STARGATE - La porta delle stelle -

di StarCrossedAyu
(/viewuser.php?uid=1055651)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Stargate




- Capitolo 1 -


Quel giorno diluviava. Agli sfortunati che camminavano per strada sembrava di trovarsi sotto l'incessante flusso di una cascata, dove gli ombrelli erano pressoché inutili e scarpe ed abiti erano ridotti a stracci zuppi e sudici.

Questo non impedì alla giovane donna di mettere piede fuori dalla costosa auto, scortata fino all'ingresso dell'hotel da un uomo di cui non ricordava neanche il nome, troppo presa dai propri pensieri che la conducevano verso il loro fulcro. Superò la hall col suo passo lento e aggraziato, la veste larga e una sciarpa leggera al collo, dirigendosi verso il salone indicato dal cartello affisso lungo il corridoio. Il vociare, proveniente dalla sala in cui stava svolgendosi la conferenza, le confermò che si trovasse nel posto giusto.

«Insomma, non abbiamo prove che all'epoca la civiltà eldiana fosse già presente.»

Hanji Zoë, dottoressa plurilaureata e fervida ricercatrice di tutto ciò che concerneva l'antica Eldia, gesticolava animatamente sull'alta pedana dalla quale esplicava le proprie convinzioni.

«Chi avrebbe costruito allora le Mura...?» fu la domanda che giunse dal pubblico, da un punto imprecisato.

Calò il silenzio più totale.

Ognuno dei presenti fissava Hanji in attesa di una sua spiegazione, compresa Historia che sostava, curiosa, vicino alla porta d'ingresso. La bruna calò lo sguardo sistemandosi gli occhiali, quasi stesse indugiando appositamente per aumentare la suspense prima di fare la rivelazione del secolo.

Quando le sue iridi nocciola scrutarono la folla, serie e decise, tutti trattenero il fiato.

«Non ne ho la più pallida idea..!» esclamò infine ridendo, le ciocche castane sfuggite all'acconciatura improvvisata che ondeggiavano allegre.

«Magari i giganti o, ancor meglio, gli alieni..!» la scherní un uomo, basso e baffuto. Uno ad uno iniziarono ad uscire dal salone, incuranti dei tentativi della Dott.ssa Zoë di riportare la loro attenzione all'argomento su cui si incentrava la conferenza. Anche Historia, mestamente, lasciò la donna ai propri sproloqui fin quando non si ritrovò sola, tra decine di sedie vuote e sconsolati depliant lasciati al loro triste destino.

Scrollò le spalle, sconfitta.

«Pausa pranzo» decretò, raccogliendo l'enorme quantità dei suoi disordinati appunti mentre la pioggia batteva sulle vetrate dell'edificio.


-


Quando a tarda sera Hanji si decise a uscire dall'hotel - ormai la sala era prenotata, tanto valeva sfruttarla per studiare alcuni articoli - la situazione all'esterno non era cambiata di molto: l'acqua continuava a cadere copiosamente allagando il marciapiede, le temperature erano calate e si era persino alzato un venticello freddo che si insinuava al di sotto del suo impermeabile sgualcito e piuttosto vissuto.

«Dottoressa Zoë, una persona desidera parlarvi.»

La bruna sollevò il capo, trovandosi faccia a faccia con un uomo che, riparandola con un ombrello scuro, la esortava a entrare nell'auto parcheggiata di fronte al Karanese. Perplessa ma incuriosita, si accomodò sul sedile posteriore inumidendone la stoffa e ritrovandosi accanto una giovane donna dal viso angelico, lunghi capelli biondi e grandi occhi limpidi come i cieli in primavera. Il sorriso che le rivolgeva, però, non raggiungeva le iridi celesti, spente e malinconiche.

«Buonasera. Mi presento: il mio nome è Historia Reiss, e sono qui per offrirle un lavoro.»

«Lavoro? Che tipo di lavoro...?»

«Traduzione. Geroglifici eldiani, il suo ambito di studio.»

«Ho le mie ricerche da portare avanti.»

Historia inclinò il capo, scrutandola, quasi divertita da quell'ultima affermazione.

«Davvero? A quanto mi risulta l'università le ha tagliato i fondi, è stata sfrattata e il suo conto in banca è in rosso da un pezzo.»

Hanji sgranò gli occhi, incredula.

«Come -»

«Vuole dimostrare a tutti di aver ragione, che le sue supposizioni sono esatte? È la sua occasione, quella che capita una sola volta nella vita: prendere o lasciare.»

La bionda le consegnò un biglietto da visita mentre qualcuno - probabilmente lo stesso uomo di prima - apriva nuovamente lo sportello intimandole tacitamente di scendere dalla vettura.

«Ha ventiquattr'ore» decretò Historia e in un battito di ciglia Hanji si ritrovò sola, sotto la pioggia battente, ad osservare i fanali posteriori dell'auto che si allontanava.

Squattrinata, senza un tetto e soprattutto derisa dalla comunità archeologica. Cos'aveva da perdere...? Strinse il biglietto tra le dita, cercando di metterlo al riparo dall'acqua all'interno dell'impermeabile mentre andava a recuperare i due bagagli all'ingresso dell'hotel: in uno, tutti i suoi appunti e le sue teorie; nell'altro, ciò che restava della propria vita.


-


Levi si trovava seduto nel proprio giardino, il Sole alto nel cielo oltre le fronde degli alberi che gli concedevano ombra e riparo. Piegato in avanti, gli avambracci sulle ginocchia, custodiva nel pugno destro due piastrine. Due vite, il cui ricordo sarebbe rimasto impresso solo su del freddo metallo e nel suo animo, arido e avvizzito.

Accanto a sé, sulla panca, una rivoltella. Con la mano libera la afferrò rivelando il contenuto del tamburo, vuoto ad eccezione di un proiettile. Con un gesto secco lo fece tornare al proprio posto, portando lentamente la canna nera e lucida dell'arma alla tempia.

Un solo istante e avrebbe scoperto il vincitore di quella scommessa con la morte, mentre l'indice faceva pressione sul grilletto.

Non lo seppe mai.

Un fruscio alle sue spalle lo fece scattare, alzandosi e puntando la pistola verso la fonte di quel suono, i sensi allerta e i riflessi pronti più della propria mente che invece avrebbe solo voluto piegarsi e soccombere.

«Capitano Ackerman...?»

Due soldati in uniforme ufficiale sbucarono oltre i cespugli di rose trovando un uomo dall'aspetto trasandato, capelli lunghi e barba incolta, armato e pericoloso. Il suo sguardo vacuo la diceva lunga sulle condizioni in cui fosse. Sollevarono le mani, il più basso dei due che avanzava a piccoli passi verso il corvino.

«Capitano Ackerman, sono il soldato scelto Schultz e vengo da parte del Comandante Smith» a quel nome le iridi plumbee di Levi sembrarono avere un guizzo, calando lentamente l'arma. «Mi manda a comunicarle che è richiamato a prestare servizio.»

Levi, guadagnandosi un sospiro da parte dei due intrusi, abbassò definitivamente la pistola andando a strofinarsi stancamente il ponte del naso.

«Che giornata del cazzo...»


-


Hanji spostava il proprio peso da un piede all'altro, fortemente a disagio nel trovarsi in quello che a tutti gli effetti le sembrava un bunker a prova di esplosione nucleare. Non si aspettava certo di svolgere quel lavoro in una base militare. La giovane donna al suo fianco, minuta e dai capelli ambrati, le sorrideva cordialmente tenendo le mani in grembo. Il tailleur militare le conferiva un aspetto professionale, mentre la bruna sembrava appena precipitata giù dal letto e caduta direttamente nell'armadio.

«Nervosa?»

«Piuttosto, direi sorpresa: è un luogo poco consono alla mia materia di studi» la dottoressa si grattò la testa, perplessa.

Il soldato Ral mantenne la sua aria serena e rilassata.

«Le verrà spiegato tutto a tempo debito.»

Le porte dell'ascensore si aprirono ed Hanji seguì la sua accompagnatrice lungo un corridoio, dove il via vai di persone era frettoloso e incessante. Un uomo andò loro incontro, stringendo calorosamente la mano della studiosa.

«É un piacere fare la sua conoscenza Dottoressa Zoë! Sono Moblit Berner» si presentò questi, emozionato. «Venga, da questa parte.»

Entrarono in un'ampia sala, e non appena Hanji posò gli occhi sulla reliquia iniziò a saltare in preda a un'incontenibile euforia, emettendo gridolini e versetti eccitati: un enorme disco di pietra, del diametro di almeno tre metri, era poggiato verticalmente alla parete in modo che i caratteri incisi al di sopra fossero ben visibili, illuminati da numerosi fari.

«Benvenuta» Historia, alle loro spalle, fece il proprio ingresso. «Allora, cosa ne pensa?»

Le mani di Hanji trovarono le spalle della bionda, scuotendola energicamente ma senza eccessiva forza.

«É favoloso! Dove lo avete trovato?!» esclamò estasiata. L'altra ridacchiò a quella reazione decisamente fuori dalle righe.

«In un sito di scavi presso il Wall Maria, nelle vicinanze di Shiganshina.»

«Come può vedere» iniziò Moblit, illustrandole i fatti «sono presenti geroglifici eldiani sulla fascia più esterna; la zona centrale invece presenta simboli di cui non conosciamo il significato né le origini.»

La bruna, sistemandosi con un calcolato gesto della mano le lenti perennemente graffiate, si avvicinò alla lavagna poco distante, su cui vi era trascritta la traduzione del testo. Aggrottò la fronte, afferrando il cancellino ed eliminando con poca grazia ciò che l'aveva infastidita sotto lo sguardo basito di Berner, quello curioso di Petra e l'espressione pacata di Historia.

«Questo passaggio è sbagliato. Sigillato e sepolto...» scrisse, calcando sull'ardesia quasi volesse inciderla col gessetto. «Qui è per sempre - diamine, si può sapere chi accidenti l'ha tradotto?!»

Il povero Moblit si fece rosso per la vergogna, dimenticando di possedere un dottorato sull'argomento.

«I-io» sollevò timidamente la mano ma Hanji non lo stava affatto ascoltando, impegnata a decifrare quei versi arcani.

«Un milione di anni fa nel cielo é Ymir, Dio della Luce, sigillato e sepolto per sempre - questa non è porta del cielo, ma porta delle stelle» recitò, correggendo il termine per poi voltarsi sorridente verso la sua piccola audience improvvisata. «Stargate!»

«Impressionante» mormorò Historia.

«Allora, cosa spinge la Legione Esplorativa a interessarsi di gufi e zampe di gallina vecchi cinquemila anni?» chiese, ripulendosi le mani dalla polvere bianca e imbrattandosi le vesti.

«Diecimila.»

Hanji, così come i presenti, si voltò in direzione del nuovo arrivato. Un uomo, basso e sulla trentina, li fissava con cipiglio serio; i capelli corvini dal taglio undercut, il viso pallido e liscio; la divisa verde scuro su cui, esattamente come quella del soldato Ral, svettavano le ali della libertà.

«Sono il Capitano Ackerman, agli ordini del Comandante Smith. Dirigo io l'operazione, adesso» illustrò, breve e conciso.

«Ma se diecimila anni fa gli eldiani neanche esistevano!»

«Secondo voi cervelloni, le analisi al carbonio non mentono.»

«É vero» si intromise Moblit. «I test effettuati sul coperchio -»

«Coperchio? C'era una tomba sotto?!»

Lo studioso se la ritrovò a pochi millimetri dal proprio naso, una scintilla quasi folle che animava gli occhi della bruna. Il suo interesse di conoscenza, però, venne istantaneamente respinto dal militare col grado più alto presente nella stanza.

«Questa informazione non è divulgabile a meno che io non dia espressamente la mia autorizzazione. Sono stato chiaro?»

Il suo tono, basso e duro, spense ogni tentativo di protesta ad eccezione di Historia, la quale seguì l'uomo che con passo deciso stava già dirigendosi verso l'ascensore.

«Esigo una spiegazione, Capitano. Il Comandante mi aveva garantito piena autonomia sul progetto.»

«Ora non più.»

«No, lei non capisce.»

La donna gli afferrò un braccio, costringendolo a voltarsi, e Levi si trovò faccia a faccia con qualcosa che conosceva troppo bene: lo vedeva nei propri occhi ogni maledetto giorno, quando si guardava allo specchio; lo sentiva lacerargli il petto, ad ogni battito del suo cuore; consumargli l'anima, pezzetto dopo pezzetto.

Dolore.

«Smith me lo deve...!» sibilò, quasi sollevandosi sulle punte per meglio chiarire il concetto. Il corvino si liberò gentilmente dalla sua presa, senza scomporsi.

«Deve molto a tante persone, glielo assicuro. Tuttavia, ciò non cambia lo stato delle cose» replicò, lapidario.

«Perché è qui, Capitano...?»

Tante, troppe risposte a quella domanda. Si limitò a fornire quella essenziale.

«... In caso abbiate successo.»


-


Hanji fissava l'enorme coperchio addossato alla parete, insistendo sui simboli all'interno del cartiglio centrale. Erano trascorse ben due settimane, eppure non riusciva a venirne a capo in nessuna maniera: aveva confrontato quei geroglifici con qualsiasi forma di scrittura conosciuta, primitiva e non, ma non aveva trovato alcun riscontro o vaga somiglianza. Nessun archivio o fonte le era stato utile. Sospirò, sconsolata.

«Non mi pagheranno mai...»

Portò la tazza di caffè che aveva tra le mani alle labbra, alzando gli occhi al cielo un istante dopo. Vuota.

Stancamente, si trascinò fino al corridoio dove una guardia notturna controllava i social dal proprio tablet. La bruna udì distintamente gattini miagolare, schiamazzi e bombe esplodere, mentre l'uomo scrollava la bacheca di facebook e i video partivano incontrollati. Riempì nuovamente la tazza di carburante, le occhiaie che le solcavano il viso ed i capelli - se possibile - ancora più in disordine del solito, quando un'immagine sul piccolo schermo catturò il suo interesse. Si avvicinò al dispositivo quasi attaccandovi sopra il naso, la guardia che la guardava stranito e piuttosto seccato da quell'invasione di campo, per poi sfilarlo dalla sua presa e rientrare a passo svelto nella stanza.

«Lo prendo in prestito!» si affacciò un istante dopo per poi sparire nuovamente, con l'uomo che osservava la porta come un pesce lesso e le mani ancora nella stessa posizione con cui reggevano il tablet.

Hanji poggiò la tavoletta sulla scrivania, zoomando sull'immagine che l'aveva colpita. Era una di quelle citazioni strappalacrime da cioccolatini, ma lo sfondo stellato aveva qualcosa di tremendamente familiare che faceva ronzare i suoi neuroni alla velocità della luce.

Inviò il file alla stampante, la quale inchiostrò velocemente il foglio, e allora lo vide. Con un pennarello tracciò alcune linee e con la carta stretta tra le dita si fiondò davanti al gigantesco disco di pietra, sollevandola per accostarla a uno dei disegni presenti nel cartiglio. Gli occhi le brillarono di gioia, mentre saltava da un punto all'altro della sala.

I simboli non erano parole, ma costellazioni.


-


Le più alte cariche militari presenti, in quel luogo remoto e nascosto tra le montagne, si trovavano rigidamente sedute al centro di una stanza troppo piccola per un meeting.

Historia, pacata come sempre, sostava accanto a Moblit in un angolo. Gli ufficiali presenti si scambiavano occhiate spazientite, tamburellando le dita sulla superficie grigia dinanzi a loro, mentre il Comandante Smith, le mani intrecciate sul tavolo, aveva un'espressione serafica che mal si accostava con la sua fama di uomo spietato e pericoloso.

Il Capitano Ackerman, alle sue spalle, teneva le braccia incrociate. In quelle settimane di convivenza forzata all'interno della base, aveva imparato a conoscere quanto bastava la Dott.ssa Zoë da sapere con certezza che avrebbe fatto il suo ingresso da un momento all'altro e in maniera plateale, come suo solito.

Neanche il tempo di formulare quel pensiero che la porta si spalancò, una miriade di scartoffie e carta arrotolata che piombava nella sala insieme alla bruna dai modi esuberanti.

Infatti.

«Scusate il ritardo!» fece la donna, traballando nel tentativo di non inciampare contro nessuno e nei suoi stessi piedi, facendo atterrare ciò che trasportava a piene braccia in mezzo al tavolo sotto gli sguardi perplessi e sconcertati di tutti ad eccezione di Levi, Smith ed Historia. «La fotocopiatrice mi ha dato filo da torcere, è incredibile come al giorno d'oggi si clonino facilmente le pecore e non dei semplici fogli...!»

Decine di occhi puntati su di lei la convinsero a tacere, prima di schiarirsi la voce e darsi un contegno.

«Dottoressa Zoë, solo due settimane per comprendere ciò che all'equipe della Signorina Reiss è sfuggito in due anni. Lodevole.»

«Cosa...?» il viso di Hanji palesava il suo evidente stupore.

«Prego, siamo tutt'orecchi.»

La donna si riscosse, iniziando a distribuire depliant e volantini ai suoi interlocutori, rovesciando al contempo il bicchiere d'acqua di uno degli ufficiali. La sentirono blaterare parole di scuse, mentre imperterrita continuava nel suo lavoro e Levi si accendeva stancamente una sigaretta. Il Comandante Smith si voltò quanto bastava, infastidito dal fumo, per rivolgergli una significativa occhiata che il Capitano volutamente ignorò. Non era suo desiderio trovarsi lì, che almeno lo lasciasse fumare in pace..!

«Ciò che è inciso nella fascia interna non sono parole da tradurre, bensì...» Hanji interruppe un attimo il suo discorso, srotolando un enorme quadro astrale «... costellazioni stellari, disposte in modo da formare un percorso - una mappa del tesoro!»

La studiosa ridacchiò, gelata dal silenzio generale. Riprese il filo, scribacchiando su di una lavagna bianca alle sue spalle con un pennarello.

«Sette punti: sei per tracciare la destinazione, uno per il luogo da raggiungere. In poche parole il traguardo» concluse, ricoprendo la punta con il tappo.

La voce di Moblit in quel momento di quiete risuonò chiara e limpida.

«Ce ne sono solo sei nel cartiglio.»

«Perché il settimo si trova subito sotto, guardate» rispose la bruna, estraendo nuovamente il fidato strumento per disegnare. «Tre cerchi concentrici all'interno di un emblema, forse reale per quanto ne sappiamo.»

Le iridi gelide di Levi la scrutarono, impassibili, soffiando via il fumo dalle labbra sottili. Era eccentrica, ma intelligente.

«Ce l'ha fatta...» mormorò Historia, ammirata.

«Ma non è possibile!» sbottò invece Berner. «Un simbolo simile non è presente sul congegno!»

«Quale congegno...?»

La domanda di Hanji permeò l'aria, satura di verità taciute troppo a lungo. Il Capitano Ackerman, dopo aver scambiato uno sguardo d'intesa con Smith, spense la sigaretta con la suola della scarpa.

«Glielo mostri» ordinò il Comandante.

Il corvino, con l'ausilio di un piccolo telecomando, sollevò quella che sembrava una semplice lavagna - sulla quale Zoë aveva bellamente scarabocchiato - ma che invece si rivelò essere un pannello che nascondeva un'ampia vetrata, oltre la quale c'era quella che chiunque avrebbe definito la scoperta del secolo.

La bruna si appiccicò al materiale trasparente, osservando come decine di addetti si affaccendassero, con indosso i loro camici bianchi, attorno un enorme anello del diametro di circa tre metri, lo stesso del coperchio in pietra. Nonostante la notevole distanza da cui poteva osservarlo, gli occhi di Hanji brillarono nel notare i dettagli incisi su di esso. Si voltò verso i presenti, raggiante ed eccitata a quella vista sconvolgente e inaspettata.

«Che cos'é?» chiese così velocemente da mangiarsi le parole. Historia le sorrise, facendole cenno di seguirla.

«Il suo Stargate.»

Poche decine di minuti e si trovarono in quella che la svampita ricercatrice avrebbe superficialmente definito "la sala dei bottoni", ma era molto di più: apparecchi ultratecnologici, schermi al led, centinaia di fili che si intrecciavano per collegare i server sulla parete in fondo mentre, attraverso l'ennesima vetrata, lo Stargate sembrava persino più imponente di quanto già non fosse. Più misterioso. Pericoloso.

Un giovane in divisa, dal caschetto biondo e gli occhi cerulei, si alzò immediatamente in piedi nel vedere la bruna.

«Dottoressa Zoë, benvenuta. Io sono Armin Arlert, ho letto i suoi studi e trovo le sue teorie davvero interessanti. Come vede, potrebbero essere fondate.»

La donna si trovò a stringergli la mano, mentre il Comandante Smith faceva il suo ingresso col suo passo imponente.

«Arlert, al tuo posto.»

«Signorsí, signore» il più piccolo chinò il capo, tornando rispettosamente alla propria postazione. Toccando lo schermo, fece partire i bracci robotici che muovevano il cerchio esterno dello Stargate, sul quale erano impressi numerosi simboli. Hanji, grazie alla telecamera che riprendeva dettagliatamente l'oggetto, scrutava il monitor sul quale si susseguivano infiniti disegni. Poi urlò.

«Fermati!»

Il giovane Armin, con la semplice pressione dei polpastrelli, bloccò il movimento del congegno.

«Eccolo, è questo!»

Nascosto sotto il loro naso da sempre, il settimo simbolo comparve dinanzi agli occhi di tutti: tre piccoli anelli, uno dentro l'altro, privi di quei contorni ingannevoli che lo avevano celato fino a quel momento.

«Procedi.»

«Signorsí signore!»

Picchiettando a una velocità inaudita per Hanji, che aveva seri problemi con tutto ciò che possedesse anche solo una pila alcalina al suo interno, il soldato Arlert trascinò il simbolo in una casella laterale denominata "blocco".

«Blocco uno: in posizione.»

Lo Stargate, guidato dai robot, prese a girare nuovamente fino a quando il primo simbolo non venne identificato e fissato da grossi fermi appartenenti al congegno stesso.

«Blocco uno: agganciato.»

«Era questa l'informazione non divulgabile...?»

«Esatto» Historia rispose alla domanda quasi sussurrata di Hanji. «Mio nonno lo trovò vicino il Wall Maria quasi cento anni fa, ormai. Il materiale con cui è stato creato è sconosciuto sul nostro pianeta.»

Mano a mano che la sequenza veniva eseguita, l'ambiente prese a tremare mettendo in allerta l'intero personale.

«Fate liberare la zona!» intimò Levi da un interfono, e le persone ancora presenti nella sala in cui il congegno era custodito evaquarono immediatamente, chiudendo ermeticamente l'hangar alle loro spalle.

«Blocco sette: in posizione.»

I macchinari emettevano segnali acustici preoccupanti, mentre numerose spie luminose lampeggiavano come impazzite neanche fosse Natale. Le braccia robotiche si fermarono nella giusta collocazione, facendo sì che lo Stargate bloccasse l'ultimo tassello del rompicapo. Tutti fremevano, impazienti e intimoriti al tempo stesso.

«Blocco sette: agganciato» disse Armin, la voce tremula per l'emozione nell'assistere a quel che sarebbe accaduto - cosa, non lo sapeva.

Per un istante lungo un'eternità, nessuno emise un solo fiato tenendo lo sguardo fisso dinanzi a loro.

Poi, un'esplosione di energia rimbombò attraverso la struttura e scosse la terra, disturbando persino il loro senso dell'equilibrio. Un vortice d'acqua - o almeno era quel che sembrava - fuoriuscí dall'enorme anello e squarciò l'etere, facendo spostare i carrelli in metallo nelle vicinanze dando l'impressione che potesse risucchiarli da un momento all'altro. Si stabilizzò invece in uno specchio liquido, calmo e cristallino.

La porta delle stelle era aperta.

«Inviate la sonda, presto!»

L'ordine fermo e deciso di Smith quasi spaventò il piccolo pubblico che aveva il privilegio di essere presente a quell'evento straordinario.

Le porte dell'hangar si aprirono e un gruppo di soldati, tra cui Hanji riconobbe Ral, scortò la sonda fino alla passerella puntando le armi verso il congegno. Il robot, cingolando, avanzò lentamente verso la propria missione mentre il drappello si ritirava senza abbassare la guardia e sigillando la zona. Giunto a destinazione, allungò un braccio metallico oltrepassando la superficie inconsistente della bolla, proseguendo per poi svanire nel nulla più assoluto.

«Dov'é finito?» quasi urlò la Dott.ssa Zoë, il palato arido e la gola secca come non mai.

Un ologramma venne proiettato al centro della sala comandi, miriadi di puntini scintillanti disseminati su di un manto scuro, ed eccolo lì: un pallino rosso che schizzava da un estremo all'altro - da una costellazione a un'altra - fino a fermarsi lontano in una zona remota della galassia.

«É...»

Non trovava le parole, troppo stupita da quell'accadimento impossibile sotto ogni punto di vista e contro ogni logica.

«Esattamente» intervenne allora in suo aiuto Historia «É dall'altra parte dell'universo conosciuto.»

Un nuovo boato e il portale si richiuse, come se non fosse mai esistito.


-


Hanji, come poche volte nella sua vita, stava in religioso silenzio. Era quel tipo di persona che difficilmente riesce a stare zitta per più di trenta secondi - e neanche di fila - ma le immagini che aveva davanti agli occhi meritavano il giusto rispetto e ammirazione.

La sonda, ad intervalli regolari, aveva inviato le informazioni raccolte nell'arco delle ultime ore. Ovviamente la prima cosa che aveva rilevato erano i dati atmosferici, simili in tutto e per tutto a quelli del loro pianeta e quindi compatibili con la vita. C'era ossigeno e, anche se il tasso di umidità era scarso, acqua. Poi, le prime foto.

Un altro Stargate.

Una seconda porta delle stelle comunicante con la prima, che permetteva il passaggio tra i due mondi - sempre se di quello si trattava, magari era solo un grosso asteroide. Pulendo i vetri delle lenti con l'orlo della maglia, sotto lo sguardo infastidito del Capitano Ackerman, Hanji scrutò con attenzione i fotogrammi sul tablet che le aveva passato il soldato Arlert.

«I simboli di questo Stargate sono diversi dal nostro» decretò, rivolgendosi dapprima a Historia e poi al Comandante. «Aprirlo richiede una sequenza diversa da quella in nostro possesso.»

«Probabilmente ci sarà qualcosa, dall'altro lato, come il cartiglio presente sul coperchio» aggiunse la bionda, pensierosa.

«Da quando la Legione ha acquisito il congegno nessuno, prima di oggi, era riuscito a portare risultati ragguardevoli, ma il progetto fallisce senza una missione ricognitiva. I miei uomini non sono in grado di interpretare i simboli e non ho intenzione di inviare una squadra col rischio che non faccia mai ritorno.»

Historia, alle parole di Smith, storse il naso pronta ad obiettare: di gente al macello ne aveva mandata eccome, ma una voce alle sue spalle la costrinse al silenzio, sbigottita.

«Posso farlo io.»

Hanji sorrideva come se non stessero parlando di una spedizione militare. Come se non stessero discutendo di un viaggio interstellare ai confini dello spazio. Come se non stesse proponendo di rischiare la propria vita.

Il Comandante Smith cercò le iridi gelide del suo uomo migliore, consapevole di dovergli almeno quella scelta. Se avesse accettato, avrebbe guidato dei soldati - ancora - in quella che probabilmente si sarebbe rivelata una missione suicida.

«Spetta a lei, Capitano» disse soltanto.

Levi tacque, fissando la Dott.ssa Zoë intensamente per poi emettere una probabile sentenza di morte.

«Si unirà alla mia squadra.»


-


Il Capitano Ackerman, prima di ogni spedizione, svolgeva un piccolo rituale scaramantico: preparava delle tazze da tè vuote da riempire con la bevanda calda una volta tornati a casa. A volte qualcuna restava malauguratamente intoccata, ma erano occasioni molto rare. Levi era un soldato attento e scrupoloso, e non lasciava che i suoi uomini corressero più pericoli di quanto già non facessero. Aveva concluso innumerevoli missioni con successo, riportato i suoi sottoposti alle famiglie.

Tranne loro.

Erano partiti in tre, e lui era l'unico superstite.

Non si perdonava di aver fatto ritorno.

Tra tanti che aveva avuto il dovere di proteggere, non vi era riuscito con gli unici per cui desiderava davvero farlo.

Guardò la credenza nel piccolo cucinino della base in cui si era rifugiato, tornando poi a pulire la canna della propria pistola con solerzia.

Niente tazze, stavolta.

«Capitano Levi.»

Historia entrò nella stanza, richiudendo la porta alle proprie spalle. Restò lì, ferma, osservando quel processo minuzioso, quasi ipnotico.

«Signorina Reiss.»

«Volevo darle una cosa, prima che partiate» disse allora, avvicinandosi al piccolo tavolo al quale il corvino era seduto e sfilandosi una catenina dal collo.

Una collana in oro venne poggiata sulla superficie metallica producendo un piccolo suono. Il pendente rappresentava due triangoli inversi, perfettamente intersecati e sovrapposti, che davano forma a una nuova figura dall'aspetto lucente: una stella a sei punte.

«Cos'é? Un regalo d'addio?» le chiese, inarcando un sopracciglio scuro.

«La trovò mio nonno nel luogo del ritrovamento. Mia madre l'ha avuta da lui che era appena adolescente all'epoca, poco più di una bambina. L'ha indossata per anni fino a tramandarla a me, dicendo che mi avrebbe portato fortuna. La riposi in un cassetto, dimenticandomene.»

Si appoggiò al piccolo banco alle sue spalle, posandovi i palmi che si strinsero su di esso in cerca di sostegno. Con lo sguardo basso, persa nei ricordi, proseguí.

«Avevo un compagno. Un Legionario, proprio come lei. Il Comandante Smith, qualche mese fa, lo assegnò a una squadra nelle terre di Marley.»

Il viso di Levi, se possibile, si indurí ancora di più. Non aveva bisogno di sentire il seguito: sapeva benissimo cosa era accaduto, perché anche lui era stato in quel luogo che aveva il tanfo di morte e disperazione.

«Non ho potuto nemmeno piangere sulla sua tomba. Non mi era rimasto niente. Poi» tirò su col naso, stropicciandosi gli occhi col dorso di una mano «aprendo un cassetto, trovai la collana. La indossai, seguendo un impulso del momento. Vomitai dieci minuti dopo.»

La donna allora si accarezzò il ventre leggermente gonfio, sapientemente nascosto dagli abiti larghi che indossava. Una piccola vita cresceva dentro di lei, amata e al sicuro, pronta ad affrontare la crudeltà del mondo che l'aveva privata del padre ancor prima di venire alla luce.

Il corvino tacque, mentre sul viso di Historia scorreva una lacrima che non era riuscita a trattenere.

«Gliela affido, Capitano. Un po' di fortuna serve a tutti, non crede?» gli sorrise, avviandosi verso l'uscita. «Me la darà quando farà ritorno.»

La serratura scattò nel momento in cui l'uscio si richiuse e Levi restò lì ad osservare quel ciondolo strano e antico, ripensando alle parole della giovane che, esattamente come lui, era una sopravvissuta.

Quando lasciò il cucinino, pronto alla partenza, sei tazze erano disposte in maniera ordinata sul piccolo tavolo.


-


La squadra "Operazioni Speciali" era ben allineata nell'area antistante l'hangar in cui era custodito lo Stargate.

Il Capitano Ackerman scrutò i volti determinati dei propri sottoposti, passandoli in rassegna e chiamandoli per nome uno ad uno.

«Erd Yin.»

Pugno destro sul cuore.

«Petra Ral.»

Pugno destro sul cuore.

«Gunther Schultz.»

Pugno destro sul cuore.

«Auruo Bossard.»

Pugno destro sul cuore.

«Hanji Z-»

«ETCIÚ!»

Levi la guardò a metà tra il disgustato e l'impietosito.

«Scusate» borbottò la donna con voce nasale, soffiandosi sonoramente il naso moccoloso «Allergia stellare, suppongo.»

Il gruppetto ridacchiò, tornando serio immediatamente dopo quando udirono i portelloni aprirsi e le sirene lampeggiare.

Il cerchio esterno del congegno ruotava velocemente, fino a che non videro i grossi fermi bloccare in posizione l'ultimo simbolo.

Con un'esplosione di aria e materia il portale si spalancò, caldo e freddo insieme che li investiva con una forte corrente che scompigliò loro i capelli. La sua luce, proveniente dalle profondità dello spazio, si riverberava nell'ambiente creando giochi luminosi sulle pareti bianche.

Ordinatamente, ognuno avanzò sulla passerella seguiti da un carrello robot che trasportava l'attrezzatura necessaria alla loro sopravvivenza, che il luogo fosse ostile o meno.

Levi avrebbe compiuto per primo quel balzo della fede. Con la freddezza che lo contraddistingueva, allungò il braccio verso la bolla liquida oltre la quale c'era l'ignoto. Le sue dita sfiorarono, per poi immergersi e sparire, la superficie: bollente e gelida al tempo stesso, leggera eppure corposa, consistente. Un brivido lo attraversò da capo a piedi, realizzando improvvisamente la portata di quella scoperta. Indugiare ulteriormente non avrebbe comunque cambiato le cose.

Prese un lungo respiro e avanzó, deciso.

Si trovò dall'altro lato e, nel momento in cui i suoi occhi celesti tentarono di mettere a fuoco cosa si nascondesse oltre il mondo da lui conosciuto, il corpo e la sua intera essenza si disintegrarono in milioni di particelle viaggiando alla velocità della luce, attraversando il cosmo e toccando le stelle, seguendo un percorso che lo avrebbe condotto lontano da quella che una volta chiamava "casa".
Si sentì morire per poi rinascere all'altro capo dell'universo, in una galassia remota e solitaria, con la sola preghiera di riportare indietro la propria squadra, sana e salva, un'ultima volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Stargate

 

 



- Capitolo 2 -


Dalla sala di controllo Historia, Moblit e il soldato Arlert - insieme a tanti altri - trattenevano il fiato. Il Comandante Smith invece manteneva la sua solita espressione seria e composta.

Immediatamente dopo il Capitano Ackerman, uno ad uno, l'intera squadra valicò il confine che separava il loro mondo da ciò che si celava all'altro capo dell'universo. La sonda era giunta a destinazione senza danni, ma un corpo umano come avrebbe reagito a un simile viaggio? Cosa sarebbe accaduto?

Hanji fu l'ultima ad avvicinarsi allo Stargate.

Quella luce, quasi pura e candida, si rifletteva sulle lenti dei suoi occhiali. Il viso della donna era concentrato, assorto, rapito da uno spettacolo tanto bello quanto misterioso. Il suo cervello tentava di elaborare scientificamente cosa stesse accadendo, ma lo stupore che sentiva dinanzi a quello che poteva essere definito un miracolo la lasciava completamente attonita, senza parole.

Con cautela, allungò la mano per toccare la bolla di pura energia sprigionata dalla porta delle stelle, ritraendola subito dopo. La percezione di caldo e freddo insieme, così intensi, l'aveva portata a indietreggiare. Se l'avesse oltrepassata, sarebbe morta scottata? Assiderata? O forse entrambe...? Non lo sapeva.

Inspirò profondamente, saltellando sul posto per sciogliere i muscoli di gambe e braccia resi rigidi per la tensione e, sotto gli occhi di tutti, balzò in avanti.

Percepì distintamente il suo corpo disintegrarsi in milioni - miliardi - di piccoli frammenti che velocemente la scaraventarono nelle profondità del cosmo. Nonostante non possedesse più una forma fisica, i suoi pensieri e i suoi sensi rimasero intatti e percepì il gelo dello spazio trafiggerla come mille aghi, mentre superava a velocità inaudita le stelle che formavano la prima costellazione, annichilita dal loro calore, poi la successiva e un'altra ancora fino a che scorse una luce la quale, sempre più vicina, la avvolse privandola persino di sè stessa.

Quando rinvenne - erano trascorsi pochi secondi o mille anni...? - tremava incessantemente sotto lo sguardo serio di Levi che, inginocchiato accanto a lei, tentava di frenare quello spasmo incontrollato dovuto allo shock del viaggio. I suoi abiti, le sue carni, fumavano come una bistecca sulla brace in netto contrasto col freddo che sentiva scuoterla facendole battere i denti come un paio di nacchere.

«É tutto a posto, ce l'ha fatta.»

Hanji scattò in avanti gettandogli le braccia al collo, sbilanciandolo e facendogli perdere l'equilibrio, alla ricerca di un contatto umano, il quale la rassicurasse che - - era ancora viva. La consapevolezza che il suo corpo avrebbe potuto disperdersi nello spazio o ricomporsi nel modo sbagliato l'aveva infine colta come un fulmine a ciel sereno. Si staccò bruscamente dall'uomo solo per toccarsi insistentemente il viso.

«É tutto al suo posto, tranquilla. Se dovesse spuntarle un terzo occhio sulla fronte sarete la prima a saperlo» le disse il Capitano, rimettendosi in piedi per poi ripulirsi dalla polvere con un moto di stizza mal celata. La bruna rise, scaricando tutta la tensione che sentiva in quel suono sgraziato, guardandosi finalmente attorno.

L'intera squadra era lì, apparentemente sana e salva, che caricava i fucili coi sensi allerta. Si trovavano ai piedi del secondo Stargate in quella che appariva come una camera in pietra, la cui superficie era così liscia e levigata da sembrare non vi fosse alcuna intercapedine o blocco a formarla. Levi imbracciò la propria arma, diretto verso la rampa che conduceva all'unica uscita.

«Schultz, Yin: seguitemi.»

I tre soldati fecero capolino all'esterno, pronti a far fuoco, trovandosi sotto il sole cocente - o qualunque fosse il nome di quella nuova stella a illuminare il loro giorno. Chilometri di deserto si estendevano tutt'intorno, nessun segno di vita che desse loro motivo di preoccupazione, e si concessero il tempo di guardarsi attorno mentre anche la Dott.ssa Zoë, aspramente rimproverata da Ral al suo seguito, li raggiungeva in preda alla curiosità che la stava divorando viva.

Sabbia cocente fin dove arrivava lo sguardo e un caldo asfissiante che la costrinse a sbottonare il colletto della divisa militare assegnatale. Infine si voltò per osservare il luogo da cui erano venuti e trattenne a stento un gridolino d'eccitazione: un enorme arco, simile in tutto e per tutto a quello presente negli scavi di Shiganshina, affondava le sue fondamenta in quel posto isolato e inospitale; ai lati dell'ingresso erano presenti mura consunte e levigate dai venti sabbiosi, diroccate fino a sgretolarsi inesorabilmente per unirsi al deserto; in alto nel cielo, privo di qualsiasi nuvola e dalle tinte rossastre, tre lune svettavano quasi stessero rincorrendosi tra di loro. La voce del corvino la riscosse, riportando la mente della donna alla realtà.

«Instaurate un perimetro, vi concedo un'ora. Provo a fare rapporto al Comandante.»

Levi si inoltrò nuovamente in quel cubicolo, scavato alla base di ciò che restava di quel muro il quale, tempo addietro, avrebbe certamente raggiunto un'altezza elevata. Enorme, imponente. A cosa serviva...?

Andò ad accendere il dispositivo per le comunicazioni ma, esattamente come preventivato, ogni tentativo di lasciare almeno un messaggio fu assolutamente inutile. Si passò stancamente una mano sugli occhi per poi posarli su di una cassa ben sigillata, sul fondo del carrello con i loro beni e i rifornimenti. Se ne sarebbe occupato non appena rimasto solo.


-


«Che cazzo vuol dire "non posso attivarlo"?»

Erano trascorse alcune ore dal loro arrivo. La Squadra Operazioni Speciali aveva svolto il proprio dovere, preparando l'accampamento e sistemando armi e munizioni in modo che fossero facilmente utilizzabili nel caso si fossero trovati faccia a faccia con forme di vita ostili.

La Dott.ssa Zoë aveva vagabondato in autonomia, studiando le rovine in superficie e la posizione degli astri che adornavano il cielo di quel luogo misterioso, per poi essere riportata bruscamente alla realtà da Levi che, con poca gentilezza, l'aveva invitata a muovere il culo per decifrare la nuova sequenza del secondo Stargate. I suoi ordini erano precisi e li avrebbe rispettati, meticoloso come sempre. Ma, quando la ricercatrice aveva cercato il coperchio su cui avrebbero dovuto essere incisi i simboli necessari, l'aveva attesa una sgradita sorpresa.

«Qui non c'è niente. Posso decifrare i segni sul portale, ma senza l'esatta sequenza di successione trascorreranno anni prima che io individui quella corretta.»

«Mi sta mentendo per andarsene a zonzo a ficcanasare?» domandò aspramente il Capitano: era più che certo che la sete di conoscenza della bruna, prima o poi, li avrebbe messi nei guai.

«No, avevo solo dato per scontato di trovare un coperchio anche qui, mea culpa..!» ridacchiò Hanji. «Potremmo cercare altri segni di civilizzazione, insomma non andiamo mica di frett-»

«Il suo compito è riallineare lo Stargate, Dottoressa Zoë. Lo sa fare, sì o no?»

«... Allo stato attuale delle cose, mi è impossibile aprire il varco.»

I soldati lì presenti reagirono ognuno in maniera differente: chi taceva, chi imprecava, chi si era seduto in preda allo sconforto. Il corvino invece, apparentemente, non aveva perso la calma.

«Non ci muoveremo da qui. Tra un mese il Comandante darà ordine di attivare lo Stargate alla base. Dobbiamo solo aspettare.»

«Se saremo ancora vivi, ovvio...»

«Hai detto qualcosa, Bossard?»

«No, signore!» scattò immediatamente in piedi quest'ultimo.

«Ehm, tecnicamente sarebbe inutile» si intromise la donna, sollevando il dito indice. «Temo che il viaggio, in tal caso, sarebbe a senso unico in questa direzione e viceversa, ergo: se non apriamo il nuovo Stargate, siamo spacciati...!»

«Allora inizi a lavorare.»

Hanji tremò, sotto lo sguardo assassino di Levi che si allontanò poco dopo. Tutti esalarono un profondo sospiro, non appena l'uomo fu all'esterno.

Petra si avvicinò alla bruna, posandole una mano sulla spalla curva a causa della postura affranta. Era partita per essere d'aiuto, invece aveva finito per essere solo un peso.

«Non si preoccupi, Dottoressa. Abbiamo fiducia in lei, ma soprattutto nel nostro Capitano.»


-


Hanji affondava i piedi nella sabbia, alternando movimenti circolari a calci energici, i quali sollevavano i numerosi granelli creando un velo color ocra che si dissolveva in un battito di ciglia.

Rimunginava con esasperante costanza su come risalire - in tempi brevi - alla sequenza necessaria ad aprire la porta delle stelle, quando udí per la prima volta un suono che non fosse quello del vento. Si incamminò verso la duna, oltre la quale proveniva quello strano verso, sentendosi mancare per la gioia non appena lo intravide: grosso, peloso e soprattutto bavoso. Un animale indigeno.

Trattenendo un urlo, si scapicollò letteralmente verso la bestia - un incrocio tra un cammello, un bisonte e una pecora mai tosata -, arrivandole pericolosamente a un soffio dal muso umido. Gli occhi della donna brillavano, arsi dalla sete di conoscenza, mentre carezzava cautamente l'animale.

«Ciao, bel giovanotto, come siamo belli!» gli disse, notando che si stesse nutrendo di erba da un cespuglio secco e striminzito, macerando lo scarso fogliame con lento impegno; sul suo dorso una sella in pelle, consunta e scolorita, e alla mandibola il morso delle redini.

Qualunque fosse la sua provenienza, era evidente fosse addomesticato.

La studiosa, facendo scorrere le dita sulle briglie, andò a pettinargli il fianco fino a giungere al punto in cui darsi lo slancio e montarlo.

Nel frattempo, Levi si era accorto della sua assenza.

«Ral e Bossard, con me. Dove diamine si sarà cacciata quella squinternata...!»

Cercarono intorno all'accampamento senza ottenere risultato, fino a che non udirono qualcosa che somigliava molto a una bestemmia. Corsero verso la duna, imbracciando i fucili carichi, trovandosi di fronte una scena a dir poco aberrante.

Hanji, a testa in giù, appesa per la caviglia ad un asino troppo cresciuto.

«Che cazzo fai, maledetta quattrocchi! Ti avevo detto di non abbandonare il campo, porca puttana! Staccati da quel coso, ora!» le intimò, abbandonando ogni formalità.

«Non preoccuparti, non è aggressivo!» rise la donna, forse divertita dal fatto che vedesse il Capitano sottosopra. «Qualcuno lo ha perso, vero piccolo?»

Schioccò la lingua ripetutamente, tre-quattro volte, come se stesse richiamando un gatto.

Madornale errore.

La bestia si lanciò in una folle corsa, addentrandosi nel deserto, con la Dottoressa saldamente incastrata all'imbracatura che avrebbe dovuto aiutare a governarlo.

«AIUTOOOOOO!»

«Cazzo...!»

Levi scivolò nella sabbia, lanciandosi all'inseguimento dell'animale, con Bossard alle calcagna mentre Ral comunicava via radio la situazione a Yin e Schultz, intimandogli di tenere il perimetro sicuro. Non sapeva quando e se sarebbero tornati...

 

-


Sentiva la pelle scottare, le narici piene di polvere e la schiena completamente a pezzi, perciò l'improvvisa frescura la fece mugolare di piacere. Qualcosa di morbido e bagnato veniva passato con insistenza sul suo viso, dandole profondo sollievo, finché non riuscì ad aprire gli occhi, le lenti storte e graffiate.

Hanji si ritrovò faccia a faccia col suo rapitore improvvisato, che le leccava il volto con estrema cura e dedizione.

«Dottoressa, sta bene?!» la voce di Ral giunse alle sue orecchie, mentre si metteva seduta accarezzando la testa dello strano animale.

«S-sí, credo di sì...» rispose ancora piuttosto stordita, guardandosi poi attorno: il paesaggio era leggermente cambiato, offrendo alla vista qualche palma e piccoli sprazzi di vegetazione.

Un'oasi.

Aiutata dal soldato giunto in suo soccorso, la bruna provò a reggersi sulle proprie gambe barcollanti, trovando Bossard e Ackerman appostati in prossimità di un enorme masso. Scrutavano oltre la roccia, silenziosi e guardinghi.

«Sono davvero tanti...»

«Ti stai cagando addosso?»

«N-no, è solo che-»

«Tch...!»

Il corvino lasciò lì il sottoposto, avvicinandosi ad Hanji con fare irritato.

«Sei viva?»

«Sí, io- AHIA!» lo scappellotto che ricevette aumentò, se possibile, il suo mal di testa.

«Che cazzo ti dice il tuo cervello di merda?! Ti ci sei pulita il culo con la laurea per caso? Come ti è saltato in mente di avvicinarti a questo coso!» l'uomo imprecò, adirato, gesticolando verso la bestia che, indifferente, si era distanziata di poco e brucava col muso un piccolo appezzamento verde.

«Cosa facciamo, Capitano?» chiese Ral, preoccupata.

«Potrebbero essere armati e siamo in inferiorità numerica. Torniamo all'accampamento.»

«Armati...? Chi-»

«C'é vita nell'universo oltre al tuo stupido animale, quattrocchi, e l'abbiamo appena trovata.»

Levi si voltò per richiamare Bossard, ancora di vedetta, quando l'essere peloso lo spintonò, superandolo, trascinato per le redini da Hanji che già si sbracciava.

«Ehilaaaaaaà!»

«Porca troia, fermati!!» l'uomo la rincorse, fucile puntato e pronto a far fuoco, mentre la donna correva imperterrita verso i presunti alieni.

Centinaia di occhi, all'unisono, si sollevarono su di lei.

Uomini, donne, bambini. Gli abitanti del luogo non avevano le corna o la coda bensì le fattezze di comuni esseri umani, esattamente come loro. La pelle scura e impolverata, vestiti in abiti logori e grezzi, setacciavano il deserto malamente riparati dal sole grazie a dei tendaggi, intrecciati e variopinti, sopra le loro teste. Videro Hanji oltrepassare le dune, stranamente abbigliata e con uno dei loro animali al seguito, e si fissarono basiti. Dietro di lei, individui ugualmente pittoreschi la seguivano con strani oggetti tra le mani, le espressioni serie e minacciose.

La studiosa giunse in quello che sembrava un sito di scavi, dove stipate in grosse ceste venivano depositate numerose pietre scure.

«Buongiorno a tutti!» esclamò la donna, facendo sussultare uno dei tanti bambini presenti, ai margini della miniera. «Questo piccoletto deve essere vostro, dico bene?» disse, riferendosi alla bestia pelosa.

Levi giunse al suo fianco, l'arma tra le mani e il volto livido di collera; sembrava che niente andasse per il verso giusto, quella giornata. Fissò i presenti uno ad uno, cercando un possibile segnale di pericolo che però non accennava ad arrivare. Per ultimo, si soffermò sul moccioso inginocchiato nella sabbia, proprio di fronte a lui: all'incirca di dodici anni, biondo e dagli occhi nocciola, il viso sporco per via dei residui di quello strano minerale che estraevano con tanta fatica e mezzi così scarsi.

«Capitano, è lo stesso materiale appartenente allo Stargate» lo informò Ral, che analizzava le rocce raccolte dai nativi grazie a un dispositivo portatile.

«Che lo abbiano costruito loro...?» si chiese Hanji.

«Non dire cazzate, sono primitivi. È palese che non dispongano di una simile tecnologia..!» sbuffò il corvino, scoccandole un'occhiata di sufficienza. Stava per aggiungere altro, quando un grido acuto scosse i suoi sensi facendogli puntare il fucile verso la fonte di quel suono.

Il ragazzino biondo tremava, il dito indice verso il petto dell'uomo, in preda al terrore più totale.

«Eαɾʂʂυɱ ɳσιι!» esclamò.

Tutti, nel notare il suo gesto e udire le sue parole, schiusero la bocca emettendo un verso di paura e timore, inchinandosi al suolo quasi stessero pregando una divinità. Il piccolo, infine, fuggì veloce come una scheggia quasi avesse il diavolo alle calcagna, diretto chissà dove oltre la folla che li attorniava.

«Accidenti Capitano, lo ha spaventato come si deve...!» ridacchiò Bossard, colpito subito dopo da una gomitata di Ral che lo guardava storto da sotto le lunghe ciglia.

«Credo il motivo sia un altro...» intervenne allora la Dott.ssa Zoë.

Tutti seguirono la direzione in cui puntava il suo sguardo, scorgendo un'enorme figura in oro puro svettare tra i tessuti colorati, quasi fosse un monito: una stella a sei punte, la stessa che pendeva al collo di Levi in quel momento, sfuggita alla sua divisa durante la corsa.

«Bijoutteria all'ultimo grido» rise la bruna, e il Capitano tentò di reprimere l'istinto di strozzarla lì sul posto.

«Che diavolo significa questo disegno?» chiese, quasi ruggendo. Hanji, ancora redini alla mano, fece spallucce.

«Semplicemente è il simbolo di Ymir, Dio della Luce. Forse, ti hanno scambiato per un suo messaggero..?»

«Non sono un cazzo di fattorino!»

«Beh, fingi di esserlo perché a quanto pare avremo un trattamento di riguardo.»

Le persone, ancora con la fronte sulla sabbia, fecero spazio nell'udire la voce di un uomo, alto e dai lunghi capelli castani, avanzare tra di loro: il suo passo era deciso, lo sguardo serio e attento; al collo dei monili in osso, e nel pugno destro un bastone lavorato.

Levi e Hanji se lo ritrovarono davanti, la ricercatrice che tratteneva il fiato per l'emozione mentre il militare lo fissava con espressione impassibile. Finalmente, il nuovo arrivato parlò.

«Oιɳα ιʅɱ ɳιԃ ҽʋασ ʂσƚ ɾαɾԃ...?»

«... Che cazzo ha detto?» sibilò il corvino.

«Non le ho la più pallida idea!» gli rispose la donna sorridendo, gioviale, a trentadue denti.

«Non servi proprio a niente, ci farai solo uccidere...» affermò allora il Capitano, il quale nel frattempo osservava sospettosamente alcuni individui avvicinarsi alla sua squadra con delle ciotole di un liquido che, all'apparenza, poteva essere acqua. «Non bevet-»

«Ahhhhh~! È freschissima, ci voleva proprio, grazie mille!»

Hanji si ripulí la bocca umida con il polso della giacca, sospirando appagata da quella bevanda così comune ma fortemente desiderata per via del caldo asfissiante. Levi, Petra e Auruo la fissarono una decina di secondi, interdetti.

«Beh? Avevo sete!»

«Non è ancora schiattata, forse è potabile» sentenziò l'uomo, portando la propria attenzione sulla figura incappucciata che gli porgeva il meritato refrigerio. Qualcosa però lo scosse nel profondo.

Celate nella penombra garantita dalla stoffa logora a coprirgli il capo, due iridi lo trafissero come lame acuminate: talmente verdi da somigliare a gemme preziose e così infuocate da sembrare braci ardenti, originarie degli abissi dell'inferno. Lo fissavano, minacciose eppure audaci, invitandolo a servirsi di ciò che reggeva tra le mani, scure e rovinate dal faticoso lavoro di estrazione. Gli sembrò di scorgere un sorriso piegare le labbra del suo ospite, lanciandogli una vera e propria sfida.

Levi, senza distogliere lo sguardo, allungò le mani verso la ciotola in terracotta, sfiorando così le dita dell'altro che parve rabbrividire in risposta. Forse, non era così spavaldo come fingeva di essere. Si portò il recipiente alle labbra, trangugiando il liquido chiaro in pochi sorsi per poi restituirlo al proprietario. Non era mai fuggito di fronte a niente, sul proprio pianeta, e non avrebbe di certo cominciato a farlo in quel buco di culo dell'universo.

Con un verso di disappunto lo sconosciuto si riprese la scodella, allontanandosi con fare irritato, inseguito dal ghigno sul volto del corvino.

Storditi dalle chiacchiere di quello che riconobbero come capo tribù, si convinsero a seguire la carovana, intenzionati a scoprire quanto evoluta fosse la loro civiltà e se potevano esser loro d'aiuto nella ricerca della sequenza per attivare lo Stargate.

 

-


Il viaggio fu lungo ed estenuante, tanto che il giorno lentamente venne sostituito dall'approssimarsi della sera.

Quando Hanji intravide la destinazione, finalmente a portata di sguardo, non riuscì a trattenere l'urlo di gioia che le esplose a pieni polmoni.

«Guardate!» fece, indicando dinanzi a sé.

Un enorme muro, alto una cinquantina di metri, si ergeva imponente e terrificante, simile in tutto e per tutto al Wall Maria e ai resti sotto ai quali erano "atterrati". L'arco d'ingresso li accolse, lo stemma di Ymir ricamato sui drappeggi, entrando in una vera e propria cittadella situata ai piedi della gigantesca costruzione, le cui abitazioni erano state costruite in pietra grezza e fango: un contrasto netto, rispetto al materiale di cui era costituita l'opera muraria.

Il pensiero che attraversò immediatamente la mente di Levi, nel constatare quel dislivello conoscitivo, fu che il muro gli ricordasse troppo una recinzione: se per proteggere i suoi abitanti o rinchiuderli, questo non lo sapeva.

La squadra venne fatta rinfrescare nei pressi di un piccolo pozzo. Lavati alla meglio, furono loro offerti degli indumenti puliti - per quanto la sabbia desertica e le condizioni igieniche consentissero - ma i soldati rifiutarono categoricamente di indossarli. Hanji, invece, cedette ancor prima che le venissero allungati.

«Oh sì, accetto volentieri!»

Ricomparve poco dopo, vestita in un sari grossolano e dalla stoffa povera, abbellita da piccoli ninnoli e coi capelli raccolti in un'acconciatura decisamente più ordinata rispetto a quella usuale.

«Come sto?!» domandò, girando su sé stessa.

«Sembri una donna, hai fatto un salto di qualità» le rispose Levi, dedicandole una breve occhiata per poi guardarsi attentamente intorno. La prudenza non era mai troppa. Petra e Auruo ridacchiarono mentre la Dott.ssa Zoë si portava le mani ai fianchi, fiera del complimento appena ricevuto.

Il capo tribù, incredibilmente cerimonioso e col capo chino, li condusse a un banchetto preparato appositamente per loro. Parlava, tentando di instaurare un dialogo, senza purtroppo ottenere alcun risultato. Hanji rispondeva nella propria lingua, suscitando stupore a ogni nuovo suono o ilarità, fino a quando si ritrovò ad assaggiare un distillato che, dall'odore, sembrava fortemente alcolico.

«Fossi in lei non lo berrei...» le consigliò Petra, tentando di distoglierla da quel proposito.

«Suvvia, riscaldiamo l'atmosfera! Abbiamo scoperto un nuovo mondo, forse la civiltà che ha dato origine alla nostra! Meritiamo di festeggiare!»

Mezz'ora più tardi, rideva sguaiatamente e col volto arrossato a braccetto col capo tribù, suo degno compagno di bevuta. Erano fradici come spugne, davanti al falò sul quale strani animali venivano cotti e offerti loro su piatti decorati con frutti esotici ed erbe aromatiche.

I più piccoli, curiosi, si erano avvicinati per osservare quella strana donna così allegra, e studiare al contempo l'emissario del loro Dio. Una ragazza in particolare, con uno scialle rosso al collo, lo fissava con evidente fastidio.

«Ho un gran mal di testa...» sbuffò il corvino, passandosi una mano sugli occhi.

Nel notare quel gesto, l'uomo dai lunghi capelli castani sembrò tornare improvvisamente sobrio.

«Sƚισ ҽƚƚ αϝҽ ιƈαϝα?»

«Non capisco un accidenti di quello che stai dicendo.»

«Oɱƚσʅσʂ ɾσƚ σʋιʋ ɾσɳ ԃιʂ» concluse, alzandosi e invitando il Capitano a fare altrettanto.

«Che cazzo vuole, Hanji?»

«Non lo sho ma non lo contra- contra- contrariare...!» sbottò al terzo tentativo di articolare la parola designata, ridendo subito dopo.

Levi, afflitto, seguí l'individuo che lo invitò ad accomodarsi in una tenda poco distante. La stoffa colorata era di una tinta calda, il pavimento sabbioso disseminato di cuscini variopinti e impreziositi da ricami; sul fondo, un giaciglio comodo adornato da fiori secchi e petali profumati; un'essenza dall'odore dolciastro impregnava l'aria, rendendola accogliente e invitante. A quella vista, pensò che volesse sistemarlo per la notte. Uno sfarzo inutile, era pronto a dormire persino sulle rocce se necessario.

«Dove riposeranno i miei uomini?»

«Vσƚ ρσ αʂҽɾԃ ƚƚσσƚυʂҽɳ ιιʅϙҽʂ» disse, facendogli cenno di aspettare per poi defilarsi oltre il lembo di stoffa che celava l'ingresso.

«Cristo, questa storia della lingua è uno strazio...!»

Attese qualche istante, battendo spazientito il piede al suolo e incrociando le braccia, quando sentí discutere animatamente al di fuori della tenda. Stava per uscire ma non fece in tempo a mettere in pratica quel pensiero: una figura venne praticamente scaraventata all'interno, cadendogli letteralmente addosso.

Il Capitano la afferrò per le spalle e, nel momento in cui questa sollevò il viso, un brivido gli percorse la schiena e il respiro gli mancò per un attimo. Smeraldi puri lo scrutarono, dapprima intimoriti e poi con astio, mentre si rimetteva velocemente in piedi frapponendo tra loro una certa distanza. Il cappuccio scivolò via, e comparve il volto di un ragazzo dai capelli castani e la pelle color caramello; gli zigomi alti, le orecchie decorate da piccoli orecchini dorati; la bocca, dalle labbra piene, era piegata in una smorfia sconfitta mentre gli occhi, grandi e luminosi, erano velati da collera e vergogna.

Il corvino non capiva il motivo della sua presenza. Era lì per fargli la guardia...? Doveva considerarsi prigioniero?

Strabuzzò quindi gli occhi quando, con un gesto secco, il giovane rimosse completamente gli indumenti che aveva indosso - piuttosto elaborati rispetto a quelli dei compaesani -, restando nudo di fronte a lui.

Levi, stravolto, osservò per un istante il corpo che gli veniva mostrato dal castano il quale, col viso arrossato e le palpebre serrate, attendeva che facesse di lui ciò che più gli aggradava. Poi il suo cervello registrò l'accaduto e l'evidente significato: gli avevano offerto uno schiavo del piacere.

Con fretta e malagrazia, raccolse le sue vesti coprendolo come meglio poteva, digrignando i denti. Come osavano trattare un essere umano in quel modo?! Persino ai confini dell'universo non si aveva rispetto per la dignità altrui?

«Copriti, svelto!»

Il giovane restò sorpreso, guardandolo con le sue iridi di giada nel goffo tentativo di rivestirlo, completamente immobile. Il suo stupore era palese, quasi tangibile, mentre il corvino cercava di toccare la sua pelle infuocata il meno possibile. Quando lo ritenne coperto a sufficienza uscì dalla tenda come una furia, trovandosi faccia a faccia col capo tribù che pareva attendere qualcosa: i suoi versi di godimento, magari.

«Rҽɾσ ιʂιɳα ƚƚαʅҽ? Aισԃ ɠσႦʅ ʋҽƚɳҽ?»

«Maledet-» iniziò l'uomo pronto ad aggredirlo, ma fu fermato da Petra un secondo prima che caricasse il suo gancio destro.

«Si calmi, Capitano...! Non so cosa sia successo, ma sembrano avere solo buone intenzioni!»

«Livaaaaaai, fai l'educato...!» biascicò Hanji, singhiozzando l'attimo seguente suscitando le risa dei bambini lì presenti. Erano tanti. Troppi.

Se avesse scatenato una rissa e il popolo fosse insorto, forse avrebbero potuto cavarsela. Erano addestrati. Erano armati. Ma cosa ne sarebbe stato di quelle anime innocenti...?

«Tch!»

Il capo tribù nel frattempo, ignaro del pericolo appena corso, tentava di sbirciare all'interno della tenda. Sul suo viso, un'espressione preoccupata ma soprattutto fortemente contrariata. Gli era chiaro che il benedetto di Ymir non avesse accettato il dono fattogli, e sembrava intenzionato a prendersela col povero malcapitato con cui avrebbe dovuto sfogare i suoi bisogni. Levi non voleva dargli una scusa per umiliare il ragazzo più di quanto non avesse già fatto.

La mascella tesa e gli occhi ridotti a due fessure gelide, gli afferrò la mano scuotendola in segno di ringraziamento, tornando poi all'interno del suo alloggio. L'altro, stranito, si fissò il palmo qualche istante, attorniato subito dopo dalla sua gente che emetteva gridolini di meraviglia: il loro capo era stato toccato dal messaggero del Dio.

Quando Levi fece capolino oltre gli strati di tessuto che ricoprivano la tenda, fu colto alla sprovvista nonostante i suoi riflessi solitamente pronti.

Pouff...

Silenzioso e letale, il cuscino ricadde al suolo con un tonfo morbido immediatamente dopo aver colpito il volto pallido del soldato, sollevando una nuvoletta di polvere sabbiosa. I suoi occhi di ghiaccio andarono a posarsi sul proprio aggressore che, decisamente più a suo agio, si era seduto sul letto a braccia e gambe incrociate; teneva il viso, incorniciato da piccole trecce castane che spuntavano dalla sua chioma disordinata, voltato in una posa sdegnosa e offesa, il naso all'insú e le labbra serrate.

Non si aspettava minimamente che il missile gli venisse restituito, se possibile, con maggior forza di quanta ne avesse usata, facendolo sbilanciare e perdere l'equilibrio.

I guanciali lo accolsero con uno sbuffo, raggiunti dalle mani di Levi che, ai lati della testa del giovane, lo fissava severo.

«Non farmi pentire di averti protetto, moccioso. Sono più pericoloso di quanto tu creda.»

Il suo tono di voce, basso e ferale, fece fremere il ragazzo che deglutí a vuoto: non aveva compreso le parole, ma il messaggio gli era arrivato chiaro e limpido.

L'uomo lo liberò da quella posizione, andando a sedersi su di uno sgabello in legno poco distante sotto lo sguardo vigile del giovane. Gli avrebbe lasciato il letto; a terra per lui vi erano cuscini a sufficienza affinché stesse comodo.

Le iridi del castano, di quel verde così intenso, non lo abbandonavano un attimo, facendo sentire il Capitano a disagio: era da tempo che non si trovava a stretto contatto con qualcuno, gli ultimi erano stati...

Si passò una mano sul viso, stanco.

«Come ti chiami...? Che stupido, tanto non capisci un cazzo di quel che dico...»

L'altro lo scrutava, attento eppure curioso. Il corvino indicò il proprio petto, facendo un ultimo tentativo.

«Levi. Io sono Levi.»

Il ragazzo imitò i suoi gesti, puntando un dito verso sé stesso.

«Lι-ʋαι...»

«No, no» scosse la testa l'uomo, picchiettando ripetutamente sul torace. «Io sono Levi. Levi.»

Il giovane sembrò capire, ma gli parve titubante. Poi udí la sua voce emettere un suono nuovo, e in quell'angolo di universo gli sembrò che finalmente qualcosa avesse di nuovo un senso.

«E'ɾҽɳ... E'ɾҽɳ.»

 

-


L'intero villaggio si era assopito, ad eccezione di coloro che avevano il compito di vigilare l'ingresso dell'enorme muro e del capo tribù che era rimasto vicino al fuoco. Petra ed Auruo, poco distanti, riposavano l'una tra le braccia dell'altro, mentre Hanji osservava i ciocchi di legno ardere. Le fiamme si riflettevano sulle lenti rovinate dei suoi occhiali, suscitando mal celata curiosità nell'uomo al suo fianco. La donna li sfilò, porgendoglieli, e lui li prese con titubanza, studiandoli come incantato.

Quando provò a indossarli le sue iridi verdi, ingrandite dalle lenti concave, si sgranarono per lo stupore. Toccò, meravigliato, un minuscolo residuo di cibo sul volto della ricercatrice, osservandolo sulla punta del proprio dito come fosse qualcosa di straordinario, quasi lo vedesse per la prima volta. Probabilmente, l'uomo era miope e la sua vista non era delle migliori. Ora che era nitida, però, ad Hanji balenò in mente un'idea: in fondo, la comunicazione non poteva essere esclusivamente verbale.

«Guarda qui!» gli disse, afferrando un bastoncino a iniziando a creare piccoli solchi nella sabbia. Disegnò l'arco di pietra e un anello, a simboleggiare lo Stargate, ma il capo tribù cancellò immediatamente con la suola del proprio sandalo ogni cosa. La Dott.ssa sollevò lo sguardo, e nei suoi occhi lesse solo paura. Provò di nuovo a comunicare in quel modo semplice e antico, ottenendo solo il medesimo risultato.

Levi uscì dalla tenda. E'ren, dopo il tentennamento iniziale nel coricarsi col corvino a pochi passi da lui, dormiva placidamente in quello che avrebbe dovuto essere il suo letto; sentiva l'esigenza di respirare aria pulita e non più incensi melensi. Vide il leader di quella gente, povera e onesta, restituire gli occhiali ad Hanji per poi defilarsi velocemente.

«Hai scoperto qualcosa?» le chiese, andandole incontro.

«Sì, è così» gli rispose, indossando nuovamente le lenti. «A questo popolo è proibito scrivere.»

Il Capitano inarcò un sopracciglio, pensieroso.

«Perché?»

«La domanda più interessante sarebbe da chi...»

Il chiudersi improvviso delle enormi porte in legno a sigillare le mura, li fece sobbalzare.

Una tempesta era in arrivo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Stargate

 

 

 

 

- Capitolo 3 -


La tormenta fu violenta, impietosa, implacabile. Nonostante le mura proteggessero gli uomini al suo interno dal vento impetuoso, nulla potevano contro la sabbia che, minuscola e subdola, cadeva dall'alto e si infiltrava attraverso l'enorme portone in legno. Era tanta, troppa: pericolosa per gli occhi, letale da respirare. Il capo villaggio, così, invitò tutti a lasciare le loro abitazioni, già precarie e malandate, per rifugiarsi in un edificio all'apparenza più solido. Hanji, Levi, Petra ed Auruo furono scortati all'interno della struttura grezza e antica, dove la tribù si sistemò al meglio. Le stanze erano poche, in favore di un enorme spazio comune dove poter vivere a stretto contatto con la propria gente, e quelle disponibili furono assegnate senza esitazione ai graditi ospiti dei nativi.

Levi venne condotto in quella che, all'apparenza, era in condizioni migliori, non senza che fosse prima munita di cuscini, incensi e fiori profumati. Quell'usanza, che a quanto sembrava era riservata solo a lui, iniziava a dargli sui nervi. L'aria, in quel luogo, filtrava appena da alcune aperture accuratamente ricoperte di stoffa affinché impedissero il passaggio ai granelli sabbiosi, e l'odore forte proveniente dai bastoncini che ardevano nel suo alloggio gli causava un fastidioso mal di testa. Li spense con l'aiuto di un sasso, sventolando la mano in modo da disperdere il fumo rimasto, quando l'elaborata tenda a fungere da porta venne sollevata.

E'ren, il viso scuro e gli occhi brillanti come smeraldi, fece capolino tenendo un recipiente tra le mani. Si era cambiato, liberandosi degli abiti che aveva indosso quando era stato offerto al corvino la sera prima, vestendo indumenti più umili e simili a quelli del suo popolo. Quel giorno, se possibile, gli sembrava ancora più giovane di quanto già non fosse. Sorreggeva col palmo una ciotola in terracotta ricolma d'acqua, con l'espressione di chi desiderava trovarsi ovunque tranne che lì.

L'uomo sospirò; in fondo, lo capiva.

«Vieni avanti, non mordo» gli disse, facendogli cenno di avvicinarsi notando la sua titubanza nel fare il suo ingresso.

Il ragazzo, con lo sguardo basso e la fronte aggrottata, avanzò verso di lui. Tentava di non darlo a vedere ma lo osservava di sottecchi, quasi fosse pronto a scattare a un suo minimo movimento. Levi trattenne un sorrisetto, divertito: se avesse voluto fargli qualcosa non solo avrebbe approfittato di lui durante la notte appena trascorsa, ma il castano non avrebbe potuto far nulla per opporsi.

Il giovane indigeno poggiò l'utensile all'interno di un'intercapedine scavata nel muro farinoso, tenendolo d'occhio; infine, sollevò il volto con fierezza. Voleva dimostrare di non temere il messaggero di Ymir, di poterlo fronteggiare a testa alta, e il soldato incatenò il proprio sguardo al suo: l'acciaio squarciò il cielo, l'estate sciolse il gelo dell'inverno, e per un istante tutto restò completamente immobile; nessun suono a disturbare quella sfida dalla quale nessuno dei due era intenzionato a uscire in qualità di perdente; il tempo si era fermato, piegandosi al loro tacito volere, mentre si studiavano come predatori in procinto di azzannare la propria preda.

Il clangore improvviso, dovuto al brusco impattare di un piatto lí accanto, fece sussultare entrambi.

Una nativa dai capelli color pece, giunta con quelli che parevano datteri e frutta secca, guardava Levi con profondo risentimento. Se lo sguardo avesse potuto uccidere, di certo l'uomo sarebbe morto decapitato se non peggio. Lei sola, tra tutti eccetto E'ren, sembrava contraria alla presenza della propria squadra. Avrebbe dovuto chiedersene il motivo, ma la verità era che non gli importava: il Capitano aveva una missione e, in un modo o nell'altro, l'avrebbe portata a termine.

«Oϝα ʂιαƈ, Mιƙąʂα?»

«Sιƈ ιҽɾαɱυԋʂ ƈσ ƚσɾɾ ԃҽ ιҽʅυҽ ʂσɱϙυʋ ƈσƈɳʅσαɳ σɾ ƚι ɳҽρƚʅ αυ!»

Levi non comprendeva le loro parole, ma dall'espressione di E'ren era palese che il ragazzo non gradisse la sua presenza - non lí, non in quel momento. Discussero animatamente prima che la cacciasse via, strattonando la tenda e chiudendo fuori il resto del mondo. Quando si voltò, fissò l'uomo con aria quasi colpevole, come a scusarsi di quell'intromissione. Il corvino si sedette, imperturbabile, tastando nel piatto alla ricerca di qualcosa all'apparenza commestibile e trovando una strana, grossa noce. Estrasse dalla tasca un coltello a serramanico, facendo scattare la lama con un movimento fluido e preciso, ed E'ren si irrigidí sul posto. Osservò come Levi apriva il frutto dal guscio duro, separandolo in due, rivelando al suo interno una polpa lucida e succosa al posto del gheriglio. Portò una metà al naso, odorandola, indeciso sul da farsi. Il castano allungò allora una mano, chiedendogli la gemella. Stando ben attenti a non toccarsi, il giovane avvicinò il frutto alle labbra, leccando il contenuto dal profumo dolciastro e mostrando allo straniero che fosse gustoso e soprattutto digeribile. Levi lo imitò, storcendo il naso all'idea di consumare ogni pietanza in maniera tanto primitiva, facendo saettare la lingua come quella di un gatto stando ben attento a non sfiorare la scorza esterna, certo che non fosse troppo pulita.

Lo sguardo di E'ren era attento, incuriosito da quel modo di cibarsi così strano eppure appetibile, deglutendo a quella vista. Eppure, continuava a restare concentrato sull'arma che Levi impugnava, i sensi allerta. Il Capitano si accorse della sua preoccupazione e mise il frutto da parte.

«È questo che ti turba? O il fatto che sia io ad averlo tra le mani?»

Il castano non rispose, impossibilitato dal divario linguistico a separarli. Il maggiore, allora, fece scattare nuovamente la lama all'interno dell'impugnatura, facendogli trattenere il fiato. Ripeté l'operazione più volte, con E'ren che fissava rapito il riflesso sul metallo lucido, per poi alzarsi e porsi di fronte a lui.

«Prendilo» gli disse. L'altro non si mosse, incerto sul da farsi. «Ho detto prendilo» tornò ad insistere, afferrandogli il palmo abbronzato e posandovi sopra il coltello dalla parte del manico, la punta rivolta verso sé stesso.

E'ren smise di respirare, sgranando gli occhi e tremando impercettibilmente a quel contatto inaspettato. Levi tornò al proprio posto, riprendendo a consumare la polpa variopinta di quella noce aliena.

«Così puoi difenderti, da me o chiunque altro ti infastidisca. Cerca di non mozzarti la mano» lo rimproverò non appena si tagliò la punta del dito col filo della lama, portandoselo dolorante alle labbra. Sembrava un bambino, con l'indice in bocca.

«Oƚʂσƚƚα ρƚυσ?»

Il capo villaggio, oltre la tenda, domandò qualcosa al soldato che non capí una sola parola, ed E'ren nascose prontamente l'arma al di sotto della tunica grezza.

«Tʅιυɳ, σʅιɾʂαϙ» rispose il giovane, fissando Levi un'ultima volta prima di lasciarlo solo.


-


Le comunicazioni radio col campo base erano impossibili. Le interferenze non consentivano l'utilizzo delle ricetrasmittenti, e l'unico suono che fuoriusciva dall'apparecchio era un incessante e fastidioso gracchiare. Levi confidava nel fatto che Schultz e Yin si fossero rifugiati nel cunicolo sotterraneo dove era custodito lo Stargate.

Era trascorso quasi un intero giorno, dall'inizio della tempesta di sabbia. Ore monotone, dove il corvino non aveva fatto altro che girarsi i pollici, monitorare le attività dei primitivi e poco altro.

Il soldato Ral aveva seguito l'esempio della Dott.ssa Zoë, socializzando col popolo e lasciandosi coinvolgere nelle loro faccende. Aveva osservato le donne rammendare le vesti logore dei propri familiari, creato ninnoli in pietra ed acconciato i capelli delle più piccole, suscitando risolini e rossori sulle loro gote innocenti quando si erano specchiate nelle acque di una piccola vasca naturale. Petra sorrideva, serena, sotto lo sguardo apparentemente annoiato ma vigile di Auruo.

Levi sapeva perfettamente cosa passava per la testa del suo sottoposto. Aveva sperimentato le stesse sensazioni a sua volta, in passato: preoccupazione, timore, eppure inestimabile fiducia; affetto verso la persona cara.

Il ricordo dei suoi amici gli squarciò il petto, facendolo sanguinare ancora una volta. Avevano un destino, un futuro, ed ora giacevano metri e metri sotto il terreno umido. A Levi, invece, era rimasto solo il rimorso di non aver potuto impedire la loro morte e il dispiacere di non averli seguiti in quel triste destino.

Si sentiva solo.

Si sentiva perso.

I suoi occhi vagarono sui presenti, ognuno impegnato in qualche lavoro all'interno dell'enorme sala comune, per poi trovare due gemme preziose a scrutarlo quasi di nascosto.

E'ren lo studiava dal capo opposto, celato in un angolo scuro scarsamente illuminato. Le labbra serrate in una linea sottile, giocava distrattamente con una delle piccole trecce castane che sbucava dal cappuccio liso, assorto e in contemplazione. Rimasero per qualche istante a fissarsi, quasi potessero carpire dalle rispettive espressioni i pensieri che affollavano la mente dell'altro, finché il Capitano non si staccò dalla parete alla quale era appoggiato. Attraversò l'area con passo calmo ma deciso, e Petra sollevò lo sguardo dal punto in cui era inginocchiata nel vederlo passarle accanto.

Il ragazzo drizzò la schiena, teso, infilando le mani al di sotto della veste logora. Strinse l'impugnatura del coltello, incerto sul da farsi, che Levi lo aveva ormai già raggiunto. E'ren serrò le palpebre, incassando la testa tra le spalle, ma non accadde nulla.

Quando riaprí gli occhi, il corvino lo aveva già superato e il giovane scivolò al suolo, le dita ancora strette intorno all'arma che avrebbe dovuto proteggerlo dal pericolo che il messaggero di Ymir rappresentava, ma che nulla poteva contro la confusione che agitava il suo cuore in tumulto.


-


La cena era un momento di aggregazione, per il popolo. Ognuno rideva e scherzava, impegnato a bere e cibarsi di strane creature dall'aspetto bizzarro.

Hanji, curiosa di indole e professione, guardava il modo in cui la pietanza del giorno veniva arrostita al calore del fuoco, infilzata come uno spiedo e cosparsa di erbe aromatiche e spezie dall'odore acre. Le fiamme si riflettevano sulle lenti dei propri occhiali, ancora oggetto di curiosità e immensa meraviglia, mentre ascoltava lo scoppiettare dei ciocchi di legno e lo sfrigolare delle carni della malcapitata bestia. Una volta cotta a puntino, venne servita su un'enorme foglia dal profumo fresco e messa tra le mani dell'ospite d'onore. Levi fissò la creatura, storcendo il naso.

«Perché sono il primo a dover assaggiare questo...» cercò le parole più adatte per descrivere l'esemplare dell'animale, il quale sembrava fissarlo con occhio vitreo, «...coso

Lesto come era giunto sul suo grembo, quel vassoio improvvisato sparí alla velocità della luce finendo tra le grinfie della bruna. Se lo portò al viso, studiandolo con meticolosa attenzione.

«Sembra un armadillo...» constatò, basandosi sulla corazza che rivestiva il suo dorso. Poi annusò a fondo, immergendovi infine un dito dentro, sotto lo sguardo divertito del capo tribú e quello disgustato del Captaino, rimanendo invischiata in una sostanza gelatinosa che probabilmente era il grasso del povero esemplare. Quando strappò un pezzo di carne, infilandolo in bocca, strabuzzò gli occhi come se stesse per soffocare, le guance gonfie e prominenti.

«Dottoressa Zoë!» esclamò Ral, pronta a soccorrerla, fermata prontamente dal corvino con un gesto della mano. Un istante dopo, infatti, Hanji mandò giù il boccone rumorosamente per poi sorridere mostrando tutti i denti.

«Sa di pollo!»

«Pollo...?» fece Auruo, perplesso.

«Sí, esatto!»

«Pσʅʅσ...»

Un mormorio basso, quasi inudibile, e l'intera squadra si girò in direzione di quel suono estraneo per via dell'accento, eppur familiare. Uno dei bambini aveva ripetuto le parole della donna, fissandola con occhi pieni di interesse. Alle sue spalle, un gruppetto di ragazzini altrettanto avidi di conoscenza a scrutarla, in attesa.

Hanji allora quasi lanciò la leccornia tra le braccia di Bossard, il quale la maneggiò come fosse una mina pronta ad esplodere, per poi battere le mani entusiasta.

«Un pollo, certo! Fa così guardate...»

La studiosa portò i pugni ai fianchi, piegando le braccia e iniziando a scuoterle energicamente come fossero ali.

«Cooooocococococcò~»

Tutti i presenti risero a quegli strani versi, mai uditi prima di allora, tenendosi la pancia e lacrimando a più non posso. Persino Petra ed Auruo furono contagiati da tanta allegria, con la donna che zampettava a destra e manca facendo finta di beccare il terreno arido.

Levi si coprí gli occhi con una mano, indignato, per poi sollevarli non appena le sue orecchie percepirono una voce cristallina, poco distante.

E'ren sorrideva, osservando Hanji muoversi in maniera tanto buffa, scuotendo la testa divertito. Le iridi brillanti alla luce del falò, i denti perlacei in contrasto con l'incarnato scuro, le labbra lucide e dall'aspetto morbido come poco altro. Invitanti. Seducenti.

Il castano si sentí osservato, trovando lo sguardo dell'uomo puntato su di sé. Girò il viso, rosso per l'imbarazzo, sfoggiando l'espressione più infastidita ed altezzosa che gli riuscisse in quel momento di debolezza.

Il palmo di Levi scese a coprirgli la bocca, celando un sorriso che fu incapace di trattenere. Quel moccioso testardo era più tenero di quanto immaginasse.


-


Era la seconda notte che trascorreva in compagnia di E'ren, se tale poteva essere definita.

Il corvino fissava la sua figura, rannicchiata in un angolo del letto, come a volergli sfuggire. Porre distanza e innalzare barriere che potessero frapporsi tra loro.

A Levi non interessava ottenere la fiducia di nessuno, tantomeno quella del ragazzo, ma si sentí leggermente ferito da quel comportamento guardingo e scostante. Credeva di essere stato abbastanza esplicito nel dimostrargli che non solo non lo avrebbe sfiorato, ma che considerava lecito il fatto che si difendesse da coloro intenzionati ad approfittarsi di lui. Gli aveva fornito un'arma a tale scopo, per cui quella diffidenza lo irritò palesemente.

«Potresti fissare qualcos'altro? Sei irritante» sbuffò, liberandosi della casacca militare e appendendola ad una sporgenza nel muro. L'indigeno dagli occhi di giada non rispose, né si mosse. Levi andò ad accomodarsi tra i cuscini ai piedi del giaciglio che avrebbe dovuto invece condividere col giovane. E'ren, le ginocchia strette al petto, nel frattempo non gli toglieva gli occhi di dosso.

Il Capitano si distese, il viso rivolto al soffitto e le braccia dietro la nuca, solo per trovarsi di fronte il volto color caramello dell'altro che si era affacciato oltre i tessuti variopinti dell'alcova. Il corvino sbatté ripetutamente le palpebre, E'ren che lo guardava da sopra in sotto come un cucciolo indeciso se giocare o meno con ciò che aveva di fronte. Poi, l'uomo indicò in alto.

«Guarda lassù» gli disse, e lo sguardo del giovane seguì ingenuamente il suo dito indice. Il tempo di rendersi conto che non ci fosse nulla da vedere, che fu raggiunto da un guanciale ricamato dritto in faccia, capitolando indietro tra le lenzuola. Il più piccolo si massaggiò il naso, offeso, e Levi si voltò sul fianco evidentemente soddisfatto.

«Così siamo pari» mormorò infine, chiudendo gli occhi.


-


I suoi sensi, sempre allerta, lo destarono dal proprio riposo. Dita delicate scorrevano tra i suoi capelli neri, deliziosamente ipnotiche.

Avrebbe dovuto scacciarle, rimettere il loro proprietario al suo posto. Intimargli di smetterla, che quel contatto non gli era gradito.

Eppure tacque, consapevole di quanto tutto ciò fosse sbagliato, abbandonandosi alle goffe carezze di E'ren che, inconsapevole del suo risveglio, continuò a riservargli quella dolce attenzione a cui non era riuscito a sottrarsi.


-


Quel mattino, E'ren si destò disturbato dal chiacchiericchio al di fuori della tenda. Riconobbe la voce di Levi che, con tono fermo, inteloquiva con uno dei suoi adepti.

«Questa tempesta del cazzo non ci voleva» disse ad Auruo, il quale blaterava sconclusionatezze su quanto quel posto fosse lurido e assolutamente inadatto al loro Capitano. Quando si morse la lingua a sangue, mugolando per il dolore, Petra emise un sospiro soddisfatto.

«Ben ti sta, ingrato! Questa gente ci ha accolto, protetto dalle intemperie e sfamato nonostante le evidenti difficoltà in cui versano, e tu hai il coraggio di lamentarti!»

In risposta ricevette solo versi sofferenti, mentre il compagno tamponava il muscolo tumefatto con un fazzoletto.

«Ral, prova ancora a contattare l'accampamento. Bossard, vai a darti una sistemata.»

I due si portarono il pugno destro al cuore, congedandosi dal proprio superiore per poi incamminarsi lungo il corridoio in pietra che conduceva alla sala comune. Levi si portò le dita al ponte del naso, sospirando, per poi voltarsi.

Le iridi del castano lo studiavano, attente e scrupolose, percorrendo le braccia toniche e il torace scolpito, ricoperto solo dal tessuto aderente di una maglietta. Quando incrociò lo sguardo con quello cupo del soldato, E'ren si congelò sul posto, stringendo convulsamente la stoffa colorata dietro la quale era rifugiato. Secondi interminabili in cui si scoprí incapace di abbandonare quella figura, di evitare che i suoi occhi bevessero e si nutrissero della forza che l'uomo trasudava, di impedire alla propria mente di elaborare pensieri che vedevano come assoluto protagonista il messaggero di Ymir.

Fu solo quando ricordò chi fosse che il suo viso, dapprima rapito, si deformò in un'espressione confusa e subito dopo adirata, richiudendo seccamente la tenda per dimenticare la presenza dell'uomo e ciò che comportava.

Levi restò lì, immobile, per poi allontanarsi come se nulla fosse accaduto. Come se tanto astio, da parte di E'ren, non lo turbasse minimamente. Come se non sentisse ancora il calore della sua mano sul proprio capo, svuotandolo di ogni ricordo per poi riempirlo di sola e immensa pace.


-


Hanji si sentiva come una bambina precipitata nel paese dei balocchi. Una civiltà aliena, abbastanza avanzata da fabbricare utensili per mangiare e cacciare, da conoscere l'uso del fuoco e, probabilmente, seppellire i propri defunti. Se appena un mese prima le avessero detto che le sue conoscenze avrebbero consentito una simile scoperta, probabilmente avrebbe riso a più non posso e guardato il povero malcapitato come se gli fossero spuntate coda e corna.

Invece eccola lí, a girovagare in quell'edificio grezzo ma accogliente, alla ricerca di indizi che provassero la veridicità delle proprie supposizioni.

Al popolo era stata vietata la scrittura.

Era impensabile che, insieme al linguaggio, non si fosse sviluppata quella forma di comunicazione, anche se in forma elementare. Cos'era che non dovevano dire? Che non potevano sapere?

Era l'ora della pennichella e tutti riposavano rannicchiati accanto ai propri cari, creando un ambiente quieto e quasi surreale rispetto all'allegro andirivieni dei bambini e di coloro che si avventuravano fuori per approvvigionare le mangiatoie nelle stalle e verificare la violenza della tormenta. Persino Petra ed Auruo, l'uno accanto all'altra con fare protettivo, si erano assopiti piegandosi velocemente alle abitudini della tribú. Non che ci fosse molto da fare, al chiuso, ma per Hanji ogni cosa aveva il sapore dell'avventura.

I suoi occhi incrociarono quelli di una fanciulla dai capelli color pece, la quale passava distrattamente il dito nella sabbia creando piccoli solchi concentrici.

La bruna sbatté le palpebre, tentando di comprendere cosa le risultasse familiare in quell'immagine, per poi ingoiare un urlo sorpreso.

Il settimo simbolo dello Stargate sul loro pianeta, tracciato ai piedi della giovane che, inconsapevole, aveva riprodotto il medesimo disegno che tanto aveva faticato a individuare neanche una decina di giorni addietro.

Le si gettò accanto, guardandola in preda all'estasi, facendola ritrarre in risposta. Non sembrava spaventata, piuttosto... infastidita.

«Conosci questo simbolo?» le chiese, iniziando a scrivere nel terreno. «Jiyuu. Jiyuu.» scandí il nome di una delle costellazioni che li avevano condotti in quel lontano angolo d'universo, suscitando nell'altra perplessità.

«Mιƙąʂα.»

La voce del capo villaggio tuonò nel silenzio della sala, ed Hanji sobbalzò per lo spavento. Vide la ragazza cancellare ogni segno creato, per poi alzarsi e dirigersi a grandi falcate in un angolo remoto della grande dimora seguita dallo sguardo dell'uomo dai lunghi capelli castani.

«E ƈυƚ ԃαƈƈ ϝυƚα ιҽƚ ιɾιαɾι...» mormorò quest'ultimo, scuotendo tristemente il capo mentre stringeva le ossa che portava come monile al collo.


-


Quella sera, riuniti intorno al falò, l'atmosfera era pesante. A tutti era giunta voce di come la straniera avesse abusato della fiducia del loro leader. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, tristi e spenti.

«Sembra un funerale...» borbottò Auruo, solo per ricevere una gomitata da Petra.

«Sono sempre più convinta che qualcuno impedisca loro di scrivere...» fece la studiosa, guardando Levi con aria cospiratoria.

«Non è certo un nostro problema.»

«Sí invece! Probabilmente è per questo che al nostro arrivo non abbiamo rinvenuto nulla ai piedi dello Stargate: la sequenza per aprire il portale è andata distrutta oppure, peggio ancora, non è mai stata trascritta.»

I volti dei due soldati scelti si incupirono al pensiero di trascorrere il resto delle proprie esistenze in quel luogo sconosciuto e inospitale. Il Capitano, invece, restò impassibile.

«In tal caso, la missione è fallita. Il Comandante Smith, non vedendoci tornare, aprirà il nostro Stargate per consentirci l'accesso. Quando nessuno lo varcherà, il progetto verrà chiuso ed archiviato.»

«Ma è ingiusto! Noi siamo qui, vivi, e siamo testimoni del fatto che non siamo soli nello spazio!» esclamò, infervorata, alzandosi in piedi come segno di protesta. Levi, decisamente arrabbiato, gettò invece il proprio pasto nel fuoco.

«Cosa cazzo vuoi, che mandino altra gente qui a morire? Non bastiamo noi?!» urlò, facendo tremare i più piccoli. A quella vista, il corvino quasi si pentí di aver alzato tanto la voce. Si strinsero tra loro, guardandolo impauriti e con i lucciconi.

E'ren ne strinse uno tra le braccia, furente. I suoi occhi fiammeggiavano, proprio come durante il loro primo incontro sotto l'astro cocente, in miniera. Pareva che le sue esitazioni fossero svanite, sostituite dall'odio verso Levi e la minaccia che poteva rappresentare verso la propria gente.

Fu solo quando la donna dallo strano volto iniziò a cantare che sembrò placarsi, stupito.

Hanji intonava una filastrocca, agitando le mani e battendo il piede al ritmo di quella melodia improvvisata. Sorrideva gentile, ondeggiando il capo seguendo un motivo astratto e invisibile. Il ragazzino biondo, che per primo li aveva visti in pieno deserto, le si avvicinò per meglio ascoltare quei nuovi suoni.

Uno ad uno i piccoli si raccolsero intorno alla bruna, muovendo le loro testoline all'unisono.

Anche E'ren si lasciò coinvolgere, distendendo i magnifici tratti, e la vergogna si impossessò di Levi. Era evidente che fosse la sua presenza a renderlo così aggressivo, inquieto, spaventato.

L'uomo si alzò, allontanandosi indisturbato, seguito da due gemme preziose che non volevano saperne di lasciarlo andare.


-


Era notte fonda quando il corvino tornò nel proprio alloggio. Tutti dormivano da tempo, stranamente rasserenati dalla sciocca canzoncina di Hanji dopo il suo exploit decisamente poco felice.

Si tolse la giacca, e il suo sguardo cadde sulla figura distesa nel letto.

Il respiro di E'ren era lento, regolare. Un palmo sotto al suo viso, le lunghe ciglia che poggiavano sulle gote lisce, il naso dalla forma aggraziata, le labbra rosse e vellutate. Era bello oltre ogni dire, con l'estate al posto degli occhi e il cioccolato più pregiato a sostituire i capelli. Nonostante la polvere e il terreno su cui camminava, i suoi piedi erano perfettamente puliti e la sua pelle profumava di spezie.

Lo osservò per un tempo lungo una vita eppur infinitamente breve, perso ad ammirarne i tratti e immaginare la consistenza della sua bocca turgida.

Il ragazzo si mosse nel sonno: i suoi denti intrappolarono un labbro, segnandolo, piegando al contempo un ginocchio ed esponendo la coscia da sotto il tessuto liso dei propri abiti.

I muscoli di Levi si tesero, le pupille si dilatarono, il cuore prese a pompare velocemente il sangue sino a raggiungere anche le parti più recondite del suo corpo. Allungò una mano verso il giovane che, ignaro, continuava a martoriare quel lembo di pelle tentandolo oltre ogni dire. Quanto tempo era trascorso da quando aveva toccato qualcuno in quel modo..? Neanche lo ricordava, troppo impegnato ad autocommiserarsi.

In quel mondo ostile, E'ren gli era stato offerto a quell'unico scopo: servirlo, appagarlo, piegarsi ai suoi bisogni. Nessuno avrebbe avuto qualcosa da ridire, se avesse sfruttato quel dono. Ma, invece di sfiorarlo come tanto desiderava, lo coprí con la casacca della divisa, impedendo ai propri occhi di indugiare oltre su quella carne soda.

Levi non era una bestia, e mai lo sarebbe diventato. Uscí nuovamente dalla stanza, sfuggendo alla brama che rischiava di possederlo, troppo provato nell'animo per fidarsi di sé stesso.

Oramai solo, le palpebre di E'ren si sollevarono, le iridi lucide. Aveva messo il messaggero di Ymir alla prova, certo che, solo e indisturbato, avrebbe ceduto all'istinto. Invece, ancora una volta, era stato graziato. Lo aveva risparmiato dall'umiliazione di essere trattato come un servo, un animale e nulla di più, e ciò aumentava quella strana sensazione che gli agitava il petto e lo faceva sentire colpevole.

Forse, lui era diverso.

Forse, poteva fidarsi.

Annusò il tessuto dell'indumento, ali bianche e blu dipinte sulla schiena, e desiderò sparire in un abbraccio che ancora non sapeva di volere.


-


Finalmente, la luce del giorno. La tempesta aveva cessato di imperversare, consentendo alla squadra di Levi e al popolo di abbandonare il rifugio che li aveva ospitati. Ciò che li attendeva, però, era ben lontano dalle loro aspettative.

La sabbia che aveva superato la barriera rappresentata dalle mura si era depositata in grosse quantità sui tetti delle abitazioni. Alcuni di essi, provati da un tale peso, erano miseramente crollati seppellendo tutto ciò che vi era al di sotto: lo scarno mobilio, i pochi averi, tutto ciò che poteva essere caro. Almeno nessuno era morto.

I poveri malcapitati iniziarono a scavare mestamente tra le macerie. A Levi sembrava di essere tornato a Marley, circondato dal tanfo della disperazione.

Una donna rovistava tra le rocce, le mani rovinate e il viso sudicio, quando una delle travi ancora in piedi venne meno, dirigendosi inesorabilmente verso di lei. L'ombra calò impietosa come la falce della morte, e quella serrò gli occhi tentando di proteggersi con le braccia, attendendo l'inevitabile. Invece, qualcuno aveva avuto il coraggio e la forza di frapporsi tra la sua vita e il pericolo.

Il messaggero di Ymir si liberò del grosso tronco che, con uno sbuffo, sollevò polvere e detriti.

Il corvino, appurato che la nativa stesse bene, chiamò i suoi uomini.

«Bossard, aiutali a sollevare quel masso. Ral, organizza piccoli gruppi in modo da dividere il lavoro. E tu Zoë...» calcò il cognome quasi fosse un'offesa «...assicurati che i mocciosi non si facciano male, sei brava coi poppanti.»

Hanji sorrise a quel complimento, abilmente camuffato da quelle parole acri, e radunò i più piccoli per intrattenerli con semplici giochi di prestigio. Pietre che svanivano dal suo palmo e sbucavano dalle orecchie, fiori del deserto che nascevano da pezzi di stoffa, e il suo pubblico improvvisato andò in visibilio. L'emissario del loro Dio aveva portato con sé una sciamana, capace di attingere alla magia propria della natura.

Gli indigeni, guidati da Petra, rimuovevano le rocce e il legno, accatastando tutto. Auruo si lamentava più di quanto fosse necessario, ma la sua forza era al servizio di quella gente esattamente come il suo Capitano gli aveva ordinato.

Levi lavorava senza sosta, implacabile, la fronte sudata e il volto contratto per lo sforzo. Si tagliò un avambraccio con una scheggia ma non prestò alcuna attenzione a quella ferita, non fino a quando si sentí sfiorare la parte lesa.

E'ren, accanto a lui, esaminava il punto sanguinante con occhio critico, le dita che percorrevano delicate la zona circostante. L'uomo si scostò, solo per essere trafitto da quegli occhi brillanti e determinati e strattonato nuovamente nella posizione iniziale. Il modo in cui il castano lo fissava lo indusse a tacere e ingoiare ogni altro tentativo di protesta. Il giovane gli fece segno di non muoversi, allontanandosi per poi tornare con alcune foglie tra le mani. Pulí il taglio con l'acqua di un piccolo otre in pelle, appeso al suo fianco, masticando nel frattempo le fronde. Cacciò il bolo nel palmo della propria mano, andando a stenderlo - con sommo orrore di Levi - sulla ferita.

L'istinto di sottrarsi a quella pratica altamente discutibile era fortissimo, ma la delicatezza e la cura con cui E'ren spalmava la sostanza sulla lacerazione era tale da convincerlo a restare immobile, trattenendo persino il respiro. Un odore fresco, simile alla menta, invase le sue narici e la zona iniziò a pizzicare. Probabilmente aveva proprietà antibatteriche, e Levi sollevò lo sguardo da quel meticoloso lavoro per incatenarlo a quello del giovane che curvò appena le labbra, incoraggiante.

Una volta fasciato il tutto il corvino fu libero di muoversi.

«Grazie» disse solo, sentendosi subito un idiota perché l'altro non parlava la sua lingua. Eppure l'ampio sorriso che E'ren gli dedicò in risposta fu sufficiente a comunicargli che, in qualche modo, aveva capito.

Il ragazzo si uní a un piccolo gruppo di nativi, aiutandoli a liberare l'ingresso di una costruzione fatiscente, dando tutto sè stesso nell'impresa. La loro forza, però, non era sufficiente.

«Lҽʋι!» lo chiamò, le mani ai lati della bocca per meglio farsi sentire.

Era la prima volta, dopo quella sera, che gli rivolgeva la parola. Che pronunciava il suo nome. Il cuore mancò un battito a quel suono tanto soave quanto gradito, e i suoi piedi avanzarono prima ancora di rendersi conto di cosa stesse facendo.

Lavorarono fianco a fianco tutta la mattina, scambiandosi sguardi colmi di curiosità e qualcos'altro a cui non seppero dare definizione.


-


Hanji beveva il gustoso distillato di quel popolo alieno, ridendo a squarciagola e improvvisando passi di danza sotto lo sguardo divertito e adorante dei più piccoli.

La giornata era stata dura, estenuante, e tutti si rifocillavano intorno al fuoco dell'enorme falò acceso al centro del villaggio. La gran parte delle persone era tornata alle proprie case, altre invece avrebbero atteso che le riparazioni apportate dalla squadra venissero ultimate.

Petra ed Auruo parlavano tra loro, guardandosi complici e stringendosi la mano, mentre Levi li osservava da lontano. Non aveva avuto il coraggio di unirsi agli altri, non dopo aver spaventato a quel modo i bambini la sera prima. Preferiva di gran lunga stare per conto proprio ed evitare di causare ulteriori danni. La sua mente era concentrata sulla propria missione e, nonostante le comunicazioni radio fossero state apparentemente ripristinate, il fatto che Yin e Schultz non avessero risposto non alleggeriva di certo il peso sulle sue spalle. Se la Dott.ssa Zoë davvero non fosse riuscita ad aprire il portale, sapeva perfettamente cosa avrebbe dovuto fare.

Quando dei piedi dalla pelle scura entrarono nel suo campo visivo fu sottratto dai pensieri che lo tormentavano, sollevando il volto verso la presenza appena giunta.

E'ren gli porgeva una ciotola d'acqua fresca, quasi fosse ossessionato dalla sua idratazione piuttosto che altro, attendendo che la accettasse. Sembrava sereno, rilassato, e Levi allungò istintivamente le mani per liberarlo da quell'incombenza. Si aspettava che, svolto il proprio compito, si allontanasse. Invece, gesticolò verso il tronco sul quale era seduto, chiedendogli di fargli spazio. Il ragazzo si accomodò accanto a lui, osservandolo, per poi posare gli occhi sull'orologio che il corvino aveva al polso. Levi sorrise appena nel notare la sua espressione stupita al movimento delle lancette.

«Vuoi vederlo...?» gli chiese, sfilandosi il cinturino per porgergli l'oggetto. L'altro allungò le dita, il viso pieno di stupore, sfiorando quelle congelate dell'uomo in netto contrasto col calore delle proprie. Un brivido percorse entrambi, che tentarono testardamente di ignorare quella sensazione, ed E'ren studiò lo strano marchingegno ora custodito nel suo palmo. Percepiva il ticchettio del meccanismo al suo interno e lo portò all'orecchio, sgranando gli occhi per la meraviglia.

Per Levi nulla era più spettacolare di quel ragazzino cocciuto, in quel momento. Lo fissava completamente rapito da tanta innocenza, consapevole di quanto in realtà fosse fiero e tenace. Un connubio che gli dava alla testa, facendola vorticare come mai gli era capitato prima.

Le iridi di E'ren trovarono le sue, ricambiando quello sguardo perso, e si leccò istintivamente le labbra secche. I loro respiri si fecero irregolari, troppo presi a scrutarsi, studiarsi, volersi, ed il giovane raccolse ogni briciola di coraggio per sporgersi verso la bocca schiusa dell'altro.

Bastava poco, e Levi avrebbe assaggiato quel frutto invitante e seducente, certo che non gli sarebbe bastato. Avrebbe preteso di più, perché E'ren stava risvegliando un lato di lui che credeva di aver sepolto insieme ai suoi compagni.

Quando con la coda dell'occhio vide il capo tribú osservarli, però, si convinse che il castano stesse solo adempiendo al compito che gli era stato imposto. Che non lo desiderasse e si stesse solo sforzando per compiacere il leader del suo popolo.

Evitò E'ren all'ultimo secondo, alzandosi in piedi e allontanandosi con passo deciso, lasciando il ragazzo a fissarlo con espressione delusa. Strinse i pugni, conficcando le dita nella carne, sotto lo sguardo mortalmente serio di Mikąsa che aveva assistito a tutta la scena.

 

-


Hanji contemplava le stelle, ancora annebbiata dai fumi dell'alcol. Tutti dormivano placidamente, distesi accanto al fuoco che andava spegnendosi senza nessuno che lo ravvivasse. Poi qualcuno la mise forzatamente a sedere, facendole trangugiare un liquido fresco e dal sapore amaro, e la sua mente tornò lucida in pochi istanti. La giovane dai capelli corvini, con la quale aveva provato a comunicare il giorno prima, la fissava coi suoi occhi grigi come il piombo.

La prese per mano, trascinandola silenziosamente oltre l'ammasso di persone assopite al suolo.

«Dove stiamo andando?» le chiese la bruna a bassa voce, ma la nativa non rispose. La condusse invece ai margini del villaggio, in un anfratto sotterraneo sapientemente nascosto da rocce e cespugli rinsecchiti, guidandola nello stretto cunicolo.

«Piano, non vedo nulla, io-» provò a protestare ma, quando con l'ausilio di pietre focaie la giovane accese una torcia, Hanji restò a corto di parole. Le mancò l'aria mentre il suo cervello veniva investito dalla miriade di informazioni che si pararono dinanzi al suo viso.

Incisi nella roccia, milioni di simboli si affollavano gli uni sugli altri, simili a quelli eldiani a lei tanto cari. Narravano una storia, quella del popolo che li aveva generosamente accolti, e il modo in cui la loro civiltà era nata. Infine, trovò ciò per cui era stata incaricata durante quella missione: un disegno dello Stargate, con al di sotto la sequenza per spalancare la porta delle stelle.

«Torniamo a casa.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Stargate

 

 

 

 

- Capitolo 4 -


Era trascorso l'intero giorno dal momento in cui il Capitano Ackerman, Ral e Bossard si erano allontanati dal campo base all'inseguimento della Dott.ssa Zoë.

Erd e Gunther avevano ultimato i preparativi per quello che sarebbe stato - contro ogni pronostico iniziale - un lungo soggiorno su quel pianeta dal clima torrido e la vegetazione quasi inesistente. Monitoravano costantemente la radio, in attesa di ricevere una comunicazione o degli ordini, ma questa rimase muta fino alla sera, quando la tempesta li costrinse ad abbandonare momentaneamente le tende e a rifugiarsi nel cunicolo ai piedi dello Stargate. Sperarono che i loro compagni avessero trovato un riparo e non fossero rimasti in balia delle intemperie. Le condizioni atmosferiche ostili, comunque, non furono le sole a suscitare la loro preoccupazione.

Nel pieno della notte, col vento che ululava rimbalzando sulle pareti di roccia, il suolo prese a tremare. I due soldati si guardano, decidendo di muto accordo che era meglio rischiare la sorte avventurandosi fuori piuttosto che restare sepolti vivi in quel buco.

Ciò che accadde, però, non diede loro il tempo di fare alcunché.

Uno strano meccanismo, di cui non sospettavano l'esistenza, si attivò ai piedi del varco stellare. Un fascio di luce illuminò l'ambiente altrimenti buio, ed imbracciarono saldamente i fucili.

«Cos'è?!» chiese Gunther al compagno d'armi, lo sguardo fisso dinanzi a sé.

«Non ne ho idea...!» fu la sola risposta di Erd.

Inginocchiata di fronte a loro, comparve una figura: il capo chino, la chioma bionda, apparentemente priva di qualsiasi indumento.

Erano addestrati per combattere contro qualunque nemico e in ogni condizione, i nervi sempre saldi e i riflessi pronti. Eppure, quando lo sconosciuto sollevò il viso, non poterono impedirsi di tremare.

Iridi dal colore gelido come i ghiacci secolari, le carni in bella mostra quasi fossero state dilaniate ed esposte come un monito, il corpo nudo e scattante, una lancia tra le mani. Sembianze femminili, in apparenza, ma fu il demonio in persona a scagliarsi contro di loro.

La tempesta continuava a imperversare, incurante della sorte dei due soldati.

 

-


Levi era rimasto l'intera notte seduto ai margini del villaggio. Aveva preferito non tornare indietro consapevole che, ancora una volta, avrebbe dovuto dormire con E'ren.

Si passò una mano sul viso, frustrato. Non riusciva a non immaginare cosa sarebbe potuto accadere, se non si fosse allontanato. Se semplicemente lo avesse voluto.

Sentiva i propri palmi percorrere la pelle caramello dell'altro, le loro lingue muoversi all'unisono e i loro respiri spezzarsi nell'istante in cui lo avrebbe intrappolato contro un'abitazione decadente.

Una fantasia tanto potente da sembrargli concreta come la pietra su cui sedeva.

Il nuovo Sole rischiarò il cielo, ma il corvino non riusciva a scorgerlo oltre le mura che, imponenti, ne impedivano la visuale. Vicino, eppure lontano tanto da desiderare di poter volare pur di vederlo.

Si alzò, riscuotendosi, e andò a cercare la propria squadra. Ral e Bossard dormivano ancora, premurosamente coperti dai nativi affinché non patissero il freddo. Di Zoë, invece, nessuna traccia.

Setacciò l'intero villaggio, ma l'unica cosa che trovò fu un taccuino logoro e vissuto nei pressi del fuoco oramai estinto. Apparteneva alla donna.

«Dove accidenti si sarà cacciata quell'idiota...?»

I sottoposti presenti all'appello, una volta svegliati dal Capitano, si prodigarono nella ricerca della studiosa. Levi si addentrò nelle stalle, trovandovi invece colui da cui sembrava non poter fuggire.

E'ren aveva appena riempito la mangiatoia di uno dei grossi animali che tanto piacevano alla bruna. Sollevò il viso asciugandosi il sudore col dorso della mano, le piccole trecce d'ebano che assecondavano quel movimento tanto naturale quanto seducente, incrociando infine lo sguardo con il messaggero di Ymir, immobile come una statua. L'aria pareva divenuta irrespirabile, satura di pensieri inespressi e sensazioni contrastanti, tanto da spezzare loro il fiato. Un risolino infranse l'atmosfera, portando entrambi nuovamente alla realtà e ciò che li circondava.

Alle spalle del ragazzo, infatti, un gruppetto di bambini li osservava divertito, coprendosi la bocca con le piccole mani. Il castano arrossí inspiegabilmente, facendo cenno ai pargoli di sparire, ma questi si strinsero maggiormente tra loro con espressioni ilari e gomitate complici.

«Avete visto Hanji per caso?»

Una dozzina di occhi puntarono inevitabilmente sull'uomo, il quale sospirò sconfitto. Non capivano la sua lingua, giusto. Decise di provare a farsi comprendere con i gesti.

«Hanji, la tipa con gli occhiali» si portò pollice ed indice di entrambe le mani al volto, simulando la forma tonda delle lenti solo per venire imitato da quel pubblico improvvisato, E'ren compreso.

«Quella che sembra avere un nido in testa» provò ancora, toccandosi ripetutamente i capelli. I presenti fecero altrettanto.

«Questo quaderno è suo» disse ancora mostrando l'oggetto consunto, e tutti sollevarono le mani come se reggessero l'agendina tra le dita.

Il Capitano iniziava a spazientirsi e, con un enorme sforzo nel tentare di mantenere la calma, ripeté le informazioni fornite scandendo bene ogni parola e mimandola al contempo.

«Ricapitoliamo: Hanji, la tipa con gli occhiali» dita intorno agli occhi, «che ha un nido in testa» mani tra i capelli, «e possiede questo blocchetto» taccuino bene in vista. Inutile dire che imitarono ogni suo gesto come delle scimmie bene ammaestrate. Levi, a quel punto, esplose al pari di una pentola a pressione.

«Perfetto! Mi trovo bloccato su questo pianeta di merda alla ricerca di una quattrocchi squinternata, che potrebbe tranquillamente ospitare dei volatili sulla sua testa di cazzo, ha perso i suoi fottuti appunti e se ne va in giro a fare coccodé!»

A quel suono, E'ren sembrò illuminarsi.

«Cσσσσƈσƈσƈσԃé!»

Il giovane mosse le braccia come una gallina e il corvino sorrise, sentendosi finalmente compreso.

«Sí, esatto, il pollo» annuí convinto, e il ragazzo gli si avvicinò. Tese la mano, chiedendogli tacitamente l'oggetto smarrito dalla donna, per poi portarlo al muso dell'animale che aveva appena rifocillato. Questo annusò il cuoio che rilegava le pagine, per poi dimenarsi nel tentativo di uscire dalla stalla. E'ren lo assecondò, intimando ai piccoli di restare dov'erano e incitando Levi a seguirlo.

Percorsero il villaggio guidati dalla bestia e dal suo olfatto, addentrandosi in una zona isolata e decisamente poco vissuta. L'essere peloso, infine, si fermò in prossimità di un cumulo di sterpaglie. Sembravano solo dei rami secchi capitati lì per caso ma quando il castano li rimosse, cipiglio severo e fronte aggrottata, rivelò un passaggio scavato nel sottosuolo. Il maggiore seguí il nativo, sensi allerta e muscoli tesi, scorgendo una fioca luce in lontananza. Poi, dei mormorii.

«Sҽყυɳ» fece la prima voce.

«...Sҽʋιҽԋ» la corresse svogliatamente la seconda.

Hanji e Mikąsa sostavano di fronte una parete rocciosa, rozzamente incisa e dai colori sbiaditi dal tempo, comunicando tra loro.

Gli occhi di Levi si ridussero a due fessure con E'ren, ora alle sue spalle, altrettanto severo nel fissare l'amica.

«Credevo non parlassi la loro lingua» sbottò il corvino, e il tono con cui lo disse fu secco come il suono di una frustata. La bruna, nell'udirlo, sorrise immediatamente.

«Levi! Beh, è così in effetti: il loro è un dialetto eldiano molto antico che si è evoluto autonomamente, è stato un puro caso individuare la giusta chiave di lettura. Utilizzano un sistema totalmente divers-»

«Arriva al sodo» le intimò, lanciandole malamente il taccuino addosso.

«Credevo di averlo perso, grazie! Non crederai mai a ciò che sto per dirti!» esclamò, fremendo d'eccitazione e mostrandogli dei pittogrammi. Le sue iridi parevano brillare, nella penombra di quella grotta. Lentamente, narrò la storia di quel popolo a cui, inconsapevole, era stata sottratta ogni cosa.

«Un viaggiatore, proveniente da stelle lontane, fuggí da un mondo morente per prolungare la durata della propria esistenza. Il suo corpo era in disfacimento e la sua specie in via d'estinzione.

Egli viaggiò, esplorò nuove galassie per trovare il modo di ingannare la morte. Giunse in un luogo dove incontrò una razza primitiva, che con i suoi poteri e conoscenze poteva tenere in vita eternamente. In un corpo umano avrebbe potuto rigenerarsi per sempre e mentre gli abitanti terrorizzati fuggivano e la notte diveniva giorno, un umano andò verso la luce.

Ymir se ne appropriò, come un parassita in un organismo ospite, e con le sue nuove sembianze si proclamò sovrano.

Eresse le mura, usando la popolazione come fossero schiavi, portandoli su questo pianeta attraverso lo Stargate per estrarre il minerale alla base della sua tecnologia. Con esso, può vivere in eterno. Ma sul pianeta madre - il nostro - ci fu una rivolta, e il portale fu sepolto.

Per impedire una ribellione anche qui, Ymir proibí la scrittura affinché la gente non tramandasse alle future generazioni le proprie origini, perse nei flussi del tempo.»

Il Capitano incrociò le braccia, assimilando le informazioni appena ricevute: le supposizioni della quattrocchi si erano rivelate fondate, così come la sensazione di prigionia che irradiava l'imponente muro intorno al villaggio.

«Hai scoperto altro?»

«Sí,» gli rispose, «la sequenza per attivare questo Stargate.»

Quella rivelazione lo attraversò da capo a piedi come una scarica elettrica, facendolo irrigidire sul posto. In base alle scoperte fatte, sapeva esattamente cosa volesse dire una simile eventualità.

Il corvino si voltò e i suoi occhi trovarono immediatamente due pozze verdi a scrutarlo colme di tristezza, quasi avesse perfettamente compreso cosa sarebbe accaduto.

Il momento era giunto, ma mai Levi si sarebbe aspettato che quella separazione potesse pesare tanto sul proprio petto.

 

-


Hanji ripose il prezioso taccuino, su cui aveva trascritto i simboli necessari ad aprire il varco stellare, nella tasca del suo giubbotto militare.

Ognuno aveva raccolto le poche cose con cui erano giunti in quel luogo sperduto, ed avevano oltrepassato l'enorme portone d'accesso. Il deserto li attendeva, ma erano certi di poter ritrovare la giusta strada grazie all'animale che i nativi avevano prestato alla squadra.

Il solo ad intrattenersi, dopo il cerimonioso addio, era stato E'ren. Il capo coperto, lo sguardo basso, scavava ripetutamente col piede nella sabbia creando un solco profondo.

Ral, Bossard e Zoë si misero in marcia, salutando un'ultima volta il ragazzo.

Levi invece indugiò qualche istante ancora, imprimendo nella propria mente il suo viso naturalmente scuro e i contorni della bocca che mai avrebbe assaggiato. Si sentiva in colpa nel lasciarlo in balìa del suo destino, troppo distante per proteggerlo dalla sorte poco gloriosa che gli era toccata - schiavo tra gli schiavi. Ma l'uomo era un soldato con una missione da compiere, altre vite dipendevano dalle sue decisioni e mai avrebbe permesso che non facessero ritorno a casa.

Un ultimo sguardo, estate e inverno fusi in un unico colore ancora una volta, prima di seguire i propri sottoposti.

E'ren restò lì, immobile, mentre la figura dell'uomo si faceva sempre più lontana sino a dissolversi lungo l'orizzonte cocente, un miraggio lontano quasi non fosse mai esistito.

 

-


La squadra avanzava nel deserto, lasciando impronte nella sabbia incandescente.

Tra tutti, Hanji era certamente la più provata, fisicamente impreparata a uno sforzo così prolungato e quelle condizioni tanto ostili; sudata e col fiatone, arrancava in fondo al gruppo sorseggiando rumorosamente l'acqua dalla bisaccia che i discendenti eldiani avevano donato loro per il viaggio.

«Ecco la duna. Resisti quattrocchi, siamo arrivati» le comunicò il Capitano, risalendo la pendenza per poi fermarsi in cima. Il suo cipiglio si indurí sensibilmente, mentre imbracciava la propria arma. Petra e Auruo, al suo fianco, fecero altrettanto. La Dott.ssa, invece, ruzzolò un paio di volte prima di raggiungere la meta ma, finalmente a destinazione, il suo cervello impiegò più del dovuto a registrare ciò che i suoi occhi vedevano.

Una navicella spaziale era atterrata sull'enorme arco di pietra, unica prova dell'esistenza del muro che avrebbe dovuto ergersi in quell'esatto punto; il veicolo tecnologico sembrava essersi fuso con l'imponente costruzione, occupando una grossa porzione di cielo terso e minacciando l'ambiente circostante.

«Cosa...?» boccheggiò la donna, tentando di elaborare correttamente cosa implicasse quella scoperta.

«Che diavoleria è quella?» scattò Bossard, stringendo maggiormente le dita intorno al fucile.

«Attendiamo ordini, Capitano» fece Ral, osservando di sottecchi il superiore.

L'uomo rifletté qualche istante sul da farsi. Chiunque fosse a bordo di quell'astronave era un possibile pericolo per il loro pianeta. Doveva recuperare quella cassa, e alla svelta.

«Yin e Schultz sono certamente stati catturati, se non peggio» disse il corvino. «Dobbiamo arrivare allo Stargate.»

I tre soldati avanzarono con passi misurati e precisi, sollevando polvere color ocra senza distogliere lo sguardo dall'oggetto alieno.

Hanji, invece, era impaurita: per la prima volta, da quando era giunta in quel nuovo mondo, la prospettiva di imbattersi in una forma di vita sconosciuta la spaventava perché, se le trascrizioni nella caverna erano affidabili, a bordo della navicella avrebbe potuto trovarsi un tiranno galattico potenzialmente immortale.

La donna si affrettò quindi a seguire i compagni d'avventura, ignara del fatto che piccole figure li avevano seguiti fin lì, spinte da curiosità ed incoscienza.

I quattro bambini, originari del villaggio, videro gli stranieri entrare nel cunicolo sotterraneo ai piedi delle rovine, per poi imitarli fermandosi prudentemente all'ingresso del passaggio.

«Aɱҽɳ ιʂιϝαԃ, Fαʅƈσ?»

«Lυɳιҽƚ, GαႦι...»

All'interno, il buio più totale.

Petra era tesa, mentre aggirava una delle colonne a sostegno della roccia, tendendo le orecchie. Oltre il respiro dei membri della sua squadra, però, non udí nient'altro.

Tutto era innaturalmente silenzioso.

Poi un colpo dietro la nuca, e l'oscurità l'accolse.

Auruo sentí un fruscío, qualcosa che veniva trascinato tra la polvere, e scorse la mano dell'amata sparire dietro un angolo.

«Petra!»

Un grugnito alle proprie spalle. Neanche il tempo di voltarsi che un essere, grosso e duro come il marmo, lo caricò alla stregua di un toro infuriato, sbalzandolo al lato opposto del lungo corridoio.

Hanji, dietro Levi, gridò nel vedere il corpo di Bossard spuntarle davanti dal nulla e tentò di correre nuovamente all'esterno.

Il corvino non fece in tempo a chiamarla: la Dott.ssa venne afferrata al collo e sollevata facilmente, quasi fosse leggera come l'aria, e le si mozzò il respiro; un energumeno dall'aspetto strano e decisamente minaccioso aveva la vita della donna nel palmo della propria mano e, con lei, l'unica occasione che i suoi sottoposti avevano di far ritorno a casa.

Sparò, mirando dritto alla fronte dello sgradito ospite, ma il proiettile non lo scalfí minimamente rimbalzando invece sulla sua pelle corazzata.

«L-Levi...!» esalò Hanji prima di svenire ed essere gettata lontano, ormai fuori gioco.

Il Capitano usò un intero caricatore, inutilmente, mentre il nemico gli correva incontro. L'impatto fu inevitabile, tanto che Levi sbatté violentemente la testa contro la fredda pietra alle sue spalle.

Percepí il sangue scorrergli lungo il collo, impregnandogli la divisa, e la vista annebbiarsi. Infine, il nulla.

 

-


Hanji rinvenne in un luogo poco familiare. Strattonata per un braccio, venne gettata malamente in una cella priva di finestre dove si riuní al resto della squadra. Si sentí meno sola e decisamente più al sicuro con i suoi compagni di viaggio, piuttosto che con quel mostro dalla scorza dura e la dialettica pari a un gorilla, ma il suo morale tornò nuovamente sotto i tacchi nel notare la sua assenza: Gunther, Erd, Auruo, Petra...

«Dov'è Levi?» chiese debolmente, senza ottenere alcuna risposta.

 

-


Aveva un gran mal di testa. Gli pulsava dolorosamente tanto da risultare insopportabile, mentre il suo corpo veniva trascinato su una superficie liscia. Era impossibile che si trovasse ancora nel cunicolo dove era celato lo Stargate.

Si chiese dove fossero i suoi uomini, se anche loro si trovassero ovunque lui fosse stato portato o se le loro vite erano state stroncate brutalmente. Non riusciva ad aprire gli occhi, si sentiva troppo debole e stanco.

Una mano gli sfiorò la gola, scorrendo lungo la catena del ciondolo che Historia Reiss gli aveva prestato. Serrò la mascella a quel contatto sgradito, prima di perdere nuovamente i sensi.

 

-


Falco rovistava tra gli strani oggetti che il messaggero di Ymir, la sciamana e i loro seguaci avevano lasciato in prossimità di quelle buffe tende. Non aveva mai visto nulla del genere, prima di allora, e si chiese a cosa potessero servire.

Aveva la testa dentro un baule quando un fulmine squarciò il cielo.

Terrorizzato, si nascose come meglio poteva imitato dagli amici, e un essere enorme si incamminò verso il deserto sollevando sabbia al suo passaggio. Si dirigeva verso il villaggio.

Attesero che fosse abbastanza lontano e poi lo seguirono di soppiatto, con Gabi che stringeva al petto una valigetta che aveva catturato la sua attenzione.

 

-


Iniziò come un lieve tremore del suolo, dapprima appena percettibile per poi intensificarsi col trascorrere dei secondi.

E'ren ricordava bene il giorno in cui si era verificato un evento simile. Sapeva cosa avrebbe visto, una volta sollevato lo sguardo verso le mura. Sapeva cosa sarebbe accaduto di lì a poco e, nonostante ciò, non era comunque pronto.

L'enorme gigante, col suo inquietante sorriso, oscurò il cielo affacciandosi oltre la parete che circondava il villaggio, fissando gli abitanti

fuggire in preda al terrore più profondo alla ricerca di un rifugio.

Tutto inutile, il loro destino era segnato: eppure non riuscì a trattenersi dal gridare, con quanto fiato aveva in gola, di correre al riparo.

Il colosso sollevò il piede e calciò il portone di legno, fragile sotto quel potente colpo, frantumandolo in mille pezzi. Le schegge volarono ovunque e con i palmi sgretolò l'orlo del muro, lanciando i detriti verso le grezze costruzioni che crollarono all'istante, seppellendo i malcapitati nelle vicinanze.

Il capo villaggio, le iridi verdi sbarrate per l'orrore, assisteva a quello scempio incapace di muovere un singolo muscolo. Udiva distintamente le urla strazianti dei feriti, i pianti delle madri che cercavano i propri figli e i singhiozzi dei bambini rimasti soli tra la polvere; una triste eco del giorno in cui aveva perso ciò che gli era più caro.

Le dita andarono a stringersi intorno al monile in osso che gli ornava il collo, quando la voce poco distante di E'ren lo riscosse da quel torpore. L'uomo allora tornò in sé e prese a impartire ordini, aiutando al contempo chi poteva.

Ai sopravvisuti, quei minuti parvero ore.

Il gigante, soddisfatto del proprio operato, indietreggiò allontanandosi dal luogo in cui aveva seminato paura e distruzione, lasciandosi la morte alle spalle.

E'ren correva tra ciò che era rimasto delle strade, delle abitazioni, della misera vita che conducevano in quell'arido deserto.

Poi, la vide.

La stoffa rossa, strappata in più punti, sbucava da sotto le macerie. Terrorizzato, prese a scavare a mani nude. Non sentiva le unghie spezzarsi o la pelle lacerarsi, solo la paura di essere arrivato troppo tardi.

«Mιƙąʂα!»

Trovò la mano della giovane, e la foga con cui il ragazzo si liberava delle pietre aumentò. Finalmente, il viso dell'amica venne alla luce, sporco e graffiato.

«Mιƙąʂα! Mιƙąʂα ɾιʂρσɳԃιɱι!»

Un rantolo, dei colpi di tosse e, infine, questa aprí gli occhi.

«E'ɾҽɳ...»

Il castano la strinse a sé, cullandola. Era viva.

Intorno a loro solo disperazione ed E'ren digrignò i denti, le iridi smeraldine accese dal fuoco dell'ira alimentato unicamente dal desiderio di libertà e vendetta.

Falco, Gabi e gli altri bambini che quel mattino avevano seguito il messaggero di Ymir fuori dalle mura, giunsero al villaggio oramai distrutto. Si guardarono attorno, spaesati, per poi dividersi e andare in cerca delle proprie famiglie, ammesso che le avessero ancora.

Il biondino vide E'ren inginocchiato a terra, con Mikąsa seduta sul suo grembo, e gli si avvicinò.

«E'ɾҽɳ... Cσʂα è ʂυƈƈҽʂʂσ?» gli chiese piano.

«Yɱιɾ ƈι ԋα ρυɳιƚι» fu la sola risposta.

«Pҽɾƈԋé...?»

«Nσɳ ʅσ ʂσ.»

Il volto di colui che il Dio aveva inviato in suo nome attraversò l'anima del giovane, inducendolo ad afferrare la tunica del piccolo con forza. Lo aveva seguito, doveva sapere dove fosse, se-

«Lҽʋι! Dσʋ'é Lҽʋι?!»

Falco calò lo sguardo, gli occhi lucidi e l'espressione affranta, ed E'ren seppe con certezza che tutto era perduto. Che ogni speranza era vana.

«Nσɳ αʋɾҽɱɱσ ԃσʋυƚσ αιυƚαɾҽ ɠʅι ʂƚɾαɳιҽɾι...»

La voce del capo villaggio gli giunse alle orecchie ed eccolo lì, in lacrime in mezzo a ciò che era rimasto del loro popolo. A quelle parole, il castano replicò rabbiosamente.

«A ƈσʂα ρσɾƚα ʅα ƚυα σႦႦҽԃιҽɳȥα? Iɳԃσʂʂι ʅҽ σʂʂα ԃι ƚυα ɱσɠʅιҽ, ɱα ԃαʅʅα ʂυα ɱσɾƚҽ ɳσɳ ԋαι ιɱραɾαƚσ ɳιҽɳƚҽ. Iʅ ƚυσ υɳιƈσ ʂႦαɠʅισ è ϙυҽʅʅσ ԃι ɳσɳ ɾιႦҽʅʅαɾƚι, ραԃɾҽ

Grişha non rispose. Pianse silenziosamente, vagando attraverso i resti di quella che una volta era la loro casa.


-


Levi non percepiva il peso del proprio corpo, quasi stesse fluttuando, eppure le sue membra erano saldamente bloccate da qualcosa di freddo.

Sollevò lentamente le palpebre e i suoi occhi tentarono di mettere a fuoco l'ambiente circostante senza successo. Credette fosse un deficit visivo causato dal colpo ricevuto alla testa, prima che si rendesse conto del luogo in cui effettivamente si trovasse: intrappolato in un cristallo candido, incapace di muovere un singolo muscolo ma stranamente in grado di respirare nonostante il materiale che lo inglobava.

La superficie irregolare si scheggiò, una lunga spaccatura ad attraversarlo nella sua interezza, infrangendosi completamente e lasciando cadere il corvino al suolo.

Levi atterrò sulle ginocchia, i frammenti trasparenti sparsi tutt'intorno su di un pavimento lucido, e i suoi sensi si tesero all'unisono. Le iridi plumbee saettarono lungo l'enorme sala studiando il posto, mentre si rimetteva in piedi toccandosi il capo. La ferita era svanita: sotto i polpastrelli nessun segno, grumo di sangue o altro che lasciasse intendere la presenza di una lacerazione. Alle pareti lastre di marmo, arazzi pregiati e, non fosse stato per la pedana ultratecnologica alle sue spalle che aveva plasmato il cristallo oramai andato distrutto, avrebbe giurato di trovarsi all'interno di un antico palazzo sapientemente ricostruito.

«E ƈσʂì, ʋι ʂιҽƚҽ ҽʋσʅυƚι...»

Più voci eppure una sola lo colsero di sorpresa, al di là di un magnifico trono impreziosito da oro e gemme. Una figura aggirò la maestosa seduta e, lentamente, si mostrò dinanzi a lui: gambe lunghe e snelle alle cui caviglie sfoggiava monili scintillanti, fianchi perfetti avvolti nella seta, seni piccoli e sodi esposti candidamente alla sua vista; capelli castani abilmente raccolti da un elaborato fermaglio, piccole efelidi sulle gote olivastre, occhi taglienti che lo trafissero con la potenza di mille lame e le cui iridi si illuminarono in modo sinistro, palesando la natura astrale del possessore.

«Cԋι ʂҽι?» chiese Levi, e solo in quel momento si rese conto non solo di comprendere la sua lingua, ma di padroneggiarla perfettamente.

«Iσ ʂσɳσ Yɱιɾ, ҽ ƚυ» rispose questa, «ʂҽι ʂσʅσ υɳ αʅƚɾσ ʂƚσʅƚσ ԃα ʂσƚƚσɱҽƚƚҽɾҽ.»

L'uomo non riuscí a reprimere un ghigno beffardo.

«Uɳα ԃσɳɳα. Dαʅ ɱσԃσ ιɳ ƈυι ʂҽι ƚҽɱυƚα, ɳσɳ ʅ'αʋɾҽι ɱαι ԃҽƚƚσ.»

«Lα ʋσʂƚɾα ʂρҽƈιҽ ԋα υɳα Ⴆαʂʂα ƈσɳʂιԃҽɾαȥισɳҽ ԃҽʅʅ'ҽʂҽɱρʅαɾҽ ϝҽɱɱιɳιʅҽ: ɳσɳ è ϝσɾʂҽ ϙυҽʅʅσ ιɳ ɠɾαԃσ ԃι ρɾσƈɾҽαɾҽ? Dι ƈҽɾƚσ, ϙυҽʂƚα» l'alieno indicò il corpo di cui si era impadronito millenni addietro come fosse un mero oggetto, «è ʂƚαƚα ριù ƈσɾαɠɠισʂα ԃι ƚαɳƚι ɱαʂƈԋι, ɳҽʅ ʋҽɳιɾɱι ιɳƈσɳƚɾσ.»

Ymir camminava senza alcuna fretta, osservando curiosamente il Capitano quasi fosse un animale da compatire, girandogli attorno.

«Cσʂα ɱι ԋαι ϝαƚƚσ?» gli occhi dell'uomo si assottigliarono, ogni fibra del suo essere pronta a scattare.

«Sιҽƚҽ ƈσʂì ϝαƈιʅι ԃα ɾιραɾαɾҽ, ɱα ɳσɳ αʅƚɾҽƚƚαɳƚσ ιɳƚҽʅʅιɠҽɳƚι.»

La giovane si allontanò, andando a sollevare un lembo di stoffa che ricopriva un cesto e mostrando cosa vi era celato al di sotto. Levi rabbrividí.

La bomba, che il Capitano aveva portato con sé dal proprio pianeta, giaceva in bella vista dinanzi a lui.

«Nσɳ ԃσʋҽʋαƚҽ ɾιαρɾιɾҽ ιʅ ρσɾƚαʅҽ. Iɳʋιҽɾò ɳυσʋαɱҽɳƚҽ ʅ'σɾԃιɠɳσ αʅʅα ƚυα ɠҽɳƚҽ ƈσɳ υɳ ƈαɾιƈσ ԃҽʅ ɳσʂƚɾσ ɱιɳҽɾαʅҽ, ιʅ ϙυαʅҽ αυɱҽɳƚҽɾà ԃι ƈҽɳƚσ ʋσʅƚҽ ʅα ʂυα ϝσɾȥα ԃιʂƚɾυƚƚιʋα.»

«Pҽɾƈԋé?»

Ymir rise.

«Pҽɾƈԋé ρσʂʂσ: ισ ԋσ ƈɾҽαƚσ ʅα ʋσʂƚɾα ƈιʋιʅƚà, ισ ʋι ρσɾɾò ϝιɳҽ. Mα, ρɾιɱα ƈԋҽ ι ɱιҽι ʂυԃԃιƚι ƈσɳƚҽʂƚιɳσ ʅα ɱια αυƚσɾιƚà, ɱσʂƚɾҽɾαι ʅσɾσ ƈԋҽ ʂσɳσ ʅ'υɳιƈσ Dισ. Pҽɾιɾαι ρҽɾ ɱαɳσ ԃҽι ƚυσι ƈσɱραɠɳι.»

«Sҽ ʂι ɾιϝιυƚαʂʂҽɾσ?»

«Uƈƈιԃҽɾò ƚҽ ҽ ƚυƚƚι ƈσʅσɾσ ƈԋҽ ƚι ԋαɳɳσ ʋιʂƚσ. Pυò ҽʂʂҽɾƈι υɳ ʂσʅσ Yɱιɾ» sorrise lei, andando a sfiorare il ciondolo che pendeva al suo collo per poi strapparglielo.

L'uomo avrebbe dovuto ucciderla: afferrarla e spezzarle il collo sottile sarebbe stato semplice e veloce; il pensiero di E'ren, però, affollava la sua mente senza lasciare spazio ad altro.

Se non si fosse sacrificato, l'intero popolo sarebbe stato trucidato e il ragazzo insieme a loro. Non poteva permettere che morisse. Non poteva lasciare che la bomba venisse inviata nel suo mondo.

Internamente dilaniato tra ciò che era razionale e l'istinto di proteggere un singolo individuo, Levi non si accorse delle due figure che gli si erano affiancate.

Una fanciulla dai capelli biondi e un giovane muscoloso si erano inginocchiati al cospetto della tiranna, prestandole omaggio, completamente nudi. Con le dita andarono a sfiorare un piccolo congegno posto sulla loro nuca, trasformandosi sotto i suoi occhi increduli, e il soldato riconobbe nel maschio l'individuo corazzato che li aveva attaccati nella grotta. Quest'ultimo sembrò sorridere malignamente, prima di colpire Levi in pieno viso.

 

-


E'ren fissava la parete di roccia su cui era scolpita la storia della sua gente, proveniente da un mondo lontano di cui non sapeva assolutamente nulla. Lo stesso da cui era giunto Levi.

Mikąsa, ancora dolorante, gli si avvicinò cautamente.

«Yɱιɾ ԋα ƈσɳʋσƈαƚσ υɳ'αʂʂҽɱႦʅҽα. Cι ʂαɾà υɳ'ҽʂҽƈυȥισɳҽ.»

Le iridi del ragazzo brillarono alla luce della fiaccola sorretta dall'amica. Se il Dio aveva indetto un simile evento, forse non era tutto perduto.

«Cԋιαɱα ɠʅι αʅƚɾι» le disse.

«Cσɱҽ...?»

«Cσɳɳî, Sα'ʂԋα, Jҽαñ. Vσɠʅισ ƈԋҽ ʂριҽɠԋι ʅσɾσ ƈιò ƈԋҽ ƚι ԋα ɾαƈƈσɳƚαƚσ Hαɳʝι ҽԃ ԋαι ɾιϝҽɾιƚσ α ɱҽ» proseguí il castano, determinato. «Dҽʋσɳσ ƈσɳσʂƈҽɾҽ ʅα ʋҽɾιƚà. Pσʂʂιαɱσ ҽʂʂҽɾҽ ʅιႦҽɾι.»

La corvina calò lo sguardo, il senso di colpa a spaccarle l'anima: se non avesse condotto la sciamana in quel luogo, il messaggero di Ymir non sarebbe mai ripartito e il gigante non sarebbe mai giunto per distruggere il villaggio; voleva fidarsi di colui che considerava un fratello e le aveva salvato per ben due volte la vita, sperando che la morte di tante persone, quel giorno, fosse servita a qualcosa.

«Lσ ϝαɾò.»

E'ren sentí i suoi passi farsi sempre più lontani fino a svanire. Strinse i pugni, fissando il simbolo che rappresentava l'essere immondo che aveva decretato la loro prigionia e, al tempo stesso, l'uomo che aveva inconsciamente portato speranza alla sua gente.

«Rҽʂιʂƚι, Lҽʋι.»

 

-


La folla era radunata ai piedi delle rovine, sulle quali troneggiava l'imponente astronave giunta dallo spazio. Un lungo tappeto rosso si protendeva verso i nativi, accorsi al richiamo del Dio, partendo dall'enorme arco sotto al quale sedeva Ymir, col volto olivastro coperto da una maschera abilmente cesellata ed attorniata dai suoi numerosi seguaci. La femmina scrutava coi suoi occhi di ghiaccio i presenti, minacciosa, mentre il corazzato vigilava sulla squadra tenuta prigioniera.

Polsi bloccati dietro la schiena e ginocchia al suolo, Schultz, Yin, Bossard, Ral e lo stesso Capitano Ackerman fissavano mestamente il loro boia: la Dott.ssa Zoë. La donna, tremante, teneva tre le proprie mani una lancia. Guardava i propri compagni, consapevole di reggere la falce che avrebbe posto fine alle loro esistenze.

«I-io n-non...!»

La punta dell'arma si aprí, pronta a sparare un raggio laser in grado di trapassare le carni di un essere umano come fosse burro fuso. Hanji era nel panico e Levi non poteva assolutamente biasimarla: era una civile, non aveva mai affrontato la morte in quei termini. Poi, un luccichio tra la calca catturò la sua attenzione.

Senza scomporsi cercò con lo sguardo la fonte luminosa e il suo cuore accelerò il proprio battito: E'ren, il cappuccio logoro sul capo spettinato, rifletteva la luce dell'astro solare muovendo la lama del coltello che gli aveva donato. Un cenno d'intesa e Mikąsa, al suo fianco, mostrò al di sotto della propria tunica uno dei fucili che aveva lasciato all'accampamento. Come se l'erano procurato, quei mocciosi?

Decise di lasciar perdere quella futile domanda, fidandosi invece del ragazzo e sperando che nessuno ci lasciasse le penne.

La studiosa, nel frattempo, era certa che sarebbe svenuta da un istante all'altro. Magari avrebbe guadagnato tempo e rimandato l'inevitabile, si disse. I suoi occhi trovarono quelli di Levi e l'uomo, impercettibilmente, mosse il viso in direzione del Dio.

Ora, mimò con le labbra, ed Hanji rafforzò la presa sull'asta.

«Dritto alla testa...» si disse e, all'ultimo secondo, puntò la lancia verso Ymir, sparandole.

Il colpo andò a vuoto, mancando l'obiettivo di diversi metri, ma serví come diversivo: Mikąsa sollevò il mitra, scaricandolo verso il cielo, e la folla si agitò immediatamente non capendo dove fosse il pericolo; grosse nuvole di sabbia si sollevarono e il Capitano seppe che quello era il momento.

«Andate!» Levi urlò e la squadra si rimise velocemente in piedi correndo verso i giovani giunti in loro soccorso, i quali li coprirono con vecchi mantelli nascondendo le vesti bizzarre alla vista. Il corvino sentí due palmi bollenti toccargli le spalle ed E'ren era lì al suo fianco, a sorridergli in un modo che era rassicurante e sfacciato insieme, conducendolo lontano.

La femmina e il corazzato attivarono le proprie armi, facendo fuoco sulla folla, ma era troppo tardi: gli stranieri erano fuggiti, ed Ymir avrebbe sfogato la propria collera, per quel fallimento, su di loro.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Stargate

 

 

 

 


- Capitolo 5 -


Scemata l’adrenalina della fuga, il viaggio fu oltremodo silenzioso. Nessuno osava emettere un fiato, rispettivamente consapevoli della gravità delle proprie azioni e del pericolo corso.

Era ormai sera quando giunsero a ciò che restava di un vecchio villaggio, spettrale e fatiscente. Erano anni che nessuno metteva piede in qual posto lugubre, triste ombra di ciò che era stato: pieno di vita e amore, nonostante la schiavitù a cui gli abitanti erano assoggettati. Senza aprir bocca si sistemarono come meglio poterono, accendendo un fuoco all’interno di una costruzione diroccata.

Levi fissò i volti dei propri sottoposti, uno ad uno: Ral, per fortuna o per pietà, era quella ad aver riportato meno ferite; gli uomini, invece, avevano il viso tumefatto in più punti, soprattutto Yin e Schultz che, a quanto pareva, erano stati catturati la notte del loro arrivo. Per quanto gli eventi di cui erano stati protagonisti fossero certamente fuori dal comune, i quattro restavano soldati accuratamente addestrati e il corvino non aveva dubbi sul fatto che si sarebbero ripresi a breve dallo shock.

Chi lo preoccupava maggiormente era Hanji: fissava il vuoto, le iridi nocciola vacue e prive della scintilla che le aveva da sempre caratterizzate, immobile al pari di una statua. Sedeva su di un masso dinanzi al piccolo falò, ferma al punto da sembrare che non respirasse.

Poi, di punto in bianco, rise: talmente forte e così sguaiatamente da farsi venire le lacrime agli occhi, lasciando tutti di sasso mentre iniziava a singhiozzare senza alcun pudore.

Una delle native, dai lunghi capelli rossastri, andò a cingerle le spalle nel tentativo di darle conforto, e la bruna si abbandonò disperata tra le sue braccia. Pianse fino a non avere più forze. Era viva, si ripeteva, era ancora viva.

«Questi mocciosi devono tornare a casa. Mandateli via.»

«Non hanno più una casa, signore…» fu la mesta replica di Petra. «Sono dei ribelli ora.»

Il Capitano si passò una mano tra i capelli, percependo sotto le dita numerosi granelli di sabbia.

Doveva dirlo, non poteva più tacere.

«Gli ordini del Comandante Smith erano precisi:» iniziò, e gli occhi di tutti furono su di lui, «scoprire eventuali segnali di pericolo e, se ne avessi trovati, distruggere lo Stargate. Ne ho trovati eccome.»

Schultz, che era il più anziano tra i soldati scelti e il prossimo in linea di comando dopo Ackerman, si agitò sul posto.

«Perché non siamo stati informati?»

«Perché non ce n’era motivo. Tutti voi avreste dovuto far ritorno attraverso il portale. Ero il solo a dover restare per far saltare lo Stargate ed è quello che farò.»

«Abbiamo trasportato una bomba...?» scattò Bossard, stringendo Ral a sé con fare protettivo. Quest'ultima era troppo stremata e allibita dalla notizia persino per protestare.

«Sí. Ce l’ha Ymir, ora, e vuole mandarla sul nostro pianeta insieme a un carico di quel minerale estratto nel deserto; aumenterà la sua potenza di cento volte e il risultato sarà una strage su vasta scala.»

Arrivò veloce come un fulmine, e Levi sentí il proprio viso pulsare per lo schiaffo appena ricevuto.

Hanji era in piedi dinanzi a lui, il volto livido di collera e il fiato che le si strozzava in gola.

«”È una missione ricognitiva”, questo mi avevate detto! Invece abbiamo portato un ordigno nucleare all’altro capo dell’universo, e servito su un piatto d’argento una carneficina a un alieno con manie di grandezza!»

Corse via, furiosa, ma nessuno osò fermarla. I nativi, ignari del pericolo imminente, si scambiarono occhiate perplesse mentre il Capitano Ackerman si faceva carico di una colpa imputabile a nessuno: era un soldato e, in quanto tale, aveva eseguito le direttive del proprio superiore.

Non riusciva a fare a meno, comunque, di sentirsi un traditore.

 

-


Erano trascorse delle ore, da quel momento, in cui la donna aveva cercato di fare chiarezza dentro di sé.

La Dott.ssa Zoë era estremamente provata ma, più di tutto, era delusa: per quanto gli ultimi accadimenti fossero stati spaventosi e le disposizioni di Smith la ripugnassero, niente giustificava il proprio comportamento; non avrebbe mai dovuto colpire Levi.

Lo trovò con la schiena poggiata a una delle poche pareti ancora in piedi in quel posto devastato e, mantenendosi a debita distanza, lo imitò. Sollevò lo sguardo al cielo.

«A differenza nostra, conoscevi il rischio a cui andavi incontro. Eppure, hai accettato ugualmente. Non hai nessuno che ti voglia bene da cui tornare...?»

Il corvino tacque ed Hanji credette che non le avrebbe risposto.

«Una volta. Ora non più» disse invece l’altro.

«Io non voglio morire» fece lei, pacatamente. Quel viaggio stava cambiando le sue prospettive e, nonostante avesse ben poco di cui gioire nel proprio mondo, una eventuale dipartita non era tra le sue aspirazioni. «La tua squadra non vuole morire. Quella gente non vuole morire.»

La bruna si staccò dal muro, pronta ad andarsene.

«È triste il fatto che tu abbia tanta fretta di farlo…»

La bruna lasciò Levi da solo, coi fantasmi delle due persone che più aveva amato a fargli compagnia insieme al magone nel sapere che, tra tutti coloro che rischiavano la vita a causa sua, un giovane dalle iridi verdi come smeraldi aveva abbandonato tutto ciò che conosceva, pur di salvarlo.

 

-


Il Capitano Ackerman osservò mestamente quei rivoluzionari improvvisati preparare il luogo per la notte. Erano tutti giovani, poco più che adolescenti, e solo in quel momento il Capitano sembrò ricordare che una di loro avesse un mitra sotto la tunica.

L’uomo marciò verso Mikąsa, strappandole dalle mani un’arma che avrebbe potuto arrecarle più danni che benefici, inserendo la sicura.

«Mocciosi del cazzo…» sibilò, guadagnandosi un'occhiataccia da parte della ragazza.

E’ren, in disparte, non gli toglieva gli occhi di dosso, fissando Levi con tale intensità da far arrossire chiunque - tranne lui.

Uno dei ribelli, capelli biondi e volto equino, soffocò una risata.

«Cҽɾƚσ ƈԋҽ ʂҽι ʂƚαƚσ ρɾσρɾισ ʂϝσɾƚυɳαƚσ, E’ɾҽɳ: ɳσɳ ʂσʅσ ɳσɳ ɠσԃҽ ԃҽʅ ϝαʋσɾҽ ԃι Yɱιɾ ƈσɱҽ αʋҽʋαɱσ ƈɾҽԃυƚσ, ɱα è αɳƈԋҽ ƈσɾƚσ...!»

Il castano stava per ribattere velenosamente in difesa dello straniero, quando Jeañ scomparve alla sua vista. Nel giro di un secondo, quest’ultimo si era trovato con la schiena a terra e la suola di un anfibio piantata sulla propria gola. Per sua sfortuna, da quando Levi aveva lasciato il loro villaggio le cose erano un po’ cambiate: l’uomo aveva infatti capito benissimo ogni singola parola, e non era per nulla propenso a farsi sbeffeggiare dal primo coglioncello di turno.

E’ren scoppiò a ridere, avvicinandosi ai due contendenti.

«Pҽɾ υɳσ ƈԋҽ è αʅƚσ ʅα ɱҽƚà ԃι ƚҽ ƈι ʂα ϝαɾҽ, ɳσɳ ƈɾҽԃι? Hα ρҽɾƈҽριƚσ ʅ’αƈɾҽԃιɳҽ ɳҽʅʅα ƚυα ʋσƈҽ, ιԃισƚα.»

«E-E’ɾҽԋ…»

«Cσʂα? Nσɳ ƚι ʂҽɳƚσ» lo prese in giro il ragazzo, portandosi un palmo all'orecchio.

«Zιƚƚσ, ƈԋҽ ɳҽ ԋσ αɳƈԋҽ ρҽɾ ƚҽ.»

Tutti si voltarono in direzione del maggiore, nell’udirlo parlare fluentemente la lingua aliena.

«Cσɱҽ-»

«Uɳ ɠҽɳƚιʅҽ σɱαɠɠισ ԃҽʅʅα ƚυα ԃιʋιɳιƚà ԃҽʅ ƈαȥȥσ.»

«Nσɳ è ιʅ ɱισ Dισ.»

Levi non considerò la sua risposta, iniziando invece a rimproverarlo.

«Nσɳ ʂαɾҽʂƚι ԃσʋυƚσ ʋҽɳιɾҽ, ʂҽι- ʂιҽƚҽ» si corresse velocemente, «ƚυƚƚι ιɳ ρҽɾιƈσʅσ.»

«Sαɾҽʂƚҽ ɱσɾƚι.»

«Cҽ ʅα ʂαɾҽɱɱσ ƈαʋαƚα.»

«Mρԋ, ɳҽ ԃυႦιƚσ!» il ragazzo incrociò le braccia al petto, sollevando il mento con fare altezzoso.

«Dσʋҽʋι ɾҽʂƚαɾҽ αʅ ʋιʅʅαɠɠισ, ʅì ҽɾι αʅ ʂιƈυɾσ!»

Le iridi di E’ren si accesero repentinamente, in preda all’ira più funesta.

«Dαʋʋҽɾσ?! Pҽɾƈԋé ԋσ ƚɾαʂƈσɾʂσ ʅҽ υʅƚιɱҽ σɾҽ α ʂҽρρҽʅʅιɾҽ ʅα ɱια ɠҽɳƚҽ, αɳƈσɾα!»

Si fissarono in cagnesco pronti a saltarsi addosso, nessuno dei due intenzionato a cedere, quando un lamento strozzato ricordò loro la presenza di Jeañ, pericolosamente vicino all’asfissia.

«T-ƚσɠʅιɱι ƚυσ ɱαɾιƚσ ԃ-ԃι ԃσʂʂσ...!» esalò, e per un attimo tutto restò immobile.

Levi vide il volto di E’ren colorirsi di cremisi - completamente dimentico della rabbia provata fino a un istante prima - per poi battere velocemente il ritirata, mentre il proprio cervello ancora registrava ciò che aveva appena sentito.

Marito.

Il corvino corse dietro al giovane, lasciando il nativo biondo finalmente libero di respirare, fermamente deciso a venire a capo della situazione.

«E’ɾҽɳ? E’ɾҽɳ!»

«Lαʂƈιαɱι ιɳ ραƈҽ!»

Quando gli afferrò la veste logora, costringendolo a voltarsi, erano giunti in quelle che un tempo furono delle stalle.

«Cσʂα ʋσʅҽʋα ԃιɾҽ? Cԋҽ ʂιɠɳιϝιƈα?»

E’ren si tirò indietro e l’uomo abbassò le mani, in attesa. Il più piccolo, con lo sguardo basso, prese a massaggiarsi inconsciamente un braccio. Era imbarazzato.

«A ƈσʂα ƚι ɾιϝҽɾιʂƈι?»

«Sιαɱσ ʂρσʂαƚι...?»

Se possibile l’incarnato del ragazzo divenne ancora più scuro.

«Lα ɳσƚƚҽ ƈԋҽ ʂιҽƚҽ ɠιυɳƚι αʅ ʋιʅʅαɠɠισ, ισ…» deglutí, impacciato. «Sσɳσ ʂƚαƚσ σϝϝҽɾƚσ ƈσɱҽ ƚυσ ʂρσʂσ.»

Levi non mosse un muscolo. Le immagini di quei giorni si susseguivano nella propria mente, incastrandosi come tanti tasselli di un puzzle: il banchetto, i fiori e l’incenso, la veste elaborata che l’altro aveva indosso prima di…

Nel notare la sua espressione accigliata, E’ren gli rivolse un sorriso spento.

«È σʋʋισ ƈԋҽ ɳσɳ ԋαι ɠɾαԃιƚσ ιʅ ɠҽʂƚσ, ʋιʂƚα ʅα ϝɾҽƚƚα ƈσɳ ƈυι ɱι ԋαι ɾιʋҽʂƚιƚσ. Nσɳ ԋσ ԃҽƚƚσ α ɳҽʂʂυɳσ ƈԋҽ ɱι ԋαι ɾιϝιυƚαƚσ.»

«Pҽɾƈԋé...?»

«Mι ʂσɳσ ʂҽɳƚιƚσ υɱιʅιαƚσ! Eԃ σɾα ƈԋҽ ʂҽι ƈσɳʂαρҽʋσʅҽ ԃι ƚυƚƚσ ϙυҽʂƚσ è ρҽɾʂιɳσ ρҽɠɠισ…»

«Nσ, ιɳƚҽɳԃҽʋσ ρҽɾƈԋé ɱι ԋαι ʂαʅʋαƚσ?»

«Oԋ...!» Quante tonalità di rosso esistevano? Era certo che E’ren le avesse mostrate tutte. «Sҽι ϝσɾƚҽ. Cσɾαɠɠισʂσ. Cσɱραʂʂισɳҽʋσʅҽ. Aʅƚɾυιʂƚα. Pυσι ҽʂʂҽɾҽ υɳ Ⴆυσɳ ʅҽαԃҽɾ ρҽɾ ιʅ ɱισ ρσρσʅσ. Pυσι ɠυιԃαɾʅσ ҽ ԃαɾɠʅι υɳ ϝυƚυɾσ ԃҽɠɳσ ԃι ϙυҽʂƚσ ɳσɱҽ.»

«Qυҽʂƚσ è ƈιò ƈԋҽ ʋυσι ρҽɾ ɠʅι αʅƚɾι, ɱα ρҽɾ ƚҽ? Sҽ ɳσɳ ɱι αʋҽʂʂι αιυƚαƚσ σɾα ɳσɳ ԃσʋɾҽʂƚι ιɳʂƈҽɳαɾҽ ϙυҽʂƚα ϝαɾʂα, ҽ ρσƚɾҽʂƚι αʋҽɾҽ αƈƈαɳƚσ ʅα ρҽɾʂσɳα ƈσɳ ƈυι ԃҽʂιԃҽɾι ƚɾαʂƈσɾɾҽɾҽ ʅα ƚυα ʋιƚα. Tυ ƈσʂα ʋυσι, E’ɾҽɳ...?»

Due pozze smeraldine lo scrutarono da sotto le lunghe ciglia, timide ma determinate.

«Vσɠʅισ ҽʂʂҽɾҽ ʅιႦҽɾσ: ԃα Yɱιɾ, ҽ ԃα ƈιò ƈԋҽ ɱισ ραԃɾҽ ʋυσʅҽ… LιႦҽɾσ ԃι ʂƈҽɠʅιҽɾҽ ҽԃ σɠɠι ʅ’ԋσ ϝαƚƚσ: ԋσ ʂƈҽʅƚσ ƚҽ

In un mondo lontano anni luce da quello in cui era nato e cresciuto, Levi sentí per la prima volta - da quando li aveva persi - di aver incontrato qualcuno per cui valeva la pena lottare, combattere, persino soffrire. Il modo in cui E’ren lo guardava era diverso da quello di chiunque altro, al punto tale da giustificare l’irrazionale bisogno di proteggerlo, inducendolo persino a credere a sciocchezze a cui non aveva mai dato adito come il destino.

Gli si avvicinò lentamente, dandogli la possibilità di realizzare cosa sarebbe accaduto e di tirarsi indietro, finché era in tempo. Il ragazzo invece gli andò incontro, posando un palmo bollente sullo stemma cucito sul petto dell’altro: ali che avrebbero sollevato la sua gente dalla miseria in cui aveva vissuto per millenni.

I loro nasi si sfiorarono, i respiri si fusero e quando le loro labbra si toccarono - finalmente - seppero con innegabile certezza che quello era il punto di non ritorno. La titubanza iniziale fu sostituita dalla necessità crescente di accarezzarsi, assaggiarsi, unirsi come avevano solo sognato di poter fare.

Mentre si spogliavano, graffiandosi e mordendosi, la sagoma scura di Mikąsa si allontanò dall’angolo in cui si era nascosta, sorridendo impercettibilmente. Si sarebbe assicurata che nessuno disturbasse la loro prima notte di nozze.

 

-


I piedi di Ymir si posavano con grazia sul pavimento lucido, passando in rassegna i suoi letali servi.

Prostrati al suolo, gli shifter tacevano in attesa di una punizione, persino la morte.

Colei che una volta era umana, oramai semplice involucro di uno spietato alieno, andò a raccogliere il proprio scettro finemente intarsiato. Nei suoi occhi, una luce pericolosa ad illuminarli.

«Aʋҽƚҽ ϝαʅʅιƚσ… Iσ ʋι ԋσ ԃσɳαƚσ ιʅ ρσƚҽɾҽ ҽ ʋσι ɱι ɾιɳɠɾαȥιαƚҽ ƈσʂì…»

La sua voce, densa come miele, nascondeva una minaccia concreta, eppure il piccolo esercito tacque quasi non provasse timore o paura. Insensibile a qualunque stimolo, privato di qualsivoglia volontà.

«Iσ ɳσɳ αƈƈҽƚƚσ ιʅ ϝαʅʅιɱҽɳƚσ...»

Il castigo giunse veloce e violento, abbattendosi sul più corpulento di tutti. Ymir lo colpí con crudeltà inaudita e abissale ferocia, imbrattando il marmo del suo sangue. Quanta forza era capace di esercitare un essere all'apparenza tanto fragile.

I compagni non batterono ciglio mentre il loro sovrano riduceva lo sfortunato fin di vita, pronti a condurlo al cristallo dove il suo fisico si sarebbe rigenerato e le ferite sarebbero svanite; per quanto concerneva il suo spirito, comunque, non potevano giurare altrettanto.

 

-


E’ren, col capo poggiato sul petto dell’uomo, accarezzava distrattamente le cicatrici sulla sua pelle candida e muscolosa; ne aveva tante, forse anche troppe. Si sollevò appena dal giaciglio di paglia in cui si erano rotolati fino a poco prima, solleticandogli il viso con una delle piccole trecce castane.

«Pαɾʅαɱι ԃҽʅ ƚυσ ɱσɳԃσ. Cσɱ'è?»

Levi sospirò, pensando a una risposta che non fosse “una merda”.

«È… Cασƚιƈσ. Sρσɾƈσ. Dιʅαɳιαƚσ ԃαʅʅα ɠυҽɾɾα.»

«SҽɱႦɾα σɾɾιႦιʅҽ…» si intristí l’altro.

«Lσ è. Mα, ɳσɳσʂƚαɳƚҽ ƚυƚƚσ, è υɳ Ⴆυσɳ ρσʂƚσ ιɳ ƈυι ʋιʋҽɾҽ.»

«Hαι… Hαι ϙυαʅƈυɳσ ƈԋҽ ƚι αʂρҽƚƚα?»

Una domanda innocente, naturale da parte sua: con quell’atto carnale avevano siglato una promessa, ed era logico chiedergli se fosse il solo beneficiario di un simile rituale o meno; se quel rapporto fosse esclusivo.

Il corvino chiuse gli occhi, passandogli le dita tra i capelli spettinati.

«Nσ. Aʋҽʋσ ԃҽɠʅι αɱιƈι. Lι ƈσɳʂιԃҽɾαʋσ ʅα ɱια ϝαɱιɠʅια.»

«Cԋҽ ɳҽ è ʂƚαƚσ ԃι ʅσɾσ?»

«Sσɳσ ɱσɾƚι. Nσɳ ʂσɳσ ʂƚαƚσ ιɳ ɠɾαԃσ ԃι ρɾσƚҽɠɠҽɾʅι.»

L’espressione serena di Farlan e l’enorme sorriso di Isabel fecero capolino tra i suoi pensieri, stringendogli il cuore.

Il palmo di E’ren si posò sulla sua gota fresca, cercandone lo sguardo.

«Sσɳσ ƈҽɾƚσ ƈԋҽ ʅι αɱαʂʂι ɱσʅƚσ ҽ ƈԋҽ ԋαι ϝαƚƚσ ιʅ ρσʂʂιႦιʅҽ ρҽɾ ʂαʅʋαɾʅι.»

Le loro labbra si trovarono per un breve bacio, prima che calasse nuovamente il silenzio.

«Pҽɾƈιò, ʂυʅ ƚυσ ριαɳҽƚα ʂҽι υɳ ƈσɳԃσƚƚιҽɾσ?»

Levi trattenne un sorriso.

«Qυαʅƈσʂα ԃҽʅ ɠҽɳҽɾҽ, ʂì.»

«Pҽɾ ϙυҽʂƚσ ԋαι ƚαɳƚι ʂҽɠɳι ʂυʅ ƚυσ ƈσɾρσ?»

«Eʂαƚƚσ. Mι ɾιƈσɾԃαɳσ σɠɳι ʋσʅƚα ƈԋҽ ʂσɳσ ʂσρɾαʋʋιʂυƚσ.»

La bocca umida di E’ren trovò una delle cicatrici, baciandola con delicatezza. Il corvino si irrigidí, sorpreso da quel gesto.

«Cσʂα ʂƚαι ϝαƈҽɳԃσ?»

«Mσʂƚɾσ ʅα ɱια ɠɾαƚιƚυԃιɳҽ. Hαι ʋιαɠɠιαƚσ αƚƚɾαʋҽɾʂσ ʅҽ ʂƚҽʅʅҽ ρҽɾ ʅιႦҽɾαɾҽ ιʅ ɱισ ρσρσʅσ.»

Le immagini della bomba saettarono nella mente del Capitano, il quale assaporò il gusto amaro di una sensazione mai provata prima di allora: la vergogna.

«Nσɳ ԋσ ϝαƚƚσ ɳυʅʅα E’ɾҽɳ, ʂҽ ɳσɳ ɱҽƚƚҽɾҽ ƚυƚƚι ιɳ ρҽɾιƈσʅσ.»

Tacquero ancora prima che Levi prendesse inaspettatamente parola.

«Rαƈƈσɳƚαɱι ԃι ƚҽ. Cσɱҽ ʂσɳσ ι ƚυσι ɠҽɳιƚσɾι?»

Coi polpastrelli, il ragazzo disegnò piccoli cerchi sul suo torace scolpito.

«Qυαɳԃσ ҽɾσ αɳƈσɾα ριƈƈσʅσ, ʋιʋҽʋαɱσ ƚυƚƚι ϙυι. Qυҽʂƚσ ҽɾα ιʅ ɱισ ʋιʅʅαɠɠισ, ρɾιɱα ƈԋҽ Yɱιɾ ʅσ ɾαԃҽʂʂҽ αʅ ʂυσʅσ. Mια ɱαԃɾҽ ɱσɾí ʂσƚƚσ ʅҽ ɱαƈҽɾιҽ: ϝυ ƚɾσʋαƚα ϙυαʅƈԋҽ ɠισɾɳσ ԃσρσ, ιɳʂιҽɱҽ αι ƈσɾρι ԃι ƚαɳƚҽ αʅƚɾҽ ρҽɾʂσɳҽ; ƚɾα ʅσɾσ, ƈ’ҽɾαɳσ αɳƈԋҽ ι ɠҽɳιƚσɾι ԃι Mιƙąʂα.»

L’uomo gli baciò il capo.

«Mι ԃιʂριαƈҽ.»

E’ren proseguí col suo racconto, la voce meno ferma e gli occhi lucidi.

«Lα ʂҽɳƚιι ριαɳɠҽɾҽ. Eɾα ɾιɱαʂƚα Ⴆʅσƈƈαƚα ʂσƚƚσ ιʅ ƚҽƚƚσ ԃҽʅʅα ʂυα ƈαʂα, ƈσɳ υɳα ɱιʂҽɾα ƚɾαʋҽ α ιɱρҽԃιɾҽ ƈԋҽ ʅҽ ƈαԃҽʂʂҽ ƚυƚƚσ αԃԃσʂʂσ. Nσɳ ʂσ ɳҽαɳƈԋҽ ισ ƈσɱҽ ԋσ ϝαƚƚσ α ƚιɾαɾʅα ϝυσɾι. Sσɳσ ƚυƚƚσ ƈιò ƈԋҽ ʅҽ ɾҽʂƚα.»

«Sι ʋҽԃҽ ƈԋҽ ƚι è αϝϝҽȥισɳαƚα.»

«Hα ƈɾҽԃυƚσ ƈԋҽ, ԃαɳԃσʋι ƈιò ƈԋҽ ƈҽɾƈαʋαƚҽ, ʋι ʂαɾҽʂƚҽ αʅʅσɳƚαɳαƚι ҽ ʂαɾҽι ʂƚαƚσ αʅ ʂιƈυɾσ. Nσɳ αʋɾҽႦႦҽ ԃσʋυƚσ ιɳƚɾσɱҽƚƚҽɾʂι, ƈσɱυɳϙυҽ…» si imbronciò.

«E ƚυσ ραԃɾҽ?»

Il giovane sbuffò.

«Dα ϙυαɳԃσ ԋα ρҽɾʂσ ɱια ɱαԃɾҽ, ʂι è ριҽɠαƚσ αԃ σɠɳι ɾιƈԋιҽʂƚα ԃι Yɱιɾ: ιʅ ʅαʋσɾσ ιɳ ɱιɳιҽɾα ʂι è ιɳƚҽɳʂιϝιƈαƚσ, ʂƚɾҽɱαɳԃσƈι, ɱα ʅα ɱιɳαƈƈια ԃι υɳ ɳυσʋσ αƚƚαƈƈσ ʅσ ԋα αɳɳιƈԋιʅιƚσ αʅ ρυɳƚσ ԃα ɳσɳ σρρσɾʂι ιɳ αʅƈυɳ ɱσԃσ. Iɳʂσɱɱα, ԋαι ʋιʂƚσ ƈσɱҽ ɱι ԋα ρɾαƚιƈαɱҽɳƚҽ ɠҽƚƚαƚσ ƚɾα ʅҽ ƚυҽ Ⴆɾαƈƈια ρυɾ ԃι ɠυαԃαɠɳαɾʂι ʅα ʂυα αρρɾσʋαȥισɳҽ…» concluse, l'imbarazzo di quel primo approccio ancora cocente nonostante ciò che avevano appena condiviso e cosa realmente significasse.

«Vιʂƚσ...?»

«Eɾα ιɱρσʂʂιႦιʅҽ ɳσɳ ɳσƚαɾʅσ, αρρσʂƚαƚσ ϝυσɾι ʅα ƚҽɳԃα. Hσ ƈɾҽԃυƚσ ԃι ɳσɳ ɾιʂρҽƈƈԋιαɾҽ ι ƚυσι ɠυʂƚι, ҽ ƈԋҽ ρҽɾ ϙυҽʂƚσ ʋσʅҽʂʂι υƈƈιԃҽɾʅσ...!»

I suoi gusti li rispecchiava eccome, se di tali si poteva parlare dato lo scarso interesse che Levi provava nel relazionarsi - fisicamente ed emotivamente - col prossimo. Aggrottò la fronte, pensieroso, tentando di mettere a fuoco l'evento per poi strozzarsi con la sua stessa saliva immediatamente dopo, nel ricordare il frangente a cui E’ren si riferiva.

«Iʅ ƈαρσ ʋιʅʅαɠɠισ? Tυ ʂҽι ʂυσ ϝιɠʅισ?»

«Sí, ƈɾҽԃҽʋσ αʋҽʂʂι ɳσƚαƚσ ʅα ʂσɱιɠʅιαɳȥα…»

«Nσɳ ʂҽι υɳσ ʂƈԋιαʋσ...?»

L’espressione del ragazzo si fece perplessa.

«Mι ραɾҽ σʋʋισ ƈԋҽ ʂιαɱσ ƚυƚƚι ʂƈԋιαʋι, ϙυι.»

«Nσ, ισ-» il maggiore cercò di spiegarsi senza risultare offensivo. «Cɾҽԃҽʋσ ϝσʂʂι υɳ αʅƚɾσ ƚιρσ ԃι ʂƈԋιαʋσ.»

Si fissarono negli occhi qualche secondo, il volto di Levi che andava colorandosi leggermente mentre quello di E’ren, nel comprendere l’allusione, diveniva rosso come un pomodoro maturo.

«Oԋ. Oԋԋԋ. Nσ, ɳσι ɳσɳ- Hαι ƈɾҽԃυƚσ ƈԋҽ ισ-» balbettò il castano, in difficoltà. L’uomo, d’altro canto, non era messo meglio; era evidente che avesse completamente frainteso le loro intenzioni.

«Bҽԋ, ʂì… Tι ʂҽι ʂρσɠʅιαƚσ ƈσʂì, ԃι ρυɳƚσ ιɳ Ⴆιαɳƈσ, ҽ ԃι ɱαʅαʋσɠʅια αɳƈԋҽ…»

Le guance del giovane amante si gonfiarono in un broncio risentito.

«Sƈυʂαɱι ƚαɳƚσ ʂҽ ɳσɳ ҽɾσ ҽɳƚυʂιαʂƚα ԃι ʂρσʂαɾҽ ιʅ ρɾιɱσ ʂƚɾαɳιҽɾσ ԃι ραʂʂαɠɠισ ƈσɳ ʅσ ʂƚҽɱɱα ԃι Yɱιɾ αʅ ƈσʅʅσ...!»

Neanche il tempo di pronunciare quelle parole che una nuova consapevolezza si impossessò di lui.

«Pҽɾƈԋé αʅʅσɾα ϙυҽʅʅα ɳσƚƚҽ ɳσɳ ɱι ԋαι ρɾҽʂσ? Pσƚҽʋι αʋҽɾɱι ҽ ɳҽʂʂυɳσ ʂι ʂαɾҽႦႦҽ σρρσʂƚσ… Pҽɾƈԋé αԃҽʂʂσ...?»

E’ren si trovò schiacciato sotto il peso del corvino, i polsi bloccati debolmente ai lati della propria testa mentre le iridi glaciali di Levi gli scavavano fin dentro l’anima.

«Nσɳ ʋσʅҽʋσ αρρɾσϝιƚƚαɾɱι ԃι ƚҽ. Nσɳ ʂσɳσ υɳ αɳιɱαʅҽ, E’ɾҽɳ, ҽ ƚυ ɳσɳ ʂҽι υɳ σɠɠҽƚƚσ ԃι ʂƈαɱႦισ; ʂιαɱσ ҽʂʂҽɾι υɱαɳι ҽ αɳԃιαɱσ ɾιʂρҽƚƚαƚι ƈσɱҽ ƚαʅι.»

Quanto a fondo poteva giungere ancora, nel suo cuore? Il ragazzo temeva gli sarebbe esploso nel petto da un momento all’altro, traboccante di gratitudine e orgoglio nell’aver ricevuto in sorte un uomo tanto forte quanto sensibile - a suo modo.

Si mosse sotto il suo corpo, cingendogli i fianchi con le cosce per invitarlo a farsi spazio dentro di sé.

«Nσɳ ƚι ʂƚαι αρρɾσϝιƚƚαɳԃσ ԃι ɱҽ, σɾα...» e il sorriso sfacciato che gli mostrò - sfida e supplica insieme - diede al soldato le vertigini. Il Capitano si accomodò meglio, strofinando la propria virilità contro quella dell’altro, e il castano ansimò di rimando.

«Nσɳ ԋσ ριù ϙυҽʅ ƈισɳԃσʅσ ҽ, σɾα ƈԋҽ ραɾʅσ ʅα ƚυα ʅιɳɠυα, ɳσɳ ʂσɳσ ριù υɳσ ʂƚɾαɳιҽɾσ. Cɾҽԃι ƈԋҽ ρσʂʂα αɳԃαɾҽ...?» soffiò sulla sua bocca e le labbra del ragazzo si schiusero a quell'irresistibile richiamo, prima che trovasse la forza di rispondere.

«Nσɳ ʅσ ƈɾҽԃσ, ɳҽ ʂσɳσ ƈσɳʋιɳƚσ: è ƚҽ ƈԋҽ αʂρҽƚƚαʋσ…»

Ingoiarono l’uno i gemiti dell’altro fondendosi nuovamente in un unico corpo e Levi pensò che, tra il calore di quelle braccia e quei dolci e inesperti baci, non aveva poi così tanta fretta di morire. L’alba di un nuovo giorno infine li sorprese, accogliendo quell’unione benedetta dalle stelle.

 

-


Il Sole di quel pianeta, remoto e solitario, coceva alto nel cielo, circondato dai tre satelliti dalle tinte rosate.

I nativi erano giunti in miniera non appena le prime luci avevano rischiarato il villaggio, svegliati bruscamente dagli shifter di Ymir che li avevano minacciosamente invitati a mettersi al lavoro; il loro Dio voleva un grosso quantitativo di minerale, e lo esigeva al più presto.

Grişha si asciugò la fronte umida di sudore, prima che alcune gocce gli finissero negli occhi. Era preoccupato: per il suo popolo, per le conseguenze che i giovani ribelli avrebbero dovuto affrontare a causa dell’avventato gesto compiuto il giorno prima e, soprattutto, per E’ren.

Suo figlio non era mai stato felice della propria vita, sognando costantemente una libertà che non poteva ottenere, ma fino a quando Karla era stata al suo fianco, insieme erano riusciti a reprimere quel desiderio deleterio che lo avrebbe solamente condotto alla rovina. Alla morte della donna, quel fuoco nel suo petto era divampato in maniera esponenziale, raggiungendo l’apice nel momento in cui il presunto messaggero di Ymir era giunto al loro cospetto.

Lo aveva visto, Grişha, il modo il ragazzo si era inizialmente opposto nel donarsi all’uomo dal volto pallido e il cipiglio severo, così come aveva assistito al lento vacillare della sua volontà ferrea in favore di una crescente fiducia e consapevolezza: quella di aver trovato un'anima affine, forte abbastanza da spalleggiarlo in un’assurda impresa dal risvolto certo e disastroso - ammesso che il corvino lo avesse voluto ma, dalla frequenza con cui rivolgeva la propria attenzione ad E’ren e l'intensità con cui lo guardava, dubitava del fatto che lo avesse usato semplicemente come valvola di sfogo.

C’era una connessione tra loro due: qualcosa di inevitabile, imprescindibile, ineluttabile.

Lo dimostrava il modo in cui il ragazzo era corso senza esitazione in suo aiuto, sfidando una divinità e trascinando con sé persino i suoi amici e la stessa Mikąsa.

L’uomo dai lunghi capelli castani si chiese dove fossero tutti loro, ma un colpo alla schiena lo fece cadere in avanti. La femmina dalle fattezze raccapriccianti lo fissava coi suoi occhi di ghiaccio, intimandogli di non indugiare nel lavoro di estrazione.

Coi palmi escoriati Grişha proseguì nel proprio compito, quando vide la bionda dirigersi verso una figura china tra la sabbia. Probabilmente il poveretto era crollato per la fatica. Il capo villaggio allora si alzò velocemente dalla sua postazione, tentando di evitare al compaesano un immeritato castigo.

«Tι ʂυρρʅιƈσ,» le disse, frapponendosi tra i litiganti, «ʂƈαʋҽɾò ιʅ ԃσρρισ!»

«Tσɠʅιƚι» fu la fredda replica mentre veniva spinto via. «Lαʋσɾα, ʂƈԋιαʋσ!»

La persona, fino a quel momento china e coperta interamente da un mantello sporco e malandato, si sollevò agilmente per poi mostrare il proprio volto.

«Nσɳ ρɾҽɳԃσ σɾԃιɳι ԃα ƚҽ.»

Levi, mitra alla mano, sparò alla shifter che fu sbalzata all’indietro sotto l'improvvisa scarica di colpi.

Uno ad uno, i componenti della squadra del Capitano palesarono la propria presenza insieme ai giovani nativi che li avevano liberati dalle grinfie di Ymir; tra loro, E’ren impugnava una delle lance trafugate ai soldati di quest’ultimo.

Nel vederlo sfidare apertamente il Dio, Grişha fu colto dal panico.

«Fҽɾɱαƚι!» urlò, agitando le braccia.

Gli corse incontro, sotto lo sguardo sorpreso e al tempo stesso impaurito della sua gente, tentando di porre un freno a quella pazzia.

«Iɳɠιɳσƈƈԋιαƚι ϝιɠʅισ, ιɱρʅσɾα ριҽƚà!»

«Mαι» ed eccolo lì, quel fuoco divenuto incendio indomabile che gli sarebbe sicuramente costato la vita.

Levi, il quale nel frattempo aveva appurato che la femmina fosse svenuta - per nulla scalfita dai proiettili -, osservò il padre del suo sposo. Capiva il suo terrore: lo aveva provato in prima persona, ad ogni missione affrontata insieme a Farlan ed Isabel prima che morissero, lasciandolo nella disperazione più totale. Tuttavia, non poteva concedersi il lusso di indugiare.

«Qυҽʂƚι ʂσɳσ ɠʅι ҽʂʂҽɾι ԃιʋιɳι ԃι ƈυι αʋҽƚҽ ƚιɱσɾҽ. Gυαɾԃαƚҽʅι Ⴆҽɳҽ.»

Col calcio dell'arma colpí il piccolo dispositivo sulla nuca della shifter e, una volta infranto, quest'ultima mutò il proprio aspetto: la pelle divenne liscia, diafana, perdendo la sua resistente consistenza; le sue fattezze, lentamente, tornarono quelle di una giovane e innocua fanciulla e, tra la folla, si sollevò una voce.

«Aɳɳιę! Aɳɳιę!»

Un uomo avanzò tra il folto gruppo riunitosi basito dinanzi a quello spettacolo, portandosi amorevolmente la figura incosciente sul proprio grembo.

«Fιɠʅια ɱια...!»

Grişha era sconvolto, così come lo stesso E’ren.

«Yɱιɾ ʋι υʂα. Vι ʅσɠσɾα ɳҽʅʅσ ʂριɾιƚσ ҽ ɳҽʅ ƈσɾρσ, ʂσƚƚɾαҽɳԃσʋι ι ʋσʂƚɾι ƈαɾι ҽ ƚɾαɱυƚαɳԃσʅι ιɳ ϝαɳƚσƈƈι αι ʂυσι σɾԃιɳι. Qυαɳԃσ ԋα ϝιɳιƚσ, ʋι ɠҽƚƚα ƈσɱҽ ϝσʂƚҽ ɳιҽɳƚҽ.»

Gli occhi di Mikąsa, poco distante, si fecero lucidi di fronte alla commovente quanto straziante scena di un padre che, dopo chissà quanto tempo, aveva ritrovato la figlia perduta.

Il capo villaggio non sapeva cosa fare. Tutte le sue convinzioni, ciò che lo aveva costretto a chinare il capo per anni, che gli aveva sottratto l’amata moglie… svanito. Niente era reale, tranne la minaccia concreta che Ymir rappresentava per tutti loro.

«Nσɳ ρσʂʂσ αιυƚαɾʋι…» disse, e il Capitano annuì. Comprendeva la sua decisione.

«Aʅʅσɾα ƚι ƈԋιҽԃσ ʂσʅσ ԃι αϝϝιԃαɾɱι ιʅ ƈαɾιƈσ ԃα ƈσɳʂҽɠɳαɾҽ. Iʅ ɱισ ɱσɳԃσ è ιɳ ρҽɾιƈσʅσ.»

«Aʂƈσʅƚαʅσ, ραԃɾҽ» si aggiunse E’ren, e Grişha lo supplicò ancora una volta.

«È υɳα ϝσʅʅια! Nσɳ υɳιɾƚι α ʅσɾσ… ϝαʅʅσ ρҽɾ ƚυα ɱαԃɾҽ...!»

Il volto del ragazzo, a quelle parole, divenne pietra. Si affiancò a Levi, così vicino da poterlo sfiorare, e il capo villaggio comprese: suo figlio aveva scelto, e non sarebbe tornato sui propri passi.

«È ҽʂαƚƚαɱҽɳƚҽ ρҽɾ ʅҽι ƈԋҽ ƈσɱႦαƚƚσ: ρҽɾ ԃαɾҽ υɳ ʂҽɳʂσ αʅʅα ʂυα ɱσɾƚҽ ҽ α ϙυҽʅʅα ԃι ƚαɳƚι αʅƚɾι.»

Non poté far altro che guardarli mentre riempivano il carro con il prezioso minerale, sellando due animali e assicurandoli allo sgangherato veicolo di legno. Connî e Sa’sha si sedettero alla guida del mezzo, scortati dal resto dei compagni a cui, sorprendentemente, si aggiunse qualche nuovo rivoltoso.

E’ren si incamminò e, credendo di non esser visto, osò accarezzare le dita di quell'uomo venuto da lontano. Levi ricambiò brevemente la stretta, infondendogli conforto e il coraggio che inconsciamente cercava attraverso quel contatto. Infine, sparirono oltre la linea dell'orizzonte.

Grişha pregò lo spirito della moglie affinché il loro bambino, ormai adulto, tornasse sano e salvo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Stargate

 

 

 

 


- Capitolo 6 -


La carovana attraversò il deserto, diretta alle rovine di ciò che una volta erano delle mura, recinzione di una gabbia a cielo aperto.

Il Capitano Ackerman contò le unità a sua disposizione: una ventina di persone, delle quali solo quattro erano propriamente addestrate al combattimento. Se le cose avessero preso una brutta piega, sarebbero stati spacciati. Il profilo di E'ren era duro, la sua espressione severa; la tenera passione nei suoi occhi completamente svanita, appannaggio di una fiera determinazione e un indomito coraggio.

Ore di cammino e, finalmente, giunsero nei pressi dell'enorme duna, dietro la quale il pericolo li attendeva. Si fermarono il tempo necessario a distribuire le poche armi in loro possesso: alcuni fucili, un paio di pistole e due lance, una trafugata durante la loro fuga e l'altra alla shifter dai capelli biondi; Sa'sha portava con sé il suo prezioso arco.

«Yin, Schultz, Bossard e Ral: voi, insieme ai nativi, farete da retroguardia. Mi affido a voi.»

L'uomo scrutò i propri sottoposti, uno per uno, cercando nei loro sguardi una qualunque esitazione. Con profondo orgoglio, non ve ne trovò alcuna. Si voltò quindi verso il piccolo gruppo, col quale avrebbe sfidato la sorte.

«La Dottoressa Zoë verrà con me, con il compito di attivare lo Stargate e rimandarvi a casa nella malaugurata evenienza che tutto, qui, sia perduto. Io disinnescherò la bomba.» Si voltò verso il compagno, il quale lo fissava in attesa di un ordine. Impaziente di fare la propria parte. Il corvino sospirò. «E'ɾҽɳ, Mιƙąʂα ҽ ιʅ ƈαʋαʅʅσ ƈι ϝαɾαɳɳσ ԃα ʂƈσɾƚα» disse, in quella lingua appresa tanto brevemente cotanta era la facilità con cui la padroneggiava.

«Cσʂ'è υɳ ƈαʋαʅʅσ...?» bisbigliò Jeañ all'indirizzo di Connî.

«Nσɳ ʅσ ʂσ, ϝσɾʂҽ è υɳ ɠυҽɾɾιҽɾσ...?» rispose l'amico con una scrollata di spalle, e il ragazzo sorrise gonfiando il petto. Se la situazione fosse stata diversa, Levi avrebbe riso.

Purtroppo per tutti loro, non lo era.

Il suo mondo rischiava un attacco a cui non era minimamente pronto, sferrato dall'altro capo dell'universo, con un ordigno potente come nulla che avesse mai visto prima di allora. Avrebbero affrontato il fantasma dalla lunga falce nel mero tentativo di salvarlo e, probabilmente, sarebbero periti in quell'impresa suicida.

Per la Squadra Speciale, per il Capitano, era normale routine. Ma per Hanji e quei giovani che della vita non avevano saggiato nulla, se non l'amaro della prigionia, era un salto nel vuoto.

Levi aveva visto la morte in faccia, l'aveva fissata e le aveva intimato di prenderlo; eppure, ora si scopriva incapace di vederla ghermire E'ren, di avvicinarsi a lui quanto bastava per alitargli sul collo e fargli sentire il peso della sua ingombrante presenza. Mentre i suoi soldati mettevano a punto le ultime cose, aiutando i ribelli a nascondere le armi, si pose di fronte a colui che era divenuto il suo amante, complice, compagno.

«Pυσι αɳƈσɾα ƚιɾαɾƚι ιɳԃιҽƚɾσ. Pɾҽɳԃι υɳσ ԃҽɠʅι αɳιɱαʅι, ƚσɾɳα ԃα ƚυσ ραԃɾҽ, αιυƚαʅσ α ɠυιԃαɾҽ ιʅ ƚυσ ρσρσʅσ.»

E'ren lo fissò, dapprima sorpreso e poi adirato.

«Cɾҽԃι ԃαʋʋҽɾσ ƈԋҽ ʅσ ϝαɾҽι? Cԋҽ ʋι ʅαʂƈҽɾҽι ʅσƚƚαɾҽ ԃα ʂσʅι ƈσɳƚɾσ Yɱιɾ?» ruggí, la voce bassa e ferale, prima che il suo tono si addolcisse nel sussurrargli «Mι ɾҽρυƚι ƈαραƈҽ ԃι αႦႦαɳԃσɳαɾƚι, ρɾσρɾισ αԃҽʂʂσ ƈԋҽ ԋαι ριù Ⴆιʂσɠɳσ ԃι ɱҽ? Cԋҽ ισ ԋσ ριù Ⴆιʂσɠɳσ ԃι ƚҽ...?»

Levi serrò la mascella, nell'udire quelle parole. Se le aspettava. Eppure, per un misero istante, aveva sperato che accettasse la sua proposta. Saperlo vivo, anche se in catene, era certamente meglio del doverlo seppellire insieme ai tanti cadaveri che il falso Dio si era lasciato alle spalle.

«Nσ» gli rispose, indeciso su cosa dire. Infine, giocò l'unica carta che gli restava, la sola che forse avrebbe potuto smuovere l'animo cocciuto del castano. «Hσ ραυɾα ԃι ρҽɾԃҽɾƚι.»

Le iridi plumbee del viaggiatore giunto dalle stelle si incatenarono a quelle smeraldine del ragazzo, pure e limpide come acqua sorgiva, le quali si sgranarono sensibilmente. La sua mano scura andò a cercare il dorso pallido del marito, stringendolo al fine di trasmettergli la profonda fiducia che riponeva in lui.

«Nσɳ αƈƈαԃɾà. Hσ ʋσɠʅια ԃι ʋιʋҽɾƚι.»

Il cuore di Levi si strinse, mentre E'ren carezzava le sue labbra con le proprie.

Si guardarono un'ultima volta, prima che il Capitano volgesse la propria attenzione al piccolo esercito che avrebbe guidato verso un destino ignoto.

«In marcia! Aɳԃιαɱσ!»

La Squadra Speciale portò il pugno destro al cuore in segno di saluto e, con immensa sorpresa del corvino, anche Hanji e il resto dei nativi li imitarono.

La bruna si coprí il capo con la stoffa lisa, ascoltando le ultime parole che E'ren e Levi si sarebbero scambiati prima di addentrarsi nella tana del lupo.

«IႦι ƚυ ɠαιҽ, ιႦι ҽɠσ ɠαια.»


Dove tu sei, lí io sarò.


-


Ymir, abbigliata in preziosi tessuti trasparenti e monili scintillanti, intravide il gruppo di schiavi che trasportava il minerale richiesto. Sorrise, trionfante. Gli esseri umani, sul pianeta natale, ora conoscevano cosa volesse dire "civiltà" e, inappagati ed avidi, tentavano di conquistare nuovi mondi su cui posare le loro sudice mani. L'alieno, innalzatosi a divinità, non avrebbe permesso loro di metter piede su ciò che considerava suo di diritto: era sopravvissuto alla caduta della propria specie, e non aveva alcuna intenzione di soccombere per mano di quegli stupidi insetti.

«Pσɾƚαƚҽʅα αʅ ʋαɾƈσ» ordinò a due shifter, accarezzando l'acciaio dell'ordigno, lucente e letale. Con un movimento aggraziato, armò la bomba e il display si illuminò di rosso, la stessa tinta del sangue che di lì a poco avrebbe versato. Dieci minuti all'apocalisse. «Nҽʂʂυɳσ ρυò σʂαɾҽ ʂϝιԃαɾɱι ʂҽɳȥα ҽʂʂҽɾҽ ρυɳιƚσ.»

La coppia di servi, ignari schiavi del dittatore dalle origini intergalattiche, sollevò la portantina su cui giaceva il pericoloso oggetto, posizionandosi sulla pedana del teletrasporto. Giunsero così ai piedi dello Stargate, dove posero il gentile dono che il Dio aveva in serbo per l'umanità intera.

 

-


I piedi affondavano nella sabbia cocente, mentre avanzavano verso il cunicolo alla base del muro ormai decadente. Sopra di esso, brillante e minacciosa, svettava la navicella all'interno della quale Ymir avrebbe gioito della ripugnante quanto abominevole crudeltà di cui era capace.

Hanji era spaventata. Sudava in maniera spropositata, sentendo la tensione crescere ad ogni passo che compiva e secondo che passava. Quando la carovana si divise in due - il gruppo di coda ad attendere fuori, quello di testa che si addentrava nel corridoio buio -, persino le lenti degli occhiali erano bagnate.

All'interno, l'aria era più fresca ma non per questo respirabile. La donna, attraverso un piccolo spiraglio al di sotto del cappuccio, vide due degli adepti del Dio: il primo, minuto e dal corpo scattante, il volto solido come marmo e i denti aguzzi come quelli di uno squalo; il secondo, curvo a quattro zampe sul pavimento, bocca prominente e sguardo attento.

Quello dai capelli rossi grugní qualcosa, avvicinandosi a loro. La studiosa pregò che la spessa tunica celasse il suo tremore. Con un gesto brusco, lo shifter artigliò il panno che copriva Mikąsa, rivelandone i tratti indigeni. Subito dopo, fu il turno del ragazzo di nome Jeañ. L'altro mostro li osservava, vigile.

Le iridi di E'ren, splendide e coraggiose, vennero alla luce e, con espressione altezzosa, vide lo strano essere strattonare l'ennesimo lembo di stoffa. Stavolta, però, quest'ultimo trovò una brutta sorpresa ad attenderlo.

«Come va, stronzo.»

Levi gli fece l'occhiolino, sollevando il mitra e sparando decine di proiettili che lo trapassarono da parte a parte.

Non c'era tempo per gli indugi o la pietà. La verità, per quanto spietata fosse, era una sola: la loro morte per la propria vita.

Lo shifter dall'enorme mascella cadde al suolo, inerme, e il compagno scattò in avanti a una velocità sorprendente data la sua posizione china. I ribelli si liberarono dei mantelli, estraendo le armi pronti a difendersi.

«Sραɾαƚҽ!» ordinò il Capitano, e i giovani aprirono il fuoco.

Il mostro corse lungo la parete laterale, evitando i colpi, andando a schiantarsi accanto l'arco che delimitava l'ingresso.

I rumori dello scontro e l'enorme fragore dovuto all'impatto dello shifter allertarono Schultz e gli altri che, pronti ad accorrere in soccorso dei compagni, si affrettarono verso la base del muro.

Non fecero in tempo ad entrare.

Grossi massi, in un tripudio di polvere e detriti, crollarono un istante prima che varcassero la soglia. Auruo tirò a sé Petra, facendole da scudo, ed Erd prese a tossire. Sa'sha, arco alla mano, rilasciò la corda già tesa a scoccare una freccia. La nube di sabbia si posò al suolo, e tutti sgranarono gli occhi.

Connî fu il primo a farsi avanti.

«Jҽαñ! E'ɾҽɳ! Mι ʂҽɳƚιƚҽ?!»

«Capitano!» gridò Gunther, poggiando i palmi sulle rocce che, beffarde, si frapponevano tra loro e il resto della squadra.

Il cunicolo era bloccato.

 

-


La frana li colse di sorpresa.

Levi cercò freneticamente E'ren, la preoccupazione ad attanagliargli lo stomaco. Quando lo scorse, lo fissò, completamente incapace di distogliere lo sguardo: il giovane nativo, ginocchio a terra e braccio proteso in avanti, puntava la pistola contro il nemico; alle sue spalle, Hanji stava raggomitolata con le mani a proteggere il capo. Così concentrato, persino selvaggio, era bello da togliere il fiato.

Trascorsero solo pochi secondi prima che l'uomo spostasse nuovamente la propria attenzione sullo shifter rimasto, il quale non faceva altro che girare loro intorno alla ricerca di un punto in cui fare breccia. Fortunatamente, non ne ebbe il tempo.

Un colpo esplose, centrandolo in piena fronte. La creatura si accasciò pesantemente al suolo con un ultimo rantolo sofferente.

Mikąsa, poco distante, richiuse la punta della lancia laser che aveva imbracciato. I suoi occhi incrociarono quelli di Levi, che le rivolse un cenno del capo. Ben fatto, sembrava dirle.

Il pericolo, però, non era cessato.

Jeañ raggiunse l'ingresso oramai inagibile, tentando di rimuovere le pietre che li tenevano intrappolati, aiutato dalla corvina.

Il Capitano si avvicinò al compagno, il quale nel frattempo si era rimesso in piedi.

«Sƚαι Ⴆҽɳҽ? Sҽι ϝҽɾιƚσ?» gli chiese, accarezzandogli col pollice una guancia tinta di sangue.

«Sí, ɳσɳ è ɳυʅʅα. È ʂσʅσ υɳ ɠɾαϝϝισ» lo rassicurò, posando un palmo scuro su quello pallido dell'altro. L'uomo si concentrò quindi sulla missione. «Qυαƚƚɾσƈƈԋι, ʂҽι ʋιʋα? Quattrocchi!» la richiamó, tornando alla propria lingua.

Hanji alzò la testa guardandosi attorno, piena di sabbia dalla punta dei capelli a quella degli stivali.

«Abbiamo un lavoro da fare, sbrighiamoci.»

Levi, la bruna e il figlio del capo villaggio si addentrarono lungo il corridoio buio, giungendo ai piedi dello Stargate. La bomba era lì, il conto alla rovescia che avanzava inesorabile. Meno di sette minuti all'esplosione.

Il soldato si chinò accanto all'ordigno, muovendo alcune leve e sganciando il detonatore. Il ticchettio, però, non cessò. Levi ripeté l'operazione un'altra volta, perplesso. Non funzionò.

«Maledetta troia...!»

«Che succede? Perché non si ferma?» chiese Hanji, visibilmente in ansia.

«Quella puttana ha manomesso la bomba!»

«Oh mio Dio, fai qualcosa, smontala!!»

«Cosa cazzo credi che stia facendo, imbecille?!»

I due erano così presi dalla questione, urlandosi contro a vicenda, da non accorgersi del pericolo: lo shifter dai capelli rossi, morente, si era trascinato fin lì e, con le ultime forze rimaste, mirò al Capitano Ackerman.

E'ren, nell'udire la punta della lancia aprirsi, pronta a far fuoco, si girò nella direzione da cui proveniva il rumore. Il terrore, bestia feroce, lo assalí prepotentemente nell'attimo stesso in cui realizzò che il marito era in pericolo.

Non pensò un singolo istante a una soluzione diversa, non ne ebbe il tempo.

«Lҽʋι!»

Si frappose tra il nemico e l'amato mentre il colpo partiva, inesorabile, fendendo l'aria fino a che non giunse a lacerare gli abiti e la carne del ragazzo.

Il corvino, impotente, assistette alla scena vivendola al rallentatore: vide il suo torace assorbire un'energia che era incapace di contenere, le sue braccia aprirsi, il respiro spezzarsi; ogni dettaglio della tragedia in atto vivido come una fotografia in alta definizione.

Levi conosceva quella sensazione avvilente che si era annidata nel suo petto, scendendo fino alle viscere le quali avevano preso a contrarsi senza sosta.

Perdita: della ragione, di ogni scopo e significato, di qualunque prospettiva; defraudato, ancora una volta, del futuro, qualunque cosa gli riservasse.

Le pupille inghiottorono l'iride argentea, la bocca si spalancò in un grido muto mentre il corpo di E'ren cadeva nel terreno polveroso, e in un attimo tutto intorno a lui mutò forma e sostanza: la bomba, Hanji, lo stesso Stargate svanirono, e fu di nuovo a Marley sul campo di battaglia, ferito ed esausto; dinanzi a lui, soltanto Farlan e Isabel, gli unici ad essersi rifiutati di battere il ritirata pur di non abbandonarlo.

«Tranquillo, ci pensiamo noi!» disse Farlan, la voce attutita dagli spari dei fucili.

«Andrà tutto bene, fratellone, i soccorsi stanno arrivan-»

Le parole di Isabel si persero nel vento, gli occhi improvvisamente vitrei mentre crollava nel fango con una pallottola piantata nel petto.

«Isab-»

Farlan la seguí un secondo più tardi, la tempia perforata dal colpo di un cecchino nascosto chissà dove. E, mentre l'elicottero addetto al loro recupero si portava a bassa quota, Levi urlò con quanto fiato aveva in gola la propria sofferenza.

 

-


Ymir sorrise, osservando i propri nemici ai piedi delle mura disperarsi nel tentativo di liberare i compagni. Guardò gli shifter da sopra la spalla, soddisfatta.

«Aɳԃαƚҽ, ҽ ɳσɳ ԃҽʅυԃҽƚҽɱι.»

 

-


Petra alzò lo sguardo al cielo, quando un fulmine lo squarciò con un tuono assordante.

La figura, che dall'astronave si era lanciata nel vuoto, sparí lasciando il posto all'enorme gigante dall'aspetto spaventoso. Gli indigeni conoscevano bene quel mostro, ciò di cui era capace, e si strinsero tra loro in preda alla paura. Per la Squadra Speciale, invece, era la prima volta che fronteggiava il colosso e, probabilmente, sarebbe stata anche l'ultima.

«Cosa diamine è quel coso?!»

«Non lo so, ma dobbiamo distrarlo se vogliamo che i nativi presenti abbiano almeno una speranza!»

«E il Capitano? Lo Stargate, la bomba...?»

Gunther sorrise ai commilitoni, portando un pugno al cuore in segno di rispettoso saluto.

«Se proprio dobbiamo morire, facciamolo da eroi...!»

 

-


«NO! No no no, E'ren!!»

Gli occhi di Hanji si riempirono di lacrime, mentre Levi correva dal castano. Si lasciò cadere, trascinandolo sul proprio grembo e portandoselo al petto.

Gli avessero strappato il cuore, piuttosto che subire un tale supplizio, il soldato avrebbe persino ringraziato. Com'era possibile provare tanta angoscia? Sapeva che il sentimento che sentiva verso E'ren era irrazionale, che non avrebbe dovuto esistere e, soprattutto, lo privava del buonsenso che da sempre lo aveva contraddistinto; eppure non riusciva a non sentirsi devastato.

Coi lineamenti fini deformati dal dolore, lo cullò avanti e indietro, sussurrandogli all'orecchio in quella lingua antica: «Sʋҽɠʅιαƚι, ɳσɳ ʅαʂƈιαɾɱι αɳƈԋҽ ƚυ, ƚι ρɾҽɠσ...». Aveva già perso così tanto. Aveva perso troppo.

Ma E'ren non rispose.

Restò muto, immobile. Le palpebre serrate, il battito assente.

Il corvino passò le dita tra i suoi capelli d'ebano, scostando le treccine dal viso sporco. Aveva il torace profondamente ustionato, la carne viva esposta, a causa del raggio laser destinato a colpire lui e non il ragazzo.

Si era sacrificato per salvargli la vita che non desiderava vivere. Non senza E'ren al proprio fianco.

«Levi...» Quello di Hanji fu poco più di un sussurro, disturbato dal costante bip emesso dalla bomba poco distante.

Al Capitano non importava. L'ordigno sarebbe esploso, lo Stargate andato distrutto, e tutti loro sarebbero crepati in un battito di ciglia. Tanto meglio, non avrebbe neanche dovuto sprecare una pallottola. Che senso aveva resistere? Non gli era rimasto niente, sia in un mondo che nell'altro. Le persone a lui più care lo avevano lasciato indietro e desiderava soltanto seguirle, ovunque fossero.

Poi, la pedana del teletrasporto si illuminò, accecandoli per un momento. La Dott.ssa Zoë si riparò, portando un braccio a coprire il viso, mentre Levi tornava rapidamente lucido. Forse, non tutto era perduto. In quell'istante, seppe con incrollabile certezza cosa fare.

Sollevò E'ren tra le proprie braccia e si gettò nel fascio di luce.

«Aspettami» disse solamente all'indirizzo della bruna, prima di sparire chissà dove.

La donna restò basita, sola e senza alcuna idea su cosa fare, prima che il sangue le si ghiacciasse nelle vene quando le figure dei due amici vennero sostituite da una nuova, possente e pericolosa.

Lo shifter corazzato ghignò, fissando la propria preda.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Stargate

 

 

 



- Capitolo 7 -


Petra cadde rovinosamente nella sabbia, il viso arrossato e il fiato corto. Auruo, la mascella serrata, continuò a sparare all'impazzata contro il gigante.

Era inutile, lo sapeva, ma non aveva intenzione di passare a miglior vita senza aver lottato fino all'ultimo secondo.

«Mettetevi al riparo, forza!» gesticolava Erd, sperando che gli indigeni lo ascoltassero nonostante non parlasse la loro lingua.

Un tonfo, l'ennesimo, e il suo corpo venne inesorabilmente spinto in avanti dalla forte corrente alle proprie spalle.

Il gigante pareva sorridere della loro impotenza. Batteva il piede al suolo, creando ogni volta una piccola tormenta sabbiosa che non erano in grado di contrastare.

Gunther ricaricò il mitra con l'ultima cartuccia rimasta. Un respiro profondo, prima di lanciarsi verso il proprio ineluttabile destino.


-


Non si era neanche resa conto di aver toccato terra. Le gambe avevano ceduto sotto il peso del terrore che aveva divorato qualunque altra emozione un essere umano fosse in grado di provare.

Era una scienziata, la sua esistenza era votata alla ricerca e alla scoperta. Il suo scopo era contribuire alla crescita culturale della propria razza, non affrontare alieni megalomani, né tanto meno dei poveri succubi del sopracitato mostro spaziale.

Calde gocce salate solcarono il suo volto, creando scie candide sulla sua pelle, ripulendola inconsapevolmente. In quanti ancora dovevano morire? Il corpo esanime di E'ren le attraversò la mente, mentre indietreggiava fino a toccare con la schiena la fredda parete rocciosa.

Aspettami.

Levi aveva una fievole luce di speranza, negli occhi. Credeva in qualcosa che lei non riusciva minimamente a comprendere e, ovunque fosse andato, non l'avrebbe abbandonata.

Decise di fidarsi. Una volta raggiunto il fondo, si poteva solo risalire, no?

Perciò Hanji si rimise coraggiosamente in piedi, lo sguardo fisso sul nemico di fronte a sé. Nella peggiore delle ipotesi, sarebbe morta comunque. Tanto valeva lottare.

«Ehi, brutto gorilla spelacchiato! Non mi fai alcuna paura!»

Un ringhio, basso e ferale, le diede i brividi. Mossa sbagliata.

 

-


Le suole degli anfibi producevano un fastidioso stridio, a contatto col pavimento lucido. Correva, tentando disperatamente di riconoscere un vaso, un drappeggio, un punto di riferimento qualsiasi il quale gli indicasse che fosse vicino.

Aveva il fiato corto e le braccia gli dolevano, ma non si sarebbe fermato. Non si sarebbe arreso. Non adesso che aveva trovato l'unica persona con cui desiderava condividere il resto dei suoi miseri giorni.

Quando, nel silenzio dei corridoi della navicella, svoltò un angolo a lui familiare, al corvino quasi mancò il respiro tanto era il sollievo di aver finalmente trovato ciò che cercava.

Al centro dell'enorme salone vi era il congegno che Ymir, da millenni, utilizzava per sopravvivere; il medesimo che aveva guarito lui stesso, neanche due giorni prima.

Adagiò E'ren, inerte, sul piedistallo. Non aveva idea sul come accenderlo, ignorandone il funzionamento. Per fortuna, la tecnologia venne in suo aiuto.

Il cristallo, riconoscendo un organismo da rigenerare, prese a formarsi dal basso, sollevando al contempo il corpo del giovane fino a inglobarlo del tutto.

Levi restò lì a fissare il compagno, etereo come un'immagine divina - le braccia aperte come a voler accogliere un peccatore e i palmi rivolti verso l'esterno in segno di perdono -, sperando che anch'egli, come l'alieno, riuscisse a ingannare la morte.

Per la prima volta, l'uomo pregò in un miracolo.

 

-


Lo shifter era a pochi passi dalla bruna quando, con un urlo, Jeañ gli si scagliò contro.

Le sue nocche si scontrarono con la corazza dell'altro, prendendo a sanguinare copiosamente. Il ragazzo si portò una mano al petto, dolorante, fissandolo in cagnesco. Non aveva idea di dove fossero E'ren e quel microbo antipatico che aveva per marito, ma doveva proteggere la sciamana e, soprattutto, Mikąsa.

«Rҽʂƚα ԃιҽƚɾσ ԃι ɱҽ!» intimò alla donna, mentre anche la corvina giungeva in loro aiuto. La ragazza attivò la lancia, pronta a far fuoco sotto lo sguardo allarmato di Hanji.

«Ferma!» si sbracciò forsennatamente, indicando poi la bomba. «Gҽɳυԋ! Aƚαԋʋιҽ!»

Quello! Pericolo!

Mikąsa digrignò i denti, frustrata, stringendo la presa sull'asta e correndo in soccorso dell'amico ferito.

I tre presero a combattere - i nativi in evidente svantaggio dinnanzi la forza erculea del loro avversario - ed Hanji si chinò accanto all'ordigno, rimboccandosi le maniche. Avrebbe tentato il tutto per tutto, provando a disinnescare il dispositivo prossimo all'esplosione.

 

-


All'esterno, la situazione era critica.

I quattro soldati erano stremati: a causa della molta sabbia respirata sentivano i polmoni e la gola bruciare, le munizioni erano terminate e sapevano che correre disordinatamente, nel tentativo di distrarre il gigante, non era altro che un palliativo; ridotti alla stregua di topi, coi quali il grosso gatto si divertiva a giocare in attesa di gustare il delizioso banchetto.

L'enorme figura non si era accorta, quindi, che due nativi si erano distaccati dal piccolo gruppo, appiattitosi alla base delle rovine.

Sa'sha e Connî risalivano, quanto più velocemente possibile, la ripida parete, avvalendosi delle intercapedini che l'usura del tempo e le intemperie avevano creato. Si rannicchiarono in un anfratto grande abbastanza da ospitarli entrambi.

«Cσʂα ʋυσι ϝαɾҽ?» le chiese il ragazzo. L'altra, esperta cacciatrice ed eccellente arciere, sfilò l'arco da sopra la spalla e agguantò una freccia dalla faretra in pelle che indossava.

«Hαι ʋιʂƚσ ƈσʂα è ʂυƈƈҽʂʂσ ιɳ ɱιɳιҽɾα: ʅα ɳυƈα è ιʅ ρυɳƚσ ԃҽႦσʅҽ» rispose, tendendo la corda. «Sҽ ƈι ʋҽԃҽ, ʂιαɱσ ʂραƈƈιαƚι. AႦႦιαɱσ υɳα ʂσʅα ρσʂʂιႦιʅιƚà, ɳσɳ ρσʂʂιαɱσ ʂႦαɠʅιαɾҽ. Tιҽɳιɱι ϝҽɾɱα ριù ƈԋҽ ρυσι!» gli intimò quindi, sporgendosi in avanti.

Il vento, così in alto, disturbava la mira e Sa'sha aveva bisogno di tutta la concentrazione di cui era capace. Si affidò alle braccia di Connî che, da dietro, la strinse saldamente aiutandola per quanto gli fosse possibile. La giovane chiuse un occhio, attendendo l'attimo propizio.

Un unico colpo avrebbe decretato la vittoria o la sconfitta.

 

-


La superficie del cristallo si crepò, una imperfezione che prese a diramarsi, inesorabile, estendendosi fino all'inevitabile punto di rottura.

Il corpo di E'ren precipitò in avanti e Levi lo afferrò, frenandone la caduta, mentre le schegge si spargevano tutt'intorno sul pavimento marmoreo.

Il suo colorito, dapprima spento, era tornato nuovamente alla vivacità originaria; la veste era bruciata nel punto in cui il laser l'aveva oltrepassata ma, al di sotto, il tessuto muscolare era liscio e intatto come se nulla fosse mai accaduto; persino il graffio sulla gota era sparito, la pelle tornata morbida proprio come il corvino la ricordava.

Il Capitano posò un palmo sul petto dell'amato e il proprio cuore prese di nuovo a battere al ritmo del suo. Il nativo espirò: era ancora incosciente, ma innegabilmente vivo. Levi lo cinse a sé - una gioia incontenibile a pervaderlo senza che ne avesse alcun controllo -, consapevole che non era ancora finita: doveva occuparsi della bomba, e alla svelta.

Con E'ren tra le braccia percorse il cammino a ritroso, diretto al punto in cui era posizionato il teletrasporto con l'intenzione di recarsi nuovamente al portale, quando qualcosa lo colpí violentemente alle spalle.

Colto alla sprovvista, venne sbilanciato in avanti e cadde al suolo insieme al ragazzo.

Ymir, magnifica e spietata, troneggiava su di lui armata di lancia. Tra i seni, piccoli e sodi, la stella a sei punte tramandata dalla famiglia Reiss.

Gli occhi dell'uomo si ridussero a due fessure, nell'osservare il perfido sorriso che il nemico sfoggiava apertamente, divertita da tanto affanno.

«È ιɳυƚιʅҽ ʅσƚƚαɾҽ, ɱσɾιɾαɳɳσ ƚυƚƚι. E ʋσι,» fece roteare l'arma, mettendosi in posizione d'attacco, «ʅι ʂҽɠυιɾҽƚҽ.»

Levi, dopo essersi assicurato che il castano fosse incolume, si rialzò in piedi coi pugni stretti di fronte a sé, pronto a scattare.

«Qυҽʂƚσ ʅσ ʋҽԃɾҽɱσ...!»

 

-


Auruo, senza forze, allungò il braccio alla ricerca della mano di Petra, distesa sulla sabbia accanto a lui. Le loro dita si intrecciarono per l'ultima volta.

«Ti amo» le disse, sorridendole mentre il cielo sopra di loro si oscurava. Lei, silenziosamente, pianse, preparata ad affrontare la morte insieme al compagno.

«Anche io.»

Il colosso sollevò la gamba, pronto a schiacciarli sotto il proprio peso, quando un urlo rabbioso, in lontananza, squarciò l'etere distogliendolo da quell'intento.

Sulla cima della duna, Grişha fissava il gigante che lo aveva privato della moglie, dell'affetto del figlio, di qualunque speranza. Strinse, nel palmo, le ossa di colei la quale aveva amato sopra ogni altra cosa, traendone coraggio e ispirazione. Infine, alzò un braccio al cielo, gridando.

«Pҽɾ ʅα ʅιႦҽɾƚà!»

Come un terremoto che, gradualmente, aumenta d'intensità, così il popolo insorse superando il proprio leader e lanciandosi contro il mostro. Le impronte venivano subitaneamente sostituite da nuove, profonde e irregolari, mentre le loro voci si levavano come un unico rombo.

L'enorme essere rimase interdetto, e quello fu il momento della sua disfatta.

Sa'sha rilasciò la freccia che, con un sibilo, andò a conficcarsi nell'esatto punto in cui brillava il dispositivo con cui Ymir lo aveva assoggettato. Questo si sgretolò in mille frammenti, perdendo la sua efficacia e privando il portatore di ogni potere.

Stordito e confuso, Berțhold si guardò attorno e, nell'istante in cui vide centinaia di persone dirigersi scompostamente verso di lui, portò le braccia in avanti nel tentativo di proteggersi dall'inevitabile impatto, strizzando gli occhi.

Invece, la folla lo superò come se nulla fosse: non aveva senso pulirlo per tanta sofferenza, quando era stato prigioniero di sé stesso per chissà quanto tempo.

«Berț! Berț!»

Il moro, a quella voce, sollevò le palpebre e un turbine di capelli biondi gli si gettò addosso, abbracciandolo forte. Il viso di Annię si inondò di lacrime. Erano salvi, ed erano insieme.

Gunther, in procinto di perdere i sensi, con le ultime energie indicò a Grişha l'ingresso bloccato dalle rocce, svenendo un attimo più tardi.

Il capo villaggio, con l'ausilio della sua gente, iniziò a rimuovere i detriti che si frapponevano tra lui ed E'ren, pregando di non essere arrivato troppo tardi.

Fιɠʅισ ɱισ, ԃσʋҽ ʂҽι...?

 

-


Hanji si portò le mani tra i capelli, tirandoli fino a strapparne alcuni nella vana speranza che il suo cervello elaborasse una soluzione efficace.

Solo due minuti alla fine.

Jeañ, bloccato dal peso dello shifter, tentava in tutti i modi di non soccombere. Mikąsa, colpita violentemente allo stomaco, era inconsciente.

Tutto era perduto.

Dall'esterno, delle voci giunsero in loro aiuto mentre i massi venivano spostati, portando nuova aria nel cunicolo. In quell'istante, un'ombra balzò sul corazzato, le iridi che brillavano nell'oscurità della grotta.

Mikąsa, artigliata alle spalle del nemico, lo colpí ripetutamente con una pietra, tentando il tutto per tutto. Avrebbe salvato Jeañ, E'ren e sarebbero tornati tutti insieme a casa, finalmente liberi. Era a questo pensiero che si aggrappava con tutta la sua forza, gridando a squarciagola.

Il piccolo congegno sulla nuca dell'energumeno si distrusse sotto la violenza disperata di quelle percosse, e Reiñer tornò in sé. Sotto di lui, nonostante il volto tumefatto e l'incredibile crescita, riconobbe Jeañ: l'ultima volta che lo aveva visto, era poco più di un bambino.

«Jҽαñ...?»

Il biondo si sentí abbracciare e, calando lo sguardo, trovò Mikąsa che piangeva a dirotto, esausta e provata da tanta tensione.

«Sҽι ʅιႦҽɾσ...!» disse solo, e gli occhi di Reiñer si inumidirono a quel pensiero, tanto lontano quanto atteso.

 

-


Levi si asciugò il sangue dal labbro con un gesto rabbioso. Ymir era agile e, soprattutto, dannatamente scaltra: con l'ausilio della lancia, riusciva a colpirlo senza che lui avesse la possibilità di avvicinarsi.

«Sҽι ʂƚαɳƈσ? Sιҽƚҽ ƈσʂì ϝɾαɠιʅι...!» lo scherní, girandogli attorno come un avvoltoio pronto a dilaniare una carcassa. «Nσɳ ʂιҽƚҽ αʅƚɾσ ƈԋҽ Ⴆҽʂƚιαɱҽ ϝαƈιʅɱҽɳƚҽ ʂσʂƚιƚυιႦιʅҽ. Iσ ʋι ԋσ ԃσɳαƚσ υɳσ ʂƈσρσ: ʂҽɾʋιɾɱι, ƈσɱριαƈҽɾɱι, ʋҽɳҽɾαɾɱι. Dαʋʋҽɾσ ƈɾҽԃҽƚҽ ԃι ρσƚҽɾ ϝαɾҽ αʅƚɾσ? Dι ҽʂʂҽɾҽ ƈσʂì ʂρҽƈιαʅι

Il corvino stava per risponderle, ma qualcosa fu più veloce delle sue parole. Con un luccichio, la lama saettò fuori dall'impugnatura mentre il ragazzo, con un balzo, saltò alle sue spalle pronto ad ucciderla. La donna, sfortunatamente per loro, fu più veloce, riportando solo una ferita superficiale su di un avambraccio, scagliando l'aggressore per terra.

E'ren si mise in ginocchio, le iridi smeraldine che rilucevano della fiamma dell'ira e il coltello a serramanico, donatogli dal marito, nella mancina.

«Nσɳ ιɱρσɾƚα ƈιò ƈԋҽ ƚυ ρҽɳʂι! Sιαɱσ ʂρҽƈιαʅι, ʂí, ρҽɾƈԋé ʂιαɱσ ɳαƚι ιɳ ϙυҽʂƚσ ɱσɳԃσ!»

Sollevò il palmo destro chiuso dal quale, con un sorriso indisponente, fece oscillare il ciondolo dorato che Ymir aveva sottratto al Capitano. L'alieno si toccò il collo, trovandolo nudo. Con un gesto di stizza armò la lancia, pronta a far fuoco.

Le urla provenienti dall'esterno, però, la invogliarono a controllare la situazione. Con malcelato stupore, constatò che il suo gigante era sparito e che la popolazione era insorta, pronta a destituirla dal ruolo di divinità che si era prepotentemente arrogata.

Non aveva intenzione di scoprire quanto avrebbero impiegato a salire sull'astronave: era potente ma, senza gli shifter sotto il suo giogo, sola e vulnerabile. Doveva fuggire.

Si lanciò verso la plancia dei comandi, poco distante, pronta a salpare alla ricerca di un nuovo pianeta da sottomettere.

Levi ed E'ren, di nuovo insieme, si strinsero, mentre il rombo dei motori preannunciava l'imminente decollo.

 

-


La terra e l'intera grotta, posta al di sotto delle mura, presero a tremare. Hanji alzò la testa, le orecchie ben tese.

«Sta scappando... Abbiamo vinto, sta scappando!!» urlò euforica, saltando sotto le sguardo perplesso dei presenti.

Il pericolo, tuttavia, non era passato. La bomba era prossima ad esplodere e sarebbero morti tutti, tranne Ymir. A meno che...

Rivolse la propria attenzione alla pedana del teletrasporto, guardando poi Mikąsa e il suo amico ritrovato.

«Aƈƈҽɳԃҽɾҽ, σɾα!»

Vedi di farcela, nanerottolo...!

 

-


Erano spacciati, Levi lo sapeva. Dalle enormi vetrate, riusciva a scorgere il buio del cosmo e la luce delle stelle in lontananza. Una volta che si fosse portato al sicuro, l'alieno li avrebbe uccisi senza pietà. Non avevano un posto in cui fuggire né i mezzi per difendersi.

Tuttavia, non riusciva a trovarsene scontento: con E'ren accanto, qualunque sarebbe stata una buona morte.

Il ragazzo lo abbracciò, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. L'ultima cosa che ricordava, prima di rinvenire nel palazzo di Ymir, era il desiderio di proteggere il compagno a qualunque costo; un impulso irrefrenabile, al punto da rinunciare alla propria vita. Ed era sicuro di averlo fatto. Eppure eccolo lì, sano e salvo - se tale poteva considerarsi in quella situazione -, incapace di darsi una spiegazione. Alla fine, non aveva importanza.

«Gɾαȥιҽ...»

Il corvino lo tenne stretto, inspirando l'odore della sua pelle che sapeva di spezie e di Sole. Era caldo, E'ren, tanto da scaldargli il cuore con la sua sola presenza. Era tutto ciò che, inconsciamente, aveva sempre cercato. Buffo come il fato li avesse separati alla nascita, dividendoli servendosi di intere galassie, per poi unirli in circostanze così sfavorevoli.

«Pҽɾ ƈσʂα?»

«Iʅ ɱισ ρσρσʅσ è ʂαʅʋσ, ҽԃ è ɱҽɾιƚσ ƚυσ.»

L'ordigno, ancora nel suo mondo, avrebbe spazzato via ogni cosa, ma non voleva togliergli quella convinzione. Decise di non negargli quella consolazione, cingendolo con maggior trasporto.

«Nσι ιɳʋҽƈҽ ɱσɾιɾҽɱσ...»

Il giovane gli sorrise, grato per l'uomo che gli era toccato in sorte: avesse potuto tornare indietro, non avrebbe combattuto il proprio destino ma lo avrebbe altresì assecondato altre mille volte.

«Lσ ϝαɾҽɱσ ιɳʂιҽɱҽ.»

Il fascio luminoso del teletrasporto li distolse da quell'addio, colorandoli delle tinte della speranza.

A quanto pareva, nonostante l'altitudine raggiunta, funzionava ancora.

«Pɾҽʂƚσ!» il Capitano esortò il compagno, trascinandolo con sé. «Pɾιɱα ƈԋҽ ʂι ɾιƈԋιυԃα!»

Ymir li vide svanire, senza curarsene troppo: probabilmente, uno shifter era sopravvissuto alla furia di quei trogloditi e stava facendo ritorno; con lui al suo servizio, ricominciare sarebbe stato certamente più facile.

Al suo posto, invece, comparve la bomba.

Il terrore invase ogni cellula del suo essere, mentre si ritraeva in preda alla paura.


00:03

00:02

00:01

 

-


Levi ed E'ren si ritrovarono nella grotta, ai piedi dello Stargate. Non ebbero il tempo di guardarsi attorno che furono stritolati da due paia di braccia.

«Ce l'hai fatta, lo sapevo!» urlò Hanji a un palmo dal naso dell'uomo.

«E'ɾҽɳ...!» singhiozzò Mikąsa, togliendogli il respiro.

I due amanti si sorrisero, complici, consolando le amiche e, mentre l'ingresso veniva definitivamente liberato consentendo loro di uscire, un boato riecheggiò nell'aria.

Il popolo vide il cielo tingersi di centinaia di colori, gli stessi che decretavano la sconfitta del Dio. Gridarono, gioiosi, stringendosi a vicenda e festeggiando il giorno della loro vittoria.

Di nuovo all'esterno, Levi ed E'ren furono accolti con clamore e trasporto: la Squadra Speciale, Sa'sha, Connî, tutti salutarono la giovane coppia e i ribelli che li avevano aiutati. Grişha corse incontro al figlio, abbracciandolo, ringraziando intimamente la defunta moglie per aver ascoltato le sue preghiere ed averlo protetto. Poi, guardò il genero con affetto: se il ragazzo era vivo, certamente il merito era anche suo.

«Gɾαȥιҽ» gli disse e il soldato annuí. Quest'ultimo non si aspettava minimamente che l'uomo afferrasse loro le mani, ancora giunte, sollevandole con entusiasmo. «Aƈƈʅαɱαƚҽ ƈσʅσɾσ ι ϙυαʅι ƈι ɠυιԃҽɾαɳɳσ ƈσɳ ƈσɾαɠɠισ ҽ ʂαɠɠҽȥȥα!»

Un'unica voce si levò in onore dei novelli capi tribù, i quali si guardarono spaesati e incerti sul da farsi. Sentirono fluire nelle rispettive membra il sentimento che era germogliato tra di loro, spingendoli a rischiare tutto ciò che avevano, che conoscevano, in suo nome. Rinsaldarono quindi la presa osservando quella che, ora, era a tutti gli effetti la loro gente.

Era l'alba di un nuovo giorno, in un mondo da scoprire che profumava di libertà.

Insieme, avrebbero spiccato il volo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Epilogo ***


Stargate

 

 

 

 


- Epilogo -


Il gruppo di ribelli, partiti in sordina alla volta del palazzo di Ymir, fu acclamato a furor di popolo dall'intero villaggio. Le mani si protendevano verso gli eroi i quali, con il loro immenso coraggio, avevano affrontato il Dio; ne sfioravano abiti e volti, quasi potessero saggiare il gusto dell'insperata vittoria attraverso quel fugace contatto.

Reiñer, Berțhold ed Annię vennero accolti dalle lacrime di felicità dei propri cari, sui quali pesavano anni di tristezza e malinconia. Cresciuti, invecchiati, mentre l'aspetto dei tre nativi, nonostante il tempo trascorso, era rimasto il medesimo grazie alla tecnologia aliena a cui erano stati regolarmente sottoposti.

Grişha, ai margini, osservò la propria gente esultare e la luce di pura gioia che riluceva nei loro occhi. Finalmente, la libertà. Non immaginava che un simile stato d'essere risultasse così tangibile e concreto, essendo nato e cresciuto nel terrore di Ymir; tuttavia, suo figlio ci aveva creduto al punto da rischiare ogni cosa, mettendosi in prima linea per difendere quell'ideale. E'ren era il leader che, in cuor suo, desiderava che fosse.

La Squadra Speciale ed Hanji vennero minuziosamente lavati, medicati e rifocillati in attesa del sontuoso banchetto in loro onore. Quando fecero per occuparsi del Capitano Ackerman, però, qualcuno si intromise.

«Lαʂƈιαƚҽ, è ɱισ ƈσɱριƚσ.»

Le indigene sparirono oltre la tenda, lasciando i due da soli.

«Pσʂʂσ ϝαɾҽ ԃα ʂσʅσ, E'ɾҽɳ» argomentò Levi, iniziando a disfarsi della casacca strappata. Il ragazzo lo fermò, poggiando i palmi scuri su quelli pallidi dell'altro, sobbarcandosi quel compito a lui intimamente gradito.

«Nσ ƈԋҽ ɳσɳ ρυσι. Sҽι ʂƚαɳƈσ ҽ ϝҽɾιƚσ.»

«Sσɳσ ʂσρɾαʋʋιʂʂυƚσ α ƈσʂҽ Ⴆҽɳ ρҽɠɠισɾι.»

Il castano sbuffò, arrossendo impercettibilmente.

«Pҽɾƈԋé ɾҽɳԃι ƚυƚƚσ ƈσʂì ԃιϝϝιƈιʅҽ...? Sҽι ιʅ ɱισ ʂρσʂσ, ԃαɳɳαȥισɳҽ, ʋσɠʅ-»

Le parole gli morirono in gola, sostituite dal verso sorpreso e appagato che emise non appena Levi si impossessò della sua bocca.

C'era disperazione, in quel bacio, qualcosa di maledettamente struggente. Era il primo che si scambiavano, dopo la morte del giovane. Il ricordo del suo corpo inerte faticava ad abbandonare il soldato, il quale voleva sostituire quel quadro macabro dalle tinte vermiglie col sapore delle sue labbra, il suono del suo cuore palpitante e il calore del suo respiro erratico.

Quando lo liberò da quel dolce supplizio, entrambi tremavano senza alcun controllo, sopraffatti dalle loro stesse emozioni.

«Tι αʋҽʋσ ρҽɾʂσ.»

E'ren si abbandonò al suo tocco incredibilmente delicato. Quelle mani, che avevano ucciso senza pietà, erano altresì in grado di offrire conforto e protezione. Quanta agonia aveva patito...? Quanto sconforto aveva assalito l'uomo, nell'istante in cui la vita lo aveva abbandonato...?

«Tυ ɱι ԋαι ʂαʅʋαƚσ.»

Levi intrecciò le dita tra le ciocche d'ebano del compagno.

«Nσɳ ʅαʂƈιαɾɱι ριù» sussurrò, la fronte sulla sua e lo sguardo fisso in quelle pozze verdi che parvero farsi umide a quella supplica.

«Nσɳ ʅσ ϝαɾò...»

L'ora successiva, E'ren si dedicò unicamente al marito, detergendolo con premura e disinfettandone le ferite con attenzione. Con gesti accorti, applicò unguenti sugli ematomi e fasciò tagli ed escoriazioni. Il corvino si lasciò accudire all'unico scopo di tranquillizzarlo, beandosi dei suoi modi gentili e della premura che infondeva in ogni singola carezza.

Eppure, nonostante si respirasse un clima di festa, l'animo degli amanti era offuscato dall'ombra cupa dell'inevitabile ritorno che aleggiava su di loro.

 

-


Era trascorsa una settimana da quel giorno che, per i nativi, rappresentava una vera e propria rinascita, lasciando che qualunque altro pensiero passasse in secondo piano rispetto all'entusiasmo e la gioia che permeava ogni angolo del villaggio semidistrutto. I drappeggi della divinità erano stati bruciati e tutti si erano rinvigoriti, bevendo il potente distillato della tribù e ballando al ritmo degli antichi canti che si tramandavano da generazioni.

Ora, la luce emanata dallo Stargate si rifletteva lungo le pareti rocciose del cunicolo al di sotto delle decadenti mura in superficie.

Anche Schultz era svanito oltre la bolla che separava le due realtà. Mancava solo lei.

Hanji sospirò, indecisa su cosa realmente provare: era certamente felice di aver scoperto un nuovo mondo, una civiltà dalla quale avevano avuto origine le fondamenta su cui si reggeva quella da cui proveniva; soddisfazione di aver adempiuto al compito affidatole, ovvero attivare il portale che avrebbe consentito alla squadra di poter tornare sul pianeta natale; incredulità nell'essere sopravvissuta alla furia di un extraterrestre millenario. Ciò che più le opprimeva il petto, però, era la malinconia di non poter raccontare nulla di tutto ciò ad anima viva e, soprattutto, il perché.

Si voltò, un sorriso mesto a curvarle le labbra, secche per il troppo caldo.

«Ne sei davvero sicuro?»




La Squadra Speciale, riunita intorno al falò, sapeva che l'idillio sarebbe terminato nell'esatto momento in cui avrebbe presentato un rapporto dettagliato sulle scoperte fatte ed ogni singolo evento accaduto dopo aver attraversato lo Stargate. I soldati si erano guardati negli occhi, leggendovi il medesimo futuro che si prospettava per quel luogo finalmente in pace: primi contatti tra pianeti, negoziazioni per quel minerale sconosciuto dall'immenso potenziale e, se queste non fossero andate a buon fine, guerra.

Chi aveva combattuto per Smith sapeva con assoluta certezza che, se glielo avessero ordinato, non avrebbe esitato a radere al suolo ogni cosa intralciasse il suo cammino. Marley ne era l'esempio lampante. Troppo sangue continuava ad essere versato in quel territorio seviziato dalla bramosia umana; non era necessario che accadesse anche in quel punto remoto della galassia.

Di comune accordo, quindi, avevano elaborato la versione da riferire ai superiori: giunti in un luogo inospitale, disabitato e la cui unica forma di vita pareva essere un virus, quest'ultimo aveva contagiato uno di loro, uccidendolo tra atroci sofferenze senza lasciargli alcuna via di scampo; la vittima, il Capitano Ackerman.




L'uomo, che aveva abbandonato la divisa e indossava gli abiti della gente che lo aveva orgogliosamente accolto, le rivolse un cenno del capo.

«Sí, lo sono.»

Fingere la propria dipartita e spacciare il pianeta come pericoloso era il modo migliore per tenere tutti al sicuro. Lo Stargate, per paura di un possibile contagio, sarebbe rimasto sigillato per molto tempo, se non addirittura andato distrutto.

In fondo, il suo mondo non gli aveva offerto altro che sofferenza. Non c'era più nulla, lì, per cui valesse la pena vivere.

Hanji, con le lacrime agli occhi, lo strinse in un abbraccio decisamente troppo energico, facendolo gemere per il dolore. Le ferite inflittegli da Ymir dolevano ancora, dopotutto.

«Mi mancherai, nanerottolo. Sei una brava persona, più di quanto tu creda» mormorò con voce rotta. Il corvino sorrise, ricambiando il gesto con molta meno enfasi ma altrettanta intensità.

«Tu invece sei una rogna, quattrocchi. Torna in mezzo ai libri, è quello il tuo posto.»

Posandogli le mani sulle spalle, la studiosa lo guardò per quella che probabilmente sarebbe stata l'ultima volta.

«Starai bene?»

Le iridi di Levi, a quella domanda, cercarono l'unica cosa che potesse darle la giusta risposta.

E'ren fissava, col naso all'insú, i giochi di luce causati dallo Stargate sul soffitto, completamente rapito da quello spettacolo. Il giovane era tutto ciò di cui l'uomo sentiva il bisogno. Il legame che si era formato tra i due andava solidificandosi ad ogni secondo che passava, rendendo infine loro impossibile il solo pensare a una eventuale separazione.

Hanji gli sorrise. «Allora, è un addio.»

«Solo se sarete credibili. Mi fido di te» le disse, estraendo dalla tunica qualcosa e porgendoglielo. «Dai questo alla Signorina Reiss, e dille che aveva ragione.»

La donna osservò il ciondolo a sei punte cadere nel proprio palmo, principio di quella straordinaria avventura.

«Ragione su cosa...?» gli chiese, incapace di trattenersi.

Levi guardò E'ren, giunto al suo fianco, stringergli la mano. Le loro dita si intrecciarono nel più naturale dei modi, tasselli di un unico essere scisso in due entità distinte, destinate a trovarsi per non separarsi mai più.

Sapeva che Historia, in cuor suo, avrebbe capito.

«Mi ha davvero portato fortuna.»

La bruna, commossa, si strofinò il volto per poi sfoggiare un enorme ghigno.

«Glielo dirò.» Portò il pugno destro al cuore. «Capitano Ackerman.»

L'ormai ex soldato la imitò, seguito dal compagno e il resto dei presenti: Mikąsa, Jeañ, Sa'sha, Connî, Grişha - a cui aveva regalato le proprie lenti, lasciandolo sorpreso e grato per quell'inaspettato dono -, persino i piccoli Gabi e Falco erano lì per porgere omaggio un'ultima volta ai viaggiatori delle stelle.

«Dottoressa Zoë.»

Con quell'immagine impressa nell'animo, Hanji fece un profondo respiro e prese la rincorsa, lanciandosi nel varco che la inghiottí. Percepì distintamente il suo corpo disintegrarsi in piccoli frammenti che velocemente la scaraventarono nell'oscurità del cosmo; il gelo dello spazio la trafisse come mille aghi, mentre superava la prima costellazione e veniva annichilita dal suo calore, poi la successiva e un'altra ancora fino a che scorse una luce farsi sempre più vicina.

Quando questa la avvolse, non ebbe paura. Sapeva che, una volta aperti gli occhi, sarebbe stata finalmente a casa.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3817479