Le due facce del Giglio

di Sbasby
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Smoke and screams ***
Capitolo 2: *** Soap ***



Capitolo 1
*** Smoke and screams ***


Le due facce del Giglio

Smoke and screams
 
Lasciami andare a vedere il Sogno,
 la Velocità, il Miracolo,
 non fermarmi con uno sguardo triste,
questa notte non lasciarmi vivere laggiù,
sull’orlo del mondo,
solo questa notte, poi tornerò.
Così si chiuderà il cerchio delle cose non accadute.

-Alessandro Baricco
 
 
Fumo e urla.
Col tempo aveva imparato che questi erano i due principali ingredienti del delirio. Due amici inseparabili che confondevano ed eccitavano al tempo stesso, imprigionando l’insieme dei suoi sensi in una spirale da cui non poteva, né voleva uscire.
Il fumo, sensuale e insidioso, scivolava lentamente intorno e addosso a lei, scontrandosi con le decine di corpi ammassati che si muovevano al ritmo spacca timpani di un’insistente grancassa.
Le urla, adrenaliniche portatrici di caos, le riempivano le orecchie con i loro toni acuti.
L’unione di questi due compagni, che avevano riempito tante delle sue serate, la inebriava, nutrendo il suo spirito di una forza sempre nuova. Le mani forti che le stringevano i fianchi le lanciavano scariche continue di brividi che le risalivano l’intera spina dorsale. Alzò un poco la testa per far scontrare il proprio sguardo con quello azzurro cielo del suo compagno di ballo e, appena vide quelle iridi cristalline posarsi su di lei, il suo cuore accelerò il battito. Le sembrava di avere un enorme tamburo all’interno della cassa toracica, quasi come se ogni parte di lei avesse voluto tenere il tempo di quella musica incessante.
Vieni a divertirti bimba, in fondo, questa è la tua serata.
La sua serata.
Era decisa a viverla a pieno quella sua ultima notte di libertà in cui avrebbe potuto passare le ore a crogiolarsi nel delirio. Girovagò con lo sguardo per tutto il locale, individuando con non poca difficoltà i membri della sua compagnia, sparsi tra la gente che si dimenava o seduti al piano bar.
Anche loro domani saranno un ricordo.
Deglutì a fatica e sbatté più volte le palpebre per scacciare quella sensazione pungente dagli occhi che, lo sapeva, avrebbe portato una lacrima che non aveva intenzione di farsi sfuggire. Rivolse un sorriso tirato al ragazzo di fronte a lei e gli si avvicinò all’orecchio per farsi sentire sopra la musica assordante.
“Vado a prendere da bere.” Gli disse, mentre alcune sue ciocche brune le solleticavano il naso.
 Attraversò il locale zigzagando in mezzo alla massa di corpi e scansando più persone, spesso in maniera per nulla gentile, che non si fecero problemi ad urlarle dietro. Arrivata al bancone del bar attirò con un verso davvero poco aggraziato l’attenzione del barista, che le rivolse un’occhiata di fastidio, e ordinò il drink più forte che le venne in mente.
“Ma tu ce li hai diciotto anni, ragazzina?”
Queste parole le fecero sgranare gli occhi e inarcare un sopracciglio, il disappunto le si leggeva chiaro sul viso. Una ragazza con una zazzera di capelli viola si avvicinò a lei e si rivolse al ragazzo dietro al bancone.
“Garantisco io per lei, tranquillo” assicurò con un sorriso furbo.
Lui mantenne per qualche secondo un’aria dubbiosa, poi, con un’alzata di spalle ed un sonoro sbuffo, le mise davanti un bicchiere di bevanda ghiacciata.
“Grazie Jo” le disse con un sorriso riconoscente.
La ragazza coi capelli viola le si sedette accanto e la osservò sorseggiare il suo drink divertita.
“Dove saresti se non ci fossi sempre io a pararti il culo, eh?”
Entrambe sorrisero, guardandosi negli occhi e pensando a tutte le volte in cui una aveva tirato fuori l’altra da qualche impiccio. Ne avevano passate così tante!
“Ce li hai diciotto anni ragazzina?” borbottò scimmiottando la voce del barista “Due estati che vengo qui e nessuno mi ha mai chiesto l’età!”
Jo le sorrise bonariamente e mandò giù un sorso della propria birra.
“Lily, tecnicamente, tu non hai l’età per bere.”
La rossa si scostò una ciocca di capelli dal viso e la guardò dritta negli occhi. Dalle sue pupille s’intuiva la malinconia che la opprimeva.
“Ti prego Joannah, non stasera.”
Lily distolse lo sguardo da Jo per farlo vagare un’altra volta per tutto il locale, come volesse riempirsene gli occhi, imprimersi a fuoco nella mente ogni particolare di quella notte. L’altra colse la sua occhiata persa e le diede una lieve pacca sulla coscia fasciata dagli shorts
“Forza! Torna nella mischia, devi fare il pieno di divertimento per i prossimi nove mesi, ne avrai bisogno!”
Le prese il bicchiere semivuoto di mano, la afferrò per un braccio e, con un occhiolino, la rigettò in mezzo alla bolgia. Quasi distaccati dalla sua volontà, i suoi piedi cominciarono a dirigersi con passi lenti e cadenzati verso il ragazzo che aveva lasciato da solo in mezzo alla pista da ballo. Si mosse a zigzag in mezzo alla folla, cercando di non farsi bloccare da quell’orda di corpi accaldati, premuti nel piccolo locale come in una scatola di sardine. Si trovò in breve tempo alle spalle del ragazzo che, completamente preso dalla musica, si muoveva in quel modo sinuoso che tanto l’aveva attirata tre anni prima. Come ogni volta che gli era vicina, percepì una specie di forza magnetica che la spingeva verso di lui, quasi fosse il centro gravitazionale di tutto il suo sistema. E forse, in fondo, quella serata per lei non era altro che l’ultima occasione di fingere che lui, la crew e le follie dell’estate fossero il centro del suo mondo. Era semplicemente l’ultima possibilità che le era data quell’anno per nascondersi dietro la sua maschera di falsa normalità. Per questo, quando lui la strinse a sé per condividere con lei un ballo di cui nessuno aveva dettato la coreografia, le sembrò che le sue braccia muscolose, coperte da scritte e disegni tribali, volessero impedirle di scappare. Una stretta che sapeva di consapevolezza e, allo stesso tempo, di rimpianto. Quella sera, solo quella sera, stretta in quell’abbraccio, Lily si permise di fingere, di illudersi che la sua vita potesse essere sempre così e si chiese, per l’ennesima volta, perché il distacco ogni volta dovesse essere così dannatamente doloroso. Puntò lo sguardo nelle sue iridi azzurre, si abbandonò alla musica e, con quel ballo, chiuse il cerchio delle cose non accadute.



Fumo e urla.
I suoi compagni di delirio le stavano mostrando l’altra loro faccia. Un lato della medaglia che, come aveva appena deciso, detestava profondamente.
Il fumo usciva a grosse volute dalla locomotiva scarlatta ferma sui binari, calando su tutta la fermata una fine foschia che costringeva i suoi occhi a ridursi a fessure.
Le urla di madri sovreccitate e di ragazzi che si affacciavano dai finestrini le perforavano i timpani al pari di un trapano elettrico.
Il binario 9 ¾ la mattina del primo settembre la infastidiva come solo un’accozzaglia di luci e rumori troppo forti durante un dopo-sbronza poteva fare. Portò una mano al viso e si stropicciò vigorosamente gli occhi, ignorando bellamente la voce del fratello che le intimava di sbrigarsi.
“Forza, Lilly! Ti vuoi muovere?!”
Sentì montare dentro di lei una fortissima esasperazione, che espresse solamente con un sonoro sbuffo dal naso. Costrinse i propri piedi ad allungare il passo, mentre spingeva svogliatamente il carrello verso uno dei vagoni. Lasciò ai suoi fratelli diciassettenni e ormai liberi dalla Traccia l’immenso onore di caricare con un Wingardium Leviosa tutti i bagagli sul treno e, con una mossa repentina, sgusciò via dalla stretta ferrea che il padre teneva attorno alle sue spalle.
Lanciò uno sbrigativo sorriso di scuse al genitore e  cominciò a far vagare lo sguardo per il binario alla ricerca di …
“Ciao Stronza!” trillò una voce allegra alle sue spalle.
Un ghigno divertito le si dipinse istantaneamente sul viso quando, voltatasi, si trovò davanti due ragazze. Quella che l’aveva salutata era più alta di lei di una quindicina di centimetri, aveva lisci capelli color grano che le ricadevano con ordine maniacale sulle spalle e una pelle abbronzata che, insieme alle labbra carnose, palesava al mondo un miscuglio genetico che aveva dell’incredibile.
Al suo fianco, con le mani affondate nelle tasche, stava una ragazza pallida e minuta, con una chioma di folti capelli scuri raccolti in una coda alta e un paio di occhi verdi esageratamente grandi per il suo viso sottile.
“ ’Giorno Troie! Passata una buona estate?”
La bionda alzò teatralmente gli occhi al cielo ed emise un sonoro sbuffo.
“Lasciamo perdere per favore”
Le altre due le rivolsero un’occhiata perplessa, in un’evidente richiesta di spiegazioni.
Lei aprì la bocca, sul punto di parlare, quando alle sue spalle comparve l’uomo nero mano nella mano con la regina delle fate. Lily guardò la bizzarra accoppiata con il solito misto di timore reverenziale e perplessità.
“Buongiorno ragazze!” esordì la donna con un lieve sorriso.
“Buongiorno signori Zabini!” risposero le altre in un coretto che fece storcere il naso alla bionda.
L’uomo, un armadio di colore che Lily non avrebbe avuto dubbi nell’azzardare fosse alto più di un metro e novanta, rivolse loro un breve cenno col capo per poi concentrare tutta la sua attenzione sulla ragazza che, con ferma ostinazione, gli dava le spalle. Posò la mano destra sulla sua spalla, ma lei non esitò un istante a scacciarla con aria scocciata.
“Calliope, potresti smettere di comportarti come una bambina capricciosa per cinque minuti e, almeno, guardarci in faccia?” Chiese con aria stizzita.
La ragazza, con un’espressione di finta noia stampata sul viso, girò il capo di quei pochi gradi che le consentivano di percepire lo sguardo esasperato del padre.
“Non ho intenzione di affrontare di nuovo l’argomento Italia, soprattutto non ora e non qui e … Dannazione Calliope stai per partire e non ci vedremo fino a giugno, puoi smettere di tenere il broncio?”
La bionda rilassò le spalle e, con un sospiro stanco e a testa bassa, si voltò completamente verso il padre. Con movimenti innaturalmente fluidi, Daphne Greengrass in Zabini si avvicinò alla figlia, così simile a lei nell’aspetto, e si mise a riassettarla completamente, quasi dovesse essere pronta per una sfilata di moda. Dopo averle passato più volte le mani tra i crini biondi e già perfettamente lisci, prese a fare e disfare più volte la piega al colletto della sua camicetta con un qualcosa che, dopo i primi cinque minuti, cominciava ad avere del nevrotico. Poi, sotto lo sguardo divertito delle due amiche, cominciarono le raccomandazioni di rito: dal più classico “copriti se fa freddo” al ben più originale “Non mettere di nuovo la polvere urticante sul mantello del professore”.
Un fischio dalla locomotiva scarlatta li avvisò che il tempo per i saluti si era esaurito e le tre ragazze si precipitarono sul vagone. Appena salite, si voltarono un attimo indietro per salutare le famiglie, mentre il treno acquistava velocità e si allontanava sempre di più, finché il binario 9 ¾ non fu solo un puntino nero dietro di loro.
Alle loro spalle, la porta dell’ultimo vagone si aprì e Marcus Nott fece capolino, insieme all’immancabile sorriso sciogli-ginocchia che gli era valso più volte l’attenzione delle giovani streghe di Hogwarts.
“Ragazze, abbiamo occupato uno degli scompartimenti in fondo. Venite?” I suoi occhi verdi brillavano di un’allegria genuina, ma composta.
Con un cenno di assenso, le tre lo seguirono verso il penultimo scompartimento, che trovarono chiuso e con le tendine tirate. Marcus alzò rapidamente la mano e diede due veloci colpi di nocche contro la porta, seguiti da una pausa e altre tre battute, e questa si aprì all’istante liberando una nuvoletta di fumo. L’odore di sigaretta invase le narici di Lily, dandole la consueta impressione d’essere sul punto di starnutire, e si sparse nel corridoio del vagone. Una voce arrochita dal fumo e dal tono scocciato intimò loro di sbrigarsi a entrare e, seguendo a ruota i compagni, Lily fece appena in tempo a balzare in avanti, che la porta scorse e si chiuse nel punto dove, fino ad un secondo prima, si trovava la sua spalla.
Dentro due ragazzi, uno moro e uno biondo, erano comodamente adagiati ai due lati dello scompartimento occupando, con le loro gambe stese, tutti i posti.
“Dove l’avete lasciato il cervello? Se sentono l’odore in giro per il treno, andrà a finire che qualche prefetto cagacazzi verrà a rompere!” sbottò Chase Zabini, raddrizzandosi sullo schienale e stringendo tra le dita l’inseparabile Lucky Strike.
“Se il signorino avesse la furbizia di fumare in bagno …” gli rispose Cally, con un’alzata di sopracciglia tutta Greengrass.
Per tutta risposta, ottenne dal fratello nient’altro che un’indifferente scrollata di spalle e un gesto noncurante della mano.
Lily trattenne un sorriso divertito e scambiò con Elettra un’occhiata complice che esprimeva tutto: i fratelli Zabini erano sempre i soliti.
Accanto a Marcus, il ragazzo biondo teneva lo sguardo annoiato fisso fuori dal finestrino, con l’angolo della bocca lievemente inclinato verso l’alto, unico segno che avesse prestato attenzione agli altri.
Scorpius Malfoy aveva sempre avuto l’irritante abitudine di comportarsi come il peggiore dei menefreghisti, e a qualcuno che non avesse a che fare con lui da ormai cinque anni avrebbe davvero potuto far credere che nulla lo sfiorasse.
Ma Lily non era di certo questo qualcuno e sapeva bene cosa ci fosse dietro quella maschera di indifferenza: un ragazzo permaloso e fortemente vendicativo.
Dopo essersi stravaccata nell’ultimo posto vuoto, accanto alla porta, Lily si appoggiò il suo inseparabile zainetto eastpack sulle ginocchia, accarezzandone la tela nera ormai sbiadita. Spesso aveva visto maghi e streghe anziani storcere un po’ il naso davanti a quell’oggetto, ma ormai anche la società magica stava cambiando e non era poi così insolito vedere giovani girare per Diagon Alley vestiti da capo a piedi di famose marche babbane.
Lei in particolare adorava possedere cose del genere, per non parlare del fatto che si rivelava parecchio utile sembrare il più possibile normale quando ci si trovava ad avere degli amici senza poteri magici.
Infilò una mano nella piccola tasca sul davanti dello zaino, sfiorando appena la maglietta scura al suo interno con un tocco carezzevole. Scavò ancora un po’, finché le sue dita non percepirono la superficie lucida di una foto. Sorrise spontaneamente, sapendo che se l’avesse tirata fuori vi avrebbe visto una se stessa sorridente e imbarazzata, abbracciata ad un ragazzo alto e atletico, con una zazzera di capelli neri e due occhi azzurro mare.
Andrew
Nonostante quella fosse la seconda volta che doveva separarsi dai propri amici babbani, l’esperienza non diventava di certo più facile e, sebbene si fosse riunita alle sue compagne, sapeva che avrebbe sentito molto la mancanza di quella fetta di “normalità” che si era ritagliata a Godric’s Hollow. Inoltre, essere riuscita finalmente a confessare i suoi sentimenti ad Andrew non aveva sortito di certo l’effetto desiderato.
Forse un rifiuto sarebbe stato più facile da accettare.
La sua espressione, invece, un misto di gioia e sofferenza, non l’avrebbe mai dimenticata.
Non può funzionare.
Questo le aveva detto in un tono affranto che, nonostante ne fosse perfettamente conscia anche lei, le spezzò il cuore. La sua distanza avrebbe reso tutto troppo complicato, anche se avessero voluto sorvolare sulla differenza d’età che c’era tra di loro.
Però l’aveva baciata. Un unico bacio, che lasciava in lei la speranza che forse, quando lei fosse stata più grande, quando le cose fossero state meno complicate, tra loro avrebbe davvero potuto esserci qualcosa. Una vaga speranza che, almeno per il momento, sapeva di dover accantonare per immergersi di nuovo e completamente nel suo vero mondo.
Fuori dal finestrino vedeva correre le campagne, mentre in cielo si addensavano nuvoloni scuri che promettevano tempesta. Lily trovava bizzarro come le nubi sembrassero acquistare maggiore consistenza quando il tempo peggiorava. Come se l’unica cosa concreta fosse l’imminente pioggia, la malinconia. Le pareva di star guardando grossi batuffoli di cotone impregnati di inchiostro antracite, nulla a che vedere con le impalpabili bianche striature che coloravano il cielo d’estate.
Con esse acquistava consistenza il distacco dalla realtà provvisoria che si era creata tra i suoi amici babbani, un piccolo universo in cui poteva fingere che le interessassero cose normali. Non aveva mai visto le proprie doti magiche come qualcosa di negativo, finchè verso i nove anni non si era accidentalmente librata in aria nel tentativo di raggiungere un pallone finito su un ramo, sconvolgendo i bambini del quartiere. Quel giorno era stata sgridata e aveva capito che non avrebbe mai potuto essere totalmente se stessa con quelli che, in fin dei conti, erano suoi amici.
Non aveva avuto dei veri amici maghi fino al primo anno ad Hogwarts, solo una marea di cugini, che non facevano testo essendo imparentati con lei. Fin da piccola aveva sempre cercato le proprie amicizie fuori di casa, fuori dal clan allargato Weasley e nemmeno con l’inizio della scuola si era smentita.
Dalla cerniera semiaperta del suo zainetto intravide il cravattino verde-argento della divisa e sorrise appena. Nessuno si era mai aspettato questo da lei, né da chiunque della sua famiglia, una Potter a Serpeverde era qualcosa in grado di sconvolgere tutti. Per questo motivo in casa sua si cercava di non nominare la cosa, e lei stessa evitava il più possibile di commentare la coppa delle case e tanto meno si presentava alle partite di Quidditch.
Tutti facevano il possibile per mantenere il quieto vivere, come in ogni famiglia.
Con gli occhi persi verso il cielo plumbeo, la ragazza impiegò del tempo a realizzare di essere osservata.
Sul sedile opposto Malfoy la stava squadrando con espressione annoiata. La loro aperta ostilità, nonostante avessero carissimi amici in comune, era qualcosa di risaputo. Nonostante tutto però, lei non aveva nessuna voglia in quel momento di cercare una scusa per discutere col ragazzo, specialmente perché il mal di testa e la stanchezza dovuti alla sera prima cominciavano seriamente a farsi sentire.
Accanto a lei i fratelli Nott e Zabini chiacchieravano distrattamente del più e del meno, in un borbottio che non faceva che conciliarle il sonno. Appoggiando la testa allo schienale, abbandonò ogni tentativo di rimanere sveglia e si lasciò avvolgere dalle braccia di Morfeo.
 
 
Furono le mani di Calliope a svegliarla ore dopo, scuotendole leggermente le spalle. Il sole era ormai vicino alla linea dell’orizzonte e lei realizzò con sorpresa di aver dormito quasi tutto il giorno. Impiegò qualche secondo per mettere a fuoco i suoi amici, vestiti di tutto punto, con i polsini della divisa abbottonati e i cravattini già al collo. Lily annuì, dando segno di aver capito che era ormai ora che andasse a cambiarsi e che presto sarebbero arrivati ad Hogsmeade. Raccolse il suo zainetto e si diresse verso i bagni, gli occhi ancora impastati dal sonno e la bocca secca. Si chiuse in un cubicolo, cercando di infilarsi l’uniforme senza che i sussulti del treno la facessero cadere dentro la tazza, cosa che sarebbe risultata abbastanza disgustosa, oltre che imbarazzante. Quando si stava ormai sistemando il colletto della camicia ed era sul punto di prendere il mantello, sentì un crick sinistro provenire dalla porta. Era certa di aver chiuso la porta a chiave, per evitare che qualche maleducato spalancasse la porta senza nemmeno bussare e la sorprendesse in mutande. Tentò di girare la chiave nella serratura, trovandola bloccata. Alzò gli occhi al cielo davanti ad un così cretino tentativo di scherzo e sfoderò la bacchetta, sussurrando a fior di labbra un Alohomora. Provò quindi nuovamente ad aprire la porta, ma quella sembrava sigillata.
Sotto i suoi piedi i sussulti del treno erano diminuiti sempre di più, fino a cessare, segno che ormai erano giunti a destinazione. Da lì dentro poteva sentire la confusione degli studenti che cominciavano a uscire dai vagoni e riversarsi sul binario della stazione di Hogsmeade. Fece un respiro profondo, tentando di non farsi prendere dal panico e cominciò a battere i pugni contro la porta, sperando che qualcuno la sentisse e la aiutasse.
“Oh andiamo, c’è qualcuno lì fuori?” urlò esasperata all’aria.
“Nessuno che ti aiuterà ad uscire, questo è certo” le rispose inaspettatamente una voce annoiata e tristemente conosciuta.
“Malfoy, che scherzo idiota! È questo il meglio che sai fare?”
Lily fumava di rabbia e si rese conto che il suo tono scocciato non faceva che compiacere il ragazzo.
“Dai, scemo del villaggio fammi uscire!” ordinò, la sua pazienza giunta al limite.
“Quanto siamo scontrosi. Non ti hanno insegnato a chiedere per favore?” la provocò, con voce evidentemente divertita.
“Ho detto fammi uscire!”
L’ennesimo pugno si abbatté sulla porta e dall’altro lato la ragazza poté sentire chiaramente Malfoy che rideva.
“Buon ritorno a Londra, Potter” il suo tono falsamente galante non fece che mandare Lily su tutte le furie.
Senza pensarci due volte, impugnò la bacchetta, la puntò verso la serratura urlò.
“Bombarda!”
Dal binario tutti gli studenti, fermi ad attendere le carrozze, si bloccarono di colpo al botto di un’esplosione. Vari finestrini del vagone di coda esplosero, lanciando ovunque schegge di vetro e una colonna grigia ne uscì, salendo verso il cielo.
Fumo e urla si diffusero rapidamente, riempiendo la sera silenziosa della stazione.
 

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Capitolo 2
*** Soap ***


Soap
 
 
Quando tentò di sollevare le palpebre che sentiva pesanti, fu subito costretta a riabbassarle di colpo, la sua vista ferita dalla luce troppo intensa. La testa le doleva, la sensazione di una pressione pulsante all’interno del cranio pareva non volersene andare. La sua mente ancora abbandonata nella semi incoscienza sembrava rifiutarsi di ricostruire in ordine logico la sequenza degli ultimi eventi. L’eco di una risata sprezzante e familiare si fece strada nella sua memoria, seguita dalla sensazione di calore che fluiva velocemente verso il suo viso per poi inondarle la testa: la sua rabbia.
E infine il boato terrificante, il clangore di vetri frantumati, il forte dolore alla nuca e l’esplosione di urla terrorizzate le ritornarono in mente con improvvisa chiarezza.
Inspirò profondamente, cercando di scacciare il caos che le affollava i pensieri, concentrandosi su dove fosse. Il profumo delicato del sapone le invase le narici, assieme ad un’indefinibile nota asettica.  Al secondo tentativo per aprire gli occhi, la ragazza sapeva già di trovarsi nel chiaro stanzone dell’infermeria.
Il bianco delle pareti contrastava nettamente con l’oscurità al di fuori delle alte finestre e il silenzio sovrano si contrapponeva ai rumori soffocati provenienti dalla Sala Grande, udibili persino da lì.
Si mise cautamente a sedere, consapevole che la fretta di uscire da lì non valeva un altro svenimento. I lettini, ordinati su due lunghe file e ricoperti da candide lenzuola erano tutti vuoti, come prevedibile il primo settembre, ad eccezione del suo e di quello accanto. Alla sua sinistra, un intontito Scorpius Malfoy portava una mano alla testa, probabilmente dolorante, ancora posata sul cuscino. Le sue iridi grigie la trovarono immediatamente, fissandosi su di lei con uno sguardo carico di astio.
“Non ti smentisci mai, vero Potter? Neanche arrivata al castello hai fatto esplodere qualcosa”.
La sua voce roca e ancora impastata manteneva il solito tono di scherno. La mano pallida del ragazzo salì, passando tra i fini capelli biondi e scostandoli dalla fronte alta.
“Nemmeno tu. Uno scherzo cretino ancora prima di arrivare in stazione”.
Malfoy si tirò su con un colpo di reni, le sopracciglia aggrottate e la bocca semiaperta, evidentemente sul punto di risponderle a tono. Le lenzuola, scostate di botto, avevano rivelato il busto del ragazzo, fasciato da spesse bende che gli circondavano il torace e salivano sulla spalla sinistra. Lo sguardo di Lily cadde per un breve istante sulle fasciature, per poi spostarsi sul proprio stesso corpo, controllando di non essere a sua volta ferita o seminuda. Dal fondo della stanza, lo schiudersi di una porta li distrasse entrambi e Madama Bones uscì dal suo ufficio dirigendosi verso di loro a lunghi passi, con una smorfia di disappunto dipinta sul viso.
“Voi due disgraziati potreste anche sforzarvi di non finire qui così spesso”.
Lily si sforzò per apparire il più possibile colpevole e contrita, mentre una punta finissima di vergogna nei confronti di quella donna la feriva. La stima e l’ammirazione che provava per l’infermiera erano cresciute negli anni, durante le lunghe conversazioni in cui le aveva confessato il suo sogno di studiare medi-magia una volta diplomata. Il rapporto che avevano costruito era fatto di complicità e, spesso, di rimprovero da parte della donna. Accanto a lei, Malfoy aveva sfoderato il suo sorrisetto irriverente e soddisfatto.
“Come Madama, non è contenta di vederci? E noi che abbiamo messo su questo teatrino solo per passare del tempo con lei”.
“Signor Malfoy, se la risparmi, la mia pazienza è già al limite, visto che grazie a voi due non ho ancora cenato” rispose con tono esasperato.
Lily riservò un’occhiata obliqua al ragazzo, cui il messaggio parve arrivare chiaramente: sei un idiota.
“Ovviamente siete entrambi attesi nell’ufficio della preside. Signorina Potter, lei può avviarsi, mentre io cambio le bende al signor Malfoy”.
“Se voleva rimanere da sola con me bastava chiedere”.
Lily non riuscì a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, scuotendo la testa, mentre recuperava le sue scarpe da sotto il lettino, per avviarsi fuori dall’infermeria.
Madama Bones non parve, invece, particolarmente toccata dall’irriverenza del ragazzo e la ragazza credette non ci sarebbe stata nessuna conseguenza finchè, posata la mano sulla porta, non sentì l’urlo da animale ferito prodotto dal biondo.
“Oh scusa caro, ti ho forse fatto male?” domandò la donna con voce angelica.
Lily sorrise tra sé, gongolante, mentre si chiudeva alle spalle il portone e si avviava lungo il corridoio.
 
Di fronte alla statua del gargoyle che conduceva all’ufficio della preside Lily ebbe un momento di esitazione. Spesso era lei stessa a cercare e creare guai, ma questa volta, come era successo altrettanto spesso, i guai avevano trovato lei. Fece un lungo, profondo respiro e mormorò a fior di labbra la parola d’ordine.
“Bolide”.
Davanti a lei, il gargoyle si scostò, rivelando la familiare scala a chiocciola. Con un sospiro rassegnato, si fece forza  e salì. Arrivata davanti alla porta, fece per bussare, ma non fece in tempo nemmeno a sfiorarla con le nocche che essa si spalancò autonomamente. Lily alzò lo sguardo, al centro dell’ufficio. Dietro la sua scrivania di noce, sedeva un’ evidentemente alterata professoressa McGranitt. Il viso della donna, ormai segnato dallo scorrere del tempo, era contratto in un’espressione di forte disappunto e le sue labbra strette erano divenute tanto sottili da sembrare un’unica linea rosata sul volto della donna.
“Prego, si sieda signorina Potter, attenda insieme a me il suo collega” la voce della preside era suonata secca e determinata.
Lily non si fece ripetere l’invito due volte e accelerò il passo, per sedersi in una delle due poltroncine che fronteggiavano la scrivania. Il silenzio che cadde sulla stanza faceva da preludio alla tempesta che si sarebbe scatenata di lì a poco. L’unico rumore che riempiva la stanza era il ticchettio di un grande orologio a pendolo, che sembrava in quell’immobilità amplificato esponenzialmente. Fu quello stesso oggetto a dire a Lily che quindici minuti di silenzio imbarazzante erano passati prima che Scorpius Malfoy varcasse la porta dell’ufficio. Entrò con la camminata misurata e sicura che lo caratterizzava e che la ragazza avrebbe definito profondamente irritante. I ciuffi biondi gli ricadevano sul viso, attaccandosi alla fronte appena sudata e l’espressione sul suo viso era di puro fastidio. Salutò la preside con voce bassa e pacata, prendendo posto nella poltrona con lentezza grazia e che, Lily lo sapeva, non era che un’ostentazione di galateo mirata a far credere che qualunque cosa poco decorosa non fosse da lui nemmeno lontanamente contemplabile. In sintesi, una scenetta per farlo sembrare un beneducato figlio di papà incapace di creare guai di sorta.
Il sopracciglio sinistro della preside svettò verso la fronte solcata da rughe profonde, le labbra si assottigliarono ulteriormente e il suo sguardo parve affilarsi, segni del fatto che lei non fosse particolarmente impressionata dallo sfoggio del ragazzo e che, anzi, ne intendesse perfettamente l’intenzione.
“Ve lo chiedo in sincerità, cosa pensate che io debba fare con voi?” fu la domanda che la donna pose, in tono stanco.
In altri momenti, Lily avrebbe tentato di rispondere con una battuta, ma la calma che la preside stava ostentando le fece intuire quanto, nel profondo, lei fosse infuriata.
Entrambi i ragazzi tacquero, lo sguardo fisso su un qualche punto imprecisato alle spalle della McGranitt.
“Non posso ovviamente togliervi punti, visto che la Coppa delle Case non è ancora formalmente iniziata, e comincio a dubitare perfino dell’utilità dei castighi che posso affidarvi, dato che fin’ora non hanno sortito alcun effetto sulla vostra condotta. Mai, nella mia carriera ho visto due compagni di casa che si mal sopportassero come voi due”.
Lily rise internamente, convinta che definire il suo rapporto con Malfoy come mal sopportazione fosse un fantastico eufemismo.
“Quello che voglio dire … Siete stati smistati entrambi a Serpeverde per una ragione, dovrete pur trovare terreno comune su qualcosa santo cielo!”
I due si scambiarono un’occhiata in tralice, la medesima espressione scettica sul volto.
“Onestamente è l’unica soluzione che vedo a questa faccenda diventata ormai ridicola: che troviate qualcosa che vi unisca, dannazione … qualcosa che vi leghi”.
Dal volto della professoressa era perfettamente intuibile quanto lei stessa, vedesse l’ipotesi appena sollevata come molto lontana dal realizzarsi. Appoggiò pesantemente i gomiti alla scrivania, massaggiandosi le tempie con le dita, come a voler conciliare il flusso di pensieri.
Dopo qualche altro secondo di pesante silenzio la preside parve riscuotersi, il viso illuminato di una nuova idea.
“Normalmente non approvo le misure educative … anticonvenzionali. Ma visto che ogni punizione che vi sia stata assegnata negli ultimi anni non ha avuto successo …”
La perplessità si espanse sulle facce dei due studenti, convinti che la donna avesse ormai deciso di accontentare Gazza nelle sue manie di tortura.
“Professoressa, cosa intende?” chiese Lily, con una nota di preoccupazione perfettamente udibile nella voce.
“Quello che intendo, Signorina Potter, è che farò in modo e anzi mi assicurerò che lei e il Signor Malfoy iniziate ad andare d’accordo. Per il quieto vivere mio e dell’intera scuola”.
Entrambi rivolsero all’insegnante un’occhiata che rendeva palese quanto trovassero quell’idea ridicola.
Per tutta risposta, la preside estrasse la bacchetta dalla manica della veste verde smeraldo e, con un gesto svolazzante della mano compì un incantesimo non verbale.
Lily sentì istantaneamente una sensazione di bruciore al polso destro, che la portò ad abbassare lo sguardo. Quando lo fece notò, con orrore, quello che pareva un filo di luce argentea avvolto attorno al suo braccio, che si stava congiungendo con un’altra estremità, serrata sul polso di Malfoy.
Qualcosa che vi leghi.
Si trovò a pensare con ironia che la preside aveva ragionato sul letterale. Era questa dunque la sua punizione?
“Finché non imparerete a tollerare la reciproca presenza senza che qualcuno venga ferito  o che proprietà della scuola vengano distrutte, passerete ogni momento libero delle vostre giornate in compagnia l’uno dell’altra”.
 
 
 
Varcarono il portone della Sala Grande, lasciandosi investire dal brusio eccitato del corpo studentesco riunito. Vedendoli entrare, alcuni studenti al tavolo più prossimo, quello di Tassorosso, iniziarono ad ammutolire e a darsi di gomito l’un l’altro per essere certi che anche i loro beneamati compagni si rendessero conto della presenza dei due Serpeverde. Questo teatrino parve ripetersi più volte, in un’onda che proseguì per tutta la sala, ottenendo il risultato di catalizzare l’attenzione dell’intera scuola su di loro. Malfoy accelerò il passo, dirigendosi ad ampie falcate verso la loro tavolata, dove varie persone li guardavano sconfortate e scuotevano debolmente la testa. Molti di loro sembravano chiedersi se fosse possibile che l’ennesimo disastro combinato da quei due potesse far partire il punteggio della loro casa in negativo prima ancora che la Coppa fosse iniziata.
Lily, passando accanto ai Grifondoro, voltò lo sguardo verso i suoi fratelli e potè facilmente leggere sulle labbra di James un’imprecazione che a casa gli sarebbe valsa uno scappellotto da parte di nonna Molly.
Quando si sedettero, Ai loro fianchi i fratelli Zabini e Marcus di fronte a loro ad osservarli con aria giudicante, entrambi i ragazzi crollarono il capo stanchi ed esasperati.
“Forza, dì quello che devi, Marc, vedo che muori dalla voglia di farmi la filippica” sbottò il biondo con voce affilata.
Il maggiore dei Nott, per tutta risposta, si limitò a rivolgergli un’occhiata di sufficienza e a scuotere per l’ennesima volta la testa, per poi tornare a concentrarsi sul contenuto del proprio piatto.
“Beh, se lui è troppo signore per parlare allora lo dico io. Siete stati due cretini!” esclamò Calliope alla sinistra di Lily.
“Passino i vostri scherzi idioti, ormai ci abbiamo rinunciato tutti, ma esporvi così al rischio di essere espulsi …” la bionda inspirò profondamente.
“Avrebbero potuto esserci delle conseguenze non solo per voi, sarebbero ricadute su tutta la casa” Borbottò infine Marcus, decisosi ad esprimere la propria opinione.
“Questa scema fa saltare in aria un vagone e ti preoccupi delle conseguenze per la casa? Il peggio che sarebbe potuto succedere sarebbe stato la liberazione dalla sua fastidiosa presenza, non mi sembra male”.
“Certo… O poteva ferirsi qualcuno oltre a voi due. Ma lasciando stare questa ipotesi e tutto il discorso morale, cosa pensi che sarebbe successo se avessero espulso entrambi Scorpius?”
“Lo sai che ci servi, il cercatore di riserva è un disastro, non possiamo vincere la coppa del Quidditch senza di te”.
“Oh, grazie del nobile pensiero! è bello sapere che l’idea che io venga espulso vi tocca solo per questo!E comunque non sarei rimasto in squadra in ogni caso, quest’anno!”
Un silenzio sorpreso calò sul gruppo di amici, che rivolsero verso il ragazzo gli occhi sgranati.
“Stai scherzando?” domandò flebile Chase.
“No, sono mortalmente serio. E, che sia chiaro, non ho intenzione di ascoltare la vostra opinione a riguardo, quindi risparmiate il fiato”.
E, detto questo, iniziò alacremente a riempirsi il piatto.
Il giovane Zabini parve sul punto di protestare, ma richiuse immediatamente la bocca quando vide Marcus fargli un segno di diniego.
Sul gruppo di amici cadde per qualche minuto un silenzio imbarazzato, spezzato dal brusio che invece continuava attorno a loro.
“Beh basta io lo chiedo: che accidenti è quell’affare Lily?” esordì d’un tratto Elettra, indicando platealmente il filo metallico sospeso tra i due.
“Oh lo hai notato! È la nostra punizione. Pare che la McGranitt abbia deciso che il suo nuovo obbiettivo nella vita è farci andare d’accordo” rispose la ragazza in tono esasperato.
“Già, buona fortuna!” borbottò il biondo accanto a lei, avvicinando un calice colmo di succo di zucca alle labbra.
“Che idea ridicola”
“Io la definirei dolce ironia” celiò Cally, portandosi alle labbra un dolcetto al cioccolato.
Lily si trovò a pensare che quel genere di ironia non la divertisse affatto, mentre si dedicava con minuzia a svuotare il piatto, reduce da un’intera giornata a stomaco vuoto.
Più tardi, quando il gruppo imboccò la porta dei sotterranei diretto alla sala comune di Serpeverde, la ragazza realizzò quanto davvero quell’imposizione sarebbe risultata difficile sul lungo periodo, dato che la sua tolleranza a Malfoy era molto bassa e molto limitata nel tempo. Negli ultimi anni, complice l’avere amici comuni, avevano inevitabilmente passato del tempo insieme. Erano momenti, tuttavia, che non superavano mai le due ore filate, salvo poi sfociare in punizioni, esplosioni, ferite, o danni di altra natura a cose e/o persone. I prossimi giorni sarebbero stati un vero strazio, e dovevano trovare alla svelta una soluzione.

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