Perchè mentire per nascondere il proprio carnefice?

di KindlyLight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo ***
Capitolo 2: *** II Capitolo ***
Capitolo 3: *** III Capitolo ***
Capitolo 4: *** IV capitolo ***
Capitolo 5: *** V Capitolo ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII - Andare via ***
Capitolo 9: *** IX - Lucciole ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Ti trovo e torni da me ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Un abbraccio basta... ***
Capitolo 12: *** 12 - Rabbia ***
Capitolo 13: *** 13 - Fossa ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Conseguenze ***
Capitolo 15: *** Libertà ***



Capitolo 1
*** I Capitolo ***


I Capitolo

Vector sapeva che ciò che faceva feriva Dumon in ogni momento.
​Lo feriva quando glielo faceva, quando sentiva il dolore fisico dopo, quando lo vedeva in giro. Eppure Dumon era l'unico in grado di fargli provare ancora il brivido di potere che aveva tanto bramato.
​Dumon piangeva spesso, senza che Vector lo vedesse. Dumon si sentiva in colpa, Vector stesso lo faceva sentire in colpa, con tutte quelle movenze e quelle parole. Sembrava quasi che quello che si lasciava fare da Vector servisse per punirsi di colpe che non aveva.
Dumon era cambiato.
​Era diventato più cupo, gli occhi perennemente bassi, come se il suolo fosse la cosa più bella. Il sorriso mai sincero e, quando c'era, era sempre triste e tirato.
​Quando Vector gli si avvicinava, iniziava a tremare, mentre il rosso aveva sempre un sorriso beffardo.
​Rio era troppo allegra per rendersi conto di tutto ciò.
​Alito era troppo infantile da quando aveva stretto amicizia con Yuma; Girag era troppo preso dal migliorare nei duelli e Mizar ancora non riusciva a rassegnarsi al fatto di essersi fatto sconfiggere da Kyle ed era sempre e perennemente assente.
​L'unico che, dopo attenti e silenziosi osservamenti, si era reso conto di tutto, era Shark. Dumon era diventato suo amico e vederlo così lo aveva insospettito.
​Sicuramente Vector aveva qualcosa a che fare con tutto ciò, eppure Dumon non voleva farne parola.
​Quando Shark alludeva a quella faccenda, o quando faceva domande dirette, Dumon abbassava lo sguardo e gli occhi gli si velavano.

Un giorno Shark, per sbaglio, entrò nella stanza di Dumon.
​Il ragazzo era seduto sul letto con una maglia a maniche corte e si teneva stretto un polso, quando lo aveva visto entrare aveva sbarrato gli occhi e si era immobilizzato.
​Il suo polso era violaceo, senza taglio o cicatrici, ma vuolaceo, di tante sfumature.
​Shark gli si avvicinò e il ragazzo subito nascose i polsi dietro la schiena.
-Cosa sono?-
-Cosa?-
​-Quei segni?-
-Niente.-
​-No, non è vero. Altrimenti non li avresti nascosti così.-
​-Se impara che te ne ho parlato mi uccide. Smettila! Va via!-
​-Se lo impara chi?-
​-Nessuno.-
​Shark si trovò a sorridere, mentre il ragazzo si era alzato dal letto ed era andato vicino alla finestra e gli girava la schiena.
​-Dumon, è Vector, vero?-
​Il ragazzo si immobilizzò, tutti i suoi muscoli erano tesi, una lacrima rigò la sua guancia pallida e fu subito seguita da un'altra e un'altra e molte altre ancora.

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Capitolo 2
*** II Capitolo ***


​II Capitolo




Dumon era immobile, girava le spalle a Shark.
Reginald osservava la pelle pallida dell’amico che ricopriva appena ossa e muscoli. In quel momento cominciò a tremare.
“Basta Dumon, lo sai, se farai così quando ci sarà Vector sarà una tortura peggiore! Basta!” Dumon stava cercando di contenersi, ma l’effetto finale era tutto tranne quello che voleva.
Shark chiuse la porta alle sue spalle e Dumon sussultò non appena la sentì chiudersi, non sapeva se lo spaventava di più l’idea che Reginald se ne fosse andato o che fosse rimasto; poco dopo sentì il letto scricchiolare, Shark si era seduto sul bordo e stava ossevando la porta.
-Shark, va via, per favore. Va via!-
-Dumon, non puoi soffrire così.-
-Non sto soffrendo.-
-Credi che ti ami?-
-Mi ama!-
-Tu lo ami, l’amore che vedi nei suoi occhi è solo il riflesso del tuo. Dumon, devi svegliarti, non puoi farti trattare così!-
Dumon non era certo di amare Vector; Dumon non sapeva della sindrome di Stoccolma, è veramente terribile, ti fa amare il tuo carnefice, ti fa credere di essere amato, e invece altro non è che una gabbia priva di uscita.
-Lui mi ama.- Lo stava dicendo più a se stesso che a Reginald.
-Dumon, posso capire tutto, ma quelli non sono segni che lascia l’amore.-
-Va via!-
Dumon aveva urlato, aveva la schiena inarcata in avanti, i suoi occhi erano irritati dalle lacrime, lo sterno si alzava e abbassava velocissimamente e a un ritmo instabile. Shark era preoccupato, troppo preoccupato, eppure non poteva far nulla, non in quel momento.
-Se mai ti verrà voglia di parlare… Io sono disponibile.-
-Non ho bisogno di parlare.-
Shark uscì dalla stanza.
Dumon si asciugò le goccioline salate e si impose di smetterla, se Vector fosse tornato e lo avesse visto così si sarebbe infuriato e allora sarebbe stato peggio. Si ricompose un attimo e tornò sul letto. Si sentiva terribile, si sentiva sporco di qualcosa di incancellabile, si sentiva vuoto e colpevole. Si sentiva così inutile e tristemente solo che quando stava con Vector su quel letto si sentiva quasi utile, si sentiva quasi amato, poi il dolore aveva il sopravvento e non sapeva più come fare.
L’incubo dei suoi pensieri si materializzò davanti a lui e sorrise.
Sempre quel sorriso.
Quel sorriso beffardo da carnefice pronto a distruggere la vita alla propria vittima ancora una volta.
Vector si avvicinò al letto e passò una mano sulla spalla pallida e scoperta del ragazzo e questo si lascò andare sul materasso, sapeva già cosa sarebbe successo, sapeva già che sarebbe stato come ogni altra notte.
Per un attimo guardò la sveglia sul comodino, le 22:30.
“Sempre in perfetto orario.” Pensò amaramente Dumon prima che Vector si avventasse sul suo fragile corpo.






Sindrome di Stoccolma: Con l'espressione sindrome di Stoccolma si intende un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica. Def. Dizionario Medico.

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Capitolo 3
*** III Capitolo ***


III Capitolo

Vector passava da Dumon non più di tre ore e all’una e qualche minuto se ne stava già andando.
L’argenteo si sedette sul letto, le coperte stropicciate tirate fino alla vita. La testa gli pulsava e faticava a tenere gli occhi aperti.
-Vado. Ho da fare.-
-E’ l’una di notte.-
-Ti ho già detto di non immischiarti. Ciò che faccio non è affare tuo.-
Detto ciò si trasportò altrove lasciando Dumon sul letto, stordito e amareggiato.
Cercò di muoversi, ma si accorse che il dolore era troppo. Su un fianco aveva l’impronta sanguinante di un morso, sul petto era pieno di graffi e lividi, le braccia erano arrossate e non ebbe il coraggio di guardare le gambe.
Si appoggiò lentamente al materasso, chiuse gli occhi e ci appoggiò una mano sopra. Sentiva ancora la testa pulsare e non riusciva a sopportarlo, gli veniva quasi da vomitare.

 

Il dolore la mattina dopo era raddoppiato, trovò le forze per mettere in ordine il letto e indossare qualcosa per coprire i segni, ma non per scendere di sotto.
Shark, non vedendolo, si preoccupò e quando si accorse del sorriso irrisorio di Vector scattò in lui una molla. Uscì dalla cucina e corse su per le scale fino alla camera del ragazzo, aprì la porta e quello che si trovò davanti fu l’ultima cosa che si sarebbe immaginato.
Dumon era disteso a letto, sommerso dalle coperte color carminio mentre abbracciava un cuscino. La sua faccia era rilassata, quasi angelica.
Reginald rimase a bocca aperta alla vista del ragazzo.
Dietro di lui arrivarono immediatamente Mizar e Vector, Mizar preoccupato per lo scatto di Shark, Vector preoccupato per se stesso.
-E’ strano che dorma così. Di solito è sempre il primo ad alzarsi.-
-Chissà perché oggi è così stanco, vero Mizar… Tu ne sai qualcosa Vector?- Lo sguardo di Shark si fece feroce, se avesse potuto lo avrebbe sbranato guardandolo.
-Io? Ma ti pare? Cosa mai avrei dovuto fare, scusa?- La voce di Vector era troppo melensa per essere veritiera e se ne accorse anche Mizar.
In tutto questo, Dumon, non aveva battuto ciglio. Era ancora disperso nel mondo dei sogni ed era intenzionato a rimanerci il più possibile.
-Vector. Tu ne sai qualcosa, ne sono certo.-
-Perché ce l’avete tutti con me? Anche tu ti ci metti Mizar?-
-Vector, se imparo che gli hai fatto qualcosa…-
-Cos’è questa storia, un Imperatore Bariano che non si sa più proteggere sa solo… Dico io.-
Mizar era sorpreso da quell’affermazione era risibile, inadeguata, persino per uno come lui.
-Cosa vorresti dire?-
Gli occhi di Mizar sembravano due tizzoni ardenti, pezzi di un fiume di lava pronta a travolgere chiunque.
Per la prima volta il rosso stava desiderando che Dumon si svegliasse, che aprisse gli occhi e che come sempre dicesse che non è mai successo nulla, ma a quanto pareva non aveva la minima intenzione di farlo.
-Ma per la miseria! Se non vi fidate di me, chiedete a lui!- Vector se ne andò, si sentiva in trappola, con le spalle al muro e non gli piaceva per niente.
Mizar e Shark si guardarono negli occhi un momento, Vector non era mai stato il più simpatico dei Bariani e neanche degli umani, e con quello che diceva solitamente Dumon su di lui era sempre e completamente innocente.
-Tu lo sapevi, vero?- Chiese Mizar osservando l’argenteo avvolto nelle coperte all’apparenza così candide.
-Sì… Avevo già cercato di parlargli…-
-Ma…?-
-Vector deve avergli fatto qualcosa… Non è possibile che Dumon si comporti così per una sciocchezza.-
-Sembrava che sapesse, e non me ne stupirei. Lui in fondo era il più fragile del gruppo, l’unico che ha vi ha sempre cercati e quando vi ha trovati e stava per perdervi di nuovo è crollato.-
-E Vector se n’è approfittato. Mizar, io non glielo posso permettere.-
-Dobbiamo trovare un modo per…-
S’interruppero poiché Dumon si stava muovendo e s’immobilizzarono a guardarlo.
-Non è più magro del solito?- La domanda di Mizar era più un’affermazione che altro.
-Guarda il braccio, quello fuori dalle coperte.- Rispose Shark senza badare alla domanda postagli dal biondo.
Mizar lo guardò. La pelle pallida metteva in risalto le sfumature violacee e i graffi rossi.
-Sono…-
-Lividi, Mizar. Lividi.-
-Dubito che se li sia procurato da solo. E’ abbastanza complicato…-
-Ne dubito anch’io, e so chi è il colpevole. -
-Nash, non possiamo andare da lui così, Vector avrebbe sempre la risposta immediata. -
-Non andremo da Vector, ma da Dumon.-
-Hai detto che non parla.-
-Sì, perché ha paura. Paura di Vector mi ha detto solo questo. Ma se ci andiamo in due, forse saremo più convincenti.-
-Forse hai ragione Nash, anche perché non deve essere divertente per lui.-
-Già, può essere tutto tranne che divertente.-
Detto questo andarono, la scuola stava per iniziare e loro erano in ritardo.

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Capitolo 4
*** IV capitolo ***


IV Capitolo



Era mattina inoltrata, qualche raggio iniziava a passare attraverso la finestra e infastidiva gli occhi di Dumon. Il ragazzo cercò di mettersi a sedere e, dopo vari sforzi, ci riuscì.
Guardò la sveglia con gli occhi ancora appannati e ci mise alcuni secondi per riuscire a distinguere le lancette. Era tardi, molto tardi. A quell’ora doveva star tornando a casa da scuola, non alzarsi per andarci.
Si appoggiò una mano sulla faccia e si strofinò gli occhi; sentì al piano di sotto la porta aprirsi e chiudersi e qualcosa lo preoccupo.
Si tolse la T-shirt e i pantaloncini e indossò, come sempre negli ultimi mesi, abiti invernali anche se sottili; lentamente iniziò a scendere le scale fino ad arrivare alla cucina.
-Ciao Dumon.- La voce di Mizar era troppo dolce e l’argenteo se ne accorse immediatamente.
-Tutto bene Mizar?- Chiese sedendosi su una delle sedie alte poste nella penisola al centro della cucina.
Mizar gli si sedette davanti con un gesto aggraziato e leggiadro, mentre lui stava cercando di non urlare dal dolore.
-Oh, benissimo. Anzi, devo dire che sto davvero magnificamente.- Disse porgendogli un piatto con dentro qualcosa da mangiare.
-Tu non pranzi?-
-Già pranzato. Insieme a tutti gli altri.-
-Capisco.- Dumon appoggiò un gomito sul tavolo per reggersi la testa e, lentamente, cominciò a mangiare.
Cadde il silenzio, Mizar si fermò a contemplare la carta del suo magnifico drago; la porta si aprì e subito Mizar scese dalla sedia e mise via la carta per avviarsi verso l’entrata.
Dumon rimase lì a mangiare, quando vide Mizar andarsene gli sembrò che qualcosa dentro di lui si fosse rotto ancora di più, una lacrima scese dall’occhio destro per poi cadere sul tavolo. Solo quella. Si asciugò in fretta il volto e continuò a mangiare.
Poco dopo Mizar tornò nella cucina e tornò a sedersi davanti a lui incrociando le braccia al petto, al fianco del biondo c’era Shark.
-Dumon.-
L’argenteo alzò lo sguardo dal piatto per guardare Reginald che lo fissava serio. Dumon sorrise appena.
-Sappiamo. Sappiamo tutto.- Disse Mizar calmo tornando alla sua solita voce fredda.
Il corpo di Dumon fu percorso da un brivido misto tra felicità e paura. Se qualcuno sapeva poteva essere aiutato, ma allo stesso tempo Vector avrebbe fatto sempre più male.
-Quindi sapete…- Sussurrò-Non dite a Vector che sapete. Per favore.- La voce di Dumon era una supplica. Shark provò quasi pena, non lo aveva mai visto comportarsi così e Mizar, pur sembrando glaciale, si stava chiedendo se stessero facendo la cosa giusta.
-Dumon, non può continuare a farti soffrire così.- Disse Shark.
-Forse non mi fa soffrire, forse mi fa sentire bene…-
-Dubito che quei lividi che hai addosso possano farti sentire bene.- Continuò Mizar.
-Lividi? Voi come…?-
-Stamattina, quando non ti abbiamo visto in cucina siamo venuti di sopra. E abbiamo visto il tuo braccio.- Shark era intenzionato a sapere la verità, se ciò che pensavano lui e Mizar era vero Vector doveva pagare, ma non espresse questo suo pensiero, avrebbe potuto spaventare ancora di più il ragazzo.
-Sai com’è Vector, vuole solo il potere e nulla di più. Appena si stanca di un oggetto lo lascia perdere e se ne dimentica.- Mizar aveva allungato il braccio in avanti e aveva preso la mano di Dumon, quella che reggeva la forchetta.
Dumon posò lo sguardo sulla mano del biondo che, in confronto alla sua, sembrava quasi abbronzata.
-Vedi, ci può stare, so che ti senti in colpa. Mi sono sentito in colpa anch’io quando abbiamo perso Nash e Merag e tu sei l’unico che non dovrebbe sentirsi in colpa. -
La mano di Mizar era tiepida e stava accarezzando dolcemente quella di Dumon.
-Perché non dovrei sentirmi in colpa, mentre tu sì?-
-Perché tu sei stato l’unico che non ha mai dubitato del fatto che sarebbero tornati e avevi ragione. Noi, invece, quasi avevamo perso le speranze di rivedere i nostri Imperatori.-
-Non capisco cosa ha a che fare tutto ciò con me in questo momento.-
Dumon si appoggiò una mano sull’occhio, la testa aveva ricominciato a pulsare e il morso che Vector gli aveva dato quella notte emanava un tremendo dolore. Strinse i denti e sorrise.
-Stai soffrendo. Dov’è che hai male?- Chiese Shark ad un tratto rompendo il silenzio che si era creato.
-Cosa?-
-Stai stringendo i denti Dumon. Non dirmi che non stai soffrendo, almeno fisicamente!-
-Sto bene.-
-Non è vero che stai bene! Posso vederlo io come può vederlo chiunque che ti stai reggendo la testa e che ti stai piegando su un fianco!-
Reginald era arrabbiato, aveva alzato la voce.
-Sai Nash… Ogni tanto me lo ricordi, soprattutto quando fai così.- Quel sussurro era rivolto più a se stesso che ai due difronte a lui; tirò su col naso e poi sospirò.
-Anche lui urla?- Chiese Mizar continuando ad accarezzargli la mano. Dumon annuì soltanto. -Urla molto?- Dumon annuì di nuovo. -Per cosa urla?-
-Per qualsiasi cosa…-
Dumon venne preso da una fitta di dolore al fianco, e strinse i pugni cercando di trattenersi, in fondo era solo un morso.
-Il fianco. Perché ti fa male?- Chiese Shark, questa volta più tranquillo.
Dumon rifletté a lungo prima di rispondere; lentamente si alzò, senza lasciare la mano di Mizar, e sollevò un poco la maglia.
-E’…-
-…Un morso.- terminò la frase Shark.
Dumon annuì, tornando a sedersi.

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Capitolo 5
*** V Capitolo ***


V Capitolo

-E’ una mia impressione o stava sanguinando?- Chiese Mizar.
-La tua impressione è corretta. Dobbiamo medicarlo.- Shark si allontanò e andò verso il bagno.
La mano di Mizar ancora stretta su quella di Dumon.
-Perché non ce lo hai detto? Ti avremmo aiutato.-
-Tu andresti mai a dire a una persona che qualcuno ti usa? E non dirmi di sì perché so che non è vero.- La voce di Dumon era poco più che un sussurro, non ne voleva sapere di parlare con una tonalità normale, come se avesse paura che qualcuno li sentisse.
Improvvisamente l’argenteo si sentì la testa pesante e gli occhi si annebbiarono, sentì una dolorosissima fitta al fianco e poi appoggiò la testa al tavolo. Dumon stava stringendo i pugni con una forza tale che le unghie avevano ferito la mano e stava sanguinando, se ne accorse quando sentì un liquido caldo e viscoso a contatto con la propria pelle.
-Nash! Sbrigati!- Era un grido stranamente emotivo per Mizar, ma Reginald non ci fece caso. Mizar aveva evidentemente fretta che lui tornasse.
Il biondo si avvicinò al ragazzo e gli arrivò di fianco, senza lasciargli la mano, lo abbracciò e iniziò ad accarezzargli dolcemente la testa.
-Nash sta arrivando, ti fasciamo la ferita e poi ti portiamo a letto, ok?- Mizar sapeva che sarebbe andata così, non aveva bisogno del consenso di Dumon per saperlo.
Reginald arrivò il più velocemente possibile e vide le macchie di sangue che scendevano lungo il braccio di Dumon e sul tavolo dalla cucina.
-Cosa?-
-Sbrigati, sta male. Dobbiamo bendargli la ferita e portalo in camera sua.-
Fasciargli la ferita non fu facile, ogni volta che toccavano la pelle sussultava dal dolore ed era ormai incosciente.
Quando Reginald finì di bendarlo lo portarono di sopra. Non fecero molta fatica. Per quanto fosse alto era anche molto magro.
Lo portarono nella camera di Mizar, lo coprirono e il proprietario della camera rimase lì con lui.
-Mizar, resti tu qui. Sono ormai le cinque, fra poco Vector arriverà a casa e non voglio che sia da solo. Per stanotte… Beh, se si sveglia cerca di chiedergli a che ora arrivava di solito, altrimenti aspetterò e basta.-
-Lo incontrerai solo tu?-
-Sì, come ho detto non voglio rischiare che lo incontri da solo.-
-Già… Anche perché se scopre che ha parlato con noi chissà cosa gli fa… Lo ha ridotto così senza essere arrabbiato…-
Shark uscì dalla stanza, Mizar guardò il volto di Dumon imperlato di sudore.
Sorrise e prese il bordo della coperta per avvicinargliela al collo in modo che rimasse il più coperto possibile.
Il tempo passava e Mizar aveva cominciato a gironzolare per la stanza senza trovare nulla di interessante. Dumon non si era mosso neanche di un centimetro fino a quel momento.
Mizar si sedette sul bordo del letto, premette la sveglia posta sul comodino e questa si illuminò di una luce verdastra. Erano già le ventuno passate.
Il biondo fissò un attimo la porta. Non riusciva a capire, Shark doveva essere tornato già da parecchio. Stava già iniziando a pensare a come fare per chiamare Shark quando la porta si aprì e Alito gli si parò davanti.
-Nash è arrabbiatissimo! Sta… Urlando contro Vector! Non so quanto ancora possiamo tenerli a bada prima che distruggano casa… O la Terra… Dipende.-
L’ultima frase di Alito era ironica, certo, ma rendeva bene l’idea dell’accesa discussione che era in atto tra i due Imperatori Bariani.
-Alito, rimani qui. Guai a te se esci da questa stanza e se perdi di vista Dumon.-
La sua voce era apparentemente tranquilla, ma una nota di agitazione si poteva comunque percepire. Mizar si alzò e Alito rimase nella stanza. Prima di chiudere la porta, il biondo, scoccò un’occhiata glaciale al ragazzo.
Alito capì immediatamente. Se fosse successo qualcosa a Dumon mentre era sotto la sua responsabilità avrebbe tirato le cuoia, sicuramente per mano di Mizar.
Il biondo scese le scale con passo veloce e felpato, in un batter d’occhio si trovò difronte al caos totale.
Rio stava scuotendo la testa, non ne poteva più e Girag avrebbe voluto prenderli e sbattere la testa di uno contro quella dell’altro.
-Bene, a cosa devo queste simpaticissime urla da gallina strozzata?- Chiese squadrando entrambi che si erano ridotti al silenzio.
-Voi. Voi! Come avete osato?-
-Osato far cosa?- Chiese calmo Mizar.
-Parlare con Dumon! Non lo dovete neanche toccare!- Le sue parole erano colme di rabbia e rancore.
-Beh, detto da quello che lo ha ridotto in uno stato così pietoso fa abbastanza ridere!- Rispose Mizar.
-Lui è d’accordo!-
-Dovresti esser tu ad impedirgli di farsi fare delle cose del genere. E poi non credo che quel morso lo abbia voluto lui.-
-Come fate a sapere del morso?- Vector stava digrignando i denti. Era furente ed era visibilmente percepibile.
-Oh, beh sai… Oggi stava così bene, a causa di quella ferita, che per poco non sveniva nella cucina.-
-Non mi interessa. E poi, a voi che importa?-
-E’ nostro amico.- Rispose Shark.
-E tu dovresti trattarlo con un minimo di rispetto.- Precisò Girag che finalmente era riuscito ad avere un attimo di pace da quando i due Bariani avevano cominciato a litigare.
-Se lui è debole non è colpa mia!-
-Certo, non è colpa tua, ma trattandolo così non lo aiuti. Dovresti cercare di renderlo più forte non di più fragile.-
-Basta, sono stanco di voi.- E se ne andò.

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Capitolo 6
*** VI ***


VI Capitolo.

Mizar tornò di sopra e con lui gli altri Bariani, Alito stava girando per la stanza con sguardo curioso quando il gruppetto entrò nella stanza e la cosa infastidì un poco il biondo.
-Vector è tutto matto. Ok il potere, ma mi sembra un po’ un’esagerazione così!- Disse Alito non appena tutti furono seduti per terra ai piedi del letto.
-Ma poi, non ha nulla di meglio da fare?- Disse Girag.
Tutti sapevano cosa intendeva. Da quando era stato sconfitto e Don Th………….. lo aveva abbandonato aveva perso la maggior parte della sua forza e sarebbe stato il caso che si allenasse al posto che fare certe cose.
Sentirono improvvisamente il letto cigolare e subito si voltarono a guardare.
Dumon era seduto e si stava strofinando un occhio, aveva lo sguardo assonnato e i capelli completamente disordinati.
-Che ore sono?- Chiese con un filo di voce.
-Sono le… Ventidue e trentacinque.- Rispose Rio osservando l’orologio.
Lo sguardo di Dumon si fece terrorizzato e strabuzzò gli occhi.
-Le… Le… Dieci e trentacinque?-
-Tranquillo. Vector non c’è.- Rispose in tutta calma Mizar, come se nulla fosse successo.
Solo in quel momento Dumon si accorse che erano tutti lì e che quella non era la sua camera.
-Dov’è?-
-Dumon, ti preoccupi troppo per quell’idiota. Dovresti pensare un po’ di più a te!- Disse Rio andando a sedersi al suo fianco.
Lo sguardo di Dumon era indecifrabile, probabilmente perplesso.
-Credo sia andato a farsi un giro… Speriamo lontano da qui… Le sue urla si erano fatte più insopportabili del solito!- Esclamò Alito, e subito ricevette un calcio in uno stinco da Reginald.
Le parole di Alito non avevano tranquillizzato per nulla l’argenteo tanto che cominciò ad agitarsi e cercare un modo per arrivare alla sua camera.
-No. Tu non ti muovi di qui.- Disse Shark.
-Ma Nash,…-
-No, niente da fare. Oppure devi passare sui nostri corpi.- Disse Girag.
-E’ arrabbiato, vero?-
-Non importa.- Rispose Rio.
-Succede sempre… Sempre…- Si prese la testa tra le mani e poi la scosse.
La sua schiena era ricurva in avanti, le candide coperte del letto si stavano macchiando di calde lacrime di disperazione, di paura, di tormento.
Stava piangendo; era un pianto silenzioso e nulla, se non le lacrime, avrebbero fatto capire che stava piangendo.
Mizar gli si avvicinò, si sedette dalla parte opposta a Rio, alla destra di Dumon, gli appoggiò una mano sulla spalla e iniziò ad accarezzarla.
C’era il silenzio più totale nella stanza e lo scoppio che si sentì in una camera poco lontano la sentirono tutti chiaramente.
I Bariani sobbalzarono. Dumon drizzò la schiena rimanendo immobile per alcuni secondi. Si sentì un tonfo, poi un altro, poi un infrangersi di vetri e ceramiche. Con uno scatto Dumon fu giù dal letto e in poco anche fuori dalla porta. Si avvicinò alla sua camera e, quando vi fu davanti, appoggiò la mano sulla maniglia, era indeciso se entrare o aspettare.
Entrò, lentamente. Quando fu dentro vide Vector che stava distruggendo ogni cosa e quando lo vide si fermò improvvisamente.
-Dov’eri?- Chiese avvicinandosi minaccioso.
-Nell’altra stanza…- Rispose indicando un punto indefinito alla sue spalle con un dito.
-Perché non eri qui?- Era a pochi centimetri da lui e potevano sentire il respiro uno dell’altro sulla propria pelle.
-Io… Non… Non lo so…- Dumon si portò istintivamente le mani all’altezza del petto.
-Non sai mai nulla! Sei sempre il solito! Possibile che tu debba sempre fare così?- Urlò il rosso spingendo il ragazzo contro la porta.
Dumon sbatté la schiena contro la dura superfice della porta, le ginocchia cedettero e si ritrovò seduto sul pavimento con le gambe al petto e la schiena dolorante.
Shark, da fuori, non riusciva ad aprire la porta e Vector aveva usato qualche strano incantesimo per impedire di trasportarsi dentro la stanza.
Vector si avvicinò minacciosamente al ragazzo. Era furente, gli occhi incendiati e i muscoli tirati.
Dumon strinse le gambe al petto, tese i muscoli e si coprì la testa col mani; Vector gli diede un calcio, poi lo prese per la maglietta e lo fece strisciare fino ai piedi del letto.
Ogni colpo che sferrava provocava al ragazzo sempre più lividi, sempre più ferite, sempre più lacrime. Nulla poteva fermare la furia omicida che invadeva Vector in quel momento.
Passarono pochi minuti eppure a Dumon sembrarono un’eternità e allo stesso tempo sapeva che sarebbe passato molto altro tempo prima che smettesse.
Finalmente Shark riuscì ad entrare.
Quando Vector lo vide la sua rabbia divenne cieca. I suoi occhi brillavano di una luce crudele. Si rese conto solo in quel momento che la sua rabbia non era rivolta verso Dumon ma verso quel ragazzo che proprio in quel momento lo stava guardando fisso negli occhi.
Si lanciò verso il capo degli Imperatori con una rabbia tale da lascia stupefatto persino Shark stesso; ma Shark, al contrario di Dumon, aveva la forza fisica e la volontà per rispondere ai suoi colpi.
La lotta fu breve, Vector aveva trovato qualcuno più forte di lui ed era stato costretto ad arrendersi.

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Capitolo 7
*** VII ***


VII
Vector era sparito, smaterializzato come ogni volta in cui la situazione si faceva sfavorevole per lui.
Dumon era ancora rannicchiato in fondo ai piedi del suo letto, tremante. Sembrava un bambino spaventato, sembrava veramente umano.
Shark gli si avvicinò velocemente, senza pensarci due volte. Si inginocchiò accanto a lui, fece per appoggiargli una mano sulla spalla ma Dumon si ritrasse ancora di più.
-Io… Io ve lo avevo detto… Si sarebbe arrabbiato… Si sarebbe arrabbiato…- Era un singhiozzo il suo.
-Dumon…-
-No. Sono stanco. Prima di tutto ciò stavo bene. Stavo bene.- Ancora rannicchiato si asciugò le lacrime, poi, lentamente, si mise seduto.
Guardò Reginald negli occhi. Quei suoi magnifici occhi argentati che si specchiavano in quelli oltremare nel capo dei Bariani.
-Per favore.- Sussurrò appena.
Shark si alzò e lui, a fatica, si tirò in piedi reggendosi al poggiapiedi del letto.
Zoppicando uscì dalla stanza sotto lo sguardo attento di tutti entrò nel bagno. Accese l’acqua della doccia e ci si piazzò sotto, con tutti i vestiti addosso, senza aspettare che l’acqua diventasse calda.
L’acqua gli scorreva sul corpo passando sopra a lividi e graffi e ferite, bruciava quasi più delle ferite stesse ma non si mosse, si lasciò andare ad un pianto liberatorio. Un pianto vero, con lacrime e singhiozzi. Uno di quei pianti che ti fanno mancare il fiato, senza aver paura di essere sentito. Pianse, pianse finché aveva lacrime, poi si alzò, spense l’acqua e si cambiò.
Silenziosamente si avvicinò alla porta d’entrata, appoggiò la mano alla maniglia indeciso se farlo veramente o meno.
Scacciò ogni pensiero.
Non voleva che Vector lo trovasse, non voleva neanche che lo trovasse Shark o Mizar, voleva stare solo. Almeno per un po’.  Voleva un po’ di calma. Voleva stare con se stesso e riposarsi senza la paura che qualcuno piombi nel suo letto per farlo a brandelli.
Abbassò la maniglia e la porta si aprì.
Il vento freddo gli scompigliò i capelli, un’altra lacrima scivolò sul suo volto.
Una lacrima che poteva quasi essere un addio perché lui non era certo che quello fosse solo un arrivederci.
 
  
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
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​(se avete tempo passate a guardare la page perché ci sono foto magnifiche)
 
 
 






Angolo autrice
Chiedo mille volte scusa a Misty_chan44 che nell’ultima recensione mi ha chiesto di aggiornare presto e io ci ho messo quasi cinque mesi.
Ringrazio anche tutte le altre autrici che hanno recensito per aver perso tempo per me e per questa storia.
Grazie.
KindlyLight

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Capitolo 8
*** VIII - Andare via ***


VIII


I ragazzi e Rio erano andati nella camera di quest’ultima a discutere.
Dovevano trovare un modo per convincere Dumon a ribellarsi, e trovare il coraggio di affrontare Vector insieme a loro.
Era un po’ che erano a parlare, un’ora circa, quando il telefono di Mizar inizia a suonare con una musica stranamente inquietante1, il biondo estrasse il cellulare dalla tasca con fare scocciato e distratto fin quando non vide il nome sul display.

-Mizar, chi è?- Chiese Rio preoccupata dell’espressione sorpresa del ragazzo.
-Pronto? No ma… Dove sei? … Perché? … Che cosa vuoi fare? … Dumon Asp…- Il biondo non riuscì a finire l’ultima frase che l’argenteo aveva già attaccato.
-Era Dumon?- Chiese Alito stranamente serio.
-Sì, ha detto che è uscito. Che per un po’ non tornerà.-
-Un po’ quanto?- Chiese Girag.
-Secondo te me lo ha detto? Ovviamente mi ha detto anche dove si trova in modo da poter andare a prenderlo!- Mizar era irritato, in una situazione normale non avrebbe mai risposto in questo modo.

Calò il silenzio per qualche secondo, finché la porta non si spalancò sbattendo contro il muro e provocando un grande fracasso.

-Cosa vuoi Vector?- Chiese Girag guardandolo in cagnesco.
-Lui. Lui dov’è?-
-Come fai a sapere che non è qui?- Chiese Rio, sorpresa per il fatto che lui sapesse e non sapesse al tempo stesso.
-Se n’è andato. E chissà dove. E per colpa di chi? Tua. Solo tua.- La voce di Mizar era calma; niente in lui dava segni di nervosismo tranne la mano che reggeva il telefonino, che era stretto con eccessiva forza.
-Cosa?- Chiese perplesso.
-Sai, tu, brutto idiota, lo hai rovinato. Avresti dovuto vederlo fin da subito che in lui qualcosa non andava. Avremmo dovuto vederlo anche noi.-
-Cosa vuoi dire?- Chiese Shark, per certi versi spaventato.
-Ricordi nella foresta? Ti ha salvato credendoti un umano, anche se sapeva che vi avremmo dovuto distruggere. Non ce l’avrebbe fatta a vedere un mondo cadere a pezzi, e ora che è crollato il suo lui, è rimasto imprigionato sotto le macerie. - Disse il biondo senza scomporsi mentre gli altri iniziavano a sentirsi colpevoli.
-E dopo tutto questo ragionamento te ne stai lì?- Disse Vector, con voce di sfida.
-Perché non ti muovi tu? E’ una perdita anche per te.- Disse Mizar spostando il suo sguardo di ghiaccio sul rosso.

Il rosso non rispose, stava scrutando il biondo che era immobile e fissarlo con occhi magnetici. Per la prima volta provò quasi paura a causa di quello sguardo inquisitore che tutto sapeva e tutto poteva.
Mosse a vuoto la bocca per un paio di volte, poi ritrovò il suo sguardo serio e truce.

-Sai che ti dico bellissimo biondo? Arrangiatevi. Non me ne frega nulla, per me può anche andare a buttarsi da un ponte che la mia vita va avanti lo stesso.- La voce di Vector era aspra, era palese che non gliene fregasse nulla veramente.
-Sai che ti dico io? Che sono stanco, di te, di quello che fai e del perché lo fai. Sono veramente stanco.- Il biondo si alzò da dov’era seduto mettendosi davanti al rosso.

Un venticello che andava trasformandosi in bufera si alzò insieme a lui. Non stava per accadere nulla di buono.

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Capitolo 9
*** IX - Lucciole ***


IX




Dumon stava camminando per la strada, le mani in tasca e lo sguardo basso. Aveva camminato parecchio, era arrivato quasi dall’altra parte della città, vicino a un parchetto con pochi alberi e qualche panchina. Si sedette su una di queste ultime prendendosi la testa tra le mani, i capelli argentati gli ricadevano sulla testa e, per quanto non fossero troppo lunghi, il vento li scompigliava in modo fastidioso.
Si strofinò un occhio, più per stanchezza che per altro, poi si perse a guardare davanti a sé quella magnifica scena.
Il boschetto era abitato da una miriade di lucciole che, a intermittenza, brillavano di quel magnifico giallo e tutte insieme si stavano alzando per iniziare a volare per la notte.
Si ritrovò a fissarle, le aveva viste solo un’altra volta; era insieme a Mizar, le stavano guardando una sera di primavera, il sole era già calato da più di un’ora quella volta; quanto avrebbe dato per tornare a quel momento, non avevano ancora trovato Nash certo, ma almeno erano felici, lui era felice.
Sentì il cellulare vibrare nella tasca.
Credeva di averlo spento dopo aver telefonato a Mizar, invece qualcosa era andato male.
Lo estrasse dalla tasca senza pensarci, fu un gesto meccanico, portò lo schermo davanti agli occhi.
 
“Dumon, so che non vorrai parlare, che te ne sei andato per stare lontano da noi; il problema è che siamo noi che non possiamo stare senza di te. M.”
 
Non riuscì a comprendere subito il significato della frase, un po’ per la stanchezza e un po’ per le macchie di cui erano cosparsi i suoi occhiali.
Fece per rispondere quando il cellulare iniziò a squillare.
-Dumon!- Disse una voce sorpresa.
-Sì.-
-Come stai?- La voce era dolce, stranamente dolce per appartenere a Mizar.
-Bene.-
-Perché te ne sei andato?-
-Ero stanco di sentirvi urlare.- Aveva la voce stanca, spenta, triste.
-Hai ragione. Siamo stancanti.-
-Ti ricordi le lucciole?- Chiese Dumon cambiando totalmente discorso e lasciando spiazzato Mizar.
-Sì… Quella sera, è passato così tanto.-
-Sono bellissime.-
-Sì me le ricordo.-
-Sai, forse per un po’ dovreste riposarvi, non pensare a me.-
-Cosa?-
-Sì… Starò bene, vedrai. Starò qua e là… E poi, sono un Bariano, no?-
-No.-
Quella risposta lasciò di stucco Dumon. Cosa voleva dire “No”, quel “No”, quel “No” detto così. Con quel tono severo. Non di rimprovero ma che non ammetteva errori.
-Cosa vuol dire no?- Chiese ingenuamente.
-Che tu non sei un Bariano. Tu sei uno di noi.-
-Ah…-
-Puoi dire quello che vuoi. Ti capisco, anzi no, perché per capire qualcuno bisogna passare quello che ha passato lui e io non so cosa ti abbia fatto quell’idiota. So però che noi ci siamo. Che siamo qui accanto a te. Io ci sono!-
-Lo apprezzo, Mizar. Lo apprezzo davvero. Ora però…-
Una mano gli si appoggiò sulla spalla e lui si girò, abbastanza spaventato, per vedere chi lo stava toccando. Quando vide quei magnifici occhi azzurri rimase sorpreso, ma ciò che lo meravigliò di più fu quel suo sorriso.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Ti trovo e torni da me ***


Capitolo 10
Il biondo stava sorridendo con il telefonino ancora appoggiato all’orecchio.
-Come?-
-Sai Dumon, sarai anche un Bariano, ma certe volte non ti capisco proprio.-
L’argenteo rimase perplesso da quell’affermazione fatta con certo tono d’ironia. Il biondo si sedette accanto al ragazzo senza togliere la mano dalla sua spalla.
-Non sei stupido, lo sappiamo tutti. Sei… Ingenuo, ogni tanto.- Il biondo lo stava guardando negli occhi e un leggero sorriso increspava le sue labbra sottili.
-In che senso?-
-Nel senso che credevi veramente di poter andare via senza che qualcuno venisse a cercarti?-
-No, non ci credevo, ci speravo… Forse.-
Il biondo allargò il suo sorriso quando vide l’altro guardare altrove e chinare un po’ il capo. Si conoscevano da anni, eppure non era mai stato più fragile che in quel momento. Mai Mizar aveva pensato che Dumon fosse così fragile. Fragile come le lucciole che li circondavano.
Mizar distolse lo sguardo da lui per un attimo e lo puntò su una lucciola che gli volava davanti.
-Non ti ricordano un po’ quella sera?-
-Cosa?- Chiese con tono quasi normale Dumon.
-Queste lucciole.-
Dumon alzò lo sguardo e vide centinaia di lucciole girare vorticosamente ovunque. Davanti a lui, di fianco a lui per poi andargli dietro, fare qualche piroetta acrobatica in aria e poi tornare davanti con quella loro calma rassicurante.
Dumon sorrise.
Un bel sorriso. Un sorriso che aveva donato un po’ di luce anche ai suoi occhi così tristi e vuoti da un periodo troppo lungo a quella parte.
-Ricordo che a un certo punto te ne andasti… Non mi hai mai detto il perché. - Mizar disse quella frase in sussurro, più a se stesso che a Dumon che si trovò a fissarlo con gli occhi tristi, di nuovo.
-Vedi… Quella sera erano passate le dieci e mezza… Non sai quanto si è arrabbiato. Ha iniziato a urlare… Come stasera…-
-E noi dov’eravamo?-
-Non so… Non ricordo. So solo che la mattina dopo non riuscivo più ad alzarmi.- La frase fu seguita da una risata amara dell’argenteo. Era chiaro che non c’era neanche un briciolo di felicità in quella risata e anche non si sentisse meglio a raccontare quei fatti.
-Ah… E stasera?-
-Veramente speravo di non tornare per un po’.-
-Dove vorresti stare?-
-Non lo so… Qua e là… Tanto con tutti questi lividi non avrei il coraggio di presentarmi a scuola.-
-Vorrei solo che tu non incontrassi Vector, neanche per sbaglio.-
Il biondo lo stava guardando, serio. Dumon lo stava fissando negli occhi, le sue iridi brillanti tremavano appena e stava guardando il suo riflesso nelle grandi iridi azzurre del compagno.
-Credimi, non sarò certo io a cercarlo.-
-Perché è iniziato tutto?-
-Hai presente quando diventi amico di qualcuno e siete amici da così tanto da non ricordare più quando, dove e come vi siete conosciuti?-
-Sì.-
-Bene… E’ stato un po’ così.-
-Ok. Però dovrai ricordare almeno in modo sfocato come tutto è cominciato. Non può essere iniziato tutto dal nulla.-
-Lui aveva perso da poco i poteri, io mi sentivo in colpa…- Dumon aveva chinato il capo mentre parlava.
-In colpa per cosa?- Chiese il biondo non capendo.
-Per tutto. Per non aver salvato Nash allora e nel duello che ho combattuto al fianco di Merag contro Vector. Per non essere stato in grado di fare quello che mi ero prescritto come capo dei Bariani. Per non esser stato in grado di…-
-Dumon. Tu hai fatto il meglio. Non si può essere perfetti, neanche se si è dei Bariani. Tu, però, tra noi sei quello che si avvicina di più alla perfezione.-
L’argenteo non rispose. Rimase immobile a fissare le punte delle proprie scarpe.
Aveva voglia di urlare. Di piangere. Per la prima volta dopo tanti anni voleva farlo veramente.
-Dumon, capisco che tu stia male, che ti senta in colpa e tutto. Ma ciò che ti è stato fatto è sbagliato. E’ sbagliato a prescindere dalla motivazione. Che tu volessi che ti fosse fatto o che tu non volessi.-
-Sì…- Lo disse più per paura che per altro. Per un attimo in quelle parole, in quel tono di voce, ci rivide Vector.
-Ha sbagliato anche lui. Doveva rifiutarsi.-
-Ma non l’ha fatto.-
-Questo, per te, vuol dire che è colpa tua?-
-Io… No. E’ solo che… Se l’ha fatto, forse stava bene… E all’inizio credevo di stare bene anche io.-
-E’ giusto stare bene facendo soffrire così qualcuno?-
L’argenteo era sull’orlo delle lacrime.
Il biondo non stava incolpando lui eppure l’argenteo, dopo aver sentito le parole di Mizar, credeva di avere ancora più colpe di prima.
Mizar si accorse degli occhi lucidi dell’altro. Non voleva assolutamente arrivare a questo, anzi lo voleva evitare.
-Dumon, ascoltami.-
-No, no. Hai ragione. Va bene.- Disse l’argenteo alzandosi in piedi.

 

Angolo Autrice
​Non vedo l'ora di pubblicare il prossimo capitolo! Credo sia uno di quelli che amo di più!

Un Bacio
​A Presto
​KindlyLight

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Un abbraccio basta... ***


Capitolo 11

L’argenteo era in piedi, davanti alla panchina, davanti a Mizar.
Gli occhi argentati ricoperti di luci brillavano ed erano di una bellezza fuori dal comune.
La sua pelle cerea rispecchiava ogni fascio luminoso che la colpiva, facendolo sembrare avvolto in una nube, come se fosse un angelo.
Mizar si trovò a fissarlo, iridi nelle iridi, con lo sguardo un po’ perso.
Durbe non se ne voleva andare, non voleva che Mizar se ne andasse, eppure, allo stesso tempo, voleva rimanere solo, solo con le sue paure e le sue debolezze. Erano così tante che ormai neanche lui le sapeva più elencare. Aveva paura di guardarsi allo specchio, paura degli altri, paura di tutto.

Mizar si alzò, di scatto, facendo oscillare maestosamente i suoi capelli biondo grano maturo. Durbe face un mezzo passo indietro, senza abbassare lo sguardo.
Mizar gli si avvicinò di un passo, arrivando fino a sfiorargli il naso con il proprio, poi sul suo volto comparve un sorriso. Nessuna parola.
Con estrema calma e tranquillità iniziò a sfiorargli la mano, poi la prese, con decisione, la strinse dolcemente nella sua, la accarezzò con le sue lunghe dita vellutate.
Durbe non si mosse.
Quei pochi gesti, per lui, erano di una dolcezza infinita, rappresentavano più affetto di quello che avesse mai ricevuto in tutta la sua vita.
Pochi minuti che potevano colmare, almeno in parte, ciò che gli era mancato per anni e anni di esistenza.
Gli erano bastati pochi e semplici gesti, cose che le persone normali si scambiano normalmente, segno del loro affetto reciproco.

Mizar vide Durbe sorridere e i propri occhi magnetici si riempirono di un’emozione che raramente si era vista in lui, la gioia di vedere felice qualcun altro.
Mizar fece avvicinare ancora di più Durbe a sé, petto contro petto, e lo abbracciò, un abbraccio tenero, dolce, delicato. Simile a quello che un padre può dare al figlioletto che è appena caduto dalla bici.
Prese ad accarezzargli i capelli, con un movimento lento e leggero. Poteva sentire il suo profumo fresco come l’aria di montagna, carico di quell’odore di fiori campestri, nati per caso e bellissimi, un po’ come lui. L’argenteo si trovò a ricambiare l’abbraccio, appoggiando la testa contro la spalla ossuta dell’altro, eppure, per quanto ossuta quella spalla era più comoda del suo letto, della sua casa, perché forse, Durbe, non l’aveva mai avuta una casa prima d’ora, prima di quell’abbraccio così dolce e così atteso quanto insperato.

Durbe socchiuse gli occhi, non sentiva il bisogno di tenerli aperti a causa della paura. Si sentiva al sicuro, si sentiva bene e, per la prima volta, amato.
Durbe emise un sospiro, di liberazione, che gli diede un senso di leggerezza fin nel profondo; Mizar sorrise, un sorriso sincero e dolce, un sorriso che poteva essere solo per Durbe.

-Tutto bene?- Chiese poi, con un filo di voce, quasi con la paura di disturbarlo.

L’altro annuì soltanto, senza neanche alzare la testa dalla spalla del biondo. Stava davvero bene.

-Vuoi tornare a casa?- Chiese sempre in un sussurro.

L’altro rimase fermo e in silenzio per un po’, poi annuì.
Mizar rimase sorpreso da quella risposta affermativa, ma ne fu felice. Tornare a casa voleva dire sfidare Vector, voleva dire sconfiggerlo, insieme.

-Tu te ne andrai? Come lui?- Chiese poi, ad un tratto, Durbe. La sua voce era carica di tristezza, di paura. Forse neanche la voleva sapere veramente la risposta.
-No. Mai. Non sono Vector. Io ci sarò sempre per te.- Rispose sicuro e sincero il biondo.

L’argenteo a quella risposta strinse un po’ di più l’abbraccio e sorrise. Forse ci sperava veramente in quelle parole, forse voleva sentirsele dire, forse ci credeva veramente.

Il biondo sorrise sentendo la stretta dell’abbraccio più forte.
Poi, improvvisamente, si scostò appena, giusto per poterlo guardare negli occhi. I loro nasi si sfioravano, nei loro occhi quella scintilla di felicità che li rendeva ancora più belli del solito, poi Mizar fece una pazzia. Un ragazzo composto come lui che si lascia prendere dalle emozioni in quel modo.
C’è una prima volta per tutto, però.
Le loro labbra si stavano sfiorando, dolcemente, senza pretese, quasi con paura. Paura di un rifiuto, paura di non esser gradite.
Era un bacio delicato, voluto, atteso, ma non frettoloso o violento. Era uno di quei baci che ti faceva sentire amato, ti faceva sentire a casa.









​Angolo Autrice
​Ecco il tanto atteso (almeno da me) capitolo 11. Io lo amo... Credo sia una delle cose più belle che abbia mai scritto!
​Voi cosa ne pensate?
A Presto
Un Bacio
KindlyLight

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Capitolo 12
*** 12 - Rabbia ***


Capitolo 12
Ad un tratto, però, sembrò risvegliarsi in Durbe la paura. Fece uno scatto in dietro, Mizar era ancora immobile e leggermente proteso in avanti, era perplesso, era rimasto spiazzato. Vedeva i grandi occhi di Durbe sbarrati dietro gli occhiali, la sua mano traballante che sembrava separarli, le sue gambe instabili che lo sorreggevano a fatica. Poi se ne accorse.
Durbe, così impaurito, non stava guardando lui, ma qualcosa alle sue spalle e immediatamente sul suo volto comparve una smorfia di puro odio e si girò facendo vorticare la sua chioma bionda e bellissima.
Quando vide chi aveva alle spalle non si stupì della paura di Durbe.
-Tu! TU! TI AVEVO GIA’ DETTO DI STARGLI LONTANO MIZAR!- Gridò improvvisamente con una voce rauca e tremendamente profonda, come se venisse da dentro, da molto in basso, come se provenisse dalle profondità della terra.
-E io ti avevo detto di smetterla.- Rispose cupo il biondo facendo qualche passo in avanti.
-Tu sei uno sfacciato! Uno stupido! Non capisci quando è il momento di farsi da parte!- Continuò il rosso ad urlare.
-E tu, Vector, non hai ancora capito che se continui così andrai incontro a guai molto seri!- Rispose sempre con una calma assoluta Mizar.
-Assi? E i guai chi me li farà passare? Durbe? Ne sono più che sicuro!- Subito dopo aver terminato di parlare scoppiò in una risata grottesca e carica di divertimento.
Dietro di loro, Durbe, era rimasto immobile, con gli occhi colmi di lacrime e le ginocchia tremanti. Durbe era stanco. Durbe non ne poteva più.
Voleva farla finita con tutto e con tutti. Voleva smettere di esistere in quel modo così doloroso e privo di qualsiasi libertà.
Chinò il capo in avanti, gli occhiali si bagnarono nuovamente di lacrime, strinse i pugni lungo il corpo, le ginocchia gli si piegarono appena.
Proprio in quel momento, però, si alzò un vento molto forte. Le piccole lucciole vennero spazzate via e con loro anche il rumore delle urla di Vector.
I due litiganti, senza accorgersene, si voltarono verso Durbe che era al centro di un piccolo ciclone che si stava ingrandendo a vista d’occhio.
Ad un tratto, in un sol battito di ciglia, Durbe scomparse al centro della grande massa d’aria roteante e il vento continuò ad alzarsi e alzarsi e alzarsi.
-Cosa gli sta succedendo?- Chiese Vector colto alla sprovvista da quella situazione.
-Energia repressa.- Rispose in un sussurro Mizar.
-Che vuol dire?- La domanda di Vector sembrava quasi una presa in giro agli occhi del biondo, ma rispose ugualmente.
-Da quando hai cominciato a soggiogarlo, non ha più potuto esprimere la sua energia, la sua forza, e ora lo sta facendo. L’unico problema è che qui è concentrata l’energia che non ha potuto esprimere per anni e quindi è una reazione molto violenta. E peggiorerà!- Rispose il biondo, nella sua voce si poteva percepire una nota di preoccupazione, non si sa per chi, però.

 

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Capitolo 13
*** 13 - Fossa ***


Vector tentò di usare i suoi poteri che, con sua grande sorpresa e paura, non funzionarono.
Era bloccato lì in mezzo a quella tempesta crescente.

-Perché non funzionano i miei poteri?- Gridò Vector carico di disperazione.
-E’ lui che te lo impedisce! Lo sta impedendo a tutti!-
-Cosa ci succederà?- La voce di Vector sembrava un po’ più spaventata di prima.
-Dipenda da Durbe. Se decide di distruggerci, lo farà. Se decide di salvarci, lo farà.- Mizar detestava quella situazione di impotenza, ma stava cercando di accettarla.
-Non potrebbe… Scaricarsi prima?- Chiese Vector con una punta di ironia.

Mizar lo guardò con gli occhi pieni di rabbia.

-Scaricarsi? La vedi questa forza? E’ un decimo di quello che può fare davvero!-

Anche gli occhi di Vector, per la prima volta dopo secoli, furono colmi di paura. Tutta la sua sfrontatezza si stava sgretolando attimo dopo attimo.
I due Bariani vennero sollevati dal vento crescente, fatti vorticare da una parte all’altra senza la minima pietà, sballottati da un angolo all’altro di quel tornado impetuoso e apparentemente invincibile.
Apparentemente.
A Mizar si illuminarono gli occhi per un attimo.

-Vector! Devi chiedergli scusa!-
-Cosa!-
-Devi fargli capire che ti dispiace!-

Il vento sembrava quasi che si stesse attenuando quando Vector quasi rise nonostante la situazione.

-Lo sai benissimo Mizar che non lo farò mai.-

Il vento si alzò nuovamente, più impetuoso di prima, il corpo di Mizar venne sbalzato fuori dal circolo del tornado mentre la pressione sul corpo di Vector non faceva che salire, salire, salire fino a farsi insopportabile, fino a fargli mancare il respiro, fino a quando tutto non divenne così doloroso da far pensare a Vector che sarebbe morto molto presto, così presto e in modo così inutile da fargli scappare una lacrima; quella stessa lacrima toccò il suolo e, non appena si fu asciugata il vento e la tempesta cessarono lasciando spazio alla quiete più profonda e silenziosa.
Nel punto in cui si trovava il centro del ciclone c’era Durbe, in pieni, diritto, con lo sguardo rilassato e un’insolita tranquillità sul viso.
Vector cadde pesantemente al suolo, mentre scariche di dolore percorrevano incessantemente il suo corpo.

-Tu… Tu credi che un po’ di vento possa fermarmi?- Disse Vector alzandosi in piedi.
-Vector…- Mizar, che si trovava alle spalle di Durbe, venne scagliato via da un soffio di vento gelido, stava cercando di fermare il rosso.
-Credi che ti lascerò in pace? Eh?- Durbe rimase in silenzio, lo guardava soltanto. –Rispondimi!-

Mizar si ritrovò a fissare la scena, impossibilitato a fare qualsiasi cosa.

-Allora?-
-Tornerai da dove sei venuto.-
-Come?-
-Tornerai nel luogo da cui hai liberato il mostro che è in te.-

Vector non riusciva a capire ma il vento tornò ad alzarsi anche se era molto più calmo di quello di prima.
Durbe fece un passo indietro mentre davanti a lui si apriva un’enorme voragine da cui provenivano urla demoniache e disperate.

-Cosa vuoi fare?-
-Ciò che tu mi hai costretto a fare.-

Il vento lo alzò e in un batter d’occhio Vector si trovò a volteggiare in aria verso quella buca ardente.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Conseguenze ***


 

Capitolo 14

Vector si stava avvicinando sempre di più alla voragine che si era aperta nel terreno, le urla di quelle anime incastrate nella pietra e nel dolore erano strazianti e Vector cominciò a ripensare a tutto ciò che aveva fatto in vita.
Mizar, che era intrappolato dall’energia di Durbe, si sentì pian piano liberare, come se tutta quell’energia stesse scivolando via da lui e si sentì mancare le forze, come se qualcuno gliele stesse prosciugando.
Vide Vector che si avvicinava all’abisso e poi chiuse gli occhi, non ce la faceva più.

 

Quando si risvegliò era disteso nel suo letto, al buio.

-Un sogno. Solo un sogno.-

Guardò sul comodino accanto al letto, le tre di notte, e una tazza così calda che stava ancora fumando.
Cercò di mettersi seduto sul letto, senza riuscirci, la testa cominciò a girargli e gli tornò in mente il vortice, con Durbe al centro.
Gli tornarono in mente gli occhi del ragazzo, completamente persi, come se non fosse stato in sé.
Gli sembrava tutto troppo reale per essere un sogno, tutto troppo doloroso per essere solo frutto della sua immaginazione.

-Durbe…- Sussurrò.

Qualcuno al piano di sotto stava urlando, sicuramente c’era Nash, riconobbe la sua voce la sua voce, stava cercando di restare calmo, Alito invece urlava senza cercare di contenersi, non ci aveva mai provato e mai lo avrebbe fatto.
Chiuse gli occhi, era troppo stanco per pensare a loro.
La porta della sua camera si aprì, uno spiraglio che fece entrare un sottilissimo fascio di luce, con uno scatto si richiuse lasciando entrare qualcuno che si sedette stancamente a terra, accanto al letto.

-Scusami Mizar…- Sussurrò. –Non volevo farti del male… Hai sempre cercato di aiutarmi e io… Io non… Non hai bisogno di me, nessuno ne ha bisogno in fondo…-

Quella voce, così tranquilla, così pacata, eppure così carica di tristezza e disperazione, Mizar non ebbe bisogno di pensarci, era Durbe a parlare.
Stava bene.
Quando il suo cervello riuscì a metabolizzare quell’informazione, si sentì più leggero, ma nessuno saprebbe spiegare il perché.

-Nash ha detto che… Che forse non ti risveglierai… Hanno detto che ti ho fatto del male… Eppure io non mi ricordo… Mi ricordo solamente che ad un certo punto non c’ero più… Non sentivo più niente… Stavo così bene…-

Sospirò cercando di trattenere un singhiozzo Durbe.

-Girag ha detto che dovrei smettere di venire a parlarti… Che quando ti sveglierai, se ciò accadrà, non mi vorrai più parlare… Che mi odierai per quello che ho fatto...-

Mizar aprì gli occhi e spostò un braccio verso il ragazzo seduto a terra che, per quel contatto, quasi si tirò in piedi dalla paura.

-Mizar, sei sveglio… Devo dirlo a…-
-Aspetta un attimo… Cosa è successo?-
-Io… Non lo so… Non lo ricordo… So solo che stavi male… Che la tua energia era a livelli bassissimi e che Nash ha detto…-
-Non importa cosa hanno detto. Tu? Stai bene?-
-Non lo so… Credo…-

Mizar lo fissò per un attimo e sorrise.

-Vector?-
-E’ di sotto… Nash ha detto che mi hanno fermato prima che potessi fargli del male.-
-Non avrebbero dovuto.- Disse alzandosi lentamente.
-No Mizar dove vai?-
-A parlare con Nash.-
-Posso andare a chiamarlo, farlo venire qui…-
-Sto bene, davvero Durbe. Dobbiamo aiutare te ora. Quei poteri che hai mostrato non sono niente in confronto a quello che puoi fare davvero.-
-Non voglio fare del male a nessuno.-
-E’ proprio per questo che dobbiamo aiutarti.-
-Nessuno vuole più aiutarmi… Pensano che sia in grado solo di creare delle disgrazie.-
-Cambieranno idea, vedrai.-

Mizar si alzò e andò al piano di sotto, mentre scendeva le scale tutti si fermarono a guardarlo.
Non si aspettavano di rivederlo in piedi, non così presto, ma furono felici, tutti tranne Vector che digrignò i denti con rabbia.
Perché Vector, in fondo, sapeva che non l’avrebbe passata liscia, l’ira dell’Imperatore Bariano che conosceva così bene era terribile.

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Capitolo 15
*** Libertà ***


-Vector!- La voce di Mizar tuonò impetuosa nella camera e tutti si voltarono a guardare dalla sua parte.
Durbe era dietro di lui, sul viso un’espressione mortificata e le mani tremanti, ma Mizar riequilibrava ogni cosa, mostrando fermezza e durezza, ancora più del solito.
-Questa non è la tua battaglia, Mizar.- Ringhiò Vector.
Fu Durbe che, a quel punto, si fece avanti, trovando il coraggio in un punto del suo petto che neanche lui sarebbe stato in grado di indicare.
-Vector, hai perfettamente ragione, ed è per questo che te lo chiedo io.-
-Lo sai che non otterrai mai nulla da me.-
-Non voglio nulla infatti da te.- Rispose acido Durbe. –Nelle ultime ore, però, mi sono reso conto che non c’è motivo di temerti.-
-Come?-
Gli occhi di Vector brillavano di rabbia, una scintilla rossa inasprì i suoi occhi e indurì il suo viso.
-Alla fine, non sei altro che un cialtrone.- Continuò Durbe. –Non riesco ancora a capire cosa mi spaventasse di te.-
Vector si scagliò contro di lui con rabbia, ma i suoi piedi vennero ancorati al suolo, come se il pavimento di marmo si stesse liquefacendo per fondersi con lui.
-Però ti devo ringraziare, mi hai ricordato che sono più forte di te, che sono più forte di quanto credevo.- La voce di Durbe era calma, tranquilla, credeva veramente in ciò che diceva.
-Credi di potermi fermare? Credi di poter usare i tuoi trucchetti con me in questo modo?-
-I miei non sono trucchetti, Vector, sono la verità, ed è proprio per questo che funzioneranno.- Attorno a loro crebbe come una piccola tempesta.
-Credi davvero di poter sopravvivere alla tempesta?- Ringhiò Vector carico d’ira.
-Io, sono la tempesta.- Rispose Durbe mentre dalle nuvole che si erano create nella stanza scaturivano fulmini e tuoni, mentre i suoi occhi diventavano bianchi e vacui, mentre ogni singola fibra di lui si lasciava trasportare dall’immensa forza della libertà.
Tutti gli Imperatori si ritrovarono ad indietreggiare dietro ad una visione del genere, non lo avevano mai visto così, mai avrebbero pensato che dentro quell’esile corpicino pallido ed emaciato si nascondesse la forza di una calamità naturale.
-E ora, Vector, torna da dove sei venuto.-
La voce di Durbe arrivò ovattata ma tuonante, come se fossero le nuvole stesse a parlare, come se rimbalzasse su ogni piastrella di marmo mentre queste si aprivano sotto i piedi di Vector lasciando intravvedere uno squarcio buio da cui provenivano grida e lamenti, misti ad un odore nauseabondo e putrido.
Vector cercò di implorare pietà, cercò di chiedere scusa per tutto ciò che aveva fatto in quegli anni, per il dolore che aveva provocato e per quella povera vita che aveva spezzato.
Quella povera vita che, però, aveva trovato il coraggio di rinascere grazie alle poche e semplici parole scambiate con Mizar.
Vector cadde giù, sempre più giù, e lo sentirono gridare finché le pietre non si rimisero al loro posto e sembrò che nulla fosse successo.
Lentamente la tempesta si placò e Durbe tornò normale.
Avevano appena perso un mostro e ritrovato un Imperatore.
Avevano appena ritrovato il loro amico, il loro fratello, il loro compagno che, per la prima volta dopo anni sorrideva, seppur timidamente, mentre tutti gli si avvicinavano felici.
Erano felici per lui.
Per lui che ora era libero e senza catene, per lui che, finalmente, aveva ritrovato la felicità di essere se stesso e lo aveva fatto da solo.
Erano di nuovo una famiglia.

 

 

Autrice:
Bene, direi che siamo giunti alla fine di questa storia e che niente volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto i capitoli ma soprattutto tutte quelle persone che hanno recensito i capitoli, per la loro pazienza e costanza che sono invidiabili, visto che ci ho messo –quanto? Due anni?- tanto per finire questa FF.
Un grandissimo abbraccio a tutti!
KindlyLight

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