Of Love, Death, and Sarcasm

di Axel Knaves
(/viewuser.php?uid=262074)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [0]»Facciamo un raduno cantato in latino«[0] ***
Capitolo 2: *** [1]»Loschi individui mi invadono casa«[1] ***
Capitolo 3: *** [2]»Biblioteche portatrici di fauste notizie«[2] ***
Capitolo 4: *** [3]» Il lunedì mattina e le figure di cacca: una novella. «[3] ***
Capitolo 5: *** [4]» Roller coster di emozioni «[4] ***
Capitolo 6: *** [5]» Ciabatte volanti e dove trovarle «[5] ***
Capitolo 7: *** [6]» Gelati in faccia e baci inappropriati «[6] ***
Capitolo 8: *** [7]» Dove il fiume Sfortuna ha inizio «[7] ***
Capitolo 9: *** [8]» Mr. Perfect alla riscossa «[8] ***
Capitolo 10: *** [9]» Appuntamento con il botto «[9] ***
Capitolo 11: *** [10]» Una famiglia a sorpresa «[10] ***
Capitolo 12: *** [11]» Guida di sopravvivenza per pranzi di famiglia «[11] ***
Capitolo 13: *** [12]» Demolire casa, una passione «[12] ***
Capitolo 14: *** [13]» Demoni a domicilio «[13] ***
Capitolo 15: *** [14]» Batto le mani, schiocco le dita «[14] ***
Capitolo 16: *** [15]» Appuntamenti (quasi) perfetti «[15] ***
Capitolo 17: *** [16]» Perdite e come gestirle «[16] ***
Capitolo 18: *** [17]» Livello di stabilità emotiva: mobile dell’IKEA «[17] ***
Capitolo 19: *** [18]» Attacchi a sorpresa e cioccolata calda «[18] ***
Capitolo 20: *** [19]» Dammi tre parole: sangue, morte e amore «[19] ***
Capitolo 21: *** [20]» Di donne infuriate ed angeli schiaffeggiati «[20] ***
Capitolo 22: *** [Epilogo]» Cena di Natale con sorpresa in omaggio «[Epilogo] ***



Capitolo 1
*** [0]»Facciamo un raduno cantato in latino«[0] ***




[0]» Facciamo un raduno cantato in latino «[0]


Voi direte: "Essendo che ha vent'anni, Eva Rossi passerà i suoi venerdì sera in discoteca".
Ecco… Lì fareste il primo errore.
Perché, di fatti, il mio venerdì sera stava iniziando a tendere a qualcosa di strano, quando una sensazione di cupo e insensato terrore mi chiuse lo stomaco.
Non ero mai stata molto sociale durante la mia adolescenza e quando, pochi mesi prima, avevo conosciuto Sonia, Claudia e Vittorio in biblioteca, che sembravano condividere la mia strana e sarcastica visione del mondo (non contando la malattia mentale), mi ero gettata in questa amicizia ad occhi chiusi.
Piccolo consiglio personale: non fate mai amicizia con tre studenti di Storia Medievale, vi trovereste come me a guardare le vostre due migliori amiche riarredarvi il salotto, facendo spazio per poter tracciare dei simboli pentaformi sul parquet.
E non volevo neanche pensare a quanto lavoro avrei dovuto fare il giorno dopo per pulirlo!
Ovviamente, essendo l'unica fuori sede dei quattro, il mio appartamento in affitto era stata la prima scelta – di un elenco composto da una sola voce – per il rituale che i tre avevano trovato in un vecchio libro.
Infognato in una claustrofobica biblioteca; nell’angolo più remoto di un angusto monastero dove stavano facendo delle ricerche per la loro tesi di laurea.
E certamente non poteva mancare la ciliegina sulla torta: dovevo offrire il mio sangue in usufrutto per il rituale di evocazione, essendo l'ultima "donna intatta" del gruppo...
A volte essere asociali per diciannove anni faceva proprio cagare...
«No, Sonia!» Esclamò irritata Claudia. «La candela nera è sulla punta a sinistra, sulla destra c'è quella rossa! È semplice, e che cazzo! Non ci vuole mica un ingegnere aerospaziale per la miseria!»
«Claudia, lo Xanax è in bagno se lo cerchi». La prese in giro Vittorio, bellamente sdraiato sul divano che poco prima aveva trovato una nuova casa contro la parete. «Nessuno sta prendendo il rituale seriamente! Quei monaci erano semplicemente pazzi!»
Anche se non potevo dargli torto sul “non prendere seriamente il rituale”, ero comunque quella che avrebbe dovuto offrire un braccio a Claudia per essere tagliato; perciò mi girai di scatto verso di lui – se ve lo stavate chiedendo: sì, eravamo entrambi a cazzeggiare mentre Sonia e Claudia stavano allestendo l'argenteria per invitare a cena il dio capro – e lo guardai malissimo: «Stai parlando del mio sangue 'Torio! Offri il tuo dannatissimo sangue, e poi dimmi se non lo prenderesti seriamente!»
«Non può essere lui a sacrificare il sangue», si intromise Sonia, dopo aver posizionato correttamente le due candele e una ciotola della MARVEL al centro della stella.
Perché dovevamo usare la ciotola della MARVEL? Perché ero squattrinata e non ne avevo altre. Ugh, non ci sarei più riuscita a mangiarci dentro, pensandoci bene.
«Sì!» Esclamai, esasperata. «Solo sangue di vergine! Quello che mi scoccia di più è che non avete pensato, neanche per un secondo, che potessi aver avuto già rapporti intimi con qualcuno!»
I tre si bloccarono a metà di quello che stavano facendo per fissarmi.  Alzai un sopracciglio, preoccupata di essere finita in una Mannequin Challenge per sbaglio. Poi Vittorio scoppiò in fragorosa risata.
«Cara», mi disse, cercando di ricomporsi, «neanche un orbo crederebbe che tu possa aver già fatto sesso; hai l'aura della verginella che ti volteggia attorno».
Arricciai le labbra stizzita.
«Iniziamo». Dissi con tono acido.
Sonia ridacchiò e si avvicinò appoggiandomi una mano sulla spalla. I suoi occhi blu mi guardavano con l'affetto sincero che di solito trovi nei tuoi fratelli o sorelle.
«Dopo tutto quello che ti è successo sappiamo quanto ti è difficile fidarti di qualcuno che non è la tua famiglia», mi disse con il suo tono sempre dolce e cristallino. Sempre. Anche alle otto e mezza del mattino! Con che miracolo ci riuscisse non lo sapevo. «Ma sono sicura che prima o poi troverai qualcuno di cui fidarti».
Le sorrisi.
Okay… Forse essere diventata amica di questo trio non era stata una così cattiva idea. Mi avevano mostrato un lato che non conoscevo nelle persone al di fuori della mia famiglia: amicizia, fiducia e preoccupazione. Dopo anni a combattere il bullismo psicologico, a cui ero stata soggetta durante le scuole medie e superiori, era una bocca di aria fresca che mi serviva. Ma la parola principale di tutto era: forse
«Grazie Sonia», la ringraziai, «speriamo, comunque, prima che poi».
«Ecco così ti vogliamo!» Esclamò Claudia e strinse me e Sonia in un abbraccio rompi costole.
Dispetto il fisico mingherlino e molto curvilineo, Claudia nascondeva muscoli tonificati con anni di pratica in Kick Boxing e Karate; e ve lo posso garantire: i suoi abbracci toglievano il respiro, letteralmente.
«Volete passare tutta la sera a fare l'Orso Abbraccia Tutti  oppure a vedere che evoca questo incantesimo?» Chiese Vittorio, ovviamente geloso che Claudia stesse abbracciando noi e non lui.
Di Vittorio c'era da ammettere una cosa: era un ottimo attore. Era anni che provava intensi sentimenti per Claudia ma, per non rovinare un'amicizia che durava dall'infanzia, stava facendo finta che non esistessero. Io e Sonia eravamo certe –anche se la bruna non lo aveva confessato ancora apertamente – che anche Claudia aveva iniziato a provare qualcosa per il ragazzo.
«Ah, quindi ora ti interessa?» Chiese seccata Sonia. Poco prima aveva urlato contro a Vittorio perché non stava facendo nulla per aiutarle.
«Sono la pecora nera di una famiglia composta di cattolici fervente: ovvio che sono interessato!» Esclamò lui, sarcastico, alzando gli occhi al cielo.
«Allora non hai problemi se ti utilizziamo come sacrificio, vero?» Chiese scherzosamente Claudia, lasciandoci e andando a spegnere le luce.
Ora la stanza era illuminata solo dal lume delle candele a terra. Dei brividi di paura mi percorsero la schiena e dovetti deglutire, perché mi iniziavo a sentire come in un film horror?
«Nah, se provassimo a sacrificare lui ce lo sputerebbero indietro da quanto rompe le palle». Sonia diede man forte a Claudia. Vittorio roteò di nuovo gli occhi al celo e mugugnò un "grazie tante” irritato. Claudia si voltò verso di me e mi studiò con cipiglio preoccupato. «Eva, tutto okay?».
Mi resi conto solo allora che mi ero tutta fatta su e che avevo le braccia incrociate, le mani strette attorno ai miei bicipiti.  Anche gli occhi di Sonia e Vittorio si fermarono su di me.
Feci il mio migliore sorriso finto: «Si, ho solo avuto dei brividi di freddo».
I tre mi guardarono ancora un attimo e poi riportarono l'attenzione sul pentacolo gigante a terra.
Che mi stava succedendo? Perché d'improvviso ero così impaurita? Forse era un segno che stavamo giocando con qualcosa molto più grande di noi? Forse era meglio che fermassi il tutto? Sì, era meglio fermarci. Aprii la bocca per dire che non volevo più provare il rituale, quando una voce in testa mi bloccò le corde vocali.
È per il bene di tutti.
Mi sentii impallidire. Di chi era quella voce? Avevo avuto così tante conversazioni con me stessa che sapevo benissimo che quella non era la mia voce. Per Anubis! Cosa mi stava succedendo?
«Eva, vergine cara, vuoi venire qua così la finiamo?» Mi chiese Vittorio che con le altre era seduto a uno dei quattro punti cardinali della circonferenza che univa le cinque punte della stella.
«Si, ci sono». Dissi prima di sedermi al mio posto a Nord.
Per il bene di tutti, pensai mentre Sonia prendeva fuori il testo latino.
Sonia, essendo quella con la migliore pronuncia aveva il compito di recitare la formula, che alle mie orecchie iniziava a sembrare un canto latino, molto simile a quello dei monaci nei film storici; Claudia aveva i compito di farmi il taglio sul braccio; e Vittorio... In realtà lui non doveva fare nulla, era solo lì per completare i quattro punti cardinali.
Iniziai a sudare freddo a ogni parola in più che Sonia leggeva. Lo stomaco mi si chiuse e di nuovo dei brividi di paura mi percorsero la schiena.
O per Iside, Horus e Set! Perché avevo accettato?! E se avessimo davvero invocato qualcosa di terribile?! Forse era così che era stata evocata la pesta nel 1300 e noi lo stavamo per rifare!
«Eva», mi richiamò Claudia che era davanti a me nel cerchio, «il braccio». E porse la mano così che le avrei offerto il braccio.
Il bene di tutti, pensai ancora una volta per farmi coraggio.
Mentre poggiavo l'avambraccio nelle mani di Claudia mi chiesi perché continuavo a ripetermi "per il bene di tutti" nei miei pensieri. Tutti chi?
Il taglio avvenne velocemente, non troppo profondo, ma bruciava come non so ché.
«Ahi!» Mi lamentai mentre il mio sangue cadeva nella mia scodella preferita, al centro per pentacolo.
E lì iniziarono le mie sfortune…

 

»Angolo Autrice«

Ed eccoci a fine primo capitolo... Lo so non è molto lungo e non lascia molto che dire sulla storia; ma beh... Quello era l'intento! XD
All'inizio non volevo neanche pubblicare la storia visto che parla di alcuni tematiche che ritengo sensibile e avevo paure della risposta negativa che poteva avere, solo per le tematiche da me scelte...
Fortuna ho delle amiche fantastiche che mi hanno spinto a calci in culo, quasi a pubblicarla; ma ha dispetto di questo vorrei fare alcuni chiarimenti:
1) Questa storia non è scritta con l'intento di offendere nessuna fede religosa, qualsiasi voi abbiate. La scelta dei personaggi è basata molto sul mio amore per la narrativa sopranaturale e per via di alcune immagini di pintarest. E soprattutto basata sul mio sarcasmo nero e non che ha superato i limiti della decenza.
2) Il trattamento di argomenti delicati come bullismo, depressione e asocialità in base sarcastica non vuole deridere nessuno. Mi sono trovata a subirli e so quanto sia difficile riuscirli a sconfiggerli, la mia salvezza è stata l'auto-ironia e il scherzarci sopra, e questa storia ne sarà piena. 
E se vi trovate in una situazione simile a quella che andrò a narrare, sappiate: c'è sempre una via d'uscita. Anche nei posti inaspettati a volte.
3) Linguaggio da scaricatore di porto. Ovviamente il fatto che io abbia un linguaggio colorito come un quadro Roccocò va a influenzare molto il linguaggio dei miei personaggi; ovviamente cercherò di trattenermi, ma a volte mi scapperanno un paio di parolacce a destra e a manca, con citazioni colte di dei Greci, Celtici ed Egizi.

Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto! Lasciate pure recensioni (quelle costruttive sono sempre ben accette) su quel che ne pensate e seguite la storia se in uno stano modo vi ha preso!
Give it a shot, please!

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** [1]»Loschi individui mi invadono casa«[1] ***




[1]»Loschi individui mi invadono casa«[1]


Lo sguardo di shock di tutti e quattro quando del fumo nero iniziò ad avvolgere la tazza con dentro il mio sangue; fece intendere un'unica vera verità: nessuno dei quattro aveva preso seriamente il rituale di invocazione. Nessuno dei quattro aveva mai immaginato che saremmo riusciti ad invocare davvero qualcosa.
«Claudia, piantala», disse Sonia cercando di tenere un tono normale; ma il panico si irradiava dalla voce acuta che aveva trattenuto in gola. «Non è divertente!»
Claudia la guardò come se la bionda l'avesse offesa e umiliata in mezzo al campus universitario.
«Io non sto facendo niente! Al massimo piantala te: sei te che hai sistemato le cose a terra!» La mora accusò la bionda.
Bene, ora le offese erano due e probabilmente stava per scoppiare una terza guerra mondiale nel mio salotto.
«Non mi importa chi delle due sia stata», prese la parola Vittorio, sperando di evitare un litigio, «ma qui la situazione sta peggiorando, perciò smettetela di bisticciare e tirarvi la colpa l’un l’atra!»
E in effetti aveva ragione.
Ero rimasta così concentrata sulle due donne che non mi ero accorta che il fumo attorno alla tazza si stava allargando sempre più e stava iniziando a creare un vortice.
Il bene di tutti? Tutti, 'sto cazzo! Stiamo rischiando la vita!
Mi urlai in testa prima che Claudia e Sonia mi presero per braccia e mi allontanarono dal pentacolo: ero in shock, su questa ero certa, e il mio corpo non voleva saperne di muoversi da solo.
Guardammo mentre la nebbia nera pece si alzava da terra, come se fosse un tornado al contrario, immobilizzati dalla paura. Sentii delle mani stringermi la maglietta da dietro e i lamenti spaventati di Sonia, probabilmente stava nascondendo la testa nella mia schiena come uno struzzo fa nel terreno.
Al contrario della bionda alle mie spalle, non riuscivo a staccare gli occhi dal vortice nero, che ormai era arrivato al soffitto. Era maestoso! E seppur il mio cervello mi dicesse che ne sarei dovuta essere spaventata per quello che mi stava accadendo davanti; non lo ero. Anzi, sentivo le mani tremarmi per l’agitazione mentre vedevo la nebbia vorticare su sé stessa: non micro mai sentita così viva.
Poi come era arrivata, la nebbia nera si dissipò rivelando due figure in piedi all'interno del pentacolo.
Sapevo di conoscere le due figure, qualcosa nel mio cervello mi stava dicendo che sapevo esattamente chi fossero, ma per lo shock della situazione ci misi un attimo a comprendere chi avevo davanti.
Entrambe le figure erano alte, molto più di me – non che ci volesse chissà cosa, quasi tutti superano il mio modesto metro e sessanta. 
Quella dalla pelle color rubino aveva gli occhi rossi e i capelli corvini; le corna gli partivano dalla fronte e si alzavano in aria, imponenti e sinistre, la coda appuntita spazzava il terreno. Aveva un'aria regale e autoritaria che era sottolineata dallo sguardo truce che ci stava rivolgendo e dal vestiario di un uomo d'affari.
La seconda figura invece impartiva un'aria lugubre, da funerale e antipatia. Aveva un mantello nero che gli copriva l'intero corpo e gli cadeva largo su spalle e braccia; il volto totalmente nascosto dal cappuccio. L'unica parte visibile del suo corpo era la mano – o quello che ne rimaneva visto che erano solo ossa – chiusa attorno al manico di una falce immensa, nera e minacciosa.
Il mio cervello tornò finalmente a funzionare: «La Morte e il Diavolo». Boccheggiai incredula, lasciando andare il fiato che non mi ero accorta di trattene.
«Ugh...» Mugugnò il Diavolo. «Cosa volete mortali? Ero in procinto di provare alcune nuove torture, e odio essere interrotto». Aggiunse ovviamente stizzito di essere in quella stanza. Aveva una di quelle voci profonde e gutturali che davano l’impressione che l’altro ti avrebbe o ucciso o scopato forte… Dipendeva dalle situazioni… Di certo questa rientrava nell’“ucciso”.
Sentii le mani di Sonia quasi strapparmi la maglia di dosso da quanto la stava stringendo; mentre Claudia sussultò. Non osavo neanche pensare di distogliere lo sguardo dai due essere davanti a me per guardare i miei amici ed assicurarmi che stessero bene.
«Noi... Noi non sapevamo...». Cercò di spiegare Sonia, ma la voce le morì in gola. 
Il Diavolo alzò un sopracciglio inquisitorio: «Non sapevate cosa? SPIEGATEVI ESSERI INFERIORI!» 
L'urlo feroce fece sussultare Sonia contro la mia schiena.
Quella reazione mi fece scattare qualcosa dentro e tornare in me. Come osava urlare addosso a Sonia, la ragazza più generose e dolce che avessi mai conosciuto?! Ma soprattutto come si permetteva di urlare ordini in casa mia?!
Una voce nella mia testa stava cercando di ricordarmi che quello che avevo davanti era molto probabilmente il Diavolo e che mi avrebbe potuto spiaccicare come una formica; ma ero accecata dalla rabbia: nessuno trattava così la gente a cui tenevo!
«Ora mi ascolti bene, brutto bestione cornuto», dissi repentinamente, puntandogli l'indice contro e incastonando i miei occhi verdi nei suoi neri. «Tu non viene a urlare ordini in casa mia! A me non sembra di esserti venuta a urlare addosso ordini all'Inferno o dove cavolo vivi! Vuoi spiegazioni? Le chiedi, gentilmente! Ma soprattutto, ora ti scusi subito con Sonia oppure assaggerai la mia furia e ti giuro che essere il Diavolo non ti sarà molto utile!»
Sentivo il petto alzarsi e abbassarsi velocemente, come se avessi appena finito di correre una maratona. Le mani di Sonia erano ancora più strette intorno alla mia maglietta.
L’uomo rosso di fronte a me era leggermente inclinato all’indietro, le sopracciglia gli arrivavano quasi all’attaccatura delle corna da quanto erano alzate e gli occhi erano sgranati. Un misto di sorpresa e qualcosa che non riuscivo a comprendere gli possedeva gli occhi.
All’improvviso una mano scheletrica si chiuse attorno al mio indice.
Non so ben descrivere cosa provai. Era una sensazione strana, inumana; vedevo che erano ossa quelle chiuse attorno alla mia estremità, ma la sensazione che trasmetteva era quella di carne, carne viva, come se fosse una mano normale: allo stesso momento trasmetteva una sensazione di vuoto, di cessazione dell’essere, ma con una punta di calore, il ricordo lontano del calore di una persona viva. 
Non avevo mai provato qualcosa di così potente e sentii delle lacrime pungermi gli occhi da quanto ero travolta da quel flusso di sensazioni.
«Per quanto mi piacerebbe vedere una mortale sfogare la sua rabbia assopita sul quel “brutto bestione cornuto”», parlò Morte, mentre ero sicura che stesse studiando la mia reazione al suo tocco da sotto il cappuccio, «non c’è bisogno di essere violenti».
Aveva la voce tranquilla, simile a un ragazzo normale.
Mi lasciò andare l’indice e mi ritrovai a lasciare andare lentamente il respiro che non mi ero accorta di aver trattenuto.
«Abbiamo un lavoro importante a cui dover tornare», aggiunse con il tono di un uomo d’affari, «e per quanto mi piaccia parlare con voi umani, dobbiamo proprio andarcene».
Alzò una mano scheletrica, aperta, davanti a lui; puntandola verso di noi. Sgranai gli occhi: che voleva fare?!
«Quando vi sveglierete non vi ricorderete di questa sera o di questo incontro. Vi ricorderete di aver passato la sera a guardare la saga di “The Conjuring” e mangiare schifezze, per alla fine essere tornati a casa e aver dormito mai così bene». Disse e chiuse la mano a pugno.
Sentii come se una forza invisibile mi si scaraventasse addosso – stessa sensazione di quando ti svuotano un secchio di acqua in faccia, insomma – e dovetti fare un passo in dietro per recuperare l’equilibrio, chiedendomi che cosa fosse successo; poi sentii Sonia lasciarmi andare la maglietta e tre sonori TUC
Preoccupata voltai appena la testa e con la coda dell’occhio trovai i miei tre amici svenuti a terra. Claudia abbracciata a Vittorio e Sonia accanto a loro, le mani ancora chiuse, come se stesse ancora stringendo la mia maglia.
Lentamente tornai a guardare Morte, che era rimasta immobile con il pugno davanti al volto, sembrava se lo stesse studiando.
«Cosa hai fatto ai miei amici, maleducato giardiniere di anime?» Chiesi, il panico che fuoriusciva da ogni sillaba a dispetto di ogni mio tentativo di non mostrarlo. Cosa aveva fatto ai miei amici? Le lacrime di panico mi punsero gli occhi. Morte abbassò il pugno e di nuovo ebbi la sensazione che mi stesse scrutando l’anima.
«Vedo che stai perdendo colpi A», ridacchiò il Diavolo, ignorandomi completamente. «Tre su quattro».
Avrei voluto tanto sbattere i piedi e fargli notare che ero ancora lì e che avevo appena fatto una domanda, ma mi trattenni considerando che forse sarebbe potuto essere l’approccio meno indicato.
«Non perdo colpi, cervo dei miei stivali!» Gli sibilò contro Morte, poi si rivolse a me: «I tuoi amici stanno bene, gli ho solo cancellato la memoria di quello che è successo stasera. Ahimè su di te i miei poteri non hanno avuto effetto, per una qualche ragione».
«Seppur il fatto che i poteri di A non hanno funzionato su di te, mi intriga», il Diavolo si intromise nella conversazione, «dobbiamo proprio andare, addio mortale!»
Schioccò le dita rosse e in un secondo i due erano scomparsi dalla mia vista, lasciandomi basita e incapace di parlare. L’unico pensiero che il mio cervello riusciva a formulare era che se avessi avuto io il potere del teletrasporto la mattina avrei potuto dormire molto di più.
Mi strinsi il ponte del naso tra indice e pollice, cercando di assorbire tutto quello che era appena successo: avevamo evocato il Diavolo e la Morte. Avevo urlato contro il Diavolo, la Morte mi aveva salvato probabilmente dalla mia morte – ugh, che brutto gioco di parole – per mano del Diavolo, per infine cancellare la memoria ai miei amici (e per qualche strano motivo su di me non era riuscito a farlo) ed infine erano scomparsi senza lasciare traccia.
Aprii piano gli occhi e fissai il pentacolo a terra. Mi sarebbe servita tutta notte per pulirlo da sola, senza contare che adesso avevo anche i miei amici svenuti a cui badare! E non scordiamoci di aggiungere che non si sarebbero ricordati di tutto questo la mattina successiva!
Sbuffai rumorosamente e chiusi gli occhi. Di certo non poteva andare peggio di così.
BAM!
«AAAHHH!» Urlai spaventata saltando via.
Guardai il pentacolo con gli occhi sgranati dallo spavento. Che si stavano rialzando lentamente dal pavimento c’erano le due figure che erano appena scomparse davanti ai miei occhi.
«Che diavolo ci fate ancora qui?!» Chiesi tra l’esasperata e l’avere una crisi di nervi.
«E poi sarei io che avrei perso il tocco?» Chiese irritato Morte mentre si metteva in piedi e si spazzolava la lunga tunica. «Questo non mi sembra di certo l’Inferno!»
Il Diavolo si rialzò e si raddrizzò il vestito pregiato.
«Non so che sia successo A», disse tra l’esterrefatto e l’irritato, «è come se un qualcosa ci avesse tirati indietro».
E fu in quel momento che la mia pazienza arrivò al suo limite massimo.
Chi cazzo credevano di essere per ignorarmi?!
Okay, erano l’Angelo della Morte e il capo dell’Inferno, ma non era quello il punto.
«Ehi!» Urlai in cagnesco. «Scusate la petulanza, ma esisterei anche io in questa stanza! E, oh, guarda che cosa strana: siete in casa mia! Cos’è? L’essere ultraterreni vi ha fatto dimenticare le buone maniere? E che cazzo!» Esclamai per rafforzare il concetto e roteai gli occhi al cielo.
I due mi fissarono un attimo allucinati, poi senza un’altra parola il Diavolo schioccò le dita e i due sparirono ancora.
«ARGH!» Lasciai andare l’urlo di frustrazione.
Non avrei mai pensato che due angeli potevano causarmi un così forte mal di testa in meno di un’ora! Gli angeli non avrebbero dovuto aiutare gli umani?!
BAM!
Per la seconda volta in pochi minuti saltai in aria urlando per lo spavento: il cuore ormai eretico, cercava di scappare fuori dalla gabbia toracica. I due essere divini si stavano rialzando dal mio parquet ancora una volta.
«Cervo, cosa sta succedendo?» Chiese Morte e sentii qualcosa che assomigliava a preoccupazione nella sua voce, mentre si alzava; sembrava indolenzito. Come faceva uno scheletro a sentirsi indolenzito?
«Non lo so, A». Ringhiò il Diavolo e poi con due falcate fu a pochi centimetri dalla mia faccia. I tratti rossi erano contratti in una smorfia di odio, sentii le mie interiora tremare e un’insensata voglia di chiamare mia madre.
«Cosa avete fatto mortali?» Chiese con un tono di voce che faceva intendere benissimo la pazza voglia che aveva di uccidermi.
«I-I-Io… n-n-non…» Biascicai fuori, ero consenziente che il mio corpo aveva iniziato a tremare come una foglia; ma in questo momento non riuscivo a fare altro: la paura aveva preso il sopravvento.
«RISPONDIMI!» Urlò il Diavolo e cercò di prendermi la gola, sicuramente per farmi del male; ma un’insensata forza invisibile si sprigionò dal mio corpo e scaraventò via l’uomo rosso, contro alla parete; facendo cadere a terra di schiena anche Morte nel processo.
Rimasi paralizzata: cosa era appena successo? Cosa avevo fatto? Ma soprattutto: come avevo fatto? Cosa mi stava succedendo, sentii le lacrime rigarmi le guance ma non le fermai, ero totalmente in panico.
 

»Anglo Autrice«

 

Ed eccomi con il secondo capito. Finalmente la storia inizia a prendere piede e fanno la loro comparsa i due personaggi maschili principali! Ma cosa succederà ora?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
E non vergognatevi a lasciare una recensione! 

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** [2]»Biblioteche portatrici di fauste notizie«[2] ***



 

[2]» Biblioteche portatrici di fauste notizie «[2]

 

«Per l’amor di Papà!» Esclamò dolorante Morte, iniziandosi ad alzare lentamente. «Hel sei un idiota!» Urlò all’uomo seduto scompostamente contro la parete.
Nessuno mi avrebbe potuto mai preparare per quello che mi si presentò davanti agli occhi: il cappuccio della tunica di Morte era caduto e quello che avevo davanti aveva davvero poco a che fare con uno scheletro.
Il viso era pallido, i tratti pronunciati e forti; i capelli neri erano sbarazzini, selvaggi; gli occhi neri erano quasi un buco nero. Era perfetto – e sì, so benissimo che è la Morte con la M maiuscola; ma non potevo non rimanere intatta da cotale bellezza sovrumana.
Rischiai il sangue al naso quando il Diavolo si rimise in piedi: non era più un essere rosso e cornuto, al contrario!
Aveva i tratti pronunciati e simili a quelli di Morte, ma aveva un portamento più… Come dire… Regale. Era anche lui estremamente pallido e i capelli neri erano ordinatamente tirati in dietro, conferendogli ancora di più l’aria di uomo d’affari. Ma furono gli occhi che rischiarono di farmi venire un infarto: erano bianchi, la pupilla nera sembravano conferirgli un’aura perforante e quando ti guardava era come se ti potesse giudicare ogni tuo singolo peccato.
«A volte credo che l’unico motivo per cui non ti ho ancora ucciso A, è perché siamo fratelli e la furia di madre non la voglio di certo contro». Sibilò il Diavolo alla Morte.
Il mio cervello ci mise un attimo ad elaborare la frase detta dall’Angelo Caduto, tanto era preso a studiare il nuovo aspetto dei due.
Fratelli?!
Ad occhi sgranati studiai di nuovo i due uomini e fu allora che me ne accorsi: sì, erano definitivamente fratelli. Entrambi avevano un naso fino e labbra carnose, i tratti decisi erano decisamente simili. Ma dove la Morte aveva un sorrisetto sarcastico sempre in faccia, il Diavolo aveva un’espressione seria. Se fossero stati umani il Diavolo sarebbe sicuramente stato attorno ai trenta, trentacinque anni; mentre Morte intorno ai venticinque.
«E perché ti mancherei». Aggiunse Morte alzandosi definitivamente e togliendosi di dosso la tunica nera, ormai ridotta uno straccio. L’Angelo rimase con addosso dei jeans neri, una giacca di pelle che copriva una semplice felpa bianca e delle Converse ai piedi: era esattamente l’opposto del Diavolo, il quale aveva addosso un completo blu notte con camicia bianca.
Il Diavolo sbuffò, ma non rispose.
Ci fu un attimo di silenzio, dove i due ebbero una conversazione con solo gli sguardi, poi lentamente si voltarono verso di me, ricordandosi della mia esistenza.
«Ora veniamo ai problemi seri». Disse il Diavolo, iniziando ad avvicinarsi a me; feci un passo in dietro d’istinto; aveva anche potuto cambiare aspetto ma non mi ero di certo scordata la paura che mi aveva fatto provare poco prima quando mi aveva attaccato.
«Hel», disse Morte, bloccando il fratello per il braccio. «Forse è meglio affrontare il tutto con calma, magari iniziando da capo tutta la storia; sai: non voglio essere sbattuto a terra perché mio fratello non ha pazienza».
Il Diavolo lo fissò impassibile per qualche secondo poi scosse un attimo la testa e si andò a sedere sul mio divano. Morte sospirò sollevato e si girò verso di me con un sorriso ammaliatore.
«Okay, prima di iniziare…» Morte schioccò le dita e in un attimo il mio salotto fu in ordine: il divano tornò in centro alla sala, di fronte alla TV appesa al muro; alle sue spalle la mia scrivania aveva ritrovato il suo posto davanti alla libreria ad angolo. 
Ogni volta che fissavo il salotto dell’appartamento, una voce nella mia mente mi ricordava di come, per quanto mi piacesse pensare che fossi indipendente, quell’appartamento appartenesse in realtà alla compagnia dei miei genitori e che quindi di come non avevo speso nessun soldo per arredarlo oppure di come tutte le bollette erano in pratica pagate dall’ufficio di mia madre.
Mentre scrutavo la stanza, cercando qualche dettaglio che mi urlasse che era tutto un trucco – e che la Morte non mi aveva appena messo posto casa con un schiocco di dita – notai la mancanza di tre corpi svenuti. 
«Ehi!» Esclamai indignata. «Dove hai fatto finire i miei amici?»
«Li ho fatti apparire nei loro letti, sono al sicuro». Mi rispose con un’alzata di spalle, come se fosse una cosa logica e normale.
«E perché mi dovrei fidare?» Chiesi scettica mettendomi le mani sulla vita. «In fin dei conti sei la Morte!»
«Esattamente perché sono la Morte». Rispose con un’altra alzata di spalle. «Non mi permetterei mai di prendere un’anima prima del suo tempo, per primo ci pensate già voi stupidi mortali e secondo perderei il lavoro».
Volevo controbattere, avercela con lui ma purtroppo il suo ragionamento non faceva nessuna piega. Sospirai d’improvviso sentendomi davvero stanca.
Sentii un’altro schiocco di dita e quando aprì gli occhi trovai due poltrone, dello stesso verde marino del divano, di fronte ad esso. Morte mi fece segno di sedermi sulla poltrona di fronte a lui mentre il Diavolo, seduto con le gambe accavallavate e le braccia distese sullo schienale del divano, stava studiando il mio appartamento.
La smorfia di disgusto sul viso face comprendere bene che non gli piacesse per nulla, e neanche cercava di nasconderlo lo stronzo! Mi stava facendo salire l’Avada Kedavra interiore…
«Se non è di tuo gusto, puoi benissimo smettere di studiarlo». Gli issai contro appena mi fui seduta. Mi sporsi in avanti, i gomiti sulle gambe, e nascosi il volto nelle mani. Come ero arrivata a essere seduta nel mio salotto con il Diavolo e la Morte? Insultando il primo e aspettando una spiegazione dal secondo?
E come era possibile che fossi così calma? Che il mio cervello fosse a un passo dall’impazzire definitivamente e questa fosse la quiete prima della tempesta? O semplicemente avevo accettato tutto ciò che stavo vedendo come “vero” perché sapevo che manco con LSD sarei riuscita a fare un viaggio del genere?
«Okay», disse Morte, «sai già chi siamo, giusto?» Mi chiese.
Alzai il viso e gli annui, facendo finta di non notare lo sguardo di astio che mi stava porgendo la figura seduta sul divano. «Il Diavolo e la Morte».
«Quelli sono due dei nomi con cui siamo conosciuti oggi», mi disse Morte, «il mio vero nome è Azrael, mentre il suo è Helel». Aggiunse indicando il fratello.
«Okay, Azrael», dissi e devo ammettere chiamare la Morte con il suo nome era abbastanza destabilizzante. La stavo definendo: gli stavo dando un nome, un volto, un carattere… Mi resi immediatamente conto di come l’idea della Morte nel mondo moderno era totalmente sbagliata: non era un’entità onnipresente era un’essere con una personalità propria, come una persona qualsiasi. «Io sono Eva Rossi». Mi presentai portandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli rossi, d’un tratto conscia di essere davanti a due essere soprannaturali con nient’altro che il mio pigiama a maniche lunghe di Nightmare Before Christmas.
«Perfetto Eva», disse lui annuendo. «Ora, spero che tu comprenderai il poco tatto e la molta premura, ma ci servirebbe sapere che incantesimo avete usato per invocarci».
Annuii ancora, comprendevo… Più o meno… Meno che più… Okay, non lo comprendevo, ma amen!
«So che è un incantesimo di evocazione che i miei tre amici hanno trovato qualche pomeriggio fa in una delle biblioteche del monastero in cui stanno studiando per le tesi di laurea. Hanno fatto una foto  al testo in latino e non so se hanno mai letto le Avvertenze all’utilizzo o  gli Effetti Collaterali, non ci aspettavamo di richiamare nulla; di certo non ci aspettavamo di richiamare voi!» Gli dissi veritiera, volevo che tutta quella storia finisse in fretta.
«Ci sei mai stata in quella libreria?» Chiese all’improvviso Helel. Okay! Chiamare il dio capro per nome era certamente la cosa più strana che avessi fatto nella mia vita: l’associare l’uomo ad un nome mi fece avere un brivido alla schiena, ma né di paura né di freddo; era qualcos’altro, come una sensazione di fiducia che mi aveva concesso il Dio dell’Inferno. 
«Non esattamente», risposi, «qualche settimana fa sono stata al monastero per caricare in auto Sonia, Claudia e Vittorio; ma non ci sono mai entrata dentro».
«Ci basta. Se te lo chiedessimo, riusciresti a immaginarti il monastero in mente?» Mi chiese ancora.
«Sì?» Chiesi dubbiosa. Dove stava andando a parare?
«Bene è deciso!» Esclamò e si alzò in piedi. Io rimasi seduta.
«E cosa sarebbe stato deciso?» Gli chiesi perplessa.
«Andremo al monastero a cercare il libro da cui hanno preso l’incantesimo». Spiegò lui.
Battei due secondi le palpebre. Non era serio, vero?
«Mi scusi dio capro», dissi lentamente il sarcasmo che usciva anche dai fori della mia pelle, «ma credo che non comprenda una parte essenziale: la biblioteca è un’ora di auto da qua e soprattutto è venerdì notte».
Azrael con il viso nascosto nelle mani stava borbottando qualcosa sulla linea di: “Adesso li ammazzo”.
«E chi ha parlato di auto?» Helel alzò un sopracciglio. «Sono un essere ultraterreno! Posso materializzarmi dove voglio, mortale».
«E allora perché non ti materializzi a fanculo?» Chiesi, perfida.
Avevo deciso di morire per mano del Diavolo stesso? Probabile. Di una cosa sola ero certa in quel momento: non lo sopportavo.
Per una attimo vidi un lampo rosso negli occhi bianchi e fui certa che mi avrebbe attaccata se Azrael non ci avesse interrotti.
«BASTA!» Urlò spazientito, poi inspirò cercando di calmarsi.
«Eva», disse gentilmente, facendo spostare la mia attenzione da Helel a lui, «ci aiuteresti, per favore? Prima troviamo l’incantesimo, prima possiamo scioglierlo».
Guardai Azrael negli occhi e mi sentii come se stessi guardando un cucciolo abbandonato e disperato. Aspetta! Avevo appena comparato la Morte con un cucciolo?! Ma che aveva di guasto il mio cervello?!
Sospirai. «Va bene».
Tutto per togliermi Helel dai piedi prima che lo uccidessi… O che lui uccidesse me… La seconda opzione molto più probabile della prima.
Azrael mi sorrise e vi giuro: per poco non svenni. Il sorriso dell’Angelo della Morte era la cosa più bella che avessi mai visto su tutta la terra, i denti bianchi  erano perfetti le labbra erano sexy…
Per poco non sbattei la testa da qualche parte.
Ma che aveva il mio cervello? Sexy, la Morte? Era deciso: avevo bisogno di un cervello nuovo!
«Come vi dovrei aiutare, comunque?» Chiesi mentre mi alzavo seguita da Azrael.
«Non devi fare altro che pensare al monastero, Helel farà il resto». Mi disse il giovane e annuii. Niente di così complicato dunque.
«Sia io che Helel dovremo tenerci a te, va bene?» Mi chiese guardandomi ancora con lo sguardo da cucciolo. Oh! Quindi lo sapeva bene che stava facendo quello sguardo! Morte bastarda!
Storsi il naso ma annui. Non volevo che Helel mi toccasse ma volevo finirla al più presto, e questo significava fare qualche sacrificio. 
Chiusi gli occhi appena le mani dei due furono attorno ai miei bicipiti. Mi concentrai con tutta me stessa sul monastero, le pareti di pietra, l’aria lugubre della foresta in cui era, il portone di legno scricchiolante; finché non sentì Helel schioccare le dita.
Quando riaprì gli occhi non ero più a casa mia: ero davanti al portone di legno nero del Monastero, l’aria umida e fredda della foresta d’inverno mi entrò immediatamente sotto il pigiama e mi fece rabbrividire. Perché nella vita ero così sbadata da scordarmi anche un cappotto? Ringraziai il cielo di avere almeno le babbucce addosso, oppure sarei stata anche scalza!
«Tieni». Mi disse Azrael, porgendomi il suo giubbotto di pelle, quando mi vede soffiarmi sulle mani per farmi calore. «Intanto a me non serve».
Arrossì palesemente, nessun sconosciuto aveva mai fatto un gesto così carino nei miei confronti! Di certo non me lo sarei mai aspettato dall’Angelo della Morte! Senza tenere conto che Azrael era rimasto in maglietta e i miei occhi si erano incollati un attimo ai suoi bicipiti definiti.
Sì, era definitivamente un Angelo!
Staccando gli occhi da quelle braccia perfette, gli presi il giubbotto dalle mani, cercando di non arrossire ancora di più, e me lo misi addosso. Mi era decisamente largo di minimo due taglie, ma era imbottito perciò faceva un calore quasi innaturale.
«È il tuo turno A». Disse Hel, che si era staccato da me neanche mezzo secondo dopo essere arrivati – o dovrei dire apparsi? – a destinazione.
Guardai Azrael aprire il palmo della mano destra e creare una piccola sfera di luce d’orata, che si muoveva come se avesse vita propria, e voltarsi verso di me: «Pensa all’evocazione, a tutto ciò che avete fatto per prepararla; ogni singolo dettaglio che riesci a ricordare e soffiaci sopra».
Obbedii immediatamente.
Appena il mio soffio toccò la piccola sfera, essa iniziò a muoversi abbastanza velocemente – per essere una pallina di energia magica – e trapassare il portone di legno. 
Helel aprì il portone senza nessun particolare sforzo e mentre iniziammo a seguire la sfera mi sentii molto Draco Malfoy che rincorreva un boccino. Oh! Non guardatemi così! Non è colpa mia se hanno messo Tom Felton a interpretare Draco Malfoy!
«Che cos’é?» Chiesi ad Azrael indicando la pallina.
Lui sorrise divertito della mia curiosità.
«È un dei miei tanti poteri: trova le cose e le persone, per farla semplice. Basta che ci soffi sopra mentre pensi a quello che stai cercando e quella cosina luminosa te la trova. È utile quando stai cercando un’anima, avendo solo un nome e una foto, in mezzo a sette miliardi di persone». Mi spiegò e annuii.
«La capacità di Helel di far irritare le persone è un suo potere?» Chiesi allora, un sorrisetto beffardo sulle labbra. Oh sì! Quando volevo, sapevo essere stronzetta.
«Ehi!» Esclamò indignato Helel alle nostre spalle, mentre Azrael rise di gusto.
«No», rispose l’Angelo della Morte, cercando di trattenersi dal ridere, «quello è semplicemente come Hel è fatto».
Uno sbuffo alle nostre spalle fece chiaramente comprendere che Helel era offeso dal commento del fratello.
«Qual è il vostro vero aspetto?» Chiesi, ormai la curiosità aveva preso il sopravvento e il fiume in piena di quesiti che avevo trattenuto sfondò la diga della cortesia. «È questo o quello con cui mi siete apparsi la prima volta?»
«È questo», mi rispose Azrael. «Ma non appariamo mai così ai mortali: ci deformiamo in base all’arte dei popoli e delle colture. Per la coltura occidentale in questi tempi va per la maggiore il cervo rosso e la falce tenuta in mano da uno scheletro». D’improvviso scoppiò in una fragorosa risata, alzai un sopracciglio dubbiosa.
«Per Papà! Mi è tornato in mente quando Hel andava in giro con una fiamma al posto dei capelli!»
«Fiamme come capelli?» Chiesi incredula sorridendo, era divertente pensare l’uomo dietro a noi con i capelli in fiamme.
«A! Piantala di ricordarmi quando i mortali mi chiamavano Ade!» Esclamò quasi disgustato l’albino e il mio cervello fece due più due.
«Oh per Set! Tu sei Ade!» Esclamai esterrefatta, gli occhi sgranati e le sopracciglia che volevano fuggire verso il cielo.
«E anche Set se per quello, mia piccola mortale». Mi rivelò lui, facendomi l’occhiolino e sentii la mascella cadere e correre via dalla sorpresa.
«Oddio! Ma quanto siete vecchi?» Il mio cervello e le sue priorità, signori e signore!
Azrael ridacchiò mentre Helel roteò gli occhi al cielo.
«Troppo vecchi, mettiamola così». Mi rispose Azrael. 
Una domanda mi piombò allora in mente: «Aspetta! Ma se voi esistete, significa quindi che Dio esiste?» 
«Finalmente fai le vere domande». Commentò Helel, con un tono che urlava: “Allora sei stupida, non la sembri e basta!”. Sospirai, quanta voglia avevo di prenderlo a sberle.
«Sì, “Dio” esiste, ma non è quello il suo nome; nessuno sa’ il suo nome o il suo aspetto. Noi lo chiamiamo Creatore, poiché ha creato il primo angelo che da sempre veglia sugli uomini e fa le veci del suo Creatore e anche tutti gli altri angeli minori». Mi rispose.
«Ma se tutti gli angeli sono stati creati… Com’è possibile che voi due siate fratelli?» Chiesi, un attimo in dubbio. «Helel ha anche detto “madre” prima…»
Azreal corrugò la fronte: «È difficile da spiegare».
«Non molto in realtà», disse Helel, intervenendo per la seconda volta nella conversazione. «Noi siamo delle eccezioni. Nostro padre è il primo angelo a cui il Creatore ha dato vita mentre nostra madre era un’umana».
«Era?» Chiesi, l’improvvisa paura di aver toccato un tasto dolente.
«Nostro padre l’ha trasformata in immortale perché l’amava e non avrebbe potuto vivere senza di lei… Sfortuna per noi con l’immortalità ha ricevuto anche dei poteri angelici…O demoniaci, dipende se è arrabbiata o no».
Guardai scioccata come i visi dei due esseri immortali d’un tratto erano ancora più pallidi del normale e sembravano spaventati.
Oooookay, era il momento di cambiare argomento.
«Ma se il Creatore esiste, significa che quindi esiste anche una religione “vera”?» Chiesi, un po’ titubante.
«No», riprese la parola Azrael. «Non ne esiste una “vera” o “superiore”, ogni religione ha aspetti che rappresentano la realtà e altri che ci raccontiamo tra angeli per ridere un po’». Il tono d’improvviso divenne più cupo. «Una delle cose che odio del mio lavoro è quando devo raccogliere un’anima uccisa durante una guerra causata dal pensiero che una religione sia superiore rispetto ad un'altra». Aggiunse. «Sono le peggiori anime: donne, uomini, bambini; giovani ed anziani; muoiono con la paura nell’anima e se la portano con sé nell’aldilà. Molti prima del tempo che è stato loro prestabilito!»
Lo guardai malinconica mentre entravamo in una libreria di pietra, i scaffali di legno tutti marciti e pieni di libri ingialliti erano l’unico altro visitatore. 
I tratti di Axrael erano irrigiditi, le labbra arricciate e le sopracciglia che quasi si toccavano.
«Non avrei mai detto che La Morte odiasse le guerre». Rivelai sottovoce. Azrael si rilassò un attimo e sorrise tristemente.
«Voi mortali date così tante cose per scontato», disse, «tra queste ne date molte scontate su di me. Il mio lavoro non è lugubre, non è una cosa brutta. È il contrario: vedo l’inizio di una nuova vita per ogni singola anima, vedo la gente comprendere e pentirsi di come si è comportata. È un bel lavoro…»
Continuammo a camminare tra le scaffalature in silenzio dopo la spiegazione di Azrael. 
Avevo il cervello così pieno di informazioni che non riuscivo a gestirle tutte. Così tante cose nuove scoperte che mi avevano sconvolto; eppure la cosa che mi aveva sconvolto di più era scoprire come l’Angelo della Morte era più umano di certe persone che avevo incontrato nella mia vita.
A volte troviamo proprio le cose più scontate nei posti più assurdi.
«L’abbiamo trovato». Interruppe il mio flusso di pensieri Helel. Guardai poco più avanti e a mia sorpresa vidi che la sfera dorata ferma inerme davanti a uno specifico tomo.
«Bene, vediamo che incantesimo di evocazione avete usato». Disse Helel superandoci e tirando fuori li tomo. Lo aprì e lo sfogliò senza molto interesse.
Come avrebbe trovato l’incantesimo?
La sfera magica, che era rimasta inerme sopra alla spalla di Helel, scattò all’improvviso verso la pagina che Helel aveva appena scoperto ed esplose come una bolla di sapone appena toccò il libro.
«L’abbiamo trovato», disse Azrael avvicinandosi a suo fratello. Riluttante lo seguii.
Come avevo immaginato il libro era completamente in latino, vecchio, giallo e la pelle era raggrinzita in più punti; ma questo non sembrò disturbare i due Angeli… O meglio l’Angelo e l’ex-Angelo.
Capii che qualcosa era andato drasticamente storto quando i volti dei due uomini iniziarono ad impallidire, già non erano bianchi, proprio come quando avevano nominato loro madre.
«Ragazzi», dissi con un tono spaventato, «mi state preoccupando».
Azrael mi guardò con uno sguardo pieno di terrore mentre Helel rimetteva a posto il tomo con aria sconfitto.
«Ragazzi…»
«Era tuo il sangue offerto?» Mi chiese all’improvviso Helel, ancora appoggiato alla libreria. Mi scrutò con la coda dell’occhio.
«Si…» Risposi in un sussurro ed Helel sospirò.
«Cosa diceva l’incantesimo?» Chiesi, il panico chiaro nella mia voce.
«È un patto di sangue». Mi rispose Azrael che si stava massaggiando le meningi. «Siamo legati a te fin quando non troveremo la “redenzione”… Ovviamente visto chi siamo io e Helel non accadrà mai». Disse, visibilmente irritato.
«Legati a me?» Chiesi dubbiosa. Come potevano essere legati a me?
«Non possiamo andarcene dal tuo fianco», cercò di chiarire Helel, «inoltre poiché è un patto di sangue sei difesa da un qualsiasi attacco fisico o magico da parte nostra: sei immune sia alla nostra ira che ai nostri poteri… Almeno questo spiega perché i poteri sia miei che di A hanno iniziato a fare le bizze dopo che ti abbiamo incontrato». 
«Oltre a questo è come se fossimo tue guardie del corpo: se morissi prima del tuo tempo saremmo costretti a vivere qui per l’eternità». Aggiunse Azrael.
«Cosa vorrebbe dire tutto ciò?» Chiesi ancora, il panico che mi bruciava nelle vene. «Che mi seguirete tutti i giorni come le guardie del Presidente?»
«No Eva», mi rispose il ragazzo con gli occhi neri, «significa che dovremmo vivere con te».
 

»Angolo Autrice«

Soooooo.... Questo è il secondo capitolo e ovviamente quello per cui avevo paura di pubblicare tutta la storia... 
Ribadisco che con la descrizione di Azrael delle religioni non voglio offendere nessuno!
Rispetto ogni singola religione e ogni singolo credente sulla faccia del pianeta, questa è solo un'opera di finzione!
A parte questo, spero tanto con il capitolo vi sia piaciuto! Finalmente il "prologo" della storia è finito e si inizierà la storia vera e propria!!! :D 
Come se la caveranno Azrael ed Helel cercando di vivere con una mortale? Ed Eva? Riuscirà a sopravvivere ai due esseri ultraterreni o deciderà di scappare di casa prima di lanciare qualche mattarello?
Spero di riuscire a pubblicare il nuovo capitolo prima di Natale!!!
A presto,

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** [3]» Il lunedì mattina e le figure di cacca: una novella. «[3] ***




[3]» Il lunedì mattina e le figure di cacca: una novella. «[3]

I lunedì mattina non sono mai stati il mio forte… O meglio la mattina non è proprio il mio momento preferito della giornata… Poi se è lunedì mattina è ancora peggio. E quel lunedì mattina era di certo uno dei più devastanti che avevo avuto da un po’.
Il week-end era stato stressante all’inverosimile e i miei nervi avevano quasi rischiato di rimanerci secchi un paio di volte.
Sospirai posizionandomi a stella sul letto. Quella mattina sarei arrivata tardi a lezione, decisi. 
Non che mi sentissi in colpa: odiavo la materia delle prime ore, e avevo una mezza teoria che il nostro professore avesse un oscuro passato da rapper di strada, per quanto veloce riuscisse a parlare durante la lezione… Davvero! Se si cercava di prendere appunti alla fine delle due ore avevi un crampo alla mano per quanto avevi scritto!
Sospirai e mi portai le mani alla fronte, tirandomi in dietro i capelli, quando nel mio cervello ritornarono i nomi dei miei due nuovi coinquilini che ora dividevano la mia camera degli ospiti.
Una cosa di certo l’avevo imparata: gli angeli erano ancora più viziati di certi umani che conoscevo! Se da una parte c’era Azrael che cercava di abituarsi alle abitudini di noi umani – a quanto pare con il legame di sangue avevano ereditato cose come la necessità di cibo e sonno di noi umani, come io avevo ereditato alcuni loro poteri e una capacità di guarigione più veloce – dall’altra vi era Helel che mi odiava per il semplice fatto che l’avevo trasformato in un essere che lui riteneva inferiore.
Anche io lo avrei rinchiuso negli inferi una persona con quel carattere, pensai velenosa.
E se non l’avevate già capito cari lettori: il mio rapporto con Helel non era certo migliorato. Se non fosse che ero immune a ogni genere di attacco da parte dell’uomo dagli occhi bianchi ero certa che quest’ultimo mi avrebbe già spedito all’inferno più e più volte.
Sospirai una terza volta tornando a guardare il mio soffitto bianco. Dovevo smetterla di sospirare mi faceva sentire vecchia e burbera.
Mentre fissavo il soffitto e la mia mente si affollava con tutti i miei problemi mi resi conto che nella vita avevo già affrontato e superato molte cose – alcune che alla luce di fatti non erano cose così drammatiche mentre altre erano cose decisamente serie – e di certo imparare a convivere con un angelo scorbutico e uno bambinesco era di certo al di sotto di molte altre cose.
Sentii le sopracciglia muoversi in un’espressione decisa: non mi avrebbero di certo fermato due uomini, che erano apparsi all’improvviso nella mia quotidianità, dal vivere la mia vita come ne avevo voglia! Avrei dovuto cambiare qualche abitudine tipo smettere di girare in casa in solo intimo d’estate? Probabilmente sì, ma una cosa l’avevo imparata nella mia vita: non tutti i cambiamenti avvenivano per peggiorare le cose.
Un vecchio ricordo tornò limpido nella mente e una lacrima mi scese lungo la guancia.
Mi misi a sedere di scatto e mi asciugai con un gesto la parte umida del volto.
NO! Mi urlai mentalmente. Niente sarebbe stato come quella volta! Avevo imparato dai miei errori!
Chinai il capo e mi passai una mano tra i capelli, fermandomi a massaggiare la nuca. Dovevo piantarla di pensare a certi ricordi.
Con uno sforzo immenso uscii dal calore e la comodità del mio letto. Frugai nell’armadio per tirare fuori la mia tenuta di combattimento contro il genere umano… Okay… Forse dovevo smetterla di pensare anche questo.
Con il cambio d’abiti sotto braccio mi diressi in bagno per prepararmi alla giornata.
Il silenzio dell’appartamento indicava che gli altri due abitanti del posto erano ancora a letto.
Chiusi la porta del bagno alle mie spalle e mi fermai davanti allo specchio.
Se scattassi una foto e la mandassi ai produttore di Hollywood, mi metterebbero a fare la comparsa in ogni film di zombie che hanno in produzione da qui alla mia morte! Pensai ridacchiando al mio stesso sarcasmo. Mamma mia se ero la regina del sarcasmo!

Dovevo smetterla con certi pensieri, oppure la mia modestia si sarebbe trasferita a Honolulu un giorno per non fare più ritorno.
Mi gettai in doccia e dopo aver detto brutte parole contro l’acqua fredda, che avrebbero fatto sbiancare anche mia madre, uscii come un razzo avvolgendomi nel calore del salviettone che utilizzavo come accappatoio.
Ah! L’acqua gelata mi aveva proprio svegliato e tolto di dosso i brutti ricordi.
Avevo appena finito di infilarmi la parte inferiore dell’intimo e stavo per slegare l’accappatoio quando all’improvviso la porta del bagno venne spalancata.
Guardai stupefatta l’ancora sonnolento Azrael che aveva la mano sulla maniglia e un piede sulle piastrelle azzurre del bagno.
Ci furono alcuni attimi di silenzio mentre i nostri neuroni, rallentati ancora per l’assenza di caffeina, cercavano di dare un senso a ciò che stava accadendo. Fissai Azrael finalmente svegliarsi e comprendere cosa aveva davanti, mentre sentivo il sangue salirmi alle guance e quasi esplodere dall’imbarazzo.
«SCUSA!» Urlò Azrael saltando in dietro e chiudendo la porta di scatto, lasciandomi di nuovo sola nel bagno.
Rimasi ancora qualche secondo immobile dov’ero, poi mi lasciai cadere sul gabinetto con la tavoletta abbassata e nascosi il volto nelle mani.
Oh sì! Pensai, disperata. Sarebbe stata proprio dura!
Sospirai ancora una volta e mi vestii per la giornata.
Uscii dal bagno solo dopo altri venti minuti e trovai i due angeli aspettarmi in cucina. Ovviamente essendo angeli non sapevano neanche da dove cominciare a cucinare, non che gliene facessi una colpa: non avevano mai avuto bisogno di cibo prima perciò vedevo come mai non sapessero neanche che cosa fosse una padella.
«Come mai ci hai messo tanto in bagno?» Mi chiese irritato Helel. «Non hai pensato che potesse servire anche a noi, mortale?»
Chiusi gli occhi e appoggiai la fronte contro lo sportello, davanti cui ero inginocchiata. Dovevo stare calma, non dovevo rispondergli a tono, non dovevo fare il suo gioco.
«Non sono abituata a vivere con altri esseri viventi, mi sono persa nei miei pensieri». Risposi tra i denti. La realtà era che ero troppo imbarazzata per il piccolo incidente mio e di Azrael, e per dieci minuti ero rimasta bloccata con la mano sulla maniglia incapace di uscire.
Anche ora non riuscivo a guardare in direzione dell’Angelo della Morte!
«Abituatici allora!» Esclamò chiaramente scocciato l’uomo dagli occhi bianchi, alzandosi ovviamente diretto al bagno. «Di certo non starò qua a vivere ai tempi di una mera mortale!».
Sapete tutti i miei buoni propositi di pochi secondi fa, di essere la persona adulta dei due? Bene; li ho appena gettati fuori dalla finestra.
«Come, prego?» Chiesi velenosa tra i denti, mettendomi in piedi e fissando con tutto l’astio che avevo in corpo l’uomo che aveva appena parlato.
Con la coda dell’occhio notai Azrael rizzarsi sulla sedia, sveglio e sull’attenti. Pronto a intervenire se la discussione fosse degenerata.
«Ho detto che non vivrò ai tuoi tempi da stupida mortale», ripetè il Diavolo.
Questo puttaniere di merda, come si permetteva? Gli stavo dando cibo, gli stavo dando un letto, gli stavo dando un tetto!
Senza dire una parola uscii dalla cucina e mi avviai alla porta, prendendo dall’attaccapanni il cappotto e lo zaino vicino alla porta.
«Eva dove stai andando?» Mi chiese la voce di Azrael alle mie spalle, probabilmente mi aveva seguita fuori dalla cucina. Lo guardai con la coda dell’occhio e notai una nota di preoccupazione nei suoi occhi.
«All’università». Risposi secca mettendomi lo zaino sulla spalla.
«Eva…» Cercò di dirmi ma lo interruppi.
«Sto bene, lasciami andare all’università e vedrai che mi tranquillizzerò per l’ora in cui sono in dietro». Dissi con tono piatto. Non volevo sfogarmi su di lui, non lo meritava.
«Non hai mangiato nulla». Cercò di cambiare discorso lui, ovviamente preoccupato questa volta.
«Mi fermo a prendere qualcosa per strada, tranquillo». Detto questo uscii dall’appartamento senza neanche salutare Azrael.

3rd POV

«Helel!» Urlò Azrael appena fu sicuro che Eva non fosse a portata di orecchio.
«Che c’è?» Chiese svogliato Helel quando emerse dal bagno. Sapeva benissimo cosa c’era che non andava e perché Azrael era arrabbiato per lui. Ma non gli importava.
Era arrabbiato con quella stupida umana perché li aveva bloccati in questo regno e li aveva trasformati in esseri inferiori a quelli che erano destinati ad essere.
Ovviamente avevano ancora la loro immortalità e i loro poteri ultra-terreni; ma ora avevano anche bisogno umani come mangiare, dormire e dover usare il gabinetto.
«“Che c’è”?!» Esclamò esasperato il fratello minore allargando le braccia. «Seriamente?!»
«Non credo di aver fatto nulla di male, A». Helel fece spallucce.
Azrael strinse le mani a pugno. In millenni di vita non aveva ancora ucciso il fratello solo perché condividevano lo stesso sangue e non voleva far imbestialire sua madre; ma avrebbe mentito se avesse detto che le tentazioni non fossero state tante.
«Quella ragazza ci sta aiutando e tu la stai trattando come merda!» Sottolineò l’Angelo della Morte.
«Perciò… La sto trattando come ciò che è?» Chiese sarcastico il Diavolo.
Azrael, in un istante, perse ogni contegno: prese il fratello per il colletto e lo attaccò al muro.
«Non osare mai più dire una simile profanità sulla razza umana!»
Negli occhi di Helel passò per un momento quello che sembrava essere paura. Sapeva che il fratello minore, come anche gli altri componenti della famiglia, aveva qualche problema a controllare le emozioni – un lascito della mortalità passata di loro madre – ma Azrael era sempre stato il più calmo dei quattro figli. Era sempre stato il fratello che faceva finire le liti e che metteva ognuno al suo posto anche se era il più piccolo e il più smilzo, dopo solo Mikael.
Vederlo così selvaggio, senza un briciolo di controllo, aveva davvero spaventato Helel: questo giro l’aveva fatta proprio grossa. Sperava solo di riuscire a rimediare al casino che aveva appena combinato.
«Nostra madre era umana!» Esclamò ancora il fratello minore non lasciando andare Helel. Il viso contratto in un’espressione di rabbia era a pochi centimetri da quello del Diavolo, che stava cercando di guardare ovunque meno che al fratello.
«Ci ha insegnato a rispettare la vita umana! Ci ha insegnato a non ritenerci superiori solo perché la nostra è una vita senza fine! Ci ha insegnato che siamo noi essere immortali a fare più errori che questi stupidi umani! Appunto perché non conosciamo la paura della morte, non riusciamo a renderci conto quando una nostra scelta porterà a delle conseguenze disastrose!» Continuò ad urlare l’Angelo della Morte, mentre attorno a loro ogni oggetto iniziava a fluttuare a mezz’aria. 
Helel quando se ne accorse comprese che il fratello non aveva solo perso il controllo delle sue emozioni, ma anche quello dei suoi poteri.
«O i tuoi sottoposti ti hanno avvelenato così tanto quella cosa che dovrebbe essere il tuo cervello, e ti sei dimenticato ogni cosa che nostra madre ci ha insegnato?!» Urlò ancora l’uomo dagli occhi neri.
«A-A-Azrael… I tuoi poteri…» Cercò di dire Helel, ma Azrael lo stava stringendo troppo forte e gli stava impendendo di respirare e parlare.
«SEI DIVENTATO COME UN COMUNE ANGELO?! BIGOTTO E PIENO DI PREGIUDIZI?!» Fu questa unica frase a far scattare Helel contro il fratello.
«NO!» Urlò il Diavolo in risposta, perdendo il controllo dei suoi poteri alla rabbia che gli aveva infiammato in un attimo ogni singolo muscolo del corpo.
Un’onda d’urto investì Azrael mandandolo a terra, dopo aver perso la presa sul fratello. Helel fu vittima della gravità e si ritrovò accovacciato a terra; immediatamente le mani corsero alla gola, in fiamme per l’inaspettata intrusione di ossigeno.
Tutto l’arredamento ricadde a terra. I libri si aprirono, i vasi si ruppero e il divano lasciò piccole conche nel parquet, dove i piedi erano atterrati.
Azrael grugnì di dolore e lentamente si girò a pancia sotto per poi mettersi tremolante a gattoni. Lo schianto a terra era stato così poco violento che lo aveva lasciato prima senza fiato, poi con il corpo indolenzito e i muscoli della schiena infiammati dal dolore; a terra aveva lasciato la sua sagoma corporea incisa nel legno.
I due fratelli si guardarono un’altra volta.
Helel sgranò gli occhi quando comprese che emozione era scritta in quelle iridi nere che conosceva fin troppo bene: delusione. Helel aveva deluso Azrael.
L’Angelo Caduto distolse immediatamente lo sguardo vergognandosi davanti alla delusione che il fratello minore provava nei suoi confronti. Anche se con l’andare dei millenni i due fratelli non avevano fatto altro che litigare sempre più; Helel non si era dimenticato come nei primi anni della loro esistenza Azrael aveva sempre guardato a lui come punto di riferimento, chiedendogli consigli su tutto.
Ora vedere quegli stessi occhi, che una volta lo veneravano, essere pieni di delusione era peggio di essere lapidato. 
Era disgustato di quello che aveva appena compreso: suo fratello aveva ragione. I discorsi dei suoi sottoposti che invocavano alla superiorità dei demoni su gli angeli, i mietitori e i mortali, gli erano entrati dentro e lo avevano reso un essere orribile.
«Quando sarai tornato ad essere quel Helel che conosco e che è mio parente, chiamami». Disse Azrael con voce gracchiante, mentre lentamente si alzava ancora dolorante. «Io vado in camera». Aggiunse e con passo mal fermo si incamminò verso la camera da letto che condivideva con il fratello.
Helel rimase seduto a terra. Quando vide la figura del fratello sparire dietro la porta che si stava chiudendo, lasciò andare le lacrime che gli stavano pungendo gli occhi.
Si passò una mano fra i capelli in piena agonia.
Come era potuto diventare un essere così spregevole senza neanche notarlo?

EVA POV

«Hai due coinquilini maschi?!» Claudia aveva gli occhi che minacciavano di fuoriuscire dalle cavità mentre mi fissava ovviamente incredula a ciò che stava sentendo.
«S-sì» Balbettai in risposta grattandomi appena sotto l’orecchio. Mio padre mi aveva sempre che detto che facevo quel gesto quando mentivo… Fortuna che le tre persone che avevo davanti non mi conoscevano ancora così bene, oppure non avrebbe mai creduto alla balla che gli avevo appena raccontato.
Ero arrivata all’università con l’irritabilità probabilmente scritta in volto, visto come gli altri studenti mi evitavano; osservandomi preoccupati che potessi scattare contro di loro in un raptus omicida.
Avevo incontrato Sonia, Claudia e Vittorio come al nostro solito alle macchinette della facoltà di giurisprudenza, dove di solito si tenevano le nostre lezione.
Come non era passato inosservato a metà della popolazione studentesca di questa università, anche i tre notarono immediatamente il mio umore da “non è la giornata per parlarmi”.
Appena Vittorio mi aveva chiesto cosa c’era che non andava, avevo risposto in un grugnito: «I miei coinquilini non vanno».
Appena le parole avevano lasciato la mia bocca, avrei voluto sbattermi la testa contro al muro violentemente. Perché tra il mio cervello e la mia bocca non esistevano filtri? Ah! Giusto! Helel mi aveva fatto uscire di casa prima che potessi bere il mio benedettissimo caffè mattutino!
Azrael mi aveva spiegato nel week-end che aveva cancellato la memoria ai miei tre amici dell’invocazione e l’aveva rimpiazzata con un ricordo fasullo di noi quattro che passavamo il venerdì sera a guardare film e mangiare schifezze… Non che fosse una così anormale da fare per noi quattro, ma tornando al discorso: essendo che i tre non si ricordavano nulla di venerdì sera, avevo dovuto presentare Azrael ed Helel come due ragazzi che sabato mattina aveva suonato al mio campanello perché avevano visto l’annuncio della camera in affitto su un giornale, e chi io ovviamente avevo dimenticato di aver fatto… E non era neanche del tutto una balla. Infatti il primo mese che avevo vissuto da sola avevo davvero pensato di mettere un annuncio per affittare la camera in disuso.
«Aww, la nostra pargoletta sta crescendo e scoprendo il mondo adulto!» Esclamò Sonia con un sorriso in faccia mentre mi scompigliava i capelli. Scacciai la mano candida prima che facesse troppi disastri e continuai a camminare in direzione dell’aula in cui la lezione, che avevo deciso di saltare quella mattina, era già iniziata da un quarto d’ora.
Per colpa di Helel ora mi toccava pure sopportare l’Eminem dell’università. La mia vita non poteva andare peggio!
«Ricordati di chiudere a chiave sia la porta della tua stanza, sia quella del bagno». Mi impartì Vittorio con tono serio, mentre le sue iridi erano tinte di preoccupazione.
«Sì, papà!» Esasperai, cercando di scacciare dalla mente l’incidente che era avvenuto quella mattina con Azrael. Non volevo raccontarlo ai tre oppure non mi avrebbero mai più fatto tornare in quella che ora era divenuta una, vera e propria, casa di matti.
«Non usare quel tono con me, pulce». Si impose. «Sono uomo e so come gli uomini ragionano. Chiudi ogni porta a chiave: è per la tua sicurezza».
Distolsi lo sguardo dal corridoio per rispondergli con un sorriso dolce alla preoccupazione da fratello maggiore che mi stava mostrando, ma in quello stesso momento compresi di aver fatto un’idiozia.
Senza neanche accorgermene in pochi secondi mi trovai la faccia spalmata contro a un muro… O almeno a quello che credevo essere un muro…
«Ah, scusa non stavo guardando dove stavo andando». Disse una voce da orgas— cioè una voce baritonale. Alzai gli occhi e…
Come era possibile che esistesse un essere così… asdfghjkl?!
ATTENZIONE! ATTENZIONE! NEURONI DI RISERVA RICHIESTI CON EMERGENZA!
Sentii le guance in fiamme e lo stomaco sottosopra solo a guardare il ragazzo che avevo davanti negli occhi a mandorla e neri. Erano due voragini in cui ci si poteva perdere da quanto sembravano che ti stessero studiando da dentro a fuori.
Era perfetto! E il fatto che lo ritenessi “perfetto” pur abitando con due angeli, la diceva lunga.
Lui corrugò le sopracciglia continuando a fissarmi. Mi spostò dal suo petto prendendomi per le spalle e con un: «Ooookay, ciao», mi superò e sparì nel corridoio da cui eravamo appena venuti.
Rimasi ferma a fissare il punto in cui era appena sparito.
Era stato un sogno o solo un’illusione? Quel ragazzo così tremendamente perfetto esisteva davvero? E mi aveva appena parlato?
«Terra a Eva, Eva ci ricevi?» Ridacchiò Sonia scuotendomi la mano davanti agli occhi.
Mi voltai verso i miei tre amici che stavano cercando in tutti i modi di trattenere le risate. 
Vittorio era rosso in volto e cercava di nascondere le risate con una tosse finta, Claudia aveva nascosto il volto contro la spalla di Vittorio mentre gli batteva la mano sul braccio, mentre Sonia aveva le labbra pressate l’una contro l’altra, questi chiuse ermeticamente.
Purtroppo ero ancora persa nel ricordo del volto perfetto che avevo appena visto, per comprendere appieno il loro comportamento.
«Qualcuno mi dica che quel ragazzo era vero e non stavo avendo le allucinazioni». Espressi i miei pensieri e i tre non si riuscirono più a contenere. Sonia si raggomitolò a terra, le lacrime agli occhi da quanto stava ridendo; Claudia si lanciò faccia al muro, il viso nascosto in un gomito mentre batteva un pugno contro al muro cercando di fermare la vigorosa risata che si stava facendo; Vittorio era letteralmente gettato a terra di schiena, i piedi che calciavano l’aria e le braccia erano strette allo stomaco.
Corrugai le sopracciglia alla loro reazione, cercando di comprendere perché i tre si stavano comportando come strani alieni da una galassia lontana lontana, quando finalmente il mio cervello riprese a funzionare e mi coprii d’istinto il volto, che all’improvviso era rosso dall’imbarazzo, con le mani.
Mi voltai verso il punto in cui il ragazzo era scomparso pochi minuti prima e lascia che le mani mi scivolassero nei capelli, gli occhi che mi stavano per uscire fuori dalle orbite.
«Perché nessuno mi ha fermato da fare questa surreale figura di merda, porco Ade!»

 
»Angolo Autrice«

Finalmente ecco il nuovo capitolo!!!! Sopravvisuta a feste, botti di capodanno, appelli anticipati e in preparazione alla sessione d'esami che si sta per aprire; sono riuscita finalmente a mettermi a scrivere come si deve!!
Sono felicissima di come sia uscito questo capitolo e spero che sia piaciuto anche a voi! Dopo i temi prettamente paranormali dei primi capitoli, questo è molto più "ordinario": si vede come Eva gestisce la sua vita scolastica e come i nostri due angeli si stiano abituando alla vita semi-mortale. Ma ecco che appaiono anche i nuovi personaggi! Chi è questo ragazzo con cui Eva si è scontrata? Che parte avrà in tutto questo?
Per scoprirlo dovrete aspettare il prossimo capitolo ;) Tranquilli è già in processo di Editing!!! (T.T odio fare editing)
Per finire vorrei ringraziare A.S. che è sempre al mio fianco a incitarmi al lavorare a questa storia e che ha creato una bellisima copertina per la pubblicazione su Wattpad (link wattpad: 
https://www.wattpad.com/user/Axel_Slytherine a Elgul1 per aver recensito la storia (hai rischiato di farmi urlare dalla felicità in mezzo alla lezione di Analisi 1).
Al prossimo capitolo!!!

Axel Knaves

PS. Credo di aver perso la mia modestia a scrivere alcune frasi, se ritrovata ditele di tornare a casa, che è quasi ora di cena u.u
XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** [4]» Roller coster di emozioni «[4] ***




[4]» Roller Coster di Emozioni «[4]

 

Dopo che i miei, così detti, “amici” ebbero finito di ridere e ripreso un contegno – il che aveva contemplato anche tre professori delle aule vicine che erano usciti per dirci di smettere di disturbare le lezioni della mattina… E non volevo neanche immaginare che cosa avessero pensato gli altri studenti vedendo un gruppo di ragazzi quasi alle convulsioni da quanto stavano ridendo e una ragazza che si stava per strappare i capelli per l’imbarazzo, mentre imprecava come un marinaio – decisi di saltare le lezioni di quella mattina e seguirli in biblioteca.
Eravamo un piccolo gruppo di nerd, per cui iniziammo a studiare appena preso possesso di un tavolo e fortunatamente per alcune ore avevano deciso di lasciarmi crogiolare nel mio imbarazzo, per la figura di merda, e di cambiare argomento.
Avevamo così passato una piacevole mattina tra studio, battute squallide e doppi-sensi; quasi da dimenticarmi come la mattina sembrava essere iniziata nel modo più spiacevole possibile.
«Ora che sei più rilassata, ci vorresti raccontare come mai stamattina sei arrivata a passo militare e con uno sguardo che poteva uccidere?» Mi chiese curiosa Sonia, mentre masticava il cappuccio di una penna. Un brutto hobby che aveva, ma che allo stesso tempo la rendeva sexy… Cosa? Sarò pure donna ma gli occhi per vedere li ho anche io!
«Ho litigato con uno dei coinquilini». Risposi a denti stretti, ricordandomi come Helel mi aveva trattato quella mattina. 
Stupida mortale? Davvero? Avrebbe visto quando ero una “oh così innocua mortale” quando gli avrei infilato qualcosa su pe–
«Calma i tuoi pensieri, piccolo Sith», Claudia mi portò alla realtà, era seduta di fronte a me con accanto Vittorio. «Sento i tuoi pensieri omicidi fin qua».
«Omicidi no», risposi veritiera. «Ma non posso promettere che non stessi pensando a qualche modo per torturarlo…»
«Sì», rispose Vittorio annuendo, «l’avevamo notato dal modo in cui stai stringendo quella matita».
Mi guardai le mai e compresi casa intendeva: le mie nocche bianche erano strette saldamente intorno alla matita che avevo rotto senza accorgermene.
Sospirai e lasciai cadere il cadavere dalla mia mano sul mio quaderno. Mi nascosi il viso nelle mani in maniera frustata.
«Almeno chi ha torto dei due?» Chiese Claudia, ovviamente curiosa.
Aprì lo spiraglio tra l’indice e il medio e la guardai con un occhio solo.
Helel è nel torto!
Fu il mio primo pensiero, ma poi ci riflettei un attimo. Era davvero così? Sì, era vero: Helel non aveva il diritto di insultarmi in casa mia, quando gli stavo offrendo vitto e alloggio gratis…
Ma non era colpa sua se era costretto a vivere sotto il mio stesso tetto… Quello era colpa mia…
«Entrambi…». Risposi incerta a Claudia. «Abbiamo torto entrambi».
Claudia mi sorrise e annuì, come se capisse tutto ciò che mi era passato per la testa.
«OhmioDio! Guardate chi c’è là!» Esclamò all’improvviso Sonia dal posto accanto al mio, facendomi saltare dalla sorpresa, indicando un tavolo poco distante da noi.
Le teste di noi tre scattarono in un attimo e dovetti mettermi una mano davanti alla bocca per non emettere strani versi di imbarazzo: seduto da solo, con le cuffie nelle orecchie, c’era Mr. Perfect che stava studiando.
Questa volta, essendo i neuroni un attimo più preparati, riuscii a studiarlo meglio: era alto, anche da seduto si notava. Le gambe stese e accavallate erano avvolte in un paio di jeans attillati e stracciati sulle ginocchia, mentre il mur– cioè il petto era coperto da una maglietta bianca.
Aveva la testa china su un libro, una mano che teneva i capelli dal farli cadere sugli occhi mentre con l’altra si stava massaggiando il collo.
Avevo già detto che sembrava un principe Disney uscito direttamente da uno dei cartoni animati?
«Dovresti andargli a parlare». Disse placidamente Claudia.
«COSA?!» Esclamai, anche se sembrò più il verso di un T-Rex in preda a strani dolori.
«Claudia ha ragione», concordò Vittorio, «non ti sei scusata per avergli preso contro stamattina».
«Torio forse quello che volevi dire era: “per averlo stuprato con gli occhi”». Corresse Sonia e io le diedi una pacca sulla spalla.
«Non lo stavo stuprando con gli occhi!»
«Oh, ma per favore! Ti stavo per andare a prendere una vasca da piscina olimpionica per quanto stavi sbavando!» Puntualizzò la bionda.
«Senza parlare che ha rischiato di inondare l’intero edificio quando l’ha guardato negli occhi, eri di certo sul punto di venire!» Aggiunse la mora seduta davanti a me.
Mi sentii avvampare per l’imbarazzo. Forse non mi conoscevano ancora benissimo, ma di certo mi conoscevano già abbastanza.
«Se gli vado a parlare, la finite?» Chiese esasperata, mentre chiudevo gli occhi e le spalle mi caddero in disfatta. Queste due avrebbe potuto vincere una qualsiasi guerra solo annoiando i nemici, finché non avessero chiesto pietà.
«Forse». Rispose Vittorio, per le due, con un sorrisetto malvagio in faccia.
«Vittorio!» Esclamai disperata. «Anche tu no!»
Lui non disse nulla, semplicemente indicò Mr. Perfect con la testa.
Senza altri tentennamenti mi alzai dal posto.
Feci un grosso respiro, drizzai le spalle e mi feci strada verso il ragazzo.
«Scusa». Lo chiamai timidamente appena fui di fronte a lui.
Il ragazzo alzò lo sguardo e dopo avermi notato si tolse gli auricolari. Lo studiai nei suoi movimenti: era aggraziato e gentile. Le mani erano curate e le dita erano affusolate e lunghe. Il volto era pregiato quanto la ceramica cinese. I tratti evidentemente orientali.
Per la miseria! È così perfetto da non avere neanche l’acne, questo essere etereo?
«Si?» Chiese con la stessa voce profonda di stamattina e usai tutto il mio auto-contegno per non svenire lì sul posto.
«Volevo scusarmi per stamattina, non ero attenta a dove stavo andando e non ti ho visto». Dissi abbassando la testa e grattandomi la nuca. Ovviamente, essendo me in questa situazione, il disagio aumentò ancora di più notando come ero vestita: jeans neri e maglietta nera di tre taglie più grande.
A volte odiavo il fatto che mi piacessero così tanto i vestiti larghi e maschili.
«Non ti preoccupare», ridacchiò lui. Alzai gli occhi e vidi che mi stava porgendo la mano.
«Jason Park». Si presentò e mi sorrise.
Risposi al sorriso.
«Eva Rossi». Dissi e allungai il braccio per stringergli la mano, quando qualcosa mi colpì la nuca: «Ahi!»
Piegai la testa in avanti e portai entrambi le mani a massaggiarmi il punto colpito. Mi girai per vedere cosa mi aveva colpito e chi era stato, il secondo dopo avrei voluto scappare: Azrael ed Helel erano sulla soglia della biblioteca.
Sul viso di Azrael apparve un enorme sorriso quando i nostri sguardi si incrociarono dai due estremi opposti della stanza; i miei occhi si posarono poi su Helel, che aveva il capo chino e con entrambe le mani si massaggiava la testa.
Mi girai velocemente verso Jason con il migliore sorriso che potessi dargli, non feci neanche caso alla sua reazione.
«Scusa Jason, devo scappare, è stato un piacere conoscerti. Ci vediamo». Dissi in un nano secondo e mi fiondai verso i due angeli che si trovavano sulla soglia.
«Cosa ci fate qua?» Gli sibilai appena fui abbastanza vicina.
«Ti stavamo cercando». Disse Azrael, il sorriso non pieno come qualche secondo fa. «Chi era il ragazzo con cui stavi parlando?» Chiese, poi.
Abbassai l’indice con cui l’Angelo della Morte stava indicando Jason.
«È scortese indicare qualcuno», gli ricordai, «è Jason, l’ho conosciuto oggi». Risposi e notai il suo sorriso vacillare un attimo. E ora che aveva anche lui?
Eva, priorità. Mi dissi.
«Perché mi stavate cercando?» Chiesi, lasciando andare la mano di Azrael; che era stranamente piacevole da stringere.
Azrael distolse gli occhi da Jason e appena tornarono su di me, riapparve anche il sorriso.
«Primo, Helel ti deve parlare», mi rispose e con la coda dell’occhio fissai Helel che si era d’improvviso rizzato alle parole del fratello. «Secondo, stiamo morendo di fame e tu stamattina sei scappata via senza neanche lasciarci i soldi per poter andare a prendere un take away». Aggiunse.
«Scusa». Gli dissi. Qualche ora prima ero così accecata dalla rabbia che mi ero completamente dimenticata che senza me ai fornelli, questi due sarebbero potuti benissimo morire di fame.
«Questo possiamo risolverlo anche dopo, prima ascolta Hel, per favore. E se non vuoi ascoltarlo, fallo per me». 
Azrael aveva lo sguardo puntato nei miei occhi e riuscii benissimo a vedere la supplica muta che mi stava facendo: “Dagli una seconda possibilità, per me”. Come potevo dirgli di no? 
Annuii e mi girai verso Helel, braccia incrociate al petto e sguardo che segnalava di non gettare via anche questa possibilità in più che gli stavo offrendo.
Il Diavolo mi studiò un attimo in volto mentre si mordeva il labbro inferiore, ovviamente esitante e agitato. Aspettate, l’Angelo Caduto in persona era impaurito dalla risposta che gli avrei dato? 
«Eva…», iniziò titubante. Mi guardò, la bocca aperta per parlare ma non ne usciva nessun suono. Gli occhi bianchi stavano urlando rancore, rimorso e vergogna; eppure la sua bocca si chiuse senza che un suono ne uscisse.
Helel chiuse gli occhi e sospirò, ovviamente frustato con se stesso. Mi fece un po’ di tenerezza.
Poi, all’improvviso, mi ritrovai avvolta in un abbraccio. Due braccia lunghe e forti erano avvolte attorno alle mie spalle mi premevano contro a un petto per non permettermi di scappare. Il respiro del Diavolo mi batté contro l’orecchio.
Finalmente l’uomo dagli occhi albini mi parlò, in sussurro.
«Mi dispiace». Si scusò. «Mi dispiace di averti tratta come spazzatura in questi giorni. Mi dispiace averti trattato come nulla quando tu ci stai aiutando in tutte le maniere che puoi. Ti sei presa la responsabilità di avere due angeli in casa e badare a loro mentre si abituano a vivere una vita mortale. Ci hai offerto un letto, un tetto e un piatto caldo, quando molti ci avrebbero lasciati alla fame. Ci hai lasciato scivolare nelle tue conoscenze anche quando tutto ciò che avevi letto di noi era malvagio o in un minimo modo negativo.
«Hai saputo del patto di sangue e non ti sei né arrabbiata, né spaventata. Sei rimasta calma e appena arrivati a casa ci hai fatto bere una tisana calda mentre preparavi i letti in cui avremmo dormito. E tutto questo io l’ho ripagato con parole brusche e offese. Ero così offuscato da tutti i pregiudizi che i miei sottoposti mi avevano fatto entrare in testa, che non riuscivo a vedere ciò che stavi facendo per noi.
«Non ti prometto che riuscirò a cambiare dall’oggi al domani, ma ti posso promettere che se mi darai una seconda possibilità cercherò di migliorarmi un poco alla volta, con anche il tuo aiuto. Perciò, ti supplico, perdonami».
Sentivo le lacrime pungermi gli occhi, mentre Helel diceva quelle ultime quattro parole singhiozzando. Se una cosa l’avevo imparata da mio fratello maggiore era che il pianto di un uomo vale come una testimonianza firmata in tribunale: fu per questo che senza troppi pensieri abbracciai indietro Helel.
«Ssshhh, va tutto bene, va tutto bene». Lo consolai con voce calma mentre con una mano gli accarezzavo i capelli e con l’altre lo tenevo stretto a me. «Ti perdono e ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti; tu promettimi solo di essere te stesso da ora in avanti».
Helel annuì, la testa ancora nascosta nel mio collo.
Dopo ancora qualche minuto di singhiozzi Helel mi lasciò andare e si rimise dritto. Dovetti usare tutto ciò che avevo per non mettermi ad urlare: Helel con gli occhi arrossati dal pianto era tenerissimo.
«Bene!» Esclamai, distogliendo lo sguardo dal viso tenero di Helel. «Cibo!» Guaì Azrael riavvicinandosi a noi. Non mi ero neanche accorta che si fosse fatto più in là per lasciare parlare me e Helel in privato.
«Sto con mio fratello», disse Helel, «ho i crampi dalla fame».
«Siete proprio due bambini!» Ridacchiai, guardandoli lamentarsi della fame.
«Ehi!» Esclamarono indignati insieme e facendomi ridacchiare ancora di più.
«Okay, okay, calmi», mi scusai alzando le mani in segno di resa. «Fatemi andare a prendere la borsa e poi vi porto in un ristorante qua vicino, okay?».
I due fratelli mi sorrisero e annuirono. Gli sorrisi in dietro e poi mi diressi a prendere la borsa al tavolo dove, Sonia, Claudia e Vittorio stavano ovviamente spiando le mie interazione con i due angeli.
Mentre percorrevo la biblioteca sorridendo iniziai a pensare che forse quella mattina avevo sbagliato: forse non sarebbe stata così tanto dura condividere la casa e un po’ del mio tempo con Azrael ed Helel.

 

»Angolo Autrice«

Ed ecco il quarto capitolo, finalmento finito l'editing!!! Yessa!!!
E finalmente viene presentato Mr. Perfect a.k.a. Jason Park e mica quello che Azreal prova è una punta di gelosia? è.é 
Helel e Eva finalmente si chiariscono e sembra che il loro rapporto ripartirà da capo con, si spera, un esito migliore.
Ma la tranquillità non durerà a lungo infatti dal prossimo capitolo si inizieranno a vedere qualche problemuccio all'orizzonte, con anche la comparsa di vecchie conoscenze e persone che si sarebbero volute dimenticare nel passato.
Cosa succederà? Non avete che da aspettare e scoprirlo!
Infine come sempre un ringraziamento a A.S., che tra poco potrebbe diventare benissimo la mia editor.
Spero tanto che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Se volete lasciare una recensione o seguire la storia nessuno vi ferma ;)

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** [5]» Ciabatte volanti e dove trovarle «[5] ***




[5]» Ciabatte volanti e dove trovarle «[5]

 

3rd POV

I tacchi, appena alti qualche centimetro, producevano un rumore secco contro il marmo bianco, che veniva ampliato all’interno del vasto e immenso corridoio.
La donna, che stava attraversando il corridoio, stava pensando che in qualsiasi momento avrebbe rischiato il rigurgito a causa del troppo sfarzo che la stava circondando. Strinse con forza l’elsa della spada che portava alla vita; sì, era deciso: il Paradiso era il posto che la donna preferiva meno in assoluto.
Il prezioso marmo bianco, infatti, era decorato con intarsi in oro o in puro argento che venivano ripresi dalla mobilia inutile che si trovava su ambo i lati dell’ampio androne. 
Non c’erano dubbi che suo fratello Gavriel avesse preso i gusti eccentrici dalla madre… O meglio dall’ombra mortale della madre.
La donna si fermò e si spiò nello specchio che era posizionato a qualche porta di distanza dall’ufficio di suo fratello.
Mikael si trovò a fissare la forma del suo corpo, che ormai l’accompagnava da millenni: il corpo minuto, ma muscoloso, era avvolto in un paio di jeans e una camicia blu notte, nascosta da un maglione color cachi; il viso dai tratti decisi ma fini era avvolto da lunghi capelli bianchi, ereditati dal padre. Il tutto contribuiva a far risaltare l’unico dettaglio ereditato dalla madre, che condivideva con suo fratello Azrael: gli occhi neri pece, più profondi di un buco nero.
La donna era la più piccola dei quattro fratelli, anche se non c’era da farsi ingannare: era quella con un carattere più schietto e più incline ad un approccio violento, se la situazione lo richiedeva. Era anche l’unica dei quattro che riusciva a incanalare le proprie emozioni ed a utilizzarle a proprio favore, al contrario dei tre figli maggiori che non riuscivano più a pensare e perdevano pienamente il controllo dei propri poteri, quando provavano intense emozioni.
Loro madre diceva sempre che era dovuto al fatto che fosse l’unica donna dei quattro. 
Eppure, anche se era una donna, Mikael era diventata l’angelo combattente e veniva sempre rappresentata con la sua fida spada… Anche se la rappresentavano sempre come un uomo… Non che la cosa le desse particolarmente fastidio.
La donna guardò il proprio naso contorcersi in un’espressione infastidita. Ma a chi lo dava a bere? Le dava un fastidio cane!
Sospirò, lasciando cadere le spalle e gettando la testa all’indietro.
«Ancora irritata per la storia che tutti rappresentano l’arcangelo Michele come un uomo?» Chiese una voce maschile alla sua sinistra.
Mikael guardò con la coda dell’occhio suo fratello maggiore. Gavriel era l’epiteto di angelo: alto, muscoloso, spalle larghe; i capelli erano bianchi come quelli della donna, gli occhi però rispecchiavano quelli bianchi di Helel. Era vestito in un completo scuro che emanava un’aura di autorità.
«È una questione di orgoglio femminile». Rispose secca lei e il fratello alzò le mani in segna di resa. Era il maggiore e anche il più furbo… A volte… «Pensavo fossi in ufficio», aggiunse poi lei rimettendosi dritta come uno stecco.
«Ci stavo andando giusto ora», si spiegò, con poche parole, l’uomo. «Tu, invece, perché sei qua?»
«Dobbiamo parlare di questioni serie».
Gavriel, che aveva sperato in un’altra risposta, dovette trattenere un sospiro. Sapeva benissimo perché la sorella era salita dalla porta del Purgatorio – cui doveva proteggere – fino alla cima del Paradiso.
«Lo immaginavo», disse invece, «vieni, andiamo nel mio ufficio». E fece segno di seguirlo mentre la sorpassava.
Le ultime due settimane erano state parecchio strane per i tre mondi ultraterreni e la Terra stessa. Non che gli umani potessero avvertire questo cambiamento, solo gli esseri importali, infatti percepivano cosa c’era che non andava: la maggior parte degli esseri immortali – cioè demoni, angeli e mietitori di anime – si erano dati alla bella vita, dimenticandosi dei loro ruoli.
Gavriel ormai aveva perso il conto di quanti angeli aveva trovato addormentati sul posto di lavoro. Ma non poteva dargli torto: da due settimane a quella parte, infatti, le anime sembravano rimanere quasi tutte bloccate sulla terra; come se i mietitori avessero smesso di fare il loro lavoro.
L’arcangelo aveva provato a rintracciare suo fratello minore per vedere cosa stava causando tale rallentamento, ma i suoi messaggi o non erano stati recepiti o erano stati ignorati.
Sperava solo che non fosse la seconda, oppure una ramanzina nessuno l’avrebbe tolta ad Azrael.
«Ho scoperto la causa di questa assenza di anime». Disse seria Mikael appena Gavriel ebbe chiuso la porta dell’ufficio alle proprie spalle. La donna si era seduta a una delle due sedie rococò, tappezzate di rosso, al centro dello studio, incrociando le gambe.
L’uomo le rispose solo dopo essersi poggiato, con il suo angelico lato B, alla scrivania in mogano pregiato, di fronte alla sorella. Il resto della stanza era bianco, oro e argento come il corridoio. Mikael sentiva la bile in gola, preferiva di certo le tonalità verdi e azzurre, e il gusto spoglio del Purgatorio.
«Vuoi condividere le informazioni?» Chiese lui, impaziente di sapere cosa aveva scoperto la donna.
«Stamattina è arrivata un’anima alle porte del Purgatorio, con lei c’era un mietitore…» Raccontò lei, ma venne interrotta.
«Dimmi solo se hai utilizzato le buone o le cattive maniere».
Mikael saettò uno sguardo omicida al fratello.
«Era un novellino!» Esclamò indignata. «È bastato un sorriso, una frase sbattendo le ciglia e ha svuotato il sacco!»
Gavriel sospirò interiormente: non sarebbe stata la prima volta che la sorella estorcesse informazioni con la forza. Fece segno alla donna di continuare.
«Come stavo dicendo: il mietitore è stato così gentile e collaborativo da rivelarmi che la colpa di tutta questa mancanza di lavoro è data dall’assenza di Hel ed A».
«In che senso “assenza”?» Chiese il fratello sgranando gli occhi, d’un tratto preoccupato per i due fratelli minori.
«I nostri cari fratelli non tornano ai rispettivi lavori da due settimane a questa parte». Ammise l’albina mordendosi il labbro inferiore. «È per questo che solo i novelli e qualche mietitore anziano stanno consegnando anime: essendo assente il gatto, i topi hanno deciso di ballare»
«La tua fonte ti ha detto, per caso, se sapesse dove si trovano quei due idioti?»
Mikael potè sentire la preoccupazione avvolgersi intorno a ogni parola detta dall’angelo che aveva di fronte; mentre incrociava le braccia al petto.
«Ci sono voci…» Sospirò, sconfitta, lei. «Niente di più e niente di meno».
«Che voci?» Se non avevano altre piste, a Gavriel andavano bene anche le voci sul posto di lavoro per iniziare a cercare i due bruni.
«Che stiano convivendo con una mortale… E che siano legati in qualche modo a lei». Rispose lei, le braccia incrociate al petto. Anche se aveva fatto di tutto per scacciare la sensazione, Mikael aveva iniziato a sentirsi in ansia per i fratelli, involontariamente.
Sì, non erano proprio i migliori lavoratori di questo mondo, ma non avevano mai lasciato il loro posto di lavoro per due intere settimane senza dire nulla. Doveva essere successo qualcosa.
«Della mortale si ha qualche informazione?» Continuò l’interrogatorio Gavriel.
«Sembra chiamarsi Eva, non avere più di venticinque anni e che abbia dei capelli rossi da “mozzare il fiato”».
Gavriel annuì più che a se stesso, che a sua sorella.
«È sufficiente per trovarla», sussurrò e a Mikael sembrò solo un borbottio. Ormai non le dava  più così tanto fastidio, come duemila anni prima, quel piccolo tic del fratello di sussurrarsi le cose a sé stesso mentre pensava.
«Spero che tu sia pronta a una piccola gita». Aggiunse poi l’uomo in giacca e cravatta, girando attorno alla scrivania per lavorare al computer, sperando che al dipartimento che controllava le nascite qualcuno stesse ancora lavorando.
«Gita?» Chiese lei dubbiosa.
«Sì, appena riusciremo a scoprire chi è e dove viva questa Eva; andremo a trovare i nostri cari fratelli e riporteremo i loro culi angelici dove dovrebbero stare».

EVA’S POV

La prima cosa che il mio cervello percepì appena tornai dal limbo di oscurità in cui ero caduta la notte precedente, fu l’odore di padella bruciata che impregnava la stanza e che mi era riuscito a risvegliare.
Quando i miei neuroni ebbero processato la serietà della situazione, che stava presentando loro il mio olfatto, una purga di adrenalina mi schizzò nelle vene; svegliandomi subito.
Spalancai gli occhi e scattai a sedere, gettai le coperte di lato e con una velocità che non avevo mai pensato di possedere mi lanciai fuori dalla porta e dritta verso la cucina. Non badando neanche che tutto ciò che mi copriva era una maglietta larga e un paio di mutande.
«Che sta succedendo nel mio Regno?!» Abbaiai appena misi piede in cucina; prima di analizzare ciò che avevo davanti.
La coppia di fratelli dai capelli neri era in piedi accanto al lavandino. Azrael aveva uno sguardo severo e accusatorio stampato in faccia e sottolineato dalle sopracciglia così tanto corrucciate che per poco non si toccavano; mentre stava mettendo in ammollo un padella con del sapone.
Accanto al giovane, il fratello più anziano aveva un sorriso di scuse in volto mentre si stava grattando la nuca, il capo appena inclinato.
Fu quest’ultimo il primo a posare gli occhi su di me e, appena notò il mio volto distorto in un smorfia di irritazione, diventò ancora più bianco di quanto già non lo fosse naturalmente.
Erano passate quasi tre settimane da quando Helel si era scusato ufficialmente e avevamo deciso di ricominciare da capo. Come avevo immaginato, il percorso non era stato tutto rosa e fiori: non erano più avvenute vere e proprie litigate come quella dell’ultima volta, ma alcuni giorni se uno dei due aveva la luna storta cercavamo di evitarci il più possibile.
Però vedevo l’impegno che Helel ci stava mettendo: aveva iniziato con l’interessarsi ai costumi di noi umani quali le serie TV, il cibo, i libri; aveva poi iniziato anche ad aiutarmi in piccole faccende domestiche come pulire le stanze o fare il bucato – quelle poche volte che capitava che lo facessi; con i poteri che i due avevano ormai pulivo casa classicamente con aspirapolvere e vileda, solo quando dovevo svuotare la mente dallo studio – e da qualche giorno aveva iniziato a studiarmi mentre facevo da mangiare.
«E-E-Eva», balbettò e questo fece girare anche Azrael.
L’Angelo della Morte sgranò gli occhi, leggermente spaventato dal mio sguardo, ma poi notai come deglutì lentamente dopo avermi studiato da capo a piedi.
Sentii le guance diventarmi subito rosse a quel gesto, resami conto di come ero mezza svestita.
Nelle settimane precedenti il rapporto tra me e Azrael era decisamente cambiato. Quel piccolo incedente qualche mattina prima in bagno aveva creato una piccola crepa nella nostra amicizia, che aveva fatto diventare imbarazzante ogni genere di contatto fisico con quest’ultimo.
Non capivo e non sapevo il perché, ma ogni volta che mi trovavo da sola con il ragazzo dagli occhi neri il mio cuore iniziava a battere all’impazzata e le mie guance diventavano di un intenso color cremisi.
Anzi, sapevo esattamente il perché di tutto ciò; non era la prima volta che il mio corpo si sentiva così; ma il mio cervello ed istinto di sopravvivenza non volevano accettare che il mio corpo provasse quel tipo di sentimento un’altra volta; ancora lacerati dai dolorosi ricordi che aveva seguito l’ultima volta che quei sentimenti erano apparsi nella mia vita.
«Lo chiederò solo un’altra volta: che sta succedendo nella mia cucina?» Chiesi ancora, scostando gli occhi da quelli di Azrael e ricordandomi dell’odore di strinato che aveva invaso l’appartamento.
«Hel ha provato a cucinare “la colazione”». Rispose Azrael, senza peli sulla lingua, tornando a lanciare occhiate di disapprovazione al fratello.
Alzai un sopracciglio e fissai Helel in attesa di una spiegazione.
«Beh… È una settimana che ti vedo cucinare la colazione e credevo di ormai aver capito come si facesse». Confessò il Diavolo mentre cercava di guardare a tutto meno che a me e si grattava una spalla. Vergogna e dispiacere ben dipinti sui tratti decisi.
La donna lasciò andare un sospiro di sconfitta.
Avrei dovuto mettere un cartello con scritta “Aria Riservata” sulla porta della cucina. Pensai, senza più speranze di avere un giorno senza incidenti.
«Ora una cosa è certa: le padelle le sai cucinare divinamente». Dissi: se la speranza era sparita, tutto ciò che mi restava era il sarcasmo e le battute da quattro soldi.
Mentre i due angeli ridacchiavano per la battuta, credendo che la situazione fosse risolta, io feci qualche passo indietro e presi una ciabatta che era stata dimenticata sul pavimento, prima di tornare sulla soglia.
La cucina era il mio regno, nessuno poteva rovinarmi una padella senza una giusta penitenza.
«Ma non fraintendermi», aggiunsi e i due tornarono a guardarmi. Stavo sorridendo come una maniaca mentre sbattevo la ciabatta sul palmo aperto. 
Azrael lasciò andare la padella e mise una mano sulla spalla del fratello: «È stato un piacere conoscerti», gli sussurrò.
«Helel caro», richiamai l’attenzione del Diavolo, che si era spostata sul fratello, «preparati per la punizione che ti aspetta, per la padella strinata». E senza troppi indugi mi fiondai sull’uomo, ciabatta alzata sopra la testa, come se fosse un’arma.
Azrael si lanciò fuori dalla mia traiettoria, con nessuna intenzione di mettersi tra me e la mia preda; Helel, al contrario, fu qualche secondo più lento; ma riuscì comunque a spostarsi, appena in tempo per evitare la ciabattata in testa.
In un attimo Helel si fiondò fuori dalla cucina, cercando una via di fuga; l’istinto di cacciatore che mi pompava nelle vene mi aiutò a stargli alle calcagna, rincorrendolo in circolo per il salotto.
«Helel fermati subito e vieni qua!» Esclamai con lo stesso tono che di solito mia madre usava con me, per mia spiacevole sorpresa, mentre mi fermai davanti al divano che era tra me ed il Diavolo.
«No, grazie», disse lui, «molto allettante la proposta, ma preferisco il frustino alle ciabatte».
Azrael si lasciò andare a quell’ultima frase: si accasciò allo stipite della cucina mentre rideva così tanto da avere il viso rigato dalle lacrime e un braccio intorno allo stomaco.
Feci fatica a non sorridere a mia volta.
«Beh di certo questa mi mancava». Disse una voce, maschile e sconosciuta, alle mie spalle. 
«AAHH!» Urlai.
L’istinto reagì prima del cervello e mi ritrovai a guardare, come a rallentatore, la ciabatta che saliva verso l’alto per poi tornare verso il basso ed atterrava in faccia allo sconosciuto; finendo con il rimbalzare a terra. L’avevo lanciata per lo spavento mentre mi voltavo a scoprire chi aveva parlato.
Mi accorsi solo allora che gli sconosciuti erano due.
E per la miseria!
Erano un piacere per gli occhi! L’uomo era alto anche più di Helel, il corpo muscoloso che si intravedeva attraverso il completo blu scuro. Gli occhi erano bianchi, esattamente come quelli di Helel anche se questi avevano una leggera sfumatura blu sul bordo, mentre quelli di Helel ce l’avevano rossa.
I capelli bianchi come la neve erano l’unica cosa che i due sconosciuti condividevano.
La donna, infatti, seppur il corpo veniva allenato costantemente, era minuta e con le spalle ridotte; era ovvio che la sua forza era la velocità più che la potenza. Il viso era femminile anche se i tratti erano pronunciati.
Gli occhi neri erano identici a quelli di Azrael.
La differenza principale dall’uomo al suo fianco era ovviamente lo stile del vestiario: dove l’uomo era elegante, la donna era vestita da tutti i giorni con i jeans e il maglione color cachi.
«Di certo», disse la donna rivolta all’albino, «questa mancava a me, da vedere». Le spalle che le tremavano per la leggera risata che stava cercando di trattenere… In malo modo.
«Mikael!» Esclamò all’improvviso Azrael, eccitato, chiudendo la distanza che lo distanziava dalla donna con due falcate e avvolgendola in abbraccio caloroso.
Sì, A è proprio carino mentre sorride.

Carino?! La Morte?! Oh, per Zeus, Ade e Poseidone; Eva piantala di avere certi pensieri! È un angelo! A-N-G-E-L-O! Come potresti mai piacergli?
«A, mi stai soffocando». Espirò l’albina scuotendo le braccia in cerca di aiuto.
«A, lascia andare nostra sorella prima di strozzarla definitivamente». Gli ordinò, esasperato, l’uomo sconosciuto che si stava massaggiando il naso e mi guardava con sguardo omicida.
«Un attimo». Richiamai l’attenzione, il mio cervello finalmente aveva ripreso a funzionare. «“Nostra sorella”?!»
«Benvenuta nella famiglia più mal ridotta di tutti i regni celesti». Fece il sarcastico Helel, volgendo gli occhi al cielo. Guardai un attimo allibita il viso di Helel: dove Azrael aveva mostrato eccitamento, l’Angelo Caduto stava mostrando irritazione e fastidio.
Sì, definitivamente ha problemi con almeno uno dei due nuovi arrivati.
«E chissà di chi è la causa…» Borbottò in modo molto poco allusivo, l’angelo dal nome ancora sconosciuto. Con la coda dell’occhio notai Azrael e la sorella, Mikeal, che si scambiavano uno sguardo esasperato.
«Gavriel!» Sibilarono all’unisono, cercando di fermare la discussione che, ovviamente, stava per nascere.
E ovviamente ha problemi con il fratello maggiore, nulla da stupirsi in proposito.
Guardai Helel e vidi come la postura del corpo era cambiata drasticamente: il corpo era così tanto irrigidito che tremava; le mani chiuse a pugni. Era due settimane che non vedevo più quel Helel.
Sospirando scivolai tra il moro e l’albino.
«Non so che problemi ci siano tra di voi», dissi guardando prima uno e poi l’altro, «ma se solo pensate di iniziare una rissa celeste nel mio appartamento, vi prendo a calci nel culo così tante volte che non riuscirete più a sedervi».
«Come se una mortale potesse farmi qualcosa». Mi sbeffeggiò Gavriel guardandomi dall’alto al basso.
I miei occhi erano spalancati, non credendo alle mie orecchie; i pugni stretti così forte che potevo sentire le nocche bianche. La furia nelle vene chiamava sangue.
Ora ero certa da dove Helel avesse preso certi comportamenti.
Azrael si avvicinò a me e mi prese un polso. Non ero certa se fosse per proteggere me da Gavriel o il contrario.
«Gavriel, smettila subito». Lo avvertì.
«Pfff!» Mi schernì il fratello maggiore, avvicinandosi così tanto da essere a portata di braccio. «Perché, che mi potrebbe fare questa umana: lanciarmi un’altra ciabatta?» Chiese, dandomi una pinghella sulla fronte.
Ci fu una pausa di un paio di secondi, in cui tutti mi fissarono in silenzio, poi il mio pugno si connesse con il naso dell’albino. 
Ciò che non ebbi calcolato fu il patto di sangue che univa me ad Azrael ed Helel; esattamente non avevo calcolato la condivisione dei poteri che avevamo.
Gavriel venne fiondato, infatti, contro il muro ed che si sfondò senza troppi problemi. 
La corsa dell’angelo finì sul pavimento della camera dei ragazzi.
Mikael mi guardò con occhi sgranati e bocca spalancata: «Ti amo, sposami immediatamente!» 
«Cosa?!» Esclamai stupefatta.
«Ehi!» Esclamò Azrael allo stesso momento, tirandomi per il polso che non aveva lasciato e posizionandomi dietro di lui; così che ci fosse lui tra me e sua sorella.
Helel non prese parola nella discussione e lo guardai mentre ci superava e si avvicinava a Gavriel, il quale si stava lentamente rialzando da terra; l’angelo aveva il viso completamente coperto di sangue.
«Se hai finito di insultare la padrona di casa», disse con tono pacato, «forse possiamo metterci a parlare del perché siete venuti fin qua».

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** [6]» Gelati in faccia e baci inappropriati «[6] ***




[6]» Gelati in faccia e baci inappropriati «[6]

 

Guardai il tavolo e per la prima volta nella mia vita mi chiesi che avessi fatto di male perché mi stesse capitando tutto ciò.
Al tavolo della mia cucina erano, infatti, seduti ben quattro angeli, due che stavano finendo i pancake  che avevo cucinato mentre gli altri due stavano sorseggiando un caffè – a quanto pareva, pur non avendo bisogno di cibo per sopravvivere, Gavriel e Mikael potevano comunque mangiare e bere; il tutto grazie alla madre che un tempo era mortale – mentre io stavo mangiando i miei cereali in piedi, fondo schiena contro il bancone della cucina, intenta a seguire la conversazione.
Solo il pensiero di andare all’università completamente cancellato dalla mente.
«Perciò state dicendo che siete obbligati a seguirla ovunque?» Chiese Mikael, facendo un cenno verso di me con il capo.
«Non proprio», rispose Helel, «possiamo essere in due posti separati, però solo per un certo periodo di tempo, poi abbiamo questa specie di corda che ci tira verso il luogo in cui si trova». Spiegò e la mia mente tornò a un sera di qualche giorno fa.
Ero rimasta a casa di Sonia, dopo una giornata stressante in università, e ci eravamo addormentate davanti alla TV senza neanche accorgercene. Mi aveva svegliato il continuo squillare del mio cellulare: era Azrael che mi avvisava che lui ed Helel erano davanti all’ingresso di Sonia e dovevo sbrigarmi ad uscirmi perché potessero tornare a casa.
Non avrei mai potuto fare una serata tranquilla solo tra donne, perfetto.
«Perciò con il patto di sangue è come se foste diventate sue guardia del corpo». Riassunse in breve Gavriel.
«In pratica», annuì Azrael.
«Ed ha metà dei vostri poteri». Aggiunse l’albino, sistemandosi i fazzoletti di carta che gli avevo dovuto mettere per fermare l’emorragia. A quanto pareva se si usava il potere di un angelo per attaccare un altro angelo, questo poteva rimanere ferito come se si stesse battendo contro uno della sua stessa specie.
Ovviamente con quegli stessi poteri Mikael aveva rimesso a posto la parete con uno schiocco di dita. Maledizione a questi angeli e ai loro poteri!
«Smettila di lamentarti», lo rimproverò, divertita, Mikael, «non ti ha neanche rotto il naso!»
«Mi ha usato come ariete per sfondare un muro!» Esclamò indignato Gavriel. «A me
Misi rumorosamente la tazza ormai vuota nel lavandino e la riempii di acqua.
«Volevo solo ristrutturare la sala e la tua testa sembrava proprio fatta apposta». Risposi tra i denti. Perché mi sembrava di essere davanti a un Helel due, la vendetta?
Azrael, che stava bevendo un sorso di succo di arancia, iniziò a ridere della mia risposta e per poco non sputò il tutto in faccia a Mikael; la quale stava nascondendo il sorrisetto bastardo che le avevo fatto nascere sul volto, dietro una mano.
«Sai di avere una lingua velenosa?» Mi chiese Gavriel, inviperito. Si poteva vedere lontano un miglio quanto non era abituato ad avere intorno persone che gli rispondevano senza troppi indugi.
Feci spallucce. 
«Sai quanto me ne frega?» 
Gavriel arricciò le labbra, frustato, e si infossò nella sedia.
1-0 per Eva la terrestre! Tiè, arcangelo dei miei stivali!
Ero bambinesca? Probabile.
«Io mi cambio ed esco che devo andare a fare spase, perciò scusatemi», dissi infine, ritirandomi dalla stanza e andando in camera mia a prendermi un cambio di abiti, per scappare, infine, sotto la doccia. 
Quando uscì, un quarto d’ora dopo, dal bagno, Mikael mi stava aspettando appoggiata al muro accanto alla porta. La fissai alzando un sopracciglio, non capendo bene che stesse facendo lì.
Senza cerimonie mi spinse di nuovo nella stanza da cui ero appena uscita, per poi chiuderci dentro.
«Dobbiamo parlare». Disse e la guardai come se fosse un alieno… Che poi pensandoci… Era in effetti un alieno visto che non abitava sulla terra e tutto…
«Ehi, sei ancora con me?» Mi chiese ridacchiando mentre mi sventolava una mano davanti alla mano. Mi ero persa nei pensieri, to’ che strano.
Bloccai la mano che ancora sventolava davanti ai miei occhi.
«Sì, scusa, ci sono». Risposi. «Dimmi tutto».
«Helel».
«Helel… Cosa?» Chiesi precisioni, non capivo che cosa stesse cercando di chiedermi.
«Helel, l’ultima volta che l’ho visto non era così “civile”? “Cordiale”? “Come era da piccolo”?» Cercò di spiegarsi e finalmente capii cosa intendesse.
«Diverso da Gavriel?» Tentai di aiutarla.
Lei annuì scompostamente.
«Anche».
«È stato Azrael». Le rivelai.
«A?» Chiese lei, un’espressione stupefatta sul volto.
Annuii.
«Circa tre settimane fa Hel ed io abbiamo avuto una grossa lite e lui ha superato il limite con certe parole. Qualche ora dopo si sono presentati alla mia università ed Hel si è scusato ed ha pure pianto. Da allora sta cercando di migliorarsi e di vivere in modo più civile. Non so che cosa Azrael abbia fatto o detto; ma è servito allo scopo». Spiegai. «Se ti servono altre informazioni le dovresti chiedere ad A, non a me».
Lei annuii, un attimo persa nei suoi pensieri, poi aprì la porta ed insieme ritornammo nella cucina.
L’aria era certamente cambiata rispetto a una mezz’ora prima: Helel e Gavriel stavano avendo una gara di sguardi maligni, mentre Azrael stava dando testate la tavolo cantilenando: «Perché ho due idioti per fratelli?».
«Ma che…» Iniziò a chiedere Mikael, ma poi si fermò. «Anzi no, non voglio sapere. Helel mettiti un giubbotto, vai con Eva». Ordinò, invece, al fratello maggiore, che al sentire quelle parole la guardò allibito.
«E perché?»
«Perché ho bisogno di avere una discussione seria e se tu rimani qua, te e Gavriel finireste per non ascoltarci e battibeccare come due rincoglioniti, perciò…» Rispose e gli fece segno di seguirmi.
Helel sospirò e si alzò dalla sedia.
Uno schiocchi di dita e fu vestito in un completo grigio, con una camicia scura; il tutto perfettamente stirato.
«Andiamo prima che imprechi ancora contro i vostri dannati poteri». Sbuffai, ovviamente gelosa di quel piccolo trucchetto, prendendo borsa, portafogli e chiavi.
Ma vi immaginate avere un potere così? Con che facilità la mattina ci si vestirebbe? E quando siamo in ritardo?
Aaaaahhhhh!!!! Più ci pensavo e più volevo rubarglielo in un qualche modo!
«Come se non fossi una scaricatrice di porto ventiquattrore su ventiquattro». Ridacchiò Helel mentre aprì la porta di ingresso.
«Taci, oppure non ti compro i dolcetti alla fragola». Lo minacciai uscendo dall’appartamento. «Ciao A, a dopo!»
«Sei proprio senza cuore!» Mi rispose il Diavolo facendo il finto offeso. «Dopo A!»
«Ricordatevi di prendermi un pezzo di torta Susanna! A dopo!» Ci salutò in dietro Azrael e poi chiudemmo la porta alle nostre spalle e ci dirigemmo verso la fermata degli autobus, per andare al centro commerciale.

3 POV

Gavriel e Mikael aspettarono che Azrael si fosse rimesso comodo al tavolo della cucina prima di parlare.
«Perciò…»
«Ditemi che cosa volete sapere così facciamo prima». Tagliò corto il moro. Aveva già un mal di testa da far paura e sapeva di certo che la discussione con i due fratelli non sarebbe andata tanto meglio. «Anzi», si corresse, «prima di tutto: perché hai fatto andare Hel con Eva, Mik?» 
Mikael sospirò mentre Gavriel si fece ancora più serio di quanto già non fosse.
«Da quando voi avete iniziato a vivere qua, ci sono stati dei casini». Rispose l’albino per la donna.
Azrael si rizzò comprendendo che la discussione era drasticamente seria.
«Che genere di “casini”?»
«All’inizio non era nulla di che», prese la parola Mikael, «i mietitori visto che tu non c’eri hanno iniziato a lavorare meno, creando un flusso sempre in diminuzione di anime e questo ha portato ad angeli e demoni che iniziavano ad addormentarsi a lavoro o non si presentavano proprio. La situazione è peggiorata un paio di giorni fa: i demoni hanno iniziato ad avvicinarsi al Purgatorio e al Paradiso accusandoci di aver rapito il loro capo e che stavamo tenendo le anime umane destinate all’inferno come schiavi per i nostri bisogni».
Azrael stava ascoltando attentamente la sorella, le mani incrociate davanti al volto, le labbra arricciate per la serietà del discorso.
«Stanno cercando un capro espiatorio». Parlò Gavriel. «Vogliono puntare il dito contro qualcuno e poter iniziare a essere violenti».
«E se mai scoprissero di Eva, ovviamente l’attaccherebbero». Concluse Mikael.
«Non è un se, Mik, è un quando». La corresse subito Gavriel.
«Quando?» Chiese Azrael velocemente e Mikael poté vedere la preoccupazione che era dipinta nei tratti del fratello: non era la preoccupazione che si aveva per un’amica o una semplice coinquilina… Era la preoccupazione di quando qualcosa succede a un tuo famigliare… O alla persona che ami…
Oh! Pensò la donna.
«Come io e Mik siamo riusciti a trovarvi, seppur stiamo cercando di nascondere le informazioni di Eva, è solo questione di tempo prima che i demoni scoprano di lei». Rispose il fratello maggiore.
Azrael strinse i denti, se fosse successo qualcosa a Eva… Se fosse successo…
No. Non voleva neanche pensarci. In quelle tre settimane che avevano vissuto con la donna, l’angelo, doveva ammettere di essersi affezionato a lei.
Subito non se n’era accorto, era successo per caso; ma dopo un po’ era diventato ovvio anche a lui che aveva iniziato ad interessarsi alla ragazza… Ma aveva deciso di rimanere zitto: quale umana avrebbe mai potuto amare l’Angelo della Morte?
Eppure ora voleva proteggerla con tutte le forze che aveva. Forse lei non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti, ma non per questo avrebbe lasciato che qualcosa di male le accadesse.
«Siamo venuti qua perché pensavamo di portarvi a casa», disse Mikael dopo qualche minuto di silenzio, facendo concentrare Azrael nuovamente su di lei e non sull’umana appena uscita. «Non avremmo mai pensato a tutto questo».
«Dovrete proteggerla con tutti voi stessi», aggiunse Gavriel e la frase sorprese i due fratelli più piccoli. «Se lei muore voi siete bloccati qua… Ma credo anche che Eva non meriti di morire per una faida in cui non c’entra nulla».
Azrael studiò un attimo il fratello e si stupì di non vedere nessuna traccia di emozioni negative quando parlava di Eva.
«Oh, A, non guardarmi così!» Esclamò Gavriel, in imbarazzo sotto lo sguardo quasi geloso del fratello. «Non sono orbo! Ho visto come la guardi: è lo stesso modo in cui madre guarda padre!» Aggiunse facendo diventare rosso in viso l’Angelo della Morte.
«N-n-non è vero!» Balbettò il moro, distogliendo lo sguardo dal fratello.
Mikael ridacchiò.
«Sia tu che Hel vi siete affezionati a quell’umana, lo abbiamo visto bene». Disse la donna. «Ovviamente, e fortunatamente, in due modi completamente differenti. E ne vediamo anche perché: è un’umana preziosa, molto simile a madre, ma totalmente diversa… Ricordatevi solo che lei è umana e voi siete angeli: avete un posto dove dovete tornare e un dovere da compiere. Non distruggetele il cuore… E non distruggetevi il vostro…»

EVA’S POV

Il viaggio fino al centro commerciale non era stato malvagio o imbarazzante.
Io ed Helel avevamo scherzato e chiacchierato di cavolate per tutto il tempo; fino al punto in cui avevo iniziato a paragonare la mia nuova relazione con lui a quella che avevo con mio fratello fratello maggiore.
Ah! Davide! Quanto mi mancavano sia lui che mia sorella minore, Serena! Erano mesi che ormai non li vedevo e anche se ci messaggiavo ogni giorno mi mancavano sempre più.
Era strano da ammettere ma mi mancavano anche i miei genitori in una certa maniera.
Quando si decide di vivere da soli si pensa sempre che sarà una passeggiata, un’avventura ancora inesplorata e che non ci mancherà la nostra vecchia casa o tutti i battibecchi con i genitori; la verità è che la famiglia ti inizia a mancare come se non avessi più un braccio.
«Ehi Eva», mi riscosse dai miei pensieri Helel, «qual è esattamente la nostra fermata?» Chiese.
Guardai fuori dal finestrino e mi sorpresi di vedere che mi ero persa nei miei pensieri per cinque minuti buoni.
«La prossima». Gli risposi e premetti il campanello per prenotare la fermata. «Dai alzati».
Helel si alzò con me e mi seguì fino all’uscita.
Intorno a noi notai come la gente ci stesse fissando, soprattutto le donne. Alzai un sopracciglio. 
Non mi ero di certa vestito in modo strano: un semplice paio di jeans con maglietta e felpa; perciò non riuscivo a capire quegli sguardi fin quando non notai una ragazza sbattere convulsamente le ciglia in direzione di Helel.
Oh!
Mi ero quasi dimenticata di come il Diavolo, che avevo accanto, fosse di una bellezza sovrannaturale; il vederlo tutti i giorni mi aveva fatto totalmente cancellare della testa che la sua bellezza esteriore non era comune.
Ma non quella di Azrael, quella la vedi ancora. Disse una vocina nella mia mente e volevo sbattere la testa contro qualcosa di molto duro. Cosa avevo appena pensato? Per l’amor di Ra!
Finalmente l’autobus si fermò e scendemmo dal mezzo. Esattamente come sull’autobus tutte le donne nel raggio di cinque metri si voltarono a guardare Helel.
Certi sguardi fecero avvampare persino me.
«Ehi, tutto okay? Sei diventata tutta rossa». Mi chiese preoccupato il bruno dagli occhi albini mentre camminavamo uno accanto all’altro verso l’entrata.
«Proprio non le vedi, vero?» Gli bisbigliai cercando di farmi sentire solo da lui. Speravo tanto che uno dei loro poteri fosse anche il super udito.
«Chi?» Mi domandò in dietro, ovviamente spaesato. Rimasi allibita: non le vedeva davvero!
«Tutte le donne nel raggio di cinque metri si girano per spogliarti con gli occhi! Sono solo fortunata che non notano me!» Gli risposi cercando di tenere il tono di voce più basso che potevo avere.
E proprio in quel momento una ragazza superò le proprie paure.
Una ragazza, vestita in modo provocante e con una tavoletta di trucco spalmata ad arte in volto, bloccò la strada ad Helel; il quale mi prese per un polso appena feci un passo per allontanarmi da loro: il moro non mi avrebbe lasciato scappare da nessuna parte.
«Ciao, bellezza». Disse la biondina con un tono da: “So già che se caduto ai miei piedi, devi solo dirmelo”, senza neanche notare la mia presenza. 
A sento trattenni l’istinto di fare finta di rimettere. Per Zeus se mi stavano antipatiche certi tipi di ragazza.
«Ciao, chiunque tu sia», rispose Helel e cercò si sorpassarla; ovviamente lei non voleva farlo andare da nessuna parte e lo fermò ancora.
Punti a mio favore: mi stavo godendo uno spettacolo epico e la ragazza non mi aveva ancora notato, o notato la mano di Helel stretta attorno al mio polso.
Il Diavolo mi lanciò uno sguardo disperato di aiuto.
«Mi chiamo Irene», cercò di presentarsi lei ed allungo una mano per Helel da stringere. Sotto al sorriso caloroso che aveva dipinto sul viso come una maschera – e una piccola parte di me si chiese quanti rappresentanti del genere maschile era caduti in cotale trappola – intravedi il fastidio che il Diavolo le stava dando, nel cercare di andarsene.
Dove erano i pop-corn quando servivano?
«Il mio nome è non-sono-fatti-tuoi», le rispose, invece, Helel, ignorando bellamente la mano a mezz’aria. «Ora mi lasci andare o vuoi essere messa in imbarazzo ancora un altro po’?» Le chiese, ovviamente impaziente, e solo allora mi resi conto che non ero l’unica ferma a godermi lo spettacolo sogghignando.
Infatti, un piccolo gruppo di persone si era fermato a qualche passi di distanza a guardare Helel dare il due di picche a questa “Irene”.
Anche la bionda notò solo in quel momento la gente che era in torno a noi e ridacchiava di lei. Per un istante mi fece compassione; poi gli occhi chiari di lei si posarono sulla mano di Helel che mi teneva per il polso e mi guardò dall’alto in basso, arricciando le labbra, come se fossi spazzatura.
Come non detto: niente compassione per questa qua.
«Scusa, non avevo notato che avessi compagnia». Disse velenosa. «Se mai ti stancherai di questo – e indicò tutta me,  con una smorfia disgustata, la stronza – puoi venirmi a cercare». Aggiunse e finalmente superò Helel.
«Scusa, ma preferisco questo! Non aspettarmi; mi raccomando!» Le esclamò dietro il Diavolo, così che tutti lo sentissero. 
Quasi vidi il fumo venir fuori dalla testa di Irene mentre fuggiva sbattendo i piedi. Appena ebbe svoltato un angolo, mi lasciai scappare una fragorosa risata, riprendendomi il polso.
«Quello, Hel, è stato fantastico!» Esclamai tra le risate e dopo un primo momento di pacatezza anche il bruno si unì alla mia risata.
D’improvviso l’Helel di tre settimana prima mi sembrava un’altra persona, mi sembrava lontano anni luci. Questo Helel era tutt’altro: era pazzo, divertente e premuroso.
Era come avere tutt’ad un tratto un secondo fratello maggiore.
Quando ci fummo finalmente ripresi dalla risata che ci stavamo facendo, decisi che era il momento migliore per ripartire.
«Ti va un gelato?» Chiesi al bruno, lui mi guardò come se fossi un’aliena da qualche strano pianeta.
«Un gelato? A quest’ora?» 
«Sì», risposi, «un simbolo che sancisce che abbiamo iniziato da capo e tutto l’impegno che ci abbiamo messo».
Il Diavolo mi sorrise dolcemente, ovviamente comprendendo appieno ciò che intendevo.
«Che gelato sia, allora!»
Ridacchiando come una bambina, gli presi il polso e quasi lo trascinai dall’altra parte del centro commerciale di corsa, finché non fummo in fila per il gelato, nella mia gelateria preferita.
Ma sapete la cosa brutta dei momenti perfetti: che sono quelli che la vita adora rovinare di più.
«Salve vorrei du–»
«Eva?!» Chiese, incredula, una voce che non avrei mai dimenticato ma che non avrei mai voluto più risentire: Thomas, il mio ex, era in piedi dall’altra parte del bancone. La tuta nera della mia gelateria preferita lo identificava come un commesso. «Oh Mio Dio! Sei proprio tu, quasi non ti riconoscevo!»
La voce era gioviale, come se fosse una cosa positiva rincontrarci dopo tutto questo tempo. Come se non ci fossimo mollati perché lui mi tardiva.
La mano mi si strinse convulsamente a pugno, mentre la mandibola si irrigidì. Sentivo il corpo che mi tremava dalla rabbia.
«Cosa ci fai qua?» Gli chiesi velenosa. 
Le lacrime mi premevano contro gli occhi: dopo due anni la ferita era ancora aperta. Questo ragazzo dai capelli neri, il mento pronunciato e un sorriso affettato perenne, non aveva solo distrutto la mia fiducia; aveva distrutto il mio mondo, aveva distrutto la mia reputazione, aveva distrutto ciò che ero. E solo perché non era riuscito a tenere il gingillo nei pantaloni con la mia migliore amica.
«Ci lavoro», disse sorridendomi, «magari ci possiamo vedere un giorno di questi dopo che finisco il turno!» Propose, sorridendo ancora di più.
Come osava chiedermelo, questo escremento ambulante?!
Stavo per lanciarmi dall’altra parte del bancone per aggredirlo fisicamente – cosa che due anni prima non ero riuscita a fare, per mio sommo dispiacere – quando un braccio mi cinse la vita e mi fece scontrare con un petto tonico e muscoloso coperto da una giacca grigia e una camicia scura.
«Poiché ti pagano per lavorare e non flirtare, direi che é ora di prepararci due coni: uno alla menta e uno al cioccolato». Disse la calma voce di Helel e mi rilassai istintivamente nel suo abbraccio.
Gli occhi chiari di Thomas incontrarono quelli bianchi di Helel, quest’ultimo stava guardando il giovane con un’occhiata di sfida.
«Ah… Non avevo notato che avessi compagnia». Disse Thomas rivolto a me, senza però staccare gli occhi da Helel. «Menta e cioccolato, ha detto?» Chiese in un sibilo.
«Esattamente». Rispose Helel con tono vittorioso.
Il braccio di Helel si smosse dalla mia vita solo quando i coni furono pronti. Non osai più aprire bocca, sapendo che sarei finita sono con l’urlare addosso a Thomas.
Quello che mi aveva fatto quel ragazzo non glielo sarei mai riuscito a perdonare.
Dopo che Helel ebbe pagato, si voltò e mi porse il gelato alla menta; il bastardo aveva imparato che era il mio preferito.
«Eccoti, principessa», disse con un espressione che non poteva dire altro che guai.
Sgranai gli occhi e non osai staccare gli occhi dal suo viso, prendendo il cono quasi alla ceca: avevo paura di ciò che stava frullando nel cervello del Diavolo.
«Graz–».
Non ebbi il tempo di finire la semplice parola che Helel si era piegato su di me e aveva appoggiato molto leggermente le sue labbra sul lato della mia bocca.
Ebbi un bug mentale e ci misi qualche secondo a realizzare che il Diavolo mi stava baciando; questo diede tutto il tempo al bruno di staccarsi da me e trascinarmi fuori dalla gelateria, prendendomi per il polso, e lontano dagli occhi di Thomas.
Helel mi lasciò andare solo dopo che non fummo più a portata di vista della gelateria e si mise a camminare davanti a me, lasciando andare le risate che aveva trattenuto fino a quel momento.
«La sua faccia!» Esclamò balbettando un poco, per colpa dell’attacco di ridarella che gli era preso. «La sua faccia quando ti h–»
Presi con forza la spalla di Helel, lo feci girare verso di me e gli premetti il gelato in faccia.
Mi fermai un attimo a guardare il mio lavoro, soddisfatta al vedere il gelato che gocciolava sulla giacca grigia, e sorrisi.
Helel si passò la mano libera sul volto pulendosi. Ovviamente era irritato dalla situazione, ma sapendo benissimo di essersela meritata, non si arrabbiò.
«Per quanto ti sia grata di quello che hai fatto nella gelateria  e per quanto ti consideri ora mio amico: questo è per il bacio…» Dissi, poi mi ricordai che dovevo aggiungere una cosa: «E per la padella». Detto ciò lo superai e camminai via, diretta al supermercato.
«Seriamente, per la padella?» Mi chiese Helel alle mie spalle e lo sentì ridacchiare prima di sentire i suoi che mi seguivano.
Un sorriso beffardo mi nacque in volte.
Da qui in poi non poteva che andare che meglio la convivenza con i due strani angeli che si erano intrufolati nella mia vita. 
Poco sapevo che un demone aveva assistito a tutta la scena ed era spirito con uno schiocco di dita; dritto dal suo nuovo padrone a fargli rapporto.
 

» Angolo Autrice «

Ritardo, ritardo, tremendo ritardo, lo so; ma purtroppo le date degli appelli universitari non possono essere spostate a piacere T^T
A parte quello... Eccomi tornata con ben due capitoli! E quattro personaggi nuovi! Credo che questo si un record personale!
Ohohoh! Ne sono successe tante in due capitoli, non trovate anche voi? Ma non vi preoccupatevi: questo è solo l'inizio!
Infatti dal prossimo capitolo i problemi da meri mortali si inizieranno a mischiare a quelli divine e avreme esperienze con il botto!
Come avrete notato ho cambiato il titolo e la trama della storia, essendo che quelli precedenti erano solo temporanei, e finalmente rappresentano meglio la storia! Per questo devo ringraziare A.S. che mi ha aiutata un mondo, rifacendomi anche la copertina per la versione wattpad... Ormai non saprei che fare senza questa donna!
E per oggi è tutti!
Spero che anche questi capitoli vi siano piaciuti, a domenica! Spero


axel_queen97

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** [7]» Dove il fiume Sfortuna ha inizio «[7] ***




[7]» Dove il fiume Sfortuna ha inizio «[7]


3rd POV

La pietra grigia, da cui era ricavata la sala, era lavorata a mano e i segni degli scalpelli ancora riflettevano la luce rossa che entrava dalle due alte e strette aperture nella parete, posizionata alle spalle del trono, e davano alla Sala del Trono quella penombra rossa cremisi per cui tutti la conoscevano.
La sala privata da ogni traccia di mobilio, a parte il trono solitario situato nell’esatto centro; era lo specchio esatto del minimalismo e dell’egocentrismo che caratterizzavano il suo creatore.
Il trono, che non era della stessa pietra grigia maculata della sala, era stato ricavato da un blocco di ossidiana lavorata a mano; il colore lucido e la forma imponente, che frastagliavano il rosso della luce esterna, incutevano tra i demoni minori un forte senso di rispetto e paura. Inoltre, non c’era nessuno che pensasse il contrario nei tre regni celesti, l’ossidiana del trono era una rappresentazione perfetta del Signore e Padrone di tutti i diavoli: un essere elegante e regale ma tagliente e letale allo stesso tempo.
Helel era sempre stato innamorato di quel trono.
Ma ora, dopo millenni, quel posto era occupato da qualcuno che non era Helel; da qualcuno che non si poteva rispecchiare in quel materiale così grezzo ma reale. Qualcuno che rendeva tutto il pregio e l’impegno, posti nel trasformare quella sala spoglia nell’esaltazione per eccellenza di uno dei Quattro Fratelli, solamente un mero miraggio. 
Nascosto nell’ombra, codesto demone, aveva finalmente occupato il trono che riteneva di diritto suo, ma ancora non gli bastava; la sua vendetta era solamente all’inizio.
Il demone era seduto, con sguardo perso sul pavimento di roccia; una mano a sostegno del mento, l’altra stretta attorno al bastone di argento che lo riconosceva come sovrano di quel Regno Celeste. La coda, che finiva a punta, era così lunga che scivolava giù dal trono ed arrivava a qualche centimetro dal terreno; i due corni erano asimmetrici: quello ancora intero era più corto rispetto a quelli di molti altri demoni, non più lungo di una spanna, e di quello infranto ne era rimasto un piccolo quarto; la pelle era di un rosso scuro, quasi dello stesso colore del sangue degli umani.
Colui si faceva identificare come Erezel, il demone protettore delle porte dell’Inferno.
Erezel era stato il demone a cui era stato affidato il compito di istruire Helel al ruolo di Monarca dell’Inferno; ma ben presto il demone sfregiato aveva compreso quanto l’angelo dai capelli neri mancasse degli elementi essenziali per essere il capo che l’Inferno meritasse: non era subdolo con le anime, era magnanimo. 
Non era crudele, era compassionevole. 
Era un angelo a cui era stato imposto quel lavoro, non era un diavolo.
Erezel aveva così iniziato ad odiare gli angeli: si era sentito tradito da quella razza nel momento stesso in cui avevano deciso di dichiarare Re quel ragazzino rammollito e non lui, forte e potente guerriero che aveva protetto gli altri reami dalle invasioni di anime peccatrici!
Erezel da quel momento aveva iniziato a tramare la sua vendetta proprio come una ragno tesse la sua tela: all’interno della casa degli angeli stessi. 
Aveva iniziato a manipolare la mente del giovane Helel, iniziando a fargli credere che i suoi famigliari e gli altri angeli lo ritenessero inutile, diverso, un morbo e che lo avessero messo a capo dell’Inferno per riuscire a sbarazzarsene.
Erezel sapeva di avere pochi burattini nelle sue mani ma era deciso di utilizzarli tutti; finché non sarebbe stato il momento di eliminare quelli più deboli, per sempre.
I fili che tenevano Helel legato si muovevano, in modo preciso e millimetrico, ad ogni gesto del suo maestro: Erezel gli installò il dubbio di essere considerato la pecora nera dalla sua stessa famiglia, Helel la diseredò;  Erezel gli disse che gli altri demoni non lo consideravano degno del trono poiché espansivo e caloroso, Helel prese un comportamento freddo, superiore e menefreghista; e fu proprio quando Erezel fu pronto ad installargli dentro l’idea di una guerriglia –per attaccare le porte del Purgatorio e risalire fino alla cima del Paradiso – che il giovane improvvisamente scomparve.
Il demone sfregaiato aveva festeggiato appena gli avevano dato la notizia: ora non c’era più nessuno tra lui e il trono, i suoi piani si sarebbero finalmente compiuti in poco tempo.
Ma ad un mese dalla scomparsa del giovane dai capelli neri e gli occhi bianchi, Erezel era sorpreso di quanti ancora fossero fedeli al loro Signore e Sovrano Helel.
Se da una parte c’era i demoni a lui totalmente fedeli – che avevano già iniziato a creare sommosse vicino al Purgatorio, quando lui aveva sparso la voce che l’assenza di nuove anime nell’Inferno era causata degli angeli – dall’altra c’era la maggior parte della popolazione demoniaca che non si sarebbe mossa senza il diretto ordine di Helel.
Il nuovo occupante del trono aveva, così, dovuto fingere di essere preoccupato per il benestare dell’Angelo ed era stato costretto a mandare demoni in perlustrazione sulla Terra.
Non sapeva ancora, però, che la risposta a tutti i suoi problemi si stava avvicinando proprio in quel momento alle porte della Sala del Trono; ed era proprio uno di quei demoni che pensava di aver mandato inutilmente sulla Terra.
Dove l’interno dell’importante Sala del Trono era stato lasciato grezzo con i colpi di scalpello ancora visibili, l’esterno era stato lavorato finemente.
La volta del lungo corridoio, che collegava le stanze di quel piano, era liscia e di un colore argentato che permetteva alla luce rossa naturale – lasciata scorrere all’interno del Palazzo Infernale attraverso le sottili fessure lungo la parate, che dava sulla selva delle anime dei morti suicidi – di essere riflessa e illuminare il lungo disimpegno senza la necessità di qual si voglia lampada.
L’unico vero mobilio dell’androne argentato erano le guardie armate, che rimanevano più impassibili di una qualsiasi amadia.
Esse erano tutte vestite uguali: contro la pelle rossa avevano una una corazza in stile vichinga dello stesso colore dell’oro arrugginito, che gli copriva spalle, petto, torso e fino al ginocchio. Stretta alla vita; dalla cintura di pelle pendeva una spada con lama larga e lunga; mentre stringevano nella mano destra una lancia argentea e nella sinistra uno scudo dello stesso colore dell’armatura.
Fu la guardia conosciuta nel Regno con il nome di Tridel, la prima a scorgere il giovane demone che stava avanzando verso il portone: la guardia lo riconobbe come uno dei demone che era partito per cercare Helel, con l’ultimo gruppi di ricognitori, un paio di giorni prima.
Dove il giovane era un demone comune come molti altri, Tridel era l’esatto opposto: infatti, era l’unico demone senza corna ed l’unico demone che era accanto ad Helel da ancor prima che questo fosse messo sul trono. 
Cosa aveva di così speciale questa guarda, vi starete chiedendo? Essa era il solo essere metà demone e metà umano: molti millenni prima un demone, un po’ “vivace”, si era fatto prendere la mano con un’umana, mentre era in ricognizione sulla Terra, e non sapeva che nel violentarla l’aveva lasciata in cinta.
Tridel era nato senza corna e coda, simbolo della sua parte umana, ma con la pelle del distinto rosso scarlatto dei demoni infernali. La madre aveva cercato di ucciderlo quando ancora il piccolo era in fasce ma venne fermata dalla madre dei Quattro Fratelli, Malika; la donna prese con sé il piccolo e lo accolse in casa quando i Quattro Fratelli erano ancora dei bambini.
Tridel non si era mai dimenticato di come quella donna gli avesse donato la vita che stava vivendo e così, quando ella gli aveva chiesto di occuparsi del figlio che sarebbe sceso nell’Inferno, lui aveva chinato il capo e aveva seguito Helel come sua guardia personale.
Qui il giovane aveva dovuto assistere, inerme, alla trasformazione di Helel in una persona che non era lui: Tridel aveva provato a far ragionare l’angelo, ma questi lo aveva etichettato solo come un’invidioso del suo titolo.
Il semi-demone, tuttavia, non aveva ancora perso la fiducia che un giorno sarebbe riuscito a rivedere il suo amico d’infanzia.
«Presentati ed elenca i motivi per cui ti stai avvicinando alla Sala del Trono!» Esclamò Tridel alzando lo scudo e puntando la lancia al giovane che si stava ancora avvicinando.
Per quanto Tridel odiasse Erezel per come aveva manipolato Helel e lo avesse trasformato in suo burattino, egli era l’attuale sire del Regno e lui aveva il dovere di proteggerlo con la vita.
«M-M-Mi chiamo Alioti» disse il giovane demone stringendosi nella sua giacca di pelle, che aveva rubato sulla terra. «Sono qua per riportare le mie scoperte al nuovo Sire».
Tridel osservò un attimo il giovane. Non poteva avere più di centocinquanta anni, la pelle era di un dolce color fragola; le corna, che stavano ancora crescendo, erano già più lunghe del corno di Erezel e la coda era avvolta attorno a una gamba, segno che era impaurito della lancia puntatagli contro.
Era vestito in modo umano con un paio di jeans, una maglietta e una giacca di pelle.
«Se come gli altri ricognitori non hai scoperto nulla, ti consiglio di andartene giovane Alioti». Gli consigliò la guardia. «Non vorrei sentire Erezel urlare un’altra volta e uccidere un altro giovane demone».
Alioti inghiottì rumorosamente, totalmente terrorizzato all’idea dell’ira di Erezel rivolta verso di lui.
«Credo che quello che ho scoperto, il grande Erezel, lo voglia sentire». Disse Alioti cercando di parlare con tutto il coraggio che aveva, ma il tono rimase comunque di un’ottava superiore rendendolo molto simile a una ragazza isterica.
Tridel abbassò la lancia nello stesso momento in cui un suo sopracciglio scattò verso l’alto. Che il giovane stesse proprio intendendo ciò che pensava stesse dicendo?
«Mi vorresti far crede che sei riuscito a trovare delle informazioni sul nostro Signore e Padrone, Helel?» Chiese scettico come quella volta che Mikael aveva scommesso di riuscire a batterlo.
Tridel voleva darsi uno schiaffo: doveva smetterla di pensare a quella donna. Sì, Mikael aveva una bellezza angelica mischiato a una prontezza e combattività degni del miglior combattente dei Quattro Regni; ma sapeva benissimo che tra lui e l’angelo non sarebbe mai potuto esserci nulla.
Eppure il suo cuore, dopo millenni, era ancora di quella donna dai capelli bianchi.
La guardia venne riportata alla realtà, dal brusco rumore che una Converse di Alioti fece contro il pavimento; quando questi postò il peso da un piede all’altro.
«Non delle “informazioni”», lo corresse Alioti, con un sorriso beffardo; finalmente si sentiva più a suo agio in quel posto. «Sono riuscito a trovare il Padrone Helel, stesso».
La mandibola di Tridel quasi cadde ed egli notò, con la coda dell’occhio, come anche le altre guardie ebbero sgranato gli occhi all’affermazione del ragazzo.
Con due veloci falcate la nostra guardia preferita aprì la porta della Sala del Trono.
«Erezel è appena tornato un altro ricognitore!» Esclamò eccitato Tridel. Si tratteneva dall’urlare di gioia, per il ritrovamento del suo amico, solo perché era sul posto di lavoro ed Erezel non apprezzava certe manifestazioni emotive.
Erezel staccò gli occhi dal pavimento di pietra e li fissò sulla guardia con sguardo stanco che, nel momento in cui notò l’eccitamento del semi-demone, si tramutò in uno sguardo indagatore.
Tridel era sempre stato il vero ostacolo nel piano del demone albino.
Il legame che legava il giovane semi-demone con il Signore dell’Inferno era molto più profondo e forte di quanto avesse mai pensato: seppur essere riuscito a far incrinare ad Helel il rapporto che aveva con la famiglia, il rapporto che il giovane sovrano aveva con la sua guardia di fiducia era rimasto quasi intatto.
Perciò se quella stessa guardia ora sembrava così euforica, non poteva significare altro che qualcuno era tornato portando informazioni su Helel stesso.
Erezel stava iniziando ad odiare tutte queste inaspettate sorprese: avrebbero potuto posticipare il suo piano anche di migliaia di anni, se non avessero smesso di arrivare.
«E perché il ritorno di un ricognitore dovrebbe essere portatore di cotale buon umore?»  Domandò allora l’albino, infastidito.
Quello stupido semi-demone non sapeva proprio contenere la sua parte umana. Pensò disgustato Erezel.
«Dice di avere localizzato Helel!» Esclamò, sul punto di scoppiare, Tridel. La guardia non era un essere da lasciarsi governare dalle emozioni, eppure in quella situazione non riusciva proprio a trattenerle.
Helel era stato trovato!
Tridel avrebbe raccolto più informazioni possibili e poi sarebbe volato al Purgatorio ad informare Mikael… Non che la guardia stesse utilizzando la situazione per poter rivedere e parlare con la donna… Ma non era colpa sua se la sorella era proprio quella più legata ad Helel, no?
Erezel avrebbe voluto urlare a quell’informazione. Se fino a quel momenti la maggior parte dei demoni erano rimasti leali ad Helel, e del Sire dell’Inferno non si avevano informazioni, ora nessuno gli avrebbe più prestato orecchio.
Il suo piano, che fino ad allora aveva proceduto senza problemi, rischiava di andare in fumo e tutto per colpa di un ricognitore.
E, ovviamente, perché la sfortuna non gli bastava, non poteva neanche uccidere il ricognitore e farlo passare come uno degli altri demoni assassinati: Tridel sapeva che cosa aveva scoperto.
«Fallo entrare», ordinò l’usurpatore. «Voglio conferire con lui».
Tridel fece spazio e il giovane Alioti sgusciò nella Sala del Trono.
La guardia si inchinò e richiuse la porta alle sue spalle, appena Erezel le fece segno di andarsene. Appena ebbe chiuso la porta, comunque, incastonò il suo orecchio contro di essa; cercando di origliare al meglio possibile la conversazione che si sarebbe tenuta in breve tempo dall’altro lato.
«Perciò hai trovato il nostro Signore scomparso?» Chiese il demone mono-corno. «Tutto da solo?» Aggiunse scettico dopo aver studiato il giovane che aveva davanti.
«In effetti “da solo” non è la definizione giusta, Sire». Rispose Alioti abbassando gli occhi a terra, la coda si era attorcigliata attorno a una gamba; segno distintivo di quanto fosse a disagio in quella situazione. «È stata presente molta fortuna nel mio viaggio sulla Terra».
«Spiegati giovane ricognitore! Non ho tutta l’eternità da passare qua a parlare con te!» Abbaiò Erezel, andandosi a massaggiare le tempie. Perché era circondato da così tanti idioti nella vita?
Alioti saltò sull’attenti all’ordine di Erezel, la coda si strinse dolorosamente attorno alla coscia da quanto era impaurito. Erezel poteva non essere il Signore delle Lande Rosse, ma in tutto il regno era conosciuto per essere un assassino senza rimorsi.
«Mentre perlustravo il settore che mi era stato affidato», raccontò il giovane, «ho visto gli Arcangeli Mikael e Gavriel. Essendo che trovavo il fatto strano, ho deciso di seguirli a una distanza di sicurezza. Questi mi hanno portato a uno di quegli strani stabili che gli umani utilizzano per vivere. Helel vive lì ora, con un’umana…»
Alioti si interruppe non sapendo se doveva raccontare, o no, ciò che aveva visto.
«Continua». Ordinò Erezel, sentendo l’esitazione del demone. «Cosa c’è che non mi vuoi dire?»
Il giovane inghiottì a vuoto per l’agitazione.
«Sire, io credo… Ecco… Penso che l’umana possa aver stregato il nostro Signore con un qualche incantesimo e averlo fatto suo schiavo».
Erezel aggrottò le sopracciglia, non comprendendo ciò che il giovane aveva tentato di dirgli.
«Elabora la tua affermazione».
Alioti spostò il peso da un piede all’altro, sentiva il sudore freddo scendergli dalla fronte.
«Vede il comportamento che aveva il nostro Signore nei confronti di questa certa umana non era quello conosciuto e venerato da tutti», spiegò, «era… umano. Il nostro grande Re era soggiogato ai voleri di questa umana e ai suoi bisogni carnali; sia fisici che alimentari. Era come se Helel fosse posseduto da questa donna».
La mandibola dell’usurpatore si strinse. Millenni a passare a fare il lavaggio del cervello e tutto il suo lavoro era stato mandato in fumo da una stupida, ridicola, insignificante, umana?! Millenni che la parte umana di Helel dormiva assopita nella mente del Re e ci era voluta solo una donna che gli mostrasse “amore” per farlo tornare a come era all’inizio del suo regno?!
Però, pensò poi il diavolo sul trono, questo potrebbe facilitare i miei piani… Se facessi credere che quell’umana ha davvero Helel sotto un incantesimo, e che l’umana è stata inviata dal Paradiso… Mi manca solo una prova da poter mostrare alla comunità demoniaca…
Erezel continuò a pensare per molti altri minuti, lasciando Alioti fermo e rigido a una decina di passi dal trono, finché non trovò la risposta che cercava. Quando i suoi occhi si posarono di nuovo sul giovane, il suo volto era distorto in un sorriso affettato.
«Dimmi, giovane demone», ordinò con voce soave, «secondo te, sarebbe giusto assumere che, se davvero il nostro Signore è impossessato, l’unico modo per liberarlo è uccidere l’umana che lo ha stregato, giusto?»
Alioti si morse le labbra guardando il diavolo che aveva davanti. Se davvero ciò che aveva visto era stato frutto di una stregoneria e il suo Sire era davvero forzato a comportarsi così – anche se una parte del suo cervello ammetteva l’idea che quello fosse Helel, senza nessun possedimento – allora…
«Sì».

 

»Angolo Autrice«

Ordunque, sono viva XD Sotto quale pietra mi ero nascosta in questo periodo? Beh, sotto a molte a dire la verità :3
Infatti ho finito il periodo di sessione e sono andata a trovare mia sorella per una decina di giorno. Lì a causa di un forte raffreddore e della febbre (sì, bellissime vacanze, lo so >.> In compenso io e mia sorella ci siamo ammazzate di Just Dance XD) mi è venuto un assillante blocco della scrittrice T^T
Così ho dovuto riscrivere questo capitolo per la bellezza di 3 volte poiché non mi stava piacendo affatto...
Infine, avendo trovato una beta, sia lodata quella donna, gli ho spedito il capitolo e lo abbiamo cercato di correggerlo al nostro meglio.
Ed eccomi qua! Primo capitolo davvero serio di questa storia, presenta il cattivo della situazione: Erezel. Un demone con qualche para di troppo e una meganomalia che Helel levati propio.
Si fa la conoscenza di Tridel inoltre, personaggio che all'inizio non era in scaletta, ma che sono felice di aver creato, mi diverto troppo a scrivere di lui quando pensa a Mikael <3.
Cosa accadrà ora ad Eva che è presa di mira da Erezel, il piano del malvagio demone funzionerà? Per scoprirlo rimaete sintonizzati su questo canale!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che avrete la pazienza di aspettare il prossimo (io e la mia beta cercheremo di essere il più veloce possibili, tra una lezione una lezione universitaria e l'altra) :*
Al prossimo capitolo!

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** [8]» Mr. Perfect alla riscossa «[8] ***




[8]» Mr. Perfect alla riscossa. «[8]

EVA’S POV

Per quanto i miei occhi continuassero a ripercorrere ogni singola lettera, della pagina di fisica che avrei già dovuto aver finito di studiare, nulla sembrava riuscir entrare nel mio cervello ricolmo di preoccupazioni.
Era passata una settimana da quando i fratelli degli angeli che erano costretti a vivere con me, avevano fatto la loro comparsa; e sin da quando ero tornata con la spesa, fatta in compagnia di Helel, qualcosa era cambiato drasticamente.
Se prima non comprendevo se Azrael provasse i miei stessi sentimenti, ora ero convinta che mi odiasse per qualche motivo che non sapevo spiegarmi. Infatti il Mietitore aveva iniziato a comportarsi in modo freddo e distaccato nei miei confronti, ai limiti di non avvicinarsi più che a distanza di un braccio o di non degnarmi neanche di uno sguardo mentre parlavamo duranti i pasti o le serate film.
Subito avevo avuto paura che era stato per colpa del bacio che mi aveva dato Helel ma dopo che il Diavolo mi aveva assicurato di non aver aperto bocca, le mie spiegazioni si erano esaurite.
Helel aveva provato a parlare con Azrael per cercare di aiutarmi a capire la causa di tale cambiamento in meno di tre ore, ma anche la loro chiacchierata non aveva dato nessuna risposta.
Il tutto mi aveva lasciato in una stato di eterna irritazione – che neanche la caffeina riusciva a domare – portandoci così alla situazione che ormai da un paio di giorni aleggiava nel mio appartamento: l’aria, ogni volta che io e Azrael ci trovavamo nella stessa stanza, si caricava di una strana elettricità che portava le nostre discussioni a finire in litigate su cose stupide come chi doveva sedersi a sinistra o a destra sul divano.
Sbuffai, volevo solo sapere che era preso ad Azrael.
Speravo con tutta me stessa che il tutto si sarebbe sistemato in poco tempo, perché tutto ciò mi stava uccidendo lentamente.
Rivolevo l’Angelo per cui mi ero presa una cotta, non Azrael Mister Ghiacciolo.
«Chiederei anche se voleste fare un’ora in più di studio e andare a pranzo per l’una e mezza», interruppe i miei pensieri e preoccupazioni Claudia, che era seduta di fronte a me, «ma Sonia, qui, sta giocando a Temple Run da ormai mezz’ora; Vittorio è alla decima barchetta di carta che crea con i suoi fogli bianchi e Eva è ferma sulla stessa pagina da quando siamo arrivati in biblioteca».
Sentii le guance infiammarsi alle parole di Claudia mentre con gli occhi, concentrati ora sui miei amici e non a fissare le formule della gravitazione universale, guardavo Sonia fare la linguaccia a Claudia – mentre bloccava lo schermo del suo cellulare – e Vittorio impilare le sue barchette l’una sull’altra.
«Come se tu fossi concentrata ogni volta che ci troviamo a studiare insieme», rispose alla mora l’unico uomo del gruppo, roteando gli occhi al cielo.
«Rotea ancora un po’ gli occhi, forse vedi anche la vastità delle volte in cui io ho preso più di te in uno stesso appello».
Una cosa mi era sempre stata certa da quando li avevo conosciuti: a Claudia nessuno riusciva a togliere l’ultima parola.
Vittorio per dimostrare quanto fosse irritato in quel momento con Claudia, le fece un bellissimo doppio dito medio.
Sorrisi lievemente ai due e scossi la testa. Non vedevo l’ora che si sarebbero messi insieme: erano perfetti l’uno per l’altra, solamente tanto orbi… Nessuno è perfetto, no?
«Eva tutto bene, comunque?» Mi chiese dal nulla Sonia e in un nano secondo tutti gli occhi erano su di me e sul libro di fisica che avevo chiuso tra le mani.
«Sì, perché me lo chiedi?»
Sapevo che era inutile mentire, che Sonia mi aveva posto quella domanda perché sapeva già che c’era qualcosa che non andava. Questo non intendeva di certo che ne volessi parlare.
In realtà avrei voluto seriamente dimenticarmi di Azrael solo per qualche secondo, far si che il mio cervello non pensasse a quanti giorni erano ormai passati da quando l’Angelo della Morte non mi aveva sorriso o mi avesse guardata negli occhi.
«Parlarne ti farà bene». Mi suggerì Claudia con il suo solito sorriso da mamma chioccia. «Poi al massimo andremo noi tre a cercare chi o cosa ti sta riducendo così e lo lanceremo dritto, dritto nel Sole».
Sorrisi tristemente. Era una bella sensazione sapere di avere finalmente degli amici che sapevano farmi sorridere nei momenti peggiori.
«È successo qualcosa con i coinquilini, giusto?» Mi chiese, invece, Vittorio.
«È così ovvio?» Pigolai, vergognandomi un poco di come i due angeli sembrassero sempre essere alla base dei miei sbalzi d’umore nell’ultimo periodo; tanto che i miei ormoni si stavano lamentando che gli avevano rubato il posto di lavoro.
«Non te ne vergognare», mi rassicurò l’uomo dai capelli castani, «è normale che la tua vita sia iniziata a ruotare attorno a quei due uomini: non li conosci e basta, ci vivi insieme perciò quando accade qualcosa con qualcuno di loro è normale che ne risenti molto di più».
Annuii, facendogli capire che avevo compreso cosa lui mi stesse cercando di dire.
«È solo che quando le cose erano iniziate ad andare bene con Mr. Arrogante, Mr. Occhi-Dolci ha iniziato a trattarmi freddamente: non mi guarda, non mi sorride, mi parla solo quando è necessario e ogni volta finiamo la discussione urlandoci contro».
Mi massaggiai gli occhi, improvvisamente stanchi, e tra le preoccupazioni mi ritrovai a chiedermi quando esattamente Claudia, Sonia e Vittorio avessero battezzato Helel, Mr. Arrogante e Azrael, Mr. Occhi-Dolci.
Ah sì, un paio di settimane fa, quando abbiamo fatto serata pizza&film da me.

Pensai e poi scossi subito il capo per dimenticarmi di quella fatidica serata in cui il Diavolo e la Morte avevano ri-incontrato i miei tre migliori amici.
Diciamo solo che il Magnifico Trio aveva utilizzato la cena per poter condurre un approfondito terzo grado ai due angeli; con le domande estremamente imbarazzanti chieste da Vittorio.
Solo Davide e Serena, mio fratello maggiore e mia sorella minore, sarebbero stati capaci di mettermi più in imbarazzo.
«Cosa è successo?» Chiese Sonia cauta, cercando di non premere, involontariamente, tasti dolenti. Non sapevo come, ma la bionda era sempre premurosa con gli altri; anche nei momenti peggiori in cui l’essere premurosi nei confronti altrui avrebbe potuto nuocerti.«In realtà non lo so», sbuffai e poggiai la fronte sul libro, «un giorno andava tutto bene, quello successivo non mi parlava più. Ho provato a scoprire cosa c’è che non va, ma non vuole aprirsi; ogni volta che l’argomento esce o se ne va dalla stanza o si ammutolisce». Spiegai. «Persino Helel ha provato a parlarci e non ha scoperto cosa è accaduto!»Sentii qualcuno stringermi la spalla e con la coda dell’occhio vidi che era Claudia.
«Via quel brutto viso, ci siamo qui noi ora!» Esclamò sorridendo a trentadue denti e trasmettendomi il suo calore. «Adesso raccogliamo le nostre cose, andiamo in mensa e creeremo un piano di attacco a prova di sfortuna mentre pranziamo».
«Claudia ha ragione». Concordò Vittorio iniziando a mettere via le sue barchette.
«Il cibo porta sempre consiglio». Aggiunse Sonia, alzandosi e mettendo via i suoi appunti.
Sorrisi un pochino sollevata di avere questi tre strani alieni dalla mia parte, che mi avrebbero seguito fin alla fine dell’universo se glielo avessi chiesto.
In pochi minuti finimmo di raccogliere i nostri appunti, ci eravamo messi le giacche e ci stavamo dirigendo verso l’uscita della biblioteca.
«Secondo voi che hanno messo in menù oggi?» Chiese Claudia nello stesso momento in cui il suo stomaco decise di creare rumori molesti.
Vittorio grugnì a quei rumori e, quando Claudia gli mise il broncio, lui la abbracciò da dietro per farsi perdonare.
«Spero tutto ma non il risotto allo zafferano», le rispose Sonia, senza tanti peli sulla lingua, «quello dell’ultima volta faceva cagare prima e dopo che ho trovato quel capello».
Poiché stavo fissando i miei tre amici arrovellarsi le meningi per comprendere che cosa ci sarebbe stato a pranzo, non mi accorsi che ero in rotta di collisione con un’altra persona; mi ritrovai così contro a un petto che aveva la consistenza del cemento.
«Ahi!» Mi lamentai del dolore al naso, mentre un paio di mani mi trattenevano per le spalle così che non cadessi sul mio stesso sedere per il contraccolpo.
«Dovremmo proprio smetterla di incontrarci così», disse una voce profonda e scherzosa che mi risultava familiare. Infatti,quando alzai gli occhi per vedere contro chi mi ero andata a scrociare, mi ritrovai davanti a una figura famigliare e dai tratti perfetti: Jason Park era di fronte a me e rischiava di farmi venire un altro blackout cerebrale con la sua magnificenza.
«Eh sì», concordai, «magari la prossima volta possiamo salutarci prima di scontrarci». Scherzai.
«Potrebbe essere un inizio». Rise, lasciandomi andare così che mi potessi allontanare da lui – ed era stato un bene visto che ero a un passo da appoggiargli le mani sui pettorali solo per saperne la consistenza – e poter ritrovare da sola il mio equilibrio. Con la coda dell’occhio notai come i miei tre amici erano tutti zitti a qualche passo da noi ad osservare la scena; molto probabilmente speravano in un’altra mia epocale figuraccia in presenza di Mr. Perfect.
«Come mai da queste parti?» Chiesi, indicando la porta della biblioteca alle mie spalle.
«Volevo andare a prendere in prestito un libro, prima di scappare a pranzo», mi spiegò, «tu, invece?»
«Abbiamo appena finito un’intensa mattinata di studio e ci stavamo dirigendo in mensa per mettere qualcosa sotto ai denti, per ricaricare il cervello».
Mi morsi le labbra. Perché d’improvviso mi sentivo così imbarazzata a parlare con un ragazzo? Eppure non avevo mai avuto problemi a parlare con Helel, Gavriel ed Azrael! E la loro bellezza e il loro fascino superavano letteralmente le soglie dell’umanità.
Soprattutto quelle di Azrael.
Pensai in un attimo di debolezza e se fossi stata da sola mi sarei presa a schiaffi per essere tornata a pensare a quel dannato Angelo; soprattutto quando un ragazzo, quale Jason Park, mi stava parlando.
Dopo il nostro fortuito incontro di qualche settimana fa avevamo iniziato a incrociarci più spesso, quando capitava ci salutavamo e se ci incontravamo alle macchinette parlavamo del più e del meno; senza mai entrare in confidenza però.
Perciò la domanda che mi stava per porre mi prese in contropiede. E che stupida fui a non accorgermi che c’era qualcosa di strano se un ragazzo di tale bellezza passava dal parlarti a malapena a certe domande.
«Ti va di pranzare insieme?» Mi chiese, allora. «Così, per conoscerci meglio: quattro chiacchiere nel locale appena fuori il plesso universitario?»
Sentii gli occhi volermi saltare fuori dalle orbite, mentre le guance si tingevano di un bel color peperone.
Jason Park, Mr. Perfect, mi stava chiedendo di uscire?! A me?!
Alle spalle di Jason, Vittorio iniziò a tossire proprio come fa un nonno in preda ad attacco di tosse causato dal fumo; anche se avevo più la sensazione che stesse tossendo a causa della saliva che gli era andata di traverso alla domanda che il ragazzo mi aveva appena posto.
«Sempre che tu non debba già mangiare con i tuoi amici». Aggiunse Jason, seguendo il mio sguardo preoccupato puntato su Vittorio, che non aveva ancora smesso di tossire.
«Si, è già impegnata con noi». Cercò di rispondere per me Vittorio, con voce aspirata, mentre ancora tentava di non soffocarsi con la sua stessa saliva.
«NO!» Urlarono in coro Sonia e Claudia, nascondendo Vittorio alle loro spalle. Alzai un sopracciglio al comportamento delle due… Ma che…?
«Non fare caso a lui!» Esclamò Claudia.
«Sì, Claudia ha ragione!» La spalleggiò la bionda. «Se vuoi rapire Eva per qualche ora fa pure! Intanto noi ci rivedremo più tardi in biblioteca!»
Guardai le due ragazze incredula. Non avevo appena finito di dire a quelle due che avevo problemi con Azr– NO! Non ci dovevo pensare! Anzi! Mi avrebbe proprio fatto bene questo appuntamento!
Se Azrael non voleva più avere a che fare con me, io non avrei più avuto a che fare con lui!
E se ve lo state chiedendo, care amiche lettrici, sì, stavo lasciando decidere alle Cascate Rosse Degli Inferi più che al cervello.
Io e Jason tornammo a guardarci.
«Per te va bene, giusto?» Chiese ancora, per essere sicuro. Alle sue spalle Claudia e Sonia mi diedero lo stesso identico sguardo: “Se provi a dire di no, ti confisco la password del wifi, di domenica”.
«Sì, nessun problema». Acconsentì, solo rabbrividendo al pensiero di dover passare una domenica pomeriggio senza wi-fi, computer e film in streaming.
«Vado a prendere il libro che cerco in prestito e ci troviamo all’uscita?»
«Perfetto». Gli risposi sorridendo mentre facevo una danza della felicità interiore: avrei avuto il tempo di fermarmi nei bagni a darmi una sistemata e cambiare ciò che dovevo cambiare.
Jason mi sorrise – un sorriso davvero dolce e quadrato che mi sciolse il cuore – e mi sorpassò.
«Perché hai accettato?!» Mi aggredì Vittorio scuotendomi dalle spalle. «Non ci hai appena finito di raccontare che hai dei problemi con Mr. Occhi-Dolci che ti piace tanto?!».
«Vittorio lasciala», roteò gli occhi al cielo Claudia, strappandomi dalle mani di Vittorio con una facilità incredibile. Mi scordavo spesso che facesse arti marziali e fosse forte per un motivo.
«È proprio perché ha dei problemi con Mr. Occhi-Dolci che ci deve andare!» Aggiunse Sonia, porgendomi una spazzola. «Fila in bagno a renderti presentabile, noi penseremo a trattenere Vittorio dal seguirti».
Avrei potuto anche piangere da quanto ero commossa.
«Siete la mia salvezza». Ringraziai le due donne dando un bacio sulla guancia a ciascuna. «Ed A non mi piace, Vittorio, siamo solo coinquilini!» Gli dissi mentre mi diressi in bagno.
«Manco i muri ci credono!» Mi esclamò dietro il mio amico, mentre mi infilavo nelle toilette femminili.
Stavo negando i miei sentimenti anche a me stessa? Forse sì, ma non potevo rimanere ad aspettare A in eterno: lui avrebbe potuto avere l’immortalità per scegliere se aprirmi il suo cuore o no, io non avevo questo lusso.
E non potevo rifiutare un appuntamento da Jason Park, no?
In tempo di record fui fuori dal bagno e riuscì ad arrivare all’ingresso pochi minuti prima di Jason, con un aspetto un minimo più decente di quello che avevo prima.
Mi sistemai ancora una volta i capelli, maledicendomi sottovoce di aver deciso di non lavarmeli quella mattina poichè "avrei dovuto solo studiare con il Magnifico Trio".
Ricordatevi sempre: lavatevi i capelli e usufruite dei bagni ogni qualvolta ne avete la possibilità; non sapete mai cosa vi possa capitare.
«Ti ho fatto aspettare molto?» Mi chiese la voce di Jason alle mie spalle. Mi voltai, con un sorriso da ebete in volto, ed eccolo mentre usciva dall'orribile stabile color salmone, rifugio degli studenti di Lettere e Storia.
«Per nulla». Risposi, sistemandomi una ciocca di capelli fulvi dietro l'orecchio.
«Perfetto», ridacchiò lui, «sarebbe stato un inizio terribile, se no, per questo primo appuntamento».
Sgranai gli occhi a quella parola. Jason Park considerava questa uscita un appuntamento?!
Sentii le mie guance diventare più rosse del naso di Rudolph, l'aiutante di Babbo Natale.
«Sempre che per te vada bene che sia un appuntamento». Aggiunse lui, ovviamente notando il mio colore poco naturale.
«S-S-Sì», mi affrettai a balbettare con un’ottava in più. «Per me va benissimo che si consideri un appuntamento». Aggiunsi, schiarendomi la voce.
Se solo me lo avesse chiesto A, un appuntamento...
NO!
Non dovevo pensare a quello stupido angelo! Ero con Jason Park, per l'amor di Ra! E per di più in un appuntamento, Azrael non doveva neanche entrarmi in testa!
«Allora andiamo!» Esclamò felice il magnifico ragazzo che avevo di fronte, prima di offrirmi il braccio.
Un po' in imbarazzo posizionai la mano nell'incavo del suo gomito, cercando di trattenere quella parte di me che si sarebbe voluta mettere a saltare per tutto il Campus urlando: «Jason Park mi sta portando in giro a braccetto!!!».
Il locale si trovava appena fuori dai cancelli del Campus, non era nulla di che - una semplice tavola calda - ma i piatti che preparavano erano davvero squisiti poichè fatti in casa e sul momento.
C'ero stata un sacco di volte con il magnifico trio, tanto che la proprietaria ormai si poteva definire una nostra amica, e anche lo staff ormai sapeva chi ero.
Fu per questo che appena entrai con Jason gli occhi dei tre camerieri, che erano di turno, ci studiarono al millimetro prima di posarsi nei miei e inviarmi un messaggio abbastanza chiaro: "Non male, piccoletta".
«Non hai anche tu la sensazione di essere fissata?» Mi chiese in un sussurro Jason. Con la coda dell'occhio lo fissai e notai lo sguardo dubbioso sul suo volto.
«Non so di cosa tu stia parlando», decisi di stare sul sicuro, «è il lavoro dei camerieri guardare chi entra, no?» Aggiunsi con una risata un po' tirata, cercando di far passare come nulla l'occhiata che Christopher e Sandro - i due camerieri che ancora stavano girando la sala lanciandomi sguardi curiosi - ci aveva lanciato appena entrati.
«Sì, in effetti hai ragione». Ridacchiò un po' imbarazzato il bruno accanto a me, grattandosi il collo.
Dovetti trattenermi dal sciogliermi sul posto: Jason Park imbarazzato avrebbe potuto concludere tutte le guerre di questo mondo con la sua dolcezza. Sorrisi a quella visione senza neanche accorgermene.
Ma mai dolce quanto i sorrisi ingenui di A quando è euforico.
Ed eccola! La vocina che si era presa in carico il compito di rovinarmi questo appuntamento con una statua greca vivente! Dovevo assolutamente smetterla di paragonare Jason con Azrael, oppure non sarei uscita da questo locale sana di mente.
«Eva!» Esclamò felice una voce femminile, facendomi un attimo distrarre dai due uomini che occupavano i miei pensieri.
Che stava avanzando verso di noi, c'era una donna alta e slanciata dai capelli neri e lisci, lunghi fino alle spalle e gli occhi verdi. Era vestita con un paio di jeans neri, un maglione a collo alto grigio chiaro e un paio di stivaletti, il viso truccato alla perfezione.
La Signora Bocelli era la proprietaria del locale e una delle donne più belle e sempre eleganti che conoscevo. Da quello che avevo imparato era un'ottima donna d'affari che non si era mai lasciata intimidire dalla concorrenza maschile, anzi non si era mai fatta mettere i piedi in testa e aveva osato, dove molti altri si erano ritratti, arrivando a degli ottimi risultati. La cosa più divertente era scoprire che lei aveva iniziato tutta quella attività facendo solo la lava piatti nella gestione precedenti del locale, fino a quando cinque anni prima aveva comprato l'intero locale e lo aveva modernizzato.
«È da un po' che tu e il Magnifico Trio non vi fate vedere!» Aggiunse quando ci ebbe raggiunto e mi ebbe inglobato in un abbraccio. Seppur avessimo poco meno di 10 anni di differenza, la Signora Bocelli mi aveva preso sotto la sua ala protettiva come farebbe mamma chioccia; trattandomi sempre come se fossi una figlia per lei. Mentre con il magnifico trio aveva più la complicità che di solito si avrebbe tra fratelli.
«E chi è questo bel giovanotto?» Mi chiese alludendo al mio accompagnatore, riservandomi uno sguardo da intenditrice, appena si fu staccata da me.
Avvampai a quello sguardo, imbarazzata del fatto che Jason fosse accanto a noi e stesse assistendo - con un sorriso affettato, constatai con la coda dell'occhio - a tutta la conversazione.
«L-L-Lui è... Beh... Noi siamo…», tentai di spiegare disastrosamente tra un balbettio e l'altro. Il cervello andato in tilt per l'imbarazzo che stavo provando.
Fortunatamente in quel momento Jason decise che si era divertito abbastanza a vedermi patire l'imbarazzo e mi venne in aiuto.
«Mi chiamo Jason Park». Si presentò allungando educatamente la mano, che gli venne stretta dalla proprietaria. «Sono un amico di Eva». Aggiunse poi, facendo ben intendere che non eravamo solo amici e che non eravamo lì per un'uscita in amicizia.
«Piacere Jason, amico di Eva», lo salutò lei, con uno sguardo da volpe che le fece brillare gli occhi. «Mi chiamo Maria Bocelli, sono la proprietaria del locale e come una seconda madre per Eva. Credo che foste venuti qua per un tavolo per due, giusto?» Chiese infine la Signora Bocelli, mettendo fine a tutta quella scena imbarazzante.
Sospirai internamente, già avrei subito un terzo grado dal Magnifico Trio questo pomeriggio, ci sarebbe mancato quello della Signora Bocelli!
«Esattamente». Le rispose cortesemente Jason, riprendendosi la mano appena la nera di capelli gliela ebbe lasciata.
La signora Bocelli ci accompagnò in un tavolo abbastanza appartato ma che era possibile da vedere dal bancone principali, dove notai lo staff tenerci sott'occhio.
Quando si dice una famiglia protettiva.
Ridacchiai tra me e me. Essermi trasferita in quella città per fare Fisica si stava rivelando sempre più un'ottima decisione.
Per i tre quarti d’ora seguenti io e Jason mangiammo, parlammo di noi e continuammo a scherzare come se ci conoscessimo da una vita. Era una bella sensazione riuscire a rilassarmi così tanto dopo una settimana molto stressante con Azrael.

ARGH!
Avevo di nuovo pensato a lui! In tre quarti d’ora l’angelo mi era balzato nel cervello almeno una volta ogni cinque minuti se non di più. Non sapevo più cosa dovevo fare per frenare il mio cervello da pensare al ragazzo dai capelli neri.
«Eva tutto okay?» Mi chiese Jason, visibilmente preoccupato, riportandomi alla realtà.
Qualcuno mi dia una badilata in faccia, vi supplico. Pensai, quasi mettendomi le mani nei capelli capendo che i miei muscoli facciali avevano deciso di tradirmi e rivelare i miei pensieri a Jason.
«S-S-Sì», balbettai, guardandomi intorno in cerca di una scusa. Strano ma vero ebbi una botta di fortuna attivando lo schermo del cellulare che era poggiato sul tavolo.
«Solo che è tardi!» Esclamai, sorpresa di non star dicendo una bugia. Ero in ritardo per il ritrovo con il Magnifico Trio. «Devo proprio andare, sono già in ritardo per incontrare i miei amici in biblioteca». Spiegai, sbloccando il cellulare per inviare un messaggio a Claudia, ma le mani aggraziate e regali – se fossero esistite le mani perfette, sarebbero state quelle di Jason – mi rubarono il cellulare da sotto le dita.
«Cosa stai facendo?!» Chiesi allarmata, cercando di ricordare che immagine avevo come sfondo.
Spero non un ragazzo seminudo, spero non un ragazzo seminudo, spero non la foto che ho fatto ad Azrael mentre era senza maglietta e mostrava i suoi muscoli scolpiti.
Ed ecco che il mio cervello tornava all’angelo.
«Ecco tieni», disse lui con un sorrisetto affettato, ridandomi indietro il cellulare dopo che, sospettosamente, dal suo cellulare era stato emesso un BING.
Gli tolsi velocemente il cellulare dalle mani e lo sbloccai subito. La schermata di Whatsapp era quasi identica a parte che la prima chat non era né quella del Magnifico Trio, né quella di mio fratello, ma una chat privata con un’intestazione mai vista.
«Principe Azzurro?» Gli chiesi con un sopracciglio alzato, cercando di trattenermi dal ridere.
«Prossima volta ti passo a prendere con la carrozza vedrai». Mi rispose, facendomi l’occhiolino.
 

» Angolo Autrice «

Ed eccoci qua con l'ottavo capitolo! Tra una lezione di chimica e una di probabilità sono riuscita a finirlo entro la settimana e ho già iniziato il nono capitolo (sperando di riuscire a finire pure lui in tempo >.>).
Finalmente il caro amico Dramma ha fatto il suo ingresso a bracetto con Mr. Perfect. Questo Jason Park, signore indiscusso del campo, si è fatto avanti e ha chiesto un appuntamento a Eva. Come reagirà A alla notizia? Rimarrà ancora così distaccato come Eva lo ha discritto o finalmente ritroverà il lume della ragione?
Ed Hel, riuscirà a non far scoppiare una guerra mondiale tra i suoi conquilini?
Ma non dimentichiamoci di Ezerel, cosa sta tramando nell'ombra il demone mono corno?
Per sapere questo ed altro rimanete connessi!
Al prossimo capitolo!

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** [9]» Appuntamento con il botto «[9] ***




[9]» Appuntamento con il botto «[9]

 

EVA'S POV

Quella mattina mi svegliai più stanca di quando ero andata a letto. La giornata precedente era stata peggio che correre in mezzo a un campo minato, bendata.
Mi strofinai il viso con le mani e mi rigettai sul cuscino.
Almeno è sabato e posso far finta di essere morta al mondo.
Cercai di pensare positivamente, ma il buon umore durò meno di mezzo minuto: gli eventi del giorno precedenti tornarono a schiaffeggiarmi; offesi che avessi tentato di dimenticarmi di loro.
Dopo aver concluso l'appuntamento con Jason - cioè, dopo aver litigato per un quarto d'ora con lui perché non volevo che pagasse per me; anche se alla fine lui aveva avuto la meglio - ero scappata in biblioteca dal Magnifico Trio, cercando di non essere più in ritardo di quanto già fossi.
Lì, fui sottoposta, tra una pagina di fisica e l'altra, a un dettagliato terzo grado da parte di Sonia e Claudia - con un continuo cori di sbuffi, come sottofondo, da parte di Vittorio, ovviamente contrario all'appuntamento che avevo appena concluso - che durò l'intero pomeriggio. Se mai la CIA avesse avuto bisogno di interrogatori per i terroristi, avrei candidato immediatamente queste due: non lasciavano che sorvolassi nessun mero dettaglio.
Questo significava anche che avevo dovuto raccontare dell'ennesima figura di cacca che avevo fatto con Jason; al quale era seguita un'intensa sessione di ridarola trattenuta delle mie amiche - eravamo pur sempre in biblioteca!
Quando finalmente ero arrivata a casa, ero stata accolta da Helel che stava cucinando la cena - nell'ultima settimana era migliorato e non bruciava più le mie preziose padelle - mentre Azrael era seduto al tavolo.
Neanche a chiederselo: per poco non era scoppiata un azzuffata tra me e Azrael...

«Sono a casa!» Chiamai appena ebbi chiuso la porta alle mie spalle. Poi lasciai scivolare il mio zaino a terra, ai piedi dell'appendi abiti, e mi tolsi le scarpe.
«Siamo in cucina, è quasi pronto». Mi rispose la voce del Diavolo dalla suddetta stanza.
Seguendo il buon odore che aveva occupato ogni singolo angolo della sala, arrivai in cucina - dove Azrael mi ignorò bellamente - e mi fermai proprio sopra la padella; inspirando profondamente e lasciandomi crogiolare lentamente dal profumo appetitoso.
«Ho già l’acquolina in bocca Hel». Mi complimentai, sorridendogli prima di alzarmi sulle punte dei piedi e dargli un bacio sulla guancia.
L'uomo dagli occhi albini si scostò di scatto e mi fissò con due occhi sgranati da far paura.
«Chi sei e cosa hai fatto alla mia Regina di Ghiaccio?!» Esclamò, fingendosi spaventato.
Lo guardai roteando gli occhi al cielo. Questo Diavolo da quattro soldi non mi lasciava proprio crogiolare neanche un po' nella spensieratezza che mi caratterizzava da alcune ore.
«Idiota». Gli dissi e gli diedi una manata sul braccio.
«Su quello nessuno aveva più dubbi», cercò di avere l'ultima parola lui, tornando a girare ciò che stava cucinando. «Ma questo non vuol dire che sia cieco, e in questo momento vedo che è successo qualcosa, che ti ha reso felice, mentre eri all’uni». Aggiunse. Ovviamente non mi avrebbe lasciato andare finché non glielo avessi detto.
«Okay, qualcosa è successo, in effetti». Gli gettai un piccolo sassolino. Se voleva saperlo avrebbe avuto la pazienza di patire un po', ihihih ero proprio stronzetta quando volevo.
«E dai! Non lasciarmi sulle spine Eva!» Esclamò lui piagnucolante; Helel versione infantile, signori e signore, aveva fatto la sua comparsa!
Sorrisi divertita al broncio che aveva messo pur di farmi parlare. Sfortunatamente il sovrano dell'Inferno aveva capito i miei punti deboli.
«Va bene, va bene», lo accontentai, «ora racconto che è successo, ma tu togliti quell'espressione dal volto che sei inguardabile!» Aggiunsi.
«Sono un angelo, non sono mai inguardabile». Rispose con un sorriso beffardo. «Ma ora: che è successo?»
«Sono uscita a pranzo con un ragazzo». Confessai con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
Nei trenta secondi successivi sembrò essere scoppiata la terza guerra mondiale nella mia cucina.
Azrael, che era ancora seduto al tavolo, iniziò a tossire - probabilmente a causa di qualcosa andato di traverso - e mi stava fissando con gli occhi così sgranati che avevo paura potessero cadere fuori da un momento all'altro.
Helel aveva lasciato cadere il cucchiaio nel sugo, che era spruzzato ovunque, e mi guardava sconcertato a bocca spalancata.
«COSA?!» Urlarono in stereo.
«Chi era?!» Urlò ancora Azrael, che in un attimo mi ritrovai in piedi, accanto a me. «Era quello con cui stavi in biblioteca l'ultima volta che tu ed Hel avete litigato, vero?»
«E anche se fosse?» Gli chiesi acida. D'un tratto tutta l'irritazione che provavo per lui e che avevo cercato di trattenere nell'ultima settimana voleva uscire e sfondare il naso angelico che avevo davanti.
Era una settimana che non mi guardava. Era una settimana che non mi parlava. Era una settimana che faceva finta che non esistessi. E ora voleva fare il geloso e l'iper-protettivo?!
Sul mio cadavere gettato in un fosso, che gliela lasciavo passare!
«Che te ne importa con chi esco?» Chiesi ancora, sibilando ogni sillaba. Azrael sgranò gli occhi spaventato al mio tono. «In questa settimana hai fatto comprendere davvero bene quanto tu ci tenga a me!»
Azrael distolse lo sguardo da me e chinò il capo, ma non mi scappò lo sguardo colpevole che gli si dipinse negli occhi. Le sue mani abbandonarono le mie spalle e tornarono alla sua vita.
Strinsi i denti cercando di non essere travolta dal mare di emozioni che stava facendo burrasca dentro di me, mentre le lacrime iniziavano a pungermi gli occhi.
«Scusa Hel, mi è passato l’appetito». Aggiunsi, sorridendo tristemente al Diavolo che era appoggiato al bancone della cucina, impegnato a massaggiarsi le tempie. Poi mi chiusi in camera mia, nascondendomi sotto le coperte appena mi fui liberata dai vestiti.
A era davvero un'idiota!
Pensai prima di lasciarmi andare alle lacrime.

«Eva sveglia, sono già le undici e mezza!» Esclamò la voce di Helel dall'altra parte della porta chiusa, svegliandomi.
Mi passai una mano sugli occhi per scacciare il sonno, quando mi ero addormentata?
Meglio controllare il cellulare...

3RD POV

Helel guardò ancora un attimo la porta di Eva prima di tornare in cucina per prepararle un caffè. Il Diavolo era preoccupato. Sia per Eva che per il fratello minore.
Non sapeva cosa fosse successo una settimana prima di preciso, ma sapeva senza ombra che Azrael si stava comportando in quel modo verso l'umana per qualcosa che Gavriel o Mikael gli avevano detto. Ed Helel era convinto anche che il giovane angelo stesse facendo il tutto pensando che avrebbe fatto del bene ad Eva, non rendendosi conto che invece la stava solo uccidendo lentamente.
La sera precedente era stato solo la dimostrazione finale che i suoi pensieri fossero corretti.

«Non sapevo di avere un idiota per fratello». Disse Helel dopo aver sentito la porta della camera di Eva chiudersi.
Il Diavolo smise di massaggiarsi le tempie e fissò le spalle del fratello alzarsi e abbassarsi, sconfitte.
«Ti supplico Hel, non ora». Gli rispose il giovane con tono stanco. Helel non poteva vederli, ma gli occhi del Mietitore luccicavano a causa delle lacrime che rischiavano di scendere.
Per Azrael la settimana appena finita era stata la più lunga e pesante che avesse mai vissuto.
Ciò che Mikael gli aveva raccontato lo aveva fatto pensare. Alla fine era arrivato a una conclusione: doveva ignorare Eva per proteggerla. Se mai i suoi nemici avessero saputo di lei, l’avrebbero sicuramente usata per fargli del male; e questo significava che le sarebbe successo qualcosa.
Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato così difficile, far finta che la giovane non significava nulla per lui. E ancora più difficile era stato vedere quella stessa donna sorridere ad altri, ma guardare lui con occhi gelidi.
Eppure non era quello che voleva? Che lei si staccasse da lui? Allora perché faceva così male? 
Infine quando aveva rivelato a suo fratello che era uscita con un ragazzo, Azrael non aveva più compreso nulla: non voleva che Eva stesse con altri ragazzi; era la sua Eva!
«Non ora?!» Sibilò tra l’incredulo e l’irritato, il fratello maggiore. «E quando, allora? Quando ti dovrei fermare dal distruggere una delle poche cose buone che il fato ti ha dato? Quando avrai fatto allontanare totalmente Eva da te?»
Ma che stava succedendo nel cervello di suo fratello?! Di tutti e quattro i fratelli, Azrael era sempre stato il più emotivo e il più sensibile a come gli altri lo trattavano. Come poteva essere cresciuto in questo essere immondo che stava distruggendo il cuore della giovane donna che ricambiava i suoi sentimenti.
«Non so che ti abbiano detto Mikael e Gavriel», disse più calmo il diavolo, cercando di far trovare un barlume di intelligenza al suo fratellino, «ma quello che stai facendo qui ed ora, non sta facendo ciò che tu vorresti. Ti stai uccidendo il cuore e lo stai distruggendo anche a Eva nel mentre. E non se lo merita; soprattutto non da un uomo di cui lei si fida e si preoccupa».
Fu allora che il Diavolo lo sentì: un singulto.
Helel sgranò gli occhi e guardò come le spalle di Azrael avevano iniziato ad alzarsi ed abbassarsi a un ritmo frenetico.
«T-T-Ti... », sniff, «s-s-supplico…», sniff, «n-non ora Hel…», sniff, «f-fa troppo… m-male».
L’uomo dagli occhi bianchi rimase un attimo impietrito da quella scena: Azrael stava piangendo così forte che le lacrime erano perfino a terra, seppur se le stesse asciugando con i dorsi delle mani.
In quel momento il fratello maggiore comprese che Eva non era stata l’unica a soffrire quella settimana, anche Azrael si era distrutto a starle lontano.
«Che deficiente di un fratello, che mi ritrovo». Sbottò Helel, prima di staccarsi dal bancone e avvolgere il fratello minore in un abbraccio; lasciando che il giovane si sfogasse sulla sua spalla, mentre si aggrappava alla sua maglietta come se fosse un salvagente.

«Ehi». La voce di Eva riportò il Diavolo alla realtà. «Ehi». Salutò a sua volta, sorridendole.
Helel studiò la donna che era in piedi sulla soglia della porta e si rese per la prima volta quanto quella settimana era stata pesante per lei.
I capelli erano spettinati, lasciando intendere che la proprietaria non li stava curando come solito. La pelle era più pallida del solito e le guance erano sgonfie senza il sorriso che di solito irraggiava di serenità la stanza.
«Ti senti meglio?» Chiese il Diavolo, alzandosi per prendere la colazione per la donna e appoggiarla sul tavolo davanti a lei.
«Posso risponderti dopo il caffè?» Chiese Eva, ovviamente cercando di cambiare argomento.
Anche se cercava di essere il più possibile la solita Eva, solare e sarcastica, Helel poteva vedere benissimo come quella settimana l’aveva fatta a pezzi; un poco per volta. E questo uccideva anche l’angelo.
Da quando erano andati a fare spesa insieme, e avevano incontrato l’ex di lei, Helel doveva ammettere di essersi legato profondamente all’umana; non in un senso amoroso come Azrael, ma in un senso fraterno.
Era sicuro che fosse ciò che gli umani chiamavano amore platonico, proprio come quello che provava per Mikael.
Ora vederla così sofferente, mentre sorseggiava il caffè con gli occhi persi nel vuoto senza il suo solito sorriso, gli distruggeva il cuore e gli faceva venire un’insana voglia di rompere il naso ad Azrael.
«Stasera non cucinare per me». Disse ad un certo punto la mortale, portandolo indietro alla realtà. La ragazza aveva distolto lo sguardo dal muro, ora era fisso sulla sua tazza che aveva appoggiato sul tavolo.
«Come mai?» Chiese dubbioso Helel. Il suo istinto gli stava urlando che stava per succedere un altro putiferio, che non si era accorto di qualcosa e che avevo fatto la domanda più sbagliata della sua vita.
«Esco a cena con Jason, lo stesso ragazzo con cui ho pranzato ieri». Rispose con tono neutro lei.
Prima che l’uomo dagli occhi albini potesse proferire il suo parere, uno scricchiolio fece saettare lo sguardo dei due verso la soglia, dove era apparso Azrael.
In un istante iniziò un intero dialogo di sguardi tra i due più giovani: Azrael - che al sentire l’ultima frase della donna aveva sentito come se il cuore gli si stesse distruggendo - aveva uno sguardo disperato, pieno di rimorso, che stava pregando la ragazza di non andare; Eva, al contrario, stava rispondendo con uno sguardo duro e gelido.
Dopo qualche secondo di silenzio, Azrael distolse lo sguardo e, senza pronunciare parola, si voltò ritornando dalla camera da cui era uscito.
Eva smise di fingere, sotto gli occhi tristi di Helel, e lo sguardo duro e freddo si tramutò in uno sguardo pieno di dolore e rabbia.
«Credo che non pranzerò». Disse prima di alzarsi e sparire in camera sua, lasciando sul tavolo la tazza ancora per metà piena di caffè fumante.
Helel si coprì il viso con le mani. Non aveva idea di che poter fare per aiutare i due.

EVA’S POV

A dispetto della tensione che aleggiava nell’appartamento, il pomeriggio passò in fretta ed arrivò il momento di cambiarmi.
Jason mi aveva detto di vestirmi tranquillamente in abiti casual e non mettermi nulla di sfarzoso; ma comunque volevo fare la mia figura.
Perciò, dopo quasi mezz’ora passata davanti all’armadio aperto, avevo tirato fuori dei jeans di semi-pelle, una maglietta bianca bucata e strappata e la canotta nera da mettere sotto.
Soddisfatta della mia scelta presi l’intimo e mi diressi in bagno, a prepararmi.
Nel profondo speravo che l’intensa sessione di doccia ustionante, a cui mi ero appena sottoposta, mi avrebbe aiutato a calmare tutti i pensieri e i sentimenti che avevo dentro e che erano decisi a non trovare posto.
Non sapevo neanche cosa stessi provando in realtà. Mi sentivo vuota. Vuota da una qualsiasi emozione, vuota da una qualsiasi sensazione. Ogni cosa non mi sembrava più uguale e tutto ciò che provavo erano solo disperazione e rabbia.
Mi sentivo come una spettatrice delle mie stesse azioni e parole, era come se il mio corpo e la mia mente fossero d’improvviso comandati da qualcun altro; anche se sapevo benissimo che ero sempre io.
Mi fermai un attimo da asciugarmi i capelli e mi fissai allo specchio. Constatai con un sospiro quanto ero ridotta una merda. Sperai con tutto il cuore che il fondotinta e il correttore sarebbero riusciti a fare comunque la loro magia.
Finito di asciugarmi il corpo e messa l’intimo pulito, uscì dal bagno e ritornai in camera mia. 
In quel minimo tragitto, il mio cervello riuscì comunque a registrare l’innaturale silenzio che occupava ogni millimetro dell’appartamento. Non c’era mai stato così tanto silenzio da quando i due angeli erano stati costretti a vivere con me.
Ora mi saliva un groppo in gola sapendo che quel silenzio significava solo che le cose non aveva, semplicemente, preso una brutta piega ma erano proprio sul ciglio di un burrone. 
Da ora in avanti c’erano solo due possibilità, mi resi conto: o le cose si sarebbero messe a posto o non ci sarebbero più state risate ad occupare le stanze di questa casa.
Mentre mi stavo allacciando l’ultima scarpa il mio cellulare iniziò a vibrare: era Jason.
«Ehi». Risposi, cercando di tenere il tono più solare possibile.
«Ehi a te». Mi disse lui ridacchiando. «Sono sotto casa tua, ad aspettarti». Aggiunse.
«Okay, perfetto, mi metto la giacca e arrivo in cinque minuti neanche». Dissi, tenendo in equilibrio il cellulare tra spalla e orecchio, finendo il doppio nodo del laccio.
«Ti prego dimmi che sono cinque minuti maschili e non quelli femminili». Lo sentii guaire dall’altro lato.
Le mie labbra si tinsero nella piccola ombra di un sorriso.
«Te lo potrei anche dire, ma poi sarebbe tragica la cosa; visto che i cinque minuti maschili sono peggio di quelli femminili». Gli feci notare.
Ci fu qualche momento di silenzio, prima che Jason acconsentì con me e riagganciò spronandomi di fare presto. In un lampo sistemai gli ultimi ritocchi e mi fiondai fuori dall’appartamento, dopo aver salutato velocemente Helel, che si stava cucinando qualcosa in cucina. Di Azrael, fortunatamente, non c’era l’ombra.
Saltai in macchina e salutai Jason, che mi accolse con il suo strano sorriso quadrato, che, lo ammetto, trovavo dolce e sexy allo stesso tempo. 
Non ci mettemmo molto ad arrivare al locale, neanche una decina di minuti in macchina, ma fui contenta che durante il viaggio non ci fu nessun silenzio imbarazzante, riuscendo quindi a dimenticarmi per un momento di Azrael e ridere di gusto alle battute del ragazzo che mi stava portando fuori a cena.
Ma se una cosa l’avevo capita in diciannove anni era che la vita non era mai come sembrava, perciò perché mai Jason sarebbe dovuto essere il fustacchione a cui viene rubato il cuore dalla nerd?
Il primo sentore di guai fu l’innaturale agitazione che iniziò a prendere possesso di Jason mentre ci stavamo dirigendo a piedi verso il ristorante, dopo aver parcheggiato l’auto a qualche strada di distanza.
Ma ne ebbi la conferma solo quando entrammo definitivamente nel locale.
«Salve signori, che tavolo volete?» Chiese una voce che avevo già sentito, ma non collegai subito. A pochi passi da noi c’era una cameriera dai capelli biondi voltata di spalle, si era rivolta a noi senza girarsi, sentendo il suono della campanella.
Quando si voltò credo che la mia espressione fosse lo specchio di quella di lei: stupore. Davanti a me vi era Irene, la troietta bionda che aveva provato a flirtare con Helel una settimana prima al centro commerciale.
«Un tavolo per due». Disse Jason, come se non si fosse accorto della mia espressione sconvolta o di quella scandalizzata di lei. Lo fissai con la coda dell’occhio e la mia preoccupazione salii ancora un poco a vederlo regalare un’espressione beffarda alla bionda.
Ma fu solo grazie alla reazione della donna che finalmente il mio cervello riuscì ad arrivare a una conclusione: infatti, la bionda, reagì in modo inviperito alla vista che aveva davanti, lanciandomi sguardi atroci di gelosia.
Avevo visto poche volte quegli sguardi ma li avrei sempre riconosciuti: erano gli sguardi di una ex gelosa.
Irene era la ex di Jason.
Qualcosa dentro di me stava urlando di andarmene ma prima ancora che potessi ascoltare quella vocina Jason mi trascinò a un tavolo, a cui ci stava accompagnando Irene.
Dovevo farle comunque i miei complimenti: seppur avesse davanti il suo ex con un’altra ragazza e questo la facesse ingelosire parecchio, Irene stava continuando a fare il suo lavoro in maniera impeccabile.
«Mentre leggete il menù, vorreste qualcosa da bere?» Chiese lei, forse in modo troppo aspro.
«Io una Sprite», pigolai evitando i suoi sguardi omicidi.
«Per me una Coca Cola media». Rispose, con tono beffardo Jason.
Quel tono fu l’innesco di una domanda molto specifica nella mia mente, che sperai con tutta me stessa non avesse un come risposta.
Che mi stesse usando per far ingelosire Irene?
In pochi minuti arrivarono le nostre bibite e iniziai a notare come la conversazione tra me e il ragazzo si era ridotta a zero, e come lui continuasse a spiare Irene con la coda dell’occhio, cercando, ovviamente, di studiare le sue reazioni alla nostra presenza.
Strinsi i denti mentre guardai le mie mani iniziare a tremare dalla rabbia. Come si permetteva? Come si permetteva questo bastardo di usarmi? Come osava portarmi così poco rispetto? 
Chiusi gli occhi e decisi: non sarei rimasta lì a fare lo zimbello di turno solo per questo idiota che avevo seduto di fronte e che non aveva ancora notato la mia reazione poiché continuava a fissare la ex.
«Jason». Lo chiamai con tono neutro, piatto. Lo sguardo che gli diedi era freddo, innaturale. Appena lui riportò lo sguardo su di me, vidi come sbiancò in un attimo. Finalmente aveva capito che cosa stava accadendo.
«Mi stai utilizzando per far ingelosire Irene e farla tornare da te, giusto?» Chiesi, il volto inespressivo, il cuore che mi doleva.
Lo sguardo di puro panico che gli si dipinse negli occhi fu la risposta che mi bastava.
«Eva m-m-ma che s–» Cercò di trovare una scusa, ma lo fermai gettandogli la Sprite contenuta nel mio bicchiere in faccia.
Nei momenti di silenzio che seguirono seppi benissimo di avere gli occhi di tutti addosso, perfetto.
«Mi fai schifo». Sibilai a tono alto, così che tutti mi sentissero.
Mi alzai senza troppi indugi, mi misi il cappotto e tornai a guardare Jason che non si era ancora mosso o asciugato.
«Se osi solo immaginare di parlarmi ancora una volta, ti pentirai che tua madre non abbia utilizzato il preservativo la notte del tuo concepimento». Detto questo uscii a lunghe falcate dal locale.
Non seppi per quanto camminai. Seppi che i piedi mi avevano riportato verso casa quando i miei occhi riconobbero il parco giochi per bimbi che era a una decina di minuti a piedi dal mio appartamento.
Sentendomi il peso del mondo addosso e volendo fare pace con il dolore che stavo provando dentro, decisi di sedermi su un’altalena e pensare.
Ma non ne ebbi esattamente il tempo poiché il mio cellulare iniziò a vibrare e lo tirai fuori dalla tasca del mio amato giubbotto di pelle; imprecando contro chiunque mi stesse chiamando in quel momento.
Quanto fui sorpresa di vedere che chi mi stava chiamando era Azrael? Non tanto, non molto, di più.
Mentre il pollice scorreva sullo schermo per accettare la chiamata, sentivo il cuore che stava per esplodermi nel petto da quanto batteva all’impazzata.
«Si?» Chiesi con voce tremante dall’agitazione.
«Mi dispiace».
Chiusi gli occhi. Ci erano volute due fottutissime parole perché tutta la rabbia che avevo accumulato verso di lui in quella settimana scomparisse in un battito di ciglia. Due fottutissime parole perché finalmente i miei polmoni si riempissero di nuovo d’aria. Due fottutissime parole perché finalmente tornassi a provare qualche emozione.
«Azra–» Cercai di dire ma venni interrotta.
«No», disse lui in modo secco. «Lasciami parlare. So che queste cose si dovrebbero dire di persona e non attraverso un telefono; ma la verità è che tu sei ad un appuntamento con un ragazzo e io ho una paura atroce a dirtelo in faccia, perciò te lo dirò così, attraverso un telefono, perché sono un vigliacco: mi dispiace.
«Mi dispiace averti ferita in questa settimana. Mi dispiace di averti ignorato ogni volta che eri in una stanza. Mi dispiace di essere così una testa di cazzo da non essermi reso conto prima che quanto stavo soffrendo io, stavi soffrendo anche tu.
«Perché la verità è che stavo morendo dentro ogni volta che mi frenavo dal parlarti o dall’abbracciarti; e quando sei entrata ieri in casa dicendo che eri stata ad appuntamento non sono più riuscito a trattenermi. E mentre mi urlavi contro, l’unica cosa che pensavo era quanto tutte le cose di cui mi stavi accusando non fossero vere: a me importa di te, a me importa con chi esci; e non sai quanto cazzo di bene ti voglia, Eva.
«Perciò ti supplico: perdonami».
Le lacrime roventi mi stavano offuscando la vista mentre la mano libera mi copriva naso e bocca nel vano tentativo di non far sentire i miei singulti all’angelo dall’altra parte. Il mio cuore stava pompando così velocemente che faceva male, mentre il cervello non riusciva a mettere insieme un pensiero coerente, troppo travolto da sollievo e rabbia.
«E–», cercò di parlare lui dopo qualche minuto di silenzio, finalmente riuscii a rispondergli.
«Sei un’idiota!» Gli urlai contro nel bel mezzo di un singulto. «Sei un completo caso clinico di idiozia! Stupido ritardato di un Angelo!». Feci un respiro profondo, prima di continuare.
«Sai quanto mi ha fatto male la tua distanza? È stato come perdere una cazzo di gamba dal giorno alla notte! Mi hai fatto imbestialire! E più penso al perché lo hai fatto, più mi rendo conto che se sapessi la risposta, come minimo, mi verrebbe da prenderti a sprangate nei denti! 
«Eppure non riesco a non perdonarti perché, porco Anubis, mi manchi; mi manchi fottutamente tanto A».
L’ultima frase la dissi a tono normale poiché non avevo più energie. Tra l’appuntamento di merda, il piangere e lo sfogarmi mi si era sciupata tutta l’energia che avevo in corpo.
«Mi manchi anche tu Eva», mi disse Azrael attraverso il cellulare, «ti prego, molla quel Jason e torna a casa».
Incredibilmente iniziai a ridere in mezzo alle lacrime.
«L’appuntamento è andato a puttane». Gli rivelai.
«Come?»
«Lo stronzo mi stava usando per far ingelosire la sua ex».
«Quel brutto figlio di pu–»
«AZRAEL!» Sentì la voce di Helel urlare di sottofondo, facendomi ridacchiare e placare un poco le lacrime.
«–Uuna bellissima e incantevole donna!» Completò il mietitore. «Dove sei? Ti vengo a prendere». Aggiunse poi.
«Non ti preoccupare A». Gli dissi. «Sono nel parco giochi per bimbi vicino a casa, ritorno tra qualche minuto quando mi sarò calmata». Risposi e chiusi la chiamata. Alzando gli occhi al cielo mi resi conto come, all’improvviso, un peso mi si fosse tolto di dosso.
Avevo di nuovo Azrael.
Pensai, asciugandomi le guance e gli occhi.
Mi alzai dall’altalena qualche minuto dopo, finalmente tranquilla, decisa che era il momento giusto per tornare a casa e vedere che disastro avevano fatto quei due senza di me, quando il demone fece la sua entrata.
«Non lo sai, umana, che è pericoloso girare tutta sola la notte». La voce era roca e tagliente. Mi fece accapponare le interiora e rizzare i peli della nuca. L’istinto mi diceva di correre, ma purtroppo vinse la curiosità.
Lentamente mi voltai e mi trovai davanti a un essere grottesco: anche se l’aspetto poteva sembrare umano, la pelle rossa, le corna e la coda appuntita urlavano: DEMONE, manco avesse un cartello a neon sopra la testa.
«C-C-Chi sei?» Chiesi, cercando di non avere la voce troppo acuta per la paura. Ovviamente fallii.
«Oh, questo non è importante». Mi rispose lui sogghignando. «L’importante è che tu muoia così che il nostro Signore e Padrone Helel possa tornare al suo trono».
Morire?! 
Riuscii a pensare impaurita prima che il demone mi attaccasse.
D’istinto mi gettai di lato e rotolai a qualche passo di distanza, permettendomi di evitare il coltello nero che era apparso in mano al demone e che era sicuramente puntato alla mia gola.
«Se stai ferma, farà meno male». Disse lui, gettandosi verso di me ancora una volta.
Questa volta avevo proprio pensato che non sarei riuscito a evitarlo, ma fortunatamente una strana bolla di energia si sprigionò dal mio corpo e lo catapultò a terra, qualche metro da me.
Cos–
Non finii neanche il pensiero che già mi ero risposta: quando avevo stretto il patto di sangue con Azrael ed Helel mi avevano passato i loro poteri.
Ma purtroppo non sapevo come usarli.
«BRUTTA PUTTANA!» Urlò il demone e in un battito di ciglia mi ritrovai bloccata a terra, il demone sopra di me. Una sua mano mi stringeva il collo, togliendomi il respiro, l’altra aveva ancora in mano il coltello.
«Prima volevo solo ucciderti», mi disse avvicinandosi spaventosamente al mio viso, aveva l’alito che sapeva di putrefazione, «ma ora penso che mi potrei divertire un poco con te prima di ucciderti». Aggiunse con un’espressione da perverso.
Iniziai a dimenarmi come un’ossessa.
No!No!No!No!No!No!No!No!No!No!No!No!No! Aiuto!
Il cervello stava urlando, mentre la sua mano mi stringeva sempre più il collo.
«STA FERMA UMANA!» Stava invece urlando il demone, cercando di tenermi ferma, per poter fare ciò che voleva del mio corpo.
«EHI!» Urlò una terza voce.
Anche se il mio cervello era in pieno panico, riuscì a rendersi conto di chi era la voce: Azrael. Lacrime di sollievo mi iniziarono a scendere dagli occhi.
«LASCIALA IMMEDIATAMENTE!» Urlò ancora l’angelo, anche se questa volta sembrò più un ringhio di rabbia.
Il demone guardò Azrael, alla nostra sinistra, e un sorriso beffardo gli si dipinse in volto.
«Non mi fai paura Angelo!» Esclamò il demone. «Non potrei mai ferma–»
Il demone non ebbe mai il tempo di finire la frase poiché una pallina di luce dorata gli trapassò da parte a parte il cranio, uccidendolo.
Il cadavere si accasciò a terra accanto a me. 
Il mio cervello, impaurito, mise il pilota automatico e fece muovere i miei muscoli. Senza sapere come mi trascinai all’indietro per qualche passo, non staccando gli occhi dal demone: avevo troppa paura che fosse ancora vivo. Infine il mio cervello mi fece alzare e camminare all’indietro finché non sbattei contro a qualcuno e due braccia forti mi avvolsero.
In un primo momento mi dimenai, pensando che fosse ancora il demone, anche se il suo cadavere era ancora a terra, davanti ai miei occhi; ma cessai ogni resistenza quando una voce calda e rassicurante mi sussurrò all’orecchio: «È finito Eva, il demone è morto, ci sono qui io ora».
Azrael. Il mio cervello riuscì finalmente a comprendere: ero tra le braccia protettive di Azrael.
Finalmente sentii l’adrenalina essere sostituita dal panico e le lacrime inondarmi di nuovo gli occhi. Senza ulteriori esitazioni mi voltai, nascondendo il viso piangente nel petto dell’angelo e stringendo la sua maglia come se fosse un salvagente, mentre lui mi strinse più forte continuando a ripetermi che andava tutto bene.

 

» Angolo Autrice «

Con il capitolo più lungo e più serio che abbia mai scritto per questa storia, si arriva a metà del racconto. Da qui in avanti le cose si faranno un bel po' intense e sarcastiche (sì, anche quello tornerà).
Ho rischiato la "morte" nel scrivere questo capitolo poiché la mia Beta Reader lo ha letto accanto a me... Ed A&Eva è la sua ship preferita... Vi giuro, se gli sguardi potessoro uccidere sarei morta una quindicina di volte in meno di due ore
O_O
Da qui in poi cosa accadrà?
Eva ed A riusciranno a rimanere uniti, con l'aiuto di Helel?
Quale sarà la prossima mossa di Erezel?
Se volete scoprirlo rimanete nei paraggi!
A presto!!!


Axel Knaves


 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** [10]» Una famiglia a sorpresa «[10] ***




[10]» Una famiglia a sorpresa «[10]

 

3rd POV

Helel si accasciò contro la parete del salotto ansimante, gli occhi chiusi, una mano sul fianco, mentre il cervello cercava di comprendere se stava morendo o era solo l’effetto dell’allenamento intensivo che stava avendo luogo quella domenica mattina.
L’uomo riaprì gli occhi e fissò l’umana che si stava ancora allenando, seppur con i vestiti imbevuti del suo stesso sudore e il fiato che le mancava, nel centro della sala; convertita, per quelle due ore, a palestra.
Era passato quasi un mese dall’aggressione che la donna aveva avuto da parte di un demone, ma Helel sapeva che non si sarebbe mai dimenticato di quella notte…


L’uomo dagli occhi albini si stava iniziando a preoccupare.
Era quasi un’ora che Azrael era uscito sbottando qualcosa su un uomo idiota che voleva uccidere se avesse trovato un’Eva piangente.
Il Diavolo doveva ammettere che non aveva ben capito cosa fosse successo: un attimo prima Azrael stava per confessarsi apertamente ad Eva; l’attimo dopo aveva un diavolo per capello e quasi era uscito portandosi a dietro la falce.
Ed ora entrambi non ne volevano sapere di rispondere al cellulare.
Era quasi pronto a chiamare la polizia quando la porta di ingresso, finalmente, si aprì.
Helel aveva già tirato mezzo sospiro di sollievo quando i suoi occhi studiarono attentamente la situazione; che di certo non si rivelò ciò che si stesse aspettando: il fratello minore stava portando in casa un Eva pallida come un fantasma, tremante come una foglia e sconvolta così tanto da avere gli occhi totalmente iniettati di sangue.


«Non mi dirai che sei già stanco, vecchio». Sogghignò la voce di Azrael, cercando di non far notare quanto fosse affannato. Il fratello minore guardò quello maggiore spostare lo sguardo da Eva - ora intenta a imitare i movimenti che Mikael le stava mostrando - a lui, con una punta di fastidio negli occhi.
«Non farti sentire da Padre o Madre a chiamare me “vecchio” oppure ti potrebbero uccidere».
«E poi chi ti darebbe fastidio tutto il giorno?» Chiese Azrael, divertito.
Helel lo guardò in tralice.
«Ci ho ripensato, fatti sentire da Madre e Padre».
Azrael scoppiò a ridere - anche se l’azione gli si presentò difficile a causa del fiatone che convertiva le sue risate in suoni di una iena isterica.
«Ti voglio bene anche io, Hel». Dichiarò infine, rubando al fratello uno sbuffo esalato da un sorriso.
L’attenzione dell’angelo più giovane, però, venne subito richiamata dalle due donne al centro della stanza che si stavano ancora muovendo di affondi e calci; la mente, involontariamente, gli tornò alla sera dell’aggressione...


Azrael non riusciva a staccare gli occhi dalla porta del bagno in cui era sparita una Eva tremante e pallida.
Non gli servivano superpoteri per sapere che la ragazza era in un angolo a piangere il panico fuori dal suo sistema, mentre probabilmente si abbracciava le ginocchia al petto.
Avrebbe voluto sfondare la porta e starle accanto, ma sapeva che Eva era una di quelle persone che doveva prima affrontare un trauma da sola, per poi riuscire a parlarne con qualcuno e farsi aiutare.
«Credo di amarla». Disse Azrael a voce alta. Finalmente era riuscito a pronunciare apertamente quel segreto che si portava dentro da qualche tempo. L’Angelo della Morte aveva compreso di provare qualcosa per Eva già da un bel po’: ogni volta che lei era nella stanza era come se qualcosa gli si accendesse nel petto e lo iniziasse a bruciare di un dolce calore; non aveva compreso, però, che era “amore” fino a quella sera, quando l’aveva trovata al parco, nelle grinfie di quel lurido e viscido verme.
Helel, che stava bevendo una camomilla tranquillamente accanto a Azrael - mentre aspettavano in piedi nel corridoio che Eva uscisse - si voltò di scatto, preso totalmente in contropiede dalla dichiarazione appena sentita, e involontariamente sputò addosso al fratello la bevanda calda nel tentativo di esclamare: «Cosa?!».
«Helel!» Esclamò disgustato il più giovane, che finalmente aveva spostato lo sguardo dalla porta del bagno, per la camomilla che ora gli imprignava la maglietta.
«Ripeti immediatamente ciò che hai detto!» Gli ordinò, agitato, il Diavolo dopo aver schioccato le dita e aver rimesso a posto il disastro che aveva creato con la bevanda calda.
«Credo di amare Eva». Pigolò per una seconda volta Azrael, d’un tratto totalmente imbarazzato a pronunciare quelle parole in presenza del fratello . Il mietitore si iniziò, infatti, a grattare la nuca da quanto si trovava in imbarazzo.
«Finalmente l’ha capito! Grazie al Creatore!» Esclamò sollevato l’uomo dagli occhi bianchi alzando le mani al cielo. Azrael per tutta risposta gli diede una manata agli addominali, quel tanto forte da riuscire a far piegare in avanti il fratello per il dolore.
«Vai a cagare, Hel». Sbuffò, spostando lo sguardo e incrociando le braccia al petto.
Helel sogghignò: oh! Quanto lo avrebbe punzecchiato da ora in avanti!
Il Diavolo stava per prenderlo in giro quando la porta del bagno si aprì e ne uscì Eva.
O almeno, quello che ne restava.
La ragazza aveva i capelli tutti aggrovigliati, mentre il bordo della maglietta era bagnato, a chiazze e strisce, di lacrime e un misto tra matita e mascara.
Azrael fu il primo a muoversi: senza dire una parola incontrò la donna a metà strada e la imprigionò in un abbraccio protettivo a cui lei rispose con la stessa intensità.
Helel si avvicinò solo dopo che i due si furono staccati e porse a Eva una tazza di camomilla calda che aveva appena fatto apparire con uno schiocco di dita.
«Grazie». Gracchiò lei, la gola ovviamente secca, accettando volentieri la bevanda e il calore che le offriva.
«Qualsiasi cosa». Gli rispose Helel lasciandole un bacio in fronte. «Sei stata forte». Le disse poi, stringendole una spalla.
Eva si rizzò a quelle parole.
«Ma non quanto serviva». Ammise infine, chinando il capo e sorseggiando dalla tazza. «Non sapevo come difendermi». Aggiunse con un filo di voce che i due Angeli quasi non sentirono.
«Eva», cercò di interromperla Azrael. Voleva dirle che non era stata debole, al contrario! Era stata coraggiosa; era stata una roccia contro il vento.
Era stata aggredita da un demone che aveva il comando di ucciderla con un pugnale infernale e lei aveva comunque combattuto; aveva comunque lottato, seppur la forza di un demone era decisamente superiore alla sua.
«A, Hel, vi voglio chiedere un favore». Lo interruppe la donna.
D’improvviso, i due angeli notarono, lo sguardo di lei non era più quello di una persona spaventata; ma quello di qualcuno che aveva preso una decisione e nessuno sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.
«Insegnatemi ad usare i poteri, che ho ottenuto con il patto di sangue, per potermi proteggere», disse lei, «non voglio più sentirmi inerme. Voglio sapermi difendere. Ma soprattutto: voglio saper difendere le persone che amo».
Azrael ed Helel erano così stupiti alla reazione della donna, che tutto ciò che riuscirono a fare fu guardarsi l’un l’altro con sguardi stupiti.
 

EVA’S POV


«Bene per oggi credo che abbiamo dato abbastanza». Decretò Mikael sorridendomi.
Senza farmelo ripetere mi accasciai a terra, distrutta.
Feci un respiro profondo e sentii un dolore assurdo alle costole quando tutta quella quantità di ossigeno si immise nel mio corpo in una volta sola.
«Sento che sto per morire», avvisai la mia istruttrice mentre mi stringevo il fianco con la mano.
Era ormai un mese, che tre o quattro volte a settimana, Mikael si offriva volontaria per aiutarmi ad imparare ad utilizzare i miei poteri; ed ogni ogni giorno era più difficile di quello precedente.
«Non esagerare, adesso», mi rispose divertita lei, sedendosi accanto a me, «ti stai solo allenando con tre angeli!»
Con le ultime forze che ancora mi erano rimaste mi allungai verso la donna albina e la spintonai scherzosamente per la spalla, mentre lei si mise a ridere di gusto alla mia reazione.
Mikael, ora ne ero certa, era l’Arcangelo Michele. La donna, infatti, era un’ottima insegnante ma prima ancora un’ottima guerriera.
Oltre alle capacità fisiche - che dove mancava di forza rispetto ai fratelli compensava con agilità e velocità, rendendola così ancora più letale - aveva sotto controllo i suoi poteri, che usava a suo piacimento durante gli scontri. Queste due cose unite la rendevano invincibile.
«Non sono più così tanto umana, dunque». Dissi quasi in un sussurro; guardando con intensità le mie mani nel tentativo di trovare un qualsiasi segno di cambiamento.
«No, non lo sei più».
Quello sì che era stato un colpo difficile da digerire.
Mikael mi aveva spiegato, durante una delle prime lezioni, che, attraverso il patto di sangue, non solo i due fratelli dai capelli neri erano diventati in parte umani, ma anche io ero divenuta in parte essere divino: avevo le difese immunitarie rinforzate, molta più resistenza fisica ed il mio metabolismo si era velocizzato di quasi tre volte.
Se vi state chiedendo che significhi, la risposta è semplice: mi potevo ingozzare come un gosino e non preoccuparmi di ingrassare. Quasi mi ero commossa a saperlo.
«Cos’è quel muso lungo?» Mi chiese lei, cercando di farmi tornare il sorriso. «Pensa a tutti i lati positivi di questa situazione!» Esclamò gioiosa.
La guardai di sbieco e alzai un sopracciglio.
«E quali lati positivi mi dovrebbero trasmettere cotale euforia?» Domandai, d’improvviso spaventata per ciò che stesse intendendo la donna.
Nel mese che Mikael mi aveva fatto da insegnante - alcune volte aiutata anche da Gavriel; il quale, dopo che l’avevo defenestrato durante un battibecco, aveva deciso che il suo aiuto non era necessario - avevo scoperto quanto l’albina fosse una pervertita seriale.
E infatti anche quella volta non mi lasciò delusa.
«Pensa a quanto di più puoi durare a letto rispetto ad un’altra donna mortale!» Esclamò con un’espressione  di assoluta felicità, nei miei confronti, dipinta sul volto. «Ed essendo che Azrael è un angelo è un bene! Oppure ti perderesti la cavalcata migliore della tua vita!» Aggiunse a tono più alto.
Scattai come una faina: mi gettai su di lei, intrappolando il suo corpo a terra sotto il mio; le premetti ambo le mani sulla bocca e controllai che l’interessato non avesse sentito nessuna delle parole uscite dalla bocca della donna.
Il tutto, mentre sentivo la gote infiammarsi manco fossi il naso dell’aiutante di Babbo Natale.
Fortunatamente Azrael ed Helel si erano addormentati; in una posizione, dovevo ammettere, estremamente tenera: entrambi erano seduti a terra con la schiena al muro e le gambe rilassate davanti a loro; Azrael era raggomitolato sulla spalla di Helel mentre il fratello maggiore si era addormentato stringendo le spalle dell’altro.
Non potei che sorridere addolcita a quella visione.
Velocemente mi alzai da Mikael, liberandola; feci quelle poche falcate che mi dividevano dal cellulare nel silenzio più assoluto e mi misi a fotografare i miei coinquilini.
Non sapevo né come né quando, ma ero certa che quelle foto sarebbero venute davvero utili.
«Ti si vede scritto in faccia». Mi prese in giro a un tono di voce bassa, ovviamente per non svegliare i due, Mikael. Spostai lo sguardo dai due fratelli e trovai la donna sdraiata su un lato, la testa appoggiata in un palmo aperto.
«Cosa?» Chiesi, non comprendendo bene cosa intendesse.
«Quanto ci tieni a quei due rintronati». Si chiarì.
Sorrisi imbarazzata a quelle parole. Lei sogghignò alla mia reazione, si alzò e mi raggiunse; con una grazia che solo l’albina poteva avere dopo quasi due ore di allenamento.
«Spero che tu riesca a dirlo presto ad A». Aggiunse poi, avvolgendomi con un braccio le spalle e stringendomi a lei.
Era stato durante la seconda settimana di allenamenti, un giorno in cui Azrael ed Helel erano andati a fare la spesa al posto mio - e il fatto che fossero tornati con tutto il riparto schifezze e nulla delle cose scritte nella lista della spesa, non mi aveva sorpreso per nulla - che mi era scappato alla terzogenita della famiglia angelica che i miei sentimenti per Azrael avevano iniziato ad andare ben oltre l’amicizia; ma che purtroppo ne ero ancora spaventata, poiché l’ultimo per cui avevo provate queste cose mi aveva tradito.
Mikael aveva promesso di mantenere il segreto fin quando non sarei stata pronta a confessarmi ad Azrael; anche se poi aveva aggiunto che potevo benissimo non preoccuparmi poiché gli angeli si potevano innamorare una volta sola e  che quell’amore è per sempre.
Il mio istinto mi disse che quelle parole venivano per esperienza diretta, ma ancora non ero riuscita a comprendere per chi fossero rivolte.
«Lo spero anche io». Le risposi e l’abbracciai a mia volta.
«Pensa a tutte le belle porcate da letto che vi state perdendo in questo momento!» Aggiunse lei, infine.
«EHI!» Esclamai indignata; scostandomi per darle qualche sberla leggera sul braccio, ma lei fu più veloce e mi intrappolò in un secondo abbraccio.


«AAAAHHHHH!» Mi svegliai urlando e mettendomi seduta di scatto sul letto.
Dopo un primo momento di puro panico, il mio cervello uscì dal sogno e identificò il luogo in cui mi trovavo come la mia camera: le coperte, perdenti nella guerra notturna, erano cadute a terra scompostamente; mentre l’aria fredda mi avvisava che il pigiama che portavo era fradicio di sudore.
Passò ancora qualche secondo di silenzio prima che le lacrime calde iniziassero a scendere lungo le mie guance e i singulti iniziassero a scuotermi le spalle.
Erano passati già un paio di giorni dall’attacco del demone e mi sembrava di vivere in una bolla di panico. Non riuscivo neanche a dormire poiché gli incubi di quella sera mi svegliavano a metà della notte, facendo in modo di farmi salire il terrore all’idea che avrei rivisto quel demone ogni volta che avessi chiuso gli occhi. Ciò mi portò a rimanere sveglia fino all’alba dopo ogni incubo.
«Posso entrare?» Chiese la voce di Azrael, dopo due colpi leggeri e improvvisi alla porta che riuscirono a farmi sobbalzare.
«Torna a letto Azrael», gli risposi cercando di frenare le lacrime con il dorso della mano, «va tutto bene».
Lo sentii sospirare profondamente prima che aprisse la porta, contro il mio volere, e mi vedesse in quello stato.
«Tutto bene un corno». Mi rimproverò e chiuse la porta alle sue spalle.
Mentre ancora stavo cercando di calmarmi lui si mise comodo, sdraiandosi accanto a me.
«Che stai facendo?» Chiesi alla sua forma sfuocata, cercando anche di alzare un sopracciglio indagatore. Non volevo per nulla sapere che espressione del cavolo avessi in quel momento.
«Stasera dormirò qui». Sentenziò lui.
Quella frase mi bloccò l’afflusso innaturalmente lungo e continuo di lacrime.
«CHE?!» Urlai, girandomi completamente verso di lui con gli occhi sgranati.
Lui mi sorrise in modo beffardo.
«Finalmente hai smesso di piangere». Constatò, allungando una mano per asciugarmi le lacrime ancora presenti sulle mie guance. Dovetti trattenermi dal non esplodere completamente. Porca Giunone! Che cosa stava capitando?!
«Bene», disse e mi tirò verso di lui finché la mia testa non fu posata sulla sua spalla, «ora dormi». Ordinò cingendomi le spalle con un braccio e stringendomi a lui.
Anche se mi misi in una posizione più comoda- ergo mi accoccolai - sul suo fianco, non pensavo che sarei mai riuscita a dormire con il cuore che batteva così dannatamente veloce.
Eppure alcuni minuti dopo mi ritrovai a combattere contro le mie stesse palpebre, divenute improvvisamente pesanti.
Il mio ultimo pensiero prima di cadere tra le braccia di Morfeo  fu che l’addormentarsi accanto alla persona che si ama era una cosa davvero speciale.


«Ah!» Esclamò dolorante Helel, mentre si massaggiava il collo. «Non avrei mai pensato che il collo avrebbe potuto farmi così tanto male nella mia esistenza».
Ridacchiai alla scena, uscendo dalla cucina.
Mikael se n’era andata quasi un’ora prima, dopo avermi sistemato la sala con uno schiocco di dita - e sì, la mia gelosia per quel potere era ancora tanta - e aver svegliato i suoi due cari fratelli con una secchiata di acqua congelata che aveva fatto apparire dal nulla.
Senza che neanche ve lo chiediate: avevo filmato l’intera scena.
Mi ero infilata nella doccia per prima e ora - io e un ancora sudato/fradicio Helel - stavamo aspettando che Azrael uscisse dal bagno, così da poter decidere cosa fare per pranzo e lasciare andare il più anziano a lavarsi.
«Quindi vi è venuta qualche idea?» Chiese Azrael entrando in sala con solamente un accappatoio intorno alla vita e i capelli ancora un po’ umidi.
Mentre sentivo la pelle delle guance bruciare a quella visione e sentivo che i miei occhi non volevano saperne di spostarsi dalla tartaruga perfetta che l’angelo stava mostrando in quel momento; deglutii rumorosamente mentre mi passavo l’indice sotto al naso per essere sicura che non sanguinasse.
Oh santissimi dei dell’Olimpo! Com’era possibile che non mi fossi ancora abituata a quell’angelica visione?!
«Azrael potevi metterti una maglia», lo cercò di rimproverare Helel tentando, invano, di nascondere la risata che gli aveva scaturito la mia reazione, «sai bene che effetto fai ad Eva quando sei a petto nudo».
L’angelo dagli occhi scuri mi regalò un sorriso sornione prima di farmi l’occhiolino.
Sentii il cuore saltarmi in gola e per un momente ebbi paura che non volesse partire più.
Per amor di Ra!
Fu tutto ciò che riuscì a pensare. Che Azrael avesse davvero intenzione di uccidermi prima del tempo?
Fortunatamente fui salvata dal suono del campanello.
«Vado io», dissi con tono estremamente acuto e innaturale - al quale Helel si dovette coprire la bocca e tappare il naso per non ridermi in faccia - mentre mi muovevo in stile robot verso la porta.
Maledizione ai miei ormoni e a quella tartaruga perfetta!
Pensai mentre, con il corpo ancora su pilota automatico, spalancai completamente la porta.
«SORPRESA!» Urlarono simultaneamente quattro voci, facendomi saltare in aria.
Quando il mio cervello riuscì a riconoscere le persone che mi si paravano davanti, ebbi l’innata voglia di svenire in stile Dante Alighieri. Invece rimasi semplicemente lì, in piedi, mano sulla maniglia, bocca aperta e occhi sbarrati; ancora in stato catatonico.
I quattro volti appartenenti a mio padre, mia madre, mia sorella e mio fratello passarono da un’espressione euforica a una dubbiosa, quando i loro sguardi misero a fuoco gli altri due occupanti della sala.
Oh, cazzo.
«E QUESTI CHI DIAVOLO SAREBBERO?!» Esclamarono tutti insieme, ognuno con un’emozione diversa.
Con ancora il cervello totalmente in shock, chiusi la porta in faccia alla mia famiglia.
OH CAZZO!
 

»Angolo Autrice«

Ed eccomi con il nuovo capitolo!!!! AAAAAHHHHH!!! Sono così felice di essere arrivata finalmente a questo punto!! Perché? Oh! È semplice: compare la famiglia Rossi, ma in specifico finalmente appare Serena, la sorella minore!!! Una dei miei preferiti!
Ma oltre a questo
XD
Con questo capitolo si entra ufficialmente nella seconda parte della storia! Da qui in poi la vita, mi dispiace cari lettori, diverrà ancora di più un Roller Coster di Emozioni.
Eva ed A sembrano finalmente aver compreso ciò che provano, ma non sono ancora pronti a dichiararsi. Ma come avete visto questo non ferma di certo Helel dal stuzzicarli pesantemente.
Si vede un nuovo lato di Mikael - ma, ammettiamolo, cosa vi aspettavate da una donna cresciuta con ben quattro uomini? (i tre fratelli e Tridel) - ed Eva inizia a convincersi che l'angelo guerriero sia innamorata di qualcuno. Sarà così? Oppure no?
Fa, infine, il loro ingresso in scena la famiglia Rossi e di certo non conoscono i due angeli nel migliore dei modi.
Come prenderanno la convivenza di Eva con due uomini?
Ed Erezel che fine ha fatto? Cosa sta progettando nell'ombra?
Questo lo scoprirete solo nei prossimi capitoli!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
A presto;


Axel Knaves

P.S. Ho deciso di cambiare il nome dell'account poiché "esi_chan" non mi rappresentava più (l'avevo scelto a 14 anni e ora ne ho quasi 21, comprenderete XD), ma sono sempre io! Non preoccupatevi! P.S.S. Aggiornamento al 3/11/2020, ho finalmente riunito tutte le mie personalità e mi sono data un nome comune ovunque: Axel Knaves XD

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** [11]» Guida di sopravvivenza per pranzi di famiglia «[11] ***




[11]» Guida di sopravvivenza per pranzi di famiglia «[11]

 

«Eva…» Disse con voce tremante Azrael alle mie spalle. Non mi serviva voltarmi per sapere che il Mietitore fosse bianco come le pareti dell’appartamento. «Quella è la tua…» Non riuscì neanche a completare la domanda da quanto fosse sconvolto.
«Sì», risposi disperata poggiando la fronte sulla porta d’ingresso e chiudendo gli occhi.
Oh per l’amor di Poseidone se sono nei guai!
«Vado a mettermi una maglietta e un paio di pantaloni», informò il Mietitore con tono imbarazzato prima di muoversi.
«Io vado a lavarmi». Disse Helel con tono tirato, appena sentii la porta di camera loro chiudersi alle mie spalle. Lasciai andare il sospiro frustrato, che avevo bloccato in gola, solo quando sentii la porta del bagno scricchiolare e chiudersi con il Diavolo al suo interno.
E veniamo alle questioni serie. Pensai aprendo la porta. Dall’altra parte la mia famiglia era in piedi, in attesa.
Mia madre, Cecilia, con i capelli color mogano, sbarazzini stava sorridendo euforica come una bambina. Accanto a lei, mia sorella minore Serena, aveva le mani intrecciate dietro la nuca fulva e il volto lentigginoso era distorto in un’espressione che diceva: “non male”.
Mio padre Giacomo e mio fratello Davide, uno dai capelli color paglia bagnate e l’altro dai capelli carota, erano tutt’altra storia.
Avevano la stessa identica espressione irritata in volto e le braccia incrociate al petto.
«Giacomo, calmati caro», stava dicendo mia madre con tono zuccheroso, «stiamo parlando di nostra figlia! Sono sicura che non sia quel genere di ragazza e che abbia una spiegazione, più che logica, del perchè aveva in sala un uomo completamente sudato e uno semisvestito». Oh! Quanto adoravo mia madre. «E poi, anche se fosse; non ci vedo nulla di male! Eva non è più una bambina e quei due ragazzi, devo riconoscere, non sono per nulla da gettar via».
«MAMMA!» Esclamai imbarazzata e tutta rossa in volto. Forse non l’adoravo così tanto.
«Oh, ciao cara!» Esclamò lei, notando la mia presenza.
«Eva!» Il tono di Davide era disperato mentre si slanciava attraverso la porta aperta e mi chiudeva in quella morsa omicida che lui aveva il coraggio di chiamare “abbraccio”.  «Chi sono quei due? Ti hanno fatto del male? Ti hanno toccato in qualche modo? Oh, Dio! Io li ammazzo a questi!».
Mi aggredì, urlandomi in faccia una domanda dietro l’altra, mentre mi scuoteva per le spalle.
Stavo iniziando ad avere il mal di mare.
«Davide se la scuoti ancora un po’, tutto ciò che otterrai sarà di staccarle la testa». Intervenne mia sorella minore, staccandomi mio fratello di dosso.
«Rena!» Esclamai, felice di vederla e l’ingoblai in un abbraccio, ignorando gli acidi intestinali che stavano ballando la Taranta nel mio stomaco. Lei lasciò cadere la facciata da boss mafioso e mi abbracciò a sua volta, ridendo contro il mio orecchio.
«Mi sei mancata ‘Va!» Esclamò.
Mia sorella aveva diciassette anni e, a sorpresa di molti, il nostro rapporto era come quello che di solito si trova tra gemelle e non tra sorella di un paio di anni di distanza.
«Ehi, ehi», attirò l’attenzione mio padre. Sia lui che mia madre erano entrati nell’appartamento e avevano chiuso la porta alle loro spalle. «Nessun abbraccio per il tuo genitore preferito?»
«Okay», risposi svelta, «darò un abbraccio a mamma da parte tua». Aggiunsi, abbracciando forte la donna dai capelli bruni che stava ridendo da matti alla mia ultima risposta.
«Oh, amore!» Esclamò mia madre abbracciandomi come se fossi il suo pupazzo preferito.  «Mi sei mancata così tanto!»
«Ehi!» Sbuffò mio padre, impettito. La sua reazione mi fece ridere di cuore.
«Mi sei mancato anche tu, papà». Gli dissi, dopo essermi staccata da mia madre ed averlo finalmente abbracciato.
«Mai quanto tu sei mai mancata a me, scimmietta». Mi sussurrò all’orecchio stringendo appena più forte.
«Eh-ehm». Qualcuno si schiarì la voce alle mie spalle. Sentendo mio padre irrigidirsi nell’abbraccio compresi che doveva essere per forza uno dei due angeli.
Con qualche difficoltà mi staccai dal petto - ancora ben messo - di mio padre e guardai chi dei due angeli era arrivato al macello: in piedi, ovviamente imbarazzato e agitato, c’era Azrael. Le mani erano sepolte nelle tasche dei jeans e con i piedi si continuava a dondolare dal tacco alla punta e viceversa; il tutto mentre cercava di guardare ovunque meno che la mia famiglia e si mordicchiava il labbro inferiore.
Involontariamente sorrisi addolcita a quel comportamento: non avevo mai visto il Mietitore così impacciato e, dovevo ammettere, era una visione che mi stava scaldando il cuore e mi stava facendo nascere un’intera fauna nello stomaco.
Decisi che era il momento di presentarlo ai miei genitori e rompere quello strato di ghiaccio che si stava iniziando a formare nella stanza.
«Papà, mamma, Davide e Serena; vi presento Azrael, uno dei miei due coinquilini». Dissi facendo due passi in dietro da mio padre, verso Azrael.
L’angelo alzò il capo quel tanto per sorridere timidamente ai miei e salutarli con la mano.
«Azrael», dissi poi, finalmente riuscendo a incrociare il suo sguardo, «questa è la mia famiglia: Cecilia, mia madre; mio padre Giacomo; mio fratello maggiore, Davide ed infine la piccola di casa: Serena».
«Una cosa devo proprio dirla». Avvertì Serena e mi lanciò un sorriso beffardo.
Sgranai gli occhi, conoscevo bene quell’espressione.
Oh no! Non lo stava per fare! Non si sarebbe permessa… Vero?
«Hai dei gusti in fatto di ragazzi davvero niente male, sorella». Dichiarò, ricevendo una risata da mia madre e delle occhiatacce da Davide e mio padre.
Con la coda dell’occhio cercai Azrael e vidi che anche lui era divenuto rosso pomodoro come me.
«Sì, so di essere un essere da sogno, ma sentirlo dire è sempre bello», le rispose la voce di Helel alle mie spalle; voltai il capo in direzione della voce e vidi il Diavolo entrare in sala vestito con un paio di braghe e una camicia bianca, le maniche arrotolate fino al gomito.
Non c’era nulla da dire: i miei coinquilini erano da stuprare con gli occhi.
«E chi ha mai detto che mi stavo riferendo a te…? » Gli chiese con tono saccente mia sorella, facendogli segno di presentarsi.
Seppur il suo comportamento e il suo linguaggio del corpo dicessero che si sentiva a proprio agio con davanti i due angeli; notai come le orecchie le fossero diventate improvvisamente rosse alla comparsa del Diavolo.
Sorrisi sotto i baffi. Dunque non ero solo io quella affetta dalla bellezza di questi due.
«Helel, fratello maggiore di Azrael», si presentò l’uomo dagli occhi argentei;  allungando una mano verso mio padre, il quale gliela strinse con forza. Ovviamente il Diavolo non fece una piega.
«Piacere di conoscerla, madame», disse a mia madre, prima di offrire anche a lei la mano da stringere. «Ha cresciuto una figlia magnifica, i miei complimenti» aggiunse e mia madre gli strinse la mano ridacchiando, un attimo in imbarazzo.
«Oh che gentiluomo!» Esclamò mia madre, ovviamente rapita dalla bellezza angelica che aveva davanti.
«Davide», il Diavolo si presentò allora a mio fratello, il quale non gli prese neanche la mano che gli stava venendo offerta. «Ho sentito parlare di te da Eva». Disse. «Credo che presto diventeremo amici».
Mio fratello sbuffò e alzò un sopracciglio che urlava: “MA SEI SERIO?!”
Infine, Helel si voltò verso Serena.
Nel preciso momento in cui i loro sguardi si incrociarono, sentii una strana elettricità nella stanza e qualcosa dentro di me cercava di dirmi che era causata dalla rossa e dall’albino che avevo davanti.
Mia sorella, che di solito era impassibile davanti a un qualsiasi essere senziente, aveva le labbra arricciate; e vedevo bene il grosso sforzo che stava facendo pur di continuare a guardare il Diavolo negli occhi, invece di fargli una scansione totale.
Helel, invece, si era avvicinato a Serena quel millimetro in più; risultando così invasore dello spazio personale di lei. Sulle labbra un sorrisetto affettato, negli occhi aveva quella scintilla che di solito si trova in un predatore a caccia.
«Serena», disse lui chinando appena il capo, in segno di saluto, «chiunque parli di “gusti di ragazzi davvero niente male” si riferisce a me».
Le orecchie di Serena divennero totalmente rosse a quell’affermazione e vidi come si strinse i jeans nelle mani, pur di rimanere composta.
«Dovresti tornare nell’altra stanza», rispose lei, stampandosi in faccia un sorriso identico a quello di Helel, «credo tu abbia lasciato la modestia sotto al cuscino stamattina».
E nel mentre che Helel sorrideva sornione, ovviamente contento di aver trovato qualcuno che gli sapesse tener testa, che Azrael cercava di camuffare una risata con dei colpi di tosse e che mia madre tratteneva Davide e mio padre dal decapitare il Diavolo; compresi ciò a cui avevo appena assistito: il Diavolo aveva flirtato con mia sorella davanti ai miei occhi; e Serena gli aveva risposto.
Per qualche strana ragione non ci trovai nulla di male.

La tensione non si alleviò di certo dopo che ci fummo seduti a tavola, anzi, quasi peggiorò.
Mio padre e mia madre erano a due capi opposti della tavola; io, Davide e Serena eravamo seduti su un lato - con me e Serena intrappolate tra nostro fratello e nostro padre - con di fronte a noi i due angeli.
Dove Azrael aveva il capo chino, pur di poter evitare di incrociare gli sguardi da avvoltoi di mio fratello e mio padre; Helel aveva la sua attenzione solo su Serena e su come poterle dare fastidio così da non permetterle di mangiare.
Mentre non sapevo come mia madre potesse mangiare tranquillamente, con un sorriso sulle labbra, in quella situazione; io mi stavo chiedendo se avessi potuto tenere una conversazione con la tensione che aleggiava sul tavolo da ben venti minuti, ero sicura che sarebbe stata una compagnia migliore di quella che avevo intorno.
I miei nervi arrivarono al limite quando mia sorella, dopo che Helel gli aveva dato fastidio per l’ennesima volta in dieci minuti, aveva cercato di dare all’angelo un calcio sotto al tavolo; ma l’unico risultato che aveva ottenuto era stato quello di fare sobbalzare tutti i piatti e di far saltare della pasta al pesto casareccio dal mio piatto sulla mia maglietta bianca… Bianca e pulita.
«ORA BASTA E CHE CAZZO!» Urlai lasciando cadere la forchetta nel piatto e sbattendo i palmi aperti sul tavolo.
«Eva!» Esclamò indignata mia madre. «Non usare parolacce!»
«Non è questo il momento, mamma». Le feci notare, indicando gli altri cinque con le mani. «Starei cercando di mettere a posto la situazione». Aggiunsi, con il tono che di solito hanno le persone in preda a una crisi di nervi.
«Primo: papà e Davide piantatela di arrostire A ed Hel con gli sguardi, non sarete di certo voi a far sì che i due se ne vadano dal mio appartamento.
«Secondo: Helel stacca gli occhi da Serena per cinque secondi e piantala lì di importunarla, prima che lei ti faccia male. Non sembra ma è da quasi sei anni che pratica Capoeria.
«Terzo: Azrael alza la testa e mangia composto».
Ordinai con quel tono autoritario da “mamma” che non mi piaceva usare.
I quattro uomini mi guardarono un attimo tra l’allibito e lo sconvolto, ma poi seguirono i miei ordini senza fiatare. In pochi minuti, finalmente, la tensione che prima aleggiava nella stanza scomparve: Azrael, anche se ancora imbarazzato per la sua prima impressione, stava chiacchierando con mio mio padre e mio fratello su un programma TV che tutti e tre guardavano; Helel si era perso con mia madre, che gli stava spiegando alcuni trucchi da poter utilizzare in cucina; mentre io e mia sorella finalmente avemmo il tempo di metterci al pari con le nostre cose da donne.
Cercai di farmi dire la sua prima impressione di Helel, ma con scarso successo.


3rd POV - Azrael

«Ah! Da quanto non facevo un’abbuffata del cibo di mia sorella!» Esclamò Serena stiracchiandosi. «Mi era mancato tanto!»
«Vuoi dire che non ti piace il cibo che cucino io, figlia?» Chiese Cecilia con tono melodrammatico. «Così mi ferisci il cuore!» Aggiunse e fece finta di svenire con una mano sul cuore.
L’Angelo della Morte sorrise e ridacchiò alla scena.
Doveva ammettere che la famiglia di Eva era fantastica, non avevano il solito rapporto genitori-figli che somigliava a una dittatura - in parte era così, ovviamente si vedeva quanto i figli rispettassero i genitori e avevano paura dei loro rimproveri - ma un rapporto che si avvicinava più a quello di un gruppo di amici.
E di certo, Azrael si era accorto, dopo neanche dieci minuti che Giacomo e Davide avevano smesso di cercare di ucciderlo con lo sguardo, da dove Eva avesse preso la sua dose di sarcasmo: tra sua madre e suo padre era inevitabile che i loro figli diventassero re e regine indiscussi di quell’arte.
«Mamma sai che intendevo!» Esclamò la piccola di casa Rossi, esasperata dal comportamento della madre.
Azrael si soffermò un attimo sulla figura della diciassettenne fulva.
L’uomo dagli occhi neri sapeva bene cosa era successo neanche due ore prima quando Serena ed Helel si erano conosciuti: suo fratello maggiore aveva avuto il così detto “colpo di fulmine”, aveva trovato quella persona che avrebbe occupato il suo cuore per il resto dell’eternità.
Alla faccia della pedofilia.
Pensò divertito il giovane angelo.
«Ehi, Mr. Occhi belli», richiamò la sua attenzione la giovane umana, «smettila di fissarmi, non voglio avere una sorella maggiore gelosa che cerca di uccidermi durante la notte».
Azrael a quell’affermazione sgranò gli occhi e iniziò a tossire: gli era andata di traverso la saliva. Dall’altra parte del tavolo, di fianco alla responsabile, le orecchie di Eva stavano fumando da quanto la donna era rossa in viso.
«È-È-È meglio sparecchiare». Disse quest’ultima, cercando disperatamente di togliere l’attenzione da lei e l’Angelo della Morte e quello che poteva esserci o no tra di loro. Di certo non voleva parlarne con il diretto interessato!
«Oh! No, no, no». La interruppe Giacomo, quando lei era già in piedi e con un paio di piatti in mano. «Ora tu prendi il cappotto e vieni con me a fare una passeggiata». La informò. «Abbiamo tante cose di cui parlare, cara».
Azrael, che aveva appena smesso di tossire, iniziò la sinfonia da capo, comprendendo ciò di cui l’uomo voleva discutere con la figlia.
«Tranquilli andate», disse loro Cecilia, «ai piatti sporchi e alla tavola penseremo io e Rena».
«Vi aiuto anch’io», aggiunse Helel.
Eva sbuffò, rossa in viso e rassegnata al imbarazzante conversazione che si sarebbe svolta con il padre.
«Va bene». Aggiunse e, posati i piatti, si diresse all’appendiabiti accanto alla porta. Suo padre era alle sue spalle e la seguiva neanche fosse stata la sua ombra.
«Ci vediamo dopo!» Salutarono i due in coro prima di uscire di casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Azrael si era appena alzato - con l’intento di aiutare il fratello, Cecilia e Serena a sparecchiare - quando una mano lo fermò.
«Non così veloce». Disse la voce di Davide alle sue spalle.
Il Mietitore guardò oltre la sua spalla e vide come l’uomo avesse uno sguardo quasi da psicopatico negli occhi. Azrael dovette ammettere a sè stesso che il ragazzo dai capelli fulvi lo stava spaventando in quel momento, e lui era un angelo.
«Dobbiamo parlare io e te».
Detto ciò l’umano trascinò di forza l’angelo nel bagno e richiuse la porta alle loro spalle. Di certo lì nessuno li avrebbe disturbati. Magari Serena avrebbe fatto qualche battuta… Avrebbe fatto molte battute; si corresse Davide nei suoi pensieri; ma questo non gli importava: qua si stava parlando della felicità della sua Eva e gli sarebbe andato benissimo passare per uno che aveva appena fatto qualcosa di losco in un bagno.
Anche se Serena sapeva benissimo che lui era demisessuale come lui sapeva benissimo che lei fosse pansessuale.
Azrael finalmente si riprese dal mini rapimento di cui era stato vittima, si raddrizzò la schiena e incrociò le braccia. Per quanto amasse Eva, quella situazione lo imbarazzava molto.
«Di che cosa vuoi parlare?» Chiese, cercando di sembrare più temerario possibile.
Davide lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Lo sai benissimo». Gli rispose duro il fulvo.
«Eva».
«Vorrei sapere cosa c’è tra di voi». Lo corresse Davide appoggiandosi con le spalle alla parete e incrociando le braccia al petto.
L’Angelo fece un profondo sospiro prima di sedersi sul water chiuso e massaggiarsi il volto con le mani.
«Non c’è nulla tra noi». Disse l’uomo dai capelli neri, con tono tirato, dopo alcuni minuti di silenzio.
«Potrei essere rincoglionito - a far parte di questa famiglia lo si diventa a un certo punto che lo si voglia o no - ma non sono orbo, Azrael». Gli sibilò contro l’umano, guardandolo storto.
Azrael si morse il labbro inferiore agitato e distolse lo sguardo dall’uomo diritto.
In realtà l’angelo non sapeva esattamente che dire. Cosa c’era tra lui ed Eva? Nulla. O almeno, nulla che si fosse detto. C’era flirt, c’erano abbracci, c’erano baci casti sulla fronte e sulle guance. C’erano ancora notti in cui Azrael le dormiva accanto quando aveva ancora gli incubi. C’erano giorni in cui lei si distanziava, come se avesse paura che rimanendo vicino a lui avrebbe fatto un passo di cui si sarebbe pentita.
«Mettiamola così», gli cercò di spiegare, «da parte mia c’è qualcosa. Forse non l’ho detto ad Eva a parole, ma glielo sto’ mostrando con i fatti e con la mia presenza.
«Da parte sua… Non lo so. A volte sembra che ci sia qualcosa, altre è come stare accanto a un blocco di ghiaccio».
Davide guardò le spalle dell’uomo abbassarsi sconfitte e comprese quello che stava succedendo.
Ho una sorella particolarmente idiota. Pensò Davide.
Era da quando Thomas l’aveva tradita con la sua ex-migliore amica che sapeva che Eva aveva iniziato ad avere problemi di fiducia verso gli altri esseri umani.
Quando pochi mesi prima gli aveva detto che, finalmente, dopo anni, aveva fatto amicizia con un piccolo gruppo di ragazzi universitari ne era rimasto estremamente felice. E, doveva ammetterlo, anche quando aveva presentato i due fratelli come suoi coinquilini aveva pensato che finalmente Eva era tornata a fidarsi degli altri.
Non era così, a quanto pareva.
«Sai come è finita la storia con il suo ex?» Gli chiese dopo che furono rimasti in silenzio per lunghi minuti. L’altro lo fissò un attimo e scosse la testa.
E ovviamente ‘Va non gli raccontato nulla! Argh! Io la strozzo, anche se è mia sorella e le voglio bene.
«Dopo quasi un anno di relazione lui ha tradito mia sorella con quella che lei pensava essere la sua migliore amica». Gli rivelò, nascondendo le mani nelle tasche dei jeans.
Azrael a quelle parole sentì una strana rabbia crescergli dentro. Come aveva usato quel ominide a tradire Eva?! Come aveva potuto tradire una ragazza così perfetta e pura?!
Ma la rabbia sciamò via quando il suo cervello comprese ciò che Davide stava cercando di fargli capire.
«Ha paura». Dichiarò, cercando di capire se aveva interpretato bene il messaggio che il fulvo stava cercando di far passare. «Eva ha paura che io la possa tradire come ha fatto il suo ex».
Davide non disse nulla, semplicemente annuì con il capo.
 

» Angolo Autrice «

E quando si poteva postare un capitolo con questo titolo se non durante Pasquetta? XD Devo ammetterlo, il livello di sarcasmo di questa coincidenza ha spaventato anche me!
Ma veniamo alle cose serie! Finalmente la famiglia Rossi conosce i due angeli! È la prima volta che scrivo un intero capitolo con così tanti personaggi da dover manovrare, e anche se a volte l'ho trovato particolarmente frustrante è stato divertente.
E FINALMENTE sono arrivatu Helel e Rena
<3 <3 La mia ship preferita <3 Ho aspettato così tanto di scrivere di loro due che quasi mi sono commossa quando li ho fatti incontrare. Che ne sarà di loro? Abbiamo capito che Helel è cotto, ma Rena?
Ed Azrael come si comporterà ora che sa la verità su Thomas?
Non dimenticatevi però di Eva! Come andrà il colloquio con suo padre? Giacomo la incoraggerà a mettersi  in gioco o la proverà a persuaderla di buttare fuori casa i nostri amati angioletti?
E non vi sembra che manchi una figura demoniaca da un po'?
Se siete curiosi di come continuerà la storia, continuate a leggere!
Se vorrete lasciare una recensione, non mi offendo mica!
Al prossimo capito,


Axel Knaves

P.S. Buon pesce di Pasqua, in ritardo e buona Pasquetta! Mi raccomando: mangiate come se non ci fosse un domani! :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** [12]» Demolire casa, una passione «[12] ***





[12]» Demolire casa, una passione «[12]

 

3rd POV - Helel

Appena padre e figlia furono usciti dalla stanza, il Diavolo e le due donne iniziarono a sparecchiare. Solo al terzo giro di piatti sporchi che portava in cucina, Helel si accorse che suo fratello e il fratello di Eva erano scomparsi.
«Sapete dove sono A e Davide?» Chiese.
Cecilia era l’addetta al lavandino, Serena all’asciugatura dei piatti ed Helel sarebbe diventato l’addetto al mettere al loro posto ogni singola cosa asciugata appena avrebbe finito di portare nella stanza i piatti sporchi.
«Credo che Davide stia tenendo il discorso da “fratello maggiore” ad Azrael». Gli rispose Serena mentre stava asciugando un bicchiere.
«Non vorrei mai trovarmi nei suoi panni», borbottò l’uomo dagli occhi chiari.
Se Davide era solo un decimo spaventoso quanto Eva da arrabbiato; sperava solo di rivedere il fratello tutto intero.
«Io non vorrei mai trovarmi nei nostri», lo corresse Serena. «Conoscendo Davide, avrà avuto la brillante idea di occupare il bagno con Azrael». Sentenziò scocciata, prendendo il piatto bagnato che le stava offrendo la madre.
«Perchè? Avresti voluto occuparlo tu con Azrael?»Chiese beffardo il Diavolo.
Helel non lo avrebbe mai rivelato ad alta voce, ma frustare una ragazza dal carattere così forte gli provocava una piccola punta di piacere.
A Serena quasi scivolò il piatto dalle mani a quell’affermazione. E non perché si vergognass, ma per via del suo cervello che, sì l’aveva immaginata nel bagno dell’appartamento, però non in compagnia di Azrael, ma dell’uomo che aveva davanti in quel momento.
E in comportamenti molto compromettenti, a cui sua madre sarebbe potuta svenire.
«È per caso gelosia quella che sento?» Chiese lei, di rimando, mentre sentiva le guance diventare bordeaux.
Fu il turno di Helel di diventare un peperone ambulante.
Se una cosa avrebbe dovuto imparare, dopo aver bruciato la padella preferita di Eva, era che giocando con il fuoco ci si può scottare.
«Nei tuoi sogni», sbottò, facendo ridere Serena sotto i baffi.
Cecilia, che nel mentre era rimasta in silenzio, ascoltando l’interazione dei due, aveva un sorriso ebete in faccia.
Non era mai capitato che qualcuno, al di fuori della loro famiglia, riuscisse a far alterare così tanto la figlia minore. La donna aveva la sensazione che i due giovani, conosciuti oggi, sarebbero entrati a far parte della loro famiglia in non molto tempo.

3RD POV - GIACOMO

Eva ebbe una scarica di brividi appena suo padre propose di fermarsi a parlare nel parco giochi vicino al suo appartamento.
Giacomo era un paio di passi davanti alla donna, eppure anche lui riusciva a percepire il disagio che sua figlia stesse provando in quel momento.
Questo lo preoccupò.
Seppur tutti e tre i suoi figli erano cresciuti diventando persone dal carattere forte, Eva era sempre stata quella con il carattere più caparbio.
Aveva sempre avuto la testa dura come il marmo e davvero poche volte permetteva che le emozioni si mettessero in mezzo alle sue decisioni.
Il padre guardò la figlia da oltre la spalla e sentì il cuore stringersi alla visione che aveva di fronte: Eva era pallida come un lenzuolo e le mani le stavano tremando.
«Eva?» Chiese preoccupato. Che cosa era successo in quel luogo da mandare in panico la figlia?
La ragazza deglutì rumorosamente e fissò il padre con uno sguardo di puro panico. Anche se aveva passato l’ultimo mese ad allenarsi, Eva si rese conto che non aveva ancora affrontato pienamente il  trauma di quella notte.
Essere di nuovo lì le aveva fatto crollare tutti i muri che si era creata per proteggersi.
Essere di nuovo lì le aveva ricordato quanto in realtà fosse debole.
Giacomo tolse ogni distanza che lo divideva dalla figlia appena vide le lacrime accarezzarle le guance, in un attimo Eva fu avvolta nelle braccia forti di suo padre mentre i singulti le facevano sussultare in modo scomposto le spalle.
Tutte le sensazioni che aveva provato quella sera tornarono in lei come se fosse ancora lì.
La gioia che si era trasformata in panico, il panico che era mutato nella paura della morte. La speranza e la sollevazione che aveva causato l’apparizione di Azrael.
«Ssshhh». Le sussurò il padre, mentre le accarezzava i capelli e la dondolava per calmarla. «Eva tranquilla. Ora va tutto bene. È tutto passato».
«Pa-Papà ho...» Sniff. «Avuto co-così ta-tanta paura». Balbettò lei tra le lacrime e Giacomo si pietrificò all’idea di cosa poteva essere successo in quel parco alla sua bambina. Di come qualcuno l’avesse potuta toccare come non si dovrebbe mai toccare una persona.
L’uomo sentì come gli occhi iniziavano a inondarsi di lacrime solo all’idea e d’istinto strinse Eva ancora di più contro di sè.
«Ci sono qua io ora, Eva», le disse con tono spezzato, «nessuno ti potrà più toccare».
Eva non seppe per quanto pianse, ma finalmente a un certo punto le sue lacrime decisero di placarsi e dare tempo al suo corpo di calmarsi.
Quando Giacomo si fu assicurato che la figlia avesse ripreso un certo contegno, si andarono a sedere sulle panchine che erano a pochi passi da loro.
Per qualche minuto tutto ciò che ci fu tra loro fu un silenzio pieno di domande da parte di Giacomo e di risposte che Eva non voleva dare.
«Va bene se non vuoi raccontare ciò che è successo». La tranquillizò il padre ed Eva si sorprese nel scoprire che riusciva a sorridere, toccata dall’apprensione del padre.
«Quasi successo, fortunatamente Azrael è intervenuto in tempo». Corresse lei.
Giacomo si trovò a guardare la figlia di sottecchi.
«Non ti preoccupare, anche lui prova lo stesso».
Eva scattò dritta e guardò il padre a occhi sgranati, totalmente rossa in faccia. I suoi sentimenti per l’angelo della Morte erano davvero diventati così espliciti, che anche suo padre se n’era accorto? E se se ne fosse accorto anche Azrael?! Sperava proprio di no!
«Cosa vorresti intendere con ciò?» Chiese lei, guardando ovunque meno che al padre. Cercando di giocare la carta della finta tonta.
Giacomo dovette sopprimere una risata e scosse la testa. Davvero sua figlia credeva che lui non la riuscisse a leggere come un libro aperto? Aveva solo un dubbio che gli dava fastidio.
«Dimmi solo che non ti sei dichiarata a quel ragazzo - che anche un cieco vedrebbe che è innamorato di te - perché vuoi essere sicura dei tuoi sentimenti; e non per quello che Thomas ti ha fatto passare tanto tempo fa».
A quella richiesta Eva si morse con forza il labbro..
Anche se continuava a ripetere a se stessa che era proprio quello il motivo per cui era rimasta in silenzio su i sentimenti, che aveva iniziato a provare per Azrael; sapeva che la realtà era tutt’altra: la paura che si ripetesse ciò che anni prima era successo con Thomas, era ancora molto forte.
Giacomo comprese dalle dita della figlia, che avevano iniziato a muoversi come se stesse avendo degli spasmi, che il suo timore era ben fondato. Sospirò, era proprio vero quello che gli ripeteva Cecilia: i suoi figli, avevano sì, ereditato il suo carattere forte; ma il pacchetto aveva anche compreso la sua stupidità.
Per un momento, l’uomo, però, rivide il sé stesso più giovane nella donna che era seduto accanto a sé. Anche lui, proprio come Eva, aveva avuto paura di dichiararsi a Cecilia - seppur anche i muri sembravano comprendere che alla donna lui interessasse - e, proprio come stava capitando in quel momento, c’era voluto suo fratello per comprendere che stava facendo una stupidata a stare zitto solo per paura.
L’uomo di mezz’età sorrise alla figlia che ancora stava evitando il suo sguardo.
«Quanto ti fa felice Azrael?» Chiese, pronunciando le stesse parole che suo fratello gli aveva pronunciato molti decenni prima. Se Matteo fosse stato ancora in vita sarebbe sicuramente stato fiero di lui.
Eva lasciò andare il labbro inferiore dalla morsa in cui l’aveva rinchiuso e finalmente tornò a guardare il padre. Lo guardò negli occhi e lì vide la serietà con cui le era stata imposta quella domanda; ordinandole tra le righe di rispondere solo con la verità e non ciò che lei voleva far credere a sé stessa.
«Più di quanto abbia mai immaginato che una persona potesse farmi essere». Dichiarò grattandosi la nuca, imbarazzata a dire quella piccola verità davanti al padre.
«E vuoi davvero rinunciare a quella felicità per paura e per un’idiota come Thomas?» Continuò il suo ragionamento Giacomo, avvicinandosi a Eva. «Ma soprattutto; sei sicura che lui - disse appoggiando l’indice sopra il cuore di lei - riuscirebbe a sopravvivere se la paura ti lasciasse scappare quel ragazzo?»

EVA’S POV

Dire che la visione al mio ritorno fu sorprendente, sarebbe davvero poco.
Io e mio padre eravamo rimasti nel parco per quasi due ore a parlare dopo il mio attacco di panico; all’inizio di Azrael ed Helel, ma poi il discorso era facilmente divagato su come andava la mia carriera universitaria, a come era difficile gestire Serena senza me o Davide nei dintorni o semplicemente a come le ultime ricette di mamma non erano venute proprio appetibili come lei sperava.
C’era un motivo se il cuoco principale di casa era sempre stato mio padre.
Di certo non avremmo mai immaginato di tornare alla situazione che ci si presentò.
«Arrendetevi!» Stava urlando mia sorella dietro a un fortino creato con il divano e i suoi cuscini. «Ormai non avete scampo!» Continuò mio fratello prima di uscire allo scoperto per tirare un pennarello al secondo fortino presente nella stanza, creato dalla due poltrone rimanenti.
Dietro a quest’ultimo vi erano nascosti i due angeli con cui dividevo l’appartamento, che si stavano stringendo l’un l’altro cercando di mettere al riparo anche gli altri che uscivano ai lati.
«Non ci arrenderemo mai!» Urlò contro i miei fratelli Helel, prima di prendere il pennarello che gli era appena atterrato accanto e lanciarlo all’indietro senza neanche prendere la mira; sperando ovviamente di prendere il bersaglio.
«Credo di aver appena capito cosa si prova ad avere figli». Dissi ancora immobile a mio padre che si era fermato accanto a me; anche lui ovviamente sorpreso della situazione. «Ho deciso che non ne avrò mai uno mio». Aggiunsi.
«Oh! Giammy, Eva, siete tornati!» Esclamò mia madre, spuntando dalla cucina.
La guardai un attimo strabiliata a vedere come la situazione attorno a lei sembrava non darle fastidio; poi mi venne in mente che aveva cresciuto me, Davide e Serena sotto uno stesso tetto… Era decisamente abituata a peggio.
Mio padre si riprese, si avvicinò a mia madre e le diede un bacio a stampo.
«Era da un po’ che non tornavo a casa per trovare il finimondo». Le disse divertito mio padre. «Quasi direi che mi mancava come situazione».
«Anche a me ha fatto tornare in mente molti ricordi». Concordò mia madre, guardando un attimo la guerra di pennarelli che era ancora in corso. «Mi sembra passato un secolo dall’ultima volta che abbiamo dovuto riprendere i nostri figli per aver rotto qualcosa mentre stavano facendo la lotta e non solo un paio di anni!»
A quell’affermazione sentii le guance tingermisi di rosso per l’imbarazzo: mi ricordavo bene di ogni singolo oggetto prezioso che avevamo rotto facendo gli idioti tra noi, in casa… Questo comprendeva un vaso originario cinese, un albero di natale e un intero presepe fatto di statue da venti centimetri.
«Ecco la principessa!» Urlò Davide riportandomi al presente. La testa mi scattò nella sua direzione e vidi il suo indice indicarmi.
Oh, ti supplico no…
«Chi la riuscirà a rapire per primo avrà vinto!»
Io lo uccido prima o poi…
In un attimo mi ritrovai davanti tre uomini che correvano verso di me a tutta velocità. Grazie all’allenamento a cui mi ero sottoposta per tutto quel mese riuscì ad evitare agilmente sia Davide che Helel; ma non fui abbastanza veloce da evitare Azrael che mi avvolse le braccia attorno alla vita e, alzandomi di qualche centimetro da terra, fece aderire la mia schiena al suo petto scolpito.
«AH-AH!» Urlò rivolto a Davide. «Abbiamo vinto noi!»
«Noooooo!» Pianse, per finta, Davide iniziando a battere il pugno a terra. «Come sono riuscito a farmi soffiare così Eva dalle mani?»
Alle nostre spalle potevo benissimo sentire Serena ridere a crepa pelle.
Cercai di rimaner seria ma non riuscii a trattenermi dal sorridere e dall’iniziare a ridere a tutta la scena che si era venuta a creare.
Però la vita non è mai quella camminata in un prato pieno di margherite che tutti vorremmo, no?
Ci fu solo un istante di tensione, un solo istante in cui percepii che le cose stavano per mettersi male, prima che una manciata di demoni irruppe nel mio appartamento sfondando le finestre della sala alle spalle di Serena.
Tre si lanciarono contro me, Azrael, Helel e Davide; uno contro i miei genitori e uno contro mia sorella.
Bastarono quei pochi secondi per far scattare i due angeli e me.
Azrael mi lasciò andare, lanciandomi verso i miei genitori, così da poter attaccare uno dei tre demoni che ci avevano caricato, mentre Helel si occupava del secondo; così che non arrivassero a Davide.
Io feci volare attraverso un muro il demone che stava cercando di attaccare i miei genitori, prima che il terzo diavolo che aveva attaccato me e i due angeli mi placcasse a terra.
L’istinto e la memoria muscolare presero il controllo del mio corpo e in pochi secondi - grazie a tutto ciò che Mikael mi aveva insegnato - ero riuscita a divincolarmi da sotto al diavolo, mettendogli un piede sul torace e utilizzando un’onda d’energia per farlo volare via.
Mi riuscì appena a rimettermi in piedi quando un secondo demone mi si avventò contro. Saltai all’indietro evitando per un soffio che un pugnale infernale mi perforasse il collo.
Fu in quel momento che l’urlo di terrore di Serena invase l’appartamento.
Serena… Non c’era nessuno vicino a lei in grado di aiutarla! Il terrore mi bloccò sul posto. Il demone di fronte a me se ne accorse e ne stava per approfittare quando…
«NON OSARE NEANCHE SFIORARE SERENA CON UN DITO!» Il ringhiò di Helel fu seguito da un’onda di energia così potente che mise fuori gioco tutti i demoni in un unico colpo e mi fece quasi perdere l’equilibrio.
Anche se ancora non ero proprio certa che il demone ai miei piedi fosse inerme, guardai cosa stava succedendo alle mie spalle: Azrael era in piedi davanti a un Davide ancora raggomitolato a terra, di fronte a loro un demone K.O.; Helel, invece, si stava dirigendo nella direzione di mia sorella, calpestando con tutti i suoi poteri il demone che aveva cercato di ucciderlo, facendo scoppiare il corpo in una nuvola di cenere grigia.
Il Diavolo percorse in pochi secondi la sala e, dopo aver fatto scoppiare in cenere il demone che sovrastava mia sorella, strinse il corpo tremante e ferito di Serena al suo petto; così da assicurarsi che stesse bene e cercare di calmarla.
Mia sorella scoppiò a piangere neanche qualche secondo dopo, preda inerme di un attacco di panico.
Guardai allora in che stato erano i miei genitori e li trovai seduti a terra, schiena contro alla parete, mentre mio padre stringeva forte le braccia intorno a mia madre, che gli stava piangendo contro al petto.
«Cos’è appena successo?» Chiese la voce tremante di Davide alle mie spalle. «Cosa sono quei mostri? Cosa siete voi? COSA AVETE FATTO AD EVA?!»
Azrael sospirò intensamente prima di uccidere il demone che aveva di fronte dandogli una tallonata in volto.
«Vi spiegheremo tutto con calma, ma prima devo fare una cosa importante». Gli rispose l’Angelo della Morte, come se quello a cui avevano appena assistito non fosse nulla di che.
Azrael si avvicinò a me e mi fissò intensamente negli occhi.
«Stai bene?» Mi chiese e io riuscii solo ad annuire; ancora incapace di capacitarmi dell’ira che aveva pervaso Helel all’urlo di mia sorella.
«Sei stata splendida». Aggiunse e mi diede un bacio in fronte. Al contatto delle sue labbra sulla mia pelle riuscii finalmente a rilassarmi un poco.
Infine l’angelo si staccò da me e si inginocchiò sul demone ai miei piedi, prima di iniziare a prendere a schiaffi il corpo inerme finché il mostro in rosso non si fu ripreso.
«Ora ascoltami bene, demone inferiore», minacciò con un tono profondo, freddo e calcolatore. Il demone che stava cercando di divincolarsi dalla mano che lo teneva per il collo si fermò a quell’ordine. «Adesso t–» Cercò di dirgli il giovane angelo, ma il fratello maggiore gli sfilò il demone dalle mani.
Helel alzò al di sopra della sua testa il demone, stringendogli la gola, così che le punte dei piedi penzolanti erano ben lontani dal suolo.
«Ritorna con quel sacco di merda sopravvissuto a Corte», sibilò ogni parola con un odio e una rabbia che mi fecero accapponare la pelle. Quello non era Helel, quello che avevo davanti era il Diavolo; gli occhi iniettati di sangue e l’aria di pericolo che lo circondava ne erano chiari indizi.
«E dì ad Erezel di non provare mai più a toccare questi umani, oppure potrei distruggere l’intero Inferno da solo pur di ucciderlo».
Il demone iniziò ad annuire freneticamente.
«MI HAI CAPITO?»
«S-S-Sì, mio Sire!» Rispose con voce roca e priva di ossigeno il demone, ormai completamente spaventato a morte.
Helel lo lasciò andare.
Il demone si accasciò per qualche secondo a terra, tossendo e recuperando un po’ di ossigeno; poi si avvicinò al corpo ancora inerme del secondo superstite e in un attimo entrambi sparirono dalla nostra vista.

3rd POV

«SONO STATI GLI ANGELI!» Urlò Erezel alla massa di demoni che si era raggruppata davanti alle porte della Corte demoniaca.
Quando i due superstiti erano tornati alcune ore prima riferendogli tutto ciò che era successo, il demone, ora a capo dell’Inferno, aveva compreso che quella era la pedina che stava aspettando da qualche tempo ormai.
Così aveva mandato a chiamare tutti i demoni del suo regno, per finalmente mettere in moto il suo piano. Non c’era voluto molto perché anche i demoni ancora leali ad Helel cadessero nella trappola e credessero che l’umana fosse un angelo che aveva preso il controllo del loro Sire per conto di Gavriel e Mikael.
«HANNO PRESO IL NOSTRO SIRE COSÌ DA POTER AVER IL CONTROLLO ANCHE SUL NOSTRO REGNO!» Continuò. «E VOI VOLETE LASCIARGLIELO FARE?»
«NO!» Gli rispose la massa demoniaca all’unisono.
«COSA FAREMO ALLORA?»
«INVADEREMO IL PARADISO!»
«COSA FAREMO?»
«INVADEREMO IL PARADISO!»
«CHI È CON ME?»
La folla gli rispose con urla innaturale e mostruose, segno che i demoni erano pronti per la guerra.
Ed Erezel era finalmente pronto a compiere la sua vendetta e prendere il potere su tutti e tre i regni celesti.
Tridel guardò la folla esultare alla dichiarazione di guerra che Erezel aveva appena concluso, con uno sguardo disgustato. Era arrivato che anche lui, proprio come Helel, abbandonasse l’Inferno. Doveva avvisare immediatamente Mikael di ciò che stava succedendo.
Senza essere notato sparì in uno schiocco di dita, sperando di essere in tempo per riuscire a fare la differenza.
 

» Angolo Autrice «

A chi era mancato il nostra caro e vecchio Erezel? A me sinceramente non più di tanto.
Quando la situazione sembrava essersi finalmente tranquillizzata ecco che i demoni tornano di nuovo all'attacco e questa volta cercando di attaccare non solo Eva, ma anche la sua famiglia.
Cosa succederà ora? Erezel avrà ciò che vuole oppure Tridel arriverà in tempo?
Per saperlo dovrete semplicemente aspettare il prossimo capito!
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Lasciate un commento (e fatemi sapere dove faccio orripili errori, vi supplico e cercherò di rimetterli a posto) o iniziate a seguire la storia!
Al prossimo capitolo,


Axel Knaves

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** [13]» Demoni a domicilio «[13] ***




[13]»
Demone a domicilio «[13]

 

3rd POV

«C’è stato un altro attacco?!» Chiese Gavriel, quasi urlando dall’agitazione a sua sorella minore che era seduta dall’altro lato della scrivania.
«Sì», gli confermò lei, «alcuni demoni sono entrati di forza nell’appartamento di Eva cercando di attaccare lei e la sua famiglia. Fortunatamente Eva, A ed Hel erano in casa e sono riusciti ad eliminare la minaccia prima che qualcuno rimanesse ferito».
La donna dai capelli bianchi sospirò mentre suo fratello si massaggiava le tempie cercando di contenere il mal di testa che sentiva stare per nascergli.
«Perciò ora dovremmo estendere la protezione anche ai genitori e ai fratelli di Eva?» Chiese Gavriel.
«Sarebbe opportuno farlo». Annuì Mikael. «Da quanto mi ha detto Hel, Eva non ha voluto cancellare la memoria ai suoi famigliari: quindi sanno bene che rischio corrono».
L’uomo albino alzò un sopracciglio.
«E i genitori di Eva non hanno avuto nulla da ridire sul fatto che loro figlia conviva con la Morte e il Diavolo?» Chiese perplesso.
Mikael fece un sorriso tirato.
«Hel mi ha spiegato che all’inizio, ovviamente, non erano a favore della cosa; ma dopo che i tre gli hanno spiegato il perché debbano vivere insieme, sembra che siano diventati un attimo più accondiscendenti».
Il fratello maggiore annuì leggermente, comprendendo la situazione, e si rilassò un poco sapendo che i fratelli erano al sicuro dall’ira di due genitori umani; che effettivamente spaventavano di più di un’orda di demoni.
Ma non per quello il suo cervello aveva smesso di elaborare teorie su ciò che era il piano di Erezel. Infatti l’angelo sapeva bene che il demone, ora a comando dell’Inferno, aveva qualche asso nascosto nella manica; conosceva il demone ed era sicuro che per tutto ciò che faceva c’era un doppio fine. E i continui e costanti a tacchi a Eva Rossi non erano da meno; solo non era riuscito a comprendere quale fosse il piano generale.
«Signore!» Esclamò una delle guardie del Palazzo Celestiale entrando nello studio senza nemmeno bussare. L’abino guardò la guardia, vestita con un’armatura bianca e argentata, con occhi truci: odiava gli angeli con poche buone maniere.
«Spero che sia un’emergenza, da cui dipenda la mia stessa vita, che l’ha portata ad entrare nel mio studio senza annunciarsi», disse lentamente, «non le piacerebbero le conseguenze se no».
La guardia deglutì rumorosamente spaventato solo all’idea di essere il soggetto dell’ira dell’angelo superiore.
«Abbiamo trovato un demone che si stava cercando di infiltrarsi nel palazzo»; disse allora la guardia celeste, conquistando l’attenzione dei due. «E anche dopo l’interrogatorio tutto ciò che pronuncia è il nome della Divina Mikael».
La donna dai capelli bianchi sgranò gli occhi, l’immagine di una certo demone senza corna vivida nella sua mente.
«Ha qualche tratto particolare questo demone?» Domandò visibilmente agitata, dopo essere saltata in piedi e avvicinata alla guardia; quest’ultimo iniziò a sudare freddo, rendendosi conto di aver fatto probabilmente l’errore più grande della sua carriera.
«S-Sì», si trovò a balbettare, la gola improvvisamente secca. «Non ha le corna».

Mikael stava percorrendo per l’ennesima volta lo studio di Gavriel da cima a fondo, mentre suo fratello era seduto alla scrivania, una mano che gli copriva gli occhi.
Tridel.
Quel nome era il pensiero principale della donna.
Il cuore impazziva solo al pensiero del demone. Erano passati secoli dall’ultima volta che l’aveva incontrato, ma sapeva benissimo che i suoi sentimenti non erano cambiati di una sola virgola da quel giorno.
Perché Tridel era quella persona di cui Mikael si era innamorata e sempre ne sarebbe rimasta.
Come aveva spiegato poco tempo prima ad Eva, gli angeli si potevano innamorare solo una volta e quell’amore sarebbe stato eterno.
Lei, ovviamente, si era innamorata del migliore amico di suo fratello; che di fatto era per metà demone. Quando si diceva un amore impossibile.
L’unica cosa che preoccupava Mikael, oltre che le condizioni di salute del demone albino, era l’idea che Tridel in quei secoli in cui non avevano potuto avere contatti avesse trovato una compagna.
Finalmente, dopo quello che ai due fratelli albini parvero secoli, la porta dell’ufficio si aprì ed entrarono due guardie che trascinavano di peso, ognuna con un braccio sotto ad un’ascella del demone, il corpo tumefatto di Tridel.
Il cuore di Mikael perse un battito a quella visione: cosa avevano fatto al suo Tridel?!
Gavriel guardò con occhi sgranati le due guardie mentre facevano inginocchiare a forza il demone, già distrutto fisicamente, davanti a loro con un colpo di lancia; prima di mettersi sull’attenti.
L’albino sentì un’ira quasi demoniaca scorrergli nelle vene mentre il corpo gli iniziava a tremare per cercare di contenersi.
«Andatevene immediatamente e lasciate qui il demone». Disse con voce baritonale l’arcangelo stringendo i pugni; cercando di non aggredire le due guardie ed ucciderle. Come avevano osato dei sudici angeli minori toccare la sua famiglia?!
I due angeli, improvvisamente bianchi, corsero fuori dallo studio a grandi falcate. Mai avevano udito il Divino Gavriel utilizzare un tono così profondo e mai avrebbero voluto sentirlo una seconda volta; se avessero minimamente saputo quanto erano andati vicino alla morte.
Tridel era stanco.
Non sapeva dove le guardie lo avessero portato, un occhio era gonfio mentre l’altro era iniettato di sangue rendendogli impossibile vedere ciò che gli stava attorno, a parte figure sfocate; sperava solo che non lo avessero portato in un’altra sala delle torture.
Sentiva che il suo corpo era arrivato al limite della sopportazione, non c’era un centimetro della sua pelle rossa che non gli doleva. Sapeva, inoltre, di avere alcune fratture gravi alle costole, mentre nelle gambe e braccia aveva solo dei muscoli stirati e delle giunture dislocate. Dall’orecchio destro non ci sentiva più da ormai un paio di giorni e aveva tutta l’impressione che gli era anche sanguinato per del tempo.
Tridel vide una figura totalmente sfocata inginocchiarsi davanti a lui e allungare la mano verso di lui; aspettandosi un impatto violento, il demone chiuse di scatto gli occhi ma si sorprese quando il tocco delle dita femminili sulla sua guancia fu gentile.
«T-Tridel...» La figura sfumata disse in un sussurro con il tono rotto dalle lacrime, che quasi l’orecchio buono del demone non colse.
Il demone sentì tutte le sue barriere frantumarsi a quella voce che avrebbe riconosciuto ovunque. Anche se gli occhi gli bruciavano per le ferite, il giovane non riuscì a bloccare le lacrime che erano finalmente riuscite a sgorgare dai suoi occhi dopo giorni di tentennamenti.
«Mik-Mikael». Mugugnò lui tra i singulti e in pochi secondi le braccia di lei furono attorno alle sue spalle, gentili; Tridel si aggrappò ai vestiti di lei e nascose il volto nei folti capelli bianchi inspirando quel profumo che dava senso alla sua esistenza.
Gavriel dovette mordersi un labbro per non scoppiare anche lui a piangere alla scena che aveva davanti.
Lui l’aveva sempre saputo che i due giovani si piaceva ben al di là dell’amore fraterno ed era stato il primo a contrastare i genitori quando avevano deciso di mandare Tridel con Helel.
Aveva già visto come Mikael e il mezzo demone si appartenessero, a dispetto della diversa specie - o al fatto che loro Padre non avrebbe mai accettato che fosse Tridel il padre dei suoi nipoti - e non voleva che sua sorella dovesse sopportare di vivere lontana dall’unica persona che riuscisse davvero  a farla sentire felice.
Ma Padre e Madre non lo avevano minimamente ascoltato e gli avevano lasciato il lavoro peggiore di tutti: raccogliere i pezzi rotti del cuore della sorella.
Perché la verità era una sola: per quanto Mikael fosse forte, anche lei aveva un cuore, dei sentimente e poteva rimanere ferita.
I tre, troppo presi del maremoto di emozioni a cui era soggetti, non si accorsero del rumore di tacchi a spillo sul marmo fin quando la porta dello studio di Gavriel si aprì e ne entrò una donna che i due angeli non vedevano da molto tempo: Malika, loro madre.
La donna dai capelli neri, lunghi e ondulati, e gli occhi dello stesso colore, era stata avvisata immediatamente dalle guardie che suo figlio aveva richiesto che gli venisse portato il demone che era stato fatto prigioniero qualche giorno prima.
Ora ne comprendeva il motivo: non era un demone quello che era stato catturato e seviziato, era Tridel  quello che lei considerava come il suo quinto figlio. Stringendo la maniglia della porta così forte da quasi romperla, Malika decise che sarebbe andata a fare un visita “amichevole” agli angeli minori che si occupavano dei prigionieri appena avrebbe finito di parlare con i suoi figli.
«Madre?» Chiese tra il dubbioso e il perplesso Gabriel asciugandosi velocemente quelle poche lacrime che gli avevano bagnato gli zigomi.
Anche Mikael era rimasta sorpresa nel vedere la donna, che gli aveva dati alla luce, entrare nello studio; però, a dispetto di suo fratello, il volto le si contrasse in una smorfia di odio e involontariamente strinse più forte a sé Tridel.
Da quando secoli prima Malika aveva mandato Tridel insieme a Helel all’Inferno, Mikael non aveva più avuto un buon rapporto con la madre. Si era aspettata, all’epoca, che sua madre sarebbe stata la prima a comprendere cosa avrebbe provato se le avesse tolto l’unico essere che sarebbe stata in grado di amare, ma così non era stato, la donna non aveva voluto sentire nessuna delle cose che il giovane angelo avrebbe voluto che lei comprendesse e aveva, in pratica, esiliato il demone senza corna.
Malika notò immediatamente lo sguardo che la giovane donna le stava rivolgendo e sentì il cuore rompersi ancora di più. Sapeva benissimo che quello che era stata costretta a fare secoli prima era imperdonabile; eppure aveva dovuto farlo per il bene della figlia.
Se loro padre avesse mai scoperto i sentimenti che erano iniziati a farsi evidenti tra l’angelo e il demone, a Tridel sarebbe aspettato un fato ancora peggiore.
Questo non toglieva che Malika si sentisse ancora di più in colpa vedendo il modo in cui la figlia stava stringendo al suo petto Tridel; come a difenderlo da quello che lui considerava come una madre.
«Le guardie sono venute subito ad avvisarmi di quanto stesse accadendo dopo che hai chiesto che un prigioniero fosse portato nel tuo ufficio». Spiegò Malika a suo figlio maggiore, sapendo esattamente che domande gli stavano passando nella mente, per poi avvicinarsi alle altre due persone nella stanza.
Mikael sentì le lacrime di rabbia e di paura segnarle le guance, mentre stringeva ancora di più - come se fosse possibile - Tridel al suo petto. Il petto le scoppiava allo stesso tempo di rabbia repressa verso sua madre e ciò che le aveva fatto passare mandando Tridel all’Inferno insieme a Helel; ma le scoppiava anche di paura pensando che sarebbe tutto potuto accadere ancora una volta.
Tridel aveva riconosciuto la voce di Malika subito, avrebbe potuto riconoscere anche da sordo la voce di sua madre, eppure non si era sentito felice come aveva sempre pensato che sarebbe stato a incontrare di nuovo la donna; tutto al contrario: la prima emozione che Tridel provò a sentire quella voce fu panico; panico di essere di nuovo separato da Mikael.
Quando l’angelo guerriero lo strinse ancora di più a se, Tridel si aggrappò con tutte le sue forze alla maglia di lei: non voleva che quel momento finisse mai.
«Mikael», disse Malika con voce debole, dopo essersi inginocchiata davanti ai due e aver poggiato la mano su quella della figlia, «lascia che lo aiuti».
Gavriel, da dove era rimasto, potè benissimo vedere il senso di colpa dipinto negli occhi neri della madre e l’indecisione di Mikael a lasciare Tridel nelle mani della donna.
Con un sospiro, sperando che questa volta le due donne sarebbero riuscite finalmente a mettere da parte i loro risentimenti, decise di intromettersi.
«Mikael», chiamò e la sorella si voltò verso il fratello, «lascia che Madre si occupi di Tridel, sai benissimo anche tu che è la migliore guaritrice dei quattro Regni. Ti prometto che non lascerà questa stanza con Tridel». Aggiunse e vide come le spalle della sorella finalmente si rilassarono, mentre loro madre lo guardava con uno sguardo pieno di gratitudine e lacrime trattenute.
Mikael dopo ancora un attimo di indecisione lasciò andare il demone che amava.
Gavriel aiutò sua madre ed insieme adagiarono il giovane demone sul divano bianco che si trovava contro la parete.
«Mi-Mikael». Biascicò il demone appena sentì di essere stato coricato su una superficie confortevole. In pochi istanti l’uomo dalla pelle scarlatta sentì una mano stringere la sua.
«Sono qui», lo tranquillizzò la voce di Mikael, «non ti lascio andare».
Malika si mise subita all’opera e i due figli non poterono che sentirsi orgogliosi della madre quando, in pochi minuti, aveva finito di curare le feriti gravi del demone che per lei era come un quinto figlio.
Gavriel, notando il fiatone e la fronte imperlata di sudore di sua madre, fece comparire una sedia dal nulla e aiutò la donna, dai tratti simili ad Azrael, a sedersi.
Tridel, con l’aiuto di Mikael, che finalmente riusciva a vedere nitidamente, si mise seduto sul divano; l’angelo guerriero occupò immediatamente il posto accanto al suo e gli strinse la mano.
Tridel la guardò ed ebbe un’improvvisa voglia di piangere.
Mikael… Era bellissima, con i capelli bianchi e gli occhi del colore opposto; la forma minuta ma i muscoli tonici. L’aveva lasciata che era una stupenda giovane donna, ma ora non poteva più mentire sulla sua bellezza neanche per scherzo.
Tridel senza accorgersene alzò una mano e la portò al volto della donna, per poggiarla sulla sua guancia per accarezzare la pelle perfetta.
Mikael guardò Tridel negli occhi e si morse il labbro inferiore per non scoppiare a piangere. Quella piccola carezza aveva distrutto l’ultima sua difesa e ora il suo corpo e le sue azione erano sovrastate da una valanga di sentimenti che aveva trattenuto per troppo tempo.
«Ehm». Si schiarì la gola Gavriel, che si stava iniziando a sentire in imbarazzo davanti alla scena. «Lo so che vorreste saltarvi addosso e fare un bambino, ma credo che prima Tridel dovrebbe spiegare perché abbia deciso di tornare in Paradiso», disse facendo arrossire i due piccioncini, «poi vi prometto che vi lasciamo la stanza». Aggiunse subdolo solo per vedere la sorella arrossire ancora di più ed iniziare a tossire per la saliva che le era andata di traverso.
Tridel ritirò la mano dalla guancia della donna che stava per tossire fuori anche un polmone e posò lo sguardo sulla donna che considerava una madre e sull’angelo albino che considerava un fratello maggiore.
«Hai ragione Gavriel», disse, «è meglio spiegarvi il perché della mia apparizione improvvisa».

Il clima dello studio era radicalmente cambiato.
Malika guardava un punto imprecisato del muro, nessuno dei presenti stava comprendendo quanto in colpa si sentisse in quel momento: era colpa sua se stava accadendo tutto ciò… Eppure sapeva che non si stava sentendo in colpa abbastanza; una parte di lei era felice poiché il suo piano aveva funzionato… Ma aveva avuto delle ripercussioni…
Gavriel, che si era seduto a un certo punto del racconto, aveva le mani in mezzo ai capelli e stava fissando il pavimento non credendo a ciò che stava sentendo.
Quel bastardo di Erezel! Era tutto ciò che riusciva a pensare. Lo uccido ancora prima che riesca a venire fuori dal buco in cui si trova. Non toccherà mai la mia famiglia o quella di Eva!
Mikael, che era sconvolta quanto il fratello, era seduta in grembo a Tridel mentre il demone l’abbracciava e le cercava di donare un minimo di conforto.
«Come fermiamo l’ondata di demoni che sta per arrivare?» Chiese Mikael, rompendo finalmente il silenzio che aveva iniziato a perforare i timpani di Tridel.
«Non lo so», disse sincero Gavriel. «Senza Helel ed Azrael davvero non lo so».
Gavriel era senza speranza, per la prima volta si sentiva sconfitto prima ancora di aver combattuto. Ma senza Azrael a guidare i mietitori ed Helel a far ragionare una parte di demoni, non sapeva davvero come avrebbero potuto fare.
«Ci deve pur essere un modo!» Esclamò esasperato Tridel. Aveva dovuto subire giorni di tremenda tortura per finalmente essere lì ad avvisare Gavriel e Mikael! Non accettava che i due si arrendessero ancora prima di aver sguainato le loro spade.
«Sì», la voce di Malika fece voltare i tre verso di lei, «un modo c’è». Rispose e si alzò. «È il momento di riportare a casa i vostri fratelli». Aggiunse.
Gavriel guardò lo sguardo della madre cambiare per un secondo in senso di colpa e una strana sensazione gli fece stringere la bocca dello stomaco.
Cosa hai fatto mamma?

 

†Angolo autrice†

Non so chi sia ancora in ascolto, o chi è rimasto in attesa di un aggiornamento... A chiunque sia dico grazie e ribadisco il concetto che non ho lasciato questa storia incompleta per nulla, infatti ho già pronti altri due capitoli che verranno pubblicati a breve.
Dove sono stata per tutti questi mesi? La realtà è che ho avuto un sacco di problemi familiari e universitaria che mi hanno visto spendere più tempo di quanto ne ho (per chiarire anche ora sono in depravazione da sonno XD). Ma ora ho risolto la maggior parte sia degli uni, sia degli altri e sono indietro.
Il blocco dello scrittore che mi ha assalito per il capitolo 15 (che avrò riscritto una cosa come 15 volte) si è arreso e finalmente sono riuscita a concludere anche quello.
Spero propio che non capiti più nulla da qua alla fine della storia.
Grazie a tutti quelli che sono rimasti e a tutti quelli che rimarranno da qui in avanti.
So che il capitolo non è un granché ma siamo vicino a un punto di svolta della storia e devo introdurre al meglio le mie ultime pedine ;)
Al più presto,
vostra,

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** [14]» Batto le mani, schiocco le dita «[14] ***




[14]» Batto le mani, schiocco le dita «[14]

 

EVA’S POV

La prima cosa che vidi appena aprii gli occhi furono i tratti netti, ma allo stesso tempo dolci, di Azrael.
L’Angelo era sdraiato su un fianco accanto a me, sveglio. Un braccio era intrappolato sotto la mia testa, costretto a fare da cuscino; la mano libera, invece, mi stava accarezzando lentamente i capelli.
Gli occhi erano concentrati a studiare ogni centimetro del mio volto, come se il giovane angelo stesse cercando di imprimersi nella mente ogni singolo particolare, e le labbra erano distorte in un sorriso che lasciava trapelare l’affetto che l’angelo provasse nei miei confronti.
Non era insolito che mi svegliassi a quella vista: da quando ero stata aggredita nel parco giochi, una sera sì e l’altra pure, non riuscivo a dormire a causa degli incubi. Dopo aver scoperto che l’unico modo di farmi dormire era quello di rimanermi accanto tutta la notte, Azrael aveva iniziato a controllare che dormissi ogni sera e se vedeva che stavo avendo un incubo si metteva sotto le coperte con me e mi abbracciava fino al mio risveglio.
«Un altro incubo». Dissi, sfregando gli occhi per scacciare il sonno. La mia non era stata una domanda, la presenza dell’angelo non poteva significare nient’altro.
L’uomo dai capelli e occhi scuri annuì semplicemente dopo che il sorriso che aveva fino a poco prima si fu trasformato in una smorfia di dispiacere.
Sospirai. Quando se ne sarebbero andati?
Azrael, senza dire una parola, fece aderire le sue labbra alla mia fronte per poi cingermi la vita con il braccio libero e stringermi a sé, nascondendo il volto nei miei capelli.
«Non preoccuparti degli incubi», mi disse nell’orecchio mentre il suo respiro sul collo mi fece venire brividi e pensieri poco casti. «Ci sarò sempre io qua a proteggerti».
Risposi all’abbraccio stringendomi ancora di più, se possibile, contro il petto vestito di lui, cercando di nascondere le lacrime che avevano deciso di bagnarmi le pupille.
«Che ore sono?» Chiesi, cambiando argomento mentre mi crogiolavo nel petto ampio dell’angelo e cercavo di non pensare a certe cose che si sarebbero potute fare in un letto con un’altra persona.
Il suo odore di fresco e limone riusciva o a mettere pace a ogni molecola del mio corpo, facendomi quasi dimenticare dei pericoli che correvo ogni volta che uscivo dal mio appartamento, o semplicemente riusciva a mandare in subbuglio ogni singolo ormone nel mio organismo lasciandomi imbarazzata dei miei stessi pensieri ed istinti.
«Cinque alle dieci». Mi rispose lui, il respiro che continuava a solleticarmi il collo non era di certo di aiuto alla mia mente appena svegliata.
Cercai di calmarmi pensando a quanto Azrael mi stava scompigliando i capelli e a quanto ci avrei messo a pettinarli da lì a pochi minuti.
Era una cosa odiosa avere i capelli ricci a volte.
«Ugh». Mi lamentai. «Tra poco Hel ci verrà a chiamare. Non voglio alzarmi».
«Il solito bradipo». Ridacchiò lui nei miei capelli.
«Parla l’orso perennemente in letargo». Risposi ruotando gli occhi al cielo.
«Allora dovresti stare attenta», disse e sentii il suo sorrisetto beffardo contro il mio orecchio, «potrei mordere se mi svegliassero». Aggiunse con un tono tutt’altro che ingenuo e sentii le guance diventare rosse miserabilmente per colpa di tutte le immagini che mi avevano occupato la mente.
Per la barba di Odino!
Se questa situazione fosse andata avanti il mio cuore non sarebbe stato in grado di reggere ancora per molto.
«Ehi piccioncini annidati!» Arrivò l’urlo di Helel dalla cucina. «È ora di svegliarsi! E se non siete fuori da quella stanza in cinque minuti vi vengo a tirare io giù dal letto: nudi o no!»
Mentre il petto di Azrael iniziò a vibrare della sua risata, le mie guance divennero ancora più rosse di prima e una strana voglia di nascondermi sotto il letto, mi assalì improvvisamente.
«Dai vado», disse Azrael, «così intrattengo Hel mentre tu puoi andarti a lavare». Mi baciò la fronte ed in un istante fu fuori dalla stanza.
Rimasi ancora qualche minuto sdraiata tra le coperte a contemplare l’odore dell’angelo che era rimasto intrappolato tra le fibre di cotone. Quasi mi spaventai di me stessa quando compresi come quel piccolo gesto fosse diventato parte della mia routine mattutina.
Sentendomi a un bivio tra l’essere una maniaca e una pervertita mi alzai, con il volto per l’ennesima volta in fiamme quella mattina, e mi fiondai in bagno dove mi attendeva una bisognosa doccia fredda.
Quando i capelli furono ben impregnati di acqua chiusi il rubinetto e iniziai a massaggiare la cute con lo shampoo. La mia mente si rilassò sotto i continui movimenti circolari e in un batter d’occhio fui riportata all’incursione che era avvenuta il week-end precedente.
Ma a dispetto di ciò che pensavano tutti quest’ultimo attacco non mi aveva spaventata, anzi aveva solo fatto nascere in me un’immensa furia rivolta verso il demone di nome Erezel, che i miei coinquilini mi avevano spiegato essere l’artefice di tutto.
Questo demone non aveva semplicemente cercato di uccidere me, aveva cercato di uccidere la mia famiglia.
Aveva cercato di toccare quell’idiota di Davide, aveva quasi aggredito mia sorella e aveva quasi preso le vite di entrambi i miei genitori in un unico istante; davanti ai miei stessi occhi.
Dalla gola mi nacque un ringhio che lasciai uscire e dovetti dare un pugno contro le piastrelle della doccia per calmare la furia omicida che mi era salita addosso.
Non ero sicura di come il futuro stesse messo per me e i due angeli con cui abitavo; ma di una cosa ero certa: avrei ucciso Erezel con le mie stesse mani, mai ne avessi avuto l’occasione.
Riaprì il rubinetto e, mentre l’acqua batteva persistente contro la mia pelle, la mente mi tornò alla sera dell’attacco, a come quel singolo evento avesse affetto la mia famiglia in modo irriparabile…

Mi accorsi di star involontariamente muovendo la gamba a causa dell’ansia quando Azrael mi mise una mano sul ginocchio, così che il tallone rimanesse incollato al tappeto.
Eravamo seduti tutti attorno al tavolo della cucina; mia madre, mio padre e Davide di fronte a me, Azrael alla mia destra ed Helel - che aveva in grembo mia sorella e le cingeva gentilmente la vita con un braccio - alla mia sinistra.
Anche se l’angelo della morte, che ora mi stava offrendo un sorriso di incoraggiamento, aveva riparato l’intero salotto con uno schiocco di dita avevamo deciso di spostarci in cucina.
A dispiacere di mio padre e mio fratello, Serena non aveva dato neanche l’impressione di volersi allontanare dal Diavolo e quando quest’ultimo l’aveva fatta sedere sul suo grembo, lei non aveva obbiettato.
Mia madre era bianca quanto la tovaglia della tavola, lo stesso valeva per Davide. Anche se mio padre aveva di nuovo un colore roseo in faccia, le sue spalle erano innaturalmente rigide e nel collo si potevano benissimo vedere le vene fuori uscire.
Erano già passati una decina di minuti da quando ci eravamo seduti al tavolo e avevo finito di spiegare chi fossero in realtà Helel ed Azrael e come fossimo finiti a vivere insieme.
Il silenzio che si era creato mi stava uccidendo lentamente.
«Ci stai dicendo che loro sono il Diavolo e la Morte?» Chiese finalmente mio padre, anche se il suo tono era basso, cupo, quasi un ringhio.
«Sì». Pigolai, abbassando il capo e trovando stranamente interessanti le punte delle mie scarpe.
«E che non è la prima volta che sei aggredita?» Chiese ancora.
«Sì». Ripetei.
Il mio cervello quasi non comprese ciò che successe in seguito alla mia risposta. Un attimo prima mio padre era seduto composto di fronte ad Azrael, l’attimo dopo era in piedi, busto allungato sul tavolo, con le mani avvolte attorno al colletto dell’angelo della morte.
«È COLPA VOSTRA!» Stava urlando a squarcia gola. «EVA È LA MIA BAMBINA! MALEDETTI MOSTRI!»
In un attimo fui in piedi, le mani che tentavano di dividere mio padre dal mio coinquilino mentre mia madre e Davide cercavano di tirare in dietro mio padre.
«Giacomo!» Stava urlando mia madre, scioccata dal comportamento del marito.
«LA VITA È QUELLA DI MIA FIGLIA!»
«Papà lascialo andare!» Cercò di ordinargli mio fratello.
«Non è colpa loro!» Esclamai strattonando un polso di mio padre con tutta la forza che avevo, riuscendo finalmente a dividerlo dal colletto di Azrael.
«No», la voce ferma e profonda di Azrael fece zittire tutti. «Ha ragione tuo padre».
Tutti gli occhi erano puntati sul ragazzo dagli occhi neri, pieni di rimorso in quel momento.
Azrael, che fino a quel momento non aveva mosso un dito sotto la morsa di mio padre, si mise dritto e con estrema facilità liberò la maglietta dal pugno stretto di mio padre, per poi sistemarsi il capo di abbigliamento.
Dopo di che l’angelo si voltò verso di me e fece sì che le mie mani scivolassero via dal polso di mio padre.
«Una figlia non dovrebbe mai usare la sua forza fisica sul proprio padre a causa di un estraneo». Disse, rivolgendomi un piccolo sorriso.
«Tuo padre ha ragione». Ritornò poi al discorso originario, senza staccare gli occhi dai miei. «È colpa nostra se sei stata attaccata tutte queste volte...»
«A...» Cercai di interromperlo, ma il suo sguardo intenso mi disse che era meglio tacere.
«Anche se non è colpa nostra l’essere bloccati in questa casa e l’essere legati a te; è colpa nostra l’esserci affezionati così tanto a te da renderti un bersaglio per i nostri nemici».
Azrael si fermò un attimo, avvolgendomi il viso con le sue mani ampie per potermi asciugare le lacrime che non mi ero accorta di star versando.
Infine tornò a guardare mio padre che, seppur ancora alterato, aveva superato la fase omicida.
«Ma al cuore non si può comandare». Continuò l’angelo della morte e sentii le sue mani lasciare il mio volto per andare a stringere le mie. «Non volevamo mettere in pericolo vostra figlia, ma Eva è una ragazza straordinaria, era impossibile non affezionarsi. Ci rendiamo conto della situazione in cui si trova ora per colpa nostra… Ma posso promettervi che non dovete temere nulla: pur di proteggerla saremmo disposti a morire».
Sentii nuove lacrime bagnarmi il volto a quelle parole e, cercando di trattenere i singulti, strinsi la mano di Azrael provando a trasmettergli tutti i sentimenti che provavo per lui con quell’unico gesto; l’angelo me la strinse a sua volta.
Non ero mai stata amata in quel modo, con tale lealtà e non ero sicura se potevo amarlo nello stesso modo. Ero sicura, però, che ci volevo provare.

Quando entrai in cucina trovai i due fratelli seduti al tavolo, uno di fronte all’altro, che si contemplavano con sguardo truce; in mezzo a loro, sul tavolo, un piatto con un singolo pancake.
Non ho ancora abbastanza caffè in circolo per affrontare certe cose. Pensai comprendendo che stava per scoppiare una mini terza guerra mondiale nella mia cucina.
«Prima che litighiate: mi sto per fare dei pancake, ne devo fare anche per v—», mi voltai così da guardarli in faccia: entrambi i fratelli erano in piedi, forchetta contro forchetta, mentre l’ultimo pancake stava roteando per aria.
Con una lentezza assoluta vidi il pancake essere richiamato a terra dalla forza di gravità fino a posarsi sul mio zaino, abbandonato il giorno prima vicino alla porta della cucina.
«Seriamente ragazzi?!» Esclamai, scocciata.
I due angeli abbassarono lentamente le forchette e si rimisero seduti, il capo chino.
«Scusa Eva». Dissero in coro.
Scossi la testa e tornai verso i fornelli.
«Come vi stavo chiedendo prima: mi sto mettendo a fare altri pancake, ne volete?» Chiesi mentre tiravo fuori la farina dalla dispensa, imprecando che questa casa fosse costruita per giganti.
«Sì, grazie». Rispose Helel, stavo aspettando la risposta di Azrael, mentre mi allungavo verso il barattolo dello zucchero, quando una mano da dietro di me lo prese al posto mio.
«Ho mai detto di no a del cibo?» Mi chiese l’uomo dagli occhi neri contro l’orecchio.
Involontariamente trattenni il fiato alla vicinanza dell’angelo, sperando che quest’ultimo non sentisse gli urli di disperazione dei miei ormoni.
«Vorrei fare colazione senza vomitare arcobaleni, Azrael». Interruppe, per piacere delle mie ginocchia che erano  a qualche secondo dal cedere rovinosamente, la voce dell’angelo più anziano dal tavolo.
Azrael sbuffó e si allontanò da me, lasciandomi finalmente respirare come Ra comanda. Presi un bicchiere d’acqua e bevvi, cercando di calmarmi.
«Parli, parli», sentii il fratello minore riprendere quello maggiore, «ma se ci fosse qui Serena faresti la stessa cosa».
Io e Helel avemmo la stessa reazione: il liquido che stavamo bevendo ci andò di traverso e iniziammo a tossire in modo così violento da sputare ovunque sulla cucina e sul tavolo.
«Azrael!» Urlò disperato Helel, incrociando i miei occhi quando mi girai per trovare una spiegazione al commento.
«Cosa c’entra mia sorella in tutto questo ed Helel cosa le vorrebbe fare?!» Esclamai sconcertata da tutto ciò che il mio cervello stava pensando.
Helel mi guardò, bianco in volto, con la tazza di caffè a mezz’aria tra il tavolo e la sua bocca. Senza battere ciglio o staccare gli occhi da me, il Diavolo alzò lentamente il braccio e schioccò le dita.
Per un attimo la mia vista fu totalmente oscurata e tutto ciò che riuscii a vedere furono le tenebre, l’attimo successivo mi ritrovai con i piedi sul tappeto del corridoio del mio piano e gli occhi incollati al numero inchiodato alla porta del mio appartamento.
Il mio cervello riuscì a connettere cosa era appena successo solo quando il lungo sospiro di Azrael, alla mia destra, mi riportò alla realtà: Helel ci aveva appena teletrasportati fuori dal mio appartamento.
Guardandomi le gambe notai come fossi in pigiama… Non esattamente liscia come il culetto di un bambino.
«Oh, merda!» Esclamai prima di lanciarmi sulla maniglia della porta, cercando di aprire il meccanismo che mi avrebbe portato alla salvezza. «Dai! Dai! Dai! Apriti! Apriti! Apriti!»
«Eva lascia perdere, non la puoi aprire da fuori», mi disse l’angelo della morte. «Quel coglione ha eretto una barriera magica lungo il perimetro di tutto l’appartamento; neanche io posso entrare».
Sentii le lacrime di panico pungermi gli occhi mentre incrociavo lo sguardo con le iridi nere di Azrael.
«Non sono proprio presentabile, devo ritornare in casa». Disse lentamente, i nervi tesi e gli occhi sempre più sgranati.
«Eh?» Mi chiese semplicemente lui, con un’espressione da bamboccio.
Chiusi gli occhi e cercai di trattenermi dallo sbattere ripetutamente la testa contro la porta mentre piangevo.
Perché gli esseri maschili più stupidi li devo tutti incontrare io? Mi chiesi disperata.
«A», dissi espirando lentamente, cercando di non sfogare su di lui il panico che mi stava viaggiando tra le vene, «sono in pigiama e non sono esattamente depilata». Sibilai l’ultima parola e gli feci cenno con la testa alla mie gambe.
«Ah!» Esclamò senza particolare perturbazione, dopo aver guardato dove stavo indicando. «Tutto qui il problema?»
Lo guardai esterrefatta e con la bocca aperta, letteralmente.
Ma io lo uccido, per Anubis.
«Uff». Sbuffò lui prima che potessi completamente reagire. «A volte voi donne siete davvero incomprensibili!» Aggiunse scuotendo la testa e schioccando le dita.
Un brivido mi percosse la schiena e il momento successivo mi ritrovai addosso una maglia e un paio di jeans strappati, il cappotto e le all star ben allacciate.
E… Quasi svenni quando lo notai: non avevo più neanche un pelo.
«Ma... Cosa...»
«Va bene così, giusto?» Mi chiese allora l’angelo che avevo di fronte. Alzai lo sguardo su di lui e trovai che anche lui era cambiato in una maglietta e un paio di jeans, la sua solita giacca in pelle era sganciata.
«Tu… Che...» Scossi la testa per riattivare i neuroni. «Mi hai appena fatto una ceretta istantanea e indolore con uno schiocco di dita?» Chiesi ancora scioccata dalla scoperta.
L’angelo fece spallucce e poi si diresse verso le scale. Quando notò che ero ferma, si voltò nuovamente verso di me.
«Ho scelto qualcosa di sbagliato?» Mi chiese. «Forse la maglietta non ti piace?»
«Azrael...» Dissi lentamente, la vena sul lato destro della fronte mi stava pulsando incontrollabile.
«E… Va?» Vidi il ragazzo muoversi indietro di qualche passo, ovviamente spaventato dall’aura assassina che stavo emanando.
«Azrael mi stai dicendo che per mesi mi hai sentito urlare di dolore in bagno, mentre facevo la ceretta, quando avresti potuto farmela tu in qualsiasi momento istantaneamente e indolore
«Mi metto a correre?» Chiese lui avvicinandosi ancora di più alle scale del palazzo.
«VOLA!» Urlai prima di corrergli dietro.
Adesso gli faccio sentire io cos'è una vera ceretta, bastardo di un angelo!

 

†Angolo Autrice†

Ebbene sì! Nuovo capitolo pubblicato dopo così poco tempo! Sono felicissima di essere riuscita a pubblicarlo proprio oggi, perché oggi è una giornata importante: ebbene oggi è il compleanno della mia Beta <3 Quella ragazza che ha sofferto con me ogni singolo blocco dello scrittore, ma che non si è mai persa d'animo e mi ha continuato ad incitare ricordandomi come gli mancassero i miei personaggi e le loro disavventure!
Quella ragazza speciale oggi compie vent'anni e credo che dedicarle questo capitolo sia il minimo che io possa fare.
Ti voglio bene A <3
Ma ritornando a cose serie! Capitolo 14, filler che serve per gettarci finalmente nella parte finale della storia! Prossimi capitoli credo siano tra quelli più lunghi di tutta la storia e sicuramente quelli che terranno tutti voi sulle spine.
La storia sta voglendo verso la sua fine e non so quanto io sia pronta. Il capitolo 16 è stato scritto e in quattro o cinque capitolo la storia arriverà al suo termine.
Spero che abbiate la voglia di rimanere con Azrael, Eva ed Helel fino alla fine, perché io non vorrò proprio mollare.
Alla prossima!

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** [15]» Appuntamenti (quasi) perfetti «[15] ***




[15]» Appuntamenti (quasi) perfetti «[15]

 

3rd POV

L’angelo e la ragazza si fermarono dall’inseguirsi solo dopo l’intervento di un poliziotto. Infatti Azrael per evitare le ire della donna, che lo aveva quasi raggiunto - purtroppo l’angelo non poteva definirsi uno dei migliori corridori dei quattro regni - si era arrampicato su un albero; lasciando la giovane a terra ad urlargli contro, attirando attenzioni indesiderate.
Era stato dopo un quarto d’ora di insulti e minacce di morte e torture che il poliziotto si era materializzato alle spalle della giovane. Eva era diventata paonazza alla presenza dell’uomo e aveva dovuto spiegargli perché lei stava urlando profanità a un ragazzo aggrappato a un ramo, come se da esso ne dipendesse della sua vita.
Il poliziotto aveva aspettato che scendesse anche il ragazzo, così da sentire anche la suo versione dei fatti; poi, non ancora fidandosi, aveva preso le credenziali della ragazza dicendole che l’avrebbe tenuta d’occhio.
Abuso psicologico e fisico. Lo aveva definito l’agente.
Fortunatamente Azrael aveva aspettato che l’agente se ne andasse prima di iniziare a ridere di cuore della discussione a cui aveva appena assistito.
Eva sbuffò, ovviamente offesa, incrociò le braccia ed incominciò ad allontanarsi dall’angelo che stava ridendo ridendo istericamente. Azrael si ricompose e guardò la figura femminile che si stava allontanando da lui, non potendo trattenersi dal mordersi le labbra mentre scrutava le anche della ragazza muoversi in modo melodico.
Magari non era stato programmato e magari suo fratello aveva agito d’impulso, spinto dalla paura delle ire della loro coinquilina, qualora avesse intuito cosa il Diavolo provava per la -troppo- giovane Serena, ma doveva ammettere che doveva un Hamburger a quell’idiota.
Il giovane non riuscì a trattenere un sorriso sornione dal formarsi in volto: finalmente poteva uscire da solo con Eva e magari riuscire a far comprendere alla giovane che  i suoi sentimenti non erano causati solo da un bisogno fisico, quanto da una dipendenza emotiva della sua presenza.
Azrael si riscosse dai suoi pensieri e corse dalla donna, prendendo il suo ritmo di camminata.
«Che si fa ora?» Chiese l’angelo, infilando le mani nei jeans. Eva sbuffò.
«Non lo so», rispose lei, esasperata. La mattina era iniziata da neanche un’ora e già era stanca. «Per quanto tempo Hel terrà innalzata la barriera, secondo te?»
Azrael fissò lo sguardo su alcune luci di Natale di un negozio, che andava ad intermittenza, per qualche secondo prima di scrollare le spalle.
«Non lo so», disse onesto, «anche se in parte divenuto umano, Hel è sempre molto potente e non si stanca facilmente mentre usa i suoi poteri».
«Perfetto». Disse in tono acido la donna. Comprendeva perché Hel si era chiuso in casa loro a barriere alzate: per Afrodite! Se fosse solo entrata in quell’appartamento avrebbe iniziato a torturare il Diavolo per sapere che cosa voleva fare alla sorella.
E non era cieca. Aveva benissimo visto che tra il Diavolo e Serena era scoccato qualcosa appena si erano incontrati, ma aveva sperato che Helel avesse la compiacenza di aspettare ancora qualche anno prima di provarci apertamente con la sua sorellina. Era ancora una bambina per tutti gli Dei!
«Proveremo a tornare in dietro quando non vorrò più ucciderlo». Aggiunse, mentre continuavano a camminare per il marciapiede, evitando abilmente gli altri pedoni che stavano correndo per andare a fare le ultime compere delle festività. «Per il momento dob-»
Eva arrossì di colpo mentre il gorgogliare del suo stomaco coprì il suo timbro di voce. Azrael sorrise alla faccia imbarazzata della ragazza e decisa che era suo dovere salvarla da quella situazione.
«Il tuo stomaco ha deciso: centro commerciale per una bella colazione!» Esclamò lui, prendendo lei per mano e trascinandola verso la fermata dell’autobus più vicina.
La ragazza si riprese dall’imbarazzo e guardò sconvolta l’angelo, senza staccare le loro mani.
«Vuoi dirmi che hai ancora fame?!» Chiese in shock.

«Ecco a voi.» Disse il cameriere, con indosso una camicia nataliazia, appoggiando l’ordine dei due giovani sul tavolo che li divideva.
Anche se Eva aveva cercato di contrattare con Azrael che non avevano soldi con loro o che lei non aveva fame, il suo stomaco l’aveva tradita ogni volta che aveva provato a parlare durante il tragitto sul mezzo pubblico; facendo ridere sempre più l’angelo.
Alla fine erano arrivati al centro commerciale e l’angelo della morte, dopo averla tranquillizzata che i soldi li aveva presi su lui, l’aveva trascinata verso la prima tavola calda per fare colazione. O per lui una seconda colazione, come continuava a fargli notare la ragazza.
«Grazie mille». Rispose Eva con un sorriso al signore di quarant’anni che li aveva appena serviti.
L’uomo brizzolato chinò il capo e poi tornò al suo lavoro, lasciando i due a mangiare i loro pancakes.
Per quanto Eva avesse cercato di non farsi trascinare lì, appena i suoi denti affondarono in quei pancakes - ritenuti i migliori in città - dovette trattenere dei versi molto poco consoni e molto rating diciotto, chiudendo gli occhi.
Azrael, che in quel momento non aveva ancora messo in bocca il proprio boccone, si ritrovò pietrificato a vedere quella reazione da parte della ragazza. Ci mise un attimo a iniziare a pensare di nuovo con il cervello del nord e cercare di contenere il pensiero che voleva essere lui a farle avere quell’espressione e a farle emettere certi versi animaleschi.
«Per Anubis!» Esclamò Eva. «Credo di star vedendo il paradiso».
L’angelo si riempì la bocca e comprese che sì, la ragazza aveva ragione: quel cibo era estremamente buono.
«Cosa pensavi di fare quando avevamo finito qua?» Chiese il ragazzo, cercando di avviare una conversazione. Non sapeva perché ma all’improvviso si sentì agitato all’idea di essere fuori da solo con Eva, come in un appuntamento.
«Non so», rispose lei, tagliando un altro pezzo di pancakes. «Di solito vengo qua quando ho solo una lista della spesa o qualcosa di preciso da comprare. È da un po’ che non ci vengo per divertimento».
«Ugh...» Arricciò il naso lui, preso un attimo in contro piede. «Beh dovremo trovare qualcosa da fare, allora...» Rise nervosamente, grattandosi la nuca.
Azrael dovette ammettere almeno a se stesso che era nel panico. Cosa si faceva in un appuntamento? Sempre che per entrambi quello fosse un appuntamento. E se lo era solo per lui? E se Eva in realtà non provava le stesse emozioni che lui provava per lei, ma provava solo affetto fraterno?
L’angelo stava per entrare in un turbine di domande infinite, ma per fortuna venne salvato dalla risata del signore che stava al tavolo accanto al loro.
«Caro!» Lo rimproverò la moglie, dandogli una manata leggera sul braccio. «Non ridere di quel povero ragazzo quando tu al nostro primo appuntamento sei stato anche peggio!»
Eva si pietrificò e sentì le guance diventare rosse. La donna in rosso gli aveva appena scambiati per una copia? O Dei! E se quel commento avesse dato fastidio all’angelo? Perché alla fin fine lei era solo… Beh… Lei, mentre lui era un angelo che avrebbe potuto avere tutte le ragazze che voleva. Eva tentò un’occhiata al suo compagno e si stupì a trovare anche lui tutto rosso in faccia.
«Non esagerare, non era stato così disastroso!» Si difese l’uomo brizzolato.
«Ci siamo ritrovati in pronto soccorso perché volevi farmi vedere che eri superiore a Nicola Sesto e ti sei rotto una caviglia!» Gli ricordò lei.
Eva non riuscì a trattenere un sorriso dall’apparirle in volto alla vista della coppia. Erano una coppia sulla quarantina, lei dai capelli castano chiaro, il corpo tenuto in forma da un costante allenamento; lui dai capelli brizzolati, la barba appena accentuata e asciutto. Nessuno poteva non dire di vedere come l’amore tra i due fosse presente e pimpante.
«Okay, sì, forse non ero la persona più intelligente in circolazione quando avevo vent’anni», acconsentì lui - al quale lei rispose con un borbottato: «Perché ora sei intelligente?» - «però tu sei ancora qua accanto a me dopo vent’anni, per cui mi sento in obbligo di aiutare un giovane ragazzo che si sta facendo prendere dal panico del primo appuntamento».
Quindi l’uomo si voltò verso Azrael e gli disse una semplice parola: «Arcade». La moglie si coprì la faccia per la stupidità del marito, come poteva essere ancora sposata come uno scemo del genere?
Per il resto della colazione né Azrael né Eva parlarono, troppo imbarazzati per chiedere quella stessa domanda  che stava girando nel cervello di entrambi. Fu solo dopo che furono usciti dalla tavola calda che l’angelo ne ebbe abbastanza delle sue stesse titubanze.
O la va, o la spacca. Pensò prima di aprire bocca.
«Eva», disse richiamando l’attenzione della ragazza che stava intensamente fissando le sue scarpe. Eva alzò lo sguardo e per un attimo gli venne il dubbio che Azrael stesse male: era rigido, tutto rosso e tremava un poco.
«Vabeneseconsideroquestocomenostroprimoappuntamento?» Sputò fuori lui tutto d’un fiato.
«Eh?» Chiese Eva, che davvero non aveva capito cosa il ragazzo aveva cercato di domandarle, sentendosi una completa rincoglionita.
Come sono arrivata fino all’università è un mistero. Pensò.
«Va bene se considero questo come nostro primo appuntamento?» Ripeté lui, ancora più rosso di prima.
Ed eccola, la domanda che Eva aveva avuto paura di porre da quando la coppia sposata aveva parlato con loro, era ora stata fatta.
La ragazza si morse un labbro e annuì: «Solo se posso considerarlo tale anche io».
Un istante dopo Eva si trovò tra le braccia di Arzael e poté sentire come il cuore di lui stesse palpitando fortissimo. Entrambi, in quel momento, seppero che non avrebbero mai rimpianto quel momento. Mai
La mattina passò, così, velocemente per la coppia.
Seppur non era cambiato molto nel loro rapporto visto all’esterno, entrambi sentivano come se adesso esistesse un filo indissolubile che li teneva legati.
Era una strana sensazione ed entrambi faticavano a descriverla a parole (tanto che non avevano chiesto l’uno all’altra se provavano la stessa cosa); era come se il loro affetto reciproco fosse stato dettato dal fato e ora, quest’ultimo, li aveva legati per sempre.
Passarono una buona parte delle due ore seguenti a ridere e a raccontarsi aneddoti della loro infanzia che erano rimasti taciuti in tutti quei mesi, seduti su una panca del centro commerciale.
Azrael amava sentire le (dis)avventure di Davide, Eva e Serena durante le vacanze di famiglia, mentre Eva gli chiedeva quali erano le anime più strane che lui avesse mai incontrato.
«Credo che l’onore più grande sia stato prelevare le anime di Elvis e Michael Jackson». Le aveva rivelato lui.
Lei non ci aveva creduto e l’angelo aveva impiegato quasi mezz’ora a convincerla che stava dicendo la verità; oltre che raccontale come avevano reagito le due star della musica alla loro morte.
Quando si furono stancati di rimanere seduti, Azrael ascoltò il consiglio dello sconosciuto alla tavola calda e trascinò la donna dall’altra parte dello stabile.
Appena entrati nella sala giochi Eva era stata un attimo titubante: erano anni che non entrava in un arcade e anche se ai suoi tempi d’oro era stata abbastanza portata - alcune macchine della sala giochi della sua città natale avevano ancora registrato i suoi punteggi come record - era da anni che non si cimentava e quasi si sentiva un’estranea davanti ai pulsanti colorati.
Ma Azrael non voleva sentire nessuna lamentela: avrebbe fatto divertire Eva per tutta la mattinata prima di tornare a casa oppure non sarebbe stato soddisfatto di quell’appuntamento.
Fu così che l’angelo trascinò la ragazza vicino all’hockey su tavolo e le chiese di insegnargli.
A dispetto delle preoccupazioni iniziali della rossa, era ancora molto pratica dei segreti di una sala giochi e aveva stracciato l’angelo con cinque partite vinte e zero perse. Senza considerare la fragorosa risata che si era fatta quando per sbaglio il dischetto aveva colpito il ragazzo nelle parti intime.
Erano poi passati a un più classico Pacman dove, a sorpresa di entrambi, Azrael aveva quasi doppiato il punteggio della ragazza; facendo accendere un fuoco di sfida nella rossa che l’angelo non aveva mai sospettato potesse avere.
In questo modo l’angelo venne umiliato a Stepmania e la sala giochi vide un nuovo record da dover abbattere.
Avevano concluso il loro giro nell’arcade con una sfida a Donkey Kong, dove Azrael era riuscito a battere il punteggio di Eva di un singolo punto.
Essendo che la loro ardua guerra era finita in parità decisero che sarebbero dovuti tornare un altro giorno per decidere chi era il vero campione della Sala Giochi tra di loro.
Usciti dal regno degli Arcade Eva prese per il polso l’Angelo e lo trascinò in libreria, la donna non aveva fiatato ma quel giorno era uscito il nuovo libro della sua saga preferita e lei era intenzionata a comprarlo; anche se avesse dovuto lottare con le unghie e con i denti sarebbe riuscita ad averne una copia.
Quel libro lo aspettava ormai da qualche anno.
Azrael era rimasto spaventato a quella scena. Sapeva che Eva era una donna combattiva, non per altro teneva testa a sua sorella negli allenamenti, ma quello che aveva davanti agli occhi era una piccola reinterpretazione di un Black Friday.
«È la prima volta che vedi l’uscita di uno dei romanzi più aspettati dell’anno, vero?» Chiese un commesso fermandosi accanto a lui con un sorriso divertito in volto. Azrael riuscì semplicemente ad annuire, ancora  incapace di parlare.
«In realtà succede sempre tre o quattro volte l’anno», gli rivelò il commesso e l’angelo lo guardò scioccato, chiedendosi come fosse possibile che non fosse mai dovuto andare a prendere un’anima a uno di quegli eventi. «Tre o quattro volte l’anno?!»
Il commesso rise di gusto alla faccia di puro shock del giovane.
«Sì, qualche volte scappa anche qualche ferito». Disse con un tono dispiaciuto che fece scattare lo sguardo di Azrael dal commesso alla ragazza dai capelli rossi che stava ancora tentando di afferrare una coppia, quasi saltando addosso a un’adolescente.
«La rossa è la tua ragazza?» Chiese di punto in bianco il commesso.
Azrael annuì, non staccando gli occhi dalla donna.
Il commesso si morse un attimo le labbra. Dove ammetterlo, quando si era avvicinato all’uomo lo aveva fatto perché voleva provarci spudoratamente, non era tutti i giorni che un essere così celestiale entrava in libreria, ma quando aveva visto gli occhi pieni di preoccupazione per la ragazza dai capelli rossi… Beh, non ci voleva un genio per vedere quanto l’amasse.
Lanciando un altro sguardo, forse in qualche modo geloso, alla ragazza vide come non sarebbe riuscita, in nessun modo, a prendere una coppia del libro.
Pier, questo il nome del commesso, sospirò arrabbiato per aver così un buon cuore - o forse era l’aria natalizia che stava iniziando ad entrargli dentro - per poi fare una cosa che non era proprio autorizzata: sgusciò nel magazzino, prese una copia extra del libro, l’impacchettò e tornò dalla statua greca che stava ancora fissando la sua compagna.
«Tieni», gli disse Pier, dandogli la coppia del libro. Azrael guardò prima il libro impacchettato che gli era stato porto e poi il commesso con sguardo titubante.
«So come vanno queste cose», spiegò Pier, indicando con la testa le persone che stavano per finire le copie esposte. «La tua ragazza non riuscirà a prendere la copia che voleva, per cui tieni e falle un regalo di Natale in più, lo offre la casa».
«Ma–»
«Niente ma!» Lo interruppe Pier. «Prendilo e falla felice».
Azrael sorrise al ragazzo e prese il libro e la borsa regalo che il commesso gli stava offrendo.
«Grazie».
Pier chinò il capo e poi tornò alla cassa a dare una mano alla sua collega, che fortunatamente non aveva visto nulla.
Dopo pochi minuti un’Eva afflitta tornò verso Azrael.
«Ero a tanto così da prenderne una copia», disse lei avvicinando il pollice e l’indice, «ma quella milfona rifatta ci è arrivata prima di me». Sbuffò irritata.
Azrael nascose la borsa un poco e cinse con il braccio libero le spalle della ragazza.
«Dai, dai vedrai che verrai un altro giorno e lo riuscirai a prendere».
Eva sbuffò, ancora irritata, ma si lasciò trascinare fuori dalla libreria senza proteste.
«So esattamente cosa ti serve». Disse l’angelo appena furono fuori dall’attività e notò l’orario.
«Una spranga per rompere il naso a quella milfona rifatta?» Chiese lei speranzosa.
Azrael roteò gli occhi al cielo, Eva e Mikael stavano iniziando a passare davvero troppo tempo insieme.
«No, idiota». Disse lui con tono apatico. «Intendevo del cibo, è già l’una e mezza di pomeriggio».
Come se fosse stato richiamato a rapporto, lo stomaco di Eva si fece sentire in tutto il suo gorgogliare.
La ragazza avvampò. Stomaco traditore. Pensò.
Azrael ridacchiò e sospinse la ragazza verso il suo ristorante giapponese preferito.
Eva, seppur imbarazzata per uscite del suo stomaco, era felice. Quell’appuntamento si era rivelato molto meglio di un qualsiasi appuntamento che avesse mai avuto.
Azrael era stato perfetto, non aveva cambiato di una virgola il modo in cui si comportava con lei solo perché ora era consapevole dei sentimenti che lei provava per lui.
Era il solito stupido angelo che un momento primo le faceva venire voglia di fare cose over diciotto e un momento dopo le faceva voglia di dargli una spranga nei denti.
Se questo era il vero amore, doveva dire che non le dispiaceva affatto.
Ridendo di una battuta fatta dall’angelo, la coppia entrò nel ristorante con ancora il braccio di Azrael sulle spalle di Eva.
Purtroppo la risata di Eva gli morì in gola quando la coppia che era di fronte a loro smise di mangiarsi la faccia l’un l’altra e si voltò: Thomas e Irene.
«Porco Ra». Disse Eva mentre il braccio dell’angelo si fece più stretto attorno alla ragazza.
Azrael comprese subito chi fosse quello di fronte a lui dalla posa rigida che la donna che amava aveva preso. Era stato una notte della settimana successiva al primo attacco di Eva che Helel aveva sputato il rospo al fratello su quello che era successo nella gelateria del centro commerciale; subito, ovviamente, Azrael aveva quasi sgozzato Helel, poi ci aveva pensato e aveva compreso perché il fratello aveva fatto quello che aveva fatto. Inoltre gli tornò a galla la discussione che aveva avuto pochi giorni prima con Davide nel gabinetto di casa loro. Tutto portò ad un’unica conclusione: quello davanti a loro era l’ex di Eva.
«Eva!» Esclamò Thomas, come se fosse felice di vederla. La sua espressione brillante all’apparizione della donna aveva quasi fatto ringhiare Azrael. Come osava solo pronunciare il nome di Eva con tanta enfasi dopo tutto ciò che le aveva fatto passare?!
«A, per favore, andiamocene». La voce della ragazza era quasi un sussurro spaventato. Eva voleva essere ovunque meno che di fronte a quei due. Non riusciva a capire perché ma le sembrava una sensazione peggiore di quelle che aveva provato la notte del suo primo attacco.
Azrael stava per fare ciò che la ragazza le aveva chiesto quando la donna in biondo decise di parlare: «Amo conosci questa puttanella?»
«NON OSARE CHIAMARLA IN QUEL MODO ZOCCOLA!» L’urlo di Azrael era stato possente, pieno del suo potere, e tutti si erano zittiti all’interno del ristorante. Eva guardò Azrael toglierle il braccio dalle spalle e avvicinarsi predatorio ai due, la rossa dovette deglutire dall’agitazione: quello non era semplicemente Azrael quello era l’angelo della morte che stava discendendo su Irene.
«E perché non dovrebbe chiamarla per cosa è?» Chiese Thomas mettendosi tra Azrael e Irene. «Se non sbaglio tu chi sei il numero venti? Ma proprio tu, come me, sai che lei è solo un pit-stop: si usa per far benzina e poi si va alla me–»
CRACK
Fu questo l’unico rumore che si sentì nel ristorante prima che Thomas cadde a terra con il naso rotto mentre l’uomo dai capelli neri ritraeva il pugno e gli si inginocchiava accanto con un’espressione neutra, che fece spaventare ancora di più Thomas.
«Non osare mai più parlare, guardare o solamente pensare a Eva Rossi, lei appartiene a me». Ordinò l’angelo della morte per poi rialzarsi e voltarsi solo per scoprire che dove prima vi era Eva ora vi era solo aria.
«Merda!» Esclamò prima di correre fuori dal locale alla ricerca della donna.

EVA’S POV

Le lacrime si erano seccate sulle mie guance a causa del vento gelido. Non sapevo da quanto ero seduta alla fermata dell’autobus, apatica e vuota.
Potevano essere passati dieci minuti come mille anni, non mi sarei stupita. Sapevo che autobus erano arrivati e partiti per più e più volte; una signora vedendomi in lacrime mi aveva offerto un fazzoletto che avevo accettato ma che ancora giaceva nelle mie mani inutilizzato.
Quello che aveva detto Thomas era vero? Ero davvero un pit-stop e nient’altro?
Tutti i torti non li aveva… Bastava vedere la relazione con lui e con Jason come erano finite… E questo mi portava alla domanda che mi stava spaventando più di tutte… Anche per Azrael ero –
«Eva!» La voce dell’angelo della morte mi riportò a galla dal mare nero di depressione in cui stavo annegando e voltando il capo lo vidi correre verso di me.
Il suo viso perfetto era increspato in un’espressione preoccupata.
L’angelo arrivò da me con poche falcate e dopo essersi inginocchiato ai miei piedi mi prese le mie mani fredde nelle sue calde, facendo sì che i nostri occhi si incontrassero mentre controllava che non fossi ferita.
“Lei è solo un pit-stop”.
Mi scossi di dosso le mani di Azrael
«Cosa ci fai qui?» Chiesi dura e fredda, mentre nuove lacrime mi sgorgavano dagli occhi. Azrael cercò di asciugarmele però gli spinsi via la mano. Il giovane mi guardò preoccupato ma decise di non provare a toccarmi più.
«Cosa intendi con: “Cosa ci fai qui”?» Mi chiese lui indietro. «Sei scappata, ero preoccupato, ti ho cercato, ho dovuto pure utilizzare il mio potere per trovarti».
«Eri preoccupato che il tuo pit-stop stesse scappando?» Chiesi ancora acida. Gli occhi dell’angelo si allargarono così tanto che per un secondo pensai che stessero per venire fuori.
«WO! Eva, no! Per il Creatore! No!» Cercò di dirmi lui, ma ormai il fiume di parole che avevo in testa aveva deciso di venire fuori e non c’era modo per nessuno di fermarlo.
«Perché sono solo un pit-stop, giusto? Non sono brava in nient’altro! Non ho curve! Non ho una bella faccia! Non ho un bel caratte! Per cui chi potrebbe mai amare un mostro come m–».
Le labbra di Azrael sulle mie erano calde, morbide e dolci ma allo stesso momento erano potenti e mi stavo dando un unico comando: ascoltare ciò che mi stavano dicendo. Ed esse stavano trasmettendo un unico messaggio: per loro ero perfetta.
Chiusi gli occhi e risposi al bacio dell’angelo con tutti i sentimenti che avevo per lui. Le mie dita si dispersero nei suoi capelli mentre una sua mano si posizionò sulla mia nuca e la sua lingua cercò un ingresso che gli concessi.
Non so quanto passò, mi sembrò un infinità troppo corta quando ci staccammo. Non avevo mai ricevuto un bacio così: era come se esso mi avesse parlato all’anima e mi avesse fatto vedere quanto fossi bella e perfetta agli occhi dell’angelo.
Azrael mi fissò dritto negli occhi.
«Non provare mai più a pensare che quello che ha detto quella bestia immonda sia vero». Mi disse secco. «Ai miei occhi tu sei la creatura più bella e perfetta dei quattro regni. Ai miei occhi tu non potrai mai essere un pit-stop perché sei l’unica meta che voglio. Ai miei occhi non c’è più grande onore che amarti Eva Rossi».
Senza aspettare altro mi lasciai cadere addosso a lui e lo baciai un’altra volta.
Se questo significava amare, mi andava bene.

«Siamo a casa!» Urlammo in coro io e Azrael dopo aver notato con piacere che non vi era più la barriera alzata attorno al nostro appartamento.
La mia mano era intrecciata a quella di Azrael da quando avevamo preso l’autobus di ritorno.
«Bentornato a casa, figlio». Disse una voce femminile famigliare.
Quella voce!
Nel salotto insieme a un pallido Helel, a Gavriel e a Mikael, vi erano due presenze sconosciute. Una era un uomo muscoloso dalla pelle rossa come quella di un demone, ma senza le infami corna che stava tenendo Mikael per la vita; l’altra era la bellissima donna dai capelli neri e gli occhi neri che aveva appena parlato.
Azrael accanto a me aumentò la stretta attorno alla mia mano e chiese: «M-Madre?»
Madre?! No, non era possibile! Quella voce non può essere loro madre!
«È da tempo che non ci vediamo A, spero che stiate tutti e due bene», rispose lei.
“È per il bene di tutti”.
I miei occhi incrociarono quelli neri della donna vestita di rosso e ne fui certa: la voce che mi aveva convinto a fare il patto di sangue apparteneva a quella donna. Apparteneva alla madre dei quattro fratelli.
 

† Angolo Autrice †

OH OH OH BUON NATALE A TUTTI!!!!!
Eh sì! È prorpio Natale e non solo nella realtà ma anche nella mia storia! Ih, ih. Finalmente ho deciso in che periodo dell'anno ambientare la storia e, a parte aggiungere qualche particolare in alcuni capitoli, tutto si incastra a pennello.
Sempre più vicini alla fine! Pubblicato il capitolo quindici ed iniziato a scrivere il penultimo capitolo, aiuto!!! Non ci sto credendo neanche io!!!
Non so quando finirò di pubblicarla, ma di scriverla finirò sicuramente entro il 31 e sono così felice!!
Ma venendo a noi!
FINALMENTE SI SONO BACIATI!
Sì, non è uno scherzo. L'ho fatto succedere veramente e inoltre ho fatto comprendere come la madre c'entrava nella storia fin dal primo capitolo!
Spero molto che questo capitolo vi sia piaciuto e che aspetterete con ansia anche il prossimo.
Alla prossima!

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** [16]» Perdite e come gestirle «[16] ***



 

[16]» Perdite e come gestirle «[16]

EVA’S POV

Ormai sarei dovuta essere abituata alla presenza di esseri soprannaturali seduti nel mio soggiorno a sorseggiare un buon caffè caldo, parlando di guerra e di distruzione della terra come se fossero le notizie meteo; non era la prima volta, eppure appena sentii la parola “guerra” un groppo mi si creò in gola e la bocca dello stomaco mi si chiuse.
Tridel, così Mikael aveva presentato il mezzo-demone, era l'unico oltre a me ad essere affetto dallo stress causato da quella situazione: aveva le labbra chiuse a forza in una linea sottile, gli occhi rossi e le spalle rigide. Le sue mani rosse intrappolavano una delle mani di Mikael come se fossero la sua unica ancora di salvezza.
Dovevo ammetterlo: all’inizio la vista del mezzo-demone mi aveva messo sulla difensiva e per i primi minuti avevo osservato ogni suo singolo movimento, in attesa di un attacco; ma il comportamento dell’uomo in rosso era l’opposto di quello aspettato dal mio cervello.
Tridel, infatti, era impacciato ed introverso. Quando parlava abbassava la testa e iniziava a grattarsi la nuca, mentre ad ogni movimento sbatteva le braccia su ogni singola cosa che aveva alla sua portata.
Alla terza volta avevo compreso come il mezzo-demone fosse più un pericolo per se stesso che per gli altri e mi ero un attimo rilassata, seppur la tensione creatasi nella stanza era diventata così intensa da poter generare scariche elettriche da un momento all’altro.
La presenza della madre dei quattro angeli aveva uno strano effetto sui figli: non avevo mai visto i quattro angeli così sulla difensiva, era come se si aspettassero una pugnalata alle spalle da lei.
E quello non aveva nulla a che fare con la mia scarsa fiducia verso la donna.
Era comunque la sua voce ad avermi convinta di portare a termine il patto di sangue. Non sapevo il motivo per cui mi avesse spinto a farlo o il come, inoltre qualcosa dentro di me mi stava bloccando dal chiederle risposte proprio in quel momento… E no, non era la voce di lei.
«Credo sia arrivato il momento di presentarmi». Disse la donna, poggiando la tazza sul tavolino da caffè con una grazia reale.
«Perché presentarsi è il problema più grande in questo momento». Disse incredulo Gavriel, ruotando gli occhi al cielo.
La testa della donna si girò di scatto verso il figlio maggiore, subito dopo essermi accorta di una fiamma accendersi proprio nell'iride della donna; Gavriel comprese di aver detto una cavolata quando incrociò gli occhi della madre. Vidi l'arcangelo sbiancare e cercare di affondare il più
possibile nel tessuto della poltrona in cui era seduto.

«Gavriel non mi sembra di averti mai educato in modo così maleducato!»Esclamò lei, irritata.
«Scusa, madre», rispose Gavriel con il capo chinato e il tono sommesso, «Non ricapiterà più madre».
Sentii gli occhi spalancarsi così tanto quasi da farli scivolare fuori dai bulbi. Anche se avevo già visto un Gavriel sottomesso, Mikael ed Helel non scherzavano in quel senso, questa volta l’arcangelo mi sembrò davvero impaurito dalla madre e dall’idea di cosa gli sarebbe successo se si fosse ancora comportato in tale modo..
«A, meglio se chiudi la bocca alla tua umana», disse allora Tridel coprendosi la bocca con la mano cercando di non mostrarmi la risata, nata dalla mia reazione. «La sua mandibola potrebbe staccarsi da un momento all’altro».
Azrael, seduto accanto a me su il secondo divano con le nostre mani ancora intrecciate, distolse lo sguardo da suo fratello maggiore e sua madre per posarlo su di me… E quasi scoppiò a ridere anche lui.
L’angelo infatti cercò di coprire la sua risata con un colpo di tosse, facendo ovviamente uno schifo di lavoro.
Arrossii di imbarazzo quando notai come gli occhi di tutti erano ormai fissi su di me.
«Si forse è meglio, Tri». Gli rispose Azrael dopo essersi ricomposto, per poi chiudermi la bocca ancora spalancata per lo stupore. Ero sicura che ormai non avevo solo le guance ma anche il collo e le orecchie totalmente in fiamme.
La madre dei quattro mi sorrise dolcemente, ma non potei non notare la punta di tristezza che risiedeva nei suoi occhi. Qualsiasi cosa stesse per dirci, non sarebbe stata affatto piacevole. Ne ero sicura nel profondo.
«Allora, dove ero rimasta?» Riprese la donna dai capelli neri con sguardo corrucciato. «Ah! Sì! Presentazioni!»
Non riuscì a non sorridere a quel comportamento. Lo conoscevo bene e lo avevo visto un po’ in tutti e quattro gli angeli che conoscevo. Questo mi fece comprendere quanto la donna fosse stata una madre affettuosa e presente nella vita dei figli.

Gli deve proprio volere un bene dell’anima.
«Il mio nome è Malika»,  si presentò dunque la donna, «mentre lui è Tridel, un mezzo-demone, come ti ha già detto Mikael», aggiunse indicando il mezzo-demone. «Io sono la madre di tutti e cinque».
Le sopracciglia mi volarono all’attaccatura dei capelli.
«Cinque?!» Chiesi totalmente sorpresa, gli occhi si puntarono sulle figure di Mikael e Tridel abbracciati l’uno all’altro in un modo non proprio fraterno. «Lui è tuo fratello?!» Chiesi alla donna più giovane.
I cinque, a quanto pareva, fratelli mi guardarono per un attimo sbattendo un le ciglia, poi si guardarono tra loro sbattendo di nuovo le ciglia e infine scoppiarono tutti a ridere a crepapelle contemporaneamente. Helel cadde pure dal divano che condiveva con me ed Azrael.
Perché ho la netta sensazione di aver fatto un’altra incredibile figura di merda in meno di cinque minuti?
«Sono fratelli, ma non di sangue». Rispose calma Malika, ora con di nuovo in mano la tazza di caffè - niente zucchero e niente latte - mentre i figli continuavano a ridere. Diedi uno schiaffo sul braccio ad Azrael per farlo smettere di ridere, ma questo lo fece solo ridere di più.
Ruotai gli occhi al cielo ed ignorando le risate di tutti e cinque, portai la mia attenzione su loro madre.
«Tridel è il figlio di una mortale e di un demone», spiegò Malika, «venne abbandonato dalla madre e poiché nessuno nei tre regni celesti voleva allevarlo decisi di prenderlo in casa mia. Lo accudii come se fosse un mio figlio, solo più tardi mi accorsi della connessione che vi era tra lui e mia figlia».
Quando ebbe finito di spiegare gli altri cinque presenti ebbero preso un contegno, fortunatamente.
«Capisco». Risposi, cercando di non far vedere quanto ero imbarazzata per la mia reazione di pochi minuti prima. «Per cui lui è il tuo “unico amore”?» Chiesi a Mikael indicando con l’indice l’uomo accanto a lei, il quale non aveva ancora lasciato andare le mani dell’angelo per mezzo secondo.
Iniziai a chiedermi cosa fosse davvero successo tra i due per rendere il mezzo-demone così dipendente dalla vicinanza della donna. Era come se non l’avesse potuta vedere o toccare per centinaia di anni.
Mikael annuì e sorrise dolcemente all’uomo dalla pelle rossa. Se gli dava fastidio tutte quelle attenzioni o tutto quel contatto fisico, non lo dava per nulla a vedere.
«Niente incesti, dunque». Aggiunsi io.
«No Eva», mi rispose ridacchiando Gavriel dalla sua poltroncina. «Potremmo essere una famiglia un po’ pervertita, ma non siamo di certo quel tipo di famiglia».
«Scusate se interrompo i qualsivoglia inciucci», intervenne allora Tirdel, cercando di togliersi l’attenzione di dosso, «ma credo sia venuto il momento di spiegare cosa sta succedendo e cosa ci ha spinto a venire fino a qua».
D’improvviso l’aria spensierata era appena creatasi si frantumò, riportando nella stanza quell’aria seria e pesante che stava iniziando a pesarmi sul collo.
«Sì», concordò Malika, «ormai non abbiamo più molto tempo».
Azrael si rizzò a sentire il tono serio della madre e, mettendosi seduto sul bordo, si chinò con aria seria verso gli altri presenti.
«Molto tempo per cosa?» Chiese.
«Per fermare l’ascesa al paradiso delle armate demoniache di Erezel». Rispose Mikael.
Erezel.
Quel nome fece scatenare dentro di me la furia più grande mai provata in vita mia. Non avevo mai pensato di essere in grado di provare un odio e un risentimento più selvaggio di quello provato per Thomas, ma Erezel aveva sfondato quel pensiero come se fosse stato un muro di cartongesso.
E dalla reazione presente nei visi dei miei due coinquilini, compresi di non essere l’unica ad avere certi pensieri di morte violenta rivolti verso quell’essere: Helel aveva la fronte e il naso corrugati, i denti quasi scoperti, proprio come un lupo mentre ringhia; Azrael al contrario aveva il volto impassibile e solo la mascella contratta e la mano libera chiusa a pugno indicavano quanto la sua ira per quel demone fosse grande.
Senza pensare presi il pugno dell’angelo della morte tra le mie mani e cercai di rilassarlo, massagiandolo: un istinto profondo mi stava dicendo come fossi l’unica in quella stanza con il potere di calmare l’angelo della morte.
«Cosa è successo?» Ringhiò Helel. «Perché quel demone non è ancora stato giustiziato per gli attacchi ad Eva? E perché sta usando le mie armate per prendere il Purgatorio e il Paradiso?»
In quel momento a parlare non era di certo Helel, quanto il Diavolo.
«Quando Eva vi ha evocati, legandovi a lei con il patto di sangue, le vostre posizioni sono state ricoperte dai vostri secondi in comando». Spiegò Gavriel, dimostrando all’improvviso tutti i suoi millenni e la sua serietà da arcangelo. «E dove la direzione dei mietitori è passata sotto a Yondar, a cui, sappiamo bene tutti, non frega nulla del suo lavoro nel ciclo vitale di un anima; la direzione dei demoni è passata sotto Erezel».
Helel sospirò profondamente, passandosi una mano tra i capelli con fare colpevole.
«Sono un’idiota». Disse.
«Helel», lo richiamò Malika, «quel che è fatto è fatto, anche noi essere divini non possiamo cambiare il passato. Pensiamo piuttosto a come fermarlo».
Helel non rispose, ovviamente sentendosi in colpa delle sue scelte passate, strinse di nuovo le labbra in una linea sottile e portò gli occhi alle sue mani.
«Erezel», prese la parola Tridel, «ha sfruttato la situazione a suo favore. Quel demone è stato sempre geloso di te, Helel, e della tua posizione come capo dell’Inferno. Era convinto di essere stato deprivato della sua posizione di nascita come reggente dei demoni. Ti ha usato e ti ha fatto il lavaggio del cervello durante i tuoi anni di regno».
Tridel si dovette asciugare una lacrima scesagli lungo la guancia. Io stessa, ricordandomi come era Helel i primi giorni, compresi il dolore provato al ricordo del cambiamento visto in una persona considerata da lui come un fratello.
«Detto schiettamente, non ti vedevo comportarti così da Helel da secoli ormai; avevo avuto anche l’idea di lasciare la posizione di capitano delle guardie, prima della tua sparizione. Eri diventato così senza cuore».
Quelle parole attirarono l’attenzione del Diavolo, il quale alzò lo sguardo di scatto verso Tridel. Potei benissimo vedere gli occhi lucidi e l’espressione ferita del mio coinquilino.
«Vai avanti Tridel, ti supplico». Si intromise Arzael. «So che vuoi fare una romanzina ad Helel come gliel’ho fatta anche io; ma ti posso garantire di quanto Helel si penta per ogni singolo momento e di quanto Eva lo abbia aiutato a tornare se stesso».
Vidi Helel quasi scoppiare in lacrime quando il fratello minore gli diede man forte e ne compresi il motivo: quando erano arrivati per la prima volta in questa casa il loro rapporto non era affatto dei migliori. Azrael avrebbe quasi potuto vendere il fratello per una patatina fritta.
Tridel guardò ancora un attimo l’uomo dai capelli neri seduto accanto a me, per poi asciugarsi le lacrime scese lungo le guance  e riprendere la sua spiegazione.
«Sì… Allora… Erezel, come ho già detto, si è approfittato della situazione. Ha sempre voluto distruggere gli angeli e prendere il posseso del Paradiso e quando Helel è scomparso proprio davanti ai nostri occhi, era certo di come fosse arrivato finalmente il suo momento.
«Ad un primo impatto il suo piano non sembrava stesse andando a buon termine: molti demoni erano ancora leali ad Helel e non accettavano Erezel come loro nuovo monarca. Per cui, quel bastardo da un corno solo,  ha dovuto inviare delle pattuglie in perlustrazione sulla terra alla ricerca di Helel, per tenere buoni i demoni. Fino a quel momento anche io avevo deciso di rimanere all’Inferno, poiché volevo vedere che cosa avrebbe fatto.
«Ma il suo piano è iniziato ad andare in movimento quando un demone di basso rango tornò con tue notizie. Erezel ha girato la notizia a suo favore facendo sembrare che una mortale, con l’aiuto degli angeli, ti avesse sottomesso al suo volere».
Tridel ed Helel si fissarono intensamente negli occhi.
«Purtroppo molti demoni hanno iniziato a credergli, ma non ancora da iniziare una guerra».
«È a questo punto che è avvenuto il primo attacco verso di me, vero?» Chiesi, iniziando a comprendere come quel schifoso demone stesse pensando.
Mi ha usato per iniziare una guerra, quel bastardo figlio di vacca.
Sentii le lacrime di rabbia scorrermi lungo le guance e strinsi con tutte le mie forze la mano di Arzael. L’angelo si lasciò sfuggire un gemito di dolore, senza dirmi di lasciar andare: aveva compreso quanto mi stava venendo utile in quel momento stringere la sua mano.
Uno strano senso di colpa mi colpì improvvisamente al basso ventre quando mi resi conto di come angeli, demoni e mietitori, proprio in quel momento, stavano perdendo la vita a causa mia.
Non del tutto mia, in realtà.
I miei occhi pieni di rabbia saettarono a Malika e trovai gli occhi della donna già puntati nella mia direzione. Se il suo sguardo non avesse avuto quel fare così colpevole, seppi benissimo in cuor mio, di come sarei stata in grado di smascherarla davanti ai suoi figli, svelando come era stata proprio loro madre a spingermi a completare quel dannato patto di sangue.
Ma quegli occhi neri. Quegli occhi erano solo pieni di colpevolezza e rimpianto.
«Esatto». Mi rispose Tridel. Tolsi gli occhi di dosso a Malika e li riportai sul demone senza corna. «Voleva avere qualche prova in più, così da poter avere dalla sua parte l’intera orda demoniaca. Ma l’attacco è andato a vuoto. Azrael ha ucciso il demone ed Erezel non ha ottenuto nulla. E così, quel bastardo ha compreso come gli servisse trovare dei demoni fidati da poter mandare a darti la caccia, i quali sapessero cosa dovevano riportare a casa. Ci ha messo un po’ ma alla fine li ha trovati.
«Con il secondo attacco Erezel ha ottenuto ciò che voleva: i sopravvissuti hanno dichiarato davanti a tutto il mondo demoniaco che Helel era sotto l’influsso angelico e che li aveva provati ad uccidere, quando loro avevano solo provato a portarlo a casa».
Tridel si fermò e abbassò lo sguardo alle sue mani, intrecciate a quelle di Mikael.
«In quell’occasione ho deciso di andarmene e tentare di arrivare a Gavriel».
La voce gli tremò alle ultime parole, gli tremò di paura. Avevo sentito il mio tono con lo stesso timbro così tante volte nei mesi scorsi da poter riconoscere quella paura ovunque.
Sentii all’improvviso come i quattro esseri davanti a noi avevano deciso di nasconderci qualche pezzo della storia, se fossero di vitale importanza non avrei mai potuto saperlo.
«Quando, finalmente, Tridel è arrivato a noi», prese parola Mikael, «era però troppo tardi. Poco dopo averci finito di spiegare la situazione è arrivata la notizia dell’avanzata dei demoni attraverso le porte del Purgatorio».
Mikael si irrigidì e inspirò in mezzo ai denti.
«Hanno usato la mia assenza per poter entrare nel mio regno ed invaderlo».
Azrael, il quale si era coperto il volto con la mano libera, si rimise dritto e guardò gli angeli di fronte a lui.
«Comprendo la situazione, comprendo anche quanto sia seria e pericolosa», respirò lentamente, «ma non comprendo perché siate qua. Dovreste essere sul campo di battaglia, non in questo appartamento».
«A ha ragione», lo sostenne il fratello dai capelli neri, «se c’è una guerra in corso è da ritardati tenere i due combattenti più abili e letali da parte». Aggiunse indicando Mikael e Tridel. «Per cui la domanda è: “Perché siete venuti da noi?”»
«Per portarvi a casa». Rispose Gavriel. «Helel hai ragione nel dire di come in una guerra sia da stupidi tenere in disparte i combattenti più valorosi e, per quanto mi scoccia ammetterlo, noi cinque uniti siamo la forza di attacco più potente dei quattro regni. Perciò siamo venuti a portarvi a casa».
«Forse ti sei scordato come non ce ne possiamo andare senza patire le pene dell’Inferno, Gavriel», gli fece notare Helel, «e ti posso assicurare: so di che cosa sto parlando».
«Sono in grado di sciogliere il vincolo che vi tiene legati ad Eva».
Una frase. Una frase era bastata per distruggere il mio intero mondo.
Panico. Paura. Tristezza. Negazione. Rabbia.
Furono tutto quello che potei percepire in quel momento, mentre una lacrima solitaria si faceva strada sul mio volto.
«COSA?!» Esclamò perplesso Helel, essendo l’unico di noi tre ancora in grado di intendere. Azrael di fianco a me aveva lo sguardo sbarrato e la sua mano era diventata un rampino attorno alla mia.
«Posso sciogliere il vostro legame, vostro padre mi ha insegnato come». Spiegò Malika e i nostri occhi si incrociarono per l’ennesima volta durante quel pomeriggio. Quegli occhi, quegli occhi stavano mentendo, ma non sul fatto di essere in grado di sciogliere il legame di sangue. No. Quello lo sapeva fare, ne ero certa.
No, stava mentendo sul come lo conoscesse: non era stato il padre dei quattro fratelli a insegnarlo, lei lo aveva sempre saputo, ancora prima di farmelo mettere in atto.
«NO!» Urlò Azrael. «Non voglio! Non voglio che questo patto venga sciolto! Non ora!»
«Azrael», intervenne Malika, «so cosa provi nei confronti di questa donna, ma se non vieni con noi, se non mi permetti di sciogliere questo legame, non ci sarà più nessuna Eva da proteggere».
«Io sostengo Azrael». Disse in tono più calmo Helel. «Non voglio lasciare Eva, non voglio lasciare la terra».
«Helel ti prego non ti ci met–» Malika si fermò quando lo sguardo albino del suo secondogenito si fermò nel suo nero e lei sbiancò. «Oh no». Sussurrò come se avesse appena compreso di aver fatto uno sbaglio di dimensioni bibliche.
«Per l’amor di papà!» Esclamò Gavriel entrando nella discussione. «Stiamo parlando di Erezel! Secondo voi si fermerà al Paradiso? Secondo voi lascierà in vita tutti questi essere umani che lui ritiene inferiori? Dovete tornare per poter salvare quelle persone per cui volete rimanere».
«Gavriel sta zitto!» Urlò Azrael alzandosi in piedi e lasciandomi le mani. Lo guardai preoccupata, avevo paura di come era ad un passo dall’attaccare il fratello il fratello maggiore.
«Sai te, meglio di me, quanto queste guerre possano durare secoli! Potrebbe non esserci più un Eva a cui tornare  quando la guerra sarà finita poiché morta di vecchiaia!»
All’improvviso tutto attorno a me divenne ovattato. Niente aveva più fuoco se non un’unica parola: secoli.
Se Azrael se ne fosse andato quel giorno con la sua famiglia avrei potuto non vederlo mai più.
Ma se rimane è la razza umana che potrebbe non esistere più. Pensai.
Ero pronta a sacrificare le vite di angeli, demoni, mietitori e umani per un mio pensiero egoista? Ero pronta a prendermi la responsabilità della morte di miliardi e miliardi di essere viventi?
«Quanto vi sono essenziali Helel ed Azrael in questa guerra?» Chiesi all’improvviso, bloccando le urla che avevano continuato a risuonare nella stanza mentre io ero nel mio mondo.
Malika incrociò i miei occhi e comprese cosa mi stesse passando per la mente. Con un sorriso triste mi rispose un leggero: «Totalmente essenziali».
«Eva, no...» Disse Azrael, con la coda dell’occhio lo vidi fissarmi disperato. Proprio come me, non voleva separarsi dalla sottoscritta proprio ora. 
Helel mi stava fissando ad occhi sgranati, non comprendendo le mie azioni, quasi fossi impazzita di botto.
«Eva, ti supplico, non lo fare», continuò Azrael, «non ora… Non ora che ti ho appena avuto».
Sentii le lacrime iniziare un loro corso sulle mie guance. Lentamente mi alzai e mi voltai verso l’angelo della morte. Verso il mio angelo della morte. Verso la mia ancora. Verso l’uomo che amavo.
Ogni fibra del mio corpo e della mia anima mi stavano dicendo di tenerlo vicino, di non lasciarlo andare, di lasciar morire tutti gli esseri viventi presenti nei quattro regni pur di tenerlo vicino.
Ma quel giorno la mente razionale ebbe la meglio.
«Azrael», dissi in un sussurro avvolgendogli una guancia con una mano, «non posso tenerti accanto sapendone il costo, mi distruggerebbe. E ancor prima distruggerebbe te».
Gli occhi di Azrael divennero lucidi e una lacrima mi bagnò la mano.
«Potrei non rivederti mai più Eva, potrei tornare e trovare solo una tua lapide». Cercò di farmi cambiare idea e il mio cuore voleva cambiarla.
«Ma se non vai potresti non trovare neanche quella», gli feci notare mentre le lacrime mi appannavano completamente la vista. «Azrael lascia che Malika sciolga questo legame. Tu ed Hel avete un dovere. E non è quello di rimanere qui con me».
Azrael mi fissò ancora qualche minuto, cercando qualcosa nei miei occhi.
In un attimo le mani dell’angelo mi presero per il collo e le sue labbra furono sulle mie. I miei occhi si sgranarono per chiudersi dopo aver compreso cosa stava succedendo.
Questo bacio era totalmente diverso da quello avvenuto qualche ora prima. Questo era pieno di disperazione, di accettazione e soprattutto di amore.
Azrael stava cercando di farmi capire quando mi amava e quanto gli stava facendo male accettare di dovermi lasciare.
Quando ci staccammo non potei non notare le lacrime che stavano continuando a scorrere sulle guance dell’angelo, proprio come quelle che stavano scorrendo sulle miei.
Senza pensarci oltre mi voltai verso Malika.
La donna, rimasta seduta a bere il suo caffé per tutto il tempo, si alzò lentamente.
«Mi servono le mani di tutte e tre le parti interessate». Disse e porse la sua mano.
Helel si alzò a sua volta e così porgemmo uno a uno la mano destra; il Diavolo ovviamente fu quello più riluttante.
Malika ci sorrise, impilò le nostre mani una sull’altra e le chiuse tra le sue. Iniziò così a recitare una formula in latino, ad ogni parola sentivo come se il sangue nella mia mano stesse bollendo nelle vene e il dolore si andava propagando per tutto il mio corpo.
Non compresi per quanto quella tortura durò, ma appena la donna rilasciò le nostre mani seppi di essere tornata un semplice essere umano.
«È ora di andare». Disse Gavriel, con tono spezzato e delle lacrime secche sulle guance, prima di sparire con uno schiocco di dita.
Mikael scosse la testa al comportamente di suo fratello maggiore e mi si avvicinò, chiudendomi in un abbraccio.
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto». Mi disse nell’orecchio e la sentii tirare su con il naso. Si staccò e mi diede un bacio sulla fronte. «Ci vedremo presto, lo so».
Anche se mi aveva appena mentito, annuii lo stesso.
«È stato un piacere incontrarti Eva». Mi salutò Tridel con tono triste, prendendo la mano che Mikael gli stava offrendo.
«Anche per me, Tridel». Risposi e i due scomparvero con un secondo schiocco di dita.
«Eva...» Il tono di Helel mi ruppe qualcosa dentro. Senza neanche pensare gli saltai al collo e lo abbracciai con tutta la forza che avevo in corpo. Il ragazzo dagli occhi bianchi rispose immediatamente all’abbraccio e in pochi secondi ci ritrovammo a singhiozzare come dei dannati l’uno sulla spalla dell’altra.
«E-E-Eri una sorella ormai», mi cercò di dire lui tra i singhiozzi e le lettere biascicate, «mi mancherai. Mi mancherai tanto».
«Anche tu, anche tu». Gli risposi in un altrettanto tono biascicato.
Ci abbracciamo ancora qualche minuto e poi ci staccammo.
Ora rimaneva la parte più difficile: Azrael.
Quando mi voltai trovai  l’angelo della morte già con gli occhi puntati su di me e sentii come se una mannaia mi fosse stata appena infilzata nel cuore.
Il nostro fu un saluto silenzioso, non parlammo; ci abbracciammo fin quando Helel non ci disse che era ora di andare e con un groppo in gola vidi i due angeli scomparire dal mio appartamento.
Per un attimo ci sperai, sperai nel fatto di come Malika avesse sbagliato e il patto di sangue fosse ancora in vigore, ma ogni secondo che passava era la prova do come nulla mi legava più ad Azrael ed Helel.
Sentii un ennesimo schiocco di dita e quando mi voltai vidi che Malika aveva fatto tornare il mio appartamento in ordine, albero e decorazioni di Natale comprese.
«Mi sembrava maleducato andarmene senza sistemare». Disse e non riuscii più a trattenermi.
«Perché?!» Gli sibilai contro, la mia rabbia nei suoi confronti totalmente palpabile in ogni mia lettera. «Perché mi hai fatto formare un patto di sangue con loro, per poi fare questo?!»
Malika abbassò il capo, colpevole.
«Non avevo mai creduto possibile che entrambi i miei figli trovassero il loro unico amore durante questa permanenza sulla terra». Mi rispose. «Serviva per sistemare i conflitti tra i quattro fratelli durante i secoli, non per distruggervi il cuore».
Come potevo rispondere a ciò? Come potevo rimanere calma davanti a quella persona?
«Vattene». Gli ordinai e distolsi lo sguardo. Le mie nocche che chiedevano l’ardente permesso di toglierle qualche dente alla donna con un pugno. «Vattene da casa mia!»
Malika comprese e dopo un: «Mi dispiace tanto», scomparve anche lei.
Finalmente potei lasciarmi andare e in un secondo mi ritrovai accasciata a terra, distrutta e in lacrime. Gli occhi mi bruciavano, il naso mi colava e il dolore che provavo al petto era indescrivibile.
Eppure niente era peggio che l’assordante silenzio presente nell’appartamento.
 
†Angolo Autrice†
Che posso dire se non: "Non linciatemi vi prego!"?
Ma oggi non è un giorno importante solo perché ho pubblicato il capitolo che getta sull'ultimo atto della storia. Oggi è importante perché ho iniziato l'epilogo di questa storia. Ebbene si, posso finalmente dire, esattamente la lunghezza di questa storia: venti capitoli + epilogo.
Per il numero di pagine e numero di parole esatte dovrete aspettare la pubblicazione dell'epilogo e le varie correzioni. Per ora la quota di pagine fino a questo capitolo è oltre cento <3
Ma tornando a noi!
Con la guerra alle porte il nostro Diavolo e la nostra Morte sono costretti a lascaire Eva. Cosa accadrà da qui in avanti?
La guerra verrà vinta? I nostri angeli potranno tornare dalle loro belle? Oppure Erezel vincerà il Paradiso?
Scopritelo dal prossimo capitolo!
Un bacio a tutti!
Non scordatevi di lasciare recensioni <3

Axel Knaves

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** [17]» Livello di stabilità emotiva: mobile dell’IKEA «[17] ***




[17]» Livello di stabilità emotiva: mobile dell’IKEA «[17]

 

3rd POV

L’aria che una volta era impregnata di emozioni positive come felicità, pace e amore; ora gocciolava odore di sangue e morte.
I corpi di demoni, angeli e mietitori deturpati da armi e da poteri divini, ma non ancora passati a miglior vita, coprivano ogni centimetro del sentiero che Erezel e la sua armata avevano aperto con la violenza dall’Inferno alle porte del Paradiso.
I demoni, ancora in grado di combattere, erano quasi tutti seduti a terra; la battaglia era stata ardua e avevano bisogno di riposo. Il sangue nero e rosso che dal suolo iniziava ad impregnare i loro vestiti sembrava non dargli fastidio. Forse perché trovavano onore a portare sugli abiti il sangue delle proprie vittime, oppure perché era ancora più onorevole portare con sé il sangue dei fratelli caduti in battaglia.
Erezel, invece, non sembrava segnato dalla fatica del combattimento.
Infatti il demone non sembrava essersi mai sentito così vivo.
Il comandante dell’armata era in piedi, dritto, le sue protezioni di cuoio e zolfo erano macchiate di sangue e altri liquidi corporei; dalla spada, ancora sguainata e stretta nella mano destra, gocciolava il sangue caldo dell’ultima vittima mietuta.
Gli occhi erano puntati davanti a lui, non curandosi dei soldati alle sue spalle. Nella sua mente loro erano meramente delle pedine indispensabili per portarlo al potere cercato da millenni; la cosa davvero importante erano le immense porte di marmo, intarsiato con rivoli di argento e di oro. Aveva dovuto aspettare così tanto per vederle e finalmente era arrivato lì.
Non c’era rimasto nessuno, infatti, a mettersi in mezzo a lui e alle porte del Paradiso. Era ormai iniziata da due settimane l’invasione del Purgatorio, da parte delle sue armate, cui li aveva condotti alle porte del Paradiso. Avevano perso un ingente numero di demoni, ma l’armata di angeli e di mietitori - trovatosi nel Purgatorio al momento dell’attacco - aveva perso tre volte il numero di soldati: non erano rimasti esseri vivi in quel regno celeste, solamente le anime degli esseri umani ora abitavano quella montagna.
E finalmente Erezel riusciva ad assaporare il suo sogno; di fronte a quelle porte riusciva ad assaporare il potere portato dalla sua vittoria.

Quelle settimane di guerra avevano visto la sala di guerra angelica in una situazione di continuo caos. Gli angeli non avevano voluto ascoltare nulla di quello dettogli da Gavriel ed erano scesi in battaglia pensando di essere superiori in forza, potenza e numero ai demoni.
Avevano così incontrato una veloce morte, rendendo l’ascesa dei demoni solamente più facile.
L’armata angelica non aveva potuto contare neanche sui mietitori. Con il ritorno di Azrael la situazione si era solamente complicata: Yondar, asceso al potere durante l’assenza dell’angelo della morte, si era rifiutato di ridare il comando ad Azrael creando dunque una scissione nell’armata mietitrice.
Seppur il numero di seguaci di Yondar era esiguo, in confronti ai mietitori al comando di Azrael, l’angelo della morte sapeva benissimo come anche quei pochi mietitori avrebbero potuto fare la differenza.
La situazione dunque non si poteva dire a favore degli angeli, ma proprio il contrario.
Nella sala di guerra erano radunati i quattro comandanti - Gavriel, Helel, Mikael ed Azrael - e i rappresentati delle casate angeliche e mietitrici. Sarebbe dovuto essere un ritrovo di guerra, nel quale discutere un contrattacco contro i demoni che si avvicinavano sempre di più; eppure sembrava più il ritrovo di un gruppo di mercanti radunato intorno a un tavolo.
Tutti urlavano per coprire le voce di qualcuno, ognuno voleva avere ragione e nessuno voleva ascoltare le idee altrui.
Azrael era in piedi, in mano l’ultima lista delle vittime a loro pervenute. L’angelo aveva gli occhi lucidi a vedere quanti esseri divini e demoniaci erano già morti; non riusciva a credere il modo in cui anche davanti a quelle cifre nessuno volesse prestare orecchio a suo fratello per poter finalmente finire quella strage.
Sembravano essere tutti ciechi.
L’angelo dai capelli e gli occhi neri distolse gli occhi dalla lista e li indirizzò ai tre fratelli ancora presenti nella stanza.
All’inizio di questo gabinetto di guerra avrebbero dovuto partecipare anche Tridel e loro madre, ma i Rappresentati avevano votato perché venissero buttati fuori dalla stanza. Mikael aveva provato a controbattere che i due servivano per la buona riuscita della guerra ma quegli idioti non l’avevano minimamente considerata, iniziando a proclamare come un mezzo-demone e una donna una volta mortale non avevano posto a quel tavolo.
Helel aveva quasi ucciso tutti a quelle parole, fortunatamente Malika l’aveva fermato.  Lo aveva tranquillizzato, gli aveva inoltre garantito come lei si sarebbe messa a disposizione della guerra aiutando gli angeli protettori ad erigere le barriere necessarie per la protezione dell’ultimo cielo, mentre Tridel si sarebbe unito alle guardie degli angeli per proteggerla; infine i due avevano lasciato la sala a cuore pesante. Helel, da quel momento,si era seduto al suo posto, con un’espressione aggrottata, e non aveva più mosso un muscolo o prununziato parola.
Gavriel aveva provato a parlare con i rappresentati, ma, appena ebbe fatto una proposta per riprendere un pezzo di purgatorio già perso, si erano tutti messi ad urlare perché, secondo loro, le loro idee erano migliori. Nessuno voleva ascoltare, tutti volevano parlare. Ora Gavriel aveva il volto nascosto nelle mani, le vene del collo gli pulsavano così tanto da essere diventate visibili sulla pelle candida.
Mikael stava giocando con la sua spada sguainata, facendole il filo ogni tanto. Non l’aveva tirata fuori per noia, tutt’altro: quando i rappresentati avevano provato a suggerire che loro sorella non sarebbe dovuta essere presente in quanto donna; Mikael non si era di certo lasciata mettere i piedi in testa. Aveva sguainato la spada e aveva trafitto da parte a parte il tavolo di pesante mogano intarsiato d’oro, prima di dichiarare a pieni polmoni come l'unico modo per farla uscire di lì era sconfiggerla in duello e portare fuori le sue membra morenti.
Ovviamente nessuno aveva accettato le condizioni e ora Mikael teneva la spada in mano, giocandoci come se fosse uno stuzzicadenti, per ricordare a tutti che lei era prima l’arcangelo Michele, poi una donna.
Azrael, guardando quello spettacolo pietoso, comprese un importante fatto: se non fosse cambiato qualcosa al più presto, quella guerra sarebbe stata persa in un attimo e i demoni avrebbero regnato su tutti i regni.
Se quello fosse successo l’angelo della morte non sarebbe più stato in grado di proteggere Eva; bastava quel singolo pensiero a glaciare le sue interiora.
Avevano bisogno di un miracolo e ne avevano bisogno al più presto.

Il giovane angelo disperato non lo sapeva, ma il suo miracolo stava correndo proprio in quegli istanti verso la porta della sala di guerra.
Forse a prima vista quello non sarebbe neanche sembrato il miracolo tanto atteso, anzi sarebbe parso proprio l’opposto, ma in poco tempo i quattro comandanti si sarebbero resi conto quanto quella notizia, che stava viaggiando verso di loro, sarebbe stata la salvezza di tutti.
Tridel era un po’ stanco di dover correre da una parte all’altra dei quattro regni per dare brutte notizie. Se ne rese conto proprio mentre stava correndo per il palazzo degli angeli per dare l’ennesima macabra notizia da quando era iniziata la guerra. Un po’ si stava sentendo in colpa, un po’ iniziava a pensare di avere il malocchio, per cui alcuni avvenimenti erano colpa sua.
Dopo essere uscito dalla sala di guerra, scusate, dopo essere stato cacciato fuori, Helel aveva dovuto passare la prima mezz’ora a calmare le ire di Malika ed a salvare il vario mobilio ornamentale dei corridoi marmorei, da suddette ire femminili.
La donna, infatti, anche se apparsa totalmente calma e pacata all’interno della sala, dopo essere stata insultata da mietitori e angeli molto inferiori a lei, era totalmente alterata. E quando Malika era alterata, era meglio mettersi al riparo e pregare per la propria vita.
La donna, poiché in origine umana, non aveva un naturale controllo sui suoi poteri - come suo marito o gli altri angeli - aveva dovuto impararlo con molta fatica e sudore; infatti, i suoi poteri erano legati alle sue emozioni, esattamente come erano quelli dei figli.
Inoltre, la donna dai capelli neri, non era mai stata un essere umano molto moderato o con un’alta dose di pazienza. Anzi, il suo primo incontro con l’angelo che sarebbe diventato suo marito, Levi, era stato molto movimentato. Levi, un essere bellissimo dai capelli bianchi e occhi dello stesso colore, la carnagione chiara che risplendeva sotto la luce lunare, avea scelto le parole sbagliate da dire alla giovane donna - oltre al momento sbagliato per incontrarla - e si era ritrovato con le piccole nocche di lei nel naso.
Ai loro figli, Levi aveva sempre raccontato come quello fosse stato il momento in cui si era reso conto che Malika era il suo vero e unico amore. Mentre descriveva il prefetto destro della moglie ai figli, i 5 pargoli si guardavano tra di loro iniziandosi a chiedere se loro madre non avesse ammaccato - o rotto - qualche rotella nel cervello di loro padre.
Quando Tridel era finalmente riuscito a placare gli attacchi più violenti della donna, aveva scortato Malika nella sala di protezione; dove gli angeli protettori intrecciavano le loro energie per formare una barriera attorno all’ultimo cielo e gli angeli osservatori controllavano i movimenti nel resto del paradiso.
Gli angeli all’interno della sala, al contrario dei mietitori e degli angeli nella sala di guerra, gli avevano accolti con entusiasmo; felice di avere finalmente protezione da parte di un forte guerriero - i mietitori che erano stati messi a protezione della sala erano così stanchi che sembravano morti una seconda volta - e l’aiuto di uno dei più potenti esseri divini: i poteri di Malika erano capaci di tenere testa anche a quelli del primo angelo Levi.
Avevano così passato i seguenti giorni, Malika a ripetere allo sfinimento formule di protezione, prosciugando molte delle sue forze vitali e Tridel appoggiato allo stipite della porta, a fare il cane da guardia.
Sembrava tutto tranquillo, Malika aveva appena dato il cambio a un giovane angelo protettore, quasi svenuto a metà di una formula, e Tridel stava sbadigliando, aspettando ancora per un’ora il suo cambio, quando un angelo osservatore aveva lasciato andare un urlo spaventato ed era caduto a terra di sedere. In pochi attimi, tutti gli angeli che non erano impegnati ad osservare i cieli del Paradiso o a erigere le barriere protettive furono al fianco del giovane angelo spaventato.
«Sono qua!» Stava esclamando cereo in faccia, gli occhi sgranati velati da uno strato di lacrime. «L’orda demoniaca è arrivata! Erezel ha appena aperto le porte del Paradiso!»
Tridel non aveva aspettato l’ordine di nessuno. Appena l’angelo osservatore aveva concluso la frase, il demone senza corna era partito di corsa verso la sala da guerra, il sonno ormai dimenticato. Tridel doveva informare i suoi fratelli di quello appena successo; doveva avvisare Mikael.
Finalmente Tridel arrivò davanti alle porte della sala da guerra, dopo aver corso per quegli che gli erano sembrati millenni.
Senza troppi ripensamenti spalancò la porta senza bussare.
All’istante tutte le urla provenienti dall’interno della sala si zittirono e tutti gli occhi si concentrarono sul demone senza corna, affannato e sudato dalla corsa.
I quattro fratelli furono i primi a irrigidirsi, comprendendo come ci fosse qualcosa di sbagliato dal modo in cui Tridel aveva appena corso così forte per arrivare da loro. Mikael era già in piedi, la spada pronta ad essere usata.
«I demoni...» Cercò di dire il demone ma dovette interrompersi per deglutire e respirare una boccata di ossigeno. «I demoni sono entrati nel Paradiso».

EVA’S POV

Alberi, cielo, case. Case, cielo, alberi. Cielo, alberi, case.
Non riuscivo a ricordarmi nient'altro di quella settimana mentre la fronte mi rimbalzava ritmicamente sul finestrino dell’auto di Vittorio.
Una settimana.
Era passata una settimana da quando Malika aveva sciolto il legame di sangue. Era passata una settimana da quando gli angeli non vivevano più con me. Era passata una settimana da quando non riuscivo a sentire niente, se non vuoto e solitudine.
Il sovraccarico del mio cervello, però, era dato dal sapere di non essere sola, eppure quella sensazione di solitudine e abbandono, presente nel mio cuore, sembrava incurabile.
Vedevo come tutti i miei amici e famigliari erano preoccupati per me; lo vedevo nei loro occhi e nei gesti d’affetto molto più frequenti. E mi rendevo anche conto di cosa li stesse preoccupando: non parlavo più molto, l’appetito era diventato uno sconosciuto e il mio sguardo era sempre perso in mezzo al cielo e alle nuvole.
Mi stavo sempre più distaccando dalla mia vita. Me ne rendevo conto e non riuscivo a smettere.
Volevo indietro Azrael. Volevo indietro Helel. Volevo indietro la vita che aveva iniziato a costruire con loro.
«Eva lo sai vero?» Chiese la voce di Sonia, accanto a me. «Se vuoi parlare, noi ci siamo».
Eravamo sedute nei posti posteriori, mentre Vittorio guidava e Claudia occupava il sedile del passeggero.
Anche la dolce e spensierata Sonia, la quale stava cercando in tutti i modi di disfare quel muro invalicabile apparso tra me e i miei amici, non sapeva più cosa provare con me. Questo le aveva fatto perdere il suo solito e solare sorriso.
Fissai la ragazza bionda con sguardo perso, era come se quelle parole non riuscissero ad avere un senso nella mia mente. Di cosa avrei dovuto parlare con loro? Dell’angelo di cui mi ero stupidamente innamorata? O di come avrei potuto non vederlo più nella mia vita? Avrei dovuto forse parlare con loro della guerra che stava minacciando tutti gli esseri umani, ma di cui nessuno sapeva nulla?
«Sonia ha ragione», aggiunse Claudia incrociando il mio sguardo nello specchietto retrovisore, «Lo sappiamo: qualcosa ti turba e sappiamo anche come questo vada ben oltre la partenza inaspettata dei tuoi coinquilini».
«E vorremmo tanto rivederti con un sorriso sulle labbra», continuò Vittorio per le due donne, gli occhi incollati alla strada, «ci fa davvero male vederti così triste e faremmo qualsiasi cosa per aiutarti».
Fissai le tre persone presenti in auto con me e sentii all’improvviso, dopo una settimana di puro nulla, il calore di persone che ti amano. Un calore soave e leggero capace di accarezzarti la pelle con dolcezza, impaurito di poterti farti male; un calore capace di portarti alle lacrime.
Sentii gli occhi pungermi e dopo un attimo ancora di esitazione mi scomposi completamente, scoppiando in un pianto scomposto, tenuto rinchiuso dentro di me troppo a lungo.
«M-M-M-Mi man-n-n-ncano». Mi balbettai tra un singulto e l’altro mentre le braccia forti di Sonia mi cinsero le spalle e mi attirarono al suo corpo minuto, cullandomi e cercando di calmarmi. Sentivo Sonia e Claudia cercare di confortarmi ma le loro parole non riuscivano a raggiungere i miei timpani otturati dai rumori dei singulti e dal battito accelerato del mio cuore.
Avevo lasciato andare Azrael ed Helel perché era la cosa giusta da fare, perché era l’unica cosa da fare. Ma i due angeli non avevano portato con loro solo tutta la vitalità presente fino a una settimana prima nel mio appartamento, avevano portato con sé anche una parte del mio cuore.
Quando riuscii a bloccare il flusso violento di lacrime notai che Vittorio aveva fermato l’auto davanti a una casa a schiera di testa con i muri color pastello: la casa dei miei genitori.
«Da quanto siamo arrivati?» Chiesi tirando su con il naso. Sapevo di non essere molto femminile  in quel momento e di fare anche un pochino agli occhi altrui, eppure non mi importava nulla. Finalmente sentivo qualcosa dopo tanto tempo ed era come prendere una boccata d’aria dopo essere stati in apnea per un minuto.
«Cinque minuti, neanche». Mi rispose Vittorio, regalandomi un sorriso caldo, pieno di affetto e di incoraggiamento, proprio come avrebbe fatto un fratello.
Annuii con la testa.
«Grazie e scusate il bagno di lacrime». Pigolai guardando la chiazza bagnata lasciata dai miei occhi sul giubbotto di Sonia. La ragazza ridacchiò notando dove stavo guardando.
«Non devi scusarti di nulla». Disse e mi mise una mano sulla spalla. «Siamo qua apposta per questo e siamo felice che finalmente stai mostrando qualche emozione, eravamo davvero preoccupati in questa settimana».
Feci un sorriso debole, ma vidi come gli occhi dei miei tre amici si rilassarono a quel gesto.
Dopo aver assicurato al trio della mia stabilità psicologica ed emotiva, quasi paragonabile a quella di un mobile IKEA montato da dei bambini, scivolai fuori dall’auto di Vittorio, presi dal baule la mia valigia ed entrai nella mia casa natale.
Fortunatamente, solo dopo pochi giorni la dipartita dei due angeli, avevo iniziato a fare le valigie per tornare dai miei genitori per le vacanze natalizie; questo mi aveva permesso di non pensare troppo ai regali di Azrael ed Helel ancora sotto all’albero incartati o al silenzio tombale regnante nel mio appartamento; avevo iniziato a paragonarlo a un monastero nella mia testa.
Avevo ricevuto anche alcune lamentele da parte dei vicini poiché avevo tenuto il volume di musica o televisione troppo alto, avevo fatto ogni cosa in mio potere per far sparire quel silenzio che mi opprimeva anima e mentre. Ovviamente non avevo dato peso a nessun condomine infastidito.
Mia madre, quando l’avevo chiamata per del mio ritorno a casa per le vacanza natalizie, era scoppiata di gioia all’idea di avere finalmente di nuovo tutta la famiglia riunita sotto lo stesso tetto per quasi due settimane. Non avevo avuto il coraggio di chiederle di poter di nuovo vivere con loro, speravo di riuscirci in quei giorni di permanenza; di solito non scappavo dai miei problemi.
Ovviamente, essendo un venerdì, ed essendo il ventuno di dicembre, nessuno era già a casa se non Serena, tornata da poco da scuola, per cui non mi sorpresi di trovare la casa abbastanza in silenzio e nessun placcaggio a terra in stile rugby, come segno di benvenuto. Sarebbe successo sicuramente più tardi con l’arrivo di mio fratello.
«Sono arrivata!» Esclamai chiudendo la porta di ingresso con un calcio all’indietro mentre iniziavo a togliermi sciarpa e cappotto. Casa dei miei genitori non era molto grande: disposta su due piani, con torretta, aveva uno stile molto inglese.
Il piano terra era diviso in due da un corridoio che conduceva dritto sulle scale; sul muro di destra vi era solo la porta scorrevole, ingresso della cucina con annessa sala da pranzo, mentre su quello a sinistra vi era presente un arco con cui si entrava in salotto - dove lo scintillante albero di Natale stava trasformando la sala in una discoteca - e la porta della stanza da letto dei miei genitori - loro avevano un bagno privato.
Le scale , che voltavano verso destra, portavano al piano superiore dove vi era il bagno padronale e le stanze mie e dei miei fratelli. Inoltre al secondo piano vi era una scala a scomparsa per arrivare alla torretta o detta anche sala giochi.
«Ciao Eva». Arrivò la voce di Serena dalla cucina e subito seppi: qualcosa non andava.
Il tono di mia sorella era passivo e forse molti non l’avrebbero trovato diverso dal solito, ma c’era una punta di tristezza e pacatezza di solito introvabile in Serena Rossi.
Inoltre mi aveva chiamata con il mio nome intero. Serena non mi chiamava per nome, mai.
Tolto i quattro chili di cappotto, lasciai la valigia davanti alla porta - quasi dimenticata - e in due falciate entrai in cucina dove trovai una Serena abbattuta, mangiare con bocconi da canarino un toast seduta al tavolo di noce.
Definitivamente qualcosa non quadrava con mia sorella. Prima mi chiamava per nome e poi non mangiava? Cosa era preso a Serena.
«Woah, Rena!» Esclamai sedendomi nella sedia accanto alla sua. «Stai bene? Devo chiamare la mamma?»
Serena mandò giù il boccone e scosse il capo.
«Mamma mi ha già provato la febbre stamattina e non ce l’ho», fece una pausa e notai come si stava trattenendo dall’esplodermi in faccia. «Sto bene».
Piegai la testa di lato.
«Hai sbattuto le palpebre velocemente». Le feci notare e lei divenne paonazza, sapendo come l’avevo appena scoperta a mentirmi. Era un piccolo tic di Serena: quando mentiva sbatteva le ciglia velocemente.
«Come stai?» Chiesi. «Voglio la verità».
Serena mi guardò dritta negli occhi e fui così in grado di vedere il sottile strato di lacrime presente. Mia sorella cercò qualcosa nei miei occhi e dopo qualche minuto sembrò trovarla perché potei vedere nelle sue iridi chiare come i muri della sua mente stavano sgretolandosi.
Mia sorella nascose il volto nelle mani e scoppiò in un pianto strozzato, proprio come era successo a me poco prima con il trio.
Serena odiava farsi vedere “debole”, per mancanza di migliori termini. Cercava sempre di trattenere tutte le sue emozioni fin quando non era sola e poteva lasciarsi andare.
Aveva un carattere forte e poteva sopportare il mondo.
Se in quel momento era crollata di fronte a me, significava solo esclusivamente una cosa: il suo dolore, in quel momente, era il più forte mai provato nella sua vita.
Con un unico gesto la strinsi in un abbraccio e la lasciai sfogare sulla mia felpa.
«N-non so c-cosa ci sia c-che n-non va», singhiozzò e tirò su con il naso. «È da s-sabato ser-ra che s-sto cos-sì». Fece un lungo respiro, cercando di calmarsi quel tanto per parlare normalmente, circa. Non la lascia andare neanche un secondo.
«E da quando mamma m-mi ha detto che H-Helel ed Arzael s-se ne sono a-andati è anche p-peg–».
Serana non riuscì più a parlare, ormai troppo persa nelle lacrime e nei singhiozzi così violenti da scuotere entrambi i nostri corpi.
Tutto il resto venne lasciato alla mia mente da comprendere.
Dopo l’ultima visita dei miei genitori, finita in un attacco dai parti dei demoni, si era capito come mia sorella avesse un’accentuata simpatia per gli angeli, in particolare per Helel. Eppure il dolore e la tristezza provati da Serena in quel momento non erano iniziati la domenica precedente, quando finalmente mi ero calmata abbastanza per potere chiamare mia madre e darle la notizia, ma da sabato sera: esattamente quando gli angeli erano scomparsi.
È come se avesse senti–
Spalancai gli occhi.
Oh, cielo!
Quanto ero stata stupida a non mettere a posto i pezzi del puzzle prima! Mannaggia a me e alla mia lentezza di pensiero!
Serena era l’altra metà di Helel! Ma certo! Questo spiegava tutto. Il flirt istantaneo che avevano avuto, il modo in cui il Diavolo l’aveva difesa durante l’attacco e il modo in cui l’aveva tenuta vicino a sé mentre spiegavo ai miei genitori le vere origini dei due angeli.
Questo spiegava anche perché Helel mi avesse tormentato di domande su mia sorella nella settimana prima della loro dipartita.
E proprio come io sentivo l’assenza della presenza di Azrael, Serena doveva benissimo sentire l’assenza di Helel. Come se ti mancasse qualcosa dal tuo fianco.
Guardai la forma di Serena tra le mie braccia e notai come essa si era calmata. Aveva gli occhi chiusi e il respiro regolare, si era addormentata.
Potarsi a dietro tutte quelle lacrime aveva dovuto davvero stremarla in quella settimana.
Sorridendo alla figura fulva, la alzai di peso e mi feci strada fuori dalla cucina, su per le scale e nella camera famigliare di mia sorella. Davvero poche cose erano cambiate da quando me n’ero andata.
La infilai sotto le coperte, le rimboccai le coperte e le diedi un bacio sulla fronte.
Non sei da sola.
Chiusi lentamente la porta della sua stanza e mi ci appogiai contro di schiena. Chiusi gli occhi, reclinai la testa all’indietro ed espirai.
Un unico pensiero era ora nella mente: Azrael.
 

†Angolo Autrice†

Ed eccomi con il capitolo diciasette!
Eva ed Azrael non vivono più insieme ed entrambi devono sopportare situazioni pesanti senza l'aiuto dell'altro. Eva a un confronto con la sorella e finalmente comprendere cosa ci sia tra la sorella e il Diavolo - traquilli, Helel aspetterà la maggiore età di lei per provare una qualsiasi cosa!
La guerra è arrivata in paradiso ed è il momente dei nostri protagonisti di scendere in campo. Cosa accadrà?
Dovrete aspettare il prossimo capitolo, che non tarderà ad arrivare!
Perché, signori e signore: ho finito anche l'epilogo. Dopo 130 lunghe pagine e un anno e venticinque giorni di lavoro, disperazione e pianti; sono riuscita a mettere la parola fine a questo mio progetto.
È stata una soddisfazione grande e toccante, con pure una lacrima di felicità uscita al mio stupido occhio.
Per cui state sintonizzati per gli ultimi capitolo che stanno per arrivare!!!

Axel Knaves

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** [18]» Attacchi a sorpresa e cioccolata calda «[18] ***



[Attenzione]» Uso intenso di violenza e splatter « [Attenzione]


 

[18]» Attacchi a sorpresa e cioccolata calda «[18]

 

3rd POV

«Se non funzionasse?» Bisbigliò Tridel ad Helel, mentre i suoi occhi scuri erano fissi sull’angelo femmina nascosto a qualche metro da loro.
Helel chiuse gli occhi e si massaggiò il ponte del naso per trattenersi dall’urlare e dallo sbattere la testa contro al muro grezzo su cui era appoggiato.
Tre ore, tre ore che Tridel non chiedeva nient’altro. Per quanto il mezzo-demone fosse il suo migliore amico e suo fratello, Helel aveva voglia di ammazzarlo. Una voglia così forte neanche Bruto l’aveva provata nei confronti di Giulio Cesare.
«Se me lo chiedi un’altra volta ti giuro che ti ammazzo». Gli rispose con tono stizzito, cercando di tenere un tono basso, per non farsi scoprire.
Il volto di Tridel si deformò in un’espressione da finto offeso e si portò una mano al petto con fare da donna di mezz’età.
«Non oseresti».
Helel lo fissò senza dire nulla, alzando semplicemente un sopracciglio.
“Vogliamo provare?” Stava urlando in silenzio. Il mezzo-demone vedendo l’espressione del Diavolo, si rilassò un poco e gli regalò un sorriso sornione, un po’ ruffiano.
Magari Tridel stava esagerando, sapeva benissimo che il piano era stato progettato al millimetro, eppure l’idea della sua Mikael in prima fila insieme a loro, a combattere contro i demoni, lo metteva in ansia. Voleva la donna rinchiusa in una qualche stanza lontana da un qualsiasi pericolo.
Ovviamente non aveva dato voce alle sue preoccupazioni: conosceva estremamente bene la sua consorte e sapeva anche come chiederle di non partecipare a quella guerra sarebbe stato uguale a gettare benzina su un incendio. Non aveva certo nessuna voglia di morire per mano della sua amata.
Mikael era pur sempre il sacrosanto arcangelo Michele, l’angelo combattente, chiederle di non intervenire in quel piano era come chiedere a qualcuno di tagliarsi un piede.
Helel scosse la testa al sorriso offertogli dal fratello scarlatto e si guardò attorno, perlustrando la zona.
Dopo che Tridel aveva dato la notizia dell’arrivo dei demoni alle porte del Paradiso nella sala di guerra l’unico rumore udibile, per un buon quarto d’ora, era stato il respiro irregolare del demone e i palpiti irregolare dei cuori dei presenti.
Finalmente a distruggere il silenzio, e gli sguardi sgranati e sbarrati dei presenti, era stato un giovane mietitore: «Quattro comandanti cosa facciamo?» Aveva chiesto con tono strozzato e un’ovvia espressione di paura in volto.
Quella semplice domanda aveva fatto finalmente comprendere a tutti i rappresentati degli angeli e dei mietitori cosa stava davvero succedendo fuori da quella sala e ciò che era stato perso in quei giorni, mentre loro erano rimasti chiusi in quella sala a litigare come dei bambini piccoli. In un attimo tutti si voltarono verso Gavriel chiedendo come avrebbero dovuto agire.
Mentre Gavriel e Mikael, con l’aiuto di Tridel, iniziavano a progettare la loro prossima mossa, Helel aveva notato loro fratello minore avvicinarsi al giovane mietitore - una semplice recluta in addestramento come guardia, dal nome di Marvin - e lo ringraziarlo per aver fatto cambiare idea a tutti i presenti.
Il piano non ci aveva messo troppo ad essere completato soprattutto grazie ad Helel quando aveva deciso di aggiungersi alla discussione, seguito a ruota dal piccolo di famiglia. I mietitori e gli angeli, abituati a vedere i quattro angeli lavorare ognuno per conto suo, quasi si spaventarono a vedere con quale calma e risolutezza i cervelli dei quattri lavano perfettamente in sincrono, insieme a quello del mezzo-demone, per progettare un piano semplice, efficace e sanguinario.
Si spaventarono soprattutto quando compresero che per i quattro angeli e il mezzo-demone quello non era solo un piano di contrattacco, quel piano era la loro vendetta. Era stato proprio il Diavolo a pronunziare le parole: «Ogni demone che non seguirà il mio consiglio di ritirarsi sarà ucciso come se fosse niente di più che uno scarafaggio»
E così era stato.
Neanche dodici ore dopo che i demoni avevano fatto capolino nel primo cielo del Paradiso, Helel era apparso nel campo nemico a spiegare ai suoi demoni come Erezel li avesse ingannati sui fatti successi nei mesi precedenti, sottolineando come lui non fosse affatto sotto influenza divina. Infine aveva consegnato l’ultimatum deciso di dare dall’armata di angeli e di mietitori: se l’armata demoniaca non si fosse ritirata immediatamente, ridando agli angeli Purgatorio e Paradiso, ogni demone presente in Paradiso avrebbero perso la vita in modo agonizzante.
Erezel era diventato paonazzo ad ogni parola del Diavolo e la sua furia era aumentata ad ogni demone scappato all’inferno con un schiocco di dita, spaventato dalle minacce di morte del loro stesso leader. Tutti i demoni erano consapevoli di quanto potesse essere freddo e crudele il loro sovrano quando si trattava di traditori.
Il demone con un solo corno aveva tentato di attaccare direttamente Helel, ma il giovane dagli occhi bianchi era sparito un attimo prima che la spada di Erezel gli affondasse nel collo, con un sorriso beffardo dipinto in volto.
Erezel fece a se stesso la promessa di sventrare quel moccioso con le sue stesse mani appena l’avrebbe rivisto.
Gli angeli e i mietitori avevano così assistito all’avanzata dei demoni dall’ultimo cielo, senza muovere un muscolo. Dopo l’apparizione del Diavolo, i demoni rimasti, erano diventati molto più agitati e irrequieti; inoltre vi era da aggiungere l’assoluta assenza di angeli e mietitori lungo il loro passaggio.
Il fatto che non avevano più gruppi di guerrieri a contrastarli stava facendo scoppiare ancora di più i caratteri dei demoni: alcuni se ne andavano nella notte, altri iniziavano a picchiare un proprio compagno d’armi pur di picchiare qualcosa e altri ancora semplicemente si lasciavano logorare dal panico e dall’ansia che Helel potesse apparire insieme ai suoi tre fratelli e torturarli per l’eternità.
Erezel stava perdendo ogni controllo avuto fino a quel momento sul suo esercito, un attimo dopo l’altro, senza neanche accorgersene.
Ed era a questo che gli angeli e i mietitori avevano puntato: disorganizzare i demoni, diminuire il loro numero così da far diventare possibile un attacco diretto con i loro numero di soldati ed estinguere la minaccia in un’unica volta.
Gavriel aveva aspettato quattro giorni prima di attaccare. Insieme ai fratelli aveva accuratamente scelto il luogo migliore in cui tenere l’attacco: le porte dell’ultimo cielo dove i demoni avrebbero dovuto fermarsi, a causa della potente barriera protettiva a loro protezione. In questo modo i demoni avrebbero avuto un lato chiuso e l’armata divina avrebbe dovuto preoccuparsi di una via di fuga in meno.
«Sono qui». Tridel riportò alla realtà Helel.
Il Diavolo scosse un attimo la testa per ritrovare la concentrazione e poi posizionò lo sguardo su suo fratello maggiore rannicchiato accanto loro sorella. Helel poteva benissimo vedere come i muscoli di Gavriel e Mikael si stessero tendendo ogni secondo di più e ad ogni passo che si avvicinava.
Helel riportò un attimo lo sguardo su Tridel, il quale le nocche quasi bianche da quanto stringeva la propria spada.
«Mikael sa il fatto suo in battaglia», gli bisbigliò, «smettila di preoccuparti».
Tridel rilassò un attimo il pugno e sorrise beffardo, puntando gli occhi sulla donna.
«Lo so». Rispose al fratello e poi il suo sguardo venne incrociato da quello di Mikael, la quale gli fece il labbiale di: “Stai attento”. Il mezzo-demone non poté non sentire un calore immenso invadergli il petto a quel gesto di affetto.
I passi ormai erano dietro alle mura dove loro erano nascosti, gli schiamazzi dei soldati e l’accozzaglia delle armi coprivano ogni suono che gli angeli e i mietitori potessero creare; rendendoli ancora di più invisibili all’armata nemica.
«Erezel avevi promesso sangue di angeli sulle nostre armi ed armature!» Stava urlando una voce. «Ed invece non vediamo un angelo da ben quattro giorni!»
Gavriel, dopo essersi assicurato di comer tutti gli angeli fossero in posizione, azzardò e si alzò quel tanto per vedere cosa stesse accadendo dall’altra parte del muro.
Il gruppo di demoni, ormai metà della metà di quelli entrati in Paradiso qualche giorno prima, era proprio dove volevano gli angeli e sembrava che si fossero fermati per riprendere fiato. L’arcangelo in un attimo identificò Erezel - il corno rotto lo rendeva facile - e vide come il leader dell’orda demoniaca era alle prese con un soldato insubordinato.
«Invece di prendertela per certe stupidate dovresti tornare al tuo posto, soldato!» Urlò Erezel in faccia al demone, la sua concentrazione totalmente rivolta a lui. «Se non vediamo un angelo da quattro giorni ci sarà sicuramente un motivo e se ci facciamo trovare impreparati ci potrebbero anche distruggere!»
È ora! Avvisò mentalmente Gavriel a tutti i suoi soldati: quella era la loro occasione e di certo non avrebbe aspettato che Erezel riportasse alta la guardia dei suoi soldati. Attacchiamo!
Le urla di guerra degli angeli squarciarono l’aria e fecero sussultare i demoni che appena seduti a riposare, le armi a terra e non al loro fianco. I due squadroni guidati da Helel, Tridel, Gavriel e Mikael attaccarono il gruppo di demoni da destra e sinistra, prendendo totalmente di sorpresa i demoni.
Quando il ferro delle spade angeliche sbattè contro le armi demoniache, un gran numero di demoni era già caduto sotto la forza dell’armata divina. I demoni stanchi e spossati avevano risposto troppo lentamente e aveva dato agli angeli l’occasione per uccidere una buona parte di soldati senza troppe energie sprecate.
Erezel imprecò dopo aver ucciso un altro inutile angelo che aveva provato a farlo diventare uno spiedino di pollo. Questo attacco non ci voleva, non ora che era così vicino alla cima del Paradiso, non ora che la sua vendetta su Helel e sugli angeli era a un passo dall’essere portata a termine.
Ma Erezel si rese conto, inspirando l’aria inacidita dall’odore del sangue dei suoi stessi soldati, di come la battaglia sarebbe stata persa se non avesse fatto qualcosa immediatamente; avrebbe perso l’intera guerra in un’unica battaglia.
Con i denti stretti decise di utilizzare il suo piano di riserva.
«Ritirata!» Iniziò ad urlare mentre parava l'ennesimo affondo arrivato nella sua direzione. «Ritirata, maledizione!» Continuò ad urlare a suoi uomini.
Sentendo quelle parole Helel, intento a decapitare un demone, comprese di come era sua responsabilità concludere il piano da loro progettato.
Azrael ora! Ora! Ora! Urlò telepaticamente evitando una lancia nel ventre, entrando nella difesa del nemico per poi aprire in due il petto del demone che aveva cercato di ucciderlo.
In quel modo, quando i demoni si girarono per ritirarsi dalla battaglia trovarono la loro via di fuga bloccata da un’armata di mietitori capeggiati da Azrael stesso. I demoni più vicini all’angelo della morte sgranarono gli occhi mentre dei sudori freddi scendavano lungo le loro schiene, notando lo sguardo di odio e morte che l’angelo gli stava riservando.
«All’attacco!» Urlò il giovane angelo prima di correre verso i demoni, falce alla mano, con l’esercito  urlante al suo seguito.
Erezel, quando sentì il secondo urlo di battaglia tagliare l’area del Paradiso, iniziò a guardarsi intorno e vide come molti dei suoi avevano iniziato a sparire con uno schiocco di dita. In quel momento il diavolo da un corno comprese che ormai era troppo tardi, quella battaglia era stata persa: gli angeli erano stati bravi e li avevano giocati fino all’ultimo secondo, senza lasciare nulla al caso.
Eppure il demone non riusciva ad accettare di aver perso la guerra, non riusciva ad accettare che tutti quegli anni passati a farsi mettere i piedi in testa da un marmocchio divino avevano portato a nulla, non riusciva ad accettare di aver perso contro degli stupidi angeli.
L’uomo in rosso evitò un altro angelo, tagliandoli la testa di netto, e chiamò il suo beta.
«Malik!» Urlò e in un attimo il demone fu al suo fianco, coperto nel sangue del nemico.
«Ai vostri ordini sire». Disse il secondo demone.
«Concentra i tuoi attacchi sull’arcangelo Mikael!» Gli ordinò parando la falce di un mietitore, arrivato a lui. «Tridel correrà sicuramente in suo aiuto! Quando succederà abbatti Tridel, in questo modo toglieremo di mezzo metà del problema».
Malik trafisse il mietitore da fianco a fianco prima di portare la mano destra sul cuore. «Sì, mio signore».
In un battito di ciglia Malik non fu più di fronte ad Erezel. Il demone sorrise malignamente: se non fosse riuscito a vincere la guerra distruggendo l’armata divina, l’avrebbe vinta giocando sui legami che univano i comandanti dell’armata divina. Prima avrebbe distrutto Tridel, rendendo inerme la giovane Mikael e alterando Helel, così da far perdere al giovane ogni controllo, infine lo avrebbe colpito al cuore distruggendolo completamente.
Trovare la propria metà era un rischio per un angelo, la propria vita iniziava a dipendere da quella persona, letteralmente. Se la controparte moriva o veniva ferita gravemente l’angelo lo sentiva come se fosse successo a lui; e l’istinto lo avrebbe portato alla pazzia se non fosse accorso ad aiutarla.
Con uno schiocco di dita Erezel, all’insaputa di tutti, si meterializzò sulla terra dove risiedeva il suo asso nella manica.

EVA’S POV

Quella notte faceva più freddo del solito. Era stato una cosa quasi impossibile ma in ventiquattro ore le temperature erano diminuite di una decina di gradi - a dispetto delle previsione - e mi ero rifugiata, avvolta nel mio plaid preferito, davanti al camino acceso in salotto.
Ero raggomitolata sulla mia poltrona preferita, una tazza di cioccolata sul tavolino accanto a me e il libro compratomi da Azrael, durante il nostro primo e unico appuntamento, in mano.
Non sapevo come ci fosse riuscito ma avevo trovato la busta, con dentro il libro che avevo cercato di comprare quel pomeriggio, abbandonata accanto al divano un paio di ore dopo la dipartita degli angeli.
Non sto neanche a descrivere quante lacrime avevo versato a quella scoperta.
Fermai un attimo la lettura per stropicciarmi gli occhi e bere un goccio di cioccolata calda, ascoltando il crepitio della legna avvolta dalle fiamme.
Erano ormai passati cinque giorni da quando ero arrivata a casa dei miei genitori e, anche se non era stato uno dei più gioiosi, avevamo festeggiato il Natale tra risate, cibo e vino. Tanto vino.
Sfortuna mia che tenevo bene l’alcol e mi ero quasi dovuta scolare una bottiglia di vino da sola per diventare brilla. Serena al contrario con due bicchieri aveva iniziato a ridere come se non ci fosse un domani.
Aveva continuato a ridere anche durante il sonno! Era stato una scena così tanto epica per cui, seppur estremamente brilli, io e Davide eravamo stati in grado di farle un video ed inviarlo ai nostri cugini come regalo aggiuntivo di Natale.
Sorrisi a quel ricordo e al pensiero di quanto l’avremmo ricattata con quel singolo video.
«Ancora sveglia?» Chiese la voce di Davide alle mie spalle. Voltai il capo e lo trovai in piedi, quel tanto sveglio da rimanerci, che camminava verso il divano a sinistra della mia poltrona. Era vestito con un assurdo pigiama a due pezzi dai sfarzosi motivi natalizi. Era il regalo di Natale fatto e spedito da Zia Assunta per lui; faceva male agli occhi da quanto il verde acceso contrastava il rosso fiammante e le rifiniture oro.
Mamma l’aveva costretto a metterselo, per inviare la foto alla Zia e fornire il tempo a me di farne qualcuna per il futuro, ma alla fine Davide non aveva più avuto voglia di toglierselo e aveva finito per tenerselo addosso. Un pochino iniziava a puzzare, se dovevo essere sincera.
«Non riuscivo a dormire». Mentii sorseggiando la cioccolata calda. Un’ora prima, cioè alle 2 del mattino, mi ero svegliata dall’ennesimo incubo in un bagno di sudore e avevo compreso come quella notte non sarei più riuscita a dormire.
Avevo così deciso, dopo essermi fatta una doccia ed essermi cambiata nel pigiama di pile regalatomi da mia madre - Zia Assunta a me aveva regalato dei guanti verdi evidenziatore, come una buona cioccolata calda e un buon libro avrebbero fatto il trucco.
Davide, sdraiato a pancia in su sul divano, sbuffò irritato.
«Se credessi minimamente a quella idiozia, mi dovrebbero togliere il titolo di tuo fratello maggiore, ah!» Mi rispose, ovviamente non tanto contento della menzogna appena uscita dalle mie labbra. «Lo so che hai degli incubi, le nostre stanze sono adiacenti, stupida, sento quando ti svegli di soprassalto». Aggiunse con tono addolorato.
Puntai gli occhi nel fuoco e cercai di non pensare alle parole appena uscite dalla bocca di mio fratello o al tono con cui aveva parlato. Quello era il mio dolore da sopportare nella vita, mio fratello non avrebbe dovuto preoccuparsene così tanto. Non sarebbe stato giusto.
«Non ti preoccupare». Pigolai.
«Sei in ritardo di vent’anni per quello», mi fece notare lui, «ero preoccupato per la tua salute ancora prima della tua nascita».
Mi girai verso di lui e gli sorrisi affettuosamente, cercando di non dar peso al groppo in gola creatosi a quelle semplici parole.
«Tanto dici di non sopportarmi e poi guardarti, più dolce di un cioccolatino». Lo stuzzicai e potei vedere le sue guance diventare rosse alla luce del fuoco.
«Piantala piccoletta!» Esclamò lui mettendo il broncio e incrociando le braccia al petto.
Riddacchiai e tornai a contemplare le fiamme, con la tazza stretta in mano, ovviamente i pensieri incentrati su Azrael e su come stesse in quel momento. Stava bene? Ed Helele? Mikael, Tridel e Gavriel? Come stava andando la guerra? Erano feriti? Dormivano abbastanza?
Davide sospirò e riportò i miei pensieri al luogo in cui il mio corpo era. Mi voltai nuovamente verso di lui e vidi come ora era seduto, fissandomi seriamente.
Aggrottai le ciglia dubbiosa.
«Che c’è?» Gli chiesi.
«Non devi tenerti tutto dentro». Mi rispose lui. «So quanto Azrael ed Helel ti mancano, so anche quanto quei due avevano iniziato a contare molto nella tua vita e so persino come nessuno su questa terra potrà riempire il vuoto nel tuo cuore lasciato da Azrael - e ho quasi la sensazione di come lo stesso valga per Serena. Ma non devi tenere tutto dentro, sappiamo bene entrambi come non ti faccia bene il “non parlare”. Puoi parlarmi di qualsiasi cosa a qualsiasi ora, dovresti ormai saperlo benissimo».
«Grazie», dissi facendo un respiro profondo, «quando sarò in grado di poterne parlare con qualcun’altro sarai il primo da cui mi recherò».
Lui annuì con il capo, un sorriso soddisfatto sul viso, e si alzò. Quando fu accanto a me mi mise una mano sulla spalla.
«Prossima volta che hai un incubo vieni in camera mia e ti lascerò dormire con me». Promise e sentii nel profondo che se Davide non avesse smesso di parlare sarei scoppiata in un altro pianto isterico. Maledizione all’affetto di mio fratello nei miei confronti!
«Di cosa state parlando?» La voce assonnata di Serena fece scattare entrambe le nostre teste verso l'ingresso della sala. Lì stava Serena con il suo pigiama a braghe corte. Come facesse a non aver freddo era dato solo a lei conoscerlo.
«Che ci fai sveglia a quest’ora?» Chiese Davide con tono da mamma chioccia.
«Potrei fare la stessa domanda a voi». Controbattè lei. Davide scosse la testa mormorando qualcosa sulla mancanza di rispetto per gli anziani e io ridacchiai della sua reazione.
«Stavamo tornando a letto, vero?» Disse Davide, fissandomi. Appoggiando la tazza sul tavolino e prendendo il libro, mi alzai dalla poltrona.
«Vero». Concordai con mio fratello. Forse se dormivo con lui gli incubi non sarebbero tornati.
Serena annuì e poi si incamminò per le scale, facendoci strada.
Nell’esatto istante in cui misi il piede sul primo scalino, Davide e Serena di fronte a me, una ventata di aria congelata passò nel corridoio e bloccò tutti e tre sul posto.
Il cuore iniziò immediatamente a battere all’impazzata nel mio petto, mentre l’istinto mi diceva di correre il più lontano possibile e nascondermi il meglio possibile.
Deglutii lentamente prima di girarmi, con una lentezza non naturale, di centottanta gradi. Sentii il sangue gelarsi nelle vene quando gli occhi mi finirono su un essere dalla pelle rossa, fermo davanti alla nostra porta d’ingresso.
Un demone era in casa mia.
Mentre il cervello cercava di comprendere cosa significasse il tutto, il corpo si mise di fronte ai miei fratelli per fare loro da scudo. Cosa ci faceva lì? Significava che gli angeli avevano perso? No, ero sicura che Azrael fosse vivo ed ero sicura che anche Helel lo fosse, per cui non
potevano aver perso, allora cosa ci faceva in casa mia?

Lo studiai e subito mi sembrò esattamente come uno dei demoni che mi avevano già attaccato in precedenza - carnagione rossa scura, fisico ben formato, coda che spazzava il pavimento e occhi completamente neri - fu solo quando gli occhi arrivarono alla fronte che mi accorsi della mancanza di una cosa particolare: il demone aveva infatti un corno spezzato.
Non è possibile!
«C-Chi sei?» Chiesi balbettando, sperando di non ricevere la stessa risposta datami dal mio cervello. Ora che non avevo più metà dei poteri di Azrael ed Helel non ero solo un facile bersaglio da uccidere, ma non avrei potuto difendere Davide e Serena in nessuna maniera.
«Credo tu mi abbia già riconosciuto, umana». Rispose il demone con voce così baritonale e velenosa da farmi venire i brividi lungo la schiena. «Il mio nome è Erezel, sovrano dei demoni, sono qui per prenderti la vita».
 
†Angolo Autrice†
E ci avviciniamo sempre più alla fine!
Sono emozionata all'idea che in poche settimane avrò finalmente completato la prima pubblicazione di questa storia! Ma non vi preoccupate, l'editing dei primi capitoli è già in atto!
In breve tempo troverete pubblicati i capitoli editati!
Ma tornando a questo capitolo: come già detto a inizio capitolo questo e il prossimo capitolo saranno molto violenti e cruenti. Ma ci saranno anche scene strappa lacrime e toccanti!
Prossimo capitolo è il penultimo, per cui se siete curiosi come la storia andrà a finire rimanete con me!
Alla prossima,

Axel Knaves

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** [19]» Dammi tre parole: sangue, morte e amore «[19] ***




!Attenzione: contenuti violenti!

[19]» Dammi tre parole: sangue, morte e amore «[19]

 

EVA’S POV

Strinsi i pugni a sentir nominare quel maledettissimo nome. Il demone davanti a me era il bastardo che aveva cercato di toccare la mia famiglia. Il demone davanti a me era il bastardo che aveva cercato di uccidere le persone e gli angeli a me cari. Il demone davanti a me era il bastardo che il mio corpo mi stava chiedendo disperatamente di uccidere.
Anche se ero cosciente di non avere più i poteri divini di Azrael ed Helel, gli unici mezzi con cui avrei potuto sconfiggerlo.
Con la coda dell’occhio guardai i miei fratelli, entrambi fermi sulle scale. Davide aveva il viso cereo e sembrava star trattenendo il respiro; il corpo di Serena stava tremando a causa dei singhiozzi che lo avevano iniziato a percuotere dalla paura. Quando notai le lacrime sul volto di mia sorella compresi come quello fosse il momento di fare qualcosa di disperato e forse anche di un po’ folle: avevo un’unica possibilità e non potevo gettarla nel cestino.
Ringraziai Ra di avere delle pantofole ai piedi e un pigiama pesante addosso mentre tornavo a guardare il demone con sguardo torvo e labbra pressate.
«Prima di riuscire ad uccidermi, dovrai prendermi». Sibilai prima di lanciarmi nella corsa più pazza della mia vita - se fossi sopravvissuta l’avrei segnata sicuramente sul calendario. Lasciando cadere a terra il libro regalatomi dall'angelo della morte, con tutta l’adrenalina immagazzinata nel mio corpo, corsi in salotto; lo attraversai con lunghe falcate e mi defenestrai di mia spontanea volontà.
Attorno a me fu come se il tempo andasse a rallentatore per alcuni secondi: l’impatto contro al vetro era stato più violento di quello che avevo pensato all’inizio ed ogni taglio apertosi sulle braccia a causa delle schegge di vetro bruciava come un dannato.
Ma neanche il tempo di percepire l’urlo sorpreso di Davide e quello di preoccupazione di Serena, che ero già atterrata sul nostro prato. Rotolai un paio di volte, mi rimisi in piedi e ripresi a correre a perdifiato in mezzo alla notte, in pantofole.
Non potevo difendere la mia famiglia in nessun modo in quel momento, ero semplicemente un’inutile e innocua umana. Ciò nonostante non potevo darla vinta ad Erezel senza lottare. Sapevo di sembrare patetica agli occhi di quel maledetto, cercando di seminare un demone a piedi, ma continuai a spingere il mio corpo un piede davanti all’altro.
Più spazio mettevo tra il demone e la mia famiglia e meglio era.
Non feci molta strada, su quello non c’erano dubbi: arrivai a malapena al parco giochi dietro alla prima svolta prima che una mano mi prendesse per i capelli e mi strattonasse a terra.
Atterrai di schiena e per qualche secondo tossì fuori tutto l’ossigeno presente nei miei polmoni a causa della violenza dell’impatto con il suolo. Mi girai su un lato, cercando di mettermi a gattoni, ma tutto quello che feci fu aprire un fianco al calcio del demone. Mi spostai di qualche metro rotolando violentemente contro il terreno, prima di fermarmi ed essere in grado di tossire fuori il sangue, fermatosi in gola.
Mi cercai di tirare su da terra usando gli avambracci e stringendo i denti ma Erezel non aveva finito con me. Sentii una mano prendermi i capelli e sollevarmi come se non pesassi nulla; costrinsi l’urlo di dolore a morirmi in gola mentre sentivo delle ciocche intere di capelli staccarsi dalla cute. Mi aggrappai al polso che mi teneva sollevata da terra e cercai di calciare il demone più che potevo, senza guardarlo negli occhi.
«Siete patetici voi umani». Dichiarò divertito prima di lanciarmi dall’altra parte del parco.
Intersecato con l’aria che sfregiava la pelle sentii un urlo. Mi resi conto di essere io stessa la causa di quell’urlo solo dopo che atterrai. L’impatto fu preso tutto dalla spalla e fu devastante.
L’urlo mi si strozzò in gola mentre un sonoro “crack” alla spalla venne seguito a ruota da un dolore allucinante proprio in quel punto; esso non fece nulla se aumentare mentre slittai per ancora qualche metro sul terreno.
Quando finalmente mi fermai, roteai immediatamente sulla schiena. Lacrime calde erano ovunque sul volto e stavano cercando di  strozzarmi; la spalla era in fiamme dal dolore e non voleva dare segno di volersi muovere prima di molto tempo.
Anche con il fiato corto, e con metà corpo intorpidito o bloccato, appena sentii i passi del demone avvicinarsi cercai di strisciare via usando il mento e il braccio ancora funzionante.
La mano di Erezel però non ci mise molto a riprendermi per i miei capelli rossi. Proprio in quel momento, mentre un ennesimo urlo di dolore eruttava dalla mia gola, mi resi conto come quella notte non sarei sopravvissuta.
Accettai silenziosamente, nella mia testa, che quella notte Erezel mi avrebbe ucciso.

3rd POV

Tridel non si era mai reso conto quanto poco tempo servisse per prendere una decisione nella vita e quasi si spaventò quando fece la scelta più importante della sua in pochi decimi di secondo.
Era stata la sensazione più strana della sua esistenza quando, dopo aver tranciato via il braccio del demone che l’aveva appena attaccato puntando alla sua testa, un brivido lungo la schiena lo aveva impietrito per alcuni secondi, rendendolo incapace di muovere un qualsiasi muscolo, e un intenso calore nel petto lo aveva iniziato ad incitare a trovare Mikael al più presto.
Appena i suoi muscoli tornarono a funzionare, Tridel partì veloce come il vento. Un piede che seguiva velocemente l’altro mentre portava i suoi muscoli allo stremo per riuscire a correre ancora più veloce. Tridel corse come un dannato attraverso il campo di battaglia, schivando, parando e decapitando tutti quei demoni che si mettevano sul suo cammino, senza nessuna pietà, in cerca dell’arcangelo Mikael.
Non sapeva perché ma più tempo ci metteva a trovare la donna, più la strana sensazione che lo aveva pervaso da qualche minuto si trasformava in un’angoscia irreale.
Finalmente, dopo quello che a lui era sembrato un secolo, la trovò: leggiadra nei movimenti, Mikael, stava dando del filo da torcere a tre energumeni che l’avevano attaccata nello stesso momento. La sua armatura candida era schizzata di macchie nere mentre dalla spada con cui stava combattendo, colava ancora il sangue degli avversari già mietuti.
In quel momento Mikael era nel suo elemento e Tridel non poté fare a meno di perdersi per un attimo ad osservarla. Quella era la donna che lui amava da secoli. Quella era la donna che poteva definire “sua” ed era estremamente orgoglioso che quella donna avesse deciso di concedere proprio a lui il privilegio di vedere la sua parte più “debole”.
Purtroppo Mikael era troppo concentrata sui suoi avversari per accorgersi di una quarta presenza armata alle sue spalle. Tridel riconobbe immediatamente Malik, il suo miglior sottoposto, e quasi gli si bloccò il cuore dal battere a vederlo caricare la lancia e correre con tutta la forza che aveva verso la donna; un’unica missione: ucciderla.
«MIKAEL!» Urlò Tridel disperato per la donna di guardare dietro di sé, mentre lei stava trafiggendo l’ultimo dei tre avversari.
Ma Tridel comprese, proprio nello stesso istante in cui lo comprese Mikael, come era ormai troppo tardi. Mikael aveva dato tutta la sua attenzione agli avversari davanti a sé e non si era accorta del demone che la stava per prendere alle spalle. Ed ora neanche i riflessi migliori l’avrebbero potuta salvare dalla lancia preparata per ucciderla.
Mikael fece un’unica cosa per prepararsi alla sua imminente morte: chiuse gli occhi e si preparò al dolore della lancia, caricata per trafiggere il suo torace, stringendo i denti.
Eppure la donna non sentì nulla di quel colpo.
Lentamente aprì gli occhi e il cervello le si bloccò alla vista in fronte a lei mentre sembrava impossibile per l’ossigeno arrivare ai suoi polmoni. Gli occhi erano fissi sulla schiena larga e possente di Tridel, apparsa di fronte a lei dal nulla, e stavano studiando increduli la lancia demoniaca che spuntava fuori, sanguinolenta, da un fianco del mezzo-demone.
Un groppo le si formò in gola mentre il suo cervello cercava di non credere ai suoi stessi occhi.
«No». Bisbigliò prima di riuscire a reagire a dovere. «TRIDEL NO!» Urlò quando il demone estrasse la lancia dal corpo appena perforato. Il mezzo-demone cadde all’indietro a peso morto, finendo tra addosso al lei.
L’arcangelo guerriero strinse tra le sue braccia tremanti il mezzo demone, concentrato sul mantenere una pressione costante sul fianco ferito e sul tossire fuori tutto il sangue accumulatosi in gola.
Il cervello della donna stava lavorando più veloce di qualsiasi altro momento della sua vita: pensieri su pensieri le invadevano la mente rendendo completamente inutile tutti i ragionamenti; si trovò così ad avere la mente totalmente vuota per lo shock.
«È stato molto più semplice di quel che mi aspettassi». Li derise la voce di Malik, riportando su di sè gli occhi morenti di lui e gli occhi infuriati di lei.
Malik guardava l’angelo e il mezzo demone con uno sguardo superiore. Era stato così facile disarmare e colpire in modo mortale il demone più potente degli inferi, senza contare con quale velocità l’angelo più forte dei quattro regni era caduta in ginocchio, totalmente sconvolta dallo stato del suo amante.
Malik, sentendo ormai la vittoria sulla punta delle dita, caricò la sua arma per mettere fine anche alla vita della donna. Se avesse ucciso entrambi, nella nuova era demoniaca, sarebbe stato ricordato come uno dei più grandi guerrieri. Ne era sicuro.
Mikael guardò la lancia essere alzata sopra la sua testa ma non riuscì a fare nulla: ogni suo muscolo era indolenzito e uno strano dolore aveva possesso del suo fianco. Strinse i denti sapendo come la causa di quel dolore fosse la ferita al fianco di Tridel, erano legati in modo così stretto per cui la donna sentiva ogni singola ferita del mezzo-demone e viceversa.
Tridel sapeva di ciò e aveva paura di cosa sarebbe successo a Mikael se lui fosse morto.
Ma il suono di carne dilaniata riempì l’aria ancora prima che la lancia ascendesse sulla donna.
Malik tossì e si sorprese di sentire sangue uscirgli dalle labbra. Il demone, sentendo uno strano fastidio appena sotto lo sterno, guardò in basso e rimase per qualche secondo sorpreso e perplesso a scoprire la punta di una spada uscirgli dell’addome.
Mikael sgranò gli occhi comprendendo finalmente cosa era successo: erano stati salvati. La donna vide la spada essere girata all’interno del corpo del demone - facendo sputare ancora più sangue al demone e facendolo agonizzare - prima di essere estratta. Il corpo ormai senza vita di Malik venne fatto cadere di lato; rivelando la figura ansimante di Helel.
Il Diavolo, non prestando attenzione al demone appena ucciso o alle lacrime di panico scappate lungo le guance della sorella, si inginocchiò accanto al corpo di Tridel ed esaminò la ferito del migliore amico. Si rese immediatamente conto di quanto poco tempo avesse il mezzo-demone in un’unica occhiata.
Deglutì con difficoltà e quando incrociò lo sguardo morente di Tridel, comprese cosa sarebbe stato costretto a fare se non voleva perdere entrambi gli esseri in fronte a lui.
«Mikael». La chiamò cercando gli occhi neri della sorella, totalmente opposti ai suoi bianchi. La ragazza, dopo ancora un attimo d’esitazione, staccò gli occhi da Tridel e li portò al fratello.
Helel sospirò, diede un bacio sulla fronte della sorella e la salutò: «Ci vedremo appena tutto questo sarà finito, Tridel ha bisogno dei poteri curativi di madre».
Gli occhi dell’arcangelo si sgranarono comprendendo cosa stava per fare Helel: «Hel n–». Ma Mikael era già sparita dalle mani del fratello ed era stata trasportata da Malika, all’interno dell’ultimo cielo.
La mancanza in campo dei due combattenti più forti dei quattro regni si sarebbe fatta sentire, questo Helel lo sapeva bene, eppure non riusciva a sentirsi minimamente in colpa sapendo di aver salvato la vita di entrambi.
Il Diavolo si alzò e con sguardo durò studiò il campo di battaglia, prima di buttarsi di nuovo nella mischia in cui stavano risultando vincenti.

«AAAHHH!» Urlò di dolore Azrael, inginocchiandosi a terra e sorregendosi con la spada. L’angelo della morte digrigno i denti per trettenere le lacrime di dolore che gli stavano ormai offuscando la vista.
Il giovane, con i capelli sudati attaccati alla fronte, non stava comprendendo per nulla cosa gli stava succedendo. Fino ad un attimo prima era in ottima salute, qualche graffio qua e la causato dai suoi attaccanti, nulla di grave; ma ora era come se qualcuno gli avesse rotto la spalla e sentiva l’intero fianco destro indolenzito. Nessuno dei suoi avversari era stato abbastanza abile da riuscire a portare a termine un attacco così forte, e di certo lui se ne sarebbe accorto.
Respirò profondamente tra i denti un paio di volte prima di riuscire, a stento, a rimettersi in piedi. C’era qualcosa che non andava, Azrael lo stava sentendo dentro da quando una strana sensazione lo aveva quasi spinto a correre via dal campo di battaglia per andare a cercare Eva.
L’angelo si ritrovò totalmente in panico al solo pensiero di come quel dolore, così forte da mandarlo a terra, potesse essere provocato del legame condiviso con la mortale; se così fosse stato avrebbe significato un’unica cosa: era successo qualcosa di grave ad Eva.
«Muori angelo!» Arrivò l’urlo dalle sue spalle. Azrael cercò di voltarsi, ma debole com’era finì solo con il cadere a terra di sedere, dopo aver perso l'equilibrio durante il movimento; la spada gli cadde di piatto al suo fianco. Seppur lisciato brutalmente la parata, il giovane non sentì nessuna lancia penetrargli nella pelle.
Accigliato alzò lo sguardo e scoprì una lama piantata nel collo del suo attaccante. All’estremità della lama, attorno all’impugnatura, c’era la mano di suo fratello Gavriel, anche lui affannato e ricoperto di sangue nero e sudore.
Il demone fece solo in tempo a lasciar cadere la lancia prima di essere decapitato. Il corpo si trasformò immediatamente in cenere.
Gavriel si piegò un attimo sulle ginocchia per riprendere fiato, tornando a guardare il fratello più giovane intento a tenersi la spalla con espressione dolorante.
«Tutto okay?» Gli chiese con le sopracciglia aggrottate.
«Sì», rispose Azrael accennando a un sorriso di gratitudine, «e grazie di avermi salvato la vita».
«Ho fatto solo il mio lavoro da fratello maggiore», disse come se non fosse nulla di strano decapitare un demone per salvare la vita a qualcuno. «Helel mi ha appena contattato». Lo informò, porgendogli una mano.
Il giovane dai capelli neri accettò la mano del fratello ed apprezzò l’aiuto: la spalla e il fianco gli dolevano sempre di più e l’istinto di andare da Eva stava diventando impossibile da controllare. Ma Azrael non poteva andarsene, erano in mezzo a una battaglia decisiva! Ogni singolo soldato contava!
«Cosa ti ha detto?» Chiese appena fu di nuovo in piedi, anche se un po’ barcollante.
«Ha spedito Tridel e Mikael da nostra madre: Tridel è rimasto ferito gravemente e se non li avesse fatti comparire al cospetto di madre avremmo potuto perdere entrambi», spiegò l’angelo dai capelli bianchi guardando il fratello barcollare come se fosse ubriaco. L’istinto, ormai abituato a vedere solo i lati negativi delle situazioni, gli disse come il comportamento strano del fratello fosse legato in modo molto stretto alla seconda notizia da riferirgli.
«Stercus! (Merda!)» Inveì Azrael a quella notizia. Non ci voleva, non ci voleva proprio che i due migliori soldati in loro possesso non fossero più presenti in battaglia.
«Helel mi ha dato anche un’altra notizia». Disse indulgente Gavriel guardando la reazione dell’angelo più giovane a quella già data. Se ora si stava mettendo le mani nei capelli ed iniziava a imprecare in latino, quanto ci avrebbe messo a fare il suo stesso ragionamento e a collegare i fatti?
«Cosa, cosa ci potrebbe essere ancora da far sapere?» Chiese Azrael esasperato. Voleva solo che quella guerra finisse, non ne poteva più di quelle morti insensate. Ogni vita era da preservare, non da stroncare.
«Erezel è scomparso». Gli rivelò allora Gavriel. «Alcuni angeli e mietitori hanno riferito di averlo visto sparire in uno schiocco di dita».
Il più giovane si bloccò perplesso. Fissò suo fratello con uno sguardo dubbioso mentre si chiudeva nei suoi pensieri cercando di comprendere perché il demone avrebbe fatto una mossa così assurda. Conosceva Erezel da millenni e non era un demone che cedeva. Neanche se ne dipendesse dalla sua vita. Non era in lui scomparire e lasciare i suoi uomini a morire.
Sì, era vero: non gli importava nulla dei suoi uomini; però gli importava di come sarebbe stato ricordato ed essere ricordato come un codardo traditore non era la sua prima scelta.
Ma allora perc–
«AAAAAHHHH!» Azrael urlò di nuovo a pieni polmoni quando un intenso dolore gli pervase anche la gamba. Questa volta lo riconosceva bene: quello era il dolore di una gamba rotta. In un attimo fu a terra, il fratello maggiore subito al suo fianco.
«A! A! A che hai?! Cosa c’è che non va?!» Chiese spaventato Gavriel.
L’angelo della morte respirò a bocca aperta e in modo non regolare per qualche secondo, comprendendo come il suo istinto aveva avuto ragione fin da subito: quelle fitte lancinanti erano l’effetto del suo legame con Eva. Era successo qualcosa ad Eva per cui aveva una spalla e una gamba rotta, l’anca fratturata. Era come se la stessero torturando.
Gli occhi gli si sbarrarono e il fiato gli si bloccò in gola.
Oh no! Oh no! No! No! NO! Iniziò a pensare.
Attaccandosi alla corazza di Gavriel, Azrael tornò in piedi e fissò negli occhi il fratello.
«Erezel. Perché stava attaccando Eva?» Gli chiese, pronunciando ogni parola in mezzo ai denti, gli occhi così sgranati da ormai essere iniettati di sangue. Azrael era spaventoso ed era quasi in procinto di perdere ogni controllo sui propri poteri.
«A-A–», Gavriel scosse la testa e decise di non chiedere il perché della domanda, ma di dargli solo una risposta. Conosceva abbastanza bene il fratello minore da sapere come in certe situazioni le domande di Azrael non fossero mai campate per aria.
«Credeva che fosse l’altra metà di Helel», gli rispose comprendendo di star per aver conferma dei suoi sospetti. «Ad Erezel era stato riferito di quando Helel aveva baciato Eva, aveva così reputato che lei fosse l’unica debolezza di nostro fratello».
Il cuore dell’angelo della morte perse qualche battito alla notizia. In un attimo tutti i pezzi del puzzle andarono a loro posto e seppe immediatamente cosa stava accadendo alla sua donna.
«È andato da Eva!» Urlò in faccia all’angelo dai capelli bianchi. «Quel maledetto la sta torturando proprio ora!»
Azrael lasciò andare il fratello in modo violento e quest’ultimo per poco non cadde all’indietro. Gavriel non fece nulla per lamentarsi e prese tutta la rabbia del fratello. Le sue ipotesi erano state corrette ed era colpa sua se Eva si trovava in quella situazione.
«Sei una testa di cazzo!» Insultò il fratello maggiore riprendendo la spada da terra. «Sapevi di questa cosa e non hai pensato che avresti dovuto dircela? Eva è la mia metà! Se muore, io muoio con lei, letteralmente! Stercorem pro cerebro habeas! (Hai la merda al posto del cervello!)»
«Azrael...» Cercò di dire Gavriel, ma suo fratello lo bloccò.
«No, Gavriel!» Continuò urlare. «Non mi calmerò e di certo non ascolterò te e le tue stupide scuse! Avresti dovuto dirlo subito! Avreste dovuto dirlo che la vita di Eva sarebbe rimasta in pericolo anche se noi ce ne fossimo andati! Avevamo il dovere di proteggerla! Io avevo il compito di tenerla al sicuro!»
«AZRAEL
L’angelo della morte si congelò al tono di suo fratello e se doveva essere sincero, avrebbe dovuto ammettere a se stesso di essere pure saltato via di qualche centimetro.
Gavriel era livido in faccia e i denti serrati erano in mostra.
«Non mi servi tu a ricordarmi dei miei dannati sbagli!» Abbaiò. «E vedi di chiudere quella miserabile bocca prima di farmi cambiare idea sull’aiutarti! Per il creatore! Quanto tempo vuoi sprecare qua ad urlarmi contro prima di chiedermi di teletrasportarti da Eva?!»
Azrael si guardò i piedi in modo colpevole. Gavriel aveva ragione: stavo solo sprecando tempo utile.
E proprio in quel momento arrivò la terza fitta di dolore.
L’angelo della morte si ritrovò a terra a quattro zampe, cercando di tossire fuori del sangue non suo, mentre una mano cercava di fermare il dolore atroce al costato. Con il respiro ormai a tratti alzò gli occhi verso il volto cereo di suo fratello.
«Lasciami andare a salvarla». Lo supplicò.
«Non tornare prima di allora». Gli ordinò l’albino prima di prenderlo per una spalla e farlo sparire con uno schiocco di dita.
Gavriel guardò il punto dove suo fratello era appena sparito e sperò con tutto il cuore di poterlo rivedere ancora una volta. Felice. In compagnia di Eva.
Senza neanche voltarsi o alzarsi, sguainò la spada e parò la lancia in procinto di ucciderlo. Doveva finire al più in fretta quello scontro, senza tre dei suoi cinque fratelli in campo le loro forze era quasi dimezzate.


Azrael apparve a mezz’aria e nella caduta perse la spada, la quale cadde in un punto non precisato. Anche l’atterraggio non fu dei migliori: infatti l’angelo toccò terra per prima cosa con la faccia. Il crack del suo naso fu sonoro.
Erezel, intento a torturare l’umana di nome Eva per far indebolire Helel, si voltò verso quel suono nuovo ed improvviso. Anche Eva, ormai allo stremo, la sua vita legata solo alla sua volontà di vedere di nuovo il suo prezioso angelo, cercò di voltarsi per vedere chi era il nuovo arrivato.
Proprio come durante la prima aggressione, quando gli occhi deboli e maltrattati della donna misero a fuoco l’angelo di nuovo in piedi, il cuore le si calmò e una strana ed innaturale pace le pervase il corpo.
«Azrael». Tossì fuori insieme a del sangue.
Il corpo di Azrael iniziò a tremare dalla rabbia alla vista di Eva. La ragazza, sempre vivace e attiva, era sdraiata a terra, inerme se non per i singulti causati dalla tosse. La mano era premuta sulla ferita al ventre ma inutilmente: il sangue continuava a sgorgare, iniziando a creare una corona rossa attorno a lei. Gli occhi semi aperti incrociarono i suoi neri ed Azrael sentì nel petto quanto poco rimanesse da vivere alla donna.
Erezel, con ancora in mano il pugnale insanguinato, usato per aprire la pelle della donna, guardò l’angelo della morte in tralice. Studiò la reazione dell’angelo alla vista della donna e la reazione della donna alla comparsa dell’angelo per qualche secondo, prima di comprendere cosa stava succedendo.
Il demone da un corno solo iniziò a ridere. Un po’ per frustrazione, un po’ perché seriamente trovava la scena comica.
Aveva ideato tutto il piano per conquistare il Paradiso, e per vendicarsi di Helel, pensando di avere il punto debole del Diavolo sotto il proprio potere. Invece aveva sbagliato tutto.
La donna dai capelli rossi non era il punto di Helel, ma quello del fratello minore.
«Proprio un’umana inutile». Disse guardando la donna. E poi tornò a fissare l’angelo, nero di rabbia a sentire chiamare la sua donna “inutile”. «Almeno servirà per uccidere uno di voi quattro fratelli, anche se mi avrebbe fatto molto più piacere torturare ed uccidere Helel».
Erezel si mosse per dare il colpo di grazia alla donna; un attimo dopo però si ritrovò a terra, il pugnale scivolatogli via dalle mani, il corpo dell’angelo della morte lo bloccava al terreno. Il volto del giovane tutto sporco di sangue, faceva solo aumentare la sua aura omicida.
«Tu non andrai più da nessuna parte». Disse Azrael tra i denti, poi le nocche del suo pugno collisero con il naso del demone. Ma non era un pugno normale: l’angelo della morte aveva perso ogni controllo dei suoi poteri e in quell’unico pugno aveva messo ogni rimasuglio della sua forza, fisica e non.
La mano dell’angelo sfondò prima il naso del demone e quando questo non si fermò, procedendo a sfondare il teschio del demone, ci fu un attimo in cui Erezel spalancò gli occhi perché aveva compreso quale sarebbe stato il suo fato. Il pugno di Azrael aveva continuato la sua strada e il cranio del demone era esploso sotto il colpo potente dell’angelo.
Il sangue nero non aveva neanche fatto in tempo a colare che il demone si stava già trasformando in cenere, morto.
L’angelo ritirò il pugno dalla conca creatasi nel suolo all’impatto e in un attimo si ritrovò senza forze.
«Eva». Ansimò prima di gattonare, un po’ barcollante, verso di lei.
Appena Azrael la ebbe tra le braccia, l’angelo comprese come la donna stesse morendo. Non aveva più di mezz’ora di vita, forse anche meno di lucidità.
«No, no, no, no, no, no, no». Continuò a boccheggiare l’uomo mentre le lacrime avevano iniziato a corrergli lungo le guance e cadere sul volto di Eva.
La ragazza lo guardava, voleva fermargli le lacrime, dirgli che tutto sarebbe andato bene, ma sapeva di non esserne in grado. Stava morendo. Non seppe con quale forza ma il suo corpo trovò il modo di farle uscire delle lacrime dagli occhi.
Eva non voleva morire, si era resa conto. Voleva rimanere in vita per continuare a dar fastidio a Davide, a far preoccupare i suoi genitori, a parlare fino a notte fonda con Serena, a guardare i film con il suo trio di amici e ad insegnare ad Helel i segreti dei fornelli. Ma soprattutto voleva rimanere in vita per continuare ad amare Azrael. Voleva continuare ad uscire con lui all’arcade. Voleva continuare a svegliarsi con lui avvinghiato al suo corpo. Voleva continuare a battibeccare per una idiozia.
E qualcuno ascoltò le preghiere dei due ragazzi.
Un angelo alto, muscolo, dai tratti duri, capelli e occhi bianchi, vestito solo con una toga; apparve dal nulla e si chinò accanto a loro. L’angelo rispondeva al nome di Levi.
«Azrael». Chiamò il nuovo arrivato e gli occhi del giovane scattarono all’insù.
«Papà aiuta Eva, ti supplico». Lo pregò tra le lacrime. «Ha bisogno di madre, ha bisogno di essere curata, se no potrebbe mori–». L’angelo della morte si strozzò con le sue stesse lacrime e tossì copiosamente.
«Piccolo mio, anche tu sai che Eva non potrebbe essere salvata neanche da tua madre a questo punto». Gli fece notare il padre, passandogli una mano tra i capelli sbarazzini, cercando di confortarlo. Il figlio se la scosse di dosso e ritronò a guardare il padre, questa volta con sguardo duro e accusatorio.
«Non posso lasciarla morire!» Gli urlò in faccia. «Non posso accettarlo! Deve ancora vivere tutta la sua vita! Dobbiamo ancora costruire tutto il nostro futuro! Non voglio che lei muoia, non così, non mai!»
Levi sospirò per l'irruenza del figlio che non lo faceva smettere di parlare. Forse un po’ lo comprendeva per il momento, ma questo non toglieva la somiglianza del carattere tra madre e figlio: tutti e due diventavano irruenti e irrazionali in momenti molto delicati.
«Non sono qua per dirti di lasciarla morire», gli disse in tono secco, ma calmo. «Non voglio di certo vedere mio figlio morire davanti ai miei stessi occhi! Sono qui per salvare entrambi».
Gli occhi neri del figlio cercarono in quelli bianchi del padre per un qualsiasi segno di menzogna, ma non ne trovò.
«Come?» Chiese, ormai impaziente e allo stremo della sua vita. «Come posso salvarla?»
Levi sospirò prima di rispondere: «Devi cederle il tuo cuore».
«Cederele?»
«Dovrai ripetere dopo di me una formula che lascierà a questa giovane donna metà delle tue forze vitali, metà dei tuoi poteri, metà del tuo essere divino. Questo è possibile solo perché lei è l’unica che tu possa amare». Spiegò il più anziano e Azrael comprese cosa gli stesse facendo fare il padre.
«È quello che ha reso la mamma un essere divino ed immortale». Disse.
«Sì», annuì l’albino, «ma la cosa viene a caro prezzo».
«Qualunque esso sia sono disposto a pagarlo». Accettò il giovane senza neanche pensarci. Levi dovette trattenersi dal ridere al pensiero di quanto suo figlio minore gli ricordasse la moglie.
«Eva si dovrà dimenticare di te». Gli rivelò il padre e gli occhi di Azrael si sgranarono con le ultime forze. «Questa donna diventerà un angelo a tutti gli effetti dopo aver ricevuto il tuo cuore. Deve perciò  dimostrare di esserne degna: per questo dovrà dimenticarsi di te e se davvero ti ama con cuore puro, e la sua coscienza non si macchierà di tradimento, si ricorderà di te. Senza aiuti dal mondo divino o quello umano».
L’angelo rimase un attimo interdetto dalle parole del genitore, spaventato all’idea di una Eva senza più suoi ricordi.
Ma la paura di non poter avere nessun futuro con lei, lo spaventava ancora di più.
«Ho capito». Disse con voce apatica, quasi morta. «Facciamolo».

EVA’S POV

Quel giovedì mi svegliai ben riposata.
Con un sorriso stampato in fronte mi stiracchiai nel mio letto fin quando i miei muscoli non furono totalmente sciolti. Aprendo gli occhi notai come fuori dalla finestra il sole splendeva. Dopo un Natale nebbioso e freddo, finalmente il ventisette era arrivato il sole. Anche se avrei preferito la neve.
Mi alzai e, sperando che non fosse già occupato dai miei fratelli, uscì dalla stanza e mi diressi verso il bagno condiviso tra noi. Quando ancora abitavamo tutti quanti insieme quella era la stanza sempre più disordinata.
Mentre mi chiudevo la porta della camera alle spalle, con un sorriso a trentadue denti, mi resi conto di quanti anni fossero passati dall’ultima volta in cui mi ero sentita così bene; forse da quando Thomas mi aveva tradito.
Sorrisi ancora di più al pensiero di quanto tre singoli amici potessero fare tanto per una persona. Quel pensiero mi fece venire una matta nostalgia del mio appartamento e di Vittorio, Claudia e Sonia.
Ero quasi sorpresa a quanto l’amore e l’affetto di tre singole persone potevano cambiare la tua vita in così pochi mesi.
 

†Angolo Autrice†
Ed eccoci arrivati al capitolo 19! La fine della guerra è giunta ma non nel modo in cui speravate!
Mentre sono in trasferta a Milano per il week-end e mentre edito i primi capitoli, ho deciso di pubblicare anche questo capitolo.
Anche questo capitolo è molto violento, pieno di azione, sangue e sacrificio.
Che ne sarà ora di tutti? Come si concluderà la storia?
State in attesa del prossimo capitolo per scoprirlo!
Inoltre avviso che potrei cambiare user-name nel prossimo periodo per farlo combaciare con il mio account di Wattpad (con cui pubblico questa storia), così da non creare problemi.
Se volete seguirmi anche sulla piattaforma arancione siete i benvenuti!

Axel Knaves

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** [20]» Di donne infuriate ed angeli schiaffeggiati «[20] ***




[20]» Di donne infuriate ed angeli schiaffeggiati «[20]

 

3rd POV

Malika continuò a canticchiare l'antica ninna nanna mentre i due pargoli in fronte a lei si erano addormentati stretti ai loro pupazzi preferiti, regalo del loro secondo compleanno da parte di Helel ed Azrael.
La donna non poté non sorridere alle espressioni tranquille e le guanciotte piene dei due gemelli di tre anni.
«Ti ricordano quando i nostri figli erano così piccoli, vero?» Chiese la voce di Levi dalla porta della loro camera da letto.
Malika non si voltò, aspettò semplicemente che l'angelo fosse alle sue spalle prima di voltare il capo e ricevere un casto bacio sulle labbra, come da qualche millennio a questa parte.
«Per nulla», ridacchiò lei in risposta mentre l'albino accarezzava le guance piene e maculate dei nipoti, «nessuno dei nostri figli ha mai dormito così tranquillamente da piccolo». Spiegò.
Levi soppesò le parole della moglie e sorrise al ricordo di quando i loro figli erano così piccoli.
«Hai ragione», le disse, «quasi mi ero dimenticato tutte le notti passate insonni a causa di Mikael ed Azrael».
Malika tornò a guardare i nipoti. Liev e Natacha, così avevano chiamati Mikael e Tridel i loro gemelli, avevano tre anni, gli occhi neri, i capelli bianchi e la pelle maculata.
«Vado a lavarmi», la avvisò Levi e si chiuse in bagno.
La donna scosse la testa a quella piccola usanza tenuta da Levi sin da quando l'aveva conosciuta. O forse era perché il loro primo incontro era stato proprio durante un bagno. Esattamente era lei quella nel fiume, svestita e intenta a lavarsi al chiaro di luna, mentre lui era il guardone sulla sponda; la tunica più gonfia del normale al livello della vita. Il pugno ricevuto era indelebile nei ricordi di lui.
Malika scosse la testa e tornò con l'attenzione sui nipoti, solo in quel momento si rese conto di quanto tempo era passato.
Quattro anni. Erano quattro anni che la guerra tra angeli e demoni si era conclusa.
Helel, ormai non più sotto l'influenza di Erezel, era tornato a governare sull'Inferno. Questa volta in modo più giusto e meno cruento.
Molto spesso lasciava il suo trono, per una notte o due, in mano a Yusuf - il suo nuovo e fidato braccio destro - per andare a fare visita a Serena. Da quanto Malika sapeva, la loro relazione stava procedendo molto bene: Serena non aveva più sedici anni e da un paio di anni non era neanche più così innocente.
Inoltre, da quanto Helel le aveva raccontato, per Serena era una tortura vedere sua sorella senza i ricordi degli angeli e le doleva il cuore non poterle ricordare quanto Azrael ed Helel avevano contato nella sua vita.
Gavriel aveva cambiato modo di gestire il concilio degli angeli ed insieme a suo padre avevano creato un’assemblea in cui le decisioni venivano prese insieme, così da poter accontentare tutti.
Una grande questione che Gavriel aveva avuto per mano era stata quella del transito libero nei quattro regni. La guerra aveva infatti portato ad una piega positiva: molti angeli, demoni e mietitori avevano trovato la loro metà in un altro regno.
Senza molti indugi, soprattutto dopo aver visto cosa la separazione poteva fare, attraverso Mikael e Tridel, l'arcangelo aveva concesso il libero transito tra i regni. Unica condizione una firma nei libri mastri all'uscita e una all'entrata.
Grazie a Gavriel ora le metà ritrovate avevano la possibilità di avere una vita felice.
E dalle voci in circolo sembrava che anche Gavriel avesse trovato la sua metà: molto spesso si poteva vedere rincasare con abiti umani e un sorriso sornione in volto.
Tridel e Mikael, dopo la benedizione da parte di Levi, vivevano finalmente insieme ed era compito di entrambi proteggere le porte del Purgatorio. La notizia della dolce attesa di Mikael era arrivata neanche tre mesi dopo la fine della guerra.
La giovane guerriera aveva dato alla luce due splendidi gemelli omozigoti, uno femmina, Natacha, e uno maschio, Liev. Entrambi sembravano aver preso il carattere tranquillo del padre.
Azrael era stato quello più colpito da questa guerra. Oltre a dover riunire i mietitori dopo la scissione avvenuta per colpa di Yondar, il giovane angelo aveva dovuto convivere con la consapevolezza di come la sua Eva non si ricordasse di lui.
Inoltre era toccato proprio a lui il compito di cancellare la memoria a tutti gli essere umani con cui erano venuti a contatto nei mesi vissuti sulla terra - ovviamente la famiglia di Eva era stata un'eccezione alla regola. L’angelo aveva cancellato anche la memoria a un certo Jason, seppur non avevano mai avuto contatti diretti.
Ogni giorno Azrael riceveva informazioni da Serena e Davide su come stesse loro sorella e su come stesse andando avanti la sua vita. Ma quelle semplici conversazioni non gli bastavano mai.
E per quanto la sua famiglia gli fosse vicina, soprattutto Levi - già passato in quella situazione - ed Helel - a cui mancava avere accanto l'energica Eva, Azrael stava cadendo nella disperazione ogni giorno di più.
Malika, ancora con lo sguardo sui nipoti, decise che era arrivato il momento di fare qualcosa, per il bene di tutti.

EVA’S POV

«È un piacere per noi conferirle questa laurea in Fisica, con voto assegnato di 95/110». Disse il presidente della commissione porgendomi il certificato di laurea.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi a quelle parole, mentre alle mie spalle parenti, amici e colleghi applaudivano con tutta la forza che avevano. Sentii anche un paio di urli e non riuscii a non ridere capendo di chi erano.
Accettai il pezzo di carta su cui avevo sprecato lacrime e sudore; stringendo energicamente la mano a tutta la commissione. Uno a uno i professori si congratularono con me dell'ottimo lavoro prima di lasciarmi andare.
In pochi minuti mi ritrovai così in un circolo vizioso di foto, abbracci, strette di mano e alcol. Finalmente ce l'avevo fatto: avevo portato a termine la mia prima laurea! E a festeggiare con me c'erano le persone più importanti della mia vita.
Sorrisi a vedere tutti quelli a cui volevo bene condividere questo momento. Assaporando l'attimo di pausa concesso, e il Ferrari che avevo nel bicchiere di plastica, studiai quel branco di scapestrati.
Claudia e Vittorio stavano parlando con i miei genitori. Si erano sposati tre anni prima ed erano diventati genitori neanche un anno dopo. Matilde era in braccio a Vittorio, con gli occhioni marroni intenti a chiudersi. Aveva da poco biascicato le prime parole e aveva iniziato a chiamarmi Ziava, cercando di dire “zia Eva”.
Inutile da dire che mi scioglievo ogni volta.
Mio padre e mia madra avevano finalmente casa tutta per loro: anche Serena era andata in un’altra città per studio. Per quanto il buon umore di mia madre era aumentato negli ultimi due anni, e le scatole di preservativi che ogni tanto si scordavano di buttare quando li andavamo a trovare, avevo paura di chiedere quanto stessero dandoci dentro nella loro relazione.
Accanto a Davide, il suo ragazzo e convivente, Cesare lo stava tenendo stretto a lui dalla vita. Mio fratello aveva incontrato Cesare ad un random party quasi un anno prima.
Dopo i primi tre mesi di titubanza si erano finalmente messi insieme. Da un paio di mesi convivevano.
Il ragazzo dai capelli lunghi e barba folta era perfetto per mio fratello. Era dolce e gentile, un po’ pacioccone, ma riusciva a tenere testa al sarcasmo di casa Rossi; oltre a rendere passivo mio fratello.
Come lo sapevo? I due deficienti non avevano chiuso la porta della loro stanza prima di copulare! Una sera, in cui ero rimasta da loro a dormire, mentre andavo in bagno mezza addormentata avevo visto tutto. Tutto.
Non ero più rimasta a dormire da loro da quel giorno in poi.
Che parlavano con loro vi erano Serena, Sonia e Jason.
Serena era diventata una bellissima donna dalle curve sinuose, mi faceva sempre paura pensare quanto fosse cambiata in così pochi anni. Si era trasferita in una città ad un paio di ore da casa dei miei genitori per studiare biologia marina e non ne poteva essere più contenta.
Inoltre aveva trovato un ragazzo e la questione sembrava seria, seppur nè lei nè i miei genitori mi avevano detto chi fosse il fortunato. Che lo conoscessi?
Anche Sonia aveva incontrato un uomo, un certo Gabriele. Lei, come mia sorella, non aveva ancora voluto farmelo incontrare.
Iniziavo ad essere un po’ irritata dal comportamento delle due.
Jason! Era stata un'altra ottima aggiunta alla mia cerchia di amicizie. Ci eravamo conosciuti quattro anni prima, ormai, e da allora eravamo inseparabili. Lo avevo aiutato a superare la sua ex, Irene, scopertasi poi stare con il mio ex, e lo avevo incitato ad iniziarsi a vedere con una ragazza di una città vicina, conosciuta ad una fiera.
Jason mi aveva rivelato la sua intenzione di farmela conoscere alla mia laurea, ma purtroppo gli impegni lavorativi di lei l'avevano vista occupata.
Per quanto riguardava Thomas ed Irene sapevamo che avevano provato a sposarsi. Ovviamente Irene lo aveva tradito pochi mesi dopo e questo aveva portato ad un divorzio dei due.
Thomas aveva anche provato a contattarmi, il bastardo. Era persino venuto a cercarmi al campus una volta! Non l'avevo neanche lasciato aprir bocca prima di far collidere le mie nocche con la sua guancia. Il trucco aveva funzionato e aveva compreso di dovermi star lontano.
«Ti stai godendo la quiete prima della tempesta?»La voce di mia madre mi riportò alla realtà. La donna aveva lasciato mio padre, Vittorio e Claudia in compagnia di Davide, Cesare, Sonia e Jason, per avvicinarsi a me. Mia sorella sembrava essersi volatilizzata.
«Stavo apprezzando gli ultimi momenti da sobria». Risposi con un sorriso. La donna fulva ridacchiò sapendo bene come il trio, Jason e i miei fratelli avessero intenzione di farmi ubriacare così tanto da farmi dimenticare l’intero aperitivo e cena.
«Tranquilla», mi rassicurò lei, «io e tuo padre saremo lì a trattenerti da fare idiozie… O almeno, io ti cercherò di fermare; tuo padre probabilmente avrà in mano il cellulare per filmare tutto». Si corresse.
«Mi hai tranquillizzato molto così». Le feci notare in tono sarcastico, roteando gli occhi al cielo e trangugiando il resto del Ferrari. Forse prima mi ubriacavo, prima le mie preoccupazioni sarebbero finite.
Mia madre mi scompigliò i capelli.
«Prima che ti abbandoni all'alcol, ho un pensiero da darti». Disse infine e tirò fuori un pacchetto. Si vedeva a colpo d’occhio che si trattava di un libro. «Tanto tempo fa mi dissi come non saresti mai riuscita ad andare avanti senza una certa saga di libri. E molto tempo dopo mi dissi come l'ultimo capitolo era il tuo preferito».
«Mamma…»Sospirai commossa e gli occhi un poco lucidi.
«Questo è per ricordarti di tutto quello che hai passato e di quanto ancora puoi dare». Spiegò porgendomi il pacchetto. «Sono davvero molto fiera di te, Eva». Aggiunse e, cercando di non scoppiare in lacrime, accettai il pacchetto.
Sotto la carta blu trovai una copertina famigliare. Era l'ultimo libro della mia serie preferita.
Uscito quattro anni prima, sapevo di averlo letto almeno un paio di volte. Eppure la mia coppia sembrava essere sparita nel nulla; non sapevo perché ma quella sparizione mi aveva addirittura fatto scoppiare in una crisi di pianto.
Aprì il libro a una pagina a caso e lascia vagare le dita sulla carta fin quando sei parole attirarono la mia attenzione.
È per il bene di tutti.
Qualcosa scattò all'improvviso nel mio cervello e tutti i suoni intorno a me divennero indistinti. Il libro davanti ai miei occhi scomparve e venne rimpiazzato da ricordi.
La Morte e il Diavolo mentre mi rivelavano i loro veri aspetti per la prima volta.
La giacca della Morte attorno alle mie spalle, calda e imbottita.
La padella bruciata dal Diavolo, le urla e la ciabatta arrivata in faccia all'arcangelo Gabriele.
Il bacio dato dal Diavolo e il gelato arrivatogli in faccia.
La gelosia della Morte nei confronti di Jason e il primo attacco nel parco giochi.
Le lezioni di difesa con Mikael e l'attacco dei demoni alla mia famiglia.
Il bacio condiviso con la Morte e il dolore della separazione da Helel ed Azrael.
Helel ed Azrael.
Tutti i nostri ricordi stavano tornando, uno a uno, fino a quando il mio cervello mise a fuoco con più attenzione un unico ricordo.

Gli occhi fecero fatica a mettere a fuoco l'angelo chiamato padre da Azrael.
Riuscivo solo a distinguere dei capelli lunghi e bianchi, simili a quelli di Gavriel e Mikael. Gli occhi identici a quelli di Helel.
«Devi cederle il tuo cuore». Stava spiegando il padre.
«Cederele?»
«Dovrai ripetere dopo di me una formula che lascierà questa giovane donna metà delle tue forze vitali, metà dei tuoi poteri, metà del tuo essere divino. Questo è possibile solo perché lei è l’unica che tu possa amare». Continuò a spiegare l’angelo più anziano e sentii una punta di speranza nascermi nel petto. Potevo essere salvata? Potevo passare la mia vita con Azrael?
«È quello che ha reso la mamma un essere divino ed immortale». Disse il mio angelo della morte, volevo guardare la sua espressione ma non ne avevo le forze.
«Sì», annuì l’albino, «ma la cosa viene a caro prezzo».
«Qualunque esso sia sono disposto a pagarlo». Disse in fretta Azrael e potei vedere il sorriso compiaciuto sul volto di suo padre: era orgoglioso del figlio e non riusciva a non mostrarlo.
«Eva si dovrà dimenticare di te». Rivelò il padre e sentii il mio cuore quasi aprirsi in due a quelle parole.
No! Non volevo dimenticarmi di Arazel! O di Helel! Di tutto quello che avevamo passato negli ultimi mesi!
«Questa donna diventerà un angelo a tutti gli effetti dopo aver ricevuto il tuo cuore. Deve perciò  dimostrare di esserne degna: per questo dovrà dimenticarsi di te e se davvero ti ama con cuore puro, e la sua coscienza non si macchierà di tradimento, si ricorderà di te. Senza aiuti dal mondo divino, o da quello umano».
Cercai di muovermi. Cercai di mostrare quanto non mi piacesse quel piano. Non volevo dimenticare! Piuttosto la morte! Nessuno aveva il diritto di modificare quei ricordi così preziosi per me.
«Ho capito». Disse Azrael con voce apatica, quasi morta. «Facciamolo».

Facendo un respiro profondo, lasciai cadere a terra il libro che mia madre mi aveva appena regalato. Finalmente ero tornata nel mondo reale.
«Eva, tutto bene?» Mi chiese mia madre, preoccupata della mia reazione, ma non mi fermai a risponderle.
Iniziai a guardarmi in giro, una sensazione nel petto mi stava dicendo come la mia metà fosse presente in quel luogo. E l’ira che stavo provando in quel momento per Azrael, mi stava implorando di trovarlo per poterlo riempire di insulti e di botte.
Girai e girai su me stessa, spostandomi tra gli invitati e i ragazzi intenti a raggiungere la loro aula, fin quando la figura di una donna dai capelli e gli occhi neri non entrò nel mio campo visivo.
Malika non era cambiata affatto in quei quattro anni.
La madre dei quattro angeli mi stava sorridendo con affetto mentre teneva in braccio due bambini maculati. La loro pelle era candida con macchie scarlatte, i capelli bianchi ricordavano quelli della madre e gli occhi neri ricordavano quelli del padre. Sentii gli occhi diventarmi sempre più lucidi mentre guardavo la progenie di Mikael e Tridel.
Avevo perso così tanto in quegli anni.
Malika diede un bacio ad ognuno dei gemelli e poi mi indicò una certa direzione con un cenno del capo.
Spostando lo sguardo lungo quella direzione finalmente trovai l’angelo da me cercato.
La mia ira si intrecciò con la mia felicità e in quel misto di emozioni mi incamminai verso Azrael, il quale non aveva la minima idea di cosa lo stesse aspettando.

3rd POV

Azrael era felice per il fratello e non riusciva a trattenere un sorriso ogni volta in cui lui e Serena erano insieme. Erano una coppia perfetta e nessuno poteva dire il contrario.
Eppure ogni volta che vedeva uno dei suoi fratelli abbracciare la propria metà una forte fitta al cuore gli ricordava come la sua Eva non lo avrebbe neanche riconosciuto.
Quei quattro anni erano stati davvero terribili per lui. Anche se aveva portato a termine ogni suo compito come comandante dei mietitori, al meglio delle sue capacità, la consapevolezza di non poter tornare a casa ed abbracciare Eva lo distruggeva psicologicamente ora dopo ora.
Suo padre cercava di stargli accanto con tutto l’impegno che aveva, poiché era già passato in quella situazione e sapeva bene quanto la lontananza dalla propria metà potesse uccidere psicologicamente, ed Helel era sempre con lui quando si presentava a Serena o Davide per chiedere informazioni sulla nuova vita di Eva.
Quasi era impazzito alla notizia della nuova amicizia tra Jason ed Eva. Si era calmato solo grazie a Davide: il ragazzo aveva giurato sulla propria vita come tra la sorella e il bellissimo ragazzo dai tratti asiatici non ci fosse nulla.
«AZRAEL!» Lo richiamò alla realtà l’urlo di Eva.
All’angelo della morte gli si bloccò il fiato in gola mentre un brivido di piacere gli percorreva la schiena, creando una strana sensazione di torpore e piacere nel basso ventre.
Mentre il fratello assaporava quella voce pronunciare il suo nome, Helel distolse lo sguardo da Serena e vide come una Eva, nera in volto, stava arrivando a passo di marcia verso di loro. Il termine “incazzata” non rendeva abbastanza l’idea sullo stato d’animo della neo-laureata.
Il Diavolo sbiancò a vedere la sua ex-coinquilina in quello stato.
Serena guardò la sorella avanzare verso di loro e non poté far a meno di preoccuparsi. Una Eva incazzata era già tanto da gestire, ma una Eva incazzata con poteri divini poteva essere la fine di tutto.
L’angelo della morte guardò la sua metà avvicinarsi a lui un passo alla volta, il volto scuro di rabbia sembrava non importargli: Eva l’aveva riconosciuto e l’aveva chiamato per nome.
Non gli importava in che modo.
«Eva!» Esclamò lui felice, aprendo le braccia per avvolgerla e premere il corpo di lei contro il suo torace. Voleva toccarla, abbracciarla, baciarla. Voleva farla sua e non permettere a nessuno di portargliela via ancora una volta.
Tutto quello che ottenne, però, fu uno schiaffo. E non uno schiaffo normale, oh no! La donna aveva avvolto la mano in uno strato di potere divino prima di assestare il colpo alla guancia di lui.
Azrael maledì la sorella per aver insegnato quel trucco ad Eva qualche anno prima, mentre la testa si voltava di scatto a causa dell’impatto.
Le sopracciglia di Serena ed Helel schizzarono verso l’alto, sorpresi al comportamento di lei.
«Come hai osato togliermi dalla mente i vostri ricordi!» Quasi urlò con gli occhi iniettati da sangue. Serena si premette contro Helel, spaventata dall’ira di sua sorella. Il Diavolo avvolse la sua metà in un abbraccio e cercò di non far vedere quanto anche lui stava avendo paura di Eva in quel momento.
«Sono i miei ricordi! È la mia vita! Brutta testa di cazzo! A nessuno è permesso andarci accanto perché sono miei e sono preziosi!»
Azrael guardò stupefatto la donna e comprese subito quell’improvviso attacco di violenza. Eva non era arrabbiato con lui perché era quasi morta per colpa loro. Non era arrabbiata perché ora era un essere divino. Era arrabbiata perché per quattro lunghi anni non era stata in grado di ricordarli e di fare parte della loro vita. Era arrabbiata perché aveva perso così tanto della vita delle persone a cui teneva.
L’angelo della morte sorrise dolcemente a quella scoperta.
Ignorando le urla ininterrotte della donna, la prese per la nuca e fece collidere le sue labbra a quelle della rossa.
Le urla di Eva si interruppero in mezzo secondo. La ragazza ci mise un attimo a comprendere cosa stava succedendo ma, appena riuscì a controllare il suo corpo, rispose al bacio dell’angelo con la stessa intensità.
Azrael quasi mugugnò di piacere.
Serena ed Helel, ovviamente dimenticati dalla coppia, guardarono ovunque meno che i loro fratelli in imbarazzo. Potevano almeno aspettare il tempo necessario a loro di spostarsi, no?!
Dopo quelli che al Diavolo sembrarono millenni, Eva e suo fratello si staccarono.
«Mi sei mancata». Le rivelò l’angelo della morte e la fulva sorrise come un abete.
«Anche a me sei mancata», intervenne Helel interrompendo il momento tra i due, «non solo A ti vuole bene, sai».
Eva, voltando il capo verso la sorella ed Helel, divenne paonazza a comprendere che spettacolino aveva appena regalato. D’istinto si staccò dall’angelo della morte e si coprì il volto con le madre.
«Perché nessuno mi ferma mai da queste figure di merda?» Chiese in totale imbarazzo.
Azrael ed Helel non poterono fare a meno di scoppiare a ridere.
Finalmente avevano in dietro la loro Eva e nulla poteva andare meglio.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** [Epilogo]» Cena di Natale con sorpresa in omaggio «[Epilogo] ***


 

[Epilogo]» Cena di Natale con sorpresa in omaggio «[Epilogo]

 

3rd POV

Quel Natale era speciale, Eva lo sentiva dentro.
Il sorriso si allargò sornione sul volto della donna fulva mentre guardava la neve scendere. Era speciale poiché quella nevicata inaspettata, iniziata il pomeriggio, aveva reso quella Cena di Natale un letterale bianco Natale.
«Non stavi apparecchiando?» Chiese la voce di Azrael alle sue spalle.
La giovane si voltò e trovò suo marito appoggiato allo stipite della cucina. Il grembiule viola, avvolto alla vita, stava facendo a pugni con il maglione a tema natalizio.
Erano passati già tre anni da quando la donna si era ricordata di Azrael ed Helel, molto era cambiato poiché nessuno doveva tenera segreta l'identità dei due.
Per lei e l'angelo della morte le cose erano cambiate un anno prima quando si erano giurati eterno amore davanti al padre dei quattro angeli.
Non era stato proprio un usuale matrimonio umano, ma nessuno aveva avuto da obiettare dopo aver visto le splendide pareti marmoree del paradiso. Eva prendeva ancora in giro la sua famiglia e i suoi amici per aver prestato più attenzioni a delle parete nel suo grande giorno che a lei. In realtà Eva, aveva ammesso a se stessa, avrebbe fatto lo stesso se non fosse stata lì in altre situazioni.
Ora i due sposi novelli convivevano nel vecchio appartamento di Eva.
Azrael compariva e scompariva a recuperare anime alle più strane ore del giorno e della notte, mentre Eva aveva superato il test per diventare insegnante ed ora aveva iniziato a tenere alcune ore di lezione, in sostituzione alle professoresse di ruolo, in una scuola superiore a una ventina di minuti da casa loro.
Di figli non avevano ancora parlato apertamente; era più stato un patto stretto in silenzio dove avevano aderito entrambi. Non sarebbero andati a cercare un figlio; se fosse successo, però, sarebbero stati estremamente contenti.
«Mi sono persa a guardare la neve». Rispose Eva con un sorriso sornione. Azrael scosse il capo e tornò ai fornelli.
«Sbrigati oppure quando arriveranno tutti quanti sarà il caos!» La richiamò lui.
Eva corse in cucina e prima di prendere piatti e posate, che le mancavano per finire di apparecchiare, diede un bacio sulla guancia al marito.
«Potrei risolvere il tutto con uno schiocco di dita, sai». Gli ricordò lei.
Azrael sbiancò al solo pensiero di quella eventualità.
«No!» Esclamò spaventato. «Non sei ancora in grado di controllare i tuoi poteri così bene! Potresti far apparire una persona a caso in casa nostra! O...O...O un canguro!»
Eva scoppiò a ridere alla faccia spaventata del marito, quasi piegandosi in due.
«Tranquillo», gli disse infine asciugandosi le lacrime e prendendo i piatti, «stavo solo scherzando». Poi filò in salotto a finire di apparecchiare la gigantesca tavola che il marito aveva fatto apparire.
La vita non era cambiata solo per Eva ed Azrael in quei tre anni.
Mikael e Tridel avevano dato alla luce un terzo figlio, Meir, e avevano detto di non aver la minima voglia di fermarsi lì: entrambi volevano una famiglia numerosa. Eva aveva paura a pensare a quante altre volte sarebbe diventata zia, mentre Azrael ne era estasiato
Con i ricordi di Eva tornati, inoltre, Sonia aveva potuto finalmente rivelare all’amica di come avesse scoperto di essere l’altra metà di Gavriel. La fulva era stata elettrizzata non poco a scoprire di star per diventare cognata di Sonia.
Le due avevano dunque affrontato Gavriel di faccia e gli avevano imposto di dar loro il permesso per rivelare la realtà a Vittorio, Claudia e figli. Ovviamente l’arcangelo a capo del Paradiso aveva concesso quanto volevano le due donne: non aveva avuto nessuna voglia di morire quel giorno.
Gavriel, inoltre, aveva chiesto a Sonia di diventare un essere immortale accettando il suo cuore. Sonia, ovviamente, era spaventata sapendo che avrebbe dovuto perdere la memoria di quei tre anni; ma nei mesi precedenti aveva iniziato a prendere seriamente la proposta.
Vittorio e Claudia, dopo aver saputo la realtà, avevano messo il broncio alle amiche per essere stati esclusi così a lungo dal tutto. Ogni cosa si era calmata durante il matrimonio di Eva dove Matilde, la figlia di Vittorio e Claudia, aveva stretto amicizia con Natacha e Liev.
Mikael aveva visto lo sguardo di Liev scintillare e aveva anche notato come, a un certo punto, suo figlio avesse preso Matilde per la mano e non la volesse lasciare andare; la bambina non dava di certo segni di essere a disagio. Ma l'angelo a protezione del Purgatorio aveva deciso di non rivelare cosa aveva appena visto.
Se Matilde era la metà di suo figlio, la situazione si sarebbe fatta chiara con la pubertà dei due.
Helel e Serena stavano ancora felicemente insieme. Nessuno dei due aveva ancora parlato di far diventare la donna immortale o di matrimonio. E, anche se Malika si lamentava di voler più nipoti da coccolare, ogni due per tre, nessuno stava facendo pressione alla coppia.
Davide, invece, si era sposato due anni prima con Cesare. Purtroppo, per quanto la madre di Davide attendeva dei nipoti, Cesare e Davide non volevano adottare nessuno. Avevano paura che crescendo il figlio sarebbe stato soggetto a denigrazioni e bullismo; non volevano essere la causa della sofferenza di un loro ipotetico figlio.
Jason conviva con Rachele, la ragazza che Eva lo aveva spinto a frequentare. Eva aveva avuto dei problemi ad approcciarsi al ragazzo dai tratti asiatici dopo aver riacquistato i suoi ricordi.
Fortunatamente Azrael era intervenuto ricordando ad Eva come il Jason dei suoi ricordi non esisteva più, esisteva solo Jason migliore amico.
I genitori di Eva e quelli degli angeli in quei tre anni, vedendo tutti i figli accoppiati, avevano iniziato a lanciare frecciatine a destra e manca per la scarsità di nipoti. Dire che ogni cena di famiglia finiva con le coppie senza figli in imbarazzo mentre quelle con figli morivano dalle risate, era dire poco.
Soprattutto quando i discorsi di Levi iniziavano con la frase: «I giovani d'oggi! Io e Malika alla vostra età…».
Il resto era una descrizione così dettagliata per cui iniziava una corsa per tappare le orecchie in tempo ai minorenni.
Eva aveva appena posato l'ultimo bicchiere quando il campanello suonò per la prima volta quella sera.
«Sono iniziati ad arrivare!»Urlò al marito intento a cantare a squarciagola una delle canzoni preferite della moglie: Waste It On Me di Steve Aoki.

La serata era passata tra risate, alcol e cibo. La gigantesca tavola era piena di cartacce di dolci e pacchetti aperti, i bicchieri erano ancora tutti pieni di vino e i sorrisi erano larghi sui volti di tutti.
Fuori la neve continuava a cadere.
I bambini erano tutti addormentati: avevano cercato di rimanere svegli, per vedere Babbo Natale, ma a un quarto alle undici anche l'ultimo era crollato: Natacha, Liev e Matilde erano stravaccati sul divano con Matilde rannicchiata sul petto del bambino maculato, mentre Meir, con le guanciotte ancora paffute, era addormentato sulla spalla di Mikael.
Eva a guardare tutti i suoi amici e la sua famiglia radunati attorno a quel tavolo non poteva fare a meno di sorridere.
Era così fortunata ad avere quella famiglia e tutto quell'amore intorno a sé. Il pensiero la fece quasi scoppiare in lacrime.
Azrael notato il sorriso della moglie, attirò la sedia di lei a lui e l'avvolse in un abbraccio caloroso.
Avevano affrontato di tutto insieme, da demoni a cuori spezzati, eppure l'angelo non poteva fare a meno della donna.
Dall'altra parte del tavolo, Helel e Serena era taciturni e agitati. La mano di Serena stava stritolando quella del compagno sotto al tavolo eppure non poteva farci nulla, era estremamente in ansia per la notizia che doveva dare alla famiglia.
Poche ore prima i due si era accordati di dire la verità dopo mezzanotte ma ancora nessuno dei due aveva avuto il coraggio di aprire bocca.
Helel non ce la faceva più ad avere quell'ansia addosso. Davide, Eva e Giacomo l'avrebbero ucciso qualunque momento avesse deciso di dirlo, per cui cosa cambiava?
«Serena», richiamò la donna fulva che amava, «diciamolo». Propose appena gli occhi chiari di lei furono puntati nei suoi bianchi.
La giovane si mordicchiò un attimo il labbro inferiore prima di annuire.
In sincrono si misero in piedi.
Intorno a loro, tutti i presenti, si zittirono e li fissarono.
«Devo fare un annuncio, anzi, dobbiamo fare». Iniziò lei, per poi ricadere nel silenzio. Helel strinse un po’ di più la mano di Serena quando lei lo cercò con sguardo impaurito.
La giovane portò la mano libera sul ventre, quando si fu abbastanza tranquillizzata, e lasciò lo sguardo tornare alle persone ancora sedute. Malika, Cecilia, Mikael e Claudia avevano già gli occhi sbarrati avendo compreso cosa stava succedendo; il resto della comitiva era totalmente senza indizi.
«Sono incinta di tre mesi». Rivelò infine.
Nei momenti successivi scoppiò l'inferno.

Malika sospirò mettendo finalmente piede sul balcone, rilassando le spalle si appoggiò al muretto e guardò la neve continuare a scendere delicata.
Dopo la notizia di Serena nell’appartamento era scoppiato un pandemonio.
Davide, Giacomo ed Eva avevano quasi aggredito Helel all’urlo un anime di : “Serena è ancora una bambina”. Fortunatamente Azrael e Cesare erano riusciti a trattenere i tre, ricordando come Serena avesse superato la maggiore età ormai da cinque anni.
Mikael, Cecilia e Claudia, al contrario, avevano rapito Serena in cucina per derle tutti i consigli che potevano sulla situazione.
Tutti gli ospiti rimanenti avevano brindato alla notizia, Helel incluso, ed avevano fatto le loro congratulazioni al Diavolo.
La donna dai capelli neri sentì la porta del balcone aprirsi e chiudersi alle sue spalle. Due braccia, poi, fecero capolino attorno alla sua vita: non aveva bisogno di girarsi per sapere a chi appartenessero.
Levi diede un bacio sulla testa della moglie e lei reagì stringendosi di più al petto del marito.
«Sette anni fa hai fatto un bel macello con quel legame di sangue», le disse il marito stringendola forte, «sono sinceramente sorpreso per come le cose siano riuscite a tornare in ordine».
Malika sorrise alle parole del marito.
Quando Levi aveva scoperto cosa la moglia aveva fatto, sette anni prima, le urla di quella litigata erano rimbombate per tutti e i quattro regni. Eppure, in quel momento, l’arcangelo non poteva essere più felice.
Tutti i suoi figli avevano trovato la loro metà e stavano conducendo la vita da loro voluta. A nessuno era più imposto nulla.
«Sette anni fa ho dovuto fare quello che ho fatto». Gli rispose lei, ricordandosi quanto si era pentita delle sue azioni il pomeriggio in cui aveva dovuto strappare Azrael ed Helel alle sorelle Rossi.
«È stato per il bene di tutti».
Levi scoppiò a ridere di cuore a quelle parole.
«Dovresti smetterla di usare quella frase». L’angelo le diede un altro bacio sui capelli.
Malika soppesò il consiglio del marito e si trovò d’accordo.
«Sì, forse dovrei». Annuì.
Entrambi tornarono a guardare la neve in silenzio, un sorriso sul volto sapendo che ora ogni cosa era al proprio posto.
 

THE END

† Angolo Autrice †

E così siamo alla fine del viaggio, con una doppia pubblicazione eccovi alla fine della storia. Non so spiegare esattamente cosa provo, il mio cervello non riesce ancora a rendersi conto di aver concluso questa storia, di aver messo la parola fine, poiché Eva, Helel e Azrael sono stati i miei compagni di viaggio in un anno abbastanza duro sia dal punto di vista universitario e sia da quello famigliare.
Sono inciampata, mi sono bloccata e un paio di Santi sono stati chiamati quando ciò che scrivevo non mi andava bene. Questa storia per me rappresenta molto poichè scritta in un periodo in cui non ero più sicura di riuscirlo a fare. Non ero più sicura di nulla.
Quando l'ho iniziata erano quasi due anni che non scrivevo in modo serio, continuo, con una storia abbastanza corposa. E quello che all'inizio avevo progettato di essere un racconto breve di dieci capitoli si è trasformato in un mostro di 131 pagine, il quale mi ha ridato la consapevolezza delle mie doti.
So che non è un bel libro, è pieno di errori e vuoti di trama (che cercherò di colmare appena avrò tempo), ma è allo stesso tempo mio figlio.
Per questo voglio ringraziare tutte quelle persone che l'hanno seguito fino a qui, tutte quelle persone che mi hanno aiutato, incoraggiato, ricordato quanto scrivere mi faccia bene.
Soprattutto A.S., la mia beta. È stata accanto a me nei momenti più difficili della stesura senza addossarmi colpe per le pause di mesi o senza spingermi a pubblicare un capitolo fin quando non decidevo fosse giunto il momento.
È stato un lungo viaggio, di oltre un anno, ed è giunto al termine.
Ma non per me! Oh, no!
Perché un'altra storia è già in fase di scrittura!!
Tenete dunque d'occhio il mio profilo per vedere quando questa uscirà ;)

Grazie infinite
a tutti

Axel Knaves


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3726227