Star Trek Universe Vol. V: La Battaglia di Procyon V

di Parmandil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'Assedio di Xindus ***
Capitolo 3: *** I demoni nel profondo ***
Capitolo 4: *** La Cripta ***
Capitolo 5: *** Tra il martello e l'incudine ***
Capitolo 6: *** Il Tox Uthat ***
Capitolo 7: *** La resa dei conti ***
Capitolo 8: *** Gli Accordi Temporali ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Star Trek Universe Vol. V:

La Battaglia di Procyon V

 

 

SPAZIO, ULTIMA FRONTIERA.

QUESTI SONO I VIAGGI DELLA

NAVE STELLARE ENTERPRISE.

LA SUA MISSIONE È ESPLORARE

STRANI, NUOVI MONDI,

SCOPRIRE NUOVE FORME DI VITA

E NUOVE CIVILTÀ,

FINO AD ARRIVARE LÀ

DOVE NESSUNO È MAI GIUNTO PRIMA.

 

 

-Prologo:

Data stellare 2553.131

Luogo: Sacra Terra

 

   La mole opprimente del Palazzo Imperiale sovrastava il resto della megalopoli, facendo apparire insignificanti tutti gli altri edifici. Anche il continuo traffico aereo ne veniva ridimensionato; astronavi e veicoli sembravano moscerini che si agitano intorno a un pachiderma. Massiccio come una montagna, il palazzo aveva uno stile barocco, opulento. Decine di guglie svettavano verso il cielo, proclamando la grandezza dell’Impero Terrestre. Molto del metallo usato per costruirlo veniva dagli scafi delle astronavi nemiche, così come molti dei materiali pregiati che ne ornavano gli interni erano frutto di saccheggi. Da fuori, era il simbolo di un potere schiacciante, che si proclamava eterno.

   All’interno le cose erano un po’ diverse. Nelle stanze rivestite di marmi e stoffe pregiate, le congiure e gli assassinii erano all’ordine del giorno. Era il terreno di caccia dei burocrati, dei militari, dei cortigiani assetati di potere. Una sera brindavano assieme, giurandosi eterna amicizia; il mattino dopo qualcuno veniva trovato morto, o era trascinato via dalle guardie, e gli “amici” lo disconoscevano. La polizia segreta aveva occhi ovunque, eppure certe trame restavano celate fino all’ultimo.

   Nel cuore del palazzo si trovava la sala più sontuosa, quella del trono. Era un ambiente vasto e rimbombante, con la volta altissima, progettato per schiacciare il visitatore e farlo sentire una nullità. Marmi purpurei e decorazioni d’oro brunito ne coprivano ogni centimetro quadrato. Su tutto incombeva il trono imperiale, d’oro massiccio e incrostato di gemme, collocato in cima a una ripida scalinata che lo poneva ben sopra le teste dei miseri mortali. Ancora più in alto incombeva il simbolo dell’Impero: un pugnale che trafiggeva verticalmente il globo terrestre.

   L’Ammiraglio N’Rass percorse il lungo salone, scortata da un manipolo di guardie. Non erano le sue guardie personali. Erano quelle imperiali e avevano l’ordine di sorvegliarla. I loro passi militareschi rimbombavano sul pavimento, perfettamente sincronizzati. Ciascuno di loro portava un fucile phaser a tracolla, una vibro-lama in cintura e la mostrina con il teschio sulla spalla.

   Ai lati del salone, i dignitari parlottavano fra loro, scambiandosi sorrisetti e bisbigliandosi commenti all’orecchio. N’Rass non riusciva a sentirli, ma ne immaginava la malignità. Perché lei era l’unico Ammiraglio non umano della Flotta Imperiale e quegli avvoltoi non vedevano l’ora che cadesse in disgrazia. N’Rass li detestava: adulatori col miele sulla lingua e pugnali dietro la schiena, funzionari corrotti che si contendevano i favori imperiali, burocrati agghindati con le vesti ancora calde dei defunti proprietari. Erano quei parassiti che mandavano avanti l’Impero, in mezzo ai sorrisi, ai banchetti e alle congiure. La Caitiana passò fra loro senza degnarli d’uno sguardo.

   Eppure, man mano che si avvicinava al trono, l’Ammiraglio sentì la sua sicurezza scemare. Il cuore le batté più forte, il respiro divenne affannoso e persino la pelliccia si drizzò leggermente, tradendo il suo nervosismo. Però mantenne un passo lento e regolare; la fretta non si addiceva al suo rango. I grandi leader non si affrettano... semmai costringono gli altri ad affrettarsi. N’Rass non dava a nessuno la soddisfazione di vederla correre: nemmeno all’Imperatore.

   «Rendete omaggio a Sua Altezza Imperiale!» proclamò un araldo, che sostava al lati della scalinata del trono. «Inchinatevi a Jason Nelscott Augustus Hyperion Invictus, sovrano dell’Impero Terrestre!» aggiunse con voce stentorea.

   «Lunga vita all’Imperatore» disse N’Rass, inchinandosi profondamente. Per il momento non osò alzare lo sguardo oltre la scalinata del trono.

   «Bentornata, Serleen. Da troppo tempo non ti vedevo in carne e ossa. Forse non ti piacciono il mio palazzo e la mia corte; forse non credi che un soldato debba perderci del tempo» disse l’Imperatore, con voce profonda e vellutata.

   «Riverisco la Vostra persona e la Vostra corte, Altezza» rispose N’Rass, sempre con gli occhi bassi. «Ma per servirli al meglio devo stare al fronte».

   «E mi hai servito bene... in passato» disse l’Imperatore. Serleen udì i suoi passi prima ancora di vederne i piedi che scendevano la scalinata del trono. In contrasto con l’opulenza che lo circondava, Nelscott vestiva un’uniforme militare piuttosto sobria. Solo i galloni d’oro con l’emblema imperiale indicavano il suo status. «Alzati» ordinò.

   La Caitiana obbedì con lentezza e solo quando ebbe completamente drizzato la schiena osò levare anche lo sguardo. Nelscott non era cambiato dall’ultima volta. I capelli neri e corti si erano leggermente striati di grigio sulle tempie, ma gli occhi erano quelli di sempre, profondi e imperscrutabili. L’Umano dalla pelle scura e la Caitiana dalla pelliccia dorata si fissarono per un attimo, divisi da qualcosa di peggio che la differenza razziale in un Impero xenofobo: la sconfitta militare.

   «Sai cosa mi piace di te?» riprese l’Imperatore con voce pastosa. «Il fatto che non sei Umana, eppure sai guidare gli Umani in battaglia. Per questo sono stato il tuo mecenate. Per questo ti ho permesso di far carriera nella Flotta ben oltre i limiti fissati agli alieni. Vedi, non c’è un solo Ammiraglio che non venderebbe sua madre per soppiantarmi. Ma tu no... perché sei aliena, e sai che non dureresti cinque minuti sul trono terrestre. Ecco perché posso fidarmi di te».

   N’Rass non rispose. Sapeva che dopo le lodi sarebbero piovute le accuse. Forse Nelscott sarebbe stato clemente e le avrebbe dato un’altra possibilità. O forse avrebbe fatto ruzzolare la sua testa sul tappeto di porpora che lei aveva calpestato per raggiungerlo.

   «Questa fiducia personale che nutro per te è ancora intatta, Serleen» assicurò l’Imperatore. «È l’altra fiducia, nella tua competenza militare, che vacilla. Hai inviato la nostra nave ammiraglia in un Universo ostile, sola e senza appoggio. Sapevi che la via d’accesso, il Tunnel Spaziale Bajoriano, poteva essere sigillata... com’è accaduto. Sapevi che l’Enterprise poteva essere distrutta, con la forza bruta o con l’inganno... com’è accaduto. E sapevi che in tal caso la Federazione avrebbe appreso molto sull’Impero, mentre noi non avremmo scoperto nulla su di essa. Alla luce di tutto questo... c’è qualcosa che vuoi dirmi?» chiese. Se avesse urlato, o sussurrato con odio, N’Rass non si sarebbe fatta intimidire. Ma quel tono calmo e garbato la spaventava più di qualunque minaccia.

   «Sì, Maestà» disse l’Ammiraglio. «I Capitani sono sempre stati responsabili delle loro navi. Quando Chase si fece cogliere impreparato dai Breen, furono i miei rinforzi a salvare l’Enterprise. Mentre Chase riparava la sua nave, sono stata io a proseguire la guerra, fino all’epilogo che conosciamo: i Breen sono distrutti, non ci minacceranno mai più».

   «Sì, è stato l’apice della tua carriera» riconobbe Nelscott. «Ma una volta giunti in vetta, non si può che ridiscendere. Perché hai mandato l’Enterprise oltre lo Specchio, da sola?».

   «La Flotta Imperiale ha subito ingenti perdite nella Guerra Breen. Pensavo che una nave di classe Universe fosse sufficiente per una missione esplorativa» ammise N’Rass. «Lo scopo dell’Enterprise era saggiare la resistenza della Federazione, comprenderne le strategie belliche e se possibile riportare nuove tecnologie. I primi due obiettivi sono stati conseguiti e quanto al terzo... il fallimento è imputabile al solo Capitano Chase».

   «Quindi hai usato il mio ex Primo Ufficiale come cavia» si accigliò Nelscott. «Sarei maligno a pensare che, in realtà, volevi sbarazzarti di lui?».

   «Altezza, se avessi voluto sbarazzarmi di lui, lo avrei giustiziato per il suo fallimento nella Battaglia di Deep Space Nine» obiettò N’Rass, con più decisione. «Invece, memore del favore che gli avete sempre riconosciuto, gli ho dato la possibilità di riscattare il suo onore. Ho agito conformemente alle tradizioni dell’Impero. Il definitivo fallimento di Chase è certo deludente... ma ora che la Federazione ci ha sfidati, dobbiamo punirla come merita. Chiedo d’essere io stessa a mostrare la superiorità dell’Impero Terrestre su quel caotico agglomerato di specie».

   «Quindi vuoi sfruttare la distruzione dell’Enterprise a tuo vantaggio. Dovrei addirittura premiarti, affidandoti una flotta d’invasione!» fece l’Imperatore, stupito da tanta audacia.

   La Caitiana strinse gli occhi gialli, dalle pupille verticali, e scoprì i canini in un sogghigno. Era il momento di ribaltare la situazione, facendo leva sulle peggiori paure degli Umani. «Maestà, dobbiamo provare la nostra supremazia, o i federali ci contageranno con le loro idee: democrazia, uguaglianza, Diritti dei Senzienti. Persino repellenti incroci fra specie. Non possiamo permettere a questi concetti di sopravvivere, o tutto ciò che tiene unito l’Impero si sgretolerà. È già successo una volta... e i Terrani patirono cent’anni di schiavitù».

   «So bene quale pericolo sia la Federazione per il nostro stile di vita!» esclamò l’Imperatore, alzando una mano. «Per quanto le opportunità siano invitanti, forse sarebbe meglio impedire ogni contatto fra i nostri Universi».

   «Ma stando agli ultimi rapporti, la Federazione è in grave affanno a causa di un’invasione aliena» incalzò N’Rass. «Se vogliamo abbatterla, questo è il momento. Potremmo non avere più una simile occasione!».

   «Vuoi uccidere una bestia ferita?» chiese Nelscott.

   «L’Impero ha costruito così la sua grandezza» rispose arditamente la Caitiana. «È la legge di tutti gli Universi... i deboli periscono e i forti regnano».

   «Se la Federazione fosse moribonda come la dipingi, non avrebbe distrutto l’Enterprise» obiettò l’Imperatore. «Evidentemente è ancora pericolosa. Se vendicherò l’affronto, sarà con un’invasione su vasta scala. Potrebbe essere la più grande guerra della nostra storia... e tu vorresti condurla. Che audacia! O che insolenza. Sentiamo... quante navi ti servono, per mettere in ginocchio la Federazione?».

   «Almeno mille... ma duemila sarebbero meglio» rispose una voce femminile. Nella sala del trono scese il gelo. Era una richiesta spropositata, assurda. Mai, nella sua storia, l’Impero aveva schierato una forza di duemila navi. I cortigiani si guardarono increduli e persino le guardie persero un poco della loro compostezza. Ci volle qualche secondo perché realizzassero che non era stata N’Rass a parlare.

   C’era una nuova presenza in sala. Umanoide nelle linee generali, ma aliena per la pelle grigia e il cranio glabro dai lineamenti infossati. Gli occhi dai riflessi metallici erano sprofondati nel teschio, le narici erano due fessure, le orecchie nient’altro che fori. Stava a pochi passi dall’Imperatore, vestita con un attillato abito violaceo dagli ornamenti bronzei, e sorrideva lievemente. Non era entrata a piedi, ma nessuno aveva visto il bagliore del teletrasporto.

   «Arrestate quest’intrusa!» ordinò l’Imperatore, oltraggiato.

   Le guardie si avventarono sull’aliena, ma non c’era alcun corpo da uccidere o incatenare. Era solo una proiezione intangibile, che ogni tanto si sfocava, divenendo una macchia grigiastra.

   «Puoi ritirare i tuoi custodi, Imperatore» disse la nuova arrivata, con un sorriso ironico. «Come avrai capito, non sono realmente qui. Ti sto inviando la mia immagine da un dominio extra-dimensionale, nel quale risiede il mio popolo».

   «Sei una dei Tuteriani... i Costruttori di Sfere» riconobbe Nelscott, superata la sorpresa.

   «Sono la loro Messaggera» confermò l’aliena. «Infatti sono qui con informazioni... e con consigli, Altezza».

   Molti dei presenti si avvicinarono per vederla meglio. Le guardie avrebbero voluto tenere a distanza l’Imperatore, ma questi le respinse. «Ti ascolto» disse.

   «Ciò che ha detto il tuo Ammiraglio corrisponde a verità» disse la Messaggera. «Da tre anni siamo impegnati in una lotta all’ultimo sangue con la Federazione. E non siamo soli. Altre specie di quella Galassia si sono unite a noi: i Krenim, i Vorgon, i Na’kuhl. Insieme abbiamo formato il Fronte di Liberazione Temporale, che condivide le scoperte sulla previsione del futuro e sul viaggio nel tempo. Ma anche la Federazione ha degli alleati, che voi conoscete bene: i selvaggi Klingon, gli infidi Romulani. Insieme hanno proclamato l’Unione Galattica... il trionfo della loro ideologia di appiattimento».

   «E volete il nostro aiuto per sconfiggerla? Imparate a fare la guerra, piuttosto!» la derise l’Imperatore.

   «Altezza, dovete comprendere la posta in gioco» avvertì la Messaggera. «Questo conflitto travalica gli Universi e plasmerà il futuro per tutti i secoli a venire. Il vincitore potrà dettar legge sul tempo e sullo spazio. Ciò significa che anche la vostra sopravvivenza è a rischio».

   «La Federazione non oserà invaderci» sostenne Nelscott.

   «Forse no... ma il nostro Universo sta collassando e se non riusciremo a conquistare la Federazione dovremo cambiare obiettivo» avvertì la Messaggera. «Il prossimo Universo sulla lista è il vostro» precisò, fissando l’Imperatore con occhi gelidi.

   «È una minaccia?!» chiese Nelscott, mentre un mormorio agitato si diffondeva fra i dignitari.

   «Un semplice dato di fatto» disse la Messaggera. «A noi serve spazio. Preferiremmo prenderci quello federale, dividendo con voi il bottino di guerra. Ma se saremo respinti, ci vedremo costretti a cercare... altri pascoli» disse, leccandosi le labbra. «Spero che prenderete la decisione più saggia».

   «Altezza, questi alleati sono la nostra occasione» intervenne N’Rass. «Ci apriranno le porte a conquiste inimmaginabili e faranno progredire la nostra scienza temporale. Lasciate che guidi una flotta in loro soccorso e avrete una seconda Terra da governare!».

   In realtà la prospettiva che i Tuteriani rivolgessero le loro brame contro l’Impero l’atterriva. Ma proprio per questo non voleva inimicarli. Era un gioco terribilmente pericoloso... ma il pericolo non la spaventava, anzi era inebriante. Era sfidando i pericoli che si era conquistata l’Ammiragliato; e le sue ambizioni erano ancora inesauste. Il fallimento di Chase le dava la possibilità di diventare il più grande condottiero della storia imperiale.

   «Se decidessi di aiutarvi, ci sarebbe ancora da sbloccare il Tunnel Spaziale...» disse Nelscott, ma era evidente che stava cedendo.

   «Il Tunnel Spaziale è storia vecchia» disse la Messaggera. «Gli emissari federali hanno chiesto ai suoi abitanti di non lasciar passare le vostre forze. Potete ancora usarlo per raggiungere il Quadrante Gamma, ma se proverete a servirvene per attraversare lo Specchio, le vostre navi saranno... obliterate, come accadde al Dominio. Vi do questo avvertimento come garanzia della mia buona fede».

   «Ne terremo conto» assicurò l’Imperatore, inquieto ma anche sollevato per l’informazione, che aveva salvato chissà quante navi. «Quindi come dovremmo varcare lo Specchio? Gli esperimenti col teletrasporto danno risultati altalenanti e comunque non possiamo trasferire intere astronavi».

   «Penseremo noi a costruire un portale che consenta il passaggio di una grande flotta» promise la Messaggera. «Dovremo spendere molte risorse, ma siamo disposti a farlo... in cambio di un vostro massiccio intervento. Ebbene, Altezza? Siete con noi o contro di noi?» chiese in tono vellutato. Si avvicinò a Nelscott, osservandolo attentamente: una risposta sbagliata e sarebbe tornata nel suo reame, ritirando per sempre l’offerta di pace.

   Tutti gli sguardi si appuntarono sull’Imperatore, che lesse l’apprensione sul volto dei suoi sudditi. Era un’alleanza pericolosa... ma la posta in gioco era altissima. E l’Impero Terrestre non poteva mostrare alcuna debolezza. Più ancora dei nemici esterni, Nelscott temeva le insurrezioni interne, se fosse crollato il mito dell’invincibilità imperiale. Ecco perché non poteva esimersi dal vendicare l’Enterprise, fiore all’occhiello della Flotta. Ma non voleva nemmeno entrare a pieno titolo nel Fronte Temporale. Era un’alleanza in cui, lo intuiva, i Tuteriani facevano da padroni e le altre razze erano sacrificabili. L’Impero Terrestre non doveva avere alcuna autorità sopra di sé.

   «Mi addolora sapere che il vostro Universo sta collassando» disse infine l’autocrate. «L’Impero Terrestre accoglie la vostra richiesta d’aiuto. Invieremo la più grande flotta che abbiamo mai schierato... ma a una condizione» avvertì.

   «Quale?» chiese la Messaggera.

   «Non desidero impaniarmi in un lungo conflitto. Se costringerete la Federazione e i suoi alleati a una grande battaglia, che possa decidere le sorti della guerra, noi ci saremo. Non dovrebbe essere difficile, con le vostre capacità...» sorrise l’Imperatore.

   «Non è nemmeno semplice» disse la Messaggera, un po’ delusa. «Ma accetto la vostra offerta: una grande flotta per una grande battaglia. Decideremo noi quando e dove si terrà. Voi tenetevi pronti a schierare le navi. Potrebbero servirci in qualunque momento... tutto dipende da come oscilleranno le linee temporali. Appena costruito il portale vi comunicheremo la sua posizione. Naturalmente non potete pretendere lo stesso bottino che se entraste a pieno titolo nel Fronte...».

   «Mi accontenterò del sistema solare» disse l’Imperatore. «È uno solo fra centinaia... non vi accorgerete nemmeno della differenza». Si augurò di aver fatto la scelta giusta. Le cose si possono fare o non fare; ma farle a metà rischia di essere la scelta peggiore. Eppure un intervento limitato gli sembrava l’opzione migliore, di fronte a tante incognite.

   «E sia!» disse la Messaggera. La sua immagine divenne grigia e sfocata, per poi svanire del tutto. La tensione in sala si allentò sensibilmente. Molti si lasciarono sfuggire sospiri di sollievo e si scambiarono persino qualche sorrisetto nervoso. Ma l’Imperatore e l’Ammiraglio non erano per nulla sollevati; sapevano bene cosa si era messo in moto.

   «Serleen N’Rass, ti nomino Ammiraglio di Flotta con decorrenza immediata» disse Nelscott. La Caitiana s’inchinò, mentre il sovrano le toccava spalle e testa con lo scettro. «Riporta la Flotta Imperiale al massimo della potenza. Apri coscrizioni obbligatorie su ogni pianeta dell’Impero e accelera i lavori dei cantieri navali. Quando i Tuteriani completeranno il portale, dobbiamo essere pronti a schierare la forza più letale che si sia mai vista».

   «Sarà mia gioia e premura, Vostra Maestà» disse N’Rass, rialzandosi con una luce di trionfo negli occhi felini. L’arrivo della Messaggera era stato provvidenziale. Si era presentata proprio al momento giusto, appoggiando la sua richiesta. E l’aveva fatto in pubblico, costringendo l’Imperatore a fornire una risposta chiara e a rispettarla. La Caitiana non avrebbe potuto chiedere di meglio. Da ufficiale sotto inchiesta era diventata la seconda personalità dell’Impero. Adesso doveva ricostruire la Flotta Imperiale e tenerla pronta finché i Tuteriani avessero chiamato. Si augurò che lo facessero il più tardi possibile; così nel frattempo si sarebbe goduta i nuovi privilegi.

   «Terra firma!» disse l’Ammiraglio, levando il braccio nel saluto militare. I dignitari e i gerarchi, che fino a pochi minuti prima avevano ridacchiato e sparlato di lei, la imitarono. Adesso erano ai suoi ordini.

 

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Capitolo 2
*** L'Assedio di Xindus ***


-Capitolo 1: L’Assedio di Xindus

Data stellare 2556.031

Luogo: Nuova Xindus

 

   «Intensificare gli scudi anteriori! Fuoco a volontà contro le Dreadnought più vicine, mirate ai loro punti deboli!» ordinò il Capitano Chase, reggendosi ai braccioli della poltrona di comando, mentre l’Enterprise sussultava e scricchiolava per la violenza della battaglia. Nella luce sanguigna dell’Allarme Rosso, il suo viso appariva tirato e quasi spettrale. Ai numerosi allarmi che già squillavano se ne aggiunse uno dal timone: quello di prossimità.

   «Attenta alla collisione!» avvertì Terry.

   «Lo so» disse T’Vala, con la fronte imperlata di sudore. Si morse il labbro inferiore, mentre le sue mani esperte digitavano una complessa serie di comandi, e dette una rapida occhiata allo schermo principale. C’erano sette Dreadnought inquadrate ed erano solo una piccola parte della forza schierata dai Tuteriani contro Nuova Xindus. I loro cannoni particellari anteriori sparavano a raffica; a ogni colpo messo a segno l’Enterprise vibrava, mentre i suoi scudi s’indebolivano.

   «Siluri agganciati, apro il fuoco» disse Lantora. Per non perdere l’equilibrio doveva reggersi alla consolle tattica, incastonata nella struttura arcuata dietro le sedie degli ufficiali superiori.

   L’Enterprise schizzò verso la flotta nemica, tra i bagliori dei raggi e delle esplosioni. Passò fra due Dreadnought dei Tuteriani, grandi astronavi fusiformi dallo scafo marroncino, con una strozzatura al centro. Per evitare la collisione ruotò di 90º l’enorme sezione a disco, larga più di due km. Anche così, passò a malapena: c’erano sì e no 600 metri fra le Dreadnought e l’Enterprise era alta 416. Mentre passava, l’astronave compì un bombardamento ravvicinato. I siluri colpirono le strozzature negli scafi nemici, riuscendo a spezzarli. I quattro tronconi, con le estremità fiammeggianti, rotearono fuori controllo, ma l’Enterprise non si fermò per finirli. Senza rallentare, fece uno slalom fra i successivi vascelli Tuteriani, sempre sparando a volontà. Astronavi più piccole la seguivano, in formazione serrata, sparando a tutto spiano. Erano quattro navi degli Xindi Rettili, dagli affilati scafi violacei, e una dozzina di navette degli Insettoidi, scure e ritorte.

   «Rettili e Insettoidi ci seguono» rilevò Terry. «Primati e Arboricoli sono rimasti indietro».

   «Signor Grog, gli dica di starci appresso o sarà inutile!» ordinò Chase.

   «Ci sto provando, ma il nemico continua a disturbare le comunicazioni» avvertì il Ferengi.

   Le Dreadnought desistettero dal colpire l’Enterprise, troppo resistente per loro, e concentrarono il fuoco dei cannoni anteriori su una nave rettiliana. Al quarto colpo i suoi scudi cedettero e al quinto l’astronave andò in frantumi. Intanto i cannoni particellari minori colpivano le piccole navi insettoidi.

   «Abbiamo perso una nave rettile» avvertì Lantora, tirandosi indietro i capelli sudati che gli si appiccicavano al volto. «Gli Insettoidi ne hanno perse tre... quattro... cinque...» lesse, man mano che la consolle gli inviava i dati aggiornati. «Capitano, li perdiamo come... come insetti!» esclamò, frustrato.

   «Facciamo un altro passaggio ravvicinato?» suggerì Ilia.

   «Negativo, non possiamo fermarci» disse Chase. «Gli abbiamo danneggiato le navi; ci penseranno Arboricoli e Primati a finire il lavoro. Noi dobbiamo procedere verso le Sfere».

   «Ricevuto» disse T’Vala, disimpegnandosi dall’ultima Dreadnought. Le passò radente, mentre Lantora la bersagliava con raggi anti-polaronici che tracciarono lunghi graffi incandescenti sul suo scafo. Ma la Dreadnought sparò ancora, contro una nave rettiliana, riuscendo a danneggiarla così gravemente da mandarla fuori rotta. Fortunatamente stavano arrivando i rinforzi. Sei vascelli Primati e quattro Arboricoli ingaggiarono le Dreadnought danneggiate, impedendo loro d’inseguire l’Enterprise e la sua scorta.

   «Ci restano due navi rettiliane e quattro insettoidi» avvertì Lantora, scuro in volto. «Basteranno?».

   «Devono bastare» disse Chase, scrutando cupamente lo schermo. Le masse arancioni e schiumose delle anomalie gravimetriche erano sempre più vicine. E là in mezzo, come squali nascosti fra mortali anemoni, s’intravedevano le sagome colossali di tre Sfere.

   «T’Vala, attenta alle anomalie» raccomandò Ilia. «Terry, cerchi di capire dove si formeranno le prossime e mandi le previsioni al timone. Lantora, faccia raffreddare i banchi anti-polaronici e intanto prepari i lanciasiluri transfasici. Signor Grenk, dia tutta l’energia possibile agli scudi anteriori» aggiunse, contattando la sala macchine.

   «E secondo lei che ho fatto finora?!» protestò Grenk dall’ingegneria. Il Tellarita e i suoi colleghi armeggiavano con consolle così piene di allarmi da sembrare luci natalizie. Gli indicatori puntavano verso il massimo, segno che l’Enterprise stava attingendo all’energia di riserva per mantenere attivi gli scudi. Il nucleo quantico pulsava a ritmo indiavolato, trasmettendo le sue vibrazioni a tutta la nave. «Siamo a 5.312.000.000 di terajoules. Non posso darvi più di così, o questa beneamata nave andrà in pezzi!» si disperò l’Ingegnere Capo.

   «La tenga insieme finché avremo distrutto le Sfere!» ordinò Chase, mentre l’Enterprise sfrecciava fra i mortali addensamenti di anomalie. In condizioni normali gli scudi cronofasici l’avrebbero protetta, ma nelle attuali condizioni di sforzo non bisognava affaticarli ulteriormente. Ne andava della salvezza di un pianeta.

 

   Il disperato attacco dell’Enterprise era solo uno dei molti scontri mortali che si consumavano nell’orbita di Nuova Xindus. Da tre mesi, ormai, i Tuteriani assediavano la patria delle cinque specie Xindi con un micidiale schieramento di Dreadnought, Sfere e anomalie.

   Prima della guerra, Nuova Xindus era uno dei pianeti più incantevoli della Federazione. Scelto per la somiglianza con l’antico Xindus, era un mondo di classe Q, dal clima estremamente variegato. Profondi oceani s’incuneavano fra le terre emerse, dando ricetto agli Xindi Acquatici. Deserti caldi e secchi erano la dimora dei Rettili, mentre gli Insettoidi preferivano l’umidità delle foreste pluviali. I boschi più temperati erano assegnati agli Arboricoli, mentre le pianure e le coste ospitavano le città dei Primati.

   C’erano anche imponenti catene montuose, dai picchi innevati che nessuno aveva mai scalato; ma sfortunatamente non restavano Xindi Aviali che potessero goderne. Si erano estinti nella Guerra Civile di 500 anni prima e solo il teschio di un Aviale, esposto nella sala del Consiglio fra candele sempre accese, ricordava alle specie superstiti il prezzo della guerra. A due secoli dalla colonizzazione di Nuova Xindus, le specie si erano ormai assestate. Per quanto avessero costruito numerose città, gran parte del pianeta restava ancora selvaggio e disabitato. Ora che la parte più dura della colonizzazione era terminata, gli Xindi speravano di potersi riposare ed espandere in pace i loro insediamenti.

   Quest’illusione era svanita con l’arrivo dei Tuteriani, un tempo venerati come custodi e protettori, ora temuti per ciò che erano realmente: spietati distruttori. Dieci Sfere avevano circondato il pianeta, creando anomalie per annientare ogni forma di vita. Il rigoglioso ma delicatissimo ecosistema di Nuova Xindus ne aveva subito risentito. Esposte alle onde gravimetriche, le piante avvizzivano, trasformando le foreste in lugubri deserti essiccati o in fetide paludi marcescenti. Le creature marine galleggiavano sui mari improvvisamente ribollenti, o restavano imprigionate nelle acque che congelavano d’un tratto. Interi branchi di quadrupedi erano trovati morti, con i corpi deformati, e i volatili cadevano a stormi quando le anomalie attraversavano l’atmosfera. Giorno e notte il cielo riluceva di surreali aurore, che si spingevano fino all’equatore. Chiusi nelle loro città, sotto le cupole protettive degli scudi, gli Xindi le osservavano con apprensione. Poco alla volta le anomalie prosciugavano le riserve energetiche, finché gli scudi cedevano; allora era la morte.

   Naturalmente gli Xindi non rinunciavano a lottare, anzi opponevano una strenua resistenza. Le cinque specie avevano mobilitato le forze armate e il Consiglio Xindi coordinava gli sforzi. Sommate, le forze di difesa planetaria contavano duecento navi, dai grandi incrociatori Acquatici alle piccole navette Insettoidi. A queste si sommavano le piattaforme difensive orbitali e le difese di terra. Era una forza di tutto rispetto.

   Ma i Tuteriani erano astuti. Avevano posizionato le Sfere appena fuori dalla portata delle piattaforme, per costringere gli Xindi ad attaccare senza avere le spalle coperte. E si erano preparati a riceverli. Un’enorme flotta di Dreadnought – trecento, secondo i sensori – era schierata in difesa delle Sfere. Da queste fortezze imprendibili, i Tuteriani continuavano a flagellare Nuova Xindus. La sua posizione strategica e il ruolo storico degli Xindi nella lotta contro i Tuteriani ne facevano un bersaglio irrinunciabile. Era l’assedio più feroce dell’intero conflitto, nonché la battaglia più grande, dopo l’attacco al sistema solare sferrato tre anni prima.

   In quel frangente disperato, gli Xindi avevano chiesto soccorso alla Federazione di cui erano membri. E la Federazione aveva risposto, malgrado il logorio di sei anni di guerra, di cui gli ultimi tre catastrofici: mondi distrutti, popoli sfollati e una profonda destrutturazione politica. Mentre cercava di evolvere in una più vasta Unione Galattica, comprendente Klingon e Romulani, la Federazione aveva inviato un’armata: cinquanta navi al comando dell’Enterprise, per rompere l’Assedio di Xindus o morire nel tentativo. Il loro assalto iniziale aveva avuto un discreto successo: due Sfere e una cinquantina di Dreadnought erano state distrutte. Le navi federali avevano raggiunto quelle Xindi, rinsanguandone i ranghi. Ma l’Assedio era appena cominciato: quella era solo la prima delle sanguinose Battaglie di Xindus.

   Dopo di allora, per quattro volte i Tuteriani avevano attaccato il pianeta, cercando di forzare il blocco difensivo. Ogni attacco era preceduto da un’impennata nell’attività delle Sfere. Le anomalie si addensavano, formando nubi arancioni d’aspetto schiumoso. Le più piccole avvolgevano un’astronave, le maggiori investivano interi continenti di Xindus. Poi le Dreadnought attaccavano, cercando di aprirsi un varco tra le navi Xindi e federali, per bombardare le città dall’orbita.

   Quando i Tuteriani erano respinti, le Sfere riducevano la loro attività ed eventualmente si riassestavano, per colmare i vuoti nella loro rete. Tutto tornava come prima. Gli assediati contavano i morti, le navi distrutte, le città ridotte in macerie. L’orologio di guerra si azzerava, in attesa del prossimo attacco. Nessuno sapeva di preciso quando sarebbe avvenuto: tra una settimana o un mese, di giorno o di notte. Non si riusciva più a dormire tranquilli, né a consumare un pasto in serenità, per timore di un nuovo assalto. Quando non si combatteva si era impegnati a riparare i danni.

   Il morale ne risentiva pesantemente. Molti ufficiali erano stressati, litigiosi o quantomeno taciturni. Alcuni avevano crisi di panico o collera nei momenti più inaspettati e per le ragioni più futili. Sull’Enterprise, il dottor Korris aveva diagnosticato il Disturbo da Stress Post-Traumatico a gran parte dell’equipaggio. Molti marinai e ufficiali chiedevano farmaci per allontanare l’ansia e restare svegli, ma il dottore sapeva di non poterli somministrare a lungo. Con l’Assedio ancora in corso, non poteva permettere che l’equipaggio tirasse avanti a forza di psicofarmaci. Solo il buon esempio del Capitano e degli ufficiali superiori impediva al resto della ciurma di lasciarsi andare completamente.

   Per affrontare al meglio l’emergenza, Chase aveva nominato Lantora ufficiale di collegamento tra la Flotta Stellare e il Consiglio Xindi. L’Ufficiale Tattico si teneva costantemente aggiornato sullo status di Xindus, riferendo al Capitano le decisioni del Consiglio e filtrando le richieste d’aiuto, per selezionare le più urgenti. Era un lavoro che Lantora detestava, perché significava negare aiuto ad alcuni in favore di altri. Ma essendo lo Xindi più alto in grado sull’Enterprise, nonché l’Ufficiale Tattico, non poteva biasimare il Capitano per la sua scelta. Al tempo stesso, Lantora riferiva al Consiglio le decisioni di Chase, cercando di difenderne l’operato. Era un’impresa ardua, perché ogni volta che i federali aiutavano una specie Xindi le altre quattro li accusavano di favoritismo. Rettili e Insettoidi, in particolare, erano impazienti e facili all’ira. Lantora parlava tutti i giorni al Consiglio, cercando di rabbonire i delegati, e si recava personalmente alla capitale almeno una volta a settimana.

   La situazione era ulteriormente peggiorata quando i Tuteriani avevano rilasciato su Xindus il famigerato Agente 47, un virus letale sintetizzato dai Na’kuhl. Di tutte le armi biologiche usate nell’attacco al sistema solare, era l’unica ancora senza una cura. Aveva sterminato l’intera popolazione di Cerere, Ganimede e Tritone. Altre migliaia di contagiati erano ancora in stasi, mentre i medici cercavano un rimedio. In altri sistemi stellari, l’epidemia imperversava, sommandosi agli effetti disastrosi delle anomalie.

   Su Xindus, dottori delle cinque specie lavoravano giorno e notte per trovare una cura, coadiuvati dai medici federali. Anche il dottor Korris era sbarcato e operava nell’ospedale della capitale, in condizioni precarie. Non solo doveva maneggiare un virus pericolosissimo, che aveva infettato migliaia di Xindi e per cui non c’era cura. Doveva anche vedersela con i danni delle anomalie e dei bombardamenti, che spesso prendevano di mira l’ospedale. In teoria lo Scudo Cittadino proteggeva la capitale con una cupola d’energia impenetrabile. In pratica le anomalie riuscivano spesso a filtrare e talvolta anche i cannoni particellari mettevano un colpo a segno. Era una lotta contro il tempo: se i medici non avessero trovato la cura, tutti gli sforzi degli Xindi per ridarsi una patria sarebbero stati vanificati.

 

   La Quinta Battaglia di Xindus, la peggiore di tutte, iniziò come le altre. D’un tratto le emissioni gravimetriche delle Sfere schizzarono alle stelle e il pianeta si trovò avvolto dalle anomalie. Densa e ribollente, la schiuma quantica premeva contro gli scudi che proteggevano le principali città Xindi, cercando di sovraccaricarli. Nelle zone non protette agiva indisturbata. Al suo passaggio interi continenti si chiazzavano di bruno e nero. Gli effetti sugli esseri viventi erano orribili: i tessuti si spaccavano, finché tutto l’organismo andava in pezzi. Nei primi minuti le vittime provavano una sofferenza atroce in tutto il corpo. Poi sopraggiungevano svenimento, coma e morte.

   Nel frattempo tutte le Dreadnought rimaste – poco più di cento – attaccavano la flotta Xindi e federale, cercando di sfondare. Diversamente dal solito, non si attardavano a distruggere astronavi e piattaforme difensive. Cercavano solo di superare il blocco, per arrivare a bombardare il pianeta. E il bersaglio era la capitale.

   Visto da sotto lo scudo, il bombardamento era terrificante. Le esplosioni tingevano il cielo di giallo, un cupo brontolio riecheggiava in tutta la città. Il suolo stesso vibrava, come per un terremoto interminabile. Se il sottile campo di forza avesse ceduto, sarebbe stata la fine per i dieci milioni di Xindi – di tutte le specie – che si erano rifugiati lì.

   Anche il Centro Medico, pur essendo costruito con criteri antisismici, tremava. Gli strumenti tintinnavano nei loro armadietti e le apparecchiature più pesanti vibravano. I dottori correvano da un laboratorio all’altro, agitatissimi. Erano al culmine del loro esperimento più importante; la cura per l’Agente 47 poteva essere a portata di mano, se solo fossero riusciti a concludere i test.

   «È inaudito, non posso lavorare così!» protestò l’Ufficiale Medico Capo della task-force federale. Aveva l’aspetto di un uomo di mezz’età, con una vistosa calvizie e profondi occhi scuri sotto le sopracciglia pronunciate. Ma dietro le sembianze umane si celava una natura olografica. Il dottor Joe – un tempo noto come “Dottore” – era il più vecchio Medico Olografico d’Emergenza ancora in servizio, nonché ultimo ufficiale superstite della Voyager. In quel momento, rughe di preoccupazione gli segnavano il viso. Stava lavorando con microscopi e altri strumenti di precisione. Era un compito delicatissimo e nemmeno la sua mano ferma riusciva a evitare che le vibrazioni glielo ostacolassero.

   «Inutile recriminare, dottore» disse Korris, esaminando i diagrammi olografici. «L’andamento della battaglia è fuori dal nostro controllo. Dobbiamo restare concentrati sull’esperimento».

   Sulla parete di fondo della sala c’erano cinque capsule mediche, contenenti altrettanti Xindi contagiati dall’Agente 47. Ogni Xindi apparteneva a una specie diversa. Ai pazienti erano state iniettate nanosonde studiate per riparare il loro XNA (la versione Xindi del DNA). Se tutti e cinque fossero guariti, il virus poteva considerarsi sconfitto. Se guarivano alcuni, era comunque un successo e un gradino verso la cura definitiva.

   I medici stavano monitorando i progressi dei pazienti, quando l’energia venne meno e il laboratorio piombò nell’oscurità. In pochi secondi si accesero i generatori d’emergenza e tutto ricominciò a funzionare, ma molti strumenti erano ormai fuori fase e alcuni andavano del tutto riavviati. Joe e Korris diedero ordini concitati all’equipe, mentre loro stessi si affannavano per rimettere tutto in linea.

   «Proprio quel che temevo... mi dica come possiamo monitorare i pazienti, se l’energia va e viene!» si lamentò ancora Joe. «Chiamiamo l’Enterprise. Il Capitano deve darci più copertura!».

   «Gliene ho già parlato» sospirò Korris. «Ha detto che, durante gli attacchi, la priorità è colpire le Sfere».

   «La sua priorità, non la nostra!» obiettò Joe. «Guardi qui... un’altra reazione enzimatica letale. Stiamo perdendo l’Arboricolo... provo a compensare con la sequenza 84-Theta. Nelle simulazioni andava bene». Digitò una serie d’istruzioni per le nanosonde.

   «Speriamo» disse Korris, nascondendo la preoccupazione per quel rimedio non collaudato. «Sa, pensavo che situazioni del genere fossero una passeggiata per lei».

   «Che intende?».

   «Beh, il trattato sulle patologie del Quadrante Delta non è l’unico dei suoi lavori che conosco» spiegò Korris. «Ho letto anche la sua autobiografia. E ho provato alcuni dei suoi olo-romanzi. Si arriva sempre al punto in cui il nemico sta attaccando la Voyager mentre lei è in infermeria a cercare la cura. Ci sono esplosioni ovunque e macerie che stranamente piovono dal soffitto... ma lei è sempre così calmo, così compassato! All’ultimo momento trova la soluzione, il nemico si ritira... e via, la giornata è salva! Speravo che andasse così anche stavolta».

   «Dottor Korris, lei è un valido collega» disse Joe, fissandolo per un momento, prima di rituffarsi nel lavoro. «Per questo le dirò le cose come stanno. La mia autobiografia è un po’... come dire... abbellita».

   «Ma ha fatto quelle cose, no?» chiese Korris. «Diamine, era lei che affrontava i macro-virus armato d’ipospray! Lei che lottava coi Vidiiani perché restituissero gli organi dei suoi colleghi! Lei che trasformava le nanosonde Borg in armi contro gli Undine! E adesso che la medicina è tanto più progredita, non riusciremo a far fuori questo virus?».

   «Spero di sì» disse Joe, sempre digitando sequenze operative per le nanosonde. «Ma vede, certe esperienze sono irripetibili. E altre temo che siano – ehm – un pochino romanzate» ammise, con una punta d’imbarazzo.

   «Quindi non è vero che Janeway e Paris si trasformarono in salamandre dopo aver volato a curvatura 10?» chiese Korris, con l’aria di un bambino che non vuol rinunciare alla sua storia preferita.

   «Ehm, ci sono un sacco di storie su ciò che succede testando i motori esotici» spiegò Joe. «Non creda a tutto quel che vede nelle sale ologrammi. Micologi che s’iniettano DNA di tardigrado per guidare un motore a spore... piloti che si trasformano in salamandre... suvvia, siamo scienziati!» ridacchiò nervosamente. In realtà ne aveva visti di portenti, nei suoi 185 anni di onorato servizio. Ma alcune scoperte erano ancora secretate dalla Flotta e di altre non gli andava di parlare.

   «Capisco» disse Korris, un po’ deluso, mentre consultava le letture. «L’Arboricolo si è stabilizzato e anche gli altri mantengono buoni parametri. Il virus recede dal midollo spinale... forse ci siamo!» disse speranzoso. Alcuni dei medici si stavano già dando strette di mano e pacche sulle spalle, quando la stanza divenne rossastra. Bagliori informi si agitavano a mezz’aria, come se lo spazio stesso soffrisse. I parametri vitali dei pazienti schizzarono in zona rossa.

   «No!» gemette il dottor Joe, correndo verso le capsule mediche. I pazienti erano sedati, tuttavia si agitavano come se percepissero il dolore. «Se l’anomalia guasta le nanosonde o falsa le letture, sarà tutto inutile. Potremmo perderli senza sapere nemmeno se il rimedio funzionava. Dica all’Enterprise di fare qualcosa... Chase è il suo Capitano, deve ascoltarla!».

   «Korris a Enterprise, emergenza!» disse il mezzo Cardassiano, parlando attraverso un comunicatore installato nella parete. Era molto più potente di quello dell’uniforme: sfruttava i ripetitori della capitale e i pochi satelliti ancora attivi per inviare un segnale. «Siamo colpiti dalle anomalie. Abbiamo pazienti in gravi condizioni, che non possono tollerare nemmeno una breve esposizione. E c’è un importantissimo esperimento in corso per contrastare l’Agente 47. Dovete far cessare le anomalie, subito!» gridò. Lui stesso sentiva ogni terminazione nervosa in fiamme. Era una tortura inimmaginabile... come stare nel fuoco o essere divorati dalle formiche. Le orecchie gli fischiavano, la vista si annebbiava e ogni cellula del suo corpo gridava di dolore. Attorno a lui, i colleghi si accasciavano sul pavimento, incapaci di occuparsi dei pazienti.

   Solo il dottor Joe, forte della sua natura olografica, resisteva. Passò da una capsula all’altra, somministrando ulteriori medicinali ai pazienti nel tentativo di stabilizzarli. Ma non poteva affrontare al tempo stesso il virus e le anomalie. Poteva solo guadagnare qualche minuto, sperando che i colleghi nello spazio fermassero le distorsioni. Intanto dal comunicatore giunsero suoni crepitanti. Korris riconobbe la voce di Grog, ma era così piena d’interferenze che non capì il messaggio.

   «Ci avranno sentiti?» chiese Joe, preoccupato.

   «Non importa» rispose Korris, somministrandosi un’iniezione ipodermica per restare cosciente. «Sanno che siamo sotto attacco... Terry l’avrà captato. E il Capitano Chase farà a pezzi quelle dannate Sfere... dobbiamo solo resistere...» disse, pur sentendosi allo stremo.

   «Spero che i suoi colleghi siano in gamba come lo erano i miei» disse Joe, ricordando le mille battaglie vinte dalla Voyager. Si sfiorò la fede nuziale che portava al dito. Gli ricordava sua moglie Lana, sposata molti anni dopo il ritorno sulla Terra. Erano vissuti insieme per gran parte del XXV secolo. Naturalmente lei era invecchiata e infine era morta... mentre lui non era cambiato dal giorno della sua prima attivazione. Ma nei momenti difficili, Joe guardava l’anello e pensava a lei, trovando la forza di andare avanti. Continuò a battersi per salvare i suoi pazienti, mentre i colleghi svenivano e i diagrammi medici diventavano sempre più rossi.

 

   «Come si comportano le linee temporali?» chiese la Primaria, innalzandosi dalla nebbia bianca dell’Osservatorio Temporale.

   «Cambiano a ogni istante» rispose la Vate. «Ma i tracciati decisivi non vengono dalla battaglia nello spazio. Il Centro Medico della capitale... è quello che conta».

   «Per questo ho ordinato l’attacco» ricordò la Primaria. «Se i dottori sconfiggessero il virus, salverebbero gli Xindi... e miliardi di altre vite, in tutta la Federazione».

   «Le linee temporali confermano che l’hanno trovata» rivelò la Vate. «Se riusciranno a diffonderla...».

   «Sarebbe una catastrofe per noi» si allarmò la Primaria. «Non dobbiamo permettere che accada. Raddoppiate l’attacco! Distruggete l’ospedale... la città... tutto il pianeta. Voglio che questo sia l’ultimo giorno degli Xindi!» ordinò.

   «Primaria, al momento non possiamo inviare rinforzi in quel sistema...» le ricordò la Messaggera.

   «Abbiamo ancora cinque Sfere e un centinaio di Dreadnought» obiettò la leader dei Tuteriani. «Usatele. Sacrificate ogni nave e ogni soldato, se necessario. Il Centro Medico deve essere distrutto. È tempo che le cinque specie si uniscano agli Aviali nell’estinzione».

   «Come desiderate, Primaria» disse la Messaggera, chinando il capo, e svanì dall’Osservatorio. Aveva degli ordini da trasmettere.

 

   Di lì a poco, decine di Tuteriani si materializzarono nei corridoi e nei laboratori del Centro Medico. Ciascuno di loro aveva un obiettivo preciso. Camminando a passo svelto, ma senza correre, andarono a sabotare i punti nevralgici dell’ospedale. Colpirono i generatori energetici e i cavi di trasmissione, per togliere l’energia. Sorpresero i dottori con i loro pazienti, ancora sui lettini o nelle capsule mediche, e li uccisero con vortici d’energia che scagliavano direttamente dalle mani. Distrussero i bio-scanner, i campioni di farmaci sperimentali, i computer contenenti le ricerche mediche. Erano precisi e veloci; dopo aver distrutto un obiettivo passavano immediatamente al prossimo.

   Passato il primo attimo di sgomento, gli Xindi reagirono. Squadre della Sicurezza, composte soprattutto da Rettili e Insettoidi, affrontarono i loro antichi “custodi” in furibondi scontri a fuoco. Gli Xindi erano svantaggiati dalla natura trans-dimensionale del nemico. I Tuteriani potevano diventare incorporei a comando, attraversando le pareti come fantasmi. Persino gli impulsi energetici delle armi li attraversavano senza nuocere. Ma quando volevano i Tuteriani erano in grado d’intervenire sul piano materiale, per colpire e uccidere.

   Le truppe Xindi regolarono le armi su particolari frequenze, suggerite dai medici, finché ne trovarono una abbastanza efficace. I Tuteriani non morivano, ma si accasciavano a terra fra gli spasmi e infine svanivano, risucchiati nella loro dimensione. Ma per ogni Tuteriano messo fuori combattimento in questo modo, un altro prendeva il suo posto all’istante. A vederli non mostravano rabbia o paura, e nemmeno gioia quando riuscivano a infliggere un danno. Erano semplicemente concentrati. Non parlavano nemmeno fra loro, limitandosi a fare qualche breve cenno o gesto. Intanto i corpi degli Xindi – soldati, medici e pazienti – si ammucchiavano sui pavimenti.

   Un piccolo gruppo di Tuteriani entrò nel laboratorio centrale, in cui Joe e Korris stavano testando la cura. Avevano fatto pochi passi quando furono intrappolati in un campo di forza cilindrico. «Sciocchi. Non ci tratterrete a lungo» disse la comandante. Lei e gli altri posarono le mani sul campo, creando interferenze. Poco alla volta riuscirono ad aprirsi un varco nella barriera sfrigolante. Il primo che uscì fu bersagliato da Korris con un fucile Xindi: i colpi azzurri gli attraversarono la testa.

   «Lasciate stare... i miei... pazienti!» gridò il mezzo Cardassiano, sparando da dietro una massiccia apparecchiatura che forniva un riparo di fortuna. Riuscì a ferire i Tuteriani tanto da rispedirli nella loro dimensione, man mano che uscivano dal confinamento. Ma la caposquadra uscì dall’altra parte della barriera cilindrica, dove Korris non poteva colpirla. Levò la mano verso la capsula dello Xindi Primate e sprigionò un vortice d’energia che l’avrebbe ucciso. Ma il dottor Joe si frappose, assorbendo il colpo. La sua immagine sfarfallò un poco e si riassestò.

   «Ologramma!» disse la caposquadra, sdegnata. «Perché perdi tempo con questi esseri inferiori? Dovresti servire noi, piuttosto. Siamo l’unica soluzione ai problemi della vostra Galassia».

   «Sono un medico, non un mercenario» ribatté Joe, avventandosi su di lei con un ipospray. Lottarono brevemente, con il Dottore che bloccava i polsi dell’avversaria per impedirle di colpire i malati. Un paio di vortici energetici finirono contro il soffitto, mentre uno fece esplodere una consolle inserita nella parete. Infine il dottor Joe prevalse, svuotando l’ipospray nella gola dell’avversaria. «Questo non è il vostro Universo; lasciateci in pace!» esclamò.

   La Tuteriana cadde all’indietro, in preda alle convulsioni. «Schifosi... parassiti...» rantolò, per poi dissolversi, richiamata nella sua dimensione.

   Il Dottore sospirò e si guardò intorno. La sala era vuota; tutti gli altri Tuteriani erano stati abbattuti dai precisi colpi di Korris. «E lei è un medico o un cecchino?» si stupì.

   «Di questi tempi, l’uno e l’altro» rispose Korris con un sorriso stentato. Lasciò cadere l’arma e barcollò verso le capsule mediche. La testa gli girava e la vista si stava sdoppiando. Si guardò la mano e vide che la pelle grigia era tutta screpolata, come fango che si secca. Il danno inflitto dalle anomalie era grave e peggiorava ogni attimo. Non gli restava molto tempo.

 

   L’Enterprise proseguì la sua gimcana fra le anomalie, le astronavi nemiche e i relitti dei vascelli distrutti negli scontri precedenti. Passò tra i frammenti ricurvi di una Sfera, spaccata nell’ultima battaglia. Molti pezzi del guscio esterno erano più grandi dell’Enterprise stessa; i loro bordi frastagliati avrebbero spaccato lo scafo in caso d’impatto. L’Enterprise dovette aprire il fuoco per distruggere i più grossi. Anche le navi Xindi che la scortavano fecero lo stesso. Una nave insettoide urtò uno dei frammenti più piccoli, sbandò e finì spiaccicata contro un grosso pezzo di guscio, come una mosca sul parabrezza.

   Finalmente giunsero a portata di tiro delle Sfere. Erano tre: per comodità i federali le avevano denominate Alfa, Beta e Gamma. La Sfera centrale, Alfa, era leggermente più grande e controllava il network dispiegato intorno a Xindus. Tutte quante avevano il guscio annerito e rovinato dai precedenti scontri, ma funzionavano ancora.

   «La sfera Gamma ha i danni più estesi» rilevò Terry, ingrandendo una delle Sfere minori sullo schermo. La sua superficie era cosparsa di crateri e lunghe crepe, che la facevano somigliare a una luna. «Non sarà difficile darle il colpo di grazia».

   «Ma la sfera Alfa controlla l’intera rete» obiettò Ilia. «Se la distruggiamo per prima, le anomalie saranno molto indebolite».

   «Che mi dice delle sfere Delta ed Epsilon?» chiese il Capitano, alludendo alle altre due Sfere rimanenti, posizionate ai vertici di un ipotetico triangolo equilatero che circondava il pianeta.

   «La flottiglia della Paladin sta affrontando la Delta, mentre le forze Xindi riunite si avvicinano alla Epsilon» informò Terry. «Hanno buone probabilità di successo, ma la battaglia decisiva è la nostra».

   «Capitano, rilevo una trasmissione disturbata dal Centro Medico» avvertì Grog. «È il dottor Korris... dice che le anomalie colpiscono l’ospedale».

   «Confermo; tutta la capitale è esposta» annuì Terry. «Rilevo anche segni di vita Tuteriani nel Centro Medico. Credo che stiano assalendo il personale».

   «Vigliacchi... proprio adesso che è in corso il test decisivo!» ringhiò Chase, guardando con disprezzo le Sfere sullo schermo.

   «Non può essere un caso» notò Ilia. «I Tuteriani temono che i nostri dottori abbiano trovato la cura e vogliono fermarli».

   «Non glielo permetteremo. Signor Grog, dica a Korris di resistere. Signor Lantora, fuoco contro la sfera Alfa!» ordinò il Capitano.

   «Con piacere» disse Lantora, lanciando una salva di siluri transfasici. Avrebbero dovuto essere sufficienti a distruggere la Sfera, o almeno a disabilitarla. Ma alcune Dreadnought si frapposero, facendosi volontariamente colpire dai siluri per proteggere la Sfera. Esplosero una dopo l’altra, disperdendo frammenti incandescenti.

   «Ci chiamano dalla sfera Alfa» avvertì Grog.

   «Apra un canale» ordinò Chase. «Nel frattempo lei continui a sparare» aggiunse, rivolto a Lantora.

   «Capitano Chase!» esordì la Messaggera, comparendo sullo schermo. «Oggi la sua carriera di criminale di guerra conosce un’altra escalation. Non pago di distruggere le nostre Sfere, vuole anche massacrare la sua gente» disse con aria scandalizzata. Mostrò delle prigioni alle sue spalle, in cui erano radunati centinaia di civili federali, di varie specie. Erano in preda al panico: battevano i pugni sui campi di forza, strillavano o semplicemente si accasciavano in preda ai singhiozzi. I genitori abbracciavano i figli piangenti, mentre cercavano di nascondere le proprie lacrime. Tuteriani armati sorvegliavano le celle, chiuse da campi di forza.

   «Vede? Abbiamo 617 prigionieri a bordo e li trattiamo dignitosamente, in base alle convenzioni di guerra» spiegò la Messaggera. «Ma il suo vile attacco li ucciderà tutti, qualificandola come il mostro che è».

   «State cercando di sterminare un miliardo di Xindi; che dovremmo fare, se non fermare le vostre macchine di morte?» ribatté Chase.

   «Ipocriti!» ringhiò Lantora inferocito, all’indirizzo dei Tuteriani. «Uccidete i pazienti nei loro letti. Assassinate i dottori che cercano di curarli dall’epidemia che voi avete provocato!».

   «Secoli fa offrimmo agli Xindi la possibilità di fondare un grande Impero» rispose prontamente la Messaggera. «Ma avete spregiato i nostri consigli e vi siete rivoltati, alleandovi col nostro peggior nemico. Ora pagate il prezzo del vostro infame tradimento».

   «Basta, vuol solo farci perdere tempo» disse Chase, segnalando di chiudere la comunicazione. «Terry, mi può confermare che quei civili ci sono davvero? Non sono ologrammi?».

   «Capto segni vitali di almeno quindici specie, ma non posso escludere che si tratti di proiezioni sofisticate» rispose l’IA. «Mi spiace, non posso essere più precisa: le anomalie disturbano i miei sensori» si scusò.

   «Capitano, ci sono milioni di Xindi che stanno morendo in questo preciso momento» disse Lantora, tirato in volto. «Anche se gli ostaggi fossero veri, non abbiamo scelta».

   «Le esigenze dei molti sopravanzano quelle dei pochi» gli fece eco T’Vala dal timone. «Per quanto emotivamente insoddisfacente, questa linea d’azione resta la più logica. Dobbiamo distruggere le Sfere».

   «Non c’è modo di teletrasportare a bordo gli ostaggi?» chiese Ilia.

   «Non finché la Sfera mantiene gli scudi alzati. E anche se li perdesse, ci sono le interferenze delle anomalie» spiegò Terry. «Inoltre abbassare gli scudi in questo momento metterebbe a repentaglio l’Enterprise». Come per confermare le sue parole, la nave sobbalzò, esposta al fuoco incrociato delle Dreadnought.

   «Scudi al 40% in diminuzione» avvertì Terry. «Gli Xindi stanno già colpendo le Sfere e ci esortano a fare altrettanto».

   «D’accordo, apriamo il fuoco» cedette il Capitano. «Lantora, cominci dalla sfera... Gamma» aggiunse, controllando la situazione tattica tramite i comandi sul bracciolo.

   «Sissignore» disse il Primate, attivando i siluri quantici. La prima scarica infranse la superficie della Sfera, mentre la seconda distrusse il nucleo energetico al centro. La struttura cominciò a frantumarsi, con una strana lentezza che derivava dalle sue grandi dimensioni.

   «Una è andata!» disse Lantora, osservando soddisfatto il grafico delle emissioni d’energia che si azzerava. Le altre due Sfere, però, erano ancora attive. «Stanno arrivando rinforzi Primati, Arboricoli e anche Acquatici».

   «Gli dica di attaccare la sfera Beta» ordinò Chase. «Noi aiutiamo Rettili e Insettoidi contro l’Alfa» disse, scuro in volto al pensiero degli ostaggi.

 

   La battaglia proseguì in un caos di attacchi, inseguimenti ed esplosioni. Parte delle Dreadnought bombardava Xindus, ignorando le astronavi e le piattaforme che le crivellavano di colpi. Le Dreadnought continuavano a sparare anche quand’erano danneggiate, senza tentare di ritirarsi; sparavano finché andavano letteralmente in pezzi. I loro brandelli precipitavano su Xindus, rigando il cielo come tante stelle cadenti. Molti erano abbastanza grandi da raggiungere il suolo, scavando grossi crateri; quelli che cadevano sugli Scudi cittadini esplodevano come shrapnel. Fra i colpi di cannoni particellari e la pioggia di rottami, gli Scudi cominciarono a cedere. Anche la capitale fu duramente colpita. Il Consiglio Xindi trovò rifugio in un bunker sotterraneo, mentre un’ala del palazzo governativo veniva demolita da un raggio a particelle.

   Nello spazio, però, la battaglia volse a favore della Flotta Stellare. Una dopo l’altra, le Sfere subirono massicci bombardamenti. Navi federali guidate dalla Paladin frantumarono la sfera Delta, mentre la Epsilon fu spaccata in due dagli incrociatori Acquatici. Forze Xindi riunite crivellarono la Beta fino a mandarla in pezzi.

   Con la distruzione delle Sfere minori, parte delle anomalie si dissolse. La morsa rossastra abbandonò la capitale, compreso il Centro Medico. Appena in tempo. I dottori si rialzarono, ancora deboli e sofferenti. Sui loro corpi c’erano grosse screpolature che dolevano terribilmente, ma non avevano tempo di curarsi: dovevano pensare ai pazienti. Nel laboratorio centrale, Joe e Korris videro la loro equipe rimettersi in piedi e si scambiarono uno sguardo di trionfo. Ignorando il dolore delle ferite e il timore di nuovi attacchi, i medici si concentrarono sulla cura sperimentale. I cinque Xindi erano ancora vivi nelle loro capsule e l’Agente 47 si stava ritirando anche dai tessuti cerebrali.

   In molte sale e corridoi, intanto, proseguiva la battaglia contro i sabotatori Tuteriani. Ma adesso i ruoli si erano invertiti. I Tuteriani soffrivano dolori lancinanti, mentre la loro carne si spaccava a vista d’occhio. Gli Xindi invece si erano ripresi e contrattaccavano. Anche le loro armi erano molto più efficaci: invece di attraversare i nemici, i colpi affondavano nella carne e li uccidevano. I Tuteriani non erano preparati a combattere in queste condizioni e caddero come mosche. Cercarono di ritirarsi, ma non riuscivano più ad attraversare le pareti. Molti furono spinti in vicoli ciechi, dove si ammassarono e caddero sotto il fuoco vendicativo degli Xindi.

   Nello spazio, intanto, le flotte si davano battaglia in mezzo ai rottami delle Sfere e agli scafi sventrati delle astronavi. I Tuteriani difendevano strenuamente l’ultima Sfera, quella di controllo. I suoi scudi, più potenti del normale, reggevano ancora. Ma le navi federali e Xindi convergevano su quell’ultimo bersaglio, decise a farla finita.

 

   «Ricevo una chiamata di soccorso da Xindus» avvertì Terry. «Una Dreadnought ha forzato il blocco e sta calando nell’atmosfera. Calcolando la sua traiettoria, prevedo che colpirà la capitale. Abbiamo solo quattro minuti e 45 secondi per fermarla».

   «Rotta per Xindus, presto!» ordinò il Capitano, impallidendo. Se quel bolide arrivava a destinazione, Korris e gli altri medici erano spacciati. E la cura sarebbe morta con loro.

   L’Enterprise fece un’inversione a U, dirigendosi a tutta velocità verso il pianeta. Dovette superare di nuovo un’impressionante serie di ostacoli. Stavolta T’Vala non cercò nemmeno di evitare le anomalie, affidandosi agli scudi, ma dovette comunque scansare i detriti. Quando l’Enterprise raggiunse l’orbita bassa, la Dreadnought era già in piena atmosfera. Lunga due km, la nave fusiforme cadeva come una meteora, lasciandosi dietro una scia infuocata che si trasformava in denso fumo nero. L’equipaggio di plancia vide la traccia nerastra che si stagliava contro l’oceano, diretta verso la costa, dove sorgeva la capitale. La Dreadnought era abbastanza grande da raderla al suolo, se avesse impattato.

   «Trentacinque secondi» avvertì Terry. «È tardi per distruggerla».

   «Agganciala col raggio traente, ora!» ordinò Chase, alzandosi di scatto. Era madido di sudore e stringeva i pugni come se volesse fermare lui stesso la nave kamikaze.

   Il fascio azzurrino di particelle scaturì dall’emettitore posto sotto la sezione a disco dell’Enterprise, a metà della barra centrale. Agganciò la poppa della Dreadnought e la rallentò nella sua discesa.

   «L’abbiamo agganciata» disse Terry, mentre l’Enterprise vibrava per lo sforzo tremendo. «Sta rallentando: 30.000 km orari... 20.000... 15.000...» contò.

   «Chase a sala macchine. Dirottate l’energia al raggio traente o gli Xindi sono spacciati» avvertì il Capitano, risedendosi in poltrona.

   «È già al massimo, signore!». La voce di Grenk era più sbuffante e trafelata che mai. «Se dirottiamo altra energia, l’emettitore potrebbe saltare. O la Dreadnought potrebbe spaccarsi a metà. Così avremmo due meteore al posto di una».

   «Anche la nostra integrità strutturale è a rischio: 60% in diminuzione» avvertì Terry. «Non avevo mai trattenuto un bersaglio così recalcitrante. I Tuteriani cercano di liberarsi dando energia ai motori e facendo sbandare la nave».

   «Insista» ordinò Chase, leggendo i dati sull’interfaccia olografica del bracciolo. La Dreadnought era ormai sulla verticale della città, a soli 15 km di altezza. Non scendeva più, ma non risaliva nemmeno. I piloti stavano disperatamente cercando di liberarsi dal raggio traente che li bloccava a mezz’aria. Compivano improvvise accelerazioni, verso il basso o di lato. Modulavano gli scudi per respingere il raggio traente. Cercavano d’inviare un feed-back energetico che sovraccaricasse l’emettitore. Tutto allo scopo di schiantarsi sulla città.

   «Lantora, cerchi di disattivargli i motori... ma non usi i siluri: se la Dreadnought esplodesse così vicina al suolo, sarebbe ugualmente una catastrofe» raccomandò Chase.

   «Sì, li sto agganciando...» mormorò Lantora, madido di sudore. Un solo errore poteva cancellare la capitale. Sparò più volte con i cannoni a impulso e i raggi anti-polaronici, riuscendo ad abbattere gli scudi della Dreadnought. Cercò di disattivarne motori e armi con colpi chirurgici, ma il suo compito era reso ancor più difficile dal fatto che loro stessi erano sotto attacco. Infatti le altre Dreadnought, che orbitavano molto più in alto, si erano accorte della situazione e bersagliavano l’Enterprise, approfittando della sua immobilità.

   «Scudi al 20% in diminuzione» avvertì Terry.

   «Non possiamo fare da bersaglio» disse T’Vala, che lottava per mantenere stabile l’astronave nell’alta atmosfera, ma non aveva possibilità di manovra per evitare i colpi.

   «Non c’è scelta. Se ci muoviamo, la città è persa» obiettò Lantora.

   «Se non ci muoviamo, siamo finiti sia noi che la città» insisté T’Vala.

   «Dobbiamo sbloccarci» riconobbe Chase. «Se non possiamo riportare su la Dreadnought, allora facciamola cadere più dolcemente possibile. Fuori città, s’intende. Terry, simulazione d’impatto: effetti di una caduta in acqua o sulla terraferma».

   «Elaboro» annuì l’IA. «Una caduta a bassa velocità è più dannosa in mare, perché crea un violento tsunami. Ma se la velocità è elevata, provoca più danni l’impatto sulla terraferma». Mentre parlava, proiettò sullo schermo una panoramica dei calcoli e dei risultati: velocità, energia sprigionata all’impatto, stime dei danni. «Considerando l’altitudine della Dreadnought, l’accelerazione in caduta sarà limitata. Pertanto consiglio la terraferma» concluse, mostrando le cifre finali. Si trattava di un impatto terribilmente violento, anche secondo la valutazione più ottimista.

   «Proceda» l’autorizzò Chase. «Porti quella dannata nave il più possibile nell’entroterra. Lantora, cerchi di metterla completamente fuori uso... ma stia attento a non spezzarla in due».

   L’Enterprise e la Dreadnought sembravano un cowboy e un toro preso al lazo. La nave federale tremava per lo sforzo di tenere attivo il raggio traente, mentre il vascello fusiforme sbandava per cercare di liberarsi. Colpita in più punti, la Dreadnought cominciò a emettere fiamme e fumo dagli squarci. Molti frammenti se ne staccarono, precipitando appena fuori dalla capitale e dal suo scudo protettivo. Lo scafo subiva una tale sollecitazione che in certi punti cominciava ad accartocciarsi. Alcuni veicoli atmosferici Xindi le ronzarono intorno, aiutando l’Enterprise a neutralizzare le armi e a dirigerla lontano.

   Dalla superficie di Xindus sembrava che una montagna affusolata cadesse al rallentatore, bucando le nuvole e oscurando la luce solare. Fuori dalla capitale, nell’entroterra, c’era una pianura erbosa disseminata di campi coltivati e macchie d’alberi. I pochi abitanti che ancora non erano fuggiti lo fecero adesso, vedendo la Dreadnought che cadeva di testa. La prua si conficcò nel terreno, generando una potentissima onda d’urto. Gli alberi furono abbattuti come stuzzicadenti. I pochi edifici crollarono e alcuni furono persino scagliati in aria. Una valanga di rocce incandescenti, lapilli e polveri si sprigionò dal punto dell’impatto, come per un’eruzione vulcanica.

   L’astronave aveva una tale inerzia che continuò ad avanzare, tracciando una profonda fossa fumigante, che sfregiava la pianura verde. Esaurita la spinta, s’inclinò in avanti. Per un attimo rimase in precario equilibrio, poi ricadde sul dorso con un boato. Ci furono esplosioni e fughe di radiazioni. Infine la carcassa metallica si arrestò. Una colonna di fumo nero se ne levava, salendo fino alla stratosfera.

   Gli ufficiali dell’Enterprise, che osservavano tutto dall’alto, videro allargarsi la nube di polveri. Il vento la portava verso la capitale, che presto ne sarebbe stata coperta. Solo il debole scudo cittadino la proteggeva dal fallout radioattivo.

   «Abbiamo fatto il possibile» mormorò Chase, con la bocca secca. Il volto di Lantora era esangue, ma lo Xindi non disse nulla.

   «Scudi al 9%» avvertì Terry, mentre l’Enterprise sobbalzava per un altro attacco. «Dobbiamo andarcene».

   «Sì, torniamo alla sfera Alfa» ordinò Chase. «Abbiamo un conto in sospeso».

   Sfuggendo alle altre Dreadnought, T’Vala portò l’Enterprise fuori dall’orbita, di nuovo verso le anomalie. L’astronave attraversò una zona densa di relitti. Oltre ai frammenti contorti di metallo c’erano dei globi biancastri, di varie dimensioni. Era ghiaccio. Quando le navi degli Acquatici venivano distrutte, l’acqua al loro interno si riversava nello spazio assumendo forma sferica e poi congelava rapidamente. Certe bolle ghiacciate contenevano detriti e persino i corpi di alcuni Xindi Acquatici. Risucchiati nello spazio attraverso le falle, erano rimasti intrappolati nel ghiaccio, come insetti nell’ambra.

   «Siamo quasi alla sfera Alfa» informò Terry. «La resistenza dei Tuteriani è ancora dura. Gli Xindi Acquatici hanno lanciato un ultimo attacco, ma sono in difficoltà... la loro ammiraglia è danneggiata».

   La sfera Alfa s’ingrandì sullo schermo, circondata da anomalie sfilacciate e da decine di astronavi intente a combattersi. Gli Xindi avevano dato fondo a ciò che restava della loro flotta: navi delle cinque specie affrontavano le Dreadnought e cercavano di farsi strada tra le anomalie, fino alla Sfera.

   Il loro vascello più grande e armato era senza dubbio l’ammiraglia degli Acquatici. Il suo scafo grigio aveva forme affusolate, che ricordavano una creatura marina; forse una manta, per via delle grandi “pinne” laterali. Lungo poco meno dell’Enterprise, l’incrociatore acquatico aveva distrutto più di una Dreadnought durante l’Assedio, ma adesso era in difficoltà. I Tuteriani lo bersagliavano da tutte le direzioni, decisi a distruggerlo. L’incrociatore cercò di disimpegnarsi, ma non riuscì a evitare un fitto campo di anomalie. I suoi scudi, già indeboliti, cedettero del tutto.

   L’assalto dei Tuteriani divenne ancor più forsennato. I cannoni particellari crivellarono lo scafo curvilineo, aprendovi grossi squarci. Ne sgorgò l’acqua, che talvolta si trascinava dietro gli sventurati Xindi Acquatici. Vista da lontano, l’ammiraglia Xindi sembrava una balena che sanguinasse da molte ferite. E le Dreadnought continuavano a colpirla, come squali eccitati dal sangue. Gli ufficiali dell’Enterprise capirono che era troppo tardi per salvarla.

   «Gli Acquatici ci chiamano» disse Grog. «Ci raccomandano di non sbagliare il colpo... dopo che ci avranno aperto la strada».

   «No...» gemette Lantora, osservando l’incrociatore ferito a morte.

   Perdendo acqua da almeno quaranta brecce, la grande nave Xindi puntò dritta verso la Sfera. Per quanto fosse danneggiata, conservava una tale energia cinetica che niente poteva fermarla. Colpì la dura superficie grigia, esplodendo all’impatto. La rottura del nucleo produsse un’abbagliante esplosione d’antimateria. La Sfera chilometrica tremò e il suo guscio fu perforato, mettendo a nudo l’interno. Era un reticolo di condotti energetici luminosi, anelli di rinforzo metallici e altre strutture d’incerta funzione. Malgrado tutti gli sforzi, i tecnici della Flotta Stellare non avevano ancora compreso appieno il meccanismo con cui le Sfere generavano le anomalie.

   Lantora chinò il capo mormorando qualcosa, forse una preghiera per il sacrificio degli Acquatici. Quando rialzò la testa, il suo sguardo era micidiale. Attraverso lo squarcio, grande quanto l’Enterprise stessa, vedeva il cuore pulsante della Sfera. «Possiamo colpire il reattore!» esultò, con le mani già sul tasto dei siluri.

   «Un attimo» lo fermò il Capitano. «Terry, che mi dice degli ostaggi federali?».

   «Sono in una zona non danneggiata, rilevo ancora i loro segni vitali. Ma non riesco ad agganciarli. I Tuteriani emettono un campo di dispersione che ostacola il teletrasporto» rispose l’IA, dispiaciuta.

   «Velenosi fino all’ultimo» commentò Chase. Sapeva che, a ogni secondo d’esitazione, il conto delle vittime su Xindus aumentava. «E va bene... chiudiamo la partita» disse in tono asciutto.

   «Questo è per tutti gli Xindi!» dichiarò Lantora, lanciando una raffica di siluri cronotonici. Erano missili intelligenti, capaci di deviare per colpire il bersaglio. Ed erano agganciati senza possibilità d’errore al nucleo della Sfera. Così, anche quando una Dreadnought si frappose, i siluri le passarono intorno ed entrarono nella struttura, attraverso lo squarcio nel guscio. Colpirono le chilometriche ma delicate strutture del reattore, distruggendole. L’esplosione si propagò rapida lungo gli enormi condotti energetici, finché raggiunse il guscio sferico, mandandolo in pezzi. L’Enterprise e le altre astronavi si allontanarono per non essere travolte dai detriti. Solo una Dreadnought dai motori danneggiati non fu abbastanza rapida: un pezzo del guscio la colpì all’altezza della strozzatura, tranciandola in due.

   Con la fine delle anomalie, le rimanenti navi Tuteriane batterono in ritirata. Non erano molte. Delle trecento che avevano assediato Xindus, solo una trentina riuscirono ad andarsene. Dieci erano troppo danneggiate per seguirle, così continuarono a combattere. Si lanciarono in un ultimo, disperato assalto contro il pianeta; ma le navi federali e Xindi si frapposero. Le Dreadnought tentarono di speronarle, ma i danni subìti le privavano della manovrabilità necessaria. Una dopo l’altra furono soverchiate e distrutte. Quando le esplosioni consumarono l’ultimo scafo tuteriano, il duro Assedio di Xindus si concluse.

 

   «Capitano, che piacere rivederla!» esclamò Korris, quando Chase entrò nel laboratorio, seguito da Terry e Lantora. «Abbiamo passato momenti terribili quaggiù... per fortuna avete fermato le anomalie!» aggiunse, venendo incontro al Capitano.

   «Non torneranno» assicurò Chase. «Abbiamo distrutto tutte le Sfere e la flotta nemica è in rotta. Mi dicono però che la battaglia decisiva l’avete vinta voi» aggiunse più lieto, rivolto a tutta l’equipe. «È vero, avete sconfitto l’Agente 47?».

   «Tutti i pazienti sono ristabiliti e non presentano effetti collaterali» confermò il dottor Joe, accennando agli Xindi ancora nelle capsule. «Significa che possiamo curare le cinque specie. Abbiamo trasmesso i dati della cura alla rete ospedaliera planetaria e stiamo anche inviando campioni delle nanosonde».

   «Ben fatto!» si congratulò Lantora, dandogli una gran pacca sulla spalla.

   «Dovete inviare subito le informazioni al resto della Federazione» raccomandò Chase. «Se avete problemi coi ripetitori di Xindus, useremo l’Enterprise».

   «Ho già contattato Grog perché se ne occupi» annuì Korris. «So quanti altri pianeti si trovano nelle condizioni di Xindus...» aggiunse dispiaciuto.

   «Proprio di questo volevo parlarle» disse Joe. «Possiamo curare gli Xindi, ma non è detto che il rimedio sia efficace per le altre specie. Anche se oggi abbiamo ottenuto un grande risultato, c’è ancora molto da fare per avere una cura universale».

   «Almeno i colleghi degli altri pianeti avranno una base da cui partire» disse Korris, speranzoso. «E con la scomparsa delle anomalie sarà più facile contattare il Comando Medico di Flotta. Potremo lavorare assieme...».

   «Per i suoi colleghi sarà senz’altro così» intervenne Chase. «Ma lei mi serve sulla nave. Ora che l’Assedio è finito, la Flotta ci manderà sicuramente altrove. E l’Enterprise ha bisogno del suo Medico Capo».

   «Capitano, la situazione qui è ancora molto grave... non me la sento di andarmene...» protestò debolmente Korris.

   «Quando le ho dato il permesso di sbarcare, ho chiarito che era solo un incarico temporaneo» obiettò il Capitano. «Gli Xindi hanno buoni dottori, se la caveranno. Adesso deve pensare all’Enterprise: abbiamo dei feriti, alcuni gravi».

   «Dottore, ci ha già salvati» rincarò Lantora. «Nessuno la biasimerà, se ora riparte».

   «Comunicazione urgente per il dottor Joe» trillò una voce all’altoparlante. «Il Comando Medico della Flotta Stellare chiede il suo ritorno immediato sulla Terra, per testare sugli Umani la cura all’Agente 47. L’USS Pioneer provvederà al trasporto».

   «Beh, sembra che anch’io debba fare le valigie» constatò il Dottore, con un sorriso un po’ triste. «È sempre così, nel nostro lavoro... quando ci affezioniamo ai colleghi, dobbiamo lasciarli». Porse la mano al mezzo Cardassiano. «Addio, Korris. È stato un bel lavoro di squadra... lei è un ottimo medico e un buon amico».

   «Grazie, lo stesso vale per lei» sorrise Korris, stringendogli calorosamente la mano. «Spero di rivederla... ma se così non fosse, buona fortuna. Continuerò la ricerca con la mia equipe, per estendere la cura alle altre specie. Se faremo progressi glieli invieremo» promise.

   «Arrivederci anche a voi» disse Joe, passando agli ufficiali dell’Enterprise. Strinse la mano a ciascuno, prendendo commiato. «Terry, mi mancheranno le nostre chiacchierate filosofiche, da ologramma a ologramma. Lantora, ha fatto un ottimo lavoro col Consiglio Xindi. Capitano Chase... grazie per averci difesi. Continui a proteggere i pianeti dell’Unione».

   «Lo farò» promise il Capitano. «Saluti Atlantide da parte mia; pensi che non ho ancora avuto l’occasione di andarci».

   «Oh, non c’è molto da vedere, a parte i cantieri» assicurò Joe. «Quando me ne sono andato, il nuovo Comando Medico era ancora a metà. Almeno l’aria di mare faceva bene ai pazienti! Spero che i lavori siano progrediti in questi mesi» si augurò. «In fondo sono un vecchio dottore, non un ingegnere!» sorrise. Lasciò il laboratorio, diretto alla sala teletrasporto che lo avrebbe portato sulla Pioneer.

   «A me non dispiacerebbe un po’ d’aria di mare» sospirò Chase, chiedendosi dove li avrebbe portati la prossima missione.

   «Al dottor Joe piace lamentarsi, ma in realtà il Progetto Atlantide promette bene» commentò Terry, mentre lasciavano l’ospedale.

 

   Atlantide. Questo nome veniva da un passato remoto ed era forse la leggenda terrestre più diffusa e conosciuta. Gli Umani avevano passato secoli a cercarla. Solo dopo aver scandagliato minuziosamente la superficie terrestre e gli abissi marini avevano dovuto rassegnarsi alla sua inesistenza. Ma ora, Atlantide era finalmente una realtà. E la sua crescente importanza era una diretta conseguenza della Guerra delle Anomalie.

   Erano passati tre anni dall’attacco al sistema solare che aveva messo in ginocchio la Federazione. La ricostruzione era lenta a causa delle ristrettezze imposte dal conflitto. Su Marte, i cantieri spaziali di Utopia Planitia erano ancora devastati e lavoravano al 30% del loro potenziale anteguerra. La Flotta doveva affidarsi ad altri cantieri, come quelli di Beta Antares e Trailain IV. Era difficile costruire abbastanza navi da rimpiazzare quelle distrutte ed era ancora più arduo trovare personale qualificato per riempirle, dopo il massacro dei cadetti a San Francisco. Sulla Terra la situazione non era migliore. Il Consiglio federale era stato distrutto, come anche gli edifici storici della Flotta Stellare: il Quartier Generale, l’Accademia, il Centro Ricerche Comunicazioni, il Comando Medico. Tutte queste strutture stavano venendo ricostruite su Atlantide, la grande isola artificiale realizzata nell’Oceano Atlantico Settentrionale.

   Era un vecchio progetto: risaliva alla metà del XXIV secolo, ma erano serviti duecento anni per metterlo in pratica. Plasmata con un enorme lavoro d’ingegneria planetaria, subito prima che scoppiasse la guerra, Atlantide era originariamente pensata come luogo di svago e vacanze. Doveva anche fornire spazio urbano, per ovviare al problema della sovrappopolazione. Ma il conflitto aveva portato a rivedere le priorità.

   Ora Atlantide doveva essere la nuova capitale dell’Unione, in barba ai pianeti che avevano fatto domanda per ottenere il privilegio. Le misure difensive erano imponenti, nel caso che il Fronte Temporale tentasse un altro attacco. E i progetti architettonici erano molto ambiziosi. I precedenti palazzi della Federazione e della Flotta avevano 400 anni: ciò li rendeva inadeguati. Erano troppo piccoli, troppo superati per un governo che abbracciava centinaia di sistemi stellari. I nuovi palazzi erano completamente diversi: imponenti, avveniristici, adatti al XXVI secolo e ai prossimi 400 anni. Ma finché la guerra era in corso, i lavori procedevano a rilento.

 

   Il Capitano Chase, Terry e Lantora avanzarono verso la tavola a ferro di cavallo intorno a cui era riunito il Consiglio Xindi. Ogni specie aveva due rappresentanti, compresi gli Acquatici, alloggiati in un’apposita camera allagata che si affacciava sulla sala del Consiglio. Immersi in un’acqua verde-giallastra, i delegati Acquatici osservavano quanto accadeva attraverso un vetro e potevano comunicare tramite microfoni collegati al traduttore simultaneo. Sull’altro lato della sala troneggiava il memoriale degli Aviali.

   «Bentornato, Capitano» lo accolse Evora, la rappresentante dei Primati. «A nome del Consiglio, esprimo il nostro ringraziamento alla Flotta Stellare per averci liberati dall’Assedio. E vorrei ringraziare particolarmente lei e il suo equipaggio. Se abbiamo ancora una casa, lo dobbiamo a voi».

   «Ad essere precisi, ci resta ancora mezza casa» puntualizzò Goriar, il delegato dei Rettili. «L’altra mezza è stata distrutta dalle anomalie, dai bombardamenti e dall’epidemia. Quindi anche la nostra gratitudine dovrebbe essere a metà». Nel corso dell’Assedio, Goriar era sempre stato il maggior oppositore alle decisioni di Chase.

   Il delegato degli Acquatici fece sentire i suoi fischi acuti, prontamente tradotti. «Senza l’intervento della Federazione, non ci rimarrebbe nulla. È inutile recriminare su ciò che i Tuteriani ci hanno portato via. Pensiamo piuttosto alla ricostruzione» disse la voce asettica del traduttore simultaneo.

   «Concordo» annuì il rappresentante degli Arboricoli. «Anche se il nemico si è ritirato, siamo ancora in emergenza. La Dreadnought precipitata sta riversando radiazioni e gas tossici a poca distanza da qui. Nelle grandi città abbiamo squadre che estraggono i superstiti dalle macerie e i medici distribuiscono il Vaccino 47 più in fretta possibile. Le navi federali possono fare ancora molto per aiutarci».

   Il rappresentante degli Insettoidi fece udire la sua voce tutta schiocchi, mentre osservava Chase con gli enormi occhi composti. «A questo proposito, ci chiediamo perché la Flotta stia ritirando il personale medico. Il dottor Joe è risalito sulla Pioneer, che ha già lasciato il sistema, e mi dicono che anche il dottor Korris è tornato sull’Enterprise. Perché ci abbandonate in un momento tanto critico?» chiese attraverso il traduttore.

   «Non vi stiamo abbandonando» spiegò Chase. «La Paladin e altre sette navi resteranno qui ad aiutarvi. Ma la Pioneer è stata richiamata sulla Terra e anche l’Enterprise partirà presto per una nuova missione».

   «Quale missione? Dev’essere molto importante, per privilegiarla!» notò Goriar.

   «Non ci è stata ancora comunicata, ma lo sapremo presto» rispose il Capitano. «Anche l’Enterprise ha subito danni, e abbiamo dei feriti. Ma la guerra non aspetta. Il Comando mi ha dato tre giorni di tempo, scaduti i quali dovremo ripartire. Saranno appena sufficienti per rimettere la nave in sesto».

   «È inammissibile!» protestò Goriar, fulminando il Capitano con gli occhietti gialli. «Abbiamo perso tre quarti della nostra flotta e quasi tutte le piattaforme difensive. Che faremo se il nemico tornerà?».

   «Ben detto, l’Enterprise deve restare più a lungo» rincarò l’Insettoide. «Altrimenti ci costringerete a dubitare che la Flotta Stellare sia davvero interessata alla nostra salvezza».

   «Oh, per favore!» sbottò Lantora, facendosi avanti. «La Flotta Stellare è l’unica ragione per cui siete ancora vivi. Quaranta navi federali sono state distrutte, perché Xindus sopravvivesse. I loro equipaggi hanno dato la vita per gli Xindi. E osate ancora dubitare che alla Flotta importi di noi?!».

   «Basta così» disse Chase, facendogli segno d’indietreggiare.

   «No, Capitano... quando è troppo, è troppo!» insisté il Primate. «Sono stati due medici federali, Joe e Korris, a trovare la cura per l’Agente 47. Ed è stato lei a guidarci alla vittoria. Senza l’Enterprise, quella Dreadnought avrebbe polverizzato la capitale... e voi vi lamentate che è caduta troppo vicina!» aggiunse, rivolgendosi ai delegati Xindi. «Ma lo sapete che il Capitano ha dovuto sacrificare centinaia di ostaggi federali sulla sfera Alfa, per salvare voi?!».

   «Questo ci addolora» disse Evora, la leader del Consiglio. «Io non dubito che il Capitano abbia fatto quant’era in suo potere per soccorrerci. E confido che anche i miei colleghi giungeranno alla stessa conclusione» aggiunse, con un’occhiata di rimprovero a Rettili e Insettoidi.

   «Signori, se dipendesse da me sarei anche disposto a rimanere più a lungo» spiegò Chase. «Ma seguo le direttive del Comando di Flotta. Farò pressioni perché riceviate ulteriori aiuti umanitari. E prima che l’Enterprise lasci il sistema, rimuoveremo la carcassa della Dreadnought col raggio traente. Cercheremo anche di allontanare i detriti maggiori dall’orbita, per evitare che vi cadano addosso. Ma una bonifica completa richiederà anni».

   «Le cinque specie sono sopravvissute, questo è l’importante» disse Lantora. «Capitano, lei sa che in questi anni ho temuto la profezia dei Tuteriani. Temevo che, in qualche modo, gli Umani potessero davvero essere la rovina di Xindus. Magari involontariamente, cercando di salvarlo. O tramite una fazione criminale come quella che ha distrutto Khitomer» spiegò. «Ma ora so... ora ho la certezza che i Tuteriani hanno mentito anche su questo. Gli Umani... l’Unione Galattica... non sono una minaccia per noi. Al contrario, siete la nostra salvezza e il nostro futuro» disse con voce limpida, porgendo la mano al Capitano. «Sono onorato di essere al suo comando» aggiunse.

   «E io sono lieto di poter contare su di lei» sorrise Chase, stringendogli la mano con forza. «Infatti vorrei decorarla per il suo costante impegno e la professionalità mostrata in questi mesi. Pensavo di farlo una volta tornati sull’Enterprise, ma... va bene anche adesso». Fece un cenno a Terry e sollevò il palmo della mano. Il teletrasporto dell’Enterprise gli consegnò immediatamente la medaglia.

   «Tenente Lantora, in virtù del suo comportamento esemplare e con l’autorità conferitami dalla Flotta, la insignisco della Medaglia al Valore» dichiarò Chase, appuntandola sull’uniforme.

   Terry applaudì, così come i delegati Primati e Arboricoli. Anche gli Acquatici emisero fischi d’approvazione. Rettili e Insettoidi erano irritati, ma non se la sentirono di guastare quel momento. Anche loro, in fin dei conti, sapevano che era stata l’Unione a salvarli.

 

   Quella sera, Lantora si presentò all’alloggio di T’Vala. Avevano deciso di festeggiare la fine dell’Assedio concedendosi un appuntamento, come non facevano da un pezzo. Visto che cenavano da T’Vala, Lantora portò con sé una bottiglia di tequila degli Arboricoli, che si era procurato su Xindus. Gli serviva una botta di vita, dopo un periodo come quello.

   Erano stati indaffarati per tutto il giorno: l’Enterprise aveva rimosso il relitto della Dreadnought dalla superficie di Xindus e aveva allontanato molti altri rottami che rischiavano di precipitare. Il raggio traente era stato messo a dura prova, come anche i nervi dell’equipaggio di plancia. Soprattutto quelli di T’Vala, che doveva pilotare un’astronave ancora in riparazione in mezzo a sciami di detriti che orbitavano ad altissima velocità. Per tutta la durata del loro turno, il Primate e la mezza Vulcaniana si erano concentrati sul lavoro. Le poche parole che si erano scambiati riguardavano unicamente le operazioni di sgombero. Ma adesso...

   «Ciao» disse Lantora, entrando nell’alloggio. «Che giornata, eh? Ho temuto mille volte che uno di quei rottami ci beccasse».

   «E io ho sentito che ti sei fatto valere davanti al Consiglio Xindi» sorrise T’Vala, venendogli incontro. Indossava un lungo abito da sera scuro, con dettagli rosso fuoco, e si era acconciata i capelli. Quando l’abbracciò, a Lantora vennero le gambe molli per la sua bellezza e il suo profumo. Le luci nell’alloggio erano basse, per far risaltare le romantiche candele che rischiaravano la tavola imbandita. «Ho sentito anche della medaglia. Sai una cosa? È scontato, demodé e terribilmente illogico, ma... alle donne piacciono gli uomini con le medaglie» ridacchiò T’Vala.

   Si scambiarono un bacio lungo e passionale, come a sciogliere la tensione che si era accumulata durante tutto l’Assedio. Anche quando staccarono le labbra, Lantora continuò a stringere dolcemente T’Vala. Le carezzò la guancia e il collo, perdendosi nei suoi occhioni da Betazoide, quasi tutti pupilla. Ancora non riusciva a credere che quella donna stupenda ricambiasse i suoi sentimenti. «Sembra che stasera tu sia più Betazoide che Vulcaniana» notò con piacere.

   «Mi sento molto Betazoide, imzadi» confermò T’Vala, attirandolo più all’interno, per far sì che la porta dell’alloggio si richiudesse.

 

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Capitolo 3
*** I demoni nel profondo ***


-Capitolo 2: I demoni nel profondo

 

   L’Ammiraglio Hortis era la seconda persona più importante dell’Impero Krenim, il che lo rendeva uno degli individui più potenti della Galassia. C’era stato un tempo in cui questo pensiero lo esaltava. Un tempo in cui credeva di poter restituire all’Impero lo splendore del passato. Era una nobile missione... qualcosa che lo rendeva un benefattore non solo per i Krenim, ma per l’intera Galassia. Un Impero illuminato non era forse meglio della perenne anarchia, delle guerre interstellari senza fine? Con la scienza temporale, i Krenim potevano tornare al potere con il minimo spargimento di sangue e restituire la pace a centinaia di sistemi stellari. Era quello il sogno di Hortis. Non il potere personale e in fondo nemmeno la supremazia dei Krenim... ma la pace.

   Questo sogno era stato corroso e avvelenato da quattro anni di guerra all’ultimo sangue, in cui i suoi occhi stanchi avevano visto orrori inimmaginabili e le sue labbra avevano dato ordini crudeli. Si ripeteva che era tutto per il bene superiore. Riusciva persino a crederci. Ma tutte le volte che si riuniva con gli altri leader del Fronte Temporale, questa convinzione si sgretolava. Eccoli lì, riuniti in forma olografica attorno a lui.

   C’era la Messaggera dei Tuteriani, dal volto simile a un teschio grigiastro, che aveva messo in piedi quell’alleanza a suon di promesse, lusinghe e sottili minacce. Interi sistemi stellari erano stati cancellati per suo ordine; intere specie senzienti erano finite sull’orlo dell’estinzione. E lei manteneva l’atteggiamento calmo e soddisfatto di chi non dubita della vittoria. Era la bugiarda più sfacciata che Hortis avesse mai conosciuto e non se ne vergognava minimamente. Anzi aveva sempre quel sorrisetto di superiorità, che tradiva un uguale disprezzo per alleati e nemici.

   C’era l’Autarca Cletus, infido e intrigante come al solito. C’era qualcosa del cortigiano, del parassita in lui: stava nel Fronte Temporale solo perché riteneva che fosse lo schieramento vincente. Ma sotto sotto era un codardo, che si era lasciato coinvolgere in un gioco più grande di lui e ora andava avanti per inerzia, temendo i Tuteriani assai più dell’Unione Galattica. Ed era incredibilmente miope: pensava ancora alla rivincita dei Vorgon contro i loro vicini Shirna. Come se le loro patetiche liti di quartiere avessero importanza, nel vasto dramma galattico che si svolgeva sotto i loro occhi.

   Infine c’era il Leader Supremo Vosk... gelido, determinato, impenetrabile. Di tutti i leader del Fronte, era quello che Hortis temeva di più. C’era indubbiamente del genio in Vosk. Era uno stratega più abile persino dei Tuteriani, a dispetto della loro preveggenza. Ma era anche un esaltato. Con poche forze a disposizione, aveva vinto parecchie battaglie, instillando il terrore nei popoli dell’Unione. C’era qualcosa di titanico, d’inarrestabile in lui. Dato che controllava pochi pianeti, avrebbe dovuto essere l’ultimo nel Fronte; invece riusciva quasi sempre a imporre le sue decisioni. Le altre specie erano effimere, transitorie in confronto all’antichissima stirpe dei Na’kuhl. La loro fredda intelligenza e la loro oscura tecnologia avevano la forza degli eoni. Vosk era colui che gli avrebbe ridato l’antico primato nella Galassia.

   Quelli erano gli alleati di Hortis. E se è vero che un uomo si giudica dalle sue amicizie... Hortis doveva esprimere un giudizio poco lusinghiero nei propri confronti. Ma in realtà, quelli non erano suoi amici. Il Fronte Temporale era un’alleanza dettata dalla pura convenienza. Per quanto i suoi membri proclamassero di voler condividere le conoscenze sul tempo, era evidente che ognuno pensava solo a custodire i propri segreti e a carpire quelli altrui. Se il Fronte avesse prevalso sull’Unione, non sarebbe mai rimasto coeso. Le quattro fazioni si sarebbero subito scagliate una contro l’altra, contendendosi il dominio assoluto.

   Hortis sentiva che quella lotta sarebbe stata ancora più spietata del conflitto con l’Unione. Ma non poteva pensare alla prossima guerra prima di aver concluso quella in corso. E sconfiggere l’Unione si stava rivelando molto più difficile del previsto. Oltre che più costoso in termini di astronavi e vite perdute.

   «Dichiaro aperto il consiglio di guerra del Fronte Temporale» disse la Messaggera. «La parola all’Ammiraglio Hortis».

   «Grazie, Messaggera. Signori, vengo subito al punto» esordì Hortis, avanzando verso le proiezioni olografiche degli alleati. «Ieri la flotta Krenim ha ricevuto un ordine inqualificabile, che ci ha fortemente allarmati. Un ordine di ritirata generale nel sistema Procyon. Sono qui per oppormi a questa decisione insensata. Da quattro anni noi Krenim lottiamo senza sosta. Abbiamo consumato risorse e speso moltissimo sangue per dare il nostro contributo al Fronte. E ora ci ordinate di abbandonare in blocco decine di pianeti! È inammissibile... quei mondi fanno parte dell’Impero Krenim. Tra l’altro, molti occupano una posizione strategica, che li rende snodi vitali per la strategia del Fronte».

   «Ben detto!» approvò Cletus, levando la mano a spatola. Sbuffò dalle branchie che aveva al posto delle narici, mostrando la sua profonda indignazione. «Anche noi Vorgon abbiamo ricevuto lo stesso ordine. Volete farci ritirare da pianeti, asteroidi, basi stellari. Che assurdità! Ci sono serviti anni di sacrifici per conquistarli... è fuori discussione restituirli al nemico!».

   «Le vostre preoccupazioni sono legittime. Infatti siamo qui per rispondere alle vostre domande e dissipare i timori» disse la Messaggera, scambiando un’occhiata con Vosk.

   «Spero che abbiate una bella giustificazione... anche se non riesco a immaginare quale potrebbe essere!» sbuffò Cletus.

   Hortis restò in silenzio. Aveva notato lo sguardo d’intesa tra la Messaggera e Vosk. Era il segno che avevano concordato la nuova strategia fra di loro, senza interpellare gli altri. Questo la diceva lunga su chi avesse il potere nel Fronte. Anche il fatto che Vosk restasse tranquillo e silenzioso confermava che era già al corrente del piano.

   «Vi spiegherò subito» sorrise la Messaggera. «E comincio da lei, Ammiraglio Hortis. Mi parli delle vostre ultime analisi temporali. Cosa dicono sulla nostra strategia?».

   «Abbiamo eseguito migliaia di simulazioni» rispose Hortis. «Sono concordi nell’indicarci che la strategia attuale è quella vincente. L’Unione cederà per logoramento. Stiamo devastando i suoi territori, mentre i nostri sono in gran parte al sicuro. Questo ci garantirà la vittoria... nel lungo periodo».

   «Quanto tempo servirà, di preciso, per abbattere l’Unione?» chiese Vosk.

   «Dipende da moltissimi fattori, in particolare dalle scelte strategiche del nemico» spiegò Hortis. «Comunque abbiamo il 55% di probabilità di vincere entro cinque/sette anni da ora. E un altro 20% di vincere entro otto/dieci anni».

   «Confortante» disse Vosk, in tono spiacevolmente ironico. «Qual è la probabilità di perdere?».

   «Il 15%» rispose Hortis a denti stretti. «Il rimanente 10% riguarda una vittoria più che decennale o un sostanziale pareggio, con spartizione dei territori».

   «E se le dicessi che esiste un modo per innalzare le probabilità di vittoria al 97% entro la fine del mese?» chiese la Messaggera con voce soave.

   Sulle prime Hortis pensò di aver capito male. «Mi prende in giro?!» esclamò, arrossendo come un ragazzino. In realtà non riusciva a immaginare la Messaggera e Vosk che scherzavano... ma non vedeva altre possibilità. «I nostri esperti hanno escluso un simile scenario» aggiunse, ridandosi un contegno.

   «Dovrebbero pensare in modo più creativo» suggerì Vosk. «A noi non servono astrusi calcoli probabilistici che ci dicano cosa fare. Preferiamo farci guidare dal nostro discernimento» spiegò. I suoi inquietanti occhi rossi squadravano Hortis con sufficienza.

   «Allora spiegateci questa vostra strategia miracolosa!» incalzò Cletus. «Sono ansioso di sentirla».

   «Volentieri... ma non c’è alcun miracolo» sorrise la Messaggera. «Si tratta di una strategia bellica antica, ma sempre affidabile. Il Leader Supremo ce l’ha proposta e la nostra Vate ha analizzato le linee temporali, trovandola efficace. Leader Supremo, vuole esporla?».

   «Si tratta semplicemente di riunire tutte le nostre forze in un’unica, invincibile armata» spiegò Vosk, passeggiando avanti e indietro con le braccia incrociate dietro la schiena. «Ciò costringerà l’Unione a fare altrettanto, perché solo così potrà affrontarci. E allora le daremo battaglia... alle nostre condizioni». Il suo viso da vampiro, con gli zigomi sporgenti e le vene in evidenza, si storse in un ghigno infernale. «Saremo noi a scegliere il luogo e le modalità dello scontro. Ci assicureremo che l’Unione non abbia scampo e la intrappoleremo prima che i suoi leader se ne accorgano. Demoliremo tutte le sue forze, così che i pianeti restino senza difese, quando torneremo a disperderci per conquistarli. La guerra terminerà in fretta e nel modo più soddisfacente». Vosk piegò leggermente la testa glabra, dalle suture craniche in vista, come aspettandosi un’ovazione.

   «Le linee temporali ci dicono che il momento è propizio» rincarò la Messaggera. «L’Unione sarà distrutta e il Fronte dominerà incontrastato».

   Hortis deglutì per schiarirsi la voce. «Dovrete darci molti più dettagli» disse lentamente. «Le forze in campo, la loro disposizione, le manovre di flotta... insomma, tutto ciò che avete fattorizzato nei vostri calcoli temporali. Se – ripeto, se – i nostri esperti convalideranno lo scenario... allora i Krenim faranno la loro parte. Nessuno più di me desidera la fine del conflitto».

   «Sarai accontentato» promise la Messaggera. «Con questa strategia, la vittoria non solo ci arriderà prima, ma sarà assai più a buon mercato. Un ultimo sacrifico... e avremo la pace» sussurrò, stringendo gli occhi dai riflessi metallici.

   «Visto che siamo qui, potreste darci almeno una panoramica della battaglia» disse Cletus. «Per annientare la flotta nemica dovremo prima circondarla. Chi si occuperà dell’accerchiamento?» chiese, sperando che non toccasse alla sua specie.

   «Noi saremo il martello che schiaccerà l’Unione contro l’incudine del Fronte» disse un’aliena, materializzandosi fra loro. Aveva una pelliccia color crema e una criniera più scura, da cui facevano capolino due orecchie appuntite. Una coda leonina sbucava dall’uniforme nera, corredata da una vibro-lama in cintura. Anche i lineamenti erano felini: occhi gialli dalle pupille verticali, naso nero e schiacciato, canini affilati che spuntavano dalle labbra.

   «Sei una Caitiana... la tua specie fa parte dell’Unione!» esclamò Hortis, che ormai conosceva bene i popoli del Quadrante Alfa.

   «Inaudito!» gridò Cletus. «Un nemico qui, alla nostra riunione! Dobbiamo tracciare il suo segnale e distruggere la sua nave!».

   «Potreste anche localizzarmi... ma dubito che riuscireste a distruggermi» sorrise la Caitiana. «La ISS Tyrant è un’astronave di classe Universe. Ed è l’ammiraglia dell’Impero Terrestre».

   «Impero Terrestre?! Ti prendi gioco di noi, stolta ragazzina!» inveì Cletus, sempre più infuriato.

   «Autarca, la prego» intervenne la Messaggera, frapponendosi. «Sta parlando con l’Ammiraglio N’Rass, duce dell’Impero Terrestre. Il suo governo è l’alleato che ci permetterà di schiacciare l’Unione. E non ha nulla a che fare con la Terra che conosce».

   «Il nostro Impero si trova in una dimensione parallela, che qui da voi è chiamata Specchio» precisò N’Rass. «Gli scienziati dicono che probabilmente si tratta di un’altra linea temporale, più che di un Universo a se stante. Ecco perché molto di quel che vedo mi è familiare, anche se stranamente distorto. Nella nostra realtà, la Terra ha fondato un potente Impero, invece di una decadente Federazione... o Unione, come la chiamano ora».

   «Qual è il vostro interesse nel conflitto?» chiese Hortis, temendo di perdere il filo del discorso. Quella Caitiana lo inquietava, non riusciva a inquadrarla. E il fatto che Vosk e la Messaggera sembrassero conoscerla bene era ancora più preoccupante.

   «Quattro anni fa, due spie federali s’infiltrarono sulla nostra Enterprise e la sabotarono durante un’importante battaglia, riuscendo quasi a distruggerla. Solo il mio intervento permise di salvarla» spiegò N’Rass. «In seguito inviammo l’Enterprise a esplorare questo Universo, tramite il Tunnel Spaziale Bajoriano. Ma la Federazione riuscì a distruggerla... cosa che per noi costituisce una dichiarazione di guerra. Avremmo invaso la Federazione fin da subito, se gli abitanti del Tunnel Spaziale non avessero congiurato contro di noi, impedendoci di sfruttarlo».

   «Per questa ragione abbiamo costruito un tunnel artificiale che ha sopperito al bisogno» proseguì la Messaggera. «Ora che la flotta imperiale è transitata, non ci resta che schierarla in battaglia. Ma dovremo farlo al momento propizio, senza che l’Unione ne abbia sentore. Solo così la vittoria sarà nostra».

   «Quante navi avete trasferito nel nostro Universo?» chiese Hortis. Da un lato lo confortava sapere di avere un nuovo, potente alleato. D’altro canto ne temeva la concorrenza. Tutti gli alleati di oggi, ricordò, erano i nemici di domani.

   «Abbiamo un’armata di duemila astronavi, che possiamo schierare a Procyon in qualunque momento» fu la sconcertante risposta. «Non temete... il mio Imperatore ha richieste molto ragionevoli per il compenso» aggiunse la Caitiana.

   «Le nostre previsioni indicano che anche la Federazione schiererà un’analoga forza» disse la Messaggera. «Klingon e Romulani le forniranno un aiuto consistente. Ma se noi del Fronte daremo fondo alle nostre risorse, avremo una schiacciante superiorità, sia numerica che di fuoco. Vi daremo una lista dettagliata della forza bellica che dovrete schierare» disse la Messaggera, rivolta a Hortis e Cletus.

   «Dovrò convincere il mio Imperatore a inviare ulteriori rinforzi... non sarà facile» disse Hortis, sudando freddo. «La guerra è già costata molto più del previsto».

   «Farò visita al suo Imperatore per persuaderlo» assicurò la Messaggera. «C’è un buon 70% di probabilità che accetti. Altrimenti... l’Impero Krenim avrà un nuovo sovrano e lei avrà ugualmente i rinforzi che le occorrono» promise.

   «Lieto di saperlo» mormorò Hortis, pallido come un cencio. In realtà si sentiva più amareggiato e stanco che mai. Per tutto quel tempo si era illuso di lavorare per la grandezza dei Krenim e più ancora per la pace galattica. Ma ora vedeva chiaramente la realtà. Era stato un errore schierarsi con il Fronte, che ormai controllava l’Impero Krenim come uno Stato fantoccio. Avrebbe voluto sfilarsene e riportare la sua flotta a casa... a costo di abbandonare i pianeti conquistati e cadere in disgrazia agli occhi del suo popolo. Ma temeva la reazione degli “alleati”. Erano capaci di portare la guerra nel Quadrante Delta, sobillando i nemici dei Krenim contro di loro, solo per ripicca. Ah, se ci fosse stata un’occasione per ritirarsi dal Fronte in sicurezza e firmare l’armistizio con l’Unione... ma non vedeva come fosse possibile.

   «Sorrida, collega» disse N’Rass, notando la sua espressione afflitta. «Questo è un grande giorno per i nostri Imperi. Un grande giorno per tutta la Galassia» aggiunse, facendo balenare gli artigli.

 

   L’Enterprise era circondata da un fitto sciame di navicelle a forma d’ago. In circostanze normali il Capitano avrebbe dato l’Allarme Rosso; perché quelle erano navi dei Tholiani, una delle specie più enigmatiche e pericolose della Galassia. Invece c’era solo l’Allarme Giallo... perché erano stati i Tholiani a invitare l’Enterprise nel loro spazio. Era un gesto senza precedenti, che si spiegava solo con l’eccezionale minaccia delle anomalie.

   L’Enterprise e le navi-ago erano in orbita geostazionaria intorno a Tholia, capitale dell’Annessione Tholiana nonché mondo natale di quegli esseri cristallini. Era un pianeta di classe Y, anche detta classe Demon per le sue condizioni estreme. Era la prima volta che la Federazione poteva osservarlo così da vicino.

   «Rapporto sensori» ordinò Chase, avvicinandosi allo schermo principale per osservare quel globo sulfureo, velato di spesse nubi arancioni e incandescenti.

   «È indubbiamente di classe Y» confermò Terry. «Diametro 15.612 km, gravità 1,2 g. L’atmosfera è turbolenta: rilevo venti di oltre 500 km/h. È costituita principalmente di zolfo, anidride carbonica e composti acidi. Il pianeta è geologicamente molto attivo: rilevo migliaia di vulcani, caldere e geyser su tutta la superficie. La temperatura superficiale è di oltre 200º C».

   «Una via di mezzo fra Io e Venere... con un tocco d’Inferno» commentò Chase. «Stento a credere che la vita possa svilupparsi in condizioni del genere» disse, assorto.

   «In effetti le specie inorganiche sono rare nella Via Lattea» convenne Terry. «Ma il loro adattamento alle condizioni climatiche estreme è affascinante. Rilevo radiazioni termoioniche e campi elettromagnetici così intensi che devo tenere alzati gli scudi per proteggere l’equipaggio. Se volessimo scendere, il teletrasporto è sconsigliabile. Servirà una navetta specializzata e tute rinforzate per voi Organici».

   «Sono già stata su mondi inospitali, ma questo li batte tutti» disse Ilia, ricordando le terribili esperienze su Vorgon e Na’kuhl Primo. «Capitano, se i Tholiani c’inviteranno a scendere mandi me. È meglio che lei rimanga a bordo».

   «E spedirla in quel postaccio al posto mio?» chiese Chase, per nulla stupito dal coraggio del suo Primo Ufficiale. «Apprezzo l’offerta, ma se i Tholiani mi chiederanno di presenziare, dovrò farlo. Questa trattativa è troppo importante per tirarsi indietro. E poi, un Capitano dell’Enterprise non deve temere di andare là dove nessuno è mai giunto prima» ammiccò.

   «La soluzione più logica sarebbe un’olo-conferenza» notò T’Vala.

   «Sono d’accordo, ma dipenderà tutto dai nostri calorosi anfitrioni» disse Chase, accennando alle navi-ago che scortavano da vicino l’Enterprise.

   «Se lei o il Comandante Dax scenderete, io vi accompagnerò con una squadra» disse Lantora. «Su questo non deve transigere coi Tholiani».

   «Se le piace la sauna...» scherzò Chase.

   «Capitano, rilevo altre navi in avvicinamento» avvertì Terry.

   «Il comitato di benvenuto?» chiese il Capitano.

   «Negativo... non sono Tholiane» rivelò l’IA, aggrottando la fronte per lo stupore. «Appartengono alla Corporazione Sheliak». Inquadrò le astronavi sullo schermo. Avevano robusti scafi di un azzurro metallico, dall’aspetto industriale, come se fossero raffinerie.

   «Un’altra specie inorganica» notò Ilia. «È rarissimo che gli Sheliak escano dai loro confini. L’ultima volta che la Federazione discusse con loro fu per l’incidente di Tau Cygni V, nel 2366. Fu quando l’Enterprise-D evacuò i coloni federali dal pianeta assegnato agli Sheliak. Da allora il trattato ha retto, ma non ci sono quasi stati contatti».

   «È strano che gli Sheliak si siano svegliati adesso» commentò Lantora. «E che siano venuti proprio qui».

   «Rilevo qualcosa di ancora più strano» disse Terry. «C’è un’altra flotta in avvicinamento. Questa è degli Excalbiani, altra specie inorganica che vive ad altissime temperature».

   «Ragguaglio» ordinò Chase, che ricordava pochissimo sul loro conto.

   «Excalbia è un pianeta di classe E, geoplastico, dalla superficie fusa ancor più calda di Tholia» spiegò Terry. «Fu visitato un’unica volta dai federali. Avvenne nel 2269, quando Kirk e Spock sbarcarono sulla sua superficie, venendo sottoposti a un combattimento simulato che coinvolgeva figure storiche come Kahless e Surak. Gli Excalbiani volevano comprendere la natura dei conflitti tra gli Organici e i loro concetti di bene e male».

   «Potevano chiedere» commentò Lantora. «O potevano semplicemente guardarsi intorno».

   «Da allora non ci sono stati altri contatti, ma... un momento, non credo ai miei sensori...» mormorò Terry, sgranando gli occhi.

   «Mi faccia indovinare: sta arrivando un’altra flotta» disse Chase. «E anche stavolta si tratta di Inorganici che hanno scarsi contatti con la Federazione».

   «Questi sono i Melkotiani» disse Terry. «Anche loro furono contattati da Kirk durante la sua missione quinquennale. E anche loro sottoposero lui e il suo equipaggio a uno strano confronto simulato: la rivisitazione della sfida all’O.K. Corral, celebre sparatoria del Far West. Sempre per motivi di studio, pare».

   «Questi Inorganici non hanno di meglio da fare che giocare con le nostre vite?» si domandò Chase, innervosito. «Lantora, si assicuri che gli scudi siano al massimo. Non voglio finire su uno di quei mondi infernali ad affrontare Kahless o i cowboy, solo perché qualche testa di pietra si faccia un’idea di cos’è la guerra».

   «Ricevuto» disse lo Xindi. Intensificò gli scudi e attivò un campo di dispersione in plancia, per contrastare un eventuale teletrasporto.

   «Terry, per caso rileva qualche altra flotta in avvicinamento?» chiese il Capitano, in apprensione.

   «No, per il momento. Le flotte Sheliak, Excalbiana e Melkotiana stanno entrando in orbita accanto a noi» riferì l’IA. «Capitano, sono flotte imponenti. Tutte insieme contano quattrocento navi».

   «E i Tholiani hanno ammassato un migliaio di navi-ago in tutto il sistema» disse Lantora, consultando i sensori. «Se questi Inorganici perdono la pazienza, non ne usciamo vivi».

   «Uhm... è una strana mossa per queste specie territoriali» commentò Chase, sfiorandosi il mento mentre osservava le flotte. «Non sono uscite dai loro confini per secoli. E ora, d’un tratto, eccole radunate qui dai Tholiani... non può essere un caso».

   «La logica dice che questo incontro è stato programmato» convenne T’Vala. «L’elemento estraneo siamo noi. Siamo i soli Organici invitati al raduno».

   «Signor Grog, contatti i Tholiani» ordinò Chase. «È tempo che ci diano qualche spiegazione».

   I Tholiani non si fecero attendere. Uno di loro, evidentemente di alto grado, comparve sullo schermo, immerso in un’atmosfera giallognola e sulfurea. Sembrava fatto di cristalli arancioni e aveva un curioso “becco” da rapace. I torvi occhi gialli si appuntarono su Chase. La voce del Tholiano risuonò all’altoparlante, simile a unghie che graffiassero una lavagna. Il traduttore simultaneo convertì tutto in parole comprensibili, anche se dal timbro metallico e impersonale.

   «Salve, Enterprise. Sono l’Ammiraglio Ziz e vi parlo in rappresentanza dell’Annessione Tholiana» esordì. «È positivo che abbiate risposto tempestivamente alla nostra chiamata. So che avete appena respinto un duro assedio a uno dei vostri mondi. E so che il dispiegamento di forze intorno a voi potrebbe farvi temere per la vostra sicurezza. Non è così: siete qui su nostro invito e potrete andarvene incolumi».

   «Lieto di sentirlo» disse Chase. Poteva sembrare ironico, ma sotto sotto era ancora troppo preoccupato per fare del sarcasmo. «Potrei sapere il motivo della nostra presenza qui? So che avete espressamente richiesto alla Flotta Stellare d’inviare l’Enterprise. Volevate l’ammiraglia... o volevate me?» chiese.

   «Volevamo entrambi» rispose Ziz. «Lei e la sua nave siete stati molti attivi nella lotta contro il Fronte. Avete soccorso molti pianeti. Alcuni di essi non erano nemmeno parte della Federazione. Non avevate motivo di rischiare le vostre vite per proteggerli. Come direbbero i Vulcaniani, è stato illogico».

   «La logica della Federazione contempla di difendere le specie senzienti in pericolo, anche se non fanno parte del nostro governo» rispose il Capitano.

   «È un concetto estraneo a noi, ma interessante» ammise il Tholiano. «Capitano Chase, credo che abbia già indovinato la ragione di questo summit. Da troppo tempo le anomalie devastano questa parte della Galassia. Di regola noi Tholiani – e le altre razze cristalline – non ci lasciamo coinvolgere nei conflitti degli Organici. Ma la prospettiva del totale annientamento ci obbliga a prendere provvedimenti. Siamo disposti a intavolare trattative finalizzate alla sconfitta del Fronte e quindi all’eliminazione delle anomalie. Voglio precisare che questo è l’unico scopo della collaborazione: se riusciremo a sconfiggere il Fronte, torneremo alla precedente condizione di non interferenza».

   Chase sentì come un brivido, una vertigine che lo attraversava da capo a piedi. Era un sogno che si avverava. Le specie più impermeabili al contatto accettavano di collaborare contro il Fronte! Poteva essere la svolta decisiva. Il destino dell’Unione poteva dipendere dalla sua capacità di portare a termine le trattative! Ecco una delle cose a cui non aveva pensato quando, ventenne, era entrato all’Accademia...

   «Comprendo e rispetto le vostre ragioni» disse il Capitano, soppesando accuratamente le parole. I discorsi dei Tholiani, e probabilmente anche i loro pensieri, erano duri e spigolosi come i loro corpi. Doveva assumere una parlantina simile per farsi intendere. «L’Unione è perfettamente disponibile a collaborare con le vostre specie per conseguire questo obiettivo. E a ristabilire le precedenti condizioni, quando il Fronte sarà sconfitto. Che modalità avete predisposto per la conferenza?».

   «Le diverse necessità ambientali delle nostre specie rendono la scelta obbligata» rispose Ziz. «Noi, come gli Excalbiani e i Melkotiani, viviamo ad alte temperature. Invece gli Sheliak e la maggior parte degli Organici abbisognano di temperature molto basse per sopravvivere. Ecco perché un’olo-conferenza è l’unica opzione. Vi stiamo inviando le coordinate della sala del consiglio. Il summit comincerà esattamente fra trenta dei vostri minuti; raccomandiamo la puntualità».

   «La famosa puntualità dei Tholiani» si disse Chase, reprimendo un sorriso. Una delle poche certezze, nella psicologia dei Tholiani, era che detestavano i ritardi.

   «La durata delle trattative non è stata prestabilita, in quanto dipende da molti fattori» proseguì Ziz. «Se i tempi dovessero allungarsi, vi saranno delle pause: sappiamo che necessitate di ridurre ciclicamente l’attività cerebrale» spiegò, riferendosi al sonno.

   «Sì, abbiamo quest’abitudine» convenne Chase. «Arrivederci fra mezz’ora, dunque».

   «Ventinove minuti e quaranta secondi, Capitano» precisò Ziz, prima che la sua immagine svanisse dallo schermo. Le nubi ribollenti di Tholia e le navi-ago tornarono sulla visuale.

   «Nelle mie vecchie vite ho avuto dei partner col pallino della puntualità» commentò Ilia. «Ma nulla di paragonabile ai Tholiani».

   «Non è un appuntamento amoroso, ma... probabilmente è meglio» disse Chase, con un lampo di trionfo negli occhi. «Questa è la chiave per sconfiggere il Fronte Temporale. Accidenti a me, se mi farò sfuggire l’occasione!».

 

   Chase scelse il ponte ologrammi per affrontare il summit, perché questo gli offriva la possibilità di riprodurre fedelmente la camera del consiglio su Tholia. Quando entrò nella sala, la simulazione era già attiva. Temperatura a parte, era la replica esatta di ciò che si trovava sul pianeta in quel momento.

   La prima impressione di Chase fu di trovarsi in un profondo girone dell’Inferno, completo di lava, fumi sulfurei e creature demoniache. Il “pavimento” sotto di lui era un colossale cristallo giallo, a sezione esagonale, che formava una piattaforma soprelevata. Probabilmente era stato tagliato in sommità per questo scopo. Pochi metri più in basso scorreva un fiume di lava, da cui si levavano vapori roventi. Altri cristalli simili emergevano tutt’intorno, ospitando le delegazioni degli Inorganici. Gli Excalbiani e i Melkotiani erano realmente presenti su Tholia, mentre gli Sheliak partecipavano in forma olografica, come Chase, essendo inadatti a temperature così alte. Le quattro piattaforme cristalline formavano un semicerchio davanti a un cristallo esagonale più ampio, che ospitava i padroni di casa Tholiani. Sottili passerelle, sempre di cristallo, collegavano le piattaforme a ingressi retrostanti nella parete rocciosa, per consentire l’afflusso dei delegati. Una volta che questi erano transitati, le passerelle si ritiravano nei cristalli, venendo riassorbite.

   Tutto ciò si trovava in una caverna rocciosa, a grande profondità. Le pareti basaltiche erano nere e opache; solo qua e là luccicavano depositi di ossidiana e olivina. Grandi stalattiti pendevano dalla volta altissima. La mancanza di oggetti familiari al cervello umano, che potessero servire da confronto, impediva di capire le vere dimensioni dell’ambiente. Il Capitano era già stato dentro delle grotte e conosceva questo inganno ottico; probabilmente la caverna era molto più grande di quanto appariva. Naturalmente la luce solare non aveva modo di entrarvi: l’unica fonte d’illuminazione era il magma. La roccia fusa emetteva una luce bassa, incostante e virata nei toni caldi. Esalazioni vulcaniche impregnavano l’aria, peggiorando la situazione. Ne risultava un’inquietante penombra, in cui gli Inorganici emergevano dai vapori incandescenti, per poi esserne nuovamente celati. Come se non fossero già abbastanza inquietanti di per sé!

   I Tholiani avevano una struttura da artropodi, con sei zampe da ragno che ticchettavano a ogni passo. Altri due arti, collocati più in alto, facevano da braccia. Tutto il loro corpo era formato da cristalli arancioni segmentati. Non avevano veri e propri abiti, ma alcuni di loro portavano una fascia di tessuto rosso che attraversava obliquamente il torace.

   Gli Excalbiani, come anche gli Sheliak, sembravano ammassi rocciosi, dalle forme tozze e solo vagamente umanoidi. Gli Excalbiani erano bassi, densi e pesantissimi. Avevano una testa informe, con occhi tondi e arancioni sparsi un po’ ovunque. Non avevano mani, ma ogni arto era corredato da due grossi artigli bianchi che facevano da dita. Gli Sheliak erano più alti e non avevano occhi visibili. La loro “epidermide” color bronzo, tutta pieghe, era fittamente reticolata. Era anche flessibile: i loro corpi pulsavano come polmoni.

   Ma i più inquietanti di tutti erano i Melkotiani. Erano anche i più lontani da Chase, che li vedeva a malapena, avvolti dai vapori. Erano verdastri, con lunghi colli sottili che sorreggevano le teste ovoidali. I lineamenti erano appena abbozzati. S’indovinavano ampie fauci, sormontate da occhi gialli che brillavano di luce propria, come fari nella nebbia.

   «Dichiaro aperta la seduta» esordì l’Ammiraglio Ziz, la cui voce stridente era tradotta per Chase. «In questi ultimi anni, i nostri popoli hanno combattuto separatamente i Costruttori di Sfere e i loro alleati. Ma la Federazione, che è già una vasta unione di specie, si è ulteriormente coordinata con l’Impero Klingon e la Repubblica Romulana, in quella che oggi è nota come Unione Galattica. Le ricadute sul piano militare sono state innegabilmente positive. Coordinando le vostre forze, siete riusciti a salvare molti più pianeti di quelli che avreste difeso singolarmente».

   «L’aiuto reciproco è la filosofia di base della Federazione, sì. E ora dell’Unione Galattica» confermò Chase.

   «Le nostre specie hanno finora preferito la non-contaminazione» riprese Ziz. «Ma la minaccia del Fronte è senza precedenti e ci ha obbligati a coordinare le forze. Il primo risultato è l’alleanza delle nostre quattro specie, accomunate dalla natura inorganica. Insieme abbiamo distrutto un numero rilevante di Sfere e di astronavi nemiche. Ma riteniamo che ciò non basti a garantire la vittoria nel lungo periodo. I Tuteriani devono essere respinti nel loro Universo e i loro alleati devono essere messi in condizione di non nuocere. Scopo di questa seduta è valutare l’estensione della nostra alleanza anche all’Unione. Resta stabilito che, in caso di vittoria, l’alleanza non avrà più ragione di continuare».

   «Certo, è perfettamente chiaro» disse Chase. Non voleva insistere su questo punto, per non indispettire i Tholiani. Ottenere il loro aiuto contro il Fronte era già abbastanza. «Ammiraglio Ziz, credo che abbiate già enunciato la ragione più logica per allearci» disse Chase. «Il coordinamento militare ci darà maggior forza contro il Fronte. Invece di distruggerci uno dopo l’altro, il nemico dovrà fronteggiare le nostre forze riunite... e allora cadrà».

   «Ma voi Organici siete notoriamente disorganizzati e incostanti» obiettò il rappresentante Sheliak. «Alleandoci ci contagerete con questi difetti. Se agiamo separati, possiamo farlo al massimo dell’efficienza. Ma se raduniamo le forze, c’è il rischio che prevalga il caos».

   «No, se facciamo le cose per bene» obiettò Chase. «La Federazione ha funzionato, e anche l’Unione sta ingranando la marcia...».

   «Capitano Chase, la Federazione è uno dei governi più inefficienti che la Galassia ricordi» insisté lo Sheliak. «Dato che non riuscite a elevare le specie inferiori, preferite livellarle tutte verso il basso. Concedete tutti i diritti possibili, ma scordate di controbilanciarli con i relativi doveri. Questa è la vostra debolezza e la causa delle vostre peggiori sconfitte».

   Aveva ragione, anche se Chase non poteva ammetterlo. Lui stesso era sempre stato critico su questi aspetti della Federazione. Quanti ufficiali inadatti erano stati posti in ruoli di comando, solo per questione di rappresentanza? Il Programma Federale per le Pari Opportunità aveva messo dei pavidi Kelpiani dove servivano coraggio e sangue freddo. Aveva assegnato ai Pakled, che avevano un quoziente intellettivo inferiore al numero di scarpa, complesse mansioni scientifiche. Il risultato erano continui disastri.

   «Ambasciatore, i possibili difetti da lei evidenziati vi contagerebbero solo se entraste a pieno titolo nell’Unione, il che è escluso in partenza» disse Chase, rinunciando a negare il problema. «Qui si parla di una semplice collaborazione militare. Non ci saranno scambi di ufficiali o astronavi con equipaggio misto».

   «Anche così, la vostra inefficienza potrebbe danneggiarci più di quanto le vostre armi ci aiutino» insisté lo Sheliak.

   «Eppure i Capitani della Flotta Stellare sono spesso riusciti a vincere battaglie che sembravano impossibili» obiettò l’ambasciatore di Excalbia. «Noi stessi ne sottoponemmo uno a un test, tempo addietro, riscontrando ottime capacità di adattarsi alle circostanze ed elaborare strategie creative».

   «Lo stesso vale per noi» disse l’ambasciatore Melkotiano. «Abbiamo constatato che i federali ricorrono alla violenza come ultima opzione, ma se messi alle strette possono reagire in modo efficace».

   «Questi esperimenti non sono rappresentativi» obiettò lo Sheliak. «E risalgono a secoli fa. Gli Umani sono cambiati... sono diventati pavidi e sciocchi. Vi fate ingannare troppo facilmente dai trucchi del Fronte!» accusò, rivolgendosi di nuovo a Chase.

   «Eppure io ho vinto parecchie battaglie» rivendicò il Capitano. «E l’Unione comprende molte altre specie. Alcune sono esperte di guerra: i Klingon, i Cardassiani, gli Xindi...».

   «Sì, loro sono più affidabili» ammise lo Sheliak.

   «Perciò, mettendo in campo i nostri elementi migliori, l’efficienza generale non può che aumentare» proseguì Chase.

   «Questo dipende dall’effettiva strategia che adotteremo» intervenne Ziz. «Il che ci porta alla situazione tattica».

   Chase sentì un formicolio allo stomaco. Quello era davvero il punto più delicato della trattativa. Un accordo di massima rendeva più facile sistemare i dettagli, ma se non si riusciva a impostare la strategia generale era finita.

   «Capitano Chase, i nostri ricognitori riferiscono che, in questo preciso momento, il Fronte sta ritirando le proprie forze nel sistema di Procyon» riprese il Tholiano. «Sta persino evacuando installazioni – orbitali e planetarie – che aveva conquistato o che aveva costruito da zero. Ci conferma che anche l’Unione sta osservando questo comportamento?».

   Il Capitano ebbe un attimo d’esitazione. Il Comando di Flotta non voleva che lui fornisse informazioni tattiche agli Inorganici, prima che firmassero l’alleanza. Ma doveva pur rispondere alle loro domande, per far progredire le trattative. Decise di rischiare. «Sì, gli ultimi aggiornamenti indicano che il Fronte è in ritirata» confermò. «Ma considerando la sua estensione, è presto per dire se intende concentrare tutte le sue forze a Procyon. Potrebbe essere una finta. Forse vuole indurci a inseguirlo, per poi coglierci di sorpresa. Dobbiamo attendere qualche giorno per avere la risposta».

   «La sua valutazione corrisponde alla nostra» disse Ziz. «Ma poiché lei conosce piuttosto bene i Tuteriani, le chiedo: cosa pensa che faranno?».

   Chase non si aspettava una domanda così personale. Né sapeva bene come rispondere, dato che gli era mancato il tempo per rifletterci. L’Ammiraglio Nelscott l’aveva informato della ritirata del Fronte nella stessa olo-conferenza in cui gli aveva ordinato di andare a Tholia. Il fatto che il Fronte si stesse asserragliando a Procyon, comunque, lo inquietava. Poteva essere il segno che la guerra si avvicinava all’epilogo.

   «I Tuteriani sono ingannevoli e i loro alleati non sono da meno» rispose Chase prudentemente. «Tuttavia credo che stiano davvero radunando le forze. Questo ci costringerà a fare altrettanto, per affrontarli in uno scontro risolutivo. Credo che il Fronte preferisca correre questo rischio, piuttosto che esaurirsi in una guerra di logoramento».

   «Pensa che il Fronte perderebbe, se la guerra si prolungasse ancora per anni?» chiese Ziz.

   «È possibile» affermò il Capitano. «I Tuteriani avevano promesso agli alleati una vittoria rapida; in questo li hanno delusi. I Krenim vengono dal Quadrante Delta e non vogliono impantanarsi in un conflitto così lontano da casa. Vorgon e Na’kuhl hanno interessi più diretti, ma sono potenze locali. Non sono abbastanza numerosi, né hanno la capacità produttiva, per sostenere a lungo un simile sforzo bellico. Negli assedi dell’ultimo anno il Fronte ha quasi sempre capitolato, come a Nuova Xindus. Quindi, per rispondere alla sua domanda: sì, credo che il Fronte sia in difficoltà, tanto da cambiare strategia. Forse i Tuteriani temono che gli alleati stiano per abbandonarli e quindi vogliono giocarsi il tutto per tutto».

   «La sua riflessione sulla strategia del Fronte è interessante. Prego, continui a elaborarla» disse l’ambasciatore di Excalbia.

   «Beh, guardiamo come combattono i Tuteriani» disse Chase. «La loro efficienza e la loro stessa vita dipendono dal fatto che restino nello spazio trasformato dalle Sfere. Ma in questi anni, l’Unione ne ha distrutte centinaia. È logico che i Tuteriani vogliano concentrare le Sfere rimanenti in una piccola porzione di spazio, per intensificare il loro effetto. Così possono combattere nelle condizioni più favorevoli».

   «Studiando la conflittualità degli Organici, abbiamo notato uno schema ricorrente» disse l’Excalbiano. «Quando una delle parti è in affanno – come sembra essere il Fronte – c’è un modo per ribaltare la situazione. Bisogna concentrare tutte le proprie forze in una località e infliggere una grossa sconfitta al nemico, sia per il danno militare in sé, sia per abbatterne il morale».

   «Sì, esatto!» confermò Chase. «La storia umana è piena di esempi simili».

  «Anche noi siamo giunti alla stessa conclusione» disse il Melkotiano. «Il Fronte vuole attirare le vostre forze a Procyon, dove potrà schiacciarle col favore delle anomalie. Se ciò avverrà, sarà una catastrofe per l’Unione, e anche per noi. La guerra proseguirà per anni, col Fronte che riprenderà l’iniziativa e potrebbe anche rafforzarsi con nuovi alleati».

   «Dunque la soluzione è semplice» disse lo Sheliak. «Dobbiamo astenerci dall’affrontare una battaglia in condizioni così sfavorevoli. Lasciamo che il Fronte si rinchiuda a Procyon e assediamo l’intero sistema stellare, mantenendo le nostre forze oltre il perimetro delle anomalie. Appena le navi nemiche proveranno a uscire, le distruggeremo. E anche se il Fronte riuscisse a evacuare il sistema, avrà perso tutti i territori. A quel punto sarà più facile impedirgli di fare nuove conquiste».

   «La nostra ragnatela potrebbe assicurare il successo di questa strategia» riconobbe il Tholiano. «Impiegando tutte le nostre forze, potremmo circondare l’intero sistema. Le vostre flotte rintuzzerebbero le sortite nemiche».

   «È una proposta interessante, ma ravvedo un pericolo» disse Chase, ormai a suo agio nel conversare con le rocce viventi. «Il Fronte potrebbe allontanare progressivamente le Sfere, espandendo le anomalie. Con le Sfere che gli restano può ancora trasformare un’area molto vasta. E il sistema Procyon si trova nel Settore di Andoria, al centro dello spazio federale. Le anomalie distruggerebbero molti dei nostri pianeti, compresa Andoria... e forse la Terra».

   «È possibile» ammise Ziz. «Per noi sarebbe un sacrificio accettabile, ma suppongo che per voi non sia così. Ha una soluzione alternativa?».

   «Potremmo accettare la sfida del Fronte e combattere a Procyon» disse lentamente Chase, consapevole del rischio. «Se riusciamo a distruggere le ultime Sfere, le anomalie cesseranno. I Tuteriani saranno costretti a tornare nel loro Universo. A quel punto le altre specie del Fronte non avranno la forza di affrontarci. I Krenim non ne avranno nemmeno il motivo. Se sconfiggiamo i Tuteriani, i loro alleati si arrenderanno a cascata».

   «Ci sta proponendo un azzardo enorme!» osservò lo Sheliak. «In pratica dovremmo far scattare la trappola del Fronte».

   «Se Organici e Inorganici uniranno le forze, l’attacco a Procyon riuscirà» insisté Chase.

   «Ci sono molte incognite in questo piano. A partire dal fatto che non sappiamo realmente quante forze restino al Fronte» ragionò Ziz. «I Tuteriani controllano un intero Universo. Il loro vero potenziale è ancora sconosciuto, ma potrebbe essere immenso. Non trovo saggio impiegare tutte le nostre forze per affrontarli nello spazio trasformato, dove sono in vantaggio. Se si trattasse solo di contenerli nel sistema Procyon, potremmo tentare. Ma un assalto alle Sfere ci costerebbe troppe perdite».

   «Eppure le Sfere dovranno essere distrutte, prima o poi. Solo così porremo fine alla guerra» disse Chase. «Non è meglio farlo nel momento in cui sono tutte concentrate nello stesso luogo?».

   «Forse» disse il Tholiano. «Ma per il momento non abbiamo nemmeno conferma che il Fronte concentrerà tutte le forze in quel sistema. Dobbiamo attendere gli sviluppi per decidere. La riunione è rimandata a quando avremo aggiornamenti sulle manovre del Fronte. Nel frattempo le vostre navi resteranno in orbita».

   Gli ambasciatori Inorganici convennero ad aggiornare la seduta. L’ultimo a parlare fu Chase. «Sono lieto di vedere che, malgrado le differenze, siamo riusciti a intavolare un dialogo costruttivo» disse. «Spero che sarà di nuovo così, quando torneremo a riunirci. Ma vi ricordo che, se la strategia del Fronte sarà confermata, dovremo agire tempestivamente. Non avremo un’altra occasione per demolirlo in un colpo solo».

 

   «Allora, Capitano, come va coi Tholiani?» chiese Lantora, versando un raktajino – versione Klingon del caffè – a Chase, che sembrava averne bisogno. Il loro incontro casuale nel bar di Raav, a tarda ora, era l’occasione per Lantora d’informarsi sulle trattative.

   «Così così» disse Chase, assonnato. Si scolò il raktajino e tornò a chinarsi sul d-pad con gli aggiornamenti tattici. Non sembrava in vena di chiacchierare. Lantora stava per andarsene, quando il Capitano lo richiamò: «Aspetti, è giusto che sappia».

   Lo Xindi sedette dall’altra parte del tavolino e si allungò in avanti, avido di notizie.

   «Speravo che, dopo la conferma che il Fronte si è ammassato a Procyon, i Tholiani e gli altri Inorganici fossero più disponibili ad aiutarci» spiegò Chase. «Purtroppo non è così. Sono sempre reticenti ad affrontare una battaglia campale. E non posso biasimarli! Io stesso continuo a chiedermi se non sia una trappola. Voglio dire, il Fronte non c’inviterebbe ad attaccarlo se non avesse qualche asso nella manica».

   «Ma la Battaglia di Procyon V è quella che mette fine a tutto, no?» obiettò Lantora. «Glielo ha detto Archer, in quella registrazione. La Federazione sconfiggerà i Costruttori di Sfere a Procyon V. È scritto nella Storia... praticamente è già successo!».

   «Magari fosse così semplice» sospirò Chase. «In quella linea temporale, gli Xindi non hanno mai attaccato la Terra. E l’Enterprise NX-01 non ha mai distrutto le Sfere della Distesa Delfica. Quindi la Distesa ha continuato a crescere per secoli, inglobando centinaia di sistemi, fra cui Procyon. Ma i Tuteriani, con la loro tecnologia predittiva, videro quell’esito e decisero di cambiarlo. Convinsero gli Xindi ad attaccare preventivamente la Terra.

   Da quel momento la Storia è cambiata. Può sembrare che sia cambiata in meglio, visto che la Distesa Delfica è svanita e solo negli ultimi anni le anomalie sono riapparse. Ma il risultato è che non possiamo più prevedere l’esito dello scontro a Procyon V. Le cose potrebbero andare in tutt’altro modo. Prenda i Tuteriani: Archer parlava come se fossero l’unico nemico. Invece noi siamo qui a difenderci dai Krenim, dai Vorgon, dai Na’kuhl. E da parte nostra ci siamo alleati con Klingon e Romulani. La battaglia, se ci sarà, sarà molto diversa da quella intravista da Archer» sospirò il Capitano.

   «Bel casino» convenne Lantora, giocherellando con il suo raktajino. «Noi che possiamo fare?».

   «Quel che abbiamo fatto finora: difendere l’Unione con ogni mezzo» rispose Chase. Fece per rituffarsi nella lettura dei dati tattici, ma si arrese disgustato. Non ne poteva più. Posò il d-pad sul tavolino e si stropicciò gli occhi. «Parliamo d’altro, le va?» propose.

   «Certo, Capitano» approvò Lantora. «Le riparazioni sul ponte 9 sono terminate e la griglia EPS è in linea. L’Enterprise è di nuovo al massimo. Possiamo affrontare un’intera flottiglia di Dreadnought, a Procyon o altrove...».

   «Qualcosa che non sia la guerra, intendo. Che non sia proprio lavoro» precisò il Capitano.

   «Oh, scusi» fece lo Xindi. «Temo di non essere più abituato a parlare d’altro. Uhm... di che vuole parlare?».

   «Mah, non saprei... del tempo libero, magari» suggerì Chase. «Ha visto qualche olo-romanzo, di recente?».

   «Sto guardando Il sacrificio infinito, una famosa opera cardassiana» rispose il Primate. «È la storia di una famiglia che dà il suo sangue per la patria, generazione dopo generazione, rivivendo per sette volte la stessa situazione. È carino, anche se un po’ ripetitivo... ma l’epica cardassiana è fatta così. Sono arrivato alla terza generazione. Se vuole può venire anche lei, la prossima volta. Possiamo proseguire da lì, oppure ricominciare da capo, se non vuol perdersi l’inizio...».

   «Grazie, non fa per me. Troppa suspense» replicò Chase, ironico. «E invece sta leggendo qualcosa?».

   «Opere letterarie, intende? No, al momento nulla» rispose Lantora. «E lei, invece?».

   «Mi stavo cimentando con Guerra e pace, un classico della letteratura terrestre» spiegò Chase.

   «Ah, ne ho sentito parlare. Parla delle Guerre Eugenetiche, vero?».

   «Veramente è la campagna napoleonica in Russia».

   «Beh, siamo lì. Secolo più, secolo meno...» minimizzò Lantora. «E le piace?».

   «Mi sono arenato dopo il primo capitolo» confessò Chase. «È un bel mattone, sa. E di sport, fa niente?».

   «Come no, mi alleno tre sere a settimana con T’Vala» disse Lantora, più allegro. «Avevamo cominciato con l’Anbo-jytsu, ma ora facciamo varie tecniche di scherma e lotta...».

   «Oh, insomma!» sbottò Chase. «Combatte sul lavoro, combatte sul ponte ologrammi e combatte in palestra! C’è qualcosa, tra quel che fa, che non riguardi i combattimenti?!».

   «Ehm... quando mi lavo i denti la mattina?» fece Lantora, intimidito da quello scatto d’ira. «D’altra parte anche lei, con centinaia di letterature a disposizione, va a pescare Guerra e pace...» aggiunse in tono d’accusa.

   «Ha ragione, mi scusi» si calmò Chase. «Siamo così abituati a combattere che non sappiamo più fare altro» ammise.

   «Beh, oltre alla guerra ci resta l’amore!» notò Lantora, con il sorrisetto di chi la sa lunga. Sarà stata l’ora tarda, o il fatto che erano soli nel bar, o semplicemente la voglia di sfogarsi, ma era in vena di confidenze. «Sa, fra me e T’Vala le cose vanno bene, a dispetto di questa Galassia della malora che cerca sempre di ucciderci. E di lei e Neelah, che mi dice?».

   «Mah, sì, diciamo che funziona» mugugnò Chase, versandosi un altro raktajino.

   «A-ah!» esclamò Lantora, additandolo. «Non se la cava così a buon mercato, Capitano. È lei che ha voluto parlare. Che vuol dire “diciamo che funziona”? O funziona, o non funziona!».

   «Va bene, me la sono cercata» sospirò Chase. «In linea di massima funziona, anche se siamo molto occupati. Durante l’Assedio ci siamo visti a malapena. E anche adesso, Neelah passa tutto il tempo nel suo laboratorio, o nell’infermeria con Korris, per estendere il Vaccino 47 alle altre specie. È un lavoro importantissimo e non mi sognerei mai d’ostacolarla, però... insomma... rimpiango quando trovavamo qualche ritaglio di tempo. Non che fosse facile, anche allora. Sa com’è Neelah: orgogliosa, testarda, irremovibile...».

   «Sì, alle volte è una gran rompicoglioni» convenne Lantora. Notò lo sguardo assassino di Chase. «Però è una gran donna!» aggiunse precipitosamente.

   «È anche una gran telepate» disse il Capitano stancamente. «Non è facile stare con una che ti legge nel pensiero. Quando ci siamo messi insieme ha promesso di stare alla larga dalla mia mente, ma... sa com’è... a volte ho il sospetto che una sbirciatina la dia. È troppo informata su quel che penso».

   «Eh sì, le relazioni coi telepati sono complicate» disse Lantora comprensivo. «Anch’io e T’Vala abbiamo faticato per trovare un equilibrio. E sì, anche io a volte ho la sensazione che mi legga dentro. Ma forse è solo intuito femminile. Alla fine, le donne sono uguali in tutta la Galassia... salvo che su Vulcano» si corresse. «Le donne vulcaniane sono maledettamente logiche. Buffo, vero? Rimproveriamo alle donne la loro illogicità, e quando ne troviamo una logica, ancora non ci va bene!». Scoppiò in una risata tragicomica.

   «Ma T’Vala è mezza Betazoide» notò Chase.

   «E infatti per metà del tempo è la creatura più mirabile che conosca» assicurò Lantora. «Poi però le vengono i “giorni vulcaniani”, in cui non posso aprir bocca senza che lei mi smonti con la logica. Succede a intervalli irregolari, quindi non so da cosa dipenda... forse semplicemente dallo stress. Ah, le donne... non possiamo vivere con loro e non possiamo vivere senza di loro!» sospirò malinconico.

   «Se avete finito i luoghi comuni dell’Età della Pietra, ho un avviso per il Capitano» disse Terry, entrando in sala. Lantora si morse la lingua; le proiezioni isomorfe avevano un ottimo udito e Terry in particolare aveva sensori un po’ ovunque sulla nave.

   «Che c’è?» chiese il Capitano, alzandosi.

   «Comunicazione urgente e criptata dal Comando di Flotta» rispose Terry, facendosi terribilmente seria. «Credo che qualcosa si muova nelle alte sfere. L’attacco a Procyon V potrebbe essere imminente».

   «Allegria» mormorò Chase, guardando con rimpianto il d-pad pieno di noiosi aggiornamenti tattici. Quanto avrebbe preferito occuparsi di quello! «Va bene, leviamoci il dente». Si scolò il secondo raktajino, sbatté il bicchiere sul tavolo e se ne andò a passo svelto. «Lantora, riunione in sala tattica fra mezz’ora» ordinò, quando fu sulla porta.

   «Ma è notte fonda...» piagnucolò Lantora.

   «Voglio gli ufficiali in sala tattica. Li tiri giù dal letto, se necessario!» ordinò Chase, e infilò la porta.

 

   Mezz’ora dopo, la sala tattica era piena di ufficiali piuttosto assonnati ed estremamente spaventati all’idea che fosse scoccata l’ora X. Anche Neelah era emersa dalle profondità del suo laboratorio; quella era la prima riunione tattica a cui partecipava da mesi.

   Il Capitano Chase si fece attendere e quando finalmente arrivò la sua espressione non prometteva nulla di buono. «Ci siamo» disse sbrigativo, prima ancora di sedersi. «Il Presidente e il Consiglio hanno preso una decisione, in accordo col Comando di Flotta. Anche Klingon e Romulani sono d’accordo. Attaccheremo il Fronte a Procyon V, mettendo in campo tutto quel che abbiamo. Ci raduneremo ad Andoria e sarà una flotta come non se ne sono mai viste in quest’angolo di Galassia. L’obiettivo è demolire il Fronte Temporale. O la va o la spacca».

   «Temevo che ci saremmo arrivati... ma non pensavo che sarebbe stata l’Unione ad attaccare» ammise Ilia. «Come si è giunti a questo?».

   «Klingon e Romulani sono stanchi d’evacuare interi pianeti» spiegò Chase. «Anche la Federazione ha perso la pazienza... specialmente alcuni popoli, come i Cardassiani. Vogliono tutti farla finita, anche se significa correre un rischio enorme. Del resto, anche se vincessimo, serviranno decenni per riprenderci da tutte queste distruzioni».

   «Allora è il momento... la resa dei conti!» si emozionò Lantora. «Quando partiamo?».

   «Il prima possibile. Appena sistemate le cose coi Tholiani e gli altri Inorganici» rispose Chase.

   «Già, i Tholiani» fece Ilia, molto tesa. «Il loro aiuto ci sarebbe preziosissimo in una battaglia così incerta. Crede che verranno?».

   «Non saprei... comunque spetta a lei occuparsene. Io non verrò» disse Chase a sorpresa. C’era una strana indifferenza nel suo atteggiamento, come se ormai se ne lavasse le mani di tutto e di tutti.

   La sala tattica piombò nel silenzio. Gli ufficiali sbattevano gli occhi, increduli, e aprivano la bocca per chiedere spiegazioni, ma le parole gli morivano in gola. Solo Terry sembrava saperne qualcosa, ma teneva gli occhi bassi e non proferiva parola. Finalmente Ilia riuscì a parlare: «Come sarebbe a dire che non viene? È il Capitano... ci ha guidati lei in questi anni difficili. Tutte le sue fatiche, le sue battaglie l’hanno condotta a questo punto. Come può non partecipare allo scontro decisivo?!» si scandalizzò.

   «Non è una mia decisione» spiegò Chase. «Mezz’ora fa, l’Ammiraglio Nelscott mi ha informato che sono sospeso dal comando dell’Enterprise. Sono sotto inchiesta per la distruzione della sfera Alfa nell’ultima Battaglia di Xindus. C’erano più di seicento civili a bordo e io ho ordinato di colpire la Sfera. Immaginavo che mi sarebbe costato la corte marziale».

   «Ma è assurdo!» sbottò Lantora, picchiando i pugni sul tavolo per la stizza. «La mia gente stava morendo a milioni su Xindus, per colpa delle anomalie. Lei ha dovuto dare quell’ordine... non aveva scelta!».

   «Vero» convenne Chase. «Ma per il regolamento della Flotta Stellare, sono ugualmente incriminato. Dovrebbe esserci un processo... ma naturalmente è tutto rimandato a dopo la battaglia».

   «Se lei non sarà al comando, in quella battaglia, potrebbe non esserci un dopo» disse Lantora, con voce bassa e ringhiosa. «Gli alti papaveri se ne rendono conto?!».

   «L’Ammiraglio Nelscott sostiene di aver fatto tutto il possibile» spiegò Chase, in tono asciutto. «È grazie a lui se sono ancora a piede libero, e non confinato in cella».

   «Bell’aiuto!» esclamò Neelah con amarezza. «Prima di toglierti il comando hanno aspettato che parlassi ai Tholiani. Speravano che li convincessi ad aiutarci, come hai già fatto coi Romulani. Insomma, prima la Flotta ti usa... e poi, alla vigilia della battaglia finale, ti mette in disparte! Ma anche così è una mossa autolesionista!». Era così furibonda che digrignava i denti; le antenne erano rigide e vene azzurrine le pulsavano nelle tempie.

   «Per dirla elegantemente» convenne Chase.

   «È un provvedimento ingiusto, oltre che profondamente illogico» disse T’Vala.

   «Già... ma noi siamo tutti con lei, Capitano!» esclamò Korris. «Ehm... dico bene?» chiese, osservando Terry.

   «Sono stata costruita per servire la Flotta Stellare» rispose mesta l’Intelligenza Artificiale. «Anche se in questi anni ho imparato tantissime cose, da ciascuno di voi, il rispetto del regolamento resta la mia funzione primaria. Sul piano personale, Capitano, sono con lei. Ma sul piano istituzionale, devo applicare le regole».

   «Forse dovrei rimestare un po’ nei tuoi circuiti» bofonchiò Grenk, che fino a quel momento era rimasto stranamente silenzioso. «Dev’esserci un malfunzionamento nel programma di lealtà».

   «Signori, calmatevi» esortò Chase. «A nessuno piace questa situazione... meno che a tutti a me... ma Terry ha ragione. Siamo ufficiali della Flotta Stellare e abbiamo giurato di seguire le regole, anche quando non ci fanno comodo. La vostra lealtà mi commuove, ma non deve spingervi alla diserzione. L’ultima cosa che ci serve è che anche voi finiate nei guai. È fondamentale che ognuno resti concentrato sul suo dovere, fino al termine della battaglia. Poi ci sarà tempo per risolvere le mie beghe! Comandante Dax... per ordine della Flotta e con decorrenza immediata le cedo il comando dell’Enterprise».

   «Sì, Capitano» disse Ilia, alzandosi in piedi tutta rigida. «La rilevo dal comando, signore... e non vedo l’ora di restituirglielo, quando tutto sarà sistemato».

   «Mi raccomando, non graffi la carrozzeria» sorrise Chase. «E a tutti voi, raccomando di obbedirle con la stessa lealtà e solerzia che mi avete sempre testimoniato» aggiunse, rivolto agli ufficiali radunati. Tutti annuirono, sia pure di malavoglia. «Bene, la riunione è terminata» concluse Chase, alzandosi.

   «Qualche ultimo consiglio, signore?» chiese Ilia, con gli occhi lucidi.

   «Niente che già non sappia» rispose l’uomo. «Spieghi la situazione ai Tholiani. Cerchi di avere il loro appoggio, o almeno di non chiudere completamente i canali diplomatici. Poi faccia rotta per Andoria. L’Enterprise è sua, Capitano Dax. Se mi cerca, sono nel mio alloggio» concluse, e lasciò la sala tattica.

 

   Non andò lontano. Aveva fatto pochi passi nel corridoio, che Neelah lo rincorse. Lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi. «Non dirmi che ti arrendi così!» sibilò, inviperita.

   «Che dovrei fare? Ribellarmi alla Flotta e prendere posto con l’Enterprise nello schieramento, come se niente fosse?» chiese l’uomo.

   «Beh, almeno cerca di dimostrare la tua innocenza».

   «Lo farò. Il processo serve a questo».

   «Il processo sarà troppo tardi. La battaglia è imminente!» insisté l’Aenar, spalancando gli occhi azzurri.

   «E io che ci posso fare?!» sbottò Chase. «Non mi piace la situazione, ma non vedo scappatoie. E poi, non sono così importante per la vittoria. Ci saranno migliaia di navi; dubito che l’Enterprise sarà decisiva. E anche se fosse... Ilia è un ottimo Capitano. Ha secoli d’esperienza più di me. La ritengo perfettamente all’altezza del compito».

   «Probabilmente è così» concesse Neelah. «Ma insomma, questa è la tua carriera... la tua vita! Non meriti d’essere trattato così a pesci in faccia dalla Flotta».

   «Forse è questo il tuo problema» notò Chase. «Il fatto che la mia carriera sia a rischio. Neelah, ormai stiamo insieme da quattro anni. Non dovrebbero esserci segreti fra noi» disse. La prese delicatamente per le spalle e l’avvicinò a sé, guardandola dritta negli occhi. «Dimmi la verità. Se la mia carriera fosse finita... se non tornassi mai più a comandare una nave stellare... saresti ancora interessata a me?».

   «Ma certo» disse l’Aenar, con gli occhi lucidi di commozione. «Non m’importa un fico secco dei tuoi gradi. Io voglio stare con te... qualunque cosa accada, dovunque finiremo». Lo baciò con trasporto. «Però sono anche tanto arrabbiata» aggiunse quando si staccarono. «Non con te, e nemmeno con la Flotta... ma coi Tuteriani. Perché questo era il loro piano, fin dall’inizio. È così evidente! Sei uno dei pochi Capitani che li ha battuti più volte, a dispetto della loro preveggenza. È chiaro che vogliono metterti fuori gioco. E siccome non sono riusciti ad ammazzarti, hanno escogitato quest’altro modo. Hanno messo quegli ostaggi nella Sfera sapendo che tu avresti ordinato il fuoco per proteggere Xindus. Così ti hanno fatto sospendere dal servizio, alla vigilia dell’ultima battaglia».

   «Ci avevo pensato... probabilmente è così» convenne l’uomo. «E questo aumenta i miei timori per lo scontro. Prima, in sala tattica, non ho voluto farlo pesare agli altri. Ma con te sarò sincero... ho un brutto presentimento per Procyon V. Ha tutta l’aria di una trappola».

   «Fino a poco fa sembravi più speranzoso» notò l’Aenar.

   «È vero, ma se i Tuteriani mi hanno messo fuori gioco di proposito, significa che ne ricaveranno un vantaggio. I Tholiani hanno ragione... non si dovrebbe mai accettare una grande battaglia quando il campo è favorevole al nemico. Non posso biasimarli se rifiuteranno di seguirci» sospirò Chase.

   «Alexander» disse Neelah, sussurrandogli all’orecchio. «Credi che dovremmo abbandonare l’Enterprise... prima che sia troppo tardi?».

   Chase rimase interdetto. Abbandonare la nave era qualcosa di talmente estraneo alla sua indole che fino a quel momento non gli era neanche passato per la testa. Ma si ricordò dell’Enterprise-I e del sacrificio di Serleen. Ci sono momenti, si disse, in cui le cose si fanno insostenibili e non resta che fuggire, lasciandosi tutto alle spalle. Non è codardia... è sopravvivenza.

   «Può darsi» bisbigliò, ancora più piano. Non credeva che sarebbe mai arrivato a dirlo, ma lo fece. «Tu almeno dovresti andare. Sei una delle menti del secolo. Hai aiutato la Flotta a contrastare le anomalie e a curare i virus. Sei troppo preziosa per perderti. Sei troppo preziosa per me. Quando saremo ad Andoria, scendi sul pianeta. Non sei nella Flotta Stellare – grazie al Cielo! – quindi nessuno farà storie. La tua vita, la tua carriera non ne risentiranno».

   «E tu che farai?» chiese Neelah, con un orribile presentimento.

   «L’ho detto... aspetterò nel mio alloggio, finché ci sarà il processo» rispose l’uomo. «Ho già abbandonato l’Enterprise-I. L’ho vista morire assieme ai miei colleghi, mentre io solo mi salvavo. Non accadrà di nuovo».

   «E non pensi a me?!» singhiozzò Neelah. «Che farò se tu e l’Enterprise doveste...? Non voglio perderti!». Il suo bel volto fu bagnato dalle lacrime e l’Aenar lo seppellì contro la spalla di Chase. Questi prese a carezzarle i lunghi capelli candidi, ma non aggiunse nulla. Il dolore gli trafiggeva il cuore come uno spillone. Nemmeno lui voleva perderla.

 

   Fu così che li trovò Grenk: abbracciati, con le lacrime agli occhi. «Capitano, devo parlarle con urgenza» disse, tenendo lo sguardo basso per l’imbarazzo.

   «Il Capitano è Dax; deve rivolgersi a lei» gli ricordò Chase, infastidito dall’intrusione.

   «Invece voglio parlare con voi due!» proruppe Grenk. Per tutta la riunione era stato insolitamente taciturno, ma ora sembrava sulle spine. Si guardò intorno con aria da cospiratore e li invitò a seguirlo in una cabina di teletrasporto. Una volta dentro, non digitò alcuna destinazione.

   «Allora, che c’è?» domandò Chase.

   «Poche ore fa ho ricevuto un segnale da una delle nostre sonde a lungo raggio» esordì il Tellarita, stropicciandosi le mani. «Da allora non ho fatto altro che filtrarlo ed esaminarlo, per capire se è attendibile. La mia conclusione è che sì, è autentico. E questo cambia tutto, capite... tutto! L’intera strategia dell’Unione a Procyon!» squittì, tremando per l’eccitazione repressa.

   «Aspetti, non la seguo» si accigliò Chase. «Che ha di tanto importante quel segnale?».

   «Veniva da una delle nostre sonde di classe 9. Se le ricorda? Sono quelle che abbiamo lanciato dopo Carraya IV. Quelle equipaggiate col sensore temporale... per scovare il Tox Uthat!» rivelò finalmente Grenk, strabuzzando gli occhietti porcini. Chase e Neelah lo fissarono sconcertati; ormai non speravano più che quel piano disperato desse frutto.

   «Riuscite a capire? Sappiamo dov’è l’arma contro le Sfere!» esultò il grasso Tellarita. «Sappiamo quando è; in che punto della linea temporale. Dobbiamo solo andarla a recuperare. Un lavoretto per la Phoenix... se il Capitano lo autorizzasse» disse, asciugandosi il sudore dalla fronte. Tacque, in attesa della risposta.

 

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Capitolo 4
*** La Cripta ***


-Capitolo 3: La Cripta

 

   «Dove si trova esattamente il Tox Uthat?» volle sapere Chase.

   «Nel sistema di Haakona. È una binaria gialla...» cominciò Grenk.

   «E si trova nello Stato Imperiale Romulano» l’interruppe Chase con fatalismo. «Fino all’ultimo ho sperato che l’Uthat fosse al di qua del confine. Non abbiamo accesso a quello spazio. Lo Stato Imperiale è rimasto neutrale, finora, e deve rimanerlo. Per non parlare del rischio che la Phoenix cada in mano a quel regime».

   «Mi ha ordinato di trovare l’Uthat e io l’ho trovato» bofonchiò Grenk, stringendosi le spalle. «Non è colpa mia se sta in un posto scomodo da raggiungere».

   «E in che secolo si trova?» chiese Neelah.

   «Nel XXVIII. Per la precisione nel 2779» rispose l’Ingegnere Capo.

   «Proprio l’epoca in cui si colloca il Tizio del Futuro» constatò Neelah, scambiando un’occhiata eloquente con Chase.

   Nei tre anni trascorsi da quando l’Aenar lo aveva intravisto, lei e il Capitano avevano cercato informazioni su quell’essere sfuggente. Avevano consultato database storici sull’Enterprise NX-01 e sulla Cabala sulibana. Avevano persino sfruttato le loro conoscenze nella Sezione 31 per accedere alle informazioni più riservate. Erano giunti alla conclusione che il Tizio del Futuro trasmetteva dal XXVIII secolo, cercando di destabilizzare alcuni governi del passato, specialmente nel XXII secolo. Non potendo viaggiare personalmente nel tempo, doveva accontentarsi d’inviare la sua immagine sfocata. Ed era nel passato che trovava individui disposti a servirlo, in cambio di tecnologie del futuro, come occultamento e potenziamenti genetici. Era paziente, astuto e metodico. Indovinare i suoi piani era difficilissimo, perché i suoi stessi servitori ne ignoravano il disegno. Uno dei segreti che custodiva più gelosamente era la sua identità... ma quando aveva intravisto la sua sagoma opaca, Neelah aveva avuto la netta sensazione che fosse un Romulano. I capelli a caschetto, l’uniforme dalle spalle quadrate e il modo di parlare lo suggerivano. Certo, poteva essere tutt’altro. Forse anche quella sagoma sfocata era un’immagine generata al computer, per celare il suo vero aspetto. Ma bisognava lavorare con gli indizi a disposizione.

   «Anche il luogo corrisponde» ammise Chase. «Dicesti che il Tizio sembrava un Romulano. E ora abbiamo la conferma che l’Uthat finirà in mano allo Stato Imperiale. Non fatico a credere che un regime agli sgoccioli tenti di alterare la Storia a proprio vantaggio».

   «Quindi che facciamo?» chiese Grenk.

   «Beh, l’Enterprise non può violare lo spazio dello Stato Imperiale... non in un momento come questo» disse Chase. «Quindi non possiamo neanche esaminare il sito nel presente, per farcene un’idea. E comunque solo la Phoenix può viaggiare nel tempo».

   «Ma la Phoenix non è una nave da guerra» disse Neelah. «Anche con gli ultimi miglioramenti, resta una piccola navetta che può trasportare quattro o cinque persone al massimo. Non sono abbastanza per affrontare una fazione semisconosciuta della Guerra Temporale».

   «No, non bastano» convenne Chase. «Senza contare che, in caso di fallimento, consegneremmo al Tizio del Futuro proprio ciò che vuole: la possibilità di viaggiare personalmente nel tempo».

   «Allora è stato tutto inutile!» sbuffò Grenk. «Il sensore temporale... le sonde... non ci servono a niente. Abbiamo localizzato l’arma, ma non possiamo raggiungerla!».

   «Possiamo, anche se è una missione suicida» obiettò Chase. «Il tipo di missione che la Flotta Stellare non autorizzerebbe mai».

   «Non penserà mica di...» fece il Tellarita, squadrandolo preoccupato. «Io pensavo che, se proprio voleva rischiare, avrebbe mandato i Corpi Speciali!».

   «Non sono più il Capitano, quindi non ho nessuno da mandare all’infuori di me» disse Chase. «Preferisco così, piuttosto che girare i pollici nel mio alloggio, aspettando la battaglia».

   «Verrò con te» disse Neelah. «Sono stata la prima a sentir parlare del Tox Uthat. Io ho deciso di affrontare i Vorgon per impadronirmene, invece di tornare qui ad avvertirti. Io me lo sono fatto sfuggire dalle mani. Tutta questa situazione è colpa mia. Devo rimediare... devo completare la ricerca cominciata tre anni fa».

   «Temevo che l’avresti detto» sospirò Chase. «Più investigo sulla Guerra Temporale e più mi chiedo se esiste quello che chiamiamo “destino”. Forse sì. Forse è destino che tentiamo ancora di conquistare l’Uthat, anche se tutto congiura contro di noi. Ma sarà una missione disperata. Non so neanche se informare Ilia e Terry. Non credo che ci lascerebbero prendere la Phoenix, conoscendo i rischi».

 

   «Che significa questo? Dov’è il Capitano Chase?» chiese l’Ammiraglio Ziz, quando Ilia si presentò alla riunione degli Inorganici.

   «Il Capitano Chase non è più al comando dell’Enterprise. Ora discuterete con me» rispose la Trill.

   «Il Capitano non ci aveva avvisati di questo cambiamento» notò il Tholiano. «Ci ha tenuti volontariamente all’oscuro, oppure nemmeno lui ne era informato?».

   «Non era informato» disse Ilia. Detestava ammetterlo, ma fingere il contrario avrebbe indispettito ancor più gli Inorganici.

   «Per quale motivo è stato sollevato dal comando? E dove si trova in questo momento?» insisté Ziz.

   «È ancora sull’Enterprise» spiegò Ilia, cominciando dalla risposta più facile. «È sotto inchiesta per aver distrutto una Sfera che conteneva molti ostaggi federali. Ma le circostanze non permettevano di liberarli, quindi non è stata colpa sua...» incespicò.

   «E allora perché la vostra Flotta lo sta processando?» chiese giustamente il Tholiano.

   «Per il loro stupido regolamento, che gli lega le mani!» insorse l’ambasciatore Sheliak, levando un arto roccioso. «Vedete, colleghi? La Flotta Stellare è così inefficiente e contraddittoria che punisce i suoi stessi Capitani, solo perché hanno fatto il loro dovere!».

   «Rimuovere Chase alla vigilia dello scontro decisivo è un grave errore tattico per l’Unione» affermò il Melkotiano, ondeggiando il lungo collo verdastro, mentre gli occhi scintillavano più del solito.

   «Probabilmente è una strategia dei Tuteriani per disfarsi di lui» aggiunse l’ambasciatore di Excalbia, facendo schioccare gli artigli bianchi.

   «Noi avevamo imparato a rispettare il Capitano Chase. Ci fidavamo di lui» concluse Ziz. «Ma se l’Unione stessa non lo fa... di chi possiamo fidarci? Del suo sostituto, che è qui per chiederci di mandare le nostre forze allo sbaraglio?» chiese, additando Ilia con uno degli arti superiori. «Sì, Capitano Dax, sappiamo perché è qui. La sua Unione ha deciso di attaccare Procyon. È maldestra e avventata. Voi Organici siete sempre i soliti... ma non ci trascinerete nella vostra rovina. Andate a Procyon, se volete. Ma noi resteremo qui, a proteggere i nostri mondi».

   «Ammiraglio, la prego di ascoltare almeno il nostro piano...» supplicò Ilia.

   «Non c’interessa. Ora se ne vada» ordinò il Tholiano.

   «Vado, sì. A combattere e forse a morire» disse Ilia, passando uno sguardo duro sugli Inorganici che la circondavano ostili. «Ma ricordate: finché la battaglia non sarà conclusa, potrete ancora intervenire. Dopo sarà tardi. Se il Fronte prevarrà, non ci sarà più scampo per nessuno. Organici e Inorganici saranno egualmente distrutti dalle anomalie. O forse saremo semplicemente cancellati dalla Storia» concluse la Trill, dando le spalle agli alieni.

   Il collegamento con Tholia fu interrotto e il ponte ologrammi si disattivò, prima ancora che il Capitano Dax ne varcasse l’ingresso ad arco.

 

   Pochi giorni dopo, l’Enterprise orbitava intorno al piccolo mondo ghiacciato di Andoria. Diversamente da ciò che molti credevano, non era un pianeta vero e proprio. Era infatti un satellite, orbitante intorno al gigante gassoso Andor, dalla turbinosa atmosfera verde-azzurra e i brillanti anelli di ghiaccio. Altri satelliti s’intravedevano in lontananza. In quella cornice suggestiva si radunavano le astronavi federali, Klingon e Romulane. Le tre potenze stavano richiamando tutte le loro forze, dalle grandi flotte di difesa planetaria a singole navi in missione. Alcuni vascelli erano così lontani che serviva tempo per farli arrivare. Intanto gli Ammiragli facevano piani di battaglia e gli equipaggi preparavano se stessi e le navi alla prova più dura. Squadre tecniche percorrevano da cima a fondo le astronavi, riparando i danni degli ultimi scontri. Ogni sezione faceva l’inventario per vedere se mancava qualcosa d’importante, con particolare attenzione alle attrezzature mediche. Gli ufficiali di plancia e il personale della Sicurezza eseguivano simulazioni di battaglia. Se c’erano civili a bordo – sfollati dalle zone di guerra – bisognava trasferirli su Andoria o su altri mondi vicini. Gli equipaggi, inoltre, stavano registrando le ultime lettere da inviare a famiglie e amici. Alcune erano speranzose, ma le più avevano il tono di messaggi d’addio, quando non erano veri e propri testamenti.

   La frenesia dei preparativi non risparmiava certo l’Enterprise. L’equipaggio faceva del suo meglio, anche se la rimozione di Chase suscitava perplessità e malumori. Ilia faceva il possibile perché la nave fosse pronta alla battaglia e Terry aveva proiezioni un po’ ovunque, per aiutare l’equipaggio nelle ultime incombenze. Con così tante persone tese e affaccendate, nessuno notò il terzetto che si radunò davanti all’hangar 5.

   «Via libera» disse Grenk, invitando Chase e Neelah a entrare. Nessun altro passava per il corridoio, al momento. E i sensori interni della sezione erano momentaneamente disattivati, con la scusa di una ricalibratura. L’Umano e l’Aenar entrarono in fretta; la tensione si allentò solo quando il portellone si richiuse alle loro spalle. Vestivano abiti civili scuri, con molte tasche piene di attrezzi e lunghi impermeabili neri che svolazzavano come mantelli.

   «È tutto pronto?» domandò Chase, accostandosi alla Phoenix. La navetta temporale scintillava come se fosse appena uscita dal cantiere. L’ingresso sul retro era aperto.

   «Sì, ho caricato tutto» confermò Grenk. «Armi, provviste, medicine. Anche un faro temporale, se le cose si mettessero male».

   «Non so chi potrebbe venire in nostro soccorso. Forse più nemici che amici» disse Neelah, ricordando come persino Kal Dano, l’inventore del Tox Uthat, non avesse attivato il suo faro temporale, per timore delle fazioni ostili.

   «L’occultamento e il teletrasporto sono i più moderni della Flotta» spiegò l’Ingegnere Capo. «La mia speranza è di avvicinarci indisturbati e prendere l’Uthat a bordo senza nemmeno scendere dalla navetta».

   «Ne dubito; dovremo affrontare una tecnologia di duecento anni più progredita della nostra» ricordò Chase. «Ma perché dice “noi”? Il suo lavoro qui è finito».

   «Signore, ho dedicato la mia vita a questa navetta» rispose il Tellarita, indicando la Phoenix con la manona pelosa. «L’ho costruita per un giorno come questo, in cui fosse l’ultima speranza per la Federazione. Non starò a guardare mentre parte. E poi il mio aiuto vi farà comodo».

   «Ma come, non ti era venuta la fobia del viaggio nel tempo?» chiese Neelah, rivalutandolo. «Dopo la disavventura nello Specchio, avevi giurato di non ripetere l’esperienza».

   «È vero... ma ora i giochi sono troppo importanti» spiegò Grenk. «Non mi farò bloccare dalla paura. E poi, rischierei anche restando sull’Enterprise».

   «Ma l’Enterprise avrà bisogno del suo miglior ingegnere, quando sarà in battaglia» obiettò Chase. «Grazie per l’offerta, è molto coraggiosa. Ma il suo posto è qui».

   «Così sarete solo in due» notò il Tellarita. «Pochi, per affrontare gli orrori del futuro».

   «Non saranno soli» disse Ilia, uscendo da un campo occultante. «Signor Chase, non crederà di poter sbarcare dalla mia nave senza permesso?» chiese, mentre anche Terry le compariva a fianco.

   «Sono un civile, ora. Posso farlo» rispose Chase, con un sorriso sardonico. Come aveva pensato di andarsene senza che Terry lo scoprisse? E dopo averlo scoperto, non poteva che informare il nuovo Capitano.

   «Non è stato espulso dalla Flotta; il processo deve ancora tenersi» obiettò Ilia. «Ma se anche fosse... quella navetta appartiene alla Flotta Stellare» aggiunse, indicando la Phoenix.

   «Vuole arrestarmi? E allora lo faccia subito, senza tante chiacchiere» tagliò corto Chase. «Ricordi, però, che questa potrebbe essere l’ultima speranza per l’Unione» aggiunse, additando la crono-navetta.

   «Sì, l’ho capito quando i Tholiani e gli altri Inorganici hanno ritirato il loro appoggio» ammise Ilia. Si avvicinò alla Phoenix, osservandola con interesse. «Signori, avete pensato che succederebbe se questo Tizio del Futuro s’impadronisse della navetta?».

   «Ci ho pensato, sì!» sbuffò Grenk. «È impostata per tornare automaticamente al presente, se nessuno la toccherà per più di un’ora. E se ci saranno ingressi non autorizzati, si attiverà l’autodistruzione».

   «Così rimarreste bloccati nel futuro» notò Terry.

   «Se non potremo riportare indietro il Tox Uthat, cercheremo almeno di distruggerlo» disse Neelah. «Così il Tizio del Futuro non lo userà per delinquere nel suo secolo».

   «E vorreste farlo voi due» disse Ilia, scuotendo la testa incredula. «Non so cosa vi sia passato per la testa, ma... non posso permetterlo».

   «E allora mi arresti, su!» sbottò Chase. «Ma in nome degli anni di servizio trascorsi insieme, le chiedo un ultimo favore: lasci Neelah fuori da questa storia. Siamo nell’orbita di Andoria; la sbarchi sul pianeta».

   «Eh no, non ti lascio in cella!» protestò l’Aenar.

   «Mi avete frainteso» disse Ilia con educazione. «Non posso permettervi di svolgere questa missione da soli. Vi serve aiuto. E siccome siamo fuori dal protocollo, non posso scegliere tra il personale della Sicurezza. Fortunatamente qui ad Andoria si stanno radunando combattenti da mezza Galassia. Alcuni sono indipendenti dall’Unione... chiamateli pure mercenari. Altri mi devono dei vecchi favori. E questi ricadono in entrambe le categorie».

   La Trill schioccò le dita e due colossali cacciatori Hirogeni emersero dal campo occultante alle sue spalle. Le armature blu dalle linee ondulate, che li facevano sembrare creature marine, li rendevano ancora più imponenti. Avevano elmi che scoprivano il volto, vagamente anfibio, e impugnavano fucili a tetrioni che sembravano enormi persino in mano loro.

   Chase guardò Ilia con gratitudine; non occorrevano parole. Poi si avvicinò ai due Hirogeni. Per quanto fosse alto, gli arrivava appena alle spalle. «Bene, bene... chi di voi è l’Alfa?» chiese, con piglio militaresco.

   «Io sono l’Alfa» rispose quello che aveva una linea di vernice rossa sull’elmo. «E lui è il mio Beta» aggiunse, accennando al collega. Questi era un po’ più piccolo e aveva due linee di vernice bianca sull’altro lato dell’elmo.

   «Conoscete la missione?» domandò Chase.

   «Recuperare un’arma dal futuro per sconfiggere il Fronte» rispose l’Alfa.

   «Come sappiamo che non la terrete per voi?» chiese Neelah.

   «Siamo cacciatori e a volte mercenari» rispose l’Alfa, impassibile. «Il nostro popolo è sparpagliato in mezza Galassia e non può compattarsi contro il Fronte. Ma comprendiamo la necessità di respingerlo. Se lo spazio verrà trasformato, non ci saranno più cacce né trofei. Sarà la fine del nostro stile di vita. Per questo vi aiuteremo a conquistare l’Uthat. E ve lo lasceremo usare contro i Costruttori di Sfere».

   Chase non indagò oltre. A preoccuparlo era soprattutto cosa avrebbero fatto gli Hirogeni dopo la battaglia. Una specie come la loro, sempre a caccia di trofei, difficilmente si sarebbe fatta sfuggire l’Uthat. Ma doveva affrontare un problema alla volta. Non sapeva nemmeno se sarebbero riusciti ad avvicinarsi all’arma. «Salite a bordo, allora. Partiamo subito» disse.

   Senza aggiungere altro, gli Hirogeni entrarono nella navetta: per primo l’Alfa, per secondo il Beta. Dovettero faticare per passare dalla porticina sul retro. E dire che Grenk l’aveva allargata, durante l’ultimo upgrade, per adattarla alla sua pancia in continua espansione.

   «A questo punto è inevitabile che lei resti» disse Chase, osservando il girovita di Grenk. «Non riusciremmo a stare tutti nella Phoenix».

   «La prossima volta che costruisco una crono-navetta, giuro che la faccio più grande!» si promise l’Ingegnere. Aveva realizzato la Phoenix prima che scoppiasse la guerra, anche se l’aveva messa a punto solo durante il conflitto. Nel progettare lo scafo pensava a un prototipo per condurre esperimenti, non a una navetta da usare effettivamente in missioni di guerra.

   «Sei ancora certa di volerci seguire?» domandò Chase alla compagna. «Siamo nell’orbita di Andoria, possiamo sbarcarti in qualunque momento».

   L’Aenar respirò a fondo, guardandolo negli occhi. «Ho fatto la mia scelta» disse con fermezza. «Quando ho avuto dei problemi, tu mi sei sempre rimasto vicino... persino dopo Carraya IV. Ora tocca a me. E concluderemo la caccia all’Uthat, in un modo o nell’altro». Senza aspettare risposte, entrò nella Phoenix.

   Chase rimase con Ilia e Terry. «Beh, spero di rivedervi» le salutò, un po’ imbarazzato. Non gli piaceva abbandonare l’Enterprise così alla chetichella, alla vigilia dell’Armageddon, ma non c’era alternativa. «Se tornassimo durante la battaglia, cercate di riprenderci a bordo... a patto di non esporre troppo la nave» raccomandò.

   «Potreste tornare qui nel presente, subito dopo la vostra partenza» suggerì Terry.

   «Potremmo... ma con tutte queste fazioni della Guerra Temporale che cercano l’Uthat, forse è meglio non dare a nessuno la possibilità di levarcelo» disse Chase. «Se capiremo come funziona, lo porteremo direttamente in battaglia. Altrimenti sì, ci vedrete tornare subito dopo la partenza» decise.

   «Quindi se non tornerete all’istante saprò che le cose sono andate o molto bene, o molto male» sospirò Ilia. «E sia! Ma ho un’altra proposta da farle, prima che vada» disse, accennando a Terry. La proiezione isomorfa si fece avanti, con una luce furbetta negli occhi a mandorla.

 

   La nave ammiraglia dei Na’kuhl non aveva un nome noto all’Unione, ma per comodità d’espressione era stata battezzata Eclipse dagli strateghi federali. In quel momento, l’Eclipse stazionava sul limitare dello sterminato schieramento del Fronte Temporale. Le altre navi Na’kuhl, molto più piccole, sembravano insetti al suo confronto. Erano in una bolla di spazio non trasformato, ma la schiuma quantica rossastra generata dalle Sfere le circondava da ogni lato. Accanto ai Na’kuhl si erano radunati anche i Vorgon, con le loro grandi astronavi organiche.

   Gli alloggi privati del Leader Supremo Vosk si trovavano nella zona più interna e riposta della colossale astronave, non lontano dalla plancia. Erano tetri come l’animo del loro occupante. Avevano pareti nere e scabre, di Materia Degenere super-compatta, ed erano rischiarati solo da poche luci sanguigne negli spigoli.

   «Avanti» disse Vosk, quando un suono gracchiante lo avvisò che qualcuno era alla porta. La Materia Degenere dell’ingresso svanì, risucchiata dagli stipiti come fosse pece. L’ospite entrò nell’alloggio e Vosk le venne incontro.

   «Perdonate l’ora, Leader Supremo» disse Ifrit, la sua stratega di fiducia, mentre la Materia Degenere rifluiva per chiudere la porta dietro di lei. «I nostri ricognitori occultati hanno confermato che l’Unione sta radunando le sue forze ad Andoria» disse soddisfatta.

   Come tutti i Na’kuhl, Ifrit aveva un aspetto vampiresco: pelle cadaverica, occhi rosso sangue, zigomi sporgenti, denti affilati. Le vene erano in evidenza, come anche le suture craniche, ma questo era meno evidente che in Vosk, per via dei capelli. Erano lisci e completamente bianchi; per praticità la stratega li teneva raccolti in una lunga coda. Secondo il criterio estetico dei Na’kuhl, Ifrit era piuttosto attraente.

   «Dunque sono caduti nella mia trappola, come avevo previsto» constatò Vosk. «Che mi dici dei Tholiani e degli altri Inorganici?».

   «Sono ancora radunati a Tholia, ma non si muovono da lì» rispose Ifrit. «Ormai è chiaro che non aiuteranno l’Unione; hanno capito che sarebbe un suicidio. Invece l’Enterprise si è unita alla flotta su Andoria».

   «Immaginavo che l’avrebbe fatto» disse Vosk. «I Tuteriani sono stati abili a sbarazzarsi di Chase. Tutti questi anni sprecati cercando di ucciderlo, quando bastava farlo processare dal suo stesso comando! Ma in fondo mi spiace che sia andata così. Avrei preferito affrontarlo in battaglia e sconfiggerlo innanzi alla Galassia. Ah, ma sentimi... parlo come uno stupido Klingon!» sogghignò. «L’importante è che Chase sia fuori gioco; non importa come».

   «Ora l’Enterprise è sotto il comando di Ilia Dax» disse Ifrit. «Ha secoli d’esperienza, ma proprio per questo le sue tattiche sono un po’ antiquate».

   «Le navi di classe Universe saranno al centro dello schieramento dell’Unione, quindi se ne occuperanno i Tuteriani» ragionò Vosk. «Peccato... da quando ci siamo scontrati presso la Terra sogno di chiudere i conti con l’Enterprise. Non importa. Nessuna astronave può stravolgere l’esito di una simile battaglia. Saranno i numeri e la strategia a garantirci la vittoria».

   «Con l’aiuto dell’Impero Terrestre sarà facile accerchiare l’Unione» convenne Ifrit. «Difenderemo le Sfere finché gli scudi nemici cederanno. A quel punto i Tuteriani potranno manifestarsi nelle astronavi dell’Unione, sabotandole dall’interno... e sarà la fine».

   «La fine della guerra, ma l’inizio del nostro Impero» corresse Vosk. «Ci siamo preparati a lungo e ora l’abbiamo a portata di mano. Fonderemo un Nuovo Ordine che ci garantirà la supremazia sulle razze inferiori. Un ordine che durerà più delle stelle!».

   «E il merito sarà tutto vostro, mio signore» sorrise Ifrit, avvicinandosi.

   «Anche tuo» riconobbe Vosk. «Sei stata abile e fedele. Quando tutto sarà finito, voglio che tu rimanga al mio fianco».

   «Non desidero altro» sussurrò Ifrit, facendosi ancora più appresso. Non si baciarono: non era usanza dei Na’kuhl. Ma Vosk le annusò i capelli e le accostò i denti al collo. Poteva sentire il sangue che pulsava sotto la pelle, caldo e invitante.

   «Vuoi brindare alla vittoria?» chiese il Leader Supremo, dominandosi.

   «Volentieri... che annata?».

   «Per te solo il meglio, mia cara: succo caldo di spremitura» garantì Vosk. La condusse nella saletta degli aperitivi, dove c’era un basso tavolo con alcune sedie. Vi era anche una credenza, contenente ciotole e vassoi d’argento, e una gabbietta in cui strisciavano alcune grosse sanguisughe nerastre. Non c’erano bottiglie, né bicchieri; i brindisi dei Na’kuhl seguivano un’altra logica.

   «Vosk a cucina, mandatemi un aperitivo» ordinò il Leader Supremo. Pochi attimi dopo un prigioniero umano fu teletrasportato lungo disteso sul tavolino. Era legato con le braccia lungo il corpo e portava una mordacchia per impedirgli di urlare. Subito la Materia Degenere del tavolo si sollevò, imprigionandogli polsi e caviglie, così che fosse ancor più immobilizzato. Tutto ciò che il poveretto poté fare fu fremere dalla testa ai piedi e strabuzzare gli occhi, quando i Na’kuhl gli si avvicinarono.

   Ifrit si chinò sul prigioniero, annusandolo famelica. «Mmmhhh... il sangue ferroso degli Umani è inebriante!» commentò, leccandosi le labbra.

   «Ne abbiamo una discreta scelta. Se preferisci, posso offrirti una donna o un bambino...» suggerì Vosk.

   «Questo è perfetto».

   «Allora brindiamo» disse il Leader Supremo. Aprì il coperchio della gabbia e ne trasse un paio di sanguisughe, che applicò ai polsi del prigioniero. Il disgraziato si scosse per l’orrore e il dolore, ma immobilizzato com’era non poté liberarsene. In un paio di minuti le creature aliene gli succhiarono una considerevole quantità di sangue, ingrossandosi a dismisura. L’Umano invece divenne pallido e sudato, finché svenne per lo shock psico-fisico. Allora Vosk rimosse le sanguisughe, offrendone una alla compagna. Il prigioniero fu teletrasportato nuovamente nella sua cella – ma era più corretto chiamarla dispensa – dove sarebbe rimasto fino al prossimo brindisi.

   I due Na’kuhl sollevarono le sanguisughe, piene di sangue ancora caldo, come se fossero bicchieri. «Al Nuovo Ordine!» disse solennemente Vosk. Lui e Ifrit si portarono le disgustose creature alla bocca e le spremettero, assaporando il sangue umano che avevano raccolto. Poi divorarono anche quelle con pochi morsi decisi.

 

   Quando Chase entrò nella Phoenix, Ilia e Terry lo osservarono con un groppo in gola. La porta si richiuse alle sue spalle e la navetta prese a ronzare, man mano che i sistemi interni si attivavano.

   «È un rischio enorme» disse Terry. «Forse non avremmo dovuto lasciarli andare. Non riesco a calcolare di preciso le loro probabilità di successo, ma... sono terribilmente basse».

   «Scelta disperata per tempi disperati» disse Ilia, osservando la Phoenix con le mani incrociate dietro la schiena.

   La crono-navetta si dissolse. La Trill s’irrigidì e trattenne il respiro, mentre i secondi passavano. Poteva sentire il cuore che le martellava in petto. Dietro la schiena, le sue mani erano così serrate che le nocche sbiancarono. Alla fine dovette esalare il fiato.

   «Non sono tornati» costatò Terry, visibilmente delusa. «O sanno usare l’Uthat, e compariranno in battaglia... oppure la missione è fallita».

   «Non possiamo sperare che tornino magicamente all’ultimo minuto per risolvere tutto» disse Ilia, con le labbra esangui. «Dobbiamo supporre che abbiano fallito. Probabilmente sono morti. E l’Uthat è ancora in mano al nemico. Speriamo che non lo sia anche la Phoenix, o è davvero la fine».

   La Trill si avvicinò al punto in cui la navetta temporale era svanita. «Addio, Capitano... è stato un onore» mormorò. Poi si voltò di scatto e andò verso la porta, seguita da Terry. «Torniamo in plancia. C’è ancora molto da fare» disse, con il cuore oppresso dai cattivi presentimenti.

 

   La stella Hakoona I, la maggiore delle binarie, era così fulgida che lo schermo olografico della Phoenix doveva filtrarne la luce. La piccola navetta era sola nell’immensità dello spazio. A bordo c’erano solo quattro persone: Chase, Neelah e i due mercenari Hirogeni. I primi due sedevano ai comandi, mentre i Cacciatori stavano in piedi.

   «Eccolo qui, il futuro» commentò Chase, che pilotava la navetta. «Non pensavo che lo avrei mai visto. Duecento anni più avanti...» disse assorto, contemplando le stelle. Non si era mai sentito così proiettato nell’ignoto, così lontano da tutto ciò che gli era familiare. Chissà se l’Unione esisteva ancora, e in che condizioni.

   «Sono 223 anni, per l’esattezza» corresse Neelah. «Il primo viaggio nel tempo non si scorda mai... ma se continui a farne, alla fine ti abitui».

   «Tu sei una veterana» riconobbe Chase. «È il tuo quinto balzo, se non ricordo male».

   «Sì, tutti gli altri avvennero tre anni fa, durante la caccia al Tox Uthat» ricordò l’Aenar. «Beh, diamoci da fare. Esamino il sistema» disse, attivando i sensori.

   «Rilevi astronavi? Basi stellari? Installazioni sui pianeti?» chiese l’Hirogeno Alfa, impaziente.

   «Un momento» fece la scienziata. «Questo sistema ha solo tre pianeti rocciosi. Non rilevo nulla d’artificiale, né in superficie, né in orbita» disse a disagio.

   «Dovremo avvicinarci ai pianeti per fare scansioni più approfondite» suggerì l’Hirogeno Beta, parlando per la prima volta.

   «Possiamo fare di meglio» disse Neelah, concentrata sui comandi. «Attivo il sensore temporale. Ora che siano qui, ci permetterà di localizzare il Tox Uthat con precisione millimetrica». Trascorsero alcuni secondi carichi di tensione. Poi una spia rossa si accese. «Ci siamo!» si emozionò l’Aenar. «Ho localizzato l’Uthat a poco meno di un’unità astronomica da qui... in quella direzione» disse, additando la stella.

   «Non ci starà cadendo dentro!» si stupì Chase. «Quant’è vicino alla superficie?».

   «Abbastanza» rispose Neelah, leggendo i dati del sensore. «82 milioni di km dalla fotosfera. Se ci fosse un pianeta, sarebbe rovente. Però non rilevo nulla... è come se l’Uthat fosse alla deriva nello spazio».

   «Forse era su un’astronave che è stata distrutta» ipotizzò l’Hirogeno Beta, ma l’Alfa scosse la testa.

   «In quel caso rileverei i rottami; invece niente» disse la scienziata. «Ho il segnale del sensore temporale, ma i sensori normali non trovano nulla!».

   «L’unica possibilità è che l’arma si trovi dentro un’astronave o una base occultata» comprese l’Alfa. «Il tuo sensore temporale è l’unico in grado di attraversare l’occultamento».

   «Potrebbe essere una trappola» avvertì il Beta. «Forse sanno che siamo qui e ci aspettano al varco».

   «Il nostro occultamento è in funzione da quando siamo arrivati» disse Chase. «Quindi spero che non ci abbiano rilevati... anche se col loro vantaggio tecnologico non si può mai dire. Per sicurezza alzo anche gli scudi».

   «Cosa sappiamo del nemico?» chiese l’Alfa.

   «Non molto» ammise l’Umano, mentre un lieve ronzio dal nucleo temporale avvertiva che gli scudi erano in funzione. «Il loro leader può inviare la propria immagine nel passato e cerca di alterare la storia. Ma non è chiaro chi voglia avvantaggiare, quindi abbiamo difficoltà a riconoscere la sua fazione. L’unico vero indizio è che siamo nello Stato Imperiale Romulano».

   «Conosco i Romulani. Alcuni del mio popolo combatterono per loro come mercenari, durante la Guerra Civile e anche dopo» ricordò l’Alfa. «Se sono i nostri avversari, dobbiamo essere cauti. Poche specie sono astute e infide come i Romulani».

   «Mi avvicino a bassa velocità» disse Chase, dirigendo la Phoenix verso il segnale. «Poi cercherò di agganciare l’Uthat con il teletrasporto».

   «Non sarà così facile» avvertì l’Alfa, controllando il suo fucile tetrionico.

 

   La Phoenix si avvicinò lentamente alle coordinate del Tox Uthat, mentre la luce e il calore della stella Haakona I continuavano ad aumentare. Chase non puntò direttamente all’obiettivo, ma seguì una rotta a vite, per esaminare la zona da varie angolazioni. Non ci furono novità. La stella riempiva ora gran parte dell’oloschermo, tanto che gli occupanti della navetta ne vedevano distintamente la fotosfera.

   «La temperatura dello scafo è di 200º C» avvisò Neelah. «Rilevo intense radiazioni elettromagnetiche dalla stella, oltre a flussi di particelle cariche e neutrini. Valori nella media, per una stella di questa massa. Ma soprattutto... siamo vicini al Tox Uthat».

   Fu allora che una vasta sagoma scura apparve contro la superficie gialla della stella. Si materializzò dall’alto verso il basso, man mano che usciva dall’occultamento. Era un’immensa stazione, più grande del perduto Hangar Spaziale Terrestre. Si componeva di vari blocchi squadrati, uniti in uno strano schema asimmetrico. Il corpo centrale era un mosaico di finestre, minuscole in confronto alla struttura. Era di colore verde scuro, tendente al nero; anche le finestre emanavano una luce verdastra.

   Chase sentì un brivido lungo la spina dorsale. Quella stazione aveva un’aria malvagia, come di un bubbone che stesse per esplodere. Certe zone sembravano abbandonate, perché dalle finestre non proveniva alcuna luce. In altri punti lo scafo liscio s’interrompeva, lasciando il posto a un intrico di tubature e travi a vista. Non capiva se quelle zone fossero in costruzione, o avessero ricevuto dei danni, o se venissero smontate. «Dati» chiese, nascondendo il timore.

   «La stazione è lunga dodici km e alta nove» lesse Neelah dal rapporto sensori. «È corazzata e impenetrabile ai sensori. Ma considerando il suo volume – in particolare le estensioni urbane al centro – direi che può ospitare qualcosa come 150.000 persone».

   «Una città nello spazio» commentò Chase. «E se avete ancora dubbi su chi siano i padroni, guardate lì» disse, indicando un emblema dipinto sullo scafo. Neelah e gli Hirogeni si allungarono verso l’oloschermo. Non potevano sbagliarsi: il rapace con le ali spiegate era il simbolo dello Stato Imperiale Romulano.

   «Accedi al database sui Romulani» consigliò Chase. «Confronta la stazione con quanto sappiamo sulle loro basi. Magari è la lontana erede di qualcosa che conosciamo».

   «Sto cercando analogie, ma... è strano» disse l’Aenar, aggrottando la fronte mentre scorreva il database. «Quella stazione non sembra affatto l’evoluzione di un design già noto. Al contrario, somiglia a stazioni piuttosto vecchie».

   «Quanto vecchie?».

   «Fine XXIV, inizio XXV secolo» rispose l’Aenar. «Non mi stupirei se la stazione fosse così antica, anche se l’hanno in parte ristrutturata. Guarda qui» disse, ingrandendo una sezione della base. Un reticolo di travi e tubi neri era inchiavardato sullo scafo verde. «Questo mi preoccupa più di tutto il resto. Ho difficoltà ad avere letture, ma... si tratta senz’altro di tecnologia Borg. La conosco bene, l’ho usata nei miei esperimenti».

   «Se i Borg sono tornati e hanno assimilato la stazione, dobbiamo andarcene» disse bruscamente l’Hirogeno Alfa. «Affrontare la Collettività è superiore alle nostre forze».

   «Non è detto che siano i Borg» obiettò Chase, studiando la stazione. «Nei suoi primi tempi, lo Stato Imperiale Romulano riuscì a recuperare della tecnologia Borg, adattandola alle sue navi. Creò degli ibridi pericolosissimi, come la Narada».

   «Pensi che la Narada sia uscita da qui?» chiese Neelah, inquadrando una zona della stazione equipaggiata come un cantiere navale.

   «Penso che stiamo per scoprirlo» disse Chase. «Ci ha agganciati un raggio traente». Il raggio era invisibile, ma potentissimo. La Phoenix non aveva possibilità di sfuggirgli.

   «Rimoduli gli scudi per sfuggirgli!» consigliò l’Hirogeno Beta.

   «Calma, ragazzo» disse l’Alfa. «Il nostro obiettivo è entrare in quella stazione. Questo è il modo più semplice. Una volta dentro, vedremo il da farsi. Ricorda: a volte un cacciatore deve diventare la preda della sua preda, per attirarla in trappola».

   «Per adesso sono loro che ci stanno intrappolando» mugugnò il Beta.

   «Facciamo ancora in tempo a tornare nel XXVI secolo» ricordò Neelah, osservando i comandi del nucleo temporale.

   «Tornare a mani vuote? No, dobbiamo andare sino in fondo» disse Chase, contemplando con sguardo duro la stazione sempre più vicina. Lui e Neelah si strinsero la mano, sotto alla consolle dei comandi, per darsi coraggio a vicenda.

   Il raggio traente diresse la Phoenix verso la zona inferiore della stazione, dove si trovavano numerosi hangar di varie misure. Erano tutti chiusi da portelloni, salvo uno, che si aprì per accogliere la navetta. Si spalancò verso l’alto come una bocca vorace. La Phoenix attraversò un campo di forza che tratteneva l’atmosfera, passando in un attimo dalla luce e dal calore intenso dell’esterno alle tenebre dell’hangar. Il portello le si richiuse subito dietro, coprendo la brillantezza della stella. La stazione aveva chiuso le fauci sulla Phoenix.

 

   Una fioca luce verde si diffuse gradualmente nell’hangar. Era un ambiente vasto, ma stranamente ingombro di cianfrusaglie. Container di varie forme e misure erano allineati lungo le pareti o ammucchiati in vari punti. Navette sventrate e arrugginite erano sparse qua e là, con i pezzi smontati che ingombravano il pavimento. Strane tubature nerastre correvano sul pavimento o aderivano alle pareti. Alcune sembravano veri e propri tentacoli, avviticchiati al metallo. C’erano molti angoli bui, in cui s’indovinavano dei movimenti. Ne uscivano suoni sgradevoli, come di metallo che strisciasse su altro metallo.

   Chase uscì dalla navetta con un fucile phaser in pugno e si guardò intorno, prestando attenzione ai dettagli dell’ambiente: luci e ombre, nascondigli e ostacoli, armi improprie e potenziali pericoli. Lo seguirono i due cacciatori Hirogeni, minacciosi nelle loro armature blu e con i fucili tetrionici spianati. Gli fecero ala, allargandosi leggermente. Anche loro stavano esaminando l’hangar, con l’occhio esperto di chi considera ogni luogo un campo di battaglia. Per ultima venne Neelah, con un phaser in pugno. Era un modello a pistola, così piccolo e discreto da nascondersi quasi nella mano, ma era comunque un’arma letale. I quattro avanzarono in mezzo al ciarpame.

   «Qui nessuno fa le pulizie da un pezzo» notò Chase.

   «Lo stato di abbandono conferma le letture dei sensori» disse Neelah. Quando la Phoenix aveva varcato l’hangar, erano riusciti ad analizzare l’interno della stazione. Avevano anche localizzato con precisione il Tox Uthat, ma un campo di dispersione gli aveva impedito di teletrasportarlo. «La stazione è semi-abbandonata. Ci vivono 50.000 persone, un terzo della capienza regolare».

   «La diagnosi è esatta, dottoressa» disse una voce melliflua. Tutti si voltarono in quella direzione, con le armi spianate. Una figura si stagliava nell’ombra, riconoscibile solo per la sagoma che proiettava sulla parete di fondo verdastra.

   Chase riconobbe i tratti che Neelah gli aveva descritto: capelli a caschetto, spalle quadrate, postura rigida e militaresca. Era il misterioso padrone della Cabala sulibana, nonché l’informatore dei Vorgon. Il capo indiscusso di una delle fazioni più enigmatiche della Guerra Temporale. «Finalmente c’incontriamo... Pretore» salutò, avanzando lentamente.

   Lo sconosciuto rimase immobile e silenzioso per lunghi momenti. «Notevole» riconobbe. «Come ha compreso la mia identità?».

   «Da vari elementi, anche se non ero sicuro del titolo esatto» ammise l’Umano. «Di solito i leader delle dittature moribonde rivendicano titoli più altisonanti, come “Supremo Signore” o “Imperatore”. Ma è quello il suo obiettivo, vero? Ricreare l’Impero Romulano e proclamarsi Imperatore».

   «Non dovrei?» chiese il Pretore. «Sono l’unico in grado di farlo. Sono l’unico in diritto di farlo. E non permetterò a nessuno di contrastarmi. Non ora che ho l’arma assoluta... e che voi mi offrite il mezzo per sfruttarla al meglio» disse. Un braccio umanoide, vestito di un’uniforme romulana a scacchiera, emerse dalle ombre, indicando la Phoenix.

   «Non è in vendita» disse Neelah a denti stretti.

   «Ah ah, lo immagino!» rise il Pretore. «Ma io non ve la sto chiedendo. Lo ammetto, siete stati abili a rintracciarmi. Ma venirmi a sfidare in quattro... signori... non è audacia, ma follia! E la follia si paga col sangue. Oh, a proposito... benvenuti nella Cripta».

   Accadde tutto in una manciata di secondi. Un folto gruppo di soldati Romulani, che evidentemente si erano occultati, apparve intorno ai quattro della Phoenix. Indossavano tute corazzate dall’aria futuristica e avevano fucili disgregatori spianati. Nello stesso istante, un teletrasporto verde disarmò i visitatori. Solo l’Hirogeno Alfa fece in tempo a sparare un colpo contro il Pretore. Era una scarica tetrionica ad altissima energia, che avrebbe dovuto disintegrarlo. Ma si estinse contro un campo di forza individuale, simile a quelli dei Borg, che lo proteggeva come una tuta attillata.

   Rifiutando di arrendersi, gli Hirogeni si scagliarono contro i Romulani, cercando di strappar loro le armi. Sapevano che le loro speciali armature li rendevano quasi invulnerabili... nel loro secolo. Ma duecento anni nel futuro le regole erano diverse. Due tentacoli metallici, neri e lucidi, emersero dalle ombre dietro il Pretore e schizzarono contro i Cacciatori. Li colsero in pieno petto, sollevandoli da terra, e li fecero ricadere parecchi metri più in là. Prima che gli Hirogeni potessero rialzarsi, i tentacoli s’incurvarono sopra di loro e gli calarono addosso, pressandoli contro il pavimento. Continuarono a premere, facendo piegare e scricchiolare le armature blu, finché qualcosa cedette. I pettorali furono sfondati e i tentacoli neri trapassarono il petto agli Hirogeni. L’Alfa e il Beta rantolarono, mentre il sangue gli schizzava fuori dalla bocca. Un ultimo sussulto e giacquero cadaveri.

   I tentacoli metallici li tennero così per qualche secondo, poi si sollevarono, trascinandosi dietro i Cacciatori impalati. Si ritirarono verso l’angolo buio da cui il Pretore aveva assistito alla scena e gli si disposero ai lati, come macabre guardie d’onore. I corpi degli Hirogeni, trafitti da parte a parte, erano in piena luce. Il sangue gli sgorgava dalle ferite e dalle bocche semiaperte, scendendo lungo i tentacoli fino a formare due pozzanghere sul pavimento.

   «Sembra che la vostra ultima caccia sia stata la mia caccia» disse il Pretore con voce pacata. Poi si rivolse a Chase e Neelah, unici superstiti della Phoenix, ancora circondati dalle guardie. «Gli Hirogeni hanno l’usanza di eviscerare le loro prede. Spesso ne espongono le ossa come trofei. Forse dovrei fare lo stesso con loro. E con voi». Mentre parlava, altri tentacoli nerastri uscirono dagli angoli bui dell’hangar o si staccarono dalle pareti. Circondarono Chase e Neelah come serpenti pronti a colpire.

   «Interessante» disse l’Aenar, osservando i tentacoli con il glaciale distacco di uno scienziato. «Questa è tecnologia Borg, vero? Ci ho lavorato abbastanza da riconoscerla. Significa che in questo secolo i Borg sono tornati all’attacco o è solo frutto dei vostri studi sui relitti?».

   «Dottoressa Neelah, mi aspettavo questo sangue freddo da lei» disse il Pretore, divertito. «Le risponderò da scienziato a scienziato. È dal XXIV secolo che qui nella Cripta studiamo la tecnologia Borg recuperata in vari siti. Il nostro primo successo fu la Narada. Ma da allora abbiamo fatto notevoli progressi. Questi tentacoli sono tra i miei preferiti, ma ci sono altre ricadute vantaggiose...».

   «Mi faccia indovinare» lo sfidò Neelah. «Ha usato la tecnologia Borg per potenziare il suo organismo. Ha nanosonde nel sangue per riparare i danni e rallentare l’invecchiamento. E da come dirige i tentacoli, deduco che ha un’interfaccia neurale per controllarli».

   «Brillante» riconobbe il Pretore, che restava sempre in ombra. «Pensi che devo ringraziare anche lei per questo. I suoi studi sulle applicazioni mediche delle nanosonde Borg ci sono stati utili, come punto di partenza».

   «Prego» fece l’Aenar, sarcastica.

   «Naturalmente siamo andati oltre» proseguì il Pretore. «L’interfaccia neurale mi garantisce il controllo non solo di queste appendici, ma dell’intera stazione. Non c’è cosa che io non possa fare, semplicemente pensandola. E indovini un po’ cosa sto pensando di fare a voi?» chiese minaccioso.

   I tentacoli si sollevarono contro Chase e Neelah. Si avvolsero intorno a loro, sinuosi come serpenti e immensamente più forti. In pochi secondi li intrappolarono in bozzoli di metallo, che andavano dalle spalle alle caviglie. E cominciarono a stritolarli. Al tempo stesso le punte dei tentacoli, affilate come rasoi, indugiavano a un millimetro dalle loro gole. Li avrebbero sgozzati o avrebbero semplicemente aumentato la pressione fino a sbriciolargli le ossa?

   «Perché continua a nascondersi?» domandò Chase. «Se vuole ucciderci, si faccia avanti. Così potrò guardarla negli occhi».

   «Acconsento volentieri al suo ultimo desiderio» disse il Pretore, avanzando finalmente nella luce verdastra dell’hangar. Era innegabilmente un Romulano: capelli nero a caschetto, orecchie a punta, ossa craniche in rilievo che formavano una V sulla fronte. Era alto e magro, ma aveva l’aria di essere molto forte. Aveva uno sguardo intenso e un poco beffardo, in cui Chase lesse molte cose: astuzia, determinazione, spietatezza. Quel nemico era della stessa pasta di Vosk e dei Tuteriani. Vestiva un’uniforme romulana tutta quadri e non sembrava armato, ma non ne aveva bisogno.

   «Il mio nome è Valkis» si presentò il Pretore. «Scusi se non le stringo la mano, Capitano» aggiunse sarcastico. Chase e Neelah erano ancora intrappolati dai tentacoli metallici.

   «Valkis... se non sbaglio si chiamava così primo Imperatore romulano» ricordò Chase.

   «Era l’Ammiraglio che condusse le astronavi generazionali via da Vulcano, dopo la guerra atomica che vide prevalere i seguaci di Surak» precisò il Pretore. «I nostri cugini Vulcaniani si professano pacifisti, ma è così che vinsero! Sconfitti, scacciati dal nostro mondo natale, i nostri avi rifiutarono di darsi per vinti. Attraversarono una Galassia ancora selvaggia e sconosciuta, fino a scoprire i pianeti gemelli Romulus e Remus. Lì Valkis sottomise i nativi Remani. Con pochissime forze a disposizione, riuscì a soggiogare una popolazione migliaia di volte più numerosa, grazie al suo intelletto superiore».

   «Furono le armi più progredite a dargli la vittoria» obiettò Chase. «Quel Valkis fu un criminale di guerra».

   «Fu un grande condottiero, l’artefice della nostra grandezza!» gridò il Pretore, aumentando la pressione dei tentacoli. «Tutto ciò che ci rende Romulani lo dobbiamo a lui. E quando la guerra finì, le truppe vittoriose lo acclamarono Imperatore. Il primo Imperatore Romulano!» disse, lo sguardo rapito dalla lontana visione.

   «E lei di fatto è l’ultimo... com’è poetico» disse Chase. «Anche sulla Terra certi imperi ebbero il primo e l’ultimo sovrano omonimi. Romolo fu il primo re di Roma e secoli dopo Augusto divenne il primo imperatore. L’ultimo imperatore d’Occidente si chiamò Romolo Augusto. Ma passò alla Storia come Augustolo, perché era un ragazzino e nel suo breve regno fu incapace di preservare l’Impero».

   «Io non sarò l’ultimo dei vecchi Imperatori, ma il primo dei nuovi» avvertì Valkis. «E punirò la Galassia per quanto ha tolto alla mia gente».

   «L’ultimo revanscista!» sospirò Chase. «Sa che, nel mio tempo, i Romulani ci stanno aiutando contro il Fronte?» chiese.

   «La codarda Repubblica vi sta aiutando» corresse Valkis. «Non lo Stato Imperiale... l’unico, vero erede dell’Impero Romulano! E cosa guadagnerà la Repubblica da tutto questo? La perdita della sovranità e della sua stessa identità. Annegherà nella vostra Federazione, perdendo quelle poche cose che ancora la rendevano Romulana!» disse con astio.

   «Non mi sembra che il suo Stato Imperiale se la passi meglio» ribatté Chase, accennando all’hangar ingombro di rottami arrugginiti. «L’isolazionismo non paga».

   «Vuol sapere come siamo giunti a questo? Glielo dirò... voglio che sappia, prima di morire» disse Valkis, punto sul vivo. Diminuì leggermente la pressione dei tentacoli, accingendosi al racconto.

   Chase sorrise fra sé, anche se le sue labbra non si mossero di un millimetro. Per quanto fosse disarmato e prigioniero, aveva ancora una strategia. Doveva far parlare Valkis, guadagnando più tempo possibile. Intanto Neelah portava avanti il resto del piano. Chase non volle pensarci nemmeno, per timore che Valkis glielo leggesse nella mente.

   «Come le ho detto, lei si trova nella Cripta, una stazione segreta costruita oltre 400 anni fa» cominciò il Pretore. «Era diretta dal Comandante D’Spal, forse la Romulana più geniale di tutti i tempi. Il suo compito era testare armi e astronavi sperimentali, basate sulla tecnologia Borg. L’Impero ne aveva recuperata abbastanza, dopo i primi scontri con la Collettività, seguiti alla distruzione degli avamposti nella Zona Neutrale nel 2364.

   Quando Romulus fu distrutto dalla supernova di Hobus, nel 2387, D’Spal pensò di equipaggiare ciò che restava della flotta romulana con quella tecnologia. Ma prima la testò su una nave mineraria, la Narada del Capitano Nero. Ne fece un formidabile strumento di distruzione: armi, curvatura, occultamento al di là dei più sfrenati sogni della Federazione. La nanotecnologia auto-riparante non solo risolveva i problemi, ma apprendeva dall’esperienza, migliorandosi. Man mano che la nave cresceva, si adattava a ogni minaccia, arrivando ad anticipare le mosse degli avversari. Nei piani di D’Spal, la Narada doveva essere la punta della spada che avrebbe messo in ginocchio i nemici dell’Impero. Quando la sguinzagliò contro la Federazione e i Klingon, l’effetto fu devastante. Ma ahimè, Nero fu così sciocco da inseguire l’Ambasciatore Spock nelle vicinanze del buco nero di Hobus. Furono entrambi risucchiati».

   «È il peggior difetto dei Romulani: siete troppo sicuri di voi» infierì Chase.

   «Fu una tragedia, perché negli anni seguenti D’Spal non riuscì a replicare il successo avuto con la Narada» ammise Valkis. «Fece comunque il possibile per la causa. Collaborò con lo Stato Imperiale di Sela, rifornendolo di armi avanzate. Ma quando Sela morì e lo Stato Imperiale cominciò a disgregarsi, D’Spal si rinchiuse nella Cripta con i suoi segreti, fino alla morte. Sono passati tre secoli e l’ultimo discendente di D’Spal abita ancora qui, con pochi Romulani fedeli... gli ultimi resti dell’Impero» concluse Valkis.

   «Quindi è lei» comprese Chase. «Ora capisco la sua ossessione per i potenziamenti tecnologici: è una mania di famiglia».

   «Lo Stato Imperiale era potente e temuto... ma la Federazione ha cospirato per la sua caduta» disse Valkis, come se non l’avesse udito. «Guardi com’è ora, ridotto a quest’ultimo avamposto! Il nostro solo vantaggio, nei confronti della Federazione, è la segretezza della nostra ubicazione; e non so per quanto potremo mantenerla» sospirò.

   Chase notò che il Romulano usava il termine “Federazione”, anziché “Unione”. Era forse un segno che la compagine di mondi avrebbe ripreso il vecchio nome? Non si azzardò a chiederlo, perché non voleva interrompere l’avversario nel bel mezzo di queste rivelazioni.

   «Certo, abbiamo sviluppato nuove tecnologie... ma la triste realtà è che siamo sconfitti dalla Storia» ammise Valkis. «Ecco perché la Storia va cambiata!» concluse, con una luce micidiale negli occhi.

   «Perciò è diventato il Tizio del Futuro» commentò Chase, sempre cercando di guadagnare tempo per il suo piano. «È così che la chiamiamo nel nostro secolo. Ha interferito con molti eventi storici. Sappiamo che, con la tecnologia in suo possesso, può solo parlare nel passato, senza trasferirsi fisicamente».

   «Pensavo che fosse sufficiente per i miei piani» disse Valkis. «Ho studiato i precedenti tentativi di alterare la Storia e mi sono accorto che sono quasi tutti naufragati. Pensi ai Borg: nemmeno viaggiando di persona riuscirono a impedire il Primo Contatto fra Cochrane e i Vulcaniani. Ho compreso che l’errore di fondo è sempre lo stesso: si raggiunge direttamente il momento storico che si vuole cambiare, quando in realtà si dovrebbe intervenire da molto prima. Bisogna influenzare gli eventi poco alla volta, invece di forzarli in un colpo solo.

   Ecco perché ho deciso di non intervenire negli anni decisivi 2379-2409, quando l’Impero si divise, ma di manipolare gli eventi fin dal XXII secolo. Creando la Cabala sulibana, speravo di mettere in piedi una setta pronta a obbedirmi in tutti i secoli successivi, garantendomi sempre una base d’appoggio nel passato. Ho cercato di spargere il caos fra Klingon, Umani, Tandarani e altre specie nel XXII secolo, per favorire l’Impero Romulano di quegli anni. Speravo così di manipolare la storia a nostro vantaggio, ben prima che cominciassero i guai».

   «Ma le azioni della Cabala furono sventate dall’Enterprise NX-01 e con la morte di Silik l’organizzazione si dissolse» notò Chase, che aveva studiato a fondo l’argomento.

   «Poco male» concluse Valkis. «Ora che ho a disposizione il Tox Uthat e una vera navetta temporale, posso agire personalmente e in modo più incisivo. Come saprà, il Tox Uthat è un inibitore di fase quantico capace di arrestare – o rendere instabile – la fusione nucleare nel cuore delle stelle. I miei scienziati lo stanno studiando in questo preciso momento».

   «Ritiene che possa impedire alla supernova Hobus di distruggere Romulus?» domandò Chase.

   «Probabilmente sì. Ma la cosa più importante è che posso usarlo per distruggere i sistemi stellari nemici» disse il Pretore, con bieca soddisfazione. «Non in questo secolo, naturalmente; sarebbe una sterile vendetta. No, io sfrutterò la vostra crono-navetta per recarmi nel XXII secolo con l’Uthat. A quel punto distruggerò la Terra, Vulcano, Andoria e tutti i fondatori della Federazione. Mi sbarazzerò anche di Klingon, Cardassiani e di ogni potenza rivale. Assicurerò l’integrità e l’illimitato potere dell’Impero Romulano!» sibilò, implacabile.

   «Lei è un vigliacco. Ucciderà miliardi d’innocenti» disse Chase, che era impallidito nell’udire il piano apocalittico.

   «Se la Federazione non avesse complottato per far cadere lo Stato Imperiale, non dovrei adottare simili contromisure» rispose Valkis, impassibile. «Se devo diventare un mostro per salvare la mia gente, che sia! A me la colpa, a loro la prosperità. Ma credo che alla fine mi ringrazieranno e mi acclameranno come il loro salvatore. Comunque ammetto d’essere indeciso su quel che farò dopo avere usato l’Uthat» confessò, passeggiando avanti e indietro con le mani incrociate dietro la schiena. «Potrei portarmi dietro la tecnologia della Cripta e usarla per conquistare il trono a Romulus nel XXII secolo. O in alternativa potrei tornare qui nel XXVIII secolo per vedere i frutti delle mie fatiche: un grande, incontrastato Impero Romulano!».

   «Lei sta giocando col fuoco» lo avvertì Chase. «Se stravolge tanto la Storia, le conseguenze saranno imprevedibili. Potrebbe creare un paradosso temporale e cancellare se stesso».

   Il Pretore si fermò, guardandolo di sottecchi. Aveva pensato a questa possibilità, spaventosamente concreta. «Sono pronto a correre il rischio» disse, inspirando a fondo. Si ricompose, raddrizzando bene la schiena, e si avvicinò ai prigionieri. La sua attenzione restava concentrata su Chase, mentre ignorava quasi del tutto Neelah.

   «Addio, Capitano» disse Valkis con una certa solennità. «È stata una bella chiacchierata e mi ha fatto piacere conoscerla. La rispetto per il suo tentativo di recuperare l’Uthat. Voleva usarlo contro un nemico implacabile, per salvare la sua gente... proprio come me. Ma doveva sapere che non aveva speranza di riuscire. Lei e la dottoressa non mi siete più di alcuna utilità, perciò non mi resta che eliminarvi. Preparatevi a morire».

   I tentacoli Borg fremettero come serpenti, pronti a colpire. Chase scambiò un’ultima occhiata disperata con Neelah. Erano partiti per salvare l’Unione, ma con ogni probabilità l’avevano condannata.

 

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Capitolo 5
*** Tra il martello e l'incudine ***


-Capitolo 4: Tra il martello e l’incudine

 

   Il sistema di Procyon, nel Settore di Andoria, era uno dei primi scoperti dagli esploratori Andoriani all’alba della loro corsa allo spazio. Ospitava dieci pianeti, dei quali Procyon V era indubbiamente il più bello, rinomato in tutta la Federazione per le isole paradisiache e il vasto ecosistema marino. Era un mondo di classe O, pelagico: le terre emerse costituivano appena il 10% della superficie. Punteggiavano di verde smeraldo l’oceano globale e avevano un clima tropicale, monsonico. Anche i mari erano caldi; non c’era traccia di calotte glaciali. Visto dallo spazio, il pianeta sembrava una lucente perla azzurra, su cui spiccava il bianco delle nuvole. Quello era il luogo prescelto per lo scontro finale tra l’Unione Galattica e il Fronte Temporale.

   Il Fronte si era preparato con cura, predisponendo ogni cosa affinché neanche una nave dell’Unione uscisse integra dalla battaglia. Procyon V era circondato da un folto grappolo di Sfere, che alteravano lo spazio rendendolo abitabile per i Tuteriani, ma letale per tutti gli altri. Erano un centinaio in tutto, più di quelle che in passato avevano creato la Distesa Delfica. Ma erano compresse in uno spazio immensamente più ridotto, con il risultato che l’intensità delle anomalie saliva a livelli smisurati. Le Sfere, inoltre, erano equipaggiate con scudi e armi che le rendevano fortezze impenetrabili, diversamente da quelle del XXII secolo, assai più fragili.

   Davanti al pianeta e alle Sfere stazionava lo schieramento del Fronte Temporale. I Tuteriani, da soli, costituivano il grosso delle forze. Le loro Dreadnought si trovavano perciò al centro dello schieramento. Dovevano sopportare la forza d’urto dell’Unione e resistere finché le anomalie, le armi e i sabotaggi avessero distrutto le navi nemiche. Intorno a questo nucleo compatto, color marroncino e grigio, il Fronte schierava due grandi ali. In quella destra vi erano i Krenim, con le loro navi arancioni e gialle. Alla sinistra stavano i Vorgon, dalle grandi astronavi organiche: Incrociatori, Ruote da Guerra. Vi erano anche i Na’kuhl, con le piccole e scheletriche navi di Materia Degenere.

   I leader del Fronte presero posizione. In quegli anni si erano tenuti prudentemente lontano dagli scontri, ma stavolta le cose erano diverse. Quella battaglia decideva le sorti dell’intera guerra: non potevano mancare. Le tre leader dei Tuteriani – Primaria, Vate e Messaggera – apparvero nella Sfera più grande e corazzata, che aveva bocche da fuoco fitte come crateri lunari ed era difesa da un nugolo di Dreadnought. L’Ammiraglio Hortis sedeva sulla plancia della Annorax, la sua nave ammiraglia dall’insolita forma bulbosa, munita di un potente disgregatore subatomico anteriore. Dietro di lui, la Comandante Priim non perdeva di vista il grande schermo che evidenziava le possibili linee temporali. L’Autarca Cletus era a bordo della Ruota da Guerra più grande della sua flotta, munita di armamenti e scudi supplementari. Infine il Leader Supremo Vosk e il suo Stato Maggiore stavano sull’Eclipse. Era l’unico vascello di grossa taglia della flotta Na’kuhl: nero e massiccio, a forma di T. La spessa corazza di Materia Degenere ne faceva l’astronave più resistente dell’intero schieramento.

   Questo formidabile dispiegamento di forze si reggeva su un delicato equilibrio. Le Sfere modificavano lo spazio per renderlo adatto ai Tuteriani, ma così facendo avrebbero danneggiato gli alleati non meno che i nemici. Gli sforzi dei Tuteriani si concentravano quindi nell’avvolgere le loro navi nella nebbia arancione delle anomalie, risparmiando però quelle alleate. All’arrivo dell’Unione avrebbero bersagliato le sue navi con le anomalie più intense. Ma col procedere della battaglia le flotte si sarebbero sempre più mischiate, fino a impedire la salvaguardia degli alleati del Fronte, che si sarebbero dovuti affidare agli scudi.

   «La flotta dell’Unione si avvicina, Primaria» avvertì la Messaggera, consultando uno schermo olografico. Altre interfacce intorno a lei fornivano indicazioni più precise sulla composizione della flotta nemica.

   «I dati corrispondono con le mie previsioni» aggiunse la Vate, circondata da fasci di linee luminose. Erano le previsioni sulle linee temporali, aggiornate in tempo reale. Grazie a quelle, sapeva che consigli dare durante la battaglia per massimizzare le probabilità di successo. La maggior parte delle linee temporali procedeva dritta verso la vittoria; pochissime deviavano e si perdevano per strada.

   «Aprite un canale con la flotta. Solo la nostra, escludete gli alleati» ordinò la Primaria. Era più alta e segaligna delle altre due; la sua voce aveva un suono freddo, quasi metallico.

   «Canale aperto, Primaria» disse un ufficiale tuteriano.

   «Figli miei, questo è il momento decisivo della nostra storia» esordì la Primaria. «Per millenni abbiamo esplorato gli Universi, in cerca di uno che potesse essere rimodellato a nostra immagine. Molte di queste realtà alternative ci hanno deluso e da altre siamo stati respinti. Ma da ogni fallimento abbiamo imparato qualcosa. Siamo diventati più forti, più astuti, più adatti a sopravvivere. Stavolta non arretreremo. Difenderemo le Sfere fino all’ultimo e stroncheremo questa Unione che ha osato contrastarci. Secoli di sforzi giungono oggi a compimento. Il nostro popolo prevarrà: domineremo incontrastati la Galassia, da oggi e sino alla fine dei tempi».

 

   La Primaria non fu l’unica a tenere un discorso per motivare le truppe. Dalla plancia semibuia della sua nave ammiraglia, Vosk ordinò di aprire un canale che includesse, oltre ai Na’kuhl, anche Vorgon e Krenim. La sua voce risuonò profonda e sicura dagli altoparlanti di molte centinaia di astronavi.

   «Sono Vosk e vi parlo non solo come Leader Supremo dei Na’kuhl, ma anche come padre del Fronte di Liberazione Temporale» esordì. «Le nostre specie, pur se orgogliose della loro indipendenza, condividono un’idea. È un’idea nella quale io credo fermamente e per cui mi batterò fino all’ultimo giorno della mia vita. Noi riteniamo che il tempo debba essere esplorato e sfruttato non meno dello spazio.

   Riflettete! Tutta l’evoluzione della vita è sempre stata una continua battaglia per superare gli ostacoli. Mille volte le barriere sembravano insormontabili e mille volte un essere superiore è riuscito a varcarle, aprendo nuove frontiere. Siamo cresciuti nell’intelletto e nella tecnica; abbiamo domato l’ambiente e ci siamo lanciati verso le stelle. Le avversità ci hanno resi coraggiosi, risoluti, perseveranti. Ogni generazione ha affrontato le sue battaglie e si è sacrificata per innalzare di un gradino quella successiva.

   Questo è il nostro momento. Ci spetta il compito più alto: abbattere l’ultima frontiera, quella del tempo. Apriremo infinite occasioni di progresso ed espansione. Non abbiate paura! È per questo che esistiamo. Ma per farlo, dobbiamo prima sconfiggere chi vuole incatenarci allo status quo. Dobbiamo sgominare quel fetido ammasso di corruzione e omologazione che prende il nome di Unione Galattica. Votata alla stagnazione, essa vorrebbe trascinarci nel baratro, come ha già fatto con innumerevoli altre razze. Ma non ci riuscirà! Perciò dico: gloria al Fronte Temporale e morte all’Unione Galattica!».

   Vosk scambiò un’occhiata soddisfatta con Ifrit. Lei e gli altri ufficiali ripeterono l’augurio del Leader Supremo. Lo stesso accadde sulle altre navi Na’kuhl; né si trattennero i Vorgon e i Krenim, che avevano ascoltato il discorso.

   Anche sulla plancia dell’Annorax ci furono applausi e fu ripetuto l’augurio di Vosk. Solo Hortis non si unì all’entusiasmo generale. Sprofondato nella sua poltrona, teneva le dita intrecciate e le labbra serrate. Profonde rughe di preoccupazione gli solcavano la fronte nobile e spaziosa. La Comandante Priim se ne accorse. «Qualcosa non va, Ammiraglio?» chiese.

   «Solo un presentimento» sospirò Hortis. «Il Leader Supremo parla bene, ma so a cosa mira. Anche se dobbiamo combattere al suo fianco, rammentate che non è degno di fiducia» disse a tutti gli ufficiali.

   «È ambizioso, certo... ma la sua strategia è efficace» notò Priim. «E i nostri calcoli collimano con quelli dei Tuteriani: l’Unione sarà sconfitta» aggiunse, indicando il grande schermo sulla parete di fondo della plancia. Raffigurava un grosso fascio di linee temporali azzurre che conducevano alla vittoria; pochissime diventavano gialle e si perdevano.

   «Il tempo è una strana cosa... a volte penso che abbia una volontà sua e non voglia farsi ingabbiare» disse Hortis. «Ma siamo qui e abbiamo un dovere da compiere, per quanto gravoso. È stata una guerra dura, siamo tutti provati. Questa battaglia vi porrà fine. Torneremo a casa da vincitori, con nuove tecnologie e una migliore comprensione delle linee temporali, che ci aiuteranno a restaurare la potenza dell’Impero. Solo questo ha importanza».

   Priim sembrò delusa dal discorso, breve e non molto ottimista. «Vuole aggiungere qualcosa per il resto della nostra flotta?» chiese, visto che l’Ammiraglio aveva parlato solo agli ufficiali di plancia.

   «No, il discorso di Vosk basta e avanza» disse Hortis. Tornò a fissare lo schermo, corrucciato, e non disse più niente.

 

   Le astronavi dell’Unione uscirono dalla curvatura o dalla cavitazione quantica, già schierate per la battaglia. Ciascuna delle tre potenze – Federazione, Klingon, Romulani – aveva dato fondo a tutte le sue forze. Pur di fare numero si erano tirate fuori dagli hangar navi già decommissionate. Si erano persino requisite navi mercantili, equipaggiandole con scudi e armamenti supplementari. Non ci si aspettava che queste astronavi se la cavassero, infatti il loro equipaggio – ridotto al minimo – era composto da androidi e ologrammi, considerati più sacrificabili degli Organici.

   Il grosso della flotta era costituito dalle astronavi federali, che erano anche le più avanzate tecnologicamente. Per queste ragioni la Federazione costituiva il centro dello schieramento, il che la metteva direttamente contro i Tuteriani. Le navi erano duemila in tutto fra grandi e piccole, vecchie e nuove. Mai, in tutta la sua storia, la Federazione aveva schierato un simile apparato di guerra, che faceva sembrare piccole le battaglie contro il Dominio e i Borg del tardo XXIV secolo.

   La punta di diamante della flotta federale, che avrebbe dovuto sfondare al centro, erano ovviamente le navi di classe Universe. Non erano molte. Erano troppo grandi e costose per costruirle in serie, inoltre richiedevano un folto equipaggio. Ne erano state varate pochissime prima che scoppiasse la guerra e nessuna dopo la distruzione dei cantieri marziani. Siccome alcune erano state distrutte nel conflitto, ne restavano solo quattro: il prototipo USS Universe, la gloriosa USS Enterprise-J, l’USS Monarch e l’USS Legacy. A esse si aggiungevano però sei astronavi della classe ibrida Celestial, realizzata unendo la sezione a disco Universe con la precedente classe Altair. A questa classe apparteneva l’USS Majestic, la nave dell’Ammiraglio Nelscott. Era il centro di coordinamento non solo della flotta federale, ma dell’intera Unione Galattica.

   L’ala sinistra dell’Unione era la flotta Klingon, forte di seicento navi. Anche in questo caso c’erano modelli nuovissimi – come l’IKS Martok, la nave del Cancelliere Kuntagh – e altri molto più datati. C’erano incrociatori di classe Vo’Quv, Negh’Var, Vor’cha, vecchi di oltre un secolo ma ancora efficaci. I Klingon fronteggiavano la flotta Krenim, pregustando la vendetta per l’attacco a Khitomer. Era da quel giorno, quando la loro flotta era stata umiliata dagli aggressori del Quadrante Delta, che sognavano la rivincita. Non intendevano lasciarsela sfuggire.

   L’ala destra dell’Unione era costituita dalle navi della Repubblica Romulana, cinquecento in tutto. Il Pretore Neral dirigeva le operazioni dalla sua ammiraglia, la Jarok. Come gli alleati, aveva raccolto una flotta di modelli vecchi e nuovi: Falchi da Guerra di classe D’deridex e Norexan, distruttori di classe Scimitar, fino ai nuovi incrociatori di classe Donatra. I Romulani avrebbero affrontato Vorgon e Na’kuhl. Si erano già combattuti nella Battaglia di Sol, quando la Repubblica Romulana aveva difeso il sistema solare dall’attacco di Vosk. Anche in quel caso si era aperta una sfida, che aspettava di trovare risoluzione.

   Oltre alle tre grandi potenze, lo schieramento dell’Unione contava su un certo numero di astronavi appartenenti ad altre fazioni, che si erano tenute fuori il più possibile dalla guerra, ma avevano inviato piccoli contingenti per quest’ultima battaglia. C’erano alcune navi dei cacciatori Hirogeni, giunte alla spicciolata, in base alle decisioni degli Alfa. Erano piccole, ma agili e irte d’armi. C’erano alcuni caccia Jem’Hadar, arrivati in deroga alla decisione del Dominio di non interferire con il conflitto in corso. Dax aveva sentito molte ipotesi su cosa avesse spinto i Fondatori a intervenire, ma aveva la netta sensazione che fosse merito di un vecchio amico chiamato Odo, da tempo riunitosi al Grande Legame.

   C’erano persino alcune singole astronavi, inviate da potenze lontane o isolazioniste. La più strana era la Fesarius, nave ammiraglia dell’enigmatica Prima Federazione. Vista da lontano sembrava una sfera gialla e arancione, del diametro di 1.600 metri. In realtà c’era solo il guscio esterno, formato da poliedri molto più piccoli, perfettamente incastrati fra loro, a formare una scacchiera giallo-arancio che alternava spazi pieni e vuoti. Gli scienziati dell’Unione ipotizzavano che fosse una strategia modulare, per rendere la Fesarius operativa anche se gran parte dei suoi compartimenti fosse stata distrutta. Era una nave antica, quasi leggendaria: avvistata per la prima volta dall’Enterprise di Kirk, tre secoli prima, era stata vista pochissimo da allora. Le astronavi di queste fazioni minori si disposero soprattutto sull’ala destra dell’Unione, per dare manforte ai Romulani contro i Na’kuhl.

   Sulla plancia dell’Enterprise-J regnava un silenzio carico di tensione. Gli ufficiali avevano visto tante battaglie, ma nessuna come quella. Si rendevano conto di vivere un evento storico, che avrebbe stravolto per sempre il volto della Galassia. Ilia sedeva sulla poltrona del Capitano come se fosse sui carboni ardenti, scrutando la macchia rossastra delle anomalie, sempre più vicina. Terry occupava il solito posto a sinistra, mentre la sedia del Primo Ufficiale sulla destra era vuota. La mancanza di Chase pesava su tutto l’equipaggio e il fatto che fosse sparito senza nemmeno un discorso di commiato peggiorava le cose. Solo Ilia, Terry e gli ufficiali superiori più fidati – Grenk, Lantora, Korris, T’Vala – conoscevano la verità. Tutti gli altri sapevano che non era più a bordo, ma presumevano che fosse sbarcato ad Andoria per affrontare il processo.

   «Rapporto finale sulla nave» ordinò Ilia. «Datemi un bel go-go».

   «Sensori go» disse Terry, che essendo tutt’uno con la nave non aveva bisogno di controllare i display per conoscere il suo status.

   «Armi e scudi go» fece Lantora dalla postazione tattica.

   «Timone go» aggiunse T’Vala, mantenendo l’Enterprise in formazione con il resto della flotta.

   «Comunicazioni go... ma peggioreranno quando saremo fra le anomalie» avvertì Grog.

   «Lo so... sentiamo le altre sezioni» disse Ilia, mettendosi in collegamento con la sala macchine e l’infermeria.

   «Sala macchine go, siamo al massimo dell’energia» disse la voce di Grenk, sempre un po’ sbuffante.

   «Infermeria go» concluse Korris. «Capitano Dax, la imploro: se le cose si metteranno male, salvi l’Enterprise. E se non potrà salvarla, ci dia il tempo per l’evacuazione».

   «Daremo tutti il massimo, qui, come farà lei in infermeria» rispose Ilia. Sapeva che navette e capsule di salvataggio non sarebbero durate a lungo, esposte alle anomalie e alla furia della battaglia. Si sarebbero salvati con l’Enterprise, oppure non si sarebbero salvati affatto.

 

   In infermeria, Korris si rivolse alla sua equipe. Medici, infermieri e i volontari del personale ausiliario lo ascoltarono in silenzio e compostezza. «Miei colleghi... amici miei... ci siamo. Questo è il giorno che non avremmo mai voluto vedere; eppure è per questo che ci siamo preparati. Fra poco l’Enterprise si tufferà in un calderone di fiamme e morte. Anche nel migliore dei casi ci sarà bisogno di noi. Da questo momento, fino al termine dello scontro, non dobbiamo pensare ad altro. Non alla battaglia, non all’Unione Galattica, ma solo a curare i feriti. Ogni vita che salveremo sarà un monumento al nostro impegno» concluse, ricordando le parole del suo perduto amore, Karen Mallory. «E che i Profeti ce la mandino buona» aggiunse tra sé.

   «Ben detto» disse solennemente Raav, che aveva ascoltato tutto dietro di lui.

   «Raav, che ci fai qui?!» si meravigliò Korris, riconoscendo l’amico. «Pensavo che fossi sbarcato ad Andoria!». Che ci faceva un cuoco sull’Enterprise, in quel momento?

   «Sono sbarcato, infatti» confermò il Gorn, facendo guizzare la lingua forcuta tra i denti. «Ma ho cambiato idea e sono risalito prima che l’Enterprise lasciasse l’orbita. Ho passato gli ultimi sei anni su questa nave. E anche se non sono stati esattamente anni facili, mi state tutti a cuore. Così mi sono offerto volontario per il personale paramedico, sssshhht!». Soffiò nel modo caratteristico dei Gorn ed esibì la piccola mostrina appuntata sul braccio.

   Korris non sapeva che qualifica avesse Raav per aiutare i medici e non volle chiederglielo. Immaginava che la risposta non gli sarebbe piaciuta. Ma la Flotta Stellare era così a corto di personale che aveva accettato quasi tutti i volontari per quella battaglia. «È stato un bel gesto» sorrise. «Quando saremo in ballo, mi raccomando... stammi vicino e fa’ quel che dico».

 

   «Ci chiamano dalla Majestic, Capitano» informò Grog.

   «Il discorso di Nelscott» disse Ilia, quasi infastidita dalla distrazione. «Sullo schermo. Trasmetta l’audio al resto della nave».

   L’Ammiraglio aveva i capelli più grigi e il volto più stanco di quando la Trill l’aveva visto l’ultima volta. Sembrava reggere sulle spalle il peso di tutta l’Unione. «Ufficiali della Flotta Stellare... fratelli Klingon e Romulani... mi rivolgo a voi nell’ora della verità. Tutto quel che abbiamo fatto in questi anni ci ha condotti qui. Tutti gli sforzi, le battaglie vinte e perse, gli amici salvati e quelli perduti, ci hanno portati a quest’ultimo scontro.

   Affrontiamo un nemico diverso da ogni altro. Un nemico che ha dichiarato guerra al tempo stesso e che non accetta l’esistenza di nessuno, salvo la propria. Ecco perché il Fronte si accanisce tanto contro di noi. La Federazione, e oggi l’Unione, sono nate da un’idea: IDIC, Infinite Diversità in Infinite Combinazioni. Il Fronte Temporale, unito solo dalla brama di potere, vuole eliminare quest’idea, perché la considera un pericolo per la sua ideologia totalitaria. Non può tollerare che in qualche angolo del continuum spazio-temporale esistano cose come la libertà, la creatività, il diritto all’autodeterminazione. Noi siamo qui per difendere questi ideali. Combattiamo per proteggere i mondi pacifici che abbiamo costruito. Non c’è sfida più importante e so che ognuno di voi darà il massimo per vincerla. Buona fortuna a tutti noi».

   L’Ammiraglio svanì dallo schermo, che tornò a mostrare la chiazza color fiamma delle anomalie e le astronavi del Fronte, numerose come uno sciame d’api.

   «Capitano Dax a equipaggio» disse Ilia, aprendo il collegamento con tutti i ponti. «Avete sentito il discorso dell’Ammiraglio, sapete qual è la posta in gioco. Vorrei solo aggiungere una cosa. L’Enterprise-J è la dodicesima nave della Flotta Stellare a portare questo nome. Gli equipaggi che ci hanno preceduto sono ormai leggenda. Ma io ricordo bene com’erano, prima che iniziasse la leggenda: erano come noi. Persone normali, ma di buona volontà, che furono chiamate a sfide apparentemente impossibili. Con coraggio, ingegno e perseveranza riuscirono a fare la differenza. Possiamo farlo anche noi. Fate che la Storia ricordi l’Enterprise-J. Dax, chiudo».

   Ilia tornò a concentrarsi sulla battaglia imminente. Lo schieramento del Fronte, più potente di qualunque cosa la Federazione avesse mai affrontato, era vicino. «Terry, valutazione tattica?» chiese.

   «Incerta» rispose l’IA. «L’Unione si affida a due soli ingredienti per la vittoria. Il primo è un lieve vantaggio tecnologico negli scudi e negli armamenti, che però non sussiste nel caso dei Na’kuhl. Il secondo è la presunta superiorità, o almeno parità, numerica. Tutta la nostra strategia si basa sulla capacità di contrastare le anomalie finché riusciremo a distruggere le Sfere, procedendo poi ad accerchiare il nemico in difficoltà. È una grossa incognita, perché il Fronte potrebbe disporre di forze superiori al previsto».

   «Quante navi rilevi, al momento?» chiese Ilia.

   «Al centro dello schieramento nemico vi sono duemila Dreadnought tuteriane, ma un quarto è rimasta indietro per proteggere le Sfere. Nell’ala destra i Krenim hanno quattrocento navi. Nell’ala sinistra i Vorgon ne hanno un centinaio e i Na’kuhl trecento» rispose Terry.

   «Abbiamo la superiorità numerica, ma è risicata» notò Ilia, sentendo quelle che un Umano avrebbe definito “farfalle nello stomaco”.

   «Il problema è che non possiamo stabilire se il nemico abbia rinforzi nascosti nelle barriere occultanti delle Sfere» notò Terry. «Se celasse parte delle sue forze, o se ricevesse aiuti dall’esterno, potrebbe riuscire ad accerchiarci. L’altro pericolo, collegato a questo, è non riuscire a distruggere le Sfere in tempo. Se gli scudi dell’Unione cederanno, le navi saranno esposte alle anomalie e ai sabotaggi dei Tuteriani. Purtroppo non riesco a quantificare i rischi, ma... temo che siano elevati».

   «Lo temo anch’io» disse Ilia, osservando la flotta nemica che s’ingrandiva a vista d’occhio, man mano che gli schieramenti riducevano le distanze. «Prepariamoci al peggio. Lantora, apra il fuoco appena saremo a distanza di tiro».

   «Sì, Capitano» disse lo Xindi, con un groppo in gola. Quella mattina, prima di presentarsi in plancia, aveva cercato la sua vecchia medaglietta d’iniziazione. Come tutti gli Xindi Primati, l’aveva ricevuta al compimento della maggiore età; un rituale antico, che molti ritenevano superato, ma che per lui era stato importante. Di solito non la portava in servizio, preferendo tenerla in un cassetto. Ma stavolta sentiva di averne bisogno. Purtroppo non era riuscito a trovarla. Aveva rovistato in tutto l’alloggio, ma la medaglietta sembrava svanita e aveva dovuto rassegnarsi a farne a meno. Solo in quel momento ricordò qualcosa che Chase gli aveva accennato nel loro primo incontro, anni prima. Era stata una medaglietta Xindi proveniente dal futuro – proprio dall’Enterprise-J – a convincere Degra che Umani e Xindi avrebbero collaborato contro i Tuteriani. Lantora si augurò che fosse vero, che la sua medaglietta fosse servita a quel grande scopo. Ma per quanto Umani e Xindi fossero ormai alleati, la battaglia contro i Costruttori di Sfere era ancora tutta da vincere. «Dieci secondi al fuoco» avvertì, le mani già sui comandi delle armi.

 

   Così ebbe inizio la Battaglia di Procyon V, la più grande nella storia della Federazione e dei suoi alleati, nonché una delle più decisive per la Galassia. L’Unione attaccò lo schieramento del Fronte, cercando di sfondare al centro. Le navi federali s’immersero nella schiuma quantica generata dalle Sfere, affidandosi agli scudi cronofasici per proteggersi dai loro effetti, e aprirono il fuoco contro le Dreadnought. Lo spazio fu solcato da migliaia di raggi anti-polaronici e impulsi bifasici, e da siluri di tutti i tipi. I Tuteriani risposero con i loro cannoni a particelle. Di lì a poco, anche le ali degli schieramenti vennero in urto: Klingon contro Krenim, Romulani contro Vorgon e Na’kuhl. Entrambe le parti non si accontentavano di disabilitare le astronavi nemiche: miravano a distruggerle. Era una battaglia in cui non si facevano prigionieri. E poiché nessuno era disposto a cedere, sarebbe andata avanti fino al crollo completo di una delle due parti.

   Visti da lontano, gli schieramenti sembravano sciami d’insetti, o persino due organismi monocellulari che cercassero di fagocitarsi. L’evoluzione della battaglia era curiosamente rallentata, per la mole di entrambe le flotte. A un occhio esterno poteva sembrare uno spettacolo affascinante. Ma visto da dentro era l’inferno. Ogni pochi secondi c’erano scudi che cedevano, scafi squarciati dal fuoco nemico, esplosioni a catena, nuclei che esplodevano vaporizzando navi ed equipaggi. Le sale e i corridoi delle astronavi si riempivano di fumo, fiamme, radiazioni. Voci concitate gridavano ordini, urlavano nell’agonia, piangevano. L’atmosfera veniva risucchiata fuori dagli scafi squarciati, trascinando con sé oggetti e persone. Le navi più vecchie cedevano per prime, mentre le più moderne continuavano a bersagliarsi senza tregua.

   Con il procedere della battaglia le astronavi accorciarono progressivamente le distanze. Si videro così navi affiancate che si bombardavano furiosamente, come antichi galeoni in uno scontro navale, con la differenza che questa battaglia si svolgeva in uno spazio tridimensionale. Se qualcuno saliva o scendeva di quota, trovava altri vascelli intenti a combattersi. I caccia e le navette più piccole ronzavano intorno alle mastodontiche Dreadnought e alle altre navi di grossa taglia, cercando d’indebolirne gli scudi, ma erano spesso falciate dalla difesa di punto.

   Come legionari in un’antica legione romana, le navi dell’Unione si alternavano nel combattimento. Quando la prima linea era prossima a cedere, per gli effetti combinati delle anomalie e delle armi nemiche, cercava di arretrare, per rigenerare gli scudi. Altre navi dell’Unione passavano dai varchi e prendevano il loro posto, continuando l’assalto. La manovra era delicatissima e il Fronte cercava d’ostacolarla, colpendo i motori a impulso o trattenendo gli scafi con raggi traenti. Presto le astronavi accorciarono talmente le distanze che si videro degli speronamenti. Le navi più danneggiate, considerate ormai irrecuperabili, erano poste in rotta di collisione con gli incrociatori nemici. Mentre il pilota automatico le dirigeva verso la distruzione, gli equipaggi le abbandonavano su navette e capsule, verso un’incerta sorte.

   Questa situazione perdurò per la prima mezz’ora di scontro. L’Unione continuava ostinatamente l’attacco, conscia che il tempo giocava a suo sfavore. Sempre più astronavi cedevano per colpa delle anomalie. L’unica soddisfazione era che spesso anche gli alleati dei Tuteriani ci finivano in mezzo, venendone ugualmente danneggiati. Ma la situazione di stallo non poteva protrarsi a lungo. O l’Unione riusciva a sfondare, colpendo le Sfere, o era la fine.

   Ci fu un momento in cui la vittoria sembrò a portata di mano. Centinaia di Dreadnought erano state distrutte e molte di più erano alla deriva, sprigionando fuoco da mille brecce. La Federazione spinse in avanti le sue navi più potenti, aprendosi un varco. Fu allora che scattò la prima parte della trappola orchestrata dal Fronte. File interminabili di astronavi, tenute nascoste fino a quel momento nelle barriere occultanti delle Sfere, ne uscirono per rafforzare la flotta. Erano ancora al massimo della potenza.

   «È come temevo, hanno dei rinforzi» commentò Ilia amaramente. L’Enterprise era ancora in buono stato, ma vibrava costantemente per lo sforzo e i suoi scudi si stavano indebolendo. «Quanti sono?» chiese, temendo il peggio.

   «Attendere» disse Terry, cercando di far funzionare i sensori in mezzo a tutte le interferenze. Continuò la scansione finché i rinforzi del Fronte smisero di arrivare. «La situazione è gravissima» avvertì. «I Tuteriani hanno altre 2.000 Dreadnought. Sommate a quelle che avevano in partenza, fanno 4.000: il doppio delle nostre. Anche i Krenim hanno raddoppiato il loro schieramento: le loro 800 navi sono in vantaggio sulle 600 dei Klingon. Vorgon e Na’kuhl sono saliti rispettivamente a 150 e 500 navi: un netto vantaggio sulle 500 dei Romulani».

   «Inserisci i nuovi dati nella proiezione tattica. Credi che riusciremo ancora a sfondare?» chiese Ilia, angosciata.

   Terry s’irrigidì, concentrata nell’enorme sforzo di elaborazione. «No, purtroppo» disse dopo qualche secondo. «Le possibilità di raggiungere le Sfere sono inferiori al 5%. E anche se ci arrivassimo, sarebbe con poche navi, circondate da forze nemiche: non avremmo sufficiente potenza di fuoco per distruggerle tutte».

   «Allora l’attacco è fallito!» gemette Lantora, scornato. «Dobbiamo ritirarci, finché siamo in tempo. Aspetta... che fanno le ali del Fronte?».

   «Si stanno allargando. Grazie ai rinforzi possono accerchiarci» rilevò Terry.

   «Se riescono a circondarci è finita!» disse Lantora. «Ritiriamoci, finché abbiamo una via di fuga alle spalle. Parlo di tutta la flotta».

   «Ma se abbandoniamo la formazione, perdiamo anche coesione. Sarà il Fronte a sfondare!» avvertì T’Vala, impegnata ai comandi.

   «La coesione non ci servirà a nulla, se veniamo circondati. Offriremo solo un bersaglio più compatto al nemico» rispose Ilia. «Mettetemi in contatto con la Majestic».

   «Canale aperto, ma ci sono molte interferenze» avvertì Grog. L’Ammiraglio Nelscott comparve sullo schermo; sembrava invecchiato ulteriormente negli ultimi minuti. A giudicare dal fumo e dalle scintille dietro di lui, la Majestic stava assai peggio dell’Enterprise. Il Fronte l’aveva riconosciuta come nave ammiraglia e si stava accanendo su di essa.

   «Ammiraglio, riteniamo che la battaglia sia persa» disse Ilia, alzandosi. Aveva la schiena rigida e invece d’incrociarvi dietro le mani, come suo solito, teneva incrociati tutti gli avambracci, tanta era la tensione. «Non resta che ritirarci, prima che il Fronte completi l’accerchiamento».

   «Negativo, continuate l’attacco!» ribatté Nelscott, in mezzo alle interferenze.

   «Signore, le probabilità di vittoria sono così basse che...».

   «I Klingon non fuggiranno mai, e neanche gli alleati minori» spiegò l’Ammiraglio. «Senza di loro finiremo a brandelli. Arrivate alle Sfere, questo è l’ordine!». Ci fu un’esplosione in plancia, dietro di lui, e la comunicazione s’interruppe.

   «Frell!» sibilò Ilia, scrutando le armate inesauribili del Fronte. Poteva andare peggio di così?

 

   «La battaglia procede secondo i piani» disse la Messaggera, comparendo in forma olografica sulla plancia dell’Eclipse. Per una volta non trasmetteva da un’altra dimensione, ma dalla vicina Sfera di Controllo. «L’Unione si logora e il suo attacco perde forza. Procedete con l’accerchiamento».

   «Lo stiamo facendo» assicurò Vosk. «Abbiamo già circondato i lati dell’Unione. Ma spetta ad altri tappargli la via di fuga».

   «È questione di momenti» assicurò la Messaggera. «Le linee temporali ci sono favorevoli, Leader Supremo. Mi congratulo con lei per la sua brillante strategia».

   «Potrà congratularsi quando l’ultima nave dell’Unione sarà stata distrutta» rispose garbatamente Vosk. «Fino ad allora tenete alta la guardia» avvertì, e tornò a concentrarsi sulla battaglia.

 

   Mentre le forze dell’Unione e del Fronte erano serrate in un abbraccio mortale, una terza flotta uscì dalla cavitazione. Le sue astronavi avevano linee inconfondibili: sezioni a disco, grandi deflettori di navigazione, gondole quantiche allungate (quasi sempre in numero di due). La nuova armata avanzò in ranghi ordinati, alle spalle dell’Unione. Questo destò un notevole sconcerto. Klingon e Romulani tempestarono di chiamate le navi federali, chiedendo se avessero tenuto in serbo un’altra flotta. Era un contingente enorme: 2.000 astronavi, che avrebbero raddoppiato la forza federale, riportandola in equilibrio con i Tuteriani. I nuovi arrivati potevano dare la vittoria all’Unione... se fossero stati quel che sembravano.

   «Sullo schermo» ordinò Ilia, non appena Terry la informò della svolta. La visione di poppa mostrava quella che sembrava, a tutti gli effetti, una replica della flotta federale.

   «E queste da dove sbucano?!» si meravigliò la Trill. «Siamo sicuri che siano vere astronavi e non qualche tipo d’ologramma?».

   «Può essere... forse la Flotta Stellare vuole intimorire il nemico, facendogli credere che siamo più numerosi!» suggerì Lantora, speranzoso.

   «E perché non ce l’hanno comunicato?» chiese Ilia.

   «Beh, forse non vogliono che il Fronte capti il messaggio...» ipotizzò lo Xindi.

   «Negativo, le astronavi sono autentiche» informò Terry. «Sono modelli identici ai nostri. Ho difficoltà a scansionarli per via delle interferenze, ma... hanno gli scudi alzati e sembra che stiano energizzando le armi».

   «Non sono della Federazione» comprese T’Vala, fissandole con orrore e disgusto. «Quello è l’Impero Terrestre. Viene dall’Universo dello Specchio».

   «E che ci fa...» cominciò Ilia, ma si bloccò, intuendo l’orribile verità. L’Impero Terrestre non poteva essere giunto per caso, con quella flotta enorme. Era lì per combattere. E visti i trascorsi, non si poteva sperare che stesse con la Federazione. «Scansione degli scafi. Terry, cerca i numeri di registro per confermare che sono navi imperiali» ordinò la Trill.

   «Ho la conferma» disse Terry, mostrando sullo schermo le inquadrature ravvicinate di alcune astronavi. I loro nomi avevano la dicitura ISS, anziché USS, ed erano poco rassicuranti: Tyrant, Hellfire, Conquest, Avenger, Charon. A volte lo scafo era verniciato di giallo o rosso, tracciando come delle fiamme. «La flotta imperiale si avvicina... ci sta chiudendo la via di fuga» avvertì l’IA.

   «Frell, siamo tra il martello e l’incudine!» esclamò Lantora. «Che facciamo?».

   Ilia non seppe che rispondere. Tutto lo schieramento dell’Unione era proteso in avanti, cercando di sfondare, e ormai anche ai lati per evitare l’accerchiamento. Non sarebbe riuscito a riassestarsi per proteggere le retrovie. E anche in quel caso, avrebbe ottenuto solo di farsi circondare completamente. Con l’arrivo dell’Impero Terrestre, la superiorità numerica del Fronte era schiacciante: due volte e mezzo l’Unione. La Trill non aveva bisogno di consultare Terry per capire che le loro possibilità di sopravvivere erano prossime allo zero.

 

   «Soldati dell’Impero, questo è un giorno storico» disse l’Ammiraglio N’Rass dal ponte della ISS Tyrant, in comunicazione con tutta la flotta imperiale. «Oggi vendicheremo la distruzione dell’Enterprise-J e la morte dello stimato Capitano Chase. Ci siamo preparati a lungo per questo momento e non siamo mai stati così forti. Abbiamo sconfitto tutti i nemici che hanno osato sfidarci nella nostra Galassia, assicurando la pax imperiale. È tempo di farlo qui, anche se vuol dire confrontarci con noi stessi.

   Guardate! Davanti a noi, la corrotta Unione Galattica annaspa nelle spire della morte. Credeva che assicurare l’uguaglianza l’avrebbe resa più forte; invece ha trascinato tutti nell’abisso della mediocrità. Abolita la contesa, nessuno ha potuto eccellere o progredire. Sono così marci che dargli il colpo di grazia è solo un atto di pietà. Continueremo a espanderci in questo Universo, come abbiamo fatto nel nostro. Mostreremo a questi popoli confusi e mal guidati la vera civiltà, e alla fine ci ringrazieranno. Terra firma!» gridò, levando il braccio nel saluto militare.

   «Terra firma!» ripeterono gli imperiali, sulla Tyrant come sulle altre navi. La grande flotta si abbatté sulle retrovie dell’Unione Galattica, disorganizzate e in preda al panico, sparando a più non posso. Molte navi dell’Unione, che avevano dato energia agli scudi anteriori, non fecero in tempo a dirottarla verso quelli di poppa. Esplosero senza che gli equipaggi avessero nemmeno compreso chi li colpiva.

   Passato il primo attimo di sgomento, l’Unione cercò di riallineare le sue navi, ma l’operazione si rivelò difficilissima. Ormai le astronavi erano così compresse che avevano difficoltà a voltarsi completamente senza il rischio di collisioni. E nel momento in cui erano girate a metà, rivolgevano tutta la fiancata al fuoco nemico. Ma anche le navi che riuscirono a fronteggiare l’Impero dovettero fare i conti con un problema inedito.

   Uno dei tradizionali punti di forza delle navi federali era la plasticità della loro tecnologia. Armi e scudi potevano essere rimodulati; il deflettore di navigazione poteva emettere un’ampia varietà d’impulsi energetici. La maggior parte dei nemici incontrati dalla Federazione non godeva di questo vantaggio. Ma l’Impero Terrestre aveva una tecnologia quasi identica a quella federale. Non era frutto di una libera condivisione di tecnologie. Era il risultato di spionaggi, rapine, conquiste. Ma la sostanza era la stessa: le navi imperiali sapevano adattarsi quanto quelle federali, e molto più di Klingon e Romulani. Il loro impatto fu devastante.

   Come se non bastasse, gli alleati della Federazione non compresero subito cos’era successo. Klingon e Romulani non avevano familiarità con l’Universo dello Specchio. Credettero che la Federazione, vistasi sconfitta, avesse compiuto il più infame voltafaccia, aiutando il Fronte a distruggerli. Alcuni di loro, soprattutto Klingon, aprirono il fuoco sulle navi federali che avevano accanto, senza notare che anche la Federazione era sotto attacco da parte dell’Impero Terrestre. Vedendo questo, Ilia si accasciò sulla poltrona del Capitano, con il volto tra le mani. Come Dax, aveva vissuto per oltre cinquecento anni, vedendo il sorgere e il progredire della Federazione. Di recente l’aveva vista evolversi in una più vasta Unione Galattica. Non pensava di vivere tanto da vederla crollare.

 

   Nell’ala destra del Fronte, i Krenim stavano accerchiando i Klingon, forti del vantaggio numerico. La Annorax distruggeva uno sparviero dopo l’altro con il suo disgregatore subatomico. Non c’erano esplosioni, né frammenti residui. Le navi da guerra Klingon svanivano semplicemente in un bagliore bianco-azzurro. Anche la Annorax stava incassando parecchi colpi, ma per il momento gli scudi reggevano. In plancia l’attività era frenetica: gli ufficiali correvano da una consolle all’altra gridando ordini e aggiornamenti tattici. Solo l’Ammiraglio Hortis restava flemmatico. Seduto sulla sua poltroncina, era la sola cosa immobile nella plancia, come il proverbiale occhio del ciclone. Ma a dispetto della staticità, la sua mente ribolliva, valutando l’evolversi della battaglia. «Priim, controlli le linee temporali» ordinò al suo Primo Ufficiale. «Che probabilità di vittoria abbiamo?».

   La Comandante consultò le linee azzurre sullo schermo, alle spalle di Hortis. Premette alcuni comandi, per richiamare ulteriori dati; un largo sorriso le rischiarò il volto. «La vittoria è certa al 99,7%. Meglio delle nostre più rosee previsioni!» esultò.

   «E quanto durerà ancora la battaglia?» tornò a chiedere Hortis, unendo le dita guantate mentre osservava la carneficina sullo schermo anteriore.

   «L’ultima nave dell’Unione sarà distrutta entro tre ore... giusto in tempo per la cena!» sogghignò Priim.

   Hortis chiuse gli occhi, la fronte solcata da rughe di dolore e preoccupazione.

   «Ce l’abbiamo fatta» disse Priim, gli occhi luccicanti di commozione. «Abbiamo cambiato la Galassia e assicurato la grandezza dell’Impero. Perché non diffondiamo una musica patriottica dagli altoparlanti?» suggerì.

   «Non sono dell’umore adatto» disse Hortis, scuotendo il capo. Tornò a guardare la mostruosa battaglia che si stendeva davanti a lui, intorno a lui, per migliaia di km in tutte le direzioni. Il Fronte e l’Unione si affrontavano nell’ultima mischia, trasformando lo spazio in un inferno di fuoco, dolore, morte. E lui era uno dei principali responsabili. Anni di lavoro, per arrivare a quel risultato: la Galassia sull’orlo del collasso. «Correzione, c’è una musica che vorrei risentire» disse l’Ammiraglio. «Acceda al database terrestre, sezione musica classica. Diffonda il Dies Irae; mi sembra appropriato al momento» constatò.

   Priim esitò, ritenendo che fosse una scelta infelice, ma poi obbedì. Sapeva che Hortis non tollerava di dover ripetere gli ordini.

   Mentre le prime, cupe note del canto risuonavano in plancia, l’Ammiraglio si lasciò ricadere sullo schienale della poltrona. Rovesciò la testa all’indietro, finché si trovò a guardare il soffitto metallico. Allora chiuse gli occhi, lasciando che le parole gli risuonassero nella mente e nel cuore. Erano parole antiche e potenti, simili a quelle che ere di tormenti avevano suggerito a molti popoli della Galassia: «Giorno d’ira quel giorno, che dissolverà il mondo terreno in cenere... quanto terrore verrà, quando il Giudice giungerà a giudicare severamente ogni cosa...».

   Hortis esalò un sospiro. Non era una divinità punitrice a consumare pianeti e flotte. Erano i mortali che distruggevano se stessi e le loro cose, credendo di trarne un vantaggio. Hortis si chiese come sarebbe stato giudicato, lui, per essersi schierato con gli invasori di un altro Universo. L’Impero Krenim e i suoi problemi gli parvero d’un tratto piccoli e insignificanti; fenomeni transitori nel grande affresco della storia galattica. Ma se i Tuteriani avessero vinto... lo spazio e il tempo stessi sarebbero giunti all’epilogo.

   L’enormità della sua follia si rivelò a Hortis, chiara come non mai. I Tuteriani non avrebbero accettati superstiti, all’infuori di loro stessi. Credendo di aiutare la sua gente, l’Ammiraglio aveva tradito l’intera Galassia. Ma come poteva rimediare? Se lo chiese con angoscia, senza trovare una risposta. Era troppo tardi per tornare indietro, la situazione oltrepassava il suo controllo. Se solo gli fosse capitata un’occasione per fare ammenda... per riparare al crimine commesso contro la Galassia... Hortis giurò che non se la sarebbe lasciata sfuggire. Neanche se avesse dovuto sacrificare se stesso e la sua nave.

 

   Nell’ora più disperata dell’Unione Galattica, un raggio giallo passò fra le navi dell’Impero e della Federazione. Ne seguirono altri, a ritmo esponenziale. Venivano da tutte le direzioni e non si esaurivano dopo un attimo, come le tipiche armi a raggi, ma restavano stabili. In pochi secondi tratteggiarono una ragnatela dorata, che divenne sempre più fitta. Era come una membrana, che divideva la flotta imperiale da quella federale. Sulle prime le astronavi cercarono di aggiustare il tiro, indirizzando le armi a raggio e i siluri tra le maglie della ragnatela. Ma scoprirono che il campo energetico – quale che fosse – era attivo anche lì, sebbene con minor forza. Le linee gialle erano solo i condotti principali dell’energia, che stava creando un campo avvolgente.

   In pochi secondi la ragnatela si allargò e crebbe, flettendosi in avanti. Ora somigliava più al bozzolo di un insetto. Stava avvolgendo la flotta imperiale, isolandola dallo spazio circostante. Considerando che alcune navi si erano già mischiate con quelle federali, nel caos della battaglia, l’operazione non era perfetta. Qualche nave imperiale sfuggì alla ragnatela, ma restò tagliata fuori dal grosso della flotta e circondata dai vascelli dell’Unione. Allo stesso modo, alcune navi federali rimasero intrappolate con la flotta imperiale. In ambo i casi il loro destino era segnato; ma erano pochissime, a paragone delle forze in campo.

   «Che succede?!» protestò N’Rass, vedendo la trama dorata che s’infittiva sullo schermo. «Non saranno mica... oh, no!» gemette, saltando in piedi come se la poltrona le avesse dato la scossa. «Ordine generale di ritirata! A tutte le navi, invertite la rotta e allargatevi il più possibile. Non fatevi intrappolare dalla ragnatela tholiana!».

   Erano proprio i Tholiani, con più di mille navi-ago fatte di una resistentissima sostanza cristallina, forse uno stato particolare della materia. In qualche modo avevano mascherato il loro arrivo e si erano disposte tutt’intorno alla flotta imperiale. Ora stavano tessendo la ragnatela più grande che si fosse mai vista. Poteva sembrare un bozzolo, ma in realtà era un poliedro con innumerevoli facce. Le navi imperiali cercarono di uscirne, ma le linee principali della ragnatela erano già completate. Ancora qualche attimo e s’infittirono fino a raggiungere la configurazione definitiva. Quasi tutta la Flotta Imperiale si trovò confinata in uno spazio ristretto. Le poche navi che si erano salvate furono immediatamente assalite dalle altre specie inorganiche: Sheliak, Excalbiani, Melkotiani.

   «Bravi ragazzi! Sono arrivati appena in tempo» esultò Lantora, riprendendo colore.

   «Puntuali come al solito» sorrise T’Vala.

   «La ragnatela tholiana regge» informò Terry, inquadrandola sullo schermo. Sembrava un immenso topazio, che intrappolava gli imperiali, impedendogli di unirsi agli alleati del Fronte. L’IA ingrandì uno degli spigoli, mostrando una nave-ago che emetteva una raggiera gialla dalla punta. Era all’esterno della ragnatela, per cui non poteva essere colpita. Terry tornò ad allargare l’inquadratura. La flotta imperiale bersagliava le pareti della ragnatela, cercando di sfondarle, ma anche i siluri più potenti creavano un effetto di risonanza che si disperdeva lungo la struttura. In pratica la ragnatela era un immenso ammortizzatore. Ma le navi-ago non si limitavano a fare da bersaglio. Rispondevano al fuoco con colpi ad alta energia, martellando gli scudi nemici.

   Questa era solo la prima parte della strategia tholiana. Il passo successivo fu contrarre la ragnatela. Muovendosi in perfetta sincronia, le navi ago-si avvicinarono, restringendo il “topazio”. Ciò costrinse la Flotta Imperiale ad accorciare le distanze fra i suoi vascelli. Molte astronavi si trovarono circondate dalle altre, al centro della trappola, così che non poterono più sparare, per non colpire le navi sorelle. Solo chi si trovava all’esterno poteva continuare a fare fuoco. Sulla plancia della Tyrant, l’Ammiraglio N’Rass si aggirava come una leonessa in gabbia.

   «Concentrate il fuoco sulla parte della ragnatela rivolta a Procyon V» ordinò la Caitiana. «Mirate agli spigoli, alle navi-ago. Dobbiamo uscire da questa morsa!».

   Inesorabile, la ragnatela tholiana si restrinse, obbligando le navi imperiali ad accostarsi sempre più. Si arrivò al punto che alcune entrarono in collisione. Il fatto che fossero così pressate, inoltre, voleva dire che i colpi dei Tholiani andavano sempre a segno. Se anche un’astronave li evitava, la loro traiettoria li portava fatalmente a colpirne un’altra. Era come sparare in uno stormo fittissimo. Quando gli scudi cedettero, le navi imperiali fecero manovre diversive più ardite per evitare i colpi; ma questo aumentò le collisioni. Dovunque rivolgessero la prua, non c’era via di scampo, ma solo una barriera d’energia gialla e il fuoco implacabile delle navi-ago.

   Per la verità, le raffiche più potenti riuscirono a passare lo scudo e a distruggere alcune navi tholiane. Certe sezioni della ragnatela s’indebolirono. Qua e là si aprirono persino degli squarci, in cui s’ingolfarono le navi imperiali. Ma quando una nave-ago era distrutta, un’altra prendeva subito il suo posto. Le navi dell’Impero Terrestre che riuscivano effettivamente a uscire dalla ragnatela erano pochissime. E non facevano molta strada, perché erano immediatamente attaccate dagli altri Inorganici, che pattugliavano costantemente l’esterno della ragnatela. La morsa continuò a restringersi e sempre più navi imperiali vennero distrutte. Ma erano così tante che servivano ore per eliminarle tutte. Nel frattempo la battaglia proseguiva e il Fronte era ancora in vantaggio sull’Unione Galattica.

 

   «Questo non l’avevi previsto» disse la Primaria, scoccando un’occhiata micidiale alla Vate accanto a lei.

   «In realtà era tra le varianti prese in considerazione» si difese la Vate, evidenziando una linea temporale fra le tante, nel complesso ologramma tridimensionale che le circondava. La linea deviava dal fascio principale, quello della vittoria, e il suo colore passava dal blu al verde, fino ad acquisire una sfumatura giallastra. Poi però si reindirizzava verso le altre e il suo colore tornava all’azzurro. «Come vedete, l’intervento dei Tholiani non è che un intoppo temporaneo. Neanche loro possono ribaltare l’esito della battaglia» spiegò la Vate.

   «A patto che l’Unione non riceva altri rinforzi» puntualizzò la Primaria.

   «E chi potrebbe intervenire?» chiese la Messaggera. «Già l’arrivo dei Tholiani era altamente improbabile. Un altro intervento ha probabilità infinitesimali di verificarsi».

   «Comunque è un inconveniente che ci costerà molte navi e soldati» insisté la Primaria. «Non devono essercene altri, o la vittoria sarà seriamente a rischio». Rifletté un istante, prima d’impartire una serie di ordini: «È tempo di passare al contrattacco. Intensificate al massimo le emissioni delle Sfere. Concentrate le anomalie, dirigetele contro le navi dell’Unione per abbattere i loro scudi. Appena cedono, inviate le squadre di sabotatori. E ordinate agli alleati di estendere al massimo le ali della flotta. Dobbiamo completare l’accerchiamento, anche senza l’Impero Terrestre».

 

   «Rilevo un picco nelle emissioni delle Sfere» avvertì Terry. «Le anomalie peggiorano di conseguenza. Scudi al 40% in diminuzione».

   «Se i nostri scudi sono al 40%, quelli delle altre navi...» disse Lantora.

   «Hanno ceduto o stanno per cedere» confermò Terry. «Rilevo allarmi multipli in tutta la Flotta. I Tuteriani abbordano le navi».

   «Mostrami la Sfera di Controllo» ordinò Ilia. Sullo schermo apparve una Sfera assai più armata e corazzata delle altre. Quaranta Dreadnought la circondavano da ogni parte. Il reticolo di solchi che la percorreva splendeva d’arancione, per l’enorme aumento dell’energia gravimetrica sprigionata. Vista da lontano sembrava un planetoide con la crosta tutta fratturata. L’energia gravimetrica creava una ribollente schiuma quantica arancione, in cui le leggi fisiche venivano rimodellate. Più i Tuteriani erano a loro agio, più gli abitanti di questo Universo soffrivano.

   L’intensificarsi delle anomalie ebbe effetti rapidi e drammatici. Molte navi dell’Unione persero gli scudi. Alcune avevano rivestito gli scafi di trellium-D, una sostanza in grado di combattere – in parte – gli effetti delle anomalie. Ma la maggioranza rimase esposta. Le astronavi cominciarono a subire strane, grottesche deformazioni, ora allungandosi, ora contraendosi, ora persino rivoltandosi fino ad annodarsi. Sembrava di vedere dei riflessi entro specchi deformanti. Ma era tutto vero, e superato un certo limite le alterazioni erano fatali. Le astronavi cominciarono a esplodere.

   All’interno, la situazione si rivelava in tutta la sua drammaticità. L’aria era rossastra, chiazzata di macchie grigie e ronzanti. Gli equipaggi soffrivano atroci tormenti, mentre vedevano la loro pelle spaccarsi, finché tutto l’organismo si fratturava. E non era finita.

   I sabotatori Tuteriani si materializzarono, a decine per ogni astronave. Si diressero subito ai loro obiettivi, di buon passo ma senza correre. Passavano attraverso le paratie per abbreviare il tragitto, oltre che per ostacolare i difensori. Quando si trovavano di fronte qualche avversario, i Tuteriani lo eliminavano scagliando vortici d’energia letale dalle mani. Non c’era rabbia in loro. Non gridavano, non fissavano i nemici negli occhi, non rallentavano nemmeno per un istante. Colpivano e basta, per poi passare oltre, attraverso i corpi ancora caldi delle vittime. Come sempre il loro obiettivo erano i sistemi energetici delle astronavi: griglia EPS, generatori ausiliari, ma soprattutto i nuclei quantici. V’immergevano direttamente le mani, cercando di destabilizzarli sino a farli esplodere. Molte navi federali furono distrutte in questo modo, senza che i loro equipaggi avessero il tempo di fuggire. Era una strategia che non lasciava scampo: finché le Sfere restavano in funzione, i Tuteriani erano inarrestabili. Anche se avessero perso le Dreadnought, potevano continuare a combattere – e vincere – in questo modo. Ma la loro scorta di Dreadnought era ben lontana dall’esaurirsi.

   Nelle ali dello schieramento le cose non erano molto diverse. Né gli sparvieri Klingon, né i Falchi da Guerra romulani – alimentati da micro-singolarità – erano immuni dai precisi sabotaggi dei Tuteriani. A volte gli alieni dalla pelle grigia si manifestavano direttamente in plancia, uccidendo gli ufficiali. Nel frattempo Krenim, Vorgon e Na’kuhl continuavano a bersagliare i nemici con le armi convenzionali. Le loro navi ammiraglie erano fortezze imprendibili. La Annorax dissolveva uno sparviero Klingon dopo l’altro con il suo disgregatore subatomico anteriore. La Grande Ruota da Guerra era un vortice distruttivo che annientava qualunque nave osasse avvicinarsi. L’Eclipse era una montagna nera e semovente, che faceva a pezzi le navi con i disgregatori sub-nucleonici o si limitava a speronarle, forte della sua invulnerabilità. Ma i tre leader osservavano la battaglia con animo diverso.

   L’Ammiraglio Hortis era sempre più oppresso dai rimorsi e dalla sensazione di disastro incombente. Non temeva la sconfitta, ma la vittoria. Si chiese che sarebbe successo se avesse dato ordine di ritirarsi, o persino di cambiare schieramento e colpire gli alleati del Fronte. Realisticamente, l’equipaggio avrebbe rifiutato di obbedirgli. Hortis conosceva bene il suo Primo Ufficiale, Priim: pensava solo all’Impero e non si sarebbe mai lasciata sfuggire una vittoria così a portata di mano. Se avesse indovinato i suoi pensieri, lo avrebbe giustiziato all’istante. Senza dare nell’occhio, Hortis mise mano al blaster che portava in fondina, regolando la potenza al massimo. Non avrebbe avuto il tempo di sparare due volte.

  L’Autarca Cletus osservava la battaglia con trepidazione, chiedendo continui aggiornamenti. Ogni volta che la Ruota sussultava o scricchiolava si faceva piccolo dalla paura. Allora guardava gli alleati del Fronte, che gli davano sicurezza, e gradualmente si ricomponeva. Non vedeva l’ora che quella carneficina avesse fine. Il suo popolo aveva già versato troppo sangue, molto più di quanto si aspettava quando era entrato nel Fronte. Si augurò che ne valesse la pena. Aveva già stilato una lista dei pianeti che voleva gli fossero consegnati, a guerra terminata, come ricompensa per l’impegno profuso.

   Il Leader Supremo Vosk era vigile e concentrato sull’andamento della battaglia. Andava su e giù per la plancia, dando istruzioni ai suoi sottoposti ed esortandoli a dare il massimo. L’arrivo dei Tholiani era stato un brutto colpo per lui, ma si era ripreso in fretta. Era più determinato che mai a spezzare l’Unione. «Abbiamo vinto battaglie in condizioni peggiori» disse. «Ora dobbiamo concentrare i nostri sforzi sull’accerchiamento. Anche se l’Impero Terrestre è intrappolato, la ragnatela tholiana ostruisce comunque la ritirata dell’Unione. Che sia quella l’incudine; noi saremo il martello».

   «Se mandassimo qualche nave a liberare l’Impero?» suggerì Ifrit.

   «No, non voglio disperdere le nostre forze» spiegò Vosk. «Ci basta pressare l’Unione contro la ragnatela, togliendole ogni via di fuga. Le anomalie e i sabotaggi interni l’hanno messa allo stremo. Quando le sue navi centrali saranno distrutte, il resto dello schieramento crollerà».

   Come a confermare la sua valutazione, la Majestic sbandò. Si era spinta troppo in avanti, cercando d’aprirsi un varco nella flotta tuteriana, e si era ritrovata in mezzo alle Dreadnought. Ne distrusse parecchie, ma infine i suoi scudi cedettero. Squadre di sabotatori Tuteriani attaccarono i sistemi energetici e le sale di controllo, uccidendo chiunque cercasse di fermarli. Il risultato fu un calo di potenza che privò la Majestic anche delle armi a raggi. Le Dreadnought continuarono a bersagliarla, costellando lo scafo di brecce. I campi di forza avrebbero dovuto sigillarle, ma erano anch’essi senza energia. Una gondola quantica fu colpita in pieno ed esplose. L’altra si staccò con la parte terminale del pilone, andando alla deriva. Lo scafo secondario, proveniente da una classe Altair, era pieno di falle e persino la più moderna sezione a disco si stava riducendo a un colabrodo.

   L’Ammiraglio Nelscott aveva combattuto molte battaglie; sapeva quando si può sperare nella vittoria e quando no. Leggendo la lista interminabile dei danni, comprese che la sua nave era condannata. Accanto a lui Majel, l’Intelligenza Artificiale della nave, crepitò e si spense. Anche il processore centrale del computer era danneggiato. Le sue numerose proiezioni, che stavano aiutando l’equipaggio, si disattivarono in tutta la nave.

   Frustrato, Nelscott batté i pugni sulla consolle scientifica, che indicava avarie a tutti i sistemi. Il fumo riempiva la plancia, facendo tossire gli ufficiali. Persino l’illuminazione aveva ceduto; restavano solo le consolle a diffondere un’angosciosa luce rossastra. Nelscott guardò la Sfera di Controllo, inquadrata sullo schermo assieme alle Sfere circostanti e alle Dreadnought di scorta. La Majestic era giunta più avanti di ogni altra nave dell’Unione, eppure era ben lontana dall’obiettivo. Le Sfere erano ancora distanti, irraggiungibili come un miraggio. L’Ammiraglio comprese che la sua strategia era fallita.

   «Abbandonate la nave» ordinò con voce rauca. «Dite al Capitano Dax che ora dirige lei la flotta». Andò alla consolle tattica.

   «Ammiraglio, non viene?» chiese il Primo Ufficiale, un Tandarano.

   «No» rispose Nelscott. «Questo è il mio fallimento. Andate, io cerco di darvi un po’ di copertura».

   «Ma signore...».

   «Vada, ho detto! Non voglio vedere la fine dell’Unione» disse l’Ammiraglio, concentrandosi sui comandi. Le armi a raggi erano senza energia, ma i tubi lanciasiluri funzionavano ancora.

   Il Comandante e gli altri ufficiali si guardarono incerti, ma un nuovo scossone li convinse a obbedire. Lasciarono la plancia, portandosi via i feriti. Nelscott rimase solo. Stranamente non pensò ai suoi familiari, ma ad Alexander Chase. L’ultima volta che aveva parlato con lui, l’Enterprise era a Tholia per le trattative con gli Inorganici. Lo aveva sollevato dal comando per i fatti di Xindus, pur sospettando che fosse una strategia dei Tuteriani per metterlo fuori gioco. L’aveva fatto perché il regolamento glielo imponeva. Avrebbe voluto dirlo a Chase di persona, ma quando la Flotta si era radunata ad Andoria non l’aveva trovato. Era sparito misteriosamente e nemmeno i suoi ufficiali sapevano dove fosse... o non volevano dirlo. Nelscott si domandò se le cose sarebbero andate diversamente, con Chase al comando dell’Enterprise. Probabilmente no... nemmeno lui poteva ribaltare un simile scenario.

   «Ovunque tu sia, spero che riuscirai a cavartela. Quel che resta della Flotta avrà un gran bisogno di te» si disse l’Ammiraglio. Anche se i motori erano inattivi, la Majestic procedeva per inerzia, addentrandosi sempre più nello schieramento tuteriano, dove le Dreadnought erano ravvicinate. L’astronave sforacchiata si lasciava dietro una scia di rottami; la rottura del nucleo era imminente. Nelscott continuò a silurare le navi nemiche, dando al suo equipaggio la copertura necessaria per proseguire l’evacuazione. Decine di navette e capsule abbandonarono l’astronave condannata. C’erano anche gli shuttle medici, dove i dottori avevano caricato i feriti.

   «Sei stata una gran bella nave» sospirò Nelscott, passando la mano sul pannello. Chiuse gli occhi, accettando il suo destino. L’attimo dopo i sabotatori Tuteriani ottennero quel che volevano: la rottura del nucleo. La Majestic fu annichilita da un’esplosione così intensa da distruggere o danneggiare seriamente le Dreadnought più vicine. Le sue capsule e navette fuggirono verso la retrostante flotta dell’Unione.

   Quando vide il lampo della Majestic, Ilia si sentì mancare. Sapeva che l’Ammiraglio Nelscott era morto e conosceva le conseguenze. La responsabilità della battaglia era appena ricaduta sulle sue spalle. Ma lei non sapeva come salvare la flotta, o anche solo l’Enterprise. Né lo sapeva l’Intelligenza Artificiale al suo fianco, o la mezza Vulcaniana davanti a lei, o lo Xindi alle sue spalle.

   «Capitano Dax a equipaggio» disse con voce incrinata. «La Majestic è stata distrutta e l’Ammiraglio Nelscott è presunto morto. La nostra nave è ora al comando della flotta. Qualunque cosa accada, dobbiamo resistere. Siamo tutto ciò che si frappone tra i nostri mondi e il Fronte Temporale».

   «Sala macchine a plancia, che yotz state facendo?!» giunse la voce di Grenk, un po’ disturbata dalle interferenze. «Non vedete che la battaglia è persa? Dobbiamo ritirarci o è la fine!». In sala macchine, il Tellarita si aggirava tra sbuffi di gas e piogge di scintille, andando da una consolle all’altra per spremere ogni joule di energia dal nucleo.

   «Sono consapevole della situazione!» rispose Ilia seccamente. «Ma il Fronte ci ha praticamente circondati. Stiamo cercando di capire dove premere, per avere maggiori speranze di sfondare, ma...».

   «Cos’ha capito!» la interruppe Grenk. «Io non parlo di tutta la Flotta. Mi riferisco all’Enterprise e alle altre navi che dispongono del propulsore cronografico. Possiamo trasferirci all’istante via da qui, in un angolo di Galassia più tranquillo».

   Ilia restò allibita, ma allo stupore subentrò ben presto la rabbia. «Scherza?!» protestò. «Solo una manciata d’astronavi federali dispongono di quel propulsore. Una su cinquanta! E nessuna nave Klingon o Romulana. Che andiamo a fare, se il resto della flotta resta qui?».

   «A sopravvivere, ecco dove andiamo!» rispose il Tellarita. «Meglio salvare quaranta astronavi, piuttosto che nessuna. Fra non molto saranno tutto ciò che resta della Federazione».

   «Ma non possiamo abbandonare il resto della Flotta... e gli alleati...» balbettò Ilia, cominciando a chiedersi se invece avrebbero dovuto.

   «Possiamo farlo, Capitano, e temo che dovremo» disse Terry, addolorata. «Questa battaglia è senza speranza. Restando qui, saremo distrutti fino all’ultima nave. I mondi federali resteranno privi di difese. Se invece le navi munite di propulsore cronografico se ne vanno, potranno radunarsi altrove».

   «E che faranno quaranta navi contro il Fronte Temporale?!» sbottò Lantora, che aveva ascoltato la discussione. «Saremo sempre in fuga, braccati da forze preponderanti. Non potremo mai più fermarci per dare battaglia».

   «Forse non dovremmo fermarci» disse T’Vala. Non si girò nemmeno, perché doveva manovrare il timone, ma s’inserì nella discussione con tutta la logica vulcaniana che riuscì a trovare in quel momento. «Se il propulsore cronografico permetterà a quaranta navi – ma ormai saranno venti o trenta – di cavarsela, dovremo affrontare una scelta» spiegò. «Potremmo radunarci intorno alla Terra o a un altro mondo federale, per difenderlo a oltranza. Ma il Fronte è troppo forte e ci schiaccerà. Potremmo dividerci per proteggere un maggior numero di pianeti, ma non faremmo che rallentare l’inevitabile. Il Fronte si dividerà in varie flottiglie, grandi abbastanza da annientare le ultime astronavi e sopraffare le difese planetarie. Non resta che una scelta estrema».

   «Sarebbe?» chiese Lantora, presagendo il peggio.

   «Ogni nave deve dirigersi verso uno dei mondi centrali della Federazione e caricare quanti più civili possibile, selezionando le menti più brillanti» spiegò T’Vala. «Poi ogni nave si dirigerà verso una zona diversa del Quadrante Gamma, lontano dalla parte di Galassia rivendicata dal Fronte. Potremmo anche andare verso le Nubi di Magellano o persino in altre galassie... il propulsore cronografico lo consente. L’importante è che ogni nave segua una rotta diversa, così il Fronte non potrà tracciarle tutte. Se metteremo una tale distanza fra noi e il nemico, saremo in salvo».

   «E poi?» chiese Lantora, trasognato.

   «Poi dedicheremo il resto delle nostre vite alla ricerca di un pianeta tranquillo e isolato, dove trapiantare un germe di Federazione» rispose T’Vala sconsolata. «L’Enterprise è progettata come nave generazionale, quindi potrà assicurare la sopravvivenza della sua colonia per molto tempo. I Tuteriani impiegheranno secoli a trasformare completamente i Quadranti Alfa e Beta. Potrebbero anche entrare in conflitto con gli ex alleati del Fronte, lottando per il dominio assoluto. Tutto questo li terrà impegnati per molto tempo. Intanto noi preserveremo le nostre specie e culture. Forse non sentiremo parlare mai più del Fronte».

   «Se questo è uno scherzo, non fa ridere» disse Lantora, scuro in volto. «Come puoi pensare una cosa simile?! È... è...» balbettò, non trovando le parole.

   «È l’unica linea d’azione logica» riconobbe Terry. «Per quanto mi addolori, devo caldeggiarla. Decida, Capitano Dax... ma decida in fretta, perché presto non avremo nemmeno l’Enterprise. I miei scudi sono scesi al 22%».

   Ilia fece qualche passo malfermo in avanti, verso lo schermo principale, che le mostrava la dura realtà. Le navi dell’Unione, annegate nella schiuma rossastra delle anomalie, esplodevano come tanti fuochi artificiali. Il Fronte Temporale si chiudeva su di loro, implacabile. Nemmeno i Tholiani e gli altri Inorganici potevano fermarlo; a malapena riuscivano a trattenere l’Impero Terrestre. L’Unione era condannata, ma forse si poteva salvarne qualche briciolo... almeno dai mondi principali. Ilia si girò verso gli ufficiali, che pendevano dalle sue labbra, ancora increduli che dovesse finire tutto così. S’inumidì le labbra, pronta a dare l’ordine che avrebbe rimpianto per tutta la vita.

 

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Capitolo 6
*** Il Tox Uthat ***


-Capitolo 5: Il Tox Uthat

 

   «Preparatevi a morire» disse il Pretore Valkis, ultimo leader dello Stato Imperiale. Grazie all’interfaccia neurale controllava con facilità i tentacoli metallici nell’hangar, frutto della commistione fra tecnologia Borg e romulana. Poteva semplicemente ordinare ai suoi soldati, presenti in sala, di aprire il fuoco contro Chase e Neelah. Ma preferiva essere lui stesso a eseguire la sentenza. Stava per trafiggere Chase, quando lo vide scambiare un’occhiata disperata con Neelah. Dalle sue ricerche storiche sapeva quanto l’Aenar fosse importante per il Capitano. Decise di ucciderla per prima.

   I tentacoli metallici si mossero in una con il pensiero di Valkis. I bozzoli che imprigionavano i due federali si aprirono leggermente, scoprendo parte dei loro busti, ma continuando a bloccare gli arti lungo il corpo. Un terzo tentacolo nero ondeggiò come un serpente e scattò in avanti, trafiggendo Neelah all’altezza del plesso. L’Aenar rovesciò la testa all’indietro e urlò dal dolore.

   «NO!» gridò Chase, dibattendosi con tutte le sue forze. Ma nessun Umano poteva sfuggire alla presa della tecnologia Borg. Il tentacolo che aveva trafitto Neelah si ritrasse e anche quello che l’avvolgeva si sciolse lentamente, permettendole di accasciarsi sul pavimento. La scienziata finì riversa su un fianco. Si comprimeva la terribile ferita con le mani, cercando di arrestare il fiotto di sangue azzurro, e gemeva debolmente.

   «So che ti sei potenziata con la tecnologia Borg, proprio come me» disse Valkis. «Ma non te la caverai: quella ferita è troppo grave perché le tue nanosonde possano ripararla. Addio, dottoressa. E ora veniamo a lei» aggiunse, rivolgendosi a Chase. «Non avrebbe dovuto portarsi dietro la sua compagna. Se voleva proteggerla doveva lasciarla su Andoria. Certo che, fra poco, la Storia cambierà e anche quel pianeta sarà cancellato, come tutti i mondi federali. Quindi non si senta troppo in colpa. Addio anche a lei, Capitano».

   Il tentacolo che aveva colpito Neelah puntò verso Chase, pronto a trafiggerlo. Ma all’ultimo, Valkis si fermò. Aveva notato una cosa stranissima: il tentacolo era pulito. Avrebbe dovuto essere imbrattato di sangue blu, dopo aver impalato l’Aenar. Confuso, il Pretore guardò la scienziata e vide che la macchia azzurra del suo sangue non si stava allargando sul pavimento. Anzi, prese assurdamente a restringersi. Il sangue azzurro rifluì nel corpo della biologa e lo squarcio nel busto si richiuse. Persino l’abito nero tornò intatto, come se una mano invisibile l’avesse ricucito. Neelah puntò le mani a terra e si rialzò, con aria di sfida.

   «Come ha puntualizzato il Capitano, i Romulani tendono a sottovalutare gli avversari» disse l’Aenar. C’era qualcosa di strano nella sua voce; aveva cambiato tonalità.

   «Che significa, Pretore?» chiese il capo delle guardie, sbigottito. «Questa non è opera delle nanosonde... il sangue le è rifluito nel corpo! L’Andoriana può riavvolgere il tempo?!». Le guardie indietreggiarono, ma tennero i prigionieri sotto tiro.

   «Non può essere» disse Valkis, squadrando Neelah con meraviglia e anche con un certo timore. «Che cosa sei?!».

   «Se sei così evoluto, non ti sarà difficile scoprirlo» rispose la scienziata in tono beffardo.

   Valkis strinse gli occhi. I sensori della Cripta si concentrarono su di lei, esaminandola in tutti i modi possibili. I risultati delle analisi andarono dritti alla mente del Pretore. Sembrava tutto normale, eppure doveva esserci qualcosa di anomalo. Quando passò alle scansioni micro-cellulari capì.

   «Ma certo... Intelligenza Artificiale 12-J-4739 MARK VII» disse il Pretore. «Benvenuta nella Cripta. Le proiezioni isomorfe dell’Enterprise-J erano molto sofisticate, per i loro tempi».

   «Grazie; può chiamarmi Terry» disse l’IA, tornando al suo aspetto consueto. Anche l’abito cambiò, convertendosi nell’uniforme da Tenente Comandante. Ora che non indossava più il lungo impermeabile nero, sul braccio era visibile l’Emettitore Autonomo.

   «Comunque non fa differenza» disse Valkis. «Distruggerò il suo Emettitore e poi ucciderò il Capitano. Ehi, ma... un momento...». Il Pretore s’irrigidì, mentre la sofisticata tecnologia innestata nel suo corpo lo metteva in allarme. Poteva vedere le parole, rosse e lampeggianti, come se gli scorressero davanti agli occhi.

 

ALLARME TATTICO

RILEVATA STRATEGIA DIVERSIVA IN ATTO

URGE LOCALIZZARE SEGNI VITALI AENAR

RICERCA IN CORSO, ATTENDERE...

 

   «Quando la vostra navetta è arrivata c’erano quattro segni vitali a bordo» disse Valkis, respirando pesantemente. «Due erano Hirogeni, uno Umano e l’ultimo Aenar. Ho ucciso gli Hirogeni...» disse, osservando i cadaveri impalati come per sincerarsi che fossero ancora lì «... e ho catturato voi due. Ma se tu non sei Aenar, di chi erano quei segni vitali?» chiese, fissando Terry con orrore.

   «Pretore, abbiamo una clandestina a bordo?» chiese il capo delle guardie.

   «Non c’è altra spiegazione» concluse Valkis. «I federali sono arrivati in cinque. Fra loro c’erano Neelah, che abbiamo rilevato, e Terry che ci è sfuggita. Suppongo la tenessero disattivata. Subito prima che uscissero dalla navetta, Terry si è attivata, imitando l’aspetto dell’Aenar. Invece Neelah dev’essersi occultata... ed è qui tra noi!» esclamò, guardandosi attorno innervosito. I tentacoli Borg lo circondarono, per proteggerlo da qualsiasi attacco. Fremevano in cerca di un bersaglio che per il momento non trovavano. Anche i soldati romulani smisero di tenere sotto tiro Chase e Neelah, puntando i disgregatori verso l’esterno del loro cerchio.

 

RICERCA NEGATIVA

VALUTAZIONE TATTICA: STRATEGIA D’INFILTRAZIONE

SUGGERIMENTI: ESTENDERE LA RICERCA AL RESTO DELLA CRIPTA,

METTERE IN SICUREZZA IL TOX UTHAT

 

   «Mi correggo» disse lentamente Valkis, fissando Chase con rinnovato rispetto, quasi con ammirazione. «La sua compagna ci ha lasciati. Il suo obiettivo è sempre stato l’Uthat. E mentre lei mi faceva parlare, per guadagnare tempo, la dottoressa si è avvicinata all’arma. Ora potrebbe essere...».

   «Laboratorio 1 a Pretore, emergenza!». La voce proveniva da un minuscolo comunicatore che Valkis teneva appuntato sul braccio. «Il Tox Uthat ci è stato sottratto. È svanito sotto i nostri occhi! Eppure non rileviamo tracce di teletrasporto. Crede sia opera degli Agenti Temporali?».

   «Sì, agenti improvvisati» sibilò Valkis, guardando Chase e Terry con odio. «Cercate una spia occultata. Non può fuggire dalla Cripta, ma potrebbe distruggerlo per non lasciarlo in mano nostra. Trovatela al più presto... setacciate ogni anfratto di questa base!» ordinò. Si collegò al computer della stazione, attivando l’allarme tattico. Le truppe romulane corsero a presidiare gli hangar navette e le sale teletrasporto, per impedire a Neelah di fuggire. Altri soldati ispezionarono le armerie, gli inceneritori e tutto ciò che poteva essere usato per distruggere l’Uthat. Persino le camere stagne furono controllate, per evitare che l’Aenar espellesse l’arma nello spazio.

   «La vostra amica non può nascondersi per sempre» disse Valkis, lottando per mantenere l’autocontrollo. «Presto o tardi la troveremo. In effetti credo che tornerà qui: la Phoenix è la sua sola via di fuga. Ma prima che torni saprò i dettagli del vostro piano e quindi riuscirò a localizzarla» disse, con sguardo omicida.

   «Pensa di leggermi nella mente?» domandò Chase. Di solito i Romulani non riuscivano a eseguire la Fusione Mentale vulcaniana, ma era possibile che Valkis, con tutti i suoi potenziamenti, ne fosse in grado.

   «Come ultima opzione, sì» disse il Pretore. «Ma posso fare di meglio. Ora vedrete di che sono capace». Marciò contro Terry, entrando nel cerchio delimitato dalle guardie. Il Romulano e la proiezione isomorfa si studiarono per qualche istante, poi vennero alle mani. Terry aveva in memoria gli schemi di centinaia di stili di combattimento. Scelse quello che riteneva il più adatto e colpì con la massima velocità e potenza. Se fosse andato a segno, il colpo avrebbe spezzato il collo a Valkis. Invece andò a vuoto.

   Il Romulano si mosse con tale velocità che parve occupare due posti allo stesso momento. In una frazione di secondo afferrò Terry e la sbatté al suolo con forza enorme. Poi estrasse due tubuli di assimilazione Borg dalla mano destra e li conficcò nel suo Emettitore Autonomo. L’IA emise un gemito strozzato e si paralizzò, mentre una nebbia elettronica offuscava la sua immagine.

   «Terry!» gridò Chase, in preda all’orrore. Avrebbe voluto aiutarla, ma era sempre avvolto dal tentacolo e tenuto sotto tiro dalle guardie. «Che ti sta facendo quel pezzo di dren?!» ringhiò. Non si aspettava che il Pretore avesse i tubuli di assimilazione. Chissà quante altre diavolerie si era messo in corpo, nella sua folle corsa alla perfezione.

   «Non può risponderle, Capitano» disse Valkis, concentrato sulla vittima. «Sto accedendo alla sua matrice. Ci sono parecchi livelli di sicurezza, ma non si faccia illusioni: riuscirò a superarli tutti. Questa IA sarà anche il massimo della tecnologia informatica, nel vostro tempo. Ma per me è obsoleta di duecento anni. Guardie, non state lì impalate!» disse poi. «Sorvegliate la Phoenix. Neelah non deve entrarci. Credo che abbandonerebbe i suoi compagni, pur di portare l’Uthat nel XXVI secolo».

   I Romulani corsero alla navetta temporale, facendole cerchio attorno, con i disgregatori spianati. Intanto Valkis continuava ad hackerare Terry. Ogni volta che violava un livello di sicurezza, l’ologramma aveva un glitch.

   «Ma come ci riesce?!» domandò Chase. Serviva una potenza di calcolo enorme per abbattere le difese di Terry.

   «Le nanosonde nel mio corpo sono collegate per creare una rete informatica» rivelò Valkis. «Usano lo spin degli elettroni nei miei atomi come codice binario. In pratica fanno di me un computer vivente. Ecco cosa può fare la tecnologia, sapientemente usata. E non è tutto!» disse. L’umiliazione per essersi fatto ingannare aveva lasciato il posto al desiderio di rivincita. Voleva che i federali sapessero quant’era potente e quanto erano stati folli a credere di sconfiggerlo. Solo allora li avrebbe uccisi. «Vede, Capitano, io non posso essere ucciso» gongolò. «Le nanosonde riparano il mio DNA, rendendomi immortale. Ma se anche perissi di morte violenta, non sarà la fine. La mia coscienza si trasferirà nel processore centrale di questa base. Così trascenderò la mortalità!» rivelò, continuando ad hackerare Terry. «E col tempo tornerò in forma di proiezione isomorfa. Nessuno può fermarmi; io sono la Cripta!».

   «Allora la Cripta dev’essere distrutta» disse Neelah, comparendo a poca distanza. Nella mano sinistra, tenuta alta, reggeva trionfalmente un cristallo multi-sfaccettato, simile a un grosso diamante. Il Tox Uthat brillava di luce propria ed emetteva un lieve ronzio, pronto all’uso.

 

   Quando la Phoenix atterrò nell’hangar, i federali agirono in fretta. Neelah si fissò alla mano lo Sfasatore Dimensionale proveniente dal guscio temporale di Kal Dano e quindi dal XXXI secolo. Era l’unica tecnologia di cui disponevano che potesse ingannare i sensori romulani del XXVIII secolo. Simile a un guanto senza dita, si agganciava al dorso della mano. Gli esperimenti avevano dimostrato che possedeva una lunghissima autonomia e Neelah si era assicurata che fosse ben carico prima di partire.

   «In bocca al lupo» disse Chase, e le diede un rapido bacio. Poi prese l’Emettitore Autonomo di Terry e lo tenne sollevato all’altezza il braccio di Neelah. Nello stesso istante in cui attivava l’ologramma, Neelah azionò lo Sfasatore. Agli occhi di Chase e degli Hirogeni, sembrò che l’Aenar svanisse nell’aria per ricomparire subito accanto.

   «Ci siamo, signore?» chiese Terry, nelle sembianze di Neelah.

   «Sì, siamo nel XXVIII secolo e abbiamo rilevato l’Uthat» riassunse Chase. «Ma come temevo, siamo stati catturati. Ci troviamo in un’enorme stazione spaziale romulana e da un momento all’altro arriverà il comitato di benvenuto. Comunque vada, dobbiamo dare a Neelah il tempo di arrivare all’Uthat».

   «E poi come faremo a tornare nel nostro secolo?» chiese Terry.

   «Questa parte è ancora da definire. Temo che ci toccherà improvvisare» sospirò Chase, aprendo l’ingresso della Phoenix.

   Mentre i compagni avanzavano lentamente nell’hangar ingombro di container e navette mezze smontate, Neelah corse in avanti. Invisibile e intangibile, non temeva di essere rilevata. Si addentrò fra le ombre, passando accanto a inquietanti tentacoli metallici che strisciavano sul pavimento e sulle pareti. Riconobbe la tecnologia Borg frammista a quella romulana ed ebbe un fremito, pensando a cosa sarebbe accaduto ad Alexander mentre lei era lontana. Ma non poteva perdere tempo. Prima trovava l’Uthat e prima sarebbe tornata ad aiutarlo.

   Passò attraverso l’ingresso sigillato dell’hangar, sbucando nel corridoio retrostante. Era debolmente illuminato di verde e sembrava logoro. Man mano che si addentrava nella base, Neelah ebbe conferma che era molto vecchia. I Romulani avevano fatto il possibile per tenerla in efficienza e avevano aggiunto nuove tecnologie nel corso dei secoli, ma le parti più vecchie mostravano i segni dell’usura. La Cripta era il cuore ancora miracolosamente pulsante di un organismo ormai morto e decomposto.

   Seguendo le indicazioni di cui era provvista la base, Neelah andò nella zona dei laboratori. I costruttori della Cripta non avevano cercato di nasconderli, perché l’intera struttura doveva rimanere segreta. L’Aenar inoltre poteva contare sul sensore temporale connesso al tricorder, che le indicava chiaramente la posizione del Tox Uthat. Passò per sezioni abbandonate. Queste zone erano in pieno sfacelo ed erano state persino saccheggiate dagli occupanti, che avevano trasferito i macchinari utili nelle zone ancora abitate. Restavano grandi cavità sbadiglianti nelle pareti, là dove s’inserivano le consolle e altre apparecchiature. L’atmosfera di solitudine e abbandono era deprimente, ma Neelah tenne duro e andò avanti. Più che camminare correva, sapendo che ogni istante era prezioso.

   Poco alla volta si lasciò alle spalle la zona abbandonata e tornò in una sezione ancora in uso. Le luci tornarono accese e le macchie di ruggine svanirono dalle paratie, nuovamente complete di consolle. L’ambiente divenne sempre più tecnologico, fino a superare ciò che era familiare a Neelah. C’erano ingressi corazzati, sorvegliati da guardie armate. C’erano campi di forza e sistemi anti-intrusione, il meglio della tecnologia del XXVIII secolo. Ma lo Sfasatore Dimensionale veniva dal XXXI secolo e fu all’altezza del compito.

   L’Aenar attraversò numerosi laboratori di ricerca. Per quanto fosse di corsa e non potesse fermarsi neanche un momento, osservò il loro contenuto. Quel che vide la riempì di disgusto. C’erano orribili esperimenti di genetica e cibernetica, compiuti su cavie sia romulane che di altre specie umanoidi. Lunghe file di celle contenevano ibridi sofferenti, dai corpi deformi. Molti presentavano vari stadi di assimilazione, dovuti agli esperimenti con le nanosonde Borg. Già il loro aspetto era sconvolgente; le loro sofferenze dovevano essere inimmaginabili.

   C’erano dei cervelli, o parti di essi, tenuti a mollo in vasche o sospesi a mezz’aria con campi di forza. Alcuni erano collegati a computer o arti artificiali che si muovevano. Solo sul pianeta Triskelion aveva visto qualcosa di simile. Molti di quegli esperimenti sembravano finalizzati a garantire la sopravvivenza della mente, dopo la distruzione del corpo. La ricerca dell’immortalità... un desiderio antico ma sempre vivo. All’inizio dei suoi studi, anche Neelah si era interessata all’argomento. Ma le ricerche si erano arenate davanti ai limiti bio-etici imposti dalla Flotta Stellare. All’epoca Neelah lo aveva trovato assurdo, intollerabile. Ma ora, guardando quei corpi fatti a pezzi e quei cervelli nudi, fissati alle macchine, comprese perché certi limiti non dovevano essere superati. La strada per l’immortalità di uno era lastricata dei cadaveri di molti altri.

   Proseguendo, Neelah raggiunse i laboratori tecnici. Qui si trovavano strani dispositivi, nati dalla tecnologia Borg. Alcuni sembravano tentacoli, come quelli che aveva intravisto nell’hangar. Altri somigliavano più a lunghe tenaglie, chele o aculei. Molti erano disattivati, ma alcuni si contorcevano come cose vive.

   Infine l’Aenar raggiunse la camera più riposta, rivestita da pannelli di un bianco immacolato. Cedevano lievemente al tocco degli scienziati romulani: dovevano essere di qualche nano-polimero con proprietà plastiche. Attraverso una finestra, gli scienziati osservavano una camera asettica, di un bianco ancora più abbagliante. Il Tox Uthat era posato su un sostegno a colonnina, alto circa un metro. Sofisticati sensori lo circondavano da tutte le parti, cercando di carpirne i segreti. Nella camera adiacente i ricercatori parlottavano eccitati.

   «La sua struttura cristallina funziona certamente da camera di risonanza».

   «Ma la sua esatta natura continua a sfuggirci. È come se si trovasse in uno stato di continua fluttuazione quantistica...».

   «Si direbbe dotato di una qualche forma d’intelligenza, anche se forse non di vera autocoscienza. Non sarà facile da usare...».

   «Dobbiamo stabilire un contatto con la sua intelligenza artificiale. Le nanosonde Borg potrebbero funzionare, ma iniettarle e basta può essere troppo traumatico. Se la struttura cristallina si altera, l’arma diventa inutilizzabile. E potrebbe essere impossibile ripararla».

   «È incredibile che sia stato costruito un secolo fa. Non ho mai visto nulla di così complesso... il suo inventore doveva essere un genio».

   «Infatti lo era» si disse Neelah con malinconia, ripensando a Kal Dano. Eterea come un fantasma, attraversò la finestra, entrando nella camera dei sensori. Il Tox Uthat era lì, identico a come l’aveva lasciato tre anni prima. E dire che, dal punto di vista dell’oggetto, era passato un secolo. Ma la lunga permanenza sott’acqua non l’aveva intaccato.

   Stare lì era una strana sensazione per Neelah. Le sembrava quasi di essere una ladra sul punto di rubare un gioiello. Ma rammentò il potere dell’Uthat e come quegli estremisti l’avrebbero usato, se fosse rimasto in mano loro. Il Tox Uthat era stato inventato dagli scienziati federali e ad essi doveva tornare. I veri ladri erano gli altri pretendenti: prima i Vorgon, ora i Romulani. Non gliel’avrebbe lasciato un secondo di più.

   Neelah avvicinò la mano destra, guantata dallo Sfasatore Dimensionale, al Tox Uthat. Con cautela, servendosi della sinistra, manovrò i piccoli comandi del dispositivo. Fece in modo che la sua mano – solo quella – tornasse solida. Afferrò rapidissima l’Uthat e riattivò la copertura totale dello Sfasatore. La sua mano tornò intangibile come il resto del corpo. Ma ora reggeva l’Uthat, reso anch’esso incorporeo.

   Gli scienziati romulani dall’altra parte del vetro sobbalzarono. Dal loro punto di vista, il cristallo si era dissolto nell’aria. Gli allarmi squillarono, le porte corazzate e i campi di forza sigillarono i corridoi, le guardie corsero ovunque. Ma Neelah passava attraverso gli ostacoli e i nemici, inarrestabile, con il prezioso bottino. Corse a perdifiato lungo la stessa strada che aveva fatto all’andata. Era passato un pezzo da quando aveva lasciato Alexander e gli altri nell’hangar, e non aveva idea di cosa gli fosse successo. Se i Romulani li avevano portati via, che avrebbe fatto? Se ne sarebbe andata con la Phoenix, per consegnare l’Uthat all’Enterprise, o sarebbe rimasta per salvarli? Forse poteva mettere in salvo l’Uthat e poi tornare a cercarli...

   Ebbe la risposta quando rimise piede nell’hangar. Gli Hirogeni erano morti, ma Alexander era vivo... anche se in una posizione pericolosissima, intrappolato da un tentacolo metallico. E Terry era al suolo, paralizzata dal leader romulano. Incredula, Neelah vide che il nemico aveva conficcato dei tubuli di assimilazione nell’Emettitore di Terry. La stava hackerando. Non era poi così strano. Dopo quel che aveva visto nei laboratori, era logico che il padrone di casa si fosse potenziato in tutti i modi immaginabili. Avvicinandosi, udì le sue parole. Sembrava che alla fine avesse trovato il modo d’ingannare la morte... ma non del tutto. Per ucciderlo bisognava distruggere l’intera stazione. E guarda caso, lei aveva modo di farlo...

   «Allora la Cripta dev’essere distrutta» disse, disattivando lo Sfasatore Dimensionale. Mostrò che l’Uthat era in mano sua. Era pronta a tentare il tutto per tutto.

 

   «Dottoressa, finalmente c’incontriamo» la salutò Valkis. Vedendo che aveva il Tox Uthat provò l’impulso di correre a strapparglielo, ma era ancora impegnato con Terry. Mosse i tentacoli Borg verso di lei. «Non faccia sciocchezze con quell’ordigno. Tanto non riuscirà a portarlo via» ammonì.

   «Allora finiremo tutti assieme» ringhiò Neelah. Aveva ancora un asso nella manica: l’ultimo frutto dei suoi esperimenti con le nanosonde Borg. Non ne aveva parlato nemmeno a Chase, perché sapeva che non avrebbe approvato. Ma non poteva più tenerglielo nascosto. Estrasse gli iniettori tubolari e li conficcò nel cristallo dell’Uthat.

   «NO!» gridò il Pretore, lasciando perdere Terry. Sollevò l’altro braccio verso Neelah, ma il suo movimento le parve stranamente rallentato. Anche la voce era bassa, l’urlo interminabile. Le guardie romulane, che avevano lasciato la Phoenix per correre verso di lei, sembravano ferme. L’Aenar si rese conto che era il suo tempo soggettivo ad accelerare. Provava una sensazione stranissima, come stare sott’acqua. Le sembrava quasi di vedere se stessa dall’esterno, come aveva letto nei resoconti di esperienze extracorporee. Persino l’illuminazione dell’hangar era cambiata: da verde si era fatta più giallastra, come se anche la luce rallentasse.

   Percepì una presenza. Non era esattamente un’intelligenza come quella degli umanoidi. Ma era potente... così potente che le parve di annegarci dentro. Abbassò lo sguardo sul Tox Uthat e vide che si era illuminato di rosso: sembrava un enorme rubino. La sua consapevolezza fu risucchiata in quell’abisso cristallino, si fuse con esso. Aveva provato la Fusione Mentale vulcaniana, in passato. Quell’esperienza era simile... ma si stava fondendo con un congegno, anziché con una persona. Era naturale, si disse. Una tecnologia così progredita non poteva che diventare... viva, a suo modo, e cosciente.

   La sua visione tornò a schiarirsi, ma era cambiata. Adesso guardava l’Universo con gli occhi del cristallo. Vide se stessa dall’esterno. Era un po’ china in avanti, con l’espressione assorta e il braccio proteso a reggere l’Uthat. Osservò l’hangar, con tutti i suoi occupanti, e conobbe la posizione e i movimenti esatti di ciascuno. Comprese ciò che Valkis stava facendo a Terry e come la cosa poteva tornare a suo vantaggio. Poi la sua consapevolezza si espanse ben oltre l’hangar. Uscì dalla Cripta e attraversò il vuoto dello spazio, tuffandosi verso la stella Haakona. Superò la corona stellare e si tuffò nella fotosfera giallastra. Scese sempre più in profondità, attraversando la zona convettiva e quella radiativa, fino al nucleo. Lì, a temperatura e pressione elevatissime, gli atomi d’idrogeno si fondevano, creando elio e rilasciando energia.

   L’Aenar si concentrò, aguzzando la vista. Percepì gli atomi: gli elettroni ronzavano intorno ai nuclei, tracciando complessi orbitali. Ingrandì i nuclei atomici, composti da protoni e neutroni, finché le particelle le parvero grandi come pianetini. Vide al loro interno. Erano formate da particelle ancora più piccole, i quark. Sapeva delle loro esistenza, naturalmente, ma non li aveva mai visti a occhio nudo. Scese ancora più in profondità. Le particelle elementari sfrecciavano intorno a lei: neutrini, bosoni.

   Finalmente raggiunse le radici estreme dell’Essere. Una griglia si stendeva attorno a lei: la trama del tessuto spazio-temporale. Non si poteva andare oltre, perché non esistevano distanze più piccole. Quelli erano i pixel dell’Universo. Lì dove si fondevano spazio e tempo, materia ed energia, pensiero e realtà, si mise all’opera. Non era realmente lei a lavorare, ma il Tox Uthat. Neelah si limitò a ordinargli di procedere. E osservò affascinata la realtà che cambiava. Perché quando s’interviene sulla trama dell’Universo, tutto è possibile. Particelle, atomi, molecole, corpi animati e inanimati... sono tutti fenomeni emergenti della stessa realtà basilare. Agendo su quella, si può trasformare tutto il resto. Per Neelah era scienza, ma molti l’avrebbero chiamata magia o miracolo. A livelli così basilari dell’esistenza, questi termini perdevano significato. La sua volontà, potenziata e guidata dall’Uthat, cambiò le cose. Bastò un intervento minimo... una piccola variazione nella costante cosmologica, per modificare l’energia del vuoto, ed ecco ribollire la schiuma quantica. C’era energia, adesso, all’ennesima potenza. Tanta da trasformare Haakona in una delle maggiori supernove del secolo.

   Restava poco tempo per fuggire. Con un certo sforzo, Neelah si ritrasse dal mondo subatomico. Le particelle e gli atomi riapparvero intorno a lei, dapprima enormi, poi sempre più piccoli, fino a svanire alla vista. Era di nuovo nel nucleo della stella, che stava esplodendo. Risalì gli abissi di plasma incandescente, emerse dalla fotosfera e si precipitò verso la Cripta. Tornò nell’hangar, dove il suo corpo e quelli degli altri erano ancora lì ad attenderla, immobili: era passato solo un microsecondo. Studiò bene la scena, per decidere la prossima mossa, e si tuffò nell’Uthat. Sentì l’energia del cristallo che l’abbandonava, come se una coperta calda e rassicurante le venisse tolta. La sua coscienza rifluì nel corpo. Era di nuovo una creatura fragile e limitata, prigioniera di tre dimensioni... ma serbava il ricordo di quell’esperienza travolgente.

   Il tempo ricominciò a scorrere e i tubuli di assimilazione rientrarono nella sua mano. Amici e nemici ripresero a muoversi. Valkis gridava, levando un braccio verso di lei, mentre con l’altro teneva ancora Terry sotto scacco. Le guardie romulane correvano con i disgregatori spianati e i tentacoli metallici scattavano, tutti contro di lei. Rapidissima, attivò lo Sfasatore Dimensionale, tornando invisibile e incorporea. Appena in tempo. I raggi dei disgregatori l’attraversarono, come anche un tentacolo Borg.

   «Ti troverò!» ruggì Valkis. «A costo di fare a pezzi questa stazione, giuro che...». La voce gli si strozzò in gola quando il computer lo informò della situazione.

 

RILEVATI LIVELLI ENERGETICI ANOMALI NELLA STELLA HAAKONA I

POSSIBILE CAUSA: ESPLOSIONE DEL NUCLEO

TEMPO D’ARRIVO DELL’ONDA D’URTO: 15 MINUTI

PROBLEMA: DIFESE INSUFFICIENTI A PROTEGGERE LA CRIPTA

SOLUZIONE CONSIGLIATA: EVACUAZIONE IMMEDIATA

 

   Gli altoparlanti squillarono e un allarme automatico informò anche gli altri del pericolo. In tutta la stazione cominciò il fuggi-fuggi. Ma non c’era tempo di salvare le invenzioni che i Romulani avevano messo a punto. Era chiaro che, persa la Cripta, quell’ultimo avanzo dello Stato Imperiale sarebbe andato incontro all’oblio. Molti Romulani se ne resero conto e non cercarono nemmeno di scappare: meglio la morte della sconfitta. E comunque non c’era tempo di evacuare tutti.

   Incredulo, Valkis ordinò al computer di aprire il portellone dell’hangar. Attraverso il campo di forza trasparente, un grosso spicchio della stella era visibile. La semioscurità verdastra della sala fu rimpiazzata da una brillantissima luce gialla. La luce continuò ad aumentare, tanto che il campo di forza dovette filtrarla per evitare che i Romulani restassero accecati. La superficie della stella era in subbuglio e si stava espandendo. L’esplosione era già cominciata.

   «Sei la crudeltà in persona, Neelah!» gridò il Pretore. «Ma se vuoi salvare i tuoi amici, dovrai mostrarti!».

   L’Aenar non rispose; aveva già pianificato la prossima mossa. Corse a nascondersi dietro un container e disattivò nuovamente lo Sfasatore Dimensionale. Mise il Tox Uthat in una delle grandi tasche dell’impermeabile. Fatto un profondo respiro, si portò le dita alle tempie. Anche se non era più connessa all’Uthat, restava comunque una telepate. E lo era anche Valkis, quindi non ebbe difficoltà a raggiungere i suoi pensieri. Percepì la sua collera, come anche il terrore e la frustrazione che lo attanagliavano. Per uno come lui, abituato ad avere tutto sotto controllo, era un momento terribile. La Cripta con cui ormai s’identificava completamente era condannata e questo lo sconvolgeva. Ma non era sconfitto... semmai era ancora più pericoloso.

   «Mi senti, Andoriana? Niente di tutto questo ti salverà!» gridò il Pretore. «Ti strapperò l’Uthat e userò la vostra navetta per tornare indietro nel tempo, secondo il piano originale. Quando cambierò la Storia, niente di tutto questo sarà mai successo. La Cripta esisterà nuovamente!».

   In quella, Neelah gli sferrò un potente attacco psichico. Mai nella sua vita l’Aenar aveva sforzato così tanto i suoi poteri telepatici, salvo forse durante lo scontro con la T’Vala dello Specchio, anni prima. Ma ora la posta in gioco era ancora più alta. Se Valkis fosse stato un Romulano comune, la pressione arteriosa del suo cervello sarebbe aumentata al punto da provocare la rottura di molti vasi sanguigni. Ma il Pretore era un Romulano molto lontano dalla normalità. Sebbene non si aspettasse un simile attacco, riuscì a sopportarlo senza subire alcun danno. Si preparò a rispondere con un assalto molto più devastante, che avrebbe potuto uccidere Neelah. Ma così facendo perse la presa su Terry.

   L’Intelligenza Artificiale reagì all’istante. Gli afferrò la gola, attirandolo più vicino a sé. «Ora vediamo quanto vali» gli sibilò all’orecchio. Nella sua matrice restava un ultimo livello di sicurezza che Valkis non aveva ancora violato. Quando il Pretore si ritrasse, i protocolli di emergenza entrarono in funzione, ripristinando la piena funzionalità dei programmi. Ma Valkis e Terry erano ancora connessi. Approfittando della distrazione del Pretore, Terry passò al contrattacco, cercando di hackerare il suo computer. Era un’impresa disperata, visto lo svantaggio tecnologico di due secoli. Ma il computer integrato nel corpo di Valkis era molto sui generis. Sconfiggerlo era una questione di forza di volontà, più che di scontro fra hardware.

   «Maledette!» gracchiò il Pretore, irrigidendosi. Neelah lo attaccava con la telepatia, Terry con la tecnologia. Se le avesse affrontate separatamente, Valkis le avrebbe sconfitte con facilità. Ma combatterle nello stesso momento, sui due piani diversi, era un’impresa superiore persino alle sue forze. Resistette per qualche secondo, poi cedette di schianto.

   Terry non si fece sfuggire l’occasione. Entrò in profondità nei programmi della stazione, finché trovò quel che più le premeva: il controllo dei tentacoli Borg. S’impadronì di quello che aveva imprigionato Chase e lo costrinse a sciogliersi dal corpo dell’uomo, che cadde a terra ansimante.

   Ripresosi a tempo di record, Valkis cercò di ritrarre i tubuli dall’Emettitore, per interrompere il collegamento con Terry. «Non mi toglierai il controllo, insulsa piccola...» disse, ma si bloccò a metà frase. Chiuse gli occhi, poi li riaprì; spiccavano vitrei sul suo volto congestionato. Cercò di parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un mugolio, seguito da un rivolo di sangue verde. Abbassò lo sguardo: un tentacolo Borg lo aveva colpito alla schiena, trafiggendolo, e gli usciva dal petto. Era stata Terry a dirigerlo. Se Valkis fosse stato Umano sarebbe morto sul colpo, perché il tentacolo lo aveva trapassato in pieno petto. Ma i Romulani, come i Vulcaniani, avevano il cuore molto più in basso. Anche così era una ferita spaventosa, che coinvolgeva i polmoni. Il Pretore seppe subito dal suo computer organico quant’era grave la situazione.

 

CONDIZIONI CRITICHE

DANNI RILEVATI: PERFORAZIONE DEL POLMONE DESTRO,

COLLASSO POLMONARE, GRAVE EMORRAGIA ARTERIOSA.

INIZIO PROCEDURE D’EMERGENZA

PROBABILITÁ DI SOPRAVVIVENZA: 65%

 

   Valkis riuscì finalmente a ritirare i tubuli. Scivolò in avanti, sfilandosi dal tentacolo ora irrigidito. Aveva in petto un buco grosso quanto un pugno, tanto che Terry poté vedere la luce dall’altra parte. Il sangue verde sgorgava a fiotti, per quanto le nanosonde cercassero di fermarlo. Il Pretore fissò Terry come se non credesse ai suoi occhi. Poi cadde in avanti, a faccia in giù. Giacque sul pavimento freddo con le braccia spalancate, mentre la pozza verde si allargava sotto di lui.

   «Maledetti, avremmo dovuto uccidervi subito!» gridò il capo delle guardie. I Romulani aprirono il fuoco contro Chase e anche contro Terry, mirando al suo Emettitore. Tre di loro sorpresero Neelah dietro al suo nascondiglio e spararono anche a lei. Ma scoprirono con sgomento che i disgregatori non funzionavano.

   «Com’è possibile?!» chiese il comandante, scuotendo il fucile disgregatore.

   «Quando ho acceduto al computer della Cripta, ho attivato anche il teletrasporto» spiegò Terry. «Le vostre tute emettono un segnale di disturbo... sarà una tecnologia di questo secolo, non l’avevo mai vista prima. Ma le vostre armi sono esposte. Così ho teletrasportato via le celle energetiche».

   I Romulani aprirono i disgregatori, constatando che tutte le celle energetiche erano svanite dai loro alloggiamenti. Con il Pretore incapacitato, non avevano modo di riaverle in poco tempo, o di farsi inviare nuove armi. Soprattutto ora che la Cripta era in subbuglio per via della supernova.

   «Signori, ci resta poco tempo prima che l’onda d’urto annienti questa base e tutto ciò che contiene» avvertì Chase, rialzandosi. Era ancora un po’ dolorante per la stretta del tentacolo. «Potete andarvene e sopravvivere, o gettare le vostre vite per il Pretore morto di un morto Impero. A voi la scelta».

   «Anche se non abbiamo protetto Valkis, possiamo sempre vendicarlo» obiettò il comandante. «E possiamo portare avanti il suo piano. Saremo noi a tornare indietro nel tempo per distruggere i pianeti federali».

   «Come temevo» sospirò Chase. Terry gli si avvicinò e anche Neelah corse fuori dal suo nascondiglio, unendosi a loro. I tre si misero schiena contro schiena, mentre le guardie gli facevano cerchio intorno. «Come contate di ucciderci, a mani nude?» chiese l’Umano.

   «Con queste» rispose il comandante. Lui e i soldati misero mano a vibro-lame di fattura romulana.

   «Allora saremo ad armi pari» rispose Chase. Lui e Neelah estrassero le loro vibro-lame, da tasche segrete all’interno degli impermeabili. Fortunatamente quando Valkis gli aveva teletrasportato via i phaser non si era accordo – o non aveva badato – alle armi bianche. Le piccole impugnature erano facili da nascondere, ma premendo il tasto d’attivazione se ne srotolava una lama di spada, affilata a livello molecolare e immune ai campi di smorzamento che rendevano inefficaci i phaser.

   Terry non aveva armi nascoste, visto che il suo corpo e i vestiti erano tutti olografici, ma trovò un’altra soluzione. Sfruttando le sue capacità di proiezione isomorfa, si fece uscire due vibro-lame direttamente dalle mani. Se avesse generato un phaser non avrebbe potuto sparare, ma una lama tagliava. E anche se poi svaniva, le ferite che aveva inflitto restavano aperte.

   «L’ultima schermaglia dell’Impero Romulano» disse il capo delle guardie, e partì all’attacco.

 

   Lo scontro fu breve e truculento. I federali erano tre, mentre i Romulani erano una dozzina. Gli uni e gli altri combattevano con la forza della disperazione, consci che dallo scontro dipendeva la sorte della loro civiltà. Non potevano esserci compromessi; tutti miravano a uccidere. Un ulteriore sprone era l’onda d’urto della supernova, sempre più vicina. Ormai riempiva tutto lo spazio visibile dall’hangar. Nella sua luce abbagliante si consumò l’ultima lotta. I contendenti si affrontarono tra i container, le navette e i rottami smontati che affollavano l’ambiente. Saltarono su e giù dai contenitori e dagli scafi sventrati, mulinando le vibro-lame. Ogni tanto l’allarme automatico li aggiornava sul tempo rimanente: sette minuti, sei, cinque...

   Alcuni Romulani caddero, uccisi o feriti gravemente. Chase combatteva come mai prima d’ora, sfruttando il suo braccio artificiale per contrastare la maggior forza fisica dei Romulani. Neelah era un turbine dai riflessi geneticamente potenziati. E Terry combatteva con totale sprezzo del pericolo, grazie alla sua natura olografica. Si concentrò sul colpire i nemici, anziché sul proteggersi. Di conseguenza fu colpita più e più volte, anche in modo grave. Se fosse stata organica sarebbe certamente morta. Ma era una proiezione isomorfa: poteva escludere la sensazione del dolore e rimarginare le ferite a comando. Inoltre, grazie al suo sterminato database, padroneggiava tutte le tecniche di scherma federali. Si tuffò fra i Romulani e li fece a pezzi, incurante di quando veniva colpita o persino trafitta. A un certo punto perse un avambraccio, che si dissolse a mezz’aria. Poco male: lo rigenerò all’istante, completo di lama, e trafisse l’attaccante.

 

   Mentre infuriava lo scontro, il Pretore era ancora riverso a terra. Ma non era morto. I suoi potenziamenti genetici e tecnologici erano all’opera per salvargli la vita. Le nanosonde suturavano la spaventosa ferita, bloccando l’emorragia e riparando i tessuti danneggiati. Nuovo sangue era prodotto a ritmo vertiginoso. Un polmone era afflosciato e incapace di respirare, ma l’altro da solo bastava a ossigenare l’organismo. In mezzo alla nebbia di dolore, Valkis lesse gli aggiornamenti sulle sue condizioni.

 

PROCEDURE D’EMERGENZA ATTIVE

RIGENERAZIONE DEI TESSUTI IN CORSO

MANTENERE IMMOBILITÁ

PROBABILITÁ DI SOPRAVVIVENZA: 88%

 

   Sentendo il cozzare delle vibro-lame e le grida dei duellanti, Valkis capì la situazione. Aprì gli occhi e mise faticosamente a fuoco l’hangar. Ignorando il tremendo dolore, si sforzò di riassumere il controllo dei tentacoli Borg. Forse non era troppo tardi per vincere la partita.

 

   «Tre minuti all’impatto» avvertì l’allarme automatico.

   Terry passò in mezzo ai suoi due ultimi avversari e li trafisse. Chase, che stava duellando con il comandante, gli calò la vibro-lama sulla spalla, affondandola fino a metà petto grazie alla forza del suo braccio meccanico. Neelah si lasciò cadere a terra, falciò l’avversario con un calcio, scattò nuovamente in piedi come una molla e lo inchiodò al suolo. Il combattimento era finito; non c’erano più Romulani in piedi.

   Esausti e ansimanti, Chase e Neelah si scambiarono un’occhiata di trionfo. Ma lo sguardo dell’Umano si riempì d’orrore e l’Aenar ne comprese il motivo troppo tardi. Dietro di lei, Valkis si era rialzato in ginocchio. Le mosse contro un tentacolo Borg: si muoveva solo a una frazione della sua velocità massima, ma bastava a uccidere. Neelah udì Chase gridare il suo nome e cercò di scostarsi, ma nemmeno i suoi riflessi accelerati furono sufficienti. Il tentacolo, irrigidito a mo’ di lancia, non arrivò a trafiggerla, ma le squarciò il fianco. Il sangue azzurro schizzò sul pavimento fino a un metro di distanza. La dottoressa gridò di dolore e si accasciò, lasciando cadere la vibro-lama. Il tentacolo che l’aveva ferita si ritrasse, inarcandosi come un serpente, pronto a colpire di nuovo. Altri tentacoli lo affiancarono.

   Chase vide tutto e il suo corpo si mosse ancor più svelto del pensiero. Con tutta la forza del suo braccio meccanico, scagliò la vibro-lama a grande distanza, dritta contro Valkis. L’arma attraversò il salone come un giavellotto, mentre i tentacoli metallici si chiudevano intorno al Pretore, cercando di proteggerlo. La vibro-lama gli passò vicinissima, ma non ne fu toccata, e proseguì andando a bersaglio. Trafisse Valkis al ventre, non al centro ma un po’ di lato... proprio dove i Romulani hanno il cuore. Valkis s’irrigidì nuovamente, mentre i tentacoli Borg ricadevano intorno a lui, inerti. Con questa nuova ferita non era più in grado di controllarli.

   Chase corse da Neelah, che si comprimeva il fianco cercando di arrestare l’emorragia blu. L’aveva già vista così, meno di mezz’ora prima... ma era l’inganno di Terry, per distrarre il Pretore. In quel caso, Chase sapeva che la vera Neelah era incolume e che anche Terry non correva rischi. Ma stavolta era tutto vero.

   «Resisti, ti prego» mormorò Chase, inginocchiandosi accanto a lei. Sapeva che le sue nanosonde stavano già arrestando l’emorragia, proprio come quelle di Valkis. Ma i potenziamenti di Neelah non erano così avanzati. C’era la possibilità che non bastassero a salvarla. No, Chase si rifiutava di accettarlo. «Non posso vivere senza di te» le sussurrò all’orecchio. Come in un incubo, prese l’Aenar semisvenuta fra le braccia e la sollevò da terra. Il Tox Uthat le cadde di tasca, ma Terry lo raccolse prontamente.

   «Due minuti all’impatto» avvertì l’allarme.

   Chase e Terry adocchiarono la Phoenix. Era ancora là dove l’avevano lasciata, presso il campo di forza che chiudeva l’hangar. Spiccava come una macchiolina nera contro lo sfondo infuocato della supernova. La Cripta tremò, investita da una prima onda d’urto, molto più lieve di quella principale in arrivo. Le luci verdi dell’hangar sfarfallarono e tutta la stazione gemette, come se presagisse la fine.

   Lottando contro il dolore e la debolezza, Valkis afferrò l’impugnatura della vibro-lama e se la estrasse dal cuore, lasciandola poi cadere. Il clangore attirò l’attenzione dei federali, che si voltarono verso di lui. Ma il Pretore li vedeva appena. Il computer integrato nel suo organismo era tornato a informarlo delle sue condizioni.

 

CONDIZIONI CRITICHE

DANNI RILEVATI: PERFORAZIONE DEL VENTRICOLO SINISTRO,

GRAVE EMORRAGIA CARDIACA.

INIZIO PROCEDURE D’EMERGENZA

PROBABILITÁ DI SOPRAVVIVENZA: 55%

 

   «Mi lasciate qui?» rantolò Valkis, ancora in ginocchio.

   «Perché no? È un rogo funebre degno di un Imperatore» rispose Chase freddamente. Aveva Neelah in braccio e il sangue azzurro di lei gli imbrattava le mani. Ancora non sapeva se si sarebbe salvata. E senza di lei, forse non sarebbero più riusciti a usare il Tox Uthat. Chase guardò Valkis negli occhi per l’ultima volta. «Addio, Romolo Augustolo» disse con disprezzo. Gli voltò le spalle e corse via, seguito da Terry. Si precipitarono verso la Phoenix, sapendo che il tempo era agli sgoccioli.

   «Un minuto all’impatto» ricordò l’allarme.

   Valkis vide i federali che entravano nella navetta temporale e si chiudevano la porta alle spalle. Rifiutando di accettare la sconfitta, arrancò verso la Phoenix. Dapprima gattonò con le mani, come un infante. Poi, con enorme fatica, riuscì a mettersi in piedi. L’hangar sembrava ondeggiargli davanti e anche la navetta temporale si sfocava, ma continuò testardamente ad avanzare, lasciandosi dietro una scia di sangue verde. Ancora pochi metri...

 

PROCEDURE D’EMERGENZA ATTIVE

RIGENERAZIONE DEI TESSUTI IN CORSO

NECESSARIA IMMOBILITÁ

PROBABILITÁ DI SOPRAVVIVENZA: 70%

 

   La Phoenix emise un basso ronzio. Valkis scattò in avanti, con le mani protese... ma arrivò con un secondo di ritardo. La navetta si dissolse nell’aria prima che riuscisse a toccarla. Il Pretore incespicò nel vuoto, ancora incredulo per quanto era successo. Quei federali avevano uno svantaggio tecnologico di duecento anni... come avevano potuto batterlo? Il pensiero che fossero stati più astuti era intollerabile. Cadde nuovamente in ginocchio, proprio davanti al campo di forza. La luce della supernova era d’un bianco abbagliante, ora. Mancavano pochi secondi all’impatto. «Perdonami, D’Spal... ci ho provato...» sussurrò a se stesso.

 

   L’onda d’urto, tanto forte da sgretolare i pianeti, raggiunse la Cripta. Gli scudi della stazione erano vecchi di quattrocento anni. Anche se i Romulani avevano cercato d’aggiornarli, non potevano fare più di tanto con le loro risorse limitate. Gli scudi ressero per qualche secondo, poi si sovraccaricarono e cedettero. Il plasma stellare incandescente si riversò dapprima negli hangar, poi risalì i corridoi, mentre la stazione gemeva e si accartocciava. Raggiunse i nuclei energetici, provocandone l’esplosione.

   La Cripta, il suo contenuto e tutti gli occupanti che non erano riusciti a mettersi in salvo furono vaporizzati. Il Pretore morì con gran parte dei suoi seguaci: scienziati, soldati, spie. Tutti i depositi di armi, le tecnologie sperimentali, i laboratori pieni di crudeli esperimenti svanirono nel fuoco della supernova. Anche il processore centrale del computer, nel quale Valkis doveva riversare la sua coscienza per sfuggire alla morte, fu distrutto con tutto il resto.

   Dopo aver spazzato via la Cripta, l’onda d’urto proseguì, distruggendo alcune delle astronavi e delle capsule che stavano cercando di fuggire. Un certo numero di civili riuscì a mettersi in salvo, ma erano troppo pochi perché quell’ultimo frammento d’Impero potesse conservarsi. Non restava loro che sparpagliarsi nella Federazione, dimenticando i sogni di riconquista. Nei giorni seguenti, i sensori subspaziali federali registrarono la supernova, dando un bel grattacapo agli astronomi, che non si aspettavano l’esplosione di una stella in sequenza principale.

   Così morì l’ultimo Pretore, nonché aspirante al trono. Con lui si estinse lo Stato Imperiale Romulano, ultimo erede dell’antico Impero. Rimase solo la Repubblica Romulana, da tempo parte della Federazione e riappacificata con i “cugini” Vulcaniani. Una delle pagine più tormentate della storia galattica si era chiusa per sempre. Ed era svanita una delle fazioni più insidiose della Guerra Temporale.

 

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Capitolo 7
*** La resa dei conti ***


-Capitolo 6: La resa dei conti

 

   «Resisti, ci siamo quasi» disse Chase, posando Neelah sul pavimento della Phoenix.

   Terry chiuse l’ingresso posteriore e si precipitò ai comandi. «Torniamo al momento della partenza?» chiese, energizzando il nucleo temporale.

   «Sarebbe la cosa migliore, ma... con tutte le fazioni della Guerra Temporale interessate al Tox Uthat, non voglio correre rischi» disse Chase, ancora chino su Neelah. «Portaci direttamente alla Battaglia di Procyon V».

   «Dovrò ipotizzare il momento esatto, cercando di non farci apparire troppo tardi» notò Terry a disagio. Come ogni Intelligenza Artificiale, detestava lavorare con delle incognite.

   «Mi fido delle tue ipotesi, più che delle certezze di molti» rispose Chase. «Ma sbrigati, mancano pochi secondi all’impatto!» raccomandò, correndo alla sedia del copilota. Armeggiarono freneticamente con i comandi. Fissare le coordinate spaziali era facile... anche se c’era il rischio di materializzarsi all’interno di qualche astronave, amica o nemica. Stabilirono un punto d’arrivo un po’ discosto da Procyon V. Il difficile era trovare il momento giusto. Avendo pochi secondi a disposizione, non stettero a pensarci. Scelsero quella che, secondo il piano d’attacco, doveva essere la fase iniziale della battaglia e attivarono il nucleo temporale.

   Attraverso lo schermo olografico videro dissolversi la Cripta e l’onda d’urto della supernova. Innanzi a loro si stendeva adesso il mare spumeggiante delle anomalie. E lì in mezzo, come insetti nella gelatina, si dibattevano migliaia di astronavi. La Phoenix era appena oltre il campo d’anomalie e aveva una visuale perfetta, anche se drammatica, della battaglia in corso.

   «Occultamento attivo, energia stabile» rilevò Terry. «Attivo i sensori». Mentre eseguiva i rilevamenti, Chase tornò da Neelah. L’emorragia si era in gran parte fermata, ma l’Aenar non aveva una bella cera.

   «Avremmo dovuto andare prima a farti curare, mi dispiace» le disse Chase.

   «No, va bene così» mormorò debolmente Neelah. «L’importante è che abbiamo l’Uthat. Come va la battaglia?».

   «La situazione tattica è catastrofica» avvertì Terry, leggendo i dati dei sensori. «Il Fronte dispone di forze molto superiori alle stime. Ha esteso le ali del suo schieramento per accerchiare l’Unione. Le anomalie distruggono le nostre navi... credo ci siano anche i sabotatori Tuteriani all’opera. E c’è dell’altro» disse, ingrandendo quello che sembrava un immenso topazio, appena oltre le propaggini delle anomalie. «Rilevo altre 1.500 navi all’interno di quel campo d’energia».

   «È la ragnatela tholiana» riconobbe Chase. «I nostri calorosi amici ci hanno aiutati, alla fine!».

   «Ma non partecipano al resto della battaglia» disse Terry. «Tutti i loro sforzi sono tesi a trattenere quelle navi, che... si direbbero federali?!» si meravigliò.

   «Come sarebbe?! Non abbiamo un’altra flotta, di certo non così grande!» esclamò Chase, altrettanto sconcertato.

   «Un momento, cerco d’ingrandire». Terry ottenne un’immagine ravvicinata di una delle navi intrappolate. Bloccò il fotogramma nel momento in cui il nome era leggibile. «ISS Avenger» lesse, arricciando il naso dal disgusto. «Quelli non sono dei nostri. È l’Impero Terrestre, dall’Universo dello Specchio. Come hanno fatto a raggiungerci?».

   «Non importa il come, ma il perché» disse Chase. «Se stanno col Fronte, la situazione è ancora più grave del previsto. Per fortuna i Tholiani li trattengono, ma... che mi dici dell’Enterprise?».

   «È in posizione avanzata e si direbbe ancora in buono stato» rispose Terry. «Ma non rilevo la Majestic. Temo sia stata distrutta».

   «Nelscott» disse Chase, chinando il capo per qualche secondo. Quando lo rialzò, aveva una luce micidiale negli occhi. «È tempo di chiudere i conti. Abbiamo il Tox Uthat e le Sfere sono lì. Neelah, credi di riuscire a usarlo ancora? Altrimenti possiamo tornare più indietro nel tempo...» suggerì.

   «No, questo è il momento migliore» disse Neelah. Con l’aiuto di Chase sedette sulla poltroncina del copilota. Controllò i sensori. «È come pensavo. Per proteggere le Sfere, i Tuteriani le hanno avvicinate moltissimo e le hanno circondate di Dreadnought. Con l’evolversi della battaglia, hanno accorciato ancor più le distanze. Non troveremo mai più le loro forze così concentrate. E scommetto che le tre leader sono lì a godersi lo spettacolo» disse, indicando la Sfera più grande e corazzata. «Ancora per poco!» aggiunse torva.

   Impugnò il Tox Uthat con la mano sinistra e vi accostò la destra, pronta a sfoderare gli iniettori tubolari. Il cristallo multisfaccettato riluceva di mille bagliori, come un grosso diamante. Sembrava innocuo... ma aveva appena distrutto una stella e stava per fare ancora di più. Neelah sentì una fitta al fianco. Il dolore le rendeva difficile concentrarsi... ma doveva farcela.

   «Un giorno mi spiegherai come ti sono spuntati gli iniettori» disse Chase, con una nota di rimprovero. Neelah era sempre stata abbottonata sui suoi esperimenti con la tecnologia Borg. Munirsi d’iniettori era un intervento drastico e probabilmente pericoloso, ma anche in quel caso la partner aveva tralasciato d’informarlo.

   «Scusa» disse Neelah. «Ma ora ci fanno comodo, no? Riescono a interfacciarsi con qualunque tecnologia. Sta’ a vedere!». Sfoderò gli iniettori e li piantò nel cristallo, che divenne rosso sangue. Chiuse gli occhi, lasciando che la sua consapevolezza fluisse nel Tox Uthat, rendendoli una cosa sola. Adesso era più che una semplice mortale... era una forza cosmica, inarrestabile! Estese la sua percezione oltre la minuscola Phoenix, al vasto campo di battaglia là fuori. Procyon V non era che un grosso pallone da mare, di quelli che i bambini facevano galleggiare sulle onde. Le anomalie erano la pozzanghera che lo circondava, mentre le Sfere erano piccole biglie. La ragnatela tholiana era una retina che aveva intrappolato uno sciame d’insetti. Quanto alle astronavi, sia del Fronte che dell’Unione... non erano che granelli di sabbia agitati dal vento. Neelah comprese cosa pensavano i Q, quando osservavano i conflitti delle altre specie. Ma lei non era una Q e aveva una missione da compiere.

   S’immerse nella Sfera di Controllo. Non c’erano barriere che potessero fermarla. Vide le tre leader nel centro di comando, che osservavano compiaciute l’andamento della battaglia, circondate dai fasci di linee temporali. In quella, una linea divenne rossa e deviò nettamente dal fascio azzurro che portava alla vittoria. La Vate, riconoscibile dal vestito giallo mostarda, la osservò allarmata, ma i suoi movimenti erano lentissimi. Neelah sapeva che in realtà la Tuteriana era quella di sempre; era la sua percezione del tempo ad essere accelerata.

   Sfruttando questo vantaggio, s’immerse nelle profondità della Sfera, pulsanti d’energia gravimetrica. Raggiunse il nucleo e l’osservò con sguardo sempre più acuto, immergendosi nel mondo subatomico. Vide gli atomi come piccoli sistemi stellari e le particelle elementari come pianetini. Scese ancora più in profondità, fino alla lunghezza di Planck. Lì il suo potere era sconfinato. La volontà poteva riplasmare spazio e tempo, materia ed energia, alterando le leggi fondamentali createsi subito dopo il Big Bang. Con la massima attenzione, Neelah intervenne sulla costante cosmologica. Bastava alterarla di pochissimo per impedire alla Sfera di funzionare. Non le impedì di emettere energia, ma solo di convertirla in onde gravimetriche. Naturalmente non bastava occuparsi della Sfera di Controllo per sconfiggere il Fronte. Con uno sforzo mentale senza precedenti – anche considerando che era sorretta dall’Uthat – Neelah allargò il raggio del suo intervento a tutto il sistema di Procyon, per accertarsi che nemmeno una Sfera le sfuggisse. Ecco... era fatta!

 

   Le Sfere erano sostanzialmente degli immensi generatori d’energia. Se non potevano convertirla in onde gravimetriche, dovevano comunque sfogarla in qualche modo. Esplodendo, per esempio. Nel momento in cui il Tox Uthat alterò la costante cosmologica, i loro nuclei presero a sovraccaricarsi.

   «Allarme, rilevo un’enorme deviazione nelle linee temporali!» avvertì la Vate. Una linea abbandonò il fascio, divenendo rossa. Fu solo l’inizio. Come per magia, il contagio si estese rapidamente alle altre linee temporali. L’ordinato fascio azzurro divenne un guazzabuglio inestricabile di linee gialle, arancioni e rosse, che andavano in tutte le direzioni.

   «Non è possibile!» gemette la Primaria, guardandosi intorno come un animale spaurito. «Che succede?!».

   «Rilevo un aumento esponenziale d’energia nelle Sfere» avvertì la Messaggera. «Collasso gravimetrico imminente!» gridò con voce strozzata.

   «Chase!» sibilò la Primaria. Anche se non ne aveva la certezza, sentiva che quell’Umano era implicato in qualche modo nella loro disfatta. Secoli di attenta pianificazione, andati in fumo per l’ostinazione di un Capitano e dei suoi seguaci! «Presto, abbandonare le...» cominciò a dire, ma non finì la frase.

   La reazione a catena, cominciata nel nucleo, si estese alla velocità della luce. La Sfera di Controllo esplose come una supernova in miniatura, in un accecante lampo bianco. La Primaria, la Vate e la Messaggera furono vaporizzate all’istante, come tutti gli altri occupanti. E non era finita. L’onda d’urto si espanse, travolgendo le quaranta Dreadnought raccolte intorno alla Sfera e distruggendole tutte.

   Vista dall’Enterprise, l’esplosione della Sfera di Controllo fu una fra tante. Perché tutte le Sfere si erano sovraccaricate ed erano esplose nel medesimo istante. Ognuna aveva spazzato via le astronavi poste in sua difesa. Le onde d’urto si scontrarono, interferendo l’una con l’altra e schiacciando le Dreadnought prese nel mezzo. Era un bene che le astronavi dell’Unione non fossero riuscite ad avvicinarsi. La flotta tuteriana fu devastata dalle esplosioni multiple provenienti dalle sue retrovie. Delle 3.500 Dreadnought rimanenti, un migliaio furono distrutte e altrettante subirono gravi danni, o per le esplosioni in sé, o perché entrarono in collisione con le navi adiacenti. Le 1.500 navi ancora abili al combattimento rimasero senza istruzioni. Con la leadership tuteriana decapitata, i singoli Capitani erano allo sbando. Storditi dall’improvviso e drastico rovescio di fortuna, rimasero paralizzati, incapaci di reagire. E vedendo le distorsioni rossastre che svanivano intorno a loro, compresero di aver perso l’ultimo vantaggio.

   Eliminate le Sfere, il campo d’anomalie si dissolse in pochi secondi. L’Universo non tollerava che si sovvertissero le sue leggi e premeva per riconquistare lo spazio che i Tuteriani gli avevano sottratto. Svanita la schiuma arancione, lo spazio tornò al suo aspetto naturale: nero e punteggiato di stelle. Procyon V fu di nuovo visibile, ma non era più bianco e azzurro. Le anomalie avevano reso la sua atmosfera densa e verdastra: sarebbe occorso molto più tempo perché tornasse a schiarirsi. Nello spazio, però, gli effetti furono immediati. Gli equipaggi delle Dreadnought, così come i sabotatori, si guardarono l’un l’altro con orrore. La loro pelle si stava spaccando a vista d’occhio. Il dolore saliva d’intensità, così insopportabile che non capivano più niente. I sabotatori cercarono di passare attraverso le paratie, per continuare in qualche modo la loro missione, ma scoprirono che il trucco non gli riusciva più. Erano diventati solidi come gli abitanti della Via Lattea e come tali potevano essere uccisi.

   «Capitano Dax a flotta» disse Ilia dalla plancia dell’Enterprise. Lacrime di sollievo le solcavano le guance. «Le sorti della battaglia volgono in nostro favore. Colpite le Dreadnought rimanenti e andateci pesante!».

   «Con piacere» disse Lantora. L’Enterprise tempestò le navi nemiche con tutta la forza dei suoi armamenti, imitata dalle altre navi federali. Anche se i Tuteriani avevano ancora un uguale numero di navi, erano incapaci di contrattaccare. Il loro morale era a pezzi e non avevano ordini. Sapevano che vincere la battaglia era inutile: senza più Sfere, non potevano rimanere in questo Universo. I loro stessi corpi si fratturavano, provocando dolori lancinanti. Non riuscivano nemmeno a dirigere con precisione il tiro dei loro cannoni a particelle. Una dopo l’altra, le Dreadnought furono distrutte.

   Nel frattempo le navi federali cercavano di rigenerare gli scudi. Al loro interno, i sabotatori tuteriani erano in trappola. Non riuscivano né a passare attraverso le paratie, né a scagliare i vortici d’energia. Non avendo armi con sé, erano del tutto indifesi. Le squadre della Sicurezza ebbero gioco facile. Su molte navi federali si trattennero, accontentandosi di catturarli. Ma i Klingon e i Romulani li falciarono come grano nei campi. Anche sulle navi federali che ospitavano molti Cardassiani, o altre specie aggressive, si videro scene simili. Era un’infrazione al codice di guerra e i colpevoli sarebbero stati processati... prima o poi. Ma il desiderio di rivalsa era troppo forte e persino certi ufficiali federali erano pronti a correre il rischio. Colpiti da tutte le parti, i sabotatori fecero l’unica scelta che gli restava: tornarono nella loro dimensione, abbandonando le navi dell’Unione.

   Anche gli equipaggi delle Dreadnought giunsero ben presto alla stessa conclusione. Per loro era facile farsi richiamare indietro, ma trasferire le astronavi era un’altra faccenda. Servivano dei portali, non disponibili nelle immediate vicinanze. Così i Capitani ordinarono la ritirata, che fu condotta in modo disordinato. Alcune Dreadnought si ritirarono mentre altre continuavano a sparare a tutto spiano. Certe navi erano troppo danneggiate per andarsene. Ai Capitani non restò che attivare l’autodistruzione, per non lasciarle in mano al nemico. Si misero in salvo con gli equipaggi, tornando nel loro Universo, subito prima che esplodessero. Le detonazioni multiple fecero da copertura, permettendo la ritirata delle Dreadnought ancora in grado di muoversi. Fuggirono verso i portali, che le riportarono a casa. Poi i portali stessi furono distrutti, per impedire all’Unione di lanciare un contrattacco nel loro Universo.

   Il bilancio finale dei Tuteriani fu pesantissimo. Su 4.000 Dreadnought che si erano battute a Procyon V, solo un migliaio di navi scalcagnate riuscirono a tornare nello Spazio Bianco. Gli equipaggi erano di poco più numerosi. Quanto alle Sfere, non se n’era salvata nessuna e non c’erano superstiti. La ritirata fu completa: i Tuteriani abbandonarono gli alleati del Fronte al loro destino, tornando per sempre nel proprio Universo.

 

   «Ce l’hai fatta». La voce di Chase sembrava provenire da molto lontano. «Ora torna fra noi».

   Neelah avrebbe preferito restare connessa al Tox Uthat, per avere la visione panoramica della battaglia e magari intervenire ancora a favore dell’Unione. C’erano sempre le flotte Krenim, Vorgon e Na’kuhl con cui fare i conti. Ma scoprì di non riuscire più a concentrarsi. Il dolore al fianco era tornato a farsi sentire.

   L’Aenar riportò la sua consapevolezza all’interno della Phoenix. Vide Alexander e Terry chini su di lei. Era stesa a terra, con l’Uthat in mano e gli occhi vitrei. Ebbe paura di quell’immagine: le sembrava di guardare il suo cadavere. Con la percezione amplificata dell’Uthat esaminò le sue condizioni e comprese che erano gravi. Le nanosonde stavano riparando i tessuti, ma c’erano lesioni serie ad alcuni organi e aveva perso molto sangue. Doveva farsi portare immediatamente in infermeria. Per un attimo le balenò la possibilità di usare i poteri dell’Uthat per curarsi, ma dovette scartarla. Il dispositivo era stato costruito per alterare la costante cosmologica e forse poteva intervenire su altre leggi fisiche. Ma un’operazione chirurgica era tutt’altra cosa. Anche se si era sentita onnipotente, non lo era sul serio. Doveva farsi curare in modo tradizionale. Con un certo rimpianto, riportò la propria consapevolezza all’interno del suo corpo e recise il legame con l’Uthat. Gli iniettori tubolari si ritirarono nella sua mano.

   Fu come svegliarsi da un sogno e non fu affatto piacevole. Il dolore triplicò d’intensità, facendole venire le lacrime agli occhi. Lasciò cadere il cristallo. «Dovete portarmi in infermeria...» mormorò, sul punto di perdere i sensi.

   «Sì, ora ti portiamo subito» promise Chase. Le diede un rapido bacio, poi si fiondò al timone. «Chase a Enterprise, rispondete» disse, ripetendo più volte la chiamata. «Frell, sono ancora intasati dalle chiamate della Flotta! E anche senza anomalie, ci sono interferenze che vengono dalle flotte nemiche».

   Terry lo raggiunse ai comandi, cercando d’inviare un segnale più leggibile all’Enterprise. C’erano varie frequenze e codici che si potevano provare, per attirare la sua attenzione. Finalmente ebbero risposta. Ilia e una fetta di plancia apparvero sullo schermo olografico, fra molte distorsioni.

   «Signore, è davvero lei?» chiese la Trill, commossa. «Quando non l’ho vista tornare, ho temuto il peggio...».

   «A dopo le felicitazioni» tagliò corto Chase. «Neelah è ferita gravemente. Dev’essere portata subito in infermeria!».

   «Effettueremo un teletrasporto d’emergenza» disse subito Ilia. «State pronti».

   La Phoenix era vicina al limite del teletrasporto dell’Enterprise, ma si trovava ancora entro il raggio utile. Come in altre occasioni, l’Enterprise calò gli scudi per tre secondi, il tempo strettamente necessario al trasporto, e li rialzò subito dopo. Poiché in quel momento le Dreadnought erano allo sbando e cominciavano la ritirata, l’astronave non ne risentì. La Phoenix e tutto il suo contenuto furono trasferiti nell’hangar 5. Poi un secondo teletrasporto diretto agganciò Neelah e la portò nell’infermeria principale, dove Korris e la sua squadra erano pronti a riceverla.

   «Bentornata, amica mia» sorrise il dottore. Cominciò subito a esaminare la ferita e il suo sorriso svanì. «Ma che ti è successo?» chiese, per capire il modo migliore d’intervenire.

   «Tentacoli metallici... tecnologia Borg e Romulana» ansimò Neelah, con la fronte sudata e il respiro affannoso. «Se li avessi visti, dottore... sembravano serpenti...».

   «Se ti mordesse un serpente, sono certo che morirebbe fra atroci dolori» scherzò Korris. «Non temere, te la caverai» promise, cominciando a rigenerare la ferita. Intanto i suoi assistenti controllavano che non ci fossero nanosonde diverse da quelle di Neelah.

   Nel frattempo Chase e Terry lasciarono la Phoenix. L’Umano aveva con sé il Tox Uthat, non volendo perderlo nemmeno un istante.

   «Eseguo la reintegrazione con il mainframe» disse Terry. La sua immagine sfarfallò brevemente, tornando poi nitida. «Che esperienza unica!» commentò, riesaminando le memorie degli eventi. «Sono lieta che la missione abbia avuto successo. Non solo abbiamo recuperato l’Uthat, ma abbiamo neutralizzato una fazione della Guerra Temporale».

   Chase stava per convenire, ma l’Enterprise sussultò, ricordandogli che la battaglia non era ancora finita. «Abbiamo sconfitto i Tuteriani, ma restano i loro alleati» disse, scuro in volto. «Non si arrenderanno facilmente; di certo non Vosk. Portami in plancia, devo vedere la situazione. E metti questo al sicuro!» ordinò, lanciandole l’Uthat.

   «Subito» annuì Terry, prendendo al volo il cristallo. Spedì Chase in plancia con un teletrasporto diretto, restando sola accanto alla Phoenix. Nella sua mano brillava l’arma più pericolosa della Galassia. Corse alle camere di sicurezza, nella parte più riposta dell’astronave. Per il resto della battaglia era meglio che il Tox Uthat restasse in cassaforte. Ci sarebbe stato tempo in seguito per studiarlo.

 

   Sbigottiti, i Krenim assistettero all’esplosione delle Sfere e a tutto ciò che ne conseguì. Con la scomparsa delle anomalie, la flotta dei Tuteriani era allo sbando. Molte Dreadnought venivano distrutte e le rimanenti abbandonavano lo schieramento del Fronte, in una ritirata disorganizzata. Approfittando del loro cedimento, l’Unione Galattica lanciò un ultimo assalto, riuscendo finalmente a sfondare. Le migliori astronavi federali, fra cui l’Enterprise, s’incunearono profondamente nelle fila del Fronte, separando i Krenim dai loro alleati Vorgon e Na’kuhl. Per la flotta Krenim era una catastrofe. I Klingon tornarono all’assalto, non più ostacolati da anomalie e sabotaggi interni.

   «Situazione?» chiese Hortis, ancora incredulo per l’improvviso ribaltamento di forze.

   «I Tuteriani continuano la ritirata» rispose l’addetto ai sensori.

   «Traditori!» ringhiò Priim. «Sono stati loro a coinvolgerci in questa guerra e ora ci abbandonano! Non possono passarla liscia!».

   «Abbiamo altro di cui occuparci» disse Hortis, mantenendo la calma. «La Federazione e i Klingon cercano di accerchiarci, vero?».

   «Sì, signore... e ora potrebbero riuscirci» confermò l’Ufficiale Tattico.

   La Annorax vacillò per una raffica di siluri, lanciati dall’ammiraglia Klingon. Colpirono la delicata struttura che costituiva la sua arma primaria, spezzando uno dei segmenti. Le luci mancarono per qualche momento nella piccola plancia. Quando i generatori d’emergenza le riattivarono, le consolle erano piene d’allarmi.

   «Il disgregatore subatomico è andato» disse l’Ufficiale Tattico, pallidissimo. «Che facciamo, Ammiraglio?».

   Hortis non tradì minimamente quel che gli passava per la testa. Era stato vicino a ordinare la ritirata quando stavano vincendo. Ora che si trovavano in difficoltà, era la sua occasione per trarsi fuori dal conflitto. Non intendeva farsela sfuggire. «Qual è lo stato della nostra flotta?» chiese in tono controllato.

   «Perdite superiori al 40% e peggiorano ad ogni momento».

   «Allora non abbiamo scelta» disse Hortis con gravità. Premette un comando sulla sua poltroncina. «Ammiraglio Hortis a flotta, ordino la ritirata generale. Tutte le navi lascino immediatamente il sistema e convergano al punto di rendezvous. La nostra battaglia è finita».

   Aveva parlato in tono autorevole, ma gli ufficiali non obbedirono con l’abituale solerzia. Si guardavano l’un l’altro, esitanti. Il timoniere cominciò a ruotare la Annorax, con molta lentezza.

   «Non credo alle mie orecchie» disse Priim. La Comandante era in piedi davanti allo schermo raffigurante le linee temporali. Il fascio azzurro che portava alla vittoria era stato sostituito da un groviglio di linee gialle e rosse, che puntavano in tutte le direzioni. Eppure in mezzo al marasma c’erano ancora dei percorsi favorevoli.

   «C’è qualche problema, Comandante?» chiese Hortis.

   «Si è dimenticato di controllare le linee temporali, signore» disse Priim, gelida. «Non vede che possiamo ancora vincere?».

   «Sono possibilità trascurabili...» cominciò Hortis.

   «Niente affatto!» disse Priim con decisione. Mise mano ai comandi, eseguendo delle simulazioni. «Guardi. Se riusciamo a ricompattarci con Vorgon e Na’kuhl, abbiamo il 35% di probabilità di vittoria. E se liberiamo l’Impero Terrestre dalla ragnatela tholiana, le probabilità salgono addirittura al 55%!».

   «Questa battaglia ci ha già riservato troppe cattive sorprese» obiettò l’Ammiraglio. «Prima l’arrivo dei Tholiani, poi la disfatta dei Costruttori di Sfere. La prossima potrebbe distruggerci completamente. Dobbiamo andarcene, finché possiamo».

   «Abbiamo versato troppo sangue per arrenderci adesso. Noi Krenim abbiamo sempre vinto da soli le nostre battaglie... possiamo farlo anche stavolta!» insisté Priim, fissandolo come se lo vedesse per la prima volta. «Ammiraglio, io avevo grande stima di lei. Ma sono fedele all’Impero Krenim, non alla sua persona. Se non vuole condurci alla vittoria, sarò io a farlo».

   «Questo è troppo» disse Hortis. «Guardie, arrestate il Comandante Priim».

   «Non lo faranno; conoscono il loro dovere» disse la Krenim con sicurezza. «Ammiraglio Hortis, la sollevo dal comando con l’accusa di alto tradimento. Sarà processato e giustiziato» disse in tono formale. «Ora mi lasci la poltrona; ho una battaglia da vincere».

   «Non cederò il comando» disse Hortis in tono pacato. «Se vuole ammutinarsi, lasci perdere il regolamento. Può vedersela con me, qui e ora». Uscì dal riparo della poltroncina e delle consolle che la circondavano, mostrando che aveva il blaster in cintura.

   «A sua scelta» disse Priim a denti stretti. Anche lei era armata.

   Si studiarono come pistoleri, alle estremità opposte della plancia. Hortis era davanti allo schermo anteriore, che mostrava la battaglia in corso, mentre Priim stava davanti allo schema delle linee temporali. La dura realtà contro le previsioni allettanti. Tutti gli altri ufficiali arretrarono, schiacciandosi contro le pareti. Sebbene la Annorax fosse un grande vascello, la plancia era piuttosto angusta. Non ci si poteva allontanare granché dalla sparatoria imminente.

   «Può ancora arrendersi, Priim» disse Hortis, con voce ispirata. «È giovane, non getti la sua vita».

   «Progettava già di tradirci, vero? Forse ha cospirato col nemico per far cadere il Fronte. Lei mi disgusta!» sibilò Priim.

   Gli occhi chiari di Hortis, profondi e vivissimi, fissarono quelli color nocciola di Priim, carichi di rabbia e dolore. Gli spettatori trattennero il fiato. Era questione di momenti.

   La Comandante mise mano al blaster, ma l’Ammiraglio fu più veloce, per una frazione di secondo. Il raggio ad alta energia colse Priim in pieno petto e la disintegrò, lasciando un intenso odore di bruciato.

   «C’è qualcun altro che contesta i miei ordini?» chiese Hortis, scrutando severamente i suoi ufficiali, da una parte e dall’altra della plancia. Nessuno osò fiatare. «Bene» disse l’Ammiraglio. «Ora mettetevi in testa una cosa. La nostra tecnologia predittiva è imperfetta e probabilmente non sarà mai completa. Non si può ridurre l’infinita complessità del reale a poche equazioni. Ci sarà sempre – sempre! – qualcosa d’imponderabile, che non procede dal passato e non può essere previsto. Vorrei averlo capito prima di coinvolgere l’Impero in questa guerra che non gli appartiene. Di ciò sono colpevole, e voterò il resto della mia vita a fare ammenda. Ora andiamo: ogni nuova vittima aumenta il mio fardello».

   «Sì, Ammiraglio» disse il timoniere, tornando ai comandi. La Annorax si era ormai girata del tutto ed era pronta a lasciare il campo di battaglia. Hortis osservò lo schermo: parte della flotta Krenim si era già ritirata, obbedendo al suo ordine, ma molte astronavi indugiavano. Si augurò che, dopo la sua partenza, gli venissero dietro. «Hortis a flotta, l’ordine di ritirata è confermato. Eseguite subito» disse, riaprendo brevemente il canale.

   «Signore, vuole lanciare delle simulazioni per vedere come procederà la battaglia senza di noi?» si azzardò a chiedere l’Ufficiale Tattico.

   «Che? No, nessuna simulazione!» rispose Hortis seccamente. «Non userò mai più quella macchina infernale». Per sottolineare la cosa, estrasse nuovamente il blaster e sparò al diagramma delle linee temporali. Ci fu un’esplosione e uno schianto come di vetri infranti. Le schegge dell’interfaccia tattile schizzarono ovunque e un fumo acre si levò dallo squarcio apertosi nel centro. Le linee temporali impallidirono e svanirono, lasciando lo schermo bianco tutt’intorno al foro centrale.

   Soddisfatto, Hortis rimise il blaster in fondina e tornò a sedersi. La Annorax entrò in alta curvatura, abbandonando il sistema Procyon. Vedendola partire, anche gli ultimi indecisi si convinsero a seguire l’Ammiraglio. File su file di navi Krenim lasciarono la battaglia, per ritrovarsi al punto d’incontro, in direzione del Quadrante Delta. Lasciavano a Procyon i relitti di 400 astronavi, metà della loro flotta.

 

   «Bentornato, signore» disse Ilia, quando Chase fu teletrasportato in plancia. Gli ufficiali salutarono il suo ritorno con calorosi applausi.

   «È bello essere a casa» sorrise Chase. Sugli abiti e persino sulle mani aveva ancora schizzi del sangue verde dei Romulani e di quello blu di Neelah. Ilia se ne accorse, ma preferì non fare domande.

   «Com’è la situazione?» volle sapere Chase.

   «I Tuteriani sono in rotta e anche i Krenim cominciano a ritirarsi» riassunse Terry. «La ragnatela tholiana regge. Il problema sono Vorgon e Na’kuhl». Inquadrò sullo schermo la loro ala dello schieramento. Sebbene fossero di gran lunga i meno numerosi del Fronte, continuavano a lottare furiosamente, flagellando la flotta romulana. I Falchi da Guerra cedevano sotto i colpi al plasma delle Ruote da Guerra e soprattutto sotto i disgregatori sub-nucleonici delle Navi Vampiro. Piccole, agili e quasi indistruttibili, le navicelle nere rigavano lo spazio con i loro raggi viola, simili a rasoiate.

   «Dobbiamo radunare le forze e circondarli» disse subito Chase. «Ora abbiamo i numeri per farlo. Naturalmente sarà lei a occuparsene, Capitano Dax. Io sono ancora sollevato dal comando» aggiunse cortesemente.

   «No, non più» disse Ilia. «Con la morte dell’Ammiraglio Nelscott, io sono la sua facente funzione. Posso rettificare i suoi provvedimenti. Pertanto la reintegro nelle sue funzioni di Capitano, in riconoscimento del suo eroismo».

   «Non credo sia legale» tentennò Chase. «Rimuovermi dall’incarico era un atto dovuto».

   «Sistemeremo questi dettagli più avanti» tagliò corto Ilia. «Signor Grog, apra un canale con la flotta dell’Unione» disse, tornando in poltrona per trasmettere il comunicato.

   «Canale aperto».

   «Capitano Dax a Unione. È mio dovere informarvi che l’intervento dei Tholiani in nostro favore e la disfatta dei Tuteriani sono opera di Alexander Chase. È stato lui a persuadere le specie inorganiche all’intervento. E sebbene sollevato dal comando, in seguito a una macchinazione dei Tuteriani, egli ha condotto una missione ad altissimo rischio che ha permesso di eliminare le Sfere. Alla luce di questi fatti, gli restituisco il comando dell’Enterprise e con esso il coordinamento della flotta, certa che saprà guidarci alla vittoria. Dax, chiudo».

   «Non doveva farlo» mormorò Chase.

   «Ormai è andata. La patata bollente è sua, Capitano» rispose Ilia. Tornò risolutamente alla poltrona del Primo Ufficiale e vi sedette.

   «E lei ha nulla in contrario?» chiese l’Umano a Terry, sapendo quant’era ligia al regolamento.

   «Signore, considerando gli errori tattici della Flotta... e la sua comprovata abilità strategica... non ho obiezioni» rispose Terry con tranquillità. Se i colleghi nutrivano ancora qualche dubbio, sul fatto che l’Intelligenza Artificiale avesse sviluppato una personalità autonoma, svanì con quelle poche parole.

   Visto che non c’era altro da fare, Chase sedette sulla poltrona del Capitano. «Capitano Chase a flotta» disse dopo aver riaperto il canale. «Appena avrete conferma che i Krenim si sono ritirati, convergete verso l’ala destra del nostro schieramento. I Romulani sono in grave difficoltà contro Vosk. Ma ora siamo in vantaggio numerico. Dobbiamo circondare i Na’kuhl e i Vorgon, impedirgli ogni via di fuga e colpirli finché non si arrenderanno... o saranno distrutti. Non illudetevi: la battaglia sarà ancora lunga. Ma alla fine di questa giornata, il Fronte sarà sconfitto, una volta per tutte. Chase, chiudo».

 

   Le ultime Dreadnought tuteriane e navi da guerra Krenim lasciarono Procyon V. I Tholiani continuavano a tenere in scacco la flotta dell’Impero Terrestre, serrando sempre più la ragnatela intorno alle navi e colpendole spietatamente. Solo Na’kuhl e Vorgon continuavano a resistere, per l’ostinazione di Vosk. Il Leader Supremo si aggirava per la plancia, come un mostro in gabbia, continuando a dare ordini. L’astronave scricchiolava intorno a lui. Persino la Materia Degenere superdensa di cui era composta faticava a reggere l’intenso bombardamento cui era sottoposta ormai da ore.

   «Le navi dell’Unione convergono su di noi» disse Ifrit, tirata in volto. «Cercheranno di circondarci».

   «Che ci provino» disse Vosk. «Le Navi Vampiro e i Caccia Ombra sono abbastanza piccoli da passare tra le loro fila. E questa nave è troppo resistente perché possano averne ragione. Credono che la partita sia finita... si sbagliano di grosso. Forse dovremo ritirarci. Ma prima di allora, gli infliggeremo tali perdite che la vittoria sarà amara quanto la sconfitta» dichiarò.

   «Le navi Vorgon non hanno la nostra agilità, né la nostra resistenza» gli rammentò Ifrit. «Loro non se la caveranno».

   «Serviranno comunque allo scopo» ribatté Vosk.

   «L’Autarca ci chiama» informò l’addetto alle comunicazioni.

   «Rispondiamo» disse il Leader Supremo, avvicinandosi allo schermo.

   Apparve Cletus, sconvolto e infuriato. «Vosk!» gridò, sollevando la mano a spatola verso di lui. «Ci avevi promesso una vittoria facile, e cos’abbiamo invece? I nostri alleati più forti ci hanno abbandonati e il nemico ci circonda! Ho sbagliato a fidarmi di te!».

   «Autarca, ti prego di ricomporti» rispose Vosk. «Quando le cose si fanno difficili, bisogna mantenere la mente lucida. Non ti ho mai promesso una vittoria facile. E non sono responsabile né del crollo dei Tuteriani, né della ritirata di Hortis. In ogni battaglia ci sono elementi imponderabili, che possono sfuggire anche alle previsioni più accurate. Io l’ho sempre saputo. Le cose sono andate male... ma siamo tutto ciò che resta del Fronte e dobbiamo collaborare, per uscirne vivi».

   «Altre belle parole!» sbuffò Cletus. «Che hai in mente di fare?».

   «Resistere a oltranza. Se scappiamo finiremo per frammentarci, saremo inseguiti e distrutti. Ma se facciamo muro, costringeremo il nemico a consumare le sue forze».

   «Ci consumeremo prima noi! Hai visto cos’è successo all’Impero Terrestre? Io non voglio finire così!» protestò Cletus.

   «Tu farai ciò che ti dico, o non vivrai tanto da chiedere pietà all’Unione» ammonì Vosk. «Disponi le tue navi nello schema che ti stiamo inviando, alternate con le nostre. Siamo ancora una grande forza, se agiamo di concerto» disse, e chiuse la comunicazione senza dare all’altro il tempo di replicare.

   «Pensa che lo farà?» chiese Ifrit, scettica.

   «È un codardo» disse Vosk. «Combatterà con coloro che teme maggiormente».

   «Un’altra chiamata, solo audio» avvertì l’ufficiale delle comunicazioni. «Questa è l’Enterprise».

   «La grande nemica!» esclamò Vosk. «Anche se orbata del suo Capitano, la voglio distruggere, prima che la battaglia abbia fine. Ma sentiamo cosa dice Dax...».

   «Capitano Chase a navi Vorgon e Na’kuhl» disse la voce familiare. «È finita, siete circondati. Il Fronte Temporale non esiste più, i vostri alleati sono sconfitti e non torneranno. Potete arrendervi subito o continuare a battervi fino all’annientamento. Decidete subito; non ci saranno altri avvertimenti».

   «Notevole! È proprio un degno avversario» riconobbe Vosk. «Voglio che l’Enterprise sia distrutta, non importa a quale prezzo».

   «Leader Supremo, alcune navi Vorgon stanno segnalando la resa» avvertì l’ufficiale di nome Ghrath.

   «Insegneremo loro il prezzo del tradimento. Aprite il fuoco!» ordinò Vosk.

   «Contro i nostri ultimi alleati?!» chiese un altro ufficiale, Kraul.

   «Per farli stare nei ranghi, sì» rispose Vosk. «Ho avvertito Cletus, deve vedere che sono di parola».

   «Bersaglio inquadrato» disse l’artigliere, puntando un grosso Incrociatore Vorgon che stava segnalando la resa. Il disgregatore primario dell’Eclipse aprì il fuoco, tracciando un solco incandescente sul suo scafo. Le esplosioni si allargarono, fino a distruggerlo. La flotta Na’kuhl continuò a colpire spietatamente ogni nave Vorgon che dava segno di arrendersi.

   «Uccidono i loro stessi alleati...» notò Lantora con disgusto.

   «È Vosk» disse Chase, osservando la cupa mole dell’Eclipse. «Vuole tenerli in riga, ma non fa che assottigliare le sue forze. Va bene, chiudiamo la partita. Segnaliamo alle navi più forti di convergere sull’Eclipse. È il bastione del Fronte; solo distruggendolo vinceremo la battaglia».

 

   L’Enterprise accorciò le distanze con l’Eclipse, sparando a tutto spiano. L’ammiraglia di Vosk combatteva già da ore e aveva distrutto molte navi romulane. Aveva subìto una quantità impressionante di colpi, ma continuava a resistere. La sua supremazia tattica era indiscutibile. Da sola, l’Enterprise non aveva speranza.

   Ma l’Enterprise non era sola. La Monarch, la Legacy e la Celestial si unirono a lei. Da parte loro, i Klingon inviarono tre incrociatori di classe Kuvah’magh e i Romulani due falchi di classe Donatra. Anche la Fesarius, la nave della Prima Federazione, si unì al duello.

   Perché di un duello si trattava. Le astronavi compivano passaggi ravvicinati, come rapidi fendenti. Si accostavano all’Eclipse, la colpivano duramente e si allontanavano prima che la reazione le distruggesse. Forti del vantaggio numerico – dieci contro uno – non le davano tregua. Chase e Vosk scrutavano l’uno la nave dell’altro, come se potessero guardarsi negli occhi. Intanto i loro ufficiali li informavano della crescente lista di danni, feriti e vittime. Ma nessuno dei due ordinò di nascondersi dietro il resto della flotta. Il duello doveva continuare, finché una parte o l’altra avessero versato l’ultimo sangue.

   Fu l’Eclipse a cedere. La Materia Degenere che la componeva continuava a fluidificarsi e a riempire i crateri scavati dai siluri nemici. Ma così facendo diminuiva, riducendo progressivamente le dimensioni della nave. Si arrivò al punto in cui le poche parti non composte da Materia Degenere emersero dallo scafo, come uno scheletro che affiorava dalla carne spolpata. L’Eclipse non era stata pensata per una situazione del genere. I suoi sistemi collassarono uno dopo l’altro. Quando anche il disgregatore primario cedette, Vosk comprese che la nave era condannata. Ma in un ultimo impeto d’ira, ne fece un ariete contro l’Enterprise.

   T’Vala si avvide del pericolo e riuscì a evitare la collisione per un soffio. L’Eclipse continuò la sua corsa finché urtò contro la Fesarius. I moduli poligonali, gialli e arancioni, si accartocciarono uno dopo l’altro. L’esplosione finale avvolse completamente l’Eclipse, dando l’impressione che anch’essa fosse stata distrutta. Ma quando le fiamme si dispersero, la nave da incubo era ancora lì, simile a uno scheletro spolpato. Sebbene fosse profondamente nascosta all’interno dell’astronave, anche la plancia aveva subito danni. La violenza dell’urto aveva deformato le pareti, scagliando i Na’kuhl contro quella frontale. I pallidi alieni si rialzarono, doloranti ed escoriati.

   «È finita, Leader Supremo» disse Ifrit, perdendo sangue giallo da un angolo della bocca. «Non abbiamo più armi e anche i motori sono fuori uso. Non possiamo speronare l’Enterprise».

   «Possiamo fare qualcos’altro» disse Vosk. «Ascoltate tutti!» esclamò, richiamando l’attenzione degli ufficiali. «Ci siamo battuti al meglio delle nostre possibilità e abbiamo inflitto gravi danni al nemico. Ora è il momento di lasciare questa battaglia e gli inutili Vorgon. Poiché la forza delle armi non ci ha garantito la vittoria, seguiremo un’altra strada. Ci affideremo all’astuzia, alla segretezza, allo spionaggio. L’esperienza del Fronte Temporale non è stata vana: ci ha permesso di compiere notevoli progressi nella scienza temporale. Continueremo ad affinare questa tecnologia sul nostro pianeta, al riparo dagli occhi dell’Unione. Verrà il giorno in cui disporremo di tunnel temporali così sofisticati che nessuno riuscirà a rilevarli. Allora agiremo chirurgicamente sul passato, finché anche questa disfatta sarà cancellata. Questa è la mia promessa».

   «Ma come faremo a tornare sul nostro mondo? L’Unione ci circonda da ogni lato!» notò Ghrath.

   «Ormai siamo così pressati che anche le nostre navicelle rischiano di essere abbattute» rincarò Kraul.

   «Alcune saranno abbattute, sì» ammise Vosk. «Ma non tutte. Fratelli miei, ci viene imposto un sacrificio. Useremo i Droni Zecca per aprirci un varco nell’Unione; ma anche così, il nemico cercherà di localizzare la nostra scialuppa e di abbatterla. Ecco perché dobbiamo dividerci» spiegò.

   «Ne siete certo?» chiese Ifrit, con un tremito nella voce.

   «È l’unica via. Ascoltate, noi quattro siamo i più alti in grado» disse Vosk, appartandosi con i gerarchi. «Saliremo su altrettante Navi Vampiro, ciascuna con la sua rotta. Se uno di noi cadrà, gli altri proseguiranno senza fermarsi. Spero che ci rivedremo tutti su Na’kuhl Primo, per progettare la rivincita. In caso contrario, la nostra opera proseguirà ugualmente. Se uno di voi sarà abbattuto, io lo vendicherò. Se sarò abbattuto io, uno di voi sarà il Leader Supremo. La linea di successione è questa: Ifrit, Ghrath, Kraul».

   «Agli ordini, Leader Supremo» risposero i tre gerarchi all’unisono. Ghrath e Kraul corsero alle Navi Vampiro, mentre Ifrit si attardò con Vosk.

   «Sai che ti amo» disse la Na’kuhl. «Se dovessero ucciderti, soffrirò per il resto della mia vita. Nemmeno la vendetta potrà lenire la tua mancanza».

   «Vale anche per me» assicurò Vosk. «Se ti succederà qualcosa, non avrò pace finché l’Unione – e specialmente gli Umani – saranno annientati. Ti cercherò fra le correnti del tempo e in un modo o nell’altro saremo riuniti» promise. Si abbracciarono stretti, per un breve attimo, e poi si separarono. Ifrit corse verso la sua Nave Vampiro, ma Vosk aveva un’ultima cosa da fare.

 

   «Ci chiamano dall’Eclipse» disse Grog.

   «Rispondiamo» ordinò Chase, scostandosi i capelli sudati dalla fronte. Intorno a lui, la plancia era annerita dall’esplosione di alcune consolle. Rapporti di danni venivano da molte sezioni della nave.

   «Capitano Chase!». Il volto di Vosk giganteggiava sullo schermo e la sua collera era più terrificante dei lineamenti da vampiro. Gli occhi rossi si piantarono sul Capitano, come se potessero fulminarlo con la forza del loro odio. «Oggi ha vinto una battaglia; ma la Guerra Temporale è appena cominciata. Perfezionerò il viaggio nel tempo, finché non troverò il modo di cancellare tutti voi dalla Storia!» minacciò.

   «È una fortuna che ci siano Agenti Temporali che vegliano su di noi, proprio per evitare questa eventualità» rispose Chase, sfidando lo sguardo del Na’kuhl.

   «Non si affidi troppo a loro. Da oggi io sarò il peggiore incubo dell’Unione... e non sarà lei a distruggermi» profetizzò Vosk.

   «Forse no, ma sarà un altro come me» ribatté il Capitano dell’Enterprise, e segnalò a Grog di chiudere la conversazione.

   «Signore, alcune Navi Vampiro stanno lasciando l’Eclipse» rilevò Terry.

   «È una mossa di Vosk. Non vuole farci capire dov’è lui» commentò Chase, rabbuiato. «Fuoco contro tutte le navi».

   «Sta uscendo anche uno sciame di Droni Zecca» avvertì Terry. «Sono migliaia e si sparpagliano verso le navi dell’Unione».

   Chase sentì la pelle d’oca. Tra anni prima, uno sciame simile aveva distrutto l’Hangar Spaziale Terrestre e molte delle migliori navi federali. I droni si conficcavano negli scafi nemici, assorbivano l’energia delle astronavi e infine esplodevano.

   «Frell, ci faranno a pezzi con metà flotta!» imprecò Lantora.

   «Se arrivano agli scafi» precisò Ilia. «Dobbiamo abbatterne il più possibile finché sono in volo. Dite alla flotta di fare altrettanto».

   «Bel diversivo, Vosk. A quanto pare riuscirai davvero a cavartela» borbottò Chase, lasciandosi sprofondare nella poltroncina. Subito dopo, però, aprì un canale con la nave. «Attenzione, c’è uno sciame di Droni Zecca in arrivo. I ponti esterni sono a rischio. Dottor Korris, si prepari... avremo molti feriti».

   Lo sciame di droni esplosivi si divise in decine di rivoli che si riversarono sulle navi dell’Unione. Esposti a un fittissimo fuoco di sbarramento, parecchi droni furono distrutti in volo. Ma erano così piccoli e agili che molti altri riuscirono a cavarsela. Ed erano così numerosi da sopportare le perdite, restando una grave minaccia. Più rapidi persino dei Caccia Ombra, raggiunsero le navi dell’Unione e cercarono di attraversarne gli scudi. Ma l’Unione aveva imparato la lezione della Battaglia di Sol: gli scudi erano stati modificati per respingerli. La prima ondata di Droni Zecca esplose all’impatto. Le ondate successive si fecero più caute: si videro droni che scivolavano quasi comicamente sugli scudi, senza riuscire ad agganciarsi. Ma ne assorbivano comunque l’energia, anche se con meno efficienza. Eliminati gli scudi, potevano raggiungere gli scafi, completando l’opera. Molte astronavi dell’Unione furono danneggiate o distrutte in questo modo.

   Al culmine della catastrofe, anche i Caccia Ombra e le Navi Vampiro s’immolarono, entrando in collisione con la flotta. Le Navi Vampiro erano abbastanza grandi e solide da far sì che molte di loro sopravvivessero dopo aver trapassato le sezioni a disco delle navi federali. Le passavano da parte a parte, facevano dietrofront e tornavano a colpire, esplodendo al secondo impatto. Con questo sacrificio, che gettò l’Unione nel caos, i Na’kuhl si assicurarono che il loro Leader Supremo sopravvivesse. E Vosk lasciò davvero Procyon V, giurando vendetta. La sua Nave Vampiro tornò rapidamente su Na’kuhl Primo, assieme alle navi di Ghrath e Kraul. Ma non a quella di Ifrit.

 

   Attraversando il campo di battaglia con la sua Nave Vampiro, Ifrit vide i danni infitti all’Unione e se ne rallegrò. Ma il sorriso svanì quando notò che l’Enterprise, la principale artefice della loro disfatta, era ancora integra. Aveva ritirato gli scudi al massimo, facendoli aderire allo scafo, per risparmiare energia e proteggersi dai Droni Zecca. Poteva funzionare con loro, ma non contro qualcosa di più grosso... come una Nave Vampiro.

   Ifrit comprese qual era il suo dovere. Ma prima scandagliò lo spazio, cercando la nave di Vosk. Era più avanti di lei e stava abbandonando la battaglia. Ormai era in salvo. Ifrit sorrise ancora, certa che il Leader Supremo l’avrebbe vendicata. Senza esitare, tracciò una rotta di collisione con l’Enterprise. L’ammiraglia federale era così grande che non sarebbe riuscita a distruggerla completamente, ma tutto stava nello scegliere bene il punto d’impatto. Ifrit scelse la plancia, che nelle navi federali era sempre esposta. Avrebbe ucciso Chase e tutti gli ufficiali superiori. Meglio ancora, avrebbe messo fuori uso l’Enterprise, aprendo un bel buco in cui le ultime navi Vorgon e Na’kuhl potessero concentrare i loro colpi, finendo l’opera distruttiva.

   «Per te, Vosk» disse, sfrecciando verso la plancia dell’Enterprise con la velocità di una meteora. Ma la sua mossa non passò inosservata. Terry rilevò la navicella in avvicinamento ed estrapolò la sua traiettoria.

   «Nave Vampiro in rotta di collisione!» avvertì l’IA. «Cinque secondi all’impatto».

   «La vedo» disse T’Vala, attivando i motori a impulso. Sapeva che non c’era modo di evitare l’impatto. Poteva solo offrire un bersaglio diverso dalla plancia e sperare che l’Enterprise non si spaccasse in due. Portò la nave in avanti e leggermente di lato, così che la Nave Vampiro si schiantasse contro le estensioni urbane della sezione a disco, che in quel momento erano vuote. Nello stesso attimo, Lantora attivò l’intensificatore polarico dei legami molecolari, che aumentava la resistenza dello scafo.

   Gli sforzi ebbero parzialmente successo. Anche se Ifrit aggiustò la rotta fino all’ultimo, non riuscì a colpire la plancia; la sua Nave Vampiro si schiantò diverse centinaia di metri più indietro. Grazie all’intensificatore polarico, non riuscì a trapassare la sezione a disco. Ma ci affondò comunque in profondità. E lì rimase, con gli aculei neri che trapassavano le paratie dell’Enterprise, ancorando le due navi.

   Sulla plancia dell’Enterprise, gli ufficiali furono scagliati a terra dalla violenza dell’impatto. Chase si rialzò immediatamente. «Rapporto danni!» gridò, temendo il peggio.

   «Brecce dal ponte 6 al 12» rispose Terry. «I campi di contenimento atmosferico reggono, ma rilevo avarie nel sistema energetico. Non posso più eseguire teletrasporti diretti, né inviare le mie proiezioni in quel settore».

   «Abbiamo perso gli scudi nel quarto posteriore sinistro della sezione a disco» aggiunse Lantora. «Un altro colpo lì e siamo finiti».

   «Va bene, ritiriamoci» ordinò Chase. «Dite alla Celestial di sostituirci nello schieramento. Ormai non manca molto alla fine della battaglia. Se riusciamo a ripristinare gli scudi, torneremo in campo».

   «Capitano, c’è dell’altro» disse Terry, con un’insolita preoccupazione nella voce. «Rilevo dei movimenti nella Nave Vampiro agganciata al nostro scafo».

   «Che movimenti?» chiese il Capitano, con un orribile presentimento.

   «Sta uscendo qualcuno. I miei sensori interni funzionano poco, ma... possono essere solo i Na’kuhl» rispose l’IA.

   «Mandate fuori le navette. Che estraggano la Nave Vampiro coi raggi traenti, prima che esploda» ordinò Chase. «Quanto agli ospiti...» aggiunse, scambiando un’occhiata d’intesa con Lantora.

   «Me ne occupo io» disse lo Xindi, cedendo la consolle tattica al suo vice, un Klaestroniano di nome Nalanda. Corse nel turboascensore, ordinando alle squadre della Sicurezza di convergere verso il punto d’impatto.

 

   Se l’urto era stato violento per l’equipaggio dell’Enterprise, lo era stato molto più per i Na’kuhl. Di regola una Nave Vampiro aveva un equipaggio di appena tredici elementi. L’evacuazione dell’Eclipse, tuttavia, aveva costretto i Na’kuhl a stare più stretti: c’erano trenta soldati a bordo della navicella di Ifrit. Una decina morì nell’impatto. I venti superstiti si rialzarono, doloranti ma più pericolosi che mai. Ifrit si rassettò l’uniforme e impugnò il disgregatore.

   «Abbiamo fallito» disse uno dei soldati, afflitto.

   «Al contrario, non poteva andare meglio di così» ribatté Ifrit. «Ora siamo dentro l’Enterprise. Possiamo raggiungere la sala macchine e farla esplodere. Avanti... è tempo di vendicare i nostri fratelli caduti». Aprì il portello, che per com’era rigirata la nave si trovava sul pavimento e faceva da botola.

   La prua della Nave Vampiro era all’interno dei campi di forza che trattenevano l’atmosfera nell’Enterprise. Non c’era quindi il pericolo di essere risucchiati nello spazio. Ifrit saltò giù dal portello-botola e atterrò nel sottostante corridoio dell’Enterprise. I venti soldati Na’kuhl la seguirono, con i disgregatori spianati. Si fecero strada verso la sala macchine, uccidendo chiunque incontrassero.

 

   «Dottore, abbiamo un’emergenza» disse la voce di Terry.

   «Ce l’ho anch’io!» ribatté Korris. Aveva l’infermeria invasa dai feriti, al punto che molti di loro erano stesi sul pavimento, in mancanza di lettini. E c’era appena stato un violentissimo scossone, che non prometteva nulla di buono.

   «Uno squadrone Na’kuhl ha invaso l’Enterprise» spiegò Terry, senza apparire di persona. «La mia valutazione tattica è che vogliano raggiungere la sala macchine per distruggere l’astronave. Ma le probabilità che ci arrivino sono minime. Tutte le squadre della Sicurezza convergono su di loro».

   «Bene, allora!» disse Korris, sollevato.

   «Mica tanto. Stanno per passare accanto alla sua infermeria» avvertì Terry. «Ci sarà una sparatoria nel corridoio. Le consiglio di evacuare tutti nelle infermerie secondarie, con la cabina di teletrasporto. Purtroppo sono danneggiata e non posso eseguire un teletrasporto diretto» si scusò. «Per lo stesso motivo, non riesco a inviare le mie proiezioni ad aiutarvi. Dovrete cavarvela da soli».

   «Va bene, ce la faremo» disse Korris, pur sentendosi l’acqua alla gola. Andò al centro dell’infermeria e batté le mani, per attirare l’attenzione di tutti. «Sentito la signora? Dobbiamo sloggiare. Su, tutti alla cabina di teletrasporto!». Invece di avere le pedane, come i teletrasporti più vecchi, le moderne cabine dell’Enterprise somigliavano più ad ascensori e permettevano di trasferire tutto il loro contenuto, per quanto fosse stipato. Ogni infermeria aveva una cabina, per evacuarla nelle emergenze come quella.

   L’ordine di Korris sollevò un coro di proteste da parte di medici e infermieri, e di gemiti da parte dei feriti. Ma il dottore fu inflessibile. Sotto le sue direttive, la cabina cominciò a trasferire i presenti nelle infermerie secondarie. Ce n’erano molte, sparpagliate in tutta la nave, e potevano spartirsi i feriti dell’infermeria principale. Ogni “carico” fu inviato a un’infermeria diversa.

   «Avanti, avanti!» disse Korris, sentendo il sibilo delle armi nel corridoio. La battaglia era vicinissima, ma tra pochi secondi sarebbero stati tutti in salvo. Gli ultimi feriti entrarono nella cabina, sorretti da medici e infermieri. Entrò anche Raav, che portava Neelah in braccio. L’Aenar stava meglio: Korris l’aveva stabilizzata.  Non era ancora del tutto ristabilita – per quello servivano giorni – ma era senz’altro fuori pericolo.

   «Tu non sali, dottore?» chiese il Gorn, vedendo che Korris restava fuori dalla cabina.

   «Siete già al limite della capienza» spiegò Korris, indicando il display dei comandi. «Andate, vi raggiungo subito» promise. Si levò di tasca un’unità di memoria e la consegnò a Neelah. «Qui c’è la cura all’Agente 47. L’ho estesa agli Umani e ad altre specie. Tienila tu!». Chiuse la porta della cabina. Stava per trasferire gli occupanti, quando una voce stridula alle sue spalle lo bloccò.

   «Voi non andate da nessuna parte!».

 

   Nei corridoi dell’Enterprise infuriava la battaglia. Le squadre della Sicurezza avevano circondato i Na’kuhl, tagliandogli la strada per la sala macchine, come ogni altra via di fuga. Ma gli invasori resistevano accanitamente. Lantora guidava di persona una delle squadre in posizione più avanzata. Nascosto dietro un angolo, si sporgeva per sparare contro i Na’kuhl e tornava subito a nascondersi. Ne colpì uno, poi un altro. E poi la vide... Ifrit. Il braccio destro di Vosk. L’aveva incontrata tre anni prima, durante la missione sull’oscuro pianeta dei Na’kuhl. Aveva persino duellato con lei... e l’occhio artificiale gli ricordava la sconfitta. Si promise che stavolta sarebbe andata diversamente. Avrebbe pareggiato i conti... anzi li avrebbe chiusi per sempre. Si sporse di nuovo, dando una rapida occhiata, e anche Ifrit lo vide.

   «Chi non muore si rivede!» rise la Stratega. «Che sei venuto a fare, Primate? Vuoi darmi anche l’altro occhio?».

   «No, voglio prendermi la tua testa!» rispose Lantora, sparando all’impazzata.

   Ifrit si nascose dietro all’angolo del corridoio. «Mi prenderò io la tua, federale» rispose. «E farò saltare questa maledetta nave».

   «Siete circondati, non arriverete mai in sala macchine» avvertì Lantora. Ma si rese conto che proprio in quel corridoio, a metà strada fra loro, c’era la porta dell’infermeria principale. Korris, Raav e Neelah erano tutti lì.

   Anche Ifrit notò l’ingresso. Decise che, se non poteva arrivare in sala macchine, avrebbe almeno preso degli ostaggi. L’infermeria le sembrò il posto migliore. Mentre i suoi soldati la coprivano, con un intenso fuoco di sbarramento, Ifrit si avventurò nel corridoio. Si tuffò verso la porta dell’infermeria ed entrò con una capriola. Nemmeno Lantora riuscì a fermarla, ma la vide entrare e decise che l’avrebbe seguita.

   Ifrit si rialzò, avanzando per far chiudere la porta alle sue spalle. Vide con disappunto che l’infermeria era quasi deserta. C’era un ultimo carico di medici e feriti che stava per andarsene con la cabina di teletrasporto. Solo un dottore era ancora all’esterno. «Voi non andate da nessuna parte!» gridò, minacciandoli con il disgregatore. «Uscite dalla cabina, subito!» intimò. Sapeva che Lantora o qualcuno della sua squadra sarebbero entrati a momenti; le servivano degli ostaggi dietro cui nascondersi. Con un po’ di fortuna, poteva attirare lo Xindi in trappola.

 

   Korris s’irrigidì e alzò le mani, ma non troppo. Tenendole all’altezza delle spalle, era ancora vicino ai tasti esterni della cabina. Vide il riflesso della Na’kuhl sulla porta a vetri – parzialmente riflettente – e comprese le sue intenzioni.

   «Sono un medico, non un combattente» disse, senza voltarsi. «Ma questi feriti sono sotto la mia responsabilità. Non li prenderai in ostaggio».

   «La scelta non è tua» avvertì Ifrit. Si avvicinò, tenendolo sotto tiro con il disgregatore.

   «Aspetta, amico...» disse Raav, intuendo le intenzioni del dottore.

   «Non farlo» aggiunse debolmente Neelah. Aveva ancora in mano l’unità di memoria col Vaccino 47.

   «Abbiate cura di voi» disse Korris, con un sorriso malinconico. Fissò negli occhi prima Raav, poi Neelah, facendogli capire che aveva fatto il suo dovere e non aveva paura. Senza esitazione, premette il tasto di teletrasporto, mettendoli in salvo.

   «Maledetto guastafeste!» sibilò Ifrit. Sparò contro il display della cabina, mandandolo in pezzi. Non poté fermare il trasporto in corso, ma impedì ulteriori trasferimenti. Per uscire da lì non restava che la porta affacciata sul corridoio.

   «Puoi anche uccidermi, se vuoi» disse Korris, girandosi finalmente per guardare Ifrit negli occhi. «Tanto la tua battaglia è persa».

   «Il Leader Supremo vive, solo questo ha importanza» rispose Ifrit. Gettò un dispositivo a forma di dischetto sulla parete. L’oggetto vi si ancorò e cominciò a ronzare. Una piccola luce rossa brillava al centro.

   «Cos’è, una bomba?» chiese Korris.

   «Un campo di dispersione. Così, quando la Sicurezza farà irruzione, le armi a raggi non funzioneranno» spiegò Ifrit.

   «Nemmeno la tua?» domandò il medico.

   «Non ne ho bisogno» ribatté la Stratega, impugnando la vibro-lama. «Questa funziona perfettamente». Con un sorriso sadico, attivò l’arma e la puntò alla gola di Korris.

 

   La schermaglia infuriava nel corridoio, attraversato dai raggi phaser della Sicurezza federale e da quelli disgreganti dei Na’kuhl. Era una situazione di stallo, anche se gli invasori erano in minoranza e prima o poi avrebbero ceduto.

   «Copritemi!» ordinò Lantora ai suoi uomini. Per praticità gettò il fucile, tenendo solo un piccolo phaser manuale. Come aveva già fatto Ifrit, corse in mezzo alla gragnola di colpi e si tuffò nell’infermeria, entrando con una capriola. Si rialzò con il phaser in pugno. Vide Ifrit che puntava la vibro-lama alla gola del dottore e aprì il fuoco all’istante. L’avrebbe colpita in pieno... se il phaser avesse sparato. Ma con suo stupore l’arma rimase inattiva.

   «Lascia perdere, qui le armi a raggi non funzionano» spiegò Ifrit. «L’ho fatto per te. Non vorrai lasciare in sospeso la nostra lezione, vero?».

   «Niente affatto» rispose Lantora, attivando la sua vibro-lama. «Ma lascia stare il dottore. Lui non c’entra».

   «C’entra eccome, visto che si trova su questa nave» rispose la Na’kuhl, continuando a minacciare Korris.

   «Lantora, mi guardi» disse il medico. «Non importa cosa succederà a me. L’importante è che i Na’kuhl siano sconfitti e i nostri amici si salvino».

   «Chiudi il becco!» berciò Ifrit.

   «Se vuoi trattare per aver salva la vita, si può fare...» cominciò Lantora. Sapeva che le situazioni con ostaggi erano le peggiori. Le trattative potevano proseguire per ore, con il continuo rischio che i prigionieri fossero uccisi. Almeno stavolta ce n’era uno solo... ma era suo amico, e questo gli toglieva lucidità.

   «Non voglio affatto trattare!» disse Ifrit, divertita. «Voglio solo che tu veda questo!». Ridendo in modo maniacale, sferrò un preciso colpo di vibro-lama, che decapitò di netto Korris. La testa mozzata cadde a terra e Ifrit la calciò via con disprezzo, facendola rotolare fino ai piedi di Lantora. «Ecco, così mettiamo un po’ di pepe nello scontro!» rise, fissando Lantora con gli occhi color sangue, pieni di gioia malefica.

   Lo Xindi vacillò, con la sensazione che le pareti dell’infermeria si stringessero intorno a lui. Korris era uno dei suoi migliori amici. Nei sei anni che avevano trascorso sull’Enterprise si era distinto sia per la professionalità che per il buon cuore. Aveva salvato la vita a quasi tutti gli ufficiali superiori, lui compreso. Non essere riuscito a salvarlo era un peso che l’avrebbe sempre accompagnato. E nel vedere Ifrit che rideva sgangheratamente, Lantora sentì montare una rabbia sconfinata. Ma comprese che quello era il suo piano. Ifrit era una stratega, la migliore di Vosk. Tutto quel che faceva aveva una ragion d’essere e persino la sua gioia poteva essere simulata.

   Lantora ricordò com’erano andate le cose, tre anni prima. Anche in quel frangente i Na’kuhl avevano ucciso una sua amica – una proiezione di Terry, separata dal processore – e lui aveva perso la testa. Aveva combattuto male e Ifrit se n’era avvantaggiata per sconfiggerlo. Se Vosk non le avesse ordinato di prenderlo vivo, l’avrebbe certamente ucciso. Ma gli aveva cavato un occhio, perché rammentasse la sconfitta. Beh, Lantora se la ricordava molto bene. Non avrebbe ripetuto l’errore.

   Ricorrendo a una tecnica vulcaniana che T’Vala gli aveva insegnato, Lantora svuotò la mente da ogni emozione incentrata sull’Io. Il rimorso per la morte di Korris, la vergogna della sconfitta, la paura per il duello imminente lo abbandonarono. Il passato con i suoi fallimenti e il futuro con le sue incertezze non esistevano: c’era solo il presente. Più calmo, Lantora si avvicinò a Ifrit, con la vibro-lama in posizione di guardia. Presero a girarsi intorno, come lupi in procinto di azzannarsi, cercando un varco nelle difese dell’avversario.

   «Metterò la tua testa in fila con quella di Korris!» disse Ifrit sprezzante. «Poi andrò a cercare i tuoi amici e farò a pezzi anche loro».

   «Non ucciderai più nessuno» rispose Lantora con calma. «Tu e Vosk avete perso».

   «Non perderemo mai. La Storia è lì che aspetta di essere riscritta» ribatté Ifrit, e partì all’attacco.

   Fu il duello più selvaggio che Lantora avesse mai sostenuto. Negli ultimi tre anni si era allenato senza posa, con avversari sia olografici che organici. Aveva imparato molte nuove tecniche e affinato le precedenti. Soprattutto aveva imparato la misura: conservare le forze, mantenere una difesa efficace, spingere l’avversario a scoprirsi. Tutte queste abilità gli furono indispensabili per sopravvivere. Ifrit era un’eccellente spadaccina: forte e agile, padrona di molti stili, esperta nelle finte e negli attacchi a sorpresa. Integrava gli attacchi di spada con salti, calci, giravolte. Era più abile di T’Vala; e T’Vala sconfiggeva spesso Lantora nei loro allenamenti. Ma lo Xindi non si perse d’animo.

   Lo scontro devastò l’infermeria. Vassoi pieni di strumenti chirurgici furono rovesciati, provette colme di liquidi furono infrante, interi macchinari furono tagliati dalle vibro-lame. Ifrit giocava sporco, cercando di scagliare oggetti contro l’avversario. Vide che qualcuno aveva dimenticato su una mensola un vassoio pieno di strumenti affilati e glielo spedì contro con un calcio. Poi saltò su un lettino medico e approfittò della posizione soprelevata, cercando di colpire Lantora in faccia con altri calci. Lo Xindi li evitò e sferrò un attacco laterale che avrebbe tranciato le gambe di Ifrit all’altezza delle ginocchia. La Na’kuhl si avvide del pericolo e fece un salto mortale, atterrando alle spalle di Lantora. Questi si girò all’istante, ricominciando a duellare.

   All’apparenza Ifrit era in vantaggio. Sempre in attacco, costringeva Lantora ad arretrare, cercando di metterlo con le spalle al muro. Ma l’infermeria era abbastanza vasta da permettere allo Xindi una certa libertà di manovra. Ogni volta che Ifrit cercava di pressarlo contro una paratia, lui riusciva a sgusciarle a fianco. Frustrata dai ripetuti fallimenti, Ifrit si lanciò in assalti ancora più indiavolati, cercando di sovraccaricare la difesa dell’avversario. Bastava un solo colpo a segno, al cuore o alla gola, per chiudere la contesa. Ma riuscì solo a scalfirgli il braccio destro, poco sotto la spalla. Era una ferita superficiale e non impedì a Lantora di continuare a battersi.

   Poco alla volta, la situazione cambiò. Ifrit combatteva con uno stile acrobatico, che richiedeva molte energie. Lantora era assai più statico. Con un accurato controllo dei passi e con rapidi movimenti di polso riusciva a schivare o deviare gli attacchi. Il risultato fu che mentre Ifrit cominciava ad ansimare, Lantora era ancora fresco e riposato. La Stratega comprese la situazione. Avrebbe dovuto calmarsi, conservare le forze... ma la rabbia per la sconfitta del Fronte era troppo bruciante. Capì che doveva vincere subito il duello, o non avrebbe vinto affatto.

   La Na’kuhl costrinse Lantora ad arretrare, ripetendo una serie di attacchi simili fra loro per indurlo a prendere il ritmo. Poi cambiò di colpo, allungandosi in un affondo al cuore. Ma non si accorse del basso gradino che portava al tavolo operatorio retrostante e incespicò in avanti. Con un movimento fulmineo, Lantora le sgusciò di lato, caricando un attacco diagonale. Ifrit non riuscì a riprendere l’equilibrio, anzi cadde in avanti, in ginocchio. L’ultima cosa che sentì fu la vibro-lama dello Xindi, gelida come ghiaccio, che si abbatteva sul suo collo.

 

   La testa di Ifrit, recisa di netto, rotolò giù dalla piattaforma del tavolo operatorio, lasciandosi dietro una scia gialla. Il corpo si accasciò, con la vibro-lama ancora stretta in pugno. Dal collo troncato si allargava una macchia oleosa, il sangue a base d’iridio dei Na’kuhl.

   Lantora emise un sospiro di sollievo. «Questo è per te, dottore» disse, levando la spada imbrattata di giallo. Poi arretrò, fino a sedersi su un altro lettino medico. Disattivò la vibro-lama e chiuse gli occhi, respirando a fondo per calmarsi. Esaurita l’adrenalina, il dolore al braccio si fece sentire. Si osservò la ferita: era superficiale, ma sarebbe stato meglio occuparsene.

   La porta dell’infermeria si aprì, facendo sobbalzare lo Xindi; ma non erano i Na’kuhl. Si trattava dei suoi Corpi Speciali. «È finita, signore» disse il Maggiore Wu, facendosi avanti. «I Na’kuhl sono stati uccisi fino all’ultimo. Le navette stanno estraendo la Nave Vampiro dal nostro scafo».

   «Bene» annuì Lantora. Approfittando del fatto che era in infermeria, prese un rigeneratore dermico e si curò rapidamente il braccio. Ordinò agli uomini di occuparsi del corpo di Korris e corse di nuovo in plancia. Sapeva che la battaglia non era ancora finita.

   «Invasori neutralizzati» disse lo Xindi quando fu sul ponte. «Comandante, le piacerà sapere che ho eliminato Ifrit».

   «Ottimo lavoro» disse Ilia, ricordando quel che avevano passato su Na’kuhl Primo.

   «Ma Korris è morto» aggiunse Lantora con voce atona, riprendendo posto alla consolle tattica. Per i suoi colleghi fu un colpo durissimo.

   «Ci sarà tempo per piangere il nostro amico» disse il Capitano Chase. «E tutte le altre vittime. Ma non adesso. Ci resta un ultimo sforzo, per vincere questa battaglia. Terry, la Nave Vampiro è stata rimossa?».

   «In questo momento» confermò l’IA. «I campi di forza reggono. Sto cercando di rigenerare gli scudi, ma posso darvi solo il 10%. L’integrità strutturale è al 35%».

   «Ci dovrà bastare» disse Chase con determinazione. «Torniamo in battaglia!».

 

   Per quanto provata dallo scontro, l’Enterprise riprese posto nello schieramento dell’Unione. Arrivò in tempo per assistere alle ultime navicelle Na’kuhl che s’immolavano. Quando anche l’ultimo kamikaze ebbe colpito, della flotta nera non rimase nulla, salvo lo scheletro dell’Eclipse. Fra tutte le fazioni che si erano scontrate a Procyon V, i Na’kuhl avevano pagato il prezzo più alto: il 99% delle loro forze era stato distrutto. Solo una manciata di Navi Vampiro, fra cui quella di Vosk, era riuscita a fuggire.

   A quel punto, di tutto il Fronte Temporale rimanevano poche navi Vorgon, soprattutto Ruote da Guerra. Stavano ancora sparando a tutto spiano, ma ormai avevano perso gli scudi. La loro sconfitta era inevitabile. L’Enterprise bersagliò la Grande Ruota da Guerra, aprendo crateri sulla sua superficie. I siluri più potenti la trapassarono da parte a parte.

   «Ci chiamano» disse Grog.

   «Sullo schermo» ordinò Chase, alzandosi per affrontare l’Autarca.

   Cletus apparve fra molte interferenze. Vacillava come se avesse difficoltà a restare in piedi, per la violenza degli scossoni cui era sottoposta la Ruota. La sua lunga veste dorata sembrava aver perso lucentezza, forse per le esalazioni dei condotti danneggiati. Lui stesso aveva un aspetto orribile: la testa conica aveva tinte ancor più stridenti del solito, le branchie nasali erano dilatate, gli occhi sembravano sul punto di schizzare dalle orbite. «Basta, vi prego!» implorò, giungendo le mani a spatola. «Ci arrendiamo. Prendetemi pure prigioniero... ma smettetela di spararci!».

   «È una dichiarazione formale di resa?» chiese il Capitano.

   «Ma sì, certo! Farò quel che volete, basta che vi fermiate!» confermò l’Autarca, guardandosi attorno come se temesse che la Ruota si sfasciasse da un momento all’altro.

   «Queste sono le mie condizioni» disse Chase con calma. «Primo: lei si consegnerà all’Enterprise come ostaggio. Secondo: le navi Vorgon superstiti saranno requisite dalla Flotta Stellare. Gli equipaggi saranno trattati umanamente e rimpatriati su Vorgon appena possibile. Terzo: quando ci sarà la conferenza di pace, i Vorgon firmeranno gli Accordi Temporali, impegnandosi a non sviluppare ulteriormente il viaggio nel tempo» disse, enumerando sulle dita. «Fate questo e vivrete. Altrimenti vi spazzerò via fino all’ultimo» minacciò.

   «Accetto le sue condizioni, Capitano» disse Cletus, chinando tristemente la testa conica.

   «Bene, sospendete il fuoco» ordinò Chase. L’Enterprise e le altre navi dell’Unione smisero di martoriare la flotta Vorgon. Delle 150 navi che la componevano inizialmente, rimanevano solo una decina di Ruote da Guerra e cinque Incrociatori, tutti gravemente danneggiati.

   «Si prepari al teletrasporto, Autarca» disse Chase. «La trasferiremo in una delle nostre celle. Le sue navi si preparino all’abbordaggio. Che non facciano resistenza, o apriremo nuovamente il fuoco».

   Sconfitto, l’Autarca attese finché il teletrasporto dell’Enterprise lo prelevò.

   «Ce l’ho» disse Terry. «È nella cella numero 1. Le squadre dell’Unione stanno già abbordando la flotta Vorgon».

   «Requisire le navi è un’ottima idea» notò Ilia. «Dobbiamo studiare a fondo la loro tecnologia organica. Potremmo scoprire cose interessanti. E se mai torneranno ad attaccarci, non ci faremo più cogliere impreparati».

   «L’idea è quella» annuì il Capitano.

   «Allora è finita? Abbiamo vinto?» chiese Lantora. Quasi non osava crederci.

   «Non ancora» corresse Chase. «Terry, aggiornaci sullo stato dei Tholiani e dell’Impero Terrestre».

   «La battaglia è ancora in corso» rilevò l’IA, inquadrando la ragnatela dorata sullo schermo. «I Tholiani e gli altri Inorganici hanno subito perdite moderate. Ma l’Impero Terrestre è in condizioni catastrofiche: il 90% delle sue forze è stato distrutto. Le rimanenti 200 astronavi hanno perso gli scudi e sono al collasso. In mezz’ora sarà tutto finito».

   «Li chiami» ordinò Chase. «Sono curioso di vedere chi...» cominciò a dire, ma si bloccò, vedendo comparire Serleen N’Rass. Per un attimo gli sembrò che il tempo si fosse riavvolto. Era ancora un giovane Tenente sull’Enterprise-I, che lottava contro i Parassiti Neurali a fianco dell’amica. Ma si riscosse subito. La Caitiana davanti a lui non era la stessa che gli aveva salvato la vita anni prima. Quella Serleen era morta da tempo. Davanti a lui c’era un Ammiraglio dell’Impero Terrestre, con l’uniforme gallonata d’oro e il distintivo imperiale: la Terra trafitta da un pugnale.

   «Capitano Chase, non credevo che l’avrei rivista» disse N’Rass. «Cioè, che l’avrei conosciuta. La somiglianza col nostro Chase è... sorprendente».

   «Anche lei somiglia a una mia vecchia conoscenza» ammise il Capitano. Certo, questa Serleen era più matura di quella che aveva conosciuto: aveva sedici anni in più. I suoi lineamenti si erano induriti. E in quel momento erano tormentati dalla sconfitta. «Ammiraglio, ormai è finita. I Tholiani distruggeranno fino all’ultima delle sue navi, se non interveniamo» avvertì.

   «Meglio la morte che il disonore» rispose N’Rass.

   «Se cerca la morte, l’avrà senz’altro» disse Chase. «Ma non pensa ai suoi uomini? Sono rimasti in pochi. Permetta almeno a loro di tornare a casa».

   «Dalle nostre parti, il fallimento non è bene accetto» disse la Caitiana con un sorriso tirato.

   «Lo immagino, ma gli dia almeno una possibilità» insisté l’Umano.

   N’Rass esitò, mentre la sua plancia si scuoteva e una consolle andava in fiamme. Qualcuno urlò, ustionato. «Quali sono le sue condizioni?» chiese.

   «Le stesse dei Vorgon» disse il Capitano. «Lei verrà in ostaggio sull’Enterprise e le sue navi saranno requisite dalla Flotta Stellare. Agli equipaggi non sarà fatto del male, provvederemo a rimpatriarli il prima possibile. Inoltre lei dovrà firmare un armistizio; in seguito cercheremo di contattare il suo Imperatore per portarlo al tavolo delle trattative». Chase avrebbe voluto essere più generoso, ma non poteva lasciare che i suoi sentimenti personali interferissero in quel frangente.

   «Mi sta chiedendo molto» disse N’Rass, angustiata. «Se le consegno le navi, v’impadronirete della nostra tecnologia».

   «Le nostre tecnologie si equivalgono, non credo che scopriremo granché di nuovo» rispose il Capitano. «Ma come avrà notato, la Flotta Stellare ha perso molte astronavi. Le vostre ci aiuteranno a rifarci delle perdite».

   «Ai vincitori vanno le spoglie... anch’io farei lo stesso, se le parti fossero invertite» sospirò N’Rass. «Accetto a una condizione: dopo aver firmato l’armistizio, mi permetterete di tornare nello Specchio coi miei uomini. Dovrò giustificarmi davanti all’Imperatore Nelscott».

   «Nelscott?» si stupì Chase. «Uhm... temo che non sarà clemente con lei. Vivrebbe di più restando nel nostro Universo» consigliò.

   «Lo so. Ma se mi assumo la responsabilità della sconfitta, forse i miei uomini saranno risparmiati; non è quello che vogliamo tutti?» chiese la Caitiana.

   «Accetto la sua proposta» disse Chase, non volendo perdere altro tempo. «Resistete, mentre convinco i Tholiani a cessare l’attacco».

   «Siamo nelle sue mani, Capitano» disse N’Rass. Si scambiarono un’ultima occhiata sconsolata. Era un destino crudele, si disse Chase, che gli aveva fatto ritrovare Serleen in quel modo. Forse poteva farla uscire viva dalla ragnatela tholiana, ma non l’avrebbe salvata dall’Impero Terrestre.

   Con molta fatica, Chase riuscì a convincere i Tholiani a cessare l’attacco alla flotta imperiale. Le navi-ago mantennero però attiva la ragnatela, impedendo ogni tentativo di fuga. Come da accordo l’Enterprise teletrasportò Serleen a bordo, in una cella di massima sicurezza. Ciò che restava dell’Unione inviò le sue squadre ad abbordare le navi imperiali. Solo quando furono tutte saldamente sotto controllo i Tholiani acconsentirono a rimuovere la ragnatela. Le loro navi-ago lasciarono subito Procyon V, tornando a Tholia, senza nemmeno salutare gli alleati dell’Unione. Anche le rimanenti specie inorganiche – Sheliak, Excalbiani, Melkotiani – lasciarono il sistema Procyon in fretta. Le loro perdite erano molto più leggere, rispetto a quelle sostenute dalle altre flotte, e partecipando alla battaglia avevano indubbiamente salvato i loro mondi. Ma Chase dubitava che fosse un punto di svolta nelle relazioni con gli Inorganici. Probabilmente tutto sarebbe tornato come prima.

 

   Così terminò la Battaglia di Procyon V, la più grande mai affrontata dalla Flotta Stellare. Anche se si trattava di una vittoria per la neonata Unione Galattica, le perdite erano gravi. La Federazione e i Klingon avevano perso il 40% delle forze. Nel caso dei Romulani, che avevano dovuto affrontare la furia dei Na’kuhl, le perdite salivano addirittura al 60%. Solo i Tholiani e gli altri Inorganici se l’erano cavata con un più moderato 20%.

   Anche Procyon aveva sofferto gravi danni. I resti delle astronavi distrutte si sparpagliarono in tutto il sistema stellare, rendendo pericolosa la navigazione. Milioni di frammenti, anche di grandi dimensioni, precipitarono su Procyon V, distruggendo il suo fiorente ecosistema marino e rendendolo inabitabile. Negli anni seguenti il sistema, e in particolare il quinto pianeta, fu soprannominato Cimitero di Procyon. Pochi osavano attraversare quella zona, sia per il rischio concreto di essere colpiti dai detriti, sia per le storie di fantasmi. Si diceva che gli spiriti dei caduti infestassero le carcasse delle loro astronavi, o ruotassero intorno a Procyon V in spettrali orbite. Ciò non impedì ai mercanti di rottami di saccheggiare per secoli quell’inesauribile deposito di metalli. Persino l’Unione tornò spesso a sondarlo, per reperire tecnologie utili dai relitti nemici. Una rete di boe spaziali fu posta intorno al sistema, per avvertire le astronavi di passaggio di tenersi alla larga. Inoltre la Flotta si assicurò che alcune navi-pattuglia fossero sempre presenti, per tenere alla larga i saccheggiatori e soccorrere gli incidentati.

   Si parlò persino di una maledizione che gravava sul pianeta. Di certo Procyon V non era più il bel mondo oceanico di un tempo. I detriti, che continuarono a cadere quotidianamente per secoli, trasformarono la sua superficie in un deserto radioattivo, costellato di crateri e laghi di lava. Gli oceani in parte evaporarono, addensando l’atmosfera, e in parte divennero mari acidi. Il pianeta fu riclassificato, inserendolo nella famigerata classe Demon.

 

   Quella sera, gli ufficiali superiori dell’Enterprise si riunirono nel ristorante di Raav. Portavano ancora ben visibili i segni della battaglia. Erano stanchi e sporchi, con le uniformi in disordine e il cuore gonfio di dolore. Chase stava vicino a Neelah, ancora convalescente dopo la ferita al fianco. Anche Lantora e T’Vala sedevano vicini e quasi abbracciati. Terry doveva portare l’Emettitore Autonomo, perché la rete energetica dell’Enterprise era danneggiata e quasi tutti gli olo-proiettori erano fuori uso. Ilia aveva i capelli sporchi e in disordine, mentre Grenk aveva la barba bruciacchiata. Il posto di Korris era dolorosamente vuoto.

   Anche il ristorante era a soqquadro, con sedie e tavoli rovesciati. Le bottiglie si erano sparpagliate a terra, talvolta rompendosi. I liquori si erano mischiati con sale e spezie, formando pozzanghere appiccicose. Anche i replicatori alimentari erano fuori uso, o perché danneggiati, o perché l’Enterprise doveva risparmiare energia. Raav si diresse borbottando verso la dispensa, calpestando cocci e pozzanghere, per rimediare qualcosa di commestibile. In qualche modo riuscì a imbandire un pasto decente per i suoi ospiti, che non mangiavano da quella mattina. Lui stesso si unì alla tavolata.

   Cenarono perlopiù in silenzio, accontentandosi di essere vivi e circondati da amici. Ma a fine pasto Chase si alzò, sapendo di dover dire qualcosa. Prese una bottiglia di Chateau Picard, miracolosamente salvatasi dalla distruzione, e riempì i bicchieri dei colleghi. Poi colmò anche il proprio.

   «Alla vittoria» disse, «e agli amici che non sono qui con noi. Sarebbero lieti di sapere che, con il loro sacrificio, la guerra è finita. Sono troppi per elencarli tutti, eppure vorrei ricordarne alcuni particolarmente cari. Il Tenente Serleen N’Rass, dell’Enterprise-I. L’Ingegnere 11001010, noto a tutti come Bynario 1. Karen Mallory della colonia Galatea. L’Ammiraglio Jason Nelscott. E per ultimo... ma primo nei nostri cuori... il dottor Korris Vrel. Era una persona gentile e un po’ timida, che non faceva parlare molto di sé; ma ci ha salvati più volte. Ha trovato la cura per l’Agente 47: il suo ultimo gesto è stato affidarla a noi perché la diffondessimo. La stiamo già trasmettendo al Comando Medico e al resto dell’Unione: ora che le anomalie si sono dissolte, il segnale subspaziale non ha ostacoli. Siamo tutti in debito con il dottore» disse, guardando Neelah con affetto. L’Aenar era una degli ultimi pazienti che Korris aveva salvato. «Addio, Vrel... e grazie di tutto» disse levando il bicchiere, imitato dagli altri. Bevvero silenziosamente.

   «Quando lo vidi per la prima volta, pensai che fosse un buono a nulla» disse Neelah, rompendo il silenzio. Aveva la voce incrinata e gli occhi arrossati dal pianto. «Era così tradizionalista, così vecchio stile! Pensai che non sarebbe durato sei mesi su questa nave. Invece...». La voce si ruppe e le lacrime le rigarono le guance. «Era il più leale e coraggioso. Dopo i fatti di Carraya IV mi ha curata per mesi. E oggi mi ha salvata ancora, restando fuori dalla cabina di teletrasporto. Mi mancherà tantissimo!» singhiozzò. Lasciò il proprio posto e andò da Chase, sedendogli sulle ginocchia. Lo abbracciò e gli nascose il volto contro la spalla, soffocando i singulti. Chase la strinse forte, carezzandole ritmicamente i capelli bianchi.

 

   Gli ufficiali e Raav si trattennero a lungo intorno alla tavolata, parlando di varie cose. Forse era il desiderio di stare con gli amici, o forse erano così stanchi che non volevano alzarsi. Ora che la guerra era finita, molti facevano progetti per il futuro, che però era ancora pieno d’incognite, soprattutto per Chase e Ilia.

   A tarda ora giunse la notizia che tutti aspettavano con ansia. Il Comando di Flotta, in via eccezionale, aveva deciso di non perseguire Chase per aver usato la Phoenix mentre era agli arresti, né per aver ripreso il comando contro gli ordini. Anche l’accusa per i fatti di Xindus era derubricata. Terry lesse il comunicato ad alta voce, appena lo captò: «Per delibera del Comando di Flotta, in riconoscimento del suo contributo decisivo alla battaglia, Alexander Chase è prosciolto da tutte le accuse. Ordiniamo quindi che sia pienamente reintegrato nelle sue funzioni di Capitano dell’Enterprise...». La sua voce si perse in uno scroscio di applausi. Tutti vollero stringere la mano al Capitano e Lantora gli diede una gran pacca sulla spalla. Neelah lo abbracciò radiosa.

   «Il Comandante Dax viene inoltre ammonita a rispettare il regolamento della Flotta Stellare, ma non si prevedono azioni disciplinari in seguito alla sua decisione di restituire il comando a Chase...» lesse ancora Terry. Anche Ilia ricevette le congratulazioni di tutti.

   «Posso capire che esista una tecnologia in grado di far esplodere le stelle» commentò Raav, «ma non credevo che la Flotta Stellare avrebbe mai derogato ai suoi regolamenti!» ridacchiò.

   «Ho captato qualche pettegolezzo da parte delle altre astronavi» disse Terry. «Pare che i Klingon abbiano fatto pressione perché il Capitano e la Comandante fossero perdonati. Trovano che il loro comportamento sia stato molto onorevole».

   «E che ne sanno i Klingon di quel che abbiamo fatto? Voglio dire, come conoscono i dettagli?» chiese il Capitano.

   «Ehm, può darsi che anch’io mi sia fatta sfuggire qualche pettegolezzo» ammise Terry, arrossendo leggermente. Ci furono altre risate e fu il suo turno di prendersi le pacche sulle spalle.

   «Beh, sembra che molte cose si siano aggiustate» commentò Grenk, soddisfatto. «E ci voleva, per la malora! Ma ci vorrà un bel po’ per aggiustare l’Enterprise. Povero me! Non ho ancora osato guardare la lista completa dei danni».

   «Ci sarà tempo per tutto» assicurò Chase. «Da oggi la Galassia è un posto diverso, e speriamo migliore».

 

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Capitolo 8
*** Gli Accordi Temporali ***


-Capitolo 7: Gli Accordi Temporali

 

   Nei giorni seguenti, l’Unione Galattica si occupò dei nemici sconfitti. I soldati Vorgon furono rimpatriati, come promesso, ma un certo numero di ufficiali e tecnici fu trattenuto per essere interrogato. Tutte le astronavi superstiti – Incrociatori e Ruote da Guerra – furono requisite dalla Flotta Stellare per studiarne la tecnologia organica.

   Simile trattamento fu riservato anche all’Impero Terrestre. In quel caso il rimpatrio dei prigionieri era più difficile, visto che provenivano da un Universo parallelo. Interrogata, N’Rass rivelò la posizione del portale – costruito dai Tuteriani – che aveva consentito il trasferimento. Si trattava di un tunnel spaziale artificiale, che metteva in comunicazione i due universi. Distruggere anche una sola delle imboccature avrebbe fatto collassare il condotto. N’Rass sostenne che l’Impero Terrestre non era in grado di aprirne uno da solo, senza l’aiuto dei Tuteriani. I federali potevano solo sperare che fosse vero.

   L’Enterprise imbarcò gran parte dei superstiti della Majestic, che si affiancarono al personale tecnico, contribuendo alle riparazioni. Il loro aiuto fu prezioso, perché l’Enterprise stessa lamentava molte vittime. Appena la cavitazione quantica fu ripristinata, l’ammiraglia fece rotta per il portale dell’Impero Terrestre, assieme alle navi dell’Unione in grado di seguirla. C’era il timore che l’apertura fosse presidiata da altre forze dell’Impero, ma non era così. Se delle astronavi erano state lasciate di guardia, si erano ritirate dopo aver rilevato la disfatta della flotta principale. Chase discusse con il Comando di Flotta sull’opportunità di lasciare aperto il condotto o distruggerlo. Alcuni ammiragli erano dell’idea di mantenerlo, nel caso si fosse scoperto che alcune navi imperiali erano ancora in circolazione, o per trattare con l’Impero Terrestre. Quantomeno bisognava indurre l’Impero a firmare il trattato di pace.

   Ma Chase si era accordato con Serleen per distruggere il tunnel e manteneva questo proposito. Dopo lunghe discussioni riuscì a far passare la sua linea d’azione. Argomentò che i pericoli di tenerlo aperto erano superiori agli eventuali benefici: in qualunque momento una nuova flotta d’assalto poteva uscire, e l’Unione non era in grado di sostenere un’altra battaglia. Quando l’Ammiraglio N’Rass firmò l’armistizio, il Comando di Flotta e i vertici dell’Unione decisero di accontentarsi. Conoscendo la politica dell’Impero Terrestre, era probabile che un vero trattato di pace – firmato dall’Imperatore – non ci sarebbe stato mai.

   Agli equipaggi imperiali fu quindi concesso di tornare a casa con trasporti e navette. Le astronavi imperiali, come stabilito, furono trattenute dall’Unione per rinfoltire la sua flotta. L’ultimo incontro fra Serleen e Chase fu amaro.

   «Sei certa di non voler restare?» chiese il Capitano. «Potrei evitarti la pena capitale. E tu saresti preziosa per far pace con l’Impero... in qualche modo».

   «Quale pace?» chiese la Caitiana, con una risata amara. «Avete inflitto all’Impero la peggior sconfitta della sua storia. È un’onta che non può scordare. Forse non tenterà più d’invadervi... finché il ricordo lo spaventerà. Ma non sarete mai amici. I nostri Universi sono troppo lontani».

   «Probabilmente è così» ammise Chase. «Ma come dicevo, tu sopravvivresti più a lungo nel nostro».

   «Io sì, ma i miei soldati no» disse Serleen. «Sono sconfitti, disonorati. Potrebbero essere puniti con la decimazione. A meno che sia io a pagare per loro».

   «Sei la solita, in tutti gli universi» sospirò Chase. «Devi sempre sacrificarti per qualcun altro. Almeno stavolta posso dirti addio».

   «Per chi si è sacrificata la mia alter-ego?» chiese la Caitiana.

   «Per me, molti anni fa» rivelò Chase.

   «Vi amavate?» chiese Serleen, meravigliata.

   «Forse. Non siamo arrivati a scoprirlo» disse il Capitano, rattristato.

   «E adesso ami qualcuna?».

   «Sì».

   «Tienitela stretta» consigliò Serleen, salendo sulla pedana del teletrasporto. «Addio, Capitano Chase».

   «Addio, Ammiraglio N’Rass». Chase rimase a guardare la Caitiana finché il teletrasporto l’ebbe portata via. Poi tornò in plancia, giusto in tempo per vedere le navi trasporto e le navette che entravano nel tunnel. Questo era una massiccia struttura grigia, di forma esagonale. Il wormhole azzurro divenne visibile mentre i vascelli lo attraversavano.

   «Sono andati tutti» rilevò Terry. «Il Comando di Flotta ci dà il via libera».

   «Allora finiamola» sospirò Chase. «Fuoco coi siluri transfasici. Lantora, miri alle giunzioni della struttura».

   «Sissignore» disse lo Xindi. I siluri transfasici andarono a bersaglio e la struttura esagonale fu spezzata. Il wormhole brillò ancora un istante, collassando. I tronconi fiammeggianti della struttura furono colpiti ancora dalle navi dell’Unione, finché andarono in pezzi. Il legame fra i due Universi era stato reciso.

 

   «... per queste ragioni ho deciso di accettare l’offerta del Capitano Chase, consapevole delle conseguenze» disse l’ologramma dell’Ammiraglio N’Rass. Sembrava molto piccola, al centro della sala del trono imperiale. Funzionari e gerarchi se ne stavano discosti, come se fosse un’appestata in carne e ossa. La guardavano con odio, bisbigliando fra loro. Ma sul suo trono, l’Imperatore Nelscott ascoltava in silenzio.

   «Non intendo chiedere clemenza alla Maestà Vostra. Chiedo solo che i superstiti della flotta non subiscano la decimazione, in quanto sono la sola e unica responsabile del fallimento» disse la registrazione di N’Rass. «La Flotta Imperiale ha subito un duro colpo. Quei superstiti saranno preziosi per mantenere il controllo dei pianeti, negli anni turbolenti che vi aspettano, prima che la Flotta si rimetta in sesto. Spero e prego che l’Impero si riprenda presto da questa debacle.

   Vorrei inoltre informare la Maestà Vostra che ho con me un’unità di memoria contenente messaggi da parte dei vertici dell’Unione Galattica. Quel vasto organismo politico è formato da centinaia di specie, che vivono in armonia, con pari diritti. Non desidera la guerra con noi e promette di non invadere il nostro spazio. Io credo che quest’affermazione sia genuina. Forse, un giorno, i nostri Universi saranno meno distanti di come lo sono oggi. Con questo mi congedo da Sua Altezza Imperiale, augurandole fortuna e lunga vita». L’ologramma di N’Rass eseguì il saluto militare e svanì.

   «Ecco che succede a concedere l’ammiragliato a una non-Umana!» insorse uno dei consiglieri imperiali. «Prima il fallimento e ora queste insulse scuse! Altezza, per il bene dell’Impero v’imploro di non promuovere mai più un alieno a simili incarichi di responsabilità».

   «Taci» disse Nelscott, infastidito. «Oggi è un giorno di lutto. Abbiamo perso troppi soldati. Sarebbe inutile, anzi folle decimare i pochi che sono tornati. Che siano risparmiati» decretò. «E ora pensiamo all’Ammiraglio N’Rass. Mi dica, Capitano Nechayev: dov’è al momento?».

   «Si trova ancora dove l’abbiamo trovata, Maestà» rispose il graduato. «Nella vecchia nave trasporto che l’ha ricondotta qui. È nell’ufficio del Capitano, dove probabilmente ha registrato questo messaggio».

   «E il corpo in che condizioni è?» tornò a chiedere l’Imperatore.

   «Intatto, Altezza. Non aveva veleno con sé, ma riteniamo che si sia iniettata un cocktail letale di farmaci, prelevati dall’infermeria dell’astronave. Come vuole che ne disponiamo?» chiese Nechayev.

   «Quella fallita dovrebbe essere ridotta in cenere!» esclamò il consigliere, incapace di trattenersi.

   «No» disse l’Imperatore, dopo un attimo di riflessione. «Contattate la sua famiglia, se ne ha una. Restituite il corpo ai parenti, perché possano seppellirla dignitosamente».

   «Altezza!» protestò il consigliere, scandalizzato. «È... è...» balbettò.

   «È la volontà dell’Imperatore» disse Nelscott. «E ora portatemi il messaggio dell’Unione Galattica. Ma non qui... lo visionerò privatamente» decise.

 

   «Controlli finali ultimati. Siamo pronti a ripartire» disse Terry. Dopo aver distrutto il portale, l’Enterprise si era attardata in quel sistema per alcuni giorni, effettuando varie riparazioni. Adesso poteva viaggiare più velocemente e con più sicurezza. Ma non era ancora tornata al massimo dell’efficienza. Per quello sarebbero serviti mesi di lavoro alla stazione Jupiter, unica grande base del sistema solare sopravvissuta alla guerra.

   «Allora andiamo» disse il Capitano. «Sono certo che alla stazione Jupiter ci aspettano a braccia aperte» disse ironico.

   «Mentre loro lavorano, noi avremo un po’ di franchigia, finalmente» commentò Lantora. «Avete già pensato a dove andrete?».

   «Sicuramente ad Atlantide, per vedere quelle meraviglie di cui parla l’Olonet» disse Chase. «Poi tornerò a casa per un po’, penso».

   «Su Risa» disse Ilia. «Io faccio le vacanze vere, Capitano» aggiunse divertita.

   «Pronti a partire...» disse T’Vala, con le mani già sui comandi della cavitazione quantica.

   «Un momento!» la fermò Terry. «Rilevo una nave in avvicinamento ad alta curvatura. Capitano... la traccia è Krenim!» avvertì.

   «Temevo che li avremmo rivisti» disse Chase. «Se ne sono andati da Procyon V con metà della flotta. Sono 400 astronavi. Hortis è uno stratega abbastanza abile da continuare la guerra con quelle».

   «Ci risiamo!» sbuffò Lantora. «Scudi alzati, armi pronte. Sto segnalando il pericolo al resto della flotta... ma restano solo quaranta navi con noi. Molte sono ancora danneggiate. Che forze ha il nemico?».

   «Solo un’astronave, si direbbe» rilevò Terry. «Sta per uscire dalla curvatura».

   «Prepariamoci a riceverla» disse Chase.

   L’astronave arrivò e tutti in plancia ne riconobbero la forma unica: due globi semifusi, collegati a una complessa struttura a tenaglia dotata di sei bracci. Era il disgregatore subatomico e sembrava che i Krenim l’avessero già riparato.

   «Ci chiamano, signore» avvertì Grog.

   «Sullo schermo».

   «Non sparate!» esclamò Hortis, appena fu comparso. «Capitano Chase, sono lieto di rivederla».

   «Io un po’ meno» disse Chase. «Che vuole, Ammiraglio?».

   «In questi ultimi giorni mi sono consultato col mio governo» rispose Hortis. «È emerso che i Tuteriani avevano influenzato la corte imperiale, per spingerci alla guerra. Alcuni dei consiglieri più stretti dell’Imperatore erano sotto il controllo di strani Parassiti Neurali».

   «Li abbiamo affrontati anche noi» disse Chase. «Possiamo comunicarvi quanto sappiamo, per aiutarvi a combatterli».

   «La ringrazio, anche se non credo sia necessario» disse Hortis. «Dopo la sconfitta dei Tuteriani sono diventati inattivi. Questo ci ha permesso di localizzare e uccidere la loro Regina. A quel punto le altre creature sono morte... sembra che avessero un meccanismo di auto-distruzione interna. La cospirazione è stata smantellata. Certo, questo non ci esime completamente dalle responsabilità» sospirò l’Ammiraglio. «In fondo sono stato io uno dei principali artefici della guerra. E non ho nemmeno la scusa dei Parassiti» ammise.

   «Quindi cosa la porta qui?» domandò Chase.

   «L’Imperatore mi ha incaricato di negoziare gli accordi di pace» rivelò Hortis. «Visti i nostri trascorsi, posso comprendere se non si fida di me. Ma sono pronto a venire sulla sua nave, in segno di buona volontà».

   «La prima volta che c’incontrammo fui io a salire sulla sua» ricordò Chase. «Penso sia ora di ricambiare l’ospitalità. Siamo pronti a riceverla, Ammiraglio. Poi faremo rotta per il sistema solare, dove potrà sedere al tavolo delle trattative».

   «Splendido!» sorrise Hortis. «Le comunico che il resto della nostra flotta ha già cominciato la ritirata verso il Quadrante Delta. Grazie alle catapulte subspaziali che ci restano, la completeremo in breve tempo. Vi daremo le coordinate anche di quelle».

   «Ammiraglio, lei mi sembra un Krenim nuovo» disse Chase. «Posso chiederle cosa le ha fatto cambiare idea sulle linee temporali e tutto il resto?».

   «Quattro anni di guerra sanguinosa. Gli intrighi e le bugie dei Tuteriani» rispose Hortis. «E anche quel che è successo proprio qui, nella mia plancia, durante la Battaglia di Procyon V. Gliene parlerò quando sarò sull’Enterprise» spiegò. «Per il momento sappia questo: sono addolorato per quanto è avvenuto e farò il possibile per la pace».

   «Anche se l’Unione vi chiederà di firmare gli Accordi Temporali?» inquisì Chase.

   «Sì» promise l’Ammiraglio. «La manipolazione del tempo è un potere che nessuno dovrebbe arrogarsi; accontentiamoci di quello che ci resta!».

   «Voglio crederle» disse Chase, osservandolo attentamente. «Si prepari al teletrasporto».

 

   L’Enterprise raggiunse il sistema solare senza incidenti. Attraccò alla stazione Jupiter, dove i lavori cominciarono subito. Occorreva una profonda ristrutturazione per riportarla al massimo dell’efficienza. Non c’erano solo i danni di Procyon V: era il logorio di sei anni di guerra che andava sistemato.

   Nel frattempo la cura trovata da Korris contro l’Agente 47 era già stata replicata con successo, sia nel sistema solare che altrove. Milioni di ammalati guarirono e il resto della popolazione fu immunizzata per evitare il contagio. Un gran numero di malati, che era stato messo in camere di stasi per bloccare la progressione della malattia, ne uscì sano e poté riabbracciare i propri cari. Molti di loro appartenevano alla Flotta Stellare: erano personale utile che poté riprendere servizio nel momento in cui si avviava la ristrutturazione della Flotta.

   L’Autarca Cletus fu trasferito sulla Terra e anche l’Ammiraglio Hortis vi si recò, per i negoziati di pace. Intanto l’Unione Galattica formalizzava il suo nuovo ordinamento politico. Nata per ragioni di contingenza militare, doveva evolvere in un vero e proprio governo, cercando di evitare gli errori che avevano minato la vecchia Federazione. Non appena mise piede ad Atlantide, Chase capì che poteva dire addio alla sua franchigia. Quello era il momento più cruciale, per evitare che altri errori entrassero nel DNA dell’Unione.

   E allora ci furono conferenze, trattative, dibattiti a cui Chase era spesso invitato. Anche i suoi ufficiali furono presi d’assalto dai media. Ci furono interviste in cui i giornalisti sollevarono domande scomode. Ad esempio la prima intervista ottenuta dal Federal News e diffusa in diretta Olonet.

   «Capitano Chase, siamo onorati di averla qui in studio! Mi permetta di stringere la mano al salvatore dell’Unione!» disse Vaus Liin, uno dei giornalisti che più lo avevano attaccato negli anni passati. Adesso che Chase era famoso, Liin era diventato tutto sorrisi e moine. «Il Federal News ha molte domande da rivolgerle» disse, mentre si accomodavano in poltrona.

   «Spero di avere le riposte» disse Chase, con un sorriso arguto. Non gli piaceva il giornalista, che durante la guerra era stato favorevole ai suoi nemici: i Tuteriani, il Movimento per la Pace Galattica. Quel voltafaccia non era che uno schierarsi con il vincitore del momento. Chase intuiva che se fosse calato di popolarità Liin lo avrebbe nuovamente avversato.

   «Molti dei nostri spettatori fremono dall’impazienza di sentirla narrare le sue gesta: dalla missione nel Collettore Subspaziale alla caccia all’ISS Enterprise, dalla Battaglia di Sol fino al trionfo di Procyon V» disse Liin. «Leggo che ai bambini piacerebbe molto sentir parlare dei Tholiani» aggiunse, consultando un d-pad.

   «Anche a me piacevano i Tholiani, da piccolo» disse Chase. «Ora che li ho incontrati, devo dire che non sono male. Ma guai a non essere puntuali!».

   «Ne parleremo senz’altro» disse Liin. «Ma mi consenta di cominciare con la domanda che tutti si stanno ponendo: come ha fatto a distruggere le Sfere? Perché è stata quella la svolta decisiva, che ha innescato la rovina del Fronte...».

   «Non vorrei deludere gli spettatori, ma non c’è molto da dire» sorrise Chase. «Ho condotto un’operazione che ci ha permesso di scoprire un punto debole nel nucleo delle Sfere. Così è stato possibile emettere un segnale che le ha destabilizzate, fino a farle esplodere. I dettagli tecnici sono classificati, e comunque credo che li troverebbe noiosi. Io stesso non ci capisco granché... è una questione da ingegneri» spiegò. Non fece parola del Tox Uthat, che al momento si trovava ad Atlantide, in un laboratorio di massima sicurezza della Flotta Stellare. I migliori scienziati lo stavano studiando, ma il congegno non sembrava disposto a rivelare i suoi segreti.

   «Ma ci parli meglio di quella missione!» insisté il giornalista. «Circolano voci sul fatto che abbiate una navetta temporale sull’Enterprise e che l’abbiate usata più volte. Da quando la Sezione 31 ha reso nota la sua base su Plutone, circolano molte congetture sulla natura degli esperimenti che vi si tenevano. Si parla di tecnologia temporale. La sua crono-navetta viene da lì?».

   Chase aveva concordato con i vertici della Flotta ciò che poteva dire e ciò che invece era ancora riservato. Per tutta la durata della trasmissione si barcamenò meglio che poteva. Dovette scusarsi più volte e specificare che probabilmente la Flotta avrebbe diffuso di lì a poco molte informazioni. Alla fine della serata, Liin gli fece un’ultima domanda, la più temibile.

   «I Tuteriani sono stati respinti nel loro Universo» disse il giornalista. «Dopo una sconfitta così dura è da escludere che provino ancora a invaderci. Ma all’inizio della guerra dichiararono di essere costretti a emigrare nel nostro Universo, perché il loro stava collassando. Quanto manca esattamente alla loro fine? E cosa crede che faranno... troveranno un’altra dimensione in cui rifugiarsi o saranno annientati?».

   «Questo è il problema che racchiude tutta l’essenza della guerra» disse Chase, intrecciando le dita. «Vede, per tutto questo tempo abbiamo avuto solo la parola dei Tuteriani, riguardo alle condizioni del loro Universo. Solo la loro, senza altri riscontri! Così, negli ultimi tempi, la Flotta Stellare ha inviato alcune sonde nella loro dimensione, per verificarne le condizioni. Abbiamo anche contattato gli Undine, che in passato combatterono i Tuteriani per respingere un’analoga invasione dello Spazio Fluido».

   «E quindi?» chiese Liin, sulle spine.

   «Per quanto ci è dato di capire, il loro Universo non sta affatto collassando. Anche gli Undine confermano la nostra valutazione» rivelò Chase.

   «M-ma allora... che senso aveva fingere il contrario?» chiese il giornalista, sconcertato. «Milioni di loro sono morti nel tentativo d’invaderci!».

   «Gli Undine sostengono che lo spazio tuteriano non sia sempre stato Spazio Bianco» spiegò il Capitano. «Un tempo era più ricco di risorse. Ma i Tuteriani hanno un modo particolare di produrre energia, che deteriora il loro tessuto spazio-temporale. Hanno saccheggiato il loro Universo, riducendolo a quella desolazione che intravidi nel Collettore Subspaziale. Solo a quel punto hanno pensato di correre ai ripari. Ma invece di cambiare il modo di produrre energia, salvando ciò che gli restava, hanno preferito partire alla conquista di altri Universi. Se avessero prevalso, avrebbero fatto lo stesso anche alla nostra Galassia. Dopo di che si sarebbero dovuti spostare ancora, distruggendo ogni volta quel che trovavano, come uno sciame di locuste. Almeno questa è la spiegazione dataci dagli Undine» precisò Chase. «L’unica certezza è che le nostre sonde non rilevano segni di Big Crunch. Spero che i Tuteriani imparino a conservare ciò che gli resta, invece di distruggere quanto hanno gli altri. In alternativa, mi auguro che la loro sete di potere continui a essere frustrata» concluse il Capitano.

   Vaus Liin aprì e chiuse la bocca, senza riuscire ad articolare parola. Ci riprovò. «Grazie, Capitano Chase... non ho altre domande» disse con un filo di voce.

 

   Nei mesi successivi l’Unione Galattica continuò a organizzarsi, sotto la spinta del “triumvirato” che l’aveva diretta negli anni del conflitto. Il Presidente della Federazione, Ektius di Coridan, fu rieletto sulla scia del successo bellico e questo gli permise di portare avanti l’enorme lavoro d’integrazione politica. Assieme al Cancelliere Kuntagh e al Pretore Neral avviò la stesura della nuova Costituzione in uno storico summit a Nimbus III, luogo d’incontro e convivenza fra le tre potenze fin dal XXIII secolo. Dopo quasi un anno d’intenso lavoro, i tre leader firmarono la Costituzione dell’Unione Galattica ad Atlantide. Chase e i suoi ufficiali non si persero quel momento storico. Vi assistettero da una tribuna VIP, commossi e quasi increduli di vedere la rinascita di ciò che avevano difeso strenuamente.

   Il nuovo ordinamento politico prevedeva diversi gradi di affiliazione, per venire incontro alle peculiarità dei suoi membri ed evitare l’eccessiva rigidità che aveva quasi distrutto la Federazione. Anche la Flotta Stellare dovette evolversi profondamente, integrando Klingon e Romulani, oltre ad altre fazioni minori che stavano confluendo nel nuovo organismo politico. Era un delicatissimo gioco d’incastro. Specie potenti e orgogliose come i Klingon avrebbero mantenuto le loro astronavi, inserite però nel quadro di una più ampia Flotta dell’Unione. L’effettivo funzionamento del meccanismo era tutto da verificare. Probabilmente avrebbe impiegato decenni a ingranare.

   Al momento le energie si concentravano nel ricostruire le astronavi e dar loro degli equipaggi. Le perdite erano così gravi che, secondo le stime, sarebbero occorsi almeno vent’anni per tornare ai livelli anteguerra. C’erano però dei segnali incoraggianti. La ricostruzione dei cantieri di Utopia Planitia procedeva alacremente. La base della Sezione 31 su Plutone, ormai nota, divenne il primo cantiere per la produzione di nuclei temporali, che potessero essere installati su astronavi e navette. E ad Atlantide sorsero i palazzi dell’Unione e della Flotta Stellare. Una nuova Accademia prese a formare la prossima generazione di ufficiali, ingegneri e scienziati della Flotta.

   Anche i lavori della Conferenza di Pace proseguirono: l’Unione impose gli Accordi Temporali agli sconfitti. Si trattava di una complessa regolamentazione del viaggio nel tempo, che riprendeva e ampliava lo spirito della Prima Direttiva Temporale. L’Unione si arrogò l’esclusiva dei viaggi nel tempo, ma al solo scopo di studiare e preservare la linea temporale; mai per alterarla. A questo scopo fu creata la Commissione per l’Integrità Temporale, una branca della Flotta con compiti di vigilanza e pronto intervento.

   Le fazioni del Fronte, che sedevano dalla parte degli sconfitti, ebbero l’assoluto divieto di proseguire le loro ricerche, sia nella previsione del futuro, sia nel viaggio temporale vero e proprio. Hortis firmò per i Krenim e Cletus – più riluttante, ma senza alternative – fece altrettanto per i Vorgon. Non vi erano rappresentanti per i Tuteriani e per l’Impero Terrestre, ormai ritiratisi nelle loro dimensioni. Con l’Impero vi era solo l’armistizio firmato dall’Ammiraglio N’Rass, che tuttavia non era stato ratificato dal sovrano. Anche l’offerta di pace inviata con N’Rass non ebbe risposta, ma questo era inevitabile, visto che il ponte fra i due Universi era stato distrutto. Il Teletrasporto Multidimensionale era l’ultima via di comunicazione, ma l’Unione Galattica decise di non avvalersene, per non rischiare il prolungamento del conflitto. Il silenzio dei Terrani suggerì che anche l’Imperatore Nelscott era giunto alla stessa conclusione.

   Per quanto riguardava i Na’kuhl, infine, gli emissari di Vosk riportarono il suo messaggio. Egli si opponeva categoricamente agli Accordi e ribadiva che la Guerra Temporale era appena cominciata. Malgrado gli sforzi dell’Unione per assicurarlo alla giustizia, il Leader Supremo rimase irreperibile. Almeno l’Unione Galattica conosceva il suo avversario più pericoloso e sperava che la propria capacità di preservare la Storia progredisse di pari passo con i tentativi di Vosk d’alterarla a suo vantaggio.

 

 

-Postilla:

Data: 1944 alternativo

Luogo: Terra, New York

 

   Vosk salì sulla lucida pedana del condotto spazio-temporale e si rivolse ai suoi fedelissimi. Attorno a lui brillavano gli emettitori azzurrini che di lì a poco avrebbero generato il wormhole. Costruire quell’apparecchio era stata un’impresa straordinaria, considerando che avevano dovuto ricorrere alla tecnologia terrestre del XX secolo. Ma non avevano scelta: erano naufragati lì al culmine della Guerra Temporale e dovevano tornare nel XXIX secolo, dove il resto del loro popolo li attendeva per la resa dei conti coi federali. Vosk non ne dubitava: stavolta avrebbero annientato gli Agenti Temporali. Tutto era predisposto al meglio. C’erano voluti trecento anni di accurata pianificazione, durante i quali Na’kuhl Primo era definitivamente collassato, lasciandoli senza patria. Ma presto sarebbe tutto cambiato. Quei tre secoli di dolore e miseria sarebbero svaniti, come la memoria di un incubo quando ci si sveglia. I Na’kuhl si sarebbero finalmente vendicati.

   Un simile momento richiedeva un discorso, e Vosk ne tenne uno infuocato, mentre fuori dall’edificio – una fabbrica riconvertita – si accendeva la battaglia fra tedeschi e partigiani. I Na’kuhl avevano infatti stravolto la storia terrestre, dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale. Avevano rifornito il regime nazista con armi tecnologicamente avanzate, aiutandolo a sconfiggere l’Inghilterra e a invadere gli Stati Uniti. Il fatto che il loro quartier generale, con il condotto temporale, fosse a New York era la dimostrazione del loro successo. Ma aiutare i nazisti era solo funzionale ad avere i materiali per costruire il condotto e tornare a casa. Una volta vinta la Guerra Temporale, i Na’kuhl avrebbero riservato anche ai loro “alleati” del Terzo Reich la fine di tutti gli Umani: li avrebbero cancellati dalla Storia.

   «... e il nostro grande scienziato ha detto: “Ogni momento che viviamo, ci muoviamo nel tempo. Guadagniamo il diritto di scegliere la direzione da prendere”» disse Vosk, avviandosi alla conclusione del discorso. «La padronanza del tempo ci permette di perfezionarci sempre di più, di raggiungere il nostro pieno potenziale come popolo, e di annientare chiunque ci si opponga. Rimane solo un ultimo nemico da affrontare. Presto conquisteremo noi la Storia... e quando avverrà, la plasmeremo con le nostre mani, la modelleremo in accordo con la nostra volontà. Sappiate che neanche gli dèi dei nostri gloriosi avi avrebbero potuto immaginare... un simile potere. Fratelli miei, torniamo a casa!» proclamò.

   I gerarchi e gli scienziati, che lo attorniavano, sollevarono le armi in segno di vittoria. Il Leader Supremo guardò soddisfatto i suoi fedeli, che lo avevano seguito fin lì: Ghrath, Kraul... mancava solo Ifrit, caduta in battaglia tempo addietro. Tre secoli prima, dalla prospettiva di Vosk. Quasi un’eternità, anche per la loro specie longeva. Ma i suoi piani prevedevano di salvare anche lei.

   Il Leader Supremo scese dalla pedana per aiutare gli scienziati nell’ultima calibratura del condotto. Kraul si allontanò momentaneamente; quando tornò era inquieto. «Ci sono i partigiani» disse. «Il numero è ancora imprecisato».

   «Un imprevisto, fortunato sviluppo» rispose Vosk, rivolgendo brevemente la sua attenzione al sottoposto. «Lascia che se occupino i tedeschi. Tu continua con i preparativi» ordinò. Quell’attacco era il diversivo perfetto: potevano andarsene indisturbati, mentre gli Umani si combattevano fra loro.

   Kraul annuì e si ritirò, mentre Vosk tornava a regolare i comandi. I partigiani non lo preoccupavano quanto l’astronave che aveva rilevato in orbita. La Guerra Temporale l’aveva condotta lì, chissà come... l’Enterprise NX-01, antesignana della nave che lo aveva sconfitto a Procyon V. Se solo non fosse stato così a corto di forze l’avrebbe già distrutta. Lo consolava il fatto che si trattasse di un’astronave primitiva, del XXII secolo, per di più danneggiata da un anno di guerra con gli Xindi. Non sembrava una grossa minaccia. Ma il Leader Supremo dovette ricredersi quando Kraul tornò da lui.

   «La nave terrestre è entrata nell’atmosfera» avvertì il gerarca.

   «Attiva il cannone al plasma» ordinò Vosk, deciso a chiudere i conti.

   «Non si può: spreca troppa energia» gli ricordò Kraul.

   «Allora dispiega lo squadrone; distruggili» disse il Leader Supremo, spazientito.

   «No; lo squadrone è destinato al fronte!» dichiarò un generale tedesco, entrando in sala. Era scortato da due soldati armati di fucile.

   «Procedi come ti ho ordinato» disse freddamente Vosk al suo sottoposto, fronteggiando il generale.

   «Assumo il comando di questa installazione; sei sollevato dall’incarico» disse il Generalmajor, avvicinandosi a Vosk. Avevano avuto spesso da discutere, in passato, poiché Vosk chiedeva risorse per costruire il condotto, suscitando le ire dell’altro. Ora il gerarca nazista sorrideva compiaciuto, convinto che Vosk avesse passato il segno e che questo gli permettesse di destituirlo.

   «Povero sciocco» pensò il Leader Supremo. Lo aveva già avvertito chiaramente in passato: «Credi di essere al mio livello solo perché ti accetto al mio fianco. Voi combattete per controllare delle nazioni; noi invece dominiamo interi pianeti e inoltre possiamo estendere il nostro potere lungo tutta la linea temporale. Non capireste mai l’entità di quello che abbiamo raggiunto ora, neanche se la vostra razza vivesse per milioni di anni. E la prossima volta che avrai voglia di minacciarmi, rammenta che io posso cancellarti dalla Storia... come se non fossi mai esistito».

   Dopo un simile avvertimento, il generale era stato un folle a sfidarlo. Vosk lo trattò come meritava: estrasse la pistola e gli sparò a bruciapelo. I due soldati tedeschi si affrettarono a imbracciare i fucili, ma vennero freddati da Kraul.

   «Mi dispiace, generale» disse Vosk, puntando la pistola al cuore del gerarca, che era caduto in ginocchio. «Sono costretto a porre fine alla nostra alleanza». Gli diede il colpo di grazia e tornò al lavoro.

   Da fuori i rumori della battaglia erano sempre più vicini: fucili, mitra, bombe a mano. Nei cieli di New York, l’Enterprise affrontava i bombardieri tedeschi, equipaggiati dai Na’kuhl con piccoli cannoni al plasma. I nazisti erano sul punto di cedere, ma che importava? Presto Vosk e i suoi sarebbero stati al sicuro nel XXIX secolo. Nel salone principale del complesso, il generatore del condotto si attivò, pulsando d’energia azzurra. Tutto l’edificio prese a tremare. Nella saletta adiacente, sulla pedana, gli emettitori brillarono a loro volta e l’imboccatura del wormhole si materializzò. Era piccola e instabile, ma prese gradualmente forma, divenendo un imbuto. Vosk la guardò affascinato. In pochi secondi era già grande abbastanza da permettergli di attraversarla. Doveva solo aspettare che si stabilizzasse.

   «Sta resistendo!» disse Kraul, incredulo. Avevano già fatto dei tentativi, in passato, ed erano tutti falliti. Ogni volta il tunnel collassava nell’arco di pochi secondi. Ma Vosk sentiva che questa era la volta buona. Lo aveva detto a Kraul, poco prima: «Spesso ho sentito i leader Umani parlare di “destino”. È destino che il condotto debba resistere».

   Un forte vento si levò dal condotto, agitando i camici e le cravatte degli scienziati (tutti i Na’kuhl indossavano abiti terrestri), ma il Leader Supremo si avvicinò senza esitare. Fissò il futuro con determinazione. «Il destino!» disse con voce potente, accingendosi a varcare il portale. I suoi sottoposti lo fissarono con meraviglia, quasi con venerazione. Eccolo lì, il sentiero luminoso che portava alla vittoria!

   Fu in quell’attimo che tre siluri fotonici, lanciati dall’Enterprise, colpirono l’edificio e lo vaporizzarono. Vosk aveva appena messo piede nel wormhole quando sentì il boato dell’esplosione in arrivo. In una frazione di secondo realizzò che aveva perso tutto: la vita, la vendetta, la missione. Tutto inghiottito dalle correnti del tempo... per colpa di un’altra Enterprise.

   «NOOOOOOO!» gridò il Leader Supremo, con odio e disperazione. I suoi macchinari, i suoi seguaci e lui stesso furono distrutti dall’esplosione. Il tunnel spazio-temporale collassò. Gli altri Na’kuhl, che lo attendevano nel XXIX secolo, non l’avrebbero più rivisto. E senza di lui, erano destinati alla disfatta per mano dei federali.

   Con questo semplice gesto, un intero filone della Guerra Temporale fu eliminato. Come gli Agenti Temporali ben sapevano, a volte bastava poco per riplasmare la Storia. In questo caso gli effetti si ripercossero anche nel passato, poiché la linea temporale alternativa in cui Vosk era piombato era già il prodotto della sua Guerra Temporale. Senza più questo filone del conflitto, il corso originale della Storia fu ripristinato. I nazisti non invasero né gli Stati Uniti, né l’Inghilterra, e non vi fu mai la battaglia dell’Enterprise nei cieli di New York. Ma Vosk e i suoi seguaci non furono mai più visti: il Tempo li aveva inghiottiti per sempre.

 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


-Epilogo:

Data stellare 2557.032

Luogo: stazione Jupiter (Sol V)

 

   Un anno dopo la fine della guerra, l’Enterprise-J mollò gli ormeggi dalla stazione Jupiter. Tutti i danni erano stati riparati e la nave aveva subito una profonda implementazione dei sistemi. All’epoca del primo varo, sette anni prima, la classe Universe era così nuova e avveniristica che non si era ancora certi di cosa avrebbe funzionato e cosa no. Ma anni di combattimenti avevano spinto le nuove tecnologie al limite, mostrando chiaramente i loro pregi e gli (scarsi) punti deboli. Era un’esperienza preziosissima per gli ingegneri della Flotta, e Grenk era tra i più esperti. Il progetto di ristrutturazione era in gran parte opera sua, ed era stato lui a supervisionare i lavori all’Enterprise. Vista dall’esterno, la nave era pressoché identica a prima. Ma all’interno erano state fatte diverse modifiche per ottimizzare i sistemi. Anche le nuove astronavi di classe Universe attualmente in costruzione tenevano conto delle migliorie.

   Finalmente l’Enterprise poté accogliere tutti i civili per cui era stata progettata. Riaprirono i ristoranti, i parchi, le aree relax. Anche le scuole e l’Università tornarono in funzione. Per la prima volta da anni si videro i bambini che correvano nei corridoi. Come nelle intenzioni originali, l’Enterprise doveva essere una nave generazionale, anzi una città nello spazio: un pezzo di Unione Galattica che se ne andava a spasso tra le stelle.

 

   Il Capitano Chase arrivò da Atlantide con il suo nuovo shuttle personale, l’Auriga III. Nel vedere l’Enterprise rinnovata e tirata a lucido si commosse: ormai era quella la sua casa. Atterrò nell’hangar principale, dove un folto gruppo di ufficiali era schierato per riceverlo. Molti di loro venivano dalla compianta Majestic: saliti sull’Enterprise dopo la distruzione della loro nave, avevano contribuito a ripararla. In seguito la Flotta aveva formalizzato il loro trasferimento.

   «Bentornato, Capitano!» lo accolse Terry.

   «Terry, la trovo in ottima forma» sorrise Chase. «Come si sente?».

   «Operativa al 100%, signore» rispose l’Intelligenza Artificiale. Esitò un attimo e si corresse: «Bene, grazie. E lei?».

   «Tutto a posto anche per me». Chase avanzò verso gli ufficiali, raccolti in ranghi ordinati nella parte posteriore dell’hangar. Passò in rassegna la prima fila, dov’erano allineati gli ufficiali superiori. Ilia, Lantora, Grenk, T’Vala... li guardò tutti con gratitudine. Poco più indietro, in rappresentanza dei civili dell’Enterprise, c’era anche Raav. Mancava solo Neelah.

   «Felice di rivedervi» disse Chase. «Siamo tutti a bordo?».

   «Gli ultimi civili zi ztanno teletrazportando in quezto momento dalla Ztazione Jupiter» rispose l’Intendente Dahut, una Sauriana dalla testa viola e calva, con enormi occhi arancioni e sporgenti. Aveva la bocca minuscola, che le deformava la pronuncia. «Anche il perzonale medico zta ultimando il trazferimento» aggiunse, consultando il d-pad con il ruolino.

   «Ah, bene» disse Chase. «Cominciavo a temere che...». S’interruppe quando la porta dell’hangar si aprì e una snella figura con l’uniforme nera e blu della Sezione Medica gli venne incontro.

   «Scusi il ritardo, Capitano. C’era un carico di anguille osmotiche avariate e ho dovuto aspettare che ne mandassero un altro. Ho il permesso di prendere servizio?» chiese Neelah, mettendosi sull’attenti. Ma al tempo stesso gli fece l’occhiolino.

   «Certo, dottoressa» disse Chase, accostandosi. «È la benvenuta, qui». Si scambiarono una profonda occhiata. Dopo la fine della guerra avevano parlato molto del futuro. Chase naturalmente avrebbe ripreso servizio sull’Enterprise. Ma Neelah era contesa dai laboratori di ricerca e dalle università di mezza Unione. Poteva fare quello che voleva e Chase l’aveva esortata a pensare alla sua carriera, anche se temeva che questa l’avrebbe portata lontano dall’Enterprise. Sapeva che Neelah era sempre stata critica nei confronti della Flotta Stellare e che la sua presenza sull’Enterprise era il risultato di circostanze accidentali. Non poteva fargliene una colpa, se ora desiderava vivere in pace su qualche pianeta. Ma Neelah aveva scelto diversamente. Si era arruolata nella Flotta Stellare, approfittando della massiccia ristrutturazione dell’organico e della sua indiscussa fama in campo medico. Dopo un anno trascorso al Comando Medico su Atlantide, aveva ottenuto il posto più ambito: Ufficiale Medico Capo dell’Enterprise.

   «Credevo che non ti piacesse la Flotta Stellare» le sussurrò il Capitano all’orecchio.

   «Infatti. Ma questa è la nuova Flotta, no? Devo pur darle una possibilità» sorrise l’Aenar.

   «Sei favolosa in uniforme» sussurrò Chase. Non aveva parole per dirle quanto fosse importante per lui vederla lì, finalmente parte di quell’equipaggio che ormai era la loro famiglia. Neelah era la migliore dottoressa che l’Enterprise potesse avere. Ed era la compagna della sua vita.

   L’Aenar prese posto in prima fila, accanto agli altri ufficiali superiori. Chase si schiarì la voce e si rivolse ai presenti: «Oggi siamo qui per varare nuovamente l’Enterprise. Molte cose sono cambiate dal primo varo, sette anni fa. Alcuni di voi erano lì anche allora, altri prendono servizio adesso. Ai primi dico bentornati; ai secondi benvenuti.

   La Federazione e la Flotta Stellare sono anch’esse cambiate, diventando più grandi, ma la nostra missione resta quella originale. Non ci accontenteremo di pattugliare lo spazio già noto, come per troppo tempo hanno fatto le astronavi. Noi ci avventureremo nell’ignoto. Proseguiremo la tradizione delle Enterprise esplorando nuovi mondi, scoprendo nuove forme di vita e civiltà, fino ad arrivare là dove nessuno è mai giunto prima!». Chase s’interruppe brevemente, mentre scrosciavano gli applausi, ma poi riprese con foga.

   «L’Enterprise è una nave di classe Universe, pensata per inaugurare un nuovo capitolo nell’esplorazione del cosmo. Può superare i confini della Via Lattea, oltre la Grande Barriera, per scoprire cosa c’è fuori. Il nostro percorso di conoscenza è solo all’inizio. Là fuori, un intero Universo attende di essere esplorato!

   La nostra meta è la galassia di Andromeda, che raggiungeremo entro la fine dell’anno. Mai prima d’ora una nave stellare con equipaggio si è avventurata così lontano, tranne l’Enterprise-D nel 2364, quando il Viaggiatore la trasferì brevemente nella galassia del Triangolo. Per il resto, le galassie del Gruppo Locale sono state visitate solo da alcune sonde automatiche a lungo raggio. Quelle inviate ad Andromeda hanno rilevato la presenza di alcune specie non umanoidi, come i Kelvani e i Nacene. Il nostro scopo primario è stabilire contatti diplomatici con loro. Una colonia kelvana vive nel Quadrante Alfa già dal XXIII secolo. Perciò un loro rappresentante, l’ambasciatore Fanior, ci accompagnerà in questo viaggio, per aiutarci a contattare il suo Impero. Benvenuto, ambasciatore».

   «Grazie, Capitano Chase. Per me sarà un po’ come tornare a casa, anche se sono nato nella Via Lattea» disse Fanior, facendosi leggermente in avanti. A vederlo sembrava un Umano, dall’aspetto impeccabile e l’atteggiamento composto. Ma era solo una cortesia nei confronti degli umanoidi che lo circondavano. I Kelvani erano mutaforma e nel loro aspetto naturale erano enormi, con un centinaio di tentacoli e una tale coordinazione che ciascun arto era in grado di compiere una funzione diversa nello stesso momento.

   «Come sempre accade, ci saranno anche pericoli» ammonì Chase. «Le sonde inviate ad Andromeda hanno captato dei frammenti di trasmissione che accennano a una misteriosa minaccia, una forza ostile chiamata semplicemente Scourge. Non sappiamo precisamente di che si tratti. Parte della nostra missione consiste quindi nel determinare la natura della Scourge e se possa costituire un pericolo per la Via Lattea.

   Il nostro ultimo obiettivo è stabilire se ad Andromeda vi siano specie umanoidi, per comprendere se la loro abbondanza nella Via Lattea sia un unicum. Se è così, sarà una prova a sostegno della teoria dei Proto-Umanoidi come nostri antesignani». Chase fece una breve pausa, per far sedimentare quanto detto. Si avviava alla fine del discorso e quindi al concetto più importante da sottolineare.

   «Ad Andromeda, l’Enterprise sarà sola e senza appoggio» riprese il Capitano con gravità. «La Flotta deve riprendersi dalla guerra e passerà molto tempo prima che possa inviarci aiuti. Sarà come tornare agli albori della Flotta, quando lo spazio era selvaggio e inesplorato, e una nave doveva fare affidamento solo su se stessa. Saremo come l’Enterprise di Archer, la prima nave terrestre ad avventurarsi nello spazio profondo, o l’Enterprise di Kirk, che andò ancora oltre con la missione quinquennale, o come la Voyager che attraversò il Quadrante Delta. Ma quali che siano le sfide, sento che ne saremo all’altezza. E ora... leviamo l’ancora!» concluse.

   Ci furono nuovi applausi, più prolungati. Dopo di che il personale defluì dalle uscite dell’hangar, recandosi alle proprie postazioni. Grenk andò in sala macchine e Neelah in infermeria, dopo aver scambiato un’ultima occhiata incoraggiante con Chase. Il Capitano e la sua squadra – Ilia, Terry, Lantora, T’Vala – si recarono in plancia. Anche quella era rinnovata e tirata a lucido.

   Mentre Ilia faceva l’ultimo check-up delle sezioni, Chase diede una rapida occhiata al suo ufficio. Come aveva richiesto, c’era una scrivania nuova di zecca. Quella vecchia era rovinata da una crepa, provocata da Chase stesso in un momento concitato della guerra, quando l’aveva colpita con tutta la forza del suo braccio meccanico. Si era ripromesso di tenerla così fino alla conclusione del conflitto, per rammentarsi di non perdere mai la calma. Quel momento era arrivato e finalmente la scrivania era integra, come il resto della nave. Il Capitano vi posò sopra alcune fotografie, che si era portato dietro in una borsa. Una della sua famiglia. Una di Serleen N’Rass, giovane e sorridente, dei tempi dell’Accademia. Una del primo equipaggio dell’Enterprise, che mostrava gli ufficiali superiori, compreso il dottor Korris. E una della sua adorata Neelah. Le dispose con cura e poi tornò in plancia.

   «Tutti i civili sono saliti a bordo» lo informò Ilia. «Anche il personale medico ha ultimato il trasferimento».

   «Tutte le mie sezioni sono operative e dalla stazione Jupiter ci danno luce verde per la partenza» aggiunse Terry.

   «Bene» disse Chase, sedendo in mezzo a loro sulla poltroncina del Capitano. Anche quella era stata sostituita; la nuova poltrona gli parve davvero comoda.

   «Anche dalla sala macchine ci danno l’okay. Siamo pronti a lasciare l’attracco, Capitano» riferì T’Vala.

   «Esegua» ordinò il Capitano. «Poi tracci la rotta per Andromeda».

   «Sì, signore».

   Con la lenta maestosità di una regina, l’Enterprise-J lasciò la stazione Jupiter. La folla che si era radunata nella stazione la osservò attraverso le grandi finestre panoramiche: l’astronave spiccava contro l’atmosfera striata di Giove, con l’inconfondibile sagoma del disco e delle gondole. Ci furono applausi, grida e fischi d’incitamento; anche qualche lacrima. La partenza fu trasmessa in diretta sull’Olonet e fu seguita con passione da miliardi di cittadini.

   Chase si rilassò sulla poltrona del Capitano, mentre l’Enterprise si allontanava da Giove e T’Vala inseriva le coordinate di Andromeda. Si chiese cosa li aspettava in quell’altra galassia. Meraviglie, certo, ma anche pericoli. Cos’era la Scourge? Poteva minacciare la Via Lattea? In quel caso bisognava trovarsi degli alleati in Andromeda, per tenere la Scourge il più lontano possibile dall’Unione, ancora fragile per i postumi della guerra. Chase rimandò questi pensieri a quando fosse stato sul posto.

   «Rotta inserita. Siamo pronti alla cavitazione» disse T’Vala.

   «Attivare!» ordinò Chase, accompagnandosi con un gesto della mano.

   Le gondole quantiche dell’Enterprise splendettero azzurre, mentre il deflettore pulsava di luce viola. Raggiunta la soglia di cavitazione, proiettò il condotto. L’astronave vi guizzò dentro e svanì in un’accecante lampo bianco, diretta verso nuovi orizzonti e nuove sfide. Ma questa è un’altra storia...

 

Spazio, ultima frontiera.

Questi sono i viaggi della nave stellare Enterprise.

La sua missione è esplorare strani, nuovi mondi,

scoprire nuove forme di vita e nuove civiltà,

fino ad arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.

 

 

FINE

 

 

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