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When we were young, we
used to live so close to it
and we were scared and we were beautiful.
I wanna peer over the edge and see in death if we are always the same.
Oh, and I feel that nothing in life could ever be like this again 'cause your love kept me alive and made me insane. (Grimes – Realiti)
Anni
Ottanta. Per la precisione, 1985, la metà del decennio, quel giro di boa in cui
l’avanguardia inizia a puzzare di vecchio e ciò che fino a un momento è innovativo
e glam già appare ammuffito. Nell’aria c’è fame, quel sintomo di un mondo che
accelera: nessuno ancora se ne rende conto davvero, ma fra pochi anni tutti
impiegheranno meno tempo ed energia a fare tutto, si stuferanno più in fretta
ed ogni cosa sarà scontata.
Nessuno ancora contempla questo scenario. Siamo al secondo mandato di Reagan,
gli Stati Uniti sono il tetto del mondo e adesso tira anche aria di distensione
con l’URSS – Gorbaciov ha finalmente capito che il comunismo non è cosa, il
perché non si sa ma lo dicono tutti.
Naz Kurt osserva Los Angeles o, almeno ciò che riesce a vedere e ha sempre visto:
grigi palazzi di periferia, luci fredde, cielo nero che s’intravede da quelle
alture artificiali. Non c’è una stella ma ancora nessuno parla di inquinamento
luminoso. Fuma una sigaretta, Naz, e non può fare a meno di pensare che L.A.
sia proprio brutta. Certo, non è mai stata fuori da quella città. Ma non fa
fatica a immaginare che esistano posti più belli, dove il cielo è blu per
davvero e si respira qualcosa di diverso da cemento e plastica.
- Come on, come on, come on nowtouch
me baby, can’tyouseethat I amnotafraid! -
Naz si volta, sorride già prima di vedere la scena. Farebbe ridere anche se non
fosse Steven con gli occhiali a forma di cuore di Christie e un boa di piume
rosse sulle spalle a fare l’imitazione di Jim Morrison. L’alcool le è arrivato
al cervello e al momento la rende entusiasta di tutto, oltre che oscillante e
leggera.
- Oh sì Jimmy, sculacciami! – Christie è sobria e discreta quanto il suo
ragazzo, che chiama col nome del Re Lucertola: subito Steven risponde
prontamente, mima un cowboy che acchiappa col suo lazzo invisibile la ragazza,
la quale ovviamente saltella verso di lui stando al gioco. Naz perde quasi la
sigaretta di mano mentre si piega dal ridere.
È tutto vorticante, ma piacevole, inebriante. Non siamo ancora oltre la boa, ma
in pieno festeggiamento a seguito di uno show ben riuscito in un locale di cui
nessuno ricorda il nome. Solo ora Naz si rende conto di avere un cappello da
poliziotto sui capelli corti e spettinati. Vorrebbe farci una battuta sopra ma
non riesce a smettere di ridere. Duff, quel lampione della luce di Duff,
fa ondeggiare le braccia con la grazia di una scimmia sulle tastiere di RayManzarek. Non è fatto per
ballare ma non sembra rendersene conto, quindi nessuno gli crea problemi a
propria volta.
L’appartamento di quel loro amico (come si chiama?) è distrutto, più del
solito, il che è tutto dire. Lì dentro Isbell, McKagan e Rose hanno i giorni contati, ormai lo sanno.
Verranno risbattuti in quel magazzino orribile che chiamano casa persino adesso
che le cose iniziano ad andare benino con i concerti, perché i pochi soldi che
guadagnano sfumano senza che se ne rendano conto. In fondo, quanto vuoi che
costino alcool, droga, cibo di merda, il meccanico ogni tanto e i dischi, ah, e
gli strumenti? Anche se fossero milionari poi, nessuno li vorrebbe per troppo
tempo in casa. Insomma, guardali.
Naz li guarda, in particolare guarda il suo ragazzo che si avvicina: Izzy ha la bandana praticamente sugli occhi e sembra un
vecchio pirata. Le sorride e Naz subito crede che la vita le riservi il mondo:
se ne andranno presto, la loro musica e lei con loro, lontano da Los Angeles, verso…
- Le porte della percezione spalancate. – Ridacchia ancora mentre Izzy con le mani disegna nell’aria un’esplosione, prima di
iniziare a baciarle la fronte, le palpebre, gli angoli della bocca.
Saul, Slash anche se è sempre un po’ ridicolo chiamarlo così, quasi non si vede
più sotto quei capelli che Victoria minaccia di tagliare quando è arrabbiata. È
a rovescio sul divano sgangherato del salottino e osserva Christie e Steven
ballare come in preda a una crisi mistica, la testa sul pavimento lercio e le
gambe sullo schienale. – Qualcuno può cambiare questa noia? Io odio The Soft
Parade, cazzo. Il peggior disco dei Doors. Il peggior
disco di sempre. Vedi cosa succede a fare i sofisticati, Jeff? – Ebony scoppia a ridere in maniera sguaiata, rovesciandosi per
prendere la stessa posizione del chitarrista, mentre Justin la rincorre per
evitare che si rompa l’osso del collo.
Slash riattacca a parlare, non lo si ferma più. Sente il mondo ai propri piedi
e parla della musica con la tenera arroganza della gioventù, giudicando un
passato che non ha conosciuto. Ha addosso il brio degli inizi, quello degli dei
in erba che vogliono plasmare la vita come plastilina e condividerla con gli
altri, dimenticandosi da si dove viene, chi ha ispirato questa passione. Vuole
cambiare la musica come servizio da rendere all’umanità.
- Mostriciattolo. Ehi, mostriciattolo. -
Naz si è persa per qualche secondo, lo sguardo vacuo. Ma c’è Izzy a sorreggerla mentre sbanda a sinistra, contro la
finestra da cui si stava sporgendo.
- Portami da qualche parte. – Mugugna la ragazza, mentre tutto gira. Se berrà
qualcos’altro sarà completamente andata: in cuor suo sa già che lo farà, quindi
ne approfitta adesso per buttargli le braccia al collo e guardarlo con gli
occhi che brillano. Il suo Izzy col nasone e la
bandana storta è bello da morire.
- E dove principessa? – Non la sta prendendo in giro. Questa è una delle cose
meravigliose di Izzy: sorride mentre lei mette in
fila parole a caso, la prende sul serio anche se resta leggero, pronto alla scoperta
di ciò che le frulla in testa.
- Ovunque, lontano da qui. Andiamo a vedere le stelle dove ci sono davvero. – A
Los Angeles è tutto triste e la gente sta iniziando a imbruttirsi. Naz ride ma
trema perché è un loop che ha già visto sulla pelle di
sua madre e teme che ci stiano per cascare.
Andarsene stanotte o vivere e morire in questo modo.
- Ma qui siamo circondati da stelle. - Izzy continua a sorridere mentre la tiene fra le
braccia, quel frugoletto. Ha una mano sulla schiena della ragazza ed è una fonte
di calore così intensa che Naz crede di star per scoppiare a piangere.
- Andiamo via. Prendiamo la mia macchina. Non guardiamoci indietro. -
La stanza gira e il vociare in sottofondo è forte, come la musica
dell’antiquato impianto stereo, ma in questo momento Izzy
e Naz sono soli. Si guardano negli occhi e sentono addosso tutta l’energia di
quelle promesse non dette.
- Sai che ti seguirò ovunque. – “Per sempre”.
Anche se non è ciò che vuole, Izzy, che sta
conquistando Los Angeles. Anche se sono ubriachi e circondati da amici che li
amano. Anche se sembra ridicolo, impossibile, quasi offensivo, Izzy parla sul serio. Sono soli, solo loro.
Non partiranno mai ma Naz si lascia sollevare per un giro in tondo tra le
braccia del chitarrista. Appena Izzy la lascia va a
sbattere contro Duff e quell’idiota di Victoria, che
ha la risata più oscena del mondo. Non importa, perché Duff
le prende la mano e la fa vorticare ancora su sé stessa. – Tu, signorina, sei
in assoluto il tipino più cazzuto che abbia mai conosciuto e ti rendo onore. -
Sono frasi dette a caso in momenti che andranno persi. Non li serberanno nella
memoria. Ma come si sente adesso, Naz, lo ricorderà per sempre: conserverà
quell’emozione in un angolo, in sottofondo. Quell’emozione esplosiva di potersi
lanciare dall’Everest e non morire.
Qualcuno ha cambiato disco, probabilmente Slash: la voce è di Jim Morrison più
giovane, solo anagraficamente però. Break on through
to the other side. Adesso tutti cercano di muoversi a ritmo di musica ma solo alcuni ce la
fanno, fra cui Steven che è davvero formidabile. – Christie, sei la crostatina
migliore della mia vita. – Non si sa bene se la ragazza abbia sentito, mentre
balla con Justin che ha definitivamente lasciato Ebony
al suo destino, già consapevole di ciò che ancora non è evidente.
Naz inciampa mentre cerca il bagno, miracolosamente solo per fare pipì. Quel
tavolino prima non c’era. Sente la voce di Izzy che
la accompagna dolce e scherzosa, mentre va a sbattere contro un’altra persona.
Sta quasi per girarsi e dirgli che devono andarsene ora, subito, ma ha sbattuto
contro Axl.
Think of a place I would go, I’m daydreamin'
where the sycamore grow, I’m daydreamin'
and oh if you knew what it meant to me.
Where the air was so clear,
oh if you knew what it meant to me
anywhere but here. (Dark
darkdark - Daydreaming)
Sono
passate ore, giorni o forse pochi istanti. Il sermone del sommo Slash si è
spostato in camera, dove il chitarrista se ne sta in piedi sull’unico letto presente
con un lenzuolo attorcigliato attorno al corpo e null’altro. Il resto della
banda è radunato attorno a lui in ascolto.
- Ma non capite che questo è il momento? Solo io sento che c’è puzza di
occasione in questa merda di aria? Dobbiamo colpire. Diritto e affondato, dico
io, come a battaglia navale. Oggi stanno cercando esattamente quelli come noi,
domani invece potremmo essere lo schifo dello schifo. Quindi dico di arraffare
tutto ciò che possiamo senza pietà, prima che la musica che c’è ancora da scrivere
venga scritta da qualcun altro. Ora dobbiamo mordere la cazzo di mela, poi
quando avremo i soldi che escono dal culo potremo anche fermarci a riflettere
sui massimi sistemi. -
Non si capisce bene chi lo stia ascoltando e a chi si stia rivolgendo. Izzy è incastrato fra una brandina e il muro e tiene la
chitarra acustica fra le braccia. Sta strimpellando qualcosa che sembra un
brano di Frank Zappa ma potrebbe benissimo essere altro. Christie rischia di
addormentarsi, dopo aver esaurito ogni energia a dimenarsi come una scalmanata,
il piede allungato per fare il solletico di tanto in tanto a Steven. Il
batterista ha la testa appoggiata all’indietro, sullo stesso letto che fa da
palco a Slash, ma di tanto in tanto sobbalza ai punzecchiamenti della sua ragazza,
quindi è sveglio.
- Non lo so, Saul. Insomma, noi stiamo facendo la musica che ci piace, no?
Vogliamo quello, no? Vogliamo essere ricordati per quello. -
È stato Duff a parlare, con la sua voce vellutata,
spalmato sul pavimento mentre stringe tra le braccia Victoria: ha lo sguardo
vigile di un gatto in agguato, il bassista. Nessun altro se ne accorge ma Izzy e Duff si scambiano uno
sguardo eloquente: hanno già affrontato questi discorsi, lontano dagli
altri.
Piomba un silenzio tombale all’interno di quelle quattro mura. Ad un tratto a
tutti sembra di poter sentire i pensieri degli altri, cosa che non piace a
nessuno: preferirebbero non avere così chiaro il punto di vista di ciascuno,
tener per sé una visione molto più gestibile della realtà.
- Beh, certo. Cioè, forse. In realtà, chi se ne frega essere ricordati, no?
Esistiamo ora. Quando sarò morto, non mi sarà troppo utile sapere se qualcuno
si ricorda di me. Invece, potrebbe essersi utile lasciare questo schifo. Non
voglio più vivere in questa merda. -
C’è l’ombra dell’autocommiserazione in questo discorso, un incubo che si
affaccia inaspettato in questa notte di baldoria. Stanno celebrando l’arrivo di
qualcosa di spettacolare, il concerto è andato bene, i contatti giusti ci sono.
E allora cos’è questo nodo alla gola che Izzy sente?
Ma come un novello Messia, in un’aureola di capelli biondi Steven Adler arriva
a risollevare la situazione. Con grande solennità, si alza in piedi e solleva
determinato una bottiglia di scadentissimo Night Train avanti a sé.
- Propongo un brindisi. -
E si accascia a terra.
Le urla di Christie non sono niente rispetto alle risate ululanti degli altri.
– Pasticcino! Pasticcino! – Strilla la ragazza improvvisamente sveglissima,
mentre percuote il batterista che ha rovesciato metà del vino sul pavimento.
Sta bene, Steven, ha di nuovo gli occhi lucidi e il sorriso sulle labbra: ha
solo avuto un attimo di sbandamento, rassicura. Christie però continua a
percuoterlo come se non ne fosse convinta.
Slash quasi non riesce a respirare. Ha recuperato la spavalderia che è la sua
forza grazie a quell’intermezzo: se non ci fosse stato, forse anche lui si
sarebbe lasciato trascinare nella spirale di dubbi che ogni tanto attanagliano
i suoi amici. Ebony e Victoria hanno le lacrime agli occhi, così
come Izzy e Duff che
trattengono i singulti a stento. Riescono a dire qualche parola, come “Popcorn”
e “geniale”, tra un ululato e l’altro.
Almeno fino a quando Slash, premendosi la mano sulla pancia per evidenziare il
dolore addominale, non fa sciogliere il nodo che regge quella toga
improvvisata, restando col sedere per aria.
A questo punto non sono più in grado di dire niente.
- Ma che cazzo dici, Slash. Noi ci sguazziamo, in questa merda. E poi di che ti
preoccupi tu, puoi sempre tornare da quella figa imperiale di tua mamma. -
- Santa mamma di Slash, proteggici tu. – Duff sposa
le ironiche parole di Izzy mentre si asciuga il
sudore dalla fronte: l’aria è talmente calda che solo ridere lo ha prosciugato
di metà dei fluidi corporei.
La verità è che starebbero bene così, esattamente come sono ora. Dovrebbero
fotografarlo, questo momento. Non saranno mai più giovani come lo sono ora. Sta
per succedere tutto così in fretta, forse già lo subodorano e per questo dietro
la celebrazione della serata c’è già della malinconia. Eppure ridono. Il futuro
non è in grado di rubare loro questa sensazione.
- Allora propongo un brindisi. A questa cazzo di musica e a questa cazzo di
città. Alle chitarre e ai rulli che abbiamo sfasciato, alle nostre stracazzo di donne e alla gente che sarà così imbecille da
seguirci. -
Mentre parla Steven si regge a Christie, che è più alta di lui, ha le palpebre
mezze abbassate e continua imperterrito a versare vino da tutte le parti
nonostante la bottiglia che ha in mano sia già prosciugata. Ma nessuno si
azzarderebbe ora a mettere in dubbio la serietà del suo discorso.
- Amen. – Biascica Justin mentre mette un braccio attorno alle spalle di Ebony, senza intercettare il gesto di Slash che,
risistemando il lenzuolo, alza gli occhi al soffitto. Axl Rose ha osservato tutta la scena appoggiato
contro lo stipite della porta che dà sul soggiorno. Il ghigno che si allarga
sul suo viso pallido non ha prezzo: è esattamente questa il tipo di energia che
vuole. È per questo che stanno facendo furore sul palco.
Quindi anche Axl beve dalla bottiglia di Steven
quando, facendo il giro fra i compagni, arriva da lui. E nel bere incrocia lo
sguardo di Izzy, del suo migliore amico, che sorride
accendendo una sigaretta prima di reclinare il capo all’indietro e chiudere gli
occhi. Sembra un re persino in quello squallore, Izzy.
- Ed ora tutti insieme! Weeeee are the champions, my friends! – Forse è
una tattica, quella di Slash, per attirare l’attenzione della bella bruna che
sta collassando fra le braccia del suo moccioso. Duff
e Victoria però iniziano a battere le mani per accompagnare quella sinfonia.
È giunto il momento di dileguarsi.
Nel voltarsi verso il salotto, Axl ha un mezzo
mancamento; non ricorda quand’è stata l’ultima volta in cui ha mangiato, ma hanno
bevuto parecchio stanotte. È una questione di priorità. Sbatte un paio di volte
le palpebre mentre prova a rimettere a fuoco ciò che ha attorno. La luce della
notte entra fioca da una finestra aperta. La figurina smunta si è appollaiata
sul davanzale unto, incurante dell’altezza, del salto da diversi piani che si
staglia sotto di lei. È probabilmente ubriaca come tutti loro e questo è un po’
una spiegazione e un motivo d’angoscia insieme.
Per un istante Axl crede che voglia saltare e il
cuore gli batte forte.
Ma Naz è ferma immobile, i vestiti consunti e la linea diritta del collo fra i
corti capelli neri. Sembra un uccellino in attesa. Perché diavolo se ne stia
lì, lontano da tutti, non se lo riesce a spiegare. Axl sospira solo perché dà le spalle alla camera da
letto e nessuno lo può vedere. Cerca nelle tasche l’ultimo pacchetto di
sigarette – priorità – e se ne porta
una alla bocca. Sta cercando un commento acido da fare a Duff
per poter recuperare Vicky e sfogarsi con lei. In
questo momento, sente Christie ricominciare a strillare contro Steven dopo
essersi dimostrata così amorevole: fra poco tutti incominceranno a prendere in
giro il batterista e sarà esilarante come al solito. In pochiistanti, Axlraggiungeilcentro del salotto.
Destroy the middle, it's a waste of time
from the perfect start to the finish line. […]
We are the reckless, we are the wild youth
chasing visions of our futures,
one day we'll reveal the truth. (Daughter – Youth)
Naz
è immersa in pensieri che non è in grado di articolare. È un flusso continuo
guidato dall’alcool, ma ha una fluidità che la fa sentire tranquilla: in testa
non c’è la solita matassa ingarbugliata e pesante, ma un fiume d’acqua limpida.
Arrivano i passi dietro di lei e nemmeno ci fa caso all’inizio. Sente l’eco
delle risate in lontananza ma al momento non vuole prendervi parte. È una
scelta priva di astio: semplicemente, adesso ha bisogno di restare a mollo in
quella corrente.
- Perché non fai un favore a tutti e ti butti di sotto? -
Scontato Rose, prevedibile Rose. Naz sospira perché Axl
non la può vedere, poi gira appena la testa per guardarlo di sottecchi. Chissà
perché ha misteriosamente perso la maglia.
- È davvero il meglio che sai fare questo? – Non è nemmeno sprezzante come al
solito mentre risponde, ma pacifica: non gli farà vedere che è stato come
essere bruscamente spinti sott’acqua e annegare all’improvviso.
- Sembri un’idiota lì immobile. – Il tono di Axl è
talmente indifferente da lasciare perplessi, ma Naz c’è abituata: insultare gli
altri è lo sport preferito del ragazzo e insultare lei gli vale la medaglia
d’oro.
- Tu sembri un idiota sempre. Che cosa vuoi? – Sempre con quel tono zen, Naz si
sistema in modo da poterlo guardare senza torcersi il collo, rimanendo con una
gamba a penzoloni dal balcone e l’altra piegata. Ha gli occhi pesti di sonno e
alcool e i capelli spettinati, oltre a una grossa macchina indefinita sulla
maglia di UnknownPleasures.
Axl crede che sia proprio un derelitto di persona.
- Questa è casa mia, stronzetta. Nemmeno dovresti farmela, questa domanda. –
Aspira una lunga boccata di fumo mentre con lo sguardo punta ciò che prima
anche lei stava fissando. Cemento grigio e luci al neon.
- Questa non è casa tua. -
Non è sicuro se sia stata lei a dirlo oppure sia stato solo un pensiero.
Vorrebbe pulirle la faccia da tutto quello schifo che le è colato sotto agli
occhi.
- Proprio non riesci a non darmi il tormento, vero? – Si era promessa di non
dargliela vinta ma cede: ecco Axl Rose entrare come
un uragano nel suo flusso felice, portare tempesta e poi pretendere di
andarsene come se nulla fosse.
- Sei tu che sei suscettibile a tutto quello che ti dico. -
Naz si morde l’interno del labbro inferiore, addentando con gli incisivi la
pelle. Per un po’ stanno zitti entrambi mentre anche lei si cerca una
sigaretta. Dall’altra stanza continua ad arrivare il disastro.
- Rose, tu l’hai mai vista la neve? -
A bruciapelo, ecco come giunge la domanda. Quando si volta per guardarla, Naz
ha gli occhi grandi e scuri lontani, intenti a viaggiare dove non arriveranno
mai insieme. Axl ignora quel nodo alla gola che
compare per un millesimo di secondo.
- Che domande del cazzo fai, nana, vengo dal Midwest.
– Certo che l’ha vista. Non tutto il mondo è come la California, anche se forse
dovrebbe esserlo.
Naz in apparenza non sembra scomporsi. – Io no. – L’ultima nevicata a Los
Angeles è stata nel 1949. Sono uguali, loro due, ma non si capiranno mai
appieno. Non la leggerà mai come la legge Izzy, che
di quella testa conosce ogni centimetro. Matta. È questo che pensa Axl mentre la osserva, di sottecchi, cercando di non farsi
beccare. – Congratulazioni. Sei riuscita a perderti anche questo, oltre al
cervello. - Axl vorrebbe uscirsene col solito insulto innocuo ma
riesce a ferirla molto più profondamente di ciò che crede, con quelle parole.
Improvvisamente a Naz non sembra di essere più sbronza. Poi come un balsamo
arriva la musica alle sue orecchie.
- Sono innamorata di questa canzone. – Non dice che la ama, dice che ne è
innamorata, lentamente, assaporando le parole. Il disco è de The Doors, è sempre lo stesso che ha sostituito The Soft
Parade, il primissimo disco. Ma la canzone, Axl non
ne ricorda il titolo: è strana rispetto ai classici brani di Morrison, ricorda
il circo. Non gli è mai interessata quella voce in particolare: ha altri
modelli, Axl, dal graffio ruggente di Robert Plant alla poesia fatta canto di Freddie
Mercury.
- È Alabama Song. – Sembra che quella stronza gli legga nel pensiero, in realtà
è solo un caso: Naz è ubriaca e in vena di chiacchiere mentre inizia ad
ondeggiare sulla musica. Fa venire le vertigini solo a guardarla.
- Sembra uno scherzo, non una canzone. – Non sa da dove viene tutta questa
cattiveria, Axl, anzi sì. Non accetta lezioni di
musica da una ragazzina. Naz però è troppo presa dalla canzone per darci peso.
– Perché non è loro, è di Bertold Brecht. – Nel parlare di musica mentre questa
riempie a stanza, Naz si sente un’altra persona: guarda verso il ragazzo
sorridente e pensa che anche lui sia diverso, meno Axl
Rose e più qualcuno con cui avere a che fare.
- Senti stronzetta, parla potabile. – Invece il cantante è sempre più
infastidito. Non riesce a capire perché non riesce ad andarsene di lì: c’è
qualcosa nell’energia che Naz sprigiona che lo tiene inchiodato.
- Brecht. Era uno scrittore, cioè, faceva teatro… Norvegese o tedesco, non mi
ricordo. – Lo sguardo di Naz è di nuovo volto a qualcosa che lui non può
raggiungere. – Oh show me the way to the nextlittle girl. Mi ricordo che faceva parte di un’operetta
simpatica, Mahagonny si chiamava, un’opera musicale.
Pionieristica perché già negli anni Trenta faceva una spietata critica alla
società consumistica del Novecento. Brecht era un visionario, sai? Ed era crudo
nelle situazioni che presentava, pam, beccati questo
buon costume. Immagina come deve essere stato per il pubblico di quegli anni,
andare a teatro e trovarci il futuro. Per raccontare il presente ci vuol senza
dubbio un grande osservatore, ma per raccontare il futuro, beh, ci vuole un
genio. -
Non l’ha mai vista così distante dal suo mondo, dal bar affollato in cui lavora
e dai bassifondi di Los Angeles in cui vive. Naz Kurt, che di solito è la
perfetta manifestazione del contesto da cui proviene, brusca, immediata,
ispida, adesso è invece la bellezza fatta persona. È un angelo nel fango che
con lo sguardo lungimirante e la voce assorta porta Axl
in quella storia che è passato, presente e futuro. Che è cioè che lui vorrebbe
creare, ora, proprio in questo istante.
Vorrebbe vedere qualcuno parlare così della sua musica.
- E tu come le sai, tutte queste storielle? – Commenta ruvido, consapevole di
poter distruggere questo momento. Forse è ciò che vuole, Axl,
per un'infinità di ragioni: per non essere stato lui a raccontare quella
storia, perché si tratta di lei, perché è stufo di ascoltare racconti.
Da che ha memoria, c’è stata una favola, uno scritto, una canzone per ogni
periodo brutto della sua vita – e ce ne sono stati parecchi, di momenti brutti.
In lui ora c’è una vibrazione, un desiderio che gli impone di non accettare più
dal resto del mondo solo delle stupide storie: ha anzi l’impressione che, se ne
dovesse stare ad ascoltare un’altra, a quel punto anche l’ultima spinta del suo
animo a diventare protagonista, di uno di quei racconti, morirebbe. E non ne
può più di ascoltare.
- A scuola mi piaceva leggere. – Si è un po’ smorzata dopo quella domanda, lo
sente, ma non demorde, come sempre. Axl sa che Naz
non gli darà soddisfazione, non senza lottare: infatti nemmeno guarda verso di
lui, continua imperterrita a tenere quella posizione pericolosa sul davanzale,
inclina la testa e muove le braccia mentre parte Light myfire.
Quella ragazzina gli mette il dubbio di non aver mai capito cosa voglia dire
davvero rock n’roll.
- Sai che la canta anche Bowie? Alabama song, dico. -
La vita continua nell’altra stanza, Axl può vederli. Izzy in realtà è ancora nascosto dalla parete e dai corpi
di Steven e Slash che ora, per non si sa quale motivo, si stanno azzuffando.
Christie, fidanzata modello, salta alle spalle del riccioluto chitarrista come
un valchiria in crisi isterica. – Toglie le tue manacce dal mio uomo, brutto
bastardo! – Se la cava meglio lei di Steven.
- Mi piacerebbe da morire andare a un concerto di Bowie. - Axl pensa che ce la vorrebbe portare, a un concerto
di Bowie.
Vederla dimenarsi fra persone tutte più alte di lei, cantare a memoria tutte le
canzoni e trovarci significati a cui nessun altro può pensare.
Il ragazzo gira sui tacchi per avvicinarsi all’impianto stereo di seconda mano:
è stufo di Morrison, del suono di quella musica. Qualcosa di più sporco calza a
pennello, gli Stooges ad esempio. Questa deve essere
roba di Duff. Ecco, RawPower va benissimo: attacca subito Search
and Destroy appena lo avvia, ma l’inquietudine non se
ne va.
- Alla fine però la mia preferita è l’Opera da tre soldi. Quella parla di
ladri, d’imbroglioni e di puttane, di periferia. Insomma a tutti piace sognare
ma alla fine torniamo sempre da dove veniamo, no? I personaggi sono tutti degli
antieroi, persino il protagonista. Mac the Knife. Il
criminale più famoso di tutta Londra. Furbo e affascinante, è un tagliagole ma
tutti lo amano. - Axl sa di non avere la forza di andarsene e non
ascoltarla più. Assorbe ogni cosa di quello che Naz dice e sicuramente lo
userà, come usa tutto nella strada verso il suo grande obiettivo. Non è
sciocco. Ma prendere qualcosa di lei gli fa male. Stringe i pugni mentre si
rialza. Fa molto più male di quello che vorrebbe, perché c’è Izzy nell’altra stanza.
- Sai, mi ricorda un po’ te. -
Se non può ignorarla, deve distruggerla.
- Vuoi stare zitta? – Adesso sì che Naz si gira a guardarlo. Nel modo diretto
con cui la mocciosa comunica col mondo, non riesce a nascondere di essere
sconvolta per l’asprezza di Axl. Credeva che
l’avrebbe capita, forse. E il problema è che l’ha fatto ma non può farglielo
sapere, o si ritroveranno entrambi in guai grossi e Axl
non può permetterseli. Lui ha un piano. Ha quello e basta e Naz non può
levarglielo.
- Piantala di straparlare, mocciosa. – Le si avvicina per poter abbassare la voce.
Non lo sentirebbero comunque, visto il casino che stanno facendo. – Quelle
quattro cose che hai imparato a memoria non cambieranno la realtà: vieni dal
niente e sei niente. Fa un favore a te stessa, smetti di raccontarti queste
storielle. Smaltisci l’alcool e torna sul pianeta Terra, dove le cose sono alla
tua portata. E non tirare in mezzo me, mai più. -
Non si ferma per osservare la sua espressione quando quel discorso finisce. Si
stamperà in testa il modo in cui l’ha guardato mentre parlava: gli occhi
spalancati, la bocca socchiusa, la fronte corrugata da un dolore quasi fisico. Axl si volta di nuovo verso l’interno della stanza,
si dirige verso il bagno. Dalla camera, ecco la cavalleria che arriva: la zuffa
si è trasformata in una gara fra Steven e Slash a gattoni sul pavimento,
Christie ed Ebony a cavallo dei loro destrieri che li
incitano ad andare più veloce.
Buffoni.
Non capisce perché perde tempo in quel posto. Forse dovrebbe trovarsi degli
altri musicisti, ma sa che non ce ne saranno altri in grado di suonare come
loro.
Sbatte la porta del bagno violentemente dietro di sé, avanzando verso il
lavandino dove lo specchio scheggiato gli restituisce un’immagine devastata: ha
la pelle di un pallore spettrale e le pupille dilatate, sembra invecchiato di
trent’anni in un colpo. Non è così che vuole essere, non è adatto al punto dove
vuole arrivare. Stringe i denti, restituendosi uno sguardo ardente.
Odia come lei è capace di ridurlo.
Forse adesso Naz starà davvero alla larga da lui.
Letting go:
I wanna be happiernow,
I wanna be more thanclosed. Surreal, the way you make me out,
the way you crash me down. (Wild
nothing – Letting go)
Sono
le tre, forse addirittura le quattro. Fra poco il cielo inizierà a rischiararsi
sopra Los Angeles, oltre i palazzoni di periferia e le colline con l’erba
bruciata.
Qualcuno ha cambiato di nuovo disco ed era è il suono psichedelico di The Piper
at the Gates of Dawn a
riempire le mura lerce di quell’appartamento distrutto. Nulla potrebbe essere
più adatto alla visione distorta e inquietante della realtà che ha preso
possesso dei suoi inquilini. O forse il suono conturbante dei Pink Floyd di SydBarrett peggiora solo la
situazione.
- Ascoltami, donna, un’altra parola e giuro che ti sbatto fuori da questa
stramaledetta casa. Hai capito? E non mettermi le tue cazzo di mani addosso! -
Non si sa bene in che momento Christie e Steven hanno ricominciato a litigare,
stavolta seriamente. Da un tempo indefinito sono in piedi al centro del salotto
a darsi contro. Il perché, se lo sono dimenticato anche loro, ma ciò che è
certo è che Steven ha superato la fase in cui generalmente ignora Christie, per
passare a quella in cui la minaccia.
- Non ti permettere di parlarmi in questo modo, mi hai capito? Io sono una
benedizione, porca puttana. Dovresti solo essere grato di stare con me,
scimmione! -
Christie al solito non calibra le parole. Sembra spiritata, gesticola come una
pazza con i capelli arruffati e ogni tanto lo spinge, forse contando sul fatto
che Steven non le ha mai torto un capello da sobrio o forse semplicemente
perché è sbronza marcio, come tutti. Ogni tanto sembra che il batterista voglia
però rispondere con uno schiaffo.
- Una benedizione? Sei una zoccola! Ce ne sono mille come te qua fuori, che
aspettano solo che vada a farmele. – Non sembra nemmeno che ascoltino davvero
le cose terribili che si stanno gridando addosso: sono fatti così, entrambi per
ragioni differente sfogano la rabbia in modo viscerale e violento. Steven
perché di giorno è impegnato nella parte del ragazzo ottimista e questo finirà
per fagocitarlo; Christie perché non ha la più pallida idea di cosa fare della
propria vita quindi salta da un estremo all’altro in attesa di trovare un punto
in cui fermarsi.
Poco distante, sul divano, Ebony siede scomposta con
i capelli davanti alla faccia mentre abbraccia un secchio di plastica che, a
intervalli regolari, provvede a riempire col proprio vomito. Tossicchia, con
una cera che sarebbe perfetta in obitorio.
Chissà perché diavolo devono ridursi così ogni volta.
- No, non chinarti in avanti scheggia, rischi di finire con la faccia in questa
merda. -
Justin non è lontano, ma non sa bene cosa dirle e si sta per addormentare,
sopraffatto da un quantitativo d’alcool che è troppo per lui e di cui si
stuferà presto. Chi invece, nonostante la scarsa lucidità, riesce a restare
sveglio al suo fianco è Slash.
Slash l’esaltato, Slash che è quello che salta come un pazzo con i ricci e il
cilindro, quello che fa la sua porca figura sul palco perché in fondo è una
macchietta.
- Oh, ci risiamo. – Barcolla anche lui, ma ha vissuto momenti come questo mille
volte quindi riesce a tenerle la testa mentre un altro singulto la scuote. –
Certo che sei un pozzo senza fondo, eh? È la quinta volta che sbocchi. – Ebony non può rispondergli, probabilmente nemmeno l’ha
sentito. Per stasera non riuscirà ad avvicinarsi più di così a lei.
Il suo ragazzo è bell’e collassato.
Stupidi ragazzini.
- Saulmiporsciunfasciolettopefav. -
- Piccola, non ho capito una sega. Meglio se ti concentri sul secchio, va. No,
non addormentarti. – Riesce a trovare anche il lato positivo della faccenda,
Slash. Se dovesse focalizzarsi sul fatto che, anche se Justin è sprofondato nel
mondo dei sogni e lei gli sta praticamente svenendo addosso, Ebony sicuramente non è nelle condizioni di fare alcunché,
beh… Almeno c’è lo spettacolo dei due piccioncini a distrarlo. – Punto due
dollari su Chris! Picchia, ragazza! - Lucifer Sam accompagna dolcemente queste armonie
delicate.
- Jennifer Gentle, you’re a
witch. - Duff continua a ballare. Ormai nulla ha importanza,
tutto vortica, tutto fa parte dello stesso flusso continuo e ininterrotto: le
urla, i litigi, il vomito, è tutto nobilitato dall’ubriachezza che lo pervade.
Canticchia, non se la cava male.
Victoria davanti a lui sembra a tratti grande, a tratti piccola, come se la
vedesse attraverso uno di quegli specchi del cazzo dei luna park.
Ride, la sua amica. Se la ricorda, quando erano bambini a Seattle. – You’re the left side, you’re the… no, he’s! – Anche
Victoria prova a cantare, ma è stonata come una campana e poi si dimentica le
parole. Però ci ride su come se non avesse mai sentito migliore barzelletta.
- Sei bellissima, Vicky. – Ed è vero, è una delle
ragazze più belle che abbia mai visto, con quei capelli color oro e gli occhi
brillanti. Che spreco.
Perché si sia buttata via così, non l’ha mai davvero afferrato.
C’è chi nasce di bell’aspetto, di famiglia modesta, in un ambiente confortevole
e comunque cerca l’oblio. S’imbatte nella notte e non fa più ritorno, alla
ricerca di qualcosa di più di una vita ordinaria, finendo però per trovare
qualcosa di ancora più scontato.
Victoria ride mentre vicino a loro Chris e Steven continuano ad urlare come
forsennati. Ancora più in là, ci sono Naz e Izzy che
ballano apparentemente come loro, ma con una connessione diversa, che emerge
anche nell’ebbrezza e che in fondo tutti invidiano un po’. Basta osservare come
si guardano negli occhi per capire che ciò che li lega non ha nulla a che
spartire col resto di quel putridume.
- Michael. – La voce dell’amica di sempre lo richiama ancora alla realtà. Si
era perso ad osservare la coppia e si era dimenticato di aver lanciato un sasso
troppo grande per essere ignorato.
Victoria si sporge di slancio verso Duff, gli butta
le braccia al collo come se fosse nata per fare questo. Sono anni che desidera
solo che lui la salvi.
Dovessero anche passare il resto della vita a dormire per strada e a fare
l’elemosina, l’importante è che lui la salvi. E nel cercare le labbra del
ragazzo, Victoria cerca anche quella conferma.
- E allora vattene! Che cazzo aspetti? Torna da mamma e papà, puttanella
viziata! - Duff non sa spiegare cosa lo spinga a scansare quel
bacio ardente. Normalmente, con lo stesso quantitativo di alcool in corpo
avrebbe subito ceduto alle attenzioni di una biondina procace, senza farsi
troppi scrupoli nei confronti dei sentimenti altrui.
C’è qualcosa negli occhi azzurri di Victoria che gli suggerisci che, questa
volta, è meglio lasciar perdere.
- E chi ti pagherà la droga e l’alcool se non ci sono io, idiota di un
bradipo?! -
- Ebony, forza… Miseriaccia,
quanto pesi donna. – Alla fine Saul ha deciso di provarci comunque, a imbrandarsi quella ragazzina mezza ubriaca. O forse vuole
solo essere gentile per davvero, ma tutti sono propensi a pensare male perché è
Slash, il dio del sesso e delle chitarre.
Nel trascinarla verso l’unica camera da letto dell’appartamento, sbatte anche
la testa contro lo stipite della porticina, bestemmiando.
- Izzy. Izzy, non mi sento
tanto bene. -
Il diretto interessato sente la voce della sua ragazza ovattata anche se il suo
viso è a un centimetro di distanza. Tutto attorno a lui è fuori dal controllo
dei suoi sensi. Duff raccoglie lo slancio di Victoria, dirottando su
un abbraccio che li porta entrambi a dondolare sul posto. La ragazza crede di
aver sentito un sonoro schiocco all’altezza del cuore, qualcosa che purtroppo
le risulta familiare. Si stringe al corpo lungo e caldo del suo amico,
chiudendo gli occhi.
- Izzy, seriamente, credo di star per svenire. -
Non sa bene in che momento l’espressione di Naz è passata dalla beatitudine
immersa in quell’atmosfera psichedelica all’angoscia pura, un sentimento che
raramente ha visto in quegli occhi da cerbiatto. Izzy
non ricorda nemmeno il momento in cui si sono ritrovati nel cucinino squallido,
alla ricerca di chissà che cosa.
Ma nel momento in cui il suo cervello ha registrato quella faccia affannata,
ecco improvvisamente che è diventato sveglissimo.
Potrebbe imbracciare il fucile e andare ad ammazzare il nemico in questo
momento, cazzo.
- Lo sai cosa vuol dire per una come me stare con uno come te, eh, scimmione?!
Mi stai ascoltando?! -
- Izzy, resterò sempre così? Voglio dire… riuscirò
mai a fare qualcosa di diverso? Io credo.., ho paura di no, Izzy.
Non so che mi prende. Me la sto facendo sotto. -
Naz singhiozza in maniera realmente preoccupante. C’è qualcosa di più dietro
quell’ubriacatura, c’è un tormento che lei sta liberando con la scusa del
crollo delle inibizioni. Accade tutto rapidamente. Izzy
intercetta quegli occhi scuri e dilatati e improvvisamente tutta la pena della
sua ragazza lo colpisce come una stilettata al petto, come un’incudine in
testa.
Il corpo di Naz d’un tratto sembra scosso da tremori incontrollabili. Più che
un semplice sfogo, quello sembra un vero e proprio attacco di panico e nessuno
è nelle condizioni per rendersene conto. Nessuno, tranne Izzy.
- Izzy, sarò mai diversa da così? Riuscirò a vedere
cosa c’è oltre i confini di questa stracazzo di
città? Ho paura che non me ne andrò mai, che marcirò per sempre qui, farò la
barista fino a novant’anni e morirò arida, col rimpianto sulle spalle. -
Non credeva ci fosse qualcosa in grado di perforarlo così nel profondo, finché
non ha visto quelle lacrime.
- Naz. Naz, adesso guardami. Respira a fondo e lentamente, così. Concentrati su
quello. Dentro e fuori. Brava. -
La sua voce roca e stranita è come una lanterna in fondo a una galleria, la
guida in quei gesti fondamentali per riacquistare un barlume di controllo su
quel terrore che s’è radicato come un’infezione nel suo cuore.
- Io ti amo, stupido scimmione. Ti amo da morire perché non sei scontato e mi
fai mettere in discussione. E mi fai ridere. Ne abbiamo così bisogno. -
Chissà quando è successo che la discussione fra Christie e Steven si è
trasformata in un motivo per avvinghiarsi di nuovo. Ora si accarezzano in un
modo così dolce da far pensare che no, non sarebbe proprio possibile sentirli
pronunciare parole d’odio e di amarezza.
- Naz. – Solo quando la sente tornare a respirare con un ritmo accettabile, Izzy riprende a parlare. Nonostante quello che ha
ingurgitato nelle ultime ore, quel ragazzo ha una solennità nelle maniere che
sarebbe in grado di placare un bisonte imbizzarrito. – Naz, lo so che sei
stanca di questa vita. So che credi che non abbia valore, perché raramente hai
scelto per te e hai passato il tempo a badare agli altri invece. So che ti
senti esausta e vecchia. -
Incredibile come, con le sue mani sulle guance, Naz andrebbe davvero in capo al
mondo.
- Ma hai vent’anni e finora hai vinto tutte le sfide che ti hanno messo
davanti. Sei così perché sai che i cambiamenti non arrivano dall’oggi al
domani, perché non hai paura di sudare e sanguinare e non hai mollato dove
altri l’avrebbero fatto. E so che domani non smetterai di essere così solo
perché sei spaventata, com’è normale. So anche che se un giorno dovessi
metterti in testa di andare dall’altra parte del mondo, anche partendo dal
niente ci riusciresti. -
Steven sta baciando Christie con talmente tanta passione, mentre indietreggiano
verso la stessa camera dove ci sono Slash ed Ebony,
che probabilmente cadranno.
- E se ti dovessero mancare le forze, ci sarò io a portartici. -
Lo strano miscuglio fra un singhiozzo e una risata che esce dalla gola di Naz è
l’esatta manifestazione di come in quel momento la sua gabbia toracica non sia
in grado di contenere il suo cuore. Izzy sente che non esiste nient’altro di importante
quando la ragazza gli butta le braccia al collo e lo bacia come se fossero soli
nell’universo. Lei gli posa le labbra ovunque, sulle guance, sulle palpebre,
sulle labbra, senza riuscire più a fermarsi.
Victoria a un certo punto si è ritrovata distante da Duff.
Il ragazzo continua ad ondeggiare e lei ha ora l’esatta percezione di quanto
sia distante.
Vicino a lei adesso però c’è Axl, Axl
dallo sguardo duro e dalla bellezza eterea. Chissà quando è comparso.
Mentre ride con tenerezza, Izzy accoglie lo slancio
di Naz e ne avverte quella ritrovata gioia di vivere, consapevole di essere
stato lui l’input a recuperarla.
Nemmeno si curano del fatto che ci sono altre persone poco distante. Quel
sentimento puro si trasforma in una passione travolgente che porta Naz a
sbottonargli la camicia, con urgenza. Izzy afferra i
lembi della sua maglietta, strattonandoli verso l’alto, ridendo di nuovo quando
vede il colletto incastrarsi sul naso della ragazza. Sono impacciati a causa
dell’irruenza ed esaltati dall’amore. Axl afferra il braccio di Victoria con una rudezza
volontaria, trascinandosela contro. Cerca la sua bocca con un bisogno che la
ragazza non comprende, ma accetta grata di quell’opportunità di dimenticarsi
che Duff non è innamorato di lei e mai lo sarà.
Naz e Izzy non si accorgono di questo scambio. Si
stringono appagati dal contatto della loro pelle. La giovane fa per appoggiarsi
a una delle sedie del tavolo, finendo però per perdere l’equilibrio e rovinare
a terra, trascinandosi dietro anche il suo Izzy col
nasone e l’animo d’oro.
Probabilmente le uscirà un bernoccolo ma non importa, ora sorride di nuovo
mentre sente le mani del ragazzo sul ventre, sui fianchi e infine a sollevare
il piccolo reggiseno.
Rotolano sotto il tavolino traballante come se si trovassero su una distesa
d’erba verde e fresca. Faranno l’amore lì ed ogni dettaglio che li circonda si
nobiliterà di quella giovinezza sconsiderata e ardente. Mentre il corpo di Izzy s’incastra alla perfezione col suo, Naz ha l’esatta
percezione che anche se niente sarà più come questo preciso momento, per un
attimo può credere che vivranno per sempre.
E si abbandona a tutto l’amore di cui è capace.
And if you're in love, then you are
the lucky one ‘cause most of us are bitter over someone,
setting fire to our insides for fun
to distract our hearts from ever missing them
but I'm forever missing him
and you caused it. (Daughter – Youth)
OFF ZONE: Ciao.
Sono Greta aka Charlie e sono spiazzata. Non
so davvero se ci sia ancora qualcuno che ha letto Love willtearusapart
qui. Sono passati otto anni – o t t o – da quando
l’ho scritta. Correndo il rischio che a nessuno in realtà freghi nulla delle
spiegazioni, vi racconto come sono arrivata ad elaborare questa MissingMoments.
Da diverso tempo non accedevo su EFP quando quest’estate, da brava fuorisede,
mi sono ritrovata a passare parecchio tempo a casa dei miei genitori e quindi
nei luoghi della mia adolescenza. Otto anni sono lunghissimi e sono cambiate
tante cose, anche se resto una sbarbina – adesso di anni ne ho ventitré, che in
fondo non sono un cazzo, non farò la donna vissuta. È semplicemente successo
che una sera mi sono detta “Cavoli, ma io scrivevo storie. Rileggiamone
qualcuna!”
Ed eccoci qui.
Ho recuperato in particolare Love willtear usa part perché è stata la prima fanfiction
seria che ho scritto, la più lunga e quella a cui sono affezionata. Questa
rilettura ha suscitato sentimenti contrastanti perché se da un lato sono
soddisfatta di quello che, in giovane età, sono riuscita a produrre, sapete,
sono emerse tutte le contraddizioni di quel periodo, tutta l’inesperienza e
l’ingenuità. Non che adesso sia esattamente questo guru, lo ripeto, però c’è un
vissuto diverso.
Quindi ho preso due decisioni.
La prima è stata quella di revisionare la storia, operazione che è ancora in
corso: attualmente sono arrivata all’undicesimo capitolo e beh, ci metterò un
po’ a finire perché ce ne sono trentasei, anche se il lavoro più grosso si è
ovviamente concentrato nei primi passaggi. La trama non è stata modificata, sia
chiaro. Quello che ho rivisto sono la grammatica e la sintassi – anche se
sicuramente qualcosa m’è sfuggito, perché sono una cazzona distratta – i
riferimenti culturali, specialmente quelli musicali, alcuni particolari del
passato di Naz e del personaggio di Izzy che ho
cercato di valorizzare al meglio.
La seconda è stata quella di scrivere questa MissingMoments, a partire da un episodio che si colloca al
Capitolo 9 di Love willtearusapart, il festino di cui
tutti si sono dimenticati. In realtà – pensate – era qualcosa che mi ero
ripromessa di scrivere anni orsono. Alla fine tutto ritorna.
Credo di poter dire fin da subito che ci saranno altri tre capitoli, forse
quattro visto che ho in mente anche un passaggio su Naive,
l’altra mia fiction sui Guns N’Roses.
Non so però se questa ispirazione permarrà, sarà costante o boh, quindi non mi
do tempi. Penso però che porterò a termine la missione, quindi alla prossima
puntata.
PER AMORE DEL DIRITTO
D’AUTORE: Mi
ritaglio uno spazio per le giuste attribuzioni delle cosette menzionate in
questi paragrafi.
Il sottotitolo di Youth – canzone dei Daughter – è in
realtà di un altro brano, Hunger di Florence and The
Machine, che per me rappresenta la descrizione perfetta del mio triangolo
Axl/Naz/Izzy.
The Soft Parade e The Doors sono, appunto, due dischi
dei The Doors. Del primo menziono Touch
me, cantata da Steven e Christie. The Soft Parade fu effettivamente un album
che ricevette uno strano responso dal pubblico, perché focalizzato su sonorità
particolari. Di The Doors invece sono menzionate
Break on through, Light myfire e ovviamente Alabama Song, cover realizzata sulla base
di quella scritta da Bertold Brecht e Kurt Weill.
Alabama song è una canzone di cui esistono mille, stupende versioni. Fu scritta
da Brecht e musicata da Weill, inserita in diverse
operette di entrambi. Diciamo che è la canzone emblema di Ascesa e caduta della
città di Mahagonny, l’operetta citata anche da Naz e
ideata da entrambi. Bowie già nel ’78 la eseguiva dal vivo e la fece uscire
come singolo nell’80, tuttavia è stata inserita in ScaryMonsters ad Super Creeps
solo negli anni Novanta.
“Andarsene
stanotte o vivere e morire in questo modo” è una quote di Fast car di Tracy Chapman, una canzone che amo profondamente e che è
sicuramente l’inno di Naz. Peccato che sia dell’88, perché altrimenti
gliel’avrei fatta cantare sempre. Comunque, mi sono ispirata molto al testo di
questo brano per descrivere i sentimenti della mia Naz in questo capitolo,
spero che emerga anche solo un briciolo della poesia di Tracy.
“We are the champions”,
beh, io spero davvero non ci sia bisogno di spiegazioni. Naz
con la maglietta di UnknownPleasures
è una chicca di sentimentalismo. L’album è quello di debutto dei Joy Division, anche se no, non è quello che contiene Love willtearusapart, che è stato pubblicato come singolo dopo la
morte di Ian Curtis.
The Stooges con Iggy Pop
sono citati di sfuggita, con RawPower
e la loro Search and Destroy.
Torniamo a Brecht. L’Opera da tre soldi di cui parla Naz è probabilmente il suo
lavoro più famoso. Vi consiglio di andare a vederla a teatro, se ne avete la
possibilità, oppure di leggerla, perché è effettivamente un capolavoro. C’era
un motivo se uno come David Bowie era fan di Brecht.
The Piper at the Gates of Dawn
è il primo album dei Pink Floyd e il manifesto della psichedelia
di SydBarrett. Lucifer Sam è la canzone che stanno cantando Duff e Victoria, mentre See Emily
Play è quella citata in Love willtearusapart, quella con cui si
sveglia Naz.
Se ci sono altre citazione, dovrebbero essere tutte abbastanza esplicite.
The end of love Even in my dreaming
it was a good line for a song.
In a manner of speaking
I just want to say
that I could never forget the way
you told me everything by saying nothing.
In a manner of speaking I don't understand
how love in silence becomes reprimand
but the way that i feel about you is beyond words. (Tuxedomoon – In a manner of speaking)
Izzy era nervoso.
In realtà gli succedeva spesso. Nonostante, per svariati motivi, spesso si
ritrovasse a ricoprire il ruolo del tipo pacato e razionale del gruppo, vi
erano diverse situazioni che potenzialmente potevano inquietarlo o comunque
farlo tremare dentro. Prima di un concerto, ad esempio, era sempre teso.
Concentrato, ma comunque teso.
C’era qualcosa di diverso in ciò che stava provando in quel momento, tuttavia.
Non si trattava di qualcosa di facile da ammettere a sé stessi: prima di quel
pomeriggio di giugno, c’erano stati altri mille primi appuntamenti con altre
mille ragazze, oltre a incontri ben meno standard. Il fatto che proprio quello,
fra tutti, lo rendesse così agitato, meritava una riflessione che però non era
in grado di formulare lì, su due piedi.
Intanto doveva trovare il modo di smetterla di sudare così tanto.
Non che non fosse un ragazzo riflessivo, il buon IzzyStradlin. Anzi, fra tutti i mascalzoni e i cervelli
bruciati che c’erano in giro, quel guercio sicuramente non temeva le parole e
il loro significato, anzi. Venerava il pensiero, l’elaborazione di concetti e
la traduzione di emozioni di cui l’uomo era capace.
Solo, in quel momento gli pareva che quella mirabolante abilità tipica della
specie umana fosse solo in grado di aumentare la sua sudorazione.
Attendeva da qualche minuto a lato di una strada affollata di Silver Lake, Los
Angeles, l’ombelico di quella dannata città. Aveva lottato con i ragazzi per
avere l’automobile, quel pomeriggio, giusto per conferirsi un tocco
d’indipendenza in più. Appoggiato contro quel macinino scassato mentre persone
di ogni genere gli passavano vicino, quel vecchio diavolo si accese la seconda
sigaretta di fila. La California era un autentica fornace ma di solito non gli
provocava certi effetti.
Ancora niente.
Certo, lei non gli era sembrata una
ritardataria. Tuttavia, Izzy non era riuscito a
impedirsi di arrivare in anticipo davanti al negozio di dischi che gli era
stato indicato come punto di ritrovo.
Indossava una camicia a maniche corte cremisi e un paio di pantaloni neri e
lunghi che gli stavano facendo desiderare di essere morto, sotto il sole
infernale della città degli angeli. Portava gli occhiali scuri sul naso,
guadagnando un po’ di sicurezza dalla sensazione che almeno non si poteva
scorgere il suo sguardo saettare da una parte all’altra del marciapiede.
- Ehi. -
Ovvio. Era arrivata esattamente dall’unico lato della strada verso cui non
stava guardando. Ma Izzy era il tipo calmo, quello cool: non smise di ripeterselo
mentalmente mentre si voltava a guardarla, prendendosi il proprio tempo per
sorridere. – Ehi. -
Naz indossava un paio di jeans a vita alta che sembravano un po’ troppo larghi
per lei, stretti con una cintura logora a cui erano stati aggiunti dei buchi,
oltre a una canotta bianca su cui era stampata la faccia di David Bowie sulla
copertina di Aladdin Sane. I colori erano un po’ sbiaditi. Portava i capelli
corti e aveva gli occhi più belli che Izzy avesse mai
visto.
- Come va? – Izzy si liberò dell’espressione
imbambolata con cui la stava fissando un secondo prima che lei se ne
accorgesse. Non osò avvicinarsi, tuttavia: l’aveva baciata, vista nuda, aveva
fatto l’amore con lei, ma questo era un altro paio di maniche. Dal pomeriggio
sulla spiaggia, dopo il quale Naz gli aveva lasciato il suo numero, era la
prima volta che si vedevano. Izzy non aveva fatto altro che pensarci.
- Bene! Tu? – La ragazza non sembrava imbarazzata né da quelle frasi di
circostanza, né da quella distanza fisica. Sembrava affrontare tutto con la
disinvoltura e l’audacia con cui l’aveva conosciuta: sembrava non ci fosse
davvero nulla che potesse spaventarla. – Io attacco alle sette comunque, alla
fine. Che ti va di fare? – Naz si passò una mano davanti alla fronte, prima di
scostare un ciuffo di capelli ribelli con uno sbuffo. Carina. - Beh, potremmo prenderci qualcosa da bere, magari. Cioè io, tu sei
minorenne. – Izzy si augurò disperatamente di suonare
rilassato come sempre. Aveva come l’impressione di tradire in maniera plateale
il proprio nervosismo. – O magari possiamo andare al cinema. Vedere che danno.
–
Solo dopo aver formulato quella proposta, si rese conto di avere solo cinque
dollari in tasca. Non era riuscito a recuperare altro dal fondo comune della Hellhouse. Si appoggiò di nuovo alla vecchia Mustang
sfasciata, incrociando le braccia al petto in maniera sciolta, mentre pregava
che i film usciti all’inizio dell’estate facessero tutti schifo.
Poteva offrirle al massimo una passeggiata. Maledizione.
Dopo un breve momento di pausa, Izzy vide Naz
inclinare la testa di lato. Un sorriso leggero incurvò le labbra della ragazza.
Non sembrava beffarda o minacciosa, solo… intenerita?
- Perché, tu ce li hai i soldi per andare al cinema? - Izzy avvertì chiaramente che non lo stava prendendo
in giro né sminuendo. Quella domanda pronunciata con genuinità, solo un pizzico
di divertimento, era più simile a una manifestazione di gratitudine,
caratteristica paradossale dato il contenuto della stessa.
Il ragazzo le sorride di rimando, prima di scoppiare a ridere.
Avrebbe capito solo dopo che semplicemente Naz non era abituata ad essere
trattata così. Con gentilezza. - Forza, andiamo. Ho un’idea. -
Non si toccarono, non ancora. Naz si limitò a fargli un cenno col capo, uno di
quelli che lui avrebbe fatto a un compagno per invitarlo a una partita di
basket magari.
Eppure nel seguirla, gli sembrò di conoscerla con un’intimità decennale.
Silver Lake di giorno era anche piuttosto accogliente, rispetto ad altri
quartieri di Los Angeles che, limitandosi ad ospitare la vita notturna della
metropoli, con la luce del sole si trasformavano in pattumiere a cielo aperto.
Attorno a loro vi erano sì tipi strani, con capelli strani, vestiti strani e
andature strane, ma anche mamme intente a trascinare i figli capricciosi per
strada, nugoli di donne che chiacchieravano fra loro, vecchietti che
ispezionavano le strade accaldati. Izzy si limitò a chiederle di Christie, degli esami
finali a scuola, a raccontarle delle prove della band mentre camminava al suo
fianco: non le fece ulteriori domande sulla destinazione.
C’era qualcosa che gli diceva che Naz non avrebbe sbagliato.
- Ta-daaan! -
Da qualche parte all’interno di quel negozio, una radio mandava l’ultimo pezzo
dei Tuxedomoon. Lei amava il post punk. Difficile si
fosse trattato di qualcosa di più di una coincidenza, ma a Izzy
piacque pensare che ci fosse come la trama di una poesia dietro.
Si trovava di fronte a Wilbourne&Sons, un piccolo
rivenditore di elettrodomestici e prodotti tecnologici che probabilmente non si
sarebbe mai calcolato. Sembrava un tipo negozio di periferia, pulito, adatto
allo shopping in famiglia, con prezzi economici per chiunque non fosse
spiantato come loro. Izzy lanciò a Naz un’occhiata di traverso, sorridendo
perplesso e al contempo elettrizzato: dietro quella scelta assurda, doveva
esserci qualcosa di grandioso, lo leggeva negli occhi furbi che la ragazza
sfoggiava in quel momento. – Siamo già alla fase in cui compriamo insieme la
lavatrice? -
Naz scoppiò a ridere e solo in quel momento entrambi si resero conto di aver
rilassato le spalle e i nervi. Fu tutto più facile.
- No, non puoi ancora lamentarti di essere stato accalappiato. Vieni. – Con la
stessa facilità con cui respirava, Naz gli prese la mano per trascinarlo
all’interno. Non rappresentavano i clienti modello, no: un vecchietto –
probabilmente Wilbourne – dietro un lungo bancone
lanciò loro un’occhiata sospettosa. Sembrava proprio il genere di uomo con un
fucile a pompa nascosto sotto la scrivania, tuttavia Izzy
ridacchiò senza preoccupazioni.
- Ecco. – Naz lo trascinò soddisfatta davanti a un’esposizione ordinata di
televisori più o meno piccoli. Trasmettevano, probabilmente per mostrare ai
potenziali acquirenti le diverse risoluzioni e qualità del video, spezzoni di
film diversi fra loro. Quello che avevano davanti stava mostrando una giovane e
bellissima Audrey Hepburn in abito arancione, in un cucinino angusto. Cinema. - Quando eravamo piccoli, io e mio fratello sgattaiolavamo un sacco di
volte ai drive-in per guardare i vecchi film. Ho sempre desiderato saper
parlare con lo stesso fascino di Audrey Hepburn. - Izzy si volse a guardarla, non conosceva quel film nonostante
avesse presente l’attrice. Eppure, osservando il viso di Naz che si illuminava
di un sorriso davanti allo schermo, gli sembrò di averlo visto almeno un
centinaio di volte. Con lei, una bambina mingherlina e impavida davanti
all’idea di essere beccata con le mani nel sacco.
- I'll tellyouonething, Fred, darling... I'dmarryyou for yourmoney in a minute. Wouldyoumarry me for mymoney? – Naz recitò quella
battuta quasi in contemporanea col movimento delle labbra di quella muta Audrey
Hepburn. Izzy avrebbe voluto conoscere la battuta del
belloccio biondo che stava osservando la diva di Hollywood con lo stesso
sguardo che lui aveva per quella ragazzina.
- In a minute. – Ci pensò Naz a girarsi verso di lui, replicando lo stesso tono
di George Peppard.
- Ehi, quello lo conosco. - Izzy si avvicinò a un grande schermo d’ultima
generazione, che in quel momento stava proiettando l’immagine di due uomini in
una macchina decapottabile, con sedili tigrati di pessimo gusto. Uno di loro
sembrava piuttosto stanco o piuttosto ubriaco.
Il ragazzo si volse entusiasta verso Naz, scoprendo sorpreso un’espressione
dubbiosa sul viso della ragazza. Questa si morse il labbro, mostrando un
sorriso che in realtà celava dispiacere.
- Ti giuro, non ho idea di cosa sia. – Izzy scorse
dell’imbarazzo dietro quella che doveva essere nonchalance. E dire che si
trattava di una pellicola recente. Avrebbe realizzato solo dopo qualche tempo
che l’esperienza di Naz, nel corso di quella vita sfumata e incerta che
conduceva, si limitava a quei vecchi film che aveva visto da bambina, per caso.
- Shelikesyou? How do youknow? – Con un sorriso furbesco, Izzy
abbassò la propria voce e la rese più ruvida, sfoderando anche un vago accento
latino. Bastò per suscitare in Naz una risatina leggera, che dissolse quel
senso di inadeguatezza.
- The eyes, chico. Theyneverlie.
– Quando si volse verso di lei, per completare quella battuta guardandola
giustamente negli occhi, Izzy credette di sentire il
cuore esplodere. Fu una sensazione sconcertante ma inevitabile, di fronte a
quelle grandi pupille scure che lo osservavano in quella maniera. Forse Naz non
si rendeva conto del modo in cui si era illuminato il suo sguardo, rivelando al
ragazzo un mondo inaspettato; o forse era Izzy ad
essere abbastanza sciocco da leggere in quello scricciolo dei sentimenti che in
realtà appartenevano a lui. In ogni caso, avvertì chiaramente di poter
conquistare il mondo con quegli occhi addosso. - Oh caspiterina, stanno dando Rebelwithout a cause. – Il modo
in cui Naz si entusiasmò improvvisamente lo lasciò di stucco. Non si aspettava
di veder sfuggire il suo sguardo così presto. Ma gli occhioni della ragazza si
erano posati su uno degli schermi più all’avanguardia che il locale aveva a
disposizione.
Un belloccio in giacca rossa spiccava nell’ambiente scuro del set, accanto al
viso contrito di una giovane dall’aspetto insieme dolce e in qualche modo
terribilmente contrito. Le labbra di James Dean stavano scandendo parole prive
di suono in quell’ambiente non così distante dal mondo dipinto da Nicholas Ray: se la storia dell’attore aveva consacrato quella
pellicola ad una leggenda patinata, l’impronta del racconto si scorgeva
chiaramente nella vita che conducevano.
- I'msorry. I'm
sorry that I treated you mean today. You shouldn't believe what I say when I'm
with the rest of the kids. Nobody, nobodyacts sincere. - Izzy già la stava contemplando, col viso verso di
lei, quando Naz iniziò a recitare quella battuta a memoria con una naturalezza
incredibile. C’erano mille notti passate con suo fratello a rubare pezzetti di
vita altrui, dietro quell’imitazione di Natalie Wood.
Senza nemmeno pensarci su, senza calcolare i gesti di James Dean, Izzy si chinò per posare le proprie labbra sulla tempia di
Naz.
La sovrastava in altezza, ma quando la ragazza si volse a guardarlo si sentì
incredibilmente piccolo. Per qualche secondo, rimase in bilico fra il tempo che
era passato troppo veloce dal loro primo incontro e le parole che si sarebbero
detti in futuro. Nel presente, c’era solo quella bizzarra e intensa intimità,
fatta del fiato che Izzy tenne sospeso in attesa
della reazione della ragazza.
Aveva come la sensazione che ne sarebbe dipesa la sua vita.
- Whydidyou do that? -
Il sorriso che si aprì sul viso delicato di Naz non aveva nulla a che fare con
la sorpresa scossa della giovane Judy. Era fuori da film, schermi e qualsiasi
altro materiale servisse a intrappolare i sentimenti per renderli racconti.
- I feltlikeit. – Izzy recitò la battuta con
orgoglio, restituendole il sorriso. Wilbourne, alle
loro spalle, li stava scrutando indeciso se andare a cacciarli immediatamente o
far finta di nulla per un altro po’. Teppisti.
Rimasero incuranti del fatto che a James Dean e a Natalie Wood ci sarebbe
voluto ancora un po’ per rendersi conto dei reciproci sentimenti: Naz si
protese, sollevandosi sulle punte dei piedi, verso Izzy
nel momento stesso in cui questi si chinò di nuovo, come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
Mentre riconquistava quelle labbra soffici e cariche di promesse, Izzy realizzò che non sarebbe mai stato in grado di
scrivere una canzone in grado di descrivere ciò che stava accadendo.
Tutto sommato, gli andava bene così.
- Andiamo? –
Accolse le dita di Naz fra le proprie mentre si faceva trascinare dalla sua
voce lontano da Wilbourne. Un giornosarebbetornato a ringraziarlo.
And those were the days of roses
poetry and prose and, Martha,
all I had was you and all you had was me.
There was no tomorrows,
we'd packed away our sorrows
and we saved them for a rainy day. (Tom
Waits - Martha)
Izzy entrò nella casa con cautela
nel salotto. Aveva già avuto modo di visitare quel posto, ma in qualche modo
sarebbe sempre rimasto avvolto dall’alone di mistero e distanza che la vita che
costudiva gli aveva attribuito.
L’appartamento di Naz era silenzioso. Sapeva che suo fratello era partito per
Porto Rico, per raggiungere la sua ragazza. C’erano soltanto loro due e, questo
Izzy lo sapeva e lo avvertiva, qualcun altro. Una
presenza nebulosa.
- Vuoi del caffè? -
Persino dopo tutto ciò che erano arrivati a condividere, la voce di Naz tradì
del nervosismo. Izzy appoggiò lo zaino logoro sul divanetto che trovò
incastrato in un angolo del cucinino: il soffitto era basso, i mobili piuttosto
eterogenei per stile e materiale, i fornelli e il piccolo frigorifero
probabilmente risalivano a vent’anni prima. Su di essi era china la figuretta
esile, i capelli che stavano già iniziando a ricrescere sulla nuca e il collo
scoperto.
Il ragazzo le sorrise, quando Naz finalmente trovò il coraggio di voltarsi.
Aveva ancora gli occhi rossi e gonfi della notte precedente.
Quando l’aveva trovata stesa sul pavimento in lacrime e in panico e aveva
capito di amarla.
- Grazie. Sono distrutto. – Era tardo pomeriggio ormai: il sole californiano
ancora filtrava dalla finestrella. Con grande naturalezza, come se fosse nato
per stare in quel buco di soffitta, Izzy si lanciò
sul divano ed osservò Naz recuperare una tazza sbeccata.
Sapeva che l’unico modo per metterla a suo agio, era dimostrarsi a propria
volta tranquillo.
Una settimana. Sette lunghi giorni. Ecco quanto gli aveva chiesto di stare da
lei. Mason sarebbe stato via di più, ma Izzy non
aveva osato puntualizzarlo. Non avrebbe mai immaginato che quel giorno sarebbe
arrivato: dato il passato e le incombenze – l’incombenza
– della ragazza, trascorrere anche solo una notte in quell’angolo di South
Central era sempre apparso come un mito irrealizzabile.
Sapeva che da qualche parte in quella casa c’era qualcuno, qualcuno che alla
fine Naz avrebbe dovuto presentargli. Ma Izzy non
chiese nulla. Aveva l’impressione che, in quel momento più che mai, fosse
necessario attendere i tempi della giovane.
Darle il tempo di adattarsi, di rilassare quei nervi del collo sempre
dolorosamente tesi.
La osservò avvicinarsi con la tazza colma di caffè fumante in mano, con
l’espressione dispiaciuta di chi avanza scuse in anticipo per non si sa bene
cosa; allo stesso tempo, percepì la sua profonda gioia. Izzy
ne fu stupito, ma subito dopo comprese.
Era contenta di averlo lì.
- Vuoi stare fermo? – Poco tempo dopo, in quella stessa cucina, il ragazzo si
ritrovò oggetto di un’operazione piuttosto delicata. – Se continui a muoverti,
farò un disastro. – Manco a dirlo, gli scappò da ridere proprio in
quell’istante, mandando all’aria i propositi meticolosi di Naz.
Avevano sistemato la roba di Izzy nella cameretta
della ragazza, che lui aveva osservato con genuina curiosità: aveva gustato la
collezione di vecchi dischi, i poster appesi al soffitto spiovente e la vecchia
chitarra, mentre Naz pian piano prendeva confidenza con la sua presenza lì.
Avevano scelto la colonna sonora, optando per un compiacente disco uno di The Wall. Poi erano giunte le note dolenti.
Le forbici.
- Sei sicura di non stare tagliando un po’ troppo? – Si azzardò a chiedere per
la sesta volta Izzy, comodamente piazzato fra le
gambe della giovane. Aveva preso posto, come da indicazioni, su una delle
sedie, mentre Naz si era appollaiata sul tavolo.
La sensazione di aria che batteva sul collo non gli piaceva per niente.
- Oh insomma, vuoi fidarti di me una buona volta? – Sbottò l’altra senza
riuscire a nascondere una nota di divertimento che non rassicurò Izzy, osservando un’altra ciocca scura cadere a terra. – E
poi, ho quasi finito. – Il ragazzo accentuò apposta il proprio sospiro di
sollievo, prima di scoppiare ancora una volta a ridere.
- Ti ricordo che sono io ad avere le forbici in mano, Isbell.
-
Non si resero subito conto del cambiamento. Inizialmente fu solo una sensazione
vaga, che però non interruppe i battibecchi e gli scherzi. Poi lo sguardo di Izzy venne catturato da qualcosa. Un’ombra.
Affacciata alla porta della cucina, c’era una sagoma che il ragazzo già
conosceva: se l’era immaginata esattamente così, dalle poche parole carpite a
Naz e da ciò che lui ci aveva costruito sopra, ma l’impatto fu comunque forte. Joanie fissò entrambi senza un’espressione particolare,
come se non fosse particolarmente stupita di trovare uno sconosciuto in casa.
Sembrava, in realtà, persa. Come se fosse capitata lì per caso. I grandi occhi
scuri, così simili a quelli che Izzy venerava, erano
accentuati dalla magrezza e dal pallore del volto; le membra sottili navigavano
in una vecchia camicia da notte bianca, i capelli pendevano flosci sulla
schiena.
Sentì Naz irrigidirsi dietro di lui. Quel momento sarebbe arrivato prima o poi,
nell’arco della permanenza, eppure il ragazzo sapeva che lei non si sarebbe mai
potuto preparare ad esso.
Passò un lungo istante di silenzio.
- Fatto. – Un ultimo zac, poi Naz fu subito in piedi. Izzy
avvertì lo spostamento d’aria, passandosi una mano sui capelli tagliati di
fresco. Osservò le due donne affiancarsi. Solo un cieco avrebbe guardato le
somiglianze sopra le differente: Joanie sembrava
assente dalla realtà; mille bombe avrebbero potuto esploderle attorno e lei non
se ne sarebbe curata. Naz invece, nel suo tormento e nelle sue controversie
interiori, era presente. Era parte di un flusso, comunicativa e sensibile.
Lei era vita.
- Mamma, questo è Jeffrey. È il mio ragazzo. -
Il modo in cui la avvolse nel proprio abbraccio, discreta ma ferma, scosse
qualcosa nel suo animo.
La donna non disse una parola, si limitò a fissarlo. Izzy
si rese conto che, da qualche parte nella sua testa, stava capendo ciò che la
figlia le stava dicendo. Semplicemente, aveva rinunciato ad essere partecipe di
qualcosa che si era rivelato più grande di lei.
Se Naz non aveva mollato, non l’avrebbe fatto nemmeno lui.
- È un enorme piacere, signora. -
Si alzò in piedi come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzo con un’educazione da
bravo americano alle spalle. Abbozzò persino un inchino con la testa,
tremendamente serio e allo stesso tempo tranquillo. Non le stava prendendo in
giro: quello era un momento decisivo. Naz non l’avrebbe mai detto ad alta voce,
ma nel quadro dello scombussolamento interiore che l’aveva colpita in quei
giorni, quell’incontro significava molto.
Recuperare un minimo di speranza in un futuro sereno. Izzy tese la mano, con circospezione, per afferrare
con delicatezza quella di Joanie. Si accorse di come
la ragazza trattenne il fiato, di fronte quella mossa avventata. Ma lui
continuò a fissare la donna con un sorriso discreto, lasciando che si abituasse
al contatto con lui. Joanie non si ritrasse.
Con gentilezza, quando fu sicuro di quel contatto più mentale che fisico,
accompagnò quella sagoma emaciata verso il tavolo, per indurla a prendere posto
alla tavola con loro. Nel momento in cui la donna, senza cambiare espressione,
decise di seguirlo, Izzy seppe di aver appena
conquistato una tappa importante.
Ciò che ritrovò nello sguardo di Naz glielo confermò.
Più tardi, si ritrovarono al solo lume della luna che filtrava dalla
finestrella della cameretta di Naz. Con loro, solo la voce calda di Tom Waits,
che dal giradischi narrava le parole di Closing Time.
Era l’album preferito della ragazza, questa era una delle prime cose che aveva
imparato di lei. Izzy se ne stava disteso sul materasso che, a terra,
fungeva da letto. Non era trascorso molto da quando avevano fatto l’amore e ora
il ragazzo accarezzava delicato le corde della chitarra, fredda contro il suo
petto nudo. Aveva recuperato i pantaloni unicamente a causa del freddo.
Non si ricordava il momento in cui aveva smesso di suonare. Stava solo cercando
di godersi ciò che aveva davanti.
- And I wasalways so
impulsive, I guessthat I stillam. -
Le gambe di Naz erano lattee nell’oscurità, la linea del suo collo un tratto di
matita. In quella maglia dei dei Led Zeppelin quasi
scompariva: era l’unica cosa che indossava, quella e la sua anima.
Da quando l’aveva chiamato nel cuore della notte per dirgli che lo amava, era
diventata trasparente ai suoi occhi. Persino averla di fronte, presa a cantare
Martha con lo stesso tono di Waits, rivelava che stava attraversando un periodo
cruciale, di transizione.
Non aveva avuto bisogno di chiederglielo. Izzy aveva
compreso attraverso piccoli gesti, parole quasi casuali e sguardi rubati. Aveva
compreso che Naz stava decidendo che tipo di persona voleva essere per il resto
della vita, quali erano i suoi reali desideri, per cosa voleva lottare ancora
che non fosse altro da lei. La sua vita aveva ruotato attorno agli altri: suo
padre e la sua incapacità di essere tale, sua madre e il collasso mentale,
oltre che familiare, le responsabilità verso di lei quando era diventata figlia
e verso suo fratello, l’unico che le era rimasto. Le esigenze degli altri erano
ciò che aveva sempre conosciuto e attraverso esse aveva dato una definizione a
sé stessa. Pian piano però, quelli che erano sempre stati fardelli si stavano
allontanando. Stava per restare sola, finalmente libera forse, ma con una
grossa responsabilità sulle spalle: cercare un’identità.
Però Izzy, che l’aveva sempre osservata da distante,
che era entrato nella sua esistenza come una brezza estiva, sapeva che c’era
molto di più oltre quel vuoto che vedeva davanti a sé. Percepiva la sua
desolazione, di fronte al dubbio di non essere più di qualcosa costruito in
funzione di altri, persino di lui. Ma lui, Izzy, la
vedeva per ciò che era.
Un’anima folle e di una bontà incredibile, con una prospettiva sua su ogni
cosa.
Sorrise mentre la guardava emozionarsi e cantare, stonando un poco, quella
poesia di Tom Waits, i piedi nudi sul pavimento scricchiolante. Sarebbe stato
onorato di poter assistere a tutto ciò che quella persona straordinaria avrebbe
combinato.
- Ti amo. Da qui alla luna, ecco quanto ti amo. - Izzy sorrise mentre riponeva la chitarra a lato,
lasciando che Naz avanzasse verso di lui ballando prima, gattonando sul
materasso bitorzoluto poi.
La ragazza s’infilò con lentezza fra le sue gambe, puntellandosi con le mani
che affondavano nella superficie ruvida ai lati del suo torace scarno,
allungando il collo come un gatto per ricevere un bacio. Izzy
ne osservò i lineamenti distesi e i muscoli in attesa, con le palpebre
abbassate su quegli occhi immensi, contemplandone l’armonia, prima di
accontentarla. Mentre la sua bocca accoglieva quel sapore ormai così familiare,
con i polpastrelli accarezzò la pelle vellutata sulle sue cosce, risalendo
verso il bordo della maglietta. Naz, seguendo istintivamente quel tocco, gli si
avvicinò senza staccare le proprie labbra dalle sue, alzando un braccio per
appoggiarsi alla parete alle sue spalle. Si fermò soltanto per portare le manine
ad afferrare l’indumento che la ricopriva, sfilandoselo con un solo gesto di
fronte a lui, restando nuda e con i capelli scarmigliati. Izzy, di fronte a quella visione, ebbe la netta
sensazione quella parte di loro sarebbe vissuta per sempre. Non era semplicemente
possibile condividere qualcosa di così forte con qualcuno di così magnifico e
non credere, di conseguenza, nell’eternità di certe emozioni. Sarebbe arrivato
il futuro e con lui il rimorso, le incomprensioni e i silenzi. Ma alle spalle e
nel cuore avrebbero per sempre conservato quella prova, la prova della
possibilità di sentirsi completati da qualcuno senza chiedere e senza faticare.
Solo per il fatto di essere loro due.
In pace col resto del mondo.
When evening shadows and the stars
appear
and there is no one there to dry your tears,
I could hold you for a million years
to make you feel my love. […]
I could make you happy, make your dreams come true,
nothing that I wouldn't do
go to the ends of the Earth for you
to make you feel my love.
(Bob Dylan – Make you feel my love)
Era in ritardo. Izzy fece un profondo tiro di
sigaretta, sporgendosi ancora un poco dalla finestra per evitare che il fumo
entrasse nella stanza. Era stata lei a dirgli di fare così.
“Se proprio non riesci a trattenerti,
chiuditi in camera mia, prendi il barattolino che trovi nel cassetto e stai
alla finestra. E stai attento che Daniel non ti veda.”
Ancora non si vedeva da nessuna parte.
Erano mezzanotte e un quarto, lei sarebbe dovuta rientrare allo scoccare del
nuovo giorno. Come una moderna Cenerentola. Izzy
aggrottò le sopracciglia. No, non avrebbe perso la testa come un tonto
qualunque al pensiero che lei avesse trovato un principe.
Mettere a letto Daniel non era stato semplice. Quel bambino era meraviglioso,
furbo, furbissimo perdiana. Aveva cercato d’ingannarlo e di distrarlo in tutti
i modi, chiedendo una nuova favola, una canzone, lamentandosi di dover fare di
nuovo la pipì, tutto per poter stare alzato un po’ di più. Il motivo di tanto
impegno era facilmente intuibile: Izzy era molto più
permissivo e molto più malleabile di Naz. Daniel doveva aver intuito di essere
in una posizione di vantaggio, con quell’uomo divertente e rilassato che
portava sempre un sacco di giochi in dono.
Naz come madre, beh, era tutta un’altra storia.
Sulla strada che si stagliava sotto la finestrella, apparve un’auto che catturò
la sua attenzione. Era quasi nuova, una bella Bmw
tirata a lucido che stonava alla grande con quel particolare quartiere di Los
Angeles, decisamente più rustico. Izzy strinsegli occhi.
Dal lato del guidatore uscì un giovanotto piuttosto ordinario, in completo
scuro, con una zazzera di capelli biondi che gli conferiva un’aria gioviale.
L’uomo lo vide affrettarsi ad aggirare la vettura, per andare ad aprire galantemente
la porta del passeggero.
Naz era raggiante. Poche volte Izzy l’aveva vista
agghindata in quel modo. Indossava un vestito nero dalla linea semplice, senza
maniche e con lo scollo a barchetta, che le arrivava appena sopra il ginocchio.
Scarpe con un bel tacco alto, ornamenti semplici, i capelli cresciuti in uno
chignon morbido da cui sfuggivano alcune ciocche, che le incorniciavano il
viso. Persino da quella distanza, scorgeva le sue labbra rosse piegate
all’insù, in un sorriso.
La osservò scambiare gli ultimi convenevoli con quello sconosciuto, il quale
persino da lì gli sembrava fastidiosamente in linea coi suoi pensieri riguardo
alla bellezza della donna. Stizzito, Izzy andò a
spegnere la sigaretta nel barattolino, richiudendo con forza il coperchio.
Trattenne il fiato con quando lo vide chinarsi su di lei.
Naz lo salutò amichevolmente con due baci sulla guancia, alla francese. Si
scambiarono poche parole, prima che lei prendesse la via della palazzina,
camminando con confidenza su quelle scarpe assurdamente alte. Izzy si allontanò dalla finestra, lasciandola aperta
per arieggiare, tornando in salotto.
- Ciao. È andato tutto bene? Sta dormendo? -
Erano passati tre mesi. Tre mesi, giusto il tempo per far arrivare anche in
quell’estate 1991 il caldo torrido a Los Angeles. Tre mesi da quando si era
presentato sul suo posto di lavoro per chiedere di recuperare una vita insieme
e di metterla a parte del mondo di suo figlio.
Anche allora, nonostante la reazione più che positiva, Izzy
sapeva che sarebbe stata una battaglia. Fortunatamente, con la band si erano
intrattenuti in città per registrare. Lavoravano sodo, ma almeno la distanza da
Daniel era minima.
Naz gli aveva concesso di vederlo, di occuparsi di lui e passarci del tempo
insieme, ma a rigide condizioni. Doveva accadere sempre in quell’appartamento
oppure in luoghi pubblici e, in questi casi, sempre per poche ore. Slash o Duff non potevano partecipare, in alcun modo. Aveva
l’obbligo di tenere un comportamento decoroso, senza scurrilità o aggressività.
In quegli incontri, erano assolutamente vietati alcool e droghe.
“Ma per chi cazzo mi hai preso?”
“Per il chitarrista dei Guns N’Roses, Jeff.”
Erano passati tre mesi da quando le aveva chiesto di ricominciare con lui, con
loro.
Il concetto di Naz Kurt di “andarci piano” era non andarci affatto.
- Sta dormendo, sì. So badare a nostro figlio. – Izzy
non riuscì a non suonare un tantino stizzito. Quasi si lanciò sul divanetto
incastrato in un angolo della cucina, mentre si guadagnava un’occhiata sorpresa
da parte di Naz. La osservò togliersi le scarpe col tacco con sollievo, prima
di avanzare verso la credenza a recuperare un bicchiere d’acqua. L’uomo non
poté fare a meno di pentirsi un po’, per la propria antipatia.
Non gli riusciva proprio, di essere distaccato con lei.
- Com’è andata la cena aziendale? – Domandò quindi subito dopo, cercando di
simulare della nonchalance. Diavolo, detestava sentirsi come un ragazzino. Era
tutta colpa di Naz.
- Oh, molto bene davvero. È stato un ottimo modo per rafforzare la coesione di
gruppo, sai. – Eccola, sofisticata e adulta. Izzy era
fermamente convinto che in fondo si sforzasse, per farlo risultare inadeguato,
per sottolineare come lei fosse cresciuta mentre loro – lui – erano rimasti agli anni ’80, a giocare agli dei del rock. Era
stata una delle argomentazioni su cui aveva più insistito, quando si era
riparlato di tornare a stare insieme, non solo ad avere un figlio insieme.
Gli scappò uno sbuffo piuttosto sonoro. Ecco, di nuovo, il fattore “ragazzino”
che fastidiosamente confermava le insinuazioni della donna.
Naz se ne accorse ma non rispose, limitandosi a stringere le labbra. – Vado a
dare un’occhiata a Danny. Sono molto stanca. – Le due frasi apparentemente
scollegate fra loro in realtà furono un messaggio molto chiaro per Izzy. Leva le tende.
Quando la vide andare nell’altra stanza, si passò le mani fra i capelli,
frustrato. Non poteva continuare ad assecondare quella sua indifferenza o darle
motivi per continuare a pensare che lui in fondo fosse uno scapestrato, un tossico
infantile e che non fosse prospettabile una stabilità familiare con lui.
Perché non era così.
Perché avrebbe smosso anche le montagne e rivoluzionato la Terra per loro e lei
non aveva alcun diritto di togliergli quella profonda convinzione.
- Beh, grazie mille per essere passato. Se vuoi, possiamo sentirci in settimana
per un altro pomeriggio con Daniel. Puoi andare. - Grazie per aver viaggiato con noi, vi
auguriamo una buona giornata.
- Naz, tutto questo è assurdo. – Lesse negli occhi della donna, in piedi
davanti alla porta di collegamento con le camere da letto, che aveva temuto una
reazione del genere. Tuttavia, vide anche dello stupore. Izzy
era consapevole di aver parlato con una voce che finalmente rispecchiava ciò
che aveva dentro.
Si alzò in piedi con deliberata lentezza, avvicinandosi senza staccare gli
occhi dai suoi. – Non siamo più ragazzini. Ci siamo fatti del male abbastanza.
Che senso ha andare avanti con questa farsa in cui tu sei imperturbabile e
superiore e io sono ancora la persona da punire? -
Per un attimo, sul volto della donna che era diventata Izzy
intravide la ragazzina con cui aveva condiviso la vita. Spiazzata, esitò a
rispondere, forse non troppo sicura di cosa dire. L’uomo quindi ne approfittò
per proseguire.
- Sono pulito da mesi. So che temi io abbia ricadute, ma non sento minimamente
la mancanza di ciò che sono stato negli ultimi anni. Forse ha avuto un senso, a
un certo punto. Ma ora che ho Daniel, non provo il minimo interesse in qualcosa
che non mi faccia essere un buon padre per lui. Sul nuovo disco stiamo
lavorando bene e ci sarà un tour, questo è vero. So che hai paura che io me ne
vada di nuovo lontano. Ma la mia musica non ha una sola direzione, come anche
le mie prospettive di carriera non sono unicamente i Guns
N’Roses. Una tua parola e me ne tiro fuori, lo sai. -
Naz non lo interruppe. Abbandonò lentamente la maschera di freddezza che aveva
vestito prima, mentre i muscoli del viso si rilassavano sotto la carezza di
quelle parole. Tuttavia, non riuscì a trattenersi dall’assumere un cipiglio
arrabbiato. Incrociò le braccia sotto il seno.
- Ti sto già dando fiducia, Jeff. – Izzy si sforzò
per non ribattere subito, per lasciarle il tempo di esporre ciò che già sapeva
avrebbe detto. Incredibile come lei riuscisse a mandarlo quasi in bestia.
Incrociò le braccia a propria volta. – Sei rispuntato fuori dopo anni di
silenzio. Hai avuto dei problemi di dipendenza. Superati ora, lo riconosco, ma
non da molto tempo. In generale, lo stile di vita che hai condotto fino ad ora non
va bene per mio figlio… -
- Nostro figlio, Naz, nostro. Cristo, ti viene così difficile dirlo? – Sbottò
di colpo, interrompendola. Sapeva di aver appena perso un paio di punti,
alzando appena la voce e rischiando così di svegliare Daniel; infatti la donna
gli scoccò un’occhiataccia, facendogli segno di abbassare la voce
freneticamente. Izzy la ignorò: non avrebbe usato
quelle sciocchezze come pretesto per zittirlo dove aveva ragione.
- … e non puoi pretendere che per me sia tutto semplice. Ho lavorato sodo per
costruire per me e lui stabilità e serenità. Tu sei tornato e mi hai ributtato
addosso ricordi e rimorsi che avevo messo da parte. Non posso dimenticare tutto
quello che è successo nel giro di pochi mesi. Ci vuole tempo. -
Incredibilmente, Izzy si rilassò. Qualcosa, nelle
parole di una donna che cercava con grande solerzia di mantenere un contegno,
ma che era scossa nel profondo da ciò che stava dicendo, riuscì a distendere i
suoi nervi. Sorrise con una dolcezza pura nello sguardo, osservando il viso
cresciuto di Naz.
Quindi allungò con discrezione una mano, per posarla su una di quelle guance
vellutate.
- Non devi dimenticare ma puoi perdonarmi. Io l’ho fatto, con te. -
La donna sgranò gli occhi, sconvolta da quell’affermazione. Izzy
la vide paralizzarsi sul posto, ma non perse la calma né l’intenzione delicata
davanti a quello scandalo.
- Tu? Perdonare me?! -
Sapeva che l’avrebbe detto. Dal suo punto di vista, non aveva certo torto.
Solo che ce le aveva anche lui, le sue ragioni.
- Io, perdonare te. In fondo, mi avevi tradito e poi mollato per il mio
migliore amico. Anche dopo, quando abbiamo saputo del bambino, vi ho odiati da
morire e ho sofferto come un cane. -
La vide stringere le labbra e trattenere il respiro. Se anche s’era aspettata
che, prima o poi, sarebbe arrivata la resa dei conti sulla questione, non lo
diede a vedere. Izzy scosse il capo: sulle sue
labbra, permaneva quel sorrisetto che di beffardo non aveva nulla.
- Stai davvero paragonando… ? -
A Naz ci vollero alcuni secondi per riprendersi dal colpo e, anche quando
recuperò la capacità di parola, le uscirono solo poche sillabe balbettate, a
metà fra la rabbia e il tradimento. Izzy la interruppe di nuovo.
- Non sto paragonando nulla, Naz. Ti sto dicendo che voi mi avete preso e mi
avete deluso. Poi, quando è stato il momento, noi abbiamo deluso te. Io ti ho
deluso e ti ho abbandonato. Ed è stato orribile, è stato assurdo. In qualche
modo però ci ha portato qua, ha portato Daniel ad essere il meraviglioso
bambino che è. E ora che abbiamo la possibilità di essere felici, saremmo
proprio stupidi a non coglierla. -
Quella donna aveva sempre avuto gli occhi troppo, maledettamente grandi.
- Io ti ho perdonato e ho perdonato anche me stesso. Quando ti accorgerai che è
stato solo il momento sbagliato? -
Per alcuni lunghi istanti, si guardarono diritti in faccia e Izzy credette che avrebbe finito per baciarla. Lei a quel
punto si sarebbe divincolata e l’avrebbe sbattuto fuori. Con un po’ di fortuna,
si sarebbe resa conto in settimana che non valeva la pena di intristire Daniel
per ciò che accadeva fra loro, ma sarebbe tornata a mettere fra loro quel muro
di cartapesta.
Naz scoppiò a ridere.
- Ti metti anche a citare le canzoni, adesso? -
Qualcosa dentro Izzy vibrò nell’udire quel suono
cristallino. Il suo sorriso si fece più largo. Staccò la mano dalla sua guancia
per portarla dietro il capo, grattandosi con aria leggermente imbarazzata. –
Beh, ho sempre pensato che quella canzone fosse un autentico capolavoro. -
- Sì, lo so. – Non avrebbe saputo dire se fosse effettivamente affetto – amore – quello che vide nello sguardo di
Naz. Però ottenne l’effetto di placare ogni sua smania, ogni suo conflitto. Non
gli parve nemmeno di essere mai stato arrabbiato, in un qualsiasi momento della
sua vita.
- Adesso è meglio che tu vada. Ci risentiamo in settimana domani o dopodomani,
d’accordo? – La sua voce era morbida come una piuma. Non si sfiorarono nemmeno,
ma a Izzy sembrò quasi che l’avesse abbracciato.
Annuì senza trattenere la soddisfazione: in quelle cose non dette, c’era un
mare di significati e intenzioni che sapevano di speranza.
Si volse un’ultima volta, sull’uscio, per scambiare con lei un’ultima occhiata.
Naz esitò qualche istante, appoggiata allo stipite della porta. C’era ancora
qualcosa in lotta, dentro di lei.
Ma il sorriso che gli risolve alla fine, quello sicuramente valeva tutta la
pazienza, il tempo e le canzoni d’amore del mondo.
Juliet, when we made love you used
to cry
you said 'I love you like the stars above, I'll love you till I die'.
There's a place for us, you know the movie song:
when you gonna realize it was just that the time was
wrong, Juliet? (Dire
Straits – Romeo and Juliet)
-
Ho detto che devi andare a letto, Danny. -
Si chiuse l’uscio alle spalle con discrezione, facendo il pieno del suono della
quotidianità.
La luce in salotto era accesa e da lì provenivano le due voci che conosceva
meglio al mondo. Izzy era riuscito a rincasare prima
del solito. Nell’ultima settimana si era intrattenuto fino a tardi nello studio
di registrazione, salvo poi mettere dei paletti al suo produttore e all’agente
con cui non faceva altro che litigare da quando avevano iniziato a lavorare al
nuovo progetto.
Finché si tratteneva in città, aveva bisogno di tempo per la famiglia.
- Mamma, ti prego, voglio solo esercitarmi un altro po’. -
L’uomo si affacciò alla porta del salotto accogliente, arredato secondo i gusti
minimalisti e vagamente orientaleggianti di Naz. Non era passato molto tempo da
quando si erano trasferiti in quella casa: avevano trascorso i primi anni nel
vecchio loft di Izzy a Hollywood, vicino agli studi e
vicino all’ambiente artistico di Los Angeles. Poi Daniel aveva iniziato a
crescere e loro, con lui, a invecchiare. Avevano improvvisamente sentito il bisogno
di spazi più ampi, zone più tranquille, meno cemento armato e più verde.
Avevano trovato quella villetta fra Echo Park e
Victor Heights e subito a Naz era piaciuta da morire.
- Oh, ciao. Non pensavo tornassi così presto. – La donna era ancora in tenuta
professionale. Evidentemente, per stare col bambino, non aveva pensato di
cambiarsi. Stava in piedi, le mani sui fianchi coperti da un paio di pantaloni
neri modello capri e da una camicia borgogna dalla linea morbida, che la faceva
sembrare più un’artista che una dirigente di una casa di produzione
cinematografica.
Osservava con fermezza un bambino non troppo alto di circa sette anni, con un
cipiglio ancora più risoluto. Aveva una zazzera di capelli scuri spettinata e
indossava già il pigiamino a motivi di Mickey Mouse. Non sembrava
particolarmente stanco, nonostante fosse stato a scuola tutto il giorno.
- Papà, papà! Posso suonare il piano ancora un po’? – Daniel immediatamente
corse da lui, con voce lamentosa. Il marmocchio aveva imparato subito che, se
voleva una risposta un po’ più permissiva, il genitore a cui rivolgersi era Izzy.
- Non ti ci mettere anche tu, adesso! Domani potrai continuare ad esercitarti,
dopo i compiti. Adesso devi dormire. – L’uomo non fece in tempo a parlare che
Naz subito se la prese anche con lui, sollevando le mani in aria con
esasperazione. A Izzy scappò da ridere, anche se
cerco di riacquisire serietà subito. Non voleva concludere quella lunga
giornata facendosi squartare dalla sua compagna.
Alla fine, non si erano mai sposati. Semplicemente, avevano ritenuto esaudita
la richiesta che Izzy le aveva avanzato, ormai tre
anni prima, nel momento in cui avevano trovato una quadra a quel nuovo cosmo.
Ci si erano stabiliti comodamente e non avevano sentito il bisogno di anelli e
cerimonie.
- Ascolta tua madre, Daniel. Domani ho il pomeriggio libero e ti prometto che
suoniamo insieme, chitarra e piano, d’accordo? -
Nonostante il bimbo parve rischiararsi alla prospettiva della sua attività
padre-figlio preferita, ci vollero ancora diversi sforzi per mandarlo a letto.
Alla fine, Daniel cedette protestando e sfoggiando persino un principio di
pianto: s’incamminò verso il piano superiore come se, in cameretta, lo
attendesse una crocifissione.
- Com’è andata la giornata? Hai cenato? – Izzy
osservò con un sorrisetto furbesco il pianoforte che riluceva, in un angolo.
Alla fine, senza che nessuno dei due avesse premuto particolarmente, era
successo: il pargolo aveva fortemente voluto imparare a suonare uno strumento.
Alla scelta dello stesso, tuttavia, si era presentato un colpo di scena. Alle
chitarre dei genitori, aveva preferito un vecchio pianoforte verticale Yamaha,
che aveva dato modo anche a Naz di imparare col figlio qualcosa di nuovo.
- Uno strazio. Alla Geffen hanno visioni troppo
differenti dalle mie. Mi propongono suoni che non m’interessano. – Izzy si avvicinò al divano color testa di moro,
sprofondandoci. – Sì, ho preso un hamburger da Gino’s.
– Naz invece, lanciando un’occhiata sospettosa alle scale su cui era appena
salito Daniel, sospirò prima di avviarsi verso un armadietto. L’uomo seppe
ancora prima che lei entrasse in azione che stava recuperando una bottiglia di
vino, probabilmente californiano.
Nessuno dei due avrebbe saputo indicare il momento esatto in cui tutti quei
gesti erano diventati piacevoli abitudini, una traccia di sicurezza nelle loro
giornate.
Naz tornò verso di lui con un unico calice pieno, che gli tese. – Tu niente? –
Domandò l’uomo perplesso, ricevendo un’alzata di spalle in risposta. – Sono
troppo stanca. – Subito dopo, andò ad avviare il lettore CD collegato all’ottimo
impianto di cui si erano dotati – ovviamente. Izzy
recuperò subito il sorriso. Various Positions.
In quegli anni, Naz era diventata la donna che, sotto sotto, era sempre stata.
Da assistente di Beverly Johnson, era passata ad essere il suo braccio destro:
si occupava di contrattazione e vendite come se la produzione cinematografica
fosse sempre stata la sua grande passione; si era ritagliata del tempo per la
musica e continuava ad esserne una grande cultrice, anche grazie alla loro
relazione; era una splendida madre, che Daniel adorava quando non veniva spedito
a letto presto.
Certe cose poi non sarebbero mai cambiate, come Leonard Cohen.
- Insistono ancora con il graffio punk rock e con l’addio ai sintetizzatori? –
Come una gatta, prese posto al suo fianco, con la schiena contro il bracciolo
del divano per poterlo guardare meglio, andando a infilare i piedi scalzi sotto
le gambe del compagno alla ricerca di calore. Brindarono al volo mentre Izzy annuiva.
- Continuo a non capire perché questa smania di, non so, ingrezzire
tutto. Sanno che non è il mio stile, che non sono Chris Cornell.
E poi ho già sfornato tutto il punk e il metal di questo mondo, adesso ho
bisogno di input diversi. – Izzy si abbandonò allo sfogo,
nonostante avesse già ripetuto gli stessi concetti almeno cinque volte nel
pomeriggio. Raccontare certe cose a Naz gli permetteva di mettere ordine ai
fastidi e agli stimoli della pancia.
La donna prese ad arrotolarsi una ciocca di lunghi capelli scuri, pensierosa.
Lui ne osservò l’espressione, ritrovando la bellezza dietro tutta la stanchezza
della giornata. – E di che input stiamo parlando? -
Non era polemica, ma sinceramente curiosa. Izzy
sorseggiò il vino prima di rispondere.
- Beh, questo mondo è gigante. In giro fanno della musica che nessuno ancora si
è dato la pena di ascoltare, addirittura con oggetti che non sono ancora stati
realizzati. Voglio qualcosa che mi dia da pensare. -
Naz annuì. Probabilmente era stata perfettamente consapevole del suo pensiero,
ben prima della risposta, ma sapeva anche che mettere a sistema le cose gli
serviva per poi prendere delle decisioni.
- Mi sembra poi una scelta imprenditoriale molto ingenua. – Aggiunse lei poco
dopo, mentre Izzy con una mano andava ad accarezzarle
il ginocchio. – Voglio dire, il grunge è già esploso. Non capisco perché
puntare su un prodotto che ha già saturato il mercato. -
A volte era davvero difficile ritrovare la ragazzina che lavorava da Big Bull
sotto quella forma sofisticata e professionale: era una cosa che stupiva sempre
chiunque la incontrasse, ma non Izzy. Lui non aveva
solo assistito ad una buona fetta di quell’evoluzione, ma l’aveva capita anche
quando se n’era – sciaguratamente – perso dei pezzi.
- Poi, sulla strumentazione, beh, è un pochino limitante il loro punto di
vista. Non è cosa togli o cosa metti, ma come lo usi alla fine che conta. –
Inaspettatamente, Naz si alzò per raggiunge un armadietto poco distante,
tornando indietro con una rivista fra le mani. Era l’ultimo numero di The Wire, una di quelle letture che avevano sempre a casa.
- Simon Reynolds ha scritto un articolo interessante sul post-rock. – Izzy prese in mano la rivista avanguardistica, fissandone
la copertina senza vederla davvero. Anche prima di leggere ciò che gli stava
suggerendo Naz, sentiva una grossa sensazione di calore allargarsi all’altezza
del petto. – Si parla di Stereolab, BarkPsychosis, ma anche i Tortoise in realtà ci stanno. Recentemente ho sentito anche
di una band scozzese, Mogwai, stanno sfornando del
materiale. -
- Ah-a. – Annuì l’uomo, concentrato sul viso di lei tanto quanto su ciò che
stava dicendo. Un’altra delle cose che non erano cambiate: parlare di musica
come di un unico flusso vitale, con una persona che l’avrebbe sempre stimolato.
- Vedi, alla fine la strumentazione è sempre quella, basso e batteria, chitarra
elettrica, ma li si sposta su un altro piano. Su quello della musica
elettronica, ad esempio. O su qualcosa di più noise,
visto che vogliono suoni alternativi, meno armonici. Più shoegaze.
-
Fu a metà di quella sequela di idee che Izzy realizzò
quale fosse, in realtà, il vero nodo della questione, il vero punto su cui
insistere se voleva davvero risolvere i propri dilemmi artistici.
Attese comunque che Naz avesse terminato, paziente, prima di affermare con
grande tranquillità, come se stesse parlando del tempo: - Sai, credo che dovresti
farmi tu da agente. -
La donna non stava bevendo ma, se avesse avuto un bicchiere in mano, probabilmente
avrebbe sputato tutto per la sorpresa.
- Ma sei ammattito? – Non si era mai sentito più lucido di così. La soluzione
era così semplice: lei era l’unica che fosse in grado di porsi sulla sua stessa
linea di pensiero, ma allo stesso tempo gli offrisse un punto di vista esterno,
aperto. Sapeva quali erano le domande che lui, come artista, si stava ponendo e
poteva offrirgli delle risposte valide.
- Oh, non dirmi che non ne saresti capace. Ti occupi di chiudere contratti e
far fare soldi a una casa di produzione, Naz. – Gli occhi di Izzy brillavano mentre la prendeva in giro, conoscendo la
sua polla. Questa in risposta sbuffò, per poi aprire bocca con l’intenzione di
parlare. Ancora una volta però, l’uomo la anticipò. – E non tirarmi nemmeno
fuori la storia che non sai nulla di musica. Sei una musicista. Hai cultura e
interesse per le evoluzioni. Sicuramente alcune cose non le sai fare, ma a
lavorare per Beverly hai imparato in fretta. -
Nonostante l’espressione scettica che Naz esibì, Izzy
seppe leggere nella sua testa una nota d’interesse che glielo confermò, avrebbe
vinto la guerra.
Certo, si sarebbe misurato per un po’ con la cocciutaggine di quella donna, ne
avrebbero discusso almeno un altro paio di volte. Poi però lei si sarebbe
arresa.
- Mi sono dimenticata di dirti… - Cambiò discorso con la nonchalance di un
fachiro che cammina su un tappeto di aghi, tornando di nuovo verso il
mobiletto, stavolta per recuperare un foglietto di carta. - … che ha chiamato
William. -
A quel punto il sorriso di Izzy vacillò un poco.
Erano passati molti anni da determinati fatti particolarmente dolorosi ma
assimilati, razionalizzati, accettati. Tuttavia, non si erano fatti mancare un
poco di suspense, senza la quale evidentemente non potevano vivere.
- Ah sì? Che ti ha detto? - Axl di sicuro non era più il terzo elemento di un
triangolo strano. Lui e Naz si erano rivisti soltanto una volta e di sfuggita,
solo perché lei era passata a prendere Izzy fuori dal
ristorante dove era andato a cena con l’amico. Non c’era più quel tipo di
tensione, ma non si poteva dire che Axl le volesse
bene. Izzy sapeva – e anche Naz – che l’amico e amante di
un tempo dava la colpa a lei del ritiro dei chitarrista dai Guns
N’Roses. La considerava un po’ la loro Yoko Ono. A
nulla erano valsi i tentativi di Izzy di spiegargli
che Naz e Daniel erano stati l’input finale per prendere una decisione che già
aveva accarezzato.
- Che la prossima settimana è in città con i ragazzi e ti chiede di andare a
bere qualcosa. – Rispose la donna con grande tranquillità, lasciandogli l’indirizzo
dell’hotel di Axl. Izzy sapeva che, da qualche parte, Naz soffriva un po’
per il fallito tentativo di stabilire un contatto con una persona che era
rimasta importante per il suo compagno. C’erano stati molti trascorsi brutti e
rimpianti, ma lei alla fine aveva perdonato.
Aveva visto cosa c’era oltre un passato buio e controverso.
- E ricordati ancora che questo weekend andiamo al minigolf con Chris e Jus. So che lo detesti… - Fu il turno della donna di
anticipare le sue lamentele. - … ma sai che Chris in questo periodo è
suscettibile e l’abbiamo promesso. Tanto ormai è diventata un pallone, si
stancherà in fretta e ci porterà a mangiare quintali di gelato. – La data del
parto di quella turboavvocatessa che era diventata la
migliore amica di Naz era alle porte, eppure questa non sembrava proprio
incline al sano riposo raccomandato dai dottori.
- Sarà meglio che vada a dare un’occhiata a Daniel. - Izzy la osservò prendere la strada per le scale,
accorgendosi di un dettaglio. Sembrava quasi tentennante, come se ci fosse
qualcosa fra i suoi pensieri a reclamare attenzione.
- Allora ci penserai? -
Naz si bloccò a metà strada, prima di girarsi verso di lui lentamente. Izzy la vide esitare, quasi stesse selezionando con cura le
parole giusto. Lui aggrottò le sopracciglia, subodorando qualcosa.
Qualcosa di inaspettato.
- Beh, sai. Sono andata dal dottore stamattina. – Naz sembrò arrossire, nella
luce soffusa creata dalle lampade. Spostò il peso del corpo da un piede all’altro,
prima di prendere il coraggio a piene mani. Lo guardò diritto negli occhi,
trattenendo a malapena un sorriso dolcissimo.
- Mi ha detto che dovrò starmene tranquilla e lontano dallo stress per un po’.
Per almeno altri otto mesi, ecco. - Izzy non reagì subito. Rimase immobile a ricambiare
il suo sguardo, mentre in sottofondo la musica serena e familiare di Dance me
to the end of love riempiva la stanza.
Quindi sorrise a propria volta, un sorriso diverso da tutti quelli che le aveva
riservato fino a quella sera. Senza aggiungere una parola, si alzò dal divano e
con passi lenti e misurati la raggiunge, posizionandosi di fronte alla sua
figura minuta. Negli occhi le trovò un poco di esitazione, insieme alla gioia
che aveva covato in segreto per tutta la giornata.
Quindi le prese le mani, portandosene una alla spalla, intrecciando l’altra con
la propria. Fluidamente, senza alcuna forzatura, la trascinò con sé in
movimento ondeggianti, lievi, sulle note e sulla voce di Leonard Cohen.
Naz si mise a ridere fra le sue braccia, una risata argentina con cui fece
scivolare via anche quel poco di tensione che aveva provato nel dovergli dare
la notizia. Seguì naturalmente il ritmo leggero dettato dalla guida di Izzy.
Questi continuò ad osservarla ballare, concedersi a lui e amarlo in tutti i
modi in cui una persona può amare qualcun altro.
Ne assaporò il bacio con gratitudine e meraviglia, seguendo più il battito del
cuore di quella donna che la canzone che arrivava dallo stereo.
Era sempre stata così, lei.
Lei e quel suo straordinario modo di farlo sentire vivo.
Dance me very tenderly and dance me
very long,
we're both of us beneath our love, we're both of us above. […]
Dance me to the children who are asking to be born,
dance me through the curtains that our kisses have outworn,
raise a tent of shelter now, though every thread is torn,
dance me to the end of love.
(Dance me to the end of love – Leonard Cohen)
OFF ZONE:
Pensavate che non sarei tornata. E invece.
Allora, dopo aver pubblicato Youth ho avuto un momento di morte ispirativa/ispirazionale/comesidice. Fra università e cose varie, ovviamente, un
blocco ci stava eccome. Non me ne sono preoccupata troppo e infatti a un certo
punto le idee e la voglia sono tornate.
Inizialmente questo doveva essere l’ultimo dei MissingMoments di questa piccola opera, anche per rispettare
una sorta di scaletta temporale. Tuttavia, a un certo punto il mio cervello ha
insistito tantissimo per buttare giù due righe su quest’idea, poi le righe sono
diventate quattro e niente, sapete come funziona, no? È andato tutto in merda.
Questo capitolo – se così lo possiamo definire – parte dal lavoro di revisione
di Love willtearusapart, lavoro che è arrivato
circa al sedicesimo capitolo se vi può interessare.
Rileggendo e riscrivendo, mi sono resa conto di come la storia si sviluppasse,
anche giustamente, attorno ai due poli di Naz e Axl.
E ci sta, perché è quello il vero intrigo, dopotutto. Tuttavia, ho ritenuto
giusto rielaborare e approfondire la sfera emotiva di Izzy
in modo da trasformarla, senza modificare la trama, in una vera storia incentrata
su un triangolo, letteralmente su TRE ANGOLI che fanno da motore e perno a
tutte le vicende.
Inoltre, forse grazie alla saggezza (!) data dall’età, ora subisco molto meno
il fascino della relazione fra Naz ed Axl, dando
nuovo spessore e nuova importanza a invece il rapporto fra lei e Izzy.
Quindi ne è uscita una panoramica dei ricordi di Izzy,
i ricordi che più danno l’idea di come lui in questa storia vede Naz, di cosa
prova per lei, di cosa ha imparato da lei.
Ovviamente, manco a dirlo, questo è l’IzzyStradlin della mia testa: un figuro un po’ hipster, sensibile
e dotato di controcoglioni giganteschi nell’esserlo.
Anche la digressione finale sulla musica, è tutto frutto del mio immaginario: a
lui ho trovato stesse bene un certo tipo di musica progressive e noise che a me piace un sacco, anche se so che nella realtà
non fa. In questo alternative universe sì, perché c’è
la mia Naz.
A ogni ricordo, ho legato una canzone d’amore. Anzi, per me sono LE canzoni d’amore,
fra le più belle che siano mai state scritte.
Il prossimo capitolo sarà probabilmente incentrato tutto su Axl
Rose; ci sarà uno sbalzo indietro (spoiler!1!1!! ma chi mi caga) però credo che
alla fine sia giusto dar corso all’ispirazione.
Fate come Izzy e non lasciatevi soffocare dalle
etichette discografiche nella vostra testa.
PER AMORE DEL DIRITTO D’AUTORE: Questo è ultradenso di qualsiasi cosa e i
prossimi saranno sempre peggio.
Partiamo dal titolo: The end of love di Florence + The Machine, manco a dirlo.
Anche il sottotitolo fa riferimento alla canzone ed esalta, per me, il tema dei
“brani d’amore”.
La maglietta di Aladdin Sane è un regalo che prima o poi mi farò anch’io.
I tre film citati nel primo ricordo sono, in ordine: Breakfast atTiffany’s di Blake Edwards,
Scarface di Brian De Palma e RebelWithout a Cause di Nicholas Ray.
La canzone è In a manner of speaking
dei Tuxedomoon, manifesto post-punk. Mi dà modo di
annunciare che Naz, nella versione aggiornata di Love, oltre a essere una
grandissima fan di Leonard Cohen e Tom Waits, ha gusti insoliti e di solito
anticipa molte tendenze. Insomma, la donna perfetta per Izzy.
Prima di passare alle lacrime con Tom Waits, i due piccioncini fanno i classiconi e ascoltano The Wall
dei Pink Floyd, disco uno. Il trend prosegue con la maglia dei Led Zeppelin. Makeyoufeelmy love non è presente nelle
narrazioni, ma io ce l’ho messa comunque perché per me è e sarà sempre LA
canzone d’amore. Purtroppo, è stata scritta alla fine degli anni ’90.
Per quanto riguarda la storia dei Guns, se non
sbaglio non ho fatto strafalcioni con gli incastri temporali. Izzy ha effettivamente quittato nel 1991 dopo essersi
ripulito, iniziando poi a far musica per conto proprio. Semplicemente, nella
mia storia ha un paio di ragioni in più. Inoltre, so che ha continuato a far
dischi con la Geffen per un po’, prima di
abbandonarla.
"When you gonna realize it was just that the time was wrong"
è un’altra quote da Romeo and Juliet dei Dire Straits, altra Canzone, con C maiuscola, d’amore.
Nell’ultima parte, l’anno è il 1994, anche se comunque si intuisce dal fatto
che Daniel ha sette anni. Various Positions è uno dei grandi capolavori del
compianto maestro Cohen.
Chris Cornell l’ho citato perché bisogna smetterla di
parlare solo di Kurt Cobain a proposito del movimento grunge.
L’articolo di The Wire e la definizione di post-rock
sono usciti davvero nel 1994! E i Mogwai quell’anno
incisero il primo EP.
Infine, la Yoko Ono dei Guns alla fine si chiama Naz
Kurt. Ed effettivamente nella storia va un po’ così.
There's
an infestation in my mind's imagination, I
hope they choke on smoke cause I'm smoking them out the
basement. This
is not rap, this is not hip-hop: just another attempt to make the
voices stop. Rapping
to prove nothing, just writing to say something, 'cause
I wasn't the only one who wasn't rushing to say nothing. This
doesn't mean I lost my dream, it's
just right now I got a really crazy mind to clean. (Twenty
One Pilots - heavydirtysoul)
Axl
Rose era un uomo con un piano. Voleva raggiungere le stesse vette
degli dei che facevano parte del suo personale Olimpo, spostarvici la
residenza e non muoversi più. Voleva accaparrarsi un posto
comodo nella storia della musica, dove poter guardare fan e
detrattori, nonché il passato, dall'alto. Si svegliò
quella mattina d'estate con la bocca impastata e diversi dolorini
alla schiena, i sintomi di una situazione che conosceva bene: dormire
in un letamaio. La stanza era immersa nella penombra e c'era odore
di chiuso, di sudore e di altre mille cose non meglio identificabili.
Appena fu in grado di mettere a fuoco ciò che lo circondava,
Axl si rese conto di aver dormito sul pavimento, ai piedi di uno dei
divani scassati che avevano recuperato dai cassonetti della
spazzatura. L'aveva fatto apposta: quelle molle erano in grado di
distruggere una schiena in maniere ben peggiori di una superficie
troppo dura. La Hellhouse era immersa nel silenzio. Axl non aveva
bisogno di un'orologio per capire che sicuramente quella non era
l'ora in cui i lavoratori perbene si riposavano. Alzandosi a sedere,
identificò la sagoma che dormiva accartocciata sul divano al
suo fianco, emettendo qualche grugnito di tanto in tanto nonché
uno strano olezzo animale. Slash, più bestia che uomo. Izzy
e Duff si erano rannicchiati sulle brandine, altri pezzi di
arredamento che avevano raccattato in giro per quella discarica a
cielo aperto che era Los Angeles. Di Steven, nemmeno l'ombra. Axl
rimase per un attimo immobile, contemplando quello sfacelo. Non ne
era turbato ma, del resto, c'erano poche cose in grado di
scombussolarlo davvero. Sapeva che anche la Hellhouse, come molte
altre cose, era un elemento necessario in quella scalata. Serviva al
rock n'roll, a tenerli produttivi e a far venire loro fame: in questo
modo, non si sarebbero adagiati su comodità. Lui no,
perlomeno. Per gli altri, il discorso era diverso. Aveva ancora la
maglietta della sera prima, nonché gli stessi jeans lerci.
Cercò di mettersi in piedi, anche se dovette esitare per
qualche istante a causa di un capogiro improvviso. Quando la sua
vista tornò a funionare, si sfilò la t-shirt per
cercarne una pulita, un'impresa degna del Nobel. - Porca puttana.
- Poco dopo, fece la felice scoperta di un'incredibile e maleodorante
intasatura nel minuscolo cesso che avevano a disposizione. Qualunque
cosa fosse successa in quel cubicolo, Axl era certo che rischiassero
una visita dei federali per attentato batteriologico. Avrebbe
dovuto cercare un bagno pubblico. Di nuovo. Axl Rose era un uomo
con un piano. Era un uomo che sapeva esattamente cosa voleva, cosa
che non era alla portata della comprensione di tutti. Per questo
spesso e volentieri spaventava il prossimo, con la sua resilienza,
con la sua determinazione. Del resto, l'inferno l'aveva già
visto. La Hellhouse non era davvero nulla di che. Lanciò
uno sguardo alle sagome di Izzy e Duff, profondamente addormentati.
Non pensò nemmeno di svegliarli, non gli sarebbero comunque
stati di alcun aiuto. Aveva bisogno di cibo, di un bagno, di vestiti
puliti, e avrebbe potuto trovarli solo lontano da lì. In più,
non aveva nemmeno voglia di ascoltare vaghe lamentele o inutili
resoconti della sera precedente. In realtà, amava passare
del tempo da solo. Non era fatto per il tipo di compagnia in cui si
parla di cose irrilevanti, frivole o anche solo semplici, quella
adatta a guardare un determinato programma alla televisione oppure a
fare commissioni. Se non aveva niente d'interessante o d'importante
da dire o mostrare a qualcuno, semplicemente con quel qualcuno non ci
stava. Le eccezioni erano poche. Izzy, ad esempio. Erano diventati
amici perché entrambi amavano il silenzio e non sentivano
il peso di condividere una stanza senza intrattenere alcun
contatto. Avanzò quindi per quel caos che nessuno di loro
osava chiamare casa: recuperò una camicia a maniche corte che
perlomeno non puzzava di stantio, anche se non sembrava comunque
fresca di bucato. - Che cazzo... - All'improvviso pestò
qualcosa di paurosamente morbido; abbassò lo sguardo con
orrore al pavimento, dove trovò la propria scarpa sinistra
affondata negli avanzi di un cheeseburger. Doveva mantenere la
calma. Lui era un uomo con un piano. - Ehi, puoi evitare di
fare tutto questo casino? - La domanda giunse da una figuretta
che, se ne accorse solo ora, era distesa su una serie di cuscini
impolverati. Mettendola a fuoco, Axl realizzò che si trattava
di una ragazzina dai capelli biondicci: non dimostrava diciotto anni,
indossava il più bizzarro assortimento di colori e vestiti di
sempre e aveva un'espressione scocciatissima in viso. Doveva essersi
appena svegliata. - Chi sei? - Domandò, impenitentemente
brusco. Capitava spesso che gente a caso dormisse alla Hellhouse, e
tutti ricevevano lo stesso trattamento. Axl non temeva affatto di
perdere pubblico o diffondere una pessima fama, con
quell'atteggiamento: era anzi profondamente convinto che fosse
proprio quello che i ragazzi chiedevano. Era lui, lo
spettacolo. La ragazzina ghignò, perdendo subito l'aria
spaesata data dal risveglio. - Come, non te lo ricordi? - Axl
sollevò il sopracciglio. Non era turbato da quella momentanea
dimenticanza, ma infastidito. Ecco l'ennesimo stronzetta che
pretendeva di svettare sul resto di Los Angeles. - Scusa tesoro,
vorrei ricordarmi di tutte quelle che mi hanno succhiato il cazzo, ma
è impossibile. - La diretta interessata di quell'implicito
insulto perse istantaneamente il sorriso, alzando gli occhi al
soffitto. - Ma allora hai un problema per davvero, tu. - Dal tono,
sembrava ne avesse disquisito a lungo con grandi esperti. Scoperta
del secolo: tutti sapevano che era un cazzo di mostro. Axl la
ignorò. Davvero non gli interessavano gli sproloqui di una
sconosciuta; aveva già abbastanza problemi con le ragazzine.
Piuttosto, si focalizzò sulla propria missione: recuperò
alcune giacche dimenticate a terra dai suoi compagni di bagordi,
frugando nelle tasche alla ricerca di qualche spicciolo. L'impresa
gli costò cinque, preziosi minuti. - Dove stai andando? -
Axl Rose era un uomo con un piano che le altre persone non
potevano capire. E proprio non ne voleva sapere di spiegarlo. Non
doveva spiegazioni nemmeno per quando andava a pisciare. A
nessuno, se non a sè stesso. - Cavolo, non spremerti, sei
quasi logorroico. - La ragazzina si era alzata, iniziando a vagare
anch'essa per l'angusta dimora del rock. Axl si degnò di
osservarla ancora un attimo: si era infilata un ridicolo cappellino a
rovescio sui capelli sporchi; aveva addirittura recuperato uno
skateboard. Stupidi ragazzini. - Senti, dammi qualche spiccio
per un cappuccino, okay? Sono in ritardo. - Non fece caso al tono
autoritario con cui si rivolse a lui. Non stava davvero ascoltando
quella vocetta presuntuosa; anzi, essa gli aveva dato un pretesto per
perdersi nei propri pensieri, ben più importanti. Quel
pomeriggio avrebbero dovuto provare, decisamente. Erano riusciti a
rimediare una nuova data al Troubadour, uno dei pochi posti che si
degnava di pagarli la somma giusta, per gli ingressi che erano in
grado di fare. Sospettava anche che Zutaut ci avesse messo lo
zampino: qualcuno andava dicendo in giro che i Guns N'Roses in realtà
facevano schifo, che ormai stavano perdendo seguito, che erano
destinati al dimenticatoio. Se effettivamente era Tom l'autore di
quelle voci, beh, Axl poteva capirlo. Avrebbe fatto la stessa
identica cosa, al suo posto. Solo che il punto di vista del
fregato non va a braccetto con la solidarietà. Se
effettivamente era Tom l'autore di quelle voci però, voleva
anche dire che c'era qualcosa in ballo, qualcosa
di grosso, e Axl non intendeva tenere quel panzone seduto comodo nel
suo studio, ad aspettare che loro tornassero strisciando, magari
facendosi pagare molto meno del dovuto. Avrebbero dovuto sudare,
ma lui avrebbe sudato con loro. Nell'immediato, l'unica cosa da
fare era acchiappare quei disgraziati che aveva come musicisti e... -
... muovere il culo, eh? Ma dico, sei diventato sordo? - Quella
tizia era ancora lì. Axl rialzò lo sguardo con
l'intenzione di fulminarla sul posto, quella nullità. La
biondina in risposta alzò il mento in alto, arrogante. Un
formicolio attraversò la pelle del ragazzo, che per pochi
istanti si sentì in grado di tirarle un gancio degno di
Muhammad Alì. - Levati dai coglioni, cretina. - Invece si
limitò ad afferrarla per la maglietta a righe blu e rosse,
trasciandola verso la porticciola cigolante. La mocciosa protestò,
senza però riuscire ad opporsi alla sua stretta. - Rose, la
smetti di farti i complimenti da solo? - La voce sonnacchiosa di
Duff nemmeno raggiunse i suoi timpani, mentre si affacciava
all'assolata Los Angeles, torrida nell'estate del 1986, sbattendo
fuori della Hellhouse quella teppista. La ragazzina, in tutta
risposta, gli mostrò il dito medio. - Muori, coglione. -
Lanciò lo skateboard sull'asfalto con un movimento sciolto,
prima di saltarci sopra e allontanarsi come una scheggia. Axl si
passò una mano fra i capelli, respirando a fondo. Aveva un
piano, ma prima di tutto aveva il bisogno di lavarsi e incominciare
la giornata. Compiendo a propria volta alcuni passi fuori da quel
buco demoniaco che usavano come abitazione, volse gli occhi verdi
prima verso la squallida tavola calda dall'altra parte della strada,
poi verso il muretto che costeggiava l'ingresso alla Hellhouse. Un
figuro in mutande bianche dormiva con la pancia sul quel cemento
rovente, braccia e gambe abbandonati
a penzoloni lungo le pareti segnate dalla sporcizia. Ecco dove
aveva dormito Steven. Know
that motherfucker well, what you gon' do now? Whatever
ever I wanna do, gosh, it's cool now! Nah
gonna do, uh it's a new now. Think
yo motherfucker really real need to cool out. Cause
you will never get on top off this, so
mommy best advice is to get on top of this.
[...] I'm
living the future so the present is my past, my
presence is a present, kiss my ass. (Kanye
West – Monster)
Axl
Rose era un uomo con delle idee. - Muovete il culo. - Dopo
essersi rinfrescato nel bagno della tavola calda, aver raccattato uno
straccio di pranzo e aver vagato per un po' da solo nelle strade e
nei vicoli di West Hollywood, aveva fatto ritorno alla Hellhouse. Era
tempo di richiamare le truppe all'ordine. - Dai bello ci siamo
appena svegliati, tregua. - Slash se ne stava stravaccato sullo
stesso divano su cui aveva dormito: Axl non era sicuro si fosse mai
alzato; la lattina di birra che stringeva in mano probabilmente era
l'unico pasto che aveva visto in tutta la giornata. Steven aveva
già sistemato la batteria e attendeva docile, giocherellando
con le bacchette in silenzio. Sembrava distrutto e probabilmente lo
era: la sera prima aveva dato l'arrampicata al tetto della Hellhouse,
in preda a un delirio che tutti avevano trovato divertentissimo, sul
momento. Era sempre il primo ad ubriacarsi, il primo a tirare,
pippare e fumare, all'occorrenza, poi però era anche il primo
a farsi trovare pronto per lavorare. Peccato si facesse sempre
trovare in condizioni pessime. - Lo sapete, cazzoni, che abbiamo
finito i soldi, mmh? - Parve ignorarlo, Axl, con quella domanda
pronunciata in tono estremamente tranquillo, freddo. Come se stesse
parlando del meteo. Spostò lo sguardo da Slash a Izzy e Duff.
Si aggiravano per la stanza con lentezza, una sigaretta accesa che
pendeva dalle loro labbra, alla ricerca di effetti personali, cavi,
un barlume di lucidità mentale. Izzy portava gli occhiali da
sole neri nonostante la luce che filtrava dalle finestrelle del
magazzino fosse decisamente esigua: alla domanda dell'amico di una
vita, alzò appena il viso, storcendo la bocca senza aggiungere
nulla. Sì, il buon vecchio Izzy probabilmente lo sapeva. Gli
altri invece no. - Ma che dici, io ho almeno venti dollari nel
portafogli. - Fu sempre Slash a rispondere, svuotando con una
mossa da maestro la lattina, prima di lanciarla alle proprie
spalle. Per poco con colpì Duff; ciononostante, il bassista
mantenere un'aura zen, imperturbabile. Axl sospettava non volesse
infilarsi in una conversazione che avrebbe richiesto un buon
dispendio di energie, non quando c'era Slash a far polemica per
tutti. - Innanzitutto dovresti avere un portafogli. - Fu talmente
tranquillo da risultare spietato, Axl. Al chitarrista, che ebbe
finalmente il buonsenso di mostrarsi stupito, lanciò il
rettangolo di pelle consunta, che custodiva solo una patente logora.
- Non c'erano nemmeno gli spiccioli per prendere un caffé. -
Falso. Comunque, non si era nutrito granché. In ogni caso, era
meglio che gli altri lo reputassero a stomaco vuoto, come loro. -
Contando quello che sono riuscito a raccattare stamattina, quello che
è rimasto dal fondo emergenze e quello che non è
rimasto dal fondo droga... - Continuò imperterrito, mentre
Duff già infilava la tracolla del basso. Aveva capito
l'antifona, ottimo. - ... Abbiamo in tutto cinque dollari. Con cui
dobbiamo sopravvivere fino a sabato. - Slash si grattò la
testa. Sicuramente stava pensando a chi chiamare per rimediare
qualcosa da sgranocchiare e, soprattutto, dell'altro da bere. -
Ora, sarebbe proprio un disagio se non ci pagassero perché
facciamo schifo. - Tutti sapevano che non era un'ipotesi
realistica: qualche monetina l'avrebbero comunque guadagnata, al
Troubadour. Di quell'affermazione, però, erano le implicazioni
oltre la data in sé che iniziavano a logorarli. Arrancare,
accontentarsi di espedienti di fortuna, vivere in una catapecchia
umida a cui ogni tanto staccavano la corrente, tutto quello era
andato bene per un primo periodo. Anzi, l'avevano trovato quasi
propedeutico: per comporre e suonare rock, devi viverlo. Avevano
abbracciato la miseria, la sporcizia e la fame con filosofia. Per un
primo periodo. Ma in quel momento, le giustificazioni si erano
esaurite. La gavetta era finita: ognugno di loro poteva avvertire
nitidamente le lancette di un orologio immaginario, quello che
dettava il tempo residuo prima del superamento della linea di
confine; da un lato, la giusta fatica e le valanghe di merda da
sopportare prima di raggiungere l'obiettivo, dall'altro una frustrata
ostinazione per non ammettere che, forse, la stoffa per far musica
davvero non ce l'avevano. Axl ci pensava più spesso di
tutti loro messi insieme, ma con la razionalità di uno
stratega. Le offerte c'erano state. Oltre a Zutaut, in altri li
avevano notati e si erano messi in contatto con loro, nei mesi
precedenti. A volte, i suoi compagni se l'erano presa con lui per non
aver accettato, o aver avanzato richieste giudicate "troppo
pretenziose". Per aver aspettato. Axl Rose però era un
uomo con delle idee. Poche, non moltissime. Sicuramente non il genere
d'idee rivoluzionarie, socialmente impegnate o universalistiche che
attraevano la maggior parte delle lodi o dell'attenzione persino del
suo stesso pubblico. Una di queste è che vincere non è
compromesso. Non è armistizio, non è accettare
un'offerta che in fondo sembra buona, basta fare qualche concessione
reciproca. Non è accontentarsi. Vincere è
vincere. Dovevano solo stringere i denti ancora un poco e premere
sull'acceleratore. La Geffen non aveva intenzione di mollarli:
l'atteggiamento apparentemente superiore di Zutaut non poteva trarre
in inganno lui, che di vere bastonate e menefreghismo aveva vissuto
tutta la vita. Se sarebbero stati in grado di tenere le redini
ancora per un po', di resistere più a lungo in quel gioco a
chi ride per primo, allora avrebbero avuto tutto. Un contratto
alle loro condizioni. Le canzoni che volevano loro, in un disco. Un
pacco di soldi. - Forza, incominciamo. - Un'altra di quelle
idee era che, se la vita ti riserva limoni, allora le devi restituire
ceffoni. - Ragazzi, ma porca troia, così non va. - Stavano
pestando da più di un'ora e a malapena erano riusciti ad
azzeccare un brano. Non si era aspettato nulla di diverso: era già
capitato più e più volte di non avere i soldi per una
sala prove con tutti i crismi, insonorizzata, un luogo dove potersi
ascoltare in tutta tranquillità. In quei casi, non restava che
provare alla Hellhouse, operazione che si rivelava esattamente come
doveva essere. Un autentico inferno. - Non riesco a sentire
Duff, amico. Mi concentro troppo per cercare di sentire lui e perdo
il filo, bello, non è colpa mia. - Si sentiva che Steven era
mortificato. La cosa bella di Steven era che, anche in quelle
situazioni, manteneva sempre una flemma pacifica. - Io invece
sento solo te, Popcorn. - Quello che stava lavorando meglio di tutti
era Slash, ma anche di questo Axl non era stupito. Si potevano
raccontare mille e mille storie su quell'individuo pazzesco e non
sempre andavano d'accordo – anzi, praticamente mai – ma
era un diavolo di chitarrista. Il ragazzo sospirò.
Effettivamente, nemmeno lui avrebbe saputo dire se stava azzeccando
note e ritmo, nelle orecchie aveva solo i rulli di Steven e qualcosa
della chitarra di Izzy, che gli era vicino. Fu verso di lui che
guardò, mentre Slash e il batterista iniziavano a
battibeccare. Izzy
gli rispose con un'espressione enigmatica. Axl sospettava che stesse
pensando a correggere il pezzo, a renderlo più efficace: non
gli serviva un impianto perfetto per vedere
la musica. Ce l'aveva in testa. Tuttavia, l'enorme sensibilità
di Izzy era insieme il suo più grande pregio e il suo più
grosso limite: assorbiva come una spugna ogni vibrazione
dell'ambiente che aveva intorno. Se non gli risultava congeniale,
perché troppo conflittuale come in quel caso, beh... la magia
si bloccava. - Piantatela. - Fu Duff a interrompere la sequela di
frecciatine fra i due litiganti, anche se nessuno dei due ce l'aveva
davvero con l'altro. Era solo un modo per sfogare la frustrazione. -
Axl, ascolta. Non so se possiamo far meglio di così. Lo sai
anche tu, questo posto è quello che è. Aspetta, magari
se mi metto io qui dietro... - Pragmatico Duff. Un altro tipo di
pensatore. Quello che gli era subito piaciuto era che anche lui era
molto poco propenso a perdere tempo per le cazzate. Forse però
era un po' troppo realistico. - Non fatela tragica. Pensateci un
attimo.. - Axl li interruppe ancora prima che iniziassero a
protestare. Sentiva su di sé lo sguardo vigile di Izzy, ma
continuò imperterrito a fissare gli altri. Izzy era già
convinto, con lui non serviva insistere. - ... okay, queste non
sono le migliori condizioni del mondo. Sono delle condizioni del
cazzo, d'accordo. MA, ma. Se siamo capaci di ascoltarci e di tirare
fuori qualcosa di buono pure fra queste pareti di stagnola, alla
prossima lo tiriamo giù, il Troubadour. - La differenza fra
Duff e Axl era che Axl ci credeva di più. Non che Duff non
avesse fiducia in quella band, ma aveva comunque i piedi ben piantati
a terra, cosa che a volte gli impediva di osare. Forse perché
a Seattle, tutto sommato, c'era una famiglia ad aspettarlo. Larga,
chiassosa e un po' inopportuna, ma comunque una famiglia. Non
aveva provato davvero la sensazione di doversi inventare qualcosa con
niente. - Avanti. Su Duff, mettiti dove hai detto, secondo me va
meglio. Popcorn, ti devi ripigliare, non so cosa ti sei bevuto la
notte scorsa, ma pensa che prima tiriamo fuori qualcosa di decente
qui, prima torni a berne ancora e a ripassarti Christie. Dai,
dall'inizio, Slash, prima hai fatto una cosa cazzuta... - Non
sempre era convinto di tutto ciò che diceva loro, ma aveva
estremo bisogno che ne fossero convinti loro. Quella era la chiave di
volta. Non aveva bisogno di cercare il viso di Izzy per sapere
che stava sorridendo. Ecco, lui sicuramente non dubitava di lui:
aveva piena fiducia nella sua leadership, nonché nel legame
che li univa. Peccato... - Umh? - Per qualche istante, si
lasciò distrarre da qualcosa che gli parve di cogliere alla
finestra. Un guizzò, come se qualcuno ci fosse passato davanti
ad alta velocità. Come su una bici o su uno skateboard. Quindi
Izzy terminò di riaccordare la chitarra e fu il tempo di
ricominciare. - Cinque, sei, sette, otto. -
No,
I didn't understand the thing you said. If
I didn't know better, I guess you’re all already dead: mindless
zombies walking around with a limp and a hunch, saying
stuff like, "You only live once". You
got one time to figure it out, one
time to twist and one time to shout, one
time to think and I say we start now: sing
with me if you know what I'm talking about. (Twenty-One
Pilots - heavydirtysoul)
Axl
Rose era un uomo con un'arma. Il carisma. - Ehi. - Aveva
accettato che parte del piano fosse anche a Hellhouse piena ogni
sera. Quando poteva, si trovava un luogo alternativo dove dormire,
magari a casa di una bella signorina a cui scaldare il letto, nel
frattempo. Se invece ciò non risultava possibile, beh, faceva
in modo di trarne vantaggio. Già dall'ora di cena (quella
delle persone perbene, beninteso) si erano trovati il magazzino
invaso da persone, alcune delle quali avevano anche portato qualcosa
di commestibile. In fondo, era buona pubblicità. Avanzò
con una birra in mano verso il luogo in cui Slash stava tenendo il
solito sermone. - Insomma, non sto dicendo che Santana non sappia
muoversi bene fra i generi, ma alla fine lo senti, che ricade nei
suoi schemi. Non è sempre un male, ma Zappa è veramente
un cazzo di camaleonte... - Si poteva scambiare per arroganza, quella
foga, ma la verità era che anche lui ci credeva, un sacco. Per
questo, nonostante spesso si scornassero, alla fine lui e Axl
tornavano sempre sulla stessa strada. - Rose, come te la passi?
- - Ma è vero che avete pisciato sull'impianto del Roxy?
- - Senti Rose, mi servirebbe un consiglio. - Axl era
perfettamente consapevole dell'ascendente che esercitava sulle
persone; solo uno stupido non lo sarebbe stato. E se era nel mood
giusto, non esitava a sfruttarlo. Come in quell'istante. Passò
fra le differenti facce sconosciute che gli rivolsero la parola senza
rispondere a nessuno dei loro approcci, ma regalando un sorriso
appena accennato, alzando una mano con leggerezza. Un po' come se
stesse facendo le prove per il red carpet. Incrociò Duff
nel tentativo di raggiungere il proprio obiettivo, cioè il
traballante tavolino dove avevano abbandonato alcune bottiglie di
alcool scadente che i loro ospiti si erano portati dietro. Il
bassista aveva il braccio attorno alle spalle di Victoria, che gli
sorrise genuinamente felice di vederlo. In sottofondo, da un paio di
scarsissime casse, c'era Smoke in the water. - Ciao Freddie
Mercury. - Stupida. Axl le rivolse un cenno amichevole di rimando,
sollevato di vederli virare altrove. Non che la trovasse antipatica o
altro, solo fin troppo disperata e decisamente troppo facile da
irretire. Davvero non riusciva a capire se fosse realmente convinta
che Duff non sapesse della sua cotta colossale per lui e non se ne
approfittasse come tutti gli altri. Bella era bella, anche se non
era come quella Adrien. - Un brindisi? - Una che non era affatto
stupida era Christine Wu. Certo, era bravissima a recitare la parte
della scema circuibile, il genere di ragazza da trascinare in branda
fingendo di ascoltarne gli sproloqui su rossetti e smalti. Gli si
avvicinò per puro caso: si erano trovati nello stesso posto
nello stesso istante, cioè vicino alla bottiglia di scotch di
seconda categoria per poterne trarre un sorso. La giovane, i capelli
pettinati di lato e l'appariscente tutina verde scuro, fu più
veloce e la afferrò per prima, ingollando rapida la propria
dose prima di allungarla verso di lui. Lo osservò per un
attimo, prima di dileguarsi senza aggiungere altro. Axl l'aveva
notato, come quella finta sciocca in realtà era l'unica
ragione per cui Steven Adler si teneva in piedi ed era effettivamente
produttivo. Avrebbe voluto ringraziarla ma sospettava che Christie lo
evitasse per causa sua. Di
lei. -
Senti amico, ho fatto uno squillo a Joe Canaglia. So che non vuoi i
suoi qui perché Slash ci fa a pugni in genere, ma hanno una
roba fantastica, cioè, proprio di qualità, capisci? E
mi sono detto, piuttosto che fumare la solita merda che fa venire mal
di testa e cose, meglio che Slash faccia a pugni, capisci? Fa a pugni
ma poi è contento, amico... - Mentre Steven praticamente
gli scartavetrava un timpano, urlandogli nell'orecchio, Axl si
guardava attorno fingendo di ascoltarlo. Di tanto in tanto,
sorseggiando lo scotch, effettuava un cenno o gli rifilava un
monosillabo giusto per fargli capire di continuare: non voleva che
smettesse, ma non gli interessava nemmeno ciò che aveva da
dire. Chi passava vicino, non poteva evitare di guardare verso di
loro. Verso di lui. Axl Rose aveva un'arma e non aveva paura di
usarla, persino quando se ne stava fermo in un angolo, come in quel
momento. Era un autentico piacere avvertire su di se tutti quegli
occhi e tutta quell'attenzione senza fare oggettivamente un cazzo. Si
sentiva come un pianeta, attorno al quale ruotavano un sacco di
satelliti. Lo vedeva, come tutte quelle persone erano attratte da
lui. Lo divertiva pensare che molte di loro avrebbero voluto
portarselo a letto. E quella in fondo era solo la punta
dell'iceberg. Sapeva di avere le potenzialità per far
innamorare e capitolare molta più gente; forse era nato per
quello. Alla fine, era in grado di renderli felici, anche solo con
una mossa del capo. Si limitò a lanciare un'occhiata a un
gruppetto di ragazze, una più carina dell'altra, e queste
immediatamente esplosero in un coro di risatine, iniziando a
chiacchierare fra loro sui molteplici significati di quel gesto. Era
un do ut des. Axl elargiva loro un brivido, una scintilla che li
faceva sentire speciali. Loro in cambio continuavano a confermare che
lui aveva talento. Così
facile, quando tutti cercano di compiacerti. Meno
una. - ... e insomma, le ho detto che non so, non so che succede
quando mi sbronzo. Voglio dire, magari mi sarà capitata di
farla, una stronzata. Ma non è colpa mia. Al massimo, è
colpa del vino. Ma Christie è una rompicoglioni, senti, una
favola di donna, ma rompicoglioni in una maniera assurda. - Ad Axl
cadde lo sguardo verso la parete di sinistra. Izzy aveva un gomito
appoggiato al muro e il busto proteso verso la figura ben più
bassa ed esile che aveva intrappolato fra sé e quell'ammasso
di materiale scadente. Le stava dicendo qualcosa all'orecchio, mentre
questa avea la schiena abbandonata all'indietro e teneva le manine,
delicate, sui fianchi del suo uomo. Avrebbe dovuto tagliarsi di
nuovo i capelli, stavano iniziando a ricrescerle. Indossava un
paio di pantaloncini in jeans a vita altissima che davano quasi
l'illusione che avesse delle chiappe. E una maglietta di Taxi Driver
che sembrava da uomo, con un De Niro stilizzato e la scritta "You
talkin' to me?". Beh, era risaputo che aveva un ottimo gusto.
Piegò le labbra rosse all'insù mentre scoppiava a
ridere, evidentemente per quello che Izzy le aveva appena detto.
Quindi ribatté; se si fosse impegnato un po' di più,
Axl avrebbe potuto leggerne il labbiale, ma non aveva voglia di
scoprire che cosa avesse detto il buon Izzy, per farla così
contenta. Piuttosto, aveva voglia di scoprire come spaccargli il
naso, al buon Izzy. Era proprio un pessimo amico. - Sei proprio
sotto, eh? - Non aveva idea di quando Steven se ne fosse andato. Il
magazzino si era fatto sempre più affollato e rumoroso.
Qualcuno aveva cambiato i Deep Purple con Paranoid dei Black Sabbath.
Axl si accigliò: al suo fianco, era comparsa la stessa
ragazzina che quella mattina aveva scacciato dalla Hellhouse. Stava
masticando una gomma americana a bocca aperta, si era acconciata i
capelli in due stupidi codini altri e, ancora una volta, pareva
essersi vestita al buio. - Sloggia. - Le intimò. Non voleva
nemmeno pensare che le sue parole fossero effettivamente collegate a
Naz Kurt. - Sai, si nota perché in genere tu non guardi le
persone, nemmeno quando parli con loro o semplicemente ci stai
insieme. Te ne frega talmente poco che non li degni nemmeno di
questo. Ma lei invece, oh, sei sempre attento a quello che fa, dove
va, quasi volessi dirle "Ehi, sono qui". - Axl ruotò
il collo con deliberata lentezza, per rivolgere alla sconosciuta una
smorfia disgustata. - Non preoccuparti, sono tutti troppo
impegnati a guardare te
per far caso a cosa stai guardando tu. - Lei lo anticipò di
nuovo. Per qualche inesplicabile ragione, Axl scelse di stare zitto:
portò di nuovo la bottiglia di scotch alle labbra, ingoiandone
l'ennesimo sorso. - Sei proprio sotto. - Ripeté la giovane
quindi, prima di fare una bolla con la chewing gum. Il ragazzo
rispose sollevando gli occhi al soffitto umidiccio. - Non sono
innamorato di lei. - Poco distante, Slash stava iniziando a discutere
con un gruppo di ragazzi, probabilmente gli spacciatori chiamati a
raccolta da Steven. Il colpevole invece aveva attaccato a litigare
con la sua dolcissima metà. - Questo lo credo anch'io. -
L'affermazione lo stupì. Era pronto a farsi accusare di
essersi rammollito, invece colse la propria interlocutice ad annuire
saggiamente. - Però stai sotto. Lei ti piace da matti. - Izzy
aveva preso a baciarle il collo, mentre continuava a sussurrarle
cose; Naz in risposta mostrava un'espressione estasiata,
incredibilmente serena per essere una sempre sull'attenti. Forse,
più che prenderlo a pugni, avrebbe dovuto prendere appunti. -
Mi odia. - Sospirò, senza smettere di osservarli. Per un
attimo, pensò che era inutile negare l'evidenza: quella strega
gli aveva giocato un brutto scherzo, con il suo carattere terribile e
i suoi occhioni grandi. Non era la più bella lì dentro,
nè l'anima della festa. Era una barista senza speranze, con un
affitto a South Central e una mamma disabile. Ma Naz Kurt era
anche un essere complesso, con un sacco di idee veramente
interessanti. Nessuno ci aveva ancora scommesso, su di lei, ma
avrebbe potuto fare grandi cose, Axl lo sapeva; era stata sfortunata
e aveva vissuto in un contesto ostile, ciononostante era in grado di
sfornare riflessioni che il ragazzo, ne era consapevole,
avrebbe voluto produrre lui stesso. Per un secondo, ebbe
l'impressione che la diretta interessata avesse lanciato una fugace
occhiata nella sua direzione. Fu solo un secondo. - Non è
vero. Odia quello che riesci a farle. - Quello era il colmo. Naz
Kurt che odiava quello che lui, Axl Rose, era in grado di suscitare
in lei? Proprio quella stessa mocciosa che generalmente gli
passava accanto senza nemmeno dare l'impressione di averlo notato,
quella che si era presa gioco del suo nome, del suo tempo e persino
del suo migliore amico. Eccola, riempirlo d'affetto nonostante
l'avesse tradito. Con lui. Ed era comunque tornata da Izzy. No,
improbabile che Naz Kurt odiasse come Axl Rose la faceva stare.
Piuttosto, era profondamente convinto che si divertisse, a vederlo
perdere le staffe, a ricevere gli insulti che il ragazzo s'inventava
solo per riuscire a rivolgerle la parola, a osservarlo perdere qualsiasi
parvenza di autocontrollo e nonchalance in sua presenza. Di
fronte alla magnifica Naz Kurt, perdeva sé stesso. Smetteva i
panni di Axl Rose per diventare... - Dovresti dirle la verità.
- ... fottutamente
patetico. -
Levati dal cazzo. - Senza preavviso, Axl lasciò la
ragazzina al tavolo, avanzando nel cuore della festa. Altre parole
gli scivolarono addosso senza catturarlo, altri visi si volsero in
sua direzione. Colse Slash assestare un poderoso
gancio a Joe Canaglia, dando così inizio alla rissa della
serata. Aveva bisogno di un diversivo. E fu così che Axl
si beccò una bottiglia in fronte.
She
said it's not now or never, waiting years we'll be together. I
said better late than never, just don't make me wait forever. Oh
my love, can't you see yourself by my side? I don't suppose you
could convince your lover to change its mind, I was doing fine
without ya, 'til I saw your face, now I can't erase. [...] Is this
what you want, is this who you are? I was doing fine without ya,
'til I saw your eyes turn away from mine. (Tame Impala – The
less I know the better)
Axl
Rose era un uomo con un problema. La prima cosa che realizzò
fu il dolore lancinante che provava appena sopra la tempia sinistra.
C'era anche una sensazione di caldo e umido, quindi immaginò
di stare perdendo sangue. La seconda fu che era disteso nel bel
mezzo della Hellhouse. Doveva essere caduto all'indietro, anche se
era presto per sentirsi indolenziti a causa del colpo. Sbattè
le palpebre, senza riuscire a mettere a fuoco subito: sentiva attorno
a sé un brusio nervoso. Allora non se l'era solo immaginato,
di essere centrato in pieno da una bottiglia. La terza cosa in
realtà erano due, due paia di gambe che lo sovrastavano, uno
alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Da un lato, quelle
lunghe e dinoccolate di Izzy Stradlin, che era chino su di lui con
espressione alquanto stupefatta e angustiata, come se non riuscisse a
credere a quello che era appena caduto. Dall'altro, il paio di nudi
ed esili stecchini, che proseguivano in un busto sottile a cui erano
state incrociate delle braccia pallide, per terminare col viso, i bei
lineamenti distorti in una smorfia caustica e diffidente, di Naz
Kurt. Il
problema. -
Ehi. Ehi, come ti senti? Cazzo, per un momento ho pensato fossi
morto. - Fu Izzy a parlare, chinandosi su di lui per allungargli un
braccio. Axl lo afferrò, ancora incapace di spiccicare parola.
Era accaduto tutto in fretta e, a giudicare dalla sofferenza che
stava provando, quel diversivo gli era appena costato un pezzo di
cervello. Una mano bloccò il suo tentativo di rialzarsi,
proprio all'altezza del petto. - Aspetta un attimo. Se si rimette
in piedi ora, sta sicuro che ripiomba a terra pure peggio. Lascialo
stare giù ancora un po'. - Persino in quel frangente la
ragazza riusciva ad essere irritante, parlando di lui in terza
persona, come se non fosse lì a guardarle le gambe. Persino
con la testa squarciata, Axl sentiva la voglia di risponderle
malamente, di restituirle lo sprezzo. - Adesso sei pure un
dottore, stronzetta? - La vide ritrarre la mano, come se si fosse
scottata. Accusò il colpo di quegli occhi indecentemente
grandi che lo squadrarono, ancora una volta, come se fosse un
microbo. - Come vuoi. Dissanguati, Rose. - - Oh che cazzo succede
qui? - La voce di Slash accompagnò l'uscita di scena di Naz,
che gli diede la schiena. Izzy invece rimase, troppo impegnato ad
essere un ottimo amico per accorgersi dei sottintesi di quello
scambio. - Amico, stai sanguinando. - - Ma guarda. Pensavo stesse
piovendo dentro. - - Beh, non si è fatto troppo male,
direi. - Quella era la voce di Duff che commentava in tono ilare, in
un punto che il suo sguardo non poteva raggiungere. Suo malgrado, Axl
rimase ancora un poco disteso, aspettando che la testa smettesse di
girare. - Va bene! Si è preso una bottigliata in testa e
nessuno esce di qui finché non scopriamo chi cazzo è
stato. - Mentre Slash si occupava delle priorità, ciò
difendere il territorio e far rispettare il buon nome dei Guns
N'Roses, Axl passò una mano sulla fronte, raccogliendo molto
più sangue di quanto si aspettasse. Izzy portò la
sigaretta che stava fumando alle labbra, prima di scuotere il capo. -
Sanguina come il demonio ma non è profondo, ti ha preso di
striscio. Secondo me se ci butti una bella bottiglia di alcool sopra,
disinfetti e ti togli il pensiero. - Duff intanto nel frattempo si
era allontanato, per spingere i rissaioli fuori dal magazzino prima
che coinvolgessero tutti nel loro scambio di convenevoli. Izzy lo
aiutò ad alzarsi, mentre attorno a lui parecchia gente si
sincerava di come stesse. Alcuni parevano genuinamente interessati.
Rassicurante. - Grazie, bello. - Axl assestò ad Izzy
una poderosa pacca sulla spalla, in una dimostrazione d'affetto
maschile quasi noiosa, tanto era cliché. L'amico però
sorrise, prima di indicarsi alle spalle. - Se non hai bisogno
d'aiuto, io andrei a recuperare... - - Vai, vai. - Che gliela
trascinasse lontano, quella strega. Si ritrovò
improvvisamente circondato da persone di cui non gli importava nulla,
che però si offrirono di lavargli la ferita con una bottiglia
di Pampero oppure di trovare un posto dove farlo sedere. Fu facile
riadottare la stessa tattica: non parlò molto, ma ringrazio e
mostrò con piccoli gesti di apprezzare quelle premure. Di
apprezzarle e basta, non di necessitarne. Dispenso sorrisi appena
accennati e monosillabi, finché le cure non divennero ancora
più amorevoli. - Spero non ti resti la cicatrice. - Squittì
una fanciulla che forse si chiamava Jenna, o Maryl, mentre due ceffi
che Axl credeva di aver incrociato due volte continuavano ad
esclmare. - Amico, tu eri a terra, a terra, capisci? E poi di nuovo
in piedi, cioè, troppo tosto. - Desiderava solo che
smettessero di chiamarlo "amico". Aveva un enorme
problema. Un'altra cosa che Axl non sopportava, quando gli toccava
incrociare Naz Kurt, era che dopo quegli scambi di dubbia educazione
o quegli sguardi rubati, non era in grado di pensare a nient'altro.
Come avrebbe potuto risponderle diversamente, come comportarsi se
l'avesse incontrata di nuovo. Non riusciva a godersi appieno
nemmeno il frutto del suo talento, persino in una situazione come
quella dove a disposizione aveva Signori Nessuno pronti a leccare la
terra dove camminava. Lei e Izzy, che coppia. Lo portavano
distante anni luce dall'unica persona persona di cui aveva imparato,
in anni più oscuri e remoti, a preoccuparsi. Sé
stesso. - Tutto apposto, Elton John? Non stai parlando le lingue,
vero? - A un certo punto, si era sganciato e aveva riguadagnato la
propria postazione da osservatore in un angolino. Non aveva idea di
quanto fosse passato: si sentiva appicicaticcio per via del rum sulla
testa e stava tentando di dare la colpa a quel fattore, se provava
l'ardente desiderio di allontanarsi da lì. Non risultava
credibile nemmeno a sé stesso. Axl Rose non scappa da una
festa di cui è il padrone di casa perché ha i capelli
spettinati. - Senti, cocca, mi stai seguendo? - Finì di
rollare la propria sigaretta, prima di lasciarla penzolare alle
labbra. La ragazzina aveva gettato la gomma, apparentemente, per
concedersi invece una lattina di birra. - Ce li hai almeno, sedici
anni? - Domandò, cercando l'accendino. - Lo sai anche tu,
che prendertela con me non calmerà i tuoi istinti. Stavi
praticamente sbavando. - Sghignazzò. Axl inspirò a
fondo: era ancora socialmente non accettato picchiare una donna,
specie se così giovane. Doveva controllarsi. - Forse dovresti
fare un giro, prendere un po' d'aria. - - Tu sei la risposta di
Los Angeles a una domanda che nessuno ha posto, vero? - La
giovane, ancora una volta, non sembrò stupirsi della reazione
astiosa di Axl. Fece spallucce, prima di proseguire imperterrita. -
Dico sul serio, dovresti parlarle. Non fa bene alla tua
concentrazione. - Fece un ultimo tentativo per ignorarla, lei e
quella sua vocina. Naz e Izzy sembravano essersi volatilizzati nel
nulla; probabimente avevano preso la macchina, per potersi appartare
a dovere, lontano da tutti quegli zotici che non avevano alcun potere
sulla loro felicità. Christie e Victoria erano rimaste le
uniche a ballare, da sole e fuori tempo. Quand'era finita la
festa? Era certo che fuori stesse già iniziando ad
albeggiare. Adler già dormiva, collassato dopo l'assunzione di
chissà quante sostanze diverse. Non riusciva a vedere Duff e
Slash, ma era certo che li avrebbe trovati fuori, magari a spararsi
l'ultima pera della serata. Stupidi ragazzini. - Dovresti darti
una calmata, Will. Se continui a infognarti in questa storia,
influirà pesantemente sulle tue prestazioni. Prendi una
decisione. Se scegli che è importante, che vale la pena
spenderci delle energie, allora affrontala e poi accetta le
conseguenze del tuo gesto. Se invece preferisci fare la brava persona
e non metterti fra lei e Izzy, allora lasciala perdere, ma per
davvero. Impara a parlarci normalmente, a non controllare ogni suo
gesto, a dimenticartela. Altrimenti finirai per sputtanare anche
tutto il resto e non te lo puoi permettere. - Non avrebbe davvero
saputo dire da chi di loro fosse venuto, quel pensiero. Chiuse gli
occhi per qualche istante. La testa ancora pulsava da morire, ma non
era certo quello, a fare più male. E nemmeno Naz Kurt e Izzy
Stradlin. No, niente era doloroso come la fame che sentiva dentro,
che pervadeva ogni centimetro del suo corpo e che l'aveva
accompagnato da quando aveva lasciato Lafayette. Anzi, da prima, da
quando aveva lasciato William Bailey. - Senti, scarto di femmina
dimenticato da Dio. - Le puntò il dito contro con deliberata
lentezza: la vide indietreggiare, i codini scarmigliati e
l'espressione sbigottita. Axl sapeva di avere, stampata in faccia, la
stessa determinazione dei condottieri e dei serial killer. - Non
ho bisogno della vocina della coscienza che mi suggerisce che fare.
Io lo so già benissimo per conto mio, cosa devo fare e cosa
serve per ottenere ciò che voglio. L'ho sempre saputo. Non lo
dimentico soltanto
perché un discografico non mi ricontatta o perché una
demente decide di diventare materiale da seghe, anche se sta col mio
amico. Quindi apri bene le orecchie: non mi provocare. Non
cercare di ficcarmi in testa paranoie o dubbi che non ho, come una
specie di lavaggio del cervello. Perché lo so benissimo che
non si pongono proprio, questi dubbi, e sai come lo so? Perché
ho un piano. È tutto qui. So che devo fare se voglio mandarlo
in porto e non permetterò a nessuno di incasinarmi il
cervello. Nemmeno a una ragazzina. - Nemmeno
a sé stesso.
Un'infinità di tempo dopo, sul volto della giovane
comparve un sorriso. Non era un ghigno di scherno come quelli che gli
aveva riservato fino a quel momento, ma un autentico segno di
soddisfazione. - Beh... che dici, scopiamo? - Axl si allontanò
di un passo, senza timore. Si sentiva decisamente più calmo,
dopo aver messo in chiaro le cose; rispose con un'alzata di spalle e
un'occhiolino. - Magari dopo. - Quando ormai fu mattino e la
Hellhouse ritornò alla solita tranquillità, fatta del
sonoro russare dei suoi inquilini, della puzza di chiuso e sudore e
del rumore delle macchine che passavano fuori, Axl rammentò a
sé stesso un'altra delle sue idee, quella più
importante. Non doveva niente a nessuno, se non a sé
stesso. E si addormentò.
I
got a penny for my thoughts, I
got a dollar for my blouse, I
got a message for the lover, I
got a message for myself. Now
don't you know I gotta live? I
wanna be without you in that deep blue sky, see,
I found myself sitting there when I was getting high. (Tash
Sultana – Cigarettes)
OFF
ZONE: Holy shit I did it. Questo è stato in assoluto una
delle cose più difficili che mi sono trovata a scrivere. Avevo
un'idea in testa e non avevo intenzione di mollarla, quando ho deciso
di scrivere un intero capitolo solo su Axl Rose. Solo che ovviamente,
nella stesura, si sono presentate alcune comprensibili
difficoltà. Innanzitutto, è sempre difficile
relazionarsi con un tête-à-tête
con un personaggio che in realtà esiste, nella vita reale.
Quando scriviamo fanfiction su persone realmente esistenti ovviamente
ce ne appropriamo, possiamo cercare a grandi linee di intuirne il
carattere da interviste e biografia, ma alla fine quello che ci
mettiamo è soprattutto una nostra visione delle cose. L'Axl di
Love will tear us apart lo sento particolarmente "mio",
come se fosse un personaggio totalmente uscito dalla mia fantasia,
fra l'altro. Ma c'è comunque lo spettro della realtà
che va considerato. Questa è stata un mio cruccio fin dal
principio: evitare l'effetto macchietta e lo stereotipo dato da un
personaggio discusso come Axl Rose, ma tentare anche di restare
fedele alla realtà. Sono conscia del fatto che gli è
stato diagnosticato un disturbo bipolare (tra l'altro, credo che lui
abbia dichiarato di non credere al responso), cosa che per me ha
costituito una doppia difficoltà. Non ho volutamente
affrontato la questione: non credo di avere le competenze per
descrivere perfettamente i sintomi di una malattia del genere, quindi
ho provato a tenermi nebulosa, ma ovviamente è stato arduo,
visto che ho voluto a tutti i costi fare un capitolo POV Axl. Hai
voluto la bicicletta, Charlie? Pedala. Ora, la ragazzina
sconosciuta. Lo ripeto, avevo un'idea in testa. Non voglio dilungarmi
in spiegazioni proprio perché la sua presenza, identità
e ragion d'essere non sono fatte per essere spiegate nelle note
dell'autrice. Riporto solo che la soggettA è stata ispirata da
due cose, fondamentalmente: uno, Axl ha una sorella minore, Amy; due,
avevo letto una storiella sulla vita dei Guns a LA pre Appetite, per
cui Axl era stato accusato da i genitori di una minorenne che
bazzicava la Hellhouse di aver abusato di lei, dopo una
storia abbastanza sordida.
PER AMORE DEL DIRITTO
D'AUTORE: Credo che la Siae abbiamo messo una taglia sulla mia
testa. Allora, heavydirtysoul, da cui deriva il titolo, è
un brano dei Twenty One Pilots. Questa è una cosa che è
cambiata: inizialmente infatti avevo pensato a un'altra canzone, poi
ho riascoltato questo pezzo e mi sono detto "okay, ci siamo". Ci
tengo a precisare che Kanye West è sicuramente stato uno dei
miei animali guida, nella creazione di questo Axl. Tutti i
dettagli della vita nella Hellhouse sono liberamente ispirati a
questo
articolo,
che ho reperito su Medium. Smoke in the water è IL pezzo
dei Deep Purple. "Così
facile, quando tutti cercano di compiacerti.",
liberamente tratto da It's So Easy degli stessi Guns N'Roses, che mi
è sembrata particolarmente adatta alla situazione. È
spiegato anche nel capitolo, ma Taxi Driver è un film del 1976
diretto da Martin Scorsese: come protagonista, il Dio Robert De
Niro. "Va
bene! Si è preso una bottigliata in testa e nessuno esce di
qui finché non scopriamo chi cazzo è stato."
libera citazione da Trainspotting. Rega, un giorno mi farò
perdonare per aver dipinto Slash così irrimediabilmente
cazzoide. "Tu
sei la risposta di Los Angeles a una domanda che nessuno ha posto,
vero?" libera citazione da I Simpsons, per la precisione
episodio 8x08. Credo sia tutto.
Heartlines Everything
I feel returns to you somehow
Oh
the river, oh the river, it's running free, and oh the joy, oh the
joy it brings to me, but I know it'll have to drown me before
it can breathe easy.
Naz
non odia Los Angeles, ma sicuramente ha una relazione complicata
con questa città. Mette in moto la vecchia Fiat, per
immergersi nel traffico di Studio City. Ha parlato per ore con
persone che vogliono una fetta di Beverly Johnson e ora ha solo
voglia di star zitta. “Eeee buonasera Los Angeles, un
altro venerdì sera è alle porte! Vi immagino, mentre
vi preparate, stasera sulla Strip abbiamo un paio di seratine
interessanti, al Melt sulla decima...” Sorride. Non le
manca poi troppo, prepararsi per il venerdì sera. Svolta
a destra. Deve passare a prendere Danny al St. Clèmentine.
Sicuramente arriverà in ritardo. - Era il 1983 quando
questo gioiellino dei Toto ha raggiunto la testa di Billboard Hot
100... - Un semaforo rosso. Stringe il volante con una sola
mano, mentre appoggia un gomito sul finestrino. Entra una nube
tossica dalla strada, ma fa talmente caldo che è disposta a
sopportare lo smog. Passa la mano libera sulla bocca. Le scappa
una risatina che riesce a trasformare in uno sbuffo. - I
hear the drums echoing tonight
but
she hears only whispers of some quiet conversation... - Sposta
lo sguardo verso l'asflato e i palazzoni
che la circondano con un sorrisetto che illumina il viso stanco,
da lavoratrice. Probabilmente sembra un po' scema, mentre se la
ride da sola, in macchina.
So
let them say we won't do better, lay out the rules that we can't
break: they wanna sit and watch you wither their legacy's too
hard to take. Oh,
we said our dreams will carry us and if don't fly, we will
run. Now we push right past to find out or either win what they
have lost. (Santigold – Disparate Youth)
-
Fatelo stare zitto, vi prego, o faccio una strage. - - Togli le
mani dalle chiappe, animale! - - Qualcuno mi può passare un
accendino? - - Ehi, ehi, sorella! Sei proprio un bel pezzo di
gnocca! - - The
moonlit wings reflect the stars that guide me towards salvation...
- La macchina avrebbe ceduto da un momento all'altro, non ci
voleva un genio della fisica per prevederlo. Naz accarezzò il
volante della vecchia Fiat quasi a incoraggiarla, prima di frenare un
po' troppo bruscamente a un semaforo. Di norma era un'eccellente
guidatrice, ma al momento era impegnata a
non
farsi distrarre. -
Non ce la posso fare. - Il problema erano gli addominali che stavano
iniziando a farle male, a causa dell'eccesso di risate. Era lo
specchietto retrovisore che le permetteva di avere una visione
pressocché completa delle cinque persone che erano schiacciate
sui sedili posteriori e che stavano formando un groviglio di arti e
disagio. Era stato Duff, lo spilungone, ad aver conquistato il sedile
anteriore: ora le ostruiva completamente la visuale per sporgersi
dalla sua parte e fischiare a una splendida creatura, beatamente
intenta a passeggiare. - La mano è scivolata,
Slash qui ha bisogno di spazio e Vicky ha messo su qualche kil...
AHIA! - - It's
gonna take a lot to drag me away from you!
- Il problema era Steven Adler che cantava i Toto. - Ti giuro,
se non la pianti ci faccio schiantare tutti. - Con le labbra ancora
contratte nel vano tentativo di contenere la risata, Naz tentò
di minacciare il colpevole di tanta ilarità, puntando il dito
contro la sua immagine riflessa nello specchietto. Il batterista
spuntava da dietro una quietissima Christie, seduta sulle sue
ginocchia come se queste fossero un trono: era molto concentrata sul
limarsi le unghie, per nulla turbata dal caos attorno a lei.
Nonostante la lunga figura della ragazza, i capelli biondi e
arruffati di Steven erano perfettamente visibili, così come la
sua performance: con voce soave quanto un trapano a pedali, il
ragazzo si stava esibendo nel più passionale omaggio a David
Paich, con tanto di mano sul cuore ed espressione contrita. In
risposta alla minaccia, Steven indicò il soffitto dell'auto
con sguardo rapito e ardente. - I bless the rains down in Africa!
- - Devi capire che Slash ha dei bisogni e... Vicky, piantala di
agitarti! - - Io. Non. Sono. Ingrassata. - - Adesso parli
anche in terza persona? - - E tu spostati, coglione! - Naz
tentò di assestare una gomitata alla spalla di Duff, il quale
però si scostò appena in tempo, esibendo una matura
linguaccia. Colta alla sprovvista, la ragazza perse un poco di presa
sul volante con l'altra mano, facendo sbandare appena l'auto.
Irritanti suonate di clacson si levarono dalle vetture che avevano
avuto la sfortuna di capitare dietro la Fiat, insieme alle proteste
di tutti i passeggeri, meno Christie e Steven. Ebony assestò
un'altra gomitata a Slash, cercando di ricavare un po' di spazio per
le proprie natiche, nell'angusto sedile di mezzo. - Naz, stai
cercando di ammazzarci tutti? - Commentò, delicata come al
solito. - The wild dogs cry out in the night as they grow
restless, longing for some solitary company! - - Le donne non
sanno guidare. - Duff fece spallucce, accompagnando la propria persa
di saggezza a un'espressione solenne, prima di appiattirsi contro il
proprio finestrino per difendersi dall'ennesimo pugno di Naz,
sorridendo come un monello. - Io guido come il fottuto Nicki Lauda!
- Era l'estate del 1986. Quel delirio, nonché il tentativo
di beccarsi almeno quattro multe per diverse infrazioni del codice
della strada, non erano nulla di speciale. A Naz era stato richiesto
di recuperare Christie e Steven al ristorante vietnamita dove la
ragazza aveva offerto il pranzo al proprio uomo da passeggio: aveva
accettato l'ingrato compito senza fiatare, tanto sapeva che
protestare non sarebbe servito a nulla. Inoltre era il giorno libero
di Mason e lei ne avrebbe comunque approfittato per passare alla
Hellhouse. Poi aveva scoperto che Christie aveva generosamente
offerto il pranzo a due persone in più rispetto a quelle che
la sua macchina poteva contenere. - Stavolta mi ritirano la
patente. Che non ho. Stavolta mi sbattono dentro. - - Vicky
smettila di agitarti, cazzo! - - Ehi Nazi, è una volante
quella? - - Non finché non ti rimangi quello che hai detto,
maiale con la parruc... oh! - - Ti avevo detto di non agitarti,
col culo sopra al mio pacco. - - Naz, gira alla prossima a destra,
se andiamo diritti come minimo c'imbottigliamo a Koreatown. - -
... frightened of this thing that I've becoooome. - - ZITTI! - Per
qualche istante, nessuno fiatò Non serviva avere visuale sullo
specchietto retrovisore per percepire lo sguardo omicida di Naz Kurt.
O la sua plateale intenzione di farli schiantare tutti contro un
autobus. Poi Christie Wu parlò. - It's gonna take me a
lot to drag me away from you! - C'era del terapeutico, in quel
caos. Qualcosa d'incredibilmente inebriante, un po' come i
tranquillanti che si riuscivano a rimediare a Skid Row per qualche
dollaro. In quell'ultimo periodo, a Naz Kurt era capitato spesso
di sentirsi sola: le sembrava che lei, beh, tutti loro in realtà
si trovassero a un bivio. Era stata un'estate torrida, che era
apparsa lenta da morire, ma il tempo
era trascorso in verità con una velocità drammatica,
come un treno in corsa: la sensazione, anche se era ben lontana
dall'ammetterlo, era di essere sui binari, spettatrice inerte,
incapace di spostarsi dalla traiettoria di quella macchina impazzita.
Fuori controllo, eppure immobile. Quella frustrazione la stava
consumando, se ne rendeva conto. Come si rendeva conto di riversare
spesso e volentieri quel tortuoso groviglio di emozioni su chi le
stava attorno, senza riuscire a impedirselo. Si trasformava nel
peggiore degli esseri umani: intrattabile, rude, piena di una rabbia
incontenibile. Poi c'erano quei momenti in cui i suoi amici, quei
pirati disadattati che sembravano tuffarsi nelle giornate di
rincorsa, lanciandosi nel buio, quei soggetti riprendevano a far
casino attorno a lei. Come se nulla fosse accaduto. Era un suono
dolce, quello di quel casino. Riusciva a sopraffare, per un po', le
domande e i sussurri che invece la tormentavano quando attorno a lei
c'era il silenzio. Forse non era la soluzione. Ma diamine,
almeno si sentiva in vita. - Ragazzi, volete un preservativo? -
Ebony sembrava aver perso la voglia di dare indicazioni e osservava a
braccia conserte Slash sussurrare qualcosa all'orecchio di Victoria.
Il ghigno serafico non le arrivava agli occhi. - Nazi, pensi che
ce la faremo? - I capelli di Duff erano diventati un nido di nodi,
grazie all'aria che entrava dal finestrino. Gli occhi da gatto di
strada fissavano i muri ricoperti di graffiti senza davvero vederli,
in contemplazione di qualcosa di più grande di una città
come Los Angeles. Naz sbuffò. - Ma certo. - Il tono della
sua voce era deciso, carico di aspettative. Poi nello svoltare a
destra per imboccare una scorciatoia verso Hollywood, scosse il capo.
- Aspetta, a fare cosa? - - Ad arrivare vivi alla Hellhouse! - -
Ahia Steve, mi hai infilato un dito nel naso! - - Aspetta, il
vestito è nuovo, non posso sgualcirlo. - - Hurry boy, she's
waiting just for you! - - Ti giuro, vorrei insultarti ma proprio
non ce la facc... - Le parole morirono in gola a Naz, quando una
risata tornò a scuoterle il torace. Ruotò il volante,
svoltando di nuovo senza mettere la freccia: dietro di loro, qualcuno
maledisse tutte le loro famiglie. - Christine, fallo smettere, non
riesco a concentrarmi! - La diretta interessata era tornata a curare
meticolosamente le proprie unghie dopo aver ridato il là a
Steven, il quale non sembrava turbato dall'avere solo pochi
centimetri di spazio vitale: si dimenava come se fosse stato davvero
lui, il cantante dei Toto. Infine anche Duff scoppiò a
ridere a crepapelle e la protesta contro Steven perse di senso. Nel
momento in cui Naz smise di tentare di fermare quel carosello,
inspiegabilmente tornò a guidare con decenza, ma questo non lo
notò. Dietro, Christie decise che la sua opera di limatura
era completa e si unì quindi alla performance del suo ragazzo,
cosa che irrimediabilmente fece capitolare anche Ebony. Forse
quest'ultima voleva solo una scusa per dare le spalle alla coppietta
al suo fianco, ma fu abbastanza brava dal nasconderlo. I due
interessati impiegarono comunque poco per rimandare il tête-à-tête
a più tardi. Il canto si diffuse. Come una rivoluzione o
una malattia, a seconda dei punti di vista. - I bless the rains
down in Africa, I bless the rains down in Africa, Gonna take
some time to do the things we never had ooh ooh! - In fin dei
conti, non c'era nulla di così irrimediabile. - Grazie,
grazie, troppo gentili, vi amo anch'io! - - Giuro che mi sta
andando in cancrena una gamba. - - Oh possiamo fermarci alla
prossima a destra? Fanno un pollo alle mandorle g e n i a l e! - -
Adesso però cambiamo stazione. - - La. Canzone. Più.
Bella. Del. Fottuto. Universo. -
And
I've seen it in the flights of birds, I've
seen it in you, the entrails of the animals, the
blood running through, but in order to get to the heart I
think sometimes you'll have to cut through, but you can't.
Non
riesce davvero a nasconderla, quella faccia da scema. -
... Ma adesso facciamo un piccolo salto in avanti, sempre di hit
da classifica parliamo, un frontman unico nel suo genere!
Indovinate di chi stiamo parlando? - Perde il filo di ciò
che sta dicendo lo speaker. Naz prova sentimenti contrastanti
riguardo ai ricordi: a volte questi sprazzi sembrano lontani anni
luce, i pezzi della vita di un'altra persona; altre invece sembra
ieri. Ma la verità è che, nella maggior parte
del tempo, è troppo impegnata a pensare a Daniel. - ...
e quindi torniamo nel 1986, questi sono Prince & The
Revolution per voi. - Cielo. Sono così cambiate. Lei
e Christine. Anzi, al di là degli eventi più o meno
significativi che hanno differenziato le loro vite, Christine è
quella che è sicuramente cambiata di più. In
apparenza. Non c'è nessuno che la riconosce ora, quando
incrociano qualche vecchia conoscenza per strada. Tutti
stupefatti, colti alla sprovvista da quello che era all'unanimità
considerata come un pericolo sui tacchi a spillo. Naz li
compatisce, sorridendo. Il semaforo è verde, preme
sull'acceleratore.
Not
a thing in the world could get between what we share, no
matter where you at, no worry I'll be there. No
one's got your back like I do, even
when the business not going well, we still do. When
I shine, you shine, no ways on your side. All
my life you'll have what's mine: mark
my word, we gon' be alright, my
brother, my sister we gon' be just fine. (Mapei – Don't
wait)
-
... don't have to be beautiful, oh, to turn me on! I just need your
body, baby... - Christie Wu, quando prendeva il controllo della
radio dal sedile del passeggero, riusciva ad essere una presenza
ingombrante. Più del solito, insomma. Naz aveva mal di
testa, tanto per cambiare. Non che avessero combinato qualcosa di
particolare la sera prima: si era spaccata la schiena dietro il
bancone di Big Bull e, per ingannare l'attesa e la fatica, ogni
mezz'oretta si era versata uno shot di tequila. Poi era tornata a
casa barcollando, senza nemmeno rendersi conto di essersi ubriacata.
Al suo risveglio, era stata contenta di non aver incrociato Mason. -
You
don't have to be cool
to
rule my world!Ain't
no particular signI'm
more compatible wiiith... - -
Puoi abbassare la voce? - La domanda le uscì in un tono
molto più acido del dovuto e di ciò si pentì
immediatamente. Tuttavia, per delle ragioni che non avrebbe saputo
spiegarsi, Naz non chiese scusa: continuò a guidare per le
strade di South Park, corrucciata e con la sensazione di avere
esagerato bloccata in gola. Christie sembrava non aver udito una
singola parola, ma gradualmente il suo gesticolare si fece più
moderato e il suo canticchiare si fece lieve. - Quindi che avete
fatto ieri sera? - Naz si maledisse: adesso invece quella domanda
era suonata eccessivamente premurosa, innaturale. Mentre si fermava
ad un incrocio, ebbe anche la netta impressione che pure Christie la
pensasse allo stesso modo. Le lanciò un'occhiata di straforo e
gli occhi da fatta dell'amica, che fissava con la solita espressione
leggera il marciapiede, si erano assottigliati un poco. - Oh, il
solito. I ragazzi hanno provato per un po', poi è passato a
trovarli Chuck, sai Chuck, quello che lavora al chiosco dei gelati
che sta... - Diede un colpo di clacson provvidenziale ad una Ford
che si era dimenticata di mettere la freccia prima di svoltare,
scaricando un poco di tensione. In quel periodo, Naz si chiedeva
molte cose. Una di queste era senza dubbio da quando avesse smesso di
comportarsi da persona perbene nei confronti della sua migliore
amica. A dire la verità, sapeva di essere diventata
tremenda con tutti. Con Izzy, con Mason, con chiunque avesse a che
fare con lei. Naz non aveva mai finto di avere un carattere facile e
non era mai stata incline ad addolcire la pillola alle persone che
aveva attorno a sè. Ma con Christie non era mai stata
orribile. - ... E quindi Stevie ha risposto: "Ma no che non
viene, non la vedo da una vita", ma poi la troia si è
presentata, però io ho fatto finta di nulla e sono stata di
classe perché sono superiore. - Prince
continuava a cantare mentre Christie proseguiva col suo racconto; Naz
ascoltava solo a tratti, mentre s'infilava nell'ennesimo
imbottigliamento. Erano quasi le sei di sera, l'ora di punta.
Frenando, sospirò rassegnata prima di cercare una
sigaretta da accendersi. - Chris, perché stai ancora con
Steven? - A bruciapelo. Non riuscì a spiegarsi come mai
quella domanda le fosse balzata in testa e perché l'avesse
posta proprio in quel momento. O, meglio, c'erano mille possibili
spiegazioni relative allo stato della sua vita, ma preferiva non
pensarci. Christie rimase in silenzio un po' troppo a lungo per i
suoi gusti, quindi Naz si voltò ad osservarla: l'amica
sembrava tranquilla, guardava il traffico avanti a sè con un
sorriso leggero sul volto. - Perché lo amo. - Fece
addirittura spallucce, ma il tono tradiva una miriade di sottintesi
in quella frase. - Sì, ma... - Naz abbassò ancora di
più il finestrino per poter tenere la sigaretta fuori
dall'abitacolo, mordendosi in labbro inferiore. Era indecisa. - ...
perché stai ancora con lui? - L'amore era senza dubbio una
cosa meravigliosa, ma non era abbastanza. - Beh, lo sai. -
Christie era sempre incredibilmente rilassata quando si trattava di
affrontare discorsi seri: li faceva sembrare delle digressioni sul
meteo, il che poteva avere un effetto calmante o irritante, a seconda
del momento. Naz si sentì irrequieta: portò la
sigaretta alle labbra, mentre distoglieva lo sguardo da quel viso da
gatta. - Steven non mi fa domande e non pretende risposte. È
una persona semplice, che non mi chiede se ho particolari programmi
ed è felice di passare una giornata a far niente. Mi ascolta,
la maggior parte delle volte. - Christie s'interruppe, storcendo le
labbra al proprio riflesso nello specchietto retrovisore, prima di
voltarsi a lanciare a Naz una lunga occhiata. - Considerato questo,
immagino che il motivo per cui sto ancora con lui sia più un
problema mio che suo. - La sigaretta era finita troppo in fretta.
La ragazza la lanciò verso il marciapiede, senza curarsi del
rischio di centrare qualche passante. Quindi si passò una mano
fra i capelli. - Sì, ma... - Iniziò, poi però
le mancarono le parole. Si azzardò quindi a lanciare
un'occhiata verso l'amica. La cosa meravigliosa di Christie era
che non l'avrebbe mai messa volontariamente a disagio. Oh, era
inappropriata e chiassosa come poche cose sulla faccia della Terra,
sempre pronta a riversare un po' di brio irrichiesto sul prossimo.
Adorava essere esagerata e cercava la competizione femminile, ma solo
per questioni di pochissimo conto. Aveva odiato Victoria solo fino a
quando la situazione non si era fatta seria, a quel punto era
diventata un angelo. Non l'avrebbe mai messa volontariamente a
disagio, perché sapeva quanto delicata fosse quella
conversazione apparentemente innocua. Era disposta a fingere di non
sapere che Naz non stava affatto parlando di lei e Steven. E Naz ne
era perfettamente consapevole. - Nel senso, ad un certo punto tu
andrai all'università. Perché ci andrai, no? - Christie
stava controllando lo stato delle proprie sopracciglia quando Naz si
azzardò a guardarla ancora. - Ma sì, alla fine sì.
Sto inquadrando le possibilità che ho di combinare qualcosa di
utile. Quando avrò beccato quella che mi soddisfa, non credo
che continuerò a stare con Steven. E anche lui avrà
probabilmente bisogno di qualcosa di diverso, sai? Perché
credo che diventeranno abbastanza famosi e a quel punto deve avere
accanto una persona che sia disposto a seguirlo, in tutto il successo
ma anche in tutto il casino che arriverà. E quella persona non
sono io. - La fila di auto iniziava a scorrere, lentamente, verso
il semaforo. Riaccese il motore, grata di doversi riconcentrare sulla
strada: improvvisamente, era diventato difficile guardare Christie. -
Ma allora dell'amore cosa resta? - Poté poi avvertire il
sorriso dell'amica nella sua risposta. - Ma sai, dell'amore resta
quello che conta. Quando smetti di stare insieme ad una persona, non
è vero che tutto se ne va. Se due strade si dividono, quello
che c'è stato non scompare. E quello che c'è fra me e
Steven non è meno reale solo perché sappiamo che ci
dovremo dividere. - A Naz quelle parole suonarono estremamente
dolorose. Solo dopo molti anni, ne avrebbe capito il senso. -
Dell'amore, alla fine, resterò io. - Mentre premeva
l'acceleratore per tornare finalmente a sgusciare nel traffico, Naz
s'interrogò inevitabilmente su cosa sarebbe rimasto di lui,
quando tutte le incognite nella vita di Izzy avrebbero trovato un
risposta. Allora non lo realizzò, ma più tardi
comprese che Christie sapeva esattamente cosa le frullava per la
testa e per lei aveva paura. Certo, non sospettava minimamente la
proporzione del disastro che stava per abbattersi su di loro. Ma
mentre si sistemava i capelli e con una mano cambiava stazione,
Christine Wu era già pronta a scendere in guerra al fianco di
Naz Kurt. - Uuuuh ferma, ferma! - Un
guizzo di vita attraversò il corpicino della guidatrice,
mentre svoltava a sinistra e la voce graffiante della cantante
riempiva di calore l'abitacolo. - Ah fighissima, oddio, come fa
questa? But the moment that I first laid... eyes on him! - A
tentoni ricostruirono insieme le parole di Stevie Nicks. Christie
allungò un braccio fuori dal finestrino per puntare col dito
al cielo, scuotendo la testa e attirando le occhiate degli
automobilisti che sfrecciavano loro accanto. - Just like the
white winged dove, sings a song, sounds like she's singing oh,
baby, oh said oh! - Il tramonto era come un incendio sulle strade
di Los Angeles.
On
the sea, on the sea and land over land creeping and crawling like
the sea over sand, still I follow heartlines on your hand.
Naz
frena, prima di lanciare ad alta voce una maledizione verso il
furgoncino che è passato col rosso. Quindi fa un respiro
profondo, mentre la Ford alle sue spalle suona il clacson. Sì,
sì, adesso riparte. Cambia stazione, non le piace il brano
che sta passando ora. Poi controlla l'ora. Non c'è speranza
di arrivare in tempo. Poco male: le altre madri già hanno
una pessima opinione di lei. - ... immortale, personalmente una
delle mie voci preferite, la omaggiamo con questo estratto dal suo
primo album da solita. Questa è per voi e per Janis. - Le
note di piano arrivano proprio nel momento in cui si rabbuia. Non
riescono subito ad allontanarla dai giudizi delle altre persone e
dalla paura di far fare a Danny brutta figura. Solo lentamente,
mentre controlla il nome di una via, inizia a prestare attenzione
alla canzone. Non le viene spontaneo sorridere, stavolta. È
un gesto che richiede un piccolo sforzo. Tuttavia Naz lo compie
volentieri, mentre distoglie gli occhi dalla strada solo per
fissare, per qualche istante, il cielo terso che s'intravede dai
palazzoni. Scuote la testa. Meglio sbrigarsi.
This
fantasy, this fallacy, this tumbling stone, echoes of a city
that's long overgrown, your heart is the only place that I call
home: can I be returned?
L'orizzonte
era stato quasi inghiottito dal crepuscolo. La costa quasi
scompariva oltre il guardrail, una linea infinita di segnali
fosforescenti. Per
quasi cinque minuti nessuno dei due aveva proferito parola. Solo la
voce di Janis Joplin che dalla radio ruggiva Kozmic Blues teneva loro
compagnia. - ... But
I never found out whyI
keep pushing so hard a dream,I
keep trying to make it right
through
another lonely day.
- Naz
aveva insistito per guidare, anche se non si era sentita bene tutto
il giorno: non avrebbe lasciato il volante della sua auto ad Axl,
poco importava quanto fosse accaduto fra loro negli ultimi giorni.
Si erano parlati poco anche per accordarsi sull'uscita della
sera. Da quando aveva faticosamente separato lui ed Izzy, mentre si
prendevano a pugni su un porticello a Venice Beach, non avevano avuto
molto modo di chiacchierare. Axl si era buttato a capofitto nel
lavoro, cercando di porre rimedio alla giornata che la band aveva
perso allo studio di registrazione; Naz aveva perlopiù
sguazzato in una pozza di angoscia in cui le giornate erano
lunghissime e poco produttive. In più, c'era stato quello
stupido mal di stomaco. - Accosta. Da queste parti dovrebbe
esserci un buon cinese. - Naz non aveva dimenticato niente di
quanto successo fra lei ed Axl. Il che voleva dire che, anche se
ci aveva fatto sesso, lui restava comunque colpevole. -
Non posso accostare qui. Dov'è questo posto? - Si pentì
immediatamente di aver adoperato quel tono così spazientito,
ma non fece marcia indietro. Piuttosto, si concentrò sullo
specchietto retrovisore. La Route 1 era ovviamente affollata. Si
trovavano dalle parti di Santa Monica, ma a parte qualche casetta
solitaria non sembravano esserci molte forme di vita. - Da queste
parti, ti ho detto. - Axl guardava fuori dal finestrino. I capelli
rossi erano sciolti e scompigliati dal vento. Le aveva telefonato nel
pomeriggio: "Andiamo al mare". Le aveva telefonato e
non le aveva fornito alcuna spiegazione, né chiesto "per
favore". "Andiamo al mare" e lei c'era andata. -
Qui non c'è niente. - Naz s'innervosì in fretta.
Continuò ad andare diritta, senza rallentare. Solo a quel
punto Axl, fino ad un momento prima apparentemente apatico e
distante, si voltò di scatto per fulminarla con lo sguardo. -
Perché devi rompere così tanto il cazzo? Ti ho detto
che è qui, vuol dire che è qui, no? - Gesticolò
con così tanta foga che, per un attimo, la ragazza temette
l'avrebbe presa a schiaffi. - Perché cazzo devi gridare,
idiota?! - Una persona ragionevole avrebbe cercato di placarsi.
Avrebbe invitato l'altro a calmare gli animi, per discutere
sensatamente delle diversi opzioni e raggiungere un comune
compromesso. - Perché tu non ascolti. E non chiamarmi più
idiota o giuro che te la faccio pagare! - Naz cercò di
trattenersi, sulle prime, dal distogliere lo sguardo dalla
carreggiata per fronteggiare il suo avversario, ma scoccò solo
un'occhiata di traverso ad Axl. Sapeva che anche lui stava cercando
di non guardarla. Nella luce soffusa dell'abitacolo e della notte,
sembrava ancora più bello e sempre più distante. Cosa
avevano fatto? - Io non ascolto?! Tu neanche mi hai chiesto se
voglio cinese. Non ho nemmeno fame, Cristo, e poi qui non c'è
una sega. - Janis Joplin non faceva che aumentare la confusione. Naz
accelerò senza rendersene conto, prima di frenare subito dopo
per evitare di tamponare l'auto di fronte. Qualcuno suonò il
clacson. - Non dire stronzate. - Come risposta, non aveva senso e, la
ragazza lo sapeva, non pretendeva di averne. - Io, stronzate?! -
Per qualche istante, Axl non rispose. Non perché non sapesse
cosa dirle, Naz ne era consapevole, ma per puro sprezzo. L'Oceano
Pacifico fuori era di una bellezza sfolgorante. Il crepuscolo donava
ad ogni angolo luci ed ombre
che trasformavano il paesaggio arido della California in un abbraccio
caldo. La musica dell'audiocassetta accompagnava perfettamente
quella visione, quasi fosse stata composta per un'afosa serata sulla
costa Occidentale. - Hey,
I ain't never gonna love you any better baby
cause
I'm never gonna love you right!
- Cosa
avevano fatto? - Io torno indietro. - Naz non avrebbe saputo dire
cosa l'aveva spinta a riprendere le armi. Si maledisse internamente,
mentre il mal di testa le faceva esplodere le tempie. Iniziò a
cercare un'uscita dalla strada, consapevole che rischiavano di
perdersi. - Che cosa?! - Stavolta Axl l'avrebbe colpita, ne era
certa. Invece la mano del ragazzo calò sul cruscotto. Il
botto fu così forte che Naz sobbalzò; subito dopo,
pensò che sarebbe stato meglio se le avesse sul serio tirato
un ceffone. - Adesso che cazzo ti prende? Ti girano e quindi vuoi
rovinare la serata a tutti e due? Smettila di fare la stronza. E non
azzardarti a girare! - Per tutta risposta, Naz imboccò la
prima uscita che trovò. Senza freccia e senza guardare la
direzione. Un altro clacson suonò alle loro spalle. -
Dio, io volevo prendere la cena e tu hai dovuto fare un dramma. Dai,
torna indietro, cazzo. Scommetto che non sai nemmeno dove siamo. - -
So perfettamente dove siamo e smettila di fare lo stronzo! - - IO
sono stronzo?! Fammi un favore Naz, vai a fare in culo. - - Tu
vai a fare in culo! Non sai far altro che darmi addosso, questa è
l'unica cosa che fai, frustrato del cazzo! - - Vaffanculo! - -
VAFFANCULO! - Urlò talmente tanto da farsi male alla gola.
Innumerevoli istanti dopo, si trovarono di nuovo su una strada
buia, lungo la costa. Uno di loro, Naz non avrebbe saputo dire chi,
aveva spento la musica. Il silenzio abbracciava altrettanto bene
quel panorama oscuro. - Perché dobbiamo essere così
orribili l'uno con l'altra? - Si sentì patetica, quando quella
domanda le uscì tremolante dalle labbra. Lo udì
inspirare a fondo. - Forse tutto questo... semplicemente non
funziona. - A quelle parole, Naz avvertì il proprio cuore
sprofondare fino ai piedi, per poi tuffarsi negli abissi della terra.
Il sussurro che le schiuse la bocca suonò irreale. - Non mi
vuoi più? - Non
girò il capo, ma si rese conto che Axl si era voltato a
guardarla. Lo percepì per l'intensità con cui i suoi
occhi verdi la perforarono. Per alcuni lunghissimi istanti, entrambi
rimasero sospesi in quel limbo, come se stessero precipitando dalla
scogliera. - Vuoi tornare con Izzy? - Naz ci mise un po' prima
di processare quella domanda. Non ne colse le implicazioni. Non si
soffermò su ciò che significava per Axl,
sull'insicurezza e la tristezza che tradiva. Si fermò al
proprio cuore, che riemergeva dalla terra per tornare a
riposizionarsi nella sua cassa toracica, giusto per farle avvertire
meglio tutto il dolore di quelle parole. Se ci fosse stata ancora
della musica a riempire il silenzio, forse sarebbe stato più
facile respirare. - Questo è un colpo basso. - Avrebbe
preferito tornare a gridargli contro. Invece proseguì per
un centinaio di metri, poi rallentò. Infine, accostò
sul primo tratto di banchina abbastanza largo, frenando bruscamente.
Spense il motore, raccolse gli ultimi pezzi della sua sanità
mentale e uscì dalla macchina. Ci volle del tempo prima
che Axl la seguisse fuori. Nonostante la sera fosse calata, l'aria
era ancora torrida e non dava sollievo. Quando il ragazzo si
avvicinò, Naz si rese conto di aver passato l'attesa di lui
con una mano sulla fronte, a coprire il volto, e le spalle ricurve.
- Mi dispiace. - Non era sicura che lui l'avesse detto
davvero. Si trovò fra le sue braccia quasi immediatamente.
Avrebbe dovuto odiarlo, ma si sentiva esausta e in verità non
desiderava altro che dimenticare tutto. Sentiva le lacrime pizzicarle
gli occhi, il che era assurdo perché lei non piangeva mai. Axl
le passò una mano fra i capelli, respirandole contro. -
Dobbiamo trovare un modo per farla funzionare, Will. - Lui non
rispose. Dopo un istante però, Naz avvertì la sua mano
spingersi sotto la magliettina, fredda contro la pelle calda. Un
brivido le scosse la spina dorsale. Alzò lo sguardo per
incontrare, per la prima volta in quella serata, gli occhi di Axl.
Sapeva che in essi avrebbe trovato lo stesso ardore che bruciava in
lei, per motivi e tormenti diversi. Si baciarono come se stessero
per partire per la guerra: avevano iniziato quella storia con la
consapevolezza, viva in un remoto angolo della mente, di avere i
giorni contati. Eppure la gioia violenta con cui vivevano quei
momenti di quiete dopo la tempesta rivelavano una speranza: che tutto
potesse durare molto di più. Magari per sempre. Che potesse
essere la fine degli affanni e della ricerca di sè, quella che
Naz conduceva disperata e che Axl ogni tanto fingeva di proseguire
ancora, per potersi illudere di essere un uomo migliore e diverso da
chi era in realtà. La sollevò sul cofano
dell'aiuto, scivolando fra le sue coscie e i jeans sdruciti, ormai da
buttare. Naz gli strattonò i capelli dall'attaccatura,
inalandone il profumo mentre il battito cardiaco accelerava. Avrebbe
memorizzato tutto di lui: la sua impronta sulla schiena, la traccia
umida lasciata su una spalla, la ruvidità della barba in
ricrescita contro la sua guancia. Se ne sarebbe ricordata, al
momento di lasciarlo andare. Allacciò le braccia dietro al
collo di Axl, mentre lacrime e sospiri si mescolavano al rumore delle
macchine che li sorpassavano e delle onde contro la costa; attorno a
loro, solo quell'intenso profumo di buio.
She
may contain the urge to run away, but hold her down with soggy
clothes and breezeblock. Citrezene your fever's gripped me
again, never kisses, all you ever send are fullstops. Do you
know where the wild things go? They go along to take your honey.
[...] But please don't go, I love you so. (Alt J -
Breezeblocks)
Naz
spegne la radio, sulle prime. Poco dopo però, la
riaccende. Ogni tanto, ma solo ogni tanto, sembra ieri davvero.
Sorride, scuotendo la testa: forse un giorno arriverà a
perdonare sé stessa e i ragazzi, per quello che è
successo. Nel frattempo, non vive nel rancore. Essere una madre
single di solito non le permette di indugiare a lungo nel
risentimento. Nei ricordi, in generale. Le prenderebbe troppa
energia e Daniel ha bisogno di lei. Fa ruotare ancora il volante:
il traffico sembra essere più scorrevole in quel punto.
Potrebbe accelerare e riguadagnare il tempo perso, ma da quando ha
preso la patente e viaggia con un bimbo a bordo è diventata
più giudiziosa. Altre note di piano arrivano dalla radio.
Non indugia a lungo nei ricordi, di certo però non ha
dimenticato. Fa sempre un po' male ma, mentre rispetta il limite
di velocità, Naz è in pace con quel dolore. Lo
attraversa. Quel dolore è pur sempre la prova concreta
che, prima ancora che dei pianti, dell'abbandono e delle parole non
dette, Daniel è il frutto di una grandissima storia
d'amore.
What a thing
to do, what a thing to choose. But know, in some way I'm there
with you, up against the wall on a Wednesday afternoon.
-
... ed è irritante, insomma, non capisco perché non
dovrei avere l'opportunità di ascoltare altro. Cambia
stazione comunque, ti prego, non abbiamo fatto altro che ascoltare
gli Europe per tutta l'estate e onestamente non ne posso più
di queste tastiere. - Era notte fonda, il che voleva dire che le
strade di Los Angeles erano affollate, almeno in quella parte di
città. Si erano lasciati Silver Lake alle spalle da un pezzo,
dopo un turno piuttosto massacrante per lei e alcune lunghe ore
trascorse al bancone per lui. - Che poi, è davvero questo
che ti viene in mente se pensi a Space Oddity? Voglio dire, Space
Oddity è un capolavoro filosofico che usa lo spazio per fare
introspezione... - Izzy non era, in genere, un personaggio molto
loquace, nemmeno con i propri amici. Però se si parlava di
musica e, in particolare, di quello che trovava incomprensibile
dellla musica degli altri, metteva la quarta e non riusciva a
fermarsi. Naz girò la manopola per cambiare frequenza,
ridacchiando. - Giuro, non capisco come abbiano potuto bocciarti in
letteratura. - Era venuto a prenderla in macchina ed ora lasciava
che lei si riposasse, anche se non le permetteva di scegliere la
musica. - ... e il senso di alienazione che Bowie trasmette, non
ha niente a che fare con le festicciole, insomma. Senza tenere conto
della critica politica... Oh no, dai, di nuovo. Cambia, cambia. - Naz
scoppiò a ridere, raccogliendo le gambe sul sedile del
passeggero, dopo essersi tolta le scarpe. L'aria che entrava dal
finestrino, leggermente più fresca rispetto a quella del
giorno, scompigliava i capelli di Izzy in maniera tale da rendere
impossibile prenderlo sul serio. - Agli ordini. Non vorrei mai
danneggiare il tuo orecchio con queste canzonette da provinciali. -
Izzy sbuffò non appena comprese che la sua ragazza lo stava
prendendo in giro. Sembrava estremamente risentito, il che voleva
dire che quello scambio lo divertiva. - Senti chi parla, Miss
"Ascolto i Bauhaus per fare citazioni che nessuno può
cogliere". - Naz fece spallucce e allargò le braccia,
ammettendo silenziosamente le proprie colpe. Quindi fece ruotare di
nuovo la manopolina. - E comunque erano almeno due mesi che non
ascoltavo gli Europe. - - Aaarg, giuro su Dio, le stazioni radio
hanno solo cinque brani in canna e hanno deciso di tormentarmi con
ognuno di loro. - La ragazza letteralmente ululò dal ridere
quando Izzy saltò sul posto, frenando di fronte al semaforo
rosso, quando dall'autoradio arrivarono le note di You give love a
bad name, brano che effettivamente in quell'estate 1986 aveva
fracassato i timpani e altro ancora. - Ma non è quello che
vuoi anche tu, testone? - Un brivido la scosse nel momento in cui
gli pose quella domanda: allungò una mano per sistemargli i
capelli solo per avere una scusa per toccarlo. La paura di vederlo
andarsene le attanagliò le budella, ma quando Izzy si voltò
per sbuffarle addosso Naz gli fece la linguaccia. - Se inizio
servire la gente con riff banali e oh sì, pupa, quanto sei
sexy, ti prego, sparami. O mollami. - Melodrammatico. - Oh ma
insomma, intendo avere le tue canzoni in radio ventiquattrore su
ventiquattro. Avere delle persone che stanno guidando, come noi, e
all'improvviso beccano la tua canzone e la cantano ad alta voce, poi
finisce, cambiano frequenza e cazzo, eccola lì di nuovo, che
figata cantiamo ancora! - Il fervore con cui gesticolò e il
tono di voce che si alzò appena non avevano niente a che fare
con la rabbia, cosa piuttosto rara per Naz in quel periodo. Erano più
la conseguenza di un flusso di energia continuo, che non inizava né
finiva in quelle conversazioni rubate. Era la cosa meravigliosa
di stare con Izzy. - Sì, ma non voglio certo che sia solo
perché vogliono menare il culo. - Rimettendo in moto, il
ragazzo lasciò il volante con una mano per poter evidenziare
le parole con i gesti a propria volta. - Dai, so che capisci
quello che voglio dire. - Naz capiva, ma sapeva anche di doverlo
provocare. Sapeva che era ciò che lui amava di lei. -
Non è questione di menare il culo, Jeff. È questione di
essere felici mentre ascolti quella che per te è la tua
canzone. - Cambiò di nuovo frequenza. - Ma no, porca
puttana, non è solo questione di essere felici. Non voglio che
la gente stia solo bene, quando ascolta la mia musica. Voglio che li
renda felici e li colpisca allo stomaco, e li faccia sentire sporchi
e poi confusi e pure un po' a disagio. E li spinga a rimettersi in
discussione e poi doni a loro speranza. - Mentre filavano verso
West Hollywood, Naz non si rese conto di stare immortalando Izzy
nella fotografia di quell'attimo: giovane, pieno di foga,
appassionato. Si sistemò meglio sul sedile del passeggero,
mentre passava la pubblicità di un nuovo detersivo. - Non
ho detto allegri. Ho detto felici. E la felicità è
anche rumore, caos, le cose orribili a cui sopravvivi e che ti fanno
sentire più vivo di prima. - Sa che Izzy sorride. - Eh
no, tesoro. Quello è l'amore. - Dopo qualche attimo passato
ad osservare due ragazzine che attraversavano delle striscie pedonali
di corsa, rischiando di farsi investire, Naz tornò a cambiare
frequenza. - E comunque dovresti essere meno schizinoso. - Scosse
ancora le spalle, fermandosi per cercare una sigaretta e lasciando
per sbaglio sulla differita di un comizio repubblicano. - Ma non
hai delle cassette qui da qualche parte? - Izzy inchiodò
all'improvviso, a fronte di un giallo che si trasformò in
rosso di colpo. Dalle macchine in coda arrivarono improperi a cui
rispose con un dito medio. - Avevo la cassetta di The Queen Is
Dead che qualcuno mi ha regalato, ma sempre quel qualcuno ha pensato
di prendersela e non restituirla mai più. - Naz continuò
a contorcersi per cinque minuti, prima di rinunciare a trovare
sigarette. Evidentemente avevano finito tutte le scorte. - E comunque
sono seria, dovresti fare più attenzione a quello che bolli
come commerciale. Potresti imparare qualcosina. - Si aspettava
un'esclamazione incredula, invece Izzy si limitò a chiedere: -
Ah, sì? - - Sì. Devi imparare a parlare a più
persone possibili, se ci tieni a far provare tutto quello a cui ti
riferivi prima. E che ti piaccia o no, certe canzoni arrivano a una
bella fetta di persone. - Quando si accorse che il ragazzo non
rispondeva, Naz gli lanciò un'occhiata preoccupata. Izzy
riprese a guidare con cipiglio tranquillo, il gomito appoggiato fuori
dal finestrino. - Nel senso, scommetto che quando è uscita
Stand By Me tutti quelli come te erano tipo: "Gne gne, senti che
lagna, piace solo alle ragazzine" ma adesso riconosciamo
universalmente che è una delle migliori canzoni mai scritte,
no? - - Senti senti! - Izzy scoppiò a ridere, senza alcun
tono di scherno nella voce. Poi Naz passò ad un'altra
frequenza e tutto accadde molto velocemente. - No, dai, ti prego,
cambia, non la sopporto, basta. - - Ma che dici, fammela lasciare,
è anche appena incominciata! Come fa a non piacerti questo
pezzo! - Le proteste del guidatore non riuscirono a coprire del
tutto la sognante introduzione di una canzone che chiunque, negli
Stati Uniti, conosceva. I Journey avevano fatto la loro fortuna con
quel pezzo. Erano stati anche la causa di diversi bisticci. -
Scommetto che conosci il testo a memoria! - - Ma come fa a piacere
a te? A te, dico, la regina dell'acido. - - Perché parla di
noi. - Naz seguì il movimento dell'auto quando Izzy
svoltò, prendendo una scorciatoia per arrivare prima al
magazzino. - Senti, just a small town girl living in a lonely world!
- Non fece nemmeno uno sforzo per intonarsi. Izzy la guardò
in apparenza solo divertito, ma con le fiamme negli occhi. - Ehi, io
non vengo da Detro... ahia! - Non fece in tempo a ripararsi dal
pugno che Naz gli assestò con veemenza sulla spalla. - Ma
no, io sono il ragazzo di città! - - Ah quindi io sono la
ragazzina di paese! - In futuro, Naz avrebbe cercato di
aggrapparsi a quella sensazione, al modo in cui Izzy l'aveva fatta
sentire bene anche in un momento in cui l'assenza di risposte aveva
creato un vuoto doloroso nel suo stomaco. Si sarebbe chiesta più
volte, in quelle rare notti prive del pianto disperato di un
minuscolo Daniel, che cosa fosse andato storto, quali parole avessero
omesso per arrivare a dimenticare quegli attimi passati ad urlarsi
addosso col sorriso sulle labbra. In
futuro, non sarebbe stato così complicato individuare gli
errori commessi e da cui ripartire. In futuro, col senno di poi. Ciò
che alla fine avrebbe custodito, tuttavia, quella donna che aveva
imparato ad essere una persona completa per il suo bambino, non
sarebbero stati gli errori e le lacrime. Ma la ragazzina che era
stata sul sedile del passeggero di Izzy, a cantare in un momento in
cui la vita non riservava nemmeno limoni. Quando tutto stava per
cambiare e si poteva sentire nell'aria, ma lui riusciva comunque a
non farle provare paura. - Dai, lo so che conosci le parole!
- S'inginocchiò senza paura di possibili incidenti,
abbandonata alla melodia pop. Le facevano male le guance per aver
sorriso troppo a lungo. Izzy scuoteva la testa ostinato, ma
continuava a ridere. - Working hard to get my fill, everybody
wants a thrill, paying anything to roll the dice just one more time!
- Sollevò anche l'indice, Naz, per chiedergli quel tiro di
dadi. Sapeva che lui stava per cedere. - Oh the movie never
ends, it goes on and on and on and on! - Quando la ragazza aprì
le braccia, rischiando di sfracellarsi contro il cruscotto, Izzy si
voltò a tradimento e, senza protestare ancora né
rallentare, si unì a lei. Non aveva mai avuto intenzione
di deluderla. - Strangers waiting up and down the boulevard,
their shadow searching in the night! - Quando arrivarono alla
Hellhouse, Don't stop believin' era terminata da un pezzo, ma loro
stavano ancora cantando. Naz in particolare azzardava acuti di cui
non si vergognava affatto; quando balzò giù dalla
macchina, si dondolò anche, aggrappata alla portiera, come la
protagonista di un musical. Izzy la raggiunse senza nemmeno
controllare che ci fosse qualcuno fuori dal magazzino a salutarli. Le
fece invece fare una giravolta, come se fosse la mossa più
naturale del mondo. Naz lo osservò poi fare qualche passo
verso l'ingresso ma fermarsi nel momento in cui si accorse di non
averla al proprio fianco. Le sorrise ancora. Non aveva fatto altro
tutta la sera. Quindi le fece cenno di raggiungerla. Naz si prese
solo un momento per assaporare quella notte profonda,
quel calore, quella musica ancora rimbombante nel cervello, prima di
eseguire il suo desiderio.
Paul,
I know you said that you'd take me any way I came or went but I'll
push you from my brain, see, you're gentle baby, I couldn't stay,
I'd only bring you pain. I was your starry-eyed lover and the one
that you saw, I was your hurricane rider and the woman you'd
call. We were just two moonshiners on the cusp of a breath and
I've been burning for you baby since the minute I left. (Paul –
Big Thief)
Naz
ascolta il pezzo fino alla fine. - ... e questi erano i Journey,
ehi Tony, che fine hanno fatto i Journey? - - Nel 1987 abbiamo
avuto lo scioglimento di una delle nostre band preferite e
sicuramente ci mancano, anche perché siamo a corto di canzoni
con cui pomiciare! - Non c'è nessuno a guardarla, quindi
non si trattiene dal sollevare gli occhi al cielo, sbuffando. Tra
poco dovrebbero arrivare le notizie sul meteo, quindi cambia di
nuovo stazione. - E adesso questo pezzo, dal nuovo film preferito
della mia ragazza, dico sul serio, mi ha trascinato al cinema due
volte! - Naz resta in attesa mentre svolta di nuovo a destra,
mordendosi il labbro inferiore. Chissà cosa avrà
combinato Danny oggi. Spera che abbia mangiato tutto quello che gli
hanno rifilato a scuola. - ... it must have been love, but it's
over now! - Sospira. Avrebbe proprio dovuto ascoltare il
meteo.
OFF
ZONE: Ci sono volute due anni ma alla fine ce l'ho fatta, a finire
sta Missing Moment. Poco importa averla scritta per me e per
l'unica altra persona che si ricorda di Love will tear us apart –
I love you Sylvie – è una bella
soddisfazione. L'ispirazione è una cosa curiosa. È
passato un anno dall'ultimo capitolo di questa MM e ho fatto davvero
troppe
cose, oltre ad aver vissuto in tre Paesi diversi. Spero di aver
portato un pezzettino di quanto ho imparato in questo ultimo
capitolo. Grazie pandemia, sei una cosa orribile ma mi hai dato gli
attimi di riflessione per terminare quest'ora. Seriamente, a te
che stai leggendo, prenditi cura di te e stai a casa. Andrà
tutto bene. È proprio giunta la fine, per i personaggi di
Love will tear us apart. Con questo ho scritto tutto ciò che
dovevo scrivere di loro. La revisione sta proseguendo, non è
ancora terminata e immagino che andrà pure per le lunghe, ma
questa è la conclusione della storia. C'est fini. Forse
tornerò qui con altre storie, anche se il sito è
purtroppo molto più deserto di quello che ricordavo – ma
chissà, adesso che siamo tutti costretti in casa forse
scriveremo di più. Forse no. Vediamo come mi gira. Sono
contenta però. Sono contenta di aver recuperato dei personaggi
che c'erano dieci anni fa e ci sono ancora oggi, diversi, più
rotondi, sicuramente in evoluzione come me. Quindi ciao Joanie,
ciao Mason, ciao Ebony, ciao Victoria, ciao Christie. Ciao Guns
N'Roses. Ciao Naz. È stato un piacere.
PER
AMORE DEL DIRITTO D'AUTORE: Allora, sono sicura che ci sono delle
cose che mi sono persa per strada. Ho messo tutta la musica in
questi paragrafi. La canzone del titolo e che accompagna i paragrafi
su Naz in macchina è Heartlines di Florence + The Machine,
mentre il sottotitolo viene da The Only Thing di Sufjan Stevens. Le
quattro canzoni "vecchie" che vengono ascoltante nei
flashback sono, in ordine: Africa dei Toto, Kiss di Prince, Edge of
Seventeen di Stevie Nicks, Kozmic Blues di Janis Joplin, The Final
Countdown degli Europe, You Give Love a Bad Name dei Bon Jovi aaaand
finally Don't Stop Believin' dei Journey. Chiudiamo con It Must
Have Been Love dei Roxette; il film invece è Pretty
Woman. "These violent delights have violent ends", la
menziono di sfuggita da qualche parte ed è per me il riassunto
della storia fra Axl e Naz. La traduzione ufficiale parla di "gioie",
anche se io ho sempre pensato ai "piaceri". C'è
un passaggio fra Izzy e Naz che è liberamente ispirato a 500
days of Summer. "No, I'm Sid!" "Oh so I'm
Nancy."
Chiedo venia per gli errori di battitura che
sicuramente mi sono sfuggiti. Il lupo perde il pelo.