Skies of rust

di Maybe Charlie Knows
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Youth ***
Capitolo 2: *** The end of love ***
Capitolo 3: *** Heavy dirty soul ***
Capitolo 4: *** Heartlines ***



Capitolo 1
*** Youth ***


Skies of rust – Capitolo I


Youth
How could anything bad ever happen to you?






When we were young, we used to live so close to it
and we were scared and we were beautiful.
I wanna peer over the edge and see in death if we are always the same.
Oh, and I feel that nothing in life could ever be like this again
'cause your love kept me alive and made me insane.
(GrimesRealiti)


Anni Ottanta. Per la precisione, 1985, la metà del decennio, quel giro di boa in cui l’avanguardia inizia a puzzare di vecchio e ciò che fino a un momento è innovativo e glam già appare ammuffito. Nell’aria c’è fame, quel sintomo di un mondo che accelera: nessuno ancora se ne rende conto davvero, ma fra pochi anni tutti impiegheranno meno tempo ed energia a fare tutto, si stuferanno più in fretta ed ogni cosa sarà scontata.
Nessuno ancora contempla questo scenario. Siamo al secondo mandato di Reagan, gli Stati Uniti sono il tetto del mondo e adesso tira anche aria di distensione con l’URSS – Gorbaciov ha finalmente capito che il comunismo non è cosa, il perché non si sa ma lo dicono tutti.
Naz Kurt osserva Los Angeles o, almeno ciò che riesce a vedere e ha sempre visto: grigi palazzi di periferia, luci fredde, cielo nero che s’intravede da quelle alture artificiali. Non c’è una stella ma ancora nessuno parla di inquinamento luminoso. Fuma una sigaretta, Naz, e non può fare a meno di pensare che L.A. sia proprio brutta. Certo, non è mai stata fuori da quella città. Ma non fa fatica a immaginare che esistano posti più belli, dove il cielo è blu per davvero e si respira qualcosa di diverso da cemento e plastica.
- Come on, come on, come on now touch me baby, can’t you see that I am not afraid! -
Naz si volta, sorride già prima di vedere la scena. Farebbe ridere anche se non fosse Steven con gli occhiali a forma di cuore di Christie e un boa di piume rosse sulle spalle a fare l’imitazione di Jim Morrison. L’alcool le è arrivato al cervello e al momento la rende entusiasta di tutto, oltre che oscillante e leggera.
- Oh sì Jimmy, sculacciami! – Christie è sobria e discreta quanto il suo ragazzo, che chiama col nome del Re Lucertola: subito Steven risponde prontamente, mima un cowboy che acchiappa col suo lazzo invisibile la ragazza, la quale ovviamente saltella verso di lui stando al gioco. Naz perde quasi la sigaretta di mano mentre si piega dal ridere.
È tutto vorticante, ma piacevole, inebriante. Non siamo ancora oltre la boa, ma in pieno festeggiamento a seguito di uno show ben riuscito in un locale di cui nessuno ricorda il nome. Solo ora Naz si rende conto di avere un cappello da poliziotto sui capelli corti e spettinati. Vorrebbe farci una battuta sopra ma non riesce a smettere di ridere.
Duff, quel lampione della luce di Duff, fa ondeggiare le braccia con la grazia di una scimmia sulle tastiere di Ray Manzarek. Non è fatto per ballare ma non sembra rendersene conto, quindi nessuno gli crea problemi a propria volta.
L’appartamento di quel loro amico (come si chiama?) è distrutto, più del solito, il che è tutto dire. Lì dentro Isbell, McKagan e Rose hanno i giorni contati, ormai lo sanno. Verranno risbattuti in quel magazzino orribile che chiamano casa persino adesso che le cose iniziano ad andare benino con i concerti, perché i pochi soldi che guadagnano sfumano senza che se ne rendano conto. In fondo, quanto vuoi che costino alcool, droga, cibo di merda, il meccanico ogni tanto e i dischi, ah, e gli strumenti? Anche se fossero milionari poi, nessuno li vorrebbe per troppo tempo in casa. Insomma, guardali.
Naz li guarda, in particolare guarda il suo ragazzo che si avvicina: Izzy ha la bandana praticamente sugli occhi e sembra un vecchio pirata. Le sorride e Naz subito crede che la vita le riservi il mondo: se ne andranno presto, la loro musica e lei con loro, lontano da Los Angeles, verso…
- Le porte della percezione spalancate. – Ridacchia ancora mentre Izzy con le mani disegna nell’aria un’esplosione, prima di iniziare a baciarle la fronte, le palpebre, gli angoli della bocca.
Saul, Slash anche se è sempre un po’ ridicolo chiamarlo così, quasi non si vede più sotto quei capelli che Victoria minaccia di tagliare quando è arrabbiata. È a rovescio sul divano sgangherato del salottino e osserva Christie e Steven ballare come in preda a una crisi mistica, la testa sul pavimento lercio e le gambe sullo schienale. – Qualcuno può cambiare questa noia? Io odio The Soft Parade, cazzo. Il peggior disco dei Doors. Il peggior disco di sempre. Vedi cosa succede a fare i sofisticati, Jeff? – Ebony scoppia a ridere in maniera sguaiata, rovesciandosi per prendere la stessa posizione del chitarrista, mentre Justin la rincorre per evitare che si rompa l’osso del collo.
Slash riattacca a parlare, non lo si ferma più. Sente il mondo ai propri piedi e parla della musica con la tenera arroganza della gioventù, giudicando un passato che non ha conosciuto. Ha addosso il brio degli inizi, quello degli dei in erba che vogliono plasmare la vita come plastilina e condividerla con gli altri, dimenticandosi da si dove viene, chi ha ispirato questa passione. Vuole cambiare la musica come servizio da rendere all’umanità.
- Mostriciattolo. Ehi, mostriciattolo. -
Naz si è persa per qualche secondo, lo sguardo vacuo. Ma c’è Izzy a sorreggerla mentre sbanda a sinistra, contro la finestra da cui si stava sporgendo.
- Portami da qualche parte. – Mugugna la ragazza, mentre tutto gira. Se berrà qualcos’altro sarà completamente andata: in cuor suo sa già che lo farà, quindi ne approfitta adesso per buttargli le braccia al collo e guardarlo con gli occhi che brillano. Il suo Izzy col nasone e la bandana storta è bello da morire.
- E dove principessa? – Non la sta prendendo in giro. Questa è una delle cose meravigliose di Izzy: sorride mentre lei mette in fila parole a caso, la prende sul serio anche se resta leggero, pronto alla scoperta di ciò che le frulla in testa.
- Ovunque, lontano da qui. Andiamo a vedere le stelle dove ci sono davvero. – A Los Angeles è tutto triste e la gente sta iniziando a imbruttirsi. Naz ride ma trema perché è un loop che ha già visto sulla pelle di sua madre e teme che ci stiano per cascare.
Andarsene stanotte o vivere e morire in questo modo.
- Ma qui siamo circondati da stelle. -
Izzy continua a sorridere mentre la tiene fra le braccia, quel frugoletto. Ha una mano sulla schiena della ragazza ed è una fonte di calore così intensa che Naz crede di star per scoppiare a piangere.
- Andiamo via. Prendiamo la mia macchina. Non guardiamoci indietro. -
La stanza gira e il vociare in sottofondo è forte, come la musica dell’antiquato impianto stereo, ma in questo momento Izzy e Naz sono soli. Si guardano negli occhi e sentono addosso tutta l’energia di quelle promesse non dette.
- Sai che ti seguirò ovunque. – “Per sempre”.
Anche se non è ciò che vuole, Izzy, che sta conquistando Los Angeles. Anche se sono ubriachi e circondati da amici che li amano. Anche se sembra ridicolo, impossibile, quasi offensivo, Izzy parla sul serio. Sono soli, solo loro.
Non partiranno mai ma Naz si lascia sollevare per un giro in tondo tra le braccia del chitarrista. Appena Izzy la lascia va a sbattere contro Duff e quell’idiota di Victoria, che ha la risata più oscena del mondo. Non importa, perché Duff le prende la mano e la fa vorticare ancora su sé stessa. – Tu, signorina, sei in assoluto il tipino più cazzuto che abbia mai conosciuto e ti rendo onore. -
Sono frasi dette a caso in momenti che andranno persi. Non li serberanno nella memoria. Ma come si sente adesso, Naz, lo ricorderà per sempre: conserverà quell’emozione in un angolo, in sottofondo. Quell’emozione esplosiva di potersi lanciare dall’Everest e non morire.
Qualcuno ha cambiato disco, probabilmente Slash: la voce è di Jim Morrison più giovane, solo anagraficamente però.
Break on through to the other side.
Adesso tutti cercano di muoversi a ritmo di musica ma solo alcuni ce la fanno, fra cui Steven che è davvero formidabile. – Christie, sei la crostatina migliore della mia vita. – Non si sa bene se la ragazza abbia sentito, mentre balla con Justin che ha definitivamente lasciato Ebony al suo destino, già consapevole di ciò che ancora non è evidente.
Naz inciampa mentre cerca il bagno, miracolosamente solo per fare pipì. Quel tavolino prima non c’era. Sente la voce di Izzy che la accompagna dolce e scherzosa, mentre va a sbattere contro un’altra persona.
Sta quasi per girarsi e dirgli che devono andarsene ora, subito, ma ha sbattuto contro Axl.


Think of a place I would go, I’m daydreamin'
where the sycamore grow, I’m daydreamin'
and oh if you knew what it meant to me.
Where the air was so clear,
oh if you knew what it meant to me
anywhere but here.
(Dark dark dark - Daydreaming)


Sono passate ore, giorni o forse pochi istanti. Il sermone del sommo Slash si è spostato in camera, dove il chitarrista se ne sta in piedi sull’unico letto presente con un lenzuolo attorcigliato attorno al corpo e null’altro. Il resto della banda è radunato attorno a lui in ascolto.
- Ma non capite che questo è il momento? Solo io sento che c’è puzza di occasione in questa merda di aria? Dobbiamo colpire. Diritto e affondato, dico io, come a battaglia navale. Oggi stanno cercando esattamente quelli come noi, domani invece potremmo essere lo schifo dello schifo. Quindi dico di arraffare tutto ciò che possiamo senza pietà, prima che la musica che c’è ancora da scrivere venga scritta da qualcun altro. Ora dobbiamo mordere la cazzo di mela, poi quando avremo i soldi che escono dal culo potremo anche fermarci a riflettere sui massimi sistemi. -
Non si capisce bene chi lo stia ascoltando e a chi si stia rivolgendo. Izzy è incastrato fra una brandina e il muro e tiene la chitarra acustica fra le braccia. Sta strimpellando qualcosa che sembra un brano di Frank Zappa ma potrebbe benissimo essere altro. Christie rischia di addormentarsi, dopo aver esaurito ogni energia a dimenarsi come una scalmanata, il piede allungato per fare il solletico di tanto in tanto a Steven. Il batterista ha la testa appoggiata all’indietro, sullo stesso letto che fa da palco a Slash, ma di tanto in tanto sobbalza ai punzecchiamenti della sua ragazza, quindi è sveglio.
- Non lo so, Saul. Insomma, noi stiamo facendo la musica che ci piace, no? Vogliamo quello, no? Vogliamo essere ricordati per quello. -
È stato Duff a parlare, con la sua voce vellutata, spalmato sul pavimento mentre stringe tra le braccia Victoria: ha lo sguardo vigile di un gatto in agguato, il bassista. Nessun altro se ne accorge ma Izzy e Duff si scambiano uno sguardo eloquente: hanno già affrontato questi discorsi, lontano dagli altri. 
Piomba un silenzio tombale all’interno di quelle quattro mura. Ad un tratto a tutti sembra di poter sentire i pensieri degli altri, cosa che non piace a nessuno: preferirebbero non avere così chiaro il punto di vista di ciascuno, tener per sé una visione molto più gestibile della realtà.
- Beh, certo. Cioè, forse. In realtà, chi se ne frega essere ricordati, no? Esistiamo ora. Quando sarò morto, non mi sarà troppo utile sapere se qualcuno si ricorda di me. Invece, potrebbe essersi utile lasciare questo schifo. Non voglio più vivere in questa merda. -
C’è l’ombra dell’autocommiserazione in questo discorso, un incubo che si affaccia inaspettato in questa notte di baldoria. Stanno celebrando l’arrivo di qualcosa di spettacolare, il concerto è andato bene, i contatti giusti ci sono. E allora cos’è questo nodo alla gola che Izzy sente?
Ma come un novello Messia, in un’aureola di capelli biondi Steven Adler arriva a risollevare la situazione. Con grande solennità, si alza in piedi e solleva determinato una bottiglia di scadentissimo Night Train avanti a sé.
- Propongo un brindisi. -
E si accascia a terra.
Le urla di Christie non sono niente rispetto alle risate ululanti degli altri. – Pasticcino! Pasticcino! – Strilla la ragazza improvvisamente sveglissima, mentre percuote il batterista che ha rovesciato metà del vino sul pavimento. Sta bene, Steven, ha di nuovo gli occhi lucidi e il sorriso sulle labbra: ha solo avuto un attimo di sbandamento, rassicura. Christie però continua a percuoterlo come se non ne fosse convinta.
Slash quasi non riesce a respirare. Ha recuperato la spavalderia che è la sua forza grazie a quell’intermezzo: se non ci fosse stato, forse anche lui si sarebbe lasciato trascinare nella spirale di dubbi che ogni tanto attanagliano i suoi amici.
Ebony e Victoria hanno le lacrime agli occhi, così come Izzy e Duff che trattengono i singulti a stento. Riescono a dire qualche parola, come “Popcorn” e “geniale”, tra un ululato e l’altro.
Almeno fino a quando Slash, premendosi la mano sulla pancia per evidenziare il dolore addominale, non fa sciogliere il nodo che regge quella toga improvvisata, restando col sedere per aria.
A questo punto non sono più in grado di dire niente.
- Ma che cazzo dici, Slash. Noi ci sguazziamo, in questa merda. E poi di che ti preoccupi tu, puoi sempre tornare da quella figa imperiale di tua mamma. -
- Santa mamma di Slash, proteggici tu. – Duff sposa le ironiche parole di Izzy mentre si asciuga il sudore dalla fronte: l’aria è talmente calda che solo ridere lo ha prosciugato di metà dei fluidi corporei.
La verità è che starebbero bene così, esattamente come sono ora. Dovrebbero fotografarlo, questo momento. Non saranno mai più giovani come lo sono ora. Sta per succedere tutto così in fretta, forse già lo subodorano e per questo dietro la celebrazione della serata c’è già della malinconia. Eppure ridono. Il futuro non è in grado di rubare loro questa sensazione.
- Allora propongo un brindisi. A questa cazzo di musica e a questa cazzo di città. Alle chitarre e ai rulli che abbiamo sfasciato, alle nostre stracazzo di donne e alla gente che sarà così imbecille da seguirci. -
Mentre parla Steven si regge a Christie, che è più alta di lui, ha le palpebre mezze abbassate e continua imperterrito a versare vino da tutte le parti nonostante la bottiglia che ha in mano sia già prosciugata. Ma nessuno si azzarderebbe ora a mettere in dubbio la serietà del suo discorso.
- Amen. – Biascica Justin mentre mette un braccio attorno alle spalle di Ebony, senza intercettare il gesto di Slash che, risistemando il lenzuolo, alza gli occhi al soffitto.
Axl Rose ha osservato tutta la scena appoggiato contro lo stipite della porta che dà sul soggiorno. Il ghigno che si allarga sul suo viso pallido non ha prezzo: è esattamente questa il tipo di energia che vuole. È per questo che stanno facendo furore sul palco.
Quindi anche Axl beve dalla bottiglia di Steven quando, facendo il giro fra i compagni, arriva da lui. E nel bere incrocia lo sguardo di Izzy, del suo migliore amico, che sorride accendendo una sigaretta prima di reclinare il capo all’indietro e chiudere gli occhi. Sembra un re persino in quello squallore, Izzy.
- Ed ora tutti insieme! Weeeee are the champions, my friends! – Forse è una tattica, quella di Slash, per attirare l’attenzione della bella bruna che sta collassando fra le braccia del suo moccioso. Duff e Victoria però iniziano a battere le mani per accompagnare quella sinfonia.
È giunto il momento di dileguarsi.
Nel voltarsi verso il salotto, Axl ha un mezzo mancamento; non ricorda quand’è stata l’ultima volta in cui ha mangiato, ma hanno bevuto parecchio stanotte. È una questione di priorità. Sbatte un paio di volte le palpebre mentre prova a rimettere a fuoco ciò che ha attorno. La luce della notte entra fioca da una finestra aperta. La figurina smunta si è appollaiata sul davanzale unto, incurante dell’altezza, del salto da diversi piani che si staglia sotto di lei. È probabilmente ubriaca come tutti loro e questo è un po’ una spiegazione e un motivo d’angoscia insieme.
Per un istante Axl crede che voglia saltare e il cuore gli batte forte.
Ma Naz è ferma immobile, i vestiti consunti e la linea diritta del collo fra i corti capelli neri. Sembra un uccellino in attesa. Perché diavolo se ne stia lì, lontano da tutti, non se lo riesce a spiegare.
Axl sospira solo perché dà le spalle alla camera da letto e nessuno lo può vedere. Cerca nelle tasche l’ultimo pacchetto di sigarette – priorità – e se ne porta una alla bocca. Sta cercando un commento acido da fare a Duff per poter recuperare Vicky e sfogarsi con lei. In questo momento, sente Christie ricominciare a strillare contro Steven dopo essersi dimostrata così amorevole: fra poco tutti incominceranno a prendere in giro il batterista e sarà esilarante come al solito.
In pochi istanti, Axl raggiunge il centro del salotto.


Destroy the middle, it's a waste of time
from the perfect start to the finish line. […]
We are the reckless, we are the wild youth
chasing visions of our futures,
one day we'll reveal the truth.
(Daughter – Youth)


Naz è immersa in pensieri che non è in grado di articolare. È un flusso continuo guidato dall’alcool, ma ha una fluidità che la fa sentire tranquilla: in testa non c’è la solita matassa ingarbugliata e pesante, ma un fiume d’acqua limpida.
Arrivano i passi dietro di lei e nemmeno ci fa caso all’inizio. Sente l’eco delle risate in lontananza ma al momento non vuole prendervi parte. È una scelta priva di astio: semplicemente, adesso ha bisogno di restare a mollo in quella corrente.
- Perché non fai un favore a tutti e ti butti di sotto? -
Scontato Rose, prevedibile Rose. Naz sospira perché Axl non la può vedere, poi gira appena la testa per guardarlo di sottecchi. Chissà perché ha misteriosamente perso la maglia.
- È davvero il meglio che sai fare questo? – Non è nemmeno sprezzante come al solito mentre risponde, ma pacifica: non gli farà vedere che è stato come essere bruscamente spinti sott’acqua e annegare all’improvviso.
- Sembri un’idiota lì immobile. – Il tono di Axl è talmente indifferente da lasciare perplessi, ma Naz c’è abituata: insultare gli altri è lo sport preferito del ragazzo e insultare lei gli vale la medaglia d’oro.
- Tu sembri un idiota sempre. Che cosa vuoi? – Sempre con quel tono zen, Naz si sistema in modo da poterlo guardare senza torcersi il collo, rimanendo con una gamba a penzoloni dal balcone e l’altra piegata. Ha gli occhi pesti di sonno e alcool e i capelli spettinati, oltre a una grossa macchina indefinita sulla maglia di Unknown Pleasures.
Axl crede che sia proprio un derelitto di persona.
- Questa è casa mia, stronzetta. Nemmeno dovresti farmela, questa domanda. – Aspira una lunga boccata di fumo mentre con lo sguardo punta ciò che prima anche lei stava fissando. Cemento grigio e luci al neon.
- Questa non è casa tua. -
Non è sicuro se sia stata lei a dirlo oppure sia stato solo un pensiero.
Vorrebbe pulirle la faccia da tutto quello schifo che le è colato sotto agli occhi.
- Proprio non riesci a non darmi il tormento, vero? – Si era promessa di non dargliela vinta ma cede: ecco Axl Rose entrare come un uragano nel suo flusso felice, portare tempesta e poi pretendere di andarsene come se nulla fosse.
- Sei tu che sei suscettibile a tutto quello che ti dico. -
Naz si morde l’interno del labbro inferiore, addentando con gli incisivi la pelle. Per un po’ stanno zitti entrambi mentre anche lei si cerca una sigaretta. Dall’altra stanza continua ad arrivare il disastro.
- Rose, tu l’hai mai vista la neve? -
A bruciapelo, ecco come giunge la domanda. Quando si volta per guardarla, Naz ha gli occhi grandi e scuri lontani, intenti a viaggiare dove non arriveranno mai insieme. Axl ignora quel nodo alla gola che compare per un millesimo di secondo.
- Che domande del cazzo fai, nana, vengo dal Midwest. – Certo che l’ha vista. Non tutto il mondo è come la California, anche se forse dovrebbe esserlo.
Naz in apparenza non sembra scomporsi. – Io no. – L’ultima nevicata a Los Angeles è stata nel 1949. Sono uguali, loro due, ma non si capiranno mai appieno. Non la leggerà mai come la legge Izzy, che di quella testa conosce ogni centimetro. Matta. È questo che pensa Axl mentre la osserva, di sottecchi, cercando di non farsi beccare. – Congratulazioni. Sei riuscita a perderti anche questo, oltre al cervello. -
Axl vorrebbe uscirsene col solito insulto innocuo ma riesce a ferirla molto più profondamente di ciò che crede, con quelle parole. Improvvisamente a Naz non sembra di essere più sbronza. Poi come un balsamo arriva la musica alle sue orecchie.
- Sono innamorata di questa canzone. – Non dice che la ama, dice che ne è innamorata, lentamente, assaporando le parole. Il disco è de The Doors, è sempre lo stesso che ha sostituito The Soft Parade, il primissimo disco. Ma la canzone, Axl non ne ricorda il titolo: è strana rispetto ai classici brani di Morrison, ricorda il circo. Non gli è mai interessata quella voce in particolare: ha altri modelli, Axl, dal graffio ruggente di Robert Plant alla poesia fatta canto di Freddie Mercury.
- È Alabama Song. – Sembra che quella stronza gli legga nel pensiero, in realtà è solo un caso: Naz è ubriaca e in vena di chiacchiere mentre inizia ad ondeggiare sulla musica. Fa venire le vertigini solo a guardarla.
- Sembra uno scherzo, non una canzone. – Non sa da dove viene tutta questa cattiveria, Axl, anzi sì. Non accetta lezioni di musica da una ragazzina. Naz però è troppo presa dalla canzone per darci peso. – Perché non è loro, è di Bertold Brecht. – Nel parlare di musica mentre questa riempie a stanza, Naz si sente un’altra persona: guarda verso il ragazzo sorridente e pensa che anche lui sia diverso, meno Axl Rose e più qualcuno con cui avere a che fare.
- Senti stronzetta, parla potabile. – Invece il cantante è sempre più infastidito. Non riesce a capire perché non riesce ad andarsene di lì: c’è qualcosa nell’energia che Naz sprigiona che lo tiene inchiodato.
- Brecht. Era uno scrittore, cioè, faceva teatro… Norvegese o tedesco, non mi ricordo. – Lo sguardo di Naz è di nuovo volto a qualcosa che lui non può raggiungere. – Oh show me the way to the next little girl. Mi ricordo che faceva parte di un’operetta simpatica, Mahagonny si chiamava, un’opera musicale. Pionieristica perché già negli anni Trenta faceva una spietata critica alla società consumistica del Novecento. Brecht era un visionario, sai? Ed era crudo nelle situazioni che presentava, pam, beccati questo buon costume. Immagina come deve essere stato per il pubblico di quegli anni, andare a teatro e trovarci il futuro. Per raccontare il presente ci vuol senza dubbio un grande osservatore, ma per raccontare il futuro, beh, ci vuole un genio. -
Non l’ha mai vista così distante dal suo mondo, dal bar affollato in cui lavora e dai bassifondi di Los Angeles in cui vive. Naz Kurt, che di solito è la perfetta manifestazione del contesto da cui proviene, brusca, immediata, ispida, adesso è invece la bellezza fatta persona. È un angelo nel fango che con lo sguardo lungimirante e la voce assorta porta Axl in quella storia che è passato, presente e futuro. Che è cioè che lui vorrebbe creare, ora, proprio in questo istante.
Vorrebbe vedere qualcuno parlare così della sua musica.
- E tu come le sai, tutte queste storielle? – Commenta ruvido, consapevole di poter distruggere questo momento. Forse è ciò che vuole, Axl, per un'infinità di ragioni: per non essere stato lui a raccontare quella storia, perché si tratta di lei, perché è stufo di ascoltare racconti.
Da che ha memoria, c’è stata una favola, uno scritto, una canzone per ogni periodo brutto della sua vita – e ce ne sono stati parecchi, di momenti brutti. In lui ora c’è una vibrazione, un desiderio che gli impone di non accettare più dal resto del mondo solo delle stupide storie: ha anzi l’impressione che, se ne dovesse stare ad ascoltare un’altra, a quel punto anche l’ultima spinta del suo animo a diventare protagonista, di uno di quei racconti, morirebbe. E non ne può più di ascoltare.
- A scuola mi piaceva leggere. – Si è un po’ smorzata dopo quella domanda, lo sente, ma non demorde, come sempre. Axl sa che Naz non gli darà soddisfazione, non senza lottare: infatti nemmeno guarda verso di lui, continua imperterrita a tenere quella posizione pericolosa sul davanzale, inclina la testa e muove le braccia mentre parte Light my fire.
Quella ragazzina gli mette il dubbio di non aver mai capito cosa voglia dire davvero rock n’roll.
- Sai che la canta anche Bowie? Alabama song, dico. -
La vita continua nell’altra stanza, Axl può vederli. Izzy in realtà è ancora nascosto dalla parete e dai corpi di Steven e Slash che ora, per non si sa quale motivo, si stanno azzuffando. Christie, fidanzata modello, salta alle spalle del riccioluto chitarrista come un valchiria in crisi isterica. – Toglie le tue manacce dal mio uomo, brutto bastardo! – Se la cava meglio lei di Steven.
- Mi piacerebbe da morire andare a un concerto di Bowie. -
Axl pensa che ce la vorrebbe portare, a un concerto di Bowie.
Vederla dimenarsi fra persone tutte più alte di lei, cantare a memoria tutte le canzoni e trovarci significati a cui nessun altro può pensare.
Il ragazzo gira sui tacchi per avvicinarsi all’impianto stereo di seconda mano: è stufo di Morrison, del suono di quella musica. Qualcosa di più sporco calza a pennello, gli Stooges ad esempio. Questa deve essere roba di Duff. Ecco, Raw Power va benissimo: attacca subito Search and Destroy appena lo avvia, ma l’inquietudine non se ne va.
- Alla fine però la mia preferita è l’Opera da tre soldi. Quella parla di ladri, d’imbroglioni e di puttane, di periferia. Insomma a tutti piace sognare ma alla fine torniamo sempre da dove veniamo, no? I personaggi sono tutti degli antieroi, persino il protagonista. Mac the Knife. Il criminale più famoso di tutta Londra. Furbo e affascinante, è un tagliagole ma tutti lo amano. -
Axl sa di non avere la forza di andarsene e non ascoltarla più. Assorbe ogni cosa di quello che Naz dice e sicuramente lo userà, come usa tutto nella strada verso il suo grande obiettivo. Non è sciocco. Ma prendere qualcosa di lei gli fa male. Stringe i pugni mentre si rialza. Fa molto più male di quello che vorrebbe, perché c’è Izzy nell’altra stanza.
- Sai, mi ricorda un po’ te. -
Se non può ignorarla, deve distruggerla.
- Vuoi stare zitta? – Adesso sì che Naz si gira a guardarlo. Nel modo diretto con cui la mocciosa comunica col mondo, non riesce a nascondere di essere sconvolta per l’asprezza di Axl. Credeva che l’avrebbe capita, forse. E il problema è che l’ha fatto ma non può farglielo sapere, o si ritroveranno entrambi in guai grossi e Axl non può permetterseli. Lui ha un piano. Ha quello e basta e Naz non può levarglielo.
- Piantala di straparlare, mocciosa. – Le si avvicina per poter abbassare la voce. Non lo sentirebbero comunque, visto il casino che stanno facendo. – Quelle quattro cose che hai imparato a memoria non cambieranno la realtà: vieni dal niente e sei niente. Fa un favore a te stessa, smetti di raccontarti queste storielle. Smaltisci l’alcool e torna sul pianeta Terra, dove le cose sono alla tua portata. E non tirare in mezzo me, mai più. -
Non si ferma per osservare la sua espressione quando quel discorso finisce. Si stamperà in testa il modo in cui l’ha guardato mentre parlava: gli occhi spalancati, la bocca socchiusa, la fronte corrugata da un dolore quasi fisico.
Axl si volta di nuovo verso l’interno della stanza, si dirige verso il bagno. Dalla camera, ecco la cavalleria che arriva: la zuffa si è trasformata in una gara fra Steven e Slash a gattoni sul pavimento, Christie ed Ebony a cavallo dei loro destrieri che li incitano ad andare più veloce.
Buffoni.
Non capisce perché perde tempo in quel posto. Forse dovrebbe trovarsi degli altri musicisti, ma sa che non ce ne saranno altri in grado di suonare come loro.
Sbatte la porta del bagno violentemente dietro di sé, avanzando verso il lavandino dove lo specchio scheggiato gli restituisce un’immagine devastata: ha la pelle di un pallore spettrale e le pupille dilatate, sembra invecchiato di trent’anni in un colpo. Non è così che vuole essere, non è adatto al punto dove vuole arrivare. Stringe i denti, restituendosi uno sguardo ardente.
Odia come lei è capace di ridurlo.
Forse adesso Naz starà davvero alla larga da lui.


Letting go:
I wanna be happier now,
I wanna be more than closed.
Surreal, the way you make me out,
the way you crash me down.
(Wild nothingLetting go)


Sono le tre, forse addirittura le quattro. Fra poco il cielo inizierà a rischiararsi sopra Los Angeles, oltre i palazzoni di periferia e le colline con l’erba bruciata.
Qualcuno ha cambiato di nuovo disco ed era è il suono psichedelico di The Piper at the Gates of Dawn a riempire le mura lerce di quell’appartamento distrutto. Nulla potrebbe essere più adatto alla visione distorta e inquietante della realtà che ha preso possesso dei suoi inquilini. O forse il suono conturbante dei Pink Floyd di Syd Barrett peggiora solo la situazione.
- Ascoltami, donna, un’altra parola e giuro che ti sbatto fuori da questa stramaledetta casa. Hai capito? E non mettermi le tue cazzo di mani addosso! -
Non si sa bene in che momento Christie e Steven hanno ricominciato a litigare, stavolta seriamente. Da un tempo indefinito sono in piedi al centro del salotto a darsi contro. Il perché, se lo sono dimenticato anche loro, ma ciò che è certo è che Steven ha superato la fase in cui generalmente ignora Christie, per passare a quella in cui la minaccia.
- Non ti permettere di parlarmi in questo modo, mi hai capito? Io sono una benedizione, porca puttana. Dovresti solo essere grato di stare con me, scimmione! -
Christie al solito non calibra le parole. Sembra spiritata, gesticola come una pazza con i capelli arruffati e ogni tanto lo spinge, forse contando sul fatto che Steven non le ha mai torto un capello da sobrio o forse semplicemente perché è sbronza marcio, come tutti. Ogni tanto sembra che il batterista voglia però rispondere con uno schiaffo.
- Una benedizione? Sei una zoccola! Ce ne sono mille come te qua fuori, che aspettano solo che vada a farmele. – Non sembra nemmeno che ascoltino davvero le cose terribili che si stanno gridando addosso: sono fatti così, entrambi per ragioni differente sfogano la rabbia in modo viscerale e violento. Steven perché di giorno è impegnato nella parte del ragazzo ottimista e questo finirà per fagocitarlo; Christie perché non ha la più pallida idea di cosa fare della propria vita quindi salta da un estremo all’altro in attesa di trovare un punto in cui fermarsi.
Poco distante, sul divano, Ebony siede scomposta con i capelli davanti alla faccia mentre abbraccia un secchio di plastica che, a intervalli regolari, provvede a riempire col proprio vomito. Tossicchia, con una cera che sarebbe perfetta in obitorio.
Chissà perché diavolo devono ridursi così ogni volta.
- No, non chinarti in avanti scheggia, rischi di finire con la faccia in questa merda. -
Justin non è lontano, ma non sa bene cosa dirle e si sta per addormentare, sopraffatto da un quantitativo d’alcool che è troppo per lui e di cui si stuferà presto. Chi invece, nonostante la scarsa lucidità, riesce a restare sveglio al suo fianco è Slash.
Slash l’esaltato, Slash che è quello che salta come un pazzo con i ricci e il cilindro, quello che fa la sua porca figura sul palco perché in fondo è una macchietta.
- Oh, ci risiamo. – Barcolla anche lui, ma ha vissuto momenti come questo mille volte quindi riesce a tenerle la testa mentre un altro singulto la scuote. – Certo che sei un pozzo senza fondo, eh? È la quinta volta che sbocchi. – Ebony non può rispondergli, probabilmente nemmeno l’ha sentito. Per stasera non riuscirà ad avvicinarsi più di così a lei.
Il suo ragazzo è bell’e collassato.
Stupidi ragazzini.
- Saulmiporsciunfasciolettopefav. -
- Piccola, non ho capito una sega. Meglio se ti concentri sul secchio, va. No, non addormentarti. – Riesce a trovare anche il lato positivo della faccenda, Slash. Se dovesse focalizzarsi sul fatto che, anche se Justin è sprofondato nel mondo dei sogni e lei gli sta praticamente svenendo addosso, Ebony sicuramente non è nelle condizioni di fare alcunché, beh… Almeno c’è lo spettacolo dei due piccioncini a distrarlo. – Punto due dollari su Chris! Picchia, ragazza! -
Lucifer Sam accompagna dolcemente queste armonie delicate.
- Jennifer Gentle, you’re a witch. -
Duff continua a ballare. Ormai nulla ha importanza, tutto vortica, tutto fa parte dello stesso flusso continuo e ininterrotto: le urla, i litigi, il vomito, è tutto nobilitato dall’ubriachezza che lo pervade. Canticchia, non se la cava male.
Victoria davanti a lui sembra a tratti grande, a tratti piccola, come se la vedesse attraverso uno di quegli specchi del cazzo dei luna park.
Ride, la sua amica. Se la ricorda, quando erano bambini a Seattle. – You’re the left side, you’re the… no, he’s! – Anche Victoria prova a cantare, ma è stonata come una campana e poi si dimentica le parole. Però ci ride su come se non avesse mai sentito migliore barzelletta.
- Sei bellissima, Vicky. – Ed è vero, è una delle ragazze più belle che abbia mai visto, con quei capelli color oro e gli occhi brillanti. Che spreco.
Perché si sia buttata via così, non l’ha mai davvero afferrato.
C’è chi nasce di bell’aspetto, di famiglia modesta, in un ambiente confortevole e comunque cerca l’oblio. S’imbatte nella notte e non fa più ritorno, alla ricerca di qualcosa di più di una vita ordinaria, finendo però per trovare qualcosa di ancora più scontato.
Victoria ride mentre vicino a loro Chris e Steven continuano ad urlare come forsennati. Ancora più in là, ci sono Naz e Izzy che ballano apparentemente come loro, ma con una connessione diversa, che emerge anche nell’ebbrezza e che in fondo tutti invidiano un po’. Basta osservare come si guardano negli occhi per capire che ciò che li lega non ha nulla a che spartire col resto di quel putridume.
- Michael. – La voce dell’amica di sempre lo richiama ancora alla realtà. Si era perso ad osservare la coppia e si era dimenticato di aver lanciato un sasso troppo grande per essere ignorato.
Victoria si sporge di slancio verso Duff, gli butta le braccia al collo come se fosse nata per fare questo. Sono anni che desidera solo che lui la salvi.
Dovessero anche passare il resto della vita a dormire per strada e a fare l’elemosina, l’importante è che lui la salvi. E nel cercare le labbra del ragazzo, Victoria cerca anche quella conferma.
- E allora vattene! Che cazzo aspetti? Torna da mamma e papà, puttanella viziata! -
Duff non sa spiegare cosa lo spinga a scansare quel bacio ardente. Normalmente, con lo stesso quantitativo di alcool in corpo avrebbe subito ceduto alle attenzioni di una biondina procace, senza farsi troppi scrupoli nei confronti dei sentimenti altrui.
C’è qualcosa negli occhi azzurri di Victoria che gli suggerisci che, questa volta, è meglio lasciar perdere.
- E chi ti pagherà la droga e l’alcool se non ci sono io, idiota di un bradipo?! -
- Ebony, forza… Miseriaccia, quanto pesi donna. – Alla fine Saul ha deciso di provarci comunque, a imbrandarsi quella ragazzina mezza ubriaca. O forse vuole solo essere gentile per davvero, ma tutti sono propensi a pensare male perché è Slash, il dio del sesso e delle chitarre.
Nel trascinarla verso l’unica camera da letto dell’appartamento, sbatte anche la testa contro lo stipite della porticina, bestemmiando.
- Izzy. Izzy, non mi sento tanto bene. -
Il diretto interessato sente la voce della sua ragazza ovattata anche se il suo viso è a un centimetro di distanza. Tutto attorno a lui è fuori dal controllo dei suoi sensi.
Duff raccoglie lo slancio di Victoria, dirottando su un abbraccio che li porta entrambi a dondolare sul posto. La ragazza crede di aver sentito un sonoro schiocco all’altezza del cuore, qualcosa che purtroppo le risulta familiare. Si stringe al corpo lungo e caldo del suo amico, chiudendo gli occhi.
- Izzy, seriamente, credo di star per svenire. -
Non sa bene in che momento l’espressione di Naz è passata dalla beatitudine immersa in quell’atmosfera psichedelica all’angoscia pura, un sentimento che raramente ha visto in quegli occhi da cerbiatto. Izzy non ricorda nemmeno il momento in cui si sono ritrovati nel cucinino squallido, alla ricerca di chissà che cosa.
Ma nel momento in cui il suo cervello ha registrato quella faccia affannata, ecco improvvisamente che è diventato sveglissimo.
Potrebbe imbracciare il fucile e andare ad ammazzare il nemico in questo momento, cazzo.
- Lo sai cosa vuol dire per una come me stare con uno come te, eh, scimmione?! Mi stai ascoltando?! -
- Izzy, resterò sempre così? Voglio dire… riuscirò mai a fare qualcosa di diverso? Io credo.., ho paura di no, Izzy. Non so che mi prende. Me la sto facendo sotto. -
Naz singhiozza in maniera realmente preoccupante. C’è qualcosa di più dietro quell’ubriacatura, c’è un tormento che lei sta liberando con la scusa del crollo delle inibizioni. Accade tutto rapidamente. Izzy intercetta quegli occhi scuri e dilatati e improvvisamente tutta la pena della sua ragazza lo colpisce come una stilettata al petto, come un’incudine in testa.
Il corpo di Naz d’un tratto sembra scosso da tremori incontrollabili. Più che un semplice sfogo, quello sembra un vero e proprio attacco di panico e nessuno è nelle condizioni per rendersene conto. Nessuno, tranne Izzy.
- Izzy, sarò mai diversa da così? Riuscirò a vedere cosa c’è oltre i confini di questa stracazzo di città? Ho paura che non me ne andrò mai, che marcirò per sempre qui, farò la barista fino a novant’anni e morirò arida, col rimpianto sulle spalle. -
Non credeva ci fosse qualcosa in grado di perforarlo così nel profondo, finché non ha visto quelle lacrime.
- Naz. Naz, adesso guardami. Respira a fondo e lentamente, così. Concentrati su quello. Dentro e fuori. Brava. -
La sua voce roca e stranita è come una lanterna in fondo a una galleria, la guida in quei gesti fondamentali per riacquistare un barlume di controllo su quel terrore che s’è radicato come un’infezione nel suo cuore.
- Io ti amo, stupido scimmione. Ti amo da morire perché non sei scontato e mi fai mettere in discussione. E mi fai ridere. Ne abbiamo così bisogno. -
Chissà quando è successo che la discussione fra Christie e Steven si è trasformata in un motivo per avvinghiarsi di nuovo. Ora si accarezzano in un modo così dolce da far pensare che no, non sarebbe proprio possibile sentirli pronunciare parole d’odio e di amarezza.
- Naz. – Solo quando la sente tornare a respirare con un ritmo accettabile, Izzy riprende a parlare. Nonostante quello che ha ingurgitato nelle ultime ore, quel ragazzo ha una solennità nelle maniere che sarebbe in grado di placare un bisonte imbizzarrito. – Naz, lo so che sei stanca di questa vita. So che credi che non abbia valore, perché raramente hai scelto per te e hai passato il tempo a badare agli altri invece. So che ti senti esausta e vecchia. -
Incredibile come, con le sue mani sulle guance, Naz andrebbe davvero in capo al mondo.
- Ma hai vent’anni e finora hai vinto tutte le sfide che ti hanno messo davanti. Sei così perché sai che i cambiamenti non arrivano dall’oggi al domani, perché non hai paura di sudare e sanguinare e non hai mollato dove altri l’avrebbero fatto. E so che domani non smetterai di essere così solo perché sei spaventata, com’è normale. So anche che se un giorno dovessi metterti in testa di andare dall’altra parte del mondo, anche partendo dal niente ci riusciresti. -
Steven sta baciando Christie con talmente tanta passione, mentre indietreggiano verso la stessa camera dove ci sono Slash ed Ebony, che probabilmente cadranno.
- E se ti dovessero mancare le forze, ci sarò io a portartici. -
Lo strano miscuglio fra un singhiozzo e una risata che esce dalla gola di Naz è l’esatta manifestazione di come in quel momento la sua gabbia toracica non sia in grado di contenere il suo cuore.
Izzy sente che non esiste nient’altro di importante quando la ragazza gli butta le braccia al collo e lo bacia come se fossero soli nell’universo. Lei gli posa le labbra ovunque, sulle guance, sulle palpebre, sulle labbra, senza riuscire più a fermarsi.
Victoria a un certo punto si è ritrovata distante da Duff. Il ragazzo continua ad ondeggiare e lei ha ora l’esatta percezione di quanto sia distante.
Vicino a lei adesso però c’è Axl, Axl dallo sguardo duro e dalla bellezza eterea. Chissà quando è comparso.
Mentre ride con tenerezza, Izzy accoglie lo slancio di Naz e ne avverte quella ritrovata gioia di vivere, consapevole di essere stato lui l’input a recuperarla.
Nemmeno si curano del fatto che ci sono altre persone poco distante. Quel sentimento puro si trasforma in una passione travolgente che porta Naz a sbottonargli la camicia, con urgenza. Izzy afferra i lembi della sua maglietta, strattonandoli verso l’alto, ridendo di nuovo quando vede il colletto incastrarsi sul naso della ragazza. Sono impacciati a causa dell’irruenza ed esaltati dall’amore.
Axl afferra il braccio di Victoria con una rudezza volontaria, trascinandosela contro. Cerca la sua bocca con un bisogno che la ragazza non comprende, ma accetta grata di quell’opportunità di dimenticarsi che Duff non è innamorato di lei e mai lo sarà.
Naz e Izzy non si accorgono di questo scambio. Si stringono appagati dal contatto della loro pelle. La giovane fa per appoggiarsi a una delle sedie del tavolo, finendo però per perdere l’equilibrio e rovinare a terra, trascinandosi dietro anche il suo Izzy col nasone e l’animo d’oro.
Probabilmente le uscirà un bernoccolo ma non importa, ora sorride di nuovo mentre sente le mani del ragazzo sul ventre, sui fianchi e infine a sollevare il piccolo reggiseno.
Rotolano sotto il tavolino traballante come se si trovassero su una distesa d’erba verde e fresca. Faranno l’amore lì ed ogni dettaglio che li circonda si nobiliterà di quella giovinezza sconsiderata e ardente. Mentre il corpo di Izzy s’incastra alla perfezione col suo, Naz ha l’esatta percezione che anche se niente sarà più come questo preciso momento, per un attimo può credere che vivranno per sempre.
E si abbandona a tutto l’amore di cui è capace.


And if you're in love, then you are the lucky one
‘cause most of us are bitter over someone,
setting fire to our insides for fun
to distract our hearts from ever missing them
but I'm forever missing him
and you caused it.
(Daughter – Youth)


 




OFF ZONE:

Ciao. Sono Greta aka Charlie e sono spiazzata.
Non so davvero se ci sia ancora qualcuno che ha letto Love will tear us apart qui. Sono passati otto anni – o t t o – da quando l’ho scritta. Correndo il rischio che a nessuno in realtà freghi nulla delle spiegazioni, vi racconto come sono arrivata ad elaborare questa Missing Moments.
Da diverso tempo non accedevo su EFP quando quest’estate, da brava fuorisede, mi sono ritrovata a passare parecchio tempo a casa dei miei genitori e quindi nei luoghi della mia adolescenza. Otto anni sono lunghissimi e sono cambiate tante cose, anche se resto una sbarbina – adesso di anni ne ho ventitré, che in fondo non sono un cazzo, non farò la donna vissuta. È semplicemente successo che una sera mi sono detta “Cavoli, ma io scrivevo storie. Rileggiamone qualcuna!”
Ed eccoci qui.
Ho recuperato in particolare Love will tear usa part perché è stata la prima fanfiction seria che ho scritto, la più lunga e quella a cui sono affezionata. Questa rilettura ha suscitato sentimenti contrastanti perché se da un lato sono soddisfatta di quello che, in giovane età, sono riuscita a produrre, sapete, sono emerse tutte le contraddizioni di quel periodo, tutta l’inesperienza e l’ingenuità. Non che adesso sia esattamente questo guru, lo ripeto, però c’è un vissuto diverso.
Quindi ho preso due decisioni.
La prima è stata quella di revisionare la storia, operazione che è ancora in corso: attualmente sono arrivata all’undicesimo capitolo e beh, ci metterò un po’ a finire perché ce ne sono trentasei, anche se il lavoro più grosso si è ovviamente concentrato nei primi passaggi. La trama non è stata modificata, sia chiaro. Quello che ho rivisto sono la grammatica e la sintassi – anche se sicuramente qualcosa m’è sfuggito, perché sono una cazzona distratta – i riferimenti culturali, specialmente quelli musicali, alcuni particolari del passato di Naz e del personaggio di Izzy che ho cercato di valorizzare al meglio.
La seconda è stata quella di scrivere questa Missing Moments, a partire da un episodio che si colloca al Capitolo 9 di Love will tear us apart, il festino di cui tutti si sono dimenticati. In realtà – pensate – era qualcosa che mi ero ripromessa di scrivere anni orsono. Alla fine tutto ritorna.
Credo di poter dire fin da subito che ci saranno altri tre capitoli, forse quattro visto che ho in mente anche un passaggio su Naive, l’altra mia fiction sui Guns N’Roses. Non so però se questa ispirazione permarrà, sarà costante o boh, quindi non mi do tempi. Penso però che porterò a termine la missione, quindi alla prossima puntata.

PER AMORE DEL DIRITTO D’AUTORE:
Mi ritaglio uno spazio per le giuste attribuzioni delle cosette menzionate in questi paragrafi.
Il sottotitolo di Youth – canzone dei Daughter – è in realtà di un altro brano, Hunger di Florence and The Machine, che per me rappresenta la descrizione perfetta del mio triangolo Axl/Naz/Izzy.
The Soft Parade e The Doors sono, appunto, due dischi dei The Doors. Del primo menziono Touch me, cantata da Steven e Christie. The Soft Parade fu effettivamente un album che ricevette uno strano responso dal pubblico, perché focalizzato su sonorità particolari. Di The Doors invece sono menzionate Break on through, Light my fire e ovviamente Alabama Song, cover realizzata sulla base di quella scritta da Bertold Brecht e Kurt Weill.
Alabama song è una canzone di cui esistono mille, stupende versioni. Fu scritta da Brecht e musicata da Weill, inserita in diverse operette di entrambi. Diciamo che è la canzone emblema di Ascesa e caduta della città di Mahagonny, l’operetta citata anche da Naz e ideata da entrambi. Bowie già nel ’78 la eseguiva dal vivo e la fece uscire come singolo nell’80, tuttavia è stata inserita in Scary Monsters ad Super Creeps solo negli anni Novanta.

Andarsene stanotte o vivere e morire in questo modo” è una quote di Fast car di Tracy Chapman, una canzone che amo profondamente e che è sicuramente l’inno di Naz. Peccato che sia dell’88, perché altrimenti gliel’avrei fatta cantare sempre. Comunque, mi sono ispirata molto al testo di questo brano per descrivere i sentimenti della mia Naz in questo capitolo, spero che emerga anche solo un briciolo della poesia di Tracy.
We are the champions”, beh, io spero davvero non ci sia bisogno di spiegazioni.

Naz con la maglietta di Unknown Pleasures è una chicca di sentimentalismo. L’album è quello di debutto dei Joy Division, anche se no, non è quello che contiene Love will tear us apart, che è stato pubblicato come singolo dopo la morte di Ian Curtis.
The Stooges con Iggy Pop sono citati di sfuggita, con Raw Power e la loro Search and Destroy.
Torniamo a Brecht. L’Opera da tre soldi di cui parla Naz è probabilmente il suo lavoro più famoso. Vi consiglio di andare a vederla a teatro, se ne avete la possibilità, oppure di leggerla, perché è effettivamente un capolavoro. C’era un motivo se uno come David Bowie era fan di Brecht.
The Piper at the Gates of Dawn è il primo album dei Pink Floyd e il manifesto della psichedelia di Syd Barrett. Lucifer Sam è la canzone che stanno cantando Duff e Victoria, mentre See Emily Play è quella citata in Love will tear us apart, quella con cui si sveglia Naz.
Se ci sono altre citazione, dovrebbero essere tutte abbastanza esplicite.

See ya folks!




 

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Capitolo 2
*** The end of love ***


Skies of rust – Capitolo II


The end of love
Even in my dreaming it was a good line for a song.






In a manner of speaking I just want to say
that I could never forget the way
you told me everything by saying nothing.
In a manner of speaking I don't understand
how love in silence becomes reprimand
but the way that i feel about you is beyond words.
(Tuxedomoon – In a manner of speaking)

Izzy era nervoso.
In realtà gli succedeva spesso. Nonostante, per svariati motivi, spesso si ritrovasse a ricoprire il ruolo del tipo pacato e razionale del gruppo, vi erano diverse situazioni che potenzialmente potevano inquietarlo o comunque farlo tremare dentro. Prima di un concerto, ad esempio, era sempre teso. Concentrato, ma comunque teso.
C’era qualcosa di diverso in ciò che stava provando in quel momento, tuttavia. Non si trattava di qualcosa di facile da ammettere a sé stessi: prima di quel pomeriggio di giugno, c’erano stati altri mille primi appuntamenti con altre mille ragazze, oltre a incontri ben meno standard. Il fatto che proprio quello, fra tutti, lo rendesse così agitato, meritava una riflessione che però non era in grado di formulare lì, su due piedi.
Intanto doveva trovare il modo di smetterla di sudare così tanto.
Non che non fosse un ragazzo riflessivo, il buon Izzy Stradlin. Anzi, fra tutti i mascalzoni e i cervelli bruciati che c’erano in giro, quel guercio sicuramente non temeva le parole e il loro significato, anzi. Venerava il pensiero, l’elaborazione di concetti e la traduzione di emozioni di cui l’uomo era capace.
Solo, in quel momento gli pareva che quella mirabolante abilità tipica della specie umana fosse solo in grado di aumentare la sua sudorazione.
Attendeva da qualche minuto a lato di una strada affollata di Silver Lake, Los Angeles, l’ombelico di quella dannata città. Aveva lottato con i ragazzi per avere l’automobile, quel pomeriggio, giusto per conferirsi un tocco d’indipendenza in più. Appoggiato contro quel macinino scassato mentre persone di ogni genere gli passavano vicino, quel vecchio diavolo si accese la seconda sigaretta di fila. La California era un autentica fornace ma di solito non gli provocava certi effetti.
Ancora niente.
Certo, lei non gli era sembrata una ritardataria. Tuttavia, Izzy non era riuscito a impedirsi di arrivare in anticipo davanti al negozio di dischi che gli era stato indicato come punto di ritrovo.
Indossava una camicia a maniche corte cremisi e un paio di pantaloni neri e lunghi che gli stavano facendo desiderare di essere morto, sotto il sole infernale della città degli angeli. Portava gli occhiali scuri sul naso, guadagnando un po’ di sicurezza dalla sensazione che almeno non si poteva scorgere il suo sguardo saettare da una parte all’altra del marciapiede.
- Ehi. -
Ovvio. Era arrivata esattamente dall’unico lato della strada verso cui non stava guardando. Ma Izzy era il tipo calmo, quello cool: non smise di ripeterselo mentalmente mentre si voltava a guardarla, prendendosi il proprio tempo per sorridere. – Ehi. -
Naz indossava un paio di jeans a vita alta che sembravano un po’ troppo larghi per lei, stretti con una cintura logora a cui erano stati aggiunti dei buchi, oltre a una canotta bianca su cui era stampata la faccia di David Bowie sulla copertina di Aladdin Sane. I colori erano un po’ sbiaditi. Portava i capelli corti e aveva gli occhi più belli che Izzy avesse mai visto.
- Come va? – Izzy si liberò dell’espressione imbambolata con cui la stava fissando un secondo prima che lei se ne accorgesse. Non osò avvicinarsi, tuttavia: l’aveva baciata, vista nuda, aveva fatto l’amore con lei, ma questo era un altro paio di maniche. Dal pomeriggio sulla spiaggia, dopo il quale Naz gli aveva lasciato il suo numero, era la prima volta che si vedevano.
Izzy non aveva fatto altro che pensarci.
- Bene! Tu? – La ragazza non sembrava imbarazzata né da quelle frasi di circostanza, né da quella distanza fisica. Sembrava affrontare tutto con la disinvoltura e l’audacia con cui l’aveva conosciuta: sembrava non ci fosse davvero nulla che potesse spaventarla. – Io attacco alle sette comunque, alla fine. Che ti va di fare? – Naz si passò una mano davanti alla fronte, prima di scostare un ciuffo di capelli ribelli con uno sbuffo.
Carina.
- Beh, potremmo prenderci qualcosa da bere, magari. Cioè io, tu sei minorenne. – Izzy si augurò disperatamente di suonare rilassato come sempre. Aveva come l’impressione di tradire in maniera plateale il proprio nervosismo. – O magari possiamo andare al cinema. Vedere che danno. –
Solo dopo aver formulato quella proposta, si rese conto di avere solo cinque dollari in tasca. Non era riuscito a recuperare altro dal fondo comune della Hellhouse. Si appoggiò di nuovo alla vecchia Mustang sfasciata, incrociando le braccia al petto in maniera sciolta, mentre pregava che i film usciti all’inizio dell’estate facessero tutti schifo.
Poteva offrirle al massimo una passeggiata.
Maledizione.
Dopo un breve momento di pausa, Izzy vide Naz inclinare la testa di lato. Un sorriso leggero incurvò le labbra della ragazza. Non sembrava beffarda o minacciosa, solo… intenerita?
- Perché, tu ce li hai i soldi per andare al cinema? -
Izzy avvertì chiaramente che non lo stava prendendo in giro né sminuendo. Quella domanda pronunciata con genuinità, solo un pizzico di divertimento, era più simile a una manifestazione di gratitudine, caratteristica paradossale dato il contenuto della stessa.
Il ragazzo le sorride di rimando, prima di scoppiare a ridere.
Avrebbe capito solo dopo che semplicemente Naz non era abituata ad essere trattata così.
Con gentilezza.
- Forza, andiamo. Ho un’idea. -
Non si toccarono, non ancora. Naz si limitò a fargli un cenno col capo, uno di quelli che lui avrebbe fatto a un compagno per invitarlo a una partita di basket magari.
Eppure nel seguirla, gli sembrò di conoscerla con un’intimità decennale.
Silver Lake di giorno era anche piuttosto accogliente, rispetto ad altri quartieri di Los Angeles che, limitandosi ad ospitare la vita notturna della metropoli, con la luce del sole si trasformavano in pattumiere a cielo aperto. Attorno a loro vi erano sì tipi strani, con capelli strani, vestiti strani e andature strane, ma anche mamme intente a trascinare i figli capricciosi per strada, nugoli di donne che chiacchieravano fra loro, vecchietti che ispezionavano le strade accaldati.
Izzy si limitò a chiederle di Christie, degli esami finali a scuola, a raccontarle delle prove della band mentre camminava al suo fianco: non le fece ulteriori domande sulla destinazione.
C’era qualcosa che gli diceva che Naz non avrebbe sbagliato.
- Ta-daaan! -
Da qualche parte all’interno di quel negozio, una radio mandava l’ultimo pezzo dei Tuxedomoon. Lei amava il post punk. Difficile si fosse trattato di qualcosa di più di una coincidenza, ma a Izzy piacque pensare che ci fosse come la trama di una poesia dietro.
Si trovava di fronte a Wilbourne&Sons, un piccolo rivenditore di elettrodomestici e prodotti tecnologici che probabilmente non si sarebbe mai calcolato. Sembrava un tipo negozio di periferia, pulito, adatto allo shopping in famiglia, con prezzi economici per chiunque non fosse spiantato come loro.
Izzy lanciò a Naz un’occhiata di traverso, sorridendo perplesso e al contempo elettrizzato: dietro quella scelta assurda, doveva esserci qualcosa di grandioso, lo leggeva negli occhi furbi che la ragazza sfoggiava in quel momento. – Siamo già alla fase in cui compriamo insieme la lavatrice? -
Naz scoppiò a ridere e solo in quel momento entrambi si resero conto di aver rilassato le spalle e i nervi. Fu tutto più facile.
- No, non puoi ancora lamentarti di essere stato accalappiato. Vieni. – Con la stessa facilità con cui respirava, Naz gli prese la mano per trascinarlo all’interno. Non rappresentavano i clienti modello, no: un vecchietto – probabilmente Wilbourne – dietro un lungo bancone lanciò loro un’occhiata sospettosa. Sembrava proprio il genere di uomo con un fucile a pompa nascosto sotto la scrivania, tuttavia Izzy ridacchiò senza preoccupazioni.
- Ecco. – Naz lo trascinò soddisfatta davanti a un’esposizione ordinata di televisori più o meno piccoli. Trasmettevano, probabilmente per mostrare ai potenziali acquirenti le diverse risoluzioni e qualità del video, spezzoni di film diversi fra loro. Quello che avevano davanti stava mostrando una giovane e bellissima Audrey Hepburn in abito arancione, in un cucinino angusto.
Cinema.
- Quando eravamo piccoli, io e mio fratello sgattaiolavamo un sacco di volte ai drive-in per guardare i vecchi film. Ho sempre desiderato saper parlare con lo stesso fascino di Audrey Hepburn. -
Izzy si volse a guardarla, non conosceva quel film nonostante avesse presente l’attrice. Eppure, osservando il viso di Naz che si illuminava di un sorriso davanti allo schermo, gli sembrò di averlo visto almeno un centinaio di volte. Con lei, una bambina mingherlina e impavida davanti all’idea di essere beccata con le mani nel sacco.
- I'll tell you one thing, Fred, darling... I'd marry you for your money in a minute. Would you marry me for my money? – Naz recitò quella battuta quasi in contemporanea col movimento delle labbra di quella muta Audrey Hepburn. Izzy avrebbe voluto conoscere la battuta del belloccio biondo che stava osservando la diva di Hollywood con lo stesso sguardo che lui aveva per quella ragazzina.
- In a minute. – Ci pensò Naz a girarsi verso di lui, replicando lo stesso tono di George Peppard.
- Ehi, quello lo conosco. -
Izzy si avvicinò a un grande schermo d’ultima generazione, che in quel momento stava proiettando l’immagine di due uomini in una macchina decapottabile, con sedili tigrati di pessimo gusto. Uno di loro sembrava piuttosto stanco o piuttosto ubriaco.
Il ragazzo si volse entusiasta verso Naz, scoprendo sorpreso un’espressione dubbiosa sul viso della ragazza. Questa si morse il labbro, mostrando un sorriso che in realtà celava dispiacere.
- Ti giuro, non ho idea di cosa sia. – Izzy scorse dell’imbarazzo dietro quella che doveva essere nonchalance. E dire che si trattava di una pellicola recente. Avrebbe realizzato solo dopo qualche tempo che l’esperienza di Naz, nel corso di quella vita sfumata e incerta che conduceva, si limitava a quei vecchi film che aveva visto da bambina, per caso.
- She likes you? How do you know? – Con un sorriso furbesco, Izzy abbassò la propria voce e la rese più ruvida, sfoderando anche un vago accento latino. Bastò per suscitare in Naz una risatina leggera, che dissolse quel senso di inadeguatezza.
- The eyes, chico. They never lie. – Quando si volse verso di lei, per completare quella battuta guardandola giustamente negli occhi, Izzy credette di sentire il cuore esplodere. Fu una sensazione sconcertante ma inevitabile, di fronte a quelle grandi pupille scure che lo osservavano in quella maniera. Forse Naz non si rendeva conto del modo in cui si era illuminato il suo sguardo, rivelando al ragazzo un mondo inaspettato; o forse era Izzy ad essere abbastanza sciocco da leggere in quello scricciolo dei sentimenti che in realtà appartenevano a lui. In ogni caso, avvertì chiaramente di poter conquistare il mondo con quegli occhi addosso.
 - Oh caspiterina, stanno dando Rebel without a cause. – Il modo in cui Naz si entusiasmò improvvisamente lo lasciò di stucco. Non si aspettava di veder sfuggire il suo sguardo così presto. Ma gli occhioni della ragazza si erano posati su uno degli schermi più all’avanguardia che il locale aveva a disposizione.
Un belloccio in giacca rossa spiccava nell’ambiente scuro del set, accanto al viso contrito di una giovane dall’aspetto insieme dolce e in qualche modo terribilmente contrito. Le labbra di James Dean stavano scandendo parole prive di suono in quell’ambiente non così distante dal mondo dipinto da Nicholas Ray: se la storia dell’attore aveva consacrato quella pellicola ad una leggenda patinata, l’impronta del racconto si scorgeva chiaramente nella vita che conducevano.
-  I'm sorry.
I'm sorry that I treated you mean today. You shouldn't believe what I say when I'm with the rest of the kids. Nobody, nobody acts sincere. -
Izzy già la stava contemplando, col viso verso di lei, quando Naz iniziò a recitare quella battuta a memoria con una naturalezza incredibile. C’erano mille notti passate con suo fratello a rubare pezzetti di vita altrui, dietro quell’imitazione di Natalie Wood.
Senza nemmeno pensarci su, senza calcolare i gesti di James Dean, Izzy si chinò per posare le proprie labbra sulla tempia di Naz.
La sovrastava in altezza, ma quando la ragazza si volse a guardarlo si sentì incredibilmente piccolo. Per qualche secondo, rimase in bilico fra il tempo che era passato troppo veloce dal loro primo incontro e le parole che si sarebbero detti in futuro. Nel presente, c’era solo quella bizzarra e intensa intimità, fatta del fiato che Izzy tenne sospeso in attesa della reazione della ragazza.
Aveva come la sensazione che ne sarebbe dipesa la sua vita.
- Why did you do that? -
Il sorriso che si aprì sul viso delicato di Naz non aveva nulla a che fare con la sorpresa scossa della giovane Judy. Era fuori da film, schermi e qualsiasi altro materiale servisse a intrappolare i sentimenti per renderli racconti.
- I felt like it. – Izzy recitò la battuta con orgoglio, restituendole il sorriso. Wilbourne, alle loro spalle, li stava scrutando indeciso se andare a cacciarli immediatamente o far finta di nulla per un altro po’. Teppisti.
Rimasero incuranti del fatto che a James Dean e a Natalie Wood ci sarebbe voluto ancora un po’ per rendersi conto dei reciproci sentimenti: Naz si protese, sollevandosi sulle punte dei piedi, verso Izzy nel momento stesso in cui questi si chinò di nuovo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mentre riconquistava quelle labbra soffici e cariche di promesse, Izzy realizzò che non sarebbe mai stato in grado di scrivere una canzone in grado di descrivere ciò che stava accadendo.
Tutto sommato, gli andava bene così.
- Andiamo? –
Accolse le dita di Naz fra le proprie mentre si faceva trascinare dalla sua voce lontano da Wilbourne.
Un giorno sarebbe tornato a ringraziarlo.


And those were the days of roses
poetry and prose and, Martha,
all I had was you and all you had was me.
There was no tomorrows,
we'd packed away our sorrows
and we saved them for a rainy day.
(Tom Waits - Martha)


Izzy entrò nella casa con cautela nel salotto. Aveva già avuto modo di visitare quel posto, ma in qualche modo sarebbe sempre rimasto avvolto dall’alone di mistero e distanza che la vita che costudiva gli aveva attribuito.
L’appartamento di Naz era silenzioso. Sapeva che suo fratello era partito per Porto Rico, per raggiungere la sua ragazza. C’erano soltanto loro due e, questo Izzy lo sapeva e lo avvertiva, qualcun altro. Una presenza nebulosa.
- Vuoi del caffè? -
Persino dopo tutto ciò che erano arrivati a condividere, la voce di Naz tradì del nervosismo.
Izzy appoggiò lo zaino logoro sul divanetto che trovò incastrato in un angolo del cucinino: il soffitto era basso, i mobili piuttosto eterogenei per stile e materiale, i fornelli e il piccolo frigorifero probabilmente risalivano a vent’anni prima. Su di essi era china la figuretta esile, i capelli che stavano già iniziando a ricrescere sulla nuca e il collo scoperto.
Il ragazzo le sorrise, quando Naz finalmente trovò il coraggio di voltarsi. Aveva ancora gli occhi rossi e gonfi della notte precedente.
Quando l’aveva trovata stesa sul pavimento in lacrime e in panico e aveva capito di amarla.
- Grazie. Sono distrutto. – Era tardo pomeriggio ormai: il sole californiano ancora filtrava dalla finestrella. Con grande naturalezza, come se fosse nato per stare in quel buco di soffitta, Izzy si lanciò sul divano ed osservò Naz recuperare una tazza sbeccata.
Sapeva che l’unico modo per metterla a suo agio, era dimostrarsi a propria volta tranquillo.
Una settimana. Sette lunghi giorni. Ecco quanto gli aveva chiesto di stare da lei. Mason sarebbe stato via di più, ma Izzy non aveva osato puntualizzarlo. Non avrebbe mai immaginato che quel giorno sarebbe arrivato: dato il passato e le incombenze – l’incombenza – della ragazza, trascorrere anche solo una notte in quell’angolo di South Central era sempre apparso come un mito irrealizzabile.
Sapeva che da qualche parte in quella casa c’era qualcuno, qualcuno che alla fine Naz avrebbe dovuto presentargli. Ma Izzy non chiese nulla. Aveva l’impressione che, in quel momento più che mai, fosse necessario attendere i tempi della giovane.
Darle il tempo di adattarsi, di rilassare quei nervi del collo sempre dolorosamente tesi.
La osservò avvicinarsi con la tazza colma di caffè fumante in mano, con l’espressione dispiaciuta di chi avanza scuse in anticipo per non si sa bene cosa; allo stesso tempo, percepì la sua profonda gioia. Izzy ne fu stupito, ma subito dopo comprese.
Era contenta di averlo lì.
- Vuoi stare fermo? – Poco tempo dopo, in quella stessa cucina, il ragazzo si ritrovò oggetto di un’operazione piuttosto delicata. – Se continui a muoverti, farò un disastro. – Manco a dirlo, gli scappò da ridere proprio in quell’istante, mandando all’aria i propositi meticolosi di Naz.
Avevano sistemato la roba di Izzy nella cameretta della ragazza, che lui aveva osservato con genuina curiosità: aveva gustato la collezione di vecchi dischi, i poster appesi al soffitto spiovente e la vecchia chitarra, mentre Naz pian piano prendeva confidenza con la sua presenza lì. Avevano scelto la colonna sonora, optando per un compiacente disco uno di The Wall. Poi erano giunte le note dolenti.
Le forbici.
- Sei sicura di non stare tagliando un po’ troppo? – Si azzardò a chiedere per la sesta volta Izzy, comodamente piazzato fra le gambe della giovane. Aveva preso posto, come da indicazioni, su una delle sedie, mentre Naz si era appollaiata sul tavolo.
La sensazione di aria che batteva sul collo non gli piaceva per niente.
- Oh insomma, vuoi fidarti di me una buona volta? – Sbottò l’altra senza riuscire a nascondere una nota di divertimento che non rassicurò Izzy, osservando un’altra ciocca scura cadere a terra. – E poi, ho quasi finito. – Il ragazzo accentuò apposta il proprio sospiro di sollievo, prima di scoppiare ancora una volta a ridere.
- Ti ricordo che sono io ad avere le forbici in mano, Isbell. -
Non si resero subito conto del cambiamento. Inizialmente fu solo una sensazione vaga, che però non interruppe i battibecchi e gli scherzi. Poi lo sguardo di Izzy venne catturato da qualcosa. Un’ombra.
Affacciata alla porta della cucina, c’era una sagoma che il ragazzo già conosceva: se l’era immaginata esattamente così, dalle poche parole carpite a Naz e da ciò che lui ci aveva costruito sopra, ma l’impatto fu comunque forte. Joanie fissò entrambi senza un’espressione particolare, come se non fosse particolarmente stupita di trovare uno sconosciuto in casa. Sembrava, in realtà, persa. Come se fosse capitata lì per caso. I grandi occhi scuri, così simili a quelli che Izzy venerava, erano accentuati dalla magrezza e dal pallore del volto; le membra sottili navigavano in una vecchia camicia da notte bianca, i capelli pendevano flosci sulla schiena.
Sentì Naz irrigidirsi dietro di lui. Quel momento sarebbe arrivato prima o poi, nell’arco della permanenza, eppure il ragazzo sapeva che lei non si sarebbe mai potuto preparare ad esso.
Passò un lungo istante di silenzio.
- Fatto. – Un ultimo zac, poi Naz fu subito in piedi. Izzy avvertì lo spostamento d’aria, passandosi una mano sui capelli tagliati di fresco. Osservò le due donne affiancarsi. Solo un cieco avrebbe guardato le somiglianze sopra le differente: Joanie sembrava assente dalla realtà; mille bombe avrebbero potuto esploderle attorno e lei non se ne sarebbe curata. Naz invece, nel suo tormento e nelle sue controversie interiori, era presente. Era parte di un flusso, comunicativa e sensibile.
Lei era vita.
- Mamma, questo è Jeffrey. È il mio ragazzo. -
Il modo in cui la avvolse nel proprio abbraccio, discreta ma ferma, scosse qualcosa nel suo animo.
La donna non disse una parola, si limitò a fissarlo. Izzy si rese conto che, da qualche parte nella sua testa, stava capendo ciò che la figlia le stava dicendo. Semplicemente, aveva rinunciato ad essere partecipe di qualcosa che si era rivelato più grande di lei.
Se Naz non aveva mollato, non l’avrebbe fatto nemmeno lui.
- È un enorme piacere, signora. -
Si alzò in piedi come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzo con un’educazione da bravo americano alle spalle. Abbozzò persino un inchino con la testa, tremendamente serio e allo stesso tempo tranquillo. Non le stava prendendo in giro: quello era un momento decisivo. Naz non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma nel quadro dello scombussolamento interiore che l’aveva colpita in quei giorni, quell’incontro significava molto.
Recuperare un minimo di speranza in un futuro sereno.
Izzy tese la mano, con circospezione, per afferrare con delicatezza quella di Joanie. Si accorse di come la ragazza trattenne il fiato, di fronte quella mossa avventata. Ma lui continuò a fissare la donna con un sorriso discreto, lasciando che si abituasse al contatto con lui.
Joanie non si ritrasse.
Con gentilezza, quando fu sicuro di quel contatto più mentale che fisico, accompagnò quella sagoma emaciata verso il tavolo, per indurla a prendere posto alla tavola con loro. Nel momento in cui la donna, senza cambiare espressione, decise di seguirlo, Izzy seppe di aver appena conquistato una tappa importante.
Ciò che ritrovò nello sguardo di Naz glielo confermò.
Più tardi, si ritrovarono al solo lume della luna che filtrava dalla finestrella della cameretta di Naz. Con loro, solo la voce calda di Tom Waits, che dal giradischi narrava le parole di Closing Time. Era l’album preferito della ragazza, questa era una delle prime cose che aveva imparato di lei.
Izzy se ne stava disteso sul materasso che, a terra, fungeva da letto. Non era trascorso molto da quando avevano fatto l’amore e ora il ragazzo accarezzava delicato le corde della chitarra, fredda contro il suo petto nudo. Aveva recuperato i pantaloni unicamente a causa del freddo.
Non si ricordava il momento in cui aveva smesso di suonare. Stava solo cercando di godersi ciò che aveva davanti.
- And I was always so impulsive, I guess that I still am. -
Le gambe di Naz erano lattee nell’oscurità, la linea del suo collo un tratto di matita. In quella maglia dei dei Led Zeppelin quasi scompariva: era l’unica cosa che indossava, quella e la sua anima.
Da quando l’aveva chiamato nel cuore della notte per dirgli che lo amava, era diventata trasparente ai suoi occhi. Persino averla di fronte, presa a cantare Martha con lo stesso tono di Waits, rivelava che stava attraversando un periodo cruciale, di transizione.
Non aveva avuto bisogno di chiederglielo. Izzy aveva compreso attraverso piccoli gesti, parole quasi casuali e sguardi rubati. Aveva compreso che Naz stava decidendo che tipo di persona voleva essere per il resto della vita, quali erano i suoi reali desideri, per cosa voleva lottare ancora che non fosse altro da lei. La sua vita aveva ruotato attorno agli altri: suo padre e la sua incapacità di essere tale, sua madre e il collasso mentale, oltre che familiare, le responsabilità verso di lei quando era diventata figlia e verso suo fratello, l’unico che le era rimasto. Le esigenze degli altri erano ciò che aveva sempre conosciuto e attraverso esse aveva dato una definizione a sé stessa. Pian piano però, quelli che erano sempre stati fardelli si stavano allontanando. Stava per restare sola, finalmente libera forse, ma con una grossa responsabilità sulle spalle: cercare un’identità.
Però Izzy, che l’aveva sempre osservata da distante, che era entrato nella sua esistenza come una brezza estiva, sapeva che c’era molto di più oltre quel vuoto che vedeva davanti a sé. Percepiva la sua desolazione, di fronte al dubbio di non essere più di qualcosa costruito in funzione di altri, persino di lui. Ma lui, Izzy, la vedeva per ciò che era.
Un’anima folle e di una bontà incredibile, con una prospettiva sua su ogni cosa.
Sorrise mentre la guardava emozionarsi e cantare, stonando un poco, quella poesia di Tom Waits, i piedi nudi sul pavimento scricchiolante. Sarebbe stato onorato di poter assistere a tutto ciò che quella persona straordinaria avrebbe combinato.
- Ti amo. Da qui alla luna, ecco quanto ti amo. -
Izzy sorrise mentre riponeva la chitarra a lato, lasciando che Naz avanzasse verso di lui ballando prima, gattonando sul materasso bitorzoluto poi.
La ragazza s’infilò con lentezza fra le sue gambe, puntellandosi con le mani che affondavano nella superficie ruvida ai lati del suo torace scarno, allungando il collo come un gatto per ricevere un bacio. Izzy ne osservò i lineamenti distesi e i muscoli in attesa, con le palpebre abbassate su quegli occhi immensi, contemplandone l’armonia, prima di accontentarla. Mentre la sua bocca accoglieva quel sapore ormai così familiare, con i polpastrelli accarezzò la pelle vellutata sulle sue cosce, risalendo verso il bordo della maglietta. Naz, seguendo istintivamente quel tocco, gli si avvicinò senza staccare le proprie labbra dalle sue, alzando un braccio per appoggiarsi alla parete alle sue spalle. Si fermò soltanto per portare le manine ad afferrare l’indumento che la ricopriva, sfilandoselo con un solo gesto di fronte a lui, restando nuda e con i capelli scarmigliati.
Izzy, di fronte a quella visione, ebbe la netta sensazione quella parte di loro sarebbe vissuta per sempre. Non era semplicemente possibile condividere qualcosa di così forte con qualcuno di così magnifico e non credere, di conseguenza, nell’eternità di certe emozioni. Sarebbe arrivato il futuro e con lui il rimorso, le incomprensioni e i silenzi. Ma alle spalle e nel cuore avrebbero per sempre conservato quella prova, la prova della possibilità di sentirsi completati da qualcuno senza chiedere e senza faticare. Solo per il fatto di essere loro due.
In pace col resto del mondo.


When evening shadows and the stars appear
and there is no one there to dry your tears,
I could hold you for a million years
to make you feel my love. […]
I could make you happy, make your dreams come true,
nothing that I wouldn't do
go to the ends of the Earth for you
to make you feel my love.
(Bob Dylan – Make you feel my love)



Era in ritardo.
Izzy fece un profondo tiro di sigaretta, sporgendosi ancora un poco dalla finestra per evitare che il fumo entrasse nella stanza. Era stata lei a dirgli di fare così.
Se proprio non riesci a trattenerti, chiuditi in camera mia, prendi il barattolino che trovi nel cassetto e stai alla finestra. E stai attento che Daniel non ti veda.”
Ancora non si vedeva da nessuna parte.
Erano mezzanotte e un quarto, lei sarebbe dovuta rientrare allo scoccare del nuovo giorno. Come una moderna Cenerentola. Izzy aggrottò le sopracciglia. No, non avrebbe perso la testa come un tonto qualunque al pensiero che lei avesse trovato un principe.
Mettere a letto Daniel non era stato semplice. Quel bambino era meraviglioso, furbo, furbissimo perdiana. Aveva cercato d’ingannarlo e di distrarlo in tutti i modi, chiedendo una nuova favola, una canzone, lamentandosi di dover fare di nuovo la pipì, tutto per poter stare alzato un po’ di più. Il motivo di tanto impegno era facilmente intuibile: Izzy era molto più permissivo e molto più malleabile di Naz. Daniel doveva aver intuito di essere in una posizione di vantaggio, con quell’uomo divertente e rilassato che portava sempre un sacco di giochi in dono.
Naz come madre, beh, era tutta un’altra storia.
Sulla strada che si stagliava sotto la finestrella, apparve un’auto che catturò la sua attenzione. Era quasi nuova, una bella Bmw tirata a lucido che stonava alla grande con quel particolare quartiere di Los Angeles, decisamente più rustico. Izzy strinse  gli occhi.
Dal lato del guidatore uscì un giovanotto piuttosto ordinario, in completo scuro, con una zazzera di capelli biondi che gli conferiva un’aria gioviale. L’uomo lo vide affrettarsi ad aggirare la vettura, per andare ad aprire galantemente la porta del passeggero.
Naz era raggiante. Poche volte Izzy l’aveva vista agghindata in quel modo. Indossava un vestito nero dalla linea semplice, senza maniche e con lo scollo a barchetta, che le arrivava appena sopra il ginocchio. Scarpe con un bel tacco alto, ornamenti semplici, i capelli cresciuti in uno chignon morbido da cui sfuggivano alcune ciocche, che le incorniciavano il viso. Persino da quella distanza, scorgeva le sue labbra rosse piegate all’insù, in un sorriso.
La osservò scambiare gli ultimi convenevoli con quello sconosciuto, il quale persino da lì gli sembrava fastidiosamente in linea coi suoi pensieri riguardo alla bellezza della donna. Stizzito, Izzy andò a spegnere la sigaretta nel barattolino, richiudendo con forza il coperchio.
Trattenne il fiato con quando lo vide chinarsi su di lei.
Naz lo salutò amichevolmente con due baci sulla guancia, alla francese. Si scambiarono poche parole, prima che lei prendesse la via della palazzina, camminando con confidenza su quelle scarpe assurdamente alte.
Izzy si allontanò dalla finestra, lasciandola aperta per arieggiare, tornando in salotto.
- Ciao. È andato tutto bene? Sta dormendo? -
Erano passati tre mesi. Tre mesi, giusto il tempo per far arrivare anche in quell’estate 1991 il caldo torrido a Los Angeles. Tre mesi da quando si era presentato sul suo posto di lavoro per chiedere di recuperare una vita insieme e di metterla a parte del mondo di suo figlio.
Anche allora, nonostante la reazione più che positiva, Izzy sapeva che sarebbe stata una battaglia. Fortunatamente, con la band si erano intrattenuti in città per registrare. Lavoravano sodo, ma almeno la distanza da Daniel era minima.
Naz gli aveva concesso di vederlo, di occuparsi di lui e passarci del tempo insieme, ma a rigide condizioni. Doveva accadere sempre in quell’appartamento oppure in luoghi pubblici e, in questi casi, sempre per poche ore. Slash o Duff non potevano partecipare, in alcun modo. Aveva l’obbligo di tenere un comportamento decoroso, senza scurrilità o aggressività. In quegli incontri, erano assolutamente vietati alcool e droghe.
Ma per chi cazzo mi hai preso?
Per il chitarrista dei Guns N’Roses, Jeff.
Erano passati tre mesi da quando le aveva chiesto di ricominciare con lui, con loro.
Il concetto di Naz Kurt di “andarci piano” era non andarci affatto.
- Sta dormendo, sì. So badare a nostro figlio. – Izzy non riuscì a non suonare un tantino stizzito. Quasi si lanciò sul divanetto incastrato in un angolo della cucina, mentre si guadagnava un’occhiata sorpresa da parte di Naz. La osservò togliersi le scarpe col tacco con sollievo, prima di avanzare verso la credenza a recuperare un bicchiere d’acqua. L’uomo non poté fare a meno di pentirsi un po’, per la propria antipatia.
Non gli riusciva proprio, di essere distaccato con lei.
- Com’è andata la cena aziendale? – Domandò quindi subito dopo, cercando di simulare della nonchalance. Diavolo, detestava sentirsi come un ragazzino. Era tutta colpa di Naz.
- Oh, molto bene davvero. È stato un ottimo modo per rafforzare la coesione di gruppo, sai. – Eccola, sofisticata e adulta. Izzy era fermamente convinto che in fondo si sforzasse, per farlo risultare inadeguato, per sottolineare come lei fosse cresciuta mentre loro – lui – erano rimasti agli anni ’80, a giocare agli dei del rock. Era stata una delle argomentazioni su cui aveva più insistito, quando si era riparlato di tornare a stare insieme, non solo ad avere un figlio insieme.
Gli scappò uno sbuffo piuttosto sonoro. Ecco, di nuovo, il fattore “ragazzino” che fastidiosamente confermava le insinuazioni della donna.
Naz se ne accorse ma non rispose, limitandosi a stringere le labbra. – Vado a dare un’occhiata a Danny. Sono molto stanca. – Le due frasi apparentemente scollegate fra loro in realtà furono un messaggio molto chiaro per Izzy.
Leva le tende.
Quando la vide andare nell’altra stanza, si passò le mani fra i capelli, frustrato. Non poteva continuare ad assecondare quella sua indifferenza o darle motivi per continuare a pensare che lui in fondo fosse uno scapestrato, un tossico infantile e che non fosse prospettabile una stabilità familiare con lui.
Perché non era così.
Perché avrebbe smosso anche le montagne e rivoluzionato la Terra per loro e lei non aveva alcun diritto di togliergli quella profonda convinzione.
- Beh, grazie mille per essere passato. Se vuoi, possiamo sentirci in settimana per un altro pomeriggio con Daniel. Puoi andare. -
Grazie per aver viaggiato con noi, vi auguriamo una buona giornata.
- Naz, tutto questo è assurdo. – Lesse negli occhi della donna, in piedi davanti alla porta di collegamento con le camere da letto, che aveva temuto una reazione del genere. Tuttavia, vide anche dello stupore. Izzy era consapevole di aver parlato con una voce che finalmente rispecchiava ciò che aveva dentro.
Si alzò in piedi con deliberata lentezza, avvicinandosi senza staccare gli occhi dai suoi. – Non siamo più ragazzini. Ci siamo fatti del male abbastanza. Che senso ha andare avanti con questa farsa in cui tu sei imperturbabile e superiore e io sono ancora la persona da punire? -
Per un attimo, sul volto della donna che era diventata Izzy intravide la ragazzina con cui aveva condiviso la vita. Spiazzata, esitò a rispondere, forse non troppo sicura di cosa dire. L’uomo quindi ne approfittò per proseguire.
- Sono pulito da mesi. So che temi io abbia ricadute, ma non sento minimamente la mancanza di ciò che sono stato negli ultimi anni. Forse ha avuto un senso, a un certo punto. Ma ora che ho Daniel, non provo il minimo interesse in qualcosa che non mi faccia essere un buon padre per lui. Sul nuovo disco stiamo lavorando bene e ci sarà un tour, questo è vero. So che hai paura che io me ne vada di nuovo lontano. Ma la mia musica non ha una sola direzione, come anche le mie prospettive di carriera non sono unicamente i Guns N’Roses. Una tua parola e me ne tiro fuori, lo sai. -
Naz non lo interruppe. Abbandonò lentamente la maschera di freddezza che aveva vestito prima, mentre i muscoli del viso si rilassavano sotto la carezza di quelle parole. Tuttavia, non riuscì a trattenersi dall’assumere un cipiglio arrabbiato. Incrociò le braccia sotto il seno.
- Ti sto già dando fiducia, Jeff. – Izzy si sforzò per non ribattere subito, per lasciarle il tempo di esporre ciò che già sapeva avrebbe detto. Incredibile come lei riuscisse a mandarlo quasi in bestia. Incrociò le braccia a propria volta. – Sei rispuntato fuori dopo anni di silenzio. Hai avuto dei problemi di dipendenza. Superati ora, lo riconosco, ma non da molto tempo. In generale, lo stile di vita che hai condotto fino ad ora non va bene per mio figlio… -
- Nostro figlio, Naz, nostro. Cristo, ti viene così difficile dirlo? – Sbottò di colpo, interrompendola. Sapeva di aver appena perso un paio di punti, alzando appena la voce e rischiando così di svegliare Daniel; infatti la donna gli scoccò un’occhiataccia, facendogli segno di abbassare la voce freneticamente. Izzy la ignorò: non avrebbe usato quelle sciocchezze come pretesto per zittirlo dove aveva ragione.
- … e non puoi pretendere che per me sia tutto semplice. Ho lavorato sodo per costruire per me e lui stabilità e serenità. Tu sei tornato e mi hai ributtato addosso ricordi e rimorsi che avevo messo da parte. Non posso dimenticare tutto quello che è successo nel giro di pochi mesi. Ci vuole tempo. -
Incredibilmente, Izzy si rilassò. Qualcosa, nelle parole di una donna che cercava con grande solerzia di mantenere un contegno, ma che era scossa nel profondo da ciò che stava dicendo, riuscì a distendere i suoi nervi. Sorrise con una dolcezza pura nello sguardo, osservando il viso cresciuto di Naz.
Quindi allungò con discrezione una mano, per posarla su una di quelle guance vellutate.
- Non devi dimenticare ma puoi perdonarmi. Io l’ho fatto, con te. -
La donna sgranò gli occhi, sconvolta da quell’affermazione. Izzy la vide paralizzarsi sul posto, ma non perse la calma né l’intenzione delicata davanti a quello scandalo.
- Tu? Perdonare me?! -
Sapeva che l’avrebbe detto. Dal suo punto di vista, non aveva certo torto.
Solo che ce le aveva anche lui, le sue ragioni.
- Io, perdonare te. In fondo, mi avevi tradito e poi mollato per il mio migliore amico. Anche dopo, quando abbiamo saputo del bambino, vi ho odiati da morire e ho sofferto come un cane. -
La vide stringere le labbra e trattenere il respiro. Se anche s’era aspettata che, prima o poi, sarebbe arrivata la resa dei conti sulla questione, non lo diede a vedere. Izzy scosse il capo: sulle sue labbra, permaneva quel sorrisetto che di beffardo non aveva nulla.
- Stai davvero paragonando… ? -
A Naz ci vollero alcuni secondi per riprendersi dal colpo e, anche quando recuperò la capacità di parola, le uscirono solo poche sillabe balbettate, a metà fra la rabbia e il tradimento.
Izzy la interruppe di nuovo.
- Non sto paragonando nulla, Naz. Ti sto dicendo che voi mi avete preso e mi avete deluso. Poi, quando è stato il momento, noi abbiamo deluso te. Io ti ho deluso e ti ho abbandonato. Ed è stato orribile, è stato assurdo. In qualche modo però ci ha portato qua, ha portato Daniel ad essere il meraviglioso bambino che è. E ora che abbiamo la possibilità di essere felici, saremmo proprio stupidi a non coglierla. -
Quella donna aveva sempre avuto gli occhi troppo, maledettamente grandi.
- Io ti ho perdonato e ho perdonato anche me stesso. Quando ti accorgerai che è stato solo il momento sbagliato? -
Per alcuni lunghi istanti, si guardarono diritti in faccia e Izzy credette che avrebbe finito per baciarla. Lei a quel punto si sarebbe divincolata e l’avrebbe sbattuto fuori. Con un po’ di fortuna, si sarebbe resa conto in settimana che non valeva la pena di intristire Daniel per ciò che accadeva fra loro, ma sarebbe tornata a mettere fra loro quel muro di cartapesta.
Naz scoppiò a ridere.
- Ti metti anche a citare le canzoni, adesso? -
Qualcosa dentro Izzy vibrò nell’udire quel suono cristallino. Il suo sorriso si fece più largo. Staccò la mano dalla sua guancia per portarla dietro il capo, grattandosi con aria leggermente imbarazzata. – Beh, ho sempre pensato che quella canzone fosse un autentico capolavoro. -
- Sì, lo so. – Non avrebbe saputo dire se fosse effettivamente affetto – amore – quello che vide nello sguardo di Naz. Però ottenne l’effetto di placare ogni sua smania, ogni suo conflitto. Non gli parve nemmeno di essere mai stato arrabbiato, in un qualsiasi momento della sua vita.
- Adesso è meglio che tu vada. Ci risentiamo in settimana domani o dopodomani, d’accordo? – La sua voce era morbida come una piuma. Non si sfiorarono nemmeno, ma a Izzy sembrò quasi che l’avesse abbracciato. Annuì senza trattenere la soddisfazione: in quelle cose non dette, c’era un mare di significati e intenzioni che sapevano di speranza.
Si volse un’ultima volta, sull’uscio, per scambiare con lei un’ultima occhiata. Naz esitò qualche istante, appoggiata allo stipite della porta. C’era ancora qualcosa in lotta, dentro di lei.
Ma il sorriso che gli risolve alla fine, quello sicuramente valeva tutta la pazienza, il tempo e le canzoni d’amore del mondo.


Juliet, when we made love you used to cry
you said 'I love you like the stars above, I'll love you till I die'.
There's a place for us, you know the movie song:
when you gonna realize it was just that the time was wrong, Juliet?
(Dire Straits – Romeo and Juliet)



- Ho detto che devi andare a letto, Danny. -
Si chiuse l’uscio alle spalle con discrezione, facendo il pieno del suono della quotidianità.
La luce in salotto era accesa e da lì provenivano le due voci che conosceva meglio al mondo. Izzy era riuscito a rincasare prima del solito. Nell’ultima settimana si era intrattenuto fino a tardi nello studio di registrazione, salvo poi mettere dei paletti al suo produttore e all’agente con cui non faceva altro che litigare da quando avevano iniziato a lavorare al nuovo progetto.
Finché si tratteneva in città, aveva bisogno di tempo per la famiglia.
- Mamma, ti prego, voglio solo esercitarmi un altro po’. -
L’uomo si affacciò alla porta del salotto accogliente, arredato secondo i gusti minimalisti e vagamente orientaleggianti di Naz. Non era passato molto tempo da quando si erano trasferiti in quella casa: avevano trascorso i primi anni nel vecchio loft di Izzy a Hollywood, vicino agli studi e vicino all’ambiente artistico di Los Angeles. Poi Daniel aveva iniziato a crescere e loro, con lui, a invecchiare. Avevano improvvisamente sentito il bisogno di spazi più ampi, zone più tranquille, meno cemento armato e più verde.
Avevano trovato quella villetta fra Echo Park e Victor Heights e subito a Naz era piaciuta da morire.
- Oh, ciao. Non pensavo tornassi così presto. – La donna era ancora in tenuta professionale. Evidentemente, per stare col bambino, non aveva pensato di cambiarsi. Stava in piedi, le mani sui fianchi coperti da un paio di pantaloni neri modello capri e da una camicia borgogna dalla linea morbida, che la faceva sembrare più un’artista che una dirigente di una casa di produzione cinematografica.
Osservava con fermezza un bambino non troppo alto di circa sette anni, con un cipiglio ancora più risoluto. Aveva una zazzera di capelli scuri spettinata e indossava già il pigiamino a motivi di Mickey Mouse. Non sembrava particolarmente stanco, nonostante fosse stato a scuola tutto il giorno.
- Papà, papà! Posso suonare il piano ancora un po’? – Daniel immediatamente corse da lui, con voce lamentosa. Il marmocchio aveva imparato subito che, se voleva una risposta un po’ più permissiva, il genitore a cui rivolgersi era Izzy.
- Non ti ci mettere anche tu, adesso! Domani potrai continuare ad esercitarti, dopo i compiti. Adesso devi dormire. – L’uomo non fece in tempo a parlare che Naz subito se la prese anche con lui, sollevando le mani in aria con esasperazione. A Izzy scappò da ridere, anche se cerco di riacquisire serietà subito. Non voleva concludere quella lunga giornata facendosi squartare dalla sua compagna.
Alla fine, non si erano mai sposati. Semplicemente, avevano ritenuto esaudita la richiesta che Izzy le aveva avanzato, ormai tre anni prima, nel momento in cui avevano trovato una quadra a quel nuovo cosmo. Ci si erano stabiliti comodamente e non avevano sentito il bisogno di anelli e cerimonie.
- Ascolta tua madre, Daniel. Domani ho il pomeriggio libero e ti prometto che suoniamo insieme, chitarra e piano, d’accordo? -
Nonostante il bimbo parve rischiararsi alla prospettiva della sua attività padre-figlio preferita, ci vollero ancora diversi sforzi per mandarlo a letto. Alla fine, Daniel cedette protestando e sfoggiando persino un principio di pianto: s’incamminò verso il piano superiore come se, in cameretta, lo attendesse una crocifissione.
- Com’è andata la giornata? Hai cenato? – Izzy osservò con un sorrisetto furbesco il pianoforte che riluceva, in un angolo. Alla fine, senza che nessuno dei due avesse premuto particolarmente, era successo: il pargolo aveva fortemente voluto imparare a suonare uno strumento. Alla scelta dello stesso, tuttavia, si era presentato un colpo di scena. Alle chitarre dei genitori, aveva preferito un vecchio pianoforte verticale Yamaha, che aveva dato modo anche a Naz di imparare col figlio qualcosa di nuovo.
- Uno strazio. Alla Geffen hanno visioni troppo differenti dalle mie. Mi propongono suoni che non m’interessano. – Izzy si avvicinò al divano color testa di moro, sprofondandoci. – Sì, ho preso un hamburger da Gino’s. – Naz invece, lanciando un’occhiata sospettosa alle scale su cui era appena salito Daniel, sospirò prima di avviarsi verso un armadietto. L’uomo seppe ancora prima che lei entrasse in azione che stava recuperando una bottiglia di vino, probabilmente californiano.
Nessuno dei due avrebbe saputo indicare il momento esatto in cui tutti quei gesti erano diventati piacevoli abitudini, una traccia di sicurezza nelle loro giornate.
Naz tornò verso di lui con un unico calice pieno, che gli tese. – Tu niente? – Domandò l’uomo perplesso, ricevendo un’alzata di spalle in risposta. – Sono troppo stanca. – Subito dopo, andò ad avviare il lettore CD collegato all’ottimo impianto di cui si erano dotati – ovviamente. Izzy recuperò subito il sorriso.
Various Positions.
In quegli anni, Naz era diventata la donna che, sotto sotto, era sempre stata. Da assistente di Beverly Johnson, era passata ad essere il suo braccio destro: si occupava di contrattazione e vendite come se la produzione cinematografica fosse sempre stata la sua grande passione; si era ritagliata del tempo per la musica e continuava ad esserne una grande cultrice, anche grazie alla loro relazione; era una splendida madre, che Daniel adorava quando non veniva spedito a letto presto.
Certe cose poi non sarebbero mai cambiate, come Leonard Cohen.
- Insistono ancora con il graffio punk rock e con l’addio ai sintetizzatori? – Come una gatta, prese posto al suo fianco, con la schiena contro il bracciolo del divano per poterlo guardare meglio, andando a infilare i piedi scalzi sotto le gambe del compagno alla ricerca di calore. Brindarono al volo mentre Izzy annuiva.
- Continuo a non capire perché questa smania di, non so, ingrezzire tutto. Sanno che non è il mio stile, che non sono Chris Cornell. E poi ho già sfornato tutto il punk e il metal di questo mondo, adesso ho bisogno di input diversi. – Izzy si abbandonò allo sfogo, nonostante avesse già ripetuto gli stessi concetti almeno cinque volte nel pomeriggio. Raccontare certe cose a Naz gli permetteva di mettere ordine ai fastidi e agli stimoli della pancia.
La donna prese ad arrotolarsi una ciocca di lunghi capelli scuri, pensierosa. Lui ne osservò l’espressione, ritrovando la bellezza dietro tutta la stanchezza della giornata. – E di che input stiamo parlando? -
Non era polemica, ma sinceramente curiosa. Izzy sorseggiò il vino prima di rispondere.
- Beh, questo mondo è gigante. In giro fanno della musica che nessuno ancora si è dato la pena di ascoltare, addirittura con oggetti che non sono ancora stati realizzati. Voglio qualcosa che mi dia da pensare. -
Naz annuì. Probabilmente era stata perfettamente consapevole del suo pensiero, ben prima della risposta, ma sapeva anche che mettere a sistema le cose gli serviva per poi prendere delle decisioni.
- Mi sembra poi una scelta imprenditoriale molto ingenua. – Aggiunse lei poco dopo, mentre Izzy con una mano andava ad accarezzarle il ginocchio. – Voglio dire, il grunge è già esploso. Non capisco perché puntare su un prodotto che ha già saturato il mercato. -
A volte era davvero difficile ritrovare la ragazzina che lavorava da Big Bull sotto quella forma sofisticata e professionale: era una cosa che stupiva sempre chiunque la incontrasse, ma non Izzy. Lui non aveva solo assistito ad una buona fetta di quell’evoluzione, ma l’aveva capita anche quando se n’era – sciaguratamente – perso dei pezzi.
- Poi, sulla strumentazione, beh, è un pochino limitante il loro punto di vista. Non è cosa togli o cosa metti, ma come lo usi alla fine che conta. – Inaspettatamente, Naz si alzò per raggiunge un armadietto poco distante, tornando indietro con una rivista fra le mani. Era l’ultimo numero di The Wire, una di quelle letture che avevano sempre a casa.
- Simon Reynolds ha scritto un articolo interessante sul post-rock. – Izzy prese in mano la rivista avanguardistica, fissandone la copertina senza vederla davvero. Anche prima di leggere ciò che gli stava suggerendo Naz, sentiva una grossa sensazione di calore allargarsi all’altezza del petto. – Si parla di Stereolab, Bark Psychosis, ma anche i Tortoise in realtà ci stanno. Recentemente ho sentito anche di una band scozzese, Mogwai, stanno sfornando del materiale. -
- Ah-a. – Annuì l’uomo, concentrato sul viso di lei tanto quanto su ciò che stava dicendo. Un’altra delle cose che non erano cambiate: parlare di musica come di un unico flusso vitale, con una persona che l’avrebbe sempre stimolato.
- Vedi, alla fine la strumentazione è sempre quella, basso e batteria, chitarra elettrica, ma li si sposta su un altro piano. Su quello della musica elettronica, ad esempio. O su qualcosa di più noise, visto che vogliono suoni alternativi, meno armonici. Più shoegaze. -
Fu a metà di quella sequela di idee che Izzy realizzò quale fosse, in realtà, il vero nodo della questione, il vero punto su cui insistere se voleva davvero risolvere i propri dilemmi artistici.
Attese comunque che Naz avesse terminato, paziente, prima di affermare con grande tranquillità, come se stesse parlando del tempo: - Sai, credo che dovresti farmi tu da agente. -
La donna non stava bevendo ma, se avesse avuto un bicchiere in mano, probabilmente avrebbe sputato tutto per la sorpresa.
- Ma sei ammattito? – Non si era mai sentito più lucido di così. La soluzione era così semplice: lei era l’unica che fosse in grado di porsi sulla sua stessa linea di pensiero, ma allo stesso tempo gli offrisse un punto di vista esterno, aperto. Sapeva quali erano le domande che lui, come artista, si stava ponendo e poteva offrirgli delle risposte valide.
- Oh, non dirmi che non ne saresti capace. Ti occupi di chiudere contratti e far fare soldi a una casa di produzione, Naz. – Gli occhi di Izzy brillavano mentre la prendeva in giro, conoscendo la sua polla. Questa in risposta sbuffò, per poi aprire bocca con l’intenzione di parlare. Ancora una volta però, l’uomo la anticipò. – E non tirarmi nemmeno fuori la storia che non sai nulla di musica. Sei una musicista. Hai cultura e interesse per le evoluzioni. Sicuramente alcune cose non le sai fare, ma a lavorare per Beverly hai imparato in fretta. -
Nonostante l’espressione scettica che Naz esibì, Izzy seppe leggere nella sua testa una nota d’interesse che glielo confermò, avrebbe vinto la guerra.
Certo, si sarebbe misurato per un po’ con la cocciutaggine di quella donna, ne avrebbero discusso almeno un altro paio di volte. Poi però lei si sarebbe arresa.
- Mi sono dimenticata di dirti… - Cambiò discorso con la nonchalance di un fachiro che cammina su un tappeto di aghi, tornando di nuovo verso il mobiletto, stavolta per recuperare un foglietto di carta. - … che ha chiamato William. -
A quel punto il sorriso di Izzy vacillò un poco. Erano passati molti anni da determinati fatti particolarmente dolorosi ma assimilati, razionalizzati, accettati. Tuttavia, non si erano fatti mancare un poco di suspense, senza la quale evidentemente non potevano vivere.
- Ah sì? Che ti ha detto? -
Axl di sicuro non era più il terzo elemento di un triangolo strano. Lui e Naz si erano rivisti soltanto una volta e di sfuggita, solo perché lei era passata a prendere Izzy fuori dal ristorante dove era andato a cena con l’amico. Non c’era più quel tipo di tensione, ma non si poteva dire che Axl le volesse bene.
Izzy sapeva – e anche Naz – che l’amico e amante di un tempo dava la colpa a lei del ritiro dei chitarrista dai Guns N’Roses. La considerava un po’ la loro Yoko Ono. A nulla erano valsi i tentativi di Izzy di spiegargli che Naz e Daniel erano stati l’input finale per prendere una decisione che già aveva accarezzato.
- Che la prossima settimana è in città con i ragazzi e ti chiede di andare a bere qualcosa. – Rispose la donna con grande tranquillità, lasciandogli l’indirizzo dell’hotel di Axl.
Izzy sapeva che, da qualche parte, Naz soffriva un po’ per il fallito tentativo di stabilire un contatto con una persona che era rimasta importante per il suo compagno. C’erano stati molti trascorsi brutti e rimpianti, ma lei alla fine aveva perdonato.
Aveva visto cosa c’era oltre un passato buio e controverso.
- E ricordati ancora che questo weekend andiamo al minigolf con Chris e Jus. So che lo detesti… - Fu il turno della donna di anticipare le sue lamentele. - … ma sai che Chris in questo periodo è suscettibile e l’abbiamo promesso. Tanto ormai è diventata un pallone, si stancherà in fretta e ci porterà a mangiare quintali di gelato. – La data del parto di quella turboavvocatessa che era diventata la migliore amica di Naz era alle porte, eppure questa non sembrava proprio incline al sano riposo raccomandato dai dottori.
- Sarà meglio che vada a dare un’occhiata a Daniel. -
Izzy la osservò prendere la strada per le scale, accorgendosi di un dettaglio. Sembrava quasi tentennante, come se ci fosse qualcosa fra i suoi pensieri a reclamare attenzione.
- Allora ci penserai? -
Naz si bloccò a metà strada, prima di girarsi verso di lui lentamente. Izzy la vide esitare, quasi stesse selezionando con cura le parole giusto. Lui aggrottò le sopracciglia, subodorando qualcosa.
Qualcosa di inaspettato.
- Beh, sai. Sono andata dal dottore stamattina. – Naz sembrò arrossire, nella luce soffusa creata dalle lampade. Spostò il peso del corpo da un piede all’altro, prima di prendere il coraggio a piene mani. Lo guardò diritto negli occhi, trattenendo a malapena un sorriso dolcissimo.
- Mi ha detto che dovrò starmene tranquilla e lontano dallo stress per un po’. Per almeno altri otto mesi, ecco. -
Izzy non reagì subito. Rimase immobile a ricambiare il suo sguardo, mentre in sottofondo la musica serena e familiare di Dance me to the end of love riempiva la stanza.
Quindi sorrise a propria volta, un sorriso diverso da tutti quelli che le aveva riservato fino a quella sera. Senza aggiungere una parola, si alzò dal divano e con passi lenti e misurati la raggiunge, posizionandosi di fronte alla sua figura minuta. Negli occhi le trovò un poco di esitazione, insieme alla gioia che aveva covato in segreto per tutta la giornata.
Quindi le prese le mani, portandosene una alla spalla, intrecciando l’altra con la propria. Fluidamente, senza alcuna forzatura, la trascinò con sé in movimento ondeggianti, lievi, sulle note e sulla voce di Leonard Cohen.
Naz si mise a ridere fra le sue braccia, una risata argentina con cui fece scivolare via anche quel poco di tensione che aveva provato nel dovergli dare la notizia. Seguì naturalmente il ritmo leggero dettato dalla guida di Izzy.
Questi continuò ad osservarla ballare, concedersi a lui e amarlo in tutti i modi in cui una persona può amare qualcun altro.
Ne assaporò il bacio con gratitudine e meraviglia, seguendo più il battito del cuore di quella donna che la canzone che arrivava dallo stereo.
Era sempre stata così, lei.
Lei e quel suo straordinario modo di farlo sentire vivo.


Dance me very tenderly and dance me very long,
we're both of us beneath our love, we're both of us above. […]
Dance me to the children who are asking to be born,
dance me through the curtains that our kisses have outworn,
raise a tent of shelter now, though every thread is torn,
dance me to the end of love.
(Dance me to the end of love – Leonard Cohen)


 

 

 

 

 

OFF ZONE:

Pensavate che non sarei tornata. E invece.
Allora, dopo aver pubblicato Youth ho avuto un momento di morte ispirativa/ispirazionale/comesidice. Fra università e cose varie, ovviamente, un blocco ci stava eccome. Non me ne sono preoccupata troppo e infatti a un certo punto le idee e la voglia sono tornate.
Inizialmente questo doveva essere l’ultimo dei Missing Moments di questa piccola opera, anche per rispettare una sorta di scaletta temporale. Tuttavia, a un certo punto il mio cervello ha insistito tantissimo per buttare giù due righe su quest’idea, poi le righe sono diventate quattro e niente, sapete come funziona, no? È andato tutto in merda.
Questo capitolo – se così lo possiamo definire – parte dal lavoro di revisione di Love will tear us apart, lavoro che è arrivato circa al sedicesimo capitolo se vi può interessare.
Rileggendo e riscrivendo, mi sono resa conto di come la storia si sviluppasse, anche giustamente, attorno ai due poli di Naz e Axl. E ci sta, perché è quello il vero intrigo, dopotutto. Tuttavia, ho ritenuto giusto rielaborare e approfondire la sfera emotiva di Izzy in modo da trasformarla, senza modificare la trama, in una vera storia incentrata su un triangolo, letteralmente su TRE ANGOLI che fanno da motore e perno a tutte le vicende.
Inoltre, forse grazie alla saggezza (!) data dall’età, ora subisco molto meno il fascino della relazione fra Naz ed Axl, dando nuovo spessore e nuova importanza a invece il rapporto fra lei e Izzy.
Quindi ne è uscita una panoramica dei ricordi di Izzy, i ricordi che più danno l’idea di come lui in questa storia vede Naz, di cosa prova per lei, di cosa ha imparato da lei.
Ovviamente, manco a dirlo, questo è l’Izzy Stradlin della mia testa: un figuro un po’ hipster, sensibile e dotato di controcoglioni giganteschi nell’esserlo. Anche la digressione finale sulla musica, è tutto frutto del mio immaginario: a lui ho trovato stesse bene un certo tipo di musica progressive e noise che a me piace un sacco, anche se so che nella realtà non fa. In questo alternative universe sì, perché c’è la mia Naz.
A ogni ricordo, ho legato una canzone d’amore. Anzi, per me sono LE canzoni d’amore, fra le più belle che siano mai state scritte.
Il prossimo capitolo sarà probabilmente incentrato tutto su Axl Rose; ci sarà uno sbalzo indietro (spoiler!1!1!! ma chi mi caga) però credo che alla fine sia giusto dar corso all’ispirazione.
Fate come Izzy e non lasciatevi soffocare dalle etichette discografiche nella vostra testa.


PER AMORE DEL DIRITTO D’AUTORE:
Questo è ultradenso di qualsiasi cosa e i prossimi saranno sempre peggio.
Partiamo dal titolo: The end of love di Florence + The Machine, manco a dirlo. Anche il sottotitolo fa riferimento alla canzone ed esalta, per me, il tema dei “brani d’amore”.
La maglietta di Aladdin Sane è un regalo che prima o poi mi farò anch’io.
I tre film citati nel primo ricordo sono, in ordine: Breakfast at Tiffany’s di Blake Edwards, Scarface di Brian De Palma e Rebel Without a Cause di Nicholas Ray.
La canzone è In a manner of speaking dei Tuxedomoon, manifesto post-punk. Mi dà modo di annunciare che Naz, nella versione aggiornata di Love, oltre a essere una grandissima fan di Leonard Cohen e Tom Waits, ha gusti insoliti e di solito anticipa molte tendenze. Insomma, la donna perfetta per Izzy.
Prima di passare alle lacrime con Tom Waits, i due piccioncini fanno i classiconi e ascoltano The Wall dei Pink Floyd, disco uno. Il trend prosegue con la maglia dei Led Zeppelin.
Make you feel my love non è presente nelle narrazioni, ma io ce l’ho messa comunque perché per me è e sarà sempre LA canzone d’amore. Purtroppo, è stata scritta alla fine degli anni ’90.
Per quanto riguarda la storia dei Guns, se non sbaglio non ho fatto strafalcioni con gli incastri temporali. Izzy ha effettivamente quittato nel 1991 dopo essersi ripulito, iniziando poi a far musica per conto proprio. Semplicemente, nella mia storia ha un paio di ragioni in più. Inoltre, so che ha continuato a far dischi con la Geffen per un po’, prima di abbandonarla.
"When you gonna realize it was just that the time was wrong" è un’altra quote da Romeo and Juliet dei Dire Straits, altra Canzone, con C maiuscola, d’amore.
Nell’ultima parte, l’anno è il 1994, anche se comunque si intuisce dal fatto che Daniel ha sette anni.
Various Positions è uno dei grandi capolavori del compianto maestro Cohen.
Chris Cornell l’ho citato perché bisogna smetterla di parlare solo di Kurt Cobain a proposito del movimento grunge.
L’articolo di The Wire e la definizione di post-rock sono usciti davvero nel 1994! E i Mogwai quell’anno incisero il primo EP.
Infine, la Yoko Ono dei Guns alla fine si chiama Naz Kurt. Ed effettivamente nella storia va un po’ così.



Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Heavy dirty soul ***


Skies of rust – Capitolo III





Can you save my
Heavydirtysoul
for me?






There's an infestation in my mind's imagination,
I hope they choke on smoke cause I'm smoking them out the basement.
This is not rap, this is not hip-hop:
just another attempt to make the voices stop.

Rapping to prove nothing, just writing to say something,
'cause I wasn't the only one who wasn't rushing to say nothing.
This doesn't mean I lost my dream,
i
t's just right now I got a really crazy mind to clean.
(Twenty One Pilots - heavydirtysoul)


Axl Rose era un uomo con un piano.
Voleva raggiungere le stesse vette degli dei che facevano parte del suo personale Olimpo, spostarvici la residenza e non muoversi più. Voleva accaparrarsi un posto comodo nella storia della musica, dove poter guardare fan e detrattori, nonché il passato, dall'alto.
Si svegliò quella mattina d'estate con la bocca impastata e diversi dolorini alla schiena, i sintomi di una situazione che conosceva bene: dormire in un letamaio.
La stanza era immersa nella penombra e c'era odore di chiuso, di sudore e di altre mille cose non meglio identificabili. Appena fu in grado di mettere a fuoco ciò che lo circondava, Axl si rese conto di aver dormito sul pavimento, ai piedi di uno dei divani scassati che avevano recuperato dai cassonetti della spazzatura.
L'aveva fatto apposta: quelle molle erano in grado di distruggere una schiena in maniere ben peggiori di una superficie troppo dura.
La Hellhouse era immersa nel silenzio. Axl non aveva bisogno di un'orologio per capire che sicuramente quella non era l'ora in cui i lavoratori perbene si riposavano. Alzandosi a sedere, identificò la sagoma che dormiva accartocciata sul divano al suo fianco, emettendo qualche grugnito di tanto in tanto nonché uno strano olezzo animale.
Slash, più bestia che uomo.
Izzy e Duff si erano rannicchiati sulle brandine, altri pezzi di arredamento che avevano raccattato in giro per quella discarica a cielo aperto che era Los Angeles. Di Steven, nemmeno l'ombra.
Axl rimase per un attimo immobile, contemplando quello sfacelo. Non ne era turbato ma, del resto, c'erano poche cose in grado di scombussolarlo davvero. Sapeva che anche la Hellhouse, come molte altre cose, era un elemento necessario in quella scalata. Serviva al rock n'roll, a tenerli produttivi e a far venire loro fame: in questo modo, non si sarebbero adagiati su comodità.
Lui no, perlomeno. Per gli altri, il discorso era diverso.
Aveva ancora la maglietta della sera prima, nonché gli stessi jeans lerci. Cercò di mettersi in piedi, anche se dovette esitare per qualche istante a causa di un capogiro improvviso. Quando la sua vista tornò a funionare, si sfilò la t-shirt per cercarne una pulita, un'impresa degna del Nobel.
- Porca puttana. - Poco dopo, fece la felice scoperta di un'incredibile e maleodorante intasatura nel minuscolo cesso che avevano a disposizione. Qualunque cosa fosse successa in quel cubicolo, Axl era certo che rischiassero una visita dei federali per attentato batteriologico.
Avrebbe dovuto cercare un bagno pubblico. Di nuovo.
Axl Rose era un uomo con un piano. Era un uomo che sapeva esattamente cosa voleva, cosa che non era alla portata della comprensione di tutti. Per questo spesso e volentieri spaventava il prossimo, con la sua
resilienza, con la sua determinazione.
Del resto, l'inferno l'aveva già visto. La Hellhouse non era davvero nulla di che.
Lanciò uno sguardo alle sagome di Izzy e Duff, profondamente addormentati. Non pensò nemmeno di svegliarli, non gli sarebbero comunque stati di alcun aiuto. Aveva bisogno di cibo, di un bagno, di vestiti puliti, e avrebbe potuto trovarli solo lontano da lì. In più, non aveva nemmeno voglia di ascoltare vaghe lamentele o inutili resoconti della sera precedente.
In realtà, amava passare del tempo da solo. Non era fatto per il tipo di compagnia in cui si parla di cose irrilevanti, frivole o anche solo semplici, quella adatta a guardare un determinato programma alla televisione oppure a fare commissioni. Se non aveva niente d'interessante o d'importante da dire o mostrare a qualcuno, semplicemente con quel qualcuno non ci stava.
Le eccezioni erano poche. Izzy, ad esempio. Erano diventati amici perché entrambi amavano il silenzio e non sentivano il peso di condividere una stanza senza intrattenere alcun contatto.
Avanzò quindi per quel caos che nessuno di loro osava chiamare casa: recuperò una camicia a maniche corte che perlomeno non puzzava di stantio, anche se non sembrava comunque fresca di bucato.
- Che cazzo... - All'improvviso pestò qualcosa di paurosamente morbido; abbassò lo sguardo con orrore al pavimento, dove trovò la propria scarpa sinistra affondata negli avanzi di un cheeseburger.
Doveva mantenere la calma.
Lui era un uomo con un piano.
- Ehi, puoi evitare di fare tutto questo casino? -
La domanda giunse da una figuretta che, se ne accorse solo ora, era distesa su una serie di cuscini impolverati. Mettendola a fuoco, Axl realizzò che si trattava di una ragazzina dai capelli biondicci: non dimostrava diciotto anni, indossava il più bizzarro assortimento di colori e vestiti di sempre e aveva un'espressione scocciatissima in viso. Doveva essersi appena svegliata.
- Chi sei? - Domandò, impenitentemente brusco. Capitava spesso che gente a caso dormisse alla Hellhouse, e tutti ricevevano lo stesso trattamento. Axl non temeva affatto di perdere pubblico o diffondere una pessima fama, con quell'atteggiamento: era anzi profondamente convinto che fosse proprio quello che i ragazzi chiedevano.
Era lui, lo spettacolo.
La ragazzina ghignò, perdendo subito l'aria spaesata data dal risveglio. - Come, non te lo ricordi? -
Axl sollevò il sopracciglio. Non era turbato da quella momentanea dimenticanza, ma infastidito. Ecco l'ennesimo stronzetta che pretendeva di svettare sul resto di Los Angeles.
- Scusa tesoro, vorrei ricordarmi di tutte quelle che mi hanno succhiato il cazzo, ma è impossibile. -
La diretta interessata di quell'implicito insulto perse istantaneamente il sorriso, alzando gli occhi al soffitto. - Ma allora hai un problema per davvero, tu. - Dal tono, sembrava ne avesse disquisito a lungo con grandi esperti.
Scoperta del secolo: tutti sapevano che era un cazzo di mostro.
Axl la ignorò. Davvero non gli interessavano gli sproloqui di una sconosciuta; aveva già abbastanza problemi con le ragazzine. Piuttosto, si focalizzò sulla propria missione: recuperò alcune giacche dimenticate a terra dai suoi compagni di bagordi, frugando nelle tasche alla ricerca di qualche spicciolo. L'impresa gli costò cinque, preziosi minuti.
- Dove stai andando? -
Axl Rose era un uomo con un piano che le altre persone non potevano capire. E proprio non ne voleva sapere di spiegarlo. Non doveva spiegazioni nemmeno per quando andava a pisciare.
A nessuno, se non a sè stesso.
- Cavolo, non spremerti, sei quasi logorroico. - La ragazzina si era alzata, iniziando a vagare anch'essa per l'angusta dimora del rock. Axl si degnò di osservarla ancora un attimo: si era infilata un ridicolo cappellino a rovescio sui capelli sporchi; aveva addirittura recuperato uno skateboard.
Stupidi ragazzini.
- Senti, dammi qualche spiccio per un cappuccino, okay? Sono in ritardo. - Non fece caso al tono autoritario con cui si rivolse a lui. Non stava davvero ascoltando quella vocetta presuntuosa; anzi, essa gli aveva dato un pretesto per perdersi nei propri pensieri, ben più importanti.
Quel pomeriggio avrebbero dovuto provare, decisamente. Erano riusciti a rimediare una nuova data al Troubadour, uno dei pochi posti che si degnava di pagarli la somma giusta, per gli ingressi che erano in grado di fare. Sospettava anche che Zutaut ci avesse messo lo zampino: qualcuno andava dicendo in giro che i Guns N'Roses in realtà facevano schifo, che ormai stavano perdendo seguito, che erano destinati al dimenticatoio.
Se effettivamente era Tom l'autore di quelle voci, beh, Axl poteva capirlo. Avrebbe fatto la stessa identica cosa, al suo posto.
Solo che il punto di vista del fregato non va a braccetto con la solidarietà.
Se effettivamente era Tom l'autore di quelle voci però, voleva anche dire che c'era qualcosa in ballo,
qualcosa di grosso, e Axl non intendeva tenere quel panzone seduto comodo nel suo studio, ad aspettare che loro tornassero strisciando, magari facendosi pagare molto meno del dovuto.
Avrebbero dovuto sudare, ma lui avrebbe sudato con loro.
Nell'immediato, l'unica cosa da fare era acchiappare quei disgraziati che aveva come musicisti e...
- ... muovere il culo, eh? Ma dico, sei diventato sordo? -
Quella tizia era ancora lì. Axl rialzò lo sguardo con l'intenzione di fulminarla sul posto, quella nullità. La biondina in risposta alzò il mento in alto, arrogante. Un formicolio attraversò la pelle del ragazzo, che per pochi istanti si sentì in grado di tirarle un gancio degno di Muhammad Alì.
- Levati dai coglioni, cretina. - Invece si limitò ad afferrarla per la maglietta a righe blu e rosse, trasciandola verso la porticciola cigolante. La mocciosa protestò, senza però riuscire ad opporsi alla sua stretta.
- Rose, la smetti di farti i complimenti da solo? -
La voce sonnacchiosa di Duff nemmeno raggiunse i suoi timpani, mentre si affacciava all'assolata Los Angeles, torrida nell'estate del 1986, sbattendo fuori della Hellhouse quella teppista. La ragazzina, in tutta risposta, gli mostrò il dito medio. - Muori, coglione. - Lanciò lo skateboard sull'asfalto con un movimento sciolto, prima di saltarci sopra e allontanarsi come una scheggia.
Axl si passò una mano fra i capelli, respirando a fondo. Aveva un piano, ma prima di tutto aveva il bisogno di lavarsi e incominciare la giornata.
Compiendo a propria volta alcuni passi fuori da quel buco demoniaco che usavano come abitazione, volse gli occhi verdi prima verso la squallida tavola calda dall'altra parte della strada, poi verso il muretto che costeggiava l'ingresso alla Hellhouse.
Un figuro in mutande bianche dormiva con la pancia sul quel cemento rovente, braccia e gambe
abbandonati a penzoloni lungo le pareti segnate dalla sporcizia.
Ecco dove aveva dormito Steven.


Know that motherfucker well, what you gon' do now?
Whatever ever I wanna do, gosh, it's cool now!
Nah gonna do, uh it's a new now.
Think yo motherfucker really real need to cool out.
Cause you will never get on top off this,
s
o mommy best advice is to get on top of this. [...]
I'm living the future so the present is my past,
m
y presence is a present, kiss my ass.
(Kanye West – Monster)


Axl Rose era un uomo con delle idee.
- Muovete il culo. -
Dopo essersi rinfrescato nel bagno della tavola calda, aver raccattato uno straccio di pranzo e aver vagato per un po' da solo nelle strade e nei vicoli di West Hollywood, aveva fatto ritorno alla Hellhouse.
Era tempo di richiamare le truppe all'ordine.
- Dai bello ci siamo appena svegliati, tregua. - Slash se ne stava stravaccato sullo stesso divano su cui aveva dormito: Axl non era sicuro si fosse mai alzato; la lattina di birra che stringeva in mano probabilmente era l'unico pasto che aveva visto in tutta la giornata.
Steven aveva già sistemato la batteria e attendeva docile, giocherellando con le bacchette in silenzio. Sembrava distrutto e probabilmente lo era: la sera prima aveva dato l'arrampicata al tetto della Hellhouse, in preda a un delirio che tutti avevano trovato divertentissimo, sul momento. Era sempre il primo ad ubriacarsi, il primo a tirare, pippare e fumare, all'occorrenza, poi però era anche il primo a farsi trovare pronto per lavorare.
Peccato si facesse sempre trovare in condizioni pessime.
- Lo sapete, cazzoni, che abbiamo finito i soldi, mmh? - Parve ignorarlo, Axl, con quella domanda pronunciata in tono estremamente tranquillo, freddo. Come se stesse parlando del meteo. Spostò lo sguardo da Slash a Izzy e Duff. Si aggiravano per la stanza con lentezza, una sigaretta accesa che pendeva dalle loro labbra, alla ricerca di effetti personali, cavi, un barlume di lucidità mentale. Izzy portava gli occhiali da sole neri nonostante la luce che filtrava dalle finestrelle del magazzino fosse decisamente esigua: alla domanda dell'amico di una vita, alzò appena il viso, storcendo la bocca senza aggiungere nulla. Sì, il buon vecchio Izzy probabilmente lo sapeva. Gli altri invece no.
- Ma che dici, io ho almeno venti dollari nel portafogli. -
Fu sempre Slash a rispondere, svuotando con una mossa da maestro la lattina, prima di lanciarla alle
proprie spalle. Per poco con colpì Duff; ciononostante, il bassista mantenere un'aura zen, imperturbabile. Axl sospettava non volesse infilarsi in una conversazione che avrebbe richiesto un buon dispendio di energie, non quando c'era Slash a far polemica per tutti.
- Innanzitutto dovresti avere un portafogli. - Fu talmente tranquillo da risultare spietato, Axl. Al chitarrista, che ebbe finalmente il buonsenso di mostrarsi stupito, lanciò il rettangolo di pelle consunta, che custodiva solo una patente logora. - Non c'erano nemmeno gli spiccioli per prendere un caffé. - Falso. Comunque, non si era nutrito granché. In ogni caso, era meglio che gli altri lo reputassero a stomaco vuoto, come loro.
- Contando quello che sono riuscito a raccattare stamattina, quello che è rimasto dal fondo emergenze e quello che non è rimasto dal fondo droga... - Continuò imperterrito, mentre Duff già infilava la tracolla del basso. Aveva capito l'antifona, ottimo. - ... Abbiamo in tutto cinque dollari. Con cui dobbiamo sopravvivere fino a sabato. -
Slash si grattò la testa. Sicuramente stava pensando a chi chiamare per rimediare qualcosa da sgranocchiare e, soprattutto, dell'altro da bere.
- Ora, sarebbe proprio un disagio se non ci pagassero perché facciamo schifo. -
Tutti sapevano che non era un'ipotesi realistica: qualche monetina l'avrebbero comunque guadagnata, al Troubadour. Di quell'affermazione, però, erano le implicazioni oltre la data in sé che iniziavano a logorarli.
Arrancare, accontentarsi di espedienti di fortuna, vivere in una catapecchia umida a cui ogni tanto staccavano la corrente, tutto quello era andato bene per un primo periodo. Anzi, l'avevano trovato quasi propedeutico: per comporre e suonare rock, devi viverlo. Avevano abbracciato la miseria, la sporcizia e la fame con filosofia. Per un primo periodo.
Ma in quel momento, le giustificazioni si erano esaurite. La gavetta era finita: ognugno di loro poteva avvertire nitidamente le lancette di un orologio immaginario, quello che dettava il tempo residuo prima del superamento della linea di confine; da un lato, la giusta fatica e le valanghe di merda da sopportare prima di raggiungere l'obiettivo, dall'altro una frustrata ostinazione per non ammettere che, forse, la stoffa per far musica davvero non ce l'avevano.
Axl ci pensava più spesso di tutti loro messi insieme, ma con la razionalità di uno stratega.
Le offerte c'erano state. Oltre a Zutaut, in altri li avevano notati e si erano messi in contatto con loro, nei mesi precedenti. A volte, i suoi compagni se l'erano presa con lui per non aver accettato, o aver avanzato richieste giudicate "troppo pretenziose". Per aver aspettato.
Axl Rose però era un uomo con delle idee. Poche, non moltissime. Sicuramente non il genere d'idee rivoluzionarie, socialmente impegnate o universalistiche che attraevano la maggior parte delle lodi o dell'attenzione persino del suo stesso pubblico.
Una di queste è che vincere non è compromesso. Non è armistizio, non è accettare un'offerta che in fondo sembra buona, basta fare qualche concessione reciproca. Non è accontentarsi.
Vincere è vincere.
Dovevano solo stringere i denti ancora un poco e premere sull'acceleratore. La Geffen non aveva intenzione di mollarli: l'atteggiamento apparentemente superiore di Zutaut non poteva trarre in inganno lui, che di vere bastonate e menefreghismo aveva vissuto tutta la vita.
Se sarebbero stati in grado di tenere le redini ancora per un po', di resistere più a lungo in quel gioco a chi ride per primo, allora avrebbero avuto tutto.
Un contratto alle loro condizioni. Le canzoni che volevano loro, in un disco. Un pacco di soldi.
- Forza, incominciamo. -
Un'altra di quelle idee era che, se la vita ti riserva limoni, allora le devi restituire ceffoni.
- Ragazzi, ma porca troia, così non va. -
Stavano pestando da più di un'ora e a malapena erano riusciti ad azzeccare un brano. Non si era aspettato nulla di diverso: era già capitato più e più volte di non avere i soldi per una sala prove con tutti i crismi, insonorizzata, un luogo dove potersi ascoltare in tutta tranquillità. In quei casi, non restava che provare alla Hellhouse, operazione che si rivelava esattamente come doveva essere.
Un autentico inferno.
- Non riesco a sentire Duff, amico. Mi concentro troppo per cercare di sentire lui e perdo il filo, bello, non è colpa mia. - Si sentiva che Steven era mortificato. La cosa bella di Steven era che, anche in quelle situazioni, manteneva sempre una flemma pacifica.
- Io invece sento solo te, Popcorn. - Quello che stava lavorando meglio di tutti era Slash, ma anche di questo Axl non era stupito. Si potevano raccontare mille e mille storie su quell'individuo pazzesco e non sempre andavano d'accordo – anzi, praticamente mai – ma era un diavolo di chitarrista.
Il ragazzo sospirò. Effettivamente, nemmeno lui avrebbe saputo dire se stava azzeccando note e ritmo, nelle orecchie aveva solo i rulli di Steven e qualcosa della chitarra di Izzy, che gli era vicino. Fu verso di lui che guardò, mentre Slash e il batterista iniziavano a battibeccare.
Izzy gli rispose con un'espressione enigmatica. Axl sospettava che stesse pensando a correggere il pezzo, a renderlo più efficace: non gli serviva un impianto perfetto per vedere la musica. Ce l'aveva in testa. Tuttavia, l'enorme sensibilità di Izzy era insieme il suo più grande pregio e il suo più grosso limite: assorbiva come una spugna ogni vibrazione dell'ambiente che aveva intorno. Se non gli risultava congeniale, perché troppo conflittuale come in quel caso, beh... la magia si bloccava.
- Piantatela. - Fu Duff a interrompere la sequela di frecciatine fra i due litiganti, anche se nessuno dei due ce l'aveva davvero con l'altro. Era solo un modo per sfogare la frustrazione. - Axl, ascolta. Non so se possiamo far meglio di così. Lo sai anche tu, questo posto è quello che è. Aspetta, magari se mi metto io qui dietro... - Pragmatico Duff. Un altro tipo di pensatore. Quello che gli era subito piaciuto era che anche lui era molto poco propenso a perdere tempo per le cazzate.
Forse però era un po' troppo realistico.
- Non fatela tragica. Pensateci un attimo.. - Axl li interruppe ancora prima che iniziassero a protestare. Sentiva su di sé lo sguardo vigile di Izzy, ma continuò imperterrito a fissare gli altri.
Izzy era già convinto, con lui non serviva insistere.
- ... okay, queste non sono le migliori condizioni del mondo. Sono delle condizioni del cazzo, d'accordo. MA, ma. Se siamo capaci di ascoltarci e di tirare fuori qualcosa di buono pure fra queste pareti di stagnola, alla prossima lo tiriamo giù, il Troubadour. -
La differenza fra Duff e Axl era che Axl ci credeva di più. Non che Duff non avesse fiducia in quella band, ma aveva comunque i piedi ben piantati a terra, cosa che a volte gli impediva di osare. Forse perché a Seattle, tutto sommato, c'era una famiglia ad aspettarlo. Larga, chiassosa e un po' inopportuna, ma comunque una famiglia.
Non aveva provato davvero la sensazione di doversi inventare qualcosa con niente.
- Avanti. Su Duff, mettiti dove hai detto, secondo me va meglio. Popcorn, ti devi ripigliare, non so cosa ti sei bevuto la notte scorsa, ma pensa che prima tiriamo fuori qualcosa di decente qui, prima torni a berne ancora e a ripassarti Christie. Dai, dall'inizio, Slash, prima hai fatto una cosa cazzuta... -
Non sempre era convinto di tutto ciò che diceva loro, ma aveva estremo bisogno che ne fossero convinti loro. Quella era la chiave di volta.
Non aveva bisogno di cercare il viso di Izzy per sapere che stava sorridendo. Ecco, lui sicuramente non dubitava di lui: aveva piena fiducia nella sua leadership, nonché nel legame che li univa.
Peccato...
- Umh? - Per qualche istante, si lasciò distrarre da qualcosa che gli parve di cogliere alla finestra. Un guizzò, come se qualcuno ci fosse passato davanti ad alta velocità. Come su una bici o su uno skateboard.
Quindi Izzy terminò di riaccordare la chitarra e fu il tempo di ricominciare.
- Cinque, sei, sette, otto. -


No, I didn't understand the thing you said.
If I didn't know better, I guess you’re all already dead:
m
indless zombies walking around with a limp and a hunch,
s
aying stuff like, "You only live once".
You got one time to figure it out,
o
ne time to twist and one time to shout,
o
ne time to think and I say we start now:
s
ing with me if you know what I'm talking about.
(Twenty-One Pilots - heavydirtysoul)



Axl Rose era un uomo con un'arma.
Il carisma.
- Ehi. - Aveva accettato che parte del piano fosse anche a Hellhouse piena ogni sera. Quando poteva, si trovava un luogo alternativo dove dormire, magari a casa di una bella signorina a cui scaldare il letto, nel frattempo. Se invece ciò non risultava possibile, beh, faceva in modo di trarne vantaggio.
Già dall'ora di cena (quella delle persone perbene, beninteso) si erano trovati il magazzino invaso da persone, alcune delle quali avevano anche portato qualcosa di commestibile.
In fondo, era buona pubblicità.
Avanzò con una birra in mano verso il luogo in cui Slash stava tenendo il solito sermone. - Insomma, non sto dicendo che Santana non sappia muoversi bene fra i generi, ma alla fine lo senti, che ricade nei suoi schemi. Non è sempre un male, ma Zappa è veramente un cazzo di camaleonte... - Si poteva scambiare per arroganza, quella foga, ma la verità era che anche lui ci credeva, un sacco.
Per questo, nonostante spesso si scornassero, alla fine lui e Axl tornavano sempre sulla stessa strada.
- Rose, come te la passi? -
- Ma è vero che avete pisciato sull'impianto del Roxy? -
- Senti Rose, mi servirebbe un consiglio. -
Axl era perfettamente consapevole dell'ascendente che esercitava sulle persone; solo uno stupido non lo sarebbe stato. E se era nel mood giusto, non esitava a sfruttarlo.
Come in quell'istante. Passò fra le differenti facce sconosciute che gli rivolsero la parola senza rispondere a nessuno dei loro approcci, ma regalando un sorriso appena accennato, alzando una mano con leggerezza.
Un po' come se stesse facendo le prove per il red carpet.
Incrociò Duff nel tentativo di raggiungere il proprio obiettivo, cioè il traballante tavolino dove avevano abbandonato alcune bottiglie di alcool scadente che i loro ospiti si erano portati dietro. Il bassista aveva il braccio attorno alle spalle di Victoria, che gli sorrise genuinamente felice di vederlo. In sottofondo, da un paio di scarsissime casse, c'era Smoke in the water.
- Ciao Freddie Mercury. - Stupida. Axl le rivolse un cenno amichevole di rimando, sollevato di vederli virare altrove. Non che la trovasse antipatica o altro, solo fin troppo disperata e decisamente troppo facile da irretire. Davvero non riusciva a capire se fosse realmente convinta che Duff non sapesse della sua cotta colossale per lui e non se ne approfittasse come tutti gli altri.
Bella era bella, anche se non era come quella Adrien.
- Un brindisi? - Una che non era affatto stupida era Christine Wu. Certo, era bravissima a recitare la parte della scema circuibile, il genere di ragazza da trascinare in branda fingendo di ascoltarne gli sproloqui su rossetti e smalti.
Gli si avvicinò per puro caso: si erano trovati nello stesso posto nello stesso istante, cioè vicino alla bottiglia di scotch di seconda categoria per poterne trarre un sorso. La giovane, i capelli pettinati di lato e l'appariscente tutina verde scuro, fu più veloce e la afferrò per prima, ingollando rapida la propria dose prima di allungarla verso di lui.
Lo osservò per un attimo, prima di dileguarsi senza aggiungere altro. Axl l'aveva notato, come quella finta sciocca in realtà era l'unica ragione per cui Steven Adler si teneva in piedi ed era effettivamente produttivo. Avrebbe voluto ringraziarla ma sospettava che Christie lo evitasse per causa sua.
Di lei.
- Senti amico, ho fatto uno squillo a Joe Canaglia. So che non vuoi i suoi qui perché Slash ci fa a pugni in genere, ma hanno una roba fantastica, cioè, proprio di qualità, capisci? E mi sono detto, piuttosto che fumare la solita merda che fa venire mal di testa e cose, meglio che Slash faccia a pugni, capisci? Fa a pugni ma poi è contento, amico... -
Mentre Steven praticamente gli scartavetrava un timpano, urlandogli nell'orecchio, Axl si guardava attorno fingendo di ascoltarlo. Di tanto in tanto, sorseggiando lo scotch, effettuava un cenno o gli rifilava un monosillabo giusto per fargli capire di continuare: non voleva che smettesse, ma non gli interessava nemmeno ciò che aveva da dire.
Chi passava vicino, non poteva evitare di guardare verso di loro.
Verso di lui.
Axl Rose aveva un'arma e non aveva paura di usarla, persino quando se ne stava fermo in un angolo, come in quel momento. Era un autentico piacere avvertire su di se tutti quegli occhi e tutta quell'attenzione senza fare oggettivamente un cazzo.
Si sentiva come un pianeta, attorno al quale ruotavano un sacco di satelliti. Lo vedeva, come tutte quelle persone erano attratte da lui. Lo divertiva pensare che molte di loro avrebbero voluto portarselo a letto.
E quella in fondo era solo la punta dell'iceberg.
Sapeva di avere le potenzialità per far innamorare e capitolare molta più gente; forse era nato per quello. Alla fine, era in grado di renderli felici, anche solo con una mossa del capo. Si limitò a lanciare un'occhiata a un gruppetto di ragazze, una più carina dell'altra, e queste immediatamente esplosero in un coro di risatine, iniziando a chiacchierare fra loro sui molteplici significati di quel gesto.
Era un do ut des. Axl elargiva loro un brivido, una scintilla che li faceva sentire speciali. Loro in cambio continuavano a confermare che lui aveva talento.
Così facile, quando tutti cercano di compiacerti.
Meno una.
- ... e insomma, le ho detto che non so, non so che succede quando mi sbronzo. Voglio dire, magari mi sarà capitata di farla, una stronzata. Ma non è colpa mia. Al massimo, è colpa del vino. Ma Christie è una rompicoglioni, senti, una favola di donna, ma rompicoglioni in una maniera assurda. -
Ad Axl cadde lo sguardo verso la parete di sinistra.
Izzy aveva un gomito appoggiato al muro e il busto proteso verso la figura ben più bassa ed esile che aveva intrappolato fra sé e quell'ammasso di materiale scadente. Le stava dicendo qualcosa all'orecchio,
mentre questa avea la schiena abbandonata all'indietro e teneva le manine, delicate, sui fianchi del suo uomo.
Avrebbe dovuto tagliarsi di nuovo i capelli, stavano iniziando a ricrescerle.
Indossava un paio di pantaloncini in jeans a vita altissima che davano quasi l'illusione che avesse delle chiappe. E una maglietta di Taxi Driver che sembrava da uomo, con un De Niro stilizzato e la scritta "You talkin' to me?". Beh, era risaputo che aveva un ottimo gusto.
Piegò le labbra rosse all'insù mentre scoppiava a ridere, evidentemente per quello che Izzy le aveva appena detto. Quindi ribatté; se si fosse impegnato un po' di più, Axl avrebbe potuto leggerne il labbiale, ma non aveva voglia di scoprire che cosa avesse detto il buon Izzy, per farla così contenta. Piuttosto, aveva voglia di scoprire come spaccargli il naso, al buon Izzy.
Era proprio un pessimo amico.
- Sei proprio sotto, eh? - Non aveva idea di quando Steven se ne fosse andato. Il magazzino si era fatto sempre più affollato e rumoroso. Qualcuno aveva cambiato i Deep Purple con Paranoid dei Black Sabbath. Axl si accigliò: al suo fianco, era comparsa la stessa ragazzina che quella mattina aveva scacciato dalla Hellhouse.
Stava masticando una gomma americana a bocca aperta, si era acconciata i capelli in due stupidi codini altri e, ancora una volta, pareva essersi vestita al buio. - Sloggia. - Le intimò.
Non voleva nemmeno pensare che le sue parole fossero effettivamente collegate a Naz Kurt.
- Sai, si nota perché in genere tu non guardi le persone, nemmeno quando parli con loro o semplicemente ci stai insieme. Te ne frega talmente poco che non li degni nemmeno di questo. Ma lei invece, oh, sei sempre attento a quello che fa, dove va, quasi volessi dirle "Ehi, sono qui". -
Axl ruotò il collo con deliberata lentezza, per rivolgere alla sconosciuta una smorfia disgustata.
- Non preoccuparti, sono tutti troppo impegnati a guardare
te per far caso a cosa stai guardando tu. -
Lei lo anticipò di nuovo. Per qualche inesplicabile ragione, Axl scelse di stare zitto: portò di nuovo la bottiglia di scotch alle labbra, ingoiandone l'ennesimo sorso.
- Sei proprio sotto. - Ripeté la giovane quindi, prima di fare una bolla con la chewing gum. Il ragazzo rispose sollevando gli occhi al soffitto umidiccio. - Non sono innamorato di lei. - Poco distante, Slash stava iniziando a discutere con un gruppo di ragazzi, probabilmente gli spacciatori chiamati a raccolta da Steven. Il colpevole invece aveva attaccato a litigare con la sua dolcissima metà.
- Questo lo credo anch'io. - L'affermazione lo stupì. Era pronto a farsi accusare di essersi rammollito, invece colse la propria interlocutice ad annuire saggiamente. - Però stai sotto. Lei ti piace da matti. -
Izzy aveva preso a baciarle il collo, mentre continuava a sussurrarle cose; Naz in risposta mostrava un'espressione estasiata, incredibilmente serena per essere una sempre sull'attenti.
Forse, più che prenderlo a pugni, avrebbe dovuto prendere appunti.
- Mi odia. - Sospirò, senza smettere di osservarli. Per un attimo, pensò che era inutile negare l'evidenza: quella strega gli aveva giocato un brutto scherzo, con il suo carattere terribile e i suoi occhioni grandi. Non era la più bella lì dentro, nè l'anima della festa. Era una barista senza speranze, con un affitto a South Central e una mamma disabile.
Ma Naz Kurt era anche un essere complesso, con un sacco di idee veramente interessanti. Nessuno ci aveva ancora scommesso, su di lei, ma avrebbe potuto fare grandi cose, Axl lo sapeva; era stata sfortunata e aveva vissuto in un contesto ostile, ciononostante era in grado di sfornare riflessioni che il ragazzo, ne era consapevole, avrebbe voluto produrre lui stesso.
Per un secondo, ebbe l'impressione che la diretta interessata avesse lanciato una fugace occhiata nella sua direzione. Fu solo un secondo.
- Non è vero. Odia quello che riesci a farle. -
Quello era il colmo. Naz Kurt che odiava quello che lui, Axl Rose, era in grado di suscitare in lei?
Proprio quella stessa mocciosa che generalmente gli passava accanto senza nemmeno dare l'impressione di averlo notato, quella che si era presa gioco del suo nome, del suo tempo e persino del suo migliore amico. Eccola, riempirlo d'affetto nonostante l'avesse tradito. Con lui. Ed era comunque tornata da Izzy.
No, improbabile che Naz Kurt odiasse come Axl Rose la faceva stare. Piuttosto, era profondamente convinto che si divertisse, a vederlo perdere le staffe, a ricevere gli insulti che il ragazzo s'inventava solo per riuscire a rivolgerle la parola, a osservarlo perdere qualsiasi parvenza di autocontrollo e nonchalance in sua presenza.
Di fronte alla magnifica Naz Kurt, perdeva sé stesso. Smetteva i panni di Axl Rose per diventare...
- Dovresti dirle la verità. -
...
fottutamente patetico.
- Levati dal cazzo. -
Senza preavviso, Axl lasciò la ragazzina al tavolo, avanzando nel cuore della festa. Altre parole gli scivolarono addosso senza catturarlo, altri visi si volsero in sua direzione. Colse Slash assestare un
poderoso gancio a Joe Canaglia, dando così inizio alla rissa della serata.
Aveva bisogno di un diversivo.
E fu così che Axl si beccò una bottiglia in fronte.


She said it's not now or never, waiting years we'll be together.
I said better late than never, just don't make me wait forever.
Oh my love, can't you see yourself by my side?
I don't suppose you could convince your lover to change its mind,
I was doing fine without ya, 'til I saw your face, now I can't erase.
[...] Is this what you want, is this who you are?
I was doing fine without ya, 'til I saw your eyes turn away from mine.
(Tame Impala – The less I know the better)


Axl Rose era un uomo con un problema.
La prima cosa che realizzò fu il dolore lancinante che provava appena sopra la tempia sinistra. C'era anche una sensazione di caldo e umido, quindi immaginò di stare perdendo sangue.
La seconda fu che era disteso nel bel mezzo della Hellhouse. Doveva essere caduto all'indietro, anche se era presto per sentirsi indolenziti a causa del colpo. Sbattè le palpebre, senza riuscire a mettere a fuoco subito: sentiva attorno a sé un brusio nervoso. Allora non se l'era solo immaginato, di essere centrato in pieno da una bottiglia.
La terza cosa in realtà erano due, due paia di gambe che lo sovrastavano, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Da un lato, quelle lunghe e dinoccolate di Izzy Stradlin, che era chino su di lui con espressione alquanto stupefatta e angustiata, come se non riuscisse a credere a quello che era appena caduto. Dall'altro, il paio di nudi ed esili stecchini, che proseguivano in un busto sottile a cui erano state incrociate delle braccia pallide, per terminare col viso, i bei lineamenti distorti in una smorfia caustica e diffidente, di Naz Kurt.
Il problema.
- Ehi. Ehi, come ti senti? Cazzo, per un momento ho pensato fossi morto. - Fu Izzy a parlare, chinandosi su di lui per allungargli un braccio. Axl lo afferrò, ancora incapace di spiccicare parola. Era accaduto tutto in fretta e, a giudicare dalla sofferenza che stava provando, quel diversivo gli era appena costato un pezzo di cervello.
Una mano bloccò il suo tentativo di rialzarsi, proprio all'altezza del petto.
- Aspetta un attimo. Se si rimette in piedi ora, sta sicuro che ripiomba a terra pure peggio. Lascialo stare giù ancora un po'. - Persino in quel frangente la ragazza riusciva ad essere irritante, parlando di lui in terza persona, come se non fosse lì a guardarle le gambe.
Persino con la testa squarciata, Axl sentiva la voglia di risponderle malamente, di restituirle lo sprezzo.
- Adesso sei pure un dottore, stronzetta? -
La vide ritrarre la mano, come se si fosse scottata. Accusò il colpo di quegli occhi indecentemente grandi che lo squadrarono, ancora una volta, come se fosse un microbo. - Come vuoi. Dissanguati, Rose. -
- Oh che cazzo succede qui? - La voce di Slash accompagnò l'uscita di scena di Naz, che gli diede la schiena. Izzy invece rimase, troppo impegnato ad essere un ottimo amico per accorgersi dei sottintesi di quello scambio. - Amico, stai sanguinando. -
- Ma guarda. Pensavo stesse piovendo dentro. -
- Beh, non si è fatto troppo male, direi. - Quella era la voce di Duff che commentava in tono ilare, in un punto che il suo sguardo non poteva raggiungere. Suo malgrado, Axl rimase ancora un poco disteso, aspettando che la testa smettesse di girare.
- Va bene! Si è preso una bottigliata in testa e nessuno esce di qui finché non scopriamo chi cazzo è stato. - Mentre Slash si occupava delle priorità, ciò difendere il territorio e far rispettare il buon nome dei Guns N'Roses, Axl passò una mano sulla fronte, raccogliendo molto più sangue di quanto si aspettasse. Izzy portò la sigaretta che stava fumando alle labbra, prima di scuotere il capo. - Sanguina come il demonio ma non è profondo, ti ha preso di striscio. Secondo me se ci butti una bella bottiglia di alcool sopra, disinfetti e ti togli il pensiero. -
Duff intanto nel frattempo si era allontanato, per spingere i rissaioli fuori dal magazzino prima che coinvolgessero tutti nel loro scambio di convenevoli. Izzy lo aiutò ad alzarsi, mentre attorno a lui parecchia gente si sincerava di come stesse. Alcuni parevano genuinamente interessati.
Rassicurante.
- Grazie, bello. - Axl assestò ad Izzy una poderosa pacca sulla spalla, in una dimostrazione d'affetto maschile quasi noiosa, tanto era cliché. L'amico però sorrise, prima di indicarsi alle spalle. - Se non hai
bisogno d'aiuto, io andrei a recuperare... -
- Vai, vai. - Che gliela trascinasse lontano, quella strega.
Si ritrovò improvvisamente circondato da persone di cui non gli importava nulla, che però si offrirono di lavargli la ferita con una bottiglia di Pampero oppure di trovare un posto dove farlo sedere. Fu facile riadottare la stessa tattica: non parlò molto, ma ringrazio e mostrò con piccoli gesti di apprezzare quelle premure. Di apprezzarle e basta, non di necessitarne. Dispenso sorrisi appena accennati e monosillabi, finché le cure non divennero ancora più amorevoli.
- Spero non ti resti la cicatrice. - Squittì una fanciulla che forse si chiamava Jenna, o Maryl, mentre due ceffi che Axl credeva di aver incrociato due volte continuavano ad esclmare. - Amico, tu eri a terra, a terra, capisci? E poi di nuovo in piedi, cioè, troppo tosto. -
Desiderava solo che smettessero di chiamarlo "amico".
Aveva un enorme problema.
Un'altra cosa che Axl non sopportava, quando gli toccava incrociare Naz Kurt, era che dopo quegli scambi di dubbia educazione o quegli sguardi rubati, non era in grado di pensare a nient'altro. Come avrebbe potuto risponderle diversamente, come comportarsi se l'avesse incontrata di nuovo.
Non riusciva a godersi appieno nemmeno il frutto del suo talento, persino in una situazione come quella dove a disposizione aveva Signori Nessuno pronti a leccare la terra dove camminava.
Lei e Izzy, che coppia. Lo portavano distante anni luce dall'unica persona persona di cui aveva imparato, in anni più oscuri e remoti, a preoccuparsi.
Sé stesso.
- Tutto apposto, Elton John? Non stai parlando le lingue, vero? -
A un certo punto, si era sganciato e aveva riguadagnato la propria postazione da osservatore in un angolino. Non aveva idea di quanto fosse passato: si sentiva appicicaticcio per via del rum sulla testa e stava tentando di dare la colpa a quel fattore, se provava l'ardente desiderio di allontanarsi da lì.
Non risultava credibile nemmeno a sé stesso. Axl Rose non scappa da una festa di cui è il padrone di casa perché ha i capelli spettinati.
- Senti, cocca, mi stai seguendo? - Finì di rollare la propria sigaretta, prima di lasciarla penzolare alle labbra. La ragazzina aveva gettato la gomma, apparentemente, per concedersi invece una lattina di birra. - Ce li hai almeno, sedici anni? - Domandò, cercando l'accendino.
- Lo sai anche tu, che prendertela con me non calmerà i tuoi istinti. Stavi praticamente sbavando. - Sghignazzò. Axl inspirò a fondo: era ancora socialmente non accettato picchiare una donna, specie se così giovane. Doveva controllarsi. - Forse dovresti fare un giro, prendere un po' d'aria. -
- Tu sei la risposta di Los Angeles a una domanda che nessuno ha posto, vero? -
La giovane, ancora una volta, non sembrò stupirsi della reazione astiosa di Axl. Fece spallucce, prima di proseguire imperterrita. - Dico sul serio, dovresti parlarle. Non fa bene alla tua concentrazione. -
Fece un ultimo tentativo per ignorarla, lei e quella sua vocina.
Naz e Izzy sembravano essersi volatilizzati nel nulla; probabimente avevano preso la macchina, per potersi appartare a dovere, lontano da tutti quegli zotici che non avevano alcun potere sulla loro felicità. Christie e Victoria erano rimaste le uniche a ballare, da sole e fuori tempo.
Quand'era finita la festa?
Era certo che fuori stesse già iniziando ad albeggiare. Adler già dormiva, collassato dopo l'assunzione di chissà quante sostanze diverse. Non riusciva a vedere Duff e Slash, ma era certo che li avrebbe trovati fuori, magari a spararsi l'ultima pera della serata.
Stupidi ragazzini.
- Dovresti darti una calmata, Will. Se continui a infognarti in questa storia, influirà pesantemente sulle tue prestazioni. Prendi una decisione. Se scegli che è importante, che vale la pena spenderci delle energie, allora affrontala e poi accetta le conseguenze del tuo gesto. Se invece preferisci fare la brava persona e non metterti fra lei e Izzy, allora lasciala perdere, ma per davvero. Impara a parlarci normalmente, a non controllare ogni suo gesto, a dimenticartela. Altrimenti finirai per sputtanare anche tutto il resto e non te lo puoi permettere. -
Non avrebbe davvero saputo dire da chi di loro fosse venuto, quel pensiero.
Chiuse gli occhi per qualche istante. La testa ancora pulsava da morire, ma non era certo quello, a fare più male. E nemmeno Naz Kurt e Izzy Stradlin. No, niente era doloroso come la fame che sentiva dentro, che pervadeva ogni centimetro del suo corpo e che l'aveva accompagnato da quando aveva lasciato Lafayette. Anzi, da prima, da quando aveva lasciato William Bailey.
- Senti, scarto di femmina dimenticato da Dio. - Le puntò il dito contro con deliberata lentezza: la vide indietreggiare, i codini scarmigliati e l'espressione sbigottita. Axl sapeva di avere, stampata in faccia, la stessa determinazione dei condottieri e dei serial killer.
- Non ho bisogno della vocina della coscienza che mi suggerisce che fare. Io lo so già benissimo per conto mio, cosa devo fare e cosa serve per ottenere ciò che voglio. L'ho sempre saputo. Non lo dimentico
soltanto perché un discografico non mi ricontatta o perché una demente decide di diventare materiale da seghe, anche se sta col mio amico.
Quindi apri bene le orecchie: non mi provocare. Non cercare di ficcarmi in testa paranoie o dubbi che non ho, come una specie di lavaggio del cervello. Perché lo so benissimo che non si pongono proprio, questi dubbi, e sai come lo so? Perché ho un piano. È tutto qui. So che devo fare se voglio mandarlo in porto e non permetterò a nessuno di incasinarmi il cervello. Nemmeno a una ragazzina. -
Nemmeno a sé stesso.
Un'infinità di tempo dopo, sul volto della giovane comparve un sorriso. Non era un ghigno di scherno come quelli che gli aveva riservato fino a quel momento, ma un autentico segno di soddisfazione.
- Beh... che dici, scopiamo? -
Axl si allontanò di un passo, senza timore. Si sentiva decisamente più calmo, dopo aver messo in chiaro le cose; rispose con un'alzata di spalle e un'occhiolino.
- Magari dopo. -
Quando ormai fu mattino e la Hellhouse ritornò alla solita tranquillità, fatta del sonoro russare dei suoi inquilini, della puzza di chiuso e sudore e del rumore delle macchine che passavano fuori, Axl rammentò a sé stesso un'altra delle sue idee, quella più importante.
Non doveva niente a nessuno, se non a sé stesso.
E si addormentò.


I got a penny for my thoughts,
I got a dollar for my blouse,
I got a message for the lover,
I got a message for myself.
Now don't you know I gotta live?
I wanna be without you in that deep blue sky,
s
ee, I found myself sitting there when I was getting high.
(Tash Sultana – Cigarettes)










OFF ZONE:
Holy shit I did it.
Questo è stato in assoluto una delle cose più difficili che mi sono trovata a scrivere. Avevo un'idea in testa e non avevo intenzione di mollarla, quando ho deciso di scrivere un intero capitolo solo su Axl Rose. Solo che ovviamente, nella stesura, si sono presentate alcune comprensibili difficoltà.
Innanzitutto, è sempre difficile relazionarsi con un
tête-à-tête con un personaggio che in realtà esiste, nella vita reale. Quando scriviamo fanfiction su persone realmente esistenti ovviamente ce ne appropriamo, possiamo cercare a grandi linee di intuirne il carattere da interviste e biografia, ma alla fine quello che ci mettiamo è soprattutto una nostra visione delle cose. L'Axl di Love will tear us apart lo sento particolarmente "mio", come se fosse un personaggio totalmente uscito dalla mia fantasia, fra l'altro. Ma c'è comunque lo spettro della realtà che va considerato. Questa è stata un mio cruccio fin dal principio: evitare l'effetto macchietta e lo stereotipo dato da un personaggio discusso come Axl Rose, ma tentare anche di restare fedele alla realtà.
Sono conscia del fatto che gli è stato diagnosticato un disturbo bipolare (tra l'altro, credo che lui abbia dichiarato di non credere al responso), cosa che per me ha costituito una doppia difficoltà. Non ho volutamente affrontato la questione: non credo di avere le competenze per descrivere perfettamente i sintomi di una malattia del genere, quindi ho provato a tenermi nebulosa, ma ovviamente è stato arduo, visto che ho voluto a tutti i costi fare un capitolo POV Axl. Hai voluto la bicicletta, Charlie? Pedala.
Ora, la ragazzina sconosciuta. Lo ripeto, avevo un'idea in testa. Non voglio dilungarmi in spiegazioni proprio perché la sua presenza, identità e ragion d'essere non sono fatte per essere spiegate nelle note dell'autrice. Riporto solo che la soggettA è stata ispirata da due cose, fondamentalmente: uno, Axl ha una sorella minore, Amy; due, avevo letto una storiella sulla vita dei Guns a LA pre Appetite, per cui Axl era stato accusato da i genitori di una minorenne che bazzicava la Hellhouse di aver abusato di lei, dopo
una storia abbastanza sordida.

PER AMORE DEL DIRITTO D'AUTORE:
Credo che la Siae abbiamo messo una taglia sulla mia testa.
Allora, heavydirtysoul, da cui deriva il titolo, è un brano dei Twenty One Pilots. Questa è una cosa che è cambiata: inizialmente infatti avevo pensato a un'altra canzone, poi ho riascoltato questo pezzo e mi sono detto "okay, ci siamo".
Ci tengo a precisare che Kanye West è sicuramente stato uno dei miei animali guida, nella creazione di questo Axl.
Tutti i dettagli della vita nella Hellhouse sono liberamente ispirati a
questo articolo, che ho reperito su Medium.
Smoke in the water è IL pezzo dei Deep Purple.
"
Così facile, quando tutti cercano di compiacerti.", liberamente tratto da It's So Easy degli stessi Guns N'Roses, che mi è sembrata particolarmente adatta alla situazione.
È spiegato anche nel capitolo, ma Taxi Driver è un film del 1976 diretto da Martin Scorsese: come protagonista, il Dio Robert De Niro.
"
Va bene! Si è preso una bottigliata in testa e nessuno esce di qui finché non scopriamo chi cazzo è stato." libera citazione da Trainspotting. Rega, un giorno mi farò perdonare per aver dipinto Slash così irrimediabilmente cazzoide.
"
Tu sei la risposta di Los Angeles a una domanda che nessuno ha posto, vero?" libera citazione da I Simpsons, per la precisione episodio 8x08.
Credo sia tutto.

See ya!

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Capitolo 4
*** Heartlines ***


Skies of rust – Capitolo IV





Heartlines
Everything I feel returns to you somehow






Oh the river, oh the river, it's running free,
and oh the joy, oh the joy it brings to me,
but I know it'll have to drown me
before it can breathe easy.



Naz non odia Los Angeles, ma sicuramente ha una relazione complicata con questa città.
Mette in moto la vecchia Fiat, per immergersi nel traffico di Studio City.
Ha parlato per ore con persone che vogliono una fetta di Beverly Johnson e ora ha solo voglia di star zitta.
“Eeee buonasera Los Angeles, un altro venerdì sera è alle porte! Vi immagino, mentre vi preparate, stasera sulla Strip abbiamo un paio di seratine interessanti, al Melt sulla decima...”
Sorride. Non le manca poi troppo, prepararsi per il venerdì sera.
Svolta a destra. Deve passare a prendere Danny al St. Clèmentine. Sicuramente arriverà in ritardo.
- Era il 1983 quando questo gioiellino dei Toto ha raggiunto la testa di Billboard Hot 100... -
Un semaforo rosso.
Stringe il volante con una sola mano, mentre appoggia un gomito sul finestrino. Entra una nube tossica dalla strada, ma fa talmente caldo che è disposta a sopportare lo smog. Passa la mano libera sulla bocca.
Le scappa una risatina che riesce a trasformare in uno sbuffo.
-
I hear the drums echoing tonight but she hears only whispers of some quiet conversation... -
Sposta lo sguardo verso l'asflato e i palazzoni
che la circondano con un sorrisetto che illumina il viso stanco, da lavoratrice.
Probabilmente sembra un po' scema, mentre se la ride da sola, in macchina.




So let them say we won't do better,
lay out the rules that we can't break:
they wanna sit and watch you wither
their legacy's too hard to take.

Oh, we said our dreams will carry us
and if don't fly, we will run.
Now we push right past to find out
or either win what they have lost.
(Santigold – Disparate Youth)


- Fatelo stare zitto, vi prego, o faccio una strage. -
- Togli le mani dalle chiappe, animale! -
- Qualcuno mi può passare un accendino? -
- Ehi, ehi, sorella! Sei proprio un bel pezzo di gnocca! -
-
The moonlit wings reflect the stars that guide me towards salvation... -
La macchina avrebbe ceduto da un momento all'altro, non ci voleva un genio della fisica per prevederlo. Naz accarezzò il volante della vecchia Fiat quasi a incoraggiarla, prima di frenare un po' troppo bruscamente a un semaforo. Di norma era un'eccellente guidatrice, ma al momento era impegnata
a non farsi distrarre.
- Non ce la posso fare. - Il problema erano gli addominali che stavano iniziando a farle male, a causa dell'eccesso di risate. Era lo specchietto retrovisore che le permetteva di avere una visione pressocché completa delle cinque persone che erano schiacciate sui sedili posteriori e che stavano formando un groviglio di arti e disagio. Era stato Duff, lo spilungone, ad aver conquistato il sedile anteriore: ora le ostruiva completamente la visuale per sporgersi dalla sua parte e fischiare a una splendida creatura, beatamente intenta a passeggiare.
- La mano è
scivolata, Slash qui ha bisogno di spazio e Vicky ha messo su qualche kil... AHIA! -
-
It's gonna take a lot to drag me away from you! -
Il problema era Steven Adler che cantava i Toto.
- Ti giuro, se non la pianti ci faccio schiantare tutti. - Con le labbra ancora contratte nel vano tentativo di contenere la risata, Naz tentò di minacciare il colpevole di tanta ilarità, puntando il dito contro la sua immagine riflessa nello specchietto. Il batterista spuntava da dietro una quietissima Christie, seduta sulle sue ginocchia come se queste fossero un trono: era molto concentrata sul limarsi le unghie, per nulla turbata dal caos attorno a lei. Nonostante la lunga figura della ragazza, i capelli biondi e arruffati di Steven erano perfettamente visibili, così come la sua performance: con voce soave quanto un trapano a pedali, il ragazzo si stava esibendo nel più passionale omaggio a David Paich, con tanto di mano sul cuore ed espressione contrita. In risposta alla minaccia, Steven indicò il soffitto dell'auto con sguardo rapito e ardente.
- I bless the rains down in Africa! -
- Devi capire che Slash ha dei bisogni e... Vicky, piantala di agitarti! -
- Io. Non. Sono. Ingrassata. -
- Adesso parli anche in terza persona? -
- E tu spostati, coglione! -
Naz tentò di assestare una gomitata alla spalla di Duff, il quale però si scostò appena in tempo, esibendo una matura linguaccia. Colta alla sprovvista, la ragazza perse un poco di presa sul volante con l'altra mano, facendo sbandare appena l'auto. Irritanti suonate di clacson si levarono dalle vetture che avevano avuto la sfortuna di capitare dietro la Fiat, insieme alle proteste di tutti i passeggeri, meno Christie e Steven.
Ebony assestò un'altra gomitata a Slash, cercando di ricavare un po' di spazio per le proprie natiche, nell'angusto sedile di mezzo. - Naz, stai cercando di ammazzarci tutti? - Commentò, delicata come al solito.
- The wild dogs cry out in the night as they grow restless, longing for some solitary company! -
- Le donne non sanno guidare. - Duff fece spallucce, accompagnando la propria persa di saggezza a un'espressione solenne, prima di appiattirsi contro il proprio finestrino per difendersi dall'ennesimo pugno di Naz, sorridendo come un monello. - Io guido come il fottuto Nicki Lauda! -
Era l'estate del 1986. Quel delirio, nonché il tentativo di beccarsi almeno quattro multe per diverse infrazioni del codice della strada, non erano nulla di speciale. A Naz era stato richiesto di recuperare Christie e Steven al ristorante vietnamita dove la ragazza aveva offerto il pranzo al proprio uomo da passeggio: aveva accettato l'ingrato compito senza fiatare, tanto sapeva che protestare non sarebbe servito a nulla. Inoltre era il giorno libero di Mason e lei ne avrebbe comunque approfittato per passare alla Hellhouse.
Poi aveva scoperto che Christie aveva generosamente offerto il pranzo a due persone in più rispetto a quelle che la sua macchina poteva contenere.
- Stavolta mi ritirano la patente. Che non ho. Stavolta mi sbattono dentro. -
- Vicky smettila di agitarti, cazzo! -
- Ehi Nazi, è una volante quella? -
- Non finché non ti rimangi quello che hai detto, maiale con la parruc... oh! -
- Ti avevo detto di non agitarti, col culo sopra al mio pacco. -
- Naz, gira alla prossima a destra, se andiamo diritti come minimo c'imbottigliamo a Koreatown. -
- ... frightened of this thing that I've becoooome. -
- ZITTI! - Per qualche istante, nessuno fiatò Non serviva avere visuale sullo specchietto retrovisore per percepire lo sguardo omicida di Naz Kurt. O la sua plateale intenzione di farli schiantare tutti contro un autobus.
Poi Christie Wu parlò.
- It's gonna take me a lot to drag me away from you! -
C'era del terapeutico, in quel caos. Qualcosa d'incredibilmente inebriante, un po' come i tranquillanti che si riuscivano a rimediare a Skid Row per qualche dollaro.
In quell'ultimo periodo, a Naz Kurt era capitato spesso di sentirsi sola: le sembrava che lei, beh, tutti loro in realtà si trovassero a un bivio. Era stata un'estate torrida, che era apparsa lenta da morire, ma il
tempo era trascorso in verità con una velocità drammatica, come un treno in corsa: la sensazione, anche se era ben lontana dall'ammetterlo, era di essere sui binari, spettatrice inerte, incapace di spostarsi dalla traiettoria di quella macchina impazzita. Fuori controllo, eppure immobile.
Quella frustrazione la stava consumando, se ne rendeva conto. Come si rendeva conto di riversare spesso e volentieri quel tortuoso groviglio di emozioni su chi le stava attorno, senza riuscire a impedirselo. Si trasformava nel peggiore degli esseri umani: intrattabile, rude, piena di una rabbia incontenibile.
Poi c'erano quei momenti in cui i suoi amici, quei pirati disadattati che sembravano tuffarsi nelle giornate di rincorsa, lanciandosi nel buio, quei soggetti riprendevano a far casino attorno a lei. Come se nulla fosse accaduto.
Era un suono dolce, quello di quel casino. Riusciva a sopraffare, per un po', le domande e i sussurri che invece la tormentavano quando attorno a lei c'era il silenzio.
Forse non era la soluzione.
Ma diamine, almeno si sentiva in vita.
- Ragazzi, volete un preservativo? - Ebony sembrava aver perso la voglia di dare indicazioni e osservava a braccia conserte Slash sussurrare qualcosa all'orecchio di Victoria. Il ghigno serafico non le arrivava agli occhi.
- Nazi, pensi che ce la faremo? - I capelli di Duff erano diventati un nido di nodi, grazie all'aria che entrava dal finestrino. Gli occhi da gatto di strada fissavano i muri ricoperti di graffiti senza davvero vederli, in contemplazione di qualcosa di più grande di una città come Los Angeles.
Naz sbuffò. - Ma certo. - Il tono della sua voce era deciso, carico di aspettative. Poi nello svoltare a destra per imboccare una scorciatoia verso Hollywood, scosse il capo. - Aspetta, a fare cosa? -
- Ad arrivare vivi alla Hellhouse! -
- Ahia Steve, mi hai infilato un dito nel naso! -
- Aspetta, il vestito è nuovo, non posso sgualcirlo. -
- Hurry boy, she's waiting just for you! -
- Ti giuro, vorrei insultarti ma proprio non ce la facc... - Le parole morirono in gola a Naz, quando una risata tornò a scuoterle il torace. Ruotò il volante, svoltando di nuovo senza mettere la freccia: dietro di loro, qualcuno maledisse tutte le loro famiglie. - Christine, fallo smettere, non riesco a concentrarmi! - La diretta interessata era tornata a curare meticolosamente le proprie unghie dopo aver ridato il là a Steven, il quale non sembrava turbato dall'avere solo pochi centimetri di spazio vitale: si dimenava come se fosse stato davvero lui, il cantante dei Toto.
Infine anche Duff scoppiò a ridere a crepapelle e la protesta contro Steven perse di senso. Nel momento in cui Naz smise di tentare di fermare quel carosello, inspiegabilmente tornò a guidare con decenza, ma questo non lo notò.
Dietro, Christie decise che la sua opera di limatura era completa e si unì quindi alla performance del suo ragazzo, cosa che irrimediabilmente fece capitolare anche Ebony. Forse quest'ultima voleva solo una scusa per dare le spalle alla coppietta al suo fianco, ma fu abbastanza brava dal nasconderlo.
I due interessati impiegarono comunque poco per rimandare il tête-à-tête a più tardi.
Il canto si diffuse. Come una rivoluzione o una malattia, a seconda dei punti di vista.
- I bless the rains down in Africa,
I bless the rains down in Africa,
Gonna take some time to do the things we never had ooh ooh! -
In fin dei conti, non c'era nulla di così irrimediabile.
- Grazie, grazie, troppo gentili, vi amo anch'io! -
- Giuro che mi sta andando in cancrena una gamba. -
- Oh possiamo fermarci alla prossima a destra? Fanno un pollo alle mandorle g e n i a l e! -
- Adesso però cambiamo stazione. -
- La. Canzone. Più. Bella. Del. Fottuto. Universo. -




And I've seen it in the flights of birds,
I've seen it in you, the entrails of the animals,
t
he blood running through, but in order to get to the heart
I think sometimes you'll have to cut through, but you can't.


Non riesce davvero a nasconderla, quella faccia da scema.
- ... Ma adesso facciamo un piccolo salto in avanti, sempre di hit da classifica parliamo, un frontman unico nel suo genere! Indovinate di chi stiamo parlando? -
Perde il filo di ciò che sta dicendo lo speaker.
Naz prova sentimenti contrastanti riguardo ai ricordi: a volte questi sprazzi sembrano lontani anni luce, i pezzi della vita di un'altra persona; altre invece sembra ieri.
Ma la verità è che, nella maggior parte del tempo, è troppo impegnata a pensare a Daniel.
- ... e quindi torniamo nel 1986, questi sono Prince & The Revolution per voi. -
Cielo.
Sono così cambiate. Lei e Christine. Anzi, al di là degli eventi più o meno significativi che hanno differenziato le loro vite, Christine è quella che è sicuramente cambiata di più. In apparenza.
Non c'è nessuno che la riconosce ora, quando incrociano qualche vecchia conoscenza per strada. Tutti stupefatti, colti alla sprovvista da quello che era all'unanimità considerata come un pericolo sui tacchi a spillo.
Naz li compatisce, sorridendo.
Il semaforo è verde, preme sull'acceleratore.



Not a thing in the world could get between what we share,
n
o matter where you at, no worry I'll be there.
No one's got your back like I do,
e
ven when the business not going well, we still do.
When I shine, you shine, no ways on your side.
All my life you'll have what's mine:
m
ark my word, we gon' be alright,
m
y brother, my sister we gon' be just fine.
(Mapei – Don't wait)



- ... don't have to be beautiful, oh, to turn me on! I just need your body, baby... -
Christie Wu, quando prendeva il controllo della radio dal sedile del passeggero, riusciva ad essere una presenza ingombrante.
Più del solito, insomma.
Naz aveva mal di testa, tanto per cambiare. Non che avessero combinato qualcosa di particolare la sera prima: si era spaccata la schiena dietro il bancone di Big Bull e, per ingannare l'attesa e la fatica, ogni mezz'oretta si era versata uno shot di tequila. Poi era tornata a casa barcollando, senza nemmeno rendersi conto di essersi ubriacata. Al suo risveglio, era stata contenta di non aver incrociato Mason.
-
You don't have to be cool to rule my world! Ain't no particular sign I'm more compatible wiiith... -
- Puoi abbassare la voce? -
La domanda le uscì in un tono molto più acido del dovuto e di ciò si pentì immediatamente. Tuttavia, per delle ragioni che non avrebbe saputo spiegarsi, Naz non chiese scusa: continuò a guidare per le strade di South Park, corrucciata e con la sensazione di avere esagerato bloccata in gola.
Christie sembrava non aver udito una singola parola, ma gradualmente il suo gesticolare si fece più moderato e il suo canticchiare si fece lieve.
- Quindi che avete fatto ieri sera? -
Naz si maledisse: adesso invece quella domanda era suonata eccessivamente premurosa, innaturale. Mentre si fermava ad un incrocio, ebbe anche la netta impressione che pure Christie la pensasse allo stesso modo. Le lanciò un'occhiata di straforo e gli occhi da fatta dell'amica, che fissava con la solita espressione leggera il marciapiede, si erano assottigliati un poco.
- Oh, il solito. I ragazzi hanno provato per un po', poi è passato a trovarli Chuck, sai Chuck, quello che lavora al chiosco dei gelati che sta... -
Diede un colpo di clacson provvidenziale ad una Ford che si era dimenticata di mettere la freccia prima di svoltare, scaricando un poco di tensione.
In quel periodo, Naz si chiedeva molte cose. Una di queste era senza dubbio da quando avesse smesso di comportarsi da persona perbene nei confronti della sua migliore amica.
A dire la verità, sapeva di essere diventata tremenda con tutti. Con Izzy, con Mason, con chiunque avesse a che fare con lei. Naz non aveva mai finto di avere un carattere facile e non era mai stata incline ad addolcire la pillola alle persone che aveva attorno a sè.
Ma con Christie non era mai stata orribile.
- ... E quindi Stevie ha risposto: "Ma no che non viene, non la vedo da una vita", ma poi la troia si è presentata, però io ho fatto finta di nulla e sono stata di classe perché sono superiore. -
Prince continuava a cantare mentre Christie proseguiva col suo racconto; Naz ascoltava solo a tratti, mentre s'infilava nell'ennesimo imbottigliamento. Erano quasi le sei di sera, l'ora di punta.
Frenando, sospirò rassegnata prima di cercare una sigaretta da accendersi.
- Chris, perché stai ancora con Steven? -
A bruciapelo. Non riuscì a spiegarsi come mai quella domanda le fosse balzata in testa e perché l'avesse posta proprio in quel momento. O, meglio, c'erano mille possibili spiegazioni relative allo stato della sua vita, ma preferiva non pensarci.
Christie rimase in silenzio un po' troppo a lungo per i suoi gusti, quindi Naz si voltò ad osservarla: l'amica sembrava tranquilla, guardava il traffico avanti a sè con un sorriso leggero sul volto.
- Perché lo amo. - Fece addirittura spallucce, ma il tono tradiva una miriade di sottintesi in quella frase.
- Sì, ma... - Naz abbassò ancora di più il finestrino per poter tenere la sigaretta fuori dall'abitacolo, mordendosi in labbro inferiore. Era indecisa. - ... perché stai ancora con lui? -
L'amore era senza dubbio una cosa meravigliosa, ma non era abbastanza.
- Beh, lo sai. - Christie era sempre incredibilmente rilassata quando si trattava di affrontare discorsi seri: li faceva sembrare delle digressioni sul meteo, il che poteva avere un effetto calmante o irritante, a seconda del momento. Naz si sentì irrequieta: portò la sigaretta alle labbra, mentre distoglieva lo sguardo da quel viso da gatta.
- Steven non mi fa domande e non pretende risposte. È una persona semplice, che non mi chiede se ho particolari programmi ed è felice di passare una giornata a far niente. Mi ascolta, la maggior parte delle volte. - Christie s'interruppe, storcendo le labbra al proprio riflesso nello specchietto retrovisore, prima di voltarsi a lanciare a Naz una lunga occhiata. - Considerato questo, immagino che il motivo per cui sto ancora con lui sia più un problema mio che suo. -
La sigaretta era finita troppo in fretta. La ragazza la lanciò verso il marciapiede, senza curarsi del rischio di centrare qualche passante. Quindi si passò una mano fra i capelli.
- Sì, ma... - Iniziò, poi però le mancarono le parole. Si azzardò quindi a lanciare un'occhiata verso l'amica.
La cosa meravigliosa di Christie era che non l'avrebbe mai messa volontariamente a disagio. Oh, era inappropriata e chiassosa come poche cose sulla faccia della Terra, sempre pronta a riversare un po' di brio irrichiesto sul prossimo. Adorava essere esagerata e cercava la competizione femminile, ma solo per questioni di pochissimo conto. Aveva odiato Victoria solo fino a quando la situazione non si era fatta seria, a quel punto era diventata un angelo.
Non l'avrebbe mai messa volontariamente a disagio, perché sapeva quanto delicata fosse quella conversazione apparentemente innocua. Era disposta a fingere di non sapere che Naz non stava affatto parlando di lei e Steven. E Naz ne era perfettamente consapevole.
- Nel senso, ad un certo punto tu andrai all'università. Perché ci andrai, no? -
Christie stava controllando lo stato delle proprie sopracciglia quando Naz si azzardò a guardarla ancora. - Ma sì, alla fine sì. Sto inquadrando le possibilità che ho di combinare qualcosa di utile. Quando avrò beccato quella che mi soddisfa, non credo che continuerò a stare con Steven. E anche lui avrà probabilmente bisogno di qualcosa di diverso, sai? Perché credo che diventeranno abbastanza famosi e a quel punto deve avere accanto una persona che sia disposto a seguirlo, in tutto il successo ma anche in tutto il casino che arriverà. E quella persona non sono io. -
La fila di auto iniziava a scorrere, lentamente, verso il semaforo. Riaccese il motore, grata di doversi riconcentrare sulla strada: improvvisamente, era diventato difficile guardare Christie.
- Ma allora dell'amore cosa resta? -
Poté poi avvertire il sorriso dell'amica nella sua risposta.
- Ma sai, dell'amore resta quello che conta. Quando smetti di stare insieme ad una persona, non è vero che tutto se ne va. Se due strade si dividono, quello che c'è stato non scompare. E quello che c'è fra me e Steven non è meno reale solo perché sappiamo che ci dovremo dividere. -
A Naz quelle parole suonarono estremamente dolorose. Solo dopo molti anni, ne avrebbe capito il senso.
- Dell'amore, alla fine, resterò io. -
Mentre premeva l'acceleratore per tornare finalmente a sgusciare nel traffico, Naz s'interrogò inevitabilmente su cosa sarebbe rimasto di lui, quando tutte le incognite nella vita di Izzy avrebbero trovato un risposta.
Allora non lo realizzò, ma più tardi comprese che Christie sapeva esattamente cosa le frullava per la testa e per lei aveva paura. Certo, non sospettava minimamente la proporzione del disastro che stava per abbattersi su di loro.
Ma mentre si sistemava i capelli e con una mano cambiava stazione, Christine Wu era già pronta a scendere in guerra al fianco di Naz Kurt.
- Uuuuh ferma, ferma! -
Un guizzo di vita attraversò il corpicino della guidatrice, mentre svoltava a sinistra e la voce graffiante della cantante riempiva di calore l'abitacolo.
- Ah fighissima, oddio, come fa questa? But the moment that I first laid... eyes on him! -
A tentoni ricostruirono insieme le parole di Stevie Nicks. Christie allungò un braccio fuori dal finestrino per puntare col dito al cielo, scuotendo la testa e attirando le occhiate degli automobilisti che sfrecciavano loro accanto.
- Just like the white winged dove,
sings a song, sounds like she's singing
oh, baby, oh said oh! -
Il tramonto era come un incendio sulle strade di Los Angeles.



On the sea, on the sea and land over land
creeping and crawling like the sea over sand,
still I follow heartlines on your hand.



Naz frena, prima di lanciare ad alta voce una maledizione verso il furgoncino che è passato col rosso. Quindi fa un respiro profondo, mentre la Ford alle sue spalle suona il clacson.
Sì, sì, adesso riparte.
Cambia stazione, non le piace il brano che sta passando ora. Poi controlla l'ora. Non c'è speranza di arrivare in tempo.
Poco male: le altre madri già hanno una pessima opinione di lei.
- ... immortale, personalmente una delle mie voci preferite, la omaggiamo con questo estratto dal suo primo album da solita. Questa è per voi e per Janis. -

Le note di piano arrivano proprio nel momento in cui si rabbuia. Non riescono subito ad allontanarla dai giudizi delle altre persone e dalla paura di far fare a Danny brutta figura. Solo lentamente, mentre controlla il nome di una via, inizia a prestare attenzione alla canzone.
Non le viene spontaneo sorridere, stavolta. È un gesto che richiede un piccolo sforzo.
Tuttavia Naz lo compie volentieri, mentre distoglie gli occhi dalla strada solo per fissare, per qualche istante, il cielo terso che s'intravede dai palazzoni.
Scuote la testa.
Meglio sbrigarsi.


This fantasy, this fallacy, this tumbling stone,
echoes of a city that's long overgrown,
your heart is the only place that I call home:
can I be returned?



L'orizzonte era stato quasi inghiottito dal crepuscolo.
La costa quasi scompariva oltre il guardrail, una linea infinita di segnali fosforescenti.
Per
quasi cinque minuti nessuno dei due aveva proferito parola. Solo la voce di Janis Joplin che dalla radio ruggiva Kozmic Blues teneva loro compagnia.
- ...
But I never found out why I keep pushing so hard a dream, I keep trying to make it right through another lonely day. -
Naz aveva insistito per guidare, anche se non si era sentita bene tutto il giorno: non avrebbe lasciato il volante della sua auto ad Axl, poco importava quanto fosse accaduto fra loro negli ultimi giorni.
Si erano parlati poco anche per accordarsi sull'uscita della sera. Da quando aveva faticosamente separato lui ed Izzy, mentre si prendevano a pugni su un porticello a Venice Beach, non avevano avuto molto modo di chiacchierare. Axl si era buttato a capofitto nel lavoro, cercando di porre rimedio alla giornata che la band aveva perso allo studio di registrazione; Naz aveva perlopiù sguazzato in una pozza di angoscia in cui le giornate erano lunghissime e poco produttive.
In più, c'era stato quello stupido mal di stomaco.
- Accosta. Da queste parti dovrebbe esserci un buon cinese. -
Naz non aveva dimenticato niente di quanto successo fra lei ed Axl.
Il che voleva dire che, anche se ci aveva fatto sesso, lui restava comunque colpevole.
- Non posso accostare qui. Dov'è questo posto? -
Si pentì immediatamente di aver adoperato quel tono così spazientito, ma non fece marcia indietro. Piuttosto, si concentrò sullo specchietto retrovisore. La Route 1 era ovviamente affollata. Si trovavano dalle parti di Santa Monica, ma a parte qualche casetta solitaria non sembravano esserci molte forme di vita.
- Da queste parti, ti ho detto. - Axl guardava fuori dal finestrino. I capelli rossi erano sciolti e scompigliati dal vento. Le aveva telefonato nel pomeriggio: "Andiamo al mare".
Le aveva telefonato e non le aveva fornito alcuna spiegazione, né chiesto "per favore".
"Andiamo al mare" e lei c'era andata.
- Qui non c'è niente. - Naz s'innervosì in fretta. Continuò ad andare diritta, senza rallentare. Solo a quel punto Axl, fino ad un momento prima apparentemente apatico e distante, si voltò di scatto per fulminarla con lo sguardo. - Perché devi rompere così tanto il cazzo? Ti ho detto che è qui, vuol dire che è qui, no? - Gesticolò con così tanta foga che, per un attimo, la ragazza temette l'avrebbe presa a schiaffi.
- Perché cazzo devi gridare, idiota?! -
Una persona ragionevole avrebbe cercato di placarsi. Avrebbe invitato l'altro a calmare gli animi, per discutere sensatamente delle diversi opzioni e raggiungere un comune compromesso.
- Perché tu non ascolti. E non chiamarmi più idiota o giuro che te la faccio pagare! - Naz cercò di trattenersi, sulle prime, dal distogliere lo sguardo dalla carreggiata per fronteggiare il suo avversario, ma scoccò solo un'occhiata di traverso ad Axl. Sapeva che anche lui stava cercando di non guardarla. Nella luce soffusa dell'abitacolo e della notte, sembrava ancora più bello e sempre più distante.
Cosa avevano fatto?
- Io non ascolto?! Tu neanche mi hai chiesto se voglio cinese. Non ho nemmeno fame, Cristo, e poi qui non c'è una sega. - Janis Joplin non faceva che aumentare la confusione. Naz accelerò senza rendersene conto, prima di frenare subito dopo per evitare di tamponare l'auto di fronte. Qualcuno suonò il clacson. - Non dire stronzate. - Come risposta, non aveva senso e, la ragazza lo sapeva, non pretendeva di averne.
- Io, stronzate?! - Per qualche istante, Axl non rispose. Non perché non sapesse cosa dirle, Naz ne era consapevole, ma per puro sprezzo.
L'Oceano Pacifico fuori era di una bellezza sfolgorante. Il crepuscolo donava ad ogni angolo luci ed
ombre che trasformavano il paesaggio arido della California in un abbraccio caldo.
La musica dell'audiocassetta accompagnava perfettamente quella visione, quasi fosse stata composta per un'afosa serata sulla costa Occidentale.
-
Hey, I ain't never gonna love you any better baby cause I'm never gonna love you right! -
Cosa avevano fatto?
- Io torno indietro. - Naz non avrebbe saputo dire cosa l'aveva spinta a riprendere le armi. Si maledisse internamente, mentre il mal di testa le faceva esplodere le tempie. Iniziò a cercare un'uscita dalla strada, consapevole che rischiavano di perdersi. - Che cosa?! - Stavolta Axl l'avrebbe colpita, ne era certa.
Invece la mano del ragazzo calò sul cruscotto. Il botto fu così forte che Naz sobbalzò; subito dopo, pensò che sarebbe stato meglio se le avesse sul serio tirato un ceffone.
- Adesso che cazzo ti prende? Ti girano e quindi vuoi rovinare la serata a tutti e due? Smettila di fare la stronza. E non azzardarti a girare! -
Per tutta risposta, Naz imboccò la prima uscita che trovò. Senza freccia e senza guardare la direzione.
Un altro clacson suonò alle loro spalle.
- Dio, io volevo prendere la cena e tu hai dovuto fare un dramma. Dai, torna indietro, cazzo. Scommetto che non sai nemmeno dove siamo. -
- So perfettamente dove siamo e smettila di fare lo stronzo! -
- IO sono stronzo?! Fammi un favore Naz, vai a fare in culo. -
- Tu vai a fare in culo! Non sai far altro che darmi addosso, questa è l'unica cosa che fai, frustrato del cazzo! -
- Vaffanculo! -
- VAFFANCULO! -
Urlò talmente tanto da farsi male alla gola.
Innumerevoli istanti dopo, si trovarono di nuovo su una strada buia, lungo la costa. Uno di loro, Naz non avrebbe saputo dire chi, aveva spento la musica.
Il silenzio abbracciava altrettanto bene quel panorama oscuro.
- Perché dobbiamo essere così orribili l'uno con l'altra? - Si sentì patetica, quando quella domanda le uscì tremolante dalle labbra.
Lo udì inspirare a fondo. - Forse tutto questo... semplicemente non funziona. -
A quelle parole, Naz avvertì il proprio cuore sprofondare fino ai piedi, per poi tuffarsi negli abissi della terra. Il sussurro che le schiuse la bocca suonò irreale.
- Non mi vuoi più? -
Non girò il capo, ma si rese conto che Axl si era voltato a guardarla. Lo percepì per l'intensità con cui i suoi occhi verdi la perforarono. Per alcuni lunghissimi istanti, entrambi rimasero sospesi in quel limbo, come se stessero precipitando dalla scogliera.
- Vuoi tornare con Izzy? -
Naz ci mise un po' prima di processare quella domanda. Non ne colse le implicazioni. Non si soffermò su ciò che significava per Axl, sull'insicurezza e la tristezza che tradiva. Si fermò al proprio cuore, che riemergeva dalla terra per tornare a riposizionarsi nella sua cassa toracica, giusto per farle avvertire meglio tutto il dolore di quelle parole.
Se ci fosse stata ancora della musica a riempire il silenzio, forse sarebbe stato più facile respirare.
- Questo è un colpo basso. - Avrebbe preferito tornare a gridargli contro.
Invece proseguì per un centinaio di metri, poi rallentò. Infine, accostò sul primo tratto di banchina abbastanza largo, frenando bruscamente. Spense il motore, raccolse gli ultimi pezzi della sua sanità mentale e uscì dalla macchina.
Ci volle del tempo prima che Axl la seguisse fuori. Nonostante la sera fosse calata, l'aria era ancora torrida e non dava sollievo. Quando il ragazzo si avvicinò, Naz si rese conto di aver passato l'attesa di lui con una mano sulla fronte, a coprire il volto, e le spalle ricurve.
- Mi dispiace. -
Non era sicura che lui l'avesse detto davvero.
Si trovò fra le sue braccia quasi immediatamente. Avrebbe dovuto odiarlo, ma si sentiva esausta e in verità non desiderava altro che dimenticare tutto. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, il che era assurdo perché lei non piangeva mai.
Axl le passò una mano fra i capelli, respirandole contro.
- Dobbiamo trovare un modo per farla funzionare, Will. -
Lui non rispose. Dopo un istante però, Naz avvertì la sua mano spingersi sotto la magliettina, fredda contro la pelle calda. Un brivido le scosse la spina dorsale.
Alzò lo sguardo per incontrare, per la prima volta in quella serata, gli occhi di Axl. Sapeva che in essi avrebbe trovato lo stesso ardore che bruciava in lei, per motivi e tormenti diversi.
Si baciarono come se stessero per partire per la guerra: avevano iniziato quella storia con la consapevolezza, viva in un remoto angolo della mente, di avere i giorni contati. Eppure la gioia violenta con cui vivevano quei momenti di quiete dopo la tempesta rivelavano una speranza: che tutto potesse durare molto di più. Magari per sempre. Che potesse essere la fine degli affanni e della ricerca di sè, quella che Naz conduceva disperata e che Axl ogni tanto fingeva di proseguire ancora, per potersi illudere di essere un uomo migliore e diverso da chi era in realtà.
La sollevò sul cofano dell'aiuto, scivolando fra le sue coscie e i jeans sdruciti, ormai da buttare. Naz gli strattonò i capelli dall'attaccatura, inalandone il profumo mentre il battito cardiaco accelerava.
Avrebbe memorizzato tutto di lui: la sua impronta sulla schiena, la traccia umida lasciata su una spalla, la ruvidità della barba in ricrescita contro la sua guancia.
Se ne sarebbe ricordata, al momento di lasciarlo andare.
Allacciò le braccia dietro al collo di Axl, mentre lacrime e sospiri si mescolavano al rumore delle macchine che li sorpassavano e delle onde contro la costa; attorno a loro, solo quell'intenso profumo di buio.


She may contain the urge to run away,
but hold her down with soggy clothes and breezeblock.
Citrezene your fever's gripped me again,
never kisses, all you ever send are fullstops.
Do you know where the wild things go?
They go along to take your honey. [...]
But please don't go, I love you so.
(Alt J - Breezeblocks)



Naz spegne la radio, sulle prime. Poco dopo però, la riaccende.
Ogni tanto, ma solo ogni tanto, sembra ieri davvero.
Sorride, scuotendo la testa: forse un giorno arriverà a perdonare sé stessa e i ragazzi, per quello che è successo. Nel frattempo, non vive nel rancore. Essere una madre single di solito non le permette di indugiare a lungo nel risentimento. Nei ricordi, in generale.
Le prenderebbe troppa energia e Daniel ha bisogno di lei.
Fa ruotare ancora il volante: il traffico sembra essere più scorrevole in quel punto. Potrebbe accelerare e riguadagnare il tempo perso, ma da quando ha preso la patente e viaggia con un bimbo a bordo è diventata più giudiziosa.
Altre note di piano arrivano dalla radio.
Non indugia a lungo nei ricordi, di certo però non ha dimenticato.
Fa sempre un po' male ma, mentre rispetta il limite di velocità, Naz è in pace con quel dolore. Lo attraversa.
Quel dolore è pur sempre la prova concreta che, prima ancora che dei pianti, dell'abbandono e delle parole non dette, Daniel è il frutto di una grandissima storia d'amore.

What a thing to do,
what a thing to choose.
But know, in some way I'm there with you,
up against the wall on a Wednesday afternoon.



- ... ed è irritante, insomma, non capisco perché non dovrei avere l'opportunità di ascoltare altro. Cambia stazione comunque, ti prego, non abbiamo fatto altro che ascoltare gli Europe per tutta l'estate e onestamente non ne posso più di queste tastiere. -
Era notte fonda, il che voleva dire che le strade di Los Angeles erano affollate, almeno in quella parte di città. Si erano lasciati Silver Lake alle spalle da un pezzo, dopo un turno piuttosto massacrante per lei e alcune lunghe ore trascorse al bancone per lui.
- Che poi, è davvero questo che ti viene in mente se pensi a Space Oddity? Voglio dire, Space Oddity è un capolavoro filosofico che usa lo spazio per fare introspezione... -
Izzy non era, in genere, un personaggio molto loquace, nemmeno con i propri amici. Però se si parlava di musica e, in particolare, di quello che trovava incomprensibile dellla musica degli altri, metteva la quarta e non riusciva a fermarsi.
Naz girò la manopola per cambiare frequenza, ridacchiando. - Giuro, non capisco come abbiano potuto bocciarti in letteratura. -
Era venuto a prenderla in macchina ed ora lasciava che lei si riposasse, anche se non le permetteva di scegliere la musica.
- ... e il senso di alienazione che Bowie trasmette, non ha niente a che fare con le festicciole, insomma. Senza tenere conto della critica politica... Oh no, dai, di nuovo. Cambia, cambia. -
Naz scoppiò a ridere, raccogliendo le gambe sul sedile del passeggero, dopo essersi tolta le scarpe. L'aria che entrava dal finestrino, leggermente più fresca rispetto a quella del giorno, scompigliava i capelli di Izzy in maniera tale da rendere impossibile prenderlo sul serio.
- Agli ordini. Non vorrei mai danneggiare il tuo orecchio con queste canzonette da provinciali. - Izzy sbuffò non appena comprese che la sua ragazza lo stava prendendo in giro. Sembrava estremamente risentito, il che voleva dire che quello scambio lo divertiva.
- Senti chi parla, Miss "Ascolto i Bauhaus per fare citazioni che nessuno può cogliere". - Naz fece spallucce e allargò le braccia, ammettendo silenziosamente le proprie colpe. Quindi fece ruotare di nuovo la manopolina. - E comunque erano almeno due mesi che non ascoltavo gli Europe. -
- Aaarg, giuro su Dio, le stazioni radio hanno solo cinque brani in canna e hanno deciso di tormentarmi con ognuno di loro. - La ragazza letteralmente ululò dal ridere quando Izzy saltò sul posto, frenando di fronte al semaforo rosso, quando dall'autoradio arrivarono le note di You give love a bad name, brano che effettivamente in quell'estate 1986 aveva fracassato i timpani e altro ancora.
- Ma non è quello che vuoi anche tu, testone? -
Un brivido la scosse nel momento in cui gli pose quella domanda: allungò una mano per sistemargli i capelli solo per avere una scusa per toccarlo. La paura di vederlo andarsene le attanagliò le budella, ma quando Izzy si voltò per sbuffarle addosso Naz gli fece la linguaccia.
- Se inizio servire la gente con riff banali e oh sì, pupa, quanto sei sexy, ti prego, sparami. O mollami. -
Melodrammatico.
- Oh ma insomma, intendo avere le tue canzoni in radio ventiquattrore su ventiquattro. Avere delle persone che stanno guidando, come noi, e all'improvviso beccano la tua canzone e la cantano ad alta voce, poi finisce, cambiano frequenza e cazzo, eccola lì di nuovo, che figata cantiamo ancora! -
Il fervore con cui gesticolò e il tono di voce che si alzò appena non avevano niente a che fare con la rabbia, cosa piuttosto rara per Naz in quel periodo. Erano più la conseguenza di un flusso di energia continuo, che non inizava né finiva in quelle conversazioni rubate.
Era la cosa meravigliosa di stare con Izzy.
- Sì, ma non voglio certo che sia solo perché vogliono menare il culo. - Rimettendo in moto, il ragazzo lasciò il volante con una mano per poter evidenziare le parole con i gesti a propria volta. - Dai, so che
capisci quello che voglio dire. -
Naz capiva, ma sapeva anche di doverlo provocare.
Sapeva che era ciò che lui amava di lei.
- Non è questione di menare il culo, Jeff. È questione di essere felici mentre ascolti quella che per te è la tua canzone. -
Cambiò di nuovo frequenza.
- Ma no, porca puttana, non è solo questione di essere felici. Non voglio che la gente stia solo bene, quando ascolta la mia musica. Voglio che li renda felici e li colpisca allo stomaco, e li faccia sentire sporchi e poi confusi e pure un po' a disagio. E li spinga a rimettersi in discussione e poi doni a loro speranza. -
Mentre filavano verso West Hollywood, Naz non si rese conto di stare immortalando Izzy nella fotografia di quell'attimo: giovane, pieno di foga, appassionato. Si sistemò meglio sul sedile del passeggero, mentre passava la pubblicità di un nuovo detersivo.
- Non ho detto allegri. Ho detto felici. E la felicità è anche rumore, caos, le cose orribili a cui sopravvivi e che ti fanno sentire più vivo di prima. -
Sa che Izzy sorride.
- Eh no, tesoro. Quello è l'amore. -
Dopo qualche attimo passato ad osservare due ragazzine che attraversavano delle striscie pedonali di corsa, rischiando di farsi investire, Naz tornò a cambiare frequenza.
- E comunque dovresti essere meno schizinoso. - Scosse ancora le spalle, fermandosi per cercare una sigaretta e lasciando per sbaglio sulla differita di un comizio repubblicano.
- Ma non hai delle cassette qui da qualche parte? - Izzy inchiodò all'improvviso, a fronte di un giallo che si trasformò in rosso di colpo. Dalle macchine in coda arrivarono improperi a cui rispose con un dito medio.
- Avevo la cassetta di The Queen Is Dead che qualcuno mi ha regalato, ma sempre quel qualcuno ha pensato di prendersela e non restituirla mai più. -
Naz continuò a contorcersi per cinque minuti, prima di rinunciare a trovare sigarette. Evidentemente avevano finito tutte le scorte. - E comunque sono seria, dovresti fare più attenzione a quello che bolli come commerciale. Potresti imparare qualcosina. -
Si aspettava un'esclamazione incredula, invece Izzy si limitò a chiedere: - Ah, sì? -
- Sì. Devi imparare a parlare a più persone possibili, se ci tieni a far provare tutto quello a cui ti riferivi prima. E che ti piaccia o no, certe canzoni arrivano a una bella fetta di persone. -
Quando si accorse che il ragazzo non rispondeva, Naz gli lanciò un'occhiata preoccupata. Izzy riprese a guidare con cipiglio tranquillo, il gomito appoggiato fuori dal finestrino.
- Nel senso, scommetto che quando è uscita Stand By Me tutti quelli come te erano tipo: "Gne gne, senti che lagna, piace solo alle ragazzine" ma adesso riconosciamo universalmente che è una delle migliori canzoni mai scritte, no? -
- Senti senti! - Izzy scoppiò a ridere, senza alcun tono di scherno nella voce.
Poi Naz passò ad un'altra frequenza e tutto accadde molto velocemente.
- No, dai, ti prego, cambia, non la sopporto, basta. -
- Ma che dici, fammela lasciare, è anche appena incominciata! Come fa a non piacerti questo pezzo! -
Le proteste del guidatore non riuscirono a coprire del tutto la sognante introduzione di una canzone che chiunque, negli Stati Uniti, conosceva. I Journey avevano fatto la loro fortuna con quel pezzo.
Erano stati anche la causa di diversi bisticci.
- Scommetto che conosci il testo a memoria! -
- Ma come fa a piacere a te? A te, dico, la regina dell'acido. -
- Perché parla di noi. -
Naz seguì il movimento dell'auto quando Izzy svoltò, prendendo una scorciatoia per arrivare prima al magazzino. - Senti, just a small town girl living in a lonely world! -
Non fece nemmeno uno sforzo per intonarsi.
Izzy la guardò in apparenza solo divertito, ma con le fiamme negli occhi. - Ehi, io non vengo da Detro... ahia! -
Non fece in tempo a ripararsi dal pugno che Naz gli assestò con veemenza sulla spalla.
- Ma no, io sono il ragazzo di città! -
- Ah quindi io sono la ragazzina di paese! -
In futuro, Naz avrebbe cercato di aggrapparsi a quella sensazione, al modo in cui Izzy l'aveva fatta sentire bene anche in un momento in cui l'assenza di risposte aveva creato un vuoto doloroso nel suo stomaco. Si sarebbe chiesta più volte, in quelle rare notti prive del pianto disperato di un minuscolo Daniel, che cosa fosse andato storto, quali parole avessero omesso per arrivare a dimenticare quegli attimi passati ad urlarsi addosso col sorriso sulle labbra.
In futuro, non sarebbe stato così complicato individuare gli errori commessi e da cui ripartire. In futuro, col senno di poi. Ciò che alla fine avrebbe custodito, tuttavia, quella donna che aveva imparato ad essere una persona completa per il suo bambino, non sarebbero stati gli errori e le lacrime.
Ma la ragazzina che era stata sul sedile del passeggero di Izzy, a cantare in un momento in cui la vita non riservava nemmeno limoni. Quando tutto stava per cambiare e si poteva sentire nell'aria, ma lui riusciva comunque a non farle provare paura.
- Dai, lo so che conosci le parole! -
S'inginocchiò senza paura di possibili incidenti, abbandonata alla melodia pop. Le facevano male le guance per aver sorriso troppo a lungo. Izzy scuoteva la testa ostinato, ma continuava a ridere.
- Working hard to get my fill, everybody wants a thrill, paying anything to roll the dice just one more time! - Sollevò anche l'indice, Naz, per chiedergli quel tiro di dadi.
Sapeva che lui stava per cedere.
- Oh the movie never ends, it goes on and on and on and on! -
Quando la ragazza aprì le braccia, rischiando di sfracellarsi contro il cruscotto, Izzy si voltò a tradimento e, senza protestare ancora né rallentare, si unì a lei.
Non aveva mai avuto intenzione di deluderla.
- Strangers waiting up and down the boulevard, their shadow searching in the night! -
Quando arrivarono alla Hellhouse, Don't stop believin' era terminata da un pezzo, ma loro stavano ancora cantando. Naz in particolare azzardava acuti di cui non si vergognava affatto; quando balzò giù dalla macchina, si dondolò anche, aggrappata alla portiera, come la protagonista di un musical.
Izzy la raggiunse senza nemmeno controllare che ci fosse qualcuno fuori dal magazzino a salutarli. Le fece invece fare una giravolta, come se fosse la mossa più naturale del mondo.
Naz lo osservò poi fare qualche passo verso l'ingresso ma fermarsi nel momento in cui si accorse di non averla al proprio fianco.
Le sorrise ancora. Non aveva fatto altro tutta la sera.
Quindi le fece cenno di raggiungerla. Naz si prese solo un momento per assaporare quella notte
profonda, quel calore, quella musica ancora rimbombante nel cervello, prima di eseguire il suo desiderio.

Paul, I know you said that you'd take me any way I came or went
but I'll push you from my brain, see, you're gentle baby,
I couldn't stay, I'd only bring you pain.
I was your starry-eyed lover and the one that you saw,
I was your hurricane rider and the woman you'd call.
We were just two moonshiners on the cusp of a breath
and I've been burning for you baby since the minute I left.
(Paul – Big Thief)



Naz ascolta il pezzo fino alla fine.
- ... e questi erano i Journey, ehi Tony, che fine hanno fatto i Journey? -
- Nel 1987 abbiamo avuto lo scioglimento di una delle nostre band preferite e sicuramente ci mancano, anche perché siamo a corto di canzoni con cui pomiciare! -
Non c'è nessuno a guardarla, quindi non si trattiene dal sollevare gli occhi al cielo, sbuffando.
Tra poco dovrebbero arrivare le notizie sul meteo, quindi cambia di nuovo stazione.
- E adesso questo pezzo, dal nuovo film preferito della mia ragazza, dico sul serio, mi ha trascinato al cinema due volte! -
Naz resta in attesa mentre svolta di nuovo a destra, mordendosi il labbro inferiore. Chissà cosa avrà combinato Danny oggi. Spera che abbia mangiato tutto quello che gli hanno rifilato a scuola.
- ... it must have been love, but it's over now! -
Sospira.
Avrebbe proprio dovuto ascoltare il meteo.



OFF ZONE:
Ci sono volute due anni ma alla fine ce l'ho fatta, a finire sta Missing Moment.
Poco importa averla scritta per me e per l'unica altra persona che si ricorda di Love will tear us apart – I love you Sylvie – è una bella soddisfazione.
L'ispirazione è una cosa curiosa. È passato un anno dall'ultimo capitolo di questa MM e ho fatto davvero
troppe cose, oltre ad aver vissuto in tre Paesi diversi. Spero di aver portato un pezzettino di quanto ho imparato in questo ultimo capitolo. Grazie pandemia, sei una cosa orribile ma mi hai dato gli attimi di riflessione per terminare quest'ora.
Seriamente, a te che stai leggendo, prenditi cura di te e stai a casa. Andrà tutto bene.
È proprio giunta la fine, per i personaggi di Love will tear us apart. Con questo ho scritto tutto ciò che dovevo scrivere di loro. La revisione sta proseguendo, non è ancora terminata e immagino che andrà pure per le lunghe, ma questa è la conclusione della storia. C'est fini.
Forse tornerò qui con altre storie, anche se il sito è purtroppo molto più deserto di quello che ricordavo – ma chissà, adesso che siamo tutti costretti in casa forse scriveremo di più. Forse no. Vediamo come mi gira.
Sono contenta però. Sono contenta di aver recuperato dei personaggi che c'erano dieci anni fa e ci sono ancora oggi, diversi, più rotondi, sicuramente in evoluzione come me.
Quindi ciao Joanie, ciao Mason, ciao Ebony, ciao Victoria, ciao Christie.
Ciao Guns N'Roses.
Ciao Naz.
È stato un piacere.


PER AMORE DEL DIRITTO D'AUTORE:
Allora, sono sicura che ci sono delle cose che mi sono persa per strada.
Ho messo tutta la musica in questi paragrafi. La canzone del titolo e che accompagna i paragrafi su Naz in macchina è Heartlines di Florence + The Machine, mentre il sottotitolo viene da The Only Thing di Sufjan Stevens.
Le quattro canzoni "vecchie" che vengono ascoltante nei flashback sono, in ordine: Africa dei Toto, Kiss di Prince, Edge of Seventeen di Stevie Nicks, Kozmic Blues di Janis Joplin, The Final Countdown degli Europe, You Give Love a Bad Name dei Bon Jovi aaaand finally Don't Stop Believin' dei Journey.
Chiudiamo con It Must Have Been Love dei Roxette; il film invece è Pretty Woman.
"These violent delights have violent ends", la menziono di sfuggita da qualche parte ed è per me il riassunto della storia fra Axl e Naz. La traduzione ufficiale parla di "gioie", anche se io ho sempre pensato ai "piaceri".
C'è un passaggio fra Izzy e Naz che è liberamente ispirato a 500 days of Summer. "No, I'm Sid!" "Oh so I'm Nancy."

Chiedo venia per gli errori di battitura che sicuramente mi sono sfuggiti. Il lupo perde il pelo.


So long, goodbye.



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