Cavallo selvaggio

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAVALLO SELVAGGIO






Capitolo 1

Spirava un vento gelido, che faceva increspare la superficie delle pozzanghere e piegava i rami spogli. Il cielo grigio prometteva neve.
Elmo e cotta di maglia, il fodero della spada che gli sbatteva contro la coscia a ogni falcata, un ragazzo stava correndo sul campo di manovra. Ansava pesantemente, il sudore gli infradiciava l’uniforme non meno dell’acqua gelida.
Non battere la fiacca!” giunse dal limitare del campo.
Il ragazzo si girò fugace: il maresciallo Tenhar, noto con il nomignolo di ‘Cinghiale’, non gli staccava gli occhi di dosso. “Credi che sia già stanco?” ringhiò fra sé e sé. Strinse i denti e aumentò l’andatura.
Raggiunse il primo degli ostacoli, ovvero una parete di legno alta più di lui. Senza rallentare si raccolse, spiccò un balzo e si issò sulla sommità della barriera, poi la superò e si lasciò cadere dall’altra parte.
Più in fretta!” gli giunse la rampogna del maresciallo, “Non stai facendo una passeggiata! Muoviti!”
Il ragazzo riprese a correre. Affrontò il Ponte, ovvero un tronco posto di traverso su una fossa piena d’acqua. Il fango che aveva sotto gli stivali gli fece perdere la presa e con un tonfo piombò giù. Annaspò appesantito dalla cotta di maglia, raggiunse la sponda, si issò di nuovo sulla terraferma.
Scrollò la testa per togliersi il fango dal viso.
Muoviti!” lo incalzò il maresciallo.
I muscoli che bruciavano, un nugolo di farfalle bianche davanti agli occhi, il ragazzo scattò verso l’ostacolo successivo, ovvero un tratto di sentiero tagliato trasversalmente da corde tese, che obbligavano a strisciare sui gomiti e sulle ginocchia. A ogni fune erano assicurati dei campanelli, che suonavano se essa veniva toccata.
Si buttò a terra. Il pantano lo accolse con un abbraccio gelido, il fango gli si infilò nello scollo dell’uniforme e nei polsi, si insinuò in ogni anello dell’usbergo, lo costrinse a serrare le labbra per non farselo finire in bocca.
Il ragazzo strinse i denti e continuò caparbiamente a strisciare. Si rialzò alla fine del reticolo di corde e nell’aria si udì il suono fesso di uno dei campanelli.
Rifallo da capo!” tuonò il maresciallo, “E tieni giù quella dannata testa, questa volta!”
Il giovane tornò all’inizio dell’ostacolo e si lasciò cadere a terra, affondando così profondamente nel fango da essere costretto a voltare la testa di lato per respirare. Riprese ad avanzare, attraversò tutta la struttura e quando ne fu uscito rimase a indugiare qualche istante prima di rialzarsi.
Muoviti!” lo incalzò immediatamente Tenhar. “In piedi! Se in battaglia finisci per terra come un idiota, credi che il nemico ti dia il tempo di rialzarti?”
Il ragazzo riprese a correre, inseguito dalle rampogne di Cinghiale. Raggiunse un’altra parete di legno, si raccolse e saltò, ma perse la presa e crollò all’indietro, sollevando uno spruzzo di fango. Si rialzò barcollando, saltò di nuovo, riuscì a issarsi e a far passare la gamba dall’altra parte.
Si lasciò cadere e continuò la corsa.

Allora, ne hai avuto abbastanza?” La voce di Tenhar, stranamente vicina, lo fece quasi sussultare. Sbatté gli occhi: l’uomo era in piedi di fronte a lui, con i pugni puntati sui fianchi e il cipiglio cupo.
Il ragazzo tremava così forte che quasi non riusciva a rimanere fermo sull’attenti, era talmente coperto di fango che il nero dell’uniforme si intravedeva solo dove era arrivata l’acqua di qualche pozzanghera e si sentiva così esausto che si sarebbe buttato a dormire anche su una fascina di Spine di Orrin, tuttavia indurì lo sguardo, si costrinse a un ghigno sprezzante e cercando di mantenere la voce ferma nonostante i brividi, rispose: “Abbastanza, maresciallo? Mi hai scambiato per un vecchio sottufficiale bolso?”
A quella provocazione, l’altro rimase impassibile. Annuì grave, quindi in tono asciutto rispose: “Molto bene, vedo che ti piace fare il duro. Ripeti tutto da capo e vedi di correre davvero, questa volta.”

§

Il capitano Hyvardus, un colosso anche per i criteri di Kjarr, si strinse il mantello nero dell’uniforme intorno al collo e piegò leggermente la testa per sfuggire alle raffiche gelide del maestrale. “Quest’anno la primavera non vuole arrivare,” borbottò, seguendo con lo sguardo l’unica foglia che svolazzava sull’immacolato piazzale della caserma.
Il capitano Vadian, che camminava al suo fianco, rispose: “Forse Hengrist non vuole farci sudare troppo durante i Giochi.”
E invece io voglio sudare,” replicò l’altro con un sorriso compiaciuto. “Sudare e sanguinare. Io e i miei ragazzi non saremmo arrivati qui dopo aver sbaragliato ogni guarnigione della Marca di Wors, se avessimo solo voluto fare qualche passeggiata per i viali della Capitale.”
Non credo proprio che ci sarà da passeggiare, quest’anno,” osservò Vadian, sistemandosi a sua volta il pesante mantello sulle spalle, “e io sarò il primo che ti darà filo da torcere, caro mio.”
Hyvardus si voltò a fissarlo. “Tu?”
Puoi scommetterci. I miei ragazzi sono i migliori della Marca di Arhusk.”
L’altro alzò le spalle e ghignò: “Quindi vuoi dirmi che sono più o meno delle fanciulle dell’Amlinntal, giusto? Intrecciano anche ghirlande di fiori?”
Prega che i tuoi uomini non si trovino a gareggiare contro le mie fanciulle, o se ne torneranno nella Marca di Wors con la coda tra le gambe!”
I due fecero una risata, si scambiarono un paio di pacche sulle spalle, poi continuarono a camminare in silenzio e per un po' gli unici rumori che si udirono a parte il sibilo del vento furono i passi cadenzati degli stivali militari e il tinnire delle cotte di maglia.
Alla fine, Vadian disse: “Voglio controllare come hanno sistemato i nostri cavalli. Sono animali abituati al contesto operativo.” Si guardò intorno, facendo scorrere lo sguardo su edifici di pietra grigia, dall’architettura rigorosa e solida, disposti lungo larghi viali alberati, dal lastrico liscio come una tavola. “In questa calma si innervosiscono,” soggiunse poi.
Non è che vuoi solo passare una mezz'oretta al calduccio nelle scuderie?” lo schernì Hyvardus.
Parla quello che continua a stringersi nel mantello come se fossimo in mezzo alle nevi del Heiswegen.”
A proposito di Heiswegen,” replicò l'altro, ignorando la provocazione, “il comandante di quella squadra è uno nuovo, vero?”
Un verginello. Scommetto che sarà nervoso come una recluta all'assegnazione del mentore.”
Passò un plotone di ragazzini così giovani che avevano ancora l'uniforme chiara. Essi procedevano inquadrati per quattro, comandati da un bambino un po’ più grande con le insegne di caposquadra.
Quando si accorse di loro, questi ordinò il saluto e gli altri lo eseguirono all’unisono.
Hyvardus e Vadian risposero esattamente come avrebbero fatto con un plotone di adulti.
Crescono bene,” considerò il secondo quando il reparto si fu allontanato.
Stavamo parlando del verginello del Heiswegen,” gli ricordò Hyvardus.
Vadian si voltò a fissarlo. “Sì?”
Non è poi così verginello, stando a quanto dicono. Pare che sul campo di battaglia sappia il fatto suo.”
Davvero?”
È più giovane di noi ed è già Luogotenente.”
Vadian alzò le spalle. “Potrebbe essere anche Sovrintendente, poco importa. Conosci il proverbio: durante i Giochi, i gradi non contano.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Comanda la squadra chi è più bravo, e fine.”
Di nuovo procedettero per un po’ in silenzio, poi Vadian chiese: “Sai per caso come si chiama?”
Ehrenold.”
Il primo sollevò stupito le sopracciglia. “Ehrenold? Ma allora è quello che è stato a Yesgarion.”
Hyvardus aggrottò le sopracciglia. “A Yesgarion?” ripeté.
Assegnazione punitiva, lui e un capitano di nome Rowden, che adesso fa parte della sua squadra.”
Entrarono in scuderia. L’edificio era talmente grande che all’ingresso vi era una mappa su cui erano riprodotti i diversi corridoi con le poste e i reparti cui erano state assegnate. Ampie finestre dai vetri immacolati illuminavano l’ambiente, l’aria era tiepida per la presenza di innumerevoli cavalli. A parte il rumore degli animali che masticavano la biada o si spostavano sulla lettiera, regnava un perfetto silenzio. Una squadra di soldati in uniforme da fatica stava pulendo uno dei corridoi. Uno di essi stava imbiancando una posta vuota, gli altri lavavano il pavimento con secchi e spazzoloni. Quando si accorsero di loro, interruppero ciò che stavano facendo per mettersi sull’attenti e salutare.
Gli ufficiali risposero al saluto, quindi Vadian ne approfittò per chiedere: “Dove sono i cavalli di Arhusk?”
Subito un soldato rispose: “Corridoio tre, poste dal sedici al venti, capitano.”
Grazie.”
Dovere, capitano.”
I due ufficiali salutarono e si mossero nella direzione indicata. Dopo un po’, Hyvardus riprese: “Mi parlavi di un’assegnazione punitiva.”
Lui e quel Rowden,” confermò Vadian.
Si sono fatti sorprendere mentre facevano le cose private?”
No, non stanno insieme, sono solo amici.”
Hyvardus fece una risatina e replicò: “Sai bene che per fare le cose private non è necessario stare ufficialmente insieme. L’importante è che rimangano private, lo dice la parola stessa.”
Lo so come funzionano, ma non ti mandano a Yesgarion solo perché ti sei fatto beccare mentre scopavi da qualche parte.”
Di nuovo tra i due calò il silenzio. Solo dopo un po’, Hyvardus disse: “Certo che è strano: prima finisce a Yesgarion per aver fatto non si sa cosa col suo amico e poi diventa Luogotenente a… quanti? Venticinque anni?”
Così pare,” fu la cauta risposta di Vadian, che dopo qualche secondo aggiunse: “Dicono che laggiù abbia anche ucciso un illdin da solo, con un coltello.”
Un illdin? Da solo?”
Con un coltello,” precisò Vadian.

§

Il capitano Wardan salì le scale che conducevano alla tribuna d’onore, attraversò il colonnato di pietra bianca che la delimitava, percorse la larga terrazza e si spinse fino al limitare di essa. A quel punto si pose i pugni sui fianchi e rimase immobile, il vento che gli agitava appena il manto nero. Strinse gli occhi chiari e fece scorrere lo sguardo sull’arena: una costruzione poderosa, immensa, talmente solida e possente che sembrava sorta dalla terra, più che fabbricata dall’uomo: contrafforti squadrati, come fatti per resistere a onde immani, gradinate altissime, che sembravano perdersi all’orizzonte e solo lontano si piegavano a delimitare un perfetto ovale. Erano già state issate le bandiere delle Dodici Marche, che schioccavano al vento intorno al vessillo dell’Imperatore.
Wardan cercò con lo sguardo quella della Marca di Gunefort, un guanto d’arme chiuso a pugno, argento in campo nero, e le labbra gli si stirarono in un lieve sorriso. Subito dopo il suo sguardo si spostò verso il vessillo della Marca di Heiswegen, una chiave, sempre argento in campo nero. A quel punto l’ufficiale aggrottò le sopracciglia e sibilò un’imprecazione.
Udì dei passi alle proprie spalle e si voltò bruscamente, la mano già posata sul pomo della spada.
Sono io, capitano,” disse un maresciallo avvicinandosi.
Wardan rilassò le spalle. “Ah, Gerd.” Tornò a voltarsi verso lo stadio. “Costruzione grandiosa, non è vero?”
Il sottufficiale lo raggiunse e gli si affiancò. Fece a sua volta scorrere lo sguardo sull’enorme arena e rispose: “Davvero magnifica, capitano.”
I due rimasero per un po’ in silenzio, quindi Wardan chiese: “Cosa ne pensi delle altre squadre, Gerd?”
L’uomo annuì come se si fosse aspettato esattamente quella domanda. “Sono forti,” rispose. Lasciò passare qualche istante, poi in tono di soddisfazione soggiunse: “Quest’anno i Giochi saranno piuttosto duri.”
È bene che lo siano,” fu la risposta, “a nessuno piacciono le vittorie troppo facili.” fece una pausa, durante la quale mosse qualche passo lungo il bordo della tribuna, quindi proseguì: “Quasi a nessuno, mi correggo.”
Il maresciallo si voltò a fissarlo. “Sarebbe a dire, capitano?”
Wardan fece un sorriso tirato. “Sai di cosa parlo. C’è qualcuno che ama approfittare delle occasioni a proprio vantaggio, dimenticandosi che se combatte lo fa per Kjarr e non per se stesso.”
Gerd si limitò ad assentire come di fronte a un discorso udito già molte volte, l’altro proseguì: “Ti ricordi la battaglia di Aleet, maresciallo?”
Una grande vittoria, capitano.”
Già, una grande vittoria. Funestata dagli sciacalli, però.”
Il maresciallo mantenne il silenzio e per un po’ l’unico rumore che si udì fu lo schioccare lontano delle bandiere. “Funestata dagli sciacalli,” ripeté il capitano. “Da uno sciacallo, in particolare, che ha sottratto con l’inganno la preda che il leone aveva conquistato.” Si voltò verso il suo subalterno, forse in attesa di una risposta che però non giunse. Di nuovo tacque, allora, e si mosse a passi svagati sulla grande tribuna deserta. Si voltò verso l’arena e al posto della distesa d’erba giovane che la copriva rivide il terreno ondulato e brullo della piana di Aleet. Gli parve di risentire le urla dei soldati, il clangore delle armi, i nitriti dei cavalli. Rivide il varco che all’improvviso si era creato nello schieramento nemico e provò la stessa ebbrezza di allora, la stessa esaltazione.
Scrollò la testa come per liberarsi di un fastidioso ottundimento, quindi ringhiò: “E alla fine lo sciacallo si è ritrovato Aiutante e poco dopo Luogotenente, mentre il leone è rimasto Capitano.”
Il maresciallo si limitò a fissarlo senza proferire verbo, Wardan allora chiese: “È forte la squadra di Heiswegen?”
È una delle più forti, capitano.”
L’ufficiale fece un sorriso ferino. “Quindi possiamo aspettarci di gareggiare con loro in finale?”
Io credo di sì, capitano. Non scommetterei su Essl o Rhenigtas, perlomeno non quest’anno, ma Heiswegen sarà un osso duro.”
Farò in modo che il suo comandante assaggi un po’ della polvere che mi fece mangiare a suo tempo.”
Il maresciallo aggrottò appena le sopracciglia, quindi in tono sospettoso chiese: “Cos’hai in mente, capitano?”
Wardan fece un sorrisetto compiaciuto e rispose: “Niente che vada contro il regolamento, Gerd, lo sciacallo non merita che mi sporchi le mani per lui.”
Il maresciallo non parve convinto. “Capitano, ti conosco da quando eri Allievo. Dimmi cos’hai in mente.”
In tono tranquillo, l’ufficiale rispose: “Te l’ho detto: niente che vada contro il regolamento.” Poi alzò di nuovo lo sguardo verso le bandiere che garrivano contro il cielo terso e concluse: “Ma se Hengrist non ha avuto voglia di fare giustizia dall’alto del suo trono celeste, allora sarà io a farla, in mezzo a quell’arena.”

§

Il Luogotenente Ehrenold strinse le dita sulle redini e il suo possente destriero da guerra sbuffò e scosse la criniera. “Buono,” gli disse l’ufficiale. Rinsaldò la presa delle ginocchia per riportarlo all’obbedienza.
L’uomo che cavalcava al suo fianco sorrise. “Ha capito che tra poco arriveremo alle scuderie.”
Stupido filone.”
Furbastro, invece, non ti pare?” Poi, dopo una pausa: “Gli animali non sono tenuti come noi a far vedere che disprezzano le comodità.”
Non cominciare, Rowden.”
È tutto il giorno che stiamo in sella. È normale che i cavalli cerchino il riposo, no?”
Ehrenold non rispose. La Capitale era ancora fuori vista, ma già lungo la strada si incontravano a intervalli regolari posti di guardia presidiati da reparti scelti. Avevano oltrepassato da poco quello dove lui stesso aveva prestato servizio come Allievo, poco dopo aver ottenuto l’uniforme nera.
Ricordava bene Herburg, l’idea di tornarci quasi gli faceva venire la tentazione di lasciare le redini sul collo del cavallo, in modo che l’animale potesse allungare il passo come da un po’ stava tentando di fare.
La voce del capitano lo distrasse dalle sue meditazioni: “Tu ci sei cresciuto, vero?”
Sì.”
E che effetto ti fa tornarci?”
Ehrenold strinse le labbra. “Nessuno in particolare. Spero solo che la squadra si comporti onorevolmente ai Giochi.”
Rowden alzò le spalle e rispose: “Per quello direi che puoi stare sicuro, i ragazzi non vedono l’ora di battersi.”
Trascorse qualche minuto in cui gli unici rumori che si udivano furono lo scalpiccio regolare degli zoccoli e il tinnire dei finimenti, poi il capitano chiese: “È bella come dicono?”
Ehrenold si voltò a fissarlo. “Che cosa?”
La Capitale.” Poi, quasi in tono di scusa, soggiunse: “Non ci sono mai stato.”
Il Luogotenente si raccolse in meditazione per un po’. “È grande,” proferì infine, “i viali sono larghi come fiumi, le caserme possono contenere mille soldati ognuna.”
E com’è l’Arena?”
Ehrenold aggrottò appena le sopracciglia, infine rispose: “Il terreno è buono, ma nella parte nord tende a essere un po’ pesante, perché rimane più in ombra e fa fatica ad asciugarsi. Dovremo tenerne conto quando ci saranno le gare con i cavalli.”
Rowden sorrise. “Ma no, non intendevo quello. È veramente immensa come dicono?”
È molto grande.”
Più di quella di Wesburg?”
Sì, molto di più.” Poi, dopo una pausa: “I ragazzi dovranno sfruttare ogni attimo dell’allenamento per abituarsi alle sue dimensioni.”
L’altro si limitò a scuotere la testa con un lieve sorriso.
Passò altro tempo, la squadra continuava a procedere in formazione di marcia lungo la strada. All’orizzonte, pur nella luce che andava calando, cominciavano a profilarsi le cuspidi aguzze delle torri che circondavano il Castello, ovvero la poderosa fortificazione, grande da sola come una piccola città, che racchiudeva i principali edifici di Herburg. Nella massa scura del maniero tremolavano qua e là dei fuochi, che a quella distanza brillavano come gemme dorate.
Sei nervoso?” chiese d’un tratto Rowden.
Ehrenold si voltò a fissarlo serio. “Non più di quanto potrei esserlo alla vigilia di una qualsiasi battaglia.”
Il primo gli rivolse un lieve sorriso. “Beh, qui è un po’ diverso, non ti pare?”
Nel senso che non rischiamo la morte?”
Ma rischiamo il disonore.”
Ehrenold non replicò: Rowden aveva dato voce al pensiero che lo tormentava da quando avevano lasciato la guarnigione per raggiungere la Capitale. Per quanto non comportasse alcun rischio di morire o rimanere menomati, dare cattiva prova di sé ai Giochi – mostrarsi inetti, deboli o poco combattivi – sarebbe stato infinitamente peggio che cadere in modo eroico in battaglia.

§

Esausto, infreddolito, coperto di fango dalla testa ai piedi, il ragazzo tornò con passo pesante verso gli alloggiamenti. Si diresse ai lavatoi e dapprima cercò di togliersi di dosso l’equipaggiamento fradicio, ma aveva le mani intorpidite e vi rinunciò quasi subito: come era d’uso fare in casi del genere, si buttò sotto il getto dell’acqua completamente vestito. Per un po’ rimase semplicemente fermo con le mani appoggiate alla parete e lo sguardo fisso sulla cateratta limacciosa che dai suoi piedi scorreva gorgogliando verso lo scolo, poi, quando l’acqua che scendeva nello scarico divenne accettabilmente incolore, si spostò e cominciò a togliersi ciò che aveva addosso, lasciando man mano cadere in un mucchio le varie pari dell’equipaggiamento. Sarebbe stato tutto da lavare e ingrassare per il mattino dopo, o non avrebbe passato l’ispezione e Cinghiale l’avrebbe punito di nuovo.
Rialzò il capo con un gesto sprezzante e fece per allontanarsi.
Una voce lo fermò: “Aspetta, ti aiuto.”
Il ragazzo si voltò in quella direzione: sulla porta c’era uno della sua squadra. “Dovresti essere in camerata,” si limitò a dirgli.
Anche tu,” fu la risposta, “domani c’è la marcia di quindici miglia.”
Il primo si limitò ad alzare le spalle con noncuranza, ma l’altro si avvicinò e dal mucchio fradicio di armi e vestiti estrasse la cotta di maglia. “Se Cinghiale ti vede una cosa del genere, ti fa fare tutto il percorso di guerra con uno zaino di pietre in spalla.”
Sai che novità.”
Il nuovo arrivato non se ne diede per inteso: portò la cotta di maglia sotto il getto dell’acqua, la sciacquò fino a che non fu completamente libera dal fango, poi la appese a sgocciolare. “Domattina la ingrassiamo,” lo informò, “così sei a posto.”
Perché lo fai, Enes?”
L’altro lo fissò con aria di non capire. Dopo qualche secondo rispose: “Perché siamo camerati, perché tu faresti lo stesso per me.”
Il ragazzo ebbe un ghigno. “Non ne sarei così sicuro.”
Enes alzò le spalle. “Lo sanno tutti che nella marcia di Seriss quando Perr si è storto la caviglia hai portato tu il suo zaino e l’hai anche aiutato a camminare.”
Era una cosa diversa.”
Non mi pare.”
Per un po’ il ragazzo rimase in piedi in mezzo alla stanza con aria irresoluta. Avrebbe voluto andarsene da qualche parte, fregandosene di Cinghiale e delle sue punizioni, ma Enes continuava a raccogliere la sua roba un capo dopo l’altro e a sistemarla. Per un attimo fu quasi tentato di cacciarlo via, poi però si risolse a farsi avanti. “In due finiamo prima,” brontolò.
Mettiti addosso qualcosa di asciutto,” gli consigliò l’altro, “altrimenti ti prendi un malanno.”

Dopo un po’ che lavoravano, Enes disse: “Ti conviene rigare dritto per un po’, altrimenti Cinghiale non ti farà assistere ai Giochi.”
Sai cosa me ne importa degli stupidi Giochi,” ringhiò l’altro sprezzante.
Il primo lo fissò come se non si capacitasse di ciò che aveva appena udito. “Vuoi perderti l’occasione di vedere i soldati migliori di Kjarr?”
L'altro si limitò ad assumere un’espressione di degnazione. “Non mi importa che siano i migliori o i peggiori. Non leccherò certo i piedi al Cinghiale per andarli a vedere.”
Enes scosse la testa come di fronte a un'affermazione assurda. “Ma lo sai di cosa stai parlando?” gli chiese.
No, e non me ne frega niente.”
Davvero non sai nulla dei Giochi?”
Il ragazzo incupì lo sguardo. “Dovrei?”
Sono settimane che tutti ne parlano.”
I due tacquero e per un po' si limitarono ad allineare su una corda tesa indumenti gocciolanti. Dopo un po', Enes disse: “Prima selezionano la squadra migliore di ogni guarnigione ed esse si affrontano nei Giochi della Marca. Chi vince ha l’onore di gareggiare qui a Herburg.”
Nientemeno,” commentò ironico l’altro.
Sono i soldati migliori,” ripeté Enes, “i più forti e i più abili nella guerra. È un grande onore entrare in una squadra dei Giochi.” Fece una breve pausa, quindi proseguì: “Io mi sto già allenando il più possibile e spero che quando sarò assegnato a una guarnigione mi noteranno.”
L'altro non rispose.
A te non piacerebbe entrare in una squadra?”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e in tono duro rispose: “Non me ne importa assolutamente niente.”


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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao a tutti,
eccovi un altro pezzo del mappazzone fantasy. Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito fin qui, spero che apprezzerete anche il resto^^





Capitolo 2

Il campo di addestramento numero dodici era considerato il peggiore di tutta Herburg. Il più difficile, quello col terreno più infido. Si diceva che avesse causato più contusioni, ferite e ossa rotte di una banda di Orchi Cinerei inferociti.
Sotto il cielo cupo era una distesa grigia, fangosa, disseminata di pozzanghere, sulla quale si susseguivano ostacoli di vario genere, in un percorso che normalmente dava fondo a ogni energia di un soldato mediamente addestrato e faceva cadere svenute le reclute che da poco avevano ricevuto l'uniforme nera.
Ehrenold strinse gli occhi mentre un lieve sorriso gli increspava le labbra. Non si faceva mai tutto, il Campo dodici. Se ne facevano dei pezzi, più o meno lunghi a seconda delle intenzioni dell'istruttore: un buon maresciallo sapeva perfettamente a che punto del percorso spedire un soldato e quanto spingerlo per ottenere di volta in volta un allenamento, un allenamento duro, una punizione moderata o una punizione che non sarebbe stata dimenticata mai più.
Il Luogotenente raggiunse il recinto che lo delimitava e di nuovo fece scorrere lo sguardo sui vari ostacoli. Si soffermò sul Muro, una parete di legno posta alla sommità di una piccola salita. Essa era consumata da innumerevoli cotte di maglia che vi avevano urtato contro. Periodicamente veniva ridipinta, ma la pittura non durava mai più di qualche settimana. Riconobbe il suo bordo superiore smangiato dall'uso, rievocò la sensazione di trionfo di far passare la gamba e poi tutto il corpo oltre quell'asse scabra. Di nuovo sorrise fra sé e sé e si rivide ragazzo, con l'uniforme nera appena conferita, che correva su per la salita con uno zaino affardellato, saltava, si tirava su a forza di braccia e si lasciava cadere dall'altra parte con la sensazione di aver appena valicato il più alto dei Monti Utash.
In quel momento vide due figure avvicinarsi. Le osservò più attentamente e si accorse che erano un maresciallo e una recluta. Il ragazzo doveva avere sui sedici anni, perché sull'uniforme nera non aveva ancora alcuna insegna. Notò che era un po' più alto dell'istruttore, anche se per forza di cose meno robusto, e aveva un bel portamento fiero. Considerò tra sé e sé che uno così sarebbe stato probabilmente scelto per far parte della Guardia d'Onore.
In quel momento l'istruttore disse qualcosa e il ragazzo fece una cosa inaudita: si girò e rispose in tono aspro.
Un istante dopo, rotolò a terra colpito dallo scudiscio del maresciallo. Si rialzò torvo, rigido, con le spalle ingobbite e i pugni stretti, quindi lanciò al suo antagonista una tale occhiata di odio che Ehrenold stesso si trovò ad aggottare le sopracciglia disorientato.
Il sottufficiale però sembrava piuttosto avvezzo a quel tipo di comportamento e si limitò a indicare al ragazzo un punto del percorso. Il Luogotenente riconobbe la posizione: punizione molto dura.
Non si trovò in disaccordo con quella scelta: in un esercito la disciplina era tutto ed era bene che le reclute – ragazzetti che cominciavano appena a sperimentare la loro forza, esuberanti come torelli in primavera – capissero subito che i gradi andavano rispettati.
Intrecciò le mani dietro la schiena e per un po' rimase a seguire la punizione da lontano.
Notò che il ragazzo era veloce e affrontava gli ostacoli con piglio deciso, senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà del percorso. Lo vide cadere in una pozza d'acqua limacciosa, arrancare fino al bordo con tutto l'equipaggiamento addosso, scrollarsi e riprendere grondante la corsa.
Si avvicinò.
Il maresciallo, che stava seguendo il ragazzo, al rumore dei suoi passi si voltò e salutò militarmente. Ehrenold rispose al saluto. L'uomo lo fissò aggrottando le sopracciglia, poi sul volto gli comparve un sorriso. “Ne hai fatta di strada,” constatò. Si pose i pugni sui fianchi e lo rimirò con fare compiaciuto. “Luogotenente, addirittura.”
L'ufficiale lo fissò a sua volta: l'uomo aveva qualche cicatrice e qualche tatuaggio di guerra in più rispetto a quel che ricordava, ma espressione e corporatura non erano cambiate per niente. “Maresciallo Tenhar,” disse.
Ehrenold, giusto?”
Sì.”
Sei qui per i Giochi?”
Sì, comando la squadra di Heiswegen.”
Senza togliere i pugni dai fianchi, il maresciallo sollevò le sopracciglia e annuì, poi disse: “Lo dicevo che avresti fatto strada.”
Ehrenold sorrise. “Veramente, maresciallo, se non ricordo male dicevi che ero uno stupido bue, buono solo per tirare un aratro.”
L'altro fece un gesto come per allontanare un insetto, quindi rispose: “Ma sì, quelle sono le solite cose che si dicono ai ragazzi per evitare che si montino troppo la testa, soprattutto se sono migliori degli altri.” Poi, dopo una pausa, in tono di vago rimprovero: “Dovresti saperlo, Luogotenente.”
Ehrenold assentì. “Sì, certo.”
Tu l'hai finito tutto il Campo Dodici.”
Mi ricordo.”
Beh, non era il caso che mettessi su troppa boria, non ti pare? Mi ricordo che anche da giovanotto eri ambizioso.”
Cosa ti fa pensare che lo sia?” gli chiese Ehrenold.
Ragazzo, se non ricordo male hai venticinque anni e sei già Luogotenente. Hai intenzione di diventare il Sovrintendente più giovane di tutto l'esercito di Kjarr?”
Non mi dispiacerebbe se accadesse.”
E poi mi dici che non sei ambizioso.” Tenhar stava per aggiungere altro, ma in quel momento la recluta, che si stava arrampicando su una fune, perse la presa e piombò a terra di schiena.
Immediatamente, il maresciallo tuonò: “Alzati in piedi, specie di pelandrone inutile! Hai intenzione di trascorrere la mattina a dormire?”
La recluta si rigirò su un fianco e puntò a terra una mano come per sollevarsi.
Muoviti!” lo incalzò Tenhar, “Pensi che il nemico se ne stia ad aspettare educatamente in un angolino fino a che tu non ti sei rimesso dritto sulle gambe?” A grandi passi lo raggiunse, quindi fece sibilare in aria lo scudiscio e gli assestò un colpo sulla schiena. La recluta scattò in piedi, quindi con mossa fulminea si protese per afferrare il nerbo. Il maresciallo però evidentemente se l'aspettava, perché con un gesto ancora più repentino lo sottrasse alla sua presa e di nuovo lo colpì con esso, questa volta in pieno viso. Il ragazzo emise un ringhio, ma rimase immobile. Persino dalla distanza a cui stava assistendo alla scena, Ehrenold colse nel suo sguardo torvo il brillio della sfida.
Chi è?” chiese quando il maresciallo fu di nuovo accanto a lui.
Tenhar alzò le spalle. “Un cavallo selvaggio. Ne salta fuori uno in ogni Compagnia, più o meno: un ragazzetto presuntuoso che crede di poter obbedire agli ordini solo se ne ha voglia.”
Vanno raddrizzati,” si limitò a considerare Ehrenold. Spostò nuovamente lo sguardo sul ragazzo, che stava correndo sul terreno dissestato come un cervo inseguito da una muta di cani. Lo vide arrivare a una serie di tronchi successivi, posti di traverso sul percorso, distanti l’uno dall’altro circa un braccio e ad altezza crescente da terra. Strinse appena gli occhi: l'ostacolo era uno dei più infidi, richiedeva equilibrio, agilità e forza. Era necessario balzare da un tronco all'altro senza fermarsi e alla fine spiccare un balzo più lungo degli altri, afferrare al volo una fune penzolante, arrampicarsi su quella e poi tornare giù scivolando lungo una pertica.
Ehrenold rimase immobile a fissarlo. Il ragazzo saltò sul primo tronco, ondeggiò ma mantenne l'equilibrio, passò al secondo e poi al terzo, allargò le braccia per non cadere, saltò sul quarto...
Non ce la fa,” disse Tenhar scuotendo la testa.
Il ragazzo scivolò, cercò con un guizzo di rigirarsi e aggrapparsi al tronco, ma crollò a terra sollevando uno spruzzo di fango.
Alzati, specie di idiota!” ruggì il maresciallo, quindi a voce più bassa, rivolto a Ehrenold: “Sarebbe un buon elemento, ma lo vedi anche tu: troppo precipitoso, non pensa a quello che fa, la sua unica preoccupazione è alzare la cresta, come se servisse a qualcosa.”
Chiamalo qui,” disse il Luogotenente.
Il maresciallo aggrottò appena le sopracciglia come se la cosa lo stupisse, ma subito dopo si girò di nuovo verso il campo e disse: “Tu! Vieni qui subito!”
Il ragazzo abbandonò il percorso e li raggiunse, quindi si mise sull'attenti.
Ehrenold lo squadrò serio: era fradicio, coperto di fango, con il volto bianco di fatica e la guancia segnata dal colpo di scudiscio. Ansava pesantemente.
Come ti chiami?” gli chiese.
Il ragazzo serrò i denti e incupì lo sguardo. “Siwald.”
Siwald, Luogotenente,” lo corresse il maresciallo. Il ragazzo strinse gli occhi e ripeté: “Siwald.”
Tenhar lo colpì di nuovo con lo scudiscio, il giovane si limitò ad aggrottare le sopracciglia, poi a bassa voce ringhiò: “E adesso cosa fai, maresciallo, mi spedisci sul percorso di guerra? Sai che novità.”
In tono pacato, il sottufficiale rispose: “No, il percorso di guerra è per i soldati. C’è giusto bisogno di un mulo alla cava, domani ti presenterai là all’alba e farai quello che ti ordineranno.”
Sissignore.”
Ora torna sul campo e ripeti i tronchi.”
Sissignore.”
Il ragazzo salutò e corse via.
Ehrenold, che aveva assistito impassibile alla scena, a quel punto chiese: “Gli è già stato assegnato un mentore?”
Tenhar scosse la testa. “Lo vedi anche tu com’è: provoca, fa lo stupido, cerca sempre di avere l’ultima parola. Se l’era preso uno della Guardia d’Onore, nientemeno, e dopo qualche giorno l’ha rifiutato.”
Come mai?”
Il maresciallo alzò le spalle. “È il peggior cavallo selvaggio che mi sia capitato da anni. Uno così non lo vuole nessuno.”
Si è fatto avanti qualcun altro?”
Sì, del resto lo vedi com’è: ha del potenziale.”
E quindi?”
Niente, anche il secondo l’ha rifiutato.”
Ehrenold assentì serio. “Gliene resta uno,” considerò.
Già, poi finisce a fare lavori di fatica per il resto della sua vita. Niente armi, niente onore.”
Il Luogotenente volse di nuovo lo sguardo verso il ragazzo: lo vide balzare dal tronco più alto, afferrare la fune e sollevarsi a forza di braccia fino al gancio che la sosteneva. “Sarebbe un peccato,” disse.

§

Ehrenold portò fuori dalla scuderia il cavallo, quindi gli fece fare qualche passo sul selciato. Si chinò e si accertò che le zampe dell’animale fossero state fasciate accuratamente, poi passò a controllare la sella.
È a posto,” gli disse Rowden, già in groppa al suo destriero.
È sempre meglio esserne certi.”
Da queste parti gli stallieri sanno il fatto loro.”
Come se alla nostra guarnigione non fosse così.” Poi, dopo una pausa: “Voglio portare gli uomini sul percorso della prova di campagna.” Detto questo, Ehrenold allungò le staffe, mise le redini sul collo del cavallo e montò in sella. Come sua abitudine, fece fare qualche passo all’animale tenendogli le redini lunghe, poi le accorciò nuovamente chiedendogli un assetto impostato. A quel punto spronò e partì al piccolo trotto.
La squadra gli si accodò assumendo la corretta formazione.
Raggiunsero una zona poco lontano dal giro di mura più esterno di Herburg, che veniva mantenuta incolta e boscosa proprio per lo svolgimento dei Giochi. Vi si snodava un grossolano percorso lungo il quale, a intervalli regolari, si trovavano postazioni per gli osservatori, ovvero coloro che avevano il compito di controllare che il regolamento fosse rispettato e le formazioni mantenute.
Il cielo era azzurro, ma la mattina era fredda e l’erba ghiacciata scricchiolava sotto gli zoccoli dei cavalli. I rami degli alberi, ancora spogli, erano coperti da una sottile patina di brina, che riluceva sotto i raggi del sole.
Sul terreno indurito dal gelo gli zoccoli tonfavano cupi.
Ehrenold percepì un animale che scartava alle sue spalle. “Tenere i cavalli alla mano,” ordinò senza voltarsi. Scrutò il percorso, che si addentrava nella selva tra rovi e tronchi caduti. Ogni tanto vi era un piccolo segnale rosso, che indicava gli ostacoli. Il primo – il più facile – era uno sbarramento costituito da tre file di barili rovesciati.
Dietro di me,” ordinò, quindi mise il cavallo al galoppo leggero.
In quel momento, l’aria sembrò tremare per un improvviso rombo di zoccoli. Ehrenold fermò la squadra, quindi si girò sulla sella: c’era un’altra squadra in avvicinamento. Il suo sguardo si fece acuto ed egli d’istinto rinsaldò la stretta delle ginocchia sulla cavalcatura. Rowden, che a sua volta s’era girato per guardare, a bassa voce gli raccomandò: “Non fare azioni avventate.”
I nuovi arrivati si avvicinarono ulteriormente, poi il comandante del drappello fece cenno ai suoi di fermarsi e continuò ad avanzare da solo.
Ehrenold rivolse uno sguardo all’amico, quindi raggiunse l’altro e gli chiese: “Che ci fai qui?”
Questi sorrise ironico. “Strana domanda da parte tua: porto i miei a vedere il percorso.”
Adesso tocca a noi.”
L’altro scosse la testa. “Tocca a chi se lo prende. Non è questa la tua filosofia?”
Ehrenold assottigliò lo sguardo. “Che intendi dire?”
È quello che hai fatto nella battaglia di Aleet, no?”
Negativo. Nella battaglia di Aleet ho eseguito gli ordini, e prima te ne convincerai, meglio sarà per te.”
Gli ordini di chi?” replicò l’altro sprezzante. “Quelli che ti sei dato da solo, forse.”
No, quelli del Sovrintendente Durwane.” Ehrenold fece una breve pausa, quindi aggiunse: “Hai mai pensato di chiedere a lui come sono andate veramente le cose? Oppure ti fa comodo pensare che la promozione sia toccata a me perché ho agito in modo scorretto?”
Ma certo, è molto semplice,” lo rimbeccò sarcastico il nuovo arrivato, “mi faccio dare una licenza, attraverso l’Impero, arrivo fino ai territori di Kelesh, cerco il Sovrintendente Durwane e se non è ancora caduto in battaglia e acconsente a darmi udienza, gli chiedo come sono andate veramente le cose. Ma perché non ci ho pensato prima, dico io?”
Te lo dico io perché non ci hai pensato, Wardan,” replicò duro Ehrenold, “perché è a te che fa molto comodo pensare che sia andata come tu immagini. La verità però è un’altra: io ho eseguito gli ordini del Sovrintendente, ho fatto avanzare i miei uomini nella maniera più giusta e ho conquistato l’obiettivo. E ora tornatene dai tuoi e lasciaci passare: per le prossime due ore il percorso è nostro.”
Io dico che il percorso è di chi se lo prende!” replicò brusco Wardan, quindi spronò il cavallo, che balzò in avanti costringendo Ehrenold a far scartare il proprio per non venire travolto.
Il Luogotenente riprese in un attimo il controllo del destriero, quindi si lanciò all’inseguimento del rivale.

Rowden si voltò verso la squadra e in tono imperioso disse: “Voi restate qui!” Poi si rivolse alla squadra di Wardan e aggiunse: “E anche voi!”
Si fece avanti un maresciallo: “Conosci le regole, capitano: durante i Giochi i gradi non contano.”
Certo,” replicò Rowden, “comanda la squadra chi è più bravo, giusto?” Spostò il cavallo in modo da pararsi tra i due gruppi e l’inizio del percorso. “Oppure chi ha più buon senso.”
Non aggiunse altro: spronò l’animale e scomparve sulle tracce dei due ufficiali.
Percorse il primo rettilineo a rotta di collo, gli occhi fissi sull’ostacolo di barili. Volò sullo sbarramento, si piegò per evitare un ramo, quindi si raddrizzò subito dopo e serrò le ginocchia per affrontare una curva a gomito. Superata quella, vide in fondo a un rettilineo i due capisquadra che galoppavano fianco a fianco, cercando di superarsi a vicenda. Fece un rapido calcolo: non sarebbe mai stato in grado di raggiungerli, ormai avevano troppo vantaggio.
Percepì un rumore di zoccoli alle spalle, si girò e vide il maresciallo che gli aveva risposto poco prima. L’uomo galoppava a briglia sciolta, tenendosi piegato sulla sella per guadagnare più velocità possibile.
Capitano!” lo udì gridare. “Capitano Wardan!”
Rowden spronò a sua volta, sebbene l’animale stesse già correndo così forte che nell’aria gelida gli lacrimavano gli occhi. Sbatté la palpebre, ma non osava staccare una mano dalle redini per tergersi. Alzò comunque lo sguardo, e pur sfocata vide la seguente scena: il cavallo di Wardan scartò, urtò quello di Ehrenold e lo spinse verso il bordo pista, che in quel punto era coperto di alti cespugli dai rami spinosi.
Il destriero del Luogotenente scivolò sul terreno ghiacciato e ruppe l’andatura. Si mantenne in piedi, ma finì fuori pista, fece due o tre tempi di galoppo tra gli sterpi e saltò un ramo caduto, quindi sgroppò e scrollò la testa innervosito. Ehrenold strinse le ginocchia e lo riportò sul terreno battuto, ma Wardan aveva già preso troppo vantaggio e stava scomparendo dietro una curva.
Fermò il cavallo.
Rowden tirò a sua volta le redini e fu oltrepassato dal sottufficiale, che in breve scomparve dietro il suo comandante. Batté la mano sul collo del destriero e gli fece fare qualche passo. Accaldati per la folle galoppata, gli animali erano circondati da una nuvola di vapore ed emettevano getti bianchi dalle froge a ogni respiro. “Ti ha spinto,” disse.
Può darsi,” fu la risposta di Ehrenold, “di sicuro sperava che sarei caduto o avrei azzoppato il cavallo.”
Se lo segnalassi ai giudici, sarebbe squalificato.”
Il Luogotenente scosse la testa. “Se tu lo segnalassi, il suo maresciallo direbbe che non è vero e si aprirebbe un’indagine.”
Ma tu puoi confermare che ti ha spinto deliberatamente, quindi l’indagine ci darebbe ragione.”
Non è detto, in fin dei conti è la nostra parola contro la loro, inoltre non eravamo in gara e quello che ha fatto Wardan in senso stretto non è proibito.” Ehrenold si voltò verso la direzione in cui i due erano scomparsi, quindi aggiunse: “E poi dovrei quasi ringraziarlo: in questo modo mi ha fatto capire cos’ha in mente.”
Rowden si girò a sua volta verso il proseguimento della pista, quindi fissò l’amico e gli chiese: “Pensi che lo rifarà?”
Ehrenold alzò le spalle con noncuranza. “Senza dubbio sta meditando qualcosa, ma non farà niente in gara: ci sono gli osservatori e avrebbe troppo da perdere se lo vedessero.” Mise il destriero al passo. “Ora andiamo, però. Già che i ragazzi sono in sella, voglio approfittare per fare un po’ di allenamento.”
Sei ferito da qualche parte?”
Solo un paio di graffi.”
E il cavallo?”
A posto. Fergund sa il fatto suo.”
Per un po’ procedettero in silenzio uno accanto all’altro, poi d’un tratto Ehrenold chiese: “Hai mai pensato a quando dovrai fare il mentore?”
Rowden aggrottò le sopracciglia e si voltò stupefatto a fissarlo. “Prego?” chiese, ancora non del tutto certo di aver capito bene.
Il mentore,” ripeté Ehrenold mantenendo lo sguardo fisso fra le orecchie del cavallo, “prendere un ragazzo, insegnarli le cose.” Fece una pausa, a Rowden parve che sorridesse fra sé e sé. “Trasformarlo in un soldato.”
Il capitano lasciò passare qualche istante, quasi aspettandosi che l’altro avrebbe aggiunto qualcosa, infine si decise a chiedere: “Come mai mi fai questa domanda? Tutti lo dovremo fare, prima o poi, è la regola.”
Tu pensi che sia difficile?” continuò Ehrenold, seguendo il filo dei propri pensieri.
Rowden scosse la testa. “Non saprei, francamente non ci ho mai pensato. Ma poi, cosa sono questi discorsi? Adesso dobbiamo pensare ai Giochi, faremo i mentori quando sarà il momento, esattamente come diamo il nostro contributo alla generazione quando le matrone stabiliscono che dobbiamo farlo.”
Ehrenold annuì a quelle che erano cose ben note per ogni uomo di Kjarr, tuttavia dopo un po’ disse: “Tu credi che io sarei in grado di farlo?”
A quel punto, Rowden fermò il cavallo, costringendo l’altro a fare altrettanto, quindi replicò: “Senti un po’, ogni promozione che hai ricevuto è stata sul campo, sei il comandante di una squadra dei Giochi, hai solo venticinque anni e hai già non so quanti tatuaggi di guerra, sei l’incarnazione di ogni valore di Kjarr. Se non sei in grado tu, non vedo chi possa esserlo. E comunque, ti ripeto che adesso non è una faccenda di tua competenza. Ti occuperai di un ragazzo quando ti diranno che devi farlo.”
Ehrenold non rispose. Il sole si era alzato ulteriormente e la brina che copriva i rami aveva cominciato a sciogliersi, rendendoli lucidi e scuri. Nell’aria c’era un gran silenzio, solo in lontananza si sentiva l’eco flebile di una canzone di marcia. Rowden seguì lo sguardo dell’amico e si accorse che egli stava cercando di localizzare la provenienza del canto. “Ci sei?” gli chiese.
L’altro ebbe un lieve sussulto. “Sì, scusa.”
Dicevo che adesso dobbiamo pensare ai Giochi, Ehrenold, null’altro importa.”
Ovvio che penseremo ai Giochi,” rispose il Luogotenente con una nota di durezza nella voce.
Null’altro importa,” ripeté Rowden. “A Heiswegen si aspettano che diamo buona prova di noi, non possiamo deludere chi ci ha dato fiducia.”
Non lo faremo,” replicò Ehrenold incupendo lo sguardo.
E allora è il caso che tutte le nostre energie finiscano lì,” gli ricordò Rowden. “Lascia perdere la faccenda del mentore finché non sarà tutto concluso.”
L’altro rimise il cavallo al passo, segno che considerava la discussione finita. Il capitano restò per qualche istante a guardarlo mentre si allontanava, quindi spronò a sua volta la cavalcatura e lo raggiunse.






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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Gente,
ecco qui un altro capitolo del mappazzone. Grazie a tutti quelli che in qualche modo mi seguono, un grande grazie a chi mi ha lasciato anche un parere!^^




Capitolo 3

Ehrenold si voltò verso Rowden e vide che l’amico aveva lo sguardo fisso verso il portale che dai sotterranei dell’Arena conduceva al campo di gara. “Che c’è, sei nervoso?” gli chiese.
Al di là si udivano squilli di tromba e acclamazioni. Da bianchi che erano, i gradini erano diventati tutti neri, perché coperti di soldati. Solo in fondo si vedeva la macchia chiara formata dalle compagnie di ragazzi che non avevano ancora raggiunto lo status di reclute e portavano l’uniforme kaki.
“Un po’,” rispose Rowden. Poi, dopo una pausa: “Tu no?”
Ehrenold rimase in silenzio. Aveva visto i Giochi un paio di volte quando era ragazzo e un’altra volta con l’uniforme nera, in compagnia del suo mentore, poi era stato mandato in varie guarnigioni e non aveva più avuto occasione di assistervi. Ricordava abbastanza bene la cerimonia di apertura, ma un conto era vederla seduto sulle gradinate, un conto era prendervi parte.
Seguì con lo sguardo la squadra di Essl che prendeva posizione davanti all’uscita. Uno dei cavalli raspò a terra con l’anteriore, il suo cavaliere gli diede un paio di pacche sul collo per calmarlo, ma l’animale arretrò e l’uomo fu costretto a fargli fare qualche passo in circolo prima di riportarlo in formazione. La bandiera della Marca, fronde di quercia argento in campo nero, ebbe un’oscillazione, tanto che il comandante richiamò l’uomo che la reggeva.
Un altro cavallo tentò di scartare col posteriore, ma venne subito richiamato all’ordine dal suo cavaliere.
“Pronti,” disse l’inserviente che stava accanto alla porta.
Da fuori provenivano lunghi squilli di tromba, il brusio della folla si era fatto carico di aspettativa.
“Salute e vittoria,” augurò loro Ehrenold alzando la destra.
Il comandante della squadra, un capitano di nome Shorn, si girò sulla sella e gli rivolse un sorriso tirato. “Salute e vittoria anche a voi,” rispose. Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma l’inserviente disse: “Squadra di Essl: fuori.”
Shorn si girò in avanti e diede l’ordine di avanzare, la squadra si mosse compatta verso il riquadro luminoso.
L’Arena la accolse con un’ovazione. Gli uomini della Marca di Essl che si trovavano fra il pubblico sventolarono bandiere e si sgolarono in acclamazioni così forti che per un attimo sembrarono coprire gli squilli delle trombe di guerra.
Ehrenold fece avanzare i suoi: i prossimi a uscire sarebbero stati loro. Alle sue spalle, Rowden disse: “Certo che è strano, vero? Avremo visto chissà quante battaglie, eppure siamo qui che ce la facciamo sotto al pensiero di fare una passeggiatina in formazione davanti a un po’ di pubblico.” Fece una breve risata, alla quale gli uomini risposero ridacchiando a loro volta.
“Salute e vittoria anche per noi,” si limitò a rispondere il Luogotenente. Era nervoso forse più di tutti gli altri messi insieme – in fin dei conti era principalmente su di lui che sarebbe ricaduto l’eventuale biasimo se la squadra non avesse dato buona prova di sé – ma era ben consapevole che tra i suoi doveri c’era anche quello di dare l’esempio, esattamente come gli era richiesto di fare sul campo di battaglia.
“Voglio una formazione di parata perfetta,” disse in tono tranquillo. Stava per aggiungere altro, ma risuonò la voce dell’inserviente: “Pronti.”
La squadra si approssimò all’uscita.
“È vero che c’è anche l’Imperatore?” chiese uno degli uomini con voce vagamente incerta.
Ostentando un tono tranquillo, Ehrenold rispose: “Certo che c’è, Arel. Per chi pensi che sfileremo, una volta arrivati là fuori?”
Il soldato assunse un’espressione preoccupata. “Io non ho mai visto l’Imperatore,” mormorò.
Il Luogotenente si girò a fissarlo. In tono tranquillo gli disse: “Quando sei stato in battaglia contro i soldati di Mirith l’avevi per caso visto?”
“No, Luogotenente.”
“Non hai avuto meno coraggio, però.”
Il soldato annuì. “Ho fatto quello che dovevo, Luogotenente.”
“Qui non ti è richiesto niente di più, Arel. Testa alta e ginocchia strette. Saluta quando arrivi davanti a Lui e non preoccuparti di niente.”
Il soldato ebbe un pallido sorriso. “Sì, Luogotenente.” Poi, dopo una pausa: “Grazie.”
Intervenne l’inserviente: “Squadra di Heiswegen: fuori.”
“Formazione di parata,” ordinò Ehrenold, quindi mise il cavallo al passo.
Aveva già visto l’Arena e aveva già visto i Giochi, ma mai da quella posizione, e mai con gli occhi di chiunque puntati addosso. Mai con l’Imperatore che lo guardava.
“Salute e vittoria,” disse la voce di Rowden alle sue spalle. “Guidaci e noi ti seguiremo fino alle Dimore di Vopnir.”
Ehrenold alzò la testa con uno scatto e un attimo dopo era sulla pista, la bandiera di Heiswegen che schioccava nel vento teso. Le acclamazioni erano un unico boato ininterrotto, gli squilli di tromba erano così forti da rintronare. Davanti, staccata di un centinaio di passi, c’era la squadra di Essl, ancora più avanti quella di Arhusk. Gli parve quasi di essere uscito da sé, di guardarsi da fuori. Si vide procedere fino alla tribuna d’onore, dare l’alt, salutare. Tutto perfetto, tutto all’unisono. La squadra era come un’entità unica, come se i suoi uomini si fossero fusi in un solo essere, che poi era diventato anche parte di lui.
Alzò lo sguardo sul sovrano: da quella distanza gli appariva solo come un uomo imponente, dai capelli bianchi, con l’uniforme da Generale Supremo. Sapeva che era vecchio, perlomeno per i criteri di Kjarr, eppure sedeva eretto e fin da quella distanza si coglieva il suo sguardo acuto di rapace. Alla sua destra c’erano i più alti dignitari del regno e alla sua sinistra le più autorevoli fra le matrone.
Diede ordine di abbassare la bandiera in segno di onore al sovrano, che salutò militarmente la formazione.
Successivamente, Ehrenold si ritrovò di nuovo sulla pista, la squadra compatta alle sue spalle. “È andata,” gli disse Rowden, a voce talmente bassa che nel caos di acclamazioni fece quasi fatica a sentirla.

§

Vadian appoggiò il boccale sul lungo tavolo di legno della mensa e disse: “E finalmente, domani cominciano i Giochi!”
Gli altri capisquadra alzarono i boccali in un brindisi, dal fondo del tavolo qualcuno esclamò: “Salute e vittoria!”
“Salute e vittoria!” fecero eco gli altri, poi tutti bevvero un sorso.
Si fece udire la voce di Shorn: “Ragazzi, siete pronti per domani? I cavalli si riposano, eh, tocca a noi sgobbare!”
Hyvardus stirò le poderose membra e rispose: “Preparatevi, perché domani vedrete la squadra di Wors sparire all’orizzonte.”
“Ah, sì?” ghignò Vadian, “Dove hai intenzione di scappare?”
L’altro si finse piccato. “Davanti a voi, ovviamente. Vedrete solo i nostri sederi.”
“Allora potremmo anche farci un pensierino!” intervenne Hatril, comandante della squadra di Rhenigtas. “Vi teniamo dietro durante le prove di corsa e nuoto, e appena di fermate per tirare con l’arco...”
A quel punto intervenne Deler, della Marca di Oswand, che disse: “E mentre voi vi divertite, noi arriviamo all’Arena per primi e ci beviamo una birra mentre vi aspettiamo.”
Tutti risero.
Ehrenold si voltò verso Rowden, che nella generale allegria aveva abbandonato il tavolo della squadra di Heiwsegen e si era unito a quello dei capisquadra, e gli chiese: “Come stanno i ragazzi?”
L’altro sorrise. “Partirebbero stasera, se potessero.” Si guardò intorno alla ricerca di un boccale, Ehrenold spinse il proprio verso di lui. Il capitano sorbì un lungo sorso, quindi proseguì: “Arel è ancora emozionato per quello che gli hai detto.”
L’altro scosse la testa divertito. “Ma se non gli ho detto niente...”
“Scherzi? Hai parlato proprio a lui. È rimasto molto colpito.”
“Per così poco?”
Rowden si protese ad appoggiargli una mano sulla spalla, quindi rispose: “Sai perfettamente cosa possono significare anche poche parole da parte di un comandante.” Fece una pausa, poi precisò: “Un vero comandante, naturalmente, non un cialtrone con qualche grado in più sull’uniforme.”
“E io sarei un vero comandante?”
Rowden gli strinse appena la presa sulla spalla, quindi a bassa voce rispose: “Sai di esserlo.”
Uno scoppio di risa particolarmente violento fece voltare entrambi: a tavola continuavano a scambiarsi battute sulla gara dell’indomani.
Ehrenold si alzò e si affacciò a una porta che dava su un cortile lastricato e illuminato da fiaccole, con un pozzo e un lavatoio al centro.
Vi si diresse a passi lenti e si sedette sul bordo del bacile. Piegò la testa all’indietro ed emise un sospiro mentre contemplava il cielo notturno. Rowden lo raggiunse e si sedette accanto a lui. “Sei nervoso per domani?” gli chiese.
Ehrenold si voltò verso di lui, cercando di indovinare i suoi lineamenti nel bagliore vago delle fiaccole assicurate alle pareti. “Mi domandi sempre se sono nervoso. No, per domani non lo sono: i ragazzi sono tutti nuotatori esperti, ottimi corridori, ottimi arcieri. Non ti dico che sono sicuro di vincere, perché anche la squadra di Hyvardus e quella di Wardan sono forti, ma di certo non arriveremo tra gli ultimi.”
“Per cosa sei nervoso, allora?”
Ehrenold distolse lo guardo. “Non lo so,” si decise a dire dopo un lungo silenzio.
“Di nuovo la faccenda del mentore?” azzardò Rowden.
Il Luogotenente stava per rispondere quando sulla porta comparve la figura poderosa di Hyvardus. “Ehi, voi due!” disse con voce tonante, “Non lo sapete che durante i Giochi non si fanno le cose private?” Se ne andò con una gran risata.
A quel punto, Ehrenold si alzò in piedi e disse: “Sarà meglio andare a dormire, domani dobbiamo essere riposati.” Senza attendere risposta si incamminò verso le camerate.

§

L’alba era lattiginosa, umida. Il lago Inach, nel quale sarebbero state disputate le prove di nuoto, era una distesa cupa e increspata sotto un cielo color del piombo.
Ehrenold scese dal carro sul quale la sua squadra era stata trasportata, si liberò degli indumenti e li piegò in un fagotto che successivamente depose sul pianale. I suoi uomini lo imitarono e in breve furono tutti nudi, a parte un laccio di colore nero al collo, cosa che avrebbe permesso di riconoscere in ogni momento dei Giochi la squadra cui appartenevano.
Nell’aria fredda il fiato si condensava in nuvole bianche. Qualcuno si era avvicinato al lago e si stava spruzzando acqua addosso per abituarsi alla temperatura, altri passeggiavano su e giù cercando di mantenere calda la muscolatura.
Ehrenold si guardò intorno: accanto alla sua c’erano la squadra verde – Wors – e azzurra – Briel – che stavano a loro volta sistemando i vestiti sui rispettivi carri. Più oltre c’era la squadra rossa – Gunefort – che stava già entrando in acqua. A Ehrenold parve di cogliere un’occhiata torva da parte di Wardan, ma quando volle accertarsene il capitano gli stava dando le spalle.
La voce allegra di Arel lo distrasse: “Scommetto che facciamo prima noi ad attraversare che i carri a fare il giro.”
Un altro membro della squadra, Herli, lo rimbeccò: “Prega Hengrist che non sia così, altrimenti ci tocca di rimanere là nudi e tremanti finché non arrivano a portarci i vestiti!”
“Vorresti che arrivassimo dopo per avere i vestiti caldi? Cosa sei, un mezzo soldato di Karaali?”
“Ma senti questo! Tu intanto vedi di starmi dietro, se ci riesci.”
Tutti entrarono con i piedi in acqua. La sponda del lago era stata divisa in settori, ognuno contrassegnato da un colore diverso, e dall’altra parte dello specchio d’acqua c’erano analoghe zone colorate, verso le quali ogni squadra si sarebbe dovuta dirigere. Per controllare il corretto svolgimento della gara, gli osservatori si erano posizionati alla partenza e all’arrivo. Un paio di essi si trovavano su una piccola barca che stava prendendo il largo e si preparavano a sorvegliare gli atleti anche durante la gara.
“Quanto tempo abbiamo di là per infilarci i vestiti?” chiese Herli, fissando con le sopracciglia aggrottate la superficie bigia dell’acqua.
“Abbiamo che se non ti sbrighi ti facciamo correre nudo!” esclamò un altro soldato, dandogli uno schiaffo su una natica. Lo schiocco risuonò nell’aria.
“Ehi!” protestò il primo, massaggiandosi la parte offesa.
“Così ti scaldi, no?”
Herli brontolò un’imprecazione.
Ehrenold, già in acqua fino alle cosce, si limitò a chiamare a sé gli uomini e a dire: “L’abbiamo già fatto molte volte alla guarnigione. Abbiamo nuotato in acque più fredde e anche per tratti più lunghi di questo. Rispettate il regolamento e ricordatevi che siete una squadra, non atleti che gareggiano per conto loro. È la squadra che vince.”
Notò che si stava approssimando un suonatore di tromba, che avrebbe dato di lì a poco il segnale della partenza.
“Pronti!” esclamò il più anziano degli osservatori.
Tutte le squadre entrarono in acqua e si posizionarono nella maniera regolamentare. Ehrenold fece in tempo a scambiare un’ultima rapida occhiata con Rowden, poi giunse il potente squillo dello strumento.
Un attimo dopo, stava fendendo lo spazio ad ampie bracciate. Aveva passato giorni a figurarsi come sarebbe stato partecipare ai Giochi, se ci sarebbe riuscito, se l’emozione l’avrebbe infine sopraffatto, ma ora che finalmente tutto era cominciato, si sentiva perfettamente calmo e lucido, come gli accadeva durante le battaglie. I movimenti del nuoto si susseguivano regolari, i suoi e quelli dei suoi uomini. Anche con l’immagine fugace di dorsi lucidi che emergevano e si immergevano un attimo dopo, riusciva a riconoscerli: la nuotata nervosa di Herli e quella lenta e potente di Rowden, il dorso tatuato di Arel e quello di Lylan, percorso da una lunga cicatrice.

La sponda opposta arrivò quasi all’improvviso: un attimo prima era nell’acqua alta, un attimo dopo i piedi stavano toccando le alghe del fondo. Herli era già uscito dal lago e stava correndo verso il carro.
Ehrenold lo raggiunse a sua volta, controllando nel frattempo che anche gli altri stessero arrivando, si infilò i vestiti sul corpo ancora bagnato e raccolse la custodia dell’arco. “La cotta di maglia!” rammentò a tutti, “Ricordate che chi arriva al traguardo senza cotta, elmo e spada è squalificato!”
La squadra imboccò la pista per prima. Il percorso era pesante per le recenti piogge, irregolare e si snodava in salita fra alberi enormi, le cui radici spesso sporgevano in archi nodosi dal terreno.
Lylan inciampò e cadde con un grugnito soffocato, Ehrenold lo afferrò per lo scollo della cotta di maglia e senza fermarsi lo tirò in piedi, Rowden era incalzato da vicino dal primo della squadra blu.
Di tanto in tanto si vedevano, ieratici ai margini della vegetazione, gli osservatori, che muti e immobili seguivano lo svolgersi della gara.
Cominciò a piovere, grosse gocce gelide, e scivolare lungo la salita divenne la norma. Le uniformi e le cotte di maglia erano completamente coperte di fango e anche dei lacci che ognuno portava al collo non si capiva più il colore.
“Ci dovranno tirare un secchio d’acqua per capire di che squadra siamo,” ansò Arel, aiutandosi anche con le mani per tenersi in equilibrio su quello che la pioggia aveva trasformato in un torrente fangoso.
“Meno chiacchiere e corri,” replicò Ehrenold.
Arrivarono alle postazioni di tiro, la squadra di Gunefort si era già attestata e gli uomini stavano togliendo gli archi dalle custodie impermeabili e stavano mettendo le corde. Gli osservatori erano impegnati a controllare le squadre in avvicinamento.
Il Luogotenente sentì un sibilo e solo l’istinto lo spinse a buttarsi a terra. Alzò lo sguardo e vide Wardan con l’arco imbracciato. Il capitano non stava guardando lui e anzi aveva tutta l’aria di star controllando se l’arma fosse o meno in perfetta efficienza, tuttavia il fischio degli impennaggi era stato inconfondibile.
Di nuovo Ehrenold fissò Wardan e questa volta per un istante incontrò il suo sguardo. Ragionò fra sé e sé: di certo si era trattato di un avvertimento, senza alcuna intenzione di provocargli ferite. Se infatti l’avesse colpito, anche se nessuno avesse visto che era stato lui, i Giochi sarebbero stati sospesi e ci sarebbe stata un’indagine.
Così, invece, l’attacco non poteva avere conseguenze: con quella luce cupa, in mezzo a una macchia regolarmente usata per le esercitazioni di tiro, non avrebbe avuto senso andare a cercare una freccia in più o in meno, perché di certo Wardan non aveva usato una di quelle con gli impennaggi rossi della squadra, ma una che probabilmente aveva raccolto proprio in quella zona giorni prima. Di nuovo, se avesse provato a denunciare il fatto, sarebbe stata la sua parola contro quella del capitano e nessuno sarebbe riuscito a dimostrare niente.
Tolse l’arco dalla custodia e lo armò cercando di fare il vuoto nella mente e di concentrarsi solo sul bersaglio.

§

Rientrarono all’imbrunire, fradici e coperti di fango, tra lazzi e cori. Qualche soldato dormiva rannicchiato sul pianale, ma i più erano perfettamente svegli e molto eccitati per la conclusione della prima giornata di gare. Si sprecavano gli aneddoti e le battute.
Non si sapeva ancora quale fosse stata la squadra vincitrice, gli osservatori dovevano calcolare i punteggi, ma quella di Heiswegen e quella di Gunefort erano le favorite.
Ehrenold si appoggiò alla sponda del carro con la schiena. Nel movimento, la coperta che aveva sulle spalle scivolò giù e Rowden si protese per raccoglierla. “Sei stanco?” gli chiese poi.
“Non più del solito,” rispose Ehrenold, “avrei solo voglia di un bagno caldo.” Fece una pausa, poi disse: “Come a Tysach, ti ricordi?”
“Quello è stato un bell’avamposto,” rispose Rowden.
“Già, il Luogotenente Ralkr era uno che sapeva il fatto suo.”
“Chissà dove sarà adesso?”
Ehrenold stava per rispondere quando uno dei soldati gli si avvicinò porgendogli un otre di vino. “Bevi, Luogotenente,” gli raccomandò.
L’ufficiale abbassò gli occhi sul grosso contenitore, ormai parzialmente floscio, di pelle rossiccia e ornato di nappe chiare. “E questo da dove salta fuori?” chiese.
“È del capitano Hyvardus, Luogotenente. Ha detto di farlo girare.”
Ehrenold si voltò verso il carro della squadra verde e il colosso lo salutò con un ampio cenno del braccio. “Bevi, bevi che ti scaldi!” gli raccomandò. Poi con una risata soggiunse: “Come alla battaglia di Torves-Kin, ti ricordi?”
Rowden lo fissò perplesso. “Eravate insieme a Torves?”
Il Luogotenente annuì. “È stato quando fui ferito al petto. Mi ha portato in spalla per due o tre miglia, credo, e ogni tanto si fermava e mi dava un sorso di vino. Per evitare che mi congelassi, diceva.”
“Era così freddo?”
“Non mi ricordo. So solo che sono arrivato al posto di medicazione completamente ubriaco e non ho fatto nessuna fatica a non lamentarmi mentre mi cucivano, perché non sentivo nemmeno più il dolore.”

Nel frattempo i carri avevano oltrepassato le tre cerchie esterne di mura e si stavano dirigendo verso la caserma riservata agli atleti dei Giochi. Fin da quella distanza si poteva ammirare uno spettacolo che scaldò il cuore a tutti, ovvero una densa colonna di fumo che si levava dalle cucine.
“Chissà cosa staranno preparando?” chiese qualcuno che nella luce ormai scarsa Ehrenold non riuscì a identificare.
I veicoli procedettero fino al cortile, nel quale aleggiava un invitante odore di carne arrostita, e lì si fermarono.
“A terra,” ordinò Ehrenold ai suoi, poi si rivolse a Rowden: “Prendi il comando finché non torno.”
A bassa voce, l’amico gli chiese: “Dove vai?”
“Mi tolgo di dosso il fango e vado alla caserma delle reclute vicino al Campo Dodici.”
“Cosa ci vai a fare?”
Il Luogotenente esitò.
“Vuoi rivedere la tua vecchia caserma?” azzardò Rowden.
Di nuovo Ehrenold rimase in silenzio per qualche istante, poi rispose: “Ricordi quando abbiamo parlato del ruolo di mentore?”
“Di nuovo con questa storia?” sbottò l’altro. “Ti avevo consigliato di lasciar perdere fino alla fine dei Giochi, mi pare.”
Il Luogotenente si voltò verso la squadra che stava entrando nell’edificio principale della caserma, si tolse un po’ di fango secco da una manica, si raddrizzò il cinturone e infine si decise a rispondere: “C’è un ragazzo che mi interessa.”
“Beh, fa’ sapere al suo comandante di Compagnia che lo vuoi come allievo, no? Poi, quando tutto è finito, lo vai a prendere e te lo porti alla guarnigione.”
“È un cavallo selvaggio. Se non lo prendo subito, rischia di farsi spedire alle cave.”
Rowden emise un sospiro di esasperazione. “E cosa te ne fai di un cavallo selvaggio? Quelli hanno la testa bacata, non saranno mai buoni soldati.” Fece una pausa, quindi in tono funesto aggiunse: “Ti darà solo delusioni.”
“Ha delle potenzialità.”
“Ha le potenzialità per farti impazzire, Ehrenold. Passerai il tempo a scusarti con chiunque per quello che combina e alla fine sarai tu stesso che rinuncerai ad addestrarlo.”
“Dovevi vederlo sul percorso di guerra: non ha paura di niente, non si arrende. Ne vorrei una Compagnia, di soldati così.”
L’altro alzò gli occhi al cielo. “Ragiona,” lo pregò. “Dammi retta, non hai mai fatto il mentore e vuoi prenderti un cavallo selvaggio? Rovinerai anche quel poco di buono che potrebbe avere.”
“O riuscirò a far emergere i suoi pregi,” tagliò corto Ehrenold, quindi concluse: “Vado a mettermi un’uniforme pulita. Starò via un’oretta.”

§

Ehrenold raggiunse la caserma dove aveva prestato servizio come recluta. Il posto era come lo ricordava: un edificio severo, con il portone ornato da due statue che rappresentavano l’Onore e il Coraggio, ovvero le principali virtù di un soldato.
Cercò con lo sguardo la finestra della sua camerata, e una volta che gli parve di averla riconosciuta rimase qualche istante a calcolare quanti scaglioni di reclute dovevano essersi avvicendati tra quelle quattro mura da quando lui le aveva lasciate.
Ripensò anche a quando gli era stato assegnato un mentore. Una volta stabilito che aveva le potenzialità per diventare ufficiale, era stato scelto per lui un capitano di nome Hingar, che si era occupato della sua formazione finché non era caduto nella battaglia di Ves’it. Come da tradizione, era toccato a lui recuperare il corpo sul campo di battaglia e prepararlo per la cerimonia funebre.
Una voce lo fece quasi sussultare: “Luogotenente, tu qui?”
Ehrenold abbandonò bruscamente i ricordi e fissò lo sguardo sul maresciallo Tenhar. “Sono venuto per il ragazzo,” disse senza preamboli.
Il sottufficiale parve non capire. “Vuoi un ragazzo?”
L’altro fece un gesto di diniego. “Ricordi quando sono venuto al Campo Dodici?”
“Ah, certo.” Tenhar sollevò le sopracciglia. “Parli di Siwald. Ha combinato qualcosa?”
“Negativo. Voglio prenderlo come allievo.”
A quelle parole, l’altro rimase muto per diversi secondi. Infine replicò: “Con tutto il rispetto, Luogotenente, Siwald è un cavallo selvaggio, una testa dura. Ti darà solo delusioni.”
Ehrenold scosse la testa. “Io non credo.”
“C’è Rilech, se vuoi. È il primo della sua Compagnia. Oppure Iani o Nebert, sono ottimi elementi e non hanno ancora un mentore.”
“Chiama Siwald, maresciallo. Voglio parlargli.”

Il ragazzo arrivò poco dopo, in uniforme da fatica. Ehrenold notò che zoppicava leggermente e aveva qualche graffio sul viso e sulle mani. Gli occhi, di un grigio bluastro che ricordava l’acciaio temprato, lo fissavano torvi.
Si mise sull’attenti e salutò.
Ehrenold gli diede il riposo, quindi gli chiese: “Sai perché ti ho fatto chiamare, soldato?”
“Non sono un indovino,” fu la risposta del ragazzo.
Il Luogotenente sorrise appena e disse: “Pensi di cavartela così? Mi fai arrabbiare, io ti punisco, ti rimando alla tua Compagnia e fine della questione? Ai miei tempi la chiamavano la tattica della puzzola, perché disgustava chiunque.”
Siwald dapprima rimase impassibile, quindi restituì all’ufficiale lo stesso sorrisetto beffardo e replicò: “Pensi che questo bel discorso mi spinga a fare quello che vuoi?” Scosse appena la testa. “Non attacca, io non sono un mocciosetto con l’uniforme kaki, Luogotenente. Dovrai inventare qualcosa di meglio per convincermi a obbedirti, o dovrai obbligarmi.”
Toccò a Ehrenold scuotere la testa. “Non devo convincerti di nulla, Siwald, sai anche tu che mi basta darti un ordine. Cercavo solo di creare una buona atmosfera tra noi.”
Il ragazzo assunse un’espressione diffidente. “Perché?” chiese, aggrottando le sopracciglia.
“Ho intenzione di prenderti come allievo.”
Siwald rimase in silenzio, Ehrenold proseguì: “Domani stesso parlerò con il tuo comandante di Compagnia.”
“Ne ho già mandati via due, Luogotenente,” lo avvisò il ragazzo con un sorrisetto di superiorità.
“Lo so, infatti io sono la tua ultima possibilità. Se non va bene neanche con me, finirai a fare lavori di fatica per il resto della tua vita.”
“Cosa ti fa pensare che mi dispiaccia? Pensi che sul campo si fatichi meno?”
“Forse non meno, ma con più onore.”
“L’Onore è la statua contro cui piscio più spesso.”
Ehrenold annuì come se avesse appena udito esattamente ciò che si aspettava, quindi gli chiese: “Pensi che essere insolente ti frutti altro che una punizione?”
“E allora puniscimi, cosa aspetti? Il Campo Dodici si può percorrere anche di notte, io lo so bene. Vuoi farmelo fare tutto, da cima a fondo?”
L’altro annuì di nuovo, quindi si limitò a rispondere: “Va’ a dormire, non ha senso punire chi si fa un vanto di venire punito spesso. Tu diventerai un soldato, Siwald, il migliore che si sia mai visto, perché hai le potenzialità per farlo.”
Il ragazzo aprì la bocca per replicare, ma Ehrenold lo fermò con un gesto. “Non dire altro. Usa l’intelligenza che hai per capire che questa è la tua ultima occasione e devi coglierla.” Poi, in tono formale: “E ora, ritieniti congedato.”
Siwald salutò, fece dietro-front e si allontanò con passo marziale.
A quel punto intervenne il maresciallo: “Te l’avevo detto, Luogotenente.”
Ehrenold alzò le spalle con noncuranza, quindi replicò: “Hai mai combattuto contro gli Orchi Cinerei, Tenhar?”
“Molte volte, Luogotenente.”
“Preferiresti avere a che fare con loro o con questo ragazzetto?”
Il maresciallo annuì. “Capisco quello che vuoi dire, Luogotenente, e ti risponderò sullo stesso tono: I Cinerei almeno li puoi far secchi con un colpo di spada, questo qui te lo devi tenere vivo, sopportarlo e cercare di cavarne fuori qualcosa.”
“Ha del potenziale, l’hai visto anche tu.”
Tenhar si limitò a scuotere la testa. “Potenziale che si ostina a sprecare. Potrebbe essere il migliore della sua Compagnia, invece...” Non finì la frase.
“Farò di lui un soldato, maresciallo.”
“Beh, voglia Hengrist che tu sia la persona giusta per lui, Luogotenente, altrimenti finirà alla cava per il resto dei suoi giorni.”

Siwald rientrò in camerata in preda alla rabbia. Un Luogotenente, nientemeno, che voleva divertirsi a domare il cavallo selvaggio. Si slacciò il cinturone con la spada e lo buttò con malagrazia, facendolo finire contro la parete. Successivamente si sedette sulla sua branda, puntò i gomiti sulle cosce e appoggiò il mento tra le mani.
Rievocò l’immagine dell’ufficiale: sembrava giovane per essere un Luogotenente, per il resto non gli pareva avesse nulla di diverso da ogni altro soldato di Kjarr: alto, muscoloso, capelli e occhi chiari. Forse era più alto della media, quella era l’unica cosa che gli era saltata all’occhio.
Si alzò e andò nella sala comune, dove gli altri ragazzi del suo Plotone si stavano svagando in attesa del Silenzio. Raggiunse Enes, che si stava crogiolando davanti al fuoco del camino, e si sedette accanto a lui. Questi si girò a guardarlo e subito disse: “Che faccia. È colpa del Cinghiale?”
Lo sguardo fisso sulle fiamme, Siwald si limitò a scuotere la testa.
“E allora?”
L’altro alzò le spalle. “Niente, il solito stronzo che ha la pretesa di fare il mentore.”
Enes si piegò per incontrare il suo sguardo, poi rispose: “Non vedo perché tu debba essere così scuro in volto, allora. Mi sembra una bellissima notizia.”
“Una notizia schifosa, vorrai dire. Un altro idiota che pensa di potermi comandare a bacchetta, o un altro che pensa di potermi usare come gli pare per fare le cose private.”
“Chi è?” gli chiese l’amico, ignorando quelle recriminazioni.
Siwald alzò di nuovo le spalle ostentando noncuranza. “Boh, uno dei Giochi, a quanto ho capito.”
A quelle parole, Enes lo prese per le spalle e lo costrinse a fissarlo in viso. “Uno dei Giochi?” ripeté. Poi, sempre più incredulo: “Un atleta dei Giochi ti vuole come allievo? Per la Sacra Spada! E tu non sai chi è?”
“Un Luogotenente.”
L’altro fece mente locale. “Non ce n’è tanti,” ragionò poi come parlando fra sé e sé. “Non sai qual è la sua Marca?”
“Non me ne frega niente di sapere da che Marca viene, so solo che è l’ennesimo imbecille che avrà la pretesa di portarmi a letto o di spezzarmi la schiena a forza di punizioni.”



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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Gente, ecco un altro capitolo del mappazzone fantasy. Grazie a tutti coloro che mi stanno seguendo e un grande grazie a chi mi ha lasciato anche il suo parere^^






Capitolo 4

Ehrenold spronò il destriero, quindi si voltò verso la recluta che cavalcava al suo fianco e disse: “Più eretta la schiena.”
Siwald raddrizzò le spalle.
Il Luogotenente aggiunse: “Da cavallo si cade principalmente in avanti, quasi mai all’indietro.”
Il ragazzo rimase in silenzio.
Per un po’ procedettero senza parlare, poi Ehrenold, che aveva approfittato di quel breve tratto per osservare il suo allievo, disse: “Con un assetto del genere, saresti disarcionato alla prima battaglia, te ne rendi conto?”
In tono impersonale, il ragazzo rispose: “Sì, Luogotenente.”
Ehrenold lo osservò di nuovo: schiena e braccia troppo rigide, la classica espressione di chi era consapevole che alla prima richiesta più complessa dei normali esercizi di maneggio si sarebbe trovato in difficoltà. “Perché non sai stare in sella?” gli chiese. “Eppure alla tua età dovresti essere in grado di fare i volteggi su un cavallo al galoppo.”
A quel tono, che non era di rimprovero ma di sincero stupore, Siwald si girò a fissarlo.
“Ti ho fatto una domanda, recluta,” gli ricordò l’ufficiale.
Il ragazzo strinse i denti e come suo solito incupì lo sguardo. “Forse sono più stupido degli altri, Luogotenente.”
“O forse hai avuto meno occasione degli altri di esercitarti, con tutte le punizioni che hai scontato, dico bene?”
“Non mi interessa saper andare a cavallo, Luogotenente, tanto finirò alle cave.”
Ehrenold mise l’animale al trotto, quindi rispose: “È irrilevante che ti interessi o no, recluta. Tu imparerai, ti insegnerò a raccogliere un fazzoletto da terra con il cavallo al galoppo lanciato, a tirare frecce mentre stai in sella comandando il tuo animale solo con le ginocchia e ad affrontare qualsiasi ostacolo ti si possa parare davanti in combattimento.” Detto questo, si voltò a guardarlo: anche a quell’andatura aveva un assetto scolastico, formalmente corretto ma poco disinvolto, che ne avrebbe decretato l’ignominiosa caduta al primo e più semplice ostacolo del percorso approntato per i Giochi, una barriera che qualsiasi recluta sarebbe stata in grado di superare con facilità.
Spronò il cavallo, strinse le ginocchia e lo portò in direzione dell’ostacolo. Allentò le redini permettendogli di fare due tempi di galoppo e cedette in avanti per lasciargli allungare la testa durante il salto.
Fergund letteralmente volò sulla barriera, si ricevette corretto sugli anteriori e subito dopo quasi girò su se stesso facendo perno sui posteriori per invertire la direzione. Ehrenold strinse appena le dita sulle redini e l’animale si fermò sulle quattro zampe. “Ora fallo tu,” disse al ragazzo.
“Sissignore,” si limitò a rispondere Siwald, quindi portò il cavallo sul rettilineo dell’ostacolo e lo spinse al trotto.
Il Luogotenente vide che stava cercando di mettere in pratica quello che evidentemente gli avevano insegnato, ma erano troppe nozioni tutte insieme, non correttamente assimilate, e tra ginocchia, redini e andatura del cavallo stava facendo solo una gran confusione.
L’animale allungò il galoppo, strappò le redini in avanti sbilanciandolo e atterrò scomposto dopo la barriera di barili. Siwald perse ovviamente l’equilibrio, scivolò in avanti, gli sfuggì una staffa, ma riuscì ad aggrapparsi alla criniera e a rimanere in sella. Dapprima ballonzolò come una specie di sacco, poi a forza di braccia si raddrizzò e tirando le redini riportò al passo l’animale. Si voltò verso il Luogotenente.
“Ripeti,” gli ordinò Ehrenold. “Più controllo sull’animale, non deve prenderti la mano in quel modo.”
Il ragazzo si limitò a riportare l’animale davanti all’ostacolo. Il Luogotenente si accorse subito che stava ripetendo esattamente gli stessi movimenti di prima, probabilmente perché non sapeva fare altro più che per gratuita provocazione.
Rimase a guardare in silenzio.
Il cavallo, probabilmente infastidito dalla scarsa abilità della recluta, diede due potenti sgroppate prima ancora di raggiungere l’ostacolo. Di nuovo Siwald tentò di afferrare la criniera, ma l’animale sgroppò di nuovo facendogli perdere la presa.
Finì a rotolare tra gli sterpi a bordo pista.
“Rimonta in sella,” si limitò a ordinare il Luogotenente.
Il ragazzo eseguì l’ordine.
“Ora ripeti.”
La recluta gli lanciò un’occhiata torva. Appena un lampo d’odio, che però Ehrenold colse perfettamente. “Pensi che guardarmi male ti doni l’abilità nel salto che non possiedi?” gli chiese.
Siwald, che aveva già rimesso il cavallo al passo, fermò l’animale e si girò di nuovo a guardarlo.
“Ti ho fatto una domanda, recluta.”
Il ragazzo strinse i denti e di nuovo incupì lo sguardo, quindi, con una brusca tirata di redini fece voltare l’animale, lo mise al galoppo con due colpi di tallone e si precipitò verso la barriera.
Fu disarcionato malamente, fracassò un barile nella caduta e il cavallo fuggì sgroppando nella boscaglia.
A quel punto, Ehrenold smontò di sella e tenendo il proprio destriero per le redini lo raggiunse. “In piedi,” gli ordinò, e quando il ragazzo fu di nuovo dritto sulle gambe gli disse: “Ti ripeto la domanda, recluta: pensi che guardarmi male ti doni l’abilità nel salto che non possiedi?”
Il ragazzo strinse le labbra, poi con voce tagliente replicò: “Pensi che chiedermi dieci volte la stessa cosa mi spinga a pronunciare la risposta che vorresti ricevere?” Rimase a fissarlo con fare provocatorio.
Ehrenold gli restituì uno sguardo neutro, quindi gli disse: “Va’ a riprendere il cavallo.”
Lo guardò mentre si allontanava a grandi passi verso la macchia. L’unico danno che sembrava aver riportato dall’ultima caduta era un po’ di fango sull’uniforme. Per il resto, non un lamento, non una smorfia di dolore, non un massaggiarsi parti lese. Si voltò verso ciò che restava del barile: per averlo fracassato in quel modo doveva esserci finito sopra di peso. Si avvicinò e spostò col piede una delle doghe: legno ancora solido, forse quercia.
Si voltò verso il cavallo, che subito girò le orecchie nella sua direzione, e gli passò una mano sul muso. Considerò che era giusto chiamare quel genere di ragazzi cavalli selvaggi: Fergund aveva potenza e velocità, ma stava a chi reggeva le redini far sì che quelle pur notevoli doti fossero incanalate nel modo giusto.
Un rumore di sterpi lo distolse dalle sue meditazioni: Siwald uscì dalla boscaglia tenendo il destriero per le redini.
“Monta in sella,” si limitò a ordinargli. “Facciamo un giro qui intorno, voglio vedere ancora come cavalchi.”
“O vuoi cavalcare me?”
Di nuovo, Ehrenold rimase impassibile. “Prego?” si limitò a chiedere.
“Era quello che volevano gli altri, quindi immagino che anche tu mi abbia preso come allievo per quello.”
“Adesso non ti montare la testa, ragazzino.”
Siwald rimase in un silenzio che aveva una vaga nota di costernazione. Ehrenold gli disse: “Sai bene che se un superiore vuole farlo è dovere del subalterno concedersi, così come è poi dovere del superiore non abusare di ciò che ha ottenuto, ma in questo momento per te ho altri progetti.”
“Comunque, io non voglio fare le cose private a comando.”
“Tu sei un soldato di Kjarr. La tua vita consiste nel fare cose a comando.”

§

Ehrenold chiuse gli occhi per un istante, cercando di concentrarsi solo sul tonfare regolare degli zoccoli di Fergund sul terreno. Si figurò in mente se stesso e la squadra che lo seguiva compatta.
Riaprì gli occhi: l’ostacolo, un tronco di traverso, sembrava facile, ma subito dopo c’era una discesa ripida, e poi uno stagno, che con quella temperatura doveva essere sicuramente coperto da uno strato di ghiaccio.
Si diede un’occhiata alle spalle: dietro i suoi ragazzi intravide un’altra squadra in avvicinamento. Spostò lo sguardo di nuovo sull’ostacolo e ve lo mantenne ostinatamente fisso, obbligandosi a distogliere la mente dagli avversari per concentrarsi sul percorso.
Percepì che il cavallo stava tentando di allungare il galoppo. Non glielo permise, strinse le ginocchia e raddrizzò le spalle per portarlo davanti alla barriera a un’andatura raccolta.
Fergund saltò, si ricevette correttamente e proseguì verso lo specchio d’acqua, la cui superficie ghiacciata si frantumò sotto i suoi zoccoli. Passò oltre.
Ehrenold si piegò per evitare un ramo basso, poi si girò di nuovo: la squadra avversaria aveva guadagnato terreno, il suo comandante stava spronando il cavallo. L'animale balzò in avanti, affrontò l'ostacolo a rotta di collo, si ricevette scoordinato, ma il suo cavaliere fu in grado di riprenderlo, poi spronò di nuovo per fargli allungare il galoppo, il cavallo entrò nello stagno spandendo intorno schizzi limacciosi e prese a divorare la pista con ampie falcate.
Il Luogotenente riconobbe a quel punto il cavaliere. “Wardan,” ringhiò a denti stretti.
L'altro balzò in avanti incurante del fondo ghiacciato e gli passò così vicino da sfiorarlo. Ehrenold percepì un sibilo e un colpo, poi il suo cavallo incurvò la schiena in una sgroppata e scrollò la testa. L'altro ne approfittò per oltrepassarlo.
Il primo strinse i denti: durante la sessione di allenamento si era lasciato superare per non rischiare di azzoppare il destriero, ma ora non poteva lasciarlo passare.
Spronò e si piegò sulla sella spingendo l'animale al galoppo lanciato, raggiunse la curva, la tagliò dall'interno, passando di nuovo davanti. Spronò ancora, in lontananza si profilò un ostacolo formato da due barriere successive al culmine di una salita. Obbligò il cavallo a riunire l'andatura, Wardan lo superò e schizzò verso l'ostacolo, ma il suo destriero scivolò sul ghiaccio e rifiutò il salto. Egli dovette aggrapparsi alla criniera per rimanere in sella durante la brusca scartata, Ehrenold lo superò, passò la doppia barriera, spronò. La pista ormai era solo un susseguirsi di macchie sfocate, gli unici rumori che percepiva erano il respiro pesante dell'animale e il tonfare degli zoccoli sul terreno indurito. Si voltò fugacemente e vide che Wardan lo inseguiva a distanza di poche lunghezze. Dietro di lui le loro due squadre, Heiswegen e Gunefort, galoppavano ormai a briglia sciolta per raggiungerli.
Superò due osservatori e raggiunse l'ultimo ostacolo, ovvero una discesa ripida, un tronco di traverso, una salita nella quale la pista faceva una curva ad angolo retto e una successiva barriera. Istintivamente strinse le ginocchia e raddrizzò la schiena. “Attento,” sussurrò al cavallo.
L'animale affrontò la discesa, saltò il tronco e si inerpicò con vigore su per la salita, raccogliendo le forze per l'ultimo salto. Atterrò scivolando su un tratto ghiacciato, sbandò per recuperare l'equilibrio e subito Wardan gli fu addosso, ma Ehrenold riuscì a sgusciare via mantenendo la prima posizione.
A quel punto uscì dal circuito di gara e si trovò davanti il rettilineo lastricato che portava all'Arena, niente più ostacoli in cui usare espedienti tecnici, curve di cui sfruttare il raggio: ora poteva solo correre con tutta la velocità che il cavallo riusciva ancora a dargli. Spronò e si piegò sulla sella, l'animale rispose mirabilmente, spingendosi in un galoppo lanciato.

L'Arena lo accolse con un'ovazione. Ehrenold, cui la velocità ormai faceva lacrimare gli occhi, vide solo un semicerchio nero e brulicante e in fondo, proprio sotto la tribuna d'onore – una macchia bianca in tutto quel nero – il nastro rosso del traguardo. Spronò ancora, con il rombo degli zoccoli nelle orecchie e il respiro pesante per la fatica. Alle spalle percepiva un altro ansare, un altro frenetico tonfare di zoccoli. Non si girò: si limitò a spronare per l'ennesima volta l'ormai esausto animale e tagliò il traguardo. Il nastro strappato che gli scivolava su una coscia gli comunicò per un istante l'irrazionale timore di essere ferito.
Poi si trovò a galoppare lungo la pista ovale, dalle gradinate proveniva un boato ininterrotto, le trombe lo salutavano con lunghi squilli.
Un cavaliere gli si affiancò. Ancora sotto l'effetto dell'ultima folle corsa, Ehrenold si girò sulla difensiva, ma era Rowden, con un'espressione raggiante sul viso. “Ce l'abbiamo fatta!” esclamò. “Abbiamo vinto!”
“Vinto?” ripeté Ehrenold con voce roca.
“Va' davanti alla tribuna d'onore,” disse l'altro per tutta risposta.
Ancora frastornato, il Luogotenente fece rallentare l'animale. Si accorse di avere le mani e il viso graffiati e di avere l'uniforme strappata in più punti, ma la cosa non lo stupì: era solo alla fine delle battaglie, quando l'eccitazione dello scontro cominciava a venire meno, che ci si rendeva veramente conto di quante e quali ferite si erano ricevute. Una coscia stava cominciando a bruciargli sempre di più, probabilmente Wardan lo aveva colpito con una nerbata, ma lui non se n'era neanche accorto.
Si voltò a cercarlo con lo sguardo e notò che lo stava fissando torvo. Fece per muoversi nella sua direzione, ma l'entrata nell'Arena della terza squadra, seguita a poche lunghezze di distanza dalla quarta, suscitò una nuova bordata di acclamazioni. Qualcuno prese le redini del suo cavallo. “Vieni, Luogotenente,” disse una voce. Abbassò lo sguardo: un soldato lo stava conducendo verso la tribuna d'onore. Si raddrizzò sulla sella e si accorse che l'Imperatore si era addirittura alzato in piedi.
Lo salutò militarmente e il sovrano rispose al suo saluto. Le acclamazioni del pubblico ebbero un altro climax.
Poi si ritrovò al passo, diretto verso la postazione della sua squadra. Rowden era al suo fianco e stava dicendo qualcosa, ma nel frastuono generale non riusciva a seguirlo. “Dov'è il ragazzo?” chiese.
“Chi?” volle sapere il capitano.
“Siwald. Come mio allievo, può assistere alle gare assieme al resto della squadra.” Aggrottò le sopracciglia. “Perché non è qui?”
“Gli avevi dato ordine di aspettarti?”
Ehrenold scosse la testa. “No, non proprio un ordine esplicito. Supponevo che avrebbe apprezzato la possibilità di vedere le gare dal bordo campo.”
Rowden rimase in silenzio. Solo dopo un po' gli chiese: “Sei sicuro di riuscire a cavarne qualcosa?”
Ehrenold smontò da cavallo e affidò l'animale a un soldato, quindi rispose: “Ha delle potenzialità.”
L'altro smontò a sua volta, poi si voltò a fissarlo. “Quindi la risposta è no?”
Il Luogotenente si strinse nelle spalle e spiegò: “È come quei cavalli che hanno avuto un cavaliere con la mano troppo pesante e dopo non ne accettano più nessun'altra.”
“Per me è solo un viziato che crede di poter fare quello che vuole, e tu gli stai facendo credere che può permetterselo.”
Ehrenold aggrottò le sopracciglia. “Che intendi dire?”
“Ah, ti conosco: quando ti piace qualcuno smetti di ragionare. Cosa significa la proposta di assistere alle gare in qualità di allievo? O glielo ordini o non glielo ordini. A maggior ragione con uno così, convinto di poter dettare legge anche agli ufficiali.”
“Può migliorare,” fu la risposta.
Rowden si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
Ehrenold invece fece girare lo sguardo sul pubblico alla ricerca della Compagnia di Siwald. Non la identificò, ovviamente, sarebbe stato impossibile in quel mare di uniformi nere e teste bionde, ma qualcosa gli diceva che non fosse neppure all'Arena e fosse invece a correre su e giù per il Campo Dodici incalzato da Cinghiale.
Si chiese cosa non andasse in quel ragazzo, come bisognasse prenderlo per far emergere le sue indubbie qualità. Aveva coraggio, ma lo usava solo per provocare i superiori; aveva forza e resistenza, ma le sprecava sfacchinando su e giù per un percorso di guerra punitivo e intanto non imparava altro che i rudimenti di tutto quello che in qualità di soldato di Kjarr avrebbe dovuto conoscere perfettamente, la sua deprecabile prova in sella a un cavallo ne era un chiaro esempio.
Non gli aveva ancora dato una spada in mano, ma sospettava che anche con quella non avrebbe visto nulla di cui andare fiero.
Eppure, ne era certo: aveva le potenzialità per diventare un ottimo soldato, forse addirittura uno dei migliori, perché era tenace, coraggioso e forte. Coglieva le situazioni in un attimo, aveva l'istinto del combattente. Peccato che lo usasse per fare cose perlopiù stupide.

Come Ehrenold aveva previsto, il ragazzo stava percorrendo il Campo Dodici con uno zaino affardellato in spalla. Immobile, i pugni sui fianchi, Tenhar seguiva serio le sue evoluzioni, limitandosi a rampognarlo di tanto in tanto se riteneva che non fosse abbastanza veloce.
Il Luogotenente affiancò il maresciallo e per un po' rimase anche lui fissare il ragazzo, poi disse: “Non era all'Arena.”
“Certo che no,” rispose il sottufficiale senza voltarsi. “Equipaggiamento sporco, comportamento insolente con il suo caposquadra.”
L'altro si limitò ad annuire grave.
Sul campo, il ragazzo stava affrontando il Muro. Già non era da tutti superarlo in velocità con solo la cotta di maglia addosso, ma diventava decisamente difficile con lo zaino affardellato. “È forte,” constatò.
“È un torello.”
“E con la spada come se la cava?”
“Potrebbe migliorare se si impegnasse,” rispose laconico Tenhar.
“Chiamalo qui.”
Il maresciallo obbedì. Il ragazzo si rialzò fradicio da una pozza, quindi si voltò nella loro direzione. Ehrenold lo vide aggrottare le sopracciglia e raddrizzare la testa con fare sdegnoso. “Vieni qui,” gli ordinò.
“Sì, Luogotenente,” ringhiò cupo il ragazzo, quindi lo raggiunse e si mise sull'attenti. Era come al solito pallido di fatica, coperto di fango, ma manteneva inalterato l'atteggiamento di sfida.
“Oggi ti porterò a scegliere l'equipaggiamento personale che dovrai avere quando verrai con me alla guarnigione,” lo informò, “come è dovere di un mentore. Quando hai scontato la punizione, ti voglio al mio alloggio in uniforme ordinaria.”
“Sì, Luogotenente,” rispose in tono neutro il ragazzo, fissando un punto all'infinito dietro le sue spalle.
“Ora puoi andare.”
“Sì, Luogotenente.”
Il ragazzo tornò al campo di addestramento. Il maresciallo scosse la testa e disse: “Se mettesse nell'addestramento metà dell'impegno che mette nel farsi punire, sarebbe il soldato migliore di Kjarr.”
“Già,” rispose pensoso Ehrenold, seguendolo con lo sguardo mentre correva tenendosi in equilibrio su un tronco. Poi, distogliendo l'attenzione da lui: “Com'erano i suoi precedenti mentori?”
Tenhar scosse la testa con tutta la disapprovazione che un maresciallo poteva permettersi parlando di ufficiali con un altro ufficiale, quindi disse: “Che resti fra noi, Luogotenente, non hanno minimamente capito come prenderlo.” Lo indicò con un cenno della testa, quindi proseguì: “Vedi? Quello si fa ammazzare pur di non cedere, più lo prendi di petto, più ti sfida. Io posso anche farlo trottare su e giù fino a domattina, al massimo lo sfinisco, ma non lo spezzo di sicuro.”
“Sarebbe un ottimo soldato.”
“Il migliore, se trovasse il comandante giusto. ”
Siwald crollò a terra, si rialzò e si ripulì alla meglio il viso con la manica, poi riprese a correre.

§

Gerd prese una tazza di vino speziato per sé, poi ne riempì un'altra, si avvicinò a Wardan e gliela porse. “Per te, capitano,” gli disse.
“Grazie,” grugnì torvo l'ufficiale.
“Continua a fare freddo, il terreno o è ghiacciato o è pieno di fango.” Il maresciallo si sedette accanto a lui al tavolo della mensa. Erano soli, per cui si permise di posargli una mano sulla spalla. Strinse leggermente le dita e a bassa voce gli chiese: “Stai meglio?”
“È sgusciato come un ratto,” ringhiò Wardan aggrottando le sopracciglia. “Mi è passato davanti all'ultimo momento e io non sono più riuscito a superarlo.”
“Lo so, ti ho visto.”
“Hai visto anche come mi si è buttato davanti?”
Gerd mantenne il silenzio. Per quanto avesse a cuore Wardan, non poteva in tutta onestà dargli ragione: il comandante della squadra di Heiswegen aveva approfittato del suo errore davanti all'ostacolo come avrebbe fatto qualsiasi altro contendente. Come avrebbe fatto Wardan stesso, se la situazione fosse stata rovesciata.
“Siamo a pari punti con loro,” gli comunicò, “tutto è ancora in mano a Hengrist.”
L'altro annuì. “La staffetta è l'ultima gara, chi la vince si porta a casa il titolo di campione.”
“Abbiamo ottime possibilità.”
“Ma le hanno anche loro e non voglio rischiare che lo sciacallo rubi di nuovo una vittoria che non gli appartiene.”
“Non si può dire che rubi qualcosa, se non farà niente di scorretto.”
“Questa volta non succederà,” soggiunse il capitano, ignorando l’osservazione.
Il sottufficiale aggrottò diffidente le sopracciglia. “Cos'hai in mente, Capitano?”
Wardan si voltò a incontrare il suo sguardo e fece un lieve sorriso. “Niente, non preoccuparti.” Bevve un sorso di vino.
Il sottufficiale non abbandonò la presa sulla sua spalla, ma anzi la strinse talmente forte che l'altro si girò a fissarlo con un grugnito di dolore e indispettito protestò: “Che fai?”
“Dimmi cos'hai in mente,” ripeté Gerd.
“Niente.” Il capitano distolse gli occhi. “Niente che ti riguardi.”
“Mi riguarda eccome, visto che ha a che fare con te.” Poi, al protrarsi del silenzio: “Wardan?”
Per tutta risposta, l'ufficiale si svincolò dalla presa con un gesto brusco, si alzò e si girò verso la finestra voltandogli la schiena.
Gerd rimase per un po' a fissare le sue spalle ampie e orgogliosamente dritte, quindi gli ricordò: “In battaglia è meglio morire con onore che vincere con disonore.”
“Una massima che allo sciacallo sfugge, evidentemente,” fu la replica, proferita senza mutare la posizione.
Il sottufficiale si alzò a sua volta e gli si pose al fianco. “Dimmi cos'hai in mente,” ripeté a bassa voce.
Il capitano si girò verso di lui e gli chiese: “Sei preoccupato per me?”
“Sai che lo sono. Non voglio che tu rischi il disonore.” Si sporse a toccare la sua spalla con la propria.
“Non preoccuparti, non rischierò proprio niente,” fu la risposta.

§

“Recluta Siwald a rapporto, Luogotenente,” annunciò il ragazzo mettendosi sull'attenti.
L’ufficiale gli rivolse un secco cenno del capo, quindi gli disse. “Riposo, recluta. Hai finito presto.”
Il più giovane strinse i denti: che cosa significava quell’osservazione? Stava forse insinuando che fosse sgattaiolato via prima che la punizione fosse finita, oppure era un suo modo di dire che il Cinghiale non l’aveva punito abbastanza duramente? “Sono venuto quando il maresciallo mi ha detto di venire, Luogotenente.”
“Andiamo,” disse l’altro per tutta risposta, quindi si incamminò verso i magazzini.
Siwald lo seguì in silenzio. Come aveva notato la prima volta che l’aveva visto, era molto alto. Aveva anche un fisico solido, temprato, che doveva essere stato forgiato più dalle battaglie che dalle esercitazioni, come testimoniava un tatuaggio di guerra nero che spuntava dallo scollo della casacca.
Per avere tatuaggi di guerra in parti visibili a quell’età, rifletté il ragazzo, doveva essersi trovato in combattimento già moltissime volte. A quel pensiero ebbe quasi un vago senso di invidia, o forse di desiderio, per come quell’ufficiale doveva essere stimato da tutti, più che per il fatto che avesse combattuto molto.
Pensò a quanto doveva essere abile con le armi e per la prima volta in vita sua si trovò a rimpiangere di non esserlo a sua volta. “Avrò anche una spada?” si trovò a chiedere, sebbene l’altro non gli avesse rivolto la parola.
Il Luogotenente si fermò e si voltò a guardarlo, apparentemente incurante di quella violazione del regolamento. Annuì e in tono grave rispose: “Certo che l’avrai. Ovviamente non sarà una lama di Thrygg, ma in futuro ne avrai una, se imparerai a tirare di scherma come spero.”
Siwald si obbligò a non mutare espressione, ripetendosi ancora una volta che l’unico obiettivo di quell’uomo era fare di lui una specie di suo giocattolo o suo esperimento personale. Vuole solo vedere se riesce a farsi obbedire dal cavallo selvaggio che non dà retta a nessuno, si disse.
“Sì, Luogotenente,” si limitò a rispondere.
Ripresero a camminare. Siwald, di nuovo immerso nei suoi pensieri, quasi non si accorse che avevano raggiunto il magazzino principale.
“Eccoci qui.” La voce del Luogotenente lo richiamò alla realtà. “Ci eri mai venuto?”
Il ragazzo alzò lo sguardo sull’edificio: una costruzione a più piani, austera, di pietra grigia. I muri erano spessi più di un braccio e le finestre erano munite di sbarre, più per conferire al magazzino la capacità di trasformarsi in un eventuale fortilizio che per timore di furti. “No, Luogotenente,” rispose.
Non era del tutto vero, qualche volta ci era entrato assieme al resto della sua Compagnia, ma non gli andava che quell’ufficiale tentasse continuamente di comunicare con lui. Dapprima stabilì che non voleva cedere a quelle che paragonate al comportamento di Cinghiale gli apparivano come insopportabili blandizie, ma poi si chiese perché non farlo.
Forse accettando la guida di un mentore sarebbe venuto meno alla sua fama di cavallo selvaggio? Si sarebbe privato della caratteristica che lo rendeva in un certo senso, anche se in negativo, unico?
Di nuovo la voce dell’uomo lo distrasse: “Vieni, entriamo. Voglio controllare tutto quello che ti verrà assegnato e non ho molto tempo.”
Lo precedette lungo un corridoio, quindi entrò in una grande stanza in cui regnava odore di cuoio conciato e stoffa grezza. Il locale era tagliato a metà da un bancone che andava da una parete all’altra e dietro di esso erano allineati scaffali numerati alti fino al soffitto, carichi di roba.
Un uomo in uniforme, ormai non più dell’età per andare sul campo, sedeva a un’estremità del bancone e compilava un registro.
Quando entrarono, egli dapprima sollevò lo sguardo, poi riconobbe i gradi del Luogotenente e abbandonò ciò che stava facendo per scattare in piedi e salutare.
L’ufficiale rispose al saluto, quindi col tono di chi sapeva esattamente cosa chiedere ordinò: “Equipaggiamento base, uniformi estive e invernali, calzature e buffetteria.”
L’inserviente annuì. “Per il ragazzo, Luogotenente?”
“Sì, prendigli le misure e poi porta qui tutti i capi che gli verranno assegnati, voglio controllarli.”
“Sì, Luogotenente.”
Fu una faccenda lunga. Quando uscirono, Siwald con le braccia cariche di roba, era passata più di un’ora.
“Ora le armi e le protezioni,” disse semplicemente l’ufficiale.
Per quanto si fosse ripromesso di mantenere il silenzio, il ragazzo non poté fare a meno di dire: “Io ho già tutte queste cose, Luogotenente.”
“Certo che ce le hai,” fu la risposta. Sembrava che stesse ribadendo la cosa più ovvia del mondo. “Ma è facoltà del mentore far assegnare all’allievo l’equipaggiamento che ritiene più idoneo. Presto partiremo per la guarnigione e là non ci sono le possibilità di approvvigionamento della Capitale.”
Siwald non disse nulla, e il fatto che il regolamento proibisse di parlare a un superiore se non interrogati fu l’ultimo dei motivi che lo spinsero a tacere. Si sistemò meglio la roba sulle braccia e lanciò uno sguardo di sottecchi all’uomo, che lo precedeva lungo il corridoio. Lo immaginò in battaglia, si chiese se i suoi soldati fossero fieri di lui, se si vantassero di averlo come comandante.
Fino a quel momento aveva disprezzato chi dimostrava ammirazione per i propri superiori, ma ormai cominciava quasi a sembrargli plausibile che il fenomeno si verificasse.
“Qual è il tuo nome, Luogotenente?” chiese.
“Ehrenold.”

La camerata era rischiarata da un paio di lanterne appese alle travi del soffitto. Due ragazzi sedevano a un tavolino impegnati in una partita di dadi, un altro stava affilando la spada con la cote, alcuni sistemavano l’equipaggiamento, oppure leggevano o conversavano fra di loro a bassa voce.
Siwald entrò nella stanza reggendo a fatica tutto l’equipaggiamento che gli era stato consegnato – che includeva anche una sella e delle redini, un’arma in asta e uno scudo – e lo abbandonò sulla sua branda. L’elmo rotolò giù con un clangore cupo, subito dopo la spada si sfilò dal fodero e scivolò a sua volta sul pavimento.
Uno dei due che stavano giocando a dadi soffocò un’imprecazione, quindi gli rivolse uno sguardo iroso e disse: “Accidenti a te, specie di idiota! Mi hai fatto sbagliare il tiro.”
L’altro a sua volta lo apostrofò: “Potresti almeno evitare di fare tutto questo rumore.” Poi squadrò l’equipaggiamento ammucchiato sulla branda e chiese: “E questa roba da dove viene?”
“Me l’ha data il mio mentore.”
L’altro fece una risata. “Un mentore? E chi è che ti prenderebbe, a te?”
Uno dei ragazzi che stavano parlando fra loro abbandonò la conversazione, lo squadrò con degnazione e disse: “Secondo me ha trovato qualcuno nelle cucine o nelle stalle, non credo che i veri soldati lo vogliano.”
“Dai, dicci chi è che ti ha preso!” lo derise un altro.
Siwald strinse i denti e in tono tagliente replicò: “Che cosa ve ne importa di chi è? Io non vengo a occuparmi dei vostri mentori.”
Un altro ancora intervenne: “Non ce lo vuole dire perché si vergogna, sarà davvero uno delle cucine o delle stalle.”
“Beh, se non altro potrà sgraffignare da mangiare tutte le volte che vuole!”
Ci fu una risata generale.
Siwald arretrò verso la sua branda e vi si parò davanti come se qualcuno potesse portarsi via la sua roba. Normalmente non gli sarebbe interessato nulla di quei lazzi, avrebbe girato la schiena e si sarebbe messo a fare i fatti suoi come niente, ma in quel frangente era come se qualcosa lo facesse sentire in obbligo di intervenire. Quasi senza rendersi conto di quello che stava facendo, con voce dura disse: “Non è certo uno delle cucine. È un Luogotenente e comanda una squadra dei Giochi.”
La frase suscitò uno scoppio di risa.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia fissando ora l’uno ora l’altro, ma l’ilarità dei suoi compagni sembrava incontenibile e gli sghignazzi lo colpivano come altrettante sferzate. “È un Luogotenente!” ripeté.
Si fece avanti a quel punto Ithaul, un ragazzo noto per essere l’attaccabrighe del plotone. “Ha un nome, questo tuo Luogotenente?” volle sapere.
Siwald non era certo piccolo, ma per guardarlo in faccia dovette piegare la testa all’indietro. “Ehrenold.”
L’altro sollevò le sopracciglia stupito. “Ehrenold, hai detto?”
“Sì, e allora?” ringhiò Siwald, aspettandosi che l’altro lo conoscesse di fama per via dei Giochi.
“Ah, il codardo,” rispose invece Ithaul.
L’altro si sentì avvampare. “Il codardo? Ritira subito quello che hai detto!”
“Certo che è un codardo,” fu la risposta. “Lo sai cosa si dice di quel tuo Luogotenente? Che è stato a Yesgarion.”
“E quindi?” annaspò Siwald, con i muscoli tesi e il cuore che all’improvviso gli batteva all’impazzata.
“Lo sanno tutti che Yesgarion è un’assegnazione punitiva. Di sicuro ce l’hanno mandato perché è stato un codardo.”
“Ritira quello che hai detto!”
“Ma non ritiro proprio niente. Del resto, era chiaro che nessun Luogotenente degno di questo nome avrebbe potuto interessarsi a te, quindi...”
La frase fu troncata da un pugno.



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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Salve a tutti, ecco qui l’ultimo capitolo del grande mappazzone fantasy^^
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questa avventura, grazie a chi ha letto o ha messo la storia in qualche lista, un grazie speciale a chi mi ha lasciato il suo parere.





Capitolo 5

Ehrenold si stava allenando sulla pista quando si accorse che si stava avvicinando un sottufficiale. Si fermò per osservarlo meglio e notò che si trattava di Tenhar.
La prima cosa che pensò, ovviamente, fu che ci fosse qualche problema con Siwald. Magari il maresciallo aveva calcato troppo la mano con le punizioni e il ragazzo, esasperato e messo alle strette, aveva compiuto qualche atto sconsiderato del quale ora avrebbe dovuto rispondere.
Passò il comando della squadra a Rowden, si buttò la casacca sulle spalle nude e si avvicinò a Tenhar, ma prima ancora che potesse chiedergli cosa era successo, fu il sottufficiale a dire: “C’è qualcosa che devi sapere, Luogotenente.”
Ehrenold aggrottò le sopracciglia. “Che cosa?”
Si tratta del tuo allievo. Ieri sera ha scatenato una rissa in camerata e ora è in infermeria.”
Il Luogotenente fece mente locale: Siwald era un ragazzo robusto, dal corpo per forza di cose temprato e muscoloso. Se dopo una rissa era finito in infermeria, significava che doveva essersi come minimo picchiato a sangue con almeno due o tre dei suoi commilitoni più forti.
Dati il suo orgoglio e la sua abitudine a dissimulare eventuali condizioni di malessere, peraltro, se era in infermeria significava che doveva essersi fatto molto male.
Portami da lui,” disse semplicemente, infilandosi la casacca.

Furono intercettati sulla porta della camera di degenza da un guaritore, il quale sogguardò entrambi, quindi si rivolse a Tenhar e in tono severo chiese: “È lui il mentore?” L’uomo era già in età e dalle maniche gli spuntavano tatuaggi di guerra, alcuni recenti, altri ormai così sbiaditi da essere a stento riconoscibili. Una vecchia cicatrice gli tagliava la guancia destra, deformandogli appena l’espressione.
Il sottufficiale annuì e disse: “Il Luogotenente Ehrenold.” Poi, rivolto a Ehrenold: “Il guaritore Lhawin. È lui che ha curato il ragazzo.”
L’ufficiale si fece avanti e senza preamboli chiese: “Che cos’è successo?”
Bah, cos’è successo ce lo dovrebbe dire quel cocciuto, se si decidesse a parlare. Continua a ripetere che è caduto dalle scale. Come sempre, del resto.”
Che intendi dire?”
Il guaritore assunse un’espressione esasperata. “Tutte le volte che me lo vedo arrivare qui, e questo succede più o meno ogni tre giorni, la risposta è sempre la stessa: guaritore, sono caduto dalle scale. Dannato cocciuto. Mulo, dovrebbero chiamarlo, altro che cavallo selvaggio. Mulo dalla testa di legno. Come se io non lo sapessi perfettamente, quello che gli è successo: sono un guaritore, mica un contabile, e ti garantisco che di ferite ne ho viste un bel po’.”
Il Luogotenente ascoltò con pazienza lo sfogo, quindi chiese: “Questa volta che cosa si è fatto, guaritore?”
L’uomo incrociò le braccia sul petto, quindi rispose: “Una rissa. Stamattina ho medicato gli altri stupidi con cui si è accapigliato. Razza di idioti, ragazzini che non vedono più in là del loro naso. Ah, ma lascia che vadano in battaglia la prima volta, per la Sacra Spada, e poi la smetteranno con queste sciocchezze.”
Di nuovo, Ehrenold non interloquì. Cercò di guardare alle spalle dell’uomo, ma dei letti si vedeva solo la parte finale. Un inserviente passò reggendo un catino con entrambe le mani, al Luogotenente parve che avesse sul braccio un telo macchiato di sangue. “Puoi dirmi come sta, guaritore?” gli chiese.
Come sta? Sta come uno che si è fatto pestare da dieci esagitati, ecco come sta. E non mi vuole dire il motivo, quello stupido mulo.”
Posso vederlo?”
L’uomo lo fissò dubbioso, con uno sguardo che sembrava valutare direttamente la sua capacità di attenersi a prescrizioni mediche. “Ha le costole rotte,” lo avvisò. “Un movimento sbagliato e se le pianta in un polmone, comincia a sputare sangue, casca per terra e va a finire nelle Dimore di Vopnir, anche se non so cosa ci andrà a fare in mezzo agli eroi caduti in battaglia, quello stupido mulo.”
Vorrei solo vederlo un attimo, guaritore.” Poi, dopo una breve esitazione: “Può parlare?”
Sarà un po’ intontito, gli ho dato dell’erba di Nomutha per tenerlo tranquillo, ma due parole gliele puoi dire.”

Ehrenold entrò cauto nella stanza. Lungo le due pareti laterali erano disposti a intervalli regolari dei letti, ognuno corredato di un comodino e uno sgabello. Fece scorrere lo sguardo sui pochi degenti e identificò subito Siwald: il ragazzo giaceva immobile, con gli occhi chiusi. Notò che aveva il labbro inferiore spaccato, un livido sullo zigomo e varie escoriazioni.
Nel sentirlo avvicinarsi, il ragazzo aprì gli occhi, aggrottò appena le sopracciglia nel riconoscerlo, quindi rimase a fissarlo in silenzio.
Il Luogotenente si sedette accanto a lui. Allungò una mano per toccargli il viso, ma l’altro si girò come per sottrarsi. “Cos’è successo?” gli chiese allora.
Sono caduto dalle scale, Luogotenente,” fu la stentata risposta, pronunciata con un filo di voce.
Siwald, dimmi cos’è successo,” ripeté Ehrenold, fissando preoccupato il suo volto pesto.
Caduto dalle scale,” ripeté il ragazzo.
Il maggiore emise un sospiro. “Mi dicono che cadi spesso dalle scale.”
Sono molto distratto, Luogotenente.” Chiuse gli occhi. Ehrenold gli posò una mano sulla fronte ed egli li riaprì subito, rivolgendogli uno sguardo che gli parve più stupito che infastidito.
L'ufficiale ritirò comunque la mano e gli disse: “Ora riposati. Ti voglio a posto per quando torneremo alla guarnigione.”
Siwald non rispose.
Ehrenold si alzò e raggiunse il guaritore, che aveva seguito lo scambio a pochi passi di distanza con le braccia incrociate sul petto e l’espressione diffidente. “Ebbene?” lo apostrofò questi senza mutare la sua posizione.
Si rimetterà,” disse il Luogotenente.
Certo che si rimetterà,” replicò l’altro, “sempre che non gli venga in mente fare lo stupido. Con quelle costole fratturate non c’è da scherzare.”
Ehrenold lanciò un’altra fugace occhiata al ragazzo, quindi chiese: “Chi può aver fatto una cosa del genere?”
Lhawin alzò le spalle. “Non ho bisogno di raccontare a te come sono i soldati, giusto? Specie se sono giovani e stupidi come le reclute che hanno appena ricevuto l’uniforme nera. Una parola tira l’altra, poi cominciano a volare gli schiaffi e alla fine se le danno come dei Cinerei ubriachi di grozzt. E ovviamente dopo nessuno parla. Del resto, lo sai quel che si dice: quello che succede nel plotone resta nel plotone.”
Ehrenold annuì grave, quelle cose gli erano ben note. “Lo farò portare all’infermeria della caserma dei Giochi, così potrò tenerlo maggiormente d’occhio.”
Questo qui dovrebbe essere piantonato giorno e notte come i delinquenti, te lo dico io.”

§

Il Luogotenente si guardò intorno: nessuno in giro. C'erano solo qualche albero ancora spoglio e vecchi ostacoli di un percorso di guerra in disuso, che attendevano di essere smantellati e sostituiti da ostacoli nuovi. Un Muro, la superficie scrostata da innumerevoli contatti con cotte di maglia, giaceva abbandonato al suolo.
Ehrenold si sedette su un tronco che aveva svolto le funzioni di Ponte, poi fece girare lo sguardo sui membri della sua squadra: Rowden, naturalmente, ma anche Arel, Lylan e Herli. “Ci siamo,” disse in tono grave.
Nessuno replicò, ma gli sguardi di tutti facevano capire che quella consapevolezza non era solo sua.
Il Luogotenente indicò i vecchi ostacoli sparsi in giro e disse: “Adesso sedetevi, dobbiamo parlare della Spada di Hengrist.”
Tutti obbedirono, quindi rimasero a fissarlo con aspettativa.
Lo scontro sarà tra noi e Gunefort,” esordì il Luogotenente. “Siamo a pari punti, chi vincerà questa gara si porterà a casa il titolo di Campione.” Fece una pausa, durante la quale fece scorrere lo sguardo sui suoi uomini, quindi concluse: “E chi perde arriva secondo. Certo, tutti fanno un sacco di bei discorsi sul fatto che anche arrivare secondi o terzi ai Giochi è motivo di onore, ma noi sappiamo come stanno le cose, vero? Chi arriva secondo non ha vinto.”
E quindi ha perso,” intervenne serio Herli.
Precisamente,” confermò Ehrenold. “In battaglia non c'è il premio per il secondo posto, giusto?”
Tutti annuirono.
Il Luogotenente si rivolse a quel punto a Rowden: “Tu sarai il primo. Ho bisogno di una persona che eventualmente possa anche fare la voce grossa se c’è qualche problema e un capitano è l'ideale. Quella parte di percorso per forza di cose non è particolarmente difficile, quindi buttati in spalla la Spada e appena danno il via cerca di guadagnare quello che puoi con la velocità.”
Rowden annuì. “Tutto chiaro, Luogotenente.”
Molto bene,” approvò Ehrenold, poi si rivolse a Herli: “Tu sarai subito dopo. Lì il percorso si fa duro, è tutta salita e ci saranno degli ostacoli difficili. Sarà questione di forza, più che di agilità. Ho bisogno di qualcuno che con la Spada in spalla mi salti un Muro alto al primo tentativo, solo a forza di braccia se necessario, e tu sei l'uomo ideale.”
D'accordo, Luogotenente.”
Ehrenold annuì, quindi passò a Lylan: “Tu vai dopo di lui. Ci saranno da fare le Corde e il Reticolo, mi serve qualcuno che sia agile e preciso e sappia tenere una barra di ferro da venti libbre e lunga due braccia in modo da non far suonare i campanelli. Ricordatevi che al terzo campanello che suona la squadra è squalificata.”
Sì, Luogotenente.”
Io sarò subito dopo. Avrei preferito stare ultimo, l'arrivo al traguardo richiede come la partenza qualcuno che abbia dei gradi sulle spalle, ma Arel è il più veloce della squadra e sarà lui a fare lo scatto finale.” Rivolse lo sguardo al soldato che aveva nominato, poi disse: “Tutto chiaro?”
Questi annuì con fare volenteroso. “Sì, Luogotenente.”
Molto bene. Gli altri? Qualche dubbio? Domande?”
Tutto chiaro,” ripeté Rowden. “Del resto, le regole della Spada di Hengrist non sono difficili: la Spada deve essere portata fino al traguardo, gli ostacoli devono essere superati tutti e chi non è in equipaggiamento completo, con elmo, arma individuale e cotta di maglia è squalificato, e con lui tutta la squadra.”
Gli altri annuirono consapevoli, quindi Herli disse: “Bene, ragazzi. Portiamo a casa questo titolo per il vecchio Heiswegen, che ne dite?”
Heiswegen!” esclamarono gli altri due soldati.
Ehrenold annuì. “Bravi ragazzi,” approvò. “E ora andate a riposare, domani dovremo faticare parecchio.”
Rimase solo con Rowden. Si alzò, fece qualche passo tra i vecchi ostacoli in disuso. Toccò con la punta del piede un vecchio campanello mezzo mangiato dalla ruggine, traendone un suono fesso.
Alle sue spalle si fece udire la voce del capitano: “Wardan non si farà battere così facilmente.”
il Luogotenente emise un sospiro. “Lo so. Potrei dire che una Spada di Hengrist alla finale dei Giochi non sarebbe facile comunque, ma anch'io temo quello che temi tu: ho idea che stia tramando qualcosa.”
Ci sono gli osservatori. Ce ne saranno anche più del solito, vista l'importanza della gara.”
Alla Triplice, Wardan è riuscito a spedirmi una freccia sopra la testa con cinque osservatori che passeggiavano su e giù.”
L'altro si girò a fissarlo. “Sul serio?”
Ehrenold annuì. “Non stiamo parlando di un cretino: Wardan è uno che in battaglia sa il fatto suo.”
A maggior ragione,” replicò l'altro, “promettimi che starai attento. Io rischio poco, a inizio percorso e con tutta la frotta di giudici, osservatori e spettatori che ci sarà, ma tu sarai in mezzo al bosco, ci sarà molta meno gente a controllare che le cose vadano come devono andare.”
Certo, starò attento.”

Ehrenold entrò in infermeria e raggiunse il letto di Siwald. “Come stai oggi?” gli chiese sedendosi accanto a lui.
Faticosamente il ragazzo si girò a guardarlo. “Bene, Luogotenente,” rispose.
L'uomo scosse la testa. “Siamo soli, non c'è bisogno che continui a fare il cavallo selvaggio. Sono solo venuto a vedere se hai bisogno di qualcosa.”
Non ho bisogno di nulla, Luogotenente.”
Ehrenold annuì come se le parole del ragazzo fossero esattamente quelle che si era aspettato di sentire. Si appoggiò all'indietro fino a toccare la parete con le spalle, quindi disse: “Sai perché ti ho scelto, Siwald?” Fece una breve pausa, ma la recluta non interloquì. “Ti ho scelto perché hai carattere,” proseguì allora, “perché non ti pieghi, perché non ti lasci spaventare. Queste sono le doti che cerco in un soldato.” Di nuovo tacque. “O in un compagno,” soggiunse poi.
A quelle parole, Siwald lo fissò stupito. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma Ehrenold lo precedette. In tono tranquillo, come se l'ultima frase non fosse mai stata pronunciata, disse: “Io non ho intenzione di umiliarti o maltrattarti, Siwald, ma nemmeno di far finta di niente di fronte alle tue mancanze: per quanto tu abbia enormi potenzialità, per quanto tu mi piaccia caratterialmente, sei un soldato pessimo e in una battaglia non sopravviveresti due minuti. Stai a cavallo come un sacco di patate, scommetto che della spada conosci solo i rudimenti, non hai né senso della gerarchia né per forza di cose cameratismo. Ti rendi conto che in tutto quello che fa parte delle capacità di un soldato sei inferiore agli altri e per questo motivo cerchi di eccellere, per così dire, all'opposto. Se non puoi essere il migliore di tutti, vuoi essere il peggiore.” Abbassò gli occhi sul ragazzo e si accorse che egli lo stava fissando serio. “Non sei d'accordo?” gli chiese.
Siwald girò la testa dall'altra parte.
In ogni caso,” proseguì tranquillo il Luogotenente, “d'ora in avanti le cose cambieranno. Mi aspetto che usi la tua intelligenza non per trovare nuovi modi per farti punire, ma per usufruire al meglio degli insegnamenti che ti darò.”
A quel punto, il ragazzo di nuovo si voltò a fissarlo e intervenne: “E guarda caso, il primo insegnamento si svolgerà in privato, vero?”
Ehrenold si limitò a levare gli occhi al cielo, poi si alzò e rimise a posto lo sgabello. “Ora vado,” lo informò, “devo allenarmi per domani.”
C'è una gara?” chiese il ragazzo.
Il Luogotenente sorrise. “C'è la gara, direi. È la Spada di Hengrist, chi vince quella vince i Giochi. Peccato che tu sia costretto a letto, perché se no potresti vederla da vicino, in qualità di allievo. Gli allievi possono in ogni momento stare con la squadra, se il loro mentore ne fa parte.”
Il ragazzo si rabbuiò. “Non voglio privilegi perché sono un allievo. Non l'ho certo chiesto io.”
Ehrenold sorrise e sullo stesso tono replicò: “Non è certo un privilegio. Una vecchia norma mai abrogata stabilisce che gli allievi siano presenti come riserve, nel caso uno della squadra sia per qualche motivo impossibilitato a disputare la gara. Ovviamente non succede mai, comunque. Tu ti goderesti lo spettacolo e basta.”
Uno spettacolo che non mi interessa minimamente.”
Per tutta risposta, Ehrenold gli disse: “Riguardati, Siwald. Ti voglio in forma per quando torneremo alla guarnigione.” Poi uscì.

§

I raggi del sole entravano dalla finestra come tante lame. Siwald li osservò per un po', valutando che data la loro inclinazione, il sole doveva essere già abbastanza alto.
Subito dopo constatò che c'era ovunque un gran silenzio.
Si guardò intorno e vide che sul suo comodino era posata una tazza. Con qualche difficoltà si sollevò sul gomito, la prese e ne annusò il contenuto, riconoscendo l'odore dell'infuso di Nomutha. Stava per berlo quando udì dei rumori nella stanza attigua.
Si girò in quella direzione pensando si trattasse di uno degli inservienti del guaritore, ma si accorse che i nuovi arrivati erano due combattenti in uniforme completa, con elmo, spada e cotta di maglia. Uno era un maresciallo e l'altro un capitano.
Ti sei accertato che non ci sia nessuno?” chiese il capitano.
Siamo soli,” fu la risposta, “stanno andando tutti alla pista, per cercare di accaparrarsi i posti migliori.”
Siwald si immobilizzò. I due avevano al collo un laccio colorato, il che li identificava come atleti dei Giochi. Cosa ci facevano lì?
Il capitano si guardò intorno, aprì uno stipo e spostò oggetti su uno scaffale. “Eppure deve esserci,” disse, “ce n'è sempre.” Fece scorrere uno dopo l'altro una fila di cassetti.
Che cosa, Wardan?”
Resina di Erba di Nomutha.”
Cosa te ne fai?” La voce aveva un vago tono di apprensione.
Sai che cosa fa?”
Non capisco. Che intendi dire?”
Fa dormire quasi all'istante. L'ultimo tratto è ripido, da una parte c'è il bosco, ma dall'altra una scarpata. Non c'è posto per gli spettatori e anche gli osservatori sono molto rari.”
Il tono della risposta suonò ancora più diffidente: “Continui a parlare per enigmi,Wardan.”
Vedrò di essere più chiaro: voglio assicurarmi la vittoria. Un ago con un po' di resina pura mette fuori combattimento in pochi attimi chiunque e una cerbottana si può nascondere nell'equipaggiamento con grande facilità.”
Passò qualche istante di un silenzio che aveva una strana connotazione sinistra, poi di nuovo si fece udire la voce del sottufficiale: “Ma questo è contro le regole.”
Della puntura non si accorgerà nemmeno e la cerbottana la butterai via, quindi nessuno la vedrà.”
Cioè... tu mi faresti fare veramente una cosa del genere?”
Giusto per essere sicuro di vincere. Anche se, ripeto, sarà solo per sicurezza.”
Ma Wardan... e se mi scoprono? Sarebbe il disonore eterno per Gunefort, ci hai pensato? Come mandante verresti degradato, e anche se io tacessi per non tradirti, la squadra perderebbe il privilegio di partecipare ai Giochi per anni.”
Se ha a cuore la giustizia, Hengrist farà sì che nessuno ci scopra.” Seguì un altro silenzio, poi l'ufficiale soggiunse: “E tu non mi tradirai, vero?”
Sai che non lo farei, ma ti invito a pensarci bene. È un rischio.”
Non ho tempo di pensarci, la gara comincia fra poco.” Poi, dopo una pausa: “Ah, eccola qui. Guarda com'è densa: questa è potentissima.”
Siwald udì il rumore di un contenitore di vetro o ceramica che veniva maneggiato, poi l'anta dello stipo che tornava al suo posto, infine i passi dei due che si allontanavano velocemente.
Per un po' il ragazzo rimase semplicemente immobile ad ascoltare il sangue che gli pulsava nelle orecchie. Che fare?
Nella caserma non c'era più nessuno, ma anche se ci fosse stato qualcuno, chi avrebbe creduto a un cavallo selvaggio come lui? Sicuramente avrebbero pensato che cercava di fermare la finale dei Giochi come ultimo e supremo dispetto al suo mentore e magari l'avrebbero anche messo agli arresti.
Scese con cautela dal letto, saggiando attento le reazioni del suo corpo. Il torace gli doleva, ma non più di tutte le volte che aveva avuto incidenti sul percorso del Campo Dodici. Si guardò intorno e subito identificò l’armadio con dentro il suo equipaggiamento. Indossò l'uniforme, ma non poteva andare in giro con quella e basta, l'avrebbero fermato subito. Con fatica si fece passare sopra la testa la cotta di maglia, poi raccolse l'elmo e la spada. Fatto questo, uscì per correre ad avvertire personalmente Ehrenold del pericolo che stava correndo.

§

Sembrava che anche il sole volesse godersi l'ultimo giorno dei Giochi. Il cielo era di un azzurro terso, l'aria era limpida come in alta montagna. Sospinte da un vento finalmente gentile, le bandiere delle Marche si agitavano piano e i loro ricami d'argento brillavano sotto la luce calda.
Tutti coloro che non avevano compiti specifici da svolgere stavano affluendo verso le gradinate dell'Arena per assistere all'arrivo degli atleti, oppure si appostavano lungo il percorso, per vedere qualcosa della gara.
Rowden si presentò ai giudici e ricevette quella che dava il nome alla prova: un grande simulacro di spada a due mani, esattamente identico a quello che la statua del dio teneva fra le mani nel tempio principale della città. Era più grande di una spada normale, e naturalmente più pesante.
Si voltò verso Hyvardus, che a sua volta l'aveva ricevuta: persino nelle mani di un colosso come lui, quell'arma appariva sproporzionatamente grande.
Guardò poi verso l'inizio del percorso, chiedendosi se Ehrenold fosse già arrivato alla sua postazione.
D'improvviso echeggiò la voce di un giudice di gara: “Pronti!”
La spada già assicurata sulla schiena, Rowden si sistemò sulla linea di partenza assieme ai corridori delle altre squadre. Proprio accanto a lui c'era quello di Gunefort, un maresciallo di nome Gerd, che gli lanciò un'occhiata torva.
Si costrinse a ignorarlo e con la memoria ripercorse i particolari della pista: sapeva che appena entrata nella macchia di alberi piegava bruscamente a desta e poi cominciava a salire. Il tempo era stato buono negli ultimi due giorni, ma di sicuro il fondo sarebbe stato pesante, addirittura in qualche punto avrebbe anche potuto trovare ghiaccio.
Lo squillo della tromba lo distrasse da ulteriori meditazioni.
Cominciò a correre. Era veloce, ma nessuno voleva rimanere indietro nell'ultima prova dei Giochi. Il gruppo affrontò compatto il primo ostacolo, ovvero una fossa in cui bisognava scendere per poi risalire dall'altra parte. Ci furono spintoni, qualche grugnito di disappunto, clangori di metallo che sbatteva. Rowden si buttò dentro in uno spruzzo di acqua marrone, sfruttò l'inerzia per fare i primi passi della risalita, poi si aggrappò piantando le dita nel terreno ancora molle. Saltò fuori per primo e riprese la corsa, immediatamente incalzato dagli altri.
Più che mai si costringeva a fare il vuoto in mente e a non pensare ad altro che ad affrontare gli ostacoli e a dosare nella maniera giusta le risorse del suo corpo. Stava correndo troppo? Avrebbe retto fino alla fine del suo pezzo con quell'andatura? Si concentrò sulla respirazione. Arrivò alla Scala, ovvero una scala a pioli orizzontale, posta a una certa altezza, da superare passando di piolo in piolo con la sola forza delle mani. Scattò, afferrò il primo di essi, si lanciò verso il secondo, poi il terzo... farsene sfuggire uno significava tornare all'inizio, attraversando la torma degli inseguitori come un salmone avrebbe fatto con la corrente del fiume. Significava perdere, in buona sostanza, e far perdere anche il resto della squadra.
D'altra parte, tutte le competizioni dei Giochi erano a squadre proprio per quel motivo: sul campo di battaglia non si era mai da soli e si doveva imparare a ragionare sempre in termini di squadra e mai di singolo individuo.
Lasciò andare l'ultimo piolo dell'ostacolo, riprese la corsa. La pesante Spada gli premeva addosso, rimbalzandogli dolorosamente sulle spalle. Legarla troppo blandamente significava farsela sfuggire, ma d'altra parte una legatura troppo salda avrebbe comportato la perdita di tempo prezioso nel momento del passaggio del simulacro all'uomo successivo.
Continuò a correre cercando di regolarizzare la respirazione.

Sotto lo sguardo serio degli osservatori, Ehrenold passeggiava su e giù come una belva in gabbia, imitato ovviamente dai membri di tutte le altre squadre. Non era ancora arrivato nessuno e a tutti gli atleti sembrava che la corsa si stesse protraendo per un tempo abnormemente lungo.
Non c'era sguardo che non si fissasse di tanto in tanto verso la pista dalla quale sarebbero dovuti spuntare i compagni di squadra, non c'era atleta che non sentisse da lunghi minuti la tensione dolorosa dell'attimo prima della gara, una tensione che cresceva di momento in momento, facendo accelerare i respiri e tendere i muscoli.
Si udì un tramestio: coperto di fango al punto da essere quasi irriconoscibile, Lylan apparve correndo e tentando freneticamente di slacciarsi la Spada dalla schiena. Alle sue spalle i primi elementi del gruppo di concorrenti, che ormai si era già allungato, lo tallonavano.
Ridusse appena l'andatura e trottando comunque a un buon passo, con dita rese frenetiche dall'urgenza, sciolse i nodi delle corregge che gli assicuravano addosso la pesante arma. “Salute e vittoria,” disse, consegnandola al Luogotenente.
Questi la ricevette e se la legò a sua volta sulla schiena, assicurandosela addosso con la disinvoltura dell'abitudine.
Si lanciò di corsa, subito una figura gli apparve accanto, lo colpì con la spalla, lo fece sbandare, lo superò. Ehrenold scattò, diede a sua volta una spallata, di nuovo passò avanti, saltò una barriera di tronchi aiutandosi anche con le mani, poi subito dopo tre siepi a beve distanza una dall'altra, poi attraversò uno specchio d'acqua nel quale galleggiava ancora qualche sottile lastra di ghiaccio. Passò oltre, si scrollò, afferrò una fune che dondolava piano nell'aria calma. Si issò fino a raggiungere una piattaforma soprelevata, da lì si lasciò cadere su un mucchio di paglia, ne riemerse annaspando e facendosi spazio con le braccia, poi scrollandosi di dosso i fili gialli riprese la corsa.
D'un tratto gli parve di vedere una figura a cavallo che lo oltrepassava tenendosi a distanza, ma a una seconda occhiata non la scorse più. Si obbligò a ignorarla: aveva dietro almeno tre uomini, poteva quasi percepirne il respiro sul collo, il terreno era pesante e scivoloso, ovunque rami e pozzanghere lo rendevano ancora più disagevole. Traballò perdendo l'equilibrio su un tratto particolarmente ripido, si afferrò all'ultimo momento a un ramo contorto, tagliandosi il palmo della mano. Ignorò la ferita limitandosi a stringere il pugno. Procedette lasciandosi dietro una scia di gocce vermiglie.

Finalmente apparve la postazione, riusciva già a vedere Arel che passeggiava su e giù nervosamente esattamente come lui aveva fatto fino all'arrivo di Lylan. Cominciò a slacciare le corregge che gli assicuravano la spada alla schiena, imprecando silenziosamente perché la mano ferita scivolava sul cuoio a causa del sangue che la copriva.
Raggiunse ansante il soldato, gli consegnò la spada, questi se la caricò sulla schiena, poi partì di corsa. Non aveva fatto venti passi che parve sussultare come se fosse andato a sbattere contro qualcosa. La spada cadde con un funesto clangore. Il soldato fece qualche altro passo malfermo, con l'andatura dondolante di un ubriaco. Si portò una mano alla testa, cercò di appoggiarsi a un tronco con l'altra, ma mancò il bersaglio e crollò a terra. Si rialzò, solo per fare qualche altro passo stentato e ricadere.
Ehrenold sentì il sangue abbandonargli il viso. Per quanto stesse ansimando come un mantice per effetto della lunga corsa, in quel momento smise di respirare: Arel era oltre la linea, il che significava che non aveva più alcun margine di intervento su di lui. Era a terra e gli altri contendenti si stavano avvicinando.
Significava la squalifica. Significava la fine dei Giochi.
Significava tornare a Heiswegen con niente altro che una sconfitta.
Wardan, già in posizione per ricevere la Spada dal membro della sua squadra, in tono ironico gli chiese: “Che c'è, troppa emozione per il tuo ragazzetto? Non è riuscito a reggere la tensione della finale?”
Gli occhi fissi sul soldato immobile, Ehrenold lo sentì appena.
L'altro si fece consegnare l'arma e scattò in avanti legandosela frattanto sulla schiena. Il Luogotenente rimase immobile, con la sensazione di essere all'improvviso precipitato in un incubo: non c'era niente che potesse fare, poteva solo stare a guardare mentre Gunefort vinceva e Heiswegen piombava all'ultimo posto della classifica.
Poi si udì un rumore di frasche.
Ehrenold si voltò bruscamente e vide che nella piazzola degli osservatori era comparso un soldato in cotta di maglia, con elmo e spada al fianco. Si voltò a fissarlo. “Siwald!” esclamò.
Dammi il mandato!” gridò il ragazzo per tutta risposta.
Cosa? Ma tu...”
Il mandato! Io sono il tuo allievo, posso subentrare. Lo dicono le leggi, no?”
Ehrenold lo fissò, poi girò lo sguardo verso gli osservatori, che stavano seguendo la scena in un silenzio ieratico.
Presto!” lo incalzò il ragazzo.
Aspetta, sei ferito.”
Non c'è tempo, fammi andare!”
Gli altri contendenti li passavano uno dopo l'altro, scattando come daini inseguiti dai cani.
Siwald balzò verso di lui, gli afferrò la mano sporcandosi di sangue ed esclamò: “Io vado! Posso andare! Avete visto che mi ha conferito il mandato, vero?”
Saltò oltre la linea. Ehrenold fece per riprenderlo, ma a quel punto gli osservatori gli si pararono davanti. Il più autorevole di essi proclamò: “Il ragazzo ha scelto. Non sta a te fermarlo.”

Siwald raggiunse il soldato immobile, si caricò in spalla la Spada e si lanciò a rotta di collo lungo la pista. Il torso aveva smesso di fargli male, sentiva addosso solo una grandissima energia, come non gli capitava da tempo, o forse come non gli era mai capitato. Volava letteralmente sul terreno, l'arma sacra in spalla non era niente rispetto agli zaini affardellati del Cinghiale, quel percorso era roba da bambini paragonato al Campo Dodici.
Saltò un tronco, si piegò per evitare una barriera di rami, si buttò subito dopo a terra e procedendo su gomiti e ginocchia superò un altro sbarramento, poi scattò di nuovo in piedi. Individuò dopo una curva il più arretrato degli avversari, aumentò l'andatura facendoglisi più sotto. L'altro accelerò a sua volta, ma poi arrivarono a un Muro. Siwald saltò con la facilità di chi ha già fatto la stessa cosa migliaia di volte, si issò con disinvoltura e fece passare le gambe al di là mentre l'altro stava ancora cercando di sollevarsi a forza di braccia.
Atterrò e una fitta lancinante gli trafisse il torace. Barcollò appena, si riaggiustò la spada sulle spalle quindi ripartì a denti stretti.
Raggiunse altri contendenti, il dolore era come un fuoco che gli bruciava dentro, ma allo stesso tempo sentiva una sorta di esaltazione folle, qualcosa come un'ebbrezza che sembrava quasi trarre da tutta la situazione un assurdo vigore. Si buttò in avanti, sgomitò, sgusciò fra gli uomini impegnati negli ostacoli come aveva imparato sul campo, quando il Cinghiale lo faceva correre assieme a quelli più grandi.
E poi raggiunse l'uomo che si trovava in testa al gruppo. Strinse gli occhi mentre un'ira furiosa lo pervadeva: era il capitano che aveva sentito parlare in infermeria.
Era quello che aveva progettato di agire in modo scorretto per sottrarre la vittoria a Ehrenold.
Corse. Corse come se non ci fosse un domani, come se da quella corsa dipendesse la sua vita, come se non il destino della Marca di Heiswegen ma quello di tutto Kjarr gravasse sulle sue spalle.
Divorò lo spazio con falcate che sembravano balzi, accorciando sempre di più la distanza fra sé e l'uomo che lo precedeva.
Udendolo arrivare, questi si girò fugacemente a fissarlo. Rallentò appena di proposito e quando furono affiancati gli sferrò una gomitata.
Siwald sentì un rumore come di rami spezzati. Un lampo bianco lo privò della vista per un istante, mentre un dolore atroce, tanto forte da bloccargli il respiro, lo obbligò a rallentare e a cercare il sostegno di un tronco. Tossì e in bocca gli arrivò il sapore ferroso del sangue.
Scrollò la testa, di nuovo sputò sangue. Fissò lo sguardo sulle spalle dell'uomo come se i suoi occhi fossero stati dardi di balestra.
Riprese a correre. Ormai la strada era in discesa, il fondo si era fatto più piano e regolare. Entro breve sarebbe anche cominciata la lastricatura di larghe pietre grigie della via che conduceva all'Arena.
Raggiunse l'altro, si forzò ad aumentare l'andatura. Constatò che il sangue gli stava scorrendo giù da un angolo della bocca e sgocciolava sulla cotta di maglia, ma stranamente gli parve una cosa di poco conto, niente più che un piccolo inconveniente. Di nuovo l'uomo aspettò che lui si fosse avvicinato, poi lo colpì col gomito. Siwald, che l'aveva previsto, riuscì a farsi indietro, ma la botta gli strappò comunque un gemito di dolore.
Cominciarono le bandiere lungo la strada, il ragazzo percepì confusamente che c'erano persone ai due lati di essa, c'erano urla e acclamazioni, anche se non riusciva più a distinguere le parole...
D'un tratto si trovò nell'Arena. Stava correndo come il vento, con la coda dell'occhio vedeva l'uomo correre al suo fianco, forse un po' arretrato, ma in un modo che sembrava quasi solidale, come se si fosse trattato del suo amante, o di un suo amico.
Non di qualcuno che aveva appena cercato di far perdere il suo mentore con l'inganno.
Rivolse il pensiero a Ehrenold, rievocò il suo volto serio, il suo sguardo profondo. Lo svolazzo del nastro rosso strappato si confuse con i rivoli di sangue che ormai lo imbrattavano ovunque, poi tutto si fece nero e le acclamazioni si affievolirono fino a diventare un mormorio lontano, come di un torrente.

§

Siwald aprì gli occhi a fatica. Gli pareva di essere fatto di piombo, tanto che quasi si meravigliò che il letto militare fosse in grado di reggerlo.
Si guardò intorno e dopo un po' riconobbe l'infermeria. Nell'aria c'era odore di erbe medicinali, ma anche dell'olio che si usava per le cotte di maglia e di cuoio. Voltò la testa e si accorse di una sagoma immobile al suo fianco. D'istinto, con voce roca mormorò: “Mentore?”
Immediatamente la sagoma si animò e proprio il volto di Ehrenold comparve nel suo campo visivo. Il Luogotenente sembrava stanco ed era piuttosto pallido. Rughe verticali gli increspavano la fronte altrimenti liscia.
Siwald,” mormorò. Allungò cauto una mano, come per paura di fargli male, e gli sfiorò una guancia con le dita.
Egli sorrise appena a quel tocco, piegando la testa come per trattenere la mano che lo toccava.
Si guardarono negli occhi. “Siwald,” ripeté l'uomo. La sua voce vibrava di un'emozione che il ragazzo non vi aveva mai percepito. “I guaritori disperavano di salvarti.”
Abbiamo... vinto?” riuscì a sussurrare.
Tu hai vinto, Siwald. Hai salvato la Marca di Heiswegen.” Si piegò a baciarlo sulla fronte e poi sulle labbra. “Tu hai vinto,” ripeté.
Il ragazzo socchiuse gli occhi. “Se ho vinto,” rispose a fatica, “se ho combattuto è perché tu mi hai dato un motivo per farlo. Mi hai fatto capire che ero degno di farlo.”
Ehrenold annuì. Di nuovo gli accarezzò i capelli, quindi si alzò e disse: “Riposa ora, devi rimetterti in forze.”
Sarai qui quando mi sveglierò?”
Ehrenold sorrise. “Non vorrai che ti faccia da balia, soldato.”
Siwald riuscì a tirare fuori a sua volta un pallido sorriso. “So badare a me stesso.”
Razza di insolente,” rispose Ehrenold.
Mi sembrava che ti piacessero quelli di carattere.”
Riposa,” ripeté Ehrenold per tutta risposta, quindi se ne andò.
Siwald lo guardò allontanarsi. Chiuse gli occhi scivolando di nuovo nel torpore della debolezza, e mentre si abbandonava al sonno vide come in sogno un cavallo selvaggio galoppare via e due grandi lupi neri, forti e solenni, prendere il suo posto.






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