The Changeling

di RedSouls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo anno ***
Capitolo 2: *** Secondo anno ***
Capitolo 3: *** Terzo anno ***
Capitolo 4: *** Quarto anno ***



Capitolo 1
*** Primo anno ***


Note del Traduttore: Questa FF non è di mia proprietà, ne sono solamente il traduttore. Potete leggere l'originale qui


Capitolo 1 - Primo anno

 

“Serpeverde!”

Sembrò, per un momento, come se l’intero mondo fosse finito nel momento in cui la voce del cappello parlante squillò attraverso la Sala Grande. Nemmeno la pesante stoffa calcata attorno alle orecchie di Ginny potè soffocare il suono di quattro esclamazioni atterrite, ognuna a lei familiare abbastanza da essere distinta semplicemente dal movimento dell’aria. 

Ci deve essere un errore, pensò, una volta confusamente e una seconda molto più convinta, come a costringere il cappello a rimangiarsi la parola. 

Il cappello non si degnò di rispondere e la professoressa McGonagall (la sua non direttrice della Casa) glielo sfilò dalla testa con un movimento brusco. Ginny si appollaiò incerta sul bordo dello sgabello, gli occhi glaciali della McGonagall già puntati sul successivo undicenne spaventato. 

“Signorina Weasley”, disse seccamente. “Il tuo tavolo è in fondo.”

Ginny lanciò uno sguardo allo scuro mare verde e argento più lontano, al modo in cui l’intero tavolo sembrava avvolto nelle ombre al margine della sala. No. Assolutamente no. C’era un errore. 

Voltò la testa al tavolo dei Grifondoro, incontrando gli occhi sgranati, lo sguardo pietrificato dei suoi fratelli, e stolidamente aspettò che George urlasse che si trattava soltanto di uno scherzo. E non era incedibile che fosse riuscito a metterne a segno uno tanto contorto? Aveva speso l’intera estate a fare un cappello finto!

George scambiò solo uno sguardo con Fred, i volti identici in tutto, anche nel pallore dello shock. 

“Signorina Weasley,” ripetè la McGonagall, la voce non più dura. C’era un mormorio crescente nella stanza, le persone si giravano e sussurravano l’un l’altro dal momento che Ginny si rifiutava di lasciare il suo posto. 

Muoviti, ordinò alle sue membra paralizzate. Alzati e muoviti.

Si ritrovò in piedi, cercando di sollevare il mento mentre percorreva l’ampia distanza verso il tavolo, ma i volti che l’aspettavano lì erano duri, ostili. Sussurravano dietro le mani mentre lei si avvicinava. 

Si appollaiò all’estremità del tavolo senza lasciar tremare le mani. Non molto. 

Da quel momento non ricordò molto del festino. 

Più tardi, quando si sistemò nel suo dormitorio nelle profondità più nascoste del castello (non una torre, non il confortevole scoppiettio del fuoco, non una signora grassa ad accoglierli), si diede una scossa e ricordò a se stessa che era solo una casa. Se lo ripetè nuovamente quando la ragazza del letto accanto arricciò il naso alle vista della veste di seconda mano di Ginny e agli altri suoi abiti. 

Solo una casa. 

Questo non spiegava perché sentiva la nausea in quelle profondità verdastre. Sbagliate. Come se lo sciabordio dell’acqua del lago nero premesse dall’alto verso il basso su di lei. Tirò le tende chiudendole ermeticamente attorno al proprio letto e cercò di non sentire le voci delle altre ragazze. 

Quella prima notte rimase distesa nel suo letto ad osservare i delicati ricami argentei attorno al suo letto. I mostri e i draghi sembravano fluttuare e muoversi, strisciando verso di lei nell’oscurità. Mantenne sotto controllo la sua immaginazione con decisione, i denti che mordevano l’interno delle labbra. Non aveva mai avuto paura del buio e non avrebbe cominciato ad averne adesso. 

Quando le altre ragazze smisero di parlare, il loro ritmico respiro riempì la stanza, Ginny scostò le coperte e aprì il suo baule ai piedi del letto. In cima a tutto c’era una sciarpa rossa e oro lavorata a maglia da sua madre. Ginny la prese e la ficcò in nei più profondi recessi del baule. Fu laggiù che trovò un libro a lei non familiare. 

Tirandolo fuori, vide che era un sottile diario nero, la copertina fatta di morbida pelle. Pensò che dovesse essere un regalo fatto da sua madre di nascosto come la sciarpa, solo che questo era di gran lunga più appropriato. Ricacciò indietro le lacrime e prese il libro, aprendolo alla prima pagina. 

Ginny Weasley, scrisse con cura. Considerò le parole per un momento prima di prendere di nuovo la piuma. 

Ginny Weasley, scrisse, è una Serpeverde.

Il cuore le batteva forte mentre osservava le parole. Gocce di inchiostro caddero dalla piuma che indugiava incerta sulla pagina. 

No.

Ginny scarabocchiò sopra quelle dannate parole, cancellandole e distruggendole.

Ritira quello che hai detto, ritira quello che hai detto, ritira quello che hai detto, scrisse al di sotto, ancora e ancora. 

Per la prima volta quel giorno, qualcosa sembrò finalmente girare per il verso giusto. L’inchiostro si assorbì nella pagina, lasciando niente se non la calma distesa color crema, come se le parole non fossero mai esistite. 

Sollevò ancora la piuma sulla superficie e pose la domanda che le rimbalzava in testa da tutto il giorno. 

Che cosa ho fatto di sbagliato?

Le parole scomparvero lentamente. 

Per un momento, quasi desiderò che il diario le rispondesse. 

* * *

Si svegliò la mattina dopo con nessuna grande risposta, nessun semplice rimedio. All’ingresso, Fred e George le passarono le braccia attorno le spalle e dissero che non era un grande problema, ma lei aveva vissuto con loro tutta la vita e abbastanza per sapere quando mentivano. 

Quello era un grosso problema. 

Dubitava di aver persino cominciato a comprendere i motivi per i quali lo era, lo sapeva e basta. Anche Percy lo pensava, a giudicare dal modo goffo in cui le diede dei colpetti sul braccio scuotendo la testa solennemente avanti e indietro come ad un canto funebre. 

Ginny non aveva mai realizzato prima di quanto fosse pomposo.

Condivise questo pensiero con il suo diario e si chiese se questa fosse cattiveria. Se questo fosse il motivo per cui era lì. Il cappello aveva visto qualcosa in lei?

Guardò l’inchiostro dissolversi e scomparire, come un fatto mai avvenuto. Immaginò che la facesse sentire un poco più leggera, solo un pochino. 

La prima volta che Errol caracollò nella Sala Grande con la posta da casa, Ginny pensò che il tono  leggero di sua madre fosse forzato. Erano solo parole sulla carta, ma immaginò la confusione di sua madre. Pansy Parkinson, la voce modulata perfettamente in modo tale da arrivare il più lontano possibile lungo il tavolo, dichiarò di non aver mai visto un gufo più decrepito e patetico nella sua intera vita. Aveva forse qualche sorta di malattia? 

Ginny piegò il capo e si forzò a deglutire il toast che grattò secco lungo la gola. 

Durante il giorno aveva le lezioni a riempire il suo tempo. Non c’era nessuno a sedersi vicino a lei se non la silenziosa Smita, la compagna di casa sfortunata abbastanza da rimanere incastrata con Ginny. Non parlavano eccetto quando Smita chiedeva a Ginny di passarle gli occhi di tritone, e Ginny non osava a provare nulla di più. 

Imparò invece a concentrarsi sulla sensazione tra le dita della bacchetta fatta per lei e lei soltanto. Se si sforzava abbastanza, le cose potevano essere piegate al suo volere, funzionare nel modo in cui lei si aspettava che facessero. La magia aveva senso. 

Eccelleva. Mentre Fred e George e Ron erano a proprio agio e ridanciani, circondati da amici e immersi nel lusso di potersela cavare con poco, lei prese voti che sua madre aveva cominciato a perdere la speranza che la sua progenie più giovane potesse raggiungere. Faceva chiedere a Ginny cosa avesse spronato Percy e Bill e Charlie a prendere il massimi dei voti.

La notte riversava la sua frustrazione e confusione nell’unico posto in cui poteva, il suo diario. Scriveva ogni singola parola che pensava ma che non osava dire durante il giorno. Ogni dubbio, ogni sentimento oscuro e qualche volta sembrava che fosse la piuma a muoversi e non lei. 

Un giorno quello rispose e fu la cosa più naturale del mondo. 

Tu non sei sola, Ginny. 

Il suo nome era Tom. Era il suo unico amico. 

Si alzò dal letto il giorno dopo sentendosi svuotata, aleggiando come un fantasma. 

Era più semplice. 

* * *

Nel mezzo del trimestre, Bill le mandò una lettera. ‘Serpeverde eh?’ disse come se fosse un saluto, e lei apprezzò la mancanza di premura. Nessun girarci intorno, dritto al punto. 

‘Sono andato da Madama Piediburro con una ragazza Serpeverde al mio quarto anno. Abbiamo quasi limonato.’

Le sue mani si strinsero, la carta crocchiò tra le sue dita. Non è un grosso problema.

‘Non che tu debba andare in giro a limonare Grifondoro incoscienti. Certamente non prima del tuo quarto anno.’

Ginny soffocò una risata, il sentimento estraneo e dimenticato, e un sorriso stentato tagliò il viso in due, non più abituato. Mamma si lamentava al proposito, ma Bill aveva sempre parlato con lei come un’adulta, qualcuno alla quale non nascondere le cose. 

‘So che tutti ti staranno dicendo che è solo una casa, ma penso che sia più importante che tu ti ricordi che sei una Weasley e che è questo ciò che conta.’

Posò la lettera, piegandola con cura e riponendola tra le pagine del suo diario. 

Il problema era che a parte i capelli rossi, stava cominciando a dubitare di essere una vera Weasley. I Weasley erano stati in Grifondoro per quattro generazioni, dopotutto, e i Preweets per altre tre. Cominciava a chiedersi se sua madre non avesse fatto una sorta di patto con una fata per avere lei, la preziosa unica figlia, e che questo ne fosse il prezzo non previsto. 

Forse era una Changeling.1

Aveva letto di loro nascosta nei recessi della biblioteca a pranzo, incapace di affrontare un tavolo di sconosciuti. Solo che i libri raccontavano di come i bambini changeling dovessero avere una forza sconosciuta e lei non si sentiva così.

Alla fine dei conti, era solo Tom che la capiva. 

Non hai bisogno di nessun altro.

Si aggirava con le dita coperta d’inchiostro, imparando a respirare nei momenti in cui le mancava l’aria, a continuare a camminare quando non voleva fare altro che scomparire. Poteva fuggire a casa, lasciandosi tutto questo ale spalle, ma non era mai fuggita da una sfida fin da quando a  quattro anni s’intrufolò nel baule di Bill per andare a Hogwarts.

Questo era il suo sogno, essere lì. Solo non aveva mai immaginato potesse essere così.

“Ginny?” disse un giorno Smita a pozioni, il tono quasi preoccupato, ma quando Ginny si voltò il volto della ragazza era duro dalla disapprovazione.

Non crede che tu ne valga la pena, ma io si.

Ginny sentì le viscere contorcersi e spinse la ciotola di vermicoli sviscerati verso Smita. 

Finirono la lezione in silenzio. 

* * *

Quando fuori cominciò a fare buio avvertì una strana sorta si sollievo. Alzarsi con il sangue sulle dita e nessuna memoria sembrava incastrarsi bene su un Serpeverde. Non è vero?

Solo che poi le persone cominciarono a farsi male. 

Cosa sta succedendo? scarabocchiava sulle pagine. Cosa mi sta succedendo?

Tom aveva sempre le risposte. Sei più forte di quanto tu creda, Ginny. 

Nel momento in cui cominciò a sospettare qualcosa, a elaborare il tutto nella crescente confusione della sua testa, non c’era nessuno con cui confidarsi. 

Si avvicinò a Ron una volta, il fratello che non voleva nemmeno più incrociare il suo sguardo, ma fu Harry che la notò davvero. 

“Ginny?” chiese, la sua debole attenzione distratta troppo presto da un gruppo di Tassofrasso che attraversò deliberatamente la sala per non passare troppo vicino al supporto Erede di Serpeverde.  Harry si accigliò.

Se solo avessero saputo. 

Non sapeva dire se volesse ridere o ribaltare tutto. 

Allora non disse niente, non volendo vedere il biasimo negli occhi di Harry. Lo sguardo del “lo sapevo”

Serpeverde. 

Scosse la testa e camminò via con il diario che le bruciava contro la coscia. 

* * *

Quando Tom la portò nei più profondi recessi oscuri di Hogwarts, pensò che forse sarebbe semplicemente scomparsa, a giudicare dal modo in cui il suo corpo sembrava confondersi con la roccia. Solo che non era lì per quello, realizzò troppo tardi. Era lì per punire. Era un’esca. 

Lui verrà. 

Ginny aveva i suoi dubbi. 

Giacque, più morta che viva all’apparenza, giacque lì e guardò Tom cercare di riscrivere il passo il presente e il futuro. Non fece assolutamente nulla per impedirglielo. 

Forse se fosse stata una Grifondoro ne sarebbe stata in grado. 

Si sorprese di svegliarsi e di trovare Harry lì. C’era stato un tempo in cui forse avrebbe significato tutto per lei. Era ferito, era quasi morto per lei, anche se la vita ricominciava a scorrere nelle sue carni, non pizzichi e aghi, ma coltelli e travi. Non c’era motivo nel fermare le lacrime, un oceano accumulato lungo tutto l’anno.

“È tutto a posto” disse Harry, dandole dei goffi colpetti sulla spalla, chiaramente più a suo agio con basilischi e maghi oscuri che con una piccola ragazzina senza speranza. “Riddle se n’è andato.”

Questo aggiustava le cose, davvero? Abbassò lo sguardo sul diario rovinato che grondava inchiostro sul grembo di lui. Le sue parole, i suoi segreti, sfocati e offuscati mentre scorrevano sul pavimento. 

Scosse la testa, stringendo forte le ginocchia la petto. Harry non avrebbe mai dovuto scendere laggiù. Non per lei. 

“Ginny” disse lui, preoccupazione e sconcerto appesantivano il suo tono. 

“Sono una Serpeverde” mormorò miserabilmente lei nelle sue ginocchia. Proprio come Tom. Proprio come Pansy e Malfoy e tutti i maghi oscuri mai vissuti. 

Più di tutto avrebbe voluto sentire Harry dire ‘E allora?’, dirle che non importava. Ma lui la guardò e basta, la confusione gli increspava la fronte. Per la prima volta non sembrava un eroe, ma piuttosto un ragazzino impaurito. Non era sicura di cosa farsene di quello. 

Aberrazione, arrivò il sussurro morente di Tom, le sue grinfie ancora conficcate in lei nonostante dovesse essersene andato. Non ti adatti ai suoi ideali del bene contro Serpeverde. E nonostante tutto lui è stato l’unico di cui sospettavano. 

Ginny voleva scuotersi via quella voce, chiuderla fuori dalla testa. C’era una dolorosa rabbia che aleggiava sopra qualcosa che non capiva, cose che era troppo piccola per afferrare. Solo sapeva che per tutto quello che aveva riversato in Tom, lui ne aveva versato altrettanto in lei. 

Non erano il genere di cose che una ragazzina come lei si supponeva dovesse provare. 

Per quanto ci provasse, non riuscì più a vedere Harry Potter nella stessa luce di sempre. Forse lui era ancora un eroe, ma lei non sarebbe mai stata una principessa. (Il cappello aveva ragione? Era questo che realmente era?) La sua stupida cotta non aveva speranza sotto il peso di quella consapevolezza. 

Lasciò che Harry la guidasse fuori e la salvasse e lasciò che spiegasse i suoi errori alla sua  famiglia che aspettava, ma sapeva che si stava lasciando alle spalle qualcosa che non avrebbe mai più avuto indietro. L’innocente piccola Ginny Weasley non lasciò mai la Camera. 

* * *

La più grande ironia era che la sua disgrazia la rese una vera e propria Serpeverde. 

Nella sala comune tutti lottavano per la sua attenzione, strisciavano vicino a lei per chiedere come fosse stato, avere un tale mostro sotto il suo controllo, sapere di avere la possibilità di uccidere e distruggere, ripulire quel posto dai sanguemarcio se solo non fosse stata scoperta a causa della sua stessa trappola. 

Sanguemarcio.

Pensò ad Hermione Granger e la sua chioma crespa, al modo in cui sorrideva a Ginny nei corridoio, gentile ma guardinga. Il modo in cui persino lei, la più brillante, non era completamente sicura di Ginny fuori dalla cerchia dei Grifondoro. 

“Come non ti sei fatta scoprire per così tanto tempo?” volevano sapere i suoi compagni di casa. 

Non sapeva cosa rispondere, come spiegare loro delle vittime e dell’impossibilità di scegliere, del riversare segreti e sentimenti preziosi a qualcuno che non li meritava. Non sapeva come parlare senza rischiare di tradire la propria debolezza. Forse non sapeva molto, ma anche lei capiva già il rischio di mostrarsi deboli. Aveva bisogno di parlare, di trovare la bugia perfetta, ma la gola le si bloccava tradendola. 

Solo che in un qualche modo il silenzio non la condannò. 

Fu così che inaspettatamente imparò il potere del silenzio. Il potere di non agire, quando fin da piccola era sempre stata cresciuta con la convinzione di dover continuare a muoveri, seppur alla cieca.

Quando le chiedevano di raccontare, Ginny serrava le labbra in un linea sottile, guardando in tralice i propri compagni. Lasciò che loro riempissero gli spazi vuoti con qualunque cosa necessitassero. 

Resistette abbastanza per sopravvivere a quegli ultimi caotici giorni prima della fine dell’anno, per tenersi i pezzi insieme prima di lasciarsi scivolare via. Non le piaceva pensarla come a una ritirata, ma fu comunque sollevata dalla semplice distanza da Hogwarts e dai vividi ricordi che l’improvviso viaggio di famiglia le lasciarono. 

* * *

L’aspro sole dell’Egitto le bruciava la pelle, era circondata dalla sua famiglia. Magari sarebbe bastato a far scomparire Tom, come una fotografia lasciato troppo a lungo alla luce diretta del sole. 

Lo sperava. 

Fuori, sulle dune di sabbia, Bill si avvicinò a lei e con una mano le scompigliò i capelli con affetto. A poca distanza da loro i gemelli cercavano di infilare Percy in una tomba. Era tutto così stranamente normale, come se quell’ultimo anno non fosse mai successo, che Ginny trovava un po’ difficile respirare. 

Bill le strinse la spalla. “Il tuo primo anno in Serpeverde e già hai affrontato Tu Sai Chi e scombinato i suoi piani, eh?”

Non era esattamente quello che era successo, ma Ginny non aveva il cuore di correggerlo (o forse la sua bocca aveva imparato troppo bene a mantenere i segreti). Forse non importava comunque. L’unica persona a conoscere tutta la verità su quello che successe laggiù era Harry, e lui era a centinaia di miglia di distanza senza capirci nulla più di lei. 

Bill si chinò più vicino, la bocca sorridente vicino alla sua guancia con aria da cospiratore. “Che dispiacere dev’essere stato per il buon vecchio Salazar?”

Sorrise perché si aspettava che lo facesse. Ma anche perché dimostrava che essere una povera Serpeverde potesse essere una cosa positiva, giusto?

Le strattonò la treccia. “Weasley” disse lui, come un’accusa affettuosa. 

Ginny si appoggiò al fianco di Bill, pensando che forse avrebbe lasciato crederlo a se stessa. 

Solo per un poco.




1- non ho trovato una traduzione in italiano per changeling. Sarebbero bambini lasciati ai genitori dalle fate, in un qualche modo, quindi, non facenti parte della famiglia "naturale". In questo caso Ginny si chiede se il fatto che non sia una Grifondoro sia dovuto proprio al fatto che, in fondo, non è una vera Weasley

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Capitolo 2
*** Secondo anno ***


    Note del Traduttore: Questa FF non è di mia proprietà, ne sono solamente il traduttore. Potete leggere l'originale qui

 

Capitolo 2 - Secondo anno

 

Quell’anno sarebbe stato diverso. 

O almeno così continuava a dirsi Ginny sul treno. 

Le fu dato ragione, in un certo modo, quando demoni di nero vestiti salirono a bordo a metà viaggio verso Hogwarts. Quello era diverso in modo del tutto nuovo (terrificante), esseri il cui unico scopo era quello di succhiare via ogni traccia di ottimismo alla quale si fosse mai aggrappata. Non riusciva quasi a spiegarlo, il modo in cui ogni più piccola traccia di calore lasciò il suo corpo al loro passaggio, scivolando silenziosamente a pochi centimetri da terra. Si fermarono, lo spazio vuoto dove ci sarebbe dovuto essere la loro faccia si voltò verso il suo scompartimento. Il ghiaccio gelò il vetro e un ronzio crebbe nelle orecchie di Ginny. 

Aberrazione. 

Rimase pietrificata, paralizzata, fino a che i demoni non si mossero oltre, andandosene silenziosi come erano arrivati.

Ginny tremò e si strinse forte la veste attorno al corpo. L’intero treno sembrò in soggezione per il resto del viaggio, timidi sussurri riguardo le guardie di Azkaban e un prigioniero fuggito serpeggiavano per gli scompartimenti. 

Dissennatori. Era cresciuta sentendoli nominare nelle fantasie contorte delle storie della buonanotte dei suoi fratelli, ma non li aveva mai visti prima. E non voleva vederne mai più.

Fortunatamente, quegli orrori fluttuanti non li seguirono all’interno di Hogwarts, rimanendo fuori dai cancelli della scuola, ma continuava a pensare di poterli sentire avvicinarsi. O forse era solo che dopo un’estate infilata nel caotico disordine della sua famiglia, Hogwarts sembrava fredda. Non ricordava fosse così solida, così silenziosa nonostante la calca degli studenti. Forse erano solo gli spazi silenziosi di Serpeverde sotto al lago ad essere terribili. Troppo simili alla Camera, dura roccia sotto le sue ossa. 

Evitò la sala comune il più possibile, sgattaiolando nel parco. Non verso quelle cose, ma pur sempre lontano.

L’erba attorno al lago era alta e soffice, lasciata crescere troppo a lungo durante le vacanze estive. Giorno dopo giorno il suo girovagare tracciò un sentiero. Indugiava in un punto a poca distanza dalla capanna di Hagrid e il confine della Foresta Proibita. A volte si chiedeva cosa si nascondesse lì dentro. 

Il più delle volte se ne stava in piedi in cima a quella collina e guardava. 

Talvolta lasciava vincere la gravità per vedere cosa si provava - il vento, l’adrenalina e il calore nei suoi muscoli. I suoi piedi volavano giù dal pendio della collina verso gli alberi, lo slancio la portava sul punto di perdere il controllo una volta per tutte. Quando incontrava il terreno pianeggiante, le gambe cedevano e cadeva pesantemente sulle ginocchia sentendo la carne bruciare e lacerarsi. Girandosi sulla schiena, prendeva grossi respiri, il petto le bruciava, la faccia in fiamme per lo sforzo mentre guardava nel terso cielo estivo. 

Rialzandosi e arrampicandosi di nuovo sulla collina, si lanciava giù di nuovo. 

* * *

La notizia apparì sulla bacheca la terza settimana di scuola, bordi netti e duri attorno a una spigolosa scritta nera:

Le selezioni per la squadra di Quidditch si terranno Sabato alle 9.

Qualcuno spinse Ginny da dietro, i ragazzi si chiamavano gridando verso l’un l’altro attraverso la stanza. Lasciò che la spingessero al fondo della folla. Non potè comunque dimenticare quelle parole, non adesso che le aveva viste. 

Sapeva quello che voleva. Che voleva più di qualsiasi cosa. 

Era solo del secondo anno, ma non pensava a quello. Ripensò solamente alla pressione del vento che la lasciava senza respiro, alla gravità che agiva contro di lei quando caracollava giù dalla collina di Hagrid. Non considerò che forse voleva solamente essere parte di qualcosa, una volta per tutte. 

(Suo padre le aveva detto, alla fine dell’estate, “Devi trarre il meglio da quello che ti capita, Ginny”. Sua madre le aveva semplicemente detto “Puoi sempre tornare a casa”.

Ginny non aveva alcuna intenzione di scappare a casa.) 

Il giorno delle selezione si annunciava fresco e sereno, il primo assaggio dell’autunno nell’aria. C’era stato un tempo in cui avrebbe potuto interpretarlo come un buon segno.

“Hey”, qualcuno l’apostrofò mentre usciva sul campo con la sua patetica scopa presa in prestito dalla scuola. “Credo che tu sia nel posto sbagliato, ragazzina.”

A parlare era stato Terence Higgs, di ritorno in squadra come Cacciatore. Staccava Ginny di un buon piede e mezzo, ma lei pensò con silente derisione che ‘ragazzina’ probabilmente era il miglior insulto del quale fosse capace. Quel pensiero dissipò molte delle preoccupazioni. Un Cacciatore era molto di più della mera altezza. 

Era preparata al fatto che le dessero del filo da torcere, che le dicessero che non poteva partecipare alle selezioni, ma non c’erano regole che impedissero a una del secondo anno di avere una scopa o di far parte della squadra e, ancora più importante, sapeva che poteva farcela, nonostante l’età, la taglia e l’esperienza. 

Nella conoscenza c’è potere, disse a se stessa. 

Solo allora il capitano, un mezzo ragazzo mezzo troll di nome Marcus Flint, guardò verso di lei, l’espressione dura. Prima che lui potesse dirle di andarsene, Ginny montò sulla scopa e schizzò verso le tribune nel modo più fluido che le sue mani tremanti le consentissero. 

Il suono delle voci e delle aspre risate la seguirono, trasportate dal vento, ma fu il suono secco di una mazza che avvertì davvero, anticipatore di quello che sarebbe successo di lì a poco. Mantenne la sua traiettoria fino all’ultimo secondo disponibile prima di spostare il peso, lasciando che la scopa cadesse verso il suolo in una mossa audace che avrebbe dato a sua madre le palpitazioni se fosse stata lì a vederla. Per un intero battito del suo cuore cadde, completamente senza peso. 

La coscia sinistra di Ginny bruciava per lo sforzo, ma spinse forte contro la scopa, facendo ruotare il suo corpo appena in tempo per vedere il Bolide che le passava a meno di mezzo piede dalla testa. Non sussultò, nemmeno quando avvertì i capelli svolazzare per lo spostamento d’aria. Non urlò, fluttuò semplicemente, incontrando gli sguardi dei ragazzi ancora a terra. Ignorò quello con la mazza in mano e invece scrutò Flint, sfidandolo. 

Sentiva la scopa fremere impaziente sotto le sue mani, ma sapeva che muoversi ora sarebbe stata considerata una resa. (Fred, George, Charlie e Ron… le aveva insegnato questo, una scaramuccia alla volta.) Tutto quello che chiedeva era una possibilità.

Alla fine Flint distolse lo sguardo, alzando il braccio. “Okay segaioli. Portate i vostri culi sulle scope.”

Con sorprendente efficienza ed autorità (anche se condito con più oscenità che altro), Flint li guidò attraverso una serie di vigorosi esercizi. Tutti tranne Malfoy, ovviamente. Sembrava contento di librare sopra di loro, girovagando senza meta sulla sua scintillante scopa di ultima generazione. 

Il suo contributo: la generosa ricchezza di suo padre. 

Ginny lo guardò con disgusto. Distratta dai suoi pensieri non si accorse della Pluffa che volava verso di lei se non quando si schiantò sul suo plesso solare. Riuscì in un qualche modo a bloccarla contro il suo petto, rifiutando di lasciarsi stordire, prendendo grossi respiri mentre volava  verso le porte in lontananza. Per poco non perse la testa per un insidioso Bolide proveniente da dietro di lei, ma riuscì ad avvitarsi e a scagliare la Pluffa nell’anello in basso a destra.

La sua concentrazione non vacillò più.

Quello che le mancava in stazza lo compensava con velocità e agilità e una specie di nervosismo spericolato che le risultò utile nel ruolo di Cacciatrice. Flint le fece fare esercizi più lunghi e duri di tutti gli altri, ma se sperava di spezzarla con condizioni ardue, aveva scelto la tattica sbagliata. Sentiva il fuoco bruciarle nello stomaco, qualcosa di familiare ma quasi dimenticato, come se per la prima volta si sentisse un po’ come era prima di Tom. Prima dei Serpeverde. 

Su nel cielo sentiva come se tutto fosse possibile. 

Stava quasi per tremare dalla fatica quando infine Flint le fece poggiare i piedi per terra. La guardò duramente per un lungo momento, forse per controllare un’ultima volta che volesse arrendersi. Non lo fece. 

Quando le passò accanto, la colpì forte sulla schiena, quasi scaraventando il suo corpo esausto faccia a terra nella polvere. “Cerca di non rovinare tutto, Weasel.”

Si appoggiò pesantemente alla sua Cleansweep e sperò che lui non lo notasse. “Scusami?”

Lui non si fermò, rispondendole da sopra la spalla. “Gli allenamenti sono al lunedì e al giovedì alle 4.” Indicò una lucente e quasi nuova Nimbus 2001 appoggiata al muro. “Non fare tardi. O cambierò idea.”

Lei lo guardò camminare via, aspettando la battuta finale, la crudele fine di quello che doveva essere uno scherzo. Il campo era silenzioso, tuttavia, e lei era tutta sola. Fu l’arrivo della squadra di Corvonero che infine la spinse a scambiare la Cleansweep per la liscia impugnatura della Nimbus. Sembrò vibrare di riconoscimento contro la sua pelle. 

Era nella squadra. 

Si concesse un lungo momento per festeggiare - avrebbe avuto tutta la notte per ispezionare ogni centimetro della scopa tra le sue mani. Per adesso voleva semplicemente immaginarsi le espressioni dei suoi fratelli. Quindi prese un respiro misurato, si issò la scopa sulla spalla e ricordò a se stessa che aveva ancora molto da dimostrare. 

Sorrise, solo un poco, mentre ritornava al castello. Le mani le accarezzavano lo stomaco. Non sarebbe affondata silenziosamente nelle rocce questa volta. 

Mai più.

* * *

La notizia si diffuse in fretta - la piccola Ginny Weasley si era accaparrata un posto nella squadra di Quidditch. I suoi compagni di casa la squadravano nella sala comune. Di tanto in tanto sentiva ‘Erede di Serpeverde’ sussurrato a mezza bocca accanto a ‘Cacciatrice’.

Non era quello che avrebbe mai immaginato essere la sua vita, ma forse andava bene così.

Persino Malfoy si degnava di parlarle e la maggior parte degli studenti più giovani seguirono il suo esempio. (Quelli più grandi la ignoravano come ignoravano chiunque dei più piccoli, troppo impegnati nei GUFO o nei MAGO o per sgattaiolare nel parco a limonare.)

“Ginny” diceva Malfoy, strascicando il suo nome, il braccio attorno alle sue spalle. 

Lei sapeva quello che voleva dire (tuo padre mi ha dato quel diario), ma non era mai quello che riusciva a dire. Perché per momento, appartenere a qualcosa era così più bello. Questa era la sua casa, la sua vita, e lei doveva trarre il meglio da quello che aveva. E Serpeverde non poteva essere così male come si diceva se lei ci era finita, non è vero?

Si allenava con la stessa dedizioni che mostrava a lezione. Avendo qualcosa su cui concentrarsi, si rifiutava di non dare tutto di sé. Non avrebbe dato a Flint una singola ragione per pentirsi della sua decisione. 

Lui finiva ogni allenamento con una pacca sulla sua schiena e l’avvertimento di non rovinare tutto. Imparò ad apprezzarne la prevedibilità. 

Guardò il primo incontro tra Grifondoro e Tassofrasso con il formicolio di trepidazione tra le dita, catalogando ogni tattica usata dai Cacciatori - le buone da emulare, le cattive da evitare. Era talmente tanto assorbita che non notò i Dissennatori fluttuare fuori dai loro confini fino a che un brivido freddo non corse sulla sua pelle e una voce odiata non risuonò nelle sue orecchie. 

Le persone urlarono e balzarono in piedi, le dita puntate verso la macchia scura che precipitava al suolo. 

Non così speciale, dopo tutto, canzonò Tom. 

Harry Potter stava cadendo dal cielo. 

Il cuore di Ginny le salì in gola, la mano estrasse la bacchetta prima di realizzare che non aveva idea di come salvarlo, di non sapere come restituire il favore. 

Il ragazzo che si spiaccicò.

“No,” disse Ginny. (Urlò? Non lo sapeva. Tom stava ancora ridendo.)

E poi Silente era lì, il volto pallido e furioso, l’energia crepitava dal suo intero corpo come un’esplosione argentata che costrinse i Dissennatori a ritirarsi. Harry colpì il terreno una frazione di secondo dopo con appena l’accenno di un suono, come se l’intero mondo si fosse trasformato in soffici cuscini di piuma. 

Le ginocchia di Ginny cedettero, scaraventandola nuovamente sul suo sedile. 

Se fosse stata più fantasiosa l’avrebbe preso come un segno delle cose che le sarebbero potute capitare. Ma non la era. Il suo cuore ritornò gradualmente dove doveva essere, il battito regolare. Tre giorni dopo fu in grado di salire sulla sua scopa senza più trepidazione di prima. 

Si obbligò a dimenticare nuovamente che qualche volta la gravità vince. 

* * *

Vinsero la loro prima partita. 

Certo, i Corvonero non erano nulla di cui preoccuparsi davvero, ma Ginny segnò sette gol, anche con la spalla escoriata da un Bolide dopo due minuti dal fischio d’inizio. Se si fosse concessa il momento di pensarci, avrebbe potuto accorgersi dell’accuratezza con cui il Bolide provenne dalla parte sbagliata del campo. Solo che non lo fece, perché la sua squadra le stava sorridendo e rivivevano i momenti migliori della partita mentre tornavano al castello come un unico grande gruppo. 

Sentiva come se fosse davvero parte di qualcosa per la prima volta da quando era arrivata lì. Pensò che forse l’avrebbero accettata, ora che aveva dimostrato di cosa era capace.

Non si era mai sentita così viva come su quella scopa, circondata dalla folla urlante.

La sala comune era vivace e chiassosa e in un qualche modo più accogliente quella sera. Il calore dei corpi e lo squillante vociare spazzava via il freddo da quel luogo e quando cominciarono a far girare una bottiglia di qualcosa di non meglio specificato, la sorseggiò assieme agli altri nonostante il sapore. 

Non notò quando gli altri se fermarono, quando cominciarono a batterle forte sulla schiena invocando solo un altro sorso, la voce di Malfoy vicina al suo orecchio. 

In seguito le cose diventarono molto confuse. 

Più tardi avrebbe avuto la vaga memoria di aver acconsentito al tatuaggio, l’assoluta assenza di dolore quando le si raggrupparono attorno e la dichiararono una di loro. Non avrebbe consentito a se stessa di ricordare che lei sola aveva una piccola e confusa linea verde che doveva essere un  serpente attorcigliato sul polso interno.

Lo fece perché questo era appartenere. Ed era bello. 

Si svegliò la mattina dopo sentendosi come a un passo dalla morte. Tirò indietro le sue tende con un grugnito. La luce delle lampade le bruciò gli occhi e per una volta fu decisamente grata che il loro dormitorio fosse sottoterra. La luce delle sole avrebbe potuto ucciderla. 

“Hai un aspetto orribile.”

Ginny strizzò gli occhi e trovò la sua compagna di stanza Smita in piedi accanto al proprio letto, in mano un calice fumante. 

Ginny si accigliò. “Già. Grazie.”

Smita non sembrò prendere il suo tono gelido come un invito a lasciarla dannatamente in pace, invece le porse il calice. 

Ginny lo guardò sospettosa. Per quel che ne sapeva, Smita poteva aver deciso di avvelenarla in mancanza di altro da fare quel weekend, ma era troppo depressa per preoccuparsi delle motivazioni. Afferrando il calice ne prese un sorso incerto. Le bruciò la gola, facendole salire le lacrime agli occhi, ma prima che potesse gridare in protesta, si depositò nello stomaco come un caldo e dorato bagliore che le pulsava attraverso il corpo. Allentò tutta la tensione e Ginny non esitò a trangugiare il resto. 

Per quando ebbe vuotato la coppa si sentì di nuovo quasi umana. 

“Grazie,” disse Ginny di getto, scrutando la sua compagna di stanza un po’ più da vicino. Era solo il suo mal di testa o Smita sembrava un leggermente meno ostile quel giorno? Ginny le sorrise incerta. 

Smita non sorrise. Le rivolse un singolo cenno col capo, girò sui tacchi e se ne andò.

E tanti cari saluti alle sue impressioni sull’umore di Smita. 

Ginny posò cautamente la testa sul letto. 

“Qualcuno mi svegli quando è lunedì”, mormorò alla stanza vuota. 

* * *

Ginny arrivò nella Sala Grande per la colazione con pochi minuti di ritardo. I suoi fratelli le si avvicinarono ai fianchi prima che potesse mettere un piede oltre l’ingresso. 

“Dove hai imparato a volare così?” chiese George. 

Fred lo schernì a voce alta. “Chiaramente guardando noi per tutti questi anni, George.”

Ginny alzò gli occhi al cielo e decise di non svelare i suoi segreti. Tutto quello che avevano fatto era stata trasformarla in una ladra. Non le avevano insegnato a giocare a Quidditch. Le avevano insegnato la perseveranza. L’audacia. 

Pensava che in un qualche modo quelle fossero qualità più importanti, comunque. 

Scrollandosi di dosso i propri fratelli al tavolo dei Grifondoro, attraversò la sala diretta al proprio. 

“Buongiorno, Sei” disse Bletchley, facendole un cenno di capo. “Come va la testa?”

Ginny le rivolse un sorriso beffardo, sentendosi avvampare le guance. “Ancora attaccata. Più o meno.”

Risero tutti, Flint le lanciò un pezzo di toast. 

Il sorriso di Ginny si allargò e si allungò per prendere il succo di zucca. 

Dopo colazione, Malfoy uscì dalla sala accanto a lei, Pansy, Crabbe e Goyle sentinelle silenziose accanto a loro. 

Malfoy stava ancora rivivendo la loro vittoria. “Hai visto come ho preso il boccino da sotto il suo naso?” disse, allungando il braccio come per inscenare l’azione.

Non era esattamente quello il modo in cui erano andate le cose, ma Ginny sorrise come se niente fosse, stringendo i libri al petto e annuendo. 

Era una di loro adesso. Davvero e veramente. E essere una di loro significava avere persone con cui camminare nei corridoi e con le quali sedere ai pasti. E dopo le lezioni di tutti i giorni aveva una splendente, costosa e incredibile scopa da cavalcare, una della quale sapeva che i suoi fratelli erano gelosi fino al midollo. Era più di quanto avesse mai potuto sperare. 

Tuttavia, quando un giorno oltrepassò una locandina di Sirius Black nei corridoio, si ritrovò a fissarlo urlare silenziosamente dalla foto rovinata. Si chiese quale fosse stata, l’ultima goccia che lo spezzò, che lo portò ad uccidere. Un anno fa avrebbe distolto lo sguardo, incapace di affrontarlo. Ora ne era affascinata e non sapeva perché. 

Ma nulla di tutto quello importava davvero perché lei aveva il Quidditch. La incoraggiava, le gelide dita del vento tra i capelli, la gravità che l’attirava e la lotta per controllare le sue membra. Era lei la padrona. Non credeva nella caduta, solo nella scalata. 

Lei e Smita parlavano persino qualche volta, adesso, di qualcosa di più profondo della semplice richiesta di ingredienti per le pozioni. Era… piacevole.

Piacevole era abbastanza. Era stanca di essere sola. 

Ridendo insieme a Malfoy e ai suoi amici mentre camminavano per i corridoio, Ginny mantenne il lo sguardo dritto innanzi a sé quando passarono la locandina di Sirius Black. 

Sapeva quel che stava facendo. 

* * *

Stava scendendo verso la sala comune dopo una lezione di pozioni quando udì voci familiari salire lungo le scale. 

“Cosa c’è tra te e la ragazza Weasley, Draco?” chiese Pansy, la voce stridula di disapprovazione. 

Ginny si fermò di botto, i suoi libri di scuola che sbattevano contro l’anca. 

“Te la stai trascinando dietro come un elfo domestico.”

Ginny aspettò, stolidamente, che Malfoy la difendesse. Che precisasse che lei era nella sua stessa squadra di Quidditch. Che era valida. Che era una di loro.

Invece quello disse con voce strascicata, “Lo so, non è patetico? Spendi cinque secondi ad essere gentile con lei e quella fa di tutto per cercare di essere la tua migliore amica.”

Ginny sentì lo stomaco scivolarle dalle parti dei piedi quando le risate spezzanti rimbalzarono nella tromba delle scale. 

“Avete visto quel tatuaggio?” chiese Pansy. “Non posso credere che te lo abbia lasciato fare. Dev’essere disperata.”

Risero tutti di nuovo, gli ululati di Malfoy ben udibili tra tutti. 

“Lasciami indovinare, Draco” disse un’acuta voce nasale che Ginny identificò appartenere a Blaise Zabini. “Hai dei piani per lei.” Non poteva vedere il suo sorriso lascivo, ma era tutto lì nella sua voce. 

“Te lo immagini?” rispose Malfoy con sarcasmo. “Limonare la piccola sorellina di Weasel? Lo distruggerebbe.”

Ci furono più risate a risuonare per la sala e Ginny si voltò bruscamente, desiderando di tapparsi le orecchie con le mani. Voleva scivolare lungo il muro, collassare sui gradini, ma sapeva che se l’avesse fatto non sarebbe più stata in grado di rialzarsi. 

Suppose che era questo che succedeva quando era la gravità a vincere. 

Smita le toccò il braccio e Ginny sobbalzò. Non aveva alcun bisogno di ricordarsi che la sua umiliazione aveva un pubblico. La mano si fece comunque più insistente, quindi Ginny si costrinse a sollevare lo sguardo. 

Smita la guardava dritta negli occhi. Nessuna pietà, nessun segno di divertimento. “Ho fame”, disse come se quella fosse solamente un’altra noiosa lezione di Storia della Magia. “Tu?”

Ginny l’osservò completamente imbambolata. 

La mano di Smita la strattonò per il braccio e Ginny si lasciò guidare lontano. 

Mangiarono in silenzio. 

* * *

Il Quidditch non era più divertente e quella era la beffa più grande di tutte. 

Malfoy gracchiava ancora il suo nome per i corridoi, le faceva l’occhiolino al campo d’allenamento e lei si vergognava ad ammettere che non faceva assolutamente nulla a proposito. Non che parlasse come avrebbe fatto prima o altro, ma nemmeno lo insultò.

Non si permise di pensare troppo al perché.

Invece fece buon viso a cattivo gioco, andando avanti come se nulla fosse cambiato. La notte imparò a ricacciare indietro le lacrime come una qualsiasi debolezza. Imparò a ricacciarle indietro e a non soffocare. A volte si ritrovava a cercare il suo baule, a cercare pagine che non erano lì e finiva per odiarsi ancora di più per quell’impulso. 

Non voleva mai più sentirsi un fantasma, non importava quando più semplice potesse essere. 

“Sai,” disse Smita un giorno mentre schiacciava i baccelli di tentacula con un ritmico thud, thud, thud. La sua voce era la più tagliente che Ginny le avesse mai sentito. “Lucius Malfoy è stato licenziato dal Consiglio della Scuola durante l’estate.”

Gli occhi di Ginny schizzarono verso di lei, il cervello lavorava febbrilmente per cercare di capire cosa quello dovesse significare. Cosa gliene importava di Lucius Malfoy?

Smita si strinse nelle spalle. “Dicevo soltanto.”

A cena, Ginny sedette a pochi posti di distanza da Malfoy, abbastanza vicino da osservarlo, ma non così tanto da parlarci. Osservò la sua normale ostentata sicurezza, la sua innata aria di superiorità, ma pensò che ci fosse qualcos’altro poco al di sotto. Qualcosa che la fece pensare ancora a quella foto urlante di Sirius Black. 

Lo osservò bighellonare pigramente durante gli allenamenti, ma sentiva come portava costantemente l’attenzione sulle scope, su suo padre. Lo faceva sempre più spesso. 

Notava un sacco di cose ora che si dava la briga di guardare. 

A pozioni, Ginny si voltò verso Smita, sollevando la manica della camicia per svelare la macchia verde sul suo polso. “Pensi di potermi aiutare a levare questo?”

Smita le rifilò un lungo sguardo pregno di significato. Alla fine annuì. “Si. Posso provarci.”

Ginny osservò che forse aveva un’alleata che non aveva mai notato prima. 

Nonostante tutto quello che provarono, tuttavia, non riuscirono a rimuovere il tatuaggio. Rimase ostinatamente al suo posto. Come un promemoria, pensò Ginny. 

Ma Smita l’aiutò a imparare a far svanire l’alcol dal suo bicchiere prima di berlo senza dire neanche una parola. (“Magia di livello MAGO”, disse Smita con un vivido luccichio negli occhi che Ginny cominciava a trovare estremamente confortante). La squadra cominciò semplicemente a complimentarsi con lei per la sua abilità nel reggere il bere. 

Lei sorrideva e tirava la manica più in basso sul polso. 

* * *

Il più delle volte Ginny non sapeva decidere se era più arrabbiata con Malfoy o con se stessa. Quanto era stata stupida?

Durante gli allenamenti fantasticava sul scaraventare la preziosa scopa di suo padre ai suoi piedi come se non significasse nulla per lei, una semplice sciocchezza. Avrebbe inarcato un sopracciglio e messo una mano sul fianco. “Non ci sono abbastanza scope nel mondo, Malfoy” immaginava di dire, il resto della squadra che la osservava. 

Era troppo brava per mollare, ricordava a se stessa. Era troppo importante per la vittoria e questo era un’altra forma di potere. Era una Cacciatrice migliore di quanto lo fosse Malfoy come Cercatore. E fu con quella realizzazione che cominciò a capire che l’improvvisa accettazione di Malfoy nei suoi confronti aveva a che fare con lei e la sua fama di Erede di Serpeverde tanto quanto il licenziamento del padre. Era Malfoy ad aver bisogno di lei, non il contrario. 

Non sarebbe stato in grado di ribattere al suo rifiuto, la faccia scarlatta mentre uscivano sul campo. 

Chiuse gli occhi e immaginò tutto quello con trionfante chiarezza. 

Solo che non fece nulla di tutte quelle cose. Invece, quando venne l’ora della loro partita successiva, aspettò che il resto della squadra uscisse e ripose con cautela la sua Nimbus 2001 nel baule degli equipaggiamenti. Provò una piccola fitta di dolore al petto quando lasciò andare la liscia e lucente impugnatura, ma la dimenticò in fretta quando afferrò la vecchia e familiare Cleansweep, il legno ruvido nella sua mano. 

Quell’assenza di gravità che sentiva non aveva nulla a che vedere con il nome della scopa. 

Ginny segnò dodici gol e osservò con sinistra soddisfazione il Cercatore di Tassofrasso volare in circolo attorno a Malfoy. Sembrava che quelle scope di lusso non riuscissero a reggere il confronto col talento, dopotutto. 

Lanciò a un sorpreso Cedric Diggory un sorriso brillante mentre filava oltre e rise forte nel vento. Questo era meglio appartenere. Forse era persino meglio di vincere. Ginny saettò verso le porte, determinata a fare del proprio meglio per tenerli in vantaggio. 

Alla fine, tuttavia, fu Diggory che prese il boccino mentre Malfoy perdeva tempo dalla parte opposta del campo. 

Ginny atterrò mentre gli spalti si svuotavano. I Tassofrasso festeggiavano fragorosamente al centro del campo.

“Gran bel volo, Ginny”, le disse Harry mentre le passava accanto con un gruppo di Grifondoro. 

Lei aveva il fango tra i denti e i capelli sudati appiccicati al collo, ma non gliene importava molto. Non era più la ragazzina con il gomito infilato nel piattino del burro. “Grazie” fu tutto quello che disse. 

Lui non indugiò. La prossima partita si sarebbero scontrati per il campionato, dopotutto. E Ginny non aveva intenzione di perdere anche quella. 

Anche Fred e George le si avvicinarono, ma solo per chiedere cosa diavolo le era saltato in testa, rinunciare a una Nimbus 2001 per una vecchia Cleansweep della scuola. Lei sorrise e basta, lasciandoli pensare quello che volevano. Non si aspettava che capissero. Come avrebbero potuto? Le loro vite erano sempre state esattamente come si aspettavano che fossero. 

Ipotizzò che questo facesse di loro delle persone fortunate. 

Malfoy era intelligente abbastanza da notare che qualcosa era cambiato, che il suo regalo gli era stato rigettato in faccia, anche se solo metaforicamente. Ma, come aveva sospettato, non potè fare nulla a riguardo. Non quando aveva fallito nella cattura del boccino e lei praticamente da sola aveva fatto la differenza. 

Tuttavia, lui e i suoi tirapiedi cominciarono a deriderla al tavolo della colazione. Almeno è onesto, pensò. 

Sorrise loro di rimando come se nulla fosse e si servì un secondo piatto di uova. Flint si accasciò accanto a Ginny e cominciò a discutere con Bletchley su quali nuove tattiche avrebbero dovuto integrare negli allenamenti se volevano battere Grifondoro. Doppio allenamento per tutta la settimana seguente, dichiarò. 

“Cosa ne pensi, Sei?” le chiese. 

Sembrava che non gli importasse di quale scopa Ginny cavalcasse, fintanto che continuava a segnare. Lei sollevò il mento. “Ci sto”, disse. 

Tuttavia, nulla sembrava più come prima. Ora riusciva a vedere le crepe, sentire le persone dire solamente quello che pensavano gli altri volessero sentirsi dire. 

Si convinse che quella era una buona lezione da imparare. 

* * *

Non vinsero la partita contro Grifondoro. 

Era strano guardare oltre il campo e vedere due suoi fratelli e una vecchia cotta d’infanzia dall’altra parte. Pensava, prima dei loro primi gol, che i suoi fratelli ci sarebbero andati leggeri con lei. Non durò molto, comunque, dopo la prima volta che scagliò con precisione infallibile la Pluffa a segno alle spalle di Wood.

Tuttavia, alla fine vennero a patti col semplice fatto che Grifondoro giocava meglio di loro. E ancora una volta Harry Potter acchiappò il boccino mentre Malfoy faceva l’idiota. 

I Grifondoro erano ammassati in una trionfante pila al centro del campo, Harry perso chissà dove sotto quell’ammasso. Malfoy li osservava da qualche metro di distanza, scostando i capelli dalla faccia con movimenti bruschi. La sconfitta non gli si addiceva. 

Incontrò il suo sguardo e la sua espressione si indurì mentre lei inarcava un sopracciglio e i suoi occhi si posavano con deliberata lentezza sulla sua scopa. L’insulto era chiaro. La sua faccia avvampò e Ginny si voltò per imbattersi in un imprecante Flint. 

Perdere faceva schifo. Non poteva negarlo. Ma quando incontrò Smita ad attenderla a bordo campo, pensò che almeno stava cominciando a vedere le cose per quello che erano veramente. Doveva valerne la pena. Giusto? (Ma, oh, perché doveva fare così male?)

“Mi dispiace che hai perso”, disse Smita in quel suo modo particolare (non freddo, aveva realizzato Ginny, solo fermo).

Ginny scrollò le spalle. “C’è sempre il prossimo anno.”

Smita annuì e menzionò una runa che pensava Ginny potesse incidere sul manico della sua scopa per ottenere una più rapida decelerazione. 

Ginny sorrise. Questa volta pensando che era proprio quello che intendeva fare. 

* * *

Il resto del trimestre passò in un groviglio confuso di esami, addii e l’evasione dal castello da parte di un pluriomicida (su un Ippogrifo, fra le altre cose, come se i pettegolezzi della scuola fossero del tutto attendibili). Ginny si domandava a volte quanto vicina era sta a trovarsi faccia a faccia con Sirius Black in un corridoio buio, cosa avrebbe fatto in quella situazione. 

Provò un sinistro, debole fremito allo stomaco al pensiero. Era ancora piuttosto sicura di avere delle domande, solo che non aveva idea del perché pensasse che lui potesse avere delle risposte. 

Ron uscì dall’infermeria prima che potesse avere l’opportunità di andarlo a trovare. Quando riuscì a rintracciarlo in un corridoio l’ultimo giorno di lezioni lui, Harry ed Hermione erano ancora più evasivi ed enigmatici del solito. 

Stava rischiando di far arrivare tutti in ritardo alla lezione successiva continuando a ronzargli attorno, ma non è che Ginny potesse semplicemente presentarsi nella Sala Comune di Grifondoro per accertarsi che Ron stesse bene. 

“Che c’è?” si lamentò Ron, l’impazienza chiara nella sua voce. Infastidito dalla sua stupida sorellina. 

Si trattene dal trasalire, la mano che compulsivamente tirava la manica più in basso sul polso. (Oh, Merlino, tra pochi giorni avrebbe dovuto cominciare a indossare maglie a maniche corte e la sua vita sarebbe diventata in un vero inferno se Molly Weasley ne fosse stata messa al corrente.)

“Sono solo felice che tu stia bene, Ron” mormorò tutto d’un fiato, stringendo i suoi libri al petto e tornando da dove era venuta. 

Udì il sordo tonfo di una mano contro la carne e un indignato “Ow!” da parte di Ron, ma non si voltò a guardare. 

Ginny passò il viaggio in treno seduta accanto a Smita. Alcune ragazze del primo anno di Serpeverde le sedevano di fronte, i loro occhi nervosi si incontravano in una comunicazione silenziosa. Chiaramente erano lì per una sfida di qualche tipo. L’intrepida del gruppo finalmente parlò dopo un’ora di viaggio e Ginny si preparò all’interrogatorio su Malfoy, la Camera, i suoi stupidi fratelli di Grifondoro. 

“Sei la prima ragazza nella squadra di Serpeverde da oltre una decade” disse lei tutto d’un fiato. 

Ginny si accigliò. “Davvero?” Non l’aveva mai notato. Se l’avesse fatto si chiese se avrebbe avuto comunque il coraggio di provarci. 

Le tre ragazze annuirono all’unisono, guardandola non come un mostro o un’estranea o nemmeno come una ragazza, ma come se fosse… un’eroina. 

“Beh” disse Ginny, deglutendo con forza il disagio che le stava crescendo in gola. “Era probabilmente l’ora di un cambiamento.”

“Si”, disse la più coraggiosa con un luccichio negli occhi che Ginny riconosceva fin troppo bene. 

Vicino a lei, la spalla di Smita colpì distrattamente la sua. “Hey” le disse, accennando al carrello che stava passando in quel momento, il più piccolo accenno di quello che solo su Smita si poteva considerare un sorriso. “Io ho fame. Tu?

Ginny si morse l’interno delle labbra, “Si”, concordò. “Anche io.”

Il resto del viaggio non lo passarono in silenzio. 

Forse, pensò Ginny, era questo che significa davvero far parte di qualcosa.

* * *

Di ritorno alla Tana, Ginny stava in ginocchio ai margini del giardino di sua madre. Il sole era caldo sul sulla schiena e sul collo, le mani fredde nella scura terra. 

Un’ombra la coprì e alzò lo sguardo per vedere Ron in piedi accanto a lei. Sollevò un sopracciglio, sorpresa di vederlo. Di tutta la sua famiglia era sempre stato con lui che aveva avvertito la tensione più grande, la distanza maggiore, come se non riuscisse a perdonarla per l’oltraggioso fatto di essere stata smistata in Serpeverde. 

Ma adesso, sotto il sole estivo, si inginocchiò accanto a lei nella terra e chiese, “Come stai, Gin?” con tono dolce e confuso che le fece male in posti inaspettati. Forse poteva non essere il ragazzo più sensibile al mondo, ma era il tipo che cercava sempre di aggiustare le cose quando finalmente le capiva, non importava a quale prezzo. 

“Sto bene” disse, in parte perché sapeva che un giorno sarebbe stato davvero così e in parte perché sapeva che era quello che lui aveva bisogno di sentirsi dire.

Ron annuì, strappando distrattamente una calendola. La tensione non aveva del tutto abbandonato le sue spalle. Non aveva parlato molto di quello che era successo il giorno che si ruppe una gamba, il giorno in cui Sirius Black evase da Hogwarts, poco importava quanto Fred e George lo tormentassero per i dettagli. Lei aveva qualche idea, tuttavia, di cosa poteva essere stato. 

“Mi dispiace per Crosta”, disse. 

Ron sbiancò, ma non di dolore, piuttosto per qualcosa di simile al disgusto. Si riprese dopo un momento, schiarendosi la voce. “Già, beh, era vecchio.”

Da tempo aveva imparato a leggere l’affetto tra i suoi bruschi modi di fare - la prerogativa di una sorellina - ma questo era qualcosa di diverso dall’indifferenza nei confronti di qualcosa di seconda mano.

Lo fermò dallo strappare un’altra delle amate calendole della loro madre. “Ron?”

La guardò, sbattendo le ciglia come se fosse sorpreso di vederla ancora lì. Fece una smorfia, scuotendo il capo. “È solo che… è strano come le cose non siano sempre come sembrano, vero?”

Era l’ultima cosa che si aspettava di sentire da lui, ma così simile ai suoi stessi pensieri di quei giorni che non potè non sentirsi più vicina a lui. 

“Eccetto Malfoy” disse lei, una sorta di offerta di pace. Una cosa sulla quale poteva concordare entrambi. 

Lui non reagì subito, come se si aspettasse una qualche trappola, ma poi un sorriso si aprì lentamente sul suo volto. “Già”, disse. “Lui è proprio l’idiota che sembra.”

Risero insieme e per un momento fu come quell’ultimo anno in cui erano rimasti solo loro due alla Tana. La spalla di lui colpì la sua e lei allungò le gambe, appoggiandosi al suo braccio. Sedettero così per un po’, godendosi il sole, i lavori di casa momentaneamente dimenticati. 

Ginny lanciò uno sguardo alla bianca palla di piume che non si allontanava mai troppo da Ron in quei giorni, abbastanza per consentirgli di ostentare fastidio. Non aveva ancora spiegato come l’uccello sembrava averlo adottato casualmente. “Gli hai già dato un nome?”

Ron alzò lo sguardo, accigliandosi automaticamente alla vista del gufo. “No.”

Lei osservò il gufo per un momento, facendo finta di pensare intensamente. “Leotordo.”

“Cosa?” chiese lui, facendole una smorfia. 

“Leotordo”, ripetè. “È perfetto.”

Il gufo bubbolò e svolazzò sopra la testa di Ron in segno di approvazione.

“Leotordo?” ripetè lui orripilato. Lanciò uno sguardo al gufo che quasi fremeva d’eccitazione sopra di loro. “Maledizione, Gin!”

Ginny rise, si alzò in piedi e caracollò giù per il pendio del prato, il gufo battezzato di fresco che  ululava nella sua scia. 

Non inciampò. 

 

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Commenti Traduttore: santo cielo sono arrivato alla fine. E questo era ancora uno dei capitoli corti. Che il cielo mi assista per quando arriverò a tradurre il sesto anno, se sarò ancora in forze! Come sempre raccomandazioni di rito: non avendo un beta, se notate qualche errore (orrore) ortografico o di costruzione delle frasi che proprio non ci stanno fatemelo sapere. Se volete commentare in merito alla storia sarò ben felice di riportare le vostre parole all’autrice originale della FF.

Per il resto fate i bravi, mangiate le verdure e pensatemi che il prossimo capitolo sarà lungo almeno il triplo di questo. 

A presto,
Francesco.

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Capitolo 3
*** Terzo anno ***


Note del Traduttore: Questa FF non è di mia proprietà, ne sono solamente il traduttore. Potete leggere l'originale qui

Note dell’Autrice: attenzione, questo capitolo include il racconto di un’aggressione sessuale subita da uno dei personaggi.

 

Capitolo 3 - Terzo anno

 

Mancava solamente una settimana alla fine delle vacanze estive quando finalmente Molly Weasley notò il tatuaggio di sua figlia. 

Ginny aveva appena cominciato a credere che forse l’avrebbe fatta franca. Era andata al villaggio di Ottery St. Catchpole all’inizio dell’estate, girovagando in un negozietto babbano con una manciata di soldi babbani rubati a suo padre. Fondotinta, si chiamava quella sostanza simile a una pozione. 

Si sentiva tranquilla, tra le maniche lunghe e quella sostanza appiccicosa e colorata. Il clima, tuttavia, si fece più caldo e il velo di sudore sulla sua pelle tradì le linee verdi quando si allungò per prendere il burro. 

Ogni movimento attorno alla tavola cessò finché Molly Weasley non urlò “Ginevra Weasley, che cos’è quello?”

Fred e George furono i primi a lasciare i propri posti, lanciandole sguardi con timore reverenziale da sopra le spalle mentre se ne andavano, come se lei avesse messo in atto il più grande atto di  cattiva condotta mai possibile. Percy schioccò la lingua in segno di disapprovazione e filò dritto al piano di sopra, borbottando qualcosa a proposito dello spessore dei calderoni mentre fuggiva. Solo Ron esitò, come se la loro fresca alleanza lo richiedesse, ma non c’erano patti di fratellanza che tenessero di fronte a una Molly Weasley a tutto volume. Le lanciò un’occhiata di scuse e sgattaiolò fuori in giardino dietro i gemelli. 

Ginny, non vedendo alcun vantaggio nel mentire a questo punto, sollevò il mento e alzò ancora di più la manica. “È un tatuaggio” disse calma (o petulante, per meglio dire, come se stesse dicendo una verità che solo uno stupido non conosceva).

Suo padre strinse gli occhi a quel tono, ma la mamma scattò in piedi prima che lui potesse dire anche solo una parola in avvertimento. Le urla spacca timpani spaziarono da non è da signorina a conseguenze a lungo termine passando per irresponsabilità fino ad arrivare a hai completamente perso la testa?

Ginny lasciò che la sfuriata le scivolasse addosso, riflettendo sul fatto che la Guferia non era davvero nulla a confronto con la sua mamma. Si prese un momento, mentre le sue orecchie fischiavano, per essere grata degli acri di spazio attorno alla loro casa e per il fatto che né Hermione né Harry fossero ancora arrivati. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era un pubblico. 

Divenne insopportabile quando fece l’errore di guardare suo padre, trovandolo a fissarla con il volto pallido come se fosse un’estranea, come se l’avesse deluso in modo così profondo che nemmeno lo comprendeva appieno. 

La sua stessa espressione vacillò, la spavalderia scivolò via. Sbattè le palpebre contro l’inaspettata pressione delle lacrime, strattonando l’orlo della manica. Aveva le parole sulla punta della lingua, adesso, non è stata una mia scelta e voi non capite.

Distolse lo sguardo. Non avrebbe incolpato qualcun altro per quello, non quando era stata dannatamente colpa sua. 

“Starai a casa dalla partita di Quidditch!” sbraitò la mamma. 

Ginny spalancò la bocca, dimenticandosi dell’imbarazzo. “Mamma!”

Solo la mano sulla sua spalla impedì a Ginny di cominciare a urlare indignata a sua volta. Non potevano non lasciarla andare alla Coppa del Mondo. Non potevano!

“Ginny”, disse papà, la voce infinitamente più calma rispetto alle urla rabbiose della mamma. “Per cortesia vai fuori mentre tua madre ed io discutiamo di questo.”

Ginny marciò fuori, lasciando i suoi genitori a discutere della loro figlia più difficile. Con uno sbuffo irritato si lasciò cadere sul primo gradino. 

Ron le si avvicinò dopo un po’, lo sguardo rivolto al prato. “Chi?” chiese. 

Ron poteva forse essere stupido e senza speranze su molte cose, ma le era abbastanza vicino per età da sapere che a quelli del secondo anno raramente veniva in mente di farsi un tatuaggio per conto loro. 

Ginny si abbracciò le ginocchia, tenendole strette contro il petto. 

La bocca di Ron s’irrigidì, le labbra strette in una linea sottile, e seppe che non doveva nemmeno pronunciare quel nome. “Giusto”, disse lui. 

Tornò dentro, chiudendo la porta con tanta deliberata lentezza che Ginny sussultò.

Non potè fare a meno di pensare che aveva appena gettato altra legna su un fuoco che già divampava.

* * *

Non ci furono altre discussioni su tatuaggi o punizioni, ma solo perché Hermione arrivò il pomeriggio seguente.

Ginny era sollevata di vederla. Non perché fossero particolarmente amiche o altro, ma perché Hermione portò con sé i propri genitori la prima sera e così seppe che non ci sarebbero state altre scenate. Sua mamma poteva continuare a sbatterle il cibo di fronte e a riservarle gli sguardi più riprovevoli, ma non avrebbe urlato. Dovevano mostrarsi piacevoli davanti ai nervosi Babbani, dimostrare che lasciare la loro figlia lì per il resto dell’estate non era un’idea completamente folle. 

Era la prima volta di Hermione alla Tana, così, mentre gli adulti prendevano il tè in salotto, Ron la portò a fare un giro. Ginny l’osservò mentre la guidava in giro per la casa, gli occhi del fratello erano diffidenti come se avesse paure di quel che lei potesse pensare del posto. Questo prima che Hermione quasi non strisciò sotto un cespuglio cercando di dare un’occhiata più da vicino a uno gnomo. Ron mise le mani in tasca mentre guardava Hermione, scuotendo la testa con apparente esasperazione. Ginny non mancò di notarne il sorriso appena accennato. 

A cena Ginny finì per sedersi accanto al signor Granger. Assomigliava esattamente a quello che lei si aspettava dovesse essere un Babbano. Indossava un bell’abito e una camicia che non era nemmeno lontanamente paragonabile alle tenute da Ministero piene di fronzoli di Percy di quei giorni. Tagliava il cibo in piccoli pezzi regolari e masticava attentamente, anche quando cercava di far finta di non aver visto la mamma far volare più pane dalla dispensa. 

Ginny si aspettava che suo padre tenesse il signor Granger impegnato con una sfilza senza fine di domande imbarazzanti, ma quella sera era stranamente tranquillo. Abbastanza da far sembrare il signor Granger piuttosto solo con l’unica compagnia del suo piatto. Ginny prese un misurato sorso d’acqua e chiese al signor Granger cosa fosse esattamente un dentista. 

Il signor Granger spiegò il suo lavoro in termini semplici, non come se lei fosse stupida, ma più come se fosse gratificato dalla sua curiosità. Provò a fare una battuta che non afferrò, anche se a giudicare dall’espressione di Hermione probabilmente non sarebbe stata divertente in alcun caso. Ginny sorrise comunque, notando il modo in cui la signora Granger guardava il marito con affettuosa esasperazione, qualcosa che aveva visto sul viso di sua madre per tutta la vita.

Decise che probabilmente il signor Granger era un buon padre.

Quando venne l’ora di sparecchiare, Ginny prese il piatto del signor Granger, sorprendendo papà ad osservarla mentre lo faceva. 

Più tardi, quella sera, lui infilò la testa nella camera di Ginny mentre lei ed Hermione andavano a letto. “Avete tutto quello che vi serve, ragazze?”

“Si”, rispose Hermione. “Grazie, signor Weasley.”

Il papà le sorrise, dando dei colpetti un po’ goffi ai piedi della branda prima di muoversi verso il letto di Ginny. Le sue dita giocarono con le sue coperte e lei voleva ricordargli che erano anni che non le rimboccava le coperte, ma lo lasciò fare comunque. 

Lui si sedette sul bordo del letto e abbassò la voce. “Tua madre e io abbiamo deciso che puoi ancora andare alla partita.”

Le salì il cuore in gola. “Grazie!” disse, lanciandosi ad abbracciarlo. “Grazie, grazie!”

Le sue braccia si strinsero attorno a lei. 

* * *

Ginny Weasley era alla Coppa del Mondo. 

La. Coppa. Del. Mondo. A guardare la finale tra Bulgaria e Irlanda. 

Era la cosa più eccitante che le fosse mai successa. (Ipotizzò che un tempo avrebbe trovato più eccitante posare gli occhi sul famoso Harry Potter, ma non era più quella piccola sciocca. E per di più, lui era in piedi accanto a lei, a guardare a bocca aperta lo stadio con la stessa soggezione che sentiva lei.)

Non avrebbe mai immaginato di essere tanto fortunata da vedere la partita di tutte le partite di Quidditch. Bill e Charlie erano sicuramente verdi d’invidia, bloccati com’erano all’estero. Sarebbero diventati ancora più gelosi quando avrebbero saputo che sedevano nella tribuna d’onore con i ministri. (Questa era la parte alla quale Percy sembrava interessarsi di più, il Quidditch era un mero effetto collaterale. Ginny non potè fare a meno di pensare che Charlie avrebbe apprezzato il tutto molto di più.)

Per Ginny sarebbe andato bene anche sedersi sull’erba molto, molto più in giù e spezzarsi il collo nel tentativo di vedere i giocatori sfrecciare lassù in alto. Tutto pur di assistere a quella partita e osservare quei giocatori. La tribuna e i suoi illustri occupanti era più una distrazione che un vantaggio. 

“È più grande della dannata Tana” mormorò Ron, armeggiando con l’omniocolo che gli aveva comprato Harry.

“Immagino che molte cose lo siano” rimarcò una voce maligna. 

Pareva che avrebbero avuto compagnia in tribuna d’onore. Ron, Harry ed Hermione si girarono praticamente in sincrono verso il nuovo arrivato Draco Malfoy, ed era difficile stabilire quale dei quattro volti tradisse più astio.

Draco non era da solo, comunque, i suoi genitori stavano pochi passi dietro di lui. 

Ginny si sentì gelare il sangue. 

Lucius Malfoy fece scorrere lo sguardo su di loro, senza indugiare su di Ginny, mentre rivolgeva a suo padre una qualche battuta ostile che non riuscì bene a cogliere a causa del fischio crescente nelle sue orecchie. Quando il signor Malfoy distolse gli occhi da suo padre fu solo per osservare Hermione come se fosse un insetto, una puzza disgustosa nella quale si era imbattuto. 

Sanguemarcio.

Ginny trasalì, ma Hermione non si mosse, rifiutandosi di distogliere gli occhi dallo schietto sguardo che il signor Malfoy le stava dando. 

Ron ed Harry erano già tesi, pronti a saltare nella mischia, ma fu Ginny che si trovò a scivolare più vicino ad Hermione, come per proteggerla. (Come se potesse fare qualcosa contro un mago adulto, uno malvagio, per di più.) Non voleva far altro che attirare l’attenzione su di sé.

Gli occhi del signor Malfoy si posarono su di lei come se la notasse soltanto ora, come se gli ci volesse un minuto per capire chi lei fosse. Lei non era niente per lui. Meno di quello. Fu un duro colpo, realizzare con quanta casualità lui l’aveva condannata anni fa agli gli incessanti sussurri di Tom Riddle senza pensarci due volte.

“Ah, si” disse lui, gli occhi glaciali. “La più giovane dei Weasley. Giochi a Quidditch con Draco, se non ricordo male.” Sollevò lo sguardo su suo padre. “Nei Serpeverde.” Le sue labbra si incurvarono come se quel fatto provasse fondamentalmente qualcosa. 

Ginny si chiese se non fosse davvero così.

La mano di suo papà si posò sulla sua spalla, calda e confortante. “Siamo molto fieri di lei” disse, una punta di ferocia sotto il suo tono calmo. “Si dice che sia la più brava giocatrice della sua squadra, nonostante la sua età.”

Draco arrossì e suo padre snudò i denti con disgusto. Si chiese se fosse più in collera per l’affronto a suo figlio o per l’impossibilità di difendere le sue penose abilità nel Quidditch. 

Inaspettatamente Harry s’intromise. “È bravissima” concordò, anche se probabilmente era più una stoccata a Draco che un complimento a lei. 

Ludo Bagman fece la sua comparsa prima che le cose si facessero ancora più tese, la sua splendente faccia da bambino attraversata dall’eccitazione. 

“Facciamo cominciare la partita!” disse battendo le mani. 

Ginny si voltò e si diresse verso le balaustre della tribuna, appoggiandosi pesantemente alla ringhiera. Guardando giù verso la folla brulicante, lasciò che le vertigini le scuotessero di dosso il crescente prurito causato dalla presenza dei Malfoy. 

“Ginny?” chiese Hermione, apparsa al suo fianco e parlando come se non ci fossero persone che la odiavano a pochi passi di distanza. Ginny voleva sapere come ci riusciva. 

“Arrivano le mascotte” urlò Ron, indicandole. 

Nella corsa ad accaparrarsi la vista migliore, Ginny finì incuneata tra Harry ed Hermione, avviluppata nel gruppo. Era sorprendentemente bello. 

Una volta che la partita incominciò, il boato della folla era assordante, persino in tribuna d’onore. Ginny si dimenticò dello sguardo di Malfoy ficcato nella sua schiena e si concentrò sull’energia e la crescente agitazione nel vedere le due migliori squadre di Quidditch al mondo che si affrontavano. Non voleva lasciare che glielo rovinassero. 

Il Cercatore della Bulgaria si lanciò in una picchiata come mai ne aveva viste e lei e Harry erano appiccicati alla balaustra l’uno accanto all’altra, le nocche bianche. 

“Lo hai visto?” urlò lei. 

Harry lanciò un grido di giubilo. “Lo so! È stato magnifico!”

La sua spalla rimase premuta contro la sua per tutto il resto della partita, il fremito d’eccitazione del suo corpo simile alla sensazione di una scopa sotto le mani. Hermione afferrava occasionalmente l’altro braccio di Ginny, stringendolo con uno squittio d’eccitazione. 

Ginny si alzò in punta di piedi e lanciò un grido quando Moran cadde in picchiata e fece una finta, mandando a segno la Pluffa con incredibile grazia. 

Si, pensò Ginny. Un giorno tutto questo sarà mio. 

Quando la partita finì, tutto si confuse in campioni del Quidditch, trofei e festeggiamenti. 

Ne parlarono per ore, di come Krum avesse fatto quella mossa, di come fosse stato coraggioso abbastanza da finire la partita come voleva lui. Hermione guardò con meraviglia Fred e George ballare una giga trionfante attorno a Ron. Harry si sporse oltre Ginny, la sua mano disegnò uno stretto arco attraverso l’aria, come per elaborare i dettagli di una nuova tecnica. Nella foga quasi inciampò su una radice e Ginny rise mentre gli afferrava il braccio per sorreggerlo. 

“Credo tu debba ancora lavorarci” commentò. 

Harry le rivolse un timido sorriso e si unì alla stupida serenata di Fred e George per Ron. 

Piegando la testa per guardare le stelle, Ginny pensò che quello doveva essere uno di quei momenti perfetti che dovrebbero essere imbottigliati in un barattolo di vetro ed essere conservati per sempre. 

Troppo perfetti. 

Aveva appena chiuso gli occhi e incominciato a sognare di tuffi mozzafiato, della sensazione di un braccio caldo contro il suo, quando urla e caos spezzarono la notte, trasformandoli in un incubo. 

Incuneata tra Fred e George nel buio pesto, Ginny sentì quanto fosse piccola, la folla in preda al panico sciamava da tutte le parti mentre i maghi senza volto torturavano i Babbani come un bambino che strappa le zampe a un ragno. Strinse la bacchetta nella sua tasca, ma sapeva che il suo piccolo compendio di maledizioni non l’avrebbe salvata. 

Alzò lo sguardo sul teschio e il serpente che galleggiavano nel cielo come una macchia e cercò di ricordarsi come respirare.

Persino quando venne l’alba e tornarono tutti a casa sani e salvi lontano dal pericolo, sembrò come se qualcosa fosse cambiato, come se quel caos fosse il segnale che gli adulti stavano aspettando. 

Mangiamorte.

Ginny vedeva il modo in cui la guardavano. 

Non c’è mai stato una strega o un mago divenuti cattivi che non fossero Serpeverde. 

Stavano tutti pensando a quello. Solo non erano abbastanza coraggiosi per dirlo. (E non era ironico?) 

Salì i gradini due alla volta e sparì in camera sua. 

* * *

La stanza di Ginny sembrava un forno. Era come se il clima facesse del suo meglio per aggiungersi ad un’aria già tesa. Nel tentativo di trovare un qualche sollievo, si raccolse i capelli in una coda di cavallo. 

Hermione entrò nella stanza come se stesse per scusarsi ancora di toglierle dello spazio prezioso, una scena già vista la prima notte. Ma sembrava tutto azzerato adesso, come se nulla potesse essere dato per scontato. 

Ginny non era così stupida da non capirlo. 

L’aveva finalmente compreso, quello sguardo inorridito che suo padre le riservò la prima volta che vide il suo tatuaggio, finalmente aveva capito quando aveva sollevato gli occhi sulla macchia verde nel cielo, circondata da urla di paura. Sapeva perché l’aveva osservata così da vicino quando parlava col signor Granger. 

Anche se avesse potuto in qualche modo dimenticarlo, eccolo di nuovo sul volto di Hermione mentre osservava il tatuaggio esposto di Ginny. 

Lei lasciò cadere il braccio, maledicendosi per non aver pensato di indossare una maglia a maniche lunghe nonostante il caldo atroce. 

Hermione non disse nulla, infilandosi nella sua branda. 

Ginny spense le luci e fece altrettanto. 

Non si diedero la buonanotte. Ginny non era sicura di quanto tempo fosse passato, sentiva solo i pensieri e le parole non dette dilatarsi pesantemente tra di loro. 

“Non sono d’accordo con loro” disse Ginny tutto d’un fiato quando non riuscì più a sopportarlo. Tenne gli occhi incollati alle tende che si muovevano placidamente sopra di lei. “Giusto perché tu lo sappia.”

Hermione non chiese su cosa non fosse d’accordo, o nemmeno con chi. Serpeverde? Mangiamorte? Erano la stessa cosa? Ginny si spaventò nel cercarne le differenze e non trovarne. 

Hermione ancora non aveva detto nulla e Ginny cominciò a sperare che forse si era addormentata e che non avrebbero dovuto avere quella conversazione. Azzardò uno sguardo. Gli occhi di Hermione erano spalancati e osservavano il soffitto, il sudore le aveva appiccicato ciocche di capelli alla fronte. 

“Non pensavo che…” cominciò a dire Hermione. “Voglio dire, non… Davvero, non è…”

Ginny trasalì ad ogni incompleta, frammentata frase. 

Hermione lasciò andare un sospiro frustrato e posò i piedi per terra. “Fa caldo” disse, come se fosse la radice di tutti i problemi del mondo. 

Ginny sentì lo strano impulso di ridere, trattenendo una battuta sull’acuta deduzione. L’aveva letto in Storia di Hogwarts?

Hermione scoccò a Ginny uno sguardo beffardo. Avrebbe dovuto ricordarsi che ad Hermione era perfettamente familiare il temperamento dei Weasley. 

“Potrei farti una treccia” disse. 

Hermione sembrò sorpresa. 

“Sarebbe più fresco” spiegò Ginny. 

“Okay” rispose, sostenendo il suo sguardo e sembrò più di un semplice assenso. 

Si sedettero sul davanzale, i corpi rivolti ad un’inesistente brezza. Ginny si districò goffamente tra le ciocche di Hermione e aspettò che lei parlasse. Poteva giurare di sentire i pensieri accavallarsi nella sua testa. 

“Non mi piacciono le scope” annunciò Hermione dopo un poco. 

Ginny si accigliò. Si sporse da un lato e notò che Hermione stava fissando il suo poster di Gwenog Jones. Era probabile che stesse cercando di scusarsi per non interessarsi al Quidditch come il resto di loro. Harry e Ron dovevano averle dato del filo da torcere di tanto in tanto. 

“Capisco” disse Ginny. La mancanza di interesse nel Quidditch poteva forse essere inspiegabile per Ginny, ma era lungi dall’essere un reato capitale. 

“Davvero?” chiese Hermione, voltando il capo. Non sembrava tanto imbarazzata o dispiaciuta, quanto determinata. “Ci si aspetterebbe che io sia coraggiosa, no? Ma sono terrorizzata dalle scope.”

Ginny sentì lo stomaco contorcersi, come se qualcuno le avesse scaraventato una Pluffa nel plesso solare. 

“Ginny?” chiese Hermione, cercando di voltarsi ancor di più e sussultando. 

Ginny realizzò che sue dita si erano contratte nei capelli di Hermione. Si costrinse a rilassarle. 

“Beh” cominciò, deglutendo il nodo alla gola. “Dal momento che ci stiamo confessando delle cose, c’è qualcosa di me che probabilmente dovresti sapere.” 

“Davvero?” fece Hermione diffidente. 

“Già. Faccio schifo a fare le trecce.”

Hermione sbattè le palpebre, come un gufo, prima di mettersi a ridere. 

Sedettero insieme finché la luna sorse e non scomparve alla vista e una fresca brezza finalmente si levò dal laghetto. 

* * *

Il primo settembre era sempre un giorno caotico alla Tana. 

La mamma volava avanti e indietro dalle stanze, alla cucina e al bucato in cortile come sempre. Ma mentre Ginny finiva di infilare le ultime cose nel suo baule, la mamma si stava aggirando per la sua stanza, rifacendole il letto anche se l’aveva fatto e rifatto già due volte. Riconosceva i segnali, quando li vedeva. 

Fred e George vennero per aiutare Hermione a portare il suo baule giù dalle scale, lasciando sole Ginny e sua madre che ancora armeggiava in giro. 

“Mamma?” si azzardò a chiedere. Le cose erano un po’ meno fredde tra loro da quando Ginny per poco non si era trovata faccia a faccia con dei maghi oscuri, ma non per questo meno tese. 

“Cosa?” disse lei, sembrando sorpresa di ritrovarle da sole. “Oh, sì.” Sprimacciò compulsivamente il cuscino di Ginny ancora una volta. 

“Ho quasi finito” disse lei. 

“Bene.” Sembrò che volesse dire qualcos’altro, ma invece estrasse qualcosa dalla tasca del suo grembiule. Premette il barattolo gelido nella mano di Ginny. “Balsamo Secretante1” disse impacciata. “Funzionerà molto meglio di quel trucco Babbano.”

Ginny voleva dire che le dispiaceva, ma non sapeva nemmeno più per cosa dovesse scusarsi.

La mamma le diede una breve stretta e sparì nel corridoio. 

Ginny ripose delicatamente il barattolo nel baule. 

* * *

Hogwarts. 

Era contenta di esservi ritornata, pronta per buttarsi in quelle cose semplici e prevedibili, come le lezioni e il Quidditch. Anche il confuso campo minato che era la sala comune della sua Casa offriva una sorta di familiarità, dopotutto. Quello poteva sopportarlo. 

Solo che Hogwarts decise di farle ciò che le riusciva meglio: toglierle la terra sotto i piedi. Non ci sarebbe stato nessun Quidditch quell’anno. Solo due scolaresche in più di sconosciuti da tenere d’occhio e un antico torneo al quale non poteva partecipare comunque.

Onore e gloria? Era più interessata nel sopravvivere.

Accanto a lei Flint sbattè un pugno sl tavolo e il calice contenente succo di zucca sobbalzò. “Che cazzo di spreco.”

Ginny sussultò, ma ricordò a se stessa che in qualche doveva essere persino peggio per lui, essendo del settimo anno e il capitano della squadra. Avrebbe fatto incazzare anche lei. “Suppongo che non metterai il tuo nome nel Calice”, disse. 

Lui la guardò come se fosse sorpreso di vederla. Si lasciò sfuggire un sbuffo privo di umorismo. “Già, Sei. Puoi dirlo forte.” Si corrucciò e Ginny potè avvertire il cambiamento nei suoi occhi, da Cacciatrice a inutile terzo anno.

Si alzò. “Ci vediamo in giro, Weasley.” disse lui, muovendosi lungo il tavolo per andare a parlare con alcuni altri del settimo anno. 

Proprio così, era di nuovo al punto di partenza. Un’altra prima notte stesa a letto ad osservare le tende con un lungo anno che si dipanava innanzi a lei. 

Solo che Smita si arrampicò ai piedi del suo letto, chiaramente non incline a farsi respingere dall’umore nero di Ginny. Si era tagliata i capelli, le ciocche scure ora si arricciavano appena sotto il suo mento. “Com’è andata la tua estate?” chiese.

Ginny scosse il capo, capace solo di pensare a come era finita, i giorni felici scoloriti nella memoria. “Un disastro. Tu?”

Amita arricciò il naso con disgusto. “Cugini. Un sacco.

Si guardarono per un momento, le espressioni sofferenti perfettamente identiche. Quindi le labbra di Smita tremolarono e Ginny cominciò a ridere. Rise a lungo e forte finché la pancia non cominciò a dolerle di qualcosa di differente dal solo disappunto. 

Chiusero le tende e si accoccolarono sul letto di Ginny, parlando fino alle prime luci del mattino, il peso di Smita che gravava sulle sue gambe. 

Ginny decise che forse tornare al punto di partenza non sarebbe stato poi così male. 

* * *

Per un po’, le lezioni e le nuove materie furono sostituti abbastanza validi al Quidditch. Smita stava ancora cercando di convincerla che Antiche Rune fosse una scelta decisamente migliore di Cura delle Creature Magiche. Nonostante amasse moltissimo stare all’aria aperta, Ginny fu abbastanza convinta quando altri studenti del terzo anno tornarono nel castello con le dita bruciacchiate e i volti fuligginosi. Almeno le lezioni della professoressa Babbling raramente causavano ferite fisiche. Inoltre, per quando Ginny detestasse ammetterlo, rune era abbastanza interessante. 

In scambio, Ginny trascinò Smita a Babbanologia come seconda scelta. Probabilmente perché sapeva che avrebbe fatto contento suo papà e stava cercando argomenti per potergli scrivere. Qualcosa da potergli raccontare. 

La professoressa Burbage la prese da parte alla fine della loro prima lezione. “Sei la figlia di Arthur Weasley, vero?”

Ginny alzò lo sguardo sul suo volto gentile e annuì. “Si, professoressa.”

Lei sorrise. “Lo saluteresti da parte mia? Abbiamo lavorato molto insieme per le Leggi per la protezione dei Babbani. È molto appassionato e veramente gentile.”

“Certamente, professoressa” disse Ginny sentendosi avvampare. Sapeva che suo padre non era un pezzo grosso al Ministero. Ben lungi dall’esserlo, a dire il vero. Non era imbarazzata per quello, aveva sento lamentarsi sua madre troppe volte in quegli anni su come non gli dessero il credito che meritava. A papà sembrava non importare, ma la riscaldava comunque sentire qualcuno dire cose così gentili su di lui, vedere le stesse cose che Ginny ammirava in lui. 

La Burbage le toccò il braccio. “Sono felice che frequenti la mia lezione, signorina Weasley.” Lo disse come se sapesse esattamente perché Ginny fosse lì, che sapesse che aveva meno a che fare con suo padre di quanto le piacesse ammettere.

Ginny si mordicchiò il labbro, mormorando qualcosa a proposito di non voler far tardi alla prossima lezione. 

La Burbage non la prese più in disparte, né la trattò differentemente da chiunque altro tra i suoi  studenti e Ginny ne fu lieta. Decise che le piaceva la Burbage, che parlava dei Babbani non come se fossero dei nemici o persino dei difficili animali domestici, ma come persone. (Anche se Ginny non era ancora convinta che quelle cose chiamate aeroplani sui quali i Babbani viaggiano fossero sicure. Si sarebbe limitata alle scope e alla polvere volante, grazie tante.)

C’era un solo altro Serpeverde in classe con loro, un ragazzo di nome Tobias. Nonostante il fatto che Ginny e Smita fossero in classe con lui ad ogni lezione sin dal primo anno, non avevano mai parlato. Alla fine, fu lui che si avvicinò a loro. La lezione era finita, il tipico chiacchiericcio dell’intervallo riempiva la stanza. 

Tobias appoggiò un fianco al banco di Ginny, i capelli color sabbia che gli ricadevano sugli occhi. “Vogliono tutti sapere cosa ci faccia l’Erede di Serpeverde a Babbanologia, nel caso in cui te lo stessi chiedendo”, annunciò.

Ginny cercò di capire se stava cercando di prendersi gioco di lei o se onestamente le persone l’associassero ancora alla Camera. Gettò uno sguardo agli altri studenti, molti dei quali lo distolsero in tutta fretta. Sentì la sua faccia avvampare. “Cosa, questa non è la lezione per imparare a condire i Babbani prima di mangiarli?” tagliò corto lei. 

Alcune teste accanto a lei si voltarono così in fretta che Ginny temette per i loro colli. Tobias sembrava semplicemente stupito, le sopracciglia sollevate. “No” disse. “Credo che quella sia un’altra lezione.”

Ginny sbattè le palpebre, chiedendosi quale fosse il suo problema. Fu spiacevole realizzare che era confusa dalla sua presenza a quella lezione tanto quanto lo erano gli altri della propria. 

“Quali altre materie a scelta frequentate?” chiese lui. “La cura e l’intenerimento delle creature magiche?” le sue labbra ebbero un sussulto e Ginny realizzò che stava cercando con tutto se stesso di non ridere. 

“Merlino”, imprecò Ginny, scuotendo il capo e sospirando. 

Smita sgranò gli occhi. “Lei non intendeva…”

“Lo sa, Smita” disse Ginny toccandole un braccio. “Ci sta solo prendendo in giro.” Prendere in giro lei, a dire il vero. E non nel modo velenoso che si sarebbe aspettata. Era abbastanza disorientante. 

Tobias posò una mano sul petto come se stesse facendo una qualche sorta di giuramento e lei cominciò a chiedersi se fosse capace di prendere qualcosa sul serio. “Non lo farei mai.” Accennò alla porta con il capo. “Andiamo. Forse a Pozioni impareremo qualcosa di utile su come imburrare gli alimenti.”

Ginny alzò gli occhi al cielo, ma raccolse i suoi libri e seguì Tobias in corridoio. “Immagino che dovremo comunque andare tutti nello stesso posto.”

“Questo è lo spirito” disse Tobias tenendo la porta aperta per Smita. “Noi poveri, pochi Serpeverde dobbiamo restare uniti, dopotutto.”

Ginny si accigliò, domandandosi cosa intendesse dire, ma la sua attenzione era già rivolta a Smita per chiederle se pensasse che gli animali dei Babbani fossero davvero inutili come sembravano. 

Per la sorpresa di Ginny, Smita reclinò il capo e cominciò a raccontare loro del cane che suo padre aveva da bambino e che il suo nonno Babbano aveva addestrato per portare il giornale ogni mattina. 

Non era ben sicura di cosa la sconcertasse di più, se il fatto che Smita non fosse una purosangue (non dovevano esserlo tutti i Serpeverde?), o che stesse parlando con Tobias. Chiacchierando, addirittura. 

Quando arrivarono a Pozioni, Tobias le lasciò per unirsi ai suoi amici dall’altra parte del sotterraneo e Smita notò l’espressione sul viso di Ginny. “Cosa?”

Lei posò la borsa e tirò fuori il suo calderone, un ghigno sulle labbra. “Nulla. Assolutamente nulla.”

* * *

Le settimane cominciarono a scorrere con crescente velocità. A Ginny mancava il Quidditch più di quanto riuscisse a dire, sentendosi un po’ persa senza. Ma le piacevano le lezioni e aveva Smita con la quale parlare. Anche Tobias era abbastanza divertente qualche volta, quando non era un completo idiota. 

Tuttavia, quando arrivarono gli studenti di Durmstrang e Beauxbatons alla fine di ottobre, Ginny era già stufa del Torneo Tremaghi. Era la sola cosa di cui tutti parlavano da settimane e se avesse sentito ancora una volta la frase ‘onore e gloria’ avrebbe dato di matto. 

Anche se vedere i suoi fratelli venire rimbalzati dalla linea dell’età attorno al Calice sfoggiando un’identica barba da nonno ripagò tutto il fastidio e il trambusto. Quasi. 

Solo allora le cose peggiorarono. 

Sedendo nella Sala Grande ad Halloween, Ginny pensò che avrebbe dovuto immaginarselo. Harry Potter veniva ancora una volta trascinato nel mezzo della mischia, al diavolo le regole.

Per mezzo secondo ci credette. Credette che Harry Potter fosse abbastanza stupido, vanaglorioso e arrogante da piegare tutte regole in funzione della sua fama, ma poi si voltò a fissarlo come tutti gli altri. Lo vide, il modo in cui arretrò come se sperasse di potersi sciogliere nel legno stesso. Non era colpevolezza, riconobbe Ginny, avendola vista più di una volta crescendo. Era qualcosa di simile… al terrore. Le fece pensare al ragazzino ammaccato che la fissava dalle pietre coperte d’inchiostro, alla sensazione di una spalla contro la sua mentre le scope sfrecciavano nell’aria. 

Harry lanciò uno sguardo in preda al panico a Ron, ma suo fratello stava fissando il pavimento, le orecchie rosse abbastanza da essere visibili fin da dove sedeva Ginny. Hermione dovette spingere Harry per farlo muovere. 

Sembrava così piccolo mentre percorreva la navata verso Silente, tra due file di maturi studenti di Durmstrang e Beauxbatons. Ginny si morse le labbra e lo guardò avanzare, cercando di fingere di non aver visto Silente sembrare più preoccupato di quanto un mago col suo potere e la sua posizione avesse il diritto di essere. 

Una volta che Harry sparì oltre la porta insieme agli altri campioni, la sala esplose in chiacchiere, il nome di Harry che volava sopra il fracasso con vari livelli di veleno e durezza. 

Imbroglione, lo chiamavano. Pallone gonfiato. Pieno di sé.

Persino Rita Skeeter parlò di lui in questi termini sui giornali.

Non conoscevano il vero Harry, pensò Ginny, ricordandosi il ragazzo inciampare nei proprio piedi preso dall’emozione di qualcosa di semplice come il Quidditch, il modo in cui i suoi occhi ancora brillavano per cose che lei dava da tempo per scontate. Poteva forse essere molte cose, ma non riusciva ad immaginarselo fare una cosa simile di proposito. 

Per le settimane seguenti, guardò Harry da lontano mentre veniva ostracizzato, trasformato in una paria vivente. Osservò il modo in cui cercava di fingere che non gli importasse, sapendo con assoluta certezza che il disprezzo degli altri studenti era nulla a confronto della lontananza del suo stupido fratello. 

Ricordava l’espressione sul volto di Ron la prima volta che mostrò a Hermione la Tana. Il suo totale sgomento per le vecchie vesti ammuffite mentre Harry gli stava accanto con abiti nuovi fiammanti. Si era sempre chiesta come potesse essere, avere qualcuno come Harry Potter per migliore amico. 

Oh, capiva suo fratello molto bene. Bene abbastanza da sapere che nessuna parola da parte sua avrebbe cambiato niente, o fatto capire che abbandonare il suo migliore amico per la sua cocente gelosia non faceva di lui un eroe, solamente un coglione. 

Così Ginny non parlò con Ron, camminava solo qualche volta nel parco con Hermione, lasciandole sfogare il malumore per la stupidità dei ragazzi. Sembrava esausta, avendo speso tutto il suo tempo a correre avanti e indietro tra Harry e Ron come un gufo troppo affaccendato. Abbastanza che Ginny volle inculcare un po’ di buon senso nella testa dei due ragazzi. O affatturarli. Non aveva ancora deciso. 

“Sono preoccupata per lui” confessò una volta Hermione tra una lezione e l’altra. 

“Ron?” chiese Ginny, pensando al posticcio e pallido viso del fratello, il modo in cui si trascinava come se stesse cominciando a sospettare di avere intrapreso il sentiero sbagliato, ma rifiutandosi di ammetterlo. 

Hermione scosse il capo. “Harry. Penso che sia terrorizzato, ma che rifiuti di ammetterlo. Più di quanto possa ammettere che Ron gli manca come un arto amputato.” Rivolse a Ginny un sorriso incerto. “Sono piuttosto patetici senza l’altro.”

Ginny provò a sorriderle a sua volta, pensando che Hermione non era per niente più felice da sola. 

Due giorni dopo comparvero le stupide spille di Draco e Ginny ne ebbe abbastanza. Disse a Smita che l’avrebbe raggiunta più tardi e si infilò in un altro corridoio. Non le ci volle molto per trovarlo, anche per lo spazio vuoto attorno a lui che sembrava seguirlo in quei giorni.

Quando gli fu abbastanza vicino, afferrò la manica di Harry. Cercò di non fare caso al modo in cui i suoi occhi ispezionarono la sua veste come se si aspettasse di vedere ‘Potter fa schifo’ lampeggiare verso di lui. Non potè biasimarlo per quello, non davvero. Non era passato poi tanto da quando passeggiava per i corridoi assieme a Draco, una risata forzata sulle sue labbra. 

“Ginny?” chiese guardingo. (Abituato ad aspettarsi il peggio da tutti i fronti, pensò lei.)

Prese un respiro, serrando la mascella. “Ron è un cretino.”

Le sopracciglia di Harry schizzarono in su per la sorpresa, come se fosse l’ultima cosa che si aspettasse di sentire da lei. 

“Ma ne verrà a capo, alla fine”, promise. Lo faceva sempre. Era questo che aveva bisogno che Harry capisse. Che suo fratello, per quanto stupido, si assumeva le proprie colpe. 

Harry provò a sorridere, ma gli uscì solo una smorfia e Ginny non se ne sorprese. “Lo pensi davvero?” le chiese, la più piccola ombra di speranza celata dietro l’umorismo forzato. 

Inspiegabilmente sentì l’urgenza di schiaffeggiarlo sostituita dal bizzarro impulso di abbracciarlo. Era abbastanza patetico. Invece gli strinse il braccio, rivolgendogli un sorriso incoraggiante. “Buona fortuna per la prima prova. Sono certa che te la caverai egregiamente.”

Lui non sembrava altrettanto fiducioso, ma riuscì a imbastire un’espressione ottimista. “Grazie, Ginny.”

Lo guardò allontanarsi, sapendo di non aver aggiusto nulla, ma sperando che forse si sentisse un pochino meglio. Che forse Hermione non si sarebbe dovuta preoccupare più così tanto. 

“Aw” la canzonò una voce strascicata. “Credo che la piccola Weasley abbia una cotta.”

Ginny si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con Draco. Il suo volto avvampò, un po’ per rabbia un po’ per l’imbarazzante ricordo della stupida ragazzina senza parole ed impacciata alla sola vista di Harry Potter. 

Draco sembrò prenderla come la conferma che cercava. Il supporto dei Weasley per Harry non era un segreto, dopotutto. I suoi occhi dardeggiarono sulla sua veste e vi si risiedeva qualcosa di fiammeggiante e spaventoso. “Hai dimenticato la tua spilla.”

“No, non credo proprio” tagliò corto Ginny. Fece per superarlo, ma Crabbe e Goyle le sbarrarono la strada. 

Draco accarezzò la sua bacchetta. “Forse vuoi qualcosa di più permanente?” Le afferrò la mano destra, girandola per esporre il polso. “Un gemello, forse?”

Il suo primo anno, come capo non dichiarato degli studenti più giovani, Draco l’aveva per lo più ignorata. Pensava che fosse un modo per dimostrarle ogni giorno che non valeva nemmeno la pena di essere notata. Il suo secondo anno le cose erano cambiate, l’alone di mistero era cresciuto in coppia con lo scandalo della Camera dei Segreti e la sua posizione nella squadra di Quidditch. Ma quando aveva lasciato intendere che non aveva alcuna intenzione di farsi comandare, la guerra del silenzio era ricominciata. 

Quell’anno, Draco non sembrava contento di limitarsi al mutismo. Lei non aveva più il Quidditch per tenerlo a bada e lui ne era più che consapevole.

Per tutto il trimestre non aveva fatto altro che parlare ad alta voce della famiglia povera di Ginny e del padre filo Babbano, i suoi sussurri teatrali riecheggiavano per la sala comune. Sapevano che stava frequentando Babbanologia? Patetico. 

E cosa aveva fatto lei a riguardo dei suoi attacchi verbali? Niente. 

Ron, Fred, George… persino Harry, avrebbero sfoderato istantaneamente le bacchette, attraversato la stanza per zittire Draco in ogni modo possibile. Lei no. 

Lei non era i suoi fratelli. Questo probabilmente faceva di lei una codarda. (Non una Grifondoro, per lo meno.)

La mano di Draco si strinse ancor di più attorno al suo polso. “Cosa ne dici, Weasley?”

Lei si allontanò da lui più forte che potè, le sue unghie le graffiarono la pelle nel mentre che si liberava. Chinando il capo si tuffò nella calca di studenti, il suono delle loro risa che la seguivano. 

* * *

“Ginevra” strascicò una voce. “È una lettera d’amore quella?”

Ginny alzò lo sguardo dalla lettera di suo padre che descriveva una nuova presa che aveva trovato in un posto che i Babbani chiamavano “Swap Meat2”. (Che cosa c’entrasse la carne con l’elettricità ancora non l’aveva capito. Doveva chiederlo alla Burbage.) Tobias, steso sul pavimento della sala comune con acri di appunti sparsi attorno a lui, stava agitando le sopracciglia in direzione di Ginny. 

Lei alzò lo sguardo al cielo. “Oh, si. È da parte di Heathcote Barbary3. Vuole portarmi in tour con lui.”

Tobias grugnì. “Pensavo avessi gusti musicali migliori.” Guardando oltre la sua spalla diede un colpetto a Smita, seduta sulla poltrona dietro di lui. “Come fai ad esserle amica?”

Smita si morse il labbro inferiore, come se cercasse di reprimere un sorriso e seppellì la faccia nel suo libro di antiche rune. 

Tobias e Ginny si scambiarono un ghigno. Sembrava essere diventata una delle più grandi ambizioni di Tobias, cercare di far ridere Smita. Ginny gli augurava buona fortuna in quell’impresa impossibile. 

Tornando alla sua lettera, Ginny fu interrotta nuovamente quando una spilla volante attraversò la stanza, colpendola al petto e rimbalzandole in grembo. ‘Potter fa schifo’, recitava. Sentì il proprio sorriso svanire.

Draco era più tranquillo in sala comune da quando uno del settimo anno si era stancato delle sue interruzioni e gli aveva detto di chiudere il becco. Ma questo non significava che non potesse trovare nuovi modi per tormentarla. 

Ginny spazzolò via la spilla dal proprio grembo e tornò alla lettera come se nulla fosse successo.

Smita sospirò. “Vorrei soltanto che… che si arrendesse.”

Tobias raccolse la spilla, rigirandola tra le dita. “Già, beh”, disse facendola sparire nella tasca. “Un ragazzo deve pur avere un hobby.”

Ginny avrebbe preferito che ne trovasse uno nuovo. 

“Comunque sia”, disse Tobias raccogliendo i fogli e rialzandosi in piedi. “Grazie per avermi fatto leggere i tuoi appunti, Smita.” Le passò un gigantesco plico di pergamene ricoperte della sua scrittura ordinata. 

Per l’infinita fascinazione di Ginny, il volto di Smita assunse una delicata sfumatura rossa. “Certo” disse. “Quando vuoi.”

Tobias le sorrise, grattandosi il collo con una mano. “Già, beh, non ho in programma di prendere di nuovo il vaiolo di drago tanto presto.”

Il rossore sul volto di Smita si intensificò e spalancò la bocca. “Oh! Non intendevo…”

Il sorriso di Tobias si allargò. “Certo che non l’intendevi.”

Ginny sbuffò e loro due si voltarono a guardarla. 

“Cosa?” chiese Tobias. 

“Nulla”, replicò Ginny. “Assolutamente nulla.”

Tobias socchiuse gli occhi, promettendo una successiva punizione. Ginny gli sorrise placidamente in risposta. 

Tobias scosse il capo in segno di sconfitta. “Ci vediamo dopo” disse, abbandonando le ragazze per i suoi amici più virili, senza dubbio. 

Mentre lo guardava attraversare la sala comune, i suoi occhi incontrarono quelli di Draco. 

Lui le lanciò uno sguardo malizioso e Ginny alzò la sua lettera, le parole che nuotavano di fronte a lei. 

* * *

Dopo la prima sfida, Ginny fu costretta a rivalutare la sua indifferenza per il Torneo Tremaghi. Poteva ancora essere una gigantesca imposizione e neanche lontanamente importante come il Quidditch, ma non era una farsa totale. Non a giudicare dai quattro enormi draghi che aspettavano di eviscerare i campioni. 

“Non possono fare sul serio”, disse Ginny cercando con tutta se stessa di non pensare a quanto sembrava piccolo Harry dall’alto degli spalti. 

“Splendido” sospirò Tobias, sembrando genuinamente elettrizzato dalla prospettiva di una carneficina. 

Smita non offrì alcun commento, ma si tappò la bocca con le mani, gli occhi sbarrati sopra le nocche. 

Nonostante le remore di Ginny, Cedric, Krum e Fleur fecero un lavoro dignitoso. Ci furono solamente due o tre volte in cui ebbe la certezza che qualcuno stesse per perdere un braccio. (Era solo leggermente delusa dal fatto di non aver visto l’affascinante campionessa di Beauxbatons perdere alcuni dei suoi lucenti e perfetti capelli in una vampa di respiro di drago.)

Quando arrivò il turno di Harry, la postura di Ginny specchiò quasi perfettamente quella di Smita. 

Fortunatamente, Harry non venne fatto a pezzi o trasformato in un cumulo di cenere, ma invece affrontò il suo drago (il più grande e il più cattivo, ne era certa) con crescente coraggio che Ginny non potè non ammirare, quasi quanto ammirò il fatto che la sua scopa divenne un’estensione del suo corpo. 

(Si chiese se anche a lui mancasse il Quidditch, o se fosse troppo occupato a non morire e dalle persone che lo fissavano nei corridoi per preoccuparsene.)

Vide Ron ed Harry più tardi, le braccia sulle spalle e le mani che sbattevano sulla schiena in quel modo di fare che hanno i ragazzi per festeggiare. Come se non ci fosse mai stato alcuno screzio tra loro. 

Hermione li seguiva pochi passi dietro di loro. Ginny sollevò un sopracciglio in sua direzione e lei alzò gli occhi al cielo esasperata, il biasimo addolcito dallo sgargiante sorriso sulle sue labbra. Ragazzi, sembrava dire. 

Ginny alzò le spalle in commiserazione e si voltò verso Tobias e Smita che ancora stavano discutendo sui punteggi assegnati dai giudici. 

Tobias sollevò le braccia. “Non è possibile che Potter abbia avuto il punteggio maggiore. Ha usato l’incantesimo più semplice di sempre!”

“Nessun altro ci ha pensato, tuttavia”, replicò Smita. “Inoltre, devi ammettere che ha volato molto bene.”

Tobias si accigliò. “Già. Immagino di si. Ma continuo a pensare che Fleur abbia avuto la miglior… tecnica.” Uno stupido sorriso si allargò sul suo volto. 

Smita non assunse esattamente uno sguardo feroce, aveva solo quell’aria di una che si augurava che Fleur si fosse abbrustolita un po’ di più.

Ginny rallentò il passo lasciando che loro andassero avanti mentre la folla sciamava diretta al castello. Smita non aveva mai detto nulla, ma Ginny non era stupida. 

Fu così che si ritrovò da sola quando Draco le fece un’imboscata. Gridò un incantesimo che non conosceva, qualcosa la colpì alle spalle come un gong, vibrando spiacevolmente lungo la sua spina dorsale. Non faceva particolarmente male, così non andò immediatamente nel panico. Non finché non cercò di voltarsi per affrontare i suoi assalitori realizzando di non riuscirci. 

Era completamente immobilizzata, dalle dita dei piedi alla gola, il suo corpo congelato come se fosse ricoperta di ghiaccio. 

Era la cosa peggiore che avesse mai provato. 

Draco le girò attorno, fermandosi troppo vicino a lei. “Credi di poterti prendere gioco di me, Weasley?” sibilò mostrandole una spilla. Nel panico, le ci volle qualche istante per consentire ai suoi occhi di cogliere quello che stava cercando di mostrarle. 

La spilla non recitava più ‘Potter fa schifo’. Ora si leggeva ‘Draco Malfoy è un innato coglione.”

I suoi occhi si spalancarono, non tanto per l’insulto quanto per la faccia livida di Malfoy e quando si rese conto di essere completamente indifesa. Non voleva mai più sentirsi così. 

Patetica.

“Ci sono problemi qui?”

L’aguzzino di Ginny sollevò lo sguardo sul professor Piton che si avvicinava e Draco abbassò la bacchetta. Ginny sentì le proprie membra distendersi e rilassarsi e desiderò urlare dal sollievo. 

“Solo un po’ di pratica per Incantesimi” mentì Draco, chiaramente a suo agio nella sicurezza che il loro Direttore della Casa avrebbe preso le sue parti.

Neanche a dirlo, Piton gli rivolse un sorriso indulgente che fece saltare i nervi Ginny. Anche io sono nella tua casa, avrebbe voluto dire. 

Gli occhi di Piton volarono su di lei. “C’è qualcos’altro che desideri aggiungere, signorina Weasley?”

Draco le scoccò uno sguardo d’avvertimento da dietro la schiena di Piton. 

Lei serrò la mascella, per niente sicura su chi dei due odiasse di più al momento. “No, signore.”

Piton annuì, gli occhi neri brillarono. “Quindi perché non vi muovete.”

Draco e i suoi compari si allontanarono e Ginny li guardò andare via, costringendo il suo cuore a tornare al suo normale ritmo. Non era sicura se fosse la paura o la rabbia a farle tremare le gambe, ma Piton era ancora lì a guardarla e si costrinse a cominciare a camminare, al diavolo il resto. 

Piton la seguì pochi passi dietro di lei per tutta la strada verso il castello, come se non si fidasse nemmeno che potesse farlo correttamente. 

“Signorina Weasley” disse lui quando si separarono all’ingresso. 

Lei si voltò per guardarlo, senza preoccuparsi di nascondere la sua rabbia ardente. “Si, signore?” chiese, mordendo ogni parola. 

Sembrò preso alla sprovvista, come se non si aspettasse quella risposta da lei. Ma poi la sua faccia si distese, ritornando alla solita fredda, incurante espressione e fu certa di essersi immaginata il luccichio di qualcosa di quasi… triste nei suoi occhi. 

Sollevò il mento. “Non ci si attarda nei corridoi.”

Le ci volle qualche momento per capire che la stava sgridando, quando era stato lui in primo luogo a fermarla. “Si, signore” disse di nuovo, girando sui tacchi e sparendo giù dai gradini. 

Poteva avvertire i suoi occhi nella schiena mentre andava. 

“Ginny”, disse Smita quando entrò in sala comune. “Dove sei…?”

Ma doveva apparire tanto in collera quanto si sentiva dentro, perché Smita si interruppe a metà frase e la guidò nel loro dormitorio. 

Le sue mani stavano ancora tremando. 

Ginny passò i seguenti trenta minuti ad appellare Draco e Piton con ogni insulto riuscisse a pensare. 

“Non sono nemmeno stata io!” esclamò, sbattendo le mani sul suo piumino. Era la cosa più irritante, non quello che Draco le aveva fatto, ma che non fosse stata abbastanza coraggiosa da pensare ad uno scherzo tale da scatenare quella reazione da parte sua. Avrebbe dovuto pensarci.

“È stato Tobias”, disse Smita, gli occhi sgranati e terrorizzati.

“Cosa?” chiese Ginny.

Smita si morse le labbra, scoccandole uno sguardo incerto. “La spilla. Sono sicura che non voleva che tu…”

Ginny scosse il capo. Stendendosi sul letto, circondò il cuscino con le braccia. “Non importa.”

Smita si accoccolò ai piedi del letto con lei, la sua mano stretta e confortante attorno alla caviglia di Ginny. 

Ginny si svegliò di soprassalto la mattina dopo col peso di Smita sulle gambe e una voce che ronzava nelle orecchie, gli strascichi di sogni su macchie d’inchiostro e membra che si muovevano contro la sua volontà. 

“Ginny?” chiese Smita, guardandola assonnata dai piedi del letto.

“Crampo”, mentì Ginny, sedendosi e facendo una smorfia mentre si stiracchiava la schiena. 

Le altre ragazze nella stanza si stavano risvegliando ed era tempo di vestirsi, scendere a fare colazione e andare a lezione come se tutto fosse normale. 

Normale. 

* * *

Nelle settimane precedenti il Ballo del Ceppo, Ginny non venne mai lasciata da sola nei corridoi. Non era sicura di ciò che Smita avesse detto a Tobias, ma quei due sembravano aver messo su un qualche sistema di vigilanza.

Parte di Ginny voleva fare un’osservazione caustica sul fatto che dei Serpeverde non avrebbero dovuto preoccuparsi in quel modo, ma sembrava stupido e petulante ed era di Smita che stava parlando. Persino Tobias sembrava aver preso seriamente quel che era successo. 

Noi Serpeverde dobbiamo restare uniti, dopotutto.

Si sentiva come se tutta quella situazione fosse uno scherzo, ma non se la sentiva molto di ridere. 

A Pozioni alzava lo sguardo i tanto in tanto, quasi certa che avrebbe trovato Piton ad osservarla. Non lo fece mai. Perché avrebbe dovuto?

La notte del Ballo del Ceppo, Ginny rimase sveglia aspettando le ragazze più grandi ritornare, volendo sentire i racconti delle danze, dei vestiti e dei pettegolezzi. Forse sognando un po’ il giorno in cui sarebbe stata lei una di quelle a fare tardi. 

Solo che l’animato gruppo di ragazze di ritorno dalla festa non stavano ridendo o sbadigliando con stanca soddisfazione. Entrarono nella sala comune in un vortice di agitazione e voci acute, una di loro avviluppata nel mezzo del gruppo. 

“Merita di morire”, sentenziò una ragazza. 

Anche dal punto nascosto nel quale si trovava, Ginny poteva vedere i lividi che fiorivano sulla pelle della ragazza in piedi nel mezzo, i solchi lasciati dalle lacrime sul viso. Vesti strappate. Le ci volle un momento per mettere insieme i pezzi, per elaborare i fatti nel loro contesto. Quando capì avvertì un brivido di paura correrle lungo la schiena. Ricordava la sensazione di non potersi muovere, di essere completamente soggetta al volere di qualcun altro. 

Ginny non potè fare al meno di considerare quanto fragili potessero essere le ragazze a volte. 

“È molto meglio farlo soffrire”, ribatté un’altra ragazza, apparentemente non tanto turbata dall’ipotetico omicidio quanto dalla limitata opportunità di punizione. 

Le altre ragazze cominciarono a parlare tutte insieme, i loro piani riempivano la stanza. Come sarebbero potute salire sulla nave, affondarla, maledire le porte perché restassero chiuse per tutto il tempo, ogni idea era più crudele della precedente. 

“No”, tagliò corto Theodora e la voce della ragazza del settimo anno silenziò tutte le altre. Non era particolarmente alta o rumorosa o persino bella, non era tecnicamente la Capo Scuola, ma Ginny aveva visto il modo in cui tutti la avvicinavano. Come fosse al comando in ogni modo che conta. “Dovrà essere pubblico. Tutti devono capire cosa succede quando ci si mette contro una Serpeverde.”

Le cose furono organizzate in fretta dopo quelle parole. Una ragazza lanciò un incantesimo sul viso di tutte le altre. Non erano trasfigurate, solo sfocate. Per quanto ci provasse, gli occhi di Ginny continuavano a scivolare via dai loro volti come una goccia di pioggia sul vetro. Coi cappucci scuri calati sulla testa sembravano Dissennatori quel tanto che bastava da provocare a Ginny un brivido di paura lungo la schiena. 

Ginny si voltò trovando Smita seduta accanto a lei, la faccia più pallida del normale, ma calma come sempre. 

“Io vado”, disse Ginny decisa, sapendo in qualche modo che doveva vedere gli sviluppi di quella vicenda. 

Smita deglutì. “Okay.”

“Non devi…”, cominciò a dire Ginny.

“Se vai tu, vengo anch’io.”

Ginny fece scivolare una mano in quella di Smita, stringendogliela. 

Hogwarts le aveva tolto molto, incluso il Quidditch, ma uscire per seguire le ragazze sembrava molto simile a volare. 

Quando le raggiunsero, avevano già attirato Gregor fuori dalla nave di Durmstrang. Gli legarono le mani dietro la schiena e lo costrinsero a fermarsi davanti a Liza, riconoscibile solamente per i lembi strappati che penzolavano dalla sua veste. 

“È lui?” chiese una delle ragazze (Ginny sospettava fosse Theodora), la voce distorta e sferzante. 

“Cosa?” cercò di protestare Gregor. 

Una delle sue guardiane estrasse la bacchetta, ringhiando “Petrificus Totalus.” Il corpo di Gregor si immobilizzò, solamente i suoi occhi si muovevano freneticamente. 

“È questo il ragazzo?” ripetè Theodora. 

Ci fu un fruscio di vesti che Ginny interpretò come un cenno di capo. “È lui.”

”Gli hai detto che le sue attenzioni non erano gradite?”

Liza si coprì le spalle con le mani. “Si.”

“Ti ha ascoltata?”

“No.”

“Giuri sul tuo sangue magico che questa è la verità?”

“Lo giuro.”

“Molto bene.”

Il cerchio di ragazze si strinse attorno a Gregor.

Ginny aveva tredici anni quando vide per la prima volta una Maledizione Senza Perdono da vicino.  Sapeva che avrebbe dovuto esserne terrorizzata, sapeva che la punizione per quei crimini terribili era la vita ad Azkaban, ma guardando il ragazzo di Durmstrang contorcersi e farfugliare, implorare per il perdono, non sembrava tanto malvagio quanto meritato. Cos’era più imperdonabile, un terribile incantesimo o il crimine che il ragazzo aveva commesso?

Giusto?

La forza è giusta, le ricordò Tom, la voce crudele e tagliente. 

Ginny e Smita guardarono le ragazze costringere Gregor a scrivere una confessione, le sue mani si muovevano sotto la Maledizione Imperio. Le ragazze quindi ingrandirono e affissero ai muri le sue parole. Fu solo quando gli legarono una corda al collo che Ginny si mosse, il cuore in gola. Sicuramente non avrebbero…

Si precipitò in avanti mentre lo facevano salire sulla balconata sopra l’entrata. Smita le afferrò il braccio, cercando di trattenerla, ma Ginny se la scrollò di dosso. Gregor cadde oltre il bordo con un gemito soffocato. 

Ginny doveva aver fatto un qualche sono in protesta, perché tutte si girarono a guardarla, i volti ancora confusi e distorti, come se un velo di nebbia nascondesse le loro fattezze. Per una frazione di secondo Ginny pensò, Eccoci. Sono la prossima.

Ma quella che Ginny sospettava essere Theodora alzò la mano e il gruppo si divise come ad invitarla ispezionare il loro operato. 

Non era sicura di cosa le avesse fatto muovere i piedi, ma deglutì il groppo che aveva in gola e avanzò lentamente tra le due ali della piccola folla. 

Ci fu un sussurro mentre passava, una brezza fresca le carezzò il viso. Le ci volle un momento per capire che qualcuna l’aveva camuffata. Per proteggere lei o loro stesse non seppe dirlo. Si sporse dal davanzale, le dita conficcate nella dura pietra. 

Gregor la fissava con gli occhi spalancati, dondolando da una parte all’altra da una corda legata attorno alla vita. Terrorizzato, ma decisamente vivo. 

Credeva che forse avrebbe dovuto provare orrore, che avrebbe dovuto disapprovare questa parte di crudeltà dei Serpeverde. Ma tutto quello che provò fu un sinistro moto di soddisfazione e sollevò un angolo della bocca. 

Quando si voltò, tutte le ragazze erano scomparse. Solo Smita rimaneva in piedi in mezzo al corridoio, le mani premute sulla bocca. 

Ginny si affrettò verso di lei, afferrandola per il braccio. “Vieni. Andiamocene da qui.” Non sarebbe stato conveniente farsi scoprire così vicine alla scena del crimine. 

Smita non protestò, lasciando che Ginny la trascinasse via. 

* * *

Il corpo di Gregor fu trovato dondolare all’entrata della Sala Grande la mattina seguente, gli occhi spalancati e le urla soffocate dal suo bavaglio. Sopra di lui, scritta con le sue stesse mani, c’era la sua confessione. 

Sono un pervertito e un ladro. Ho provato a prendere a una Serpeverde qualcosa che non era disposta a darmi. Per questo motivo, merito di morire. 

Glielo avevano fatto credere anche lui, fino al momento in cui la corda attorno alla vita aveva fermato la sua quasi, terrificante, caduta. 

Se ci fosse stato bisogno di una qualsiasi altra prova della sua paura, tutto quello che si doveva fare era guardare alla pozzanghera sospetta proprio sotto di lui. 

Ci volle un’ora prima che i professori riuscissero a tirare giù Gregor e un’altro paio di settimane prima che le scritte svanissero. Abbastanza perché ogni studente della scuola potesse assistere allo spettacolo di prima mano.

Come passarono i giorni, le ragazze osservavano Ginny, gli occhi la seguivano e sospettava che stessero aspettando di vedere se le avrebbe smascherate, correndo a spifferare tutto a Piton o Silente. Avrebbero dovuto aspettare a lungo. 

Non capiva ancora cos’era successo quella notte o come si sentisse a riguardo, ma non aveva intenzione di dire niente ai professori. Non a Piton, non alla McGonagall. Dubitava che avessero tutte le risposte come invece volevano far credere agli studenti. 

Alla fine non ci fu nessuno da punire, nemmeno quando Gregor riacquistò la capacità di parlare. Riusciva solo a balbettare a proposito di maghi incappucciati e senza volto. Questa fu un’altra lezione che Ginny imparò su cosa significasse essere una Serpeverde. Solo perché si era disposti a fare un lavoro, non significava che si doveva anche essere disposti a farsi beccare nel processo.  

Questo non impedì ai ragazzi di Hogwarts e di Durmstrang di scoccare alle ragazze di Serpeverde degli sguardi cauti. Ginny lo sentiva quando camminava per i corridoi, il verde della sua uniforme era come un marchio, un avvertimento. 

Per settimane Ginny non lasciò passare una sola notte senza pensare alla strana sensazione di vuoto che provava allo stomaco. Non credeva fosse paura, ma piuttosto qualcosa di completamente diverso. Qualcosa di nuovo, strano e in un qualche modo… di incredibilmente giusto. 

Si chiedeva cosa dicesse a proposito lei. 

Nei suoi sogni, Tom rideva forte e a lungo, la vittoria ben udibile nella sua voce. 

* * *

La seconda prova non fu emozionante come la prima, ma non per questo meno tesa. C’era tutta la scuola sulla rive del lago ad osservare la superficie dell’acqua finché uno ad uno i campioni riemersero trascinando con loro i propri ostaggi.

Harry fece abbastanza bene (nonostante il suo impegno a lasciare che un atto improvviso di coraggio avesse la meglio sul cervello ancora una volta), e come sempre Draco sembrò prenderlo come un insulto personale. Ma Harry era circondato da ammiratori e sostenitori (divertente quanto velocemente potessero cambiare certe cose) e giornalisti molto meno cordiali (e come certe altre non cambiassero affatto), così Draco non potè toccarlo. Invece ripiegò sul suo secondo gioco preferito. 

Camminava pochi passi dietro Ginny sulla via di ritorno al castello, mormorando insulti a fior di labbra per tutto il tempo. Lei raddrizzò le spalle, ma non era particolarmente preoccupata fintanto che erano circondati dagli altri studenti. 

Draco, tuttavia, non sembrò apprezzare l’essere ignorato e alla fine le bloccò la strada, aprendo la bocca come se volesse insultarla di nuovo. 

Solo che non uscì nulla. Emise una specie di gracidio, sollevando una mano alla gola. Come se non riuscisse a respirare. 

Ginny si accigliò, chiedendosi cosa stesse succedendo. Prima che potesse pensare a qualcosa di meglio, fece per raggiungerlo per controllare se stesse bene. 

Lui si ritrasse, abbassando lo sguardo alla mano della bacchetta di Ginny, vuota e inutile lungo il suo fianco. 

Ginny gli mostrò le mani. Qualunque cosa fosse, non era stata lei a causarla. Avrebbe potuto provare a darle la colpa, ma c’erano più di venti testimoni del fatto che Ginny non avesse mai estratto la bacchetta. 

Draco cominciò ad andare sul serio nel panico, Goyle gli artigliava la gola come per liberarlo da qualcosa. 

Proprio quando cominciò a temere che sarebbe soffocato, qualunque cosa lo stesse trattenendo sembrò lasciarlo andare e Draco bevve profondi respiri mentre si appoggiava a Crabbe e Goyle. 

Sopra la folla, Ginny notò una delle ragazze Serpeverde della notte del Ballo del Ceppo che si allontanava, la nera lunga coda di cavallo che le oscillava sulle spalle. Antonia, ricordò Ginny. Una del quinto anno. Senza degnare di uno sguardo l’ancora boccheggiante Draco, Ginny la seguì.

La raggiunse proprio quando Antonia stava per entrare nella sala comune. “Sei… sei stata tu?”

Gli occhi di Antonia si allargarono con finta innocenza. “A fare cosa?” Proseguì, scivolando giù per i gradini. Scivolando come se fosse incapace di fare qualsiasi cosa se non elegantemente, la sua intera vita una coreografia. 

Ginny, tuttavia, non era dell’idea di farsi liquidare così facilmente, uscita elegante o no. Ora era convinta che ci fosse Antonia dietro qualsiasi cosa fosse successa a Draco. Sulle motivazioni era molto più confusa, ma non riusciva ad immaginarsi di domandare ad Antonia perché si fosse presa la briga di aiutarla, così chiese, “Come ci sei riuscita?”

Antonia si voltò verso Ginny con aria cospiratrice, come se stesse solamente aspettando quella domanda. “Sai la parte migliore di quel piccolo incantesimo? È completamente irrintracciabile. Anche se qualcuno ti ispezionasse la bacchetta, controllando gli ultimi incantesimi, mostrerebbe solamente un banale incantesimo d’Appello.” Rise, sventolando la sua bacchetta. “È geniale.”

“È… legale?” chiese Ginny. 

Le sopracciglia di Antonia si sollevarono come se quella fosse la domanda più ridicola che Ginny avrebbe potuto farle. 

Qualcun’altro rispose alla sua domanda. “Non penso che fosse quello che intendevi chiedere.”

Ginny si voltò per vedere Theodora leggere accanto al fuoco, i suoi capelli biondi raccolti in una lucente, stretta coda. Ginny lanciò un’occhiata ad Antonia per valutare la sua reazione a questa insolita interazione da parte della ragazza del settimo anno. Raramente si abbassava a conversare con gli altri. 

Antonia le fece un sorrisetto, come a dirle oh, adesso sono fatti tuoi.

“Cosa…” la voce di Ginny si spezzò e si schiarì la gola. “Cosa intendevo chiedere?”

Theodora mise un dito su una riga del suo libro per tenere il segno. “Non sembrava avessi problemi con la legalità la notte del Ballo del Ceppo.”

Ginny sentì lo stomaco bruciare. No. Non ne aveva avuti. Aveva avuto la possibilità di denunciarle, di dare l’allarme, di fare qualsiasi cosa che non fosse il semplice guardare e starsene zitta. Ma tuttavia non era come partecipare.

Non era così?

“Tu non voi davvero sapere se sia legale o no”, disse Theodora alzando gli occhi sul volto di Ginny come se le stesse facendo una domanda. 

Ginny si morse l’interno della guancia. “Voglio sapere se è giusto” disse lei. 

“Non sono sempre la stessa cosa” replicò Theodora, qualcosa di così spiccatamente superiore nel tono da dare sui nervi a Ginny. 

Si accigliò. “E chi lo decide? Tu?”

Dietro di lei Ginny sentì Antonia trattenere il respiro in sorpresa, ma non si azzardò a guardarla. Era molto probabile che si fosse spinta troppo oltre, che avesse fatto un errore di calcolo, ma non sarebbe scappata con la coda tra le gambe, anche se avrebbe dovuto. Raddrizzò la schiena e sollevò il mento. 

Theodora le sorprese entrambe sorridendo, un sorriso ampio e vagamente condiscendente, ma comunque divertito. “Questa è la parte interessante” disse, chiudendo il libro e alzandosi in piedi. Si avvicinò a Ginny, torreggiando su di lei di dodici buoni centimetri. Era più grande di Ginny di soli quattro anni, ma in quel momento avrebbe potuto averne comodamente cinquecento. 

Theodora allungò una mano verso il volto di Ginny la quale, nonostante tutto, si ritrasse, non sapendo cosa aspettarsi. Il sorriso di Theodora si allargò ulteriormente e le sue dita indugiarono prima di accarezzare una ciocca dei capelli di Ginny. 

Chinandosi verso di lei, le disse. “Questo sta a te deciderlo.”

Ginny si accigliò, voleva farle più domande, ma Theodora aveva chiaramente concluso la conversazione. Con un breve cenno ad Antonia, si dileguò dalla stanza, passando accanto a una Smita dagli occhi sgranati che sostava all’ingresso. 

Antonia si riprese e rise mentre batteva sulla spalla di Ginny. “ Per la miseria”, imprecò in un sussurro, il divertimento tingeva le sue parole. 

“E quello cos’era?” chiese Smita guardando Antonia allontanarsi. 

Ginny scosse il capo, le ginocchia ancora le tremavano. Non ne aveva idea. 

* * *

Incantesimi era una delle materie preferite di Ginny. Era un po’ caotica, ma produttiva e praticamente tutte le lezioni erano passate con la bacchetta in mano a fare concretamente qualcosa, non a discutere di teoria per ore come in Trasfigurazione, o peggio, dell’infinita carrellata di eventi accaduti molto tempo prima in Storia della Magia. Smita preferiva i numeri e la teoria, ma quella era solo la sua natura. Ginny aveva sempre preferito l’azione. 

Quell’anno erano al tavolo con una ragazza di nome Luna Lovegood. Era una bionda, slanciata, sognante ragazza di Corvonero che era incredibilmente gradevole nel suo modo bizzarro. A Smita non sembrava dispiacere Luna, nonostante le cose che diceva qualche volta. Luna poteva anche essere strana, ma era intelligente e prendeva i compiti e il lavoro molto seriamente a differenza degli altri compagni di classe. Questo era più che sufficiente per lei. 

A Ginny piaceva Luna per il semplice fatto che sarà anche stata un po’ strana, ma era onesta. A Ginny piaceva parlare con qualcuno e sapere con assoluta certezza che quella persona intendesse dire ogni parola che usciva dalla sua bocca, anche se si trattava dei Ricciocorni Schiattosi o qualcosa di ugualmente assurdo. Era rilassante. 

Tuttavia, per quanto Luna piacesse loro, era soltanto una conoscenza passeggera. Non chiacchieravano, o uscivano, o si incontravano per studiare. Così, quando Ginny E Smita furono incastrate per pulire una disastrosa cascata d’inchiostro che aveva imbrattato i muri a seguito di un maldestro incantesimo, Luna se ne andò come tutti gli altri. 

Ginny mostrò a Smita un incantesimo di risucchio molto utile che aveva imparato da sua mamma, così furono in grado di sbrigarsela in fretta. Quando ebbero terminato, gli ultimi ritardatari della loro classe stavano ancora bighellonando lì fuori. 

Ginny mise piede in corridoio appena in tempo per sentire una voce cantilenare “Lunatica, Lunatica Lovegood” e le risa che riecheggiarono alla provocazione. 

Due ragazzi bloccavano la strada a Luna mentre la prendeva in giro. Ginny riconobbe il blu e l’argento delle loro uniformi, identificandoli come Corvonero. Si chiese se essere della stessa casa di Luna li facesse sentire in diritto di ridicolizzarla. 

Era il momento di andarsene, di lasciare Luna da sola. Smita si era giù voltata e percorso pochi passi lungo il corridoio dove Tobias le stava aspettando. Ginny fece per seguirla, ma uno dei ragazzi sollevò la bacchetta e l’agitò come se stesse lanciando una fattura insieme alle parole pungenti. Ginny ricordò con dolorosa chiarezza la sensazione del proprio corpo completamente immobilizzato. 

I suoi piedi si mossero prima del pensiero cosciente. 

“Ehi” esclamò fermandosi dietro i due ragazzi. 

“Cosa? chiesero loro. 

Il primo ragazzo sbiancò quando realizzò con chi stava parlando. Non Ginny Weasley, ma una Serpeverde. Per la prima volta quello sguardo atterrito non fece sentire Ginny come un mostro. 

“Lasciatela stare” disse lei. 

Il secondo ragazzo sembrava più sicuro e incrociò le braccia al petto. “O cosa?”

C’era stato un tempo in cui lei non avrebbe avuto il coraggio di sostenere la sfida, in cui avrebbe preferito andarsene. Non attirare l’attenzione su di te. Ma, maledizione, a lei piaceva Luna. E tutto quello non era giusto. 

Ginny fece un piccolo passo in avanti, sollevando in sopracciglio nel modo in cui aveva visto fare a Theodora. “Vuoi davvero scoprirlo?” chiese, giocherellando con la bacchetta. 

L’aveva detto con spavalderia, per impaurire il ragazzo Corvonero, ma in quel momento realizzò che l’avrebbe affatturato se avesse dovuto, era tutto lì, dentro di lei. Aveva anni di pratica con i suoi fratelli, dopotutto, anni passati a cavarsela da sola. (E perché, oh perché l’aveva dimenticato? Perché aveva provato ad essere qualcun’altro?)

Poteva farcela. 

Ma la voce di Antonia risuonò nella sua testa, ammonendola che forse era preferibile non colpire quegli stupidi coglioni in corridoio davanti a così tanti testimoni. Sorrise amaramente a quel pensiero così da Serpeverde. 

Il suo sorriso sembrò far vacillare il coraggio del ragazzo, solo per un momento. Non era un Grifondoro dopotutto, non uno che nutriva la propria stupidità col coraggio. Così quando Smita l’affiancò, Tobias dietro di lei, il ragazzo di Corvonero indietreggiò, avendo chiaramente fatto bene i conti. Le lanciò un’occhiataccia, ma se ne andò.

Acuti, quei Corvonero. 

Gli studenti rimasti abbastanza a lungo da assistere alla scena si girarono verso l’un l’altro in tutta fretta, i sussurri e le grida che commentavano quel che era appena successo riecheggiarono sulle pareti di pietra. 

Ginny rinfoderò la bacchetta e si rivolse a Luna, la quale aveva osservato lo scontro con i suoi soliti placidi occhi sgranati, come se si stesse chiedendo il perché di tutto quel trambusto. 

“Vuoi venire giù al Lago ed esercitarti con noi per il compito di Incantesimi?” le chiese Ginny. 

Le fece un po’ male il modo in cui lo sguardo di Luna si illuminò come se le stesse consegnando le chiavi del paradiso. “Oh, si. Sarebbe carino. Avevo giusto intenzione di raccogliere alcuni plimpi d’acqua dolce.”

Ginny non aveva idea di cosa fossero i plimpi d’acqua dolce, sapeva solo che nessun altro osò dire una sola cosa cattiva a Luna quando c’era lei nei paraggi.

Non più. 

Era giusto.

* * *

Ginny strinse più forte la propria bacchetta e fece un cauto passo avanti verso l’oggetto di fronte a lei. 

Era uno specchio, uno di quelli ovali, alti e sfarzosi ai quali zia Muriel era tanto affezionata. Solo che il vetro di questo era rovinato e nebbioso e sembrava sul punto di rompersi, come se bastasse una piccola vibrazione per mandarlo in mille pezzi. Ginny voleva voltarsi più di ogni altra cosa, mettere quanta più distanza possibile tra lei e quell’oggetto sinistro. 

Raddrizzando la schiena si costrinse a fare un ulteriore passo avanti, concentrandosi sullo specchio. Il suo riflesso entrò nel suo campo visivo. Solo che non era lei la figura che la guardava di rimando. Un freddo, spigoloso viso l’osservava da sotto una chioma di capelli scuri, gli abiti verde scuri identici ai suoi. 

“Changeling” l’accusò, la voce simile a un serpente. 

Istintivamente Ginny sollevò la mano cercando di schermare l’immagine, di nasconderla alla vista. La mano della figura si mosso oltre la superficie dello specchio, afferrandole il polso. Lottò, cercando di liberarsi, ma lui sorrise, quasi come un fratello orgoglioso. “Strana somiglianza” disse, premendo le dita sulla macchia d’inchiostro verde sulla sua pelle. 

Dietro di lei Malocchio disse qualcosa in lontananza, un incoraggiamento forse, ma molto più simili a severe istruzioni. Vigilanza costante!

Ginny scosse il capo come per liberarsi del brusio che le riempiva le orecchie. 

Io non sono come te, Tom, voleva dire. 

Tom sorrise come se riuscisse a sentirla. Ti ho fatto io.

“No.”

“Weasley” ringhiò Malocchio sempre più impaziente. Attorno a lei il mormorio divenne più forte, gli altri studenti allungarono il collo con crescente curiosità.

Guardando Tom dritto negli occhi, Ginny strinse la bacchetta e disse “Riddikulus”. Gli fece diventare i capelli rosso fuoco e gli mise un paio d’occhiali neri tenuti insieme da del nastro bianco. Lui incespicò all’indietro con rabbia, le ginocchia strette da una gonna scozzese, e una risata si liberò dalla gola di Ginny facendo tintinnare lo specchio. 

Strana somiglianza, in effetti. 

Il Molliccio danzò via da lei, cercando una nuova vittima da terrorizzare. Si trasformò in uno squalo, il corpo flessuoso fendeva l’aria come fosse acqua, e Ginny arretrò nella folla di studenti a guardare. Per mascherare, forse, la voce di Tom che ancora le ronzava nelle orecchie. 

Solo che non c’era nessuna voce, perché Tom se n’era andato. Lo sapeva. L’aveva sempre saputo, nonostante i suoi crescenti dubbi. C’era soltanto lei, adesso, lasciata sola a chiedersi… a chiedersi se Tom l’avesse trasformata in qualcuno che non avrebbe mai voluto essere. 

Osservò il Molliccio, che adesso era uno squalo in miniatura che nuotava in una boccia per pesci rossi. 

No. 

Tom l’aveva cambiata, questo non poteva negarlo. Le aveva aperto gli occhi su cose che altrimenti non avrebbe mai compreso. L’aveva temprata, resa più forte, ma non aveva più il potere di manipolarla. L’agire e le motivazioni erano suoi. 

Suoi.

“Chi era quello?” vollero sapere alcune ragazze una volta che Malocchio ebbe rispedito il Molliccio nel suo armadio. “Un ex fidanzato?” la punzecchiarono. 

Ginny rise e l’armadio si agitò. “Qualcosa del genere” disse, sentendo le guance avvampare. 

Uscì dalla stanza, lasciando Tom chiuso nel passato al quale apparteneva. 

* * *

Harry Potter uscì dall’ultima prova del Tremaghi con un cadavere stretto tra le braccia e, con quello, tutto cambiò. 

L’arena era nel caos più totale, la gente si spingeva in preda al panico. Ginny aveva perso da tempo la mano di Smita, ma sapeva che Tobias era con lei. Cercò di portarsi nel punto doveva aveva scorto l’ultima volta Harry, cercando un guizzo di familiari capelli rossi, del confortante profilo di sua madre. 

Invece si trovò risospinta sugli spalti, costretta a ritirarsi nell’ombra sotto i sedili per evitare di essere travolta. 

Si aprì uno squarcio nella folla e vide Draco in piedi in mezzo a una gradinata. 

Per un momento sembrò un po’ perso, sconcertato dalle grida e dagli strilli della folla, l’eco di Cedric, Potter e il Signore Oscuro cresceva d’intensità. Poi si voltò sorprendendola ad osservarlo e la sulla sua bocca si disegnò la soddisfazione, come lui fosse in un qualche modo responsabile di tutto quello. 

Si ricordava, però, del momento di paura che aveva mostrato. Lo memorizzò. 

Draco diede una gomitata agli onnipresenti Crabbe e Goyle, gesticolando verso Ginny. Era un’evidente intimidazione. Fece finta per un momento di essere sulla sua scopa e che quella non fosse altro che un’altra partita di Quidditch. Anche con tutto il caos attorno a loro, non si sarebbe azzardato a farle niente. 

Vero?

Una mano si posò sulla sua spalle e quasi non svenne dallo spavento. 

“Ginny” disse George tirandola in piedi. Fred era accanto a lui, la bacchetta estratta e gli occhi puntati sulla folla come se non fosse sicuro di cosa potersi aspettare ancora. 

Ginny si prese un momento per guardare di nuovo lungo la gradinata, ma Malfoy era sparito. 

“Forza Gin” l’incitò Fred avvicinandola dall’altro lato. “La mamma ci vuole ad aspettare dentro.”

Tornarono al castello puntando alla Sala Grande mentre tutti gli altri ancora si agitavano all’esterno. Riusciva a distinguere gli echi delle grida isteriche che si alzavano sulla collina, rimbalzando sulle pareti di pietra. 

Dentro presero posto in territorio neutrale, sedendosi al tavolo di Tassofrasso. 

Un intero anno di scuola e in qualche modo Ginny era tornata dove tutto era cominciato. Spaventata a morte, sentendosi così dannatamente piccola, ma con i suoi fratelli così vicini ai suoi fianchi da sembrare la copertina di un libro. 

Nelle ore successive videro le persone avvicendarsi all’ingresso, studenti diretti alle loro sale comuni, personale del ministero e professori e persino, quando si fu fatto davvero molto tardi, un Dissennatore. 

Ginny si rannicchiò contro George, sentendo il gelo correrle sulla pelle, ma, per una volta, le sue orecchie rimasero vuote. Silenziose. 

Passarono ancora circa una ventina di minuti prima che la mamma apparisse nella sala con Ron. 

“È vero?” chiese Fred balzando in piedi come una molla, tutte quelle ore passate a sedere immobile svanite in un secondo. 

La mamma gli lanciò uno sguardo severo. “Andiamo” disse prendendo la mano di Ginny. 

Ma i gemelli non avevano intenzione di farsi liquidare facilmente, non quella notte. “Tu Sai Chi è davvero tornato?” domandò George. 

Mamma poteva anche infuriarsi e non volergli addossare quel fardello, ma se Tu Sai Chi aveva trovato il modo di avvicinarsi a Harry, sarebbe potuto arrivare a chiunque. 

Fu Ron a fermarsi e a voltarsi per guardarli, il volto pallido e insolitamente serio. “È vero. Harry l’ha visto.”

Mamma si voltò per lanciargli uno sguardo truce. “Ronald!”

Per una volta lui non sembrò dispiaciuto, ma sostenne lo sguardo come se persino lui avesse cominciato a crescere un po’ all’idea di quello che avrebbero dovuto affrontare. “Meritano di sapere” le disse.

Mamma scosse il capo, spingendoli all’ingresso. “Tutti a letto.”

Come un tutt’uno si girarono verso le scale. Ginny si fermò nel mezzo dell’atrio. “Ehm, mamma. La mia stanza è da questa parte” disse, indicando nella direzione opposta. 

La mamma si fermò, un piede quasi comicamente sollevato sul primo gradino. “Giusto” disse con aria confusa. Distrutta. Si voltò verso Ginny. “Ma certo.”

Fred passò un braccio attorno alle spalle di Ron e con un sorriso che non si avvicinò nemmeno lontanamente ai suoi occhi. “Non ti preoccupare, mamma. Portiamo noi Ronnino nel suo letto.”

“Gli rimbocchiamo le coperte” assentì George, dando dei colpetti sulla testa di Ron. 

Ron si ritrasse indignato da George e Ginny desiderò di seguirli più di quanto avesse fatto il suo primo giorno ad Hogwarts. 

La mamma si prese il tempo per baciare e abbracciare ognuno di loro prima di lasciarli andare e Ginny seppe che la situazione era davvero grave quando la lasciarono fare senza alcuna protesta. Nemmeno Ron.

“Notte Gin” le disse lui. Lo guardò andarsene con una mano ficcata nella tasca, senza dubbio stretta attorno alla sua bacchetta, come se si aspettasse qualcosa balzargli addosso all’improvviso. 

Mamma la prese per mano, schiarendosi la voce. Si guardò attorno. “Non ho davvero idea di dove…”

Ginny annuì. “Da questa parte.”

La guidò giù dalle scale e nei sotterranei sotto il lago, l’aria si fece più fredda e umida nel modo in cui Ginny aveva cominciato a trovare familiare. La mamma era in silenzio e Ginny cercò di non farsi prendere dal panico. 

Più di ogni altra cosa voleva sentire la sua mamma dire che sarebbe andato tutto bene, che il fatto che Tu Sai Chi fosse là fuori non era la fine di tutto, ma la mamma sembrava così pallida e preoccupata che Ginny non osò chiedere. 

“Harry sta bene?” domandò invece quando si fermarono davanti all’entrata della sua sala comune. 

Gli occhi della mamma erano preoccupati quando abbandonarono l’attenta ispezione del liscio muro di pietra che nascondeva l’ingresso al dormitorio di Serpeverde. Il sorriso che mise insieme non bastò a nasconderlo. “Ma certo cara. Sta bene. Lo tengono in osservazione in infermeria per questa notte per esserne sicuri.”

Ginny si morse l’interno della guancia. “Andrai a stare con lui?”

Mamma le rivolse uno sguardo indagatore, come quello che usava qualche volta quando doveva valutare se fosse il momento di comprare un altro paio di vestiti per i suoi figli in costante crescita. “Pensi che dovrei?”

Ginny annuì. Non le piaceva l’idea di Harry tutto solo in infermeria, specialmente dopo quello che era successo. Sapeva che se fosse stato uno di loro, non avrebbero potuto costringere la mamma ad andarsene, né Silente né nessun altro. “Penso che gli farebbe piacere.”

La mamma rivolse a Ginny un altro sorriso, ma questo brillava di qualcosa che le fece stringere il cuore. Le scostò i capelli dal viso come era solita fare quando era ancora una bambina e le posò un bacio sulla testa. “Sei una brava ragazza, Ginny” le disse, un fiero orgoglio nella voce.

Ginny l’abbracciò, indugiando un momento in più per respirare il suo profumo. “Buonanotte mamma.”

Sussurrò la parola d’ordine al muro e sparì all’interno. Nella sala comune non erano in molti ad essere ancora alzati. 

Aveva appena imboccato il corridoio diretta alla sua stanza quando sentì la voce di Draco distante dietro di lei. 

“Peccato che non sia toccato a Potter. Suppongo che sarebbe stato troppo chiedere a entrambi di tirare le cuoia.”

Ginny s’immobilizzò mentre le loro risate risate le risuonavano nelle orecchie. 

Aveva sentito i suoi fratelli parlare di ‘vederci rosso’, di raggiungere il fondo della pazienza e perderla completamente, ma per lei non fu niente di tutto quello. Niente scatti. La sua vista non cambiò. Fu più come se un’enorme calma scendesse su di lei, la sensazione di sapere esattamente, per una volta, cosa dovesse fare.

Sei una brava ragazza, Ginny.

Era semplice, concreto. Qualcosa che poteva combattere a differenza delle cose che succedevano fuori, che stavano già facendo a pezzi la sua famiglia. 

Girò sui tacchi e marciò dritta verso Malfoy. 

Draco scattò in piedi con sorpresa quando la notò - il suo incedere furioso - i suoi compagni molto più lenti nel coglierlo. Non si fermò finché non si ritrovò faccia a faccia con lui e lo spinse forte al centro del petto. Ricadde pesantemente nella poltrona con un’esclamazione di protesta e i suoi scagnozzi balzarono in piedi da ambo i lati. 

Ginny estrasse la bacchetta, colpendo Goyle con una fattura Mucovolante e facendo un passo indietro per schivare la presa di Goyle che si era sporto in avanti per afferrarla. Solo un’altra partita di Quidditch, si disse. Un’altro veloce incantesimo ed ebbe legato le braccia di Goyle, lasciando Draco a sedere nella poltrona tutto solo, gli occhi sgranati. (Tutto quello studio per sfuggire alla paura e alla miseria aveva dato i suoi frutti e, oh, a volte la vita agiva per vie misteriose.)

Si avvicinò a Draco fino a che non torreggiò sopra di lui e gli disse quello che avrebbe dovuto dirgli la prima volta che l’aveva sfiorata con un dito. “Non ho paura di te, Malfoy. Quindi se vuoi combattere sarò più che felice di accontentarti.”

Sapeva che lui non si aspettava che lei ribattesse, che partisse all’attacco. 

Ora aveva le mani legate, tuttavia, essendo stato chiamato allo scoperto. Non c’erano molte persone a testimoniare, solo qualche Serpeverde che non aveva interesse nello spettacolo del Torneo Tremaghi. (Non avevano ancora idea di quello che era successo fuori da quelle mura, di come tutto fosse cambiato.) Li guardavano con vari livelli di indifferenza, come se fossero solamente curiosi di vedere come sarebbe andata a finire piuttosto che interessarsi di chi avrebbe vinto. Diede a Ginny la strana sensazione di essere a sicuro lì, al sicuro sapendo che i suoi compagni di casa non erano piegati ciecamente alle regole. 

Era l’ultima cosa che avrebbe mai immaginato di provare lì.

Il tempo si allungava e Draco non aveva ancora preso la propria bacchetta, troppo impaurito ad agire senza i suoi brutali amici. Sembrò realizzarlo anche lui. 

“Te ne pentirai, Weasley” biascicò con la voce pregna di minacce. 

“No” rispose lei rigirando la bacchetta tra le dita. “Non penso che lo farò.”

Sei più forte di quanto immagini, Ginny.

Era l’unica cosa su cui Tom aveva avuto ragione. 

Non era più un bersaglio facile e lo sapevano entrambi. 

Le fu data ragione quando gli voltò le spalle - un rischio, ma uno necessario - e lui non fece nient’altro se non starsene seduto a osservarla. 

Passò accanto a Theodora, i cui occhi erano incollati al suo libro come se nulla fosse successo, ma Ginny giurò di aver visto l’ombra di un sorriso compiaciuto sulle sue labbra mentre leggeva. 

Sta a te deciderlo.

Non se Tu Sai Chi aveva qualcosa da dire in merito. 

Ginny sentì il suo stesso feroce sorriso scivolare via. 

Imboccò il corridoio diretta alla sua stanza. 

* * *
Una settimana dopo erano tutti a casa, sussurri, pettegolezzi e bugie si intrecciavano e s’intessevano come una ragnatela. 

Il più brillante figlio di Serpeverde era rinato. 

Ginny attese con tutti gli altri di vedere cosa quello avrebbe significato.

 

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1- L’ho tradotto con una parola inventata, non so se si capisca il senso. Parafrasando sarebbe: balsamo che mantiene segrete le cose, per coprire quindi il tatuaggio di Ginny.

2- È un gioco di parole nato dal fatto che qui Arthur sbaglia a scrivere il nome del luogo. Infatti voleva dire Swap Meet, un posto in cui i Babbani scambiano i loro beni come in un baratto. Non potevamo aspettarci che potesse scriverlo correttamente, l’uomo la cui più grande ambizione è scoprire come facciano a volare gli aeroplani. 

Fun Fact riguardo questa nota: cercando su internet quale potesse essere l’evidente gioco di parole, mi sono imbattuto nella spiegazione di quello è uno slang per gli inglesi, un modo comune di dire. In pratica Swap Meat starebbe ad indicare una pratica sessuale messa in atto dagli uomini omosessuali. Inutile dire che questo, associato alla parola ‘plug’ (presa) e il contesto in cui c’entrava anche il signor Weasley, mi abbia portato nei meandri più oscuri dell’immaginazione. Aiutatemi. 

3- Uno dei chitarristi dei Weird Sister.

 

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Commenti del Traduttore: ok ragazzi, siamo entrati nel vivo della faccenda. Ormai abbiamo visto com’è Ginny in queste nuove vesti da Serpeverde e come vi accennavo nei precedenti capitoli non è per niente meno forte di quella che abbiamo conosciuto sotto l’egida di Grifondoro. Un dettaglio che mi fa impazzire di questa storia è di come Ginny continui a ripetersi che Harry non le piace più, che non è più quella bambina impacciata, ma poi vai fuori di melone se soltanto lui la tocca con la spalla. 

Ah, l’amore. 

Una cosa che mi piace molto, poi, è la sfaccettatura con la quale vengono presentati i Serpeverde. Vi ricordate di Theodora e di Antonia? Bene, soprattutto quest’ultima tenetela a mente perché nel prossimo appuntamento ci sarà da ridere.

È stato decisamente più lungo e complicato tradurre questo capitolo, ma confido nel vostro occhio attento per segnalarmi eventuali errori. Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate di questa storia sarò felice sia di leggervi che di riportare i vostri commenti all’autrice.

Noi ci rivediamo nel prossimo, avvincente, capitolo.

Francesco

 

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Capitolo 4
*** Quarto anno ***


Note del Traduttore: Questa FF non è di mia proprietà, ne sono solamente il traduttore. Potete leggere l'originale qui

 

Capitolo 4 - Quarto anno

 

Percy non sbattè la porta quando se ne andò, probabilmente perché sarebbe stato troppo indecoroso. La Tana risuonava ancora della sua partenza e le parole cattive che aveva detto aleggiavano ancora nell’aria. 

Silente. Harry. Bugiardi. Pazzi.

Aveva portato via tutte le sue cose. Tutte le prove della sua esistenza erano sparite, lasciando la sua stanza vuota come un gigantesco buco nero.

Giù in cucina la mamma piangeva sommessamente, la voce di papà, bassa e piena di dolore, cercava di consolarla. Cercava di far finta che il suo figlio di mezzo non l’avesse chiamato una disgrazia e un fallimento. 

Ti stai schierando dalla parte sbagliata.

Fred e George, che origliavano dalle scale, si guardarono con identica rabbia. 

“Viscido, ambizioso, piccolo bastardo.”

Lo sguardo di George era feroce. “Il Cappello Parlante doveva essersi un giorno di riposo quando ha smistato quel coglione in Grifondoro.”

Fred sbuffò in assenso. “Meglio in Serpeverde.”

Un piano sopra di loro, Ginny si spostò silenziosamente dai gradini e scomparve nella sua stanza.

* * *

Strani gufi arrivavano alla Tana a tutte le ore, quell’estate. Le sole cose più frequenti erano le visite a orari insoliti di vari maghi, alcuni che Ginny riconosceva, altri che non aveva mai visto. Ai ragazzi era stato ordinato di rimanere chiusi in casa e nemmeno Fred e George ebbero il cuore di discutere con la mamma per quella decisione.

Non parlavano mai di Percy.

Non parlavano di un sacco di cose a dire il vero.

Ginny leggeva i giornali, li tirava fuori dall’immondizia quando nessuno la guardava, ma sembravano abbastanza nella norma per lei. Previsioni del tempo, politica e buoni sconto. Perché se davvero stavano accadendo cose terribili, se stavano rinascendo maghi oscuri, non era sui giornali?

Ma poi coglieva la stanchezza sul volto di suo padre, il modo in cui lo sguardo di sua mamma non si allontanava mai troppo dal suo orologio e ricordava l’espressione di Ron la notte dell’ultima prova del Tremaghi.

È vero. Harry l’ha visto.

Ginny non ne dubitava, non per davvero. Solo che aveva sempre immaginato che se il più grande mago oscuro di tutti i tempi fosse tornato in vita, ci sarebbero dovute essere grandi battaglie e discorsi di speranza, i buoni schierati contro i cattivi. Quello sembrava troppo… tranquillo.

Hermione si presentò alla loro porta meno di due settimane dopo la fine della scuola. Se Ginny aveva davvero bisogno di un’ulteriore prova di come stessero le cose, ora ce l’aveva.

“Non potevo starmene seduta lì e far finta che nulla fosse successo”, disse Hermione togliendo una pila di vestiti dal suo baule.

“Cosa hai detto ai tuoi genitori?” voleva sapere Ginny pensando al volto piacevole del signor Granger e al sincero disagio nei confronti di una vita che non avrebbe mai capito del tutto. Alla quale non avrebbe mai fatto pienamente parte. 

Ci sarà una guerra.

Hermione lanciò uno sguardo ai giornali sparsi sul letto di Ginny. “Non dicono la verità.”

Ovviamente no.

* * *

Hermione era alla Tana da appena una settimana quando mamma e papà comunicarono loro la notizia, una sera a cena.

“Lasciamo la Tana”, disse papà.

La mano della mamma era nella sua, creando un fronte unito. “Qui non è più sicuro.”

Era inconcepibile, l’idea che la Tana non potesse essere il posto più sicuro al mondo. Ma c’erano maghi che apparivano nel mezzo della notte, incantesimi speciali attorno al perimetro della loro proprietà che probabilmente i loro genitori avevano pensato che non avrebbero notato.

“Dove andiamo?” chiese Ron, scambiando uno di quei suoi sottili sguardi con Hermione. 

“A stare a casa di uno dei membri dell’Ordine”, disse papà. “L’ha organizzato Silente.”

“La casa di chi?” domandò Fred, cogliendo al volo la deliberata vaghezza di loro padre. 

Mamma e papà si scambiarono uno sguardo. “Sirius Black.”

Ginny sentì il vuoto allo stomaco, ricordando la sua faccia che urlava nelle fotografie.

“Sirius Black?” ripetè Fred. “Lo stesso Sirius Black che ha cercato di uccidere Harry l’anno scorso?”

“L’anno prima di quello”, lo corresse George. “L’anno scorso c’era Malocchio.”

Fred precisò. “Il finto Malocchio.”

“Giusto. Non riesco mai a stare dietro a chi cerca di uccidere Harry ogni dannato momento.”

Fred annuì. “È una moda, apparentemente. Come un club sportivo.”

“Mi chiedo se abbiano delle divise.”

Papà si schiarì la gola. “Ragazzi” li ammonì. Se davi a Fred e George qualcosa su cui sfogarsi, sarebbero potuti andare avanti per sempre.

“Non capisco” disse Ginny, una cosa che voleva ammettere da tutta l’estate.

La mamma si allungò per darle dei colpetti sulla mano come per confortarla, come se fosse una bambina piccola che rischiava di spaventarsi per le cose da adulti attorno a lei. “È una lunga storia, ma Sirius Black è dalla nostra parte. Fa parte dell’Ordine.”

Ginny lanciò un’occhiata a Ron ed Hermione, notando che nessuno dei due sembrava anche solo remotamente stupito. “Da quando?” chiese, la voce le salì di un tono.

Papà incontrò il suo sguardo fermamente. “Lo è sempre stato. È stato tutto un equivoco.”

Un equivoco? Uccidere tutti quei Babbani, evadere da Azkaban e cercare di uccidere anche Harry e suo fratello per errore? Ginny non era sicura di chi, ma qualcuno lì era matto. Forse lei.

“Ve lo spiegheremo più tardi” disse papà alzandosi da tavola e mettendo ufficialmente fine alla conversazione. “Per adesso abbiamo bisogno che voi tutti facciate i bagagli e che siate pronti a partire per Londra domattina.”

Fred e George sembravano entusiasti. “Passare il resto dell’estate in città nella casa di un pericoloso pluriomicida? Forte.”

“Lee morirà d’invidia.”

Fu solo più tardi che realizzarono di quanto fosse protetta la casa, che non solo non avevano il permesso di parlarne con nessuno, ma che non avrebbero potuto nemmeno volendo. Custodi segreti e incantesimi potenti, e Ginny stava ancora aspettando una guerra che sembrava non arrivare.

Non capiva. Non capiva perché si fossero trasferiti, cosa riguardassero quegli incontri tra strani maghi, perché Percy se ne fosse andato.

E ancora non ne parlavano.

* * *

Era difficile immaginare un posto più diverso dalla Tana di Grimmauld Place. Lì tutto era magnifico ed opulento, un’eleganza lasciata a se stessa come un giardino abbandonato. Mentre la Tana era fatta di pietra viva, legno sfregiato e robusto tweed, rattoppato e ricucito con amore, la magione dei Black era una ragnatela di marmo finissimo, velluti e stoffe che Ginny non sapeva nominare, tutti ricoperti da un pesante strato di polvere. Dopo qualche giorno aveva cominciato a dimenticarsi di come fossero i colori, circondata com’era da gemiti silenziosi e ombre soffocanti.

Era un posto di segreti, Grimmauld Place, sembravano instillati nelle stesse fondamenta. Ginny suppose che fosse appropriato riservarla a quartier generale dell’Ordine. Ordine della Fenice, lo chiamavano, e si domandava quale fosse la simbologia, da che cosa stavano risorgendo, si domandava cosa avrebbe potuto pensare Smita di quelle persone apparentemente attirate lì da verità e bugie delle quali non volevano parlare. 

Provò a chiedere qualcosa, chiedere dei giornali che chiamavano Harry un bugiardo e Silente un pazzo. Mamma la liquidava sempre con poche spiegazioni, Ron ed Hermione si scambiavano sguardi cupi alle sue spalle. 

“Niente di cui tu ti debba preoccupare, cara” diceva la mamma ancora e ancora come se stesse cercando di crederci lei stessa. 

Ginny scrisse lunghe lettere a Smita. Alcune si lamentavano dei suoi genitori, della casa e del morso di doxy sul dito che non voleva saperne di guarire. Altre parlavano di fenici, di riunioni e di Fred e George che sussurravano nei corridoio. Una volta scrisse quasi trenta centimetri di pergamena su un’immaginaria estate passata alla Tana a esercitarsi nel frutteto, a nuotare nel fiume e di una piccola stanza con la vista sugli alberi e dello spazio aperto.

Si chiese quando le bugie diventavano più credibili della verità. 

Provò persino a scrivere una lettera a Percy, una volta, ma non andò oltre Coglione…, pensando al modo in cui aveva fatto piangere la mamma. 

Mandò a Smita la lettera costruita sulle quasi verità e bruciò le restanti, una per una, nel camino, con i piccoli occhi lucenti di Kreacher conficcati nella schiena. 

Col tempo si abituò alla vista di Sirius Black nei corridoio e a non farsi schizzare il cuore in gola dalla paura. Era logoro, furioso e pieno di energia incontrollata come nelle foto di quando cercava di uccidere Harry. (Solo che non voleva, le era stato detto, ma nulla di più). Non era sicura di cosa volesse dire il fatto che quando Sirius sorrideva sentiva un brivido di preoccupazione. 

C’erano anche altri maghi lì in giro. Il malconcio professor Lupin e l’irrequieto Malocchio (quello vero). C’era persino qualcuno di giovane, come Tonks. Era una di quelle poche persone che riuscivano a far ridere tutti quanti. Gli altri le passavano accanto come se Ginny non fosse nemmeno lì.

La prima volta che Ginny realizzò che anche il professor Piton faceva parte dell’Ordine, si imbatté in lui all’ingresso. Stava insieme a Sirius e quei due si punzecchiavano come ragazzini mai cresciuti. 

Sirius era chiaramente al limite, ad una sola parola dal perdere completamente il controllo. Piton era una maschera impassibile, che a Ginny ricordava fastidiosamente Smita, se non fosse stato per il profilo tagliente delle sue parole. Si chiese cosa ci sarebbe voluto a Smita per diventare così crudele.

Entrò nell’ingresso con passo pesante, interrompendo i due uomini. Sirius la guardò e dopo un’ultima occhiataccia a Piton sparì in un’altra stanza, lasciandola sola con lui.

“Professore” salutò Ginny educatamente perché per quanto avesse imparato a disprezzare Piton, lui era comunque il direttore della sua casa, un suo insegnante. 

“Signorina Weasley” salutò lui di rimando, la testa si chinò perfettamente, come se si fosse esercitato. 

Lei annuì in risposta chiedendosi pigramente che cosa avrebbero pensato i Malfoy se avessero saputo che lui era lì.

“Hai detto qualcosa?” chiese Piton sollevando un sopracciglio. 

C’era un leggero ronzio nelle sue orecchie, ma lo scacciò con un deciso movimento del capo. “No, signore.”

Gli passò accanto, salendo le scale due gradini alla volta e s’imbatté in Ron ed Hermione sul pianerottolo successivo. 

Non riuscì a guardare negli occhi nessuno dei due. 

* * *

Silente il persona si presentò un pomeriggio, prendendo da parte Ron ed Hermione per una seria chiacchierata su cosa potessero e non potessero scrivere nello loro lettere a Harry.

Ginny non lo considerava origliare, non sul serio. Stava solo testando sul campo l’ultima invenzione di Fred e George: le orecchie oblunghe. Non aveva nulla a che fare con l’ottenere risposte che tutti si rifiutavano di darle. 

In ogni caso, la conversazione non chiarì nulla, quei tre sembravano parlare in un qualche codice che lei non conosceva. 

Silente uscì per primo, così improvvisamente e silenziosamente che Ginny stava ancora praticamente appiccicata alla porta. Raccolse l’orecchia oblunga, nascondendo il filo color carne nella manica. Considerò l’opzione di provare a svignarsela, ma aveva capito abbastanza bene la differenza tra il mostrarsi colpevoli e il fingere innocenza. Per di più Silente era un impegnato, un po’ pazzo, mago. Avrebbe anche potuto non notarla. 

“Signorina Weasley” disse Silente, i suoi occhi la trovarono senza problemi nella penombra del corridoio come se sapesse che si trovava lì da tutto il tempo. 

Tanti saluti alle sue supposizioni. 

“Preside” lo salutò Ginny con un cenno del capo che sperava sembrasse innocente e rispettoso.

Non sembrava particolarmente intenzionato a rimproverarla, quindi attese che lui si muovesse, che l’oltrepassasse come tutti gli altri membri dell’Ordine, ma la sorprese, indugiando. “Come hai trovato le vacanze finora, signorina Weasley?”

Era una cordiale richiesta d’informazioni e lei sapeva che ci si aspettava che rispondesse qualcosa come “Ottime, signore” o “Piacevolmente prive di compiti, signore”, ma tutto quello a cui riusciva a pensare erano le riunioni segrete, le porte chiuse, i sussurri concitati. Il modo in cui i dialoghi delle persone lì avessero tutto a che fare tranne con le parole che effettivamente pronunciavano. 

Così, invece, Ginny si accigliò e rispose “Disorientanti.”

Entrambe le sopracciglia di Silente si sollevarono, gli occhi brillarono da dietro gli occhiali come se quella fosse la cosa più intelligente da dire e non qualcosa di stupido ed infantile. 

Annuì, sporgendosi appena verso di lei con fare cospiratore. “Mi fa piacere sapere di essere in così buona compagnia.”

Ginny l’osservò, non sapendo se l’idea che qualcuno come Silente potesse essere confuso, fosse confortante o semplicemente allarmante.

“Forse il resto della stagione sarà più illuminante” disse lui, sorridendole e congedandosi da lei. 

Ginny sentì un brivido correrle lungo la schiena. In qualche modo quella possibilità sembrava preoccupante quanto la confusione. 

* * *

Harry arrivò tre settimane dopo do loro. Per molti versi fu come l’abbattersi di una tempesta a lungo accumulatasi all’orizzonte, la sua rabbia sfrecciò nell’oscurità mentre la sua voce scuoteva le mura di Grimmauld Place. Invidiava i suoi scatti d’ira, solo un poco. S’infuriò, sbattè le porte e pretese le risposte che lei voleva da tutto il tempo. 

Pensò che forse ne avrebbe finalmente ricevuta qualcuna quando si sedettero in cucina ad ascoltare Sirius spiegare perché tutti credevano che Harry fosse un bugiardo. Osservò l’espressione di Harry farsi dura come la pietra e ricordò cosa significasse avere l’intero mondo che ti volta le spalle. 

Mamma la mandò a letto, tuttavia, quando Sirius aveva finalmente cominciato a parlare dell’Ordine e dei suoi segreti. La mandò a letto come una bambina. Non se ne andò senza protestare, trascinando i piedi, infuriata. 

Non seppe se prenderlo come un complimento o un’offesa il fatto che la mamma prendesse la precauzione si chiuderla dentro la sua stanza. Chiaramente sapeva che origliavano. Almeno ebbe il buon senso di non dirle ‘È per il tuo bene’.

Ginny sedette nella sua stanza fantasticando sul prendere una scopa e uscire dalla finestra senza preoccuparsi di tornare indietro. 

“Dimmelo” disse Ginny nel buio, più tardi quella notte, sapendo che Hermione non stava realmente dormento. 

Ci fu una pausa. “Dirti cosa?”

Ginny si voltò per guardarla. “Tutto”

Finse di non vedere l’incertezza sul volto di Hermione, il momento del dubbio. Non si permise di chiedersi se riguardasse la sua tenera età (da che pulpito), o se fosse qualcosa di completamente diverso. Tipo la sfiducia. 

“Ti prego” incalzò, odiandosi per il tono di supplica nella sua voce. 

Hermione cominciò a sussurrare.

* * *

Harry si ambientò in fretta con il resto di loro, alternando infruttuosi tentativi di spiare l’Ordine e ancor più infruttuosi tentativi di evitarsi le pulizie. Con quasi tutte le camere da letto fatte, passarono a una strana sfilza di stanze all’apparenza inutili. Ginny ipotizzò che i ricchi dovessero pur inventarsi qualcosa da fare con tutto quello spazio extra. 

Era passata solo un’ora o giù di lì dopo pranzo quando la mamma fu chiamata a parlare con qualcuno dell’Ordine. Non era andata da nemmeno un minuto che Fred e George si smaterializzarono nella loro stanza con un debole ‘pop’, lasciando Ginny, Ron, Hermione ed Harry a pulire lo squallido solario per conto loro. 

“Coglioni”, borbottò Ron.

Ginny grugnì in assenso, pensando che si sarebbe davvero divertita una volta diciassettenne e in grado di usare la magia tutte le volte che le pareva. 

Ron aprì con noncuranza il cassetto di una sgangherata scrivania.

Hermione gli schiaffeggiò il braccio. “Attento! Non abbiamo idea di cosa ci potrebbe esserci lì dentro!”

“Già” disse Ron con tono sprezzante prendendo una penna stilografica vecchio stile. “Davvero malvagia questa vecchia robaccia.”

La penna esplose in faccia a Ron.

Lui ululò in protesta mentre l’inchiostro viscoso gli scivolava sugli occhi. Ginny ed Harry balzarono in piedi, ma Hermione era già lì, a pulirgli il volto con un fazzoletto nonostante lo stesse sgridando. Ginny era combattuta tra il mettersi a ridere e l’essere preoccupata, nascondendo senza successo uno sbuffo divertito nella manica quando fu chiaro che Ron non era in un imminente pericolo, se non quello di sembrare ridicolo. 

“Dovremmo portarlo di sotto” disse Hermione, tirando in piedi Ron e spingendolo verso la porta.

Harry guardò incerto Ginny. “Io so qui” disse, probabilmente decidendo che lasciarla da sola in una stanza piena di oggetti che potenzialmente potevano esploderti in faccia non fosse una grande idea. Tuttavia, il suo tono rendeva abbastanza chiaro il fatto che avrebbe preferito non trovarsi lì, con lei. Certo, lei stessa avrebbe preferito trovarsi in qualunque altro posto al mondo in quel momento, quindi suppose di non poterla prendere davvero sul personale. 

Hermione annuì, guidando Ron in corridoio, gli echi dei suoi gemiti li seguirono al piano di sotto. 

Ginny si sedette di nuovo, lanciando un cuscino ricamato dritto nel cestino. “La sicurezza è nel numero”, abbaiò imitando Malocchio. 

Harry sobbalzò, guardandola con sorpresa. 

“Cosa?” chiese lei, scrollandosi una ragnatela dalle dita. Quel posto era disgustoso.

“Sembravi lui.”

Ginny scrollò le spalle. “Dovresti sentire la mia madama Pince.”

Lui le rivolse uno strano sguardo, come se fosse divertito contro il suo volere. Ginny alzò gli occhi al cielo e tornò alle pulizie. 

Lavorarono in silenzio fatta eccezione per qualche sporadico “Bleah” o il suono di qualcosa che s’infrangeva nel cestino dell’immondizia. Kreacher gironzolò lì attorno abbastanza a lungo da permettergli di inchiodare Ginny con i suoi piccoli occhi lucenti e mormorare qualcosa a proposito della più giovane bastarda dei traditori del loro sangue. 

Ginny lo fulminò con il suo miglior sguardo glaciale, in perfetto stile Theodora. 

Una volta che se ne fu andato, tirò fuori da un armadio in decomposizione una piccola e polverosa scatola. Era davvero una cosetta orribile, l’esterno così rovinato e arrugginito che non seppe nemmeno dire se si trattasse di legno o metallo. Sembrava sbagliato, nelle sue mani. Quando fece per metterlo da parte, il suo pollice sfiorò l’apertura e i cardini del coperchio si aprirono senza un suono. 

Ginny tracciò i bordi sbeccati con un dito, gli occhi incollati al ricco velluto color rosso che foderava l’interno. Sbattè le palpebre lentamente, si sedette sulle caviglie e un mormorio si levò nella sua mente. Era bellissimo, soffice e così confortevole che il suo corpo si rilassò e si sentì le membra molli, come senz’ossa. 

Era tutto così bello. Lo spazio tra i pensieri di ampliava, diventava più soffice e…

Il coperchio si chiuse di scatto e Ginny si svegliò di soprassalto.

Harry le stava accanto, una mano sulla scatola. “Ginny?” chiese lui, osservandola attentamente. “Stai bene?”

Lei deglutì il gusto amaro che le si era formato in gola. 

“Ti eri come… incantata.”

Lei annuì. “Credo che sia maledetta” disse, odiando il leggero tremolio nella sua voce. Lasciò che Harry le prendesse la scatola, mettendola da parte per farla sistemare da qualcun altro. Le venne in mente di quanto fosse stato stupido restare lì senza Fred e George, dal momento che nessuno dei due poteva nemmeno usare la bacchetta. 

Si ripulì le mani sudate nei jeans, come se volesse cancellare la sensazione del metallo arrugginito. Non era stato tanto terribile lo stato di trance in sé, quando il fatto che sembrasse familiare, come un fantasma che tornava a far visita alla sua tomba. Era una cosa alla quale non si era permessa di riflettere troppo, il fatto che, essendo Voldemort di nuovo in vita, significasse che anche Tom lo era. 

Il suo cuore perse un battito. 

Harry era tornato al lavoro, ma continuava a lanciarle occhiate preoccupate da sopra la spalla. Si costrinse a muoversi verso un altro scaffale, rovesciando accuratamente una collezione di bottoni e ditali polverosi in una borsa. 

“Giocherai ancora a Quidditch quest’anno?” chiese Harry dopo un po’, in un chiaro tentativo di alleggerire l’atmosfera.

Ginny annuì, grata per il cambio di argomento. “Ci puoi scommettere.”

“Immagino che avremo entrambi nuovi capitani, quest’anno.” Oliver Wood e Marcus Flint si erano diplomati alla fine dell’anno scorso.

Ginny poteva solo pregare che toccasse a Bletchley, perché se la spilla fosse andata a Draco non avrebbe avuto una sola possibilità al mondo di tornare in squadra.

Gemette, nascondendo la faccia nelle mani. Harry poteva anche essere un favorito indipendentemente da chi fosse il capitano della squadra di Grifondoro, ma Ginny sapeva bene quanto fosse andata vicina a non farcela, la prima volta. 

“Cosa?” chiese Harry.

Lei scosse il capo. “Non sono stata in grado di fare un solo esercizio quest’estate. Le selezioni saranno un disastro.”

“Sei il capo cannoniere della tua squadra” replicò Harry. “Sarebbe da pazzi non prenderti.”

Ginny si voltò, guardando Harry con sorpresa.

Lui scrollò le spalle. “Wood faceva statistiche su chiunque. Ce le faceva memorizzare.”

“Ovviamente” rispose con un ghigno, ricordando tutte le storie che i gemelli erano soliti raccontare sull’ossessivo portiere di Grifondoro.

Harry sorrise. “Beh, sai cosa avrebbe detto Malocchio.”

Ginny pensava di saperlo. “Conosci il tuo nemico?”

Il sorriso di Harry vacillò, le sue sopracciglia si corrugarono. “Qualcosa del genere.”

“Ginny?” la voce della mamma arrivò dalle scale.

Il suo cuore perse un battito. “Oh no.”

“Che c’è?” chiese Harry guardandosi attorno a caccia di un altro oggetto oscuro.

Lei gettò nel cestino una tovaglietta da tè misteriosamente macchiata. “Mamma” chiarì Ginny, osservando l’armadio chiedendosi se sarebbe stato grande abbastanza da nasconderla o se avrebbe potuto farla svanire lontano abbastanza. “Sta cercando di darmi lezioni di lavoro a maglia da tutta l’estate.”

“Lavoro a maglia?” le fece eco Harry, l’espressione tra il divertito e il confuso. 

Annuì, l’orrore che le zampillava nel petto. 

La mamma apparve sulla porta, le mani sui fianchi e la disapprovazione negli occhi. “Eccoti qui, Ginny. Dovevi venire ad aiutarmi mezz’ora fa.”

Qualcosa per la quale Ginny si era impegnata duramente per dimenticare, ancora una volta. Non era sicura che avrebbe potuto scamparla questa volta. Dov’era una penna esplosiva quando te ne serviva una?

“Scusi, signora Weasley” intervenne Harry, gli occhi spalancati. “È colpa mia. Ho pensato che sarebbe stato più sicuro se nessuno di noi avesse pulito da solo.” Scoccò uno sguardo a Ginny. “Sa, la sicurezza è nel numero.”

L’espressione della mamma si addolcì e Ginny capì che Harry era più che consapevole del suo effetto sulla mamma e che era ben lungi dal non approfittarne. “Oh! Ma certo caro. Una precauzione davvero saggia. Ginny può aiutarmi più tardi.”

Quindi sorrise raggiante a Ginny, apparentemente per la sua premeditazione nel tenere Harry al sicuro. 

Tutto sommato, fu piuttosto brillante. 

Tuttavia, Harry sembrava un pochino troppo compiaciuto di se stesso una volta che la mamma se ne andò, così Ginny non potè evitarlo. Portando una mano al petto, disse “Mio eroe” con voce sognante. 

Harry sbattè le palpebre, sembrando seriamente turbato, finché Ginny non riuscì più a trattenersi e cominciò a ridere.

“Cosa c’è di così divertente?” chiese Ron ricomparendo sulla porta assieme ad Hermione. Aveva ancora una mano sull’occhio e la pelle attorno era rossa come se fosse stata strofinata da poco. 

“Niente” rispose Ginny liquidandolo con un cenno di mano. 

Ron si accigliò, sedendosi in una poltrona mangiata dalle tarme. “Odio davvero questa dannata casa.”

Ginny si voltò verso l’armadio. “Vigilanza costante!” abbaiò.

Dietro di lei, sentì Harry ridacchiare. 

* * *

Il resto dell’estate trascorse con una noiosa routine mentre conquistavano la casa una polverosa, pericolosa stanza alla volta. A giudicare dall’altrettante pericolose esplosioni e dagli odori provenienti dalla camera dei gemelli, anche i loro progetti segreti stavano progredendo. 

Ben presto arrivarono le loro lettere e fu tempo di preparare i bagagli per la scuola. 

Ginny decise di pulire il proprio baule completamente, qualcosa che non aveva fatto sin dal primo anno a Hogwarts. Pulire era diventata apparentemente una sua seconda natura dopo tutte quelle settimane. Mamma ne sarebbe stata fiera. Anche se Ginny non era ancora stata intrappolata in una singola lezione di lavoro a maglia. 

Tonks la stava aiutando, in parte per divertire Ginny con le sue facce buffe preferite, ma anche perché aveva appena rotto qualcosa in cucina e la mamma le aveva chiesto non troppo gentilmente di andare ovunque tranne che accanto a lei. Era bello sapere che Ginny non era l’unica che la mamma trovasse carente in faccende domestiche. 

Scavare nel suo baule di scuola era come riportare alla luce la sua vita ad Hogwarts. Vestiti, libri, ingredienti per le pozioni, piume e pergamene erano sulla superficie. Al di sotto vi era la sua attrezzatura da Quidditch. Ginny la ripiegò accuratamente e la mise da parte con una dolorosa fitta di desiderio. Fu solo quando raggiunse il fondo del baule che trovò la sciarpa di Grifondoro che sua mamma le aveva fatto il suo primo anno. Tirandola fuori, Ginny vide una striscia nera d’inchiostro attraversare le strisce gialle e rosse.

Tonks prese la sciarpa dalle sue mani, aspirando la macchia d’inchiostro con alcuni colpi di bacchetta. Cercò di restituirgliela, ma Ginny scosse il capo. 

“Mettila tra le cose di Hermione” disse. Non è che l’avrebbe mai indossata.

Tonks la ripose nel bagaglio maniacalmente ordinato di Hermione senza un commento. 

Ginny l’osservò mentre ripuliva il fondo del suo baule e cominciava a rimetterci dentro le sue cose.

“Mia mamma era in Serpeverde” osservò Tonks. 

Ginny attese il biasimo, la motivazione di quelle parole, ma Tonks l’osservò semplicemente, quella verità fluttuava tra loro come i calzini spaiati che attualmente era più torturati che piegati, sotto la guida della bacchetta di Tonks. 

“Davvero?” chiese Ginny, ficcando la sua sciarpa verde e i suoi guanti nel calderone. 

“Davvero.” Tonks agitò la bacchetta e i calzini volarono nel suo baule. 

“Era delusa?” chiese, incespicando nelle parole nel tentativo tardivo di essere delicata. 

“Che sia stata smistata in Tassofrasso?” finì Tonks per lei. 

Ginny non riuscì a nascondere il suo sussulto. “Sì.”

Tonks scosse il capo. “Perché avrebbe dovuto? È solo una casa.” Strizzando gli occhi in concentrazione, allungò i suoi capelli, facendoli diventare color argento con riflessi verdi. 

Se solo fosse stato così semplice. 

* * *

A King’s Cross, si strinsero tutti insieme sul treno, la mamma si prese un po’ più tempo per baciarli e abbracciarli tutti, ripetutamente. Una volta partiti i gemelli se ne andarono immediatamente con Lee e Ron ed Hermione si diressero al loro scompartimento speciale per Prefetti con uno sguardo di scuse rivolto ad Harry. 

Harry sembrava che stesse cercando di non farci caso, ma appariva comunque un po’ perso senza gli altri due. In aggiunta, gli altri studenti lo fissavano apertamente, sussurravano al loro passaggio, e Ginny esitò nel prendere la propria strada. Non sapeva perché se ne preoccupasse, non è che Harry l’avrebbe seguita nel compartimento dei Serpeverde, anche se gliel’avesse chiesto. 

Harry individuò un altro ragazzo del suo anno e sembrò sollevato quando alzò la mano in segno di  saluto, sinceramente contento di vederlo. 

“Vado…” disse lui, indicando lungo il corridoio. 

Ginny sorrise. “Certo. Vado anche io” disse, ed accennò col capo nella direzione opposta. 

“Va bene allora”, disse lui. “Ci vediamo in giro.”

Sapevano entrambi che probabilmente non sarebbe successo.

Ginny trascinò il suo baule oltre un paio di scompartimenti di Corvonero, ma non notò Luna tra loro, quindi non si fermò a salutare. Era quasi in testa al treno quando cominciò a vedere volti più familiari di persone appartenenti alla sua casa e di tanto in tanto accennava un saluto. Superò la cricca di Draco in silenzio. 

Vide Bletchley abbastanza a lungo per cogliere il luccichio d’oro della spilla da Capitano sul suo petto ed emise un gigantesco sospiro di sollievo. 

Più avanti, Smita apparve da uno scompartimento. “Ginny.”

“Hey” la salutò lei, trascinandola in un abbraccio. “Come stai?”

“Bene” rispose, scostandosi e lanciandole uno sguardo indagatore. “Curiosa, più che altro.”

“Curiosa?” chiese Ginny sollevando il suo baule sulla cappelliera. 

“Già. Riguardo qualunque cosa tu abbia davvero fatto quest’estate.”

Ginny si bloccò, perdendo quasi la presa sul baule. Smita le si avvicinò, aiutandola a sistemarlo. Ginny le aveva mandato la lettera piena di bugie perché non poteva raccontarle la verità. Se non avesse scritto niente, Smita si sarebbe impensierita. Sembrava che non si sarebbe dovuta preoccupare.

“Era così ovvio, eh?”

“Beh” disse Smita arricciando le labbra, e in qualche modo sembrò che il tempo non fosse passato dall’ultima volta che si erano viste. “Non sei mai stata così allegra.”

Ginny rise. “Ne sei proprio sicura?”

Smita annuì, gli occhi le brillavano di gioia. “Decisamente.”

La porta dello scompartimento si aprì. “Ehi. Voi signorine passerete l’intero viaggio lì fuori a spettegolare?”

Ginny si voltò per vedere Tobias sporgersi nel corridoio. “Perché, ti senti lasciato fuori? Sappiamo quanto adori i pettegolezzi.”

Lui la guardò male, ma lei le sorrise come se niente fosse ed era una più che appropriata accoglienza dopo un’estate lontani.

“Arriviamo subito” disse Smita. 

Tobias sollevò le sopracciglia e scomparve di nuovo dentro. 

“Possiamo parlare della tua misteriosa estate più tardi” le disse Smita.

Ginny annuì, sentendosi sollevata senza sapere perché.

Dentro lo scompartimento c’era un’ammasso di ragazzi del quarto e del terzo anno nel bel mezzo di un’accesa partita a sparaschiocco. Si stavano scambiando più insulti che carte, non rozzi come avrebbero potuto essere quelli dei suoi fratelli, ma piuttosto inoculati e taglienti. Ginny pensò che la vera abilità, lì, stava nel lanciare l’insulto più sottile, piuttosto che nel girare una carta. 

Nessuno di loro alzò gli occhi dalla partita, così Ginny non si preoccupò di salutare, ma invece si sedette con Smita accanto ad alcune altre ragazze. 

“Ciao, Ginny” disse una del terzo anno. 

Ginny sorrise. “Hey Caroline. Passato una bella estate?”

Caroline fece una smorfia prima di raddrizzarsi come se si aspettasse automaticamente un rimprovero. “È andata bene, suppongo.”

La ragazza seduta accanto a lei le toccò un ginocchio, in conforto. 

“Tori ha ricevuto un nuovo strumento, però” disse Caroline, illuminandosi e voltandosi verso la sua compagna. 

Astoria (apparentemente solo Caroline poteva farla franca nel chiamarla Tori) lanciò uno sguardo ai ragazzi, ma non le stavano ancora degnando di attenzioni. 

A notte fonda, quando il dormitorio di Serpeverde era silenzioso, qualche volta potevi sentire le calde vibrazioni di un violoncello venire da chissà dove, come la ricca sinfonia di una voce umana nell’oscurità. Ginny aveva sentito le voci a proposito del talento musicale di Astoria, anche se raramente veniva condiviso al di fuori della sicurezza del dormitorio. 

“Che tipo di strumento?” chiese Smita, avvicinandosi e abbassando la voce. 

Astoria aprì una piccola custodia, non più grande di una scatola per il pranzo, lasciandole guardare all’interno. Ginny riuscì a distinguere il bagliore dorato di un arco, le corde tese tra lo spazio vuoto. 

“Un’arpa” disse, gli occhi che le luccicavano. “Mio padre me l’ha portata dal continente.”

“Davvero?” chiese Smita. “Stava viaggiando?”

La pelle delicata di Astoria arrossì delicatamente. “Per lavoro.”

Per Ginny c’era abbastanza esitazione da sapere che stava mentendo, ma non abbastanza da sapere il perché.

Ginny sorrise. “Non vedo l’ora di sentirti suonarla.”

“Oh, no” rispose Astoria scuotendo la testa. “Sto ancora imparando.”

Passarono a più innocui argomenti, Ginny spiattellò le sue storie di lunghi pomeriggi passati su una scopa nel frutteto. Smita lasciò correre le bugie, mentre Caroline sembrava ricolma di invidia. 

Forse si sarebbe presentata alle selezioni, quell’anno, ma Ginny ne dubitava. Apparentemente sembrava che la mamma di Caroline ritenesse che il Quidditch non fosse appropriato per le signorine. Ginny ricordava ancora quando Caroline era al primo anno, gli occhi spalancati di desiderio mentre la fissava, la prima ragazza nella squadra di Serpeverde da oltre una decade. Era un triste promemoria di quanto veloci le cose possono cambiare. 

Dall’altra parte dello scompartimento, la partita a carte dei ragazzi finì in una pioggia di scintille, denaro, beni e insulti passati di mano in mano. 

Tobias si lasciò cadere tra Caroline e Astoria, passando le braccia sulle loro spalle. “Di cosa stiamo parlando?” chiese, chiaramente eccitato dalla vittoria. 

Astoria gli rivolse uno sguardo glaciale. “Di nuove maledizioni che abbiamo imparato durante l’estate.”

Tobias rise, rimuovendo attentamente la mano dalla spalla di Astoria un dito alla volta. “Afferrato il concetto.”

“Stupido idiota” mormorò Ginny divertita. 

“Su, Ginevra” disse Tobias. “Non essere gelosa. Ti permetterei di maledirmi in qualsiasi momento.”

Le ragazze alzarono tutte gli occhi al cielo. 

E, con ciò, si sentì a casa. 

* * *

Quell’anno il Cappello Parlante di diede dentro. Ginny non credeva di averlo mai sentito cantare una canzone così lunga prima. Quelli del primo anno si muovevano nervosamente mentre lo stomaco di tutti gli altri borbottava. 

“Va avanti” si lamentò Tobias. 

Da parte sua, Ginny era più interessata in quello che il Cappello avesse da dire di quanto lo fosse mai stata. (Era possibile che non l’avesse ancora del tutto perdonato, per quanto infantile potesse suonare.) Principalmente perché il Capello sembrava muoversi in un nuovo territorio quell’anno. 

 

La storia v'insegna, su, non ripetete

l'errore commesso nel nostro passato.

Adesso su Hogwarts sinistro è calato

un grande pericolo, un cupo nemico

l'assedia da fuori, pericolo antico.

 

Uniti e compatti resister dobbiamo

se il crollo di Hogwarts veder non vogliamo.

Io qui ve l'ho detto, avvertiti vi ho...

e lo Smistamento or comincerò.

 

Ginny si guardò intorno, chiedendosi come gli altri studenti avrebbero preso quel piuttosto inaspettato avvertimento, ma la maggior parte di loro avevano gli occhi vitrei o parlottavano con gli amici che non avevano visto per lunghi mesi. Quell’avvertimento di un grande pericolo sembrava essergli scivolato addosso completamente. Immaginò di non poterli davvero biasimare.

Finalmente l’ultimo studente fu smistato e Tobias si sfregò le mani con trepidazione per l’imminente festino. Avrebbe dovuto aspettare ancora a lungo, tuttavia, perché la nuova professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure si fece strada verso il podio, lo sguardo divertito su Silente. 

“Oh, andiamo” gemette Tobias.

Vestiva completamente di rosa e la sua voce era esattamente come ci si sarebbe aspettati che fosse da una vestita completamente di rosa: tutto risatine e squittii e parlava loro come se fossero dei poppanti. Blaterò qualcosa a proposito di cambiamento, potatura e miglioramento e dopo un po’ Ginny cominciò a osservare la reazione si Silente, ma lui era sereno come sempre, rimbalzando un po’ sui talloni come se stesse canticchiando tra sé e sé.

La Umbridge alla fine si allontanò, attendendo speranzosa un applauso. Ci fu un battimani gentile dal tavolo di Tassofrasso e Tobias trasalì a quel suono come se venisse risvegliato da uno stato di trance. 

“E quello cos’era?” mormorò Smita. 

Ginny scosse il capo, confusa quanto lei. 

Il cibo apparve e ben presto dimenticarono il folle discorso di Dolores Umbridge.

Piacevolmente sazi e sfoggiando dieci nuovi ragazzini del primo anno, i Serpeverde si diressero ai loro dormitori. Passò accanto a Draco e i suoi scagnozzi, abbastanza vicino da vederli con le teste chine gli uni sugli agli altri e i loro occhi ostili scintillare occasionalmente nella sua direzione. Ginny sapeva che i giorni del tormento di Draco erano finiti, ma questo non significava che non avrebbe dovuto guardarsi le spalle. 

Rivolse loro uno sguardo truce, rifiutandosi di apparire nervosa. Era tutto quello che poteva fare al momento. 

Quando furono vicini ai dormitori, Ginny sentì la tensione assalirle il collo e i suoi passi sembrarono farsi sempre più lenti. Si fece coraggio, entrando nella sala comune. 

Sembrava esattamente la stessa. 

“Ginny? chiese Smita, voltandosi per osservarla.

Non era sicura di cosa si aspettasse, striscioni giganti e marchi oscuri, gesti segreti con le mani e riunioni sussurrate. Davvero, avrebbe potuto essere più ridicola?

Ginny scosse il capo e seguì Smita nella loro stanza. 

* * *

Ginny si svegliava ogni mattina e controllava la bacheca nella sala comune. Non ci furono avvisi di selezioni la prima settimana. Oltre ad essersi detti ‘ciao’ una volta, quando per poco non si scontrarono in corridoio, Ginny non aveva parlato con Bletchley. La stava facendo impazzire.

Scendeva al campo d’allenamento ogni giorno dopo le lezioni ed eseguiva una serie di attenti esercizi sulla sua scopa, cercando di togliersi di dosso la ruggine di un lungo anno e un’estate senza Quidditch. Si spronava finché il suo stomaco non ringhiava in protesta e scivolava in Sala Grande giusto in tempo per non perdersi completamente la cena. 

La sera cercava di non cedere al sonno, esausta, e si trascinava attraverso le montagne di compiti che i professori accumulavano allegramente sulle loro spalle. 

Vicino la fine della prima settimana, Tobias le diede un colpetto nelle costole. “Ho sentito che Potter ha perso le staffe a lezione con la Umbridge.”

Ginny strizzò gli occhi sul suo tema sugli Incantesimi di Scambio, non molto incline a volersi distrarre. “Cosa?”

Lui la colpì di nuovo, chiaramente in cerca di un pubblico più attento. “Ha cominciato a urlare a proposito del ritorno Signore Oscuro e del suo assassinio di Diggory.”

Ginny alzò gli occhi su Tobias. “Davvero?”

Ricordava lo sguardo di Harry quando Lupin e gli altri avevano spiegato perché tutti pensassero che lui e Silente fossero dei ciarlatani. Non era davvero sorpresa che avesse perso la pazienza. Solo che non era sicura che quella fosse la tattica migliore. 

“Pazzo”, commentò Tobias scuotendo il capo. 

“Lei che cosa ha fatto?” chiese Smita. 

Lui agitò la mano con noncuranza. “Oh, gli ha dato un miliardo di ore di punizione, a scrivere delle frasi apparentemente.”

Risero, sapendo che non doveva essere divertente, ma almeno non sarebbe andato nella Foresta Proibita o non avrebbe pulito gabinetti. 

“Ma ho sentito che anche lei ha perso la pazienza” aggiunse Tobias, sembrando pensieroso. “Mi sarebbe piaciuto vederlo.”

Ginny fece un vago suono di assenso. Aveva interessi più pressanti di una professoressa in rosa e delle punizioni di Harry Potter. 

* * *

Finalmente sabato l’annuncio comparve sulla bacheca. Le selezioni di Quidditch si sarebbero tenute mercoledì pomeriggio. 

Quando arrivò il momento, Ginny si allineò con gli altri aspiranti per la squadra di Quidditch, cercando di ignorare quanto fossero tutti più alti di lei. Bletchley le rivolse uno strano sguardo quando uscì sul campo, ma lei non gli degnò alcuna attenzione, troppo concentrata sull’obiettivo, rifiutandosi di farsi intimidire. 

Bletchley cominciò mettendo le poche persone in lizza come Portieri di riserva davanti agli anelli. “Weasley”, la chiamò. 

“Si?” rispose lei facendo un passo in avanti, cercando di non far vedere che l’aveva spaventata. 

Lui rivolse il capo verso gli anelli dove gli aspiranti portieri stavano aspettando. “Dai loro cinque tiri ciascuno.”

Lei annuì, ignorando il mormorio attorno a lei e montò in sella alla sua scopa. Su in aria, tutto era più semplice. Lanciò ad ognuno dei Portieri un primo tiro di prova, giusto per sciogliere la loro tensione, incrementando la difficolta con ogni tentativo. Alcuni si fermarono al suo secondo lancio e solo uno al terzo. Nessuno di loro ebbe nemmeno una possibilità al quarto o al quinto. 

Quando ebbe finito, un velo di sudore le correva lungo la schiena, e tutto quello che chiedeva era di più. 

Bletchley li richiamò a terra, prendendo lui stesso la posizione davanti agli anelli. Concesse a ognuno degli aspiranti Cacciatori cinque tiri, parandone la maggior parte facilmente. Alcune volte dovette allungarsi completamente, arrivando a malapena a deviare la Pluffa. Uno di quelli fu tirato da Warrington, ma Ginny aveva sempre saputo che era bravo, quando era adeguatamente concentrato. Alcuni altri erano una sorpresa e Ginny fece del proprio meglio per tenerli d’occhio. 

Quando giunse il suo turno, Ginny non si preoccupò di tirare facile, variando l’angolazione, la direzione e la velocità ad ogni tentativo. Bletchley doveva essere esausto ormai, dopo aver parato già dieci serie, il che probabilmente spiegava i due gol che riuscì a fargli passare. 

Alcuni degli altri le rivolsero sguardi cattivi, parlando dietro le mani mentre aspettavano che le altre selezioni terminassero. 

I Battitori erano prevedibilmente un gruppo di bruti con vari livelli di goffaggine. Purtroppo non vide nessuno con anche solo un vago senso di grazia e intelligenza che potevano essere una grande risorsa per quel ruolo. Tuttavia ce n’erano alcuni che promettevano bene, anche se era abbastanza chiaro che Bletchley avrebbe scelto Crabbe e Goyle. C’erano alcuni benefici nell’essere amici di Draco, dopotutto. 

Ginny si trattenne attentamente dal tradire alcuna emozione quando capì che non ci sarebbero state selezioni per il ruolo di Cercatore. Draco e quelle dannate scope. 

Bletchley si avvicinò a Ginny alla fine delle selezioni. “Quindi cosa ne pensi, Sei?”

Ripensò ai Portieri contro i quali aveva tirato. Nessuno di loro era stato eccezionale, alcuni non erano nemmeno riusciti a parare una singola Pluffa. Non che importasse, finché avevano Bletchley. Si strinse nelle spalle. “Martin e Gilbert potrebbero diventare bravi in alcuni anni.”

Bletchley la guardò come se fosse stupida. “Per gli altri due Cacciatori, idiota.”

Lei lo guardò sorpresa, ma non per molto, forzandosi a rispondere alla domanda nonostante una pere di lei stesse saltando di gioia. Altri due Cacciatori.

“Thompson” disse, la decisione perfettamente chiara per lei. Era di due anni più vecchio di Ginny ed era stato nelle riserve della squadra per un po’. Non era veloce, non avrebbe mai giocato a livello professionale, ma aveva la testa ben salda sulle spalle e, cosa ancora più importante, non sembrava avercela con Ginny per il fatto che apparentemente aveva l’attenzione di Bletchley. 

Lui annuì, sembrando pensieroso. “E Warrington?”

“Già.”

Era ancora un po’ sorpresa per il fatto che lui avesse seguito i suoi consigli quando la rosa della squadra comparve sulla bacheca in sala comune. Adocchiando la lista, avrebbe sperato per un Cercatore migliore e forse un paio di Battitori più svegli, ma quello era e la squadra aveva una sorta di promettente equilibrio. 

Forse quello sarebbe stato il loro anno. 

Ginny sorrise. 

* * *

Tutto sembrava un po’ più fattibile, ora che il suo destino nel Quidditch era stato deciso. Era stata la sua àncora, una volta, ed era grata di averla di nuovo. Se ci fossero state altri ragioni per cancellare il Quidditch quell’anno, probabilmente Ginny sarebbe impazzita. 

Stava per uscire per andare agli allenamenti quando Hermione le fece cenno di avvicinarsi. I suoi capelli erano scompigliati e aveva il fiato corto come se avesse corso per tutto il castello. 

“Hermione?” chiese Ginny, sorpresa dal luccichio nei suoi occhi, quello che di solito riservava a Ron quando lo riprendeva. 

“Ci sarà una riunione alla Testa di Porco, il prossimo sabato” disse in un sussurro con gli occhi che dardeggiavano avanti e indietro per il corridoio. 

La Testa di Porco? Che cos’era, una sfida? “Che tipo di riunione?”

La voce di Hermione si abbassò ancora di più. “Vogliamo cominciare un club di difesa.”

Le sopracciglia di Ginny schizzarono in alto. 

“Beh,” disse Hermione stizzita, “sappiamo tutti che le lezioni delle Umbridge sono inutili.”

“Vero” fu costretta ad ammettere Ginny. Ma non era sicura che sobbarcarsi di lavoro in più nel loro tempo libero fosse davvero la risposta. Era proprio da Hermione metter su un club accademico in barba a un’insegnante incompetente. Avrebbe dovuto preoccuparsi dei suoi G.U.F.O.

Hermione si sporse più vicina a Ginny, l’espressione dura. “Sai perché è importante.”

Ginny strinse le labbra, sapendo esattamente a cosa Hermione si stesse riferendo. L’unico problema era che non era sicura di sapere perché fosse importante. Tutto quello che sapeva era quello che Hermione aveva condiviso una notte, vaghi riferimenti a un’arma segreta e turni di protezione dell’Ordine nei riguardi di Harry. Un Signore Oscuro che si supponeva fosse tornato dalla morte, ma completamente assente. 

Le cose a Hogwarts erano come dovevano essere e quello non significava qualcosa?

“Ci sarai, quindi?” chiese Hermione, il suo interesse già rivolto a cercare di attirare silenziosamente l’attenzione di una ragazza del quinto anno di Tassofrasso.

Non aspettò di sentire la risposta di Ginny. Lei la guardò andare via, mordendosi un labbro prima di riscuotersi. Non aveva tempo per rimuginare sulle stranezze di Hermione, al momento. 

C’erano problemi più importanti in vista, come essere in ritardo per il Quidditch. 

* * *

Ginny sostanzialmente ignorò il Decreto Didattico numero 23 quando comparve in giro per il castello. Cosa gliene importava dell’Inquisitore Supremo?

Forse se ci avesse prestato un po’ più di attenzione, non si sarebbe sorpresa di vedere la Umbridge piombare nella classe della professoressa Burbage durante la loro lezione di Babbanologia. (Il sistema bancario Babbano e la capacità di far apparire denaro dal nulla e di farlo sparire dalle tasche delle persone. Era convinta che i Babbani non credessero nella magia.)

La Umbridge arrivò tardi, e già questo era fastidioso, ma lo fu ancor di più dal momento che la Burbage fece del proprio meglio per fingere che la Umbridge non fosse nemmeno lì, la schiena rigida e la voce acuta. 

Tuttavia la Umbridge non si fece scoraggiare, schiarendosi la voce con quel fastidioso piccolo ahem che Ginny si sarebbe divertita a perfezionare più tardi. 

“Come Inquisitore Supremo” disse la Umbridge interrompendo la Burbage, la sua voce mielosa in un qualche modo in grado di soffocare l’altra, “sto valutando tutti i professori.” Sorrise. “Dobbiamo essere certi che i nostri standard educativi siano rispettati.”

La Burbage trattenne il respiro e annuì. “Ho ricevuto il suo appunto, Dolores. Ora posso continuare?”

Il sorriso della Umbridge scivolò via e chinò la testa sulla tavoletta per appunti nelle sue mani. Scrisse una nota di un qualche tipo che sembrò prenderle un tempo lunghissimo. Solo dopo che furono passati un paio di minuti, durante i quali gli studenti si guardarono attorno meravigliati dalla piega degli eventi, la Umbridge finalmente annuì e disse, “Proceda.”

Lo sguardo della Burbage passò sulla classe e gli studenti fecero nuovamente silenzio. Non era come la McGonagall sotto molti aspetti, ma piaceva a tutti abbastanza da far prendere loro le sue parti in quella che sembrava essere una sorta di silenziosa battaglia. 

“Ora” disse la Burbage, “dove eravamo rimasti?”

Adesso Ginny riusciva a vedere che, sotto l’insolita rigidità, stava tremando. 

Tobias alzò la mano, un evento abbastanza eccezionale. Ma aveva sempre avuto un debole per la Burbage. “Stava parlando delle macchine che i Babbani usano per tenerci i loro soldi.” Diede a Smita una gomitata esagerata, portando la mano a fianco della bocca. “Sembra più sicuro che avere a che fare con i Goblin.” 

La classe ridacchiò nervosamente, ma il fatto che Tobias facesse lo stupido servì ad alleggerire la tensione. 

La Burbage sorrise, un po’ del suo tipico calore e buon umore apparve nuovamente. “Grazie, Tobias. Tuttavia dobbiamo ricordarci che, come i Babbani, anche i Goblin hanno la loro cultura che spesso viene incompresa dai maghi.”

Il suono del raspare di piuma si levò insolitamente forte dal fondo della stanza. Ginny guardò alle sue spalle per vedere la Umbridge scuotere il capo e prendere furiosamente nota. 

Tuttavia, dopo aver recuperato il suo equilibrio, la Burbage sembrava rifiutarsi di lasciare che la Umbridge la infastidisse di nuovo. Proseguì, continuando ad ignorare completamente l’intrusione, e gli studenti fecero del loro meglio per seguire il suo esempio. 

“Va bene, ragazzi. Bel lavoro oggi.” disse la Burbage alla fine dell’ora. “Ricordatevi che mi dovete dieci centimetri di pergamena sul credito Babbano e le pratiche di prestito per la prossima lezione!” 

Con rumore crescente, gli studenti raccolsero le proprie cose, girando alla larga dalla Umbridge. Lei si avvicinò alla Burbage e insieme scomparvero nell’ufficio a fianco della classe. 

Ginny pensò che fosse finita lì, finché non sentì la voce della Burbage alzarsi in indignazione. Rallentò deliberatamente nel preparare le proprie cose, ma Tobias non fu così sottile e si alzò per andare a premere l’orecchio contro la porta. Tuttavia la porta sembrava essere troppo spessa per origliare, a giudicare dall’imprecazione di Tobias. 

Ginny estrasse alcune lunghe strisce sottili dalla borsa, porgendone una a Smita e Tobias. 

Loro l’osservarono in confusione e un po’ allarmati. 

“Un prototipo dei Tiri Vispi Weasley.” sussurrò lei, portando un capo all’orecchio e facendo scivolare l’altro sotto la porta. 

Smita non esitò ad imitare Ginny, avvicinandosi. Tobias sembrava dubbioso, ma alla fine la sua curiosità ebbe la meglio. 

Spalancò gli occhi quando la conversazione dall’altra parte giunse chiara alle sue orecchie. “Ne prendo venti”, le sussurrò a mezza bocca. 

Ginny sorrise, ma la sua attenzione fu presto catturata dalla voce melensa della Umbridge. 

“Mi chiedo se nella sua difesa dei Babbani e dei Goblin non stia fornendo agli studenti un grande disservizio, facendogli credere che sono innocui e che non vadano presi sul serio.” 

La voce della Burbage era dura. “Non ho mai dipinto il problema in modo unilaterale. Tuttavia, credo che insegnar loro l’intolleranza sarebbe un peccato assai più grave.”

“Capisco” disse la Umbridge con un tono che tradiva una grande disapprovazione. “Dobbiamo essere cauti, non crede, nel non inculcare informazioni sbagliate nella testa dei bambini.”

“Informazioni sbagliate?” ripetè la Burbage sembrando concertata. 

“Si” disse lei. “Siamo noi gli adulti. Siamo noi a dover decidere cosa debbano e non debbano sapere. Non vogliamo che diventino… confusi.”

Ci fu un silenzio protratto, il raspare di una piuma come unico suono. “No”, disse la Burbage infine, la voce piatta e decisamente non familiare. “Non lo vogliamo.”

“Darò un’occhiata al resto del suo programma per l’anno e le farò avere i miei appunti. Ma davvero non credo che ci sia nessun bisogno di parlare così tanto di arte Babbana.”

Sentendo il suono di carte messe in ordine e la nota conclusiva di quelle ultime parole, si allontanarono dalla porta precipitandosi fuori dalla classe. 

* * *

A Difesa Contro le Arti Oscure, il giorno seguente, Ginny osservò la Umbridge. 

Aveva pensato fosse una specie di scherzo, ricopiare il libro in quelle prime poche settimane di Difesa. Stupido, ma era qualcosa che le consentiva di pensare al Quidditch, di preparare nuove formazioni ed esercitazioni. Solo adesso che ci prestava davvero attenzione registrò quale totale spreco di tempo sarebbe stata Difesa quell’anno.

Venti minuti dopo un’altra lezione passata a copiare dallo strambo testo e Ginny era quasi pronta a urlare. Aveva un po’ più di simpatia per le famigerate esplosioni di Harry, anche se ancora questionava sul metodo. 

Disegnò attentamente un paio di baffi sui volti raggianti delle illustrazioni del suo libro. Non fare la vandala, lo dirò all’insegnante! Sembravano lanciare occhiatacce da sopra le loro nuove acconciature d’inchiostro, ma le loro espressioni sembravano sospese in un piacere perpetuo, dandogli un’aria demente. 

Sarebbe dovuto essere divertente, ma in realtà era solo frustrante. La sua mano sembrava vuota, standosene seduta in quella classe senza una bacchetta. 

Sai perché è importante. 

* * *

Tornati in sala comune, Ginny e Smita si stavano portando avanti con i compiti prima di cena mentre Tobias aveva il naso sepolto in un libro. Almeno Ginny stava provando a fare un po’ di compiti. La sua attenzione semplicemente non voleva saperne di focalizzarsi, la scena nella classe della Burbage continuava a saltarle in mente ancora e ancora. 

Sospirò, abbandonando la sua piuma. “Perché la Umbridge è qui?”

Smita alzò gli occhi dal suo tema. 

“Beh, ovviamente non per insegnarci difesa” disse Tobias riemergendo dal suo libro. Lo disse come se fosse ovvio e Ginny si sentì un po’ stupida, che si fosse fatta prendere così tanto dal Quidditch da non essersene accorta prima. 

Insistette. “Ma allora perché?”

Smita si strinse nelle spalle. “Forse Silente non è riuscito a trovare nessuno di migliore.”

Ma quello non convinse Ginny. Cattedra maledetta o no, non pensava che Silente fosse così negligente da lasciarli con qualcuno di così inutile come la Umbridge, non quello tra tutti gli anni. 

L’anno in cui Voldemort era tornato. 

Non poteva essere solo una coincidenza. No?

Ma quel ragionamento la conduceva su un sentiero nel quale la Umbridge stava in qualche modo lavorando per Voldemort e quello era un pensiero semplicemente ridicolo. Tom l’avrebbe liquidata come semplicemente ridicola. 

Tobias si sporse in avanti, la postura tradiva la casualità delle sue parole. “Cosa importa del perché sia qui? È solo un’altra cattiva insegnante, no?”

Lui la osservò, lo sguardo penetrante, e capì che c’era tutt’altra domanda sulla punta della lingua. La stessa che stava là da tutto l’anno. Una che il senso comune gli aveva impedito di porre. 

Nessuno, lì, dava informazioni per nulla. 

“Dillo e basta” lo spronò Ginny. Per quanto lui avesse voglia di chiederlo, lei aveva bisogno che glielo chiedesse. Forse ne aveva bisogno da tanto tempo. 

“Potter sta dicendo la verità?” chiese a bassa voce. “Sul Signore Oscuro?”

Per un momento Ginny immaginò di chiedergli come mai lo chiamasse Signore Oscuro. Perché lo facevano i suoi genitori, senza dubbio. Rendeva tutto così confuso nella sua testa che certe volte trovava più semplice pensare a Voldemort. Ma forse perché non era mai stata in grado di separarlo da Tom. Non era una vaga minaccia per lei; era reale.

“Penso di sì” disse e sembrò che tutto andasse a posto nel momento in cui lo ammise ad alta voce - la confusione e la paura che aveva fatto tanto per ignorare e fingere che non esistessero. 

Annuì, la voce si fece più ferma mentre si forzava a pensarci, alle parole di Hermione sussurrate nel buio, alle espressioni gravi dei maghi quando passavano per Grimmauld Place. “Lui è tornato.”

Una guerra era cominciata, non importava cos’altro cercasse di dire la Umbridge. Non si trattava  nemmeno di credere in Harry; riguardava ciò che aveva visto. Riguardava un’organizzazione segreta di maghi, conversazioni tese nei corridoi. Riguardava Silente, sua mamma, suo papà e il modo in cui Percy se n’era andato. Era tutto lì.

Aveva finto come chiunque altro ed ora ne era disgustata, per aver infranto quella promessa fatta a se stessa mentre si lavava via dalle mani l’inchiostro alla fine del suo primo anno. Una promessa di non intraprendere la strada più facile solo perché era più semplice.

Smita chiuse il loro inutile libro di Difesa con un tonfo. “E ora la Umbridge è l’Inquisitore Supremo.”

Noi siamo gli adulti. Siamo noi a dover decidere cosa debbano o non debbano sapere.

“Si” disse Ginny.

Ancora non sapeva cosa significasse. 

Un’ora dopo Ginny stava camminando da sola verso la Sala Grande per la cena quando Antonia le si affiancò, intrecciando un braccio al suo. 

Ginny la guardò con sorpresa, ma continuò a camminare sapendo che era meglio che cercare di capire le intenzioni si Antonia. 

“Potere”, disse lei alla fine. 

Ginny si accigliò, sentendosi ancora come se stesse arrivando nel mezzo di una conversazione. 

“Potere” disse ancora Antonia, sembrando divertita dalla sua confusione. “È per questo che la Umbridge è qui.”

Ginny non si preoccupò nemmeno di sembrare sorpresa che Antonia avesse ovviamente origliato la loro conversazione. Doveva sapere che era meglio non parlare di cose private in sala comune. 

“Potere” ripetè Ginny. Ripensò alla Umbridge a lezione della Burbage. Arrivare in ritardo, scrivere rumorosamente, far aspettare la Burbage per il suo permesso di cominciare. Era quello il potere?

E a quale scopo? Prendere il posto della Burbage? La Umbridge era già una professoressa, cosa gliene importava? Forse voleva diventare Preside? O qualcosa di più?

Ginny era piuttosto sicura che le mancasse ancora qualcosa, ma almeno adesso aveva qualcuno a cui chiedere. “Il potere di chi?”

Antonia sorrise in approvazione come se quella di Ginny fosse una domanda notevole quando invece era soltanto nata dalla confusione. “Silente ha detto che il Signore Oscuro è tornato. Il Ministro della Magia dice che è un bugiardo. Solo uno dei due può avere ragione.”

“O sembrare che abbia ragione”, rifletté Ginny. 

Antonia rise, la sua mano strizzò il braccio di Ginny. “Stai finalmente cominciando a capire.”

Ginny la guardò storto, ma non lasciò che il fastidio la distraesse. Il Ministro della Magia. Ginny non aveva fatto quella connessione. La Umbridge non era lì per se stessa. Non riguardava gli studenti o la scuola o persino chi fosse il Preside. Quello riguardava Silente, Harry, Voldemort e le persone che dicevano che erano dei bugiardi. Era stato così per tutto il tempo, solo che non lo era nel modo in cui pensava che fosse. 

Lanciò un’occhiata ad Antonia. “Il Ministro cosa pensa che faccia Silente?”

Lei scrollò le spalle. “Non lo sa, vero? È questo il problema.”

No, non lo sapeva. L’unico modo in cui avrebbe potuto saperlo sarebbe stato infiltrare qualcuno lì, qualcuno che potesse decidere cosa si potesse insegnare o meno agli studenti. Per assicurarsi che Silente non facesse nulla contro il Ministero. 

“La Umbridge” disse Ginny, tutto ritornava al punto di partenza. 

Non solo un’insegnante, ma un Inquisitore. 

“È uno sbaglio” disse Antonia lasciando il braccio di Ginny mentre si avvicinavano alla Sala. 

Lei la guardò di traverso. 

“Confondere il controllo col potere. Uno non ha mai tanto controllo quanto creda.” Sollevò un libro al petto, stringendolo per un secondo prima di allontanarsi da Ginny. Abbastanza da permetterle di decifrare le rune incise sulla consunta copertina di pelle. 

Magie di Difesa Avanzata.

Non si aveva mai tanto controllo quanto si potesse credere.

* * *

Ginny stava stancamente tornando da una lunga sessione di compiti in biblioteca quando, girando l’angolo, andò a sbattere contro qualcuno. 

Si ritrasse, mettendo una mano sul muro per mantenere l’equilibrio e si stava già scusando solo per avere un’altra persona parlarle sopra. 

“Scusa. Stai bene?”

Era Harry, che sembrava esausto quasi quanto si sentiva Ginny. “Si” rispose. “Sto bene. Avrei dovuto guardare dove mettevo i piedi.” Sorrise in scuse, solo per notare che Harry aveva una mano fasciata al petto, lo straccio bianco striato di rosso. 

“Merlino” disse in un sospiro. “Tu stai bene?”

Harry sobbalzò, nascondendo la mano dietro la schiena. “Non è niente. Solo un piccolo incidente.”

Tuttavia la sua faccia era rossa e lei capì che non era solo per la bugia che le stava chiaramente raccontando, ma anche per la rabbia e l’imbarazzo. Ginny si sporse appena per guardare lungo il corridoio dietro di lui ed eccola là, una porta con una targa luccicante che recitava il nome di Dolores Umbridge. 

Le ci volle un momento per mettere tutto insieme, la sua mano, l’ufficio della Umbridge, le battute riguardo le sue punizioni. 

Gli ha dato un miliardo di ore di punizione, a scrivere delle frasi.

Ginny afferrò il braccio di Harry, ignorando le sue proteste, strappando il fazzoletto dalla sua mano. 

Osservò la mano sanguinante di Harry e cominciò a capire che forse era proprio quella la guerra. Non discorsi di speranza e due eserciti allineati con diverse uniformi, ma dolore, bugie e il male che si nascondeva in bella vista. 

La guerra riguardava i segreti. Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto capirlo. Non aveva passato l’estate nel quartier generale dell’Ordine della Fenice? Era troppo impegnata a sentirsi esclusa, spaventata e piccola, quando l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era prestare attenzione

Harry si riprese abbastanza da ritrarre la mano, riavvolgendola con movimenti furiosi. “Questi non sono affari tuoi, Ginny.”

Forse no, ma lui era solo un’altra persona che le diceva cosa non dovesse sapere, cosa potesse e non potesse capire.

Non si aveva mai tanto controllo quanto si potesse credere.

Raddrizzò le spalle, ma non si scusò, la decisione finalmente presa. “Ci vediamo sabato, Harry.”

Perché sapeva come mai fosse importante. 

* * *

Sabato, s’infagottò e si trascinò verso la Testa di Porco. Fu facile scrollarsi di dosso Tobias e Smita era sempre stata una che comprendeva il bisogno di spazio. 

Ovviamente, quando arrivò, non era certo il piccolo raduno di studenti che si aspettava. Si disse che era preparata per il modo in cui le teste si voltarono e gli sguardi indugiarono su di lei con sospetto. Si strinse nella sua sciarpa verde e li ignorò.

Fred e George l’accolsero con sorrisi soddisfatti, come se la sua presenza lì fosse una prova del suo sangue. Non riusciva a spiegare esattamente il perché di quell’accoglienza, ma si allontanò da loro, diretta verso Luna e il suo vago sorriso a darle il benvenuto. 

“Ginny” disse lei, il piacere che le fioriva sulle guance. “Se non sai dove altro sederti puoi metterti vicino a me.”

Si lasciò cadere accanto a Luna. “Sicura di volerti far vedere assieme a me?”

Lei sembrava confusa, quasi ferita, e Ginny si pentì subito dell’amara ironia. 

“Non importa” disse mentre gli altri continuavano a sporgersi e a lanciare sguardi tetri nella sua direzione. “È una nuova collana quella?”

Luna si lanciò in un qualche racconto sulla ricerca di suo padre e non per la prima volta Ginny si chiese come dovesse essere, osservare il mondo attraverso gli occhi di Luna. Era una distrazione ben accetta. 

La Testa di Porco era al limite della sua capacità quando Hermione si alzò, schiarendosi la voce. 

Ginny osservò Harry indignarsi sempre di più quando divenne chiaro che la maggior parte delle persone erano lì per lo spettacolo, per il racconto di prima mano su cosa fosse realmente successo alla fine dell’anno scorso. Alcuni degli studenti erano ancora in cerca della prova del pericolo imminente, altri volevano solo sapere perché Harry, tra tutte le persone, dovesse essere il loro insegnante. 

Probabilmente era inevitabile che venisse fuori la lista delle pazze avventure di Harry. Pietre filosofali e Tornei Tremaghi. Ma anche il sordido passato di Ginny. 

“Non hai ucciso un basilisco con quella spada, il secondo anno?” intervenne qualcuno. 

Lei fece ben attenzione a non guardare Harry. 

Lui cercò di svicolare con le sue risposte e di far sembrare tutto come se non fosse stato nulla di speciale, ma lui sapeva com’era, quel mondo incerto che stavano per affrontare e gli altri presenti nella sala non erano così stupidi da non capirlo. 

Al primo accenno di mantenere il segreto, tutte le teste si voltarono non troppo discretamente verso Ginny. Una dei Tassofrasso si sporse per sussurrare qualcosa all’orecchio del ragazzo accanto a lei, la reputazione da spia dei Serpeverde strisciava per la stanza come un’accusa. 

Ginny scattò in piedi, alcuni degli studenti vicini si ritrassero al movimento inaspettato. Persino Hermione sembrava un po’ diffidente, come chiedendosi cosa Ginny stesse per fare. Le venne in mente che nemmeno loro sapevano nulla di lei. Non davvero. 

Ginny avanzò e si fermò di fronte al tavolo. Harry incontrò il suo sguardo da sopra il pezzo di pergamena sovversiva. 

Prendendo la piuma, Ginny firmò col suo nome - grandi, marcati anelli e linee dure. 

“Chi è il prossimo?” chiese, sollevando la piuma. 

* * *

La mattina seguente il Decreto Didattico numero 24 apparve, bandendo tutti i club studenteschi e non c’era una sola possibilità che fosse una coincidenza. L’intera Sala ne stava mormorando. Ginny osservò gli studenti meno intelligenti tra quelli presenti il giorno prima alla Testa di Porco cercare di affollarsi attorno al tavolo dove Harry, Ron ed Hermione stavano mangiando. La faccia di Hermione per poco non diventò viola per la frustrazione, mentre cercava di far loro cenno di andarsene, senza farsi notare. 

Tutto per mantenere il club segreto. 

Terry Boot e un altro Corvonero si alzarono dal tavolo accanto a quello dei Serpeverde, sembrando prendere anche loro quella direzione. Ginny estrasse la sua bacchetta e la puntò sotto il braccio mentre passavano. Sussurrò un Incantesimo d’Inciampo ed entrambi i ragazzi incespicarono l’uno nell’altro.

Scoppiò un gran fracasso, i ragazzi caduti protestarono, altri Corvonero balzarono in piedi e i Serpeverde vicini si godettero una risata. Tutti si guardavano attorno cercando di capire cosa fosse appena successo. 

In quel caos, Ginny lanciò ad entrambi i ragazzi uno sguardo eloquente. Aveva sempre creduto che i Corvonero dovessero essere intelligenti. 

Loro la guardarono male, ma quando si rialzarono in piedi presero un’altra direzione, lontano da Harry e gli altri. 

“Coglioni” mormorò Ginny a fior di labbra. Passò lo sguardo sulla Sala, lieta di vedere che il frastuono aveva dato a tutti il tempo necessario per rinsavire. Al tavolo di Grifondoro, Ron la guardava accigliato, ma Hermione sembrava sollevata. 

Smita la guardò in tralice, come se si stesse chiedendo da dove venisse l’improvviso interesse di Ginny nell’ingaggiare una rissa con gli altri studenti. 

Ginny le rivolse un sorriso tirato. “Stavano dando del filo da torcere a Luna, ieri.”

Dall’altro lato del tavolo, le sopracciglia di Tobias schizzarono in alto. “Ginny Weasley, vendicatrice della scuola. Non ti ho nemmeno visto lanciare quella maledizione.” Sembrava impressionato. 

“La pratica rende perfetti” brontolò Ginny, cercando di ignorare la fastidiosa sensazione di qualcosa di sgradevolmente simile alla colpa nello stomaco. 

Dobbiamo essere in grado di proteggerci da soli.

“Ginny?” chiese Smita. 

Le fu risparmiato di inventarsi un’altra bugia quando Bletchley le batté una mano sulla spalla. “Allenamenti extra questo pomeriggio, Sei. I poveri Grifondoro non hanno ancora avuto l’approvazione della Umbridge per la squadra.” Doveva essere senza dubbio un indesiderato effetto collaterale del nuovo decreto - tutti le squadre di Quidditch avevano dovuto ottenere il permesso di essere ricostituite. 

“Hai già avuto il nostro?” chiese. 

“Certo” disse agitando la mano. “È stata una formalità. Così ho fregato la prenotazione del campo ai Grifondoro.”

“Ottimo” disse Ginny, sforzandosi di sorridere. Faceva schifo che la Umbridge stesse facendo fare loro tutto quello, ma potevano sicuramente approfittare degli allenamenti extra. 

I problemi di Grifondoro non erano i suoi. 

* * *

Due giorni dopo, quando Ginny lasciò la Sala Grande a pranzo concluso, individuò Hermione aggirarsi nel corridoio. 

“Datemi un minuto” disse Ginny a Tobias e Smita. 

Entrambi lanciarono a Hermione uno sguardo curioso, ma non esitarono a continuare senza di lei. 

Hermione chinò la testa verso di lei. “Il primo incontro è stasera, alle otto.”

Annuì. Avrebbe avuto appena il tempo di finire gli allenamenti e mangiare un boccone, ma sapeva che era importante. 

“Vieni al settimo piano. Conosci l’arazzo si Banaba il Babbeo?”

Ginny si accigliò, conoscendo abbastanza quella parte del castello da sapere che non c’era nessuna classe o altro lassù, ma Hermione si era già dileguata, quindi non riuscì a chiederle nulla. 

Come previsto, quando Ginny arrivò nel corridoio quella sera, i capelli ancora lievemente umidi dalla doccia, a un primo sguardo non c’era nulla se non mura di pietra. E poi, mentre Ginny si avvicinava, una porta di metallo sembrò quasi… materializzarsi. Sembrava rinforzata ed impenetrabile, ma si aprì facilmente sotto il suo tocco, come se la riconoscesse. Si chiuse silenziosamente dietro di lei, lasciandola in una grande aula piena di cuscini e strani aggeggi alle pareti. 

Molti degli studenti che erano alla Testa di Porco erano già lì, le teste si girarono per guardarla per poi voltarsi velocemente. 

I suoi fratelli la notarono a malapena, già coinvolti in qualche guaio, ed Hermione le rivolse solo un sorriso distratto prima di tornare a prestare la sua attenzione alla gigantesca libreria. Di fronte a così tanta indifferenza e assoluta ostilità, Ginny cominciò a perdere la pazienza, specialmente quando Harry li divise a coppie per allenarsi. 

Fortunatamente, prima che potesse fare nulla di stupido, un ragazzo che riconobbe dal treno le si avvicinò. Sembrava imbarazzato quasi quanto si sentiva Ginny. 

“Uh, hai, um, un compagno?” chiese, alcune delle parole masticate e impacciate al limite della comprensione. 

Ginny inghiottì la propria rabbia e il disagio e si fece avanti. “No, a meno che tu non voglia essere il mio.”

Lui sorrise, sembrando così sollevato da lasciar quasi cadere la bacchetta. Ginny si chiese in cosa si stava per cacciare. “Ottimo” disse lui, tenendole la mano. “Io sono Neville.”

La sua mano era leggermente sudata quando l’afferrò. “Ginny.”

“Già” disse lui, annuendo entusiasta. “La sorella di Ron, giusto?”

“Già” rispose lei, abituata com’era ad essere conosciuta come la sorella dell’uno o l’altro fratello da tutta la vita. 

Cominciarono piuttosto semplicemente, imparando e perfezionando gli incantesimi di protezione di base, ma Harry era scrupoloso e molto paziente. Ne fu sorpresa e ancora una volta dovette ricordarsi che in realtà non conosceva Harry Potter poi così bene. 

Per quanto riguardava Neville, era abbastanza senza speranze, ma determinato: non si arrendeva mai non importava di quante volte fallisse. Dopo un po’ si rilassò in sua presenza, come se si fosse aspettato fino a quel momento che lei lo aggredisse alle spalle o che dicesse qualcosa di cattivo sulle sue discutibili abilità con la bacchetta. 

Si fermò, una volta, dopo che il suo incantesimo aveva fatto poco più che rizzare un po’ i capelli a Ginny, guardando la sua bacchetta come se si stesse chiedendo se l’avesse abbandonato. “È di mio papà” spiegò, un mondo nascosto dietro quelle semplici parole. 

Ginny era solita (rubare) alcune volte le bacchette dei suoi fratelli qui e là negli anni, solo per provarle, ma nessuna le era mai sembrata giusta nella mano come la propria. 

Neville raddrizzò le spalle. “Proviamo ancora.”

Ginny annuì.

Senza speranza, ma determinato. Quello poteva ammirarlo. 

* * *

Ginny soffocò uno sbadiglio e cercò di non farsi prendere dal panico per quanto fosse rimasta indietro con i compiti. Tra il Quidditch e l’ES, era destinata a farsi bocciare in almeno una materia. Rune, probabilmente. Sembravano tutte uguali a quell’ora della notte. 

Tobias e Smita avevano il coraggio di apparire completamente rilassati e a proprio agio. Coglioni. 

Tobias voltò pigramente una pagina del libro che stava leggendo. “Babbani”, disse scuotendo la testa. “Possono essere deliziosamente contorti.”

Ginny diede un’occhiata al titolo, qualcosa a proposito di un principe chiamato Machiavelli. Lei era ancora a metà di un altro libro che le aveva passato Tobias, tutto incentrato sull’arte della guerra Babbana. Era più utile sul campo da Quidditch di quando si fosse aspettata inizialmente. Tecnicamente non avrebbero dovuto leggere nessuno dei due libri, ma Tobias li aveva fatti entrare di nascosto dopo aver smosso la sua curiosità in una libreria Babbana quell’estate. 

Era strano cosa fosse considerato contrabbando ad Hogwarts. 

Ufficialmente i libri Babbani dovevano essere attentamente vagliati dalla scuola, i professori e Madama Pince decidevano cosa fosse o meno appropriato per gli studenti. Non che quello avesse mai fermato un Serpeverde prima d’ora. Ginny aveva sentito voci secondo le quali Antonia avesse un’intera libreria di proibiti libri antichi da qualche parte nel dormitorio. 

Scrutò la ragazza del sesto anno seduta vicino al fuoco, chiedendosi se avrebbe mai permesso a Ginny di darci un’occhiata. 

Prima di tutto, sii armato.” Tobias alzò lo sguardo dal suo libro. “Chiaramente la Umbridge non l’ha mai letto.”

Ginny sbuffò, l’idea che la rigorosa e compassata Umbridge leggesse qualcosa di non approvato dal Ministero era completamente ridicola. 

Tobias sfiorò il loro manuale di Difesa con le facce sorridenti e vuote degli studenti che gli sorridevano. “Ma in un qualche modo forse può essere usato come una protezione?”

“È abbastanza stupido”, commentò Smita.

“A chi hai dato dello stupido?” scherzò lui. 

Smita non abboccò alla provocazione, scosse semplicemente il capo cercando di non sembrare divertita. 

“Beh”, continuò Tobias stiracchiando le braccia sopra la testa. “Forse continuare a copiare ancora e ancora da quel libro aumenterà la mia forza nella mano della bacchetta.”

“Sarebbe un vero spreco se non sapessi cos’altro farci con quella” ribatté Smita. 

Lamentarsi della Umbridge, o di ogni altro professore, in realtà, era parte dell’attività lì in sala comune, ma con quei due era per qualcosa di più della semplice noia. Ginny poteva a vedere le loro mani tremare di irrequietezza, impotenza. Non molto diverso da quello che sentiva lei stessa. 

Pensò alla serata passata con Neville, a imparare a proteggere loro stessi, e sentì ancora una volta quell’insopportabile fitta, finalmente sapendo esattamente cosa fosse: senso di colpa. 

“Sareste… interessati a fare qualcosa per cambiare le cose?” chiese Ginny, il volto ancora sepolto nel suo manuale di rune. 

Tobias si sporse verso di lei e arpionò con un dito la costa del libro. “Di che cosa stiamo parlando, esattamente?”

Smita le rivolse solo uno sguardo del tipo era ora.

Ginny si morse il labbro. “È pericoloso” disse, così che sapessero quello in cui stavano per cacciarsi. “E deve essere tenuto assolutamente segreto.”

Più che essere scoraggiato, Tobias sembrò solo più interessato. 

Ginny di guardò attorno nella sala comune. “Non posso davvero dirvi di più adesso.” Guardò Smita. “Ma lo farò.”

Lei annuì, posando una mano sul braccio di Tobias, quando sembrò che lui volesse continuare il discorso. 

“Va bene” disse, raccogliendo le sue cose. “Ma ti tengo d’occhio.”

Ginny scribacchiò una conclusione per il suo tema di Artimanzia e promise di fare meglio la prossima volta. Alzandosi in piedi si trascinò stancamente nella sua stanza. 

“Sai” disse Antonia quando le passò accanto, senza sollevare lo sguardo dal suo libro. “Stai diventando un po’ più interessante quest’anno.”

Ginny non seppe cosa rispondere. 

* * *

Ginny arrivò a Pozioni all’ultimo momento disponibile grazie alla conversazione sussurrata avuta con Hermione nei corridoi. 

La sua compagna di pozioni Bridget le lanciò uno sguardo scandalizzato, ma si trattenne dal dire qualsiasi cosa all’arrivo di Piton. I suoi occhi scrutarono gli studenti, indugiando su Ginny per una frazione di secondo in più, come se sapesse che era quasi arrivata in ritardo. Ginny sostenne apertamente lo sguardo. 

“Aprite i vostri libri a pagina cinquantasette. Oggi valuteremo la vostra abilità con la Pozione Aguzzaingengno.” Gli occhi di Piton vagarono sulla parte Grifondoro della classe. “Tuttavia ho paura che nemmeno una pozione possa affilare ciò che è inesistente in primo luogo.”

Alcuni dei Serpeverde ridacchiarono in apprezzamento, mentre i Grifondoro lanciarono sguardi torvi in silenzio, sapendo che era meglio che protestare. Ginny scrutò dall’altro lato della stanza, incrociando lo sguardo di Colin Creevey. Si erano conosciuto alla riunione dell’ES la scorsa settimana. Era vivace e faceva sul serio fino al punto dell’esasperazione, ma non molto lontano dall’essere spaventato a morte. Non che dovesse preoccuparla. 

Non sorrise e così non fece neanche Colin. 

Distolse lo sguardo, solo per trovare Piton in piedi accanto al suo banco. “Qualcosa non va, signorina Weasley?” chiese. 

Il suo libro era ancora chiuso davanti a lei. 

“Mi creda, professore” intervenne Tobias, rompendo quel silenzio imbarazzato. “Il suo ingegno è già affilato abbastanza da tagliare.” I ragazzi accanto a lui ridacchiarono, annuendo in assenso. 

“Silenzio” rimbeccò Piton, ma le sue labbra erano incurvate da quell’indulgente sorriso che riservava sempre quelli della sua Casa. 

Ginny approfittò della distrazione per aprire il libro alla pagina corretta e tirar fuori gli ingredienti necessari. 

“Avete un’ora” disse Piton, lanciandole un ultimo sguardo prima di tornare alla cattedra. 

“Stai bene?” le chiese Smita da un angolo della bocca. Dall’altra parte, Bridget storse il naso in disapprovazione. 

Ginny osservò Tobias dirigersi verso l’armadio. “Abbiamo bisogno di più polvere di capperuncolo dalla dispensa”, mormorò alzandosi in piedi.

Tobias l’osservò guardingo mentre si avvicinava, come se si aspettasse una ritorsione. 

Ginny trovò il barattolo di polvere di capperuncolo e ne versò attentamente una piccola quantità su un pezzo di carta. “Quella cosa che ti avevo promesso di dirti?” sussurrò.

Tobias sollevò le sopracciglia. “Si?”

“Stasera, dopo cena. Incontriamoci vicino alla scalinata alle sette e mezza.”

Allontanandosi prima che Tobias potesse chiederle altro, Ginny sentì il senso di colpa nel suo stomaco agitarsi in qualcosa di addirittura peggiore. Continuò a camminare.

* * *

Più tardi, quella sera, mentre indugiavano a un corridoio di distanza da quello della Stanza delle Necessità, Tobias si accigliò quando vide Harry avvicinarsi a loro, ma non disse niente. Ginny gliene fu incredibilmente grata. Aveva avvertito la sua pazienza assottigliarsi sempre di più mentre se ne stavano là. Era ancora convinto che quello fosse una sorta di scherzo che Ginny aveva architettato. 

“State qui” disse lei a Tobias e Smita, muovendosi lungo il corridoio per intercettare Harry. “Harry.”

“Ginny?” chiese sembrando sorpreso di vedere lì qualcun altro così presto. 

Lei lasciò andare un sospiro, quasi mormorando le parole. “Conosco qualcun altro che vuole unirsi.”

“Si?” chiese lui sollevando un sopracciglio. 

“Non gli ho ancora dato alcun dettaglio” precisò. Dopotutto, era certa che non fosse un semplice foglio di pergamena quello che avevano firmato. (Conosceva meglio di chiunque altro il pericolo della carta e dell’inchiostro.) Inoltre, anche se Harry era abbastanza avventato da ignorare le dannate conseguenze, Hermione era troppo intelligente per lasciarglielo fare. 

Ginny lanciò un’occhiata a Smita e Tobias che stavano appena fuori portata d’orecchio. 

Harry seguì il suo sguardo, la sua espressione mal celò il momento di shock. Dalla sua reazione, si sarebbe potuto pensare che gli avesse appena chiesto di allenare un manipolo di Mangiamorte. 

“Vogliono imparare” disse tra i denti. 

Harry non sembrò bersela, rifilandole uno sguardo come se si fosse persa un pezzo importante. “Sono Ser…” cominciò a dire, ma s’interruppe subito quando realizzò con chi stava parlando. 

Conosci il tuo nemico.

Ginny lo fissò di rimando, sentendo una strana calma calare su di lei. Era quasi una liberazione ammettere la verità, non era per nulla sorpresa. Sapeva che questa era la motivazione per la quale non aveva detto a Tobias e Smita del primo incontro alla Testa di Porco. Perché doveva essersi aspettata questa reazione già allora. 

“Ginny” disse Harry, cercando di tornare sui suoi passi. “Non intendevo…”

“Si, invece.” Lasciò andare uno sbuffo, scuotendo il capo con irritazione o forse solo infastidita da se stessa per aver sperato in qualcosa di differente. “Tu, che parli di fare fronte comune, di proteggerci da soli, di trovare la forza nell’unità.” 

“Non ho problemi che tu ti sia unita, Ginny” disse rapidamente Harry, come se quel piccolo gesto lo assolvesse da una colpa più grande. Sapeva che l’unica ragione per cui l’accettava era perché lei era una Weasley. Pensava di sapere tutto sui Weasley. 

Non su questa Weasley. 

“Sei così ipocrita” disse, la voce piatta e pratica, ma lui si ritrasse comunque come se gliel’avesse urlato. Si chiese se era per il terrore di un Serpeverde che avesse l’audacia di mettere in dubbio la sua decantata posizione morale. Il ricordo di lui che l’osservava nella Camera riaffiorò prepotentemente, la voce di Tom le sussurrava all’orecchio. 

Non ti adatti ai suoi ideali di lotta del bene contro Serpeverde.

Ginny fece un passo verso Harry, la rabbia le ribolliva nelle vene. “C’è una cosa che dovresti ricordare, Potter. Io sono una Serpeverde. Non un’aberrazione, non una sciagura. Una Serpeverde. Quindi se escluderai loro, sarà maledettamente meglio che tu escluda anche me.”

La osservò, attonito, forse dalle sue parole, forse dalla sua sfacciataggine. Non le importava per niente. Girando sui tacchi, si allontanò da lui, facendo una bella drammatica uscita di scena. 

“Andiamo” disse a Tobias e Smita ed entrambi la seguirono senza commentare quando videro la sua faccia. 

Tornati in sala comune Tobias si lasciò cadere su una poltrona. 

“Non ci ha voluti” suppose Smita, mettendo insieme i pezzi.

“No” confermò Ginny. 

“Aveva una ragione?” chiese Tobias con voce abbastanza aggressiva. 

Ginny lo guardò e basta, lasciando che il silenzio parlasse per lei. 

“Ma certo.” Si rialzò in piedi. “San Potter…” sputò le parole.

“Non farlo” disse Ginny stancamente, la sua stessa rabbia già svanita lasciando il posto alla pura stanchezza. 

Tobias si voltò a guardarla. “Perché diavolo no?”

Ginny sospirò, di nuovo quella spiacevole sensazione di bruciore allo stomaco. “È lui ad avere torto, questo lo so. Solo che… basta.”

Tobias le rivolse un lungo, affilato sguardo che non era meno doloroso di quello di Harry. Dopo un po’ serrò la mascella, ma annuì, sembrando accettare che anche lei aveva dei limiti. 

Smita guardò Tobias andarsene senza un commento. 

“Vaffanculo” imprecò Ginny, sprofondando la testa nel sedile della poltrona e nascondendo il volto tra le mani. 

“Ti ha deluso” osservò Smita. 

Ginny non sapeva a quale ragazzo si riferisse e non era sicura di volerlo sapere. 

A Storia della Magia, il giorno seguente, Ginny osservò Smita tracciare complesse rune ai margini della sua pergamena, la sua attenzione chiaramente lontana anni luce dalle Guerre dei Goblin. 

Sorrise affettuosamente, pensando distrattamente che Hermione e Smita avrebbero potuto essere amiche se avessero avuto l’opportunità d’incontrarsi. 

E invece. 

Il sorriso di Ginny svanì.

* * *

Ginny ne aveva più che abbastanza tra i compiti e gli allenamenti di Quidditch per tenersi deliziosamente occupata la settimana successiva. Non si disturbò di dare a Harry Potter e il suo dannato club un solo ripensamento. Non finché Hermione la bloccò nei corridoi. 

“C’è una riunione stasera” le sussurrò guardando Ginny da vicino. “Ci sarai?” Chiaramente aveva notato la sua assenza all’ultimo incontro. 

Ginny scosse il capo. “Non posso.”

Hermione socchiuse gli occhi. “Cos’è successo?”

“Niente” rispose lei, per nulla sorpresa che Harry non le avesse raccontato del loro litigio. Probabilmente non ci aveva nemmeno pensato. “Non è successo niente. Sono solo davvero molto impegnata al momento.”

Le bugie erano semplici. Era bello essere dalla stessa parte per una volta. 

O almeno fu questo che si disse. 

Cercò di non prestare troppa attenzione all’orologio quella sera, ma nonostante il carico di compiti nel quale era sommersa, diventò sempre più impaziente mano a mano che si avvicinavano le otto. Sia Tobias che Smita si erano da tempo allontananti per lasciarla sola col suo malumore. 

Era stupido, davvero. Cosa gliene importava di quello stupido ES o di cosa Harry Potter poteva pensare di lei?

Poco prima delle otto, un’ombra cadde sul libro che stava leggendo. 

“Andiamo.”

Ginny alzò lo sguardo, sorpresa di vedere Antonia in piedi accanto a lei. “Cosa?”

Antonia le rivolse uno sguardo impaziente, come se avesse detto qualcosa di stupido. “Astoria sta per suonare la sua arpa.”

Ginny si accigliò, sicura che Astoria non avesse mai suonato pubblicamente prima d’ora. Poteva essere nel coro se avesse voluto, o nell’orchestra. Ma la maggior parte dei Serpeverde non era famosa per la partecipazione a quel genere di cose. 

Antonia sollevò un perfetto, scuro sopracciglio quando Ginny continuò a fare niente tranne che osservarla. “Allora?”

C’erano milioni di ragioni per continuare a starsene lì seduta a rimuginare, ma tutte sembrarono improvvisamente piuttosto stupide. Inoltre, Ginny era grande abbastanza da ammettere che aveva sempre trovato Antonia affascinante. Ripose in fretta i propri libri nella borsa e si alzò in piedi. 

Antonia la guidò verso quella che fino ad ora aveva sempre creduto essere un armadio delle scope. La ragazza più grande picchiettò lo stipite della porta con la bacchetta, mormorando qualcosa a fior di labbra. Quando la porta si aprì, rivelò una stretta rampa di scale che conduceva a un piano di sotto. 

Ginny scrutò lo spazio buio. Poteva forse trovare Astoria affascinante, ma non significava che non la trovasse anche dannatamente terrificante. “Dove stiamo andando?”

Antonia sollevò gli occhi al cielo. “Piantala di fare la stupida.” Le diede una piccola spinta giù dalle scale. 

Ginny si lasciò andare giù per la stretta scala a chiocciola. C’era una torcia ogni mezzo giro e per quando raggiunse l’uscita in fondo, le girava un po’ la testa. La porta si aprì su una larga, confortevole stanza. Ebbe appena il tempo di ammirare una serie di strumenti appesi a una parete, teche piene di libri su un’altra e in fondo quella che sembrava una lavagna o un cavalletto, prima che si accorgesse che ogni persona nella stanza la stava osservando, la maggior parte con vari livelli di sospetto. 

Non c’erano molte persone, tutte ragazze, incluse Caroline, Astoria, le gemelle Carrow e alcune ragazze più grandi, ma tutto quello a cui Ginny riusciva a pensare era essere una tredicenne circondata da un gruppo di alte ragazze mascherate e la faccia di Gregor che urlava silenziosamente. 

Antonia apparve, infilando un braccio sotto quello di Ginny. “Dobbiamo cominciare?” disse, qualcosa di simile alla sfida nel suo tono.

Il resto delle ragazze si scambiarono sguardi, ma sembrarono accettare la presenza di Ginny, per il momento. Al centro della stanza, c’era Astoria  con la sua arpa, il resto delle ragazze sedute su ricchi, confortevoli divani sistemati attorno a lei. 

Ginny prese velocemente posto accanto a Caroline, pensando che meno attenzione attirava su di sé, meglio era. Mentre Astoria accordava l’arpa, eseguendo una serie di rapide note, Ginny cercò di guardarsi meglio in giro, di soppiatto. C’era una postazione completa da pozionista ficcata in un angolo oscuro che non aveva notato prima e, vicino a quella, uno strano apparecchio fatto di tubi e provette di vetro dal quale colava silenziosamente un liquido chiaro in una grande bottiglia. 

Stava strizzando gli occhi per distinguere una scritta su una delle varie lavagne vicine quando Astoria cominciò a suonare. Ginny perse rapidamente ogni interesse per la stanza. 

Non era mai stata una grande appassionata di musica. Conosceva i pezzi più popolari, soffriva in silenzio Celestina Warbeck durante le vacanze. La musica di Astoria non era nulla di entrambe le cose. Non orecchiabile o noiosa, ma completamente coinvolgente. 

Indimenticabile, a dire il vero. 

Riuscì a dimenticarsi di tutto mentre Astoria suonava - quella strana stanza, i compiti, lo stupido Harry, la rabbia di Tobias, segreti troppo grandi da mantenere e il quieto disappunto di Smita. Tutto scomparve di fronte ai suoni prodotti da quelle corde. 

Prima che Ginny se ne rendesse conto passarono trenta minuti, Astoria si alzò in silenzio e le altre ragazze le rivolsero alcune parole di elogio prima di andare ad occuparsi di altre cose. 

Ginny era ancora seduta piuttosto attonita sul divano quando Astoria raggiunse Caroline, sistemando con cura le sue vesti come se si trovassero nelle più eleganti sale da concerto. 

“È stato… bellissimo” disse Ginny. Forse non nel senso tradizionale, comune, ma bellissimo lo stesso. 

Astoria sorrise, chiaramente compiaciuta anche se cercava di non darlo a vedere. 

Aveva sempre pensato che fosse piuttosto fredda, come una perfetta bambola di porcellana. Pensava che fosse quello il motivo per il quale Caroline usciva con lei, sperando che un po’ di quel portamento arrivasse anche lei e potesse rendere felice sua madre. Ma Astoria e la sua arpa erano una faccenda completamente diversa, qualcuno di incredibilmente più comprensibile. Veniva alla vita. 

Caroline e Astoria avvicinarono il capo per parlare l’un l’altra e Ginny raccolse abbastanza coraggio da alzarsi e dare alla stanza un’occhiata più da vicino. Stava esaminando alcune delle lavagne nella parte posteriore della sala, quando Astoria apparve al suo fianco. 

“Le Carrows” le disse. “Determinate a diventare animagi.” Analizzò le equazioni. “Sembra quasi che siano piuttosto vicine.”

Ginny cercò di non sembrare sorpresa che tante cose le fossero passate sotto il naso senza che se ne accorgesse, ma Antonia aveva comunque un sorrisetto fastidioso sul viso. 

Ginny si diresse ancor di più verso il fondo, sbirciando alcune tele appoggiate al muro. Raffiguravano immagini scure e vorticose, occhi e volti che scrutavano dall’oscurità. 

“Non toccarle” ringhiò una voce. 

Ginny si voltò per trovare Millicent Baulstrode fastidiosamente vicino, la sua faccia deformata dalla cattiveria. Ginny si ritrasse con un sussulto e la sua mano accarezzò il confortante profilo della bacchetta nella sua tasca. Scoccò uno sguardo ad Antonia sopra la spalla di Millicent. La ragazza più grande si limitò a distogliere lo sguardo, chiaramente non intenzionata ad arrivare in suo soccorso. Non che se lo aspettasse realmente.

“Mi dispiace” disse Ginny, facendo un cauto passo all’indietro. “Ero solo curiosa. Li hai fatti tu?” Come la musica di Astoria, le immagini erano lontane dall’essere rassicuranti, ma erano tuttavia chiaramente molto ben fatte. Non sapeva davvero come spiegarlo a parole e non ne ebbe la possibilità. 

Millicent la guardò severamente. “Non sono maledettamente affari tuoi.”

Ginny sollevò le mani, perfettamente in grado di credere che Millicent fosse capace di violenza. “Capito.” Si ritirò più velocemente possibile senza sembrare che stesse scappando. 

“Wow” disse quando ritornò al fianco di Antonia. “Che persona veramente spiacevole.”

Antonia spiluccò qualcosa dal suo maglione. “Già. Forse.”

“Forse?” ripetè Ginny incredula. 

Per sua sorpresa, Antonia sembrava infastidita. 

“Cosa?”

Antonia mosse le spalle in qualcosa di troppo elegante da poter essere definito “fare spallucce”, il volto adesso indifferente. “Avrei pensato che tu, tra tutte le persone, avresti capito che le cose non sono sempre come sembrano.”

Con quello, Antonia se ne andò a parlare con altre ragazze, lasciando Ginny lì, come se avesse appena fallito una qualche prova non dichiarata. Si trattennero per un’altra ora, e Ginny scivolò via non appena potè. Nessuno sembrò notarlo. 

“Sai andata nel Salottino?1” chiese Smita più tardi quella notte, sembrando impressionata. Ginny potè avvertire l’uso delle maiuscole nella sua voce. 

“Già” rispose, chiedendosi adesso perché non ne avesse mai sentito parlare prima visto che chiaramente si trattava di una faccenda rilevante. Non che importasse davvero. “Qualcosa mi dice che non verrò invitata di nuovo, tuttavia.”

Smita sollevò un sopracciglio, ma non fece domande. 

Ginny le diede un colpetto col gomito. “Non vorrei lasciarti con nessuno con cui uscire se non Tobias, dopotutto.” 

Smita la spinse via, cercando ancora di fingere che l’idea non l’attirasse. 

Ginny non dormì bene quella notte, sognando Millicent Baulstrode che suonava un violoncello con il Marchio Nero che fluttuava sopra la sua testa. 

Guardava dritta verso Ginny, il suo archetto strideva sulle corde. “Ipocrita.”

* * *

La solitudine era un’abitudine che Ginny non aveva mai abbandonato da quando era al primo anno. Le piaceva uscire con Smita e Tobias, essere al centro delle cose, ma qualche volta voleva solo un minuto per se stessa, un posto per ritirarsi. Quando lo voleva, veniva lì, nel suo posto segreto e nascosto. Lo strano piccolo chiostro era una delle poche cose imparate da Tom che aveva reclamato per se stessa. 

Pareva fosse a cielo aperto, la luce del sole vi si irradiava, anche se Ginny sapeva che c’erano almeno cinque piani del castello direttamente sopra di esso. Sembrava che un tempo fosse un vasto cortile che venne lentamente schiacciato e sommerso dal castello in espansione. Ora era circondato da colonne deformate e contorte, muschio e varie piante crescevano tra grandi, crepati, blocchi di marmo che giacevano ai lati. C’era un leggero gorgogliare d’acqua proveniente da qualche parte, ma per quanto ci avesse provato, non era mai stata in grado di trovarne la fonte. 

Sembrava antico e dimenticato, e in qualche modo completamente suo.

Il che era esattamente il motivo per il quale Ginny non riusciva a spiegarsi come Harry l’avesse trovato. Sentendo un rumore, Ginny alzò lo sguardo per vederlo appena distinguibile attraverso il piccolo pertugio che fungeva da ingresso. Sapeva che non poteva ancora vederla e prese seriamente in considerazione l’ipotesi di nascondersi alla vista. 

Picchiettò un pezzo di pergamena con la sua bacchetta prima di riporla in tasca. Mosse alcuni passi all’interno del chiostro e si fermò, gli occhi scrutavano il luogo come se stesse cercando qualcosa. 

Gli ci volle un momento per localizzarla tra l’intrico di colonne, e i suoi occhi si posarono su di lei come se si fosse aspettato di trovarla lì. 

“Ciao” disse.

“Ciao” gli fece eco lei, la voce completamente priva di benvenuto o di condanna. 

Sembrò rincuorato dal fatto che non l’avesse affatturato e oltrepassò le colonne, arrampicandosi sui blocchi di marmo per avvicinarsi a lei. Lei, deliberatamente, non si preoccupò di indicargli il chiaro percorso, lì a accanto. 

“Cos’è questo posto?” chiese quando finalmente la raggiunse. 

Lei si strinse nelle spalle, guardandosi attorno. “Non ne sono sicura.”

Guardò con esagerata attenzione al reticolo di marmo sopra di loro, ma Ginny aveva l’impressione che stesse solo prendendo tempo. Quando abbassò nuovamente lo sguardo la trovò ad osservarlo. “Compiti di Incantesimi?” chiese, indicando il suo libro. 

Lei sollevò un sopracciglio. Davvero pensava che avrebbe creduto che era venuto fino a lì a cercarla solo per discutere di compiti? Perché era chiaro che adesso fosse quello il suo obiettivo. Non era sicura di cosa ne pensasse a riguardo. 

Lui fece una smorfia, affondando le mani nelle tasche. “Ascolta. Hai intenzione di tornare nell’ES?”

Aveva saltato due riunioni, adesso, e c’era una sola ragione per il suo interessamento che le venisse in mente. “Se sei qui perché sei preoccupato che possa andare a cantare dalla Umbridge…”

“No” l’interruppe Harry. “Non è… Non credo che lo faresti mai, Ginny.”

Lei chiuse il libro, riservandogli la sua completa attenzione. “Perché no?”

“Cosa?” chiese lui con frustrazione. 

“Perché pensi che non lo direi alla Umbridge?”

“Perché… non lo faresti e basta.”

Lei piegò la testa di lato. “Perché sono una Weasley?”

La sua bocca si aprì e si richiuse un paio di volte, come se avesse imparato che era meglio valutare bene le parole quando parlava con lei, ma che non riuscisse a decidere cosa fosse sicuro dire. Forse l’avrebbe trovato divertente, se non fosse stata così irritata.

“Ma sfortunatamente Smita e Tobias non lo sono. Dico bene?”

Harry sposto il peso da una gamba all’altra, avendo la grazia di sembrare a disagio. Si lasciò cadere sul blocco di marmo accanto a lei come se fosse arrivato a un punto morto. Quella conversazione chiaramente non stava andando neanche lontanamente come se l’era immaginata. 

“Malfoy” disse lui, lasciando che il silenzio si dilatasse, come se quell’unica parola fosse una spiegazione. 

“È un coglione” terminò Ginny per lui. 

Harry la guardò con sorpresa. 

Lei fece spallucce. “Non è che sia propriamente un segreto. Ma non ha nemmeno niente a che fare con questo.”

“Davvero?” chiese lui, lo sguardo affilato come se avesse deciso di non cederle altro terreno. 

“Non è un Serpeverde” replicò Ginny. Era lo stesso errore che aveva fatto lei, all’inizio. Lo stesso errore che continuava a fare, ad essere onesti.

E quello, più di tutto, era il motivo per il quale trovava difficile essere arrabbiata con Harry quel giorno. Era troppo occupata ad essere arrabbiata con se stessa. Sapeva quale fosse il vero motivo per cui aveva perso la pazienza con lui. Perché si era azzardato a dire ad alta voce quello che si odiava nel pensare lei stessa. Per aver sospettato. C’era una ragione se non aveva portato Smita e Tobias al primo incontro alla Testa di Porco, non era così? Una ragione per la quale aveva esitato a raccontare a Smita della sua estate, la sua vera estate. 

Era colpevole quanto lui. 

La faceva davvero incazzare.

Prese un respiro e guardò Harry. “Hai mai pensato che questo odio cieco per i Serpeverde non sia poi così diverso dall’odio di Draco per i Nati Babbani?”

Harry si accigliò.

Ginny afferrò un lembo della sua pergamena. “Ascolta. Penso che l’ES sia importante. Voglio tornare.”

“Ma?” la sollecitò lui, evidentemente non così disgraziatamente ottuso come suo fratello. 

“Ma non se l’unica ragione per la quale mi lasci partecipare è perché sono una Weasley. E non senza Smita e Tobias.”

L’intera faccenda riguardava l’essere in grado di proteggersi da soli e Ginny non era disposta a lasciarne fuori i suoi amici. Non più. 

Si alzò, sistemando attentamente i suoi libri, le piume e la pergamena nella borsa. Harry l’osservò senza un commento. 

Non lo conosceva così bene, non per davvero. Non sapeva se avrebbe preso in considerazione una singola parola che aveva detto. Ma si era dato la pena di venire da lei e parlarle quando non c’era una sola ragione per farlo e pensò che quello doveva pur valere qualcosa. Forse era davvero più di un semplice nome. 

Si sistemò la borsa sulla spalla. “Pensaci e basta, lo farai?”

Harry annuì.

Lo lasciò a sedere da solo nel chiostro. 

* * *

Il giorno seguente, Ginny soffocò un’imprecazione quando la sua borsa colpì il suolo con un tonfo e un clangore per una spinta ricevuta dalle sue spalle. Sollevò lo sguardo dalle sue cose sparse per il corridoio trafficato per trovare Harry Potter in piedi accanto a lei. 

“Oops. Scusa” disse senza sembrare anche solo remotamente dispiaciuto. 

Lo guardò truce, chiedendosi se fosse un avvertimento di come sarebbero state le cose tra loro adesso. Ostili. Chiaramente era stata più che ottimista a credere che avrebbe potuto prendere a cuore le sue parole. 

Prima che potesse formulare una risposta, lui si chinò, raccogliendole tutte le cose nella borsa. Accigliata, si lasciò cadere accanto a lui, strappando rapidamente le imbarazzanti piume masticate dalle sue mani. 

“Ce la faccio”, tagliò corto. 

Lui non protestò, impilando gli ultimi libri. 

Ginny stava per rialzarsi in piedi e andarsene con un’appropriata aria minacciosa, quando lui le toccò il braccio. 

“Hai dimenticato questi.” Le ficcò qualcosa in mano. Lei guardò in basso, cogliendo il luccichio dell’oro prima di serrare il pugno. Lo avrebbe saputo se avesse avuto una piccola fortuna tintinnarle in giro per la borsa. Che nuovo, folle, scherzo era?

Harry le sorrise di rimando e Ginny capì che era divertito, come se si stesse godendo la sua confusione. 

“Stasera alle otto, va bene?” disse con voce appena udibile. 

Girando le monete nel palmo, le contò attentamente. Uno, due, tre. 

Tre.

Sentì un assurdo sorriso fiorirle dal calore che le ribolliva nel petto. Ma notò anche che le persone cominciavano ad osservare. Ficcando il pugno nella tasca, annuì, rivolgendo ad Harry un sorriso affabile. 

Quindi lo spinse. 

Cadde a terra di chiappe, un’espressione di stupida sorpresa sul volto. Si accigliò, massaggiandosi il petto e Ginny pensò che anche lei si divertita nel vederlo confuso. 

Alzando la voce, si drizzò in piedi e si scrollò un’immaginaria polvere dalle vesti. “Stai attento, Potter” gli disse, torreggiando su di lui. “La prossima volta non sarò così indulgente.”

Non gli rivolse un’altro sguardo, i suoi passi leggeri ed agili mentre canticchiava tra sé e sé.

* * * 

Ron, Harry ed Hermione li incontrarono nel corridoio di fronte alla Stanza delle Necessità poco prima delle otto. Al momento sembrava solo un semplice tratto di muro e sapeva che Tobias stesse ancora pensando che si trattasse di uno scherzo molto elaborato. Farlo venire lì era stato molto più complicato che convincere Harry. 

“Dovete firmare questa” disse Hermione con un sorriso esitante e porgendogli un foglio di pergamena che Ginny riconobbe dalla Testa di Porco, la sua firma capeggiante su tutte le altre. 

“Perché?” domandò Tobias incrociando le braccia al petto. 

Il sorriso di Hermione vacillò. 

“Perché te l’ha detto lei, coglione” intervenne Ron. 

Tobias lo guardò truce, ma non abboccò alla provocazione. Ginny riusciva praticamente a vederlo archiviare l’insulto per future ritorsioni. “Che cos’è?” chiese, puntando i piedi per pura provocazione. 

“È la vostra promessa di non dire a nessuno cosa stiamo facendo” spiegò Hermione. 

“Cosa, non possiamo fare solo mignolino?” disse Tobias sarcastico, chiaramente in totale modalità coglione. 

Harry rivolse a Ginny uno sguardo eloquente. 

“Stai zitto e firma” disse lei, porgendo una piuma a Tobias. 

Lui la guardò truce e in silenzio. 

Smita, che era stata in silenzio fino ad allora, fu quella che, calma, prese la pergamena da Hermione, passando le dita sulla superficie. Annuendo come in approvazione, sollevò la bacchetta, mormorando un incantesimo. Harry, Ron ed Hermione sobbalzarono, le loro mani volarono alle bacchette. 

Una scrivania apparve nel mezzo del corridoio con un debole pop. 

Smita occhieggiò le bacchette dei Grifondoro come a dire ‘Cosa vi aspettavate?’ 

Non erano barbari, dopotutto. 

Ginny dovette mordersi le labbra per non scoppiare a ridere. 

“Posso?” le chiese Smita, indicando la piuma.

Ginny gliela porse con un gesto un po’ plateale. “Certamente.”

Sedendosi al piccolo tavolo, Smita firmò al fondo della pergamena con compatte, ordinate lettere. “Tobias?” chiese, offrendogli la piuma.

Tobias si prodigò in smaccate lamentele, ma si sedette al posto vuoto e firmò anche lui. 

Smita raccolse la pergamena e fece svanire la scrivania con un guizzo di bacchetta. Avvicinandosi a Hermione, gliela porse. “La pergamena è maledetta” osservò.

Hermione sbiancò.

“È cosa?” ringhiò Tobias, la voce bassa e pericolosa. Ginny gli toccò il braccio. 

“Maledetta” ripetè Smita, chiaramente indifferente alla notizia. 

Harry la guardò riflessivo. “E l’hai comunque firmata.

Smita annuì. “L’avrei maledetta anche io. È una saggia precauzione.”

Ginny non poteva mentire. Si divertì un mondo nel vedere il modo in cui Harry ed Hermione si sentivano a disagio per aver ottenuto l’approvazione di una Serpeverde al loro sotterfugio. 

“Che incantesimo hai usato?” chiese Smita, avvicinandosi ancora ad Hermione. 

La bocca di Hermione si aprì e si richiuse un paio di volte, il suo sguardo ancora nel panico. 

“Hai ragione” disse Smita, picchiettandosi con un dito la punta del naso. “È più sicuro non farlo sapere a nessuno.”

“Non dovremmo entrare?” chiese Ginny, cercando di nascondere una risata soffocata dietro un colpo di tosse. 

“Giusto” fece Harry, cominciando a muoversi davanti alla parete. 

Volente o nolente, Tobias sembrò piuttosto impressionato quando apparve la porta della Stanza delle Necessità. “In cosa diavolo ci hai cacciato, Ginevra?”

Harry, Ron ed Hermione oltrepassarono la porta, Tobias vi si trascinò poco dopo. 

“Ti stai divertendo?” sussurrò Ginny, intrecciando il braccio con quello di Smita mentre li seguivano.

Lei annuì. “Oh sì. Immensamente.”

Ginny rise del luccichio negli occhi dell’amica. “Sono davvero felice che tu sia qui.”

Quello, finalmente, sembrava giusto.

Dentro, la stanza si paralizzò quando tutti notarono i nuovi arrivati sulla porta. Un ragazzo di Corvonero si chinò per sussurrare qualcosa all’orecchio di una Tassofrasso. 

Ginny serrò la mascella. 

Harry la guardò in tralice e si schiarì rumorosamente la gola. “Abbiamo due nuovi membri oggi. Questi sono Tobias e Smita.”

Non esattamente espansivo, ma apprezzò il suo tono pratico. Non avrebbe giustificato la loro presenza a nessuno. Eccetto forse se stesso. 

Attese un altro momento, come se stesse aspettando che qualcuno li salutasse. Tuttavia la tensione parve cresce sempre di più, finché Luna non fece un passo avanti.

“Oh, ciao!” disse fluttuando verso di loro. 

“Ciao, Luna” disse Smita. 

La loro familiarità con Luna parve solo cementare di più la loro stranezza agli occhi degli altri, brontolii si diffusero per tutta la stanza. 

Harry soffiò forte nel fischietto che teneva attorno al collo. “Va bene, mettiamoci al lavoro. Dividetevi in coppie e fatemi vedere come vanno gli incantesimi di disarmo.”

Neville si avvicinò a Ginny. “Sono contento che tu sia tornata”, le disse.

“Grazie” rispose lei, girandosi verso Tobias e Smita. “Lui è Neville.”

Gli altri annuirono di rimando, Tobias ancora irritato e Smita timida come sempre. 

Ginny sorrise a Neville per stemperare la tensione. “Ti dispiacerebbe essere ancora il mio compagno d’allenamento?” Gli chiese, lasciando Tobias e Smita a lavorare insieme quando vide che Harry si avvicinò per aiutarli a mettersi in pari. 

Il resto della riunione passò relativamente senza incidenti, eccetto quando uno degli incantesimi di Neville andò storto e fece intorpidire una delle gambe di Tobias. Neville sembrava terrificato, Tobias sdegnato, ma poi Smita si chinò su di lui, preoccupata, e lui parve dimenticarsi completamente di Neville. Stupido idiota. 

Alla fine della riunione, Ginny fece finta di non notare il modo in cui le persone sciamarono attorno ad Harry. Per chiedere, senza dubbio, cosa diavolo stesse pensando, lasciando entrare un manipolo di Serpeverde. Fece finta che Fred e George non fossero proprio nel mezzo della calca. 

Neville le rivolse uno sguardo di scuse, Luna felicemente ignara di quel che stava succedendo. 

Ginny forzò il sorriso sul suo viso e spinse Tobias e Smita fuori dalla stanza il più in fretta possibile. 

In sala comune, Ginny occhieggiò Tobias, che stava chiaramente fumando di rabbia. “Sei più arrabbiato per il modo in cui ci hanno trattati o perché Harry è effettivamente un buon insegnante?”

Tobias sospirò, lasciando cadere un braccio sulle spalle di Ginny. “Non posso essere arrabbiato per entrambe le cose contemporaneamente?”

Ginny sorrise. “Andrà meglio” promise. 

Doveva. 

* * *

Non andò meglio. Beh, lo fece per po’. Gli altri si abituarono lentamente a vederli lì, in particolare dopo che Tobias smise di guardarli trucemente e quando la silenziosa competenza di Smita divenne chiara. Solo che poi la prima partita di Quidditch della stagione si fece sempre più vicina e le cose nei corridoi cominciarono a degenerare. 

Membri della squadra di Quidditch di Grifondoro finirono in infermeria, e Ginny non era così ingenua da non sapere il perché. 

Era in libreria a studiare quando notò Bletchley spiare Alicia Spinnet da sopra il suo libro, la bacchetta roteava tra le sue dita sotto la scrivania. 

Ginny attraversò la stanza come in cerca di un altro libro, urtando Bletchley da dietro giusto in tempo per veder rimbalzare innocuamente l’incantesimo su una gamba del tavolo. 

Bletchley si girò in sorpresa. “Ma che diavolo, Sei!”

Ginny fece un cenno di capo sopra la propria spalla. “La Pince stava guardando.”

Bletchley guardò in quella direzione, ma non vide la bibliotecaria. Probabilmente perché non era mai stata lì in primo luogo. 

“Non voglio che ti becchino con la partita alle porte. Abbiamo troppo bisogno di te.” L’osservò candidamente, invitandolo a darle della bugiarda. Cercò di ricordare quelle settimane dopo il Ballo del Ceppo, lo scorso anno. 

Come tutti gli altri, i ragazzi di Serpeverde tendevano ad andarci cauti con le ragazze della medesima casa. 

Bletchley scrollò le spalle e ritornò ai suoi libri. 

Alicia si girò, intercettando gli occhi di Ginny. Riservandole uno sguardo sospettoso, raccolse le sue cose nella borsa e se ne andò. 

Prima fosse finita quella partita, meglio sarebbe stato. 

* * *

Ginny si rimangiò tutto. La partita stessa era addirittura peggio del pre partita. 

Era preparata a uno scontro duro, ma non all’idea di divertimento di Draco. 

Weasley è nato in un bidon…

Riusciva a vedere le orecchie rosse di Ron dall’altra parte del campo. Goyle e Crabbe ridacchiavano, Katie e Alicia gli rivolsero sguardi torvi della portata di cento maledizioni.

Ginny serrò la mascella e cercò di concentrarsi sulla partita, notando un’espressione simile sul volto di Harry quando le passò accanto. Ignorò la canzone salire dagli spalti il più possibile, troppo impegnata a schivare Bolidi e a cercare di tenere alto il loro punteggio. Fred e George erano ben lungi dall’esitare di buttare giù dalla scopa la loro sorellina. 

Le buffonate fuori partita stavano distraendo Warrington. La canzone, la cronaca chiaramente di parte, Ginny non lo sapeva né le interessava.

“Ehi” latrò volando accanto a lui. “Concentrati sul gioco!”

Quell’anno aveva lavorato troppo duramente su tattiche offensive e schemi per non essere all’altezza, adesso. L’unico modo per vincere era portarsi in vantaggio di abbastanza punti prima che Harry catturasse il Boccino. Non poteva fare affidamento su Draco. 

Inoltre, non dare a Ron abbastanza tempo per pensare era probabilmente la cosa migliore che poteva fare per lui. 

Ginny fece cenno a Thompson di portarsi in formazione e fece un’altra azione verso le porte di Grifondoro. 

Nonostante gli sforzi di Ginny e anche la prestazione abissale da portiere di Ron (scacciò senza pietà ogni traccia di compassione), non riuscirono a portarsi in vantaggio abbastanza. Harry prese il Boccino e la partita finì.

Ginny ebbe solo il tempo di imprecare sottovoce e scaraventare l’ormai inutile Pluffa al suolo prima di vedere il trionfante Harry investito da dietro da un Bolide. Ginny sussultò quando atterrò di schianto. 

Si voltò in volo verso Crabbe per dirgliene quattro, ma Madam Hooch stava facendo un lavoro coi fiocchi e francamente Ginny era troppo stanca per affrontare altre cazzate al momento. 

“Idioti” borbottò, atterrando vicino a Warrington e Thompson. 

“Scusa, Ginny” le disse quest’ultimo. Persino Warrington sembrava un pochino imbarazzato, ma come al solito non si preoccupò di scusarsi per la loro coordinazione decisamente non stellare. 

Ginny prese un respiro e cercò di sorridere incoraggiante. “Faremo meglio la prossima volta.” Specialmente dopo averli fatti allenare abbastanza da fargli venire gli incubi. 

C’era dell’agitazione dall’altra parte del campo. Ginny guardò in quella direzione con davvero poco interesse, giusto in tempo per sentire l’eco della voce di Draco raggiungerla perfettamente nonostante la distanza. “O forse ti ricordi di quanto puzzava la casa di tua madre, e il porcile dei Weasley te la fa tornare in mente…”

Aveva appena cominciato a registrare quelle parole quando George e Harry si lanciarono su Draco, i pugni alzati. 

Ginny si mosse automaticamente verso la rissa, quel compiaciuto, senza talento, ridicolo stronzo.

Prima che potesse anche solo muovere un passo, Thompson l’afferrò per il braccio. “Non farlo.”

“Scusami?” scattò lei, strattonando il braccio. Se pensava che avrebbe fatto finta di…

La sua presa non affievolì. “Lascia perdere.”

Si voltò verso di lui, la bocca aperta in indignazione.

“Non ti sto dicendo di dimenticare” disse lui. “Solo di lasciar perdere. Per ora.”

A quel punto la McGonagall e Madam Hooch erano già intervenute, e Ginny sospirò. Sapeva che Thompson aveva ragione, quel maledetto. 

Non le aveva ancora lasciato andare il braccio. 

Gli rivolse un’occhiata maliziosa e lui sorrise imbarazzato. “Sto solo cercando di assicurarmi che tu non mi affatturi nel momento stesso in cui ti lascio andare.”

Ginny rise, reclutante. “No. Ma quando avremo finito con gli allenamenti la prossima settimana, potresti desiderare che io l’abbia fatto.”

“Oh, fantastico” si lamentò Warrington. 

Thompson la lasciò andare e, ignorando le urla nella sua testa, li seguì silenziosamente fuori dal campo. 

* * *

Harry, George e Fred furono squalificati. 

Parte di Ginny sapeva che se l’erano meritati, lasciando che il loro temperamento avesse la meglio. Draco era un coglione, ma quelle erano solo parole. Se avesse dovuto incazzarsi per qualcosa, sarebbe stato per il bolide tardivo di Crabbe. Quello era stato stupido e pericoloso. 

Voleva soprattutto urlare contro George e Harry per aver reso le cose così dannatamente facili a Draco. 

“Ti è piaciuta la mia canzone, Weasley?” domandò Draco, chiamandola allegramente di fronte a tutta la sala comune. 

Per un momento lo sentì, il sangue ribollirle di rabbia. Tutti sapevano che quella canzone non era solo sulle abilità di Ron nel Quidditch, ma sulla sua famiglia, i suoi genitori. Con uno sforzo, ricacciò indietro la rabbia. Draco non sarebbe andato a segno ancora una volta. Non con lei. 

Ginny scosse la testa, guardandolo tranquillamente. “Non posso dire di averla realmente sentita. Devo essere stata troppo impegnata a guardarti mancare il boccino ancora una volta.”

La faccia di Draco avvampò, alcune persone lì attorno ridacchiarono dietro le mani. 

Rimase in piedi, guardandolo ancora un momento, per vedere se avesse altro da dire, se fosse stupido abbastanza da estrarre la bacchetta. (Ti prego, oh ti prego, sperava in segreto. Che le desse solo una ragione.)

Non fu davvero sorpresa quando lui non fece altro che guardarla torvo. Solo un po’ dispiaciuta. 

Rivolgendogli un’ultima occhiata sprezzante, Ginny girò sui tacchi, continuando come se non l’avesse mai interrotta. Si lasciò cadere su una sedia, portando il manuale d’Incantesimi vicino al viso. 

“Ben fatto.”

Ginny scrutò da sopra il bordo del libro per vedere Antonia su una sedia vicina.

“Sto lasciando perdere” disse Ginny, ricordando il consiglio di Thompson. “Per adesso.”

Antonia annuì come se avesse perfettamente senso. “C’è un sacco di tempo per altre cose, aspettando.”

Ginny socchiuse gli occhi. “Tipo cosa, la vendetta?”

“Non vendetta” disse Antonia, il suo sorriso paziente e un po’ ferale. “Karma.”

Guardando Antonia sparire nuovamente dietro il suo libro, Ginny non fu sicura di comprenderne la differenza. 

* * *

Era passata solo una settimana dalla disastrosa partita quando il Galeone nella tasca di Ginny si surriscaldò, i numeri cambiarono indicando la data del successivo incontro dell’ES. Alzò gli occhi dal suo tema per trovare Tobias e Smita scambiarsi uno sguardo dubbioso, le mani nelle tasche.

La questione se andare o meno alla prossima riunione, non sembrava di così banale risoluzione come lo era la settimana prima. 

Ginny sapeva che il fatto che Draco e Crabbe fossero due stronzi non significasse che tutti i Serpeverde fossero cattivi. Non era sicura che fosse così anche per il resto dell’ES, tuttavia. 

Ciononostante, non era pronta a cedere il terreno così faticosamente guadagnato. “Ci sto”, disse. 

Tobias scrollò le spalle, guardando Smita. “In un modo o nell’altro, dovrebbe essere interessante.”

Smita annuì in approvazione. “Io dico di andare.”

Ginny cercò di capire se Harry sembrasse sorpreso o infastidito dalla loro presenza alla riunione, più tardi quella sera, ma era incredibilmente impassibile. Soffocò il ridicolo impulso di scusarsi. Oltre ad essere nella stessa squadra di quegli idioti, lei non aveva fatto niente. 

Ovviamente, per un Grifondoro, non fare nulla era probabilmente una colpa di per sé.

Si posizionò accanto a Neville e lui sembrò abbastanza contendo di vederla. Non era così miope da non notare il suo imbarazzo, le occasionali occhiatacce che le rifilavano alcuni altri Grifondoro. 

“Non hai fatto niente, Ginny” le disse piano Neville quando lei si posizionò davanti al fantoccio per le esercitazioni. 

“Forse avrei dovuto”, disse. “Forse avrei dovuto prendere a pugni in faccia Crabbe.”

Neville fece una smorfia. “Così anche tu saresti stata squalificata a vita.”

“Davvero?” lo rimbeccò lei, prendendo la mira sul fantoccio. “O mi avrebbero fatto solo scrivere delle frasi?” Non era stupida. Vedeva come le conseguenze fossero diverse Casa per Casa. Vedeva i privilegi per alcune e le limitazioni per altre. 

Neville sospirò. “Tu devi conviverci con loro, Ginny. Tutti lo sanno.”

La mano di Ginny si strinse attorno alla bacchetta. “Reducto.” 

Il fantoccio esplose. 

* * *

Le cose si distesero e si calmarono lentamente all’avvicinarsi del Natale, tutti si preparavano per tornare a casa. Ginny coglieva ancora occasionali strascichi di quell’offensiva canzone in sala comune, ma era diventata un’esperta nell’ignorarla. Era difficile, tuttavia, cercare di sembrare impassibile quando tutto quello che voleva era far cozzare le loro teste. 

Invece, imparò a fingere di essere glaciale; gli sguardi d’approvazione d’Antonia erano gli unici segnali che le indicavano come se la stesse cavando. 

Serviva ben più di una canzone per spezzare il ghiaccio. 

Persino l’ostilità nei loro confronti alle riunioni dell’Es calò lentamente a livelli impercettibili, ma poteva solo essere la felicità per le imminenti vacanze. O il divertimento diffuso per una decorazione con la faccia di Harry che Padma aveva trovato sotto uno dei cuscini. Ginny pensò che un bell’incantesimo di accrescimento e un volontario disposto ad attaccarla al letto di Harry sarebbe stato un degno sforzo. 

Smita e Tobias lamentarono la loro impossibilità di poter accedere alla sala comune dei Grifondoro. 

Attorno a loro, la stanza si stava svuotando, gli studenti si allontanavano a gruppi di due o tre. 

“Probabilmente dovremmo andare” le disse Smita all’orecchio. 

Ginny guardò sopra la propria spalla per vedere Cho indugiare accanto alla bacheca ed Harry prendersi un tempo esageratamente lungo per sistemare i cuscini. Il che, considerato quanta della sua attenzione fosse riservata a Cho e non a quello che stava facendo, era comprensibile. 

“Ah” sussurrò Ginny, simulando innocenza.

Si diressero alla porta e Tobias non fu in grado di trattenersi. “Ci vediamo dopo, Harry!” disse vivacemente. 

Lui sussultò un poco al saluto troppo forte, le sue guance divennero rosse come se fosse stato scoperto a fare qualcosa di sbagliato. Li salutò vagamente con la mano, più simile a un disperato cenno per cacciarli via. 

Ginny lanciò uno sguardo alle sue spalle un’ultima volte mentre se ne andavano e vide Cho piangere ed Harry sembrare nel panico. 

Scosse il capo con un grugnito. Ragazzi. 

* * *

“Signorina Weasley.”

Ginny aprì di scatto gli occhi trovando il professor Piton in piedi accanto al suo letto, il volto illuminato fiocamente dalla punta della sua bacchetta. Era piuttosto sicura di aver già avuto quell’incubo, prima d’ora. 

Si strofinò forte gli occhi per cancellare l’immagine. 

Solo che la sua faccia era ancora lì. “Ho bisogno che ti alzi e che mi segua”, le disse. 

Ginny si accigliò. “Signore?”

“C’è stato un incidente.”

Si mise a sedere così velocemente che per poco le loro teste non cozzarono. “Chi?” Aveva così tante persone di cui preoccuparsi, il suo cervello vagliò la lista con velocità vertiginosa. 

Piton non sembrava per nulla cooperativo, la sua faccia non lasciava trapelare nulla. “Andiamo.”

Decidendo che obbedire l’avrebbe condotta alle risposte più velocemente, si gettò una vestaglia addosso e ficcò i piedi nelle ciabatte, il cuore che le martellava nel petto. 

Smita fece capolino dalle sue tende, la faccia sgualcita dal sonno e dalla confusione. “Ginny?”

Piton voltò la testa in sua direzione. “Torna a dormire, signorina Gupta. Questi non sono affari tuoi.”

Smita si accigliò, ma fece come le era stato detto, dopo aver lanciato a Ginny uno sguardo che sembrava richiedere una spiegazione più tardi.

Ginny seguì Piton attraversò corridoi bui con null’altro se non la punta illuminata della sua bacchetta a guidarli e cercò di non pensare a quanto misterioso sembrasse il castello, pieno di ombre e di cose nascoste. Ciononostante, era più semplice pensare a quello piuttosto che a cosa l’attendesse alla fine di quella camminata. 

La loro destinazione si rivelò essere l’ufficio del Preside e quello non poteva essere un buon segno. Nel circolare, bizzarro ufficio, che normalmente Ginny avrebbe adorato ispezionare da cima a fondo, i suoi fratelli la stavano aspettando assieme ad Harry. Quest’ultimo sembrava come qualcuno al quale fosse stato prosciugato tutto il sangue e per un secondo pensò che fosse lui quello ferito. Ma allora per lei era lì?

“Cosa sta succedendo?” chiese, andando dritta filata verso i gemelli. 

Loro scossero il capo in silenzio, guardando Harry quasi con diffidenza. 

Fred si spostò per farle spazio tra loro. “Qualcosa riguardo papà” disse in un sussurro, come se stesse cercando di non attirare l’attenzione di Piton o di Silente. 

“Cosa?” replicò Ginny, poco più che un sussulto, il cuore le cadde dalle parti dello stomaco. 

George le mise rigidamente un braccio attorno le spalle. “Aspettiamo”, le disse. “Non sappiamo ancora niente.”

Dall’altra parte della stanza, Harry sollevò lo sguardo su di loro per distoglierlo subito dopo. 

Silente, infine, li mandò di nascosto a Grimmauld Place, ma una volta lì ci fu solo altra attesa, tentativi di non andare nel panico. Ginny pensò che quella fosse una delle notti più lunghe della sua vita, sedere lì aspettando, inghiottendo le parole e la paura finché si sentì come sul punto di esplodere. 

Era quasi l’alba quando finalmente apparve la mamma, pallida come la morte anch’essa, ma con un sorriso posticcio sul suo viso stanco. “Starà bene.”

Attorno a lei tutti eruppero in grida di gioia. Ginny chinò il capo, desiderando piangere, ma le lacrime semplicemente non arrivarono. 

* * *

Quel che restava della notte passò a singhiozzi, il tempo sembrava trascinarsi lentamente e poi accelerare a ritmi insopportabili. 

Ginny si reggeva a stento in piedi, ma riuscì comunque ad aiutare la mamma a portare in tavola la colazione. La tensione non li aveva abbandonati del tutto e sapeva che non l’avrebbe fatto finché non avessero potuto vedere papà coi loro occhi. Fortunatamente nessuno cercò di farli aspettare oltre il tempo necessario perché l’ospedale aprisse ai visitatori. 

Una parte di Ginny non si permise di credere che lui stesse bene finché non posò infine gli occhi su suo papà. Solo allora ricominciò a respirare di nuovo, e invece di piangere tutto ciò che adesso voleva fare era ridere. Aveva un aspetto orribile, il corpo coperto di bende, la faccia smunta e non c’era assolutamente nulla di cui ridere, nemmeno il modo in cui la mamma dimostrava il suo sollievo rimproverandolo come un bambino. Ma, tuttavia, il desiderio non scomparve. Non le importò neppure di essere spedita in corridoio quando la conversazione virò su Cose da Adulti.

Lui stava bene. 

In più, i gemelli erano preparati come al solito ed estrassero Orecchie Oblunghe per tutti, i loro volti sembravano riflettere il conforto che Ginny sentiva nel petto. 

Ascoltarono allegramente dall’altra parte della porta, i loro sorrisi sembravano stupidi per la mancanza di sonno e il puro sollievo. Non registrò nemmeno la maggior parte delle cose che gli adulti nell’altra stanza dicevano, finché la voce di Moody ringhiò sopra tutte le altre. 

“Certo Potter non si rende conto di che cosa significa, ma se è posseduto da Tu-Sai-Chi…”

Harry si allontanò dalla porta con uno scatto.

In quel momento Ginny ricordò tutto troppo chiaramente, il modo in cui Tom riusciva a intromettersi quando meno te l’aspettavi. 

* * *

Ron stava ciondolando in cucina. 

Era lì da tutta la mattina. Harry doveva ancora evitarlo, ipotizzò Ginny, nello stesso modo in cui aveva ignorato tutti loro il giorno prima durante il ritorno dall’ospedale. Era nella sua stanza da allora. Nascondendosi, facendo il broncio, chi poteva dirlo?

La mamma cominciava a sembrare agitata, probabilmente turbata che erano almeno ventiquattro ore da quando aveva potuto nutrire Harry l’ultima volta. Il vassoio del pranzo che aveva preparato per lui sembrava abbastanza da poter sfamare un piccolo esercito. 

Ginny ne aveva abbastanza. Suo papà era quasi morto due giorni prima e, anche se sembrava che Harry gli avesse salvato la vita, non aveva il diritto di aggiungere altre preoccupazioni alla sua già troppo preoccupata mamma. In più, Ron la stava facendo impazzire. 

“Lo porto su io” disse prima che qualcun altro potesse protestare. 

Reggendo il vassoio del cibo con una mano, Ginny bussò alla porta di Harry. Ci fu un lungo silenzio e lei fu costretta a bussare ancora, più forte e più insistentemente per fargli sapere che non aveva intenzione di andare da nessuna parte.

“Non ho fame” disse finalmente lui dall’altra parte della porta. 

Peccato, pensò lei aprendo la porta. Lui sembrava sorpreso della sua sfacciataggine, alzandosi a sedere sul letto. Lo vide prendere un respiro come se cercasse di mantenere la calma. 

“Davvero. Non ho fame” ripetè.

Il baule ai piedi del suo letto era aperto, le cose gettate dentro alla rinfusa come se avesse fatto in fretta i bagagli ma poi avesse cambiato idea. 

Posando il vassoio, Ginny chiuse la porta dietro di sé.

“Ginny” disse lui con una punta di avvertimento. 

Lo ignorò. “Chiedimelo.”

Lui balzò in piedi, ora la rabbia quasi si irradiava dal suo corpo. “Voglio essere lasciato solo.”

Ginny fece un ostinato passo in avanti. “Chiedimi…” S’interruppe, deglutendo. “Chiedimi cosa si prova ad avere Voldemort che possiede il tuo corpo.”

Harry s’immobilizzò e lei seppe in quel momento che lui era stato fortunato abbastanza da dimenticare, da dimenticare perché fosse quasi morto in quella camera così tanti anni prima. 

Fece un altro passo avanti, la voce dura. “Chiedimelo.

Tutta la rabbia e la spavalderia sembravano essere scivolate via, lasciandolo dolorosamente incerto. “Come… com’è?

Ginny si leccò le labbra, riportando alla luce ricordi che aveva fatto di tutto per dimenticare per così tanto tempo. “È come… come se tutto diventasse soffice, ovattato, insipido. Come se lo sforzo per sentire un’emozione fosse troppo per poter essere persino contemplato. Come se ti dissolvessi così tanto che le persone riescono a guardarti attraverso, finché cominci a pensare che scomparire per sempre sarebbe la cosa migliore che ti possa capitare. La migliore per tutti.”

“Ginny” disse lui, la mandibola rigida. 

Impaziente, ricacciò indietro le lacrime che si rifiutava di versare. “C’erano lunghi momenti di buio nei quali non ricordavo niente. Momenti in cui non aveva idea di cosa avessi fatto, o chi avessi ferito.” Lo guardò dritto negli occhi. “A te questo è mai successo?”

“No.”

Lei annuì. “Come sospettavo.”

Harry sedette nuovamente sul letto come se gli fossero stati tagliati tutti i fili, passandosi una mano tra i capelli. 

“Non hai ferito nostro padre, Harry. Tutti noi lo sappiamo. Quindi resta quassù se è questo che vuoi. Ma non farlo perché pensi di proteggerci.” Si voltò per andarsene. 

“Sono così arrabbiato”, disse. “Tutto il tempo.”

Si fermò con una mano sulla maniglia. Si stava irradiando da lui da tutto l’anno, la rabbia, ma non sapeva se fosse semplicemente normale per lui, se fosse sempre stato così, o se fosse qualcosa di nuovo. 

Lo scrutò da sopra la spalla. “Questa forse è una buona cosa, non pensi?”

Si accigliò. “Come lo capisci?”

Lei si strinse nelle spalle, ricordando quei lunghi giorni a fluttuare in giro per il castello come un fantasma. “Non saresti arrabbiato se non t’importasse.”

A Tom non era mai importato di niente e di nessuno. Solo se stesso. 

Aprì la porta. 

“Ginny?”

Si fermò ancora. “Sì?”

“Grazie.”

Mise insieme un sorriso tremante. “Già. Lascia solo entrare Ron, vuoi? Ci sta facendo diventare pazzi.”

Lui sbuffò, non proprio una risata, ma quasi. 

Lo lasciò a prendere qualcosa dal vassoio del cibo, passando accanto alla nuova arrivata Hermione sulle scale.

“Tutto tuo”, disse Ginny.

* * *

Il Natale s’insinuò in Grimmauld Place come un ospite indesiderato. Sirius attaccò le feste con una sorta di energia maniacale che non lo fece sentire per nulla più gradito. Era un po’ come attaccare un ghiacciolo alla fronte di Kreacher e chiamarlo unicorno. 

Tuttavia, la mamma stava cercando di fare del suo meglio per tutti loro e Ginny pensò che doveva a papà almeno un tentativo. Così, quando George e Fred decisero di fare l’albero, intervenne suggerendo di trasformare i predecessori di Kreacher in palline scintillanti. Rimpiangeva davvero quella decorazione con la faccia di Harry che doveva essere rimasta nella Stanza delle Necessità.

Aveva persino sentito per caso Harry dire ad Hermione “Sempre meglio del Natale coi Dursley.”

Sfortunatamente, Grimmauld Place era sempre Grimmauld Place, anche se nascosta sotto tutti gli addobbi. 

Papà non era nemmeno tornato a casa, ancora, così la colazione di Natale fu un po’ sottotono anche se tutti indossavano nuovi maglioni colorati. C’era un ulteriore pacchetto non aperto che giaceva alla fine del tavolo che Ginny fece finta di non sapere che fosse destinato a Percy. A giudicare dalla tensione nella mascella della mamma, aveva avuto la faccia tosta di rimandarlo indietro. Si chiese se almeno gli importasse che papà fosse in ospedale. Che fosse quasi morto. 

Ma pensare a Percy faceva solo venire voglia a Ginny di usare la maledizione Reductor su qualcosa e la mamma non si meritava anche quello tra tutte le cose successe quel giorno. Così si concentrò sulla cena e fece del suo meglio per non lasciare che la palese gioia di Sirius nell’averli tutti lì la facesse sentire strana. 

Ben presto fu tempo di tornare a scuola, ancora senza sapere perché o come papà fosse quasi morto per l’attacco di un serpente gigante. 

Per Ginny sarebbe stato un sollievo quando avrebbe potuto riavere la bacchetta in mano. 

* * *

Hogwarts con la neve era largamente riconosciuta come una delle viste più belle al mondo. 

Ginny non poteva essere meno impietosita.

“Per la barba di Merlino, voi teste vuote avete dimenticato ogni cosa durante il Natale? È come se ci fosse una banda di Babbani ubriachi qui fuori.” Udì gli i piedi degli altri due Cacciatori atterrare poco dopo di lei, ma non si prese la briga di voltarsi a osservare la loro reazione al suo alterco. 

Prese in considerazione l’ipotesi di gettare via la scopa con disgusto, ma non era disposta a lasciare che le emozioni avessero la meglio sul suo equipaggiamento. Sarebbe stato molto più pratico prendersela con le stupide teste di Thompson e Warrington. Tenendo la scopa ben stretta, marciò fuori dal campo. 

Non era andata lontano quando una bagnata, soffice palla di neve la colpì sulla nuca, la fanghiglia s’insinuò nel suo colletto. 

Si voltò per trovare Warrington spazzolarsi la neve dalle mani, per niente dispiaciuto. Spalancò la bocca, rivolgendosi al vicino Bletchley. 

Lui si strinse nelle spalle e disse “Te lo sei piuttosto meritato, Sei.”

Vicino a Warrington, Thompson annuì in accordo. 

Così forse era un po’ dura. Nervosa, addirittura. Voleva solo vincere davvero la loro prossima partita. Non lo capivano?

Warrington sollevo un sopracciglio in sua direzione, probabilmente volendo vedere se avrebbe estratto la bacchetta. 

Lei lasciò andare un sospiro, costringendo le spalle a rilassarsi. Aspettò abbastanza per far rilassare anche Warrington. Quindi disse con voce mite, “Capisci, ovviamente, che questo significa guerra.”

Warrington spalancò gli occhi e Ginny si chinò per raccogliere una manciata di neve. Gliela lanciò contro, ma lui la schivò all’ultimo momento e la palla di neve colpì Thompson in piena faccia. 

Ginny sollevò le mani alla bocca con orrore. 

Thompson si tolse la neve dagli occhi e sollevò le spalle. “Andata.” Quindi scaricò due manate di neve sulla testa di Warrington. 

Ginny soffocò una risata, guardando Bletchley da sopra la spalla. 

Lui sollevò una mano, arretrando. “Non ti azzardare…”

Non riuscì a terminare, la successiva palla di neve di Ginny gli esplose sul petto. 

Dopodiché, fu guerra aperta. I quattro lottarono per una copertura, le bacchette apparvero e le palle di neve cominciarono ad arrivare furtivamente da dietro le persone con strane angolazioni. Tra le risate, Ginny rifletté che quello era anche un buon allenamento per schivare Bolidi. Bletchley, sapeva, non avrebbe mai ammesso che lo stavano facendo per altri motivi.

Vide Crabbe e Goyle ridacchiare insieme vicino agli spalti, ma non ci badò. Thompson stava facendo un prode tentativo di attaccarla sul fianco, quindi aveva preoccupazioni più pressanti rispetto alle maligne osservazioni di Crabbe e Goyle sul loro comportamento infantile. 

E poi venne colpita da dietro da qualcosa di molto più veloce e duro di quanto potesse essere una semplice palla di neve. Andò giù come un sacco di patate. Nonostante la neve attorno a lei, il bagnato sui suoi vestiti, il suo braccio era in fiamme e sapeva che c’era qualcosa di serio. 

“Oh, piantala, Sei” la richiamò Bletchley, sbirciandola come se si aspettasse una trappola. 

Ginny non replicò, la bocca serrata contro il gemito di dolore che si rifiutava di emettere. 

“Gin?” disse Thompson, lasciando cadere la sua palla di neve mentre si avvicinava. Warrington colse l’occasione per colpirlo di nuovo, ma Thompson si scrollò semplicemente la neve di dosso. Doveva sembrare grave quanto credeva lei. 

“Bletchley” disse Thompson raccogliendo quella che sembrava una palla di solido ghiaccio delle dimensioni di un Bolide. 

“Figlio di…” imprecò Bletchley alzando lo sguardo da Ginny per trovare Crabbe e Goyle ridere fragorosamente da sopra gli spalti. “Che coglioni.” Scomparve dalla visuale di Ginny, senza dubbio per andare a dirne quattro a quegli idioti per aver messo a repentaglio la loro vittoria contro i Corvonero. 

“Spalla?” chiese Thompson inginocchiandosi accanto a lei.

Ginny annuì, mordendosi la lingua.

“Portiamola dentro” disse Warrington.

Thompson le passò un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena. Ginny sussultò di dolore, lasciandosi sfuggire un’imprecazione. “Posso camminare” tagliò corto. 

Bletchley riapparì. “Stai zitta e lasciati trasportare.”

La via per il castello fu infinita e per quando ci arrivarono era mezza congelata. 

“Incidente con un bolide” mentì in breve Bletchley alla Pomfrey in infermeria. 

Ginny non si preoccupò di contraddirlo. Non potevano mettere nei casini Crabbe e Goyle. Avevano bisogno di quegli stupidi coglioni per la loro partita. 

La Pomfrey borbottò alcune parole sopra Ginny, le dita s’infilavano senza remore dritte nelle tenere carni. “La clavicola è rotta.”

“Può aggiustarla, vero?” insistette Bletchley. Ginny si sarebbe sentita lusingata se non avesse saputo che la sua preoccupazione era rivolta alla partita. 

La Pomfrey gli rifilò uno sguardo severo. “L’osso sì. Ma i tessuti danneggiati necessitano di più tempo per guarire.”

“Quanto tempo?”

Lei strinse le labbra. “Quattro settimane per guarire completamente.”

Quattro settimane? L’incontro con i Corvonero era tra meno di una. 

Bletchley imprecò e Madam Pomfrey lo guardò scandalizzata. 

“Posso giocare” disse Ginny. Era solo il suo braccio sinistro, grazie al cielo. Ne aveva bisogno solo per restare in sella, non per segnare. 

“No, non puoi” la contraddisse Madame Pomfrey. 

“C’è quasi una settimana prima della partita. Metterò una benda, non lo userò affatto, starò sdraiata qui per tutto il tempo se vuole, berrò tutte le pozioni che le verranno in mente. Devo solo giocare. La prego.”

Il resto della squadra annuì in approvazione. 

“La prego” ripetè Ginny, rivolgendo a Madam Pomfrey il suo sguardo più patetico. 

Le labbra della Pomfrey erano una linea sottile. “Una settimana di totale e completo riposo. E poi ti controllerò di nuovo. Se ci sarà ancora dolore persistente, non ti permetterò di giocare.”

Non era perfetto, ma l’avrebbe accettato. “Andata.”

* * *

Le riunioni dell’ES erano decisamente meno interessanti quando non potevi fare altro che sedere e guardare. Tuttavia, Ginny mantenne la parola e sedette in un angolo col braccio appeso al collo. 

Ricevette più di un’occhiata curiosa quando arrivò, le persone chiaramente interessate a come si fosse ferita. Non aveva cambiato la sua versione, diceva solo “Incidente con un Bolide” ogni volta che qualcuno glielo chiedeva. 

Molti di loro la prendevano per buona, anche quando Tobias alzava ogni volta gli occhi al cielo, incredulo. (Ginny non si era nemmeno preoccupata di dire nulla a Tobias e Smita; aveva lasciato che traessero le loro conclusioni.) Fred e George si accigliarono al suo racconto, ma non insistettero. 

Ginny fu ancor più infastidita dal suo infortunio, quando capì che finalmente Harry avrebbe cominciato ad insegnar loro l’Incanto Patrono. Sedendosi un po’ più dritta, guardò in soggezione il cervo argenteo spuntare dalla sua bacchetta, la sua luce splendente riempire tutta la stanza. Non era neppure soltanto luce, ma qualcosa di tangibile, qualcosa che sembrava rendere tutto più allegro, più caldo. Quando svanì, sparendo in uno sbuffo di vapore, Ginny ebbe la folle sensazione che tutto fosse un po’ meno confortante, il dolore sordo al braccio divenne un po’ più forte. Vicino a lei, sentì una delle ragazze di Corvonero sospirare con disappunto. 

Harry abbassò la bacchetta. “Con la pratica, un Patronus può servirvi da barriera tra voi e un Dissennatore.”

“È così bello” disse Lavanda sospirando. 

Harry tossì, sembrando imbarazzato dall’entusiasmo delle ragazze. “Non vi mentirò. Sono maledettamente difficili da produrre, ma sono l’unica cosa che può salvarvi da un Dissennatore.”

“È carino”, ammise Angelina. “Ma come ti protegge?”

“È fatto di pensieri felici”, spiegò Harry. “La stessa cosa che i Dissennatori cercando di risucchiare da te, ma il Patronus non può provare la disperazione. Alla fine, così tanta felicità e gentilezza semplicemente respingono il Dissennatore.”

Ci fu un brusio di sussurri a quelle parole, molti ricordavano come si fossero sentiti a stare accanto a uno di quelli sul treno, qualche anno prima.

Smita sollevò la mano. “Cosa determina la forma che un Patronus assume?”

Harry si accigliò. “Non ne sono esattamente sicuro.” Si voltò automaticamente verso Hermione.

Lei non deluse. “Alcuni teorizzano che rifletta la personalità di chi li produce, o qualcosa di legato al ricordo felice che lo genera, ma nessuno lo sa con certezza.”

Smita annuì, scambiandosi con Tobias uno sguardo che Ginny non riuscì ad interpretare. 

Qualcuno dietro di loro borbottò che i Serpeverde non avevano alcun ricordo felice da utilizzare. 

Tobias lanciò un’occhiataccia sopra la sua spalla. Stringendo la sua bacchetta, disse “Conosco un modo con cui potermi procurare qualche ricordo felice.”

I ragazzi risero, alcuni più nervosi che divertiti, ma Ginny pensò che non sarebbe nemmeno successo prima dell’ES.

“Va bene” disse Harry. “Facciamo un tentativo.”

* * *

Alla fine della settimana, Ginny fu in grado di sedersi perfettamente calma durante l’ispezione della Pomfrey, senza tradire nemmeno una smorfia a prescindere da quanto lei la toccasse. Certo, era solo merito di una buona pozione che Smita aveva decotto per lei. Non era davvero barare, in teoria. Non quando la situazione era così disperata. 

La Pomfrey sembrava comunque sospettosa e diede a Ginny un’ultima inaspettata stoccata. Ginny contrasse lo stomaco, riuscendo a trattenere un gemito di dolore al braccio. Lasciò andare cautamente un sospiro e lasciò che il volto si distendesse in un sorriso. “Visto? In perfetta salute.”

La Pomfrey arricciò il naso. “Molto bene. Ma se ci saranno danni permanenti, non tornare a piangere da me.”

Ginny sentì una punta di preoccupazione a quelle parole, ma le ricacciò velocemente da parte, concentrandosi invece sulla partita. La sua squadra non aveva una possibilità senza di lei e lo sapevano tutti. 

Sabato arrivò freddo e gelato, coperto da pesanti nuvole grigie. Non esattamente promettente, ma Ginny non aveva bisogno del sole splendente, solo di un altro po’ della fantastica pozione di Smita.

Quando furono pronti per uscire sul campo, Bletchley afferrò la spalla di Draco. “Cattura quel dannato Boccino” ringhiò. “E meglio prima piuttosto che dopo.”

Draco si accigliò, scrollandosi di dosso la mano di Bletchley. Crabbe e Goyle lo seguirono, ancora vagamente divertiti dalla situazione. Troppo stupidi per capire l’impatto di quello che avevano fatto. 

Bletchley sospirò, ma non si prese la briga di insistere oltre. Doveva riconoscere una battaglia persa quando ne vedeva una. Non si preoccupò di chiedere a Ginny se stesse bene e lei non si aspettava che lo facesse. Una cosa sulla quale erano sempre stati implicitamente concordi era    quanto fosse importante il Quidditch. 

Si allungò per darle un pugno nel loro normale rituale pre partita, ma finì per cambiare idea all’ultimo momento, dandole dei colpetti imbarazzanti sulla testa. 

Ginny alzò gli occhi al cielo e lo appellò con una qualche oscenità.

Bletchley ghignò, affondando le nocche nel suo scalpo. 

Lei se lo spinse via, mise la scopa in spalla e uscì sul campo. 

Quando le due squadre si allinearono, non ci fu nessun cenno di riconoscimento quando Ginny si posizionò davanti a Cho, nessun segno che fossero entrambe membri dell’ES. Per nulla sorprendente. 

L’incontro cominciò bene, il dolore era sostenibile, ma quando la partita cominciò a protrarsi sempre più a lungo e nessuno trovava il Boccino e il freddo cominciava a intirizzirli, ci volle tutta la volontà di Ginny solo per rimanere sulla scopa. 

Dopo mezz’ora, Bletchley chiamò una pausa e Ginny si chiese se avesse cominciato a diventare verde dal dolore. Non parlò con lei, tuttavia, invece urlò a Draco di prendere il dannato Boccino e ai Battitori di fare il loro maledetto lavoro. 

Smita s’insinuò nel capannello di giocatori con un calice fumante in mano, ignorando semplicemente le grida. 

“Per la cronaca” disse porgendole il calice, “questa è stata davvero una pessima idea.”

Probabilmente, ma Ginny ingurgitò lo stesso il contenuto della coppa, sentendo un’istantanea vampata di sollievo.

Ginny fece del proprio meglio per segnare quanti più punti possibili mentre l’effetto della pozione era ancora forte, e Warrington e Thompson giocarono di conseguenza. Fortunatamente il Portiere di Corvonero non era molto capace, anche se Cho stava ancora volando in cerchio attorno a Draco. Lui sembrava incapace di fare alcunché se non tagliarle la strada di tanto in tanto, basandosi sui suoi violenti amici per scagliarle addosso Bolidi. 

Tuttavia, permise ai Cacciatori di guadagnare abbastanza tempo per andare in testa. Appena abbastanza da garantire che se anche Cho avesse preso il boccino, loro potessero ancora vincere.  

Un tardivo, stupido, stupido, stupido fallo per poco non distrusse il loro prezioso vantaggio. Crabbe, ovviamente. 

Ginny riuscì a infilare un’ultima Pluffa in porta prima che Cho acchiappasse il Boccino. 

Vittoria. 

Scendendo dalla scopa nel mezzo dei suoi festanti compagni di squadra, Ginny per poco con cadde a terra. Thompson le si avvicinò come per darle una pacca sulla schiena, il suo braccio le passò attentamente attorno alle spalle. “Tu, Weasley, se una delle persone più pazze, testarde e sconsiderate che io conosca” le disse aiutandola a tornare negli spogliatoi. “È pazzesco.”

Se non avesse provato così tanto dolore, probabilmente l’avrebbe colpito. 

“Spero solo che ne valga la pena” disse lui. 

Lo sperava anche lei. 

* * *

La mattina seguente, Ginny si sentì piuttosto vicina alla morte, il prezzo, lo sapeva, per il temporaneo sollievo che le aveva portato la pozione di Smita. Per quanto desiderasse un altro po’ di quella pozione, pensò che del cibo dovesse essere d’obbligo. Cibo e poi ancora letto. Per tipo una settimana. 

Dopo colazione sedette in sala comune assieme a Tobias e Smita. La testa le pulsava, era disperatamente indietro con i compiti e l’ultima dannata goccia era Crabbe seduto in sala comune, che lanciava pezzetti di carta a Millicent. La sua spalla, la canzone, il bolide tardivo, lo sguardo di Millicent mentre fingeva che non la disturbasse… era tutto dannatamente troppo. 

Spontaneamente, la voce di Neville le risuonò in testa. 

Tu devi conviverci con loro, Ginny. Tutti lo sanno.

No, pensò Ginny. Neville si sbagliava. 

Loro dovevano convivere con lei. 

“A che cosa stai pensando con quella faccia?” chiese Smita, la voce diffidente. 

Ginny strinse gli occhi. Lanciando i suoi libri da parte si alzò in piedi e marciò dall’altro lato della sala comune. Oltrepassò Crabbe senza esitazione, cogliendo un frammento delle cose a malapena coerenti e maligne che diceva su Millicent, senza preoccuparsi di sussurrare. 

“Antonia” disse Ginny quando fu vicino alla poltrona della ragazza più grande. “Mi stavo chiedendo se potessi aiutarmi con una cosa.”

Antonia alzò lo sguardo su di Ginny, un sorriso sornione le si allargò sul viso come un gatto al quale viene presentata una ciotola di panna. “Pensavo non me l’avresti mai chiesto.”

* * *

Giusto per essere assolutamente sicura, Ginny decise di seguire tardivamente i consigli della Pomfrey, tenendo il braccio appeso al collo per altre due settimane. Non lo usò per nulla, troppo preoccupata di quello che aveva detto la Pomfrey sui danni permanenti ora che la partita era finita. Non che se ne fosse pentita. Il Quidditch era una cosa seria. Il che era proprio il motivo per il quale, ora che aveva tempo, avrebbe preso seriamente la sua guarigione. 

La mancanza di allenamenti di Quidditch le permisero inoltre di rimettersi finalmente in pari con gli studi. 

Alle riunioni dell’ES, avevano finalmente cominciato a provare a produrre i loro Patroni, con uno scarso successo fino ad allora. La maggior parte non riuscì a produrre nulla di più di sbuffi di vapore argentato. Anche se la nebbiolina aveva comunque l’effetto di produrre infiniti sorrisi e risatine. Anche seduta da una parte, il braccio di Ginny doleva molto meno. 

L’intero gruppo aveva il morale alto, scambiandosi insulti e storie. Fred stava raccontando il loro ultimo scherzo ai danni di Filch mentre Lee Jordan faceva una credibile imitazione del custode che cercava di afferrarsi la lingua tinta di blu. 

“Ho sentito che Crabbe è in infermeria” sghignazzò George, senza preoccuparsi di nascondere il suo piacere malevolo. 

“Quel coglione è caduto dalle scale” spiegò Tobias, sempre felice di intervenire con un pettegolezzo di prima mano. “Troppo stupido per ricordarsi dello scalino infido, povero idiota.”

Risero tutti.

Ginny alzò gli occhi per trovare Harry a guardarla dall’altra parte della stanza. 

Sostenne lo sguardo senza battere ciglio. 

Lui dichiarò la fine dell’incontro, i bagliori luminosi si spensero. 

La stanza sembrava un po’ più buia di quando avevano cominciato. 

* * *

A febbraio, la squadra di Grifondoro messa insieme di fresco perse malamente contro Tassofrasso. 

Dagli spalti, Ginny sussultò e cercò di ricordare a se stessa che Grifondoro perdenti su Tassofrasso fosse una buona cosa per le possibilità di Serpeverde. Tuttavia, era doloroso da guardare. 

L’unica cosa buona è che nessuno osò cantare la stupida canzone di Malfoy vicino a lei. Dubitava che qualcuno l’avrebbe più fatto. 

Scoccò uno sguardo a Malfoy e Goyle, sembravano un po’ soli essendo soltanto in due. 

Mordendosi le labbra, tornò a guardare la partita. 

Fuori dal campo, le cose avevano cominciato a peggiorare. Era cominciato con l’intervista di Harry al Cavillo e i continui tentativi della Umbridge di controllare la scuola, licenziando gli insegnanti, sminuendoli e cercando di far sembrare che fosse lei a comandare e non Silente. 

Sarebbe stato di grande effetto se non fosse stato così dannatamente irritante. 

Smita corse da Ginny una sera dopo cena, la sua faccia pallida. 

“Smita?” chiese lei, guardandosi attorno la stanza in cerca di Tobias. “Cosa c’è che non va?”

“La Umbridge sta epurando la biblioteca da tutto il materiale non magico.”

Quella era probabilmente l’ultima cosa che si aspettava dicesse Smita. “Cosa?”

Lei annuì mentre Tobias si univa a loro. “Tutto ciò che è Babbano, dei Goblin o dei Centauri. Ha costretto la Pince a inscatolarli tutti.”

Ginny voleva davvero dire non può farlo, ma sapeva fin troppo bene che in realtà poteva. Doveva essere per via di Firenze e la Trelawney. Per via del desiderio della Umbridge di ristabilire il suo potere di fronte all’intervista di Harry e tutte quelle cose che non poteva controllare. 

“Madama Pince stava di fatto… piangendo” disse Smita sembrando seriamente disturbata. Alzò lo sguardo su Ginny. “Dobbiamo fare qualcosa, non è vero?”

“Certo che dobbiamo” intervenne Tobias, il disgusto chiaro nella voce. Se c’era una cosa che non tollerava, era che qualcuno cercasse di separarlo dai suoi libri. “Sgraffignarli dovrebbe essere facile. La Pince probabilmente ci aiuterebbe. Dobbiamo solo trovare un posto sicuro dove tenerli.”

“La Stanza delle Necessita?” chiese Smita. 

“No” replicò Ginny, osservando l’insignificante porta che non conduceva a un armadio delle scope. “Penso di conoscere un posto addirittura migliore.”

Camminò verso la porta, Smita e Tobias alle sue calcagna. Non era sicura se avesse dovuto provare con la maniglia, bussare o cosa.

Avrebbe dovuto sorprenderla, il modo in cui Antonia si materializzò, svoltando languidamente da dietro l’angolo, ma Ginny aveva da tempo smesso di chiedersi i limiti del potere di quella ragazza. 

“Sì?” chiese lei, fermandosi davanti alla porta come per proteggerla o sbarrarne l’accesso.

Ginny cercò di sorridere. “Se noi stessimo per… liberare alcuni libri, potresti aiutarci a trovare un posto dove tenerli?”

“Potrei” rispose, prestando più attenzione alle sue unghie perfette piuttosto che alla proposta di Ginny. “Ma perché dovrei?”

Ginny fu presa un po’ alla sprovvista, non si aspettava ostruzionismo da parte di Antonia. Si chiese se non fosse diventata un po’ troppo confidente nel pensare di conoscere la ragazza più grande. 

“Perché la Umbridge li distruggerà” sbottò Smita da dietro di lei. Ginny si guardò alle spalle per trovare Smita apparentemente scossa dalla sua stessa uscita. 

Vicino a lei, Tobias annuì, facendo uno sfacciato passo avanti. “In più, sono proibiti. Il Decreto Didattico numero millemila dovrebbe comunicarcelo a momenti. Non so voi tre, ma mi fa davvero venire voglia di leggerli.” Fece l’occhiolino ad Antonia, ma lei rimase impassibile ed in silenzio. Mentre scorrevano i secondi, per quella che probabilmente doveva essere la prima volta di Ginny, Tobias sembrò a disagio, abbassando gli occhi alla punta dei piedi e spostando il peso da una gamba all’altra. 

“Perché nessuno ha il diritto di dirci cosa non possiamo leggere” disse Ginny, capendo finalmente che quella era una prova per lei. 

Antonia rimase in silenzio per un altro momento, il suo sguardo si spostò infine su Ginny. “No” concordò. “Nessuno ha quel diritto.”

Ginny sostenne il suo sguardo. 

Antonia annuì. “Portatemeli, e io mi occuperò del resto” disse, scivolando nel Salottino. 

“Merlino” sospirò Tobias non appena Antonia scomparve alla vista. “Mi sa che un basilisco potrebbe facilmente prendere lezioni da lei.”

Probabilmente. Ma quella era una preoccupazione per un altro giorno. 

“Andiamo” disse. “Dobbiamo pensare ad un piano.”

* * *

La scomparsa di dozzine di libri proibiti dalla biblioteca rimase un segreto conosciuto solo dalla Umbridge, la Pince e i ladri. Ma, segreto o no, la Umbridge continuò ad aumentare i suoi tentativi di controllare ogni aspetto del castello più questi le sfuggivano di mano. Istituì la Squadra d’Inquisizione. Un gruppo di studenti col potere di pattugliare e generalmente fare la spia sui propri compagni. Probabilmente non sorprendeva il fatto che la maggior parte dei membri fossero ragazzi di Serpeverde, con alcuni Corvonero qui e là.

Se Percy fosse stato ancora lì, Ginny non aveva dubbi che sarebbe stato il primo della lista, Grifondoro o no. 

Avevano ancora l’ES, tuttavia. Solo un altro promemoria segreto che la Umbridge non controllava le cose tanto quanto credeva di fare. Per molti di loro, quella consapevolezza era come un piccolo Patronus caldo nelle loro tasche. 

La Stanza delle Necessità ne era piena quei giorni, luminosi animali luccicanti di varie forme e dimensioni.

Al tempo, Ginny non sapeva cosa Smita stesse cercando di ottenere, volendo sapere cosa determinasse la forma di un Patronus. Ora, guardando gli altri studenti ridere e osservare i loro Patroni con gioia, si chiese come nessuno di loro potesse rendersi conto di quanto stessero rivelando su loro stessi. 

Smita, Tobias e Ginny si scambiarono uno sguardo, i loro Patroni rimanevano null’altro se non sbuffi di nebbia. Meglio sembrare incompetenti che rivelare così tanto di se stessi per nulla. 

Harry prese posto al fianco di Ginny. “Cosa succede?” chiese, la voce bassa per non farsi sentire. 

Alzò lo sguardo su di lui. “Cosa vuoi dire?”

Lui le rivolse uno sguardo come per rammentarle che non fosse un idiota. “Ho visto la maledizione Reductor” le ricordò.

Lei fece un sorrisetto, ricordando la pura energia distruttiva che l’incantesimo aveva scatenato.

“Non ci stai provando” l’accusò, sollevandole leggermente il braccio della bacchetta come per aggiustarle la tecnica. 

Non era sicura di come giocarsela, se provare con una finta indignazione o forse simulare solo ignoranza. Poteva ancora dare la colpa alla spalla ferita, in qualche modo?

“La verità” insistette Harry, come se potesse vedere le bugie che stava considerando. 

“No”, ammise lei. “Non ci sto provando.” Scoccò uno sguardo al terrier di Ron mentre trottava accanto a loro. “Ne sei davvero sorpreso?”

Lui si accigliò, ma prima che potesse avere il tempo di pensarci, un sonoro crack lì vicino lo distrasse. Ginny si aspettava di vedere che Seamus avesse fatto esplodere qualcosa, ma invece un piccolo Elfo Domestico stava in piedi accanto ad Harry, torcendosi le mani.

“Dobby?”

Ci vollero momenti preziosi per estrarre la notizia dall’Elfo mentre questi cercava contemporaneamente di punirsi e di parlare, ma finalmente le parole uscirono. 

“La Umbridge sta arrivando!”

Ci fu un silenzio orripilato, i Patroni svanirono come se non fossero mai esistiti e fu soltanto quando Harry urlò loro di scappare che la realtà fece presa su di loro. 

Tobias afferrò il braccio di Ginny, già diretto verso l’uscita guado Smita sgattaiolò via, diretta al fondo della stanza. 

“Smita” urlò Ginny. “Dobbiamo andare!”

Smita scattò verso la bacheca attaccata al muro, la bacchetta diede un colpo secco sul foglio di pergamena attaccato assieme ai ritagli di giornale e le foto. Ginny fece appena in tempo a vedere che i nomi sulla lista si mischiarono e mutarono incomprensibilmente sotto le evidenti lettere di ESERCITO DI SILENTE.

“Andiamo!” urlò Ginny, trascinando Smita in corridoio. 

Erano facilmente gli ultimi studenti lì fuori, completamente alla mercé della Umbridge e dei suoi fidati studenti. 

Tobias fece segno verso la prima scalinata che raggiunsero. “Guferia” disse. 

Avevano fatto a malapena metà strada quando udirono una serie di passi dietro di loro. 

La mano di Tobias sul gomito di Ginny la costrinse a fermarsi. “Non c’è tempo” sibilò, spingendole entrambe contro il muro appena in tempo, quando studenti tirapiedi voltarono l’angolo. Erano Serpeverde, di un anno più piccoli di loro. 

“Ehi” disse quello più alto. “Avete visto degli studenti correre qui in giro?”

Tobias alzò lo sguardo come se fosse annoiato. “No” disse, contraendo la mano attorno alla vita di Ginny. “Ma non è che stessi proprio prestando attenzione, dico bene?”

I ragazzi occhieggiarono Smita e Ginny, i loro capelli ancora arruffati dalla corsa, e risero sguaiatamente. 

Tobias sorrise, lentamente e lascivo. I due tirapiedi stavano ancora ridendo quando si voltarono nella direzione opposta. 

Quando furono fuori dalla portata d’orecchi, Ginny picchiò Tobias sul braccio. 

Lui trasalì, massaggiandosi. “Ow! E questo per che cos’era?”

“Brillante” rispose Ginny, scuotendo il capo. “Ma disgustoso.”

Tobias fece un ghigno. 

Un urlo trionfante riecheggiò nei corridoi. “Ce l’ho professoressa! Ho preso Potter!”

Le ci volle un istante per identificare la voce come quella di Draco. Ginny si mosse come per staccarsi dal muro, ma la mano di Smita la bloccò.

“Non c’è niente che possiamo fare.”

Ginny si fermò, sapendo che Harry non li avrebbe voluti nemmeno se avessero potuto.

Il ritorno verso i dormitori fu carico di aspettativa. Il giorno dopo tutto sarebbe cambiato. 

* * *

La mattina seguente la Sala Grande mormorava dell’improvvisa partenza di Silente e della successiva nomina della Umbridge a Preside. Le cose sembravano andare di male in peggio. E tutto a causa della loro ribellione. 

Tutti i membri dell’ES si scrutavano a vicenda, i loro sospetti indugiavano su Smita e Tobias più di tutti gli altri. Qualcuno doveva averli traditi. 

Ginny attese che quei coglioni capissero finalmente che c’era un solo membro dell’ES che mancava all’appello nella Sala e che non era di Serpeverde. Cho sembrava lievemente imbarazzata dall’ovvio posto vuoto accanto a lei, quello che normalmente la sua amica e riluttante membro dell’ES era solita occupare. 

Fu solo il giorno seguente che riapparve con grosse protuberanze rosse su tutto il viso. “SPIA.” Era orribile e perfetto e Ginny non poteva onestamente dire come si sentisse al riguardo se non giustamente assolta dai sospetti di tutti nei riguardi di Serpeverde. 

Smita incontrò lo sguardo di Marietta mentre passava, i pezzi di un puzzle sembravano andare finalmente a posto. “Così è quella la maledizione che ha usato Hermione. Impressionante.”

Tobias sbuffò con derisione, probabilmente più incazzato che fossero quasi stati scoperti che dal fatto che l’ES fosse stato tradito. “Ha avuto quel che si merita, se me lo chiedi.”

Ginny guardò lungo il tavolo, lo sguardo catturato da Millicent che sedeva tutta sola. “Già”, concordò distrattamente. 

Ginny incontrò il lugubre sguardo di Harry dall’altra parte della sala. Occhieggiò Smita e Tobias seduti accanto a lei e annuì. Pensò che quello sarebbe stato tutto il riconoscimento che avrebbe ricevuto. Era abbastanza.

* * *

Se la Umbridge aveva pensato che distruggere l’ES e Silente in un colpo solo avrebbe risolto tutto, non aveva fatto i conti con due cose: Fred e George Weasley. Difficilmente c’era una parte del castello che non avesse subito gli effetti del loro regime di terrore. Era spudorato, sopra le righe e stupidamente coraggioso, e Ginny sapeva che i suoi fratelli ne stavano amando ogni momento.

Non passò molto prima che il Galeone di Ginny le si riscaldasse di nuovo in tasca, solo che questa volta non era per una riunione dell’ES, ma piuttosto per progettare uno scherzo. 

Fred, George, Ron, Harry, Neville, Luna e una ostinata Hermione erano tutti riuniti nell’aula vuota di Incantesimi quando Ginny entrò, Tobias e Smita subito dietro. “Cosa sta succedendo?”

Fred fece un cenno di benvenuto, il volto serio come lo era solo quando era in atto un guaio serio. “Dobbiamo far entrare Harry nell’ufficio della Umbridge.”

Tutti guardarono Harry e Ginny notò per la prima volta che sembrasse un po’ tetro. Quello era più un semplice scherzo, non potè fare a meno di pensare. 

Tobias sembrava sorpreso. “Tosto” commentò. “Sembra divertente.”

Ginny sorrise, guardando Smita e ricevendo un piccolo cenno di capo. “Immagino che ci stiamo.”

Fred e George spiegarono il loro piano di trasformare un corridoio in una palude. Per quando finirono, Tobias era molto meno entusiasta. 

“Che c’è?” chiese Ron, la voce pregna di ostilità.

Tobias lo ignorò. “Sembra un po’ inaffidabile come piano.”

Hermione si riprese, annuendo vigorosamente come se fosse finalmente lieta di avere qualcun’altro col quale concordare. “Meglio non farlo.”

Ron le scoccò un’occhiataccia prima di rivolgere nuovamente il suo fastidio a Tobias. “Cosa c’è, troppo preoccupato di venire beccato?”

Se si aspettava che Tobias lo prendesse come un insulto, chiaramente non aveva idea di con chi stesse parlando. La prudenza non era stupidità, esporti a un’inutile punizione sì.

“Ron, non fare lo scemo” disse Ginny. “Sta solo dicendo che se dobbiamo farlo, meglio farlo bene.”

Smita annuì. “Non c’è motivo di buttarsi nella mischia e venire scoperti.”

Fred e George sembrava che parlassero un’altra lingua. 

“La palude è un buon inizio” continuò Ginny, camminando attorno al tavolo. “Abbiamo solo bisogno di alcuni altri ostacoli per essere sicuri che nessuno entri nel suo ufficio mentre c’è Harry, o che i gemelli attuino la loro trappola.” Indicò alcuni punti strategici sulla mappa. “Tenere Peeves distratto, i professori fuori dai corridoi, questo genere di cose.”

I Grifondoro erano ammutoliti, il debole canticchiare di Luna era l’unico suono nella stanza. 

“Quello di cui avete davvero bisogno è qualcuno con un po’ più di sale in zucca” puntualizzò Tobias.

“E astuzia” aggiunse Smita, guardando gli sgargianti maglioni indossati dai suoi fratelli. 

Ginny represse un sorriso. 

Ron li stava ancora osservando a bocca aperta, ma Fred li stava guardando con occhi concentrati e valutativi. “Vi state offrendo volontari?”

Tobias fece un raffinato inchino. “Perché non ci lasciate semplicemente fare quello che ci riesce meglio?”

George lo scrutò. “Vuoi dire essere viscido bastardo?”

Ginny incrociò le braccia al petto. “Esattamente.”

Sapevano tutti che l’unica ragione per la quale non erano finiti tutti in punizione dopo che l’ES era stato tradito, era perché Smita aveva mantenuto la calma. 

Da quel punto, il piano si disegnò abbastanza facilmente, anche se capiva che non era proprio nelle corde dei Grifondoro. Ma perché essere beccati o puniti quando si poteva evitarlo?

Si erano accordati  tutti per un dato orario e si stavano separarono quando Fred mise un braccio attorno le spalle di Ginny, trattenendola. “Sei sempre stata la più scaltra di tutti noi, non è vero?” le disse all’orecchio. 

“Finalmente l’hai capito, eh?” gli disse, come se il suo cuore non le stesse martellando nel petto. Circondò con un braccio la vita del fratello e strinse più forte che potè. 

Lui rise, posando il mento sulla sua testa. “Mia eroina”, disse.

Ginny non sapeva se volesse ridere o piangere. 

Ovviamente, le cose non andarono proprio come previsto (non succedeva mai quando erano di mezzo dei Grifondoro). Harry riuscì ad entrare e uscire dall’ufficio inosservato, ma Fred e George furono beccati. Non era del tutto sicura che quella non fosse stata la loro intenzione per tutto il tempo. Dannati, pazzi coraggiosi. 

Allo stesso modo, non era sicura di essere mai stata così fiera di essere una Weasley come il giorno in cui guardò i suoi fratelli lasciare Hogwarts sulle loro scope, il crepitio dell’esplosione di  fuochi d’artificio nella loro scia. 

Tobias la colpì al braccio, il timore reverenziale sul volto. “Questa sì che è un’uscita di scena.”

Ginny sorrise. 

* * *

Si sarebbe potuto pensare che con la partenza di Fred e George, piantagrane per eccellenza, le cose si sarebbero calmate nel castello. Ma Peeves e i rimanenti membri dell’ES sembrarono invece intenzionati a lavorare sodo per colmare il vuoto lasciato. Aiutati di gran lunga dal fatto che i professori facessero del proprio meglio per guardare costantemente dall’altra parte. Sembravano averne abbastanza anche loro del regime delle Umbridge.

Tuttavia, le costanti esplosioni, la puzza di pozioni ripugnanti e gli scherzi potevano logorare una persona dopo un po’. Ginny cominciò a prendere l’abitudine di passare ogni sabato mattina nella beata pace del suo chiostro nascosto. Quella mattina, tuttavia, non era così vuoto come al solito. Harry sedeva nel suo posto preferito, osservando un foglio di pergamena nel suo grembo. 

Alzò lo sguardo su di lei. 

“Oh” fece GInny, credendo che Harry avesse voluto trovare un po’ di solitudine. “Mi dispiace.” Cominciò ad andarsene, ma Harry la fermò.

“No, va bene.” Indicò la pergamena che aveva ancora in grembo. “Ti ho vista arrivare.”

Si accigliò. “Tu cosa?”

Le fece cenno di avvicinarsi, porgendole la pergamena perché potesse vederla. Le ci volle un momento per trovarne il senso, le linee intricate, i piccoli puntini in movimento. 

“È Hogwarts.”

Annuì.

Individuò il chiostro, vedendo due piccoli punti col cartiglio Ginny Weasley e Harry Potter accanto. Almeno quello spiegava come avesse l’avesse trovato la prima volta. 

“Non c’è da stupirsi che tu riesca a farla franca così spesso” gli disse.

Harry sbuffò con divertimento che però parve non raggiungere davvero i suoi occhi. 

Lo guardò in tralice. Non voleva mettergli pressione, ma c’era un’aria quasi… d’attesa per la sua presenza lì in quel momento. “Harry?”

Voltò la mappa sulla biblioteca, rimanendo per un secondo a guardare gli alunni studiare. “Ho visto qualcosa che non avrei dovuto”, ammise. 

“Davvero?” chiese Ginny, scostando lo sguardo dai puntini delle gemelle Patil che indugiavano in strana parte della biblioteca. 

Lui annuì. “È per questo che volevo andare nell’ufficio della Umbridge. Per parlare con Sirius.”

Chiaramente parlare con Sirius non aveva aggiustato niente, però, a giudicare da come sembrava infelice. Gli ricordava un po’ l’ultima volta che avevano parlato da soli, quella tetra mattina a Grimmauld Place. 

Harry si strofinò il collo. “Ho visto uno dei ricordi di Piton di quando andava a scuola. Quando Sirius e i miei genitori erano qui.”

Non gli chiese come avesse visto quelle cose per sbaglio. Sembrava abbastanza imbarazzato da sospettare che la curiosità avesse giocato un ruolo da protagonista. 

“Mio padre si comportava da bullo con lui” disse tutto d’un fiato, come se le parole fossero dolorose da far uscire. “Lo facevano tutti. Per divertimento.”

“Piton?” chiese Ginny sentendo una fitta allo stomaco. 

Harry annuì.

Ripensò a Piton e Sirius lanciarsi frecciatine l’un l’altro all’ingresso di Grimmauld Place, la voce di Antonia nelle orecchie. 

Le cose non sono sempre come appaiono. 

“Lo so cosa stai per dire” disse Harry, la voce amara. “Erano solo ragazzi.”

Ginny si accigliò. “Lo siamo anche noi.”

Era chiaramente sorpreso dalla sua risposta, si voltò a guardarla dritto negli occhi, le sopracciglia inarcate. “Esattamente. Se avesse saputo com’era…”

“Lo sapeva?” Le persone avevano sempre parlato di James Potter come di un ragazzo d’oro, ma non sapeva se fosse rispetto per i morti o qualcosa di reale. 

Harry ci pensò su, il labbro inferiore catturato tra i denti. “No, non penso che lo sapesse.”

Harry non parlava molto di come fosse cresciuto, certamente non con lei. Sapeva solo spizzichi e bocconi da Ron ed Hermione, cose che i suoi genitori avevano detto a proposito dei Dursley in passato. James Potter non avrebbe mai potuto comprenderlo. C’era stato un tempo in cui nemmeno Ginny ne sarebbe stata in grado. 

E forse quello, più di ogni altra cosa, era il punto di Antonia. 

“Solo che… non avrei mai pensato di potermi dispiacere per Piton.” La guardò velocemente, come se solo allora si rendesse conto che forse lei avrebbe potuto sentirsi protettiva nei confronti del direttore della sua casa. 

“Già” disse. “Nemmeno io.” Ripensò a Piton, freddo e diretto, gli occhi pieni di odio quando se la prendeva con i Grifondoro. Era abbastanza da chiedersi da dove venisse veramente tutta quella cattiveria, ma forse l’aveva sempre saputo. “Tutto sembra diverso quando lo guardi dall’altro lato.”

“Già” fece Harry. “Credo proprio di sì.”

La stava ancora fissando con uno sguardo riluttante, e non era tanto imbarazzante quanto la sensazione che non se lo meritasse. 

Karma.

Ginny distolse lo sguardo, i suoi occhi si posarono sulla pergamena ancora aperta sul grembo di Harry. “Quindi, questa mappa…” disse, pensando velocemente. 

“Sì?”

“Probabilmente potrebbe confermare qualcosa che mi sto chiedendo da un po’.”

La fronte di Harry s’increspò per l’improvviso cambio d’argomento. “Possibile.”

Piegò la mappa finché non vide il parco e picchiettò col dito una fila di edifici. “Ho sentito che Flitwick passa molto più tempo nelle serre di quanto sia appropriato”, disse, agitando le sopracciglia in un’imitazione di Tobias e dei suoi modi più insinuanti. 

Harry eruppe in una risata sorpresa. “Non l’ho notato”, disse. Si avvicinò di più come per trasmetterle un grande segreto, la sua spalla toccò quella di Ginny. “Ma posso dirti che Madame Pince, a volte, in realtà dorme in biblioteca.”

“Lo sapevo!” esclamò lei.

Risero, chiacchierando un altro po’ delle varie persone sulla mappa, e alla fine rimasero in silenzio, passando il resto della mattina a fare i loro compiti. 

Le venne in mente solo molto più tardi che, con quella mappa, Harry avrebbe potuto facilmente sapere il suo programma del sabato mattina. Che forse la stava aspettando. 

Solo un altro mistero di Harry Potter, decise.

* * *

Lo sciogliersi della neve e i cieli tersi gradualmente rivelarono di nuovo il parco di Hogwarts. Il suo braccio era finalmente completamente guarito e di nuovo forte come lo era prima dell’infortunio, così Ginny si gettò di nuovo negli allenamenti. Avevano un’ultima partita per quell’anno. Era contro Tassofrasso, ma una vittoria con un ampio margine avrebbe quasi sicuramente garantito la Coppa di Quidditch a Serpeverde. Persino Piton sembrava eccitato dalla possibilità (per quando potesse sembrare emozionato per qualsiasi cosa). La settimana precedente alla partita, lasciò l’intera squadra di Quidditch senza compiti. 

Gli occhi di Ginny indugiarono su di lui mentre gli studenti lavoravano sulla pozione del giorno. Nonostante tutte le rivelazioni su Piton che aveva appreso da Harry, era confortante vedere che era ancora prevedibile. Tuttavia, quando Ginny incontrò lo sguardo di Piton da sopra il tavolo delle pozioni, un giorno, si ritrovò a guardarlo più da vicino, sorpresa di sentire che l’ostilità nei suoi confronti si era attenuata un pochino. 

“C’è qualche problema, signorina Weasley?” le chiese, la voce dura come il suo sguardo.

“No, signore” rispose lei, rivolgendo nuovamente la sua attenzione al calderone. 

Lui passeggiò per la classe, lanciando una frecciatina a Colin per il terribile colore della sua pozione. “Completamente senza speranza” dichiarò, evanescendo la pozione dal calderone. “Ricomincia da capo. E cerca di non rovinare tutto con la tua incompetenza.”

Ben presto fu sabato, il campo di Quidditch investito dal caldo sole primaverile. 

Aspettando che le palle fossero liberate, Ginny scrutò i suoi compagni, controllando le loro posizioni. Trovò Crabbe a fissarla, la sua espressione illeggibile. Fu il primo a distogliere lo sguardo. Non si sentì soddisfatta come pensava avrebbe dovuto. Tuttavia, almeno sapeva che non ci sarebbero stati altri Bolidi vaganti o tardivi, quella partita. 

Quello doveva pur significare qualcosa. Vero?

Aveva paura di no. 

Si levò il fischio d’inizio e partirono tutti. 

Dopo una partita tesa contro i Grifondoro e la straziante agonia contro i Corvonero, Ginny si sentiva quasi come se avesse troppo tempo per pensare, contro i Tassofrasso. Il suo gioco non fu eccelso, ma riuscirono comunque a vincere con ampio margine. 

Il nuovo Cercatore di Tassofrasso doveva attendere parecchie aspettative, dopotutto. Draco riuscì a fare apparentemente l’impossibile e in effetti catturò il Boccino.

E così avevano vinto. I Grifondoro avrebbero dovuto battere i Corvonero di quasi ottocento punti. Considerato quanto fosse stata dura per i Serpeverde contro i Corvonero, i coraggiosi Grifondoro non avevano una possibilità.

Guardando verso lo spalto dei professori, Ginny vide Piton parlare con la McGonagall, quasi compiaciuto come se le avesse appena detto di prepararsi a consegnargli la coppa. 

Dal canto suo, la McGonagall aveva la faccia piuttosto tirata.

Thompson di gettò su Ginny, abbracciandola forte, e lei cercò di dimenticarsi di tutto tranne che della loro vittoria. 

* * *

Ginny era depressa. 

Non c’erano davvero altre parole per descriverlo, per quanto avrebbe voluto che ci fossero. Era seduta in sala comune, ascoltando il rumore dell’acqua sopra di loro, gli occasionali distanti lamenti del corno di un maride risuonare nelle mura. Non stava pensando a come tutto le fosse diventato familiare, confortante, ma piuttosto si concentrava sulla sensazione di pesantezza allo stomaco che non era in grado di scrollarsi di dosso. 

Cercò di dire a se stessa che era per colpa della stagione di Quidditch terminata, dello scioglimento dell’ES, della partenza di Fred e George, ma nel profondo sapeva che era qualcosa di completamente differente. 

Andando nella sala comune, il giorno prima, Ginny aveva raggiunto l’ingresso nello stesso momento di un ragazzo del primo anno. Si era velocemente tolto di torno, ma non prima che la vedesse sul suo viso: la paura.

Quello sguardo si era depositato in profondità  nel suo stomaco e rifiutava di andarsene.

I suoi pensieri ritornarono su Piton, dispiacendosi per lui e odiandosi per quello allo stesso tempo. 

Antonia aveva cercato di avvertirla quando era andata da lei a chiederle aiuto con Crabbe, con il suo karma. Antonia aveva provato ad avvertirla che ci sarebbe stato un prezzo. 

C’era sempre un prezzo.

Dovevi solo essere disposto a pagarlo. 

Ginny era troppo arrabbiata per ascoltare veramente. Toppo bramosa di giustizia personale. Ma eccola lì, a pagarne lo stesso il prezzo. 

“Sto andando a leggere” disse Antonia, la voce quasi gentile quando apparve alle sue spalle. “Vuoi venire?”

Ginny alzò lo sguardo su di lei e ricordò il modo in cui aveva completamente perso la sua prima occasione nel Salottino, e dovette riconoscere quanto l’avesse davvero infastidita. Giù in quella misteriosa stanza, c’era una collezione di ragazze che non avevano intenzione di essere comandate, che le si dicesse cosa erano in grado di fare. Ginny sapeva che aveva molto da imparare da loro. 

Ed ora Antonia era lì, ad offrirle un’altra possibilità. 

Ginny capì che Antonia era una di quelle poche persone nella sua vita che voleva lasciarle fare i suoi errori. Che voleva lasciarle capire come rimediare e non usarli contro di lei. 

“Sì” disse Ginny, sentendo ancora quel peso, ma rifiutandosi di lasciare che la trattenesse per sempre. “Mi piacerebbe davvero.”

* * *

Il resto dell’anno sembrò passare in un lampo. Il settimo e il quinto anno sparì sotto una massiccia pila di compiti e ripasso per i G.U.F.O. e i M.A.G.O. Sospettava che Fred e George si fossero fatti beccare solo per non doverli sostenere. 

Le mancava l’ES, ma s’incontrava ancora con Smita e Tobias qualche volta, condividendo incantesimi e trucchi che Harry non aveva insegnato, quelli che lei pensava probabilmente non avrebbe approvato. Condividendo le cose che aveva imparato da Antonia.

E ora, la mattina, quando andava a lezione, passava accanto a Millicent come ogni giorno, ma adesso si prendeva un momento per fermarsi.

“Ciao Millicent” diceva. 

Lei la fissava, la fronte corrugata e lo sguardo diffidente. “Che c’è?” ringhiava praticamente lei. 

Ginny sorrideva e continuava a camminare. 

Il giorno dopo avrebbe provato di nuovo. 

* * *

A giugno, i Grifondoro affrontarono i Corvonero e, forse perché non avevano nulla da perdere, Ron non se la cavò male. Sospettava che avesse solo bisogno di un po’ più sicurezza nelle sue capacità. (E una squadra più brava con la quale giocare. A Ginny non piaceva essere crudele con gli altri giocatori, ma i rimpiazzi del Cercatore e dei Battitori di Grifondoro erano davvero, davvero terribili. Probabilmente un’altra ragione per la quale essere grati che Fred e George non fossero più lì.)

Tuttavia, strappare una vittoria non fu abbastanza per superare i Serpeverde e così la coppa fu loro. Bletchley saltava per la sala comune come se fosse impazzito, Ginny rideva con Thompson. Draco prevedibilmente si atteggiava come se la vittoria fosse stata solo merito suo, ma Ginny era troppo felice perché gliene importasse.

Cominciò a sognare ad occhi aperti la consegna della coppa, la sala grande addobbata con i colori verde e argento. 

Dovette mettere da parte tutto quello per un po’ mentre i suoi esami incombevano.

Aveva appena finito di mandare un gufo a suo padre, quando Smita alzò il braccio per bloccarla. Voci riecheggiavano per l’atrio, voci che sembravano appartenere a Hermione e… alla Umbridge? Si ritirarono in fretta in una nicchia, giusto in tempo per vedere la Umbridge tenere a tiro di bacchetta Harry ed Hermione e marciare verso il parco.

“Cosa diavolo sta succedendo?” borbottò Ginny a Smita. Nessuna di loro era così folle da provare ad affrontare la Umbridge, ma Ginny stava già sondando le implicazioni. 

“Dobbiamo dirlo a qualcuno”, sottolineò Smita. Aveva letto il Cavillo e capiva il genere di cose che accadevano attorno a Harry.

Ginny pensò automaticamente all’Ordine, a Grimmauld Place. Per quel che ne sapeva, era lì che Silente viveva. “L’ufficio della Umbridge.”

Smita alzò lo sguardo su di lei, capendo al volo. “Sai chi contattare?”

“Sì. Andiamo.”

Camminarono per i corridoi il più innocentemente possibile, sperando di non imbattersi in nessuno della Squadra d’Inquisizione. Di solito se la scampavano, essendo Serpeverde, ma non c’era ragione di rischiare con tutto quello che stava chiaramente succedendo al momento. 

Ginny infilò un’Orecchia Oblunga sotto la porta. 

“Da quel che sento, Draco, Crabbe, Goyle, Montague e Pansy. Con Ron, Luna e Neville.”

“Piuttosto impari”, commentò Smita. 

Ginny si accigliò, considerando tutte le opzioni. Le scorrevano accanto, cercando di trovare la migliore con la minor possibilità di essere beccate. O di dare a Draco e i suoi scagnozzi un’altra ragione per aprire le ostilità.

Perché la Umbridge non aveva portato qualcuno della sua Squadra con lei?

Ginny si raddrizzò. “Ho un’idea.” Sollevò la bacchetta al volto di Smita.

Lei osservò Ginny. “Non possono essere davvero così stupidi.”

“Oh”, replicò lei. “Io credo di sì. Pronta?”

Smita annuì, i suoi vestiti e la sua faccia parvero mischiarsi e annebbiarsi. Ginny prese nota di ringraziare Antonia più tardi.

Sollevando la mano, Ginny picchiò il pugno sulla porta. “Ragazzi” urlò, la voce lievemente distorta. Perentoria, ma melensa. “Venite fuori uno alla volta!”

La porta si era a malapena aperta quando suoni strozzati provennero dall’interno, alcuni incantesimi rimbalzarono sui muri. Luna emise un gemito. 

Smita spalancò la porta, affatturando Pansy con la mano ancora sulla maniglia. Ginny studiò la scena di fronte a lei, ma le rimaneva ben poco da fare se non schiantare Goyle che gemeva e si dimenava sul pavimento. 

Ron, Neville e Luna sollevarono le loro bacchette, puntandole contro Smita e Ginny. 

“Whoa” disse quest’ultima. “Siamo noi.” 

Smita sollevò la sua bacchetta, svanendo l’incantesimo dai loro volti. 

Neville sembrò rincuorato, ma Ron si stava ancora guardando attorno. “Ho sentito la Umbridge.”

Ginny sorrise. “Pretendo ordine!” esclamò, in un’imitazione piuttosto buona, se proprio doveva ammetterlo. 

“Merlino, Gin” disse Ron, sembrando spaventato ed impressionato. 

“Andiamo a cercare Harry ed Hermione?” chiese Luna, indugiando sopra la figura prona di Draco. 

Ginny indicò verso il camino. “Non dovremmo dirlo a qualcuno?” chiese, cercando di rivolgere a Ron uno sguardo significativo. 

Ron scosse il capo, raccogliendo tutte le bacchette. “Harry ci ha già provato. Non c’è nessuno là.”

“Cosa sta succedendo?” chiese ancora, la testa che le girava per tutto quello che stava succedendo. 

Uscirono in corridoio e Ron la tirò da parte. “Harry pensa che abbiano preso Sirius.”

Ginny sbiancò, ma si trattenne dal porre altre domande mentre si affrettavano verso il parco. 

S’imbatterono in Harry ed Hermione che uscivano dalla Foresta, entrambi sembravano sfiniti. Erano ricoperti con quello che sembrava essere… sangue.

“Come avete…?” cominciò a chiedere Harry, gli occhi caddero su Ginny e Smita.

“Ginny e Smita ci hanno fatto scappare”, spiegò Neville. 

“Ron aveva già fatto quasi tutto” disse Ginny, rivolgendo un ghigno al fratello. 

Lui scrollò le spalle. “Caramelle languelingua.” 

“Mai accettare caramelle dagli sconosciuti”, disse Smita con un solenne cenno di capo.

Ron li sorprese tutti con uno scoppio di risa. “Scusate”, disse, sembrando imbarazzato. 

Smita represse un sorriso. “Quindi adesso?”

Harry s’infurio e quasi li insultò tutti, ma alla fine dovette capitolare. 

Sarebbero andati all’Ufficio Misteri. Insieme. 

* * *

Ripensare a quello che era successo all’Ufficio Misteri, era in gran parte una confusione terrificante. Ginny ricordava la terribile sensazione di volare su nulla se non la speranza che ci fosse un animale che non poteva vedere. Ricordava le fredde, dure maschere dei Mangiamorte, il fracasso del vetro sotto la sua maledizione Reductor, Ron attaccato da cervelli (poteva quel ricordo essere vero?), ma, più di tutto, ricordava Smita cadere. Cadere, cadere, cadere.

Il fatto che Smita non si rialzò.

C’erano Mangiamorte e una bacchetta alla gola di Ginny, e in lampo l’Ordine arrivò per salvarli. Ginny fu scaraventata via da una maledizione, sbattendo contro le gradinate. 

Sirius cadde silenziosamente. A malapena un sussurro ed era andato. 

Harry urlò e corse via e tutto divenne buio. 

Si risvegliò in infermeria, sana e salva di nuovo ad Hogwarts come se quella notte non fosse mai successa, se non fosse stato per le urla di dolore accanto a lei e l’odore di pozioni e astringenti nel naso. 

Smita.

Ginny balzò a sedere col cuore in gola, i suoi occhi ispezionarono l’infermeria. Vide una macchia di capelli rossi accanto a lei che poteva solo essere suo fratello e di fianco a lui il cespuglio castano di Hermione. In fondo alla sala, finalmente trovò Smita. I suoi occhi erano aperti e le sue labbra si muovevano, anche se Ginny non riusciva a sentire le parole. Riaffondò nel letto con sollievo quando realizzò che qualcuno era seduto su una sedia accanto al letto di Smita. 

Tobias. 

Aveva la testa china su di lei, le mani strette nelle sue. Pallido e smunto come se avesse preso parte alla battaglia anche se Ginny sapeva che non era così. Cosa stava facendo…?

Ginny ebbe una risposta quando premette le labbra sulla fronte di Smita, lei si spinse verso di lui a quel tocco.

Madama Pomfrey tirò le tende, schermandoli alla vista. 

Ginny riuscì a malapena a pensare era ora prima di annegare di nuovo nell’oblio e lontano dal dolore. 

* * *

Ginny udì un leggero spostamento d’aria, come di foglie smosse, e aprì gli occhi per vedere Harry togliersi un mantello, quello sgualcito foglio di pergamena ancora una volta tra le sue dita. Sentì un moto di sollievo vedendolo, apparentemente sano e salvo. In qualche modo, contro ogni aspettativa, erano riusciti a tornare tutti.

Sentì lo stomaco contrarsi, ricordando lo scuro arco e lo spazio vuoto dietro di esso. 

Quasi tutti. 

“Harry?” chiese, la voce un sussurro spezzato. Doveva essere giorno, ormai, o forse di nuovo notte a giudicare dalla flebile luce e il silenzio in infermeria. 

Lui sembrò sorpreso di trovarla sveglia, guardando oltre la sua spalla e serrando le tende dietro di lui. “Hanno detto che stavate tutti bene, ma io…”

“Volevi controllare di persona?” le disse, sollevandosi appena sul letto. Fece una smorfia quando il movimento coinvolse le costole. Oh, Merlino. Muoversi non era una buona idea. 

“Ginny?” chiese Harry, facendo un passo avanti nel cubicolo. 

“Sto bene” rantolò lei, combattendo il dolore che le si propagava dal fianco. 

Lui prese il calice che stava sul comodino. “Non hai finito la tua pozione.”

Lei arricciò il naso. “Sa di piedi.”

Le labbra di Harry si arricciarono. “Già, ma ti farà sentire meglio.” Gliela porse. 

La prese, ma non la bevve. Le sembrava di ricordare che fosse calda ma ora il metallo della coppa era freddo e ghiacciato sulle sue dita. “Come stanno gli altri?” chiese, temporeggiando. 

Lui la guardò. “Addormentati.” Come avrebbe dovuto essere lei, era la parte non detta. Mamma sarebbe stata fiera. 

“Va bene, va bene. Hai vinto” disse, pinzandosi il naso e trangugiando la tiepida, viscosa pozione in un sol sorso. Harry scambiò il suo calice vuoto con un bicchiere d’acqua. Si scolò l’intero bicchiere, ma non servì a lavare via completamente il sapore nauseante nella sua bocca. 

Rabbrividì con disgusto, riconsegnando il bicchiere ad Harry. 

Si aspettava che se ne andasse non appena avesse bevuto, ma indugiò, sembrando impacciato e insicuro nello spazio ristretto. Forse la stanchezza aveva finalmente avuto la meglio. Osservò le tende alla fioca luce, come se potessero nascondere una qualche segreta risposta. 

“Harry?” chiese, sentendosi già il sollievo espandersi sulle costole. 

Lui sbattè gli occhi, rimettendola a fuoco. “Posso chiedere… Pensi…” s’interruppe. 

“Penso?” lo incoraggiò.

Sembrava che avesse perso il coraggio, ma quello era Harry Potter, temerario fino al midollo, non importava quanto esausto e sfinito potesse essere. “Potresti uccidere? Se dovessi farlo?”

Ginny sentì le viscere contorcersi, la pozione gorgheggiare spiacevolmente. “Che cosa?”

Harry scosse il capo, facendo un passo indietro come per andarsene. “Lascia perdere”, disse.

Lei l’afferrò maldestramente per la manica, trattenendolo lì. Le cose si muovevano troppo velocemente per il suo povero cervello confuso dalla pozione, così disse la prima cosa che le venne in mente, qualcosa che sentiva di sapere nel profondo delle viscere. “Tu non sei un assassino, Harry.”

Lui chiuse gli occhi, ma non seppe dire se era quello che voleva sentirsi dire o meno. 

Ripensò alla sua rabbia di quella notte, al modo in cui aveva rincorso Bellatrix, privo di senno. Era spaventato da quello che avrebbe potuto farle, se ne avesse avuto la possibilità?

Potresti uccidere?

Ginny qualche volta pensava (aveva paura) che forse avrebbe potuto. Aveva paura di cosa questo dicesse su di lei. Ma Harry? No. Non aveva dubbi. L’aveva visto quell’anno, l’aveva conosciuto come qualcosa di più dell’amico di suo fratello. Aveva prestato attenzione alle cose che aveva scelto di insegnare loro e le cose che invece non aveva insegnato. E adesso che lo aveva visto in quei momenti, quei momenti impetuosi e terrificanti in cui non c’era tempo per pensare o ricordare i valori, sapeva che non ne sarebbe venuto meno. 

No, lui non era un assassino.

La mano scivolò dal suo polso, la pozione stava cominciando a fare effetto. “Mi dispiace” si arrischiò a dire Ginny, la voce lenta ed impastata. “Mi dispiace per Sirius.”

Lui distolse lo sguardo, serrando la mascella e sbattendo rapidamente le palpebre. “Già” disse con voce roca. 

Gli occhi di Ginny si chiusero, il corpo cominciava a diventare leggero come una piuma.

Sentì Harry posarle la mano di nuovo sul letto con quasi eccessiva cura. “Ginny?” sussurrò. 

“Hmmm?”

“Pensi che potrei… che potrei stare qui per un altro po’?

Lei annuì, la guancia premuta contro il cuscino. 

Si addormentò al russare di Ron e la consapevolezza che Harry sedeva lì accanto. 

* * *

Vennero tutti dimessi dall’infermeria il giorno seguente, in un castello pieno di sussurri, cambiamenti, tutto diverso e ciononostante esattamente lo stesso. 

Ginny e Smita sedevano assieme su un divano in sala comune. 

“Quindi” disse Ginny. 

“Quindi” concordò Smita con le guance rosse. 

Guardarono Tobias, dall’altra parte della stanza con gli altri ragazzi del loro anno. 

Quello sarebbe stato diverso. 

* * *

Sistemarsi sull’Hogwarts Express fu complicato come sempre, reso ancora più complicato dall’assoluta ostinazione di Tobias nel non far sollevare niente a Smita, in special modo il suo pesante baule. Tutti e tre sapevano produrre un incantesimo di locomozione, ma Tobias era particolarmente strano e fastidioso da quando Smita era stata ferita. Ginny cercò di intervenire, ma fu Neville che apparve dal nulla a sollevare l’altra estremità del baule. 

Tobias gli scoccò un’occhiata feroce, ma non si lamentò. 

In qualche modo, nella sua mente contorta, Tobias aveva deciso che l’ES fosse responsabile per ciò che era accaduto a Smita, per il pericolo nel quale si era cacciata senza pensare. Ginny si chiedeva quanto di quella rabbia fosse perché non trovava lì anche lui. 

Lei sorrise a Neville in ringraziamento quando Tobias non si preoccupò di farlo. 

Camminando lungo il treno insieme, passarono accanto a uno scompartimento pieno di membri dell’ES. 

Neville aprì la porta, facendo ai tre un imbarazzato cenno di saluto. “Ci vediamo, Ginny. Smita. Tobias.”

Tobias annuì rigidamente, Smita accennò un sorriso. Continuarono lungo il corridoio, la mano di Smita stretta in quella di Tobias. 

“Passa una buona estate, Neville” disse Ginny, rivolgendo un ultimo sguardo ai membri dell’ES. 

Da dentro, Harry sollevò gli occhi, ma sembrava come se non vedessero, come se fosse lontano da tutto ciò che lo circondava. 

Potresti uccidere, se dovessi farlo?

Ginny rabbrividì. 

Voltandosi verso lo scompartimento di Serpeverde, seguì Smita e Tobias. Lasciandosi l’ES, la Umbridge e l’Ufficio Misteri alle spalle. 

Non si guardò indietro. 

 

 

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1- Questa è proprio una bella gatta da pelare. In inglese viene scritto The Parlor che letteralmente significa Il Salottino, boudoir. Avrei voluto tradurlo con qualcosa di simile a “circolo”, ma non “setta” perché mi sembrava troppo forte come definizione. Tuttavia, nel corso della narrazione, The Parlor viene usato sia con accezione di luogo fisico, sia appunto come nome di un insieme di persone. Quindi ho pensato che tradurla letteralmente con Salottino fosse la scelta più appropriata. 

Ciononostante, se avete suggerimenti o una parola più evocativa di quello che è, e che si scoprirà essere, Il Salottino, non esitate a farmeli sapere. 

 

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Commenti del Traduttore: guys, aiuto. Vi assicuro che ho tradotto come un elfo domestico in ogni momento libero a mia disposizione, per almeno 3, 4 ore ogni sera. Nonostante mi ritenga molto più agile e a mio agio di come lo ero al primo capitolo, è stato semplicemente infinito. Giusto per darvi un indice di lunghezza di questo nuovo capitolo (e il conseguente ritardo nella pubblicazione, nonché il mio prossimo ricovero), il terzo era la bellezza di 29 pagine. Con questo siamo arrivati a 68. 14.000 parole contro 30.376. E ho detto tutto. 

Mi dispiace, non avrei voluto farvi aspettare così tanto, ma sappiate che i prossimi capitoli potrebbero essere pure peggio (il sesto anno è diviso in cinque parti, che Merlino mi aiuti).

Data la difficoltà spero mi perdonerete più del solito eventuali strafalcioni, che non esiterò comunque a correggere una volta segnalati.

Consoliamoci col pensiero che questo capitolo è pregno di azione, finalmente, è un po’ meno riflessivo come magari poteva essere all’inizio. Sono successe talmente tante cose che mi viene difficile commentarle tutte, ma sicuramente non posso esimermi dal farvi notare di come alcuni personaggi come Tobias e Smita abbiano raggiunto una piena maturazione. 

Ho davvero adorato, adorato, il modo in cui viene dato spazio anche ai Serpeverde e, davvero, ora non posso far a meno di pensare che JKR abbia un po’ peccato in questo senso: nei suoi libri i Serpeverde sono tutti cattivi, non c’è nemmeno una sfumatura di grigio. Anche quei pochi che uno potrebbe pensare che si salvino, Piton, Draco, Narcissa, non è che lo facciano proprio perché sono belle persone, quanto più per salvarsi la pelle, lavarsi la coscienza e per tornaconto personale. 

Qui invece vediamo Serpeverde che volontariamente e consapevolmente si ergono contro Voldemort, dicono no al suo regime, anche se forse non a testa bassa e dissennati come farebbe un Grifondoro e va benissimo così. Mi sembrano personaggi molto più veri e concreti che non delle semplici “macchiette”, se mi consentite di definirli così: pensate per un momento a Pansy, Millicent, Crabbe e Goyle e ditemi se non ho ragione. 

Sono curioso di sapere cosa ne pensate in merito, fatemelo sapere. 

 

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