A chain to heaven di Daphne_Descends (/viewuser.php?uid=23226)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1: A look into her life ***
Capitolo 2: *** Chapter 2: Turn of destiny ***
Capitolo 3: *** Chapter 3: Cold in the alley ***
Capitolo 4: *** Chapter 4: Discovering ***
Capitolo 5: *** Chapter 5: His eyes ***
Capitolo 1 *** Chapter 1: A look into her life ***
Chapter 1: A look
into her life
Era
dietro di
lei.
Sentiva il gelo sul
collo.
Si guardò attorno,
con studiata lentezza, imprecando mentalmente alla vista della
moltitudine di
gente che la circondava.
Se fosse stata sola
le sarebbero bastati pochi secondi, il tempo di girarsi, mirare e
colpire.
«Signorina, vi
sentite bene?»
Si voltò verso
l’uomo anziano che l’aveva chiamata e la guardava
preoccupato.
Senza accorgersene
si era fermata in mezzo alla strada, intralciando il traffico. Si
scusò con un
lieve sorriso e si scostò, facendo passare le persone alle
sue
spalle. L’uomo
le diede un’ultima occhiata e proseguì.
Era sparito.
Non avvertiva più
nessuna presenza. Tirò un sospiro di sollievo e riprese a
camminare. Doveva
raggiungere la locanda prima che calasse il buio.
Il sole era poco
sopra l’orizzonte e i commercianti stavano chiudendo le loro
bancarelle.
Girò a sinistra,
prendendo una traversa. Superò un fattore e il suo mulo che
non
voleva
proseguire, una donna con un cesto di mele sul capo e due bambini per
mano, tre
commercianti che la seguirono con lo sguardo e dei ragazzini che
correvano
nella direzione opposta alla sua. E finalmente riuscì a
leggere
l’insegna della
locanda di Rose.
La proprietaria,
Rose per l’appunto, era una donna corpulenta e dalla bellezza
ammaliante.
Nonostante la taglia inconsueta, le sue forme morbide attiravano un
numero
cospicuo di avventori, tra viaggiatori e abitudinari. E sapeva bene
come
approfittarne. Le bastava muovere la chioma corvina e ondeggiare un
po’ e
riusciva a convincere anche i più refrattari.
La conosceva da
quando, a nove anni, era stata sorpresa a rubare nel suo magazzino. Si
ricordava ancora il modo in cui l’aveva fissata, con i
penetranti
occhi scuri
che brillavano nella penombra della stanza. L’aveva
trascinata in
cucina e
rimpinzata con qualsiasi cosa le capitasse a tiro, sotto lo sguardo di
disapprovazione di Margareth, la cuoca, che insisteva a somministrarle
zuppe di
farro, a suo dire più nutrienti di quelle di zucca. Da quel
momento l’aveva
presa con sé, trasformandosi facilmente nella madre che
aveva
perso quattro
anni prima.
Rose era la donna
migliore che avesse mai incontrato. L’aveva accettata
esattamente
per com’era,
anche dopo aver scoperto il suo inconfessabile segreto.
E sopportava le sue
fughe da ben dieci anni.
La locanda era
piena come al solito, i tavoli erano occupati da tutti gli stranieri
arrivati
per la fiera. Il signor Gorton le passò davanti,
strizzandole un
occhio e
portando un piatto di pollo all’uomo seduto vicino alla
finestra.
Era simpatico il
signor Gorton, lavorava già da Rose quando era arrivata lei.
Assomigliava tanto
a suo nonno, anche se suo nonno era più scorbutico.
Riuscì ad
intravedere anche la treccia bionda di Elisha che scompariva in cucina
ed Harry
che serviva una coppia al tavolo nell’angolo.
«Finalmente ti sei
degnata di farti vedere».
Si stampò un
sorriso angelico sul volto candido, mentre si girava verso Rose,
entrata alle
sue spalle con un sacco colmo d’avena.
«Ciao Rose, come
stai?»
«Sei scomparsa per
un’intera settimana, Cassandra. Mi hai fatto
preoccupare!»
«Scusami Rose, io
non-»
«Non lo farai più?
Figurati se ci credo! Questa volta l’hai combinata grossa!
Sette
giorni! Senza
una parola!»
«Era importante».
«Anche la tua vita
lo è! Se ti fosse successo qualcosa, eh? Cos’avrei
fatto?
Probabilmente non
l’avrei neanche saputo!»
«Scusami» abbassò
lo sguardo, sconfitta. Quella volta Rose aveva ragione. Si era
comportata da
irresponsabile.
La vide sospirare e
scuotere il capo «Fila in cucina! Scommetto che non hai
mangiato
niente. E vedi
di non dare fastidio a Margareth».
Cassandra sorrise e
se ne andò veloce, quasi scontrandosi con Francis, che
portava
tre boccali
colmi di birra in bilico su un vassoio.
«Sei tornata» fece
una smorfia, trovandosela davanti.
«Tu invece non te
ne vai mai?»
Non era un segreto
che lei e Francis non si sopportassero. Era stato assunto da Rose da
tre anni e
tra di loro era subito scoccata la scintilla dell’antipatia,
nell’esatto
istante in cui, distrattamente, lui le aveva fatto notare quanto fosse
incapace
nei lavori domestici. Neanche questo era un segreto, visto che ormai se
n’erano
accorti anche i clienti abituali, che ogni volta si facevano quattro
risate a
vederla maneggiare la scopa. E per quanto lo sapesse anche lei,
sentirselo dire
da uno sconosciuto, qual era Francis, le aveva montato una rabbia tale
che la
scopa la tirò dietro il suo cranio biondo e supponente.
Comunque lui si
limitò a beffeggiarla con una sola occhiata e
tornò al
lavoro, mentre Cassandra
entrava in cucina.
«Oh, la pecora è
tornata all’ovile, finalmente!»
«Mi stai dando
della pecora, Maggie? Non è carino da parte tua».
L’anziana donna
sventolò per aria il mestolo sporco di zuppa e le sorrise
con i
luminosi occhi
azzurri.
«Siediti lì, appena
mi libero ti do qualcosa da mettere sotto i denti».
Prima che potesse
anche solo fare un passo, dalla porta sul retro rientrò
Elisha,
che si illuminò
e le corse incontro, per abbracciarla «Cassie! Meno male che
stai
bene! Ero
così preoccupata!» Elisha si preoccupava
fondamentalmente
di tutto. Dei piatti
caduti per terra, delle lenzuola lise, del gatto senza cibo, del
venditore di
tappeti vicino alla piazza del mercato, dei creditori di Harry, delle
macchie
sui tavoli, dei viaggi di Cassandra e delle previsioni del signor
Gorton.
«E’ andato tutto
bene, Ellie. Addirittura più tranquillo del
solito».
La bionda la spinse
verso il tavolo in legno pesante al centro della cucina e la fece
sedere sulla
sedia più vicina.
«Stai qui e non
muoverti! Appena riesco a liberarmi voglio che mi racconti tutto
quanto!».
Dovettero aspettare
un paio d’ore, perché l’ora di cena
terminasse e i
soliti consumatori
comparissero al bancone.
Il viaggio di
Cassandra non era stato niente di straordinario. Se n’era
andata,
di punto in
bianco, chissà dove. Non le chiedevano mai la sua meta,
sapevano
che era
qualcosa che non avrebbe mai rivelato. Neppure Rose lo sapeva.
«Hai fatto qualche
incontro interessante?»
«No, a parte un
vecchio vagabondo che voleva vendermi una pipa, spacciandola per un
richiamo
per greggi. Forse avrebbe funzionato, se non l’avesse fumata
davanti a me».
«Non intendevo in
quel senso» sorrise Elisha alla sua espressione scocciata
«Volevo dire,
incontri romantici».
«Guarda che la vita
non è come una di quelle storielle che ti racconta Maggie!
Non
basta andare a
spasso per incontrare l’anima gemella. Dovresti smetterla di
credere alle
favole».
L’amica non
l’ascoltò ed iniziò con la sua solita
solfa sul
vero amore. Lei ci credeva sul
serio. Viveva in attesa del fantomatico principe azzurro che
l’avrebbe portata
via sul suo cavallo bianco. O almeno, l’avrebbe presa in
moglie.
Aspettava
pazientemente il matrimonio, come ogni brava fanciulla in
età da
marito avrebbe
dovuto fare.
Cassandra ascoltava
i suoi sproloqui annoiata, frenando la lingua per non disilludere la
giovane
sognatrice. Non credeva affatto alla storia del principe. Era solo una
montatura creata per convincere le ragazze a sposarsi. E lei,
dall’alto dei
suoi diciannove anni, era ben decisa a non cascarci mai.
«Qui, invece? E’
successo qualcosa di interessante?» la interruppe, conoscendo
ormai a memoria
il suo discorso.
La bionda scrollò
le spalle «Niente di particolare. Sono tornati di nuovo i
creditori ed Harry si
è nascosto in soffitta. Sono preoccupata. Non può
continuare a nascondersi, se non
paga chissà cosa potrebbe succedergli».
Cassandra sorrise
«Non angustiarti, vedrai che lo aiuterà Rose.
Conosce bene
il signor Wilbey,
saprà come convincerlo a dargli più
tempo».
«Vorrei fare
qualcosa per aiutarlo».
L’altra mascherò
una risata con un colpo di tosse, sapendo più che bene cosa
avrebbe potuto fare
Elisha per Harry. Ma non era il caso di dirlo all’amica.
«Davvero si è
nascosto in soffitta?» chiese invece, immaginando il ragazzo
nascosto dentro la
cassa delle lenzuola di lino di Rose.
«Sì, è rimasto più
di un’ora lì dentro, poverino!»
Cassandra scoppiò a
ridere, guadagnandosi un’occhiataccia dalla vecchia Maggie,
appena entrata.
«Non dovresti
scomporti così, Cassandra. Non ti sposerà mai
nessuno».
Si interruppe,
giusto per dire «Meglio così!» poi
riprese.
La cuoca la fissò
con disapprovazione «Arriverà il momento in cui un
uomo ti
tapperà la bocca,
bambina. E poi vedremo se sarai ancora della stessa opinione».
«Non ho mai sentito
qualcosa di più assurdo» fece una smorfia e si
alzò
«Vado a vedere se di là
hanno bisogno».
Dietro il bancone
Rose ed Harry intrattenevano la clientela. Avevano entrambi una
parlantina
incredibile e il fiuto per gli affari. Forse era per quel motivo che la
donna
l’aveva assunto senza pensarci due volte.
Harry aveva ventidue
anni, una massa incolta di capelli castani, occhi verde brillante,
mente pronta
e lingua lunga. Quasi più della sua lista di debiti che,
chissà come, invece di
accorciarsi, aumentava. E una cotta spaventosa per Elisha. Lei,
ovviamente, non
lo sapeva e continuava a sognare il suo principe azzurro e per Harry
andava
bene così, dato che l’avrebbe cacciata soltanto
nei guai.
E, ogni volta,
cercava di dimenticarla con altre donne, senza mai riuscirci. Era
encomiabile
il suo impegno nello starle lontano.
«Cassandra!»
esclamò, vedendola avvicinarsi al bancone.
«Ciao Harry, come
va?» gli sorrise.
«Non c’è male, si
va avanti-»
«E si scappa dai
creditori».
«Non c’era bisogno
di aggiungere dettagli futili» fece una smorfia, rivolto
all’uomo al fianco
dell’amica.
«Ti vergogni,
Harry?» chiese lui sogghignando con i compari
«Tanto
scommetto che la piccola
Cassie lo sapeva già. Vero, zucchero?»
La ragazza sorrise
e lo abbracciò «Ciao zio Ben!»
Benjamin Bertram
era il fratello maggiore di Rose. Si assomigliavano come due gocce
d’acqua e,
benché si trovassero spesso a discutere, era il
“vecchio
Ben” che le portava la
maggior parte dei clienti. Era un uomo dai tratti affascinanti e
l’aria
burbera, ma nascondeva un cuore d’oro. Si era affezionato
molto a
quella
trovatella che aveva adottato sua sorella, era come la figlia che non
aveva mai
avuto.
«Te l’hanno
raccontato, vero?» le chiese, dandole un buffetto sulla
guancia.
Lei ridacchiò «Deve
avermelo accennato Elisha».
«No!»
L’espressione
disperata di Harry fece ridere il gruppo.
«Quando la sposi
quella benedetta ragazza?» chiese per l’ennesima
volta il
signor Quinton, un
vecchio eccentrico con barba e capelli bianchi e un gusto particolare
per
infierire sulle persone.
Harry arrossì e
con, ormai abituale, faccia tosta fece finta di niente e riprese a
pulire un
boccale di vetro. Mentre i vecchi continuavano a ciarlare su di lui.
«E’ vero che sei
finito chiuso in soffitta?» gli chiese Cassandra.
Lui sospirò, poi
sorrise «E’ la notorietà,
tesoro».
Scoppiarono a
ridere nello stesso momento. Con Harry non c’era bisogno di
parlare, bastava
uno sguardo per capire che le stava dando il bentornato.
«Ti sei persa un
sacco di cose, sai?»
«Racconta!» si
sporse sul bancone a braccia incrociate, l’amico
iniziò a
strofinare un altro
boccale.
«Libby è tornata
all’attacco».
«No! Non ci credo!»
Libby era una delle
migliori amiche di Cassandra. Una ragazza minuta ed esuberante, che
faceva
disperare i suoi genitori. In città la conoscevano tutti e
sapevano che,
nonostante i suoi capelli rossi e la sua determinazione distruttiva,
era buona
come il pane. Da un paio d’anni i suoi occhi nocciola si
erano
posati su quello
che sarebbe stato, testuali parole, “l’uomo della
sua
vita”. Ma Francis non la
pensava allo stesso modo. E la sua abilità nella fuga
davanti
alla piccola
Libby era pari solo a quella di Harry davanti ai creditori.
«Cos’è successo?»
«Questa volta
Francis non ce l’ha fatta. Libby è riuscita a
sorprenderlo
mentre scappava».
«Gli ha chiesto di
nuovo di sposarla?»
«Già» attaccarono a
ridere, sotto le occhiate esasperate di Rose e dei suoi clienti.
Mettere
insieme Harry e Cassandra equivaleva a confusione totale.
***
Dopo
un’intera
settimana si trovava di nuovo nella sua stanza. Si sedette sullo
sgabello
davanti al piccolo tavolino da toilette e si osservò nello
specchio appeso alle
pareti di legno. Strano che nessuno le avesse fatto notare quanto fosse
pallida
e sciupata. Gli occhi azzurri erano velati dalla stanchezza e quasi
lacrimavano
per la luce della lampada ad olio. Prese la spazzola ed
iniziò a
pettinarsi i
lunghi capelli castani, che ricadevano scomposti sulle spalle.
Indossò
velocemente
la veste da camera, di tessuto leggero e, mentre scostava le lenzuola,
il
ciondolo che portava al collo le rimbalzò sul petto.
Sorrise,
sedendosi sul
letto, e lo prese tra le mani.
Era
d’argento, lo
sapeva, anche se sembrava un qualsiasi metallo, una semplice forma
ovale con
incisi una calla e un ramo d’edera intrecciati. Sua madre lo
teneva sempre al
collo, come un tesoro prezioso, e ogni tanto l’aveva vista
sorridere a qualcosa
di nascosto all’interno del pendente. Non sapeva cosa fosse,
non
era mai
riuscita a far scattare l’apertura. Poco prima che morisse,
la
donna
gliel’aveva donato, raccomandandole di non toglierselo mai.
Il
perché non lo sapeva,
ma se per lei era così importante, allora
l’avrebbe
accontentata. E da quando
aveva cinque anni non se l’era mai tolto, era sempre rimasto
al
suo collo,
nascosto dai vestiti.
Si
addormentò,
stringendo tra le mani il ciondolo argentato ed entrando in uno dei
suoi
soliti, gelidi incubi.
***
Salve
a tutti! Questa è la prima seria
storia originale
che mi trovo a scrivere. Come espresso negli avvertimenti è
un’Alternative
Universe. Questo capitolo è una sorta di introduzione, nel
quale
vengono
presentati un po’ di personaggi. Non so con esattezza quando
aggiornerò, forse
ci vorrà del tempo, forse no.
Spero che vi piaccia!
|
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Capitolo 2 *** Chapter 2: Turn of destiny ***
Chapter
2: Turn
of destiny
«Cassandra!»
La
ragazza si chinò
per raccogliere i cocci della ciotola che aveva appena fatto cadere.
«E’
la terza volta
che rompi qualcosa, questa settimana. Si può sapere cosa ti
prende?»
«Niente.
Va tutto
bene».
Margareth
la guardò
ancora per un istante, poi tornò al suo lavoro, scuotendo il
capo.
Gli
occhi di
Cassandra si velarono. Non andava tutto bene. Gli incubi non le davano
pace e
questo stava a significare solo una cosa: stava per
succedere qualcosa.
Uscì dalla cucina e
si ritrovò all’aria aperta, sul cortile nel retro.
Quando sarebbe
finito?
Odiava essere così.
Odiava il suo segreto. Odiava tutto quanto, persino se stessa.
Da quando era morta
sua madre, tutto era andato a pezzi. E per quanto amasse quel luogo,
stava
male. Quella non era casa sua.
Sospirò, con gli
occhi velati di lacrime.
Doveva andarsene,
partire e basta, senza sapere quando sarebbe tornata. Se
fosse tornata.
Le sarebbe servito del tempo per prepararsi alla partenza e salutare
tutti.
Il dolore le attanagliò
il cuore al pensiero degli amici che probabilmente non avrebbe
più rivisto. Ma
doveva farlo. Non poteva continuare a vivere in quell’eterno
limbo di
sofferenza.
Una mano salì
automaticamente ad accarezzare il ciondolo d’argento.
Nonostante le sue
ricerche non aveva ancora scoperto da dove provenisse, chi
l’avesse fabbricato
e dato a sua madre. Si morse un labbro, inquieta. Doveva assolutamente
scoprire
qualcosa in più. Era sicura che fosse importante.
«Cassandra, allora?
Quanto ti ci vuole per buttare via dei cocci rotti?»
Margareth la richiamò
all’ordine, comparendo sulla soglia della cucina con un
mestolo sporco tra le
mani.
«Arrivo» guardò
un’ultima volta il cielo azzurro, poi rientrò,
forzando un sorriso.
***
«Non vedo l’ora che
finisca questa benedetta fiera!»
«Non dirlo a me. La
mia schiena è ridotta peggio di quando il signor Ogden ci ha
ballato sopra da
ubriaco».
«Smettetela di
ciarlare voi due! Non vi pago per fare comunella, chiaro?!»
Harry e Cassandra
sussultarono, mentre Rose li superava con un vassoio carico di piatti
di
minestra. Si scusarono con un sorriso innocente e si affrettarono verso
la
cucina, trattenendo a stento le risate.
Quella sera la
locanda era in pieno fermento. Gli avventori avevano invaso il locale e
il
chiasso aveva raggiunto livelli impensabili. Non c’erano mai
stati così tanti
clienti.
Persino il signor
Gorton, con la sua gamba malandata, si dava il doppio da fare e
Margareth
spadellava senza sosta.
«Veloci!» esclamò
quando li vide entrare in cucina «Questo al tavolo quattro e
il pollo al
sette!»
I due scattarono,
afferrando i vassoi e tornando in sala. Cassandra portò i
piatti di cosce di
pollo arrosto al tavolo sette e si affrettò a tornare
indietro, quando venne
intercettata da Rose che le passò accanto «Tavolo
nove, Cassie. Nuovi clienti»
e prima che potesse risponderle qualcosa, la donna era già
scomparsa.
Si scrollò il
grembiule con una manata e si avviò veloce verso il tavolo
nell’angolo.
Erano in due: il
più giovane dava le spalle al muro e aveva la testa
appoggiata sul palmo della
mano; l’altro si studiava attorno e i suoi occhi azzurri
brillarono divertiti,
quando la vide avvicinarsi.
«Buonasera» li
salutò, fermandosi accanto al loro tavolo e sorridendo
cordiale, come le aveva
insegnato Rose.
«Buonasera a voi!»
ricambiò l’uomo con un sorriso luminoso. Il
ragazzo, invece, non si sforzò
neanche di mostrare se si fosse accorto del suo arrivo.
«Cosa desiderate
ordinare?»
«Cosa ci
consigliate?»
Cassandra si morse
un labbro, pensierosa «Beh, abbiamo il piatto del giorno:
minestra e pollo
arrosto; oppure carne alla griglia, bistecche o bollito
misto».
L’uomo non smise un
attimo di sorridere, passandosi una mano tra i folti e lunghi capelli
biondi
«Posso ordinare voi? Sareste perfetta».
Cassandra sentì le
guance andarle a fuoco e boccheggiò imbarazzata, sotto il
suo sguardo
scrutatore.
Si era già trovata
in situazioni abbastanza simili, ma di solito quelli che ci provavano
erano dei
buzzurri, spesso ubriachi. E poi bastava un’occhiataccia di
Rose per rimetterli
in riga.
Ma quella volta
Rose non c’era e le avance erano state lanciate da quello che
sembrava un
gentiluomo.
Prima che potesse
dire qualcosa, quello ricominciò a parlare «Posso
sapere cosa sta succedendo?
L’ultima volta che sono venuto non c’era tutta
questa confusione».
Gli rispose senza
indugi, leggermente scossa «Siamo nel bel mezzo della fiera
di Primavera, ne
avrete sentito di certo parlare».
«Ah, sì!» la
interruppe, battendosi una mano sulla fronte «La fiera che
cambia di località
ogni anno. Non sapevo si svolgesse qui».
Cassandra sorrise,
orgogliosa della sua città «E’ iniziata
un paio di settimane fa. Per Glenville
è una grande occasione per fare affari!»
«Si trovano cose
interessanti alla fiera?» chiese l’uomo, curioso.
«Certo! Si vende un
po’ di tutto, da cibi e spezie ad armi, articoli per la casa,
animali o
gioielli».
«Gioielli?» ripeté
affascinato, mentre il ragazzo davanti a lui, tendeva bene le orecchie
«Che
tipo di gioielli?»
«Qualsiasi cosa.
Orecchini, bracciali, spille, collane; di tutto».
La fissò
silenzioso, con un’espressione strana sul volto. Poi si
riscosse e le lanciò
l’ennesimo sorriso «Vorrà dire che
domani faremo un giro tra le bancarelle! Ho
proprio bisogno di fare acquisti! Per stasera…vorrei proprio
ordinare voi…»
mormorò suadente.
«Henry smettila» un
mormorio scontroso la fece voltare verso il ragazzo, che finalmente
aveva dato
segni di vita. L’uomo tacque divertito, mentre lui si
allungava sulla sedia e
alzava lo sguardo su di lei, incantandola con i suoi occhi blu. Si
scostò una ciocca
di capelli corvini dalla fronte e proseguì, senza prestarle
più attenzione del
dovuto «Prendiamo il piatto del giorno e un boccale di
birra».
Cassandra annuì e
si affrettò a sparire.
Quel ragazzo la
inquietava; sembrava un predatore in agguato.La sua bella apparenza era
solo
una trappola, avrebbe scommesso qualsiasi cosa che fosse pericoloso.
Continuò a
rimuginare, mentre serviva gli altri tavoli, lanciando ogni tanto delle
occhiate alla coppia nell’angolo. Anche l’uomo era
strano: nonostante l’avesse
provocata, non sembrava che lo facesse sul serio. Su di loro incombeva
un’aura
di mistero.
Tornò da loro con
un vassoio appesantito dalle birre e dai piatti di minestra e li stava
giusto
servendo, quando un fracasso alle sue spalle zittì
l’intero locale.
«Stai più attenta,
cameriera! Mi hai quasi tagliato!»
«Vi chiedo scusa»
Elisha era china a terra, che raccoglieva i cocci di un boccale di
vetro con
mani tremanti.
L’uomo seduto al
tavolo davanti a lei la fissava con malcelata ira, lasciandosi andare a
commenti
maligni «Sei una buona a nulla! Quelle come te avrebbero
bisogno di una bella
lezione!»
Elisha si scusò di
nuovo, sul punto di scoppiare a piangere. Cassandra si
inalberò e mollò il
vassoio sul tavolo, ignorando i clienti che doveva servire.
Dall’altra parte
del locale Francis tratteneva con fatica Harry, pronto a scatenare un
rissa
poco conveniente. Il signor Gorton sparì zoppicando a
cercare Rose.
Si avvicinò
velocemente all’amica, ergendosi in tutta la sua, piuttosto
limitata, altezza
alle spalle dell’uomo robusto che nel frattempo si era
alzato, indignato «Ma
come vi permettete?!» esclamò, attirando
l’attenzione di tutti «E’ stato solo
un incidente! Non l’ha fatto apposta! Vi ha anche chiesto
scusa!»
Quello la fissò
dall’alto in basso, poco contento della confidenza che si
stava prendendo una
semplice cameriera «Porta rispetto anche tu, ragazza! Con chi
credi di
parlare?! Sei solo una piccola sguattera!»
Nella locanda non
volava più una mosca, tutti in attesa di sapere come sarebbe
andata a finire.
Cassandra alzò un
mano, arrabbiata, pronta a farla calare sulla guancia di quel gran
maleducato,
ma la voce di Rose la bloccò «Cassandra».
Dopo un istante di
esitazione, abbassò il braccio senza smettere di fissare
truce l’uomo.
«Aiuta Elisha» Rose
si avvicinò a passi lenti, composta «Quella
è la porta, signore. Siete pregato
di uscire immediatamente dal mio locale».
«Con molto piacere!
Non sono mai stato trattato così in vita mia!»
esclamò indignato «Le vostre
cameriere sono del tutto incompetenti e inaffidabili! Dovreste
raddrizzarle un
po’!» se ne andò tutto impettito, sotto
gli sguardi d’odio di tutti. Anche i
clienti erano sconcertati; sapevano benissimo che le due ragazze erano
d’oro e
lavoravano con impegno.
«Vieni Ellie» le
sussurrò Cassandra, aiutandola ad alzarsi «Fermati
un attimo, ci penso io a
sistemare tutto».
«No, Cassie, è
colpa mia. Faccio io, non preoccuparti» scosse il capo
biondo, ancora tremante.
«Vai Elisha» le
ordinò imperiosa Rose, guardandola con malcelato affetto
«Accompagnala tu Harry».
Anche il ragazzo
aveva decisamente bisogno di prendere una boccata d’aria.
Francis lo lasciò
andare e lui si avviò verso la cucina, al fianco della
bionda.
Cassandra raccolse
tutti i cocci e li portò via, mentre Rose si adoperava per
pulire il pavimento
e rassicurare i clienti, che avevano preso ad esprimere calorosamente
la loro
solidarietà.
Quando tornò al
tavolo nove si ritrovò gli occhi azzurri del tale Henry che
la scrutavano.
«Vi chiedo scusa
per la scena a cui avete assistito. Non era nostra
intenzione».
«Oh, state
tranquilla!» la rassicurò lui con un sorriso
«Il comportamento di quell’uomo è
stato davvero riprovevole. E’ evidente che nessuno gli abbia
insegnato come
comportarsi con una donna. Però sarei stato davvero curioso
di vedere la potenza
delle vostre manine delicate!»
Cassandra trattenne
a stento un sorriso. Quell’uomo non era male, in fondo.
Eccentrico, certo, ma
stranamente simpatico.
Completamente
diverso dal suo silenzioso amico.
Eppure non riuscì a
togliersi quegli occhi blu dalla mente.
E anche dopo
essersi ritirata per la notte, il peso del suo sguardo le gravava
ancora sulle
spalle.
Ecco un nuovo
capitolo e la comparsa di due nuovi personaggi.
Vorrei
ringraziare tutti coloro che l’hanno letta e soprattutto Emily
Doyle
e Ghen
per
averla aggiunta tra le seguite.
Emily Doyle:
Sono
contenta che ti piacciano sia la
storia sia i personaggi e spero che continuerai a seguirla!
Ghen: Ti
ringrazio davvero
tanto per la tua recensione. Soprattutto per i consigli che mi hai
dato, in effetti
la punteggiatura è uno dei miei problemi, in questo capitolo
ho cercato di
cambiare un po’, spero di esserci riuscita almeno un pochino!
^.^ Lo scorso
capitolo era proprio di presentazione e sono felice di essere riuscita
a creare
dei personaggi interessanti. Come vedi in questo capitolo ne compaiono
altri
due e le intenzioni di Cassandra sono abbastanza chiare: lei vuole
partire da
solo, così come ha sempre fatto. Per quanto riguarda Harry:
si è creato da
solo, soltanto dopo mi sono accorta di quanto assomigliasse ad Harry
Potter! XD Spero ti
sia piaciuto anche questo capitolo! ^.^
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Capitolo 3 *** Chapter 3: Cold in the alley ***
Chapter
3: Cold in the alley
«Perché
devo sempre
andarci io?»
«Non
lamentarti!
Credi che ti lascerei maneggiare una scopa, con i clienti in
sala?»
«Ma
Rose-»
«Niente
“ma Rose”!
Fila!»
Cassandra
afferrò
il cestino e la borsa che le stava porgendo la donna, arricciando il
naso.
«Quando
avrò
oltrepassato quella porta, te ne pentirai»
borbottò scontrosa.
«L’unica
cosa di
cui mi pentirò sarà del non averti spedita via
subito!» le rispose, spingendola
verso la porta.
«Vado,
vado! Non
c’è bisogno di cacciarmi in questo modo!»
Continuando
a
lamentarsi uscì dalla locanda.
Guardò
la lista
accartocciata che aveva in mano e sospirò. Le ci sarebbe
voluta l’intera
mattinata.
***
«Dite
sul serio,
signor Vance? Credevo che si sarebbero messi d’accordo, prima
o poi».
«Hanno fatto un gran
trambusto, l’altra sera. Arnold non voleva ritrattare nemmeno
una virgola, ma
Joseph gli ha quasi tirato un bel destro sul naso. Era davvero uno
spettacolo,
mia cara».
«Ma non è scoppiata
nessuna rissa, vero?»
«No, certo che no!
Quei due non fanno altro che litigare dalla mattina alla sera, ma sono
completamente innocui!» gli occhi scuri del signor Vance
brillarono di
curiosità, mentre pesava un grosso mazzo di lattuga
«Ma dimmi, Cassie, ho
sentito che è accaduto qualcosa, ieri sera da
Rose».
La ragazza aggrottò
le sopracciglia fini, ancora risentita «Un uomo ha creduto di
poter trattarci
come delle stupide sguattere» sibilò, stringendo i
manici del paniere colmo «Ha
fatto quasi scoppiare a piangere Elisha!»
Il signor Vance
spalancò la bocca, indignato
«Imperdonabile!»
«Ma come ha osato!»
esclamò la moglie, appena sbucata dall’interno del
negozio con una cesta di
mele.
«Le ha dato
dell’incapace!»
«La piccola Elisha
è la ragazza più dolce e brava
dell’intera città! Quanto avrei voluto esserci
per sputarlo in faccia a quel villano!» la signora Vance era
sempre stata una
donna disinibita e schietta.
«L’avrei fatto io,
se Rose non l’avesse cacciato via!»
«Incredibile!»
«Quella donna è
capace di intervenire sempre nei momenti meno opportuni!»
soffiò esasperata Cassandra
«Stamani mi ha cacciato fuori dalla locanda, per evitare che
facessi le
pulizie» afferrò i cesti che le porgeva
l’uomo.
La signora si
lasciò andare in una risata divertita.
«Devi portare tutto
indietro da sola?» si stupì il signor Vance
«E’ molto pesante».
«Non preoccupatevi,
ce la faccio» si aprì in un sorriso gentile, per
non far preoccupare la coppia.
In fondo erano solo diversi chili di acquisti da trascinare per metri e
metri.
«Posso
aiutarvi io,
se me lo permettete».
Al suo fianco
comparve quel tale della locanda. L’uomo con i capelli biondi.
Cassandra
boccheggiò stupita per un istante «No, no! Non
voglio arrecarvi disturbo!»
«Ma figuratevi.
Devo tornare anch’io alla locanda. E i gentiluomini non
lasciano le damigelle
in pericolo» le sorrise per un istante, poi si
voltò verso i signori Vance
«Date a me gli acquisti della signorina Cassandra.
L’aiuterò io».
La signora Vance
glieli prose lieta, scoccando un’occhiata eloquente alla
ragazza «Siete molto
gentile signore. Senza il vostro aiuto sono sicura che sarebbe stata in
seria
difficoltà».
«Sono qui per
questo».
Cassandra pagò,
ricevendo in regalo dal signor Vance una mela, come sempre, e si
incamminò con
Henry verso la locanda, seguita dagli sguardi curiosi dei Vance.
«Siete stato molto
gentile» osservò imbarazzata.
Lui le scoccò uno
dei suoi soliti sorrisi incantevoli «E’ il dovere
di ogni uomo che si rispetti,
aiutare una donna».
In quel preciso
momento lo sentì.
Si
irrigidì,
rabbrividendo: era tornato.
Si guardò attorno
lentamente, senza attirare l’attenzione dell’uomo
al suo fianco.
La stava seguendo,
lo sapeva. Respirò profondamente, resistendo
all’impulso di bloccarsi, cercando
qualcosa con cui distrarsi.
E fu allora che
se
ne accorse.
La mascella di
Henry si era irrigidita. E lui proseguiva senza dire una parola.
Giunsero in
silenzio alla locanda e solo all’interno Cassandra
poté tirare un sospiro di
sollievo.
«Vi ringrazio
immensamente per avermi aiutata».
L’uomo si riscosse
e le porse le ceste cariche di frutta e verdura, forzando un sorriso
«Ogni
volta che lo desiderate. Ora devo andare, è stato un vero
piacere».
La salutò con un
elegante baciamano e si avviò al piano superiore, in
direzione della sua
camera.
Cassandra rimase lì
incantata: nessuno le aveva mai baciato la mano prima d’ora.
Era imbarazzante,
ma allo stesso tempo terribilmente ammaliante.
Persino quello
sgradevole ricordo scivolò via.
***
Sbuffò
per
l’ennesima volta. Sembrava che Rose la spedisse fuori di
proposito negli orari
di pulizia. Erano già tre giorni che succedeva.
Lo sapevano tutti
che non era in grado di maneggiare un qualsiasi oggetto servisse per
pulire una
superficie. Ma non era gentile farglielo pesare. Le espressioni
divertite di
Francis erano insopportabili.
Si
scostò una
ciocca di capelli dal viso, mentre imboccava un vicolo deserto, per
arrivare
più in fretta alla locanda.
Fu una pessima
mossa. E in futuro se ne sarebbe pentita amaramente.
Il gelo la
avvolse
completamente. Il cesto del pane cadde a terra, rovesciando il
contenuto. E
Cassandra si strinse le braccia intorno al corpo, guardandosi attorno
spaventata.
L’aveva
trovata.
Dei passi
strascicati la obbligarono a voltarsi.
Era
lì.
Non
l’aveva mai
visto in volto. Aveva solamente avvertito la sua presenza.
Era alto,
vestito
di un mantello logoro e sfilacciato, il viso coperto da bende nere.
Le si avvicinò,
facendola arretrare sempre più. Fino a quando la sua schiena
non toccò il muro
freddo dietro di lei.
In trappola.
Una mano bendata
si
avvicinò al suo volto. Un brivido la scosse, non appena le
sue lunghe dita
toccarono la pelle delicata del suo collo.
Deglutì, serrando
gli occhi. La mano scese, percorrendo tutte le curve del suo corpo,
mentre
l’altra sfiorò la catenella d’argento,
seguendone la forma.
Il ciondolo era
nascosto nell’incavo dei seni, sotto la veste, come sempre.
Il suo cuore mancò
un battito, quando si accorse che era proprio quello
l’obiettivo.
Cercò di
respingerlo, con tutte le forze di cui disponeva, ma rimaneva immobile,
come se
non se ne fosse nemmeno accorto.
Lo sentì toccare il
ciondolo, studiarlo e stringerlo nel palmo, senza poter fare nulla. Era
completamente indifesa.
Fu allora che il
peso di quel corpo estraneo scomparve e poté tornare a
respirare.
Si portò d’istinto
una mano al gioiello, sospirando di sollievo nell’avvertire
il metallo duro e
freddo sotto le sue dita.
Davanti a lei
non
c’era più nessuno. Se non un ragazzo vestito di
nero.
E si sentì morire
quando alzò gli occhi blu su di lei.
Si fissarono in
silenzio, il suo sguardo scese sulle sue mani, ancora strette intorno
al
ciondolo, poi lo riportò sul suo viso spaventato.
«Lo hai visto anche
tu?»
Cassandra sbatté le
palpebre. Non era quella la domanda che si aspettava. Anzi, era
intenzionata a
porgliela lei stessa.
Lui lo capì ed
imprecò sottovoce.
«Voi lo vedete?»
chiese con un groppo in gola «Chi era?»
Lo vide fare una
smorfia, stizzito. Poi iniziò ad andarsene, mormorando
«Stai certa che non era
umano».
Cassandra si
affrettò a seguirlo, la mente piena di domande. Era
l’unico che poteva
risponderle. L’unico, oltre lei, che riusciva a vedere.
«Aspettate!» lo
chiamò, allungando il passo
«Dov’è andato?»
«E’ scomparso. Ha
preferito scappare, piuttosto che affrontarmi» il biasimo
traspariva dalle sue
parole, mentre procedeva veloce verso la locanda, che si stagliava a
pochi
metri da loro.
«Ma cos’era,
allora? Voi lo sapete, perché non volete dirmelo?»
Lui si fermò e
fissò gli occhi nei suoi.
«Non sono affari
che ti riguardano».
Diede un’ultima
occhiata al suo ciondolo, in piena vista sul suo petto, ed
entrò nel locale.
Cassandra si morse
un labbro, irritata, e lo seguì.
Ma lui era già
sparito.
«E il
pane?»
La ragazza si girò
lentamente, assumendo l’espressione più innocente
del suo repertorio, e sorrise
debolmente a Rose.
«Mi dispiace. Deve
essermi caduto».
«Cosa?!» esclamò la
donna, infuriata «Cassandra! Smettila una buona volta di
avere la testa tra le
nuvole! Come posso affidarti degli incarichi, se non riesci a portarli
a
termine? Se fossi una qualunque ti avrei già sbattuta in
strada!»
«Scusa» mormorò
contrita.
«Cos’è successo?»
«Non posso
dirtelo».
Rose strinse le
labbra, ma capì.
Cassandra le
diceva
sempre tutto, a eccezione di quello che riguardava i suoi viaggi e il
suo
passato. Non le faceva piacere essere all’oscuro di parte
della sua vita, ma le
voleva bene, come ad una figlia, e se era questo che lei voleva, allora
l’avrebbe accontentata.
Sospirò
«Cassandra,
c’è qualcosa che vuoi dirmi?»
«Sì.
Ma non
adesso».
Si
arrese «Tra un
quarto d’ora si comincia. Preparati».
Cassandra
annuì e
andò in cucina, consapevole di doverle ben presto dire addio.
Ecco
il terzo capitolo. Finalmente si fanno scoperte
interessanti e non proprio piacevoli per la povera Cassandra! Vi
ringrazio per
aver letto lo scorso capitolo.
Emily Doyle: Ecco
l’aggiornamento, con un po’ di ritardo!
Ghen: Come
vedi non sono sempre veloci gli aggiornamenti. Mi fa piacere ricevere
consigli
e, se vuoi continuare, per me non c’è alcun
problema, anzi, ne sarei veramente
felice! Parlando dello scorso capitolo, personalmente avrei voluto
anch’io che
Cassie lo schiaffeggiasse, anche perché quell’uomo
era decisamente odioso ed
insopportabile! In questo capitolo si scopre qualcosina in
più sui problemi di
Cassandra e anche sui due forestieri! Spero ti sia piaciuto! ^.^
Al
prossimo aggiornamento!
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Capitolo 4 *** Chapter 4: Discovering ***
Chapter 4: Discovering
«Ho
aspettato fin
troppo! Rivoglio i miei soldi!»
«Cerca
di calmarti,
Frank, non vorrai fare una scenata».
«Non
mi interessa,
Rose! E’ da un mese che quel ragazzo mi deve trenta
denari!»
«Frank,
non
costringermi a minacciarti. Harry pagherà tutto e adesso
sparisci che dobbiamo
lavorare» Rose allungò un dito verso la porta,
guardando eloquente il signor
Wilbey. Quello scosse il capo esasperato e sibilò
«Non è finita qui, Rose. Non
puoi difenderlo per sempre».
«E’
uno dei miei
ragazzi. Lo difenderei fino alla morte».
Frank
se ne andò,
scontento.
«Ti
ringrazio,
Rose, ma non avresti dovuto esporti in quel modo. Non voglio causarti
più guai
di quelli che ho già portato».
«Non
dire
stupidaggini, Harry, e ora fila a lavorare, come pretendi di
guadagnare,
altrimenti?».
Se
ne andò,
burbera, borbottando di compiti da portare a termine e di giovani
scansafatiche.
«Rose
è molto
buona» commentò dolcemente Elisha, mentre tornava
in sala con Cassandra «Cerca
sempre di aiutarci, anche se lei stessa potrebbe rimetterci. Sono
davvero
felice di averla conosciuta».
Cassandra
si limitò
ad annuire, pensierosa. Era vero, Rose era sempre gentile e generosa
con tutti,
anche se per questo lei stessa finiva nei guai.
Prima
con lei.
L’aveva accolta da bambina, senza sapere nulla sul suo
passato e dopo averla
scoperta a rubare nel magazzino.
Poi
era arrivato
Harry, in cerca disperatamente di un impiego. Era già
indebitato, all’epoca, ma
Rose gli aveva dato un lavoro, nonostante molti cercassero di
dissuaderla. Si diceva
che fosse un lavativo, un delinquente. Ma si fidò di lui.
Aveva un ottimo
intuito Rose, sapeva riconoscere all’istante le brave
persone. Ed Harry era una
di quelle.
Non
faceva mai una
piega alle continue fughe di Cassandra, come non si arrabbiava degli
infiniti
debiti del ragazzo. Si limitava ad aiutarli e pregare che un
po’ di buonsenso
si sarebbe mostrato anche in loro.
***
«Signorina
Cassandra, che deliziosa sorpresa! Ero giusto intenzionato a chiedervi
se anche
stasera vi sareste occupata di noi».
La
ragazza sorrise,
avvicinandosi al tavolo tre.
«Certo,
signor
Henry. Cosa volete che vi porti?»
Il
biondo ci pensò
per qualche istante, poi decise «Mi piacerebbe provare la
bistecca di manzo».
«Con
della birra?»
«Sarebbe
perfetto»
spostò gli occhi sul ragazzo che si trovava di fronte, in
attesa.
«Anche
per me»
mormorò lui, con il solito tono di voce distaccato, che
ormai aveva imparato a
riconoscere.
«Torno
subito»
annuì, dirigendosi velocemente verso la cucina.
La
fiera era quasi
conclusa e il numero di clienti era sceso. Potevano addirittura
prendersi un
attimo di respiro tra una portata e l’altra.
Henry
capitava che
le si avvicinasse per fare una chiacchierata, dopo l’orario
di cena. Era
piacevole parlare con uno straniero, poteva portare delle notizie
interessanti.
Aveva
saputo che a
Maitland, oltre il mare, c’erano problemi per la successione
al trono. Nella
vicina Elwood i campi rendevano meno del previsto e
l’inflazione aumentava.
A
Brigham il re
pretendeva di emanare un editto per cui tutte le fanciulle del regno
avrebbero
dovuto essere a sua completa disposizione.
Notizie
che non
sarebbero mai arrivate a Glenville, se non dopo diversi mesi. E allora
non
sarebbero più state delle novità.
Era
piacevole
parlare con Henry. Sapeva come catturare l’attenzione del suo
interlocutore.
Il
suo compagno di
viaggio, invece, era il suo esatto opposto. Non parlava con nessuno e
stava
sempre per fatti suoi. Nemmeno Harry e la sua parlantina erano riusciti
a
strappargli qualche mugugno in più. Compariva solo agli
orari dei pasti e poi
spariva di nuovo. Non era piacevole trovarselo davanti
all’improvviso, con i
suoi vestiti scuri e lo sguardo freddo. Ma i suoi occhi blu
incantavano. Più di
una volta Cassandra aveva desiderato poterli guardare senza venirne
gelata. Ma
non osava farlo.
«Ecco.
Se avete
bisogno ancora di qualcosa chiamatemi pure» poggiò
i piatti e i boccali di
birra sul tavolo, sorridendo.
«Grazie
mille.
Posso chiedervi una cosa?»
Cassandra
annuì,
confusa. Gli occhi azzurri di Henry si posarono sulla catenella che
aveva al
collo.
«Non
ho potuto fare
a meno di notare che indossate una collana. Come mai la tenete
nascosta?»
Un
brivido le
percorse la spina dorsale. Non sapeva nemmeno lei il perché,
ma la inquietava
il fatto che in molti sembrassero interessati al suo ciondolo. A
partire
dall’essere di qualche pomeriggio prima.
«E’
più comodo
così. Non mi impiccia» rispose cauta, mantenendo
un tono cortese.
«Capisco.
Ma sarei
piuttosto curioso di vederla, adesso. Posso?» nonostante
l’aria leggera, capì
che non avrebbe accettato un no come risposta.
«Certo»
tirò fuori
dalla veste il ciondolo, sentendo gli sguardi dei due puntati addosso,
e glielo
mostrò.
Gli
occhi di Henry
si illuminarono «Molto bello davvero. Dove l’avete
preso?»
«Era
di mia madre.
Ce l’ho da quattordici anni».
Il
biondo sembrò
stupito «Scusate l’ardire, signorina Cassandra, ma
posso chiedervi la vostra
età?»
Lei
aggrottò la
fronte, riponendo al sicuro la collana «Ho diciannove
anni».
«Diciannove?
Chi
l’avrebbe mai detto! Giusto due in meno di Thomas!»
Thomas?
Fu
solo quando il
ragazzo dagli occhi blu fulminò l’uomo che
capì. Era lui Thomas.
Thomas.
«Come siete
giovani! Mi ricordo che alla vostra età ero solito fare
stragi di cuori. Invece
la vostra mente mi sembra sempre occupata da altro» Henry si
lasciò andare ai
ricordi, sotto lo sguardo infastidito dell’amico e quello
imbarazzato di
Cassandra.
«L’amore è la più
potente delle magie, ricordatevelo Cassandra» le
sussurrò, un sorriso
affettuoso sul volto.
Lei annuì, confusa,
e li lasciò mangiare in tutta tranquillità.
***
Sistemò le sedie,
mentre gli ultimi clienti discutevano al bancone del bar. Era quasi
orario di
chiusura e in molti si erano ormai ritirati nelle loro camere.
«Cassandra?»
Si girò, trovandosi
di fronte il viso sorridente di Henry.
«Signor Henry,
siete ancora in piedi?»
«Volevo salutarvi.
Domani mattina ripartiamo e temevo che non ci saremmo visti».
«Oh, partite già?»
chiese con una punta di delusione. Si era divertita con
l’uomo, le dispiaceva
molto vederlo andare via.
«Esatto. Dobbiamo
proprio tornare a casa. Ma sarei lieto di incontrarvi ancora, se mai
veniste a
Maitland».
«Sarebbe un
piacere» gli sorrise.
«Vi ringrazio per
esservi presa cura di noi in modo così amabile. Permettetemi
di affermare che
siete stata la conoscenza migliore di questo nostro viaggio»
le prese
delicatamente una mano e la baciò.
Cassandra ringraziò
della luce soffusa della sala, perché il rossore sulle sue
guance non sarebbe
passato facilmente inosservato.
«A presto, spero».
«Sì, arrivederci».
Rimase a fissarlo,
mentre si dirigeva al piano superiore, ma quando raggiunse le scale, il
suo
sguardo non poté non posarsi sul ragazzo moro, appoggiato
alla balaustra. La
stava fissando con i suoi occhi blu, in silenzio. Le lanciò
un’ultima occhiata
penetrante e si voltò, decidendosi a seguire il suo compagno.
Thomas. Strano come
avesse conosciuto il suo nome
solo prima che partissero. Con una morsa alla gola si
ricordò delle domande che
gli aveva fatto. Domande a cui lui non aveva risposto.
Si morse un labbro.
Era l’unico che vedeva, oltre a lei, non poteva lasciarlo
andare così, senza
neanche una misera spiegazione.
Ma cos’altro poteva
fare?
***
Correva.
Attorno a lei
c’era solo il buio, non riusciva nemmeno a distinguere la
direzione in cui
stava scappando. Sapeva soltanto che non poteva fermarsi.
Il gelo
avvolgeva ogni cosa, anche il suo cuore.
Inciampò e cadde
a terra; calde lacrime iniziarono a bagnarle le guance senza che
potesse fare
niente per fermarle.
Si rimise in
piedi a fatica e riprese la sua fuga disperata, sentendo un fruscio
alle sue
spalle che la spinse ad aumentare la velocità.
Ma incespicò
nuovamente e l’odore dell’erba umida le
penetrò nelle narici, quando sbatté con
il viso contro il terreno.
E si arrese,
incapace di muovere un singolo muscolo, con il respiro affannato e i
battiti
del cuore che le rimbombavano nelle orecchie.
Si girò sulla
schiena, sentendo la presenza avvicinarsi. In un attimo, nella completa
oscurità del posto, una mano, lunga e fredda, raggiunse il
suo volto.
Paralizzata dalla
paura, non un singolo rumore uscì dalle sue labbra serrate.
E poi, quella
mano già conosciuta si bloccò. Sul suo ciondolo.
Fu solo quando
sentì tirare la catenella, che riuscì ad aprire
la bocca e urlare con tutte le
sue forze.
Cassandra
spalancò
gli occhi di scatto, trovandosi a fissare il soffitto bianco della sua
stanza.
Si portò d’istinto una mano al medaglione,
continuando ad ansimare.
Poi
sospirò. Un
incubo.
Si
mise a sedere,
spossata, e si asciugò il sudore con l’altra mano.
Aveva spinto le coperte ai
piedi del letto e, da lì, penzolavano sul pavimento.
La
finestra aperta
faceva entrare uno spiffero d’aria; Cassandra si
alzò con le gambe che
tremavano ancora, come se avesse davvero corso con foga, e si diresse
verso
quella fonte di sollievo.
La
luna crescente
brillava alta nel cielo scuro e le stelle erano perfettamente visibili.
Chiuse
gli occhi e respirò profondamente, lasciando che
l’aria fresca le asciugasse il
sudore.
E
fu in quel
momento che un piccolo dettaglio le si affacciò alla mente:
quando era andata a
dormire, la finestra era
chiusa.
Come
vi avevo annunciato, gli aggiornamenti non saranno
affatto regolari. Spero comunque che continuerete a seguire questa
storia,
perché ne sarei davvero lieta.
Grazie
per aver letto.
Emily
Doyle: Beh,
temo che per avere la risposta a
tutti i tuoi dubbi, ci vorrà ancora parecchio! XD E questo
capitolo di certo
non aiuta a sbrogliare
la matassa!
Ghen:
Siete proprio
curiose! Ma purtroppo per il
momento non posso svelarvi niente! Non avete idea di quanto mi
dispiaccia! In questa
storia tutti nascondono qualcosa. Ma almeno ora sappiamo il nome del
ragazzo,
anche se ammetto di aver fatto fatica a trovarne uno che gli stesse
bene. Spero
ti sia piaciuto questo capitolo!
Grazie
a chi l’ha
aggiunta tra le preferite e le seguite!
Alla
prossima!
|
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Capitolo 5 *** Chapter 5: His eyes ***
Chapter 5: His eyes
«Rose, posso
parlarti? E’ importante».
La donna smise di
spazzare il pavimento e la scrutò.
Si era decisa:
sarebbe partita il prima possibile. Dopo l’incidente della
finestra non si era
sentita sicura, avrebbe potuto capitare di nuovo e coinvolgere qualcun
altro.
Doveva affrontare
il viaggio, quello a cui si stava preparando da tempo, e, per farlo,
avrebbe
dovuto tagliare i ponti con il passato. Non c’era altro modo.
Per quel motivo,
era giunto il momento di parlare con Rose.
«Va bene» le fece
un cenno e si spostarono in cucina. Margareth era andata al mercato con
Elisha
e la stanza era vuota.
«Dunque?» domandò
Rose, prendendo posto al tavolo di noce, imitata dalla ragazza.
Cassandra respirò
profondamente, prima di cominciare «Ti sei sempre chiesta il
motivo dei miei
improvvisi viaggi ed io ho deciso di rivelartelo» fece una
pausa: non era per
niente semplice confessarle tutto.
Con una mano
afferrò il ciondolo e glielo mostrò
«Sai che questo mi è stato dato da mia
madre. So che è importante, anche se non so il motivo.
E’ per questo che ho
iniziato a viaggiare: speravo di poter trovare delle informazioni. Non
sul
ciondolo in sé, ma sul mio passato. Sul perché io
vedo cose che gli altri non
vedono» sospirò «Devi capire che io non
rimpiango affatto i miei anni passati
qui con te, alla locanda. Davvero, sono stata felice. Sono
felice» si sporse
per stringerle una mano, con gli occhi lucidi.
«Tu per me sei come
una madre, Rose. Ma devo andare».
Rose strinse gli
occhi. Lo sapeva, se lo sentiva. «Non tornerai,
vero?» mormorò con voce
spezzata, mentre le lacrime si facevano strada sul suo volto.
«Non lo so» cercò
di trattenere il tremito nella sua voce. Doveva essere forte, quella
era la
strada che aveva deciso di percorrere.
«S-sapevo che eri
speciale, ma avrei voluto ta-tanto tenerti tutta per me» si
coprì il volto con
le mani e scoppiò a piangere, incapace di resistere oltre.
Cassandra la
abbracciò, posando la guancia bagnata sulla sua spalla
«Mi dispiace» mormorò
tra le lacrime «Darei qualunque cosa perché sia
tutto diverso, ma non posso».
«Lo so».
Passarono diverso
tempo abbracciate, finché Rose non si scostò e
asciugò il viso rosso.
«Basta piangere»
forzò un sorriso «va bene, devi partire, ma non
penserai davvero di poterti
liberare così facilmente di me».
Cassandra ricambiò
il sorriso, triste.
«Non importa quanto
tempo ci metterai, se uno e vent’anni, ma tu dovrai tornare
qui. Anche solo per
salutare e dirmi che stai bene e sei felice. Mi basta sapere che,
quando
partirai, non sarà l’ultima volta che
potrò vederti» le scostò una ciocca di
capelli castani, guardandola con affetto
«Promettimelo».
Almeno quello
poteva farlo. Se Rose era disposta ad aspettare, lei sarebbe tornata.
«Te lo
prometto».
***
La
sacca iniziava a
pesarle e i raggi caldi del sole non facevano altro che stancarla
maggiormente.
Era in viaggio da
due giorni e si era fermata giusto per mangiare e dormire. I piedi le
facevano
male e si sentiva davvero spossata. Secondo i suoi calcoli, aveva
davanti
ancora una giornata di cammino; se non ci fossero stati intoppi,
sarebbe giunta
a Lanford prima che calasse il sole.
Sospirò affaticata:
era quasi decisa a fare una breve pausa, magari all’ombra
degli alberi che
costeggiavano la strada. Ma proprio mentre iniziava a rallentare il
passo, un
rumore di zoccoli le giunse alle orecchie.
Si voltò curiosa,
riparandosi gli occhi con una mano. Poco distante, un carretto, tirato
da un
cavallo fulvo, si stava avvicinando. Alla guida c’era un
signore piuttosto
anziano, con una spiga tra le labbra.
Sorridendo,
Cassandra agitò un braccio, richiamando la sua attenzione.
L’uomo fermò il
carro davanti a lei, scrutandola da sotto il cappello di paglia.
«Scusate, buon
uomo» cominciò gentilmente «Posso
chiedervi dove siete diretto?»
Con una mano
grinzosa, si tolse la spiga di bocca «A est, al mercato di
Lanford».
Spalancando gli
occhi, si affrettò a domandargli «Sareste
così gentile da accettare la mia
compagnia, durante quest’ultima parte di viaggio?»
Lui la squadrò, poi
si fece leggermente da parte «Vai a Lanford anche
tu?»
Cassandra si
affrettò a salire, contenta di poter riposare un
po’ «Sì. Siete un mercante?»
Il vecchio annuì e
spronò il cavallo «Da dove vieni?»
«Da Glenville».
«Ci sono stato
recentemente, per la fiera di Primavera».
«Vi siete trovato bene?»
Lui sorrise,
accentuando le rughe sul suo volto «Glenville è un
bel posto».
Passarono il resto
del viaggio chiacchierando amabilmente. Il vecchio mercante sembrava un
tipo
burbero, ma una volta acceso il suo entusiasmo fu facile mantenere una
buona
conversazione.
Pranzarono insieme,
dividendo il cibo e i racconti, e a metà pomeriggio giunsero
finalmente in
vista di Lanford.
Dopo essersi
registrati all’ingresso della cittadina, Cassandra
salutò sorridente l’anziano
uomo, promettendogli un saluto prima di ripartire.
Nonostante le sue
ridotte dimensioni, Lanford era sempre stato un luogo affollato e anche
in quel
periodo non era da meno.
Cassandra si
avventurò tra le strade gremite e costeggiate da bancarelle
di qualsiasi tipo,
lanciando occhiate curiose qua e là, alla ricerca di una
locanda tranquilla
dove passare la notte.
Soltanto dopo esser
scampata alle diverse fragranze di saponi che un mercante insisteva a
farle
provare, si accorse di essere seguita.
Non era la solita
presenza gelida che la colmava di terrore, era decisamente un essere
umano.
Cautamente si fermò
ad una bancarella più affollata delle altre e si
guardò indietro, mischiandosi
alle comari che rimbambivano di ordinazioni il povero venditore.
Lo distinse subito:
era un uomo ben robusto, con un cappello a larga tesa ed un mantello da
viaggio
marrone; sulla mascella squadrata si intravedeva un lieve accenno di
barba
scura e il naso aquilino torreggiava sulla bocca sottile. Nel complesso
non
sembrava un tipo molto raccomandabile.
Leggermente
inquieta, riprese il suo giro cercando allo stesso tempo di seminare il
suo
inseguitore, senza mostrargli di essersene accorta.
“Perché?”
si
chiese morsicandosi un labbro; cosa poteva volere quell’uomo
da una forestiera
come lei? Probabilmente pensava di poter guadagnare denaro con un
minimo
sforzo. Non doveva sembrare una gran minaccia, minuta com’era.
Ma un’altra parte
di lei non credeva che fosse solo il furto l’obiettivo che
stava perseguendo.
Affrettò il passo,
mischiandosi alla folla e girando in una grande via a destra,
lì cominciò a
correre, per quanto le era possibile, schivando la gente; si
voltò per guardare
sopra la spalla e distinse chiaramente la figura dell’uomo
che girava nella
strada e aumentava il passo, senza staccarle gli occhi di dosso.
Fu allora che,
sbadata, andò addosso a qualcuno. La forza d’urto
la spinse indietro, ma due
mani calde la presero per le braccia, evitando di farla cadere a terra.
Ansimando, alzò il
volto. E incontrò lo sguardo più intenso che
avesse mai visto.
Spalancò gli occhi,
mentre il ragazzo davanti a lei faceva lo stesso, ma si permise solo un
attimo
di smarrimento, prima di lanciare un’altra occhiata
spaventata alle sue spalle,
dove l’uomo l’aveva quasi raggiunta. Allora
cercò di staccarsi dalla presa del
ragazzo, ma lui era concentrato su altro per prestarle attenzione.
I suoi occhi blu si
incupirono e finalmente si decise a riportarli su di lei.
«Dove stavi
correndo?»
Cassandra cercò
ancora di sgusciare via, tenendo d’occhio l’uomo
che si era fermato davanti alla
bancarella più vicina, fingendosi interessato alla mercanzia.
«Devo andare!»
esclamò concitata.
«Stai scappando».
«Oh, ma che
intuito» borbottò ironica, continuando a
dimenandosi.
Lui alzò un
sopracciglio corvino e la squadrò con una smorfia
«Codarda» sibilò poi.
A quella parola
Cassandra si immobilizzò e lo fulminò con gli
occhi azzurri «Scusate?!» soffiò
irata «Rimangiatevi quello che avete detto!»
Lui ghignò e, senza
una parola, tenendo salda la presa su un braccio, la
trascinò verso l’uomo.
Cassandra tentò di
tirarsi indietro, confusa e spaventata «Cosa state facendo?
Lasciatemi andare!»
La ignorò, finché
non si trovarono a un paio di metri di distanza dal suo inseguitore,
che li
sfidò con lo sguardo.
«Avete qualche
problema con la signorina?» gli chiese il ragazzo, con
un’espressione fredda
sul bel volto.
L’altro la guardò
di sfuggita, soffermandosi troppo a lungo sulle sue curve femminili e
provocando un rossore imbarazzato sulle guance di Cassandra. Poi
riportò la sua
attenzione sul ragazzo che la teneva per un braccio e scoprì
i denti storti in
un ghigno deplorevole.
«Nessun problema»
rispose con voce untuosa.
Lui sorrise
gelidamente «Allora vi consiglio di allontanarvi».
L’uomo ghignò
ancora e, senza aggiungere altro, se ne andò.
Solo quando fu ben
lontano, Cassandra si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a
quel
momento e lo rilasciò sollevata.
«Vi ringrazio»
mormorò, improvvisamente timorosa «E mi dispiace
per come vi ho trattato».
Lui si limitò a
scrollare le spalle con una smorfia e lasciarle il braccio,
improvvisamente
diventato troppo freddo e vuoto
senza la sua mano.
«Vedi di stare più
attenta, la prossima volta» la rimproverò,
voltandosi, intenzionato ad
andarsene.
Ma una voce allegra
bloccò entrambi.
«Thomas! Dove ti
eri-signorina Cassandra! Che incantevole sorpresa!»
Il capo biondo del
signor Henry si fece largo fino a trovarsi davanti a loro. Sorridendo,
l’uomo
fece un elegante baciamano a Cassandra, che arrossì
imbarazzata, ma allo stesso
tempo lieta di averlo incontrato.
«Ti lascio solo un
istante e subito trovi qualche donzella di cui approfittare!»
esclamò
melodrammatico Henry, procurandosi un’occhiataccia silenziosa
da parte del
moro.
«Oh, no, signor
Henry!» si affrettò ad intervenire la ragazza,
spiegando il malinteso «Il signor
Thomas mi ha soltanto aiutato in una situazione spiacevole!»
Henry sembrò
divertito «Il signor Thomas?» chiese divertito,
alzando le sopracciglia bionde
per poi scoppiare a ridere «Da quanto tempo nessuno ti
chiamava così, Tom?»
Lui fece schioccare
la lingua e iniziò ad andarsene, bloccato però da
un braccio dell’uomo.
«Eh, no! Non te ne
andrai proprio adesso che abbiamo incontrato la signorina Cassandra,
per di più
così vicini all’orario di cena, vero?
Ditemi» disse poi, rivolgendosi alla
ragazza «dove alloggiate?»
Lei arricciò la
bocca «Ecco, non ho ancora trovato una locanda in cui passare
la notte».
«Magnifico!»
esclamò Henry, guadagnandosi un’occhiata confusa e
una chiaramente contrariata
«Alloggerete nella nostra, così potremo cenare
insieme!»
Senza voler sentire
proteste, le fece strada fino alla loro locanda.
***
Nonostante
apprezzasse la cucina di Margareth, quella era la zuppa migliore che
avesse mai
mangiato: densa e saporita al punto giusto.
Mandò giù un altro
cucchiaio, sempre più contenta di aver avuto quella fortuna
inaspettata.
«E’ strano sentire
di una donna che viaggia da sola».
Cassandra alzò gli
occhi verso Henry, che la stava fissando curiosamente, tenendo il
cucchiaio
sopra il piatto.
«Non è pericoloso?»
La ragazza accennò
un sorriso «Basta sapere evitare i guai».
L’uomo ricambiò il
sorriso, mentre Cassandra arrossiva leggermente sotto lo sguardo
penetrante che
le aveva lanciato Thomas.
«Oggi mi sono
distratta» spiegò imbarazzata.
«Capita a tutti,
ogni tanto» la tranquillizzò il biondo
«E’ già abbastanza stupefacente che una
ragazza come voi abbia viaggiato molto e in sicurezza».
«Vi ringrazio»
disse lei gentilmente, riprendendo a mangiare.
Una volta terminata
la zuppa, una cameriera portò via i loro piatti.
Cassandra si guardò
attorno: era una locanda molto pulita ed efficiente, come quella di
Rose.
Avevano diverse camere libere e si era potuta rinfrescare prima della
cena.
Dopo tutto quel camminare e correre ne aveva avuto decisamente bisogno.
«Posso chiedervi il
motivo che vi spinge a viaggiare?» le chiese Henry,
guardandola fisso con i
suoi occhi azzurri.
Cassandra si morse
una guancia: non era convinta di volerglielo rivelare. Non dopo gli
ultimi
avvenimenti, non dopo l’improvviso interesse che in molti
nutrivano per il suo
ciondolo.
Non le era di certo
sfuggita l’occhiata che lo stesso Henry aveva lanciato al
medaglione, quando
glielo aveva mostrato. Addirittura Thomas l’aveva studiato
attentamente.
C’era qualcosa
intorno al suo pendente, ne era sicura. Ed era per quello che aveva
iniziato a
viaggiare.
Non sapeva se
poteva fidarsi di loro, però qualcosa le diceva di farlo.
Che se glielo
avessero voluto sottrarre, probabilmente ci sarebbero già
riusciti.
«E’ per via del mio
ciondolo» iniziò, fissando lo sguardo sulle
venature del tavolo di legno. Anche
senza guardare, sapeva di avere tutta la loro attenzione.
«Me l’ha lasciato
mia madre prima di morire e io voglio sapere da dove viene e chi
l’ha
realizzato».
«Come mai? Mi
sembra un interesse alquanto strano» disse Henry curioso,
aggrottando le
sopracciglia bionde.
Lei esitò, ma ormai
aveva iniziato, tanto valeva dire tutto.
Aprì bocca e
rispose, prima di rischiare un ripensamento «Non si
apre» alzò lo sguardo e lo
puntò sull’uomo davanti a lei «Dentro
c’è qualcosa, lo so, ma deve essersi
rotta la cerniera o altro, perché per quanti sforzi faccia
rimane chiuso».
Era frustrante.
L’unico oggetto che
la legava a sua madre, che poteva contenere qualcosa di importante, era
inaccessibile.
«Così ho deciso di
rintracciare chi l’ha fabbricato e farmelo aprire».
Henry la studiò
attentamente, perforandola con gli occhi chiari «Forse si
aprirà quand’è il
momento giusto, non ci avete pensato?»
Cassandra si fece
scappare una risatina di scherno «Il momento
giusto?» ripeté «E’ da
quattordici
anni che aspetto “il momento giusto”!»
sbatté un pugno sul tavolo, ignorando le
rapide occhiate che le lanciava la gente intorno.
«Continuerete a
viaggiare, quindi?» le chiese Henry pacatamente. La stava
studiando
attentamente e per la prima volta si accorse di quanto fosse ben
delineato il
suo volto.
La mascella era
forte e squadrata, gli zigomi pronunciati e il naso ben dritto. Aveva
un bel
viso, quasi aristocratico, ma erano le sue labbra ad essere una
tentazione,
troppo forte per poterla ignorare.
Aveva visto come sorrideva
alle donne, come le guardava, quasi denudandole con quello sguardo
profondo. E
Cassandra sapeva per certo che non si limitava a farlo con gli occhi.
Probabilmente, se
le avesse lanciato una di quelle occhiate, neanche lei sarebbe riuscita
a resistere.
Si sarebbe lasciata andare, dimenticando tutto quanto.
Eppure, per quanto
fosse bello, c’era qualcosa di sbagliato. Non era lui quello
giusto. Sarebbe
stata solo un’illusione, breve ed effimera.
«Continuerò a
viaggiare» gli rispose, sospirando.
Lui sorrise e
quello che disse poi la lasciò di stucco
«Perché non vi unite a noi?»
Cassandra spalancò
gli occhi, ma non fu lei a rispondere.
«Cosa?!»
Si era quasi
dimenticata di lui.
Era talmente
silenzioso che era difficile accorgersi della sua presenza.
Sarebbe stato
capace di raggiungere chiunque alle spalle, senza che quello se ne
rendesse
conto.
Non sarebbe stato
difficile scambiarlo per un’ombra, se non fosse stato per la
sua pelle chiara.
Creava uno strano contrasto con i suoi capelli scuri, neri come
l’ala di un
corvo. Scendevano a ricoprirgli la nuca e la fronte, mascherando appena
quelle
due pozze blu.
Non aveva mai visto
degli occhi di un colore simile. Con un solo rapido sguardo poteva
inchiodarla
dov’era e svuotarle la mente.
Henry avrebbe
potuto farle fare qualsiasi cosa con un solo tocco, un solo attimo di
intimità.
Ma a Thomas sarebbe
bastata una breve e misera occhiata.
Se avesse
incrociato i suoi occhi blu e lui le avesse ordinato di fare qualcosa,
lei
avrebbe obbedito senza esitare, senza nemmeno pensare.
Perché lui
incantava, senza nemmeno volerlo. Avrebbe potuto obbligare chiunque.
E in quel momento
il suo sguardo era fisso su Henry, che lo ricambiava tranquillo, con un
accenno
di sorriso.
«Perché no?»
riprese l’uomo, voltandosi verso Cassandra «Sareste
più sicura a viaggiare in
compagnia e sarebbe anche meno pesante».
«Henry» lo ammonì
Thomas, quasi sibilando.
Ma Henry lo zittì
con un cenno della mano, concentrato sul volto della ragazza
«Cosa ne pensate,
voi?»
Lei esitò,
lanciando una breve occhiata al moro per poi riportare la sua
attenzione
sull’uomo «Non voglio arrecarvi disturbo»
rispose intimidita «Posso continuare
a viaggiare da sola, come ho sempre fatto. Non è un
problema, per niente».
Henry si accigliò e
scosse il capo con disapprovazione «Non siate testarda,
signorina Cassandra.
State rendendo tutto più difficile».
«No» si intromise
Thomas «Sta ragionando, a differenza di te» strinse
i denti, irritato, e si
sporse verso il compagno di viaggio «Come pensi che potremmo
occuparci di lei?
Sarebbe solo un impiccio».
Cassandra si
accigliò. Non aveva intenzione di andare con loro, ma non
poteva sopportare
nemmeno che si parlasse in quei termini di lei.
«Thomas» lo riprese
Henry «non essere maleducato. Se la signorina Cassandra vuole
unirsi a noi,
sarà bene accetta. E tu non le procurerai alcun
disagio».
Il ragazzo serrò
ancora di più i denti «Lo sai che non ne
uscirà nulla di buono» sibilò, prima
di alzarsi di scatto e allontanarsi.
Cassandra strinse
le labbra e aggrottò la fronte. Che
razza di comportamento.
«Scusatelo» disse
Henry, scrollando appena il capo «E’ piuttosto
introverso e fatica a
socializzare. La vostra scelta non dovrebbe essere influenzata da
lui» le
sorrise con calore «Vi consiglio di accettare la mia
proposta, forse voi non ne
siete a conoscenza, ma negli ultimi tempi è diventato ancora
più pericoloso per
una donna, girovagare da sola. Potreste trovare molti malintenzionati
sulla
strada e non lo dico per spaventarvi, perché si tratta della
pura e semplice
verità».
La ragazza si morse
un labbro, indecisa. Se il signor Henry aveva ragione, allora sarebbe
stato
meglio accettare la sua offerta.
«Avete detto che
state cercando il fabbricante del vostro ciondolo, ma non avete avuto
molto
successo fino ad ora» continuò, senza aspettare
una risposta. Poi i suoi occhi
brillarono improvvisamente «Siete mai stata a
Maitland?»
Cassandra scosse il
capo, intuendo dove volesse arrivare.
«Potreste venirci
con noi. Se non avete avuto successo qui nel continente, forse
troverete
qualcosa a Maitland».
Riflettendoci, era
un’idea abbastanza buona. Henry aveva pienamente ragione.
«Però non voglio
disturbarvi» mormorò, iniziando ad accettare
l’idea. Se non fosse
stato per
Thomas.
Come se avesse
potuto leggerle nella mente, l’uomo sorrise «Se la
vostra decisione dipende da
Thomas, dovreste accettare. Lui se ne farà una
ragione».
Eppure non voleva
viaggiare sentendo i suoi occhi blu trafiggerle l’anima.
«Non lo so. Posso
darvi una risposta domani?»
Il biondo allargò
il sorriso «Ma certo!»
Cassandra non poté
fare a meno di ricambiare, prima di alzarsi e congedarsi per la notte.
***
Odiava quegli
incubi. E il sudore freddo che le imperlava la pelle.
Si passò una mano
tra i capelli lunghi e sospirò. Da quanto tempo duravano?
Troppi anni per
poterli contare.
Posò i piedi sul
pavimento e si alzò, facendo scricchiolare le assi di legno.
Aveva bisogno di
aria, di uscire da quella stanza troppo soffocante.
La pesante porta si
aprì con un cigolio e lei diede un’occhiata al
corridoio buio, tendendo le
orecchie per cogliere ogni minimo rumore. Si sentivano solo i cigolii
dei letti
e il russare, lieve o forte, degli avventori.
Abbastanza sicura
di non essere scoperta da nessuno, soprattutto in veste da notte, si
avventurò
all’esterno della sua stanza, giù per le scale,
verso la grande sala della
locanda.
I gradini gemettero
appena, ma lei non ci diede peso, continuando la sua discesa.
Le gambe le
tremavano ancora e il cuore batteva forte, procurandole un fastidioso
ronzio
nelle orecchie.
Si fermò ai piedi
della scalinata e, quando i suoi occhi si adattarono
all’oscurità, entrò nella
sala.
Ma mosse appena
pochi passi, prima di fermarsi di nuovo. Perché non era la
sola ad aver
approfittato della tranquillità notturna per schiarirsi i
pensieri.
Seduto su una
sedia, Thomas la fissava con i suoi occhi blu. Probabilmente si era
accorto di
lei ancora prima che scendesse le scale.
Lo vide rilassare
la postura, come se si fosse assicurato che non ci fosse stata nessuna
minaccia, e voltare il capo.
Cassandra sentì il
suo cuore palpitare e una strana stretta allo stomaco. Non si sentiva
molto
sicura; certo, il buio celava il suo volto arrossato e il suo
abbigliamento
discinto, ma faceva lo stesso con lui. E non sapere dove lui
si trovasse
esattamente, la rendeva inquieta.
Inspirò profondamente
e a piccoli passi si diresse verso la sedia più vicina,
cercando nel frattempo
di non urtare nulla.
Si sedette con un
lieve sospiro e incrociò le braccia sul tavolo,
appoggiandoci sopra il capo e
chiudendo gli occhi.
La sua pelle era
fredda e appiccicosa, avrebbe dovuto indossare qualcosa sulla leggera
camicia
da notte.
«Sei rumorosa».
Il relativo
silenzio fu rotto dalla voce di Thomas, che, inaspettata, la fece
sussultare.
Alzò la testa,
cercando di metterlo a fuoco. Riusciva ad intravederlo appena, nascosto
nella
zona più buia della stanza.
«Scusate» si limitò
a sussurrare, ricevendo in risposta soltanto un verso stizzito.
Dal piano superiore
provenne un lieve russare e il silenzio calò di nuovo.
Cassandra
approfittò dell’oscurità per osservare
il ragazzo come non aveva mai osato fare
prima di allora, sicura che lui non se ne sarebbe accorto.
Il buio mascherava
i suoi lineamenti, ma non la sua figura: era alto e dal fisico
asciutto.
Sembrava abituato ai lunghi viaggi e a maneggiare delle armi.
Assomigliava
quasi ad uno di quei cavalieri che, raramente, chiedevano
ospitalità alla
locanda di Rose per una notte.
Quel pomeriggio
l’aveva afferrata saldamente, quando gli aveva sbattuto
contro. Doveva essere
abbastanza forte e sicuramente aveva affrontato uomini peggiori del suo
inseguitore.
Era sfuggente e non
gli piaceva stare in mezzo alla gente, di quello ne era sicura. Come
era sicura
che fosse terribilmente testardo.
«Hai finito di
fissarmi?»
Cassandra spalancò
gli occhi azzurri, stupita che lui se ne fosse accorto, e
arrossì.
«Scusate» mormorò
imbarazzata.
A quello seguì
nuovamente un attimo silenzio, rotto solo da alcuni scricchiolii.
«Sei irritante. Non
credo di riuscire a sopportarti, se mi dai un’altra volta del
“voi”».
Cassandra non disse
nulla, troppo stupita che lui le parlasse di sua spontanea
volontà.
«Ti conviene
decidere in fretta» la sua voce inespressiva sembrava
più vicina, ma non
l’aveva sentito alzarsi. Nessun rumore.
«Non basare le tue
scelte sui voleri di qualcun altro» le passò alle
spalle con un unico fruscio,
per poi dirigersi verso le scale e sparire alla sua vista.
Cassandra sbatté
gli occhi. Le aveva forse
detto che avrebbe accettato la sua eventuale
presenza nel loro viaggio?
Si rialzò
lentamente, facendo frusciare la camicia leggera. Le gambe si mossero
da sole,
alla volta della sua stanza, fermandosi solo per ammirare la luna
crescente,
che gettava la sua luce lattea all’interno della stanza,
dritta su di lei.
Le piaceva
osservare la luna: riusciva sempre a calmarsi, qualsiasi pensiero la
stesse
torturando. Quella notte, poi, era incredibilmente bella.
Alzò una mano,
portandola all’altezza degli occhi. Era quasi perlacea e le
ricordò le leggende
che venivano spesso raccontate. Si diceva che immergersi in un lago
sotto la
luna piena aiutasse a conquistare la propria anima gemella.
Era il genere di
storie che amava Elisha.
Sospirò.
Chissà se stavano
tutti bene, a Glenville.
Abbassò lo sguardo,
afferrando stretto il suo ciondolo, e si voltò.
Non c’era nessuno,
probabilmente Thomas era già tornato nella sua stanza,
eppure si sentiva
osservata.
Non sentiva il
solito gelo e nemmeno il disagio che le aveva provocato
quell’uomo nel
pomeriggio. Era una sensazione piacevole e calda. Uno sguardo la
accarezzava,
sfiorando la sua pelle scoperta, scivolando lungo le sue curve, lungo
le pieghe
della veste bianca, calmando il suo cuore agitato e il suo animo
tormentato.
Era bello.
Chiuse gli occhi
per un istante, lasciando che le sue labbra si stendessero in un
sorriso.
Era da tempo che
non si sentiva così bene.
Lo stridio di una
civetta la riscosse, costringendola a riemergere da
quell’attimo di pace. Diede
un ultimo sguardo alla luna e si ritirò nella sua stanza,
lasciando il buio
dietro di sé.
Colpo
di scena: capitolo molto più lungo del solito! Il
fatto è che ho deciso di postare tutto quello che avevo
già scritto, per
continuare man mano, e piuttosto che interromperlo prima di arrivare
alla
locanda ho deciso di prolungarlo.
Come avete
potuto leggere succedono un sacco di cose: la partenza di Cassandra,
l’incontro
con Henry e Thomas, un piccolo dialogo con quest’ultimo e
qualcuno che la
fissa. Chi è che la fissa? Mah, non ve lo dico! Fate pure le
vostre congetture!
Ringrazio di
cuore chi ha commentato.
Hareth: Grazie! Sono
contenta che ti interessi la
storia e spero continuerai a seguirla! Sono stata davvero contenta di
leggere
la tua recensione!
Ghen: Non
preoccuparti, quello che conta è che
alla fine tu l’abbia letto! Gli occhi di Thomas in questo
capitolo sono ancora
più belli! Sinceramente, nonostante il suo carattere, sono
diventata una sua
fan! XD Per quanto riguarda il sogno di Cassie, quello è il
genere di incubo
che fa la notte e la finestra aperta è un mistero che non
posso svelare (anche
perché io stessa ho il dubbio su chi sia stato! XD) Questo
capitolo è decisamente
più lungo e almeno i misteri che riguardano Cassandra
iniziano a svelarsi pian
piano.
Grazie a tutti
coloro che hanno letto, Ghen
e Targul per
averla aggiunta tra le Preferite e Calliroe,
erato1984
e Hareth
per
averla inserita tra le
Seguite.
Sarei contenta
di sapere cosa ne pensate e se volete lasciarmi una recensione ve ne
sono
grata! Ma l’importante è che continui a piacervi!
Alla
prossima!
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