Trucioli

di Sette Lupe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di Aquile, di Gatti e delle Chiocce che se ne occupavano ***
Capitolo 2: *** L'Aquila, il Falco e lo Scricciolo ***
Capitolo 3: *** Parlando di Affari ***
Capitolo 4: *** Spiriti Affini ***
Capitolo 5: *** Come tu desideri ***



Capitolo 1
*** Di Aquile, di Gatti e delle Chiocce che se ne occupavano ***


Capitolo 1: 

Di Aquile, di Gatti, e delle Chiocce che se ne occupavano





Nel bene e nel male, Altaïr Ibn-La’Ahad era una leggenda. 

Era l’eroe che aveva salvato Masyaf dalla follia di Rashid Al-Sinad per gli Assassini, il mostro spietato che aveva mietuto decine di vittime per i Templari, il misterioso Angelo della Morte che colpiva tanto le guardie quanto i regnanti corrotti per tanti miseri cittadini, vittime altrimenti indifese dei potenti.

Eppure erano davvero poche le persone che potevano affermare di avere l’onore di conoscere l’Altaïr uomo; tra queste, Malìk era senza dubbio colui cui il nuovo Gran Maestro mostrava con maggior disinvoltura la sua umanità.

Sebbene molti invidiassero la sua posizione, non sempre Malìk si sentiva poi così felice di ricoprirla. 

Quel momento ne era un lampante esempio: tornato da qualche giorno assieme ad Altaïr a Gerusalemme per risolvere alcune importanti questioni, il Gran Dai si trovava costantemente intralciato da un certo Assassino che continuava ad appisolarsi sulle mappe da completare, sui documenti da studiare, insomma, su qualunque cosa di cui Malìk avesse bisogno per procedere con il suo lavoro.

Aquila per il resto della fratellanza, Altaïr somigliava più ad un gatto in quel momento, agli occhi di Malìk.

“ Bene bene… un’altra notte trascorsa a gironzolare sui tetti, deduco” esordì bruscamente, facendo sobbalzare l’amico che rischiò di cadere dallo sgabello su cui si era addormentato ancora una volta. 
Malìk proprio non riusciva a capire cosa spingesse Altaïr a trascorrere tante notti fuori, tornando assonnato e sfinito solo in tarda mattinata; le sue domande ricevevano solo risposte fastidiosamente evasive e il Gran Dai non poteva fare altro se non attendere che l’Aquila di Masyaf decidesse che era tempo di spiegargli cosa stesse succedendo: conosceva fin troppo bene le nefaste conseguenze di un tentativo troppo insistente di forzare la privacy di Altaïr.

“Uhm… no, certo che no” rispose con voce impastata Altaïr. Aveva promesso di ridurre il numero delle sue uscite notturne ed essere sorpreso in maniera tanto eclatante a contravvenire agli impegni presi era un’umiliazione… del resto… beh, davvero non si era potuto esimere, la sera precedente, dall’uscire nuovamente al sorgere della luna.

“Oh, davvero?” incalzò Malìk senza fare più il minimo tentativo di nascondere l’irritazione che covava: “Dunque, addormentarsi appollaiato sul mio sgabello preferito intralciandomi mentre lavoro per l’intera fratellanza, altro non è che il tuo nuovo passatempo. Fastidioso e stupido. In effetti è una versione abbastanza credibile, sai?” 

Altaïr si ritrasse imbarazzato quanto un bambino colto a rubare i biscotti in cucina: “Stavo solo riposando un po’ gli occhi” cercò di spiegare soffocando uno sbadiglio: “Avevi detto che oggi avresti avuto bisogno del mio aiuto e ti stavo aspettando…”
Sapeva che il suo tentativo di rabbonirlo sarebbe servito a poco, ma tentare non poteva certo nuocere…

Malìk sbuffò, scuotendo la testa esasperato: “Certo, come no. Sei davvero ancora nient’altro che un infantile novizio, sai? Non crescerai proprio mai” 

Altaïr aprì la bocca per ribattere, ma l’altro lo prevenne, usando quel tono da fratello maggiore che non ammetteva repliche e che, specie in un’occasione privata come quella, Altaïr non si sarebbe mai nemmeno sognato di contestare: “ Come credi di poter combinare qualcosa di buono, se stai praticamente dormendo in piedi? La prossima volta ti sveglierò strappando lo sgabello da sotto quel tuo stupido sedere. Ora fila a dormire. Immediatamente. Sembri un gatto che ha trascorso la notte chiuso in un canile”.

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Capitolo 2
*** L'Aquila, il Falco e lo Scricciolo ***


Capitolo 2: 

L’Aquila, il Falco e lo Scricciolo

Era stato Ezio a chiamarlo “Lo Scricciolo” per la prima volta quando erano ancora bambini, e da allora il soprannome era rimasto; anche perché Kadar sembrava non aver ereditato nulla dal massiccio padre se non la morbida tonalità bruna della pelle e i lucidi capelli neri.
Gli occhi ed il sorriso erano eredità di sua madre, così come la costituzione fragile e minuta, il carattere gioviale e la passione per lo studio della storia antica.
 
Malìk, pur condividendo alcuni tratti somatici con il fratello, pareva essere il suo esatto opposto: dal carattere ombroso e pragmatico, poco incline alle frivolezze e dai modi spesso bruschi, era una copia esatta del padre con le sue spalle larghe e i suoi occhi scuri.
 
Sebbene non condividesse alcun legame di sangue con Kadar e Malìk, chi conosceva la famiglia Al-Sayf includeva sempre anche un terzo componente tra i figli di Faheem e Aghar: Altaïr, la falange armata del “piccolo commando incursori”, come li chiamava spesso Faheem quando erano bambini. Se Malìk abbaiava molto ma mordeva poco, Altaïr era il membro del terzetto ad avere sempre un posto in prima linea quando si trattava di passare alle vie di fatto.
 
Il rapporto che lo legava il maggiore dei fratelli Al-Sayf era tra i più strampalati che si potessero vedere: di norma taciturno e schivo, Altair si trasformava in un avversario sorprendentemente loquace quando si trattava di scontrarsi verbalmente con Malìk (cosa che accadeva con esasperante frequenza); eppure, nonostante i continui battibecchi e le occasionali zuffe, non esisteva nulla che uno dei due avrebbe rifiutato di fare per l’altro.
 
Sebbene quest’ultima caratteristica del loro rapporto sfuggisse a molti di coloro che li osservavano, non doveva essere passata inosservata al Mentore dell’Ordine degli Assassini Levantini: Rashid Al-Sinad aveva suscitato non poca sorpresa e una notevole quantità di obiezioni, quando aveva messo i due ragazzi in squadra assieme al termine del loro noviziato, ma il suo unico occhio si era rivelato ben più acuto di quelli di molti dei consiglieri e dei maestri della confraternita, come dimostrava la già lunga lista di missioni brillantemente portate a termine dai due.
 
Kadar, invece, non aveva mai superato nemmeno l’addestramento di base: Al-Mualim aveva forse spezzato il suo cuore il giorno in cui gli aveva comunicato che non lo riteneva idoneo al servizio sul campo, ma gli aveva con tutta probabilità salvato la vita. Dopo un periodo di comprensibile sconforto, il giovane aveva ripreso le redini della situazione ed aveva scoperto quella che forse era stata la sua vocazione fin dalla nascita: l’archeologia.
 
A quasi sei mesi dall’inizio del suo primo anno di università, Kadar già brillava tra gli studenti del suo corso per voti e dedizione ed era il pupillo di molti dei suoi professori.
 
Purtroppo lo stesso non poteva dirsi di alcuni dei ragazzi del campus.
 
Ora, il problema principale di Kadar non era mai stato, anche durante il suo addestramento come Assassino, la tattica o la capacità di mantenere i nervi saldi: erano resistenza, coordinazione e forza fisica ad essere carenti nel ragazzo. E questo lo esponeva alle angherie dei bulli in maniera piuttosto costante...beh, questo in realtà era accaduto solo finchè Kadar non aveva imparato l’arte di attirare il nemico nel luogo dove, da predatore, si sarebbe tramutato in preda.
 
Sebbene nessuno dei due sembrasse un persona particolarmente incline alla tenerezza, tanto Malìk quanto Altair nutrivano un profondo affetto nei confronti del loro piccolo Scricciolo, e sebbene fossero in disaccordo praticamente riguardo a qualunque cosa, le loro idee sul trattamento da riservare a coloro che non rispettavano Kadar, non divergevano mai.
 
Questa lezione, assieme a quella su come il giovane Al-Sayf non fosse una preda alla loro portata nonostante le apparenze, sarebbe stata appresa nel modo più drammaticamente empirico da Shalim e da suo fratello Shahar.



 N.d.A.
Sono indecisa se creare qualcosa di più complesso con questa "intro" o meno. Fatemi sapere se siete interessati o se avete suggerimenti  ^.^

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Capitolo 3
*** Parlando di Affari ***


Capitolo: 3

Parlando di Affari

Nel dodicesimo secolo le persone credevano ad un sacco di cose: superstizione e realtà si fondevano in un guazzabuglio confuso e contorto.

Un po’ accadeva per pura e semplice ignoranza della maggior parte delle leggi che governano la natura e le sue manifestazioni, un po’ perché la quasi totalità delle persone non conosceva quasi nulla del mondo al di fuori del proprio piccolo villaggio quindi era difficile confutare le storie che arrivavano da lontano…  senza contare che agli esseri umani è sempre piaciuto credere in qualcosa; che sia meraviglioso o raccapricciante non fa differenza: quello che conta è il brivido d’emozione.

Beh, un po' avveniva anche perché certi soggetti se ne andavano in giro a raccontare corbellerie a cui la gente finiva per credere per i motivi sopracitati.

Malìk lo sapeva fin troppo bene: era uno di loro.

E si divertiva pure: trovava esilarante come la gente fosse disposta a bersi ogni sorta di fesseria, se raccontata nel modo giusto e dal personaggio adatto.

Non si trattava tuttavia di un mero passatempo: in quanto Rafiq degli Assassini di Gerusalemme, infatti, uno dei compiti di Malìk era gestire le informazioni in entrata e in uscita dalla confraternita così da fornire il miglior supporto possibile ai confratelli in missione. In particolare doveva assicurarsi che le notizie in entrata fossero quanto più complete e affidabili possibile mentre quelle in uscita fossero un misto di inesattezze e totali falsità, sufficientemente fuorvianti da mandare in confusione anche il più accanito segugio templare e abbastanza inquietanti da scoraggiare l'interesse di curiosi e ficcanaso. Il metodo più efficace per diffondere questa vantaggiosa disinformazione, aveva scoperto, era quello di sfruttare le dicerie popolari: esse si propagavano in maniera assai rapida tra la popolazione e, di conseguenza, raggiungevano anche le orecchie dei templari e dei loro affiliati, tenendoli opportunamente sulle spine.

Non era facile mantenere le voci sotto controllo e in linea con le esigenze dell’Ordine, soprattutto perché per riuscirci era necessario avere la capacità di assumere diverse identità a seconda del risultato che si desiderava ottenere, ma lui se la cavava abbastanza bene: ufficialmente faceva credere di essere un umile scrivano e libraio preservando così il suo anonimato, meno ufficialmente era conosciuto per essere il contatto più diretto con la temibile setta degli Assassini; solo pochissimi, infine, sapevano che era egli stesso il misterioso e temuto "Rafiq" di Gerusalemme.

Quel pomeriggio Malìk era alla bottega, dividendo il suo impegno tra i clienti da servire, l'elaborazione di un piano per rimettere al loro posto le guardie che si erano fatte troppo prepotenti da quando si era diffusa la notizia della caduta del vecchio Gran Maestro, e l'essere di cattivo umore per via del khamsin che aveva cominciato a soffiare portando nubi soffocanti di sabbia dal deserto.
Il suo scontento si fece ancor più intenso quando un drappello di soldati entrò nella bottega: il loro atteggiamento non era certo quello di chi cerca libri o mappe.

"Ci mancavano solo questi" brontolò tra sé mentre i nuovi arrivati scacciavano in malo modo i clienti.

"Oggi chiudi prima, libraio" ringhiò il capitano chiudendo bruscamente la porta.

Malìk inghiottì le parole velenose che gli erano salite alle labbra: per questa gente era solo un libraio storpio, e come tale doveva comportarsi. Aggirò quindi il bancone inscenando un umile protesta e lamentosa:"Ma, capitano, non capisco... qual è il problema? Non ho fatto nulla di male"

In tutta risposta il nerboruto soldato lo spinse rudemente contro la balaustra e lo afferrò per il bavero, torcendo il tessuto per bloccargli il respiro.

"Io invece dico che abbiamo trovato il ratto giusto" sibilò minaccioso: "So per certo che sei invischiato con gli Assassini, storpio, e se devo schiacciare quella tua testolina di topo per arrivare a loro, sappi che non ho nessun problema a farlo”.

Malìk dovette fare uno sforzo per restare nella parte, rinunciando a spaccare subito la mascella di quel bifolco: "Avete sbagliato persona vi dico" esalò cercando di sembrare terrorizzato e confuso.

"Davvero? Ti ho visto parlare con Amir, e ho fatto quattro chiacchiere con lui" ritorse il capitano, godendo della sorpresa nello sguardo della sua vittima. Estrasse un pugnale dalla cintura e appoggiò la lama sulla sua gola: "So che alcune guardie ricevono soffiate per levarsi dai guai quando l'Angelo della Morte è in città. Ora, tu mi organizzerai un incontro con il capo della setta per farmi entrare nel giro, altrimenti... “.

Non era necessario che finisse la frase: Malìk aveva comunque inteso a meraviglia. Non che la minaccia lo toccasse granché, piuttosto era stupito dalla piega che avevano preso gli eventi. Davvero quell'uomo voleva diventare uno degli informatori degli Assassini? Certo l'approccio non era stato uno dei più raffinati, ma un informatore in più poteva essere utile; inoltre Malìk aveva un'idea su come fargli abbassare la cresta e allo stesso tempo mettere in giro una di quelle storielle che tanto lo divertivano e che tanta presa avevano su quelle menti ottuse. Dove accidenti era Altaïr, adesso che gli serviva?

Proprio in quel momento un lampo argentato passò tra il suo volto e quello del capitano del drappello, seguito da un tonfo sordo; ai due fu necessario qualche istante per rendersi conto che si era trattato di un coltello, scagliato con tale forza da conficcarsi per una buona metà della sua lunghezza nello stipite della porta lì accanto.
Malìk non aveva bisogno di controllare per sapere chi lo aveva lanciato: Altaïr, solo un incosciente come lui poteva azzardare un tiro simile. Certo il suo carattere era notevolmente migliorato negli ultimi tempi, ma per certi aspetti rimaneva sempre il solito asino. Fortunatamente per Malìk, un asino con un’ottima mira.

La presa sul collo della sua tunica si era allentata e lui osservò divertito l'espressione di orrore sul volto dell'uomo nel trovarsi con un Assassino appollaiato sul bordo del soppalco, dove fino ad un attimo prima non c'era niente, che lo fissava con brillanti occhi dorati dalle profondità del cappuccio.

"E’ apparso dal nulla… è un Jinn" sibilavano le altre guardie tra di loro.

Malìk quasi si lasciò sfuggire una risata: era proprio quella la storia che aveva intenzione di usare quel pomeriggio!

Non che fosse una favola nuova: da un sacco di tempo si sentivano voci inerenti al fatto che non tutti gli Assassini appartenevano al mondo degli umani. Comunque era la più adatta da rammentare a quelle guardie arroganti, e Altaïr in quel momento era perfetto per la parte che avrebbe dovuto recitare, con il cappuccio abbassato fino a mettere in ombra gli occhi e una sciarpa di lino che gli copriva la metà inferiore del volto, indossata per non respirare la polvere sollevata dal khamsin mentre era fuori.
L'unico problema era quello di non aver avuto il tempo di accordarsi prima, quindi poteva solo sperare che Altaïr indovinasse le sue intenzioni e gli reggesse il gioco.

Malìk si schiarì la voce attirando l'attenzione del capitano del drappello: "Secondo me fareste meglio a mettere via il pugnale: credo sia quello a disturbarlo"

L'uomo si ritrasse mentre i suoi sottoposti sfoderavano le armi. Ambiente angusto e quattro persone che combattono, povere le mie mappe! Gemette interiormente il rafiq vedendo Altaïr che cambiava posizione preparandosi ad uno scontro. Meglio sbrigarsi ad agire.

"Calma, signori" intervenne amichevolmente: "Non c'è bisogno di usare la violenza... potevate dirmelo subito che eravate venuti per parlare di affari" aggiunse con un sorrisetto, mentre sfilava il pugnale dallo stipite. Poi, guardando l'Assassino, batté un paio di volte il manico del coltello sul legno del bancone emettendo un basso fischio, lo stesso che usavano molti falconieri per invitare i loro rapaci a passare dal posatoio al loro pugno. La confusione delle guardie per quello strano comportamento era tanto palese quanto comica.

Altaïr, che invece aveva compreso quali fossero gli intenti del confratello, si lasciò cadere dal ballatoio e atterrò sul piano di legno del bancone, quindi si sedette a gambe incrociate in attesa di ordini.

"Visto? È docile. Se non fate movimenti bruschi non attacca" spiegò Malìk con lo stesso tono che avrebbe potuto usare un addestratore di animali . Si avvicinò ad Altaïr e scostò la falda della veste che copriva lo stivale destro per infilare il coltello da lancio nel fodero vuoto legato al polpaccio. Altaïr rimase fermo, limitandosi a sollevare leggermente il ginocchio, all'apparenza per consentirgli di raggiungere meglio la fondina giusta, in realtà il movimento nascose alle guardie la sua mano sinistra.
Ho capito, ti seguo. Segnalarono le sue dita. Non esagerare. Aggiunsero dopo un istante.

"Sapete cosa credo, capitano?" cominciò allora il rafiq cambiando il tono della voce e abbandonando in un istante il personaggio del libraio per calarsi altrettanto velocemente nella sua nuova parte: "Credo che, più che un ratto, voi abbiate preso un granchio. E uno bello grosso."

La guardia deglutì ma non rispose, rendendosi improvvisamente conto che se c'era un "topo in trappola" in quella stanza, non si trattava di certo del geografo: aveva riconosciuto quel particolare tipo di Assassino. Tre guardie erano troppo poche per affrontarlo.

Malìk gongolò tra sé nel vedere quanto in fretta si fossero ribaltati i loro ruoli: "E credo anche che voi non abbiate davvero parlato con Amir, anche se sono sicuro ci abbiate visti assieme. Ne sono certo perché, se davvero foste venuto dietro suo consiglio, lui vi avrebbe certamente spiegato come io non sia la persona più adatta al genere di approccio che avete appena tentato" aggiunse rimettendo a posto il lembo della tunica di Altaïr e lisciandola come fosse stata l'ala del suo falco preferito.

Le spade rivolte verso i due Assassini si sollevarono fremendo. Malìk continuò il suo discorso avanzando verso di loro senza dimostrare il minimo timore: "Non che me la sia presa ovviamente: sono un cittadino onesto e rispettoso, io" spiegò sfidando con lo sguardo il capitano a contraddirlo: "Non oserei mai contestare il modo di agire di un tutore della legge ... tuttavia il mio amico laggiù ... "

Si era fermato a pochi centimetri dalla punta di una delle spade. Altaïr si alzò in piedi nel momento in cui si rese conto che l'arma non si sarebbe abbassata: calcolato o no, il rischio a cui si stava esponendo l'amico era troppo alto a suo parere.

"Seduto" gli ordinò Malìk quando, seguendo lo sguardo del comandante, si accorse dell'atteggiamento aggressivo dell'Assassino.

Altaïr non obbedì. Che diavolo stai facendo? Chiesero i suoi occhi da sotto l'orlo del cappuccio. E' pericoloso.

"Ho detto seduto"

Con un ringhio frustrato, stavolta l'Assassino eseguì l'ordine.

"Credevo che gli Angeli della Morte obbedissero solo al Gran Maestro degli Assassini" mormorò diffidente il capitano.

"Sì, oppure a qualcuno delegato da lui. Ci vuole comunque polso per tenerli sotto controllo: sono creature formidabili, ma a volte è difficile ragionarci... con questo in particolare"

"Quindi voi siete ..."

"Un caro amico del Rafiq di Gerusalemme" terminò per lui Malìk: "Gli Angeli della Morte mi hanno sempre affascinato e, sapendolo, lui ha interceduto presso il nuovo Gran Maestro perché mi concedesse la fedeltà di uno di loro come premio per la mia."

"Stai dicendo che ti appartiene?"

"Sto dicendo che mi ascolta e mi protegge. Appartiene solo all’Ordine degli Assassini, sarei uno stolto a pretendere la proprietà di una creatura simile"

"Ne parli come fosse una bestia"

"Oh, capitano, definirlo bestia non credo sia appropriato... ma forse, in effetti, lui non è propriamente come noi"

L’Assassino grugnì, evidentemente irritato dalla piega che stava prendendo la conversazione.

"In che senso è diverso? E'... umano, giusto?" squittì una delle guardie timidamente.

"Certo che lo è, idiota! Non crederai davvero ... " il capitano interruppe il suo latrato vedendo che Malìk si era voltato ridacchiando e stava studiando l'Assassino come se riflettesse sulla domanda postagli.

"Beh, ne ha tutto l'aspetto, giusto?" Rispose poi dopo un attimo di riflessione: "Devo ammettere però che non ho mai indagato approfonditamente. Vedete, io non pongo mai domande di cui non sono sicuro voler sentire la risposta" aggiunse.

Il pallore che si diffuse nei volti dei suoi interlocutori, confermò a Malìk che la sua messa in scena aveva colto nel segno: "E comunque non importa da dove o da chi venga. L'importante è che se ne stia buono dov'è e, per assicurarcene, consiglio di mettere da parte le armi: lo innervosiscono. Del resto se dobbiamo parlare di affari non servono"

Con riluttanza le guardie rinfoderarono le spade. Altaïr si mise nuovamente comodo sul piano in legno del bancone e piantò gli occhi addosso a Malìk con un’aria di rimprovero. Dopo facciamo i conti, gli promise il suo sguardo.

Malìk gli rivolse un sorriso sornione e cominciò a passeggiare lentamente per la stanza mentre procedeva a spiegare ai suoi ospiti la situazione:"Innanzitutto dovete sapere che il Rafiq è una persona riservata quindi farò io da tramite per tutti i contatti con l'Ordine. Il gioco è molto semplice: informazioni in cambio di altre informazioni"
"E la protezione dagli Angeli?"

Malìk sorrise con indulgenza: "A proteggervi da loro ci dovrete pensare voi stessi. Io posso dirvi quali posti evitare e quando: è più che sufficiente. Sapete sicuramente che, se non li si intralcia, non sono quasi mai pericolosi"

Il capitano non sembrava soddisfatto, ma si astenne dal protestare.

"Parlate con Amir… e intendo veramente" consigliò Malìk con una strizzatina d’occhio: "Ditegli che avete il mio benestare, vi spiegherà molti trucchi per evitare guai"
"E immagino che dovremo lasciar stare gli Assassini"

"Quello è a discrezione vostra. Gli Assassini si rendono conto che dovete comunque fare il vostro dovere e non chiedono privilegi. Tutti sanno quali rischi corrono nel fare quello che fanno, e tutti devono essere pronti ad affrontare le conseguenze… non siete d’accordo, capitano?”

L'uomo lanciò uno sguardo ostile ad Altaïr poi annuì.

“Sono curioso: se non avete parlato con Amir come avete saputo a chi rivolgervi?"

"L’ho visto discutere con te diverse volte, e ho notato che lui non era mai presente quando gli Assassini mettevano a segno un colpo grosso, così ho capito che doveva esserci qualcosa sotto. Non mi piace questo accordo: pende troppo dalla vostra parte"

Malìk annuì in segno di ammirazione verso le capacità deduttive del capitano: "Dalla parte degli Assassini, volete dire" precisò poi: "Io sto nel mezzo e faccio da mediatore"

"Con un Angelo della Morte come guardaspalle?"

"Ho solo accettato il dono di un amico. Non è colpa mia se nessun altro ha pensato di regalarmi nulla"

Il capitano delle guardie rispose con un grugnito scontento.

"E comunque non sono io a dettare le regole. Se non gradite i termini sapete dov'è la porta"

"Sì, e so anche che una volta uscito verrei fatto a pezzi assieme ai miei uomini. Quanti Assassini ci sono qua fuori?"

Malìk ridacchiò: "Siete un uomo perspicace, capitano. Quello che mi stupisce è che non abbiate avuto la lungimiranza di riflettere su questo particolare prima di cominciare la partita"

"Quindi ora non posso tornare indietro"

"Lo desiderate? La mia offerta è più generosa di quanto possa sembrare"

"Non hai ancora chiesto il mio nome"

Malìk lo osservò attentamente prendendosi tempo per riflettere: quest'uomo aveva un certo potenziale, poca morale forse, ma un notevole senso pratico e una certa acutezza, se confrontato con la media delle guardie. Erano caratteristiche allettanti, che tuttavia lo rendevano anche pericoloso: "Mi interesserà solo se accetterete di giocare" rispose infine.

"Non è un gioco, è realtà"

"Nulla è reale"

Il comandante ignorò il suo ultimo commento e girò la testa verso i suoi uomini, incerto sul da farsi. Malìk gli lasciò tutto il tempo di ragionare, appoggiando al bancone la schiena e scambiando un rapido sguardo con Altaïr.

"Quali sono le altre regole?" chiese poco dopo il capitano.

"Nessuna: tutto è lecito " rispose Malìk con un sorriso ferino.

L'uomo rimase ancora un istante in silenzio, quindi annuì seccamente: "Giochiamo allora. Io sono Faaroq"

"Bene capitano Faaroq, sono lieto della vostra decisione. Sappiate che non ci saranno zone della città da evitare per almeno una o due settimane. Tuttavia devo avvertirvi che il mio amico avrà bisogno comunque di sgranchirsi le gambe; di solito esce da mezzanotte a mezzogiorno. Decidete voi se cercarlo o meno"

"La prima soffiata è omaggio?"

Malìk ridacchiò: "Nessun omaggio, capitano Faaroq: voi mi siete stato molto utile oggi"

Faaroq si rabbuiò un istante, aveva intuito di essere stato raggirato in qualche modo, ma non capiva dove fosse la trappola:"Buona giornata" mormorò prendendo congedo, mentre passava con diffidenza accanto all'Angelo della Morte.

Altaïr non si mosse, limitandosi a seguirli pigramente con lo sguardo.

"Buona giornata anche a voi" rispose cordialmente Malìk richiudendo la porta una volta che l’ultima delle guardie fu uscita. Forse il capitano Faaroq non aveva avuto tutti i torti nel consigliargli di chiudere prima: era una bella idea quella di prendersi qualche ora di libertà e, con il khamsin che soffiava violento, era improbabile che si presentassero altri clienti quel pomeriggio.

Si sedette quindi sul bancone, mentre Altaïr si liberava finalmente della sciarpa: “Allora, che ne pensi?” chiese compiaciuto.

“Penso che tu ti stia facendo prendere troppo la mano con questa storia delle informazioni fuorvianti… e che ti diverta troppo la recita del Domatore di Demoni, non è ora di cambiare il copione?” borbottò l’altro.

Malìk ridacchiò con la lingua tra i denti come un monello di strada: “Sì, ad un certo punto ho temuto di essermi spinto troppo oltre, devo ammettere, ma a quanto pare ha funzionato a meraviglia. Sono affidabili?”

“Se non lo fossero stati li avrei lasciati uscire? Sei un’incosciente: finirai per metterti nei guai a raccontar frottole del calibro di quest’ultima”insistette Altaïr scuotendo la testa.

“Ipocrita: ti sei divertito quanto me a vedere quei bifolchi tremare come vitelli appena nati. Altrimenti perché mi avresti retto il gioco per tutto il tempo? Inoltre, parlando di incoscienza, ti sembra un tiro da tentare? Potevi cavarmi un occhio con quel pugnale. Non potevi inventarti qualcos’altro?”

Altaïr scrollò le spalle e incrociò le braccia sul petto: ”Sono riuscito in lanci più difficili” affermò sollevando il mento, poi piegò la testa di lato lanciandogli un’occhiata sorniona: ”Ma se ti infastidisce tanto, la prossima volta resto fermo e nascosto in attesa di ordini: voglio proprio vedere quanti ne riesci ad abbaiare con la trachea schiacciata e una lama sulla giugulare”

Ad Altaïr fare la parte dell’animale ben addestrato non era mai piaciuto particolarmente.

Malìk aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito dopo: “Quanto ti odio, quando hai ragione” bofonchiò alla fine raccogliendo le gambe sul bancone in una posizione quasi speculare a quella dell’amico.

L’altro sogghignò, poi gli rifilò un calcio poco convinto allo stinco: “Mi hai dato della bestia” lo accusò poi.

“Tecnicamente non sono stato io a darti della bestia”precisò Malìk: “Le mie parole sono state travisate: non ho mai detto né che fossi una bestia, né tantomeno un jinn… non è colpa mia se quei bifolchi sono più superstiziosi di un vecchio marinaio”

Ifrit” lo insultò l’altro: “Conosco anch’io il trucco di parlare per essere fraintesi. Non cambia il risultato: adesso quegli idioti se ne andranno a dire a tutta la città che io sono un demone o chissà cos’altro” scattò Altaïr: “Ti starebbe bene finire accusato di stregoneria.”

Malìk ridacchiò: “Ma tu non eri quello cui non interessavano le opinioni altrui? Da quando hai cominciato a prestarvi attenzione? E inoltre questa storia è la più adatta, credimi: non l’ho scelta a caso”

Altaïr si sporse in avanti: “E intanto Malìk passa per il Signore dei Demoni, mentre Altaïr fa la parte dell’animale! Mi hai comandato di sedere come fossi stato un cane, e sei addirittura arrivato a dirgli che non ero come voi” lo accusò piantandogli un dito al centro del petto, un ringhio ribolliva nella sua voce.

Malìk scansò la mano dell’amico con un gesto brusco: “Siamo permalosetti oggi, hmm? E poi è vero che non sei come noi: inutile negarlo” sentenziò maliziosamente.
Se c’era una cosa che a Malìk piaceva ancor più del gabbare gli zotici, era senza dubbio stuzzicare Altaïr. Ed era anche dannatamente abile nel farlo, a giudicare come l’Assassino parve gonfiarsi dalla rabbia mentre ringhiava un Come prego? che avrebbe fatto correre a rintanarsi anche un vero jinn.

“Sì beh, anche tralasciando la faccenda di quel giochetto che sai fare con gli occhi e di cui, come ho detto a quei bifolchi, voglio sapere il meno possibile, dall’aspetto di quella gente posso dire che in questa stanza eravamo tutti di stirpe puramente semitica tranne uno: tu sei imbastardato con i Jafeti"

"Hey!"

"Suvvia, non è certo un segreto il fatto che tu sia due volte bastardo: meticcio e illegittimo*"

"Questo è un colpo basso!"

"No" lo corresse con finta noncuranza Malìk, scendendo dal bancone: "Un colpo basso è costringerti a darmi una mano a ritirare i tappeti ed i cuscini dal giardino prima che siano rovinati dalla sabbia ricordandoti che in effetti una mano è esattamente quello che mi devi" aggiunse con un sorriso astuto.

Il fatto di essere già sceso dal bancone ed essersi avvicinato alla porta che dava sul giardino interno, concesse a Malìk i pochi, preziosi istanti che gli permisero di salvarsi dal primo assalto di Altaïr. Non sperava di sfuggirgli davvero: Altaïr era stato più veloce di lui anche quando aveva due braccia, però poteva dargli un po’ di filo da torcere. Del resto qualche livido era un prezzo che ci si doveva rassegnare a pagare (e comunque accettabile) se si sceglieva come passatempo preferito quello di provocare il Gran Maestro.

Tuttavia l’Assassino arrestò il suo inseguimento quasi subito, fermandosi ai piedi del muro che Malik aveva appena scalato per uscire dall’apertura sul tetto.
Il Rafiq si chinò sul bordo della grata aperta stringendosi nella djellaba per proteggersi dal vento sempre più forte e dalla sabbia pungente che esso trasportava. Perché Altaïr non lo aveva seguito? Il sorrisetto astuto che aveva sulle labbra mentre lo osservava con i suoi occhi dorati, non prometteva nulla di buono.

“Beh? Tutto qui?” lo stuzzicò ancora: “Un po’ di vento e il grande Altaïr rinuncia al suo assalto?”

L’altro ridacchiò: “Sai cosa Malìk? Hai ragione: in questo cortile ci sono un sacco di cose che si rovinerebbero se coperte di sabbia e polvere”

Malìk scese con un elegante salto e si fermò di fronte all’amico stringendo gli occhi a fessura e fissandolo.

L’assassino gli porse un cuscino senza abbandonare il suo atteggiamento serafico: “Hai chiesto un aiuto, Malìk, non hai detto che dovevo occuparmene da solo, quindi vedi di darti da fare” gli consigliò dolcemente.

“Stai dicendo che ti è già passata l’arrabbiatura?” chiese incredulo.

“Non so di cosa tu stia parlando, fratello” rispose dolcemente. Agli occhi del Rafiq era a dir poco inquietante: stava preparando una vendetta. Una terribile vendetta, ne era certo.

Il guaio era che Altaïr, durante tutte le prove che aveva dovuto affrontare nell’anno precedente, aveva imparato molte cose; una di queste era l’abitudine di ponderare e preparare ogni azione, un’altra era la pazienza di attendere il momento opportuno per mettere in atto i suoi propositi e … beh, sarebbe stata una cosa stupida ricadere nei vecchi errori. Malìk avrebbe smesso di girargli attorno diffidente come una volpe selvatica, prima o poi: colpire ora, caricando come un toro infuriato, non gli avrebbe fatto guadagnare nessuna vittoria significativa sull’astuto Rafiq.

Inoltre lui non era una persona vendicativa, si disse mentre prendeva congedo garbatamente dal confuso e sospettoso amico; non più almeno.

No, non era vendetta: si trattava di giustizia.
 

 
N.d.A.
(*) - Da quanto ho letto, l'appellativo Ibn-La'Ahad significa Figlio di Nessuno, un trovatello. Dato che all'epoca (a quanto ne so) tra le popolazioni mediorientali non era abituale l'utilizzo del cognome preferendo identificare gli individui tramite l'indicazione del nome del padre, del luogo di nascita o di una caratteristica peculiare della persona stessa, Altaïr non può aver semplicemente ereditato questo epiteto. Ciò sembra contrastare con quanto si legge nei libri e nei siti riguardanti la saga di Assassin's Creed, dove è riportato il nome del padre di Altaïr (Umar) e della madre (Maud), specificando che il padre di Altaïr era stato egli stesso un Priore di grande abilità e ben conosciuto tra gli Assassini. Ho letto anche che Maud era cristiana, quindi ho pensato che il nome Ibn-La'Ahad potesse stare ad indicare, piuttosto che un orfano o un trovatello, un figlio illegittimo: è infatti improbabile che Umar e Maud avessero potuto contrarre matrimonio regolare in quanto appartenenti a due religioni differenti (per quello che ne so all'epoca era necessario che uno dei due coniugi si convertisse alla fede dell'altro per potersi sposare), e Umar non avrebbe potuto riconoscere un figlio nato da un'unione illecita. Senza un padre che lo riconoscesse in maniera ufficiale quindi, secondo la mia teoria, Altaïr non poteva divenire Ibn-Umar e la gente cominciò a chiamarlo Ibn-La'Ahad.
 
 

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Capitolo 4
*** Spiriti Affini ***


Capitolo 4: 
 
Spiriti Affini

 
Se riesaminava la sua esistenza, Altaïr non poteva fare a meno di notare quando poche fossero state le occasioni in cui aveva potuto davvero scegliere liberamente il corso da impartire alla propria esistenza. Era stato quasi sempre guidato o addirittura costretto a prendere certe decisioni piuttosto che altre da singoli individui o dagli eventi in corso di svolgimento, e questo valeva a partire dalla decisione della sua entrata nell’Ordine degli Assassini fino alla sua nomina a Gran Maestro, avvenuta pochi giorni prima. Non era esatto dire che si rammaricasse del corso della sua vita: era orgoglioso di ciò che era diventato e dei risultati che era riuscito ad ottenere, specialmente perché ci era riuscito con le sue sole forze. Tuttavia, soprattutto negli ultimi giorni, capitava che si sentisse un po’… imbrigliato: come un cavallo che morda continuamente un’imboccatura troppo severa. Aveva accettato le sue nuove responsabilità di buon grado, impegnandosi come sempre per eccellere nel compito affidatogli; aveva tollerato la serie apparentemente infinita di cerimonie che avevano accompagnato la sua nomina, soggiacendo a migliaia di formalità e superflui rituali di cui non vedeva altra utilità se non quella di portarlo all’esasperazione, ma adesso aveva davvero bisogno di prendersi una pausa e distrarsi un po’.
 
L’occasione si era presentata quando uno dei consiglieri aveva fatto notare quanto fosse disdicevole se non addirittura indecoroso che il Gran Maestro non possedesse ancora un suo cavallo personale: era una questione di immagine.
Di norma gli Assassini non avevano un proprio destriero ma potevano scegliere di volta in volta, tra le decine di esemplari di proprietà della Fratellanza, il più adatto alle proprie necessità in base alla missione che dovevano intraprendere; ovviamente quasi tutti avevano un loro cavallo preferito, con il quale si instaurava un rapporto particolare e che tendevano a prediligere rispetto agli altri, ma non si arrivava mai ad un possesso esclusivo dell’animale. Anche per Altaïr era stato così fino a quel momento. Nel caso del Gran Maestro e dei Dai di rango più elevato, invece, l’usanza prevedeva che ci fosse un cavallo riservato esclusivamente a loro; di norma veniva donato il giorno dell’investitura ufficiale, ma le particolari circostanze dell’ascesa di Altaïr avevano costretto a rimandare quella parte del cerimoniale.
 
Il nuovo Gran Maestro aveva colto al volo l’opportunità, riuscendo a convincere il consiglio a concedergli una tregua dal cerimoniale per scegliere lui stesso l’animale. Aveva dovuto accettare di portare con sé il responsabile delle stalle di Masyaf e due consiglieri, nonché quattro “guardie del corpo”, ma del resto era una condizione ragionevole: era meglio non aggiungere troppo scompiglio a quello che stava già creando con i primi provvedimenti intrapresi per cambiare il modus operandi degli Assassini. Poteva rimandare di qualche settimana una fuga in piena regola.
 
Tra i molti cambiamenti che stava lottando per mettere in atto, ad uno in particolare stava dedicando tempo ed energie: Altaïr non intendeva rintanarsi dietro una scrivania, gestendo la Fratellanza appollaiato in cima alla sua rocca come aveva fatto Rashid Al-Sinad, con una visione solo parziale del mondo e dei suoi cambiamenti. Aveva imparato l’immenso valore della raccolta diretta delle informazioni sul campo e delle grandi possibilità che il contatto in prima persona con la comunità in cui agiva l’Ordine poteva schiudere. Riteneva che la Fratellanza avesse bisogno di cambiare ed evolversi assieme alla popolazione che doveva proteggere; per poter guidare i suoi confratelli in questa nuova direzione lui aveva bisogno di mantenersi in attività come quando era un semplice Assassino, sperimentando il mondo ed i suoi mutamenti, vivendo le sue strade ed i suoi mercati, ascoltandolo con le sue orecchie e vedendolo con i suoi occhi.
 
Era anche per questo motivo che intendeva scegliere personalmente la sua nuova cavalcatura: aveva ascoltato con molto disappunto i due consiglieri scelti per accompagnarlo spiegare a lui e al capo stalliere quali fossero le caratteristiche da valutare nella scelta del nuovo cavallo, notando da subito come gran parte delle esigenze dei due uomini riguardassero esclusivamente l’impatto visivo da ottenere in caso di un’uscita ufficiale (e per “uscita ufficiale” sembravano intendere unicamente eventi frivoli e inutili come una battuta di caccia per intrattenere diplomatici e alleati politici o una parata per le strade della rocca). Niente di tutto questo interessava Altaïr, irremovibile sulla necessità di procurarsi di un cavallo che fosse invece principalmente un animale cui affidare la propria vita durante una missione, e riteneva pertanto indispensabile essere presente all’acquisto per impedire che quei topi da biblioteca autonominatisi esperti di cavalli gli affibbiassero un biglietto per l’altro mondo a quattro zampe.
 
Dopo diverse ore trascorse a gironzolare per il grande mercato dei cavalli allestito periodicamente in una valle vicina alla cittadella fortificata di Masyaf, tutti i peggiori timori del Gran Maestro si materializzarono nel più bello stallone che si fosse visto da quando Arione era stato tratto dalle onde per volere di Poseidone(1).
 
Alto e aggraziato, dai piedi piccoli e rotondi, pareva una statua scolpita da un qualche dio nell’ossidiana più pura, tanto erano perfette le sue forme e proporzionate le sue caratteristiche. Gli occhi erano di un morbido color mogano e l’arco del collo si stendeva con eleganza impressionante, sottolineato da una folta criniera scura. L’attuale proprietario aveva adornato la sua testa raffinata con una cavezza fatta di perline di bronzo lucidato e piastre d’argento lavorate a sbalzo e lo teneva separato dagli altri cavalli, esponendolo con tutta la cura che una tale magnifica creatura meritava di ricevere.
 
Persino Malìk, che si era aggregato a loro subito prima della partenza per il mercato, e che finora era sembrato comprendere meglio di tutti il punto di vista di Altaïr era rimasto stregato dalla bellezza dell’animale. A nulla erano serviti i tentativi di distrarre la comitiva dal proposito di acquistare quel cavallo e l’indubbia abilità del venditore nel tesserne le lodi aveva reso ancor più ardua l’impresa; il Gran Maestro vide avvicinarsi a grandi passi la sua sconfitta, quando persino il responsabile delle stalle ammise che bestie di tale bellezza se ne vedevano poche in giro e che i possibili difetti caratteriali potevano essere corretti con un buon addestramento ed un allenamento costante.
 
Altaïr non voleva correggere un bel niente: quello davanti ai suoi occhi era proprio il biglietto per l’inferno a quattro gambe a cui aveva pensato quando aveva fatto la somma di tutti i possibili tratti indesiderati che non avrebbe mai potuto accettare!
 
“Andiamo Altaïr! Non fare il bambino! Possibile che tu non veda quanto sia bella quella creatura?!” sbottò seccamente Malìk quando Altaïr chiese di poter parlare in privato con il suo primo consigliere spostandosi poi in un’area appartata accanto ad un grande recinto così da poter accantonare i formalismi.
 
“Certo che vedo quanto sia bello” sospirò l’altro esasperato, facendo scorrere lo sguardo sugli altri cavalli del mercato… e su uno in particolare che aveva adocchiato già dal primo mattino e che continuava a tenere sotto controllo di nascosto: “Il problema è che la bellezza è il suo unico pregio!”
 
“Quindi non trovi eleganti le sue movenze?”
 
“Elegantissime in verità: mai visto scaraventare a terra il proprio cavaliere con tanta grazia” rispose sventolando una mano, incapace di trattenere il sarcasmo: “e il movimento della testa mentre rifilava un morso al garzone che lo ha sellato era pura poesia del movimento”
 
Malìk grugnì appoggiandosi con un gomito ad una delle assi dello steccato: “erano chiaramente due principianti, non ci sanno fare e lui li ha puniti, tutto qui. Una volta che gli avrai mostrato chi comanda si calmerà”
 
“Se non mi uccide prima”
 
“Ora non cominciare a fare il melodrammatico! E’ giovane, ed è chiaramente molto focoso: sembra incapace di stare fermo, tanta energia ha in corpo”
 
“Quella non è energia, è paura: non hai visto come rotea in continuazione gli occhi fino a mostrare il bianco? E’ troppo ombroso; cosa succederà quando resterà paralizzato a causa di un attacco di panico o si metterà a fare le bizze durante una missione ad alto rischio?”
 
“Altaïr, è solo inesperto” lo blandì Malìk, cercando di farlo ragionare: lui proprio non vedeva il motivo di impuntarsi a quel modo nel rifiuto di acquistare un cavallo per cui molti Assassini sarebbero stati disposti a vendersi l’anima. Inoltre avevano a disposizione i migliori addestratori di cavalli della Palestina, non esisteva animale che non potessero ammansire.
 
“Non è inesperto ti dico; non ragiona, è un principe viziato. Non credo sia il genere di cavallo adatto all’utilizzo che intendo farne”
 
“E io ti dico che è solo energia repressa. E sì: è un principe del deserto, un diamante grezzo, proprio come eri tu fino a qualche mese fa” replicò con trasporto: “E, come te, è destinato a mettere la testa a posto e fare grandi cose” aggiunse con un sorrisetto.
 
Altaïr era profondamente affezionato a Malìk, ma quando tentava usare le lusinghe per raggirarlo, gli faceva venire seriamente voglia di strappargli quel sorrisetto dolce a suon di pugni. Tanto più che era chiaramente un comportamento artificioso: Malìk non si comportava mai così dolcemente, non era una persona prodiga di complimenti… a meno che non intendesse gabbare qualcuno s’intende.
 
Ogni volta che l’amico tentava una tattica simile con lui, Altaïr si sentiva più insultato di quando veniva definito “due volte bastardo(2)” o con termini ancor più volgari; e anche questa volta ebbe l’effetto di farlo talmente infuriare da sibilare in risposta  la cosa più crudele che gli venne in mente, senza riuscire a fermarsi se non quando fu troppo tardi.
 
“E dimmi Malìk, secondo te metterà a posto la testa prima o dopo aver provocato, come ho fatto io, un disastro come quello  al tempio di Salomone? Ti piacerebbe davvero ripetere l’esperienza? Hai già pensato a qualcuno di innocente da immolare all’avventatezza e alla foga di un idiota o pensi di improvvisare, lasciando che sia il destino a scegliere chi sarà ucciso e chi sarà storpiato?” riuscì a fermarsi prima di descrivere il resto dei tragici eventi che erano stati conseguenza del fallimento di quella missione. “Scusa, ho esagerato” mormorò subito dopo, calmandosi e strofinandosi gli occhi, imbarazzato dal suo velenoso scoppio d’ira.
 
Malìk abbandonò la sua espressione falsamente simpatica e sopirò, ridacchiando stavolta in maniera più cinica e, per lui, naturale: “E io ti ho provocato troppo.” Ammise: “Devo scusarmi anch’io”
 
“D’accordo” sospirò poi il primo consigliere dopo un attimo di silenzio: “Ricominciamo da capo. Sarò sincero, non capisco proprio cosa vedi di così sbagliato in quel cavallo: è bellissimo, forte, veloce e intelligente. Se lo offrissero a me non avrei bisogno di pensarci su nemmeno un istante prima di accettarlo”
 
“Ma io interverrei e ti impedirei di fare una simile sciocchezza. Intendo continuare ad uscire in missione, lo sai, e credimi se ti dico che né tu né tutti i consiglieri anziani di Masyaf riuscirete a farmi cambiare idea.” Aggiunse sollevando una mano per bloccare sul nascere le proteste di Malìk: “Quindi non posso affidare la mia vita e quella di coloro che mi accompagnano ad una bestia di cui non posso fidarmi. Non si tratta di una parata, sai meglio di me quanto spesso un buon cavallo faccia la differenza tra la vita e la morte in una missione, specialmente quando si è lontani dalle città e dai nascondigli che possono offrire. Per fare l’Assassino un principe non va bene, ci vuole un brigante”
 
Malìk sospirò, in effetti le parole dell’amico erano sagge e, pur essendo un peccato lasciare a qualcun altro un animale di tale bellezza, riesaminando con maggior freddezza la situazione si convinse della logica dietro al rifiuto di Altaïr.
 
“Va bene” esalò in un lungo sospiro rassegnato: “Però dovremmo proporre una valida alternativa prima di escludere lo stallone nero dai candidati. Hai già qualche idea? C’era quel bel cavallo bianco nella zona ovest del mer…. Dio mio, ti prego, non puoi essere serio” gemette quando, seguendo lo sguardo del Gran Maestro, individuò un cavallo o qualcosa di molto simile, intento a giocherellare con una bandiera montata sulla picca di un paio di templari, all’altra estremità del recinto.
 
Quella cosa non sarebbe mai e poi mai potuta considerarsi una buona alternativa allo stallone nero: a stento poteva essere definita un equide.
 
Altaïr era di tutt’altro avviso.
 
“Quello” tentò Malìk indicando l’animale con il pollice in un disperato tentativo di far ragionare il confratello: “è un asino selvatico con le orecchie tagliate”
 
“Stai giudicando il libro dalla sua copertina” sogghignò l’altro sfoderando quel mezzo sorriso che tirava la cicatrice sulle sue labbra in maniera tanto affascinante.
 
“Beh, chiunque abbia decorato la copertina di quel libro laggiù doveva avere una terribile carenza di inchiostri ed è chiaro che ha tentato di compensare in maniera alquanto goffa” replicò seccamente Malìk cercando di assumere il tono da fratello maggiore che aveva collaudato per farsi obbedire da Kadar e che talvolta riusciva ad avere effetto anche su Altaïr.
 
Stavolta Altaïr rise di gusto, completamente immune al cupo atteggiamento dell’amico.
 
Il cavallo che lo aveva conquistato fin dal primo sguardo aveva, in effetti, un manto dal colore molto insolito: un’ampia gamma di tonalità di marrone rossiccio sfumava dalla sua schiena fino a diventare bianco crema sul ventre, il petto e l’estremità del muso, per poi tornare a scurirsi sulle zampe (caratteristiche che effettivamente ricordavano molto il manto di un onagro). Alla bislacca disposizione di colori si aggiungevano quattro balze di un bianco splendente che raggiungevano le ginocchia e i garretti e una larga lista dello stesso bianco candido che scorreva dal naso alla fronte; il tutto completato da una curiosa linea marrone scuro, così netta da sembrare dipinta, lungo la spina dorsale e sulle spalle.
 
Tuttavia ciò che aveva maggiormente impressionato Altaïr, non era stato il colore dell’animale, bensì il carattere che dimostrava di avere: studiava tutto e tutti con curiosità, senza mostrare troppa paura per le cose nuove e sembrava prendersi delle pause, di tanto in tanto, per ragionare su quello che stava vedendo; i suoi movimenti erano coordinati, eleganti e calcolati; il passo era quello sicuro di chi sa molto bene dove mettere i piedi. Non era mai stato ferrato da quanto si poteva dedurre osservando forma degli zoccoli e questo, assieme alla criniera rasata probabilmente a causa dei troppi nodi che la ingarbugliavano, raccontava una storia di vita allo stato semibrado, dove sopravviveva solo chi era abbastanza forte ed intelligente da resistere a qualunque avversità.
 
Sebbene non si potesse assolutamente definire un brutto animale, le forme non erano tra le più affascinanti per un occhio non avvezzo a quel genere di cavallo: estremamente snello, ricordava una fascina di rami di salice con i suoi tendini asciutti in bella vista sotto un manto dai peli sottili ma folti. Le zampe erano straordinariamente lunghe in confronto al un torace dalla circonferenza ridotta e al ventre concavo, il collo era sottile anche se si arcuava in maniera graziosa, e al muso mancava il profilo sbarazzino tipico dei cavalli arabi. La coda non era particolarmente folta né lunga, e aveva anch’essa l’aria di essere stata tagliuzzata in qua e in là nel tentativo di liberarla da grovigli al di là di ogni possibilità di recupero.
 
Infine sembrava avere la predilezione per un passatempo che anche Altaïr adorava e in cui era piuttosto bravo; l’aveva infatti visto diverse volte sporgersi dallo steccato per cercare di giocare con qualunque drappo di stoffa svolazzante, in particolare era attratto da bandiere e gonfaloni, che si divertiva a rubacchiare ogni volta che ne aveva l’occasione con l’apparente obbiettivo di farsi inseguire dal proprietario del tessuto fino a lasciarlo senza fiato.
 
“Inoltre non credo nemmeno che sia un cavallo sano: è troppo magro. Sembra un cavalletto da muratore” stava commentando Malìk con aria scettica.
 
“E’ sanissimo; l’aspetto è quello tipico della sua razza: se non ricordo male è allevata nella zona attorno al regno di Buhara(3),  ad est del mare di Sikim(4)
 
Malìk sbuffò, intenzionato a non lasciarsi deconcentrare dal sottile tentativo del Gran Maestro di distrarlo portando il discorso sulla geografia e sfruttando la ben nota passione del Dai come diversivo per fargli abbassare la guardia.
 
“Non vuoi nemmeno sapere perché mi attira tanto?” tentò allora Altaïr senza lasciarsi scoraggiare dal suo atteggiamento reticente. 
 
Lo sguardo con cui gli rispose il confratello la diceva lunga su quello che gli stava passando per la testa e il “Sentiamo dunque” che fece uscire a forza dalle sue labbra somigliava tanto a quello di un padre che ascolta il figlio mentre cerca di spiegare il motivo per cui ha combinato un’eclatante stupidaggine.
 
Ma Altaïr vide una possibile falla nella guardia dell’amico e decise di tentare ancora: non intendeva rinunciare a quel cavallo così facilmente.
 
“Spiriti affini” ed un sorriso sornione furono l’unica risposta fornita.
 
Malìk stavolta abboccò all’esca: il suo sguardo si fece più attento e curioso, e abbandonò l’atteggiamento di ostinato rifiuto che aveva assunto da quando aveva visto per la prima volta l’animale.
 
“Credo che una dimostrazione pratica sia più efficace, e credo anche che essa stia per generare uno spettacolo piuttosto interessante; fammi la grazia di attendere solo qualche minuto, fratello”
 
Malìk roteò gli occhi, ma concesse allo strano cavallo un altro sguardo proprio mentre questi passava alla fase successiva del suo piano: aveva infatti trascorso gli ultimi minuti a giocherellare innocentemente con la bandiera templare nel preciso intento di saggiare le reazioni dei due cavalieri crociati che sarebbero caduti vittima dei suoi dispetti. Quando fu certo del disinteresse dei due uomini nei suoi confronti entrò in azione: invece di usare solo il labbro superiore per muovere il tessuto, sfruttò i denti per ottenere una presa salda, quindi assestò un deciso strattone alla bandiera.
 
Sicuramente l’animale non poteva aver programmato l’effetto che la forza applicata ad un’estremità della picca avrebbe avuto quella appoggiata in terra, ma la fortuna a quanto pareva era dalla sua parte e lo spettacolo che ne risultò fu decisamente impressionante: colto alla sprovvista dallo strappo che sentì alla punta della lancia, il primo Templare serrò istintivamente la presa e irrigidì i muscoli del braccio per contrastare il movimento dell’asta ma, così facendo, agì da perno trasferendo la forza del contraccolpo alla base del bastone che si liberò con uno scatto dal terreno in cui era leggermente affondato per saettare, in una violenta sferzata, direttamente tra le gambe del secondo Templare in piedi di fronte a lui.
 
Entrambi gli Assassini che stavano assistendo alla scena sibilarono, avvertendo una contrazione empatica all’inguine nel sentire il tonfo sordo dell’impatto: non esisteva cotta metallica in grado di contrastare un simile colpo da quell’angolazione e il pietoso accasciarsi del poveraccio ne era una prova più che convincente.
Il dispettoso animale tuttavia non prestò la minima attenzione alla sua vittima imprevista, troppo impegnato a trascinare più velocemente possibile la bandiera con la picca ancora attaccata al centro del recinto dove cominciò subito ad adoperarsi per staccare il tessuto dalla sua intelaiatura di legno.
 
Il Templare rimasto ancora in piedi era chiaramente combattuto tra il desiderio di aiutare il compagno agonizzante e quello di recuperare le preziose insegne, sprecando in tal modo lunghi e preziosi momenti a fissare alternativamente il commilitone e il cavallo che, al contrario, si stava dando un gran daffare per portare a termine il suo piano. L’usura aveva probabilmente indebolito la cucitura che univa il corpo della bandiera alla striscia di tessuto dotata di passanti usata per appenderla al suo supporto; quando se ne era accorto, il meschino animale aveva prontamente bloccato la picca a terra salendoci sopra con gli zoccoli anteriori e aveva cominciato a tirare con la bocca il tessuto, concentrando la forza nel punto che sembrava più cedevole e venendo ricompensato ben presto dal rumore di un leggero strappo.
 
Malìk non aveva mai considerato i cavalli creature particolarmente espressive, ma il brivido di piacere e l’espressione di sadica estasi che questo esemplare mostrò nel rendersi conto di come la tecnica da lui ideata stesse funzionando a meraviglia, era talmente chiara e riconoscibile da strappargli una risata che si affrettò a soffocare con qualche colpo di tosse: tanto per cominciare non voleva dare soddisfazione ad Altaïr e, in secondo luogo, distruggere le insegne era qualcosa di moralmente inaccettabile. Comica o meno che fosse la scena, si doveva sempre portare rispetto alle insegne, erano qualcosa di sacro indipendentemente dallo schieramento che rappresentavano.
 
Allarmato e inorridito dal rumore del tessuto lacerato, il Templare superstite si riscosse dalla trance e si precipitò in soccorso della bandiera, lasciando l’altro poveretto alla sua solitaria agonia.
 
“No!” gridò nel tentativo di distrarre il ladro a quattro zampe: “Brutto! Non si fa!” tuttavia arrestò la sua carica quando, evidentemente, si rese conto che le sue azioni potevano creare più danni che benefici: se spaventato, il cavallo si sarebbe potuto infatti dare alla fuga, sollevando completamente la testa per potersi lanciare al galoppo e strappando in tal modo completamente il drappo dal suo supporto.
 
Malìk si coprì la bocca con la mano mentre il Templare, sempre più disperato, si esibiva in un esilarante tentativo di negoziazione con il rapitore della sua preziosa bandiera.
 
“Mettila giù” ordinò severamente indicando il terreno.
 
Avete mai provato a rimproverare un gatto in procinto di fare qualcosa di molto sbagliato? Ad esempio spingere un soprammobile delicato giù da una mensola o strappare una tenda in cui ha appena conficcato gli artigli?
 
Beh, il pover’uomo ottenne una reazione molto simile: senza abbandonare quella sua aria di malvagio compiacimento e mantenendo il contatto diretto con i sui occhi, il crudele animale sollevò di qualche centimetro la testa, lasciando che fosse il “rip-rip” della stoffa lacerata a rispondere per lui.
 
“Noooo!” guaì l'uomo: “Aspetta” gemette quasi subito, cambiando strategia: “Guarda: ho una mela. La vuoi una mela, bel cavallino?”
 
No, non la voleva la mela. Riiiiiiiip-rip-rip.
 
“Ti prego! Il capitano mi ucciderà!”
 
Non era un problema suo. Rip-rip-rip.
 
“Smettila subito lurida bestiaccia!”
 
Dalla parte opposta del recinto rispetto ai due Assassini si stava formando un gruppetto di spettatori interessati al dramma che si stava svolgendo all’interno dello steccato e in molti cominciavano a sghignazzare o a lanciare consigli derisori. Malìk era paralizzato con la mano sulla bocca e gli occhi sgranati, indeciso se essere impressionato, inorridito o divertito da quello che stava vedendo. Altaïr ne era invece estasiato e tifava apertamente per il cavallo.
 
Le parole brusche del Templare sembrarono indispettire l’animale che si accigliò e assestò un ultimo strattone alla bandiera lacerandola in malo modo e staccandola dall’asta. Così impari a rivolgerti a me rispettosamente, sembrò volergli dire.
Colpito al cuore e ferito nell’orgoglio, il soldato caricò con un muggito furibondo afferrando però solo la polvere e inciampando goffamente nella picca ancora a terra, in quanto il suo avversario lo aveva schivato all’ultimo secondo sfruttando un’elegante finta laterale per sviarlo. Cominciò un esilarante spettacolo di inseguimento durante il quale la sadica bestiaccia manteneva alta la motivazione della sua vittima aprendo nuovi squarci in quello che in breve si trasformò in un lacero straccio ogni volta che le cariche dell’uomo esausto perdevano di vigore. L’entrata in gioco del secondo crociato, che intanto era riuscito a riprendersi dal colpo subito, non cambiò di molto la situazione se non per quanto riguardava il divertimento del cavallo che ora poteva giocare con ben due avversari da far inciampare uno sull’altro.
 
“Che ne pensi? Agile e intelligente, non credi? Io lo trovo perfetto per entrare al servizio degli Assassini” cinguettò allegramente Altaïr dopo aver schivato una zolla di terra scagliata da uno dei due soldati nel vano tentativo gli colpire l’empia creatura che continuava a deriderlo con scartate e buschi cambi di velocità.
 
“Io lo trovo un pazzo, sadico e arrogante.” Rispose Malìk da dietro la mano senza riuscire a staccare gli occhi dal rocambolesco inseguimento che si stava ora generando avendo, i due poveri templari, chiesto l’aiuto di altri tre crociati che stavano al momento generando solo ulteriore confusione: “In effetti ti somiglia più questa bestiaccia, rispetto a quel nobile animale di poco fa” concluse riuscendo finalmente a distogliere la propria attenzione da quanto accadeva nel recinto per lanciare un’occhiata cinica all’amico.
 
Altaïr gli fece una linguaccia: “Sai che ho ragione”
 
“So che non c’è modo di farti cambiare idea” Gemette il Dai.
 
Proprio sul più bello, lo spettacolo improvvisato fu interrotto dal commerciante di cavalli che, sospesa la contrattazione per la vendita del maestoso stallone nero ai consiglieri di Altaïr, si avvicinò con l’intento di scoprire quale fosse l’origine di tanto baccano.
 
“Paaaaaan!” Tuonò l’omone con voce baritonale: “che diavolo stai facendo?!” appena si rese conto del guaio che il suo cavallo stava combinando.
 
A quel punto nessuno dei due Assassini a trattenere nemmeno in minima parte il riso, ma fortunatamente il loro sghignazzare fu largamente coperto dall’esplosione di grida e risate proveniente dagli spettatori radunati dall’altra parte del recinto. Non poteva esistere un nome più appropriato di Pan, per un cavallo con quel carattere.
 
“Ha mangiato la nostra bandiera!” esclamò uno dei due cavalieri che erano caduti per primi vittime del molesto cavallo.
 
Pan, dal canto suo se ne stava fermo con aria contrariata a poca distanza dagli umani che lo accusavano, la bandiera ormai irriconoscibile che penzolava da un lato della bocca. Non l’ho mangiata, l’ho solo masticata un po’, sembrava voler precisare.
 
“Credo sarà opportuno controllare l’altezza da terra degli stendardi della rocca appena torneremo: Mohammed è un uomo forte, ma ha quasi sessant’anni; non credo che il suo cuore reggerebbe a molti scherzetti simili” commentò Altaïr riferendosi al responsabile dei cavalli di Masyaf, mentre attendeva che l’alterco scoppiato tra l’attuale proprietario di Pan e i templari arrivasse ad un punto in cui lui potesse inserirsi per proporsi di acquistare l’animale senza doversi esporre troppo ed essere così riconosciuto come Assassino.
 
Malìk rispose con un pugno alla spalla del confratello, troppo impegnato a tenere sotto controllo la propria espressione facciale per formulare un’adeguata risposta verbale.
 
Purtroppo tuttavia, la situazione stava rapidamente degenerando; i templari chiedevano a gran voce l’abbattimento del dispettoso cavallo per aver offeso le sacre insegne del loro ordine e il mercante era alle strette: offendere i crociati poteva significare incorrere in guai ben più seri del sequestro e la conseguente soppressione di uno degli animali che aveva da vendere.
 
“La vedo brutta per quel povero diavolo” mormorò Malìk, notando come gli animi dei crociati si stessero scaldando sempre più. Ora anche il mercante stava rischiando di venire travolto dalla vendetta dei crociati che volevano ovviamente lavare in maniera esemplare l’onta subita. Persino Pan doveva aver capito di averla davvero combinata grossa stavolta, a giudicare dal modo in cui lasciò cadere lo stendardo rubato e si portò alle spalle del suo attuale padrone quasi stesse cercando la sua protezione.
 
“Ti riferisci a quello con due o a quello con quattro gambe?” ridacchiò Altaïr per nulla preoccupato: aveva appena avuto una brillante idea che gli avrebbe permesso di salvare lo strano cavallo da una pubblica esecuzione, di sviare l’attenzione dei templari dal mercante in modo da evitargli di finire decapitato assieme al suo pestifero animale, di costringere i consiglieri ad acquistare proprio l’animale che desiderava lui, di farlo ad un prezzo decisamente conveniente e, infine, di fornire ad Altaïr stesso una scusa più che valida per concedersi qualche ora di beata e totale solitudine.
 
“Aspettami qui, torno subito” fu tutto quello che disse a Malìk prima di guizzare verso il grande baldacchino dove il mercante soleva intrattenersi o contrattare con i clienti e dove esponeva anche una discreta collezione di finimenti da vendere assieme ai suoi cavalli.
 
Fu accolto dagli sguardi curiosi dei membri del resto della comitiva e dalle loro domande su cosa stesse generando tanto scompiglio, finse di aver seguito solo parzialmente lo svolgimento della faccenda poiché si trattava di un paio di buffoni che il mercante stava redarguendo: voleva dare l’impressione di non essere particolarmente interessato a quanto stesse accadendo nel recinto per evitare che i suoi compagni si insospettissero e decidessero di andare a verificare di persona riuscendo magari, in qualche modo, ad ostacolarlo. Spiegò laconicamente che si era offerto di venire a prendere una delle briglie e lasciò il baldacchino come nulla fosse, dicendo che sarebbe andato a chiamare il mercante poiché era quasi arrivato ad una decisione assieme a Malìk.
 
Tornato dal suo primo consigliere gli gettò con noncuranza la borsa con il denaro che aveva sottratto di nascosto all’assassino che aveva ricevuto il compito di custodire il denaro per l’acquisto in programma.
 
Malìk comprese subito che non era affatto un buon segno: “Altaïr, cosa…”
 
“Fammi un favore, quando mi sarò allontanato contratta tu il prezzo: sei dieci volte più abile di loro a fare questo genere di cose” lo interruppe indicando alle proprie spalle, dove i membri anziani del consiglio ancora attendevano e lanciavano sguardi sempre più sospettosi nella loro direzione.
 
“Altaïr, stai per fare qualcosa di immensamente stupido, vero?”
 
“Ah, non dimenticare di far aggiungere anche questa al conto” proseguì il Gran Maestro con noncuranza mostrando la testiera che aveva preso dall’esposizione del mercante: “ Ci vediamo all’avamposto all’entrata della valle, aspettami lì. Solo, se possibile.” Prima che l’amico avesse il tempo di realizzare lui avesse architettato, o anche solo cominciasse a farsene un’idea, scavalcò lo steccato e raggiunse il gruppetto strepitante al centro del recinto.
 
Aggirò il cavallo per portarsi alla sua sinistra e gli offrì un fico secco come segno d’amicizia, Pan accettò il dono questa volta: lo sconosciuto non aveva nessun drappo con cui giocare, tanto valeva fare almeno uno spuntino gustoso. Le briglie che teneva appoggiate al braccio inoltre, potevano significare un’uscita dal recinto e forse l’umano sarebbe stato più invogliato a portarlo fuori per una lunga corsa se si fosse comportato bene: si era annoiato davvero tanto negli ultimi due giorni, chiuso com’era in quel posto dove non succedeva mai niente di interessante.
 
Altaïr lasciò che il cavallo lo annusasse brevemente mentre gli grattava il collo, quindi fece scorrere con attenzione le cinghie attorno al muso ed il morso tra i denti, ignorando ostentatamente quanto accadeva tra i templari ed il mercante.
Non aveva preso con sé una sella perché non prevedeva di avere il tempo di assicurarla correttamente prima di scatenare una reazione con il suo comportamento, ma non era un grosso problema: il cavallo non era sudato e il petto sottile dell’esemplare gli avrebbe consentito di avvolgere le gambe attorno ad esso facilmente, dandogli sufficiente stabilità.
 
Montò agilmente in groppa e si accinse a regolare la lunghezza delle redini quando uno dei cavalieri templari finalmente rilevò la sua presenza e interruppe la discussione con il mercante.
 
“Hey, tu! Cosa diavolo stai facendo? ” abbaiò furioso.
 
Altaïr scrollò innocentemente le spalle: “Mi sembra ovvio: sto rubando il cavallo”
 
Avrebbe voluto godersi più a lungo l’espressione sconvolta e incredula dell’uomo, ma ogni secondo era prezioso, quindi tirò leggermente la punta del suo cappuccio in segno di saluto e premette con decisione i talloni nei fianchi del cavallo.
 
Altaïr tendeva a lasciare sempre ampio margine all’improvvisazione nel progettare le sue strategie e questo lo portava spesso a dover risolvere rapidamente situazioni davvero complesse o a confidare nella fortuna. In questo caso dovette rivolgere una supplica alla dea bendata perché, nell’impazienza di mettere in atto il suo “brillante” piano, aveva dimenticato un particolare: il recinto era chiuso da un robusto chiavistello e le assi che lo componevano erano piuttosto alte, proprio per evitare la fuga degli animali. Non tutti i cavalli saltano ostacoli e non tutti quelli che lo fanno saltano qualunque cosa, il Gran Maestro lo sapeva bene, ma se ne ricordò solo dopo la prima falcata della sua nuova cavalcatura. Non c’era stato modo per lui di capire se Pan fosse un saltatore guardandolo solo da lontano, quindi non restava che confidare nella buona sorte.
 
Pan era un saltatore, grazie a Dio. Un ottimo saltatore: l’unico motivo che lo aveva spinto a restare nel recinto, in effetti, era quello di essere cosciente del fatto che il suo padrone aveva messo lo steccato perché voleva che lui stesse lì, ed essendo una creatura dall’indole volenterosa e collaborativa, aveva deciso di accontentarlo.
 
I due, ora liberi, saettarono attraverso il mercato a tutta velocità. Le grida impotenti dei templari si affievolivano rapidamente e Altaïr si concesse una risatina, ma sapeva che non era finita: c’erano guardie dislocate in tutta l’area del mercato appositamente per catturare gli eventuali ladri di cavalli e la loro rocambolesca fuga dal recinto le aveva allertate sicuramente. Non fu quindi sorpreso quando vide quattro di esse correre a disporsi in modo tale da sbarrare la via che stava percorrendo, erano armate di lance ed alabarde ed erano pronte a falciare le zampe del cavallo, in caso lui avesse tentato di forzare il blocco.
 
Costrinse Pan ad un brusca fermata e si guardò attorno rapidamente, le scale di una casa in muratura lì vicina non erano certo l’ideale per una fuga a cavallo ma i due erano alle strette e alle loro spalle sentiva riaccendersi le grida dei Templari.
Essere privo di ferri risultò provvidenziale per il cavallo che riuscì a far presa con gli zoccoli sui gradini di pietra levigata, e una notevole dose di incoscienza lo aiutò a mantenersi concentrato sugli ordini che riceveva, permettendo quindi ad Altaïr di guidarlo rapidamente in cima alle scale e poi in una rapida galoppata lungo uno stretto lembo di tetto fatto di pietra, evitando il cannicciato che non avrebbe certo retto il peso di cavallo e cavaliere.
La casa si sviluppava contro una parete dell’altopiano alla base dei monti che circondavano la valle, essa non era perfettamente verticale, ma troppo ripida perché le capre del recinto sottostante lo risalissero. Per fortuna Pan ed Altaïr dovevano invece scenderlo; forse in un altro momento il giovane cavallo si sarebbe rifiutato di fare una cosa simile, ma le grida degli esseri umani che lo rincorrevano erano troppo simili a quelle dei lupi in caccia che aveva imparato a riconoscere fin da puledro, e lui sapeva bene come, in questo genere di situazione, l’unica speranza di salvezza era quella di seguire alla lettera e senza esitazione gli ordini della matriarca o dello stallone dominante. Gli uomini gli avevano fatto capire che assumevano lo stesso ruolo di comando quando salivano sulla sua groppa, e quello che portava ora sembrava sapere bene cosa fare, quindi seguì il suo istinto ed eseguì l’ordine ricevuto: si abbassò il più possibile, torcendo la schiena flessibile in modo da allineare la parte anteriore del suo corpo con la direzione della scarpata ed evitare di ribaltarsi sul fianco, poi spostò il peso sugli anteriori e lasciò che il pietrisco franoso lo trascinasse verso il basso in una scivolata di circa tre metri.
 
La discesa non fu certo una delle più eleganti e, toccando il terreno pianeggiante, le capre che saettavano terrorizzate dovunque resero insicuri per qualche istante i passi del cavallo facendolo incespicare. Altaïr gli lasciò un istante per ricomporsi e scrollarsi di dosso la polvere della piccola frana che avevano provocato.
 
“Bravo ragazzo” mormorò grattandogli il collo: “Vediamo di concludere il lavoro bene come lo abbiamo cominciato, hmm?”
 
Un salto disinvolto portò i due oltre la recinzione delle capre e permise loro di aggirare il blocco delle guardie che impiegarono troppo tempo a riorganizzarsi dopo aver visto sfumare la loro preda in quella maniera tanto imprevedibile. Pan ed Altaïr erano ormai lontani quando i soldati furono pronti ad inseguirli.
 
La strada che si stendeva davanti a loro era una larga pista ben battuta che collegava i grandi centri urbani delle vicinanze; Altaïr impostò un’andatura sostenuta che al contempo non stancasse troppo la sua cavalcatura e la percorse per seguire un tragitto che gli avrebbe permesso di tornare a Masyaf senza passare dalla valle dove si teneva il marcato del bestiame.
 
Fino a qualche settimana prima la strada era stata completamente sgombra e priva di posti di blocco, ma le cose cambiano in fretta in un paese assediato da così tante fazioni rivali. Una palizzata di legno si parò davanti a lui così improvvisamente che quasi vi andò a sbattere.
Sorpreso controllò i punti di riferimento che usava per orientarsi, colto per un istante dal timore di aver sbagliato strada ma no, non aveva sbagliato, semplicemente la costruzione dell’avamposto crociato era in qualche modo stata tralasciata nelle informazioni che gli erano state consegnate assieme ai rapporti provenienti dagli assassini che avevano il compito di riferire le novità.
 
“Ecco perché voglio restare in servizio attivo” brontolò tra sé, concedendosi un grugnito di frustrazione: quel genere di ignoranza era quella che poteva far fallire una missione, o trasformarne una da semplice e rapida sulla carta ad un vero incubo nella pratica.
 
Il corso dei suoi pensieri fu improvvisamente interrotto da un movimento al margine del suo campo visivo. Cinque cavalieri stavano uscendo in quel momento dal cancello. Due di loro montavano pesanti destrieri da battaglia che non costituivano certo una minaccia, ma gli altri tre appartenevano alla cavalleria leggera e montavano snelli cavalli arabi. Si erano immobilizzati quando lo avevano visto e Altaïr sapevano che lo avevano anche riconosciuto come Assassino, sebbene sembrassero un po’ incerti dato che non erano abituati a vedere Assassini vestiti di nero.
 
“Pan” mormorò aggiustando le redini in mano e sistemando le gambe per avere una presa migliore sui fianchi ora sudati del suo animale: “Non so quanto tu sia veloce, ma so quanto lo sono quei tre cavalli che scalpitano laggiù. In questa situazione io posso fare poco: dobbiamo affidarci alle tue zampe, quindi vedi di fare del tuo meglio”
 
 
 
 
 
 
 
(1)- Ci sono talmente tante versioni della nascita di Arione ( mi riferisco al cavallo mitologico ovviamente, non al cantore) e dell’esatta cronologia dei suoi proprietari che ho deciso di sceglierne una solo in base al mio gusto personale, non essendo io un’ esperta di mitologia ellenica ed essendo pertanto incapace di capire quale fosse la più antica o diffusa delle leggende. Chiedo quindi venia se non fosse ritenuta la più storicamente corretta, del resto, in questo racconto, questa citazione ha una rilevanza solo marginale e mi auguro quindi che non comprometta lo svolgimento della narrazione.
 
(2)- Ho già trattato in un precedente racconto la mia teoria sul motivo per cui Altaïr porterebbe il “cognome” Ibn-La’Had, quindi riporto di seguito la stessa nota che apposi in quell’occasione a piè di pagina.
Da quanto ho letto, l'appellativo Ibn-La'Ahad significa Figlio di Nessuno, un trovatello. Dato che all'epoca (a quanto ne so) tra le popolazioni mediorientali non era abituale l'utilizzo del cognome preferendo identificare gli individui tramite l'indicazione del nome del padre, del luogo di nascita o di una caratteristica peculiare della persona stessa, Altaïr non può aver semplicemente ereditato questo epiteto. Ciò sembra contrastare con quanto si legge nei libri e nei siti riguardanti la saga di Assassin's Creed, dove è riportato il nome del padre di Altaïr (Umar) e della madre (Maud), specificando che il padre di Altaïr era stato egli stesso un Priore di grande abilità e ben conosciuto tra gli Assassini. Ho letto anche che Maud era cristiana, quindi ho pensato che il nome Ibn-La'Ahad potesse stare ad indicare, piuttosto che un orfano o un trovatello, un figlio illegittimo: è infatti improbabile che Umar e Maud avessero potuto contrarre matrimonio regolare in quanto appartenenti a due religioni differenti (per quello che ne so all'epoca era necessario che uno dei due coniugi si convertisse alla fede dell'altro per potersi sposare), e Umar non avrebbe potuto riconoscere un figlio nato da un'unione illecita. Senza un padre che lo riconoscesse in maniera ufficiale quindi, secondo la mia teoria, Altaïr non poteva divenire Ibn-Umar e la gente cominciò a chiamarlo Ibn-La'Ahad.
In questo caso Malìk lo definisce “due volte bastardo” poiché Altaïr sarebbe sia un mezzosangue che un figlio illegittimo.
 
 
(3-4)- Altaïr si sta riferendo alla zona dell’odierno Turkmenistan e al Mar Caspio con i nomi con cui mi pare di aver capito fossero conosciuti durante il 12° secolo presso le popolazioni mediorientali.
(ref. -http://www.treccani.it/enciclopedia/turkmenistan/  e   http://www.treccani.it/enciclopedia/mare-caspio_%28Enciclopedia-Italiana%29/). La razza di cavalli cui parla è quella dell’Akhal Teke, che, secondo alcuni storici, è anche quella a cui apparteneva il grande Bucefalo: il cavallo di Alessandro Magno.

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Capitolo 5
*** Come tu desideri ***


Capitolo 5
 
Come tu desideri

Bisognerebbe sempre prestare attenzione a quanto si chiede: c'è il rischio di ritrovarsi esauditi....

Disegnai questo fumetto molto tempo fa, ma solo oggi ho pensato di tradurre i dialoghi in italiano per poterlo pubblicare su EFP, chissà perchè.... per una miglior risoluzione dell'immagine andate qui   https://www.deviantart.com/settelupe/art/Come-tu-desideri-781288013?ga_submit_new=10%3A1547590592

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