La stella del Truhe

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Salve gente!
Nuovo mappazzone per voi, fresco fresco. Si tratta di una versione vagamente moderna della favola di Biancaneve, spero che apprezzerete. Un grazie in anticipo a tutti quelli che passeranno da queste parti^^





LA STELLA DEL TRUHE





Capitolo 1

Regine posò lo spazzolino con cui aveva appena finito di applicarsi il mascara, si sistemò la tiara scintillante sui capelli dorati e si alzò in piedi. Sorrise appena alla sua immagine riflessa: l'abito di lamé non perdonava nulla, ma tanto lei non aveva proprio nulla da farsi perdonare. Il suo corpo era snello, addirittura efebico, i seni appena accennati. Aveva il ventre così piatto che le creste iliache le disegnavano due piccoli rilievi sui fianchi, le gambe erano lunghe e snelle. La sua statura le consentiva di svettare su qualsiasi donna.
Bussarono alla porta e una voce avvisò: “Tra cinque minuti in scena!”
Regine si limitò ad annuire. Lanciò uno sguardo al divano, su cui era negligentemente abbandonata una pelliccia: quello era un regalo del suo ultimo ammiratore. Non che le piacesse particolarmente – preferiva la volpe argentata allo zibellino – ma era comunque un bel trofeo da esibire a certe burrose sciacquette, che si credevano chissà chi solo perché avevano mammelle da mucca e fianchi rotondi.
Si allontanò dal tavolino del trucco, fece qualche lento passo nella stanza. Frutto di anni di studio, il suo portamento era superbo. Emanava la sensualità algida dell’incedere di una dea, comunicava alterigia e fascino a un tempo.
Girò adagio su se stessa per controllare nello specchio che l'abito cadesse bene anche dietro, disegnandole le natiche sode e nervose, quindi si mosse verso la porta.
Come sempre al momento di andare in scena, una grande calma la pervase. Era da tempo ormai che i patimenti della Lampenfieber avevano smesso di angosciarla: era Regine, era famosa in tutta Berlino, la gente faceva la fila per sentirla cantare. Che fossero le ragazzette sciocche a farsi prendere dalla smania.
Uscì dal camerino e percorse lentamente il corridoio che portava dietro il palcoscenico. Si sentivano le ultime battute del numero che precedeva il suo, ovvero uno scollacciato balletto dai temi vagamente comici, che suscitava nel pubblico risate, acclamazioni e parecchie prurigini.
La cantante sorrise fra sé e sé quasi con indulgenza, già pregustando il momento della comparsa in scena. Sapeva che quegli insulsi clamori si sarebbero placati come per incanto al suo apparire. Sul pubblico sarebbe sceso un silenzio quasi religioso, interrotto tutt'al più da qualche raro mormorio di meraviglia, e in quella quiete solenne si sarebbe fatta dapprima udire l'orchestra, poi la sua canzone sarebbe cominciata e tutto il resto avrebbe perso d’importanza.
La musica cessò, si udì uno scroscio disordinato di applausi. Qualche voce – rigorosamente maschile – gridò 'brave!', poi un gruppetto di ragazze in abiti succinti invase ridacchiando il corridoio.
Regine continuò ad avanzare imperturbabile al centro dello stretto passaggio, tanto che al suo arrivo le ballerine furono costrette ad addossarsi alle pareti. Esse mantennero perlopiù lo sguardo a terra, a parte una tale Cora, appena rotolata giù da un paesello di montagna, che incrociandola accennò una specie di riverenza.
La cantante le rivolse un altero cenno del capo. Non pensò neppure per un momento che si trattasse di un genuino omaggio al suo maggiore fascino e alla sua esperienza, era nel mondo dello spettacolo da troppo tempo per aspettarsi qualcosa di così ingenuo e disinteressato. Scrutò la ragazza: piccoletta, formosetta, guance rosse e capelli neri. Due grandi occhi azzurri dallo sguardo innocente, che sembravano spalancarsi sul mondo colmi di entusiasmo e meraviglia. Vestiva una specie di Dirndl con le maniche a palloncino, chiaramente molto più scollato dei suoi omologhi bavaresi e così corto che lasciava ben in vista provocanti giarrettiere di pizzo bianco.
Regine si limitò a sollevare le sopracciglia di fronte a una così volgare ostentazione di carne e proseguì con sussiego, non senza notare che lo sguardo della ballerina era virato dall'ingenuità alla rivalità non appena si era creduta sicura che lei fosse passata oltre.
Devi farne di strada, povera stupidella, pensò la cantante stirando le labbra in un sorriso di degnazione, quindi si disinteressò di lei e delle sue occhiatine velenose.
Raggiunse il palcoscenico, entrò nel cerchio di luce dell’occhio di bue e l’attacco dell'orchestra fu quasi coperto dall'applauso che salutò il suo apparire.

Il signor König si alzò, aggirò la pesante scrivania di mogano e andò a una piccola finestra. La aprì e i clamori che si udivano ovattati divennero improvvisamente così forti da strappargli una smorfia di fastidio.
Subito dopo, però, sul volto gli si allargò un sorriso soddisfatto. “E anche stasera c'è il pienone,” disse.
L'uomo che era con lui si avvicinò a sua volta al finestrino e guardò giù: si vedeva la sala principale gremita di uomini e donne in abito da sera, i più seduti ai tavolini o al bancone del bar, alcuni in piedi con un calice di champagne in mano. Camerieri in frac si destreggiavano abilmente tra la folla portando vassoi carichi di bicchieri.
Al centro del palco, Regine, terminata la canzone, s'inebriava di applausi e mandava baci al pubblico.
Merito di quella specie di aringa,” disse l'uomo, distogliendo lo sguardo dal finestrino e riavvicinando l'anta.
Parli di Regine, Spiegel?” giunse la domanda di König.
L'altro alzò le spalle. “Lunga e secca com'è, con quel vestito argentato mi fa pensare a un pesce.”
Per fortuna che almeno non è muta. E poi piace.”
Lo so che piace. Adesso vanno di moda le assi da stiro, colpa di Greta Garbo. Anche quelle che hanno delle forme come si deve digiunano per sembrare delle salacche.”
Non tutte, per fortuna.”
Spiegel tornò verso la scrivania, prese la bottiglia di autentico whiskey americano che si trovava sul piano del mobile e se ne versò un mezzo bicchiere. “Alla faccia del Proibizionismo,” disse con un ghigno. L'altro annuì.
Come te lo procuri?”
Ho i miei canali, ma vedi di non scolartene una bottiglia ogni sera.”
Spiegel sorrise. “Me lo devi, vista la cura con cui ti ho scelto le ragazze del corpo di ballo: formose come piacciono a noi, carine e giovani.” Fece una pausa, quindi con un sorrisetto soggiunse: “E disponibili, soprattutto.”
König annuì consapevole, quindi rispose: “Anche Regine l'hai scelta bene. Da quando c'è lei, allo Schatztruhe c'è la ressa per entrare. Possiamo dire che è la stella del locale.”
Finché dura,” rispose Spiegel in tono cupo, poi si avvicinò di nuovo al finestrino: la cantante aveva ceduto infine alle accorate richieste di bis e stava di nuovo gorgheggiando con impegno. “Io me lo ricordo quando è arrivato a Berlino da un paesello della Prussia Orientale, quasi vent'anni fa,” disse con un sorrisetto. Tornò a voltarsi verso il padrone del locale. “Un giovanotto ossuto, con un tailleur della sorella nascosto in valigia e l'aspirazione di fare il contraltista. È stato quel furbastro di Möller, del Plaza, a scoprire che oltre a fare i migliori pompini della Germania aveva anche un'estensione vocale di cinque ottave.” Bevve un sorso di whiskey, annuì con fare consapevole. “Cinque ottave,” ripeté, “quasi sei. Se il Plaza è come lo vedi adesso, lo si deve alla gola di Mathias Bierkant, meglio noto come Regine.”
All'ugola, vorrai dire?”
No no, proprio alla gola.” Spiegel fece una risatina. “Se Mathias non avesse cominciato a fare pompini ai produttori per ottenere degli ingaggi, nessuno l'avrebbe mai notato.”

In un cicaleccio punteggiato da risatine, le ragazze del corpo di ballo si stavano togliendo gli abiti di scena.
Ma l'avete vista oggi, quella vecchia ciabatta?” esclamò la bionda Ilse. Si alzò in piedi e cominciò a camminare con la testa così alta da risultare quasi piegata all'indietro, gli occhi socchiusi e le sopracciglia sollevate in una comica imitazione di Greta Garbo. Urtò con la spalla la collega Lotte e in tono sussiegoso la apostrofò: “Fatti in là, bambina, qui passo io.”
Procedette scimmiottando l'incedere sofisticato della famosa attrice.
Le altre ovviamente stettero subito al gioco. Una si avvicinò e chiese: “Posso reggerti lo strascico, Divina?”
Ilse la squadrò come se fosse stata il secchio dell'immondizia, quindi rispose: “Assolutamente no, con quelle tue manacce da contadina me lo rovineresti di sicuro.” Levò la testa ancora più regalmente, quindi in tono sdegnoso proclamò: “Qui dentro non c'è nessuna che abbia la mia classe.”
Perché non provi al museo?” esclamò Hermine, “Forse in mezzo alle mummie ti troveresti più a tuo agio!”
Alla frase fece seguito un coro di risate. “Quanti anni avrà?” chiese infine Lotte, dopo aver riso così tanto che le lacrime le avevano sciolto tutto il trucco.
Parecchi,” rispose Britta, “scommetto che quando deve andare in scena c'è più intonaco su quel suo muso lungo da cavallo che su tutta la facciata del Truhe.”
L'irrispettosa affermazione fu salutata da un nuovo scoppio di risa. Fedele alla parte, Ilse con alterigia proclamò: “Io non ho bisogno di un visetto liscio da minorenne, io ho fascino.”
Ma certo, il fascino dell'antico!” intervenne Annette.
Cora, che aveva seguito gli scambi facendo guizzare dall'una all'altra il suo sguardo perennemente meravigliato, a quel punto chiese: “Di chi state parlando?”
La domanda scatenò, se possibile, risate ancora più forti.
Infine Lotte, di nuovo tergendosi copiose lacrime, rispose: “Ma come, di chi parliamo? Ma della divina, ovviamente. Della più grande stella del Truhe.”
E chi è?”
Britta scosse la testa e intervenne: “Cordula, tesoro, ti devi svegliare un po'. Cosa farai, qui a Berlino, se non metti insieme un po' di furbizia?”
La ragazza parve ponderare la domanda per qualche secondo, infine con tono serio rispose: “Non lo so, pensavo di fare la ballerina.”
Prima che Britta potesse rispondere, la voce di un giovane uomo chiese: “Siete presentabili, ragazze?”
Lotte alzò gli occhi al cielo. “Ecco che il principino viene a caccia nella riserva di papà.”
Ilse abbandonò l'atteggiamento da gran signora e replicò: “Oh, dai, meglio lui del vecchio. Almeno è più carino.”
Ma proprio perché si crede così carino è anche meno generoso,” protestò Annette. “Pensa che per noi sia sufficiente il suo bell'aspetto.”
E io allora gli rispondo come ai funerali,” replicò Lotte, “non fiori ma opere di bene. Per quanto sia carino, non sarà mai bello come la faccia di von Siemens che c'è sulla banconota da venti marchi.” Poi, a voce più alta: “Purtroppo per te siamo già vestite, tesoro!”
Le altre ridacchiarono.
Allora posso venire?” chiese il giovane.
Con chi?”
Di nuovo chiocciarono risatine.

Florian entrò nel camerino con due bottiglie di spumante in una mano e una grande scatola di cioccolatini nell'altra. Posò tutto sul tavolo al centro della stanza, poi chiese: “Chi ha i bicchieri?”
Lotte protese il generoso davanzale e disse: “Eccone qui uno!”
Il giovanotto vi versò sopra un po’ di spumante e la ballerina si ritrasse ridacchiando e strillando: “Com’è freddo!”
Tutte si unirono alla risata.
L’altra bottiglia cominciò a passare di mano in mano e ogni ballerina bevve qualche sorso. Quando essa raggiunse Cordula, la ragazza si schermì con un sorriso quasi di scusa e chiese: “Potrei avere i cioccolatini invece?” Imbarazzata si coprì con la mano il ciondolo a forma di cuore che le pendeva tra i seni, come per evitare che ci finisse sopra del vino senza permesso.
Il ragazzo, che tra le risate generali stava allegramente grufolando nel décolleté di Lotte, a quel punto sollevò la testa e le rivolse un sorriso. Si ravviò i capelli corvini, ormai piuttosto scompigliati, la scrutò con interesse e disse: “Ma ciao. E tu chi sei?”
La fanciulla sbatté gli occhi celesti e le guance le si fecero ancora più rosse. “Cordula,” rispose.
Ci fu qualche secondo di silenzio. “Oh, ehm… Cordula?”
L’altra si toccò di nuovo il ciondolo che le ornava la scollatura e spiegò: “Vuol dire cuoricino.”
Io sono Florian.”
Piacere di conoscerla,” rispose compunta la ragazza. “Tutti mi chiamano Cora. Può chiamarmi così anche lei, se vuole.”
Come siamo formali. Perché non mi dai del tu?”
Davvero posso?”
Florian le rivolse il più fascinoso dei suoi sorrisi. “Ma certo. Tutte lo fanno, non è vero?”
Le ragazze confermarono.
Vuoi un po’ di spumante, Cora?”
La ragazza scosse la testa facendo ondeggiare i riccioli color dell’ebano, quindi un po’ imbarazzata rispose: “Veramente, io non bevo.” Rivolse un’occhiata carica di desiderio alla scatola di praline e ripeté: “Preferirei i cioccolatini.”
Inge le diede una pacca sul sedere. “Attenta, che poi diventi grassa!” Cordula emise uno strillo, le altre ridacchiarono.
Florian sorrise e considerò che la dolce Cora rischiava qualsiasi cosa tranne diventare grassa. Era una piccola, graziosa cosettina con tutte le curve al posto giusto, che sembrava fatta apposta per certi trattenimenti. Il corsetto metteva in risalto un seno decisamente provocante e sotto la gonnellina fru fru c'erano gambe non particolarmente lunghe, ma ben tornite e sode. Cominciò a elaborare un piano per convincerla ad assaggiare anche un po’ di spumante, tra un cioccolatino e l’altro.

Quando Regine vi fece ritorno, il camerino era una distesa di mazzi di fiori. Il profumo delle rose si mescolava a quello dei gigli ed entrambi creavano con il profumo di cipria e creme di bellezza una miscela al tempo stesso sensuale e greve.
Al centro del tavolino da toilette era posato un astuccio di velluto nero. La cantante lo aprì e dovette stringere gli occhi a causa dello scintillio che ne scaturì. “Caro Conte von Künstberg,” disse a mezza voce, “si ricorda sempre della mia passione per i brillanti.”
Appoggiò la scatoletta da una parte e cominciò a studiare i biglietti che accompagnavano i vari mazzi di fiori. Scartò subito quelli firmati da nomi femminili: ormai poteva permettersi di scegliere e le altre donne non erano nei suoi gusti. Passò in rassegna i rimanenti, eliminando senza pietà i modesti omaggi di impiegati e ufficiali sotto il grado di colonnello e conservando le testimonianze di stima di conti, baroni, generali e direttori.
Fece una cernita dei profumi e dei monili, giudicandoli tutti di cattivo gusto e destinandoli alle ragazze del corpo di ballo. Serbò per sé unicamente il collier di von Künstberg, una stola di volpe, un mazzo di orchidee e uno di rose dai petali pesanti e vellutati, di un rosso così scuro che sembrava quasi nero.
Una volta sgombrato il campo, si sedette al tavolino da trucco e si guardò allo specchio. Svanita l'euforia dell'andare in scena, un umore decisamente più plumbeo la stava pervadendo. Nonostante fiori e brillanti, non era per nulla soddisfatta: il tempo passava spietato e ormai anche i più costosi cosmetici francesi, fatti venire apposta da Parigi, riuscivano a malapena a mantenere l'apparenza di una bellezza che stava in realtà inesorabilmente sfiorendo. Sotto la tiara, i riccioli dorati stavano perdendo la loro brillantezza, sulla pelle del viso cominciavano a comparire le prime rughe. Erano lievissime, il fondo tinta le nascondeva completamente, ma stava diventando sempre più difficile far finta che non ci fossero.
Ricordava ancora lo sgomento con cui ne aveva constatato la presenza la prima volta.
Uno scoppio di risa all'esterno la distrasse. Assunse un'espressione infastidita: come ogni sera, finito lo spettacolo le ballerine cominciavano a starnazzare come tante oche. Ripensò alla ragazzetta di nome Cora: disprezzava poppe e natiche, ma quel volto liscio, sodo, dalla pelle luminosa e compatta la metteva spietatamente di fronte a quello che sarebbe diventata nel breve volgere di qualche anno: uno squallido travestito in disarmo, con l'ombra della barba che spuntava da sotto il trucco. Il maschio che nel corso della giovinezza aveva con tanta cura nascosto sarebbe inesorabilmente emerso con lo sfiorire dell'avvenenza, la ruvidezza e gli spigoli che in tutti quegli anni aveva limato fino a farli scomparire avrebbero infine reclamato il loro buon diritto, trasformandola in un vecchietto ossuto, con il belletto sulle guance cascanti.
Dei colpi alla porta la fecero letteralmente sobbalzare.
Avanti!” ringhiò, ancora sotto l'effetto di quei pensieri funesti.
Sulla soglia comparve signor Spiegel. “Mia cara!” esclamò l'uomo. Si mosse nella sua direzione col sorriso delle grandi occasioni stampato sul volto. “Un successo strepitoso,” disse quando si fu avvicinato. “Ancora meglio delle serate precedenti. Sei la stella dello Schatztruhe!”
Regine lo fissò seria. “Lo credi davvero?”
Spiegel fece scorrere lo sguardo sulla distesa di fiori e regali. “Direi che i fatti parlano da soli,” le rispose.
Non lo so,” replicò la cantante. Sollevò il collier di brillanti e lo fece oscillare sotto le luci che circondavano lo specchio. “Una volta von Künstberg non sarebbe stato così tirchio.”
Tirchio?” fece eco Spiegel. “Non sono diamanti, quelli?”
Brillanti,” lo corresse lei distrattamente, poi lasciò cadere il gioiello come se fosse stato di vetro. “E lo spettacolo?” chiese poi, “Non ti è sembrato freddo il pubblico?”
L'impresario aggrottò le sopracciglia. “Freddo? Conosco un sacco di tue colleghe che si venderebbero il culo per ricevere in un mese gli applausi che tu prendi in una sera.”
Sì, ma loro non sono Regine,” replicò lei acida, “sono solo sciacquette qualsiasi, con l'estensione vocale di un gatto da vicolo e la classe di una bottegaia.”
Tra i due cadde il silenzio. La cantante si sedette di fronte allo specchio e attraverso quello cercò lo sguardo di Spiegel. “Chi è la più bella, qui dentro?” gli chiese a bruciapelo.
Ma Regine, tutte le sere?” sospirò lui ostentando esasperazione. “La più bella sei tu, ovviamente. Nessuna ha la tua classe e il tuo fascino.”
Ella incupì lo sguardo. “Lo credi davvero?” Si voltò a fissarlo direttamente.
Nessuna ha un corpo come il tuo,” le assicurò Spiegel.
E il viso? Che ne dici del viso?”
Lui scosse la testa. “Regine, non so più come dirtelo: la più bella sei tu.”

Sotto lo sguardo carico di aspettativa di Florian, Cordula avvicinò alle labbra il collo della bottiglia, ma un attimo prima che esso le toccasse, lo abbassò di nuovo. “E se mi fa male?” chiese.
Ma no,” le assicurò il giovanotto, forse un po' troppo precipitosamente, “è solo un po' di spumante dolce, cosa vuoi che ti faccia?” Allungò un braccio a circondarle le spalle.
Ella si toccò come d'abitudine il ciondolo a forma di cuore, notando che lo sguardo di Florian era inesorabilmente calamitato dal movimento della mano sulla scollatura, quindi in tono contrito gli disse: “E poi non sono capace di bere dalla bottiglia. Se mi si rovescia tutto addosso cosa faccio?”
Potresti toglierti il vestito e farlo asciugare,” propose lui.
Cordula annuì come avrebbe fatto di fronte a una spiegazione particolarmente ostica. Ricordava bene quello che le aveva sempre ripetuto sua madre: agli uomini non piacciono le donne intelligenti, quindi se vuoi accalappiarne uno devi far finta di essere stupida.
Una cosa che le era sempre riuscita benissimo.
Si voltò verso Florian, che incurante del cicaleccio delle altre ballerine ormai la stava stringendo come se fossero stati in pieno inverno e fuori infuriasse una tormenta. Fece un rapido calcolo: suo padre era il padrone di uno dei più famosi locali notturni di Berlino, era un bel ragazzo, sembrava anche avere buone maniere. “Posso avere un bicchiere?” gli chiese con voce sommessa, alzando su di lui gli occhioni celesti.
Sotto quello sguardo, il giovanotto quasi sobbalzò. “Un bicchiere?” fu tutto ciò che riuscì a dire.
Per bere,” specificò lei. Con aria casuale pose la propria mano sulla sua.
Florian parve quasi sorpreso, come un cacciatore che ha puntato un cervo per tutto il giorno e al momento del dunque lo trova già morto e con le quattro zampe legate, pronto per essere portato via. “Oh, certo... per bere, naturalmente.” Abbandonò la presa sulle sue spalle e uscì dal camerino, verosimilmente per andare alla ricerca di un bicchiere.
Sta' attenta,” la ammonì Lotte quando il giovanotto ebbe lasciato la stanza.
Cordula le rivolse uno sguardo stupito. “Perché?”
La donna, già vestita e pronta per tornarsene a casa, fece girare lo sguardo sulle colleghe come per chiedere la loro conferma, quindi spiegò: “Perché il principino fa così con tutte: si diverte un po', fa due o tre regali e poi tanti saluti.”
La più giovane la fissò come se si fosse appena trasformata in una specie di animale strano. “Davvero?”
Gli piace giocare,” fu la risposta. “Non è vero, Ilse?”
Oh, certo,” rispose l'interpellata. “Due salti sotto le lenzuola, due moine, fine della questione. Non farti illusioni.” Il tono era quello di chi, invece, di illusioni se n'era fatte parecchie.
In quel momento la porta si aprì e Florian si affacciò con espressione allegra e chiese: “Mi sono perso qualcosa, ragazze?” In mano aveva due calici e una nuova bottiglia, ben fredda, di spumante dolce.

Seduta sullo sgabello di uno dei tavolini da trucco, nel camerino ormai vuoto e silenzioso, Cordula teneva in mano un bicchiere di spumante come avrebbe tenuto una granata senza sicura. “E se poi mi fa male?” chiese di nuovo, rivolgendo a Florian uno sguardo che sembrava invocare il suo aiuto.
Il giovanotto sorrise con fare indulgente. “Un sorso di spumante non può fare male a nessuno.”
Davvero?” Cordula si toccò di nuovo il ciondolo a forma di cuore.
È una bella collana,” apprezzò il ragazzo, lo sguardo come sempre calamitato dal suo generoso décolleté.
Me l'ha regalata la mamma,” disse lei.
Davvero? Non un ammiratore?”
Cordula assunse un'espressione stupita. “Un ammiratore?” chiese, come se la parola le fosse totalmente sconosciuta. “Oh, no di certo.”
Sicura?”
Sono una ragazza seria,” protestò lei piccata.
Ma certo, scusa,” si affrettò a rispondere Florian. “Ma ora, perché non bevi un sorso? È buono.”
Cordula bagnò appena le labbra nel vino, quindi si ritrasse arricciando il naso mentre sulle guance le si formavano due graziose fossette. “Pizzica!” esclamò. Fece una risatina.
Sono le bollicine,” spiegò Florian.
È buono,” constatò lei. Bevve un altro piccolo sorso.
Te l'avevo detto.”

Un paio di bicchieri dopo, Cordula abbandonò molto allegra lo sgabello e disse: “Ora però sarà meglio che mi tolga l'abito di scena.”
Florian gettò uno sguardo di nostalgia alle sue gambe ornate di giarrettiere bianche e disse: “È un peccato.”
Lei gli rivolse uno sguardo stupito. “Perché?”
Ti sta molto bene,” fu la diplomatica risposta.
Davvero?” Cordula scivolò comunque dietro un separé, sul quale dopo poco si adagiò il succinto Dirndl. Florian cercò di non pensare al fatto che proprio di fronte a lui, dietro l'esiguo riparo di una parete di stoffa, c'era una bella ragazza che indossava solo la biancheria intima, e forse neppure quella. “Abiti lontano?” le chiese per distrarsi.
Giunse sconsolata la risposta: “Sì.”
Florian strinse gli occhi sornione. “Vivi da sola?”
Ho un piccolo appartamento in affitto.”
Come farai a tornare a casa?”
La voce afflitta di Cordula rispose: “Non lo so. Camminerò.” Seguì un sospiro carico di rassegnazione.
Il giovanotto assunse un tono accorato. “Cosa? Da sola, a piedi, a Berlino, di notte? Con tutti i malfattori che ci sono? Assolutamente no, ti accompagnerò io con l'automobile.”
La ragazza si sporse dal separé, mettendo in mostra nel movimento anche una generosa porzione di corpo discinto, quindi chiese: “Con l'automobile? Davvero faresti questo per me?” Sbatté gli occhi con fare meravigliato.
Florian annuì con energia, e approfittando del fatto che la ragazza era tornata dietro la barriera di stoffa si sistemò i capelli e controllò di avere i vestiti in ordine. Infine, in tono grave disse: “Il mio senso dell'onore mi proibisce di abbandonare una signora in una situazione del genere. Tu finisci di vestirti, io vado a prendere l’automobile.”











Angolo dell’autore
Qualora capitasse da queste parti qualcuno che non sa il tedesco, allego un piccolo glossario per rendere più agevole la lettura:

König = Re
Spiegel = Specchio
Jäger = Cacciatore
Zwerg = Nano

Schatztruhe, Truhe = Scrigno del tesoro, Scrigno

Lampenfieber = letteralmente ‘febbre delle luci’. Parola intraducibile, che indica la smania e l’ansia che prendono chi deve andare in scena.
Dirndl = abito femminile in uso nelle zone di Baviera e Tirolo, costituito da una camicetta generalmente bianca con maniche a palloncino, un corpetto, una gonna ampia con sottogonna lunga circa fino al ginocchio e un grembiulino.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve gente, ecco un altro capitolo delle vicende del nostro cabaret berlinese. Un grande ringraziamento a chi è passato per di qui a dare un’occhiata e un ringraziamento speciale a chi mi ha lasciato un parere^^





Capitolo 2

Florian entrò nello studio del padre e annunciò: “Papà, mi è venuta un’idea magnifica per uno spettacolo!”
Il signor König, che stava controllando alcune fatture, sollevò la testa e in tono risentito disse: “Ah, Florian. Ti si rivede, finalmente.”
Il giovanotto ignorò serenamente l’osservazione, quindi raggiunse la scrivania e si sedette su un angolo di essa. “Ho un’idea fantastica per uno spettacolo,” ripeté.
Il padre emise un sospiro. “Sentiamo,” disse, tornando ad abbassare lo sguardo sui suoi conti.
Hai deciso che lo Schatztruhe deve diventare un ospizio per anziani?” chiese Florian senza preamboli.
König aggrottò le sopracciglia. “Che intendi dire?”
L’altro sfogliò con fare svagato una rivista che si trovava sul piano del mobile e la lasciò significativamente aperta sull’immagine di una bella ragazza in abiti succinti. “Le vecchie cariatidi non interessano a nessuno,” spiegò con l’aria di chi la sa lunga. “Il pubblico vuole gente giovane, avvenente, che faccia sognare.”
L’uomo si decise ad abbandonare le fatture. Si girò verso di lui e fissandolo serio gli disse: “Vieni al punto.”
Via, papà, sai benissimo dove voglio arrivare,” rispose questi, col tono che avrebbe usato per dire che il cielo è blu e l’erba è verde. “Regine è sicuramente un’artista di grande esperienza, ma per quanto tempo potrà ancora esibirsi?” Tacque per qualche secondo, forse in attesa di una replica che però non giunse, quindi imperterrito proseguì: “Per quanto tempo riuscirà a nascondere la sua età?” Aggrottò le sopracciglia e chiese: “A proposito, quanti anni ha, papà?”
Il signor König scosse la testa. “Non lo so.”
Spiegel lo sa?”
L’uomo alzò le spalle. “Neppure lui, credo. Regine non l’ha mai voluto dire a nessuno.”
Florian incrociò le braccia sul petto. “Segno di coscienza sporca: per me ne ha almeno quaranta.” Scosse la testa come di fronte a un comportamento particolarmente disonesto e aggiunse: “Facci caso, papà: non vedi quanto cerone si dà in faccia prima di entrare in scena?” Assunse un’espressione desolata e soggiunse: “Ma tra un po’ non basterà più nemmeno quello.”
E quindi cos’avresti in mente?”
Florian rievocò l’abitino di scena di Cordula, da lì il pensiero corse a quello che c’era sotto l’indumento ed egli assunse un’aria vagamente sognante. “Ci vuole una cantante giovane,” rivelò. “Carina, alla mano, senza quell’aria da istitutrice di collegio femminile che ha Regine.”
Regine ha un’estensione vocale di cinque ottave,” gli fece notare il genitore.
Florian scosse la testa. “La gente non vuole lezioni di canto, vuole svagarsi. Vuole spettacoli piacevoli e divertenti, che facciano sorridere e dimenticare le preoccupazioni. Perché verrebbe al Truhe, se no?”
Per ascoltare una brava cantante?”
Anche se Regine fosse la cantante più brava di tutta la Germania,” concesse imperterrito il ragazzo, “per quanto tempo ancora potrà esibirsi?”
Il signor König diede uno sguardo ai libri mastri che ancora gli rimanevano da controllare, emise uno sbuffo infastidito e ripeté: “Vieni al punto, Florian.”
Abbiamo la ragazza giusta,” rispose lui prontamente, “Cordula Kerschbaumer.”
Il padre aggrottò le sopracciglia. “Chi?”
Cora,” replicò il ragazzo, con l’aria di ribadire l’ovvio.
Cora, chi?”
Oh, insomma, papà! Non sai neanche chi fa parte del tuo corpo di ballo?”
A queste cose pensa Spiegel, è lui che assume le ragazze. Cos'avrebbe di speciale questa tua Cora?”
È bella, tanto per cominciare. È giovane, sa cantare e sa ballare. Non ha esperienza, ma sono certo che sia molto promettente.”
L’uomo emise un sospiro. “E cosa ti dà questa certezza, Florian?”
Il ragazzo si puntò un indice alla tempia e con fare misterioso rivelò: “L’istinto.”
L’istinto?” ripeté scettico König. “Non sarà per caso un altro tipo di istinto, magari più animale, che ti fa parlare?”
Florian assunse un’espressione sdegnata e rispose: “Io faccio del mio meglio per far andare bene il Truhe e tu mi parli di istinti animali? Chiama Spiegel, fatti dire da lui se la ragazza è valida o no, visto che non ti fidi di me.”

Spiegel arrivò poco dopo. Entrò nello studio e chiese: “Volevi vedermi, König?”
L’uomo indicò Florian. “Mio figlio, qui, vorrebbe parlarti di una sua idea per uno spettacolo.”
Il nuovo arrivato aggrottò appena le sopracciglia: non era la prima volta che il giovanotto saltava su con qualche idea brillante su come organizzare i numeri del Truhe, di solito accadeva il giorno successivo a qualche serata particolarmente movimentata con una delle ragazze. Il padre, ovviamente, faceva qualche blanda protesta per salvare le apparenze, ma di solito gli dava corda in qualche progetto assurdo e poi toccava a lui sistemare le cose. “Sentiamo,” si limitò a dire.
Il ragazzo ripeté l’esposizione.
Alla fine Spiegel, contrariamente a quanto aveva previsto, si trovò ad ammettere: “In effetti, Regine comincia ad avere i suoi anni.”
Florian colse la palla al balzo: “Cordula è giovane, ma ha molta volontà di applicarsi.”
L’impresario abbandonò la scrivania e si avvicinò al finestrino che dava sulla sala del Truhe. Guardò giù: il posto era vuoto e silenzioso, i lampadari di cristallo che di notte lo facevano somigliare a uno scrigno scintillante erano spenti, il sipario di velluto nero era chiuso.
Potrebbe diventare una stella,” disse la voce di Florian alle sue spalle.
Abbiamo già una stella,” gli rispose il signor König.
Sì, ma per quanto?” insisté il figlio. “Vuoi che il Truhe diventi famoso per avere come stella un vecchio travestito sfiatato? Vuoi trasformarlo in un cabaret dove si fanno numeri comici?”
Spiegel continuò a guardare la sala prestando un orecchio distratto allo scambio tra padre e figlio. Il discorso era certamente scaturito dalla conversazione post-coitale del secondo con qualche ragazzetta vogliosa di fare carriera, ma non era del tutto campato in aria. Per quanto Regine si affannasse a nasconderle, le rughe cominciavano a farsi vedere e non era una cattiva idea pensare a come procurarsi un numero alternativo.
Il pubblico del resto era una creatura volubile, facile agli entusiasmi come agli sdegni, assetata di novità e per nulla disposta, in una città come Berlino, che letteralmente straripava di locali uno più estremo dell’altro, a tollerare le ubbie malinconiche di una vecchia gloria a fine carriera.
Chi sarebbe questa ragazza?” chiese Spiegel.
Cordula… Cora,” rispose Florian.
Che cosa avrebbe in più rispetto a Lotte, Ilse o le altre?”
Il ragazzo scese dall’angolo della scrivania e gli si affiancò. “Ha stoffa,” gli rispose, ostentando un’aria da esperto. “Farà strada, farà carriera, ne sono sicuro.”
Sì, ma in pratica?” chiese Spiegel, nell’ambiente da troppo tempo per lasciarsi incantare da simili raccomandazioni.
Lei fa la tirolese,” spiegò Florian. “Indossa il Dirndl e canta. Sa fare lo Jodel.”
Lo Jodel?” fece eco Spiegel, indeciso se prendere la risposta sul serio o considerarla una specie di scherzo.
Imperterrito, Florian rispose: “Canta una canzone che si intitola ‘L’odio non è altro che amore non corrisposto.’ Vuoi sentire come fa?”
Vuoi metterti a cantare uno Jodel?” gli chiese Spiegel dubbioso.
Il ragazzo scosse la testa. “No, lei è qui fuori. La faccio entrare?” Senza attendere la risposta aprì la porta e chiamò: “Cora!”
Sulla soglia comparve la ragazza: capelli corvini, occhi di un blu profondo, volto liscio, guance appena rosate. Una splendente immagine di grazia e giovinezza.

Congedata la ragazza, i tre si guardarono in faccia per qualche secondo, poi Florian pose la fatidica domanda: “Chi glielo dice?”
In fondo non si tratta di chissà cosa,” considerò il signor König, “si tratta solo di spostare il suo numero all’apertura della serata.”
Non la licenziamo mica,” convenne il figlio.
No di certo. Abbiamo tutti molta stima di Regine, le vogliamo bene come se fosse una di famiglia. Ci pensi tu, Spiegel?”
L’uomo ebbe l’impulso di fare un passo indietro. “Io? Perché io?”
Perché sei l’impresario.”
Che discorsi, allora tu sei il padrone. Tocca a te.”
Ma sei tu che gestisci queste cose.”
Sì, ma tu sei il padrone,” insisté Spiegel, poi vigliaccamente aggiunse: “E comunque, l’idea è stata di Florian.”
Il ragazzo sbarrò gli occhi. “Cosa? Dovrei dirglielo io?”
L’uomo si strinse nelle spalle. “Beh...”
Facciamo a chi estrae la carta più bassa?” propose König.
Spiegel gli rivolse un’occhiata di traverso. “Va bene, ma usiamo il mio mazzo.”

§

Spiegel masticò a mezza voce un’imprecazione, quindi si fermò davanti a una porta ornata da una grande stella dorata e bussò un paio di volte. Una sensuale voce di contralto disse: “Avanti!”
L’uomo spinse l’anta ed entrò. Seduta al tavolino da trucco, Regine era circondata dagli omaggi dei suoi ammiratori come accadeva alla fine di ogni serata. Spiegel ebbe però l’impressione che i mazzi di fiori e gli astucci di gioielli fossero un po’ meno del solito.
Buona sera, mia cara,” la salutò.
Impegnata a togliersi il trucco di scena, Regine lo fissò attraverso lo specchio. “Un successo anche stavolta,” proclamò fiera.
Spiegel si mosse a disagio. “Sono orchidee, queste?” chiese indicando un mazzo di fiori violacei.
Un regalo,” fu la risposta.
Sono molto belle. E anche quelle rose, naturalmente.”
Regine abbandonò il batuffolo imbevuto di tonico con cui si stava struccando e si voltò a fissarlo direttamente. “Che c’è?” gli chiese aggrottando le sopracciglia.
Ecco… niente. Cosa dovrebbe esserci?”
Mi sembri strano.” Di nuovo si voltò verso lo specchio e si protese a osservare il proprio viso sotto la luce intensa. Si girò di tre quarti e si passò le dita su una guancia, come per saggiarne la compattezza. “Sono sempre la più bella, vero?” chiese con un mezzo sorriso.
Spiegel rimase muto.
Regine si voltò a fissarlo con sguardo di fuoco. “Chi è la più bella del Truhe?” ripeté. La voce vibrava di rabbia, ma vi si coglieva anche una lieve nota di angoscia.
L’uomo prese un gran respiro. “È il motivo per cui sono qui, Regine,” si decise a rispondere.
Sarebbe?” ringhiò lei.
È necessario spostare il tuo numero. Andrai in apertura.”
La cantante alzò le sopracciglia con fare sdegnato. “Davvero? All'improvviso sono tornata una ragazzetta a inizio carriera? E chi è la stella che si prenderà il numero centrale? Chi è la grande artista?”
Si tratta solo di una piccola variazione,” replicò Spiegel, ma l’altra imperterrita insisté: “Sul serio, dimmi chi è la stella di fronte a cui la grande Regine deve inchinarsi, sono curiosa.”
È proprio necessario metterla in questi termini?”
Mi rispondi, Spiegel? Se no vado a chiederlo direttamente al signor König.”
Cordula Kerschbaumer.”
Nel camerino calò un silenzio glaciale, rotto solo dalla vaga eco del chiacchiericcio esterno. Spiegel si mosse a disagio, facendo tintinnare i cristalli di un'abat-jour.
Quindi ora è lei la più bella?” chiese infine Regine.
Di nuovo calò il silenzio.
È lei?”
Non puoi negare...”
Regine non lo lasciò finire. “Molto bene, Spiegel,” replicò altera. “Io non sono abituata a farmi trattare così.” Si alzò in piedi e cominciò a raccogliere le sue cose. “Dà pure il camerino alla nuova stella,” ringhiò, “io non penso di averne più bisogno.”
Ma Regine...”
La cantante gli rivolse uno sguardo di degnazione e rispose: “Non preoccuparti per me, io me la caverò come ho sempre fatto.” Si fece scivolare sulle spalle un’ampia stola di seta ricamata, si accese una sigaretta infilata in un lungo bocchino tempestato di strass, quindi con degnazione aggiunse: “Quanto a voi, divertitevi con la vostra nuova bambolina. Sono certa che diventerà una stella di prima grandezza.”
Se ne andò sbattendo la porta.

§

Verso le dieci del giorno dopo, quindi di buon mattino secondo i suoi criteri, Regine salì sul sedile posteriore della sua Horch color crema e si fece portare al Pharaon, un locale in stile egizio. Mentre l’auto percorreva i viali della città, ella sfogliava i due album che aveva avuto cura di portare con sé, uno con le sue fotografie e l’altro con i posti in cui aveva lavorato e i riconoscimenti che aveva ricevuto.
Cominciò a ragionare su come organizzare un numero in abito da Cleopatra, con la parrucca nera e gli occhi bistrati: per il Pharaon sarebbe stato perfetto.
L’auto si fermò, l’autista scese ad aprire la portiera e Regine si diresse altera verso l’entrata del locale.
È chiuso,” la avvisò un tale con un secchio e uno spazzolone.
La cantante lo fissò con degnazione. “Devo parlare con il signor Lehnke,” lo informò.
Il direttore non c’è.”
Regine non lo degnò di ulteriori attenzioni. Procedette con sussiego lungo il marciapiede fino alla porta di un’abitazione privata, poi suonò un campanello.
Dopo un po’ si udì un’assonnata voce maschile che chiedeva: “Chi è?”
Sono Regine.”
Chi?”
La cantante abbassò la voce. “Mathias Bierkant.”
La voce al citofono assunse un’intonazione sorpresa. “E che ci fai qui?”
Diciamo che è il tuo giorno fortunato.”
In che senso?”
Fammi salire.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi la chiusura del portone scattò.

E così, cerchi un ingaggio,” disse Horst Lehnke quando Regine gli ebbe raccontato la faccenda.
La cantante trasse una sigaretta d’importazione da un astuccio d’argento, la accese, aspirò una lenta boccata di fumo ed esalandolo rispose: “Non è esatto. Ti sto offrendo la possibilità di avere la grande Regine nel tuo locale. Ho già pensato all’abito di scena in stile egizio, credo che le tue costumiste saranno in grado di prepararmelo anche per la settimana prossima, se ricamano abbastanza in fretta.”
Lehnke annuì come per dimostrare di aver compreso la situazione. “Sarebbe certamente un privilegio,” le disse, “ma vedi, attualmente stiamo affrontando parecchie spese, non so se potremmo permetterci il tuo ingaggio.”
Regine sollevò sdegnosa un sopracciglio. “Hai idea di quanto ti farei guadagnare con la mia sola presenza?”
Parecchio, immagino. Ma vedi, dovrei chiedere anche agli altri soci, e la prossima riunione sarà solo giovedì.”
Vorrà dire che ti telefonerò venerdì, allora, così mi dirai quando posso cominciare.”
Ti farò sapere io, Regine. Non posso prometterti altro al momento.”

La cantante scese in strada piuttosto contrariata. “Pavido,” disse fra sé e sé. “Non è più capace di fare un investimento, preferisce prendersi una sciacquetta qualsiasi per risparmiare qualche misero marco.” Si accomodò in macchina e ordinò: “Al Plaza, Reiner.”
Sì, signora.”
La macchina raggiunse l’enorme locale, strutturato su tre piani. Poiché dabbasso aveva un caffè, era praticamente sempre aperto, il giorno e la maggior parte della notte. La cantante entrò con sussiego, aspettandosi che baristi e camerieri le corressero incontro per rendere omaggio alla sua fama, ma non accadde nulla di tutto ciò.
L’unica attenzione che ottenne fu da parte di un ragazzotto in giacca bianca, che le si avvicinò e chiese: “Desidera, signora?”
Devo vedere il signor Möller.”
Il giovanotto rimase interdetto per qualche secondo, quindi si voltò verso un collega più anziano. Questi si avvicinò e compito ripeté la domanda: “Desidera, signora?”
Il signor Möller, per favore.”
Ha un appuntamento, signora?”
Io e il signor Möller siamo amici da lungo tempo. Ora lo vada a chiamare, per favore. Non vorrei trovarmi nella necessità di riferirgli che i suoi dipendenti sono scortesi con le sue amicizie.”
Il cameriere non parve particolarmente impressionato da quella minaccia. Si limitò a dire: “Sì, signora,” poi scomparve attraverso una porta.
Passarono non meno di dieci minuti.
Regine, che nel frattempo si era accesa un’altra sigaretta, tamburellava nervosa col piede.
Infine comparve Möller. “Regine cara,” la salutò andandole incontro, “come mai da queste parti?”
Ti ho portato le mie cinque ottave, caro,” fu la risposta.
Möller abbassò le braccia che aveva teso verso di lei. “Sarebbe a dire?” le chiese interdetto.
Penso che romperò il contratto con lo Schatztruhe. Sono a tua disposizione, se vuoi.”
Il sorriso scomparve dal volto dell’uomo. “Ecco, Regine, è un brutto momento,” le rispose. “Ho appena assunto due ragazze nuove, sai. Contratti firmati, che non possono essere rotti.”
Ma caro, io sono Regine. Sono famosa.”
Proprio perché sei così famosa, tesoro, non posso certo sminuirti in numeri di secondo ordine. Al momento non ho niente di adatto a te.” Fece una significativa pausa. “Niente che possa mettere in risalto le tue doti.”
Regine lo scrutò attenta per qualche secondo, quindi abbassò la voce e gli chiese: “Stai parlando delle mie doti canore o di altre doti?” Si passò la lingua sulle labbra.
Möller fece un sorriso tirato. “Via, cara, siamo un po’ grandicelli per certe cose ormai, non ti pare?”

Al Garten,” ringhiò Regine dal sedile posteriore della Horch.
Sì, signora.”
La macchina si mise in moto.
Specie di villano. Ma sai che ti dico, Reiner? Chi non mi vuole non mi merita.”
Sì, signora.”
In fondo, il Plaza è un locale troppo volgare.”
Come dice lei, signora.”
La cantante si accese una sigaretta e rimase a fumare assorta sfogliando i suoi album mentre la vettura procedeva attraverso la città.
Infine giunsero a destinazione. Regine scese dalla macchina senza nemmeno attendere che l’autista le aprisse la portiera, quindi si diresse a passo di carica verso una porta alla quale suonò con decisione.
Comparve sulla soglia una cameriera, che la fissò perplessa e chiese: “la signora desidera?”
Vorrei vedere il signor Senft.”
La donna scosse la testa. “Mi dispiace, non può venire in questo momento.”
La cantante non si mosse. “È molto importante. Io sono Regine, capisce?”
Regine?” si limitò a ripetere la cameriera.
Gli faccia sapere che voglio vederlo. Quando saprà chi sono, verrà subito.”
Anche lì passarono vari minuti. Infine Senft si presentò con un tovagliolo legato al collo. “Stavo mangiando,” la informò serio.
Non preoccuparti, dopo che avrai sentito quello che ho da dirti mangerai con molto più appetito.”
Sarebbe?”
Intendo allontanarmi dallo Schatztruhe, è diventato troppo volgare. Puoi avermi tutta per te. Per il Garten, a tempo pieno.”
La notizia fu accolta da un circospetto silenzio, tanto che dopo un po’ Regine si sentì in dovere di chiedere: “Non sei contento? Tre anni fa avresti fatto carte false per avermi.”
L’altro annuì. “Appunto, tre anni fa. Il tempo passa, si prendono altre decisioni, arrivano altre cantanti.”
Ma non con cinque ottave di estensione vocale, caro mio. Non con la mia classe e la mia esperienza.”
Senft non parve molto impressionato. “Al giorno d’oggi, l’estensione vocale non è la cosa più importante,” la informò.
Davvero? E cosa sarebbe allora?”
L’uomo parve a disagio. “Devo tornare di là,” biascicò, “mi aspettano.” Si gettò un’occhiata alle spalle, come se d’un tratto avesse potuto arrivare qualcuno per richiamarlo all’ordine.
Cosa sarebbe?” ripeté Regine.
Senft cominciò a rinculare, un passo dopo l’altro. “Ti farò sapere, d’accordo? Ti chiamo nei prossimi giorni. Ora non ho proprio tempo, scusami.”

§

Regine sollevò la cornetta del telefono e compose un numero. L’apparecchio squillò un po’ di volte, poi una voce maschile rispose: “Jäger.”
Ti ricordi di me?” gli chiese semplicemente la cantante.
Dall’altra parte ci fu un lungo silenzio, quindi l’uomo chiese: “Cosa vuoi?”
Troviamoci al caffè Kehrer tra un’ora.”
Al Kehrer? Togliti i gioielli, allora. Quella non è una bella zona, soprattutto di notte.”
So badare a me stessa, Jäger.”
Non ne dubito, ma tu togliteli lo stesso. Non vorrei dover intervenire per salvare una signora in difficoltà.”
Vedi di essere puntuale,” gli intimò Regine per tutta risposta, quindi chiuse la comunicazione. Andò a un armadio e ne trasse un elegante completo gessato. Era parecchio tempo che non faceva l’uomo, ma in fin dei conti era nata come tale e certe cose rimangono nel sangue.
Sedette al tavolino da trucco, si applicò un fondotinta di un tono più scuro rispetto al suo incarnato latteo, si incollò sulla fronte sopracciglia dritte, che conferivano al suo volto ambiguo un deciso piglio virile.
Alla fine della metamorfosi si guardò allo specchio: un uomo alto, snello, vestito secondo i più rigidi criteri dell’eleganza maschile. Staccò una gardenia dal vaso che ornava il davanzale e se la infilò all’occhiello, quindi prese da un cassetto una leggera Lignose Einhand, controllò che fosse carica e se la fece scivolare nella tasca della giacca.
A quel punto si spostò nell’ingresso, raccolse cappello e chiavi della macchina, quindi uscì.

Parcheggiò qualche isolato prima del caffè Kehrer: non voleva certo che la sua Ford nera venisse danneggiata o peggio rubata. Dato quello che si accingeva a fare, poi, non voleva neppure che l’auto venisse notata da qualcuno nelle vicinanze del locale.
Procedette a passo svelto, tenendosi nella luce dei lampioni, con la mano sempre pronta ad afferrare la piccola pistola. Entrò infine nel locale, sedette a un tavolino in un angolo, un po’ discosto dagli altri, quindi ordinò un whiskey. Si accese una sigaretta e prese a fumare lentamente, bevendo di tanto in tanto un sorso di liquore.
Jäger arrivò alla fine della seconda sigaretta. Regine valutò che era ancora come lo ricordava: alto, robusto, piglio deciso ma non scevro di una certa eleganza. Interessanti occhi verdi, screziati di grigio. Si erano anche divertiti parecchio insieme, in un passato che ormai si stava facendo sempre più remoto.
L’uomo si sedette e ordinò a sua volta un whiskey, si accese una sigaretta e chiese: “Allora, cosa vuoi?”
Anch’io sono felice di rivederti,” gli rispose Regine imperturbabile. Finì la sigaretta con un unico lungo tiro, esalò lentamente il fumo e schiacciò il mozzicone nel portacenere.
Cosa vuoi?” ripeté Jäger.
Rivedere un vecchio amico, tanto per cominciare. Un amico che se adesso sta bevendo Whiskey al Kehrer e non sta dormendo su un pagliericcio nella prigione di Plötzensee lo deve alla sottoscritta.”
Jäger annuì come se la risposta della cantante avesse già reso chiara ogni cosa. “Sei venuta a riscuotere?” chiese.
I debiti si pagano, mio caro.”
L’uomo annuì di nuovo e bevve un altro sorso, dando fondo al bicchiere. Alzò il braccio per chiamare la cameriera.
Attesero che la ragazza si allontanasse dopo aver raccolto l’ordinazione, quindi Regine gli chiese: “Ti occupi ancora di disinfestazioni?”
Jäger strinse le labbra. Istintivamente abbassò lo sguardo verso il punto in cui fino a un attimo prima si era trovato il suo bicchiere, aggrottò deluso le sopracciglia, poi rialzò gli occhi e li fissò nei suoi. “Disinfestazioni?” ripeté.
Hai capito benissimo. Intendo quelle disinfestazioni.”
L’uomo mantenne il silenzio.
C’è una… gatta che mi dà fastidio,” spiegò allora Regine con glaciale calma. “Una gatta che crede di poter miagolare sotto le mie finestre.”
Jäger annuì serio. “Una gatta, dici?”
Una giovane gattina un po’ sventata, che non ha ancora capito dove si può miagolare e dove invece è molto meglio stare zitte. Tu dovresti occuparti di lei e io poi mi dimenticherò di te per sempre.”
Jäger lasciò passare qualche secondo, quindi chiese: “E se io ti dicessi che ho smesso con certe cose?”
Regine fece un sorrisetto di superiorità. “Andrei dal tuo capo e gli farei avere certi documenti.”
E se io mi occupassi della tua disinfestazione? Adesso, dietro l’angolo?”
La cantante mantenne la faccia da poker. “Mi credi così stupida, Jäger? Ovviamente ho preso le mie precauzioni.”
Ma davvero?”
Tu fa’ quello che ti chiedo e la questione finisce qui.” Regine fece una studiata pausa, sovrappose con gesto elegante le mani sul piano del tavolo, quindi in tono funesto proseguì: “Rifiutati e la prigione di Plötzensee ti sembrerà un sogno, rispetto a quello che ti farà il tuo capo.”
Tra i due calò un silenzio greve. Jäger prese il bicchiere che nel frattempo gli era stato portato e ne tracannò una buona metà con un solo sorso, quindi lo appoggiò di nuovo sul tavolo facendo tintinnare il ghiaccio. Infine chiese: “Ha un nome, questa gatta?”


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve a tutti/e! Ecco un altro capitolo della nostra vicenda fiabesca trasportata nella Berlino di fine anni ‘20. Ringrazio come sempre tutti quelli che mi stanno seguendo e faccio un ringraziamento speciale a chi mi ha anche lasciato il suo parere!^^





Capitolo 3

Cordula fece una bracciata di tutti i suoi abiti di scena, poi raccolse anche la biancheria, le scarpe e tutto il resto e si diresse con entusiasmo verso il camerino con la porta ornata da una grande stella dorata.
Mentre cercava di abbassare la maniglia col gomito, l’anta si schiuse e sulla soglia comparve Regine. “Hai preso tutto, cara?” s’informò la cantante.
La ragazza si immobilizzò all’istante, con l'impressione di essere appena stata investita da una folata d'aria gelida, poi piegò la testa all’indietro per riuscire a guardarla in faccia. “Credevo che non ci fosse nessuno,” balbettò.
L’altra annuì con un sorriso che sembrava quello di un caimano. “E invece come vedi ci sono io.”
Cordula deglutì. “Forse… è meglio che me ne vada?” propose.
Oh, ma no. Assolutamente no. D’ora in poi, questo sarà il tuo camerino.” Regine si scostò per farla passare. “Vieni avanti, tesoro. Metti le tue cose nell’armadio.”
La più giovane fece un cauto passo all’interno, quasi aspettandosi che da un momento all’altro una tagliola le si chiudesse sulla caviglia. “E tu?” chiese poi.
Oh, io mi adatterò, non preoccuparti.”
Davvero?”
Ma certo, in fondo a me basta poco per stare bene. Ah, sta’ attenta al tavolino del trucco: traballa un po’.”
Sotto lo sguardo attento di Regine, Cordula si fece avanti e appoggiò la bracciata di vestiti sul divanetto. Poi alzò gli occhi sulla cantante, come aspettandosi che le desse la sua approvazione.
L’altra si limitò a un sobrio cenno del capo. “Ora vado,” la informò poi. “Mi raccomando, attenta al tavolino: potrebbe succedere un incidente quando meno te l'aspetti.”
La ragazza rimase sola nella stanzetta e nonostante la temperatura estiva si trovò a rabbrividire. Per distrarsi dalla sensazione di freddo che il sinistro avvertimento le aveva lasciato addosso cominciò a sistemare gli abiti nel guardaroba, canticchiando frattanto la sua canzone: l’odio non è altro che amore non corrisposto.
Man mano che sistemava le sue cose, e che la stanza perdeva le connotazioni che vi aveva lasciato Regine per diventare sempre più sua, anche il timore reverenziale nei confronti della cantante la abbandonava: in fin dei conti, il signor König aveva scelto lei e le aveva affidato il numero più importante della serata. Questo voleva ben dire qualcosa.
In quel momento udì bussare alla porta.
Un brivido la attraversò al pensiero che fosse Regine che tornava, nonostante tutto quella sussiegosa megera non aveva ancora smesso di inquietarla, ma uno sguardo allo specchio bastò a fugare ogni timore: era giovane e bella e avrebbe presto fatto carriera. “Avanti!” gorgheggiò.
Sulla soglia comparve Florian, con un mazzo di rose in mano. “Come sta la stella del Truhe?” le chiese porgendoglielo.
Cordula giunse le mani e se le portò al petto. “Come sono belle,” sospirò sognante.
Mai belle quanto te,” le assicurò lui.
La ragazza abbassò lo sguardo. “Lo credi davvero?”
Ma certo!” le assicurò lui con calore.
Non è che lo dici solo per farmi contenta?”
Ma no, perché dovrei fare una cosa del genere?”
Lei si voltò verso lo specchio e si osservò critica. “Non lo so, forse non sono abbastanza bella per questo ruolo. Non ho abbastanza classe.” Abbandonò la contemplazione della propria figura e tornò a voltarsi verso il ragazzo. “Tu credi che io abbia classe?”
Ne hai da vendere, Cora,” le assicurò lui con calore, con lo sguardo che vagava sul suo generoso décolleté.
Più di quella là?”
Lo sguardo di Florian si manteneva fisso sulla sua scollatura. “Ovvio che ne hai più di lei.”
Ella sorrise. “Sei sempre così caro,” tubò. Poi, a voce più bassa: “Andiamo fuori a cena dopo lo spettacolo?”
Facciamo qualcosa anche adesso? Su quel bel divano magari?
Ma Florian! Io non sono quel genere di ragazza.

§

Cordula rientrò in camerino con le guance ancora in fiamme per gli applausi ricevuti. Per quanto ormai ogni sera riscuotesse successi, non era ancora riuscita ad abituarsi alla gente – perlopiù uomini, per la verità – che applaudiva proprio lei.
Quando si esibiva, era come se intorno al palco ci fosse un branco di pinguini: i signori, in nero, si assiepavano lì sotto mentre le signore si tenevano a maggiore distanza.
Florian aveva fatto accorciare ulteriormente la gonna del suo Dirndl e aveva fatto approfondire la scollatura della camicetta: si chiese se fosse per quello che tutti la guardavano.
Lo stupore interruppe il filo delle sue considerazioni: oltre ai soliti mazzi di fiori, sul tavolino da trucco faceva bella mostra di sé una scatola dall'aspetto elegante, larga e piatta, di un sobrio color crema, chiusa da un nastro rosso. Si avvicinò incuriosita, notando che essa aveva stampigliato sul coperchio, in eleganti caratteri dorati, il nome della migliore pasticceria della città, famosa perché fino a pochi anni prima aveva servito addirittura il Kaiser Guglielmo.
Afferrò un'estremità del nastro e tirò piano: il fiocco si sciolse docilmente, come invitandola a prendere visione del contenuto della scatola.
Sollevò titubante il coperchio e quando ciò che esso celava si rivelò ai suoi occhi, ella rimase a bocca aperta. Si trattava di praline: le più sontuose, fragranti, eleganti e costose che si potessero immaginare. Erano fatte senza dubbio del cioccolato più pregiato ed emanavano un profumo che letteralmente dava alla testa.
Cordula aspirò quell'opulento aroma socchiudendo gli occhi per il piacere e subito la mano le scivolò al ciondolo che portava al collo, come accadeva ogni volta che qualcosa la emozionava profondamente. Fatto questo si ricompose e si guardò intorno maliziosa. “Florian?” sussurrò. “È opera tua?” Emise un risolino.
Non ci fu risposta.
Cordula si guardò intorno di nuovo, cercando anche dietro le tende, ma dovette arrendersi all'evidenza: a parte lei, la stanza era vuota. Tornò allora alla scatola di cioccolatini e al suo interno trovò un biglietto che diceva: 'Con ardore.' Firmato: Erich.
Si rigirò perplessa fra le mani il piccolo rettangolo di cartoncino: non riconosceva né la grafia, né il nome del misterioso ammiratore, che però al contrario sembrava conoscere molto bene lei e i suoi gusti.
Prese tra le dita un magnifico cioccolatino fondente a forma di piccolo cuore, lucido come una pietra dura, e se lo mise in bocca: esso si spezzò scrocchiando e lasciò fuoriuscire un ripieno all'aroma di vaniglia e rosa. Cordula emise un mugolio di piacere.
In quel momento bussarono alla porta.
Ella sussultò col cuore in tumulto, come se fosse stata sorpresa a fare qualcosa di molto sconveniente. “Un momento!” disse precipitosamente, “Non sono presentabile!”
Da fuori, la voce di Florian chiese: “Nemmeno per me?”
Un momento!” ripeté Cordula. Chiuse la scatola, vi avvolse intorno il nastro e la fece scivolare nel cassetto assieme al cartoncino che la accompagnava. “Ora puoi venire!” disse a quel punto, sentendosi come se stesse nascondendo l'amante nell'armadio.

Nei giorni successivi, il misterioso Erich lasciò altri omaggi. Sempre cioccolatini, i più fini e costosi che la città potesse offrire. Una volta Cordula aveva trovato addirittura una scatola di praline Godiva, fatte venire apposta dal Belgio.
Nessuno sapeva chi li portasse. Prima di andare in scena non c'erano e quando lei tornava, al solito col volto acceso e il petto che si alzava e si abbassava per effetto del fiatone, la pregiata scatola era lì ad attenderla.
Più volte, certa che si trattasse di una specie di scherzo di Florian, aveva cercato di coglierlo sul fatto, ma invariabilmente il giovanotto si era dichiarato innocente e aveva presentato a supporto dell'affermazione alibi di ferro.
L'unica persona che ogni tanto aveva scorto nei dintorni del suo camerino era Regine, ma dubitava che fosse la vecchia gloria spodestata a lasciarle in dono cioccolatini di marca.
Le rimanevano solo congetture su chi fosse il misterioso Erich, congetture che puntualmente le toglievano il sonno, o lo riempivano di sogni eccitanti.
Poi una sera, mentre cantava, ebbe una strana sensazione, come di qualcuno che la fissasse con insistenza. Tutti la fissavano, naturalmente, dal momento che era diventata la stella del locale, ma quello sguardo pareva avere qualcosa in più. Era caldo, audace. Addirittura indiscreto. Le scorreva addosso come una sensuale carezza.
Era uno sguardo che Florian non le aveva mai rivolto.
Si girò in quella direzione e subito notò un uomo: alto, robusto, vestito in maniera assai elegante. Aveva interessanti occhi verdi, screziati di grigio.
I loro sguardi si avvinsero, Cordula ebbe un tuffo al cuore e quasi saltò una battuta della canzone, persa nella contemplazione di quel fascinoso ammiratore.
Non poteva che essere il misterioso Erich, subito ne fu certa. In un gesto istintivo si toccò il ciondolo che portava al collo e le parve che l'uomo annuisse, come se avesse compreso perfettamente la muta domanda che la stava assillando.
La ragazza rientrò in camerino ansante, col cuore in tumulto e la sensazione che stesse per succedere qualcosa di decisivo. Trovò sul tavolino una scatola sontuosa, fatta a cuore e tutta foderata di raso rosso. Le praline al suo interno avevano forme che non avrebbero consentito la loro esposizione in nessuna vetrina seria.
Oh,” disse semplicemente Cordula, fissando interdetta i licenziosi cioccolatini.
Dalla scatola cadde un biglietto. La firma era sempre quella del misterioso Erich, ma questa volta invece delle parole audaci vi erano un indirizzo e un orario.

Cordula rimase per lunghi minuti a fissare la missiva, tormentando frattanto il ciondolo che portava al collo. Che fare?
Allungò distrattamente una mano verso la scatola e ne trasse un raffinato cioccolatino fondente. Se lo infilò in bocca e prese a masticare adagio, socchiudendo gli occhi e piegando appena la testa all'indietro mentre lo gustava.
Dei colpi alla porta la fecero sussultare. Sussultò, inghiottì in fretta quello che ancora le era rimasto in bocca e disse: “Avanti!” La scatola sparì come sempre nel cassetto.
Entrò Florian.
Cordula si voltò verso di lui e aggrottò appena le sopracciglia: paragonato al misterioso Erich, dallo sguardo magnetico e dal fascino conturbante, il giovanotto le parve di colpo fatuo e sciocco: un bamboccio figlio di papà, né più né meno.
Abbassò gli occhi sul tavolino, nel cui cassetto il messaggio di Erich sembrava bruciare a tal punto che quasi ne avvertiva il calore sulla pelle.
La voce del ragazzo la riportò momentaneamente alla realtà: “Andiamo a cena al Kempinski stasera?”
D'istinto Cordula fu quasi tentata di accettare: si trattava di un ristorante molto elegante, che costava un sacco di soldi. Poi però ripensò a quello che c'era nel cassetto e rispose: “No, non mi sento tanto bene.”
Florian assunse un'espressione preoccupata e le chiese: “Che cos'hai?” Si avvicinò e fece per toccarla, ma lei si scostò. “Sono solo un po' stanca,” disse, aggrottando le sopracciglia infastidita.
Vuoi che ti accompagni a casa?”
Cordula rifletté velocemente: farsi accompagnare a casa e fingere di andare a dormire era probabilmente il modo più rapido per toglierselo di torno. Gli rivolse un sorriso. “Davvero lo faresti?”
Ma naturalmente,” rispose lui con slancio. “Non posso certo farti andare a casa da sola.”
Che caro. Ora esci, però, che devo cambiarmi.”
Una volta sola, Cordula sgusciò velocemente fuori dall'abito di scena, si infilò un tailleur e fece scomparire nella borsa la scatola di cioccolatini e il biglietto. Alla fine si diede due colpi di spazzola e una passata di rossetto, poi andò ad aprire la porta. “Sono pronta,” annunciò.
Oh, Cora, sei bellissima!” esclamò il ragazzo estasiato. “Sicura che non vuoi venire a cena?”
Lei fece il broncio. “Sei il solito insensibile: ti ho detto che non mi sento bene e tu pensi solo ad andare a cena.”
Florian assunse un'espressione contrita. “Scusa, io pensavo di farti un piacere.”
E secondo te, proporre di uscire a una persona che non sta bene sarebbe un piacere?”
No, Cora, io...”
È meglio che mi porti a casa, Florian.” Poi, dopo una pausa, in tono di velata minaccia: “Ne riparliamo domani.”

§

Una volta che fu nella sicurezza del suo appartamento, con la porta chiusa a due mandate, Cordula si pose di nuovo la fatidica domanda: che fare?
Riguardò il biglietto: non mancava molto all’orario che vi era scritto, aveva poco tempo per prendere una decisione. Osservò la grafia risoluta ma al tempo stesso elegante con cui erano stati vergati i caratteri e immaginò di sentire su di sé le mani che erano capaci di quella scrittura. Subito fu presa da un brivido e si aggrappò al ciondolo a forma di cuore come in mare aperto avrebbe afferrato un salvagente. “Erich,” mormorò rapita, rievocando lo sguardo di quegli occhi misteriosi, “Oh, Erich.”
Corse in camera lasciando cadere nel tragitto gli abiti uno dopo l’altro, si guardò allo specchio con addosso solo la biancheria, si raccolse i capelli assumendo pose provocanti.
Ripensò a quello che le aveva sempre raccomandato sua madre: certo, un bel marito era quello che ci voleva, era opportuno fare di tutto per trovare l’uomo giusto e sistemarsi. La ragione le diceva di seguire quel saggio consiglio, ma il cuore stava cedendo inesorabilmente di fronte al fascino del misterioso spasimante.
Abbandonò infine le mosse equivoche e si guardò con la pacatezza della decisione raggiunta: Florian non l’avrebbe mai saputo, sarebbe rimasto un suo segreto. Suo e di Erich.
Andò all’armadio e scelse un abito verde smeraldo che metteva in risalto le sue forme e il suo incarnato. Lo indossò mentre il senso di aspettativa per quello che sarebbe successo cresceva di attimo in attimo, poi andò al tavolino del trucco e prese a lisciarsi con la spazzola i capelli corvini.

Scese in strada titubante, col cuore che le galoppava nel petto e un tremito lieve che le percorreva le membra. Ogni volta che rievocava quello sguardo, il respiro le mancava ed ella si sentiva folle, posseduta, pervasa da una smania che non le concedeva tregua.
Si strinse nel soprabito leggero. Anche se era una notte d’estate, tiepida e profumata di tiglio, si sentiva le mani ghiacciate.
Nondimeno attese il taxi e quando la vettura le si fermò accanto, vi montò sopra con risolutezza. Temendo che al momento del dunque le tremasse la voce, si limitò a mostrare al conducente il biglietto con l’indirizzo.
La macchina si mise in movimento.
Cordula cercò di guardare fuori, ma nella fuggente luce dei lampioni non vedeva che tratti di marciapiede perlopiù deserti. Intuiva palazzi incombenti, in cui talvolta coglieva il rettangolo di luce di finestre ancora illuminate, ma perlopiù le facciate erano buie.
Poi la strada si fece più larga, ai lati di essa presero a scorrere file di alberi. Una frescura piacevole sostituì l’afa delle vie del centro.
La vettura si fermò. “Siamo arrivati, signorina,” disse il tassista.
Cordula si guardò intorno sbattendo gli occhi e per un attimo fu attraversata da una fitta di paura: si trovavano all’ingresso di un parco pubblico. Il cancello di ferro battuto, socchiuso, ricordava quello dei cimiteri di certe storie gotiche. Nell’aria c’era un gran silenzio, rotto solo dal frinire dei grilli e da un lontano scorrere d’acqua.
Dove siamo?” chiese.
Dove mi ha detto lei, signorina.”
Di nuovo, Cordula si guardò intorno senza risolversi ad abbandonare la vettura. Per quanto di giorno quel posto dovesse essere lindo e ben curato, col buio le pareva inquietante, gravato di ombre sinistre, pieno di rumori che le riempivano la schiena di brividi ghiacciati.
Stava per ordinare al tassista di tornare indietro quando un uomo alto e robusto, dal portamento elegante, comparve nel cono di luce di un lampione. Il cuore le balzò nel petto, di colpo dimenticò ogni proposito di fare ritorno a casa. “Erich,” sospirò.
Pagò la corsa e abbandonò con entusiasmo la rassicurante vettura nera. Nell'atto di muoversi verso il suo ammiratore le parve di aver appena abbandonato la sicurezza della costa per avventurarsi in acque profonde.
Sei un incanto,” la accolse l'uomo. “Cora?”
Lei rimase stupita. “Come fai a conoscere il mio soprannome?”
So molte cose di te.”

Jäger le diede cerimoniosamente il braccio e presero a camminare adagio per un vialetto immerso nel verde. “Dove siamo qui?” chiese lei con voce sommessa, forse ancora intimidita da tutta la situazione.
Lungo il Landwehrkanal. Mi piace venire qui di notte.”
Davvero? Perché?”
È tranquillo.”
La voce di Cordula suonò vagamente delusa: “Io pensavo che saremmo andati da qualche parte.”
Del tipo?”
Non so, a ballare?”
Jäger rallentò fino a fermarsi, quindi con gesto audace la strinse fra le braccia e sussurrò: “Non è certo ballare la prima cosa che mi viene in mente quando ti vedo.”
Lucidi d'emozione, gli occhi della ragazza brillarono in quella penombra come pietre preziose mentre il suo giovane corpo palpitava percorso da sconosciuti brividi. Per quanto decisamente non fosse un estimatore del genere femminile, l'uomo ci mise poco a capire perché Regine gli aveva ordinato di farla fuori.
Con una creatura così non si poteva venire a patti: ti entrava dentro. Ti scioglieva, in un certo senso. Con un solo sguardo stellante era in grado di farti sentire il suo Re, il suo Cavaliere, colui nel quale ella riponeva tutta la sua fiducia, incrollabilmente certa che mai il suo campione avrebbe potuto tradirla.
Mise la mano libera in tasca, strinse fra le dita il coltello a scatto. Da sopra la testa di Cordula, che anelante fremeva abbandonata contro il suo petto, si guardò rapidamente intorno: silenzio, nessuno in giro. Bastava afferrarla per i capelli, piegarle la testa all'indietro, affondare il coltello nel punto giusto, sfilarlo e buttarla nel canale. Ci avrebbero pensato l'acqua e la corrente, poi, a finire l'opera.
La lama baluginò nel buio.
Allo scatto dell'arma, la ragazza ebbe un sussulto. “Cos'è stato?” chiese.
Si girò tremando come un capriolo all'approssimarsi della muta e nel movimento colse il brillio sinistro dell'acciaio. “Cos'è?” ripeté spaventata. Cercò di farsi indietro.
Jäger l'afferrò per un braccio prima che riuscisse ad allontanarsi. “Sta' ferma!” le intimò brusco. Ella s'immobilizzò e rimase a fissarlo atterrita, ansante, con gli occhi lucidi e le labbra socchiuse. Nella penombra densa, il suo volto pallido di paura era come una chiazza di luce lunare.
Per un attimo, i due rimasero immobili a fissarsi, il coltello ancora alzato che incombeva minaccioso, poi le lacrime cominciarono a solcare il volto di Cordula, lasciando sulle sue guance piccole file di perle trasparenti. “Perché?” singhiozzò. Lo fissò angosciata.
Jäger distolse lo sguardo da quelle palpitanti gemme azzurre. “Qualcuno ti vuole morta.”
Chi? Chi può volermi morta?” fu l'accorata risposta. “Io non ho mai fatto male a nessuno.” Lo sguardo si fece smarrito, sgomento. “Non ho mai fatto del male a nessuno,” ripeté, “né potrei mai farlo, io voglio bene a tutti. Chi può volermi morta?”
L'uomo s'impose il distacco. Aveva visto ogni genere di scena, quando giungeva il momento fatidico: gangster incalliti che si mettevano a invocare la mamma, spiantati che promettevano ricchezze di ogni genere, matrone di specchiata moralità che si offrivano come prostitute da angiporto. Non gli era mai capitata, però, quella docile, rassegnata accettazione. Cordula non implorava, non cercava nemmeno più di scappare: attonita ma rassegnata, si sottometteva all'ineluttabile.
La lama ebbe un tremito.
La ragazza, spalle ingobbite, occhi incollati a terra, ebbe un lieve singhiozzo.
Jäger rievocò l'immagine di Regine, alias Mathias Bierkant, che con un sorrisetto compiaciuto gli ordinava di uccidere la sua rivale. “Lo sai chi è che ti vuole morta?” non poté fare a meno di chiederle.
Cordula smise di singhiozzare e alzò lo sguardo su di lui. Scosse appena la testa.
Sicura che non lo sai?”
La ragazza scosse di nuovo la testa, con tale energia che un paio di lacrime schizzarono sul volto di Jäger.
Hai pestato i piedi a Regine,” si decise allora a spiegare lui, “e per come la conosco, nessuno può farlo e sperare di uscirne indenne.”
Cordula trasecolò. “Regine?” ripeté smarrita. “Ma Regine è mia amica. È il mio modello, mi ha insegnato tutto.”
Ma le hai rubato la parte.”
Lo sgomento di Cordula si fece, se possibile, ancora più profondo. “Ma io credevo che lei fosse d'accordo, che avesse parlato lei con il signor König. Oh, povera me, perché ho accettato? Se avesi saputo che Regine non voleva cedermi la parte, sarei andata in qualsiasi altro locale, piuttosto. Sarei andata anche a lavare i piatti. Come faccio a chiederle perdono?”
Jäger scosse la testa. “Temo che ormai sia tardi.”
Cordula gli rivolse uno sguardo implorante. “Allora aiutami tu, ti prego, non voglio morire. Scapperò, ti giuro che scomparirò per sempre da Berlino, che Regine non sentirà mai più parlare di me.”
Jäger emise un sospiro, si mosse a disagio. Teoricamente, quelle erano scene che aveva già visto decine di volte. Scappo, vado via, ti giuro che nessuno sentirà mai più parlare di me, chiedo perdono... Per essere una dello spettacolo, quella Cordula avrebbe anche potuto tirare fuori qualcosa di meglio.
Eppure...
Eppure, per la prima volta nella sua carriera di assassino su commissione si sentiva un mostro, una bestia, un essere senza cuore.
Il coltello tornò nella tasca. Egli afferrò con forza la ragazza per le spalle e la costrinse a guardarlo in faccia. “Sta' zitta e ascoltami,” le intimò, rintuzzando brusco ogni suo tentativo di profondersi in ringraziamenti. “Dirò a Regine che ti ho uccisa e ti ho buttata nel Landwehrkanal, ma tu devi sparire stasera stessa, non devi mai più farti vedere da queste parti, hai capito?”
Ancora frastornata, Cordula si limitò ad annuire.
Dirò che ti ho uccisa,” ripeté Jäger, “quindi devi sparire per sempre, altrimenti ci andrò di mezzo anch'io, è chiaro?”
Sì, ho capito.”
Mi serve qualcosa da mostrare a Regine come prova che ti ho uccisa.”
Che cosa?” mormorò Cordula con un filo di voce, già temendo che l'uomo volesse portarle via un occhio o un orecchio.
Il tuo ciondolo a forma di cuore andrà benissimo.”
D'istinto la ragazza lo strinse in mano. “È la cosa più cara che ho,” disse con voce tremante.
Proprio per questo, Regine penserà che te l'ho tolto dopo morta. Coraggio, ne comprerai un altro più bello.”
Le lacrime ricominciarono a scorrere sul volto pallido di Cordula, tuttavia ella si slacciò la catenina e la porse a Jäger.
Molto bene,” apprezzò lui infilandoselo in tasca.
Sì, ma... come faccio a sparire?” balbettò a quel punto la ragazza fra i singhiozzi, “Dove posso andare?”
L'uomo fu tentato di circondarle le spalle con il braccio. “Ti accompagnerò in stazione, così potrai prendere il treno.”
I singhiozzi aumentarono. “Non ho soldi, non so dove andare.”
I soldi te li posso dare io,” rispose Jäger sbrigativo, ormai ansioso a sua volta di concludere quella scomoda vicenda. “Non puoi tornartene a casa tua, al tuo paese?”
No, a casa no. Non voglio far preoccupare i miei.”
Non hai nessun altro?”
Cordula non rispose.
Fu Jäger che alla fine prese in mano la situazione: era tardi, non c'era in giro anima viva. Poteva sperare che nessuno avrebbe notato che lasciava una ragazza in abiti eleganti all'Anhalter Bahnhof. “Sali in macchina,” le disse, “penserai a che treno prendere durante il tragitto per la stazione.”

§

Seduta sul treno per Bochum, con mani ancora tremanti Cordula estrasse dalla borsetta lo specchietto per il trucco e si guardò. La mancanza del suo ciondolo fu la prima cosa che le saltò all'occhio, facendo addirittura passare in secondo piano i capelli spettinati e il mascara sciolto dalle lacrime.
Tirò fuori dalla borsa una spazzola e cominciò a ravviarsi lentamente le ciocche corvine. Quando la pettinatura fu nuovamente in ordine, prese una piccola spugna e si sistemò anche il trucco sbavato.
A quel punto si abbandonò all'indietro contro lo schienale ed emise un lungo sospiro. Scosse la testa come per scacciare le immagini degli ultimi avvenimenti: si era già vista morta. Per fortuna Erich Jäger si era rivelato sensibile alle lacrime femminili come tutti gli altri uomini e alla fine aveva acconsentito a risparmiarle la vita, e sempre per fortuna si era bevuto la storia che gli aveva raccontato su Regine e sul numero centrale del Truhe.
Si chiese se davvero avrebbe dovuto rimanere lontana da Berlino, quindi dalla carriera e dalla fama, per sempre. Regine poteva ritirarsi dalle scene, magari, in fondo non era più tanto giovane. Oppure poteva anche morire.
In ogni caso, non sarebbe durata per sempre.
Si portò la mano al collo, solo per constatare che il suo beneamato cuore non c'era più.
Si chiese a quel punto se la pensione di zia Trude esistesse ancora.
Quando Jäger l'aveva lasciata in stazione, smarrita e spaventata a morte, non aveva fatto altro che guardare il tabellone dei treni in partenza alla ricerca di ispirazione. Alla fine, la scelta era caduta su quello diretto verso la Ruhr: a Gladbeck, vicino a Bochum, abitava una sorella di sua madre.
Non aveva mai saputo il perché e percome fosse finita là, in famiglia non si parlava volentieri della cosa, ma sapeva che con la guerra era rimasta vedova e aveva fatto di casa sua una pensione. Per vivere dava alloggio ai minatori che lavoravano nella vicina miniera di carbone.
Quello sarebbe stato probabilmente il posto migliore per nascondersi fino a che le acque non si fossero calmate.



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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Salve gente,
ecco qui finalmente un altro capitolo della vicenda. Come sempre, ringrazio moltissimo tutti quelli che mi hanno seguito e commentato, ma un ringraziamento speciale va a tutti coloro, e sono tanti, che mi hanno testimoniato il loro affetto e la loro stima. Grazie davvero, ragazzi!!






Capitolo 4

Ferma lungo un binario della stazione di Bochum, stretta nel suo spolverino troppo leggero, Cordula si sentiva affamata e stanca. Le facevano male i piedi per colpa dei tacchi alti e il suo abito troppo vistoso, adatto tutt'al più a una serata elegante nella Capitale, attirava gli sguardi dei passanti.
Abbandonò la pensilina, andando alla ricerca della stazione degli autobus.
Anche se era estate, il cielo della Ruhr appariva cupo come in pieno inverno. Ovunque c'era odore di carbone, tutto era tetro e grigio. Non il grigio di Berlino, ovvero il colore della pietra di cui erano fatti palazzi e monumenti, ma un grigio scialbo, triste, come di un enorme pennello che fosse passato cancellando ogni altro colore.
Persino il suo sgargiante abito di seta verde in quella luce smorta sembrava perdere la sua brillantezza.
Finalmente individuò il parcheggio da cui partivano gli autobus. Attraversò mesta la strada e con gli ultimi soldi comprò un biglietto per Gladbeck, quindi prese posto su una corriera fredda, in cui anche i sedili di legno sembravano grigi.

La svegliò l'avviso del conducente: “Capolinea!”
Cordula sussultò e d'istinto si portò la mano alla gola, solo per constatare ancora una volta che il suo beneamato ciondolo non c'era più. Si alzò ancora indolenzita e percorrendo lo stretto corridoio del veicolo, di traverso perché coi suoi fianchi rotondi sbatteva contro i sedili, pensò che in effetti era come se in quella fatidica notte una parte di lei se ne fosse andata per sempre. Il cuoricino, emblematicamente, ucciso dalla cattiveria e dall'egoismo di certe persone senza scrupoli.
Si fermò presso l'autista e gli chiese se per caso conosceva la pensione di Gertrud Hofer.
L'uomo sollevò le sopracciglia con aria stupita.
Gertrud. Trude Hofer. Dovrebbe avere una pensione qui a Gladbeck,” disse Cordula, mentre si faceva strada in lei il terrore di rimanere lì da sola, senza soldi, senza casa e abbandonata da tutti.
Ah, Trude,” disse invece l'autista. Aggrottò le sopracciglia che prima aveva sollevato e in tono ammonitore disse: “Ma non è un posto adatto a lei, signorina.” Poi abbassò con fare significativo lo sguardo sul suo abito di seta verde e soggiunse: “Forse.”
Cordula avvampò: era appena stata scambiata per una puttana. Si strinse nello spolverino cercando di mostrare la minor porzione possibile del sottostante vestito, quindi replicò: “Posso sapere dov'è, per favore? La signora Hofer è mia zia e io sto andando a farle visita.”
Ma certo, come no,” ghignò l'uomo, “e io sono il Kaiser.”
Non mi interessa se lei è il Kaiser o il Presidente Hindenburg,” replicò Cordula offesa, “voglio solo sapere dov'è la pensione di mia zia.”
Ma certo, signorina, non si scaldi.” Le indicò una strada. “Prenda quella via, giri a destra alla terza ed è arrivata. Mi saluti la sua cara zietta.”
La ragazza gli girò le spalle con sussiego, scese dal mezzo cercando di ignorare il male ai piedi e si incamminò sperando che l'uomo le avesse dato le indicazioni giuste.
Il tempo non era migliorato rispetto a Bochum. Guardare il cielo era come fissare una parete dipinta di un grigio smorto. Non c'era nemmeno una nuvola a turbare quella piatta uniformità, non tirava un filo di vento. I caseggiati, di mattoni così scuri da sembrare neri, avevano l'aria tetra, sembravano disabitati da anni. Per strada non c'era anima viva.
Cordula tese l'orecchio: in lontananza udì lo sferragliare di un carretto, da una finestra socchiusa proveniva il canto di una voce femminile.
Ormai era quasi ora di pranzo e nell'aria, oltre all'odore di carbone, vi era quello di crauti e salsicce. Non che di solito ne andasse pazza, ma in quel frangente le parve il profumo più soave del mondo.
Deglutì un paio di volte mentre lo stomaco, desolatamente vuoto dai cioccolatini della sera prima, emetteva un brontolio.

La pensione apparve dietro una svolta: era un edificio a due piani che doveva risalire alla metà del secolo prima, originariamente bianco e color crema, ma ormai grigio al pari di tutto il resto. Solo una porzione quadrata di muro, dalla quale probabilmente era stato da poco rimosso un pannello, manteneva i colori originali.
Sulla porta pendeva un'insegna su cui si leggeva: Pensione Trude.
Cordula emise un sospiro di sollievo. Si sentì il cammelliere che dopo giorni di deserto vede l'oasi, o il naufrago che scorge una vela profilarsi all'orizzonte. Nonostante il sempre più acuto male ai piedi, si trovò ad allungare il passo.
Raggiunse la porta. Intorno all'edificio aleggiava un paradisiaco odore di cibo, sui davanzali del primo piano lenzuola e coperte stavano prendendo aria.
Suonò il campanello.
Arrivo!” disse una voce femminile.
La porta si aprì. Sulla soglia c'era una robusta matrona con uno chignon di capelli neri appena venato di grigio, un grembiule bianco legato in cintura e una sigaretta all'angolo della bocca. “Sì?” chiese rivolgendole uno sguardo vagamente sdegnoso.
Zia Trude?” tentò Cordula.
L'altra aggrottò le sopracciglia. “Cosa?”
Ehm... signora Gertrud Hofer?”
È il mio nome da ragazza, adesso mi chiamo Gertrud Staerkel. E tu chi saresti?”
Cordula. La figlia di Helga Kerschbaumer, nata Hofer.”
Sul volto della donna, fino a quel momento cupo e sospettoso, si allargò un sorriso. “Ma pensa un po', la piccola Cora! Sei davvero tu?” La afferrò per le spalle, la scosse facendole scrocchiare le ossa e poi se la strinse al prosperoso petto. “La piccola Cora, nientemeno!” ripeté.
Cordula si lasciò docilmente sbatacchiare, anche perché ormai non avrebbe più avuto la forza di opporsi a quelle rudi manifestazioni d'affetto. “Posso entrare, zia Trude?” si limitò a pigolare dopo un po'.
Ma certo che puoi! Vieni dentro, tesoro.” Si fece da parte per lasciarla passare.
Quando furono entrambe sedute a tavola, entrambe con un enorme piatto di salsicce e crauti davanti, zia Trude la rimirò con affetto e le chiese: “E quindi, cosa ti porta qui a Gladbeck, piccola Cora?”
Tra un boccone e l'altro, la ragazza riferì gli avvenimenti degli ultimi mesi.
Alla fine del racconto, Trude rimase in silenzio per quasi un minuto, infine disse: “Puoi stare qui finché vuoi, tesoro. Mi darai una mano con gli ospiti e io in cambio ti darò vitto e alloggio.” Fece una pausa, poi soggiunse: “E vestiti decenti.”
Sì, zia.”
Qui vivono solo uomini,” spiegò la donna, “non vorrei che si facessero strane idee.”
Cordula annuì. “Hai molti ospiti?” le chiese poi, già calcolando mentalmente quanto ci sarebbe stato da lavorare ogni giorno.
La pensione ha dodici posti, ma al momento ho solo i sette fratelli Zwerg. Dormono nelle camere al piano di sopra.”
Cordula si guardò intorno come aspettandosi che dessero qualche segno della loro presenza, ma la pensione era perfettamente silenziosa. “Dove sono?” domandò.
In miniera. Lavorano tutto il giorno.”
La ragazza si limitò ad annuire.
Tra un po' torneranno,” proseguì Trude. “Ci sarà da fare la cena e da mettere un mastello d'acqua sul fuoco.”
Perché l'acqua?”
La donna fece una risatina. “Vedrai.”

Quando Cordula, all'imbrunire, vide avvicinarsi un chiassoso gruppo di uomini neri, poco mancò che scappasse strillando.
Come sempre andò d'istinto alla ricerca del ciondolo, ma non trovò nulla. Rivolse allora un'occhiata interrogativa alla zia.
Hai messo l'acqua a scaldare?” si limitò a chiederle la donna.
Cordula annuì. Protetta dalla mole della parente, osservò le figure in avvicinamento. Avevano gli abiti, le mani, i capelli e la faccia completamente neri di carbone. L'unica cosa che si vedeva erano gli occhi, perlopiù chiari, che risaltavano particolarmente luminosi su quello sfondo scuro.
Cantavano tutti insieme, con voci più vigorose che intonate, una canzone sulla fine della giornata di lavoro.
Quando si accorsero di lei il canto si affievolì e cessò, poi tutti rimasero muti a fissarla. Alcuni fecero un tentativo di rassettarsi gli abiti, altri si limitarono a mugugnare imbarazzati. Solo uno, un pezzo d'uomo grande e grosso, si avvicinò, la fissò diffidente e chiese: “E questa chi sarebbe, signora Staerkel?”
La donna, che si era appena accesa una sigaretta, senza togliersela dall'angolo della bocca rispose: “Mia nipote Cordula. Starà qui per un po'.”
Non avrà la mania di ascoltare il grammofono fino a tardi, voglio sperare.”
No di certo, signor Zwerg. Mia nipote sa perfettamente come comportarsi.”
Vedremo.” Senza proferire altro, Zwerg girò le spalle e raggiunse i fratelli.
Non appena l'uomo si fu allontanato, Cordula si voltò verso la zia, che diede un tiro alla sigaretta ed esalando il fumo rispose: “Non farci caso, quello è Berthold Zwerg. Ha sempre da brontolare su tutto.”
Si udì in lontananza un poderoso starnuto.
E questo è Eberhard Zwerg. Se non si decide ad andare dal medico per quel raffreddore, non so come andrà a finire.”

§

Il signor König contemplò attraverso il finestrino la sala gremita di gente. Contrariamente al solito, la vista degli avventori non gli suscitò soddisfazione ma ansia. Si voltò verso Spiegel, che sedeva sull'angolo della scrivania sorseggiando un bicchiere di whiskey, e disse: “Ancora non si vede.”
Hai fatto telefonare a casa sua?”
Non risponde. È tutto il giorno che non risponde, nessuno sa niente di lei.”
Spiegel alzò un sopracciglio con l'aria di chi si intende di certe cose. “E Florian dov'è?” chiese.
König scosse la testa. “So cosa stai pensando, ma mio figlio è qui. L'ha cercata dappertutto, sta per andare alla polizia.”
L'altro alzò le spalle senza manifestare particolare impressione, quindi replicò: “Prima della polizia, conviene chiamare qualcuno che ti faccia il numero centrale. La gente là sotto vuole divertirsi. Fanno presto a spostarsi al Plaza o al Garten, se qui al Truhe non si divertono più.”
König si girò di nuovo verso il finestrino che dava sulla sala, fissandolo come se da esso una belva avesse potuto all'improvviso balzare nella stanza. “Quella dannata stupida,” ringhiò. “Finalmente troviamo un numero che piace, che chiama gente, e cosa succede? La stella sparisce. Da non crederci.”
Spiegel si limitò a bere un sorso di whiskey.
Dal finestrino provenivano i clamori di una folla in attesa.
Il signor König si versò a sua volta un bicchiere di whiskey, ne bevve una generosa sorsata e disse: “Ci sarebbe sempre Regine.”
Spiegel scosse la testa. “L'hai visto anche tu dal successo che ha avuto la ragazzetta: la gente vuole le forme. Gli uomini, soprattutto, e di solito sono loro che pagano.”
Regine ha cinque ottave.”
Ma è senza tette. Non ha nemmeno il buon gusto di mettersi un'imbottitura decente quando va in scena.”
Però canta.”
Spiegel scosse la testa con aria scettica, poi disse: Ma accetterà? Quella vecchia salacca è permalosa come una gatta, scommetto che sarebbe anche capace di rifiutarsi per il gusto di lasciarci nella merda.”
Un tentativo non costa niente,” sospirò König. “Abbiamo un quarto d'ora prima che lo spettacolo cominci, sarà meglio che ci muoviamo.”
Ma se basta fare una rampa di scale.”
Eh, ma la contrattazione non sarà così breve.”

Regine fu inaspettatamente accomodante. Li accolse seduta al tavolino da trucco del suo nuovo camerino, con un copricapo tempestato di gemme e un lungo abito di lamè. Ascoltò attentamente ciò che le riferirono i due uomini, come suo solito senza tradire alcuna emozione, infine con sussiego proferì: “Ecco cosa succede quando si dà troppa fiducia a chi non ha ancora la necessaria esperienza.”
Consapevole di ciò che Regine avrebbe preteso da lui, ovvero sopportare tutto ciò che avrebbe ritenuto di rinfacciargli, König con fare contrito rispose: “Hai proprio ragione, mia cara. Avremmo dovuto ascoltarti.”
Non fa nulla,” replicò lei magnanima, “non sono una persona che serba rancore.” Aprì un astuccio d'argento che si trovava sul tavolino, ne trasse una sigaretta, la infilò in un lungo bocchino tempestato di strass e poi si volse verso i due uomini, che immediatamente le tesero ciascuno un accendino.
Regine stirò le labbra in un sorrisetto compiaciuto, quindi aprì il cassetto e prese il proprio. Si accese la sigaretta e aspirò una lenta boccata di fumo. “Bisogna capire con chi si ha a che fare,” proseguì col tono di una banale conversazione. “Bisogna rendersi conto che poppe e natiche non bastano a trasformare una ragazzetta qualsiasi in una stella.”
Ce ne rendiamo conto,” sospirò König, cercando di non dare a vedere che era sui carboni ardenti. “L'aspetto non è tutto.”
La cantante, che si stava godendo compiaciuta le blandizie, scattò come punta da una vespa e gli rivolse uno sguardo di fuoco. “Non dirai ancora che è più bella di me, spero,” ringhiò minacciosa.
No no, certo che no,” si affrettò ad assicurarle König. Rivolse un'occhiata a Spiegel, ma questi mantenne un diplomatico silenzio.
Regine fece saettare lo sguardo dall'uno all'altro, infine si levò regalmente in piedi e proferì: “Forse potrei anche mettermi una mano sulla coscienza e aiutarvi, nonostante il modo in cui mi avete trattata.”
Cercando di farlo notare il meno possibile, König diede un'occhiata all'orologio. Regine ovviamente se ne accorse, e in tono sarcastico chiese: “Hai fretta, per caso? Non hai tempo di ascoltare quello che ho da dirti?”
No, Regine, scusami. Non volevo metterti fretta.”
Meglio così, perché io invece ho un sacco di tempo.” Fece una studiata pausa. “Ho avuto un sacco di tempo, mentre voi correvate dietro alle discutibili capacità di quella specie di sciacquetta. Avrei potuto trovarmi un altro posto quando volevo, ma in fondo vi voglio bene.” Altra pausa, accompagnata da un sospiro. “Eh sì, sono i sentimenti, alla fine, quelli che fregano. Credevo di odiarvi per quello che mi avete fatto, ma sapete una cosa? L'odio non è altro che amore non corrisposto.”

§

Cordula sistemò sette coperti sul lato lungo del tavolo. “Siete pronti?” gorgheggiò.
Dal piano superiore giunse una robusta voce maschile: “Arriviamo, signorina Kerschbaumer!”
Si udirono sulle scale di legno passi che facevano pensare alla migrazione dei bisonti, poi comparvero i sette fratelli Zwerg, lavati e sbarbati per la cena. Dal primo all’ultimo erano tutti pezzi d’uomini, alti e robusti.
Buona sera,” li salutò Cordula con un pentolone fumante in mano.
Il maggiore di essi, che era anche il più galante, le si avvicinò e le rivolse un breve inchino del busto. “Che profumo magnifico, signorina Kerschbaumer,” apprezzò.
La ragazza sorrise e rispose: “Grazie, questa è la zuppa di patate come si fa dalle mie parti.”
Ma no, signorina, io parlavo di lei!”
Mentre tutti ridevano della battuta, Cordula si schermì maliziosa, poi disse: “Vada a sedersi, signor Dieter.” Poi, dopo una pausa: “Mi scuserà per la confidenza, ma se la chiamassi signor Zwerg, tutti i suoi fratelli risponderebbero assieme a lei.”
Glielo consento solo se lei mi permette di chiamarla signorina Cordula, mia cara.”
Oh, ma via...”
Altre risate.
Si avvicinò zia Trude con un vassoio carico di boccali di birra. Il signor Zwerg si inchinò anche a lei e disse: “I miei rispetti, signora Staerkel.”
Ci fu qualche scambio di convenevoli, poi Cordula esclamò: “Forza, tutti a tavola, altrimenti si raffredda!”
I fratelli presero posto.
Canticchiando la sua canzone, ‘l’odio non è altro che amore non corrisposto’, la ragazza cominciò a versare generose mestolate di zuppa in ogni piatto.
Si rivolse al fratello più anziano: “Ecco qui, signor Dieter. Ora è convinto? È questo il buon profumo che sentiva.”
Non ne sono così certo, signorina Cordula.”
Passò al secondo. “Signor Berthold, è andata bene la giornata?”
Al solito, l’uomo la fissò torvo e rispose con un grugnito inintelligibile.
Il terzo era una specie di gigante dall’aria allegra. Cordula gli versò ben tre mestoli di zuppa, andando a pescare quella più densa sul fondo della pentola, quindi gli chiese: “Come sta, signor Gerhold?”
Molto bene, signorina, e quando la vedo sto ancora meglio!” Rise allegro.
Il successivo aveva il mento poggiato sul petto e respirava con la regolarità del sonno.
Peter!” esclamò Cordula facendolo sobbalzare. “Non si sarà addormentato di nuovo, spero.”
N-no, signorina,” si affrettò a negare il giovanotto. “Ero sveglissimo, mi creda.”
Ma certo, come no!” La ragazza fece una risatina, canticchiò ancora qualche parola della sua canzone, quindi gli disse: “Mangi, prima di addormentarsi di nuovo.”
Peter balbettò qualche scusa mentre i fratelli ridevano.
Passò al successivo. “E lei, signor Martin?”
Questi divenne rosso come un peperone e per un attimo parve sul punto di scomparire sotto il tavolo. Farfugliò qualcosa di inintelligibile.
Non sia timido, signor Martin,” lo esortò Cordula, servendogli una generosa porzione di zuppa. Stava per aggiungere altro quando un poderoso starnuto la fece quasi sussultare. Posò la pentola sul tavolo, si girò in quella direzione e si puntò le mani sui fianchi con aria severa. “Signor Eberhard,” disse seria, “non si è ancora deciso ad andare dal medico?”
Scusi, signorina,” disse questi contrito.
Domani la accompagnerò io stessa, per essere sicura che ci vada davvero.”
Allora ho il raffreddore anch’io!” saltò su Dieter. Fece finta di starnutire.
Anch’io!” esclamò Gerhard. Anche lui imitò uno starnuto.
In breve, tutti i fratelli stavano facendo a gara a chi starnutiva più forte e si disputavano il diritto di essere accompagnati dal dottore da Cordula.
L’unico che non si era unito alla gazzarra era il più giovane dei fratelli Zwerg, Claus, che per quanto fosse appena sedicenne superava già il metro e ottanta ed era robusto come un torello.
E tu non dici niente?” lo provocò affettuosamente Cordula.
Il ragazzo si limitò a scuotere la testa.
Ti va un po’ di zuppa?”
Claus accennò di sì.
Cordula lo servì con generosità, quindi gli chiese: “Un giorno me la dirai una parolina? Solo a me, in un orecchio?” Si piegò verso di lui come aspettandosi che il ragazzo stesse per fare quanto gli aveva chiesto, ma Dieter intervenne: “Lasci stare, signorina. Claus non parla quasi mai.”
E se lo fa, dice sciocchezze,” intervenne burbero Berthold.
Allora cantiamo tutti insieme!” propose Cordula, e prese a gorgheggiare le strofe della sua canzone.
In breve i fratelli Zwerg si unirono al coro, chi con la voce, chi battendo il bicchiere sul tavolo o le posate sul bordo del piatto. Dopo un’esitazione, zia Trude andò al pianoforte che si trovava contro la parete e diede il suo contributo alla generale allegria.

§

A Berlino, Florian si struggeva in preda ai più funesti pensieri. Cordula era sparita. La polizia brancolava nel buio, i genitori della ragazza, ai quali aveva telefonato sperando che fosse tornata a casa, non sapevano neppure che lei avesse lasciato la Capitale, se poi se n’era effettivamente andata.
Aveva cercato ovunque, nel suo appartamento e in tutti i luoghi che ella poteva conoscere, ma niente: era come se si fosse volatilizzata.
Andò dal padre, che come al solito sedeva nel suo ufficio.
Al suo arrivo, l’uomo alzò gli occhi dai registri che stava controllando e gli chiese: “Come mai da queste parti, figliolo?”
Hai notizie di Cordula?”
König scosse la testa. “L’hai visto anche tu: se n’è andata.”
Non è possibile,” replicò il ragazzo accorato, “mi avrebbe detto qualcosa.”
Il genitore si strinse nelle spalle. “Non necessariamente.”
Ma perché sparire così? Era la stella del Truhe, aveva davanti una carriera, aveva tutto.”
Forse voleva altro, forse era stanca di questa vita. Probabilmente non lo sapremo mai.”
E se è morta? Se è annegata nel Landwehrkanal? Se l’hanno uccisa?”
Il signor König emise un sospiro: ecco che stava per ricominciare la solfa. “Avrebbero trovato il corpo,” disse, nella speranza di frenare le lamentazioni del figlio.
E se...”
Basta, Florian!” esclamò l’uomo, “Ora ho da fare e questo discorso l’ho già sentito identico almeno dieci volte.” Spinse verso di lui una scatola di cartone. “Va' a portare questo a Regine, su.”
Cos'è?”
Roba dei suoi ammiratori. Biglietti di lesbiche miopi, perlopiù, e di travestiti in disarmo in cerca di solidarietà.”
Non ci sono i fattorini per certe cose?”
Così almeno la smetti di ciondolare intorno al telefono nella speranza che lei chiami.” Fece un gesto come per scacciare dei polli. “E ora va', forza. Qui ho da fare.”

Adagiata su un’ottomana coperta di broccato, Regine stese mollemente una mano e sollevò un calice di cristallo che si trovava su un tavolino lì a fianco.
Jäger si alzò dalla poltrona su cui sedeva, trasse dal secchiello del ghiaccio una bottiglia di Dom Perignon e le versò da bere.
E allora?” chiese Regine. Portò il calice alle labbra e sorbì un sorso.
Jäger versò da bere anche per sé, tornò a sedersi e disse: “Fatto.”
Ella strinse appena gli occhi mentre sul volto le compariva un sorrisetto di trionfo. “Racconta,” ordinò.
Non è che ci sia poi tanto da raccontare,” rispose l’uomo a disagio.
Regine sogghignò. “Stai scherzando? Non mi perderei per niente al mondo il racconto di come hai fatto fuori quella stronzetta.” Si passò la lingua sulle labbra come se fosse in attesa di gustare qualcosa di prelibato. Sorbì un altro sorso, poi chiese: “Ha implorato? Ha frignato? Scommetto che ha cercato di farti gli occhi dolci, senza immaginare quanto può importare a te dei suoi begli occhioni.”
Regine...”
Su, dimmelo.” Alterando la voce in un teatrale falsetto, pigolò: “Ti prego, non farmi del male, scapperò da Berlino, non mi vedrai mai più...” Ghignò di nuovo, poi, tornando al suo tono normale, proferì: “Tutte stronzate. Ora dimmi come l’hai fatta fuori.”
Jäger emise un sospiro. “Le ho tagliato la gola, va bene? Poi l’ho buttata nel Landwehrkanal.” Per prevenire ulteriori richieste di particolari, trasse di tasca il ciondolo a forma di cuore e lo posò sul tavolino.
Regine sollevò le sopracciglia, quindi abbandonò la coppa di champagne, ghermì la catenina e si fece ondeggiare il monile davanti agli occhi. “È lui, lo riconosco,” confermò.
Siamo pari, allora?” chiese Jäger.
La cantante stava per rispondere quando la cameriera le annunciò che c’era una visita per lei.

Ma tu guarda che cazzo di sfortuna, pensò Jäger contrariato. Si era già visto uscire dall’appartamento di Regine con la compromettente busta sottobraccio ed ecco che invece arrivava qualcuno a mandare tutto all’aria. Si versò un’altra coppa di champagne con l’intenzione di tracannarla.
Il gesto rimase a metà.
A seguito della cameriera, stava entrando nella stanza un ragazzo. Un gran bel ragazzo, per la precisione. Alto, snello, capelli corvini e occhi blu.
Di colpo, i documenti gli parvero decisamente poco importanti.
Rivolse un’occhiata interrogativa a Regine e notò che ella aveva fatto sparire il ciondolo infilandolo tra i cuscini.
Con gesto plastico, la cantante tese poi un braccio verso il nuovo arrivato e disse: “Ma caro Florian, che bella sorpresa. Cosa ti porta da queste parti?”
Mio padre le manda questa scatola, signora Regine. Sono lettere dei suoi ammiratori.”
Ah, molto bene,” approvò sussiegosa la cantante, “davvero gentile da parte sua.”
Jäger a quel punto tossicchiò, Regine parve rendersi conto solo in quel momento della sua presenza nella stanza. Disse a Florian: “Ti presento un mio valido collaboratore: il signor Erich Jäger.”
Poi si rivolse a Jäger: “Questo è il giovane signor König, il figlio del proprietario dello Schatztruhe.”
Cercando di ignorare come Regine lo aveva definito, egli si fece avanti tendendo la mano, il ragazzo la strinse. Si guardarono negli occhi.
Incantato,” disse Jäger. Accentuò impercettibilmente la presa.
Il giovanotto abbassò lo sguardo, l'altro notò che sulle sue guance era comparsa una fugace pennellata di rosso.

Di nuovo in strada, Florian realizzò che per qualche strano motivo quell’incontro l’aveva lasciato piuttosto turbato. Aveva a che fare da anni col mondo dello spettacolo e del vizio, quindi Jäger non era certo stato il primo a tentare un approccio, e non era nemmeno stato uno dei più raffinati, a dire la verità. Di solito la cosa non gli causava più di un momentaneo fastidio, poi serenamente se ne dimenticava.
Si accorse che contrariamente al solito, se ripensava a quello sguardo misterioso e cupo come acqua profonda, a quella stretta di mano solida, virile eppure delicata, si sentiva pervadere da una sottile emozione.
Scrollò la testa come per liberarsi di quelle strane idee e si sforzò di rivolgere nuovamente il pensiero a Cora.

§

Cordula abbandonò il grembiule sulla spalliera di una sedia ed emise un lungo sospiro. I fratelli Zwerg erano al lavoro, zia Trude era andata a fare la spesa per la cena. A parte lei, in casa non c’era nessuno.
Guardò fuori dalla finestra: la pensione era al limitare del centro abitato e dal suo punto d’osservazione la vista spaziava su una landa disseminata di radi alberi. In lontananza troneggiava la sinistra mole di una torre di estrazione. Il silenzio era tale che si sarebbe sentito cadere uno spillo.
Non poté fare a meno di pensare che a quell’ora a Berlino le strade erano piene di gente e si udivano rumori di ogni genere: motori, trombe di automobili, voci e spezzoni di musica provenienti dai locali.
Non aveva dimenticato quello che era successo nel parco lungo il Landwehrkanal, ovviamente, ma alle volte la nostalgia era tale che si chiedeva se davvero valesse la pena di vivere confinata in quel posto, o se invece fosse meglio rischiare di morire nella Capitale.
Non aveva ancora fatto progetti per il futuro, in fondo si trovava a Gladbeck da troppo poco tempo, ma dal primo momento che ci aveva messo piede, di una cosa era stata ben certa: da lì voleva andarsene. In fin dei conti, se era andata via dal suo paese, che di diverso rispetto a quel posto aveva praticamente solo le montagne, un motivo c'era.
Di nuovo emise un sospiro sconsolato e si trasferì in salotto. Berthold Zwerg aveva una vera avversione per il grammofono e le ore in cui era al lavoro erano anche le uniche in cui, se era abbastanza libera, poteva sedersi ad ascoltare un po’ di musica.
Entrando nella stanza notò subito una rivista abbandonata sul tavolino. Letteralmente vi si avventò sopra e cominciò a sfogliarla con avidità: davanti al suo sguardo carico di nostalgia presero a scorrere immagini di attrici bellissime, cantanti, feste da ballo e macchine costose.
Abbassò il periodico e lanciò uno sguardo al telefono.
Aggrottò le sopracciglia, scosse la testa e tornò a sfogliare la rivista.
Passò qualche minuto, poi lo sguardo volò di nuovo all’apparecchio telefonico.
No,” disse allora Cordula a mezza voce. “Non ti ricordi quello che è successo? Non devi.”
Cambiò poltrona, in modo che il telefono fosse più o meno alle sue spalle, poi tornò a immergersi nella lettura.
Dopo un po’ si trovò piegata all’indietro come una specie di contorsionista a scrutare il telefono.
Alzò gli occhi sull’orologio appeso alla parete: zia Trude non sarebbe tornata per un’altra mezz’ora. Ripensò allo Schatztruhe, all’ebbrezza del palcoscenico, alla vita nella Capitale. In fin dei conti, che male c’era a fare una breve chiamata? Non avrebbe detto dove si trovava, ovviamente, sarebbe stata assolutamente concisa, ma sentiva di avere bisogno di quella telefonata come chi sta soffocando ha bisogno di riempirsi d'aria i polmoni.

Dietro le quinte del Truhe, seduto su una vecchia cassa, Florian prestava un orecchio distratto alle prove di Regine. Non paga di aver ripreso il suo vecchio ruolo di stella, la cantante si era anche appropriata della canzone di Cordula, l'aveva trasformata in una specie di torbida ode al vizio, più bassa di due ottave, lenta e sensuale, e la cantava indossando un abito nero e lungo che le lasciava scoperta praticamente solo la faccia. In onore al suo nome d'arte, e probabilmente al fatto che ormai nessuno era più in grado di insidiare la sua posizione di primadonna, in scena portava una corona d'oro.
Uno squillo lontano attirò la sua attenzione. Tese l'orecchio: quasi del tutto coperto dalla musica, si udiva fioco il trillare ritmico di un telefono.
Florian scattò in piedi, si precipitò in corridoio e fece a tre a tre i gradini che lo separavano dallo studio del padre, in quel momento probabilmente impegnato a controllare che le casse di champagne scaricate finissero tutte in magazzino.
L'apparecchio stava ancora squillando. In preda a uno strano presentimento, il ragazzo sollevò la cornetta e disse: “Schatztruhe, qui parla König.”
Oh, Florian!” sospirò la voce dall'altro capo del filo. “Florian, come sono felice di sentirti!”
Al giovane quasi minacciarono di cedere le gambe per l'emozione. “Cordula!” esclamò. “Oh, Cordula, tesoro! Stai bene? Dove sei? Ti vengo subito a prendere!”
No no, aspetta, lasciami parlare, non ho molto tempo...”
Florian si trovò ad ansare come dopo una corsa, col cuore che gli batteva all'impazzata. “Non hai tempo? Sei forse prigioniera? Devo chiamare la polizia? Cordula, dimmi dove sei, sono stato terribilmente in pena per te.”
Sto bene, non preoccuparti.”
Ma dove sei?”
Non posso dirtelo.”
Il ragazzo fece tanto d'occhi. Deglutì a fatica con la bocca d'improvviso riarsa, quindi replicò: “Non puoi dirmelo? Ma cosa sta succedendo, sei forse in pericolo?”
No, non preoccuparti, volevo solo sentirti.”
Ma tu stai bene?”
Sì, ti ho detto di sì.”
Tornerai da me?”
Alla domanda seguì qualche secondo di meditativa pausa, poi Cordula disse: “Beh... si potrebbe organizzare.”

Florian entrò nel magazzino come un treno, individuò il signor König e lo raggiunse scavalcando casse e cartoni. “Papà, dobbiamo parlare!” esordì con foga.
L'uomo, che stava controllando le bolle di consegna, lo fissò stupito e chiese: “Di cosa dobbiamo parlare?”
Il giovanotto si guardò intorno con aria da cospiratore. “Non qui.”
Eh? Non qui? Ma cosa ti salta in mente? Non avrai messo nei guai qualche ragazza, spero.” König lanciò un'occhiata preoccupata alle casse di champagne, che stavano transitando verso il loro scaffale senza la sua supervisione.
Il figlio lo tirò per la manica. “Devo parlarti in privato.”
Sbuffando infastidito, l'uomo si rassegnò a seguirlo. Raggiunsero una zona del magazzino piuttosto appartata e a quel punto Florian disse: “Papà, Cordula ha telefonato.”
Alla buon'ora!” replicò il signor König. “Dov'è, in villeggiatura a Baden-Baden?”
Ha detto che vuole tornare, papà,” gli assicurò il ragazzo eludendo abilmente la domanda. “Ha detto che non vede l'ora di riprendere a lavorare qui da noi.”
E allora perché se n'era andata?”
Florian si guardò intorno con fare circospetto, quindi abbassando la voce disse: “Problemi con Regine.”
König alzò gli occhi al cielo. “Lo immaginavo.”
Ma vuole tornare, ci tiene molto. Solo che Regine...”
L'uomo fece un rapido calcolo: la ragazzetta era piaciuta, lo dicevano chiaramente i libri mastri su cui annotava tutti i guadagni. “Fammi parlare con Spiegel,” disse semplicemente.



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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Truhe 5 Care amiche, cari amici,
siamo giunti alla fine di questa vicenda a metà tra il serio e il faceto, in cui abbiamo visto una rivisitazione della favola di Biancaneve ambientata nella Berlino di fine anni ‘20. Spero che vi sia piaciuta e che leggendola abbiate passato un piacevole quarto d’ora.
Per quanto riguarda me, io ringrazio tutti voi per la vostra attenzione, le vostre belle parole e il vostro supporto nei momenti critici.
Grazie davvero a tutti^^





Capitolo 5

Florian sedeva a un tavolino del Truhe sognando che al posto di Regine paludata di nero ci fosse sul palcoscenico Cordula con il suo succinto Dirndl.
Aveva parlato con suo padre e con il signor Spiegel e il responso unanime era stato: una delle due va tolta di mezzo, non possono coesistere.
Conti alla mano, la mannaia si sarebbe abbattuta sul collo di Regine.
Peccato che nonostante lo pseudonimo scelto, Regine non fosse per nulla disponibile a farsi decapitare come un'Anna Bolena qualsiasi.
Grazie anche ai preziosi suggerimenti di Spiegel, era stata concertata un'operazione segreta: il ritorno di Cordula sarebbe stato organizzato senza che nessuno ne sapesse nulla. Alla fine Regine sarebbe stata messa davanti al fatto compiuto ed eventualmente anche a un paio di avvocati, qualora il fatto nudo e crudo non fosse stato sufficiente.
Il ragazzo sorrise fra sé e sé al pensiero.
In quel momento, una voce conosciuta lo salutò: “Buona sera, signor König.”
Si voltò in quella direzione e riconobbe l'uomo che aveva visto a casa di Regine. Nonostante ogni buon proposito di considerarlo un normale avventore del Truhe, il cuore gli fece una capriola nel petto. “Buona sera a lei, signor Jäger,” rispose. Si alzò per stringergli la mano.
L'altro gli rivolse un sorriso. “Si ricorda come mi chiamo,” disse con voce morbida.
Florian alzò gli occhi fino a incontrare i suoi. “Anche lei.”
Jäger annuì. “Difficile dimenticarlo.” Sorrise appena, senza spostare lo sguardo dal suo.
Il ragazzo arrossì lievemente. Con voce vagamente incerta chiese: “È venuto per Regine?”
L'altro scosse la testa e rispose: “Non direi. Più delle regine mi interessano i re.” Fece una breve pausa, quindi soggiunse: “O i principi.”
Florian aveva sempre creduto di apprezzare solo le ragazze, eppure a quella frase sentì il respiro bloccarsi. Gli occhi di Jäger, verdi e venati di grigio, non lo abbandonavano, ma la cosa non gli comunicava il fastidio che si sarebbe aspettato. Era piacevole, anzi. Gli suscitava il desiderio di stare in sua compagnia, di addentarsi pian piano nel mistero di quello sguardo cupo.
Perché non si siede a bere qualcosa con me?” propose.

§

Cordula abbandonò con discrezione la sala da pranzo, dove era in corso la solita gazzarra serale, e si diresse quatta quatta verso il salotto. Ne aveva abbastanza della Ruhr, ne aveva abbastanza degli Zwerg – specie di bestioni senza nessuna classe – e ne aveva abbastanza di zia Trude, che tra una moina e l'altra la faceva sgobbare come una specie di schiava. Per come la vedeva lei, era arrivato il momento di fare una bella sorpresa a tutti e di partirsene per Berlino, ma doveva stare attenta: e se la zia si metteva in testa di crearle problemi? Molto meglio continuare a farle credere che non si sarebbe mai più spostata da lì e poi sparire di punto in bianco.
Controllò che il corridoio fosse vuoto, quindi si chiuse la porta alle spalle e si diresse al telefono. Compose un numero.
L'apparecchio squillò un po' di volte, poi una giovane voce maschile disse: “Schatztruhe, parla König.”
Come ogni volta, balenarono davanti agli occhi della ragazza immagini di saloni illuminati, coppie in abito da sera, gioielli e macchine costose. “Florian,” disse, ponendosi una mano a coppa su bocca e microfono per smorzare la voce.
Cordula, tesoro!”
Oh, Florian. Ti penso sempre, sai?”
Anch'io, Cora.”
Lo strimpellare del pianoforte cessò, Cordula sentì qualcuno fare il suo nome. “Non ho molto tempo,” disse precipitosa. “Come stanno andando le cose?”
Tutto a gonfie vele, papà e il signor Spiegel non vedono l'ora che tu torni. Posso fare qualcosa per te nel frattempo?”
La ragazza guardò il proprio abito: un orribile straccio fuori moda, di un colore che le ricordava i camicioni delle carcerate. Se l'era sistemato un po' alla meglio, ma di certo non era nulla che potesse rivaleggiare coi capi provenienti dalle boutiques della Capitale. “Ho bisogno della mia roba, mi servono biancheria, vestiti, scarpe. Potresti mandarmi un pacco?”
Ma certo, lasciami l'indirizzo.”
Mettici dentro il vestito rosso, mi raccomando, e quello verde scuro. E poi le scarpe nere di vernice e la trousse del trucco.”
Sì, ma dove li devo mandare?”
Cordula gli dettò attentamente l'indirizzo, quindi gli disse: “Scusa, ma ora devo lasciarti. Mi aspettano di là.”
Chiuse rapida la comunicazione, troncando senza pietà le frasi zuccherose del ragazzo, poi tornò in sala da pranzo. “Eccomi qui!” esclamò, “Vi sono mancata?”
I fratelli Zwerg risposero con vigorose acclamazioni.

§

Da qualche giorno Regine aveva una brutta sensazione. Chissà, forse essendo donna da tanti anni aveva anche messo insieme il famoso intuito femminile, fatto sta che percepiva nell'aria qualcosa di strano.
König era troppo accomodante, per esempio, Spiegel troppo prodigo di lodi. Florian gentile al limite del servilismo.
Per quanto non gli avesse ancora restituito i compromettenti documenti, Jäger passava più tempo allo Schatztruhe che a casa sua. Prima della nota faccenda non ci aveva praticamente mai messo piede.
C’era qualcosa che non andava.
Indossò un completo da uomo con tanto di lobbia, prese le chiavi della Ford nera e andò al Truhe.
Essendo pomeriggio il locale era chiuso al pubblico, ma lei aveva la chiave della porta sul retro da cui passavano personale e artisti.
Entrò cauta, stando attenta a non far cigolare i cardini, chiuse con cura l’anta alle sue spalle e subito si diresse verso il piano superiore, con l’intenzione di frugare nei cassetti della scrivania di König.
Arrivata al corridoio che conduceva allo studio si immobilizzò: dall’interno della stanza proveniva una voce.
Rimase in ascolto. Era una voce maschile giovane, non se ne percepivano altre. Era senza dubbio Florian, che o stava recitando un monologo o stava telefonando.
Arrischiò un altro passo verso la porta e trattenne anche il respiro per sentire meglio.
Il ragazzo disse: “Oh, Cora, sapessi quanto mi manchi. Ti sogno tutte le notti, tesoro.”
Regine si impose a fatica l’immobilità. Cora? Quindi la disgustosa sciacquetta era ancora viva? Si mantenne in scrupoloso ascolto sperando di aver capito male, ma no, il ragazzo stava parlando proprio a quella Cora, era chiaro dal tono e dal contenuto del discorso.
Presto sarai qui con noi,” disse Florian in tono sognante, facendola quasi sussultare, “e quella strega maledetta dovrà lasciarti il posto, altrimenti ci penserà mio padre a farla sloggiare.”
La cantante strinse i pugni fin quasi a farsi penetrare le unghie nei palmi, costringendosi però a rimanere in perfetto silenzio.
Dovette sopportare una serie infinita di frasette smielate, ma alla fine Florian disse: “Certo che ti ho mandato il pacco, all’indirizzo che mi hai dato: Pensione Trude, Eichenstraße 11, Gladbeck.”
Seguirono altre svenevolezze, poi la cornetta tornò finalmente sulla sua forcella.
Regine rinculò lentamente, scese in fretta le scale e si dileguò silenziosa com’era arrivata.

Solo quando fu nella solitudine del suo appartamento, Regine si concesse di dar sfogo alla sua rabbia: tirò un pesante cofanetto portagioie contro la specchiera, mandandola in frantumi; afferrò un bastone da passeggio e con il suo pomo d’argento fracassò una pantera di ceramica a grandezza naturale che un ammiratore straniero le aveva donato; si avventò con il tagliacarte sui quadri e li fece a brani.
Quando ebbe devastato mezza casa si fermò, ansante e scarmigliata, meditando vendetta.
Andò alla ricerca di uno specchio che si fosse salvato dalla sua furia distruttrice e appena l’ebbe trovato vi si sedette davanti. Si accese una sigaretta, si ravviò alla meno peggio i capelli e rimase a fissarsi per un po’ in silenzio, mentre il respiro si normalizzava lentamente e il cuore smetteva di martellarle nel petto.
Fece il punto della situazione:
Chiaramente Jäger non aveva ucciso la ragazza. Nessuno poteva salvarsi se veniva buttato nel Landwehrkanal con la gola tagliata, e in ogni caso, anche se il miracolo fosse accaduto, la vittima di una tale aggressione non sarebbe certo stata in grado di fare telefonate zuccherose e progetti di viaggio dopo così poco tempo.
La catenina con il ciondolo gliel’aveva verosimilmente data lei, dal momento che non era né strappata né sporca di sangue. Il che significava che come minimo i due avevano comunicato e forse avevano anche stretto qualche genere di accordo.
Come se ciò non fosse bastato, la ragazza era in contatto con i due König, padre e figlio, che stavano meditando di farla tornare. Il fatto che tutto ciò stesse accadendo in segreto la diceva lunga sulla limpidezza delle loro intenzioni nei suoi confronti.
Inspirò a fondo, trattenne il fiato a occhi chiusi per alcuni secondi, quindi lo emise lentamente attraverso le narici. Fatto ciò, riaprì gli occhi e di nuovo fissò a lungo la propria immagine riflessa.
Avrebbero imparato tutti quanti che con lei non era il caso di scherzare.

§

Regine prese la scatola di cioccolatini e la pose sul tavolo della cucina, quindi si infilò un paio di guanti da chirurgo.
Aprì il contenitore, rivelando magnifiche praline aromatizzate alla mandorla, fatte a forma di piccola mela, con tanto di foglia sul picciuolo.
Prese poi una siringa e con essa aspirò da un flacone farmaceutico un liquido di colore rosso scuro.
Estrasse dalla scatola la prima delle praline, tenendola fra le dita la voltò col fondo verso l’alto, vi inserì l’ago e spinse dentro un po’ di liquido. La rimise al suo posto.
Ripeté l’operazione con tutti i cioccolatini, consumando in quel modo tre siringhe della misteriosa sostanza.
Fatto questo, distrusse tutti gli strumenti che aveva usato, buttò quel che rimaneva del contenuto del flacone nel lavello e fece scorrere parecchia acqua, quindi avvolse il flacone stesso in un giornale vecchio, lo frantumò accuratamente con un peso e gettò tutto il cartoccio nell’immondizia.
A quel punto ricompose la scatola e la chiuse con un magnifico fiocco di raso rosso.

§

Cantando allegramente, Cordula stava rassettando le camere dei fratelli Zwerg. “Quanti ne farò ancora, di questi stupidi letti?” gorgheggiò sulla melodia della sua canzone. “Quanti ne farò? Pochi, pochi, pochissimi!”
Danzò su e giù per la stanza, volteggiando col lenzuolo a mo’ di gonna. “Pochissimi!” ripeté.
Era appena arrivata una busta per lei da Berlino, Florian le aveva mandato il biglietto del treno: solo andata, in prima classe.
Prima classe!” cantò garrula. “Prima classe, vita nuova. Berlino, arrivo!”
Sospirò felice: certo, lo Schatztruhe era già un buon locale, ma sarebbe stato solo un trampolino, poi sarebbe passata a ben altro. La gente avrebbe fatto la fila per sentirla cantare, sulle riviste ci sarebbero state le sue fotografie. E poi, chissà? Magari le si sarebbero spalancate le porte del cinema, o avrebbe potuto aspirare a un matrimonio ben migliore di quello con un borghesuccio un po’ più ricco della media.
In quel momento suonarono alla porta.
Cordula si immobilizzò perplessa. Il postino era già passato, il droghiere anche. Chi poteva essere?
Scese per le scale rassettandosi il vestito, andò ad aprire e si trovò davanti un uomo. Si trattava di un signore di mezz’età alto e magro, con un impeccabile completo gessato e una gardenia all’occhiello. Aveva folti capelli neri e la carnagione leggermente olivastra. In una mano teneva una piccola valigia di pelle simile a una borsa da medico e nell’altra una scatola color crema larga e piatta, chiusa da un nastro di raso rosso.
Buon giorno magnifica, sublime Cordula Kerschbaumer,” la salutò. Aveva la voce bassa e un’inflessione vagamente straniera, forse russa o ungherese.
Cordula sorrise. “Magnifica? Chi è lei, signore, che mi rivolge questo appellativo?”
L’uomo alzò le sopracciglia e rispose: “Oh, Divina, io sono un suo grandissimo ammiratore, finora non mi sono perso uno solo dei suoi spettacoli. Lei non sa che piacere e che onore sia poterle parlare di persona.” Abbassò il tono e proseguì: “Da indiscrezioni so che dovrebbe presto tornare a Berlino. È vero, per caso?”
La ragazza lo fissò stupita. “Oh, ma… chi gliel’ha detto?”
Un mio buon amico, che l’aspetta con ansia: il signor König.”
Lei è amico del signor König?”
L’uomo annuì. “Direi che ci conosciamo da anni.”
Viene allo Schatztruhe qualche volta?”
Direi che lì sono di casa, mia cara. Gliel’ho detto: non ho perso uno solo dei suoi spettacoli.”
Strano, non l’ho mai vista,” rispose Cordula perplessa.
L’altro sorrise con una vaga nota di indulgenza. “Si vede che non ci ha mai fatto caso, mia cara.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Del resto, è naturale: è lei che guardano tutti, non certo il sottoscritto.”
Oh, lei è un signore molto distinto,” si affrettò ad assicurargli la ragazza. “Davvero, sembra un attore del cinema.”
Oh, no. È lei la stella, signorina Kerschbaumer.”
L’uomo le porse poi la scatola legata dal nastro rosso e disse: “Questo è un modesto segno della mia stima, Divina.”
Cordula riconobbe il nome della pasticceria migliore di Berlino. A Gladbeck non c’era nulla che somigliasse neppure lontanamente a uno degli squisiti cioccolatini che sicuramente c'erano in quella scatola, per cui assunse un’espressione estasiata e rispose: “Oh, grazie, la mia marca preferita. Lei è veramente gentile.”
Omaggi del genere saranno all’ordine del giorno, se lei tornerà a Berlino,” le fece sapere il misterioso signore.
Davvero?”
Può starne certa.” L’uomo tirò fuori un orologio dalla tasca del panciotto, sollevò le sopracciglia e disse: “Ora però devo andare. Si ricordi, Divina: se tornerà a Berlino, sarò pronto ad attenderla!”
Con un ultimo cenno di saluto si incamminò per la strada.
Cordula lo seguì per un po’ con lo sguardo, poi tornò in casa, corse nella sua camera e aprì la scatola: magnifiche praline a forma di piccola mela, di sontuoso, dolcissimo cioccolato al latte, profumate all’aroma di mandorla.

A Bochum, l’uomo con la borsa da medico scese dall’autobus che proveniva da Gladbeck e si diresse verso la stazione. Una volta entrato nell’atrio si avvicinò alle toilette e quando fu certo che nessuno lo stesse guardando, si infilò in quella delle donne.
Cinque minuti dopo, uscì dalla stessa porta una signora alta e snella, pallida e dalla chioma fulva, con un tailleur scuro. Portava un cappello a cloche ornato di piume e una borsetta di coccodrillo.
La signora prese il treno per Berlino.
A Berlino scese dal treno una signora dai capelli neri, pettinata à la garçonne, con un vestito intero e una pochette di raso, che subito salì su un taxi e si allontanò facendo perdere le proprie tracce.

§

Gerhold irruppe correndo in cucina ed esclamò: “Signora Staerkel, corra, presto! Cordula sta male!”
Trude sussultò e poco mancò che lasciasse cadere il piatto che stava asciugando. “Sta male?” ripeté spaventata. “Che cos’ha?”
Corra!”
Il minatore si lanciò fuori dalla cucina e raggiunse la camera della ragazza.
Quando Trude lo raggiunse, lo spettacolo era dei più orribili. Gli altri sei fratelli Zwerg erano addossati alle pareti, inorriditi e dal primo all'ultimo paralizzati dalla paura. Al centro della stanza, sul pavimento, Cordula, scarmigliata e sporca, giaceva in una pozza di vomito alla quale costantemente aggiungeva nuovo materiale, scossa da conati che la facevano contorcere di dolore. Il fetore era insopportabile.
Che cos’ha?” osò chiedere Gerhold.
Berthold lanciò un’occhiata torva a una scatola di cioccolatini quasi vuota. “Avrà fatto indigestione, ecco che cos’ha.”
Ma i sintomi sembravano ben più gravi, rispetto a una comune indigestione, tanto che nella generale costernazione, per la prima volta si fece udire la voce di Claus: “Chiamiamo il dottore?”
Il dottore fu prontamente chiamato.
La paziente nel frattempo aveva continuato a contorcersi in preda a conati sempre più violenti: ormai aveva gli occhi iniettati di sangue per lo sforzo e a ogni contrazione dello stomaco emetteva pietosi gemiti da animale agonizzante.
Sarà necessario un ricovero,” sentenziò il medico.
No! Devo andare a...” balbettò Cordula, ma un conato particolarmente violento troncò il resto della frase.
Cercando di evitare le pozze di vomito, Trude si chinò accanto a lei. “E dove vuoi andare, cara? Non vedi come stai male?”
Devo...”
Perse i sensi.

§

Il signor König fissò alternativamente il figlio e il signor Spiegel, quindi in tono risentito chiese: “E allora, questa giovane e bellissima cantante?”
Florian ritirò appena la testa fra le spalle. “Avrà avuto un contrattempo,” mormorò.
Si è fatta sentire?”
Il ragazzo si limitò ad abbassare lo sguardo.
E tu l’hai chiamata?”
Non ce l’ho il suo telefono, mi chiamava sempre lei.”
Insomma, ragiona!” sbottò König. “Muoviamo mari e monti per darle il numero centrale, ci prepariamo a mandare a casa una stella come Regine per dare il suo posto a lei e questa non si presenta e non avvisa nemmeno?”
Potrebbe esserle successo qualcosa.”
Sì, che avrà trovato un ingaggio più interessante. Io l’avevo detto subito che non c’era da fidarsi.”
I tre si fissarono costernati. “Che facciamo adesso?” chiese König.
Prese la parola il signor Spiegel: “Non facciamo proprio niente. Ufficialmente non deve tornare nessuna cantante, quindi Regine continuerà a fare il suo numero come al solito.” Fece una pausa, durante la quale stese una mano per afferrare la bottiglia di whiskey, quindi soggiunse: “Finché dura, ovviamente.”
Certo, finché dura,” fece eco König. Recuperò un bicchiere dal carrello che si trovava alle sue spalle e lo tese a Spiegel per farselo riempire.
Florian fissò i due, quindi chiese: “Ed è tutto?”
Il genitore si voltò verso di lui. “Come sarebbe a dire?”
Una ragazza è scomparsa senza dare più notizie di sé, potrebbe essere morta o morente e voi ve ne fregate?”
Fu Spiegel a rispondere: “Sai come si dice, no? Lo spettacolo deve andare avanti. Il Truhe dà lavoro a decine di persone, la cosa più importante è che funzioni, e che funzioni bene. Poi ci sarà tempo per capire cos’è successo alla Kerschbaumer.”
E se fosse morta?” insisté Florian.
Più probabilmente avrà trovato un posto che le piace di più e ha tagliato la corda prima di impegnarsi con noi.”
Non ci credo. Non Cordula.”
E perché non Cordula?”
Florian rinunciò a rispondere. In realtà non lo sapeva perché. Forse perché Cora era ragazza a posto, o magari perché non voleva ammettere che forse della ragazza a posto aveva solo l'aspetto e lui aveva preso una cantonata. Si alzò e andò alla finestra. Stavano già calando le prime ombre della sera e lungo i viali cominciavano ad accendersi i lampioni. Ripensò alla prima volta che l'aveva accompagnata a casa, rievocò il tragitto in macchina, la salita lungo rampe di scale rischiarate solo dal debole riverbero dell’illuminazione esterna... D’improvviso aggrottò le sopracciglia: senza che se ne rendesse conto, il ricordo era scivolato verso quello della prima volta che aveva visto Jäger e i due episodi si stavano allegramente mischiando, per cui vedeva se stesso salire lungo le scale dell’appartamento di Cora, ma in compagnia di Erich Jäger, e alla fine lo salutava con il bacio che avrebbe tanto voluto dare a Cordula prima di rientrare al Truhe.
Constatò smarrito che l’immagine gli aveva fatto correre lungo la schiena brividi sulla cui natura preferì non indagare. Si passò una mano sulla fronte e per un attimo fu tentato di versarsi anche lui un bicchiere di whiskey.

§

Sdraiata in un lettino tutto bianco, in una stanzetta dell’ospedale di Bochum, Cordula rifletteva. Il medico che l’aveva curata era stato chiaro: ipecacuana. La sostanza, le aveva spiegato, era un potente emetico, che assunto a dosi alte poteva anche causare danni letali.
Il farmaco era stato rinvenuto nei cioccolatini e naturalmente non poteva esserci finito per caso.
Ripensò al misterioso uomo dall’accento russo. Presa dall’entusiasmo non ci aveva nemmeno fatto caso, ma era mai possibile che un ammiratore segreto, sapendo che stava per tornare allo Schatztruhe, si sobbarcasse il viaggio fino a Gladbeck per portarle una scatola di cioccolatini?
Omaggi del genere saranno all’ordine del giorno, se lei tornerà a Berlino.
Ecco che quella frase assumeva di colpo un significato del tutto nuovo e sinistro.
Chiuse gli occhi e sollevò a fatica una mano per passarsela sul viso. Non ci voleva un genio per capire cosa sarebbe successo se fosse tornata a Berlino. Forse l’avrebbe scampata la prima volta, magari anche la seconda, ma la terza?
Emise un sospiro sconsolato e giunse alla conclusione che quell'uomo forse non era un uomo. O meglio, lo era ma generalmente vestiva da donna.
Rammentò il sinistro ammonimento che le aveva rivolto prima di andarsene: Si ricordi, Divina: se tornerà a Berlino, sarò pronto ad attenderla.
Lì per lì l’aveva preso per il complimento di un ammiratore un po’ eccentrico, ma ecco che sapendo chi era veramente la persona che le aveva rivolto quella frase, essa acquistava di colpo tutt’altro significato.
Era ancora immersa in quei tormentosi pensieri quando si fece udire in corridoio qualcosa che ricordava la corsa di un branco di bufali.
Udì un’infermiera dire: “Non più di dieci minuti, non deve stancarsi.”
Subito dopo la porta si aprì e comparve sulla soglia zia Trude. Alle sue spalle, i sette fratelli Zwerg facevano del loro meglio per riuscire a dare un’occhiata nella stanza.
Bambina!” esclamò la donna, rivolgendole uno sguardo accorato.
Sto bene, zia Trude,” mormorò Cordula.
Bene? Ma, bambina mia, ho sentito quello che hanno detto i dottori: qualcuno ha cercato di avvelenarti! Signore Iddio!”
La donna si avvicinò al letto, afferrò una sedia e si sedette accanto a lei. Le ghermì una mano e la strinse fra le proprie. Subito dopo i minatori, uno dopo l’altro, si pigiarono nella piccola camera. Tutti rimasero a guardarla con l’espressione afflitta e il cappello premuto sul petto.
Signorina Cordula, siamo stati così in pena,” le confidò Dieter.
La ragazza gli rivolse un pallido sorriso. “Ora sto un po’ meglio, non si preoccupi.”
Bah, mangiare tutti quei cioccolatini,” brontolò Berthold. “Ma le pare una cosa sensata da fare?”
Dieter gli sferrò una gomitata.
Ahia!” protestò l’altro, poi aggiunse: “Ci siamo preoccupati, ecco. Non faccia mai più una cosa del genere, ha capito?”
Gerhold, che con la sua mole sembrava addirittura oscurare la luce che proveniva dalla finestra, sorrise e disse: “Presto tornerà a stare bene, non è vero, signorina Cordula?”
Peter represse uno sbadiglio, quindi replicò: “Ma certo che starà bene. Deve solo riposare un po’.”
Martin, rosso come un peperone, scivolò alle spalle degli altri per non farsi vedere. Eberhard a sua volta rinculò per soffiarsi il naso con discrezione. In uno dei suoi rarissimi momenti di loquacità, Claus disse: “Torni presto a casa, signorina.”
Cordula si accorse di avere le lacrime agli occhi, e non per quello che le era successo.
Certo,” mormorò, “appena starò bene tornerò a casa.”
In quel momento entrò l’infermiera e disse: “Ora basta, devo chiedere ai signori di uscire: la signorina Kerschbaumer ha bisogno di riposare.”
L’avevo detto, io, che era solo questione di riposo,” commentò Peter a mezza voce.

§

Lo squillo del telefono fece quasi sussultare Florian. Lesto, il ragazzo si avventò sulla cornetta, la sollevò ed esclamò: “Schatztruhe, parla König.”
Sono Cora.”
Egli sentì il cuore balzargli nel petto. “Cora? Ma dov’eri, cos’è successo? Perché non sei venuta?”
Dall’altra parte del filo si sentì una lieve risata, poi la ragazza disse: “Devo restare qui, Florian. Zia Trude ha bisogno di me.”
A quelle parole, il giovanotto trasecolò. “Cosa?” boccheggiò, sperando di non aver capito bene.
Devo restare,” rispose invece Cordula, “qui c’è parecchio da fare e la zia comincia ad avere una certa età.”
Ma...” A Florian pareva che il mondo gli stesse crollando addosso. “Ma se è quello il problema, Cora, coi soldi che guadagnerai cantando al Truhe potrai pagarle dieci donne di servizio, a tua zia! Potrai pagarle un intero stuolo di domestici, potrai farla vivere nel lusso.”
A zia Trude piacciono le cose semplici e non vuole estranei per casa. Staremo qui io e lei.”
Cora!” esclamò il ragazzo, col tono che avrebbe usato per chiamare aiuto.
Sì?”
Cora, ma tu hai una carriera a cui pensare, hai un futuro. Non puoi mandare tutto all’aria per fare le pulizie in una pensione.”
Ho scoperto che anche a me piacciono le cose semplici, Florian. Abbi cura di te.”

Cordula riattaccò con fare pensoso. Non era poi così vero che amasse le cose semplici. O meglio, amava semplicemente il lusso e semplicemente la fama, ma senz'altro era meglio essere certa di vivere nella pensione di zia Trude che rischiare di morire nella città del vizio e del divertimento.
E poi, comunque, la Ruhr era vicino alla Francia, e in Francia c'era Parigi, la Ville Lumière. A Parigi c'erano locali famosissimi come Moulin Rouge e Folies Bergère.
Certo, avrebbe dovuto cambiarsi il nome, in Francia non avrebbero gradito molto una tedesca di nome Cordula Kerschbaumer. Ragionò sul nome d'arte da adottare e lo sguardo le cadde sulla vetrina dei liquori, che zia Trude teneva gelosamente chiusa a chiave. All'interno del mobile faceva bella mostra di sé una bottiglia di acquavite di ciliegie.
Sorrise con la soddisfazione dell'illuminazione raggiunta e ad alta voce disse: “Cora Kirsch!” E poi pensò: Cora Kirsch, la grandissima artista, direttamente dai cabaret di Berlino, Cora Kirsch la Divina, Cora Kirsch...
La voce di zia Trude la riportò bruscamente alla realtà: “Cora! Hai messo a scaldare la zuppa di cipolle?”
La ragazza emise un sospiro e scuotendo la testa abbandonò il salotto.

§

Florian rimase impietrito con la cornetta in mano, incapace anche del più piccolo movimento. Gli sembrava di essere appena piombato in un incubo, tutto il castello di progetti che aveva edificato sul ritorno di Cordula a Berlino si era appena sgretolato.
Dal telefono proveniva il segnale di linea libera. Chiuse maldestramente la comunicazione, quasi facendo cadere la cornetta dalla forcella, poi si passò una mano sugli occhi e la ritrasse umida. Arretrò a passi malfermi, come un ubriaco.
Abbandonò lo studio del padre, percorse il corridoio e imboccò la scala che portava alla sala centrale. Il locale stava aprendo e gli avventori vi si riversavano chiacchierando e ridendo fra loro. Tra la gente vestita a festa c'era un'aria di allegra aspettativa, tutti sembravano spensierati e felici. Si appoggiò a una colonna per non essere d'intralcio alla fiumana in entrata e tenendosi in disparte rimase a guardare la folla stranito, come se stesse assistendo a qualche strana danza tribale di cui non riusciva a cogliere il significato.
Una voce lo fece sussultare: “Lei qui, Florian?”
Il ragazzo si girò e riconobbe l'uomo in piedi davanti a lui. “Buona sera, signor Jäger,” lo salutò con voce spenta.
La prego, mi chiami Erich.”
Florian chinò la testa e mormorò: “D'accordo: Erich.”
L'altro si piegò per catturare il suo sguardo. Lo fissò attento, aggrottando appena le sopracciglia, poi gli chiese: “C'è qualcosa che non va, Florian?” Sollevò una mano e gliela posò sulla spalla.
Il ragazzo non riuscì a impedirsi di annuire.
Vuoi parlarmene?”
Florian registrò che l'altro gli aveva appena dato del tu e la cosa, invece di sembrargli una mancanza di rispetto, gli diede un dolce senso di calore.
Con la mano libera, Erich gli sollevò delicatamente il mento ed egli si trovò a fissare i suoi occhi, verdi, screziati di grigio e in quel momento anche velati di apprensione. “Ti preoccupi per me?” gli chiese.
Sì.”
I volti si avvicinarono.
Davvero?” sussurrò Florian. Deglutì mentre sentiva il cuore balzargli nel petto. Forse avrebbe dovuto tirarsi indietro, liberarsi da quell'abbraccio che si stava facendo sempre più intimo, ma era come se qualcosa gli impedisse di muoversi. L’immagine di Cora in abiti di scena, fino a quel momento così vivida nella sua mente, si stava facendo sbiadita come un abito lavato troppe volte. Socchiuse gli occhi. “Erich,” mormorò, praticamente contro le sue labbra.
Mio principe,” rispose l'altro.
Come in una vertigine, Florian si sentì spingere all'indietro, via dagli sguardi indiscreti. Si abbandonò fra le sue braccia e le loro bocche si unirono in un lungo bacio.

§

Il pubblico era in delirio, le acclamazioni facevano letteralmente tremare i lampadari di cristallo del Truhe. Sul palco piovevano fiori.
Sola nel cerchio di luce dell'occhio di bue, fasciata in un lungo abito di lamè argentato, Regine si inchinava e mandava baci.
Seduti a un tavolino proprio sotto il palco, Erich e Florian si scambiarono un'occhiata.
È un trionfo,” disse il primo.
L'altro fece un lieve sorriso e rispose: “Già.” Spinse la mano fino a sfiorare la sua.
Erich si piegò per toccarlo con la spalla, quindi con voce sommessa gli chiese: “Stai bene, ora, mio principe?”
Florian annuì. “Sì, perché ci sei tu.”

E vissero (quasi) tutti felici e contenti.






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