Tu come stai?

di Marty Andry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 

 
Un azzurro scalzo in cielo
il cielo matto di marzo 
e di quel nostro incontro


 
 

Un'altra giornata come tutte le altre.
La città si era appena svegliata, salutando il nuovo giorno con un'alba color indaco, dipingendo le sue secolari architetture di tinte tenui. Ma Rebecca, nella sua stanza ben lontana dal centro, aveva iniziato il suo venerdì molto prima che glielo dicessero i raggi del sole che facevano capolino dalle persiane della finestra. Aveva tirato a lucido la sua stanza, temeva che sua sorella le tendesse un'imboscata e non aveva voglia di sentirsi dire che era la solita disordinata, ritardataria e giù di lì. 
Si coprì per bene, considerati i tre gradi esterni, afferrò la borsa coi libri e scese giù nel cortile del condominio, dove la aspettava la sua bicicletta, pronta per condurla in biblioteca.
 
Aveva disattivato la sveglia prima che suonasse, per fortuna soffriva d'insonnia, così Giulia, accanto a lui, non si sarebbe svegliata e magari non l'avrebbe seguito per tutto il giorno, impedendogli di progredire nella stesura del suo articolo. Si mise a sedere e si vestì prestando attenzione a non fare rumore, ma lei non si sarebbe svegliata nemmeno se avesse intonato l'inno nazionale francese a due centimetri dal suo orecchio. Si diresse nel soggiorno, dove tenui raggi del sole oltre le serrande abbassate annunciavano timidamente l'arrivo del giorno. Fece un giro attorno al tavolino di fronte al divano, raccolse due calici con ancora qualche dito di vino rosso e opaco: forse attraverso quel filtro vermiglio, la presenza di Giulia poteva essere più sopportabile. Mentre riversava il contenuto dei calici nel lavandino, sospirò, consapevole del fatto che aveva bisogno del suo amico fegato per tirare avanti. 
Sentì Giulia muoversi e grugnire nella stanza, quindi decise di abbandonare la caffettiera appena messa sul fornello e correre fuori, ritrovandosi come un estraneo nel suo appartamento. Afferrò il cappotto e le chiavi, guardò l'orologio, erano le 8 e mezza di un venerdì di metà marzo. Diede uno sguardo al calendario che troneggiava accanto allo svuota tasche (ricordo di una comunione...): venerdì 17. Provò a non farci caso, in fondo iniziò a convincersi che la fortuna e la sfortuna fossero congetture mentali dell'uomo e, nel suo caso, una delle tante...  
Chiamò l'ascensore, sperando che quella mattina non gli facesse scendere quelle sette rampe di scale, e almeno quel suo desiderio venne esaudito. Si sistemò guardandosi nello specchio all'interno, diede una riavviata ai capelli, forse troppo vigorosa visti i fili castani che gli restarono tra le dita. Due piani dopo, salì un bambino pronto per la scuola, con tanto di grembiulino blu e sua mamma, tutta intenta a chiudergli il più possibile il cappotto. All'improvviso, tutte le righe del legno giallo dell'ascensore acquistarono un certo fascino, finché il bambino non gli tirò la giacca. Quel metro e trenta di uomo con gli occhioni neri e il cappello di lana calato fin sopra le sopracciglia lo guardava fisso, finché non gli parlò. << Quanti anni hai? >> 
La madre lo rimproverò subito, ma rispose sorridendo << Sicuramente più dei tuoi. E tu, quanti anni hai? >>
<< Nove! >> affermò orgoglioso. << Mi chiamo Claudio. Tu come ti chiami? >>
La mamma di Claudio si scusò, imbarazzata, poco prima di uscire dell'ascensore. 
<< Non si preoccupi. Io mi chiamo Alessandro>> 
<< Mamma, hai sentito? Come lo zio! >> esclamò con gli occhi lucidi. << Domani vuoi venire alla mia festa di compleanno? >>
Alessandro lo guardò spiazzato, mentre scendevano gli ultimi gradini fuori dal condominio. La madre si girò e lo trascinò forte, recitando altre sentite scuse. Alessandro sorrise e gli urlò una conferma.
 
Ovviamente a quell'ora il parcheggio delle biciclette era più che vuoto, considerato che la biblioteca iniziava a popolarsi solo verso le dieci. Rebecca alzò gli occhi al cielo, scuro e prometteva pioggia. Non vedeva l'ora che arrivasse la primavera, la sua stagione preferita. Incatenò per bene la bicicletta ed entrò nella biblioteca, gustandone l'aria calda. Salutò il ragazzo del banco informazioni all'entrata e spinse con forza la pesante porta di vetro che già lasciava intravedere le decine di posti vuoti. I pochi che erano già lì a quell'ora erano dottorandi, ricercatori, studenti disperati che scrivevano la tesi. Si sistemò nel suo posto preferito, in cui dava le spalle a tutti e non aveva distrazioni. Il tempo di uscire i libri dalla borsa e sentì il cellulare vibrare. 
"Alle 19 da Ken? Ho buone notizie da Sidney"
Sorrise al messaggio di Giorgio, il suo migliore amico prima ancora che ragazzo e, in tutta risposta, gli inviò una faccina sorridente. Dopo di ciò, si mise a fare un rapido inventario di ciò che le serviva per scrivere l'articolo per il suo professore che sperava chiedesse di portarla con sé nei prossimi convegni. Il lavoro era a buon punto, mancava solo qualche correzione qua e là e la revisione di uno stralcio in tedesco. Lo aveva tradotto con la sua conoscenza quinquennale del tedesco moderno, ma questo era senza dubbio ben diverso dalla lingua scritta dell'anno Mille. Rebecca batté violentemente e ripetutamente il palmo della mano sulla fronte, ecco cosa aveva dimenticato a casa, il dizionario! Sbuffò e decise di dedicarsi al resto prima di partire per una spedizione di ricerca.
 
Alessandro valutò la possibilità di essere investito da una pioggia violenta, ma decise di non importarsene. Prese il cellulare è chiamò sua madre, come ogni mattina da quando si era trasferito. Dopo pochi squilli, una voce ancora assonnata rispose dall'altro capo.
<< Buongiorno mamma. Dormivi? >>
<< No no, lo sai che dormo poco. >> mentì. << Come stai? Dormito bene? >>
Scansò un vecchietto in bicicletta con un pastrano arancione. << Sì, tutto bene, ora sto andando in Dipartimento per vedere se ci sono delle novità riguardo allo scambio dei tutor, stanotte Giulia ha dormito da me ma stasera credo di essere solo, forse vado a correre un po'. >>
Al nome di Giulia sua madre rise sonoramente. << Chissà se un giorno riuscirai... >>
<< Mamma, >> la rimproverò <<  le voglio comunque bene, stiamo insieme da più di cinque anni. Non sarebbe opportuno, proprio ora che le hanno finalmente dato il posto qui all'università. >> 
Chiacchierò qualche altro minuto con sua madre, poi intravide le porte del Dipartimento di Archeologia e attaccò. A passi svelti superò il giardino e la porta della biblioteca per salire le scale di marmo verde che portavano agli uffici dei docenti. Cercò il numero 73, quello da cui era entrato e uscito almeno duecento volte. Bussò forte e la voce del professore dall'altra parte lo invitò ad entrare. Come sempre era sommerso tra libri, libroni, carta di ogni sorta. 
<< Buongiorno, >> disse stringendogli la mano e sedendosi, << ho delle novità. >>
Il professore Fiorenzi tolse gli occhiali squadrati e si rilassò sulla sua sedia. << Io purtroppo nessuna per te, caro mio. >>
Alessandro sistemò la cravatta, eccitato. << Le volevo parlare dei risultati dell'ultimo scavo. Per quanto mi riguarda, volevo proporle un articolo a cui sto lavorando. Durante la campagna sul basso corso del Reno, personalmente, ho ritrovato un piccolo breviario, apparentemente in buone condizioni e che il direttore dello scavo ha provveduto a... >>
<< Alessandro. >> lo bloccò grave Fiorenzi, << Già il fatto che tu sia stato preso ad uno scavo del mio poco stimato collega mi dà da pensare, ma preferisco sorvolare visto il tuo interesse per quelle zone, ma credo che tu debba rimandare il tuo assegno di tutorato e la pubblicazione del tuo articolo. >> 
Il cuore iniziò a battere veloce e la collera stava per farsi strada. << Per quale motivo, mi scusi? Io e altri archeologi abbiamo il diritto di divulgare scoperte, soprattutto perché il nostro scavo, insieme a quello in Spagna, è stato uno dei pochi ad aver raggiunto delle conclusioni. >> 
<< Alessandro, calma. La commissione ha deciso che sarebbe più opportuno dare spazio allo scavo in Anatolia, ed il parere di uno, lo sai, non può niente contro quello di altre trenta persone. >> concluse mortificato Fiorenzi.
Alessandro fece due più due e scattò in piedi. << Sa qual è il problema? >> fece alterato. << Lei e la sua collega Riponi non avete coraggio! Non per mancarle di rispetto, ma io a quell'articolo per quel convegno continuo a lavorarci, e continuerò anche a fare richiesta per il tutorato, >> quasi urlò, ma abbassò il tono subito << anche se sappiamo bene entrambi che il posto per i prossimi tre anni è della Giacinti! >>. 
<< Io non le ho fatto nessun nome. >> replicò calmo il professore.
Alessandro coprì velocemente la distanza tra la porta e la scrivania e rispose << Non per forza certe cose devono esser dette esplicitamente, ormai. >> e sbatté violentemente la porta di legno. Corse giù dalle scale, sotto gli occhi straniti di chi aveva sentito strani rumori provenienti dallo studio e si andò buttare su una delle panchine del giardino. Accavallò nervoso le gambe, respirò un po' d'aria fresca. Scrutò le matricole del primo anno, così entusiaste del nuovo percorso, e ricordò l'unico 28 ad uno degli esami più difficili del corso di laurea, che non era il suo. Si alzò risoluto ed entrò nella biblioteca, certo di trovarla lì, ipotesi che fu subito confermata. La sua rivale era seduta in fondo dall'aula, con il suo bel portatile bianco intenta a scrivere. Aprì la porta di vetro e si appoggiò ad uno dei pilastri a braccia conserte. 
<< Giacinti, esci un attimo. >> disse ad alta voce.
Una ragazza delle prime file coi capelli biondi scuro e gli occhiali si girò e lo guardò male, ma lui fece finta di niente. La collega si alzò con calma dalla sua sedia e a mano a mano il rumore dei suoi tacchi diventava sempre più vicino.
Si chiusero la porta alle loro spalle e lei tolse la matita con cui aveva fermato i capelli neri. Dischiuse le labbra piene in un tenue sorriso. << Che piacere, Alessandro. Cosa ti serve? >> 
<< Sono un galantuomo, vieni con me così ti offro un caffè e ne parliamo al caldo. >> risponde apparentemente calmo.
<< Prima sembravi tutt'altro che calmo. >> lo stuzzicò una volta seduti al tavolo della caffetteria del dipartimento.
<< Elena, devi smetterla. Smettila di prenderti meriti che non sono tuoi, smettila di non dare spazio agli altri. >> 
Elena si accese una sigaretta con disinvoltura ed accavallò le gambe divertita. << Io prendo ciò che mi merito. >> rispose secca.
Ad Alessandro quel poco era bastato, si alzò e la lasciò da sola al tavolo con due caffè da pagare. Entrò in biblioteca e si sedette alla sua postazione del pc, dove nessuno aveva osato spostare le pile di libri. Rileggendo l'articolo, si accorse di un punto di non ritorno, una scrittura troppo lacunosa in alcuni punti perché la filologia non era ambito di sua competenza, ma era un aspetto che necessitava un approfondimento. Si alzò per cercare un dizionario di tedesco e lo avvistò proprio accanto a quello di russo, in una teca vicina al suo tavolo. Ma la ragazza dai capelli biondi che prima lo aveva guardato male aveva avuto la sua stessa idea, poiché si era fiondata sul tomo.
<< Scusami, >> le sussurrò, << ma potrei prenderlo prima io? Devo portarlo via. >> 
La ragazza si tirò sul naso gli occhiali tondi e rispose, ancora più piano. << A me serve giusto una mezz'ora, se sa aspettare glielo riporto appena finito. >> 
Alessandro annuì e tornò alla sua postazione. Da oltre lo schermo del computer osservò la ragazza china sui libri e si iniziò a chiedere se l'avesse vista a lezione, quando era ancora studente, ma niente. Eppure, avrebbe dovuto avere all'incirca la sua età, se non qualcosa in meno, forse erano gli occhiali a tradire i suoi anni. Riprese ad analizzare testi vari e atti, finché poco dopo non gli arrivò la chiamata di Giulia. Uscendo dalla biblioteca, controllò l'orario, le dieci e mezza, forse si era appena svegliata. Effettivamente, quando rispose, Giulia gli disse di aspettarla alla pasticceria dell'angolo, dove sapeva facevano la sua crostata preferita. Constatò che Elena non era più rientrata e aveva lasciato sul tavolo tutte le sue cose, ma non se ne curò. Piuttosto, mentre usciva, chiese ad un ragazzo che stava entrando carico di libri, di avvisare la ragazza e di aggiornarla, in un certo senso, sulla sua posizione. Si sentì ridicolo a fare tante cerimonie per un dizionario, ma quella giornata era iniziata male e aveva deciso di non rispondere delle sue azioni.
 
Aveva quasi finito la traduzione, le mancava l'ultima frase ma una comunicazione le aveva fatto perdere il filo. Seccata, ritornò alla ricerca dei significati, chiedendosi se fosse davvero necessario fare tanto trambusto per un dizionario tra l'altro mediocre. Terminò il suo lavoro ed uscì per dirigersi alla caffetteria del dipartimento, dove il tipo misterioso le aveva dato appuntamento. Effettivamente era lì, appoggiato ad una colonna del giardino.
Il cielo non si era ancora del tutto rischiarato, il sole era solamente una sfera luminosa lontana e coperta. Con quel tempo, la luce scarsa rendeva le mura del dipartimento ancora più rossastre, più che marzo, sembrava essere una perlacea giornata di inizio inverno.
Alessandro le alzò la mano, convinto che non l'avesse riconosciuto.
<< Sono quello del dizionario. >> disse lui.

<< La mia memoria dura molto più di quella dei pesci rossi, sa? >> rispose  ridendo.


<< Ma io non volevo offenderla. >> replicò imbarazzato.


<< Nessuna offesa, questo è suo. >> 

Rebecca gli porse il dizionario con entrambe le mani e Alessandro lo prese, constatando che poteva benissimo usato al posto dei pesi da 5 chili in palestra, un luogo a lui del tutto sconosciuto.
<< È sicura che non le serva più? >> chiese cauto.
<< Certo, >> gli rispose << oggi ho dimenticato il mio. >> 
Lì nel chioschetto li raggiunse un soffio freddo, segno che era forse meglio tornare dentro. Alessandro la precedette di qualche passo e le aprì la porta della biblioteca. Rebecca sorrise, imbarazzata, e lo ringraziò sottovoce. Alessandro rispose, forse anche un poco a
se stesso, << Io sono un galantuomo. >>
 
Giorgio la stava già aspettando, seduto al tavolino di ferro nero. Si riavviò i capelli rossicci che, ogni tanto, amava colorare con delle ciocche variopinte. Quello, come diceva Rebecca, era il suo periodo blu, intonato perfettamente con i suoi occhi chiarissimi e quasi cerulei. Giorgio le alzò una mano non appena la vide per farsi notare e Rebecca avanzò facendo ondeggiare i pantaloni larghi verdi. Allegra, gli stampò un bacio sulle labbra, sapevano di vaniglia.
<< Ma tu odi la vaniglia! >> esclamò sorpresa.
<< Ho usato lo shampoo di Dario, faceva schifo! >> rise. << Mi sono preso la libertà di ordinarti un chinotto artigianale, a me la scorsa volta è piaciuto molto. >> 
<< Quindi, >> fece tra un sorso e l'altro, << che novità ci sono? >> 
Giorgio posò il bicchiere pieno a metà di prosecco. << Mi hanno preso, come fisioterapista ufficiale! >> 
Rebecca gli batté il cinque. << E per quanto tempo? >> 
<< Ancora non lo hanno deciso, ma due anni sono certi. >> 
Rebecca lo guardò smarrita, ma poi si rasserenò. << Se è ciò che volevi, prendilo! Non lasciarti sfuggire Sidney. >>. Alzò in alto il bicchiere. << A Sidney e a noi! >> 
<< A Sidney! >> rispose felice Giorgio.
Il cuore di Rebecca aveva tremato, ma non troppo. Conosceva fin troppo bene se stessa, Giorgio e tutto quello che avevano costruito in quei dieci anni, di certo non avrebbero vacillato per un cambio di rotta, sapeva che in un modo o nell'altro la casualità degli eventi li avrebbe aiutati, ancora una volta. 
Due enormi gocce d'acqua caddero sugli occhiali tondi di Rebecca, segno di un altro temporale imminente. A lei la pioggia piaceva, e anche molto. La considerava una buona opportunità, d’inverno, per restare in qualche posto a studiare, leggere, invece d’estate era l’occasione per godere di una breve tregua dall’arsura. Quindi non vedeva l’ora di tornare a casa e di buttarsi sotto una bella doccia calda, mentre aspettava la sua migliore amica ed una bella pizza. Pedalando più veloce che poté, cercando di battere in velocità la meteorologia, notò come la gente impazzisse per un po’ d’acqua: ombrelli che sbattevano gli uni contro gli altri, troppe auto, quindi un traffico assurdo. Dopo aver macinato quasi un chilometro, lasciò la bicicletta nel parcheggio del condominio e aprì veloce il portone dell’atrio, palese testimonianza di architettura anni ’70. Ascensore guasto, come sempre, ma si trattava di dover salire solo tre piani, accettò lo sforzo senza molte proteste.
<< Becca, sei tu? >> urlò la sua coinquilina dalla cucina.
<< Sì, >> gridò l’altra << è arrivata la bolletta della luce. La lascio qua. >>
Dopo aver appeso il cappotto nell’ingresso, si avvicinò alla cucina. Claudia era china a pigiare violentemente i tasti del suo computer con una mano, mentre con l’altra sgranocchiava una specie di cracker.
<< Fai piano oppure la tastiera ti si ribellerà! >> scherzò, appoggiata allo stipite della porta.
<< Macché, >> rispose l’altra con la bocca piena. << il suono mi rilassa. >>
Rebecca alzò gli occhi al cielo. << Ti va bene se stasera Sara cena da noi? >>
Claudia, in tutta risposta, alzò il pollice in su. Rebecca si accostò al tavolo e prese il pacchetto di cracker. << Ma basta mangiare, altrimenti non ti resta più spazio per la pizza. >>
Claudia sbuffò un << Va bene, mamma. >> senza staccare gli occhi dallo schermo, immersa nella penombra. Rebecca la lasciò scrivere in pace le sue 20000 parole per la relazione del suo tirocinio all’estero e si lasciò cadere sul letto. Guardò il soffitto e pensò a Sidney. Per un attimo le si strinse il cuore, pensando che il periodo più lungo trascorso senza Giorgio era stato per poco più di sei mesi, e due anni erano sicuramente di più. Però era la sua grande occasione e lo avrebbe sostenuto in questa grande avventura che però sperava lo avrebbe portato di nuovo più vicino. Forse, ammise a se stessa, di non aver tenuto fede alla promessa che si erano fatti da ragazzi: leggerezza. Si erano promessi di non avere la pretesa che quella sarebbe stata la storia della loro vita, perché a soli quattordici anni non sapevano dove sarebbero finiti e soprattutto quali scelte avrebbero fatto. Con il passare degli anni, si rese conto Rebecca, che ne aveva fatto un pilastro della sua vita, il suo appoggio principale, e ora l’idea di perderlo la destabilizzava un poco, ma in cuor suo sapeva che in un modo o nell’altro i due anni sarebbero passati e Giorgio- il suo Giorgio- sarebbe tornato da lei.
 
Ormai era troppo tardi, il temporale lo aveva sopraffatto e non restava altro da fare se non camminare con l’ombrello in una mano e il dizionario nell’altra. Detestava la pioggia, non esisteva niente di più seccante, Giulia a parte. Percorse al contrario il tragitto battuto una decina d’ore prima, con un cielo decisamente meno rassicurante. Quel brutto tempo sicuramente avrebbe cancellato il suo appuntamento con i suoi amici, colleghi, archeologi, con cui aveva costruito e mantenuto un buon rapporto nel corso delle varie campagne seguite da studente e ora da ricercatore, o pseudo tale. Dubbio confermato di lì a poco, e si compiacque dell’avere la serata tutta per sé. Erano le otto e la fame iniziava a farsi sentire. Slacciò la cravatta e la lasciò cadere sulla sedia della cucina, insieme alla giacca. Nel tragitto, si liberò anche delle scarpe e accese il riscaldamento, per un paio d’ore sarebbe stato al caldo. Contemplò il frigorifero particolarmente vuoto, allora optò per il congelatore. Previdente quale era, aveva congelato il pollo al curry cucinato una settimana prima. Mentre scaldava la porzione, accese le radio, chiedendosi chissà quale CD vi fosse rimasto chiuso dall’ultima volta. La voce di Claudio Baglioni, con la sua Fotografie riecheggiò per la stanza, e Alessandro constatò che mai stile musicale fu più adatto per concludere quella giornata uggiosa. Divorò il pollo che notò navigare in una brodaglia giallognola, il curry, ma aveva troppa fame per fare lo schizzinoso. Sentì la necessità di rilassarsi del tutto, allora si alzò dalla sedia e dal frigorifero tirò fuori una bottiglia piccola di birra, rossa e amara come piaceva a lui.  Anche mentre cenava, non si dava pace, quella giornata era stata troppo intensa e non riusciva a non pensare e quel posto che, nonostante fosse ancora tutto da decidere, a quanto pare non sarebbe stato suo. Baglioni nel frattempo andava avanti, con la sua solite voce straziata. Era arrivato il turno di Mille giorni di te e di me, ma cambiò subito, e la seguì Poster. Alessandro alzò le sopracciglia e sbuffò per il salto di qualità. Pensava a Giulia, a quello che avevano messo su in quegli anni e il perché. Lui sapeva che lei si aspettava, almeno entro i prossimi due anni, una proposta per la costruzione di qualcosa di serio, ma non se la sentiva. All’inizio, quando quattro anni prima si erano conosciuti, molte cose erano diverse. Lei aveva fin da subito chiaro il suo progetto di vita, come una sorta di diagramma che era impossibile far saltare, lui invece brancolava ancora nel dubbio, era sopraffatto dalla paura di aver sbagliato percorso e di non essere in grado di fare niente se non studiare e interrogarsi. Lei lo aveva sorpreso perché lui, poco più che ventenne, aveva un carattere abbastanza schivo che contrastava di netto con quello di lei, brioso ed esuberante. Lei lo aveva subito notato perché, non poteva negarlo, era un bel ragazzo, e aveva idealizzato fino all’inverosimile lui e la loro storia. Alessandro, invece, dopo l’ebrezza del primo anno insieme, si era come risvegliato e aveva capito che in fondo tra di loro poteva funzionare finché uno dei due non sarebbe andato via oppure avrebbe avuto il coraggio di lasciare l’altro. Alessandro per il momento aveva solo l’ultima opzione da prendere in considerazione, ma non sapeva come fare. Ora si ritrovava a fissare il vuoto, mentre Baglioni continuava a cantare senza che nessuno lo ascoltasse.
Cambiò CD, passò al suo surreale Battiato e si abbandonò alle strane melodie. Preso dal tedio e dalla noia, accese il computer e diede uno sguardo al sito web dell’università. L’Università premia i 100 bravissimi, recitava uno dei titoli in bacheca. Aprì il link, per curiosità, pronto a vedere i cento studenti più meritevoli dell’Ateneo, futuri luminari delle più disparate discipline e di cui non aveva mai fatto parte. Lesse il breve articolo sulla cerimonia, seguito da una foto di gruppo di cento volti sorridenti e toghe nere. La foto, a sua volta, era seguita dall’elenco dei vincitori e il rispettivo corso di laurea. Premette F3 per la ricerca intertesto e scrisse arch nella barra di ricerca. Apparve subito il volto tondo e schiacciato di Elena Giacinti, ovviamente, sorridente, con in testa un tocco con la nappa bianca, simbolo della loro Scuola e la toga nera bordata con gli stessi colori. Alessandro fece una smorfia di disgusto e si spostò sul divano dell’ingresso-soggiorno, decisamente più comodo. Incrociò le gambe e vi poggio sopra il computer bollente, mentre continuava la sua ricerca. In ordine alfabetico, l’articolo proponeva Riccardo Cecconi, una delle prime persone che aveva conosciuto otto anni prima e di cui nutriva una profondissima stima. Nella foto, anche Riccardo portava il tocco, che però manteneva sulla testa con una mano a causa della sua folta e indomabile capigliatura riccia. Sorrise e diede uno sguardo alla barra di ricerca, notando che il numero di risultati visti era 2/2, segno che nessun altro archeologo aveva una media compresa tra il 29 e il 30. Andando con lo sguardo in alto, l’occhio cadde su un volto già visto prima. A sorridere, quella volta, era una ragazza dai capelli biondo scuro e gli occhiali tondi dalla montatura forse marrone. La sua toga era bordata di blu elettrico, ma Alessandro non riusciva a ricordare a quale facoltà corrispondesse. Si ricordò della ragazza a cui aveva chiesto il dizionario la mattina, quella che non era riuscita a collocare. La curiosità vinse: Rebecca Assise, iscritta alla Magistrale in Germanistica. Una filologa! Alessandro all’improvviso s’illuminò, aveva trovato chi poteva sciogliere alcuni nodi del suo articolo. Spense il computer e decise, rasserenato, di farsi una doccia. Forse, in quella giornata, non era andato tutto storto.
 
Dopo la cena, Rebecca e Sara si rintanarono in camera, facendo il resoconto dell’ultima settimana. Sara si buttò sul letto di Rebecca e prese a lanciare in aria il cuscino. Rebecca spense la luce e accese le lucine tonde e colorate appese al muro accanto al letto. Le pareti bianche si colorarono di sfumature gialle e rossastre, illuminando appena la zona vicina. Rebecca si sedette con le spalle poggiate al muro, freddissimo, e Sara poggiò i piedi coperti dai soli calzini sulle gambe dell'altra.
<< Massaggio? >> chiese Rebecca. Sara, in tutta risposta, grugnì. Rebecca iniziò a massaggiare piano la pianta del piede e l’amica rise per il solletico.
<< Cosa racconti di bello? >> chiese di nuovo.
Sara si coprì la testa con il cuscino e poi sbuffò.
<< Non posso credere che dopo l’esame della prossima settimana, sarà tutto finito. O meglio, c’è ancora un mare di roba, tesi e giù di lì, ma dopo? >>
Rebecca alzò le spalle. << Forse dovresti provare a fare domanda qui, come maestra in qualche asilo privato, e poi al massimo spostarti. >>
Sara si mise a sedere, ansiosa. << E se non fosse la mia strada? Se non riesco a concludere nulla? E se… >>
<< Se non fosse stata la tua strada, non avresti resistito per tutto questo tempo. Sono passati cinque anni e ciò che hai fatto ti è sempre piaciuto. >>
Sara sorrise e si guardò intorno. Notò il comodino accanto al letto vuoto, stranamente. In genere lì erano poggiati due o tre libri, quelli che Rebecca leggeva, spesso contemporaneamente.
<< Non leggi nulla? >> domandò sorpresa.
<< Onestamente no. Non ne ho il tempo, tra due mesi devo consegnare tesi e diversi articoli, poi credo che il mio relatore mi voglia portare con sé in un convegno, ma non si sa ancora dove e su cosa, nulla di certo. >>
<< E Giorgio? A che punto sta? Ha trovato qualcosa? >>
Gli occhi castani di Rebecca si rabbuiarono. << Sì, lo hanno chiamato a Sidney, dovrebbe rimanere lì per minimo due anni. >>
Sara alzò le sopracciglia ed imprecò. << E cosa avete intenzione di fare? >>
Rebecca finse di non capire. << Intendo voi due, che programmi avete? >>
L’altra scrollò le spalle e si tolse gli occhiali, la vista era affaticata. << Non ne abbiamo parlato, e non credo che ne parleremo. >>
Sara si buttò di nuovo a letto e sospirò. Rebecca si alzò e si stese accanto a lei, entrambe con gli occhi sul soffitto.
<< Dai, >> cercò di incoraggiarla, << forse è stato meglio così. >>
<< è incredibile. >> si limitò a dire.
<< Incredibile cosa? Che siano passati tre anni e non c’è verso di fartelo dimenticare? >>
Sara annuì. << E la cosa peggiore non è stata l’avermi mollata perché non aveva il coraggio di mantenere una relazione a distanza, che poi non era nemmeno molta, ma… >>
<< Ma l’essersi sposato dopo due anni. >> continuò Rebecca. << Lo so, lo so. >>
Sara diede uno sguardo alla sveglia sul comodino, erano le dieci.
<< Credo che sia ora di andare. >>
Sara recuperò rapida le sue cose, salutò le due ragazze e si tuffò nella sera fredda di fine marzo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2 


 

Alessandro si era addormentato sul divano, se ne accorse solo quando, la mattina alle sette, la sveglia del cellulare lo riportò alla realtà. Aveva dimenticato il riscaldamento acceso, infatti nella casa regnava un calore quasi estivo e durante la notte non aveva sentito la necessità di coprirsi. Nel disattivare la sveglia, con gli occhi ancora poco vigili ed i sensi intorpiditi, trovò una chiamata persa di Giulia, a mezzanotte passata. Si compiacque per essere riuscito a dormire quasi otto ore senza svegliarsi e rimandò la chiamata a Giulia di una decina di minuti, il tempo necessario per riprendere del tutto coscienza. Dopo che la dose mattutina di caffeina fu entrata in circolo, si sciacquò la faccia e si diresse verso la camera da letto per vestirsi. Nel mentre, aprì la chiamata con Giulia e attivò il vivavoce. Dopo qualche squillo, la ragazza rispose.
<< Buongiorno, amore mio. >> esordì.
<< Buongiorno, ho visto la chiamata solo ora. È successo qualcosa? >> rispose Alessandro mentre si abbottonava la camicia blu.
<< No, volevo solo sapere se avessi programmi per questa sera. >>
La sua voce era abbastanza assonnata, segno che la chiamata l’aveva svegliata.
<< Guarda, >> disse spostandosi verso la scarpiera, << oggi verso le 18 avrei una festa di compleanno, ma credo di liberarmi nel giro di un paio d’ore. >>
<< Festa? E di chi? >> chiese perplessa.
<< Di un bambino che vive qui, nel condominio, una storia lunga. Vuoi venire con me a scegliere il regalo? Tra un’oretta ci vediamo vicino al negozio di giocattoli. >>
Attese la risposta per qualche secondo. << Va bene, andata. Ci vediamo dopo. >>
<< Va bene, a dopo. >> e chiuse la chiamata.
Si maledisse, perché poi, sicuramente, avrebbero pranzato insieme, ma doveva per forza passare dalla biblioteca del Dipartimento per cercare di incontrare la sua aspirante filologa ed implorare il suo aiuto. Aprì la finestra e, al contrario del giorno precedente, il sole era ben visibile e riscaldava un poco la città. Afferrò chiavi, portafoglio e uscì di casa, come ogni mattina. Nella buca delle lettere, nell’atrio, trovò una busta azzurra, sigillata, con su scritto Per Alessandro. La aprì e vi trovò un biglietto azzurro come la busta, con dei palloncini rossi disegnati a matita.
Sabato 18 marzo alle ore 18.00 sei invitato alla festa di compleanno di Claudio, che si terrà in via Venezia 18, interno 7. Non mancare!
Sorrise e ripensò a come erano belle le feste di compleanno che i suoi organizzavano per lui e sua sorelle quando erano più piccoli, nella loro piccola campagna. Sua sorella! Doveva chiamarla, era il suo compleanno, ma lo avrebbe fatto più tardi, sapeva che probabilmente la sera prima era andata a dormire minimo alle tre di notte, causa lavoro. Nel frattempo, nella mezz’ora che lo separava dal negozio di giocattoli, chiamò sua mamma.
<< Buongiorno mamma, come stai? >>
Dall’altro capo del telefono sua mamma tossì. << Sono raffreddatissima. Tutta colpa di tua zia, ieri ha insistito per fare una passeggiata in campagna, ma c’era troppo vento. Tu come stai? Quali programmi hai per oggi? >>
<< Oggi sono alla festa di compleanno di un bambino che vive nel mio stesso condominio, ora sto incontrando Giulia e andiamo insieme a scegliere un regalo. >>
<< Ha invitato anche lei? >>
<< No, lei no. Solo me. >>
Parlarono per un’altra decina di minuti e le raccontò la storia di Elena e quanto fosse successo il giorno precedente, poi riattaccò. Una volta arrivato al negozio, gli toccò aspettare Giulia per una buona decina di minuti. Notò che la primavera stava lentamente facendo capolino, timida, con i primi uccelli che si poggiavano qua e là per strada, e non vedeva l’ora di scollarsi di dosso i pesanti cappotti. In lontananza vide Giulia che si faceva largo tra i passanti e che dovette aspettare altri due minuti per attraversare la strada, colpa del semaforo. Era sigillata in un cappotto bordeaux, la gola avvolta in una sciarpa di lana nera. Una volta vicina, le stampò un veloce bacio di saluto sulle labbra. Entrarono nel negozio e si rese conto di quanto i giochi per bambini fossero cambiati rispetto ai tempi della sua, della loro infanzia. Considerando che si trattava di un bambino di nove anni, optò per un gioco da tavolo, molto simile a quello con cui lui, la sorella e i cugini giocavano nelle piovose giornate estive, quando tutti i fratelli di sua madre si riunivano, ognuno con le rispettive famiglie, nella villetta in campagna. E allora era tutta una Pasqua, per uno o anche due mesi l’anno, quando i ragazzi dormivano tutti insieme e le uniche due ragazze, sua sorella e una cugina sua coetanea, avevano il privilegio di dormire in una stanza che, per due persone, agli occhi dei maschiacci, appariva enorme. Loro, invece, erano ben sei e dovevano condividere una stanza identica alla precedente. Si fece impacchettare la scatola con una sgargiante carta gialla ed un bel fiocco blu elettrico, colore che gli fece ricordare della sua missione. Giulia non aveva fiatato nemmeno per sbaglio, e si limitava a grugnire ogni volta che Alessandro le chiedeva un parere sul regalo da fare.
<< Cosa ne pensi? Gli potrebbe piacere? Passiamo un attimo da casa così lo lascio. >> chiese lui una volta fuori.
<< Come vuoi, tanto le mie scelte ti sono indifferenti. >> rispose lei secca.
Alessandro le si parò davanti, bloccandola. << Ma che dici, scusa? Perché lo pensi? >>
<< Perché non riusciamo a passare una giornata intera insieme! >> sbottò.
Alessandro sospirò. << Lo sai che non è colpa mia, non sono io a non volerlo. Purtroppo abbiamo impegni diversi con gente diversa, poi entrambi stiamo cercando di farci una posizione, insomma… >>
Giulia alzò gli occhi al cielo. << Vero, vero, hai ragione, capitano. >>
Ripreso a camminare, Giulia finalmente sembrava essersi sciolta dal suo mutismo.
<< Ora devi andare in Dipartimento? >> chiese lei.
<< Credo di sì, devo chiedere alcune cose a Fiorenzi e cercare un modo per uscire vivo dall’analisi filologica. >>
Giulia trattenne una risata. << Fiorenzi! Ma quando vi sposate? >> chiese sarcastica.
Alessandro colse il sarcasmo e cercò di mantenere i nervi saldi. Rispose allo scherzo con un << Non credo sia il mio tipo. >>
 
 
Rebecca, fin da quando aveva aperto gli occhi, aveva stilato lucidamente il programma della sua giornata, ed era sicura che nulla le potesse sconvolgere i piani. Questo era quello che credeva fino a quando, vestita di tutto punto per studiare e poi incontrare il suo relatore, o viceversa, qualcuno suonò al campanello. Dallo spioncino vide che si trattava del proprietario di casa e le toccò aprire. Un uomo sulla sessantina le diede il buongiorno, palesemente affaticato perché, senza ombra di dubbio, l’ascensore non poteva essere stato riparato nel giro di dodici ore. L’uomo disse di voler solo fare un controllo della lavatrice che, qualche mese prima, aveva dato dei problemi. In buona fede, Rebecca lo lasciò armeggiare nel bagno, mentre i quarti d’ora si sommavano e facevano perdere validità alla sua tabella di marcia. Guardo l’orologio, altro retaggio degli anni ’70, appeso al muro della cucina: erano le dieci, e aveva fatto la metà delle cose che si era programmata. Non le parve opportuna svegliare Claudia che ancora aveva dei ritmi un po’ confusi a causa del fuso orario, ben 12 ore indietro rispetto al Giappone, dove era stata per sei mesi. Il suono di chiavi inglesi che proveniva dal bagno le procurava non poca inquietudine, ma decise di affidarsi ai poteri da idraulico del proprietario, sicuramente più esperto di lei in materia. Dopo un’ora, finalmente, il lavoro giunse ad una conclusione Rebecca si precipitò, letteralmente, ad uscire di casa. Era troppo tardi per uscire in bicicletta e quindi preferì il più comodo e caldo bus. In una giornata come quella, per fortuna, molti preferivano le passeggiate a piedi, soprattutto il sabato. Si accorse, con piacere, che gli alberi del viale si stavano colorando di verde, come ogni anno da quando lei era lì, segno di un cambiamento di temperature imminente. Il cellulare nella tasca del cappotto ruppe il piccolo incanto con la sua suoneria insistente. Lo prese e sul display comparve il numero di suo padre.
<< Papà, come state? Avete risolto il problema sulla linea? >> chiese ansiosa.
Dall’altro capo, rispose una voce di donna. << Becca mia, qui purtroppo continua a prendere poco e niente, comunque spero che martedì riusciremo ad avvisarti in tempo quando staremo per arrivare lì. >>
<< Va bene, mamma. Come state? Ti piace la montagna? >>
<< A tuo padre moltissimo, ovviamente. Io, lo sai, preferisco il mare o un qualsiasi luogo caldo. Tu come stai? >>
<< In fin dei conti, bene. >> sospirò, << l’unico problema è che hanno chiamato Giorgio da Sidney, e ci resterà almeno per due anni. >>
Sentì suo padre imprecare e immediatamente dopo rassicurarla da lontano, lei gli garantì che si sentiva tranquilla, nonostante tutto, finché non cadde la linea. Non sentiva con regolarità i suoi genitori da quasi una settimana, causa viaggio in montagna, e lei si trovava del tutto d’accordo con sua madre, non le piaceva per niente. Il bus arrivò di lì a poco e la città scorreva veloce sotto i suoi occhi, in un mix di grigio e rosso delle case, con spruzzi di verde qua e là. Come d’abitudine, scese sette fermate dopo e s’incamminò verso il Dipartimento di Archeologia, che amava per l’architettura e soprattutto per la quiete quasi religiosa che vi regnava, il che conciliava studio. Ad avvistarla per primo fu Alessandro che, lasciata Giulia nelle mani di qualche sua collega, era già uscito dalla biblioteca per portare a compimento il suo piano, ma qualcun altro fu più veloce di lui. Un uomo alto, dai capelli grigi spruzzati di nero e gli occhiali squadrati di metallo aveva chiamato Rebecca da lontano e a cui lei si era rivolta esclamando un << Professore! Aspettavo la sua mail per il ricevimento di oggi. >>
Lui le si avvicinò, mentre Alessandro si malediceva per non averla adocchiata due minuti prima, o per non aver avuto la prontezza di rivolgerle subito la parola. Quel tempo, tuttavia, gli tornò utile per capire come approcciarsi senza il timore di apparire agli occhi di lei un marpione o qualcosa di similmente inquietante e che la potesse far fuggire via. I suoi piani di parlare a Rebecca svanirono del tutto quando uscì dal Dipartimento per, probabilmente, dirigersi verso quello di Germanistica e discutere di cose che ignorava con il professore in questione. Si guardò intorno e su una panchina, intento a fumare una sigaretta, incrociò gli occhi di Riccardo. Questo spense subito la sigaretta, perché sapeva che all’amico dava fastidio, e gli fece cenno di sedersi.
<< Non potrai mai crederci! >> esultò Riccardo.
<< Cos’è successo? E comunque, complimenti per il premio, non me ne avevi mica parlato! >> rispose Alessandro. << Ma comunque, sono curioso, raccontami! >>, si sentiva una ragazzina del liceo.
<< Ti dovevo parlare proprio del premio! >> esclamò mentre cercava di raccogliere i capelli in una fontanella riccioluta. << Hai presente la tua amica? Quella lì bruna, Elena! >>
<< Amica! >> sbuffò Alessandro. << Piaga, vorrai dire. >>
<< Lei, quasi decennale alleata degli antichisti, alla cerimonia parlava fitto fitto sai con chi? >> Riccardo fece passare qualche secondo di suspense, divertendosi nel vedere l’espressione quasi terrorizzata di Alessandro. << Con il professore di Storia dell’arte medievale! >>
Alessandro si alzò di scatto, sotto shock. << Ma questo Fiorenzi lo sa?! >>
<< E qui viene il bello, caro mio. >> sorrise sornione, << Perché lui era seduto sì accanto alla nostra cara Riponi, ma alla sua sinistra >> ridacchiò, << vi era proprio il suo caro amico medievista. >>
Alessandro si sedette di nuovo e, nonostante fosse completamente esterrefatto, si complimentò per le doti narrative dell’amico. << E quindi, cosa dovrei pensare? >>
Riccardo fece le spallucce. << Credo che, comunque, sull’onestà di Fiorenzi non dovresti dubitare, ma stai attento perché la tua beniamina ha una dote, e hai potuto ben notare quale sia. Stai attento, perché tutti siamo bravi a farci volere bene. >>
Rebecca era stata abbastanza fortunata ad aver incontrato il professore proprio in quel momento, anche se ne suoi progetti il colloquio era stato previsto nel pomeriggio, ma ormai aveva eliminato il piano stilato prima. Si accomodò nello studio, stracolmo di libri sulla mitologia e sulla letteratura norrena. Mentre il professore Chiari sistemava dei file sul computer, la invitò a dare un’occhiata agli ultimi tomi arrivati e le diede il permesso di portarne qualcuno con sé. Emozionata, si alzò dalla poltrona e si diresse verso due grossi scatoloni che troneggiavano su un’altra scrivania vicino alla finestra. La finestra confinava con il chiostro del Dipartimento di Archeologia e vide due ragazzi che parlavano abbastanza animatamente, chissà su cosa. Riconobbe uno dei due, causa capigliatura eccessivamente voluminosa, poiché era presente alla cerimonia di premiazione per merito della settimana scorsa. Tornò ai suoi libri e ne scelse un paio, per non approfittare troppo della bontà del professore.
<< Ottima scelta. >> commentò, abbassando lo schermo del computer portatile.
<< Anche se non ho il tempo per leggere, al momento. >> rise timida.
<< E credo che una volta laureata ne avrai ancora di meno, se vorrà, ovviamente. >> rispose sorridente, certo che l’offerta che stava per farle non poteva essere rifiutata.
Rebecca sgranò gli occhi. << In che senso? In effetti, ho ancora alcuni articoli a cui lavorare. >>
<< Apprezzo molto la sua ingenuità, Rebecca, ma non si tratta di questo. >>
Chiari si alzò dalla sua poltrona e si appoggiò alla libreria alle sue spalle. << Ci vogliono a Berlino. >>
Rebecca per poco non cadde da seduta. << In che senso ci vogliono? >>
Chiari sorrise da sotto la folta barba bianca. << Vogliono me e un mio assistente. Ed io ho scelto lei. >>
<< Me? La ringrazio, ma non credo… >> rispose imbarazzata.
<< Rebecca, perché non prende quello che viene offerto, sempre se le conviene, e la smette di credersi inferiore ad altri suoi colleghi? Se io ho scelto lei è perché reputo che lei sia la persona più adatta. Potrò anche sbagliarmi, sono un essere umano anch’io, ma so che lei farà del suo meglio per non deludermi. >> fece Chiari severo.
Rebecca si scusò, mortificata. << E cosa dovremmo fare a Berlino? >>
<< Oktoberfest, salsicce a volontà, robe del genere, ovvio, vero? >> scherzò, ma quella battuta non fece altro che metterla ancora di più in imbarazzo. << Ci vogliono lì per almeno quattro o anche sei mesi, sembra che abbiano scoperto un convento con annessa biblioteca e che ci siano dubbi circa la sua fondazione. Lo studio filologico dei testi potrebbe essere di notevole aiuto. Lei ci sta? >>
Rebecca esclamò una risposta affermativa. Il professore si accovacciò di fronte ad un tavolo basso da caffè e si rialzò con una bottiglia contenente del liquido ambrato.
<< Bisogna brindare, che dice? >> propose. Rebecca annuì e fecero tintinnare l’uno contro l’altro i bicchieri piccoli e spessi.
Rebecca si sentiva euforica e, una volta uscita dallo studio di Chiari, non poté più fare mistero della sua felicità. Per prima cosa, cercò di chiamare sua madre, ma ovviamente non ricevette risposta. Guardò l’orologio e pensò che forse Sara poteva essere fuori, così avrebbe colto l’occasione per pranzare con lei. Chiamò l’amica che si trovava nella stessa struttura e, preoccupata, si precipitò da Rebecca.
<< Cos’è successo? >> domandò trafelata.
Rebecca le disse di non preoccuparsi e poco dopo, davanti ad un abbondante piatto di carbonara, le parlò della proposta di Chiari. Sara per poco non soffocò bevendo l’acqua.
<< Sei mesi! Ma penso che tu abbia detto sì, vero? >>
<< Certo che ho detto sì! È incredibile… >>
<< Cosa può andare storto? >> rise Sara.
<< Canteremo vittoria solo quando ti sarai sistemata anche tu. Allora sì che andrà tutto bene! >>
 
 
<< Tornando a noi, >> disse Alessandro, << questa sera per favore venitemi a salvare. >>
<< Perché? >>
A Riccardo si era unito Sergio, un altro loro amico archeologo.
<< Fino alle otto ho una festa di compleanno di un bambino… >>
<< Ah, ma facile, allora, basta dire… >> propose Riccardo.
<< No, il problema non è il bambino. Il problema è un altro. >>
<< Ah!! >> esclamarono all’unisono. << Risolviamo tutto. Progettazione tattica di uno scavo. >> liquidò Sergio.
Alessandro gli batté una pacca sulla spalla divertito.
<< E dove sarebbe questo scavo? >> domandò curioso.
<< In Anatolia! >> esclamò Riccardo.
Tutti e tre scoppiarono a ridere. << Non è divertente. >> lo rimproverò Alessandro da finto serio.
<< Non è divertente il fatto che tu non riesca a deciderti a lasciarla e goderti la vita single! >> scherzò Sergio.
<< Oh, >> gli diede una gomitata Riccardo, << sai chi è quello? >>
Con gli occhi scuri si rivolse ad un uomo dalla barba bianca, vestito un po’ retrò e con la pancia prominente, lo stesso che aveva visto poco prima e che gli aveva portato via Rebecca.
<< No, chi è? >> chiese Alessandro.
<< Una figura mitologica. Un filologo! >> rise Riccardo.
Mitologici sì, ma ne sono disperatamente alla ricerca, pensò Alessandro.
 
<< Quindi questa sera non credi potremmo vederci? >> fece Sara mentre accompagnava Rebecca fino a metà strada, con il sole che stava per tramontare.
<< Dubito, alle sei devo andare alla festa di compleanno di Claudio, il bambino a cui faccio da baby-sitter, e hanno invitato anche Giorgio, quindi penso che poi passerò la serata con lui. >>
<< Allora buon divertimento, ci vediamo domani o in settimana, va bene? >>
Rebecca annuì e le raccomandò, prima di salutarla, di non deprimersi per nessuna ragione al mondo. Arrivata a casa, constatò che Claudia era uscita e aveva la casa tutta per sé. Ne approfittò per mettere un po’ di musica in sottofondo mentre si preparava per la festa del bambino, niente di troppo impegnativo, una serata da jeans e maglione. Anche se, ricordò l’ambiente di quell’appartamento e rimodulò il proprio abbigliamento. Mentre si tuffava nella vasca, il suo caro Faber cantava che la fortuna sorrideva come uno stagno a primavera, spettinata da tutti i venti della sera, e lei si sentiva proprio così, spensierata, felice. Quello di Berlino poteva essere senza dubbio il suo trampolino di lancio, ma non voleva farci troppo affidamento, spingersi oltre con l’immaginazione. Tante volte Chiari aveva fatto i complimenti a lei e ad altri suoi amici perché erano interessati ad un ambito che si pensava ormai avesse esaurito le sue risorse, e li aveva presi quasi tutti a cuore, ma in particolare Rebecca, che dopo le lezioni non faceva altro che assillarlo con mille perché e di cui lui, spesso, non sapeva le risposte ed era costretto a documentarsi.
Uscì dalla vasca con calma, avvolgendosi nell’asciugamano ruvido e qualche goccia di acqua che era saltata fuori, per poi tuffarsi nell’armadio. L’idea di indossare scarpe alte non la scalfiva minimamente, ma nemmeno le sue trasandate scarpe da ginnastica. Cercare un compromesso era cosa difficile, si buttò addosso un vestito grigio, che va sempre bene, mentre pensava che a lei, tanto, non avrebbe fatto caso nessuno.
 
Per non essere il solito preciso, aspettò che arrivassero le sei e un quarto, prima di presentarsi al cospetto dell’imperatore Claudio, che lo aveva nominato suo ospite d’onore. Sistemò la giacca blu e suonò al campanello, gli aprì il papà del festeggiato, all’inizio un po’ perplesso.
<< Lei è Alessandro, quello che mio figlio ha importunato l’altro giorno? >>
L’altro annuì, dal corridoio sbucò Claudio che urlò il suo nome e corse ad abbracciarlo. Sorpreso, Alessandro lo prese in braccio e gli consegnò il regalo. Il bambino, dopo due secondi, lo stava già scartando e urlò di gioia, amava i giochi da tavolo. Lo prese per mano, mentre il padre si scusava, imbarazzato, e lo condusse nel salone, pieno di bambini della sua stessa età e madri di qualcuno degli ospiti. La madre di Claudio si avvicinò a loro, stretta in un vestito color amaranto ed i capelli scuri ondulati e raccolti di lato. Lo salutò freddamente, anche lei palesemente imbarazzata.
<< Mamma, >> si rivolse ansioso Claudio, << ma Becca quando arriva? >>
Lei stava per rispondergli, ma il marito la chiamò dalla cucina, forse per iniziare a servire le bevande. Le donne della sala lo guardavano intensamente, chiedendosi il motivo della sua presenza. Si sentì decisamente fuori luogo, al che la tappezzeria rossa e il pavimento di marmo nero iniziarono a suscitare in lui un certo interesse. Si avvicinò al tavolo, stipato accanto ad un pianoforte a coda nero, e si versò della Coca Cola in un bicchiere. Mandò giù due noccioline, ma per poco non soffocò. Claudio andò correndo verso di lui e lo trascinò verso la porta del soggiorno.
<< Ale, lei è Rebecca. >> disse mentre si avvicinava a Rebecca e Giorgio. << E quello è Giorgio, il suo fidanzato antipatico. >> aggiunse sottovoce. Rimase senza parole, non si aspettava di incontrarla lì. Anche Rebecca, dal canto suo, parve abbastanza sorpresa, ma impiegò qualche secondo per fare mente locale.
Si presentarono, imbarazzati, e così anche Giorgio.
<< Mi scusi, >> esordì Rebecca, << ma lei non è il tipo del dizionario? >>
Alessandro si rilassò. << Sì, non credevo avessi bisogno di conferme. Di me non esistono molti esemplari. >>
Provò a giocare la carta della simpatia, ma evidentemente non andò a segno.
<< Vi conoscete? >> chiese Giorgio, pronto ad inserirsi in una conversazione.
<< Sì, diciamo, ci siamo parlati per complessivamente due minuti ieri. >> spiegò Rebecca.
Giorgio annuì, lo scrutò per bene e dedusse che poteva lasciare Rebecca per una ventina di minuti, lui era troppo impacciato per provarci con lei e soprattutto, non lo avrebbe degnato di uno sguardo. Si dileguò con una scusa e si accostò al padre di Claudio, di cui aveva già fatto conoscenza e con cui aveva parecchie cose in comune, tra cui il basket.
Alessandro cercò di rompere il velo di imbarazzo che si era creato, Rebecca era rimasta abbastanza perplessa dalla sua battuta e anche lei cercava un modo per uscirne.
<< Ovviamente prima scherzavo, si figuri, quante persone si incontrano in Dipartimento ogni giorno. >>
Rebecca gli rivolse uno sguardo eloquente.
<< Lei è un archeologo, vero? >> chiese timorosa.
Alessandro rise. << Si nota così tanto? >>
Rebecca scosse la testa. << Sensazione, ha l’espressione di chi pagherebbe oro per stare lì a scavare, cercare cose. >> spiegò.
Alessandro si incamminò di nuovo verso il tavolo, lei lo seguì e le offrì un bicchiere di vino bianco. Non poteva farle capire che sapeva di cosa si occupasse, un po’ di orgoglio di genere ancora si concedeva di mantenerlo. Tuttavia, notava che lei era molto timida e gli serviva un modo per scioglierla, ma non era esperto in materia, considerando che l’unica storia seria e duratura che aveva avuto era quella con Giulia, persona ben diversa da Rebecca, o almeno così sembrava.
<< Come lei, credo. >> ammiccò.
Per un momento, Rebecca si sentì avvampare, poi capì di avere le stesse armi del suo avversario e prese a farsi più disinvolta nella conversazione. << Intanto, credo che ci possiamo dare del tu. Non penso ci sia molta differenza d’età. >>
Alessandro si diede una riavviata ai capelli e diede un sorso al vino.
<< Io sono un vecchietto, >>scherzò, << ho ventisei anni >>
Rebecca alzò il sopracciglio destro. << Beh, due anni in più non ti rendono tanto più vecchio di me. >> commentò mentre dava anche lei un ampio sorso al vino. << E di quale periodo storico ti occupi? >>
Alessandro sentiva la sorte dalla sua parte. << Il Medioevo. >>
Gli occhi nocciola di Rebecca si illuminarono, le sue labbra rosa si dischiusero in un ampio sorriso e si tirò su gli occhiali che le erano scivolati dal naso.
<< Anch’io studio il Medioevo! >> esclamò.
<< Davvero? >> rispose lui, sforzandosi di esserne sorpreso. << Ma non ti ho mai vista a lezione. >>
Rebecca continuava a sorridere, ora fiera. << Certo, perché studio Germanistica. >>
L’aveva catturata. << Una filologa! Dai! >> esclamò.
<< Sì, >> continuò lei orgogliosa, << noi Germanisti siamo rari. >>
Aveva sulla punta della lingua la sua proposta, ma Claudio li trascinò in un trenino disordinato, di cui erano gli unici adulti. Nel frattempo, la mamma del festeggiato portò al tavolo stuzzichini e pizzette di vario tipo, in effetti la fame iniziava a farsi sentire. Finito il trenino, vide Rebecca accanto a lui che non faceva altro che ridere, e la trovò così ingenua e semplice che pensò che il suo ragazzo, o almeno quello che si professava tale, la dovesse amare così tanto da farle da scudo contro anche il più piccolo sasso.
La serata la stava divertendo molto, soprattutto l’incontro con l’archeologo. Come sempre, le piaceva scambiare due chiacchiere con qualcuno ed in qualsiasi contesto, e la conversazione di quella sera, data la comunanza di interessi, sperava potesse proseguire. Avere dalla propria un archeologo fa sempre comodo, una delle cose che la sua quasi triennale collaborazione con Chiari le aveva insegnato. Però il piccolo Claudio aveva deciso di cambiare il suo programma del momento e li aveva trascinati, con molto imbarazzo, in un trenino. Ora non la smetteva di ridere, ma non sapeva per quale motivo. Appena si riprese, si accorse che Alessandro la stava guardando dubbioso e gli si avvicinò.
<< Scusami, piccola parentesi. Dicevamo? >>
Si sistemò i capelli e si pulì gli occhiali pieni di impronte.
Di strana, era strana, assunse Alessandro, ma lo divertiva.
<< Dicevamo che i germanisti sono gente rara. E, guarda, sarò sincero, forse anche opportunista, ma me ne serve uno. >>
Bene, si era liberato del peso, ora doveva solo aspettare una sua risposta.
<< Ma certo! Nessun problema. >>
<< Bene, perfetto. >>. Alessandro respirò a fondo.
<< Di cosa si tratta? >> domandò curiosa.
<< Un breviario, ma lo abbiamo trovato nel sud della Germania, lo scorso autunno. >>
Rebecca ci pensò su un attimo. << Non è esattamente il mio campo, ma posso provarci. >>
Alessandro era felicissimo. << Grazie mille, davvero. >>
Rebecca arrossì e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. << Figurati, è quello che mi piace fare. >>
<< Ovviamente, >> precisò, << verresti menzionata nell’articolo. >>
Lei sorrise, mandando giù l’ultimo sorso di vino, ma questa volta sul bicchiere di plastica trasparente resto l’impronta del suo rossetto appena rosato.
<< Non ti preoccupare, non è importante. >>
<< Ma no! >> esclamò l’altro, toccandole l’avambraccio. << È ingiusto. Io non prendo meriti che non sono mie, a differenza di altri. >>
Rebecca, in tutta risposta, sospirò. Lei era stata fortunata, senza cattiveria né malizia, ad aver suscitato fin da subito la curiosità di Chiari, ma sapeva bene che non era così, che molti dovevano lottare in quella giungla con le unghie, i denti e anche le sciabole, se necessario; e Alessandro le aveva fatto intendere che anche gli archeologi non ne erano immuni, e forse lo aveva vissuto anche lui in prima persona.
Rebecca si scusò, Giorgio la chiamava dall’altra parte della sala. Lasciò il suo bicchiere sulla tovaglia cerata azzurra e avanzò verso il suo cavaliere. Alessandro lo squadrò, così come l’altro aveva fatto un’oretta prima, e si chiedeva cosa facesse nella sua vita, ed ipotizzava che il suo mondo fosse molto distante da quello della sua ragazza. Poi d’improvviso, si ricordò che non avevano fissato un appuntamento, e lui aveva intenzione di inviare l’articolo al coordinatore della campagna di scavo entro giovedì. Nel frattempo, Rebecca parlava animatamente con Giorgio e il padre di Claudio, e non gli sembrò opportuno interrompere la conversazione. Non poteva nemmeno cercare il suo indirizzo e-mail nel database dell’Ateneo, visto che era ancora, formalmente, una studentessa. Era rimasto di nuovo solo, ma subito gli venne in soccorso la mamma del piccolo Claudio, liberatasi per un momento dal cicaleccio delle altre mamme. Si avvicinò e gli porse una pizzetta, che rifiutò cortesemente. Allora optò per il vino, e a quello Alessandro non poté dire di no. Si presentarono con più calma, al che Virginia, la mamma, si scusò per l’ennesima volta.
<< Ma no, non si faccia problemi. A me i bambini divertono un sacco, soprattutto quelli vivaci come Claudio. È molto curioso, vedo. >>
La donna lo metteva parecchio a disagio perché lo studiava sottecchi, senza smettere di ripetersi che, fosse stata più giovane almeno di una quindicina d’anni, probabilmente non si sarebbe trattenuta dal fargli delle avances. Questo lui, seppur inesperto, lo capì bene dopo qualche minuto di conversazione, ma provò a non farci caso.
<< Qual è il suo interno? >> chiese Virginia.
<< Il 14, esattamente quello qui sotto. >>
Virginia sorrise. << Allora sicuramente sentirà un gran rumore, soprattutto quando Claudio finge di cavalcare, sentendosi un soldato romano. >>
Alessandro rise ed incrociò le braccia al petto, mentre i suoi rimbalzavano da Claudio a Rebecca, e viceversa.
<< In realtà non trascorro molto tempo in casa, nell’ultimo periodo. In effetti, Claudio è proprio un nome da imperatore romano. Certo, non dei migliori… >>
La donna sospirò, guardando nella sua stessa direzione. << Quindi è un archeologo? L’ho sentito mentre parlavate con Rebecca, la sua baby-sitter. >>
<< Sì, >> rispose orgoglioso.  << sono un archeologo e forse Rebecca mi darà una mano per un lavoro. >> 
<< Claudio è così affezionato a lei, soprattutto perché ha la lingua molto sciolta ed è una delle poche che riesce a saziare le sue mille domande. Spesso lo aiuta a fare i compiti, quando io o mio marito siamo fuori il pomeriggio. >>
Lui lo aveva immaginato. Il campanello iniziò a suonare, segno che qualche mamma era tornata per riportare a casa il proprio figlio, e la conversazione tra i due venne troncata.
Nel frattempo, Rebecca pensava che quello di cui Giorgio ed il papà di Claudio parlavano, non la interessava minimamente. Parlavano di sport, di riabilitazione, di cliniche specializzate, di ricerche, e non era il suo campo. Forse dal punto di vista di quel tipo di scienze si sentiva limitata, ma non se ne curava molto. Lei e Giorgio non parlavano molto né di letteratura né di salute, dal punto di vista degli interessi vi erano parecchie divergenze, su molti campi. Ma Rebecca era innamorata persa, e anche Giorgio. Lei sapeva che nessuno sapeva leggerla come faceva lui, e lui, dal suo canto, sapeva che nessuno avrebbe potuto proteggerla come faceva lui. Da quando, dieci anni prima, si erano conosciuti a scuola, non avevano più potuto fare a meno l’uno dell’altra. Si sentiva sicura, in quel momento, mentre parlavano con il papà di Claudio, mentre lui le teneva stretto il braccio attorno alla vita. Sperava che dopo sarebbero andati a mangiare qualcosa, la fame la stava divorando, e poi magari lui sarebbe rimasto da lei a dormire. La sala, a mano a mano, andava svuotandosi. Il papà di Claudio alzò la mano per salutare una mamma, a quanto pare sua collega. Era piuttosto magra, abbastanza evidente nonostante il voluminoso cappotto color zucca. Quando Giorgio si girò, capì di chi si trattava, e si avvicinò per salutarla, sganciandosi da Rebecca, che resto di nuovo sola. Le stampò un bacio sulla guancia, segno che si conoscevano abbastanza bene. Si aspettava che si avvicinasse per presentarle la donna, anche se dedusse che, a differenza delle altre, non doveva essere molto più grande di lei, ma ciò non accadde. Alessandro, dalla parte opposta, aveva passato venti minuti abbondanti a giocare con Claudio e Davide, il suo compagno di banco, uno dei pochi rimasti. Rebecca, poco coinvolta nella precedente conversazione, lo aveva notato e non aveva potuto fare a meno di sorridere. La conversazione tra i tre non sembrava voler finire, e Alessandro notò lo sguardo assente e annoiato della sua conoscente. Quindi cercò di liberarsi in fretta dei bambini e di coinvolgere anche Rebecca nella conta.
<< Claudio reclama la tua presenza. >>
Voleva chiederle di Giorgio, ma non voleva essere indelicato.
<< Sicuramente è molto più interessante. >> sbuffò.
<< Scusami se non te l’ho chiesto prima, ma quando possiamo vederci per sistemare quella faccenda? >>
Rebecca ci pensò su. << Hai una scadenza? >>
<< Giovedì vorrei consegnare tutto, quindi avrei bisogno di un po’ di tempo per rivedere. >>
<< Lunedì potrebbe andar bene? Da martedì fino a giovedì sono impegnata tutto il giorno. >>
Alessandro si trovò d’accordo con lei, Giulia non avrebbe potuto disturbarlo perché sarebbe stata via fino alla prossima domenica. Giorgio la chiamò, segno che dovevano andar via.
<< Guarda, >> fece lei << ti lascio il mio numero perché dovrei vedere il mio relatore, ma non so se la mattina o il pomeriggio. Ti faccio sapere tra questa sera e domani. Per te ci sono problemi? >>
<< No, nessun problema. Non ti preoccupare, aspetto un tuo segno. >>
Alessandro prese il cellulare dalla tasca e le mostrò la rubrica, cosicché potesse scrivere il suo numero, e lei fece lo stesso.
<< Come mi memorizzo? >> chiese lui.
<< Beh, credo che Archeologo sia abbastanza eloquente. >> sorrise l’altra.
La voce di Giorgio, liberato dalla dama misteriosa, la incitava a fare presto, perciò si salutarono velocemente e restarono d’accordo che a farsi viva sarebbe stata lei. Alessandro la vide correre verso il ragazzo che le porgeva il cappotto, impaziente di andar via. Si chiedeva chissà cosa avrebbe fatto quella sera, se fosse stata con lui o con qualche amico come lui. Giulia era stata facilmente messa a tacere, anche perché quella sera anche lei aveva di meglio da fare. Claudio salutò triste Rebecca, dicendole che sperava di vederla presto e lei gli spettinò i capelli scuri, accompagnando un bacio rumoroso sulle guance rosse per il calore. Giorgio gli batté il cinque e alle narici di Rebecca giunse un forte odore di vaniglia, ma non ci fece caso. L’archeologo vide la nuova conoscente sparire dietro al corridoio ed ebbe la conferma che se ne fosse completamente andata quando sentì la porta blindata chiudersi. Si avvicinò a Claudio per salutarlo, era giunto il momento di andare via, finalmente.
<< Grazie. >> disse Claudio, e lo abbracciò felice. Alessandro si chinò per salutarlo, e il bambino gli strattonò la giacca.
<< Un pomeriggio, quando ho pochi compiti, torni qui? Così proviamo il gioco che mi hai regalato! >>
Alessandro trovava quel bambino, che a molti poteva sembrare impertinente, molto creativo e adorabile, schietto, ma con poche valvole di sfogo se non la sua baby-sitter.
<< Ma certo! Quando vuoi, io abito proprio qui sotto. Quando vuoi, citofona, ma alcune volte potrei non essere in casa. >> rispose, soddisfatto.
<< Vai a scuola? >> domandò curioso.
<< Sì, vado anch’io a scuola. >> sorrise, << Ma alla scuola per i grandi! >>
 
 
<< Ma chi era quella? >> chiese Rebecca una volta in ascensore.
Giorgio stava finendo di chiudersi la giacca a vento e fece finta di non sentirla. Rebecca, irritata, gli diede una gomitata.
<< Ah? Cosa? >> fece l’altro.
<< Ho detto, >> ripeté schiarendosi la voce, << chi era la tizia che hai salutato prima, insieme al papà di Claudio. >>

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 
 
Tu come stai?
 E mi fanno compagnia
quaranta amiche
 le mie carte.
 
 
 
La serata era andata un po’ diversamente da come aveva previsto. Effettivamente, dopo la festa di Claudio erano andati a mangiare in un carino ristorante greco, ma la passeggiata che sperava di fare consistette in un tragitto dal ristorante a casa di Giorgio, per prendere il borsone con il cambio, e poi tornare a casa di Rebecca. L’aria si era parecchio rinfrescata e non vedeva l’ora di buttarsi sotto le coperte, magari abbracciata a Giorgio. Arrivati a casa, lasciarono i capotti nell’ingresso, tutta la casa era immersa nell’oscurità, la stanza di Claudia era chiusa e non sapeva se ci fosse o meno, lei si cambiò e si distese sul letto, aspettando che lui la raggiungesse, ma restò per quasi un’ora in bagno perché doveva radersi la barba. Aveva lasciato la porta della sua stanza socchiusa e vide Claudia che andava verso il bagno.
<< Non provarci, >> disse stanca, dalla penombra della stanza, << c’è Giorgio. >>
Claudia roteò gli occhi e si poggiò allo stipite della porta, con le braccia incrociate.
<< Scusami se non ti ho avvisata. >> si scusò l’altra, senza togliere gli occhi dal soffitto.
<< Non è quello, lo sai. >> rispose seria.
<< Non lo so, oggi è strano. >>
Rebecca si mise a sedere e a carponi sul letto andò verso l’interruttore, per accendere la luce.
<< Perché? >>
Le raccontò grosso modo com’era andata la serata, ma Claudia fu brava a rassicurarla.
<< Sarà stanco, Reb. Sidney, il lavoro di qui, poverino, dovrà gestire un sacco di cose. >>
<< Già. >> sospirò.
<< Quando dovrebbe partire? >>
<< Tra circa un paio di settimane, massimo tre. >> e tornò di nuovo distesa.
<< Venti giorni! Ma quindi non resta per la tua laurea! >> esclamò.
<< Già. >> ripeté.
<< Vuoi un tè? O uno spaghetto agli e olio, vedi tu. Io sono aperta a tutto. >> scherzò.
Rebecca sorrise lievemente. << Il tè va benissimo. >>
 
 
 
<< Mangia, amore mio, sei sciupato! >> scherzò Riccardo mentre porgeva la pizza fumante ad Alessandro.
<< Ti prego, non ti ci mettere pure tu. Già sento la predica che mi farà mia madre e pure mia sorella, ora che è mamma. >> sospirò.
<< Come sta Paola? >> chiese Sergio.
<< Sta bene, figurati. A proposito, dovrei chiamarla, oggi è il suo compleanno. Scusatemi. >> e si allontanò, approfittando di quella tregua per permettere alla pizza di raffreddarsi.
<< Lo stiamo perdendo. >> sentenziò Riccardo.
<< Dici? >> rispose Sergio preoccupato.
<< Assolutamente. Mangia poco, esce poco, dorme poco, l’unica cosa… >>
Sergio scoppiò a ridere con le lacrime agli occhi. << Forse, >> aggiunse tra un singhiozzo e l’altro, << quella è l’unica cosa che dovrebbe smettere di fare per stare definitivamente bene! >>
Anche Riccardo rise, ma gli fece cenno di abbassare la voce, avrebbe potuto sentirli.
<< In realtà, è l’archeologia a fargli male, secondo me. >> precisò Sergio. << Lo assorbe, completamente, e nonostante quella tipa, Elena, gli metta i bastoni tra le ruote, lui continua. >>. Si buttò di peso sullo schienale della sedia. << Non come faccia a trattenersi dal soffocarla. Ogni volta che apre bocca, crolla una colonna. >>
Riccardo rise e gli batté il cinque. << Bella, bravo. Questa mi è piaciuta. >>
Alessandro nel frattempo tornò al tavolo con gli occhi lucidi e si sedette, sovrappensiero.
<< Tutto bene, Ale? >> chiese Sergio preoccupato.
<< Sì, tranquilli. >> rispose sorridendo, << sapete che effetto mi fa parlare con mia sorella e sentire mio nipote che non la lascia respirare. >>
<< Te l’ho detto, io. >> disse Riccardo con un sorriso sornione.
<< Detto cosa? >> chiese curioso Alessandro.
<< Che stai male! >> esclamò Sergio.
Riccardo gli diede un calcio da sotto il tavolo. Sergio incassò il colpo con molta nonchalance.
<< Io! >> esclamò esterrefatto, abbozzando una risata. << Io, certo. Ma voi? Sergio mio, sei tu quello che si è dato al ricamo per superare la depressione post lauream! >>
<< Ssssh!! >> lo zittì. << Questo è il nostro piccolo segreto! >>
<< Io almeno sono ancora mentalmente stabile. >> affermò fiero Riccardo.
<< Parliamone… >> fece Sergio.
Alessandro tossì. << Laura. >> mormorò tra un colpo di tosse e l’altro.
<< Ma quella ormai è acqua passata! >> ribatté.
<< Come no! >> gridarono gli altri in coro, ma una signora del tavolo accanto li guardò male che stavano alzando troppo la voce.
<< Una storia senza importanza, lo sapete. La mia unica sposa è… >>
<< Giulia! >> disse Sergio.
<< Ma dove? >> gridò allarmato.
<< Stavo scherzando! >> si giustificò, addentando il primo specchio di pizza.
<< Non ti permettere! >> lo minacciò sarcastico Alessandro con il coltello liscio.
<< Lo minacci con la limetta per le unghie? >> intervenne Riccardo.
Alessandro poggiò il coltello e scoppiò a ridere, seguito a ruota da Sergio. Loro erano tra i pochi con cui riusciva a liberarsi completamente dei suoi pesi, delle paure, di Giulia e quant’altro. Ogni loro uscita, incontro o semplicemente conversazione aveva spesso un effetto catartico, perché, lo doveva ammettere, i disturbi mentali erano gli stessi.
 
 
Giorgio si era sistemato, finalmente, ma era impegnato in una partita di tennis in streaming, ed era seduto sulla sedia di fronte alla scrivania, con lo schermo del pc che illuminava di un azzurro freddo i capelli liscissimi e portati di lato. Rebecca si alzò dal letto ed andò in cucina dove la aspettava Claudia con due tazze di tè caldo.
<< Ancora chiuso nel suo mutismo? >>domandò.
Rebecca alzò le sopracciglia per annuire, come era solita fare. << Più o meno. Ora sta guardando una partita di tennis. >>
Andò per prendere la sua tazza e si sedette a gambe incrociate sulla sedia del tavolo. Claudia, sulla poltrona di fronte, la imitò.
<< Ma da quanto va avanti così? >>
<< Solo oggi, e non capisco perché. >> rispose sconsolata.
<< Notato qualcosa di strano, insolito? Oppure tu hai fatto qualcosa che gli ha potuto dare fastidio? >>. Le indagini appassionavano molto la coinquilina.
Rebecca scosse la testa. << L’unica cosa, può essere stata la storia dell’archeologo, ma alla fine non capisco di cosa debba preoccuparsi. >>
<< Archeologo? >> domandò. Quel particolare le mancava. Rebecca le raccontò brevemente la storia che giudicava di poca importanza.
<< Non è mai stato interessato alle materie che studiavo, agli articoli che ho scritto, nemmeno quando Chiari mi invitava a pranzo! Perché dovrebbe esserlo ora? >>
Il comportamento taciturno di Giorgio, che anche a cena era stato abbastanza laconico, la turbava perché, da quando lo conosceva, era sempre stato abbastanza logorroico, o quantomeno, dalla parlantina veloce. Non capiva perché, anziché godere delle ultime settimane insieme, preferiva una stupida partita di tennis che, forse, per lui così stupida non era. E di certo, la storia di Alessandro non poteva infastidirlo, perché le era stata chiesta una mano da una persona con cui complessivamente aveva parlato per un’ora scarsa. Pensierosa, iniziò a bere il suo tè ancora bollente. Tra un sorso e l’altro, anche Claudia manteneva il silenzio, cercando un modo per rassicurare l’amica, mentre questa controllava la posta elettronica. Rebecca trovò una mail di Chiari, che aveva urgenza di vederla la mattina perché poi sarebbe partito per un paio di giorni. Era quasi mezzanotte, ed era indecisa se scrivere in quel momento o il mattino seguente ad Alessandro. Bloccò lo schermo del cellulare e lo lasciò sul tavolo, mentre con una mano teneva la tazza. Finì il tè che era rimasto e continuò a fissare lo schermo del cellulare, indecisa. Gli occhi si spostarono su Claudia, che fissava il vuoto e si accorse che Rebecca la stava fissando. La guardò stralunata, cercando di decifrare il suo sguardo.
<< Gli dovevi far sapere l’orario? >> provò.
Rebecca annuì con un cenno del capo, mentre lo chignon che portava si disfaceva e si trasformava in una coda.
<< Scrivigli domani, magari adesso sarà fuori o starà dormendo, in entrambi i casi lo vedrà domattina. >> suggerì.
Rebecca valutò l’idea e sì, la decretò la migliore. Diede un bacio sulla guancia alla coinquilina e si rintanò in camera, dove trovò Giorgio addormentato sulla scrivania, con la partita che andava avanti senza che qualcuno la guardasse. Lo lasciò stare e si buttò sotto le coperte, ansiosa di scoprire qualcosa sul breviario di cui le aveva parlato quello strano soggetto e che, al momento, era l’unico desiderio che la ravvivasse.  Fece molta fatica ad addormentarsi, ma dopo un’oretta il torpore si impadronì di lei e cadde in un riposo profondo.
Al suo risveglio, il mattino seguente, si accorse di non aver impostato la sveglia, e così si era svegliata ben più tardi di quanto di solito non facesse. Si guardò intorno, ancora un po’ rintontita, ed ebbe la sensazione che qualcosa non quadrava. Si guardò intorno e Giorgio era sparito, insieme al borsone che aveva portato con sé la sera prima. Lo chiamò immediatamente, e la voce sveglia di lui rispose subito.
<< Scusami, >> si giustificò, << avevo dimenticato che oggi veniva mio fratello e va via stasera, quindi passeremo la giornata insieme. >> la liquidò, apparentemente mortificato.
Rebecca gli disse di non preoccuparsi, anche lei avrebbe avuto da fare, mentì.
 
 
Detestava le domeniche, come detestava l’inverno, la pioggia. Come spesso accadeva, quella notte aveva dormito cinque ore, quasi un record. Arrivato a casa, la sera prima, aveva sperato che Rebecca le scrivesse, ma il messaggio non era arrivato né ieri sera né durante la notte. Aveva fatto colazione con il cellulare accanto e se ne era separato solo per fare la doccia. Proprio mentre era sotto il getto violento dell’acqua fredda, il cellulare poggiato sulla lavatrice vibrò. Si accorse del messaggio solo quando fu fuori, afferrò il cellulare e due enormi gocce d’acqua colpirono, causa capelli bagnati, la scritta Filologa sul display. Lo posò per passarsi un asciugamano sui capelli e lo infilò nella tasca dell’accappatoio. Lo aprì fermo, a piedi nudi, accanto alla porta della stanza da letto, che aveva bisogno di un’opera di bonifica dai vestiti sparsi qua e là negli ultimi due giorni. Rebecca gli dava appuntamento per il pomeriggio successivo.
Perfetto, pensò.
Dove?, chiese.
Posò il cellulare su un ripiano della libreria a muro e andò a vestirsi in maniera ben diversa rispetto agli altri giorni. La domenica, o comunque quando sapeva di non dover uscire, abbandonava molto spesso camicie, giacche e a volte anche cravatte per avvolgersi in magliette e pantaloni di felpa. La risposta di Rebecca non tardò ad arrivare.
In un posto tranquillo dove possiamo parlare senza che qualcuno ci guardi male.
Ci pensò su per qualche minuto. Il bar di fronte al dipartimento, il pomeriggio, era abbastanza vuoto, e potevano lavorare in tranquillità, dato che molti studenti, che non trovavano posto in biblioteca si rifugiavano lì. Quello poteva essere un buon compromesso, ma aspettò una mezz’ora prima di poterle dare una risposta, in testa gli ritornava la questione dell’orgoglio di genere. Impiegò quella mezz’ora con una chiamata a sua madre che, effettivamente, lo trovò parecchio annoiato.
<< Che programmi hai per oggi, Ale? >> domandò.
<< In realtà non lo so, penso che cucinerò qualcosa da congelare, così questa settimana ho già tutti i pranzi e qualche cena pronti. >>
 
 
Detestava le domeniche oziose, quella soprattutto, in cui le ronzava in testa il nome di Matilde. Claudia era via per tutto il giorno insieme a Sara, questioni lavorative che non la riguardavano, i suoi genitori e sua sorella non era riuscita a contattarli nemmeno quel giorno e desiderava terribilmente parlare con qualcuno e sfogarsi. Matilde, Matilde, Matilde. Già il nome non le piaceva, ma anche lei, ammise viaggiava parecchio con la fantasia. Giorgio nel corso degli anni aveva avuto parecchi pazienti, era normale che qualcuno gli fosse rimasto più impresso di altri, ma non sapeva perché, quella donna la rendeva perplessa. Nel frattempo, mentre preparava una torta per distrarsi, le arrivavano i messaggi di Alessandro, che le proponeva luoghi per lavorare con discrezione. Lo scambio di messaggi però la distraeva dalla preparazione del dolce, per cui decise di chiamarlo.
<< Ciao! >> rispose Ale dall’altro capo.
<< Ciao, scusami se ti ho chiamato, ma io non posso fare due cose contemporaneamente. >>
Si maledisse, perché quell’affermazione poteva farla sembrava sciocca.
<< Non ti preoccupare, >> la rassicurò. << ti ho fatto delle proposte, dimmi tu cosa ne pensi. >>
Alessandro, in sottofondo, sentiva un rumore di fruste elettriche e la sua voce rimbombava, probabilmente era in vivavoce.
<< Mmmh… >> mugolò mentre assaggiava il mascarpone. << Lì c’è troppa gente che non ho intenzione di vedere. Dico, Da Fa Lu, gli altri non so dove siano. >>
<< Il Verri è vicino corso Gerusalemme, Rosso di sera in una strada perpendicolare a via Falcone. Per me è indifferente. >>
<< Facciamo da Rosso di sera? È più comodo, rispetto a casa mia. >> propose.
<< Perfetto, a domani allora. E grazie ancora, davvero. >>
<< Figurati, a domani. >> e riattaccò.
Se fosse stata meno lucida, anche se praticamente non lo conosceva, gli avrebbe riversato addosso tutte le ansie maturate nel giro di ventiquattr’ore, di come la sua partenza per Berlino dopo la laurea non la rendeva più felice come all’inizio perché soffocata dall’insistente presenza di un nome: Matilde. Per poco non volle scriverlo con il cacao sul suo tiramisù. Soddisfatta del lavoro, mise la teglia in frigorifero e lavò spatole, coppe e fruste.
 
 
Alessandro sperò che quantomeno la torta di Rebecca, o almeno a quello supponeva servissero le fruste, fosse uscita bene nonostante la chiamate. Nella schiettezza con cui gli aveva detto non riesco a fare due cose contemporaneamente, aveva colto la stessa spontaneità di Claudio, forse per quello andavano tanto d’accordo.
Per entrambi, il pranzo passò tranquillo, con il telegiornale dell’una che scorreva con le solite notizie negative, e il pomeriggio fu ancora più ozioso della mattina. Rebecca aveva trascorso la giornata in pigiama e, abbandonata sul letto, leggeva uno dei libri che aveva pescato tra i tomi di Chiari. Per quel giorno, aveva deciso, niente studio, aveva bisogno di una pausa seria, seppur di una giornata. La sua posizione preferita per leggere era a pancia in giù, poi, quando si stancava, poggiava il cuscino sul muro e la schiena su di esso. Nel giro di due ore era quasi arrivata a metà del volume, ed era anche abbastanza leggibile nella versione tedesca originale. Era una sorta di Giulietta e Romeo della Germania del III secolo avanti Cristo, carina per le ambientazioni ed il candore della ragazza. Ma bastava un niente, un aggettivo di troppo, che le tornava in mente Matilde. Si arrese, chiuse il libro e accese il computer. Con il suo profilo Facebook spulciò quello di Giorgio. Nessuna novità tra le sue informazioni generali, tra gli amici cercò il nome che tanto le tornava in testa. Lo digitò nella barra di ricerca e le uscì un unico risultato. Matilde Gualdo, inequivocabilmente lei. Non c’erano né molte informazioni né molte foto se non con suo figlio e con qualche amica. Guardò la data di nascita, era solo un anno più grande di lei. Nessuna traccia di marito o compagno. Una laurea in Infermieristica. Stop. A giudicarla esteriormente, sembrava comunque una bella ragazza, seppur troppo giovane per avere un figlio di nove anni. Nella foto del profilo, vedendo la data in cui era stata inserita, il 2 gennaio, era seduta e accanto suo figlio in piedi, identico a lei, con lo sfondo di un salone molto simile a quello di Claudio, illuminato a giorno. Le gambe, incrociate, erano coperte fino al ginocchio da una gonna plissettata color senape, perfettamente intonata con l’ambiente. Con una mano teneva stretta la vita del bambino, vestito di tutto punto anche lui. Il suo sorriso era tirato, mentre la madre mostrava tutti i denti, con gli occhi verdi luccicanti ed i capelli biondi tinti sistemati in una piega impeccabile. Non l’aveva mai vista, nemmeno quando era andata, in quattro anni, a trovare Giorgio in clinica. Perplessa, spense il computer e si tolse gli occhiali, stanca. Erano da poco passate le sette e sentì il cellulare vibrare, lo recuperò da sotto al cuscino e vide il nome di Sara, anche se un po’ sfocato a causa delle diottrie mancanti.
<< Sara, dimmi. >> disse con la foce floscia.
<< Disturbo? Ti va una passeggiata dopo cena? Così poi tu e Claudia tornate a casa, noi siamo sul treno, dovremmo arrivare in un paio d’ore. >>
<< Non so se mi va… >> mormorò.
Dall’altro capo del telefono sentì Claudia urlare un << Vedi di muoverti e non fare storie! >>
Non toccò che cedere, sconfitta.
 
 
Non aveva voglia né di uscire né di vedere Sergio e Riccardo, anche perché entrambi erano impegnati, non aveva nemmeno voglia di lavorare, quindi Alessandro decise di guardare un film, a causa della noia ne scelse uno che durava tre ore, almeno così avrebbe ingannato il pomeriggio fino all’ora di cena. Dopo tre ore, il film in realtà non aveva fatto altro che annoiarlo, trama eccessivamente inverosimile, ed era passato alla fase cena. Accese il microonde per riscaldare un po’ del riso agli spinaci avanzato dal pranzo e si sentì, mai come allora, uno di quei single che passavano le serate nei pub a guardare le partite, con l’unica differenza che di fatto non era single e non gli interessava nessuno sport che non prevedesse lo scavo in posti strani e dimenticati persino da Dio. Finito di mandar giù il riso, si spremette un’arancia, che fa sempre bene, come dice sua madre, e scese per buttare la spazzatura, operazione che rimandava già da due giorni. Trascinò il sacco ben chiuso fino a l’ascensore, quasi cadendo perché gli sfilò una pantofola. Quando aprì il portone, si ritrovò una marea di gente che gli sfilò davanti, che si apprestava a cominciare l’ultima parte del weekend o a trascinarsi, annoiata, verso casa, con il pensiero già rivolto al lunedì. Anche lui, in modo o nell’altro, si stava trascinando, insieme al sacco, verso il cassonetto nero esattamente dalla parte opposta della strada. Nessuno faceva caso a lui e al modo in cui era vestito, come sempre, ma Alessandro, attento e discreto osservatore, cercava di non lasciarsi sfuggire nessuno. E ai suoi occhi non sfuggì Giorgio, che passò rapido davanti al cassonetto, senza rendersi conto della sua presenza, ma Alessandro non riuscì a capire se la ragazza accanto a lui fosse Rebecca o meno, anche se aveva dei dubbi, visto il colore dei capelli, troppo chiaro.
Gettato il sacco, rientrò, con una sola curiosità, sapere chi fosse Giorgio. Aveva ragione Claudio a dire che era antipatico, ma magari si sbagliava, era solo l’impressione di un bambino troppo ingenuo, o forse aveva semplicemente ragione. Salì le scale, l’ascensore era occupato, e rientrò in casa. Lo stereo proponeva musica straniera, per il momento. Si si sistemò nella sua postazione da indagine, sul divano con le gambe incrociate. Cercò il nome ed il cognome di Rebecca su internet e subito gli apparve il suo profilo Facebook. Non si dovette nemmeno sforzare molto per cercare i dati di Giorgio: era lì, con lei, nella foto del profilo. Lei sorrideva, di profilo, e lui la tratteneva per i fianchi, forse lei cercava di sfuggirli, e non ha tutti i torti, si disse Alessandro. Giorgio Corsini, venticinquenne. Fisioterapista. Ovviamente, da un soggetto come lui, Alessandro si aspettava che non facesse mistero del suo curriculum scolastico e professionale. Guardò le sue foto, in molte vi era Rebecca, naturalmente, in molte altre indossava un completo da clinica lilla, in altre ancora era in palestra o con un abbigliamento da footing. Sì, certo, sportivo come lui, commentò. Andò indietro con le foto e si accorse che Rebecca era presente anche in quelle precedenti al suo trasferimento all’università, fin dal liceo. Fece due più due, la loro storia doveva essere abbastanza lunga. Il suo pensiero corse a Giulia, per cui ormai non provava altro che un tenero affetto, inutile negarlo. Per fortuna, non doveva chiamarla, era in Francia per una serie di convegni sulle sue amate suffragette e nessuno dei due aveva accennato a videochiamate. Improvvisamente, lo avvolse un velo di tristezza, che subito si trasformò in magone. Chissà, si chiedeva, come Rebecca riuscisse a stare saldamente al fianco di Giorgio.

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