita vieni pure a trovarmi, sarà un piacere offrirti un caffè”
Appena posso verrò a trovarti, ti voglio bene figliolo
Ti voglio bene anche io, papà
Il Signor. Petri si alzò dalla sedia una volta spenta la telefonata, camminò in direzione della finestra con le mani intrecciate dietro alla schiena. Da quella postazione riusciva ad avere un'ampia visuale della città di Ferrugipoli, così austera con i suoi palazzi moderni e le vie prive di sporcizia, le pietre che componevano le strade erano talmente pulite che brillavano sotto ai raggi caldi del sole. La scuola per giovani allenatori era vicina all'azienda, da lì si potevano intravedere i volti sorridenti dei bambini che si ammassavano l'uno sull'altro per lasciare la struttura. Anche Rocco aveva studiato lì da piccolo, quella formazione era stata utile per le sue basi.
Rocco era molto simile a suo padre per certi versi, aveva una passione innata per i Pokémon e per le pietre preziose. Ecco perché il Signor. Petri aveva deciso di lasciarlo andare per la sua strada e dargli la possibilità di realizzare i suoi sogni, non voleva tappare le ali a quel piccolo Taillow pieno di speranze e possibilità.
A quell'ora Petra passeggiava per la via principale per raggiungere la Palestra, il Signor. Petri si lasciò scappare un sorrisetto nell'osservare la figura femminile e minuta di quella giovane donna. Era carina d'aspetto e molto elegante nei movimenti, una moglie perfetta per suo figlio, in più allenava Pokémon di tipo Roccia e quel particolare poteva intrecciarsi alla perfezione con l'ossessione di Rocco. Prima o poi avrebbe organizzato un incontro tra i due per farli conversare, non era la prima volta che lo faceva e ogni volta sperava in un miracolo.
Il Signor. Petri tornò alla realtà quando sentì bussare alla porta.

«Signor. Presidente, mi scusi se la disturbo in questo momento».
Dalia, la sua segretaria.

«No, affatto».
«Volevo ricordarle che tra poco ci sarà l'incontro con i clienti di Sinnoh, sono venuti per discutere sul nuovo modello di Pokénav che abbiamo messo in commercio l'estate scorsa. Ci siamo preoccupati di ospitarli nei suoi appartamenti, proprio come ha richiesto».
«Perfetto Signorina Dalia, come sempre ha svolto un lavoro impeccabile. Si preoccupi di far sentire a loro agio i nostri ospiti, io la raggiungerò il prima possibile».
«La ringrazio Signor. Presidente, le auguro una buona giornata».
«Buona giornata anche a lei, Dalia».

 

 

Il Bosco Petalo era situato nel bel mezzo del Percorso 104, la via per raggiungerlo era breve e circondata dalla natura: bastava attraversare la passerella di legno costruita sulla superficie del lago e seguire il sentiero, al termine di una breve passeggiata bisognava svoltare appena si intravedeva la biforcazione che conduceva nel negozio del fiorista. La foresta era considerata dagli abitanti del posto come un rito di passaggio, ogni allenatore novizio si inoltrava tra le vie alberate per catturare i primi esemplari di Pokémon e allenarli per riuscire a conquistare la medaglia della Palestra di Ferrugipoli. Chiunque conosceva Petra e i suoi Pokémon di tipo Roccia, erano degli ossi duri e non si potevano sconfiggere con qualche coleottero al primo stadio evolutivo.
Non era la prima volta che lo scienziato percorreva quel sentiero affollato dai più giovani, era un piacere fermarsi per ammirare le lotte intense e ricche di grinta, oppure a guardare la vita pacifica dei Pescatori intenti a pescare i Pokémon che vivevano sul fondale delle acque cristalline. Fin da bambino era affascinato dalla vita all'aria aperta, ogni pretesto era utile per evadere dalla tecnologia e lasciarsi abbracciare dalla natura.
In quei frangenti non riusciva a controllare la sua testa e tornava indietro nel tempo, ai giorni in cui aveva dieci anni compiuti ed era intenzionato a catturare un Pokémon per mettersi in viaggio. Ma non era mai riuscito a realizzare le sue aspettative, l'idea di catturare un esemplare di Shroomish era un sogno che aveva chiuso dentro a un cassetto. Conosceva quel piccoletto grazie alle raccolte di botanica della nonna, ogni giorno lo studiava nel dettaglio per conoscerlo e allenarlo al meglio. Eppure non aveva mai avuto il privilegio di scovarlo tra i cespugli del Bosco Petalo e ciò lo portò a rinunciare per seguire il volere dei suoi genitori, due studiosi che lavoravano nella Devon e che stravedevano per la scienza. E questo l'aveva portato a separarsi dai suoi migliori amici e portare avanti i suoi studi, dopo la laurea aveva trovato un posto di lavoro dentro alla rinomata azienda, questo rappresentava un traguardo molto importante ma non era capace di farlo sentire completo.
La sera si presentava con poche ore di anticipo quando il calendario segnalava i primi giorni del mese di Settembre, la regione di Hoenn era conosciuta per il clima principalmente tropicale e il vulcano aiutava a mantenere temperature calde ogni giorno dell'anno, ma l'orologio non voleva sentir ragione e anche gli abitanti del luogo dovevano fare i conti con questi lievi sbalzi annuali. Lo scienziato adorava quando il crepuscolo incontrava gli alberi quieti del Bosco Petalo, aspettava l'arrivo delle tenebre prima di fare ritorno nel suo appartamento da single, talmente silenzioso e vuoto da essere invitante solo per il riposo notturno. Il cielo dipinto dai colori accesi del tramonto restava nascosto dietro ai rami delle piante, questi si intrecciavano tra loro e solo pochi raggi riuscivano a filtrare per illuminare il suolo cosparso di erba sempre verde e cespugli. Lo scienziato sospirò poco prima di mettersi a sedere su un ceppo non molto distante dalla strada principale, si levò gli occhiali e si massaggiò le tempie per dare sollievo alla testa martellante, era sempre allo stremo delle sue forze quando si allontanava dal laboratorio della Devon.
Proprio quando era sul punto di alzarsi, sentì un leggero fruscio provenire dai cespugli alle sue spalle e ciò lo invogliò a bloccarsi sul posto. Quei rumori, seppur causati dai Pokémon selvatici che aspettavano l'imbrunire per procurarsi del cibo, avevano sempre un'aria suggestiva e pericolosa per chi non aveva qualcosa con cui difendersi dai vari attacchi. Ma lo scienziato non riuscì a controllare la curiosità, si inginocchiò sulla propria postazione per scostare le varie foglie e affacciarsi per esaminare la fonte di quell'insolito rumore. Restò di sasso quando i suoi occhi incontrarono la forma esile e marroncina di uno Shroomish, ma non c'era niente di entusiasmante in un esserino schiacciato da un tronco molto più grosso di lui. Riusciva a sentire i lamenti di quella dolcissima creatura che per anni aveva cercato e desiderato, lo scienziato non aveva il cuore giusto per ignorarlo e aspettare che la natura facesse il suo corso. Anche se rischiava di essere colpito dalle abilità come “Spargispora” o “Velenopunto”, abbandonò il ceppo per palesarsi davanti al funghetto e si inginocchiò accanto a lui per accarezzarlo con cura nell'intento di tranquillizzarlo. Lo sentiva mentre si muoveva sotto di sé, una reazione causata dall'agitazione e dalla paura di incontrare un essere umano.

«Stai tranquillo, sono qui per aiutarti».
Sussurrò con parole dolcissime e continuò ad accarezzare lo Shroomish con l'intento di stabilire un leggero contatto fisico, per un istante il Pokémon si fermò per osservarlo con i piccoli occhi scuri e l'espressione accigliata. Era davvero buffo grazie a l'unico sopracciglio!
Sapeva che quei Pokémon avevano una natura molto scontrosa, ma non c'era motivo per preoccuparsi se non c'erano altri esemplari pronti ad aiutare il compagno in difficoltà. Respirò con calma e afferrò il grosso tronco che schiacciava il Pokémon Fungo, cercò di fare leva sulle braccia per alzarlo e permettere alla creatura di scivolare in una zona d'erba molto più sicura.

«Visto? È stato facile!»
Commentò lo scienziato con entusiasmo, si avvicinò allo Shroomish per chinarsi e continuare ad accarezzarlo sul ciuffetto posto sulla testa. Finalmente poteva esaminarlo senza quell'inconveniente nel mezzo, Shroomish saltellava sulle zampette verdognole che si abbinavano con i pois verdi che ricoprivano il fungo principale di un marrone molto chiaro. Era davvero carino, proprio come le illustrazioni che aveva visto da bambino.
L'attimo di gioia non era destinato a durare per molto, a un certo punto l'esserino si immobilizzò e cominciò a correre in direzione dei cespugli. Lo scienziato cominciò a battere più volte le palpebre per esprimere perplessità davanti a quella scena, stava per rincorrerlo quando sentì dei passi in avvicinamento.

«È un luogo abbastanza insolito per incontrarti di nuovo, scienziatuccio».
Non riusciva a crederci. Dallo stupore lo scienziato balzò subito in piedi, si passò la mano sul terriccio e i fili d'erba che sporcavano il lungo camice bianco.
Davanti a sé aveva lo stesso teppista che un paio d'anni prima gli aveva teso ben due trappole, si ricordava del giorno in cui aveva fatto di tutto pur di entrare in possesso di documenti molto importanti, ma i suoi piani erano andati in fumo grazie all'intervento di un giovane e abile allenatore. Per quell'occasione non era più da solo, al suo fianco c'era un Mightyena dall'aria fin troppo minacciosa. Riconosceva gli occhi arroganti di quella creatura, quello sguardo lo possedeva fin dal primo stadio evolutivo.

«Non so cosa ci fai da queste parti piccolo teppista, ma non mi sembra il modo di spaventare così le persone».
Esclamò lo scienziato e cominciò a stringere i pugni dalla troppa rabbia, non si lasciava intimorire dall'aspetto stravagante del suo interlocutore. Trovava ridicolo quelle divise cosparse di righe e bande varie, eppure entravano in sintonia con lo sguardo poco intelligente del diretto interessato.

«Stai calmo...Ho interrotto il tuo momento di gloria con quella piccola nullità, ma non per questo devi alzare la voce. Dovrei ordinare al mio Pokémon di strapparti via la lingua, non sopporto questo tono».
Esclamò l'altro con un piccolo accenno di divertimento e senza trattenere una risata, accarezzando il Pokémon Morso sulla testa.

«Sei solo un bambino che gioca a fare il pirata, non ho paura di te».
«Va bene, l'hai voluto tu» borbottò l'altro, accigliato. «Migh...»
Il Mightyena era sul piede di battaglia e il suo padrone stava per dare l'ordine, quando un piccolo grido calò su di loro e motivò ognuno a fermarsi. «Cosa sta succedendo?!»
Proprio in quel momento Shroomish tornò a corsa dentro alla piccola radura, fissava in malo modo la Recluta e il suo amico dall'aria minacciosa. Aveva capito la situazione, era lì per aiutare la persona che poco fa l'aveva salvato dal tronco.
«Lo consideri ancora una nullità?»
Lo scienziato si preoccupò di dare man forte, era pronto ad aiutarlo in caso di necessità. Da soli erano deboli, ma insieme potevano farcela e cacciare quel teppista dal bosco.
«Tsk, e cosa mai potrebbe fare di male? Il mio è un Pokémon evoluto, basterà un piccolo morso per metterlo al tappeto. Sarà divertente, Mightyena è da tanto che cerca un nuovo giocattolino da mordicchiare a suo piacimento».
Shroomish cominciò a rilasciare le sue spore e paralizzare l'avversario, lo scienziato conosceva quell'abilità e sapeva gli effetti collaterali che essa portava, approfittò della situazione per dare un ordine al piccolo Pokémon.

«Forza Shroomish! Adesso Mightyena è paralizzato e si muove molto più lentamente, colpiscilo con un attacco Bottinstesta. Sbrigati!»
Shroomish annuì al consiglio e caricò il grosso Pokémon per colpirlo in pieno. L'avversario cominciò a tentennare all'urto subito, il fatto che fosse paralizzato non l'aiutava a contrattaccare. «Bravo Shroomish, colpiscilo ancora!».
Il combattimento continuò in quel modo per diversi minuti, ogni tanto il nemico rispondeva agli ordini del suo padrone e cercava di contrastare Shroomish con attacchi come “Sgranocchio” o “Sbigoattacco”, ma il piccolo Pokémon Fungo resisteva bene al tipo Buio e l'avversario non sembrava possedere delle mosse efficaci per chiudere la partita con una vittoria.
«E adesso, finiscilo con un Semebomba!»
La vittoria era stata imminente, dopo l'ultimo attacco di Shroomish il nemico era caduto al tappeto. Era stata una battaglia avvincente e piena di grinta, dopo la sconfitta la Reculta richiamò il proprio Pokémon per fuggire ed evitare di ricevere la giusta punizione.
In quel momento lo scienziato si chinò per congratularsi con quel piccoletto, senza preoccuparsi lo afferrò tra le braccia per abbracciarlo e coccolarlo. Shroomish era molto più piccolo ed esile, eppure aveva dimostrato di possedere una forza eccezionale grazie all'aiuto dell'umano.

«Sei stato eccezionale, Shroomish!»
Lo scienziato cominciò a ridere, contento di aver trovato un nuovo amico.

 

 

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Capitolo 5
*** 5. Bluruvia ***


Bluruvia

Una minuscola isola nel mare blu”

 

 

 

Bluruvia era rinomata per essere una città dalle modeste dimensioni, era la meta preferita dei turisti occasionali e dei giovani che si appassionavano agli sport acquatici. Due erano le strutture più note e che mantenevano integra l'economia del paese, il “Circolo di Bluruvia” e la Palestra Pokémon. Erano molteplici gli allenatori che facevano a gara per mettere piede sulla sabbia incandescente, entusiasmati dall'idea di lottare contro Rudi e di entrare in possesso della Medaglia Pugno. Il capo palestra era uno degli avversari più temibili per chi era ancora alle prime armi, la sua squadra era composta interamente da Pokémon di tipo Lotta ed era complesso trovare la strategia giusta per avere la meglio.
Anche Brendon aveva attraversato il percorso marittimo come tanti prima di lui, per l'occasione si era lasciato aiutare dal Signor Marino e dal suo fedele assistente alato. Il ragazzo di appena dieci anni aveva più di un compito da portare a termine, in un primo momento doveva fare credito sulle sue capacità da allenatore e sconfiggere Rudi, in seguito doveva raggiungere la “Grotta Pietro” per consegnare una lettera a un certo Rocco. Questo prima di spiegare le vele in direzione della grande Porto Selcepoli.

«Siamo arrivati!»
Esclamò il Signor. Marino quando il traghetto attraccò al molo, l'esemplare femmina di Wingull svolazzava intorno alla barca, intenta a rallegrare il cuore del suo padrone con il continuo gracchiare. Brendon ne approfittò per scendere sulla palafitta di legno, l'aria salmastra gli punzecchiava le narici e gli provocava un lieve pizzicore al naso.
Bluruvia era un vero spettacolo della natura, le casette di legno costruite sulla sabbia entravano in armonia con il contesto creato dalle acque cristalline, come se fossero nate di loro spontanea volontà e senza l'aiuto dell'uomo.

«Appena avrai consegnato la lettera a Rocco, saremo pronti per salpare per Porto Selcepoli» continuò il vecchio lupo di mare. «Fammi sapere quando vuoi proseguire con il tuo viaggio, io e Peeko ti aspettiamo».

Brendon era sceso dal pontile per proseguire in direzione del Centro Pokémon, camminava sulla sabbia rovente e sfruttava quel momento di silenzio per riflettere. Secondo la guida necessitava di una Macchina Nascosta per superare le insidie della Grotta, ma solo chi sconfiggeva Rudi era capace di insegnare la mossa a un Pokémon e di utilizzarla fuori dalla lotta. In breve tempo si era reso conto di essere davanti a due dubbi esistenziali: nel primo caso doveva immaginare una tecnica vincente per resistere agli attacchi fisici del Capopalestra, in più doveva scegliere il Pokémon adatto per illuminare la caverna oscura. Il viaggio in compagnia dei Pokémon era appena cominciato per Brendon, aveva catturato diversi esemplari nei pressi del Bosco Petalo e del Percorso adiacente a Ferrugipoli, eppure nessuno sembrava all'altezza. Era riuscito a ottenere la prima Medaglia grazie all'intervento di Mudkip, i due avevano stabilito un legame molto forte da quando avevano lasciato Albanova, ma questo non bastava per superare la prossima prova.
Brendon sospirò quando varcò la porta scorrevole del Centro Pokémon e avanzò in direzione del bancone, in mano tratteneva le quattro sfere che racchiudevano i suoi cari compagni di viaggio: Mudkip, Taillow, Lotad e Slakoth. Quei piccoletti erano dei grandi alleati e l'avevano aiutato a raggiungere Bluruvia senza correre alcun pericolo, non si era impaurito nemmeno quando aveva affrontato un soggetto vestito da una strana divisa a righe, occupato a immischiarsi negli affari della Devon. Lasciò le Pokéball sotto alle cure amorevoli dell'infermiera, dato il momento di riposo si accomodò sulle poltrone della sala d'attesa per consumare un pasto nutriente e veloce.
Era pomeriggio inoltrato quando Brendon lasciò il Centro Pokémon, il silenzio regnava sovrano su Bluruvia e questo permetteva al rumore delle onde di avere il pieno controllo sull'atmosfera che si respirava da quelle parti, creavano una melodia armoniosa decorata dal continuo gracchiare degli Wingull o dal canto dei Pelipper che si lasciavano trasportare dalle correnti marine. La brezza fresca della sera gli accarezzava il volto e permetteva al proprio cappello di ondulare da una parte all'altra, per l'occasione si era rifugiato nella parte più a Nord dell'isola per esplorare il Percorso segnalato sulla mappa ed esaminare l'entrata della Grotta Pietrosa.
Non c'era niente di eccezionale se non qualche pescatore appisolato sul bagno asciuga, l'entrata della caverna aveva le stesse sembianze di una bocca spalancata e questo l'aveva invogliato ad andare oltre, non era ancora pronto per calarsi in quella sottospecie di gola profonda. Brendon sperava di raggiungere lo stesso livello del padre per riuscire a solcare il mare grazie ai propri Pokémon, aveva studiato con molta attenzione la cartina della zona e aveva intravisto diverse curiosità, tra questi un luogo misterioso e legato al folklore della regione. Non conosceva la leggenda legata intorno allo strano isolotto nascosto, ma la curiosità e la voglia di scoprire presto l'avrebbero condotto da quelle parti.

Un giorno, non molto lontano, ci sarebbe riuscito.

 

 

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Capitolo 6
*** 6. Porto Selcepoli ***


Porto Selcepoli

Porto d'incontro fra gli uomini e i Pokémon

 

 

 

Porto Selcepoli era una delle città più grandi e affollate di Hoenn, un luogo in cui la terra ferma entrava in contatto con le acque cristalline del mare. Il molo era composto principalmente da una passeggiata che si estendeva lungo la scogliera, collegata allo spiazzo in cui vi era costruito l'imponente faro bianco. Da quella postazione era possibile osservare l'ampia distesa di sabbia rovente che componeva la spiaggia, dall'altra si poteva accedere all'immenso mercato per cui gli abitanti del posto andavano così fieri. Era uno dei tanti punti di interesse e che garantiva prosperità alla località marittima, la stessa che tanti anni prima era composta da ricche piantagioni e uomini specializzati nella pesca. Ormai erano i negozianti ad avere in pugno l'economia, ogni giorno si alzavano dai loro letti per riempire le bancarelle con mercanzia fresca e di prima qualità, garantendo alla zona circostante di riempirsi e di essere in continuo movimento. Quel luogo di scambi aveva avviato un processo continuo e che si ripeteva all'infinito, il commercio aveva attirato l'attenzione di uomini in grado di costruire navi, proponendo le imbarcazioni più sofisticate e impeccabili per velocizzare i vari tragitti marittimi. Il Capitano Remo era il primo tra i tanti, il suo Cantiere Navale era attivo ogni giorno dell'anno e garantiva un lavoro agli uomini più bisognosi; quel personaggio mansueto era diventato molto famoso in città, le persone lo rispettavano e lo ringraziavano per aver costruito il Museo Marittimo, l'ennesima struttura che attirava l'attenzione dei più appassionati. Da allora era cominciata una lunga serie di progetti, una reazione a catena che aveva indotto gli uomini a riempire gli spazi vuoti con altre strutture di intrattenimento, erano disposti a tutto pur di rendere memorabile la permanenza di ogni individuo che metteva piede all'interno della città portuale. In principio c'era solo il Pokémon Fan Club e il Giudice Onomastico, poi era stata costruita l'Arena delle Virtù per dare agli allenatori la possibilità di avere successo in un ambito in cui le Lotte Pokémon non erano così necessarie.

«Ancora un ultimo tocco qui...» mormorò Orthilla mantenendo la classica concentrazione, la sua mano stringeva un pennello di dimensioni ridotte e si muoveva lentamente sulla palpebra del suo fedele Altaria, il quale rimaneva vigile e immobile per permettere all'allenatrice di fare il suo dovere senza rischiare gravi conseguenze. «E abbiamo finito!».
Urlò emozionata e passò l'oggetto da trucco alla sua assistente, con il grosso Pokémon che si esprimeva grazie al suo inconfondibile verso, trasmettendo entusiasmo da ogni poro. «Adesso siamo pronti per la prossima Gara, stasera i partecipanti saranno dei veri ossi duri e noi dobbiamo dare il massimo se vogliamo mantenere il primato. Ci sarà anche lo zio Adriano ad assistere alla Gara, non sto più nella pelle!»
La ragazza dai capelli turchesi scoppiò in una risata e si avvicinò al suo fedele Pokémon, accarezzando il piumaggio candido e della stessa fattezza di una grossa nuvola.


* * *
 

Erano passati anni da quando Vera aveva visitato Porto Selcepoli per la prima volta, non era cambiata di una virgola dal giorno in cui lei e il suo amato Skitty avevano ricevuto un fiocco per aver superato una Gara dell'Arena delle Virtù. Era rimasta la stessa, gli abitanti avevano un pretesto per continuare a sorridere e i turisti non aspettavano un secondo per rifugiarsi sotto agli ombrelloni della spiaggia, per non parlare di coloro che gironzolavano tra le bancarelle del mercato per fare compere. Sospirò per liberarsi dalla nostalgia e si fermò a pochi metri dal centro Pokémon, alzò lo sguardo per osservare lo sbocco che si trovava in prossimità del Percorso 110, lo stesso che permetteva agli allenatori di raggiungere la città di Ciclamipoli tramite due strade ben distinte. La prima era dedicata a coloro che amavano la natura e volevano godersi delle immense passeggiate nel verde, formata da un pezzo di terreno ristretto e circondato completamente dall'acqua salmastra, la seconda era esclusiva per gli amanti del ciclismo e che sfrecciavano lungo la Pista Ciclabile per raggiungere la meta successiva senza incontrare ostacoli di ogni sorta. Ma questo non voleva dire che gli Allenatori erano assenti o disinteressati alle lotte, erano molti i personaggi che agguantavano le Pokéball per sfidare i novellini che passavano da quelle parti, erano dei veri ossi duri dato che prendevano ispirazione dalla squadra di Pokémon posseduta dal Capopalestra di Ciclamipoli. Era quello il punto in cui Vera aveva lottato contro Brendon per la seconda volta, una sfida in cui si era gettata per mettere alla prova le sue capacità di Allenatrice. Ma quell'adorabile ragazzo dal buffo cappello era un vero osso duro, si vedeva che aveva fatto dei passi da gigante e il suo Marshtomp aveva avuto la meglio su Combusken, era talmente in forze da aver spazzato via ogni Pokémon che Vera aveva lanciato sul campo. Anche all'epoca sapeva di non avere alcuna possibilità di vittoria e che quello era soltanto un sogno da chiudere dentro a un cassetto, non a caso Brendon era riuscito ad aggiudicarsi la Medaglia Pugno, ed erano diverse le occasioni in cui aveva salvato i dipendenti della Devon o il Capitano Remo dai continui interventi dei teppisti che facevano parte del famigerato “Team Idro”. Ma quelli erano soltanto degli amabili ricordi, una parte del suo passato e che Vera non aveva alcuna intenzione di dimenticare. Mostrò un sorriso e accarezzò la Pokéball in cui era custodito il suo amato Delcatty, entrambi avevano un appuntamento con la prossima Gara Pokémon. Erano passati mesi da quando aveva partecipato all'ultima competizione, era riuscita ad arrivare in alto e adesso le rimaneva un ultimo ostacolo prima di raggiungere la fama. Orthilla. Quella ragazza era una buona amica ed era stata lei a introdurla nel mondo delle Pokémelle e delle esibizioni, ma si trasformava in una rivale negli attimi in cui saliva sul palco insieme al suo Altaria. Erano fenomenali, un duo così perfetto da essere coordinato anche quando si allontanavano dalle luci dei riflettori.

«Stavolta non perderò».
Esclamò Vera con decisione, facendo il primo passo per avanzare in direzione dell'Arena.
«Stavolta sarò io quella che si aggiudicherà un merito, sono stanca di arrivare al secondo posto».

 


 


 

Angolo dell'Autrice

 

Ehi ciao!
Sono Lily di KomadoriZ71, cioè la scrittrice di questa / fantastica / raccolta di storie.
Mi sono presa la libertà di lasciarvi questo post alla fine perché ho un piccolo annuncio da fare, vi prometto che sarò veloce e indolore (?)
Come ben sapete tra poco sarà Natale, il periodo più bello e festoso dell'anno, con il team Skull che se la spassa nella Villa Losca e quelli della Fondazione che si baciano sotto al vischio. Eppure, la prossima settimana, questa festività mi porterà a fare degli orari impossibili a lavoro e per questo non avrò la possibilità di mettermi a scrivere come Arceus comanda. Non credo di avere il tempo necessario per proporvi quello che mi era venuto in mente, o almeno non la serie completa che avevo immaginato nei giorni precedenti.
Ma qualcosa si farà comunque, non voglio lasciarvi a mani vuote il giorno della vigilia, che vigilia sarebbe sennò?!
Perciò. . . Non preoccupatevi!
Per quanto riguarda la Periegesi di Hoenn (ora arrivano le noti dolenti, ahiahiahiahi), credo che la metterò un attimo tra le sospese perché ho intenzione di dedicarmi ad altro. Non è che non apprezzo ciò che ho realizzato fino a questo punto, ma anni fa ho cominciato diverse Long e credo che sia il caso di continuarle per farvi leggere qualcosa di diverso, tanto per variare e non fossilizzarci troppo su un'unica serie.
In più avevo in mente di sospendere le attività del profilo dal 30 di Dicembre fino al 31 di Gennaio, sempre se non ci capitano degli imprevisti nel mezzo o mi viene la santa ispirazione che mi costringe a pubblicare qualcosa perché sì. Nell'ultimo periodo io&Xavier siamo stati abbastanza attivi, abbiamo pubblicato uno special di Halloween con i fiocchi e la Periegesi ci ha accompagnati dalla fine delle vacanze estive fino a oggi, quindi non mi dispiace l'idea di tirare un sospiro per far cadere la mia attenzione su altro.
Andiamo. . . Ho Pokémon Platino&UltraSole da dover finire!
Ma questa è un'altra storia, approfondirò la questione in pagina e quando sarà il momento più opportuno. 
E meno male che dovevo essere veloce, eh! Mannaggia.
La Periegesi ricomincerà verso il mese di Febbraio, per adesso godiamoci il Natale e tuffiamoci nel cibo come se non ci fosse un domani.
Alla prossima e. . . Buone Feste!

 

LILY



 






















 

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Capitolo 7
*** 7. Ciclamipoli ***



Ciclamipoli

La fulgente città dei divertimenti”

 

 

 

 

 

Ciclamipoli era una città diversa dalle altre.
Situata al centro della regione di Hoenn, essa rappresentava un crocevia importante per gli abitanti del posto. Da quest'ultima si potevano raggiungere paesini minuscoli come Mentania o Cuordilava, oppure zone più particolari e selvagge strettamente collegate al Percorso 119. Questo particolare la rendeva come una metropoli affollata e in continuo movimento, non a caso i negozi erano costruiti in un'ampia strada al chiuso il cui stile era ispirato alle strutture armoniose ed eleganti della famosa Luminopoli di Kalos.
I cittadini che abitavano nel “Residence Ciclamipoli” trascorrevano le loro giornate a contatto con la natura solo se raggiungevano la terrazza dell'ultimo piano, altrimenti si accontentavano di sostare nel giardinetto ben curato che ospitava il Centro Pokémon, il Pokémon Market e una deliziosa scultura della Torre Prisma, simbolo di Luminopoli.
Lino non aveva mai visto niente di simile in tutta la sua vita, in quel momento camminava vicino allo zio con la testa rivolta verso l'alto, era intenzionato ad afferrargli la mano per evitare di perdersi tra la folla ma cercò di resistere alla tentazione, non si considerava più quel bambino introverso e insicuro cresciuto nel praticello vicino casa, voleva diventare come gli allenatori che aveva incrociato in passato ed ora era sulla via buona per riuscirci. Ma difficilmente tratteneva le emozioni che aveva nel cuore, era partito da pochi giorni e ancora doveva raggiungere la meta del suo viaggio, ma già sentiva la mancanza della sua famiglia e della città in cui era nato, solo la presenza di Ralts lo spronava ad abbandonare la nostalgia per andare avanti.

«Lino dobbiamo andare, la zia ci aspetta per cena».
La voce dello zio sembrava lontana e distorta, si ripeteva nella mente di Lino in un loop senza fine. In quel momento il ragazzino era distratto e con lo sguardo rivolto alla Palestra di Ciclamipoli, nella mano destra reggeva la Pokéball di Ralts e la stringeva con una certa convinzione.
«Lino?»
Il piccoletto scrollò le spalle per tornare alla realtà.
«La zia può aspettare, prima di andare a Mentania voglio affrontare la Palestra e vincere la mia prima medaglia!»
«Ehi...» commentò lo zio con una risata. «Non è un po' troppo presto per affrontare il Capopalestra? Dopotutto tu e Ralts avete cominciato ad allenarvi da poco, non siete ancora pronti per un avversario dello stesso livello di Walter».
«Non capisci» mormorò Lino con un sospiro, spostando le iridi chiare verso la superficie liscia e gelida della sfera. «Io e Ralts ci siamo impegnati tantissimo da quando siamo partiti, abbiamo fatto diversi progressi insieme e il nostro legame è diventato più forte, siamo pronti per gettarci in questa nuova sfida e non ci tireremo indietro per nessun motivo al mondo!»
Lo zio scoppiò a ridere, era così intenerito dalla risposta del nipotino che non riuscì a trattenersi. Posò una mano tra i capelli vaporosi del piccoletto, arruffandoli con un gesto affettuoso e ricco di dolcezza. «Voi ragazzi non avete una misura precisa, o troppo o niente. Se ci tieni così tanto puoi fare un tentativo, nessuno ti impedisce di provarci».
E, mentre terminava la frase, una figura familiare svoltò l'angolo e cominciò ad avvicinarsi al duo.





 


 


 




 

«Ma ricorda che sarà l'ultima volta che ci vediamo...
Una Fantallenatrice non può farsi vedere in giro da una Tipaccia del mio stampo, no?»

 

 

 

Denise ricordava l'ultima volta in cui aveva sentito quelle parole, in realtà non le aveva mai dimenticate. Erano trascorsi anni da quando era diventata una Fantallenatrice, da quando si era messa in viaggio con i Pokémon per coronare il suo sogno. Ogni tanto sentiva il bisogno di tornare a casa, di abbracciare i suoi cari e di camminare per le vie della città in cui era cresciuta. Ciclamipoli.
Quel pomeriggio era uscita dal suo appartamento, intenzionata a gettarsi nel caos. Erano quelli gli attimi in cui si rendeva conto di non essere più adatta alla vita che conduceva da bambina, di come si sentiva soffocare dalle quattro mura che l'avevano cresciuta. C'era solo un ostacolo, una piccola barriera che le impediva di andare avanti.
La terrazza.
Denise detestava il piano superiore con tutta sé stessa.
Era un luogo pacifico e ricco di bellezza, dove la folla non esisteva e i parchi erano popolati dagli anziani che occupavano le panchine e di bambini che giocavano tra gli spazi aperti in tutta sicurezza. Lei non ci vedeva niente di bello, non nel posto in cui aveva dovuto dire addio alla persona più importante della sua vita.

 

Denise aveva imparato tante cose nella sua carriera, eppure non riusciva a fare i conti con la solitudine.
Non c'era nessuno con lei nei giorni in cui attraversava i percorsi tropicali della regione, quando faceva il suo ingresso nelle Palestre Pokémon per mettere le mani sulla prossima medaglia. In quei casi poteva fare affidamento sulla fidata squadra di Pokémon.
I magnifici sei”. Lei li chiamava così.
La ragazza dai capelli verdognoli si era distaccata dal centro cittadino per addentrarsi nel percorso adiacente, necessitava di respirare l'aria salmastra mentre il cielo si tingeva con i colori tenui e tranquilli della sera. Quel quadretto romantico l'aiutava a meditare, a tornare indietro con la memoria e ragionare sugli obiettivi che aveva raggiunto. Aveva affrontato mille avversità, era riuscita a superare i suoi massi personali, aveva vissuto esperienze che l'avevano aiutata a crescere sia come persona che come Allenatrice. Ora le restava un unico traguardo: vincere l'ottava medaglia a Ceneride e viaggiare in direzione della Lega Pokémon.
Le tremavano le mani, insicura sul da farsi. Per questo si era fermata, per questo aveva fatto ritorno alle sue radici. Necessitava di prendersi una piccola pausa prima di fare il grande passo, sapeva di rendere orgogliosi i suoi genitori, ma diventare Campionessa della Regione di Hoenn era un titolo che non spettava a tutti. In molti partivano con il cuore ricco di speranze e lo zaino carico di opportunità, però erano pochi gli Allenatori che entravano nella Via Vittoria senza avere un minuscolo ripensamento o la voglia di tornare indietro.
Scrollò le spalle e sbuffò per tornare alla realtà, accomodandosi sullo scoglio per lasciarsi cullare dal dolce suono prodotto dalle onde. Infilò la mano nella tasca del pantalone e tirò fuori il contenitore argenteo, lo aprì per posare lo sguardo sulle Medaglie scintillanti e che lucidava ogni singola sera. Erano il suo piccolo tesoro, il suo biglietto d'entrata per una vita diversa da come se la immaginava.

Tutto era cominciato il giorno in cui aveva catturato il suo primo Pokémon. Illumise.
A quei tempi era una bambina di dieci anni di buona famiglia, cresciuta tra le mura di un appartamento a Ciclamipoli. I suoi genitori lavoravano in un negozio gestito da loro, i suoi fratelli maggiori avevano lasciato la città per studiare all'estero. La vita di Denise si poteva considerare perfetta, pacifica nella sua monotonia. Non importava se non riusciva a essere brava a scuola, se non aveva dei sogni nel cassetto da realizzare, lei era costretta a restare nel negozio di famiglia per mandare avanti la tradizione.
Lei non era interessata a vendere i gioielli o altre mille stramberie, per questo quel giorno uscì di casa di nascosto, comprò qualche Pokéball con i suoi risparmi e si addentrò nel Percorso 117 anche se non aveva uno di quei suoi esseri al suo fianco. Voleva un Pokémon da tenere con sé e allenare, lo desiderava così tanto che aspettò ore prima di vedere quel piccolo Illumise spuntare fuori dall'erba alta.
Era sera inoltrata quando riuscì a ottenere la sua prima compagna di avventure, ma fu quello il momento in cui la conobbe.
Agnes.
Era una Tipaccia senza una famiglia vera e propria, una bambina che non conosceva le regole né l'educazione. Sfrontata, con il viso dai lineamenti rotondi incorniciato da una massa informe di capelli biondo cenere.
Era...Il suo esatto opposto.
Non sembravano andare d'accordo, ma con il tempo non riuscirono più a separarsi. Cominciarono a crescere insieme e diventarono amiche, insieme riuscirono a stringere un legame così forte da abbattere qualsiasi pregiudizio.
Agnes aveva i suoi modi di fare, ma le era sempre accanto e la incoraggiava. Fu lei a spronarla, a farla diventare una Fantallenatrice.
E poi ci fu il crollo. Quella conversazione che Denise non dimenticò mai.
Quel giorno in cui la sua unica vera amica le donò la possibilità di lasciare Ciclamipoli per partire all'avventura. 

 

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Capitolo 8
*** 8. Mentania ***


Mentania

Un altopiano spazzato dal vento che profuma di aria fresca

 

 

 

 

 

 

 

Mentania non era così distante da Ciclamipoli, bastava attraversare il Percorso 117 per arrivarci. Si differenziava molto dall'immensa metropoli: a confronto era una modesta cittadina popolata da poche persone e circondata interamente dalla natura, il vento che sbuffava verso est allontanava la cenere vulcanica del Monte Camino, rendendo l'aria talmente fresca e pulita da essere un toccasana per le persone fragili o cagionevoli di salute.
A Nord era presente il Tunnel Menferro, si trattava di un passaggio progettato dalla Devon Spa che doveva collegare Mentania a Ferruggipoli, ma gli addetti ai lavori avevano interrotto gli scavi quando si erano resi conto di danneggiare i gruppi di Whismur che vivevano all'interno della caverna.
A Mentania non c'era una Palestra Pokémon o un punto di interesse dello stesso livello e, per questo motivo, la città attirava l'attenzione degli Allenatori che si appassionavano all'innovativo Tendone Lotta. Si trattava di una catena di strutture molto particolari in cui si svolgevano lotte tra Pokémon, erano una novità comparsa a Hoenn come un fulmine a ciel sereno, queste presentavano delle modalità di combattimento talmente diverse e singolari da essere prese in considerazione dalla massa; anche a Porto Alghepoli era arrivato un uomo che aveva preso in considerazione l'idea di accantonare uno di quei tendoni vicino alla famosa Arena delle Virtù, descrivendolo come ottimo metodo per fornire uno svago ai turisti o un hobby per gli individui che non si lasciavano impressionare dalle Gare. Il tendone di Mentania era una costruzione molto mistica e competitiva che aveva sostituito la precedente Arena, era gestita da un anziano Signore che aveva stabilito delle regole molto particolari ed esigenti: i Pokémon che venivano fatti scendere sul campo di battaglia non combattevano secondo la tecnica del loro Allenatore, non ascoltavano gli ordini degli esseri umani, ma si scontravano contro gli avversari facendo riferimento alla loro indole e alle capacità date dalla Natura con cui erano nati. Una caratteristica di quel calibro non si era mai vista da nessuna parte, quella diversità aveva destato l'attenzione dei ragazzini che vivevano da quelle parti, a quanto pare non vedevano l'ora di accettare la sfida per vedere i loro Pokémon in azione o se erano in grado di tirare fuori un potenziale mai visto in precedenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lino in quel momento si trovava nella casa degli zii, seduto a gambe incrociate sul letto della nuova cameretta. Tra le mani teneva la Pokéball di Ralts, la lucidava con un panno pulito e senza pensare a niente in particolare.
Non erano rari i casi in cui il silenzio della sua stanza veniva interrotto dai rumori che uscivano dalla televisione, ma quel giorno la quiete veniva disturbata dalle conversazioni dei suoi parenti. Il fidanzato di sua cugina era al centro della scena, erano ore che raccontava della sua esperienza nel Tunnel Menferro, di come un Allenatore era riuscito a distruggere le rocce che ostruivano il passaggio.
Lino sorrideva mentre ascoltava i vari discorsi, considerava il ragazzo di Linda come un tipo benevolo e di buon cuore, un carattere che entrava in perfetto contrasto con la sua innata passione per la lotta e i Pokémon del medesimo Tipo. Lino non vedeva l'ora di migliorarsi per sfidarlo, fremeva all'idea di mettersi a confronto con qualcuno.
Fu allora che il ragazzino tornò indietro con la mente, ricordando i giorni in cui aveva attraversato Hoenn in compagnia dello zio.
Era contento di aver lasciato Petalipoli e di aver messo piede fuori di casa per esplorare le curiosità del mondo, da quando era diventato il padrone di Ralts non la smetteva più di uscire e di conoscere le meraviglie racchiuse nel Percorso lì vicino. Aveva intenzione di tornare a Ciclamipoli per prendere la via che conduceva al Deserto, ma non disponeva della giusta attrezzatura e non si sentiva ancora pronto per affrontare i Pokémon che vivevano tra la sabbia rovente. Negli ultimi giorni si era stabilito un unico scopo: quello di allenarsi per diventare un ottimo Allenatore di Pokémon, di migliorarsi così tanto da poter mettere in difficoltà il suo amico Brendon. Era una decisione che aveva preso in considerazione il giorno in cui l'aveva sfidato a Ciclamipoli.
Lino arricciò la punta del nasino e cominciò a stringere l'oggetto sferico, scivolò giù dal letto per mettersi a correre verso il salotto e infilarsi le scarpe da corsa.

«Lino, tesoro, dove sei diretto?»
Domandò sua zia.
«Nel Percorso 117»  esclamò in risposta. «Voglio andare ad allenarmi con Ralts».
«Va bene, ma cerca di tornare a casa prima di cena».
«D'accordo!» 
Lino agguantò lo zainetto lì vicino per indossarlo, era pronto per uscire quando sentì un peso improvviso atterrargli sulla testa e arruffargli i capelli. Si voltò e notò il fidanzato di Linda.
«E così ti vuoi allenare, eh, scricciolo?» 
Lino scoppiò a ridacchiare.
«Certo, io e Ralts cominciamo ad andare d'accordo».
«Caspiterina, migliori a vista d'occhio» scherzò lui. «Io e il mio Pokémon aspettiamo con ansia il giorno in cui ti deciderai a combattere contro di noi!» 
«Io e Ralts non ci faremo cogliere impreparati!» 
«Mi piace come ragioni, soldo di cacio!» lui iniziò a ridere, poi intrecciò le braccia muscolose al petto. «Cerca solo di andarci piano, d'accordo? Non vorrei che Meditite si sforzasse troppo, lo sto preparando per le sfide del Torneo tre Turni e mi piacerebbe portarlo lì tutto intero».
Lino ricominciò a ridere e scrollò le spalle. Quelle mura cominciavano a soffocarlo, così salutò i suoi familiari e uscì per incamminarsi verso il sentiero. Sentiva il bisogno di respirare aria pulita e di liberare il suo piccolo amico per cominciare gli allenamenti.
Il suo sogno non era tanto lontano, bastava fare il primo passo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** 9. Brunifoglia ***


Brunifoglia

Comunità rurale ricca di orticelli


 


 

 

 


 


 

Brunifoglia era una modesta cittadina nata tra le montagne, situata a Nord-Est di Hoenn. Attraversata da un'unica via principale che collegava il Percorso 113 al Percorso 114, era caratterizzata da paesaggi rurali che la rendevano differente e particolare rispetto alle altre città della regione. Il territorio era fertile e argilloso grazie alle acque del lago, l'unico ecosistema in grado di ospitare Pokémon come Barboach, Whiscash e Lombre.
Anche il Monte Camino era in grado di caratterizzare l'ambiente circostante, il Percorso 113 era rinomato per la cenere vulcanica che scendeva dal cielo e ricopriva il suolo con un leggero manto grigiastro. I bambini che non avevano il timore di affrontare gli Skarmory selvatici, erano abituati a inoltrarsi nella vegetazione per dedicarsi alla raccolta della cenere e portarla del vetraio che abitava nelle vicinanze.
Brunifoglia era abitata esclusivamente da famiglie e anziani, era raro vedere giovani forestieri approcciarsi a una città in cui le tecnologie erano ancora in uno stato embrionale e mal funzionante. Lì non esistevano Palestre Pokémon e gli Allenatori si avvicinavano per pochi motivi: o bussavano alla porta del famoso “Guida Mosse”, oppure la percorrevano per raggiungere l'abitazione dell'esperto Fossili o le Cascate Meteora del Percorso 114.
Come era successo per Mentania, l'apertura del Tendone Lotta aveva fatto la differenza, permettendo al piccolo borgo di diventare una sorta di meta turistica. In quella struttura molto simile a un Dojo Lotta, gli Allenatori si potevano iscrivere per affrontare la sfida del “Torneo tre Turni”, una modalità singolare in cui le lotte duravano tre turni e gli esiti venivano decisi dall'arbitro, una figura esterna che sceglieva il vincitore alla fine dell'incontro, basando la sua scelta su tre criteri fondamentali: la mente, cioè le mosse offensive; l'abilità che simboleggiava gli attacchi andati a segno e il corpo, un criterio che faceva riferimento ai punti salute delle creature.


 

 


 


Quel pomeriggio Lanette aveva abbandonato la sua postazione per dare una rapida occhiata al pc del Centro Pokémon di Brunifoglia, una routine che le permetteva di rendere il servizio attivo e lontano da guasti o disagi vari.
Durante il ritorno la ragazza non aveva smesso di riflettere sulla situazione attuale, del cambiamento radicale che aveva portato la partenza improvvisa di Colette. Lei e la sorella maggiore avevano fatto molto per Hoenn, avevano messo mano sul Sistema Memoria Pokémon di Bill per migliorarlo e inserire nuovi programmi aggiuntivi. Sfondi, una capienza maggiore... Elementi in grado di semplificare la vita degli Allenatori.
La giovane studiosa sospirò per staccarsi dalle riflessioni, iniziò a sorridere solo quando intravide la silhouette di casa in lontananza. Non vedeva l'ora di liberarsi del peso dei borsoni, di tornare a lavorare sugli attrezzi informatici che spegneva con una certa rarità. Da sempre adorava la posizione del laboratorio personale, di come la villetta in cui era cresciuta fosse diventata un contenitore ricco di oggetti elettronici e cavi dalle varie misure. Aveva deciso di non abbandonarla, era innamorata dell’affaccio sul lago e la natura selvaggia le dava la possibilità di condurre le sue ricerche nel relax più totale.
I caldi raggi del sole si abbattevano sul Percorso 114, rendendo l'aria afosa e difficile da respirare. L'assenza di allenatori permetteva ai versi dei Pokémon di echeggiare in tutta la zona, ogni tanto gli sbuffi bollenti del vento facevano ondulare le frasche che circondavano il sentiero asfaltato.
Lanette sospirò, esausta e per niente abituata a compiere sforzi fisici eccessivi.
Preferì arrestare il passo e fermarsi sulla superficie liscia e piatta di una roccia, lasciò le borse da lavoro in un angolo per liberarsi le mani dal folle peso. Si slegò i lunghi capelli color nocciola tenuti insieme dalla bandana e utilizzò il panno per rimuovere le macchie dagli occhiali, pulì con parsimonia le lenti e senza prestare attenzione ai fruscii che sentiva alle spalle, la mente razionale da studiosa le permetteva di collegare i rumori alle condizioni climatiche della zona. Lanette udì un sibilo distorto vicino al suo orecchio e si irrigidì, un rumore insolito che la spronò a voltarsi. Balzò in avanti quando intravide un Seviper scagliarsi verso di lei, evitò i denti velenosi del Pokémon per un soffio, impattando contro al suolo polveroso. Gli occhiali le scivolarono dalla mano per colpa dell'urto improvviso, rendendola inerme e priva di qualsiasi difesa.
Cominciò a gattonare in avanti con una certa rapidità per riuscire a nascondersi tra l'erba alta, non possedeva alcun Pokémon per contrastare gli attacchi velenosi, quello era l'unico modo che aveva per sfuggire dalle grinfie di uno dei predatori più eleganti e pericolosi della regione.
Il sibilo del Seviper si faceva sempre più vicino e terrificante. Lanette, presa dalla paura e dalla fretta, posò le mani su dei ciottoli che scivolarono in avanti per colpa del troppo peso, la ragazza perse l'equilibrio e rotolò sul terreno fangoso fino a cascare dentro a un fosso in cui scorreva una leggera fonte d'acqua. Lo schianto contro alle rocce appuntite le provocò una forte sensazione di dolore, urlò e si rotolò su quel letto scomodo per provare a tornare in posizione eretta. Ma non ci riusciva, delle fitte lancinanti le percorrevano ogni centimetro del corpo e le impedivano di compiere anche il movimento più semplice.
La situazione si faceva più complicata e priva di qualsiasi via di fuga, sentiva il fiato del grosso serpente farsi sempre più minaccioso e famelico. Deglutì e si mordicchiò il labbro inferiore prima di lanciarsi in avanti, agguantò la pietra più affilata che le capitò sotto mano e cominciò a tenderla verso l'alto. Sapeva che non era molto per contrastare i denti affilati del Seviper, ma la presenza le bastava a confortarla e l'aiutava a sperare in un esito migliore. Sentiva gli occhi farsi lucidi e riempirsi di lacrime, rimpiangeva l'idea di non aver avuto il modo di contattare la sorella e concederle un ultimo saluto.
Lanette era sul punto di arrendersi quando percepì un suono metallico passare sopra alla propria testa, fu un episodio che durò una manciata di secondi, bastò per farle martellare il cuore nel petto. La miopia le impediva di distinguere i dettagli, solo l'accozzaglia di versi e rumori le facevano comprendere che qualcuno aveva attaccato di proposito il Seviper selvatico.
La studiosa approfittò della distrazione dell'assalitore per scappare, riuscì a combattere le ferite che si era provocata con la caduta e tornò in piedi. Iniziò a zoppicare in direzione del versante che creava quella sottospecie di bara naturale, si aggrappò alle radici che spuntavano dallo strato argilloso del suolo per utilizzarli come appigli e arrampicarsi per raggiungere la cima di quel fetido fosso.


 

«Afferra la mia mano!»
Lanette sussultò quando captò una voce maschile.
Le era difficile squadrare i lineamenti dello sconosciuto, ma la situazione rischiosa le impedì di fare domande o di pronunciare frasi azzardate. Doveva sbrigarsi se non voleva finire schiacciata dai due Pokémon impegnati nello scontro mortale.
Annuì e avvicinò la mano a quella dello sconosciuto per afferrarla, sfruttò la forza dell'estraneo per uscire dal canale e allontanarsi dalle frasche ruvide che le pungevano il viso.

«I miei occhiali!»
Esclamò senza controllare il tono della voce, tornò in ginocchio per cominciare a tastare il terreno con agitazione. Il cuore non la smetteva di batterle nel petto, il respiro era ancora affannoso.
«Stai parlando di questi?»
Mormorò l'uomo, aveva una voce talmente calda e gentile da rassicurarla. Lanette restò senza fiato quando lo sconosciuto le posò gli occhiali tra le mani, si affrettò a rimuovere la sporcizia dalle lenti prima di inforcarli.
Fu allora che Lanette si voltò in direzione del proprio salvatore, voleva ringraziarlo per averle salvato la vita, ma si stupì quando scoprì che al suo fianco non c'era più nessuno.


 

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Capitolo 10
*** 10. Cuordilava ***


Cuordilava

Sorgenti termali del Centro Pokémon: il luogo ideale per rilassarsi!


 

 

By: Xavier



 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cuordilava, nonostante le ridotte dimensioni e la difficoltà di essere raggiunta, era una cittadina che valeva la pena visitare, unica del suo genere. Sorgeva in una valle alle pendici del maestoso Monte Camino, circondata su ben tre lati dalle imponenti creste rocciose del vulcano, che pareva quasi voler proteggere con un grezzo abbraccio quella piccola oasi di pace e tranquillità, la quale doveva la sua fama per l'appunto al famoso cratere, che le aveva donato un clima favorevole, una visuale meravigliosa e, soprattutto, le tanto rinomate terme.
L'unica via terrestre che consentiva di giungere in città era il Passo Selvaggio, una forra scoscesa e ripida che partiva dalla vetta dell'acrocoro e scendeva, snodandosi in sentieri brulli intervallati da brevi ripiani erbosi, perennemente ricoperti di cenere, fino alla vallata del Percorso 112, a est di Cuordilava. Piacevole in discesa, per i più avventurosi, ma ostico in salita per chiunque.
Lilith aveva appena attraversato quella scarpata ed aveva finalmente messo piede nella città vera e propria, dove si era appena trasferita. Il tragitto in funivia era stato rilassante, le aveva permesso di vedere dall'alto tutti i dintorni del paesino, il fitto bosco di conifere imbiancate, gli aspri pendii del monte, gli sterminati colli all'orizzonte, seduta comodamente nella cabina con la sua Dratini sulle ginocchia. L'ultimo tratto di strada però l'aveva sfiancata e non vedeva l'ora di riposarsi un po'; e pensare che era partita da Zafferanopoli, dove aveva lasciato quasi tutto e tutti. Cuordilava sembrava il posto ideale per iniziare una nuova vita con una nuova identità, poiché nessuno la conosceva e, come recitava anche il cartello all'ingresso, Cuordilava era "il luogo ideale per rilassarsi".
Relax.
Era tutto quello di cui Lilith, una giovane ragazza dai capelli turchini e dal look dark, aveva bisogno in quel momento della sua vita.
Si diresse subito verso la sua nuova abitazione, un modesto bilocale proprio accanto all'erboristeria, dando di tanto in tanto delle occhiate guardinghe ai dintorni delle vie: non c'era un gran via vai di gente, nonostante il paesino fosse una rinomata meta turistica, vi erano soprattutto anziani dall'aspetto docile e bonario, accompagnati spesso da bambini festosi e vivaci, probabilmente i nipoti. Un'atmosfera decisamente tranquilla, se paragonata a quella della sua metropoli d'origine, dove tutti pretendevano di conoscerla ma nessuno la conosceva per davvero.
Entrò in casa, chiuse l'anta alle proprie spalle e tirò un sospiro di sollievo.
Abbandonò sciattamente i bagagli per terra e diede una rapida ispezione alla casa: era pulita, il parquet era di un legno lucido e chiaro, con qualche insignificante graffio qua e là, nella piccola cucina vi era l'essenziale, un forno, un lavello, un frigo e una tavola da quattro posti, poco più a destra si apriva una zona salotto munita di un tavolino, fatto rigorosamente in vetro cinereo, e una soffice poltrona imbottita per vedere comodamente seduti la TV posta di fronte. Infine, la camera da letto munita di matrimoniale e il piccolo bagno annesso erano divisi dal resto dell'ambiente tramite un sottile muro, alla cui metà si apriva una porta in laminato bianco.

«Allora, ti piace la nostra nuova casetta?» chiese dolcemente al suo Pokémon, dopo averlo fatto uscire fuori dalla sua Sfera per permettere anche a lui di ispezionare.
Anche Dratini sembrava soddisfatta dell'acquisto, annuiva con la testolina.

«Bene, mi fa piacere. Adesso però devo lasciarti qui per un po', devo andare in un posto dove non posso portarti, ma tornerò presto, vedrai!» disse alla creatura, chinandosi per concederle qualche carezza. Dratini rispose con un'espressione rattristata, che avrebbe fatto intenerire persino un Regirock, ma alle terme i Pokémon non erano ammessi e Lilith non poteva farci nulla.
«Appena torno, se fai la brava, ti farò assaggiare un Lavottino, intesi?» salutò così il draghetto, mostrandole la confezione intatta di biscotti, una delizia locale per umani e Pokémon; afferrò quindi il borsone con il necessario e uscì di casa.

 

Si accedeva alle terme tramite il Centro Pokémon, non molto distante dalla dimora della giovane, che impiegò pochi minuti di camminata per recarsi sul posto. Una volta entrata, si fermò al bivio che divideva gli ambienti femminili da quelli maschili; si mordeva nervosamente il labbro inferiore, i manici della borsa le scivolavano dalle dita sudate, si guardava ansiosamente attorno, temendo di essere fissata da qualcuno, ma nessuno pareva dare particolare attenzione a lei.
Una mano le si posò sulla spalla, facendola sussultare:
«Signorina, posso esserle d'aiuto?»
Si voltò di scatto in direzione di quella voce, e notò la figura massiccia di un'infermiera del centro.
«Io uhm, c-cercavo lo spogliatoio femminile…» balbettò, leggermente rassicurata dall'epiteto con cui era stata appellata.
«Alla sua destra, prosegua dritto, non può sbagliarsi» rispose cortesemente l'addetta.
Ringraziò con un modesto inchino e prese la direzione indicatale. Arrivò davanti l'uscio, ancora restia ad aprire.
Non era ancora riuscita a liberarsi del tutto da quelle latenti paranoie, dopo anni vissuti nel timore del giudizio altrui, a nascondere ciò che era e sentiva di essere, temeva di essere "scoperta".

«Ma io ormai sono Lilith» sussurrò senza accorgersene «anzi, sono sempre stata Lilith»
E aveva ragione; "Abram" non era mai esistito, quel nome non le era mai appartenuto, non l'aveva mai ritenuto proprio, era solo il nome della maschera spuria che era stata costretta a portare per troppo tempo. Le piaceva assimilarsi alla sua Dratini che, pur rimanendo sempre la stessa, aveva cambiato pelle con la muta, per indossarne una più accogliente e adatta a quel corpo in mutamento. Anche Lilith aveva cambiato l'involucro esterno che rinchiudeva la sua anima, nulla di più.
Si fece forza e spinse la maniglia, entrò nello spogliatoio e lo trovò vuoto. Non impiegò molto tempo a cambiarsi e quando fu pronta uscì, con un po' più di sicurezza, per dirigersi verso le vasche di acqua calda.
Fortunatamente, nemmeno lì vi era molta gente: c'erano soprattutto anziane signore intente a scambiare chiacchiere quotidiane su cosa cucinare e come farlo, sui nipoti o figli che non vedevano da molto, sul clima o su una recente serie TV che aveva riscosso molto successo. Lilith entrò timidamente in acqua, e tutti gli sguardi si posarono improvvisamente su di lei e quel brusio cessò di colpo.
Ebbe paura.
Iniziò a tremare.
Era già pronta a doversi scusare ma…

«Ehi, ma tu sei nuova!» improvvisamente una voce si alzò dal coro, una voce giovane e vivace.
Lilith alzò la testa e i propri occhi grigi incontrarono quelli scarlatti di una sua coetanea, a pochi metri da lei. Quei capelli rossi erano inconfondibili: si trattava di Fiammetta, la Capopalestra della città.

«Già, non l'abbiamo mai vista. Benvenuta cara!» anche le altre vecchiette salutarono così Lilith.
La fanciulla si sentì improvvisamente riempire il cuore di gioia e rispose:
«Sì, è la prima volta che vengo qui, mi sono trasferita oggi. Vengo da Kanto»
Un certo cicalio fermentò da quella affermazione.
«Kanto! Mio figlio è lì per lavoro!»
«Mia nipote è stata in vacanza ad Aranciopoli, l'anno scorso!»
«Ci sono stata in viaggio di nozze con mio marito! Bei tempi, ci tornerei volentieri!»
Lilith ascoltava compiaciuta tutto quel brusio, ogni sua tensione era stata sciolta dal tepore delle acque e dal calore con cui l'avevano accolta nella cerchia. Finalmente si sentiva a suo agio, accettata e rispettata. Non chiedeva niente di più, niente di meno; chiuse gli occhi e si immerse fino al naso, concedendosi delle piacevoli ore di meritato relax.

 


 

Note dell'autore: Salve!
Questa volta mi sono occupato io di mandare avanti questa deliziosa serie, sperando di essere stato all'altezza degli standard della mia collega, sigh, non vorrei aver guastato tutto (?) Ad ogni modo, questa storia è una dedica ad una mia carissima amica, la cui OC è appunto protagonista del racconto. Spero vi sia piaciuto.
~Xavier

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Capitolo 11
*** 11. Forestopoli ***


Forestopoli

La città sulla cima degli alberi in sintonia con la natura


 

 

By: Xavier





 

 





 

Forestopoli era quel posto dove la mano dell'uomo s'univa a quella della natura, in perfetta simbiosi. La città si stagliava a metà tra il Percorso 119 e il Percorso 120 e, come suggeriva il nome, sorgeva all'interno di una foresta. Anzi, era essa stessa una foresta. Le abitazioni infatti erano collocate sui rami più alti dei grossi alberi ed erano connesse fra loro tramite ponticelli, liane e scale, consentendo a chi le popolava di vivere sempre a contatto con il verde e di mantenersi in forma grazie a tutto quel saliscendi continuo. Solo il Centro Pokémon, il Supermarket e la Palestra che troneggiava nel centro erano stati edificati per terra.
Dacian avrebbe dovuto trascorrere qualche giorno proprio in una di quelle casette di legno, in compagnia della sua Aron e del padre adottivo, Roderick.
Il ragazzo non aveva pronunciato mezza parola da quando era stato preso, troppo timido e ancora troppo diffidente verso quell'uomo e quell'ambiente tutto da scoprire, ma l'adulto non si era abbattuto e, con calma e pazienza, lo aveva sempre spronato ad esprimersi, parlandogli del più e del meno.
«Allora, Dacian» - proruppe il grande, dopo aver portato su i bagagli di entrambi e averli stipati nella camera da letto che comprendeva due giacigli, un comodino comune, due scrivanie e un piccolo bagno annesso- «quale lettino preferisci?»
Il ragazzo automaticamente prese le proprie cose e andò a sedersi su quello a destra, più vicino alla porta che conduceva nella stanza adibita a cucina e soggiorno.
«Capisco, io prenderò quello sotto la finestra, dunque» asserì l'uomo, e s'avvicinò al ragazzo per lasciargli una rassicurante carezza tra quei capelli corvini, del medesimo colore dei propri- «per me non c'è problema».
Roderick si trovava lì per sbrigare alcune questioni lavorative, ma aveva deciso di portarsi dietro il ragazzetto di appena dieci anni, convinto che l'aria di quella città gli avrebbe fatto bene e lo avrebbe aiutato ad aprirsi un po', non aveva ancora avuto occasione di sentire la sua voce, se la immaginava dolce come il canto di uno Swablu e fremeva all'idea di sentirla.
«Sai» - iniziò a parlare l'uomo, mentre entrambi erano intenti a smistare i loro oggetti nella stanza- «penso che questa città faccia al caso tuo. Si respira un'aria pulita, non fa freddo, potrai arrampicarti a tuo piacimento e fare attività fisica, per allenare te stesso e Aron, inoltre qui piove spesso, e a te piace molto la pioggia, vero Dacian?»
Il ragazzo alzò lo sguardo per incrociare i profondi occhi blu dell'adulto, e si limitò ad accennare un frettoloso "" con la testa, poi tornò alle proprie cianfrusaglie, senza dare troppe attenzioni alle divagazioni dell'altro. Quel posto, in effetti, non gli dispiaceva. Era molto più tranquillo delle caotiche città pullulanti di auto e persone sempre in movimento, si respirava un'aria fresca e pura, la gente era discreta e cordiale, in più la loro abitazione, pur essendo molto semplice e rustica, era assai comoda e dotata di ogni comfort necessario; stranamente, si sentiva a proprio agio, ma preferì comunque non proferire parola troppo presto.
Roderick osservava con un sorriso deliziato il figlio disteso prono sul letto e intento a disegnare, era curioso di sapere cosa stesse rappresentando con tutte quelle matite colorate, sarebbe rimasto ore a contemplarlo in tutta la sua tenerezza, vederlo spensierato e sereno gli riempiva il cuore di gioia, ma fu costretto a rompere il silenzio un'altra volta: «ehi campione, senti un po'…» - iniziò a dire, avvicinandosi pian piano a Dacian- «adesso devo uscire, ho da sbrigare alcune cose e fare delle compere, ti annoieresti se ti portassi con me, vero?»
Il ragazzo annuì ancora una volta, senza staccare gli occhi limpidi e trasparenti, che ricordavano due pozze d'acqua ambrate, dal foglio, troppo intento ad illustrare.
«Immaginavo» - sospirò l'uomo, e si sedette sul giaciglio, per accarezzargli la schiena con gesti lenti e delicati- «non preoccuparti, non ti costringerò. Ti chiedo solo una cosa…»
Solo a quel punto Dacian rivoltò il disegno per occultarlo e si mise a guardare in faccia Roderick.
«Dicevo» - riprese l'adulto, lisciandogli i capelli lucidi- «in cucina ho lasciato delle buste sul tavolo, sono piene di documenti importanti, quindi per favore non toccarle, intesi?»
Dacian studiò a lungo lo sguardo serio e penetrante del genitore, nonostante la dolcezza celava un briciolo di severità, era molto rigoroso quando si trattava del suo lavoro, per cui si limitò a scrollare le spalle, come per dire "quei documenti non mi riguardano, certo che non te li tocco", e Roderick capì al volo quello che i gesti del bambino volevano comunicargli.
«Bravo» - esclamò soddisfatto, alzandosi dalla branda- «allora io vado. Tornerò per l'ora di pranzo e mangeremo insieme questa volta, te lo prometto!»
Dacian strizzò gli occhietti sotto le ultime carezze del grande e lo osservò andarsene, finalmente poteva starsene un po' da solo e ambientarsi senza essere strapazzato di carinerie ogni secondo. Capiva e apprezzava l'affetto che il padre adottivo dimostrava verso di lui, ma il suo carattere schivo e un po' scontroso non lo rendeva molto propenso ad essere coccolato con tanto attaccamento. Tese le orecchie e non appena gli giunse il rumore della porta che veniva chiusa, rigirò il foglio di carta su cui stava lavorando, si tolse il cappuccio della felpa dalla testa e tirò un sospiro di sollievo. Aveva già ripreso la sua attività, quando udì nuovamente la voce del padre chiamarlo da giù: «ah, Dacian!»
Si coprì repentino il capo e si affacciò alla finestra per ascoltare le ultime raccomandazioni, con fare visibilmente stufo.
«Ricordati di chiudere le imposte, non vorrei che entrassero dei Coleotteri! A dopo, campione! Fai il bravo!»
Il ragazzo rispose sbuffando, era stato interrotto per quella misera sciocchezza e per fargli capire che aveva inteso sbatté le ante delle finestre della camera da letto con forza, assicurandosi che fossero ben chiuse. Finalmente era da solo e poteva dedicarsi in santa pace al proprio passatempo.

 

Dopo tre ore di disegno ininterrotto, Dacian poteva dirsi soddisfatto di quel che ne era uscito e si alzò dalla postazione per mostrare il capolavoro alla sua Aron, ma rimase deluso nel trovarla addormentata sotto la scrivania e non se la sentiva di svegliarla. All'improvviso, mentre contemplava il Pokémon, sentì un tonfo provenire dalla cucina, come se un qualcosa fosse caduto sul pavimento entrando da fuori; si ricordò delle parole pronunciate dal padre poco prima di partire e pensò subito ad un Pokémon Coleottero, per cui si diresse nella suddetta stanza con l'intento di farlo uscire, ma non trovò nessuno. Controllò da cima a fondo tutta la camera, sotto il tavolo, sotto le sedie, sugli scaffali, nelle credenze, ma nulla. Avvertiva una strana presenza, tuttavia, si sentiva osservato, ma si convinse ben presto che fosse tutta opera della suggestione, per cui scrollò le spalle e andò ad appoggiarsi al davanzale che dava sull'ambiente esterno: da quell'appostamento si poteva intravedere la Palestra di Forestopoli, un edificio non molto diverso da com'erano costruite le case civili, era solo più grande. Si chiedeva come dovesse essere all'interno, aveva solo sentito parlare vagamente della Capopalestra Alice ma non aveva mai avuto l'occasione di entrare in una vera e propria Palestra. Non che gli importasse più di tanto, le lotte non facevano al caso suo, preferiva tenere dei Pokémon esclusivamente come compagni di gioco.
Sbuffò vistosamente e chiuse le imposte, tornandosene a letto. Riprese in mano il foglio cartaceo per darci qualche ritocco, impugnò il pastello rosso ma non ebbe nemmeno il tempo di poggiare la punta colorata sulla superficie ruvida che un secondo rumore, più forte del precedente, lo ridestò e fece svegliare anche Aron, che lanciò un'occhiata sonnolenta al padroncino.
Si fece coraggio e sbirciò nella cucina: uno dei due piatti in porcellana lasciati sul tavolo era caduto a terra e si era rotto in mille pezzi. Ma come? Chi poteva essere stato a rovesciarlo? Dacian non riusciva a capire. Zampettò timidamente nella stanza e si sbrigò a raccogliere i cocci e buttarli via, ma un rapido spostamento d'aria avvertito alle proprie spalle lo fece voltare: nemmeno questa volta poté notare nulla di strano. La situazione iniziava ad inquietarlo. Con la coda dell'occhio catturò un altro movimento: le cartelle colme di documenti erano state lacerate con un gesto simile ad un graffio e ora cascate e cascate di fogli si stavano riversando, sparpagliate, sul pavimento di legno.
Il ragazzetto emise un singulto e si slanciò sul banco per proteggere col proprio corpicino quel che restava delle carte, anche se ormai il danno era stato fatto, e qualcosa gli sfiorò le braccia, lo poté appena percepire. Non era decisamente da solo, ma cosa avrebbe raccontato a Roderick? L'uomo sarebbe tornato tra meno di un'ora, troppo poco tempo per rimettere in ordine il disastro.
Dacian pensò immediatamente ad un Pokémon Spettro: li conosceva per sentito dire, sapeva che potevano essere creature dispettose e crudeli, sempre pronte a spaventare il prossimo, era l'unica spiegazione che riusciva a darsi. Guardò Aron, che intanto si era fatta avanti e, spaventata, aveva usato Rafforzatore, ma realizzò che la sua compagna di squadra avrebbe potuto fare ben poco contro un fantasma: essa infatti conosceva solo mosse di tipo Normale, come Azione e Bottintesta, per nulla efficaci.
Intanto attorno a loro due la stanza veniva messa a soqquadro: posate e bicchieri venivano rovesciati, ante e cassetti sbattevano, soprammobili piombavano a terra, segni di artigli comparivano sugli sportelli della credenza che conteneva le scorte alimentari.
Dacian non perse altro tempo: afferrò Aron e si barricò nella stanza da letto, nascondendosi con lei sotto uno dei giacigli; la strinse al petto che pareva in grado di esplodere da un momento all'altro a causa del suo cuoricino palpitante e le fece cenno di non emettere alcun suono.
I rumori intanto proseguivano e, anzi, aumentavano. Doveva essere una vacanza rilassante per lui, quella, ma si stava trasformando in un inferno.
Sperava di veder comparire sull'uscio la figura imponente e rassicurante di Roderick, di essere preso tra le sue braccia e rassicurato anche se, in quel momento, l'idea di vedere il padre su tutte le furie a causa del suo lavoro messo in disordine non lo rassicurava affatto, anzi, lo faceva sentire tra l'incudine e il martello: Dacian iniziò a piangere, silenziosamente, e perse la cognizione del tempo che scorreva.











 

Roderick, nel frattempo, aveva concluso il proprio lavoro all'Istituto Meteo posto ad ovest della cittadina, e trovandosi in grande anticipo aveva deciso di andare a prendere qualcosa per il pranzo e fare un salto in un negozio, uno dei tanti, che vendeva decorazioni per Basi Segrete, per fare una sorpresa al figlio: gli aveva preso una Poké Bambola a forma di Cleffa, il ragazzino andava matto per quei giocattolini di pezza. Entusiasta del nuovo acquisto, Roderick si accinse a salire in casa, ma quando aprì la porta trovò l'abitazione a soqquadro. Pensò ad una rapina, e non vedendo il piccolo nei paraggi andò nel panico: «Dacian!» gridò, senza neppure badare ai documenti sparpagliati per terra o alle buste della spesa. Irruppe con impeto nella stanza da letto, dove aveva lasciato i suoi averi più preziosi, e la trovò in ordine, non vi era alcun segno di effrazione, per cui si diede una calmata e si avvicinò al letto su cui era stato adagiato un disegno, lo raccolse e lo guardò: rappresentava due individui, un uomo più grande vestito in modo elegante con abiti neri e camicia bianca che teneva per mano un ragazzo più piccolo, imbacuccato in una felpa rossa e, ai loro piedi, un esemplare di Aron. Accanto ai soggetti, erano scritti i rispettivi nomi: "papà, io & Cozette". Roderick sorrise commosso a quella visione. Dacian, invece, nell'udire il proprio nome urlato in quel modo così energico, aveva avvertito un colpo al cuore e ancora tremava di paura, temeva una punizione esemplare. Ancora piangeva, e i suoi singhiozzi si fecero più pesanti, non riusciva a reprimerli. Solo allora il padre notò che c'era qualcuno sotto il materasso, si abbassò e si accorse di lui: «Dacian, santo cielo, cos'è successo?» chiese con apprensione e lo aiutò a tirarsi fuori da lì. Il suo tono era molto dolce e carezzevole, non sembrava in procinto di rampogne. Il ragazzo avrebbe voluto raccontargli per filo e per segno quanto successo, ma il nodo alla gola gli impediva di parlare e dalla sua bocca uscivano solo singulti trafelati.
«Mi sono spaventato, sai?» - disse, prendendolo in braccio- «quel macello in cucina non è opera tua, vero?»
Dacian scosse con convinzione la testa.
«Certo che no…» sussurrò il padre, tenendo stretto il figlio per rassicurarlo. Moriva dalla voglia di sentire la sua voce, ma non voleva che fosse alterata dal suo stato di terrore, vedere Dacian in quella condizione gli creava un dispiacere immenso.
«Adesso scopriamo chi è stato, d'accordo?» disse poi, donandogli un sorriso affettuoso. Dacian lo guardò sbalestrato, sapeva che il lavoro di suo padre aveva a che fare con delle indagini, ma quel misterioso colpevole per lui era semplicemente impossibile da svelare, persino per un agente capace come lui.
«Vediamo un po' se i miei sospetti sono fondati…» - bisbigliò, dopo aver preso dalla sua borsa uno strano visore ed esserselo portato agli occhi, per vederci attraverso- «… bingo! Ah ah!»
Dacian continuava a non capire, e Roderick permise anche a lui di osservare attraverso quello strano aggeggio chiamato "Devonscopio" e solo allora fu tutto più chiaro: accanto ad una scatola di biscotti aperta malamente e riversata sul parquet, giaceva addormentato un esemplare di Kecleon che, a giudicare dal pancino gonfio, doveva essersi fatto una bella mangiata. Il ragazzo rimase a bocca aperta, sbalordito, si sentiva uno stupido.Solo allora il padre sospirò: «io però ti avevo detto di chiudere le finestre, signorino…» - al che il ragazzo chinò il capo, con fare affranto e colpevole- «ma adesso è ora di pranzo, quindi mangiamo con calma e dopo mi aiuterai a rimettere tutto in ordine, d'accordo?»Dacian annuì subito, si era ormai tranquillizzato, per fortuna quella casa non si era rivelata infestata da nessuno spirito maligno e Roderick non era infuriato con lui per aver mandato all'aria i risultati di una nottata intensa di lavoro, né per aver reso inagibile una camera. L'uomo posò delicatamente per terra il piccolo, gli diede un bacetto sul capo e aprì la finestra, permettendo così al Kecleon ormai sveglio di andarsene via in santa pace; mise poi mano alle buste della spesa e tirò fuori la bambolina acquistata in precedenza, che porse a Dacian: «questa è per te, so che ti piacciono. Adesso però va' a lavarti le mani, ti avevo promesso che avremmo pranzato insieme» .
Dacian afferrò entusiasta il nuovo giocattolo, poi si alzò sulle punte per regalare uno stretto abbraccio all'uomo: «grazie papà…» - riuscì a bisbigliare, con la vocina colorata dall'euforia del momento- «ti voglio tanto bene, papà!»

 

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