A chain to heaven

di Daphne_Descends
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1: A look into her life ***
Capitolo 2: *** Chapter 2: Turn of destiny ***
Capitolo 3: *** Chapter 3: Cold in the alley ***
Capitolo 4: *** Chapter 4: Discovering ***
Capitolo 5: *** Chapter 5: His eyes ***



Capitolo 1
*** Chapter 1: A look into her life ***


Chapter 1: A look into her life

 

 

 

 

Era dietro di lei.
Sentiva il gelo sul collo.
 
Si guardò attorno, con studiata lentezza, imprecando mentalmente alla vista della moltitudine di gente che la circondava.
Se fosse stata sola le sarebbero bastati pochi secondi, il tempo di girarsi, mirare e colpire.
 
«Signorina, vi sentite bene?»
 
Si voltò verso l’uomo anziano che l’aveva chiamata e la guardava preoccupato.
Senza accorgersene si era fermata in mezzo alla strada, intralciando il traffico. Si scusò con un lieve sorriso e si scostò, facendo passare le persone alle sue spalle. L’uomo le diede un’ultima occhiata e proseguì.
 
Era sparito.
Non avvertiva più nessuna presenza. Tirò un sospiro di sollievo e riprese a camminare. Doveva raggiungere la locanda prima che calasse il buio.
 
Il sole era poco sopra l’orizzonte e i commercianti stavano chiudendo le loro bancarelle.
Girò a sinistra, prendendo una traversa. Superò un fattore e il suo mulo che non voleva proseguire, una donna con un cesto di mele sul capo e due bambini per mano, tre commercianti che la seguirono con lo sguardo e dei ragazzini che correvano nella direzione opposta alla sua. E finalmente riuscì a leggere l’insegna della locanda di Rose.
 
La proprietaria, Rose per l’appunto, era una donna corpulenta e dalla bellezza ammaliante. Nonostante la taglia inconsueta, le sue forme morbide attiravano un numero cospicuo di avventori, tra viaggiatori e abitudinari. E sapeva bene come approfittarne. Le bastava muovere la chioma corvina e ondeggiare un po’ e riusciva a convincere anche i più refrattari.
 
La conosceva da quando, a nove anni, era stata sorpresa a rubare nel suo magazzino. Si ricordava ancora il modo in cui l’aveva fissata, con i penetranti occhi scuri che brillavano nella penombra della stanza. L’aveva trascinata in cucina e rimpinzata con qualsiasi cosa le capitasse a tiro, sotto lo sguardo di disapprovazione di Margareth, la cuoca, che insisteva a somministrarle zuppe di farro, a suo dire più nutrienti di quelle di zucca. Da quel momento l’aveva presa con sé, trasformandosi facilmente nella madre che aveva perso quattro anni prima.
 
Rose era la donna migliore che avesse mai incontrato. L’aveva accettata esattamente per com’era, anche dopo aver scoperto il suo inconfessabile segreto.
 
E sopportava le sue fughe da ben dieci anni.
 
La locanda era piena come al solito, i tavoli erano occupati da tutti gli stranieri arrivati per la fiera. Il signor Gorton le passò davanti, strizzandole un occhio e portando un piatto di pollo all’uomo seduto vicino alla finestra.
Era simpatico il signor Gorton, lavorava già da Rose quando era arrivata lei. Assomigliava tanto a suo nonno, anche se suo nonno era più scorbutico.
Riuscì ad intravedere anche la treccia bionda di Elisha che scompariva in cucina ed Harry che serviva una coppia al tavolo nell’angolo.
 
«Finalmente ti sei degnata di farti vedere».
Si stampò un sorriso angelico sul volto candido, mentre si girava verso Rose, entrata alle sue spalle con un sacco colmo d’avena.
«Ciao Rose, come stai?»
«Sei scomparsa per un’intera settimana, Cassandra. Mi hai fatto preoccupare!»
«Scusami Rose, io non-»
«Non lo farai più? Figurati se ci credo! Questa volta l’hai combinata grossa! Sette giorni! Senza una parola!»
«Era importante».
«Anche la tua vita lo è! Se ti fosse successo qualcosa, eh? Cos’avrei fatto? Probabilmente non l’avrei neanche saputo!»
«Scusami» abbassò lo sguardo, sconfitta. Quella volta Rose aveva ragione. Si era comportata da irresponsabile.
La vide sospirare e scuotere il capo «Fila in cucina! Scommetto che non hai mangiato niente. E vedi di non dare fastidio a Margareth».
Cassandra sorrise e se ne andò veloce, quasi scontrandosi con Francis, che portava tre boccali colmi di birra in bilico su un vassoio.
«Sei tornata» fece una smorfia, trovandosela davanti.
«Tu invece non te ne vai mai?»
Non era un segreto che lei e Francis non si sopportassero. Era stato assunto da Rose da tre anni e tra di loro era subito scoccata la scintilla dell’antipatia, nell’esatto istante in cui, distrattamente, lui le aveva fatto notare quanto fosse incapace nei lavori domestici. Neanche questo era un segreto, visto che ormai se n’erano accorti anche i clienti abituali, che ogni volta si facevano quattro risate a vederla maneggiare la scopa. E per quanto lo sapesse anche lei, sentirselo dire da uno sconosciuto, qual era Francis, le aveva montato una rabbia tale che la scopa la tirò dietro il suo cranio biondo e supponente.
Comunque lui si limitò a beffeggiarla con una sola occhiata e tornò al lavoro, mentre Cassandra entrava in cucina.
«Oh, la pecora è tornata all’ovile, finalmente!»
«Mi stai dando della pecora, Maggie? Non è carino da parte tua».
L’anziana donna sventolò per aria il mestolo sporco di zuppa e le sorrise con i luminosi occhi azzurri.
«Siediti lì, appena mi libero ti do qualcosa da mettere sotto i denti».
Prima che potesse anche solo fare un passo, dalla porta sul retro rientrò Elisha, che si illuminò e le corse incontro, per abbracciarla «Cassie! Meno male che stai bene! Ero così preoccupata!» Elisha si preoccupava fondamentalmente di tutto. Dei piatti caduti per terra, delle lenzuola lise, del gatto senza cibo, del venditore di tappeti vicino alla piazza del mercato, dei creditori di Harry, delle macchie sui tavoli, dei viaggi di Cassandra e delle previsioni del signor Gorton.
«E’ andato tutto bene, Ellie. Addirittura più tranquillo del solito».
La bionda la spinse verso il tavolo in legno pesante al centro della cucina e la fece sedere sulla sedia più vicina.
«Stai qui e non muoverti! Appena riesco a liberarmi voglio che mi racconti tutto quanto!».
 
 
Dovettero aspettare un paio d’ore, perché l’ora di cena terminasse e i soliti consumatori comparissero al bancone.
Il viaggio di Cassandra non era stato niente di straordinario. Se n’era andata, di punto in bianco, chissà dove. Non le chiedevano mai la sua meta, sapevano che era qualcosa che non avrebbe mai rivelato. Neppure Rose lo sapeva.
«Hai fatto qualche incontro interessante?»
«No, a parte un vecchio vagabondo che voleva vendermi una pipa, spacciandola per un richiamo per greggi. Forse avrebbe funzionato, se non l’avesse fumata davanti a me».
«Non intendevo in quel senso» sorrise Elisha alla sua espressione scocciata «Volevo dire, incontri romantici».
«Guarda che la vita non è come una di quelle storielle che ti racconta Maggie! Non basta andare a spasso per incontrare l’anima gemella. Dovresti smetterla di credere alle favole».
L’amica non l’ascoltò ed iniziò con la sua solita solfa sul vero amore. Lei ci credeva sul serio. Viveva in attesa del fantomatico principe azzurro che l’avrebbe portata via sul suo cavallo bianco. O almeno, l’avrebbe presa in moglie. Aspettava pazientemente il matrimonio, come ogni brava fanciulla in età da marito avrebbe dovuto fare.
Cassandra ascoltava i suoi sproloqui annoiata, frenando la lingua per non disilludere la giovane sognatrice. Non credeva affatto alla storia del principe. Era solo una montatura creata per convincere le ragazze a sposarsi. E lei, dall’alto dei suoi diciannove anni, era ben decisa a non cascarci mai.
«Qui, invece? E’ successo qualcosa di interessante?» la interruppe, conoscendo ormai a memoria il suo discorso.
La bionda scrollò le spalle «Niente di particolare. Sono tornati di nuovo i creditori ed Harry si è nascosto in soffitta. Sono preoccupata. Non può continuare a nascondersi, se non paga chissà cosa potrebbe succedergli».
Cassandra sorrise «Non angustiarti, vedrai che lo aiuterà Rose. Conosce bene il signor Wilbey, saprà come convincerlo a dargli più tempo».
«Vorrei fare qualcosa per aiutarlo».
L’altra mascherò una risata con un colpo di tosse, sapendo più che bene cosa avrebbe potuto fare Elisha per Harry. Ma non era il caso di dirlo all’amica.
«Davvero si è nascosto in soffitta?» chiese invece, immaginando il ragazzo nascosto dentro la cassa delle lenzuola di lino di Rose.
«Sì, è rimasto più di un’ora lì dentro, poverino!»
Cassandra scoppiò a ridere, guadagnandosi un’occhiataccia dalla vecchia Maggie, appena entrata.
«Non dovresti scomporti così, Cassandra. Non ti sposerà mai nessuno».
Si interruppe, giusto per dire «Meglio così!» poi riprese.
La cuoca la fissò con disapprovazione «Arriverà il momento in cui un uomo ti tapperà la bocca, bambina. E poi vedremo se sarai ancora della stessa opinione».
«Non ho mai sentito qualcosa di più assurdo» fece una smorfia e si alzò «Vado a vedere se di là hanno bisogno».
 
Dietro il bancone Rose ed Harry intrattenevano la clientela. Avevano entrambi una parlantina incredibile e il fiuto per gli affari. Forse era per quel motivo che la donna l’aveva assunto senza pensarci due volte.
 
Harry aveva ventidue anni, una massa incolta di capelli castani, occhi verde brillante, mente pronta e lingua lunga. Quasi più della sua lista di debiti che, chissà come, invece di accorciarsi, aumentava. E una cotta spaventosa per Elisha. Lei, ovviamente, non lo sapeva e continuava a sognare il suo principe azzurro e per Harry andava bene così, dato che l’avrebbe cacciata soltanto nei guai. E, ogni volta, cercava di dimenticarla con altre donne, senza mai riuscirci. Era encomiabile il suo impegno nello starle lontano.

«Cassandra!» esclamò, vedendola avvicinarsi al bancone.
«Ciao Harry, come va?» gli sorrise.
«Non c’è male, si va avanti-»
«E si scappa dai creditori».
«Non c’era bisogno di aggiungere dettagli futili» fece una smorfia, rivolto all’uomo al fianco dell’amica.
«Ti vergogni, Harry?» chiese lui sogghignando con i compari «Tanto scommetto che la piccola Cassie lo sapeva già. Vero, zucchero?»
La ragazza sorrise e lo abbracciò «Ciao zio Ben!»
Benjamin Bertram era il fratello maggiore di Rose. Si assomigliavano come due gocce d’acqua e, benché si trovassero spesso a discutere, era il “vecchio Ben” che le portava la maggior parte dei clienti. Era un uomo dai tratti affascinanti e l’aria burbera, ma nascondeva un cuore d’oro. Si era affezionato molto a quella trovatella che aveva adottato sua sorella, era come la figlia che non aveva mai avuto.
«Te l’hanno raccontato, vero?» le chiese, dandole un buffetto sulla guancia.
Lei ridacchiò «Deve avermelo accennato Elisha».
«No!»
L’espressione disperata di Harry fece ridere il gruppo.
«Quando la sposi quella benedetta ragazza?» chiese per l’ennesima volta il signor Quinton, un vecchio eccentrico con barba e capelli bianchi e un gusto particolare per infierire sulle persone.
Harry arrossì e con, ormai abituale, faccia tosta fece finta di niente e riprese a pulire un boccale di vetro. Mentre i vecchi continuavano a ciarlare su di lui.
«E’ vero che sei finito chiuso in soffitta?» gli chiese Cassandra.
Lui sospirò, poi sorrise «E’ la notorietà, tesoro».
Scoppiarono a ridere nello stesso momento. Con Harry non c’era bisogno di parlare, bastava uno sguardo per capire che le stava dando il bentornato.
«Ti sei persa un sacco di cose, sai?»
«Racconta!» si sporse sul bancone a braccia incrociate, l’amico iniziò a strofinare un altro boccale.
«Libby è tornata all’attacco».
«No! Non ci credo!»
Libby era una delle migliori amiche di Cassandra. Una ragazza minuta ed esuberante, che faceva disperare i suoi genitori. In città la conoscevano tutti e sapevano che, nonostante i suoi capelli rossi e la sua determinazione distruttiva, era buona come il pane. Da un paio d’anni i suoi occhi nocciola si erano posati su quello che sarebbe stato, testuali parole, “l’uomo della sua vita”. Ma Francis non la pensava allo stesso modo. E la sua abilità nella fuga davanti alla piccola Libby era pari solo a quella di Harry davanti ai creditori.
«Cos’è successo?»
«Questa volta Francis non ce l’ha fatta. Libby è riuscita a sorprenderlo mentre scappava».
«Gli ha chiesto di nuovo di sposarla?»
«Già» attaccarono a ridere, sotto le occhiate esasperate di Rose e dei suoi clienti. Mettere insieme Harry e Cassandra equivaleva a confusione totale.
 

***

 
Dopo un’intera settimana si trovava di nuovo nella sua stanza. Si sedette sullo sgabello davanti al piccolo tavolino da toilette e si osservò nello specchio appeso alle pareti di legno. Strano che nessuno le avesse fatto notare quanto fosse pallida e sciupata. Gli occhi azzurri erano velati dalla stanchezza e quasi lacrimavano per la luce della lampada ad olio. Prese la spazzola ed iniziò a pettinarsi i lunghi capelli castani, che ricadevano scomposti sulle spalle.
Indossò velocemente la veste da camera, di tessuto leggero e, mentre scostava le lenzuola, il ciondolo che portava al collo le rimbalzò sul petto. Sorrise, sedendosi sul letto, e lo prese tra le mani.
 
Era d’argento, lo sapeva, anche se sembrava un qualsiasi metallo, una semplice forma ovale con incisi una calla e un ramo d’edera intrecciati. Sua madre lo teneva sempre al collo, come un tesoro prezioso, e ogni tanto l’aveva vista sorridere a qualcosa di nascosto all’interno del pendente. Non sapeva cosa fosse, non era mai riuscita a far scattare l’apertura. Poco prima che morisse, la donna gliel’aveva donato, raccomandandole di non toglierselo mai. Il perché non lo sapeva, ma se per lei era così importante, allora l’avrebbe accontentata. E da quando aveva cinque anni non se l’era mai tolto, era sempre rimasto al suo collo, nascosto dai vestiti.
 
Si addormentò, stringendo tra le mani il ciondolo argentato ed entrando in uno dei suoi soliti, gelidi incubi.
 

 
 

***


Salve a tutti! Questa è la prima seria storia originale che mi trovo a scrivere. Come espresso negli avvertimenti è un’Alternative Universe. Questo capitolo è una sorta di introduzione, nel quale vengono presentati un po’ di personaggi. Non so con esattezza quando aggiornerò, forse ci vorrà del tempo, forse no.
Spero che vi piaccia!

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Capitolo 2
*** Chapter 2: Turn of destiny ***


Chapter 2: Turn of destiny

 
«Cassandra!»
La ragazza si chinò per raccogliere i cocci della ciotola che aveva appena fatto cadere.
«E’ la terza volta che rompi qualcosa, questa settimana. Si può sapere cosa ti prende?»
«Niente. Va tutto bene».
Margareth la guardò ancora per un istante, poi tornò al suo lavoro, scuotendo il capo.
Gli occhi di Cassandra si velarono. Non andava tutto bene. Gli incubi non le davano pace e questo stava a significare solo una cosa: stava per succedere qualcosa.

 
Uscì dalla cucina e si ritrovò all’aria aperta, sul cortile nel retro.
Quando sarebbe finito?
Odiava essere così. Odiava il suo segreto. Odiava tutto quanto, persino se stessa.
Da quando era morta sua madre, tutto era andato a pezzi. E per quanto amasse quel luogo, stava male. Quella non era casa sua.

 
Sospirò, con gli occhi velati di lacrime.
Doveva andarsene, partire e basta, senza sapere quando sarebbe tornata. Se fosse tornata. Le sarebbe servito del tempo per prepararsi alla partenza e salutare tutti.
Il dolore le attanagliò il cuore al pensiero degli amici che probabilmente non avrebbe più rivisto. Ma doveva farlo. Non poteva continuare a vivere in quell’eterno limbo di sofferenza.

 
Una mano salì automaticamente ad accarezzare il ciondolo d’argento. Nonostante le sue ricerche non aveva ancora scoperto da dove provenisse, chi l’avesse fabbricato e dato a sua madre. Si morse un labbro, inquieta. Doveva assolutamente scoprire qualcosa in più. Era sicura che fosse importante.

 
«Cassandra, allora? Quanto ti ci vuole per buttare via dei cocci rotti?» Margareth la richiamò all’ordine, comparendo sulla soglia della cucina con un mestolo sporco tra le mani.
«Arrivo» guardò un’ultima volta il cielo azzurro, poi rientrò, forzando un sorriso.

 

***

 
«Non vedo l’ora che finisca questa benedetta fiera!»
«Non dirlo a me. La mia schiena è ridotta peggio di quando il signor Ogden ci ha ballato sopra da ubriaco».
«Smettetela di ciarlare voi due! Non vi pago per fare comunella, chiaro?!»
Harry e Cassandra sussultarono, mentre Rose li superava con un vassoio carico di piatti di minestra. Si scusarono con un sorriso innocente e si affrettarono verso la cucina, trattenendo a stento le risate.

 
Quella sera la locanda era in pieno fermento. Gli avventori avevano invaso il locale e il chiasso aveva raggiunto livelli impensabili. Non c’erano mai stati così tanti clienti.
Persino il signor Gorton, con la sua gamba malandata, si dava il doppio da fare e Margareth spadellava senza sosta.
«Veloci!» esclamò quando li vide entrare in cucina «Questo al tavolo quattro e il pollo al sette!»
I due scattarono, afferrando i vassoi e tornando in sala. Cassandra portò i piatti di cosce di pollo arrosto al tavolo sette e si affrettò a tornare indietro, quando venne intercettata da Rose che le passò accanto «Tavolo nove, Cassie. Nuovi clienti» e prima che potesse risponderle qualcosa, la donna era già scomparsa.
Si scrollò il grembiule con una manata e si avviò veloce verso il tavolo nell’angolo.

 
Erano in due: il più giovane dava le spalle al muro e aveva la testa appoggiata sul palmo della mano; l’altro si studiava attorno e i suoi occhi azzurri brillarono divertiti, quando la vide avvicinarsi.
«Buonasera» li salutò, fermandosi accanto al loro tavolo e sorridendo cordiale, come le aveva insegnato Rose.
«Buonasera a voi!» ricambiò l’uomo con un sorriso luminoso. Il ragazzo, invece, non si sforzò neanche di mostrare se si fosse accorto del suo arrivo.
«Cosa desiderate ordinare?»
«Cosa ci consigliate?»
Cassandra si morse un labbro, pensierosa «Beh, abbiamo il piatto del giorno: minestra e pollo arrosto; oppure carne alla griglia, bistecche o bollito misto».
L’uomo non smise un attimo di sorridere, passandosi una mano tra i folti e lunghi capelli biondi «Posso ordinare voi? Sareste perfetta».
Cassandra sentì le guance andarle a fuoco e boccheggiò imbarazzata, sotto il suo sguardo scrutatore.
Si era già trovata in situazioni abbastanza simili, ma di solito quelli che ci provavano erano dei buzzurri, spesso ubriachi. E poi bastava un’occhiataccia di Rose per rimetterli in riga.
Ma quella volta Rose non c’era e le avance erano state lanciate da quello che sembrava un gentiluomo.
Prima che potesse dire qualcosa, quello ricominciò a parlare «Posso sapere cosa sta succedendo? L’ultima volta che sono venuto non c’era tutta questa confusione».
Gli rispose senza indugi, leggermente scossa «Siamo nel bel mezzo della fiera di Primavera, ne avrete sentito di certo parlare».
«Ah, sì!» la interruppe, battendosi una mano sulla fronte «La fiera che cambia di località ogni anno. Non sapevo si svolgesse qui».
Cassandra sorrise, orgogliosa della sua città «E’ iniziata un paio di settimane fa. Per Glenville è una grande occasione per fare affari!»
«Si trovano cose interessanti alla fiera?» chiese l’uomo, curioso.
«Certo! Si vende un po’ di tutto, da cibi e spezie ad armi, articoli per la casa, animali o gioielli».
«Gioielli?» ripeté affascinato, mentre il ragazzo davanti a lui, tendeva bene le orecchie «Che tipo di gioielli?»
«Qualsiasi cosa. Orecchini, bracciali, spille, collane; di tutto».
La fissò silenzioso, con un’espressione strana sul volto. Poi si riscosse e le lanciò l’ennesimo sorriso «Vorrà dire che domani faremo un giro tra le bancarelle! Ho proprio bisogno di fare acquisti! Per stasera…vorrei proprio ordinare voi…» mormorò suadente.
«Henry smettila» un mormorio scontroso la fece voltare verso il ragazzo, che finalmente aveva dato segni di vita. L’uomo tacque divertito, mentre lui si allungava sulla sedia e alzava lo sguardo su di lei, incantandola con i suoi occhi blu. Si scostò una ciocca di capelli corvini dalla fronte e proseguì, senza prestarle più attenzione del dovuto «Prendiamo il piatto del giorno e un boccale di birra».
Cassandra annuì e si affrettò a sparire.
Quel ragazzo la inquietava; sembrava un predatore in agguato.La sua bella apparenza era solo una trappola, avrebbe scommesso qualsiasi cosa che fosse pericoloso.

 
Continuò a rimuginare, mentre serviva gli altri tavoli, lanciando ogni tanto delle occhiate alla coppia nell’angolo. Anche l’uomo era strano: nonostante l’avesse provocata, non sembrava che lo facesse sul serio. Su di loro incombeva un’aura di mistero.

 
Tornò da loro con un vassoio appesantito dalle birre e dai piatti di minestra e li stava giusto servendo, quando un fracasso alle sue spalle zittì l’intero locale.
«Stai più attenta, cameriera! Mi hai quasi tagliato!»
«Vi chiedo scusa» Elisha era china a terra, che raccoglieva i cocci di un boccale di vetro con mani tremanti.
L’uomo seduto al tavolo davanti a lei la fissava con malcelata ira, lasciandosi andare a commenti maligni «Sei una buona a nulla! Quelle come te avrebbero bisogno di una bella lezione!»
Elisha si scusò di nuovo, sul punto di scoppiare a piangere. Cassandra si inalberò e mollò il vassoio sul tavolo, ignorando i clienti che doveva servire. Dall’altra parte del locale Francis tratteneva con fatica Harry, pronto a scatenare un rissa poco conveniente. Il signor Gorton sparì zoppicando a cercare Rose.
Si avvicinò velocemente all’amica, ergendosi in tutta la sua, piuttosto limitata, altezza alle spalle dell’uomo robusto che nel frattempo si era alzato, indignato «Ma come vi permettete?!» esclamò, attirando l’attenzione di tutti «E’ stato solo un incidente! Non l’ha fatto apposta! Vi ha anche chiesto scusa!»
Quello la fissò dall’alto in basso, poco contento della confidenza che si stava prendendo una semplice cameriera «Porta rispetto anche tu, ragazza! Con chi credi di parlare?! Sei solo una piccola sguattera!»
Nella locanda non volava più una mosca, tutti in attesa di sapere come sarebbe andata a finire.
Cassandra alzò un mano, arrabbiata, pronta a farla calare sulla guancia di quel gran maleducato, ma la voce di Rose la bloccò «Cassandra».
Dopo un istante di esitazione, abbassò il braccio senza smettere di fissare truce l’uomo.
«Aiuta Elisha» Rose si avvicinò a passi lenti, composta «Quella è la porta, signore. Siete pregato di uscire immediatamente dal mio locale».
«Con molto piacere! Non sono mai stato trattato così in vita mia!» esclamò indignato «Le vostre cameriere sono del tutto incompetenti e inaffidabili! Dovreste raddrizzarle un po’!» se ne andò tutto impettito, sotto gli sguardi d’odio di tutti. Anche i clienti erano sconcertati; sapevano benissimo che le due ragazze erano d’oro e lavoravano con impegno.
«Vieni Ellie» le sussurrò Cassandra, aiutandola ad alzarsi «Fermati un attimo, ci penso io a sistemare tutto».
«No, Cassie, è colpa mia. Faccio io, non preoccuparti» scosse il capo biondo, ancora tremante.
«Vai Elisha» le ordinò imperiosa Rose, guardandola con malcelato affetto «Accompagnala tu Harry».
Anche il ragazzo aveva decisamente bisogno di prendere una boccata d’aria. Francis lo lasciò andare e lui si avviò verso la cucina, al fianco della bionda.
Cassandra raccolse tutti i cocci e li portò via, mentre Rose si adoperava per pulire il pavimento e rassicurare i clienti, che avevano preso ad esprimere calorosamente la loro solidarietà.

 
Quando tornò al tavolo nove si ritrovò gli occhi azzurri del tale Henry che la scrutavano.
«Vi chiedo scusa per la scena a cui avete assistito. Non era nostra intenzione».
«Oh, state tranquilla!» la rassicurò lui con un sorriso «Il comportamento di quell’uomo è stato davvero riprovevole. E’ evidente che nessuno gli abbia insegnato come comportarsi con una donna. Però sarei stato davvero curioso di vedere la potenza delle vostre manine delicate!»
Cassandra trattenne a stento un sorriso. Quell’uomo non era male, in fondo. Eccentrico, certo, ma stranamente simpatico.
Completamente diverso dal suo silenzioso amico.

 
Eppure non riuscì a togliersi quegli occhi blu dalla mente.
E anche dopo essersi ritirata per la notte, il peso del suo sguardo le gravava ancora sulle spalle.

 

 

 

 

 
Ecco un nuovo capitolo e la comparsa di due nuovi personaggi.
Vorrei ringraziare tutti coloro che l’hanno letta e soprattutto
Emily Doyle e Ghen per averla aggiunta tra le seguite.

 
Emily Doyle:
Sono contenta che ti piacciano sia la storia sia i personaggi e spero che continuerai a seguirla!

 Ghen: Ti ringrazio davvero tanto per la tua recensione. Soprattutto per i consigli che mi hai dato, in effetti la punteggiatura è uno dei miei problemi, in questo capitolo ho cercato di cambiare un po’, spero di esserci riuscita almeno un pochino! ^.^ Lo scorso capitolo era proprio di presentazione e sono felice di essere riuscita a creare dei personaggi interessanti. Come vedi in questo capitolo ne compaiono altri due e le intenzioni di Cassandra sono abbastanza chiare: lei vuole partire da solo, così come ha sempre fatto. Per quanto riguarda Harry: si è creato da solo, soltanto dopo mi sono accorta di quanto assomigliasse ad Harry Potter! XD Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! ^.^

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Capitolo 3
*** Chapter 3: Cold in the alley ***


Chapter 3: Cold in the alley

 

«Perché devo sempre andarci io?»
«Non lamentarti! Credi che ti lascerei maneggiare una scopa, con i clienti in sala?»
«Ma Rose-»
«Niente “ma Rose”! Fila!»
Cassandra afferrò il cestino e la borsa che le stava porgendo la donna, arricciando il naso.
«Quando avrò oltrepassato quella porta, te ne pentirai» borbottò scontrosa.
«L’unica cosa di cui mi pentirò sarà del non averti spedita via subito!» le rispose, spingendola verso la porta.
«Vado, vado! Non c’è bisogno di cacciarmi in questo modo!»
Continuando a lamentarsi uscì dalla locanda.
Guardò la lista accartocciata che aveva in mano e sospirò. Le ci sarebbe voluta l’intera mattinata.
 

***

«Dite sul serio, signor Vance? Credevo che si sarebbero messi d’accordo, prima o poi».
«Hanno fatto un gran trambusto, l’altra sera. Arnold non voleva ritrattare nemmeno una virgola, ma Joseph gli ha quasi tirato un bel destro sul naso. Era davvero uno spettacolo, mia cara».
«Ma non è scoppiata nessuna rissa, vero?»
«No, certo che no! Quei due non fanno altro che litigare dalla mattina alla sera, ma sono completamente innocui!» gli occhi scuri del signor Vance brillarono di curiosità, mentre pesava un grosso mazzo di lattuga «Ma dimmi, Cassie, ho sentito che è accaduto qualcosa, ieri sera da Rose».
La ragazza aggrottò le sopracciglia fini, ancora risentita «Un uomo ha creduto di poter trattarci come delle stupide sguattere» sibilò, stringendo i manici del paniere colmo «Ha fatto quasi scoppiare a piangere Elisha!»
Il signor Vance spalancò la bocca, indignato «Imperdonabile!»
«Ma come ha osato!» esclamò la moglie, appena sbucata dall’interno del negozio con una cesta di mele.
«Le ha dato dell’incapace!»
«La piccola Elisha è la ragazza più dolce e brava dell’intera città! Quanto avrei voluto esserci per sputarlo in faccia a quel villano!» la signora Vance era sempre stata una donna disinibita e schietta.
«L’avrei fatto io, se Rose non l’avesse cacciato via!»
«Incredibile!»
«Quella donna è capace di intervenire sempre nei momenti meno opportuni!» soffiò esasperata Cassandra «Stamani mi ha cacciato fuori dalla locanda, per evitare che facessi le pulizie» afferrò i cesti che le porgeva l’uomo.
La signora si lasciò andare in una risata divertita.
«Devi portare tutto indietro da sola?» si stupì il signor Vance «E’ molto pesante».
«Non preoccupatevi, ce la faccio» si aprì in un sorriso gentile, per non far preoccupare la coppia. In fondo erano solo diversi chili di acquisti da trascinare per metri e metri.

«Posso aiutarvi io, se me lo permettete».

Al suo fianco comparve quel tale della locanda. L’uomo con i capelli biondi.
Cassandra boccheggiò stupita per un istante «No, no! Non voglio arrecarvi disturbo!»
«Ma figuratevi. Devo tornare anch’io alla locanda. E i gentiluomini non lasciano le damigelle in pericolo» le sorrise per un istante, poi si voltò verso i signori Vance «Date a me gli acquisti della signorina Cassandra. L’aiuterò io».
La signora Vance glieli prose lieta, scoccando un’occhiata eloquente alla ragazza «Siete molto gentile signore. Senza il vostro aiuto sono sicura che sarebbe stata in seria difficoltà».
«Sono qui per questo».
Cassandra pagò, ricevendo in regalo dal signor Vance una mela, come sempre, e si incamminò con Henry verso la locanda, seguita dagli sguardi curiosi dei Vance.
«Siete stato molto gentile» osservò imbarazzata.
Lui le scoccò uno dei suoi soliti sorrisi incantevoli «E’ il dovere di ogni uomo che si rispetti, aiutare una donna».

In quel preciso momento lo sentì.

Si irrigidì, rabbrividendo: era tornato.
Si guardò attorno lentamente, senza attirare l’attenzione dell’uomo al suo fianco.
La stava seguendo, lo sapeva. Respirò profondamente, resistendo all’impulso di bloccarsi, cercando qualcosa con cui distrarsi.

E fu allora che se ne accorse.
La mascella di Henry si era irrigidita. E lui proseguiva senza dire una parola.
Giunsero in silenzio alla locanda e solo all’interno Cassandra poté tirare un sospiro di sollievo.
«Vi ringrazio immensamente per avermi aiutata».
L’uomo si riscosse e le porse le ceste cariche di frutta e verdura, forzando un sorriso «Ogni volta che lo desiderate. Ora devo andare, è stato un vero piacere».
La salutò con un elegante baciamano e si avviò al piano superiore, in direzione della sua camera.
Cassandra rimase lì incantata: nessuno le aveva mai baciato la mano prima d’ora. Era imbarazzante, ma allo stesso tempo terribilmente ammaliante.
Persino quello sgradevole ricordo scivolò via.
 

***

Sbuffò per l’ennesima volta. Sembrava che Rose la spedisse fuori di proposito negli orari di pulizia. Erano già tre giorni che succedeva.
Lo sapevano tutti che non era in grado di maneggiare un qualsiasi oggetto servisse per pulire una superficie. Ma non era gentile farglielo pesare. Le espressioni divertite di Francis erano insopportabili.

Si scostò una ciocca di capelli dal viso, mentre imboccava un vicolo deserto, per arrivare più in fretta alla locanda.
 
Fu una pessima mossa. E in futuro se ne sarebbe pentita amaramente.

Il gelo la avvolse completamente. Il cesto del pane cadde a terra, rovesciando il contenuto. E Cassandra si strinse le braccia intorno al corpo, guardandosi attorno spaventata.

L’aveva trovata.

Dei passi strascicati la obbligarono a voltarsi.
Era lì.
Non l’aveva mai visto in volto. Aveva solamente avvertito la sua presenza.

Era alto, vestito di un mantello logoro e sfilacciato, il viso coperto da bende nere.
Le si avvicinò, facendola arretrare sempre più. Fino a quando la sua schiena non toccò il muro freddo dietro di lei.
 

In trappola.

Una mano bendata si avvicinò al suo volto. Un brivido la scosse, non appena le sue lunghe dita toccarono la pelle delicata del suo collo.
Deglutì, serrando gli occhi. La mano scese, percorrendo tutte le curve del suo corpo, mentre l’altra sfiorò la catenella d’argento, seguendone la forma.
Il ciondolo era nascosto nell’incavo dei seni, sotto la veste, come sempre. Il suo cuore mancò un battito, quando si accorse che era proprio quello l’obiettivo.
Cercò di respingerlo, con tutte le forze di cui disponeva, ma rimaneva immobile, come se non se ne fosse nemmeno accorto.
Lo sentì toccare il ciondolo, studiarlo e stringerlo nel palmo, senza poter fare nulla. Era completamente indifesa.

Fu allora che il peso di quel corpo estraneo scomparve e poté tornare a respirare.
Si portò d’istinto una mano al gioiello, sospirando di sollievo nell’avvertire il metallo duro e freddo sotto le sue dita.

Davanti a lei non c’era più nessuno. Se non un ragazzo vestito di nero.
E si sentì morire quando alzò gli occhi blu su di lei.
Si fissarono in silenzio, il suo sguardo scese sulle sue mani, ancora strette intorno al ciondolo, poi lo riportò sul suo viso spaventato.
«Lo hai visto anche tu?»
Cassandra sbatté le palpebre. Non era quella la domanda che si aspettava. Anzi, era intenzionata a porgliela lei stessa.
Lui lo capì ed imprecò sottovoce.
«Voi lo vedete?» chiese con un groppo in gola «Chi era?»
Lo vide fare una smorfia, stizzito. Poi iniziò ad andarsene, mormorando «Stai certa che non era umano».
Cassandra si affrettò a seguirlo, la mente piena di domande. Era l’unico che poteva risponderle. L’unico, oltre lei, che riusciva a vedere.
«Aspettate!» lo chiamò, allungando il passo «Dov’è andato?»
«E’ scomparso. Ha preferito scappare, piuttosto che affrontarmi» il biasimo traspariva dalle sue parole, mentre procedeva veloce verso la locanda, che si stagliava a pochi metri da loro.
«Ma cos’era, allora? Voi lo sapete, perché non volete dirmelo?»
Lui si fermò e fissò gli occhi nei suoi.
«Non sono affari che ti riguardano».
Diede un’ultima occhiata al suo ciondolo, in piena vista sul suo petto, ed entrò nel locale.
Cassandra si morse un labbro, irritata, e lo seguì.
Ma lui era già sparito.

«E il pane?»
La ragazza si girò lentamente, assumendo l’espressione più innocente del suo repertorio, e sorrise debolmente a Rose.
«Mi dispiace. Deve essermi caduto».
«Cosa?!» esclamò la donna, infuriata «Cassandra! Smettila una buona volta di avere la testa tra le nuvole! Come posso affidarti degli incarichi, se non riesci a portarli a termine? Se fossi una qualunque ti avrei già sbattuta in strada!»
«Scusa» mormorò contrita.
«Cos’è successo?»
«Non posso dirtelo».
Rose strinse le labbra, ma capì.

Cassandra le diceva sempre tutto, a eccezione di quello che riguardava i suoi viaggi e il suo passato. Non le faceva piacere essere all’oscuro di parte della sua vita, ma le voleva bene, come ad una figlia, e se era questo che lei voleva, allora l’avrebbe accontentata.

Sospirò «Cassandra, c’è qualcosa che vuoi dirmi?»
«Sì. Ma non adesso».
Si arrese «Tra un quarto d’ora si comincia. Preparati».
Cassandra annuì e andò in cucina, consapevole di doverle ben presto dire addio.

 

 

Ecco il terzo capitolo. Finalmente si fanno scoperte interessanti e non proprio piacevoli per la povera Cassandra! Vi ringrazio per aver letto lo scorso capitolo.

Emily Doyle: Ecco l’aggiornamento, con un po’ di ritardo!

Ghen: Come vedi non sono sempre veloci gli aggiornamenti. Mi fa piacere ricevere consigli e, se vuoi continuare, per me non c’è alcun problema, anzi, ne sarei veramente felice! Parlando dello scorso capitolo, personalmente avrei voluto anch’io che Cassie lo schiaffeggiasse, anche perché quell’uomo era decisamente odioso ed insopportabile! In questo capitolo si scopre qualcosina in più sui problemi di Cassandra e anche sui due forestieri! Spero ti sia piaciuto! ^.^

Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 4
*** Chapter 4: Discovering ***


Chapter 4: Discovering

 

 

«Ho aspettato fin troppo! Rivoglio i miei soldi!»
«Cerca di calmarti, Frank, non vorrai fare una scenata».
«Non mi interessa, Rose! E’ da un mese che quel ragazzo mi deve trenta denari!»
«Frank, non costringermi a minacciarti. Harry pagherà tutto e adesso sparisci che dobbiamo lavorare» Rose allungò un dito verso la porta, guardando eloquente il signor Wilbey. Quello scosse il capo esasperato e sibilò «Non è finita qui, Rose. Non puoi difenderlo per sempre».
«E’ uno dei miei ragazzi. Lo difenderei fino alla morte».
Frank se ne andò, scontento.
«Ti ringrazio, Rose, ma non avresti dovuto esporti in quel modo. Non voglio causarti più guai di quelli che ho già portato».
«Non dire stupidaggini, Harry, e ora fila a lavorare, come pretendi di guadagnare, altrimenti?».
Se ne andò, burbera, borbottando di compiti da portare a termine e di giovani scansafatiche.
«Rose è molto buona» commentò dolcemente Elisha, mentre tornava in sala con Cassandra «Cerca sempre di aiutarci, anche se lei stessa potrebbe rimetterci. Sono davvero felice di averla conosciuta».
Cassandra si limitò ad annuire, pensierosa. Era vero, Rose era sempre gentile e generosa con tutti, anche se per questo lei stessa finiva nei guai.
Prima con lei. L’aveva accolta da bambina, senza sapere nulla sul suo passato e dopo averla scoperta a rubare nel magazzino.
Poi era arrivato Harry, in cerca disperatamente di un impiego. Era già indebitato, all’epoca, ma Rose gli aveva dato un lavoro, nonostante molti cercassero di dissuaderla. Si diceva che fosse un lavativo, un delinquente. Ma si fidò di lui. Aveva un ottimo intuito Rose, sapeva riconoscere all’istante le brave persone. Ed Harry era una di quelle.
Non faceva mai una piega alle continue fughe di Cassandra, come non si arrabbiava degli infiniti debiti del ragazzo. Si limitava ad aiutarli e pregare che un po’ di buonsenso si sarebbe mostrato anche in loro.
 

***

 
«Signorina Cassandra, che deliziosa sorpresa! Ero giusto intenzionato a chiedervi se anche stasera vi sareste occupata di noi».
La ragazza sorrise, avvicinandosi al tavolo tre.
«Certo, signor Henry. Cosa volete che vi porti?»
Il biondo ci pensò per qualche istante, poi decise «Mi piacerebbe provare la bistecca di manzo».
«Con della birra?»
«Sarebbe perfetto» spostò gli occhi sul ragazzo che si trovava di fronte, in attesa.
«Anche per me» mormorò lui, con il solito tono di voce distaccato, che ormai aveva imparato a riconoscere.
«Torno subito» annuì, dirigendosi velocemente verso la cucina.
La fiera era quasi conclusa e il numero di clienti era sceso. Potevano addirittura prendersi un attimo di respiro tra una portata e l’altra.
Henry capitava che le si avvicinasse per fare una chiacchierata, dopo l’orario di cena. Era piacevole parlare con uno straniero, poteva portare delle notizie interessanti.
Aveva saputo che a Maitland, oltre il mare, c’erano problemi per la successione al trono. Nella vicina Elwood i campi rendevano meno del previsto e l’inflazione aumentava.
A Brigham il re pretendeva di emanare un editto per cui tutte le fanciulle del regno avrebbero dovuto essere a sua completa disposizione.
Notizie che non sarebbero mai arrivate a Glenville, se non dopo diversi mesi. E allora non sarebbero più state delle novità.
Era piacevole parlare con Henry. Sapeva come catturare l’attenzione del suo interlocutore.
Il suo compagno di viaggio, invece, era il suo esatto opposto. Non parlava con nessuno e stava sempre per fatti suoi. Nemmeno Harry e la sua parlantina erano riusciti a strappargli qualche mugugno in più. Compariva solo agli orari dei pasti e poi spariva di nuovo. Non era piacevole trovarselo davanti all’improvviso, con i suoi vestiti scuri e lo sguardo freddo. Ma i suoi occhi blu incantavano. Più di una volta Cassandra aveva desiderato poterli guardare senza venirne gelata. Ma non osava farlo.
«Ecco. Se avete bisogno ancora di qualcosa chiamatemi pure» poggiò i piatti e i boccali di birra sul tavolo, sorridendo.
«Grazie mille. Posso chiedervi una cosa?»
Cassandra annuì, confusa. Gli occhi azzurri di Henry si posarono sulla catenella che aveva al collo.
«Non ho potuto fare a meno di notare che indossate una collana. Come mai la tenete nascosta?»
Un brivido le percorse la spina dorsale. Non sapeva nemmeno lei il perché, ma la inquietava il fatto che in molti sembrassero interessati al suo ciondolo. A partire dall’essere di qualche pomeriggio prima.
«E’ più comodo così. Non mi impiccia» rispose cauta, mantenendo un tono cortese.
«Capisco. Ma sarei piuttosto curioso di vederla, adesso. Posso?» nonostante l’aria leggera, capì che non avrebbe accettato un no come risposta.
«Certo» tirò fuori dalla veste il ciondolo, sentendo gli sguardi dei due puntati addosso, e glielo mostrò.
Gli occhi di Henry si illuminarono «Molto bello davvero. Dove l’avete preso?»
«Era di mia madre. Ce l’ho da quattordici anni».
Il biondo sembrò stupito «Scusate l’ardire, signorina Cassandra, ma posso chiedervi la vostra età?»
Lei aggrottò la fronte, riponendo al sicuro la collana «Ho diciannove anni».
«Diciannove? Chi l’avrebbe mai detto! Giusto due in meno di Thomas!»
Thomas?
Fu solo quando il ragazzo dagli occhi blu fulminò l’uomo che capì. Era lui Thomas.

Thomas.
«Come siete giovani! Mi ricordo che alla vostra età ero solito fare stragi di cuori. Invece la vostra mente mi sembra sempre occupata da altro» Henry si lasciò andare ai ricordi, sotto lo sguardo infastidito dell’amico e quello imbarazzato di Cassandra.
«L’amore è la più potente delle magie, ricordatevelo Cassandra» le sussurrò, un sorriso affettuoso sul volto.
Lei annuì, confusa, e li lasciò mangiare in tutta tranquillità.
 

***

 
Sistemò le sedie, mentre gli ultimi clienti discutevano al bancone del bar. Era quasi orario di chiusura e in molti si erano ormai ritirati nelle loro camere.
«Cassandra?»
Si girò, trovandosi di fronte il viso sorridente di Henry.
«Signor Henry, siete ancora in piedi?»
«Volevo salutarvi. Domani mattina ripartiamo e temevo che non ci saremmo visti».
«Oh, partite già?» chiese con una punta di delusione. Si era divertita con l’uomo, le dispiaceva molto vederlo andare via.
«Esatto. Dobbiamo proprio tornare a casa. Ma sarei lieto di incontrarvi ancora, se mai veniste a Maitland».
«Sarebbe un piacere» gli sorrise.
«Vi ringrazio per esservi presa cura di noi in modo così amabile. Permettetemi di affermare che siete stata la conoscenza migliore di questo nostro viaggio» le prese delicatamente una mano e la baciò.
Cassandra ringraziò della luce soffusa della sala, perché il rossore sulle sue guance non sarebbe passato facilmente inosservato.
«A presto, spero».
«Sì, arrivederci».
Rimase a fissarlo, mentre si dirigeva al piano superiore, ma quando raggiunse le scale, il suo sguardo non poté non posarsi sul ragazzo moro, appoggiato alla balaustra. La stava fissando con i suoi occhi blu, in silenzio. Le lanciò un’ultima occhiata penetrante e si voltò, decidendosi a seguire il suo compagno.

Thomas. Strano come avesse conosciuto il suo nome solo prima che partissero. Con una morsa alla gola si ricordò delle domande che gli aveva fatto. Domande a cui lui non aveva risposto.
Si morse un labbro. Era l’unico che vedeva, oltre a lei, non poteva lasciarlo andare così, senza neanche una misera spiegazione.
Ma cos’altro poteva fare?
 

***

 
Correva.
Attorno a lei c’era solo il buio, non riusciva nemmeno a distinguere la direzione in cui stava scappando. Sapeva soltanto che non poteva fermarsi.
Il gelo avvolgeva ogni cosa, anche il suo cuore.
Inciampò e cadde a terra; calde lacrime iniziarono a bagnarle le guance senza che potesse fare niente per fermarle.
Si rimise in piedi a fatica e riprese la sua fuga disperata, sentendo un fruscio alle sue spalle che la spinse ad aumentare la velocità.
Ma incespicò nuovamente e l’odore dell’erba umida le penetrò nelle narici, quando sbatté con il viso contro il terreno.
E si arrese, incapace di muovere un singolo muscolo, con il respiro affannato e i battiti del cuore che le rimbombavano nelle orecchie.
Si girò sulla schiena, sentendo la presenza avvicinarsi. In un attimo, nella completa oscurità del posto, una mano, lunga e fredda, raggiunse il suo volto.
Paralizzata dalla paura, non un singolo rumore uscì dalle sue labbra serrate.
E poi, quella mano già conosciuta si bloccò. Sul suo ciondolo.
Fu solo quando sentì tirare la catenella, che riuscì ad aprire la bocca e urlare con tutte le sue forze.

 
Cassandra spalancò gli occhi di scatto, trovandosi a fissare il soffitto bianco della sua stanza. Si portò d’istinto una mano al medaglione, continuando ad ansimare.
Poi sospirò. Un incubo.
Si mise a sedere, spossata, e si asciugò il sudore con l’altra mano. Aveva spinto le coperte ai piedi del letto e, da lì, penzolavano sul pavimento.
La finestra aperta faceva entrare uno spiffero d’aria; Cassandra si alzò con le gambe che tremavano ancora, come se avesse davvero corso con foga, e si diresse verso quella fonte di sollievo.
La luna crescente brillava alta nel cielo scuro e le stelle erano perfettamente visibili. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, lasciando che l’aria fresca le asciugasse il sudore.
E fu in quel momento che un piccolo dettaglio le si affacciò alla mente: quando era andata a dormire, la finestra era chiusa.

 

 

 
 
 

Come vi avevo annunciato, gli aggiornamenti non saranno affatto regolari. Spero comunque che continuerete a seguire questa storia, perché ne sarei davvero lieta.
Grazie per aver letto.
Emily Doyle: Beh, temo che per avere la risposta a tutti i tuoi dubbi, ci vorrà ancora parecchio! XD E questo capitolo di certo non aiuta a sbrogliare la matassa!
Ghen:
Siete proprio curiose! Ma purtroppo per il momento non posso svelarvi niente! Non avete idea di quanto mi dispiaccia! In questa storia tutti nascondono qualcosa. Ma almeno ora sappiamo il nome del ragazzo, anche se ammetto di aver fatto fatica a trovarne uno che gli stesse bene. Spero ti sia piaciuto questo capitolo!
Grazie a chi l’ha aggiunta tra le preferite e le seguite!
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Chapter 5: His eyes ***


Chapter 5: His eyes

 

 

«Rose, posso parlarti? E’ importante».
La donna smise di spazzare il pavimento e la scrutò.
Si era decisa: sarebbe partita il prima possibile. Dopo l’incidente della finestra non si era sentita sicura, avrebbe potuto capitare di nuovo e coinvolgere qualcun altro.
Doveva affrontare il viaggio, quello a cui si stava preparando da tempo, e, per farlo, avrebbe dovuto tagliare i ponti con il passato. Non c’era altro modo.
Per quel motivo, era giunto il momento di parlare con Rose.
«Va bene» le fece un cenno e si spostarono in cucina. Margareth era andata al mercato con Elisha e la stanza era vuota.
«Dunque?» domandò Rose, prendendo posto al tavolo di noce, imitata dalla ragazza.
Cassandra respirò profondamente, prima di cominciare «Ti sei sempre chiesta il motivo dei miei improvvisi viaggi ed io ho deciso di rivelartelo» fece una pausa: non era per niente semplice confessarle tutto.
Con una mano afferrò il ciondolo e glielo mostrò «Sai che questo mi è stato dato da mia madre. So che è importante, anche se non so il motivo. E’ per questo che ho iniziato a viaggiare: speravo di poter trovare delle informazioni. Non sul ciondolo in sé, ma sul mio passato. Sul perché io vedo cose che gli altri non vedono» sospirò «Devi capire che io non rimpiango affatto i miei anni passati qui con te, alla locanda. Davvero, sono stata felice. Sono felice» si sporse per stringerle una mano, con gli occhi lucidi.
«Tu per me sei come una madre, Rose. Ma devo andare».
Rose strinse gli occhi. Lo sapeva, se lo sentiva. «Non tornerai, vero?» mormorò con voce spezzata, mentre le lacrime si facevano strada sul suo volto.
«Non lo so» cercò di trattenere il tremito nella sua voce. Doveva essere forte, quella era la strada che aveva deciso di percorrere.
«S-sapevo che eri speciale, ma avrei voluto ta-tanto tenerti tutta per me» si coprì il volto con le mani e scoppiò a piangere, incapace di resistere oltre.
Cassandra la abbracciò, posando la guancia bagnata sulla sua spalla «Mi dispiace» mormorò tra le lacrime «Darei qualunque cosa perché sia tutto diverso, ma non posso».
«Lo so».
Passarono diverso tempo abbracciate, finché Rose non si scostò e asciugò il viso rosso.
«Basta piangere» forzò un sorriso «va bene, devi partire, ma non penserai davvero di poterti liberare così facilmente di me».
Cassandra ricambiò il sorriso, triste.
«Non importa quanto tempo ci metterai, se uno e vent’anni, ma tu dovrai tornare qui. Anche solo per salutare e dirmi che stai bene e sei felice. Mi basta sapere che, quando partirai, non sarà l’ultima volta che potrò vederti» le scostò una ciocca di capelli castani, guardandola con affetto «Promettimelo».
Almeno quello poteva farlo. Se Rose era disposta ad aspettare, lei sarebbe tornata. «Te lo prometto».
 

***


La sacca iniziava a pesarle e i raggi caldi del sole non facevano altro che stancarla maggiormente.
Era in viaggio da due giorni e si era fermata giusto per mangiare e dormire. I piedi le facevano male e si sentiva davvero spossata. Secondo i suoi calcoli, aveva davanti ancora una giornata di cammino; se non ci fossero stati intoppi, sarebbe giunta a Lanford prima che calasse il sole.
Sospirò affaticata: era quasi decisa a fare una breve pausa, magari all’ombra degli alberi che costeggiavano la strada. Ma proprio mentre iniziava a rallentare il passo, un rumore di zoccoli le giunse alle orecchie.
Si voltò curiosa, riparandosi gli occhi con una mano. Poco distante, un carretto, tirato da un cavallo fulvo, si stava avvicinando. Alla guida c’era un signore piuttosto anziano, con una spiga tra le labbra.
Sorridendo, Cassandra agitò un braccio, richiamando la sua attenzione.
L’uomo fermò il carro davanti a lei, scrutandola da sotto il cappello di paglia.
«Scusate, buon uomo» cominciò gentilmente «Posso chiedervi dove siete diretto?»
Con una mano grinzosa, si tolse la spiga di bocca «A est, al mercato di Lanford».
Spalancando gli occhi, si affrettò a domandargli «Sareste così gentile da accettare la mia compagnia, durante quest’ultima parte di viaggio?»
Lui la squadrò, poi si fece leggermente da parte «Vai a Lanford anche tu?»
Cassandra si affrettò a salire, contenta di poter riposare un po’ «Sì. Siete un mercante?»
Il vecchio annuì e spronò il cavallo «Da dove vieni?»
«Da Glenville».
«Ci sono stato recentemente, per la fiera di Primavera».
«Vi siete trovato bene?»
Lui sorrise, accentuando le rughe sul suo volto «Glenville è un bel posto».

 
Passarono il resto del viaggio chiacchierando amabilmente. Il vecchio mercante sembrava un tipo burbero, ma una volta acceso il suo entusiasmo fu facile mantenere una buona conversazione.
Pranzarono insieme, dividendo il cibo e i racconti, e a metà pomeriggio giunsero finalmente in vista di Lanford.
Dopo essersi registrati all’ingresso della cittadina, Cassandra salutò sorridente l’anziano uomo, promettendogli un saluto prima di ripartire.
Nonostante le sue ridotte dimensioni, Lanford era sempre stato un luogo affollato e anche in quel periodo non era da meno.
Cassandra si avventurò tra le strade gremite e costeggiate da bancarelle di qualsiasi tipo, lanciando occhiate curiose qua e là, alla ricerca di una locanda tranquilla dove passare la notte.
Soltanto dopo esser scampata alle diverse fragranze di saponi che un mercante insisteva a farle provare, si accorse di essere seguita.
Non era la solita presenza gelida che la colmava di terrore, era decisamente un essere umano.
Cautamente si fermò ad una bancarella più affollata delle altre e si guardò indietro, mischiandosi alle comari che rimbambivano di ordinazioni il povero venditore.
Lo distinse subito: era un uomo ben robusto, con un cappello a larga tesa ed un mantello da viaggio marrone; sulla mascella squadrata si intravedeva un lieve accenno di barba scura e il naso aquilino torreggiava sulla bocca sottile. Nel complesso non sembrava un tipo molto raccomandabile.
Leggermente inquieta, riprese il suo giro cercando allo stesso tempo di seminare il suo inseguitore, senza mostrargli di essersene accorta.
Perché?” si chiese morsicandosi un labbro; cosa poteva volere quell’uomo da una forestiera come lei? Probabilmente pensava di poter guadagnare denaro con un minimo sforzo. Non doveva sembrare una gran minaccia, minuta com’era.
Ma un’altra parte di lei non credeva che fosse solo il furto l’obiettivo che stava perseguendo.
Affrettò il passo, mischiandosi alla folla e girando in una grande via a destra, lì cominciò a correre, per quanto le era possibile, schivando la gente; si voltò per guardare sopra la spalla e distinse chiaramente la figura dell’uomo che girava nella strada e aumentava il passo, senza staccarle gli occhi di dosso.
Fu allora che, sbadata, andò addosso a qualcuno. La forza d’urto la spinse indietro, ma due mani calde la presero per le braccia, evitando di farla cadere a terra.
Ansimando, alzò il volto. E incontrò lo sguardo più intenso che avesse mai visto.
Spalancò gli occhi, mentre il ragazzo davanti a lei faceva lo stesso, ma si permise solo un attimo di smarrimento, prima di lanciare un’altra occhiata spaventata alle sue spalle, dove l’uomo l’aveva quasi raggiunta. Allora cercò di staccarsi dalla presa del ragazzo, ma lui era concentrato su altro per prestarle attenzione.
I suoi occhi blu si incupirono e finalmente si decise a riportarli su di lei.
«Dove stavi correndo?»
Cassandra cercò ancora di sgusciare via, tenendo d’occhio l’uomo che si era fermato davanti alla bancarella più vicina, fingendosi interessato alla mercanzia.
«Devo andare!» esclamò concitata.
«Stai scappando».
«Oh, ma che intuito» borbottò ironica, continuando a dimenandosi.
Lui alzò un sopracciglio corvino e la squadrò con una smorfia «Codarda» sibilò poi.
A quella parola Cassandra si immobilizzò e lo fulminò con gli occhi azzurri «Scusate?!» soffiò irata «Rimangiatevi quello che avete detto!»
Lui ghignò e, senza una parola, tenendo salda la presa su un braccio, la trascinò verso l’uomo.
Cassandra tentò di tirarsi indietro, confusa e spaventata «Cosa state facendo? Lasciatemi andare!»
La ignorò, finché non si trovarono a un paio di metri di distanza dal suo inseguitore, che li sfidò con lo sguardo.
«Avete qualche problema con la signorina?» gli chiese il ragazzo, con un’espressione fredda sul bel volto.
L’altro la guardò di sfuggita, soffermandosi troppo a lungo sulle sue curve femminili e provocando un rossore imbarazzato sulle guance di Cassandra. Poi riportò la sua attenzione sul ragazzo che la teneva per un braccio e scoprì i denti storti in un ghigno deplorevole.
«Nessun problema» rispose con voce untuosa.
Lui sorrise gelidamente «Allora vi consiglio di allontanarvi».
L’uomo ghignò ancora e, senza aggiungere altro, se ne andò.
Solo quando fu ben lontano, Cassandra si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento e lo rilasciò sollevata.
«Vi ringrazio» mormorò, improvvisamente timorosa «E mi dispiace per come vi ho trattato».
Lui si limitò a scrollare le spalle con una smorfia e lasciarle il braccio, improvvisamente diventato troppo freddo e vuoto senza la sua mano.
«Vedi di stare più attenta, la prossima volta» la rimproverò, voltandosi, intenzionato ad andarsene.
Ma una voce allegra bloccò entrambi.
«Thomas! Dove ti eri-signorina Cassandra! Che incantevole sorpresa!»
Il capo biondo del signor Henry si fece largo fino a trovarsi davanti a loro. Sorridendo, l’uomo fece un elegante baciamano a Cassandra, che arrossì imbarazzata, ma allo stesso tempo lieta di averlo incontrato.
«Ti lascio solo un istante e subito trovi qualche donzella di cui approfittare!» esclamò melodrammatico Henry, procurandosi un’occhiataccia silenziosa da parte del moro.
«Oh, no, signor Henry!» si affrettò ad intervenire la ragazza, spiegando il malinteso «Il signor Thomas mi ha soltanto aiutato in una situazione spiacevole!»
Henry sembrò divertito «Il signor Thomas?» chiese divertito, alzando le sopracciglia bionde per poi scoppiare a ridere «Da quanto tempo nessuno ti chiamava così, Tom?»
Lui fece schioccare la lingua e iniziò ad andarsene, bloccato però da un braccio dell’uomo.
«Eh, no! Non te ne andrai proprio adesso che abbiamo incontrato la signorina Cassandra, per di più così vicini all’orario di cena, vero? Ditemi» disse poi, rivolgendosi alla ragazza «dove alloggiate?»
Lei arricciò la bocca «Ecco, non ho ancora trovato una locanda in cui passare la notte».
«Magnifico!» esclamò Henry, guadagnandosi un’occhiata confusa e una chiaramente contrariata «Alloggerete nella nostra, così potremo cenare insieme!»
Senza voler sentire proteste, le fece strada fino alla loro locanda.
 

***

 
Nonostante apprezzasse la cucina di Margareth, quella era la zuppa migliore che avesse mai mangiato: densa e saporita al punto giusto.
Mandò giù un altro cucchiaio, sempre più contenta di aver avuto quella fortuna inaspettata.
«E’ strano sentire di una donna che viaggia da sola».
Cassandra alzò gli occhi verso Henry, che la stava fissando curiosamente, tenendo il cucchiaio sopra il piatto.
«Non è pericoloso?»
La ragazza accennò un sorriso «Basta sapere evitare i guai».
L’uomo ricambiò il sorriso, mentre Cassandra arrossiva leggermente sotto lo sguardo penetrante che le aveva lanciato Thomas.
«Oggi mi sono distratta» spiegò imbarazzata.
«Capita a tutti, ogni tanto» la tranquillizzò il biondo «E’ già abbastanza stupefacente che una ragazza come voi abbia viaggiato molto e in sicurezza».
«Vi ringrazio» disse lei gentilmente, riprendendo a mangiare.
Una volta terminata la zuppa, una cameriera portò via i loro piatti.
Cassandra si guardò attorno: era una locanda molto pulita ed efficiente, come quella di Rose. Avevano diverse camere libere e si era potuta rinfrescare prima della cena. Dopo tutto quel camminare e correre ne aveva avuto decisamente bisogno.
«Posso chiedervi il motivo che vi spinge a viaggiare?» le chiese Henry, guardandola fisso con i suoi occhi azzurri.
Cassandra si morse una guancia: non era convinta di volerglielo rivelare. Non dopo gli ultimi avvenimenti, non dopo l’improvviso interesse che in molti nutrivano per il suo ciondolo.
Non le era di certo sfuggita l’occhiata che lo stesso Henry aveva lanciato al medaglione, quando glielo aveva mostrato. Addirittura Thomas l’aveva studiato attentamente.
C’era qualcosa intorno al suo pendente, ne era sicura. Ed era per quello che aveva iniziato a viaggiare.
Non sapeva se poteva fidarsi di loro, però qualcosa le diceva di farlo. Che se glielo avessero voluto sottrarre, probabilmente ci sarebbero già riusciti.
«E’ per via del mio ciondolo» iniziò, fissando lo sguardo sulle venature del tavolo di legno. Anche senza guardare, sapeva di avere tutta la loro attenzione.
«Me l’ha lasciato mia madre prima di morire e io voglio sapere da dove viene e chi l’ha realizzato».
«Come mai? Mi sembra un interesse alquanto strano» disse Henry curioso, aggrottando le sopracciglia bionde.
Lei esitò, ma ormai aveva iniziato, tanto valeva dire tutto.
Aprì bocca e rispose, prima di rischiare un ripensamento «Non si apre» alzò lo sguardo e lo puntò sull’uomo davanti a lei «Dentro c’è qualcosa, lo so, ma deve essersi rotta la cerniera o altro, perché per quanti sforzi faccia rimane chiuso».
Era frustrante.
L’unico oggetto che la legava a sua madre, che poteva contenere qualcosa di importante, era inaccessibile.
«Così ho deciso di rintracciare chi l’ha fabbricato e farmelo aprire».
Henry la studiò attentamente, perforandola con gli occhi chiari «Forse si aprirà quand’è il momento giusto, non ci avete pensato?»
Cassandra si fece scappare una risatina di scherno «Il momento giusto?» ripeté «E’ da quattordici anni che aspetto “il momento giusto”!» sbatté un pugno sul tavolo, ignorando le rapide occhiate che le lanciava la gente intorno.
«Continuerete a viaggiare, quindi?» le chiese Henry pacatamente. La stava studiando attentamente e per la prima volta si accorse di quanto fosse ben delineato il suo volto.
La mascella era forte e squadrata, gli zigomi pronunciati e il naso ben dritto. Aveva un bel viso, quasi aristocratico, ma erano le sue labbra ad essere una tentazione, troppo forte per poterla ignorare.
Aveva visto come sorrideva alle donne, come le guardava, quasi denudandole con quello sguardo profondo. E Cassandra sapeva per certo che non si limitava a farlo con gli occhi.
Probabilmente, se le avesse lanciato una di quelle occhiate, neanche lei sarebbe riuscita a resistere. Si sarebbe lasciata andare, dimenticando tutto quanto.
Eppure, per quanto fosse bello, c’era qualcosa di sbagliato. Non era lui quello giusto. Sarebbe stata solo un’illusione, breve ed effimera.
«Continuerò a viaggiare» gli rispose, sospirando.
Lui sorrise e quello che disse poi la lasciò di stucco «Perché non vi unite a noi?»
Cassandra spalancò gli occhi, ma non fu lei a rispondere.
«Cosa?!»
Si era quasi dimenticata di lui.
Era talmente silenzioso che era difficile accorgersi della sua presenza.
Sarebbe stato capace di raggiungere chiunque alle spalle, senza che quello se ne rendesse conto.
Non sarebbe stato difficile scambiarlo per un’ombra, se non fosse stato per la sua pelle chiara. Creava uno strano contrasto con i suoi capelli scuri, neri come l’ala di un corvo. Scendevano a ricoprirgli la nuca e la fronte, mascherando appena quelle due pozze blu.
Non aveva mai visto degli occhi di un colore simile. Con un solo rapido sguardo poteva inchiodarla dov’era e svuotarle la mente.
Henry avrebbe potuto farle fare qualsiasi cosa con un solo tocco, un solo attimo di intimità.
Ma a Thomas sarebbe bastata una breve e misera occhiata.
Se avesse incrociato i suoi occhi blu e lui le avesse ordinato di fare qualcosa, lei avrebbe obbedito senza esitare, senza nemmeno pensare.
Perché lui incantava, senza nemmeno volerlo. Avrebbe potuto obbligare chiunque.
E in quel momento il suo sguardo era fisso su Henry, che lo ricambiava tranquillo, con un accenno di sorriso.
«Perché no?» riprese l’uomo, voltandosi verso Cassandra «Sareste più sicura a viaggiare in compagnia e sarebbe anche meno pesante».
«Henry» lo ammonì Thomas, quasi sibilando.
Ma Henry lo zittì con un cenno della mano, concentrato sul volto della ragazza «Cosa ne pensate, voi?»
Lei esitò, lanciando una breve occhiata al moro per poi riportare la sua attenzione sull’uomo «Non voglio arrecarvi disturbo» rispose intimidita «Posso continuare a viaggiare da sola, come ho sempre fatto. Non è un problema, per niente».
Henry si accigliò e scosse il capo con disapprovazione «Non siate testarda, signorina Cassandra. State rendendo tutto più difficile».
«No» si intromise Thomas «Sta ragionando, a differenza di te» strinse i denti, irritato, e si sporse verso il compagno di viaggio «Come pensi che potremmo occuparci di lei? Sarebbe solo un impiccio».
Cassandra si accigliò. Non aveva intenzione di andare con loro, ma non poteva sopportare nemmeno che si parlasse in quei termini di lei.
«Thomas» lo riprese Henry «non essere maleducato. Se la signorina Cassandra vuole unirsi a noi, sarà bene accetta. E tu non le procurerai alcun disagio».
Il ragazzo serrò ancora di più i denti «Lo sai che non ne uscirà nulla di buono» sibilò, prima di alzarsi di scatto e allontanarsi.
Cassandra strinse le labbra e aggrottò la fronte. Che razza di comportamento.
«Scusatelo» disse Henry, scrollando appena il capo «E’ piuttosto introverso e fatica a socializzare. La vostra scelta non dovrebbe essere influenzata da lui» le sorrise con calore «Vi consiglio di accettare la mia proposta, forse voi non ne siete a conoscenza, ma negli ultimi tempi è diventato ancora più pericoloso per una donna, girovagare da sola. Potreste trovare molti malintenzionati sulla strada e non lo dico per spaventarvi, perché si tratta della pura e semplice verità».
La ragazza si morse un labbro, indecisa. Se il signor Henry aveva ragione, allora sarebbe stato meglio accettare la sua offerta.
«Avete detto che state cercando il fabbricante del vostro ciondolo, ma non avete avuto molto successo fino ad ora» continuò, senza aspettare una risposta. Poi i suoi occhi brillarono improvvisamente «Siete mai stata a Maitland?»
Cassandra scosse il capo, intuendo dove volesse arrivare.
«Potreste venirci con noi. Se non avete avuto successo qui nel continente, forse troverete qualcosa a Maitland».
Riflettendoci, era un’idea abbastanza buona. Henry aveva pienamente ragione.
«Però non voglio disturbarvi» mormorò, iniziando ad accettare l’idea. Se non fosse stato per Thomas.
Come se avesse potuto leggerle nella mente, l’uomo sorrise «Se la vostra decisione dipende da Thomas, dovreste accettare. Lui se ne farà una ragione».
Eppure non voleva viaggiare sentendo i suoi occhi blu trafiggerle l’anima.
«Non lo so. Posso darvi una risposta domani?»
Il biondo allargò il sorriso «Ma certo!»
Cassandra non poté fare a meno di ricambiare, prima di alzarsi e congedarsi per la notte.
 

***

 
Odiava quegli incubi. E il sudore freddo che le imperlava la pelle.
Si passò una mano tra i capelli lunghi e sospirò. Da quanto tempo duravano? Troppi anni per poterli contare.
Posò i piedi sul pavimento e si alzò, facendo scricchiolare le assi di legno. Aveva bisogno di aria, di uscire da quella stanza troppo soffocante.
La pesante porta si aprì con un cigolio e lei diede un’occhiata al corridoio buio, tendendo le orecchie per cogliere ogni minimo rumore. Si sentivano solo i cigolii dei letti e il russare, lieve o forte, degli avventori.
Abbastanza sicura di non essere scoperta da nessuno, soprattutto in veste da notte, si avventurò all’esterno della sua stanza, giù per le scale, verso la grande sala della locanda.
I gradini gemettero appena, ma lei non ci diede peso, continuando la sua discesa.
Le gambe le tremavano ancora e il cuore batteva forte, procurandole un fastidioso ronzio nelle orecchie.
Si fermò ai piedi della scalinata e, quando i suoi occhi si adattarono all’oscurità, entrò nella sala.
Ma mosse appena pochi passi, prima di fermarsi di nuovo. Perché non era la sola ad aver approfittato della tranquillità notturna per schiarirsi i pensieri.
Seduto su una sedia, Thomas la fissava con i suoi occhi blu. Probabilmente si era accorto di lei ancora prima che scendesse le scale.
Lo vide rilassare la postura, come se si fosse assicurato che non ci fosse stata nessuna minaccia, e voltare il capo.
Cassandra sentì il suo cuore palpitare e una strana stretta allo stomaco. Non si sentiva molto sicura; certo, il buio celava il suo volto arrossato e il suo abbigliamento discinto, ma faceva lo stesso con lui. E non sapere dove lui si trovasse esattamente, la rendeva inquieta.
Inspirò profondamente e a piccoli passi si diresse verso la sedia più vicina, cercando nel frattempo di non urtare nulla.
Si sedette con un lieve sospiro e incrociò le braccia sul tavolo, appoggiandoci sopra il capo e chiudendo gli occhi.
La sua pelle era fredda e appiccicosa, avrebbe dovuto indossare qualcosa sulla leggera camicia da notte.
«Sei rumorosa».
Il relativo silenzio fu rotto dalla voce di Thomas, che, inaspettata, la fece sussultare.
Alzò la testa, cercando di metterlo a fuoco. Riusciva ad intravederlo appena, nascosto nella zona più buia della stanza.
«Scusate» si limitò a sussurrare, ricevendo in risposta soltanto un verso stizzito.
Dal piano superiore provenne un lieve russare e il silenzio calò di nuovo.
Cassandra approfittò dell’oscurità per osservare il ragazzo come non aveva mai osato fare prima di allora, sicura che lui non se ne sarebbe accorto.
Il buio mascherava i suoi lineamenti, ma non la sua figura: era alto e dal fisico asciutto. Sembrava abituato ai lunghi viaggi e a maneggiare delle armi. Assomigliava quasi ad uno di quei cavalieri che, raramente, chiedevano ospitalità alla locanda di Rose per una notte.
Quel pomeriggio l’aveva afferrata saldamente, quando gli aveva sbattuto contro. Doveva essere abbastanza forte e sicuramente aveva affrontato uomini peggiori del suo inseguitore.
Era sfuggente e non gli piaceva stare in mezzo alla gente, di quello ne era sicura. Come era sicura che fosse terribilmente testardo.
«Hai finito di fissarmi?»
Cassandra spalancò gli occhi azzurri, stupita che lui se ne fosse accorto, e arrossì.
«Scusate» mormorò imbarazzata.
A quello seguì nuovamente un attimo silenzio, rotto solo da alcuni scricchiolii.
«Sei irritante. Non credo di riuscire a sopportarti, se mi dai un’altra volta del “voi”».
Cassandra non disse nulla, troppo stupita che lui le parlasse di sua spontanea volontà.
«Ti conviene decidere in fretta» la sua voce inespressiva sembrava più vicina, ma non l’aveva sentito alzarsi. Nessun rumore.
«Non basare le tue scelte sui voleri di qualcun altro» le passò alle spalle con un unico fruscio, per poi dirigersi verso le scale e sparire alla sua vista.
Cassandra sbatté gli occhi. Le aveva forse detto che avrebbe accettato la sua eventuale presenza nel loro viaggio?
Si rialzò lentamente, facendo frusciare la camicia leggera. Le gambe si mossero da sole, alla volta della sua stanza, fermandosi solo per ammirare la luna crescente, che gettava la sua luce lattea all’interno della stanza, dritta su di lei.
Le piaceva osservare la luna: riusciva sempre a calmarsi, qualsiasi pensiero la stesse torturando. Quella notte, poi, era incredibilmente bella.
Alzò una mano, portandola all’altezza degli occhi. Era quasi perlacea e le ricordò le leggende che venivano spesso raccontate. Si diceva che immergersi in un lago sotto la luna piena aiutasse a conquistare la propria anima gemella.
Era il genere di storie che amava Elisha.
Sospirò.
Chissà se stavano tutti bene, a Glenville.
Abbassò lo sguardo, afferrando stretto il suo ciondolo, e si voltò.
Non c’era nessuno, probabilmente Thomas era già tornato nella sua stanza, eppure si sentiva osservata.
Non sentiva il solito gelo e nemmeno il disagio che le aveva provocato quell’uomo nel pomeriggio. Era una sensazione piacevole e calda. Uno sguardo la accarezzava, sfiorando la sua pelle scoperta, scivolando lungo le sue curve, lungo le pieghe della veste bianca, calmando il suo cuore agitato e il suo animo tormentato.

Era bello.
Chiuse gli occhi per un istante, lasciando che le sue labbra si stendessero in un sorriso.
Era da tempo che non si sentiva così bene.
Lo stridio di una civetta la riscosse, costringendola a riemergere da quell’attimo di pace. Diede un ultimo sguardo alla luna e si ritirò nella sua stanza, lasciando il buio dietro di sé.

 

 

 

 
 

Colpo di scena: capitolo molto più lungo del solito! Il fatto è che ho deciso di postare tutto quello che avevo già scritto, per continuare man mano, e piuttosto che interromperlo prima di arrivare alla locanda ho deciso di prolungarlo.
Come avete potuto leggere succedono un sacco di cose: la partenza di Cassandra, l’incontro con Henry e Thomas, un piccolo dialogo con quest’ultimo e qualcuno che la fissa. Chi è che la fissa? Mah, non ve lo dico! Fate pure le vostre congetture!
 
Ringrazio di cuore chi ha commentato.

Hareth: Grazie! Sono contenta che ti interessi la storia e spero continuerai a seguirla! Sono stata davvero contenta di leggere la tua recensione!
Ghen: Non preoccuparti, quello che conta è che alla fine tu l’abbia letto! Gli occhi di Thomas in questo capitolo sono ancora più belli! Sinceramente, nonostante il suo carattere, sono diventata una sua fan! XD Per quanto riguarda il sogno di Cassie, quello è il genere di incubo che fa la notte e la finestra aperta è un mistero che non posso svelare (anche perché io stessa ho il dubbio su chi sia stato! XD) Questo capitolo è decisamente più lungo e almeno i misteri che riguardano Cassandra iniziano a svelarsi pian piano.
 
Grazie a tutti coloro che hanno letto,
Ghen e Targul per averla aggiunta tra le Preferite e Calliroe, erato1984 e Hareth per averla inserita tra le Seguite.
 
Sarei contenta di sapere cosa ne pensate e se volete lasciarmi una recensione ve ne sono grata! Ma l’importante è che continui a piacervi!

Alla prossima!

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