When you smile

di MissAdler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 22 marzo 2017 ***
Capitolo 2: *** 13 luglio 2017 ***
Capitolo 3: *** 7 settembre 2017 ***
Capitolo 4: *** 9 novembre 2017 ***



Capitolo 1
*** 22 marzo 2017 ***


Ridi della notte,
del giorno, della luna,
ridi delle strade
contorte dell’isola,
ridi di questo goffo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morirei.

Pablo Neruda

 

 

22 marzo 2017

 

John sta ridendo.

Guarda uno stupido film in tv e ride.

Dodici muscoli facciali si stanno contraendo in questo momento sul viso di John Watson.

Gli sollevano gli zigomi stirandogli le guance appena imporporate.

Stringono le orbite oculari, creando quattro sottilissimi solchi ai lati degli occhi.

Portano indietro le labbra fini, facendole quasi scomparire e rivelando la dentatura superiore.

Altri due muscoli sollevano i lati della bocca, evidenziando le rughe naso labiali.

E pensi siano proprio quelle a conferirgli un'aria diversa. Più matura.

John è bello quando ride.

John è bello anche quando invecchia.

È facile accorgersene.

Non è più il ragazzo con il bastone che conoscesti al Barts:

goffo e con quell'espressione sempre un po' interdetta.

Non ha più il sorriso a fior di labbra e non sgrana gli occhi ogni volta che fai una deduzione.

È invecchiato ora, il tuo John.

Gli ultimi eventi l'hanno eroso silenziosamente,

come una roccia che si consuma sotto il perpetuo scrosciare di una cascata.

Eppure è ancora incredibilmente bello.

Anche se non porta più quegli orribili maglioni ridicoli e pacchiani, che tu adoravi segretamente, con lo stesso tenero trasporto con cui adoravi il biondo cenere dei suoi capelli corti da soldato.

Ora John si veste bene. E quel ciuffo grigio pettinato all'indietro lo rende stranamente...attraente.

Sì, John Watson è decisamente attraente.

Che poi in realtà lo è sempre stato, in un modo tutto suo che ora è diverso, forse più lampante.

 

 

Scorrono i titoli di coda. Spegne il televisore sbuffando appena.

Non ride più adesso, si porta il bicchiere alle labbra e manda giù l'ultimo sorso di Brandy.

Ne ha bisogno, John, in certi momenti.

Come se servisse a far tacere una qualche voce nella sua testa che non ha voglia di ascoltare.

Si alza pigramente dal divano posando gli occhi stanchi su di te, che te ne stai seduto scompostamente, in pigiama e vestaglia, sulla tua poltrona di pelle,.

Sta per dire qualcosa ma si limita a deglutire appoggiando il bicchiere vuoto sul tavolino.

Poi un sospiro lascia le sue labbra tese.

Non lo vedrai più ridere per oggi, ne sei certo.

Conosci ogni microespressione di quel volto e sai che ora John è triste.

Una tristezza che ormai è quasi abitudine;

perché triste lo è sempre, nonostante faccia finta di niente.

E ti ripeti che vederlo così è il prezzo che paghi per essere ancora vivo, mentre Mary è morta.

Ci sei, eppure ti senti di troppo, nonostante lui si sia deciso a tornare da te.

Sei un uomo inutile, non puoi far altro che assistere impotente all'inesorabile declino del suo spirito.

La fiamma del tuo unico portatore di luce è sempre più fioca e tu non sai come alimentarla.

Non puoi far altro che subire il suo dolore in silenzio.

Ora ti sorprendi a pensare che John è bello anche quando piange.

Dio solo sa quanto tu muoia un po' ogni giorno, mentre lo vedi contorcersi in muti singhiozzi senza lacrime, senza respiro, senza tregua.

E vorresti riuscire salvarlo, lo vuoi disperatamente, con ogni fibra del tuo essere.

Il tuo palazzo mentale è diventato un mausoleo che hai eretto in memoria del suo sorriso,

perché anche dietro le sue risate più scroscianti percepisci un'amarezza persistente e desolante.

Anche adesso vedi le guance umide e le spalle scosse dal tremore.

Vedi tutto questo anche se non c'è. Non apparentemente. Solo tu riesci a dedurre quel dolore.

E vorresti alzarti, attraversare il salotto e stringerlo così forte da fargli male, accarezzargli con le labbra i capelli grigi, il naso, il mento, quelle meravigliose rughe naso labiali.

Vorresti far uscire dai suoi occhi tutte le lacrime trattenute, solo per poterle bere.

E poi di certo non sapresti fermarti e finiresti per baciarlo sul serio.

Sei dannatamente banale Holmes, eppure non puoi farne a meno.

Devi sapere che cosa si prova a baciare John Watson, ad avere la sua pelle sotto le dita, il suo respiro in faccia. Devi sperimentare la forza delle sue braccia, la consistenza delle sue labbra, il sapore della sua saliva...

Ci sarà un accenno di barba su quelle guance?

Oggi non si è rasato, potresti sentirlo al tatto, ti basterebbe una carezza...

“Buonanotte Sherlock.”

Esiti soltanto un istante, mentre lo vedi scomparire in corridoio.

Anche oggi è andata così.

“Buonanotte John.”

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Capitolo 2
*** 13 luglio 2017 ***


13 luglio 2017

 

Detesti il caldo.

Il sentirti oppresso da una cappa di piombo, attanagliato da un senso di languore persistente mentre sei costretto a sbottonare la giacca e a ravviarti i ricci appiccicati alla fronte.

Ti irrita non poter indossare il tuo cappotto quando ti aggiri per le vie della città all'ora di punta, con lo stomaco vuoto e le mani sudate, boccheggiando e lottando a denti stretti per non collassare.

E oggi l'aria greve ti soffoca, su questo campo di papaveri avvizziti, succube di un sole rovente e impietoso.

Un altro caso da risolvere.

Uno da sei in effetti, ma non t'importa, perché oggi John è venuto con te.

Basta questo a far impennare il tuo entusiasmo.

Non lo avevi al tuo fianco da quella notte a Musgrave e ti eri convinto che una volta fuori da quel pozzo non avrebbe più collaborato ad un'indagine nemmeno sotto tortura.

E invece eccolo lì, a pochi centimetri da te, chino su un cadavere mezzo putrefatto;

la fronte corrugata, lo sguardo fisso su una larva che striscia fuori da un profondo squarcio sul torace della vittima.

Le mani guantate a sfiorare quella lacerazione putrescente senza indugiarvi troppo.

È dannatamente eccitante.

Sussulti a questo pensiero, anche se in passato l'hai accarezzato più di una volta.

John ti sta seducendo senza saperlo: concentrato e impassibile di fronte a quello scempio che puzza di morte e di marcio, con i suoi gesti lenti e quei maledetti guanti di lattice che toccano e frugano e esaminano...

E un calore improvviso ti scorre fino all'inguine, quando dischiude le labbra quel tanto da sussurrare con stoica tranquillità la sua diagnosi:

“Post mortem”.

È una sorta di contorto orgasmo cerebrale quello che adesso ti elettrizza ogni singolo nervo sotto la pelle...e allora, per la prima volta, ti arrendi all'evidenza.

John ti eccita.

Proprio tu, che prima di lui non pensavi nemmeno di poterti eccitare in quel senso.

John Watson è l'unico essere umano che riesce a sconvolgerti i sensi e a distorcere le percezioni di questa tua mente disciplinata e asettica.

Ti decidi finalmente a depennare “platonico” dalla lista di aggettivi che descrivono i tuoi sentimenti per lui. Lista compilata con minuzia e archiviata in ciò che resta del tuo palazzo mentale.

Greg ti sta fissando in silenzio: aspetta che tu dica qualcosa.

Ti stanno guardando tutti in effetti, nell'attesa di essere illuminati da una qualche deduzione delle tue.

Non ti stai concentrando, Holmes!

Chiudi gli occhi un istante e fai ordine in quel caos di pulsioni, sentimenti e idiozie.

Ti alzi in piedi e, premurandoti di sbagliare per l'ennesima volta il suo nome, snoccioli a Lestrade come, quando, dove, perché e soprattutto da chi quel poveretto sia stato ammazzato,

concludendo con un sonoro sbuffo e dileguandoti a grandi falcate sulla strada principale, dove chiami un taxi e attendi che John ti raggiunga.

 

 

Fa troppo caldo.

Ti sbottoni la giacca con insofferenza e ti volti a guardarlo con tutta la discrezione di cui sei capace.

John ha la fronte sudata e le guance arrossate.

Le maniche della camicia azzurra rimboccate fin sotto i gomiti.

Con una mano si porta indietro una ciocca sfuggita al gel ed è un gesto che, alla luce delle tue ultime considerazioni, ti attrae più del dovuto.

Ti costringi a guardare fuori dal finestrino.

Londra è semi deserta.

L'asfalto arde visibilmente sotto i passi di quei pochi inglesi abbastanza temerari da aggirarsi in centro alle due del pomeriggio.

Torni a soffermarti sui suoi polsi, studiando le vene gonfie che si delineano sugli avambracci scoperti e leggermente abbronzati.

John è bello d'estate.

È bello esattamente come dovrebbe esserlo un campo di grano nel mese di luglio.

Silenzioso e caldo, all'apice del suo rigoglio, mentre le spighe danzano pigre sotto un sole gentile.

E ti torna in mente un'estate di trent'anni fa, in vacanza con la tua famiglia ad osservare campagne dorate mai viste prima;

ed è come se John ci fosse sempre stato, anche allora, a colmare la solitudine della tua infanzia, al tuo fianco contro un mondo che non riusciva a capirti.

Cosa ti sta succedendo Sherlock Holmes, uomo pragmatico scevro di turbamenti?

In realtà lo sai bene.

Barbarossa.

Anzi...Victor Trevor.

Dopo la rivelazione di Eurus sei un uomo diverso e non puoi farci niente.

Sei ridicolmente umano.

E fragile.

E sentimentale.

E ridicolo.

E hai bisogno che John ti sorrida, come faceva una volta, con quella luce negli occhi.

Ti viene l'idea malsana di trascinartelo dietro mentre rincorri qualche serial killer per le vie di Londra. Potresti fingere di non saper disinnescare una bomba...

O magari dovresti convincerlo a fare una partita a Cluedo, o a quello stupido gioco delle targhette sulla fronte.

Ruberesti per lui ogni singolo posacenere di Buckingham Palace se servisse a farlo sorridere.

Una volta soltanto, te la faresti bastare.

 

Ed ecco che accade.

Un piccolo miracolo si compie davanti ai tuoi occhi attoniti.

John sorride.

Guarda il vuoto, dritto davanti a sé e sorride.

I soliti muscoli si tendono nel solito modo, sul solito viso...ma ora puoi scorgervi qualcosa di diverso.

Una scintilla che conosci bene e che non vedevi brillare da troppo tempo in quegli occhi chiari.

Lo deduci senza sforzo: John Watson si è divertito.

Aiutarti a risolvere questo caso lo ha in qualche modo risvegliato dal torpore, ed ora lo guardi mentre si scrolla via dalle spalle quegli ultimi mesi di apatia e insofferenza.

John è bello quando ride.

E quando invecchia.

E quando piange.

E quando è estate.

Ma ciò che ami più di ogni altra cosa...è quando John sorride.

Perché nel suo sorriso splende quella fiamma di cui hai bisogno per non assiderare nel gelido rigore della tua mente.

John sta sorridendo ed è bellissimo, così tanto che temi di non riuscire a fingerti impassibile quando, all'improvviso, si volta a guardarti con quella luce negli occhi e ti parla con un tono nella voce che avevi quasi dimenticato.

“L'assassino dei papaveri!”

“C-cosa...?”

“Che ne pensi di questo titolo?”

“Per il blog?”

“Ovviamente!”

Lo osservi con malcelato stupore. 

Non sai se ricomincerà sul serio a narrare le vostre avventure, né se lo vedrai sorridere anche domani e forse nemmeno t'importa,

perché tutto ciò che desideri in questo momento è bearti di quel volto radioso, dell'adrenalina che gli colora le guance,

di quelle labbra piegate all'insù a restituirgli una giovinezza che credevi perduta.

Vorresti dirgli mille cose, una in particolare, un bentornato che ti scodinzola vivace nella testa.

Ma ti limiti a guardarlo, indugiando sulle sfumature indaco dei suoi occhi, alzando un sopracciglio mentre dici l'unica cosa che ci si possa aspettare da te.

“È un titolo orrendo John.”

Tagli corto prima di scoppiare a ridere insieme a lui, che ora sembra tornato per un momento il John di sette anni fa, con il bastone e i capelli biondi da soldato...

Guarda la città fuori dal finestrino continuando a sorridere, senza sapere con quanta tenerezza ti ritrovi ad amarlo, in questo momento perfetto, sulla strada di casa.

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Capitolo 3
*** 7 settembre 2017 ***


07/09/2017

 

John sta tremando.

Puoi sentirlo agitarsi tra le tue braccia, piangendo e ansimando.

È una disperazione che ti sconvolge, torcendoti le viscere e straziandoti il cuore.

Resti immobile, col viso poggiato sui suoi capelli, come quella volta.

Non credevi sarebbe successo di nuovo, non adesso che pareva stare meglio.

Dopotutto, questa mattina sorrideva.

Teneva in braccio Rosie e sembrava sereno.

Era disteso sul divano, con la bambina adagiata sul petto, le note del violino ad accompagnarla nei sogni.

John ti aveva chiesto di suonare per lei.

Si è addormentato anche lui, dopo tredici minuti.

Le rughe sul suo viso si sono distese fin quasi a scomparire, le labbra appena dischiuse a volerti regalare uno scorcio di paradiso.

E tu hai pensato che fosse bellissimo.

Dormiva e aveva i capelli in disordine che ricadevano sulla fronte; quel ciuffo dispettoso che ultimamente è diventato il tuo nuovo kink.

Hai avuto l'impulso di passare le dita tra quei fili argentati...

ma non sei stato abbastanza temerario.

Eppure non hai smesso di guardarlo, indugiando in piedi accanto al tavolo, con il violino in una mano e l'archetto nell'altra.

Ti sei riempito gli occhi di quella silenziosa tenerezza.

Ti sei illuso che il suo cuore fosse di nuovo in pace.

Ti sbagliavi, adesso è maledettamente ovvio.

John non sorride perché è felice.

John sorride perché gli piace giocare con la morte.

Perché in fondo, a volte, è un pensiero su cui segretamente indugia.

La provoca e la corteggia, quella mietitrice oscura che troppo di frequente gli passa accanto.

Lui che, per quanto non si trattenga dall'istigarla, non è mai bersaglio, bensì eterno spettatore.

L'unico merito di cui puoi vantarti è avergli fornito il giusto contesto ma, di certo, non l'hai salvato.

Anzi, adesso gli hai dato il colpo di grazia.

Non l'hai fatto di proposito, non avresti mai voluto.

Semplice istinto.

Era un bisticcio come un altro, non ricordi nemmeno perché è iniziato.

Ma John ha gridato forte, troppo forte, scattando appena nella tua direzione.

Tutto in un secondo.

Riflesso incondizionato.

Hai arretrato di colpo impattando contro il muro, il gesto appena accennato di coprirti il viso.

Una reazione che non avresti dovuto lasciarti sfuggire, che in realtà ha sorpreso anche te.

Hai visto il colore scivolargli via dalle guance.

Ti è parso di sentirlo sussurrare il tuo nome, ma non ne sei sicuro.

È crollato in ginocchio davanti a te e si è lasciato travolgere da un'ondata di singhiozzi silenziosi e spasmodici, coprendosi il viso con le dita.

È così che piange John, senza rumore, nascondendo le lacrime nel palmo della mano.

E allora non hai saputo restare al tuo posto.

Dopotutto era quello che stavi aspettando, non è così Sherlock?

Un pretesto per sfiorarlo di nuovo.

Per tutti questi mesi, in ogni suo momento d'amarezza, volevi allungare le mani e toccarlo.

Immaginavi di attraversare il salotto, di stringerlo così forte da fargli male, di accarezzargli con le labbra i capelli grigi, il naso, il mento...

quelle rughe naso labiali che ti ritrovi troppo spesso a contemplare stupidamente.

Volevi che piangesse tutte le sue lacrime, volevi che scoppiasse una volta per tutte.

Per poter raccogliere i suoi frammenti e ricomporlo con minuzia, pezzo dopo pezzo, esattamente com'era prima, così da farne un capolavoro infrangibile.

Ed è quello che faresti anche adesso, se solo il corpo ti obbedisse.

Riesci a fatica a fare qualche passo incerto fino ad accucciarti di fronte a lui.

Lo abbracci piano.

Sei esageratamente delicato, hai quasi paura, adesso, di vederlo sbriciolarsi tra le tue braccia.

Non puoi dirgli che è tutto okay, non stavolta.

Ora John è così fragile che non puoi permetterti d'esser maldestro.

Percepisci il suo respiro sul tuo collo, quelle membra rigide che tremano più forte e le sue lacrime che ti inzuppano il colletto della camicia.

Lo baceresti, ora, non è vero?

Di nuovo perdi di vista il contesto.

Lui è accartocciato su se stesso, senza controllo né difese...

e tu riesci a pensare soltanto al calore del suo respiro, al suo profumo che ti annebbia il cervello.

Non è frivolezza.

Vorresti semplicemente dargli te stesso, perché è l'unica cosa che hai da offrire a quell'uomo che ora sembra aver bisogno di tutto

e che crede, tuttavia, di non meritare più nulla.

Poi con uno gesto improvviso ti riporta alla realtà.

Si stacca da te, quasi spingendoti via.

“Vaffanculo Sherlock!”

“John...”

“Devi smetterla di fare così, accidenti a te. Devi smetterla di far finta di niente!”

Ha iniziato a gridare adesso.

“Guardaci! Guarda cosa ti ho fatto! Sono un mostro Sherlock. Lo sono stato con Mary e lo sono ora con Rosie...non riesco nemmeno ad essere un padre decente! E con te...dio santo, con te ho fatto solo cazzate!”

Quando provi ad avvicinarti lo vedi scattare in piedi e barcollare all'indietro.

È come quando ti ha confessato di quei messaggi inopportuni, solo che stavolta urla.

C'è vergogna nella sua voce. E rabbia. E autolesionismo.

E poi rimorsi, sensi di colpa, rimpianti, vuoti e buchi neri, parole che non afferri, non comprendi, non riesci a stargli dietro e pensi solo a quanto è bello, anzi bellissimo.

John è bellissimo in questo momento, mentre vomita fiotti di quel veleno che, da troppo tempo, sta corrodendo tutto ciò che di straordinario hai sempre visto in lui.

“L'ho uccisa io.”

Lo sillaba con voce incredibilmente ferma, a denti stretti, e tu devi fare uno sforzo considerevole per concentrarti e riprendere il filo del discorso.

“È morta perché io ho desiderato che sparisse. L'ho fatto davvero, sai. E c'è stato un momento, quando è fuggita lontano da me e da Rosie, in cui ho pensato di non cercarla, di lasciarla lì dov'era. Tu invece hai sempre fatto la cosa giusta al posto mio. E nonostante questo, ti ho incolpato per la sua morte.”

“John...”

“Ti ho chiuso fuori perché eri la salvezza che non meritavo. Ti ho pestato a sangue, Sherlock, te lo sei scordato o semplicemente fingi che non sia mai successo? Perché non hai reagito? Cristo!”

Adesso è davvero fuori controllo e temi di non riuscire a frenarlo prima che si sfracelli sul fondo del baratro in cui sta precipitando.

“Ti faccio paura e lo capisco. Anch'io mi faccio paura. Ho paura che possa succedere ancora, ho paura di perdere il controllo. Ho paura di restare da solo con Rosie...e mi detesto! Detesto essere diventato una persona di cui hai paura, non posso sopportarlo! Lo capisci che significa Sherlock? Lo capisci perdio?”

Ma tutto ciò che capisci è che questa sua opera di autodistruzione deve finire.

Ed ecco che, con un impeto che sorprende persino te stesso, ti alzi, lo afferri per il colletto della camicia e lo spingi fino a sbatterlo contro la parete.

“Adesso basta! Basta, John, per favore.”

Agganci i tuoi occhi ai suoi,  ma lui è già passato oltre e guarda lontano.

Lo deduci e ti fa male.

Sta pensando alla stanza che prenderà in affitto per quattro soldi, ai documenti che dovrà firmare per far adottare Rosie da qualcuno, forse da te, sarebbe la scelta più semplice visto che già te ne occupi a tempo pieno.

Sta valutando di aggiungere una terapia psichiatrica alle sedute che continua a fare con Ella. Prende in considerazione l'ipotesi di un corso per il controllo della rabbia, la scarta e torna a focalizzarsi sugli antipsicotici, fa una stima approssimativa di quanti ne servirebbero per...

Lo colpisci.

E te ne penti nell'istante stesso in cui lo fai.

Un pugno spossato, senza troppa convinzione, che comunque sembra riportarlo lì con te.

Ora torna a guardarti, riemergendo dal suo delirio paranoide e fissandoti incredulo, mentre si passa la lingua sul labbro spaccato.

E non riesci a restare dove sei, se non lo fai adesso, sai che non riuscirai mai più a trovare uno spiraglio in quella corazza.

Ti aggrappi alle sue spalle, temi che possa muoversi e in questo momento vuoi che resti fermo.

John deve rimanere immobile e in silenzio.

Tu puoi salvarlo, ne sei certo, e lui deve lasciarti fare.

Vedi un moto di terrore in quelle iridi ancora velate di pianto, lo senti sfuggirti appena ma non hai intenzione di mollare la presa.

“Non mi fai paura, John...no, non girarti, guardami! Qualunque reazione abbia avuto prima, io so bene che non mi faresti del male. Avevo previsto che me ne avresti fatto in passato e ora prevedo che non ne saresti più capace. Dimmi, mi sono mai sbagliato?”

Alzi un sopracciglio azzardando un mezzo sorriso, obbligandoti a non sbattere le palpebre per non perdere il contatto visivo.

È passato, John. Guardami! È tutto passato. Adesso devi lasciar andare.”

Poi ti avvicini, chinandoti lentamente, fino a posare la fronte sulla sua, senza mai smettere di guardarlo negli occhi.

Lo senti irrigidirsi  ma sai che lo vuole anche lui, l'hai capito da un pezzo.

“Quello che mi hai fatto in obitorio...io te l'ho lasciato fare. Ma non pensare neanche per un momento che io non sia in grado tenerti testa.”

Glielo sussurri a fior di labbra ed è come se avessi pronunciato l'esatta password per accedere al paradiso;

perché immediatamente dischiude la bocca e si infila senza alcuna premura nella tua, lasciandoti di stucco e strappandoti un gemito soffocato.

Le sue mani corrono ai tuoi fianchi e li stringono forte, come se vi si stesse aggrappando per non cadere.

E ora lo sai, Holmes. 

Sai cosa si prova a baciare John Watson, ad avere la sua pelle sotto le dita, il suo respiro sul viso.

Adesso sai che la sua stretta è decisa e virile, che la sua pelle odora di dopobarba al vetiver, che le sue labbra sono umide e voraci.

Il bacio di John è disperato, sa di metallo ed è salato.

Ti sporca di sangue e ti trascina con lui sull'orlo di quel baratro, lo stesso che vedevi nei suoi occhi e che ora non lo spaventa più, perché è aggrappato a te con tutta la forza che ancora gli resta.

“Perdonami...ti prego, perdonami amore.”

Un'extrasistole. Ne sei certo. A quelle parole il tuo cuore perde il ritmo e tu la ragione.

E lo abbracci così forte da sentire, attraverso i vestiti e la carne, la consistenza delle sue ossa. 

“John...”

Lo guardi e pensi che...

No, stavolta glielo dici, con le guance scarlatte e la voce ridotta a un sussurro.

“Sei bellissimo.”

Sì, John ora è bello come non avresti mai sperato.

Magnifico, mentre continua a baciarti con la smania di un folle, mentre una crepa si forma su quel guscio di sensi di colpa e autocommiserazione, mentre si libera di qualcosa che gli schiacciava il cuore, mentre la sua fiamma riprende a bruciare e a scaldarti l'anima.

E tra un bacio e l'altro vedi i suoi contorni farsi più nitidi, i suoi occhi tornare limpidi, come due pozze d'acqua su cui torna a specchiarsi la luce del sole.

 

 

Angolo dell'autrice

Vi ringrazio per essere arrivat* fin qui e vi chiedo scusa se ci ho messo tanto ad aggiornare. Ero veramente in difficoltà con questo capitolo, e tutt'ora non sono totalmente convinta di quello che ho scritto, quindi perdonatemi se qualcosa non vi torna o se vi risultasse troppo contorto. Spero comunque di aver reso i personaggi abbastanza IC.

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e spero di pubblicarlo quanto prima

A presto!

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Capitolo 4
*** 9 novembre 2017 ***


 

ATTENZIONE: il rating potrebbe tendere un po' al rosso

 

09/11/2017

 

John sta sognando.

Lo capisci osservandone il ritmo del respiro e i movimenti delle orbite oculari.

John è bellissimo quando sogna.

Ti affascina quel suo russare sommesso, il movimento continuo e ipnotico del suo petto rilassato, le labbra leggermente dischiuse che vibrano impercettibilmente.

Non sai quali immagini gli stiano attraversando la mente, ma sei pienamente consapevole di quelle che si proiettano a ripetizione nella tua da quasi dodici minuti.

Immagini di poco fa, che stai passando in rassegna per l'ennesima volta, ora che niente ti distoglie dal rimuginare in tranquillità.

Immagini che scruti a rallentatore,  soffermandoti anche sul più piccolo dettaglio, memorizzando ogni particolare,

Immagini di John che ti sovrasta completamente, che ti schiaccia contro il materasso dondolandosi avanti e indietro come a volerti cullare nello stordimento del piacere.

Fotogrammi di John, completamente nudo, che ti solletica la schiena con la peluria del petto, che ti sussurra teneramente all'orecchio un monologo osceno, mentre con una mano ti tiene per i capelli strattonandoli appena.

Diapositive di John che inizia a perdere ritmo e delicatezza, muovendosi in te senza alcuna coerenza, portandoti al culmine e seguendoti subito dopo, tra un'imprecazione e un ti amo che ripete sottovoce come una preghiera.

È questo il John Watson che volevi con tutto te stesso, quello di cui ti sei innamorato e che hai aspettato di veder riemergere per un'eternità.

È questo l'uomo per il quale ti sei ridotto ad anelare un sorriso, un bacio, un abbraccio, una mano che ti si infila prepotente nei pantaloni.

È per il ragazzo col bastone che hai conosciuto sette anni fa, e che ora dorme nudo accanto a te, che hai deciso di aprirti, in tutti i modi in cui una persona può aprirsi ad un'altra:

per lasciarlo entrare dentro di te, nella tua mente, nel tuo cuore, lì dove è sempre stato senza saperlo, ed ora riempiendoti completamente, raggiungendo ogni punto cieco o zona d'ombra, senza risparmiare nemmeno un millimetro di pelle, di carne, di anima.

Hai lasciato che ti sporcasse, imbrattandoti con le sue impronte digitali, macchiandoti con un colore che nemmeno pensavi esistesse, hai voluto che ti facesse suo in ogni modo possibile, segnandoti a fuoco con il suo nome, un marchio indelebile che porterai addosso in eterno.

John.

Il tuo migliore amico, il tuo primo e unico amore, il compagno che ti sei scelto per condividere questa bizzarra esistenza fatta di enigmi, adrenalina e tazze di té.

John Watson, l'uomo che hai temuto di perdere, che avresti seguito all'inferno solo per riuscire a salvarlo, per metterlo al sicuro dalle paranoie, dai mostri della sua mente e da quel baratro sempre aperto davanti ai suoi piedi, di cui a volte continua a sentire il cupo richiamo ma a cui, sei certo, non risponderà mai più.

Te ne sei reso conto quel pomeriggio di settembre, contro quella parete, quando l'hai sentito aggrapparsi a te con tutta la forza che gli era rimasta, baciandoti disperatamente mentre prendeva la decisione più importante della sua vita.

Salvarsi.

E l'aveva fatto subito dopo, rifugiandosi in te, che non sapevi nemmeno cosa stessi facendo, che per un attimo avevi creduto di morire mentre perdevi la concezione del tempo e dello spazio, prigioniero sotto il suo corpo, libero nell'istante in cui gli sei esploso addosso senza trattenere le urla e dimenticando perfino il tuo nome.

E lui era stato incredibile.

Magnifico mentre trascinava la sua vita in salvo e te sul pavimento.

Magnifico mentre per la prima volta accettava la sua imperfezione e la sua fragilità, lasciandosi spogliare dalle tue mani con una solennità che ti aveva commosso.

Non erano solo i suoi vestiti a scivolare a terra...ma qualcosa di molto più grande, un qualcosa che non hai saputo decifrare ma che l'avrebbe abbandonato una volta per tutte, permettendogli di essere finalmente l'uomo che avrebbe voluto essere, quello che in realtà, sotto la corazza di rimorsi, paure e sensi di colpa, era sempre stato.

Pensi che forse era proprio da queste cose che lo stavi spogliando, da quell'aura scura che l'aveva trasfigurato al punto da renderlo quasi irriconoscibile, portandogli via la cosa più preziosa che avrebbe potuto donarti.

La stessa che ti sta regalando in questo preciso momento, mentre apre gli occhi assonnati e stira le labbra in un sorriso che ti scalda il cuore.

“Buongiorno Sherlock...”

Sbadiglia con i capelli in disordine, girandosi pigramente verso di te.

Gli sorridi.

“Ciao.”

È tutto quello che riesci a rispondere perché proprio in quel momento l'interfono sul comodino emette un borbottio metallico.

John scatta in piedi e si infila in un colpo solo le mutande e i pantaloni del pigiama, correndo su per le scale, in quella che ora è a tutti gli effetti la cameretta di Rosie.

Ti alzi anche tu, con molta più calma di lui, gettandoti addosso la vestaglia beige.

Sssshh. Tranquilla cucciola...papà è qui...”

L'interfono è rimasto acceso e tu ti senti quasi in colpa ad origliare, ma quello che ti ritrovi ad ascoltare è talmente straordinario che non riesci a smettere.

John sta cantando una ninna nanna.

 

“Mi aiuti ad essere un buon padre, Sherl, non avrei mai pensato di poterlo diventare.”

Te l'aveva confessato in una sera di metà ottobre dopo averla addormentata e adagiata nel lettino.

L'avevi ascoltato immobile, appoggiato allo stipite della porta, illuminato solo dalla luce fosforescente delle stelline appiccicate al soffitto, aspettando che ti spiegasse il senso di quella confessione.

Ma lui si era limitato a prenderti per mano e a condurti in silenzio al piano di sotto, dove ti aveva fatto sedere sulla tua poltrona, inginocchiandosi tra le tue gambe e iniziando a fare quello che avevi segretamente desiderato per tutto il giorno.

Nemmeno ora riesci a comprendere come faccia quell'uomo a leggerti nel pensiero in modo così sorprendente.

Come se riuscisse ad intuire ogni tua necessità, ogni fantasia o perversione, ogni desiderio improvviso, come se fosse in grado di tenere il conto dei tuoi sospiri e dei tuo battiti, prevedendo il momento esatto in cui raggiungerai il tuo picco e muovendosi esattamente come vorresti che facesse, per amplificare quelle sensazioni ed accompagnare il contrarsi dei tuoi muscoli fino all'ultimo spasmo.

Lo trovi straordinario.

Si coordina con te in maniera perfetta, cosa che tu ancora non riesci a fare con lui, forse perché talvolta senti di fare l'amore come un adolescente in piena tempesta ormonale.

Quasi quarant'anni. Senza sesso. Senza John.

Hai troppa sete per non bere tutto d'un sorso, quando lui ti da esattamente quello che ha il potere di dissetarti.

Adori quando ti rimprovera, con quell'atteggiamento quasi paterno, le troppe volte in cui perdi la calma e cerchi di arrivare dritto al punto, con l'impazienza di un tredicenne eccitato.

Ti piace il modo in cui ti prende la mani per portarle lontano da sé, compiendo uno sforzo sovrumano per non assecondarti e non cedere di fronte alle tue suppliche studiatamente languide.

E ti fa impazzire quando è lui a perdere la ragione, prendendoti senza delicatezza né preliminari superflui, senza sfilarti nemmeno la vestaglia, abbassandoti i pantaloni e rivoltandoti a faccia in giù sul tavolo della cucina, tra provette, vetrini e campioni sparsi ovunque.

Hai amato quella volta all'obitorio del Barts, quando avevi colto un preciso fotogramma saettare nei suoi occhi spalancati, l'unico ricordo che ancora non riusciva a tollerare e che quella particolare stanza faceva spesso affiorare in superficie, rendendolo vivido e pericolosamente reale.

John in obitorio.

Ogni volta temevi un nuovo crollo.

Ma quel giorno la sua reazione ti aveva spiazzato.

Ti aveva guardato senza muovere un muscolo per alcuni secondi interminabili, poi era scattato verso di te. Ti aveva spinto contro la parete gelida di un loculo prendendoti per il bavero del cappotto e, succhiandoti con avidità all'altezza della carotide, ti aveva infilato una mano nei pantaloni e ti aveva toccato con così tanta foga e disperazione da farti venire in trentaquattro secondi netti.

Tempistica ridicolmente assurda ma straordinaria.

Era stato il contrappeso che gli aveva ridato equilibrio.

L'avevi letto nei suoi occhi poco dopo, quando Molly vi aveva raggiunti mentre ti stavi ancora allacciando i pantaloni.

Quel pomeriggio John aveva rotto del tutto la sua corazza.

I giorni seguenti aveva ricominciato a nominare Mary di tanto in tanto, serenamente, raccontando di lei a Rosie e riconoscendone l'evidente somiglianza con un sorriso.

Si era tolto la fede e l'aveva riposta in una scatolina nel suo armadio, sopra il fotolibro del matrimonio, accanto al suo vecchio bastone.

Aveva fatto ordine nei ricordi e nei pensieri, archiviando le emozioni e i sentimenti nei giusti spazi, senza più confondere le colpe e senza più farsi carico di responsabilità non sue, non tue, semplicemente della vita.

Accettazione. 

John aveva finalmente imparato ad accettare.

E ad accettarsi.

Aveva ripitturato la camera al piano di sopra, le pareti rosa e il soffitto azzurro.

Ci aveva attaccato un centinaio di stelline adesive e aveva riempito la stanza con pupazzi e giocattoli in legno, rigorosamente atossici e certificati, privi di parti ingeribili e antisoffocamento.

Aveva preso ad occuparsi di sua figlia con una sollecitudine ed una tenerezza che ti facevano sciogliere il cuore.

John è un padre meraviglioso, tu lo hai sempre pensato, doveva solo ritrovare la strada per quella parte di sé e quella sera, quando te ne aveva dato il merito, alla luce tenue di quelle stelle di plastica, avresti voluto dirglielo.

 

Ora lo ascolti cantare dall'interfono.

Una melodia dolce e un po' triste, Rosie non piange più ma la senti lallare a voce alta.

Andiamo a fare colazione? Sono sicuro che anche papà Sherlock avrà bisogno di mangiare dopo stanotte.”

Ti viene da ridere e ti accorgi con un certo stupore che in effetti hai un insolito appetito.

Da quando John fa l'amore con te hai riscoperto il piacere di mangiare, come se i tuoi bisogni umani fossero riemersi tutti insieme.

Non ti dispiace, soprattutto perché è lui che si preoccupa di sfamarti, dissetarti...amarti.

Tutto ciò che ti serve per vivere viene da lui.

“Buongiorno papà! Rosie chiede se ti va di fare colazione!”

John si siede sul letto accanto a te, posandotela sulle ginocchia.

Lei prende a giocherellare con la cinta della tua vestaglia mentre John vi guarda con gli occhi colmi di tenerezza.

Sta sorridendo.

Dodici muscoli facciali si stanno contraendo in questo momento sul suo viso.

Gli sollevano gli zigomi stirandogli le guance appena imporporate.

Stringono le orbite oculari, creando quattro sottilissimi solchi ai lati degli occhi.

Portano indietro le labbra fini, facendole quasi scomparire e rivelando la dentatura superiore.

Altri due muscoli sollevano i lati della bocca, evidenziando le rughe naso labiali.

“Non smettere mai, ti prego.”

“Di fare cosa, Sherlock?”

“Di sorridere.”

“Ma mi verrà una paresi facciale!”

Sta scherzando, ma tu sei dannatamente serio.

Ridi senza convinzione e baci Rosie sui boccoli dorati.

Pensi che ai suoi occhi sembreresti un idiota se gli dicessi la verità.

Se ammettessi che vederlo sorridere è l'unica cosa di cui davvero ti importa.

Che pensavi di non farcela quando hai creduto d'averla persa per sempre, quella fiamma che infonde vita nella tua mente e nel tuo cuore, quella luce che ti stimola il genio e ti scalda l'anima.

Il sorriso di John.

Una linea morbida disegnata a matita su quel viso che non riesci mai a dedurre fino in fondo, una curva perfetta su cui poseresti le labbra per sempre.

E sì, ti è tornato l'appetito, ma sei certo che potresti sopravvivere anche senza nutrirti.

Hai rinunciato al fumo, alla droga, al pericolo estremo...

sei convinto di poter rinunciare anche al cibo, al sesso, all'ossigeno, alla luce del sole...

Ma non riusciresti mai a rinunciare al suo sorriso.

Se te lo negasse di nuovo, ne moriresti.

Lo guardi e capisci ad un tratto che questo non succederà, non più.

John è salvo. John è felice.

È la tua prima vera missione compiuta, l'unica che abbia mai contato davvero.

Ti si sollevano gli angoli della bocca.

E John pensa che tu sia bellissimo quando sorridi.

 

 

 

Angolo dell'autrice

Vi ringrazio per essere arrivat* fin qui.

Quando ho inziato a scrivere questa storia non sapevo ancora con precisione come si sarebbe articolata e soprattutto come l'avrei conclusa.

Ho improvvisato e spero non ne sia uscito un pastrocchio. Ogni critica costruttiva è sempre ben accetta.

Detto questo, vi annuncio che a breve pubblicherò uno spin off a rating rosso! Sono un po' dubbiosa visto che non ho mai scritto una red, ma se vi andrà di leggerla ne sarò contentissima!

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